HANDBOUND
AT THE
UNIVERSITY OF
TORONTO PRESS
GIORNALE STORICO
LETTERATURA ITALIANA
VOLUME VI.
(2o semestre 1886).
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GIORNALE STORICO
DELLA ?
LETTERATURA ITALIANA
DIRETTO E REDATTO
ARTURO GRAF, FRANCESCO NOVATI, RODOLFO RENIER.
VOLUME VI.
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TORINO
ERMANNO LOESCHER
FIRENZE ROMA
Via Tornabuoni, 20 Via del Corso, 307
1885
PROPRIETÀ LETTERARIA
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qi.
Torino — ViKCBxzo Boka, Tip. di S. M. e de' EB. Principi.
I'
IL TEATRO MANTOVANO
nSTEL SEC. X:"VI (1).
YII.
Se il Dramma religioso continuava a vivere stentatamente nel
contado, lo spettacolo urbano, circa la metà del secolo XVI, a che
Siam giunti ormai col nostro racconto, stava per ricevere efficace
impulso dalla fondazione dei teatri stabili, innalzati con la ma-
gnificenza propria dell'architettura del tempo, nonché dalla riu-
nione dei comici in Compagnie. Da questi due fatti, dei quali or
ora vedremo le prove, ebbe vigor nuovo l'arte drammatica ; non
più passatempo momentaneo e ad intervalli, con attori avventizi
e qua e là ragranellati, ma forma costante del costume civile, e
costante professione di vita.
Nel '39 frattanto, moriva Isabella, che tanta e sì nobil parte
aveva avuto alle sorti del teatro: e nel '40, il figlio di lei Fe-
derico. A questo succedeva Francesco, che, essendo ancor gio-
(1) Contin. Vedi voi. V, fase. 13-14.
Giornale storico, VI, fase. 16-17.
2 A. d'ancona
vanetto, rimase sotto la tutela degli zii, cardinal Ercole (1) e Don
Ferrante, signore di Guastalla (2), e della madre Margherita Pa-
leologa. Di questo tempo della minorità del Duca abbiamo un
prezioso ricordo di feste teatrali, nella seguente Lettera del 25
febbraio 1542, scritta appunto a Don Ferrante dal celebre Ippo-
lito Gapilupi (3):
lll.™o et Ecc."»» Sig. et P.rone osse."""
Da molti giorni in qua io ho scritto brevemente a V. E. per carestia di
soggetti. Hor questa mia non sarà cosi brieve come son state l'altre, perchè
mi presterà materia di scriver il Garneval passato , il quale è riuscito bel-
lissimo, considerando il poco spatio di tempo, che si ha havuto : et pur in
cosi poco tempo, che non è stato più di dodici dì, si sono fatto tre Gomedie,
una Moresca, et due feste bellissime; il giovedì grasso ne fu recitata una
in casa di Mons.''^ l'Abbate (4) , che si chiama il Ragazzo (5), da certi gio-
vani da Goito, i quali, ancorché sieno di quel luogo dove è la perfettione
et l'eccellenza della lingua mantovana , tuttavia recitavano di modo , che
qui fu tolerabile. La domenica appresso, Mons.* R."»» (6) fece una festa al
(1) Ercole, figlio prediletto di Isabella, ottenne la porpora nell' anno ven-
tesimosesto dell'età sua. Fu uomo dotto e pio, e il papa lo elesse a presiedere
il Concilio di Trento: morì in tal ufficio nel 1563. Fece da Giulio Romano
costruire la cattedrale essendo vescovo di Mantova, e nel tempo che governò
lo stato, migliorò molto la città. Morendo, lasciò al nipote gli arazzi di
Raffaello : vedi Bettiinelli, Op. di., p. 82, e Volta, Op. cit.. Ili, 86.
(2) Questi è Don Ferrante 1°, fratello di Federigo, signor di Guastalla,
principe di Molfetta e viceré di Sicilia, la cui Vita fu scritta dal Gosel-
LiNi (ristamp. dal Rosini, Pisa, Gapurro, 1821). Fu gran guerriero; ma amò
anche le lettere e protesse i letterati. Morì nel 1557, lasciando suo succes-
sore Cesare, del quale abbiamo già detto.
(3) Ippolito Gapilupi, nato nel 1511, prima segretario del card. Ercole e di
D. Ferrante, poi Vescovo di Fano e Nunzio apostolico a Venezia, morì nel
1580. Fu poeta latino ed italiano, ed espertissimo nelle cose di stato. Le sue
Lettere diplomatiche per gli affari di Svezia e di Polonia, e particolarmente
quelle della nunziatura a Venezia, che contengono preziosi ragguagli sul
concilio di Trento, meriterebbero veder la luce.
(4) Il D'Arco, Arte ed Artefici ecc. p. 129, sospetta che si tratti di Ga-
leazzo Boschetti-Gonzaga arcidiacono della cattedrale, poi primicerio di
S. Andrea.
(5) Commedia del Dolce, stampata a Venezia nel 1541.
(6) Probabilmente il card. Ercole.
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC. XVI 3
Sig.* Ascanio in casa del Conte Brunoro per esservi sala capace , dove fu-
rono invitate forpc cinquanta gentildonne , delle più belle et delle più no-
bili, che ci siano; innanzi cena si fece la Moresca che ho detto di sopra, la
quale, et per gli habiti , et per una musica di voci et stromenti , che fu
mescolata con quella, fu di cosi dolce passatempo agli occhi et agli orecchi
di chi fu presente , che per me confesso di non haver veduto né udito cosa
simile a quella che mi dilettasse. Quei che fecero la moresca erano otto
servidori di Mons. R.""", i quali erano vestiti a guisa di pastori col dissegno
di messer Giulio Romano (1) in questo modo. Havevano una camicia per
uno di cendado verde, le calze et il giuppone di tela dipinta di color simile
alla carne, le scarpe di pelli di gatto di Spagna, con certi groppi, con tocca
d'oro, di lupi cervieri, uno dinanzi al petto, et l'altro di dietro, accomodati
di man propria di mess. Giulio, et legati con tocca d'oro : in capo havevano
pelli negre roversie, che imitavano naturalmente i capelli ricci, con ghirlanda
di lauro, et con maschere al volto (2), le quali erano senza mento, accioc-
ché non fossero lor ad impedimento nella musica et nella moresca. Oltre a
questi otto pastori, oravi il Dio lor Pan vestito nella medesima maniera, ma
con le corna, sì come si figura. Questo é uno Giudeo, che suona l'arpa (3),
il quale fu il primo ad uscir in sala come lor Dio, si che se ne usci in modo
di moresca con l'arpa in mano, dietro al quale uscirono ad uno ad uno gli
otto pastori, con una basta per uno nella man destra, facendo la medesima
moresca, che haveva fatta il lor Dio: de' quali ve n'erano quattro, che oltre
all'haste avevano uno strumento per man nella sinistra, appoggiato sopra la
spalla, un violone, doi leuti, et un flauto. Poiché tutti furono usciti , et si
hebbero radunati in cerchio girando intorno alla sala con certi lor contra-
passi, ch'io non so discerner né far, i quattro dagli stromenti cominciarono
il lor concerto con parole accomodate all' habito loro , et gli altri quattro
col lor Dio si posero in atto di ascoltare. Finito il concerto, tutti otto si
(1) Scrive il Vasari di Giulio che « non fu mai il più capriccioso nelle
« mascherate, e in fare stravaganti abiti per giostre, feste e torneamenti ».
(2) Provveditore delle maschere era forse Baldassaro de Gortellinis, detto
Magistro a mascherisi in favor del quale è iscritta una partita nel 1547.
Forse era modenese: che Modena era la città ove si facevano le maschere,
e il Gampori, Notizie per la vita di Lod. Ar., reca a pag. 72 un paga-
mento fatto nel 1521 a m» Michele di Gortelini « a conto di mascare ha
« dato questo carnevale per le comedie di m. Alessandro Guirino e de
« m. Ludovico Areosto ».
(3) È questi senza dubbio Abramo dall'Arpa, del quale abbiam già detto
in addietro, colla scorta del Canal, p. 49.
4 A. d'ancona
diedero in punto al menar delle mani con le lor baste: et così, et con gli
habiti ebe riuscirono maravigliosi, et con la musica, cbe fu dolcissima, et
con la lor agilità et destrezza, cbe non fu poca, diedero grandissima pastura
agli spettatori: et percbè i morescanti non sieno da me in parte alcuna pri-
vati della lor laude non li nominando, io dirò a V. E. i nomi loro, ancbor
cb'essa non li conosca tutti. Erano questi Volpino (1), il Bendidio (2), il
Leale, Hieronimo Negro (3), il Preposto da Fermo (4), Carlo Luzara (5), et
il Gredenzero, et un Palafreniero : i primi quattro intervennero nella musica
et nella moresca, gli altri quattro s'impacciarono solamente nella moresca:
la quale finita, si danzò et si cenò coppiosissimamente. Il Lunedì fu recitata la
seconda comedia dai Chierici del Domo, cioè i Captivi di Plauto latino, et
Mons.« fece la spesa de'vestimenti, i quali furono di tela di vario colore, et furono
cosi ben composti per mano di messer Giulio, che bavendosi riguardo alla poca
valuta loro, erano degni di maraviglia. La Comedia ancborcbè fusse latina,
nondimeno per gli habiti, et per certi intermezzi volgari, i quali dichiara-
vano l'argomento d'atto in atto, non venne a noia, né agli uomini né alle
donne, cbe non intendevano il latino, perciocché dagli argomenti et da'gesti
de' recitanti se non capirono il tutto, ne capirono la maggior parte. Finita
la Comedia ogn'uno tornò a casa sua a cena. 11.... dì di Carnevale fu reci-
tata la terza Commedia composta da un Scenese, intitolata VAmor costante (6).
Questa diede più cbe l'altre due da ridere alla brigata, et fu assai ben re-
citata. Mons. l'Abbate non volle che a questa ultima Comedia , poiché fu
(1) Il Volpino degli Olivi abitò in Coito, fu sacerdote, poi canonico della
cattedrale di Mantova, studioso di lettere e di poesia: vedi D'Arco, Op.
cit., p. 129.
(2) Marcantonio Bendidio, di origine ferrarese, ma ai servigj dei Gonzaga :
del quale il Ferrato pubblicò nel 1878, Mantova, Balbiani e Druetti, alcune
curiose e belle Lettere descrittive del viaggio fatto dalla march. Isabella
a Cavriana e al lago di Garda nel 1535.
(3) Fu dai Gonzaga, che lo avevano in gran conto, spedito ambasciatore
in Spagna, ove ebbe il titolo di cavalier d'Alcantara, ed é con molte lodi
ricordato da Ascanio Mori da Ceno: vedi D'Arco, Op. cit., p. 129.
(4) E Federico Guerrieri, che in una Lettera del Giovio del 1524 é detto
lo Reverendo Federigo Guerrero, preposto della cattedrale di Mantova.
1 Guerrieri erano originarj di Fermo: D'Arco, ibid.
(5) Carlo, figlio di Cristoforo valoroso guerriero, detto lo Scaramuzza,
tenne in Mantova diversi ufBcj, fra i quali quello di collaterale: vedi
D'Argo, ibid.
(6) Di Alessandro Piccolomini, sanese, composta nel 1531 per la venuta
dell' imperatore a Siena.
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC. XVI 5
finita, si partissero tutte le donne , siccome havevano fatto all'altre due, et
però finita la Gomedia ne invitò forse (juaranta, le quali, accettato Y invito
et cenato, intertennero la festa insino alle nove hore. Mi sono scordato di
scriver che il di delle feste si correva alla quintana, et furono fatte alcune
livree, non però di molta spesa: la maggior che sia stata fatta, fu del Conte
Camillo Castiglioni del Corno (1).
Il Cardinale, che, come si vede da questa lettera del Gapilupi ,
aveva dovuto ad altri ricorrere per avere una sala atta alle com-
medie, nel 1549 diede incarico all'architetto mantovano G.B.Bertani,
traduttore ed illustratore di Vitruvio, di costruire un teatro sta-
bile, prescegliendo a tal uopo un'area capace fra il castello e la
cavallerizza. Il Bertani aveva già dato prove della virtù sua,
quando, al principio di cotest'anno, Don Filippo, richiamato in
Spagna dal padre, si era trattenuto tre giorni in Mantova, onore-
volmente accolto da quei signori (2). E il teatro poco appresso era
costruito (3) : di forma semicircolare, e a scaglioni per gli spetta-
tori : e dinnanzi, la scena. Nell'ottobre frattanto, nuovi spettacoli
rallegravano la città,- essendovi giunta con splendido corteggio
Caterina, figlia di Ferdinando re de' Romani, sposa al duca Fran-
cesco. Che in tale occasione si facessero, tra gli altri festeggia-
menti, anche commedie, lo abbiamo veduto qui addietro (4): la
recitazione di una commedia fu affidata agli ebrei: quella del-
l'altra, ai « nostri recitanti », fra' quali forse saranno stati alcuni
di quelli che il Gapilupi ricorda aver preso parte agli spettacoli
scenici di ott' anni innanzi.
(1) Campori, Gli artisti ital. e stran, negli stati estensi, Modena, 1855,
p. 375, e riprodotta nel D'Arco, Op. cii., II, 128.
(2) Vedi nel D'A.rco, Op. cit., Il, 132, il documento in data 14 maggio 1549
che elegge soprintendente alle fabbriche dello stato il Bertani, cujus eximia
virtus abdita et recondita usque in adventu sereniss. Hispaniarum. regis,
in hanc urheni quasi sepulia remanserit, tunc vero manifesta, niagis
eluxerit et refulserit.
(3) Difatti, già agli 8 ott. 1549 Francesco Tosabezzi scriveva: « Il theatro
« si va tuttavia finendo e riesce molto bene ». Secondo il Volta, III, 58,
parrebbe fosse veramente finito soltanto nel '51.
(4) Vedi a p. 47.
6 A. d'ancona '
Ma i gaudj della Corte furono di breve durata, essendo nel '50
morto il Duca appena diciasettenne. Gli successe il fratello Gu-
glielmo: ma, avendo egli soli dodici anni, continuò la reggenza.
Durante la minorità del principe, i documenti d'Archivio non ci
somministrano soverchi esempj di spettacoli scenici. Ferveva la
guerra contro i Farnesi, e il Cardinale doveva provvedere a for-
tificare il territorio mantovano e monferrino, e guardarlo dalle
incursioni devastatrici dei belligeranti. Tuttavia nel '53 ai 12 giu-
gno si ha memoria di una recita, in questa lettera del segretario
Cornacchia al Duca:
Si sono recitati i Suppositi (1), come sa V. E. che si doveva fare. Si è
principiato tra le diecinove et vinti bore , et si è finito nanti le vinti tre.
Sono stati benissimo recitati a parte per parte : la comedia poi, V. E. sa cbe
è riputata fra le belle : però, oltre la bellezza , l'esser ben detta 1' ha fatta
comparire molto più. Vi hanno fatto un dialogo novo, qual è reuscito, per
essere stato recitato da mess. Piero Olivo. Hanno finto che una donna, che
andava cercando un gentilhomo per trattenimento di sua madonna, è stata
ritrovata da queste ferraresi, et hanno voluto che vaddi a fare il Prologo a
queste donne, massime alla IH.""* Sig.""^ Principessa, et lei sdegnata, ancorché
ve l'habino cacciata per forza, non glie lo ha voluto fare : et così è restata
la comedia senza Prologo. La scena era la medema, salvo che l'hanno ador-
nata di fronde et fiori.
E i Suppositi furono ripetuti nuovamente nel '63, per onorare
Ercole e Rodolfo, figli di Massimiliano di Boemia, che andavano
alla volta di Spagna. Nel '65 poi, troviamo questo solo ricordo nei
registri di tesoreria:
Al Sig. Tasso per la comedia, ducati 50 d'oro.
Ed è chiaro trattarsi di Bernardo, e probabilmente della dire-
(1) I Suppositi furono la prima volta rappresentati in Ferrara nel 1509
agli otto di febbraio, come apparisce da lettera del Prosperi ad Isabella
Gonzaga, recata dal Gampori, Notiz. per la vita di L. Ariosto, p. 69.
Dieci anni dopo furono riprodotti in Vaticano alla presenza di Leon X:
ihid, p. 71.
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC. XVI 7
zione a lui affidata di qualche recita, come ne abbiamo già ve-
duto altro esempio.
Cresceva frattanto in età il Duca, che menava in moglie Eleonora,
figlia del re de' Romani, diventando così genero di Cesare, e co-
gnato al re di Polonia, e ai duchi di Baviera, di Ferrara e di
Toscana. Nel suo lungo regno potè agevolmente secondare l'in-
clinazione alle arti, e favorirne i cultori. Protettore efficace del
gran Palestrina, ajutò il nuovo avviamento della musica e si di-
lettò egli stesso di comporre (1); dei comici fu munifico mece-
nate. Appartiene ai suoi tempi la prima menzione di veri attori
comici, di maschere teatrali e di comiche Compagnie : salvochè
la storia della virtuosa canaglia comincia col ricordo di una ba-
ruffa. Infatti nel 1566 Ferrante da Bagno avvisava il segretario
Grotto essere accaduta in piazza una certa questione
... nella quale vi intravenne anco lo Spagnolo da le comedie, come quello
che, insieme col Malherba et Giuseppe Grasso, sono continui commensali
del cavaliere Bergamasco ; et perchè il detto Spagnolo non venne in tempo
di recitare la comedia, per cagione di andare ad impacciarsi ne la questione,
perciò ne nacque Toccasione de l'altra rissa che fu tra questi comici.
È superfluo notare che qui non si può trattare di uno Spa-
gnuolo vero e proprio, ma di quell'attore che nella commedia
del cinquecento faceva le parti dell'antico miles gloriosus, e pa-
rodiava le sbravazzate e il parlare iperbolico dei nuovi domina-
tori d' Italia. Né credo sia nel vero il Riccoboni, quando, parlando
di questo personaggio comico, scrive che la dominazione spagnuola
avendo attirato fra noi anche dei commedianti di cotesta nazione,
ne vennero per tal modo al nostro teatro i Capitani Spavento^
Matamoros, Sangre y Fuego, parlando puro o mescolato il lin-
guaggio iberico (2): dacché tutto porta a tenere per vero che
la maschera del Capitano spagnuolo nascesse in Italia, quando
(1) Canal, Op. cit., pp. 31 sgg.
(2) Hist. du Th. italien, p. 56.
8 A. D ANCONA
unica vendetta alla baldanza, alla rapacia, alla miseria degli in-
solenti padroni era il canzonarli sulla scena. E invero, le Com-
pagnie comiche spagnuole vennero soltanto più tardi fra noi (1).
Ma chi fosse appunto quello Spagnuolo che nel '66 recitava in
Mantova, è difficile il ritrovare: né sapremmo se fossero pure
comici il Malerba e il Grasso (2). Fece, come è noto, le parti di
Capitan Spavento, e ne stampò le Bravure, Francesco Andreini:
ma poiché ei nacqjie nel 1548, e prima fu soldato, e a vent'anni
schiavo de' Turchi , non può trattarsi di lui. Più facilmente po-
trebbe nello Spagnuolo delle commedie riconoscersi Fabrizio de
Fornaris napoletano, che intorno al 1570 scorreva la Francia e
l'Italia, rappresentando le parti di un capitano millantatore, par-
lando sempre in lingua spagnuola e facendosi nominare il Ca-
pitano Coccodrillo (3).
Poco dopo, in una lettera del segretario ducale Luigi Rogna ,
in data dell' 11 maggio 1567, e in altre successive dell'anno stesso,
vediamo ricordati i Graziani: e siamo così in pieno dominio della
Com/mjedia dell'Arie e delle maschere:
S. E. ha fatto recitare hoggi una comedia dai Gratiani, nella scena qui di
Castello, et è stato a udirla insieme col sig. Principe ill."">, et l'ha gustata
assai al mio giuditio.
(1) Infatti il Barbieri a p. 105 della Supplica: « La Spagna prima si
« serviva delle nostre italiane (Compagnie), e i comici vi facevano assai bene :
< Arlicchino, Ganassa et altri hanno servito la felice memoria di Filippo 2°,
« e si fecero ricchi: ma, dopo, quel regno ne ha partorite tante, che ne
« riempie tutti quei gran paesi, e ne manda anche molte Compagnie in Italia ».
L'autore anonimo di un libro contro il dominio spagnuolo in Italia, che è poi
G. B. Levizzani modenese, nello Zimbello o vero l'Italia schernita, San Ma-
rino, MDCXLI , p. 100 , se la prende anche colle Compagnie comiche spa-
gnuole, dicendo « gli histrioni spagnuoli (sia detto con buona pace di chi
« ciò loro permette) si veggono nelle città più sante della Italia su i pu-
« blici palchi mescolare il sacro col profano, facendo comparire ruffiane
« con la corona in mano, e nominare di continuo il nome di Dio invano,
« e servirsi delle preghiere divine per conseguimento di voglie disoneste ».
(2) Un Grasso, mantovano, ma Niccolò di nome, è autore di una com-
media, r Eutichia, stampata nel 1524 in Roma.
(3) VediFR. Bartoli, I, 230, che reca una Bravura del capitan Cocco-
drillo, tratta dalla comedia del De Fornaris L'Angelica, tutta in spagnuolo.
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC. XVI 9
E il 18:
Heri si fece nel palazzo del Sig. Cesare Ecc."»" una comedia de Gratiani.
E il medico Ettore Micoglio sotto la stessa data:
Qui non si sente di nuovo che le Gomedie del Gratiano.
Quest' ultima menzione ci fa sicuri che i Graziarli sono la Com-
pagnia governata e diretta dal comico Graziano, al modo come poi
i Pedrolini, vorrà dire la Compagnia condotta da Pedrolino: e
cosi col 1567 abbiamo il più antico ricordo di questa maschera,
di origine e loquela bolognese, caricatura di dottore vecchio, ri-
dicolo per ignoranza e scostumatezza, e che, col cognome di Ba-
loardi, de' Violoni, Forbizone da Francolino, delle Godige ed
altri, durò due secoli e più sulla scena italiana e francese, fa-
cendo sempre ridere alle sue spalle: immagine, come il messer
Nicia del Machiavelli, della miseria intellettuale e della goffag-
gine di chi della scienza non ha altro che il titolo. Ma chi fu il
primo Graziano? e questo che recitava a Mantova nel '67 fu egli
il primo?
Dicesi che l'inventore di questa maschera fosse Luzio Bur-
chiella, che si sottoscrive appunto Lus Burchiella Graiià. Ma
era cotesto un nome vero o un soprannome? A buon conto, Bur-
chiella soprannomavasi anche Antonio da Molino, annoverato tra
1 più antichi comici veneziani (1), e che sembra anteriore al Luzio:
né Graziano era pur esso nome del tutto nuovo, trovandosi cosi de-
signato anche un poeta popolare del principio del secolo (2). E
(1) Sansovino, Yenetia città nobilissima et singolare, Venetia, Sanso-
vino, 1581, p. 168.
(2) Nel bel catal. Rothschild, I, 654, testé pubbl. per cura del prof. Picot,
si registra questo componimento s. a. n., che l' illustratore crede però esser
stato stampato a Lione verso il 1508, dacché vi si trova una silografia che
comparisce anche nell' Ospitai d'amour di indubitata stampa lionese : « Fro-
« tola nova contra venetiani composta per magistro Gratiano de la cita di
« Luca novamente stampata ». Comincia: Turchi Mori e Saracini Con gran
giente socorete Che Marzocho è in la rete Prexo a VArno con li Orsini.
10 A. D ANCONA
il Molino, che mescolava il greco e lo schiavone, potrebbe in
cotali impasti esser stato maestro a Luzio, che formò un linguaggio
tutto suo e perciò detto grazianesco , pieno di equivoci e di
spropositi, ma di fondo bolognese (1). Ad ogni modo, poiché del
Burchiella graziano abbiamo un sonetto stampato nel 1570 e
una lettera inserita dal Rao nella sua raccolta delle Argute et
Facete, che usci alla luce in Pavia nel '76 (2), può ben ammet-
tersi ch'ei sia quegli di che parla il documento mantovano del '67.
Tuttavia, si potrebbe anche pensare a Bernardino Lombardi
della Compagnia dei Confidenti, o a Lodovico dei Bianchi bolo-
gnese (3), ambedue celebrati graziani: ma se ci pare da esclu-
dere assolutamente quest' ultimo, confessiamo di rimanere al-
quanto incerti fra Luzio e il Lombardi (4).
(1) Bartolom. Rossi comico, nella Prefazione alla Fiammella del De For-
NARis, Parigi, Abell'Angelieri, 1584, dice: « E Gratiano chi voi che parli
« bolognese, chi ferrarese, chi da Francolino: bora non parlano né l'ima né
« l'altra lingua, solo che si sforzano di dire il tutto alla riversa ».
(2) Sonetto e Lettera sono riferiti da Fr. Bartoli, I, 140.
(3) Ad. Bartoli, p. cxxxii, ha pubblicato alcune lettere del De Bianchi
al Granduca Ferdinando, del 1576 e del 1589. Ne aggiungo qui un'altra in-
dicatami dal cav. Gaetano Milanesi, e tratta dell' Arch. di Stato di Firenze:
« Ser.^o mio Sig.''^
« A ciò che V. A. conoscha che sempre vi tengo nel core et ancho desidero
« se mai mi sarà dal cielo concesso tanta gratia, ò voluto con la presente
« ochasione con ogni riverencia salutarla con mandarli un pocho de la mia
« sciencia, se bene sarà tropo presuncione mi farà gracia dacetarla e pa-
« rendoli pigliarne anche qualche spaso nel legerla e con questo umilmente
« me gì inchino e basio le ser.™^ mani pregando il cielo per ogni felicità
« e contento di V. A. Ber.""* Di Vinecia all' il di Luglio 1587.
sempre fedel servitore
Lodovicho di Bianchi da Bologna.
detto il dotor Gradano di Gelosi ».
È probabile che ciò che il Bianchi inviava al Granduca, fossero « Le
« cento e quindici conclusioni. In ottava rima. Del plusquam perfetto Dottor
« Gratiano Partesana da Francolino comico Geloso. Et altre manifatture e
« compositioni nella sua buona lingua », stampate appunto nel 1587 a Firenze.
(4) 11 Sand, Masques et Bouffons, Paris, Levy, 1877, II, 34, preciserebbe
così, ma non sappiamo se esattamente, alcune date della vita dei tre attori :
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC. XVI 11
Dallo stesso Rogna e nello stesso anno, ma nel giugno, abbiamo
un ricordo di altra Compagnia comica, che recitava in Mantova,
e che si direbbe diretta da una donna. Il Rogna, infatti, scrive :
Domenica passata fu fatta una bella comedia dalla Compagnia della
Flaminia; vi fu gran concorso di gentilhuomini e gentildonne, giudici, pro-
curatori, dottori ecc.
Or chi era ella questa Flaminia, che ci si presenta, se non
come la prima, almeno come una delle prime donne che calcas-
sero le scene (1)? Non è certamente quella che con tal nome
corse trionfalmente i teatri d'Italia e di Francia, e che fu moglie
a Pier Maria Cecchini detto Fritellino (2). Di quella, il Plutarco
dei comici italiani scrive a questo modo : « Flaoninia, nome tea-
« trale d'una attrice, che faceva da prima donna nella Compa-
« gnia de' comici Accesi, diretta da Pier Maria Cecchini intorno
« al 1609. Il suo vero nome era quello di Orsola, ma del suo co-
« gnome non ci è pervenuta alcuna notizia (3) ». E reca due so-
netti fatti per lei : l'uno dei quali di Girolamo Oraziani, quando
egli aveva circa 15 anni , e l'altro di Gian Bernardino Sessa,
quando Flaminia nel 1609 recitava a Milano. Ora , essendo il
futuro autore del Conquisto di Granata nato nel 1604, sa-
remmo col suo parto poetico al 1619. In ambedue i sonetti si
« Dans la troupe dite des Gelosi , qui vint en Franco en 1572, le ròle du
« docteur Graziano était rempli par Lucio Burchiella, acteur plein de verve
« et d'esprit, qui fut remplacé en 1578 par Lodovico de Bologne. En 1572
« Bernardino Lombardi vint en BVance dans la troupe des Confidenti: il
« avait l'emplois des docteurs. Aussi bon poéte qu' acteur distingue, il
« publia à Ferrara en 1583 une comèdie en cinq actes, plusieurs fois reim-
« primée, Y Alchimista ».
(1) Secondo il Cecchini {Fritellino) , Breve discorso int. alle Comedie.,
Venezia, Pinellì, 1621, p. 9, nel 1621 erano appena « cinquant'anni che si
« costumano donne in scena ». II Riccoboni, Op. cit., p. 42, dice che furono
introdotte « vers Fan 1560».
(2) 11 Quadrio, V, 237, la fa erroneamente moglie allo Scala.
(3) Fr. Bartoli, Op. cit., I, 227; e li , 293, dove nota che fu moglie al
Cecchini.
12 A. d'ancona
lodano le amorose stelle e il bel viso e la virtù d'amore della
attrice. Ma i documenti mantovani ci parlano di Flaminia nel
1567, e da quest'anno al 1619 ne corrono cinquantadue, ch'è un
bel tratto di tempo per tutti, e specialmente per una attrice,
tanto più che converrebbe immaginarcela di un venticinque anni
almeno, quando nel '67 era già sul teatro. Notiamo anche che
il De Sommi la ricorda già illustre, sebbene giovane, nel '56 : e
dovessimo anche leggere invece '65, il conto tornerebbe ugual-
mente male. Dunque questa del 1567 è una prima e più antica
Flaminia, non la Cecchini degli Accesi (1): ma di lei, oltre il
nome, null'altro sappiamo, salvo che fu romana, come ci attesta
il De Sommi.
Né più chiaro apparisce chi possa essere il Pantalone del do-
cumento che segue: che è una lettera del Rogna in data del
1° luglio dello stesso '67: né chi fosse la signora Angela, la
quale sembra unisse alla professione comica il mestiere di sal-
tatrice.
Hoggi si sono fatte due comedie a concorrenza : una nel luogo solito, per
la sig/* Flaminia et Pantalone, che si sono accompagnati colla sig.""^ An-
gela, quella che salta cosi bene; l'altra dal Purgo (2), in casa del Lanzino,
per quella sig.""* Vincenza , che ama il sig. Federigo da Gazuolo. L' una et
l'altra Compagnia ha avuto udienza grande et concorso di persone: ma la
Flaminia più nobiltà, et ha fatto la tragedia di Bidone mutata in Tragi-
comedia (3), che è riuscita assai bene. Gli altri, per quel che si dice, sono
(1) Terza Flaminia è l'Agata Calderoni (sulla quale vedi Fr. Bartoli,
I, 144, Sand, II, 175) moglie di Francesco Calderoni detto Silvio. Avevano
compagnia a sé, la quale dice il Riccoboni, Op. ciY., p. 75: « quitta l' Italie
« et passa en Allemagne au service de l'Electeur de Baviere à Munich et
« à Bruxelles, de là à Vienne en Autriche au service de l' empereur Leopold
« et de Joseph roi des Romains ». Questa Flaminia fu nonna della quarta,
cioè di Elena Balletti moglie di Luigi Riccoboni, sulla quale è da vedere
la curiosa pubblicazione dell' Ademollo, Una famiglia di comici italiani
del sec. XVIII, Firenze, Ademollo, 1885, cap. I.
(2) Il Purgo è una parte di Mantova , presso la piazzetta di S. Andrea.
(3) Non sapremmo decidere se si tratti della Bidone, tragedia del Dolce,
stampata già dal 1547 in Venezia dall'Aldo, o di quella di G. B. Giraldi
edita in Ferrara nel 1583: ma parrebbe piuttosto della prima.
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC. XVI 13
riesciti assai goffi. Andranno seguitando costoro a concorrenza , et con un
certo non -pò che d'invidia , sforzandosi a fare di aver maggior concorso, a
guisa dei Letori, che nelle città de' studi si industriano di aver più numero
di scolari. ~
Ed ecco il bravo Rogna paragonare i comici ai professori, non
pensando che più tardi si potrà dare il caso, raro se vuoisi, di
ragguagliare questi agli istrioni!
Quel Pantalone potrebbe del resto essere Giulio Pasquati pa-
dovano, che poi fece parte dei Gelosi, applauditissimo di qua
e di là dalle Alpi col nomignolo di Magnifico (1). Più chiaro
è chi sia la signora Vincenza. È questa l'attrice che il Garzoni
chiama la « dotta Vicenza, che imitandola facondia ciceroniana,
« ha posto l'arte comica in comunanza con l'oratoria , e parte
« con la beltà mirabile, parte con la grazia indicibile, ha eretto
« nobilissimo trionfo di sé stessa al mondo spettatore, facendosi
« divulgare per la più eccellente commediante di nostra etade (2) ».
Si chiamava Armani (3), ed apparteneva a famiglia originaria
di Trento : ma era nàta in Venezia. Aveva avuto educazione
assai accurata : sapeva il latino, la logica, la retorica, la musica,
e cantava assai bene. Era anche scultrice: una Sara Bernhart
del secolo XVI ! Fu poetessa ; e Francesco Bartoli reca parecchi
saggi de' suoi componimenti, fra' quali è notevole una canzonetta
(1) Fr. Bartoli, II, 80: Baschet, Op. cit., pp. 59-63, 83.
(2) La piazza universale di tutte le professioni del mondo, Venezia,
Alberti, 1616, p. 320.
(3) Forse la famiglia sua era di comici. Troviamo di fatti in (juei tempi
un Tiberio d'Armano, il quale dedicando al senatore Tiepolo la Bidone del
Dolce, dice cosi : « Avendo il padre mio questo carnevale passato (cioè
« nel 1546) aperto in Venezia la strada ad altrui di avvezzar le orecchie,
« corrotte per tanti anni dai giuochi inetti di certi moderni comici, alla gra-
« vita tragica, ed essendo io stato il primo che , secondo la debolezza dei
« miei teneri anni, sotto abito di Ascanio rappresentai la Bidone di m. Lo-
« dovico Dolce ecc. ». A questo Tiberio « virtuoso fanciullo » il Dolce dedicò
la sua commedia il Capitano, Venezia, Giolito, 1545, e fra le rime sue si
trovano sonetti ad un Aquilante d'Armano: v. Cicogna, Intorno la vita e
gli scritti del Bolce, Venezia, Antonelli, 1863, pp. 64, 65, 73.
14 A. D ANCONA
d'amore assai sensuale, non brutta di certo. Recitò la prima volta
a Modena, e riuscì ber.e nel tragico, nel comico, nel genere pasto-
rale, e nella recitazione all'improvviso. Girò tutta l'Italia: e al
suo avvicinarsi, « si sparava l'artiglieria per l'allegrezza del suo
« arrivo »: come afferma il Bartoli, aggiungendo: « e ciò non è fa-
« vola (1) »: reclame fragorosa, alla quale non giungono le attrici
moderne, che si contentano di far sparare bombe di parole ai
giornalisti. Gara al pubblico, ai dotti, ai principi, bella di forme,
eulta d'ingegno, non è da meravigliare , come ricorda il Rogna,
che di se invaghisse uno dei principi Gonzaga. Intanto nel '67
Mantova era divisa nell'ammirazione di due attrici rivali: la Fla-
minia e la Vincenza. Infatti il Rogna cosi continua ad informarci
su di esse, con lettera del 6 luglio:
Non hieri l'altro la Flaminia era comendata per certi lamenti che fece in
una tragedia che recitorno dalla sua banda , cavata da quella novella del-
l'Ariosto, che tratta di quel Marganorre (2), al figliuolo sposo del quale, la
sposa, ch'era la Flaminia , sopra il corpo del primo suo sposo , poco dianzi
amazzato in scena, per vendetta diede a bere il veleno dopo haverne bevuto
anch'essa, onde l'uno et l'altro mori sopra quel corpo, et il padre, che perciò
voleva uccidere tutte le donne , fu dalle donne lapidato et morto. La Vin-
cenza, all'incontro, era lodata per la musica, per la vaghezza degli habiti et
per altro, benché il soggetto della sua tragedia non fosse e non riuscisse
COSI bello. Heri poi, a concorrenza e per intermedii, in quella della Vincenza
si fece comparire Cupido, che liberò Glori, nimpha già convertita in albero (3).
Si vidde Giove che con una folgore d'alto ruinò la torre d'un gigante, il
quale havea imprigionati alcuni pastori ; si fece un sacrificio : Cadmo seminò
i denti, vidde a nascer et a combatter quelli huomini armati : hebbe visibil-
mente le risposte da Febo, et poi da Pallade armata (4), et in fine cominciò
(1) 1, 50.
(2) Orlando fur., e. XXXVII.
(3) Fr. Bartoli, I, 51, dice di lei: « Esprimeva con tale artifizio la vita
« e i costumi delle semplici pastorelle sotto il nome di Clori, che indusse
« ogni ingegno a concederle il primo onore fra tutti i recitanti ».
(4) Il Bartoli, loc. cit., così dice: « Nelle Pastorali da lei prima introdotte
« in scena, inseriva alcuni favolosi intermedi, facendo or da Minerva ed or
« da Venere ».
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC. XVI 15
a edificar la città. La Flaminia poi, oltre l'havere apparato benissimo quel
luogo de- corami dorati, et haver trovati abiti bellissimi da nimpha, et fatto
venire a Mantova quelle selve , monti , prati , fiumi et fonti d'Arcadia, per
intermedi della Favola introdusse Satiri, et poi certi maghi, et fece alcune
moresche, a tal che bora altro non si fa né d'altro si parla, che di costoro.
Chi lauda la gratia d'una , chi estolle l' ingegno dell'altra : et così si passa
il tempo a Mantova.
E l'8 luglio:
Le comedie vanno continuando, et hieri l'Ili.»»» Sig. Massimiliano ci volle
essere, et si sforzò di sostenersi su la gamba per haver quel piacere, et vi
fu anche seco l'altro 111.™» Sig. Massimiliano. Hoggi ancora si dice che fa-
ranno cose rare; ma al fine tutte sono zancie.
E il di appresso, Don Antonio Geruto, giureconsulto e poeta:
Io ho lasciato una dolcissima compagnia , che mi voleva condurre alla
commedia intitolata la Spada dannata (1) Non si attende ad altro che
alle comedie, né fra il popolo si sente dir altro che queste parole: Io sono
della parte di Flaminia: et io della Vincenza: et tutte due le case si em-
piono di brigate. Si é detto che in Consiglio grande fu proposto da molti
gentiluomini veneziani, che per ogni modo si doveva levar via questi come-
dianti, allegando di molte ragioni, et massime che portano via gli denari :
da molti altri fugli opposto che no: anzi che si devono accarezzare, perchè
mentre la gioventù sta occupata in questi sollazzi, non tendano alli giuochi,
alle bestemmie et altre tristizie, et che se guadagnano, spendono ancora, et
che le città si devono tenere allegre a qualche modo : et così questa parte
prevalse l'altra (2). Heri il sig. Federico da Gazuolo venne a posta a Man-
(1) Probabilmente uno scenario della Commedia dell'Arte, del quale non
trovo notizie. La spada fatale è una commedia di Virgilio Verucci, ma
del secolo successivo.
(2) Circa i provvedimenti del governo veneto in fatto di teatro, vedi Orig.
dd T., Il, 227, 283. Una bella serie di documenti in proposito è da trovare
in Sforza, F. M. Fiorentini e i suoi contemporanei lucchesi, Firenze, Me-
nozzi, 1879, pp. 793-806. Non vi é però nulla dell' anno 1567. Aggiungasi agli
altri questo documento dell'Arch. Gonzaga, che è una lettera dell'agente du-
cale Paolo Moro allo Strozzi, da Venezia, 7 ott. 1581 : « Verissimo è che nel
16 A. d'ancona
tova per menar seco la comediante Vincenza a solazzo; ma la cattivella du-
bitando de non vi lasciare in un punto l'acquisto di molti mesi , fatto con
sudore, fingendo di haver un certo sdegno con lui, si riparò bravamente, et
lui a guisa della donna del corso (?), subito tornò in dietro, bravando et
bestemiando, non essendogli restato altro che la lingua per potersi vendicare.
Seguita ancora la cronaca teatrale, condita di maldicenza: e
noi continueremo a riferirla, registrando anche questa lettera del
Rogna, dell' 11 luglio:
L'Ili.™" S."" Cesare è ritornato da Guastalla per il battesimo, o che si è fatto
0 che si ha da fare d'un figliolo del genero del S.' Massimiliano Gonzaga,
cioè di quello da Tiene vicentino. Esso s.' Cesare Ecc."»^ honorò ieri con la
presenza sua la commedia della Flaminia, per essere sua vicina , con tutto
che fosse invitato a quell'altra, che fu una pastorale bellissima, per quanto
si dice, et si vidde lo a convertire in vacca. Giove e Giunone parlarono in-
sieme: venne poi e spari la nebbia, Mercurio col sono adormentò Argo, et
poi gli tagliò la testa, una Furia infernale fece venire in furia quella vacca,
et in fine fu di nuovo convertita in nimpha , et il padre eh' era un fiume,
venne ancor lui, versando acqua, a fare la sua parte, et in un istante me-
desmo i pastori fecero le loro nozze, et eccetera. Vi era l'Ili.™* S.'" Massimi-
liano dal Borgo (1).
Ma il giorno 10 il grave Don Ceruto cosi scrive:
Questi comedianti cominciano già a dare in zero , et poche persone le
vanno: son frusti del tutto.
II 15 il Rogna avvisa che una delle Compagnie se ne va:
« Consiglio Ex.™* de' Dieci fu preso che più non si fossero comedie in Ve-
« netia, con strettezza grande di ballotte. La causa ho inteso, che un Ch.™*
« Sig.^'s Angustino Barbarigo, qual è molto scrupoloso, essendo consigliero,
« ha tanto strepitato ch'ha fatto passare detta parte. Si tiene che li preti
« giesuiti hanno reclamato assai, che nelli palchi di quelli due loghi fabri-
« cati a posta si operassero molte scelleratezze, con scandolo : né ho potuto
« penetrar altro ».
(1) Massimiliano Gonzaga, che abitava in Borgo Predella.
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC. XVI 17
Un di queste Compagnie di comici , cioè quella della Vincenza , se n' è
andata a Ferrara : l'altra seguita, et è stata forza ch'el Potestà habbia fatto
comandamento a' Notai che non vi vadino, perchè in queir bora non poteva
bavere notaio alcuno.
La proibizione si estese anche agli ecclesiastici, come ne in-
forma il Geruto ai 31 luglio:
Il vescovo proibì ai frati et preti d'andare alla commedia, e fu grave per-
dita, perchè si vedevano andarvi sino 25 frati in una sol volta.
Intanto il favore alla Flaminia, rimasta padrona del campo,
continuava ancora: ai 3 agosto il Rogna ci fa sapere che
si prepara nel palazzo della Ragione una commedia per oggi dalla
Flaminia.
Forse della Compagnia faceva parte un Graziano, al quale allude
il medesimo Rogna in una dei 3 settembre:
Le dico che in una bella, comedia che si è fatta hoggi, per quanto intendo
da quelli che ci sono stati, Mess. Gratiano si è portato benissimo.
E cosi chiuderemo l'anno : feracissimo , a quel che vedemmo,
di rappresentazioni sceniche, che ormai non erano più ornamento
accessorio di gaudj carnevaleschi o di feste ducali, ma sollazzo d'o-
gni tempo, offerto al pubblico, che vi accorreva a frotte. Evidente-
mente ormai la Commedia non è più un privilegiato divertimento
di pochi, non ha per spettatori soltanto principi e cortigiani, ma
l'intera cittadinanza. Le Compagnie hanno cangiato in popolare e
generale, un costume che prima era di alcune classi : e ormai si
recitava tutto l'anno, finché ci fosse roba in repertorio e durasse
il favore del pubblico: e se i ricordi, pur assai abbondanti, del
1567 non vanno più là del settembre, egli è forse perchè di li a
poco moriva la vecchia duchessa Margherita di Monferrato.
Ma anche il '68 è ricco di rappresentazioni, e ci fa far cono-
scenza con un celebre attore. Ai 2 di febbraio, il Rogna cosi scri-
veva al Castellano di Mantova che trovavasi a Casale:
Giornale storico, VI, fase. 16-17. 2
18 A. d'ancona
Si lavora alla gagliarda nella sena per la barriera che si farà la notte
di carnevale, et per la comedia che si farà la notte della giobbia grassa,
nelle quali due sere S. Ecc.* vuol far banchetto in Castello. Il Magnanino
ogni di è per Mantova facendo le più ridicole cose del mondo alla conta-
dinesca (1).
Di altra recita fatta allora dagli Ebrei , abbiamo già detto : ai
13 febbraio il Rogna avvertiva che ci si andavano preparando.
Ai 20, Teodoro Sangiorgio faceva noto al Duca che
la comedia sarà pronta la sera di carnevale ;
e probabilmente si allude alle Due Fulvie del Farone. Più tardi,
nell'aprile, ai 26, Baldassare de Preti faceva sapere al castellano,
tuttora in Gasale, che
S. Ecc.* ha fatto fare comedia da due compagnie: T una de Pantalone,
l'altra del Ganaza. Ha voluto S. K. che si unisca in una, et ha tolto li mi-
liori : lì era la Sig.*"* Vicenza et la Sig.""* Flaminia, quali hanno recitato be-
nissimo, ma tanto ben vestite che non poterla esser più.
Ecco dunque per voler del Duca riunite, se non rappacificate,
le due rivali, e promossa fra esse la emulazione artistica, e anche
quella suntuaria! Quanto agli altri personaggi comici qui ram-
mentati, ripetiamo i dubbj già espressi intorno al Pantalone. Qual-
che cosa però di più positivo possiamo dire quanto al Ganaza,
il quale non può essere altri che il G-anassa bergamasco (2), chia-
(1) Chi sarà questo Magnanino ? Ho dubitato un momento che si potesse
trattare del pittore e poeta vicentino G. B. Maganza, scrittore nel vernacolo
contadinesco pavano, che si faceva chiamare Magagnò, e che invece di Ma-
gnanino si avesse a leggere Magagnino: ma nella bella monografia del prof.
D. BoRTOLAN, G. B. Maganza seniore, Bassano, Roberti, 1883, non trovo
che andasse mai a Mantova.
(2) 11 Gampardon, Les comédiens du Roi de la troupe italienne, Paris,
Berger-Levrault, 1880, I, VI, sostiene che si chiamasse Gavazzi, e nei do-
cumenti francesi legge Gavasse anziché Ganasse. Ma dubitiamo fortemente
ch'ei sbagli, tutti concordemente dicendo Ganassa o Ganazza.
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC. XVI 19
mate erroneamente dal biografo Bartoli, Giovanni, ma che da atti
ufllciali(l) si vede essersi detto Alberto. Costui fu uno dei primi,
se non il primo (2), che trasportasse oltralpi la commedia italiana,
(1) Cioè, un Arrét del Parlamento del 15 ott. 1571 in favore di «. Albert
« Ganasse et ses compaignons italiens (Baschet, Op. cit, p. 24) »: una partita
del Registro del Tesoriere di Francia, del 1572, intitolata a « Albert Ga-
« nasse, joueur de comedies » per la somma di 75 lire tornesi (Ibid., p. 42):
e altra partita dell'ott. dello stesso anno per 500 « a Albert Ganasse et ses
« compaignons, joueurs de comedies (Ibid., p. 42) ».
(2) I comici italiani cominciano ad apparire assai presto in Francia, e
secondo il mio amico prof. Picot, Pierre Gringoire et les comédiens ital.,
Paris, Morgand et Fatout, 1878, p. 24, se ne ha traccia già dal 1520. Certo
è che in un documento del 12 dee. 1530 si trova menzionato « maistre
« André italien », comico al servizio del re, incaricato di allestire « farces
« et moralites » per l'entrata della regina; (Ibid., p. 25): e si ricordano
anche « les italiens, e' est a ?avoir Messire Mathée et ses compagnons
(Ibid., p. 26), facitori di « mystères » per la medesima ricorrenza. È noto
che nel 1548 la « natione fiorentina » fece ai 27 sett. recitare in Lione la
Calandra per festeggiare Y entrata di Enrico II e Caterina de' Medici : gli
attori erano italiani , anzi toscani , e le prospettive furono fatte da un
m.'' Nannoccio fiorentino, e gli ornamenti da un m.» Zanobi scultore: vedi
Baschet, Op. cit., p. 9. Nel '55 due altre commedie italiane si recitarono
a Parigi innanzi alle corte: non però a quel che sembra, da veri comici,
ma da gentiluomi dilettanti, come si rileva da questa lettera di Stefano
Guazzo al castellano Calandra di Mantova in data del 9 marzo, pubbl. dal
sig. Bertolotti nel Bibliofilo del giugno 1885 : « Di novo io non ho cosa al-
« cuna da scrivere, so non che questo Natale si recitorno i Lucidi, comedia
« del Firenzuola, innanzi a S. Maestà, della quale io ne dissi una parte; et
« il simile ho fatto in una comedia del signor Luigi Alamanni, intitolata
« Flora, la quale si recitò già otto giorni a Fontanableo, con grandissimo
« piacere di S. Maestà et tutta la Corte ». Nel '72, cioè un anno dopo il
Ganassa, troviamo in Francia Soldino fiorentino, comédien à la suite de
S. M. (Baschet, p. 35), e in queir anno, e poi nel '78, un Anton Maria vene-
ziano (Ibid., p. 37): nel '78 un^ Massimiano Milanino (Ibid., p. 87) e nel 79
un Paolo da Padova (/6irf., p. 87) colle loro Compagnie: la Compagnia dei
Gelosi vi si portò nel "77 (Ibid., p. 69). Il Campardon, Op. cit., I, IX,
ricorda per 1' '83 una Compagnia condotta da Battista Lazzaro, che recitò
anziché sM" hotel de Bourbon, a quello de Bourgogne: vedi anche Ba-
schet, p. 88. Il Magnin (Teatro Celeste: Les commencements de la coméd.
ital. en France, in Rev. d. deux. m., 1847, IV, p. 859) farebbe comparire
in Francia i Confidenti con Bernardino Lombardi , Fabrizio de Fornaris
detto Capitan Cocodrillo e la Maria Malloni (Celia) fino dal 1572 « et peut-
« ótre plus tòt » ; ma in fatto non si sa che ci capitassero innanzi all' '84 :
20 A. d'ancona
e ve la facesse applaudire. Nel 1571 lo troviamo in Francia , a
capo d'una Compagnia comica. Il re aveva a questi comici ita-
liani conceduto sue lettere patenti, e si disponevano a cominciare
le loro recite al prezzo di 3, 4, 5 e 6 soldi, secondo i posti. Ma
questi prezzi sembrarono ai signori del Parlamento « una specie
« di esazione sul povero popolo ». Veramente ci verrebbe voglia
di fermarci un poco a meditare quante cose si sono dette e fatte
a nome del « povero popolo »; ma tiriam via. Intanto il davvero
povero Ganassa era invitato a portare al procuratore generale
i danari incassati, e a tutti gli abitanti di Parigi veniva vietato di
assistere alle recite della Compagnia italiana sotto pena di am-
menda. Il re, Carlo IX, era a caccia: e i comici ricorsero alla
Camera delle vacazioni, ma nulla ottennero, essendo ogni delibe-
vedi Baschet, p. 89, Molano, Molière et la coméd. ital., Paris, Didier, 1867,
pp. 41, 354, e Ademollo, Una famiglia di comici ital. ecc., p. xxxvi. Si
direbbe quasi che l' elenco della compagnia dell' '84 si trovasse in questi
versi, che riproduciamo con qualche correzione necessaria, posti in bocca
di Bergamino nella Fiammella di Bartolomeo Rossi veronese, comico con-
fidente, dedicata al Duca di Giojosa e stampata a Parigi da Abel Angeliero
in cotest'anno :
Ho vist de là, Messìr, anc nna frotta
De com^diant, e '1 Babba Pakiama
L'è qnel chi mena innanz' e in drè per tut,
Domandand: Signor Luti, la salcizza?
La Signora Vincenza i so cavai
De bianc son trasmntad tutt in carbon ;
La Polonia è tomada: col Battaia
Ho vist la Lidia, ma qael so marit
Mi non l'ho vist, ma pens che '1 sia andat
Dentr' el Zodiaco, per formar quel segno
Che scemenza l'invern; e Ravanel
E con Cakotta che i crepo bevend.
Lessandbo depentor, con Pantalon
Hor ride, hor canta, hor crida delle doie ,
Col Signor Fabio eh 'è tegnuo al terz ;
I m'à dit Saio, eh 'è '1 so servidor,
Con dir eh' avea bisogn d' un Bubattin,
Che l'è una parte nova in quel paes,
E me s'è oiferta s'agh voliva andar :
Mi dis de no, ma che gh' insegneraf
Un hom da ben che ghe saraf andat:
Dov' i ha propost di mand a tor il Zekla
Perchè fa la cascada della scala.
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC. XVI 21
razione in proposito rimessa al di di S. Martino. Tuttavia, tro-
viamo di nuovo in Parigi la Compagnia condotta dal Ganassa
nell'agosto del 1572, pel matrimonio di Margherita di Valois col
re di Navarra. E forse, all'ombra della protezione reale, potè re-
starvi fino al '74, quando vediamo il Ganassa in Spagna ai servizj
di Filippo 2°, rappresentando « comedias italianas, mimicas por
« la mayor parte, y bufonescas, de asuntos triviales et popula-
« res (1) ». SI dice che in Spagna arricchisse, e che incontrasse
il favor del pubblico, mescolando il suo bergamasco collo spa-
gnuolo. Il p. Ottonelli gli dà lode, egli si acerrimo nemico de'
comici, di aver dilettato senza cader nell'osceno: e il Quadrio
assevera che « da lui impararono gli Spagnuoli a far le commedie
« modeste e pudiche, il che prima non era uso fra loro (2) ».
Della reputazione in che sali in Francia, è buon testimone il signor
de la Fresnaye, che potè udirlo, e che insieme col « bon Pan-
« lalon » esalta
... Zany,.dont Ganasse
Nous a representé la fa^on et la grace.
Per quello che assevera il Fournier, creò egli il tipo del Baron
de Guenesche, che sarebbe il suo nome un poco alterato; e la pa-
rola francese ganache resterebbe tuttavia a ricordo della popo-
larità del personaggio comico da lui inventato (3).
(1) Parole di D. Gassano Pellicer nel Tratado sobre el orig. y progress, de
la comed. y histrionismo en Espana, recate dal Baschet, p. 49. Nel Royer,
Hist. univers. du Théàtre, Paris, Franck, 1879, II, 166, trovo queste notizie
sul Ganassa in Spagna : « Les Gonfréries construisirent pour les italiens un
« theàtre couvert dans la Gour de la Pacheca. Ganasse demanda un bail
« de dix ans, et il s'engagea à payer une avances de 600 réaux, et à donner
« en outre deux reprèsentations à bénéfice pour les frais de la construction.
« Les 600 réaux avancés devaient décompter à raison de dix rcaux par jour,
« prix de la location. L' empresario s' engageait en outre à donner un nù-
€ nimum de soixante reprèsentations ».
(2) St. e rag. d'ogni poesia, V, 237.
(3) Baschet, p. 45. Secondo il Sano, II, 295 nella Compagnia del Ganassa,
che fu a Parigi nel 1570 (?) ci sarebbe stato come Zanni, un Tabarino che
22 A. d'ancona
Ritornando ora ai nostri documenti, il Rogna ai 13 maggio 1568
ci attesta che
.... non vi è altro di nuovo, se non che ogni giorno si fanno comedie o
tragedie, et in un altro luogo moresche con salti miracolosi...
Nell'agosto, la villeggiatura ducale della Montalta era ralle-
grata da una Compagnia comica, con sommo diletto del Principe
e del suo congiunto Lodovico duca di Nevers, ma con noia di
qualche cortigiano: uno dei quali Giov. Paolo de' Medici, il 5
di cotesto mese scriveva in Mantova ad un amico:
Io comincio a straccarmi del star qui, e mi viene in fastidio li zanni, li
venetiani et le puttane. Hieri fu qui la Sig.""* Vincenza con la sua Compa-
gnia , che radopiò la comedia mentre pioveva : ma come ho detto, me n e
stuffo.
E il Rogna, ai 18:
Le comedie si fanno qui hora sotto la loggia prima , dove viene anco il
Sig."" Duca di Nevers, et hoggi si farà una Pastorale.
L'anno volgeva al suo termine con una grave perdita per l'arte
teatrale. Un Gandolfo, del quale rimane sconosciuto il cognome,.
ai 15 settembre cosi scriveva al Castellano di Mantova:
La Vicentia comediante è stata atosegata in Cremona.
E ciò forse fu opera di qualche amante spregiato , che non
poteva perdonarle l'affetto verso il suo compagno di scena, A-
driano Valerini, veronese, dottore e comico, rinomato nelle parti
d'amoroso, e che per la Vincenza aveva abbandonata l'altra bella
però « n'etait pas encore le célèbre Tabarin, qui une cinquantaine d'an-
« nées plus tard amassait la foule avec son maitre Mondor, et jouait aussi
« des farces sur la Place Dauphine ». Donde il Sand abbia tolto questa no-
tizia, ignoro.
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC. XVI 23
e valente attrice, Lidia da Bagnacavallo (1). Era ancor viva la
Lidia? amava tuttavia il sig/ Federigo da Gazuolo la Vincenza?
Ma non perdiamoci in congetture: certo è che se la celebre
attrice mori avvelenata, dovette essere o per gelosia di mestiere
0 per vendetta amorosa di un amante non curato o di una ri-
vale offesa. Il Valerini raccolse l'ultimo sospiro dell' Armani,
che si congedò da lui, da vera prima donna, con un verso:
Restati in pace: io me ne vado, addio. Il Bartoli assicura che
mori « munita degli ordini sacri e piena di rassegnazione » : il Va-
lerini scrisse e stampò una Orazione funebre in lode di lei (2):
poi, anch'egli si sarà rassegnato.
Perchè mai i documenti dell'Archivio mantovano, dopo averci
offerta cosi abbondante messe di particolari, nulla a un tratto ci
presentano fino al 1573? Furono anni di pace, né parrebbe che il
teatro dovesse tacere per strepito d'armi o per alti negozj di Stato,
0 che tutte le Compagnie fossero altrove impegnate, o andate in
paesi stranieri, ove già erano desiderati la commedia e i comici
italiani (3): cosicché • sarebbe più plausibile il supporre che i do-
(1) Fr. Bartoli, I, 290, li, 259. 11 primo a parlare di questa Lidia è il
Garzoni, Op. cit., p. 320, che era suo concittadino. Più tardi vi fu un'altra
Lidia, cioè Virginia Rotari: vedi Baschet, p. 280.
(2) Fr. Bartoli, li, 259.
(3) In Germania la commedia italiana, se dobbiamo credere a Francesco
Vettori, Viaggio in Allemagna , Parigi, 1837, p. 173, sarebbe stata cono-
sciuta fin dal 1507. Reca egli infatti una commedia che dice essersi fatta
recitare in cotest' anno in Augusta dal vescovo Gurgense, e dice di recarla
tradotta: ma di questa commedia potrebb' essere come di tante altre novelle
e aneddoti e lepidezze, di che il Vettori infiora la sua descrizione: cioè, fa-
rina del suo sacco. Certo è che cotesta commedia è tutta italiana di sog-
getto e di carattere. Un cinquant' anni dopo, troviamo in Baviera la com-
media dell'arte, come Cesare Bini, Rivista di libri vecchi e nuovi, Mi-
lano, tipogr. internazionale, 1868, p. 204, ne ha dato notizia, togliendola ai
Dialoghi di Massimo Trojano, Venetia, Zaltieri, 1569. Raccontando ciò che
fu fatto nelle nozze di Guglielmo 6» conte palatino del Reno e duca di
Baviera con madama Renata di Loreno, il Trojano, gentiluomo napoletano,
che vi assisteva, riferisce ohe dopo cena si fece « una comedia all'improv-
viso alla italiana », nella quale il celebre musico Orlando Lasso, fiammingo,
ma per lunga dimora quasi italiano, fece benissimo da Magnifico venetiano
24 A. d'ancona
cumenti teatrali di quattro anni sieno andati smarriti. Né il 1573
ci offre altro, salvo una lettera del Capitano di Giustizia in data del
31 gennaio, colla quale dice essersi messo d'accordo col Bargello
per rimediare ai rubamenti di borse, divenuti frequenti durante le
recite delle commedie. E neanche maggior importanza per la
storia del teatro ha la notizia, data dal suddetto Capitano, d'un
tumulto avvenuto « nel luogo ove si recita, con porre mano alle
« spade et pugnali »la sera deiril[nov. 1574. Però, se nel carne-
vale passato non c'erano stato commedie, n'ebbe colpa certo im-
broglio, cosi esposto dal capo-comico dei Gelosi, Rinaldo Petignoni
detto Fortunio, in una sua al Duca del 12 febbraio '74 da Venezia:
Rinaldo, altrimenti Fortunio , per nome suo e de la Compagnia deli co-
medianti detti li Gelosi, con ogni humiltà e debita reverenza , ricorre a li
piedi de l'A. V. suplicandola si degni che nel dolersi che fa il sig/ Agosto
Trissino con detto Rinaldo e compagni, che non sieno venuti questo carnevale
a Mantova a recitare le loro comedie, che quella non vogli credere se non
quello che si troverà essere la mera verità, cioè che havendo detto Rinaldo
col nome di « messer Pantalone de' bisognosi », e Messer G. B. Scolari da
Trento, fu il Zanne, e il Trojano « fece tre personaggi, l'uno fu il prologo,
« vestito da rozzo villano, V altro l'innamorato sotto il nome di Polidoro, e
« r altro lo spagnuolo disperato, chiamato Don Diego di Mendoza ; il ser-
« vitore di Polidoro fu Don Carlo Livizzano, il servitor del Spagnuolo fu
« Giorgio d'Ori da Trento: la Cortegiana innamorata di Polidoro, chiamata
« Camilla, fu il marchese di Malaspina, e la sua serva Ercule Terzo, et un
« servo francese ». La commedia di tre atti, fu concertata fra Massimo e
Orlando , preceduta da un Prologo « alla cavaiola », e intramezzata da ma-
drigali musicali dal Lasso. Lo scenario è dato in cotesto scritto di Trojano,
e qui non lo riferiamo per la sua lunghezza: ricorderemo soltanto che Pan-
talone, il quale già si chiama de' Bisognosi, aveva « un giubbone di raso
« cremesino, con calze di scarlatto fatte alla venetiana, et una vesta nera,
« lunga insino ai piedi, e con una maschera ». 11 Bini che rimise in luce
questa menzione della commedia delV arte fuori d' Italia , non è altri che
il Camerini; e sebbene col suo nome ristampasse cotesta notizia nei suoi
Precursori del Goldoni, Milano, Sonzogno, 1872, p. 180, e poi nel 111 voi.
uscito postumo dei Nuovi Profili Letterari, Milano, Battezzati, 1876, p. 220,
non so che altri se ne giovasse in tanto scrivere che si fa suU' argomento.
Perciò ne ho qui voluta ravvivar la memoria, come ricordanza ancora dello
strano ma pur caro amico perduto.
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC. XVI 25
domandato al sig.»" Agosto più e più volte s'egli doveva andar a Mantova
con la Compagnia questo carnevale , da quello gli è stato sempre risposto
non saper alcuna cosa, né haver ordine alcuno sopra di questo negotio, et
che se bene nel fine del carnevale a l' improviso è stato avisato detto Ri-
naldo e suoi compagni di dovere andare a Mantova per simile eifetto, che
S. A. debba haver riguardo alla povertà di quello e de li suoi compagni,
quali come huomini mercenarii , di già si trovavano obligati in Venetia, e
non potevano partire, se non con gran danno e vergogna loro, e che quando
fossero stati in sua libertà, sì come hanno fatto delle altre volte, così anco
adesso sarebbero venuti senza riguardo di spesa e di danno alcuno ; e di
tutto questo, per confcrmation de le ragioni sue e de' suoi compagni, se ne
potrà informare per una litera scritta al presente al detto sig.*" Agosto: dove
facendosi chiara de la verità et de la innocenza mia e de" miei compagni,
la supplico a difFenderci dall'ira di detto sig/ Agosto contro di noi concitata
senza cagione, come dimostra in una litera scrittami per la posta passata,
e questo sarà imponendogli silenti© sopra di ciò, et tanto più essendo infor-
mata de la mia pronta volontà in servire sempre S. A., alla quale prego per-
petua felicità e contentezza et humilmente baso le mani.
Umilissimo Servitore
Rinaldo Pktignoni (1).
E nulla abbiamo pel '75 ; e pel '76, che fu anno in che la peste
infieri in Mantova, lasciando 10 mila morti, questo solo : che gli
abitanti di Acquanegra nel contado mantovano, invitavano il
19 maggio il principe Vincenzo ad una commedia « che hanno
« ordita fra di loro ». Di un prologo stravagante che nel '79
Leone De Sommi meditava premettere ad uno spettacolo scenico,
abbiamo già detto.
Ma nel '79 appunto i Documenti ci danno ai 5 di maggio no-
tizia di un fatto grave: la cacciata, cioè, della Compagnia dei
Gelosi dalla città e stato di Mantova. Il documento, che però è
una semplice minuta, e potrebbe anche non essersi tradotto in
decreto, dice cosi:
(1) Comunicazione del cav. A. Bertolotti, archivista.
26 A. d'ancona
D'ordine del Duca, che tosto abbiano ad essere cacciati dalla città e dallo
stato di Mantova i Comici detti Gelosi , che alloggiano all'insegna del Bis-
sone, e similmente il sig/ Simone, che recita la parte di Bergamasco, e il
sig/ Orazio e il sig/ Adriano, che recitano la parte amantiorum, e Gabriele
detto dalle Haste, loro amico.
Facciamo, come si può, un poco di storia dei Gelosi. Di essi,
già almeno dal '69 riuniti in Compagnia (1), la prima menzione
risale al 1571 , quando recitavano in Francia , e precisamente
dWHótel de Nevers in Parigi nel marzo, e a Nogent-le-Roi nel
maggio pel battesimo di Carlo Enrico di Clermont (2). Che,
come alcuni scrivono (3), si fondessero poco tempo dopo coi
(1) Vedi il documento che riprodurremo più oltre, pubblio, dal Neri nella
Gazz. letter. di Torino, 25 luglio '85.
(2) Il documento francese sincrono, citato dal Baschet, p. 18, li chiama
Galozi, ma è evidente trattarsi dei Gelosi. Non parrebbe che si abbiano a
confondere colla Compagnia del Ganassa , che recitò a Parigi solo nel set-
tembre: vedi Baschet, p. 19. 11 Baschet stesso, p. 14 , congettura che fos-
sero fatti venire a Parigi dal Nevers, che era un Gonzaga.
(3) Secondo il Sano, Op. cit., I, 44 e 304, i Confidenti con Celia, col Lom;
bardi ed il De Fornaris vennero in Francia nel '71, e verso lo stesso tempo
ci capitarono i Gelosi, con Orazio, Adriano e Lidia; le due Compagnie si
fusero nel '74 formando i Comici Uniti, che recitarono a Parigi fino al '76,
finché cioè i Fratelli della Passione fecero chiudere il loro teatro: allora, alla
fine del '76, i Comici si ridivisero, e lo Scala rifece i Gelosi, che Enrico III
trovò a Venezia, e fece di nuovo venire in Francia nel '77. Poi ripassarono
le Alpi, e nel '78 a Firenze lo Scala formò la sua celebre compagnia, nella
quale il Sand fa entrare perfino Francesco Bartoli ! Stimiamo inutile rilevare
tutte le patenti inesattezze di questo passo del Sand. Secondo il Baschet, p. 52,
i Gelosi si ricomposero sotto la direzione dello Scala, aggregandosi i migliori
dei Confidenti, prima del '75. Adolfo Bartoli, p. cxxxi, scrive che nel '74 i
Gelosi e i Confidenti formarono insieme gli Uniti, separandosi poi di nuovo,
ed i Gelosi ricomponendosi collo Scala per capo. Ma le prove di tutto ciò io
non so trovare, e parrai che la fonte comune sia il Magnin, art. cit., p, 850,
che però non reca documenti o prove a conforto di quanto asserisce sulla
unione delle due Compagnie nel '74 e sulla separazione nel '76. La cosa può es-
sere, ma non ne rinvengo testimonianze autorevoli. Invece, documenti autentici
recati dal Pagani, Teatr. a Milano, Milano, Sonzogno, 1884, pp. 21 sgg., e 36,
ci mostrano i Confidenti autonomi a Milano nel giugno '74 e nel maggio '75.
Circa la unione delle varie Compagnie, trovo soltanto nel Quadrio, V, 242,
che circa il 1580 gli Uniti si congiunsero in Bergamo « per qualche giorno »
coi Gelosi. Lo Zeno (Annotaz. al Fontan., I, 361), dice che nella Prefa-
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC. XVI 27
Confidenti, formando la Compagnia degli Uniti, e poi di nuovo se
ne disfaccassero per riassumere l'antico nome, ò cosa possibile,
ma della quale non trovo sicuro riscontro. Troviamo invece
i Gelosi nei '72 a Genova (1), e '74 a Venezia: non solo nel febbrajo,
come resulta dalla lettera di Rinaldo, ma anche nel luglio, quando
ebbe voglia di sentirli, e principalmente la loro prima donna,
signora Vittoria, Enrico 3°, che, venendo di Polonia, andava in
Francia ad assumervi la corona reale (2). Forse egli aveva potuto
altra volta udire cotesti comici, in Francia: forse arrivatogli il
grido della loro valentìa, ebbe vaghezza di certificarsi del vero: e
la Repubblica si affrettò a procurargli questo sollazzo, chiamando
sollecitamente i Gelosi, che erano in quel momento a Milano,
per concorrere alle onoranze e feste fatte dalla città a Don
Gioanni d'Austria, il vincitore della battaglia di Lepanto (3).
La signora Vittoria, che dal Quadrio (4) è detta Piissimi di co-
gnome e nativa di Ferrara, e sulla scena si chiamava Fioretta, è
quella della quale il Garzoni dice enfaticamente: « Ma sopratutto
« parmi degna d'eccelsi onori quella divina Vittoria, che fa meta-
« morfosi di se stessa in scena: quella bella maga d'amore, che
« alletta i cuori di mille amanti con le sue parole : quella dolce
« sirena, che ammalia con soavi incanti l'alma de'suoi divoti spel-
« tatori , e senza dubbio merita d'esser posta come un compendio
« dell'arte, avendo i gesti proporzionati, i moti armonici e concordi,
« gli atti maestrevoli e grati, le parole affabili e dolci, i sospiri ladri
« e accorti, i risi saporiti e soavi, il portamento altiero e gene-
zionc alla Fiammella del Rossi si rinvengono alcuni indizj della separazione
dei Gelosi dai Confidenti, avvenuta < non molto dopo » il '77. Ma né al
Baschet, p. 92, nò a me, che ho ritentato la prova, è riuscito trovar nulla
in codesta Prefazione. Insomma, su questo punto capitale della unione e
disunione delle due Compagnie, regna la massima incertezza.
(1) A. Neri, nella Gazz. lett. di Torino, 25 luglio 1885.
(2) « Le Roy désire extrémement les voir (i Gelosi), et il désire surtout
« que la femme, qui jouait aussi cet hiver, soit de la compagnie »: Ba-
schet, p. 56.
(3) Baschet, p. 57.
(4) Op. cit., V, 242.
28 A. d'ancona
« roso, e in tutta la persona un perfetto decoro, quale spetta e
« s'appartiene a una perfetta commediante (1) ». Anche il Por-
cacchi, che descrisse le Attioni di Arrigo 3°, parlando degli
spettacoli datigli in Venezia, afferma che « la donna è unica ».
Sapeva infatti recitare egualmente bene nella tragedia e nella
commedia, da regina e da servetta, ed era anche buona ballerina,
come attesta una poesia del conte Gr. B. Mamiano, pesarese (2). I
Gelosi, adunque, alla presenza di Enrico recitarono, fra le altre,
una tragedia, che non è veramente tragedia (3), composta da
Cornelio Frangipane, e messa in musica da Claudio Merulo (4),
e due commedie dell'arte. Erano della Compagnia, oltre la signora
Vittoria, Simone da Bologna (secondo Zanni o Arlecchino), Giulio
Pasquati {Magnifico), Rinaldo, detto Forlunio, ed altri valenti
ed applauditi comici : i nomi ce ne sono dati dal Porcacchi, che
dice 11 primo « rarissimo in rappresentare la persona di un fac-
« chino bergamasco, ma più raro nelle argutie e nelle inventioni
« spiritose » ; il secondo, tale, che si sta in dubbio « qual sia in
« lui maggiore la grazia o l'acutezza dei capricci, spiegati a tempo
(1) Piazza universale ecc., p. 320.
(2) Fr. Bartoli, II, 273.
(3) Nella raccolta a stampa di cose italiane e latine fatte per la venuta
del Re, vi è questa così detta tragedia, con un discorso dell'autore circa
siffatto titolo dato ad un'opera che non è tragica, e nel quale si difende
contro coloro che di ciò l'accusassero: vedi Allacci, Brammaturg ., Venezia,
Pasquali, 1755. L'Yriarte, La vie d'un patricien de Yenise au XVI siede,
Paris, Rothschild, p. 237, dice che il componimento del Frangipane è un
misto di ballo, di musica e di poesia, dove Venere , Marte , Giove , Iride,
Pallade, le Amazzoni, Mercurio ecc. fanno via via la lor parte, sotto figura
di principi francesi: Caterina de' Medici, ad esempio, comparisce in forma
di Pallade. Alla fine, si presagisce alla Francia il ritorno dell'età dell'oro,
dopo le guerre civili. Cori numerosi diretti dai tanti maestri che allora ab-
bondavano a Venezia, costituiscono la maggior parte di questa rappresen-
tazione.
(4) Non dallo Zarlino, come erroneamente asserì l'Algarotti: vedi [Arri-
GONi], Notizie ed osservaz. intorno alVorig. e progresso dei Teatri in Ve-
nezia, Venezia, Gondoliere, 1841, p. 13. Lo Zarlino compose le musiche che
andarono incontro al Re sul Bucintoro: vedi Ademollo, I primi fasti della
mus. ital. a Parigi, Milano, Ricordi, 1884, p. 7.
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC. XVI 29
« e sentenziosamente »; il terzo valentissimo « nell'accomodar
«e novi, argomenti, ed in sapergli ridurre alla scena tragica o co-
« mica con abiti , con fogge e con rapresentationi nobili (1) »,
sicché si direbbe piuttosto direttore della Compagnia, come ap-
parisce anche dalla lettera del 1574, che semplice attore. E dei
Gelosi Enrico restò cosi soddisfatto, che nel maggio del '76, quie-
tate appena le cose del regno, scriveva al suo ambasciatore a
Venezia, Monsieur du Ferrier, perchè procurasse mandargli a
Parigi il Magnìfico e la sua Compagnia comica: la quale, tro-
vandosi allora alla Corte imperiale (2), non potè innanzi al '77
aderire all'invito del Cristianissimo, Svaligiati dagli Ugonotti alla
Charité sur Loire, i Comici italiani poterono però il 25 gennaio
presentarsi sulle scene di Blois, con gran soddisfazione del Re e
della Corte, che continuarono a prendervi diletto, sebbene un
predicatore, in presenza dello stesso Enrico, osasse dire che era
molto mal fatto l'andare ad ascoltarli. Da Blois si trasferirono a
Parigi, dove, dice il sig. de l'Estolle, prendevano quattro soldi
per testa agli spettatori, e v'era tal concorso di popolo, che i
quattro Tnigliori predicatori della capitale non ne raccoglie-
vano tutti insieme altrettanti (3). Ma anche a Parigi non man-
carono guai ai Gelosi , dacché il Parlamento pronunziò solen-
nemente, le commedie loro nuli' altro insegnare salvo il liber-
tinaggio e l'adulterio, ed essere pestifere scuole di corruzione
alla gioventù d'ogni sesso. Protestarono i comici, e il Re li prese
sotto la sua protezione, tanto che poterono continuare a recitare
sino all'ottobre. Questo breve bigliettino di Enrico al suo tesoriere
è prova del gusto che ei prendeva ad udire i Gelosi e la com-
media a braccia:
(1) Vedi Baschet, p. 61, nota.
(2). In un artic. di Albert Lindner nel Magaz. f. d. Literat. d. /n- und
Ausi., 28 febbr. '85, trovo che da certi Registri di Conti della camera im-
periale resulta che una Compagnia comica italiana, dove erano Francesco
e Isabella (Andreini) e Flaminio (Scala) recitò a Linz a tempo di Massi-
miliano li: dovrebb' essere dunque nel tempo dal 1564 al 76: ma non si
è sicuri che fossero i Gelosi.
(3) [Parfait], Hist. de Vane. Th. ital., Pai'is, Lambert, 1753, p. 2.
30 A. D ANCONA
Monsieur, jay accordé aux commédiens de avoir ce quilz avoient a Bloys,
je veux qu'ainsi soit faict et qu'il n'y ait pas faulte, car j'ay plaisir à les
oyr, que je n'ay eu oncques plus parfaict (1).
L'anno appresso, secondo assevera il Magnin (2), i Gelosi erano
a Firenze, e sembra che là la Compagnia si riformasse con quegli
attori famosi, che vengono ricordati dall'Andreini, cioè: Lodo-
vico (3) {Grattano), Simone (4) {Zanni) e Gabriello (5) {Fran-
catrippa), tutti tre da Bologna: il Pasquati {Pantalone), Orazio
padovano {Vinnaniorato), Adriano Valerini (altro innarnorato),
Girolamo Salimbeni {Zanohio da Piombino), Prudenzia veronese
{seconda donna). Silvia Roncagli {Fy^anceschina), Francesco An-
dreini {Capitan Spavento da valle inferna) e sua moglie Isabella
{prima donna innam,orata). « Di quelle Compagnie, dice l'An-
« dreini, non se ne trovano più! (6)». Vuole il Magnin (7) che
la Compagnia restasse in Firenze anche nel '79 (8): ma certo
è che intanto, nel maggio, erano sfrattati, come vedemmo, da
Mantova, donde sembra andassero a Milano, ivi pure l'anno
appresso, seccati e minacciati di sfratto dal giudice Monforte (9).
Il grosso della Compagnia in Mantova alloggiava al Biscione:
gli altri, forse quelli di maggior valore, altrove: e perciò ven-
(1) Baschet, p. 76.
(2) Art. cit., p. 851. E Ad. Bartoli, Op. ciL, p. cxxxi.
(3) Fr. Bartoli, II, 295.
(4) Fr. Bartoli, II, 240. Il Rossi nella prefazione alla Fiammella loda
« M. Simone, zanne dei signori Gelosi, e m. Battista da Rimino, zanne dei
« signori Confidenti » perchè « osservano il vero dicoro de la Bergamasca
« lingua ».
(5) Fr. Bartoli, I, 248.
(6) Bravure del Capit. Spavento, Venezia, Barboni, 1669, rag. XIV, p. 53.
(7) Art. cit., p. 851.
(8) Ad. Bartoli, p. cxxxiv, dice: « lo sappiamo con sicurezza della nascita
« di G. B. Andreini ». La notizia della nascita di G. Battista in Firenze nel
'79 è data nella biografia di lui di Fr. Bartoli, I, 13. Ma può darsi, se la
notizia è esatta, eh' ei nascesse prima del Maggio: notevole è ad ogni modo,
che nel documento mantovano, gli Andreini non sieno ricordati.
(9) Pagani , Op. cit. , p. 23. Altro documento dei Gelosi recato a p. 22
sembrerebbe spettare al 1579.
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC. XVI 31
gono rammentati separatamente dagli altri. Degli attori magni-
ficati dall'Andreini, qui troviamo solo tre: Simone da Bologna,
il sig. Orazio ed il sig. Adriano. Chi fosse il primo e qual parte
facesse, ci è già noto: Orazio era di nome Nobili, padovano di
patria, e faceva la parte d'innamorato (1): il sig. Adriano era
il Valerini da Verona, dottore e letterato, autore della tragedia
Afrodite, non che di rime e prose, e che già abbiam ricordato
come amante di Lidia da Bagnacavallo e poi dell'Armani: an-
ch' egli amoroso, col nome di Aurelio (2). Par che più tardi
mettesse compagnia da per sé (3), e nell' '83 recitava certa-
mente a Milano (4); ma S. Carlo, tenendo che le commedie fos-
(1) Fr. Bartoli, II, 63, ne dà poche notizie, rimandando alle lodi che
fanno di lui il Bruni nelle Fatiche comiche e 1' Andreini nel Capitan
Spavento.
(2) Nella prima metà del sec. XVII vi fu un altro comico — certamente
non potè essere il Valerini — che portò il nome di Aurelio: ed è ricordato
dal Baschet, pp. 276, 298, all'anno 1620. Di lui il cav. Bertolotti ci comu-
nica questa lettera del 7 Luglio 1621 al Duca , tratta dagli Archivj di
Mantova :
« Per tener ravvivata in V. A. la memoria della mia riverente servitù,
« vengo col testimonio di questa a farle humile reverenza et a supplicarla
« che altrettanto le piaccia di conservarmi in sua gratia quanto è degnato
« di darmi luogo in essa, mentre io, per fine di questa , inchinandola di
« nuovo, prego a V. A. da N. S. D. proportionata grandezza al suo real
« merito et al mio particolar desiderio. Di Napoli. Devotiss. et humiliss.
« servitore
« Aurelio fedele comico »
Un terzo Aurelio fu Bartolomeo Ranieri, piemontese, espulso di Francia
per cause politiche, nel 1689: vedi Parfait, Op. cit., p. HO: Campardon,
Op. cit., 1, p. 139, 235.
(3) Così dice Fr. Bartoli, li, 260. Il Magnin, Ari. cit. p. 851, assevera
che la sua Compagnia fu quella degli Uniti: lo stesso dice Ad. Bartoli,
p. cxxxvii, aggiungendo che ciò dovette avvenire circa il 1580.
(4) L'Andreini, Bravure ecc., p. 53, dice, senza notar Tanno, che a Mi-
lano i Gelosi recitavano a Porta Tosa nelle case degli Incarnatini. Una
Compagnia comica, della quale non si fa il nome, nel 1591 recitava in un
camerone o granaio vuoto di proprietà del Comune nel Broletto, in via So-
lata : vedi Pagani , Teatr. a Mil., p. 19.
32 A. d'ancona
sero cosa peccaminosa, fece si che gli fosse tolto il permesso di
recitare. Dopo molti dibattimenti, il Santo si piegò a più miU
consigli, purché il Valerini si sottomettesse alle norme prescritte
da S. Tommaso circa il tempo, il luogo e le persone, « il tempo,
« che non sia di quaresima: il luogo, che non sia chiostro sacro:
« e le persone, che non sieno religiose: ed impose a' comici che
« mostrassero gli scenarj delle commedie giorno per giorno al
« suo foro, e così ne furono dal detto Santo e dal suo vicario
« molti sottoscritti : ma gli affari di quell'uffizio fecero tralasciare
« l'ordine, giurando il Valerini che non sarebbero stati gli altri
« soggetti meno onesti dei riveduti (1) ».
(1) Fr.Bartou, II, 260. 11 Barbieri, detto Beltrame, che fu primo nella sua
Supplica, p. 164, a raccontare il fatto, aggiunge: « Il Braga, cosi chiamato il
« Pantalone di quella Compagnia, e il Pedrolino, avevano ancora, e non è
« molto, di quei suggetti, o siano scenarj di commedie, sottoscritti, e quelli
« segnati da S. Carlo tengono custoditi: e nelle Compagnie, ove ora sono,
« vi è chi ne ha due, e gli tiene a casa per non li smarrire ». Il Ricco -
BONI, Hist. du th. ital., Paris, 1728, p. 58, scrive: «Dans ma premiere jeu-
« nesse j'ai connu une vieille comedienne, qui s'appelloit sur le théàtre
« Lavinia (meglio che la Diana Ponti o la Marina Antonazzoni, sarà
« questa, come resulterebbe dal Bartoli I, 281, l'Antonia Isola), la quelle
« dans l'heritage de son pere avoit trouvé nombre de ces canevas signés par
« S. Charles Borromée , dont elle s' etoit defaite pour en fair present à
« des s§avans, qui l'en avoient instamment priée. Agata Calderoni detta
« Flaminia, grande mere de ma femme, a vù et examiné ces canevas, et
« m'a assuré avoir été longtemps indignò contro sa bonne amie Lavinia
« pour ne pas en avoir conserve quelques-uns. Malgré toutes ces assurances,
« je n'étois pas content, j'aurois souhaité d'en avoir vù moi-méme ». È da
vedere in questo proposito il libro anonimo, ma di un Castiglioni, Senti-
menti di S. C. Borromeo int. agli Spettacoli, Bergamo, Lancellotti, 1759,
dove a p. 39 è recato l'ordine del Governatore di Milano del 1569 che « non
« si facci comedia alcuna, che non sia prima revista per il prevosto di
« S. Barnaba » : che era allora il p. Alessandro Sauli , poi beatificato.
Segue la narrazione minuta di tutte le « sante importunità » del Bor-
romeo, e le noie date ai Comici dall'autorità politica, istigata dall'eccle-
siastica, ma spesso ancora in conflitto di giurisdizione con questa, sul
proposito delle commedie, finché si arriva al racconto dei casi del 1583,
pei quali il Castiglioni ricorre al Barbieri « la cui autorità non è da sprez-
« zare » , e secondo il quale « il decreto dell' Arcivescovo di Milano fu
« pubblicato l'anno 1583, registrato da Mons. Fontana ferrarese a e. 45 della
« sua Instit. ». Il Barbieri stesso aggiunge, che trent'anni dopo il fatto di
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC. XVI 33
Costretti ad ignorare il vero motivo della cacciata dei Gelosi da
Mantova, non possiamo però supporre che fosse nemicizia o poca
propensione del Duca per il teatro. Bisogna che que' comici ne
avessero fatta qualcuna delle grosse (1) per incorrere nell'ira di
Guglielmo, del quale tutti gli atti provano invece l'amore al teatro
ed agli attori. Che intanto, anche sfrattati i Gelosi, non fossero
abolite le commedie, è attestato da un ordine ducale del 17 feb-
braio 1580, col quale
... si permette , eccetto ai Religiosi, ai sudditi nostri di mascherarsi et di
godere il trattenimento della comedia, che si fa questa sera nelle scene di
questo castello, e perciò concediamo a ciascuno che dalle 23 ore fino ad una
ora dopo finita la comedia, possano entrarvi mascherati , avvegnaché nella
grida delle maschere abbiamo vietato alle maschere l'entrata delle porte che
conducono in questa nostra Corte e Castello.
E sia per evitare inconvenienti, sia per dar segno di benevo-
lenza ad un cantore ed istrione di Corte, che già conosciamo
col nomignolo di Zoppo, ai 14 marzo il Duca segnava quest'atto:
Milano, anche a Palermo, essendovi allora costà Trappolino « quello che
« pochi mesi sono morì nell'eremo vicino a Venezia dopo molt'anni di pe-
« nitenza », si cominciò a sottoscrivere gli scenarj dall'autorità ecclesiastica.
Ho riassunto il curioso libro del Castiqlioni nelle Orig. del T., II, 278-84,
e così ha fatto anche lo Scherillo, La Commedia dell'Arte in Italia,
Torino, Loescher, 1884, pp. 135 sgg. Vedi anche la cit. monografia di Gentile
Pagani, Del Teatro in Milano avanti il 1598, Milano, Sonzogno, 1884,
pp. 32 sgg.
(1) « Per cagione dei profani Comici , che pervertono l' arte antica , in-
« troducendo nelle comedie disonestà e cose scandalose... giace come nel
« fango sepolta l' arte comica, e da' Signori vengono sbanditi fuori de' stati
« loro, dalle leggi avviliti, da' popoli con diverse beffe scornati, e da tutto
« il mondo, quasi per pena delle loro scorretioni, meritamente delusi. Per
« l'historie tu trovi le Compagnie divise: la Signora è in Parma, il Magni-
« fico è a Venezia, la Ruffiana in Padoa, il Zani a Bergamo, il Gratiano
« a Bologna, e bisognano patenti e licenze da ogni banda, se vogliono re-
« citare e guadagnarsi il vitto, perchè tutte le persone sono ammorbate da
« questa vii canaglia, che mette ogni disordine in campo, e compie di mille
« scandali intorno, dovunque vanno»: Garzoni, Op. cit., p. 320.
Giortmle. storico, VI, fase. 16-17. 3
34 A. d'ancona
Instrutti dell'infonnatione che ha il giocondo nostro Filippo Angelone di
tutti li comici mercenari , zaratani et cant' in banchi , lo eleggiamo per
superiore ad essi in tutti li nostri stati, si che alcuno di loro, o solo o ac-
compagnato, non habbia ardire di recitare comedie o cantare in banco, ven-
dendo ballotte 0 simili bagattelle, senza sua licenza in scritto, né d' indi
dipartirsi senza la meds.""» licenza, sotto pena di essere tutti spogliati di
ciò che haveranno, così comune come proprio, da esser diviso in tre parti (1).
E' si vede che nel concetto comune non si osservava quella
dottrina del commediante Beltrame, che cioè « dal circolatore
« al comico vi sono molti gradi (2) », e che in certo modo i signori
virtuosi e i cerretani formavano una sola famiglia. Ma il Duca
continuava tuttavia ad esserne mecenate amplissimo, e quasi
potrebbe dirsi che si fosse fatto, per amor del teatro, agente mas-
simo delle Compagnie comiche per l'Italia e per l'estero. Ecco,
in prova, una lettera di lui del 30 maggio '80, dalla quale anche
si vede che le recite non erano state in Mantova interrotte col
partire dei Gelosi, e che è diretta al potestà di Verona per rac-
comandargli i Confidenti, sui quali parrebbe essersi allora ac-
colto il favore ducale:
La Compagnia de' comici Confidenti , quale di presente si trova in questa
città, desidera al partir suo di qui venirsene costì a recitare le loro comedie
per trattenimento publico di cotesta città, et però mi hanno ricercato d'in-
tercedere per loro con V. S., perchè concedi ad essi licenza di poterlo fare.
E consimile raccomandazione è fatta il 27 aprile al cardinal
d'Este :
(1) Successore all'Angeloni in quest'ufficio fu Tristano Martinelli, nel '99,
e poi anche a quel che pare, nel 1613 preposto ai « comici, mercenarj, ba-
« gatellieri, saltatori che vanno sulla corda, che mostrano mostri et edificj
« e simili cose, et zarlattani che mettano banchi per le piazze per vendere
« ogli , unguenti , pomate , lituarj , controveleni , bolle , moscardini , acque
« muschiate, zibetto, muschio, instorie ed altre cose stampate, ongia della
« gran bestia, et che mettano castelli per medicare, et simile sorta di gente ».
Vedi Portigli, Brano dell' Epistolario d'Arlecchino, in Strenna Manto-
vana pel 1871, p. 101.
(2) Supplica, p. 31.
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC. XVI 35
La Vittoria con la Compagnia de' suoi comici desidera di poter recitare
le loro comedic nella città di Padova, però hanno pregato me a intercedere
con V. S. IH.™*, perchè la favorisca insieme £0i suoi compagni , acciocché
col mezzo dell'autorità di V. S. 111.™* possino ottenere quanto desiderano.
Forse erano gli stessi Confidenti, che non erano potuti andare a
Verona : forse trattasi d'altra Compagnia. Nella storia delle Com-
pagnie comiche del tempo regna tanta incertezza, che nulla si può
affermare in proposito. Il Duca stesso si divertiva a scomporle e
ricomporle, come si vede da questa lettera di Agostino Trissino,
diretta probabilmente al segretario ducale Marcello Donati, e
che sta fra le date delle due precedenti, essendo del 22 giugno :
Dopo la partita del Ser.™» Sig.' Principe andai dalla S.""* Vittoria per darli
il buon giorno, et la trovai di tanta mala voglia , che quasi mi fece lacri-
mare, dicendomi che il S."" Principe Ser.™° ha detto ad alcuni della sua
Compagnia , con pena della sua disgratia , debano andare nella Compagnia
di quella donna (forsi non troppo sana , per quanto mi vien detto) lamen-
tandosi detta Sig.""*, dicendo non saper la causa, perchè il Ser.°>o Sig."" Prin-
cipe li voglia dare questo danno di smembrare la sua Compagnia, non ha-
vendo mai lasciato di servirlo, né di giorno né di notte et d'ogni bora, et
poi per guiderdone di questo , habbia a meritarsi tale afronte : certo che
S. A. potria revocare questo comandamento, mi è parso voler scrivere queste
quattro parole a V. S., acciò favorisca la S.»"* et me insieme , di supplicare
l'A. S. che non voglia fare questo torto a questa Compagnia, atteso che lori
sono stati servitori, et sono per servire ad ogni minimo cenno, come Lei ha
visto sin bora.
Ma chi era quest'altra donna, che il Duca cosi visibilmente
proteggeva a danno della Vittoria? Sembra che fosse quella della
Compagnia di Pedrolino, ma non ne sappiamo altro: come ci
è ignoto chi fosse l'attore che nel 1580 sosteneva la maschera
di Pedrolino (1). Come si vede le Compagnie intanto erano
(1) Togliamo questa notizia su Pedrolino dal Sano, Op. cit., I, 257, la-
sciandone a lui la responsabilità : ed anche del dare al Cocchi i Bernardi, che
36 A. d'ancona
cresciute di numero: vi erano i Gelosi, i Confìdenti, a cui
probabilmente apparteneva la signora Vittoria, gli Uniti, che
potrebb'essere una cosa stessa con la Compagnia di Pedrolino (1),
i Desiosi (2) ed altre, o senza nome o di nome ignoto, come quella
formatasi a Genova nel '67 fra Guglielmo Rerillo napoletano. An-
gelo Michele da Bologna e Marcantonio veneto: societaiem in-
simul recitandi co^nedias , dice il contratto , e , all'occorrenza ,
sono del D'Ambra, e dove il servo è Pietro e non Pedrolino: «.Pedrolino,
« Piero, Pierrot est le mème personnage, paraissant sur la scène italienne
« dès 1547 dans une comédie de Cristoforo Castelletti sous la dénomination
« de Pierro valet; nous le retrouvons remplissant le méme emploi dans i
« Bernardi de G. M. Cecchi en 1563, et dans les pièces de Luigi Grotto,
« autre autres dans la Attiera, 1587: il joue sous le nom de Pedrolin les
« valets naifs avec Bertolin (Zecca). Dans la troupe des Gelosi de 1578 à
« 1604 inclusivement, les ròies de valet sont joués par Pedrolino, Burat-
ti tino et Arlecchino... Dans les cinquante scenarios de FI. Scala il est pres-
« que toujours l'amoureux préferé de la soubrette Franceschina ». Ag-
giunge (p. 263) che Pedrolino divenne Pierrot in Francia per opera del
Molière nel Don Juan (1656), e che la parte di Pierrot fu creata e lunga-
mente sostenuta da Giuseppe Giaratoni ferrarese (p. 274).
(1) Neir anno 1576 la Compagnia di Petrolino trovasi in Toscana come
si ricava dalla seg. lettera del Commissario Capponi al Granduca (Arch. Med.
filza 687, e. 135): « La Compagnia di Petrolino per una supplicatione dice
« a V. A. S. esser stata gran parte della invernata in Firenze et di poi in
« Pisa, et doppo certe settimane essersene andata a Luccha, et quando ha
« satisfatto li Lucchesi, volendosene ritornare a Pisa, non è stata da me
« lasciata entrare. È stato vero questo, perchè nelle ragunate et habitationi
« rispetto a certi amori di lor donne, sentii tali romori che ne poteva uscir
« Beandoli notabili, et però non gli ho voluto concedere il ritorno. Oggi
« avendo ottenuto da V. A. habitino in Pisa senza far ragunate o comedie,
« non ho mancato di obedir a' suoi comandi, et significarli anchora la ca-
« gione perchè no la ho voluto lasciar entrar, et a V. A. S. mi raccomando
« et prego felicità. Di Pisa, a dì 28 di Luglio 1576. (Comunicazione del
cav. Gaetano Milanesi).
(2) Nel 1581 i Desiosi erano a Pisa , come ne fa fede il Montaigne,
Yoyage ecc., Ili, 174, che ivi li trovò, e ricorda che ne faceva parte un
Fargnoccola, che par nome di maschera. Egli si piacque della loro conver-
sazione, e giuoco con essi alla riffa, e da buon cavaliere, mandò a regalare
del pesce alle « donne commedianti ». A Pisa vennero anche a recitare, ma
non si sa in qual anno, i Gelosi, come si ricava dalle Bravure dell' An-
DREINI, p. 131.
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC. XVI 37
sonandi, cantaridi, halandi ecc. (1). Il Duca intanto continuava
nella sua idea fissa di formare una nuova Compagnia di ottimi
attori, e a ciò si riferisce la seguente lettera di un comico, già
noto pel proprio valore, ma che, da buon marito di prima donna
celebre, univa al proprio il nome della moglie. La lettera, scritta
ai 17 settembre da Firenze, è di Drusiano Martinelli:
Io ho inteso come l'A. V. voleva che io entrassi con la moglie nella Com-
pagnia de Pedrolino, la qual cosa havrei molto volentieri fatto per amore
di V. A. et averci pagato tal occasione tanto sangue, sol per obedire il mio
Sig.""' et patrone, ateso che non ci è cosa al mondo eh' io non facesse per
quello. Però i Pedrolini si sono accomodati con la S/» Vitori, et io averò
una bona Compagnia, perchè or meglio comoderò la mia, et faremo la terza
Compagnia. Sì che se S. A. S. voi aver comedianti in Mantova per (questo
carnevale, non ci è la meglio Compagnia de la nostra, ateso che i Gelosi
e i Confidenti vano a Venetia: però se S. A. S. vele che venirne per il car-
nevale a Mantova, dia la risposta o sì o no al portatore di questa, che sarà
mio padre, o in carta o a bocca, che lui me la farà avere: ma meglio sarà
a farla scrivere, volendo che veniamo; perchè i compagni verano più vo-
lentieri: e questo le scrivo perchè se V. A. S. non me dà risposta tra un
mese, noi andiamo a Napoli per il carnevale. Non altro, basciando humil.'«
i genochi di V. A. S.
Di V, A. S. Mum. servo
Drusiano Martinelli, marito di M.' Angelica.
Questo Drusiano Martinelli, fratello all'altro di nome Tristano
(1) Belgrano in Arch. Stor., S"^ serie, XV, 422 (Anno 1872). A Milano
nel '78 chiedeva di recitare la Compagnia degli Intronati, che al nome si
direbbero senesi , ma non apparirebbero tali allo stile di questa supplica :
« Li fidelissimi servi di S. E. i virtuosi comici Intronati, come solito di
« cadon anno, con il megio però di sua licenzia, recitan quivi in Milano
« le sue solite Comedie, bora humilmente se ricoreno da quella, supplican-
« dola per sua solita pietà e cortesia sia servita conceder le già solite li-
« cenzie alli detti virtuosi Intronati, di puoter recitar le lor honeste Co-
« medie quivi in Milano, tanto e con il modo delli prossimi passati anni,
« et ciò sperano da Sua Eccellenzia, offerendosi pregar il S. Idio per lei » :
vedi Pagani, Teatr. a Mil., p. 21.
38 A. d'ancona
e celebre Arlecchino, non era un attore volgare, se già nel '77
e nel '78 era stato in Inghilterra (1) recitando alla presenza della
regina Elisabetta. Più tardi, nell' '88, andò col fratello in Spa-
gna (2), e poi di nuovo, nel 1600, in Francia, a capo della Com-
pagnia degli Accesi (3). Era suddito del Duca, come figlio di un
Francesco « cittadino et habitante di Mantova ». Chi fosse e
quanto valesse nell'arte la moglie madama Angelica, della quale
avremo da riparlare, non consta (4).
Si appressavano intanto le feste pel matrimonio del Principe
Vincenzo con Margherita Farnese, ed oltre aver ordinato una
commedia agli Ebrei e al De Sommi, come già notammo addietro,
si ricorreva per tal circostanza alla signora Vittoria, e ne fa fede
la seguente lettera di Augusto Trissino del 25 decembre 1580:
Messer Filippo Angeloni scrive di ordine di S. A. alla sig.'* Vittoria che
voglia venire con la sua Compagnia questo carnevale a Mantova, con l'oc-
casione di queste Ser.™* nozze.
A celebrare adunque questo nodo, che poi doveva sciogliersi
per inabilità della sposa, la città si dispose di buon'ora all'allegria.
Si recitò in Castello, come resulta da una lettera di Aurelio Zi-
braraonti del 27 gennaio: ai 4 febbraio il vescovo d'Osimo fece
rappresentare in casa sua una pastorale assai bella, come attesta
Don Francesco Borsato. L'entrata solenne della nuova principessa
(1) Collier, The hist. of. engl. dram, poet., cit. in Bartoli, p. cxxix.
(2) Ad. Bartoli, p. cxxx.
(3) Baschet, p. 109. Vedi anche una lettera di Tristano al segretario
Vinta, in Ad. Bartoli, p. cxxxiv, nota.
(4) Forse era quell'Angelica Alberigi — così almeno par doversi leg-
gere la sottoscrizione — che circa questo tempo, e precisamente ai 15 gennajo
dell' '83, scriveva a questo modo da Bologna al Duca: « Essendo desiderosa
« la nostra Compagnia far comedie questo carnevale in Mantova, la supli-
« camo resti servita di far che solo la nostra possa recitare comedie, poiché
« habbiamo da Filippo musico di S. A. havute lettere che dobbiamo andare,
« e perchè se ne vuol venire un altra non uguale a questa in far comedie,
« però suplico S. A. mi favorisca che non vanghi altro che la nostra ».
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC. XVI 39
ebbe luogo il 30 aprile 1581, e non fecero difetto sceniche rap-
presentazioni, senza che ci sia dato saper quali precisamente (1).
Altrettanto fu fatto 1' anno appresso , quando Anna Caterina ,
figlia di Guglielmo, andò sposa all'arciduca Ferdinando d'Austria,
che fu nell'aprile. E ai G di luglio di quest'anno '82 abbiamo la
seguente lettera dei Confidenti (2) al Duca, da Bologna:
Ad un sol cenno del messo di V. A. S.""" ci ritrovassimo subito pronti ad
ogni sua richiesta, quantunque sia con gran danno nostro, ma per non esser
qui tutta la Compagnia, non si è potuto spedire il messo, il quale hora per
altri suoi servitii parte di Bologna, con promessa di partirci subito che sia
qui tutta la Compagnia, essendo quelli che sono fuori di qui conformi al
nostro volere, come crediamo sarano tutti, pregandogli felice stato.
Era andato a scritturarli il noto Filippo Angeloni, che due giorni
appresso confermava la lettera del capo della Compagnia, assi-
curando che i comici per partire aspettavano soltanto da Firenze
« la signora Diana e Gratiano ». Si direbbe che la signora Diana
Ponti (3), detta Lavinia, si fosse sciolta dai Desiosi (4), entrando
fra' Confidenti, al modo stesso come poi fu dei Fedeli (5). Di lei
non molto sappiamo, salvo che fu anche poetessa, ed esistono sue
rime a stampa (6), e che nel 1601 era in Francia (7). Del resto, la
(1) 11 Canal, Op. cit., p. 68, ricorda la musica fatta da Paolo Cantino per
gli intermezzi a una Commedia recitata alla Corte di Mantova nell' '81,
probabilmente in questa ricorrenza.
(2) Anche V anno innanzi i Confidenti erano a Bologna raccomandati dal
duca stesso al cardinal Cesi, come risulta da lettera di questo porporato al
Gonzaga in data del 27 maggio: « Sì come io scrissi a Monsignor d'Osmo,
« che mi contentavo per rispetto di V. A., non son mancato di far serbare
« il luoco qua alli comici Confidenti, et non mancherò di farglielo serbare
« ancora, non solo per il tempo che mi scrive per la sua delli 25 di questo,
« ma per quanto sarà comandato da V. A. ».
(3) Da non confondersi con altra celebre Diana, ma del sec. XVIII, su
cui vedi Fr. Bartou, 1, 194, e Goldoni, Memorie, ediz. Lòhner, 1, 286.
(4) In fronte al Postumio pubblicato nel 1601 a Lione dallo Scala leg-
gesi un Sonetto « della signora Diana Ponti detta Lavinia, Comica Desiosa » .
(5) Ad. Bartoli, p. cxxxix.
(6) Quadrio, V, 244.
(7) Baschet, p. 114, 120: Sano, II, 175.
40 A. D ANCONA
ritroveremo fra poco. Il Graziano potrebbe essere Lodovico da
Bologna. E forse questi stessi comici Confidenti, all'andata o al
ritorno, si fermarono alla villa estense di Belriguardo. Vi ha al-
meno un avviso da Ferrara al Duca del 13 agosto, che i comici
hanno avuto « scudi trenta per cinque o vero sei comedie » ivi
recitate a richiesta della duchessa di Ferrara.
Il principe Vincenzo teneva dal padre il gusto delle com-
medie e la protezione dei comici (1) , e insieme la voglia di ri-
manipolare le Compagnie. Nel 1583 infatti, si era messo in capo
di fondere in una sola buonissima, tre Compagnie comiche non
in tutto buone, mettendovi a capo Francesco Andreini e la [moglie
di lui, la celebre Isabella. L'Andreini pistoiese, nato circa il 1548,
fu dapprima soldato : militò nelle galee toscane, e preso dai turchi,
stette ott'anni schiavo. Fuggì, e tornato in Italia si diede alla
professione di comico, probabilmente unendosi ai Gelosi, dapprima
facendo le parti d'innamorato, poi creando quella di soldato su-
perbo e vantatore, col nome di Capitan Spavento della vai d'In-
ferno. Si provò anche con lode agli altri personaggi del Dottor
siciliano, del negromante Falsirone e perfino del pastore Co-
rinto. Capo della Compagnia comica che andò in Francia nel
1600, e fu acclamatissima dal Re e sua famiglia e da tutta la
Corte (2), restò oltr'alpi fino alla morte della moglie : dopo questo
triste caso, che lo privava di una consorte bella e fedele e di
una inarrivabile compagna nel giuoco scenico, abbandonò il teatro
(1) Protesse ogni sorta di virtuosi, e per un maestro di ballo è la se-
guente al duca Ferdinando di Baviera, in data 25 ott. 1579, comunicatami
dal cav. Bertolotti : « Evangelista Papazzoni mantovano maestro di ballo
« della maestà cesarea, mio signore, havendo ottenuto licenza di venirsene
« a Mantova per accomodare alcuni suoi affari e ritornarsene fra tre mesi al
« suo servitio, vien ritardato da li ministri di S. M. diferiscono la sua spedi-
« tione a poter effettuar questo suo desiderio, perciò havrò ricorso all' E. V.
« perchè lo favorisca di farlo spedire conforme alla mente di S. M. Di che
« io ne la prego molto, come faccio anco a comandarmi ogni volta che se
« le presenterà occasione di valersi di me et delle cose mie, col qual fine
« le bacio la mano. Il Principe di Mantova ».
(2) Basghet, pp. 126 sgg.
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC. XVI 43
e si ridusse a Venezia. Pubblicò nel 1607 le Bravure del Ca-
pitan ^pavento, nell' '11 le due Favole boschereccie V Ingannala
Proserpina e V Alterezza di Narciso; l'anno dopo, i Ragiona-
menti fantastici posti in forma di dialoghi rappresentativi, nel
'16 raccolse le Lettere e i Frammenti di scritture della moglie,
e nel '18 mise fuori la seconda parte delle Bravure. Cosi il suo
pensiero era quasi costantemente volto al teatro, al quale avviava
il figlio Giambattista. Mori in Mantova ai 20 agosto del 1624 (1).
Maggior fama consegui la moglie, nata in Padova nel 1652, e
sposatasi a lui nel '78. Sotto la direzione e i consigli del marito
e di Flaminio Scala, capocomico dei Gelosi, divenne ben presto
una delle più celebrate attrici italiane del suo tempo. Era bella,
era colta e gentile: la morte, in giovane età e nel fior delia
gloria, ne fece più noto il nome. Vivente, fu lodata dal Tasso (2)
e dal Gbiabrera (3); morta, dal Marini (4): i maggiori poeti del
tempo (5). Era anche lei poetessa, e ci restano la favola bosche-
reccia la Mirtina (6) e un volume di Rime, col titolo aggiunto
al suo nome, di comica gelosa (1601). Amava l'arte sua, che il-
lustrò non solo colla singoiar valentia, ma coll'ingegno e, eh' è
meglio, colla virtù: che niuno ebbe mai a dir nulla sul conto
suo, ed anzi per lei la professione di attrice fu circondata di luce
purissima. Gara ai regnanti d'Italia e di Francia, applaudita dal
pubblico delle due nazioni, serbò modesto il contegno. Nell'aprile
del 1604, partiva col marito dalla Francia, colmata di onori da
Enrico IV e da Maria de' Medici. « Elle a donne tout contante-
« ment d'elle et de sa troupe au Roy mon seigneur et à moi:
« c'est pourquoi je vous la recommaiide avec affection »: così
(1) Fr. Bartoli, I, 8.
(2) Sonetto: Quando v'ordiva il prezioso velo. '
(3) Sonetto: 0 di scena dolcissima sirena.
(4) Sonetto: Piangete, orbi teatri ecc.
(5) Poesie francesi in lode di Isabella, vedile nella Hist. de Vancien. th.
ital. en Fr. dei fratelli Parfait, t'aris, Lambert, 1753, pp. 4 sgg.
(6) Un breve cenno sulla Mirtilla, vedilo in Napoli-Signorelli, Op. cit.,
Ili, 286.
40
^". A. D ANCONA
scriveva la regina alla duchessa di Mantova (1). Ma a Lione la
sorprendeva il male, ed ivi moriva l'il giugno. Ebbe universale
compianto e solenni onori funebri: « alla sua morte fu favorita
« dalla Comunità di Lione in Francia d'insegne e di mazzieri, e
« con doppieri dei signori mercanti accompagnata (2) » : una me-
daglia (3) scolpita in suo onore ce ne conserva l'immagine (4).
Il principe Vincenzo adunque tentò, per la formazione della
gran Compagnia comica da lui vagheggiata, i due coniugi An-
dreina E il primo di essi così gli rispondeva da Ferrara ai 13
d'aprile del 1583:
Per il sìg.' Antonio, musico di V. A. S., ò inteso l'animo suo e la sua buona
intentione intorno alla novella Compagnia, ch'Ella brama mettere insieme.
E perchè mi trovo obbligatissimo alla gentiliss.™* gratia di V. A. S. non
posso se non con mio grand.™' dispiacere ringratiarlo del cortesis."''» animo
suo d'havermi fatto degno, insieme con la mia consorte, d'essere annoverato
fra così degna Compagnia. Poiché trovandomi obligato et legato per fede
alla Compagnia de' comici Gelosi , et in particolare al dar.™" S."" Alvise
Michiele , padrone della stantia di Venetia (5), sono astretto a non poter
(1) Baschet, p. 145.
(2) Barbieri, La Supplica, Bologna, Monti, 1636, p. 40.
(3) Riprodotta dal Moland, Molière et la comécl. italienne, Paris, Didier,
1867, p. 100. Il Magnin nell'ara, cit., p. 848 nota che « en la voyant dans
« les gracieux autours florentins, on croit presque avoir sous les yeux un
« portrait de mad."« Rachel dans le costume de Marie Stuart ».
(4) La principal fonte della biografia d'Isabella è Fr. Bartoli, I, 31 segg.
Aggiungansi il cap. IV dell'opera del Baschet, e Ad. Bartoli, pp. cix e
sgg. Avendo riferito gli altri giudizj del Garzoni sulle attrici del tempo
suo, riprodurremo anche quello, egualmente enfatico, d'Isabella: «La gra-
« tiosa Isabella, decoro delle scene, ornamento de' teatri, spettacolo superbo
« non meno di virtù che di bellezza, ha illustrato ancora lei questa profes-
« sione, in modo che, mentre il mondo durerà, mentre staranno i secoli,
« mentre avranno vita gli ordini e i tempi , ogni voce, ogni lingua , ogni
« grido risuonerà il celebre nome d'Isabella »: Op. cit, p. 320.
(5) Nella cosi detta Corte Michiela presso il Campanile, in contrada S. Cas-
siano: vedi [Arrigoni] Notizie ed osservaz. intorno aWorig. ed al progr.
dei teatri in Yen., Venezia, Gondoliere, 1840, p. 16. E il mio articolo II
Teatro a Venezia sulla fine del sec. XVII, in Fanfulla della Domenica,
lo Marzo '85.
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC. XVI 43
accettare il partito et il volere di V. A. S., poiché per mettere insieme questa
Compagnia bisogna guastarne tre: la qual cosa par difficile, se bene a V. A. S.
ogni difficilissima cosa ò facilissima a farsi: inoltre, che ritrovandomi in
Ferrara solo, non posso senza il parere degli altri compagni manco offerire
la Compagnia de' Gelosi al servitio di V. A. S. Con che pregandola a tenermi
con la mia consorte nel numero delli suoi minimi servitori, etc.
Francesco Andreini
comico geloso.
Procurò almeno il principe di avere pei Con/?cfen#/ un'attrice
il cui nome ci giunge nuovo, e così le scrisse il 2 aprile:
A Ma Ottilia Eolico comica.
Car,™» mia. Li comici Confidenti, dei quali bora io mi servo, desiderano
di haver voi in compagnia loro, il che anche a me piace, per intendere la
sufficienza vostra; perciò mi sarà di non poca soddisfatione che, posponendo
ogni cosa, vi transferiate qui a servire me et a compiacere loro, che vi amano
molto. State sana. Per farvi piacere
Il PRiN.e DI Mantova.
La Giulia era a Bologna, e per ciò il principe così scriveva lo
stesso giorno al sig. Pirro Malvezzi:
Scrivo costì alla Giulia Eolico comica , che voglia venire a Mantova a
recitare nella Compagnia dei comici Confidenti , quali bora mi servono:
credo che debba venire: tuttavia si rendesse difficile, prego V. S. ad essere
contenta d'interporre l'autorità sua, perchè quanto prima si ritrovi qui, ch'io
ne terrò obligo a V. S. et a Lei.
Ma non parrebbe che le speranze di Vincenzo venissero coronate
di buon esito. Il 25 il Malvezzi replicava a questo modo:
Quanto al particolare di M."^ Giulia Eolico , non ho mancato di far con
essa quegli ufficj che V. A. desidera, si come intenderà dal suo mandato:
la quale si è finalmente risoluta a quello che vedrà per ima lettera sua,
scrittami questa mattina, che le mando inclusa: se comanderà ch'io mi ado-
peri in questo soggetto più oltre , degnerà d' avvisarmene , che tanto farò
quanto sarà il mio potere e il suo desiderio.
44 A. d'ancona
Mancando la lettera inclusa, mancano altri particolari ; ma forse
questa comica è la Giulia Brolo, che si trova sottoscritta nella se-
guente lettera collettiva degli Uniti al Principe, in data 3 aprile
1584 da Ferrara:
Havendo noi Comici Uniti, umilissimi servi di V. A. S., di nuovo tornata
insieme la Compagnia di Pedrolino , come già era, et anco migliorata di
personaggi famosi nell' arte comica, et desiderando noi venire a recitare a
Mantova con buona gratia di V. A. S., humilmente la preghiamo et suppli-
chiamo concederne licenza si che possiamo venire, che subito saremo pron-
tissimi. Noi sariamo venuti confidandosi nella bontà di V. A. S., ma perchè
il sig/ Filippo Angeloni musico fa ogni opera acciò che noi non ci ven-
ghiamo, habbiamo prima voluto farne consapevole V. A. S., affine che la si
degni trattarne con l'A. S.'"* del S.' Duca suo padre, et far sì che possiamo
venire liberamente a servirla.
E qui seguono le sottoscrizioni degli Uniti, cioè: Pedrolino,
Bertolino, Magnifico, Gratiano, Lutio, Capitan Cardone, Fla-
minio, Batt" da Treviso Franceschina, la signora Giulia Brolo,
Isàbela, Gio. Donato, GrUlo. Non di tutti costoro è facile dar
ragguagli. Bertolino fu sul teatro quel Niccolò Zecca, del quale
il Barbieri {Beltrame) cosi dice: « Il sig. Niccolò Zecca, detto in
« commedia Bertolino, giovane di gran coraggio e di qualche
« eccellenza nel giocar d'armi e nel danzare, ha ricevuto honore
« di servir molte volte nella caccia l'A. R. del Serenissimo Duca
« di Savoia, et è stato honorato, oltre a molti regali, d'un sin-
« golar appatente di poter levare cavalli dalla ducal scuderia a
« suo beneplacito, et ire a caccia in ogni luogo riserbato a
« S. A. R., con previlegio che per qualsivoglia bando che potesse
« sospender la permissione a privilegiati da S. A. R., non mai
« s' intenda esclusa la gratia fatta a Bertolino) (1) ». E il Qua-
(1) Supplica ecc., p. 40. 11 Sand, I, 248, confonde malamente Bertolino
col Bertoldino di G. C. Croce.
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC. XVI 45
drio (1) aggiunge che ugual privilegio « gli fece pure il duca
« di Mantova per li proprii suoi stati »: le quali cose tutte mentre
nulla veramente provano sul suo valor comico, neanche bastano a
provare che questo Bertolino dell' '84 sia quello Zecca, del quale
l'Archivio mantovano serba lettere del 1646 ed oltre sino al '59,
e che il Barbieri qualifica per « giovane ». Lo Zecca fu dunque
un secondo Bertolino, non quello degli Uniti dell' '84 (2). Il Lutio
potrebb' essere quel Lucio Fedele, cioè della Compagnia Ae' Fe-
deli, che il Capaccio nel suo Segretario e il Ghilini nel Teatro (3)
celebrano come eccellentissimo comico (4). Di Battista da Tre-
viso {Franceschina), attore che, evidentemente faceva parti di
donna, vedremo più oltre una lettera. Flaminio potrebb' essere
Giovan Paolo Fabri: salvochè, se è vero quel che scrive Fran-
cesco Bartoli ch'ei nascesse a Cividal del Friuli precisamente
nel 1567, nel tempo a cui si riferisce la lettera degli Uniti sa-
rebbe stato giovanissimo (5). E Gio. Donato potrebb'essere Giov.
Donato Lombardi da Bitonto, attore e insieme autore del Nuovo
Prato di Prologhi (Venezia, 1618) e della commedia il Fortu-
nato amante (Messina, 1589) (6).
L'istanza degli Uniti era confortata da una commendatizia della
sorella stessa del Principe, la Duchessa di Ferrara, Margherita
Gonzaga, che il giorno dopo scriveva cosi al fratello:
Questi Comici mi pregano , come potrà vedere l'A. V. da rinchiuso me-
moriale che mi hanno dato, di raccomandargli a lei, per impetrar col mezo
(1) Op. cit, V, 239.
(2) Nel 1672 Bertolino era Ambrogio Broglia: vedi Quadrio, V, 244.
(3) « Lucio fedele Comico di gran nome e de' più celebri , eh' habbiano
« per l'addietro nobilitate le Scene con applauso e soddisfazione degli udi-
« tori »: Ghilini, Teatro d'huomini letterati ecc., Venetia, Guerigli, 1647, p. 132.
(4) Il Quadrio, Op. cit., V, 237, lo fa fiorire verso il 1560: forse troppo
presto.
(5) Sul Fabri e sulle sue opere a stampa vedi Fr. Bartoli, I, 202, e
Ad. Bartoli, p. cxxi.
(6) Fr. Bartoli, I, 301 : Ad. Bartoli, p. cxxii.
46 A. d'ancona
suo dal S.™° S/ nostro Padre, licenza di venire costà a rappresentare le loro
comedie, et se ben voglio credere eh' Ella da sé si sarebbe indotta a favo-
rirgli, non dimeno per satisfargli ho io voluto aggiongere questa mia rac-
comand.ne et assicurarla che il favore che farà loro accettarò per molto grato
piacere da V. A., a cui bacio la mano. N. S. Dio la conservi.
Non sappiamo se nell'aprile la Compagnia andasse effettiva-
mente a Mantova, dove forse il Principe la desiderava per le
sue seconde nozze : certo è che nel giugno era a Reggio, donde
ai 27 stava in sulle mosse per venire a servire Vincenzo:
Essendo noi prontissimi per servire S. A. S. veniamo con questa nostra a
salutarlo et farle riverenza, avisandola come non mancheremo di trovarci
tutti uniti in Mantova per il cinque o il sei di luglio prossimo a venire.
Pregandola favorirci con il suo potere, di sicurissimo viaggio, poiché inten-
diamo la strada esser mal sicura da Reggio a Mantova. Con che facendo
fine , umilmente baciamo le degnissime mani di V. A. S. pregando N. S. la
feliciti.
/ Comici Uniti (1).
Neil' '85 gli Uniti tornavano ancora in Mantova, come attesta
questa patente in data 4 maggio del collaterale Carlo Luzzara:
In virtù della presente concediamo alli Comici Uniti di potere recitare in
questa città , cominciando dal giorno d' hoggi per tutto quel tempo che vi
staranno : et in fede gli habbiamo conceduto la presente licenza sottoscritta
di mano del notaio nostro et sigillata del nostro maggior sigillo.
Ma questo foglio, munito di sigillo ed autenticato dal notaio
Cristoforo Acquanegra, si vede che in fatto contava poco, come
poco contava il serenissimo Principe appetto al serenissimo Duca,
che amava le commedie (2) e i comici, ma anche in ciò voleva
(1) Comunicazione dell'archivista cav. Bertolotti.
(2) Nel carnevale di cotest' anno '85 il duca erasi recato a Vicenza a ve-
dere il Teatro Olimpico: vedi Marzari, Storia di Vicenza, p. 208. Vi si
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC. XVI 47
rispettata la sua autorità. Non par dubbio infatti che agli Uniti
si riferisca la seguente del segretario ducale Trissino, di sei giorni
appresso, e l'altra dell'altro segretario Guidobono del 13: l'una
da Revere, l'altra dal Gazo. La prima dice cosi:
Il sig."" Duca nostro Ser."»* ha inteso che in Mantova ci sono (ìelli come-
dianti, che recitano senza licenza né saputa dell' A. S. Però mi ha comesso
che scriva a V. S. dicendoli che non sa se il S/ Princ^ Ser.™° li habbia fatto
venire; che avendoli fatti venire , crederia che fossero venuti per recitare
all'A. S. per passare il tempo, ma non recitare in Mantova senza licenza del
Ser."'» S/ Duca mio patrone. Piaccia adunque a V. S. di darci aviso come
sta la cosa, acciò ne possi dar ragguaglio a S. A. S.™**
E l'altra:
Ordina il S."*» N. S.''^ che V. S. dia licenza a' comedianti che recitano costi,
che subito si partine da codesta città, senza punto fermarsi, meritando essi
molto maggior castigo di questo , poiché hanno avuto licenza da S. A. di
stare in Mantova et recitarvi comedie , non essendo ciò vero. Il che potrà
V. S. rimprover£irli, con dirli da chi hanno imparato di farsi falsamente scudo
della persona ,S.™* di S, A.
Probabilmente in tutto ciò vi era conflitto di prerogative fra
i due illustri filodrammatici, e forse l'Angeloni, posto da banda,
istigava il Duca. Ad ogni modo, Vincenzo non si dava per vinto,
e ai 20 luglio scriveva al Pomponazzi, allora in Milano, perchè
procurasse di avere
... Lodovico Gratiano, affinchè venga a Mantova a recitare nella Compagnia
della Diana; che vorrebbe far recitare delle commedie per suo passatempo
in città.
Ma sette giorni dopo, l'ambasciatore rispondeva che Graziano
recitava allora VEdipo tiranno di Sofocle, tradotto da Orsato Giustiniani, e
la parte del protagonista fu sostenuta dal famoso Luigi Groto detto il cieco
d'Adria: vedi Napoli-Signorelli, Op. cit., Ili, 115.
48 A. d'ancona
(Lodovico de' Bianchi) non avrebbe recitato senza Pantalone
(Giulio Pasquati):
Ho parlato a Lodovico Gratiano , il quale prontissimamente si è offerto
di venire a servire V. A. ogni volta che Ella abbia fatto venire per l'istessa
causa Giulio da Padova, raccordando che senza lui non si farà cosa buona.
Neanche questa essendo riuscita al Principe, egli se n'andò con
comici e giuocatori di pallone in villa a Marmirolo, come ce n'in-
forma il 22 luglio il cancelliere ducale Anteo Cizzola. Nel setr
terabre successivo però, potè egli avere spettacolo anche in città.
Luigi Olivo castellano, agli 11 di detto mese, ci fa sapere che
11 Ser.'^o S/ Principe è stato hoggi qui alla comedia.
E il 7 ottobre, che
Il Ser."»o S.' Principe ha fatto far hoggi comedia qui in Castello , alla
quale è stata anco la Ser.""» Sj» Principessa (1).
Dell' '86 non abbiamo ricordi, salvo questa lettera dei Comici
Gelosi da Bologna in data del primo dell'anno, colla quale chie-
dono al principe la licenza patema per venire a recitare a
Mantova :
Havendo la Compagnia aspettata la sua licentia , come per l' ultima sua
lettera ne scrisse, et non sendo venuta, né meno ad un altra nostra lettera
dato risposta, si è risoluto d'inviare il presente messo con la supp.c» inclusa
per la licentia del S.™° suo s."" padre, supp.i» si degni mandarne la sua li-
centia spedita, che la Comp.'» attenderà la speditione, et subito partirà.
Nel febbraio forse la Corte osservò il lutto per la morte del
congiunto Ferrante Gonzaga, principe di Castiglione delle Stiviere
e fratello a S. Luigi: ma nel maggio ben potevano le commedie
(1) In quest'anno il Canal, Op. cit., p. 64, registra una commedia da re-
citarsi per la venuta di una Arciduchessa, della quale il Wert compose gli
intermezzi in musica.
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC XVI 49
trovar luogo tra le feste per la nascita di un principino. Vincenzo
però in cotest' anno fece qualche cosa di meglio che attendere
ai pettegolezzi delle prime donne e dei graziani, ottenendo dal
duca Alfonso d'Este la libertà di Torquato Tasso, dall'oscurità del
carcere ferrarese tratto allora agli splendori della Corte dei Gon-
zaga. E il poeta, che l'anno dopo doveva scapparsene da Man-
tova (1), dedicava al suo liberatore la tragedia il Torrismondo.
In stile che prelude al seicento, abbiamo dell'anno seguente
due lettere dell'Isabella Andreini, comica gelosa, ai Signori di
Mantova. La prima, in data di Firenze 14 gennaio 1587, è di-
retta al Duca, ed altra simile, alla Duchessa:
Ser.^o sig.re
Se nell'Etiopia dove sono genti barbare si trovano alcuni popoli che quan-
tunque barbari siano, adorano dui dij, l'uno immortale e l'altro mortale, lo
immortale come creatore de tutto l'Universo et il mortale come loro beni-
ficatore, quanto maggiorm.*^ qui nella bella Italia giardino del mondo, dove
è lume di fede e splendor di costumi politici si deve adorare l' alto et im-
mortale Dio, sommo motore dell'universo, e nel bellis.'^o seno della nobilis.™*
città di Manto, V. A. S~ come Dio mortale vero datore di tanti e sì notabili
beneficij ì Certo sì che far lo deve ogn' uno e poi che questo si deve a
V. A. S., io che umilis."'* e devot.™» serva gli sono, non resto di adorarlo
come mio mortale Dio; poiché da lui ho ricevuto il singoiar benefitio et
segnalatis.™" favore dell' haver accettato Lavinia mia figliola (2) per sua
umilis."'* serva , la quale con la occasione del sig.''^ Claudio Francese suo
devot.°'° vengo di nuovo a ricordargliela servitrice , et me con mio marito
devot.^i di V. A. S., alla quale pregandole dal supremo dator delle gratie ogni
felice successo, insieme con la Ser."* Sig.'"^ Principessa sua consorte, um.*«
me li racc.^** in gratia et bacio la degnis.""^ cappa.
Dalla qual lettera si ricava un fatto, rinnovatosi spesso dappoi:
(1) Vedi Torquato Tasso e Antonio Costantini nelle mie Varietà storiche
e letter., Milano, Treves, 1883, I, 75.
(2) Le quattro figlie dell'Isabella, a quel che ne assevera Fr. Bartoli,
1, 33, furono tutte monache in Mantova.
Giorfuth storico, TI, fase. 16-17. 4
50 A. d'ancona
dell'onorare cioè che i principi facevano i comici col tener loro
a battesimo i figliuoli. « Molti principi e principesse, re e reine,
« imperatori e imperatrici, dice trionfalmente Beltrame (1), hanno
« tenuto a battesimo i figliuoli de' comici de' nostri tempi, e gli
« honorano col chiamarli con nome di compari e comare in voce
« e in iscritto... Hor chi non sa che tali gratie non si concedono
« a persone infami ? » E l'Ottonelli confessa di aver udito « in
« Firenze da Girolamo Chiesa, comico modesto e tra' comici detto
« il dottor Violone », che a lui toccarono uguali venture. « Io,
« disse il Chiesa, hebbi in Francia il mio primo figliuolo , e fu
« tenuto a battesimo dal Duca N. (io tacio e tacerò i nomi uditi
« per degni rispetti) e dalla Principessa N. Il secondo parto fu
« d'una figliuola, tenuta dal Seren. Principe N. cardinale. Il terzo
« fu figliuolo, tenuto dal Sereniss. Principe N., che poi fu Duca. Il
« quarto parto fu d'una figliuola, tenuta dalla Sereniss. Duchessa
« N. (2)». Non a tutti certamente concedevansi tali favori; mai
casi citati, e altri che vedremo in seguito, confermano le con-
clusioni di Beltrame, e mostrano il concetto in che generalmente
tenevansi allora quelli che professavano l'arte drammatica.
L'altra lettera della Isabella è alla Principessa di Mantova,
pur da Firenze, in data del 5 aprile '87.
Ser."»« Sig."
Con la occasione della venuta del S."»" S.' Princ^ suo degn.°»« consorte
qua a Fiorenza et con la comodità del S. Claudio Francese suo aff.™» et
divot.™o Ser.'e, non ho voluto mancare di venire con questa mia a farle ri-
verenza con tutta quella umiltà maggiore che per me sua umil.™* e devot."*»
servitrice si puote, pregando S. A. S. degnasse di conservarmi in sua bona
gratia insieme con Lavinia mia figliola et sua hum.°"" servitrice , facendo
anco sapere a S. A. S. come dal S.™» Granduca suo deg.»"° Padre e dalla
S.™' Gran duchessa, sono stata favorita, oltre a molt' altri favori, d'un segna-
latis.»"" favore, simile a quello fattomi da S. A. S., d'accettare la sorella mi-
nore di Lavinia mia figliola per sua servitrice, della cui gratia e di quella
(1) Supplica, p. 4L
(2) Della Christ. moderai, ecc., p. 27.
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC. XVI 51
che mi fece S. A. S. rendo gratie infinite a Iddio et alle V.e Al.ze S.me, alle
qaali prego dal' istesso Dìo tutte ecc.
Moriva intanto, ai 14 di agosto, il duca Guglielmo, né è da
stupire se pel rimanente dell'anno, e pel principiare del succes-
sivo, facciano difetto le notizie teatrali , e se probabilmente la
seguente lettera di Battista da Treviso, detto la Franceschina,
rimase senza risposta favorevole:
Sicome gli infiniti favori et gratie che mi ha sempre fatto V. A. Ser."»»
mi levano la speranza di poterle far servitii che da quelle me disobleghe,
così la grandezza dell'animo suo pronto sempre a compiacere i suoi servitori
me dà ardire di supplicarla di una gratia; il che tanto più volentieri mi
movo a fare , quanto che questo mi porgerà occasione di poterla di novo
servire. La supplico adunque con ogni humiltà e col maggior affetto eh' io
posso, che per sua benignità si degni concedermi licenza di poter venire a
Mantova con una compagnia di Comici a recitar comedie , assicurandola
che la Compagnia è tale, che merita esser favorita da V. A. Ser. di questa
gratia, et perchè son certo che secondo la sua solita benignità è per conce-
dermi questa licenza, non gliene farò maggior instantia , ma supplicandola
a tenermi per quel vero servitore che sempre le sono stato e le sono, le
faccio humiliss.te reverentia, et prego il sig."^ Dio che prosperi ogni suo de-
siderio. Di Vicenza 24 novembre 1587.
Di V. A. Ser.™* humiliss.mo servitor
Battista degli Amorevoli da Treviso detto la Frane. na
Comico Amorevole (1).
Ma r88 non finiva senza che Vincenzo non volesse godersi
qualche recita, come si vede dalla seguente del 17 giugno, colla
quale raccomanda al Governatore di Milano i Gelosi, che fin al-
lora avevano recitato a Mantova:
Li Gomedianti Gelosi se ne vengono hora a cotesta città con pensiero di
puotere con bona gratia dell' Ecc.* V. trattenervisi alcuni giorni , et perchè
qui dove io ho loro permesso il recitare, si sono diportati bene, ond'io resto
(1) Comunicazione dell'archivista cav. Bertolotti.
52 A. d'ancona
con desiderio di giovar loro, ho voluto accompagnarli con questa mia all' E. V.
pregandola (quando ciò non sia per esserle in disgusto) a volerli lasciar
recitare per quel tempo che a lei parerà.
Partiti però i Gelosi, il duca sentiva bisogno di aver altra Gona-
pagnia, e comandava al solito Filippo Angeloni di andar tosto
a Bologna a prendere i Comici, e che questi conducano su le carrette le
robbe loro.
E quando anche questi altri furono partiti, agli spassi ducali
provvide, come vedemmo addietro, la Università degli Ebrei man-
tovani.
{Continua)
Alessandro D'Ancona.
STUDI SU FERRETO DEI FERRETI
Il suo sepolcro.
Sulla tomba del Ferreto, e sulle iscrizioni che alla stessa si
riferiscono, richiamò testé la nostra attenzione Massimiliano
Laue (1), autore di un pregevolissimo opuscolo intorno al celebre
poeta e storico vicentino. Il Laue trascrive l'iscrizione metrica,
senza accennare neppure alla esistenza di alcuna iscrizione pro-
saica, che, di regola, si accompagnava alla metrica sui monu-
menti sepolcrali medioevali. Il Laue copia il suo testo da quello
edito nel 1853 dal co. Giovanni Girolamo Orti Manara (2). Nella
edizione dell' Orti, abbiamo effettivamente anche una iscrizione
in prosa, corrente sul listello del sarcofago ; ma senza esitare
può dirsi che mal corrisponde, per il suo contenuto, alla iscri-
zione metrica. Insieme con queste due iscrizioni, l'Orti ci dà una
terza iscrizione in prosa, che si riferisce all'ultimo trasporto
subito dal monumento nel 1839. Le tre iscrizioni furono comu-
(1) Ferreto von Vicenza , seine Dichtungen und sein Geschichtswerk,
Halle, 1884, p. 4.
(2) Cenni storici e documenti che risguardano Cangrande I della Scala,
Verona, 1853, p. 146. Il Laue cosi legge il v. 5: « Est decus hic patriae
« Ferr. gloria gentis » , mentre T Orti a ragione ha : « Est — Ferr. hic
« gloria g. ». Così leggesi sulla pietra.
54 e. «IPOLLA
nicate all'Orti dal vicentino ab. Antonio Magrini, persona di
molta erudizione. Il compianto Magrini attendeva all'illustra-
zione della chiesa di S. Lorenzo, dove si trova anche oggidì il
monumento del Ferreto. Nella biblioteca Bertoliana Comunale
di Vicenza si conservano mss. le Memorie del Magrini intomo
alla suddetta chiesa; in parte da lui già corrette e preparate
per la stampa, in parte forse ancora bisognose dell'ultima lima.
Chi entra nella chiesa di S. Lorenzo in Vicenza resta colpito
dal contrasto fra il nuovo e l'antico. L'ossatura architettonica
della chiesa risponde alla promessa che il visitatore ebbe dalla
facciata; in altre parole è perfettamente antica. Ma sopra la
parte originale si è qui e colà distesa quasi una nebbia; l'into-
naco bianco diffuso sulle pareti della chiesa , sebbene di certo
non sia riuscito a velare completamente ciò che vi ha di originale
e di bello, tuttavia produce una impressione alquanto sgradita.
Il sarcofago del Ferreto raccoglie in se stesso più vivace che
mai il contrasto ora indicato. Bisogna confessare che anche questa
volta i restauratori danneggiarono il monumento con ottime in-
tenzioni ; vale a dire per conservarlo, e per onorare cosi la me-
moria dell'insigne letterato. Il monumento è nell'interno del tempio,
addossato alla parete destra di chi entra dalla porta principale.
La tomba poggia sopra un alto basamento a forma di dado,
affatto moderno, che data cioè dal 1839, anno in cui il monu-
mento fu collocato nel sito che occupa di presente. Sopra tale
basamento leggesi l'iscrizione, riferita anche dall'Orti, e che qui
riproduco:
MEMORUE
FERRETI • RISTORICI • ET • POETAE
SVI • TEMPORIS • CLARISSIMI
VETVSTVM • FERRETIAE • GENTIS • SEPVLCHRVM
IN • AVERSA • HVIVS • MVRI • FACIE • OLIM • POSITVM
DEINDE • IN • TEMPLI • FRONTEM • TRANSLATVM
ANNO • MDCXLII
HIC • DEMVM ■ ADIECTIS • BASI • ET • FASTIGIO
CVRA • CIVIUM • RESTITVIT
ANNO • M • D • CCC • XXXIX
STUDI SU FERRETO DEI FERRATI 55
L'arca è antica, in marmo bianco; pur troppo fu alquanto
scalpellata, coli' intenzione di levarne le scabrosità, toglierne le
traccie del tempo, e farla in somma più bella. La buona inten-
zione fu ancora una volta dannosa. La cornice si compone di
un listello, di una gola, e di un tondino. Ed è sul listello che
corre in caratteri gotici antichi la iscrizione seguente: s[epul-
chrum] • domini • Fer^reti • brexane ' (et s)uor{um).
S-'^OmiPI-HG r» Re:\T«BR#^:?W^^^^Ì»:
Le ultime parole sono molto consunte, e sulla pietra furono re-
stituite 0 meglio segnate a colore (1). Non è meraviglia se furono
lette talora diversamente. La lezione tuttavia è sicura. Il gotico
è piuttosto del tipo del sec. XIII, che non di quello del sec. XIV;
pure al sec. XIII accenna anche l'arca, sia per il disegno, che
per la maniera con cui è lavorata. E, perciò, a parte anche
ogni considerazione storica, tosto si giudica che la tomba è da
ritenersi anteriore al nostro Ferreto, morto nel 1337.
Sulla fronte della tomba, nel centro, entro uno scudo, vedesi
l'arma della famiglia Ferreto , consistente in una specie di ala,
spiegata, con 13 penne. Ai lati dell'arma stanno due cerchi, in
ciascuno dei quali è inscritta una croce greca. Ogni braccio della
croce, foggiato a ventaglio, terminasi in tre bottoncini o globetti.
Somiglianti croci veggonsi pure sulle faccie laterali dell'arca o
sarcofago, una per faccia. Pur troppo nel 1839 non si badò a
nascondere entro al muro parietale della chiesa metà del sar-
cofago, cosi che delle croci laterali non restano visibili che le
due metà anteriori.
Il sarcofago è sormontato da un coperchio a tipo classico, coi
due vacelli od antefisse ai cantoni della fronte. Non è a dire se
(1) Il facsimile qui dato, lo desunsi sia da calchi e disegni da me presi
sul sito, sia da un bel disegno a mia preghiera eseguitone dal gentilissimo
sig. Vittorio Barichella, vicebibliotecario della Bertoliana; s'abbia l'egregia
persona i miei più vivi ringraziamenti.
56 e. CIPOLLA
questa appendice stuoni col tipo medioevale dell' arca , ma pur
bisogna perdonarla all'intenzione di chi ve l'ha posta. Lo stile lo
dice, fu fatta nel 1839, quando era predominante il gusto semi-
classico, che regnò senza contrasti sino a non molti decenni ad-
dietro. L'Orti (p. 146) conferma ciò, sempre sulla fede del Magrini,
il quale nei suoi citati mss. dice: « L'urna di mezzo, a cui fti
nel 1839 aggiunta una nuova base e nuovo coperchio... ».
Alquanto sopra al coperchio indicato, sta incastonata nella
parete l'iscrizione metrica, composta non di tre distici come ri-
sulta dall'Orti e dal Lane , ma di quattro. È incisa su due lapidi
(in pietra molle, e molto corrose), la prima delle quali porta i
primi distici , mentre la seconda ci reca l'ultimo. Le due lapidi,
di eguale larghezza, sono bene ravvicinate l' una all'altra , e lo
stucco raccomodò le cose per modo che non è facile scoprire la
commettitura delle due pietre. Ne risulta dunque una tavola
unica , la quale sta inquadrata in una semplice cornice di stile
moderno.
Tale è il monumento. Come si vede, nel 1839 si ebbe cura di
alzarlo quanto più si poteva, sia col basamento, sia col coper-
chio, sia in fine col collocare lassù in alto le lapidi colle iscri-
zioni metriche. Nel far questo si aveva certo per iscopo di a-
dattare il monumento al contorno entro a cui lo si collocò.
Difatti il monumento sta sotto ad un grande arco, sostenuto da
colonnine leggere e svelte, che si alzano sopra piedistalli. Lo
stile di questo contorno è quello della Rinascenza, con elementi
gotici : è, in una parola, un bell'arco di trionfo tolto da qualche
altare del sec. XV.
L'iscrizione metrica è in caratteri romani, ma tra la scrittura
dei primi distici, e quella dell'ultimo può riscontrarsi qualche dif-
ferenza degna di riguardo. Sopratutto va osservato che i punti che
dividono le parole, nella prima parte rispondono al mezzo delle
lettere (anzi talvolta si hanno due punti, l'uno sotto l'altro), se-
condo lo stile antico , mentre nella seconda stanno al basso, se-
condo l'uso moderno. Ciò premesso, ecco la doppia epigrafe:
STUDI SU FERRETO DEI FERRETI 57
HIC • SITVS • EST • CLARA • KERRETVS • ORIGINE • VATES
SCALTGEROS • DECVIT • QVEM • CECINISSE • DVCES
S.CRIPSIT • ET • ANNALES • GENVENSE • ET • IN • ORDINE • BELLVM
ET • NOVA • DE • PRISCIS • CARMINA • TEMPORIBVS
EST • DECVS • HIC • PATRIìE • FERRETI • HIC • GLORIA • GENTIS
HIC • LOCAT • iETERNVS • NOMEN • ET • OSSA • LAPIS
O . PIETATIS . OPVS . CRIBRO . OLIM . TRANSTULIT . TNDAM
NVNC . VATEM . GENIVM . MARMORA . CVM . CINERE
M DC XLII
La data 1642 si riferisce all'ultimo distico, e significa una trasla-
zione del sarcofago ; ne parleremo fra breve. Ritornando ai primi
distici, essi e per lo stile e per la lingua si manifestano assai più
antichi dell'ultimo, il quale non è di facile interpretazione, come
sembra aver ritenuto anche Scipione Maffei, il quale per primo
forse lo pubblicò (1). Siccome il Maffei stesso notò, e come ripetè
poscia il Magrini (2), vi si contiene un'allusione al v. 151 del
Trionfo della Castità del Petrarca. Come una volta la Pietà portò
dal fiume al tempio acqua col cribro, così ora trasportò il poeta,
il genio, il marmò e la cenere.
In ambedue le iscrizioni vediamo adesso le lettere colorite in
nero: tale coloritura sarà stata data loro nel 1839, quando la
lapide fu murata li dove sta al presente , e ciò per rendere le
lettere in qualche modo leggibili dal basso. Rammentisi quanto
dicemmo sulla coloritura delle parole dell'iscrizione in prosa.
Nella paleografia dei primi distici, mi pare di scorgere qual-
cosa che ricordi un'epoca diversa da quella a cui il carattere
in generale ci richiama. Il carattere attuale sembra non essere
anteriore al sec. XVI avanzato. I dittonghi ae si ottennero col
nesso cp.' gli et non sono espressi colla sigla 7, ma col segno &.
Tutto questo ci parla di epoca tarda. Ma per l'opposto ci fa pen-
(1) Ver. illustr., ed. in-fol., P. II, col. 66. La doppia iscrizione vide poscia
la luce in Faccioli, Musceum Lapidarium Vicentinum, Vicenza, 1776, p. 46.
(2) Nei suoi citati mss., nella Bibi. Com. Vicent.
58 e. CIPOLLA
sare ad un'epoca più antica l'ommissione del dittongo in patrne,
al V. 5. E più ancora mi colpi la finale di ì)ellvm (vs. 3), dove
la V è fatta al tipo antico, e la m è ottenuta col segno 5. Que-
st'ultimo segno è eseguito da mano avvezza al carattere gotico,
a cui esso legittimamente spetta e stuona perciò colla <fc sopra
indicata. Mi venne dunque il sospetto che l'attuale iscrizione sia
una ripetizione d'iscrizione più antica, senza dittonghi, a carat-
teri gotici, e incisa forse sulla medesima pietra, sulla quale si
sarebbe ripetuta l'attuale.
Il Pagliarino, cronista vicentino del sec. XV, tanto nella ver-
sione italiana che abbiamo a stampa, quanto nel testo latino della
sua cronaca (conservato in più codici nella Bibl. Gom. di Vicenza)
tace della tomba del Ferreto. Egli discorre a lungo del poeta, e
dà l'elenco delle sue opere (1): elenco prezioso, e che noi c^-
gidi non potremmo in alcun modo rifare. Ma, non ostante la
stima eh' egli mostra di professare al Ferreto, del sepolcro tace
affatto.
La prima notizia sul sepolcro del Ferreto poeta mi fu comu-
nicata cortesemente da Vittorio Barichella, vice bibliotecario di
Vicenza, il quale la trovò nel testamento (villa di Fuggian,
9 maggio 1503, atti Antonio Fuggian notaio) che fece rogare
« egregius vir Daniel quondam Jacobi de Ferreto notarius et
« civis Vincentiae ». Questi è il Ferreto a cui si riferisce l'ora-
zione epitalamica edita dal Muratori (2). Nel testamento, Daniele
(1) Gfr. anche Calvi, Scritt. Vicent., I, p.cLii sgg., e Orti, Op.cit., p. 41.
(2) R. I. S., IX, 1189-90. L'anonimo autore dell'orazione afferma esplici-
tamente che Daniele di Giacomo Ferreto discendeva dal Ferreto poeta e
storico. Il testamento di Daniele esiste nell'Arch. not. di Vicenza. 11 Bari-
chella potè trovarlo , da un dato che egli lesse sopra una scheda del com-
pianto vicentino Luigi Gristofoletti. Voglio qui ricordato il nome dell'amico
recentemente perduto (f 26 genn. 1885). Valente paleografo , molto lavorò
nelle carte dell'Arch. Notarile di Verona, cui fu per lunghi anni addetto. Il Ba-
richella, nei cenni necrologici che pubblicò sul Gristofoletti (giornale vicent.
Il Berico, 24 marzo 1885) non potè rammentare l'ultimo lavoro del Gristo-
foletti, cioè l'ordinamento delle antiche carte d'amministrazione del GoUegio
Notarile di Verona. Combattè nella gloriosa difesa di Vicenza, 1848-9.
STUDI SU FERRETO DEI FERRETI 59
ordina d' esser sepolto « in monumento siue archa lapidea ubi
« requiescunt ossa dni Ferreti Brexani et dni Ferreti poetae
« sito super cimiterio Ecclesiae sancti Laurentii de Vincentia
« ordinis fratrum minorum pene portam Gapellae gloriosissimae
« genitricis semper Virginis Mariae... ». Poco dopo, Daniele ripete
la stessa cosa, ingiungendo al figlio Girolamo di tenere, finché
vivrà, « in ordine certam lampadam quae est desuper archara
« sitam super cimiterio conventus ecclesiae sancti Laurentii de
« Vincentia, in qua requiescunt ossa domini Ferreti brexani et
« domini Ferreti poetae et ante imaginem gloriosae genitricis
« semper virginis Mariae, ponendo oleum necessarium in dieta
« lampada quod ardere debeat ad omnes et singulas festivi-
« tates... ».
Quindi ci bisogna discendere per quasi novantanni e venire al
1590 in circa, cioè al viaggio letterario di Lorenzo Schrader (1).
L'erudito tedesco, parlando di Vicenza, e precisamente, sotto la
rubrica in aede D. LavrenUi, stampa la iscrizione del Ferreto,
omettendo naturalmente l'ultimo distico, che a quel tempo non
esisteva. Nessuna variante può notarsi fra il testo dello Schrader
e il nostro.
Non molto dopo Gius. Scaligero la riprodusse (2), parlando in-
cidentalmente di quegli antichi letterati, la cui fama venne scom-
parendo. Egli omette , ben s' intende , l'ultimo distico, composto
trent'anni dopo l'edizione del suo libro. L'ultimo verso degli altri
distici viene dallo Scaligero letto cosi:
Hic locat seternum nomen et ossa, lapis.
Lo Scaligero sostituisce quindi ceternum ad ceternus. Dunque
(1) Monumentorum Italice quce hoc nostro sceculo et a christianis posita
sunt lib. lY ed. a Laurentio Schradero Salberstadien. Saccone, Halmae-
stadii, M-D-XGII, p. 325. La più moderna iscrizione vicentina riferita dallo
S. è del 1584.
(2) Confutano fabulae Burdonum (in Opuscola varia, Francofurti, 1612,
II, 182-3).
60 e. CIPOLLA
tale sostituzione sarà una sua congettura, dacché lo Schrader lesse
ceternus, cosi come oggi pure vediamo sulla lapide. Vaetemus
è più classico; peraltro la lezione dello Scaligero non è senza
attrattiva, poiché per sé non ci sarebbe alcun motivo per dare
al lapis l'epiteto di ceternus, mentre si capisce benissimo,
perché si possa e anzi sia conveniente chiamare ceternum il
nomen del Ferreto. Chi preferisse quindi la congettura dello
Scaligero, avrebbe una nuova ragione per credere che l'iscri-
zione metrica originale sia stata sostituita da una riproduzione,
lievemente modificata.
Silvestro Castellini fu un erudito e storico vicentino , ucciso
dalla peste nel 1630. Anch'egli appartiene adunque a un tempo
anteriore al 1642. Parlando (1) della cappella della Concezione,
che stava presso alla chiesa di S. Lorenzo, egli scrive cosi:
« Vicino alla porta di questa chiesuola si vede una nobile arca
« di pietra viva, dentro la quale si conservano le ceneri di Ferreto
« Ferreti Vicentino historico et poeta celebre al suo tempo, come
« le opere sue, che fin' bora si conservano manuscritte, ci fan'
« manifesto , onde per conservare la memoria di quest' huomo
« da suoi posteri sopra la detta arca ui é stato posto questo
« epigramma, che anche dal Scrader é stato riposto nelli suoi
'< monumenti d'Italia: Hic situs — et ossa lapis ». Il Castellini
legge ceternus. Riferito l'epigramma, segue : « et sopra in carat-
« tere antico S. Dni Ferreti Broxa et hceredvm svorum ».
Dal Castellini impariamo più cose. Siccome egli riferisce male,
verso la fine , l' iscrizione in prosa , cosi dobbiamo credere che
anche al suo tempo essa fosse consunta assai. Di quest' ultima
iscrizione egli dice esser incisa in carattere antico. Farmi che
con tale espressione egli voglia significare: in carattere gotico.
Ne segue dunque che l'iscrizione metrica fosse anche allora in
carattere romano. La quale opinione viene confermata dalla frase
(1) Descrizione della città di Vicenza , ms. autogr. nella Bibliot. Gom.
di Vicenza.
STUDI SU FERRETO DEI FERRETI 61
che adopera il Castellini dicendola collocata dai posteri dei Ferreto.
Questa frase non può alludere ai posteri immediati del poeta;
poiché in tal caso si ridurrebbe a una insulsaggine. Il Castellini
dunque vide l'iscrizione metrica ormai rifatta, e ridotta presso
a poco allo stato odierno: e giudicò l'iscrizione come recente.
Tutto questo conferma e completa quanto abbiamo asserito ante-
cedentemente, parlando delle copie dovute allo Schrader e a
Gius. Scaligero.
Intorno alla traslazione del monumento avvenuta nel 1642,
possediamo il documento relativo, ch'io vidi in copia, in un grosso
volume spettante già alla libreria Gonzati, in Vicenza, e conte-
nente pure tra l'altro un articolo di Gaetano Ferreti, scritto nel
1820 col titolo Memorie genealogiche della famiglia de' Ferreti (1).
Dall'atto di traslazione, 31 ottobre 1642, tolgo quanto fa al no-
stro scopo: « L'arca di preda della Famiglia De Nobili de Ferreto
« era posta sopra il cimiterio di Padri Franciscani di S. Lorenzo
« vicina alla chiesa della Santissima Goncetione nel qual sito
« per tempo immemorabile s'attrovano con l'inscrittione, che sarà
« registrata anco nel fine del presente instroraento. Questo anno
« li confratelli della Compagnia della Santissima Goncettione hanno
<c refabricata la loro chiesa, et quella allongata assegno dove a
« quest' hora s'attrova con la longhezza della quale venivano ad
« includere nella medesima chieseta l'arca et il suo sito. Doveva
« questa permanere nella forma, et antichità nel posto ove fu
<< dagli antichi signori Ferretti per conservazione delle loro ossa
« posta, li signori Confratelli per render la Chiesa più cospicua,
« et espedita hanno suplicato li Molto Reverendi Padri di poter
« trasportare l'istessa arca con la forma, et lettere ch'essa ha-
« veva, levandola da quel luoco, e ponerla nel medesimo Cimi-
« terio appresso la facciata della chiesa di S. Lorenzo nell'angolo
(1) Tra i mss. Gonzati, ora nella Bibl. Com. di Vicenza. Qui le notizie
sull'umanista Ferreto sono desunte dal Calvi (che citerò fra breve^; da
questo non dipende la tavola genealogica, che anzi (come vedremo) si ac-
corda poco colle opinioni del Calvi.
62 e. CIPOLLA
« ultimo vacuo verso la strada publica luoco destinato a quel-
« l'effetto et subrogato in luogo del primo. Li Molto Reverendi
« Padri supplicati sono condescesi capitularmente a 30 di set-
« tembre, et hanno prestato il consenso, come appare dall'atto,
« che sarà qui registrato; perciò dovendo anco concorrere il
« consenso de' signori Ferretti Patroni dell'arca li quali in quanto
« si può, desideravano compiacere essa Confraternita, perchè la
« loro Chiesa in honore della beata Vergine resti più cospicua,
« et più ampia sono contentati di venire a questa compositione,
« cioè: Che l'arca antedicta con l'ossa, che conserva, a tutte
« spese di qualunque sorte della stessa Confraternita sia levata
« da luogo antico, e posta nel moderno a pian della terra nel
« luogo già detto della facciata della porta della Chiesa , dove
« debba stare per l'avvenire perpetuamente. Che restino riposte
« non solamente le lettere antiche scolpite in pietra, che vi erano
« sopra , ma restino aggiunti di nuovo quelli due ultimi versi;
^i principia il primo: 0 pietatis opus con quanto segue, e sia
« postovi il coperto di lastra in forma di cuba di capitello al-
« l'antica, dove in quel sito per conservatione dell'ossa sia fatte
« l'escavationi in terreni et ogni altra spesa assessoria della me-
« desima confraternita, senza che a queste concorrino li signori
« Ferreti, li quali siano conservati nell'antichità et possesso della
« loro arca... » (1).
Tale documento c'istruisce pienamente sopra una pagina assai
importante nella stoi:ia dell'arca del Ferreto. La sua posizione
antica che lo Schrader ed il Castellini designano più o meno
indeterminatamente, qui viene indicata con precisione. Era col-
locata esteriormente alla chiesetta della Concezione, e in sua
piena vicinanza : donde (1642) fu trasportata presso la chiesa di
S. Lorenzo, addossandola alla sua facciata. Il testamento 1503
(1) L' originale di questo documento ora non esiste più nell' Archivio
S. Lorenzo, carte dei Fratelli della Concezione. (Archivi presso la Bibl. Gora,
di Vicenza). Quivi abbiamo invece {Libro Parti, no 16) altri atti che si
riferiscono alla traslazione, da 16 giugno a 30 settembre 1642.
STUDI SU FERRETO DEI FERRETI 63
di Daniele Ferreti ponendo l' arca nel cimitero di S. Lorenzo ,
presso la cappella della Vergine, dimostra che il sepolcro fer-
retiano non mutò posto nel periodo 1503-1642. Neil' un caso e
nell'altro, la tomba era sempre nel cimitero di S. Lorenzo. Questa
antica posizione della tomba fu indicata nella iscrizione del 1839,
colla frase : in aver sa huius 7nuri facie , con riferimento alla
sua collocazione odierna.
Il Maffei si esprime in modo vago. Egli trovò la tomba in
S. Lorenzo di Vicenza (1). Ma il Barbarano (2) afferma che al
tempo suo la tomba si trovava addossata alla facciata di S. Lo-
renzo, vicino alla porta, e presso alle tombe di Marco Marrano,
di Benvenuto da Porto e di Lapo degli liberti. Queste tre ultime
tombe si trovano ancora al loro posto, esattamente indicato dal
Barbarano.
Nell'atto di traslazione abbiamo con precisione descritta anche
la forma della copertura da darsi alla tomba , in occasione del
suo trasporto. Nel citato studio mss. di Gaetano Ferreti (a. 1820)
sta inserta una tavola a penna che riproduce la tomba, quale
era al suo tempo. Essa poggia sul terreno, e le serve di coper-
chio una semplice lastra di pietra, secondo lo stile medioevale.
Lo protegge una copertura a doppio piovente, sostenuta da un
arco a sesto acuto, poggiante sopra due capitelli, non si sa come
sostenuti. Forse erano modiglioni. La pietra colla iscrizione me-
trica, infitta nella parete, è collocata cosi che la sua linea
superiore coincide presso a poco colla linea inferiore dei capi-
telli. Il complesso architettonico disgusta l' occhio assai meno,
che non facciano gli ornamenti di lusso profusi nel 1839. Tutto
combina colle indicazioni che trovammo nell'atto di traslazione:
dal che dobbiamo conchiudere che, dal 1642 al 1839, la tomba
(1) Il Maffei , a torto , rimprovera a Giuseppe Scaligero di aver omesso
l'ultimo distico « temendo forse di non esser da qualche importuno richiesto
« di dichiararlo ». Quando lo Scaligero scriveva, quel distico non esisteva
ancora.
(2) Historia ecclesiastica di Vicenza, V, 106 (Vicenza, 1761).
64 e. CIPOLLA
non mutò sito, ne subì modificazioni. Lo stesso può ripetersi per
il periodo che dal 1839 viene ai dì presenti.
A migliore dichiarazione di ciò, trascrivo dai citati mss. del
Magrini : « L' urna di mezzo... era stata posta sulla fine del se-
« colo XVI a ridosso dell'esterna parete della chiesa {di S. Lo-
« renzó) vicino alla cappella Madia eretta nel 1325, nel cui
« ingrandimento del 1642 essendo essa compresa , venne di
« comune accordo dei Padri (Francescani), della famiglia Fer-
« reto e della Fraglia della Concezione trasportata nel sito, ove
« di presente è posta l'urna di Perdono Repeta » (1). Qui il Ma-
grini allega l'atto di traslazione, ch'egli avea veduto in copia
nella Libreria Gonza ti. È forse la copia stessa, che citai poco
addietro. Qui dunque Antonio Magrini ricorda una traslazione
anteriore alle due sopra ricordate: ed essa sarebbe avvenuta sul
cadere del secolo XVI. Di essa non trovai altrove memoria, e
sembra difficile a concordarsi col tenore dell'atto di traslazione,
dove è detto che da tempo immemorabile l'arca trovavasi presso
la chiesetta della Concezione. Oltrecciò si noti che nel testa-
mento 1503 la tomba dicesi situata presso alla porta della cap-
pella della Vergine, e che nel 1642 è ricordata la cappella. È
quindi ragionevole credere che la tomba fosse sempre stata
presso alla porta di detta cappella.
Concludendo, dalle cose premesse risulta:
a) L'iscrizione metrica (escluso il quarto distico) è oggi quale
fu veduta circa il 1590 da Lorenzo Schrader;
&) Tale iscrizione metrica sembra una riproduzione d' altra
più antica, e probabilmente scritta in gotico, e senza dittonghi
(quindi del sec. XIV?):
e) L'iscrizione metrica si riferisce al Ferreto storico e poeta,
mentre l'epigrafe che corre sul listello parla di dominus Fer-
retus Brexane.
(1) Similmente in Orti, p. 146.
STUDI SU FERRETO DEI FERRETI 65
n nostro Ferreto è identico col Ferretus Brexane anzidetto?
Il testamento di Daniele Ferreto, come si è visto, distingue netta-
mente le due persone. Ma anche senza il testamento, prove non
mancano. Il Magrini ha già negato, e con ragione, la identità dei
due Ferreti. Il Calvi (1), affermando la diversità delle due famiglie,
cita un documento del 1266, appartenente alle monache di San
Pietro in Vicenza ; ivi si legge : « Ego Ferretus Brexane Notarius
« Camere ». Il Magrini lo trova ricordato fino al 1291, in un do-
cumento, ch'egli allega sulla fede di alcuni mss. del Barbarano.
Il Magrini rammenta ancora che«il medesimo personaggio viene dal
Castellini ricordato sotto l'a. 1287. Nella genealogia conservataci
da Gaetano Ferreti , esso figura come assunto al notariato nel
1243. Il Ferretus Brexane mori probabilmente prima che lo
storico Ferreto nascesse. Il Pagliarino cita un documento del
1300: « D. Donatus Judex q. Ferreti Bressani »; e quindi ricorda
un doc. del 1326, in cui comparisce: «Ottobonusq. d. Donati de
« Ferreto », ecc.
Le migliori notizie sulla vita di Ferreto umanista le abbiamo
nel citato Calvi, e in un lavoro anteriore, dovuto a un diligen-
tissimo erudito vicentino. Fortunato Vigna. Il Vigna radunò innu-
merevoli documenti sulla storia della sua patria, in una raccolta
che sotto il nome di Zibaldone sta nella Comunale di Vicenza.
In un documento del 17 maggio 1320, della Camera notarile di
Vicenza, il Vigna (2) lesse « Ferretus de Ferreto Gastaldi© » (3).
In egual forma ricomparisce il nome del poeta in consimile do-
cumento del 15 settembre 1331. Il Vigna riferisce un atto del 13
marzo 1321, nel quale incontrasi: « Ferretus notarius domini
(1) Scrittori di Vicenza, 1, p. CLii (Vicenza, 1772).
(2) Preliminare di alcune dissertazioni intorno alla parte migliore della
storia ecclesiastica e secolare della città di Vicenza , Vicenza , 1747, tipo-
grafia Berno, pp. lx sgg.
(3) È questo il documento che , citato poi dal Magrini , viene indicato
dal Laue, p. 5, il quale supponeva che fosse stato veduto per la prima volta
dal Magrini. Il Magrini lo ricorda sulla fede del Vigna. Al Laue rimasero
ignoti gli scritti del Vigna e del Calvi: scritti di carattere affatto locale,
difficilmente possono esser noti fuori di patria.
Giornale storico, VI, fase. 16-17. 5
66 e. CIPOLLA
« lacobi Ferreti ». In altro atto, del Collegio de' Notai, a. 1337, si
parla delle spese fatte « prò anima Ferreti de Ferreto defuncti ».
Il Calvi (1) riferisce l'annotazione riguardante la radiazione
del nome del defunto Ferreto dall'albo dei Gastaldioni della
Fraglia dei Notai: essa porta la data del 10 marzo 1337, e il nome
del Ferreto vi comparisce nella forma : Ferrettcs lacobi de Fer-
reto. Al Vigna era noto il testamento del Ferreto: anzi non solo
lo ricorda nell'opera sua che stiamo esaminando (p. lxiii-lxiv),
ma eziandio ne lasciò copia nel Zibaldone (tomo IX, 18-9). Vidi
la pergamena originale del testamento nella Bibl. Com. di Vi-
cenza (2); spetta al 4 marzo 1337. Qui il nome del testatore leg-
gesi nella seguente maniera: « dns Feretus not. 9 dnj lacobi
« Ferreti civis Vinc. ». È credibile dunque ch'egli, figlio di Gia-
como, avesse per avo un Ferreto: il Ferreti che si legge in fine
alla formula di denominazione può bensì ricongiungersi alla forma
del cognome famigliare (quale risulta dagli altri documenti citati),
ma può anche semplicemente richiamare il nome dell'avo (3).
Il nostro Ferreto nulla ha dunque a che fare col Ferrettcs
Brexane. Egli è soltanto : Ferreto de' Ferreti , senz'altro appel-
lativo. Nel Ferretus Brexane abbiamo invece il rappresentante
di un altro ramo della famiglia dei Ferreti, ben distinto dal no-
stro. Una certa parentela ci sarà stata, poiché anche il ramo di
Ferreto Brexane abbonda di notai, come in generale tutti i
Ferreti sono in relazione col Collegio Notarile di Vicenza (4).
(1) Op. cit., p. CLVI.
(2) Archivio di s. Corona, n» 14 dell'Inventario, Pergain. n° 501.
(3) Fortunato Vigna (Preliminare, p. lx), scrive: « egli propriamente
« dicevasi Ferreto, di Iacopo di Ferreto. Cosi abbiamo ne' libri dello Seri-
« gno di Santa Corona, che sono nel Collegio de' Nobili Notaj ». Il Calvi
cita (p. CLiv) un doc, a. 1326, nel quale comparisce uno dei fratelli del nostro
Ferreto « Gitajnus qu. lacobi de Ferreto ». Ma Cittadino e Ferreto nell'albo
dei Notai, che consultai in copia del 1578 nella Bibl. Com. di Vicenza, com-
pariscono cosi: « Feretus lacobi Ferreti » (fol. 35') « Citainus lacobi Fer-
« reti » (fol. 41'). L'avo Ferreto deve essere quello segnato coU'a. 1278 nella
genealogia conservata da Gaetano Ferreti.
(4) Gfr. Vigna, p. lx. *
STUDI SU FERRETO DEI FERRETI 67
Gaetano Ferreti, nel suo ms. più volte citato, ci conserva una
genealogia della famiglia, nella quale il Ferreto, storico e poeta,
discende dal Ferreto Brexane.
Brcssan Ferreti *
(accettato 1243 nel collegio
dei Notai)
Ferreto (1278)
Giacomo giudice (1302) Donato giudice (1321)
Il Giacomo, qui menzionato, è il padre dello storico. Per certo,
e 1 documenti lo provano, il padre del nostro Ferreto chiama-
vasi Giacomo, ed era notaio; tuttavia la sua parentela col Fer-
retus Brexane, almeno nella maniera coni' è indicata da Gaetano
Ferreti, è tutt'altro che certa. Il Pagliarino non mostra di cono-
scerla; e nei documenti da lui citati, come si è ora veduto, ab-
biamo un argomento per ritenere inesatto l'albero genealogico
testé riferito, giacché Donato era figlio, e non nipote di Ferreto
Brexane. Intorno a- ciò i dotti vicentini ci potranno fornire no-
tizie più complete (1).
Per noi basta di aver trovato di che confermare l'esistenza di
una vera contraddizione tra l' iscrizione metrica , e quella in
prosa (2). La contraddizione venne del resto avvertita anche dal
Vigna. Egli (p. lxii-lxiii) dopo aver riprodotta l'epigrafe metrica,
(1) Giovanni da Schio , altro valente ricercatore della storia vicentina
{Memorabili, mss. nella Bibl. Gom. Vicent.) mantiene distinte le due famiglie
Ferreti.
(2) Locchè può, forse, convalidarsi anche con un altro passaggio del Fa»
gliarini «... et anno 1350 Daniel dictus Folae q. Barnabae q. ser Ottoboni
« de Ferreto, et d. Fontana filia q. dni lacobi de Ferreto ludicis ». Fontana
comparisce come sorella del Ferreto umanista , anche nel testamento di
quest'ultimo. Se Daniele e Fontana fossero stati stretti parenti, cioè appar-
tenenti a una stessa famiglia, ciò sarebbe stato indicato probabilmente dal
documento. Questo invece non apparisce, almeno secondo la citazione che
ne fa il Pagliarini. Al tempo del Pagliarini, viveva il notaio Giacomo q.
Folca: quindi, come sembra, della discendenza del Ferreto Brexane.
68 e. CIPOLLA
osserva : « Ma perchè le lettere di que' versi non sono lavoro
« de' tempi d'allora, anzi modernissime ; così noi crediamo, che
« siano fatte incidere li, moltissimi anni dopo; volendo darci ad
« intendere, che sia in quell'arca stato riposto il Ferreto storico e
« poeta, mentre leggonvisi all' intorno alcune corrose lettere, che
« dinotano esservi stato posto anticamente un qualche Ferreto ».
Tale opinione è divisa anche dal P. Eleonoro da S. Ignazio (al
secolo: Alvise Borgo), dotto vicentino del cadere del secolo
scorso (1).
Ma c'è ancora di più. Il nostro Ferreto dispose di esser sepolto
non già in S. Lorenzo, ma in S. Corona. « Jn primis eligo sepul-
« turam corporis mei apud locum ecclesie sancte Corone fratrum
« predicatorum de Vincentia ». S. Lorenzo era dei frati Minori
(Francescani). In favore dei Francescani di S. Lorenzo dispose
soltanto di un legato « prò missis et orationibus dicendis prò anima
« mea ». Il testamento si conservò nell'archivio di S. Corona, cioè
nel Monastero Domenicano presso al quale Ferreto fu quindi
effettivamente sepolto, in obbedienza alle sue disposizioni testa-
mentarie.
La contraddizione che prima rilevammo sotto un aspetto, ora
ci ricomparisce dunque sotto altro riguardo e più grave. Per
tentare un accordo fra questi fatti , che sembrano eliminarsi a
vicenda, azzardo la seguente ipotesi : — Il nostro Ferreto de'Ferreti
fu sepolto in S. Corona, mentre da tempo esisteva il sepolcro del
Ferreto Brexane presso la chiesa di S. Lorenzo, dei Frati Minori.
Il monumento in S. Corona andò poi distrutto, e dentro il sec. XV,
colle ossa del poeta, anche la lapide fu trasportata a S. Lorenzo, e
aggiunta al sepolcro spettante ad altro ramo della famiglia dei Fer-
reti. Potrebbesi, è vero, fare un'ipotesi diversa, e cioè: la tomba di
Ferreto Brexane esisteva in antico a S. Corona, ed ivi ricevette la
salma del Ferreto umanista : fu in appresso trasportata a S. Lo-
renzo, insieme coli' epigrafe metrica. Quest'ultima ipotesi mi
(1) Serie delle famiglie Vicentine, mss. nella Comun. di Vicenza.
STUDI SU FERRETO DEI FERRETI 69
sembra assai poco probabile, per vari motivi , che disgiunti forse
non hanno valore decisivo, ma che uniti assieme non mancano
di eflìcacia : anzitutto i distici dell' epigrafe metrica sembrano
alludere ad una tomba esclusivamente destinata al Ferreto
umanista; poiché rispondono al modo con cui usa vasi fare in
simili casi, e mancano di qualsiasi allusione personale ad altri
membri della famiglia del defunto. In secondo luogo, il Ferreto
nel suo testamento dice semplicemente eligo sepulturam corporis
mei apud locum ecclesie sanate Corone , senza far parola del
sarcofago di Ferreto Brexane « et suorum » nel quale egli
avrebbe saputo di dover esser collocato. La dicitura del testa-
mento sembra quindi favorire l' ipotesi che al Ferreto umanista
sia stata eretta una tomba speciale. Oltracciò trovando noi l'arca
sepolcrale del Ferreto Brexane in S. Lorenzo, prima che ci
siano argomenti in contrario, è ragionevole credere che ivi
sia sempre stata, senza supporre la poco probabile traslazione di
un monumento di mole rilevante, senza un motivo speciale.
All'età del Pagliarino sembra esistessero parecchie, o almeno
due tombe antiche dei Ferreti. Egli scrive infatti: « Ferretam
« familiam vetustissimam esse, et eorum sepulchra et maiorum
« nostrorum annales demonstrant ». Non per nulla certo egli
adoperò il plurale. Dal che può dedursi abbastanza provata la
distruzione di un monumento almeno de' Ferreti. E questo parmi
verisimile che sia quello 'del poeta, che dovea trovarsi in S. Co-
rona, dove nel 1503 non esisteva più. Il trasporto ebbe luogo
dunque tra V età del Pagliarino e il 1503, e quindi probabilmente
sul cadere del sec. XV. Forse il not. Daniele Ferreto fu colui
che si prese la massima cura affinchè le ossa del suo illustre
antenato venissero gelosamente conservate, quando se ne disfece
la tomba.
Se tale ipotesi ha valore, la prima e vera tomba del celebre
Ferreto non esiste più ; la distruzione del monumento potrà
attribuirsi forse alle vicissitudini subite dalla Chiesa ; o ad altri
fatti che i dotti Vicentini potranno, spero, spiegarci. Cosi pure
una più minuta ricerca intorno alla genealogia dei Ferreti non
70 C. CIPOLLA
potrà a meno di gettare, sia pure indirettamente, qualche sprazzo
di luce anche sulla biografia del poeta.
Quanto al tempo in cui può essere stata incisa nuovamente
l'iscrizione del poeta, le ragioni paleografiche accennano alla
seconda metà del sec. XVI. Difllcilmente può scendersi fino a
dopo la visita dello Schrader (1590 circa). Nulla vieta peralti-o il
supporre che l'iscrizione sia stata rinnovata anche più volte.
Qui mi permetto una congettura, ch'io stesso riconosco come
assai ardita. Abbiamo veduto poco fa che il Magrini, non consta
su quali documenti appoggiato, accenna ad una traslazione della
tomba sul cadere del sec. XVI. Più addietro notammo una di-
screpanza di lezione tra lo Schrader (circa 1590), e lo Scaligero
(1612), dove avvertimmo ch'essa poteva benissimo dipendere da
una congettura di quest'ultimo erudito. Ma è lecito dare di ciò
una spiegazione diversa, e supporrò che la copia che servi allo
Scaligero sia stata eseguita anteriormente a quella dello Schrader.
Ciò ammesso, potrebbe credersi che la differenza di lezione di-
penda da ciò, che allo Scaligero abbia servito la lezione antica,
mentre lo Schrader vide la iscrizione attuale. Gongiungendo
questa ipotesi ai dati poco fa enunciati , consegue un' altra ipo-
tesi secondo la quale la tomba subì qualche restauro o ritocco
(non vorrei parlare di traslazione) anche nel sec. XVI avanzato,
È vero peraltro che la lezione aetemum dello Scaligero è tut-
t' altro che sicura ; ma questo non distrugge del tutto l' ultima
nostra ipotesi, poiché c'è sempre a sufficienza per supporre che
l'elogio metrico abbia patito qualche rifacimento nell'epoca in-
dicata.
Prima di terminare ringrazio il prof.cav. ab. Bernardo Morsolin,
il prof. ab. Dom. Bortolan, bibliotecario della Comunale di Vicenza,
nonché il ricordato sig. Vittorio Barichella. Nella recente mia
visita a Vicenza essi mi usarono ogni gentilezza, e mi facilitarono
in tutti i modi le indagini. Maggiori cortesie non avrei potuto
neppure augurarmi.
STUDI SD FERRETO DEI FERRETI 71
II.
IFerreto deTerreti fu. ospite di Cangrande*?
Nella mia StoìHa delle signorie italiane (p. 41) , a proposito
di Cangrande della Scala, leggesi il seguente periodo: « aperse
« splendidamente il suo palazzo a Dante, a Giotto, a Ferreto Vi-
« centino, a Sagacio Muzzio Gazzata, ad Albertino Mussato:
« nelle sue sale dorate ospitò con magnificenza poeti , teologi ,
« musici ».
L'arguto. ed eruditissimo Max Lane (1) appuntò le riferite pa-
role, specialmente per quanto si attiene al Ferreto. Egli dice che
la mia descrizione risale in parte alla notizia che Guido Panci-
roli ricavò dalla Cronaca di Sagazio della Gazzata: fonte poco
attendibile, come mostrò il eh. prof. Scheffer-Boichorst, Aus
Dante's Verhannung, p. 93. D'altronde Panciroli non parla di
Ferreto; e l'asserzione mia è soltanto una combinazione infondata.
La quistione accennata qui dal Lane riesce adunque duplice,
aggirandosi intorno al valore della testimonianza del Panciroli ,
e intorno all'ospitalità che Cangrande offerse, o meno, al Ferreto.
Le pagine che seguono non sono una mia difesa. Cercherò so- ,
lamento di spiegare un po' diffusamente il mio pensiero, rimet-
tendomi ad altri per il giudizio.
Principio da ciò che si attiene al Ferreto. Anzitutto il Laue
mi mette in bocca una espressione che in fatto credo di non
aver pronunciato : « . . . ist es nur eine unbegriindete Kombina-
« tion, dass er am Hofe zu Verona leì)te ». Io mi limitai a dire
che Cangrande aperse il suo palazzo al F.; locchè è assai meno.
(1) Op. cit., p. 21.
72 C. CIPOLLA
Giotto venne a Verona senza dubbio, e lavorò nel palazzo Sca-
ligero: ma neppur di lui potrebbesi dire con ragione che visse
alla corte di Gangrande.
Il Lane ebbe il merito, nel suo opuscolo sul Ferreto, di di-
mostrare che il notaio Vicentino si occupò delle cose pubbliche,
nella propria città. Questo apparisce da alcuni degli ultimi versi
del poema in onor di Gangrande, come il Lane osservò a buon
diritto :
nam rebus agendis
Sollicitum me cura vocat . . . (1).
Il suo testamento è redatto in Vicenza, 4 aprile 1337: molti
passi della historia ce lo mostrano abitare in quella città, e in
nessun luogo egli ricorda d'esserne uscito. Giovanissimo, nel 1320,
fu eletto Gastaldo del Gollegio dei Notai in Vicenza. Il relativo
documento, edito dal Vigna (2), «porta la data del 17 maggio di
quell'anno. Al Vigna stesso siamo debitori di un documento, 13
marzo 1321 , nel quale il nostro Ferreto si rivolge « dominis
« Gastaldionibus, Gonsiliarijs et toto Gapitulo Fratalie Notariorura
« Givitatis Vincentie » supplicando di poter « libere et absolute
« exercere quodam offltium camare ad banchum malefitiorum »
in luogo del proprio fratello Zitayno (Gittadino). In quel momento
pertanto il Ferreto non solo viveva in Vicenza, ma non aveva
alcun pensiero d'allontanarsene. Il suo nome non fu cancellato
mai dalle matricole del Gollegio Notarile di Vicenza. Tant'è vero,
che egli si professa notaio anche nel testamento: che i notai
spesero per suffragi all'anima sua dopo la morte, e che con atto
speciale, del 10 aprile 1337, radiarono il nome di lui defunto
dall'albo dei Gastaldioni (3). Il Vigna trovò che il Ferreto era
Gastaldione addi 15 settembre 1331 : « e con tal nome vedesi in
(1) Lib. IV, vs. 934.
(2) Preliminare di alcune disseriazioni intorno alla parte migliore della
storia ecc. di Vicenza, Vicenza, 1747, I, p. lx.
(3) Calvi, Scritt. di Vicenza, Vicenza, 1772, p. clvi.
STUDI SD FERRETO DEI FERRETI 73
« tutti e due que'libri » il primo è il libro J, donde il Vigna ricavò
la nota citata del 1320: e l'altro è il libro K dal quale egli
desunse l'altra del 1331 « descritto, ora come Castaldo, ora come
« Consigliere, ed ora come Notaio del suo Collegio ». Cosi il Vigna.
È quindi sicuro che il F. passò la sua vita in Vicenza, eserci-
tando onoratamente il notariato , e traendone lucro. Le cariche
inerenti al Collegio dei Notai furono gli offici cittadini, ai quali
egli allude nel suo poema.
Il motivo, per cui ho ricordato il Ferreto tra gli ospiti di
Cangrande, lo desunsi dal carme. Non è certo una prova sicura,
quella ch'io posso qui addurre, ma è peraltro un indizio degno,
parmi, di riflessione. Di certo, in nessun luogo il Ferreto affermò
esplicitamente di essere stato ospitato dallo Scaligero, ma questo
non impedisce che lo sia stato. Chi pensa alla dipendenza di
Vicenza dallo Scaligero, ed alla vicinanza di quella città con
Verona , è tratto facilmente a credere che il muniflcentissimo
Cangrande abbia invitato alla sua mensa un poeta , di merito ,
da cui veniva lodato. Come è notorio, il carme termina (1. IV)
con un'apostrofe del poeta a Cangrande. Essa non isfuggì al Lane,
il quale crede che la preghiera del Ferreto non abbia ottenuto
tutto il premio aspettato. Questo può ammettersi ; l'incertezza co-
mincia quando discutiamo sul contenuto e più sull'esito della pre-
ghiera istessa. Il Ferreto chiedeva proprio allo Scaligero che lo
chiamasse addirittura a Verona, e che gli somministrasse di che
vivere tranquillamente? Ecco le parole oscure e forse maliziosette
del poeta:
Nunc mihi dum labens animus, dum junior aetas
Fessa jacet, metuitque onori succumbere tanto,
Da veniam, vatique novo concede quietam
Saltem animi sedem ; nam tu , licet arduas iste
Sit labor, in nostris semper venerabere metris.
Jam vatis insano dudum lassata profundo
Vela trahit, tutoque cupit requiescere portu.
Quindi rassomiglia se stesso e il suo libro a Palinuro che trema
e tentenna. Incoraggia se stesso e il carme (quasi personificato).
74 C. CIPOLLA
col pensiero che quando entrerà nel palazzo ( « tecta subibis » ),
gli verrà incontro colui « quem virtus experta juvat, quem ditat
« honestas: moribus ingenioque pari moderamine Pallas ». Se
non ci fossero motivi per dubitare che a Ferreto rimanesse sco-
nosciuta la cantica del Paradiso, saremmo tentati quasi di veder
qui una lontana imitazione stilistica del verso dantesco: « Con
« lui vedrai colui che impresso fue, ecc. (1) ».
Prosegue il Poeta, parlando al suo istesso carme:
Ille tibi plus hospes erit, tequc impiger aula
Magnanimi comperet heri, famaeque petitum
Nomen, et emeriti pignus dabit ille laboris.
Tu modo, cui vatum restat tutela piorum,
Inclyte Maecenas, animi fiducia nostri,
Suscipe, et hospitio non dedignare; peracti
Dux operis, signare viam, qua Ferretus auctor
Invidiosus agat placidam sine nube quictem (2).
Che un po' velatamente il Poeta chiedesse favori allo Sca-
ligero, è chiaro. Le lodi eh' egli tributa al principe mostrano
ch'egli sperava protezione: ma che chiedesse un oflicio è un'altra
quistione. Il carme fu scritto tra l'autunno del 1328 e l'estate
del 1329, dopo la conquista di Padova e prima della caduta
di Treviso, quando cioè Gangrande era all'apogeo della gloria
e della potenza. Che proprio quei versi siano una domanda di
impiego, nel senso più umile di questa parola, non è provato dal
passo su riferito. Il Ferreto infatti invia al principe il suo lavoro,
e chiede la sua approvazione: domanda cioè, per il libro, ospitalità,
e per sé medesimo, riposo (per aver terminato il poema), accom-
pagnato da invidiata gloria. Potrà dirsi che a vantaggio proprio
chiedeva : « quietam saltem animi sedem » , dove quel saltem
non fu pronunciato senza motivo. Alla lettera quella frase non
significa: olire alla quiete dell'animo, datemi anche quella del
(1) Par., XVII, 76.
(2) Alla fine del lib. IV.
STUDI SU FERRETO DEI FERRETI 75
corpo; sibbene: olire alla quiete, datemi quella sicurezza che
dipende da sì eccelsa protezione, nonché quella piena conten-
tezza che sta nella gloria. La frase « quieta m saltem animi
« sedem » bisogna considerarla in armonia coll'altra, pur testé
riferita, « signare viam qua Ferretus etc. ». Ambedue le frasi
alludono certo a un premio aspettato dal poeta in ricompensa
del carme da lui composto. Ciò è tanto vero che nella seconda
frase, il Ferreto chiama sé stesso auctor {peracti operis), mentre
a Gangrande dà l'appellativo ài Dux peracti opeì^is. hi '^v'mci'^io
del carme, il poeta dice che chi vuol fama , deve cantare Gan-
grande. Questo argomento non può esser trascurato da nessuno,
poiché a tutti importa acquistar onore e « mansurum nomen ».
Gome dirà dopo : « famaque petitum Nomen et emeriti pignus
« dabit ille laboris ». Non potrebbe supporsi che il Ferreto sperasse
anzitutto l'onore di poeta palatino, oltre alla laurea poetica, che
aveva redimito il capo del Mussato? (1) Le ricompense materiali
si possono presumere: tuttavia non sono espresse.
Giò premesso come preambolo, parmi indispensabile ammettere
una relazione, non dirò d'amicizia, ma certo non fredda, tra il mu-
nifico Scaligero e' il Ferreto. Altrimenti quest'ultimo non avrebbe
ardito di dedicargli un libro , e sopratutto di chiamare il suo
eroe cogli epiteti di inclyte Maecenas, ed animi fiducia nostri.
Ghe se si volesse opporre che tali epiteti , considerati isolata-
mente non provano molto , noi potremmo richiamarci al con-
testo, e anzi a tutto il tono del Garme. In questo mancano tutte
quelle frasi a cui ricorre un uomo il quale non conosciuto in-
voca la protezione di un potente. Appena chiama sé stesso no-
vum vatem,, ma in riguardo ad essere egli novizio ancora nel-
l'arte del poetare , e senza che da questa frase risulti in lui
alcuna esitazione dipendente dall'essere egli sconosciuto a Gan-
grande. Né mancano espressioni più chiare. Verso il principio
del libro I sollecitando la coorte dei poeti a cantare Gangrande,
ricorda ad essa che l'eroe le presta volentieri orecchio: « Ecce
(1) Sulle relazioni tra il F. ed il Mussato ritoineremo nello Studio III.
76 e. CIPOLLA
« tibi placidas prebet vir maximus aures ». Se non avesse saputo
in antecedenza di fargli cosa grata, col presentargli il suo elogio
poetico , egli si sarebbe tenuto assai sulle generali : o, a meglio
dire, nulla avrebbe scritto. Fu questa la mia persuasione, allorché
scrissi le linee impugnate dal Lane. Mi sarò forse ingannato; ma
ancora la mi pare non destituita di peso. Forse il Ferreto entrò
in relazione collo Scaligero fin da giovanotto, per mezzo del
Gampesani. Costui, morto sul cadere del 1323, nel 1311 scrisse
un carme per lodare lo Scaligero che avea liberato Vicenza dai
Padovani, dei quali il poeta sparla fieramente (1).
Ammesso adunque che il F. sia entrato in qualche dimestichezza
collo Scaligero, ne dedussi ch'egli n'abbia visitato il palazzo. Ciò
ammisi, perchè è notorio, anche indipendentemente dalla notizia
riferita dal Panciroli, che Gangrande accoglieva nelle sale del
suo palazzo, i letterati, gli artisti, ecc. Gli aneddoti che si rac-
contano in proposito , sono de' più graziosi e de' più conosciuti ;
e sarebbe un fuor d'opera di ricordarli al presente.
Questo motivo non è senza gravità, anche perchè il Ferreto,
vicentino, abitava a poche miglia da Verona : una visita alla corte
Scaligera non portava che pochissimo disagio. Ma evvi qualche
cosa di meglio. Il F. mostra di conoscere pienamente il palazzo Sca-
ligero. Il lecta subibis del passaggio ultimo riferito già ci fa inten-
dere che il poeta Vicentino parlava dell'aula scaligera, come di un
palazzo ben noto, e quasi a lui famigliare. Arrischio anche quest'ul-
tima frase, in grazia di un altro luogo del carme (lib. Ili, vs. 118
sgg.) dove addirittura abbiamo una descrizioncella di quel palazzo.
Parlasi ivi di Gangrande, appena nato. Egli dopo aver succhiato
il latte materno, si pone a contemplare il ricco palazzo:
Tunc egregiam circumspicit aedem
Jam satur atque oculis lustrat per singula fixis,
Miraturque trabes et mille coloribus actos
Exterius muros, fulvumque in vestibus aurum
Et pictos in sede thoros.
(1) 11 carme è perduto, salvi pochi versi riferiti da Battista Pagliarino,
Chronica di Vicenza, Vicenza, 1663, p. 182.
STUDI SU FERRETO DEI FERRETI 77
E poco prima (vs. 74) ricorda: « Marmoreum... thalamum ».
Le auree vesti: i letti, le travi, le mura dipinte (affreschi); (jui
c'è tutto quello che forma l'ornamento di una opulenta sede
principesca. Non è un palazzo qualsiasi quello ch'egli descrive,
ma è il palazzo Scaligero, nel quale il Ferreto ammirò gli af-
freschi di Giotto. Alla fine del libro II il F. ricorda l'altare (sa-
crum Jovis) palatino. Vorremmo dire, che egli ripeteva tutto
questo solo perchè altri gliene aveva parlato? Anche nella M-
storia ricorda, e con certa predilezione, l'aula scaligera , dove
Albertino Mussato e Giacomo da Carrara, prigionieri, vennero
trattati con generosità cortese (1). Per il complesso di questi
argomenti mi pare che la tesi, se non è addirittura pienamente
provata , almeno è resa probabilissima.
Nel novembre 1328 Gangrande celebrava la conquista di Pa-
dova con una sontuosissima curia. Tra i forestieri accorsi a
Verona a goder del tripudio, fra i mille che avranno approfit-
tato della buona occasione per sollazzarsi , e per far figura in
mezzo ai signori raccolti intorno allo Scaligero, a noi può piacere
d'immaginarci anche il poeta vicentino. Tra le feste e i banchetti
di quel mese, il Ferreto può aver avuto facilità di leggere i suoi
versi al signor di Verona. È questa una congettura destituita di
adeguate prove, se vuoisi; ma è anche poco probabile che la
fama delle feste veronesi non abbia spinto il poeta vicentino a
fare un viaggio di poche miglia, e che a lui potea riuscire molto
profìcuo. Le circostanze nelle quali il Carmen fu composto, con-
fortano la presente congettura. Il Carmen infatti fu compilato,
0 almeno compiuto (2) per festeggiare la conquista di Padova,
Pare che il L. trovando tra il carme e la storia una sentita
diversità di giudizio riguardo a Gangrande, voglia quasi conchiu-
derne che il F. nella sua opera in prosa abbia voluto in qualche
modo vendicarsi di Gangrande, per il premio negato. Se mai
(1) Ap. Muratori, IX, 1145 C, 1148 G.
(2) Non è questo il luogo di far minute ricerche sulla cronologia del Carme.
78 e. CIPOLLA
questo fosse il pensiero del L., non è del tutto esatto, a mio
credere.
Non devesi dimenticare che Gangrande conquistò Treviso poco
dopo che il F. scrisse il carme. Può darsi anche che il F. non sia
giunto nemmanco a presentarglielo intero. Questo potrà essere
ammesso più facilmente da chi voglia ritardare il carme sino al
1329, e vedere nel verso 146 del libro III, dove si profetizza la
caduta di Treviso, quasi un' allusione a fatti che stessero real-
mente compiendosi. È indubitato che Gangrande comparisce in
altro aspetto nella hisioria, che nel carme. Quivi c'è l'apo-
teosi dell'eroe: pare anzi che il F. abbia voluto rappresentarci
deliberatamente l'opposto di ciò che la fama popolare narrava
intorno alla nascita di Eccelino, e che il Mussato ritrasse nella
sua tragedia Ecerinis (1). Dopo ciò, ben si capisce che cosa debba
seguirne. Nella hisioria si accusa Gangrande di molti delitti: egli
ottenne con denaro il vicariato di Verona (col. 1064 E): si macchiò
di violenti rapine per carpire oro ai Vicentini ed ai Veronesi
(col. 1131 D): fu libidinoso e mancator di fede (col. 1131 D-E). Ma
con tutto questo, il Ferreto non è avaro verso di lui neanche
nelle lodi. Il valor militare e la rapidità delle mosse sono pregi
messi spesso in risalto (p. e., col. 1143). Egli è « juvenis animo-
« sus » (col. 1087 G): cupido di gloria, locchè per un umanista
vale un grande elogio (col. 1131 D); « acer et strcnuus adolescens »
(col. 1127); « heros Scaliger » (col. 1178) (2); non fu mai truce o
avido di sangue (col. 1144 E); sotto la sua dominazione, Vicenza
migliorò (col. 1123 B-E); fatto prigione Giacomo da Garrara , lo
trattò con bontà (col. 1145 G). Sorpasso alle frasi in cui lo si dice .
tiranno, ecc.: sia perchè tiranno vale infine unicamente signore,
sia perchè le invettive contro i signori e le signorie formano
uno dei luoghi comuni del nostro storico , anelante alla antica
hbertà democratica.
Una cosa sola noto, ed è questa. Secondo il L. (p. 23), a quanto
(1) Di ciò tratteremo nello Studio III.
(2) Nel Carme (1. II, vs. 189): « Scaliger heros ».
STUDI SU FERRETO DEI FERRETI 79
pare, la historia si differenzia dal Carmen, poiché in quella tutto
l'affetto del F. è rivolto verso la sua patria, Vicenza, mentre in
questo esso si appunta in Cangrande. È verissimo che l'amore per
Vicenza brilla splendidamente nelle pagine della historia; ma
esso non resta occulto neanche nel Carmen. Quivi leggiamo (Uh. I,
vs. 301 sgg.) un bellissimo tratto , e altamente poetico, in cui il
Ferreto inneggia a Vicenza, nunquam. Servili caritura jugo, e
la descrive quale un agnello fra due lupi o due leoni ; e i due
lupi 0 i due leoni sono Padova e Verona. Davvero che ci volea
un po' d'ardimento a dir tutto questo in una composizione diretta
al signor di Verona , il quale da pochi anni avea occupato Vi-
cenza. Neil' historia si deplora il reggimento tirannico tenuto
dallo Scaligero, e in alcun luogo chiamasi mite il giogo dei Pa-
dovani (1065 G, 1066 A-G); ma altrove il poeta impreca contro il
loro governo tirannico (col. 984 A-B), e si rallegra della loro
cacciata (col. 1070 G) (1). Non bisogna mai prendere alla lettera
il Ferreto. Sarebbe il vero modo per non intenderlo (2). Nel
Carmen, per citare un esempio fra mille, egli stigmatizza i vizi
della famiglia degli Eccelini, adoperando le parole più ardenti e
più fiere. Né s' intenerisce per l' orribile strage compiuta nella
rocca di S. Zenone. E dopo rimproveri si amari, la narrazione si
compie (fine del libro I) nella forma seguente:
deleta propago
Nobilis interi! t, nullo reparabilis aevo.
Se non ci restasse che questo verso , certo dovremmo credere
che il F. fosse un ammiratore della noMlis propago di Ezzelino.
(1) Si potrebbe, con pari sistema, confrontare il giudizio del Ferreto in-
torno ad Alberto della Scala, nel Carme, con quello eh' egli manifesta nelle
Storie. Ma non è questo il luogo d'esaminare le opinioni politiche del Ferreto.
(2) Gfr. ciò che dissi in Misceli, di stor. ital., XXllI, Appendice, p. xni
(Torino, 18B4).
80 e. CIPOLLA
Passiamo ora alla seconda quistione. Essa si riferisce solo in-
direttamente al F., e perciò accontenterommi di poche parole,
dirette soltanto ad esporre lo stato della controversia.
È notissima la descrizione della corte di Gangrande della Scala
riferita dal Panciroli, sulla fede di Sagacie Muti Gazzata; perciò non
mi soffermo a riassumerla. Ricordo piuttosto che primo a metterla
in luce fu il Muratori. Pubblicando egli (1) la Cronaca reggiana
di Sagacio (Levalossi) e Pietro della Gazzata, nella prefazione (p. 2)
riportò da Guido Panciroli due brani dei predetti cronisti. Uno
si riferisce all'a. 1371 e dipende da Pietro Gazzata. L'altro, ed è
quello che a noi interessa , viene dal Panciroli registrato sotto
l'a. 1318, ma a dir vero, per l'argomento, non si riferisce stret-
tamente a questo anno. Il Muratori parlando della storia reg-
giana del Panciroli , la dice « nondum evulgata », locchè fu
ripetuto dallo Scheffer-Boichorst (2), per essergli sfuggito che la
storia del Panciroli fu pubblicata, sia in testo (3), sia anche in
versione italiana dovuta a Prospero Viani (4).
Il citato Scheffer-B., cosi benemerito della storia italiana del
sec. XIV, prese in minuto e coscienzioso esame anche il passaggio
ora citato, nel quale si descrive la corte di Gangrande in Ve-
rona. Parlasi delle varie sale ed appartamenti fabbricati e ar-
redati e dipinti per le varie classi di persone, guerrieri, dotti, ecc.
che lo Scaligero albergava presso di sé. Il passo è poetico: ed
offre quindi molto campo alla critica.
Lo Sch.-B. lo combattè sotto vari punti di vista. Prima di tutto
notò che quel passaggio manca alla Gronaca, quale è pubblicata
dal Muratori, quantunque il Panciroli scriva: « Sagatium Mutum
« Gazadium... humaniter (CangravìM) excepit, qui postea eius
(1) R. I. S., XVIII, 5 sgg.
(2) Aus Dante' s Yerhannung, Strassburg, 1882, p. 93: « ... seiner noch
« ungedruckten Geschichte von Reggio ».
(3) Rer. hist. patriae suae libri odo, Regii Lepidi, 1847 (dove il passo
contrastato sta a p. 244).
(4) Storia della città di Reggio tradotta, Reggio , 1846 (il passo nostro
veggasi nel t. I, p. 291).
STUDI SD FERRETO DEI FERRETI 81
« hospitalis disciplinae rationes, diversarumque coenationum, et
« cubiculorum sumptus et ornamenta diligenter descripsit ». La
condizione critica del testo di questa Cronaca Reggiana è assai
contrastata, ed è ad augurare che essa rivegga presto la luce
nella nuova edizione che sta apprestandosi da un valoroso eru-
dito reggiano, il co. Ippolito Malaguzzi. 11 Muratori ebbe a sua di-
sposizione un cod. spettante ai Benedittini di S. Pietro e Prospero
di Reggio, oltre ad un ms. dell'Estense. Il primo dei due codici è
il più antico ; ma ciò nonostante è imperfettissimo, essendo ace-
falo, e mancando di parecchi brani nella porzione della Cronaca
dovuta a Pietro Gazzata. Il Muratori enunciò e lamentò tali per-
dite. Alla bontà del eh. sig. conte Malaguzzi sono debitore se posso
dar un breve cenno intorno a quel ms. (1). Chi sa che Pietro della
Gazzata fu « abbas sancti Prosperi inferioris » dal 1363 al 1414
(in cui morì), come leggesi nella sua iscrizione sepolcrale (2), po-
trebbe supporre che noi avessimo qui il Codice originale. Ma ciò
non è. Il Malaguzzi m'avverte che il ms. appartiene alla metà
circa del sec. XV, tranne alcune postille ed aggiunte del sec. XVI.
Lasciando le aggiunte, il testo è di due mani, contemporanee o
quasi, delle quali la prima arriva copiando sino all'a. 1385, e la
seconda prosegue fino al 1388. Al 1371 il copista lasciò in bianco
mezza facciata ed una carta, segno dell'imperfezione del ms. che
stava a sua disposizione ; il principio è mutilo. Il cod. Modenese,
del sec. XVII, è una copia del Reggiano, giusta l'opinione del
sullodato co. Malaguzzi, il quale mi comunicò con larghezza ve-
ramente straordinaria tutte queste notizie. L'autografo del cro-
nista non si è perciò conservato.
Non potei procurarmi un opuscolo del signor Giuseppe Turri,
Delle Cronache dei Gazzata e degli scrittori di esse (Reggio
Emilia, 1865), che trovasi riassunto diffusamente nell'^rc/^. 5^. 2Y.
(ser. Ili, II, 2, 212-8). Egli opina che tre siano i cronisti e
(1) Ora nella BiLl. comunale di Reggio.
(2) Presso Muratori, loc. cit., p. 2 tav. , e Arch. stor. ital. , serie III,
t. II, 2, 214.
Giornale storico, VI, fase. 16-17. 8
g2 e. CIPOLLA
non dae. Il primo cronista sarebbe Sagacio Muti della Gazzata
che scrisse sino al 1303: lo crede morto nel 1353. Il secondo
sarebbe Sagacino Levalossi, dal 1303 al 1353, nel quale anno di-
venne cieco, e vecchissimo mori nel 1357. L'ultimo finalmente è
l'abate Pietro Muti della Gazzata, di cui Sagacio era avo paterno
e Sagacino era proavo materno. Il Turri, distribuendo cosi fra
questi tre la Cronaca Reggiana, di cui ci occupiamo, opina che
il primo di essi abbia scritto anche uno speciale e separato trat-
tato della magnificenza di Cane della Scala, citato dal Panciroli
e ora perduto. Lascio al co. Malaguzzi l'esame della troppo ardita .
opinione messa avanti (o piuttosto solo patrocinata) dal Turri
sui tre scrittori della Cronaca, e vengo a ciò che già accennò
il Muratori, e che risulta immediatamente dal nostro testo.
Lo stile della Cronaca sembra abbastanza uniforme, e forse noi
l'attribueremmo ad un solo scrittore, se sotto l'a. 1353 , aprile,
non leggessimo quanto trascrivo (col. 72, A-B) : « Ipso mense de-
« fecit visus d. Sachacino proavo meo, qui hactenus huc usque
« scripsit gesta, et nihil ultra scripsit; erat enim tunc annorum
« LXXX(X)I.... Hanc Chronicam perdidi tempore spoliationis huius
« civitatis et ipsam recuperavi 1382 de mense Augusti, excepto
« quod desunt gesta Atilae et Eccelini de Romano et regis Gor-
« radini et alia plura quae ordinate scripserat. Eodem anno ego
« frater Petrus d. Franceschini de Gazata coepi amodo scribere
« quae sequuntur...» A primo aspetto parrebbe che l'abate Pietro
non avesse fatto altro che proseguire la cronaca di Sagacino. Ma
nel fatto, egli fece qualcosa di più. Il Muratori (p. 2) ammise che
Pietro aggiungesse delle postille al testo del suo antenato. Ciò è
evidente per gli anni 1348, 1349, 1351 (col. 67, 68, 70). P. e., col.'
67 E : « et ego ductus fui extra castrum per brachium a d. Fran-
« cischino patre meo...», dove si parla chiaramente di Pietro.
Alla col. 67 C nel testo stesso della Cronaca una frase c'è almeno,
scritta da Pietro : l'ab. di S. Prospero « recepit in monachos suos
« fratres Petrum filium d. Franceschini de Gazata, qui in pro-
« cessu temporis fuit abbas dicti loci, et fratrem lohannem ecc.-»
Sembra, di primo esame, che solamente la frase qui in processu
STUDI SU FERRETO DEI FERRETI 83
loci sia di Pietro, che ve la potea aggiungere facilmente al mar-
gine. Ma ciò non è ammissibile; poiché, finito l'elenco dei frati
ricevuti allora in convento, abbiamo : « Haec scripsi quia ex eis
« fui unus minimus ». Queste parole, dovute indubitatamente a
Pietro, indicano che tutto il tratto è di Pietro. Egualmente in
col. 70G-Ele vestigia del ritocco sono innegabili. S'io non m'in-
ganno dunque, Pietro non solo postillò la cronaca del suo ante-
nato, ma le diede una veste più o meno nuova nell'atto di tra-
scriverla. Non sostengo per questo che la Cronaca sia tutta sua.
Tutt'altro. Il fondo è del proavo ; ma una parte nella compila-
zione spetta al nipote. Concedo anzi che probabilmente ciò che
spetta al nipote è assai limitato.
Il Panciroli conosceva la Cronaca detta dei Gazzata, che egli cita
nel proemio alla sua Storia: « Primus quidem Sagacius Mutus
« cognomento Gazadius, non panca suorum temporum usque ad
« annum h. s. 1353, quo jam nonagenarius oculos amisit, non pe-
« nitus inutili historia composuit. Quam postea Petrus eius nepos,
« insigni religione ac doctrina monachus, continua aliquot anno-
« rum serie est prosequutus ». Il Sagacio del Panciroli è il Sagacino
(Levalossi) rammentato da Pietro della Gazzata nel luogo testé
recitato. Dove riferisce il brano riguardante la corte di Cangrande,
Guido Panciroli cita pure Sagacio Muto Gazadio , e lo fa nella
maniera seguente: « Sagacium Mutum Gazadium Regiensem, li-
« terarum elegantia, ut illa ferebant tempora, satis eruditum, hu-
« maniter excepit ». Secondo il Panciroli adunque, lo stesso uomo
che scrisse la cronaca reggiana sino al 1353, e divenne cieco in
quell'anno, parlò anche della corte di Cangrande. Tale conclusione
non combina colla tesi sostenuta dal Turri : ma a noi non incombe
occuparci di ciò. Se anche va perduta la distinzione tra lo sto-
rico Sagacio e lo storico Sagacino, la è cosa che poco ora ci
riguarda.
Fulvio Azzari, non di molto posteriore al Panciroli, lasciò un
voluminoso ms. di storia reggiana, che venne ricordato dal Mu-
ratori. Il co. Malaguzzi, che lo vide ed esaminò nella Bibl. Estense
in Modena, mi assicura che l'Azzari, per quanto riguarda la
84 e. CIPOLLA
notizia sulla corte scaligera, utilizzò semplicemente il passo del
Panciroli. Dell'Azzari abbiamo a stampa il compendio del suo
lavoro (1), dal quale pure apparisce ch'egli doveva conoscere il
Panciroli, e basarsi sulla sua attestazione. Quanto alla ricerca
attuale , egli scrive : « Sagaccio Mutti cognominato il Gazadio,
« scrittore delle cose del suo tempo, amato da Gan della Scala,
« fece un trattato della sua magnificenza ».
Il Panciroli non dice affatto che il brano, di cui ci occupiamo,
egli l'abbia letto nella Cronaca detta dei Gazata, ed è per questo
che Fulvio Azzari potè pensare ad uno scritto separato dell'antico
cronista ; locchè, nel modo visto, venne ripetuto dal Turri. Anzi
la forma con cui si esprime il giureconsulto reggiano, lascia facile
adito a tale ipotesi: « ... qui hospitalis disciplinae rationes, etc,
« diligenter descripsit ». Peraltro egli non lo afferma. Restano
quindi possibili o discutibili parecchie supposizioni:
I) Sagacie (dal Pane, forse con facile errore detto Muti della
Gazata) scrisse un trattato sulla corte di Gangrande;
II) Sagacie in un' opera diversa dalla Cronaca , parlò tra
l'altro anche di Cangrande;
in) Sagacie parlò di Gangrande nella sua Cronaca. Pietro
della Gazza ta ritoccando la Cronaca, omise il brano relativo, che
può essersi conservato separatamente, anche per la sua singola-
rità, ma che non ci pervenne nel corpo della Cronaca;
IV) n copista del sec. XV, che trascrisse la Cronaca, lasciò
fuori quel tratto nel codice a noi giunto.
L'esame diligente dei Codici Gazzadiani potrebbe recare qualche
luce su tali spinose quistioni. Noto soltanto che il Panciroli cita
dalla Cronaca Gazzata un fatto del 1371 , che nella Cronaca, se-
condo il cod. Reggiano, manca, poiché cade in una lacuna (cfr.
ediz. Murai, col. 77); dal che può dedursi che il Panciroli aveva
a sua disposizione un Codice della Cronaca migliore di quelli
(1) Compendio delle historie della città di Reggio , raccolto da Ottavio
suo fratello, Reggio, 1623. Veggasi quivi nella classe Filosofi, poeti ecc.
STUDI SU FERRETO DEI FERRETI 85
che sono a noi pervenuti. E può ancora dedursi che le lacune
ora deplorate nel cod. Reggiano non sono quelle di cui parlò
Pietro Gazzata. Le quali considerazioni possono spiegare la sup-
posizione lY, testé riferita.
Prima di terminare questa discussione, è ancora necessario fere
un'osservazione. Sagacio, come reggiano, non poteva di certo
amare Gangrande , per alcun motivo politico. Nonostante ciò, è
pure un fatto che nella sua Cronaca ne parla in complesso fa-
vorevolmente. Sotto l'a. 1319 discorrendo di una irruzione dello
Scaligero nel Reggiano, non gliene muove rimprovero (col. 30-1).
Più tardi, a. 1322, una importante guerra venne mossa da Gan-
grande contro Reggio, che n'ebbe molto a soffrire. Sagacio espone
i mali piombati sulla sua patria per cagion di Gangrande , ma
pur si affretta a dire che quest' ultimo « mandaverat suis , ne
« incenderent Burgum (Sanctae Grucis) » (col. 33-4). Venendo a
dire dei fatti dell'a. 1328, Sagacio discorre volentieri della curia
data dallo Scaligero per celebrare la conquista di Padova. È
verissimo che le curie di Gangrande erano famose in Italia; ma
non perciò è meno, interessante l'ascoltare come ne parli lo sto-
rico reggiano. « Die XXVII Novembris facta est curia solemnis
« in Verona per d. Ganem de la Scala, in qua triginta octo no-
« biles equites fecit, et unicuique donavit unum destrerium et
« unum palafrenum arredatum, et duas robas de varis fodratas.
« In hac curia fuerunt quinque millia equorum forensium ex
« diversis locis; nobiles quamplurimi ibi fuerunt » (col. 40 D).
Leggendo ciò, non parrebbe che anche Sagacio si fosse recato in
tale occasione a Verona? Più importante ancora è per noi il
profilo, che il reggiano ci lasciò di Gangrande, eh' egli certa-
mente conobbe di veduta. Là dove ne commemora la morte,
22 luglio 1329, scrive : « Hic homo non magnus sed bene compositus
« et probus ultra modum, et magni cordis et animi, semper
« primus centra inimicos percutiens, et de ipso multa canta-
« bantur et merito », e si compiace che sia stato sepolto « cum
« honore maxime » (col. 42 A-B). Qui abbiamo un lusinghiero
ritratto morale del principe, che ci fa rifletter molto. Se Sagacio
86 e. CIPOLLA
non poteva amare Gangrande per motivi politici, quali altre cause
c'erano per le quali egli non solo lo ammirasse, ma quasi ne
fosse entusiasta? Né si dimentichi, che allato al profilo morale
c'è il ritratto fisico, poiché Sagacio sa dirci che Gangrande non
era alto di statura, ma ben composto della persona (1). Egli
l'avea quindi veduto. La fi'ase magni cordis et animi mi lascia
sospettare, ch'egli avesse fatto esperienza della sua ospitalità, in
alcuna occasione; tocche è pur quanto assevera il Panciroli.
Forse, come dicevo, visitò lo Scaligero nell'occasione della
curia anzidetta. Allora la corte Scaligera era frequentatissima:
chi sa che le tinte calde della sua descrizione non dipendano
anche un tantino dal fatto che egli abbia veduto il palazzo
Scaligero appunto in un momento solenne?
Goncludendo: fino a migliori prove, la mancanza del passaggio
discusso, nella Cronaca Gazzata quale a noi pervenne, com'è un
fatto avvertito dal Muratori, così non è una circostanza che sen-
z' altro basti a dichiarare spurio quel passaggio istesso. Forse
m'ingannerò, ma mi sembrano severchiamente gravi le parole
con cui lo Scheffer-B. (2) accusa di leggerezza il Panciroli, il
quale avrebbe avuto in mano invece uno scritto assai più tardo,
e per un abbaglio lo avrebbe attribuito a Sagacio.
Il secondo motivo che indusse lo Schefler-Boichorst ad impu-
gnare l'attendibilità della citazione, dipende dalle ultime parole di
questa : esse seguono immediatamente alla descrizione delle sale
del palazzo Scaligero. « Ganis ipse mensam suam aliquibus in-
« terdum communicans, Guidonem a Castello Regiensem, qui ob
« sinceritatem Longobardus simplex vocabatur, et Dantem Ali-
« gerium, hominis ea etate clarissimi ingenio delectatus, saepius
« vocare consueverat ». A questo brano lo Scheffer-Boichorst fa
(1) Il Ch. Ver. (ap. Murat., Vili, 641) lo dice « staturae magne »; la sua
imagine sepolcrale, lo dimostra uomo tarchiato.
(2) Fra l'altro, l'illustre critico tedesco scrive : « Wer weiss, durch welchen
« Irrthum , durch welche Flùchtigkeit Panciroli die schòne , romantische
« Beschreibung , die ein viel Spàterer sich erdichèet hatte , dem zeitgenòs-
« sischen Sagazio della Gazata aufbOrdete? »
STUDI SD FERRETO DEI FERRETI 87
una obbiezione che per avventura potrà ad alcuno parere non
del tutto fondata; invece una seconda obbiezione forse può sol-
levarsi in proposito.
Vediamo prima l'argomento dell'illustre tedesco. Egli allega il
luogo {Purg. XVI, 121-6) dove Dante ricorda Guido da Castello
con parole di altissima riverenza. Dopo avere levato a cielo gli
antichi costumi della valle padana, rammemora tre vecchi di
quella regione, i quali , colla vita dignitosamente virtuosa, con-
servavano tuttora intatte le antiche tradizioni:
Ben V* en tre vecchi ancora , in cui rampogna
L' antica età la nuova , e par lor tardo
Che Dio a miglior vita li ripogna ;
Currado da Palazzo, e il buon Gherardo
E Guido da Castel che me' si noma
Francescamente il semplice Lombardo.
Il prof. Scheffer-B. non sa intendere (1) come Guido da Castello,
vecchio oramai nell'anno 1300, possa essere stato ospite di Gan-
grande, insieme con Dante. Se non m'illudo, in quel passaggio non
è detto che Guido da Castello e Dante Allighieri si trovassero
assieme ai conviti di Cangrande ; ma soltanto che l'uno e l'altro
furono ospiti suoi. Fulvio Azzari, nel libro poc'anzi allegato, mo-
stra, a dir vero, d'aver intese le parole del Panciroli nel senso
che Guido da Castello e Dante siansi trovati compagni presso
Cangrande: « Guido Castello per sua sincerità fu chiamato il
« semplice Lombardo, trattenuto, et molto amato da Cane grande
« della Scala et compagno di Dante Algieri {sic!) ». Farmi invece
che lo storico dica solamente che lo Scaligero l'ospitò l'uno e
l'altro, senza dire se uniti o divisi, ravvicinando i due perso-
naggi, solo perchè ambedue erano amici dello Scaligero.
Né so vedere come sia difficile ad ammettersi che Cangrande
(1) « Und dieser Mann solite noch Canes Gast gewesen sein? Wohl gar
« noch gleichzeitig mit Dante? »
88 e. CIPOLLA
possa aver ospitato Guido da Castello. Gangrande divenne unico
signor di Verona nel 1311, dopo la morte di suo fratello Alboino, al
quale da alcuni anni era collega. Guido, vecchio nel 1300 , non
morì si tosto; poiché ospitò « semel », il ghibellin fuggiasco; ciò
che viene attestato da Benvenuto da Imola (1). Presso l'Az-
zari, allato al nome di Guido, è segnato Ta. 1241: che cosa in-
dichi, non lo so. Certo non significa l'anno della morte. Il Tira-
boschi (2) non conosce su questo personaggio altre notizie, oltre
a quelle che abbiamo da Dante e da Benvenuto da Imola. Il
sig. co. Malaguzzi (3) , mercè un Estimo edito dal Taccoli ,
provò che Guido viveva nel 1315: potè dunque visitare Gan-
grande.
Mi si presentò alla mente un'altra difficoltà, diversa affatto da
quella posta avanti dal prof. Scheflfer-B. Eccola : — le parole del
Panciroli affermano decisamente che Guido da Castello « oh sin-
« ceritatem » chiamavasi « Longobardus simplex » : l'asserzione
dipende dal verso di Dante poco fa recitato? In caso affermativo,
è probabile una tale citazione, e in tal forma, presso uno scrit-
tore della metà del sec. XIV? — Meditando sopra queste quistioni,
dubitai che non solo il passo dipenda da Dante , ma che anzi
contenga una interpretazione poco precisa delle parole dantesche.
Benvenuto da Imola, a proposito del citato verso di Dante:
« che me' si noma Francescamente il semplice Lombardo », scrive
cosi : « Exponunt aliqui (4), quia de curialitate sua tanta fama crevit
« per Franciam, quod vocabatur simplex Lombardus. Sed istud
« est vanum dicere. Immo debes scire, quod Galli vocant omnes
« Italicos Lombardos , et reputant eos valde astutos. Ideo bene
(1) Comm., ap. Muratori, Ant. ital., 1, 1207.
(2) Biblioteca Modenese, Modena, 1781, I, 428 sgg.; Storia della lettera-
tura italiana, Modena, 1788, IV, 430.
(3) Guido da Castello e Dante Alighieri, Reggio Emilia, 1877. Il M.
stesso (a cui debbo somma gratitudine) ebbe la bontà d' indicarmi il suo
opuscolo, ignoto anche al eh. prof. Sch.-B.
(4) Cosi espone I'Ottimo: « per Francia di suo valore e cortesia fu tanta
« fama, che per eccellenza li valenti uomini il chiatriavano il semplice
« Lombardo ».
STUDI SU FERRETO DEI FERRETI 89
« dixit, quod proprie vocaretur Gallice simplex Lombard/as.
« Simile dixit supra de Henrico rege Anglorum, ubi dixit: Ve-
« dete il re da la semplice vita ». — Guido era Lombardo, per
nascita; e per la sua virtuosa vita era « semplice Lombardo »;
presa tal frase in senso francese, varrebbe: era un italiano sem-
plice, schietto. Ciò posto, mi sorse un dubbio, appoggiato anche
al vocaretur di fra Benvenuto: le parole di Dante si possono
intendere nel senso che Guido dalla gente chiamavasi effettiva-
mente, e data alla voce il senso francese: semplice Lombardo?
È chiaro che no ; se gli italiani , lo dicevano semplice Lom-
bardo, dovevano usare questa frase nel senso proprio e non nel
senso francese. Il senso francese è escogitato da Dante, per dar
risalto all'eccellenza del suo amico. Dunque nella frase dantesca,
vi è qualche cosa di soggettivo. Ma quanto? Propongo di rite-
nerla addirittura tutta soggettiva: Guido si dovrebbe chiamare
non con altro nome che con quello di « semplice Lombardo »,
adoperando per sopraggiunta la voce « Lombardo » nel senso
francese di « Italiano ». In altre parole il pensiero di Dante
sarebbe il seguente : io dovendolo dire Lombardo, perchè di Lom-
bardia , vorrei che" questa voce si prendesse nel senso francese,
di italiano, poiché così Guido verrebbe proclamato quale il più
schietto non solo tra i lombardi, ma eziandio fra gl'italiani.
L'avverbio francescamente ci fa vedere che tutta la proposi-
zione è solamente un nobile pensiero di Dante, ispirato a lui
da altissima stima e da riconoscenza profonda. La frase « sem-
« plice Lombardo », è parallela a « gran Lombardo » {Farad.,
XVII, 71). Tuttavia nel passo dello Scaligero, Dante non adopera
niuna frase o parola, che come francescamente lasci scorgere
un giudizio soggettivo nell'epiteto da lui adoperato. Che se si
volesse riguardare i due casi come veramente identici, ci rimar-
rebbe un'altra quistione da sciogliere. Vorremo credere che lo
Scaligero , al quale si allude in quest' ultimo passo, fosse Barto-
lomeo od Alboino, portasse in realtà il nome di gran Lombardo,
e cosi si chiamasse comunemente? Ignoro che ciò si sia finora
dimostrato. Quanto a me non potei recare altro che un luogo
90 e. CIPOLLA
di Pietro Azario (1). Egli narra di Gangrande, che a Milano,
quando il Bavaro fu incoronato, fece sfoggio delle sue ricchezze
« ut apud iraperatorem crederetur potior Lombardus ». Il passo,
riguardando Gangrande, non è parallelo al luogo dantesco.
Rimarrebbe ora a studiare dal lato grammaticale il si noma
dantesco, per vedere se fra' Benvenuto lo ha reso bene col suo
vocaretur; ma per lo scopo nostro basta ora aver formulato un
dubbio. E un dubbio e non più è il pensiero che mi si fissò in
mente; per avventura non è che una allucinazione. Ai dotti la
forse non ardua sentenza (2).
Se l'interpretazione ora esposta non fosse completamente er-
ronea, noi avremmo in Sagacino (Levalossi) una asserzione sba-
gliata: egli direbbe che Guido chiamavasi dal popolo « simplex
« Longobardus » , mentre cosi lo nomò Dante una volta , in
segno di rispetto.
Alla mia obbiezione rispondo cosi : il passaggio, su cui insistiamo,
è affatto estraneo al brano copiato (o compendiato) di sulla storia
di Sagacio. Appartiene invece, e per intero (cioè tanto nella
forma, quanto nella sostanza) al Panciroli. Ecco il contesto, come
ora ci apparisce dall'edizione delle Storie reggiane di quest' ul-
timo : — descrizione del palazzo scaligero : « — et picturis mirifice
•« exornabantur. Ganis ipse mensam suam aliquibus interdum
« communicans, ecc. » Seguono le parole sopra riferite, e che
riguardano il nostro Guido sino a « saepius vocare consueverat. »
Dopo di che vien subito: « Sessii et ipsi in eam aulam jam-
« dudum recepti », e continua la storia dei da Sesso. Al Pan-
ciroli va ascritto senza dubbio ciò che riguarda questa nobile
famiglia, che trovò onorata accoglienza in Verona. Se ciò è vero,
al Panciroli stesso deve attribuirsi anche il periodo che imme-
(1) Ap. Murat. XVI, 311 D.
(2) Francesco da Buti (II, 384) senti quanto sia diflBcile ammettere che
Guido venisse volgannente e da tutti chiamato il semplice lombardo. Laonde
egli spiegò il verso di Dante con una supposizione, forse più artificiosa che
vera: « ... e però dice: il semplice lombardo; cioè citramontano semplice,
« perchè fu omo di buona fede, e forse così era nominato in qualche can-
« sone, 0 sonetto, o romanzo fatto in francioso ».
STUDI SU FERRETO DEI FERRETI 91
diatamente precede, consono al susseguente si nell'argomento,
che nella esposizione stilistica. Al principio del tratto, il Pan-
ciroli citò il Sagacio , affrettandosi a dire eh' egli diligenter
descripsit la corte Scaligera. E perciò a Sagacio non dobbiamo,
parmi, attribuire nulla più di quanto si riferisce strettamente
alla enunciata descrizione. Questa soluzione della nostra obbie-
zione è anche una risposta alla obbiezione dello S.-B., poiché
scagiona addirittura il Sagacio da ogni responsabilità per il tratto
posto in controversia, quand'anche se ne potesse provare l'er-
roneità.
Un'ultima obbiezione muove vagamente il eh. prof. Scheffer-B.,
al quale ripugna d'accettare la bella, romanzesca descrizione,
che gli sa di tarda compilazione. Qui entrasi in argomento
assai delicato, poiché, per vagliare l'attestazione di Sagacio,
bisognerebbe addentrarci in ricerche minute sulla costruzione
dei castelli medioevali; esse sono estranee alle presenti indagini.
Che la corte scaligera fosse dipinta è cosa notoria. Il Giotto vi
lavorò sino dai primi anni del sec. XIV. Alcuni frammenti di pitture
a soggetto romanzesco (costumi) (?), e a soggetto storico si trova-
rono nell'a. 1884 , e appartengono forse al sec. XIV più o meno
avanzato ; delle pitture a soggetto storico feci cenno altrove , e
qui non mi ripeterò. Queste ultime stanno ancora in posto, mentre
quelle a soggetto romanzesco (?) furono trasportate nel Civico
Museo di Verona, dove aspettano un illustratore. A parte anche
tutto questo, ognun sa quanto e come nel Medioevo si usasse
dipinger le pareti delle sale nei castelli signorili : la pittura era
di sovente allegorica. Chi visitò il Castello medioevale, innalzato
in Torino nell'occasione dell'Esposizione Nazionale (1884), ne vide
una riproduzione assai degna di nota.
Osservo ancora, che, se anche si ammettesse che la fantasia
abbia lavorato un po' in quella descrizione, di qui non potrebbe
trarsi buon argomento per tosto giudicare tarda e di niun va-
lore la descrizione stessa, e toglierla a Sagacio. L'ospite della
corte scaligera può aver caricato il colorito; e il Panciroli può
aver dato risalto a qualche tinta.
92 e. CIPOLLA
Riferii di sopra la descrizione dell'aula Scaligera lasciataci dal
Ferreto, nel carme in onor di Gangrande (I, 120-2). Anche il
Ferreto parla di pitture: sono dipinti a mille colori i muri:
dipinte le travature: dipinti i letti. La descrizione del Ferreto
ha molto a che fare con quella di Sagacio (Levalossi).
Non potrebbe peraltro supporsi che il Panciroli desumesse la
sua notizia dal Ferreto, e poi la ascrivesse a Sagacio. Prima di
tutto l'uniformità tra Sagacio e il Ferreto non è completa. Que-
st'ultimo si contenta di due versi e mezzo, mentre il Cronista
reggiano è diffuso. Oltracciò al tempo del Panciroli pare che le
opere del Ferreto fossero cadute in dimenticanza. La lettera
proemiale che il Panciroli premette alle sue Storie, porta la data
di Padova, 16 genn. 1560. Nel 1531 lo storico vicentino Merzari
affermò che gli scritti del Ferreto erano andati perduti, e solo
nel 1627 se ne ebbe al pubblico alcuna notizia per mezzo del
Vossio (1). Al principio del sec. XVII , Giuseppe Scaligero (2),
parlando dei letterati, che, dopo avere avuto molta rinomanza,
caddero in oblio, include fra questi il Ferreto, e scrive: « ut
« alios omittam, quis hodie meminit Ferretae poetae Vicentini, qui
« Scaligerorum principum gesta carmino cecinit? ». Copia subito
l'epitaffio in cui si loda il Ferreto vates , se ne encomiano i
carmina, e si dice: « Scaligeros decuit quem cecinisse duces ».
È molto probabile che Giuseppe Scaligero conoscesse il libro
del Ferreto, solo dal ricordo fattone nell' iscrizione sepolcrale;
tanto più che si accorda con essa nell'adoperare il plurale, quasi
che Ferreto abbia cantato non uno solo, ma vari personaggi
della famiglia della Scala. Cantò Cangrande, e solo indirettamente
encomiò suo padre Alberto e sua madre Verde de' Salizzoli.
La somiglianza tra la descrizione del palazzo scaligero fatta
dal Ferreto, e il cenno che ne leggiamo presso il Sagacio può
(1) Gfr. Antonio Magrini, presso Orti, Cenni storici e documenti che
risguardano Gangrande I della Scala , Verona , 1853 , p. 37. La cronaca
vicentina del Pagliarini, scritta nel sec. XV, fu pubblicata solo nel 1663.
(2) Confutano fahulae Burdonum, in Opuscula varia, Francofurti, 1612,
11, 18.
STUDI SU FERRETO DEI FERRETI 08
offrir adito ad un' altra congettura , di cui il lettore farà il
giudizio che crede. Come il lettore rammenterà, poco addietro
abbiamo esposto una congettura secondo la quale il Ferreto
venne a Verona in occasione della curia tenuta da Cangrande
per festeggiare la presa di Padova. Ora, considerando il modo
con cui Sagacie (Levalossi) parla della curia stessa, sorge in
noi il sospetto che lo storico reggiano sia appunto venuto a
Verona in quella occasione. La somiglianza tra le descrizioni
del palazzo Scaligero in Ferreto e nel preteso pseudo-Gazzata
può forse dipendere dal fatto che i loro autori si siano trovati
a Verona nel medesimo tempo, e nella stessa occasione abbiano
veduto e ammirato il palazzo di Cangrande?
Il Gazzata, nella Cronaca, dandoci il profilo dello Scaligero,
come il lettore ricorda, soggiunge che di lui multa cantabantur
et merito. Ora il Ferreto afferma che niun poeta parlò espres-
samente di Cangrande. Paragonando queste due asserzioni, è
facile congetturare che Sagacie , scrivendo quanto si riferì ,
alludesse non agli epigrammi composti per la morte di Can-
grande, e meno ancora ai versi di Dante nel Paradiso, ma
addiritura al Ferreto. Non mi nascondo che le parole del Fer-
reto difficilmente si possono prendere nel pieno e intero loro
significato, essendo noto, p. e., il carme edito dal Freher; ma,
checche sia di ciò, la testimonianza del poeta Vicentino ha per
certo un valore. D'altra parte non ignoro che il mMlta cantabantur
può comprendere anche canzoni popolari. In ogni modo noto la re-
lazione in cui la citata espressione del Ferreto sta col passo di Sa-
gacie; considerata essa in armonia agli altri fatti testé esposti, raf-
ferma i risultati a cui eravamo ormai giunti. Tengasi anche
ricordato che il Panciroli espressamente attesta essere stato Sa-
gacie ospite presso Cangrande.
Termino non senza esprimere il vivo dispiacere ch'io provai
per essermi trovato forse talvolta in non perfetta armonia d'o-
pinioni con uomini cosi dotti come sono e lo Scheffer-B., e il
Laue, i quali per di più sono tanto benemeriti degli studi di
storia italiana nel XIV secolo.
94 e. CIPOLLA
HI.
Il poema del IPerreto in onor di Oarigrande
e r Eccer'liiis del lS/L-cLaaa.to.
Se prendessimo alla lettera la prima linea del Carmen scritta
dal Ferreto in onor di Gangrande, dovremmo conchiuderne che
esso sia stato il primo lavoro poetico dell'umanista. Anzi il primo
suo scritto addirittura, giacché non diede mano alla sua Storia,
se non che nel 1330; ed esordendo a questa, come si dice nuovo
allo scrivere in prosa, così cenna i suoi carmi giovanili (1).
Le parole del Carmen, alle quali alludo, son queste, e spettano
all'invocazione a Pallade, con cui ha principio il libro I:
(vs. 6)
Nunc mihi, dum prìmos in Carmine molior ausus,
Magnanimum refer, alma, Canem
Queste parole tuttavia non devono prendersi alla lettera, seb-
bene sembrino raffermate dalla fine del libro IV, dove il Ferreto
implora per se stesso vati novo la protezione dello Scaligero.
La data del poema è conosciuta , e il Muratori lo ascrisse al
1329. Sicuramente è posteriore al 10 settembre 1328, e per
chiari motivi. Nel giorno suddetto Gangrande entrò trionfatore
in Padova (2), la qual città ci viene qui descritta dal Ferreto,
come soggetta a Gangrande (3). Il poeta è certissimo che Tre-
(1) Dice cioè di essersi fino allora dedicato solo alla poetica (ap. Mura-
tori, IX, 943 B).
(2) GoRTusi, ap. Muratori, XII, 846.
(3) La testimonianza è esplicita : « . . . . et Phrygii reparas Antenoris
« urbem » (1. Ili, vs. 114).
STUDI SU FERRETO DEI FERRETI 95
viso pure si sottometterà a Gangrande, e spera che il dominio
dello Scaligero si estenderà sino al golfo Veneziano, e compren-
derà Gividale, ecc. (1). Per l'opposto, dopo conquistato Treviso, sul
declinare del luglio 1329 Gangrande morì.
Alquanto anteriori al presente Carmen sono le composizioni
metriche, ch'egli scrisse per la morte di Benvenuto da Gampe-
sani, poeta e letterato Vicentino. Pubblicò quei versi il Muratori (2);
e sono scritti senza dubbio subito dopo la morte del Gampesani, la
quale avvenne sul declinare del 1323, come risulta da uno degli
scritti medesimi (3). In altra di quelle composizioni, il Ferreto
dice chiaramente che la morte del Gampesani era recente. Ri-
volgendosi alla Dea « quae nostrae decidis tempora vitae » ri-
corda prima di tutto — e non senza giusto motivo — i fatti poli-
tici, ne' quali essa aveva una funebre parte. Quindi il suo pensiero
si rivolge all'amico estinto :
At saltem egregio potuisti parcere vati,
Impia, quem morsu praessisti saeva recenti,
Vitalesque suo rapuisti corpore sensu (4)
Se la morte del Gampaesani era recente, la data delle poesie
del Ferreto è assicurata.
In quell'epoca il Ferreto era assai giovane, forse aveva 29
anni, e forse era anche di minore età (5). Fin d'allora si pro-
ci) Lib. Ili, vs. 146 sgg.
(2) R. I. S., IX, 1183 sgg. Le composizioni sono sei.
(3) Ap. Muratori, IX, 1185 B.
(4) Ap. Muratori, IX, 1183 G-D.
(5) In altro mio scritto (Misceli, di st. ital., XXIII , Append. , p. xi) in-
clinai a crederlo nato intorno al 1297. Trascurai ivi un dato del quale mi
fece risovvenire il Laue (Op. cit.,'0). Il Lane non ritiene decisa la quistione,
e sta contento di porre la nascita del Ferreto tra il 1295 e il 1297. A fa-
vore del 1295 (o meglio del 1294) sembra deporre il dato di cui mi sono
poi occupato incidentalmente in questo Giornale , V, 229 ; il Laue lo co-
nobbe solo indirettamente, dal Magrini, citato dall'ORTi, Cenni storici ecc.,
p. 146. Fortunato Vigna trovò che il Ferreto era Castaldo dei Notai di
Vicenza addi 17 maggio 1320. Sopra di che egli ragiona così : « ... almeno
96 e. CIPOLLA
fessava grande ammiratore del Mussato, come apparisce dai versi
indirizzati al medesimo (1), per eccitarlo a scrivere in lode del
Gampesani :
Tu quoque perpetuam rebus dare Carmine famam
Et potes et nosti, Latiae qui bella ruinae
Gesta sub Arctoo scripsisti Cesare, vates.
Nei versi che seguono , il Ferreto dice al Mussato : se tu
canterai le lodi del Gampesani, potrà avvenire che dopo la
tua morte altro poeta inneggi a te. Con tali parole sembra
che il Ferreto voglia promettere al Mussato di dedicargli egli
stesso un carme, quando venisse a morire (2). I tre versi ora
riferiti ci dicono che il Mussato aveva pubblicata la sua historia
Augusta, e serbano assoluto silenzio circa VEccerinis, nonché
sopra la laurea poetica del Mussato. Quando il Mussato fu fatto
prigioniero da Cangrande, sul declinare di settembre 1314, non
aveva dato in pubblico neanche la hist Aug., sebbene forse l'a-
vesse ormai compiuta da qualche mese (3). Il Ferreto, nella sua
historia, parlando della prigionia del Mussato, scrive: « Non-
« dum enim ille lauro hederaque virenti sub poétae titulo
« decoratus coronam attulerat ; nec dum etiam historia illi
« edita, Ezerinique tragoedia, quam postea jam poeta vocatus
« in propatulo edidit » (4). Da queste ultime parole si potrebbe
« doveva essere nato il 1294, giacché per uno Statuto del... Collegio (de'
« Notai), esercitare l'Ofizio di Castaldia non poteva, chi finiti non avea li
« vencinquanni ». E il Vigna allega lo Statuto del 1283, dove sotto la ru-
brica De electione Gastaldiorum et Ckmsiliariorum, si legge : « Quod nuUus
« possit esse Gastaldio vel Consiliarius nisi fuerit maior annis vigintiquinque »
{Preliminare di alcune dissertazioni ecc., Vicenza, 1747, p. lxi).
(1) Ap. Muratori, IX, 1187-8.
(2) Da ciò può dedursi che il Ferreto fosse di gran lunga più giovane del
Mussato, il quale, come provò il eh. prof. A. Gloria, nacque nel 1262 (cfr.
Zardo, Alb. Mussato, p. 8: Minoia, Alb. Mussato, p. 46).
(3) Avanti all'aprile 1314, secondo Zardo, pp. 2434.
(4) Hist., 1. e, 1145 D.
STUDI SU FERRETO DEI FERRETI 97
desumere che VEccerinis sia posteriore all' incoronazione poe-
tica del Mussato ; locchè sembra falso. Assai più che VMst Aug.,
fu appunto VEccerinis che gli procurò l'eccelso onore (1). La
cattività del Mussato fu breve, essendo stato posto in libertà
in seguito alla pace tra lo Scaligero e Padova, 7 ottobre 1314.
La data dell'incoronazione è incerta ; avvenne sicuramente nel-
l'occasione di un Natale: chi sta per l'anno 1314, chi propende
per il 1315, e chi per il 1316 (2). Comunque sia delle qui-
stioni di minore entità , resta provato che le ricordate poesie
del Ferreto , sono posteriori , e cioè del 1323-4 incirca, e per-
ciò anteriori al suo carme per Gangrande. Nei citati versi
del Ferreto, Tu quoque ecc. si accenna alla historia Augusta
come a prova della valentia poetica del Mussato. Anche ciò
merita spiegazione, poiché la historia è in prosa. Nell'edizione
Muratoriana fanno parte di essa alcuni tratti in versi, che ora
il Minoia riconobbe far parte di altra opera, interamente poe-
tica. L'apparente contraddizione può eliminarsi considerando che
il Ferreto fondeva in un concetto unico la valentia del Mussato,
e la historia che avea dato tanta riputazione al nome dello
scrittore padovano. La storia in versi potea ben servire di le-
game per raccogliere in un pensiero unico i vari aspetti del-
l'attività letteraria del Mussato.
Anche altre composizioni poetiche del Ferreto si debbono
reputare anteriori al 1328-9. L'epigramma in lode di Bailardino
Nogarola è del 1315; e probabilmente è del 1321 il carme per
la morte di Dante, e di cui resta solo un breve frammento (3).
Tali composizioni forse al Ferreto sembravano bazzecole, in
confronto del carme eroico con cui prendeva a lodare il principe
Scaligero. Del resto non è questo che a noi ora interessi di porre
in rilievo. A noi importa notare la relazione antica che cor-
reva tra Ferreto e il Mussato, e questa l'abbiamo trovata nelle
(1) Minoia, pp. 139 sgg.; Zardo, pp. 153, 244.
(2) Zardo, p. 153, difende il 1314. Il Minoia, p. 139, preferisce forse il 1316.
(3) Gfr. Laue, pp. 14-15; Orti, pp. 41-129.
Giornale storico, VI, fase. 16-17. 7
98 C. CIPOLLA
prime composizioni poetiche del Vicentino. Il Pagliarino (1), che
nella sua storia di Vicenza ci lasciò memoria degli scritti del Fer-
reto, nota ch'egli conosceva anche la risposta dal Mussato fatta
al Ferreto (2). Che cosa dicesse in questa epistola il Mussato, noi
so; certo non può avere biasimato il Gampesani, che piuttosto
di farlo, avrebbe di certo taciuto. Il Mussato verso 1311 scrisse
una epistola, che è la XVII (3), per rispondere al Gampesani
« adversus opus metricum per eum factum in laudem domini
« Ganis grandis et vituperium Paduanorum , cum capta fuit
« Vicentia. » Se ora egli si decideva a parlar con rispetto del
Gampesani , è ragionevole conchiudere che molto viva e salda
fosse l'amicizia che lo legava al Ferreto. Lo Zardo (4) sospetta
che l'amicizia tra i due scrittori siasi stretta nella occasione in
cui il Mussato prigioniero fu condotto in Vicenza , e dimorò in
casa di Gregorio da Poiana. La ipotesi è molto ragionevole;
solamente bisogna avvertire che il Mussato non può essersi
trattenuto se non che pochissimo in Vicenza, essendo andato
tosto a Verona, dove lo Scaligero lo accolse nel proprio pa-
lazzo, e quivi ne fece medicar le ferite (5). Oltracciò qualcuno
potrebbe trovare un po' strano che il Ferreto , il quale non
sempre è restio a intrattenere il lettore delle sue storie, con ricordi
personali, trascuri ora di dar rilievo all'occasione per la quale
diventò amico del Mussato. L'argomento non è decisivo; ma può
forse bastare per proporre anche l'ipotesi che il Ferreto abbia
conosciuto il Mussato prima della caduta di Vicenza sotto Gan-
grande (1311), da giovinetto, e che poscia, per quanto le circo-
stanze glielo permettevano, abbia coltivata quella preziosa amicizia.
La laurea poetica concessa al Mussato deve aver fatto grande
(1) Cronaca di Vicenza, Vicenza, 1663, p. 182: « et si vede ancora la
« risposta di Mussato à Ferreto ». Gfr. Laue, p. 11.
(2) Non è accennata né dal Minoia, né dallo Zardo.
(3) In Graev., Thes. antiq. It., VI, 2, 51-2. L'epistola è molto acre, e
accusa Gangrande di inganno. Neppure per il Gampesani ci sono parole melate.
(4) Op. cit., p. 293.
(5) Ferreto, ap. Muratori, IX, 1145.
STUDI SU FERRETO DEI FERRETI • 99
impressione sul Eerreto, il quale s'interessava delle cose Padovane
in generale (1), e di quelle del Mussato in ispecie. Né vale
oppor-re il fatto che nel carme che a lui indirizzò per la morte
del Gampesani tace della laurea poetica : giacché ad essa può
vedersi quasi una allusione nel verso « Tu quoque perpetuam
« rebus dare Carmine famam Et potes et nosti ». Questo entu-
siastico elogio dice molte cose. È quindi lecito credere che il
Ferreto abbia sentito profondamente lo stimolo dell' ambizione,
e forse anche quello dell'invidia. E perciò, avendo, vs. 132 sgg.,
deliberato di scrivere un carme eroico, scelse un grande argo-
mento. Pensò a Gangrande: (I, vs. 18-9)
quem decorat gens Itala factis
Quem stupet immenso quidquid complectitur orbe.
Osservò che l'eroe non era stato cantato (vs. 20):
Nondum aliquis patulo discussa poemata cantu
Tradidit, aut meritos in te iactavit honores.
Persuaso di aver trovato un soggetto degno di canto, si rivolge
ai poeti, e li rimprovera, perchè avevano sino allora taciuto, e
tacevano ancora:
Quid vatum facis alma cohors? quam carmino dignam
Materiam expectas?
L'eroe vi premierà, dice egli, ai poeti :
Numquam maioribus ultro
Te studiis miscere velis, nec iniqua vocabis
Praemia, non sterilem neglecta quaerere laborem.
Lo Scaligero v'ascolta e vi darà la fama eterna, che tutti cer-
chiamo (vs. 27) :
(1) Carmen per Gangrande, I, vs. 132 sgg., 262 sgg.
100 e. CIPOLLA
Quis enim nisi respuet amens
In se perpetui convertere signa decoris,
Hoc sibi mansurum nomen velit?
Pare che il Ferreto attendesse dal suo Mecenate (come lo
chiama al fine del canto IV e ultimo) la fronda poetica. Dal cadere
del 1325 il Mussato era esule a Ghioggia, dove morì il 31 maggio
1329, come il prof. Andrea Gloria ha chiaramente dimostrato (1).
Saremmo tentati a credere che il Ferreto abbia scritto il Carmen
dopo la morte del Mussato, e quasi per aspirare a succedergli
nella fama. Ci sconsiglia peraltro da tale ipotesi la ristrettezza del
tempo, che rimarrebbe per la composizione, poiché il Carmen
fu certo compiuto avanti alla morte di Gangrande, 22 luglio 1329.
Forse la lontananza del Mussato, che viveva quasi sconosciuto
nella sua solitudine, bastò ad incoraggiare il Ferreto nel suo ten-
tativo. Affranto dagli anni, e più dalle fatiche, piagato nel cuore,
disilluso del mondo, il vecchio uomo di stato si preparava a mo-
rire, cercando di dimenticare e di essere dimenticato. Forse il
Carmen dal Ferreto preparato assai prima del maggio, non
ebbe la forma attuale che dopo la morte del grande Padovano.
Non affermo che il Ferreto di proposito contrapponesse se
stesso al Mussato. Il ricorrere alla protezione scaligera già ba-
stava per metterlo in una certa contrapposizione al Mussato, il
quale viveva in dignitoso esigilo, sulle spiaggie del mare, sotto
il dominio veneziano. La tempera del Mussato non era quella
del Ferreto. L' uno , uomo politico, s' era trovato in mezzo al
turbinio delle pubbliche cose, fra il cozzare delle armi e l'ira
delle passioni ; invece l' altro si accontentò di inneggiare alle
muse e di contemplare in silenzio alcuni vaghi ideali democra-
tici, mentre passava il suo tempo nella tranquillità degli affari
notariU. Morto il Mussato , morto Gangrande, il Ferreto mostrò
(1) La sua dimostrazione è accolta non solo dal padovano Zardo (pp. 24041,
ma anche dal Minoia (pp. 163 sgg.), il quale sembra ignorsu-e qui le inda-
gini del prof. Gloria.
STUDI SU FERRETO DEI FERRETI 101
schietto l'animo suo; e mentre abbandonò la poesia, terminò la
vita scrivendo le Storie, dove del Mussato si fa ricordo con parole
ispirate a profonda e sincera reverenza. Svaniti i sogni fatti al-
lorché il grido di vittoria rimbombava da ogni parte intorno a
lui, dinanzi alla mente dello storico si ripresentarono le memorie
della giovinezza : in lui prevalse nuovamente il pensiero della
patria.
Nel Carmen in lode di Gangrande, non è ricordato il Mussato.
L'eccitamento ai poeti, di cui si è detto, non poteva essere diretto
all'esule di Ghioggia. In niun luogo poteva entrare il nome del
Mussato. Eppure il Mussato stava anche qui dinanzi alla mente
del Ferreto. Il quale, se mirava ad emularne la fama, non disde-
gnava d'imitarlo, molto pedissequamente.
Questo non è il luogo di ricercare le fonti del Carmen ferre-
tiano. Per lo scopo nostro sarà sufficiente vedere come tra queste
fonti si deve numerare YEccerinis di Mussato.
11 primo libro del Carmen contiene anzitutto l'invocazione a
Pallade, perchè assista il poeta nel canto. Quindi il poeta si me-
raviglia che un argomento di tanta importanza, quale la vita di
Gangrande, non sia stato trattato dai poeti, mentre esso può dar
fama a chi se ne occupa. Vengono poscia le esitazioni del vate
per la difficoltà dell'impresa. Accennate in poche frasi le imprese
dell'Eroe, si scende a parlar di Verona, e di questa città si fa
una breve e abbastanza elegante descrizione: né si omette di
toccare delle sue origini, parlando della gente lulia e di Brenno.
La storia di Verona guida il poeta a dirci del feroce Ezzelino
(vs. 122), e di questo egli tesse la vita sino alla fine del I libro
(vs. 451).. compresa anche nella narrazione la strage di Alberico,
cioè l'orribile tragedia della rocca di S. Zenone.
Nella vita pertanto di Ezzelino, é patente l' imitazione che il
F. fa diQWEccerinis. Soltanto bisogna 'notare che il Mussato si
accontenta di pochi fatti saglienti: la nascita del tiranno: il ca-
stigo che Ezzelino ordinò contro il nuncio, che gli avea riferita
la perdita di Padova: gli ultimi rovesci, e la morte a Gassano,
6CC0, se non gli unici fatti messici davanti dal Mussato, certo quelli
102 e. CIPOLLA
SU cui egli, con mano di peritissimo artista, raccolse la luce più
viva. Il F, che scrive una storia verseggiata, conduce il tiranno
quasi passo passo attraverso alle sue imprese. Minore riesce la
efficacia del suo racconto, quantunque questo sia d'assai più
completo. •
Nel Ferreto non c'è la leggenda sulla nascita demoniaca di
Ezzelino, alla quale egli sostituisce la descrizione delia rocca di
Romano, che il poeta avea veduto, inorridendo, coi propri occhi
(vs. 138: « Vidi ipse locum, ecc. »). Peraltro vedremo di qui a
poco che un accenno a tale racconto popolare non manca anche
nel Cm^men, là dove il Ferreto ripete, quasi colle parole del
Mussato, la morte di Ezzelino in Soncino.
Il luogo, in cui si avvicinano davvero i due poeti, ò là dove
descrivono l'altezza suprema della potenza di Ezzelino, dalla
quale esordisce la sua rapida caduta.
Ferreto, I, vs. 159:
Et jam capta tuis (1) parebat Marchia signis
Caesaris imperio.
Mussato, atto II, vs. 59;
Parens Tyranno Padua; jam sceptrum tenet
Agens superbas divus imperii vices
Eccelinus.
Ezzelino medita stragi e rovine:
Ferr., I, 128:
quot morte duces, quot caede potentes
Damnasti, et gravibus poenis tormenta dedisti.
Muss., II, 60:
Ah quot exilia populis minax
Promittit! atros carceres, ignea, cruces.
Tormenta, mortes, exilia, diras fames
(1) Di Ezzelino. Gfr. il vs. 93 « ancipites... tumultua », con Muss. atto II»
vs. 45: « ancipites vices ».
STUDI SU FERRETO DEI FERRETI 103
Quindi il P. ci mette davanti Ezzelino nel mentre si studia
indarno di conquistar Mantova. Girava intorno ad essa cosi come
il lupo s'aggira intorno al chiuso. La resistenza ne acuiva la
rabbia, ne cresceva il dispetto, e gli svegliava nell'animo i più
truci disegni di vendetta.
(Ferr., I, vs. 197)
Talibus interea furiis agitatus iniquos
Versabas in mente dolos, hostique futurum
Exitium crudele nimis.
E intanto la sua fortuna svaniva, e Padova veniva occupata
dai Crociati e dai Guelfi.
Ciò che colpisce, è la contraddizione tra le speranze di Ezze-
lino, e la dolorosa notizia che gli arreca un nuncio non aspe^
tato; cioè: i crociati, i guelfi entrarono in Padova. Il fatto è storico,
poiché viene narrato dal Rolandino, e dal cosi detto Monaco di
S. Giustina di Padova (1). Ma l'averne veduto l'importanza ar-
tistica, è proprio merito del Mussato. Egli pure descrive Ezzelino
in un mare di progetti ; anzi si diffonde in ciò assai più che non
faccia Perreto, il quale era in ispecie preoccupato dalla verità
storica. Oltracciò egli avea già detto abbastanza, col narrare la
impresa di Mantova, taciuta dal Mussato.
Muss., atto III, se. I, vs. 9 {parole pronunziate da Ezzelino):
Inanes ducimus frustra moras,
Gapiamus urbes undique, et late loca,
Verona, Vicentia, Padua nutui meo
lam subiacent, progrediar ulterius cito,
Promissa Lombardia me dominum vocat,
Habere puto. Meos nec ibi sistam gradus,
Italia mihi debetur. Haud equidem satis
Est illa
(1) MGH., Script., XIX, 114, 167. Cfr. Antonio Godo (ap. IN^uratori,
Vili, 88), e Nic. Smereglo {ivi., 101 , e nell' ed. Lampertico, Scritti storici
e letterari, II, 280).
104 e. CIPOLLA
Intanto si presenta (se. 2) Ziramonte, annunciando che in Pa-
dova era stata tronca la testa a un ribelle d'alto lignaggio. Ez-
zelino, infuriando, ne gioisce:
(w. 8 sgg.)
Cum plebe pereat omne nobilium genus,
Non sexus, aetas, non ullus gradus
A caede nostra liber, aut expers eat.
Vagetur ensis undique, et largus cruor
Abundet atra tabe profusus foro, ecc.
Dice il Ferreto semplicemente che la mano di Dio sventò i
disegni del malvagio (I, vs. 199):
sed diva Potestas
Humanas intra curas rerumque meatus
Praescia, quae nullo cohibetur foedere, certas
Fatorum mutare vices, ac cetera versat
Sponte sua, et coelo terras dominatur in omnes
Propositis inimica tuia, sceleriqpie nefando
Obstitit, ecc.
Colali pensieri vennero forse suggeriti al Ferreto dal discorso
posto in bocca dal Mussato a certo fra Luca ; questi, cerca cal-
mare la furia di Ezzelino, parlandogli di Dio, e mostrandogli che
enormi erano gli eccessi a cui si abbandonava, egli, sotto gli occhi di
Lui. Ezzelino, titubante un po', conchiude dicendo ch'egli si stima
appunto mandato da Dio per esercitarne le vendette.
È a questo punto che il Mussato introduce il nunzio che ar-
reca la dolorosa quanto inaspettata notizia della caduta di Pa-
dova. Tra i versi posti in bocca al nunzio (se. 4, vs. 14) è note-
volissimo il seguente:
Capta Padua est, et exules illam tenent.
Esso infatti rassomiglia moltissimo al luogo parallelo del Fer-
reto, e particolarmente ai due ultimi tra i versi che qui trascrivo:
(vs. 206 sgg.)
STUDI SU FERRETO DEI FERRETI 105
Namque repentino delatus ab aethere cursu
Seu volucrum pennis, aut acris turbine venti,
Qualiter AEolio Boreas emittitur antro,
Venit anhelanti referens tibi nuntius ore,
Amissam Fatavi sedem, tutumque rebelles
Invasisse locum et portas hìibuisse patentes.
L'epiteto di anhelans dato al nunzio è in Rolandino, il quale
narra il fatto così: (Ezzelino, tornando da Mantova, viene al
Mincio) « ubi nuncius ecce quidam anxius et anhelans stetit ante
« tyranni presenciam et ipsi interroganti: qiie nova? respondit
« infelix ille : mala , dompne, quia Paduam, perdidistis ; illum
« siquidem nuncium absque mora fecit eccidi suspendio ». Se-
condo il Rolandino , dunque , lo sventurato nunzio fu tosto im-
piccato. Il Monaco di S. Giustina non dice nulla di ciò. Il Mussato
e il Ferreto vogliono che Ezzelino gli facesse mozzare il piede,
ed ecco in qual modo si esprimono.
Il Ferreto (vs. 212 sgg.) comincia dal parlare del gran dolore
che Ezzelino provò per la perdita di Padova : quindi fa che il
tiranno pronunci un dilavato discorso (vs. 224-32), con cui nega
fede al nunzio, e lo condanna al taglio del piede.
Comincia:
Quid tam ficta nobis conventa referre.
E poi (vs. 226 Sgg.) :
Nam tu temerarius auctor.
Serve loquax sceleris? die, die. Te scimus et ista
Verba carere fide. Cur nam mentiris et audes
Perjuro sermone loqui! Dabis improbe poenas,
Et tibi prò meritis verborum praemia dictis
Digna feres. Fede mulctatus jam segnìor istinc
Ito procul.
Con maschia brevità , il Mussato attribuisce ad Ezzelino due
versi, ai quali rispondono nella sostanza, e in parecchie parole
i versi del F. {l. e, vs. 15):
Abscede mendax serve, mutilatus pede
Praemium relatu toUe condignum tuo.
106 e. CIPOLLA
Qui la dipendenza del F. è evidente. Il Mussato sorvola sugli av-
venimenti successivi, che invece vengono esposti dettagliatamente
dal Ferreto. In qualche frase anche qui può sorprendersi la rela-
zione dei due scritti. P. e., il F. (I, 370) scrivendo: « Trans A-
duam tua signa geris », ci ricorda il M. (atto IV, se. 2, 18, 25):
« Collata ad Aduae signa fixerunt vadum », « Ad flumen Aduam
« signa », ecc.
Nella descrizione della morte di Ezzelino dopo la rotta di Gas-
sano i due poeti si incontrano nuovamente. Era un argomento
tragico, quello: il truce tiranno muore sprezzando le medicine,
ed i cihi: e va, quasi volentieri, all'inferno dove l'attende suo
padre, il Demonio.
Mussato, a. IV, se. 2, vs. 52 segg.:
Abductus inde spernit (1) oblatas dapes,
Guras salutis, atque vitales cibos,
Acerque moritur fronte crudeli, minax,
Et Patris umbras sponte tartareas subit,
Positum cadaver tumba Sucini tenet.
Il F. copiò e dilavò. Non ricordandosi quasi d'aver taciuto che
Ezzelino è figlio del diavolo, egli riproduce il pensiero che leg-
gemmo ora in Mussato (vs. 55) : « Et Patris umbras, ecc. »
Ferreto I, 387 sgg.:
lille summa ferunt peragentem tristia nuUis
Incaluisse cibis, avidumque occumbere morti
Oblatas sprevisse dapes, medicaeque paratam
Artis opem, tumidumque oculis, et fronte superba
Execrìisse Deos omnes ac mitia Coeli
Numina, et inferno tantum debere Parenti
Quod superest. Tandem absumptis jam viribus, imo
Commendata Jovi (2) totiens, ablata refugit
(1) L'ediz., di cui fo uso, che è quella del Minoia, legge qui speruit.
(2) Nel Giove imo (= Demonio) c'è una ripetizione che serve soltanto a
diluire il pensiero..
STUDI SU FERRETO DEI FERRETI 107
Umbra ferox, stygiesque haud indignata tenebras
Sponte subit, multumque illis valet improba regnis.
At brevis impositum tumulo premit urna cadaver.
Il F. (vs. 398 sgg.) narra come l'annunzio di tal morte si dif-
fondesse all'intorno. E nel Mussato non manca il ricordo dell'ef-
fetto prodotto nelle città dalla lieta novella della uccisione di
Ezzelino. Il Mussato ci trasporta proprio in mezzo agli avveni-
menti, tra gli oppressi che respiravano largo, dopo tanta tirannia,
e si rallegravano della ricuperata libertà. Un inno delicato e
dolce è pronunciato dal Coro. Comincia:
Vota solvamus pariter Datori
Digna tantorum , juvenes , honorum,
Vos senes, vos et trepidae puellae.
Il F., al principio del lib. II, descrivendo l'allegrezza dei Mar-
chigiani per la morte di Ezzelino e di Alberico, non dimentica
il pensiero del Mussato. Scrive (vs. 6-7):
....*... Primi juvenes duxere choreas.
Et pueri, mixtique senes, hilaresque puellae (1).
Qui la tragedia del Mussato ha termine; mentre il F. descrive
eziandio la uccisione di Alberico.
Il Mussato, nell'atto II, parla anche di Verona. Quand'egli scri-
veva, pensava a Gangrande. Bisognava dunque che una parola
vibrata si scagliasse contro la città, da cui veniva il nemico della
patria. Quindi egli scrive :
(1) Hilaresque puellae è tolto da Ovidio ( TV., Ili , 12,5), dal quale di-
pende ìinche il duxere choreas (Met., XIV, 520). Bisogna tener in mente
anche la frase virgiliana « pueri , innuptaeque puellae » (Aen. , II , 238 ;
VI, 307; Georg., IV, 476), che ricorre anche in Stazio (Syl., I, 1, 12). Ma
ciò non prova nulla contro ciò che noi sosteniamo. Il F. infatti potea be-
nissimo giovarsi delle sue reminiscenze classiche per infiorare un concetto
che non era suo.
108 e. CIPOLLA
0 semper huius Marchiae clades vetus
Verona, limen hostium, et bellis iter,
Sedes tyranni, sive tale hominum genus
Natura ab ista tale producat solum ecc.
Il F. non poteva dir questo, poiché inneggiava anzi al principe
Veronese. Vi contrappone dunque le lodi di Verona (I, vs. 77
sgg.), e lo fa con molto garbo, e con disinvolta eleganza di stile,
nonostante le consuete ampollosità. In un luogo peraltro (I, vs.308)
si lamenta anche di Verona, ed è là dove ci mette dinanzi la sua
Vicenza minacciata da una parte da Verona e dall'altra da Padova.
Qui abbiamo dunque un po' d'imitazione a rovescio. Un migliore
esempio di ciò , lo possiamo trovare nella narrazione della na-
scita di Gangrande. È la narrazione del Mussato, per cosi dire,
rovesciata, ma non del tutto peraltro. Principia il libro II
colla descrizione dell'allegrezza che la Marca provò per la di-
struzione della temuta famiglia da Romano. Il poeta si sofferma
sopra Verona, e ciò gli dà occasione di parlare dell'origine della
signoria Scaligera. Esalta Alberto della Scala, assai più di quello
che faccia poi nelle Storie. Il F. racconta il matrimonio di Al-
berto con Verde (de' Salizzoli), e cosi si apre la via a dire della
nascita di Cane. Descrive le costellazioni (II, vs. 196) ch'erano in
cielo, al momento in cui i due principi (vs. 212)
Nocte thoro excepti, placidi post tempora somni,
Indulsero pares Veneri (1).
Similmente il Mussato (lasciando tuttavia da parte le costel-
lazioni) pone in bocca ad Adheleita (Atto I, se. unica, vs. 15-6):
«... cuius ad laevum latus | Supina jacui ». Poi viene il racconto
dell'apparizione del Demonio^ la quale comincia (vs. 28): « Quum
« prima noctis hora ecc. » Adheleita rimane fieramente turbata
(vs. 51 sgg.):
Sed, heu recepta pertinax niraium venus (1)
Incaluit intus viscera exagitans statina,
(1) Si ricordi il vs. 197, lib. II, del Ferreto, testé riportato: « Indulsero
« pares Veneri ».
STUDI SU FERRETO DEI FERRETI 109
Onusque sensit terribile venter tui,
Eccerine, digna veraque propago patria.
Di Cane invece il F. narra, con concetto affatto diverso, ma con
parole non dissimili (vs. 185) :
Ecce dies felix, et lux instabat amati
Temporis, adventusque tui generosa propago.
Verde tosto prende sonno placidamente (vs. 216 sgg.):
At tua post dulces Veneris sopita labores
Mater in amplexu cari diffusa mariti ecc.
Adheleita per contrario non prenderà giammai sonno in sua vita
(Mussato, vs. 67 sgg.):
A tempore quidem, Nate, dicti criminis
Semper meduUas ussit aetneus vapor;
Viscera malignus ab inde torsit spiritus,
Nec nostra curis corpora absolvit sopor.
Tunc me vigilia vana, seu somni quies
Incerta tenuit.
Il Demonio nel comparire ad Adheleita era uscito dall'imo della
terra, levando questa un gran remore (vs. 30-2) :
Et ecce ab imo terra mugitum dedit,
Grepuisset ut centrum, et foret apertura Chaos;
Altumque versa resonuit coelum vice.
Comparisce il Demonio accompagnato dal tuono (vs. 35).
Tutto ciò dà magnijQcenza alla poesia del Mussato, e prepara
il lettore a fatti spaventosi si, ma grandi. Il F. non dimentica
l'effetto che qui produce il tuono o il boato, e ne approfitta,
a modo suo. Verde sogna di partorire un Cane che scuote il
mondo coi latrati (vs. 219-20):
Visa sibi est peperisse Ganem, qiii fortibus armis
Terrebatque suis totam latratibus orbem.
L'appellativo di grande, il Ferreto lo lascia intendere, venne
110 G. CIPOLLA
al neonato dal sogno che lo rappresentava, come si vede, quale
uno spaventoso cane, e dal fatto di suo straordinario vigore. Ciò fa
studiato e aperto contrapposto col racconto del Mussato. E sono
proprio espressioni studiate quelle del Ferreto, il quale volea
far dimenticare che Gangrande, quantunque di persona « bene
« compositus » passava tuttavia per un « homo non magnus » (1).
Verde dopo il sogno rimase confusa e tremante, expavU (vs. 224);
ma il suo timore è ben diverso dallo spavento e dall'orrore che
Adheleita provava pur nel pensare alle sue relazioni col de-
monio {l. e, vs. 3 sgg.). Alberto confortò Verde con belle pa-
role, ed essa si ricompose tranquilla, e s'addormentò. Intanto egli
andò ad inginocchiarsi davanti all'altare, e levò al cielo una
preghiera. Con questa preghiera comincia il libro III. La pre-
ghiera di Alberto va raffrontata alla supplica rivolta con fiere
parole da Ezzelino a suo padre il Demonio (vs. 91 sgg.). Ambedue
le preghiere cominciano col riconoscere la potenza del supplicato.
In Mussato:
Depulse ab astrìs mane iam lucens polis,
Pater superbe, triste qui regnum tenes,
Chaos profundum : cuius imperio lucent
Delieta Manes ecc.
Ferreto (III, 1 sgg.):
Juppiter omnipotens, coeli moderator et imae
Telluris, stygiique lacus, qui stagna profundi
Lata maris, teiTaeque globum metiris et astra ecc.
Il F. può aver avuto sott'occhio la preghiera di Edipo ad Atropo
in Stazio {Theb., I, 56), tanto più che poco dopo fa comparire le
Parche. Ma questo non toglie che il pensiero discenda sostan-
zialmente dal Mussato. Ezzelino ricorda al Demonio che sempre
gli era stato fedele, odiando Cristo:
Christum negavi semper exosum mihi,
Odique semper nomen inimicum Crucis.
(1) Sagacio Cazzata, ap. Murat., XVIII, 42; ma cfr. Chr. Ver., ap. Mu-
rat., VIII, 641.
STUDI SU FERRETO DEI FERRETI 111
E in Ferreto :
si te colui semperque putavi
Mente pium, si pura fides, et prorata voluntas
Speravit prodesse deum, nunc annue votis,
Dive, meis ecc.
In Mussato, l'invocazione finisce :
Annue Satan, et filium talem proba.
Adheleita, come riferimmo, narrò che (I, 68) :
Semper medullas ussit aetneus vapor.
In F. avviene l'opposto, e Verde partorisce senza dolore (vs. 52
segg.). Egli dice infatti (vs, 81-2): « nullum partu sensisse dolo-
« rem | visa sibi », E poco prima (vs, 75-6):
modicoque agitata labore
Deposuit gravitatis onus, peperitque virilem
Ex utero fetum; qui postquam vagiit infans
Editus et magnam vagitu terruit aulam ecc.
Qui ancora insiste il F, sul romore che accompagna l'apparizione
d'un personaggio importante, È la riproduzione del pensiero del
Mussato, che riportammo testé. Il F, non è peraltro contento, giac-
ché poco dopo (vs, 92-3) ritorna di nuovo sul forte vagito: « ingens
« I Vagitu clamor »,
Adheleita , vedendo il suo bambino , riconosce nelle fattezze
qual mostro avea partorito. In Mussato {l. e. vs. 59), essa dice,
rivolta al figlio:
Nec monstruoso, Nate, sine partu venis,
Necis prognosticus ventrem levas
Gruentus infans, fronte crudeli minax,
Terribile visu, atroxque; portentum indicans.
Verde vuol rimirare il suo bambino, e tutta si rallegra con-
templandolo (vs, 98 sgg,):
Obstupuit gavisa parens, cur tantus in ilio
Et vigor et magnos species diffusa per artus
Quae frons laeta nimis, patrique simillinius esset ecc.
112 C. CIPOLLA
Anche Verde temeva di non aver generato una persona umana,
e fu per ciò che volle tosto vedere il suo nato. Tutto questo
è il contrapposto della poesia del Mussato. Continua di li a poco
il F. (vs. 103-4):
Ut vero ancipites posuit de corde timores
Nympha Virens, viditque suum certissima natura
Humanam in speciem ecc.
Così le imprese di Ezzelino, tutte malvagie, trovano il loro con-
trapposto nelle conquiste di Gangrande, che le Parche prean-
nunziano sulla culla dello Scaligero (III, vs. 130 sgg.).
Farmi ormai inutile spigolare altri confronti, riguardanti que-
sto 0 quel passaggio mentre le comparazioni che abbiamo isti-
tuito bastano a provarci due cose. La prima è che il F. imitò
qui VEccerinis del Mussato, modificando il suo modello, e allar-
gandosi nelle narrazioni storiche. Come lo stile del poeta pado-
vano è asciutto, stringato, efficace; così quello del notaio vicen-
tino è ampio, frondoso, retorico. Le frasi classiche vi sono sparse
a mano larghissima; ma non impediscono che si riconosca chiaro
il tipo presente al poeta. I fatti storici che il Ferreto chiese ai
cronisti del tempo, e che con prodiga mano sparse nel suo poema,
non fanno che ampliare il nocciolo a lui offerto dal racconto
del poeta padovano. La seconda cosa che risulta provata è che
quanto il Ferreto narra di meraviglioso intorno alla nascita di
Gangrande, è parto unicamente della sua fantasia, e gli fu ispi-
rato dal desiderio di far di Gangrande il contrapposto di Ezzelino.
Intorno ad Ezzelino il popolo avrà narrato ciò che il Mussato
raccolse, e, fattolo suo, riprodusse artisticamente nella tragedia.
Quanto a Gangrande, non solo tutte l'altre fonti sono affatto lon-
tane dal dire quello che narra il F., ma non abbiamo alcun motivo
per credere che ciò a nessuno sia mai capitato in mente, fuori
che al povero poeta. Del resto il meraviglioso , di cui egli fece
tesoro, si riduce, a ben vedere, ad una scipita bizzarria.
Garlo Gipolla.
ll'b
PER LA DATA DELLA "VITA NUOVA,
E NON PER ESSA SOLTANTO
« Dopo questa tribulazione avvenne, in quel tempo che molta
«gente andava per vedere quella imagine benedetta, la quale
« Gesù Cristo lasciò a noi per esempio della sua bellissima figura,
« la quale vede la mia donna gloriosamente, che alquanti pere-
« grini passavano per una via, la quale è quasi mezzo della cit-
« tade, ove nacque e morio la gentilissima donna; e andavano,
« secondo che mi parve , molto pensosi. » Cosi leggiamo nella
massima parte delle edizioni verso la fine del tormentatissimo
libello (1); e qui dentro s'è vista da molti in passato (2), e ancor
si vede da un uomo di autorità somma — dal D'Ancona (3) —
(1) § 41, secondo la divisione Introdotta dal Torri.
(2) Non davvero, come taluni paion credere, dal Witte per il primo. Lo
dirò colle parole del Witte medesimo : « Quasi tutti gli scrittori che parlano
« di questo passo, a cominciare dal Sermartelli, lo riferiscono all' anno del
<i giubbileo » (La Vita Nuova, Lipsia, 1876, p. 114). Per il Sermartelli, o
per chi altri abbia curato Tediz. stampata da lui, la cosa risulta dalla parola
Giubileo messa nel margine accanto al passo, quale indicazione del contenuto.
(3) La Yita Nuova, 2» ed., Pisa, 1884, p. xiv della Prefazione.
Giornale storico, VI, fase. 16-17. 8
114 PIO RAJNA
e con una specie di accanimento dal Lubin (1), un'allusione al
Giubileo del 1300.
Che lallusione ci si contenga, negò trentanni fa il Todeschini (2),
e negarono recentemente il Giuliani, il Fornaciari (3), il d' Ovi-
dio (4). Il Todeschini, dalla variante va invece di andava offer-
tagli dalle edizioni Pesarese e Serraartelli e dal codice Ghigiano,
disse di non lasciarsi muovere « per nulla ad alterar la volgata »;
ma ingegnosamente ci scorse una prova « che l'uso di andare a
« questo pellegrinaggio continuava anche al tempo dei copisti
« cui la variante si dovrebbe; che non si tratta quindi del giu-
« bileo, né di altra straordinaria occasione, in cui siasi mostrata
« la Veronica, ma di una occasione che si riproduceva tutti gli
« anni. » Il Giuliani invece , nell' ultima sua edizione , adotta e
propugna il va; e che cosi sia da leggere crede parimenti il
Fornaciari, non sgomentandosi del resto neppur dell'ipotesi che
Dante possa aver scritto andava. Quanto al d'Ovidio, di questo
punto speciale egli non tocca.
n problema della lezione ha qui un' importanza capitale, e non
si può di certo muover d'altronde che da esso. All'autorità dei
codici si son già richiamati, in maniera troppo vaga il Giuliani, e
con maggior larghezza di esame e determinatezza di indagini il
Fornaciari ; ma converrà precisare ancor più che non si sia fatto
da lui, ed aggiungere nuovi dati. Per gli spogli eseguiti in ser-
vigio di questa o quella edizione si sapeva leggersi va nel co-
(1) Dante spiegato con Dante e Polemiche Dantesche , Trieste , 1884 ,
pp. 39 sgg. e 95.
(2) Todeschini, Osservazioni sul testo della Vita Nuova, t. II, p. 94
degli Scritti su Dante. Di questo lavoro il Todeschini parla come di cosa
compiuta in una lettera al Witte del 15 aprile 1854 (p. 101). Le sue espres-
sioni permetterebbero di pensare che esso fosse terminato anche da un tempo
non molto breve ;'ma la postilla che ci riguarda — una delle ultime, si badi —
non può essere anteriore al 1854, perchè contiene la citazione di un libro che
porta anch'esso in fronte come data quel medesimo anno.
(3) Giuliani, La Vita Nuova, 3* ed., Firenze, 1883, p. 152; Fornaciari,
Studi su Dante, Milano, 1883, pp. 116 e 156.
(4) La Vita Nuova di Dante ed una recente edizione di essa, nella
Nuova Antologia, 2» serie, t. XLIV (marzo, 1884), p. 247.
PER LA DATA DELLA « VITA NUOVA » ECC. il5
dice Gorsiniano 1085 (1), nel Ghigiano, L. V. 176 (2), in quello
donato dal Witte alla biblioteca di Strasburgo (3). Va, non an-
dava, ho visto io stesso, per buona parte dopo il Fornaciari, in
dodici manoscritti fiorentini : sei spettanti alla Nazionale, GÌ. VI,
143, GÌ. VII, 187 e 1103, SS. Annunz., B. 2, 1267, Palat. 119, e
204, 0 piuttosto E. 5. 5. 43; cinque alla Laurenziana, PI. XL, 31
e 42, PI. XG sup., 136 e 137, e — ospite nuovo — Ashburnham
679 (4); uno finalmente alla Riccardiana, 1050 (5). Di un tredi-
cesimo codice fiorentino in mano privata e di parecchi suoi con-
fratelli sparsi per l'Italia so che leggono va grazie all'altrui cor-
tesia. Sono il Martelliano ben noto, il Vaticano-Gapponiano 262,
il Napoletano XIII, G. 9, il Trivulziano 1050, l'Ambrosiano R. 95
sup. 13, il Braidense AQ, XI, 5, il Marciano Gì. IX, 191 (6). Gon-
corda altresì il codice 445 della Gapitolare di Verona , salvo il
portar vae in cambio di va (7). Segno a parte per un eccesso
di scrupolo il va dell'edizione pesarese e sicuramente anche del
codice andato a finire Dio sa dove su cui l'edizione fu condotta;
(1) Vedi l'ed. Torri.
(2) Vedi l'ed. maggiore del D'Ancona, mia quanto al testo, dove ben cinque
altri va avrebbero ad esser registrati — con qual conseguenza, non è questo
il momento di dire — se gli spogli dei relativi codici , eseguiti dal buon
Calvi, impiegato alla Nazionale di Firenze, e dovuti adoperare senza nem-
meno aver visto la coperta dei volumi , non avessero lasciato a desiderare
parecchio. Almeno mi par poco probabile che si tratti invece d'una mador-
nale inavvertenza mia propria , ancorché delle colpe mie in quel lavoro ,
giovanile affatto e affrettato contro volontà, non ne manchino davvero.
(3) Vedi appunto l'ed. del Witte.
(4) Questo 679 è il numero che il codice ha portato dall'Inghilterra e che
dovrà poi far posto a non so qual altro. Neil' inventario presentato al Par-
lamento dal Governo in occasione dell'acquisto è diventato 610.
(5) Un altro codice Riccardiano , il 1054 , non ci dà della Vita Nuova
altro che il principio.
(6) Per i codd. Martelliano, Vaticano, Napoletano, sono tenuto al signor
P. Papa; per questo Trivulziano, e per un compagno suo da citarsi or ora,
al conte G. Porro ; per l'Ambrosiano e il Braidense all'amico F. Novati ; per il
Marciano — anzi per due Marciani — al conte G. Soranzo.
(7) Superfluo perfino dire che qui la lezione mi viene dalla gentilezza ,
nota a tutti, del bibliotecario Mons. Giullari.
116 PIO RAJNA
per uno scrupolo invece doveroso, quello dell'edizione Sermar-
telli, che non ha diritto d'esser tenuto a calcolo se non ci di-
mostra d'esser uscito d'altronde che da uno dei manoscritti già
enumerati.
E andava? — ATidava, introdotto e propagato dal Biscioni, vorrà
esser cercato anzitutto nel cod. biscioniano, che si trova diventato
attualmente il marciano GÌ. X, 26. E noi ve lo troviamo in realtà;
sennonché è scritto in margine di mano tanto o quanto posteriore,
mentre nel testo è va che si legge qui pure. Un altro andava
come lezione del testo abbiamo bensì in un secondo codice Ash-
burnhamiano, vale a dire nell' 843 (1); un terzo ed ultimo nel
Trivulziano 1058.
Numericamente le cose non van bene per Yandava. Stanno
da una parte ventiquattro testimoni perlomeno, dall'altra tre;
che se il non esser propriamente completa la mia rassegna dei
codici (2) lascia adito alla possibilità di veder sbucar fuori per
Yandava qualche altro fautore, un'esperienza cosi larga ci attesta
che cresceranno assai più anche gli avversai'i. Ma alla ragione del
numero la critica bada poco: pesa le testimonianze, non le conta.
Sennonché, pur guardando le cose sotto questo rispetto, le sorti
non paiono voler mutare. In quel coro di ventiquattro e più voci
non ne mancan di sicuro di fioche e di stonate; ma ci si tro-
vano altresì tutti i più fedeli esecutori della musica giovanile
dantesca. Noto in primo luogo il Magliabechiano VI, 143 (3); e
(1) 774 dell'inventario governativo.
(2) Non so intanto come legga il codice Cavalieri (Witte , Vita Nuova,
p. xxviii), non so come legga il Bodleiano 114 (Catalogo Mortara, col. 128).
E di certo ne esiston degli altri.
(3) Come mai conoscendo questo codice il Biscioni abbia potuto dire nella
Prefazione all'edizione sua (Prose di Dante Alighieri e di messer Gio. Boc-
cacci, p. xxxviiii), « Non è stato possibile qui in Firenze vederne » (della
Vita Nuova e del Convito) « alcuno esemplare del 300 », è cosa poco men
che incredibile; si capisce bensì come il possessore abbia preferito un ma-
noscritto mediocre, ma suo, ad uno eccellente appartenente ad altri. Solite
debolezze! Del resto quella nota dei manoscritti « che sono serviti per la
« presente Edizione » (p. 411), è una mera lustra, e per poco non è a dire
PER LA DATA DELLA « VITA NUOVA » ECC. 117
meritano di stargli vicini, e per età e per valore, il Martelliano,
il Riccardiano, e credo bene anche il Veronese. Vuol pur es-
sere avvertito l'accordo che si manifesta in questo caso tra fa-
miglie di codici nettamente distinte: quella che dà le divisioni
delle rime come parte del testo; quella che le converte in glosse;
quella che le tralascia. Che se poi ci si fa a considerare come
sia composto il terzetto che abbiam dall'altra parte, non lo pren-
diamo davvero in maggior stima di quel che porti la sua esiguità
numerica. Del codice biscioniano si parla dai moderni con ter-
mini enfatici di cui proprio non par degno (1) ; gran merito es-
sere stato la fonte della cosiddetta volgata, una volta che questa
volgata lascia tanto a desiderare ! Ma il peggio si è che Vandava,
stando colà come variante o correzione segnata da un lettore,
perde a dir poco quattro quinti della sua autorità. Quanto al
codice Ashburnham, è, a fargli grazia, della fine del quattrocento;
e sproposita cotanto, e dappertutto e nel nostro passo mede-
simo (2), che proprio dalla sua lancia imbelle non sappiam troppo
che aiuto possa venire. Resta così a sopportare pressoché tutto il
peso della lotta il codice Trivulziano, ch'io non so dire quanto
propriamente valga (3), ma cui non si fa di certo ingiustizia di-
chiarandolo impari a un tanto compito: esso, scritto nel 1425, a
un' impostura. Tutto si dovette ridurre a dare un'occhiata, e a riscontrare ,
se mai, qualche passo.
(1) Preziosissimo lo dice L. Pizzo nella sua edizione della Tita Nuova ,
Venezia, 1865, pp. xiii e 138. Della sua preziosità aveva parlato un secolo
fa il Morelli, Bibl. manoscritta di Tomm. Gius. Farsetti., Venezia, 1771,
p. 283; e famoso lo aveva predicato, in una nota apposta al cod., il Farsetti
medesimo (Pizzo, p. 139). E dire che il Biscioni stesso aveva invece sentito
il bisogno di scusare la scelta , dicendo in sostanza che non aveva trovato
di meglio!
(2) « Dopo questa tribulatione auenne che molta gente andava per
« uedere quella imagine benedetta la quale yhu xpo lascio a noi per esemplo
« della sua bella figura la quale uide la mia donna gloriosamente » ecc.
Se non fosse che il codice Trivulziano ha le parole « in quello tempo », si
sarebbe stati portati a credere Vandava un prodotto della loro omissione.
(3) Non ho nemmeno alla mano, per farne un poco di prova, la rarissim
edizione milanese del 1827, per la quale il codice fu adoperato assai.
118 PIO RAJNA
Treviso, da un lombardo. Però fino da ora non si può dubitar me-
nomamente che quando sarà compiuto il lavoro di classificazione
e di confronto di tutti i codici della Vita Nuova, il risultato verrà
ad essere che in questo luogo va, non andava, è la lezione vo-
luta dalla tradizione manoscritta.
Di questo va non s'inquieta troppo il Lubin: crede che esso si
concilii assai bene anche coll'allusione al Giubileo (1): « Si dica
« dunque che, se la vera lezione è in quel tempo che molta
«gente va per vedere ecc. quel va indica un tempo che non
« era ancora passato, un anno che non era ancora finito quando
« l'autore scriveva quel racconto; e che secondo i dati storici
« quell'anno non può essere se non il 1300 (2) », Che il Lubin
abbia potuto persuadersi di una cosa siffatta, è per verità un po'
strano. 0 che sorta di lingua vuol far scrivere a Dante ! Non ha
egli visto che in quel tempo designa qualcosa di più o men
lontano, o che si rappresenta come tale? E lasciamo pur stare
altri sgorbi ed altre sconvenienze che risultano da questa sua
idea peregrina. Insomma, che dato il va non si possa assoluta-
mente intendere altrimenti se non * nel tempo in cui molta gente
«suole andare», è cosi manifesto che sarebbe sciupar tempo
e spazio l'insisterci. E il Lubin stesso si persuaderà che fino a
qui almeno i suoi avversari hanno ragione, una volta che abbia
capito cosa propriamente essi sostengano, il che — non so come —
non pare essergli riuscito finora (3).
Ma con ciò la questione non è punto finita di risolvere. L'au-
tografo della Vita Nuova nessuno di noi l'ha veduto, e potreb-
(1) Anche il Sermartelli pensò, come s' è visto, al giubileo, e nondimeno
il suo testo dice va. Ma egli non ebbe a rifletter più che tanto se le due
cose potessero o no stare insieme.
(2) Pag. 95.
(3) Egli sembra ostinarsi a credere (vedi pp. 40, 41 , 43 , 95) che il quel
tempo anche per coloro che dissenton da lui abbia a designare un anno deter-
minato. Ma per essi non designa niente affatto un anno, bensì una stagione,
un periodo di ogni anno. Lo aveva pur già detto chiaramente il Todeschini
nel luogo riportato in principio.
PER LA DATA DELLA € VITA NUOVA » ECC. 119
bero pur esserci ragioni intrinseche cosi forti, che costringessero,
a dispetto della critica diplomatica, a scartare la lezione va ed
a mantenere nel testo Vandava. Ossia, potrebbero pur esserci mo-
tivi (se non fosse per ciò, chi mai vorrebbe pensare a ribellarsi
ai risultati di quella critica (1)?) i quali ci mettesser proprio
nella necessità di vedere indicato nelle parole di Dante il Giu-
bileo di Papa Bonifazio. La questione si trasforma, e diventa un
problema prettamente storico.
Si legga comunque si vuole, l'Alighieri ci rappresenta « molta
« gente » che si conduce a Roma in pellegrinaggio. Nessun dubbio
che nel 1300 della gente ve ne sia andata moltissima; ma i critici
della Vita Nuova paiono non aver saputo abbastanza che moltis-
sima ce ne andava da otto secoli almeno (2). Il passo più antico
che sia da prendere in considerazione a questo proposito è disgra-
ziatamente alquanto incerto di lezione ed anche di significato.
Si tratta di alcune parole riguardanti S. Pietro , scritte da S. Ge-
rolamo nel principio dell'opera De viris illustribus o De scripto-
ribus ecclesiasticis come s'abbia a chiamare: « Sepultus Romae
« in Vaticano^, juxta viam triumphalem, totius orbis veneratione
« celebratur (3). > Orhis od urì)is? — I codici variano ; e da loro,
finché non sian stati studiati e ordinati sistematicamente, è vano
sperare una decisione. La decisione bisogna dunque domandarla ad
(1) Non ci si ribellerebbe di certo il Todeschini, che rifiutando il Giubileo
riteneva Vandava perchè a lui non risultavano ragioni sufficienti di dargli
lo sfratto. E il bisogno di darglielo non lo sentiva; poiché, se è assurdo
ammettere il va e tener fermo il Giubileo, all'opinione di chi non vuol sa-
pere del Giubileo Vandava non darebbe gran noia. In che modo , ha detto
assai bene il Fornaciari, p. 156.
(2) Per la conoscenza e per lo studio di questo punto mi è stata di somma
utilità l'opera modesta di mole , ma giudiziosa ed erudita, che in occasione
del Giubileo del 1750 pubblicarono in Roma Raflaele Sidone e Antonio Mar-
tinetti : Bella Sacrosanta Basilica di S. Pietro in Vaticano, Libri due ;
vedi t. I, pp. 136-150, il paragrafo intitolato II concorso de' Popoli al Tempio
Vaticano.
(3) Nella grande edizione delle Opere curata dal Vallarsi , Verona, 1734,
II, 813.
120 PIO RAJNA
argomenti intrinseci ; e ancor essi si fanno gioco di noi, schieran-
dosi in due campi. Qualcuno sta per orbis: la venerazione della
sola Roma sembra poca cosa ; e di certo anche il totius ci farebbe
aspettare non so che di più ampio. Ma d'altra parte, mentre un
mutamento di urbis in orbis per opera dell'età successiva s'in-
tende a meraviglia perchè d'accordo coll'evoluzione delle idee e
dei fatti, per venire da orbis ad urbis s'ha come a far cammi-
nare la storia a ritroso. S'aggiunga che dà a conoscere di aver
letto urbis l'autore dell'antica traduzione greca (1). Tutto pon-
derato, la bilancia piega dunque di qui, e rimane ben scarsa la
probabilità che S. Gerolamo ci attesti già incominciato nel 392 —
in quell'anno egli scriveva — il gran moto del mondo cristiano
alla volta di Roma. E a scemare ancora siffatta probabilità si fa
innanzi la considerazione che quel tanto che Vorbis ci darebbe
ce lo può ritogliere il celebratur, in quanto esso colle parole che
l'accompagnano può esprimerci anche la venerazione che i fe-
deli avessero per S. Pietro senza muoversi di casa loro. In com-
penso tuttavia leggendo urbis la frase, se perde in estensione,
acquista in intensità. Ristretta ai soli Romani, la venerazione, a
meno di fare di S. Gerolamo un eretico, vuol esser qualcosa di
più concreto. Soggetto logico del periodo sarà di sicuro, non la
persona o la memoria di Pietro, ma il suo sepolcro ; il celebrari
andrà inteso nel senso proprio di essere frequentato (2); e così
un principio di pellegrinaggio — esistesse già, come par proba-
bile, 0 non esistesse la chiesa — noi lo verremo pur sempre ad
avere.
Che i cominciamenti sieno oscuri ed irti pertanto di difficoltà
(1) Questa traduzione, stampata a fronte del testo nell'edizione citata, rende
il passo così: Kri&euGeic; òè èv 'Pib|Lir) èv tùj BoTiKdvuj TrXrjaiov Tfì<; óboO t^c,
èuiKXriv TpiounqpaXiaq , |Li€Tà TiavTÒc, toO oePd(T|aaToq Trapà tù)v 'Pu)|aaiujv
epriaKeùerai. Al 'Puj|Liaiuiv si può esser tentati di dare, e in più d'un modo,
un significato assai più esteso che non sia quello degli abitatori di Roma;
ma r èv 'Piifiij che precede dissuade dal persistere nell'idea.
(2) Se l'astratto veneratione sembra far diflBcoltà, si pensi quanto spesso
si dica in italiano « esser frequentato dalla divozione dei fedeli ».
PER LA DATA DELLA « VITA NUOVA » ECC. 121
e di questioni, è una verità che neppur stavolta ci si è voluta
smentire. Ma se qui le nubi non ci permettono di discernere con
certezza se siamo ai primi albori o se il sole è già spuntato,
un secolo dopo — non gran cosa nei giorni dell'umanità — esso
è già alto sull'orizzonte. ìi^aW Apologeticus che per incarico di
un Sinodo S. Ennodio scrisse nel 501 o nel 502 (1) in difesa di
papa Simmaco e del Sinodo stesso, ci son parole che non lasciano
luogo ad equivoco. A Roma è venuto il vescovo di Aitino, nomi-
nato Visitator della Chiesa romana da Teodorico, a istigazione
della parte avversa a Simmaco e fautrice del suo competitore
Lorenzo; c'è venuto: e sobillato da questa fazione, non si è nep-
pur fatto vedere a S. Pietro: « Invisis Beati Apostoli liminibus
«ad usum furoris vestri jam nescius sui advocatur; et illud
« quod ex omnibus orbis cardinibus devotos attra-
«hit, positum in vicinitate transitur (2).» E qui Ennodio, ri-
spondendo ad un'obbiezione che immagina poterglisi fare per
toglier valore a quest'atto di ossequio intralasciato, parla della
moltitudine di guarigioni e di liberazioni di ossessi avvenuta in
quel luogo (3).
(1) La data precisa soffre in conseguenza dell'incertezza cronologica che
e" è riguardo ai sinodi che fecero capo al trionfo di Simmaco; vedi parti-
colarmente la discussione del Mansi , nella sua edizione dei Concila, Vili ,
303 sgg. Si tratta peraltro di un' oscillazione più che trascurabile per noi.
Al massimo, ma contro ogni probabilità, V Apologeticus di Ennodio potrebbe
esser fatto discendere fino al 503.
(2) Nell'edizione sirmondiana delle Opere di Ennodio, p. 343 ; nei Concila
del Mansi, Vili, 283.
(3) Il passo merita d'esser riportato, perchè mostra che, se i pellegri-
naggi e la venerazione delle reliquie avevan già preso gran piede , si po-
tevano ancora disapprovar queste cose senza passar per eretici: « Dicatis
« forsitan , Apostoli genio decerpi , si putatur coeli civis terrarum locis in-
« ciudi. Tamen, quamvis benedictio poscentibus ubique praestetur, et exigat
« praesentiam martyris fides et devotio supplicantis, negari non potest, di-
« ligentiae natali solo plus tribui, et majorera affectum loca impetrare, de
« quibus ad superna transitur. Quam fidem allegationi curationum multitudo
« jam praestitit, et utimur post obsidionem diabolicam testibus jam sanatis.
« Haec licet per redemptorem nostrum in toto orbe celebrentur, est tamen
122 PIO RAJNA
Passiamo alla prima metà del secolo Vili. Sarà un indizio in-
diretto, ma pur sempre significativo, quello che risulta da certe
parole, scritte, pare, nel 730 da papa Gregorio II a Leone Isau-
rlco, l'Iconoclasta (i). Leone aveva minacciato di distruzione l'ef-
fìgie del Principe degli Apostoli : di lui, risponde il Pontefice, « che
« tutti i regni dell'occidente hanno in conto di un Dio terre-
stre (2) ! E lo sfida a provarcisi, se vuole sperimentar le ven-
dette degli occidentali. Tutta questa venerazione pressoché ido-
latra, questo presunto accanimento di tanti regni per la difesa
di un simulacro che sta senza dubbio nella chiesa di S. Pietro (3),
indica che a quella chiesa si viene senza dubbio da ogni parte.
Procediamo di un mezzo secolo. Al tempo di Carlo Magno, Al-
enino, nell'omelia « In natalibus S. Willibrodi », scriverà, « Roma
« urbs , orbis caput , beatorum Apostolorum Petri et Pauli spe-
« cialius quodammodo gloriosissimis laetatur triumphis. Unde ad
« eamdem et gentes et populi cum devoto pectoris officio cotidie
« concurrunt, ut majori quique apud Apostolos fidei compunctione
« vel sua defleant crimina , vel coelestis vitae abundantiori spe
« sibi aditum aperiri deposcant (4). » Qua dentro mette conto di
rilevare quel S. Paolo accoppiato con S. Pietro. Lo rilevo per
mettere in guardia contro deduzioni eccessive : i pellegrinaggi a
Roma erano indirizzati anzitutto a Pietro, e Paolo veniva ad es-
« non modica monumenti illius per frequentiam comparata nobilitas ». Si
noti che qui si ragiona così tranquillamente con avversari che per solito si
caricano d' ingiurie.
(1) Vedi il Baronio, all' anno 726 : data corretta dal Pagi nell' edizione
lucchese, XII, 345.
(2) éiraYYéXXt) KaTaXOaai xal àqpaviam tòv xapoKTfìpa toO dYiou TTérpou,
8v ai TtSaai 3acriXemi Tr\<^ b^aeujc, Geòv èiriYeiov éxovai. Così la versione
greca, nella quale soltanto ci è pervenuta la lettera (ed. cit., pag. 353).
(3) 11 simulacro si ritiene essere la statua famosa, adesso di S. Pietro, un
tempo di Giove. Per verità il xapoKxfìpa non parrebbe favorevole a questa
idea; ma è da considerare che abbiamo a fare con una traduzione. Quanto,
al trattarsi a ogni modo di cosa che è nella gran basilica romana, nessun
dubbio.
(4) Ada Sanct. Ord. S. Ben., sec. Ili, anno 739: III, i, 573 nell'edizione
di Venezia.
PER LA DATA DELLA « VITA NUOVA » ECC. 123^
serne in generale solo come una specie di accessorio (1). Facile
veder le ragioni.
Nella sua omelia Alenino enumera dopo Roma varie altre città
rese insigni dalla memoria e dal sepolcro di questo o quel santo :
Milano, Tours, Parigi, Reims. Avesse scritto qualche poco più tardi,
non avrebbe potuto tacere di un luogo per sé oscurissimo, cre-
sciuto rapidissimamente ad una fama immensa per motivo appunto
di una tomba. Egli viveva sempre o era morto appena , quanda
nella remota Galizia, presso il capo che conserva ancora il nome
di Finisterre, fu ritrovata o si credette trovata — tutt'uno per quei
tempi — nientemeno che la tomba di un altro apostolo , cioè * di
S. Jacopo (2). E allora ecco anche a quella volta dirigersi i pel-
legrini in gran folla. Andavano a Gompostella, e nella Spagna,
anzi forse più ancora nella Spagna che altrove, si chiamavano
tuttavia e continuarono sempre a chiamarsi Romei: persistenza
buona essa pure a servir di riprova della somma frequenza
delle peregrinazioni romane nelle età anteriori. Roma peraltro
non ebbe alcun bisogno di cercare in questo vestigio del passato
consolazione nessuna: essa non dovette neppure accorgersi di un
rallentamento di frequenza a' suoi santuari. Molti d'allora in poi
fecero un pellegrinaggio di più; e se i luoghi di pellegrinaggio
si accrescevano, crescevano anche i devoti, giacché nuove na-
zioni, vergini di fede, si venivano guadagnando al cristianesimo.
E meno che mai Roma ebbe poi a patir danno allorché anche
un'altra tomba in Europa acquistò attrattiva stragrande. Curioso-
(1) Per quel che riguarda il periodo delle origini, si noti come S. Giro-
lamo ci parli bensì nell' opera già allegata (cap. 5) anche del luogo della
sepoltura di S. Paolo, ma senza pronunziar nessuna frase che faccia riscontro
a quella che abbiamo udito per S. Pietro : « Hic ergo quarto decimo Neronis
« anno, eodem die quo Petrus, Romae prò Ghristo capite truncatur, sepul-
« tusque in via Ostiensi, anno post passionem Domini tricesimo septimo. »
(2) L' anno preciso della grande scoperta non si conosce ; ma merita cre-
denza r Historia Compostellana che colloca il fatto al tempo di Alfonso il
Casto e di Carlo Magno, opperò tra il 791 e r8i4. Vedi Dozy, Rech. sur
V /list, et la littér. de V Espagne, 3« ed., Il, 398-99.
124 PIO RAJNA
fenomeno quello di un santo da dozzina, qual è, a fargli grazia,
S. Egidio, in origine di certo non più miracoloso di altri infiniti,
venuto, non poco tempo dopo la sua morte, a riuscir terzo ac-
canto a due apostoli (1)! Io vado tuttavia pensando, e la crono-
logia mi conferma nell'idea, che cotale celebrità si colleghi stret-
tamente col fatto dell'essere Sain Giti, Saint Gilles, a mezza strada
tra Roma e Compostella (2), e ritengo che la frequenza colà vada
debitrice di molto al grande accorrere che si faceva agli altri due
pellegrinaggi (3). Del resto, per quanto famoso, S. Egidio non
(1) Si veda una carta del 1046 citata dal Mabillon {Ann. Ord. S. Ben. ,
IV , 434 neir edizione di Lucca) di cui si son ricordati opportunamente i
Bollandisti nel Commentario intorno a S. Egidio, Sett. I, 285. Odolrico, arci-
vescovo di Lione, approva che il Monastero di Savigny accetti la donazione
di una chiesa e le offerte « quas attulerint homines peregrini et Romei,
« pergentes ad loca sanctorum, tam ad beatam Mariam et sanctum Petrum
« Romae, quam ad sanctum Jacobum et sanctum Aegidium ». A questa
voce, che viene un po' da vicino, serva di conferma una che giunge dal-
l' Italia. Lo spedale, cioè V ospizio d'AItopascio, il più celebre tra gli spedali
di pellegrini in Europa, era dedicato a S. Jacopo e a S. Egidio. Vedi i do-
■cumenti che ci presenta il Lami suW Hodoeporicon di Caritene ed Ippofilo
(Deliciae Eruditorum) , pag. 1370 sgg. Oltre a questi duo santi appare a
volte anche S. Cristoforo, per un motivo diverso dal loro e facile a scorgere.
Ma di lui si tace troppo spesso, o meglio si fa menzione troppo raramente,
perchè non sia chiaro che gli si aveva assai meno riguardo. Nella chiesa
il suo posto sarà stato di certo sulla parete esteriore.
(2) Queste due città si considerano proprio come i due capi di una grande
Via Sacra. Però in un documento del secolo XIII — bisogna che anticipi
qui in nota una citazione che ripeterò più oltre nel testo — l'Ospizio di
S. Bartolommeo al colmo dell' Appennino Pistoiese ci si dice posto sulla
strada « que celebri us Romam et Sanctum lacopum ducit ».
(3) Veda il Paris, che ha rilevato anch' egli la singolarità della cosa
(Vie de Saint Gilles., pp. lxxiii-iv), se questa riflessione gli paia adatta a
diradare un poco il mistero. Fra Compostella e Roma v'erano certo molti altri
luoghi che potevano approfittare, e che approfittarono anche difatti della
felice loro situazione; ma intanto, a nessuno che fosse posto o in territorio
spagnuolo o in territorio italiano era possibile di uscire dalla mediocrità
per la ragione dell'aver troppo vicino, qui S. Pietro, là S. Giacomo: chi
vede mai le stelle quando sull* orizzonte e' è il sole ? Invece un santuario
francese poteva fare grande assegnamento sul bisogno vivissimo che doveva
sentire la Francia di possedere anch' essa un santuario di prim' ordine: oltre
alla ragione dell' amor proprio, è tanto comodo l' avere ad una distanza non
PER LA DATA DELLA « VITA NUOVA » ECC. 125
minacciò mai di offuscare S. Jacopo, e meno ancora S. Pietro;
bensì, come sempre accade di coloro che son portati in alto da
ragioni casuali, decadde abbastanza presto esso medesimo (1).
S. Jacopo era già visitatissimo (2), S. Egidio ancora non credo (3),
quando, intorno all' 865, Papa Niccolò I, a dimostrazione che la
Chiesa Romana è propriamente chiesa cattolica, universale, mette
soverchia un posto dove farsi fare dei miracoli ogni volta che occorra! E
quando il bisogno c'è, si trova poi anche sempre chi ci sa provvedere. Né
il bisogno era dei francesi soltanto. Moltissimi si movevano dalla Spagna
per venire a S. Pietro, molti dall' Italia per andare a S. Jacopo , ai quali
per istrada mancavan le forze per compiere il viaggio. Senza S. Egidio
avrebbero perduto la fatica. E qui entrò forse di mezzo anche una giusta
compassione da parte dei pontefici, che forse per riguardo a questi volonterosi
impotenti largirono a S. Egidio un poco di quei tesori di indulgenze di cui chi
conosca la misura delle penitenze imposte nel medioevo ai peccatori sa qual
bisogno supremo si dovesse provare. E tanto più i papi dovevano esser disposti
a favorire S. Egidio e a farne come una specie di simulacro dei santuari mag-
giori, in quanto il monastero apparteneva propriamente alla Santa Sede, che ne
difese sempre vigorosamente il possesso, e in quanto era intitolato a S. Pietro,
e insieme con lui a S. Paolo ( Bollandisti , t. cit. , p. 292). Ragioni pa-
recchie, come si vede;. ma che tutte non fanno se non rifrangere in vario
modo queir unico raggio della situazione a mezzo del cammino di S. Jacopo
e di S. Pietro : non propriamente sulla strada, ma cosi vicino ad essa da non
far diflferenza alcuna.
(1) Un segno molto espressivo di questa decadenza ce lo darà quello stesso
Altopascio da cui s' è avuta una prova della gloria. A poco a poco i docu-
menti mettono S. Egidio in disparte, finché esso sparisce del tutto. Soltanto
di S. Jacopo parla la Regola del 1239, di cui ho sott' occhio 1' antica tra-
duzione italiana, pubblicata parzialmente dal Lami, Op. cit., pp. 1432 sgg.,
e integralmente dal Fanfani, nella Scelta di Curiosità letterarie, n" 54,
Bologna 1864 {Regola dei Frati di S. Jacopo d' Altopascio). Vedi in que-
st' edizione pp. 15 , 16 , 22 , 30 ecc. ecc. Cosa da far propriamente mera-
viglia, S. Egidio, nonché tra i santi per cui i frati digiunano (pp. 36-37),
non ha neppur più luogo tra quelli di cui si deve « 'guardare » la festa
(pp. 38-39).
(2) Vedi una testimonianza anteriore di qualche anno alla metà del se-
colo IX in un testo arabo tradotto dal Dozy, Op. cit., II, 277.
(3) Me ne persuade una lettera scritta neir879 da Giovanni Vili agli
arcivescovi di Arli, Narbona, ed Aix, perché mettano al dovere il vescovo
di Nìmes usurpatore dei diritti romani su quel monastero, dove, lasciando
altro, se ne parla come di « quoddam monasterium » {Epist. 191 ; Concilia,
ed. Mansi, XVII, 130).
126 PIO RAJNA
sotto gli occhi dell'imperatore Michele le tante migliaia d'uomini
che « ex omnibus finibus » vengono « quotidie » a cercare la
protezione e l'intercessione di S. Pietro, e che fan sì che Roma
paia raccogliere in sé tutte le nazioni (1). Due secoli dopo, nel
1080, Gregorio VII darà una solenne lavata di capo al vescovo
di Rouen, perchè né lui né i suoi suflfraganei s erano ancora,
dacché egli era papa, fatti vedere a Roma : « Qui vero labor, aut
« quae difflcultas prae aliis dissuasit vobis per tantum spatii Beatum
« Petrum negligere, cum ab ipsis mundi finibus etiam gentes
« noviter ad fidem conversae studeant annue tam mulieres quam
« viri venire ad eum (2)? » E chiuderò le citazioni con Pietro
(1) « Siquidem tanta inillia hominuiti protectioni ac intercessioni beati
«. apostolorum principis Petri, ex omnibus finibus terrae properantium, sese
« quotidie conferunt, et usque in finem vitae suae apud ejus limina semet
■« mansura proponunt, ut, ■» ecc. {Epist. 8: Concilia, ed. cit., XV, 207). Se
Niccolò ha voluto dire che ogni giorno arrivano a Roma non so quante
migliaia di pellegrini, la sua è un' esagerazione avvocatesca ; se invece ha
inteso che molte migliaia son di continuo per le strade, non dirà altro che
il vero. E cosi per mettere al coperto la sua veridicità non bisogna, non-
ostante la grammatica, riferire a tutte quelle migliaia il proposito di rima-
nere a Roma fino alla morte. Certo ve ne rimanevano e ve ne morivan
molti: quanto mai istruttiva a questo riguardo una bolla di Leone IX, del-
l'anno 1049 (CoUect. Bullar. Sacros. Basii. Vatic, Roma, 1747, 1, 22 sgg.);
ma di coloro che vi lasciavan la vita un gran numero, se non i più, s'eran
messi in cammino con tutt' altra intenzione. Morivano a Roma come tanti e
tanti altri morivano in viaggio, o andando o ritornando.
(2) Lib. 9, ep. 1: Concilia, ed. cit., XX, 339. Anche qui dentro, come
presso Niccolò, c'è dell'esagerazione; e consiste in queW annue, che certo
deve contrapporsi al per tantum spatii, e col quale si vengono pertanto a
significare dei pellegrinaggi annuali delle persone medesime, che fanno ap-
parire viepiù riprovevole la continuata negligenza del vescovo e dei suoi.
Ora, che tutta la cristianità — il perfino significatoci dall' ab ipsis e dal-
Yetiam viene ad includere naturalmente gli altri — venisse a Roma una
volta l'anno, questo è propriamente un po' troppo! Ci saranno ben stati di
coloro che ci saran venuti molte e molte volte, e anche per molt' anni di
seguito; ma per quanto si voglian supporre numerosi, raiFrontati all'univer-
salità dei cristiani o anche solo dei pellegrini, è impossibile che non fos-
sero eccezioni. Vero che Gregorio non dice veniunt, bensì student venire;
sennonché, se al desiderio e al proposito non seguiva l'effetto almeno in
misura assai larga, Gregorio non era in diritto di parlare a quel modo;
PER LA DATA DELLA « VITA NUOVA » ECC. 127
Mallio, che nella preziosissima descrizione della Basilica Vaticana
dedicata ad Alessandro III, ci ha lasciato scritto: « Quia igitur
« totus orbis terrarum huic sanctissimae Dei et beati Petri Apo-
« stoli basilicae... debitae subjectionis exhibet obsequium, multi ex
<■' diversis mundi partibus, ob reverentiam ejusdem Apostoli, hic
« conveniunt oratores (1), in tantum siquidem, quod multoties vix
■« ad altare possumus accedere (2). »
A queste attestazioni giova soggiungere due prove d'altro ge-
nere , le quali non hanno meno valore davvero. La prima con-
siste nella fondazione di numerosissimi ospizi, sia a Roma stessa (3),
dove uno, detto Schola Francorum, in servigio della nazione
franca, fu istituito o ampliato e largamente dotato da Carlo Magno
medesimo (4), sia poi specialmente lungo tutte le strade che vi
conducevano (5) ; cosi alle porte delle città o dentro le loro mura,
senza contare ch'egli sì esponeva a sentirsi ripetere dal vescovo quel che
già si vede aveva detto , che l' intenzione di venire ce 1' aveva anche lui.
O è dunque cosi difficile, parlando e scrivendo, di star sempre nei limiti
del vero? Gran disgrazia per le scienze storiche, costrette a stare in con-
tinua diffidenza, e a fare un sciupio di critica che proprio potrebbe loro
essere risparmiato.
(1) Pregatori, devoti, quindi pellegrini : Vedi Du Gange, s. v.
(2) BoLLANDiSTi, giugno, VII, 38.
(3) Vedi Sidone e Martinetti, Op. cit., pp. 142 sgg. La bolla di S. Leone IX
che essi citano, e che è davvero una fonte assai ricca per questi ospizi
romani e per più altre cose relative ai pellegrinaggi, è quella medesima
che ho avuto occasione di ricordare in nota nella pagina precedente.
(4) iJ., p. 145; e vedi anche due note alla bolla citata, p. 23. Non so se
il diploma di Carlo Magno, che si cita come esistente nell'Archivio del Ca-
pitolo Vaticano, abbia poi visto la luce. Bisognerebbe averlo sott' occhio per
determinar bene l'opera imperiale o reale che fosse, non rappresentata,
credo, con piena esattezza nel libro sidoniano. Questo mi risulta da ciò, che
mentre lì si dice edificata da Carlo la chiesa di S. Salvatore cui la Schola
Francorum era annessa, da un luogo della bolla di Leone vedo che essa
esisteva e possedeva di già: « Imperator autem et Leo Papa, quod Ecclesia
« Salvatoris habuerat, non abstulerunt, sed illi de gratia multa dederunt »
(p. 24). A meno che quest' Imperatore — un Carlo senza dubbio (vedi p. 23)
— non fosse Carlo il Calvo.
(5) Di queste strade, e specialmente di taluna, mi accadrà di discorrere
presto in un altro lavoro.
128 PIO RAJNA
come in aperta campagna. Per la sola Lucca e per il solo se-
colo Vili, troviamo tante di cotali istituzioni, da doverne assolu-
tamente strabiliare (1). E a poca distanza di lì, continuando per
il cammino allora battuto universalmente, abbiamo Altopascio,
radice e capo di un ordine ampiamente propagato di Ospedalieri,
analogo a quello di S. Giovanni di Gerusalemme (2); e li presso
altri spedali minori (3); ed altri poi su perla Val d'Elsa (4); e
così mano mano, proseguendo o ritornando addietro. Insomma,
lungo ogni .strada per Roma , gli spedali od ospizi costituiscono
una catena non mai interrotta, di cui gli anelli, fino al secolo XII
0 al XIII, si vengon facendo sempre più fitti.
L'altra prova si deduce, non più da ciò che troviamo lungo
queste strade, ma da queste strade stesse. Mettessero pure a
Roma, esse non servivano già semplicemente a chi andasse colà
0 ne venisse ; ed anche coloro che andavano o che ne tornavano
non eran tutti pellegrini (5): c'erano mercanti, re ed imperatori
(1) Vedi Muratori, Ant. It. M. Ae., Ili, 559 sgg., nella Diss. 37», che
tratta appunto De hospitalibus peregrinorum, infirmorum, infantium expo-
sitorum etc. Fra le molte fondazioni, segnalo quella di S. Michele (anno 721,
col. 567), sì perchè essa ha luogo di ritorno dai « liminibus Beati Petri Aposto-
« lorum Principia » e per un voto fatto colà, come perchè qui si istituisce in
realtà un ospizio avendo 1' aria di fondare unicamente una chiesa e un mo-
nastero. Cosi seguiva molte volte; il che viene a dire che spesso i mona-
steri sono usciti dall'amor del prossimo, e non semplicemente dall' ascetismo
e peggio. Ciò deve renderci molto più benevoli verso chi profondeva il suo
in opere di cotal fatta, e deve in generale esser tenuto bene a calcolo nel
giudizio intorno alle idee ed ai sentimenti dei secoli barbari.
(2) E degli Ospedalieri di S. Giovanni i frati di Altopascio vorranno poi
un giorno avere la regola ancor essi; e l'otterranno da Gregorio IX nel 1239,
senza perder nulla per questo della loro indipendenza. Vedi la bolla tra i
tanti materiali raccolti dal Lami per la storia di Altopascio nel citato ffo-
doeporicon, p. 1314.
(3) Ib., p. 870 ed altrove.
(4) Soltanto in un punto che mi studierò di determinare nello scritto cui
alludo qui sopra, ne trovo due.
(5) Quindi anche la bolla più volte citata di Leone IX distingue advenae
e peregrini; e dice la chiesa di S. Salvatore « constitutam ad sepulturam
« omnium hominum de qualibet parte Mundi Romam venientium, quali-
« cumque ex causa » (p. 23).
PER LA DATA DELLA « VITA NUOVA » ECC. 129
col loro seguito, eserciti interi. Eppure, ciononostante, si direbbe,
a sentir certe voci, che le strade ci fossero, solo per servire ai
pellegrini ed ai pellegrinaggi. L'ospizio di S. Bartolommeo in
Alpi è rappresentato in una lettera patente del suo Rettore come
sulla via « que celebrius Romam et sanctum lacopum ducit » (1).
Qui parla un ecclesiastico : non è un ecclesiastico Federico n che
in un diploma del 1244 chiama « strata publica peregrinorum »
quella ricordata or ora che passa per Altopascio (2). Riesce poi
allo stesso effetto la denominazione di Strada Romea: che, se per
sé medesimo Romeo non significherebbe altro che Romano (3),
in realtà nei linguaggi nostri esso è di uso esclusivo per i pel-
legrini. Cosi il Rom,ea dice Rom,ana la strada solo in quanto
essa conduce a Roma chi ci va per vera o supposta divozione.
E la denominazione fu di uso comune assai (4). Volendo pur ci-
tare qualche esempio, menzionerò il più antico documento in cui
occorra il nome di Altopascio, nella forma Theupascio: che è una
donazione fatta nel 1056 alla chiesa di S. Pietro a Pozzevole di
certi appezzamenti di terra, di cui ben tre hanno un lato in
via Romea , in via quae dicitur Romea (5) . E la continua-
zione nordica di questa strada, nel tratto che da Piacenza si
volgeva ad occidente varcando la Trebbia, trovo così nominata
molte volte, grazie al Du Gange (6), negli Statuti piacentini del
secolo XIV (7), a proposito soprattutto del ponte che essa aveva
(1) Il documento è del 2 dicembre 1267, e ne ha un esemplare l'Archivio
di Stato di Firenze (Diplomatico; Provenienza Pistoia). A me
fu indicato ad altro proposito dall' amico prof. G. Paoli.
(2) Lami, Op. cit., p. 1348; Huillard-Bréholles, ffist diplom. Frid. sec.,
VI, 180.
(3) Intorno all'etimologia e alla storia di questo vocabolo tratto distesa-
mente in appendice.
(4) Quindi le tante menzioni che se n' hanno, per esempio, nell' ottimo
Dizionario geografico, fisico, storico della Toscana del Repetti : opera che
dovrebb' essere conosciuta e adoperata ben più che non sia.
(5) Lami, Op. cit., p. 1319.
(6) Sotto RoMEus Gaminus.
(7) Pubblicati più di una volta in antico, e ristampati modernamente a
OiortMlt storico, VI, fase. 16-17. 9
130 PIO RAJNA
SU questo fiume, detto, per distinguerlo da quelli che ci avevano
altre strade, il ponte di Trebbia super Sfrata Romea, de strafa
Romea , sfrate Romeae (1). Né il nome si fermava al di qua
delle Alpi. Una convenzione del 1273 tra l'aragonese re Giacomo
e Berengario vescovo di Magalona, additata dal Du Gange essa
pure, ci conduce da non so bene qual fiume « usque ad stratam
« publicam seu caminura Romeum ». Qui siamo nei dintorni di
Montpellier (2). Non nasca l'idea che in queste regioni il romeo
abbia forse, anche riferito a strada, il senso generico che cono-
sciamo in lui in quanto si adoperi per le persone, sicché il
« cammino Romeo » possa avere per meta la vicina S. Egidio;
che un altro documento, del declinare del secolo XI, nel darci
i confini di una condamina (3) « quae est sita prope castellum
« quod dicitur Forcalcherium », ce la descrive distendentesi ad
occidente , « in via qua (sic) egreditur ab Ecclesia sancti Pro-
« bacii usque ad viam puplicam de Roma » (4). Senza bisogno di
altri dati, Forcalquier mostra che la strada viene dalla vai di
Parma, nel 1860, insieme con altri documenti congeneri: Statuta varia ci-
vitatis Placentiae.
(1) L. IV, 10, De Pontibus reficiendis, p. 326 della nuova edizione. Vedi
anche V, 68, De aquis (p. 386) : « Omnes qui scavizant vel scavizabunt
« stratam Romeam, vel stratam de Rivalgario » ecc.
(2) I reali d'Aragona avevano la signoria di Montpellier dal principio del
secolo. Per le contestazioni continue tra loro e il vescovado di Magalona,
inevitabili davvero nella condizione dei rispettivi dominii, si può vedere la
Gallia Christiana, t. VI, e VEist. génér. de Languedoc, t. IV (1* ed.). Si
l' una che 1' altra parlano anche dell' atto da cui toglie il suo esempio il
Du Gange {G. Chr., col. 773; H. d. L., p. 13); e vengono a correggerne
la data, che nel Glossarium è il 1272, per non essersi badato a fare la
debita riduzione di stile. Mi duole che a me non sia stato accessibile il
testo del documento, e che mi sia così mancata la determinazione precisa
dei luoghi. Probabilmente sulla Strada ÌRomea sarà stato anche l'ospizio di
lebbrosi al ponte « Castelli-novi » di cui abbiamo nella Gallia Christiana
il regolamento, stabilito nel 1138 da un predecessore di Berengario (t. cit.,
col. 355 degV Instrumenta).
(3) Vedi il vocabolo nel Du Gange.
(4) Cartulaire de l'Abbaye de Saint Victor de Marseille (nella collezione
dei Docum. inéd. pour servir à VHist. de Fr.), II, 9. La data della carta è
compresa nei limiti di un decennio: 1065-1075.
PER LA DATA DELLA « VITA NUOVA » ECC. 131
Susa, certamente per il Monginevro; Montpellier ci fa conoscere
che si dirige verso la Spagna e Compostella. Essa stessa, per chi
la percorre in questa direzione, sarà già diventata il cammino di
S. Giacomo ; e presso Baiona andrà ad unirsi colla via che se
ne veniva di verso nord , per condursi poi insieme al passo di
Roncisvalle.
Per tornar dunque di dove ci siamo partiti , ossia alla Vita
Nuova, la « molta gente » non è per nulla affatto un indizio in
favore del 1300; anzi, come fu già osservato e dal Giuliani e dal
d'Ovidio (1), sta contro di esso, in quanto è un'espressione d'assai
troppo temperata per indicare un concorso che trasse a Roma,
al dire del Villani tanto invocato dai fautori appunto del Giu-
bileo, « gran parte de' Cristiani che allora viveano » (2); o, per
lasciare le frasi indeterminatamente esagerate — però anche il
totum orbem, allegato pur esso, di Gino da Pistoia (3) — che vi
tenne « al continuo, in tutto l'anno durante,... oltre al popolo ro-
« mano, duecentomila pellegrini, senza quegli ch'erano per gli
« cammini andando e tornando » (4).
Ma e' è la « Imagine Benedetta, la quale Gesù Cristo lasciò a
« noi per esempio della sua bellissima figura »: cioè il Sudario,
il Volto Santo, o, come il medio evo diceva comunemente, la
(1) Nei luoghi indicati.
(2) Cron. Fior., viii, 36.
(3) D'Ancona, Op. cit., xv-xvi : dal libro di L. Ghiappelli, Vita e opere
giuridiche di Cino da Pistoia, Pistoia 1881, p. 27. Il passo, spettante al
commento del 1. vii, tit. 47, si trova a carte 315 r°., col. 1", nell' edizione
lionese del 1547.
(4) ViLL., 1. cit. Colla determinazione numerica del cronista fiorentino si
può dire concordi quella che abbiamo da un tedesco: l'autore degli Annales
Colmarienses Maiores; il quale, in un passo citato dal Raynaldo negli Ari'
nales Ecclesiastici e che io riporterò come s' ha nel Pertz, SS., XVII, 225,
dice che « tantus factus fuit concursus in Romam, quod sepius una die
« egressi sunt triginta milia hominum pariterque ingressi, ut communiter
« pauperes retulerunt. » Data la permanenza di quindici giorni, voluta dalla
bolla pontificia, i dugentomila pellegrini del Villani portano che in media
avessero ad entrare e ad uscire circa tredicimila persone; che viene appunto
ad essere il concorso medio presumibile là dove s' aveva un maximum,
frequente di trenta migliaia.
132 PIO RAJNA
Veronica (1). Stava nella basilica Vaticana, dentro ad un ciborio
sorretto da sette colonne, che si elevava isolato con appiedi un
altare in fondo alla navata destra, dinanzi alla cappella della
Vergine del Presepio (2). Il ciborio, rimosso nel 1606, quando
(1) Intorno alla Veronica compose un'opera speciale negli ultimi anni
della sua vita il bolognese Giacomo Grimaldi, custode sagace e diligentis-
simo dell' archivio capitolare di S. Pietro, morto nel 1623. Vedi Fantuzzi
Scrittori bolognesi, IV, 309. L'opera, assai pregevole e ricca di documenti,
non fu mai stampata; e neppure fu stampata mai, e questa probabilmente
neppur mai compiuta, un' altra, ricca a quanto pare di documenti pur essa,
che sullo stesso soggetto veniva preparando Fr. M.'' Torrigio, secondo abbiamo
da lui medesimo nelle Sacre Grotte Vaticane, Roma 1635, pp. 201 e 205.
Qualche saggio del suo lavoro il Torrigio vien pure a darcelo in queste Grotte.
Dell'opera manoscritta del Grimaldi, non dell'altra, approfittarono gli autori
della bella Collectio Bullarum Sacrosanctae Basilicae Vaticanae (Roma ,
1747-52), che ho già citato qualche volta, e che avrò a citare altre parecchie.
E poiché sto facendo un po' di bibliografia, menzionerò come più meritevoli,
senza aspettare altre occasioni, Gio. Severano, che nel 1630 pubblicò le Me-
morie Sacre delle Sette Chiese di Roma; i Bollandisti, che della pretesa Santa-
Veronica e di ciò che vi si riferisce discorsero con dotta credulità nel 1. 1 del
febbraio (pp. 449 sgg.); il Sidone e il Martinetti — quest'ultimo uno dei racco-
glitori anche del Bollarlo Vaticano — di cui s'è già lodato il libro; per ultimo
un moderno, il Moroni, che in quell'immenso guazzabuglio che è il Dizionario
di erudizione storico-ecclesiastica tocca della Veronica infinite volte e ne
tratta lungamente ex professo sotto Volto Santo (t. CHI , 91 sgg.) , som-
ministrando un materiale non inutile a chi porti di suo quel che il Moroni
non poteva metter davvero, cioè un poco di discernimento. Un' opera da
me non vista, e che da quanto ne dicono nella prefazione il Sidone e il
Martinetti (p. xxiii-iv) appare pregevole ancor essa, è quella uscita a Roma
nel 1744 col titolo Altarium, et Reliquiarum Sacrosanctae Basilicae Vati-
canae Descriptio Historica. Non credo tuttavia m' abbia a nuocere il non
avervi potuto ricoiTere.
(2) Vedi specialmente il Severano, che ha il gran merito di essere stato
ancora testimonio oculare: I, 71. Alle sue parole accrescerà evidenza la
tavola iconografica che accompagna nei Bollandisti, giugno, VII, la disser-
tazione intorno al vecchio S. Pietro. Un passo di Pietro Mallio potrebbe far
nascere il pensiero che il Sudario stesse un tempo dentro alla cappella stessa
della Vergine : « Ab alia parte basilicae B. Petri est... oratorium sanctae Dei
« genitricis virginis Mariae, quod vocatur Veronica, ubi sine dubio est Su-
« darium Ghiisti... » (cap. vi, § IH, Boll., t. cit., p. 47). E non è egli il
solo a pronunziare parole ambigue. Ma la verità risulta chiara da un altro
luogo suo, dove della cappella è detto, « ante quod oratorium est etiam Su-
« darium Ghristi quod vocatur Veronica » (v. 82, p. 45).
PER LA DATA DELLA « VITA NUOVA » ECC. 133
San Pietro ebbe a intraprendere la trasformazione della sua parte
anteriore, era stato innalzato da un Giovanni, « servo di Santa
« Maria» (1), nel quale pertanto gli eruditi son tratti a ricono-
scere Papa Giovanni VII , edificatore della vicina cappella (2).
Questo vai quanto dire clie la Veronica dovrebbe esser stata
messa a quel posto fin dai primissimi anni del secolo Vili (3).
Lì si trovava ad ogni modo, e da tempo, quando, sul cadere del
secolo X, Benedetto, monaco di S. Andrea sul Soratte, scriveva
la sua cronaca (4).
Il ciborio è già un segno evidente della venerazione in cui la
(1) Joannis servi S. Mariae, si leggeva sull' altare annesso al ciborio
(Se VER ANO, 1. cit.); e il frammento con questa iscrizione si conservava an-
cora nelle Grotte Vaticane alla metà del secolo passato (Coli. Bull. Bas. Vat.,
I, 89, in nota), ed è probabilissimo che ci si trovi tuttavia.
(2) Ve lo riconoscono tutti, e certo con buon fondamento. Alle altre ra-
gioni di probabilità s' aggiunga quella che risulta dall' analogia della scritta
citata dianzi con quella che si leggeva nella cappella sotto all' immagine
di Papa Giovanni , fattosi rappresentare in atto di oblatore : Joannes in-
dignus Episcopus fecit B. Bei Genitricis servus (Severano , p. 70 ; Tor-
RiGio, Sacre Grotte Vaticane, p. 117). Con tutto ciò, in tanta abbondanza
di Papi Giovanni, bisogna che io lasci luogo a qualche pochino di dubbio,
in ossequio al silenzio che mantiene su questo punto il Liber Pontificalis
{Rer. It. Scr.,\\l,i, 151) dove parla dell' edificazione della cappella: silenzio
cui non sarebbe da usare questo riguardo se il biografo non spendesse molte
parole per i mosaici che adornavano le pareti. La ragione sarà peraltro
che il ciborio non doveva essere opera magnifica come parevano i mosaici.
Un altro motivo di dubbio me l'aveva pur fatto sorgere, finché del docu-
mento mi stavan dinanzi solo i frammenti riportati nel Bollario Vaticano
(1, 8), una lettera già citata addietro di Papa Gregorio li a Leone l' Icono-
clasta: poiché li dentro il Papa discorre di immagini e statue che sono in
S. Pietro, senza pronunziar sillaba che possa in nessun modo, checché paia
agli editori (V. Sudarium nell' Indice) , essere riferito alla Veronica. Ma
una volta che ebbi dinanzi la lettera tutta intera negli Annales del Baronio,
vidi che non era da ricavarne nessun dato neppur contro la presenza del-
l'immagine.
(3) Giovanni VII fu pontefice dal 705 al 708, sicché e' é poco da spaziare.
(4) Ripete anch' egli di Papa Giovanni che « Inter multa operum inlu-
« strium fecit oratorium sancte Dei genitricis, opere pulcherrimo, intra cccle-
« sia beati Petri apostoli, ubi dicitur a Veronice ■» (Pertz., <S.S., Ili, 700).
Benedetto trascrive qui Beda; ma le parole che a noi importano, « ubi di-
« citur a Veronice », le aggiunge di suo.
134 PIO RAJNA
immagine fu tenuta ab antiquo ; ma cotale venerazione andò
crescendo via via, stavolta, credo, per impulso specialmente dei
volghi, incapaci di dubitare, come poco o tanto continuarono a
fare molti ecclesiastici (1), se li s'avesse poi proprio l'impressione
lasciata dal volto di Cristo. Sia come si vuole, si venne a tanto,
che la stessa tomba del Principe degli Apostoli rimase sopraffatta.
Io non so decidere se le dieci candele che alla metà del secolo XII
ardevano giorno e notte dinanzi a quella, valessero già più che
le otto lampade di questa (2); ma so bene che sul declinare del
secolo successivo, nel 1289, Papa Niccolò IV metteva esplicita-
mente la Veronica in capo alle prerogative della Basilica Vati-
cana, relegando il corpo di S. Pietro nel secondo posto insieme
con tutte l'altre reliquie (3).
he cose preziose non si lasciano esposte di continuo agli
sguardi di tutti; s' intende pertanto troppo bene che meno che
mai la Veronica poteva ordinariamente rimanere scoperta. Quindi
i Mirabilia •■ « Ad dextram est altare Veronice, supra quod Ve-
ronica est inclusa » (4). A volte accadeva che si mostrasse per
(1) Un luogo al dubbio si lascia manifestamente, ogni volta che si parla
della cosa come di una tradizione; e così si fa ancora dal De Angelis,
primo editore del Mallio (Roma, 1646), che riferendo la pretesa origine del
Sudario frammette le parole « ut veneranda antiqua et religiosa traditio
« habet » (p. 120). Qualcosa di analogo vien pure a dire, ancorché prece-
duto da « sine dubio » 1' « ut a nostris majoribus accepimus » datoci dal
Mallio stesso, o da chi quarant' anni dopo ne rimaneggiò il testo.
(2) /&., p. 48; VI, 121. Credo legittima in questo passo la lezione eclet-
tica dei Bollandisti, ma risparmio al lettore la discussione critica che ci
sarebbe da fare in proposito. Non gli tacerò invece che per conto suo il
Mallio deve apprezzare ben altrimenti S. Pietro e la sua tomba che non la
Veronica. Si legga il capitolo i, e si paragoni coi luoghi dove si tocca del-
l' immagine.
(3) Coli. Bull. SS. Eccl. Vat., I, 214. Colla bolla di Niccolò se ne confronti
una emanata nel 1319 da Giovanni XXII (ib., p. 254), in cui ritornano gli
stessi elementi e le stesse espressioni, ma dove 1' ordine è invertito. Guar-
date da Avignone, le cose riprendevano proporzioni più naturali. Curiosa
ed istruttiva più che non paia a prima giunta questa specie di lotta di pre-
minenza tra l'ospite e l'ospitato!
(4) Pag. 50 neir edizione Parthey (Berlino, 1869).
PER LA DATA DELLA « VITA NUOVA » ECC. 135
singoiar privilegio a visitatori illustri e alla loro brigata. Gotali
ostensioni eccezionali risaliranno di certo a Dio sa quando; ma
solo tardi cominciamo a trovarne notizie. Non conosco esempio più
antico del 1191 , allorché passò per Roma Filippo Augusto, di
ritorno dalla poco felice spedizione d'Oriente (1). Lo stesso favore
fatto da Papa Celestino al re di Francia fu concesso nel 1217 da
Onorio III al conte Guglielmo d'Olanda (2). Procedendo innanzi
le memorie diventan più frequenti, e hanno lasciato molte tracce
nei Regesta Pontifìcum (3); in nessuno tanto numerose come in
quello di Clemente VI, che in un papato di dieci anni (1342-1352)
ce ne offre ben dodici casi (4).
Questa grazia segnalata nell'anno 1300 si concedette da Papa
Bonifazio anche a tutti i più umili : la Veronica si faceva vedere
in S. Pietro « ogni venerdì o dì solenne di festa » (5), in modo
che ciascun pellegrino, dovendo restare a Roma almeno quindici
giorni, aveva occasione di godere di quella vista due volte o più.
(1) De Vita et gestis Henrici II di Benedetto abate di Peterborough:
Bouquet, XVII, 541.
(2) Emonis Chronicon: Pertz, SS., XXUI, 482. Notevole che Benedetto
sentiva il bisogno di spiegare cosa fosse la Veronica, come si trattasse di cosa
non ben nota : « Et ostendit Regi Franciae et suis capita apostolorum Petri
« et Pauli, et Veronicam, id est, pannum quemdam lineum quern Jesus-
« Ghristus vultui suo impressit, in quo pressura illa ita manifeste apparct
« usque in hodiernum diem ac si vultus Jesu-Christi ibi esset, et dicitur
« Veronica, quia mulier cujus pannus ille erat, dicebatur Veronica. » In
ben altro modo, e con ben altro sentimento si esprime il compagno del
Conte d'Olanda, di cui Emone riporta il racconto : « Quos domnus papa be-
« nigne suscepit, de virtute Frisonum et audacia et in destructione civitatum
« Hispanie non parum ga visus. Qui nostris precibus aures sue sancii-
« tatis inclinavit in tantum, ut Veronicam Domini nobis infra paucos
« dies bis videndam monstraret. » Gli Olandesi avevano di certo molti me-
riti: oso dire tuttavia che in un'età un poco più tarda si sarebber dovuti
contentare di vedere la Veronica una volta sola in cambio di due.
(3) Vedi Severano, Op. cit., 1, 159.
(4) Coli. Bull. SS. Eccl. Vat., 1, 34546, in nota, attingendo all'opera del
Grimaldi.
(5) ViLL., l. cit. « Ogni dì solenne di festa » vuol dire ogni solennità, non
ogni festa, come spiega malamente il Lubin, p. 41.
136 PIO RAJNA
Ecco il gran fondamento a supporre che dunque il passo della
Vita Nuova alluda appunto all'anno del Giubileo (1).
Che la deduzione non sia ricavata a fil di logica , mostrano
chiaro due passi che da un pezzo si citano a questo medesimo
proposito. L' uno è di Dante stesso : e sono 1 versi 103 sgg. del
XXXI del Paradiso:
Qual è colui che forse di Croazia
Viene a veder la Veronica nostra
Che per l'antica fama non si sazia,
Ma dice nel pensier fin che si mostra:
Signor mio Gesù Cristo, Dio verace,
Or fu SI fatta la sembianza vostra?
Tal era io, ecc.
L'altro è il sonetto, in cui il Petrarca, coli' intendimento non
raggiunto davvero di commuoverci poi col confronto degli affanni
suoi amorosi, ci impietosisce profondamente per il pellegrino che
se ne viene a Roma affranto dagli anni, abbandonando patria e
famiglia:
Movesi '1 vecchierel canuto e bianco,
con quel che segue (Son. xii). Né i versi danteschi né quelli del
Petrarca hanno nulla a fare con nessun Giubileo: lo dicono
troppo manifestamente i presenti viene, muovesi, ecc., a meno
di immaginare che Dante scrivesse gli ultimi canti del suo poema
nel 1300, e messer Francesco componesse questo sonetto « in Vita »
di Madonna Laura l'anno 1350, vale a dire due anni dopo che
essa era morta! — E allora? — Allora risulta anche di qui sol-
tanto che il desiderio di veder la Veronica — desiderio che ci
riesce ben comprensibile quando si consideri che quella con-
templazione delle vere fattezze del Cristo alla fede ed alle idee
medievali, appariva come un' anticipazione del paradiso (2), —
(1) LuBiN, p. cit. e p. 95.
(2) Si faccia attenzione a quello che dice Dante di Beatrice nel nostro
PER LA DATA DELLA « VITA NUOVA » ECC. 137
era una delle principali attrattive che a quei tempi conduce-
vano a Roma anche i pellegrini di ogni anno; e ne risulta del
pari in modo manifestissimo che ogni anno avevano ad esserci
occasioni in cui la Veronica fosse visibile per tutti. Ciò del resto
è già evidente anche per ragioni intrinseche: sarà bene che
una reliquia si mostri di rado alla moltitudine ; ma guai se non
si facesse veder mai! Tutto quanto il fervore si spegnerebbe in
breve tempo, peggio assai che a profonderla di troppo.
Che una qualche ostensione periodica ci fosse, non nega per-
altro nient' affatto neppure il Lubin; ma ciò, secondo lui, non
fa nulla per via d' una circostanza speciale. « Sappiamo che
« l'usanza consueta di tutti gli anni era, che la Veronica si mo-
« strava una sola volta all'anno, la seconda Domenica dopo l'Epi-
« fania o, come dice Metilde d'Hakeborn, nella Domenica omnis
« terra.» (1) Ora, com'era mai possibile, egli osserva, che «nel
« crudo gennajo e con quei mezzi di viaggiare d'allora » venis-
sero « da tutte le parti della Cristianità i fedeli a Roma?» (2).
— Date le premesse, la deduzione fa testimonianza più onorevole
per il cuore del (iantofilo triestino, che per il modo suo di ra-
gionare. Posto che la Veronica dalla comune dei pellegrini si
possa vedere unicamente nell'occasione qui indicata, può rincre-
scere per quei poveretti e per i disagi che avranno a soffrire;
passo della Vita Nuova; e similmente si noti che il vecchierello del Pe-
trarca viene « Per veder la sembianza di colui Che ancor lassù nel ciel
« vedere spera ». Così il sentimento del medio evo si spiega assai bene e
merita profondo rispetto. Desta invece in noi un' impressione di ben altro
genere il Moroni, che anch'egli ci parla pur sempre da uomo di quei tempi,
CHI , 91 , con parole non so se più enfatiche o sciocche. Leggendole, vien
fatto di ripetersi anche una volta che il medio evo noi lo abbiamo sempre
in mezzo a noi; ma come tralignato! Resta il cadavere: lo spirito che lo
animava se n' è ito.
(1) Pag. 95; e il medesimo fu detto a p. 40, riportando le parole della
vecchia dissertazione del Lubin stesso Intorno all'epoca della Vita Nuova.
Se 11 non si dice « soltanto una volta all' anno », si soggiunge poi subito
nella pagina seguente.
(2) Pag. 41.
138 PIO RAJNA
ma che questi disagi essi li affrontino animosamente, non è punto
lecito mettere in dubbio. Giacché, quanto all'accorrersi ben di
lontano, « forse di Croazia » e Dio sa donde, per veder la Veronica,
quanto all'esser quella, almeno nella prima metà del secolo deci-
moquarto, un'attrattiva principalissima del pellegrinaggio a Roma,
ce lo attesta Dante, ce lo attesta il Petrarca, che non vogliono
saper di smentite.
Alle conseguenze non si sfugge dunque se non quando le pre-
messe stesse sian da mutare. Ma avanti di venire all'indagine,
se vogliano esser mutate oppur no, vediamo di procacciarci della
festa del gennaio una conoscenza un po' più piena di quella che
potremmo ricavare dalle parole di Metilde, o a parlar più proprio,
di chi, lei morta, pretese di esporne le visioni e le rivelazioni (1).
Della festa noi conosciam propriamente il principio. Fu isti-
tuita nel 1208 da Papa Innocenzo III con una bolla del 3 genn.,
che si può leggere in molti luoghi (2), indirizzata « Rectori et
« fratribus » dello Spedale di S. Spirito, fondazione insigne del me-
desimo Innocenzo. Che, non si tratta di nessuna solennità da cele-
brarsi in S. Pietro, né di cosa in cui la Veronica entri altrimenti
che per la finestra. Il Pontefice vuol commemorare le Nozze
(1) Liber Gratiae spiritualis Visionum et Revelationum beatae Mecthildis
Tirginis, 1. i, e. li. Riferirò qui il passo in forma eclettica e con corre-
zioni mie, valendomi delle edizioni veneziane del 1522 e del 1558. « Haec
« Dei anelila docuit sorores ut spirituali devotione Romam ad diem qua
« ostenditur facies Domini, tenderent, legentes tot vicibus pater noster, quot
« miliaria Inter Romam et ipsum locum erant. Quo cum pervenissent,
« summo pontifici peccata sua confiterentur , accipientes ab eo remissionem
« omnium peccatorum. Et sic in dominica sumentes corpus domini, bora
« qua eis liberius vacaret ad orandum , cum oratione quam dictaverint
« Ghristi imaginem suppliciter adorarent. Quod dum sorores fecissent, sequens
« visio eidem monstrata est dominica prima post octavas epiphaniae, quando
« Romae agitur festum ostensionis eiusdem imaginis, dum cantaretur missa
« omnis terra. Vidit dominum sedentem » ecc. Avverto che i dubbi gravi
che le due edizioni mi suscitano e lasciano intomo al modo di leggere questo
luogo, non toccan punto la sostanza.
(2) Mi limiterò a citare Baluze, Epist. Inn. Ili, II, 99 {ep. 179); Coli.
Bull. SS. Eccl. Yat., I, 89.
PER LA DATA DELLA « VITA NUOVA » ECC. 139
di Gana, simbolo di quelle del Peccatore convertito colla Grazia
divina, e a cotale commemorazione giudica, per un motivo tutto
mistico, particolarmente adatto lo Spedale ; se pure invece, stando
meno alla lettera, non direm piuttosto che egli vuol concedere
al suo Santo Spirito, e per esso all' unita chiesa di S* Maria in
Sassia, l'onore e il beneficio di una Stazione solenne (1), e che
le ragioni mistiche lo conducono a scegliere come specialmente
opportuno per ciò il giorno in cui si legge il vangelo delle
Nozze. Ma siccome a queste Nozze partecipava la Vergine e ad
esse fu invitato Gesù, alla festa, celebrata in una chiesa consa-
crata appunto a Maria, gli par ragionevole di far venire solen-
nemente da S. Pietro, portata dai canonici « infra capsam ex auro
« et argento et lapidibus pretiosis ad hoc specialiter fabrefactam »,
l'immagine del Salvatore, « fidelibus populis qui ad has nuptias
« celebrandas devote convenerint, desiderabiliter ostendenda ».
Il Papa in persona interverrà coi cardinali, celebrerà la messa,
predicherà intorno alle opere di misericordia, e ne darà l'esempio
con una copiosa elargizione. Né chi rimanga escluso dall'elemo-
sina se ne tornerà a mani vuote : ognuno degli intervenuti s'avrà
un anno d'indulgenza.
La processione della Veronica dal Vaticano a Sassia e vice-
versa « cum hymnis et canticis, psalmis et faculis », come dicono
in un passo da riportarsi più oltre (2) le Gesta d'Innocenzo, la
troviam confermata con tutto il resto da Onorio III, e treni' anni
dopo da Alessandro IV (3), ed ancora durava nel 1279 (4). Quando
fosse abolita, non risulta. I più la protraggono fino a Sisto l\ :
(1) Si sa bene cos' è Stazione in linguaggio ecclesiastico e più special-
mente romano.
(2) Vedi p. 148.
(3) Le bolle dell' uno e dell' altro, del 5 luglio 1223 e del 1 marzo 1255,
sono mera ripetizione di quella d' Innocenzo. Coli. Bull. SS. Bas. Vat.., I,
HO e 132.
(4) Son menzionate ancora in quest' anno da Niccolò III le candele e i
dodici denari che i canonici di S. Pietro ricevono « quando vadur.t ad Ho-
« spitale Sancti Spiritus cum Effigie Jesu Ghristi ». /6., I, 182.
140 PIO RAJNA
sulla fede del Torrigio, il quale scrive che Sisto « per giuste ra-
« gioni » stabilì che la Veronica « non si portasse più alla detta
« Chiesa » di S. Spirito, « ma nella scritta Domenica, e la seconda
« festa della Pentecoste andasse la processione di S. Spirito alla
« Basilica Vaticana, à veder detta sacra Eflagie, come appare per
« sua Bolla conservata nel prefato Archivio di S. Spirito » (1).
Sennonché il Torrigio fa dire alla Bolla molto più di quel che
non dica in realtà (2). Essa non fiata di abolizione: determina sem-
plicemente che i membri di una certa confraternita, già istituita
in Santo Spirito da Eugenio IV e che Sisto risuscita, « in crasti-
« num solemnitatis Pentecostes proximae futurae, et successive
« anno quolibet eadem die , impedimento cessante legitimo, in
« Basilica Principis Apostolorum de Urbe conveniant, in qua,
« hujusmodi rei memoria, ostendatur Sudarium Salvatoris Domini
« nostri Jesu Ghristi, eoque ostenso, inde processionaliter se
« transferant ad Ecclesiam dicti Hospitalis ». È dunque nel vero
non so quale tra gli autori del Bollarlo Vaticano, ritenendo che
la processione della Veronica, di cui non abbiam più traccia al-
cuna, fosse caduta in disuso da un pezzo ; e può darsi che ci sia
altresì supponendo che l'abbandono seguisse al tempo del trasfe-
rimento della sede ad Avignone e per suo effetto (3). Bisogna
peraltro lasciar più che socchiuse le porte anche all' ipotesi
che la cosa seguisse più tardi; poiché per tutti, ciò che in quella
festa del gennaio venne subito a preponderare senza confronto
fu la Veronica di cui s' era cosi sitibondi , non l'intervento del
papa né la sua predica. Ora la Veronica era monopolio dei ca-
nonici di S. Pietro, i quali rimasero al loro posto. Una volta poi
concesso un discreto grado di verosimiglianza all'idea che il fatto
(1) Sacre Grotte Vaticane, p. 2Qo.
(2) Ho davanti il documento, nell' edizione del Bollarlo Romano dovuta
a G. Goquelines, cominciata ad uscire nel 1739 : t. Ili, P. 3», p. 158. Il passo
che ci riguarda viene a p. 160. Che la bolla cui il Torrigio vuole alludere
sia proprio questa e questa soltanto, è indubitato specialmente per ciò che
egli soggiunge intorno a certe reliquie. La data è il 21 marzo 1477.
(3) Appena., p. 56.
PER LA DATA DELLA « VITA NUOVA » ECC. 141
sia indipendente dall'assenza dei pontefici, ne viene la necessità
di ammetter del pari che possa anche esser seguito prima che
l'assenza avesse principio, tra il 1279 e il 1309. Sia come si vuole,
la processione non sparì senza lasciarsi dietro una coda. Rimase
un'ostensione della Veronica in S. Pietro; rimase altresì una pro-
cessione in quel giorno medesimo da S. Spirito a S. Pietro, non
meno reale perchè il Torrigio la faccia erroneamente istituire
ancor essa dalla bolla di Papa Sisto (1), e che par ben ragione-
vole di ritenere cominciata quando cessò il costume primitivo,
come a guisa di compenso.
Ora che sappiamo in cosa consistesse e quale sia stata la storia
della festa del gennaio, siam meglio preparati per affrontare la
questione, se essa, per i pellegrini del tempo cui dobbiamo tra-
sportarci, s'abbia da ritenere la sola occasione di contemplar la
Veronica. Al primo leggere le parole del libro delle visioni di
Metilde, si direbbe che fosse; e ciò scusa il Lubin dell'averlo
creduto, se anche non lo scusa dell'averlo affermato un po' troppo.
Ma rileggendo ci nascon già certi dubbi; e dei raffronti vengon poi
a mostrarci che i dubbi son ben fondati, e che un'espressione che
sembrerebbe provare, non prova nulla (2), sicché conchiudiamo
(1) Egli la fa istituire precisamente perchè la trovava nell' uso del suo
proprio tempo. Vedi in proposito l'Alveri, Roma in ogni stato, Roma 1664,
II, 214. Importa avvertire che l'Alveri prende in parte dal Torrigio, perchè
non s' abbia a vedere in lui un testimonio valido delle abolizioni ed istitu-
zioni falsamente attribuite a Sisto. Siccome peraltro in tutto ci ha da essere
un progresso, le processioni che si voglion create dal Pontefice di due di-
ventan tre: una tuttavia senza Veronica.
(2) La frase che parrebbe accennare ad' un giorno solo, sarebbe Vad diem
qua ostenditur, in principio del brano da me riportato. Ora ecco che
nel 1366, cioè in un tempo in cui, come vedremo, le estensioni erano incon-
testabilmente varie. Urbano V, ordinando al capitolo vaticano che la Vero-
nica sia mostrata straordinariamente al marchese Niccolò d' Este e compa-
gnia, adduce il motivo ch'egli non può « ex certis causis » trattenersi « usque
« ad diem solitae ostensionis praefatae Veronicae » (Coli. Bull.
SS. Eccl. Yat., II, 4). Questo giorno non è poi nient'affatto la domenica dopo
l'ottava dell' epifania, fuor d' ogni questione perchè la bolla è del sedici
febbraio; ma di ciò per il momento noi non ci si deve occupare.
142 PIO RAJNA
che il solo partito cui ci si possa appigliare si è di mettere per
ora a dormire di nuovo questo benedetto Liher Gratiae spiri-
tualis , e di affidarci a guide che ci conducano con mano più
ferma (1). E la prima guida sarà la ragione, la quale non durerà'
fatica a convincerci con discorsi quanto mai semplici ed evidenti.
Troppo chiaro che anche innanzi al 1208 la Veronica doveva
pure in qualche occasione esser visibile al popolo; chiaro troppo
che non si potè pensare a mostrarla fuor di casa avanti che in
casa sua propria. E non s'immagini che si mostrasse sì, ma pre-
cisamente in quella medesima domenica dopo l'ottava dell'epifania:
la scelta di quel giorno dipese, come abbiam visto, da lutt'altri
motivi che dalla Veronica ; e fu caso che la chiesa annessa allo
Spedale di S. Spirito fosse consacrata alla Vergine , e che però
s' o£frisse un buon pretesto di condurci personalmente anche
il figliuolo. Pretendere che si desse poi altresì la combinazione
dell'esser quello il giorno, e il giorno unico sui 365 dell'anno, in
cui la Veronica si mostrasse in S. Pietro, sarebbe un avere nelle
coincidenze una di quelle tali fedi , che han la potenza di tra-
sportar le montagne. E bisognerebbe esser dotati di una gran
voglia di arrampicar sui cristalli , senza assomigliare per nulla
(1) Con mano ferma vorrebbe bensì condurci un certo passo d' una cro-
naca romanesca, che il Moroni (CHI, 96) prende da un trattato del Cancel-
lieri sulla Settimana Santa, da me non potuto vedere. Il Sudario vi è rap-
presentato « nello sito di s. Spirito in Sassia in una cameretta foderata
« tutta de marmoro et de ferro, e serrata a 6 chiavi, e non se mostrava
« se non una volta T anno ». Questa dimora in S. Spirito il Moroni non sa
dire in che periodo cada, e non glielo dirà dunque neppure la sua fonte;
ma dal posto in cui la registra si vede che tende a riportarla al secolo XIII.
Molto erroneamente, credo: si tratterà invece del tempo favoloso anteriore
nientemeno che al 706 e alla collocazione in S. Pietro. Poiché, mentre i più
volevano che a S. Pietro il Sudario fosse portato da S. Maria Rotonda, cioè
dal Panteon, pretendevano alcuni che tra il Panteon e S. Pietro si fosse
frapposto l'episodio di una collocazione a S. Spirito. Vedi Alveri, Roma in
ogni stato, II, 212. Cose, s'intende, degne di molta fede! Però l'unica cosa
che si raccoglie dal cronista si è che al tempo suo le ostensioni eran più
d' una. Il « non se mostrava se non una volta V anno » sta in tacito , ma
sicuro contrapposto con ciò che l'autore vedeva seguire dattorno a sé.
PER LA DATA DELLA « VITA NUOVA » ECC. 143
alle mosche o ad altri insetti, per cercare scampo in un'altra
congettura: in questa cioè che la nuova ostensione portasse a
sopprimere le antiche. Capisce ognuno quanti ostacoli ci si op-
ponessero. E per che motivo poi si sarebbe ciò fatto?
È indubitato pertanto che perlomeno dal 1208 la Veronica fu
visibile più d'una volta l'anno. E si può anche arrischiarsi ad indi-
care a 'priori una circostanza in cui non è neppur concepibile che
l'immagine non fosse tolta dal suo ripostiglio. Una reliquia tanto
preziosa della Passione voleva di certo esser mostrata al popolo
nella Settimana Santa, e più specialmente in quel venerdì che
riportava non solo dinanzi alla mente, ma in molte maniere anche
agli occhi , il giorno in cui Cristo, salendo o salito il Calvario,
doveva aver lasciato sul panno presentatogli dalla donna pietosa
l'impronta del volto trasudante sangue. Questo, non la domenica
dell'andata a S. Spirito, era il vero giorno del Sudario. Anche i
calendari mi forniranno una conferma, in quanto, se ce n'è che
mettono la festa di S.ta Veronica al 4 febbraio, che vorrebb'essere
il giorno della sua morte e che tale sarà diventato Dio sa per
qual confusione, altri, come avvertono i Bollandisti (1), « referunt
« eam xxv Martij , rati eo die Christum prò salute hominum
« passum, suam tum S. Veronicae effigiem dedisse ». Che poi una
congettura cosi spontanea colga propriamente nel segno, proverà
il costume dello stesso anno 1300. La Veronica si mostrava allora,
quanto alle feste, solo nelle solenni , e invece in tutti quanti i
venerdì, che della passione sono altrettante commemorazioni
minori, e che son come altrettante immagini più pallide del ve-
nerdì per eccellenza.
Due estensioni periodiche possiamo dunque dire di averle as-
sodate. Saranno poi le sole ? — Documenti che in modo diretto ci
chiariscano intorno a questo punto, per il secolo XIII io non ne
conosco ; ce n'è bensì uno del declinare del secolo successivo, che
potrà tornar utile anche a noi.
(1) Febbr., I, 452.
144 PIO RAJNA
Colla data del 29 luglio 1370 Urbano V, nel soggiorno che fece
a Montefiascone prima di ritornarsene in Francia, diresse a Gia-
como, vescovo d'Arezzo, ch'egli lasciava suo Vicario spirituale in
Roma, la bolla seguente:
« Gum non deceat, quod tua Fraternitas, quae gerit in Urbe
« in spiritualibus vices nostras, ab ostensione sacri Sudarli Do-
« mini Nostri Jesu Ghristi consuetis facienda temporibus exclu-
« datur; Fraternitati tuae dictum Sudarium semel in quolibet
« infrascriptorura dierum, videlicet quartae feriae, Goenae Domini,
« Parasceve , ac Sabbati Sancti Majoris Hebdomadae , necnon
« Festi Ascensionis Dominicae, et primae Dominicae post Octavam
« Epiphaniae Domini, diebus quibus consuevit praefatum Suda-
« rium estendi populo, per te ipsum libere eidem populo osten-
« dendi ; ac contradictores per censuram Ecclesiasticam, appella-
« tiene postposita, compescendi » ecc. (1).
Queste ultime parole di minaccia ed altre che le completano,
vanno di sicuro ai canonici di S. Pietro, dai quali solitamente il
Sudario era mostrato. Essi soli avevan comune col Papa, cui po-
tendo l'avrebbero forse negato volentieri, il gran privilegio di
metter le mani sulla santa reliquia: tantoché si vide nel 1452
un imperatore. Federico IH, creato apposta canonico, perchè
potesse cavarsi anche lui questo gusto (2). Né l'esempio rimase
isolato (3). Si capirà dunque come ci fosse bisogno di una bolla
speciale perchè lo stesso vice-papa non restasse da meno di un
(1) Coli. Bull. SS. Eccl. Yat., Il, 18.
(2) ToRRiGio, Grotte Vaticane, p. 201 ; cfr. Severano, I, 160, e Moroni,
CHI, 98. L'autorità cui si fa capo è Maffeo Vegio, testimonio oculare, che
ci rappresenta l' imperatore « Magno desiderio videndi contingendique ac-
« census ».
(3) Furono creati canonici soprannumerari allo stesso modo e col medesimo
intento, nel 1624 Vladislao, allora principe reale e poi re di Polonia, nel i700
il granduca di Toscana Cosimo III. Vedi Torrigio, p. 206; Severano, l. cit,
Moroni, CHI, 98-99. Le bolle di queste creazioni — senza menzione speciale
della Veronica — si hanno nella Coli. Bull. SS. Eccl. Vat., Ili, 236 e 282.
Vladislao e Cosimo fecero anche l' ostensione al popolo in abiti ecclesiastici;
se l'avesse fatta anche l'imperatore Federico, dalle fonti non par che risulti.
PER LA DATA DELLA « VITA NUOVA » ECC. 145
canonico qualunque, e come ciononostante fossero ancora da
presumere opposizioni ben fiere.
Ma non è delle prerogative né delle renitenze canonicali che
qui ci s'abbia a occupare. Per noi è di grande interesse l'enu-
merazione completa dei giorni in cui la Veronica si faceva ve-
dere nel 1370. Ossia, nel 1370 e già da un pezzo, poiché quelli
son giorni « quibus consuevit praefatum Sudarium estendi
« populo »; sono « consueta tempora » (1). E quei giorni sono
sei : quattro della Settimana Santa , dal mercoledì al sabato ; la
domenica di gennaio che conosciamo anche troppo ; e finalmente
l'Ascensione. Teniam pure per fermo che il costume qui rappre-
sentatoci risale più addietro che il 1300. Ognuno sa con quanta
lentezza i riti s'innovino : per poter vedere il Sudario una volta
di più bisogna forse avanzarsi sino al 1629, in cui comincerà ad
esser mostrato anche il 3 di maggio, ossia nel giorno dell'Invenzione
della Croce, e ciò solo per via del suo stare colle reliquie della
croce stessa, non per motivo suo proprio (2). E a questa ragione
generica e comprensiva se ne aggiungeranno delle specifiche.
Quelle considerazioni che già ci avevan condotto a supporre come
indubitabile l'osténsione del Venerdì Santo, adesso che abbiamo
qualcosa di positivo su cui fondarci , avranno bene la forza di
farci ritenere perlomeno più antico di qualche secolo che non
ci appaia da un documento casuale quella che ha luogo in altri
giorni della stessa settimana. Al più al più si può ammettere la
possibilità che dei quattro giorni ne mancasse qpialcuno, che sa-
(1) Gli è per effetto di questa nostra bolla, malamente conosciuta, che
s' è attribuito a Urbano V di aver lui fissato certi giorni, che son poi pro-
priamente questi, in cui la Veronica si dovesse mostrare. Vedi Severano,
I, 159; MoRONi, CHI, 97.
(2) Coli. Bull. SS. Eccl. Yat., Ili, 24041. L'accrescimento fino ai giorni
nostri non si riduce a questo giorno soltanto (Vedi MoROia,GIII, 101); ed
io non posso darmi la briga di ricerche per determinare nei singoli casi la
data dell'istituzione. In fondo peraltro non s'è aggiunto molto a considerar
le cose anche solo alla superficie; e s' è aggiunto meno ancora se si guar-
dano un poco addentro.
QiomaU storico, VI, fase. 16-17. 10
146 PIO RAJNA
rebbe, se mai, il mercoledì. Quanto all'Ascensione, essa può do-
mandare un certo grado di conferma all'uso seguito durante il
Giubileo. A quel modo che il mostrarsi allora la Veronica ogni
venerdì fu come a dire una moltiplicazione dell'estensione solita
del Venerdì Santo, il mostrarla nelle feste solenni deve verosimil-
mente trovare una corrispondenza ed un germe nell'uso consueto
di qualche speciale solennità. Ora, mancandoci l'Ascensione, noi
non ne abbiamo alcuna; giacché mal può dirsi una vera solen-
nità la domenica dopo l'ottava dell'Epifania.
Dagl' imbarazzi della penuria siam cascati adesso in quelli della
troppa abbondanza. Poiché la Veronica nel periodo che a noi sta
a cuore si poteva vedere senza esser re né gran signori in tre
diversi tempi dell'anno — intorno alla metà di gennaio, nella Set-
timana Santa, quaranta giorni dopo la Pasqua — quale sarà stata
l'occasione prescelta da un maggior numero di pellegrini, parti-
colarmente tra coloro che venivan di lontano?
Mettiam pure fiduciosamente in disparte l'Ascensione. Si tratta
di un'ostensione semplice ed unica, che non può davvero gareg-
giare colle altre rivali: queste, un'ostensione che si ripete per
più giorni di seguito, e un' ostensione accompagnata , o ancora
adesso, o perlomeno fino ad un momento quanto mai prossimo,
da una processione solenne. Ma tra il gennaio e la pasqua, o da
che parte è mai la prevalenza? Qui davvero il decidere, quanto
più si consideri, quanto più si rifletta, più diventa arduo.
Una delle cause che tale lo rendono, si è precisamente quel
dubbio, se la processione istituita da Innocenzo III duri tuttavia
0 sia già stata dismessa. Par poca la differenza tra l'esser ridotti
all'estensione in S. Pietro, e l'aver la Veronica condotta attorno
per le strade di Roma? Poiché la diversità è cosi grande, sarà
indispensabile assegnare ad ognuna delle due idee il suo grado
di verosimiglianza ; e nessun dubbio che voglia concedersene uno
assai maggiore all'ipotesi che l'abolizione sia seguita dal 1300 in
là — periodo tanto più spazioso e che un certo assegnamento
sulla traslazione della sede ad Avignone può farlo di sicuro —
anziché nel ventennio che separa il 1300 dalle colonne d'Ercole
PER LA DATA DELLA « VITA NUOVA » ECC. 147
del 1279 (1). Invece un altro dubbio non so se voglia esser ri-
solto favorevolmente ancor esso. La processione è già molto per
sé-; ma diventa un fatto incomparabilmente più strepitoso dato
che la Veronica fosse trasportata in maniera da esser visibile
lungo tutto quanto il tragitto da S. Pietro a S. Spirito. — Era? Non
era ? — Che l' immagine non si portasse propriamente scoperta,
questo è indubitato: infra capsam , dice Papa Innocenzo, e ri-
petono insieme col rimanente Onorio ed Alessandro (2). Ma la
capsa 0 reliquiario (3) noi la potremmo immaginare in forma
suppergiù di cornice, quali sono i reliquiari che si mettono sugli
altari , sicché , stesa al di sotto di un cristallo , la Veronica si
trovasse diventata la tela di un quadro. E a rappresentarci le
cose in questo modo inclinerebbe un preteso portento narratoci
da Matteo Paris sotto la data del 1216 (4). Sennonché tanta pro-
fusione di Veronica, di una reliquia per solito cosi avaramente
mostrata e che neppure si lasciava esposta sopra l'altare suo
(1) Vedi p. 149. ■
<2) Ibid.
(3) Vedi il vocabolo capsa nel Du Gange.
(4) Pag. 201 neir ed. parigina del 1644. Sebbene il cronista narri il fatto
quando sta per passare al 1217, sarà da riportare almeno al gennaio del 1216,
se deve corrispondere al tempo reale della processione e rimaner sempre
nei confini del papato d' Innocenzo, morto il 16 o 17 luglio di queir anno.
Ecco il racconto. « Dum vero fortunalis alea statum Regni Angliae talibus
« turbinibus exagitaret, dominus Papa Innocentius, quem vacillantis Ec-
« clesiae cura soUicitabat , effigicm vultus Domini, quae Veronica dicitur,
« ut moris est, de ecclesia sancti Petri versus hospitale sancti Spiritus reve-
« renter cum processione baiulabat. Qua peracta, ipsa eflBgies, dum in
« locum suum apportaretur, se per se gyrabat, ut verso staret ordine, ita
« scilicet, ut frons inferius, barba superius locaretur. Quod nimis abhorrens
« dominus Papa, credidit illud in triste sibi praesagium evenisse, et ut
« plenius Deo reconciliaretur , Consilio fratrum, in honorem ipsius effigici,
» quae Veronica dicitur , quandam orationem composuit elegantem , cui
« adiecit quondam Psalmum, cum quibusdam versiculis; et eadem dicentibus,
« decem dierum concessit indulgentiam, ita scilicet, ut quotiescumque repe-
« tatur toties dicenti tantundem indulgentiae concedatur. » Riguardo alla
preghiera e all'indulgenza, vedi Sidone e Martinetti, op. cit., p. 34, dove
si citano due codici vaticani (n" 3769 e 3779).
148 PIO RAJNA
proprio (1), pare inverosimile, tanto più in una festa a cui la
Veronica si può dir tirata per i capelli. E fan contro anche le
parole della bolla d'Innocenzo e de' suoi successori, nelle quali,
assolutamente, io non trovo annunziata che un'estensione al modo
consueto da farsi nella chiesa di S.'* Maria (2).
Ma sia pure cosi, è tuttavia positivo che la festa del gennaio
attirava un gran concorso. Comincia dall' esserne mallevadore
l'autore contemporaneo delle Gesta d'Innocenzo : « Instituit autem
« apud hospitale praedictum stationem solemnem Dominica post
« octavas Epiphaniae, in qua populus ibi confluit Ghristianus ad
« videndum et venerandum Sudarium Salvatoris,quod cum hymnis
« et canticis, psalmis et faculis, a basilica Sancti Petri ad locum
« illum processionaliter deportant, et ad audiendum et intelli-
« gendum sermonem exhortatorium quem ibi facere debet Ro-
« manus Pontifex de operibus pietatis , et ad promerendam et
« obtinendam indulgentiam peccatorum quam exercentibus se
« ad opera misericordiae pollicetur » (3). Il populus Christianus
che ibi confluit non può essere semplicemente la gente che si
trovava già a Roma; e stiam pur sicuri che il motivo dell'ac-
correre è la Veronica , non il sermone , e solo in grado affatto
secondario anche l'indulgenza di un anno, cose a cui il cronista
è tratto a dar molta evidenza dal voler essere eco fedele della
bolla e delle intenzioni del suo pontefice.
Quel che seguiva nei primordi dell'istituzione non vale peraltro
(1) L' ostensione della Veronica deve esser sempre consistita nel prenderla
per i due lembi superiori e nel tenerla spiegata qualche tempo dinanzi agli
occhi degli spettatori.
(2) Mi giova metter qui tutto il passo testuale perchè si veda genuina-
mente il contesto:... « Idcirco rationabiliter instituimus, ut eflBgies Jesu
« Ghristi a beati Petri Basilica per ejusdem Ganonicos ad dictum Hospitale,
« ubi memoria gloriosissimae Matris ejus recolitur, infra capsam ex auro
« et argento et lapidibus pretiosis ad hoc specialiter fabrefactam venerabi-
« liter deportetur, fidelibus populis qui ad has nuptias celebrandas conve-
« nerint desiderabiliter ostendenda ».
(3) Gesta Inn. Ili, cap. 144 ed ultimo: p. 88 nella stampa che precede
le Epistolae nell' edizione del Baluze.
PER LA DATA DELLA « VITA NUOVA » ECC. 149
ad assicurarci che avvenisse altrettanto un'ottantina d'anni più
tardi , in condizioni fors' anche modificate. Ma qui viene a far
sentire la sua voce, proprio al momento più opportuno, Giacomo
Cardinale di S. Giorgio al Velo d'Oro, in quella sua narrazione
poetica e prosaica del Giubileo del 1300, che è strano non si sia
ancor provveduto a pubblicare (1). In un brano comunicato dal
Raynaldo nella continuazione del Baronio, descrivendo i casi del
principio dell'anno e il popolo che in certo modo forza la mano
a Bonifacio prevenendo la pubblicazione della bolla famosa colla
credenza che il Giubileo sia stabilito dalla tradizione, egli cosi
dice: « lis initiis in dies civium externorumque fldes et pere-
« grinatio augeri coepit, quibusdam prima centesimi die (2)omnium
« culparum sordes deieri asserentibus, caeteris annorum centum
« indulgentiam fore: sicque fere usque ad bimestre tempus , et
« similiter die, qua toti orbi venerabilis revelatur efflgies, vulgo
« Sudarium seu Veronica dieta, [cum] (3) longe plus solito com-
« pactis turbis convenirent, utrinque, dubii, sperantes erant. » Il
giorno qui voluto indicare è il nostro , né saprebb' essere alcun
altro, dacché esso è il solo della sua specie anteriore a quello
in cui il Giubileo fu bandito (4); e che il tott orU non indichi
semplicemente che la Veronica era allora visibile per ognuno,
bensì venga ancora ad accennare che si veniva realmente a
vederla da molte parti, non può rimaner dubbio a nessun inten-
ditore poco 0 tanto sagace.
(1) Di questa scrittura, che ognuno sarà lieto di vedere aggiunta alle altre
del medesimo Cardinale stampate dai Bollandisti (maggio, IV, 437-484) e
neppur quelle riprodotte per intero in altre raccolte, merita bene di esser
raccomandata la pubblicazione alla solerte Società Romana di Storia Patria.
(2) Gli anni son come i giorni del secolo.
(3) Supplisco io il cum, senza del quale non vedo come corra la sintassi,
prontissimo a ritirarlo dinanzi ad un' emendazione migliore che fosse data
dal vero o supposto autografo e dagli altri manoscritti.
(4) Se Vet similiter pare accenni ad un giorno non compreso nel bimestre
tempus che precede, si accusi l'autore d' inesattezza di espressione, a meno
di voler addossare la colpa alla lezione poco corretta. Di che giorno si tratti,
ha ben visto il Rohrbacher, St. Univ. della Chiesa, t. XIX, p. 400 della
traduzione italiana.
150 PIO RAJNA
Tuttavia va pur tenuto conto che il biografo d'Innocenzo, che
il Cardinal di S. Giorgio, guardando le cose da Roma, son soggetti
ad illudersi e portati ad esagerare; e davvero sono espressioni
altamente enfatiche, e questo totus orbis dell'uno, e il populus
christianus dell'altro. Però noi sentiamo il bisogno di una qualche
voce lontana. E una voce lontana, spettante ancor essa a questi
tempi (1), è quella del libro delle Visioni di Metilde, meritevole
adesso di essere raccattato di nuovo per un momento. Sia pure
una finzione, non la visione soltanto della domenica Omnis terra,
ma anche l'andata a Roma delle compagne per eccitamento del-
l'estatica donna, la finzione stessa suppone che di siffatte andate
dalla Germania ne seguisser davvero. Perlomeno mette in sodo che
l'ostensione del gennaio era ben nota in quelle parti : il che, date
le condizioni degli animi, è già una premessa da trascinarsi dietra
non pochi viaggi. Importante altresì che la domenica nostra par
conosciuta (il pare è imposto da dubbi d'interpunzione e inter-
pretazione) come la festa per eccellenza dell' ostensione deside-
ratissima: « quando Romae agitur festum ostensionis ejusdem
« imaginis ».
S'ha un bel dir tuttavia che si viene. Ma e come si fa a passar
le montagne? le Alpi prima; poi ancora gli Appennini! — Io non
istarò a indagare come si facesse ; ma che si passassero , posso
asserirlo. Si guardi al cronista Emone: parte dal suo monastero di
Werum, nella Germania più settentrionale, il 9 di nov. ; vien per
la Francia, infila la Val Moriana, entra in Italia per Susa, e mette
piede in Roma il 19 genn. (2). Ebbe a superare il Genisio propria
(1) Non istarò a discutere se Metilde morisse nel 1299, o nel 1310, e nep-
pure ad esaminare se la data precisa abbia a ritenersi più largamente dubbia
(vedi LuBiN, Osservaz. sulla MateMa Svelata del clr. J. A. Scartazzini,
Graz, 1878, pp. 50-51): n'ho d'avanzo di una certa approssimazione.
(2) Pertz, ss., XXIII, 470-71. Una particolarità meritevole di nota si è
che Emone arrivò si può dir l' indomani della festa del gennaio , che
nel 1212, anno in cui egli compi il suo viaggio, aveva a cadere il 14, e
riparti 1' 11 marzo, due settimane avanti la pasqua (25 marzo). Fa mera-
viglia il non vederlo trattenersi fino alle ostensioni della Settimana Santa.
PER LA DATA DELLA « VITA NUOVA » ECC. 151
verso la fine di dicembre ; e non sente neppure il bisogno di farci
nessuno sfogo sulle difficoltà dovute vincere. Si vede che i monti
non mettevano al medio evo troppa maggior paura d'inverno che
d'estate. Di ciò ravviserei una ragion principale nella frequenza
stessa dei viaggiatori; un'altra nell'aversi numerosi gli ospizi. E
gli ospizi, sparsi oramai con tanta abbondanza lungo tutta la
strada, vengono a dirci che non solo i pericoli, ma anche i di-
sagi del viaggio erano minori assai che non si tenda ad imma-
ginarli. Non è poca cosa davvero per chi si metta in cammino
il saper d'incontrare ogni giorno, e non una volt^ sola, luoghi
istituiti apposta per dargli riposo, cibo, albergo, assistenza. E di
ospizi abbondava poi anche Roma; sicché non pochi potevano
anche venire prima che la stagione si fosse fatta pessima , e
aspettare a ritornarsene quand'essa avesse già temperato i suoi
rigori (1). Già, nessuno veniva a Roma senza trattenercisi almeno
qualche settimana.
Di fronte a queste ragioni fondatissime che s'allegano dalla
festa del gennaio, anche la Settimana Santa ne può mettere avanti
delle buone, suscettibili, grazie a Dio, di essere esposte assai più in
breve. Nonostante tutti i temperamenti, è innegabile che la con-
siderazione della stagione mantiene un valore considerevole; ed
è manifesto che la Settimana Santa si trovava sotto questo ri-
spetto in condizioni migliori assai. Ci si trovava ancor più che
Siccome errori di data non possiam supporne perchè il testo ci fornisce
delle riprove, non si può se non ammettere che ad Emone, o importasse
pochino della Veronica, o che la Veronica gli fosse stata mostrata privata-
mente. Scegliam pure la seconda ipotesi: resterà sempre a far dubitare
che della Veronica molto molto non gli sia importato, il fatto del non aver
lasciato in proposito nessun ricordo speciale.
(1) Si veniva anche addirittura per il novembre e non si ripartiva che a
pasqua. Tale è il caso per S. Willibaldo e per il fratello Wunibaldo
« Tunc illi duo germani ibi manserunt a nativitate sancti Martini x> (H nov.
« usque ad aliud solemnitatis Pascha » {Hodoeporicon S. Willibnldi : Ga-
Nisio, Thes. Monum., ed. Basnage, II, i, 108). E i due sarebbero arrivati
anche prima, se a Lucca non avessero perduto il padre, col quale se ne ve
nivano. Non prenderei tuttavia questo esempio come una nonna comune
Qui si tratta di gente di condizione elevata.
152 PIO RAJNA
non paia; poiché, grazie all'errore del calendario giuliano, l'anno
naturale precedeva quello degli uomini e della chiesa di una se^
timana e qualcosa più ; sicché nella realtà non si dava nemmeno
il caso che la Pasqua cadesse mai nel marzo. Inoltre, l'abitudine
delle andate a Roma nel tempo pasquale datava da tempo im-
memorabile, e dalla tradizione attingeva quindi una forza, di cui
è da tenere ben conto. E valgon poi molto quelle ostensioni che
si replicano più giorni di seguito; valgono, perchè, dando perfino
la possibilità di contemplare ripetutamente la Veronica, avevano
a costituire una grande attrattiva; e valgono insieme in quanto
s'hanno da riguardare come un effetto della gran moltitudine
che accorreva sitibonda di quella vista. Originariamente, oso af-
fermare , la Veronica si doveva mostrare solo il venerdì ; tenne
dietro presto il giovedì (1); il mercoledì ed il sabato s'hanno a
ritenere imposti dalla gran ressa, e di questa ressa vengono ad
essere una prova assai valida.
Così s'accorreva per la festa del gennaio, s'accorreva per la
Pasqua; e la scelta riesce pertanto molto ardua. Tutto considerato,
inclinerei a decidere in favore di quest'ultima ; ma non senza una
certa titubanza, accresciuta dalla riflessione che intorno alla do-
menica delle Nozze di Gana restano, come s' è veduto, oscurità
assai deplorevoli. Non tituberei invece per poco che ci si dovesse
inoltrare nel sec. XIV; allora di sicuro, caduta assai probabilmente
in disuso la processione a S. Spirito, venuto a mancare lo splen-
dore dell'intervento pontificio, la festa di papa Innocenzo dovette
ripiegare la sua bandiera. È questa considerazione del tempo che
non mi permette di aggiungere agli argomenti in favore della
Pasqua la glossa della redazione amplificata dell'Ottimo al luogo
del Paradiso: « ... che di Croazia, cioè di Schiavonia, viene a
vedere « per la quaresima a Roma il Sudario» (2).
(1) Alle ragioni intrinseche s'aggiunga il fatto esteriore che modernamente
nel giovedì e venerdì, e soltanto in essi, il Sudario si mostra o si mostrava
tempo addietro, come ahbiam dal Moroni (CHI, 101), « più volte al giorno ».
(2) Da nessun altro commentatore, per quanto almeno ho visto io, si
PER LA DATA DELLA « VITA NUOVA » ECC. 153
Ma se rimane dell'incertezza rispetto a questo punto speciale,
non ne rimarrà davvero nessuna quanto al non esserci nella
Veronica neppur l'ombra d'un motivo per voler leggere andava
in cambio del va dei manoscritti, e per cercare l'allusione al Giu-
bileo nel passo della Vita Nuova. Diciam piuttosto che se le cose
stessero a rovescio, vale a dire se dessero andava i manoscritti,
non si potrebbe conservarlo altro che a patto di riferirlo ancor
esso al costume degli anni soliti. Poiché e' è da meravigliarsi
come non si sia considerato, che, se nelle condizioni ordinarie
stava bene che la Veronica fosse una delle principali ragioni
dell'andare a Roma, nel 1300 essa rimaneva offuscata dal fatto
di gran lunga più importante dell' Indulgenza Plenaria. Era la
prima volta che una larghezza così inestimabile si concedeva ad
altri che a chi prendesse le armi per la fede. Tra la fine del
secolo XII e il principio del XIII e non so fin quando anche
dopo, il maggior perdono che si potesse acquistare venendosene a
Roma da paesi remoti e oltramarini, era di tre anni (1). Nel 1289
Niccolò IV allargò bene le mani; tanto da concedere per i due
periodi più privilegiati , che sono quelli appunto in cui cadono
anche le nostre estensioni della Veronica, nientemeno che tre
ricava nulla. Tutti dicono che il sudario si mostra a Roma, senza specifi-
cazione di tempo. Ho consultato il Laneo, Benvenuto da Imola, il da Buti,
il commento che si vuol fatto compilare da Giovanni Visconti, ed altri
ancora.
(1) « Et quia solennitas maxima est » — si parla della festa di S. Pietro e
Paolo — « maximam remissionem [Apostolica] prudentia omnibus ad eam
« devote venientibus condonavit. [Quae videlicet remissio, Apostolica provi-
le dentia sic tripartita distinguitur , ut Romanis et circumjacentibus , unius
« anni; Tuscis, Lombardis et Apulis, et ceteris mare non transeuntibus,
« duorum annorum ; sed et his qui maria transmeare noscuntur, trium anno-
« rum maneat remissio peccatorum. Simili» eademque remissio facta pro-
« batur in hac beati Petri basilica in Goena Domini , quando consecratur
«. ibi sanctum Ghrisma; in Ascensione Domini similiter.] » Gosì la descrizione
della basilica vaticana scritta, come si disse, dal Mallio, accresciuta dopo
morto Gelestino Ili, e. i, § 6: Boll., giugno, VII, 38. 11 brano tra paren-
tesi è una giunta del secondo autore; il che non implica punto che gli or-
dini stessi non potessero esser già in vigore anche quando il Mallio scriveva.
154 PIO RAJNA
anni e tre quarantene per giorno (1); ma di qui all'indulgenza
plenaria, a un lavacro universale che senza neppur più il bisogno
di calcoli aritmetici liberava da molte asprezze in questa vita e
dava la certezza della salute eterna, eh, ce ne corre ! E gli uo-
mini di allora ce lo dimostrano coUesser venuti a Roma in mol-
titudine così strabocchevole. È dunque per l'Indulgenza, per il
Perdono che si viene; e chiunque parli allora del Giubileo ce lo
dice espresso (2). E lo dice lo stesso Villani, nonostante che le sue
(1) È la bolla cui s' è alluso anche a p. 134 : «... A Dominica vero de
« Adventu usque ad primam Dominicam post Octavas Epiphaniae, et a Domi-
« nica Quinquagcsimae hinc ad Octavas Pascae, quolibet die, tres annos et
« tres quadragenfis » ((hll. Bull. SS. Eccl. Vat., I, 214). Questo e tutto il
rimanente per i visitatori di S. Pietro. Anche per i giorni non privilegiati
s'arriva qui a concedere, previa, beninteso, la confessione « unum annum et
« quadraginta dies ».
(2) Gli Annales Colmarienses citati a p. 131 , n. 4: « Bonifacius papa
« anno Domini 1300 ratione iubilei omnibus venientibus Romam tanta abso-
« lutionis beneficia contulit, quod tantus factus fuit concursus » ecc. Gino
da Pistoia nel passo ricordato anch'esso in quella pagina medesima: « Ita
« audivi eum dicentem Bononiae » — si tratta del famoso giurista Pietro di
Belleperche — « cum peregrinus venit et repetiit hanc legem ilio tempore
«. quo indulgentia centesimi anni dominus Bonifacius Papa octavus fecit totum
« orbem peregrinari Romam. » Tolommeo da Lucca, Annales (Rer. It. Scr.,
XI, 1303) : « Eodem anno, in Galendis Januariis » (inesatto) « instituta fuit
« indulgentia pienissima omnium peccatorum per Papam Bonifacium , qui
« tunc Ecclesiam regebat : unde factus est concursus populi tantus ex
« omni genere et natione » ecc. Una curiosa iscrizione d' un fiorentino, che
appose alla casa sua (tale ha da ritenersi) la memoria del Giubileo per far
sapere ai posteri che e' eran stati anche lui e sua moglie : «... Et cum
« eodem a[n]no fuisset a papa Bonifatio soUepnis remissio omnium pecca-
« torum videlicet culparum et penarum omnibus euntibus Romam indulta,
« multi ex ipsis Tartaris ad dictam indulgentiam Romam accesserunt. E
« andovi Ugolino chola molglie ». L' iscrizione, pubblicata primamente dal
Lami nelle Deliciae Eruditorum e di 11 riprodotta dal Mansi nelle note
al Raynaldo, è ancora al suo posto in via della Fogna, verso lo sbocco
sulla Piazza di S'^ Croce , poco alta da terra in modo da esser leggibile
assai comodamente. Cosi ho potuto correggere delle inesattezze e qualche
grosso sproposito. Per finire, comunicherò le parole di una Riformagione
bolognese del 19 ottobre 1300, di cui dà il contenuto il Ghirardacci, Hist.
di Boi., 1, 421, e della quale ho il testo grazie alla cortesia del prof.
V. Fiorini (Reg. D., f 18): « Item quod placet Consilio et masse populi
PER LA DATA DELLA « VITA NUOVA » ECC. 155
parole siano precisamente quelle che, frantese, ebbero a dare
impulso all'idea erronea del Lubin e degli altri (1). Così la con-
clusione viene ad essere che il passo nostro può riferirsi ad
c^ni anno, eccettuato per l'appunto quel 1300 che si credeva
di vederci indicato.
Non so se per staccare dallo scoglio un' ostrica di così po-
vera apparenza parrà che mettesse conto di star tanto tempo
sott' acqua. Ma io son di parere che in generale , o si lascino
stare le questioni, o si veda di andarne al fondo. Tutto quanto è
superficiale non procaccia soddisfazione nessuna alla verità, la
quale invece si appaga di ogni ben che minimo guadagno, purché
sia sicuro. Del resto non è detto che la nostra ostrica non rac-
chiuda una perla. Dimostrare che la Vita Nuova non contiene per
nulla affatto la pretesa allusione al Giubileo, gli è un permettere
che la vincano definitivamente le ragioni che portano a ritenerla
anteriore di parecchi anni, e un rendere quindi un servigio non
vano alla cronologia dantesca, e però alla storia intellettuale del
Poeta. Nonostante il bastone messo tra le ruote per via d'una
falsa lezione , la .quale ripete probabilmente essa stessa la sua
« predicto {sic) de infrascripta et super infrascripta petitione providere,
« tenor cuius talis est. Vobis dio cap. ancianorum et consulibus comunis et
« populi bon. exponitur tam per peregrinos qui ire et redire habent Romam
« propter Indulgentias peccatorum ipsorum recipiendas quam ex parte mer-
« catorum et aliorum hominum qui habent ire et redire per stractam qui
« itur florentiam quod cum dieta strata a terra sancti Rophili super usque
« ad terram Pedramale sit calancosa » ecc. Ho riferito questo passo, più
ancora che per via del punto che si veniva illustrando, perchè indicherà,
a chi noi sapesse, per che strada fossero venuti i pellegrini che Dante dice
di aver visto passare. Poiché, se nel 1300 quella strada fu molto più battuta
che di solito, era pur sempre essa che conduceva in Toscana chi andava a
Roma per Firenze.
(1) Siccome il « Per la qual cosa gran parte de' cristiani che allora viveano
« feciono il detto pellegrinaggio » segue alla notizia sulle estensioni della
Veronica, dev' esser parso che il Per la qual cosa si riferisse ad essa,
mentre invece è da riportare alla « piena e intera perdonanza » di cui s' è
detto largamente prima. La Veronica è un accidente : si mostra « per e o n-
« solazione de' cristiani pellegrini ». E di lei la bolla del Giubileo non
fa nemmeno menzione.
156 PIO RAJNA
origine dall'idea fallace che suscitò nel Witte e negli altri, pa-
recchi non s'eran lasciati smuovere e sostenevano a spada tratta
e con buoni argomenti ciò che è di sicuro la verità. E degli
argomenti se ne potrebbero ancora aggiungere: questo peresempio:
che non è punto consentaneo all'indole della VUa Nuova, che
vi si trovi inserita, sia pur sotto forma di circonlocuzione, ciò
che equivarrebbe all' indicazione precisa di un anno. Ma per
quanto si ragionasse bene, la dimostrazione non era così rigorosa
che ognuno le si dovesse assolutamente piegare: prova ne sia
— altro davvero non occorre — l'aver persistito il D'Ancona nel-
l'antica opinione. Ecco perchè non mi par perduto il tempo che
ho speso per farla finita una volta per sempre colla causa d'ogni
male.
Se questo tuttavia del rendere un servigio — piccolo o grande,
poco importa — alla Vita Nuova e agli studi danteschi, come fu
l'occasione, fu anche il fine prossimo delle ricerche intraprese,
non è che con esse non si sia anche raggiunto un intento più
largo. Se ciò non fosse non darei fuori di sicuro il lavoro mio
altro che in dimensioni assai più modeste. Ma per giungere colà
dove noi si voleva, s'ebbe a passare per selve intricate, dove la
vita medievale presentava certi suoi aspetti molto più importanti
a conoscere che a prima giunta non sì penserebbe.
PER LA DATA DELLA « VITA NUOVA » ECC. 157
^PI^ENDl CE
(Vedi pag. 129).
ROMEO.
Stando al Diez, Et. W., I, s. v., e Gr., F, 224, il vocabolo romeo sarebbe un
romero — romarius — che avrebbe insolitamente, dietro impulsi analogici,
perduto il secondo r. Quanto a me , non dubito di tener per erronea la
spiegazione.
Essa fu suggerita dal romero spagnuolo , romeiro portoghese , e dal ve-
dere che anche la Francia conobbe im romier , e che romero occorre in
qualche nostro testo dialettale, e propriamente aquilano (Muratori, Ant. It.
M. Ae., VI, 648; st. 837 e 838). Ma era da considerare che, ad eccezione
del territorio castigliano-portoghese, dominano dovunque forme senza r, tutte
indissolubilmente legate : accanto all' italiano romeo e' è 1' antico catalano
romeu; il provenzale romeu, romieu; l'antico francese romieu, romiau; e
ci sono ancora a ribadirli i derivati romeatge , romavatge , romavage, ge-
melli del nostro romeaggio ; e nella Provenza per di più romavia, di cui a
torto certi editori han fatto romania. Manifestamente tutte queste forme
metton capo a romaeus , che non incontriamo soltanto nelle solite carte ,
nelle solite cronache, dove è da considerare come semplice riflesso delle
forme romanze (chi aveva pretensioni di scrittore usava romipeta), ma che
abbiamo altresì da uno dei glossari fatti conoscere dal Mai: Class. Atict.,
VII, 577.
E cos' è romaeus ? Sarà esso mai una nuova creazione fabbricata suU' a-
nalogia di Judaeus , Hehraeus , Galilaeus ? — Sarebbe strano che fosse ,
avendosi qui a fare con una terminazione non diventata mai frequente nel
latino neppure nelle sue ultime fasi; appare più che mai inverosimile, se si
riflette come accanto ai tre vocaboli enumerati , certo i più comuni della
loro specie, non vi sia una città di Juda, Hebra, Galila , che potesse por-
tare a foggiar qualcosa di somigliante anche per Roma. Impossibile dunque
158 PIO RAJNA
duhitare che romaeus non sia il f)iu|Liato<; greco; come del resto non sono
altro che forme greche Judaeus e compagnia.
Quanto a ramerò e simili, nei paesi dove prevale senza confronto il tipo
romeo saranno essi che a rovescio di quel che s' era supposto vorranno es-
sere addebitati all'analogia. E in questo senso l'analogia agiva con ben altra
intensità, poiché era esercitata nientemeno che dai riflessi di -arius, il più
fecondo forse tra tutti i suffissi nelle lingue romanze. A conferma citerò la
forma giudero, che mi tengo sicuro d' aver incontrato, nonostante che non
sappia adesso indicarne esempi. E allora , una volta che romero , rom.etro,
restano unicamente alla Spagna e al Portogallo , vorranno bene ancor essi
esser considerati, se non come semplici modificazioni analogiche di romeo,
almeno come forme venutecisi a sostituire per effetto della stragrande diffu-
sione dei derivati in -ero, -eiro. In fondo, come si vede , una differenza ap-
pena percettibile.
Così del problema prettamente linguistico c'è da sbrigarsi in breve. Ma
accanto ad esso vien subito a sorgerne un altro , secondo me di maggiore
attrattiva. Chi desidera di penetrare addentro nelle questioni non è soddi-
sfatto del conoscere che una cosa sia, se non gli riesce di sapere altresì in
che modo avvenga che sia. 0 come mai il vocabolo che in greco diceva
romano ebbe ad introdursi nel dominio latino , e come fece a prendere
quel suo peculiare significato?
Dell'enimma si posson proporre varie spiegazioni. Una consisterebbe nel-
l'immaginare che il popolo cominciasse dal chiamar romani coloro che fa-
cevamo il pellegrinaggio di Roma; ne ho conosciuto io stesso dei romani e
dei napoletani che non ad altro che ad un viaggio andavano debitori del-
l'esser chiamati cosi ; qualche erudito ecclesiastico , per evitare confusione ,
avrebbe cominciato a sostituire la forma greca equivalente, e l'innovazione,
rispondendo davvero ad un bisogno, si sarebbe a poco a poco fatta strada.
Sennonché e' è da considerare due cose. I pellegrinaggi a Roma cadono in
un periodo in cui il significato di romano si é tanto dilatato e già si sente
cosi vivo il bisogno dì valersene per contrapporlo a barbaro, che lontano
da Roma poco si può pensare ad adoperarlo nel suo significato primitivo.
Inoltre abbiam dovuto tirare in iscena l'arbitrio individuale. Ora, se questo
arbitrio ha di sicuro nella storia delle lingue una parte assai maggiore che
non si pensi dai più, esso tuttavia, salvo testimonianze positive, ci trasporta
talmente nel dominio delle pure e semplici congetture, da togliere ogni va-
lore scientifico ai risultati. Guardiamoci dunque dall' introdurlo nei calcoli
se non ci par proprio d'esser stretti da una necessità assoluta.
Un' altra ipotesi. 'Piu|Liaì0(; potrebb' esser stato importato ed essersi diffuso
PER LA DATA DELLA « VITA NUOVA » ECC. 159
col significato suo proprio, ed anzi col senso ristretto di « abitante di Roma ».
Il glossario citato più sopra lo traduce con romensis; e col vocabolo stesso
traduce poi subito anche romuleus. 11 resto del cammino si capisce come
sarebbe stato percorso: il popolo stesso avrebbe chiamato addirittura romaei
colofo che andavano a Roma, a quella maniera medesima che prima ave-
vamo immaginato li potesse chiamar romani. Coli' andar del tempo poi, la
tendenza alle determinazioni specifiche e le occasioni senza confronto mag-
giori che c'erano di nominare i pellegrini anziché i « romani di Roma »,
avrebber fatto si che romeo conservasse unicamente il primo significato e in
quello si raffermasse. — Ma anche qui c'è una grave obbiezione. Se i romani
fossero mai stati detti con una tal quale frequenza romaei (s'intende, da
gente estranea alla città), noi dovremmo di cotal uso trovare esempi negli
scrittori; tanto più che l'uso stesso, dacché abbiamo a fare con un vocabolo
greco, dovrebb' essere incominciato tra gente dotta. Quanto al Glossario, da
solo non ci aflSda: son troppi gli schiarimenti che noi avremmo anzitutto
da chiedere all'autore, o forse piuttosto agli autori.
Volgiamoci alti'ove. Se movessimo dall'idea che Romani fossero stati chia-
mati neir occidente gli abitanti dell'impero orientale? 0 non vennero real-
mente a chiamarsi Twinaìoi essi medesimi? Posto ciò, immaginiamo che
di là venissero molti pellegrini a visitare la tomba di Pietro: erano Romaei,
ed era naturale che così fosser detti. Con un procedimento di generalizza-
zione facile da comprendere sarebber poi diventati romei i pellegrini tutti
quanti. — Non punto difficile da comprendere in sé stesso, il procedimento
é tuttavia ben poco ammissibile nel caso nostro. Senza escludere che dei
pellegrini orientali venissero a Roma, il loro numero non fu mai di sicuro
molto cospicuo, né paragonabile, anche solo lontanissimamente, a quello degli
occidentali. Prima condizione dei pellegrinaggi è che li favoriscano gli ec-
clesiastici; e in generale quelli dell'oriente non potevan di certo vedere di
buon occhio che col venirsene alla tomba di S. Pietro si servisse agi' interessi
della sede romana, inoltre, l'uso latino di chiamar romaei i confratelli greci,
è ancor esso di quelli di cui s'è in diritto di cercar le prove negli scrittori,
e di cui intanto, che io veda, le prove negli scrittori non si trovano.
Dopo essermi tre volte lasciato respingere da terra, m'illuderò io sperando
di riuscire finalmente a metter piede sulla riva? Io penso che 'Pui|Liato<;
abbia preso il significato di pellegrino molto lontano dall' Italia e da tutto
l'occidente; in un paese non greco, e dove nondimeno la lingua greca era
ampiamente propagata: nella Palestina. Avanti che Roma diventasse un luogo
di pellegrinaggio , aveva già cominciato ad esser luogo di pellegrinaggio
la « Terra Santa ». Nel secolo quarto i fedeli vi andavano numerosissimi.
160 PIO RAJNA
Appartiene all'anno 333 l'Itinerarium Hierosolymitanum, che ci conduce
a Gerusalemme nientemeno che da Bordeaux. Alla fine del secolo, nel 397,
S. Gerolamo , che per Roma , secondo ogni probabilità , ci indica solo uno
stadio iniziale, ci si dice sopraffatto a Betlemme « tantis de toto orbe con-
« fluentibus turbis... monachorum » {Ep. 66, 14), da poter reggere a fatica all'uf-
ficio che s'era imposto. Ci venivano monaci, ma non monaci soltanto: c'eran
laici, donne, gente di molte specie, (juantunque probabilmente non vi si ve-
desse ancora la turba cenciosa del medio evo. Comunque, una gran parte
di costoro erano e dovevano di necessità esser detti 'Puj|Lia!oi; erano 'Pu)|ùiatoi
tutti gl'Italiani, i Galli, gli Spagnuoli, gli occidentali insomma; si chiama-
vano forse già 'Pui|iatoi per opposizione alla gente del paese anche coloro
che venivano da Costantinopoli e da quelle parti. Aggiungendo a ciò che
per altra ragione che di pellegrinaggio pochi 'Pw|aaToi dovevano condursi
colà, s'intenderà ottimamente in che modo la parola potesse assumere il
senso specifico di cui ci si voleva render conto. Si pensi a peregrinus stesso,
che dal significare straniero in genere, si riduce ad essere usato quasi unica-
mente per gli stranieri che vengono o che vanno a visitar luoghi santi.
Resta che si cerchi di spiegarci, in che maniera l' uso della Palestina
possa esser stato trasportato nei paesi nostri. — Anche qui le spiegazioni non
difettano. La più semplice consisterebbe sul pensare che i pellegrini stessi,
che si sentivan chiamare Romaei a Betlemme, a Gerusalemme, adottassero
il nome, e lo portassero seco nel ritorno. Mancanti com' erano di una desi-
gnazione specifica, era naturale ne accettassero una, la quale, sebbene non
fosse per nulla tale in se stessa, tale poteva parere e diventava per chi non
era greco di linguaggio.
Io non so tuttavia se non sia entrato di mezzo un altro fattore. Quand'anche
non inclinassi a credere che sì , dovrei qui renderne conto, non foss' altro
per la gratitudine dell'esser stato esso per l'appunto che, guidandomi nell'o-
riente e in Terra Santa, mi condusse a chiarire, se non m'illudo, il mistero del
romano diventato pellegrino. Nel corso del lavoro che precede ho avuto a
parlare qualche poco degli Spedali od Ospizi : qui bisogna che risalga alle
origini , dietro la scorta del Cavedoni, che ne discorse assai dottamente illu-
strando un'iscrizione algerina (Cenni sopra alcune iscrizioni Cristiane re-
centemente scoperte nella già Reggenza di Algeri: nella Continuazione
delle Memorie di Religione, di Morale e di Letteratura, t. VII, Modena 1839;
pp. 125 sgg.). Come vera e propria istituzione di beneficenza cotali Ospizi
cominciarono in oriente, ancorché si voglia che il primo a fondarne imo —
a Costantinopoli — fosse un senatore romano : Zotico, che aveva seguito Co-
stantino nella nuova capitale. Zotico era un cristiano fervente, tanto da
PER LA DATA DELLA « VITA NUOVA » ECC. 161
esser poi venerato per santo ; e fu opera cristiana che gli Eevoboxeta, come si
chiamavano, si moltiplicassero in quelle parti, suscitando poi un' emulazione
non generosa, perchè originata da passione soltanto, in Giuliano l'apostata,
che non sapeva perdonare agli « empi Galilei » la carità verso i bisognosi.
Finora, a Costantinopoli, a Cesarea, gli Hevoboxeta servivano per gli Eévoi,
per i peregrini in genere, e, testimonio Giuliano, aprivano le loro porte ospi-
tali agli stessi Ebrei ; ma propagatasi V istituzione alla Ten-a Santa, essa
vi servì propriamente per coloro che andavano a visitare i luoghi della
Passione. E a proposito di un monasterium e diversorium edificato da lui
stesso che S. Girolamo pronunzia le parole citate poc' anzi. Sempre in Be-
tlemme un' altra fondazione consimile era sorta per opera di quella Paola,
di cui Gerolamo ebbe a tessere uno splendido elogio funebre nel 404 {Ep. 108;
vedi il § 14). E 11 in questo « diversorium peregrinorum » della vedova romana,
furono ospitati di sicuro Dio sa quanti 'Puj|Lia!oi; e dovett' essere per opera
loro specialmente che S. Girolamo potè dire della santa donna {Ep. 108, 3),
« Quam Romae habitantem nuUus extra Romam noverai, latentem in Be-
« theleem et barbara et Romana terra miratur ».
Forse precisamente dalla Terra Santa e da Betlemme gli 5€vo6oxeta furono
importati in Italia; almeno, eccita a supporre ciò il vedere che il primo di
cui si sappia fu fondato da Pammachio, genero per l'appunto di Paola, e
datosi a vita monastica dopo la morte della moglie: « Audio te », gli scrive
Gerolamo (Ep., 66, 11) « xenodochium in Portu fecisse Romano, et virgam
« de arbore Abraham in Ausonio piantasse litore ». Che fosse edificato spe-
cialmente per chi ritornava dal pellegrinaggio di Gerusalemme, non è
detto ; ma l' averlo fondato ad Ostia, e non a Roma , mostra chiaro che
s' aveva la mira a gente che arrivava di lontano.
Vado pensando, se mai non accadesse appunto 11 dentro che i pellegrini
cominciassero a dirsi Romaei altresì fra di noi. Anche il nome greco di
Pammachio ferma un poco l' attenzione. Non e' è tuttavia bisogno di andare
tant' oltre per riconoscere che gli Eevoboxeta ci fanno apparire anche sotto
un altro rispetto legato all'oriente il romeare degli occidentali, e vogliono
esser presi in considerazione nella questione nostra. Al fatto di un' istitu-
zione greca propagatasi nel mondo latino non si può a meno di ravvicinare
quello di un vocabolo greco che viene a galla in latino in un senso così
intimamente connesso con quell'istituzione. E vuoisi avvertire che dell'ori-
gine greca gli Spedali conservarono a lungo il ricordo nel loro nome me-
desimo : nelle carte lucchesi del secolo Vili, per non citar altro, essi con-
tinuano ad esser detti Senodochia o Senodocia, e non mai altrimenti.
Si ammetta del resto una dipendenza del fenomeno linguistico dall'altro,
Oxomak storico, VI, fase. 16-17. 11
162 PIO RAJNA
si creda ad un mero parallelismo, un conforto ne viene sempre alla spie-
gazione che ho dato di romaeus. Ed è a questa spiegazione soltanto che
io tengo. Romei non furono dunque in origine dei non romani che anda-
vano a Roma, bensì dei romani in senso largo che si vedevano arrivare in
tutt' altro luogo. I pellegrinaggi alla tomba di S. Pietro venutisi a mettere
accanto a quelli di Palestina, e spesso di certo compiuti unitamente fin dal
quinto secolo, contribuirono di sicuro alla conservazione ed alla propaga-
zione del vocabolo, come quelli che gli vennero a dare una specie di nuovo
contenuto. Per effetto di una falsa etimologia ciò che indicava la prove-
nienza parve significare lo scopo del viaggio; e delle false etimologie non
è poca davvero l'efficacia.
Curiose, chi adesso le abbracci nel loro insieme, le vicende del nostro
vocabolo, e buone a confermare anche una volta quanta parte di storia
umana sia chiusa nei vocaboli. Romeo, che nella età successiva viene a
narrare della maggiore antichità dei pellegrinaggi romani rispetto agli altri
tutti dell' Europa , ora che slam voluti risalire al nascimento e all'infanzia,
conta come questi medesimi pellegrinaggi fossero preceduti da un grande
accorrere dell'occidente, non dell* oriente soltanto, verso la Terra Santa.
Peccato che se i vocaboli sanno tante cose, sia molto difficile indurli, se
non ad aprir bocca, a parlare un linguaggio abbastanza intelligibile!
P. Rajna.
3sroa?iz:iE
sulla vita e gli scritti
DI ALCUNI DOTTI UMANISTI DEL SECOLO XV
raccolte da codici italiani (1).
V.
ISOTTA NOGAROLA.
Isotta Nogarola è spessissimo nominata, ma nessuno ancora la
ha studiata come merita; e ci sono a trarre molte notizie inedite
dalle nostre biblioteche. Alcune ne darò qui -ora; di altre indi-
cherò la fonte.
È del 1436 che nell'epistolario inedito di Guarino incomincia
la corrispondenza epistolare tra lui e le sorelle Nogarola. Nel-
l'ottobre di quell'anno Guarino dimorava nella sua villa di Val
Policella presso Verona, dove si era ricoverato da Ferrara, in-
festata dalla pestilenza. Da Verona Giacomo Foscari, figlio del
doge, gli mandò a Val Pohcella alcuni scritti delle sorelle No-
garola, i quali Guarino, col suo solito entusiasmo esagerato e
passaggero, levò alle stelle, proponendo le due fanciulle come
esempio ai giovanotti infingardi: vos animum geritis muliebrem,
Ulaqtce virgo viri. E mandò quegli scritti a Leonello a Ferrara,
(1) Contin. Vedi rol. V, p. 148.
164 R. SABBADINI
il quale anche 11 ammirò (1). Al principio del 1437 Guarino era
di ritorno a Ferrara. La Isotta incoraggiata dalle lodi di Guarino
gli scrisse nel 1437 una bellissima ed elegante lettera, nella quale
fa di lui un entusiastico elogio, deplorando che Verona si sia la-
sciato sfuggire quell'insigne maestro (2). Ma Guarino (chi lo sa
perchè?) non rispose a quella lettera, e fu una sventura per l'I-
sotta, poiché a Verona cominciò a essere tacciata di spudorata
e a divenire il bersaglio delle lingue malediche. Allora la povera
Isotta riscrisse una lettera sconfortante a Guarino, lamentandosi
della sorte della donna e chiamandosi delusa nella sua aspetta-
zione. Questa volta Guarino rispose (3); la risposta è dell'a-
prile 1437. Egli la conforta ad essere superiore al proprio sesso
nei sentimenti forti, come già gli era superiore nella cultura.
Alla poco cavalleresca trascuranza del padre riparò poi Giro-
lamo, primogenito di Guarino, che nel 1437 (poteva allora con-
tare 18 anni) scrisse una lunga e gentilissima lettera alla Isotta (4),
in cui dopo di averla paragonata alle donne più famose, fa un
panegirico della virtù, citando molti esempi antichi. La Isotta gli
rispose cortesemente (5), ritornando sulle lodi della virtù e con-
gratulandosi con lui di tanta istruzione in così giovinetta età.
Qui mi viene suggerita una considerazione. Comunemente si
fa morire Isotta nel 1466 di 38 anni; io direi di 48; perchè se
nel 1466 avea 38 anni, nel 1436 ne avrebbe avuti otto, e a otto
anni non si scrive latino da farne andare in visibilio Guarino ; e
poi la lettera dell'Isotta a Guarino dei primi mesi del 1437, quando
essa sarebbe entrata appena nel nono anno, è di tale eleganza e
(1) Queste notizie sono tratte da quattro lettere, che vedranno presto la
luce, di cui la prima e la seconda di Guarino a Leonello d'Este (Gom. : Su-
perioribus diebus; e: Quam inter bacchanalia) ; la terza a Giacomo Fo-
scari (Gom. : Bies hic mihi festivus) ; la quarta di Lionello a Guarino (Gom. :
JEtsi saepenumero, vir clarissimé).
(2) Bibl. Riccard. di Firenze, cod. 779, fol. 306; cod. 924, fol. 232.
(3) lUd., cod. 924, fol. 225; Gapitolare di Verona, cod. GGLVI.
(4) Gapitolare, ibid., fol. 12.
(5) Gapitolare, ibid., fol. 15.
NOTIZIE DI ALCUNI UMANISTI 165
mostra tanta erudizione e gravità, che io non esiterei a dare
alla Isotta, quando la scrisse, un 18 anni ; sicché la farei nata
nel 1418.
Nella biblioteca Comunale di Ferrara (1) esiste una lunghis-
sima lettera, che possiamo dire un trattato, indirizzata a Giacomo
Antonio Marcello, patrizio veneziano; in essa l'Isotta lo consola
della morte del figlio Valerio. Porta la data di Verona, 9 a-
gosto 1461 (2).
Dell'Isotta vi sono parecchie lettere al giovane Damiano Burgo
in un codice della Riccardiana di Firenze (3).
VI.
ANTONIO DA RHO (RAUDENSE).
Antonio da Rho, frate dell' ordine di S. Francesco, visse a Mi-
lano nel secolo XV. Scrisse, fra le altre opere, una intitolata:
de imitatione, sulla quale credo opportuno dare qualche notizia.
Trascrivo anzitutto quel poco che ne dice il Voigt (4). « Antonio
« da Rho nel de imitatione mirava, a quanto pare, al medesimo
« scopo che il Valla yìqW Eleganze. Né si può nemmeno decidere
« quale di queste due opere sia comparsa prima. Quantunque
« noi potremmo dare la priorità al Milanese, perché il Valla ri-
(1) God. 135. NA. 5.
(2) Yeronae Y Idus Sextiles 1461. — Ecco un passo dell' introduzione
che mostra le sue relazioni col Marcello: Cura maluerim omnibtts audaoo
^t impudens, quam a te, benignissimo patre, et ab his qui me tuam hu-
inanissimam filiani ab ineunte aetate mea prò tua in me et in Nogarolam
familiam singulari cavitate et mea in te reverentia semper cognoverunt,
iudicari....
(3) God. 924.
(4) Wiederbelebung^, l,pp. 513^14.
166 R- SABBADINI
« guardo a una regola speciale, ch'egli pretende d'aver trovata
« primo, non rimanda alle sue Eleganze, ma accusa il rivale di
« averla udita da uno dei suoi scolari. »
Per capire questo giudizio, che del resto non è troppo esatto,,
bisogna sapere che il Valla ha composto un libercolo, intitolato:
Adnotationes in Antonium Raudensem, che è una critica al de
fmitatione del Rho. Ecco come è nato questo libercolo. Il Valla
stava a Barletta col re di Napoli, quando da Milano arrivò al re
il codice del de imitatione del Raudense. Giovanni Olzina, quasi
alter hoc saeculo Mecaenas, che avea un figliolo che studiava
il latino, pregò il Valla di fargli delle note al libro del da Rho,
perchè il figlio lo potesse adoperare con più profitto. Il Valla
acconsenti; ma quando giunse al passo, dove il Raudense spie-
gando la parola omnis confutava la sua opinione sull'uso di
quisque, allora sdegnatosene, mutò proposito e alle note diede
forma di invettiva e le publicò (1).
Quanto alla questione della priorità, è risoluta dallo stesso Valla.
Il Raudense, alla parola omnis, ha questo passo : « Alcuni ere-
« demo che quisque e quiqice non si possano adoperare che dopo
« il superlativo plurale, come optimos quosque viros e sanctis-
« simi quique viri. Ma costoro possono sedere sul banco degli
« asini; leggano Macrobio, che dice nel singolare e senza il su-
« periati vo, die quoque e homine quoque ». — Qui Antonio da
Rho ha preso veramente una solenne cantonata, perchè il Valla^
a cui qui si allude, non ha mai sognato una regola simile, mentre
la regola che dà egli sull'uso del quisque è una delle più ele-
ganti delle sue Eleganze. Ha ragione perciò il Valla di redarguire
acremente il suo contradditore. Sentiamo la nota del Valla:
« Chi sono costoro, che così credono, o Raudense? Solo io ciò
« ho insegnato e tu lo hai inteso dai miei scolari e io lo ho letta
« alla tua presenza in codesto tuo trattato, come ho detto già
(1) Queste notizie si traggono dalla dedica premessa dal Valla, alle Ad-
notationes.
NOTIZIE DI ALCUNI UMANISTI 167
« nel proemio al II libro delle Eleganze. Ma o codesta imperti-
« nenza non l'avevi ancora scritta, quando io leggevo questo tuo
« passo, 0 me ne dimenticai poi nello scrivere la mia opera; poiché
« io ho composto il mio trattato parecchi anni dopo il tuo, quan-
« tunque, se non erro , lo publicai prima di te ossia me lo pu-
« bucarono gli altri. » (1) — Il resto non ha importanza per la
nostra questione.
Vediamo di spiegare quelle parole, dove il Valla dice che I'jE'-
leganze gliele publicarono gli altri. Infatti egli , compitele , lo
avea mandate a Giovanni Olzina, segretario di re Alfonso, e al-
l'Aurispa ; l' Aurispa senz' altro, assente l'Olzina, le publicò (2).
— Dall'altra parte il Valla dice (3) che un plagiario (che è il
Raudense) approfittando o delle proprie lezioni o delle relazioni
dei suoi scolari, si fece bello delle penne del pavone, inserendo
in un libro, quod festinabat edere, le regole sull'uso di prae,
quarti e quisque, che furono per la prima volta enunciate da
lui. Il plagiario avea dato a leggere al Valla il trattato, dove
quelle regole erano esposte ; il Valla leggendole alla sua presenza
gli fece notare il furto, ma quegli arrossendo se ne schermì con
un'arguzia, che delle cose degli amici ci si può servire come
delle proprie.
Da questo risulta che il Raudense lavorava sul suo trattato
de imitatione alquanti anni prima che il Valla mettesse mano
alle sue Eleganze; che fin dal tempo che il Valla dimorava a
Milano il Raudense gh lesse qualche passo del suo trattato, in
cui spiegava le regole di quisque e di quam, rubate a lui. Il
trattato del Raudense parla del quam verso la fine; dunque do-
veva esser forse terminato del tempo che il Valla stava a Milano,
cioè al più tardi del 1439, anno in cui il Valla, se non erro,
(1) Siquidem aliquot annis post te opus candidi, tatnetsi, ut opinar, ante
edidi, licei alii potius edidere quam ego. — Adnotationes in A. Rauden-
Sem, Venetiis, 1519, p. 153.
(2) Questo è detto nella dedica alle Adnotationes.
(3) Nel proemio al II libro delle Eleganze.
168 R. SABBADINI
passò al servizio di re Alfonso. In quel tempo le Eleganze non
erano ancora o appena cominciate (1).
Sul trattato del Rlio si trovano alcune notizie nella biblioteca
Ambrosiana. Ivi si legge una lettera inedita di Cosimo Raimondi
al Rho (2), nella quale lo eccita a scrivere un trattato de imi-
tatione, che manca né fu fatto dagli antichi ; in esso dovrebbero
essere raccolti i passi migliori degli scrittori più rinomati perchè
servissero di modello alla gioventù. Il Rho rispose al Raimondi
con una lettera (3), pure inedita, che è a un tempo la prefa-
zione al de imitatione. In essa dice che saper le regole non
basta ; ci vogliono anche gli esempi, ma scelti in modo, da avere
il meglio degli scrittori: quindi doversi evitare le parole rare;
maestro sopratutto in questo essere Cicerone. Previene poi gli
attacchi dei maligni e protesta che anche a un frate è lecito
occuparsi di studi classici : munda sunt mundis.
Il trattato del da Rho non si conosce che dalle Adnotatio-
nes del Valla. Il Valla lo esamina parola per parola, dove gli
sembra che si deva emendare; si limita agli usi delle parole,
alla loro latinità, alla loro costruzione; non esamina mai la
struttura del periodo; e veramente a questo esame il Valla
non arrivò mai, nemmeno nelle sue Eleganze. La critica del
Valla è molto severa, ma sempre giusta; con essa ha compiuto
l'opera delle Eleganze; anzi le Adnotaiiones spesso furono stam-
pate come appendice alle Eleganze. Con l'uno e con l'altro scritto
del Valla il libro del Rho fu inesorabilmente messo a tacere, il
che però non significa che fosse di poco valore ; anzi la sua ira-
portanza appare evidente dalla stessa critica del Valla.
Il trattato del Rho non fu mai stampato e nemmeno si ha
manoscritto per intiero. Un codice dell' Ambrosiana (4) ne pos-
siede un frammento , che contiene parte della lettera a , fino
(1) Proemio al V libro delle Eleganze.
(2) God. H. 49 inf., fol. 209 : Com. : Cum ea quae ad dicendum pertinent.
(3) Ibid., fol. 210; Com.: Puto erit operae pretium, doctissime Cosma.
(4) Cod. H. 49 inf.
NOTIZIE DI ALCUNI UMANISTI 169
alla parola alphabetum. Perchè questo trattato era un dizionario
alfabetico, un prontuario di eleganze, di sinonimi, di cognizioni
letterarie, rettoriche, storiche di ogni genere. Quando l'autore
spiega una parola, reca tutti i suoi sinonimi anche lontani, ci-
tando sempre esempi; gli articoli talvolta sono lunghissimi: al-
trettanti trattatelli. Argomentando dal frammento, tutta l'opera,
che doveva essere di gran mole, va giudicata molto favorevol-
mente. La lingua è abbastanza buona ; quello che si deve notare
è che il Rho non distingue l'uso e le parole del buon tempo da
quelli della decadenza e cita promiscuamente poeti e prosatori.
Cicerone e la Bibbia. In ciò il Valla gli è infinitamente supe-
riore.
VII.
GIOVANNI AURISPA.
Su questo umanista, di cui si sa tanto poco, fornisce qualche
buona notizia l'epistolario inedito di Guarino. Verso il 1426 egli
era già in intima relazione con Guarino e col Panormita (1);
probabilmente allora stava a Bologna o per lo meno ci si doveva
esser trovato col Panormita. Nel maggio del 1428 si era già sta-
bilito a Ferrara come maestro di Meliaduce, figlio spurio del
marchese Nicolò (2). E solo del 1428 può esservi andato, perchè
da una lettera di Guarino dell' 11 decembre 1427 (3) si deduce
che non c'era ancora. Infatti in quella lettera è detto che Gia-
como Zilioli, consigliere del marchese Nicolò, era stato da lui
incaricato di trovare un maestro per Meliaduce (4); lo Zilioli ne
(1) Bibl. Marciana di Venezia, cod. ci. XIIII, n* 221, fol. 95; lettera del
Panormita a Guarino; Com. : Aurispa Siculus, familiaris noster.
(2) Bibl. Estense di Modena, cod. 94, n» 33.
(3) Ibid., n° 24.
(4) Di Meliaduce scrive queste parole Enea Silvio Piccolomini (De vir.
170 R- SABBADINI
avea proposto uno, ma Guarino ne lo dissuase un po' brusca
mente ; certo quegli non era l'Aurispa : l'Aurispa verosimilmente
fu proposto da Guarino.
Del 1429 troviamo l'Aurispa ancora a Ferrara (1); fu in que-
st'anno che il Panormita gli scrisse la falsa notizia della morte
di Guarino. E a Ferrara lo troviamo pure del 1433, nel quale
anno parti per il concilio di Basilea (2).
Vili.
GUINIFORTE BARZIZZA.
Le lettere di Guiniforte Barzizza si leggono stampate con
quelle del padre Gasparino nell'edizione del Furietto (3), ma non
clar., XI): Eum (Aurispam) Meliaduci filio protono lar io magistrum tradidit.
È chiaro che invece di protonotarìo si deve leggere notho. — Questo Me-
liadux 0 Miliadux oppure Omiliadus è pressoché ignoto. Parecchie notizie
di esso si ricavano dalla cronaca ferrarese (Muratori, Rer. It. Scrip., XXIIII).
Nel 14 luglio 1425 , di sabato , esso fuggi da Ferrara e si ricoverò alla
corte di Milano: non è detto perchè (Muratori, ibid., p. 185). Nel maggio
1440, quando la figlia del marchese di Monferrato andava moglie del re di
Cipro, Meliaduce la accompagnò fino a Cipro e di là passò a Gerusalemme
(p. 190). Nel marzo 1444 andò incontro a Maria, figlia del re Alfonso, che
veniva sposa di Leonello in Ferrara (p. 193), e nel 19 ottobre dello stesso
anno accompagnò fino al ponte di Castel Tealdo il fratello Borso che an-
dava a Napoli (p. 193). (Della parte presa da Meliaduce nelle nozze di Leo-
nello con Maria d'Aragona parla anche Giovanni Toscanella in una lettera
all'Aurispa, da Ferrara i° giugno [1444]; Ambrosiana di Milano, cod. F. S.
V, 18). Meliaduce morì nel 25 gennaio 1453 (p. 201). Lasciò un figlio, Ni-
colò, abate, che nel 1459 andò al servizio di Giacomo Piccinino (p. 205). —
Il nome di Omiliadus si legge in una lettera di Poggio a Leonello (Poggii,
De varietale fortunae, Parigi, 1723, p. 214); la lettera ha la data di Fi-
renze, mi Nonas Maii; l'anno è probabilmente il 1435; in quel tempo Me-
liaduce stava a Firenze col cavaliere Feltrino Boiardo.
(1) Bibl. Estense di Modena, cod. 57, n^ 26.
(2) Bibl. Marciana, cod. ci. XIIII, n» 221 , fol. 101.... vir clarus Aurispa
hoc triduo concilium petit.
(3) Roma. 1723.
NOTIZIE DI ALCUNI UMANISTI 171
sono tutte. Un buon numero, trent'una, delle quali venticinque
inedite, sono raccolte in un codice della biblioteca comunale di
Ferrara (i). Esse formano due gruppi che si seguono immedia-
tamente.
Il primo gruppo comprende sei lettere; il cod. non dà alcuna
indicazione; l'indice premesso al cod. le attribuisce erroneamente
a Gasparinus Bergomensis; sono invece del figlio. — Il secondo
gruppo comprende venticinque lettere. Sono senza indirizzo; l'in-
dice le attribuisce a Francesco Filelfo e nel cod. portano que-
st'intestazione, di mano posteriore : Infrascriptae sunt Epistolae
Francisci Philelpìii. Ma che non sono del Filelfo, bensì di Gui-
niforte apparisce dal contenuto; in alcune Guiniforte nomina sé
stesso; in altre nomina il padre; qualcuna porta nel margine, in
carattere quasi impercettibile, le sigle G. B. oppure Gut Bar.
(= Guinifortus Barzizius).
Primo gruppo — N. 1 (inedita). Guiniforte al re Alfonso —
Senza data (2). Protesta di dedicargli da ora in poi i propri
studi.
N. 2 (edita). Guin. all'arcivescovo cancelliere del regno. —
Data: 3 aprile 1432.
N. 3 (inedita). Guin. al re (Alfonso) d'Aragona. — Senza
data (3). — Si mette tutto nelle sue mani.
N. 4 (inedita). — Guin. allo stesso. — Senza data (4). —
Ringrazia il re di averlo ammesso alla sua presenza.
N. 5 (edita). Guin. a . . . — Data: Barcamona, 21 maggio 1432.
N. 6 (edita) Guin. all'arcivescovo cancelliere. — Data : Sira-
cusa, 23 ottobre 1432.
Secondo gruppo — Mantengo nella numerazione l'ordine del
cod. ma dispongo le lettere cronologicamente.
(1) Cod. HO. NA. 4.
(2) Gom.: Constitueram primum.
(3) Gom.: Ea omnia maiestati.
(4) Gom.: Optandissimus hic mihi dies illuxit.
172 R. SABBADINI
N. 1 (inedita) Guin. a — Data : Ex Mediolano III Non.
Quint. 1432 (1). — Si duole che sia stato colto da malattia in
Genova, la quale fu forse cagionata dal viaggio per mare. Spera
di rivederlo presto e risanato.
N. 9 (inedita). Guin. a Giacomo Peregri (2). — Ex Medio-
lano III Nonas QuintU. 1434. — Gli dimostra falsa l'accusa di
Ogliastro contro Giorgio (Calala), a cui tentava sostituirsi nella
grazia regia ; l'accusava di non aver consegnato al re un De of-
ficiis ch'egli gli avea dato. Guiniforte assicura che Giorgio non
ebbe mai quel libro. (Questo Giorgio era stato preso come scri-
vano da Guiniforte il giorno prima della partenza da Palermo).
Gli chiede scusa della tardanza nello scrivergli, causa la ma-
lattia.
N. 3 (edita). Guin. a — Ex Mediolano III Non. QuinW.
1434. — Medesimo argomento della precedente.
N. 2 (edita). Guin. a — Ex Mediolano IIII Id. QuintU.
1434 (3).
N. 4 (inedita). Guin. (al re d'Aragona). — Ex Mediolano
XVII Sept. 1434 (4). — Guiniforte era a Milano come legato
del re d'Aragona. Lo incolse una malattia, che lo ridusse in fin
di vita e i medici gli proibirono di muoversi da Milano per pa-
recchi anni, per riguardi di salute. Prega pertanto il re di la-
sciarlo a Milano, dove spera gli vengano offerti buoni patti dal
duca. Da Garsina e da Giorgio Gatala, che ritornano, sentirà
quali sieno veramente le condizioni della sua salute (5).
N. 8 (inedita). Guin. (al luogotenente ducale [Luigi Grotto]).
(1) Gom.: Qui tuum in Italiani reditum nuper adnuntiarunt , Pater
Reverendissime.
(2) In margine è scritto: G. B. (Guinifortus Barzizius) s. p. d. lacoho
Peregri regio Senatori ac Ticecanzellario. Gom. : Non dubito , vir diaris-
sime, Oleastrum, quemdam,.
(3) Nell'edizione del Furietto questa lettera manca di data.
(4) Gom.: Ex Garsina Medina milite fortissimo.
(5) Garsina era a Milano per trattare alcuni affari del fratello (Enrico)
del re, maestro della milizia di S. Giacomo.
NOTIZIE DI ALCUNI UMANISTI 173
Ex Mediolano Idib. Sept. 1435 (1). — Prega il Grotto di usar
mitezza verso il segretario di re Alfonso, Giovanni Olzina, pri-
gioniero, al quale Guiniforte andava debitore di molti bene-
flcii (2).
N. 5 (inedita). Guin. (a Pietro d'Aragona, fratello di re Al-
fonso). — Ex Mediolano X Kal. Octobr. 1435 (3). — Pietro d'A-
ragona avea chiesto a Guiniforte come fossero trattati dal duca
i suoi due fratelli (prigionieri) Alfonso ed Enrico. Risponde che
il duca usa loro tutte le cortesie e che il 15 corrente settembre
avendo entrambi pranzato a Gussago, a sette miglia da Milano,
la sera nel ritorno in città furono festeggiati dalla popolazione.
Pochi giorni dopo entrarono nel Castello, non sotto custodia, ma
per maggior comodità : ivi possono cacciare.
N. 6 (inedita). Guin. (al duca di Milano). — Ex Mediolano
XI Kal. Dee. 1435 (4). — Guiniforte era andato testé al Castello
di porta Giove, chiamatovi dai fratelli Alfonso ed Enrico d'Ara-
gona, che desideravano servirsi di lui come segretario nell'as-
senza di Giovanni Olzina. Prega il duca di scusarlo, se non gliene
ha chiesto prima il permesso.
N. 7 (inedita). Guin. a — Ex Mediolano III Id. Sept.
1436 (5). — Spera che sia giunto in Catalogna, ma non se ne ha
ancora notizia. Gli offre, anche lontano, i propri servigi.
N. 10 (inedita). Guin. (a Pietro d'Aragona). — Ex Medio-
lano III Idus (6) Dee. 1436. — Il Sarmento avea chiesto a Gui-
niforte qualche opuscolo in nome del re. Gli manda la lettera
scritta in Sicilia sull'impresa del fratello Alfonso alle isole Gerbe.
(1) Com.: Quod hoc ipso tempore facturus.
(2) Con questa lettera si fissa la data di altre tre, che ne sono senza nel-
r edizione del Furietto (pp. 170-171; 171-172; 172); tutte tre versano sul
medesimo argomento della presente, ma le sono anteriori; sempre però ap-
partengono allo stesso anno.
(3) Com.: De fratris tui Serenissimi Regis in hanc urbem adventu.
(4) Com.: Quoniam inter humana, illustrissime Princeps.
(5) Com. : Magna hic omnes expectatione tenemur, illustrissime Princeps.
(6) Ms. Idibus; Com.: Saepe cum equi te insigni familiari tuo Sarmento
Joanne.
174 R- SABBADINI
N. 11 (inedita). Guin. a....: — Ex Mediolano XI Kal. Sept.
1437 (1). — Guiniforte né per tempo né per lontananza si di-
menticherà di lui; gli offre sempre i propri servigi.
N. 18 (inedita). Guin. a — Ex Mediolano XI Kalendas
Sept. 1438 (2). — Si compiace dei suoi onori. Lo prega di salu-
targli il re.
N. 19 (inedita). Guin. al Folonato. — IIII Id. Sept 1438 (3).
— Coglie l'occasione del ritorno di Antonio Barbastro per scri-
vergli. Lo prega di salutargli il re.
N. 24 (inedita). Guin. (a Lucido Gonzaga). — Ex Mediolano
VI Kal. AprU. 1439 (4). — Guiniforte avea inteso grandi elogi
di Lucido (5) dall'amico Zaccaria (Rido), col quale parlava spesso
di lui. Già avea inteso parlar tanto bene di suo padre marchese da
Giacobello Malabarba (6).
N. 12 (inedita). Guin. (al re Alfonso). — Ex Mediolano IIII
Id. Sept. 1439 (7). — Nell'occasione che parte da Milano il regio
legato Angelo di Montfort conte di Campobasso, scrive al re per
domandargli quello che fino allora la modestia gli impedì, che
volesse cioè farlo suo luogotenente a Milano (8).
(1) Conti.: Etsi nulla se offerat.
(2) Com. : Quae ab omnibus istinc.
(3) In margine è scritto: Gui. Bar. s. p. d. Pholonato regio secretario;
Com.: Super sederem ab hoc scribendi officio.
(4) Com.: Quod nihil hactenus ad te scripserim.
(5) Gian-Lucido, figlio del marchese Gonzaga di Mantova, studiò legge a
Pavia (dove lo suppone la presente lettera) dall'ottobre 1438 al 1442; cfr.
Andres, Codici Capilupi di Mantova, p. 163.
(6) Giacobello Malabarba era fratello della moglie di Guiniforte. — A
questo stesso anno potrebbe appartenere la lettera di Guiniforte dell'edizione
del Furietto (pp. 162-163) senza data , che tratta del medesimo argomento.
In questa lettera Guiniforte parla dell'incarico datogli dal duca di interpretar
Dante plebeio stilo (in volgare). E di questo stesso incarico parla in un'altra
lettera (ed. Furietto, pp. 76-81).
(7) Com.: Biu tacui, Serenissime Rex.
(8) Con ciò si potrebbe forse spiegare il titolo di ducalis vicarius gene-
ralis, che Guiniforte dà a sé stesso e che il Voigt {Op. cit., I, p. 512, n. 1)
giustamente confessa di non capire.
NOTIZIE DI ALCUNI UMANISTI 175
N. 20 (edita). Guin. (al marchese di Monferrato). — Ex Me-
amano XV mi Febr. 1440.
N. 13 (inedita). Guin. (al re Alfonso). — Ex Mediolano X
Kal. lunii 1440 (1). — Profittando della partenza di Inico (Enico)
Da volo da Milano gli manda finalmente Seneca; ma Inico tor-
nerà a Milano, dove il duca lo vuole impiegare. Gli manda anche
le Sententiae in Epistulas Senecae di suo padre Gasparino.
N. 14 (inedita). Guin. (al re d'Aragona ?). — Ex Mediolano
XV lulii 1440 (2). — Venendo il canonico Allegri presso il re,
coglie occasione di offrirgli i propri servigi. Partirà Inico Davolo.
N. 25 (inedita). Guin. a — Ex Mediolano VII Kal. Sext.
1440 (3). — Il Davolo gli porterà i codici che chiede: gode di sen-
tire le buone nuove di lui; spera che la guerra finirà presto e
favorevolmente.
N. 15 (inedita). Guin. (al re Alfonso). — Ex Mediolano pridie
Idus Sextil. 1440 (4). — Dice di aver sigillata il giorno VII Kal.
Quint. (5) la lettera con cui gli mandava Seneca. Gli tocca anche
dell'altra lettera, scrittagh in occasione della partenza di Angelo
di Montfort (6). Non gU dice ancora nulla delle sue nuove spe-
ranze (7), perchè aspetta che si effettuino. Quanto al Davolo, lo
consiglia di rimandarlo a Milano.
N. 16 (inedita). Guin. (a Inico Davolo). — Ex Mediolano
pridie Id. Sext. 1440 (8). — Fa i più lieti pronostici sull'avvenire
del Davolo e lo eccita a tornar subito a Milano, che il duca lo
aspetta.
N. 21 (inedita). Guin. (al marchese di Monferrato). — Ex Me-
(1) Gom : Quem videre Senecam'tantopere flagitasti, Princeps illustrissime.
(2) Gom.: Joanne Alegre Tironensi canonico.
(3) Gom.: Litteras ab tua Celsitudine.
(4) Gom.: Litteras ad Celsitudinem tuam.
(5) Gfr. lettera n» 25, la quale però ha VII Kal. Sext.
(6) Gfr. lettera n» 12.
(7) Quae de me feliciora narrantur.
(8) Gom.: Felicem te, Inice, iudico.
176 R. SABBADINI
(Molano XVI Kal. Mari. 1441 (1). — È obbligato al marchese dei
ringraziamenti per la lettera consolatoria (2).
N. 22 (inedita). Guin. (a Lucido Gonzaga). — Ex Mediolano
VI Id. Sept 1441 (3). — Gli manda, per mezzo di Guglielmo,
quella fra le lettere esercitatone, che si poterono salvare : pars
rrmccima, nescio quorum rmilignitate, periti.
N. 17 (inedita). Guin a — Eoe Mediolano XIIII Januar.
1442 (4). — Gli esprime il dispiacere per la partenza da Milano di
Giovanni Zabrugada, suo scolaro. Gli parla della felicità del proprio
matrimonio, veramente fecondo: non passa anno, che la moglie non
lo arricchisca di un nuovo figlio.
N. 23 (inedita). Guin. (all'imperatore). — Senza data (5). —
Domanda un'udienza per sé e per Stefano Caccia, di Novara, dot-
tore in legge.
Remigio Sabbadini.
(1) Com.: Quod meum erga humanitatem tuam.
(2) Nella morte della figlia del marchese, Guiniforte gli avea scritto una
lettera di condoglian/a.
(3) Gora. : Oum prò singulari in illustr. Principem.
(4) Com.: Una mihi illa.
(5) Com.: Recreavit me, humanissime Cassar ac dive Imperator.
IV
NUOVI STUDI SU ALBERTINO MUSSATO (i)
Quanto più in Italia e fuori d'Italia gli studi intorno al risor-
gimento dell'antichità classica vanno acquistando favore e cresce
e si addensa la schiera di coloro, che a cotesta impresa consa-
crano le loro fatiche, si afforza nell'animo dei più la persuasione
che a ricercare e rinvenire di si gran fatto le origini è d'uopo risa-
lire assai più in alto di quanto siasi quasi sino ad oggi stimato.
Non è molto lontano il tempo, nel quale le ricerche intorno al
rinascimento erano intorbidate da quelle prevenzioni medesime,
che intralciarono già le indagini intomo al più antico periodo
della nostra letteratura ; come vi fu un tempo, in cui all'Alighieri
si dava il vanto di avere insieme alla poesia creata la lingua
italiana, cosi si è durato e si dura ad attribuire al Petrarca ed
al Boccaccio piena ed intera la lode di aver essi i primi ecci-
tato quel fervore per lo studio dei classici, che doveva si pron-
tamente propagarsi e recar frutti tanto meravigliosi. Man mano
(1) A. Zardo, Albertino Mussato, studio storico e letterario^ Padova,
A. Draghi, 1884 (16o, pp. 388). — M. Minoia, Bella vita e delle opere di
Albertino Mussato, Saggio critico, Roma, Forzani e Gomp., 1884 (8* pp. 294).
Giornale storico, VI, fase. 16-17. 12
178 F. NOVATI
invece che delle condizioni della cultura letteraria italiana nei
secoli XIII e xrv la cognizione diviene più larga e più profonda,
queste, che parevano verità inconcusse, passano nel numero delle
opinioni invecchiate ed erronee, se non false addirittura. Non è
più lecito incominciare oggi dai grandi dotti fiorentini la storia
del risorgimento classico, perchè si comprende che essi hanno
avuto, oltre che dei precursori, degli antecessori ; perchè si vede
che il movimento non fu iniziato da loro per l'ottima ragione
che a loro preesisteva; che al masso non le loro braccia pode-
rose diedero il primo crollo, perchè già cento e cento mani l'a-
vevano spinto su quella china, che doveva poi tutta percorrere
senza arrestarsi più mai. E così oggi anche dell'Umanesimo si
•può, si deve e si è già incominciato a scrivere la preistoria.
Un portato di questa necessità di rettificare le vecchie opinioni,
di trasportare più indietro quei limiti, vere colonne d'Ercole, dai
quali la vecchia erudizione faceva principiare il risveglio clas-
sico nella penisola, sembrami in gran parte il vivo interesse, di
cui da qualche tempo vediamo fatto argomento Albertino Mus-
sato. Alla aureola di gloria che gli cinge il capo, la critica
odierna (caso non comune!) in luogo di togliere, si compiace ag-
giungere de'raggi; si piace restituirgli, non pure non isfrondata
ma rinverdita, la laurea dai contemporanei concessa. Nel Mus-
sato, non che lo storico insigne ed il latinista corretto ed
efficace, oggi si ammira il precursore della erudizione e della
dottrina del Quattrocento : e come tale , insieme al Ferreto, a
Benvenuto de' Gampesani, a Lovato, scrivendo la storia del Ri-
sorgimento, lo ha testé studiato il Kòrting (1); e a lui ha consa-
crate alcune pagine della sua Storia della letteratura italiana
il Gaspary (2); è infine a riporre in piena luce i suoi meriti di
letterato e di dotto che intendono i due libri, dei quali avrò
in queste pagine occasione di far molto spesso ricordo: lo Studio
(1) G. Kòrting, Die Anfdnge der Renaissance-Utteraiur in Italien., I,
pp. 310 sgg. E cfr. Giom., Ili, 426-27.
(2) A. Gaspary, Gesch. der Ital. Liter., I, 396 sgg.
NDOVI STUDI SU ALBERTINO MUSSATO 179
del prof. Zardo ed il Saggio Critico del sig. Minoja; libri che,
apparsi in luce a breve intervallo di tempo, meritano di fermare
l'attenzione degli studiosi per l'amore con cui i loro autori mo-
strano d'avere atteso alla trattazione dell'importante argomento;
per L tentativi di risolvere questioni non poche e non facili ,
relative alla vita ed alle opere di Albertino; e perchè inoltre
ci fanno anche una volta toccar con mano come nuove scoperte
ci prepari ancora l'avvenire, ignoti tesori ci riserbino ancora
le nostre biblioteche e, pur troppo, come molto tempo ancora
debba scorrere prima che della vita letteraria italiana nel due-
cento e nel trecento sia lecito dire intieramente rintracciati ed
adoperati i documenti che l'oblìo ed il tempo non hanno distrutti.
Il prof. Zardo ha posto nel delineare la immagine dell' uomo,
che incarna in sé uno dei momenti più notevoli e tempestosi
della storia di Padova, oltreché l'affetto dello studioso anche la
riverenza del concittadino. E di questa riverenza l' influsso ap-
pare manifesto nel suo libro, che mira sopratutto a mettere in
rilievo la parte cospicua avuta da Albertino nel maneggio della
publica cosa, gli sforzi generosi, coi quali, quanto gli bastò la
vita, colla spada -e colla penna sforzossi di impedire che la sua
città precipitasse in quell'abisso di guai, donde si risollevò di fio-
rente, squallida, di potente, fiacca, di libera, schiava. Sulla scorta
quindi degli storici contemporanei e dei documenti sincroni , il
Zardo si é piaciuto (son sue parole (1)) ritessere largamente la
storia di Padova dalla calata di Enrico VII fino al sorgere della
tirannide carrarese; ma, trasportato dalla fiumana impetuosa di
tanti gravi avvenimenti, ha finito forse per dimenticare un
po' troppo di frequente che suo uflìcio era narrare non già le
vicende di Padova, bensì quelle d'Albertino e che in costui non
meno che il politico esigevano largo studio il poeta ed il dotto.
Così è avvenuto che, mentre la parte storica del suo lavoro si
può lodare per sicurezza e copia di notizie, quella dedicata
(1) Avvertenza, p. 3.
180 F. NOVATl
invece alle indagini sui casi e sugli scritti del Mussato e singo-
larmente sul luogo che gli compete nella vita letteraria del
tempo, si debba stimare alquanto debole e scarsa. Non solo
infatti non vi troviamo, accanto ai già noti, adoperati nuovi ma-
teriali (e che se ne potessero trovare e di notevoli lo vedremo
in appresso), ma anche di quelli già raccolti non si può dire
che sia stato tratto tutto il partito che se ne doveva cavare.
Questo, che a me (e potrei benissimo ingannarmi) sembra il
difetto capitale del libro del Zardo, ha evitato il Minoja, avvedutosi
come la preoccupazione di mettere in chiaro l' importanza sto-
rica del Mussato non dovesse essere spinta tant' oltre da fare,
se non trascurare, almeno reputare meno degna di studio la lette-
raria. Ed il Minoja ha anche capito come per far ciò coscienziosa-
mente fosse indispensabile mostrare quanto il Mussato si estollesse
fra i dotti fiorenti al suo tempo, non solo in Padova ma in Italia.
Però, mi è pur forza il dirlo, concessa al Minoja questa lode, di più
non si potrà proprio fare ; se il disegno era buono, non altrettanto
diremo del modo con cui egli ha tentato di tradurlo in effetto. Accor-
diam pure al sig. Minoja quelle attenuanti che egli stesso domanda;
ammettiamo che siangli mancati, com'egli scrive, libri e documenti.
Ma, anche concesso tutto ciò, sarà sempre mestieri concludere che
al lavoro egli si è accinto con troppo scarsa preparazione; che
troppe cose mostra di ignorare, delle quali la cognizione gli sarebbe
riuscita altrettanto necessaria, quanto facile a conseguire, poiché di
lavori notissimi, anzi addirittura capitali, ei mostra, non solo di non
essersi giovato, ma nemmeno d'averne sospettata l'esistenza (1).
(1) Sconosciute gli sono le belle pagine del Kòrting, testé citate; scono-
sciuti tutti i lavori del Gloria, che contengono documenti della più grande
importanza per la biografia di Albertino; sconosciuti gli altri scritti, publi-
cati intorno a contemporanei del Mussato, ad esempio, quello sul Ferreto
dello Zanella, e cosi via, via: in ogni capitolo, mentre troviamo indicati
lavori d'importanza accessoria, sono poi dimenticati libri principalissimi. Per
dare un esempio, noterò che il M. si lagna a p. 13 di non aver potuto vedere
gli Statuti padovani in nessuna delle edizioni, tanto antiche che recenti che
ne furono fatte, e d'aver dovuto ricorrere ad un codice vaticano ! Ma bastava
NUOVI STUDI SU ALBERTINO MUSSATO 181
L'accusa quindi di ignoranza , che egli, con una severità assai
poco giustificata, lancia contro tutti coloro che si sono prima di
lui occupati dello storico padovano, ben facilmente si potrebbe
ritorcere contro chi fa mostra, oltreché di tanta esiguità di co-
gnizioni , di una trascuratezza nello scrivere davvero straordi-
naria ! Mentre infatti il Zardo, benché non la pretenda a scrittore
elegante, espone e discute in forma correttissima e disinvolta, il
Minoja maneggia così malamente la lingua italiana , da recar
troppo spesso oltraggio alla grammatica ed alla sintassi (1). Ora
rivolgersi ai lavori del Gloria e del Fertile per trovarvi intorno agli or-
dinamenti politici ed amministrativi di Padova nel sec. XIII le più compiute
notizie !
(1) Ad evitare V accusa di esagerazione addurrò fra gli infiniti esempì che
potrei raccogliere, alcuni pochi. 11 farlo è agevolissimo : non e' è che da
aprire il libro del sig. M. per trovarvi licenze d' ogni sorta. Ecco ciò che si
legge a p. 3: « Nella infelice Marca ogni libertà si spense, riducendo (la
« libertà?) quel popolo ad una moltitudine di sudditi.. ». Ed a p. 5: < E inu-
« tile di dire (sic) che quella vita gioiosa ed amorosa cessasse di un subito... ».
Porre l' imperfetto del soggiuntivo dove dovrebbe stare il presente è abitudine
cronica nel M.: vedi p. 12, p. 107, p. 109 ecc. A p. 9, parlando della morte dei
da Romano, il M. scrive : « Senza dubbio codesta strage, come quella del popolo
€ siciliano contro l' oppressione francese... fu troppo crudele.... ». E quella
del buon senso qui non lo è meno? « 0 perchè (continua il M.) una pa-
« rola di perdono non fu detta da chi pur toccava di dirla? ». Ma ecco a
p. 10 una scoperta che farà strabiliare gli studiosi di storia fiorentina ed
anche qualcun altro : « E come nella repubblica fiorentina s' era sempre
« proibito di poter parlare contro le leggi proposte nei Consigli, se non a
« favore... ». Non meno elegantemente espresso è, due o tre linee dopo, un
parallelo fra Dante ed il Mussato. « In ciò fortunato anche lui come TAli-
< ghieri, al quale la generazione che passava, scendendo nel sepolcro, gli
« lasciava ancor fresche le memorie... ». Né meno peregrino e per la forma
e per la sostanza quest' altro a p. 13 : « insieme con il podestà erano
« chiamati al governo della cosa pubblica gli Anziani... eletti, anno per
« anno, da' Collegi delle arti, dette fraglie (le arti?!), come oggi giorno
« per (sic!) i deputati.. ». Ma codeste sono ancor piccolezze; a p. 19 infatti
il sig. M. ci fa ammirare un « territorio, che cominciò a ripopolarsi di ter-
« ricciuole, di ville, di casali »; forse per renderci meno amaro lo spettacolo
che a p. 132 presentano delle « povere provincie, senza campi, senza in-
« dustria alcuna »! E siam sempre, come si vede, alle prime pagine. Chi
volesse spigolare in tutte le 289 che formano il volume, come ho fatto io,
di simili gemme avrebbe da riempirne parecchie carte. Io credo però oppor-
182 F. NO VATI
questo è forse far troppo a fidanza con la indulgenza o la sbada-
taggine dei lettori !
tuno limitarmi a questo saggio, pago di riportare un solo periodo ancora,
che leggo a p. 35. Si parla di Marsilio da Padova : « Onde le condizioni
« speciali del suo paese ebbero non poca influenza sull* animo di Marsilio,
« nel quale di certo un nuovo mondo gli tumultuava dentro, pensando sul
modo (!) di sciogliere il gran problema politico e religioso ». Debbo però
notare ancora come la negligenza della forma nel libro del M. non stia
rinchiusa nei termini delle licenze sintattiche. Egli innova anche le regole
grammaticali. Così fino ad ora si è stati avvezzi a creder necessario che
il sostantivo e il verbo che lo regge concordino nel numero. 11 sig. M.
non si cura di queste bazzecole e quindi a p. 18 ci regala un fiorì, che
regge non so quanti sostantivi plurali, forse per dar coraggio all' eravi
di p. 37 e allo scrisse di p. 89, che sostengono il medesimo gravoso ufficio.
Vero è che in compenso altrove il verbo al plurale regge il sostantivo
singolare; cosi a p. 40: « Nessun critico', tanto di Lupato', quanto di Al-
« bertino, credo che 1' abbiano notato » ; a p. 41 « 11 Collegio dei notari . . .
« pregarono Albertino *; e così a p. 81, a p. 144, a p. 191 ecc. Lascio andare
le metafore strampalate, delle quali è pieno il libro, i modi di dire volgarissimi
0 impropri: «il clero, il più avido forse della brutta soma dei de Romano»
(p. 9) , il De Nono che dice « qualche verità con la tinta sempre vera e
« svantaggevole (!) per il Mussato » (p. 55), il quale aveva « natura uma-
« nista » ed era per di più « piacevolone » ! (pp. 60 e 70) : il « diluvio di
« croci » che si ebbe alla fine del sec. XIV e che faceva deplorar al Sac-
chetti la decadenza della cavalleria (p. 64) ; 1' « interporsi in mezzo » di certi
ambasciatori (p. 128); V Ecerinis che « fece furore » (p. 141), benché, per
dirla schietta, il latino del Mussato sia « asciutto e ossuto! » (p. 223). Lascio
andare la fenomenale trascuratezza nelle citazioni, per cui il medesimo libro
si trova ricordato ogni volta in modo diverso e mai esattamente (cosi pp. 53,
154, 209 ecc.), segno eloquente forse del modo con cui le citazioni sono
state messe insieme: basti dire che la canzone Spirto gentil ... è cosi citata
a p. 70 : « Petrarca, canzone attribuita a Gola di Rienzi » ! Ma non si può
proprio tacere delle mende gravissime che offrono tutti i testi latini che il
M. ha avuto occasione di riferire nel corso del suo lavoro. Editi ed inediti
riboccano di errori e non sempre tipografici. Cito a caso fra gli inediti. A
p. 23 cosi, il M. riporta dal Fons memorabilium universi di Domenico
di Arezzo un brano del De lite Naturae et Forlunae , opera perduta del
Mussato. Nel frammento (che il M. ha il merito d'aver indicato per il primo)
si parla di Padova : « Mirum , dice lo storico , quam bene fausta fuit ci-
« vitas, quam laute, (sic) naturae dotata muneribus, quam frugi, quam,
« fertili, (sic) quam. salubri coelo, quam, sinceris gaudeat elementis . . . ».
E poco dopo: « Colericum. genus liom.inuni (i Padovani), complexione lati-
ci dabili, quietum, tractabile, liberale, donec, litteris increnientibus (sic),
« ad statum mundonae felicitatis venit-». Ora qui ci son almeno tre errori
NUOVI STUDI SU ALBERTINO MUSSATO 183
Come dicevo, il sig. Minoja ha destinato a descrivere insieme alle
vicende politiche della Marca Trevigiana quelle pure della cultura
che tolgono addirittura l'intelligenza del testo. Che vuol significar la virgola
dopo laute? E come sta quel fertili unito a coelo? E che razza di roba è
litteris incrementibus ? Voglio ammettere che questi non siano errori di let-
tura del sig. M., ma strafalcioni di chi ricopiò il cod. Chigiano: certo è però
che nel cod. Laurenz., di cui mi servirò per riprodurre più innanzi il fram-
mento Mussatiano nella sua integrità, non ci sono. E vi ha di peggio. A p. 41
un altro brano del Fons , tratto dal medesimo cod., è riferito così : « Lova-
« ceus (sic) pactavinus vates paulo prius floruit quam Petracca: nec eo in-
« ferior fama esse . . . quod amplexus juris civilium studium 12 tabulas
« cum musis scrihuit (sic !) et animum ah elichonis (sic) curis ad forensem
« strepitum commutavit ». I sic sono aggiunti da me; il sig. M. dinnanzi
ad un scribuit non si sgomenta ! Eppure anche qui era facile notare gli errori
del cod. (se pur del cod. sono), tanto più che il brano, il quale non è altra cosa,
che una quasi letterale riproduzione delle parole che nel Rer. Mem., 1. Il, 3,
il Petrarca consacra a Lovato, era già stato fatto conoscere dal Mehus (Vita
Ambr. Trav., p. ccxxxiii), dove troviamo non Lovaceus, ma Lovattus, non
fama esse . . . , ma esset, nisi quod; non scribuit, ma miscuit; non elichonis^
ma elichoniis ! Non meno che questo , estratto dal Fons, è incredibilmente
spropositato un altro frammento riguardante il poeta padovano , che il M.
ha dedotto dal cod. vatic. 5290. Eccolo, quale lo leggiamo a p. 39: « Scientia
« extulit Lovatum, •nam scientia sua poetica et juridica militiani meruit
«■ habere. Hic legum Doctor et legis conditor de maioribus suo tempore
« in populo paduano quoad regimen civitatis fuit Lovatus judex, miles et
« poeta : (sic !) solemnis et lautum latus est (sic !) ut quasi de aliquo non
« curaret, ... ». Credo che nessuno, nemmeno il sig. M., possa capir verbo
di questo periodo. E che cos' è in lautum latus!? Evidentemente il sig. M.
non ha saputo restituire la punteggiatura e capire la scrittura del codice. Si
scriva : « Hic legum doctor et legis conditor de maioribus suo tempore in pò-
<i pulo paduano, quoad regimen civitatis, fuit. Lovatus judex, miles et poeta
« solemnis tantum elatus est, ut quasi de aliquo non curaret ...» e il senso
tornerà. Si comprende agevolmente che, ponendo così poca cura nell'intendere
per davvero i testi che egli cita, il sig. M. sia anche traduttore infedelissimo.
E difFatti nei brani, che egli traduce, della Historia Augusta, la precisione
e la fedeltà troppe volte si desiderano. Ma parmi ad ogni modo strano che
egli sia andato tant' oltre da volgere le parole del Prologo al poemetto
sull'assedio di Padova ... « m,olle et vulgi intellectione propinquum, sonet
« eloquium, quo altius edoctis nostra stylo eminentior^ deserviret Sistoria,
« essetque metricum hoc demissum, sub cam,oena leniore notariis et qui'
« busque clericulis blandimentum, » ; così : « non fosse (lo stile) alto , né
« tragico, ma piano e facile ad esser compreso dai più; sicché la storia di
« stile più alto possa servire ai meglio dotti, e i versi , umili e cantati su
« camenapiù leggera, tornino piacevoli ai notari » (p. 42). Ma che cosa crede
184 F. NOVATI
padovana nel secolo decimoterzo la prima parte del suo libro.
E di essa i tre primi capitoli, occupati dalla narrazione dei casi,
che diedero e tolsero alla Marca l'epiteto di gioiosa, non si pos-
sono dire mal fatti, sebbene non vi manchino inesattezze parec-
chie e si risenta la solita scarsezza di cognizioni (1). Ma non
altrettanto invece diremo dei capitoli che seguono, nei quali
sembra che l'A. abbia voluto tratteggiare le condizioni della cul-
tura italiana nel medio evo ; diciamo sembra, perchè non è facile
raccapezzarsi nella strana miscela di fatti, di tempi, di nomi, che
offrono quelle pagine (2). Alle quali il Minoja fa poi seguire un
dunque che sia la Camena il sig. M.? Uno strumento musicale? — Il sig. M.
al quale una critica molto, troppo, domenicale non ha davvero mercanteg-
giati gli elogi, e forse altri con lui, leggendo questi appunti mi taccieranno
di pedanteria. Né per me è stato piacevole il farli ; ma, d'altra parte, come
passar sotto silenzio errori di questo genere, quando di un libro che ne ri-
bocca, si trova, incredibile a dirsi, commendata fra le altre doti, Yeleganza
dello stile?
(1) Così, accennando al fervore di civiltà, che animò per quasi un secolo le
città della Marca, il M. tocca pure dell'attività letteraria di cui diedero prova,
citando un lavoro molto importante del Rajna, Le origini delle famiglie pa-
dovane, in Romania, IV, 161. Ma gli sono poi sfuggite le belle riflessioni che
il medesimo dotto e caro amico mio fa su questo argomento nella magistrale
Introduzione a Le fonti dell' 0. F. (pp. 9 sgg.). Eppure egli avrebbe forse
avuto bisogno di formarsi sulla letteratura franco-dialettale del sec. XIII,
delle idee più esatte di quelle che presentemente possiede , se almeno dob-
biamo giudicarne da queste riflessioni: « E se Nicola da Padova scrive in
« francese il poema sui gesti (!) di Carlomagno, attingendo spesso a tradi-
« zioni indigene, altri nostri cantatori , usando spesso il proprio dialetto , o
« il latino volgare, si ispirano alla propria fantasia » (p. 3). Ormai non si
dovrebbe più sentir discorrere di un poema (e quale poema del resto, la Prise
0 V Entree"?) di Niccola da Padova, personaggio fantastico, nato dalla confu-
sione di due diversi individui ; e chi chiedesse al sig. M. che cosa sia il latino
volgare, e quali i cantatori che l'hanno adoperato, lo metterebbe, crediamo,
in un bell'impiccio! Anche ci pare strano l'annunzio che a p. 4 si dà del-
l'esistenza di un prezioso commentario alla B. Com,m,edia, quasi sconosciuto,
inedito ancora, benché scritto certo da un contemporaneo del poeta. Ma non
é venuto al sig. M. pur un vago sospetto che questo ignoto volume, in cui
si cita volentieri l'autorità di M. Pino della Tosa, potesse essere V Ottimo?
(2) Il sig. M. protesta di voler ricordare cose « non di certo peregrine e
« nuove »; ma, se non alle cose, questi epiteti si potrebbero applicare al
modo, con cui esse sono rammentate. Prendendo argomento da una divisione
NUOVI STUDI SU ALBERTINO MUSSATO 185
breve esame dei monumenti che ci attestano il vigoreggiare degli
studi in Padova nel sec. XIII, soffermandosi a discorrere di Pietro
d'Abano e di Marsilio dei Mainardini e limitandosi intorno agli
altri dotti e letterati, che fiorivano allora nella Marca, a riferire
poche, vecchie, e non sempre esatte, notizie (1). Ecco quanto ha
storica che, sebbene egli non lo dica, è attinta, insieme ad altre osservazioni,
da un corso di lezioni ben noto del prof. D'Ancona, l'A. ammette che la coltura
antica siasi perpetuata attraverso il medio evo per tre vie : le scuole laiche,
le ecclesiastiche , le monacali. E fin qui sta bene. Ma delle tre , parrebbe
poi che il M. desse la prevalenza alla seconda: « E però non si nega —
« scrive egli infatti a p. 26 — che, massime nel medio evo più barbaro la
« autorità religiosa prevalesse per tutto; che la cultura e la vita intellettuale
« fossero privativa di quella casta {quale?). Ma l'antico sapere nelle loro (I)
« mani non progredì né punto né poco . . . l'antichità non fu affatto intesa,
« e tanto meno intuita e gustata. Financo la poesia, anche trattando tema
« profano, ebbe sempre scopo religioso (?) e fu figlia della scuola e prodotto
« artificiale. Di che non vanno esenti nemmeno i più grandi, trovandosi nelle
« opere stesse di Gassiodoro, di Agostino e di Tommaso (!) rettorica decla-
« mazione ecc ». Questo periodo é da sé solo prova esuberante della con-
fusione , che intorno alle condizioni letterarie del medio evo regna nella
mente del sig. M. Metter S. Agostino in un mazzo con S. Tommaso, rinvenire
i caratteri delie lettere del V secolo negli scritti d' un dottore del XIII è
addirittura il non plus ultra della libertà di spirito ! E di questa libertà il
sig. M. usa poco appresso per dir tutto il contrario di quanto ha affermato
qui e sentenziare che « non v' ha dubbio che la letteratura profana pri-
« meggiasse del tutto fra noi » (p. 27)! Sarebbe aff'ar troppo lungo racco-
gliere tutti i grotteschi travestimenti, sotto i quali pochi fatti, male ricordati
e peggio intesi, vengono passati a rassegna in codeste pagine, vero semen-
zaio d'errori.
(1) Anche qui si nota la solita mancanza di proporzione. Perchè spendere
due pagine intorno a Pietro d' Abano (sul quale si sarebbe potuto citare il
recente lavoro del Ronzoni), due intorno a Marsilio, che nel movimento let-
terario di cui è centro il Mussato, non hanno se non piccolissima parte, e
restringere poi il ricordo di tutti gli altri contemporanei del M., suoi amici
e come lui eruditi o poeti, ad una nuda enumerazione di nomi, fatta in questa
bella maniera? « Pertanto altri amici del Mussato , se non famosi , come
« Marsilio, mi s'affollano alla mente. Il tempo correva, sto per dire, poetico;
« e in quasi tutte le città principali della Marca fiorivano poeti che ver-
«^seggiavano in lingua latina . . . Onde eravi Benvenuto dei Gampesani, Fer-
« reto Vicentino, il poeta Gastellano e Giambone d'Andrea, Lupato, Bonatino,
« Giovanni professore di grammatica, Bonincontro da Mantova, Guizzardo
« maestro di grammatica e 1' amico di Dante e d' Albertino , Giovanni di
« Virgilio {anche questo della Marcai) ». Vero è che nelle pagine seguenti
186 F. NOVATI
fatto il Minoja per dare modo di meglio valutare, posti a confronto
con quelli d'altri, i meriti letterari del Mussato: e come appar
chiaro, è troppo poco. Senza timore quindi di sembrare ingiusto
verso di lui, tornerò a ripetere che egli non ha proprio saputo
condurre ad effetto l'impresa che vagheggiava.
Per ricollocare Albertino nel luogo che gli compete, ben altra
si sarebbe dovuto fare. Invece di abbandonarsi ad una corsa
sfrenata attraverso i secoli e tirar in ballo Boezio, S. Agostino,
Marciano Gapella e Gassiodoro ; invece di ripetere le solite (banali
ormai) riflessioni sull'influsso, che nelle lettere medievali hanno
esercitato il sentimento religioso e la persistenza delle tradizioni
classiche ; più saggiamente il Minoja avrebbe operato, restringendo
le sue indagini entro modesti confini e cercando di far loro riacqui-
stare in solidità quello che perdevano in ampiezza. Ed allora le
ragioni, per le quali Albertino potè assorgere a tanta eccellenza
(ragioni che egli è andato a cercare, senza trovarle, naturalmente,
nel bujo dei secoli barbari), il Minoja le avrebbe rinvenute nelle
condizioni stesse dei tempi, in cui lo scrittore padovano ha fiorito,
nella vita letteraria italiana, quale, varcata la metà del secolo
decimoterzo , si era andata esplicando. Questa età infatti può
essere considerata come l'istante, nel quale si inizia quel rivol-
gimento negli studi, che darà vita alla rinascenza; in cui rom-
pono all'orizzonte i primi bagliori di quello che diverrà giorno
splendidissimo; in cui dal suolo spuntano, inavvertiti, i germi che
cresceranno, come il granello di senape della parabola biblica ,
in albero gigantesco. E tale verità, non oscurata dal rapido pro-
gredire della cultura , che gettò nell'ombra tutti gli anteriori
manchevoli tentativi, brillava ancora apertissima dinnanzi agli
il M. raccoglie notizie intorno al Favafoschi , ma sono sempre quelle che
aveva date il Tiraboschi; e nemmeno ne sa il M. il cognome, che non lo
chiamerebbe, come fa, D'Andrea (p. 38). Anche di Lovato il M. non riporta,
oltre i passi ben poco importanti dei quali ho già ricordato il deplorevole
stato, se non i soliti ragguagli , essi pure attinti dal Tiraboschi {St. della
leu. ital. , lib. 111). E sull' uno e suU' altro dotto molto più esatte , copiose
e in parte nuove notizie offre lo Zardo (pp. 277 sgg.).
NUOVI STUDI SU ALBERTINO MUSSATO 187
occhi dei dotti del secolo seguente; e se il Petrarca non volle
mai chiaramente confessarla , altri , pur suoi contemporanei o
quasi, l'hanno affermata ad alta voce. In Firenze Goluccio Salu-
tati, in Padova Secco Polentone, tessendo, a poca distanza di
tempo, la storia della lingua latina, si accordavano nel sentenziare
che questa dall'abiezione, in cui il medioevo l'aveva gettata, solo
cento 0 centocinquant'anni innanzi all'incirca aveva incominciato
a risorgere ; ed è, come ho detto altra volta, in Albertino Mus-
sato, che essi unanimi riconoscono di sì fatto risveglio il più
efficace promotore. Ma non nel Mussato soltanto; che di tanta
gloria, concessagli intera dal Polentone, il Salutati chiama par-
tecipe anche un toscano: messer Gerì d'Arezzo (1).
Alla lunga notte che si è addensata intorno al suo nome, Geri
d'Arezzo non arriverà forse a sottrarsi più mai, ove il caso non
gli si porga propizio, rimettendone all'aperto quegli scritti, che
ora dobbiamo lamentare, se non perduti, nascosti (2): le lettere
cioè e le satire in prosa ed in verso (3), che gli avevano acquistata
presso i contemporanei una larga celebrità, della quale ci giunge
un'eco nelle lodi, non [soltanto di Goluccio, ma anche di altri e
dotti amici suoi e del Petrarca, Lapo da Gastiglionchio (4) e Ben-
(1) Così nella lettera al Zabarella, quanto nell' altra Cardinali Patavino
(Bartolomeo Oleario), da me citate neWArch. stor. per Trieste ecc., II, 82.
(2) Un codice di lettere sue esisteva ancora alla fine del sec. XV nella
libreria Visconteo-Sforzesca di Pavia (vedi G. D'Adda, Indagini stor. artist.
e bibl., p. 9, n" 72, e Mazzatinti, Invent. della Bibl. Viso. Sforz. in questo
Giorn., I, 51 ; nell'uno e nell'altro inventario però il nome del nostro è cor-
rottamente riferito: Epistolae Geni de Aretio, Ghini de Aretio); ma le ri-
cerche che per noi sono state fatte alla Nazionale di Parigi, nella speranza
di rinvenire fra i non molti mss. pavesi, che ora vi si conservano, anche
questo, riuscirono infruttuose. Io starò quindi pago a dare ben presto in luce
le poche lettere che di Geri ho potuto trovare, augurando ad altri migliore
fortuna.
(3) Suir indole degli scritti di Geri ci dà notizie il Salutati in un passo ,
sin qui inedito, della citata lettera al Zabarella: Gerius aretinus, egli scrive,
cuius versus et epistolas satyrasque prosaicas non ìnediocriter commen'
damus.
(4) Vedi la sua Epistola ossia Ragionamento, ed. Mehus, Bologna, Cor-
ciolani, MDGGGIII, dove a p. 78 cosi si parla del nostro autore: « uno ec-
188 F. NOVATI
venuto da Imola (1). Albertino adunque nell'Italia nordica, Geri
nella media: ecco i due uomini, intorno ai quali il movimento classico
del sec. XIII si raccoglie, per i quali si afferma. Ma non sono i soli.
Per poco che le ricerche continuino, altri nomi usciranno alla
luce ed ai loro verranno accompagnandosi : quelli dei loro amici,
dei loro cooperatori. Pur troppo anche per questo riguardo la
perdita dell'epistolario di Geri resta e resterà perdita inestima-
bile ; esso infatti ci avrebbe fatto toccar con mano come in tutta
Toscana negli ultimi decenni del duecento abbia fiorito una schiera
di studiosi, per i quali le discipline letterarie erano via alle giuri-
diche e di esse ad un tempo complemento. Carattere questo sin-
golarissimo dell'epoca: i più di codesti poeti, o latini o volgari,
sono in pari tempo giudici, giureconsulti, notai. Giureconsulto è
Gerì, felice imitatore nelle sue delle epistole di Plinio (2); notaio
prima, giudice poi, è l'amico suo, Francesco da Barberino, del
quale la fama di poeta mediocre, sin qui a stento concedutagli,
va rafforzandosi per quella di ricercatore sagace e profondo della
letteratura classica e delle volgari di Francia, man mano che
il suo Commentario ai Documenti si studia (3); giureconsulti son
pure gli amici loro. Cambio da Poggibonsi, Gherardo da Castel-
fiorentino (4) : uomini tutti stimati ed adoperati nelle publiche
faccende, che il tempo a queste o ai propri ufTìci sottratto, im-
piegano nello scrivere esametri o canzoni , epistole o sonetti.
« celiente dottore di leggi , il quale fu chiamato messer Geri d' Arezzo , il
« quale ancora fu grande autorista e morale, disse in una sua Epistola, la
« quale scrisse a un suo amico di questi due nomi Guelfo e Ghibellino » ecc.
(1) G. Tamburini, B. Rambaldi da Imola ecc., e di lui Commento latino
sulla D. Commedia, voi. II, Imola, Galeati, 1856, p. 465. Alcune notizie su
Geri vedi pure in Lumini, Scritti letterari, I, 118-119.
(2) Tale lo dice Goluccio in un pas.so inedito della lettera all' Oleario :
« m,axim.us Plini Secundi oratoris, qui alterius eiusdem nominis sororis
« nepos fuit, im,itator ... ».
(3) Vedi A. Thomas, F. da Barberino ecc., p. 60.
(4) Ben noto è Gherardo, del quale ci rimangono rime non da spregiarsi.
Su lui e su Cambio darò presto notizie biografiche , cavate da documenti
fiorentini.
NUOVI STUDI SU ALBERTINO MUSSATO 189
Ed a tutti Firenze è, se non per nascita, per dimora, nutrice.
Quanto strane, ove ci si rifletta, paiono dopo di ciò le lodi di
digrossatore de' Fiorentini , che con si candida ingenuità attri-
buisce a ser Brunetto il buon Villani! (1).
(1) Anche il recente e dotto biografo del da Barberino non mi sembra
molto persuaso di quella inferiorità intellettuale, in cui Firenze sul cadere del
sec. XIII si sarebbe trovata, secondo una vulgata sentenza, rispetto ad altre
città italiane. Se i Fiorentini, egli scrive, erano rimasti abbastanza a lungo
in ritardo, riguadagnarono ben presto il tempo perduto ; e, ricordato Brunetto,
aggiunge che a fianco di lui non dovevano mancare altri maestri. In con-
ferma di che riferisce come un documento dell'Archivio di Stato di Firenze
dimostri l'esistenza nel 1294 di un Egidio di Guido de' Cantori, doctor gra-
ìnaticae (Op. cit., p. 11). Son convinto che chi a questo scopo intraprendesse
diligenti ricerche negli atti pubblici e privati del tempo molti e molt* altri
di questi digrossatori rinverrebbe! Il Manni, che vi si era un po' provato,
ha nel suo Zibaldone di Notizie Patrie^ che ora si conserva fra i mss. della
Bigazziana, lasciati dei materiali che ne sono prova tanto eloquente da
indurmi a chieder licenza di riferirne qui quella parte che risguarda i primi
decenni del sec. XIV e in certo qual modo la fine del secolo precedente.
Che se tanto era il numero degli insegnanti nei primi anni del trecento,
è pur lecito crederlo non meno considerevole già per Io innanzi! Agli
ultimi del duecento ci riportano così quel Magister Michael doctor puero-
rum, del quale una figlia è ricordata nel 1315 nei protocolli di Ser Uguc-
cione Bondotti : que'dottori Gianninus Magister puerorum q. Gerii Parietis
et Guido magister in eadem arte quond. Bernardi Floris de Parma,
che appaiono sotto V anno 1301 nei registri di Ser Grimaldo di Compagno
e il Ser Donatus Guidi doctor puerorum pop. S. Laurentii, che nel me-
desimo anno rammenta Ser Uguccione Bondotti già citato. Del 1306 è un
Ser Andrea, quondam, Andreae doctor puerorum ; del 1315 un Ser Cam-
binus Bonafidei, anch'esso doctor puerorum ; dell'anno seguente i registri di
Ser Granaiuolo della Torre ci fanno conoscere 1' esistenza di un Ser Bonsi,
doctor puerorum,, filius olim, Ser Redditae pop. S. Ognissanti. Nel 1320 tro-
viamo menzione di un Philippus quond. Naddi doctor gramaticae pop.
S. Laurentii ; il quale quattr'anni dopo, come risulta dai protocolli di Ser Mi-
chele di Salvestro Contadini, si associava a Magister Latinus, doctor grama-
ticae filius Andreae Berlinghieri de pop. S. Petri majoris; che poi ricompare
nel 1327, di nuovo solo, nei registri di Ser Rustico di Moranduccio. Nei rogiti
di ser Lotteringo di Puccio, sotto I' anno 1327, è rammentato un Magister
Ducius olim, Ciuffae de Vico Fiorentino m,agister Gram.aticae, qui moratur in
populo S. Petri Scheradii ; del 1331 abbiam ricordo di un Ser Pierus, olim
Profetae m,agistri gramatice pop. S. Petri majoris e di un Antonius Bona-
venturae doctor puerorum. E per terminare, del 1333 è memoria di un altro
Ser Pierus Ser Gherardi, doctor puerorum ; e di un Nicolcis olim Ser Dttccii
190 F- NOVATI
Non minore è l'attività letteraria, che ferve al tempo medesimo
nell'Italia Superiore, sopratutto nella Marca Trevigiana; e più
agevole inoltre era fino da ora il delinearne un quadro, poiché
più copiosi all'uopo soccorrono i documenti. Qual luogo sia ormai
necessario assegnare nella storia letteraria nostra a quella produ-
zione poetica, di cui, dalla fine del secolo duodecimo in poi, di-
venne focolare la valle del Po, dopo gli studi recenti non è alcuno
che lo ignori e già alle pagine, narranti le vicende della lirica
nostra antica ed il suo trasmutarsi di Sicilia in Bologna, di Bo-
logna in Firenze , gli storici altre hanno dovuto afirettarsi ad
aggiungerne, non mai scritte, per tenere discorso di quella sin-
golare efflorescenza di epiche e romanzesche narrazioni, che
danno vita alla letteratura franco-veneta ; di quella rigogliosa vita-
lità, di cui, benché trapiantata in terra straniera, godette la lirica
di Provenza e di quel tesoro di canti dialettali, che formano la
poesia morale e religiosa veneta e lombarda del sec. XIII. Ma
tutti intenti a chiarire l'apparizione e le manifestazioni di tale
molteplice produzione colta ad un tempo e popolare, non ancora,
se non in qualche parte, disotterrata, i critici sono stati costretti
a trascurare alquanto l'altra corrente, che in pari tempo si ma-
nifesta ; accanto alla poesia cortigiana e popolare non hanno dato
che scarso luogo alla dotta, all'erudita.
Eppure anche nell'Italia Superiore , come in Toscana , questa
letteratura dotta fiorisce sul cadere del secolo XIII ed offre i
medesimi caratteri ; anzi essi qui appaiono (forse per la maggior
copia di documenti a noi conservati) più chiari e più determinati.
Anche nella Marca-Trevigiana, per tenerci stretti al nostro argo-
de Prato doctor puerorum pop. S. Laurentii fa menzione sotto l'anno 1334
Ser Landò da Fasciola. E tutti costoro tenevano, a quanto sembra, scuole
di grammatica, scuole cioè, dove si ammaestravano i fanciulli, già esperti
nel leggere ; poiché è credibile che altre , ove si insegnavano i primi rudi»
menti ai bambini, non mancassero; se almeno non erriamo nel dare tale
interpretazione ad un documento, pure ricordato dal Manni, dove è ricordo
sotto Fanno 1304 di una domina Clementia, doctrix puerorum, docens legere
Psalterium, Donatum etc.
NUOVI STUDI SU ALBERTINO MUSSATO 191
mento, vediamo cosi gli studi classici, come la poesia volgare dive-
nire patrimonio quasi esclusi-vo della classe medesima ; anche qui è
per lo più con giureconsulti e notai che noi abbiamo a che fare (1).
Ed il luogo, che in Toscana terrebbe Geri d'Arezzo, in Padova, prima
di Albertino, lo occupa il giudice Lovato. La perdita degli scritti
di costui ci vieta disgraziatamente di portare un giudizio sicuro
sul suo valore letterario e di renderci cosi ragione della fama
che consegui (2), fama ben grande se, mezzo secolo almeno dopo
la sua morte, poteva mantenersi tanto vivace ancora da provo-
care le notissime lodi del Petrarca! Tuttavia i pochi ragguagli,
che intorno a lui si possono ragranellare presso scrittori contem-
poranei 0 posteriori, ci permettono di affermare che allo studio
dell'antichità egli dovette nella sua patria con la dottrina e con
l'esempio dare impulso non tenue. Poeta lo hanno sino ad o^i
attestato le parole del Petrarca, giudice per fermo non troppo
indulgente, e lo confermano que' titoli dei suoi componimenti che
si vengono esumando (3) ; certe osservazioni , da lui dettate sui
(1) Curioso esempio di questa mescolanza di poeta e di giureconsulto ci
offre il Da Tempo , che da precetti giuridici trae sprone e conforto ad in-
traprendere il suo trattato delle rime volgari : « Lege testante, cosi egli nel
« Proemio, omnia nova sunt pulchritudine decorata Justinianaque sanctio
« manifestai naturam deproperare edere novas formasi (Grion, Op. cit, p. 69).
(2) I GoRTUSii (Hist., lib. I, cap. XI), celebrando la floridezza di Padova
nel primo decennio del sec. XIV, fanno singolare menzione di Lovato: Haec
aetas pacis habuit Lovatum Paduanum, praeter caetera Militem et ludicem
decoratum. Un nuovo documento, che lo riguarda, ha testé dato in luce il
Gloria (Riv. stor., II, p. 134).
(3) Dallo Zardo {Op. cit., p. 278) apprendiamo che Lovato aveva com-
posto un poema de conditionibiis urbis Paduae et peste Guelfi et Gibò-
lengi nominis, dedicandolo al nipote Rolando da Piazzola. Siccome que-
st'opera si conservava ancora in Padova a mezzo il secolo decimoquinto, e
forse anche in un cod. della Viscontea Sforzesca di Pavia (cfr. D'Adda, Op. cit.,
p. 10), così non sarebbe impossibile che una volta o l'altra tornasse, quando
meno si speri, alla luce. Sarebbe curioso il raccogliere notizie intorno ai nume-
rosissimi scritti, che in prosa ed in verso furono fra noi composti nel corso
del sec. XIII in esecrazione delle parti che laceravano la penisola. Non è
intanto da passare sotto silenzio una curiosa coincidenza : così il capo scuola
toscano, Geri d'Arezzo , come quello veneto , Lovato , furono indotti a trat-
tare, l'uno in prosa, l'altro in versi, il medesimo tema.
192 F. NOVATI
metri di Seneca, ci daranno d'ora innanzi diritto di chiamarlo
grammatico, erudito (1). Talché, quando Giovanni di Virgilio ci
narra che Licida, morendo, consegnava, simbolico dono, ad Al-
fesibeo la sua zampogna, egli attestava sotto il velame delle vec-
chie forme allegoriche un fatto certamente vero (2). Non soltanto
(1) Esse si leggono nel cod. Vaticano 1769, ms. membranaceo di fogli 346,
scritto a due colonne, di mano elegante e adorno di ricche iniziali. Oltre
le Declamazioni di Quintiliano (f. 144 t) il cod. contiene la maggior parte
degli scritti filosofici e morali di Seneca, compresi gli apocrifi (f. 45 r - 192 1).
Vengono quindi delle sentenze in versi latini, disposte per ordine alfabetico,
(f. 492t-194r); quindi un certo numero d'altre ex variis philosophorum
dictis collecte (f . 194 t - 195 1). Dopo alcuni altri estratti seguono le Tragedie
di Seneca, con le quali il volume si chiude (f. 197 r- 246 r). 11 recto ed il
tergo dell'ultimo foglio sono occupati dai soliti estratti di S. Gerolamo,
relativi a Seneca, dall' apocrifo epitafio di costui ecc. Quindi una nota, cui
da mano diversa da quella che scrisse le linee precedenti, ma del mede-
simo tempo, venne apposto il seguente titolo: Nota domini Lovati Judicis
et poete potavi. Seneca in decem istis tragediis usus est, ut plurim,um,,
m^tro archilochio trimetro iambico acathelectico (sic) : quod m,etrum constai
ex sex pedibus. Primo: iam,bo, spondeo, anapesto, dactilo, tribracho, pro-
celleum,atico (sic). Secundo : jam,bo vel tribacho (sic). Tertio: iambo, spondeo,
dactilo, anapesto, tribacho. Quarto : iambo tribacho. Quinto : spondeo, ana-
pesto, dactilo. Sexto: iam,bo vel purichio (sic). — Primus pes est iambus, ut
in Hercule: Soror tonantis etc. Est spovdeus, ut in eodem,; Nomen reli-
ctum est etc. Est anapestus ut in eodem: Tyrie per undas etc. Est dactilus,
ut in eodem.: Sed vetera querimur etc. Est tribrachus, ut in Medea: Re-
media quociens etc. Est procelleumaticus , ut in eadem : Pavet animus,
horret etc. Secundus pes est iambus, ut in Hercule: Soror tonantis etc.
Est tribrachus, ut in eodem: Hinc clara gemini. Tertius pes est iambus ut:
Soror tonantis, hoc enim solum mihi. Est spondeus, ut in eodem; Nomen
relictum est — semper alienum lovem. Est dactilus, ut in eodem: lUinc
timendum ratibus ac ponto gregem. Est anapestus, ut in eodem: Pacem
reducere velie vectori expedit. Est tribrachus, ut in eodem, : Archadia qua-
tere nemora menalium suem. Quartus pes est iambus, ut: Soror tonantis etc.
Est tribrachus, ut: Nomen relictum est etc. Quintus pes est spondeus, ut:
Soror tonantis etc. Est anapestus, ut: Ac tempia summi vidua deserui
etheris. Est dactilus, ut in eodem: Non eam, sed nunc pereat omnis me-
moria. Sextus pes est iambus, ut : Locumque celo pulsa pellicibus dedi Est
purichius, ut: Nomen relictum est. — Semper alienum Jovem. — Aliam va-
riationem pedum, in hoc libro circa hoc genus m,etri non memini me legisse.
(2) Auratis qui, ftonde virens, (Mnsactus) quoque cantat avenis,
Quas illi moriens Lycidas in pignus amoris
Dimisìt, dicens: Quia mnsis cemeris aptns,
His Mnsactus eiis: hedere tua tempora lambent.
NUOVI STUDI SU ALBERTINO MUSSATO 193
simbolicamente, ma realmente, Albertino ha raccolta la poetica
eredità di Lovato; è alla scuola del dotto giudice che il giovanetto
scrivano potè sbramare la sete di scienza che lo ardeva, cre-
scendo ai di lui insegnamenti, come vi cresceva l'amico e coe-
taneo suo, Rolando da Piazzola, che un singolare documento ci
addita più tardi curioso ricercatore di lapidi antiche fra le rovine
della città eterna (1). E la schiera di studiosi e di poeti, che
loh. de Yerg. Ed. in Bandini, Cat. Cod. Mss. Lat. etc, II, 20. È questa
del resto opinione tenuta cosi dal Zardo (Op. cit, p. 278) come dal Minoia
(Op. cit.y p. 40). Gfr. i vv. 29 sgg. àelV Epistola ad Roland. (Ili) del Mussato.
(1) Nel medesimo cod. vat., nel quale si leggono le note di Lovato, è tra-
scritta pure una apocrifa iscrizione, riguardante Lucano, per cui vedi F.Eyssen-
HARDT, t. VI, P. V del Corpus Inscript. Latin. (Berlino, 1885), che comprende
le Inscript. Urbis Romae (Falsae, p.9, «.6). Ora nel cod. essa è preceduta dalla
nota seguente : MCCCIII. mense Januario ego Rolandus de Plazola, dum
Rome essem legatus civitatis Padue, apud ecclesiam S. Pauli forte inveni et
vidi marmoreum, saxum, cum his litteris etc. La nota, dalla quale si è cercato
far sparire, cancellandoli, i nomi di Rolandus e di Padua, non è, come si
capisce, autografa ; molto probabilmente il possessore del cod. la ha trascritta
da un più «mtico esemplare, che aveva appartenuto a Rolando e nel quale
costui insieme allo scrittarello di Lovato aveva anche registrata la sua sco-
perta. A questa ipotesi mi sembra dia molto appoggio il fatto che il cod.
appartenne certamente, se non ad un padovano, ad un veneto; tale infatti lo
svela una postilla, eh' ei fece ad un luogo dell' Allegatio prò divite contra
pauperem di Quintiliano, dove alle parole : nihil est crudelius morte homi-
num, , quos populus occidit fece questa chiosa : Dio te guarde de m,an de
puovolo. L'appunto di Rolemdo ha per noi interesse, non solo in quanto ce
lo manifesta dedito agli studi, ma anche perchè giova a togliere ogni dub-
biezza intorno al tempo dell' andata a Roma di Albertino, come legato di
Padova a Bonifazio Vili. Certamente ciò avvenne, non già circa il 1297,
come voleva il Wychgram, bensì nel 1302, come sostennero il Gavacio ed
il Colle e credono probabile lo Zardo {Op. cit., p. 25) ed anche il Minoja
{Op. cit., p. 69); giacché Rolando dovette essergli nelI'uflBcio compagno. Che
l'amicizia fra i due fosse incominciata dalla gioventù loro, quando erìino disce-
poli di Lovato, lo afferma Albertino stesso quando scrive {Epist. Ili, ad Rai.) :
Incipe tunc nostrae floreiu narrare iuventaa
Et Celebris TÌtae gandia prima refer.
Giovanni di Virgilio afferma poi aver saputo ciò da Rolando medesimo in
Bologna {Dixit ut Aemilia sub rupe mihi m,emor Alcon). Ora dell'andata
di Rolando a Bologna nel 1319 , quale Giudice del Podestà Nicolò da Car-
rara, mi danno certa notizia le Sentenze da lui pronunciate per la creazione
di alcuni noteii il 19 e il 23 giugno di tale anno, che ho rinvenute nel
R. Archivio di quella città {Matric. e Seni, di Notai, f. 31 1).
Qiomale storico, VI, fase. 16-17. 13
194 F. NOVATI
attorniò il giudice padovano, dovette, cresciuta di numero e di
valore, raccogliersi, lui spento, intorno al riconosciuto suo suc-
cessore, formando una scuola letteraria, l'origine della quale e
lo sviluppo importano non meno alla storia delle discipline clas-
siche che a quella della letteratura volgare.
Nel seno infatti di codesta società che, rimovendo le crollanti
barriere della vecchia tradizione scolastica, si accingeva, ancor
peritosa, a tentare vie inesplorate, sentieri da secoli inaccessi, con-
tinuava pur sempre a vivere qualche resto di quella coltura, che
l'aveva un tempo signoreggiata, la coltura cavalleresca. Sui primi
del secolo XIV questo predominio già era quasi scomparso; le
cose andavano ben diversamente da quello che cent' anni in-
nanzi; nessuno, o quasi nessuno, pensava più ad esprimere i
propri sentimenti in lingua diversa dalla nativa; ma il prestigio,
che 1 monumenti della lingua d' oc e di quella d' oil avevano
esercitato, non era ancora intieramente svanito. Ed invero, se
cosi non fosse, come si potrebbero spiegare certi fatti? Come si
capirebbe, ad esempio, che Lovato andasse proprio a scegliere,
come argomento di un poema latino, le avventure di Isotta e di
Tristano? (1) Come i bizzarri racconti, che riempiono le Genea-
(1) L' esistenza di questo poema di cui un brevissimo frammento si legge
nel cod. Laur. PI. XXXIII , 31, f. 46 r, ci è attestata anche da alcuni versi
della ecloga di Giovanni di Virgilio al Mussato , che passarono finora inos-
servati. 11 Graf, che li ha riferiti nei suoi notevoli Appunti per la storia
del ciclo brettone {Giom., V, 116), osserva giustamente a proposito degli ul-
timi due, dove si dice che per Isotta
heroes simnl deceitavere Britanni ,
Lanciloth et Lamirotb et nescio qnis Falamedes;
sembrargli « Giovanni confondesse le Storie di Tristano con quelle di Lan-
« cilotto ». Le parole molto vaghe del grammatico bolognese non ci con-
cedono di chiarir bene quale sia stato 1' argomento del poema di Lovato ;
ma mi par probabile che egli avesse verseggiato del Tristano una delle
redazioni più recenti, nella quale alle avventure del nipote di Re Marco
si fossero quindi già consertate quelle di Lancilotto e di Ginevra. Co-
munque sia di ciò, il fatto tanto più è, a mio avviso , notevole , in quanto
può porgere argomento a credere che in Italia i dotti, gli eruditi, non
fossero animati da quel dispregio per le finzioni del ciclo brettone, del
NUOVI STUDI SU ALBERTINO MUSSATO 195
logìae ed i romanzi di Giovanni da Naone e ci fanno passare
sotto gli occhi, stranamente camuffate all'antica , delle larve di
cavalieri erranti, fioriti prima che Troia fosse? (1) Godeste grame
fantasie di giullare, narrate in linguaggio curialesco, non erano
già più, egli è ben vero, che l'eco di tradizioni ormai in parte
dimenticate e sdegnate insieme a quei racconti, che ne avevano
provocata la nascita (2); ma che questa dimenticanza e questo
sdegno non fossero andati tropp' oltre lo prova il vederle dal
giudice padovano studiosamente raccolte. La lirica adunque, che
di codesta coltura era stato il portato e l'espressione, anche in
queste mutate condizioni, continuò, non solo a vivere, ma a fio-
rire. Che Lovato la coltivasse a noi non è dato affermarlo con
certezza, ma chi ci vieterà di credere che la poetica corrispon-
denza eh' ei tenne con Bonatino ed il Mussato e le scherzose
contese che con quest' ultimo ebbe rispetto alla superiorità del
lupo sull'asino non fossero scritte in volgare (3)? Ad ogni modo,
quale davano prova i francesi. La letteratura latina , fiorita in Francia
nei secoli XII e XIH, che pur non ha disdegnato di far sue qualche volta
le leggende carolingie, non ci offre per ciò che spetta alle regis Arthuri
amhages pulcerrimae , nulla, o io m'inganno, di somigliante; sarebbe
adunque la prima volta che questi racconti, i quali avevano persino a Bi-
sanzio ottenuto diritto di cittadinanza, ci appaiono rivestiti di classico palu-
damento.
(1) Vedi Rajna, Le origini delle fam. pad. 1. e.
(2) Rajna, Op. cit., p. 179.
(3) Assai noto e più volte prodotto è quel passo della Vita A. Mussati di
Secco Polentone (passo scomparso nella redazione, che ne dà il cod. Rice.
191) , che ricorda come avesse diebus unis Padua civitas Lovatum , Bo-
natinum et Mussatum, qui delectarentur metris et amice versibus concer-
tarent. Di queste amichevoli tenzoni qualche notizia più precisa ci viene
offerta da M. Savonarola, il noto autore del Be laudibus Patavii (lib. I,
cap. 3, De viris illustribus et non sacris) in un passo, che, cosa singolare!
è sfuggito a quanti di Albertino hanno trattato. Dopo aver dato ad Al-
bertino il terzo luogo fra gli scrittori , che onorarono la patria , il S. così
viene a discorrere di Lovato: « Quartum huius ordinis sederti Lovato
« Poetae, ex nobili Lovatorum prosapia nato, cuius veneranda ossa apud
« Antenorem, urbis nostrae parenteni, in operosa Arca, qiAatuor su-
« stentata columnis, etiam non parvo cum honore tenentur. Viri enim hi
« illustres et legum ìnaxitni interpretes uno fuerunt tempore; scrip-
196 F. NOVATI
anche se non per lui, certo lui vivo, la scuola poetica padovana si
afferma per opera di quell'Ildebrandino, che ricorda Dante, di quel
l'Amerigo e di quell'Alberto, che il da Barberino conobbe (1), di
« sitque unus alteri; erantque de Asino et Lupo metrice contendentes.
« Et utriusque causas intelligere non est insuave et quantum Philoso-
« phiae noverint , jocosa et fabulosa eorum verba declarant ». Chi sa se
nella contesa Ysengrin e Bernard non facessero capolino? Queir epiteto di
fabulosa, che il S. adopera potrebbe la^iarlo sospettare. Riguardo a Bona-
tino il dotto prof. Gloria ha testé {Riv. stor., II, p. 135) esposta la conget-
tura che egli sia da identificarsi , non già come proponeva il Tiraboschi ,
con il Bergamasco Bono da Castiglione, ma con il giureconsulto mantovano
Bovatino , che insegnava in Padova sui primi del sec. XIV (f 1301). Lo
scambio dell'in con n nei codd., che il Gloria crede cagione dell'errore, per
cui di Bovatino si sarebbe fatto Bonatino, mi pare più che probabile. Sola
difficoltà però è per me questa , che quanti codici del De scriptor. ili. di
Secco io ho visti leggono, non già Bovatinus , ma Bonatinus: talché con-
verrebbe ammettere ben antico l'errore.
(1) Il Thomas (F. da Barberino ecc., p. 70), riferendo un brano del com-
mento latino ai Doc. d'Am., in cui si parla di costoro, li ritiene affatto sco-
nosciuti; ma che nelV Alberto si potesse riconoscere il Mussato, vide il
Renier (Giorn., Ili, 92), che però non inclina punto ad accogliere tale
identificazione : notando e che di Albertino, come poeta lirico, il Polentone
non parla e che nel tempo, in cui il da B. si trovava a Padova, il Mussato
era a Firenze esecutore di giustizia. Per verità né l'uno né l'altro argomento
mi paiono tali da precludere ogni via all' identificazione del rimatore ricor-
dato dal B. con il Mussato; il Polentone, come ha ignorato l'esistenza di pa-
recchi scritti di Albertino, può con altrettanta facilità esser rimasto al buio
anche riguardo al suo canzoniere, che (é inutile il dirlo) io credo ferma-
mente non debba essersi limitato al sonetto in bisticci ad Antonio da Tempo.
E in secondo lungo il modo con cui messer Francesco parla de' due poeti,
Amerigo ed Alberto, non mi pare implichi di necessità che egli li cono-
scesse di persona: il tono anzi del suo racconto è quello di chi ripete cosa
udita da altri. Infine si potrebbe notare a favore dell'identificazione, che
Alberto in tutte le sue canzoni si lamentava della durezza della sua donna,
al contrario d' Amerigo ; ora nell' unico sonetto , che del Mussato ci è
giunto, egli fa proprio altrettanto :
Die, sM'non mento, di, perchè s'ammanta
Amor sì forte ver mi eh' o sofferto
Con lui, contento, sempre star con tanta
Voglia..?
Dopo di che esprimerò anch'io un dubbio che mi trattiene dal venire a con-
cludere che l'Alberto barberiniano é il Mussato. Se si trattasse di lui il Barbe-
rino avrebbe dovuto chiamarlo non Alberto, ma Albertino, poiché questo, più
che un diminutivo, è da considerarsi quale un vero e proprio nome ; e d'ai-
NUOVI STUDI SU ALBERTINO MUSSATO 197
Giambone de' Favafoschi (1), di Matteo Gorreggiaio, del Mus-
sato stesso, e de' molti minori , dei quali oltreché i nomi ci son
tronde nessun scrittore, nessun documento, né contemporaneo nò posteriore,
ha mai chiamato il Mussato Alberto. Se è lecita un'altra congettura si po-
trebbe nell'Alberto del Da Barberino supporre invece indicato queir Alberto
Dt3 Bibio, che lo Scardeone ricorda {Hist. Pat., lib. II, ci. X) come autore
ài un libro mulliplicis historiae multa sane varietate refertum et praesertini
de novissima origine totius Marchiae Tarvisinae . . . che egli però dice
perduto. Il De Bibio è annoverato fra gli abitanti del quartiere di Ponte
dei Molini nel Ruolo dei cittadini di Padova del 1275 (Grion, Delle rime
volg., p. 252), e come sapiens rammentato dal Da Naone (vedi Rajna, Op.
cit., p. 167).
(1) Il sig. MoRPURGO, nel dare alla luce le notevoli i2iwe ined. di G. Quirini
e Ant. da Tempo {Arch. stor. per Trieste ecc., I, 142 sgg.), avvertiva come
un de' poeti, a cui il da Tempo dirige alcuni sonetti, Andrea Zamboni, po-
tesse « esser benissimo tutt' una persona con quell'Andrea Zamboni pado-
« vano », il quale « viveva e scriveva nel 1335 » e che viene ricordato
come « autore d' una meschinissima cronaca patria » intitolata « De genere
« quorumdam civium urbis Paduae » (p. 153). Lasciando andare le parecchie
inesattezze che queste parole contengono (cfr. Rajna, Op. cit., p. 166), mi limi-
terò ad avvertire come la identificazione proposta e che a me pure sorri-
derebbe assai, urti però contro una difficoltà non lievissima. L' autore del
poemetto in esametri sulle famiglie padovane, ora perduto, che Giovanni da
Naone gratifica sempre dell'epiteto di sapiente, al quale il Mussato si ri-
volgea per consiglio, facendo amplissime lodi del suo ingegno, della sua
autorità, non si chiamava Andrea Zamboni, come scrive il sig. Morpurgo
sulla fede del cod. Vat. Urb. 697, bensì Zambono d'Andrea de' Favafoschi.
Perchè si possa ammettere adunque che il poeta volgare sia tutt' uno col
latino, converrà supporre un errore nelle rubriche del cod., che ci ha con-
servati i versi suoi e quelli a lui diretti. E dacché mi trovo a toccare di
questo, noterò come il sig. M. abbia, a mio avviso, poco felicemente interpretata
la risposta, che al Da Tempo, il quale gli aveva chiesto quale differenza in-
tercedesse fra queste quattro cose, animo, core, mente ed intelletto, fece il
Favafoschi. Egli scrive difFatti : « Alla innocente domanda di Antonio, lo
« Zamboni risponde ironico e sdegnoso, dicendogli oltre il resto, che di tali
« questioni non s' addicono
a quelli eh' anno poccho in f accha sale ;
« brutto verso, ma peggiore che a noi dovette sembrare al povero giudice.
« Il quale però seppe rispondere con rime ancor più forti, concludendo cosi
« un sonetto indirizzato ad Andrea :
« Con tal natura disputar a pungni
« vorrei ben volentieri, orso che grungni! » (p. 153).
Leggendo il sonetto di Giambone d'Andrea l'ironia e lo sdegno che Tedi-
198 F. NOVATI
pervenute in parte anche le rime (1). Ed a tutti costoro, che,
poetando, si sforzano ormai di raggiungere queir unità di lin-
guaggio, della quale la lirica toscana innanzi tutto e quindi l'o-
pera di Dante vengono ogni dì più mostrando la necessità per
chi voglia avvicinarsi agli eccellenti dicitori, unendo alla dottrina
tore vi ha rinvenuto, io non li so ritrovare. Mi sembra anzi all' opposto
che il poeta vi faccia sfoggio di modestia esagerata ; poiché le parole :
Tal chose dir non è sen^a diffecto
A quegli ch'anno poccho in 9accha salle;
ben lungi dall' essere rivolte al Da Tempo, lo sono da Giambono a sé mede-
simo , che accusa di aver troppo poco sale in zucca per poter trattare senza
biasimo di sì gravi questioni. Tanto è vero questo, che ripetutamente chiede
perdono della sua scarsa scienza al saggio e conoscente interlocutore :
Chi scritto m' à par sagio e cognosciente :
Lui prìegho che *1 mio dir e' non riprove
se poccho lo mio cor cognQscie e sente.
Anche sull'interpretazione che il medesimo Editore dà del sonetto responsivo
inviato dal Da Tempo a Zambono ci sembra siano da fare delle riserve. Il Da
Tempo nella contro risposta mantiene le rime che aveva adoperate nel suo so-
netto il Favafoschi e questi a sua volta aveva serbate le rime della proposta
di Antonio : così che abbiamo tre sonetti condotti sulle rime medesime, le quali
nei tre ritornelli sono le seguenti : 1 asengni-sengni — 2 ingengni-
(il secondo verso manca) — 3 pingni-gringni. Ora la corrispondenza che
esiste fra queste cinque parole si rompe quando si leggano, come il sig. M. ha
fatto pugni e grugni le due ultime. Che vi sia infatti assonanza d'e ed i
ben si capisce; ma d'i e d't< è foneticamente impossibile. Ne consegue quindi
esser falsa l' interpretazione proposta dal sig. M. ; certo Antonio da Tempo
non ha mai inteso scrivendo :
Con tal natura disputar a pingni
Vorrei ben volentieri, orso che gringni ;
di dire: disputerei volentieri con te a pugni, o orso che grugnisci (!); ma
assai più probabilmente : vorrei ben volentieri disputare a pegni, cioè met-
tendo pegno, con uomo della tua indole, ora che so che tu grigni, che tu
ridi, e si sottintende, di domande quali le mie. Certo nemmeno inteso così
il sonetto del giudice padovano brillerà molto per chiarezza; ma ad ogni
modo si elimineranno i pugni e i grugniti e sopratutto l'orso, che facevano
pur la bizzarra figura in un sonetto come questo!
(1) Quanto si conosce di Matteo, che sapeva anche di francese, è raccolto
nel cit. Arch. , p. 151. Per gli altri cfr. Morpurgo, Poeti veneti del Tre-
cento in Arch. stor. per Trieste ecc., p. 135, e 'R.^ììyer, L'enumer. dei poeti
volg. del Trec. nella Leandreide, ibid., pp. 315 sgg.
NUOVI STUDI SU ALBERTINO MUSSATO 199
l'esempio, dà leggi il cantore di una nuova Selvaggia, Antonio
Cane da Tempo (1). Cosi nemmeno il trattatista manca a questa
scuola, della quale è a desiderarsi che indagini nuove concedano
di conoscere presto più largamente i prodotti ed i legami che la
rannodano alle altre scuole poetiche della penisola.
Poiché fra i fatti, che già preludiano al risorgimento, anche
questo è degno di attenzione; la fratellanza, se non nuova, certo
maggiore, che viene stringendo, benché diversi di patria, ignoti
spesso gli uni agli altri di persona, i cultori degli studi medesimi.
Una corrispondenza assidua infatti non solo serba vive le rela-
zioni amichevoli fra i cittadini di paesi finitimi ; non solo stringe
gli studiosi ed i rimatori di Padova a quelli di Verona, di Ve-
nezia, di Vicenza, di Treviso; ma a quelli puranche di Lombardia,
di Romagna, di Toscana. E quando a ciò non intendono le gravi
epistole latine, soccorrono all'uopo i sonetti , che volano, messag-
geri di filosofici quesiti, di dubbi amorosi, di facezie, di rimbrotti,
da un capo all' altro d' Italia (2). E cosi , oltreché nelle città
della Marca, Albertino conta amici ed ammiratori un po' daper^
tutto; ai nomi di Marsilio da Padova, di Castellano, diFerreto,
di Benvenuto de^Gampesani , di Giovanni da Vicenza s'aggiun-
gono, e non sono i soli, quelli di Bonincontro mantovano, di Ri-
naldo de' Cenci, di Giovanni di Virgilio, di Guizzardo da Bologna.
E quello che or dico del Mussato, si può ripetere per gli altri.
I sonetti di Giovanni Quirini, uno dei più castigati rimatori del
tempo, da Venezia corrono a Ravenna, come da Cesena vi arri-
vano, a venerare il sommo maestro, l'Alighieri , le ecloghe di
(1) Che Antonio da Tempo avesse egli pure celebrata la sua donna sotto
il simbolico nome di Selvaggia, è particolare sin qui, per quanto credo,
inavvertito, che ci dà l'ignoto autore della Leandreide:
Antonio di Tempo vi chonsilglia
padoano a parlar drito per rima ;
di sua dona selvatia ama la cilglia.
(Op. ctt., p. 316).
(2) Intorno alle Corrispondenze poetiche sulla fine del sec. XIII sono date
buone notizie nel recente libro di P. Ercole, Le Rime di G. Cavalcanti^
pp. 56 sgg.
200 F. NOVATI
Giovanni di Virgilio. E quando il poeta veneziano cede al bi-
sogno di effondere il suo corruccio contro l'audace avversario di
Dante, l'astrologo ascolano, è ad un bolognese che si rivolge; a
quel Matteo, che non dovrebbe di mezzi villani Chiamare alcun,
ma tutto dir cortese (1). Pari varietà di patria, di dimora, tro-
veremmo certamente nei corrispondenti di Antonio da Tempo,
ove del suo Canzoniere, che fu senza dubbio ricchissimo, restasse
qualche cosa di più che dei dispersi frammenti; poiché egli dovette
vantare l'amicizia di tutti i più noti rimatori contemporanei, se
con tutti si contenne come sappiamo aver fatto con l' imolese
Carradori (2). Ma il più bello, il più efficace documento dell'in-
timo legame che rannoda sui primi del trecento i poeti e gli
scrittori tutti della penisola , i più grandi come i più umili , ci
viene a mio avviso offerto da queir ecloga che Giovanni di Vir-
gilio indirizzava dopo la morte di Dante, ad Albertino Mussato (3).
In questo componimento, ispirato al maestro bolognese dalla brama
di esprimere insieme alla propria l'ammirazione di tutti i cultori
degli studi per il poeta,
cui pugnai patrio prò cannine vitifer Eugan
strataque Dardanii non murmurat unda Tiraavi (4),
tale melos edit mellitis tibia labris;
il padovano è riposto in tal seggio che più onorevole non po-
trebbe essergli assegnato da alcuno. Egli , che i contemporanei
acclamano erede di Lovato e di Dante, incarna cosi la vita nuova
di pensiero che anima l'Italia ; l'accoppiamento squisito e geniale
dell'antica colla nuova cultura, che produrrà frutti mirabili tanto
nel pieno rigoglio dell'umanesimo, nel secolo decimoquinto.
{Continua).
F. NOVATI.
(1) Arch. cit., pp. 16 sgg.
(2) Arch. cit., p. 21.
(3) Edita già a p. 365 del t. XI dei Carm. Illustr. Poetar. Italor. essa fu
più correttamente ristampata con l'aggiunta delle preziose glosse marginali
ed interlineari che la dichiarano di sul cod. laurenz. dal Bandini nel cit.
tomo del suo Catalogo. Tuttavia il Minoia non ne sospetta pur l'esistenza!
(4) Bandini, Op. cit., e. 9.
201
VAR I E TÀ
NOTERELLA DANTESCA
Al prof. F. Novali,
Ritorniamo, se non le spiace , carissimo amico, al dantesco
accismare (1). La etimologia, alla quale propende lo Zingarelli, non
è originariamente del Diez (2), è invece del Galvani. Già dal
1828 il valoroso modenese nel suo Saggio di alcune postille alla
divina Commedia spiegò da acesmar e da acesmer il dantesco
accismare; ma parlò a' sordi, che seguitarono tradizionalmente
lessicografi e commentatori a giurare nella parola del Da fiuti
e della Crusca (3). Perciò il Galvani allargò la sua postilla in
una lezione accademica, che fu prima stampata nel 1837, e fu
poi ripubblicata insieme alle altre lezioni raccolte ne' due volumi.
(1) Gfr. Giornale, t. Ili, p. 417.
(2) Ella crede che il Diez non abbia voluto escludere affatto la derivazione
di accismare da cisma (oxicffia). II Diez scrive: « di sicuro da azesmar è
« accismare di Dante, che altrimenti si spiega da cisma •». Ora è vero che
il grande maestro non condanna con aperte parole la seconda etimologia,
ma non parmi, d'altra parte, che mostri, col semplice ricordo, di ammetterla
implicitamente , bensì che voglia solo registrarla quale notizia e a comple-
mento di quanto disse sopra accismare. Se no , si riesce a questa logica :
certamente è vero questo , ma può darsi anche che non sia vero. 0 l' una
cosa 0 l'altra. E il Diez ragionava invece molto correttamente.
(3) Lo Zingarelli scrive: « il Buti parrebbe leggere ascisma ». Ma anzi
legge cosi: cfr. il testo del suo commento, edito dal Giannini, Pisa, Nistri,
1858, t. I, p. 722.
202 V. CRESCINI
che uscirono il 1839-40 (1). « Ed io non so, scriveva poco più
« tardi il Nannucci, come mai i moderni editori della divina Gom-
« media non abbiano profittato delle spiegazioni chiare ed aperte,
■« che di quel verbo {accismaré) ci ha date il Galvani (2). » Ne
profittarono però in seguito i commentatori, come, ad esempio,
il Fraticelli, il Bianchi e lo Scartazzini (3).
Il Galvani, fatto famigliare con il verbo dantesco, che gli ap-
pariva una vecchia conoscenza per i molti suoi studi d'antico
francese e di provenzale, s'oppone a qualunque altra spiegazione,
che non s'accordi col senso di acesmar provenz. e di acesmer
francese. Pareva al Galvani , e tanto meglio pare adesso a noi
in cosi splendido progresso di studi, « il cercar... nell'Allighieri
« parole e provenzali e francesi allora viventi e conosciute ai
« gentili più consentaneo col vero (4) di quello che l'attribuirgli
« parole o tutte trovate , od immediate dal greco (5). » Crede
che in questo luogo di Dante domini l' ironia , e ritiene inoltre
che la rima abbia costretto forse il poeta ad usarla (6). « I verbi
« pertanto, seguita egli, acesmar ed acesmer, che non altro
« provenzalmente e francescamente significarono fuorché ornare.
(1) Cfr. G. Galvani, Lezioni accademiche, Modena, 1839-40, t. II, p. 33:
« Della origine e della significazione della voce accismaré ad illustrazione
« di un luogo di Dante nella D. Commedia ».
(2) Cfr. Analisi critica dei verbi italiani, p. 31, n. 3.
(3) Lo Scartazzini è in questo punto poco esatto. Anzitutto , chi gli ha
dimostrato che il fr. acesmer sia derivato dal prov. azesmar? Lo può scu-
sare tuttavia il fatto, che in questa arbitraria affermazione lo hanno prece-
duto il Nannucci e il Diez. Ancora : non è vero che il Galvani non ispieghi
accismaré per conciare, acconciare (cfr. infatti la cit. memoria del Galvani,
m fine).
(4) Cfr. su questo argomento quello che dice egregiamente lo Zingarelli
a p. 183 del suo studio.
(5) Allude alla imaginata derivazione da schisma, ayi\a\xo.: cfr. Yocabol.
della Crusca, alle voci accismaré e cisma.
(6) Cfr. p. 138 della memoria dello Zingarelli , ove è posto un problema
interessantissimo e delicatissimo : « ma non possiamo noi anche rintracciare
« proprio sul pensiero di Dante qualche influenza della rima? » Si noti bene
che la rima in -isma, degna proprio dell'ardimentoso e aristocratico Arnaldo
Daniello della poesia italiana, non ci si presenta nell'intero poema dantesco
che a questo luogo. E si osservi pure come il Galvani, fra tanta idolatria
di ciechi pedanti per TAllighieri, si mostri ragionevole e acuto. — Giacché
poi sono a questo argomento della rima nella Commedia, noterò un errore
VARIETÀ 203
« abbigliare, guarnire, apprestare, furono adoperati qui , volti
« neWaccismare dantesco, a modo di dolorosa ironia, siccome fu
« in modo d'altra, ma non dissimigliante ironia nella parola, quel
« dire Agamennone , IL, IV, v. 339, Ulisse di mali doli ornato:
« Kol où KOKoìoi bóXoicTi K€KaaMév6: e fu perciò come dicesse: è qui
« dietro un diavolo che ne abbiglia di questo modo crudele ; che
« cosi crudelmente ci sfregia e adorna nella persona : e ciò ac-
« cennando a que' sformati tagli e dolorosi cincischìi, che da esso
« lui ricevevano ». Aveva già il Galvani, come dissi il '37, pub-
blicata la sua lezione, quando usci l'opera del Gherardini : Voci
e maniere di dire italiane additate a' futuri vocabolaristi, Mi-
lano, 1840, nella quale, t. I,p.253, il vivacissimo critico della Crusca,
accettando la derivazione da scismxi, focosamente sosteneva che
si dovesse leggere ascismare, non accismare, come il Da Buti,
e press'a poco come il Buonanni, che aveva voluto leggere : Un
diavolo è qua dietro che ne scisma. Rigettava pure il Gherar-
dini l'immediata derivazione da cisma= scisma , poiché questa
voce gli sembrava falsa , e non autorizzata da' due esempi a lui
sospetti assai della Fiera del Buonarroti e delle Lettere di
D. Gio. Dalle Celle (1).
Ma il Galvani nella ristampa della lezione , riferite le argo-
mentazioni e la sentenza del Gherardini, dichiara di persistere
nell'opinione sua, concludendo: « che la voce al luogo Dantesco
« debba ritenersi nella significazione primitiva ed originaria sem-
« bra assai conseguente, badando e al modo de' nostri volgari che
« usano appunto le frasi: accomodare, aggiustare, o conciare
« uno per le feste e simili, coli 'identica antifrasi, ed all'autore
« che la adoperò, cioè a Dante, vago de' provenzalismi, e desi-
« deroso di mostrarsi perito in quella favella, la quale passava
« allora per la gentile ».
commesso dallo Zingarelli nel fine capitolo , che di essa tratta. Le traspo-
sizioni d' accento in rima , quelle che lo Z. efficacemente nomina enclisie
sforzate , non sono tra gli artifici personali del divino poeta. Per 1' antica
poesia italiana, senza molto cercare, cfr. Gaix, Origini ecc., p. 196; per la
poesia provenzale cfr. Diez, Die Poesie der Troubadours, 2* ed., p. 82.
(1) Il Gherardini aveva torto, che non solo nel toscano, ma pure in altre
parlate romanze venne a prodursi la forma cisma. Cfr. esempio recato dal
Ducange; vedi cisma e phariseare , ove la forma del latino medievale ri-
flette certo la volgare, e Diez, Etym. W., I, vedi cisma, ove si registrano
lo sp. cisma e lant. francese cisme.
204 V. CRESGINI
Per verità mi pare che questa spiegazione del Galvani sia la
sola vera. Con ciò voglio dire che nemmeno la congettura di lei,
caro amico, per quanto arguta, mi persuade, e che col Nannucci,
col Diez, con buoni commentatori, col Gaspary, collo Zingarelli,
seguito ad intendere il verbo dantesco al modo del Galvani. Na-
turalmente è questione subiettiva, perchè la lettera del testo si
presta all'una interpretazione e all'altra: accisma, che pare la
lezione migliore (1), tanto può ricondurci ad acesmar che a
cisma. Ma valgono per la prima di queste etimologie assai più
ragioni interne, che per la seconda. Con essa infatti si riconnette
il verbo dantesco a parola conosciuta in lingue sorelle, che eser-
citarono influsso sull'idioma letterario nostro, si ricollega all'uso
che se ne scoperse in altri de' vecchi scrittori italiani (2) e nel-
l'anonimo rimatore genovese (3); con essa risalta piena la solita
(1) Accismn legge il famoso cod. Vaticano , che si voleva del Boccaccio
(cfr. ed. Fantoni), come il testo Bartolini, la cui stampa fu condotta col
riscontro di 65 codici (Udine, 1823), come la maggior parte de' codd. ado-
perati dallo ScARABELLi ad illustrazione dell' esemplare Lambertiniano della
commedia da lui pubblicato, come il testo del Witte, come, finalmente,
il gruppo dei mss. studiati dallo Zingarelli. Acisma leggono le quattro prime
stampe della Commedia (vedine la riproduzione Vernon, Londra 1858, p. 196);
accisma leggono Tediz. aldina del 1502, quella della Crusca del 1595, del
Volpi del 1727, del Niccolini, Capponi ecc. del 1837.
(2) Lo Zingarelli (p. 113) dice che nell'antico italiano il riflesso di acesmar
è di uso estesissimo. Questo è troppo, e credo che lo Zingarelli sarebbe im-
barazzato a dare le prove della sua affermazione. Torno intanto a citare gli
esempi soliti, di Guido Guinizelli e del Lucano volgare (cfr. Nannucci, Ma-
nuale ecc., I*, p. 40, n. 2). Del resto dall' ediz. critica de' poeti bolognesi
apparisce che soli due codici danno al luogo noto di G. Guinizelli la lezione
cesmata. D'uno anzi di questi codd. non si è sicuri ; si deve credere per esso
alla asserzione del Fiacchi. Io ritengo che la parola sia sembrata fin dap-
principio troppo esotica e si sia durata fatica ad accoglierla ne' canzonieri :
infatti nel cod. Alessandri, secondo il Fiacchi, in margine stava a modo di
correzione : quando appare in fra V altre più adorna, ove la parola ostica
è evitata , e che è la lezione accolta nel suo testo critico dal Casini , Le
rime dei poeti bolognesi del sec. XIII, Bologna, 1881, pp. 32, 284.
(3) Cfr. Rime genovesi (Arch. Glott. , li , 2) , XXXVIII. 114. XLIII. 85.
XLIX. 129. 248. LXXIX. 57. In quest'ultimo luogo s' ha il sost. cesmo.
Mentre correggevo le bozze di questo scritterello capitarono le Annotazioni
sistematiche alle Ant. Rime Genov. e alle Prose Genov. del Flechia
(Arch. Glott., Vili. 3). Il Flechia (pp. 318, 338) registra gli esempì da me
già avvertiti, e rimanda al Diez, Less., I, 164, s. csmar.
VARIETÀ 205
efficacissima ironia dantesca , rispondente poi in questo caso al
senso di una frase comune, facilmente risvegliata nella memoria
di Dante dalla pena, ch'egli descriveva, di tanti colpevoli in si
crudele modo conciati dalla spada del diavolo. Invece è artifi-
ciosa la derivazione da cisma, non si stenta a vederlo, così nel
senso di scisma, come nella speciale accezione da lei notata.
Dante sillogizzerebbe cosi : coloro che furono seminatori di cisma
(divisione) dal diavolo vengono cismali (divisi). Allora conviene
essere logici, e ritenendo che Dante fino coll'identità delle parole
abbia voluto significare la rigida parità della colpa e della pena,
si deve leggere :
Vi tutti gli altri che tu vedi qui ,
Seminator di scandalo e di cisma
Fur, vivi; e però son fessi così.
Un diavolo è qua dietro, che ne cisma
Sì crudelmente ecc. ecc.
0 col Buonanni, se si vuol meglio, devesi leggere ne'due punti
corrispondenti, scisma sost. e scisma verbo. Perchè infatti quella
preposizione di accisma? Sentendo che anche una differenza
lieve avrebbe turbato il voluto effetto (Ji un tale rapporto di
parole, conceduto l'intendimento che gli si attribuisce da' seguaci
del Da Buti, Dante lo avrebbe certamente reso visibile e sensi-
bile con perfetta uguaglianza di termini. Perchè infine, mi si
lasci dire, si ritorna alla benedetta sentenza del marchese Co-
lombi: simili giochetti si fanno o non si fanno, e con scisma e
accisma il giochetto non riesce compito. D'altra parte Dante ha
già rilevata chiaramente, la rispondenza che corre tra la colpa
e la pena di questi dannati, ha già detto:
E tutti gli altri, che tu vedi qui,
Seminator di scandalo e di scisma
Fur, vivi; e però son fessi così.
Ma , notiamolo subito, 1' ha rilevata con parole diverse dicendo
che i seminatori di scandalo e di scisma sono fessi. Dato che
accisma valesse fende, Dante tornerebbe a ripetere, con prolis-
sità che gli è ignota, la stessa cosa. Poi accisma si riferirebbe
ad una parte dei dannati della nona bolgia , a' seminatori di
206 V- CRESCINI
scisma, non a' seminatori di scandalo. Finalmente il verbo cis-
TYiare o accismare, derivando da cisma, che ha significazione
affatto speciale, e che da Dante è in questa significazione ado-
perato, meglio che (secondo il primitivo e più semplice valore)
dividere, fendere, vorrebbe dire : produrre cisìui o scismi. Ma
che leggono ascismxi, come il Da Buti voleva e più tardi il Ghe-
rardini, ci sono codici ragguardevoli. Ora qui bene osserva Lu-
ciano Scarabelli (1) che la lezione ascismu dev'essere provenuta
da chi scrisse sotto dettatura di qualche toscano , il quale pro-
nunciava acìsma, che meglio assai di accisma può essere la forma
originaria, con la palatina assibilata, in modo che se n'avesse la
linguale s . Trovando scritto a questa maniera il Da Buti fu colpito
dalla somiglianza di questa voce con la precedente rima scìsm^a,
e imaginò quella sua etimologia e conseguente spiegazione. Anche
ilcod. cassineseci dà: sem,inator di scandalo e di sisma Un
diavolo e qua dietro che nasiSTna. Acesm^ar poteva dare all'i-
taliano così la sibilante dentale s, come la linguale s, come la
esplosiva palatina e. Nel God. cassinese potrebbe aversi però
asisma per asciSTua , come sismxi per scisma , con s espressa
da semplice s (2). Ma questa voce acesm,ar, salendo dal riflesso ita-
liano alla voce originaria, da che deriva ? Respingo l'etimologia del
Roquefort [Glossaire Roman, v. acesmer), che vorrebbe la voce
corrispondente francese da un supposto bassolatino acosm,are ecc.,
come quella del Galvani, che, per la solita ragione dell'influsso
greco di Marsiglia sulla Gallia, vorrebbe che direttamente ai due
volgari gallici fosse la parola scesa da Koa^eìv. Neppure l'etimologia
dieziana da adaestimare mi va. Accolgo invece e ripresento una
etimologia dimenticata, quella del Ducange, il quale fa risalire
acesmer a scem.a, schema, axn^a- G^ià. dalle lingue classiche questa
voce, oltrepassata la significazione primitiva di forma, figura,
venne a indicare abito, veste; già dal latino antico schema venne
a scema (3). Nel medioevo il greco e il latino ci presentano
(1) Gfr. Esemplare della Divina Commedia donato ÓMpapa {Benedetto XIV)
Lambertini ecc., edito secondo la sua ortografia , illustrato dai confronti
di altri XIX codici danteschi inediti e fornito di note critiche da Luciano
Scarabelli, Bologna, Romagnoli, 1870, I, p. 497. La lezione ascisma tro-
viamo anche nell' ediz. dell' Inferno dantesco col comm. di Guiniforto delli
Bargigi fatta a cura dell'avv. G. Zacheroni, Marsiglia-Firenze 1838.
(2) Vedi anche nel Gloss. latino del Du Gange sisma per schisma, scisma.
(3) Gfr. il Dizionario del Porcellini.
VARIETÀ 207
questa parola frequentemente (1). Il Glossario latino del Ducange
ce la spiega cosi: Forma, species, ornatus, vestitus, habitus;
e a proposito di quest'ultimo significato noterò che nel greco e
nel latino codesta voce designò particolarmente l'abito monastico.
Si formò da essa il verbo scemari che valse ornatu, suo òble-
ctari; si formò ancora il verbo ascemare, che troviamo usato
da S. Colombano: « quia naturam ascematus est, qui eam ex
« nihilo creavit » i. e. (aggiungesi nel Du Gange): « induit, ea se
« quasi ornavit. » Ora, solamente per questo etimo io mi spiego
perfettamerrte i significati di acesmer e axiesmar, pe' quali ri-
mando, od altrimenti questa lettera non ha più fine, al Borei,
al Ménage, al Roquefort, al Rochegude, al Raynouard ecc. Ma
si osserverà che alla derivazione di acesmer e acesmar da sce-
mari, ascem,are s'oppone, però debolmente, una difficoltà fone-
tica : donde viene alla forma francese ed alla provenzale quella
s che non si trova ne' due verbi latini ? Si risponde molto presto
che nel provenzale 5 si intercala in parecchie parole innanzi m,
(si veda Diez, Grammaire ecc., I, 377); si risponde che « le vieux
« frangais, secondo afferma il Burgny {Gram,m. de la langue
« dCoil P, 43), intercale souvent s devant n, in, l, et t » (2). Ma
come avvenne che il Diez fece discendere da adaestimare il
verbo, di che discorriamo? È nata confusione tra acesmar ecc.
(cfr. Raynouard, Lex. R. V. 207) e azesmar, il quale ultimo
realmente e con perfetta normalità fonetica deriva da adae-
stim-are. La confusione era anche più facile, se vogliamo, per
qualche affinità ideologica, che si produsse tra i due verbi (3).
Metto a fronte i due luoghi del Lex. Roman, in cui compaiono
distinti i due verbi:
(1) Cfr. del Du Gange il Gloss. latino e il greco.
(2) Accanto ad acesmer \ antico francese presenta la forma acemer,
acemmer (cfr. Godefroy, Dictionnaire de r ancienne langue franqaise,
s. V. Acesmer), la quale potrebbe rappresentare il dileguo della s innanzi
la consonante (vedi alnme) operatosi, com' è noto, assai presto, ma potrebbe
anche essere l' immediato riflesso di ascemare. SuU' epentesi di s nell'antico
francese vedi Diez, Grammaire, 1, 424, per il quale essa avrebbe mero
valore di segno prosodico indicante l'allungamento della vocale precedente.
(3) Anche il Burguy {Grammaire ecc. IIP. 4-5) confonde insieme aesmer,
aasmer, esmer ed acesmer. S' identificano le due forme nella significazione
di préparer, ajuster, ma non trovo che aesmer, aasmer ecc. arrivino alla
netta significazione orner, parer propria di acesmer, e che, per quanto a
me pare, deve essere stata la prima e fondamentale di questo vei-so.
208 V. CRESCINI
III, 219:
Adesmar, Azesmar, Aesmar, V., estimer, calculer, évaluer, apprécier , pré-
parer, comparer.
V, 207:
AssERNAR, Asermar, Acesmar, préparer, appréter, disposer, orner.
Il Diez cita poi un luogo del Ferabras , in cui veramente si
ha azesm,ar da adesmar, adestimar. ludi differenza tra i due
verbi doveva avvertirsi nel provenzale dalla pronuncia, poiché
azesmar aveva certo, in origine almeno, il suono della sibilante
dentale sonora svoltasi dalla esplosiva dentale sonora originaria,
fenomeno questo che , secondo è notissimo, specialmente e abbon-
dantemente occorre nel provenzale e nel rumano anche senza
che vi s'abbia la condizione migliore, perchè altrove il fenomeno
avvenga , senza il nesso di, dj (1). All'opposto, acesmar doveva
avere il suono della sibilante dentale sorda. E azzfmare onde
viene? Io credo che abbia colto nel segno lo Schuchardt facendo
derivare guest' altro verbo da accimare (2). Ma io seguito a
discorrere senz'avvedermi che ho lasciata insoluta una piccola
difficoltà di ordine fonetico per la derivazione délVacciSTna dan-
tesco da acesmar. Negli altri esempì italiani conosciuti abbiamo
cesm,are e acesmare; nel luogo dantesco dovremmo avere ac-
cesmxx. Certamente per effetto della esplosiva palatina sorda
precedente la e si è assottigliata in i nell' infinito del verbo ,
onde acciSTYmre , da cui poi la forma accism,a, che a Dante
riusciva comodissima per la rima. Probabilmente è tutta opera
sua questa leggera modificazione fonetica.
Qui avrei finito, ma dacché ormai ho tanto abusato della sua
cortesia , mi permetto di aggiungere ancora qualche parola. Il
prof. D'Ancona trova che contrappasso non è jieologismo dan-
tesco, e cita dalle Rime Genovesi la Yoce^contrapeiso. Nel luogo
di Dante e in quello del poeta genovese e' è identità di concetto;
ma contrapeiso é contrappeso, non contrappasso. Nelle Rim^
genovesi (poiché furono citate aggiungo quest'osservazione) vedi
inoltre la voce darsena, che fu argomento di un'altra noterella
(1) Gfr. Diez, Grammaire, I, 217.
(2) Jahrhuch , XII, 114; e Scheler, Anhang, I, al Diz. del Diez, 4* ed.,
p. 718.
VARIETÀ 209
dantesca del prof. D'Ancona (cxxxviii, 109); come pure il verbo
rangurà, rangurarse (li, 10; lvii, 49-50; lxxvi, 12; xcv, 91).
Quanto ad abbellire, ch'ella, caro amico, tanto giustamente crede
comune, nel senso di parer bello, all'antico italiano ed alle due
favelle romane di Gallia (1), lo Zingarelli cadde in una curiosa con-
traddizione che, del resto, non mi pare l'unico segno di negligenza
nel suo pur sempre notevolissimo lavoro. A p. 112 col Nannucci
e col Blanc egli dichiara abbellire mh provenzalismo; a pp. 141-42
col Gaspary crede che gallicismi di significato come abbellire,
adesso, arrivare, cappello ecc., non si possono decisamente dir
tali, ecc. ecc.; e conclude: «perciò noi siamo stati sempre cauti
« nella ricerca di questi gallicismi!... » Cosi cappello, per il quale,
lo vedemmo ora, egli dice che bisogna essere cauti nel senten-
ziare, a p. 120 è invece un gallicismo bello e buono.
La saluto, mio carissimo, e le auguro che nuove noterelle
dantesche non mi offrano occasione di ripeterle altre tirate come
questa.
Suo Vincenzo Grescini.
P. S. Aggiungo sulle bozze che potei conoscere la lezione pre-
sentata da un buon numero di mss. della Commedia Dantesca al
V. 37 del XXVni déìYInferno. La lezione prevalente è acisma
0 accisma.
Godici Marciani:
L (Zanetti) sec. XIV (vedi Fulin, / codici veneti della Div. Comm.,
nel volume / codici di Dante in Venezia, Venezia, 1865, pp. 127-130); —
LI! (Zanetti) sec. XIV (Fulin, Op. cit., pp. 122-24); — CI. IX. XXXIV,
sec. XIV (Fulin, Op. cit., pp. 152-55); — GÌ. IX. GLXXXIII, sec. XIV
(Fulin, Op. cit., pp.,. 146-150); -^ LVII (Zanetti), sec. XV (Fulin, Op. cit.,
pp. 170-73); — GÌ. l'x. XXXI v., sec. XV (Fulin, Op. cit., pp. 173-77); —
GÌ. IX. XXXII, sec. XV (Fulin, Op. cit., pp. 138-140); — Gì. IX. GXXVII,
sec. XV (Fulin, Op. cit., pp. 177-79); — Gì. IX. GXXVIII, sec. XV (Fulin,
Op. cit., pp. 144-46); — Gì. IX. GDXXVIII, sec. XV (Fulin, Op. cit.,
pp. 179-82); — GÌ. IX. GDXXIX, sec. XV (Fulin, Op. cit., pp. 158-59); —
(1) Poiché non fu ricordato, noto qui a pie di pagina V esempio di abelir,
nel senso di cui si discorre, in un luogo de' Monumenti del Mussafia : cfr.
A. 118, e Gloss.
Qiomalé storico, VI, fase. 16-17. 14
210 V. GRESCINI
tutti questi codici insieme a quello del Museo Correr (Venezia) , Ms. VI.
nro. 676, sec. XV (Fulin, Op. cit, pp. 161-63) (1), ed al cod. Wcovich Laz-
zari, sec. XV (Fulin, Op. cit., pp. 163-66), danno acisma , mentre accisma
leggono i marciani seguenti: LI (Zanetti), sec. XIV (Fulin, Op. cit, pp. 118-19);
— LUI (Zanetti), sec. XIV (Fulin, Op. cit, pp. 119-22); — LIV (Zanetti);
sec. XIV (Fulin, Op. cit, pp. 113-18) (2); — LV i(Zanetti), sec. XIV
(Fulin, Op. cit, pp. 166-70); — GÌ. IX. XXXI A. , sec. XIV (Fulin, Op.
cit, pp. 131-33). AsciSMA si vuole leggere nel prezioso marciano CI. IX.
CGLXXVI , sec. XIV (Fulin , Op. cit. , pp. 149-50) , ma in questo punto
la scrittura è guastissima; ascisma danno chiaramente il cod. CI. IX. XXX,
sec. XIV (Fulin, Op. cit., pp. 134-36), il cod. CI. IX. XXXlll, sec. XV (Fulin,
Op. cit., pp. 136-38) , e 1' altro CI. IX. CCCXXXIX , sec. XV (Fulin , Op.
cit., pp. 156-57). Di comunicazioni intorno questi mss. veneziani vado debi-
tore alla cortese premura del mio promettente allievo sig. Carlo Magno. Dei
quattro codici della Commedia posseduti dalla Biblioteca del Seminario di
Padova, quello segnato col num. IX, e quello che porta il num. 67 leggono
acisma; il num. 2 agisma. Vedi su questi codici il Batines, Bibl. Dant.,
I, 620, 638; II, 14547; La Div. Comm. ecc., Udine, 1823, voi. I, pp. xxii-xxiv;
Angelo Sicca, Rivista delle varie lezioni della Div. Com. ecc., Padova, 1832.
Ho voluto anche vedere le spiegazioni che di accisma dettero i vecchi com-
mentatori di Dante. L' anonimo nel cod. cassinese , e 1' anonimo fiorentino
sfuggirono le difficoltà schivando la diretta spiegazione del verbo problema-
tico. Altrettanto possiamo dire di Pietro di Dante. L' Ottimo commenta :
« ... sono seminatori di scandoli e di scisma, e però sono così fessi; e ma-
« nifesta chi è colui , che cosi li fende ; e con che è tutto il processo di
« questa pena » (3); Benvenuto da Imola: « Un diavol e qua dentro che
« n accismu un diavolo squarcia » (trad. Tamburini, I, 682); Iacopo della
Lana (ed. Scarabelli, I, 445): « un demonio li piaga e appenali come ap-
« pare ». L' Ottimo e Benvenuto ci fanno conoscere che non fu solo il Da
Buti a spiegare accism,a a quel modo eh' egli ha fatto; il primo trova in
accism^re un sinonimo di fendere, l'altro lo spiega con isquarciare (4). Ma
(1) Nel testo del Fulin questo cod. è segnato col n. 905, eh' era quello
ancora del Catalogo Soranzo , essendo appartenuto il cod. alla libreria del
senatore I. Soranzo.
(2) Accisma in questo cod. non è ben chiaro, perchè vi è scritto su. II
e. 28 Inf. appartiene del resto in questo cod. a carte aggiunte e di mano
diversa delle precedenti.
(3) Il cod. marciano LVl (Zanetti) contiene parte dell' Ottimo commento,
dal V Inf. al VI Purg. Delle buone varianti di essa parte offerse esempi
il Fulin, Op. cit.: se ne occuperà metodicamente il sig. Carlo Magno. Il
comm. al luogo nostro, secondo questo manoscritto, presenta : « e manifesta
« chi è colui che si li fende et con che et tutto il processo ecc. ».
(4) Anche il Bargigi, p. 637, ed. Zacheroni, che legge ascisma, spiega
divide e taglia.
VARIETÀ 211
consultando il commento latino aìVInfemo, contenuto nel cod. marcisuio LVII
(Zanetti) e attribuito a Benvenuto da Imola (cfr. Fulin , Op. cit. , p. 171),
vedo che accisma si chiarisce per exomat et polit. Non posso detenninare
adesso se l'attribuzione a Benvenuto di questo commento sia giusta, e se si
possa credere ad una così flagrante contraddizione fra il testo e la versione
Tamburini. Comunque, ecco un vecchio commentatore (il cod. fu scritto nel
1421, e nel commento al e. XVIIl, e. 281 1., si indica il 1379 come l'anno
in cui si scrivevano le chiose a quel dato luogo) , che ha imberciato nel
segno (1). Ma fu un solitario: quella benedetta parola dagli altri non fu in-
tesa; e si schivò, 0 si chiarì un po' cervelloticamente.
(1) Anche B. Bianchi annota: € un antico commentatore chiosa la voce
€ accisma, comit, expolit »..
TRE LAUDI SACRE PESARESI
La storia della lauda sacra, per molti rispetti interessantissima,
nonostante i lavori di egregi e colti ingegni, resta tuttavia a
mezzo. Contributi validissimi si vanno frequentemente apportan-
dovi; ma finché non sarà messo a disposizione o a conoscenza
degli studiosi quanto v'ha d'inedito o di nascosto per le diverse
biblioteche; finché non sarà discussa, e con documenti positivi
dimostrata, la via che cotesto genere di poesia ha percorso e le
forme che ha avute; un lavoro veramente definitivo è impossi-
bile. Mi sia quindi permesso di richiamare l'attenzione degli eru-
diti sopra alcune laudi , di particolare interesse , che sebbene
pubblicate per le stampe, per la rarità degli opuscoli in che si
trovano, sono rimaste pressoché ignote, o non tenute in quella
considerazione che mi sembrano meritare. Io le dico pesaresi,
perchè ritrovansi insieme a capitoli di confraternite pesaresi,
presso le quali ne era prescritta la recitazione. A Pesaro quindi
furono probabilmente composte.
La prima, e di gran lunga più importante, per l'antichità di-
mostrata evidentemente dall'essere scritta in alessandrini mono-
rimici (primo esempio, ch'io mi sappia, di tal forma di laudi (1))
è una parafrasi della Salve Regina, dopo la quale si trova nei
Capitoli della Confraternita di Santo Antonio, da recitarsi, come
espressamente vi si nota, quando si riceveva un fratello. Per de-
terminare il tempo a cui essa appartiene, converrebbe aver pre-
sente l'originale o almeno qualche antichissima copia manoscritta
dei capitoli di detta confraternita, o sapere per lo manco in qual
torno di tempo essa confraternita si fondasse: poiché evidente-
mente, come anche dirò appresso, la laude essendo di rito pel
(1) 11 BiADENE nella sua accurata nota sulle poesie monorimiche (vedi Studi
di filologia romanza, fase. 2, p. 236), cita altri tre esempì di poesie mono-
rimiche , a serie contimm , come la nostra ; ma fra queste una sola poesia
religiosa, pubblicata dal Casini nelle Rime bolognesi, che non è però una
lauda vera e propria.
VARIETÀ 213
ricevimento dei nuovi adepti, si conservò in seguito quale fu
posta primamente. Ma le mie indagini non portarono alcun pro-
fitto, tacendone il diligentissimo Olivieri, che scrisse un erudito
volume sulla storia della Chiesa pesarese nel sec. XIII, ed essendo
andato disperso per incuria di chi vi soprastette, l'archivio ric-
chissimo della Chiesa di Sant' Antonio. Certo , la Confraternita
dovette essere di molto antica, come quella che acquistò belle
ricchezze e che presto ottenne grandissima importanza per es-
servi iscritti i più facoltosi della città. Tanto che Giovanni Sforza,
uomo da saper trar partito d'ogni minima cosa, per render vana
qualsivoglia occasione di futuro pericolo pel suo dominio, non
mancò di ascrivervisi anch'egli: e nel 1508, fattosi elegger Priore,
ordinò una riforma dei capitoli, togliendo alcuni articoli che non
gli andavano a garbo e aggiungendone altri sulla proibizione del
portare armi e d'intricarsi di cose politiche. Con le quali modi-
ficazioni sostanziali, e con poche altre puramente formali, come
portavano i tempi di poi, la Confraternita di S. Antonio si man-
tenne, senza gravi disquilibri, sino quasi al tempo nostro. Giovanni
Sforza, più curante della sostanza, lasciò intatte le preghiere,
non volendo menomamente recar disturbo ai fedeli. Così è che
la nostra Laude monorimica e rozza si trova nella prima stampa
dei Capitoli della Confraternita, fatta, dopo la riforma sforzesca,
dai Soncini nel 1510 (1).
Questa stampa venne anche integralmente riprodotta nel 1531,
a di 26 giugno, pei tipi di Baldassarre de Francesco Cartolare
Perusino, stampatore in Pesaro , e subì piccole variazioni , spe-
cialmente rispetto alle preghiere, nella edizione del 1724, per
Niccolò Degni. Le antiche e rozze laudi non parvero cosa bella,
perchè troppo semplici e neglette , e furono sostituite da odi ,
quanto più moderne e più gonfie e roboanti, tanto meno religio-
samente sentite.
Ed ora ecco la Laude, quale io la ricavo dalla edizione del '31,
non essendomi riuscito vedere quella dei Soncino, di cui però ci
offre ampia ed esatta descrizione il conte Manzoni negli interes-
santissimi Annali tipografici dei Soncino (2). Quando il senso o
(1) Un argomento a determinare il tempo, al quale essa laude appartiene,
potrebbe esser dato dall' accenno a papa Innocenzo , che trovasi nel v. 60 :
« Dal beato papa Innocentio da lui ci fo ordinata ». Ma quale dei nume-
rosi Innocenzì, che si succedettero sulla sedia apostolica nei sec. XIII e XIV ?
Sarebb' egli il più noto fra essi, l'Innocenzo 111, gran datore peraltro d' in-
dulgenze? L'essere nominato senz' altro, potrebbe dai'ne indizio?
(2) Voi. Ili, pp. 252-54.
214 G. S. SCIPIONI
il verso 0 la rima danno sicuro indizio di errore, mi permetto
alcune ricostruzioni, portando a pie'di pagina l'esatta lezione della
stampa.
Regina potentissima sul eie! siti exaitata
Sopra la vita angelica siti santificata
Scala di sapienzia madre glorificata
Sposa di Ghristo anelila voi siti humiliata.
Denanti a Lui de gloria voi siti incoronata 5
De le virtìi santissime voi siti obumbrata
Figlia de san Gioachino e de santa Anna nata
Stella del ciel chiarissima gemma glorificata
Che per salvar lo seculo fosti al mondo creata
Piena siti di gratia damor fortificata 10
Sopra a li altri fiori de gloria incoronata
Palma preciosissima stella del mondo ornata
Giardino aulentissimo rosa ingarofolata
Manna tutta purissima viola inviolata
Voi siti 'na colonna in 1' alto ciel formata 15
Anima de penitentia stella purificata
Forteza di hierusalem dintorno circondata
Pel fructo che dottasti la vita a noi fo data
Soprana di sapientia siti colonna stata
Ponzella de abstinentia voi siti amaistrata 20
Piena siti di gloria donna de honor segniata
Unguento dalegrezza oliva piantata
Balsamo aulentissimo manna dal ciel mandata
Sopra ogni mei dulcissimo damor siti infiammata
Su tutti laltri vergine siti la più exaitata 25
Sacrificio aulentissimo siti certa colata
Madre di sapientia da christo suscitata
Da li sancti propheti molto fosti aspectata
Beata sarà quella anima che da voi sera guidata
vostra possanza altissima in ciel fortificata 30
0 lume splendidissimo damor siti apregiata
Vostra vita certissima sempre vera odorata
Donzella dulcissima de odore adornata
T. 1. Regina potentissima sopra del cielo siti exaitata.
Sopra la vita angelica voi siti santificata.
V. 7. Figliuote de san Giovachino e de santa Anna voi fosti nata.
y. 11. Sopra ali altri fiori de gloria voi siti incoronata.
V. 15. Voi siti colonna in alto in ciel formata.
r. 19. Soprana di sapienza donna de reverentia.
Siti colonna stata vergine dubidientia.
f. 30. Vostra possanza altissima altra fine grandissima.
V. 31. In ciel fortificata lume splendidissimo soave dolcissima.
T. 32. Damore siti appregiata vostra vita certissima.
V. 33. Sempre vera odorata donzella dolcissima de odore ornata.
VARIETÀ 215
Sopra ogni fiore o rosa siti desiderata
Myrra sacratissima da christo esaminata 35
Puluia da li nuvole del cielo acqua rosata
Con lo tuo santo figlio da li magi adorata
Siti pietra firmissiraa sopra alaltrc fondata
Pietra preciosa siti la più fina atrovata
Quando a voi vien con lacryme 1' anima separata 40
Difendila madonna che non sia condannata
Sempre stia in alegrezza con Dio consolata
Del benedetto ventre ne nacque tal derrata
Che tutta Ummana gente ne fo recomperata
Del suo santo latore uscì sangue e acqua rosata 45
Lo baptesmo fo fatto e la fé' confirmata
Che per rasone ogni anima dee essere salvata.
Regina de justitia sempre siti laudata
Fontana de scientia vera iustificata.
Luna de sufferentia regina incoronata 50
Ave gratia piena da laugel salutata
Recordave di lanima che sta mortificata
Che dal inimico falso non sia acompagnata
Questo sermone e solo per voi vergin beata
Che tutta Ummana gente vi sia recomandata 55
Donanti al tuo figliolo per noi sii advocata
Chi la dice e chi la intende in ciascuna fiata
Lanima da lo inferno ben sera sensata
Tri anni e di quaranta di perdonanza fo data
Dal beato papa innocentio da lui ci fo ordinata 60
E da iesu Christo ci fo confermata
Or salutam la vergine in ciascuna fiata
Sempre sia benedecta e da noi ringratiata
E così ci difenda degni mortale peccata. Amen. 64
Le altre due Laudi appartengono alla serie di quelle che si
dicono drammatiche, ed hanno una speciale importanza, potendosi
in certo modo determinare il tempo in cui dovettero essere com-
poste, 0 almeno introdotte nell'uso quotidiano. Esse erano recitate
V. 34. Sopra ogni fiore o rosa desiderata.
V. 30. Pnlnia da li nuvole dal del fresca acqua rosata.
T. 37. Con Io tao santo figliuolo da li tri magi adorata.
V. 38. Pietra finnis.sima siti ìa più fondata sopra alattre.
T. 43. Del vostro ventre benedetto si ne nacque tal derata.
V. 56. Denanti al tuo figliolo per noi sìa nostra advocata.
V. 61. E da iesQ Christo ci fo confermata or salutamo.
V. 62. La vergine in ciascuna fiata.
216 G. S. SCIPIONI
dalla Confraternita della Nunziata, pure in Pesaro, insieme ai cui
capitoli si ritrovano, nella stampa fattane da Baldassarre de
Francesco Gartularo Perusino nel 1531. Neil' ultimo articolo di
tali capitoli viene chiaramente detto che fondatore della Confra-
ternita fu il Beato Cecco da Pesaro; quel beato Cecco che si vuol
tanto infiammato d'amore per la Vergine, da ritrarne, per solo
entusiasmo, eccellentemente l'imagine. La tradizione assegna come
opera sua una bella testa di Madonna, a fresco, che si venera
nella Chiesa del Ponte Metauro, a tre chilometri da Fano. Quel
beato Cecco che infiammò di santo zelo siffattamente al suo tempo
i cittadini di Pesaro, Fano e dintorni, da condurli processionai-
mente, vestiti di tuniche candide, salmodiando e percotendosi , a
visitare i sacri luoghi delle vicinanze. Lo stesso Carlo Malatesta
si dice vi prendesse parte. Di tale enfatico uomo, che continuava
la tradizione dei S. Francesco e dei Fasani, scrisse a lungo lo
storico e archeologo pesarese, Annibale Olivieri- Abati, e sappiamo
che visse nel sec. XIV, sicché alla metà del secolo XIV dobbiamo
riportare l'origine, se non l'introduzione in Pesaro di queste due
laudi. Le quali oltre all'uscire dalla cerchia degli argomenti con-
suetudinariamente in esse trattati, porgono, per quel ch'io so, il
primo esempio di laudi drammatiche in endecassillabi e ottava
rima, metro e ritmo adoperato più comunemente nelle Devozioni.
Sì che può dirsi rappresentino 1' anello di congiunzione tra
la laude propriamente detta e la Devozione, o il principio del
Dramma sacro.
Dall'Umbria così vicina e così congiunta da vie e da interessi,
certamente venne alle Marche l'ordine delle confraternite ; che si
estesero poi tanto e cosi radicatamente, da rimanerne tuttora
vestigi non insignificanti. E colle Confraternite vennero e rima-
sero anche le tradizioni rappresentative. Ricordo aver veduto da
bambino, nella mia terra nativa (Pergola, nella Provincia di Pe-
saro), la sera del venerdì santo sacre rappresentazioni mute per
le vie. Nei luoghi ove passava la processione (nella quale al
Cristo morto precedevano i simboli della passione , portati da
fanciulli vestiti nei più svariati costumi), e specialmente sul sa-
crato delle chiese , gruppi di uomini e fanciulli , adorni delle
vesti tradizionali, raffiguravano i più salienti episodi della vita
di Gesù : Gesù messo in croce ; Gesù legato alla colonna ; Gesù
nell'orto, e via. E nella città di Fano esiste tuttavia una Confra-
ternita di vecchi operai, nella cui cappella la notte del venerdì
santo, sino al mezzogiorno del sabato, si raccolgono i devoti di-
VARIETÀ. 217
nanzi a un altare, ove è rappresentata Maria addolorata appiè
del Calvario. Dal pulpito il prete legge alcune orazioni e medi-
tazioni sui dolori della Vergine, mentre ad ogni pausa una mu-
sica mesta intuona un inno, cantato pateticamente. Verso il mez-
zogiorno del sabato, dopo alcune cerimonie dei preti dinanzi al-
l'altare, allo sciogliersi, come suol dirsi, delle campane, la musica
si fa più lieta, e calando a un tratto una tela raffigurante il cielo,
appare al di sopra del Calvario Cristo risorto e glorioso , in
quello che due angioli scendono a coronare Maria (1).
Or ecco senza più le due laudi, tali quali ritraggo dalla so-
praccennata edizione dei Capitoli della Nunziata in Pesaro, ira.
cui se ne trovano anche altre che non accade qui citare, per-
chè di minore importanza e d'altra forma.
Lauda a conforto de peccatori.
Tornate peccatori a penitentia
E ciascuno hoggi in colpa a dio si renda
Che salvo e quel che pecca et poi samenda
Tanta e del redentor lalta cleraentia.
Piangiamo tutti quanti amaramente
Ciascuno a pie della croce el suo peccato
El redentor che in croce sta pendente
Per tsinto amor che ci ha sempre portato
Et per comprar anchor V humana gente
Hai ciel apporto et linferno serrato
Con la sua morte o alma benedetta
Veggio hogi a braccia aperte al ciel taspecta.
Dhe non ti disperar mai peccatore
Ben che sii stato al mondo scelerato
Che se ti penti con contrito core
Di pur tua colpa et spento fia el peccato
Guarda come glie morto per tuo amore
Et col suo proprio sangue tha lavato
Ito alla morte com un puro agnello
Per liberarti cheri al ciel ribello.
Fu Maddalena al mondo peccatrice
Et purgo per pentirse ogni peccato
(1) Cfr. Torraca, Reliquie del dramma sacro nelle prov. merid., in
Studi di storia leti, najìoletana.
218 ^ G. S. SCIPIONI
Che direna del ladron ora infelice
Et penitente in croce ul fé beato
Fu longin anchor lui nel ciel felice
Che per ferrirlo fu ralluminato
Addunque che non torni peccatore
Se dio rimette ogni mondano errore.
Et quel calice santo li fu porto
Et ber pur li convienne (benché amaro)
Accioche eternalmente non sia morto
Lhom peccator che li fu sempre caro
Resuscitato andò per dar conforto
Ai santi padri che nel limbo andaro,
Seguite adunque questo santo segno
Che fa chi in petto el porta del ciel degno.
Qual sarà quel cor dur che non si muovi?
Vedendo de Giesu suo pena atroce
Le spine acute et li pungenti chiovi
Laceto el fel la lancia et lalta croce
Hoggi chel tuo signor benigno truovi
Piangendo prega lui col humil voce
Che del peccar ti dia gran continentia
Con la speranza fede et patientia
Non son peccati al mondo tanto gravi
Una lacrima sola un cor contrito
Binanti al tuo signor hoggi non lavi
Che lavato ha lerror chera infinito
Hora hai tu peccator del ciel le chiavi
Ritorna al tuo signor che se smarrito
Non creder tu che Dio perder ti voglia
Poi che per te patita ha pena et doglia.
Xps in cruce ad peccatores.
Che aspetti peccator che non te muovi
Perche se sempre al tuo signor ingrato?
Guarda la croce li spini li chiovi
Guarda al mio corpo tutto lacerato
Che aspetti che ai ben far non ti rinnovi
Poi che col sangue tho mondo et lavato
Con le ferrite mie tho fatto sano
Fai che mio sangue non sia sparso in vano
Non si commise mai si gran peccato
Che chi si pente con contrito core
Da me non sia rimesso et perdonato
Pur che non si disperi el peccatore
VARIETÀ , • 219
Et anohor Giuda harei nel ciel salvato
Se pentito si fusse del suo errore
Si dispero non hebbe pationtia
Et non cognobbe la mia gran clementia
Se voi cognoscer quanto io sia clemente
Pensa che a Maddalena io perdonai
Me nego pietre et pianse amaramente
Onde io del ciel le chiavi li donai
Longin che mi ferì si crudelmente
Non sol li rendei el lume ma el salvai
Torna a me peccator poi che te chiamo
Che giorno et notte tua salute bramo.
Peccator respondet ad Jesum conversits.
Io tho Giesu si gravemente offeso
Ohio non ardisco in alto alzare el ciglio
Da poi che mhai dallinferno difeso
Guardami anchor dogni mondan periglio
Fa del tuo amor el mio cor tanto acceso
Chio fugga del peccato el fiero artiglio
Non giudicar secondo el fallir nostro
Ma secondo lamor choggi ci hai mostro.
Jesus.
Io ti perdon contrito peccatore
Poi che chiedi merce con humil voce
Lardante charita limmenso amore
Hoggi per te mi fa pender in croce
Per tua colpa et non già pel mio errore
Son sceso in terra a patir pena atroce
Lerror passato ti vo perdonare
Hor vade et noUi amplius peccare.
Peccator.
Jesu benigno che hoggi in croce pendi
Per la pietà che scender ti fé in terra
Col sangue tuo col qual vita ci rendi
Per la tua morte che linferno serra
Pel sacro legno col qual ci difendi
Dallo antico inimico et da sua guerra
Fa si chio fugga ogni mortai peccato
Mantienimi mondo poi che mhai lavato.
220 G. S. SCIPIONI
Jesus ad patrem.
Perdona padre a costor che non sanno
Come per lor salute io pendo in croce
Padre perdona, e non san che si fanno
Io grido sitio sitio ad alta voce
Che della lor salute ho grande affanno
Questa e la sete et lardor che mi coce
Perdona che per questo io son mandato
Et tutto quel che e scritto ho consumato.
Finis.
In solemnitate corporis Xpi.
Come e possibil chel verbo incarnato
Che roggie el ciel la terra laria el mare
In così breve spatio sia serrato?
Questo nel mio intelletto non può intrare
Dice che in momento e in ogni lato
Et questo la natura noi può fare
Onde io creder non posso che sia vero
Che questo sia di Christo el corpo intero.
Xps loquitur.
0 gente sempre al creder tarda et stolta
Al ben far cieca, sorda pigra et lenta
La fede tua la qual veggio già spenta
Voi chio venga a morir un altra volta.
Che mi vai peccator per te esser morto
Poi che se tanto al creder ostinato
Quante volte el mio sangue a ber tho porto
Et dato in cibo el mio corpo sacrato
Pur mi sforzo condurti salvo in porto
Benché con lopre tue sia sempre ingrato
Hor vedi sparso per più chiaro segno
Quel sangue che per te sparsi in sul legno.
VARIETÀ 221
Tho già fatto al mondo in ogni parte
Per lo tuo amor miracol mille et mille
Scrisser di me già tante antique carte
E gran propheti et le savie sibille
El tuo cor frodo pur da me si parte
Raccendi homai le già spente faville
Che più aspetti homai, che non credi
Poi chel mio sangue sparso aperto vedi.
Sacerdos loquitur.
Misero iniquo incredul peccatore
Saratti mai remesso un tal peccato?
Hor ben cognosco el mio comisso errore
Et quanto al mio signor son stato ingrato
Misericordia, o vero redentore
Misericordia a questo scelerato
Piangerò sempre et faro penitentia
Perdonami signor per tua clementia.
Xps.
Resuscitato apparvi a Maddalena
Tocco Thomasso el mio costato aperto
Peregrin fransi el pane et nella cena
E miei discipul mi cognober certo
De testimoni la scrittura e piena
Et tu non credi e questo il premio el morto
Hor mi bisogna poi che Ihuon non crede
Spargere el sangue et rinovar la fede.
Sacerdos.
0 verbo eterno o verbo salvatore
Verbo che per salvarci se incarnato
Concede tanta vita al peccatore
Che pianger possa el suo grave peccato.
Et se per per penitentia et gran dolore
Error alchun giamai fu perdonato
Concedimi chio facci penitentia
Con lacryme digiuni et astinentia.
282 G. s. sciPioNi
Et voi veri Christian non dubitate
Che questo e il corpo ver del nostro Dio
Guardate al sangue et più non vicilate
Pigliate exempio ornai del caso mio
Quando tal sacramento voi pigliate
Siate col cor contrito humile et pio
Seguendo sempre questo santo segno
Che fa chi bene el segue del ciel degno.
Finis.
G. S. SCIPIONI.
IL BEL POME
CORONA DI NOVE SONETTI ALLEGORICI
Una delle forme della poesia allegorica in Italia è quella dei
sonetti a corona, cioè collegati e continuati sopra un solo e me-
desimo argomento.
Da un codice della Palatina di Vienna del XIV secolo il Mus-
safia produsse cinque sonetti (1) che contengono un Giudizio di
amore , dove l'amante si duole che gli sia negata obbedienza
dalla sua donna, e questa è invitata da un messo a presentarsi
al tribunale d'Amore, che pronuncia la sua sentenza a favore
dell' amante. Un poemetto allegorico-didattico intitolato : Conci-
liato d'Amore, pubblicato dal Monaci tra i facsimili di antichi
manoscritti per uso delle scuole di filologia neolatina (2), è at-
tribuito da un codice Marciano a Tommaso di Giunta alias Tre-
guano, e componesi di sei sonetti e ventiquattro canzoni. Di Fol-
gore da San Gemignano ci resta una serie di cinque sonetti
allegorici sui pregi e le virtù che dee avere un cavaliere (3);
oltre di che, com' è noto, il Romanzo della Rosa pure fu para-
frasato in dugentotrentadue sonetti (4).
Gli esempì tuttavia non abbondano si che un nuovo documento
(1) Cinque sonetti antichi tratti da un codice della Palatina di Vienna
da Adolfo Mussafu, Vienna, 1874.
(2) Roma, Martelli, 1883, fase. 2 (tav. 48-50).
(3) Le rime di Folgore da San Gemignano e Cene della Chitarra, nuo»
vamente pubblicate da G. Navone, Bologna, Romagnoli 1880, pp. 4549.
(4) Il Fiore, poème italien du XIII siècle, en CCXXXII sonnets, imité
du Roman de la Rose, par Durante ; texte inédit publié avec facsimile.,
224 L. FRATI
di simil genere di poesia non possa avere in sé qualche pregio
per essere pubblicato; tanto più se ci fornisce un'altra prova
dell'influenza che esercitò sulla nostra poesia il Roman de la
Rose, assai noto ed imitato, come dissi, anche in Italia.
La corona di sonetti che ora traggo dal codice Magliabe-
chiano XXIII, 4, 140 trovasi adespota in fine al manoscritto (da
car. 163 v a 167 v) con altri diciannove sonetti, la più parte del
Petrarca, ed alcune ottave del Ninfale Fiesolano (da car. 134 r
a 163 v) di mano diversa da quella del resto del codice, che con-
tiene la Guerra Catilinaria di Sallustio volgarizzata da Fra Bar-
tolomeo da San Goncordio (car. 1 r a 60 i?) e un volgarizzamento
di Lucano (car. 61 «? a 133 r).
La composizione di questi sonetti parmi senza dubbio che si
possa tenere anteriore d'assai al tempo in cui furono trascritti
in cotesto codice, che sembra della fine del XV secolo, o de' primi
anni del XVI.
L'autore volle certamente fare allusione ad una sua avventura
d'amore; egli immagina d'essere entrato in un giardino e d'aver
visto un sì bel pomo che tosto se ne invaghì. Ma eravi un or-
tolano assai geloso, che
non ne are' dato altrui solo una foglia.
Pure tornando un giorno tutto solo a quel giardino, tentò di
cogliere il desiderato frutto, ma quando sentì quelValher cigolare
abbandonò l'impresa non senza far proposito di ritornare. Allor-
ché volle ritentare l'assalto, trovò l'albero tutto imprunato, ond'egli
se ne tornò privo d'ogni speranza, dicendo fra sé : non avrò mai
del dolce frutto il quale ho disiato.
Cominciò allora a fingersi amico dell'ortolano e tanto seppe
fare che un giorno, mentre questi se ne stava sulla strada hen
m£zzo miglio lungi dal giardino, dopo aver levati tutti i pruni
potè finalmente cogliere il frutto proibito.
L'allegoria non è certamente nuova; oltre ai noti versi del
introducHon et notes par Ferdinand Gastets, Paris, Maisonneuve et G®,
1881. Di cotesto poema parlarono diffusamente , e con molta dottrina , il
D'Ancona ed il Borgognoni; l' uno nella Nuova Antologia (voi. LVIII ,
pp. 694-707), l'altro nella Rassegna settimanale (Vili, 247-249).
VARIETÀ 226
Contrasto di Cielo dal Camo (1) e la canzone di ser Bonaggiunta
monaco della Badia di Firenze (2), che incomincia:
Un arbore fogliato
d' amor novo riguardo
lo qual sanza ritardo
mostranza fé' di dar fructo di cima.
si può rammentare il seguente sonetto dell'Angiolieri :
Per ogne gocciola d' acqua eh' ha '1 mare ,
Ha cento milia allegrezze il meo core ,
E qualunque di tutte è la minore
Procura più che d' uomini il sudare.
Eh' i' seppi tanto tra dicere e fare ,
Ched i' salii suU' alber dell' amore ,
Ed alla sua mercè colsi quel fiore,
Ch' io tanto disiava d' odorare.
E poi eh' i' fu di queir albero sceso
si volsi per lo frutto risalire.
Ma non potei , però eh' i' fu' conteso.
L'allegoria è la stessa , se non che mentre l'Angiolieri se ne
andò contento d'aver colto il flore, rammentandosi del proverbio:
Chi tutto vuole nulla dee avire.
n Nostro ritentò la prova più volte in fino a taùto che tra
due rami il suo innesto ebbe messo e potè dire :
i' pur forni' si eh' io non me ne scorno ,
E vi lascia' chorae d' usanza l' escha ,
non perch'io chreda che mai frutto n' escha.
Lodovico Frati.
(1) Strof. XVll e XVIll.
(2) È nel cod. vat. 3213 (car. 127-128), e fu pubblicata dal Corbinelli
nella Raccolta di antiche rime aggiunta alla Bella mano (pp. 94 6 95 a) e
nella Raccolta di rime ant. tose, Palermo, 1817, voi. I, p. 281. Questa al-
legoria trovasi non solo nella lirica amorosa, ma anche nella religiosa; e
accanto all'albero dell'amor profano sorge l'arbore del divino amore nella
auda di fra lacopone che incomincia : Un arbore è da Dio piantato \ Quale
amor è nominato ecc. (ed. Tresatti, p. 586). Nel codice 900 della Bibl. Pa-
latina di Vienna (car. 52 a - 66 è) è un Tractatus de arbore amoris divini
(vedi Tabulae codd. mss. Bibl. Palai. Yindobon. cwserwafor, Vindobonae, 1864)
OiormU storico. Ti, fase. 16-17. 15
226 L- FRATI
I.
r vidi in un[o] giardino un sì bel pome
che d' abbracciano i' n' ebbi una gran voglia ,
[sì] grande che anchora ne sono chon doglia
in fra me stesso immaginando chome.
Però che v'era un si pregiato nome,
un ortolano che drente vi spogl(i)a
non ne are' dato altrui sol una foglia
chi gli avesse donate sette Rome.
Ma chi nel cierchuito entrar[e] vol(es)se
e' le lasciava ben vedere altrui ,
ma non volea che il frutto si cogliesse.
Ed io per me vi diche che vi fui,
che 'nmaginai se choglier ne potesse
[sì] eh' io vi tornasse poscia san^a lui.
Non v'eron pruni che [mi] potessin pugniere,
e '1 chor[e] mi disse di potervi agiugniere.
11.
Tornando poi chon bella (1) provedenga
• tutto solitto a quel giardin[o] sovrano,
e' sapea ben che non v' è 1' ortolano
che m' are' dato greve penitenza.
E a queir alber[o] eh' è di gran potenza,
per la suo man[oJ (2) la presi ad anbo mano ,
mostrò che dal pedan non fosse sano ,
sì ch(e) io di ghuastallo ebbi temenga.
Ma sondo del giardin signiore in tutto ,
quando senti' quell' alber[o] cigholare
uscinne fuori, e non cholsi del frutto.
Ma bem mi puosi in chuor[e] di ritornare
s' i' ne dovesse in tutto esser[e] distrutto ,
puosimi in chuor[e] di noUo abandonare.
Ma io mi pento ben che io mi volsi,
che quando i' fu' signor[e] eh' i' non ne cholsi.
(1) chom peUe il cod.
(2) Così il cod. Forse il suo ramof
VARIETÀ 227
III.
Poi quando vi tornai era inpininato
quest' albero , onde forte sospirai
diciendo tra mio chuor[e] : noli' are' mai (1)
del dolge frutto el qual' ò disiato.
E quasimente chorae disperato
subitamente a esso io m' apichai
per si gran forga ched io lo pieghai ,
eh' io mi parti' da prun[i] tutto graffiato.
[Ma] non eh' io avessi però del frutto saggio ,
che chome prima io ne tornai digiuno
per non riciever[e] dal villano ontrag(g)io.
Ma sendo chosi punto da quel pruno ,
subito imaginai nel mio choraggio
di levameli tutti ad uno ad uno.
Ghopertamente adoperando senno
sanga mostrar niuno senbiante o segnio.
{1) Cosi il cod., ma panni si debba leggere: no l'arò mai.
IV.
Quest' albero amoroso eh' io vi dieho
pendar solea spesso sopra la via (1) ,
or non vi fa chome solea 1' onbria
e al passarvi molto i' m' afFaticho.
Ben(e) che rortolan[o] si mostri amicho
non el domando eh' io farei villania ,
perch' io m' achorgho ben che gielosia
è nel suo chor[e] ched io me ne notricho.
E non è stante che 1' abia inprunato ,
ma tanto à fatto (2) ehon suo arghomento
eh' io noi posso veder[e] quand' io vi ghuato.
Ma spesso trae un amoroso vento
e fai sì forte pieghare da un lato
eh' io vegio un pocho e partemi (3) chontento.
Ma chome la donzella al liochorno
penso ehon umiltà di far[e] ritorno. •
(1) Forse da correggere: Pender soleva spesso sw/ia via.
(2) Cod.: ma ùtnto affatto.
(3) parte mi il cod.
228 L. FRATI
Io fece d' umiltà mia armadura ,
poi chon superbia fu macho sì vile
e a queir alber[o] che tanto è gientile
tornai chon quel signior[e] che m' asichura.
E schurità (1) eh' io li feci paura
vegiendomi venir[e] chotanto huraile ,
mostrò eh' alquanto chinasse lo stile
del grande isdegno che ha per natura.
lo non diche perchè nella gi(u)ntura
provato fossi di salirvi suso ,
ma ben levai de' pruni buo' partita
E avisami ritto chome fuso
[che] fatta verrebbe mie voglia fornita
levando i prun[i] che 1' albero tien chiuso.
Ma e' non si può metter[e la] tela al subio
eh' io non chavasse 1' ortolan[o] del dubbio.
(1) CoA il cod. Forse siehttriàt
VI.
Ghoir ortolano chominciai a usare ,
perchè di me non fosse più geloso ,
e per poter[e] più volte di naschoso
de' prun d' intorno all' albero levare.
Se nel giardino e' mi volea menare (1) ,
di ciò me ne mostrava chorucioso (2)
acciò che fosse pur volonteroso
a dir[e]: vien mecho drente a desinare.
Poi chonvenia eh' ad acto ritornasse ,
de' prun[i] levava , ma non però tanti
che r hortolan[o] di nulla s'achorgiesse.
Una avea in vista e un' altra in serbianti
allo sprunar[e] fé' le volte si spesse ,
che 'n pochi dì gli levai lutti quanti.
Ma poi c'ie fue Ji prjni e sprnchi (3) isciolto,
la sua salita mi gravava molto.
(1) Il cod.: » mi volea mettere.
(2) chucioso il cod.
(3) spochi il cod.
VARIETÀ 229
VII.
Poi che dall' alber[o] dov'era l'alte^Qa
ehi levati tutti pruni e sprechi ,
alla sua cima sempre ave(v)a gli echi
disiderando di salirfe] V altera.
Eir era tanta la sua morbide^a ,
perch' era tutto ischietto san^a nocchi ,
eh' i' diciea di me : fie fatto rochi
prima eh' io possa montar[e] suo belle^ga.
Ma 'n verità sempre verso me chinasse (1)
ben chonveria eh' io vi metesse un[o] 'nesto ,
che '1 frutto suo per me di su fruttasse.
Poi mi parti' immaginando questo ,
ma non però ched io mi gli achostasse
tanto si fé' al riio cuore manifesto,
Ch' io vidi tanto in vista e in senbianga
eh' io mi pai ti' chon grau(de) mia speranza.
(1) CoA il cod., ma panni che s' a1)bia a leggero: se 'nverso tne chinasse oppure se 'npresso.
Vili.
Quell[o] ortolan[o] m' invitò a desinare ,
subitamente io accie ttai lo 'nvito
san^a dimorare cho llui fu' ito
nel nobile giardino a sollagare.
Ma e' mi fé' chontra mia voglia stare
dirimpetto a quell' albero fiorito ,
ed io mangiando quasi isbigottito
sempre avea l' echio all' albero mirare.
Ma e' facia ghuatatura ghuercia ,
ed io onesto quando mi fue aehorto
però eh' eli era pieno di ma mancia (1).
Che se aveduto si fosse del torto
ch io li facia chon un[o] baston[e] di quercia
veraciemente che m' arebbe morto.
Ma di niun[o] fallo di me non s' achorse ,
onde eh' allora tutto uscì del forse.
(1) Così il cod. Forse : mala tnerce, cioè pieno dì malizia ?
230 L. FRATI
IX.
Un giorno l' ortolano in sulla strada
ben me^o miglio [di] lungi dal giardino
i' ebi chiamato un[o] mie chonpagno fino
che per ingiegnio mei tenesse a bada.
E a quello albero che tanto m' agrada ,
n' andai chome s' i' fosse un[o] paladino;
per forga missi 1' albero al dichino
e dissi: omai chosl chonvien che vada.
Dal me^o in giù quel!' albero era fesso
sì che da pie' levai 1' erba d'intorno
e tra dua rami el mio 'nesto ebbi messo.
Temendo di non far[e] tropo sogiorno
del 'nesto ve n' entrò forse un[o] somesso
i' pur forni' sì eh' io non me ne schorno ,
E vi lassia' chome d' usanza l' escha
non perch' io chreda che mai frutto n" escha.
SAGGIO DI RIME INEDITE
DI
GALEOTTO DEL CARRETTO
I.
La figura del marchese Galeotto del Garretto è significante per
vari rispetti. Storico e poeta, fiori in quello scorcio del sec. XV,
in cui si trovano già tutti i germi letterari che poi con tanta
lussuria di vegetazione si svilupparono nel secolo seguente. Nato
di famiglia illustre , fu stretto d' amicizia con molti personaggi
cospicui dell'età sua. Visse alla corte di Monferrato e fu in re-
lazione costante con quelle di Milano e di Mantova e coi lette-
rati che le frequentarono (1). Egli prese parte insomma a tutto
(1) La biografia di Galeotto non fu peranco scritta, ma non tarderà molto
ad esserlo degnamente. Poco ci dicono gli storici de' fatti suoi ; chi voglia
ricostruii-si la sua vita deve ancora ricorrere a documenti inediti. Si può dire
che di certo conosciamo soltanto finora , oltre alcuni dati rilevati ma non
documentati dell'Avogadro, l'anno in cui morì, il 1531, messo fuor di dubbio
da V. Promis (Curiosità e ricerche di storia subalpina. III, 4344) con un
docum. dell'Arch. di Stato torinese. Già T Avogadro (Mon. hist. patriae;
Scrìptor., Ili) aveva osservato come la sua morte non dovesse essere di molto
posteriore al 1530 , perchè fino a queir anno è condotta la sua cronaca , e
perchè Niccolò Franco, nel 1546, lo dice defunto da 16 anni. Questa crono-
logia, già antecedentemente addotta dal CRESciMBEm (/. d. u. p., V, 39)
venne con poco scusabile errore contraddetta dal Vallauri (Storia d. poesia
in Piemonte, I, 75), che lo fece morto in Roma nel 1527.
232 R. RENIER
quel movimento artistico e poetico dell'Italia settentrionale, pa-
rallelo al movimento fiorentino e forse in parte conseguenza di
esso, che appena ora si comincia a studiare con qualche propo-
sito. E per ginn la fu piemontese, di quella regione cioè, che (si
disse e si ripetè da molti) ebbe cultura essenzialmente francese,
fu segregata quasi, fino al sec. XVI, dal rimanente della penisola.
Errore manifesto, come altra volta ebbi ad accennare (1).
Oltre la Cronaca di Monferrato, che scritta prima in prosa (2),
venne poi da Galeotto medesimo posta in ottava rima (3), egli
va specialmente celebre per aver dato con la Sofonisba uno dei
primi abbozzi tragici (4). AVbozzo tragico io la chiamo, e non
altro, perchè le mancano tutti i requisiti per esser detta vera-
mente tragedia , a cominciare dalla divisione regolare in atti,
giacché il numero sterminato di essi , che i posteri vollero tro-
varvi, levando le più alte grida per la irregolarità di quella com-
posizione (5), non era realmente nelle intenzioni dell'autore, né
(1) Gfr. Giornale, IV, 60.
(2) Fu pubblic. da Gustavo Avoqadro nel voi. Ili Scriptorum dei Mon.
hist. patriae (1848), che la fece precedere da un erudito proemio.
(3) Questa riduzione è tuttavia inedita (cfr. pei codici che la conservano
Vallauri, Storia della poesia in Piemonte , I, 97) , se ne eccettui i pochi
estratti che ne diede G. Vernazza nella Yita di Benvenuto Sangiorgio ,
premessa alla sua cronaca, Torino, 1780, pp. 2, 30-31, 4344, 51-54, un epi-
sodio che ne stampò per nozze l'avv. Lavagno [Un convito nuziale dato
da Galeazzo Visconti, Torino, 1884), e altri frammenti insignificanti messi
in luce qua e là occasionalmente. 11 Vernazza dice che la cronaca di Ga-
leotto in ottave fu presentata a Bonifacio di Monferrato nel 1493. Il signor
Giovanni Minoglio già da parecchi anni ha promesso di pubblicarla intera.
(4) La Sofonisba venne stampata solo una quarantina d'anni dopo che era
stata composta, nel 1546 in Venezia da Gabriel Giolito de' Ferrari, per cura
di Niccolò Franco , che le faceva andare innanzi una lettera al nipote di
Galeotto, Alberto del Garretto, in data Gasale 1545, nella quale stabiliva la
priorità del marchese nel trattare questo soggetto. Non si deve trascurare
il fatto che il Senato veneto aveva dato licenza al Giolito di stampare la
tragedia fin dal 1543, come appare dal privilegio in data 21 aprile di quel-
l'anno, che si conserva nell'Arch. dei Frari (Senato Terra, R». 32, e. 142 v.).
(5) Il primo a lamentarsene fu Angelo Ingegneri nel suo noto libro Bella
poesia rappresentativa et del m,odo di rappresentare le favole sceniche,
Ferrara , 1598. « Il che mi fa ricordare d' una tragedia di Sofonisba , fatta
« in ottava rima da un poeta, di cui non mi sovviene il nome, ma l'ho ve-
« duta alla stampa, né credo che vi sia gran pena a ritrovarne; la quale
« inchiude nella sua scena, non solo Girta, Gartagine e la patria di Massi-
VARIETÀ 233
apparisce dalla stampa. Il che non toglie che questa Sofonisba,
scritta in ottave (1) e dedicata il 22 marzo 1502 a Isabella Gon-
zaga (2), non sia degnissima di studio, e troppo trascurata da
coloro che occupandosi della Sofonisba trissiniana ebbero a toc-
care delle prime tragedie italiane (3).
Tre altre composizioni drammatiche del Del Garretto furono
divulgate per le stampe, il Tempio d'amore (4), le Nozze di
« nissa, ma la città di Roma, et la reggia di Tolomeo in Egitto, et diverse
« altre parti del mondo; dall'una all'altra delle quali i personaggi fanno
« tragitto a lor beneplacito , sì però , che quando occorre uno di così fatti
« passaggi (per dargli per avventura verisimilitudine di tempo) si fornisce
« r atto. Di maniera che la favola è divisa in quindici o venti atti, con una
« rarità d' essompio maravigliosa » (p. 43). 11 Grescimbeni , tenendo dietro
a queste parole, chiamò Galeotto «poeta vago di stravaganze » (/. d. v.p.,
I, 310), e gli storici successivi ripeterono tale giudizio precipitato.
(1) Tranne i cori, che sono generalmente in metri lirici, ad eccezione di
quello a p. 33, che è in terzine, e dell'altro a p. 40, che è (si noti) in versi
sciolti.
(2) La dedicatoria è stampata in fronte alla edizione.
(3) Della Sofonisba di G. G. Trissino, scritta nel 1515, pubblicata nel '24
e rappresentata solo nel '62, Torquato Tasso ebbe a dire : « L'Italia à debito
« col medesimo (Trisainó) d'aver tentata una via alpestre e piena d'inciampi,
« e d'averla il primo tentata con onore » (cfr. nota riferita a facsimile nella
pubblicazione di F. Paglierani, La Sofonisba di G. G. Trissino con note
di Torquato Tasso , Bologna, 1884), né io ho nulla a ridire contro il giu-
dizio dell'autore del Torrismondo, giacché mi sembra troppo severa la sen-
tenza di E. CiAMPOLiNi (Atti della R. Accademia Lucchese , XXIII , 605) ,
il quale dice che se alla Sofonisba trissiniana si leva la innovazione for-
male, essa viene ad avere « meno che mediocre importanza ». Tuttavia
avrei desiderato che il Morsolin , là dove accenna agli antecedenti della
tragedia del Trissino {G. G. Trissino, Vicenza, 1878, pp. 89-90) si fosse
indugiato un po' più sul tentativo del Del Garretto , che resta ancora a stu-
diare di sana pianta.
(4) Tempio de amore del mol \ to magnifico et cele | berrimo poeta si |
gnor Galeotto \ marchese dal | Carretto. In fine Mediolani ex officina Minu-
tiana idibus octobris MDXIX. Impensis D. presbyt. Ntcolai de Gorgonzola.
In-8°, di 14 quaderni più un quinterno. Se ne conserva un bellissimo esemplare
nella biblioteca di S. M. il Re in Torino (cfr. Brunet, Manuel, I, 1600 e
Graesse, Trésor, 11, 55). Questa peraltro non é la prima edizione. Ve n' è
un' altra citata solo dall'ALLACCi {Drammaturgia, Venezia, 1755, p. 756) e
sconosciuta agli altri bibliografi e storici , intorno alla quale 1' Avogadro
{Monumenta cit.) scrive : « Una prima ediz. del Tempio d' mmore vuoisi
« pure fatta in Milano il 1» sett. 1518 dal libraio Giov. Antonio Legnano
234 R. RENIER
Psiche e Cupidine (1), i Sei contenti (2). Di queste, l'ultima sola
€ ma quest' edizione è ora pressoché ignota ». Ne esiste un esemplare in
Ambrosiana , uno nella Magliabechiana , uno nella Comunale di Bologna ,
ed un altro potei vederne presso un bibliofilo torinese mio amico. La stampa
meno rara è quella del 1524: Comedia \ nvova \ del magnifico et \ cele-
berrimo poe I ta signor \ Galeotto Marche | se dal Carretto \ intitvlata \
Tempio de amore. In fine Stampata nella inclita cita di Venetia per Ni-
colo Zopino e Yicentio compagno nel MCCCCC e XXIIII. A dì iiii de
Marzo. Regnante lo inclito Principe messer Andrea Gritti. Nella av-
vertenza premessa dagli stampatori a questa edizione se ne parla come di
opera ignota: « Essendomi a questi giorni pervenuto ne le mane il uenu-
« stissimo Tempio de Amore, poema tersissimo, si de inuentione piacevolis-
« sima, sì de gioconde fabulationi et novo (sic) lepiditati referto dil facun-
« dissimo et leggiadro Poeta signor Galeotto marchese dal Garretto , mi è
« parso conueneuole non tenere celato et sepulto un si pretioso thesauro,
« quasi inuido a li eleuati spirti, anzi mandarlo in la publica luce, a comune
« diletto de studiosi serui d' amore ». E da avvertirsi peraltro che questa
nota proemiale è riproduzione fedelissima di quella che « loanne Antonio
« Legnano libraio solerte et curioso » mandò innanzi alla edizione del '18.
L'ultima rimpressione, di Bologna 1525, trovasi nella Marciana.
(1) Noze de Psyche et Cupidine celebrate | per lo Magnifico Marchese
Galeoto \ dal Carretto: Poeta in lingua Tusca \ nò uulgare. Sotto una si-
lografia, che rappresenta Amore saettante un uomo seduto all'ombra di un
albero, con in mano la mandola o la chitarra. Manca qualunque nota tipo-
grafica. Se il Vallauri avesse veduto (e non ci voleva molto !) questo esem-
plare, che si trova nella Reale di Torino (altri se ne rinvengono cosi nel
fondo magliabechiano come nel palatino della Nazionale di Firenze , nella
Marciana di Venezia, e nella Goi-siniana di Roma), non avrebbe mosso rim-
provero al Quadrio {St. e rag., V, 65) perchè citò una ediz. « senza data di
luogo né di anno ». Ben é vero che il Brunet, il Graesse (luoghi cit.), il
MoLiNi (Operette, Firenze, 1858, p. 145), I'Avogadro (luogo cit.) ecc., citano
solo la ediz. di Milano, per Agostino di Vimercato, 1520; ma probabilmente
questa è la seconda. Nella biblioteca nazion. di Brera esiste un' altra ediz.
milanese, da Borgo, 1545.
(2) Li sei I contenti. | Comm,edia dell' III. S. \ Galeotto del \ Carretto, \
delli Marchesi di \ Savona \ Nuovamente data in luce | del MDXLII. In
fine: Im,pressa in Casal di San Vaso per Giovan Antonio Guidone. Del
MDXLII. Questa edizione, citata dal Quadrio , dal Tiraboschi , dal Brunet,
dall'Avogadro, dal Vallauri, é siffattamente rara che il Crescimbeni (V, 39)
mise la commedia tra le opere del marchese che non sapeva se fossero im-
presse, e il Napoli Signorelli (Storia critica de' teatri , V , 29) , la disse
addirittura inedita. Non se ne trovano esemplari in nessuna delle maggiori
biblioteche pubbliche dell' Italia superiore e centrale , e neppure in Gasale,
ove fu stampata. Ve n'è bensì uno in carta azzurra in una miscellanea della
biblioteca dell'Archiginnasio di Bologna, Aula 16. B. YII-24, Op. 2.
VARIETÀ 23&
è in prosa e da quanto ne dice Niccolò Franco ben si discerne
che deve essere una imitazione delle commedie plautine, che in
quel risveglio delle forme classiche avevano avuto tanta fortuna(l).
Le altre due sono rappresentazioni di carattere , più che altro,
allegorico, ritenenti ancora moltissimo del fare di quelle ecloghe
drammatiche e di quelle rappresentazioni cortigiane, con cui
veramente il nostro teatro aulico principia; aliene da ogni ri-
spetto per le unità aristoteliche , notevolissime segnatamente
per la varietà grande di metri, che vi troviamo impiegati. A
queste due commedie ne va aggiunta una terza pure in versi,
pubblicata di recente, il Timon greco (2), che Galeotto spediva
nel 1498 a Isabella Gonzaga (3). E un'altra commedia, che fu
(1) Niccolò Franco, in una. lettera molto curiosa al marchese Alberto del
Garretto, in data di Casale 1542, che è in fondo al suo Dialogo dove si ra-
giona delle bellezze, Gasale, Guidone, 1542, scrive: « Gon quella fretta che
« da la scarsità del hore m'è suta data ho letta la Gomedia dei Sei Gontenti,
« la quale da la penna del S. Galeotto vi fu lasciata. Ella, per quel saggio
« che n'ho gustato, m' è piaciuta siffattamente , che non meno contento mi
« truovo io del haverla veduta , che si trovano alla fine i Sei , che entra-
« vengono ne gli atti scenici ». E dopo una digressione politica aggiunge:
« Et però ritorno ai Sei Gontenti de la Gomedia , ove sommamente m' ha
« soddisfatto lo stratagema di Mastallone, per che colto in adulterio con la
« sua serva per raddolcire il cruccio dela mogliera, fece veduto eh' elli ve-
« leva farsi castrare in penitenza de suoi misfatti , il che credendogli la
« pietosa consorte, e forse più per pietà di lei che di lui, non volle in ve-
« runa guisa. Senza dubbio fu accorto 1' avedimento del buon marito ». E
qui fa una digressione sui frati, che vorrebbe fossero castrati daddovero, e
termina augurando che quest'opera di Galeotto « ne la stampa si canonizzi ».
(2) Edita da G. Minoglio, Torino, Paravia, 1878. La didascalia iniziale
suona così: Comedia de Timon greco composita da Galeotto del Carretto
et intitulata a la ill.^na et virtuosissima Madonna Isabella Marchesana di
Mantua felicissima. Questa commedia, conservataci ms. nella biblioteca del
marchese Gampori, ha intento morale, giacché mira a dimostrare la potenza
delle ricchezze. E divisa regolarmente in cinque atti, e scritta per la maggior
parte in ottava rima, quantunque non vi manchino terzine, quartine e se-
stine. In fine il poeta prende egli stesso la parola e parla a li circumstanti
in terzine, svolgendo la morale della sua azione scenica.
(3) La lettera di Galeotto, con cui egli accompagna il Timone a Isabella
(Gasale, 2 gen. 1498), venne pubblicata da V. Promis, Galeotto del Carretto
ed alcune sue lettere, in Curiosità e ricerche di storia subalpina. III, 46.
Lo stesso Promis stampò nella Miscellanea di storia italiana, XI, 346, una
lettera del marchese a Isabella di pochi giorni posteriore (14 gen. 1498), ia
236 R. RENIER
dedicata alla sorella della Gonzaga, Beatrice Sforza (f 2 gen. 1497),
e che, probabilmente dal nome suo, si intitolava Beatrice, mandò
Galeotto a Isabella il 24 novembre 1498 (1) e nell'anno seguente
sappiamo che venne eseguita in Gasale con gli intermezzi lirici
musicati dal Tromboncino (2). Un'ultima commedia di Galeotto,
di cui si ignora il titolo , né quindi si sa se possa identificarsi
con alcuna delle conosciute , sembra egli avesse intenzione di
inviare a Isabella alla fine del 1499 (3), e il 29 gennaio 1500
diceva di avergliela mandata da otto giorni.
Non è questa l'unica opera di Galeotto, intorno alla quale di-
fettano notizie precise. Niccolò Franco, in una delle sue lettere
ad Alberto del Garretto, dopo avergli lodato l'ingegno e le virtù
dell'avolo suo, gli dice: « Il che deve a voi essere grande stimolo
« a dar tosto a la luce, non pure le Vertù Prigioniere, ma le
« tre Gomedie, la Sophonisba , le Rime de la vita Cortigiana, e
•« ciò che scrisse, perciochè in ogni suo scritto parmi conoscere
cui rettifica un passo del Timone malamente copiato. Questa lettera era
stata antecedentemente pubblicata da G. Glaretta, nella medesima Miscel-
lanea, I, 379.
(1) L'invio di questa commedia, preannunciato nella cit. lettera di Gasale
2 gen. 1498, venne accompagnato con lettera 24 nov. 1498, pubbl. dal Promis
{Curiosità, 111, 47), insieme ad « una balzereta inserta in una egloga ».
Ecco le precise parole: « Mando etiam la comedia mia che ho fatto transcri-
« vere quale già mandai a la ili.™* madama duchessa sorella vostra puocho
« avante che lei moresse ». Isabella ne accusava ricevuta con lettera del
29 dee. 1499 (a nativitate), 1498 (st. com.): « Havessimo li di passati in-
« sieme cum la lettera v. le barzellette, egloga et comedia, che ne scrivesti
« mandare: quale et per la bontà loro et per la memoria tenete de nui ne
« furono et sono graditissime et habiamole in pretio » (Archivio Gonzaga,
Copialett. dC Isabella , L. IX). A questa commedia accenna il D' Ancona ,
Origini, II, 243, n. 4.
(2) Vedi Da vari, La musica a Mantova , in Riv. st. mantovana , I, 57.
Questo fatto fu rilevato anche dal D'Ancona, Il teatro mani, nel sec. XVI,
in Giorn. stor., V, 34, n. 4, con una leggiera svista nella data della lettera
di Galeotto, che è del 23 (e non del 3) giugno 1499.
(3) Lo deduco dal seguente passo di una lettera inedita di Galeotto a Isa-
bella, in data Pontestura 17 die. 1499, che è nell'Archivio Gonzaga, e che
risponde a una d'Isabella del 21 nov. 1499, la quale può leggersi nel Libro X
del Copialettere d'Isabella: « La comedia che la ex.tì* y j^^e richiede an-
« chora che non sia degna de andar a tanto conspecto quanto è quello de la
•« ex.*^'^ V. non farò dubitanza de mandarla tutta volta eh' io 1' babbi tran-
« scritta in bona forma ».
VARIETÀ 237
« acutezza d'ingegno, novità di trovare, e destrezza di satira, al
« cui soggetto egli, come inimico del vitio, parve attamente nato
« nel nostro secolo vitioso » (1). Nella quale enumerazione noi
troviamo fatto cenno di due scritti di Galeotto ignoti del tutto, le
Virtù prigioniere e le Riine della vita cortigiana. Su questo
accenno del Franco si appoggiarono gli eruditi nel citare queste
due opere (2) ed erra sicuramente l'Avogadro quando le ritiene
edite (3). Che cosa fossero queste Virtù prigioniere non è facile
il dirlo: una produzione in qualsivoglia modo drammatica non
sembra ; è più probabile fossero un poemetto allegorico. Intorno
alle Rime della vita cortigiana sarà necessario spendere qualche
parola.
II.
Dalla ricca corrispondenza epistolare, per la massima parte
inedita, che il Del Garretto tenne con la marchesana di Man-
tova, si deduce chiaramente che egli scrisse un numero ragguar-
devole di componimenti lirici. Isabella, con quella sua sete con-
tinua di poesia, era instancabile nel chiedere a Galeotto sue rime,
(1) Vedi la prima delle lettere del Franco ad Alberto nella citata appen-
dice al Dialogo delle bellezze, senza num. di pagina.
(2) Grescimbeni, /. d. v. p., V, 39; Tiraboschi, fSt. lett., ed. ci., VII, 1870;
Vallauri, Op. cit., I, 98 ecc. ecc.
(3) L'Avogadro (luogo cit.) dice che le Yirtù e le Rime furono e fatte
« di pubblica ragione in Casale ». Io ne feci, o ne feci fare, ricerca in tutte
le principali biblioteche pubbliche d'Italia senza verun risultato. E siccome
nessun bibliografo né erudito ha veduto queste presunte edizioni, mi credo
licenziato a ritenere che T Avogadro prendesse errore. Lo stesso Avogadró
cita piu-e di Galeotto YHistoria di Giuseppe da fratelli venduto, da la bibbia
di parola in parola e in ottava rima tradotta , e dice che quest' opera
« fu pubblicata in Casale per Giacomo Antonio Guidone nel 1542, per cura
« del nipote marchese Alberto, il quale la dedicava alla Marchesana di Mon-
« ferrato, Anna d'Alan§on ». Qui ci troviamo di fronte ad un fatto più grave,
giacché i particolari sono troppi per ritenere si tratti di un equivoco, né
la confusione col Joseph del CoUenuccio, che è commedia scritta in terzine,
e che non ebbe mai una edizione di Casale , può presentare alcuna verosi-
miglianza. È tuttavia strano che di questo poemetto di Galeotto non sia
rimasto alcun esemplare, che porti almeno il nome di lui.
238 R. RENIER
e Galeotto, da parte sua, era instancabile nel compiacerla (1). La
gentile marchesa, passionatissima, come ognun sa, per la musica,
(1) Per citare solo alcuni dei molti documenti che vi sono di ciò , ecco
che cosa scriveva Galeotto a Isabella in data Casale 23 marzo 1496: « Non
« me essendo concesso al presente ad puoter visitar la ex.''* v. personalmente
« come è l'animo et desiderio mio, m'è parso far parte del debito visitarla
« cum questa et cum alchune mie rime benché inepte et insulse; pure la
« ex"* v. accettarà TafFectionata fede mia, quale mi ha dato baldanza a scri-
« verle, et tanto più conosciendo la humanità grande che regna in quella.
« Per il che mando a la ex.*»* v. p. mes. lo vicario tri oapituli , una ode
« vulgare , duy strambotti et due frottole , quale cose se haveranno in sé
« qualche gratia che possano esser accette a la ex."* v., anchor che io manda
« de acqua al mare, mi piacerà, se non, prego quella che ne faccia sacri-
« ficio a Vulcano » (Promis, Curiosità, IH, 45). La lettera di risposta di
Isabella trovasi nel Copialettere della marchesa (L. VI), in data Mantova
13 aprile 1496: « Havemo ricevuto la lettera vostra insieme con le Rime
« che ha veti composto: de l'una et l'altra cosa havemo preso piacere assai :
« sì per intendere che continuati ne la afFectione che altre volte haveti
« monstrato portarne: sì etiam per legere voluntieri le vostre Rime: quali
« sono, et de parole et de sententie in perfectione. Però ve ringratiamo che
« ce le habiati mandato, et pregandove che componendone de le altre, oc-
« correndovi latore, ce le vogliati mandare, offerendone a li vostri beneplaciti
« sempre disposte ecc. ». Insieme col Timone Galeotto le spediva « due
« balzerette et uno strambotto » (Promis, Curiosità, III, 46). Il 21 nov. 1499
Isabella gli scriveva {Copiai., L. X): « Havessimo li dì passati una vostra...
« cum alcune balzerette et adesso ne havemo un' altra de' undece instanti,
« pur cum balzerette, quale sicomo semo solite fare tutte le altre cose vostre,
« queste ne sono state gratissime et subito le dessimo al Tromboncino per
« farli el canto ». A cui Galeotto rispondeva il 29 genn. 1500: « Per l'am-
« bassator vostro de Milano ho havuto una de v. ex."*, ne la quale fa men-
« tiene haver havute le balzerette che gli mandai per Pelegrino, il che me
« piace et tanto più quanto le ha dato al Tromboncino che gli faccia el
« canto: et per che m. Francesco da Sannazaro, quale fa ritorno a Mantua,
« m'ha pregato che non lo lassa partire senza qualche mia balzeretta, an-
« Cora che puochi dì sono io gli scrissi che non gli mandava più balzerette
« per non fastidirla, per havergliene mandato gran copia, ad richiesta sua
« gli mando la presente belzeretta » (Promis, Curiosità, 111, 4748). Da
Pontestura Galeotto scrive a Isabella il 26 gen. 1503: « Geterum io mando
« uno capitulo mio et una belzeretta cum una oratione de S. Francesco a
« la S. V., a ciò che la si ricordi di me suo fidel servitore ». E il 6 ott. 1506:
« lo harei mandato a la ex."* v. alcune mie belzerette, ma per haver inteso
« che da molte bande glie ne fìocchano in quella cita, per non stomacharla
« ho lassato de mandarle ». 11 10 giugno 1516 le invia « un capitulo in
« dialogo di tre persone», e il 30 ott. 1513 avea mandato al march. Fran-
VARIETÀ 239
che ella stessa coltivava con profitto, affidava spesso le composi-
zioni liriche dell'amico suo al Tromboncino o al Marchetto, acciò
le musicassero (1); e sembra che ne ricavasse molto diletto, poiché
ogni qualvolta il marchese stava qualche tempo a spedirle cose
sue, ella gliene faceva richiesta. Di che lusingato Galeotto, non
lasciava passar occasione per Mantova senza depositare ai piedi
della bella e colta marchesana qualche suo nuovo tributo poe-
tico; e quando non poteva farlo, se ne scusava (2), e la stessa
Sofonisha dedicava alla marchesa , quasi ad ammenda di non
averle per qualche tempo inviato sue rime (3).
Cesco « uno capitalo in dialogo de uno che parla cun un spirto » e nel
mandarlo dicea di provare « qualche erubescientia ». Ma le citazioni si po-
trebbero moltiplicare con grande facilità, e poco profitto. — Di questi e
degli altri documenti relativi a Galeotto, che si trovano nell'Archivio Gonzaga,
ebbi cortese comunicazione dal mio bravo discepolo Giovanni Girelli, che da
parecchio tempo si occupa della vita e degli scritti di Galeotto, e avrebbe
già pubblicato in proposito una monografia, se gravi ragioni di salute non
glielo avessero impedito.
(1) Copiose attestazioni, ricavate dall'Archivio Gonzaga, si possono trovare
nel menzionato scritto di S. Da vari. La musica a Mantova , in Riv. stor.
mantovana, I, 55 e 62.
(2) Cosi il 25 giugno 1501 : « La ex. v. me habi per excusato se non gli
« mando qualche mie rime, per che mi persuado che quella a' tempi mo-
« derni non ne faci troppo stima per che mi par che a questa etate Phebo
« stii nascoso tra urtiche et lappole, né ardisco a comparere per paura de
« tanti alabardi et hor mai mi par tempo che pigli qualche riposo come
« potrò el meglio, essendo stato per adrieto in tanto prezzo et travagliato
« da colloro, che nel suo monte coglieranno el sacro lauro ». Cui Isabella
rispondeva il 30 giugno (Copialett., L. XII): « La visitatione che cun la
« lettera vostra ne haveti facta n' è stata oltre modo grata : et havemo
« acceptata la scusa de non avere composto questi giorni rime, parendone
« che r homo invellupato in tanti travagli che portano questi tempi non
« possi attendere a virtù et manco a cose amorose. Nondimeno quando per
« sfogare le passione vostre componereti qualche versi, ricordative de far-
« cene copia, sì come nui ne faremo stima ».
(3) Lo si ricava dal seguente brano rilevantissimo della dedicatoria, in
data 22 marzo 1502 : « Considerando poi 1' antiquo obligo et innata servitù
« et osservanza in verso di vostra altezza, quale è stata di sì eflScace sorte,
« che come da' miei giovanili anni me gli ha dedicato , et come suo sud-
« dito inchinato in assenza mia a visitarla col tributo di qualche mia rima,
« così mi sospinge a perseverare insino che lo spirito mio reggerà queste
« ossa, non mi sciogliendo mai dal volontario e spontaneo mio antico ob-
« bligo, et come per qualche impedimento, e mal disposte conditioni de' tempi,
240 R. RENIER
Le Rime della vita cortigiana, cui il Franco accenna, dovet-
tero senza dubbio essere un codice contenente, se non tutta, una
parte almeno di queste liriche di Galeotto. Questo codice è per-
duto, 0 smarrito. Ben è vero che il Quadrio cita una stampa di
Rime di amx)re di Galeotto Del Garretto ; ma si può dire con
certezza che è una confusione con la edizione milanese del 1519
del Tempio d'am,ore (1). Sicché, quando nel 1879 il Promis di-
ceva di non conoscere liriche staccate di Galeotto, e di non po-
terne quindi riferire alcuna (2), aveva perfettamente ragione.
Se non che qualche indagine fatta nel materiale manoscritto del
tempo mi ha condotto a rintracciare alcune liriche del marchese,
sfuggite, non si sa come, al naufragio delle altre. L'autografo
di Gaspare Visconti , che costituisce oggi il codice Trivulziano
1093, su cui avrò a tornare in altra occasione, mi somministrò
una corrispondenza poetica tra Galeotto ed il magnifico Gaspare (3),
col quale ebbero relazione, più o meno, tutti i poeti fioriti alla
corte di Ludovico il Moro. Il cod. 109 della bibl. di S. M. il Re
in Torino reca (a e. 17) una Canzone di mes. Galeotto del car-
7'etto querula; e probabilmente sono sue anche le rime adespote
che la seguono in quel ms., del quale altri avrà ad occuparsi.
Ma il maggior numero di poesie di Galeotto trovasi ancora nel
ms. it. 1543 della Nazionale di Parigi, e quindi naturalmente nel
« ho pur fatto qualche intervallo in non havergli mandato de le mie rime
« il dovuto tributo, che oro et argento non è in me di potergli mandare,
« né quella ne ha di bisogno, né manco lo ricerca, mi è parso per non
« cadere in contumacia di mandargli questa mia opera continuata, la qual
« per una volta sei"à in satisfatione de le mie rime, che le soleva mandare,
« e del tempo interrotto in scrivei'la al solito costume, e dedicargliela, la
« quale, quantunque rozza, la prego che l' accetti con quel perfetto e be-
« nigno animo, come io con devoto e ben disposto cuore e confidentia gliela
« mando ».
(1) Ecco come il Quadrio (li, 222) indica questa presunta edizione : Rime
di amore del m,olto m,agnifico et celeberrimo poeta signor Galeotto m,ar-
chese del Carretto. Mediolani, ex officina Minutiana 1519, impensis D.
Presbyteri Nicolai de Gorgonzola. Come abbiamo veduto, a spese appunto
di questo Niccolò da Gorgonzola, è uscita le edizione minuziana 1519 del
Tempio d'amore. — Tuttavia il Vallauri (Op. cit., I, 97) e il Minoglio
{Timone, p. 9) abboccarono l'errore del Quadrio.
(2) Curios., III, 43.
(3) Vedi il son. che ha il n» VII nel presente Saggio, e la risposta di
Gaspare che gli fa seguito.
VARIETÀ 241
Magliabechiano II, II, 75, che è con esso in rapporti strettissimi (1).
In questi due codici le liriche di Galeotto, disposte nel medesimo
ordine e con le stesse rubriche, sono in numero di 26. Ponendo
a base il cod. Parigino, che è il più antico e corretto, io ne pub-
blico qui alcune, pur trascurando una canzone in cui il Del Car-
retto inveisce genericamente contro i parnassiani del tempo suo (2),
una lunga disperata in terzine (3) ed una lunghissima ecloga in
isdruccioli (4). Stampo alcuni sonetti, che mi sembrano, per vari
rispetti, rilevanti. Uno di essi (n" II) esprime un amore passionato
e sensuale; un altro (n" III), nel quale ogni verso principia con
l'ultima parola del verso precedente, è notevole per quella ar-
tificiosità nella forma e nel concetto, che ben a ragione fece
vedere ad occhio sagace un secentismo anticipato in questi
poeti cortigiani del sec. XV cadente; un altro ancora (n° V) è
politico, scritto nella maniera che tanto piacque al Bellincioni e
al Pistoia. Mi sembrò utile pubblicare alcune ottave (n" VIII), che
sono sfogo di un amore disperato, e in fine ho aggiunto due
poesie (n* IX e X), che sono le migliori fra quante ne conosco
di Galeotto, e vanno poste nel novero delle sue barzellette.
Già vedemmo dai documenti addotti che il genere poetico, in
cui egli particolarmente si esercitò ed ebbe fama, fu appunto
questo delle barzellette. La barzelletta, chiamata anche, meno
propriamente , frottola , può e deve essere considerata come il
frutto della intromissione di una corrente popolare nella poesia
aulica di quel tempo. Essa ebbe grande fortuna, perchè si pre-
stava assai ad essere musicata (5). Derivata, probabilmente, dalla
ballata minima, si intrometteva volentieri nelle composizioni dram-
matiche cortigiane della fine del sec. XV. Cosi la rappresentazione
della fatica, composta dal Belhncioni « a contemplatione del signor
« Antonio Maria Sanseverino », termina con una barzelletta (6);
(1) Di questi due codici diedi le tavole degli autori nel presente Giornale
(V, 238 n.), ove pure pubblicai (V, 236 n.) di sul cod. Mgl. un sonetto di
Galeotto suU' insegna del Moro. Nel cod. Parigino, a e. 123 v., trovasi an-
notata, da mano diversa da quella che scrisse il codice, la data 28 agosto 1497.
(2) Parig., e. 89».; Mgl. e. 49 u.
(3) Parig., e. 92 r; Mgl. e. 53 w.
(4) Parig., e. 96 v; Mgl. e. 59».
(5) Cfr. in proposito Canal, Della musica in Mantova, in Mem. del-
Vista. Veneto, voi. XXI, P. Ili, 1882, p. 671.
(6) Rime di Bern. Bellincioni, 11, 204.
Giornale storico, VI, fase. 16-17. 16
242 R. RENIER
e un'altra ne aveva scritta lo stesso Bellincioni per la rappre-
sentazione fatta ad onore di monsig. Federigo Sanseverino (1), ed
altre ne inseri nell'ecloga drammatica fatta per commissione del
conte di Gaiazzo e in quella famosissima delle sette arti liberali,
recitata in Pavia, alla presenza del Moro, pel dottorato di monsig.
Della Torre (2). Graleotto Del Garretto finisce con una barzelletta
{Sempt^e ognuno ha da spey^are) il suo Tempio d'amore, e
un'altra ne puoi ravvisare nel dialogo tra Fileno e la Speranza.
Nelle Nozze di Psiche e Cupidine è intonata una barzelletta,
quando Psiche viene portata da Zefiro nel palazzo d'Amore ( Vieni
sposa e qui possedè), e una seconda è cantata poscia dalle ancelle
in lode della bellezza di Psiche {Gloria al nostro almo signore),
e una terza da Pane quando a lui giunge Psiche fuggitiva {Crudel
fuge se lo sai). A questo genere può essere richiamato anche il
canto epitalamico, che chiude la citata azione drammatica, non
che alcuni dei componimenti lirici che il coro doveva cantare
tra gli atti. Ghiaro quindi apparisce che in quei componimenti
primitivi della drammatica aulica , in cui notiamo un accosta-
mento della musica alla poesia, che pronuncia quella fusione dei
due elementi solo un secolo dopo verificatasi nel melodramma, il
nostro Galeotto si piaceva di inframmettere delle barzellette,
come altri delle canzoni e delle ballate (3). Le due barzellette
spicciolate di Galeotto , che riferisco, seguono la forma metrica
più comune in questi componimenti, sono cioè, come le barzel-
lette celebri di Serafino Aquilano e quelle del Magnifico e dell' Am-
brogini (4), composte di versi ottonari con il ritornello di quattro
0 due versi, che si riprende in fine d'ogni strofe.
(1) Op. cit., II, 202.
(2) Op. cit., II, 225-37 e 238-52.
(3) È noto, per citare un esempio, come si trovino lìallate e barzellette
in ambedue le redazioni àeW" Orfeo. Nel Tirsi del Castiglione v'ha una
cosidetta canzonetta, che in realtà non è altro se non una stanza di can-
zone. Gfr. ToRRACA, Il Teatro italiano dei sec. XIII, XIY e Xy, Firenze
1885, p. 422.
(4) Quindici barzellette di Serafino, alcune delle quali molto notevoli, si
trovano nella ediz. di Venezia 1516 delle Opere de lo elegante poeta Sera-
phino Aquilano. Cfr. Carducci, Poesie di Lorenzo de' Medici, Firenze 1859,
p. 408 e p. LHi-vi. Intorno alle diverse forme di barzellette vedi Minturno,
Arte poetica, Napoli 1725, p. 265-67; Quadrio, St. e rag., II, 179-80; Gre*
sciMBENi, I. d. V. p., l, 70 e 204. In data 20 aprile 1504 Galeotto scriveva
VARIETÀ 243
Ma già che sono a parlare di componimenti lirici di Galeotto,
voglio chiudere rammentando una sua particolare benemerenza.
Egli fu uno dei primi ad usare la saffica rimata. Il prof. Casini,
nel suo recente trattatene di metrica , deficentissimo ogniqual-
volta esce dalla letteratura delle origini , si accontenta di ripe-
tere col Carducci che il « primo esempio » di saffica rimata è
dovuta ad Angelo di Costanzo (n. 1507) (1). Già il Torraca ha mo-
strato come certamente anteriore a questo tentativo (2) sia quello
di B. Casanova, che si trova in un codice di rimatori napolitani
del sec. XV cadente (3). L'oscurità quasi assoluta che vi è intorno
al Casanova, non ci permette di sapere se l'esempio dato da lui
sia anteriore o posteriore a quelli di Galeotto : che sia posteriore
di parecchi decenni alla ode saffica senza rima, recitata da Lio-
nardi Dati nel celebre certame coronario del 22 ottobre 1441, è
fuor di dubbio (4). Ma il tentativo isolato del Dati entra nella ca-
tegoria di quelli che riguardano le forme metriche latine con
poco frutto risuscitate nella nostra lingua. Quelli del Del Carretto
invece, per rintracciare i quali davvero non ci voleva erudizione
peregrina, perchè ne avea fatto cenno, quantunque incompiuto,
il Quadrio (5), sono tutti rimati, ed hanno lo schema AA.Bb (6).
a Isabella: « Geterum io gli mando certe mie balzerette in sonetti, i quali
« se non sono come meriterebbero d' essere per andar a tanto conspetto
« quanto è quello della ex."" v. prego la mi perdoni ». Queste barzellette
in sonetti non erano forse altro che sonetti di versi corti, i sonetti sette-
nari degli antichi trattatisti.
(1) Sulle forme metriche italiane notizia, Firenze 1884, p. 98.
(2) La saffica del Costanzo, che principia Tante bellezze il cielo ha in
te cosparte, è nelle Rime di A. di C. (voi. XXX del Parnaso dello Zatta)
a p. 119. Una sua saffica latina è nel volume delle Rime d' A. di C, Pa-
dova, 1738, a p. 138.
(3) Gfr. Torraca, Rimatori napoletani del quattrocento, in Anniuirio
del R. Istit. tecnico di Roma, anno IX, 1884, p. 92-94.
(4) Vedi G. Carducci, La poesia barbara nei sec. XV e XVI, Bologna
1881, p. 17-21.
(5) Stor. e rag.. Ili, 285. Il Quadrio cita solo un esempio di saffica di
Galeotto, del Tempio d'amore, mentre ve ne sono altri, sfuggiti a tutti, che
registro nella nota seguente.
(6) Due sono le saffiche di Galeotto, che si trovano nel Tempio d'amore,
una (quella rilevata dal Quadrio) nel dialogo tra Pazienza e Fileno (Vivi
giocondo, o placido Fileno); l'altra nel dialogo tra Fileno e Virtù {Donne
che dite? che novelle haveteì). Tre se ne incontrano nelle Nozze di Psiclie
244 R. RENIER
Se questa forma a rima baciata debba per questo solo fatto me-
trico reputarsi anteriore all'esempio a rime alternate (ABAb) del
Casanova, seguito dal Costanzo, non credo si possa stabilire con
sicurezza. A ogni modo è certo che se il Poliziano, componendo
la Favola di Orfeo, recitata la prima volta nel 1471, reputava
utile l'inserirvi una saffica latina in onore del cardinale Gonzaga,
ciò vuol dire che allora l'uso delle saffiche italiane non era pe-
ranco invalso ; ed è probabile anche, che il precoce risveglio di
quella forma latina, nella maniera che al Del Carretto fu propria,
abbia la sua ragione in quella specie di continuazione della forma
saffica nella metrica italiana del medioevo, che è rappresentata
dal serventese caudato (1).
Rodolfo Renier.
e Cupidine, le prime due cantate dalle sorelle di Psiche (Patre almo caro
e tu pia genitrice e Triste meschine oimè de noi che fia) ed una dal coro
dopo il quarto atto {Giove che intende quel che vai amore).
(1) Trattato dei ritmi volgari di Gidino di Somm,acampagna, ed. Giu-
LiARi, Bologna 1870, p. 153 sgg. Nel 1883 il Borgognoni si domandava:
« Ma la safSca rimata deriva proprio dal tentativo del Tolomei ? L' antico
« serventese, nella sua più ordinaria forma, non è per avventura anche esso
« una specie di saffica? E non potrebbe ciò provare che sino ab antico si
« pensò di trarre dal metro saffico, usato in taluni inni della chiesa, una
« per qualche modo rassomigliante combinazione ritmica? Dubbi questi che
« vai la pena che sian chiariti, se e' è modo ». (Raspollature metriche, in
Preludio, VII, n» 19-20). Non era male avvertire che questo raccostamento
della saffica alla forma più comunemente usata del serventese fu dapprima
praticato dal Quadrio (III, 286).
RIME Di GALEOTTO DEL GARRETTO
1(1).
Invidia acerba, inexorabil doto,
che di tal donna el stame troncai' hai ;
sangue sitisti et sangue bevi ormai,
sacia el tuo corpo sitibundo e voto.
(1) Parig. e. 94 r; Mgl. e. 56 r.
VARIETÀ 245
Ma tuoi disegni non te andranno a voto,
che se '1 suo corpo avesti, non avrai 6
r immortai spirto, che più vale assai,
né '1 suo gran nomo, che per tutto è noto.
L' angel che tiene le hilanze in celo 9
di man de Pluto ha tolta la santa alma,
del che scornato con strider ne geme.
Virtù, bellezza et onestate insieme 12
qual suor compagne al suo terrestre velo
con lei son ite in cel con gloria e palma.
Yaiuakti. — I, V. 4: Sana; v. 10, ha tolto la grande alma; v. 11, con dolor ne geme; v. 18,
^ual fur.
II (1).
Se m' ami , a che più stai da me lontana ?
se star vói pur lontana, a che più m'ami?
se più non m'ami, a che m'inviti e chiami? 3
se tu mi chiami, a che sei vèr me strana?
Se tu sei donna et sei di carne umana,
a che recusi aver quel che più brami? 6
Cogli el bel frutto da' toi verdi rami
che perder tempo è stil di donna insana.
Tu sei nel laberinto et io in pregione; 9
Ischia ti tene, et io sto in Mongibello,
tu voglia hai di tornar et io d'averti.
El donque qual tua ambigua opinione 12
ti tarda a non tornar, poi che son quello
che di ragione degio possederti?
Che Dio non vuol tenerti 15
per non far torto a cui tu sei promessa,
eh' a tor quel d' altri è furto e iniuria expressa.
Ili (2).
Donna, tu parti, et io mi parto et resto,
resto col corpo e l' alma sen va teco ,
teco fia sempre e qui vivrommi ceco,
ceco vedratti el cor mio afflitto e mesto;
(1) Parig. e. 95»; Mgl. e. 68 r.
(2) Parig. e. 96»; Mgl. e. 59 r.
246 R. RENIER
mesto mi doglio del mio mal funesto,
funesto m'è el piacer, s' alcun n'ho meco, 6
meco s'affligge el spii'to in questo speco,
speco di pianto, a me dolce e molesto.
Molesto me fia sempre el viver solo, 9^
solo fra gente et senza sensi vivo,
vivo d' affanni e in viva morte morto.
Morto pasrommi de penseri et dolo 12^
dol con memoria del tuo aspetto divo,
divo et felice ad altri, a me sconforto.
IV (1).
1 mei passati e indarno ispesi tempi,
i passi persi e le fatiche avute
ne la mia acerba e vana servitute S
mi sono al rimembrar al cor stechi empi.
El sovenir de' mei gran duri scempi
mi fan le chiome per spavento irsute, 6
già fatte per amor bianche e canute
enanti el tempo che me invechi e attempi.
Dispetto e sdegno m' hanno extinto e tolto 9
el foco interno, che già m' arse el core
mentre che fui a la catena avvolto.
Ormai, la dio mercede, io ne son fuore i2
e son d' amor de donna ingrata sciolto,
di che ringrazio chi ne fu l' autore.
IV — V. 5, giù duri; v. 7, per accion.
V (2).
Certa risposta del soprascripto.
Ferrara va pur dricto a' cavamenti
et vede che san Marco nota e tace
et sa che come quel eh' in Lerna giace
ciò eh' egli afferra sempre tien co' denti.
(1) Parig. e. 120 r; Mgl. e. 90 r.
(2) Parig. e. 120 r; Mgl. e. 90 r.
VARIETÀ. 247
Tutti i soldati sono malcontenti
et d' aver guerra a ciascheduno piace ; 6
ma ci Mor, in cui consiste et guerra et pace,
ambiguo stassi et vive tra duo menti.
San Marco alterna se '1 deamante acciuffa 9
et de tai cavamenti mal si loda,
pur cominciar non osa la baruffa.
La biscia sen sta stretta et non si snoda, 12
che '1 tempo noi richiede, unde tal ciuffa
risolverassi in fumo ne la coda.
Ben che gran rumor s' oda 15
vedremo non aver la guerra loco
che nul se vuol tirar su' piedi el foco.
V — V. 3, Ambedue i codici leggono Lerga. Credo che qni si alluda all'idra, che stava nella
palude di Lerna. — v. 13, M>ta tal.
VI (1).
Dialogo del soprascripto cT uno che litiga et della iustitia.
— Dimmi, iustizia, per che sei fuggita?
— Favor, mendacio, fraudo, arte e bisanti
han fatto liga insieme e tutti quanti 3
per forza m' han del mondo ora bandita.
— Come? ragione non te porge aita?
— Ragione è morta. — E que' dottor prestanti 6
Bartolo e Baldo dove sono? — Erranti
e spersi vanno e lor lege è schernita.
— r vedo pure molti incliti viri 9
in li senati, in corte e 'n li teatri
allegar lege e ministrar ragione.
— Le lege da lor sono sante e bone, 12
ma par eh' ogniuno per capei le tiri
al suo proposto e le dilanii e squatri.
— Donche costor son latri? 15
— Latri non già , ma fan del bianco nero
e mai se dice, a dar sentenzio, el vero.
(1) Parig. e. 91»; Mgl. e. 52 r.
VI — V. 16, Il cod. Parig., certo per errore, ha Laltri.
248 R. RENIER
VII (1).
Galeotto del Cavetto a Gaspare Visconti.
Pacienzia sempre alberga in cuor gentile,
prudenzia fa el suo nido in uom secreto;
l'accomodarsi a' tempi et viver lieto 3
de la sua sorte, è virtuoso stile.
Saggio è coUui et vie più che virile
che ben si regie col suo mal pianeto, 6
però '1 tuo Mor, qual sempre fo discreto,
inspecto ha 1 cuor de un suo servo umile.
Il qual s' è eletto tal suo arcan collegio, 9
ha facto come il fabro in cui sta ingegno
qual pria che l' opri l' or prova al cemento.
Grodi, Gasparro, che salir ti vegio 12
per tue virtù a grado assai più degno
eh' al cribro più bel fassi il buon frumento.
Risposta al soprascripto sonetto.
Se'l Mor che in ogni gesto è signorile
meco si è mostro dolce et mansueto
lo sforza sua bontà, qual fa ch'io meto 3
in prima gioventù fructo senile.
Se tu sei stato più di me civile
in alegrarti ch'io sia gionto al ceto 6
patritio, fai come è '1 tuo consueto
che far suol ciaschuno altro, al par tuo, vile.
Ma se me alzasse la mia sorte al seggio 9
de tenir fra mortali il primo segnio
facendo il mondo a me servir contento,
sempre teco serò quale esser deggio 12
e prorapto sempre a ciascun tuo desegnio
che vero amico non si gonfia al vento.
Vili (2).
Come se prova l' oro in la fornace
tu hai provato e conosciuto assai
se ti son stato servitor verace;
sì come argento al foco experto m' hai.
(1) Trivnlziano 1093, e. Tv. Ivi pure la risposta di Gaspare.
(2) Parig. e. 91 r; Mgl. e. 51».
VARIETÀ 249
Ma poi che '1 mio servir t' increscie e spiace,
se te abandono, mi par tempo ormai; 6
che chi se pente del suo perso tempo,
ancor se emendi tardo , è assai per tempo.
Occhi suavi cosi belli in vista 9
del mio cor morte e dolce sepoltura, *
occhi leggiadri , dove V alma trista
arde morendo, e del morir non cura; 12
se morte in tal dolcezza ognor s' acquista
morir può lieto ognun senza pagura.
0 dolce sguardo, in cui morto mi pasco, 15
ardendo in foco e morto ancor rinasco!
Ognun che serve altrui serve a 'sto fine
sperando del servire aver mercede: 18
el frate che dio serve in discipline
in pene et in vigilie, in fame, in sede
spera coglier la rosa entro le spine 21
e poi di vita eterna farsi erede:
col grege sta il pastor a piogie et prine
per che la gonna guadagnar si vede, 24
et io che servo e stento altro non aggio
né mai spero d' aver, se non oltraggio.
Vni — T. 4, n cod. Parig. ha al tocclio.
IX (1).
Io mi sento in mezo el core
una bella margarita,
che mi chiede, exorta, invita 3
a cantar del suo bel fiore.
Oh è r amore !
El bel fior de margarita 6
nasce in orti, in campi, in prati,
r erba è fresca e saporita
e conforta gli affannati, 9
molti son resuscitati
per sto fior da morte a vita.
La galante margarita 12
è pur fior sopra ogni fiore,
oh è r amore.
(1) Parig. e. 90 r; Mgl. e. 50 p.
250 * R. RENIER
Una rosa è vago fiore 15
a laudarla egli è ragione,
ma bellezza e "1 dolce odore
molto piace alle persone, 18
ma se viene al paragone
tristo fior fai'à fugita;
La galante margarita ecc. 21
La celeste mamoleta
è legiadra et amorosa,
a vederla in su l'erbeta 24
per li prati è bella cosa,
chi la fiuta ol più che rosa
quando è fresca e ben fiorita; 27
La galante ecc.
Bianco e bello è '1 gelsomino
con r odore assai gentile , 30
molto adorna un bel giardino,
quando viene al fin d* aprile :
egli è alegro e non già vile , 33
ad amarlo ognun l'invita;
La galante ecc.
El garofan su le piante 36
con la lunga e verde rama
veramente egli è galante
et ognuno il cerca e brama; 39
sua bellezza è de gran fama
et a molti è ben gradita;
La galante ecc. 42
Margarita è la più vaga,
la più bella e la più degna.
Margarita el cor m' inpiaga, 45
margarita in cor mi regna,
margarita è la mia insegna
fin che in corpo arò la vita. 48
Viva donca margarita
solo fior sopra ogni fiore,
oh è r amore. 51
IX — V. 17, onore — w. 40-41, nel coti. Parig. sono invertiti nell'ordine, errore manifesto.
VARIETÀ 251
X(l).
Chi bon ama tardi oblia
e sua fiamma mai non more,
più che mai mi se' nel core 3
e più t' amo assai che pria.
Se gran tempo è tra noi stato,
come accade, alcuno sdegno, 6
è '1 mio cuor tanto turbato
che di colora fui pregno,
e tornato a tranquil segno 9
io son quello che già fui
né per ira o dir d' altrui
el mio amor ti fu minore. 12
Più che mai mi se' nel core.
L'amor grande, ch'ho nel petto,
non te l'oso ademostrare, 15
ma lo tengo ascoso e stretto
per non far altrui parlare;
basta assai che indicare 18
può' ai sguardi occulti e presti,
al parlare, agli atti e gesti
eh' ancor dura el nostro amore. 21
Più che mai ecc.
Per un sdegno un vechio amore
extirpar non se sol mai 24
che a levar un gran calore
gli convien de V acqua assai :
chi non sa che sempre mai 27
tra gli amanti è or pace or guerra
non però eh' amor gli sferra
de' lor cuori el dardo fuore. 30
Più che mai ecc.
Se fu fatto sacramento
già tra noi de non più amarsi 33
quel non vai, per che col vento,
tolta r ira, sòie andarsi :
Iddio sòie delegiarsi 36
di' spergiuri de' gli amanti
per che sa che tutti quanti
fatti son per Io furore. 39
Più che mai ecc.
(1) Parig. e. 95 r ; Mgl. e. 57 r.
252 R. RENIER
Ma se amor, come è suo stile,
puoi el sdegno maggior viene, 42
spero che '1 tuo cor gentile
più che mai mi vorrà bene.
In te ho posta ogni mia spene, 45
quel eh' è andato andato sia ,
ogni cosa nova sia,
questo è el fin del mio tenore. 48
Più che mai ecc.
X — T. 6. Ambedue i codici hanno Come accende, forse erroneamente. Io ho proposta una
lezione che mi sembra migliore, ma non è giustificato dai testi a penna. Nel Mgl. tutta la strofe
è molto corrotta, ma negli altri luoghi si corregge col Parig.
?^3
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
ANDREA GLORIA. — Volgare illustre nel 1100 e proverbi vol-
gari del 1200. — Memoria estratta dagli Atti del R. Isti-
tuto veneto di scienze, lettere ed arti, Tomo III, serie VI.
— Venezia, 1885 (8'» pp. 90).
Il prof A. Gloria ci presenta in questo lavoro la prosecuzione di cpaelle
sue indagini intorno. all'origine della lingua letteraria d'Italia di cui ci aveva
già dato un primo saggio in un' operetta apparsa anni or sono (1). La tesi
precipua che l'A. sostiene e della quale sola noi intendiamo occuparci e' è
chiaramente indicata dal titolo stesso dei due lavori. Secondo il G. già avanti
il mille doveva esistere, accanto al volgare plebeo che chiunque ha lume
d' intelletto deve ormai ammettere, un volgare proprio degli uomini culti,
identico o quasi identico in tutta Italia. La prova poi di questa sua affer-
mazione l'A. la trova nel solo fatto che le voci volgari di cui, per un mo-
tivo 0 l'altro, vanno fornite le scritture latine dal sec. VII in poi, ci occorrono
frequentemente in una doppia forma di cui una, la più corrotta, s'attribuisce
dal G. al volgar plebeo, l'altra, quella che maggiormente s'accosta al latino
0 quantomeno al tipo idiomatico italiano, al volgare illustre (2). Da questo
(1) Del volgare illustre dal sec, Yllfino a Dante. Stndj storici di A. 0. (Estratto dagli Atti «oo.,
Tol. VI, serie V), Venezia, 1880, pp. 136.
(2) L'idea di volgere le forme volgari, che occorrono nelle carte latine, a rischiarare le vicende
della lìngua durante i secoli di mezzo, non ò affatto nuova. L' ebbe già V ab. Dom. Barsoochini
di Lucca {JUemoria suUo stato della lingua in Lucca avanti H MiU» negli AtU delia R. Accadtmia
lucchese, voi. VI, ISSO, pp. 117-172), delle cui raccolte il O. , che quindi non merita il rimpro-
vero mossogli nella Domenica del Fracassa del 19 aprile 1885, con abbondanza si giova nel primo
degli or or menzionati lavori. Il Barsocchini espone le sue idee abbastansa oonAisamente. Mi par
tuttavia di non andare errato ricapitolando il sno pensiero come segue : avanti il mille eàstevano
254 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
volgare illustre sarebbe poi derivato l'italiano in quanto è lingua dei libri
e della gente eulta.
Queste conclusioni non provocarono, come la profonda dottrina del G. e
l'importanza dell'argomento avrebbero richiesto, una pubblica controversia (1);
ma l'A. ha cura di informarci che, in comunicazioni private, si dichiara-
rono con lui concordi il Ganello e il Caix, due dotti che la scienza non
avrà mai abbastanza rimpianti, e da lui dissenzienti il d'Ancona, il Gaspary
e il Fumi.
Nel dettare ora quest'articolo non ho io già la pretensione d'impancarmi
da uguale fra tanti valentuomini ; solo ci tengo a dire brevemente ed alla
buona di alcune obiezioni , alquanto ovvie del resto, che si possono opporre
alle conclusioni del G., conclusioni che io, lo dico subito, non posso non
ritenere sbagliate.
Cominciamo dal lasciar parlare l'A. Da pp. 80-81-82 del suo primo lavoro
si ricavano le seguenti affermazioni: « Gli uomini colti ebbero sempre il
« bisogno di parlare un linguaggio più copioso di vocaboli e anche più
« forbito di quello degli incolti » ; e, più oltre : « Avendo gli uomini colti
« bisogno, come s'è detto, d'un linguaggio più copioso del plebeo, non po-
« teano desumerne i vocaboli se non dalla lingua latina e dai volgari tutti
« d'Italia, vale a dire desumerli, come poi per la lingua italiana, per nove
« decimi dalla lingua latina e per un decimo da essi volgari. E dovendo i
« colti uomini, a motivo de' vocaboli, stare attaccati alla lingua latina,
« doveano anche non allontanarsi dalla forma di questa, ma, d' altro lato
« trascinati dalla nuova corrente ad abbracciare anche la invalsa forma
« volgare, erano forzati perciò a tenersi in bilico tra questa e quella. Donde
« una forma propria del linguaggio nobile non più quella della lingua latina,
« ma neanco quella del linguaggio plebeo... » ; e, più oltre ancora : « Da
« chi pertanto gli uomini colti appresero il linguaggio nobile? Dalla sola
« necessità che li costringeva parlando a non istaccarsi dalla lingua latina,
« eh' essendo ferma e universalmente intesa adoperavano negli scritti, e a
« un tempo li costringeva per essere intesi dagl' incolti a darle parlando
€ la forma volgare presa dal linguaggio di questi ».
Che gli uomini culti abbiano ed abbiano sempre e dappertutto avuto
bisogno d' un linguaggio più copioso (2) non v' ha chi ne dubiti. — Ma perchè
dne lingue, ambedue latine, Tana parlata, l'altra scritta; la prima, materialmente latina, era
quella che già in Roma si parlava diversamente dal popolo ; intorbidata poi ancor più , nel suo
materiale , dalle tante voci e dagli strani accenti che v' erano stati introdotti dai barbari che
stanziarono in Italia ; la seconda era quella che si manteneva o tentavasi di mantener viva mercè
le leggi, i pubblici atti e la Chiesa. Questa tuttavia veniva influenzata dalla prima.
(1) Se ne togli la critica di un Anonimo nel voi. VI , n» 136 , della Rassegna settimanale di
politica, scienze, lettere ed arti (Roma, 1880). — Il Casello, Storia della lett. Hai. nel sec. X VI,
p. 314, cosi s'esprime: « Il G. ha avuto il merito non piccolo di richiamare l'attenzione sull' e-
« sistenza già antica al tempo di Dante di uno o più volgari illustri viventi accanto ai volgari
« del popolo ». Il Gaspaky, Geschichte der italienischcn Literatur , I, p. 483 : « seine Idee der
« Scheidung eines volgare illustre schon in jenen Zeiten halt« ich fur irrig». — Non ho notizia,
né posso averla in questo momento, di un articolo del BOhmer apparso nei Romanische Studien.
(2) « E anche più forbito» aggiunge il G. ; ma su ciò gli è d'uopo di fare qualche riserva. Se
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 255
da questa verità d' ordine così generale debba scaturire una cosi forniidabil
prova in favore dell' assunto propugnato dal G, non si capisce. Per attri-
buirle una tal forza dovrebbe essere prima dimostrato che, nei secoli onde
qui ci occupiamo, il latino non era cosi prepotentemente la lingua obbligata
della cultura da rendere supei'fluo al pensiero qualunque altro stromonto
di estrinsecazione che il latino non fosse, e che quindi quest' idioma non
rappresentasse esso nei bisogni della cultura quella parte che l'A. attribuisce
al suo volgare illustre (1). Ma una tal dimostrazione riuscirà senza dubbio
difficile anche al G. che dei tempi di mezzo ha pur si vasta notizia.
Che una lingua letterata, un volgare illustre^ possa formarsi, dirò così,
artificialmente, vale a dire non di tal maniera che la parlata di un dato
municipio o d' una data provincia assurga , concorrendo momenti storici
straordinariamente secondi, a dignità di parlare nazionale, ma così che dessa
lingua letterata, da tutti parlata e da tutti intesa, pur non abbia sua culla
in un dato punto della nazione, e ci appaia piuttosto come un'armonica
fusione, inconscientemente compiuta dall'uomo, di elementi diversi, è fatto
innegabile di cui abbiamo splendido esempio nel tedesco moderno. Ma in Ger-
mania aiutavano a ciò circostanze speciali non poche : qui la grande distanza
che correva tra latino e tedesco doveva necessariamente riserbare a questo,
in ogni manifestazione della vita pubblica, una parte grandissima; qui una
per maggior forbitezza si vuol intendere che la maggior educazione possa promuovere l'adozione o
il riflnto di certe parole, di certi modi di dire, nonché una sostenutezza generale dell'espressione,
ya bene ; ma non si vada più in là , che il voler estendere il concetto della maggiore o minor
forbitezza anche alla struttura fonetica della parola, sarebbe come ammettere la legittimità d'uno
di quei giudizi estetici subiettivi che tanto ripugnano alla severa crìtica, ma di cui tanto si com-
piace il vulgo semicnlto. Nel nostro caso il falso giudizio o il pregiudizio consiste in ciò, che il
parlare della gente colta si reputi sempre più forbito e più fine non per altro che perchè appnnto
la gente eulta lo parla. Dal che conseguono delle contraddizioni curiose: occorre, p. es., che, in un
dato dialetto , una data forma la quale più s' accosta al volgare illustre , cioè a quella foggia di
linguaggio che nella mente delle masse deve rappresentare il Urtium comparationis , pur sembri
brutta perchè dalle classi colte non usata; cosi al mio paese il cittadino si servirà delle forme
aitar. Ubar, tnétar, mentre il contadino dirà altro, libro, metro. Non v'ha dubbio che la forma
contadinesca essendo addirittura identica coll'italiana, dovr'ia parere ' più forbita ' ; nient 'affatto:
chi in città, parlando dialetto, dicesse altro ecc., darebbe a divedere d'essere tutt 'altro cbe colto,
e il contadino stesso che vuol ingentilire il suo linguaggio s'affretta ad abbandonare quelle forme
che sono uno dei più spiccati contrassegni del parlar campagnnolo.
(1) Il limitatissimo campo delle cognizioni , la scarsa densità della coltura , spiegherebbero a
sufficienza, anche in mancanza d'altri argomenti , come una lingna morta (che perù era stata d
viva!) abbia potuto servire per tanti secoli da organo esclusivo del pensiero non solo negli scrìtti,
ma anche nella conversazione di genere elevato. Non si vuol tuttavia escludere che abbia potuto
aver luogo anche in volgare, come può succedere oggidì che si ragioni di argomenti gravi, sempre
però che sia esclusa la solennità, in dialetto anziché in italiano. Ma a me non costa ano sfbno
rimmaginarmi un prete del mio paese che discorrendo di teologia mi esca ftiorì colla parola irtm-
tùstatuiagiùn , od un avvocato che parli di una casa gravdda da s*rvitii , di «c«pì uh gvidai ,
di decUnaziùn da fòro , o uno speziale che dica acid tartdreg o bicarbonaa d« tèda ; non erado
però che ciò dia diritto nò al prete, né all'avvocato, né allo speziale di credersi depositarì d'una
lingua diversa da quella che parlano tutti gli altrì, e ciò nemmeno nel caso che quelle gravi pa-
role venissero da loro dette, invece che in forma dialettale, in forma italiana. Ora che ona iden-
tica condizione di cose sia stata possibile anche nel medio evo non si può ragionevolmente negare.
256 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
coscienza nazionale non mai spenta che s' era splendidamente documentata
nelle due letterature che precedettero lo sbocciare del tedesco moderno ; qui
anche un' apparenza di politica unità nel!' Impero, debole sì, ma che pur
aveva a maneggiare negozi d' ogni ordine e d' ogni parte di Germania e a
cui, come ad astro maggiore, s'uniformavano nei modi, nei costumi, nel
parlare le centinaia di piccole corti germaniche (1). E fu appunto nella
cancelleria dell'Impero il quale fu prima alemanno-svevo poi austro-bavarico
che si compì quel conguaglio fra i dialetti tutti dell'Alta Germania, che
pur è si vasta e di dialettali varietà sì ricca, e di questi col Basso tedesco,
che 'ci è appunto rappresentato dal tedesco moderno. Ma se dalla Germania
noi volgiamo lo sguardo all' Italia e' imbattiamo subito in ben mutate con-
dizioni : qui la grande rassomiglianza del volgare col latino, soprattutto col
latino generalmente invalso, facevano di questa la lingua obbligata della
Chiesa (e questa ben più premeva suU' Italia che sul resto dell' universo),
delle scuole, del Foro, di ogni sorta d'Atto pubblico o privato, d'ogni mani-
festazione letteraria ; qui ogni tradizione nazionale metteva capo a Roma,
ragione di più perchè la lingua di questa si considerasse e s' impiegasse
qual vera lingua della nazione ; qui infine il Papato, la più possente auto-
rità politica, non rappresentava per nulla ciò che l'Impero rappresentava in
Germania, essendo esso d'istituzione necessariamente antinazionale e, nella
lingua , uno dei più saldi puntelli della latinità. Dimodoché non si capisce
come all' italiano d'allora il quale, scrivendo latino, s' illudeva allegramente
di scrivere un idioma suo nazionale, avrebbe potuto venir in mente di ser-
virsi d' un altra lingua che la latina ; molto saviamente quindi si indica
qual causa principale del tardo apparire fra noi dei primi albori di lettere
nazionali la tenace prevalenza della lingua e d' ogni sorta di tradizioni ro-
mane. Ma, date queste condizioni, qual ragion d'essere poteva mai avere, a
che mai doveva servire un volgare illustre? E come mai potremmo noi,
quanti siamo italiani dal Gottardo al Lilibeo, che ci lamentiamo tuttora,
malgrado Veppur ci capiamo e dopo tanti secoli di rigogliosa vita letteraria
e un sì potente risveglio della coscienza nazionale, che al nostro pensiero
non sia concesso un tale mezzo di manifestazione che ogni italiano, di qua-
lunque provincia, possa dire veramente connaturato a se stesso, concedere
il vanto d' averlo posseduto , senz' averne bisogno e in condizioni spropor-
zionatamente peggiori delle nostre , ai nostri antenati dei secoli VII-XII ?
L'ammettere di tali cose equivarrebbe a creder possibile che un cespuglio
di rose possa nascere e fiorire su d'una nuda roccia e di pieno inverno.
Ma v' ha di più. Quando, nei sec. XI e XII, migliorate alquanto le con-
dizioni civili e politiche del popolo, si cominciò ad osare e qualcuno volle
dettare in volgare, la forma prescelta fu dessa quella del volgare illustre,
.che, ove fosse stato una realtà, doveva pur imporsi senz' altro? No ; gli
scarsi documenti in volgare a noi tramandati da quei secoli sono tutti in
(1) E si noti ancora che la diversità delle epoche importa , a scapito dell' Italia di quei secoli
in cui il G. porrebbe l'elaborazione del volgare illustre italiano , una non lieve diversità di con-
dizioni civili, intellettuali e morali.
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 257
volgare plebeo (1); è dialettale l'inscrizione del Duomo di Ferrara (cfr, le
forme cenque e /ò), è dialettale la carta sarda della fine del sec. XI, è dia-
lettale il frammento epico bellunese (Arch. Glottol. it., I, 411-12), ha spic-
cate caratteristiche meridionali il Ritmo Cassinese e .circa all' antica Con-
fessione latino-volgare così s' esprime il Picchia (Arch. Glottol., VII, 123; :
« Le peculiarità dialettiche del volgare, se non accennano risolutamente ad
« una speciale regione d" Italia, possono tuttavia, se non e' illudiamo, tenersi
« per verisimilissimamente proprie dell' Italia centrale con esclusione dello
« Provincie napolitano e della Toscana » e, più oltre : « La congettura del
<.< Monaci » (secondo cui il God. che contiene la Confessione proverrebbe
dall'Umbria) « non sarebbe, parci, contraddetta dalla qualità del dialetto ».
Né qui s' arresta 1' attività di questi volgari provinciali ; crebbero essi a
vita letteraria, certo non indecorosa, ed ogni provincia, sopratutto nell'Alta
Italia, va provvista di monumenti dialettali antichi. Ne ha la Venezia, n'ha
la Lombardia, n'ha Genova, n'ha il Piemonte, n'ha l'Umbria, ne ha Napoli,
n' ha la Sicilia e si riferiscono non solo alle lettere propriamente dette ma
anche a cose giuridiche come è provato dallo Statuto di Ghieri e dalla Sen-
tenza di Rivalta, ambedue in dialetto pedemontano. — Né va perso di vista
un fatto, emergente da quelle scritture, il quale ci prova quanto poco erano,
prima dell'Alighieri, maturi i tempi per una lingua comune (2) ed è questo :
che esse ci rappresentano non già dei dialetti provinciali ma solo munici-
pali ; cosi nel Veneto s' hanno monumenti veneziani, padovani e veronesi e
in Lombardia, milanesi e bergamaschi.
E vero che il G., come appare ripetutamente dalle sue parole che più
sopra si riferiscono, afferma aversi avuto un volgare illustre solo parlato
non già scritto. Ma, a tacere che ciò non isposserebbe nel concetto che li anima
nessuno degli argomenti ftnora avanzati, il G. avrebbe dovuto accorgersi
che appunto quella sua affermazione é talmente grave da schiacciare in
germe tutta la sua argomentazione intorno al volgare illustre : e ciò perchè
un volgare illustre comune a tutta la nazione e contrapposto a tanti volgari
plebei non si può altrimenti concepire che come una lingua primamente
scritta, ridottasi poi a lingua parlata per l' influenza che le lettere sogliono
esercitare sulla nazione. Tale é la storia del francese, dello spagnuolo e del
tedesco , qualunque sia il processo per cui in ognuno di quei paesi s' è
elaborato il volgare illustre.
E qui lasciamo queste obiezioni d' indole generale e passiamo piuttosto
ad esaminare se la tesi del G. che, come vedemmo, poggia sul fatto delle
doppie forme, veramente di queste doppie forme s' avvantaggi.
La teoria del G. sul processo di formazione del volgare illustre da lui
propugnato si può leggere nella citazione letterale che delle sue parole si
fa in principio di questo articolo; circa alla quale teoria solo dirò che se
può forse costituire, per il sistema di bilanciamento che quivi si asserisce
(1) Certo il Q. non vorrai erigersi a paladino delle CarU d'Arborea.
(2) n Bartoli é il Massaiia avevano bensì sostenuto che s' avesse per tutta 1' Albi Italia ana
lingua comune. Ma l'Ascoli lia, con solidissimi argomenti, dimostrata l' insussistenza del fatto.
Giornali storico, VI, fase. 16-17. 17
258 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
applicato, un interessante problema di meccanica, certo ripugna, in quanto
riguardi il processo formativo delle lingue, ad ogni retto criterio di forma-
zione storica, ed è quindi cosa che la glottologia mal potrebbe prendere
sul serio.
Una cosa si può ritenere da quelle parole, ed è questa: che la diversità
tra due forme, una apparentemente più corrotta, 1' altra più vicina al latino
o al linguaggio letterario d' Italia (il latino, levatene le desinenze, e l' ita-
liano, che è il toscano o meglio il fiorentino, si trovano poi essere tanto
fra di loro affini che il rabberciamento, sul tipo latino, d'una data forma
volgare deve, nella maggior parte dei casi, condurre necessariamente ad una
forma comune ad ambedue), devesi ad una transizione tra la forma di vol-
gare ed il latino. Ma questa transizione non va già compresa come qual-
checosa di vivo, di realmente ed organicamente compiutosi nella bocca di
chi parlava ; era al contrario, opera di notai più o meno culti, più o meno
pedanti, compiutasi sulle sole carte e destinata a restar cosa morta in queste.
Di tali adattamenti d' una forma dialettale su im tipo più illustre vanno
fornite anche le carte notarili moderne (1) ; né per avventura s' aspettano
che un giorno qualcheduno si valga di loro come di fondamento a troppo
ardite conclusioni.
Procedevano i notai, nel latinizzare, con certe norme le quali eran loro
dettate, più che dalla ragione, da un' istintivo senso analogico, il quale però
non era in tutti egualmente vivace né ugualmente sicuro e conseguente.
Quindi la varietà delle forme la quale, come appare dagli elenchi del G. va ben
sovente più oltre della dualità (2); e la cosa si spiega, ove s'avesse bisogno di
(1) Citerò un esempio, per il qnale ho appunto interrogato nn notaio. V ha al mio paese nna
località detta il ciòss, nna parola che, secondo ogni probabilità, rìsale a clì.uso. Ora di tre notai
che aressero bisogno di inserire quella parola in un atto, è certo che uno, forse il più ayrednto,
scriverebbe senz' altro ciòss , il secondo la italianizzerebbe a metà aggiungendo la desinenza -o ,
ciosso, il terzo andrebbe più oltre, e, abituato a vedersi corrispondere sovente ci- lombardo e chi-
italiano {ciaf-, chiave, ciamà = chiamare), fabbricherà senza scrupoli la forma chiasso.
(2) Può cioè occorrerci una data voce in tutte le forme che vanno dalla volgare veramente viva
fino alla latinizzazione perfetta. — • Dagli elenchi padovani del G. panni tuttavia risultare che più
ripugnasse lo scrivere la forma prettamente volgare quando questa più si scostava dal tipo latino.
Cosi non si trovano in essi elenchi né 1' -ó = -dto, né 1' -é^-àte, non si trovano cioè le corrispon-
denze dei marcò e dei bontè che Dante biasima nei padovani e per la cui istorica realtà rimando
il G. a pp. 431-32 del voi. I dell' Archivio glottologico italiano. Vero è che Dante notò quelle
forme un secolo più tardi di quello a cui risalgono i più recenti diplomi sfruttati dal G, , ma
s'andrà errati ritenendo che non se ne rinverrebbero nemmeno nei documenti coevi di Dante.
-- Circa poi alle latinizzazioni perfette , chi vorrebbe escludere che molte parole latine dei
documenti , anziché essere sgorgate di primo ìmpeto dalla mente de' notai , non ci appaiano
invece di forma latina per essere passate anch' esse attraverso il tramite di quel ragionamento,
dirò così, inconsciente, per cui da -do si costruiva -odo, -àto? Che giunto cioè ad -cito il notaio
vi abbia appiccicata quella desinenza latina che nel costrutto in cui trovavasi 1' -dto era gram-
maticalmente richiesta? Un fatto che pare ammettere anche il G. , se io mal non interpreto
le parole che sono in fine a p. 61 del suo primo lavoro, e che è provato -da us e -t, desinenze
verbali , aggiunti persino a voci di stampo non più latino , come in dissimus , dissit. Cadrebbe
così r obiezione che muove lo stesso G. al Gaspary col chiedere perchè i notai , una volta in
via di latinizzare , non andassero fino in fondo. Certo che ci son andati e ben di spesso. Ma il
G., imbattutosi, pnta caso, in un robure, e meglio ancora in un roburi o in un robtiris, non si
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 259
maggiori schiarimenti, anche da questo, che i documenti dai quali le forme
sono desunte si estendono per più di tre secoli (ve n' ha dell' 819 e del 4183)
durante i quali e le abitudini dovevano variare come dovevano variare i
rapporti tra volgare e latino, e che forse i notai non eran tutti della città
di Padova, od anche essendolo, avranno appartenuto a diversi quartieri della
città ; la qual ultima circostanza doveva importare una , benché leggiera,
differenza di dialetto tra gli uni e gli altri (così, a tacer d'altro, non è im-
possibile che in una stessa città si dica in un quartiere albero e in un altro
albaro e forse in un terzo alboro), una differenza che avrebbe potuto sempre
rispecchiarsi nelle latinizzazioni.
Le norme più comunemente applicate, onde nobilitare una parola plebea,
che io trovo negli es. del G. sono le seguenti : a) si restituisce la tenue che,
fra vocali, s' era degradata in media (-àto da -ddo, laco da lago ecc.) ; b) si
restituiscono A b e ì\ p che, fra vocali, s'erano degradati in v (avitare^abù
lare ecc.); e) si ristabilisce per e palatino il -s- dolce {fornase^ fornace); d) si
restituisce la media caduta {-ddo da -do); e) si tramuta in e q g palatini il
z che segue a consonante e si tramutano in ciò eia le formolo zo za; f) bì
restituisce Vi sopratutto postonico, che s' era ridotto ad e; g) si ristabilisce
la vocale iniziale aferizzata {amabile da mabile); h) vien restituito l'o, de-
gradato ad «, sia in sillaba tonica che in sillaba atona; i) si ritorna al dit-
tongo au (bozentauro, aurese), j) si ristabilisce il nesso et; k) si ritorna da
-ego ad -teo e da -dro ad -drio (1).
mA peritato di interpretarlo senz'altro come nna forma latina senza porsi la domanda che noi or
ora ci ponevamo {roboreto di fronte a rovereto occorre del resto negli stessi elenchi del G,, ed ò
certamente nna latinizzazione perfetta, malgrado l'o per i», e quantunque il G. lo ponga fn le
forme di volgare illustre). Forme perfettamente latinizzate, vale a dire che non ci rappresentano
forme intermediarie tra il latino e il volger plebeo, abbondano presso il G. (cosi bovario ecc.). —
Che poi chi diceva carpeneto, aìboro, A sia fatto meglio intendere dal volgo, il quale diceva car-
panedo, albaro, di colui che avesse detto carpineta, albero, la non mi vuol entrare.
(1) Queste norme dovevano valere , su per giù, per gran parte dell'Alta Italia. — Diverse sa-
ranno state quelle d' altri dialetti , ma la tendenza rimaneva sempre quella , di ravvicinare cioò
alla latina la forma volgare ; e se il veneto si sforzava di ridurre a t il suo -d-, il napoletano si
sai^ sforzato di ridurre a <2 il suo -t- o -tt- di parole come umetto , e a fui il suo nn di parole
come qttanno. Non istupisce quindi , né costituisce quella sì valida prova che il O. vorrebbe , il
fatto che in questo lavoro di ricostituzione i diversi volgari abbiano potuto, partendo ognono d»
un punto diverso, ritrovarsi assieme nella forma latinizzata; e stupisce ancor meno ove si consi-
deri la minor diversità che allora correva fra essi ; anzi se le norme fossero sempre state e dap-
pertutto conseguentemente applicate avrebbero dovuto incontrarsi sempre; e non solo i volgari
d'Italia fra di loro, ma tutti i volgari neo-latini ; e certo tutti s'incontrano in quelle proporzioni
nelle quali s'incontrano fra di loro i volgari d'Italia. Questa conclusione s' impone , e il G. non
vi s'è potuto sottrarre del tutto, poiché s'è giovato nello sue ricerche anche di documenti tna-
cesi, del che si giustifica con queste parole : « Pare a me che il volgare di questa (della Fr»ncia)
« si debba considerare, appunto rispetto al tempo, quale altro linguaggio plebeo d'Italia, «Tendo
« originato anche quello come questo dal padre comune , il dialetto romano ». Ma non capisco
perchè il O. si fermi a metà strada ; accanto alle forme plebee, troverà nei documenti di Francia
e di Spagna, precisamente come in quelli d'Italia e colle stesse tergiversazioni , quelle di volgare
illustre, le quali forme illustri somiglieranno , a un dipresso , a quelle che si trovano nei docn-
menti italiani, donde la logica conseguenza che il volgare illo-itre del G. non eia della sola Italia,
ma di tutta quanta la romanità.
260 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
Ma come s'osservavano poi queste norme? Lasciamo stare quelle parole
in cui la latinizzazione ci si appalesa riuscita nonché i pretti latinismi
(come collecta, defuncto, episcopello, domino, thio, columnelli contrapposti a
colta, defonto, veskevello, don), e le parole volgari che si possono ritenere
non alterate (e sono ben poche : tegia, crea ecc. verine=\èv']me vergine, co
capo ed altre), e atteniamoci a quelle in cui ci s'appalesano nello stesso
tempo e la base volgare e l' opera di ricostruzione ; e' imbatteremo subito
in. un vero caos di forme provocato soprattutto da questo, che, occorrendo
al notaio di dover applicare, nel ricostruire alla latina la parola plebea, in
una stessa voce più d' una delle norme anzidette, s' applica 1' una e s' om-
mette l' altra. E siccome il criterio del G. nello scevrare la parola plebea
dalla illustre doveva necessariamente coprirsi colle norme seguite da' notai
nelle loro ricostruzioni, così 1' opera del G. non poteva non riuscire un tes-
suto di contraddizioni e lo provino gli esempi seguenti :
vlg. ili.: afumegado, vlg. pi.: afomigado. Qui la prima forma avrebbe
di illustre I'm mantenuto, la seconda Vi. Ma hanno comune di plebeo il -gado
colle sue due medie al posto di due tenui. Prevalendo in ambedue i carat-
teri plebei dovrebbero dichiararsi ambedue plebee, ciò che il G. non fa. La
forma nobile dovrebbe suonare a fumicato, la plebea afumegado;
vlg. ili. : beato, vlg. pi. : biato Mao. Beato sarebbe senz' alcun dubbio
di volg. ili. Ma biato non sarebbe plebeo che per quell'e che si riduce ad
i neir iato. La desinenza -dto dovrebb' essere esclusivamente illustre. Biao
sarebbe esclusivamente plebeo;
vlg. ili.: amabile, vlg. pi.: mabile amavile. Ben classificata la prima
forma. Ma mabile, mentre ha di plebeo 1' aferesi dell' -a avrebbe d'illustre
il -b-. Amavile, all'incontrano, ha di plebeo il -v-, ma avrebbe d'illustre
Va-. Ambedue assieme hanno d' illustre V-i-. La vera forma esclusivamente
plebea sarebbe mdvele, o, poiché Va- non deve necessariamente cadere,
amdvele ;
albaro è dichiarato plebeo, pel suo a, di fronte ad albero; ma, subito
dopo albareto, sempre coli' a, è dichiarato illustre, in causa del -t-, di fronte
ad albaredo, forma questa che può essere di puro volgar plebeo.
punticelli è relegato tra le forme plebee a motivo del suo u=o; ma
altrove si decerne un diploma di nobiltà a baruncello, in causa del e e
malgrado I'm, mentre lo z fa dichiarar plebeo, malgrado Y o, baronzello;
è nobile castagna di fronte a castegna; ma il -d- fa perdere all' a la
sua nobiltà, nella forma castagnedo;
è poi plebeo, malgrado il -^ e a causa del g-, gardeto allato a cardato.
ottorità è dichiarato plebeo di fronte ad auctorità, che nel suo auct-
ci s' addimostra di pretta ricostituzione latina ; ma l'aw- di aurese, di fronte
ad aurifice, non salva quella parola dalla scurrilità; e sarebbe veramente
bella forma plebea (orese=oré[v]ese) senza Yau- che la deturpa;
malgrado Y-ario che pur deve considerarsi, di fronte all' -aro plebeo,
qual una delle prime caratteristiche di volgar illustre son dichiarati plebei,
pel suo u, mulinarlo (vlg. ili. m-olinario) ; pel suo z , calzinaria (vlg. ili.
calcinaria) e, pel suo -v- soppresso, boario (vlg. ili. bovario); ma, all'incon-
trano, pel suo -^ di fronte al -d- di codegnara, è dato per illustre cotegnara.
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 261
E qui chiudo questa serie d'esempi, avvertendo prima che non sono cer-
cati col lanternino e che , invece , lor so no potrebbero aggiungere senza
fatica di molti. — Ora ognuno comprenderà essere lavoro sprecato il voler
mettere a base d' un ragionamento il quale tende a sì alte conclusioni delle
forme di volgare illustro che non sono per nulla conseguenti a se stesse,
delle forme di volgar plebeo che lo sono meno ancora, e che, paragonate
colle illustri, ci offrono una tale contraddizione di rapporti.
Ma alle contraddizioni s' accoppiano gli svarioni. Ignorante o troppo pre-
potentemente trasportato dall' istinto dell' analogia, falsamente applicava il
notaio quelle sue norme di ricostruzione anche a suoni che, nella voce
volgare, continuavano inalterata la base latina e ciò perchè egli troppo viva-
cemente si sovveniva che lo stesso suono volgare assai di spesso veniva
tramutato in un dato e diverso suono o nesso di suoni latini. Così, abituato a
vedersi corrispondere t volgare con et latino, ricostruiva in et anche dei t
volgari che pur risalivano a t latino, tal'è il caso in quactro ; abituato a tra-
mutare un -u- volgare in b (avitare = habitare), ricostruiva falsamente uva in
uba ; solito a rimutaro in e palatino in -s- volgare (FeUse=Felice, fornase^foT'
nace)^ non s'avvedeva più che nel -s- di Adese s'ha la inalterata continuazione
del -s- di Athesis e scriveva Adice; abituato a sostituire e latino a g vol-
gare (amigo=amico), procedeva nello stesso modo in ordine al lat. caliga e ne
traeva un calecario (i). — E poteva accadere al notaio anche questo di inter-
pretare il suflSsso -éto falsamente per -étto come in castagnettoacastaneto o
di interpretare un -nn- quale prodotto assimilativo di un -dn- , ciò onde
s' ha esempio in adnutino di fronte ad annotino che senz' alcun dubbio
sarà una derivazione dff anno (2).
Non sono questi esempì una prova luminosa della artificiosità di tutte le
forme che stanno raccolte negli elenchi del G.? Tali strafalcioni non sono
certamente mai entrati nel patrimonio di nessun idioma né illustre né plebeo.
Ed è tanto vero che io sfido il G. a trovarmi nel volgar padovano o nel-
r italiano i diretti continuatori di quelle forme sbagliate o d'altre che loro
equivalgano.
Ma supponiamo un momento che tutte le obiezioni che fin qui si son
mosse alla tesi del G. non abbiano forza veruna, supponiamo che essa tesi
veramente s'avvantaggi delle forme che il G. presenta ne' suoi elenchi, ri-
marrebbe pur sempre questa osservazione da fare : é vero che la maggior
rassomiglianza tra il latino e la lingua letteraria d'Italia doveva importare
che, nel processo di nobilitazione, si riuscisse soventi a delle forme comuni
ad ambedue ; ma non é men vero che l'evoluzione fonetica poteva qua e là
condurre, e l'ha condotta, la parola italiana a tale distanza dalla sua scaturigine
(1) Equivalgono questi svarioni a quelli che farebbe nn veneto ricostruendo il suo ateno in
acino, 0 un lombardo ricostruendo in ebriglio il suo ebrèj, ebreo (cfr. cotw»; s consiglio) ecc.
(2) Omettendo il quadro che si trova due volte , e sempre indicato come forma in ogni modo
volgare, in quelle sue prove di ricostruzione del linguaggio dei sec. di mezzo , nn» impresa ch«
io devo giudicare iniblice e nel concetto e nella riuscit* , il G. assegna uért ealtcario admuMto
al volg^ plebeo, Adict e c(uitgnetto al volgare illustre.
262 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
da far cessare o almeno da intorbidare alquanto la rassomiglianza. In tali con-
giunture, la parola che secondo il G. è di volgare illustre, ci s'appalesa dessa
più vicina al latino o all'italiano ? Rispondo senza ambagi : al latino. Così
il suffisso -ario è nello stesso tempo e la risultanza del processo di nobilita-
zione, è, cioè, secondo il G., di volgare illustre, ed è il pretto suffisso latino.
Ma r italiano, se ha -arto in parole che nella maggior parte sono d' origine
evidentemente letterata e che quindi non contano, ha, prevalentemente, per
risposta normale di quel suffisso, -aio o -iero -e. Un' altra riduzione italiana
di cui non trovo traccia negli elenchi del G. è quella dei nessi ci, pi, hi,
f, a chi, pi, hi, fi, eppure questa riduzione s' ha già nei più antichi docu-
menti di quella lingua che poi è divenuta la lingua illustre d' Italia e si
può ragionevolmente supporre che fosso già fenomeno dell' idioma italiano
nel 1183, epoca a cui risale il più fresco dei documenti onde il G. estrae
le sue forme (1).
Come spiegansi questi fatti i quali sono certamente di tal natura da tur-
bare non poco gli intimi rapporti che, secondo il G., esistono tra il suo
volgare illustre e l'italiano? 0 pensa forse il G. che l'evoluzione da -ario
ad -ajo ecc. , da jsi a pi ecc. , siasi compiuta nel breve lasso di tempo che
corre dal 1150 al primo apparire di documenti italiani, cioè toscani? Se lo
pensa e vuol farcelo pensare, fuori le prove!
Tutta questa seconda parte del mio ragionamento ha dovuto versare intorno
al valore che possono avere le forme volgari da cui vanno provvisti i do-
cumenti latini dell' età di mezzo, più specialmente, di quelli sfruttati dal G.
Ma se quest' esame ha potuto essere utile non sarebbe certo men utile
un esame intorno al valore lessicale di quelle voci; importerebbe cioè di
sapere, per dirla a mo' d' esempio, se curticella risponda lessicalmente in
tutto e per tutto al corticella della nostra lingua letteraria. Ma un tal esame
sarebbe per ora impossibile, sia perchè le voci in realtà non son molte, sia
perchè ci rappresentano in non piccola parte nomi propri di persone e di
luoghi, sia, infine, perchè non si ha sott'occhi il passo in cui ogni singola
voce si trova (2). E quest' impossibilità d' un raffi-onto lessicale avrebbe
dovuto trattenere il G. dal dare per così assolute le sue conclusioni ; che i
fenomeni fonetici non sono tutto in una lingua ; v' è il lessico, v' è la nur-
fologia, v' è la sintassi e più in su lo stile e, trattandosi d' un linguaggio
illustre, quella generale elevatezza d' espressione nel manifestare il pensiero,
nella quale si riassumono tante cose buone e cattive, ma che pur è la prima
ragione e condizion d'essere d'un volgare illustre. Ora di tuttociò, foss' anche
la tesi del Gloria inattaccabile e dal punto di vista dei criteri generali e
da quello del valore delle singole voci, non è possibile dare una prova,
poiché per darla ci vorrebbe appunto un intiero documento scritto in pretto
volgare illustre. Ma si può con sicurezza aflfermare che questo documento
non si troverà.
(1) Voglio ancora si notino contrata e tirata (dati come illustri di fronte a contru, cioè contrda,
e a strada, strd) dove l'italiano ha contrada, strada.
(2) Questo si può, fra altro , tuttavia ricavare , che caligario , per quanto comune a più d' un
dialetto italiano, non è riconosciuto dalla lingua letteraria.
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 26^
Io non vorrei , giunto in fine di queste linee , che le mie obiezioni
suonassero disapprovazione all' opera dell' egregio cattedratico padovano , il
quale, noto in tutta Italia e fuori per la serietà de'suoi studi in altri campi
dello scibile, non è glottologo, ciò onde nessuno gli farà aggravio, ed ha
dovuto trattare il suo subietto con metodo e criteri diversi da quelli che la
grammatica comparata richiederebbe. Nò ciò è male, poiché l'esclusività
dei criteri non è, nò certo, ch'io mi sappia, è mai stata caparra d' un giu-
dizio per ogni suo lato completo e d' altra parte nessuno di noi vorrebbe
meritarsi il biasimo che Ben Johnson infliggeva a certi grammatici del
suo tempo quando egli loro diceva « nessuno dimentica il suo primo
« mestiere; date ad un grammatico da decidere intorno al destino dei re e
« delle nazioni, esso ne farà una quistione di grammatica ». — Gli spogli
che il G. va facendo con tanta competenza ed ai quali egli incoraggia con
parola sì calda e convinta, non potranno eh' essere fecondi d'ottimi risultati.
Se non ne uscirà la prova del volgare illustre ne usciranno sempre nume-
rose ed importantissime notizie per la storia de' volgari ; per esse sarà pos-
sibile stabilire utilissimi e desiderati rafironti, anzi non sarà che su tali
spogli operati abbondantemente in ogni parte del nostro paese che si potrà
stabilire una seria cronologia dei fenomeni fonetici comuni a tutta Italia o
propri di ciascun dialetto; e ciò, mi creda il G., non sarà poco (1).
Carlo Salvioni.
BENEDETTO CROCE. — La leggenda di Niccolò Pesce. —
Estratto dal Giambattista Basile, anno III, n* 7. — Napoli,
Stab. tip. di Vincenzo Posole, 1885 (8°, pp. 14).
Che povera cosa quest'opuscoletto, e quale increscevole documento, nella
tenuità sua, della fretta, della incuria, della leggerezza con cui troppo spesso
fra noi si trattano argomenti di critica e di erudizione ! Il signor Croce crede
di aver messe le mani sopra un soggetto vergine, e questo soggetto altri
dieci, a dir poco, l'hanno avuto tra mani prima di lui. Così che, non solo
egli non accresce, se non per picciolissima parte, la conoscenza di esso, ma
ignora e lascia in disparte il più di quanto già da altri era stato trovato e
notato, e viene in conseguenza di ciò a conclusioni e giudizi in tutto erronei.
(1) I proverM volgari di Geremia da Montagnone, editi dal G. nello stesso laroro che ha dato
motivo alle precedenti pagine, non forniscono nessuna prova in più per la tesi del G., nò questi
pretende trovarvela. Sono in volgare pavano e il G. ha fatto , pubblicandoli , opera bnonisBÌiiia ,
oomechò essi costitmscano nn documento linguistico non ispregevole. — Del vantaggio che da
essi potranno trarre la demopsicologia e la scienza delle tradizioni popolari non è mio compito
il toccare.
264 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
Basti il dire eh' ei non sa nulla della famosa poesia dello Schiller , Ber
Taucher, nella quale riappare con nuove fogge e nuovo carattere, ma senza
il nome dell'antico eroe, la leggenda di Nicola Pesce, e le fonti della quale
ebbero ad indagare e Valentino Schmidt, e il Gòdeke, e il Dùntzer, e il
Goetzinger, e il ViehofF, e quanti furono insomma gli annotatori e i com-
mentatori del grande poeta tedesco (1).
Detto assai brevemente alcimchè dei racconti tuttora vivi sulle bocche del
popolo napoletano, racconti che certo meritavano un più largo riferimento;
soggiunte alcune notizie non molto importanti, ma soprattutto non nuove,
circa il rozzo bassorilievo che ancora si vede nel sedile di Porto in Napoli,
e che il popolo giudica immagine di Nicola, il signor C. passa a far ricordo
degli scrittori che di secolo in secolo si tramandarono la leggenda, e indaga
nelle nan-azioni loro la graduale trasformazione della leggenda stessa, o,
com'egli dice, della storia in leggenda. Ora, questi scrittori, sono appena una
mezza dozzina; numero a dir vero troppo scarso, per chi si vanta (p. 10) di
far di proposito ricerche sulla fonte primitiva della leggenda, e rintrac-
ciare di questa la graduale trasformazione. Però non riuscirà, spero, discaro
al lettore, se, considerata la curiosità dell'argomento (si tratta di una delle
non molte leggende in tutto italiane di origine), io verrò accompagnando
l'esame dell'opuscolo, con notizie intese a compiere la trattazione dell'argo-
mento, traendole, sia da libri non tutti facilmente accessibili, sia (per qualche
parte) da appunti miei.
Il primo scrittore citato dal signor G. è Fra Salimbene, il notissimo cro-
nista (2), il quale, cercando di denigrare in tutti i modi Federico II, raccon-
tato di certe sue stravaganze, o, com'egli le chiama, superstizioni, soggiunge (3):
« Quarta ejus superstitio fuit, quia quemdam Nicolam contra voluntatem
« suam pluries misit in fundum Phari, et pluries rediit inde; et volens pe-
« nitus veritatem cognoscere, si vere ad fundum descendisset et inde redisset,
« nec ne, projecit cupam suam auream, ubi credebat majus esse profundum,
« quam ille, cum descendisset, invenit et attulit sibi, et miratus est Impe-
* rator. Cum autem iterum vellet eum mittere, dixit sibi: nullo modo me
« mittatis illuc, quia ita turbatum est mare inferius, quod, si me miseritis,
« nunc[uam redibo. Nihilominus misit eum, et nunquam est reversus ad eum,
« quia periit ibi; nam in ilio fundo maris sunt magni pisces, tempore ma-
« rinae tempestatis, et sunt ibi scopuli et naves multae fractae, ut referebat
« ipse. Iste potuit dicere Friderico, quod habetur Jonae II : Proiecisti me in
« profundum, etc. Iste Nicola homo siculus fuit, et quadam vice offendit
« gi'aviter et exasperavit matrem, et imprecata est ei mater quod semper
« habitaret in aquis, et raro appareret in terra ; et ita accidit sibi. Nota quod
(1) Nel no 8 , anno III , del QiambaUista Basile , uscito quando il presente articolo era già,
scritto e composto, il sig. C. ricorda, in un'appendice al suo lavoro, la poesia dello Schiller, ma
non altro.
(2) Accanto al nome il sig. C. pone in parentesi gli anni 1225-1290. Perchè ? se incerto l'anno
della morte, non così quello della nascita, che si sa essere stato il 1221.
(3) Chronica, Parma, 1857, pp. 168-9.
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 265
« Pharuin in Sicilia, jiixta mcssanam civitatcm, est quoddam brachium maris,
« ubi aliquando est niagnus discursus, et magni gurgites fiunt ibi, qui naves
« absorbent et demcrgunt: item in ilio Pharo sunt syrtes et caribdes et
« scopuli praegrandes et multa infortunia Omnia supradicta centics audivi
€ et didici a fratribus mossanae civitatis, qui mei amici valde fuerunt. Ego
« etiam babui in ordine fratrum Minorum germanum consanguineum fratrem
« Jacobinum do Cassio ex civitate parmensi, qui in mcssana civitatc babi-
€ tah&t, et mihi haec eadem, quae diximus, referebat ».
Il signor G. riconosce a questo racconto un carattere perfettamente stO'
rico, e assevera (p. 8) che il fatto per sé, pel modo com'è raccontato, sema
intenzione di destar meraviglia, e per le sue modeste proporzioni, è in-
dubitabilmente storico; poi passa alla sua seconda testimonianza, che è
quella del bolognese Francesco Pipino, che fiori nella prima metà del se-
colo XIV. Questo cronista cosi racconta (1): « Nicolaus Piscis hoc tempore
« in Regno Siciliae natus est. Hic enim, dum puer esset, delectabatur esse
« in aquis assiduus; cujus mater ob hoc indignata, maledictionem illi im-
« precata est, ut scilicet semper esse delectaretur in aquis, et extra eas non
« posset vivere ; quod siquidem contigit, nam semper ex tunc in aquis maris
« vixit ut piscis. Diu extra aquas esse 'non poterai ; nautis apparebat, et cum
« eis in navibus aliquandiu erat, maris aestus illis praedicens, et secreta
« quae viderat in profundo. Anguillam maximura piscium esse dixit, et inter
« Siciliam et Galabriam pelagus profundissimus esse. Imperator Fridericus
« cum eo serraonem habuit, et projecto in fundo vaso argenteo, institit illi,
« ut descenderet in profundum, ac vas illud aflferrct. Ille vero ait: si descen-
« dero in profundum, non revertar: Experiri tandem promisit; et quum
« descendisset, ultra non comparuit hominum visui. Reminiscor, quod, dum
« puer essem, audire consuevi matres, dum puerulis vagientibus terrorem
« vellent incutere, tunc eis Nicolaum ad raemoriam reducebant ». E qui il
sig. G. dice che si ha già la leggenda, non la leggenda compiuta, quale ap-
pare di poi, ma la leggenda in formazione (p. 9). Sebbene la leggenda si
possa già agevolmente riconoscere nel racconto di Salimbene, pure il sig. G.
avrebbe qualche ragione ne' suoi giudizi, se non istesse il fatto che la leg-
genda, una vera leggenda, è assai più antica, così di Francesco Pipino, come
di Fra Salimbene ; fatto che manda subito all'aria tutti i ragionamenti e tutti
i giudizi del sig. Grece. Ciò che di Nicola Pesce narra Gualtiero Mapes, il
quale scriveva in sullo scorcio del secolo XII, passa in istranezza quanto ne
narrano i due cronisti italiani. In un capitolo delle sue Nugae curialium^
egli narra la storia a questo modo: « Multi vivunt qui nobis magnum et
« omni adrairatione majus enarrant se vidisse circa pontum illud prodigium
« Nicolaum Pipe, hominem aequoreum, qui sine spiraculo diu per mensem vel
« annum vicinia ponti cum piscibus frequentabat indemnis, et tempestate de-
« pressa navibus in portu exitum vetabat praesagio, vel egressis reditum indi-
« cebat. Verus homo, nihil inhumanum in membris, nihil in aliquo quinque
« sensuum defectus habens, trans hominem acceptat aptitudinem piscium.
(1) Chronicon, e. XLVIII, ap. Mobatobi, Scriptoret, t. IX, col. 669.
266 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
« Gum autem in mare descendebat moram ibi facturus, fragmenta veteris ferri
« de biga vel pedibus equorura vel antiquitate supellectilis avulsi secum defer-
« rebat, cujus nondum rationem audivi. Hoc uno erat imrainutus ab hominibus
« et piscibus unitus, quod sine maris odore vel aqua vivere non potuit; cuna
« abducebatur longius tanquam anhelitu deficiente recurrebat. Cupivit eum
« rex Siculus Willielmus auditis bis videre, jussitque ipsum praesentari,
« quem dum invitum traherent, inter manus eorum absentia maris extinctus
« est » (1). Ora, questa di Gualtiero Mapes è la testimonianza più antica che
si conosca, una testimonianza quasi contemporanea al fatto che si narra, e
si scorge da essa come la leggenda avesse già assunto un carattere molto
strano, sebbene fosse lontana ancora dagli svolgimenti e accrescimenti poste-
riori. Noto di passaggio che Gualtiero Mapes fu in Italia, e che in Italia
probabilmente egli ebbe cognizione della leggenda.
Un' altra testimonianza assai antica è quella di Gervasio di Tilbury, il
quale nei suoi Otta imj)erialia, composti in sul principiare del secolo XIII,
narra quanto segue: «Sicilia ab Italia modico freto distinguitur, in quo
« Scylla et Charybdis, marinae voragines, quibus navigia absorbentur aut
« colliduntur, quem locum Pharum nominant. In hanc referunt ex coactione
« regis Siculi Rogerii descendisse Nicolaum Papam, hominem de Apulia
« oriundum, cuius mansio fere continua erat in profundo maris. Hic a ma-
« rinis beluis quasi natus ac familiaris vitabatur ad malum; maris sedulus
« explorator, currentibus in pelago navibus, nautis instantes tempestates
« praenuntiabat, et cum derepente a mari nudus prorumpebat, nihil praeter
'< oleum a transeuntibus postulabat, ut ejus beneficio fundum abyssi maris
'< speculatius intueri posset atcjue rimari. Hic in Pharo nemorosam abyssum
« esse dicebat. Ex arborum itaque oppositis obicibus fluctus collidi invicem
<i proponebat, asserens, in mari montes esse et valles, sylvas et campos et
« arbores glandiferas, ad cujus rei fidem nos quoque glandes marinas in
« littore maris saepe prospeximus » (2). Questo racconto ha per noi molta
importanza, perchè Gervasio fu in Sicilia, ed ivi, senz'alcun dubbio, raccolse
gli elementi di esso. La leggenda, quale Gervasio ce la presenta, è certo
più compiuta che non nel racconto del Mapes ; ma non per questo si può
far giudizio sicuro dello svolgimento a cui la leggenda stessa era andata
soggetta, negli anni che intercedono fra l'un riferimento e l'altro. Il Mapes
dice poco, ma quel poco accenna a molto più, ch'ei non conobbe, o non
curò ripetere. Bensì è da notare tra i due racconti una curiosa contraddi-
zione. In entrambi figura un re, che è causa indiretta della morte dell'uoma
portentoso; ma nell'uno questi muore perchè tolto fuor dell'acqua; nell'altro,
perchè costretto ad andare sino al fondo di essa. La coppa d'oro o d'argento
è estranea ad entrambi, ma non assolutamente esclusa dal silenzio di Gervasio.
Dai due racconti si può rilevare che la leggenda era già copiosa di ramifi-
cazioni e di fronde, e che più di una versione ne correva tra il popolo.
(1) Be Nttgis curialium, dist. IV, e. 13, De Nicolao Pipe homine aequoreo, ed. di T. Wright,
Londra, 1850. Liebrecht, Zur Tolkskunde, Heilbronn, 1879, pp. 49-50.
(2) Ap. Leibnitz, Scriptores rerum brunsvicensium , t. I, p. 921. Liebrecht, Des Gervasius
von Tilbury Olia imperiaìia, Hannover, 1856, pp. 11-12.
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 267
E probabilmente ad una versione diversa dalle due riferite dal Mapes e
da Gervasio accenna un trovatore provenzale, che in una delle sue canzoni»
detto come non sappia togliersi dal suo amore, sebbene sappia di dovervi
trovare la morte, si paragona al nostro Nicola, dicendo:
Tais estand cnm Nichola de Bar
Qne Ai Tisqaes Ione temps savis hom fora,
Qn'estet grana temps mest los peissos en mar
E sabia que i morrìa qnalqn'ora,
E ges pertant no volo venir en say,
E si 0 fetz, tost tornet morir lay,
En la gran mar don pueys non poc issir,
Enans i pres la mort senes mentir (1).
La leggenda è dunque certamente anteriore a Federico II, ma si viene
spostando, e legando successivamente al nome di vari principi, caso certo
non nuovo nella storia delle leggende. Il Mapes la lega a uno dei due Gu-
glielmi (1154-1166, 1166-1189) (2); Gervasio a Ruggero, primo conte di Sicilia,
poi re di Sicilia e di Puglia (1101-1154): altri poi la legheranno ad alcuno
degli Aragonesi. Non mi pare improbabile che al nome di Federico II la
leggenda sia stata legata, con le intenzioni ostili che si vedono nel racconto
di Fra Salimbene, da avversari suoi, che potrebbero essere quei minoriti
medesimi che il frate cronista ricorda. S'intende poi come, tal legame con-
tratto, la leggenda non potesse, stante la celebrità di Federico II, cosi facil-
mente prosciogliersene; ond'è che i più degli scrittori che la riferiscono in
seguito, la lasciano a quel nome legata. Tra i molti merita uno speciale
ricordo Fazio degli liberti, il quale vi accenna nel Bittamondo a questo modo :
Quel eh' io dico or nota e non sii soro :
Per dar esempio a molte lingue adre,
Che dan crude bestemmie ai figli loro,
Nicola bestemiato dalla madre,
Ch' ei non potesse mai del mare uscire,
Convenne abbandonar parenti e padre.
E poi volendo al precetto ubbidire
Di Federico, nel profondo mare
Sènza tornar mai su si mise a gire (3).
(1) Facbibl , Histoirc de ìa poesie provengale , t. UI , p. 505 ; Archiv fùr da* Siudium der
neueren Sprachen und Literaturen , t. XXXIII , p. 466 ; Qbioh , Il Patto di San Patritio , in
Propttgnatore, voi. Ili , P. 2a , pp. 74-5. Quella canzone nei manoscritti si trova attribuita a
Raimon Jordan, Perdigon, Raimbant de Vaqueiras, Gui d'Uisel. Da questi versi il Grìon, secondo
l'usanza sua, tolse argomento alle più arrischiate congetturo. Secondo lui, Nicola potrebbe easer»
tutt' uno con San Nicolò di Bari , protettor dei marinai , e potrebbe esser perito in qualche le-
mota spedizione nell'Oceano. Può darsi che Nicola fosse propriamente di Bari : a ciò non contrad-
dice Gervasio facendolo pugliese. Fra Salimbene e Francesco Pipino Io vogliono siciliano ; altri ,
più tardi, lo fecero napoletano.
(2) n Wright crede sia Guglielmo II; ma non si può provare.
(3) L. II, e. 27. Nel suo inedito commento al Ditìamondo, Guglielmo Capello ripete ìb sostuua
il riicconto di Francesco Pipino, ma con particolarità che lascian credere avere egli attinto, piot-
268 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
Notisi che della maledizione materna qui ricordata, e di cui danno parti-
colareggiato ragguaglio Fra Salimbene e Francesco Pipino, non è indizio nei
racconti del Mapes e di Gervasio e nell'accenno del poeta provenzale. Ciò
dà buono argomento a credere, che essa non entrasse nella leggenda se non
più tardi; entratavi poi, dovette conferire assai efficacemente alla diffusione
della leggenda medesima. Notevole, a tale riguardo, è il cenno con cui
Francesco Pipino chiude la sua narrazione; ma temo che s'inganni il sig. G.
quando da essa trae argomento a sospettare non so quali trasformazioni
della leggenda nella bocca del volgo (p. 9). Le madri dovevano ricordare ai
loro figliuoli il nome di Nicola Pesce, non come quello di una Mormo, o di
un Orco, non come uno spauracchio propriamente, secondo immagina il
sig. C, ma piuttosto come un esempio memorabile delle triste conseguenze
a cui conduce la disobbedienza.
Il sig. G. confessa di non aver trovato, dopo quelle due che reca in prin-
cipio, altre notizie della leggenda sino al Cinquecento ; poi cita un passo della
Siracusa pescatoria di Paolo Regio, stampata in Napoli nel 1568, ricorda
una Relazione in ispagnuolo, stampata in Barcellona nel 1608, e che egli
non potè vedere; riferisce il racconto inserito dal famoso gesuita padre Kircher
nel suo Mundus suhterraneiis , e basta. Ma c'è ben altro, e il sig. G. era
almeno in obbligo di non ignorare ciò che di Nicola Pesce dicono alcuni
autori napoletani. Ecco qui una indicazione sommaria di autori e di libri
che ne parlano: Riccobaldo da Ferrara, Compilatio chronologica; Giovanni
Gobio o Juniore, Scala coeli; Chronica ahreviata de factis civitatis Parmae;
Raffaello Volaterrano, Commentarti urbani; Gioviano Pontano, De imm,a-
nitate e carme latino Be Cola Pisce; Alexander ab Alexandre, Geniales
dies; Tommaso Fazello, De rebus siculis; Giulio Gesare Scaligero, Exer-
citationes; Pietro Mexia, Sylva de varia leccion (1); Gasparo Bugati, Historia
universale; Simone Majolo, Bies caniculares; Tommaso Porcacchi, Le isole
più famose del mondo; Giovanni Pretorio, Anthropodemus plutonicus;
Happel, Relationes curiosae; Benito Geronimo Feyjoo, Theatro universal.
E altri molti ce ne sono; ma già in questi si può vedere come la leggenda
si andasse variando via via, sin oltre il mezzo del secolo scorso. Nel poemetto
del Pontano fa irruzione tutta la mitologia (2).
E ora che cosa pensare della leggenda in sé stessa? Ha essa, o meno, una
origine storica? Non è punto improbabile che l'abbia. Notisi che l'appellativo
di Pesce non vien fuori se non più tardi; Gualtiero Mapes parla di un
Nicola Pipe (Pipi = Pepe?) e Gervasio di Tilbury di un Nicola Papa, e non
mi par buona congettura il pensare che quel Pepe o quel Papa sia altera-
tosto che dal cronista bolognese , da un' altra fonte , a cui anche questi per avventura farebbe
capo. In luogo di una o di due, il Capello fa scendere tre volte nel mare Nicola, che dice nativo
di Pozzuoli.
(1) Libro divulgatissimo e nel Cinquecento tradotto anche in italiano.
(2j Vedi per altre notizie un articolo inserito nella Augsburger aUgemeine Zeitung [Beilagé) ,
anno 1881, ni 306, 307, e H. Ullkich, Beitràge tur Geschichte der Tauchersage, Progr., Dresda,
1884. Avvertasi di non confondere con la nostra leggenda un» stori» popolare francese du plon-
geur, intorno cui vedi un articolo nella Mélusine, II, 5.
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 269
zione di Pesco,' giacché, di regola, i nomi non si alterano in guisa che ad
una forma più familiare (e per giunta, qui, troppo ben ricordata dai fatti
che si narravano), se ne sostituisca un'altra che è meno. Perciò Pepe o
Papa potrebbe essere benissimo un vero e proprio cognome, e la leggenda
avrebbe potuto formarsi a questo modo. Nel duodecimo secolo ci sarebbe
stato in Puglia, o in Sicilia, un notatore non meno valente che ardito, per
nome Nicola Pepe o Papa. Di costui si cominciarono a raccontar cose mi-
rabili, poi, con porlo in relazione sempre più stretta e continua col mare,
teatro delle sue imprese, con attribuire al suo corpo qualità richieste appunto
da un siffatto commercio, si cominciò a confondere l'uomo col mostro, l'uomo
terrestre con quell'uomo marino, di cui sotto vari nomi si trova fatto ricordo
in certi trattati del medio evo, e del pieno Rinascimento. Odasi come descrive
una delle varietà dell'uomo marino, il così detto monaco, Gotofredo da
Viterbo nel Pantheon (1), parlando del mare:
Piscis ibi monachas, sen forma monastica crescit :
Fertquo cucnllatnm per maris alta capat.
Calceus est illi confonnis et ampia cncnlla,
Tarn bene dìsposìta, qna non foret aptior olla;
Et qaasi vox bominis garrnla lingua satis.
Frons, manna, et vultus, bominnm moderamine fultos
Dam facit insnltus, reboatque movetene tumnltas,
Mergere navicnlas saepios arte parat.
Salvo la ostilità delle intenzioni, ciò ricorda quanto la leggenda narra
delle apparizioni di Nicola ai naviganti. Gotofredo parla di una voce simile
a quella dell'uomo; nxa il mostro poteva giungere ad appropriarsi lo stesso
umano linguaggio. Ludovico Vives parla di un uomo marino catturato in
Olanda, il quale cominciò a parlare dopo due anni di cattività (2). Del resto
il Mapes chiama appunto Nicola hominem aequoreum , e dice che poteva
vivere lunghissimo tempo senza respirare, e anzi che non poteva vivere fuori
dell'acqua. Il Pontano poi dice Nicola fatto simile a un mostro del mare, li-
vido, squammoso, orrido, e nell'opuscolo spagnuolo citato dal sig. C, e più
sopra ricordato, la fusione dell'uomo col mostro è interamente compiuta,
giacché di Nicola Pesce si dice che es medio hombre y medio pescado. Può
darsi inoltre che nella leggenda di Nicola abbiano in qualche modo influito
lontane ricordanze dei miti di Nereo e dei Tritoni, non in tutto spente forse
allora sulle coste dell'Italia meridionale; ma intorno a ciò nulla si può dir
di preciso : bensì parrai da dover notare che quella leggenda ha riscontri in
altre leggende affini di notatori celebri, per esempio in quella del danese
Niclas, di cui narra il Pontano che passava la più parte del suo tempo nel
mare.
A. Graf.
(1) P. 1», ap. Stedvio, Scriptores, t. II, P. I, p. 29.
(2) De veritate fidei christianae, 1. II.
270 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
VITTORIO GIAN. — Un decennio della vita di M. Pietro Bembo
{1523-lo31). — Appunti biografici e Saggio di sludì sul
Bembo , con Appendice di documenti inediti. — Torino ,
E. Loescher, 1885 (8», pp. xvi-240).
« I venti anni che corsero dal 1519 al 1539, dal momento in cui il Bembo
« abbandonava la corte romana come prelato a quello in cui vi tornava come
« cardinale, sono i più belli della sua vita, sono quelli in cui sta più ad
« agio la sua natura di letterato e di uomo. Ammirato e riguardato da tutti
« come maestro: tutto intento ai suoi studi di poesia, di lingua, di numis-
« matica, di storia e perfin di botanica; consultato dalla Signoria veneziana
« sui miglioramenti da introdurre nell'Università padovana : egli se la viveva
« circondato da una schiera d'amici e di corteggiatori, che gli faceano cre-
« dere trasferito al suo Nonianum (Villa Bozza, presso S. Maria di Non) il
« centro degli studi umani d'Italia. Questa era l'opinione de' ben pensanti.
« Che se qualche temerario, quale il Broccardo, si permetteva di dubitare
« che i sonetti del Bembo fossero degni del Petrarca, o in altro modo qua-
« lunque offendesse l'idolo comune, erano anche pronti i più battaglieri fra
« gli amici di lui, a schiacciarlo sotto i vituperi. Pietro Aretino si vantava,
« infatti, d'aver fatto morire di vergogna il Broccardo.
« Ma la vanità soddisfatta e la tranquilla agiatezza della vita dedita agli
« studi prediletti, non erano il solo argomento della sua felicità. Affetti più
« intimi e più sacri, quelli di padre e di quasi marito, gli rivelarono nuove
« fonti di godimento, anche nei modesti e talvolta angusti recessi della
« propria casa ».
È un decennio di questo periodo, così tratteggiato maestrevolmente dal
Ganello (1), che il Gian ha preso ad illustrare: presentando il suo libro come
« un primo contributo modesto » al minuto e diligente lavoro di prepai'azione,
che rimane ancora in gran parte a fare per una monografia completa sul
Bembo. La scelta per uno studio parziale non poteva esser migliore : né l'oc-
casione più adatta a discorrere l'operosità letteraria del B., e fissare i tratti
più marcati del suo carattere. Per la modestia del titolo, e per le ripetute
dichiarazioni dell'A. che non ha inteso « di fare un libro nel vero senso
« della parola, e molto meno un libro foss'anche in piccola parte definitivo »,
sarebbe ingiusto muovergli addebito di quanto v'ha nel suo saggio di fram-
mentario e manchevole; né parimenti è, crediamo, da insistere su' difetti
inseparabili da ogni pubblicazione giovanile, e che l'A. per primo arguta-
mente confessa, poiché da questo importante contributo si può già avere
affidante promessa di lavori più equilibrati ed organici , in cui la disposi-
zione de' materiali abbia più lucidità , più rilievo , sia men faticosa e più
(1) Storta della leti. it. nel sec. X71, Milano, VaUardi, 1880, p. 74.
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 271
agile e sobria la trattaziono. Per ora piace constatare le felici attitudini del-
l'A. alla ricerca; l'ardore, l'entusiasmo anzi che egli vi porta; la larga co-
noscenza della letteratura dell'argomento; l'esattezza e l'acume critico non
comuni. E i risultati che espone, i nuovi documenti che produce, sono, come
vedremo, del maggior interesse.
Nel lasciare la corte dì Leone X, prevenendo di poco la morte del Papa,
il Bembo era stanco e disilluso : alle speranze ambiziose, che gli avevan fatto
concepire i favori di Giovanni de' Medici appena salito al Pontificato, l'av-
venire non aveva risposto: sulla via di quella rapida fortuna, che aveva va-
gheggiato sicura, s'era troppo presto fermato, quasi a' primi passi. La dignità
cardinalizia, a cui il B. maggiormente mirava, gli era per allora mancata;
e i lauti benefici ottenuti da Leone X, da' quali doveva ripetere più tardi il
suo tranquillo soggiorno di Padova, in una posizione indipendente ed agiata,
gli parevano, nel cruccio dell'ambizione fallita, scarso compenso al sacrificio
fatto della sua libertà per tanti anni , all' interruzione forzata degli studi.
La morte del padre, avvenuta nel 1519, aveva inoltre imposto al B. nuove
cure, nuovi doveri: ed egli che apparentemente aveva chiesto al Papa tem-
poranea licenza, per provvedere alla scossa salute e agli interessi familiari
intricati, lasciò dunque Roma nel 1521 con l'animo di non più tornarvi, salu-
tando finalmente con gioia la propria liberazione. Padova gli si ofiriva come
« città di temperatissimo aere, in sé molto bella, e sopratutto comoda e ri-
« posata, ed attissima agli ozi delle lettere, quanto altra giammai, anzi
« pur molto più »; e là, nella sua ridente villetta, il B. decise di stabilirsi
per sempre. Senza contare qualche rara gita a Venezia, infatti, in questi
dieci anni illustrati dal Gian, il B. si mosse sole due volte dal suo ritiro:
nel 1524 per recarsi ad ossequiare il nuovo Pontefice di casa Medici, sostando
brevemente a Bologna, dove l'avevano attratto la piacevole compagnia del-
l'amico Molza (1), e le grazie gentili di Gamilla Gonzaga; nel 1529 per ti"o-
varsi ancora a Bologna, fra la società fiorita e brillante che vi aveva richia-
mato il convegno del Papa con l'Imperatore.
Alle vicende politiche non concedeva ormai più che uno sguardo distratto :
felice di esser fuori da ogni molestia di pubblici affari, nel fecondo e geniale
raccoglimento della vita privata. Aveva con sé la Morosina, la bella giovi-
netta conosciuta a Roma, che di questi anni (1523-25-28) lo fece padre di
Lucilio, Torquato, Elena (2): aveva quel Cola Bruno, amico prezioso che riu-
niva le qualità di amministratore accorto e provato e di arguto censore let-
(1) L'À. lascia indeciso (p. 26) so il Bembo rivedesse il Molza a Bologna od a Roma: ma l'in-
contro arrenne certo a Bologna, perchè il Molza non ne parti che nel marzo del 1525. Ercole
Gonzaga lo presentava a sua madre Isabella d' Este , che era allora in Roma, con qoesta lettera
(Bologna, 13 marzo 1525): « Il Molza virtuosissimo giovane viene a Roma, e ben ch'io so che
« senza raccomandatione la vede molto voluntieri li homini dotti, pur non dubito punto che per
« mio rispetto la non li faci anchor maggiore ciera, s) per esser lui meritevole, sì per amor mio.
« Lo raccomando adunque a V. Exc. non in altro se non in vederlo voluntieri , scriverla anchor
< più circa ciò se io non sapesse che lai per so stesso sforxerk lei e tntti li soi a farli carezze »
(Ardi. Gonzaga).
(2) Sulla quale vedi Nebi, Passatempi letterari, Genova, 1882, pp, 33 agg.: e tra* docniaenti
del Saggio le tre lettere del B. dirette a lei (XXIX, XXX, XXXI).
272 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
terario (1). S'era così formato un piccolo mondo di affetti, che il Gian descrive
accuratamente, mostrando quanto il B. fosse sollecito pe' suoi nepoti, e po-
nendo bene in luce le sue relazioni con la Morosina. La figura di lei rimane
sempre in una penombra discreta, ma è evidente la trasformazione che si
venne operando di questi anni nella vita intima del Bembo, per cui l'amante
di Roma s'elevò a fedele e rispettata compagna, malgrado l'equivoco d'una
irregolare unione. Vi eran tutti gli elementi necessari' a costituire la famiglia ;
non mancava che la sanzione del rito, per cause tanto facili a intendere
quanto ardue a rimuovere, e il Bembo dovè farne a meno, senza che ciò ral-
lentasse in lui i legami dell'affetto e del dovere, né la morale contemporanea
vi trovasse nulla a ridire.
Su questa vita serena, solo talvolta turbata da momentanei imbareizzi eco-
nomici, getta un'ombra sinistra il tentato avvelenamento a cui il Bembo
scampò per sua somma ventura nel 1530; e questo fatto, rimasto ignoto o
mal noto a' precedenti biografi , è pienamente chiarito dal Gian. Lo scel-
lerato attentato fu commesso da un nipote del B., Garlo, bastardo di suo
fratello Bartolomeo: giovane scapestrato, che rispondeva con sì mostruosa
ingratitudine alle cure affettuose dello zio. Fu ordinata subito dal Senato la
più attiva inquisizione sul fatto (doc. XXXIX): e poiché Garlo era scappato
a Roma, il B. indignato dal suo cinico contegno, si fece a chiedere un breve
papale, che autorizzasse a procedere contro di lui. L'animo buono del B. non
resse però a lungo ne'propositi di giusto castigo contro il malvagio : e sembra
che tutto fosse sopito, né il procedimento avesse più corso. Il Bembo, pro-
fondamente commosso da quell' avvenimento , riprese bentosto la sua tran-
quillità e le sue occupazioni: e il 1530 segna una data memorabile per la
bibliografia delle sue opere, che vennero allora raccolte in tre volumi, pe' tipi
de' fratelli da Sabbio (pp. 157 e sgg.).
Alla sua attività letteraria è dedicata la parte principale del Saggio; e
l'A., dopo aver toccato delle abitudini non mai interrotte dal Bembo di
compor versi, squisitamente elaborati e fin tormentati nella forma (2); dopo
(1) Prova eloquente del grande affetto e della piena fiducia che il Bembo aveva per Cola, si ha
dal suo testamento del 1535 , che TA. ha per la prima volta pubblicato (doc. VI) insieme alle
variazioni del secondo testamento del 1544 (doc. VII).
(2) L'A., parlando delle prime stampe di rime del B., dice d'aver invano ricercato quel Fioretto di
cose nuove nobilissime ecc., ed. dal Zoppino nel 1508, citato dal MazzucheUi nella bibliografia del B.
Ne abbiamo visto un esemplare nella Bibl. Angelica di Roma (ER. 3. 17), e se la nostra annota-
zione è esatta, nulla conterrebbe del B. — Il Gian rileva poi un fatto finora presso che inavver-
tito, che cioè dopo la morte del B. si tentò più volte di far mettere all'indice le sue rime (p. 46).
Il fatto è tanto più strano perchè in data 3 dicembre 1547 era stato concesso da Paolo III un
amplissimo privilegio al Gualteruzzi per la stampa di tutte le opere del B. Di questo breve a
stampa, di cui troviamo una copia nell'Arch. Gonzaga, ecco le prime linee: « Cum sicut dilectus
« filius Carolus Gualterutius fiinensis nobis nuper exponi fecit, ipse diversa opera latina et graeca
« ac etiam materno sermone scripta per bo: me: Petrum Card. Bembnm composita, sicut ab eodem
« Cardinale in ejus ultima voluntate eidem Carolo demandatum fuit, ad publicam literatorum ho-
« minum commoditatem imprimi facere intendat , nos eiusdem Caroli precibus super hoc humi-
« liter porrectis inclinati , ob memoriam etiam ipsins Petri Cardinalis doctissimi et eruditissimi
« viri, omnibus et singulis Librorum impressoribus et Bibliopolis inhibemus ecc. ».
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 273
aver accennato al carme latino, Benacus., uscito del 1524, e dedicato al Giberti,
prima che si guastassero per la badia di Rosaccio (1); ptissa alla pubblica-
zione delle Prose della volpar lingua, avvenuta nel 1525. L'anno innanzi
ne aveva presentato, in omaggio a Clemente VII, un esemplare manoscritto;
e per la stampa il B. aveva ottenuto dalla Signoria di Venezia un privilegio
(doc. XV), che non impedì punto uscisse di li a poco, con suo molto sdegno,
una sfacciata contraffazione (doc. XVI, XVII). È noto che per le Prose, Pel-
legrino Morato, il padre della celebre Olimpia, sorse ad accusare il Bembo
di plagio a danno del Fortunio; e il Bembo irritato protestò con una lettera
a B. Tasso, in cui s'offriva a mostrare un libretto d'annotazioni, dove da
tempo — prima che il Fortunio « sapesse ben parlare , non che male scri-
< vere» — aveva in embrione gettato le idee fondamentali dell'opera. Il
Gian avvalora quest'affermazione, seguendo passo passo la composizione delle
Prose; sin da quando cioè, ne balenava al Bembo, nel 1500, tra il fervore
d'una passione amorosa, il primo concetto, che poi riprese e maturò nel non
breve soggiorno di Urbino. Un'importante lettera al Ramusio (doc. XIII), ci
mostra che già nel 1512, il Bembo aveva composto il primo libro del suo
Dialogo volgare, come allora intendeva intitolare le Prose. Era perciò na-
turale che si risentisse vivamente dell'accusa del Morato : e questi ebbe cer-
tamente a ricredersi, poiché come notò il Bonnet (2) — e il Gian ha ommesso
di ricordare — pochi anni dappoi il Bembo rendeva grazie al Morato di al-
cuni versi « pieni di spirito non meno che eleganti » (3), composti in sua
lode. — Men chiara riesce la cagione de' disgusti, che, pure per le Prose,
il B. ebbe con Vincenzo Calmela. Deve credersi col Seghezzi che costui
avesse rubato al Bembo « le abbozzature delle Prose »? Lo si può supporre
dalle cautele che il B. raccomandava a' suoi amici, nel comunicar loro i
primi libri dell'opera, perchè nulla trapelasse delle idee che vi eran svolte :
dicendo che in ogni luogo non mancavano Galmeti (p. 51). Ma intorno a
questo particolare mancano gli elementi necessari per un sicuro giudizio ; e
cosi pure non possiamo stabilire se il B. abbia o no esposto esattamente, nel
primo libro delle Prose, le opinioni che combatte del Galmeta, circa l'origine
e il carattere della lingua cortigiana (4). Il Castelvetro accusò addirittura
il B. d'averle svisate in malafede; ma la sua animosità personale insistente
scema valore all'accusa. Il libro del Galmeta sulla volgar poesia non fu mai
(1) Interessanti sono le lettere del B. (doc. XIX, XX, XXI) pnbblicate dal Gian so questa con-
troversia. La condotta del Oiberti non fa in qneiroccasione molto corretta, e il 6. ne lo redargn)
con insolita asprezza , dolente di vedersi sfuggire ana buona prebenda e peggio anche di esser
burlato dal Datario. Si direbbe che l'Aretino , il quale tra l'altre accuse atroci contro il Oiberti
gli lanciava pur quella d' una avidità insaziabile nel beccarsi benefizi , non avesse in ciò tutti i
torti. (Cod. Marc, It. ci. X. n. XL: P. Aretino a Gian Matthto mulo vescovo di Verona tnd*-
gnamente). Nondimeno, il Bembo e il Oiberti , qnalch' anno dopo, si rappattumarono: ed eniio
Teramente degni di amarsi e stimarsi a vicenda.
(2) Yila di Olimpia Morato (trad. it. di Massimo Fabi), Milano , 1854, p. 3).
(3) Peregrini Morati carmina quaedam latina (Venezia, 153S); Bbioi, Spisi. famU., lib. TI,
p. 654 (giugno, 1534).
(4) Filippo Oriolo da Bassano, in un poema sconosciuto, Il Momti Pamato — contenuto in un
OiomaU storico, VI, fase. 16-17. 18
274 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
pubblicato, e già a tempo del Gastelvetro e del Barbieri (p. 53), non pare ne
rimanesse più che un semplice riassunto. Perdita invero non molto rincre-
scevole, per chi conoscendo i suoi gonfissimi versi, e avendo avuto occasione
di vedere qualche sua lettera spropositata (1) , non può facilmente immagi-
nare nel Galmeta un trattatista autorevole in cosi gravi questioni.
Sul Bembo neo-latinista — cioè raccoglitore e studioso di codici proven-
zali, di rime e prose antiche volgari — l'A. dà i risultati più notevoli degli
studi moderni: e al suo diligente riassunto crediamo che per ora, senza
nuove esplorazioni, resti ben poco da aggiungere. Il Gian ribatte anzitutto
l'insinuazione del Gastelvetro, che il Bembo si desse l'aria di conoscitore
della poesia trovadorica, senza intendere il provenzale: ma rimane indeciso
circa r as.serzione del Gastelvetro, che tutti i libri provenzali del B. erano
pervenuti in sua mano. Ora il Sandonnini ha dato il catalogo (2), sfuggito
al Gian, de' libri del Gastelvetro: da cui risulta che in tutto e per tutto pos-
sedeva soltanto « una vacchetta di versi provenzali in membranis » — un
« dizionario spagnuolo provenzale a penna in membranis » — e un « Seba-
stiano Brand (?) poemi provenzali »; e tanta povertà di libri provenzali , in
una biblioteca assai ricca per un privato, induce certamente a credere che
il Gastelvetro affermasse il falso circa il passaggio de' codici del B. in sua
proprietà. Fatto è che fra' posseduti dal Bembo, quello esistente alla Nazionale
di Parigi era tale che, se anche il B. non n'avesse studiato altri, «egli
« avrebbe già potuto dir di conoscere una parte non piccola del patrimonio
« poetico dei trovatori » (Saggio, p. 77); e il Gastelvetro, che pretendeva d'a-
vere tutti i libri del B., non pare possedesse né conoscesse questo , né che
molto di più avesse del proprio. — Le sue denigrazioni astiose non possono in
nulla detrarre, che il Bembo sia stato col Golocci de' primi e più benemeriti
iniziatori degli studi neo-latini. Anche il Golocci, oltreché di poesia porto-
ghese, s'occupò di poesia provenzale: e l'A., a conferma d'una notizia del-
l'Ubaldini, produce un documento mantovano (XXIII), che prova come il
letterato jesino avesse da' Gonzaga un codice in prestito. Un documento an-
teriore non conosciuto dal Gian, e che ci pare importante pubblicare (3), ci
cod. del Campori — da cui l' A. ha tratto nna interessante rassegna de' poeti più famosi del
tempo (doc. XL ed ultimo) riassume, cosi, in due versi la teoria del Calmela circa la lingua volgare:
V'era il Calmela cruccioso in vista,
Ch'esser dicea la volgare poesia
Nata da lingua cortigiana mista.
(1) Se ne ha qualcuna importante storicamente nell'Arch. Gronzaga.
(2) T. SAKDOimnii, L. Gastelvetro e la stia famifilin, Bologna, 1882, pp. 314 sgg.
(8) È una lettera scritta a nome del march. Federico Gonzaga all' ambasciatore mantovano
a Roma {Reg. Liti. Reserv., lib. 36): « Havendo noi inteso che Mario Equicola già nostro se-
« cretario altre volte prestò al M.co m. Jo. Zorzo Tressina alcuni libri in lingua lemosìna
« eh' erano parte della nostra libraria et parte ni erano sta donati dal p.to Mario scrivessimo
« questi dì passati una lettera al p.to m. Jo. Zorzo (cfr. Giornale, III, 102, n. 8), credendo
« che fosse a Vicenza o a Yenetia , pregandolo che ni volesse far bavere ditti libri ; et in
« sua absentia fu aperta la ditta lettera per suo figliolo , havendogli cosi detto il correrò da
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 275
permette di stabilire che non quel solo codice provenzale, ma altri parecchi
dovè il Golocci avere da Mantova; e precisamente gli stessi già dati in pre-
stito al Trissino. E qui si affaccia una congettura, a nostro avviso, assai
plausibile: il Rembo che era nello migliori relazioni co' Gonzaga, e amicis-
simo dell'Equicola — tantoché in una letterina pubblicata dal Gian (doc. Ili)
si firma Vantico amico e fratello, e dall'Equicola poi veniva a titolo d'onore
ricordato fra' più celebrati poeti nel Libro di Natura d' Amore (i) — il Bembo,
non meno appassionato del Golocci e del Trissino in ricercar libri, non do-
vette procurarsi anche prima di loro da Mantova, que' codici liberalmente
concessi a' suoi due confratelli ? Hlgli fu a Mantova nel 1505 (2), vi tornò
nel 1519 per una missione affidatagli da Leone X (Saggio , p. 6 e doc. II),
e potè di persona esaminare il valore di que' codici provenzali , di cui l'E-
quicola nella Natura d'Amore, mostra aver fatto profondo studio, per modo
che tra' provenzalisti del Ginquecento a lui spetta una parte cospicua , fi-
nora poco più accennata (3).
Ma naturalmente più che alla poesia trovadorica, le indefesse ricerche del
« parte nostra , et per il medesimo ni fu risposto che non sapeva dora fossero , che sao patre
« li potria forsi bavere a Firenze od a Roma dorè ha li altri libri. Hora che semo arisati ,
« il p.to m. Jo. Zorzo esser lì in Roma , volerne che voi gli dimandati da parte nostra li ditti
« libri et le pregate che ne li roglìa far bavere , et harendoli li re li roglia consignare a voi ,
* che ni farii piacere grandissimo, et ogni volta che li bisognaranno et qaesti libri et altre com
« che habbiamo per lui li potrà bavere a sno piacere, perchè siamo per fargli piacer sempre per
« l'amore che gli portamo per le virtù sue. Et havendoli lì semo contenti che li prestate al
« S.r Benedetto Porto per compiacerne m. Angelo CoUoccio che li faceta tratucrivere, consignan-
< doli ditti libri ad uno ad nno, cioò quando ve ne restituisca uno li ne dareti un altro et prò-
« cnrarete di ricuperarli copiati che saranno... Mantuae, 4 die. 1525 ». — Nella lettera pubblicata
dal Clan, l'ambasciatore mantovano scrive da Roma (4 loglio 1526) , che si rimandi la ricernta
rilasciata dal Colocci per il codice « che se li imprestò a questi di > ed è lecito quindi argùre
che ne' mesi corsi dal dicembre 1525 al luglio 1526 il Colocci avesse copiato tutti gli altri : e
questo, tenuto solo per pochi giorni, fosse l'ultimo.
(1) Libro di natura d'amore di Mario Equicola novamtnte stampato et con somma diltgencia
corretto (Venezia, Fratelli da Sabbio, 1526). — Dc^o Dante , Cavalcanti , Boccaccio , Petrarca ,
Jean de Meung ed altri illustri poeti, di cui riassume il concetto d'amore, l'Eqnicola pone il s*to
Bembo e giovane di interissimi costumi, iu studio di lettere clarissimo », e si scaglia contro gli
ignoranti che « de li Asolani non potendo le rime dannare per essere laodatiasime , tepidamente
« ne ragionano ».
(2) Fu allora che la marchesa Isabella incaricò il Bembo di suggerire a Giambellino il soggetto
d'un quadro che &cesse degnamente riscontro ad opere del Mantegna e di altri maestri, che il B.
avea visto nello studiolo di lei (p. 107). — Il Cian pubblica in proposito un' altra lettera ddila
Marchesa al B. (doc. XXVI), in cui v'ha qualche liere errore di trascrizione: così leggasi $«niird
^T'sentia, e lavoreri, che è forma dialettale, in luogo dì lavoriti.
(3) Snll'Equicola ha dato poco fa alcune notizie il sig. Emilio Facili nella Domenica del Fra-
cassa (anno II , no 31) ripetendo parecchi errori inveterati. L' Equicola morì nel loglio 1525 e
non nel 1530 (cfr. Rivista st. tnant., I, 12, n. 3): perciò il libretto D. Isabella* Estensi» Mem-
tuae Principis Iter in Narbonenscm GalUam per JKarium Aequicolam (s. a. n. 1.), si riferiaee •
un viaggio di molto precedente a quello del 1532. Yi è infatti nominato come fiinciullo Fededco
Gonzaga figlio d'Isabella , nato nel 1500. — Il Faelli dimentica infine l' illostrazioiM &tta 4al-
l'Equicola dell'impresa d'Isabella Estense nec sp* n*c metM. — L'Eqnicola fa paieochio tempo la
Francia : e da ciò la grande conoscenza che potò procararsi delle doe letteratue, e Pacqaiito di
codici provenzali da lui poi donati al Gonzaga.
276 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
Bembo, come del Colocci, dovevano volgersi agli antichi monumenti del
nostro volgare: e TA. passa in rassegna i codici ormai famosi che il B. ha
studiato e posseduto (pp. 79 e sgg.); accenna alla stampa del Novellino, a cui
tanto contribuì, esortando il Gualteruzzi a intraprenderla (1); e si ferma di
preferenza sull'edizione aldina del Petrarca, procurata dal B. nel 1501, circa
la quale l'A. riprende la questione dibattuta, se veramente fosse condotta
sopra un autografo del Petrarca. — ''Che il Bembo possedesse autografi fram-
mentari del Canzoniere, non è messo in dubbio da alcuno: e in una lettera,
che il Gian ricorda altrove men a proposito (p. 137;, il B. scriveva d'aver
riposti in una elegante borsa donatagli « i fogli di quelle poche rime di
« mano del P. » che aveva , aggiungendo che quella « tasca », per quanto
« bella e vaga », non avrebbe potuto esser mai << convenevole a bastanza »,
per il prezioso tesoro che conteneva. Come tutti sanno questi pochi fogli ,
passati dal B. a Fulvio Orsini, si conservano nella Vaticana. — Ma altro è
che il Bembo per l'edizione aldina avesse potuto realmente disporre dell'in-
tero autografo del Canzoniere; e l'esplicita affermazione di Aldo a tale ri-
guardo ha trovato anche oggi, come allora, molti increduli. Ora il Gian reca
suir edizione aldina un' importante testimonianza , tratta da una lettera di
Lorenzo da Pavia ad Isabella d'Este : lettera pubblicata già dal Baschet (2),
ma sfuggita al Garducci e al Borgognoni. Lorenzo da Pavia, uno de' più
« eccellenti et ingegnosi maestri » (3) nel fabbricai- strumenti musicali, era
un intelligente ed attivissimo corrispondente artistico della Marchesa di Man-
tova: e, mentre Aldo stava preparando la stampa del Petrarca, Lorenzo ne
dava notizia all'illustre principessa, dicendo che si era avuto da un padovano
l'originale del P. ed egli stesso l'aveva visto ed «auto in mane». A nome
certamente d'Aldo soggiungeva che la prima copia e la più bella, sarebbe
stata per la Marchesa, onde avere « bono augurio de fare de gran bene
« de dita opera ». Isabella d'Este ebbe infatti, non un solo, ma due esemplari
del Petrarca aldino, che le costarono carissimi (4), e superbamente rilegati.
(1) Gio. Fr. Valerio, amico del Bembo, scriveva da Venezia a Isabella d'Este il 24 nov. 1511:
« n gentile m. Pietro Barignano presente exhibitore dimanderìi per mio nome a V. Ex. dui testi
« delle cento Novelle antichi ; l'uno ne vidd'io nella grotta, l'altro che è il migliore nel camerino
« di m. Znan Jacomo Calandra in carta bona , per il che quanto più posso riverente supplico
« V. S. si degne prestarglimi tnttadna a fine che per pochi giorni io me ne possa servire in uno
« mio bisogno che tuttavia ho fra le mani » (Arch. Gonzaga). Qual era questo bisogno?
(2) Aldo Manutio, Lettres etdocuments, 1495-1515; Venetiis, ex aed. Antonellianis, MDCCCLXVIl
(160 esempi, fuori commercio).
(3) Così lo chiama fra Sabba da Castiglione nel CIX de'suoi Ricordi, Mantova, Osanna, 1594,
p. 221; cfr. Baschet, Op. cit., p. 11 n. e Appendice 2a.
(4) Baschet, p. 74. — Al Baschet è sfuggita questa bella letterina della marchesa di Mantova,
che respingeva, perchè troppo cari, alcuni libri di Aldo {Copialett., lib. 18). — « M. Aldo. Li
« quattro volumi de libri in carta membrana che ne ha veti mandati al judicio de ogniuno sono
« cari dil doppio più che non valeno : havemoli restituiti al messo vostro, il qual non ha negato
« esser il vero, ma scusatovi che li compagni vostri non ni voleno mancho ; et oifrendovi che ne
« fareti stampire de li altri , quando vi accaderà et che li dareti per pretio honesto et usareti
« magior diligentia di bavere bone carte et di meglior corectione , havemo gratifichato 1' animo
« vostro et expectarimo de esser servite , offerendoni alli piaceri vostri paratissime. Mant. ult.
« Junij MDV ».
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 277
SI trovan compresi nell'elenco dei libri da lei posseduti (1). È possibile che
Lorenzo da Pavia, il quale viveva tra la più scelta società letteraria ed ar-
tistica di Venezia, e per la Marchesa di Mantova aveva uno zelo e una fe-
deltà a tutta prova, tentasse ingannarla, o parlasse a sproposito, asserendo
d'aver visto lui coi suoi occhi l' originale del Petrarca? Non ci sembra; e
senza pretesa di risolvere tutta la lunga e intricata questione, si può non-
dimeno concludere che, se non un autografo vero, per lo meno un codice
creduto tale in perfetta buona fede, servì senza dubbio per l'aldina del 1501.
Il Bembo non lo seguì scrupolosamente, dacché Aldo stesso in una nota ap-
posta a pochi esemplari (Saggio, p. 96), confessava che «dove bisogno è
« stato » si era « riveduto et racconosciuto •» il testo : e a ciò si deve se
anche tra' contemporanei non si acquetarono del tutto le eccezioni ed i dubbi
sull'aldina.
Oltre i codici volgari, altri importantissimi di classici latini, fra cui quelli
celebri di Virgilio e Terenzio, furono posseduti dal Bembo (pp. 102 e sgg.):
e accanto a tanti preziosi cimelii, la sua casa accoglieva veri tesori d'anti-
chità e capolavori mirabili d'arte. L'A. sulla scorta dell'Awonmo Morelliano,
dà una rapida illustrazione del museo del Bembo (pp. 105 e sgg.): che, se-
condo l'enfatica espressione dell'Aretino, attraeva a Padova, come Roma, dei
visitatori ansiosi « di vedere sì fatti miracoli nei marmi et sì divini esempi
< in figure » (2). 11 B. aveva formato quel Museo, dando prova d'un raro gusto
artistico : e solo il Gellini, con la sua petulanza vanagloriosa, poteva dire che
il B., benché grandissimo nelle lettere « e nella poesia in superlativo grado...
« non intendeva nulla al mondo » dell'arte sua (3).
S'immagina facilmente come la splendida casa a Padova e l'amena villetta
del B. diventassero il convegno di tutti i letterati che erano o passavan nel
Veneto; e a lui specialmente facessero capo i professori più valenti dell'an-
tico Ateneo. 11 B. s'interessava vivamente alle sorti dell'Università padovana,
non tralasciò ogni pratica opportuna per conservarle il Montesdoca, riputato
filosofo (p. 115); e fu largo di valido appoggio al Longolio, dottissimo gio-
vane fiammingo, la cui morte immatura rimpianse con profondo dolore (4).
La Signoria di Venezia non poteva tardare a riconoscere i meriti eminenti
del Bembo; e nel 1530, morto il Navagero, fu destinato a succedergli il B.,
nel duplice ufficio di storico e di bibliotecario della Nicena (p. 173). L'A. ri-
solleva giustamente il valore sin qui disconosciuto delle Storie Venesiane:
la cui forma classica solenne, soverchiamente elaborata su' modelli dell'an-
tichità, ha fatto quasi del tutto perder di vista nel giudizio comune la serietà
sostanziale innegabile del contenuto. Il B. infatti non consultò soltanto i do-
(1) Un esemplare è cosi descritto nell'inventario: « Petrarca in ottavo in carta per^^mmeo»
« stampa d'Aldo coperto di corame negro indorato con li fornimenti d'argento ». L'altro era mea
conserN'ato.
(2) Abetino, L«Here, Parigi, 1609, V, 159.
(3) Cellini, Yiia, lib. I, xciv.
(4) Delle opere del Longolio va ricordata V edisione , fatta nel 1524 , doe anni dopo dalla iva
morte , a Firenze da F. Giunta : perchè contiene nn libro di lettere scrittegli dal Bembo e dal
Sadoleto. — Christophori LongoUi Orationes, Eixisd«m Episiolariim libri qiiatuor, Epitt. Btmbi
et Sadoleti liber %mu».
278 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
cumenti ufficiali che furon messi a sua disposizione, ma insistè per giovarsi
anche dei Diari del Sanudo ; e perciò forse le sue Storie hanno più che altro
il carattere di cronaca, come notava il Ranke (1). Al quale non era passata
inosservata l'importanza delle Storie del B., per le copiose notizie e i difllisi
particolari che altrimenti ci mancherebbero su molti fatti: e nel Ranke il
Gian avrebbe potuto trovare sulla composizione delle Storie parecchie osser-
vazioni acutissime.
Da una lettera del Varchi è curioso rilevare come l'Aretino pretendesse
d'esser stato anche lui ricercato a scriver la storia di Venezia, ma « in lingua
« losca » (2); e il Bembo, a detta del Varchi, si sarebbe compiaciuto di questo
incarico dato a m. Pietro , giudicandolo in questa « come nelle altre cose
«e tutte sufficientissimo », e profferendosi cordialmente ad aiutarlo. Ma
l'Aretino non ne fece più nulla; e il suo nome ci richiama ora alla sciagu-
rata polemica combattuta per il Bembo nel 1531 contro il Broccardo, che
ne usci dilaniato ed infranto. 11 Gian non ha creduto che su quel « putiferio
< letterario » (3), vi fosse nulla d'aggiungere alla narrazione diffusa che n'ha
fatto il Virgili nel suo libro sul Berni; ma veramente noi possiamo after-
mare, che dell'altro non poco resterebbe a dire, come ci riserbiamo di mo-
strare quanto prima. L'A. si è limitato ad attenuare, ed in ciò consentiamo
pienamente con lui, il biasimo che il Virgili fa ridondare sul Bembo, per la
ingenerosa ed atroce vendetta contro il Broccardo. 11 Bembo era stato gua-
stato dalla prona adorazione dei contemporanei, per modo che alla sua vanità
sempre accarezzata doveva parere un crimenlese la più piccola nota discor-
dante; però non può esser imputabile degli eccessi dell'Aretino, a cui pre-
meva di far dello zelo, perchè i servizi della sua terribile penna fossero ben
apprezzati, da chi era ritenuto il supremo dittatore letterario (4). Geme
avrebbe dovuto aver degli scrupoli il Bembo, a cercare la difesa clamorosa
d'un uomo, che ormai s'era imposto con l'arma potente della stampa: e al
quale s'inchinavano non solo principi, letterati, artisti, ma fin donne illibate
come la Golonna e Veronica Gambara ?
Su quella società letteraria, e specialmente sugli amici del Bembo, il Gian
ha dato nel suo Saggio molte notizie, ed ha illustrato ampiamente la ras-
segna de' poeti contemporanei fatta da Filippo Oriolo , che chiude la serie
de' documenti (5). Vediamo cosi passare quasi tutta la folla de' letterati mi-
nori, che componevano attorno al Bembo una corona di ammiratori devoti;
e sui quali allora parve levarsi com'aquila, per noi come « il più grande
« tra i mediocri ».
Alessandro Luzio
(1) Ranke, Zur Kritik neuerer Geschichtschreiher , Lipsia, Dnncker e Humtlot, 1884, pp. 87 sg.
(2) Lettere scritte al sig. P. A., Venezia, Marcolini, 1551, I, 319.
(5) Virgili, F. Berni, Firenze, 1881, P. I, cap. 12o.
(4) Più tardi, nel 1535 , quando il Baldinelli osò criticare le Epistole del Bembo , P. Aretino
gli scagliò due sonetti satirici: il primo de' quali , che il Gian crede inediti (p. 184 , n. 3) , fu
pubblicato dal Trucchi {Poesie, 111, 211).
(5) L'A. illustrando i versi dell'Oriolo, dà qualche nuovo documento sul Serafino , sull' Unico,
sull'Altissimo ; e pel Tebaldeo riassume le notizie contenute in un opuscolo raro del Coddè ,
che le trasse in gran parte dall' Arch. Gonzaga , dove altre molte se ne trovano tuttavia e
anche più importanti.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
HERMANN BRANDES. — Visio S. Paul?. Ein Beiirag zur Vi-
sionslitteratur mit einem deutschen und zwei lateinischen
Texten. — Halle, Max Niemeyer, 1885 (8°, pp. vi-102).
Fra le Visioni che mostrano avere particolare attinenza con la Divina
Commedia., e che Dante 'presumibilmente conobbe, tiene uno dei primi luoghi
la "Visione detta di S. Paolo. Di essa ebbero già ad occuparsi, per tacere
di altri, r Ozanam , nel suo libro Dante et la philosophie catholique au
treizième siècle, e il D'Ancona, nei suoi Precursori di Dante. In quest' o-
pascolo il B. attende a dare della Visione stessa, e delle versioni che se
n'ebbero in varie lingue, un'idea più piena e particolareggiata che altri non
abbia fatto. Parla anzi tutto dell' originale greco , di cui una recensione fu
scoperta dal Tischendorf nel 1843, e della traduzione che se ne fece in si-
riaco. Paragonando questa traduzione coi rimaneggiamenti latini, si possono
restituire al testo greco alcune parti, che, non si sa come, né quando, ne furono
espunte: in essa altre poi ne sono che il traduttore aggiunse di suo. Della
versione, o meglio, delle versioni latine, il B. conosce 22 manoscritti, numero
certo rilevante, che attesta non essere stato poco il favore onde questa leg-
genda ebbe a godere nel medio evo. Di questi 22 manoscritti uno solo si
trova in Italia , nella Vaticana. La versione latina si scinde in sei diverse
redazioni, le quali si vanno sempre più discostando dall' originale greco , e
riappariscono poi, con nuove alterazioni, nelle versioni volgari. Noi non pos-
siamo seguire l'A. nella minuta comparazione di queste redazioni tra loro;
solo diremo che il fastidioso, ma utile lavoro, è da lui condotto con molta
diligenza. Egli entra poscia a parlare delle versioni volgari , e prima delle
tedesche, poi delle francesi e delle inglesi, facendo cenno, dopo le francesi,
anche della provenzale pubblicata dal Bartsch, e di una danese. Più di una
280 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
volta in questa sua trattazione l' A. rimanda ad altro scritto da lui prece-
dentemente pubblicato nel voi. VII degli Englischen Studien (vedi questo
Giornale, voi. Ili, p. 324). Vengono in ultimo due testi latini, un testo te-
desco, e alcune osservazioni. Il lavoro del sig. B. è molto pregevole, ma di
un difetto che vi troviamo non ci sembra si possa scusare. L' A. non pare
abbia avuto menomamente sentore delle versioni italiane. Ora una di queste
versioni fu pubblicata dal Villari tra le Antiche leggende e tradizioni che
illustrano la Divina Commedia (1), e altre si hanno tuttavia inedite nella
Palatina e nella Riccardiana (2).
ANTONIO LUBIN. — Dante spiegato con Dante e polemiche
dantesche. — Trieste, G. Balestra, 1884 (8°, pp. 202).
Come tutti i libri polemici, anche questo avrebbe bisogno di lunghi studi
e raffronti per porre in sodo da qual parte stia la verità, o meglio quanto
di ragione e quanto di torto vi sia nelle opinioni dei disputanti. Giudicando
inopportuno l'entrare qui nel merito delle questioni, noi ci accontenteremo
di accennarle obbiettivamente. La reputazione che gli studi danteschi del
prof, di Graz meritamente godono, e la stessa importanza della materia che
egli qui tratta, renderanno il nostro annuncio gradito a coloro che hanno
posto in Dante i loro studi speciali.
A fondamento quasi del presente libro, l'A. pone alcune considerazioni
sulla celebre formula del Giuliani Dante spiegato con Dante, mostrando come
essa, presa in senso assoluto, sia deficiente, perchè Dante non si spiega con
Dante solo, e come a bene applicarla sia necessario molto discernimento in-
dividuale da parte dell'interprete.
Degli scritti che seguono, a parer nostro, il più rilevante è l'ultimo, inti-
tolato Notizia del mio comm,ento alla Com. di D. A. a sua difesa. In esso
l'A., avendo notato alcune contraddizioni nelle critiche, anche benevole, che
furono pubblicate intorno al suo noto volume dantesco del 1881 (3), e non
credendo giusta la designazione di repertorio o di raccolta enciclopedica,
con cui alcuni qualificarono quel libro, espone le ragioni che lo indussero a
scriverlo, il metodo da lui seguito, il sistema allegorico della interpretazione
di Dante, le principali nozioni poste in chiaro. Questo discorso sintetico, in
cui si compendiano le idee ed i ragionamenti espressi con estensione nel vo-
lume menzionato, riesce molto utile.
Gli altri scritti hanno carattere personale, si dirigono cioè personalmente
(1) Annali dette Universiià toscane, Pisa, 1865.
(2) D'Ancona, / Precursori di Dante, Firenze, 1874, p. 44 n.
(3) Commedia di D. A, preceduta dalla Vita e da Studi preparatori illustrativi , esposta e
commentata da A. Lubw, Padova, 1881.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 281
contro Tuno o Taltro studioso di Dante. Due di essi sono diretti contro Raf-
faello Fornaciari. Nel primo (pp. 81 sgg.) il L. riprendo la questione crono-
logica della V. iV., già da lui, come tutti sanno, molto acutamente discussa
in apposita dissertazione pubblicata in Graz nel 1862. Egli qui, contro al For-
naciari (1), difende la sua antica opinione che la V. N. debba essere stata
scritta nella primavera del 1300. Nel secondo articolo, che ci parve degnis-
simo di nota, poiché certo uno dei meriti principali del L. è l'avere profon-
damente studiata la allegoria del poema, combatte la interpretazione data dal
Fornaciari della Lucia dantesca (2).
Uno scritto ha per titolo La Beatrice di .Dante e i psicologi senza psiche
(pp. 10 sgg.) ed ha intenzione di colpire direttamente il Bartoli. Crediamo di
apporci ritenendo che il L. si sia lasciato particolarmente andare a questa
confutazione per una noticina che lo riguarda nella Storia del Bartoli (V, 74 n),
in cui è notata certa confusione e contraddizione che v'è nella teoria inter-
media del L., secondo la quale la beatrice è la Portinari e insieme « la V. N.
« è il racconto delle fasi della Musa di D. ». Se non ci inganniamo, il L. non
ha cognizione piena della ipotesi del Bartoli intorno al principale amore del-
l'Alighieri. Sembra che egli conosca solo il voi. V della Storia e il noto ar-
ticolo del FanfuUa d. domenica; non il voi. IV, in cui veramente il Bartoli
ha esposto i migliori, i più saldi suoi argomenti negativi (3).
Il più vivace (troppo vivace, a dir vero) di questi articoli è la Risposta a
Francesco D'Ovidio (pp.24sgg.), occasionata dalla breve memoria del D'Ovidio
sulla V. N., che si legge nella iV. Antologia del 15 marzo '84. Che quella
memoria sia diretta in gran parte contro il L., e che questi non vi sia sempre
trattato con quella cortesia dalla quale le polemiche scientifiche non si do-
vrebbero mai allontanare, conveniamo; ma non ci sembra per questo che
il L. avesse il diritto di rincarar la dose delle insolenze, dicendo che il D'O.
professa nella polemica « principi che la coscienza di uno scrittore onesto
« deve rigettare » (p. 26), e che « non iscrive per discoprire il vero, ma scrive
« per scrivere » (p. 31), e che « falsa le parole e i concetti altrui » (p. 39), e
che « i suoi amici e colleghi dovrebbero consigliarlo a scriver fiabe e non
« critiche ; con quelle egli riescirebbe di farsi onore, ma per queste è inetto »
(p. 58 n). Dopo ciò, si crede l'ottimo L. veramente licenziato a rimproverare
al D'O. le sue « espressioni da trivio »? (p. 25). Oh irritabile genus!
(1) studi tu Dante, Milano, 1883, pp. 154 sgg.
(2) Cfr. OiornaU, I, 483.
(3) A pp. 14-15 il L. scriTe : « Sarei molto curioso di sapere che ne dice (dtlU idM d4l B.)
« Rodolfo Kenier, autore del bel libro La Vita Xuova « ìa Fiammetta, studio critico, nel qnale
« con tanta lode ha rilevato i fenomeni psicologici eccitati nel!' innamorato della psichica Bea-
« trice, e che produssero quelle rime. Se vero 1' assunto del Bartoli , quello studio non sarebbe
« altro che una fantasticheria del Renier ». Che non sia precisamente cosi , il L. potrk redaro
se prenderà a considerare i capitoli sull'amore di D. nel lY voi. del Bartoli. La gentile carioaità
sua poi potrà essere facilmente appagata da quanto è scrìtto nel presente OiomaU, II, 379 igg.
282 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
VINCENZO TERMINE TRIGONA. — Petrarca cittadino. ~
Studio critico. — Catania, N. Giannotta, 1885 (16°, pp. 208).
La stessa deficienza di coltura e di idee esatte, che notammo in un opu-
scolo dantesco del sig. Trigona, pubblicato due anni sono (1), scorgesi nel
presente libretto petrarchesco.
Quantunque egli non voglia « attentare alla grandezza del Petrarca »
(p. 2), quantunque egli sia deciso di « mostrare un Petrarca vero, non pre-
vie concetto, quale dovrebbe essere mostrato da una critica spassionata » (p. 3),
il fatto certo si è che il preconcetto apparisce da ogni linea del libro , ed
è singolarmente aiutato da una ignoranza non comune in chi scrive di cose
letterarie. Uno che ci dice avere il Petrarca, insieme col Boccaccio trionfato
« in quei secoli nei quali la tirannia teocratica del Vaticano , e la civile
« degli stranieri, di conserva procedendo, soggiogarono ed abbrutirono 1' a-
« nimo degli italiani », giacché « essi furono i due dii di quei secoli sven-
« turati : 1' uno {il Boccaccio) pasceva il senso grossolano , goffo e brutale
« del volgo nobile e plebeo con la caricatura , lo scherzo e la descrizione
«( voluttuosa della nudità svelata del tutto, o semivelata, che è più eccitante,
« ed andava a finire nell' Adone del Marini ; 1' altro {il Petrarca) pasceva
« il sentimento delicato e gentile della signoria nobile o popolana con 1' e-
« lomento musicale e l'armonia, ed andava a finire nell' Arcadia (p. 159) ;
uno che scrive di codeste baie , se non ha smarrito il bene dell' intelletto ,
dev' essere per lo meno un solenne ignorante.
In fondo , il chiodo su cui batte sempre il sig. Trigona è questo : il Pe-
trarca non senti vivamente né l'amicizia, né l'amore per la donna, né quello
per la scienza, né quello per la patria : l'unica sua passione era per la gloria,
cui sacrificava tutto ; egli fu un retore ambizioso , non altro. 11 che nel
bello stile, che fa onore al Tr. , suona così : « la molla segreta che muove
«.< il Petrarca non é stata afferrata dai critici; alcuni l'hanno intraveduta
« solamente, e non hanno fondato su di essa i loro studiì. A me pare che
« io abbia afferrato tale molla, la quale per me consiste nell' egoismo, nel-
« r orgoglio e nella vanità » (p. 68). E a mostrare come abbia veramente
afferrata quella tal molla, egli fa vedere come il Petrarca « vero , appas-
« sionato, ingenuo, sincero » non si trovi né nel Secretum, né nelle lettere,
né nel Canzoniere. 11 Canzoniere è « più ispirato dall' amor di scrivere,
« che dall' amor di Laura » (p. 29); quei sonetti fanno « nausea » (p. 30)
al sig. Tr., mentre il latino del P. gli « toglie il respiro » (p. 32). Ma già
si capisce; il latino é una lingua « completamente morta» (p. 15), e quindi
non vive nella nostra vita intellettuale , e chi scrive in quella lingua non
può fare che una « congerie di nielenzaggini {sic) e di freddure » (p. 21).
(1) Vedi Giornale, II, 214.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 283
Accostando passi di opere diverse, scritte in tempi diversi, trova delle con-
traddizioni, e perci(S sentenzia che il P. mentì (p. 40 e altrove). E cosi passo
passo, viene a trattare il suo tenia, il P. cittadino. Qui è a casa sua. La sua
dimostrazione pi'occde per paragoni. Il P., solo preoccupato della sua gloria,
invidioso di Dante (1), vuoto ecc., non poteva amare sinceramente 1' Italia.
La sua canzone ai signori della penisola non è lirica , ma storica , perchè
l'autore vi « resta assolutamente passivo » (p. 67). Al confronto di quella
del Leopardi, la canzone petrarchesca è « un'acqua stagnante » (p. 74): il
P. non sa che indicare « il medicinale, che dovrà muovere i grandi d' Italia »
(p. 75). Se vogliamo trovare qualcosa di simile alla canzone del P., analiz-
ziamo i sonetti all'Italia del Filicaia , che sono tale abominio « da rendere
« eternamente infame il nome dell'autore » (p. 83) ; mentre la canzone leo-
pardiana è da paragonarsi a quella che comincia 0 patria degna di trionfai
fama, che FA. (beato lui !) non dubita affatto sia opera di Dante (pp. 83-85).
Infine, avendo lo Zumbini accostata la canzone del P. al canto di Sordello,
l'A. ne prende occasione per fare un altro minuto confronto, da cui risulta
che lo Zumbini « si accontenta della patina, e non investiga il cuore di lui »,
del Petrarca (pp. 85-104). Altre due canzoni l'A. esamina, Quel e ha nostra
natura in sé più degno, che non crede sia opera del Petrarca, e la celebre
canzone allo spirto gentil, che gli importa poco a chi possa essere stata in-
dirizzata, mentre a lui basta stabilire che anche là non v'è se non la solita
molla. Quella molla stessa che, secondo lui, fa dire al P. di aver avuto con
Gola relazioni, che non ebbe (p. 131), e che gli fece fingere di prender sul serio
le discese di Carlo IV in Italia. E poi, volete una prova finale sicura della
vanagloria petrarchesca? Guardate i Trionfi: due di essi sono i più lunghi,
quello dell'amore e quello della fama (p. 163).
Insomma, senza seguire più oltre gli acuti ragionamenti dell'A., « il Pe-
« trarca viveva con Platone , S. Agostino , Cesare e Cicerone , sconosceva
« tempi, uomini, cose e circostanze, non aveva fine pratico prestabilito, né
« a questo avrebbe saputo indirizzare l'opera sua, perciò non poteva essere
« un uomo politico » (p. 153). Né solo non fu un uomo politico , ma non
fu neppure un poeta. A leggere i suoi versi il sig. Trigona prova « una
« noia mortale », mentre davanti al Mosé di Michelangelo egli « si ran-
« nicchiò nel fondo del suo cuore » , nonostante le imperfezioni di quella
statua (p. 47). I sospiri del P. gli fanno « rabbia » e Io costringono ad escla-
mare : « se un uomo veramente potesse arrivare a tanto , io lo stimmatizp
« zerei » (^p. 48). Né solo il Petrarca non fu artista grande, né uomo politico,
né uomo sincero, ma « in fondo poi , egli non é né un ascetico, né un in-
« namorato, né un patriota, né un artista osservatore dei fenomeni naturali;
« egli è un nulla, un individuo senza individualità, un essere senz'essere »
(1) Quanto ai rapporti del P. con Dante, l'A. cade in nna contraddizione patente. A p. 49 ri-
ferisce approvando an passo del Qin^ené, in cui è detto che « il P. compose i Trionfi pueodii
« anni dopo aver ricevuto dal Boccaccio un esemplare della Commtdia > , e poi a p. 51 sciÌTe
che il V. conobbe le opere di D. « prima che Boccaccio lo istigaaae • leggerle; difatU noi to-
« diamo che egli tentò d'imitare Dante e nel Cantonitr» e nei 3V*0i^ ».
284 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
(pp. 37-38). Eppure, chi il crederebbe?, questo Petrarca che « non è grande
« per alcuna delle sue opere e delle sue azioni considerate separatamente »
è invece « grande, grandissimo per tutto Tinsieme delle sue opere, delle sue
« virtù e dei suoi vizii » (p. 171). Strana combinazione!
Dopo tutto questo anche noi dovremmo tirare una somma, e mettere a
carico del sig. Trigona tutte le divagazioni dal suo soggetto, tutto il filoso-
fismo spropositato delle sue argomentazioni, tutta la sua ignoranza dei tempi
e della letteratura che tratta (1); ma per quel poco che abbiamo detto cre-
diamo che i lettori avranno tirato la somma da loro stessi, e ci risparmiamo
quindi la fatica e la noia.
SIEGFRIED SAMOSCH. — Machiavelli als Comòdiendichter
und italienische Pirofile. — Minden i. W., J. C. G. Bruns'
Verlag, 1885 (8% pp. x-132).
Il signor Samosch usa di far precedere gli opuscoli in cui di tanto in tanto
discorre di letteratura italiana da alcuni estratti di articoli laudatori, in cui
si dice ogni bene di lui e delle cose sue. Questa usanza può essere un te-
stimonio gradevole della benignità della critica; ma non sappiamo quanto
possa giovare all'autore ed ai libri suoi. In questo, come negli altri che gli
andarono innanzi, nulla di nuovo. In diciotto paginette l'A., sulle tracce del
Villari, pretende parlare del Machiavelli come commediografo, e non fa
se non ripetere cose dette. Tra i Profili seguono: un Pietro Metastasio in
undici pagine, un Ugo Foscolo in diciannove, un Giovan Battista Niccolint
in quindici. Anche qui né un fatto né una idea nuova. Del resto l'A. rac-
conta queste sue novelle come se tutto fosse chiaro, certo, assodato, come se
di nulla si facesse dubbio o questione. Basti dire che parlando del Foscolo
non fa nemmen cenno delle tante cose che si son discusse in questi ultimi
anni in Italia circa U poeta. Tutti questi lavoretti paiono fatti con la scorta
di uno 0 due libri, e l'A. pare che abbia una certa ripugnanza a vedere ciò
che altri possano avere scritto prima di lui. Il solo libro che citi a propo-
sito del Metastasio é II teatro italiano nel secolo XVIII del Guerzoni; e
pare che non conosca nemmeno quello del Landau, Die italienische Lite-
ratur am ósterreichischen Hofie, da cui avrebbe potuto attingere con pro-
fitto. Insomma questi bozzetti, mentre non riescono di nessun giovamento agli
studiosi, non si può dire nemmeno che offrano una buona e sostanziosa let-
tura al pubblico largo. Sono a dirittura inutili.
(1) Non conosce ciò che del Petrarca scrissero l'Hortis, il Koerting, il Voigt. Il VII volnme
della Storta del Barigli, pubblicato nel gennaio del 1884, se non erriamo , gli capitò fra mano
quando il presente volumetto era in corso di stampa.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 285
ALESSANDRO ADEMOLLO. — / primi fasti del teatro di via
della Percola in Firenze. — Milano, Stab. Ricordi, 1885
(12°, pp. 32).
Di questo scritto si è dato cenno quando venne inserito nella Gazzetta
musicale di Milano (1), ma esso è di tanta importanza per la storia del
melodramma nostro, che stimiamo utile il dirne ancora qualcosa più speci-
ficatamente.
Che gli Accademici Immobili comprassero verso la metà del sec. XVII
un tiratoio dell'arte della lana situato in via della Pergola e lo trasformas-
sero, architetto Ferdinando Tacca, in un meraviglioso teatro, è certo cosa
importante a sapersi, quando, come fa l'A., ci si danno della cosa testimo-
nianze sincrone e disegni, pur sincroni, di quello splendido edificio. Ma vie
più interessante è notare come quel teatro fosse chiamato a precorrere gli
altri, sì nella sua conformazione, sì nei primi spettacoli che vi si diedero.
E infatti, a differenza degli altri maggiori teatri del tempo, che tutti più o
meno si attenevano ai modelli palladiani, quello di Firenze precorse l'attuale
architettura teatrale, essendo conformato in maniera non disforme da quella
che oggi si usa. E inoltre, come l'A. pone in chiaro, esso fu solennemente
inaugurato nel 1657 col Potestà di Colognole, melodramma giocoso, parole
di Gio. Andrea Moniglia, musica di Iacopo Melani. Questo genere di mu-
sica piacque, sicché il Moniglia compose, negli anni successivi, per la Per-
gola altri melodrammi burleschi.
Tuttociò è importantissimo per la storia della nostra opera buffa. Che il
primo tentativo, imperfetto quanto si vuole, di adattamento della musica
ad una azione giocosa sia da riconoscersi veramente neìV Anfipamaso del
Vecchi, l'A., accordandosi con le ultime osservazioni del Renier (2), rico-
nosce di buon grado. Ma è certo che nelle opere del Moniglia noi abbiamo
il melodramma giocoso meglio fissato e determinato, e che esse vengono,
se non a stabilire una continuità, certo a rompere quel lungo e inesplica-
bile intervallo che vi sarebbe tra la comedia armonica del Vecchi (fine
del sec. XVI) e l'apparire della musica buffa in Napoli (princ. del sec. XV 111).
Tanto più quindi è a deplorare che l'A., il quale ebbe a disposizione tanto
bel materiale, non si sia indugiato un po' più nello spiegarci l'azione di
quei melodrammi, in modo che si riuscisse ad intendere quale ne fosse pre-
cisamente il carattere. E infatti necessario lo stabilire con esattezza le rela-
zioni di queste antiche rappresentazioni musicali con la commedia dell'arte,
per vedere le immancabili influenze reciproche che dovettero intercedere
fra le une e l' altra. L' A. accenna solo , a questo riguardo, che dal Pazzo
(1) Cfr. Giomaìe, V, 476.
(2) L'Ademollo lo avea (^à affermato nell'altro suo prezioso libretto / pruni fasti delia muiica
italiana a Parigi, Milano 1884, p. 85, n. 2.
286 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
per forza del Moniglia fu tratto lo scenario Gli stratagemmi d'amore del
Riccoboni padre (p. 14, n. 1). Dalla lista dei personaggi, e da altri partico-
lari, ci sembra dover dedurre che queste azioni sceniche del Moniglia non
dovessero essere apertamente popolari, né schiettamente ridanciane come
certo fu V Anfìparnaso prima, e dopo l'opera buffa di Napoli. Ma ci sarebbe
assai grato saperne di più. Come pure ameremmo conoscere un po' meglio
quel melodramma di Giulio Strozzi, musicato da Francesco Sacrati, che col
titolo di Festa teatrale della finta pazza fu rappresentato nel 1641 in Ve-
nezia e poi, come chiaramente dimostrò altrove l' Ademollo (1), ebbe l'onore
di essere il primo melodramma rappresentato a Parigi nel febbraio del 1645.
Questa curiosa azione, mezzo coreografica e mezzo recitata, è detta dal Gastil-
Blaze, che certo si valse di documenti sincroni : « un opera bouflfon , une
« parade musicale, un mélodramme où le noble se mélait au comique ».
Era dunque opera buffa anche questa? Ma in qual grado? ma come?
Gli altri due capitoli del presente libretto riguardano, l'uno la rappresen-
tazione della Ipermenestra di Francesco Cavalli (parole del Moniglia),
dramma immensamente spettacoloso, che fu dato alla Pergola nel 1658 per
festeggiare la nascita di un figliuolo di Filippo IV ; l'altro V Ercole in Tebe,
grandiosa opera-ballo, rappresentata pure alla Pergola per la venuta della
bizzarra principessa d'Orléans, sposa di Cosimo 111, a Firenze, spettacolo che
costò alla corte la bellezza di 96 mila lire toscane.
Come tutti i lavori dell'Ademollo, anche questo è fatto con singolare ab-
bondanza di cose nuove e curiose, sapientemente disposte.
Notizia d'opere di disegno pubblicata e illustrata da D. Iacopo
Morelli. — Seconda edizione riveduta e aumentata per cura
di «xUSTAVO Frizzoni. — Bologna, N. Zanichelli, 1884 (8°,
pp. xL-266).
Agli studiosi di cose d' arte è noto come il benemerito erudito veneto
Iacopo Morelli rinvenisse tra i rass. zeniani un quaderno di appunti, scritto
nella prima metà del sec. XVI, in cui si teneva nota di molte opere d'arte
esistenti allora in raccolte pubbliche e private di Padova, Cremona, Milano,
Pavia, Bergamo, Crema e Venezia. Queste notizie sono date con buona co-
noscenza d'arte, e lungi dal consistere in un magro catalogo, somministrano
eziandio indicazioni sugli artefici, sulle qualità specifiche dei quadri e delle
statue, sui fatti e le persone che rappresentano, su coloro che gli possede-
vano. Si intende quindi di leggieri come questa notizia, data nel tempo
della massima fioritura artistica, riesca preziosa per la storia dell'arte nostra,
(1) Vedi i cit. Primi fasti delia musica ital. a Parigi, pp. 16-23, e anche, per il Sacrati,
pp. 95-107.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 287
svelandoci con sicurezza la patornità di alcuni lavori dubbi, illuminandoci
sulle vicende di altri, capitati talora in pinacoteche ed in mu-sci d' oltralpe
o d'oltremare.
Il Morelli corredò questa nota di un esteso ed erudito commento e la
pubblicò in Bassano nel 1800. Tale sue edizione era già da tempo divenuta
assai rara, sicché al sig. Gustavo Frizzoni venne il pensiero di procurarne una
seconda. Se non che, essendo in questo ottantennio molto progrediti gli studi
storici suir arte, ed essendosi arricchita per nuovi e dotti libri la cognizione
che abbiamo degli antichi maestri e rintracciate e identificate molte opere
loro, che si lamentavano perdute, il F. ha creduto bene di rifondere il com-
mentario del Morelli in un nuovo lavoro di chiosa, nel quale si tenesse
conto dei dati di fatto posti in sodo dal primo editore e insieme vi si ag-
giungessero i nuovi risultati delle ulteriori ricerche. E in questo lavoro, non
certo di poco momento, egli ebbe la ventura di potersi giovare delle giunte
che alla sua prima edizione avea fatto il Morelli stesso, preparandone una
seconda, e delle note che vi appose il dottissimo Cicogna. Sicché la presente
edizione doppiamente si avvantaggia sulla precedente, e per le note inedite
di due eminenti eruditi ora defunti, e per le nuove chiose del Frizzoni. Il
quale ultimo, a sua volta, ha voluto nella breve, ma acconcia, prefazione,
trattare anche un altro punto controverso, quello che riguarda l'autore della
notizia, consacrata sinora col nome, che le resterà, di Anonimo morelliano.
Appoggiandosi alle recenti ricerche del Bernasconi, il F. rivendica il mano-
scritto al patrizio veneto Marcantonio Michiel.
Di questo libro importante a noi basta aver dato un annuncio , perchè
solo indirettamente si collega coi nostri studi, per quelle molte fila che ten-
gono unita la storia delle arti a quella delle lettere nel rinascimento.
Critiche non ne vogliamo fare, che non sono della nostra competenza. Di-
remo solo genericamente che il lavoro ci sembra condotto con molto garbo,
ma che avremmo preferito di vedere più nettamente divisa la parte delle
chiose che appartiene al Morelli da quella aggiunta dal novello editore.
Cosi come il commento é, non sempre riesce agevole il distinguere l' una
dall' altra, quando ragioni di cronologia non lo facciano manifesto.
Chiuderemo osservando che alcune di queste notizie e chiose riguardano
direttamente gli studi nostri : così le preziose indicazioni sugli oggetti d'arte
e su alcuni codici conservati da Pietro Bembo nella sua casa di Padova
(pp. 40 sgg.) (1), le notizie intorno al castello di Pavia ed alla sua libreria
(pp. 119-21), quelle sul celebre Breviario Grimani ora nella Marciana
(pp. 2014), le altre su diversi volumi con disegni artistici che si trovavano
in Venezia in casa Gabriele Vendramin (pp. 221-22), infine le osservazioni
del Morelli sul Tiziano letterato, nelle quali vengono confutate parecchie
asserzioni del Liruti, che confuse Tiziano il vecchio con Tiziano iuniore
(pp. 211-14).
(1) Queste notizie vennero recentemente atiliszate da Y. Cuk per la sua ricoctmxìone della
biblioteca e del museo di P. Bembo in Padova. Cflr. Un decennio deUa vita di M. P. B., Torino,
1885, pp. 102 sgg.
288 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
CARLO TONINI. — La coltura letteraria e scientifica in Rimini
dal sec. XIV ai primordi del XIX. — Rimini, tip. Danesi,
1884. — Due volumi (16°, pp. xxxviii-524 e 730).
Nel sec. passato Angelo Battaglini, illustratore della corte letteraria di Si-
gismondo Malatesta, volse l'animo suo ad un lavoro storico sulla letteratura
riminese. A un' opera simile attesero Gaetano Urbani e Zefirino Gambetti ;
ma le ricerche di tutti questi non giunsero che a porre insieme una parte
del materiale. E molto altro materiale raccolse pure l'ili. Luigi Tonini, il
dotto e benemerito storico di Rimini; ma, com'è noto, nell'opera sua egli
non giunse oltre il sec. XV (1).
Carlo Tonini, figlio di Luigi, e attuale bibliotecario della Gambalunghiana,
ha posto a profitto il materiale raccolto dai suoi predecessori , ha esteso le
ricerche in quelle parti che gli sembravano manchevoli ed ha compilata la
presente opera utilissima.
L'A. non ha creduto opportuno di fare un dizionario degli scrittori rimi-
nesi. A mostrare lo sviluppo delle lettere e delle scienze nella sua città na-
tale, gli parve più acconcia una esposizione sistematica, per secoli e per
generi. E tale maniera di esposizione ha certamente i suoi vantaggi. Il danno
maggiore che ne consegue è l'esservi naturalmente spezzata l'opera di quegli
scrittori, che si esercitarono in vari studi; ma a questo inconveniente l'A.
ha rimediato assai bene con un diligente e minutissimo indice analitico. Per
il metodo adunque si può ben dire che quest' opera non lasci nulla a desi-
derare ; come pure encomiabilissima ce ne sembra la forma, efficace e talora
elegante, quantunque non sempre immune dalla retorica. La copia delle no-
tizie qui raccolte è sicuramente ragguardevole, e in molte parti il T. utilizza
fonti manoscritte. Certamente in più di una occasione egli avrebbe potuto
ampliare d'assai le sue cognizioni, se avesse profittato dei materiali mss. delle
maggiori nostre biblioteche e avesse fatto ricerche d'archivio fuori della sua
Rimini. Ma noi comprendiamo benissimo la difficoltà di simili ricerche, le
quali forse avrebbero di troppo esteso quest'opera, che è già riuscita abba-
stanza voluminosa senza di questo.
Noi non possiamo seguire qui, nei limiti di questo cenno, neppure nelle
linee generali, il libro del T., in cui è accumulata tanta e si varia materia,
gran parte della quale direttamente non riguarda i nostri studi. Diremo solo
che nei secoli più antichi, molto bene si rileva dal T. la benemerenza let-
teraria ed artistica dei Malatesti, che giunsero a fare di Rimini un vero
centro di coltura. Nel sec. XIV, con Pandolfo Malatesta, si inizia il mecena-
(1) Della Storia di Rimini di L. Tonini abbiamo a stampa cinque volumi. Un VI, destinato a
coronare 1' edificio, narrando i fatti occorsi dal 1500 al 1800 , fa scritto da C. Tonini ed è ora
in corso di stampa.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 289
tismo di quei principi. Pandolf^, come tutti sanno, fa amico del Petrarca (1),
grande protettore di letterati, letterato e rimatore egli stesso. E rimatore non
ispregevolo fu pure Malatesta Malatesti, figliuolo di lui (2). Questa bella tra-
dizione Venne proseguita dipoi da Pandolfo II e da suo fratello Carlo (3); ma
raggiunse il massimo della gloria nel sec. XV, con quel Sigismondo Mala-
testa, poeta e protettore di poeti, uomo d'armi, mecenate delle arti, che è
molto noto per il lavoro antico del Battaglini e per i moderni di L. Tonini
e dell' Yriarte (4). È specialmente seguendo le orme del Battaglini che il T.
ci delinea la corte letteraria di Sigismondo , ove Giusto de' Conti era giu-
dice e adiutore, il parmigiano Basinio Basini, educato alla scuola del Ooa-
rino, scriveva il suo poema Hesperidos, destinato a celebrare la vittoria di
Sigismondo contro Alfonso di Napoli, Gasparo Broglio dettava la sua cronaca,
e parecchi dei poeti più famosi del tempo lavoravano intorno aW Isotteo,
raccolta di carmi latini in lode di Sigismondo e di Isotta, sua amasia. Una
delle glorie principali di Rimini e della corte malatestiana in quel tempo,
fu Roberto Valturio, consigliere di Sigismondo e suo storico, chiamato dal
pubblico il monarca di tutte le scienze, autore di quel celebre trattato De
re tnilitari, che compito nel 1455, veniva pubblicato nel 1472 in Verona, in
una edizione di cui non si sa se maggiormente ammirare la fattura tipogra-
(1) n cod. Marncelliano, che l'A. cita di seconda mano (I, 58) , come contenente ana lettera
del Petrarca al Malatesta , crediamo certo sia una copia di quella bizzarra raccolta del Doni di
cose autentiche ed apocrifa (1547), che trovasi spogliata dallo Zambbini, Op. v. a s<.*, 837.
(2) Delle sue rime, parecchie, delle qnali sono ora sparsamente pubblicate , sta proparando una
edizione, condotta su tutti i principali mss., il prof. O. .S. Scipioni.
(3) A Pandolfo II Malatesta fu diretto un curioso sonetto in tre lingue, latino, italiano, fran-
cese (non provenMale, come dice il T. , 1 , 78) da Simone di Ser Dino da Siena. Essendo poco
noto, crediamo utile il riferirlo dalla memoria del Battaolimi, Della cori» leti, di Sigùm. Pand.
Jialatesta, in Basinii parmensis opera praestantiora. Rimini, 1874, li, 121 :
Madens sub undis radiantis Phoebi,
latens sub ,Tove Venereque Marte,
statnens alta dignitatis arte,
cnlmen sub vera probitate Phoebi ;
0 senex jnventute, o pensier grevy,
0 fonte excelso de vertute sparte,
comò potè natura tanto omarte,
poi che più sempre in ver de' del sn levi ?
Alta rimetnr gloriaqne fama
et cor sub aatris claritate micans
o dolce 0 benigne onde, o verde lama.
Vons etes di vertus tra tnot ghens
avec lo plus ghentil per nostra dama
che ghie vons nnquam amor cor vivans.
(4) Non andava dimenticato quello che su Sigismondo dicono il Voiot, Witdtrb. d*$ ci. Al-
ierth.*, I, 579 sgg. ; il Geioer , Renaissance und HumanismHi , Berlin, 1882, pp. 212 a^., e
specialmente il Makcini, Tito di L. B. Alberti, Fìrense, 1882, p. 343 , che si dilanga soli» co-
struzione del tempio di S. Francesco.
OiomaU storico, VI, fase. 16-17. 1»
290 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
fica, meravigliosa per quel tempo, o la preziosità delle figure per la storia
dell'arte militare (1).
(1) La ediz. principe, 1472, fu fatta in Verona da Giovanni di Niccolò veronese; e in Verona,
da Bonino de' Boninl , fu fatta pare la 2a ediz. (1483) e contemporaneamente ne fu edita una
versione volgare. Di queste edizioni parla con sufficiente esattezza il T. (I, 121-124). Trattandosi
di opera capitale per la storia della stampa in Italia , non crediamo inutile dar qui V elenco di
coloro che ne discorsero più o meno estesamente , secondo lo schedario che ci viene gentilmente
comunicato dal sig. Pietro Sgnlmero. È inutile il dire che in questa distinta cronologica lasciamo
da parte i massimi hibliografi, che tutti possono consaltare. Le lettere s. e. indicano le opere in
cui il Valturio è semplicemente catalogato.
1678. — G. M. KOKiQ, Bibliothecà vetus et nova, Altdorfii, 1678, p. 829 (s. e).
1722. — P. A. Oblasdi, Origine e progressi detta stampa o sia dell'arte impressoria, e. n. tip.
ma Bologna, 1722, p. 145.
1731-31. — S. Maffei , Verona illustrata , Verona, 1731-32 (due ediz., Tana in-4o, e l'altra
in-fol.). — Nella prefazione A chi legge; nel L. Ili della P. II; nel cap. VI
della P. ni.
1740. — Histoire de l'origine et des pre'miers progrès de Vlmprimerie, La Haye, 1740, p. 58.
1742. — Th. Gkoboi, Allgemeines Europ. Bt'icher-Lexicon, Leipzig, 1742, IV, p. 243 (s. e).
1755. — Bibliothecà Smiihiana, Venetiis, 1755, II, cxx-cxxv.
1764. — G. P. Db Bure , Bibliographie insiructive (voi. jurispr. et sciences et arts) , Paris,
1764, pp. 579-80.
1768. — J. B. L. Obmont, DicUon. typographique, Paris, 1768, U, 300 (s. e).
1769. — G. F. De Bobe, Supplém. à la Bibliogr. instructive, Paris, 1769, I, 344 (s. e).
1775. — S. Bettinelli, Del risorgimento d'Italia, Bassano, 1775, II, 225-27.
1780. — G. TiBABOscHi, St. d. lett. it., T. VI, P. I, Napoli, 1780, p. 323.
1783. — G. De Bure , Catal. des liures de la Ubi. de feu M. le Due de la TaUière , P. P.,
Paris, 1783, I, 591 (s. e).
1787. — I. Morelli, Bibliothecà Maphaei Pinelli veneti, Venetiis, 1787, I, 342.
1789. — Catalogne des livres de la bibl. de M. Pierre- Antoine Bolongaro-Crevenna, Amsterdam,
1789, II, 249 (s. e).
1790. — BibUoth. elegantissima parisina, Londres-Paris, 1790, p. 42 (s. e).
1791. — F. X. Laire, Index librorum, Senonis, 1791, I, 290-91.
1794. — F. Fossi , Cat. cod. saec. X V impressorum qui in pub. bibl. Magliab. Fior, adser-
vantur, Florentiae, 1794, coli. 759-60.
1795. — G. W. Panzer, Annales typographici, Norimbergae, 1795, pp. 501-502.
1796. — A. Cabli, Istoria della città di Verona, voi. VI, Verona, 1796, pp. 410-11.
1803. — G, Galeani Napione, Notizie de'' principali scrittori di arte militare, in Mémoires de
l'Acad. des sciences de Turin pour les anne'es X et XI, Turin , 1803, p. 448.
1805, — G. Galeani Napione , DeU' origine delle stampe delle figure in legno ed in rame ,
nelle Mémoires anzidette per gli anni XII e XIII, Turin, 1805, p. 401.
1807. — Santander , Diction. bibliogr. choisi du XVe siècle, voi. III, Bruxelles, 1807, p. 423.
1809. — P. J. Fournier, Nouveau diction. portati/ de bibliographie^, Paris, 1809, p. 535 (s. e).
1809. — L. Lanzi, Storia pittorica della Italia^, Bassano, 1809, I, 87.
1810. — W. Beloe, Anecdotes of literature and scarce books, voi. IV, London, 1810, pp. 358-60.
1815. — Catal. des livres rares et pre'cieux de la bibl. de feu M. le comte de Mac-Carthy ,
Paris, 1815, I, 325 (s. e).
1821. — Catalogo ragionato dei libri d'arte e d' antichità possed. dal conte Cicognara , Pisa ,
1821, I, 124-25.
1824. — M. P", Diction. bibliogr. , Paris, 1824, II, 379 (s. e).
1825. — [V. G. Ventcei], Compendio Clelia storia sacra e profana di Verona, Verona , 1825,
n, 96-97.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 291
Neirultima metà del sec. XV inoltre contribuirono alla fama di Rimini
fra Giovanni da Serravalle, chiosatore di Dante (1), Giovanni Aurelio Augu-
relli e specialmente la famiglia dei llarausii, illustrata in particolar modo da
Paolo, Girolamo e Giambattista.
Nel sec. XVI solamente fu introdotta in Rimini l' arte tipografica, e il
pnmo tipografo fu Niccolò Brenta (2). I letterati più cospicui che vi «bbero
in questo secolo i natali furono Giovanni Bruno de' Parcitadi, poeta lirico;
Malatesta Fiordiani, autore di un poemetto Della natura e qualità de' pesci
e di altri componimenti poetici, tutti poco reperibili, e, a quanto ne dice il T.,
non degni d'oblio; Francesco Modesti, che scrisse in latino una Yeneziade,
che gli guadagnò una pensione dalla repubblica veneta ; Pietro Belmonti, di
cui è notevole, per i costumi del tempo, un'opera didattica, la Instituzione
della sposa, scritta per una sua figlia, ed anche una commedia tuttora ine-
dita, di cui il T. è primo a dar notizia; infine quel Malatesta Porta, amico
del Tasso, poeta epico e tragico, difensore della Gerusalemme in imo spe-
ciale scritto apologetico.
Il sec. XVII, su cui non ci tratterremo troppo, diede a Rimini ben cinque
accademie, fra le quali va specialmente famosa quella degli Adagiati. E in
Rimini appunto nasceva in quel secolo lo storico delle accademie, Giuseppe
Malatesta Garuffì, della cui opera, V Italia accademica, è solamente a stampa
un volume (1688), mentre il rimanente si conserva manoscritto nella Gam-
balunghiana. Questa celebre biblioteca fu precisamente fondata nel seicento
da Alessandro Gambalunga, sul quale pure L. Tonini scrisse una dotta me-
moria. Egli pose nel 1614 il primo nucleo di quella libreria, stanziando una
rendita annua perchè si aumentasse. Rimini fu pure una delle prime città
d'Italia ad avere un giornale: la Gazzetta di Rimini cominciò ad uscire il
10 agosto 1660.
Il sec. XVIIl fu per Rimini molto glorioso. Vi ebbe la prima educazione
Lorenzo Ganganelli, che fu papa Clemente XIV ; vi soggiornò il Goldoni (3);
vi scrisse drammi, melodrammi e una tragedia Daniele Giupponi; vi fiorì il
1830. — 6. Amati, Ricerche storico-critico-scientifiche sulle origini, scoperti ecc., voi. Y, Mi-
lano, 1830, pp. 537-38.
1853. — C. Cavattoki, Z^iw memorie intorno V antica stampa veronése , in Mem. rf«fi' accad.
d'agricoltura, commercio ed arti di Verona , voi. XXIX, pp. 63-106.
1871. — G. B. C. GioLiAKi, Della tipografia veronese, Verona, 1871, pp. 9-11.
1876. — C. Ermes Visconti, Ordine deWesercito ducale sfortesco, in Arch. storico lombardo,
III, 475.
1877. — Tre lettere del prof . Ànt. Yalsecchi al sig. conte Bonifacio Fregoso intomo il primo
libro stampato in Verona (nozze Bosetto-Saitori) , Vicenza , 1877 (vedi la ras-
segna bibl. fattane dal Biadboo, in Arch. veneto, XIII, 429-32).
1883. — G. BiADEoo, Il primo libro stampato a Verona, a pp. 205-12 del voi. Da Ubri $ ma-
noscritti. Verona, 1883.
(1) Cfr. questo Giornale, li, 358 sgg., e IV, 58.
(2) L. Tonini scrisse una speciale memoria solle Officine tipografiche riminesi, che n legge
negli Atti della dep. di Romagna, voi. IV.
(3) Nel discorrere del Goldoni in Rimini (II , 221-29) il T. desume (laasi tutte le sue notizie
dalle Memorie.
292 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
dottissimo cardinale Giuseppe Garampi, insigne non meno per i suoi meriti
come diplomatico, che per le sue opere archeologiche e storiche. Ma speciale
illustrazione di Riinini fu nel passato secolo Aurelio Bertòla, che ha il me-
rito di essere stato uno dei primi a far conoscere ed apprezzare in Italia la
letteratura tedesca. L'amicizia fraterna del Bertòla col Gessner, che egli tra-
dusse (1); i suoi molti meriti come poeta; alcune delle sue relazioni più ce-
lebri, sono cose ben note a chiunque si occupi dei nostri studi. Ma il T. nelle
pagine che di lui scrive, le più importanti certo di tutta la sua opera, ci dà
notizie nuove interessanti, essendosi potuto valere del ricco carteggio inedito
del Bertòla. Ben altro e maggiore profitto noi crediamo si possa trarre da
queste lettere , se dicono vero certi accenni discreti dell' A. (2). Le rela-
zioni del Bertòla col Metastasio, col Pindemonte, col Foscolo, col Cesari, col
Mascheroni sono troppo interessanti perchè noi non ci sentiamo costretti a
far voti aflSnchè quanto prima il T. , od altri , consacri uno studio speciale
al carteggio che ci conserva la memoria di tutte queste corrispondenze af-
fettuose.
Del sec. nostro il T. non si occupa. Egli si limita a dare una tavola di
scrittori (11, 687) (3), ed a consacrare un breve capitolo (11, 653-61) alle con-
dizioni degli studi in Rimini nei primi anni del secolo, notando con giusta
compiacenza il profitto che vi fece, frequentando la scuola medica di Michele
Rosa, il cesenate Maurizio Bufalini.
Noi auguriamo a tutte le città italiane, che ebbero una storia scientifica
e letteraria, libri come questo del dr. Tonini. Oggi che si va perdendo la
nobile tradizione dei cultori di storia municipale e ad essi si sostituisce la
pessima gramigna dei professorini saputelli e petulanti, incapaci di ogni oc-
cupazione seria e talora di ogni sentimento elevato, libri siffatti confortano.
PIO CARLO F ALLETTI FOSSATI. — Saggi. — Palermo, tip. ed.
Giannone e Lamantia, 1885 (8°, pp. vi-392).
Uno solo di questi scritti si riferisce ad argomento propriamente letterario;
ma anche gli altri, quando se ne eccettui l'ultimo {La monarchia piemon-
tese dal 1772 al 1802) si riattaccano indirettamente ai nostri studi. Tre
furono già editi in riviste e compaiono in questo volume migliorati e ac-
(1) « Il più bell'idillio che potessero scrivere Glessner e Bertòla sarebbe stato quello della loro
« amicizia », dice con frase felice lo Zanella, Paralleli letterari. Verona, 1885, p. 136.
(2) Per es., dopo aver riferito un brano di lettera della celebre Morelli, l'A. aggiunge: « Se
« Gorilla amasse il Bertòla oltre ai limiti di un amor letterario, noi sapremmo affermare. Egli è
« però certo, che più d'una delle donne letterate, non esclusa la Gismondi, fu perdutamente presa
« dai vezzi di quest'uomo veramente fatto per vincere il sesso gentile. Ciò si apprende senza am-
« bagi nelle lettere che esse gli scriveano » (II, 412m.).
(3) In questa tavola occorre un errore di nnmeraz. delle pagine, che prosegue per tutto il se-
guito del volume. Del resto, specialm. nel l voi., gli errori di stampa sono oltremodo numerosi.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 293
cresciuti; uno è stampato qui per la prima volta e reca il titolo L'ultima
marchesa d'Azeglio.
Questo esteso lavoro è condotto sui Souvenirs historiques di Gostanza
d'Azeglio, pubblicati nel 1884 dal figliuol suo Emanuele. Vi si dà un quadro
molto vivace e vero della vita piemontese nei tempi in cui si preparava il
riscatto nazionale, e tutto le persone più l)cnemerite di quel glorioso periodo
ci sono fatte passare d' innanzi. Lo si legge quindi con piacere , tanto più
che il F. si è saputo tener lontano da ogni partigianeria ed ha lasciato par-
lare i fatti. Tuttavia nella esecuzione di questo lavoro si lamenta talvolta un
po' troppo di trascuratezza, specialmente nelle citazioni, che sono abbastanza
numerose, ma fatte per lo più in modo cosi generico da non rendere agevole
il riscontro. Riguardano in questo saggio anche la storia letteraria le pagane
su Massimo D' Azeglio (pp. 228 sgg). , nelle quali il F. cercò delineare il
carattere di lui come uomo privato e come politico, e il capitolo sulla cul-
tura in Piemonte (pp. 177 sgg.), che non è immune da inesattezze (1).
Nel saggio La lotta per le Alpi e Carlo Emanuele 1, il F. parla con
qualche ostensione delle opere letterarie e politiche che attestano il desiderio
di indipendenza degli Italiani verso il mezzo del sec. XVII, ed esamina in
particolare tre scritti politici del tempo, La staterà politica d'Italia^ Il Po-
litico soldato Monferrino , Il Zimbello (pp. 111-123). Poi, venendo a mo-
strare il risveglio della idea d'indipendenza per opera di Carlo Emanuele I,
tocca eziandio della protezione accordata da questo principe illuminato alle
lettere (pp. 123-128) (2).
Ma il saggio che più particolarmente tratta ai^omento letterario è il primo
di questo volume , Silvio Pellico e la marchesa di Barolo , comparso la
prima volta nella Rivista europea. Questo saggio ha lo scopo di illustrare
dieci lettere del Pellico, ed una della marchesa, al padre dell'A. Le lettere
sono pubblicate in appendice. 11 F., nella prima parte del suo scritto, cerca
mettere in chiara luce il carattere di Giulia Golbert-Falletti, ultima marchesa
di Barolo. Egli mostra come tradizioni di famiglia e abitudini del sentimento
facessero di questa donna benefica una retriva , ma nello stesso tempo so-
stiene con buoni argomenti che i viaggi per 1' Italia che essa faceva in
compagnia del Pellico e dell' abate Del Ponte non erano viaggi politici.
L' amor patrio della Barolo era una specie di umanitarismo cattolico , del
quale risentivano V influsso le molte istituzioni benefiche da lei fondate o
promosse. A poco a poco la marchesa , salda nelle sue idee retrive mentre
il mondo camminava, si trovò isolata in mezzo alla nobiltà piemontese , in
(1) Per es. a p. 180 si attribuisce al Comparetti il merito di aver illastrato il folk-lort mon-
ferrino, ciò che invece devesi, com'è noto, al Ferrare , e discorrendo delle cantoni popolari pie-
montesi citasi un articolo della Pigorìni rig^ardant« altro soggetto, e non si fa parola degli stndi
coscienziosi del Nigra. Per gli autodidascali (pp. 185-86) sarebbe stato utile rinviare allo scrìtto
del D'Ancona, Caratteri di piemontesi illustri del séc. XIX (in Varietà, I, 229 sgg.).
(2) Intorno al risveglio del sentimento nazionale nel sec. XVII sarebbe stato beM che VA.
avesse messo a profitto i Saggi di polemica » di poesia poUiica pubblicati dal D'Axcoxa nell'ilr-
chivio veneto del 1872.
294 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
cui le nuove idee facevansi strada. Essa offre un singolare contrasto con
Costanza D'Azeglio, mente acuta ed illuminata, che nonostante i pregiudizi
della classe sociale cui apparteneva, seppe vedere così addentro nei casi po-
litici de' tempi suoi. La marchesa di Barolo si spaventava per ogni fatto ,
per ogni opinione che si sottraesse alla più schietta ortodossia o mirasse a
scalzare que' principi legittimisti, che essa reputava incrollabili. Quindi nel
suo tempo essa è un anacronismo , e che il doloroso sentimento di ciò la
rendesse fanatica , non è a meravigliare. Ma forse meno facile a compren-
dere si è che le idee retrive di questa donna potessero essere con tanto ca-
lore divise dal Pellico, che bene o male nel movimento politico s'era trovato
e aveva ingegno, se non superiore, tale almeno da intendere di che si trat-
tasse. In questa parte il F., se non ci inganniamo, è troppo indulgente verso
il poeta di Saluzzo. « Confessiamo il vero (dice egli): vedere il patibolo;
« languire per dieci lunghissimi anni in carcere e poi ricevere la libertà ,
« la luce, la vita dalla magnanimità d'un principe, i cui diritti si erano
« oifesi, credo che modificherebbe le idee in più d'uno di noi, che ora par-
« liamo e scriviamo liberamente. La riconoscenza del Pellico, senza dubbio,
« fu eccessiva e gli fece perder di vista i bisogni veri del popolo italiano,
« ma egli merita compatimento » (pp. 27-28). Questa riconoscenza del Pel-
lico verso r Austria, perchè lo aveva tenuto troppo poco nello Spielberg, è
davvero curiosa! Più d'uno di noi, se ne assicuri 1' A., non la sentirebbe
affatto, e farebbe bene a non sentirla, perchè è un assurdo del sentimenta-
lismo, è una aberrazione nell'apprezzamento dei diritti umani. Una conver-
sione come quella del Manzoni, la si comprende facilmente ; una conversione
come quella del Pellico, si potrà spiegarla e anche compatirla^ come tutti
gli stati patologici dello spirito umano, ma giustificarla no davvero.
Che, del resto, la relazione del Pellico con la Falletti fosse purissima, noi
non abbiamo ragione di dubitarne; ma non crediamo che il giornale torinese
La croce di Savoia, diffondendo nel 1852 la notizia che il Pellico prendeva
in moglie la marchesa , intendesse calunniarli. Questa parola compare in
una lettera francese della Falletti (p. 66), come nella protesta del Pellico,
il quale in lettera privata trattava di « impudente razza di bricconi » (p. 64)
coloro che aveano comunicato quella notizia. Alla loro indignazione, punto
giustificata, si può perdonare queste violenze, tanto più quando si consideri
che si trattava di dare addosso ai liberali.
Il F. non ha potuto vedere i numeri del giornale La Croce di Savoia in
cui si parla di questo fatto (cfr. p. 33 n.). Ecco pertanto come stanno le
cose. Nel n° 7 febbraio 1852 leggesi secca secca la seguente notizia: << Si
« dà per certo che la signora marchesa Falletti di Barolo , nata Colbert ,
« abbia recentemente contratto matrimonio in Roma col suo bibliotecario
« Silvio Pellico ». Nel n» 26 febbraio dell'anno stesso èvvi la smentita del
Pellico cosi concepita:
Sig. Redattore della Croce di Savoia,
Non leggo il suo giornale , ma ho letto nel Cattolico di Genova un articolo tratto da un nu-
mero della Croce di Savoia , nel quale si dà per certo che la signora marchesa di Barolo , nata
Colbert, ha contratto matrimonio col suo bibliotecario Silvio Pellico : è una calunnia ; questo ma-
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 295
trìinonio sarebbe indegno di lei. Io che conosco i saoi meriti e le me virtù , devo proteatare
contro l'ingiusta malevolenza di un simile annunzio.
Prego Y. S., appoggiandomi alla leggo, di rendere al più presto pnbblica la smentita che do a
questa falsità: la riconoscenza che debbo alla mia benefattrice me ne fa an dovere di cosdanza.
Napoli, 17 febbraio 1852.
Silvio Pbluco.
Il redattore fa precedere la lettera da un lungo cappello, in cui dice delle
cose giuste e generose. Rileviamo specialmente le seguenti parole, con cui si
scusa dalla taccia di aver consciamente offeso il Pellico : « Poniamo da banda
« l'illustre marchesa nata Colbert , ,con la quale non ha che faro il nostro
« giornale. Quanto a Silvio Pellico , noi protestiamo innanzi tutto che non
« abbiamo avuto intenzione di offenderlo e fargli dispiacere in alcuna guisa,
« quando ci è accaduto di dire che egli si maritava. Un tempo noi abbiamo
« amato e venerato grandemente il poeta di Saluzzo; noi eravamo giova-
« nissimi allora, e il nome di Pellico era in tutte le bocche e in tutti i
« cuori. Noi onoravamo in lui il martire della libertà italiana , la vittima
« dell'oppressione straniera, e nel tempo stesso l'ingegno nazionale. Né quel-
« l'amore e rispetto sono scemati nell' animo nostro , e se non hanno ali-
« mento in un obbietto vivo e presente, rimangono almeno nella memoria.
« Oltre a ciò noi piangiamo in lui la vittima di un' altra oppressione , la
« quale, forse piià che l'austriaca, è stata cagione della rovina della patria
« nostra; né qui fa d'uopo che noi manifestiamo più apertamente il nostro
« pensiero. Singoiar destino d'un uomo! La sua vita non è stata che una
« lunga prigionia! Dopo le catene che gli toglievano la libertà del corpo,
« gli furono fabbricafe quelle dell' anima ; nelle quali ora si ravvolge con-
« tento e felice! Chi potrebbe dire una parola di offesa contro costui, e
« meritare il nome di onesto scrittore? » A parte il brutto stile del gazzet-
tiere, qui si dicono francamente cose verissime.
CLEMENTE BENEDETTUCCI. — Leopardi, scritti editi scono-
sciuti. — Spigolature. — Recanali, tip. Rinaldo Simboli,
1885 (8°, pp. xxxviii-470).
Dire che questo volume, di cui l'idea venne all'A. nel compilare la parte
riguardante il Leopardi di una sua Biblioteca recanatese, rechi agli studi
leopardiani fatti molto nuovi e molto rilevanti non si potrebbe davvero.
Chiunque abbia idea di quello che sono le pubblicazioni di testi inediti o
rari troverà senza dubbio che il prof. Benedettucci ha incredibilmente gon-
fiato il suo soggetto, non ha saputo contenersi nei giusti limiti che quelle
poche, poco rilevanti e non sempre sicure briciole leopardiane gli dovevano
imporre. Se noi esaminiamo questo grosso volume, vi troviamo che su circa
500 pagine, poco più di 160 recano scritti leopardiani o presunti di lui.
296 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
mentre gli altri due terzi del libro risultano di prefazioni o preamboli (per
usare la parola prediletta dall'A.) e di troppo numerose pagine bianche.
Difficilmente si poteva dare in più spazio meno roba. Come ciò torni a
danno grandissimo del volume e della idea del resto encomiabile del suo
compilatore, ognuno che ha fior di senno sei vede. E tanto più questa ten-
denza ad ingigantire i particolari, a far delle mosche elefanti è biasimevole,
inquantochè, tranne forse in un caso, questioni veramente serie e difficili,
che richiedessero un ampio svolgimento, l'autore non ne aveva per le mani,
e lo straordinario sciupo di spazio si deve quindi quasi sempre ad una spe-
ciale prolissità di esposizione, o al desiderio di toccare questioni laterali,
che col libro ci hanno poco o punto che vedere. Per esempio non ci pos-
siamo persuadere che fosse necessario il fare nella prefazione (pp. xxx-xxxvii)
tante riserve sul valore filosofico dello ingegno del Leopardi, e molto meno
di estendersi altrove, colta l'occasione per i capelli, in una digressione ten-
denziosa contro il Botta (pp. 286-91).
Accennando questo difetto metodico, che vi è nel recente volume leopar-
diano, non vogliamo con ciò porre in dubbio la utilità sua. Noi siamo d'av-
viso (e più volte ci è accaduto di ripeterlo; che degli scrittori sovrani ogni
cosa, benché minima, possa avere il suo interesse, e siamo ben lungi dal-
l'associarci a quelli che, scemi di mente e destituiti di ogni soda coltura,
fingono d'essere tutti assorti nelle sintesi solenni, nei massimi problemi, e
nella considerazione dei fatti grandi, per potere con olimpico disprezzo sen-
tenziare pedantesca ed inconcludente la ricerca e la illustrazione delle mi-
nuzie. Il prof. Benedettucci adunque, avendo potuto con sicurezza stabilire
la paternità leopardiana di alcuni scritti disseminati in vecchi e poco acces-
sibili giornali e sfuggiti sinora agli studiosi, ha fatto bene a rimetterli ìp
luce, recando le prove della loro autenticità. Nelle quali prove. Io diciamo
con piacere, se l'A. è riuscito talora soverchiamente abbondante, è certo che
egli è sempre convincentissimo e mostra critica ponderata ed acuta, e buona
conoscenza degli scritti leopardiani.
I periodici, in cui Giacomo Leopardi scrisse, sono per ordine cronologico
i seguenti: lo Spettatore di Milano, le Effemeridi letterarie di Roma, il
Caffè di Petronio di Bologna, il Nuovo ricoglitore di Milano, Y Antologia
di Firenze (1). Oltre le cose firmate del L., che in alcuni di questi si leg-
gono, ve ne sono altre anonime o pseudonime, la cui autenticità può esser
messa in chiaro solamente con indizi o attestazioni sparse nelle lettere. Dallo
Spettatore il B. ricava due recensioni del L., delle quali 1' una è certamente
sua, l'altra può dar luogo a qualche dubbio. La prima ha specialmente im-
portanza perchè è nuova prova della buona conoscenza che il L. aveva
dell'ebraico (2): essa infatti concerne il Salterio italianizzato da Giuseppe
(1) 11 B. sospetta che vi siano cose anonime del L. anche nel Giornale arcadico di Roma e
n^W Abhreviatore di Bologna, ma non crede si possa verificare nulla di sicuro in proposito. Cfr.
pp. 176-177.
(2) Tanto più ciò deve farci piacere, inquantochè gli altri fatti da cui si poteva dedurre, secondo
il B. (p. 2-1 M.), la conoscenza dell'ebraico nel Leopardi sono di poco momento. Mi sembra infatti
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 297
Venturi e versificato da G. B. Gazola (1). La seconda scrittura riguarda la
traduzione delle Eroidi di Ovidio data dal Femandez. Dalle Effemeridi leU
terarie del De Romanis il B. estrae una rivista anonima e molto interes-
sante- della versione dell' Iliade di Michele Leoni , in cui sono particolar-
mente notevoli i molti e ammirativi giudizi che il L. dà del Monti e della
sua traduzione; e aggiunge le Notae in M. T. Ciceronis de Republica, che
quantunque firmate dal L., non vennero sinora mai riprodotte. — Dal Caffè
di Petronio del Brighenti, giornaletto bolognese che durò solo l'anno 1825,
il B. toglie un manifesto delle opere di Cicerone (edizione Stella), che con
critica industre prova essere opera del Leopardi, e inoltre il più importante
degli scritti qui raccolti, una versione della Batracomiomachia, che è inter-
media tra la prima redazione, del 1816, e la definitiva del 1826. Buon ma-
teriale per chi studia l' arte del L. potrà offrire il confronto tra queste tre
versioni successive. — Dalla Antologia il B. riproduce l' insignificantissimo
manifesto, con cui il L. annunciava la ediz. 1831 dei suoi Canti.
Oltracciò al B. non parve soverchio il ristampare due prosette d'occasione,
che si trovano nella rarissima e soppressa ediz. napoletana del 1835, e non
comparvero nelle altre, e due dichiarazioni, una conosciuta contro i Bialo-
ghetti di Monaldo Leopardi e l'altra ignota contro le Considerazioni del me-
desimo sulla storia del Botta.
Più rilevanti sono alcune poesiole tradotte dal greco e pubblicate nel 1816
in occasione di nozze, tra le primissime cose certo che il L. mise a stampa,
note sinora solo in parte per riimpressioni recenti. In una appendice di cose
dubbie l'A. inserisce una prosetta sull'invidia, firmata il conte Leopardi.,
ed edita nella Lanterna magica di Napoli del 1837. La crede versione di
una prosa francese di -Giacomo, che non gli riuscì di rintracciare. Aggiunge
inoltre una contraflfazione di versione trecentistica d'una favola d'Esopo, che
assegna, non senza buoni argomenti congetturali, al L. per essere inserita
nello Spettatore del 1817.
Come si vede, questo volume, se non offre cose molto ghiotte e peregrine,
non è peraltro, nel tutt' insieme, destituito d'importanza, e nessuno che
abbia i volumi con cui in questi ultimi anni si venne completando la raccolta
lemonnieriana delle opere del Recanatese, quello del Viani, quello del Volta,
i due del Piergili ed i due del Cagnoni, ne vorrà star senza.
che solo VAiwlogia , che si trova tra le carte sinnerìane di Firenze (cfr. Pieboili, Nuckì docu-
menti, p. 45, tt. 1), attesti una conoscenza diretta della lingua, mentre negli altri casi citati dai
B. non è certo che il L. osasse i testi anziché le versioni.
(1) Non versificato dal Venturi, come per una svista il B. dice a p. 45 e nell'indice.
298 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
F. DI MANZANO. — Cenni hiografici dei letterati ed artisti
friulani dal secolo IV al XIX. — Udine, P. Gambierasi,
1885 (8°, pp. 227).
Il conte Francesco di Manzano, ben noto ai cultori degli studi storici per
i molti suoi lavori , che illustrano la storia del Friuli, del quale ha anche
tessuti ^ì Annali, con questa pubblicazione ha voluto rendere un nuovo
servigio agli studiosi offrendo loro raccolte e compendiate sulle fonti migliori
e più autorevoli le notizie spettanti alla vita ed alle opere dei letterati ed
artisti del Friuli dal sec. IV al XIX. Cosi circa mille nomi ci passano din-
nanzi: da Eliodoro, Florenzio, Fortunaziano, Ruffino, Paolo Diacono, S. Pao-
lino, veniamo giù giù per Lorenzo e Giovanni Bondi, Toramasino de'Cerchiari,
Odorico da Pordenone, ai letterati e poeti del sec. XV: a Jacopo di Porcia,
a Gir. Savorgnano ed ai maggiori del XVI : M. A. Flaminio, Erasmo di Val-
vasone, l'Aleandro, il Robortello, il Delminio, il Nicoletti, gli Amaltei, Giro
di Pers, Cornelio Frangipane; e la schiera eletta trova degni continuatori, nei
secoli a noi più vicini, nel Fontanini, nel Liruti, nel Bini, nel De Rossi, nel
Della Torre; per tacere dei più recenti, il Pirona, il Ciconi, il Nievo, che il
Friuli rivendica a sé. Non tutti questi cenni sono naturalmente di una esat-
tezza tale da non lasciare adito a correzioni e, sopratutto, ad aggiunte ; ma
ad ogni modo il lavoro del dotto storico friulano è degno di lode per la sua
utilità e ci consente di congratularci vivamente con lui, che in età si avan-
zata mantiene sempre tanto vivace il culto degli studi e la operosità del-
l'ingegno.
GIUSEPPE PITRÈ. — Novelle popolari toscane. — Firenze ,
G. Barbèra, 1885 (12°, pp. xlii-318).
L'avv. Giovanni Siciliano raccoglieva in Toscana dalla viva voce del po-
polo queste novelle, e le comunicava al Pitrè, che ne fece un libro impor-
tantissimo. Siccome esso si dirige ad un pubblico piuttosto largo, l'illustre
editore gli ha fatto precedere una acconcia prefazione, in cui tocca dei primi
raccoglitori di racconti popolari e dello sviluppo che successivamente ottenne il
folk-lore, e quindi con molta chiarezza determina le due principali teorie in-
torno alla formazionie e diffusione delle novelle popolari, mostrandosi incline
a quella proposta dalla scuola storica. A questa prefazione d'indole generale
segue una bibliografia delle principali raccolte di novelle popolari italiane,
che riuscirà utile come prontuario anche agli specialisti.
Le novelle sono in tutto 76, divise in tre gruppi. A noi non compete in-
dagarne l'importanza per la novellistica popolare comparata. Sì, invece, ri-
leviamo che i riscontri con altre novelle italiane posti in fine ad ognuna di
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 299
esse, hanno spesso volte interesso diretto per chi si occupa di storia lette-
raria, giacché richiamano novelle, che si annoverano nel nostro patrimonio
classico. Così, p. es., ve ne sono che hanno riscontro nel Novellino (pp. 73,
208, 243), nel Boccaccio (pp. 296-97), nel Sacchetti (pp. 305, 310), nel
Sercambi (p. 287), nel Poggio (p. 288 e 301) , nel Mambriano (p. 32 e
39), nello Straparola (pp. 19, 73, 276, 291), in Cinzio de' Fabrizi (p. 170
a 243) ecc. Particolarmente notevole è la XLU, Cecino, che è una variante
della notissima fiaba del petit-poncet, di cui il Paris (nel 1875) non avea tro-
vato traccia in Italia. Ora se ne hanno a stampa diverse redazioni italiane,
che il P. enumera.
Quanto alla diligenza e alla dottrina con cui il volume è condotto, ci
sembrerebbe inutile lo spender parola. 11 nome del Pitrè dice tutto.
N. BALDINUGCI. — Moglie e marito (Nozze Pardo Roques-Oli-
vetti). — Firenze, Carnesecchi, 1884 (8°, pp. 10).
Niccolò Baldinucci ha lasciato una curiosa opera, intitolata i Capitoli di
Arcadia , della quale il cod. autografo, arricchito di figure acquarellate a
ciascun capitolo , esiste nella Nazionale di Firenze (1). Uno di questi capi-
toli, quello per l'appunto che tratta del matrimonio, ha dato testé alla luce in
occasione di nozze il detto prof. D. Castelli. Il poeta dà così alla moglie come
al marito degli ottimi consigli: ma essi non avrebbero certamente perduto
nulla ad essere esposti in forma più elegante e poetica. Il più delle volte in-
vece le strofe del B. fanno risovvenire delle più brutte e prosaiche che abbia
mai dettate messer Francesco da Barberino. Strano contrasto, fra tante pre-
diche e raccomandazioni di serbare il santo timor di Dio, fa questa strofa,
che l'egregio Editore ha con ogni ragione lasciata in bianco , ma che noi
senza pericolo di offendere caste orecchie di gentili donzelle possiamo rife-
rire (2). Il poeta si lamenta della malvagità dei tempi suoi :
La moglie non si cerca
s« non per i denari;
e nulla mai importa
se la sia guercia o storta,
né importa se sìa vecchia o sia mal sana ;
e perciò poi si cerca la
(1) Una diligente descrizione del cod. vedi in Bartoli, / tnanoscritti itaUani dtUa Bibl. Hom.
di Firetue, I, pp. 17 sgg.
(2) Sarebbe la 4.
300 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
V. BELLEMO. — Giuseppe Zarlino (Nozze Voltolina-Grescini).
Ghioggia, 1884 (8° gr., pp. 48).
Assai lodevole è stato il pensiero del signor E. Scarpa di dare alla luce
questa inedita monografia del Bellemo intorno ad un uomo che da umili
condizioni seppe per valore d'ingegno sollevarsi ad onorevole stato e lasciare
di sé chiarissima memoria negli annali della musica italiana. 11 Zarlino,
ordinato prete, andò nel 1541 da Ghioggia a Venezia e quivi studiò sotto la
direzione del celebre fiammingo Adr. Willaert, maestro di Cappella di San
Marco (1527-1563). Salito presto in reputazione, pubblicò nel 1557 le sue
Institutioni harmoniche e nel 1562 le Dimostrationi ; le quali opere ac-
crebbero così la sua fama, che del 1565 fu chiamato a succedere al "Willaert
temporaneamente e quindi, contro le consuetudini, confermato in tal posto
a vita. Né alla musica soltanto si limitò l' operosità dello Zarlino ; egli
scrisse anche un trattato Della Pazienza; si occupò della riforma del ca-
lendario e appunto su tale argomento diede fuori nel 1577, dietro incarico
della Signoria, un trattatello Be vera anni forma (1). Il suo valore e la sua
virtù lo fecero proporre dell' '82 a vescovo di Ghioggia; ma la Curia Romana
non esaudì il desiderio dei suoi concittadini. Morì il 4 febbraio 1590, la-
sciando una splendida biblioteca, lodata da molti contemporanei. Nella vita
veneziana del tempo il Z., che il Fétis chiama uno dei più grandi musicisti
italiani, occupa un posto notevole : egli era uno dei più assidui frequentatori
di quei geniali e dotti convegni che avevan luogo nella casa del Tintoretto
e cui rallegrava della sua bellezza quell'Aspasia veneziana, che fu Veronica
Franco.
Il B. conferma che la tragedia Proteo, Postar del mare, scritta da Cor-
nelio Frangipane per la venuta di Enrico re di Polonia a Venezia del 1574,
fu musicata dallo Zarlino, il quale venne però aiutato da Claudio Merulo, or-
ganista; il che gioverebbe a spiegare le parole alquanto oscure del Frangi-
pane, che avevano dato argomento di Sospettare non l'attribuzione del Proteo
al Z. fosse erronea (2).
Notevole è poi il cenno , che il Z. fa in uno de' suoi scritti , opportuna-
mente rilevato dal B., a quella consuetudine di far sacre rappresentazioni,
che in Ghioggia non é spenta neppur oggi intieramente. Gioverà riferire le
parole stesse del Z., il quale narra come la Rappresentazione si desse nel 1528
dai Battuti per scongiurare la peste. «... Fecero un apparecchio assai como-
« damente ornato, secondo che portava quel tempo, sopra un grande burchio,
« il qual facea non solo bella vista, ma eziandio muover il popolo a gran
(1) Pag. XXVI.
(2) Pag. xxra. Cfir. anche p. xli, dove si parla dell' Orfeo , libretto musicato dal Z. , e di
altri non pochi rinvenuti dal B. nella Marciana (p. xlix) che sembrano doversi a lui attribnìre.
Vedi poi Qiornale, IV, 449.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 301
« devozione, lo non mi ricordo però in particolare il soggetto della historia,
« 0 cosa che recitavano, ma so bene in universale per quello che mi dissero
€ anche molti della Città che si rappresentava la persona della gloriosa
« madre di Dio, quella di S. Rocco, S. Sebastiano et S. Cristoforo et d'altri
« Santi , i quali pregavano Iddio nostro Signore per la liberazione della
« Città da quella mala influenza. Onde stando il popolo divotamente ad
« ascoltare, si vedovano molti dirottamente piangere » (1).
V. GIOBERTI e P. GIORDANI. — Lettere inedite (Nozze Mon-
tani-Galli, XX aprile MDGGGLXXXIIII). — Novara, Fratelli
Miglio (8°, pp. 15).
Nella Teorica del sopranaturale, stampata a Bruxelles del 1838, il Gioberti,
parlando del Leopardi aveva affermato che il poeta fu reso incredulo da
personaggio a cui ingegno, scritti e nome davano autorità grande. Si volle
veder qui accusato il Giordani e questi lo seppe , lo credette e scrisse da
Parma il 18 dicembre 1840 una lettera al Baruffi, amicissimo del Gioberti,
respingendo sdegnosamente il carico fattogli. Il Baruffi comunicò all' amico
la lettera del Giordani e quegli rispose avere per il Giordani « un' altissima
stima »; altrettanta nutrirne per il Leopardi, di cui adorava la memoria, e,
non pago di ciò, scrisse anche direttamente al Giordani stesso; ma la lettera
è irreperibile. Non sembra tuttavia che le ire giordaniane lo commovessero
molto , perchè nel gennaio del '41 scriveva al Massari che avrebbe deside-
rato che il Giordani gli scagliasse contro addirittura una invettiva: « Le
« collere del Giordani sono cosi eleganti! » Anche di questa lettera ebbe il
letterato parmigiano notizia e se ne risentì; non aveva tutti i torti! « Il Gio-
« berti (egli scriveva quindi il 24 febbraio al Baruffi in una lettera, che vede
« ora la prima volta la luce) deve essere un capo strano, e quanto a buona
« fede un vero gesuita ». Dopo di che torna a ribattere acremente l'accusa
fattagli, a suo credere, dal Gioberti, che informato di tale rinnovamento di
sdegni, cercò di nuovo mitigarli con una moderatissima lettera (25 maggio 1841 ).
Queste baruffe terminarono poi felicemente. Quando del '48 il Gioberti, fra
la gioia del risveglio italiano, giunse festeggiatissimo a Parma, fu abl)rac-
ciato dal Giordani, del quale fece poscia un magnifico elogio nel Rinnova-
mento civile.
Queste lettere del Gioberti e del Giordani sono la più notevole cosa che
sia pubblicata nell'elegante opuscolo di cui parliamo. Ad esse seguono altre
due del Giordani , l'una scritta da Piacenza il 27 dicembre 1795 ad un
G. Bertani di Gastellarquato , tutta piena di proteste d'amicizia di un entu-
siasmo un po' affettato; l'altra, di pregio anche minore, inviata da lui, come
prosegretario della Bolognese Accademia dì Belle Arti , al neo-accademico
conte Carlo Verri (7 novembre 1814).
(1) Pagg. xn sgg.
302 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
P. DURAZZO. — Orhis terrarum brevis descriptio. — Mantova,
Eredi Segna, 1885 (8^ pp. 29).
Il prof. P. Durazzo ha pubblicato, dedicandola al sig. D. Fellini nel giorno
delle sue nozze, una Orbis terrarum brevis descriptio, cavata dal cod. 784
della Universitaria di Padova. Questo trattatello ha interesse per noi solo
in quanto si trova in un codice che contiene unicamente scritti di Niccolò
Perotto; il che potrebbe essere a prima vista argomento abbastanza forte
per far congetturare che sia opera sua. Ma d'altra parte, come osserva bene
il Durazzo, non trovandosi in nessuna altra opera del Perotto accenno al-
cuno che ci possa autorizzare a crederlo versato nelle discipline geografiche
e cosmografiche (1), così dobbiamo rinunciare alla congettura. Piuttosto è
probabile che questo trattato fosse diretto al Perotto, perchè è volta ad un
Nicolò (Nicolae mi) la lettera dedicatoria, al quale di più si dice: tibi vero pe-
ragranti maria Siciliamque visenti; e il Perotto fu nel 1456 da Callisto III
mandato a visitare appunto le chiese dell'Italia meridionale e della Sicilia.
Chi sia poi o possa essere in questo caso l' autore , il Durazzo ignora e
spera che per opera di qualche studioso venga presto a conoscersene il nome.
* Questa Brevis Descriptio non doveva essere che la prefazione di un'opera
assai più vasta, trattante, come dice l'autore, de cosmogr aphia, de hominis
genitura et de Romanorum, muneribus. Alla lettera dedicatoria tien dietro
un quadro dei paesi dei quali poi si parla: è la solita descrizione del mondo
tripartito dall'oceano. Nella chiusa si nota un rozzo disegno della rosa dei
venti.
Sebbene lo scritto non abbia molta importanza, pure il Durazzo ha cre-
duto darlo alle stampe per « aumentare quel materiale, che intorno alla
« storia della Geografia si va con troppa lentezza raccogliendo ». L'edizione
di soli 60 esemplari è assai ben condotta e con molta eleganza, presentan-
dosi fedele riproduzione del codice. Il testo è arricchito di note illustrative
fatte con quella diligenza, che gli studiosi di cose geografiche conoscono
esser solita nel Durazzo.
(1) Vedi Zeno, Dissert. Yoss., I, pp. 265-271.
COMUNICAZIONI ED APPUNTI
Un altro esempio di « laisse » italiana. — 11 dr. Biadene ha recente-
mente enumerato i pochi esempi di serie continua che noi abbiamo nella
poesia italiana dei primi secoli, e l'amico prof. Scipioni ne aggiunge uno
nuovo in questo medesimo fascicolo del Giornale (p. 214). Tale circostanza
mi fé' tornare a mente come or non è molto io abbia avuto occasione di
osservare un fatto simile in un cod. posseduto dal marchese Gampori. 11 cod.
è certo dei più antichi che si trovino in quella preziosa collezione. 11 com-
pianto Luigi Lodi, che ne diede una descrizione accurata (alla quale rimando)
nel Catalogo dei Codici e degli autografi posseduti dal marchese Giuseppe
Campori,, Modena, 1875, pp. 3-4, lo fa del sec. XllI, appoggiandosi sicura-
mente, più che altro, su di una nota che leggesi sulla prima carta. Io non
saprei decidermi per una così notevole antichità: il carattere del codice
sembrami piuttosto del sec. XIV, ma certamente della prima metà. Chi ne
facesse uno studio coscienzioso, di che non sarebbe indegno, verrebbe in
proposito agevolmente a conclusioni positive. — Comunque sia, il contenuto
del codice, il quale probabilmente apparteneva a un convento di monaci, è
di argomento morale e religioso, dettato in certi versi scorrettissimi nella
metrica ed evidentemente corrotti, più forse dall'uso di recitarli, che dall'a-
manuense che gli trascrisse. Questi versi, la cui misura varia, sono per lo
più rimati a due a due. Solo in fine (e. 20 tj ■ 21 r) trovasi una tirade in
one^ e un'altra verso il mezzo in ato (e. 10 u - li r), che mette conto di
riferire. Vi si parla di ciò che aspetta il peccatore indurito nel peccato.
Trascrivo diplomaticamente, sciogliendo solo le abbreviazioni.
R. RSNIKR.
Essegli more infratanto emolto malgoidato Entrolonferno nebene asspecUto
Culai aquegli asseruito none adromentato Unque nonuisera mù abitato nebagniato
Massitosto comellospirito e del corpo Essceuerato Mafusse pur baciato et scaaellato
ullaccio igittaalcollo Essiila incatenato Sepenseria essere un ree incoronato
304
COMUNICAZIONI ED APPUNTI
Madi^an forconi diferro isspesso seratoccato
Cento fiato il die per melcorpo forato
Daltre pene sotante chenesim crericato
Nolpoterei isscriuere innno anno passato
Coloro caifende adio questo ledistinato
quelli che non crede morire credo lidefalire
Diquello pensieri cefa ciasscuno nereticato
Ogniomo ilpuo sapere anconone soadacto
Chelamorte aniano omo none perdonato
Ancoi ellomo ellegro edere atrauersato
diquesto mondo allaltro come distinato
Il molto peccatore perduto auera ilflato
Non per cessia neambra nemoscato
An(i pnte più desto recam morto nelfossato
Dacoloro chellama piutosto esschifato
Snoro necugini ne fratello può durare allato
nepadre nemadre chella nnrìcilato
Canto di crudeli uestimenta halloru fla addobato
Innuno poco didrappo sera inuoluppato
Delpigiore chetrouerra seraconprato
Dio con tostamente alachesa fuportato
Dipalio couerto chepoco iflalassato
Diconfessamente mistieri liflancatato
Portalo almolimento ouelli fla sugiellato
Dimalta et dicalcina ebene soffrenato
Matalprocuratore illui faie dilnierato
Chegli manduca labochca et lemani elcostato
Volentieri seneparte collui chellaportato
Matalne partito chella molto pianto
Euamolto dinoto porta il collegato
Egrìda Aadaltap (1) boce dolente et malfatato
Ouese caro cugino comeco abandonato
Sepuo tornare pur alacasa pur chessia lassato
Grossi bronctoni seradicio chegli lassato
Incapo delterfa silladimenticato.
(1) Le due lettere in corsÌTO sono espunte.
Una stampa sconosciuta della storia di Campriano. — Alle edizioni
della Storia, indicate dal Passano e dal Zenatti, si può aggiungerne un'altra
rimasta ignota ad ambedue , che dietro cortese indicazione mi fu dato rin-
venire neir Ambrosiana. Eccone una breve descrizione: La historia | di
Campriano contadino , | quaVera molto povero , & hauea sei figliole da
maritare. Et con astutia faceua cacar danari a vn suo Asino , che egli
hat*ea, & lo | uendè al alcuni Mercadanti per cento scudi | Et poi uendè
loro una Pentola, che bolliua senza fuoco, & un Coniglio, che portaua \
l'imbasciate, & una Tromba, che resuscitaua i Morti, <& finalmente \ gittò
quei Mercadanti in vn fiume. \ Nuovamente com,posta per Gironim.o Er-
vasto a comm.une dilettatione. Segue un intaglio in legno , ove è figurato
Campriano che, spingendo innanzi a sé l'asino bardato e colle sporte, parte
di casa. Tre donne stanno affacciate alle finestre del casolare, ed una dirige
il discorso al villano. Quindi : In Bologna, per Vittorio Bonacci. Con licenza
de Superiori \ Et di nuouo ristam,pata in Oruieto, per il Cololdi: 4 fogli
con segn. e rich. linee 46 per pag. : ogni pagina a due col. F. 4 t : Finita al
uostro honore è la nouella. \ Il fine. — La stampa ha manifesti segni di
appartenere alla fine del sec. XVI. Sebbene nel frontispizio si dica noua-
mente composta , il testo non offre alcuna variante colle altre del tempo ,
delle quali riproduce anzi fedelmente le scorrezioni e gli errori.
F. NOVATI.
COMUNICAZIONI ED APPUNTI 305
Una i-kttera di Giuskppe Bianchini. — Gli importanti o curiosi docu-
menti di sor Ciappelletto, oditi ed illustrati da Cesare Paoli (cfr. questo Giom.,
V , 330) , mi hanno fatto tornare alla mente una lettera di Giuseppe Bian-
chini , che si conserva ancora inedita nella raccolta di autografi Gonnelli,
esistente nella Biblioteca Nazionale di Firenze (cart. 3, n. 198). È senza in-
dirizzo, ma riesce facile rilevare dal testo che venne scritta a Domenico Maria
Manni. Eccola:
Sig.re Sing.re mio Pro.n C!ol.mo
Carissiina mi è stata la lettera di V. S., e tanto più, perchè io non mi credeva, che ella fosae
per iscrivermi da Montelnpo. Ho letto l'abbozzo intomo alla prima Novella del Boccaccio, che
mi ha mandato, e solo ho agginnto in marine il loogo e l'anno dell'edizione del mio Boccaccio,
dove ò a penna la consapnta nota. Io non ho cose da aggiangere ; dirò bensì , che dove ella ac-
cenna, che in Prato è stata la famiglia de' Cepparelli, afferma, che pur allora, cioè ne' tempi di
ser Ciappelletto ella esistesse, la qnal cosa non so se possa esser vera, almeno con qael cognome.
Io non mi impegnerei a tanto, e solo direi, che in Prato è stata la famiglia de' Cepparelli, ulti-
mamente mancata , e che è fiorita con qualche lustro , della quale può essere che anticamente
fosse ser Ciappelletto, e che forse ne' t«mpi posteriori le desse il nome. Mi rimetto al suo senno.
Per provare la verità isterica di questa Novella , mi dà molto peso una riflessione che io vo fa-
cendo. Se questa fosse una pura favola , e finzione , non faceva di mestiere che il Boccaccio nel
fljie di essa affermasse con tanta chiarezza , che creder si dovea , che ser Ciappelletto non fosse
santo, ma bensì dannato, per la sua sceleratezza, e miscredenza, perchè come favola non avrebbe
recato maraviglia nelle menti altrui ; ma perchè ella era istoria , e forse nota a molti e molti ,
per non dare scandolo, dopo aver detto che ser Ciappelletto fu tenuto per santo , giudicò neces-
sario nel fino della Novella di crederlo dannato , e dire tutte l' altre cose che egli dico. Compa-
tisca questa riflessione.
Perchè poi io vedo , che ella in questa prima novella si degna di far menzione della mia per-
sona, con eccesso di troppa bontà, le rendo anticipatamente le più distinte grazie, e confesso di
non meritare ri fatto onore.
Circa alla mia opera de' Qrànduchi , ella sappia che l' ho terminata , e il signor Marchese £i-
nuccini l'ha tenuta in mano più d'un mese, e l'ha fì&tta vedere, e non è stata disapprovata. La
Serenissima Elettrice ha accettata la Dedica , e per mezzo del signor Quidncci mi darà i Bami
per ornare l'opera co' Ritratti de' Granduchi: ma con tutte queste cose mi viene detto, o per dir
meglio ordinato dal signor Marchese Binuccini, parlando però confidentemente, che non si vorrebbe
che si stampasse a Firenze; in sequela di ciò, spero, che quest'opera si stamperà a Venetia con
magnificenza , e forse tra pochi giorni si manderà 1' Originale al Pasquali. Il signor Gerì tratta
r affare , nel quale mi son rimesso interamente. Tatto ciò che le ho scrìtto della mia opera lo
tenga segreto.
Le rimando il suo abbozzo ; e creda che non desidero altro , se non rivederla a Firenze , e di-
scorrere insieme secondo il solito. Mi conservi il suo amore e creda che io sarò sempre con pie-
nezza di stima
Prato, 30 7.bre 1740.
Dev.nu) Obb.mo Str.re
OlUBIPPB BlAHCHIXI.
Il Manni, sul principio della sua illustrazione alla prima novella del Boc-
caccio (Ist. del Dee, p. 146), fa onorevole ricordo del Bianchini; « il quale »,
egli dice, « al presente lavoro confortandomi, ha ad esso col consiglio e col-
« l'opera qualche giovamento prestato ». E ben si vede che nel fatto di ser
Ciappelletto egli ha accettato le osservazioni dell'erudito pratese, esponendole
quasi con le stesse parole e come cosa propria nel suo lavoro.
Achille Nkri.
Qiornak ttorico, TI, fase. 16-17. 30
306 COMUNICAZIONI ED APPUNTI
Letture di Amarilli Etrusca. — La Biblioteca Nazionale di Milano,
mercè la solerzia ben nota del suo egregio Prefetto, si è testé arricchita di
un considerevole numero di lettere d'uomini illustri della fine dello scorso
secolo, che hanno formato parte della corrispondenza del cav. Giuseppe Ber-
nardoni, uomo di molti studi e rivestito di alti uffici, così durante il regno
napoleonico come sotto la restaurazione austriaca. In questa raccolta, donata
dal nipote di lui alla Braidense, si hanno molte lettere di C. Arici, che trattano
sopratutto del poema La Pastorizia, à&ìm intrapreso per suggerimento del
Bernardoni medesimo (vedi A. Zanelli, Bella vita e delle opere di C. Arici,
p. 43); dell'Acerbi, fondatore della Biblioteca Italiana; del Barbieri, Bel-
letti, Fattori, Ferroni. Un copioso carteggio vi è pure del noto grammatico
milanese, il Gherardini; ed uno non scarso di G. A. Maggi, nel quale si
trovano molte notizie intorno agli scritti inseriti dal Foscolo in riviste in-
glesi e che il figlio del Maggi andava raccogliendo. Alle trattative per com-
perare al prezzo di 150 francesconi la copia, che avea fatta il Serassi di tutto
l'epistolario del Tasso, sono consacrate varie lettere del Montani e del Rosini
(1821); della sua disegnata Biografia degli illustri italiani viventi parla
C. E. Muzzarelli. Molti altri nomi oltre a questi si potrebbero citare, quelli del
Grossi ad es., del Litta, del Paravia, del Rosmini, del Torri, del Vaccari ; ma
degno di interesse speciale è il carteggio tenuto dal Bernardoni , dal 1803
al 1805 in circa , con la famosa Amarilli: carteggio che ci è prova (non
nuova del resto) della familiarità con la quale la poetessa trattava i suoi
amici. Al voi infatti succede presto il tu ; al Bernardoni carissimo, il caro
Beppe, e da Bologna, ad esempio, noi vediamo Amarilli scrivere (luglio 1803)
vigliettini di questo tenore: Scellerato, eccoti i viglietti. Crudelaccio , non
vuoi dunque venire oggi a trovarmi? Ebbene oggi te la perdono, m,a
dimani t'ammazzo e questa sola idea contemplerà oggi per effettuarla do-
mani la tua nemica Amarilli. — Parecchie volte poi la improvvisatrice, oltre
a raccomandazioni per persone più o meno ignote, introduce nelle lettere
notizie sugli scritti suoi, i suoi trionfi , le sue accademie , i suoi viaggi ; e dà
anche dei giudizi letterari. Cosi è abbastanza curioso quello, che scrivendo da
Pavia nel 1803, dice del Monti, che le consacrava « tutto il tempo che altre
« volte dava allo studio » : « Egli ha scritto e sta ultimando una opera che leverà
« rumore in Europa: opera che illustrerà l'Italiani (sic) al pari del suo au-
« tore. Spazia con stil robusto, ma non secco e vuoto di grazie, nelle pro-
« vincie di tutte le scienze e di tutte parla come s'egli le possedesse ad una
« ad una. Fa meraviglia veder Monti altissimo Poeta ragionare co' filosofi ,
« smascherar l'impostura, ricercare le cagioni, dedurne da esse gli eflfetti e
« preccorrere (sic) con pie velocissimo, anzi con tre passi di Nettuno, uno
« spazio infinito, lasciandosi dietro non pochi di quei che hanno grido d'ot-
« timi e scienzati (sic), prosatori e pensatori tra noi profondissimi ». Questo
accesso d'entusiasmo non si ferma qui ; Amarilli continua ancora un bel po'
sul tono medesimo, paragonando gli spregiatori dell'opera del Monti a quegli
animali in cui Circe convertì i compagni d'Ulisse ; e quindi conclude : « Ecco
« quali idee in me destò la lettura che ieri il nostro amico mi fece. Che
« che {sic) sia per succedere dopo la pubblicazione di questa opera somma
« io penserò sempre cos'i, giacché tra tanti ciechi, vantar posso d'avere un
COMUNICAZIONI ED APPUNTI 307
« occhio ». — Anche Amarilli però a Favia eccitava entusiasmi. Il 4 febbraio
essa, rendendo conto di una Accademia data il giorno innanzi, aggiunge che
la sera stessa ne avrebbe tenuta un'altra : « Malgrado la neve che cade di-
« rottamente, si teme che voglia essere ugualmente numerosa, ondo si sono
« date delle disposizioni per tenere a freno la folla ... ». Quale improvvi-
satore potrebbe oggi sperare altrettanto? Le venticinque lettere della Ban-
dettini sono or ora state raccolte in un grazioso libriccino per nozze Della
Beffa-Grondona dall'egregio dott. Filippo Salveraglio (1).
F. NOVATL
(1) Milano, tip. A. Lombardi, ottobre 1885. Ediz. di 75 eMmplari nnmerati.
Giustina Michiel e la censura. — In un recente scritto su Oiustina
Renier Michiel riferii un brano di una lettera sconosciuta di Ippolito Pin-
demonte a Giustina, nella quale si parla di difficoltà frapposte dalla censura
alla pubblicazione dell'opera sulle Feste veneziane (cfr. Giornale ligustico,
XII, 189, n. 2). Tale particolarità può ricavar nuova luce da un' altra let-
tera, indirizzata dalla Michiel a un abate AdoUi. Questa lettera , posseduta
già dal cav. Giuseppe Scolari , fu di recente acquistata , con tutta la bella
autografoteca Scolari, dalla bibl. comunale di Verona. Di essa e delle altre
lettere della gentildonna veneziana, che fanno parte della collezione, mi fa-
vorì copia l'egr. Pietro Sgulmero, al quale sono lieto di manifestare qui la
mia riconoscenza.
R. RXNISR.
Amico pregiatistimo,
1m mia sorpresa eguaglia quasi il mio dispiacere per le alterazioni che vennero fatte alla mia
Futa del Corpo di San Marco. Ho sempre detto, cbe se si credesse neceesaiio alcune significanti
modificazioni, io non avrei più stampato le mie feste. Se il Censore non fosse al tempo stesso lo
stampatore, io sarei stata avvertita delle correzioni prima che s'incominciasse il lavoro , e allora
mi sarei fatta lecito di far osservare al sig. Censore, che l'Opera tntta è ano sfogo di un'anima
Repubblicana, non già un assortimento d'idee di uno spirito ambizioso che cerca di abbagliare e
comandare l' ammirazione ; che tutto ciò è chiaramente indicato nella Prelkzioiie , e ohe tutto
deve corrispondere all'oggetto. Dirò dunque, che o non si dovea permettere l'Opera, o peraam
che sia non si deve scrupoleggiare tanto su certe frasi alterandone precisamente il senso. E chi
v'ha che sappia cosa sia pianto il quale ignori che dopo il pianto non si può cantare senza sforzar
la voce perchè non tremi ? Employer la voix poi è una sostituzione insipida , giacché ognnn sa ,
che il canto non può nascere senza l'impiego della voce. Non saprei poi immaginare che offender
possano le due righe che furono soppresse, tanto più che vengono modificate dalla posteriori. L»
posteriori poi senza le antecedenti propriamente non reggono. Se il sig. Censore teme le sinistre
interpretazioni de' lettori, egli deve pensare che tutto, come dico nella Prefazione, è soggetto ad
allusioni. Concludiamo: lo non aspiro ad una gloria che già non potrei acquistare colla stampa
della mia Opera , ma ancora meno poi vorrei colla stampa e colle correzioni, perdere quel pò di
credito che mi venne per cortesia da' miei amici. Se io scrivo cose da non potersi stampare , ii
tralasci la stampa, e questo fu il mio primo patto. Quindi il sig. Oamba o cambi il foglietto , •
s'astenga d'ora innanzi dal por mano di suo arbitrio nei passi controversi, orvero siano per non
istampati li primi otto fogli e siami venduto il Manoscritto. Io sarò sempre grata a Lei per tolte
le amichevoli cure che la si ò preso sin qni.
Onrema
Al sig. Ab. AooLLi.
CIl02SrA.C^
* La Miscellanea filologica , destinata ad onorare la memoria dei
professori Gaix e Ganello , tanto precocemente rapiti agli studi , è già
molto avanzata nella composizione , sicché si spera di presto vederla pub-
blicata. Ecco pertanto i titoli degli scritti che essa contiene: 1, Miklosich,
Ueber die Nationalitdt der Bulgaren; 2, Stengel, Ueber den lateinischen
Ursprung der romanischen fùnfzehnsilbner und damit verwandter wei-
terer Versarten ; 3 , Merlo , Problemi fonologici sulV articolazione e sul-
l'accento; 4, Gròber, Etymologien; 5, Gandino , Osservazioni sopra un
verso del poema provenzale su Boezio; 6, Gaspary, Molière'' s Don Juan;
7, Tobler, Etymologisches ; 8, Paris, Les serments de Strasbourg (Intro-
duction à un commentaire grammatical); 9, Paoli, Notizia di un codi-
cetlo fiorentino di ricordi scritto in volgare nel sec. XIII; 10, Fumi,
Postille romanze; 11, Gustavo Meyer, Der Einfluss des Lateinischen auf
die Albanesische Formenlehre; 12, Michaelis, Studien zur hispanischen
Wortdeutung; 13, Neumann, Die Enlwickelung'von Consonant -\- w im, Fran-
zósischen; 14, Miola, Un testo drammatico spagnuolo del sec. XV; 15, Wiese,
Einige Dichtungen Leonardo Giustiniani s ; 16, Flechia, Etimologie sarde;
17, Obédénare, Une forme de Varticle roumain qui se met devant les sub-
stanti fs et les adiectifs ; 18, Gornu, Recherches sur la conjugaison espagnole
au XIII^ et XI V^ siede; 19, Meyer, Complainte provengale et complainte
latine sur la mort du Patriarche d' Aquilée Grégoire de Montelongo ;
20, Avolio, La questione delle rime nei poeti siciliani del secolo XIII ;
21, Zingarelli, Un serventese di Ugo di Sain Circ; 22, Mussafia, Una par-
ticolarità sintattica della lingua italiana dei prim,i secoli; 23, Leite de
Vasconcellos, Etymolagias populares portuguesas ; 24, Renier, Un mazzetto
di poesie musicali francesi; 25, Suchier, Ueber die Tenzone Dante' s mit
Forese Donati; 26, D'Ancona, L'arte del dire in rima. Sonetti di Antonio
Pucci; 27, Pieri, Il verbo aretino e lucchese; 28, Morosi, L'odierno dialetto
catalano di Alghero in Sardegna; 29, Gaster, Die rumaenischen « Mira-
CRONACA 909
« cles de Notre Dame »; 30, Salvioni, Antichi testi dialettali chieresi;
31, Biadene, La forma metrica del commiato nella canzone italiana dei
secoli XIII e XIV; 32, Novali, Il ritmo Cassinese e le sue interpretazioni;
33, Monaci, Sull'antica poetica portoghese; 34, D'Ovidio, Della quantità
per natura delle vocali in posizione; 35 , Ascoli , Due lettere filologiche
(1*, Di un filone paleoitalico diverso dal romano, che s'avverte nel campo
neolatino ; 2", I neogrammatici e l'irlandese « cébaith »); 36, Mila, Un alba
catalana.
* Estratta dal Rendiconto dell'Accademia di scienze morali e politiche di
Napoli ci giunse una relazione di Vittorio Imbriani, che ha per titolo No-
tizie di Marino Jonata Agnonese. Tratta del Giardeno, con maggior copia
di erudizione certo e con maggior oculatezza (se non con metodo molto mi-
gliore), di quello che abbia fatto il sig. F. Ettari. Cfr. Giornale, V, 455.
* Il signor Giovanni Gerquetti ha pubblicato per nozze Bandini-Gasparini
(Osimo, Rossi) un interessante scritterello sul primo sonetto della Vita Nuova.
Vi si discutono le opinioni esposte dai critici su di esso e si producono
nuove osservazioni degne di nota. Che il giovane autore non abbia creduto
di poter venire a una conclusione positiva, è cosa che gli fa grandissimo
onore, poiché mostra che egli non piglia tali questioni sottilissime alla leg-
giera, come tanti fanno. Lo scritto è condotto con ordine, con accurata co-
noscenza del soggetto e acume di critica. Excelsior!
* Per le nozze Geccaroni- Voglia il prof. GÌ. Benedettucci pubblicò (Re-
canati, Simboli, 1885) Un sonetto sconosciuto di Vincenzo Monti per nozze
in Recanati nel 1791. Questo sonetto nuziale del Monti, che comincia: Signor,
mentre ben altro i tuoi pensieri, fu stampato la prima volta in Macerata
nel 1791, per le nozze della marchesa Isabella Antici, sorella della futura
madre di Giacomo Leopardi, col conte Leandro Mazzagalli.
* Per le nozze dell'illustre Gaston Paris il nostro G. Pitrè ha stampato
in cinquanta esemplari (Palermo, tip. del Giornale di Sicilia, 1885): «So-
natovi, balli e canti nuziali del popolo siciliano.
* Sappiamo che il prof. Giovanni Romagnoli ha ultimato un lavoro su
Frate Tommaso Sardi e il suo poema inedito dell'Anima peregrina. Il
poema del Sardi, che giace pressoché sconosciuto in mss. di Firenze e di
Roma, merita di essere illustrato. E quindi a desiderarsi che la monografia
del Romagnoli vegga presto la luce.
* Due notevoli opuscoli nuziali, dovuti alla dottrina del cav. Andrea Tessier,
meritano d'essere qui segnalati (Venezia, tip. dell'Ancora, 1885). L'uno, stam-
pato per nozze Battaggia-Giudice, contiene // Moreto attribuito a Virgilio
giusta il volgarizzamento di un anonimo del sec. XVI. Questo poemetto,
rarissimo nella edizione originale del 1543, venne ristampalo dal Gamba per
nozze nel 1827, e quindi dal Tessier in un num. del Giornale degli eruditi
e curiosi. In quel medesimo Giornale si discusse se il volgarizzamento do-
vesse 0 no reputarsi opera del Garo, secondo una congettura ammessa dal
310 CRONACA
Gamba; e su questo soggetto il Tessier ritorna nella prefazione al presente
opuscolo. — La seconda pubblicazione, occasionata dalle nozze Gaviola-Bi-
netti, consiste in Alcune lettere di Veneti illustri al celebre P. Giovanni
degli Agostini, tratte dal carteggio dell'Agostini, che il Tessier ha di recente
acquistato. Le lettere sono di Gaspare Gozzi, Giangirolamo Gradenigo, Gio-
vanni Brunacci, Angiolo Galogerà, Angelo Maria Querini, Marco Foscarini,
Giammaria Mazzuchelli, Anselmo Gostadoni. Segue ad esse un molto copioso
ed accurato commentario.
* Giambattista Passano sta stampando con l'editore Morelli una appendice
al Dizionario delle opere anonime e pseudonime del Melzi.
* Sarà pubblicato tra breve dalla Società bibliofìla torinese un volumetto
contenente gli strambotti e i sonetti di Cristoforo Fiorentino detto l'Altissimo.
Il volume uscirà a cura di R. Renier, che nella prefazione discorrerà del-
l'opera massima dell'Altissimo e darà la bibliografia delle sue opere minori.
* Il solerte Giuseppe Biadego ha recentemente pubblicato (Verona, Golds-
chagg) una trentina di lettere di Paolo Paruta tratte dal carteggio della fa-
miglia Serego, ora esistente nella bibl. Comunale di Verona. Queste lettere
sono indirizzate per la maggior parte a personaggi cospicui della famiglia
Serego. Nella illustrazione il Biadego ha potuto utilizzare i dispacci del Pa-
ruta preparati per la stampa dal compianto R. Fulin, che vedranno tra non
molto la luce a cura della Deputazione veneta di storia patria.
* II sig. Leto Alessandri, per incarico avuto dall'Accademia Properziana
di Assisi, ha pubblicato (Foligno, Campitelli) un copioso ed accurato com-
mentario Della vita e degli scritti di Antonio Cristofani. Vi si dà molto
minutamente la biografia del letterato e storico umbro, si illustrano le sue
relazioni, e si fa la storia delle opere sue, di cui in fondo al volume trovasi
l'elenco bibliografico.
* Presentati all'ultimo recentissimo congresso storico e pubblicati nel vo-
lume XXIV della Miscellanea di storia italiana^ abbiamo gli Indices chro-
nologici ad scriptores rerum italicarum quos L. A. Muratorius coUegit.
Questa importante pubblicazione venne compilata, sui materiali raccolti da
tre distinti allievi della Facoltà filologica di Torino , per cura di Carlo Ci-
polla e di Antonio Manno. È un bello e utilissimo lavoro, condotto con la
scienza e la diligenza per cui vanno segnalate tutte le opere dei due chiari
eruditi.
* Nella Scelta di curiosità letterarie il dr. Erasmo Pèrcopo ha pubblicati
IV poemetti sacri dei sec. XIV e XV. Ce ne occuperemo particolarmente.
* Riceviamo un opuscolo pregevole del prof. De Chiara su Galeazzo di
Tarsia (Cosenza, tip. Principe). Sui documenti pubblicati dal Broccoli nella
Napoli letteraria (efr. Giornale, IV, 308), e su altri da lui rintracciati, il
De Chiara cerca stabilire quale fra i baroni di Belmonte fosse il vero au-
tore del canzoniere.
CRONACA 311
* Ci giungono due rilevanti opuscoli di Alessandro Àdemollo. L'udo, in-
titolato La bell'Adriana a Milano, tratta della « più celebre fra le virtuose
« italiane di musica nella prima metà del sec. XVll » , Adriana Basile;
l'altro ha per soggetto La Leonora di Milton e di Clemente IX, cioè la
notissima Eleonora Baroni. Sono stampati ambedue dallo Stab. Ricordi.
* Merita considerazione una bella raccolta di Notizie biografiche del di-
stinto maestro di musica Claudio Monteverdi, tratte dai documenti dell'Ar-
chivio Gonzaga per cura di quell'esemplare archivista e coscienzioso erudito
che è Stefano Davari. Questo lavoro è estratto dagli Atti dell'Accademia
Virgiliana di Mantova.
* Il prof. Francesco Ravagli sta per pubblicare un lavoro sulla vita e gli
scritti di Rinuccio di Gastiglion Fiorentino, umanista del sec. XV e maestro
del Valla.
* La seconda serie testé uscita delle Varietà storiche e letterarie di Ales-
sandro D'Ancona contiene : Il romanzo della Rosa in italiano — TI*. Veltro »
di Dante — Di alcuni pretesi versi danteschi — La poesia politica itor
liana ai tempi di Lodovico il Bavaro — // Regno d' Adria. Disegno di
secolarizzazione degli Siati pontifici nel sec. XIV — L' antico Studio fio-
rentino — L'antico linguaggio politico ed amministrativo d'Italia — Due
antichi fiorentini: Ser Iacopo Mazzei e Bernardo Rucellai — Una gen-
tildonna fiorentina del sec. XV — Alessandro VI e il Valentino in novella
— Giangiorgio Trissino — / com.ici italiani in Francia — Unità e fe-
derazione: studi retrospettivi {1792-1814) — Poesia e musica popolare
italiana nel nostro secolo — Carlo Tenca e i suoi scritti di critica lette-
* È in corso di pubblicazione (Loescher editore) una Storia del Cicero-
nianismo e di altre questioni letterarie nelV età della rinascenza del pro-
fessore Remigio Sabbadini.
* Per nozze Rimini-Todros il sig. Leone Rimini pubblica nove lettere di
Pietro Brighenti a Domenico Albertazzi (Forlì, Groppi). Sono specialmente
curiose per le notizie che vi si danno di letterati celebri , fra gli altri del
Giordani, del Foscolo , del Leopardi. Ecco quale impressione fece a prima
giunta il Leopardi a questo, che esser doveva poi suo intimo amico (Lett.
20 luglio 1825) : « Andai con Giordani lunedì sera ad accogliere Leopardi
« che veniva dalle sue Marche. Me lo figuravo diverso e quando lo vidi
« scendere dal legno con un certo berrettino di maglia, una palandrana del
« tempo di Pio VI , un po' gobbo , magro e cogli occhi abbarbagliati e ci-
« sposi , mi parve impossibile che dovesse essere quel mare di scienza che
« il Giordani dice. Gli feci molte cortesie, ma mi parve duro, non so se per
« naturale o per la stanchezza del viaggio ».
* Per nozze Businari-Stellot fu pubblicato in Venezia nello scorso agoeto,
da alcuni amici dello sposo, i quali non si danno altrimenti a conoscere che
per le iniziali dei loro nomi, una breve prosa italiana, tratta da un codice
312 CRONACA
miscellaneo (probabilmente naniano) del secolo XIV, e che essi, gli editori
stimano essere, quasi senza dubbio, un capitolo del Milione di Marco Polo,
che manca a tutte le edizioni sinora fatte di questo libro. Vi si descrivono
certe costumanze nuziali, in uso nella città di Dharoihu o Daroidhu , nella
provincia di Eumogi, adiacente al Gatai.
f II 27 dello scorso agosto mori in Wackerbarthsruhe, presso Dresda, il
dr. J. G. Th. Graesse, che da molti anni era in quest'ultima città custode
della biblioteca regia. Tutti gli studiosi conoscono il suo Trésor de livres
rares et précieux, e il suo Lehrbuch einer allgemeinen Literaturgeschichte,
opera assai farragginosa , ma utile. Si occupò di leggende e, tra V altre di
quelle dell'Ebreo errante e di Tannhàuser. Nei Beitràge zur Literatur und
Sage des Mittelalters (Dresda, 1850) , pubblicò i Mirabilia Romae secondo
un codice Vaticano , e alcuni capitoli dello Pseudo Villani , riguardanti la
leggenda di Virgilio Mago. Pubblicò anche, malamente, la Legenda aurea
del Voragine e il Dialogus creaturarum. Ebbe molta erudizione , ma non
mente critica. Era nato in Grimma nel 1814.
Luigi Morisengo, Gerente responsabile.
Torino — Tip. Yotcenzo Boka.
IL TEATRO MANTOVANO
jsriEXj SEC 3:vi.
Continnazione. Vedi toI. YI, p. 1.
Comparisce col 1589 una nuova stella sul cielo drammatico
mantovano: una fin ora ignota Margherita Favoli, suddita del
duca, che a lui o meglio a qualcheduno di Corte, ricorreva colla
seguente dei 6 gennajo (1).
Confidata ne la bontà di V. S. vengo con questa mia a pregarla favorirmi:
che io insieme con il nostro Pantalone restiamo serviti di un poco di quella
pietra bezoar, fino a la suma di nove giorni, et questa vi si chiede per due
de' nostri, che sono vicini a la morte de male de petegie... So quanto V. S.
(1) A quest'anno '89", e precisamente ai 30 marzo, appartiene la seguente
lettera di un suddito del duca , residente a Madrid , che gli offre una sua
tragedia Rosmonda: « Hebbi già da fanciullo, quando venni in Mantova
« per 4 anni nelle scuole di humanità , particolare et humile devotione a
« V. A. S., perchè già in sua persona mi pareva vedere un ritratto di quelli
« famosi Heroi, che nell'età passata diede la casa sua al mondo In questo
« tempo la malenconia di questa Corte inclinò 1' animo mio a cose tristi :
« onde mi posi a comporre questa mia Rasimonda tragedia , con pensiero
« fermo di honorarla del suo s.™" nome. Mentre dunque viveva con questa
« deliberata volontà , arrivò in questa Corte , mandato da V. A. con sante
« reliquie, Don Giovanni suo capellano. Al suo ritorno subito mi determinai
« anch'io di mandare questa mia» operetta, che contiene le reliquie dell' hi-
« storia et avvenimenti tragici de' primi re de' Longobardi Alboino et Ra-
« simonda, acciocché con reliquie anco ritornasse a V. A. il suo capellano.
« Degnisi per tanto V. A. accettare il mio picciolo dono, acciò quel contento
« eh' hebbi in formarlo si faccia compito nel dedicarlo. Degnisi anche di
« accettare me col libro per suo devotiss.» serv.'* Pietro Cerruti ».
Ai 3 di agosto il Duca gli faceva scrivere che: « a S. A. piacque e ricevè
« molto gusto de' vostri componimenti tragici di Rasimonda, che gli avete
« mandati » : della qual cosa poi il Cerruti significava tutta la sua gioja ad
Alberto Cavriani segretario ducale, con altra da Madrid del 20 dello stesso
mese.
Giornali storico, VI, fase. 18. 21
3Ì4 A. d'ancona
lascia far l'ufficio de la carità, e potendo la supplico far questa limosina,
ch'io li ne resterò insieme con li altri in quell'obligo magiore che si possa,
•e potendo anche io mi comandi. Li resto serva di core. Di casa.
Margherita Favoli comicha.
Nulla sa il Bartoli di costei, e null'altro ci è dato conoscerne,
salvo che agli 11 ottobre 1592, il Duca stesso la raccomandava
ai Comici Uniti:
Trasferendosi la Compagnia vostra a Firenze, S. A. per riputazione della
vostra Compagnia desidera che Madama Margherita Paoli mantovana venga
■con voi altri a recitare, e S. A. desidera che sia ben veduta e trattata da
tutti voi.
Nozze principesche , fra Ferdinando de' Medici e Cristina di
Lorena, allietavano nel 1589 Firenze, e il Duca di Mantova vi
accorreva a mostrare il suo valore nelle giostre e la sua mu-
nificenza, spendendo nel viaggio e nella dimora di pochi giorni
oltre 100 m. ducati. Trajano Bobba, preannunziandogli gli spetta-
coli di che avrebbe goduto, così intanto gli scriveva da Firenze:
Molti spettacoli si rappresenteranno in Firenze per la venuta della Ser.™*
Sposa, et tra li altri si rappresenterà per comedia il Giudicio di Paride,
recitato da alcuni giovanetti nobili fiorentini, quali non arrivano di gran
lunga a quelli che recitorono in Mantova: poiché, se devo dire il vero, piut-
tosto pare che aspettino la lecione nanti al maestro, che recitare.
Il Giudizio di Paride era una favola in cinque atti di Miche-
langelo Buonarroti il Giovane (1): ma il Duca potè ascoltare nella
gran sala di Palazzo Vecchio anche altre commedie : la Pellegrina
di m. Girolamo Bargagli , recitata da nobili giovani senesi della
Accademia degli Intronati; e ai 6 di maggio, dai comici Gelosi
con la celebre loro prima donna Vittoria, la Zingara di ignoto,
intramezzata con gli stessi stupendi intermezzi della Pellegrina,
e con spesa di 40 mila ducati: poi, ai 13, la Pazzia, opera d'/-
sabella commediante, la quale eguagliò in maestria la Vittoria
(1) La Favola fu stampata nel 1608 , dedicandola ai Serenissimi e ricor-
dando che fu « con reale magnificenza rappresentata nelle felicissime nozze » :
vedi M. A. Buonarroti, Opere varie, Firenze, Le Mounier, 1863, p. 44.
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC. XVI 315
e fece maravigliar tutti pel suo « valore ed eloquenza (1) »: e pro-
babilmente cosi la Zingara come la Pazzia sono commedie a
soggetto, l'ultima delle quali parrebbe un nuovo titolo letterario
da aggiungersi agli altri della Andreini. La Compagnia dei Gelosi
manteneva cosi l'alta sua riputazione, e ai 12 di decembre il Duca
le dava segno del suo favore con cospicuo dono, per mezzo del
Presidente del Maestra to:
11 Serenissimo signor nostro comanda che V. S. faccia dare alli comici
Gelosi^ che si trovano hora qui, 100 scudi che l'A. S. dona loro (2).
Del resto, il favore del Duca si estendeva anche agli Accesi,
che raccomandava alle autorità di Brescia, perchè ivi potessero
recitare. Onorio Scotti cosi gli rispondeva agli 8 gennajo del '90:
Obedendo a quant'è piaciuto all'A. V. di comandarmi con la lettera sua,
andai subito a trovar li signor Rettori , acciò in gratia sua, si come mi co-
manda, concedessero licenza alli comici Accesi di venire in questa città a
recitar le loro comcdie, ma per non esser ciò in podestà loro dovendo venir
r autorità da Venetia, piacerà all'A. V. di escusarli et a me perdonare, so
conforme al infinitissimo desiderio che tengho d'ubedirla et servire, non ho
potuto operare quanto mi vien per lei comandato. La supplico perhò con ogni
reverenza che si come me li sono dedicato per umiliss.» servitore, non lassare
mai occasione di valersi della vita mia et ogni mio potere, che recevendo
ciò dalla benignità sua, renderò al Al. V. quelle gratie che m'obligha un
tanto dono, che sarà il fino baciandolli con ogni humiltà le mani. Che N. S.
li doni quanto desideri (3).
Il carteggio che segue ci dà notizia di un altro attore scono-
sciuto, e del gusto che alle commedie pigliava anche un reve-
rendo cardinale di santa madre Chiesa. Ai 13 gennajo del '90
abbiamo infatti questa lettera del Donati al co. Ulisse Bentivogli
di Bologna :
Havendo il S."'° S. mio inteso che Andreazzo Gratiano comico si scansa
(1) Comunicazione amichevole del cav. G. E. Saltini, di notizie tratte dal
Diario del Settimanni, voi. V, 149-132.
(2) Comunicazione dell'archivista cav. Bertolotti.
(3) Comunicazione dell'archivista cav. Bertolotti.
316 A. d'ancona
di venire a servire qua nella Compagnia destinatagli dalI'A. S., conformje a
quello che ne scrisse a' dì passati a V. S. 111.™* il sig. Giulio Geffini, con
dire che ha da andare colla Compagnia della Diana a Roma per servitio
deirill.™o Card.e Montalto, mi ha comandato che io scriva a V. S. perchè
si contenti di usar diligente inquisitione per sapere la verità di ciò : perchè,
se così sia il vero, S. A. si acquieterà, anteponendo ad ogni suo gusto, la
soddisfatione del sud.o Card." IH.™».
E il 24 cosi replicava il Bentivogli:
AUi giorni passati mi venne una staffetta del S. Giulio Ceffini, che in
nome di quell'A. S.™* mi comandava che per tutto quel Veneri dovesse es-
sere costì Andreazzo Graziano comico, onde andai subito a trovarlo e li
volsi dare denari a suo piacere, acciò se ne venissi costà, et egli allora mi
diede buona intenzione, senza certa promessa, di venire, se ben mostrava
dispiacere grandissimo d'haver mandate le sue robe alla volta di Roma con
quella Compagnia, e promesso d'andar con loro. Poco dopo due giorni che
doveva partire, mi disse che assolutamente non poteva venire, perchè non
sapeva trovar modo di apparente scusa con queste sue donne; e sopra ciò
li risposi in maniera che credo m'intendesse. Mi venne poi a trovare a casa,
dicendomi che la sig.» Diana aveva spedito a posta al 8."»° di Mantova
per dimandar favore, che detto Graziano andasse con loro a Roma, spe-
rando nella benignità di S. A. che otterrebbe tal grazia, e mi pregò che
aspettassi la risposta di questa donna, che haria fra quattro giorni differita
l'andata sua a Mantova. Io ne diedi conto subito al Ceffini del seguito ,
per straordinario di Ferrara, né mai poi ho avuto risposta. Passato questo
tempo, costui mi venne a trovare, dicendomi che li bisognava andare a
Roma con la Compagnia per recitare, et che havea promesso a detta Com-
pagnia et airill.™" Montalto, e che pensava, non essendo venuta risposta
alla sig.* Diana né a me, che l'A. S. non se ne curasse più, e perciò vo-
leva partire assolutamente. Io feci ogni sforzo per trattenerlo, né potetti
altro: ma mi promesse (se però si può credere alle parole di simil gente),
che quando S. A. mostrerà desiderio ch'egli vadia, per lettere alla signora
Diana come a me, che se ben fosse in Roma, ch'io glie ne dessi conto, che
subito verrebbe. Et io vista la lettera di V. S., per il medesimo staffiero,
mettendolo sopra le poste, la stessa notte lo inviai, e lo mandai a trovare detto
Graziano a Firenze, dove intendo che lo troverà, ricordandoli con mia let-
tera quanto mi haveva promesso, e che si risolva a venire a obedire S. A. S.
lo ho usate tutte quelle diligenze possibili, e son certissimo che il S. Card.*®
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC. XVI 317
Montalto, se ben ha fatto ha ver licenza a costoro di poter andare a Roma,
credo non di meno che l'andata di costui non l'importi cosa alcuna, non
l'havendo mai conosciuto né scrittoli, o so il sig."" Card.'» detto havesse vo-
luto costui, harei eseguito l'ordine datomi da V. A., senz'altra diligenza,
come m'accenna in nome di S. A. Sappia bene V. S., che questo è un bor-
dello d'innamoramenti di puttane con questi furfanti; e questo è quanto mi
occorre per hora.
Il Cardinal Montalto, che mostrava tanto desiderio di aver in
Roma i Desiosi, era Alessandro Peretti Damasceni, nipote di Sisto V,
e vice-cancelliere di S. Chiesa. A Roma non si era allora cosi in-
tolleranti, in fatto di comici e di commedie, come altrove, e come
fu ivi stesso più tardi. Già dal 1578 il Card. Paleolti arcive-
scovo di Bologna erasi lagnato che a Roma stavasi per « dar li-
« cenza ai Bolognesi di far fare le commedie »; e fece contro tal
deliberazione un premuroso ricorso, allegando « una memoria teo-
« logica assai efficace, in cui si dimostrava che l'uso dell'arte comica
« era incompatibile con la professione del cristianesimo *. Il card.
Boncompagni, nipote di Gregorio XIII allora regnante, replicò che
« la licenza era stata data sull'informazione avutasi che il card, di
« S. Prassede aveva tollerato che le commedie fossero fatte in Mi-
« lano». Il Paleotti ne scrisse subito al card, di S. Prassede, ch'era
poi lo zelantissimo Borromeo, il quale rispose ch'egli veramente non
tollerava le commedie, ma avea dovuto piegarsi al temperamento
di rivedere gli scenarj, sebbene ciò riuscisse imperfettamente (1).
(1) Crediamo utile riferire la Lettera del Sauto al Paleotti, traendola dal
già cit. libro del C.\stiglioni , Sentimenti di S. C. BoìTomeo intorno agli
spettacoli, p. 90: « Ho visto quanto V. S. IH."» mi scrive con la sua delti
« 2 del corrente intorno a quei commedianti, ch'Ella dubitava non venissero
« a Bologna : sopra di che le dico in risposta, che è vero che già molti anni
« sono vennero qui a Milano questi o simili commedianti, alti quali io non
« proibii espressamente che non recitassero, perchè non mi pareva di poter
« trovare in ciò facile esecuzione, avendo il Principe secolare in ciò altro
« senso. Doppo fatti sopra ciò tutti gli officj con il Governatore che io potei,
« non potendo più, si osservò quel temperamento di far rivedere quelle com-
« medie , con precetti alti commedianti sotto pene gravi , di non uscire di
« quelle parole formali, con che stavano le commedie corrette da alconi
318 A. d'ancona
Intanto, valendosi della licenza ricevuta da Roma, i commedianti
cominciarono a recitare a Bologna: ma il Paleotti fece tanto, ri-
« gentiluomini deputati a questo. Ma come era questa correzione quasi im-
« possibile , per esser tutte le lor commedie piene di cose oscene , né essi
« sapevano farle senza queste oscenità, massime che i spettatori ordinaria-
« mente anno tal senso, che senza di queste, cioè delle oscenità, pare che
« non gustino quelle commedie , aggiuntovi ancora , se ben mi ricordo , la
« proibizione di non farle nelle feste , o almeno a certe ore di esse , si an-
« darono prima difficoltando, e poi colla pietà di quei deputati escludendo
<.< affatto, mettendosi essi al saldo di non ne approvar più alcuna, comecché
« tutte fossero talmente inoneste , che ancora non patissero di essere cor-
« rette, e così si stancarono i commedianti, e ci lasciarono in pace parten-
« dosi di qui. Tornarono poi coll'occasioue dell'esser qui il sig. D. Giovanni
« d'Austria , e allora non si usò di vederle né correggerle , ma bene tenni
« saldo io di non lasciargli recitare le feste, e sebbene in questo particolare
« io fui ricercato a nome del sig. D. Giovanni a volergli dar licenza, non-
« dimeno io non lo volsi permetter mai , e glielo proibii anche in precetti
« penali, ed egli lasciò che i commedianti ubidissero. Questo è passato qui
« intorno alle Commedie, le quali allora appunto terminarono nell'ingresso
« della peste in Milano. Non le ho tollerate, perchè le abbia per punto tol-
« lerabili né che mai siano oneste, ma l'ho passata alcuna volta nel modo
« che ho detto, per non veder che più potessi far con frutto. So nondimeno
« dall'altra parte pur troppo gli scandali, i disordini e la corruttela de'costumi
« specialmente de'cittadini, che suol nascere da esse, anzi io giudico che siano
« ancora ordinariamente più perniciose ai costumi ed alle anime, che non
« sono quelli seminarj di tanti mali, i balli, le feste e simili spettacoli, per-
« che le parole, atti e gesti disonesti e lascivi, che intervengono in simili
« commedie, come sono più latenti, così fanno negli animi degli uomini più
« gagliarda impressione; e mi pare, se non fosse ancora il danno che ne
« sarebbe per risultare a quella città , dovrebbe in ogni modo V. S. 111.™*
« far ogni officio con N. S. perchè non le permettesse in quelle parti, per
« carità verso noi altri, che con simile esempio in città dello stato ecclesia-
€ stico, massime in tempi così calamitosi come questi , non averemo come
« difendersi nell'avvenire di qua in non ammetterli ».
La seguente supplica dei Gelosi al governo genovese, pubblicata testé da
Achille Neri, nella Gazzetta letteraria di Torino (25 luglio 1855) si ri-
ferisce ai tempi accennati dal Santo vescovo colla designazione generica
già molti anni sono: e infatti riguarda gli anni dal 1569 al '72. La sup-
plica è degli ultimi mesi di quest' anno :
« Ecc.""» Prencipe et 111.™* S.",
« Non già per esser molesti alle S. V. IH.^^e, ma necessitati dal gran bi-
« sogno, i poveri Comici Gelosi, devotissimi servi di questo felicissimo Do-
« minio, tornano a supplicar humilmente le S. V. Ill.™« che per sua infinita
IL TEATRO MANTOVANO NEI, .SlvC. XVI 319*
correndo al San Sisto (Buoncompagni) che gli riusci di « liberarsi »
dalla loro presenza. A Roma però avevano i comici come lor pro-
tettore, lo stesso figlio del Papa, Jacopo Buoncompagni (1): e poi,
durante il pontificato di Sisto V, il cardinal Montalto. Il Borromeo,
a sua volta, non cessava dal far guerra al teatro, specialmente
dacché in Milano nell' 84 « osarono alcuni religiosi di fare una
« rappresentazione intitolata: Il ìnartirio de' SS. Giovanni e
« Paolo, nella quale, oltre le maniere mimiche e buflbnesche,
« e certi profani episodj, che apertamente spiravano deprava-
« zione de' costumi, v'era di più uno d'essi, che, sotto figura di
« negromante, spacciava a mano salva magiche superstizioni (2) ».
Il santo si appellò anche al Governatore, che gli replicò « che si
•< poteva passare senza pena questo delitto, principalmente che
« nello stesso tempo fu recitato in Roma nella casa di un Gar-
« dinaie, un dramma alla presenza di alcuni altri Porporati (3) ».
Scrisse il Borromeo subito a Roma, per dimandare s'era vera
questa notizia « d'una commedia fatta in casa del sig"" Cardinale
« de' Medici, dove erano intervenuti altri otto e più Cardinali »,
pregando inoltre di interrogare in proposito la mente di S. S.: e
Mons. Speziano così gli rispondeva ai 14 d'aprile 1584:
<.< benignità e clemenza gli concedano di poter recitar le loro honeste et
« esemplar Comedie per tutto il mese di Novembre prossimo venturo, o per
« quanto meno le è di sodisfattione , acciò possano ristorarsi delle molte
X spese e' han fatte dimorando ociosi in Genova, essende questo da tutta la
« nobiltà universalmente desiderato, ricordando alle S. V. 111.™» che la
« stanza dove si recita non è capace di più di cento e cinquanta gentilho-
« mini che subito la empiono, talché gli artigiani non v' han loco, ricor-
« dandole anche che i sudetti Comici non sono mai stati discacciati da Città
« alcuna, come ne può ben render testimonianza Milano, dove già quat-
te tr' anni la staggione dell' estate hanno esercitata la loro proflfessione col
« consenso del R."'° Cardinal Boromeo specchio del viver Cristiano. Di novo
« inchinandosi le chiedono questa gratia per singolare, acciochè la venuta
« di Genova non sia causa di tanto suo danno. E N. S.*"" Dio le prosperi
« eternamente ».
E il Governo, con decreto del 13 ottobre, dava loro il richiesto permesso
(1) Castiglioni, Op. cit., p. 111.
(2) Ibid., p. 157.
(3) Ibid., p. 158.
320 A. d'ancona
Cotesto signor Governatore poteva dire molti altri luoghi, nelli quali si
sono fatte Commedie con la presenza de' Personaggi della qualità ch'Ella
scrive, che sono noti a tutti : ma V. S. 111.""* non se ne deve affatto mara-
vigliare 0 dolere, poich'Elia ancora vi ha la parte sua, perciocché mentre sta
qui le pare mill'anni di partirsene, e non si cura di quello che si fa.
E interrogato il Papa, lo Speziano ai 21 scriveva di nuovo:
S. Santità mostrò di non sapere che si fossero fatte quelle Commedie,
delle quali V. S. IH.™* mi scrisse , e gli spiacque d'intenderlo , per il mal
esempio che si dà (1).
Tuttavia nell' '86 ai 20 febbrajo in casa del sig.' Orazio Rucellai,
recita vasi VA7nore costante di Alessandro Piccolomini « alla pre-
« senza della sorella del Papa, di Montalto, delle sorelle, e delli
« Cardinali Alessandrino e Dezza et Ambasciatore di Spagna,
« oltre il molto concorso di altri signori principali (2) ». E due
anni appresso « dopo un gran contrasto fu concesso licenza alli
« Desiosi di poter fare delle Commedie di giorno, però senza
« donne, senza potersi portare dalli ascoltatori arme di sorta
« alcuna, et che havessero licenza che non si faccia rumore sotto
« le medesime scene (3) ». Ma che vorrà dire quel senza donne?
senza che le attrici recitassero, e fossero, come più tardi pre-
valse in Roma e in parte dello Stato pontificio (4), sostituite
(1) Ibid., pp. 158-9.
(2) Avviso di Roma, in Ademollo, Una famiglia di comici italiani ecc.,
p. XXXII.
(3) Avviso di Roma, e. s., p. xxxi.
(4) Nel 1676 Innocenzo XI proibiva nuovamente alle donne di salir sulla
scena, e le loro parti erano fatte da giovanetti: vedi Fr. Bartoli, II, 76.
Il Goldoni, Memorie, I, 4, racconta che a' suoi tempi a Ravenna e nelle
Legazioni si ammettevano donne sulla scena, non a Roma (ibid., II, 38),
dove quando egli andò a porre in scena la Vedova di spirito, donna Placida
e donna Luisa furono un ragazzo parrucchiere e un garzone legnaiuolo.
L'abate Richard, Descript, histor. et critiq. de l'Italie etc, Paris, 1769, I,
cxiv, vide in Roma « un acteur faire le ròle de Pamela avec une barbe
« épaisse et une voix rauque ». Assevera il Bonazzi , Storia di Perugia ,
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC. XVI 321
da giovani, non sempre imberbi: o senza presenza di donne?
Parrebbe più accettabile la prima spiegazione (1), tanto più che
altre attestazioni contemporanee (2) ci assicurano che le donne
intervenissero agli spettacoli. Il carnevale romano di cotesto
anno '88 fu copioso ad ogni modo di rappresentazioni sceniche.
Una commedia fu dai Desiosi rappresentata nel palazzo dell'Ar-
ciprete di S. Pietro, alla presenza di donna Camilla Peretti, so-
rella del Papa. Un'altra sera, essa coi suoi figliuoli assistè ad
altra recita nel palazzo Ridolfl, e fra gli spettatori, oltre il fiore
delle dame romane, erano nove Cardinali. Altri simili sollazzi si
ebbero presso Virginio Orsini, Federico Cesi, Giuliano Cesarini e
Orazio Rucellai. Anche il Card. Sforza fece recitare nel suo guar-
daroba, invitandovi alcuni Cardinali e parecchi prelati (3). In
queste recite quasi private non si potrebbe escludere che la signora
Diana e le altre donne facessero la loro parte: la loro sostitu-
zione con giovani sbarbati doveva essere riserbata alle rappre-
sentazioni in pubblico.
Tornando adesso al Duca di Mantova, sembra probabile, che,
con tutto il suo potere, non riuscisse ad acchiappare il recalci-
trante Graziano. Per rifarsi, nell'aprile si fece venire una Com-
pagnia che recitava a Milano, come si vede da questa del prior
Cavriani all'ambasciatore ducale cav. Olivo, in data del 7 :
Ho trattato coll'A. S. dei cento et cinquanta ducatoni che V. S. diede
costì a Filippo Angeloni per condurre a Mantova li comedianti, li quali dice
che V. S. se li pigli dalli trecento che da Casale li furono rimessi.
Forse si tratta della Compagnia dei Gelosi, che dopo la morte
Perugia, Boncompagni, 1878, 11, 452, che « per impegno della principessa
« Braschi, sorella di Pio VI, le donno sullo scorcio del secolo tornarono
« a comparire sui teatri di Roma ».
(1) Cosi l'intende I'Hubner, Siste V, Paris, Hachette, 1882, II, 99.
(2) Montaigne, Voyage en Italie, Paris, Le Jay, 1764, II, 131, dice che
le donne a Roma si lasciano vedere « en coche, en feste ou en théàtre ».
(3) HUBNER, Op. cit., II, 101.
322 A. d'ancona
di S. Carlo nell' '84 potè più volte recitare in Milano, finché Fe-
derigo Borromeo nel '96 ritornò ai rigori dello zio (1). Infatti nel
settembre dell' '89 essi erano a Milano, e vi ritornarono nel no-
vembre del '90 (2).
I comici davano da fare al Duca probabilmente più che i suoi
sudditi, e quantunque assai spesso si burlassero di lui e delle sue
voglie e de' suoi ordini, non cessava egli di proteggerli e di cu-
rarne a suo modo gì' interessi , come si desume anche dal suo
carteggio dell' '91 (3), relativo ad una andata degli Uniti a Ve-
(1) Castiglioni, Op. cit., p. 105. Secondo assevera il Pagani, Op. cit.,
p. 42 solo nel 1597 si venne, in proposito delle commedie e compagnia
comiche « ad una concordia fra la Chiesa e lo stato ».
(2) Ad. Bartoli, pp. cxxxii-iv; ove si recano lettere del De Bianchi al
granduca Ferdinando da Milano, settembre '89 e nov. '90.
(3) Nel Carnevale del '91 si fecero commedie, ma non si sa quali né da
chi: ciò si rileva però da un « Quinternetto delle spese fatte per l'apparato
« della barrerà, comedie et altre spese ». Le spese per questi sollazzi car-
nevaleschi ascendono a L. 22482. 13. 6. Quelle per comedianti sono no-
tate in L. 639. Noterò alcune partite. A M. Ant. Scalabrino per « la tela
« dipinta quale stava stabile dietro al palazzo mobile di legname, L. 48 ».
Per il detto « palazzo mobile dipinto di chiaro seuro, L. 18 ». Di più « nella
« prima fronte della scena ha dipinto quattro arbori di rilievo, dui quadri
« di tela dietro a questi, dipinti a arbori, la città con torrette e carte tra-
« sparenti nei fori, il monte del tempio et quello di Bacco, ornati tutti di
« fiori di rilevo e foglie di vite, dipinto di fuori il tempio con la fabbrica
« del pogginolo, ornato dentro il tempio e dipinto la fabrica del monte di
« Bacco, r Arco d' Iride, una tela per la barca, finta acqua, un tempio che
« havea da sorgere, quattro corni ecc., stimato per M. Stefano Santo Vito
« pittore, se li dà L. 165 ». Seguono altre partite, a mess. Anastaso Ana-
stasi pittore, « per nove ghirlande di cartone adorate con lauro et fiori, L. 9:
« per sei dardi inargentati, et coloriti li pomi, et sei bastoni da Pastori
« similmente inargentati e coloriti, L. 12; sei cimbali adorati di stagnolo
« le fascie, L. 3; sei manarini, sei vanghe et sei cortelletti inargentati di
« stagnolo, L. 6; quattro cavagnoli dipinti di verde, inargentati et adorati
« d' oro buono in più lochi, L. 3 ; un capello di cartone adorato et lavorato
« di nero, L. 2; otto picche e quattro bastoni adorati, inargentati et dipinti
« di più colori, L. 16; due armature dipinte et adorate a fogliami, L. 60;
« tre stocchi dipinti di morello, adorati et inargentati L. 4; nove libri
« adorati et dipinti, L. 9 ecc. » E a Mess. Massimiano Nastasi, scudi 35
« per la fattura e spese della tela dipinta a paesi, che traversava la scena,
« e quattro quadri parte simili e parte a nuvoli ; e per aver dipinto il cielo
« di turchino e nuvoli, tutto per le scene di corte, scudi 210 ».
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC. XVI 323
rona. Ai 19 di marzo il Duca cosi scriveva al co. Mario Bevi-
lacqua :
La Compagnia dei comici Uniti desidera di venir costi per recitar com-
medie, et perciò mi hanno ricercato a scrivere, cora'ho fatto a cotesto S.'
Podestà che se ne contenti: con tutto ciò non ho voluto lasciare di racco-
mandarla a V. S. particolarmente, come faccio con questa , pregandola per
amor mio ad haverla a cuore.
E ai 23 il Bevilacqua rispondeva aver egli fatto ogni officio
presso i rettori di Verona, per aver la licenza:
.... ma perchè sono alienissimi et contrarj a tal sorta di trattenimento ,
non è stato possibile di poterla ottenere.
La risposta officiale al Duca fu questa:
La conditione di quest'anno, tanto penurioso, non n'ha lasciato dar luoco
sinhora a li Comici di rapresentaro le loro comedie, ma vedendo es.ser tale il
desiderio di V. A. lo faremo dentro a pochissimi giorni, essendo noi tenuti
a servirla con ogni prontezza in tutto quello che potemo, et a V. A. rive-
rentemente baciamo le mani. Di Verona li xxvij maggio MDXCI.
Di V. A. Seruitori aff"'
Li Rettori di Verona (1).
Al Duca doveva certo parer strano che ci fosse gente, la quale
non volesse saperne di sollazzarsi colle commedie, e nel settembre
ritornava alla carica: ma il Potestà teneva duro, e a Vincenzo
toccò a piegar il capo, ammettendo che non dipendeva da poca
premura del conte Bevilacqua
... se ciò non ha potuto succedere conforme al suo e mio desiderio.
Manieri impicci gli procurava il marito di Madama Ange-
lica , cioè Drusiano Martinelli , come si vede da questa lettera
di Drusiano stesso, del 27 ottobre '91 da Milano al capitano Ales-
(1) Comunicazione dell'archivista cav. Bertolotti.
324 A. D ANCONA
Sandro Gatrani in corte del Duca, che si riferisce a rivalità di
prime donne fra Angelica ed una Margherita, la quale potrebbe
essere la Paoli sopra ricordata:
Quella saperà come Gasparo Jnpriale pavese è qui in Milano risoluto di
tagliare il volto ad Ang.ca per comissione della Malgarita comica, non avendo
risguardo alla paroUa data a S. A. S.: e sta di questa maniera. Avendo la
Malgarita fatto copia di se a Gasparo con promessa di tagliar il volto Ang.ca,
avendo lei inteso che S. A. S. ne mandava a Milano, ne avisò Gasparo, qual
subito come V. S. sa , venne a Mantova per tratare insieme come avevano
a incaminare il negocio, et alla nostra partita ne seguitò ma non ne agionse:
però venne in Milano et sta qui per far V effetto. Ma à voluto Iddio che si
sia scoperto qui con un principal cavagliero, et con il favore d' un gran
gentilomo che lo favorisce, gli adimandò agiuto di giente non conosciuta.
Dove il cavagliero essendo da tal gentilomo richiesto in favore di Gasparo,
gli promise agiuto; hor inspirato da Dio mandò a chiamar Leandro, con il
quale aveva per il passato intrinsica amicizia, e interogoUo chi era questa
Ang.ca et che vita teneva. Leandro gli narò esser maritata, e eh' onestamente
esercitava 1' arte comica, et come era stata mandata da S. A. S., qual per
sua gratia l'aveva sempre favorita, et gli narò i favori, le gracie et i doni che
S. A. S. gli aveva fatto. Queste parole comose talm** il cavagliero, ch'egli
scoperse come Gasparo con il favore d' un suo amico gli aveva adimandato
agiuto per tagliar il volto Ang.ca, ma per averli recircato cosa indegna a
un par suo, et in particolare per amor di S. A. S. non voleva inpaciarsene,
ma che fuse secretamente avisata: ma prima voleva che Leandro fuse chiaro
che quanto li diceva era vero, e che farla andar la cosa in longo, perchè
anco Gasparo voleva prima assicurar Ang.ca con servitù et presenti da man-
giare, afine che mai pensase in lui, et che di questo non ne parlasse con
persona, sino che lui non lo avisava, che da un prete lo faria avisar di
quanto pasarla; et così fece, et quanto li disse è stato vero, perchè Gasparo
l'à presentata, et gli à fatto et fa molta servitù con gran proferte. Hor es-
sendo il cavagliero inportunato da Gasparo a venirne a un fine, jeri mandò
a chiamar Leandro et voleva senza mentuarlo lui che ne avisase Ang.ca, dove
Leandro lo pregò a non lo intricare in tal cosa, ma egli come cavagliero
lo poteva fare, che saria tenuto secreto. Dove hoggi il cavagliero è venuto
solo secretam.*e in camera d'Ang.ca, et gli à narato quanto era passato, et
confermatoli ciò che avea detto a Leandro esser vero, et che quanto faceva
Gasparo era per comisione della Malgarita, et che aveva tirato la cosa in
longo sino che lei gli provedeva, e la consigliò a visarne S. A. S. che
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC. XVI 325
facesse scrivere qui al conte Piro Visconte, che favorisca Ang.o* in un ne-
gocio che lei gli dirh a boca, che lui poi ne avisarà ciò che gli averemo
a dirCj a fine che la cosa vadi in niente; ma se mai lo palesaso lui, che la
faria batre in pezzi se fusse in cappo al mondo: però quando S. A. S. vorà
sapere chi è il cavagliero et chi favorisce Gasparo, cello dirò a boca, et
quando S. A. S. avesse dubio che ciò non fosse vero, ma nascesse da mali-
gnità, la strada di chiarirsene è questa. Far ordinare secretam.'» alla posta
che tutte le lettere che vengono alla Malgarita et al S' Masimigliano, et
quelle che si danno alla posta in Mantova che vengono a Gasparo Jnpriale
et a Carlo che fa da Francèschina, siano tute portate in mano di S. A. S.,
et letole e toltone copia, risararle e darli recapito , a fine che le lettere co-
rine : perchè o in una o nell' altra si scoprirà il vero, non eh' io abbia su-
spetto ch'el S"" Masimigliano né Carlo siano intricati in tal cosa, ma perchè
molte lettere che vano alla Malgarita sono incluse in quelle del S'' Masi-
migliano, et di quelle che vengono a Gasparo sono incluse in quelle di Carlo:
et il segno è questo. Quando la Malgarita scrive a Gasparo, gli aricoraanda
il suo negocio, o si ricorda di lei o simil cose, et che gli tiene ducato il
putino.per suo conto. 11 ricordarsi di lei è il sfriso d'Ang.ca, et il putino è
con riverencia Però V. S. mi farà gracia di far sapere il tutto
a S. A. S. et mostrarli questa mia e suplicarlo per parte nostra a meterli
provisione , ateso che non potiamo difendere con Gasparo per non sapere
di far piacere o dispiacere a S. A. S., avendo comandato ad Ang.c» che stia
savia , né contro alla Malgarita per essergli la sua parola. Piacia adonque
a S. A. S. per l'amor di Dio, di far scrivere al conte Piro o a chi più li
piace in favor d'Ang.ca, overo sia contento che si partimo et venirsene a
Mantova, che questo carnevale lo serviremo costà. Ancor che parrai indi-
gnità a fugirmene in questa maniera, essendo sotto la protecione di S. A. S.»
per non aquistar fama esser fugiti per qualche infamia, però quanto coman-
derà S. A. S. tanto faremo, avisandolo che la cosa sia secreta : che trista
Ang.ca; et anco perché Gasparo viene questo carnevale a Mantova: che se
S. A. S. avendo saputo che questo è vero , ne potrà fare quella dimostra-
zione che li piacerà, overo darmi licencia a me, ch'io farò conoscere che
sono homo dabene et che sempre fece onore alla mia patria, perchè non
siamo gente da sfrisi Di Milano a di 27 ottobrio 1591.
Di V. S. afr."»o ser.»"* Drusiano Martinelli.
Segue sullo stesso argomento quest'altra, al medesimo capitano
Catrani, datata da Caravaggio li 9 novembre:
336 A. d'ancona
AUi giorni passati vi scrissi due mie per conto del negocio d'Angelica,
et vi scrissi il modo come S. A. S. poteva chiarirsene in far levar le letre,
ch'io vi scrissi: però ogni giorno più si va scoprendo la cosa esser veris-
sima, nella maniera ch'io gli scrissi, et abiamo saputo anco che per far riu-
scire le cose con presteza , aveva dato danari ad uno che si adimanda il
Piazza, perchè gli tagliasse il volto sul palco ; ma la cosa è stata scoperta
da un gentilomo mio amico et amico di questo Piazza, qual si ha fatto dare
la parolla al detto Piazza non se ne impazzare, ma che si stia secreti che ne
avisarà il gentilomo del tutto che sucederà, et à anco avisato il gentilomo,
che advertisca che quando la Malgarita scrive al sig. Gasparo, che indrizza
le letre qui a Milano, in mano d'un giovine della posta medema di Milano,
che si chiama m. Paulo Girolamo Picotto, che lui poi li manda a chi le
vano: però è di bisogno di avisarne anco di questo S. A. S., che faccia
anco levare le letre indrizate al detto giovine; se V. S. mi manda risposta
et qualche letra di favore di S. A. S. per qualche cavagliero, indrizatela a
Milano in mano di quel mercante, che dice Angelica che gli à portato una
vostra o a qualche vostro amico, perchè venghino sicure, che non mi siano
tolte, et eh' el nostro amico li dia poi subito in mano di Angelica o mie.
Siamo ancor qui in Garavazo, et credo che li staremo ancora otto giorni, e
poi andaremo a Milano, dove la Gompagnia li voi star fino a Natale: ma
io et Angelica faremo quanto piacerà a S. A. S., o restar qui o venire. V. S.
per amor nostro faccia opera con solicitudine che S. A. S. si chiarisca della
verità nel modo ch'io gli scrissi et scrivo, non essendo questa mia per altro.
Prego Iddio lo felici. Di Caravagio.
Come andasse a finire la cosa, non apparisce : certo che il Duca,
nella cui grazia erano molto innanzi e Drusiano e madama An-
gelica, avrà impedito lo sfregio minacciato alla diva: non però
privò della sua protezione la Favoli, come abbiam visto qua ad-
dietro. Il Martinelli intanto andò a Firenze, litigato fra i due
principi, secondo apparisce dalla seguente lettera da cotesta città
in data del 10 giugno 1592 ; e a quel che pare, litigato non per
cause teatrali , ma per qualche invenzione o segreto o imbroglio
che possedeva e cercava vendere:
§_mo gre
Dal Gap.*' Alesandro mi è stato mostrato una lett.^ scritali dal S."" Gui-
•dobono secret.'» et consig."'» di V. A. S., nella quale si contiene che io ve-
IL TKATRO MANTOVANO NEL SEC. XVI 327
nendo costà V. S. mi vedrà volentieri, ot che io restano da lei sodisfato :
et perchè so che un suo cenno m'à da essere espresso comandam.'», non
mancarò di fare ogn' hopera ot tentare ogni strada di poter venire a servire
r A. Sua, et ne ringracio la MM di Dio, che mi fa degno di poterla servire,
et che lei tenga conto di me, et io come suo fed.«»* ser.'" accetto «unii.'*
ogni sua cortese proferta.
Y. A. S. saperà che dominica passata il gran Duca mi mandò a chia-
mare air Ambrosiana, dove di novo mi à fatto dire eh' io mi contentasse
della proferta che mi fece fare, et io con un core generoso gli fece dire
che più tosto che toro 500 scudi al anno ch'io gli facio un presente del tutto,
et che io me ne volevo andare: dove che mi fece dire, che mi darà al pre-
sente una suma di danari eh' io sarò contento, et mi è stato acenato di
dua o tre milla scudi alla mano: però se non mi danno tutti li dieci milla
scudi alla mano in una volta oltra la provisione, io non ci voglio stare in
nisun modo, perchè sicome mi amancano hora della promessa fatemi, mi
potriano anco amancar col tempo del resto, et io a bonora tanto eh' io son
vivo et sano, voglio aquistare qualche beni per i miei figlioUi: et creda
V. A. S. ch'io averla pagato questa ocasione col mio sangue, non per altro
se non per il desiderio che io tengo di servire all' A. sua per essere mio
Sig.''6 et patron naturale, che con altri non la farei, per quanto horro è al
mondo, et più tosto lei per niente che d' altri per gran premio. Però questa
sera me ne ritorno all'Ambrosiana, dove credo sarò spedito et averò li dua
0 tre milla scudi: et subito spedito, adimandarò licencia di venire a como-
dare i fati miei, et come sarò a Mantova farò quanto V. A. S. si degnerà
comandarmi, et restando in servicio suo trovare qualche legitima scusa, che
senza perdere la gracia del granduca, potrò con mio honore servire V. A. S.,
come poi gli dirò a boca, prometendogli eh' io farò tutto quello eh' io potrò
et saperò per servirla et darli gusto, non guardando qua a interesso alcuno,
et spero in Dio eh' io farò vedere a V. A. S., secreti tali che li piaccrano
et sarano di suo grande utile, et farò ogni diligentia di venire con il
S"" Gap" Alesandro Di Firenza a di 10 Giugno 1592.
Di V. A. S. Um.°»o et fed.»<> Serro
Drusian Martinelli.
Poco dopo lo troviamo a Mantova, e il Duca par si impicciasse
anche di trovargli una casa, e se ne parla in questa del capi-
tano Gatrani al principe, in data 20 luglio:
Le casa per Drusiano por dcligenza ch'esso habbia usata, me dice non
v' essere altro che quella di Claudio, la quale credo che esso n' andrà fuora
228 A. d'ancona
mal voluntieri, se però V. A. S. non glie ne comandasse: che con l'apartam.*»
che esso tiene et le due camere che son d' affittare nella detta casa, si pa-
garebbe in tutto scudi 25. Y 'è un altra casa presso Sant'agnese per quanto
essi me dicano, che si paga de fitto 35 scudi, la qual essi vorebbono torre,
et perciò viene Arlechino a darne conto a V. A. S. Ho voluto di ciò far-
glene consapevole, poiché ieri le piacque comandarmi eh' io vedesse sopra
ciò quel che v'era per comodo di Drusiano.
A che cosa dovesse servire questa casa, resta ignoto: forse a
qualche laboratorio: ma da quest'altra del Martinelli stesso, del
23 agosto, parrebbe ch'ei lavorasse per coramission del Duca a
preparargli sollazzi teatrali :
Ser.°»o SigJ»,
I dui* edeficii sono ormai in termine di cominciare a meterli insieme , et
s' io avesse avuto Maestri a bastanza sariano de già forniti, ma non gli è
che dui M." che li lavorano a torno, et gli spontoni non sono arivati che
bora, et i dui Moschetoni per la mostra non sono ancora venuti : però io
gli guarnirrò di cane d' archebuso per bora ; dove si fano gli edefici, non
vi è loco per meterli insieme che non siano visti da tutti: ma se così
piace a V. A. S., li meterò insieme in casa mia in dui camaroni che per-
sona del mondo non lo saperà, et poi subito ne avisarò V. A. S., alla quale
suplico voglia degiarsi concedermi questa gracia de venerli a vedere prima
lei solo 8ecretam.*«, et dopoi se li piacerà farli vedere a chi più li tornarà
a comodo, avisandola che sempre sarà a tempo de mostrarli, et sino che
nisuno non li ano visti, sono di V. A. S. solo, ma dopoi visti non sono più
suoi secreti, ma di chi gli ano visti. V. A. S. è giudicioso: m'intendo facia
lei : solo la suplico per la prima volta vederli lei solo o in casa mia o dove
ordinarà V. A. S. che gli vada a metere insieme , che Tristano viene per
questa resolucione, pregando Iddio che feliciti l'A. V. S.™^ (1).
(1) Probabilmente, avendo rinunziato al servizio toscano, il Martinelli entrò
fin da quest' anno stabilmente a quello del Duca di Mantova. Per l'anno
successivo, lo attestano almeno queste ricevute.
« A dì 15 Marzo 1593.
« lo Drusian Martinelli confesso aver ricevuto dal S."" Hottaviano Gavriani
« per man del S."^ Ippolito della camera di S. A. S. quaranta tre scudi che
« sono per resto et compimento delle provisioni che mi dona S. A. S. per
« tutto genaro pross.» passato « Io Drusian Martinelli.
« lo Drusian Martinelli ò avuto dal Sig.'' Ott.no Gavriani scudi 25 a bon
« conto di quello eh' io avanzo con S. A. S., a di dui Agosto 1593
« Io Drusian Martinelli affermo quanto di sopra ».
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC. XVI 329
Occupandoci del teatro mantovano, non dobbiamo tacere che a
quest'anno appartiene la stampa della commedia di un Gonzaga,
del ramo detto dei signori nobili di Mantova. Il Rampazzetto di
Venezia stampava invero con cotesta data Oli Inganni, commedia
deirillustr. signor Gurtio Gonzaga, che Maddalena Gampiglia, nota
letterata vicentina, dedicava « alla signora Dama Marfisa da Este e
« Cibo », augurando che la produzione « di questo divino spirito »
sia chiamata « la regina delle commedie del nostro secolo ».
Questo Gonzaga nato nel '36 e morto a Borgoforte nel '99, esal-
tato a cielo a' suoi tempi, e specialmente dal Tasso, pel suo poema
il Fidamante stampato nell' '82, scrisse anche alcune Liriche, e, a
quel che ne dice la Campiglio, tradusse in parte Y Eneide, e re-
citò nell'Accademia vaticana di S. Carlo Borromeo una orazione
in lode della lingua volgare. Fu, come attesta il Tiraboschi, non
meno valente in armi che in lettere, e nel '59 venne dal card. Er-
cole mandato per negozj politici alla corte cesarea. La commedia
è delle solite di quel tempo: più ci attraggono in essa certe fi-
gurine, rappresentanti le varie scene, che sono disseminate nel
libercolo.
Massima preoccupazione era in questi anni al Duca un gran
spettacolo, del quale ragioneremo partitamente più innanzi: ma
ciò non toglieva ch'egli non pensasse anche ad altre commedie (1)
e alle Compagnie comiche , e specialmente a quella sua pre-
diletta degli Uniti , i quali veramente, allora, erano molto disu-
niti, e dispersi in varie città. Ai 4 luglio del '93 si rimborsavano
(1) Resta soltanto il ricordo delle « spese fatte per la comedia del mese
« di febraro 1593 », cioè: « A M""» Vincenzo Taragnoli per ha ver fatto un
« leone et un serpente et barbe nove per i pastori, et aconciate tutte quelle
« che erano in casa per i Satiri, L. 55; A M''° Francesco Cremonese ma-
« rangone, per ha ver stoppe le finestre, fatti i sedili, il palco delle donne,
« et tirate le corde del coperto della scena, L. 48; fattura e spesa di 17 ca-
« pigliature per la comedia L. 169; a Messer Dario pittore per tutte le
« fatture et spese fatte in colori et dipinture per li apparati et vestimenti,
« L. 197; Per 12 mascare et 8 barbe, tutte fomite con la sua cordella per
<< la comedia, L. 19; Per para 8 scarpe per li cantori mietitori del 2» in-
« termedio della comedia, L. 18: Per il fitto di n<» 16 habitì per la comedia
« per giorni 3, L. 22, ecc. In tutto, L. 996 >.
Giornale storico, YI, fase. 18. 89
330 A. d'ancona
infatti a Leandro commediante (1) le spese occorsegli per man-
dare ad avvisare i comediantì di S. A., di tornarsene di Ferrara
e Reggio, ove si trovavano, a Mantova: e l'Angeloni era spedito
a Firenze a ripigliarvi la Compagnia degli Uniti: alla quale,
come vedemmo, quando essa appunto stava « trasferendosi a Fi-
« renze » nell'ottobre del '92, il Duca aveva raccomandato la
Margherita Favoli. Ora, una Aurelia desiderando entrare nella
compagnia della Vittoria, si raccomandava per ciò al Duca: al
quale cosi scriveva da Verona, ai 27 marzo '93, un Giusto Giusti:
Aurelia comica desidera sommamente di haver luogo et unirsi con la Com-
pagnia di Vittoria, sperando con la scorta di s\ gran donna di poter avan-
zarsi nella professione. Et perchè sa che un minimo cenno di V. A. S. può
farla degna di questa gratia, è venuta a pregarmi con la maggior istanza
del mondo, ch'io voglia supplicar V. A. S. del suo favore, nella cui beni-
gnità havendo ella prima fondata ogni sua speranza, stima che la interces-
sione mia, come di servitore tanto obligato et divoto di V. A. S., possa
giovarle non poco. Et io amerei grandemente che il buon desiderio di questa
donna fosse aiutato dal mio reverente affetto. Supplico adunque V. A. S. con
tutto l'animo, che resti servito di essaudir così giusta et virtuosa domanda.
Di che, non pur l'istessa Compagnia di Vittoria può ricevere accrescimento,
ma particolarmente la nostra città, ove sperano di far lor comedie, sentirà
grandissimo gusto, essendo Aurelia da ciascuno generalmente ben vista. Et
a V. A. S. riverentemente m'inchino.
P.S. Giovami di credere che se bene la Compagnia è stabilita, di conse-
guire questa grazia, et come di cosa già ricevuta le resto con quel magior
obligo che possi venire dal mio conoscimento.
La Vittoria potrebb' esser sempre quella che nel '74 venne
applaudita da Enrico 3°, e che nell' '89 abbiamo ritrovata a Fi-
renze. Ormai provetta, poteva ben servire di guida, di sostegno,
di « scorta » a una attrice principiante. Ma chi fosse quest'^w-
relia, probabilmente veronese, non è dato conoscere. Non è cer-
(1) Questo Leandro è probabilmente un Leandro Ricci, nipote al pantalone
Federigo Ricci, che più tardi, nel 1612, si trova nella compagnia di Arlec-
chino (Tristano Martinelli), e vi era ancora nel '20, quando, tornando in
Francia, morì a Chambéry: vedi Baschet, pp. 225, 280, 287.
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC. XVI 331
tamente la Brigida Bianchi, comica fedele (1), che illustrò il nome
di Aurelia sulle scene d'Italia e di Francia, e fu madre di Cintio,
ovverosia Marcantonio Roraagnesi. La Bianchi è una seconda Aiir
relia: della prima, come anche già della prima Flaminia, dob-
biam rassegnarci a non saper nulla. E invero la Bianchi, che nel
1659 dedicava alla regina di Francia e stampava in Parigi V In-
ganno fortunato ovvero V Amunte aUboiirita, tradotta dallo spa-
gnuolo, e nel '66 mandava alle stampe i Rifiuti di Pindo, raccolta
di poesie indirizzate da lei al re Luigi, morì nel novembre del
1703: e sebbene avesse allora 90 anni (2), non può essere la co-
mica raccomandata dal gentiluomo veronese al Duca.
Né questa diOiV Aurelia fu la sola raccomandazione che allora
ricevesse il Duca, divenuto non sapremmo dire se protettore e
patrono, ovvero piuttosto servitore e agente della comica fa-
miglia : dacché nello stesso anno a lui cosi si rivolgeva da Roma
un povero dottor Graziano, che vi aveva trovato la mala ven-
tura :
S.«"> S' Duca
Gianpaulo Agochij Bolognese d."» Dottore, Ser.'« di V. A. S., quel il quale
à recitato a Mantova et a Viedana a V. A. S. e ch'à recevuto tanti favori
e cortesie da S. A. si ritruova in Roma e qualche un mese fa è usito di
pregione, et li è stato dui anni in secreta senza esser examinato, per essere
stato perseguitato da un suo parente : con Taiuto di Dio e di quela S.*"' Maria
di Loreto e per amor di V. A. et il favor del Gard.i» Cintio S. Giorgio
fui examinato et ralessato senza altro impedimento, doppo che m' aveano
tenuto dui anni in gabia: così ricoro ìdla benignità e amorevoleza di V. A. S.,
(1) Fr. Bartoli dà separatamente, come si trattasse di due diverse pe^
sono, notizie di Brigida Bianchi (I, 123) e di Brigida Fedeli (I, 208), attri-
buendo alla prima, la traduzione della commedia spagnuola, alla seconda le
poesie, delle quali dà per saggio un sonetto a mad.''* della Vallière. L' er-
rore nasce da ciò che notò il Quadrio (V, 244), che, cioè, nella stampa delle
poesie invece di porre Aurelia comica fedele fu posto Aurelia Fedeli.
(2) [Parfait] , Hist. de Tane. th. ital. , p. 26. La Bianchi si ritirò dal
teatro l'anno 1683 e passò gli ultimi suoi anni in \ma casa di Via S. Denis.
Il GuELLETTE dice averla spesso vista nella sua vecchiaja quand' era co-
stretta al letto, e trovatala « extrémement parée et se conformant toujours
« aux modes nouvelles ».
338 A. d'ancona
che si voglia degnare di farmi favor, oltra tanti altri recevuti da S. A., di
mandarmi o farmi dare qualche pochi di denari, acciò io possa partirmi di
Roma e andar a casa mia a Bologna, e subito venire a Mantua a dar spassa
a V. A. S. e star alegram.*« questo carneval; non altro dirò per non fastidir
la V. A., se non che la prego e la supp.co per amor di Dio a non mancare,
acciò possa neser una volta di tanto tri cavaje, eternam.*^ gli ne resterò
con obligo a V. A., e si degnarà di far indrizar la risposta di questa al-
l' Ecc.*« S/ Don Virginio Orsini : non altro se non che conti.t^ pregarò
N. S. Iddio per la sua lunga e felice vita. Di Roma il dì 13 di 9bre 1593,
D. V. A. S. afF."»o ser.'« Gioanpaulo dalli Agochij
d.*» Dottor Gratian Scarpazon.
Dove si recitasse allora in Mantova, essendosi bruciato nel '91 il
teatro ducale, ricostruito e riaperto solo nel 1608 (1), non sappiamo:
ma nel '94 due commedie almeno si rappresentarono nel palazzo
del Te, dacché si ha un ordine di S. A. di pagare per quelle ai
commedianti venticinque ducatoni. E nel carnevale, per ralle-
grare la Serenissima signora, uscita di puerperio, si ha da una
lettera del Rogna (5 febbrajo), che si attendeva ordinariamente
... a comedie, maschere, festini , cene et cose simili , come conviene alla
stagione ;
come più tardi nel maggio, pel battesimo del neonato, oltre una
barriera, si ebbe
... sulla scena grande una bella comedia.
Ma in quest'anno lo spettacolo più notevole dell'Italia supe-
riore fu quello dato dalla città di Milano al conte di Haro, figlio
del sig. Contestabile di Gastiglia, Juan Fernandez de Velasco,
governatore della Lombardia, e del quale abbiamo un minuto
ragguaglio trasmesso dall' ambasciator ducale a Milano , Lodo-
vico Falletti, al consigliere ducale Tullio Petrozani. Non spiacerà
forse al lettore l'udirne la descrizione:
(1) Per le nozze del principe Francesco con Margherita di Savoja: archi-
tetto il cremonese Viani, del quale diremo più oltre.
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC. XVI 338
Nella Comedia fatta fare dalla Comunità di Milano a 13 d'ottobre 1504,
per honorare le nozze del S.'' Conto d'Arò.
Primo intermedio.
Dato il segno, cade la tela figurata il mare, adornata di diverse sorti di
pesci, per il che si scoperse la scena affigurata la città di Napoli. In mezzo
al palco stava a traverso una tela dipinta che assomigliava alla marina,
sopra della quale apparse la Vittoria comediante accomodata a modo di
sirena. Costei fece il prologo, il quale finito, la scena subito fu coperta
d'una tela dipinta d'arbori, boschi, monti e colli ameni, ove comparsero
Fetonte et Epapho contrastando insieme, dicendo Epapbo potersi vantare
essere figliuolo di Giove, ma che non sapeva come Fetonte potesse essere
figliuolo del sole, chiamandoli chiarezza di questo. Fetonte andò a trovare
Climene sua madre, addimandandola se era stato generato dal Sole: lei giu-
rando che sì, li disse che andasse dal Sole a dimandarglielo. Così vi andò, et
di lontano inginochiatosi, con la mano avanti gl'occhi, gli domandò signo,
acciò conoscesse essere suo figliuolo. Egli giurando per la stigia palude li disse
che sì, et che in segno di ciò domandasse ciò eh' egli voleva, et cavandosi
li raggi r accarezzò molto. Fetonte li domandò di guidare un giorno il suo
carro della luce. Febo lo dissuase da ciò perchè non lo havrehbe saputo
guidare, pure insistendo, glie lo dà, ongendolo prima acciò non abbrugiasse.
2.*> intermedio.
La scena fu coperta tutta in un subito con tele dipinte con arbori secchi
et campagne, che non parevano se non fuoco, per il gran calore. A mezo
il palco comparvero i Fiumi con li ami, che in cambio d'essere pieni d'acqua
s'abbrugiavano, et per ciò esclamavano a Giove di tanta distrutione. Fatte
queste esclamationi, comparvero i quattro Tempi dell' anno, ciascuno dolen-
dosi del danno che pativano per il gran calore, et poi tutti insieme ingi-
nochiati cantando invocarono Giove che li soccorresse, onde tirò il tuono,
s' aperse il cielo et comparse Giove a cavallo dell'Aquila, che rispose volervi
provedere. Fetonte passando sopra il carro, lamentandosi di tanta fatica et
del gran pericolo in che si trovava. Giove lo saetò, et lo fece cadere dal
cielo, et la madre sua comparse lamentandosi d' bavere perso il figliuolo,
et che le sorelle per il gran piangere si erano convertite in piante di pioppe.
Et s'udiron strepiti grandi di tuoni in cielo, dopo i quali continuando i
lampi et tuoni, tempestò confetti sopra il palco, che causò gran alegrena
a Relichino et Pedrolino, et molto riso alli ascoltanti.
3o intermedio.
Comparse la tela della scena depinta che afiSgurava la bella primavera.
334 A. d'ancona
uscendo una bell."^* donna vestita pomposamente sopra un carro tirato da
due leoni, che cantava beli.™' versi, la quale era l' Aurora, et al suo sco-
prirsi, le stelle ch'erano rosseggianti in cielo, s'annichilarono. Era costei
accompagnata da varij canti d' uccelli et massime de rusignoli, et simil.te
de galli. Comparvero cinque Pastori con viole che sonavano per eccellenza,
et con essi erano quattro villani che ballavano nizzarda et altri balli, che
fecero bello vedere. Comparvero li Fiumi con li urni pieni d' acqua, che sca-
turivano acque odorifere, e cantando versi.
4o intermedio.
Finito il terzo atto et la musica al solito, le tele di verdura copersero la
scena, e comparsero le 4 Stagioni dell'anno, e ciascuna recitò versi in lode
et ringratiamento delle racquistate sue ordinarie forze, et poi comparvero
quattro Dei, i quali cantarono madrigalli bell.™^ et nel finire conchiusero:
andiamo andiamo, con concento sonoro più volte dicendo: andiamo andiamo.
E così fu finita la comedia.
Li Comedianti che furono gli ordinarij, comparvero beniss° vestiti, li in-
termedij ornati. Costa alla comunità di Milano da 2.™ du.". Gli auditori
eccedevano 6."". Vi era il senato et tutti li Maestrati con quelli di Provig.«,
infinite et ben ornate Dame. Sue Ecc.«e et la casa sua s' intendono (1).
Ma nel '95, mancando, si vede, i comici , supplirono , chi lo
crederebbe?, i Gesuiti (2). Infatti ecco quanto dice una lettera
(1) Gentile Pagani, Bel Teatro in Milano avanti il 1598 ecc., p. 17,
ci fa sapere come fu in tale occasione appositamente costruito un teatro ,
architettato da Giuseppe Meda : V invenzione dello spettacolo fu affidata al
trentino Nunzio Galiti, le pitture a Valerio Profondavalle, e la direzione sce-
nica all' attore Leandro, che potrebb' essere Leandro Ricci.
(2) Anche a Roma i Gesuiti, pronti sempre a secondare l'umor de' tempi
e volgerlo a lor senno, davano rappresentazioni sceniche. Nel 1573, riferisce
l'ambasciator Paolo Tiepolo, « ha fatto S. S. prohiber commedie : solo i Gesuiti
« di sua licentia haimo fatto rappresentar dalli giovani, che si allevano con
« gran disciplina e religione nelli loro collegii, due tragedie, che cosi l'hanno
« chiamate, in lingua et verso latino : 1' una di cose passate del Testamento
« vecchio, del Re Acab, assai bella et comendata, et 1' altra di cose non
« ancora successe, ma che nel Testamento novo si trovano figurate et pre-
« dette che habbiano d'avenire, dell'estremo universale Giudicio: impresa
« certo ardita, ma per comune parere assai felicemente reuscita »: Muti-
NELLi, St. arcana ed anedottica d'Italia ecc. Venezia, Naratovich, 1855,
I, 108.
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC. XVI 335
senza sottoscrizione diretta all'ambasciatore ducale a Venezia, in
data 7 febbraio:
11 lo di febbraio gli Gesuiti, in casa del S.' Don Ferrando, fecero recitare
una rapresentatione di S. Eustachio. Vi fu S. A. e molta gente. Et gli co-
medianti, homini et nobili, la sera in casa degriU.""' Sig.""' Gazj fecero una
opera heroica. In casa mia quelli cavalieri et gentiluomini che recitano fa-
cessimo una comedia, che tante dame et cavalieri vi furono, che fu un stu-
pore, che dicono fu bellissima. Questa sera in casa mia, come l'altro hierì,
si è fatto comedia nel medesimo modo. Hoggi, giorno di carnevale, fanno
una comedia certi virtuosi in casa del sig. Don Ferrando, dove sarà S. A.,
et ognuno che vi potrà stare.
Le quali cose sono confermate per la massima parte da An-
tonio Della Valle, scrivente il primo di quaresima allo stesso am-
basciatore:
È passato il Carnevale senza maschere sì, ma non già senza domestichi
trattenimenti, giochi, convitti, feste, canti, suoni, et sopra gli altri di co-
medie belle e piacevoli, dotte et eleganti, ma da giovani gentilhuomini della
città nostra, eccitati dal nobile e vivace spirito del nostro S.' Alfonsino
Gonzaga, gratiosissimO Monsig.'», rappresentate con tanta gratia, che avan-
zano le più degne et migliori parti dei veri professori, nel dire grave et fa-
ceto, nei gesti, negl'atti, nel sembiante, nei componimenti di tutta la per-
sona a guisa di Proteo in ogni forma a lor voglia tramutato.
Ma se in quest'anno, senza poterne additare la vera causa, non
troviamo Compagnie recitanti in Mantova, abbiamo però ai
2 marzo una raccomandazione per privati negozj del Duca al
Card, di S. Clemente in favore di Silvio Gambi comico, del quale
manca ogni ragguaglio biografico: e nell'aprile, ai 10, questa
del consiglier Cheppio a Niccolò Bellone ambasciator ducale a
Milano, per raccomandargli la Compagnia degli Uniti, che ormai
si fregiava del nome di Compagnia del S.^ Duca di Mantova:
Sarà presentatore di questa a Y. S. Mess. Drusiano Martinelli, che nelle °
comedie recita la parte d' Arlechino (1) , o qualchedun altro della Compa-
(1) Sarebbe difficile sapere a quale dei due fratelli, ambedue Arìecchini^
336 A. d'ancona
gnia de' Comici Uniti , che per altro nome si chiama la Compagnia del
S.^^o Sigj nostro, come che serva a S. A. più particolarmente, et anche per
essere stata unita et mantenuta coU'autorità sua. Questi dirà a V. S. più a
pieno il bisogno suo et della Compagnia istessa, et mi comanda S. A. ch'io
l'accompagni con questa, incaricandole che spendendo il nome dell' A. S.,
non manchi di procurare con chi bisognerà, et anche presso il sig/ Gover-
natore, che non solo sia permesso questa està a detta Compagnia recitare
in Milano le sue comedie, ma di più che sia sola, acciò si levi ogni con-
correnza, et occasione di scandalo.
Il tenore della supplica fatta dagli Uniti al Governatore di
Milano il 18 aprile, fu il seguente:
Già altre volte la Compagnia de' Comici Uniti hanno rappresentato le loro
comedie in questa città, et desiderano di fare il medesimo questa estate,
come ne ha passato ufficio con V. E. l'Ambasciatore di Mantova. Supplicano
r E. V. restare servita di concederli l' istesso di potere recitare come sopra,
senza che li sia dato impedimento alcuno, et come hanno fatto per altri
tempi.
E il Marchese Alifer riscrisse a tergo:
Si conceda nella moderna forma già concessa a Diana Desiosa. Die
7 Junij 1595 (1).
Dieci giorni dopo il Bellone rispondeva al Gheppio:
Tutto che altri comedianti havessero ottenuta già licenza di rappresentare
si riferisca il seguente brano di lettera del 20 marzo '93 , del protonotaro
Pomponazzi ambasciatore ducale a Venezia , al segretario del duca , e per
che cosa Arlecchino volesse una commendatizia per Costantinopoli. Voleva
egli forse tentar la fortuna fra' Turchi, e far ad essi conoscere la commedia
italiana ? « Il fratello di Arlichino non mi domandò altro presentandomi la
« lettera di V. S. dei 10 del presente, che una raccomandatione in persona
« sua al sig. Ambasciadore della Maestà Cesarea in Costantinopoli, la qual
« gli ho procurato, et penso che in ogni occasione egli n' bavera buon gio-
« vamento, come le desidero per servire a V. S., la quale mi fa particolaris-
« sima gratia sempre che mi comanda ». (Comunicazione dell' archivista
cav. Bertolotti).
(1) Pagani, Op. cit., p. 24. E vedi a p. 41 altra licenza data agli Uniti
nel maggio '96.
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC. XVI 337
le loro comedie, con inteutione d'esser soli qui questa està, s'è però anco
operato che i comici Uniti del S.""> S."" n.'» possine anch'essi recitare le
loro, quaJi, come migliori, spero che riceveranno poco sconcio da gli altri
suddetti, a che concorre parimenti Arlechino stesso, il quale in voce potrà
riferire quanto ha fatto, scrìvendone io soccintamente all' A. V. come anco
a V. S.
L'altro Martinelli, Tristano, era colla Compagnia della Diana
o dei Desiosi (1), dopo aver abbandonata quella di Pedr olino, e
ai 4 decembre del '95 cosi scriveva a un famigliare del Duca :
Questa mia sarà per salutare V. S. et pregarla insieme che si voglia di-
gnare di favorirmi in quello che li scrivo, che gliene restarò obbligatissimo.
Quello che V. S. à da operare per me si è che V. S. dica a S. A. S. se si
vele servire di me (juesto carnevale de la mia parte in comedia, ch'el mi
comandi, che ad ogni minimo suo ceno, io sarò prontissimo a venirlo a ser-
vire ; et se mi son partito dalla Compagnia di Pedrolino, io ne ò auto mille
occasioni, benché vogliono essere patroni et non compagni, et io non es-
sendo uso a servire , mi pareva che mi facessero torto : et per questo et
per altre cose, io mi son partito, ma non sono anco stato io il primo, che
tre o quattro altri si sono partiti inanzi di me, per tante insolencie che co-
storo usano a' suoi compagni. Perciò io prego et suplico V. S. che per
l'amor di Dio non manchi di far questa relacione a S. A. S., a ciò che non
pensase che io non lo volesse servire, perchè li sono servitore di core,
senza interesi alcuno; et volendosi servire di me, V. S. mi dia avisi qui in
Cremona nella Compagnia de la sig.""" Diana comica, et indrizare le letere
a M. Giambattista Lazarone comico (2), che lui me le farà avere, et la
prego, 0 dentro o fora, darmi aviso, a ciò sapia quello che ò da fare. Non
altro. N. S. la conservi in sua tanta gratia. Di Cremona.
Tristano Martinelli
detto Arlechino y comico (3).
(1) Da un documento nel Pagani, Op. cit^ p. 23 appare che la Diana
co' Desiosi nell'Aprile dell' anno innanzi, 1595, chiedeva recitare a Milano
« con modestia et honestà et con csempj boni ».
(2) Un Battista Lazzaro abbiam visto capocomico in Francia nel 1583, e
i suoi mobili sequestrati dal magistrato: vedi Baschet, p. 88.
(3) Comunicazione del cav. Bertolotti.
338 A. d'ancona
Null'altro si sa di questa pratica. Nel principio però del suc-
cessivo anno '96, i Desiosi, ai quali apparteneva allora Tristano,
davano alcune loro commedie in Mantova, come resulta dalla
seguente in data 6 gennaio, del Duca alla Duchessa di Ferrara
e a Don Cesare D'Este:
Con l'occasione del passaggio per qui dalli comici Desiosi, ho io sentito
alcuna delle loro comedie, che in effetto mi hanno apportato non poco gusto ;
perciò facendomi eglino sapere che volentieri verrebbero costì a passare il
presente carnevale, mentre potessero ottenere la licenza dal^Ser.""» Sig.''
Duca, non ho voluto lasciare di pregare per loro V. A. che resti servita di
procurarglielo, assicurandolo che costoro sono persone di bon garbo et fa-
ceti in modo, che giova il credere, che Ella in questi dì apunto carnevale-
schi sii per sentirne, tutte le volte che si compiacerà d'udirli, particolar
piacere.
Duca di Ferrara era allora Alfonso n, che morendo l'anno
appresso, fece andare a monte , come già notammo, una recita
degli Ebrei mantovani.
La seguente, da Bologna ad Ottavio Gavriani tesoriere del Duca,
fa vedere che i comici Desiosi non erano sconoscenti dei favori
fatti loro dal Duca e suoi officiali:
Non scordevoli della cortesis.™* offerta fattane da V. S. 111. per benefitio
nostro, in esseme protettore con S. A. S. nel farne rimborsare dell'utile dei
Palchetti, la supp.^^» si degni accettare il picciolo dono che li manda tutta
la Gomp.i*, il quale ancorché superfluo, li servirà per memoriale, et insieme
quello di S. A. S., il quale pregamo la si degni presentarglielo, e del seguito
darne con una sua subito ragguaglio, diretta a Giuseppe Scarpetta comico
nella via della Mascarela, che del tutto la Gomp.*» se li oflfera perpetua
servitrice Bologna 15 feb.^» 1576.
Li Comici Desiosi.
Per quest' anno possiamo ancora registrare una lettera della
Andreini :
S.™o S.' Duca mio S.'e
Quel male il quale ci aviene per nostro difetto è facilis." da sopportare,
ma intolerabile è quello che senza nostra colpa ci accade: intolerabile è
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC. XVI 339
adunque il male et graviss.» dispiacere eh' io sentì, S.™" mio S/*, nel vedermi
poco in gratia di V. A. S., gratia da me ragionevolmente stimata cpianto la
propria vita, poi che questo mi aviene non per lo mio, ma per l'altrui di-
fetto. Ma dato e concesso pure, sicome piace alla nemica mia sorte, ch'io
sia fatta d' alcuna cosa colpevole appresso l'A. V. S., ricordisi per gratia il
mio benigno Sig.""*) che i principi altro non sono che Dij terreni, e siccome
non è lecito agli Dei il serbar sdegno od ira centra le cose mortali, così
non è lecito a voi, mio terreno Dio, l'essere adirato o sdegnato contro di me,
sua infinitiss.™» serva, ma perchè è proprio degli animi grandi il dementi-
carsi presto l' offese, quand' io pure l' habbia o per mia sciocchezza o per
r altrui inganno offesa, mi giova di credere che V. A. S. non pur si sia pla-
cata et habbia posta l'offesa in oblio, ma l' habbia interam.'» perdonata, del
che et io e '1 mondo tutto sarà sicuro al' bora che piacerà a FA. V. S. di
richiamarmi alla sua desideratis.* servitù, del che con ogni affetto la prego,
pregando anco Iddio che conceda a V. A., alla S.°»» moglie e figli ogni
maggior felicità. Di Bologna li 27 9bre 1596.
D. V. A. S. Hum."»» Serva Isabella Andreini.
Nulla abbiamo pel '97 : ma col '98 abbiamo i soliti sollazzi car-
nevaleschi. Francesco Ongarino cosi ne ragguaglia l'ambasciata
ducale a Venezia: .
Qui si trova tuttavia il Clariss.™" S.'' Pietro Friuli et il S' Gio. Già.*
Latova milanese, che fatto Carnevale se ne andranno alle case loro. Do-
mani 1.0 febb.o si farà una bella mascherata a cavallo da Gianizz.' et Gran-
turco, capo della quale sarà S. A. Lunedì sera si reciterà la Pastorale di
D.n Federico Follino, poeta comico: si correrà poi all' anello al solito, et si
starà allegram.'e per questi 3 dì Mant.*, l'ulto di Genn.» 1598.
E anche nell' aprile si preparavano commedie , come resulta
dalle seguenti del Gheppio, ambedue del 9, una al consiglier Pe-
trozzani a Gasale, l'altra al Duca:
Questi recitanti della Comedia mi hanno portati gli annessi libretti per
due parti che hanno assegnati al S.*" Falsteo Gorni et a Mes.' Eugenio Ga-
gnani, che sono costì con S. A., come vederanno dalle inscritioni de libretti:
piacerà a V. S. R.™* di farli chiamare et dar loro detti libretti , con far
ufficio che costì et per viaggio vadano imparando lo parti assegnate nella
forma che stanno accomodate et corrette nei libretti, per esercitarli poi qui
340 A. d'ancona
al ritorno con gli altri compagni, et con questa a V. S. bacio la mano ecc.
Si va attendendo al negotio della Comedia con ogni diligenza , ma
tutte queste imprese nel principio trovano delle difficoltà, che non si pos-
sono superare se non con un poco di tempo
Non è qui menzionata la commedia che si stava provando, ma
da una lettera del 7 maggio del poeta Gaspare Asiani, si direbbe
che fosse sua. Se fosse la Pronuba, già stampata dieci anni in-
nanzi a Mantova stessa dall'Osanna (1), o se fosse più probabil-
mente un'altra, non è facile asserire (2). La lettera intanto è
questa:
M.'o IH.""" S.' mio Oss.°">,
Il continuo esercizio di questa comedia et le molte difficoltà che quasi
insuperabili tuttavia si vanno scuoprendo , non mi lasciano tempo di venir
a dar conto a V. S. d'alcune menucie, a quali vorrei puoter sodisfare senza
fastidirla , come sarebbe il dar le parti che sovravanzano a quelli che per
ambizione le aspettano dalle mani di lei , quali per compire il servitio di
S. A. gliele andrò inviando; e per adesso le dirò che questa mattina Mons.'
Pollini et io siamo restati in appuntamento (se cosi a Lei piace) che dia com-
missione a quel sovrastante che paga le opere et lavorieri della comedia,
di dare al Bidello, qual ha servito un mese e quasi mezzo T altro, due du-
cattoni a conto del suo salario .... Di casa, 7 mag.o 1598.
Gasparo Asiani.
Il marito di madama Angelica continuava intanto a dar da
fare al Duca. Agli 11 marzo 1598 si lagnava di esser preso di
mira dajdue imbauttati, e cosi ne scriveva al Gheppio:
Queli due inbautati che oggi ò detto a V. S., sono stati anco tuta sera
inbautati su questi cantoni et pasegiando molte volte inanti la mi porta :
(1) Bettinelli, Op. cit., p. 97.
(2) Il Bettinelli, Op. cit., p. 97 scrive: « L'anno stesso 1530 trovo stam-
« pato in Venezia il Formicone commedia in prosa e del nostro Gasparo
« Asiani, che vi uni gli intermedj in verso. DedicoUa ad Alfonso Gonzaga,
« e stara possi a Mantova del 1588 e '89 ». Chi ci capisce qualche cosa?
Si stampò nel '30, o nell' '88 o '89 ? Il Quadrio, Op. cit., V, 92, registra la
Pronuba non solo sotto l'anno 1588, ma anche in data del '94.
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC. XVI 341
io gli ho fato parlare per Sig/ Julio Tornelli scrimatorei loro gli ano risposto
ohe la strada è comune. Io ho mandato a chiamare il loco tenente del ba-
riselo che loro erano qui, et è venuto, ma mi à detto non aver alcuna co-
misiono de pigliarli : l'uno de questi dicono se adimanda Ottavio Caura, et
l'altro dicono esser un guantaro, tati dua soldati di corte. Domatina vero a
parlare con V. S. M.'o 111."», per la quale prego Iddio la felicità. Di casa a
dì 11 marzo 1598.
Di V. S. M.»» m." aflf.°«> ser.'o
Drusiano Martinelli.
Questi dua sono stati in aguaito questa mattina, e hanno segmtato il d.<o
Drusiano inbautati, e questa sera fanno il med.o; tutto so per bocca del d.''
Drusiano.
11 v.o CavaU.0
Una lettera, di poco posteriore , del capitano Gatrani al con-
siglier Gheppio apre uno spiraglio di luce sinistra nella casa
coniugale del Martinelli, e ci porge questi non onorevoli par-
ticolari su lui e sulla fida consorte:
Havendo io detto a V. S. molto lUJ^ a viva voce la qualità di Drusiano
comediante, il modo -che tenne per mettermi in disgratia del Ser.™*» S.',
et della mia pregionia di cinque mesi et vinti giorni con tanto mio dano
di vita et di roba, mi è parso per più memoria farli questa narativa,
afinchè più destintamente la ne possi parlar a S. A. Dirò prima che sondo
questo Drusiano uso a dar memoriali falsi, et venendomi al' orecchi (ora
ch'io procuro levarli le sottoscritte comodità) che esso voi dare memoriali
all'AUza sua contro di me, non per zelo d'onore, poi ch'egli non l' à mai
haute, et sapendo io che ieri egli venne a parlar a V. S. et dice anco
haver parlato a S. A., mi son mosso per tal effetto ricararmi (?) da lei,
et che mi facci gratia di procurar con 1" Alt.* sua, che resti servita di
far veder il memoriale eh' egli ha dato o che darà contro di me; et se si
trova ch'egli dica la verità, S. A. mi castighi, che do la parola a V. S. di
starmene qua ad aspettare la sententia dell'Alt.» sua, et caso costui diponghi
il falso (come è suo uso) che S. A. come Principe giusto, ne facci quella
demonstratione che conviene , et non comportare che un servitore che 1* à
servito , passa dieci anni , in governi et altri carichi, come io ho servito
honoratamente, sia lacerato con calunnie false da un infame come è costui,
dal quale ho receuto quel male che S. A. et il mondo sa. Le comodità ch'io
ò detto son le seguente. Mentre Drusiano è stato ultimamente in questa
342 A. d'ancona
città, che son da cinque mesi in circa, à visso sempre de mio con il vivere
ch'io mandavo a sua mogie, et egli atendeva a godere e star allegramente
sapendo bene de dove veniva la robba, et comportava che sua moglie stesse
da me et venisse alla mia abitatione, et non atendeva ad altro che a dor-
mire, magnare, et lasciava correre il mondo : come di questo ne farò far fede
avanti S. A. da più testimonie degni di fede. Ma perchè circa otto giorni
sono io li ò fatto intendere per la massara che si trovi da vivere, che non
voglio ch'egli viva de mio, mena rovina et j^rla di ricorso al Alt.* sua, et
di più per haverli fatto sapere che quella casa è mia, poi che io ne pago
il fitto (come mostrare) et che se ne proveda d' una, tratta alla peggio sua
moglie, con farli quella mala compagnia che S. A. potrà sapere; et di più
per haver saputo che '1 mobile che è nella suddetta casa, è maggior parte
mio et che io lo vorrò quando mi tornerà comodo. Questi son li capi che
rhan fatto mettere in fuga a parlar di ricorso a S. A., et non zelo di ho-
nore come à detto, poiché mentre io ò speso per mantenerlo , esso à con-
sentito a qualunque cosa che io ho, come infame ch'egli è. Me ritrovo
haver un figlio di detta dona, il qual io ò fatto alevar et sempre ò tenuto
presso di me o della Signora Hippolita Aldegatta, di sei anni in circa.
Il Drusiano sempre à saputo che ò tenuto detto figlio per tale , né mai à
detto nulla : ma ora vinto dal sdegno , sapendo quanto io amo detto figlio
dice che voi suplicar S. A. a farglene ristituir: di che l'Alt.* sua (come in-
formata prima che ora) son sicuro bavera risguardo a l'occorentie del mondo.
Fo sapere a V. S. che quando io fui liberato di pregione, per ordine di S. A.
andai con il Sig.'' Ferrante Gonzaga in Ungaria, et alla partita eh' io feci
donai tutto il mio mobile che me ritrovavo alla sudetta donna , perchè si
potesse mantenere havendola il marito abandonata; di che non ostante ella
si mantenne, ma asieme con altre sue cosetti le vendè al Sig."* Lodovico
Bagno per scudi ducente, in credenza, li quali io ò ultimamente riscossi et
mi son contentato che la detta donna metti detti danari a nome suo, sopra
non so che terre : et ora che questo infame à visto che io ò consentito a
tal alocatione, di che egli pensa godere , tratta mal quel che non basta a
credere sua mogie, con dirli a tutte l' ore quelle maggior ingiuriose parole
che si possano dire a una del Fuso. E perchè egli diede parola a V. S., qual
lei presi a nome di S. A., di far buona compagnia a sua mogie come lei sa,
poco dopo la lasciò senza nissuna sorte de recapito, in modo tale che se io
non le dava un mio letto da dormir et provederla di casa con altre cosette
necessarie, et lasciarli da dementar mio figliolo, quando son stato fuor d'I-
talia, con il qual ella parimente s'è mantenuta, sarebbe stata forzata di andar
mendicando, o ver di aprir bottega pubblica : come di tutte le sopradette
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC. XVI 343
cose mi oblìgo provar per persone degne di fede nel tribunale che S. A.
comanderà. E perchè questo vituperoso con falsi memoriali altro volte à
messo in canpo cose, che ò ardimento dire , che quasi son maravigliato se
S. A. lo ascolta, tuttavia si vanta che l'Alt.* sua lo ama, come fa Arlichino
suo fratello, et che lo voi al suo servitio con arogarli et prometterli molto
dell'Alt.* sua, et per questo (contro a mia natura) fo sapere a V. S. che
Arlichino à strappazato il servitore di S. A. in Fiorenza et in Parma, come
l'Alt.* sua se ne può informare da Pedrolino et Cardane, et che (juesto Dru-
siano à sparlato contro S. A. in Parma, come da Carletto, che fa da Frati-
ceschina in comedia, l'Alt.'' sua si potrà informare. Non ostante in Turino
et in altri luoghi questi dua fratelli han detto cose, per quanto intendo,
non erano licite, contro S. A. Si, che per tutte le sudette cause, V. S. potrà
comprendere la qualità di questi fratelli, et contrapesarle con la servitù et
qualità mia, et in conformità dame quella parte a l'Alt.* sua che richiede
il servitio et riputatione d'un Principe come questo. Et io starò aspettando
sentir il seguito, afinchè sappi il mondo la deferentia che si fa da me (che
son certo haver servito honoratamente) et da questi vituperosi. Et con far
reverentia a V. S. molto ni.'"«, resto con pregarli ogni maggior contento.
Di Mantova, li 29 aprile 1598.
Di V. S. molto IlL-^e
afiF."° ed oblig.°"> servitore
Alessandro Gatranj.
Vincenzo intanto, sebbene avesse a trattare con siffatta mar-
maglia, non rimetteva punto della smania di far l'impresario e
scomporre e ricomporre Compagnie comiche; e nuova e non
ultima prova n' è questa lettera di Tristano Martinelli da Mo-
dena 2 maggio '98, diretta al Duca, e nella quale si tocca anche
delle faccende fra Drusiano e il Gatrani, proponendo che quel
che è stato è stato, e si viva da cristiani :
Avendo inteso da mio fratello che V. A. S. gli ha ordinato mi scriva
ch'io lassa la mia Compagnia, et che venga in la sua, perchè così è il suo
volere, io non mancarò di eseguire il volere di V. A. con tutto il core:
ma bisogna remediare a certi particulari, come V. A. intenderà. La saperà
come che io sono obligato per scritura di andare a Fiorenza al suo tempo,
et il Ser.™*> gran duca ha volsiuto che tutti si sottoscriviamo: qui il sig.'
Duca anco lui à volsiuto che ci prometiamo per questo Carnevale, et quello
che a me importa più, li fo a sapere che venendo io a Mantova, verso in
344 A. D'ANCONA
gran peiicolo della vita mia: dove avrei ad esser più sicuro, sono manco
sicuro, et se V. A. non ci mette la mano, in dar ordine al cap." Alessandro
et a un altro, che li dirò poi a boca, che mi lassano stare me et mio fra-
tello, che no ne perseguitone più come ano fato per il passato, come si sa
poblicamente, che fumo loro che mandarno alla strada per amazare se ne
trovavano , et questo ò saputo da molti et particolarmente da uno de' mo-
derni Farinelli, per favore del sig."" conte Ottavio Avogadro con promisione
di non lo palesare, però prego V. A. per l'amor di Dio, come giusto signore
et christiano, di remediarvi in dirli solo una minima sua paroUa sul saldo,
che ne lasano stare, poiché noi non ricerchiamo né vendetta né giustitia,
solo desideriamo eserli amici et servitori, et quel chi è pasato non se ne
parla più, per vivere da christiani et giustamente. Per conto di Fiorenza, io
credo come che V. A. li fa sapere che questa è sua volontà, e che non è
mia causa, che si aquieteranno, e per desobligarmi da questo insieme et
da' miei compagni, V. A. sarà servita farmi scrivere per uno de' suoi, quatro
righe in nome di V. A. che si voi servire di me, a ciò vedendo quella le-
tera, siano sicuri che non è mia invencione, come tuti dicano. Però suplico
V. A. S. a non mancare di dare detti ordeni, et in particulare la letera,
a ciò mi possa partire con sodisfacione di questi signori e de' miei com-
pagni. Pregando sempre N. S. per la sua felicittà.
Di V. A. S. aff.°»o servo
Tristano Martinelli, detto Arlechino.
Questo attore, fratello a Drusiano, appartiene più veramente
al secolo XVII, quando fu come re della scena improvvisa.
Discorriamone un poco, a costo anche di travalicare i termini,
che ci siamo imposti, del secolo decimosesto. Usando della libertà
comica e della riputazione in eh' era salito, trattava da pari a
pari coi principi, e i principi erano contenti della sua degnazione
arlecchinesca. Fra le altre, il 20 marzo del '97 scriveva cosi da
Mantova al Granduca di Toscana:
Non gli dirò altro, se non che, per quanto Ella abbia cara la mia gratia,
ch'Ella faccia quanto gli ordino e comando, e beata Lei se si saperà acco-
modare con l'humor mio, perché essendo ambi due noi ricchi e possenti,
spero che le cose nostre passeranno sempre felicemente. Ella sappia dunque
conservarsi l'amicizia mia, sì come io so' risoluto di preservarmi la sua in
secula et infinita seculorura (1).
(1) Ad. Bartoij, p. cxxxv, nota.
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC. XVI 345
Nel '99 Enrico IV gli scriveva:
Arlecbin , essendo venuta la fama vostra fino a me , et della bona Com*
pagnia de' comedianti che voi avete in Italia, io ho destinato di farvi pas-
sare li monti, e tirarvi in questo mio regno. **
E terminava:
Pregando Dio, Arlechino, che vi abbia in sua santa guardia (1).
Aderendo a quest'invito, sebbene già con decreto del 29 aprile '99
fosse fatto dal duca Vincenzo, soprastante ai comici mercenaij ,
ciarlatani ecc. , di Mantova e distretto , forse come successore
air Angeloni (2) , il Martinelli se ne andò nel 1600 in Francia
(1) Ad. Bartoli, p. cxxxv, il quale dubita alquanto dell'autenticità della
lettera: il Baschet, p. 107, fa solo notarne qualche inesattezza.
(2) A quest'ufficio si riferisce la seguente lettera al Duca, in data 7 a-
gosto "99:
Al Duca di Mant.», Verona.
Ser.»"» Sig.'
Tristano Martinelli, um.™" servo di V. A. S. con li suoi compagni sup.no
V. A. farli giustitia. La saperà come che quelli da le bolete per invidia
et per dispetto che non li volsi dare a mangiare l'officio che V. A. per sua
bontà mi donò, per essere io avisatto che inganavano il povero Felipo molto
bene, et anco per averne io gli utili che loro pretendevano avere, j galan-
thomeni per vendicarsi ano fatto quanto V. A. intenderà, et questo pochi lo
sa|: prima, a tuti quelli che mi venevano a dar guadagno, loro gli dicevano
che io era un tirano et che li facevo pagar tropo et gli facevano fugire la
più parte senza pagarmi; io giuro a V. A. che li lasavo il terzo di quello
che comanda il decreto : non li bastando questo, perchè vedevano che poco
me ne curava, che fecero per darmi magior dano a me et vergogna alla
Gomp.^? andorno sotto man dal S."" Cotto, che gli favorisse, perchè fra loro
se intendano, et con bel modo e lor inventione ebero ordine di far fare una
grida, che non se esercitase la comedia né il montar in banco per alcuni
giorni , ma loro non fecero come avevano avuto ordino ma fecero bandire
tuti i comici et zaratani, et alcuni che se ritrovava nella città gli cazomo
via subito termine un bora, che mai più si vide tal crudeltà: et di più de
là a tre giorni vene Gasparo saltatore con una corap.* che non sapevano il
crudel bando, e per disaviar la città de queste gente, gli fecero dare tre
strapate di corda per uno; et in quel raedesmo tempo arivò la Comp.» di
V. A. che venevamo a Verona, et detto Cotto la note gli fece metere pri-
gione tuti et ordinò che li dasero la corda a tuti , chon tute che lo avi-
eiorfwU storico, VI, fase. 18. 23
346 A. d'ancona
colla Compagnia comica degli Accesi. Ito immediatamente a
salutare il Re, prese il tempo che si era levato dal suo seggio, e
postovisi egli, si volse al re come se il re fosse Arlecchino, dicendo:
Ebbene, io sono contento che siate venuto colla Compagnia vo-
stra a dai'mi gusto: prometto di proteggervi e di darvi tanto e
tanto di pensione. Il re non gli disdisse nulla, ma poi gli gridò:
Olà, è un po' troppo che fate la parte mia: ormai lasciatemi ri-
pigliarla. Ciò racconta Tallemant de Réaux (1). Compose anche
un simulacro di libro intitolato: Compositicms de Rhetorique de
ilf.*" Bon Arlequin, comicorum de civUate novalensis, corrigidor^
de la bona langue francese et latina, condutier de comediens,
connestàble de messieurs les hadauds de Paris, capital ennemi
de tous les laquais, etc, dedicandolo : Au magnanime tnonsieur,
m/msieur Henry de Bourbon, premier bourgeois de Paris, chef
de tous les messieurs de Lyon, amirai de la m£r de Marseille,
Tnaistre de la m.oitìè du pont d'Avignon et bon ami du m/xistre
de l'autre moitiè, depensier libérale de canonades, terreur du
Savoyard , sparente des Espagnols , secrétaire secret du plus
secret cabinet de madame Marie De Medici, Grand tresorier
des comediens italiens, et Prince plics que tout autre digne
d'estre engravé en mèdaiUe tani dèsirèe. Il volume elegante, e
con le pagine inquadrate a doppia riga, e il titolo progressivo di
sasero che erano comici di S. A. ; volse la bona sorte che la SJ" Diana
andò subito da Mad."»* S.">* fuora et le contò il fatto. S. A. n'ebe gran di-
sgusto et li fecero usire, et se non si faceva così presto avevano tuti la
corda, dove che i poveretti tuti sono restati confusi et mal sodisfati nel
avere ricevuto tal afronto in la città dove più sperano averne favori : però
io con tuti loro preghiamo e suplichiamo V. A. S. per l'amor di Dio far
metere ordine a qu.** gente malignia et invediosa, inemici nostri a torto,
che ne lasano vivere in pace, et particular.'^ che mi lasano stare, et lasarmi
godere in pace l'officio che V. A. per sua gratia et bontà mi à donato di sua
propria volontà e cortesia, aciò posa guadagnarmi qualche cosa per mantenir
casa mia, et ciò ottenendo etc*. Di Verona a di 7 ag.*° 1599.
Di V. A. S. Um.^a» servo
Tristano Martinelli
detto Arlechino comico scrise.
(1) Historiettes, ediz. Techener, 1854, I, 16.
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC. XVI 347
tre libri, è vuoto: salvo che vi è qua e là il ritratto d'Arlecchino
e di alcuno dei suoi compagni, e il breve racconto di un sogno
nel quale è profetizzato: Monsieur Arlequin, habebis medagliam
et colanayn (1). Il libro si conserva nella Nazionale parigina,
dove, nella quantità, vi saranno certo molti altri libri più pieni
e insieme più vuoti di questo d'Arlecchino!
Tristano tornò ancora in Francia nel 1613, dopo lunghe trat-
tative, nelle quali egli si dirigeva alla Regina mia comare, e
Maria gli rispondeva: ad Arlecchino mio compare. E invero ella
aveva nell' 'li tenuto a battesimo un figlio di raesser Tristano
e di madama Cassandra de Guanteriis sua moglie: sicché Arlec-
chino era parente spirituale della real donna, ch'egli chiamava
familiarmente com,adre regina gallina, sottoscrivendosi cmnpare
cristianissimo, come s'ei fosse di casa di Francia. Le accoglienze
festose ch'egli ebbe tornando a Parigi, ei le descrive cosi:
S. M. ne fece pagare in Lione ducati 1200, subito giunti a Parigi poi
la mi mandò a chiamare, et vedendomi la mi fece de quelle accoglienze
che pochi le crederannp , perchè sono state accoglienze contro a prama-
tica , a le pare sue : oltre a molte belle parole che S. M. mi disse , la mi
menò nel suo gabinetto , et mi mise una colana di sua mano al collo ,
che pesa dui cento doble con la sua medaglia in favore dil nostro com-
paradico: la sera gli fesimo una comedia: subito la fece dare alla Com-
pagnia ducati 500 , et ne segnò d." 200 al mese , et le spese , quando
serviamo fora de Parigi , et a me in particulare la mi dà danaacosto
d." quindici al mese per le spese di mia moglie, la quale fra pochi giorni
partorirà: et il Re à da essere il compadre, et sua sorella la regina di
Spagna comadre , et lo vogliano tenire de sue mane proprie al battesimo ,
et se gli è maschio, il Re lo vuole per lui, et se gli è femina , la Regina
lo vuole per lei: et mia moglie lo vorebe per lei: sicché io sono intrigatto
a contentargli tutti tre: io ho pensato, per levare l'occasione di questo
remore , di darcene uno per uno, a ragione de' gatti: ch'el pare che i fi-
glioli d' Arlechino siano gattesini da donare. Orsù , sia come si voglia il
sig. Idio; sia quello che vorà, quello sarà il meglio della mia creatura (2) ».
(1) Baschet, pp. 116 sgg.
(2) Lettera del 4 ottobre 1613 al e. Striggi di Mantova, recata dal Por-
348 A. d'ancona
Nel luglio del '14, Arlecchino con Lelio (G. B. Andreini) (1) e
Florinda (Virginia Andreini) (2) e il Capitano Rinoceronte (Gi-
rolamo Garavini) (3) e tutto il resto, ripassava le Alpi, né la Com-
pagnia ritornò in Francia prima del '20. Essa si componeva, oltre
che dei sopranominati, di Fichetlo (Lorenzo Nettuni) (4), Panta-
lone (Federigo Ricci) (5), la Lidia (Virginia Rotari) (6), la Ber-
netta (Urania Liberati) ecc. (7). Nel 1621, Tristano, ormai vecchio,
implorava licenza di riposarsi e andarsene ; ma i compagni non
volevano, ed egli se ne fuggì. Non lasciò però il teatro, quan-
tunque segnasse le sue lettere « Arlechin, già comico », e nel
carnevale del '23 era coi Fedeli a Venezia, e poi altrove. Anzi,
nel '26 supplicava di tornare in Francia a servire i serenissimi
compare e comare (8). Non andò di certo: e mori nel '30 sui 75
anni « de fevre et cataro », come dice una cronaca (9). Poteva
ormai chiudere la sua vita, superbo dei trionfi ottenuti, e dei favori
ond' era stato colmato, egli re da commedia, dai regnanti della
terra. Nelle sue lettere vi ha qualche cosa della vena buffonesca
del suo concittadino Merlin Coccajo: nei suoi atti vi ha qualche
TIGLI, nel suo interessante Brano dell'Epistolario d'Arlecchino (nella cit.
Strenna Mantovana pel 1871, p. 108).
(1) Su G. B. Andreini, vedi Fr. Bartoli, I, 13 sgg.; Ad. Bartoli, p. cxiv;
Magnin, Teatro celeste, in Revue des deux mondes, 1847, t. IV; Baschet,
pp. 282, 296, 3i7, 332; Sand, I, 323 ecc.
(2) Su Virginia Andreini, vedi Fr. Bartoli, 1, 38 sgg.; Ad. Bartoli,
pp. cxxxviii-xl; Quadrio, V, 244; Baschet, pp. 207, 271-3, 280, 317; Canal,
pp. 112 ecc.
(3) Su Girolamo Garavini, vedi Fr. Bartoli, I, 2.52; Ad. Bartoli, p. CLxx;
Baschet, pp. 280 ecc. E questi il comico al quale, morto, fu trovato sulle
carni un aspro cilizio: vedi Beltrame, Supplica ecc., e. XII.
(4) Sul Nettuni, vedi Baschet, p. 280.
(5) Sul Ricci, vedi Baschet, p. 280.
(6) Sulla Rotari, vedi Baschet, p. 280. Non si confonda questa Lidia colla
più antica, da Bagnacavallo, a cui già accennammo. Questa era moglie di
Baldo Rotari, anch'esso commediante.
(7) Sulla Liberati, vedi Baschet, p. 280.
(8) Vedi per tutto ciò i cap. VI-VII del Baschet.
(9) Portigli, Op. cit., p. 113.
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC XVI 349
cosa di aretinesco: i principi, senza ch'egli li flagellasse, lo ave-
vano tributato in virtù dei suoi lazzi.
Torniamo adesso al duca Vincenzo, che non cessava di preoc-
cuparsi dei suoi favoriti. Ai 13 marzo 1599 egli cosi scriveva al
Card, di S. Clemente a Ferrara: "^
Desiderando li comici Accesi di poter dopo Pasqua recitare in cotesta
■città, con buona gratia di V. S. III."*, mi hanno pregato a voler interce-
dere da Lei la licenza, ond'io per il piacere che ho d'ogni loro utile,
volentieri me ne sono contentato.
Ma il posto era già preso, e il Cardinale cosi replicava ai 28 :
La Compagnia de' Comici Confidenti , che questo carnevale ha tenuto
in trattenimento colle sue comedie Ferrara, con la sollecituiline ha pre-
venuto l'istanza, che per mezzo dell' A. Y. mi fanno li comici Accesi. Mi
trovo dunque haver data licenza di recita, doppo Pasqua alli suddetti, ma
non per questo s' escludono gli altri , dopo che i primi saranno partiti ,
quando però a N. S. non paja troppo lunga e continua questa recrea-
tiene. Da me certo non resterò mai di non servire sempre l'A. V.
Facciamo adesso, conoscenza con due comici, la cui celebrità
rifulse però maggiormente nel secolo seguente: con Pier Maria
Cecchini e Silvio Fiorillo. Il Cecchini, detto Friteltino, era nativo
di Ferrara, e fece con applauso sotto cotesta maschera le parti
di secondo zanni. Ebbe potenti amicizie e protezioni, e il Lan-
driani vice-legato di Bologna, gli diceva: « Godo quando io so
« d'aver questo popolo intento allo vostre commedie, e non er-
« rante per le strade o trattenuto in luogo viziosi, e per quiete
« del mio governo vorrei che steste qui tutto l'anno ». Scrisse la
Flaminia schiava e V Amico tradito, commedie, e i Brevi di-
scorsi intormo alle comm£die, commedianti e spettatori, e un
volume di Lettere facete e m,orali. Fu in grazia specialmente
dell' imperator Massimiliano , che lo nobilitò con amplissimo di-
ploma in data del novembre 1616. Mori verso il 1645 (1). Questa
(1) Barbieri, p. 40; Fr. Bartoli, 1, 166; Ad. Bartoli, p. cxxm e cxxxvii;
Baschet, pp. 152, 176, 275.
350 A. d'ancona
lettera al Gheppio, del 28 maggio 1599, parla di un certo ne-
gozio che gli stava a cuore, e potrebbe riferirsi alla filatura
della seta per caduta d'acque da lui introdotta a Mantova:
Inviai alli giorni passati un altra mia a V. S. 111. per mano del Mag.co
Galiazzo MJ" di casa deiriH.^^ S."" Prospero Gonzaga, su la quale la pregavo
a farmi gracia di farmi sapere che esito ha havuto il negocio e quello che
di esso posso sperare , ma non havendo visto risposta alcuna ho giudicato
quel che deve essere , cioè che li molti affari suoi et li negocij di magior
importanza del mio, V habbino levato il potermi far rispondere. Hora con
quest'altra la supplico a torsi tanto spacio che mi possi far intendere qual-
che cosa per il lator di questa , il quale è un homo n'"" mandato a posta
per altri servici] della Comp.'* al S."'» S."^ Duca , e se mi voi poi favorir
maggiorm.'o mi comandi, che gusto maggiore non potrei ricevere di questo, ecc.
Di Bologna, 28 Mag.» 1599.
Pier Maria Cecchini
d.o fritt.o comico.
L'altro attore, che adesso primamente apparisce, è Silvio Fio-
rillo, napoletano, ornamento degli Accesi, degli Affezionati, dei
Risoluti, inventore della parte del Capitan Mattamoros, e autore
di parecchie commedie, tratte la massima parte dall'Ariosto, e
delle ridUcolose disfide e prodezze di Pulcinella (1). Ai 20 di
novembre del '99 ecco quanto egli scriveva all'Altezza del Duca
di Mantova:
Ancora che non occorra che io con questa mia dica la cagione perchè
questa Pasqua non sono venuto a servirla, conforme all'obligo, poiché
S. A. Ser.™* lo deve molto ben sapere , per quanto le avesse fatto inten-
dere il sig."" Dott. Pompeo Grassi (2) , che per la cagione dell'infermità
di mia socera , mancai , e con tutto ciò io dissi al signor Pompeo che se
mi voleva dare i danari, che V. A. haveva ordinato, che io le havrei dato
qui bonissima sicurtà , più eh? la mità de i danari haverei lassato a casa
(1) Fr. Bartoli, I, 223.
(2) Il Grassi era l'inviato mantovano a Napoli, ed una sua lettera de' 18 no-
vembre attesta che il Fiorillo « sta de malissimo colore, et fiacchissimo di
« forze » per sofferta lunga malattia.
IL TEATRO MANTOVANO NEL SEC. XVI 361
che era in gran bisogno, et T altra mità a me sariano serviti per il viagio;
et lui mi disse che lui non havca tal ordine, si che fui forzato a mio mal
grado restare, con intentiono venire questo carnevale, dove che ia mia
fortuna me à privato di questa speranza, poi che mi ò sopragiunta una
infermità di febre maligna , che me h tenuto doi mesi in letto et in fine
di morte , et me ha lasciato poco sano et con oppilatione , sì che non es-
sendo padrone di me stesso, non posso per questo anno servirla : dove che
la prego dignarsi di perdonarrae , serbando questa servitù a roagior co-
modità , et mantenerme nella sua bona gratia , pregandoli a favorirme di
farme dare risposta, acciò io sia sicuro essere in sua gratia, che, venendo
occasione , possa ritornare alla sua servitù. Non altro : resto pregando il
Signor che gli dia il complimento di tutti i suoi honesti desiderj.
Di vostra Ser."" Altezza fedelissimo et perpetuo servitore
Silvio Fiorillo detto il Gap.*» Mattamoros comico.
PS. Et acciò V. Altezza sia sicuro, che quanto scrivo è la verità , il
sig. dottor Pompeo è quello che ve po' fare degna fede come persona ver-
dadera e fidata di V. Altezza (1).
E cosi cogli ultimi giorni del '99 si chiuderebbero anche le
nostre ricerche sul teatro mantovano, se non avessimo espressa-
mente lasciato addietro alcuni documenti, che preludono al gran
spettacolo scenico della Corte dei Gonzaga nel '98 , e per una
serie di quindici anni ci conducono poi alla famosa e splendida
rappresentazione del Pastor Fido, fatta fare allora dal Duca
Vincenzo.
(1) Comunicazione dell'archivista cav. Bertolotti. Altra lettera del Fiorillo
del 4 gennaio 1600, conferma che la malattia gli impedisce di venire a Man-
tova, e che ci anderà dopo Pasqua. Ci andò effettivamente, ma verso il 1616»
dacché una sua lettera al Duca dell'I 1 maggio 1621, afferma di esser stato
lontano da Napoli cinque anni.
{ConUn'i(a)
Alessandro D'Ancona.
IL CONTRASTO DELLA BIANCA E DELLA BRUNA
Fra i poemetti popolari nel cinquecento trovo un curioso
« Contrasto della Bianca e della Bruna »; quale, poiché non
ha richiamato ancora l'attenzione d'alcuno, mi piace qui ripor-
tare ; studiandolo nelle sue attinenze con certi episodi dell'antica
epopea romanza rifrondita in Italia, e nella somiglianza con un
poemetto francese del quindicesimo secolo ; senza tuttavia dimen-
ticare le relazioni che lo collegano con certi canti lirici cari
anche oggi al popolo in qualche parte d'Italia.
I.
Andrea Calmo, eteroclito ingegno che alla metà del cinquecento
scriveva pel popolo nel nativo dialetto veneto, volendo in una
sua lettera (1) far del vezzoso alla « Vaghizante Giunon madona
« Anzola Sarra », bizzarramente firmandosi: « Mengrelin di Tardai
(1) Supplimento delle lettere piacevoli di M. Andrea Calmo, Libro III,
nel quale si contiene varij et ingegnosi discorsi filosofici in lingua Veneta
composti. Cito Tediz. : Vinegia , appresso Domenico Farri MDLXVI, non
avendo potudo vedere quella fatta dal medesimo editore nel 1559; la quale,
al dire dello Zeno nelle note al Fontanini (Biblioteca dell' eloquenza ita-
liana), sarebbe la prima.
IL CONTRASTO DELLA BIANCA E DELLA BRUNA 353
« da Muran , fuso de la vostra Rocca », pregava la vaghizante
Giunon di volerlo qualche volta chiamar « a lezer el libero de
« Altóbello, l'innamoramento de Carlo, e i cinque volumi de Or-
« landò, 0 veramente l'istoria d'Otinelo e Julia, la desgratia de
« Guiscardo et Gismonda, o el contrasto de la bianca e de la
« bruna, o la lezenda de'Buranelli — che per ogni casa ha diesi
« fieli — tanto bon teren ha le so done ». Il che basta per argo-
mentare la grande popolarità che, ai giorni del Calmo, allietava
il poemetto; che certo doveva essere sorto da parecchi anni,
facendo ragione al tempo che è necessario ad un canto per po-
tersi diffondere con tanto rigoglio quanto il Calmo licenzia di
credere, in regione diversa da quella in che è nato. Fermata
cosi la popolarità del Contrasto, ci si fa incontro una domanda,
cui bisogna pure in qualche modo rispondere; bisogna, se non
altro, vedere se altri cercò soddisfarla, e come; ed è questa:
Chi ne è l'autore?
Il Calmo, naturalmente, non lo dice, o che non lo sappia, o
non gli importi saperlo; come non lo sapeva e non lo voleva
sapere il popolo: il .poemetto conteneva una materia che il popolo
reputava di proprietà comune; la presentava in una forma dalla
quale non apparivano schietti e rilevati i caratteri di una ori-
ginalità individuale; e tanto al popolo bastava perchè egli lo
reputasse fattura o del primo cantastorie che glielo ricantava
fra gli stridori di un violino, o del primo editore che glielo
presentava fregiato di intagli , sui muriccioli ; fattura di tutti
o di nessuno. Il nome dell' autore , quando non sia rinfrescato
dalle stampe compiacenti che se lo portino in fronte o se lo
strascichino dietro, è presto dimenticato. Ma ciò che tutti di-
menticano, gli eruditi poi perseguono aflànnosamente ; essi vo-
gliono dare a Cesare quello che è di Cesare: spesse volte, tuttavia,
accaldati e frettolosi non badano attentamente al valore e alla
virtù delle basi su che si fondano per dare a ciascuno quanto
gli spetta ; come sembra sia accaduto nel presente caso. Di fatto
l'autore del Contrasto era rimasto sconosciuto fino al secolo
scorso, forse volato in cielo ove sale tutto che qua giù si dimen-
354 S. FERRARI
tica, si perde; quando si credè di riacchiapparlo, un erudito,
il Golucci, nella persona di Belizari da Cingoli, e lo fermò nel se-
guente passo della Biblioteca Picena (Osimo MDGGXGI): «Il
« Quadrio (1) ed il Grescimbeni (2) hanno con giustizia annove-
« rato questo cingolano, che fiorì circa l'anno 1530, fra i buoni
« poeti centonisti di quel tempo. Infatti abbiamo di lui alla stampa
« diversi centoni, formati con i versi del Petrarca, sopra il San-
ate tuario di Loreto (3), e vanno uniti al Canzoniere di questo ec-
« celiente poeta, impresso in Venezia per Niccolò di Aristotile
« Zopino (1536, in-12). Si ha inoltre col nome di Bellizario da
« Cingoli : Il Contrasto della Bianca e della Brunetta, in 8" rima,
« Venezia, per Gio. Bonfadino, 1620, in-4°, e di questa produ-
« zione si dà conto nel catalogo della biblioteca Capponi (p. 120).
« Finalmente non è da tacersi che in una raccolta di rime spirituali
« fatta nel secolo XVI, molte se ne leggono a pp. 34 e seg. di
« detto Bellisario; e segnatamente il Credo posto in terza rima,
« il cui principio è il seguente : Credo, Signor, che tu sei staio
« e sei ».
Ora io, per quante diligenze mie e di amici abbia adoperate,
non ho potuto trovare in detto catalogo (se pure è quello stam-
pato in Roma per Bernabò nel 1747) il passo che servì al Golucci ;
ma dubito forte, massime osservando che i cataloghi non usano
suffragare quanto afiermano con documenti , che nel catalogo
Capponi altro non si abbia che il titolo : Contrasto della Bianca e
della Brunetta con una frottola di Belizari da Cingoli, il quale
sia parso sufficiente al Golucci per la sua esplicita asserzione;
confermandolo in questa sua opinione l' indole, la qualità del
poeta come egli se lo figurava desumendolo dagli storici che a
pie di pagina si sono riportati. Stando le cose in tal modo, l'at-
tribuzione si dovrebbe adunque al Golucci, non al Capponi: ma
(d) Stor. e rag. d'ogni poes., voi. I, p. 172 (Not. del Gol.).
(2) Istor. volg. poes., t. II, p. 200 (Not. del Gol. Ma nel Grescimbeni io
non ho potuto trovare questo Belizari : sì bene vi è un Benedetto da Cingoli).
(3) M.\RTORELLi, Teatr. istor. della S. Casa, t. Il, p. 406. (Not. del Gol.).
IL CONTRASTO DELLA BIANCA E DELLA BRUNA 356
è essa certa, è probabile, è giusta ? Qui pure per rispondere ade-
guatamente bisognerebbe avere notizie sicure del poeta, massime
sul tempo in che poetava, e non ne abbiamo; perciò ora, sino a
prova contraria, riterremo che egli fiorisse intorno al 1530, data già
da altri messa in campo : probabilissima del resto. Prima di tutto,
se il Colucci per attribuire il poemetto a Belizari da Cingoli non ha
avuto altro appoggio che il titolo riferito; è corso troppo. Vero,
che il titolo ha : con una frottola di Belizari da Cingoli; ma non
per questo è necessario che del medesimo cingolano sia ancora il
Contrasto; né l'ordine in che le poesie sono stampate accredita
questa necessità , poiché , finito il cantare , di nuovo si legge:
Fotola (sic) di Bellinzari da Cingoli, con che si viene in certo
qual modo a staccare questo componimento dall'anteriore; e se
noi volessimo da quella sola iscrizione ricavare che anche il
componimento anteriore è di Belisario , allora , a più forte ra-
gione, dovremmo attribuire allo stesso la ballata che anonima se-
guita subito dopo alla frottola e compie il fioretto, il quale di tutte
e tre, e nello stesso ordine, risulta composto in tutte le stampe ;
ballata icommcìai .All' inferno voglio andare) che non senza
difl^coltà può essere attribuita a tale che poetasse intomo al
1530, perchè si trova già in codici (Marucelliano, C. 256) scritti
nella metà del quattrocento, e nel 1485 ò già tanto popolare da
poter servire come esemplare alle laudi (1): credo pertanto che
il titolo di che parliamo, sia da riferirsi solo alla frottola, non
alle altre parti componenti la stampa in discorso.
Ma quali ragioni aveva ed ha favorevoli il Da Cingoli per es-
sere ritenuto autore del Contrasto? Quali ne ha contrarie? (Ho
detto « aveva ed ha favorevoli » e solo « ha contrarie », perchè
in quelle che io me gli dichiaro favorevole, mi suppongo d'accordo
col Colucci; in quelle contrarie, no, poiché nel fatto appare che il
Colucci di contrarie non ne avesse). Ecco : le ragioni favorevoli
(1) Alvisi, Canzonette antiche, pp. 56 e 80-81. Alla libreria Dante, Fi-
renze, 1884.
356 S. FERRARI
sono, che egli fu tra i poeti centonisti (non so se centonista sia nel
vocabolario, ma è fatto come sonettista che pure c'è, e in buon senso)
e popolari più accreditati del tempo, componendo dotti centoni e
frottole (che in fine poi sono centoni, ma incatenati specialmente
di proverbi) e laudi. Prove della sua popolarità sono per l'appunto
il titolo, tante volte riferito, messo là in cima della frottola,
quasi squillo di trombetta che chiamasse il popolo ad udire o
a lecere, accertando che si sarebbe divertito; ed il vedere
che tal frottola dovette incontrare moltissimo nel cinquecento,
se la ritroviamo anonima fra notissime poesie in un manoscritto
d'allora (Magi. II, I, p. 398); ma più di tutte, prova capitale della
popolarità di Belizari è il trovarlo citato da Giulio Cesare Croce
nel suo Indice universale della Libraria, o Studio del celebra-
tissimo Arcidottore Gratian Furbson da Franculin; opera che
a torto il Guerrini (1) nella diligente bibliografia del favoleggiatore
di Bertoldo, giudicò « una lista di libri imaginari e buffi », poi-
ché di buffo non vi è che il modo con che i libri e gli autori
sono indicati nell'imitazione scherzosa e pazzericcia dell'opera
bibliografica tentata dal Doni, ma che del resto è ancor esso un
prezioso catalogo di libri non imaginari ma reali gustati dal popolo
nel cinquecento. Il Croce néiV Indice ricorda il poeta con queste
parole, sibilline in vero : « Belizari da Cingoli, sopra la Dialettica
« - Tó 4, con i cartoni di asse di Pero Bergamotto, con le virgole,
« et i spatij di terra creta, lavorata al torno ». E ad aumentargli
credito, certo concorse la fama di centonista ; fama, si noti bene,
che io mi do a credere sempre di popolo, come lo avverte il
fatto che i suoi centoni erano stampati, in fondo al Petrarca,
dallo Zopino, l'editore per eccellenza di cose popolari nei primi
decenni del cinquecento. Pare tuttavia che tal fama non si
sorreggesse fra le persone colte, se, a pena mezzo secolo dopo,
nel 1579, messer Panfilo da San Severino (proprio uno della sua
regione !) in un' opera stampata a Camerino, volendo annoverare
(1) La vita e le opere di Giulio Cesare Croce, Bologna, Zanichelli, 1879.
IL CONTRASTO DELLA BIANCA E DELLA BRUNA 367
i migliori poeti centonisti a cominciare ab antiquo per finire coi
suoi tempi, non trova modo di arrandelhirlo, sia pure per ripieno
di verso, in alcun posto. Né si creda che messer Panfilo fosse
in tali cose una mosca senza capo, uno che non avesse mani in
pasta; egli era nientemeno che l'autore dell'opera Gli centonici
et historici Capitoli et alcuni pieni di sdruccioli e bistici et altri
versi di varie sorti; ove per l'appunto, nel capitolo dedicatolo
all'illustrassimo e reverendissimo signore Luigi cardinal da
Este si fa sfilare davanti tutti i suoi veri o creduti predecessori.
Ancora a costo di darla un po' pei viottoli voglio riportare parte
di tal capitolo, attesa la sua importanza.
CAPITOLO INTITOLATORIO.
In tal libro, Signor, ci si contiene
un numero d'assai varij centoni ,
et ha d'istorie molte carte piene.
Ha sdruccioli , eh' assai ne fé' de' buoni
il Serafin , eh' è in Vatican dipinto
pel papa estremo de gli altri Leoni.
E '1 Sannazar fu da le Muse spinto
ne r Arcadia a trovarne copia grande ,
ma in Comedie Ariosto ce l'ha vinto.
Ha de' bisticci ancor cose ammirande,
che r Ariosto usò ne li suoi canti ,
che 'n capo ebbe d'allor verdi ghirlande.
Et Enea Piccoluom ne fece, inanti
che fusse papa , uno sonetto intiero ,
eh' ad amor fello, et agli amenti amanti.
E Luigi nel suo Morgante altiero,
un bell'ottavo; e Luca Pulci ancora,
pur di sua casa , assai versi ne fero.
Dante ancor esso più di vinti fuora
ne diede; et il Petrarca egli più volte
gli usò con la sua vena alta e sonora.
358 S. FEKRARI
e da le rime et opre altrui son tolte
molte cose , e ciò fé Petrarca detto
e' ha messe rime altrui tra sue raccolte;
che in una sua canzon ci dà ricetto
a quattro, o cinque versi integri altrui;
e n' usò fora' in qualche suo sonetto.
E la Vittoria marchesana , a cui
diedi versi in Viterbo , un sonetto essa
fece in canton , tra gli sonetti sui.
E di Proba un centon or ne va impres.sa
un* opra; e un'altra di Ausonio Gallo;
che r una e l' altra a legger n' è concessa.
E d'un Giulio Bidello or senza fallo
ci sono più centon che d'uom alcuno;
me eccetto come qui, lettor, vedrallo.
E un Ippolito Esin ne fa qualcuno.
Essa Vittoria in versi petrarcheschi,
ma Proba e Gallo il fé di Marso ognuno.
Io Ganimede i miei gli ho saldi meschi
ora tutti di quei d' Esso poeta
che fu per Laura in amorosi veschi.
Ora , perchè non sia , qual pura beta ,
insipida mia rima, aggio furati
versi ad altri poeti , e nullo il vieta.
In questo capitolo di Ganimede (povero Ganimede, che versi!),
quale ora non può essere illustrato, Belizari non si trova: non
venendomi pertanto egli stesso incontro, sarà bene che io me
ne ritorni a lui, e conchiuda che da quanto si è visto, risulta che
Belizari, autore di centoni e di laudi e di frottole, poeta popo-
lare in voga , può benissimo, per questi riguardi, essere tenuto
autore o rimaneggiatore di un contrasto cavalleresco ; e si
spiega come il Golucci fosse tanto corrivo a prestar fede, ed a
farvi anche le frange, al catalogo Capponi; ma prove serie che
convertano tale probabilità in certezza non ne abbiamo. Io poi,
per conto mio, nego addirittura che il Contrasto possa essere
IL CONTRASTO DELLA BIANCA E DELLA BRUNA 359
opera di un cingolano, per ragioni di stile e di lingua; le quali
se oggi presso la maggior parte dei critici ngn hanno gran peso,
non per questo contano meno. Per me, fra lo stile del presente
contrasto e quello che governa le altre opere del poeta vi è
troppa distanza; e la lingua, la lingua poi è certo di un toscano
(senese?), e più antica che quella adoperata nei primi del cin-
quecento.
Se l'autore del Contrasto ci è ignoto, possiamo, se non altro, fissar
l'anno in che esso Contrasto ebbe vita nelle stampe? Neppur questo.
Dobbiamo accontentarci di dire che l'edizione più antica porta
la data del 1545; ma che, secondo ogni probabilità, è una ristampa:
ne è indizio anche a chi non voglia tener conto del « nuova-
« mente ristampata », attribuendo il motto solo alla frottola, la
scorrezione stessa del poemetto; ed ip ho soventi volte notato
che le stampe popolari riproducendosi, si boscano di errori e di
errori, massime metrici, che è una maraviglia; peggiorano di
mano in mano che si allontanano dalla prima impressione, che
quasi sempre fu vista dall'autore, o fu condotta da tale editore
che la raccoglieva .al suo apparire quando ancora non era stata
guasta e sconquassata nella memoria dei volghi : oltre a che non
solo i traviamenti della memoria congiurano contro l'integrità
della letteratura popolare, ma ben più il cambiarsi e l'alterarsi
degli usi e dei costumi e della lingua nel popolo.
Qui, prima di studiare il Contrasto, sarà meglio vederlo. Ripro-
duco la stampa più antica del 1545, che or ora illustrerò, cor-
retta di quelli che io stimo evidenti e grossolani errori di stampa
ignorante, i quali rilego nelle note, non senza addurre le ragioni
per cui io li reputi errori. E in nota, per dieci ottave, do le
varietà di altra edizione; per dieci ottave solo, essendo mutilo
l'esemplare che ci rimane. E in nota ancora porrò alcune brevi
illustrazioni sulla lingua del poemetto e sulla topica di esso, mo-
strando per quanti vivagni si riattacchi ai poemi cavallereschi
italiani e massime al Margarite e 2\X Innamorato , senza tut-
tavia toccar quasi mai l'invenzione sua speciale, ossia l'argo-
mento del contrasto; cosa che vedremo e studieremo dopo. E
360 S. FERRARI
aggiungerò di più, in margine al testo, gli argomenti , perchè
da essi spicchi più, chiara e più unita alla nostra mente tutta
la trama del poemetto.
IL
(Biblioteca Nazionale (Palatina) di Firenze: E. 6. 5. 3).
El contrasto della BiXca <fe DELLA Bru | netta: Con vna
Frottola de Bellizari da Cingoli. \ Nuouamente Stampata. Sotto,
un intaglio in legno che mostra il duello fra due cavalieri seguiti
da uomini a piedi ed a cavallo: l'uno dei due (mi figuro sia la
Bianca), ha avuto la peggio, e rovina da cavallo giù; poi, le
due prime stanze del poemetto, in doppia colonna, compiono la
prima pagina. Indi le stanze seguitano in doppia colonna , a
cinque per colonna, sino in fine ; solo la seconda colonna nel di-
ritto di Aii ha quattro ottave, perchè il posto della quarta
è occupato da un intaglio che raffigura di nuovo un duello.
Sotto alla 40* ed ultima ottava si legge : Finito el contrasto della
Bianca Et della Brunetta. Nel rovescio di A tre sta la Fotola
di Bellizari da Cingoli: Chi intenda slaga a tento ; termina : frot-
tola resta in pace. Finis. Seguita una ballata : A linferno voglio
andare, che finisce: che in' ardisca a confortare. \ Il fine. | | Stam-
pata in Firenze: Anno \ M.D.XLV. — Carte 4, in^", segn. Aii.
Questa è l'edizione che io, con leggieri cambiamenti della grafia
riproduco. La stessa era già stata descritta dal Visconte Golomb de
Batines, nella Bibliografia delle antiche rappresentazioni sacre e
profane, stampate nei secoli XV e XVI, con questa importante
annotazione : « C è un componimento simile in versi francesi in-
« titolato : Dèbat de deux Damoyselles lune nomme la noyre,
« Iantine la tanne, stampato negli ultimi anni del secolo XV ».
Golomb de Batines cita oltre a questa, altre due edizioni sulla
fede di altri cataloghi; una (Gatal. Libri, n° 1118), uscita in Bologna
IL CONTRASTO DELLA BIANCA E DELLA BRUNA 361
nel secolo XVI, s. a., in-4°, di 4 carte a 2 col.; l'altra (Gatal.
HiWert, n» 6449), pure in-4°, senza nota tipografica di sorta.
10 di più, favorito dal professor Pio Rajna che più volte mi ha
in questo lavoro sorretto, ho potuto conoscere una nuova edizione
che si trova ora nell'Ambrosiana colla segnatura S. Q. 0. VI. 50.
11 Contrasto della Bianca e della Brunetta Con vna
Frottola di Bellizari di Cigoli, Nuouamente Ristampata. In
Venetia, Con licenza de' Superiori. Et in Bassano, Per Gio:
Antonio Remondini. La vignetta mostra un campo di battaglia.
Di questo esemplare rimangono solo la prima e l'ultima carta.
Una donna bella, fiorendo Chi vedesse in prima una donna bella
primavera , va in un apparer bella , in tra le altre il fiore ,
giardino a coglier fiori che è il fior de ciascuna donzella,
per ghirlande. e confortando va el suo amatore;
al tempo ci dà fresca la novella,
eh' ogni frutto ritoma in suo verdore ,
solazando donzelle et amatori,
8 venendo primavera con sci fiori;
1-16. I primi quattro versi sarebbero forse la protasi del poemetto? Ovrero la protasi è rac-
chinsa nei primi dodici ? Difficile rispondere. Poco chiare , in ogni modo , qneste dae ottaro fino
al verso qnattordici. Degne di molta attenzione appaiono le varietà offerte dalla St. Yan.:
Chi pria vedesse in una donna bella
apparir bella in tra le altre un tlot\,
che è il fior di ciascnna donzella,
e confortando va il sno amadore ;
ti tempo ci dà fresca la novella
ch'ogni frutto ri toma in sno verdore
solazando donzelle et amadorì
8 vedendo primavera coi suoi fiorì;
una mattina n«{ mese di maggio
andò a cogliere rose < fior novelli
allegramente con un buon coraggio
per far ghirlanda a donne et a donzelle
do* damigeììe che non han paraggio
sentivano cantar di molti tieeelU,
l'una è la Bianca fiasca e colorita,
16 e l'altra la Brunetta saporita.
Anche VJntelligenta apre coUa descrizione della primavera. È inutile insistere sul favore cke a
Giornale storico, VI, fase. 18. 24
362
S. FERRARI
La Bianca e la Bruna.
L'amatore.
n giovanetto è fatto gii*-
dice di bellezza.
Impaccio del giovinetto.
una mattina dil mese di Maggio
andò a coglier rose et fior(i) novelli
allegramente con un bon XJoraggio ,
per far girlande a donne et a donzelli!
Donne et donzelli che non han paraggi©
udivano cantar di molti ucelli ;
r una è la Bianca fresca et colorita ,
16 e l'altra è la Brunetta saporita.
Et ambedue andorno a una fontana
sol per lavar lor viso relucente ,
et còlto avendo più menta pisana
et de molte altre erbe assai olente ,
basilico ancor(a) salvia e mazorana ,
odor che piace più a tutta gente ,
da r altra parte v' era un bel fantino
24 più fresco et bianco che rosa di spino.
Lo qual quelle chiamaron di presente:
— Per Dio, fantino, odi questa novella,
et odi bene , e vieni a poner mente ,
et di' la verità: Quale è (la) più bella? —
Ma r una et Y altra era tanto piacente
che reluceva più che non fa (la) stella;
guardando le bellezze et loro amore
tali descrizioni accordarono i poeti firancesi e italiani. Non sarà inutile tuttavia rimandare il
lettore a vedersi: 1) il Boccaccio, Teseide, II, 3 sgg., ove si leggono, fra gli altri, (questi due versi:
Sra Teseo dal dolce amor distretto \ In un giardin pensando a suo diletto; e più ancora nel III,
6 sgg., quando Emilia coglie fiori, per inghirlandarsi nel giardino; — 2) Il Sacchetti, Battaglia
dells vecchie e delle giovani, I, 6, nella descrizione dell'orto: Con prati verdi dilettosi e gai, |
Con alberi fioriU verno e state, \ Fontane vive ancor v' erano assai, | Con acque chiare nitide e
stillate, I Uccei v' avea e di molte ragioni , | Aranci pini e datteri e cedroni'.- — 3) 1' Orlando
Jnnam., P. II, XX, 1. £= Paraggio, vale uguaglianza, così nella Tavola Rotonda (curata dal Po-
lidori) : Amore non guarda pabaooio di bellezza né di ricchezza.
17. La St. Fior, ha: Et ahbb andorno; ho corretto come si vede , per ragion di misura , se-
guendo la St. Yen.
18. St. Ven. : lo viso BitnoBNTE.
19. St, Ven. : E molte altre erbe.
22. St. Ven. : a tutta la gente.
24. La St. Fior. : che cosa di spina; manifesto errore per kosa , come ha la stampa Ven. Il
Bocc, nella Teseide, XII, 77: Più bello e fresco che rosa di spina; e 1' Orlando Innamorato ,
P. I, ni, 41 : Di bianchi gigli e di rose di spina.
25. St. Ven. : La qual quelle chiamoeno.
28. St. Ven. : chi è più bella.
30. St. Ven. : Che bildcban più che non fa stella.
IL CONTRASTO DELLA BIANCA E DELLA BRUNA
363
Bellezze della Bianca.
Vesti e ricchezze.
Bellezze della Bruna.
32 non conoscoa qual fosse la megliore.
L' una è la Bianca fresca et colorita ,
più cho di magio quando rosa appare ;
d' ogni bellezza bolla ella fornita ,
che tutta gente fa maravigliare.
Vestita r era di seta fiorita
che vien de la Seria, di là dal mare;
mille boton(i) da piedi et mani avea ,
40 che ciascadun un gran dinar valea.
In testa ella portava una corona
di pietre prec'iose et oro fino,
sei milia perle, che valea ciascuna,
come dice la istoria , un bel fiorino ;
e come il sol fa perder[e] la luna
al giorno, quando viene il mattutino,
così facea quella bianca dongella
48 che sopra tutte V altre è la più bella.
L' altra è la Bruna , qual ha el dolce riso,
che fa maravigliar tutta la gente:
bella ha la gola et delicato viso ,
0 quanto era vezzosa et relucente!
32. St. Yen. : Non cokoscevam. Il fantino , così imbarazzato nella scelta de la più bella , tà
ripensare al giovane dei canti popolari moderni. Casetti e Imbriaxi, Canti dtlU Provinei» Mtridio-
nali, I, 1 sgg.
33. È il y. 15 tale e qaale.
35. St. Yen. : D' ogni belletta bbn eba fornita. Questa lezione è, credo , più vicina all' origi-
nale ; che potè forse essere : D'ogni bellegMO ben eW è fornita.
36. St. Yen. : Totta la gente.
37. La St. Fior, ha : Vestita egli era ; ho corretto con la Yen. L' Intettigema ancora è vestita
di seta soriana. Per la ricchezza delle vesti e degli adornamenti , oltre alle descrizioni nell' 7n<
telUgenza, e neirA)n«fo, e a tante altre , puoi ancora prestare attenzione al passo del Sacchetti
che riporto in nota al v. 61, e vederne parecchie nel Morgant»; al C. YI, p. es., str. 17 e 18.
38. St. Yen. : di là dkl mare.
39. St. Yen. : Milìe bottoni a piedi e man avea. Nel Morg. , XXY , 93, dell* vette di UUvieri
è detto : Diecimila seraffi o più vai qttesta.
40. St. Yen. : Che ciaschedun.
42. St. Yen. : Di pietre pretiosb d'obo fino.
43. St. Yen. : milla, e anche altrove.
45. St. Yen. : E come il sole fa perdeb la. Gas. e Ixbb. , Gp. cit. , II , 180: À tanto ino
splendor tributo inchino | Siccome fa la luna a fronte al sole.
47. St. Yen. : donzella.
49. St. Yen. : il dolce.
50. Lo stesso che il verso 36, variato l'ordine delle parole.
51. St. Yen. : e delicato il viso.
52. St. Yen.: e bii.ocxnte.
364
S. FERRARI
Vesti e gioie.
Le due donzelle nel giar-
dino.
Arrivo delVamante.
pareva essere nata in paradiso.
Vestita era di drappo adornamente ,
da capo a piedi avea rabini tanti
56 che valean ben cento milia bisanti.
In testa ella portava una girlanda
di pietre preciose lavorata,
un saracin la fece in Alexandra ,
cento milia ducati era costata.
E se vi par l'istoria troppo spanda ,
io ve la vendo come l' ho comprata.
Questa Brunetta onesta vaga e fina
64 leggiadra magna degna et pellegrina.
E trambe due si levorno un mattino
la Bianca e la Brunetta ognuna isnella,
andorno a solazzar in un giardino ,
e l'una e l'altra o quanto all'era bella!
et a seder se misson sotto un pino ,
cantando rosignuol(i) su la ramella
facendo dolci versi per amore :
72 da r altra parte venne 1' amatore.
53. St. Yen. : Pareva fussb fiata.
57. St. Yen. : ohiblakoa.
59. La St. Fior, ha Alexandria, e la Yen. àlessakdba. "SdiV Inteìlig . (st. 12), abbiamo : Ed à
una mantadura oltremarina ] Piena di molte pietre preziose : | D'overa fu di terra àlessakobiita.
Ancora la descrizione degli adornamenti della Bmna, e come già la descrizione di quelli della Bianca,
e degli altri già citati di Olivieri, termina col ralutame presso a poco il costo : onde ripenso vo-
lentieri ai passi àelVIntellig. che accennano o dicono il prezzo delle gemme e delle vesti, qaando
accada nominarle, come alla st. 204 : Con molte gemme di gran valimento ; e meglio alla 205 e
alla 206: Con quei cari rubin maravigUanU , | Ch'una città valea pur l'una sola; e Sacchetti,
Op. cit. , lY , 62 : J? di lor veste si sono addobbate ( Sì riccamente che narrando queUo | Par-
rebbe a chi r tidisse non credibile, | Per lo tesoro di stima valibile ; e questi ultimi versi illu-
strano molto bene quelli segnati 61, 62, che or ora seguitano nel nostro poemetto.
61. Ori. Innam. : P. I, I, 22 : Et altre assai che nel mio dir non spando.
63. St. Yen. : vaoa fina.
64. St. Yen. : magna e degna feUiEobina.
65. St. Yen. : Et AMBEDmB si. Qui il poeta pare si rifaccia da capo.
67. Vedi la nota ai versi 1-16.
68. St. Fior. : Et l'dna l'altba; ho corretto con la Yen.
69. St. Yen. : ce messon. L'innamoramento sotto il pino è provenzale. Cfr. Del Lungo, Dino
Compagni, I, 470.
70. St. Yen. : n. bosionvol su. — Ramella. La Crusca ha un esempio di Inghilfredi, in Rime
antiche; e questo del Boccaccio nel Ninfale Fiesolano : Istarsi all'ombra di fresche bahelle.
72. St. Yen. : vene l'akadobe. Amatore ; per amante. La Crusca cita questo esempio del Pe-
trarca, Trionfo d'Amore, II: E quel vano amatore che la propia \ BeUezta disiando fu distrutto.
IL CONTRASTO DELLA BIANCA E DELLA BRUNA
365
Saluto dell' amante.
Parole della Bianca.
Risposta della Bruna , e
vanto di bellezza.
El qual essendo assai savio e prudente
cortese valoroso et ammaestrato
(et) salutò ciascaduna di presente,
come dal buon maestro ha imparato.
— Ben stia tu, o Brunetta piacente.
Ancor tu. Bianca, dal viso rosato. —
Ciascuna di costor li respondìa:
80 — Tu aie lo benvenuto, o vita mia. —
Le donzellette ai parlar mainerò
furon levate in piedi immantinente.
E' riscontrò la Bruna nel sentiero ,
quella basciò in bocca arditamente.
Disse la Bianca: — E mio era primiero,
perchè amato io l'aggio longamente;
deh ! noi chiamare a te , Brunetta mia ;
88 lassel venire a me, per cortesia.
E la Brunetta rispose al presente,
e disse: — Bianca, mi pari impazzata.
Non lo vardare e non li poner mente
perchè non hai persona angelicata.
Egli è venuto a me primeramente ,
ecco la gioia che lui me ha donata :
io r ho amato più che omo sia ,
96 et amerollo sempre in vita mia. —
73. 8t. Yen.
74. St. Yen.
amcustrato.
75. St. Yen.
77. St. Yen.
78. St. Yen.
79. St. Yen.
ossea SAVIO PKVDIirTB.
Amaestrato. FoiiGOBE da S. Qbmimako (Nannncci, I, p. 344):Saggio, eorUu, i
Ls salutò CIASCUNA di presente.
Bene.
Anco tu.
OLI RISPONDIA.
80. Tu SIA lo ben venuto anima mia.
89 e sgg. Qua e lì. si trova molta somiglianza con questi versi, ancor» inediti, àtXL'OrUmdo,
poema che, come provò il prof. Rajna, servi per tanti rispetti al Pulci:
Disse la Bruna — Cara mia sorella
più ventura ho di te perchè sia hella.
Dicie la Bianca: Tu hai van pensare
Io ho auto di lui molto piacere,
perch'egli aveva me, non te, mirare;
tu ti potesti ben di ciò avedere. —
Disse la Bruna: — SI, mi meravigli
perchè io ho di te gli occhi pia befli.
366
Vanto della Bianca.
104
Vanto della Bruna.
112
Hpoeia sirivolgealpuhlico.
Bue donne fiorentine elette
giudici. 120
Bifesa della Bianca.
S. FERRARI
Disse la Bianca : — 0 Bruna maledetta ,
se tu non lassi star questo amatore ,
di quel e' hai detto io ne farò vendetta,
innanzi a lui ti farò poco onore:
io son la Bianca e tu sei la Brunetta ,
più bella son di te , ancor migliore ;
più bianca son che neve di montagna
che in braccio mi terrebbe '1 re di Spagna. —
(Alora) La Brunetta fu forte corocciata ,
le disse: — Bianca, deh! più non parlare ;
quando la neve in montagna è durata
al sol si vien tutta quanta a disfare :
ma io son la Brunetta inzucherata
e molto saporita da basciare;
et io son la Brunetta morbidella,
miglior di te , et anco la più bella. —
Or vedereti guerra cominciare
fra due donzelle per uno amatore ;
Tuna e l'altra si han(o) forte a minaciare,
e ditto se han(no) di molto disonore.
Questa question non si può dischiarare,
com(e) si de diffinire questo errore.
Mandòrno per due donne a Fiorenza
. che diffiniscon questa lor sentenza.
Le donne fur venute a quelle amante
per metter pace a tanta lor questione.
Dissen le donne : — Venite davante :
Ognuna di voi dica sua ragione. —
Parlò la Bianca con dolce sembiante ,
103. TiGBi, Canti popolari Toscani, 74 : Bianca come la neve di montagna; e nel Calmo (Op.
cit.), Lett. alla sig. Yitruvia : « bianca a mo' la neve di montagna ».
104. Tigri, Op. cit., 1\: E le vostre bellezze vanno in Francia | Saigon le scale dell' impera-
tore ; e il Magnifico, Nencia : Aver la Nencia e tenersela in braccio, | Morbida e bianca che par
xm stignaccio.
109-111. Vedi lo strambotto antico nel Cabdccci, Cantilene e Ballate ecc.: Brunetta, c'hai le
ruose aUe mascelle, \ Le labra de lo zucchero rosato. E il Calmo, Op. cit., Lett. alla sig. CaU-
donia , in difesa della carne bruna , si riporta al « dito antigo , che terra negra fa bon pan ;
« son hruneta, son dolceta ». E in Caset. e Imbr., Op. cit., II, 140: Brunetta saporita.
120. Qui bisogna dare a sentenza il senso di questione, come par giastiflchi il verso 122: Per
metter pace a tanta lor questione ; diffinire in questo caso è il verbo tecnico, e vale terminar*.
Difesa della Bruna.
IL CONTRASTO DELLA BIANCA E DELLA BRUNA 367
e disse : — Io non so già per qual cagione,
questa Brunetta eh' è cotanto ingrata
128 81 fortemente m' abbia minacciata. —
Disse la Bianca: — Donne, in cortesia,
quel ch'io vi dico, prego vi stia a mente.
Or questo amante si è la vita mia,
che sempre io l'aggio amato caramente:
e certo per fugir cia8cun(a) folìa,
nò biasmo acquistar da tutta gente
e che mi guardi dagli mal parlanti,
136 me tolsi , sendo il fior degli altri amanti.
E la Brunetta im pie si fu levata ,
parendo un angel proprio che parlasse.
— Per la mia fé', s'io serò ascoltata
dirò la verità, se mi giovasse!
Io son di lui sì forte inamorata
eh' io non lo lassarci se mi tagliasse ,
perchè un [più] bel giamai né più polito
144 non fu al mondo, e lo voglio per marito.
(AUhor) Una di quelle donne da Firenze
all' amator così prese a parlare ,
e sì gli disse: — 0 cavalier valente,
per cortesia , te voglio or domandare
de quel' eh' inamorasti primamente;
dimmi la verità non me '1 celare. —
Egli rispose con la mente franca:
152 — Prima m'inamorai di questa Bianca.—
Disson le donne : — Che Cristo ci vaglia !
questa è una gran sententia (d)a diflSnire :
amor , come la spada , fende e taglia , .
e spesse volte ancor fa rom(o) languire.
n giovinetto è interrogato.
Risposta.
I giudici rimetton la que-
stione alle armi.
133. Ciascxm'. Troncamento darò ; da sì fatte durexio per altro, gli antichi non riftiggiTaiio.
Saoch., Op. cit., I, 17 : Il del legato con cateti d'argento.
135. L' odio degli amanti contro le lingue viperine è tradizionale nella letteratura del popolo,
n lÀnguaccio di Olimpo da Sassoferrato ne ò una prova molto evidente. E una ballata del Umt
gniflco ha per ripresa : lo prego Dio, che tutti % mal parlanti, | Faccia star stmpr* «n gnm do-
lori e pianti. Nella lirica provenzale è poi comune.
137. Sacch., Op. cit., I, 31 : ^ Caterina in piV .si fu Imtaia.
140. Se mi giovasse ! Ho messo il punto ammirativo interpretando il M desideiatiTO per coti.
368
S. FERRARI
Vanto di bravura
Bianca.
Vanto delia Bruna.
La piazza di Siena è il
campo di battaglia. Pre-
parativi.
Se questo non s' acquista per battaglia ,
io non so quel che ne debbia seguire.
Donar sententia che non sia mal data ,
160 difendasi a battaglia giudicata. —
della Disse la Bianca : — Sì , ben volentieri ,
chi voi combater meco venga in piazza ;
farò guarnire ci mio scudo legieri
e la mia relucente e bona mazza ;
perchè lo sappi donne et cavalieri
e eh' ognun possa aver lieta la fazza :
Chi perde la battaglia, questo è usanza,
168 di non ballar et di non far più danza. —
E la Brunetta rispose al presente,
e disse : — Cosi voglio , o mal villana !
di questa guerra ti farò perdente ,
sappi che ti darò la morte strana ;
et per farlo saper a tutta gente
io mandarò un bando per Toscana :
Chi perde la battaglia e 1' amatore ,
176 giamai più (si) vesta panno di colore. —
Le donzelle furon deliberate
battaglia far su la piazza di Siena ;
erbe minute con altre fiorate,
tutta la piazza n' era colma e piena ;
rose con gigli et viole imbalconate
bianche e vermiglie con menta serena;
160. difendasi; per si proroghi f
177. Se il verso non va modificato altrimenti, certo doveva essere corretto negli accenti quando
si cantava: Le donzelle fueòn deliberate. 0 diceva: Le donzelle si fur deliberate?
179. fiorate. Nel Tkamatkk (ediz. di Mantova) , non trovo fibrata che nel senso di schiuma.
Qui sta per fiorita , cioè « quelle filze di verzura che si appiccano dove si fa festa , o che si
« spargono per le strade » ; e il Dizionario conforta quest'ultimo senso, che meglio s' addice al
caso nostro, con un esempio del Vasari, Vite : « Sparger la fiorita nelle strade ».
181. Imbalconate. Incarnate, appellativo che si dà alle rose. Firenzuola, Dial. beli. Bonn.:
« L'incarnato, altrimenti imbalconato, è un color bianco ombreggiato di rosso, o un rosso om-
« breggiato di bianco, simile' alle rose che incarnate o imbalsamate si chiamano ». Ma già il
Poca, XIX sonetti amorosi {Propugnatore, voi. XI), son. 6o: Deh , rosa imbalconata! \ Ditemi
dove vien tal crudeltate.
182. La st. con mekte serena ; ci ho posta risolntamenie la mano , correggendo ; henchè non
trovi nel Dizionario l'epiteto di sererux dato a menta : più sopra abbiamo menta pisana ; ed anche
essa nel Diz. manca.
IL CONTRASTO DELLA BIANCA E DELLA BRUNA
369
Descrizione della cortina.
Passatempi dell'amatore.
et tutte due tenean corte bandita,
184 la Bianca o la Brunetta colorita.
Intorno al campo v' era una cortina
la qual venne dal regno feminoro,
che con sue man la fece una regina
la qual fu donna del re Antenore;
le corde eran di seta alessandrina,
e mille campanelle de fin oro;
d'argento una cordella, qual tirava,
192 e nel tirarla uccelli assai cantava.
Poi r amatore andava solazzando
sopra la piazza con molti donzelli
aste depinte e bagordi spezzando;
vestivan seta, e ben politi snelli
ciascun versi d'amor giva cantando,
con più di cento cavallier novelli;
sonagli d'oro e pettoral(i) d'argento
200 adorni de rubin(i), eh' io non vi mento.
Tutta la gente corre(v)a per vedere;
donne, fanciulli e molti cavallieri;
et quello che volea mangiar o bere
183. Vedi la Tcseide , VI , 7 agg. : nel tempo che precede la battaglia i dae amici sono baoni
amici, e spendeano ìarganunte... e AUro che suoni canti ed attegrexta \ Nelle lor case non si sentia
mai;... né giammai, | Erano in casa senta forestieri,.. | B nulla si lasciavano a donare, \ SU tran
d'ogni gran largheBza pieni.
185. La ricchezza della cortina rispecchia i fulgori dei padiglioni. È notimmo quello nel PcLa,
XIV, 42 sgg.
186. Intelligenza (st. 225) : Attalista regina d'Amaztoni, | Quel che s'appella il regno feminoro.
190. campanelle. Il Dizionario avverte che campanelle si chiamano ancora qoei cerchietti di
ferro (qui d'oro adunque) nei quali scorrono le tende e le portiere.
193. È impossibile, leggendo tali feste, sognato in Siena, non ricordare i sonetti di Folgore.
194. domelli: il verso che occupa il n» 166 giustifica la spiegazione di donMelU applicato a
quei giovani nobili che si preparavano al cavalierato.
196. St. Fior. : Vksti a seta ; ho corretto io : vkstivak seta.
198. cavallier novelli. Era di prammatica che i cavalieri novelli « armeggiassero » e < bafor-
« dassero » lietamente, n sonetto di Foloore (ediz. cit., p. 346): Ora si fa un donisi cmaìitri,
E vuoisi far noveUaniente degno ecc., illumina benissimo questa o le due seguenti ottave.
199-200. Ogni qualvolta che gli antichi poeti cavallereschi intoppavano nei cavalli sellati e
bardati, ne dipingevano partitamente e lucentemente gli addobbi. Il Pulci e il Boiardo speesiasimo.
Anche qui, come sopra, par che il Sacch., Op. cit.. Ili, 40, aguzzi la punta dell'ironia: Soor'un
destrier coverto d'un aliso | Velluto incatenato, per suo' fama, \ D'incrocicchiate catene d'arfenio,
I Con tante perle, che mi fé' pavento.
203. La St. Fior, ha veramente coeì : Et qusi. che voleva mangiar o bere.
370
S. FERRARI
Giorno del combattimento.
Lamento di molte dami-
gelle per la pugna.
glie n' era dato assai ben volontieri.
Mille donzelle servon per piacere,
dove eran coppe d' oro e bei bicchieri :
le mense eran coperte a confezioni,
208 con più fagìan dorati e bon caponi.
Araldi v' eran con giocolatori
tutti vestiti d' oro et onorati ,
chi voi cavalli e chi voi corridori
a ogniun volentieri ve n'eran dati,
perchè non son avari e' donatori ;
né già del paradiso (v') eran cacciati.
Tempo mi par di dir questa battaglia.
216 Or ascoltati, che '1 parlar mi vaglia.
Una mattina di Pasqua rosata
andorno per combatter le dongelle ;
ciascuna eran ben acompagnata
da mille donni e mille damigelle.
(O)gniuna di lor ha roba ricamata
con panni alciati come nimphe belle;
appresso d' esse cavallier parlando ,
224 la Bianca et la Brunetta amaestrando.
Le dongelle andavano per la via
dicendo : — Questo forte me dispiace ,
fra due dongelle esser tanta resia
203-05. FoLOOBE (son. nlt. dt.), dica che il CATallier novello , Annona, pane e vin dà a fore-
stieri, I Manze, pernici e cappon per ingegno, \ Donzelli e servidori a dritto segno ; e nel sonetto
pel « Giorno di Conviti » (ediz. cit., p. 345): Donne e donzelle stan per tutte bande , \ Figlie di
Re di Conti e di Baroni, \ E donzeUetti giovani garzoni | Servir, portando amorose ghirlande.
206. Innamorato, I, 1 , 19: Ed ecco piatti grandissimi [d'oro | Coperti di finissima vivanda
I Coppe di smalto con sottil lavoro.
207. Confettioni. U Dizionario spiega, con un es. del Trattato del Peccato Mortale: « ogni qiMin-
« tità di confetti, di conserve e simili ». Sarebbe allora tutto quanto è apparecchiato nel verso di
Folgore (son. ult. cit.): Frutta, confetti, quanto li è 'n talento.
208. Folgore (son. ult. cit.): E cotti manzi et arrosti capponi , oltre al verso citato nelle
note 103-105. Nel Pulci,- Op. cit., vedi il convito che ha luogo al C. XVI, 24 sgg. : Con preziosi
vin confetti e frutte.
209. Pulci, luogo ora cit., massime il verso: Buffoni e giuochi e infiniti piaceri.
212-213. Lo stesso senso manifestato nel verso 204.
214. paradiso. Il primo senso fu i'orto, poi, come qui, di luogo delizioso.
217. Anche V Innanwrato apre con una giostra Allor di maggio a la pasqua eosata.
222. alciati, alzati, succinti. Dante, Piirg., Trescava, alzato, l'umile salmista.
225. 0 leggere andavano, o rifare: E le donzelle andavan per la via.
Offerta di due cavalieri.
Risposta delle due guer-
riere.
IL CONTRASTO DELLA BIANCA E DELLA BRUNA 371
Sarebbe alcun di tanta cortesia,
che si combatte per amor fallace,
ch'in fra costor potesse metter pace? —
Allor dui cavallier disson di poi:
232 — Lassate a noi il combatter per voi.—
Le dongellette allor d' uno volere
disson: — Cavallieri, or tenete a mente:
se noi dovcssem spender più avere
che fusse mai dal Levante al Ponente,
questa battaglia non può rimanere
che noi non la faciamo arditamente.
Ben mille grazie, cavallier, n'aggiate;
240 per cortesia, de qui or ve levate. —
Le due dongellc furo(n) in su la piazza
ov' era già la battaglia ordinata ;
ognuna aveva scudo e bona mazza ,
elmo lucente ed allato la spada.
Disse la Bianca: — Or tu, Brunetta pazza,
tu sei verso di me apparecchiata ;
or ti difendi, ch'io ti vo' ferire
248 et oggi è '1 dì eh' io ti farò morire. —
Ella gli dette (co)sì grande ferita
sopra de l' elmo , qual era cerchiato.
Quasi la Brunetta fu sbigottita
per lo terribei colpo che gli ha dato.
Ognun cridava: — Oimè, trista la vita ! —
Et a ciascun ne prendeva peccato
veder combatter quelle due dongelle
256 che in quel tempo non eran le più belle.
Disse la Brunetta : — Ormai t' attendi
di questa guerra, Bianca scolorita.
Tu perderai ciò che qui ritta spendi.
La Bianca principia il
duello con parole e con
fatti.
Risposta della Bruna.
246. St. Fior., Tu sei ver di.
254. A ciascun n» prendeva peccato: ducono ne avert compassione. Il Dìx. non ciU che na
esempio delle Favole Esopiane: Il cavaUtr veduta la donna in tanta « si gravosa noia li ri
PBESE PECCATO.
257. Deve forse correggersi : Disse te Bruna — Il fimb ormai t'attmdi 1
259. 9i(t ritia per qui semplicemente, si trova in Dante, nel Boccaccio, ed in altri aaticlii. n
Salvisi nelle Prose ToscaM la dice voce ancor viva fra i contadini.
372
S. FERRARI
Bel colpo della Bruna.
Seguita il duello.
La Bruna vincitrice.
La Bianca si arrende.
Viene il notaio: e il gio-
vinetto sposa la Bruna.
oggi è quel dì che tu serai finita ,
io ti vengo a ferir, or ti difendi. —
Et alla Bianca dette tal ferita
che se non fusse l'elmo bono e forte
264 certamente ella li dava la morte.
Et sonsi date sì crudel' mazzate
che tutte l'arme indosso (si) fraccassorno,
gli elmi e li scudi e le mazze ferrate
in terra trambe due le gittorno;
poi di concordia da cavai smontate
e gionte in terra , presto si pigliorno
r una con l' altra , le drezze tirando ,
272 su per la piazza si van strassinando.
Si come la Brunetta era più forte
pigliò la Bianca e gettolla per terra,
e per la golia la strinse in tal sorte
che punto non la lascia e disferra;
dicendo : — Bianca, se non voi la morte,
rendite a me , che ho vinto la guerra
e anche ho vinti tutti li amatori ;
280 qui non te varrà liscio né colori.
La Bianca disse: — Deh!, Brunetta mia,
io ti farò la croce con le brazza;
deh! non me occider, per tua cortesia;
abbiti l'amator, ben prò ti fazza ,
tu si r hai vinto per tua gagliardia :
venga el notaro che carta ne fazza.
Deh ! non m' occider poich' io me rendo,
288 che m' ingenochio e più non mi difendo.
El notar[o] fu gionto immantinente ,
lo qual fece una carta degna e bella;
e r amator fra tutta quella gente
sposò la Bruna e detteli due anella ,
poi si la bascia e abraccia stretsunente
e dipartissi e vassene con quella.
276. disferra , scioglie. Il Dizionario non dà disferrare con questo significato ; sì bene porta
nn esempio di sferrare tolto dal Beeni, Ori., 2, II, 46: Brandimarte tornò dov'era Orlando |
E lo sferrò del laccio incontanente.
280. St. Fior. : Qoiti non te t^ebà liscio ne colori.
286. St. Fior. : ne faccia.
IL CONTRASTO DELLA BIANCA E DELLA BRUNA
373
Dolore della Bianca.
Un cavaliere s' offVe alla
Bianca in isposo.
La Bianca accetta il ca-
valiere.
U poeta si congeda.
La Bianca tutta rimase adolorata
296 piangendo lo suo amor la sventurata.
E sì diceva : — 0 lassa (me) tapinella ! ,
mai più non voglio star in questa vita ;
inanzi mi vo' far una gonella,
da pie tagliarla , e poi farme romita ;
e vogliome serrar dentro una cella,
e quivi vo' che sia la mia finita ;
po' che perduto ho la mia speranza
304 non voglio più baiar né far mai danza.
Un cavallier era ricco e possente,
sentendo (co)si la Bianca lamentare,
rispose a lei: — Non dubitar niente,
per questo i' non ti voglio abandonare;
el sole è bello e la luna è lucente :
si che per tanto non ti vo' lassare :
ma come bon fidel sempre mi arai
312 e tu per tuo signor sì mi terrai. —
La Bianca mnilmente respondia :
— Cavallier degno, vi son obligata;
et voi di me arete signoria
poi che per vostra serva mi son data ;
diece milli fiorini eh' i' ho in casa mia
e altra robba ch'è per voi apparechiata. ^
Sì che la Bianca andò con quel signore.
320 Finita è questa istoria al vostro onore.
Finito el contrasto della Bianca
Et della Brunetta.
295. Non torna il verso. Forse accorata t
299-302. Molte poesie popolari italiane si potrebbero schierare sotto queste mbrìche che hanno
molte attinenze fra di loro, e suggerite tutte dall'amore : Desiderio di far$i romiti, lk$id*rio éU
chiìtdersi in un chiostro ; Pentimenti dell' essersi fatti romiti o di dover partire péQtgrimmtà»
pel mondo; Pentimento d'essersi fatto frate o nwnaca. Si reggano gli strambotti di Panfilo Suri,
che ho ripubblicati io da una stampa antica nella Biblioteca di letteratura popolare; e le ballate
col titolo Sventurato Pellegrino , quali si possono leggere dopo gli strambotti del Qinstiniani
nella stampa fatta In Trevigi nel HDCXXXYU. (Un eeemplare ò nella UniTenitarìa di Bologna).
374 S. FERRARI
III.
Ora prima di comparare il poemetto testé veduto con altre
composizioni, quali già da principio indicai, simili nella sostanza,
benché diversamente atteggiate, affinchè da tale comparazione
chiare emergano le rassomiglianze che detti componimenti,
rami discesi da un medesimo cespite, hanno fra loro, credo
bene presentare anzi tutto la materia del contrasto; il che faccio
collegando e dando unità e vita agli argomenti già fiancati
nel margine del testo , e ripigliando quando abbisogni le illustra-
zioni e, per le prime dieci ottave, le varietà di lezione poste in
nota; fila tutte ordite in disparte non già per lasciarle poi cadere
affatto, ma per procedere più snellamente innanzi; e da richia-
marsi nel tessuto solo quando l'economia del lavoro lo richiegga.
Adunque: i primi dodici versi non si capisce bene a che vo-
gliano approdare; solo si intende che siamo in primavera. Ma
eroiche gesta e gemiti d'amore quando mai negli antichi pro-
venzali e francesi e giù giù nella poesia italiana lirica ed epica
che da quelle prendeva l'impulso e le mosse, non risuonarono
fra canti d'augelli e gemere di fonti e verde di prati e di boschi
e chiarezza d'aria tutta piena di sole! Più sotto troviamo ancora
il pino, eroico e severo e tradizionale testimone di assemblee e
di colpi d'arme e di giuramenti d'amore ! e per tutto il poemetto
sentore della lingua più antica, discesa quasi intatta dalle sca-
turigini. Negli ultimi quattro versi della seconda strofa compaiono
le donne, o le due donne (particolareggiando meglio) secondo
la diversa lezione: la Bianca e la Brunetta. Poi, nella strofa
seguente, viene l'amatore, ed é subito disputato dalle due giovi-
nette, ed eletto giudice di loro bellezze; indi il poeta si ferma
volentieri a descrivere le fanciulle e lo sfarzo di loro vesti, come
più sotto ostenta compiacentemente la ricchezza dell' arme e
delle bardature dei cavalli: ir che apparteneva alla topica del
poema cavalleresco. Cosi si arriva al verso 64; e qui giunti, pare
IL CONTRASTO DELLA BIANCA E DELLA BRUNA 375
che il poeta si rifaccia, anzi si rifa, da capo: poiché di nuovo
troviamo le fanciulle nel giardino; di nuovo c'è T amatore; di
nuovo si ammirano le bellezze della Bianca e della Bruna : ma
il processo, o meglio la presentazione dei fatti, accade in un modo
diverso. L'amatore questa volta non se ne resta li zitto e fermo
come prima ; ora bacia arditamente in bocca la Brunetta : il che
porge occasione alle due donne di vantar esse stesse in persona le
loro bellezze quali ausiliatrici potenti dei diritti che ciascuna si
arroga sull'amante: indi interviene il poeta ad avvertire il pub-
blico che non essendo le due fanciulle giunte ad una conclusione
netta e chiara, han dovuto ricorrere a due giudici: i giudici
scelti sono, per avventura, « due dame da Firenze ». Dal verso
120 al 240 abbiamo l'intervento dei giudici che odono le due parti
accapigliate, e dopo aver richiesto il giovinetto di chi prima si
fosse innamorato, alla sua risposta « prima m'innamorai di questa
« Bianca », trovandosi esse più impacciate che mai, rimettono la
soluzione alle armi: sentenza che le fanciulle accettano di gran
cuore, fermando subito le condizioni a cui dovrà sottostare la parte
vinta. Per comprendere l'impaccio dei giudici bisogna risalire
all'origine della lite e vedere che proprio era difficile « difflnire
« questo errore », secondo la frase del poeta. Che le due fanciulle
presentano ai giudici ragioni tanto delicate e dritti di onore cosi
poco sindacabili, che una mano di donna non può pesarli sulla
bilancia della giustizia a lei affidata senza pericolo che la bilancia
le sfugga cigolando. L'una, la Bianca, accampa che fu amata
prima, e che lo « tolse essendo il fior degli altri amanti »; l'altra,
la Bruna, che ella l'ama pazzamente, e che, in mancanza d'altre
ragioni, lo vuole perchè lo vuole; ma lasciando tuttavia supporre,
poiché l'ha baciata prima nel giardino, che oggi l'amatore lei
prediliga.
Ora i giudici par che comprendano che essi non possono risol-
vere la questione che nel caso in cui la Brunetta, che ora sembra
la preferita, sia stata ancora la prima amata; perciò non chie-
dono all'amatore chi prescelga al presente, ma chi abbia amata
prima: al che rispondendo egli sfavorevolmente alla Bruna, le
376 S. FERRARI
donne fiorentine non sanno più che farsi; le giovinette hanno
ragione ambedue ; o il torto veramente l'ha il giovine che prima
amò l'una, poi l'altra : definire la questione è perciò rimesso alle
spade. E qui il poemetto ci si presenta da studiare sotto un altro
aspetto, poiché i duellanti sono le fanciullette medesime ; e la
nostra mente, manco a dirlo, rivede subito i tipi delle donne
guerriere; ma più che ad Antea a Mar fisa a Bradamante ricorre,
massime per ragioni intrinseche alle modalità del certame, alla
battaglia delle Giovani e delle Vecchie nel Sacchetti. Tornando
al Contrasto, a questo punto, siamo informati che il luogo scelto
a battagliare è il bellissimo Campo di Siena; ed osserviamo di
nuovo come il Nostro, che ama soffermarsi a tutte le stazioni
nelle quali ripigliavano fiato i poeti cavallereschi e con nuove
fantasie lasciavano riposare quelle lungamente perseguite prima ;
(stazioni che erano come bei palazzi fiancheggianti le strade
maestre e gli aggiramenti regi della cavalleria, ove i poeti sali-
vano ammiranti pitture e sognanti morgane, vinti da strani mi-
raggi e ne uscivano abbarbagliati e ricchi di luce, di suoni, di
colori, riprendendo più riposati e più baldi il gran viaggio); ci
ammanisca una corte bandita ed accenni a un padiglione, intanto
che si aspetta la zuffa. E la zuffa (vv. 217-294) ha luogo nella
lieta stagione in che s'apre ancora l' Innamorato, per la Pasqua
delle rose; dopo che le fanciulle han respinta l'offerta di due
cavalieri che s'impegnano di combattere in loro vece. Il duello
è a colpi di mazza: vincitrice, la Brunetta, che sposa l'amatore,
presente il notare. Gol lamento della Bianca, e le nozze di lei
con un cavaliere che lì su due piedi le propone di sposarla, si
chiude il Contrasto. E il poeta si licenzia:
Finita è questa storia al vostro onore.
Giacché é finita, passiamo ai raffronti, movendo da ciò : che la
caratteristica peculiare del poemetto é l'essere un contrasto fra
due fanciulle che si differenziano fra loro pel colore: donde il
titolo.
IL CONTRASTO DELLA BIANCA E DELLA BRUNA 377
Già Golomb de Ratines, descrivendo la stampa fiorentina aveva
richiamato, un poemetto in antico francese, intitolato : Le Dèbat
de deùx Lemoiselles, V une nommée la Moire et l'autre la
Tannèe, allegando una stampa del quattrocento. Trovandosi oggi
il poemetto ripublicato nel Tomo V del Recueil de poèsies fran-
QOises des XV et XVI siécles Morales, Facétieuses, Histo-
riques, rèunies et annoièes par M. Anatole de Montaiglon
(Paris, 1856), a noi è dato studiarlo, giovandoci inoltre della
prefazione che il Montaiglon ha premessa alla edizione da lui
curata.
In essa il dotto francese ne informa come il dèbat si conosca
per due manoscritti, il più antico dei quali risale alla metà del
quattrocento ; e per quattro stampe, tre antiche ed una moderna;
e la moderna ancora, uscita dai tipi Didot, per cura del Bock,
nel 1825, non sarebbe che una riproduzione di una antica
stampa in gotico, che il Montaiglon giudica guasta ed alterata no-
tevolmente, poiché vi si trovano alcuni versi inutili e inconclu-
denti nel posto d'altri, che alludendo a personali storici sono
meritevoli di attenzione per fissare il tempo in che fu com-
posto 0 rifatto il dèbat, e per rafforzare una ragionevole ipotesi
sull'autore dello stesso ; che anche il dèbat è adunque anonimo.
Il Montaiglon ci dà il poemetto reintegrato nella forma che
si può ritenere originale, ricavandolo dal manoscritto più an-
tico ove sta fra armoniosa compagnia di ballate e di rondò,
col nome in fronte di Siramonet Gaillau ; poeta, fiorito alla corte
di Carlo Duca D'Orléans. Tale compagnia bastò al Montaiglon
per legittimare l'ipotesi che anche il dèbat possa essere del
Gaillau, riallacciando quel fatto con questi altri: che il Gaillau
viveva, come è detto, alla corte del Duca d'Orléans; e che nel
poemetto (sono i versi poi tolti nella stampa gotica) si nominano
chiaramente due donne strette in vincoli di parentela col Duca.
Né la congettura mi pare esagerata, l'autore certo fu poeta dotto,
non di popolo.
Questa l'invenzione del dèbat: 11 poeta entrato, in primavera,
GiomaU storico, VI, fase. 18. 25
378 S. FERRARI
in un amenissimo giardino, ed in esso diportandosi, poiché la
bellezza del posto raddolciva i suoi dolori ed affanni, arriva in
luogo ove soi^e una casa, nella quale ode due donne amorosa-
mente cantare. Nascostosi, le osserva distinguendole pel colore
della veste, giacché l'una aveva « sa robe tannée », e l'altra
« une noire robe »: intende che fra loro, mestissime, è accesa
una sfida, non con altre arme che coi canto, per la quale cia-
scuna vuol prevalere sull' altra nell' essere infelice per isfortu-
nato amore. Finita la canzone, che ha tale infelicità amorosa
per argomento, si accordano nel portare la sfida davanti a due
dame, ed escono nel giardino. Il poeta, che ha tutto udito scrive
il contrasto ed egli stesso lo porta davanti alle persone indicate.
Ma certe cose , meglio che nella nostra prosa , sarà meglio ve-
derle nella freschezza della lingua nativa. Ecco la protasi del
dèbat:
Mes dames, j 'aporte nouvelles
de deux femmes cointes et belles,
en amours trop desconfortées,
qui se sont à vous raportées
pour juger vray de leurs querelles.
Embusché me suis derrière elles
pour ouyr leurs plaintes mortelles;
en escript les ay rapportées.
Mes dames etc.
Ed ecco come e in che stagione il poeta si addentri nel giar-
dino che è il luogo del contrasto:
Vouloir m' est prins d' escripre icy
qu' en la saison qu' arbres florissent ,
hors d' un manoir aux champs issy,
pour veoir les biens qui de terre yssent
et comme oyseaulx se resjouissent
quant voient leurs pers arriver,
aussi comme herbes reverdissent
a l'issue du temps d'iver:
IL CONTRASTO DELLA BIANCA E DELLA BRUNA 379
Par une solitaire yssue,
en uno sente me vins rendre,
qui cstoit pavóe et tissuo
de fleurettes et d'erbe tendre; ^^
là maint roussignol et calendre
ouy sur arbres chanter moult bien;
■ed il poeta, che appare piagato di molte malinconie e dispiaceri,
attraversato un giardino, che gli si apre dinnanzi, arriva ad
une maison, par semblant bonne,
che
scoit cn ung bout du vergier;
ove ascolta il canto delle due donne.
Si vins à l'huys de la maison
marchant tout bellement le pas;
et lors ontendy la raison
de deux femmes, qui par compas
devisoient, sans celer le pas,
r une à r autre leurs entreprinses.
Il poeta capisce che tenzonano d'amore; perciò si fa animo a
nascondersi e ad ascoltare.
Lors m' einbuchay en ung lieu noir,
où je croy que nulle d' entre elle»
ne m' éust veu là remouvoir
sans avoir clarté de chandelles.
Si ferma lungamente a descrivere le due donne, massime nelle
vesti, da cui prendono l'appellativo; a dire i tristi motivi del
duolo che le affligge, lagrimose per l' infelice amore di cui por-
tano tante insegne nei volti delicati
Entre elles noise ne ten^on
ne vy fors que parfaiz esbas;
chascune avoit une chan^on
en scs mains, dont vint leurs debatz;
380 S. FERRARI
e la sostanza della tenzone sta in questo che l'ima vuol vincere
l'altra vantando la propria infelicità:
Seur, je vous enseigne
et monstre par vifve raison
que mon cueur plus en larmes baigne
que le vostre en toute saìson.
Questi sono i giudici: per la Tannée:
celle
qui est duchesse d'Orléans,
e per la Noire:
sa seur, comtesse d'Angoulesme:
due personaggi storici adunque; poi che la prima è Maria de
Gleves, moglie di Carlo duca d'Orléans (m. 1465); la seconda,
Margherita di Rohan, moglie di Giovanni d'Orléans, conte d'An-
goulèrae (m. 1476): onde il Montaiglon pose il debat fra le poesie
storiche. E il poeta, in fine, chiude:
portay aux dames le débat.
Da questo rapido riassunto si scorge subito la somiglianza che
il óèbat francese mostra con la prima parte del contrasto ita-
liano, la quale è determinata dal fatto che, come indica il nome,
sono ambedue una sfida, una sfida di due dame intitolate dal
colore: ma lo svolgimento del fatto in ambedue è molto diffe-
rente ; causa precipua di questo, la condizione in che sono i due
poeti in faccia alle contendenti; l'essere uno, poeta popolare,
l'altro colto e dotto. La condizione del poeta dà una intonazione
speciale al componimento, e ne compenetra tutte le parti. Perchè
il poeta popolano, ripeto quanto già dissi in principio, rima-
neggia, rilavora una materia comune a tutti, collettiva, non nu-
trita del suo sangue, poiché egli la vende come l'ha comprata ;
ma il poeta colto, se pure accatta l'ordito capitale da una fan-
IL CONTRASTO DELLA BIANCA E DELLA BRUNA 381
tasia preesistente, lo ricompone, Io riordina e su vi tesse una tela
a bei colori in modo tale che il tutto apparisca come cosa indivi-
duale, sua. Egli va nel giardino, egli assiste al contrasto; le due
donne sono viventi nel mondo della realtà; i due giudici pure;
appartengono alla storia, al vero non immaginato o creduto, ma
nella sua irradiazione materiale. Perciò mentre il poeta italiano,
umile ed incolto, non arrisica di staccarsi dal convenuto della
tradizione, e se amplia, amplia aggiungendo sempre materia di
popolo e collettiva; il poeta francese invece, dotto, cambia, mi-
gliora a sua posta. E la materia, nei due, è perciò colorita in un
modo affatto diverso. Nella fantasia popolare le due fanciulle
stanno parate prima a svillaneggiarsi di santa ragione, e a con-
tendersi l'amatore, lui presente ; poi, a rebbiarsi a suon di mazza :
ma nella visione spirituale del gentiluomo francese, le contrastanti
sono gentili e delicate signore che faran capo della contesa al
nobile sangue di Francia, e tutto è come loro soave e delicato. Non
sono dal poeta distinte pel colore della pelle, che avrebbe potuto
sembrare meno riverente, ma per quello della veste; non com-
battono, per impossessarsi dell' amatore, a colpi di bastone, ma
in casa, credendosi "sole, sfogano l'interno dolore dell'animo, e il
loro amore è lontano. Ancora; colla scelta dei giudici nel fran-
cese termina il contrasto: non la gentilezza permetteva che
avesse una conclusione che, qualunque fosse, avrebbe sempre
offesa runa o l'altra; e le donne, uscite all'aperto, si mostrano
belle lagrimose nel giardino: ed al vederle il poeta forse ebbe
voglia di paragonarle alle rose che sbocciavano intorno rigate
di rugiada. Queste le differenze dei contrasti sui quali ho voluto
insistere. Che essi derivano da un ceppo comune mi par certo
da quanto si è ragionato; ponendo mente sopratutto, alla fine, la
scelta cioè dei giudici.
I due contrasti, pertanto, ci si presentano come due svolgi-
menti compiuti i\ diversi di una medesima invenzione. E quando
questa sia prima apparsa nelle sue origini, non è nostro compito
di qui ricercare; onde ci soffermeremo solo sul modo con che
nel Trecento e nel Quattrocento si venne man mano disvilup-
382 S. FERRARI
pando al sole della fantasia popolare, sino al punto di finire per
sé e da sé; il che credo sia da ricercarsi nei poemi cavallere-
schi antichi. E in essi il primo determinarsi del Contrasto nella
nuova forma, che poi avrà vari sviluppi, spogliato della frasca ,^
non ci apparirà altro che come una semplice gara di due fanciulle,
nel quale l'una vuole sopravanzare l'altra in qualche modo, e la
beffeggia; conseguenze del fatto. Così circoscritto l'argomento,
noi lo troviamo già fornire un episodio all' Uggeri il Danese^
poema cavalleresco appartenente forse al secolo XIV; ed assi-
stiamo al suo crescere ed espandersi in altri corrispondenti epi-
sodi àQ[y Orlando e del Margarite, che, com' è noto, gran parte
della sua tela ebbe dall' Orlando. E le relazioni che a questo pro-
posito corrono fra il Danese e Y Orlando, il professor Rajna, da
par suo, per quanto richiedeva l'economia del suo lavoro, di-
mostrò già in un suo articolo su Uggeri il Danese; inserito nella
Romania, dal quale sarà bene che noi pigliamo le mosse. Né
solo mi servo delle fatiche a stampa dell'egregio professore, ma
sì ancora di schiarimenti che mi ha largheggiati in iscritto:
dei quali ringraziandolo qui , non intendo mettere in vista la
sua gentilezza, si compiere un dovere.
Nel Danese abbiamo due episodi, fra loro incatenati, sulle avven-
ture che a Rinaldo, ad Orlando e ad altri due compagni toc-
cano nella corte del re pagano Libanoro, in Setta. Nel primo,
vediamo i quattro cristiani, accolti gentilmente ed ospitati da
Bianciarda figliuola del re, la quale offre loro da mangiare.
Mentre mangiano, un grosso pazzo viene a ghermir loro di sotto
la pietanza, pel che col pugno serrato Rinaldo gli appicca tale
un colpo nel petto « che in sulla sala il distese ciertano »; onde,
levatosi a rumore il palazzo, Bianciarda calma le ire facendo
passare i quattro guerrieri per ambasciatori dell' Amostante. A
questo episodio, se ne intreccia ora un secondo che é quello che
fa al nostro caso. « Libanoro (lascio la parola al Rajna), oltre a
« Bianciarda, ha un'altra figlia, per la quale si sta tenendo una
« gran giostra, appunto quando capitano alla terra i quattro cri-
« stiani. Filicie, che è bellissima fanciulla, non ha la virtù del-
IL CONTRASTO DELLA BIANCA E DELLA BRUNA 383
4c Tumiltà, e orgogliosa di ciò che si fa per lei, schernisce la
« sorella per il fatto del pazzo ». E qui abbiamo per appunto le
due donne in gara di chi troverà un miglior cavaliere che per
loro giostri (Rajna, loc. di.):
«
Quella Filicie per cui si giostrava
in cotal guisa a Bianciarda parlava:
— Sirocchia mia, tu ài molta ventura
in giente che con pazzi fan battaglia;
ma tu non troveresti, in fede pura,
un che per te faciesse una berzaglia.
Bianciarda prega Rinaldo:
Rompi una lancia per mio amor, guerriere:
e Rinaldo vince tutti. « Allora nessuno osa più farsi avanti; però
« Bianciarda si volge trionfante a Filicie :
Vedi '1 mio drudo, in tal guisa diciea,
che tu di' che con pazzi sa provare;
vint' à '1 torniamento , e quel re morto;
giamai non vidi guerrier tanto acorto.
« Filicie confessa che è vero, e Rinaldo, venuto alla donzella,
< ne riceve i ringraziamenti ». Vediamo adesso, sempre nel citato
articolo, l'Orlando (e. LVIIMX). « Il re Diliano ha due figlie:
« Bianca e Brunetta. Per amore della prima, che è la più bella,
« mantiene giostra un fiero Saracino, alla valentia del quale nes-
« suno può durare. Vi capita, in abito da pellegrino, Rinaldo, e
« se ne sta osservando ». Come di sopra, qui pure abbiamo il
solito svillaneggiarsi delle sorelle:
E quella dama bianca ciò vedendo,
la sua sorella bruna à proverbiare,
inver di lei tal parole dicendo :
— Non truovi chi per te abbi a giostrare. —
Questo il motivo del contrasto, lo stesso adunque che nel Danese;
e come nel Danese, qui pure Rinaldo è pregato di prendere le
384 S. FERRARI
parti della fanciulla offesa; parte che al solito egli accetta di
gran cuore e, vestite l'armi, vince tutti i nemici; e ancora
vediamo la Brunetta (che corrisponde a Bianciarda) rendere alla
sua volta l'offese alla sorella vinta ; e ancora, finalmente, abbiamo
che il pellegrino ritornato a Brunetta
la dama il ringraziava di cuor fino.
Fin qui per tanto i due poemi procedono d'accordo; ma d'ora in
poi hqW Orlando si ha un nuovo svolgimento dell'avventura, un
abbellimento, un ampliamento della favola che noi, per ragione
d'ordine, chiameremo seconda parte. Per vero, nel Danese l'av-
ventura di Rinaldo non ha séguito, e il paladino, non senza tut-
tavia grande rincrescimento di Bianciarda, si parte istigato da
Orlando che temeva le sue poderose mattie nell'accattar brighe
e rompere tregue; onde i Baron di galoppo si partirò, come
dice il manoscritto magliabechiano (cod. II, 31): ma nell' Or-
lando le cose procedono diversamente, e la prima parte ter-
mina con qualche varietà che dà luogo e spiana ragionevol-
mente la via alla seconda. « In esso (seguita il Rajna in una
sua lettera alla quale debbo quanto d'inedito si trova qui citato)
« la Brunetta, ringraziato Rinaldo, gli domanda secondo le costu-
« manze del paese, il cavallo del campione abbattuto, che subito
« le è fatto dare. Vien sulla piazza, armato in modo da non esser
« riconosciuto, il padre della fanciulla. Rinaldo abbatte lui pure.
« Nel cadere gli esce l'elmo, ed è cosi ravvisato ; ma egli, lungi
« dall'adirarsi, attribuisce a sé tutta la colpa, dice a Rinaldo che
« Macone e Apollino lo benedicano, e lo invita a venire seco
« al palazzo. Viene Rinaldo, e disarmatosi, indossa la schiavina.
Intanto le mense si fuor messe,
e le vivande vennen molto spesse.
Amendue le fanciulle hanno a servire
e' pellegrini, il buon Rinaldo acorto ;
e ciascun' lo sguardava con desire
ed allo dio d'Amor, chiedea conforto:
quella Brunetta sentiva martire,
IL CONTRASTO DELIA BIANCA E DELLA BRUNA 385
il SUO bel drudo mira con diporto;
e la Bianca la stratia perchè mira :
e per Rinaldo ciascuna suspira.
Tutti mangiaron con sovran diletto,
e fuoron ben serviti e onorati; *
mangiato e' hanno, sì come v' ho detto,
tutti fuoron da tavola levati ;
e quello dame con gentile aspetto
in una zambra amenduc sono andate;
disse la Bruna : — Gara mia sorella ,
più ventura ho di te, perchè sia bella.
Vedi quel pellegrin quanto m'ha 'mare,
e vedi quant' egli è di gran potere. —
Dicie la Bianca : — Tu hai van pensare;
io ho auto di lui molto piacere,
perch' egli aveva me non te a mirare.
E ti potesti ben di ciò avedere.
Disse la Bruna — Sì mi meravigli
perchè io ho di te gli occhi più begli.
« Qui termina il foglio, e rimaniamo in asso, giacché quello che
« segue, ed è l' ultimo dei fogli conservati, lascia capire che vi
« è una lacuna di qualche carta. Ma non è a dubitare che l'e-
« pisodio terminasse come nel Pulci, e per l'appunto con la morte
« della Bianca ».
E questa da vero è una piccola disgrazia per noi che dobbiamo
ricavare le conseguenze da raffronti minuziosi di piccoli fatti, che
avremmo bisogno di aver sempre e in tutto chiari, presenti e ac-
certati. Il Pulci, è vero, sopperisce alla parte che manca nell'Ano-
nimo; ma la mancanza rende impossibile poi il raffronto dei due
testi fra loro, e non possiamo determinar bene se il Contrasto
della Bianca e della Bruna abbia attinto piuttosto all'uno che
all'altro. Facendo di necessità virtù, terminiamo la seconda parte e
vediamo la chiusa dell'episodio nel Morgante; con grande nostra
riverenza e con diletto e gioia vediamola rinverdire nella fiorenti-
nità del Pulci, in quelle strofe facili, colorite, varie, briosissime,
non senza prima aver detto che l'episodio delle due sorelle è al
386 S. FERRARI
canto XXn; e che ben distinto nelle sue due parti (come nel
Danese) va, per la prima parte, dalla strofa 224, verso due, fino
a tutto il sesto verso della 234; e per la seconda, dal penultimo
verso dell'ottava 234, in cui Rinaldo torna al palagio, fino al
settimo verso della 238, nel quale è la partenza di Rinaldo.
La seconda parte è tanto breve nel Morgante, che spero non
sarò tacciato d'indiscrezione riportandola intera. Il padre delle
fanciulle che era stato vinto in giostra,
a bell'agio
Rinaldo ne menò seco al palagio;
Che di sua forza si maravigliava.
1 suoi compagni con lui fé' venire,
e un convito solenne ordinava,
e le fanciulle stavano a servire;
e l'una e l'altra Rinaldo. guardava
innamorata del suo grande ardire;
e pò mangiato, in una zambra vanno,
e le fanciulle gran disputa fanno.
E dice ognuna ch'era la più bella,
e che Rinaldo giudicassi questo;
contente son 1' una e 1' altra sorella.
Rinaldo alla Brunetta disse presto,
e eh' avea il suo amor donato a quella;
il che fu tanto alla Bianca molesto,
eh' ad un balcon con un laccio di seta
s' impiccò in una camera segreta.
Della qualcosa ciascun si lamenta.
Rinaldo co' compagni si partia,
e la Brunetta riman malcontenta;
— Macon, dicendo, ti mostri la via.
Dove tu sia, peregrin, ti rammenta
della Brunetta, che tua sempre sia. —
E dettegli un fermaglio la Brunetta
per ricordanza di lei meschinetta.
E volle prima il suo nome sapere :
quando sentì, com'egli era Rinaldo,
s' accese tanto del suo gran potere,
che non si spense mai poi questo caldo;
IL CONTRASTO DELLA BIANCA E DELLA BRUNA 387
benché mai più noi dovea rivedere,
pur si rimase nel suo petto saldo.
VOrlando e il Morgante, di conseguenza, non sono, in quanto
concerne la prima parte dell'episodio delle due fanciulle, altro
che uno svolgimento del Danese da cui deriva ancora l'av-
ventura del pazzo, la quale a noi oramai più non giova ricordare.
I tre episodi nei tre poemi hanno di comune l'ossatura del fatto,
e combinano fra loro in molti punti pei quali divergono dai due
contrasti che formano lo studio principale del nostro lavoro. Cosi si
può osservare che nei tre poemi maggiori le donne contendenti
sono sorelle, nei poemetti no; che in questi la cagione del con-
trasto è r amore, in quelli una superbiuzza selvaggia e focosa,
non ancora tosata e ravviata dalle convenienze e dalla galan-
teria addicentesi a figlie di re ; ma sovra tutto si deve por mente
a che le donne nei poemetti combattono in persona, onde deb-
bono al proprio valore la gloria di aver conquistato l'amante:
là dove Bianciarda e Brunetta del Danese, àeW Orlando , del
Morgante, si accontentano di mandar avanti Rinaldo o altro
cavaliere: dal che poi deriva ancora che nei poemetti i conten-
denti sono forzati a ricorrere ai giudici che sentenzino di loro
virtù; negli episodi, no. Benché a guardar sottilmente vi si ac-
corga che in questi ultimi pure il giudice fa capolino, ed è
per avventura Rinaldo , a cui in certo qual modo nel Contrasto
della Bianca e della Brunetta corrisponde il fantino , nel
quale, prima della scelta dei due giudici in persona delle donne
di Firenze, la questione era stata rimessa : e si osservò già che
a questo punto il poemetto quasi rincomincia e piglia un altro
andare, lasciando così supporre che il poeta seguendo più reda-
zioni di una varia materia poetica, non avesse in sé tanta forza
di disporla in un ordine rigoroso.
Queste le varietà, per le quali i tre episodi cavallereschi, d'ac-
cordo fra loro, si differiscono dal Contrasto; varietà, per altro,
di tal fatta, che servono adunque esse pure a mettere più scol-
pitamente in vista come tutti questi componimenti procedano da
radici comuni.
388 *S. FERRARI
Ma io volevo ancora far notare come dal Danese, in cui questa
invenzione è ancora si può dire in germe, si sia potuto arrivare
al Contrasto della Bianca e della Bruna che forma un poemetto
a sé, e deriva ancora la sua ragione d'essere di altre fonti. Ho
già fatto osservare che le forme di mezzo sono V Orlando e il Mar-
gante, i quali hanno, di più, una seconda parte , per la quale
staccandosi dal Danese si riavvicinano più strettamente al Con-
trasto; ma di ciò, dopo.
E che neìVOrlando e nel Morgante si vegga man mano cre-
scere ed esplicarsi ciò che nel Danese è appena accennato, è
ancora in embrione, credo debba sembrar chiarissimo a chiunque
voglia confrontarli. I nomi, per esempio, delle fanciulle nel Da-
nese sono Bianciarda e Filicie, senz'altro ; ora, che il nome Bian-
ciarda abbia suggerito, per contrapposizione , agli altri poemi
l'altro di Bruna, può ben darsi, se bene non apparisca necessario
da quanto si ha nel poema; come non era necessario si arrivasse
al vanto delle bellezze fra le due donne, se nel Danese non tro-
viamo altro che Filicie dipinta come bellissima , e perchè tale,
arrogante e l'altra invece umile e che comprende la sua infe-
riorità verso la sorella; queste cose, dico, sebbene non appari-
scano necessarie , s' intende bene come possano essere acca-
dute nei campi della fantasia. Cosi sempre più ci si avvicina
alla forma del Contrasto; e il Morgante si avvantaggia sul-
r Orlando. Subito nell' Orlando Bianciarda diventa Bianca, e
Filicie è battezzata in Brunetta: se non che non più è Bianca
la vezzosa e la bella, ma, invertite le parti, è Brunetta: e d'ora
in poi la favorita sarà sempre la Brunetta, in tutto: essa,
alla fine, sarà sempre vincitrice. I colori che abbiamo visti
già ben distinti neW Orlando: « E quella dama Manca ciò ve-
« dendo, La sua sorella bruna » , li troviamo con analisi più
minuta risplendere nel Pulci : « Questa era molto bianca e
« molto bella... E come bruna si chiama Brunetta ».
Passiamo alla seconda parte dell'episodio che tratta la gelosia
delle due fanciulle, donde poi, si può dire naturalmente, sgorga
il contrasto della bellezza, il quale, cosi largamente colorito nel
IL CONTRASTO DELLA BIANCA E DELLA BRUNA 389
Contrasto italiano, apparisce già bene tratteggiato nei poemi. Ma
essi in questo non attingono più al Danese; e si vede subito dal
fatto che le fanciulle si innamorano ambedue di Rinaldo, donde
vengono a parole: ognuna dice che era la più bella, del che nel
Danese non è fatto il minimo cenno: anzi è contrario a quanto
ivi si lascia supporre, che cioè Filicie fosse brutta; ed è con-
trario, e si noti, alla prima parte àdW Orlando e del Morgante
stessi, alla parte cioè nella quale essi seguitano il Danese, ove
Brunetta è dipinta come meno bella , come sventurata : e solo
dopo il ritomo di Rinaldo vincitore della Giostra, si accende la
sfida, e allora solo la Brunetta garrisce: Più ventura ho di te
perchè più bella. La seconda parte, adunque, dell'episodio, stretta
di tanti legami al Contrasto, è derivata da altre fonti. Credo io, da
canti e tradizioni popolari antichissime sulle bellezze della donna
e intorno alla preferenza che si deve accordare al colore delle
carni; canti e tradizioni in molta parte vivi anche oggi in Italia.
Come il popolo esprima la gara, che pur tacendo si indicono
i volti bruni e i bianchi, si veda nelle raccolte dei proverbi e
dei canti popolari ; .oggi che si larga messe ne è stata raccolta.
Spigolo dal Pasqualigo, Raccolta di proverbi veneti, quanto
segue :
1. Val più una moretina in t' una gamba
' che n' è una biancolina grossa e granda.
2. A dona bianca, per esser bela
poco ghe manca.
3. Xe megio una mora con tutti i soi ati, che
una bianca co cento ducati.
E i vanti della Bianca pure sono molti, né quelli della Bruna
sono da meno; come si può ancora vedere nel commento che
ho messo a pie del Contrasto. Bellissima questa lode della Bruna
tolta dai Canti popolari di Calabria Citeriore, raccolti da J. M.
De Limone (1).
(1) Archivio per lo studio delle Trad. popolari, Palermo 1884.
390 S. FERRARI
Brunetta , eh' a lu pipi arrisimigli ,
conu de Sampranciscu lavurata,
tu puesti 'mpacci li rosi e li jigli;
ssi labra sunu coccia de granata.
A santa Catarina arrisimigli,
ma de bellezza e no de santitati.
E a Grottaminarda (Principato Ulteriore) si canta (1).
A la chiazza d'Assisa a mano manca,
e' è 'na brunetta che mme fa morire ,
'mpietto le porta doje rose 'janche,
la bocca chiagnosella sempre ride....
Ganti questi che ricordano molto da presso gli antichi. Eccone
uno antico favorevole alle brune (2):
Brunetta e' hai le ruose alle mascelle,
le labbra dello zucchero rosato;
garofalate porti le mammelle,
che oli più che non fa lo moscato;
tu se' la fiore, s' io n' amassi mille
non t' abandono mentre eh' aggio il fiato.
Ed eccone un altro in cui le brune sono vituperate (3):
Tu se' più nera che mora di macchia,
per te si perde thnta lavatura;
quando ti lavi il viso , inganni 1' acqua
perchè ti lavi il viso eoi sapone:
più nera se' che un calabrone :
r aequa che Viterbo mena
non ti laverebbe, tanto se' nera.
(1) Gasetti e Imbriani, Canti pop. merid., già cit., 1, p. 20:
(2) Carducci, Cantil. e ballate, p. 59.
(3) Biblioteca di Ietterai, popol., voi. I, p. 77.
IL CONTRASTO DELLA BIANCA E DELLA BRUNA 391
Ma fra i canti lirici, antichi e moderni, speciale attenzione
merita un canto amebeo pubblicato l'anno scorso neW Archivio
per lo studio delle tradizioni popolari, diretto dal Pitró; il canto
è popolare in Calabria, ed è conosciuto ancora in Sicilia, come
ricavo da una nota del Renier a p. 139 del suo libro: Il tipo
estetico della donna nel Medioevo (1), ove, è riprodotto in appen-
dice a p. 182.
Ora questo Canto, pubblicato colla denominazione di Con-
trasti , è per l'appunto un contrasto fra la Brunetta e la Bianca,
in quartine di rime alternate; e la ragione e l'ordine del con-
trasto appaiono subito dalla prima quartina che, detta in persona
del poeta, è il preludio alla sfida in bocca delle donne.
Mera chi quistioni de bellizza!
Na brunetta na janca à dispidatu :
r à dispidatu ccu tanta grannizza ;
su'juti avanti lu Mastru Juratu.
Qui espongono le donne le loro ragioni perchè l'una in bellezza
valga più dell'altra ; finché alle ragioni della Brunetta la Bianca
si dichiara vinta. Siamo adunque nello stesso ordine di idee che
nei contrasti precedenti esaminati ; e basta vedere la protasi del
contrasto odierno che ora abbiam letta, per chiarirci subito che
nei punti capitali è conformato per l'appunto come gli antichi.
In quei primi quattro versi abbiamo: — 1) una questione di
bellezza; — 2) le rivali che hanno i nomi di Bianca e di
Bruna, derivati dal colore delle carni ; — 3) la superbia, nel terzo
verso, delle fanciulle o di una sola ; — 4) il giudice. Io non posso
riportare tutto il canto, anche perchè non breve : basterà il dire
che i paragoni delle bellezze sono tolti, per lo più, da cose basse,
casereccio, alla mano a tutti. La Brunetta, per esempio, si ras-
somiglia al vino; la Bianca, alla bambagia: la Brunetta a
la tila,
cà la tila è brunetta ppe natura ;
(1) Edito in Ancona, presso il Morelli, 1885.
392 S. FERRARI
e la Bianca al
sapuni
chi ci fanu la varba li varlieri.
E cosi fino alla fine ; ove per altro non abbiamo, come non mai
si ha negli altri componimenti, la deliberazione del giudice; ma
la chiusa è data dalla Bianca, che, al solito, è vinta, e dichiara
la sua disfatta. Questa è la chiusa:
Brunetta. — Ju su' brunetta e su cumu lu mari,
duvi portanu Y acqua tutti i jumì :
duvi vana li varchi a navicari,
duvi si mera lu suli e la luna.
lanca. — Povara vita mia 'nterra jetatta
mo'chi sugnu restata perditura!
Aiu ccu lu miu tuortu leticatu,
Brunetta, ti soi nava e reditura.
Questo a me par sufl3ciente per determinare che negli episodi
deìV Orlando e del Mor gante e quindi nel Contrasto, il nuovo
elemento introdotto di più che nel Danese, era pur esso deri-
vato da una materia già divenuta popolare : ma tutto ciò non
giova che ad illustrare l'antico Contrasto della Bianca e della
Bruna in quella parte di sua invenzione che arriva alla scelta
dei giudici, e nello scioglimento sempre favorevole alla Bruna; ma
nell'antico Contrasto rimane tuttavia altra materia poetica che
non si trova nel dèbat francese (e si sono già viste le ragioni,
per le quali in nessun modo il poeta poteva dare tale esplicazione
al suo gentile poemetto), e non si trova negli episodi , i quali
naturalmente essendo parte di più vasta tessitura non potevano
essere trattati con quella larghezza che può e deve concedersi
invece ad un componimento che ha ragione di essere in se stesso
e non è parte di nessun altro. Questa nuova parte è il combat-
timento a colpi di mazza fra le due fanciulle; della quale mi
sbrigherò con poche parole dicendo che probabilmente al nostro
anonimo l' idea della pugna venne dal poemetto di Franco Sac-
chetti che ha per titolo: La Battaglia delle belle donne di Fi-
IL CONTRASTO DELLA BIANCA E DELLA BRUNA 393
renze colle vecchie: che altre fonti vicine e popolari alle quali
potesse attingere, io non conosco. Forse il poeta ne conobbe, e dal
popolo le derivò : a . me non rimane che da sperare di aver
condotto il lettore a credere nella probabilità del fetto; poiché
ciò vorrà dire che egli è meco d' accordo nel ritenere come
l'autore del Contrasto non sia altro che uno dei molti canta-
storie, più 0 meno colti, che alla fine del quattrocento rimaneg-
giavano la poesia lirica ed epica che era im patrimonio comune
dei popoli di razza neolatini : ed è ancora meco d'accordo nel cre-
dere alla popolarità nel Quattrocento del Contrasto della Bianca
e della Bruna nelle varie forme che abbiamo esaminate (1).
Severino Ferrari.
(1) L'amico Salomone Morpurgo mi avverte che egli nella biblioteca Vit-
torio Eman. di Roma, vide alcuni anni or sono un esemplare del Contrasto,
di cui fece allora la descrizione che segue. La notizia mi è giunta troppo tardi
perchè io me ne potessi giovare. Nella misceli. 3059, ops. 23 è « Il Contrasto
« I Della I Bianca | E Della | Brimctta | Con una frottola di Bellizari | di Ci-
« goli II Nuouamente ristampata ». Sotto : rozza e piccola incisione rappre-
sentante una battaglia « In Viterbo per Pietro Martinelli [s. a.] | Con Licenza
« de' Superiori ». Ops. di carte 12 con segnature Aj-Ag e richiami A e. 9*
« Frottola di Bellizari | Da Cigoli ». Comincia : « Ch'intende stia attento ».
Aggiungo ancora che il Passano (Novellieri Italiani in verso, Bologna,
Romagnoli, 1868) descrive una stampa a p. 18: 4s.Contrasto (il) della bianca
« e della brunetta con una frottola di Bellizari da Cingoli, Bologna
« (s. a. n. I.) in 4°. Carte 4 a 2 col. con una stampa in legno sul fronte-
« spizio. L'edizione sembra fatta sul finire del sec. XVI ». (E forse quella
di cui parlò il Libri. Vedi più sopra il mio articolo a pp. 360 e 61). Rimanda
poi a p. 13: « Bruna (la) e la Bianca s. 1. n. a. In 8"> »; e ricava
questa notizia del Quadrio voi. VI, p. 365. E il Quadrio a tal luogo registra
fra i poemetti del genere « La Bruna la Bianca. In 8° senz' altra nota,
« ma è stampa di Siena. Contiene questo poemetto in 8» rima una storiella
« delle dette due donne che per gara di qual fosse più bella vennero fra
« loro a battaglia ». Può credersi da questo parole del Quadrio che nella
stampa su descritta non vi sia indizio di Belizari da Cingoli , il che con-
forterebbe quanto io a tal proposito ho asserito e ragionato, ma bisogne-
rebbe pur poterla vedere questa stampa.
OiomaU storico, VI, fase. 18. M
_A. jP I> E ISr D 1 O E
A compimento della stampa popolare che ha il Contrasto
della Bianca e della Brunetta, publico la frottola di Belizari da
Cingoli, e la ballata che chiude la raccoltina. Alla frottola
aggiungo le lezioni varianti che ci sono porte dal codice Ma-
gliabechiano, II, I, 398 (Catalogo del Bartoli, tomo ì, p. 265),
scritto, per quella parte che reca la frottola, nella seconda
metà del Cinquecento ; e la ballata corredo delle varietà che si
hanno nel codice Marucelliano C 256 (della metà del Quattro-
cento), secondo che si ledono a stampa nella pag. 56 e seg. del
volumetto curato dall'Alvisi col titolo di Canzonette Antiche,
uscito in Firenze, presso la libreria Dante, nel 1884. A pagina 80
dello stesso volumetto si impara ancora che la ballata All'inferno
voglio andare era annoverata fra quelle su cui si regolava il
canto delle canzoni sacre, come si ricava dalle due raccolte di
laudi stampate in Firenze nel 1485 e nel 1512, e da una terza
manoscritta conservata dal codice della SS. Annunziata che ha
il numero 1545.
FROTOLA (1) DE BELIZARI DA CINGOLI
Chi intende staga a tento, Socatre in certo loco
che inteso ho volte cento questo bel motto ha messo ;
a degni omini dire: che conoscer sé stesso
piacciavi sempre a udire per certo è gran fatica :
assai, e parlar poco. 10 che infino alla formica
(1) La st., per errore, Fotola.
1. Chi ode stia. — 3. Da savi omini. — 10. E infino.
IL CONTRASTO DELLA BIANCA E DELLA BRUNA
395
li piace il bon governo;
la estate per l' inverno
ripon la vituaglia.
Chi procaccia e travaglia,
15 resiste ad ogni stento.
Tal volta un om vai cento,
e cento non vai uno.
Chi non stima nissuno,
pigli essempio da Saulo.
20 Non è si brutto el diaulo
come el si dipinge:
or ti coce, or ti tinge,
e molti si fan belli.
Chi ha paura di ucelli,
25 non getti il seme in terra.
Non parlar mai di guerra
so voi viver in pace.
La speranza è fallace,
non riesci i pensieri,
■30 li sogni non son veri,
se lo aspettar rincresce.
Chi voi pigliar del pesce
bisogna che si bagni.
Non lasar mai compagni
35 immezo dell' impiccio.
Chi fa come lo riccio
parte compagni presto.
Gentil costume è questo,
che tu non faci ad me
40 quel che non vói per te,
fugendo inganni e dolo.
Cerca prima star solo
che male accompagnato.
D'omo che sia segnato
45 non te fidar col pegno.
Se dice amor e regno
non voi mai compagnia.
Se camini per via,
tienti al sentier antico.
50 Perfetto è quel amico
che r hai nel tempo reo.
Chi non è bon giudeo
non è mai bon cristiano.
Prega Dio de star sano
55 e aver bona ventura.
Chi fuge e chi ha paura,
vien mangiato da cani.
Da furia, da villani,
ancor da gran partiti,
60 e dalli fiumi quiti,
fugine mille miglia,
Delle volpe si piglia,
delle maestre dico.
Chi è povero e mendico
65 non debbe esser altiero.
Non li si crede il vero,
chi se dà troppo vanto.
Non si pò esser santo
senza tormento atroce.
70 E sempre il troppo noce,
el poco non ce basta.
Tutto el viaggio guasta
chi manca in mezzo il corso.
Col bastone e col morso
11. bmn governo. — 12. tastate per. — 13. la vettovaglia. — 18. stima alcuno. — 19. pigli
exeìplo. — 20. Non è brutto il diavolo: e cosi anche la st. — 21. Cosi come si finge. — 82. 0 ti
morde , o ti. — 23. Chi ti fa belli belli. — 25. Ifon getti seme. — 29. Non riesce e. — 80. 17
sogni. — 31. £^ l'aspettar. — 34. mai i compagni. — 35. Nel mezo. — 37. compoffnia presto. —
39. faci a altri. — 40. quello non. — 44. Omo che. — 46. Dice chamore. — 48. Se (w di amdar
por. — 51. Che ài. — 55. avere buona. — 57. Sei van mangiando. — 58. di nllani. — 59. Aneh»
da stran. — 60. e dagli fiumi cheti. — 63, Delle mastre ti dico. — 64. CU ò pcter mendico. —
69. Santa, — 70. El troppo sempre noce. — 73. o meio.
396
S. FERRARI
75 si scorge ogni cavallo.
Per una vo[l]ta el fallo
si deve perdonare.
Sempre trova daffare
chi va cercando rogna.
80 Non creder a chi sogna;
fa come San Tomasso.
De qui non dir non passo,
che gli omini se affronta.
In im' ora se sconta
85 r ingiurie e di mill' anni.
Li uomini ne gli affanni
si prova, e l'or nel fuoco.
Vói veder un da poco?
guarda come il se regge.
90 Chi sempre l'arme elegge,
combatte col vantaggio.
Ho inteso un motto saggio
da greci e da latini,
che chi semina spini,
95 discalzo andar non debbia.
Quel che se fonda in nebbia.
el fondamento cade.
Chi troppo sotto rade
sol spesso scorticare.
100 Del vin dolce cavare
visto ho lo aceto forte.
Nemo della sua sorte
si contenta e diletta.
Non cercar mai Vendetta
105 con tua vergogna e danno.
Chi voi ricchir 'n un anno,
è impiccato in sei mesi.
Li giorni in vano spesi,
tutto è tempo spreccato.
110 Chi fa doppio el peccato
dupplica penitentia.
Chi non ha patientia
non può salir ad alto;
né si può far bel salto
115 essendo un loco stretto.
Chi gioca destro e netto
li paga di calcagna.
Uccello di campagna
è meglio che di gabbia.
120 La superbia e la rabbia
sempre voi star in cima.
Tre cose non si stima:
beltà di meretrice ;
un' altra ancor si dice :
125 fortezza di bastagio ;
l'altra dirò più adagio:
conseglio de disfatto.
Chi può far un bel tratto,
non chiami i vicini.
130 Passare e bergamini
ne stan per tutto el mondo.
Tiente, non gir al fondo;
piglia essempio da l'oglio.
Sempre dov' è cordoglio
75. Si doma. — 77. Si debba. — 81. — san Tommaso. — 82. Di qui non dire a caso. —
83. Che degluomini. — 84. En un' ora. — 85. — Lengiurie. — 86. E gluomini. — 87. Si
prouovano. — 89. come si. — 90. Sempre chi. — 91. con vantaggio. — 95. scalzo. — 97. A
questo punto il cod. aggiunge i versi che si leggono più sotto segnati coi numeri che vanno dal
159 al 165, più la prima parola (salvo) del 166. Errore di memoria che l'amanuense corresse pas-
sandogli sopra più tratti di penna. — 98-99. Mancano nel cod. — 105. Di farla con tuo. —
108. E giorni. — 109. Tutto «7 tempo è sprezato. — 110. Così fa. — 113. in alto. — 115. in
luogo. — 117. lo paga. — 119. E me che della. — 124. Dun altra. — 130. Pasere e fiorentini.
— 131. Ne sono. — 133. H cod. salta 17 versi e rìappicca con quello da noi numerato 150.
IL CONTRASTO DELLA BIANCA E DELLA BRUNA
397
135 si sol star in accidia.
Prima dcsid(e)ra inuidia
che la compassione.
Trislo e longo sermone
Tha in odio a chi l'ascolta.
140 Chi te inganna una volta
non te ne fidar più.
Non so si hai inteso tu
questo per cosa nova,
che papari si trova
145 che mena a bever l'oche.
Savie persone poche,
de matti vidi assai.
Fu seminato in guai
quando fu fatto il mondo;
150 è l'amaro in fondo,
per ogniun la sua parte :
natura e '1 ciel comparte
le cose dolce e agre.
Sempre alle bestie magre
155 sogliono andar le mosche.
Le guerre lite tosche
sempre si fan coi pugni.
Colui che crede a sugni,
se fonda in acqua o fiume.
160 Piccion eh' abbia bon piume
leva de gran peliate.
Le balle paregiate,
non c'è vantagio un pelo.
Non è più santi in cielo
165 che a l'inferno diavoli.
Salvò la capra e i cavoli
colui che fece il tuto.
Che ti par di quel muto
che te dechiara corno?
170 Maledetto è quello omo
che in omo se confida.
Chi te consiglia e grida,
li debbi esser tenuto.
Meglio assai uno adiuto
175 che cinquanta consigli.
Sempremai fa che pigli
li partiti migliori.
Quattro cinque e sei fiori
già non fa primavera.
180 Da bosco e da rivera
gli omini assai piace.
Chi sente de l'audace,
lo adiuta la fortuna.
Chi non ha cosa alcuna,
185 cosa alcuna non perde.
Chi se conduce al vérde
facci del desperato.
Tal volta toma el fiato
a chi sta su la morte.
190 Spesso chi vive in corte,
si more a l'ospedale.
Cucina senza sale,
fagli zero via zero.
Dui giotti a un tagliere
195 fa per uno e per doi.
Frotola, come pòi
predici questo mutto,
tanto che sapia il tutto.
ci fa eh' io mora in breve.
200 Prima morir si deve
che aver la fede fallace.
Frottola resta in pace.— Finis.
150. E dello atnato. — 151. Jf'à ciasetmo U. - 155. Sogìion posar le. - 156. Uto « toteht.
— 157. con pugni. — 158. sogni. — 159. « in fiume. — 160. ckan buone. — 166. etiro a U
eapra «'. — 106. Che dirai di quel mutto. 169. Che lo dechian. — 170. Maìadttio qutUo. — 173.
Gli dehhe. — 174. Meglio è. — 176. Fa sempre mai. — 178. o sei. — 179. non fan. — 181. iati mi.
— 189. in sulla. — 193. La st. ha, con manifesto errore , Mero via caro. Il cod. : fagli un M
Mero Mero. — 194. Dua ghiotti a uno. — 195. per do. — 196. Frotolta ma non può no: • eoa
questo verso la frottola ha compimento nel ms..
398
S. FERRARI
BALLATA (1).
A l'inferno voglio andare
come tristo e disperato,
non mi venga alcuno allato
che m'ardisca confortare;
5 A l'inferno voglio andare
come tristo e disperato.
Ognun dice : porta in pace.
Fatto sta che non posso io
star in vita in un desio,
10 poi che son scazato a torto:
non bisogna dar conforto
a chi sia per anegare.
A l'inferno ecc.
Se t'avesse fatto oltraggio,
15 portarla patientia,
ma me duol far penitentia
non avendo mai peccato :
a gran torto m' hai lassato
meschinello in pene amare.
20 A l'inferno ecc.
(0) amator(i) di me pigliati
questo esempio e questo specchio;
per amar son fatto vecchio
poscia al fin abandonato:
25 questo è quel e' ho guadagnato
per seguire e per amare.
A l'inferno ecc.
Quando in terra sarò posto,
che sarà fra poco spatio,
30 cridarò de tanto stratio
sempre mai vendetta a Dio,
poscia ancor(a) col spirito mio-
lo verro a molestare.
A l'inferno ecc.
35 0 meschin chi se confida
de amoroso sacramento;
che '1 m'è dato in pagamento
quel giamai (non) haria creduto,,
e non son più conosciuto
40 né in ciel, né in terra, né in mare.
A l'inferno voglio andare
come tristo e disperato
non mi venga alcun allato
che m'ardisca a confortare.
Il fine.
(1) n titolo manca nella stampa.
1. All'inferno ch'i voglio. — 7. L'ordine delle strofe è diverso nel cod., ove l'ultima della st,
è prima ; la terz' oltima , ultima ; la prima , dopo la ripresa , seconda ; e la seconda , terza. —
8. chi non. — 9. t' non disio. — 10. po' eh' i son lascaio. — 12. sia per. — 14. s'i avessi
fatto oltraggo. — 15. Porterilo in. — 17. mai errato. — 18. torto t' som lascato. — 21. Ama-
tori da mme pigliate. — 23. Per amor son. — 24. E al fine. — 26. Per servire e. —
30. Qriderrò d'intornno straezio. — 32. E po' lo spirito mio. — 33. Verrà te a. — 37. Che m'à.
— 38. QueU eh' i' mai are'. — 39. Non sono più. — 40. Uè in terra né 'n cieli.
Ora mi tocca di fare un'ultima aggiunta. Nella Palatina di Firenze ho
ultimamente trovato un opuscoletto , senza data ma certo del cinquecento ,
che porta la frottola di Belizari da Cingoli da sola. Ho rinvenuta questa
stampa troppo tardi per potermene giovare convenientemente nel corpo del-
l'articolo e nell'Appendice ; mi basta perciò far osservare come essa fornisca
un niipvo argomento per credere Belizari sia autore soltanto della Frottola
che va unito al Contrasto della Bianca e della Bruna, e non del Contrasto
né della ballata. Questa é la stampa che nella Palatina di Firenze ha l'in-
dicazione E, 6, 6, 154, n» 12 : Frottola | di Belizari | da Cigoli. |[ Nuo-
vamente ristampata ad instanza d'ogni spirito gentile. [| [C'è una vignetta
che rappresenta una persona seduta al tavolo in atto di scriverei. In Fio-
renza, Per Gianantonio Caneo. | Nella piazza del Serenissimo | Gran Duca
[s. a.]. Il Sono quattro carte in ottavo senza num. e segnat. Incomincia: Chi
intende staga attento: finisce: non stanno bene insieme. Finis.
VAR I E TÀ
NOTIZIE BIOGRAFICHE DI RIMATORI ITALIANI
del secoli ^CTTI e 2XV.
II.
FRANCESCO DA BARBERINO.
Dopo che un romanista di molta fama, il prof. A. Thomas, ha
cosi ciottamente dissertato intorno alla vita ed ap:li scritti di messer
Francesco, è ben naturale che nel campo da lui mietuto agli altri
non resti a raccogliere se non qualche spiga, rimasta a lui ce-
lata 0 inavvertita. Perciò, mentre attendiamo con viva impa-
zienza dal professore di Tolosa comunicazione dei documenti, da
lui testé ritrovati a Vienna (1), i quali debbono arrecare nuova ed
insperata luce intorno alle cagioni che determinarono il da Bar-
berino a recarsi in Francia e, una volta arrivatovi, a dimorarvi
assai più lungamente di quello che avesse fermato; non reputo
inutile dar luogo qui a due documenti , che ce lo mostrano nei
suoi anni maturi, in Firenze, e ci danno alcune notizie intorno
ai beni da lui posseduti. Al secondo di essi dà qualche maggiore
interesse il fatto che vi ritroviamo ricordata la seconda medile
(1) Vedi Romania, XIII, 451.
400 F. NOVATl
di messer Francesco; della quale al Thomas, come all' Ubaldini,
erano rimasti ignoti e il nome e la famiglia (1).
L'uno e l'altro son tratti dai protocolli di ser Mazzingo da
Monterappoli (2) :
Eodem anno et indictione \_i33i, Ind. XIV^ die vigesimo secundo mensis
Aprelis (sic) secundum consuetudinem florentinam. Actum in populo sancii
Florentii fior, presentìbus testibus ser Junta Bindi de Asciano notario ,
Stephano Sintoris de Asciano, qui moratur Florentie et Bufo Corsi pop.
sancte Chrestine — et aliis ad hoc vocatis et rogatis. Pateat omnibus evi-
denter hanc paginam inspecturis quod sapiens vir dominus Franci-
scus quondam Nerii de Barberino, iuris utriusque peritus,
qui ìiodie moratur in populo sancii Florentii supradicii, om,ni via, jure,
modo , causa et forma , quibus m,elius potuit per se et per suos heredes
iure proprio in perpetuum dedii, vendidit et tradidit et concessit et quod
plus valet infrascripto pretio pure, libere, simpUciter et irrevocabiliter
inter vivos donavit Symoni quondam Manfredi pop. sancii Michaelis Ber-
telde de Florentia , qui hodie m.oratur in pop. sancii Stephani in pane
prò se et suis heredibus em.enti et recipienti, quoddam. podere et ierras
cum palaiio et domo adherente sive appodiata dicio palaiio et cum,
m,uris et duobus tinis , actis ad vendemiam, et cum, vineis olivis et aliis
arboribus super se positis in populo sancte Lucie de Casciano , Castri de
Barberino, Comitaius Florentie etc.... Et hanc venditionem donaiionem et
omnia singula suprascripta et infrascripta fedi dicius dominus Fran-
ci scus prò pretio et nomine pretii florenorum de auro quingentoruni
bonorum et purorum, recti ponderis et conii fiorentini.
Segue a questo atto la Procurano facta per dictum domi-
num Franciscum prò dicto Symone e quindi la Consensio et
(1) Vedi Thomas, Fr. da Barb., p. 31. D. M. Manni nel suo prezioso
Zibaldone di Notizie Patrie, che si conserva nella Bigazziana di Firenze ,
fa cenno di un documento nel quale appariva come attrice, Barna, prima
ancora che fosse donna di messer Francesco. Riporto qui quanto egli scrive
a e. 71 r : « Da Barberino. 1314. D. Barna q. Tani Ranerii Conosci , pò-
« puli S. Felicitatis promiitit D. Francisco Judici de Barberino suo futuro
« marito. Aggiugnilo al Mazzuchelli ».
(2) I protocolli di ser Mazzingo di Napoleone Gennai da Monterappoli, se-
gnati G. 107, sono contenuti in due grossi volumi, il primo di carte sive foliis
de bombice (come scrive lo stesso ser Mazzingo in fine del volume apponendovi
il segno di tabellionato) 366 ; il secondo di sole 161 ; ma è mutilo. Ser Mazzingo
aveva la clientela dei Seminetti e de' Giandonati, ed era anche il notaio del
Capitolo fiorentino, come risulta da quanto si legge a e. 314 del primo vo-
lume. I due atti qui riferiti stanno a f. 57t e 59t di questo stesso tomo.
VARIETÀ 401
Renuntiaiio domine Barne uxoris domine Francisci, che in
parte riferisco:
Item postea anno et indictione pred. die vigesimo tertio dicti mensis
Aprelis actum in pop. sancii Florentii fior, presentibus testibus ser Dino
ser Yermilgli de Castro fiorentino et ser Tuccio Gerini de Tingnano et
ser Bartolo Nevaldini de Barberino notario , qui morantur Florentie et
aliis ad hec vocatis et rogatis. Domina Barna filia olim Tanucci
R in ieri et uxor domini Francisci quondam Nerii predicti ,
lecto sibi et per ordinem exposito dicto instrumento venditionis etc
consensu et parabola dicti dom.ini Francisci viri sui consensit et re-
nuntiavit om,ni iuri suo ypotecarum, etc. (1).
(1) Aggiungerò qui qualche altra notiziola intorno al Da Barberino , ve-
nutami sott'occhio. Un atto, rogato da Ser Lupino di Giovanni Riceuti del
1297 , in cui compare Ser Franciscus Neri de Barberino , cita nei suoi
spogli F. Dell' Ancisa , il quale fa pur cenno d' altre carte ove il nostro
è ricordato. Uno strumento da lui rogato è citato nelle Delizie degli Eruditi
Toscani, t. X, p. 228. Del 1327 è un lodo, a cui egli prese parte; Tistru-
mento, che sta fra quelli di Ser Giallo di Dino da Petrognano (Archivio
di Stato, e. 480, f. llOt), comincia cosi: Item eodem anno et indictione die
trigesima m.ensis Junii nos Franciscus de Barberino, utriusque
iuris doctor et Bartholomeus condam Gucci de Siminettis de Florentia,
arbitri , arbitratores et amici comm,unes electi et absumpti a Ser Janno
olim, Buonaprese de Siminettis prò se ipso tantum- et etiam, prò Simone
eius filio ex parte una et Berto olim Ser Primerani de dictis Siminettis
prò se ipso et domina Caterina et Franceschina eius filiabus, prò quibus
et qualibet earum de rato et rati habitione promisit ex parte altera ; et
domina Lagia uxor Simonis de Aleis etc. L'atto fu steso in casa di messer
Francesco, posta nel pop. di S. Fiorenzo. Si noti questo nuovo esempio del
nome di Lagia da unirsi a quelli già ricordati dal Renier ( Giorn. stor.,
IV, 330); anche nelle Provvigioni del 1351 (f. 69) apparisce una Domina
Lagia de Barberino. Tornando al poeta 1' Ancisa, ci fa sapere che egli
fu del 1341 console per l'arte dei Giudici e dei Notai. Contemporaneo al
nostro fu un altro Francesco da Barberino, anch' egli notaio', del quale è
ricordo nelle Provvigioni del 1354 (f. 22), e nelle Delizie degli Erud. Tose,
XXI, p. 57.
F. NOVATI.
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
PIETRO ERCOLE. — Guido Cavalcanti e le sice rime. — Studio
storico-letterario seguito dal testo critico delle rime con com-
mento. — Livorno, F. Vigo, 1885 (8°, pp. 416).
Se la fama di Guido Cavalcanti, come pensatore e come poeta, fu molto
notevole nei tempi in cui visse e nel secolo di cui egli vide appena gli al-
bori (1), non si può dire che tacesse dipoi. 11 nome di chi aveva avuto l'o-
nore d'esser chiamato dall'Alighieri il suo primo amico, non poteva, per ciò
solo, esser di leggieri oscurato, né nei letterati potea venir meno la curiosità
di leggere quelle rime con cui avea tolto l'uno all'altro Guido \ La gloria
della lingua. Se peraltro la sua celebre canzone sulla natura d'amore tentò
più volte l'acutezza dei filosofi, sicché abbiamo a stampa il commento sopra
di essa di Dino del Garbo (1498) , di Paolo del Rosso (1568) , di Girolamo
Frachetta (1585), di Egidio Romano (1602), ed altri se ne conservano ine-
diti (2); non è men vero per questo che una edizione in cui si riunissero
tutte e sole le rime del nostro Guido dovea farsi aspettare parecchio. La
più antica e copiosa raccolta di rime di Guido trovasi nella celebre edizione
giuntina del 1527, ma non é compiuta, né, come si sa, consacrata a questo
solo poeta. A una raccolta esclusiva sembra bensì che pensasse, già nel se-
colo XVI, il senese Gelso Cittadini , e il materiale messo insieme da lui è
nel ms. Chig. L. IV. 122 ; ma egli non riuscì a colorire il suo disegno, sicché
(1) L' Ercole (pp. 26-29) indica gli scrittori antichi che si occuparono di Guido , cioè , oltre
Dante e Dino, Giovanni e Filippo Villani , il Boccaccio, U Sacchetti. Egli pubblica anche di su
un cod. di Udine un sonetto d' un Giovanni Pellegrini in lode di Salomone ebreo , nel quale è
menzionato il Cavalcanti tra altri poeti. A questo, volendo, si potrebbero aggiungere un sonetto
abbastanza noto di Cino Binuccini ed una ignota canzone di Anselmo Calderoni (cfr. il mio Fazio,
p. ccLxxv), la menzione della Leandreide {Arch. per Trieste , I, 315) e quella della Fimerodia
(Propugnai., XV, I, 348), ove si dice del Cavalcanti che « nel filosofare ebbe gran grido ».
(2) Cbescimbeki, 1. d. v. p., H, 267.
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 403
di lui abbiamo a stampa solamente alcune notizie sulla vita del Cavalcanti (1).
Né più fortunato sembra fosse il tentativo , rimasto ignoto all' Ercole, del-
l'insigne erudito roveretano Girolamo Tartarotti, il quale pure, verso il mezzo
del sec. passato , s' era accinto a raccogliere tutto il patrimonio poetico di
Guido (2). Sicché, se si vuole una raccolta esclusiva delle rime di lui»
bisogna pur scendere sino all'anno 1813, in cui Antonio Gicciaporci metteva in-
sieme, con non troppa soddisfazione degli eruditi, la sua raccolta non venale.
La quale raccolta stessa, non troppo facilmente reperibile, e condotta con
la intenzione manifesta di impinguare il più possibile il retaggio poetico di
Guido, veniva soppiantata nel 1881 dalla nota edizione dell'Arnone.
All'Arnone va tenuto conto ch'egli fu dei primi a tentare fra noi un testa
critico con tutto l'apparato di erudizione che ad un lavoro simile si conviene.
Che se il suo testo non può dirsi critico affatto, e se il suo faticoso tenta-
tivo di stabilire una genealogia dei codici miscellanei sulla base delle sole
rime di Guido è fallito, e se di sviste e di errori quel suo libro certo non
manca , non per questo è lecito a chi non sia uso contaminare con preoc-
cupazioni personali rabbiose la serenità e la dignità degli studi gridargli la
croce addosso. Ed è perciò che io non saprei mai lodare abbastanza il pro-
fessore Ercole, che dando ora del Cavalcanti una edizione per ogni rispetto
migliore di quella del suo antecessore, seppe contenersi verso di lui da ga-
lantuomo e da gentiluomo.
Per quanto riguarda il testo, la edizione dell'Ercole viene in molta parte
a confermare quella dell'Arnone. Come l'Arnone, cosi pure l'È. ammette che
due sole delle canzoni attribuite al Cavalcanti dal Gicciaporci siano vera-
mente autentiche (pp- 204-11); concordi sono i due critici (né poteva essere
diversamente) nel dichiarare apocrifi la frottola ed il madrigale attribuiti a
Guido da qualche codice (pp. 220-21); concordi in genere anche rispetto alle
ballate, due delle quali l'È. si astiene dal pubblicare perchè furono combat-
tute dall'Arnone con argomenti di valore molto discutibile (pp. 217-20) (3).
(1) Cfr. Ercole, pp. 171 e 193.
(2) Lo Zeno , annotando la Bihliot. del Fontaxini (Venezia , 1753 , II , 1-2) scrive : « Qaeete
« Rime del Cavalcanti han bisogno di nna mano medica e caritatevole , che gnaste e malconcie
« le emendi e raddrizzi, o mancanti le ajnti. Si spera che questa sarà quella del sig. ab. Girol.
« Tartarotti da Boveredo, dal qaale sien riprodotte in migliore stato, riscontrate sopra altri esem-
< plari , e accresciute , e di note necessarie arricchite , e tali che vie più confermeranno l' alta
« estimazione , che si ha del suo acuto ingegno e posato giudicio ». Il Tartarotti infatti lasciò
tttk le sue carte un indice delle rime del Cavalcanti stampate e mss., come ci attesta il Vannetti,
e dietro a lui Iacopo Morelli nelle Aggiunte mss. al Catalogo Zanetti, che si leggono nel codice
Marciano R. XCIX. In quelle aggiunte si parla pure di un ms. membranaceo , esistente allora
nella pubblica biblioteca di Bovereto, che il Tartarotti avea comprato in Roma nel 1739. Questo
ms. dovea contenere sonetti e canzoni di Dante, il commento di Dino del Garbo alla canz. Dofma
mi prega, volgarizzato da Iacopo Mangiatroia , e due canzoni di Lionardo d' Arezzo. I caporeni
di queste due canzoni sono dal Tartarotti stesso indicati in un suo artìcolo della RaccoUa Calo-
gero, voi. XXIII, p. 253, ove parla di quel suo codice (cfr. anche della st«s8a Raccolta voi. XXXII,
pp. 155-56). Dove ora questo codice si trovi non mi è riuscito di precisare.
(3) In questo e in parecchi altri casi sì sente il desiderio di nna sezione distinta in cui fos-
sero pubblicate le rime di autenticità dubbia.
404 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
Intorno ai sonetti, se ne togli qualche confusione naturalissima con Guido
Orlandi, i codici presentano sufficienti guarentigie di autenticith. È ben vero
che nel 1884 , in un foglio letterario settimanale , che allora si pubblicava
in Roma, veniva annunciata con aria di mistero la scoperta di una canzone
da attribuirsi a Dante, e di 61 sonetti inediti del Cavalcanti. E la scoperta
sarebbe stata davvero ragguardevole, se fosse stata una scoperta. Ma le ra-
gioni per cui quei versi adespoti del cod. Vaticano 3793 avrebbero dovuto
assegnarsi nientemeno che all'Alighieri ed al primo amico suo, non parvero
convincenti a chi se ne occupò. 11 D'Ancona si dichiarò contrario alla attri-
buzione della canzone a Dante (1) ; TE. dimostra, con buone ragioni (pp. 359-63),
quanto sia inverosimile che quel gruppo di sonetti appartenga a Guido. Solo
peraltro quando anche quella parte del codice vaticano sarà posta in luce,
la critica potrà esercitarsi in questa controversia.
Ai 58 codici esaminati dall' Arnone l'È. ne aggiunge cinque , tutti abba-
stanza noti, il 445 della Capitolare di Verona, l'O. 63 sup. dell'Ambrosiana,
il Mgl. VII, 1040, il Martelliano celebre per i Conti, il Ferroniano I, IX. 18
della Comunale di Siena. Come gli fu già osservato, poteva tener conto anche
del Mgl. VII, 1060 (2), che da p. 317, n. 2, si può arguire non essergli ri-
masto ignoto. — Ai cinque nuovi mss. esaminati l'È. dedica una descrizione
più larga , quelli già descritti dallo Arnone accenna semplicemente. Ma sì
nell'un caso come nell'altro, questa bibliografia lascia alquanto a desiderare.
Siccome i codici miscellanei di rime, che per queste edizioni di poeti dei
primi secoli si usano, sogliono essere quasi sempre gli stessi, mi sembra che
ormai converrebbe smettere l'abitudine di ripetere (talora incompiutamente)
le medesime descrizioni, e molto più ragionevole sarebbe il rimandare a co-
loro che prima ne hanno tenuto parola. Così rispetto ai codici Riccardiani
2846 e 1118, al Mgl. VII. 1208 e al Veronese 445, l'È. avrebbe fatto bene
a rimandare alle tavole che ne pubblicò il Casini in questo Giornale (3),
e così pure per quel che riguarda il Vaticano 3213 (4). E quanto al Pala-
tino 418 dovevasi accennare alla stampa diplomatica che se ne sta facendo
nel Propugnatore; e intorno al cod. Centanni (Marciano it. IX, 63) dove-
vasi osservare averne dato la tavola, pure nel Propugnatore (5), il Ronconi.
L' E. sembra creda , ed è un errore, che il cod. Vatic. 3214 sia stato pub-
blicato intero da L. Manzoni (pp. 172 e 201) , mentre egli non riprodusse
se non quella parte di esso che allora era inedita. E forse in base a tale
equivoco che l'È. rimanda altrove alla stampa del Manzoni per la canzone
di Tommaso da Faenza in difesa d' Amore , della quale realmente il Man-
zoni (6) non diede se non il capoverso , mentre fu pubblicata intera prima
(1) Canzon. vatic, III, 361.
(2) Cfr. Oiornale, IV, 119-21.
(3) III, 171-81 e 187-89; IV, 116-18 e 123-28. Nel discorrere del cod. Capitolare il Casini cadde
in pareccM errori, che verranno rettificati. Anche rispetto alle poesie antiche del Mgl. VII, 1040
«ra da richiamare il Giornale, II, 339 n.
(4) Cfr. Giornale, UI, 162 w.
(5) XIV, I, 192-94.
(6) Riv. di fil. rom., I, 75.
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 405
dallo Zambrini (1) e poi da me (2). Non è esatto il dire (p. 180 n.) che il
cod. it. 554 della Nazionale di Parigi è una riproduzione in tutto fedele
della raccolta aragonese , che abbiamo in due noti mss. fiorentini , giacché
il cod. Parigino si scosta nelle ultime carte dagli altri. Né è cosa giusta
l'attenersi, per la raccolta Bartoliniana, al cod. Marciano, mentre si sa che
la copia più antica che ne possediamo è nel ms. 2448 dell'Universitaria di
Bologna, ms. cui l'È. accenna (p. 184 n.), senza dargli veruna importanza,
e non indicandone neppure la segnatura esatta. Del non avere egli fatto caso
delle altre tre copie note di quella raccolta di rime, non gli vorrò io muovere
rimprovero.
Come già fece l'Arnone, TE. pone a base di buona parte della sua edi-
zione il cod. Ghig. L. Vili. 305 e il Vatic. 3214. Solo il testo di quattro poesie
si appoggia su altri codici. Ma a differenza di quanto 1' Arnone fece , 1' E.
non si fa scrupolo di introdurre nel suo testo critico quelle varianti che
crede rispondenti « alla lingua, all'arte, all'intenzione del poeta » (pp. 169
e p. 223). Neir esame che io feci di parecchie tra queste liriche , confron-
tandole con la riproduzione diplomatica del cod. Ghigiano data dal Molteni
e dal Monaci e col testo semidiplomatico dell'Arnone, potei convincermi che
l'È. non abusa di questo suo criterio soggettivo, ma ne usa con quella par-
simonia e oculatezza che in simili bisogne non dovrebbero mai mancare.
Io non ho peraltro la beata sicurezza di poter affermare cosi in assoluto che
questo modo di pubblicare i testi sia il migliore , anzi sia l'unico vero. Di
una tale sicurezza mi vergognerei, dopo avere messo in pratica io stesso un
sistema diverso (3). Ghe il costruirsi un codice nuovo, togliendo ai testi che
si conoscono quello che sembra più consentaneo all' indole dell'autore e al
suo stile , sia per lo meno molto pericoloso , dovrebbe essere consentito da
tutti. Ciò non toglie peraltro che questo sistema possa essere praticato senza
scrii inconvenienti in alcuni casi speciali, giacché dobbiamo persuaderci che
in questa, come in tante altre questioni di metodo, un criterio assoluto ed
(1) Op. volg. a st.^, p. 385.
(2) Fazio, p. 219. Credevo che dopo quanto fu osservato in quel mio libro (p. cccxjux n.) non
si dovesse più dire, come fa l'E. (p. 57 n. ), che « Tomaso di Faenza non è altri che il Tomaso
« di Buezuola ricordato da Dante ». Che io sappia , nessun testo antico lo chiama così , mentre
Ugolino è detto chiaramente Ugolino bitmola di romagrw, dal Tatic. 3214.
(3) Molto malamente, a quanto dicono alcuni. Sospettai quasi che me lo dicesse anche , nella
maniera più cruda, il prof. Casini, nella Rivista critica del maggio '85 (uscita in ottobre), il quale,
discorrendo appunto del presente libro dell'Ercole, accenna a tale, che dopo aver criticato il me-
todo suo, fece cattiva prova nella pratica mettendo insieme < il più bello e ameno e grosso zi-
« baldone che in fatto di potati antichi possa vantare la filologia italiana modernissima ». Se non
che questo sospetto mi si dissipò subito , giacché mi tornarono alla mente le parole con coi lo
stesso prof. Casini terminava una recensione di quel mio libro inserita in questo GiortMÌ» (I, 477):
« Del resto queste piccole mende non possono oscurare il merito indiscutibile del lavoro del B.,
« il quale può ben compiacersi di aver arricchita la filologia italiana dì un'opera che la onora e
< rende testimonianza amplissima dell'indirizzo serio ed efficace che certi studi vanno prendendo
« fira noi ». Quale figura buffonesca avrebbe fatta quel valentuomo, se il mio sospetto fosse stato
ra^onevole !
406 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
identico non si può avere, non dirò per tutti i secoli, ma neppure per tutti
gli scrittori. La pubblicazione critica dei testi antichi , nelle attuali condi-
zioni degli studi, senza che si abbia modo di stabilire una indiscutibile ge-
nealogia dei manoscritti miscellanei di rime, presenta ancora mille difficoltà
e mille incertezze. In questo lento lavorìo chi viene dopo ha dei grandi van-
taggi su chi viene prima, vantaggi che di rado sono riconosciuti.
Il lavoro che ha fatto TE. sul testo del Cavalcanti può dare certo luogo
a molte obiezioni particolari; ma bisogna convenire che è stato condotto
con coscienza ed intelligenza. Non contento di dare di ogni poesia le va-
rianti e lo schema metrico, egli ha voluto accompagnarle con una parafrasi
e con un commento. Il commento è storico, esegetico, comparativo. Nel com-
mentare la difficilissima canzone filosofica egli si valse, con ragione, dei
commenti antichi, specialmente di quello del Colonna. Talvolta gli avviene
in queste chiose di perdersi in digressioni non troppo opportune , come là
dove, a proposito del sonetto famoso /' vegno 'l giorno a te infinite volte,
discorre delle varie opinioni sul traviamento di Dante (pp. 324-29), o dove
(pp. 406407) discute la cronologia della ballata Perch' i' no spero di tornar
giammai. Tali discussioni le avrei vedute più volentieri nel discorso proe-
miale, ove si fa la storia interna di Guido e della sua poesia.
I sette primi capitoli sono destinati a questa trattazione interna , di cui
l'Arnone, nel volume suo, non si occupò punto. Nella prima parte TE. di-
scorre della vita di Guido, nella seconda più particolarmente de' suoi versi.
Nel ritessere la vita pubblica del poeta e nello esporre le tristi sue vicende
in mezzo al parteggiare tristissimo de' tempi suoi, egli si è valso molto delle
ricerche non mai abbastanza lodate del Del Lungo. Su una cosa sola qui
vorrei richiamare l'attenzione dell'E. Egli sembra credere che « Guido abbia
« avuto la prima educazione retorico-filosofica da Brunetto Latini », quan-
tunque ritenga che il Cavalcanti non fosse precisamente condiscepolo di
Dante (pp. 12-13). Ora, che Brunetto tenesse veramente scuola in Firenze è
negato ragionevolmente da molti critici. Ma io non credo poi affatto che
egli avesse mai nella città sua la importanza che l'P]. gli attribuisce e che
gli antichi eruditi inclinavano a dargli. A p. 63 l'È. dice che le nozioni di
fisica penetrarono in Firenze « per tante e diverse compilazioni , tra cui
« sommo fu il Tesoro di ser Br. Latini » ; a p. 55 , facendo una divisione
non troppo felice delle diverse scuole poetiche che vigevano in Firenze, ne
riconosce una « derivata dal francese e rappresentata da Br. Latini », e a
questa scuola riaccenna a p. 66, ove chiama il Latini « introduttore dei
« poemi didascalici ed allegorici in Firenze »; a p. 130 n. suppone addirit-
tura che « il nuovo carattere filosofico » venisse alla lirica dagli « insegna-
« menti e dall'esempio di Br. Latini ». Tutto questo , io credo , è campato
in aria. Né come scienziato, né come letterato abbiamo ragione di ritenere
che il Latini esercitasse una influenza grande sui suoi concittadini; e par-
lare di una scuola poetica fondata da lui, che fu sì povero verseggiatore, é
semplicemente lavorare di fantasia. So bene, del resto, che queste idee non
sono dell'E. solamente; esse hanno tutte la loro origine remota in quel vanto
di digrossatore de' Fiorentini, che G. Villani accorda così generosamente
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 407
a Brunetto. Quanto poco fondato sia questo encomio solenne, fu già da altri
mostrato recentemente (1).
« L'amore fu per Guido il sentimento più caro, più naturale » (p. 49). Il
primo e quindi il più caldo ed alto amore del Cavalcanti fu per quella Gio-
vanna, che di Beatrice fu primavera. Con ingegnosa analisi psicologica l'È.
cerca stabilire quali delle liriche amoro.se di Guido debbano reputarsi dirette
a lei. Sono la maggior parte, e quelle per l'appunto in cui più si discerne
l'impronta dello stil nuovo. 11 .secondo amore del poeta fu per la tolosana
Mandetta, e T E. crede avesse i caratteri d' una vera passione. « Dopo 1' a-
« more sereno per Giovanna e la passione per Mandetta, spinto dall'indole
« ardente dell'animo, andò errando qua e là per altri amori, che poterono
« per qualche tempo destargli desiderii e passioni; ma non lasciarono mai
« traccia profonda nel corso della sua vita » (p. 46). Tra questi amori leg-
gieri l'È. mette quello per la Pinella bolognese, che crede da identificarsi
con la pastorella.
11 più importante e ben fatto tra questi capitoli riguardanti la vita del
Cavalcanti è quello che tratta delle sue amicizie. L' E. ha il merito di avere,
nella pai'te introduttiva di questo capitolo, tentato per primo una classifica-
zione delle corrispondenze poetiche nel dugento (pp. 56-68). Quantunque non
tutte le cose che qui son dette persuadano interamente il lettore (2) e quan-
tunque vi si notino ommissioni non lievi (3), nessuno vorrà negare a queste
pagine la importanza che hanno. Passa quindi TE. a trattare particolarmente
delle corrispondenze poetiche di Guido con l'Orlandi, con Dino Compagni,
con Gianni Alfani, con Lapo degli liberti e finalmente delle sue relazioni
con Cino e con Dante — La corrispondenza con l'Orlandi offre campo all'È,
di fare una digressione sulla religiosità di Guido (pp. 74-83). Egli ritiene
non si abbiano suflBcienti argomenti per giudicare eterodosso il poeta fioren-
tino. A me sembra che se ne abbiano ancora meno per ritenerlo ortodosso,
e che anche dopo le riflessioni dell' E. gli argomenti del D'Ovidio (4) ten-
denti a spiegare il celebre verso del X Inf. e quelli del Bartoli (5) sul pel-
legrinaggio a S. Jacopo, cui il Cavalcanti s'era indotto così di mala voglia
e che terminò invece sì lietamente a mezza via, abbiano molto peso. Se non
che io credo che qui l'È. non si scosti poi tanto dall' opinione degli altri
come a lui stesso forse può sembrare. Egli non istenta ad ammettere che
Guido fosse spregiudicato e « oscillante tra la fede ed il dubbio » ; solo non
crede che fosse ateo. A me sembra che, in fin dei conti, gli stessi sosteni-
(1) Dal Notati iu questo Giornale, VI, 189.
(2) Non so come, per es., si possa dire che il Compagni non dovette conoscere personalmente il
Goinizelli, solo perchè gli dice in un sonetto Ma voi sentite d'amor, credo, poco (p. 59).
(3) Tra queste voglio notarne specialmente una. L'È. non doveva trascurare una delle più an-
tiche corrispondenze poetiche che ci siano rimaste , intendo accennare a quella tra Iacopo Mo-
stacci, Pier della Vigna e Iacopo da Lentino recata dal cod. Barberiniano XLV. 47, e lumeggiata
recentemente dal Monaci (Sui primordi della scttola poetica siciliana, Boma, 1884). Un'altra
corrispondenza simile ravvisò il Monaci stesso (p. 15 ».) nel Caiuon. ckigiano.
(4) Saggi critici, pp. 312-19.
(5) Storia, IV, 164-67.
408 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
tori dell'incredulità di Guido siano d'una opinione molto simile alla sua.
Essi vollero riconoscere nel Cavalcanti un eterodosso, non un ribelle addi-
rittura.
La seconda parte della trattazione interna, in cui l'È. si addentra nell'e-
same delle rime, è rilevante ancor essa. L'A. ha cercato di esaurire l'argo-
mento (1), ma forse non vi è riuscito come credeva. Egli ha seguito le orme
del Bartoli nel distinguere l'elemento filosofico dall'elemento fantastico nella
poesia di Guido e nel far notare le differenze tra il primo elemento e lo
psicologismo del Guinizelli. Ma a me sembra che qui, meglio che in qua-
lunque altro luogo, avrebbe trovato posto una indagine non ancora fatta e
per lo meno molto curiosa. Si tratta di esaminare minutamente quanto di
personale abbia Guido introdotto nella sua canzone Donna mi prega, la
quale, si voglia o non si voglia, è in gran parte la chiave per intender la
metafisica amorosa dei poeti dello stil nuovo. Questa indagine, mi sembra,
non sarebbe stata per nulla estranea al soggetto, come TE. crede {p. 114),
né avrebbe presentato le difficoltà che egli imagina. Se l'È. la avesse fatta,
forse non gli sarebbe sembrata tanto nuova la teoria (o meglio rappresenta-
zione psicologica) degli spiritelli, ch'egli chiama con poco acconcio vocabolo
spiritismo (p. 130-33). 11 passaggio della celebre teoria delle tre anime a
questa figurazione fantastica degli spiritelli è molto più agevole di quanto
a prima giunta apparisca. E la stessa teoria anzi, che passata dal regno
della riflessione in quello della fantasia, vi trova nuovi aspetti e nuove forme
e si diletta a scoprire delle piccole personalità concrete là dove vi sono
unicamente le diverse manifestazioni particolari di quelle tre grandi fun-
zioni della vita, che la filosofia scolastica voleva nettamente distinte.
Non mi è dato indugiarmi sui capitoli che particolarmente trattano dei
sonetti e delle ballate. Così in genero posso dire che mi sembrano condotti
bene, con ordine, con amore, e che vi è concessa la parte dovuta alla consi-
derazione della metrica, la quale in libri di questo genere non dovrebbe mai
essere trascurata. Un felice ravvicinamento l'È. ha fatto tra il sonetto
della scrignatuzza di Guido e quello della vecchiuzza di Cecco Angiolieri
(pp. 14S51). Egli propende a credere che il sonetto dell' Angiolieri sia fog-
giato su quello del Cavalcanti.
Il libro adunque che il prof. E. ha pubblicato può dirsi un libro utile
sotto tutti gli aspetti, e farebbe male chi per qualche difetto che vi si trova
negasse allo studioso critico del Cavalcanti la benemerenza ch'egli si è con-
quistata. Una cosa sola a me sembra da biasimarsi acerbamente e senza
pietà, la inesattezza continua e veramente strana delle citazioni. Può dirsi
un caso quando l'A. cita esattamente le pagine dei libri cui egli rimanda :
di solito cita appena le maggiori divisioni di essi ; molte volte neppur queste.
Citazioni simili non possono essere verificate che con somma difficoltà e
(1) Lo si vede specialmente dalle continue domande che egli si muove, alcune delle quali sono
tali da non poter avere che una risposta tutta ipotetica. Che ragione v'era , p. es. , di chiedersi
perchè Guido non scrivesse un trattato filosofico in prosa (p. 113) , e perchè Dante non menzio-
nasse anche la seconda canzone del Cavalcanti (p. 127) ?
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 409
sono contrarie a quella precisione critica, che in altre cose TE. possiede.
Forse è questo in lui solamente un difetto di pratica. E di difetti simili non
ne mancano certo nel suo libro. Uno, fra gli altri, è questo, che nei compo-
nimenti lunghi (canzoni o ballate) la numerazione a strofe, cui si rimanda
nella distinta delle varianti, non corrisponde alla numerazione continua che
i componimenti hanno nella stampa.
Rodolfo Renier.
RAFFAELLO FORNACI ARI. — La letteratura italiana nei primi
quattro secoli {XIII-XVl). — Quadro storico. — Firenze ,
G. G. Sansoni, editore, 1885 (16°, pp. xii-417).
Quadro storico? E dunque dopo il Disegno storico già ritoccato e ricolo-
rito, finalmente un libro che per quattro secoli, dal XIII al XVI, ci dia, più
che uno schema, un vero e proprio manuale della nostra storia letteraria ? Che
cosa ha voluto fare l'egregio prof. Raffaello Fornaciari; e potremmo domandare
anche : il disegnatore ben noto com'è riuscito pittore ? Nella prefazione egli
dichiara lo scopo del suo libro con molta esattezza. « Un libro di storia
« letteraria che stesse saldo ai fatti esattamente esposti secondo le migliori
« notizie , evitasse ogni spirito di sistema e certe simpatie ed antipatie in-
« giuste ed esagerate, che s'avvicinasse insomma nel modo che comportano
« i tempi e la natura di un compendio alla maniera rigorosa insieme e tran-
« quilla del Tiraboschi; un libro che non si levasse a teorie egheliane di
« estetica nebulosità, ma mostrasse contenuti nel fatto stesso i pregi e i di-
« fetti letterarii conforme ai risultamenti più accertati; un libro altresì che
« iniziasse i giovani allo studio della bibliografia mal separabile da quello
« della storia, tale fu il concetto che ebbi nel comporre il presente Quadro
« Storico, ristretto all'età più originale della nostra letteratura. Gli diedi
« questo titolo, perchè non tutta la materia fu svolta colla stessa ampiezza,
< ma poste, dirò così, sul davanti le figure principali, le altre andarono via
« via degradando e sfumando nel fondo, senza dire di quelle che restarono
« fuori del tutto ». L'autore seguita poi a render ragione più minutamente
del suo metodo e del suo lavoro, non dissimulando che diverse circostanze gli
furono sfavorevoli e principalmente il fatto che egli cominciò a scrivere il
libro come un semplice rifacimento del Disegno storico.
Dirò subito che se il Quadro storico non porta contributo notevole di
nuovi fatti e giudizi alla storia della nostra letteratura, ha in confronto di
molti dei più o meno infelici compendi apparsi recentemente, con altri non
pochi, il pregio delle utilissime note bibliografiche, alla fine di ciascuna le-
zione, per le quali l'alunno delle scuole secondarie e anche il professore
(come dice e s'augura l'autore , p. xi) hanno il mezzo di estendere e ap-
profondire le ricerche sui singoli argomenti. Ciò che toma di non poca lode
Giornale storico, VI, fase. 18. 27
410 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
al Fornaciari, il quale allo studio della lingua e della letteratura nostra ha
resi anche per Taddietro incontestabili servigi.
Non mi aifretterò troppo a particolari osservazioni che pure avrei da fare
in non piccol numero, e alcune delle quali trascelte esporrò : noto subito
alcune cose che, a parer mio , costituiscono i difetti generali del lavoro, e
che, trattandosi di un libro fatto principalmente per le scuole, vogliono più
lungo discorso de' particolari errori.
Il F. dice di aver preferito nello scrivere il suo Quadro il metodo « che
« aggruppa gli scrittori secondo le principali sedi letterarie, metodo fondato
« sulla natura stessa delle cose ecc. ecc. ». In fin de' conti il F. di questo
metodo si serve solamente, e non esclusivamente, per cinque lezioni, usando
nell'altre, come già nel Disegno, o la trattazione monografica o la cronologica
o la trattazione per generi che, come è facile a capire, è la più difficile, ma
anche, ben fatta, la più semplice e la più vera, secondo me. Ora, il metodo
adoprato per quelle cinque lezioni (meno per le lezioni sul sec. XIV, ma al
massimo grado per quelle sul sec. XVI , nel quale, più che ne' precedenti
secoli, la letteratura nostra, pur mantenendo o acquistando talvolta un certo
carattere regionale, fu soprattutto ed essenzialmente italiana), questo metodo
oltre ogni dire artificioso, come quello che ci costringe a vagare e anche a
saltare d'una regione in un'altra in cerca di un prosatore o d'un poeta; con
l'antico non del tutto corretto, mantenuto per alcune parti, e quasi direi, so-
vrapposto, genera una confusione singolare, come parziali esempì dimostre-
ranno. Confusione tanto più grande quanto più si desiderano nel libro del F.
certe trattazioni indispensabili, secondo l'opinione mia, in un buon manuale per
le scuole, e che avrebbero potuto servir bene di guida in quella che è spesso
una selva selvaggia. E sono: invece della difettosissima Introduzione, della
quale toccherò, una dichiarazione succinta della nomenclatura tecnica, paleo-
grafica e metrica che occorre spesso al F. d'adoprare (se anche le scuole
secondarie devono finalmente sapere e saper chiamare col loro nome certe
cose); un breve sommario della storia della coltura medioevale, segnatamente
in Italia, necessario a ben comprendere la origine della lingua e della lette-
ratura nostra (lezione 1 e lì) ; una qualche notizia delle condizioni poli-
tiche e della storia delle scienze e delle arti in Italia ne' vari periodi della
letteratura, come in parte già fece bene l'Ambrosoli e il Fornaciari tenta
per alcune città in alcuni periodi ; uno specchietto cronologico sapientemente
ordinato alla fine di ogni periodo letterario , coi nomi degli autori e delle
opere, come, p. es., neW Atlante lett. e cronologico della leti. it. (Livorno,
Masi, 1828), e da \V. Freund nella sua Tafel der italienischen Litteratur-
geschichte, benché non molto bene, si tentò; qualche considerazione sulle
relazioni , molte specie per il periodo studiato dal Fornaciari , della lette-
ratura nostra colle altre d'Europa, oltre la provenzale antica e la francese
antica; e infine una disposizione materiale e tipografica (i Francesi ci pos-
sono insegnare) più grata più chiara più razionale , che agevolasse la let-
tura delle non poche pagine.
Questi difetti, con altri che avrò occasione di rilevare, e quell'errore fon-
damentale di metodo sopra notato tolgono al libro del F. non poco valore di-
dattico.
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 411
Altro difetto generale, per alcune parti dipendente dal primo, è la man_^
canza d'economia nella disposiziono e nell'esposizione, sicché spesso avviene
di desiderare in nota quello che è nel testo , e viceversa. Un terzo difetto
generale finalmente, parmi, quella indeterminatezza e nebulosità di lin-
guaggio che l'autore adopera di sovènte nell'indicare certi passaggi da un
periodo letterario ad un altro , da un genere ad un altro , questa e quella
male dissimulanti il suo imbarazzo dinanzi a certe quistioni o di per sé
difficili 0 tali divenute per l'ordinamento stesso della materia (pp. 22, 29,
64, 67, 69, 94, tra molte che potrei citare).
Difettosissima ho chiamata l'introduzione (La letteratura e i suoi generi) e
vorrei aggiungere non degna di rimanere in compagnia degli altri capitoli,
dove l'autore bene spesso si addimostra accorto e coscienzioso estimatore degli
studi e de' metodi moderni. 11 F., volendo pur dare un'introduzione simile,
avrebbe dovuto considerare lo svolgimento storico de' vari generi letterari e
non confondere quello che i generi sono oggi, p. es., per l'Italia, con quello
che erano prima, per esempio, per i Greci, o sono divenuti di poi per altri
popoli. E qui potrei citare copiosamente quelli che a me paiono gravi errori,
ma che altri potrebbe dire speculazioni sul vero e sul bello in relazione
con l'arte: mi contenterò invece di notare che mentre a p. 4 il Fornaciari
scrive: « La poesia si svolge organicamente nei tre generi principali, epopea
« lirica drammatica che naturalmente dovrebbero seguirsi in quest'ordine »;
a p. 6 ci rivela : « La lirica sarebbe di sua natura la poesia anteriore a tutte
« l'altre, ma dovendo (sic) trattare con maestria le passioni e rivestirsi di
« una forma agile ed armoniosa, fiorisce per lo più dopo l'epopea... ».
Passiamo ad altro. Nel discorso sull'origine della lingua italiana trovo in
generale con molte inesattezze (p. es. nel paragr. 6 il F. discorre ancora della
possibilità d'un tipo di lingua letteraria balenato come in nube agli occhi
de'primissimi scrittori) una concisione troppo maggiore di quella che non sia
necessaria per lo scolare del liceo, per il quale certe quistioni non sono mai
troppo chiaramente esposte. Così nel parlare (lezione li) della poesia sicula,
intorno alla quale non si doveva mancare di tener conto di più recenti opi-
nioni, come quella del Monaci, perchè l'autore non accenna, altro che con
frasi vaghe, a una poesia popolare che si può dimostrare preesistente alla
provenzaleggiante? E perchè nel parlare de' più antichi monumenti di prosa
non si è tenuto più stretto alla divisione nuova e scientifica del Bartoli ,
come qualche altro compediatore, p. es. il Finzi, fece? E tra le raccolte di
poesie antiche che ei cita (alla nota 5, p. 33) perchè non ricorda la Giun-
tina, e perchè in questo luogo almeno , opportunamente , non dice qualche
cosa de' principali canzonieri che le contengono? Rincresce di vedere, per
esempio, che per la quistione del Malispini (p. 31) il F., nel testo, discute, e più
. lungamente del necessario ; mentre per le rime di Dante (p. 43) egli accenna
solo rapidissimamente a qualche dubbio dei critici sulla vera appartenenza
d'esse ; e per le epistole, fa lo stesso e fuor di posto (p. 46, cfr. p. 38). Del-
l'egloghe di Dante al così detto G. del Virgilio, come poi di quelle del Pe-
trarca (pp. 46, 64) lo scolare può desiderare, io penso, di sapere di più, e se
sieno un genere nuovo o no. E gli accenni all'imitazione del Petrarca pa-
iono, a p. 73, al lor posto, come poi nella storia del sec. XVI (p. es. pp. 358
412 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
e 388) sufficienti? Il Fornaciari crede poi sul serio (p. 73) a una vera e
propria popolarità delle rime del Petrarca? È errato dire « la gloria del
« Boccaccio come pocla dovea essere quella di dar principio (sic) all'epopea »
(p. 84); né molto oggettivo parnii il giudizio che si legge sul Corbaccio (p. 91),
e troppo ortodosso (colgo Y occasione di dirlo) in generale il pensiero del-
l'egregio autore. Quello poi che si dice della leggenda troiana (p. 85) a pro-
posito del Filostrato, non dimostra che il F. trascura qualche volta di li-
correre alle vere fonti, e lavora di seconda mano? Nella lezione VII per
ragione del metodo adottato si parla a poca distanza di Giotto e del Frezzi
(pp. 106 e 109) e mentre fugacissimi accenni vi trovi allo svolgimento della
poesia popolare (p. 116), vi hai in compenso (p. Ili) riassanta la quistione
diniana; come nella lezione Vili (pp. 138 e 139) tu assisti alla discussione
sull'autore del Governo della famiglia, mentre cerchi invano perchè « intorno
« alla metà e dopo (del 1400) abbiamo in Firenze, principalmente per la pro-
« tezione medicea, un periodo di letteratura volgare in cui il popolo nella sua
« naturalezza e leggiadria tende a conseguire la forbitezza dei letterati, e vi-
« ceversa i letterati danno ai loro studi forma paesana e popolare » (p. 130).
Agli scolari domando che cosa importerà di sapere .se la tragedia Orfeo sia
da un codice magliahechiano attribuita al Tebaldeo? (p. 151). La storia, per la
storia della quale avrei voluto nel libro del Fornaciari maggiore esattezza
e più ordine, si cominciò proprio a scrivere in lingua italiana alla corte di
Lodovico il Moro ? (p. 160). Quando arriviamo a' lirici del quattrocento
(p. 162) non si sentirà dal lettore il bisogno di riconnetterli coi trecentisti, di
vedere delle due epoche poetiche le relazioni, le differenze ? Non mi pare
né elegante né proprio dire: << Siamo giunti al sec. XVI, cioè a quelli au-
« tori che, o nati in esso o nel precedente, scrissero durante il medesimo le
€ loro opere principali » (p. 173).
Sul cinquecento il Fornaciari ci dà in confronto degli altri compendi scola-
stici molte notizie ; e i capitoli sull'Ariosto, sul Machiavelli e Guicciardini, e
sul Tasso , dove le difficoltà della disposizione della materia meno si frap-
ponevano, mi sembrano in generale ben condotti. Ma perchè scrivere (p. 229)
« ora il Machiavelli è da tutti reputato uno de' pochi {sic) cinquecentisti
« che perfezionassero la prosa », con la frase volgaruccia che segue « e i
« suoi scritti sono posti a logorarsi nelle mani degli scolari? » Ha avuto
mai l'Italia tanti e cosi grandi prosatori come nel 500, il secolo del Casti-
glione e del Gellini? Perché poi chiamare il Tasso (p. 271) il più romantico
de' poeti antichi? Assai si fraintende, mi pare, questa benedetta parola (e
la cosa?) del romanticismo. Sul Tasso poi il Fornaciari formula, o m'inganno,
giudizi forse troppo favorevoli e troppo avventati qualche volta (pp. 270-71).
A p. 279 il Fornaciari scrive : « La letteratura del cinquecento comincia
«con Pietro Bembo ». Perchè? A p. 288, quando parla dell'elegantissimo
Fracastoro, non sente il Fornaciari il bisogno di trattare separatamente della
poesia latina in Italia, come poi quasi egli confessa nel riepilogo della storia del
cinquecento? Della parodia del petrarchismo (meglio si direbbe più generi-
camente critica per le varie forme che prese) poteva l'autore (p. 291) dirci
qualche cosa di più; come più diffusamente e ordinatamente poteva raccontarci
delle dispute per la lingua (p. 300), giovandosi, p. es., del lavoro del sig. Cri-
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 413
vellucci. E dirò che, come parlando dell'endecasillabo sciolto (p. 314) il Forna-
ciari non poteva trascurare affatto di ricordare che molto prima del sec. XVI
ne troviamo, sebbene isolato, esempio, cosi parlando in altri luoghi di altri
metri , doveva non trascurare di accennare (ma come lo poteva nella divi-
sione voluta della materia?) all'origine e allo svolgimento delle nostre
forme metriche, studio che è già troppo trascurato nelle scuole. Parlando
di "Vincenzo Borghini (p. 325) non avrebbe potuto il Fornaciari accennare
meno rapidamente all'erudizione fiorentina nel XVI secolo, che preparò la
grande erudizione per cui Firenze fu famosa nel 1600? Nelle tre ultime le-
zioni si scorge più che mai il difetto dell'ordine, e si sento più la necessità
della divisione per generi: il Nelli, un esempio tra molti citabili, che visse
quasi sempre a Venezia (p. 336) , lo troviamo, perchè nato a Siena, tra' se-
nesi: così di Bernardo Tasso si parla troppo tempo dopo del figlio. Finisco
con due domande. Non è esagerato, chi sappia la storia degli studi proven-
zali in Italia , chiamare il Barbieri (p. 351) vero iniziatore degli studi di
filologia romanza? E proprio da credere che gl'Italiani {ossero più savi e più
logici a non occuparsi delle scienze filosofiche come gli stranieri che ne
svolsero le ultime pericolose conseguenze ?
In una nuova edizione, che gli auguro prossima, potrà vedere l'egregio au-
tore su molti degli argomenti che egli ha trattati e studiati molti altri lavori
che a lui in questa prima sono sfuggiti , e che citare qui sarebbe troppo
lungo. Procurerà anche il valente prof. Fornaciari di evitare (p. es. pp. 131,
145, 241, 281, 346) certe forme che possono parere o ingenue o scorrette;
egli che dimostra una sì larga conoscenza dei classici nostri , tanto amore
par l'arte e, non di rado, anche eccellente stile didattico.
Orazio Baco.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
SELMAR ECKLEBEN. — Die àlteste Schilderung vom Fege-
feuer des heil. Patricius. Etne lilterarische Untersuchung .
— Halle a. S., Max Niemeyer, 1885 (8°, pp. 61).
L'autore di questo diligente lavoro dimostra che la leggenda del Purga-
torio di San Patrizio, cosi diffusa anche in Italia, non è tanto antica quanto
si crede. Le Yite più antiche del santo, le quali risalgono al IX od Vili se-
colo, non la contengono: essa compare per la prima volta in una Yita che
alcuni giudicarono del VII , altri del X secolo , e che , conosciuta sotto il
nome di Vita tripartita, si attribuisce a Sant'Evino. Se non che l'A. prova
con validi argomenti non d'altro trattarsi che d'una interpolazione, fatta nel
secolo XII. In un'altra Yita, composta verso il 1180 dal monaco locelino, la
leggenda compare, ma in forma rudimentale ancora. La leggenda svolta e
compiuta, quella in cui figura il cavaliere Owen, devesi ad un monaco ci-
stcrciense, per nome (probabilmente) Enrico di Saltrey, il quale fioriva verso
la fine del secolo XII, e la narrò tra il 1187 e il 1197, forse poco dopo
il 1189. Nel corso della indagine l'A. tocca parecchi altri argomenti inte-
ressanti. Egli mostra come la vita del santo, secondo si narrava, desse buona
occasione a nuove leggende, come prendesse a formarsi questa del Purgatorio e
di quali elementi. Parlando della voga grandissima ond'essa godette nel medio
evo, accenna a una ragione che gli par capitale, e consisterebbe nel fatto
che il cavaliere Owen non penetra nei regni ultramondani solamente in
ispirito; ma ci va in carne ed ossa. La sua non è già una semplice visione,
come tante ne produssero quei secoli d'ascetismo, ma una peregrinazione
vera e propria. In ciò vi ha certamente del vero; ma notisi che Owen non è il
solo che compia il viaggio in tali condizioni. S. Brandano, nel corso della
sua navigazione, giunge coi compagni all'isola dei dannati. Ugone d'Alvernia,
Guerino il Meschino, vanno all'inferno vestiti d'ossa e di polpe, e nelle fiabe
popolari spesso si parla d'uomini favoriti dal cielo, che vi andarono allo
stesso modo. Certamente la cagion principale della grandissima voga otte-
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 415
nula dalla leggenda del Purgatorio di S. Patrizio fu la indicazione determi-
nata e precisa del luogo (la famosa caverna, o il famoso pozzo), per cui
potevasi avere accesso ai regni bui, e a cui traevano i pellegrini. Ed è noto
che nei 1497 papa Alessandro VI ordinò la chiusura del cosi detto Purga-
torio sulla denuncia e sulla querela di un monaco di Eymstadt, in Olanda,
il quale, avendo intrapreso apposito pellegrinaggio per purgare in quel luogo
i suoi peccati , ed avendo anche pagato a tal fine certi denari al vescovo ,
non ebbe visione alcuna dell'altro mondo, e si rimase deluso.
L'A., di cui abbiam brevemente esaminato lo scritto , promette di ritor-
nare, quand'abbia compiute le indagini a ciò necessarie, sopra il suo tema,
e mostrare quali aspetti la leggenda abbia assunti nei secoli successivi, nelle
varie letterature.
GASTON PARIS. — La paràbole des trois anneaux. Confé-
rence fatte à la Società des ètudes juives le 9 mai 1885.
— Estratto dalla Revue des ètudes juives, t. XI. — Parigi,
1885 (8°, pp. 19).
È la storia della parabola celebre che dà argomento alla novella 3^ della
Giornata I del Decamerone. Con copia d'idee che danno significazione e ri-
lievo ai fatti, con arte che avviva il soggetto, l'A. ricerca la origine prima
della finzione , ne distingue le forme e i caratteri , ne seguita le vicende.
Ricordato l'antagonismo delle tre religioni monoteistiche, giudaismo, cristia-
nesimo, maomettismo; ricordata più particolarmente la lotta tra le due prime,
fatto cenno delle persecuzioni esercitate dai cristiani contro gli ebrei, egli,
e crediamo si opponga, considera la parabola stessa come una ingegnosa
invenzione di perseguitati, per sottrarsi, senza rinnegare la propria fede, alla
insidia di certe domande, e attutire l'astio e la intolleranza dei persecutori.
La parabola, che ha tutto il carattere di certe immaginose concezioni orien-
tali, è certamente di origine ebraica, e la forma in cui essa apparve da
prima è quella conservataci in un racconto dello Scebet Jehuda, libro del
secolo XV. In questo racconto due sole religioni,' e non tre, si trovan di
fronte, la cristiana e l'ebraica, e la pericolosa domanda è fatta dal re Pietro
d'Aragona (1094-1104) ad un Ebreo il quale aveva grande riputazione di
saggezza. Costui, con ingegnosa risposta, rimanda il re all'infallibile giudizio
di Dio, e la novella non contien nulla che stabilisca in qualche modo la pree-
minenza dell' una o dell' altra religione. Da questo primo racconto, per la
comune trafila di una versione già alterata", e non pervenuta insino a noi,
derivano tutti gli altri , nei quali , a canto all' altre due religioni , prende
posto anche il maomettismo , e che 1' A. molto opportunamente distingue
in due serie, di quelli cioè in cui prevale l'intendimento cristiano e di quelli
in cui prevale un intendimento scettico. Alla prima serie appartengono
i racconti di Stefano di Borbone e dei Gesta Romanorum e il Dis dou vrai
aniel pubblicato dal Tobler; alla seconda i racconti del Novellino, di Bu-
sone da Gubbio , del Boccacio e del Leasing. Air A. non paiono convin-
416 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
centi, come non erano parse al Bartoli (1) , le ragioni addotte da chi crede
che fonte della novella del Boccaccio sia stato il racconto di Busone, e ve-
ramente non sono. Egli nota fra quello e questo, e ancora fra quello e l'altro
del Novellino una differenza essenziale, prodotta da quella disputa circa la
eredità che nei due racconti italiani più antichi manca, e per cui il racconto
del Boccaccio si raccosta a quelli dell'altra serie. Notiamo qui a questo pro-
posito, che è in tutto arbitraria l'affermazione del Cappelletti, non suffi-agata
da prova di sorta, che la novella da cui il Boccaccio tolse la sua, è la LXXIII
del Novellino (2). Da ultimo l'A. riferisce una parabola che riguarda, non
più le tre religioni, ma i seguaci loro, parabola che prima occorre nella
Disciplina clericalis, poi ricomparisce, variata, nei Gesta Romanorum e
negli Ecatommiti del Giraldi Gintio. In una nota egli ci fa poi la grata
promessa di voler tornare sull'argomento trattato in questa conferenza e dare
un lavoro compiuto corredato di note e che si distenda nelle indagini mi-
nute. Allora sarà anche il caso di ricordarsi che, secondo l'aff'ermazione del
Salomone-Marino, la novella delle tre anella è ancor viva in Sicilia (3).
1 V poemetti sacri dei secoli XIV° e XV°, pubblicati per la prima
volta ed illustrati dal dr. Erasmo Pèrgopo. — Bologna, Gae-
tano Romagnoli, M.DGGG.LXXXV (Dispensa GGXI della Scelta
di curiosità letterarie, S", pp. lxiv-222).
ADOLF MUSSAFIA. — Mittheilungen aus romanischen Iland-
schriften. IL 'Zur Katharinenlegende. — Vienna, 1885. —
Estratto dal voi. GX dei Sitzungsherichte der phil.-hist.
Classe der hais. Akademie der Wissenschatten (8», pp. 69).
Si vanno moltiplicando nelle stampe i testi dialettali dell'Italia meridionale,
come già si sono moltiplicati quelli dell'Italia settentrionale. Al volgarizza-
mento dei Disticha Catonis pubblicato dal Miola nel 1878, al De regimine
sanitatis edito l'anno scorso dal Mussafia, il Dr. Pèrcopo fa ora tener dietro
questi nuovi testi, contributo importante alla storia della letteratura dialettale
in Italia.
Sono, come dice il titolo, quattro poemetti, e cioè: 1° Il Transito della
Madonna; 2o La leggenda di S. Caterina; S» La leggenda di S. Giuliano lo
Spedaliere; 4o La leggenda di S. Margherita d'Antiochia: segue un fram-
(1) 1 primi due secoli della letteratura italiana, p. 589.
(2) Osservazioni storiche e letterarie e notizie sulle fonti del Decamerone (Propugnatore ,
anno XVI, p. 35.
(:ì) La baronessa di Carini, Palermo, 1873, p. 20.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 417
mento della leggenda di S. Gregorio, e un'appendice di dieci sonetti inediti
di Buccio di Ranallo.
Nella Prefazione l'Kd. descrive anzitutto il codice d'onde sono tratti i testi,
che è quello segnato XIII. D. 59 della Biblioteca Nazionale di Napoli; codice
importante che già ebbe ad attirare sopra di sé l'attenzione di parecchi stu-
diosi, qui ricordati in nota. Esso è della fine del secolo XV, mentre alcuni
dei componimenti che vi si contengono sono notabilmente più antichi; cosa
rincrescevole per più rispetti, tra gli altri perchè la lingua loro sarà stata
di certo tanto o quanto alterata nella tarda trascrizione. Descritto il codice,
l'Ed. passa a dire di ciascun poemetto in particolare, indicandone il soggetto,
rintracciandone le fonti, ricordando altre versioni e redazioni della stessa
leggenda, forestiere e nostrane, notando particolarità dialettali e metriche.
Tutta questa parte è molto lodevole per diligenza e per ordine, non ostante
che lasci qua e là desiderare maggior copia di notizie , o più largo svol-
gimento.
Il transito della Madonna , composto ad istanza di una contessa Mobilia
(Amabilia) di su multi profundi libri , ha stretta attinenza , oltre che col
racconto del Voragine, anche con due apocrifi latini, pubblicati dal Tischendorf
nelle Apocalypses apocryphae. La composizione risalirebbe, secondo l'Ed., ai
principi del secolo XIV: il dialetto non si può dire che sia abbruzzese
schietto, ma tale è nel fondo , ripulito e colto abbastanza, e sparso di lati-
nismi. Sono strofe CXXI , composte di quattro alessandrini (chiamiamogli
così) monorimi, e di due endecasillabi a rima baciata, lo stesso schema di
quelle usate nel Decalogo e nella Salve Regina dall'aìwnimo bergamasco.
11 testo, nella presente sua lezione, appare assai guasto.
La leggenda di S. Caterina d'Alessandria è in distici settenari, che formano
1772 versi distribuiti in XXXII capitoletti , e fu composta da quel Buccio
di Ranallo di cui si ha una cronaca in versi pubblicata nel t. VI delle An-
tiquitates italicae del Muratori. L'anno della composizione è, secondo il poeta
stesso avverte in fine del suo componimento, il 1330. La versione della leg-
genda a cui più si raccosta il suo racconto è quella che più tardi Bonino
Mombrizio inserì nel suo Sanctuarium ; ma l'Ed. crede che Buccio tenesse
innanzi anche una qualche redazione francese. Qui sarebbe stato opportuno
entrare in un esame alquanto più accurato e più diligente delle numerose
versioni e redazioni di questa leggenda celebre. Non pare che l'Ed. abbia
avuto contezza di /due racconti latini inseriti nel Florilegium Casinense (1),
e di uno recentemente pubblicato da E. Einenkel (2): parlando delle reda-
zioni francesi, egli ricorda quella attribuita a Thibaut de Vernon, di cui si
discorre nei tt. XIII e XXIIl dell' Histoire littèraire de la France; ma gli è
sfuggito quanto di un altro racconto in versi è detto nel t. XXVIII, pp. 253-61
dell'opera medesima. Tra le relazioni straniere 1' Ed. avrebbe potuto ricor-
dare anche l'inglese, pubblicata da J. Merton per l'Abbotsford Club, Londra,
(1) In appendice alla BiblìoUieca Casinensis, i. Ili, 1877, pp. 76, 184.
(2) The life of Saint Katherint uith it$ Latin Originai, Londra, 1884.
418 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
1841, sotto il titolo Legend of St. Katharina of Alexandria ; V antico mi-
stero tedesco ecc. Il poemetto di Buccio è scritto nel volgare abruzzese, a
bastanza toscaneggiante, pieno di latinismi, colto, e, in certo modo, elegante.
La leggenda di S. Giuliano lo Spedaliere è assai breve, non contando in
tutto che 171 verso , e , dice l'Ed., offre assai poco interesse per la gran-
dissima scorrezione del testo. Ma la scorrezione del testo, la quale è somma
veramente, non toglie già ogni valore al racconto, su cui ci sarebbe stato
qualcosa di non inutile da dire. Secondo la versione più vulgata , che è
quella pur del Voragine, è lo stesso Giuliano che riceve l'annuncio dell'orrDnl
delitto cui è chiamato a compiere, la uccisione cioè del padre e della madre,
e lo riceve da un cervo da lui inseguito alla caccia. Nel poemetto qui stam-
pato si narra tutt'altrimente. Quando nasce Giuliano, le fate sopraggiun-
gono e gli danno questa mala ventura, ch'egli abbia da uccidere entrambi
i genitori,
Qnandanca le &te sci li disse,
Lu patre e la sua matre lui oecidesse.
Il padre ode ogni cosa :
La patre nella càmmora staeva
La nocte, quando nacque Jnliano:
Troppo ben le fate lo vedea
Quando lo fatare humile e piano.
Vorrebbe uccidere il figliuolo per iscampare se stesso e la donna, ma costei
glielo impedisce. Giunto all'età di dieci anni. Giuliano, vedendo spesso pian-
gere la madre assai duramente, le chiede un giorno la cagione del suo
dolore : saputala, si parte, e va, pellegrino, a San Iacopo di Gallizia. Il rima-
nente del racconto presenta alcune altre particolarità che qui non rileve-
remo. Ora, quell'episodio delle fate, che, non si dice, ma saranno state tre,
rimanda in modo indubitabile ad una fonte francese; giacché gli è noto
quanto spesso nei romanzi cavallereschi del medio evo si facciano comparire
tre fate intorno alla cuUa del neonato eroe, la cui sorte dipende dagli au-
guri e dalle imprecazioni che quelle gli fanno (1). Non sappiamo se in alcuna
dell'altre versioni italiane della leggenda che l'Ed. ricorda si trovi nulla di
simile. In quella pubblicata dal Maini (Reggio, 1854) e nell'altra inserita
nel Propugnatore (t. V, 1872), San Giuliano riceve l'avvertimento in sogno;
ma la tradizione più vulgata anche in Italia doveva essere assai nota, giac-
ché il Maurolico dice nel suo Martyrologium (12 febbraio): Hic venator
fuisse perhibetur qualem picturae representant. Certamente il poemetto
che qui abbiamo deriva da un qualche racconto francese, dove il tema della
leggenda era a questo modo romantizzato. Qualche altro indizio di esem-
plare francese forse non manca. Nella prima strofa pulzella e nuvella
rimano con un' eterna , che fa subito pensare a xkrieterneUe francese. Ad
ogni modo il racconto nostro è cosi abbreviato e compendioso da riuscire
(1) Vedi, per non moltiplicare le citazioni, Maurv, [jes fées du moyen age, p. 30.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 419
oscuro in più luoghi: probabilmonto il traduttore ridusse ia cotal forma una
narrazione molto più larga. Particolarità degna di nota, le prime sei stanze
del poemetto sono ottave, l'altre sestine.
Per quanto importa all'illustrazione della leggenda l'Ed. cita una lezione
di Giovanni Galvani, Di San Giuliano lo Spedaliere e del Pater noster
usato da' viandanti ecc. , inserito nel t. II delle sue Lezioni Accademiche.
Non sarebbe stato inopportuno a tale proposito, se non compiere le indagini
di lui, allargarlo alquanto. La leggenda si trova narrata pure nei Gesta Ro-
manorum (1), da Bonino Mombrizio, da altri molti. Il cosi detto Pater noster
fu ripubblicato in un volumetto della Scelta di curiosità letterarie, intito-
lato Ubbie, ciancioni e ciarpe del secolo XIV (2). Si poteva tener conto
anche del seguente opuscolo : Foglietti , San Giuliano V Ospitntore , cenni
storici, Firenze , 1879. Un così detto Diporto letterario del Tribolati sulla
novella del Boccaccio che chiede argomento allo scritto del Galvani, non
ha valore di sorta. Forse in Italia corse qualche particolare leggenda circa
la penitenza con cui il santo espiò il non volontario delitto, giacché nel
Capitolo al Fracastoro il Berni dice:
, Se aveste visto nn san Ginlian dipinto
Uscir di nn pozzo fuor fino al bellico,
D'aspidi sorde e d'altre serpi cinto.
La leggenda di Santa Margherita, come quella di San Giuliano , come il
poemetto del Transito della Madonna, è anonima, ma scritta ancor essa nel
medesimo dialetto abruzzese. Ha grandissima somiglianza con un racconto
in prosa pubblicato dal Manni , e l'Ed. gli crede entrambi derivati dallo
stesso testo latino medievale. Il poemetto è in istrofe tetrastiche monorime
di endecasillabi, e conta in tutto 517 versi.
Il frammento della leggenda di San Gregorio conta 17 versi solamente, e
non si può, stante la brevità sua, riconoscere a quale versione appartenga.
Quanto ai dieci sonetti di Buccio di Ranallo , essi fan parte della sua cro-
naca in versi nel cod. XV. F. 56 della Nazionale di Napoli , ma mancano
all'edizione di essa ricordata di sopra. Trattano del reggimento della città
dell'Aquila e d'altri interessi cittadini. Dopo il frammento della leggenda di
San Gregorio , e prima dei dieci sonetti, si ha il Lessico delle voci più
notabili.
L'edizione dei testi è commendevole; solo qua e là ci sarebbe da fare qualche
osservazione o qualche appunto , dove l'Ed. pare che non abbia intesa la
lezione data dal codice, o dove ha trascurato di dare qualche schiarimento
opportuno. Ecco alcuni esempi : Poemetto I: V. 80, La dompna disse: « En-
« tèndìme, che èi tu amico m,eu ». L'Ed. spiega : Comprendomi, che tu sei
amico mio ; parole di cui non ben si coglie il significato. Quella della donna
è una interrogazione, e va spiegata così: Intendimi, cioè ascoltami, chi sei tu.
(1) Cap. XVIII, ediz. Oesterley.
(2) Disp. LXXII, Bologna, 1866.
420 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
amico mio? In fatti l'angelo risponde: Messagiu so" de Cristu, dellu figliolu
teu. — V. 96, severire, verbo che, usato in vari modi e tempi, si trova in
più altri luoghi di questi testi, chiedeva spiegazione : vale sceverare , cioè
separare (al verso 690 si trova un desseverèro, che è proprio il dessevrerent
francese. In molti altri luoghi l'Ed. tralascia di dare spiegazione , sia nelle
note, sia nel lessico, di vocaboli che non ben s'intendono a prima giunta,
mentre altri ne spiega che non offrono difficoltà. — V. 126, Nunqiiam pec-
cascione no agia in-genio. Questo verso appartiene ad una preghiera della
Vergine, che, sul punto di morire , si raccomanda al figliuolo , perchè nes-
suna potestà sia data al demonio sopra di lei. Il cod. reca: Nunquam per
cascione no agia ingenio ; e la correzione dell'Ed. non pare necessaria ,
giacché, in questa forma, il verso significherebbe: Non abbia (il demonio)
per cagione, cioè in qualche modo, o, fors'anche , per mia colpa (v. i vari
significati e usi di cagione nel toscano) ingegno , ossia inganno , da eserci-
tare contro di me. Ingegni si chiamarono appunto molto spesso gl'inganni
del diavolo. — Vv. 138-9, Ancora io te faczo pregherà; Pur alla tua vo-
luntà sia. L'Ed. nota: pregherà: è in assonanza con sia, prima sea ? In
luogo di pregherà mettasi pregheria. — V. 207, Nepote mio, io piange cha
allo altro mundo tiro-UEà. nota: tiro. È un poco strana questa locuzione,
ma, m,i pare, che si somigli a quella comune: io tiro da questa parte, per
mi dirigo, ecc. Non è strana , e tirare nel toscano ha , tra gli altri signifi-
cati, anche quello di aver la mira, tendere. — V. 528, Le lampade & li etri
foro apprisi. L'Ed. nota: apprisi forse apcisiì vedi al v. 561 appicciàro e
appese; o è da prendere? Si lasci sicuramente apprisi, part. pass. pi. di
apprendere, e al v. 561 si legga apprese e non appese. E di uso antico nel
toscano apprendersi il fuoco per accendersi il fuoco. Non parrà strano che
in qualche dialetto apprendere si sia usato senz'altro in significato di ac-
cendere, solo significato, notisi bene, che abbia serbato nel rumeno : apprinde
lum,inare, accendi il lume. Nell'Antica parafrasi lombarda, edita dal For-
ster (1), si ha lampea apresa e aprendeva una nuola. — V. 555 , pone,
I. potè. — V. 660, entensaro , contesero. Ha una stessa origine col toscano
tenza, tenzone, col fr. tencer, e rimanda, non già a intendo, intensum ,
ma a tenere, tentus, tentiare (Diez , Et. Wtb. 113,438). — V. 709, allecare,
1. allocare. Va perciò cancellato dal Lessico , dov'è registrato come forma
di allegare. — Poemetto II. V. 94 , De gradii in grado andaro. L'Ed. :
intendi: i gradini del tempio. Interpretazione erronea. Si tratta della mol-
titudine che Massenzio ha convocata per sacrificare agl'idoli, e i versi che
precedono lasciano intendere che si tratta dei vari gradi, ossia delle varie
condizioni sociali. — V. 957, Mostrali allo presente. L' Ed. nota : per alla
presenza? o meglio: allei p.? Non già; allo presente vale, come anche in
toscano, im,m,ediatamente, subito. — Poemetto IV. V. 412, Sòstete un pochu
chò-lla toa spada arrotala. L'Ed. propone: Sòstete un pochu chò-lla toa
spata , senz'altro ; ma anche al v. 483 si legge : Levate susu cò-lla tua
spada arrotata.
(1) Arch. glottol. ital., t. VII, p. 3L
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 421
Qualche altra lievo menda potrebbe accennarsi qua è là, ma in sostanza
l'Ed. ha curato con molta diligenza il suo testo , e ha mostrato di avere
tutte Je qualità necessarie per attendere a cosi lutti lavori. Egli esco di
buona scuola. Speriamo di avere tro non molto ad occuparci di altri frutti
de' suoi ottimi studi.
La stessa leggenda di S. Caterina, pubblicata dal dr. Pèrcopo, pubblicò
pure contemporaneamente Adolfo Mussafia, tanto benemerito degli studi ro-
manzi in genere e di quelli concernenti l'antica nostra letteratura dialettale
in ispecie. Egli dà il testo di su una copia procacciatagli dal Monaci , e
collazionata col codice dallo stesso dr. Pèrcopo, il quale avverte ciò in una
nota del suo volume (p. xxxii), e dice che il testo suo era già quasi tutto
stampato quando seppe dell' intenzione che pure il Mussafìa aveva di pub-
blicarlo. Il Mussafìa attende da gran tempo a un lavoro sopra le varie re-
dazioni della leggenda di S. Caterina e spera di poterlo fare presto di pul)-
blica ragione. Egli giudica assai più verosimile che Buccio di Ranallo abbia
attinto da una fonte latina che non da una volgare, e nota come il racconto
suo, ora s'accosti alla redazione pubblicata dall' Einenkel, ora a quella che
offre il Voragine, ma spesso ancora coincida col racconto di Bonino Mom-
brizio. Nota pure, come fa del resto anche il Pèrcopo, certe reminiscenze dan-
tesche sparse per entro al poemetto. L'edizione sua, oltre che di un glos-
sario, è corredata di osservazioni sulla lingua e sul metro e di utili note ai
luoghi dubbi o difficili.
FRANCISCI ALBERTINI. — Opusculum de ìniràbUibus novae
urbis Romae , herausgegeben von August Schm.\rsow. —
Heiibronn, Verlag von Gebr. Henninger, 188C (8", pp. xxin-77).
Francesco Albertini nacque di genitori fiorentini sullo scorcio del secolo XV;
studiò lettere, musica, pittura; fu prima cappellano e canonico di S. Lorenzo
in Firenze ; fu poscia in Roma, ai servigi dei cardinale Fazio Santoriò, dove
fiorì ai tempi di Giulio IL Compose molte opere , volgari e latine , che si
possono veder registrate dal Mazzuc belli; ma le sole che tengan vivo il nome
di lui son quelle che trattano d'arte e di antichità, due delle quali sono di
molta importanza per gli studiosi della Rinascenza. L'una, intitolata Memo-
moriate di molte statue e pitture sono nelVinclyta Ciptà di Florentia, fu,
sono alcuni anni, ristampata da Max lordan; l'altra è questa di cui par-
liamo. L" Opusculum de mirabilibus novae et veteris Urbis Romae fu dal-
l'Autore compiuto nel giugno 1509, ma cominciato parecchi anni innanzi, e
pubblicato la prima volta per Giacomo Mazochio in Roma nel 1510. Una
edizione del 1505, ricordata da parecchi, è immaginaria. Altre tro edizioni
se ne fecero sino al 1523 , dello quali due in Roma , una in Leida. Nella
lettera dedicatoria a Giulio li, l'autore chiarisce il suo intendimento, che è
di emendare gli antichi Mirabilia, riboccanti di favole, e di aggiunger loro
una notizia delle cose mirabili di Roma nuova.
422 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
L'Ed. ha creduto di dover ristampare solamente questa seconda parte del-
l'Opuscuktm, il che è rincrescevoie per più rispetti, ma giustificato dall'in-
tenzione ch'egli ebbe nel ristamparla, quella, cioè, di « provvedere per le
« esercitazioni di storia dell'arte nelle Università tedesche, un libro a cui si
« legasse per molteplici nodi la storia artistica di Roma, dai tempi all'incirca
« di Martino V sino a quelli di Clemente VII ». Considerato sotto questo
aspetto, il libro ha molto valore, giacché, come fa osservare lEd. stesso, porge
allo studioso l'occasione unica ed inapprezzabile di girare l'Eterna Città con
la scorta di un contemporaneo, che gli mostra a dito tutte le cose mirabili
ond'essa era ripiena ai tempi di Giulio II. A confermar questo dire gioverà
riportar qui i titoli dei XVII capitoli: I. De Nova Urbe Roma. II. De non-
-nullis ecclesiis et capellis. III. De palatiis Pontificum. IV. De domibus
Cardinalium. V. De hospitalibus. VI. De bibliothecis. VII. De Castro Sancti
Angeli. VIII. De Belvidere. IX. De porticibus. X. De viis et plateis.
XI. De sepulchris memorandis. XII. De valvis et columnis aeneis. XIII. De
officina cudendae pecuniae. XIV. De fontibus et pontibus. XV. De cloacis
et purgatione Anienis. XVI. De aedificiis ab Tulio II constructis. XVII. De
laudibus civitatis Florentiae et Savonae.
L'edizione è condotta sopra le due prime di Roma e su quella di Leida,
ma non per ciò il testo è esente da qualsiasi errore. Così a p. 60 leggiamo
un Poggium Brandolinuni per Poggium Bracciolinuni , a p. 68 un Albe-
ricus Vespulsius per Americus Vespucciits o Vespusins. Se tali errori sono
nelle edizioni antiche, potevansi e dovevansi correggere. L'Ed. ha pure ac-
compagnato il testo di note che non sempre sono irreprensibili , o quali
richiedeva il bisogno. Nel e. XVII Francesco Albertini fa una lunga enu-
merazione di uomini insigni per cui andava superba Firenze, contentandosi,
per altro, il più delle volte di ricordarne i nomi. A questi nomi l'Ed. op-
portunamente appone alcune brevi note dichiarative, ma non per tutti Io fa,
e non si scorgono le ragioni che possono averlo indotto a dire, o a tacere.
Alcuna volta poi erra nel voler chiarire, o dice cose men che giuste. Così
il Bartolomaeus Lapacinus del testo , non è , com'egli immagina , Giuliano
Lapaccini, bibliotecario di Cosimo de' Medici, ma il domenicano Bartolomeo
Lapacci, che Eugenio IV creò maestro del Sacro Palazzo nel 1439 , e che
fu poi vescovo d'Argo e di Corone. Così gli è ingiusto definire Lionardo
Dati un meschino poetucolo , senz'altro {ein armseliyer Dichterling). Ciò
non ostante , questa ristampa giunge assai opportuna , e avrà buona acco-
glienza anche fuori di quelle Università tedesche a cui l'Ed. l'ha destinata.
T. TASSO. — Il Rinaldo e V Aminia, per cura di Guido Mazzoni.
— Firenze, Sansoni, 1884 (uscito nel novembre 1885) (32",
pp. xvi-361).
Questo volumetto, annunziato da tempo, viene solo adesso alla luce, e
forma parte della Piccola Biblioteca Italiana con tanto amore iniziata dal
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 423
povero Sansoni, il qualo il Mazzoni nobilmente ricorda nello ultimo righe
della sua Prefazione. Questa raccolta non si dirige agli eruditi, ma al pub-
blico in generale ; V editore adunque, ritornando alle prime stampe, ha cer-
cato di dare un testo esatto di questi poemetti, senza entrare in veruna
questione sul merito di esso ; soltanto viene indicando per saggio alcuni
errori del Resini nella sua ornai famigerata edizione delle Opere del Tasso (1),
né il trovarli stimo sia costato al M. grande fatica. Ben aggiunse V Alle-
goria del Rinaldo, e i quattro Intermezzi dell'Aminta che nelle stampe
antiche non sono; essendo questi ultimi stati pubblicati dal Poppa nella
sua ediz. delle Opere postume del T. (2); e in Appendice li sciolti scritti dal
Monti in nome del Bodoni, che dedicava la sua ediz. deW Aminta (1789) ad
Anna Malaspina.
Il M. dice aver voluto conservare la grafia antica ; ciò crediamo sia bene
p. e. per le preposizioni articolate che il Tasso voleva propriamente sciolte,
come si vedono accuratamente corrette da lui in un ms. di sue rime scritto
da altri ; ma poteva abbandonarla in certi casi che al tempo del Tasso erano
soltanto di uso tradizionale e non rappresentano graficamente un suono,
come p. e. Vet.
Il M. doveva premettere all'ediz. un suo studio, che dice condotto già a
buon punto, sul Rinaldo e suU'Awmto ; ma da esso, aggiunge, essere stato
distolto da altre cure non certameute maggiori ne migliori.
Certo non era facil cosa dare una buona lezione di questi poemetti sempre
pubblicati scorrettissimamente. Mss. del Rinaldo non si conservano; àe\-
y Aminta uno autografo citano il Serassi (3) e il Fontanini (4) che lo rico-
nobbe come l'unico esemplare approvato dall'Aut. Questo era posseduto dal
marchese Ansaldi e servì alla stampa fatta in Pesaro (Nobili 1824), e già
prima il Poggiali (5) dice d'un autografo, probabilmente lo stesso, servito
all'edizione di Cornino (Padova 1722), la quale vanta condotta sui migliori
testi ; sebbene il Gamba (6) la dica superata dalle più recenti. Avremmo bra-
mato che il M. almeno di queste e d'altre poche ediz. principali avesse fatto
particolar menzione.
Torna qui opportuno ricordare come il M. abbia curato per la stessa rac-
colta la Gerusalemme; e inoltre abbia dato altri due scritti intorno al
Tasso, raccolti nel volumetto In Biblioteca : l'uno Della Gerusalemme con-
quistata, l'altro Sulle rime. In questo ultimo scritto il M. ben a ragione
gridava forte esser vergogna il non aver ancora una ediz., se non critica ,
almeno leggibile delle rime di Torquato, ed a ciò accenna anche in qualche
punto della prefazione alla stampa di cui parliamo. Siamo lieti ora di an-
nunciare al Mazzoni e a quanti s'occupano di cose letterarie che a riparare
(1) Pisa, Caparro, 1821-32.
(2) Roma, Dragondelli, 1666.
(3) Yita di T. T^, I, 242 e II, 369.
(4) Aminta difesa, pp. 377 e 384.
(5) Serie, I, 376, no 671.
(6) Serie, No 956.
424 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
tale vergogna e ad adempiere il desiderio attende con amore grande un
giovane studioso. Egli, non intendendo risparmiarsi fatiche, ci darà una
edizione critica, e, per quanto è possibile, completa di dette rime, e in questo
modo sarà pure adempiuto uno dei più ardenti voti dello sventurato poeta.
ADOLFO MABELLINI. — Delle rime dì Benvenuto Cellint —
Firenze, G. B. Paravia, 1885 (32°, pp. viii-334).
Al dr. Mabellini va tenuto conto che, quantunque egli abbia già varie
cosette alla luce del sole, è pur sempre un giovane che fa le sue prime
armi. In grazia di ciò molte imperfezioni di questo suo lavoro, se non vanno
taciute, che sarebbe disonesto, devono essere almeno compatite.
E di imperfezioni, a dir vero, ce ne sono parecchie, e non leggiere, in
questo opuscolo gonfiato a volume. Anzitutto vi è un vizio che chiameremo
metodico; l'A. è riuscito a convincersi che veramente le rime del Gellini
hanno una grande importanza, che egli è un poeta, o per lo meno, ad usare
le parole sue, che del poeta ha « il vero temperamento » (p. 288). Forse,
chi ben guardi troverà la prima radice di questo apprezzamento in una nota
marginale di Vittorio Alfieri, il quale in un suo esemplare della vita celli-
niana, imbattutosi nel verso Che molti io passo e chi mi passa arrivo,
scrisse che « esso solo svela che Benvenuto potea essere sommo poeta » (1).
Ora, l'Astigiano non è forse buon giudice di poesia? Si certo; ma chiunque
lo abbia in pratica sa come egli si lasciasse facilmente dominare dal pre-
concetto, e negli scatti del suo nervosismo, fra molte cose vere ed acute,
ne dicesse moltissime ingiuste o per lo meno esagerate. Qui i preconcetti
furono per lo meno due, l'amore e l'ammirazione ch'egli dovette avere per
il Gellini, che studiò molto e in parte imitò, l' impressione che dovette fargli
quel verso, di concetto e di tempra veramente alfieriano. Guai se si dovesse
dare il peso di giudizi meditati e attendibili a tutte le chiose che l'Alfieri
scrisse sui suoi libri e sui suoi scartafacci di Montpellier e di Firenze!
Nei versi del Gellini risplende talora la vivacità e l'arguzia del suo spi-
rito; ma noi non riusciamo a trovare in essi nessuna di quelle qualità che
cai'atterizzano il poeta. Né ci sembra giusto il dire col M. che i suoi difetti
dipendono da mancanza di educazione letteraria (p. 291). Infatti il Gellini
visse nelle migliori condizioni per riuscire, oltreché artista eccellente, anche
buon poeta: egli quasi sempre in mezzo a uomini colti, in luoghi ove let-
tere ed arti fiorivano di conserva, egli artista in un tempo in cui gli artisti
erano più o meno letterati quasi tutti. Gome riuscì limpido ed efficace pro-
satore, sarebbe riuscito anche buon fabbro di versi, se la natura a ciò lo
(1) Pagg. 293-94. Il M. ha fatto male a non avvertire che questa chiosa era già stata rilevata
nel 1829 dal Tassi.
BOLLETTINO BIBLIOORAPICO 426
avesse chiamato. Invece le sue rime sono stentate sino alla oscurità, sbi-
lenche, convenzionali, sciatte, insomma meno che mediocri.
Quindi noi non possiamo giudicare se non come un vizio di melodo la
considerazione larga e quasi solenne, che il M. ha creduto di dar loro. Che
valesse la pena di classificarle, come egli ha fatto, e di annotarle e ten^
tarne la spiegazione, meglio di quello che egli ha fatto, non lo neghiamo:
ma insisterci sopra troppo, no. Non contento della eccessiva larghezza data
al suo studio , il M. ha ^voluto assorgere talora a idee generali , toccare
in poche pagine, per es., del delitto nel rinascimento e del sentimento reli-
gioso nel sec. XVI. Quest* ultima considerazione specialmente (pp. 138-143)
è, nella brevità sua, veramente miseranda; e si capisce come, con quella
così monca preparazione, l'A. abbia potuto stupirsi molto del contradditorio
che v'è fra la religiosità del Gellini e le sue ribalderie, e come abbia po-
tuto ritenere « profondamente sentite » alcune frasi delle poesie religiose
di Benvenuto, nelle quali una mediocre pratica della poesia sacra del tempo
gli avrebbe rivelato il convenzionalismo (1). Tale deficienza di coltura gene-
rale fa che TA., segnatamente nel proemio (pp. 4-6), lardelli la sua prosa
di citazioni poco attendibili e meno ancora opportune; tale deficienza lo fa
uscire in spiegazioni e notizie che in un libro di erudizione muovono vera-
mente al sorriso; lo induce a dirci, per es., che « il vero nome del Lasca
« fu di Anton Francesco Grazzini » e perchè Lasca si denominasse (p. 52),
e che le Vite del Vasari sono « preziose per le notizie che ci forniscono e
« per la beata copia di lingua che le abbellisce » (p. 63 n.), e che la so-
domia fu quel peccato « pel quale Dante Alighieri riserbò il cantuccio d'una
« sua bolgia e vi pose il proprio maestro ser Brunetto Latini » (p. 106) (2).
E mentre l'A. si perde nelle generalità vuote e dice tante cose superflue,
egli è ben lungi dall' avere neppur tentato di chiarire le difficoltà che in
alcune delle rime celliniane si trovano, quantunque l' intendimento lodevole
di farlo sembri non gli sia mancato. Gli è che proprio in lui si vede una
certa repugnanza alle minuzie, che è cosa certamente non buona; tanto è
vero che non si cura neppure (e ci voleva ben poco) di dare una bibliografia
compiuta delle edizioni in cui compaiono le rime di Benvenuto (pp. 19-20)
e quando altrove cerca di determinare la cronologia precisa delle poesie
scritte in carcere, impiega prima una intera paginetta (pp. 125-26) a scusarsi
di farlo.
Eppure un lavoro simile, a voler riuscire veramente utile, avrebbe dovuto
essere né più né meno che un lavoro di ricerca minuta e definitiva. Né si
può dire che all' A. ne manchino le attitudini , che quando ci si mette fa
con garbo: ma egli deve ancora esser dominato da quella passione per le
grandi idee e per le sintesi affrettate, da quel desiderio di generalizzare, che
(1) Noto per incidenza che a p. 200 l'A. mostra credere sia un « concetto del Cellini » la
divisione delle tre anime, o meglio le tre diverse potenze che informano nn' anima sola. Ma
questa divisione è pare di tutta la filosofia scolastica e Dante stesso la segue ! Cfir. Purgai., XXV,
87 8gg.; Convito, III, 2 e IV, 7 ; Latiot, Tesoro, VI, 4.
(2) Per dare questa peregrina notizia il M. ù serve anche delle parole d'altri.
GiomaU storico, VI, fase. 18. 28
426 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
in alcune menti giovanili è una vera malattia. Il tempo gli insegnerà che
questa tendenza è tanto facile quanto è pericolosa, e che a' giorni nostri noi
non abbiamo bisogno di aumentare il cumulo, già lacrimevolmente grande,
delle sintesi imperfette ed erronee ; ma piuttosto di accrescere di fatti certi,
ben definiti, ben ordinati, ben caratterizzati le nostre cognizioni analitiche.
La maggiore benemerenza che il M. si sia acquistata con questo volume
si è certo quella che risulta dalla sua appendice. In due codici Riccardiani,
in due Magliabechiani e nelle Carte Vasari egli trovò parecchie rime inedite
di Benvenuto e le pubblica qui. Altri ha già osservato come sei dei sonetti
qui pubblicati appartengano al Caro (1). Del resto, tranne due sonetti amorosi
veramente notevoli (pp. 314-15), queste rime non escono dai motivi trattati
nelle altre celliniane già edite ; ma ciò non toglie che il M. abbia fatto bene
a stamparle. Anche qui un commento si fa talora desiderare , e in molti
luoghi il testo corre male. Sarà veramente difetto degli originali? Lo cre-
diamo volentieri in parecchi casi; ma in altri l'opera dell'editore avrebbe
potuto essere più diligente e oculata (2).
GIUSEPPE MAGRINI. — Studio critico su Benedetto Menzini.
— Napoli, Carlo La Cava, editore, 1885 (8^ pp. 105).
Un lacrimevole studio.
Il prof. Magrini s'era proposto un compito molto modesto, ma che avrebbe
pure potuto avere la sua attrattiva e la sua utilità : dire della vita del poeta
il puro necessario, attenendosi a quanto già ebbero a scriverne Francesco del
Teglia e Giuseppe Paolucci da Spello; ricostruirne il carattere, cercandone
gli elementi (son sue parole) per entro alle opere. Diciamo che il compito
poteva avere attrattiva ed utilità , sebbene sia un grande errore il credere
che la figura intellettuale e morale di uno scrittore possa ricavarsi intera
dai libri ch'egli ha lasciati, mentre assai spesso se ne debbon andare a rin-
tracciare certi lineamenti principali per mezzo ai fatti minuti e volgari della
vita cotidiana : ad ogni modo gli è certo che a questo compito il prof. Ma-
grini ha soddisfatto assai male. Letto il suo libercolo , del Menzini si sa
quello che si sapeva prima. Quella tale ricerca degli elementi e quella tale
ricostruzione del carattere riescono a questo sommario giudizio, che U Men-
ci) C&. N. Antologia , 16 sett. 1885 , p. 387. I sonetti dell' Apologia sono quelli che dal M.
sono stampati a pp. 299-302.
(2) La metrica in moltissimi versi avrebbe potuto rettificarsi senza introdurre modificazioni so-
stanziali. Talora la interpunzione proposta dall'editore è la causa prima, se non sola, della oscu-
rità (cfr. p. 313). Qualche difetto di interpretazione non manca. Ad es. nel fram. XXII il M.
legge (si parla di una donna) Ch'uman gel parea viva, e poi ch'è morta— Gissene al ciel di Dio
più fida ancella. E annota : « forse ciel; cielo umano contrapposto a cielo di Dio » (p. 316). Ma
se si leggesse CA' un angel parea viva , non sarebbe tutto chiaro ? Vm per un il M. non l' b»
mai trovato negli antichi mss.7
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 427
zini fu un mattoide (p. 34) afflitto di megalomania e di mania persecutrice.
Chi sperasse di trovare in queste pagine l'opera dello psicologo diligente ed
oculato, che ravvisa e distingue le movenze e gli atteggiamenti innumere-
voli di uno spirito ; che mette a nudo la sottil trama della vita interiore ;
che scopre gli elementi molteplici onde si compongono certe qualità del
carattere , che agli occhi del volgo paion tutte di un pezzo e di una tinta;
chi credesse di trovar ciò in queste pagine , sia pure in tenue grado , s'in-
gannerebbe a partito e perderebbe il suo tempo.
Ma s'ingannerebbe a partito e perderebbe il suo tempo del pari chi cre-
desse di trovarvi una erudizione letteraria conveniente al soggetto. Non solo
le osservazioncelle che l'A. viene facendo sopra le varie maniere di compo-
nimenti in cui il Menzini esercitò l'ingegno, e specie sopra le satire, sono
poverissima cosa; ma gli errori ond'egli viene seminando la sua trattazione
son tali e tanti, è tale e tanta la inettitudine di certi giudizi ond'ei la viene
corroborando, da non lasciar intendere come si cimenti a fare opera di cri-
tica chi prova d'avere a tale officio sì scarsa preparazione.
Alcuni esempi basteranno a far palese quanto affermiamo. A p. 15 il no-
tissimo Moneglia è detto un tal Moneglia , come se fosse uomo nuovo
nella storia letteraria italiana. A pp. 534 il Trissino e Vltalia liberata
dai Goti son fatti del secolo XVII. A p. 96 ci si parla di \iin numero
infinito di scrittori satirici, che, nel seicento, menarono a tondo la sferza,
e ci si gettano in un fascio davanti l'Alamanni, il Rosa, l'Aretino, il Doni,
il Franco ed il Sellano. Certi nomi, specie forastieri, sono conciati in istrano
modo. Al Magliabechi si regalano sempre due e. Lope de Vega diventa ,
ben inteso, Lopez de Vega. Al Voiture si regala un accento acuto sulla u ;
allo Scudéry (o alla Scudéry ?) si dà un accento grave in luogo dell'acuto ,
e una i in luogo della y. L'abate Colin, che il Molière transformò in Tris-
sotin, qui si trasforma in Cotèn. Uno dei Desmarels perde in tanta confu-
sione una s, mentre il Fontenelle, per non essere così subito riconosciuto
dal Muratori che gli vuol male, si fa chiamare Fontanelle. Questo disordine
si propaga dagli uomini ai falli e alle cose: Veuphuism degl'Inglesi diventa
per gli Italiani Veuphismo, e i fahliaux (veramente fablaux) si diluiscono
alquanto in fablieaux (pp. 61,102).
Veniamo alle vedute storiche ed ai giudizi dell'Autore. Ecco una piccola
immagine del secolo XVI (p. 25): « 11 carattere che contraddistingue il cin-
« quecento era lo scetticismo che, ridendo della superstizione popolare, della
« cavalleria , delle crociate , di tutte le forme religiose e di tutte le istitu-
« zioni vecchie e nuove , rivelava un'intenzione profonda foriera di riforma
« radicale che già rumoreggiava dal settentrione ». Ed ecco un ritrattino del
secolo XVII (p. 8): « Il secolo decimosettimo è secolo megalomaniaco : tutti
« scrivono , ma per amore di gloria ; e quasi tutti armonizzano nell'adula-
« zione scambievole , e nel far del Parnaso un nuovo Olimpo popolato da
« unk miriade di semidei maggiori e minori che, libando il soave nettare di
« Apollo, apprestato loro dalle Pieridi, producono il miele ascreo, panacea
« dei mortali ». Questo apotegma si trova proprio sull'uscio come per dire:
Lasciate ogni speranza , ecc.: il marinismo e l'arcadia sono manifestazioni
morbose detcrminate dal medesimo atrofizzaraento di spirito.
428 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
Come il lettore avrà notato, il prof. Magrini ha un modo suo di pensare
a cui si attaglia un modo ancora più suo di parlare. Egli è un anarchico
e un socialista in fatto di lingua , e spoglia i verbi dei loro reggimenti , e
toglie ai vocaboli la lor proprietà, e manda a soqquadro tutti gli ordinamenti
delle parti del discorso. Per lui un periodo diventa un momento di sosta (p. 5),
la fosforescenza toglie a fondamento le metafore strane (ibid.), il difetto
della vita vera può essere sostituito dal compassato tnovimento d'una vita
affatto convenzionale (p. 6), il farsi prete può riputarsi via facile sul cam-
mino dell'onore e della gloria (p. 8) , a Cristina di Svezia è dato godersi
sfacciatamente erotici amori (p. 23), è disturbata l'oscena soavità che sca-
turisce dal comandare alle plebi e dal succhiarne il sangue (p. 25), ecc., ecc.
In risarcimento di tante, forse non illegittime, ma ad ogni modo gravi ma-
nomissioni, l'A. regala alla lingua una ofanità divenuta m,oda (p. 25), la
quale, se non è l'astratto dell'aggettivo spagnuolo ufano, noi non sappiamo
davvero che altro si possa essere.
E diremo , per concludere , che questa ofanità di far libri senza aver
buono in mano per farli sarà si una moda, ma è di sicuro una pessima moda.
Le nozze del diavolo, novella di Gio. Battista Fagiuoli. — Fi-
renze, Salani, 1885 (16^ pp. 30).
Tutti sanno che il faceto poeta fiorentino , prendendo l'argomento dalla
nota novella di Niccolò Machiavelli, raccontò novamente in versi, rimaneg-
giandolo un poco, il curioso ed allegorico fatto, inserendolo in un capitolo
indirizzato a sua moglie. Dopo la stampa di tutte le Rime piacevoli uscite
dalla penna di lui, due volte, che sappiamo, era venuta fuori a parte questa
novella nel secolo nostro, la prima l'anno 1820, la seconda nel 1851 (1).
Quella fu tratta dalla edizione delle Rime , questa invece , comparsa prima
in alcuni numeri del giornale VArte, e poi raccolta in opuscolo, si afferma
esemplata sopra « un autografo », sebbene erroneamente venga dichiarata
«inedita». E assai notevole il brano seguente dell'avvertenza: « 11 Fagiuoli,
« checché sul conto suo voglia dirne la tradizione inveterata, non fu che una
« degli attuari della Cancelleria Arcivescovile fiorentina. 11 suo spirito libero
« ma onesto, in opposto alla corrente di un secolo perversamente cortigiano,
« da quegli a' quali non poteva piacere, si travolse a bella posta, ed in faccia
« al popolo ignorante volle coprirsi colla sciocca bizzania ». Come ben si
vede, in queste parole è adombrata la tesi presa a svolgere, non felicemente,
nel libro del Bencini (2) , al quale rimase ignoto questo opuscolo , donde
avrebbe potuto riconoscere che quel suo concetto non era nuovo affatto.
(1) Cfr. Passano, Novellieri in versi, Bologna, Bomagnolì, 1868, pp. 174 seg.
(2) n vero Oiovan Battista FagiuoU ecc., Firenze, 1884. Cfr. questo Oiornale, V, 459.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 429
L'edizione novissima messa fuori dal Salani venne curata da Giuseppe
Baccini che ha avuto il felice pensiero di riprodurre in quegli opuscoletti
destinati al popolo poesie piacevoli di autori classici; e già si sono veduti
il Lamento di Cecco da Varlungo del Baldovini , l'altro in morte della
Sandra del Fiacchi, La Nencia di Lorenzo de' Medici , La Beca da Dico-
mano del Pulci, e le curiose ottave del Cicognini in nome Pippo di Legnaia.
Egli non ha voluto seguire il testo delle Rime, ma ristampa la novella
« tale e quale » l'ha « trovata nell'autografo » conservato nella Bibl. Riccar-
diana (cod. 3486); e ciò perchè ha subito nella edizione delle Rime delle
modificazioni per opera della Censura. Abbiamo dunque due autografi, l'uno
appartenente ad un privato e seguito dall'editore del 1851, l'altro che ha ser-
vito alla presente edizione. Ora non paia strano che due siano gli originali
dell'autore, perchè dal confronto agevolmente si riconosce come quello del
1851 rappresenti la redazione forse di primo getto, ma senza meno anteriore
a quella del codice Riccardiano ; poiché , mentre non vi mancano i tratti
evidentemente modificati o espunti dalla Censura, non vi si leggono alcune
terzine recate dal secondo autografo, ed anche dalla stampa del secolo pas-
sato. Alcune altre varianti di forma, che si trovano nella stampa del 51 ri-
spetto a quella del Baccini, dipendono in parte da errori di lettura dell'ano-
nimo editore, e in parte da evidenti correzioni introdottevi più tardi dal
Fagiuoli stesso, il quale tuttavia, rivedendo il suo capitolo, mentre forse
l'ordinava per la stampa , modificò un verso , ma dimenticò di mettere in
accordo con esso le rime dei corrispondenti. Infatti nella stampa del 51 si
leggono le terzine 49 e 50 cosi :
Chi giudica e chi regna abbi dae orecchi
E non nn solo, e quello lungo, e a volo
Non creda a ognuno, ma senta parecchi.
Odi pertanto, o indiavolato stuolo ,
Se non è vero e diam retta a costoro.
Diranno che Fintone ò un gran faginolo.
Nella recente il secondo verso della prima invece di a volo , ha : duro ;
ma la seguente è tal quale. Di questo errore , non avvertito dal Baccini ,
s'accorse probabilmente il Fagiuoli, mandando in luce le rime, e corresse
come si vede nella vecchia stampa.
Può quindi ritenersi che la lezióne, che abbiamo dinanzi, sia, meno qualche
piccola variante introdotta dall' autore rivedendo le bozze, la definitiva e la
più compiuta. La più compiuta certamente, se si considera che alcuni cam-
biamenti e qualche soppressione sono dovuti alle forbici del revisore. La
terzina 9* dice, secondo l'autografo, parlando della novella:
Benchò dican persone accreditate.
Ch'ella sia storia, giacché il Machiarello
La racconta con troppa veri tate.
Il nome del gran segretario fiorentino costituiva di per sé un'eresia, nò
■doveva vedersi in iscrittura, neppure quando serviva ad un^alantuomo per
430 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
\in atto di lealtà ; comparisca il buon Fagìuoli plagiario , non monta, ma
l'abbominata parola non si pronunzia : e al poeta convenne mutare. Più in-
nanzi scriveva :
Però, diavoli miei, che dite voi?
Io voglio la Giustizia, e ch'ella sia
Fatta a ciascuno voglio ancor di poi;
E s'oggi v'è nel mondo carestia
Di chi intenda che cosa sia ragione,
Abbondi chi l'intenda in casa mia.
Che vi fosse più giustizia all' inferno che nel mondo non volle il censore
fosse affermato, e fu d'uopo rabberciare, tagliando via alla meglio. Toccando-
poi della spiritata, aveva detto, secondo il Machiavelli:
.... rivelava
Le cose più nascoste, e più celate.
Ed i peccati ch'an non confessava:
Fra gli altri ella scoperse quei d'un frate.
Che una donna vesti da frataccino,
E tenne seco in cella qnattr'annate.
Altro inevitabile taglio e accomodatura. È così resecato l'accenno al clero,,
ed all'altare da erigersi sul palco dove avea a comparire l'indemoniata fran-
cese. E qui tornerà opportuno avvertire da ultimo, che nella stampa con-
temporanea sono scomparsi tutti i nomi delle casate che figurano nella novella
originale in prosa, e che erano stati ripetuti dal Fagiuoli nell'autografo;
siccome i re di Napoli e di Francia sono cambiati in semplici signori. Non
so perchè il B. avendo recato il principio del capitolo, non ne abbia dato
anche la fine , che ne è la conveniente conclusione ; gli editori del 20 e
del 51, meglio avvisati, l'avevano riprodotto intero.
Sono rimasti in questo opuscoletto alcuni errori, che per la brevità e per
la sua natura popolare, non dovrebbero esserci. A p. 6, v. 24 contro leggi
conto; p. 7, v. 2 n' I. 'n; p. 8, v. 11 dir 1. di; p. 9, v. 11 E 1. È; p. 10,^
V. 28 cadrem 1. cadremo ; p. 12, v. 33 A coprire vi sonpur i capelli 1. A
coprirle... cappelli; p. 28, v. 12 perdesi 1. perdessi.
ERNESTO MASI. — Parrucche e Sanculotti nel secolo XVIIl..
— Milano, Treves, 1886 (16°, pp. xii-355).
Con questo titolo che determina, un po' bizzarramente, ma pur con verità,
quella lotta fra il vecchio e il nuovo che per diverse vie e aspetti vari fu
la cagione efficiente de' tempi moderni, il M. ha raccolto una serie di scritti^
già comparsi hinc inde, e in questa ristampa ritoccati e in qualche piccola
parte accresciuti. A parecchi hanno dato argomento alcuni libri importanti
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 431
o curiosi, che si vennero man mano pubblicando negli ultimi anni; ma non
si possono dire recensioni bibliografiche o critiche nel vero significato della
parola; poiché T A. assomma i tocchi più spiccati, o aggruppa le figure più
appariscenti, per delineare a sua volta un quadro, che è sovente sintesi ben
riuscita di più vasta tela. Non dico che egli tralasci a tempo e a luogo di
esporre il suo giudizio intorno all'opera dalla quale attinge la materia del
suo discorso , accennando eziandio ai difetti o alle inesattezze ; ma sovente
quel ch'ei ne pensa apparisce al lettore dalle viscere stesse del suo scritto,
onde gli riesce agevole intendere di qual natura sia quel lavoro, presentato
in questa guisa dal M. alla sua osservazione. Importa notare tuttavia che
alcuna volta l'A. sembra colto da improvvise impazienze, e quando chi le^e
crede essere condotto ad una conclusione omogenea ed opportuna, si trova
inopinatamente dinanzi la fine così tronca in modo poco piacevole. D'altra
parte però devesi riconoscere in lui il gran pregio di saper fare, anco rife-
rendosi a lavori altrui, opera originale; poiché avendo sortito ingegno acuto
e mente serena, sa con forma chiara e spigliata illustrare l'argomento con
la virtù delle proprie osservazioni , le quali non si scostano mai , o quasi ,
dalla giustizia e dalla equanimità.
E questa lode gli si deve altresì per i lavori propriamente originali, nei
quali é bello riscontrare la cura sollecita della ricerca , e lo studio di ri-
durre in acconcio ed artistico organismo il materiale raccolto. Di che ci por-
gono testimonianza in questo volume gli scritti intitolati: Frusta Letteraria
e Bue Pedagogo — / racconti della nonna — La figlia di Vincenzo Monti
— U Teatro Giacobino in Italia. L'A. già aveva parlato del Baretti e delle
persecuzioni veneziane di cui fu vittima nella sua importante monografia
intorno all'Albergati; ma qui si ferma più specialmente a lumeggiare con
inediti documenti la guerra fra il critico piemontese e il padre Appiano
Buonafede. Cosi un tratto della vita di quel randagio Scannabue ci è rivelata
per via di particolari, rimasti fino a qui nell'ombra, o non ben intesi e
chiariti dai biografi : donde si svela la molla che gli eccitò contro , se già
non fosse bastata la sua lingua sfrenata, tanta e così violenta ira della so-
spettosa repubblica. E la figura losca del frate, tanto dotto quanto misleale,
modifica l'impressione di certi eccessi del suo contradditore, che non era uno
stinco di santo. Il M. perciò non si fa né apologista dell'uno, né detrattore
dell'altro, ma giudica rettamente a tenore dei fatti che man mano viene
esponendo. Graziosa la forma dei Racconti della nonna , e adatta all'argo-
mento, siccome importanti i due fatti di ragione diversa rimasti nella tradi-
zione e nella poesia popolare ; il supplizio del ladro Lucchini tradito dalla
sua amante, e la morte dei due patrioti. De Rolandis, impiccato, e Zamboni
uccisosi, od ucciso nelle carceri. La Costanza Monti, moglie di Giulio Per-
ticari, ci é messa dinanzi agli occhi nella sua vera fisionomia, quale si rileva
dalle lettere sue e dai documenti contemporanei ; né dopo letto questo scritto,
che è de' meglio condotti , ci sentiamo disposti ad assolvere la bellissima
donna da certi peccati di mera leggerezza ; ma ci apparisce pura dalle ac-
cuse calunniose onde fu trafitta per vie bieche e sleali. 11 M. non dà al suo
lavoro né tono né colorito apologetico; ma conduce per mano il lettore a
convenire pienamente nelle sue conclusioni. Il teatro Giacobino in Italia è
432 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
titolo, a dir vero, troppo grande, rispetto allo svolgimento dato al soggetto,
della qual cosa sembra essersi accorto in qualche luogo l'A. stesso, poiché
cerca attenuarne l'estensione ; tuttavia, anche cosi com'è, il lavoro ha parti
importanti, e riesce veramente persuasivo là dove ricerca e discopre le affi-
nità del teatro italiano con quello francese del periodo rivoluzionario, e ne
rileva con acuta felicità le differenze. Manca un po' nell'insieme di fusione
e di omogeneità, ma in compenso vi sono osservazioni e rilievi importanti,
sì come molta padronanza della materia.
Come tutti sanno , il M. si è occupato tre volte del Goldoni , e nel già
citato libro intorno all'Albergati , e con una lodata prefazione alla prima
raccolta importante delle lettere del comico veneziano , e necessariamente
discorrendo per ultimo di Carlo Gozzi ; or qui con la Politica goldoniana
esamina un aspetto della vita di quel grande ; con le lettere di lui intorno
a Leonardo da Vinci, delle quali il nostro Giornale già altra volta si è
occupato, aggiunge alcunché alla sua biografia; infine per mezzo degli ap-
punti goldoniani riassume bellamente gli studi che sono venuti fuori sopra
il medesimo argomento.
La forma di conferenza lasciata allo scritto nel quale discorre del Meta-
stasio, scusa la rapidità della trattazione e il tacere o toccare appena alcuni
punti notevoli: pur chi ben guarda trova qualche cosa di nuovo e non detto
da altri, e riconosce la giustezza di parecchie sentenze derivate da squisito
sentimento dell'arte. Le lettere dell'Albergati e del De Rossi intorno ai
Drammi lagrimevoli, riprodotte qui con un breve preambolo, sono specchio
fedele di quanto valessero nella critica que' nostri antenati, i quali né inte-
ramente vecchi, né al tutto e coraggiosamente nuovi, si cullarono in uno
strano ibridismo, brancolando a tentoni in mezzo alle bufere politiche e let-
terarie onde furono colti.
Curioso il profilo di Dario Cappelli, Un sopravissuto, de' comici del vec-
chio stampo. Aveva conosciuto l'Alfieri negli ultimi anni, e poi ebbe dime-
stichezza col Pellico e con le Marchionni. Mori novantenne e poverissimo in
pieno secolo XIX dopo il '61 , e fu l'ultima parrucca, con cui si chiude il
geniale volume, in mezzo al quale stanno forse a disagio le brevi pagine
sulla Commedia reazionaria, che per la loro esiguità turbano il lieto concerto.
LEONE VICCHI. — Vincenzo Monti, le lettere e la politica in
Italia dal 1760 al 1830 {Triennio 1778-80). — Roma, For-
zani, 1885 (pp. xvi-372).
Questo volume forma la terza parte dell'opera che il V. sta dettando in-
torno a Vincenzo Monti ; terza nell'ordine materiale di stampa , ma prima
secondo la cronologia, e rispetto a quelle già edite, poiché comprende il
triennio nel quale il giovane poeta, partitosi dalla casa paterna, incominciò
nella desiderata Roma le sue prime prove. Non era nuovo affatto alla poesia.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 433
ehò già in patria aveva dato faori componimenti di varia maniera, e s*era
procacciata la conoscenza del Cancellieri e del Minzoni. Ma sentiva in se
uno smodato fuoco che lo rendeva bramoso di fama, e la sua terra gli ap-
pariva ristretta a spiegare le ali. Siamo dunque al punto in che egli abban-
dona Ferrara, e s'avvia a Roma. Intanto che il Monti corro per la sua strada,
VA. si distendo ad informarci del modo onde si facevano i viaggi a quei dì,
con molti particolari, riscontri, dati statistici, ed esempi ; quindi, prendendo
le mosse dalle diverse porte della città alle quali facevano capo le strade
esterne, viene a discorrere della topografia di Roma ; ed ecco dopo alquante
pagine ricomparirci dinnanzi il nostro poeta , che sta per entrarvi. Ma qui
il V, ci avverte che farà una intramessa per dare al lettore un « cenno sulla
Roma del 1778 », cioè della sua condizione politica ed amministrativa; e così
ce ne andiamo , dopo questo « cenno » che si prolunga per quasi duecento
pagine, a ritrovare il Monti, appena arrivato in città, essendovi entrato dalla
porta del Popolo il 26 maggio 1778 a due ore di notte.
Or vediamo finalmente il poeta all'opera, desideroso di mettersi innanzi,
e di trovare una occupazione proficua. I primi passi furono in Arcadia e
all'Accademia degli Aborigeni; né si lasciò sfuggire le buone occasioni di
nozze illustri per farsi strada. E già il suo nome usciva dalla comune schiera,
quando, trovandosi radunate parecchie poesie ed alcune prose, volle uscissero
in luce raccolte in un volume e corrette ; ciò fu il noto Saggio di poesie
edito a Livorno nel 1779. Esaminando questo libro riesce agevole riconoscere
quali fossero i concetti letterari del poeta , quale il suo ingegno e la sua
cultura ; per ciò il V. vi richiama l'attenzione del lettore , e ne rileva, per
questo lato, l'importanza del contenuto. Seguita quindi enumerando gli scritti
venuti fuori man mano dalla sua penna negli anni 1779-80 , e fra questi è
notevole la Prosopopea di Pericle , rifatta quasi del tutto più tardi, della
quale egli mette a riscontro le due redazioni. Si chiude quindi il volume,
con la storia particolareggiata delle contese letterarie fra il nostro poeta e
Tex-gesuita Galfo.
Questo è brevemente il contenuto del libro, nel quale, come abbiamo ve-
duto, si discorre del Monti assai poco; mentre invece l'A. s'intrattiene con
molta larghezza intorno alle condizioni di Roma a quei dì. Né vorremo noi
negare che vi siano utili e curiose notizie, e neppure che fossero a questo
luogo opportune; ma a nostro avviso era necessario meglio osservare l'eco-
nomia del lavoro, e non dilungarsi fuor misura in particolari minutezze:
occorreva mettere sotto gli occhi del lettore una ben accomodata sintesi, che
non lo distraesse per troppo lungo tratto dal principale soggetto. Inoltre, se
da un lato si riconoscono profittevoli alcune citazioni per disteso, altre, come
gli estratti lunghissimi dal Diario del Cracas, riescono affatto superflue. Si
dica lo stesso di parecchi brani riprodotti per intero dalla nota opera del
Silvagni, della quale bastava citare la pagina. Anzi a questo proposito av-
vertiremo come sia al tutto trascurata siffatta maniera di citazione, poiché
l'A. si limita a ripetere inutilmente ad ogni momento il titolo dell'opera
onde attinge, con le relative note tipografiche, il che bastava fosse fatto la
prima volta.
Osserveremo poi che non conosciamo una commedia di Carlo Gozzi inti-
434 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
tolata: L'Avventuriere onorato (p. 148), bensì quella notissima del Goldoni; e
che non ci persuadono le ragioni con le quali l'A. nega al Chigi la parte-
cipazione nella celebre satira II Conclave^ attribuita all'abate Sertor. Il carat-
tere del principe Sigismondo, come ci è assai bene rappresentato dall'Ade-
mollo e dall'autore stesso nel precedente volume, ce lo fa credere capacissimo
d'aver ispirato, ed anche posto mano in quella pasquinata. Quanto alle stampe
di questo dramma satirico, non sono certo cosi rare, secondo afferma il V. ;
ne abbiamo dinnanzi l'edizione procurata da G. A. Ranza in Bologna l'anno
secondo della Repubblica Cisalpina, che contiene il Memoriale in ottave
rivolto al Papa dal Sertor, con la risposta pur a lui attribuita.
Non possiamo infine rimanerci dal notare la forma molto trascurata, e la
mancanza di un appropriato organismo ; e deploriamo poi vivamente la inop-
portuna prefazione, e certi tocchi (chiamiamoli così) in nota affatto fuor di
luogo.
ALESSANDRO D'ANCONA. — Varietà storiche e letterarie. —
Serie seconda. — Milano, Fratelli Treves, 1885 (8^ pp. 393).
Diamo qui appresso i titoli, e indichiamo sommariamente il contenuto dei
sedici saggi che compongono questa seconda serie , pubblicata pur ora (1).
Ricordiamo trattarsi di scritti già sparsamente pubblicati, senza di che ne
avremmo dato più minuto ragguaglio.
I. Il Romanzo della Rosa in italiano. Tratta del Fiore, traduzione molto
abbreviata, in sonetti, del famoso Roman de la Rose, pubblicata da Ferdi-
nando Gastets a Montpellier, nel 1881. A p. 30 un'importante nota aggiunta
tratta di quel Sigieri di Brabante che l'Alighieri ricorda nel X del Para-
diso. — II. H Veltro di Dante. Espone e corrobora una opinione assai plau-
sibile del Del Lungo, che col famoso suo veltro Dante non abbia già voluto
indicare una determinata persona , a lui nota , e nemmeno un imperatore
invocato, ma bensì un pontefice di là da venire. — III. Di alcuni pretesi
versi danteschi. Sopra i versi pubblicati da Gregorio Palmieri nel 1878, in-
tomo ai quali si fece allora un certo rumore nei giornali inglesi. L'A. mostra
che non possono essere di Dante, e con ingegnose ragioni cerca l'origine
probabile della interpolazione. Accenna ad alcune altre interpolazioni fatte
nella Commedia. — IV. La poesia politica italiana ai tem.pi di Lodovico
il Bavaro. L'A. cerca nella poesia del tempo la eco delle speranze, dei
giudizi, delle passioni cui fece nascere in Italia , prima la calata del Ba-
varo, poi la sua trista dipartita. I componimenti ricordati sono: una canzone
attribuita a Pietro o Iacopo di Dante, un'altra dell'Imolese Iacopo Carradori,
una terza di Fazio degli Uberti, la nota profezia di frate Stoppa dei Bostichi,
un canto popolare contumelioso , il Centiloquio di Antonio Pucci, il Ditta-
mondo ; in appendice una poesia latina inedita , tratta dal codice parigino
(1) Vedi per la prima serie, Giornale, II, 417.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 435
della Nazionale 5696, opera di un chierico normanno che voleva gratificarsi
Giovanni XXII. — VI. Il Regno d'Adria. Disegno di secolarizzazione degli
stati pontifici nel secolo XIV. E la storia di questo singolare disegno, ideato
dall'antipapa Clemente VII , rifatta sulle tracce di Paolo Durrieu , che la
espose nella Revue des questions historiques del 1880. — VII. L'antico studio
fiorentino. Notizia delle vicende e degli ordinamenti di questo studio, tratta
dalla pubblicazione di Alessandro Qhcrardi, Gli statuti della Università e
Studio fiorentino dell'anno MCCCLXXXVII ecc., Firenze, 1881.— VIII. L'an-
tico linguaggio politico ed amministrativo d'Italia. Dà conto del libro di
Giulio Rezasco, Dizionario del linguaggio italiano storico ed amministra-
tivo (Firenze , 1882 ) che riceve in queste pagine il meritato encomio. —
IX. Due antichi Fiorentini: Ser Iacopo Mazzei e Bernardo Rucellai. In-
teressanti ed acconco spigolature da una pubblicazione di Cesare Guasti ,
Lettole di un notaro a un m^cante del secolo XIV (Firenze, 1881) e da
una di G. Marcotti, Un mercante fiorentino e la sua famiglia nel secolo XV
(Firenze, 1881). — X. Una gentildonna fiorentina del secolo XV. Spigola-
ture dalle Lettere di una gentildonna fiorentina (Alessandra Macinghi negli
Strozzi) del secolo XV ai figliuoli suoi, pubblicate da Cesare Guasti , Fi-
renze, 1877. — XI. Alessandro VI e il Valentino in novella. L'A. rileva
accortamente come nella novella decima della Deca nona degli Ecatommiti
di G. B. Giraldi Cintio sieno, sotto nomi supposti, ritratti Alessandro VI e
Cesare Borgia e narrata la fine di entrambi. Nota inoltre come nella novella
seconda di quella medesima Deca si narri la storia di Corradino di Svevia.
— XII. Giangiorgio Trissino. Dà conto del libro del Morsolin, Giangiorgio
Trissino o Monografia di un Letterato del secolo XVI, Vicenza , 1878, e
di altre pubblicazioni d'elio stesso autore riguardanti il poeta Vicentino. —
XIII. / comici italiani in Francia. Notizia messa insieme principalmente
con la scorta dell'ottimo libro del Baschet, Les Comédiens italiens à la Cour
de France sous Charles IX, Henri III, Henri IV et Louis XIII, Parigi, 1882.
— XIV. Unità e federazione. Studi retrospettivi (1792-1814). Interessanti
notizie della duplice forma in che ripetutamente si venne manifestando in
quegli anni il sentimento nazionale degl'Italiani. — XV. Poesia e musica popo-
lare italiana nel nostro secolo (con quattro tavole musicali). L'A. parla, attin-
gendo a ricordi propri ed a stampe, di molti canti popolari, amorosi, satirici,
politici, guerreschi che ebbero voga in Italia prima e dopo del quarantotto.
— XVI. Carlo Tenca e i suoi scritti di critica letteraria. Giusto tributo
d'onore all'uomo egregio che l'Italia perdette or son due anni e di cui Tulio
Massarani attende a pubblicare gli scritti.
Dato questo breve sommario, non abbiam bisogno di aggiungere che gli
scritti tutti raccolti in questo secondo volume, sia che dien conto di liLri e
di ricerche altrui , sia che offrano indagini e risultati propri , fan sempre
testimonio del senso storico retto e squisito, della eccellenza e sicurtà del
metodo, dell'amplissima e varia dottrina che gli studiosi da gran tempo co-
noscono essere doti possedute in sommo grado dall'autore, e che in essi si
ha esempio di quella maniera di lavoro appunto per cui soltanto la nostra
storia letteraria potrà acquistare la pienezza e l'esattezza che troppo ancora
le mancano.
436 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
EMILIO PENCO. — storia della letteratura italiana. — Vo-
lume primo. Le origini. — Firenze, tipografia di Gr. Barbèra,
1866 (8% pp. vii-183).
Non sappiamo quale ineluttabile necessità abbia potuto spingere il pro-
fessore Emilio Penco a pubblicar questo libro; ma, qual ch'essa sia, non
possiamo se non deplorarla. Nella breve prefazione dice l'A. d'essersi accinto
all'ardua impresa con quell'entusiasmo giovanile, il quale, sprezzati gV in-
ciampi, altro non vede che lo splendor della meta; e soggiunge che gli
ostacoli non lo sgominarono. Assai meglio sarebbe stato spendere questo
giovanile entusiasmo in istudiare anzi che in iscrivere; o se scrivere si voleva
ad ogni modo, bisognava ricordarsi almeno che non basta guardare lo splendor
della meta, ma si deve anzi tutto sapere dove si mettono i piedi. Manifestati
gl'intendimenti suoi, l'A. si dice pronto a ricredersi d'ogni suo errore, qua-
lora altri il convinca del mancamento colla dignità civile che impone a
chi lavora nello stesso campo di sostenersi a vicenda, con stima affettuosa,
e largo compatimento. Questa specie di captatio benevolentiae dà una po-
vera idea del concetto che il sig. P. si è formato della critica e degli offici
suoi. Non signore; non c'è dignità civile che imponga altrui di sostenere i
guastamestieri e di compatire agl'incompatibili spropositi; anzi la dignità
civile, e più particolarmente la dignità degli studi, che è dignità dell'umano
intelletto, vogliono appunto il contrario. Dovere della critica sensata ed
onesta, fatta in servigio, non degli scrittori, ma degli studi, è di sterpare
dalle radici, senza esitanze e senza ipocrite cerimonie, queste male piante,
che d'ogni parte invadono e aduggiano di mala ombra le scuole. I dieci-
mila arcadi, che ai tempi del Baretti assordavano d'insen.sate rime l'Italia,
smesso di far versi, si son dati alla erudizione e alla critica, senza però mu-
tare gli abiti della mente e il costume. Son sempre gli stessi, salvo che fan
più male: allora dicevano melensaggini; ora dicono spropositi.
Per non parlar d'altro, da un pezzo in qua fioccano storie letterarie
Come fa neve in Alpe senza vento,
e l'una è peggiore dell'altra, e il critico non ripara a dir di tutte tutto il
mal che si meritano. Questa, di cui parliamo, è certamente tra le peggiori,
e il sig. P. s'inganna a partito quando spera di poter giovare per essa alla
gioventù studiosa d'Italia. Giovare? eh, via! Non si giova alla gioventù
studiosa insegnando che la lingua italiana deriva dai dialetti italici coesi-
stenti col latino (p. 1) ; che le serventesi furono animiate dall' imm,aginativa
fecondissima degli Arabi (p. 3); che Folchetto (quale di grazia?) fu uno dei
trovatori italiani che poetarono in provenzale, dimenticando poi nientemeno
che Bordello (p. 3); che la lingua antica siciliana trionfò in Toscana (p. 12);
che la tenzone (sic) di Giulio d'Alcamo risonò in un baleno ad ogni convito,
echeggiò sulle bocche dei cavalieri e delle castellane (p. 12) ; che Pier delle
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 437
Vigne fu quegli che introdusse le similitudini nella poesia (p. 19) ; che Àn*
tonio Pucci rifece il Be Taediis di Gherardo Pateclo (p. 35) ecc. ecc. Non si
giova alla gioventù studiosa dando per vere cose false, per certe cose dubbie,
ponendo tra i siciliani Folcacchiero dei Folcacchieri (p. 20), che fu senese;
parlando degli struggimenti di cuore di Nina Siciliana quando è tutt* altro
che certo che una Nina Siciliana sia esistita mai (p. 57); parlando del contrasto
di Cielo dal Gamo senza fare la più piccola allusione alle infinite questioni che
si fecero intorno a quella poesia ed al suo autore ; affermando che Pier delle
Vigne è il primo che compose sonetti (p. 19) ecc. Non si giova alla gioventù
con una trattazione monca , scucita , disordinata ; con dar prova di nessun
discernimento nella scelta dei libri con Taiuto dei quali la trattazione stessa
si viene facendo; con attingere spesso a fonti che a loro volta sono compi-
lazioni di seconda e di terza mano; con correr del rimanente per sua l'opera
del Bartoli; con mostrare di non aver cognizione alcuna delle edizioni mi-
gliori ; col mostrarsi pochissimo e malissimo informato di certe questioni
grosse, quale sarebbe quella di Dino Compagni; con sbrigare in quattro pa-
role parti importantissime della storia letteraria delle origini, quale quella
della diffusione della epopea francese in Italia; con non dir verbo di fatti
rilevantissimi; coll'avventare in lingua e stile deplorabili giudizi incongrui
0 impertinenti. A p. 115, n. 4, troviamo detto che il Gantù, qui chiamato
con isfacciata quanto bugiarda lode il più grande storico moderno, rivide le
bozze del libro. Davvero? Le nostre congratulazioni.
Il sig. P. impiega le ultime venti pagine del suo volume in dare i giu-
dizi di eminenti letterati e della stampa sopra non sappiamo qual suo liber-
colo petrarchesco. Gli eminenti letterati sono Giulio Garcano, G. B. Giuliani
e Antonio Crocco; ma tutti sanno che cosa valgano certe lodi date per let-
tera da persone che non s'aspettano di vedersi stampare le lettere che scri-
vono. Ad ogni modo, mentre il Giuliani si congratula con l'autore della
leggiadria del suo stile, il sig. Crocco lo esorta in sostanza a scrivere un
pochino meglio. I giudizi della stampa son ciò che si può immaginare di
più ameno, e in questa gara di lodi fan bella mostra di sé II Fossanese,
La Staffetta di Napoli, L'Ordine di Ancona, La Sicilia Cattolica di Pa-
lermo, Il Cittadino di Ancona, L'Avanguardia di Cosenza. Ci duole che il
nostro Giornale non possa accompagnarsi con si lieta brigata.
In copertina il sig. P. annunzia la prossima pubblicazione del secondo
volume dell'opera sua. Ascolti, se crede, un nostro consiglio, o piuttosto il
consiglio di Guido da Montefeltro: sia
Lnag» promessa coll'attender corto.
EDUARDO MAGLI ANI. — Storia letteraria delle donne italiane,
— Napoli, A. Morano, 1885 (16', pp. vi-269).
Questo libro, quantunque presentato al pubblico dall'editore Morano come
« il compimento » delle « insuperabili letterature di Settembrini e De Sanctis »
438 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
è sì povera, sciatta e spropositata cosa, che ci asterremmo volentieri dal
parlarne, se oltre l'obbligo di additare agli studiosi i libri buoni, non aves-
simo quello di far loro evitare i libri cattivi e gli inconcludenti.
Con una dozzina di opere diverse di valore e di intenti, che vengono qui
citate come Dio non vuole, il sig. M. ha compilato questa sedicente storia
letteraria delle donne, della quale abbiamo ora, a quanto sembra, solamente
il primo volume, poiché TA. non vi si spinge oltre il sec. XVI. Noi ne leg-
gemmo una buona metà di questo volume, e per quanto una simile lettura
ci tenesse allegri, non abbiamo creduto necessario di proseguirla sino al fondo.
Comincia il M. parlandoci della letteratura provenzale, che per lui è una
« letteratura fenomenale » (p. 9), cui mancarono « le coscienze, il contenuto
« sempre nuovo e sempre mutabile della realtà, la nazione, le persona-
« lità » (p. 10). Quantunque a p. 13 egli abbia il coraggio di affermare che
ha d'innanzi « non pochi documenti », chiaro si discerne aver egli affron-
tato questa parte del suo tema senz' altra guida che alcuni pochi e mal
scelti volumi di erudizione. Egli ha bisogno di imparare dal Ginguené (o
Ginquené, come a lui piace chiamarlo sempre) che le vite dei poeti provenzali
del Nostredame sono poco attendibili (p. 7); ma ciò non toglie che presti
fede al Monaco delle Isole d'Oro (1) e si abbandoni fiducioso al Millot. Del
Diez non sa nulla e si può giurare che ha consultato il Raynouard solo per
riferire qualche brano provenzale, che altrove avea trovato tradotto. Quindi
non sospetta neppure che tutto quel bell'edifìcio intorno alle corti d'amore
ch'egli vagheggia sia stato in gran parte rovinato dall'acume e dalla dot-
trina del massimo fra i romanisti. Ma questo sarebbe ancora meno male;
giacché noi non crediamo definitivamente risoluta la questione, né lo sarà
finché non si riprenda seriamente ad esaminare il curioso libro di Andrea
cappellano. Ve ben di peggio in queste pagine. L'A. non riferisce quasi
mai rettamente i nomi dei trovatori ; egli continua a credere alle grandi
influenze della civiltà e della coltura araba nel mezzodì della Francia (p. 10);
egli reputa che tenzon sia una parola provenzale (p. 3); egli definisce le
cohle « antiche poesie divise in stanze, che per lo più contengono amorose
« dichiarazioni » (p. 12); egli prende Vensenhamen di Amanieu De Sescas
per « un lungo poema sull'educazione delle dame » e lo considera quale pre-
cursore del Castiglione (p. 9). Quest'ultimo granciporro mostra come l'A. non
si sia neppure presa la briga di andar a vedere i documenti che più diret-
tamente dovevano interessarlo.
Né si creda che sia più forte allorché si addentra propriamente nel suo
territorio, la letteratura italiana. Sprovvisto di ogni critica, vede poetesse
dovunque : accetta a chius'occhi la Nina, fa scrivere in rima la problema-
tica Selvaggia de' Vergiolesi (p. 46), appoggiandosi a un suo preteso madri-
gale (2) e fa la peregrina scoperta che questa Selvaggia « visse prima del
(1) Sa questa e soUe altre fonti del Nostredame vedi Babtsch, Die Quellen von Jehan de Nosire-
damxa, in Jakrb. /. rom. u. engl. Liti., XIII, 5-18. Cfr. Meteb, Les dernùrs troub. de la Prov.,
Paris, 1871, pp. 16-17.
(2) Cfr. Babtoli, St., IV, 63, n. 3.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 439
« Petrarca » (p. 45). Il M. ha ancora la fortuna di prestar fedo ad un gruppo
di poetesse vissuto nel soc. XIV, Giustina Perotti, Leonora della Oonga,
Ortensia di Guglielmo , Livia del Chiavello , e a loro consacra un intero
capitoletto (pp. 59-66), chiamandole petrarchiste. Questa sezione delle petrar-
chiste l'A. la vorrà poi conservata gelosamente anche negli altri secoli, a
rischio che gli succeda come nel sec. XV, ove ha un capitolo intitolato pe-
trarchiste (pp. 115 sgg.) senza pur una letterata che possa veramente dirsi
seguace del Petrarca. Nel sec. XIV (chi lo crederebbe?) queste petrarchiste,
di autenticità .sicurissima, come abbiamo veduto, « non leggevano nemmeno
« il libro delle preghiere e ricevevano un'educazione di ferro, com'era il so-
« colo » (p. 63). Non vi sembrano una cosa ghiotta le belle petrarchiste
del trecento, che con tutta la loro educazione di ferro non sono mai esistite?
A p. 69 impariamo che Brunetto Latini e Guido Guinicelli furono profes-
sori nell'università di Bologna, dalla quale uscirono, con Gino, Guido Caval-
canti e Dante Alighieri. A p. 71 ci si dice che nel De claris mulieribus
vien confusa la storia col mito. A p. 115 rileviamo che solo nel sec. XV
apparisce nella poesia italiana « una nuova forma », che è, per chi noi
sapesse, « 1' ottava rima ». Ma non basta. « Fiorivano intanto anche a Fi-
« renze due nuovi generi poetici nati dal popolo ; erano una poesia profana
« ed un'altra sacra : lo strambotto esclusivamente adoperato dal popolo e
« rifiutato dalle corti, e la laude, un componimento religioso ch'ebbe tra
« i migliori interpreti Lucrezia Tornabuoni e Antonia Pulci ». La quale
Antonia Pulci non si accontentava di comporre delle laudi, ma « scrisse
« anche lei un romanzo nominato la Regina d" Oriente » (p. 120). Questa
Antonia è proprio degng di andar a braccetto con quella signora Palla di
Firenze, che « fa dell'esiglio un tranquillo e delizioso soggiorno » a p. 131.
Le poche citazioni fatte ammaestrano abbastanza sulla importanza del
libro. Anche quando l'A. copia, e gli avviene spesso, come fu dimostrato (1),
egli non può far a meno di cadere in inesattezze ed errori, sicché le verità
meno discusse in bocca sua diventano quasi contestabili. Egli non ha idea
chiara di nulla, e quando va a tentoni con quella sua prosa scorretta e
bracalo na a traverso i nostri secoli letterari, dei quali non capisce lo spi-
rito, è una pietà il vederlo. Noi non possiamo neppure incoraggiarlo a rifare
il lavoro con migliore preparazione : ci sembra che a questi studi gli manchi
ogni attitudine.
A. DE NINO. — Briciole letterarie. — Volume II, Lanciano, R. Ca-
rabba, 1885 (12», pp. 284).
Al primo volume di questa raccolta dei suoi scritti sparsi , del quale ab-
biamo già reso conto, il De Nino ne ha fatto sollecitamente seguire un
secondo, non inferiore per nitidezza di tipi al precedente.
(1) Dal ToBBACA, nelU Ratttgna del 19 sett. 1885.
440 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
In quanto al contenuto però, anche a proposito di questo volume, si potreb-
bero ripetere le osservazioni già fatte (1) ; vale a dire che se nell' autore
fosse stato un po' meno vivace il sentimento di tenerezza per i suoi parti ,
cosi da indurlo a sacrificare davvero i deboli e gli infermicci, il volume, se
scemato di mole, ne sarebbe però cresciuto di pregio. Ad ogni modo, dacché
l'autore stesso sembra nella Prefazione disposto a dividere questa nostra
opinione, così staremo contenti di avvertire come anche nel presente volume
si leggano alcuni scritti , non scevri di interesse per gli studiosi. Ricorderò
quindi, lasciando in disparte quelli d'argomento non letterario, lo scritto in-
titolato Pasquale Borrelli ed il romanzo storico di P. Colletta, nel quale
sono opportunamente recati in mezzo nuovi dati biografici sul Borrelli ,
egregio giureconsulto napoletano, vissuto fra le procelle dell'età napoleonica,
di cui trattò anche il Fiorentino. 11 De Nino combatte le accuse che contro
il suo biografato lanciò il Colletta , il quale del resto fu pagato di eguale
moneta dal Borrelli così nel Saggio sul romanzo storico di Pietro Col-
letta , come nei Casi memorabili antichi e moderni del regno di Napoli.
Non senza curiosità si leggono anche gli scritti su Giacomo Caldera ed
il suo sepolcro , sul Mattei , poeta vernacolo di Rieti (1622-1705) , e le
notizie intorno ad alcune monete di Cittaducale e di Ortona, a Gentile
da Leonessa , alle opere letterarie dell' astronomo Capocci. Una parte non
scarsa del volume è occupata poi dalla ristampa di un poemetto in verna-
colo Scannese, scritto nel secolo scorso da Romualdo Parente, giureconsulto
e poeta. Il poema, intitolato Lu matremonio azz'uso o sciengano le nozze
tra Mariella e Nanno della terra di Scanno, consta di 57 ottave, ed oltre
all' essere curioso documento per la storia dei costumi , può anche offrire
materia di osservazioni ai cultori degli studi dialettali. Il De Nino ha cre-
duto necessario corredare la stampa di una letterale versione; per conto
nostro ci sarebbe stato più caro che egli si fosse limitato a dare note di-
chiarative soltanto delle voci di più ardua intelligenza, e, lasciando da parte
certi scrupoli, ci avesse fatto invece conoscere anche l'altro componimento
vernacolo ed inedito del Parente , La figlienna de Mariella , che è delle
Nozze la continuazione. Gli ammiratori del Muratori troveranno infine in
questo volume quattro lettere inedite, da lui scritte nel corso del 1737 e '38
all'abbate Pietro PoUidori lancianese; uomo che lasciò a monumento del
suo ingegno e della sua erudizione molte e pregevoli opere storiche, nonché
un bizzarro libretto , volto a difendere i Calabresi dall' imputazione , che si
faceva loro dai volghi italiani, di aver essi tormentato, essi crocifisso Gesù
Cristo!
(1) Yedl Cfiornale, V, 307.
SPOGLIO DELLE PUBBLICAZIONI PERIODICHE
(1)
IT^LIAIsrE
Annali universali di medicina e chirurgia (Milano):
Voi. GCLXXI, 1885. — P. 228 : A. Corradi, Un libro raro di sifilografia
e un'edizione ignota del Benivieni. — Voi. GGLXXII, p. 312 : [A. Corradi],
Biblioteca di un medico marchigiano del sec. XIV. [Nel codice diploma-
tico di S. Vittoria, circond. di Fermo, il Gianandrea trovò l'inventario dei
libri posseduti dal medico trecentista maestro Ugolino di Nuzio e lo pub-
blicò nel Bibliofilo (an. VI). I volumi sono 46. Il C. ripubblica qui questo
elenco, corredandolo di numerose illustrazioni].
Archivio glottologico italiano (Torino):
Voi. Vili, 1882-1885. — Puntate 24 (ritardate): G. Ulrich, Canzoni ladine,
— F. e C. Cipolla, Dei coloni tedeschi nei XIII Comuni Veronesi. —
G. Ulrich, Susanna, sacra rappresentazione del secolo XVII, testo ladino,
varietà di Bravugn. [Cf. voi. IX, pp. 107-114]. — De Gregorio, Fonetica
dei dialetti gallo-italici di Sicilia. — Flechia, Annotazioni sistematiche alle
Antiche Rime Genovesi (voi. Il, pp. 161-312) e alle Prose Genovesi (voi. Vili,
pp. 1-97); § I. Lessico. — Morosi, Osservazioni ed aggiunte alla Fonetica
wei dialetti gallo italici di Sicilia.
Archivio per lo studio delle tradizioni popolari (Palermo) :
Voi. IV, 1885. — Fase. 2'>: U. Antonio Amico, Lu 'nfemu di san Par
iriziu. [Poemetto popolare siciliano in ottava rima, nel quale un omu prò-
spiru e felici viene condotto dal demonio pri un piccatu chi nun lassa mai
a visitare l'inferno. Rozza, ma efficace descrizione delle pene infernali. In
qualche luogo si potrebbe ravvisare un influsso (forse indiretto) di Dante.
Il peccatore si trova dapprincipio 'ntra un boscu scurusu e sulla porta in-
fernale sta scritto: 'Scitini di spiranza vui chi ^ntrati"]. — V. Di Giotànni,
n lastrone dei debitori in Salaparuta nel 1633. [A Salaparuta esiste ancora
« un ben lungo e largo lastrone, sul quale, dice la tradizione, erano obbligati
< i debitori dare publico e ignominioso spettacolo della loro misera condi-
« zione ». La pena era simile a quella che si infliggeva in Firenze, e mentre
la si faceva subire al paziente gli si diceva : chi ha di aviri si venghi e
(1) I presente Spoglio riguarda i mesi di giugno, loglio, agosto, settembre, ottobre 1885.
OiomaU storico, VI, fase. 18. 29
442 SPOGLIO DELLE PUBBLICAZIONI PERIODICHE
paghi. L'A. pubblica documenti]. — F. Lionti, Una consuetudine cnrnevor
lesca della città di Trapani. [< Molte persone riunite fra loro gridando e
« facendo baccano giravano per tutte le vie e viuzze della città, o permet-
« tevansi di chiamare per nome le donne del paese, rivolgendo al loro indi-
« rizzo parole ed atti disonesti ». Poiché le conseguenze di questo cattivo
uso erano molte volte tragiche, il presidente del Regno ordinava il 31 gen-
naio 1545 al capitano di Trapani di proibire tale consuetudine. Qui si pub-
blica la sua lettera]. — D. Giampoli, La leggenda d'Ovidio in Sulmona.
[Gfr. Giornale., V, 485]. — C. Pasqualigo, Recensione della memoria di
À. Gloria, Volgare illustre nel liOO e proverbi volgari nel 1200. [Vedi
Giornale, VI, 253. Notizie sulla raccolta di proverbi di Geremia da Monta-
gnone fatta nel sec. Xllll — Fase. 3» : A. Neri , Il monarca dei matti,
costumanza carnevalesca di Bormio nel sec. XVII. [Tratto dal libro del
Neri Costum. e solazzi, pp. 102-106]. — G. Gennari, Delle mattinate.
S Questa breve dissertazione riguarda le gazzarre per le seconde nozze, che
popolino suol fare in tutte le parti d'Italia. Stampata nel 1822 e divenuta
assai rara, viene or q_ui riprodotta dal D'Ancona, che nella breve prefazione
che le manda innanzi enumera i nomi diversi che questa consuetudine ha
nelle provincie italiane ed esprime una sua congettura intorno a quello di
mattinate, che sembra a prima giunta il meno proprio]. — G. Finamore ,
I dodici mesi dell'anno. [Diverse redazioni meridionali. Gfr. Giorn., II, 250].
Archivio della Società Romana di Storia Patria (Roma):
Voi. Vili, 1885. — Fase. 1-2: B. Fontana, Documenti dell'Archivio Va-
ticano e delV Estense circa il soggiorno di Calvino a Ferrara. — F. Torraca,
Cola di Rienzo e la canzone Spirto gentil di F. Petrarca. [Lavoro pieno
d'acume e ingegnosissimo. L'A. sostiene che la nota canzone non può ad-
altri riferirsi che a Gola di Rienzo. Vuoisi notare peraltro che Licurgo Pie-
retti recò novamente, in un opuscolo molto pregevole, gravi ragioni in con-
trario, e promise tornare sull argomento. Il T. gli risponderà. La questione
s'ingrossa, giacché sappiamo avere il Bartoli trovata m altri codici la can-
zone intitolata a Rosone da Gubbio]. — U. Balzani, Landolfo e Giovanni
Colonna secondo un codice Bodleiano. [Si tratta di Landolfo Colonna, cano-
nico di Chartres, autore del Breviarium Historiarum, e del trattato De statu
et mutatione Rom,ani Imperii, e di suo nipote Giovanni, autore del Mare
Historiarum. L'A. mette insieme alcune buone notizie di questi scrittori e
addita parecchie erronee opinioni dei biografi. Pubblica in fine una notizia
della morte di Giovanni de' Conti, arcivescovo di Nicosia e di Cipro, una
lettera di Landolfo a Giovanni, un frammento di cronaca (1294-1311) il
tutto tratto dal cod. 131 della Bodleiana di Oxford. Pare gli sia sfuggito
S[uanto di Landolfo ebbe a dire A. Thomas nel suo volume, Les lettres à
a cour des papes, Roma, 1884]. — A. Monaci, Una questione sulla scrit-
tura bollatica.
Archivio storico italiano (Firenze) :
Serie IV, voi. XVI, 1885. — Disp. 4*: L. A. Ferrai, E processo di Pier
Paolo Vergerio. [Continuaz. e fine. Vedi Giornale, V, 470. 1 documenti sono
inseriti nella disp. 5a]. — A. Reumont, Carlo Witte. [Articolo molto inte-
ressante, nel quale non solamente si danno notizie intorno alla vita del W.
ed ai suoi studi danteschi, ma si tocca eziandio degli uomini ragguardevoli
con cui ebbe relazione in Italia. Il R. si giova di lettere a lui dirette dal
defunto amico. Speciale importanza ha l'elenco cronologico degli scritti di
G. Witte, con cui l'articolo si chiude]. — Disp. 5^: A. Reumont, Rawdon
Brown [« R. B. non fu già primo a riconoscere la somma importanza dei
€ Diari di Marino Sanuto per la storia veneta ed italiana non solo ma per
« tutta la storia dei tempi suoi. La vistosa serie di volumi di questo instan-
« cabile collettore e sagace illustratore di carte d'ogni genere e notizie, ad-
« ditatagli dall'ab. Pietro Bettio bibliotecario della Marciana, era da lungo
SPOGLIO DELLE PUBBLICAZIONI PERIODICHE 443
'« tempo servita ad indigeni quanto a stranieri. Più degli altri Emmanuele
« Cicogna aveva dimostrato qiial uso si può fare dei Diari, e Leopoldo
•« Rante nei suoi Pontefici Romani avea ravvivata la memoria delle rela-
€ zioni diplomatiche, di cui le più antiche si hanno dai Diari in estratti
« Ma finanche il Cicogna, il più diligente e cosconzioso raccoglitore di date
« della storia della sua patria, ha da cederla forse airinstancabile Britanno
« nella perfetta perlustrazione dai 58 volumi in foglio che giungono sino
€ alla morte del Sanuto ». Dopo aver discorso delle opere storiche del B. e
delle identificazioni letterarie da lui tentate, di don Chisciotte col duca di
Lerma e di Otello con Cristofulo Moro, il R. prende a tratteggiarlo nella
vita privata]. — C. Desimoni, / viaggi e la caria dei frateUt Zeno vene-
ziant.
Archivio storico lombardo (Milano):
Anno XII, 1885. — Fase. 2»: A. Ventuhi, Relazioni artistiche tra le
Corti di Milano e Ferrara nel secolo XV. [Ci si parla, tra l'altro, di carte
da giuoco e di libri miniati]. — G. Mongeri, L'arte del Minio nel Ducato
di Milano dal secolo XIII al XVI. Appunti tratti dalle memorie postume
del marchese Gerolamo d'Adda [Importante]. — Fase. 3o : A. G Spinelli,
Carme in morte di Cicco Simonetta. [Latino, tratto da un codice dell'Ar-
chivio Sala-Busca in Milano; anonimo]. — G. Mongeri, L'arte del Minio ecc.
[Seguito]. — A. Medin, Letteratura poetica Viscontea. [Ricordati vari com-
ponimenti poetici riguardanti Bernabò e Gian Galeazzo visconti, e già dati
alle stampe, l'A. pubblica due sonetti di Marchionne di Matteo Arrighi per
la prigionia di Bernabò ; una risposta di Braccio Bracci ad una supposta
missiva del Soldano di Babilonia, che avrebbe chiesto della nobiltà ai esso
Bernabò ; un sonetto in lode di Luigi, figliuolo di costui , composto dallo
stesso Braccio; un sonetto anonimo in cui si deplorano le tristi condizioni
della Lombardia].
Archivio storico per le Marcite e per V Umbria (Foligno) :
Anno 1885, voi. II. — Fase. 6» (2o dell'annata) : M. Faloci Puugnani ,
Cronaca di Foligno di Bonaventura di Benevento. [Fu pubblic. dal Mu-
ratori (Antiq., IV), e poi riprodotta dal Tartini (R. L S., l). Ma queste
stampe sono monche e scorrette. Le lacune e le scorrezioni pos-sono essere
colmate ed emendate col prezioso codice autografo di Bonaventura che serba
la sua cronaca e parecchie altre cose da lui notate dal '1300 al 1346. Di
questo codice l'A. dà una descrizione particolareggiata]. — L. Frati, Fede"
vico duca d'Urbino e il veltro dantesco. [Dal cod. Ambr. C. 35 sup. il F.
estrae una lettera di Giovanni di Bartolomeo Ciai fiorentino seguita da un
ternario in onore di Federico da Montcfeltro, scritto quando per opera sua
i Fiorentini conquistarono Volterra nel 1472. Vi si finge che Federico sia
il veltro profetato dall'Alighieri]. — A. Mancinelli, Recensione del libro
su Raffaello di Gavalcaselle e Crowe.
Archivio storico per le provincie napoletane (Napoli):
Anno X, 1885. — Fase. 3°: M. Schifa, La cronaca di S. Stefano ad
Rivum Maris. [L'A. prova questa cronaca, stampata dal Saraceni a Chieti
nel 1876, e di cui fu primo a parlare l'abate Pietro Pollidori nel secolo
scorso, non essere altro che una impostura].
Archivio stoi'ico siciliatio (Palermo):
Anno IX, 1884. — Fase. 34: Ben. Luigi Boglino, Di un codice messale
della prima metà del duodecimo secolo esistente nella Biblioteca Comu-
nale di Palermo. [Importante per la storia dell'antica liturgia latina]. —
Giuseppe Cosentino, Un documento in volgare siciliano del 1320. [E' un
decreto di nuova imposizione. La data non ci sembra in tutto sicura]. — »
444 SPOGLIO DELLE PUBBLICAZIONI PERIODICHE
G. PiPiTONE Federico, A proposito di una partecipazione di morte nel
secolo XIV. [L'A. parla delle relazioni tra Venezia e la Sicilia nel medio
evo e pubblica una lettera latina con cui, il 31 gennaio 1375, Federico III,
detto il Semplice, partecipa al Doge Giovanni Sebenico la morte della regina
Antonia]. — Francesco M. Mirabella, Una lettera del P. Mariano Bo-
nofino di Alcamo. [Latina, a S. Bagolino, senza data]. — Francesco M. Mi-
rabella, Di alcuni disegni e dipinti del poeta Sebastiano Bagolino, notizie
e documenti.
Archivio trentino (Trento):
Anno IV, 1885. — Fase. 1": P. Orsi, Saggio di toponomastica tridentina,
[Continua/, e fine; vedi 111, 2].
Archivio veneto (Venezia):
Anno XV, 1885. — Voi. XXIX, Parte I : B. Gecchetti, La vita dei Ve-
neziani nel 1300. [Continuaz. e fine della prima parte. Gfr. Giorn., V, 472].
— B. Gecchetti, La stampa tabellare in Venezia nel 1447\ Non si cono-
scevano finora documenti sulla stampa in Venezia anteriori al privilegio
concesso a Giov. da Spira nel 1469. I documenti che qui si pubblicano,
tratti dalle carte della fam. Barbarigo riguardano le stampe « mediante
« forme a segni immobili ». Gfr. Gazzetta di Venezia, 1885, n' 72, 89, 911.
— F. S[tefani], Memorie per servire all'istoria della inclita città di Ve-
nezia. [Pubblicazione di un brano di cronaca veneta di Girolamo Zanetti,
contenuta nel cod. Marc. XI, 58. Riguarda gli anni 1742 e '43 ed è minu-
tissima. Interessa anche gli studi letterari perchè vi si tien conto di quanto
facevasi nei teatri, della venuta in Venezia di letterati, della comparsa di
nuovi libri ecc. Speriamo di poter ritornare in luogo più acconcio su questo
rilevante documento]. — G. Guasti, Una figlia di Pietro Aretino. [Docum.
rogato nel 1549, riguardante le nozze di Adria, figliuola di Pietro Aretino
con Dietallevi di Simone. Il G. lo pubblica illustrandolo]. — Rassegna :
V. Malamani, G. Biadego, Carteggio inedito d'una gentildonna veronese;
A. Tessier, F. Berlan, La introduzione della stampa in Milano. — Dedotta
dalla relazione fatta alla Camera trovasi una distinta dei Codici di m,ateria
veneta nella collezione di L. Ashburnham. [Godici del Milione, parecchi
scritti del Sarpi , molte lettere di A. Zeno ecc.]. — P. Il: B. Gecchetti, Il
vitto dei Veneziani nel sec. XIV. [Continua nei fase, seguenti]. — V. Ma-
lamani, Un episodio letterario del 1827. [Intorno sW Antonio Foscarini
del Niccolini. E' un capitolo del voi. L'ultima dama veneziana, di immi-
nente pubblicazione]. — B. C, Altri stampatori ed altri librai. [Nuovo
contributo alla stona della tipografia veneziana]. — B. C, Per la storia
dell'arte della carta nelle provincie venete. [Docum. del 28 nov. 1361 rela-
tiva a Fr. Biancon, fabrianese, venuto nel veneto ad esercitare il mestiere
della carta bambagina]. — Bullettino di bibliografia veneta. [1884 e 1885].
— B. Gecchetti, Proposta e saggio di un dizionario del linguaggio ar-
chivistico italiano. — Voi. XXX, P. I: B. Gecchetti, Le « scaule» vene-
ziane e Dante. [A proposito del verso dantesco (Purg. XXXI) Sovresso
l'acqua lieve come spuola. Il G. appoggia la lezione scola recata da diversi
testi. Scaula o scola dicevasi in Venezia una specie di navicella originaria-
mente destinata ai traghetti]. — B. G. Libri stam,pati nel sec. XV da
Matteo Capcasa di Parma, socio di Bernardino di Benalio da Bergamo.
— Bullettino di Bibliografia veneta. [1884-85]. — E. Narducci dà una
tavola accurata del cod. S. IV. 8 della Angelica, importante ms. umanistico
intitolato : Utriusque Barzizae, patris et filii, Pauli veneti et aliorum ora-
tiones et epistolae.
Arte e storia (Firenze):
Anno IV, 1885. — N» 24: F. Perticone, La tomba di Gualtiero da Cor
latagirone. [E' stata ritrovata dietro scavi la lapide sepolcrale di questo
SPOGLIO DELLE PUBBLICAZIONI PERIODICHE 445
barone che ebbe parte alia congiura del Vespro e fu decapitato per ordine
di Pietro d'Aragona. Essa non sembra però contemporanea]. — N» 26:
A. Melani, Raffaello di M. Minghetti. — M. Cafki, A proposito di due ar-
tisti Istriani. [Parla di Bernardo da Parenzo e di Sebastiano da Rovigno,
pittori dei sec. XVIJ. — N» 27 : G. Poggi, Delle feste religiose e civili
tenute in Or-San-Michele. [Pubblica un documento del 14^, dove si tro-
vano notizie interessanti la q^uestione che ora si agita sul miglior modo di
ridurre questo edifìcio all'antico suo stato]. — X, Antiche decorazioni mu-
rali a Trecciano nel Senese. [In una torre son dipinti più di duecento
stemmi gentilizi, de' quali si ignora la origine ed il significato]. — N* 28:
G. Milanesi, A proposito della tintura delle porte di S. Giovanni. — N» 29:
A Bertolotti, Spigolature storico-artistiche, [li testamento e morte del pittore
Circignani, 1586]. — N° 41 : A. Bertolotti, Spigolature storico-artistiche.
[Notizie inedite dei cav. G. Cesari d'Arpino pittore]. — N® 42: G. Frizzoni,
Le opere giovanili di Benedetto da Maiano. — A. De Nino, Concezio Gin-
netti di Castelvecchio Subequo. [Giurista del secolo scorso, che lasciò un
poema in sonetti, intitolato Le Muse nel Vaticano, ovvero le vite dei
sommi Pontefici da Pietro in qua (Pio VII), lì De N. riporta per saggio
il sonetto su Bonifazio Vili].
Atti del a. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti (Venezia):
Serie VI, tomo ili, disp. 7". — Ferdinando Cavalli, Cenni biografici di
Giordano Bruno. [Si serve specialmente della vita scrittane dal Berti]. —
Disp. 9» : Luigi A. Ferrai, Lettere inedite di Donato Giannotti. [L'editore
desidera una nuova edizione dell'epistolario del G., molte lettere di lui es-
sendo venute in luce dopo la collezione pubblicata nel 1850 dal Polidori.
La vita scrittane dal Vannucci più non corrisponde allo stato delle nostre
cognizioni intorno a questo scrittore. 11 F. pubblica due lettere inedite esi-
stenti in un ms. dell'Ambrosiana, nel quale si contiene in copia un carteggio
di Giovanni Matteo Giberti con Romolo Amaseo e la lettera conosciuta del
Giovio a D. Donato Rollio Salentino sul fatto della Prevesa, in data 25 feb-
braio 1540. La prima delle nuove lettere del G. scritta a' 30 di giugno 1530
esiste in copia assai scorretta. P]' diretta ad Antonio Michieli ; in parte de-
scrive, sopra una pianta, che non ci è rimasta, la villa de' Medici del Poggio
a Caiano. Il resto della lettera si riferisce all'operetta latina del Michieli
sul contado e sulla città di Bergamo e al libro sulla repubblica veneta,
eh' esso G. stava compilando. Onde così si corregge l'afTermazione dei Poli-
dori, ripetuta dal Vannucci che quest'opera del G. sia stata compiuta nel 1526.
Nella lettera chiede al Michieli notizie per il suo lavoro. Gii duole non po-
tergli mandare un'opera in versi sull'assedio di Firenze stampato a Perugia,
cioè il noto poemetto di Mambrino Roseo da Fabriano. Cunose le parole,
che riporta come dette dal Machiavelli sulla sincerità delle proprie Storie
fiorentine (si confrontino però le osservazioni delleditore); accenna ad altre
di quel tempo. La seconda lettera, autografa, è scritta da Padova il 24 feb-
braio 1566 a Jacopo Gorbinelli (di cui cfr. Giornale storico, li, fase. 6»). E' la
giù tarda lettera autografa del G. che si conosca. Paria delie storie del
ruicciardini, in cui non ha trovato falsità alcuna ; dal 1494 al 1527 gli
piacque grandemente, solo desiderando ch'egli « havessi honorato più citta-
« dini ch'egli non honora », e ne cita i nomi. Le trova troppo scarse dopo
il 1527. Accenna alle ragioni da cui fu poi indotto a lasciar Padova e
ridursi a Roma (ove morì nel 1573)]. — Dall'Acqua Giusti, L'arco acuto
€ i Guelfi. [Giudica l'arco acuto venuto di Francia. Spiega l'apparire del-
l'arco acuto nella chiesa di San Francesco d'Assisi nel terzo decennio del
secolo XIII con le relazioni, che il Santo ebbe con la Francia, e il fiorire
dello stile ogivale alla fine del secolo e nel seguente con la dominazione an-
gioina. Crede sarebbe durato l'impulso al risorgere delie forme classiche se
la signoria sveva avesse continuato].
446 SPOGLIO DELLE PUBBLICAZIONI PERIODICHE
Atti della società lijfure di storia patria (Genova) :
Voi. XIII, 1884 (arretrato). — Fase. !<> e 5« : A. Neri, Poesie storiche
genovesi. [Lamento di Genova contro i Francesi probabilmente del 1464 ;
altro lamento dei Genovesi contro Galeazzo Maria Sforza ; una barzelletta
del 1511 ; un' altra barzelletta composta nel 1625 in occasione della guerra
dei Genovesi contro Carlo Emanuele II; una Canzonetta alla Curda com-
posta l'anno 1747 del asidio di Genova, illustrando le quali il N. dà pre-
ziose notizie su quella che ormai si può chiamare la leggenda di Balilla].
Atti e metnorie della Società Istriana di archeologia e storia
patria (Parenzo).
Anno II, 1885. — Fase. 1-2: A. Gravisi, Andrea Antico istriano da Mon-
tona. [A. Zenatti in un suo lavoro sopra questo celebre maestro di musica
aveva tolto a lui per darlo al Petrucci il merito d'avere il primo stampate le
note musicali in caratteri mobili. Il G. pubblica adesso una lettera del-
l'avo suo, Girolamo Gravisi, buon erudito, scritta nel 1789 al marchese Po-
lesini possessore della rarissima stampa dell'Antico : Frottole intabulate da
sonare organi, nella quale si sostiene che primo inventore delle Intavolature
per gli organi è (stato veramente l'Antico, al quale nel 1517 Leone X
concedeva per ciò il privilegio, togliendolo al Petrucci che l'aveva conse-
guito nel lol3 senza aver mai dato prova di meritarlo]. — F. Olmo, De-
scrittione dell" Histria. [E' un documento del sec. XVII cavato dall'Archivio
di Stato di Venezia. La paternità dell'Olmo è probabile, non certa].
Atti e memorie delle MR. Deputazioni di storia patria per
le Provincie di Moinagna (Bologna):
Serie III, voi. III. — Fase. 1-2: Corrado Ricci, Frammento della cro-
naca bolognese di prete Giovanni. [Dal 1406 al 1409. Completa la cronaca
di Pietro di Mattiolo pubblicata dal R. Cfr. Giorn., V, 290J.
Bollettino storico della Svizzera italiana (Bellinzona) :
Anno VII, 1885. — N' 4-5: A. Bertólotti, Artisti Svizzeri in Roma
nei sec. XV, XVI e XVII. [Continuazione, vedi Giornale, V, 473. Prosegue
nei num. seguenti]. — Le streghe nella Levantina nel sec. XV. [Continua-
zione, vedi Giornale, V, 473. Termina nel n"* 9]. — Studenti svizzeri a
Pavia nello, seconda metà del 1400. [Continuazione, vedi Giornale, luogo
citato. Prosegue nei num. successivi]. — Satire in versi cantra Cottignola
e Brescia. [La prima satira, in terzine, comincia Se tu non fusse Cotignola
ingrata. La seconda è accennata in una lettera del 1° febbraio 1473 inviata
da un Giovanni Zucchi al duca di Milano. In questa lettera si dice avere i
veneziani ordinato ai rettori di Brescia di sospendere una nuova tassa im-
posta a quella città per « la grande indignazione de quello populo », essen-
dosi trovati per la città « alcuni scripti buttati de nocte », che dicevano :
Ferrareze, pude et molta \ fece dar a Brexa la volta. | La scarpa, decime
et talia \ farà far a Brexa nova travalia']. — La tipografia del canton
Ticino dal 1800 al 1859. [Continuazione, vedi Giornale, V, 473]. — Saggio
di una bibliografia di Francesco Soave. [Gontinuaz., vedi Giornale, 1. cit.].
— No 6 : Scuola di scherma in Milano nel 1474. [E' pubblicata una let-
tera al duca di Milano del capitano Giovanni Angelelli, nella quale egli
comunica una sfida di scherma avvenuta fra un « magistro Ferando spa-
« gnuolo » e vari schermitori italiani, di cui dà i nomi]. — Un documento
per il pittore Francesco Tacconi [1475]. — G. Salvioni, Aggiunte e retti-
fiche alle Note bibliografiche sui dialetti ticinesi. [Pubblicate nel Bollettino,
an. V]. — No 8 : Una lettera del pittore Cristoforo Moretti. [Die. 1470].
— N" 9: Un importante documento per papa Alessandro Vi. [Tratto
dall'Archivio di Milano. E' una lettera di Ascanio Sforza del 3 die. 1498 e
« spiega il malcontento dei Regnanti di Portogallo verso il simoniaco papa,
« espostogli da una speciale loro ambasciata »].
SPOGLIO DELLE PUBBLICAZIONI lERIODICHE 447
Bullettino della commissione archeologica comunale di Roma:
Voi. XIII. — F88C. 2 : Visconti, Una pianta di Roma del sec. XIV pub-
blicata dal sig. Muntz.
Bullettino di numismatica e sfragistica (Camerino):
Anno II, 1885. — N' 8-9: V. Gapobianchi, Un triplo ducato d'oro inedito
del papa Niccolò V. [E' una delle più artistiche monete dell'epoca del risor-
gimento. Fu coniata m occasione del giubileo 1450].
Fanfulla détta Domenica (Roma):
Anno VII, 1885. — N» 24: V. Cara velli. Un Arcade ribelle. [Ck^lie
occasione dalla festa che il 7 giugno si celebrò a Rogliano di Calabria in
onore di G. V. Gravina per ricordare le idee generose ed ardite del famoso
letterato]. — N» 25 : E. Masi, Il giudicio di Apollo. [Dà breve conto di un
dialogo doli ab. G. Cherubini scritto a celebrare C. Gozzi e la sua fiaba II Coirvo\
— No 28 : G. Antona Traversi, G. Leopardi a Pisa. [Si pubblicano brani
di una lettera del d"" Girolamo Cloni intorno alla sua andata a Pisa in com-
pagnia del poeta. Il Cioni fa del Leopardi un ritratto vivace e che dev' es-
sere vero]. — N° 30 : A. Ademollo, Virtuosi e virtuose d'altri tempi. Le
più antiche delle Romanine (1580-1610). (Si chiamarono con il nomignolo
ai Romanine nei sec. XVII e XVIIl le fanciulle romane che, educate alla
musica nelle scuole di Roma, andaron poi ad esercitare l'arte loro nelle
Corti italiane e straniere e più tardi sui pubblici teatri. La Vittoria e la
Caterinuccia, fiorite vereo la fine del sec. XVI, sono di questa schiera le più
antiche e qui l'A. raccoglie con la consueta sua diligenza notizie molte e
curiose]. — N" 31 : D. Gnoli , Un Amore di V. Monti e il Werther di
Goethe. [Il Ferra], pubblicando in questo Giornale le lettere del Monti alla
Fantastici ha espresso il dubbio che gli Sciolti al Chigi e i Pensieri sian
stati scritti per quella Carlotta, della quale esse lettere ci han fatto cono-
scere l'esistenza. Il G. è, di avviso che la supposizione non sia troppo fon-
data e combattendo l'asserzione del Ferrai che i Pensieri siano affatto indi-
pendenti dal Werther adduce parecchi argomenti a confortar la sua opinione
che dell'opera di Goethe si sia in essi il Monti largamente giovato]. —
M. Scherillo, Una nuova difesa di Cola di Rienzo. [Lo S. trova che gli ar-
gomenti addotti nel suo recente studio dal Torraca non giovano a difendere la
causa del Tribuno ed esprime il suo convincimento che la Canzone Petrar-
chesca sia diretta a Bosone. Il Torraca ha risposto nel n° 32 di questo stesso
giornale. Alla risposta del T. la Direzione ha poi fatto seguire certa lettera
del prof. F. Sesler che non offre altro di notevole se non la persuasione in cui
è il sullodato prof, che di Bosone si tratti nella Canzone e non d'altri; cosa poco
importante, come ognun vede]. — N* 33 : G. Martucci, G. B. Fagiuoli se-
condo una recente monografia. [Si loda la monografia del Bencini per i risul-
tati nuovi che arreca ; ma non si risparmia di avvertirne i gravi difetti.
Cfr. Giorn., V, 4591. — N" 35 : E. Masi, Un viaggio misterioso. [Cont. n° 36.
Riguarda l'andata di Calvino a Ferrara nel 1535; fatto contrastato, sul quale
i documenti rinvenuti negli Archivi modenesi dal prof. B. Fontana recano
luce nuova e imprevedutal. — N° 36 : T. Fornioni, L' Umorismo nel Man-
zoni. [A proposito- di un libro dell Arcoleo, Sull'Umorismo nell'Arte Mo-
derna]. — No 37 : A. Ademollo , Curiosità di storia teatrale. Un Casus
belli fra Mantova e Dresda nel i685. [A cagione di Margherita Salicolo,
giovane e bella cantatrice, che, abbandonando il servizio del Duca di Man-
tova se ne andò a Dresda col Principe Elettore di Sassonia, nel 1685 corse
fra i due principi una sfida, della quale l'A. narra con la scorta di docu-
menti dell Archivio Gonzaga, le non sanguinose vicende]. — N" 40 : A. Ade>
MOLLO, Roma nelle Canzoni del Marchese di Coulanges. [11 Coulanges, che
venne a Roma due volte dal 1658 al 1691 , ha cantato la vita della so-
cietà romana e le belle dame del tempo nelle sue poesie, delle quali l'A.
448 SPOGLIO DELLE PUBBLICAZIONI PERIODICHE
dà dei saggi]. — N' 41 : P. G. Molmenti, Feste in S. Marco nel sec. XVI.
— P. Bruzzone, Sfide e punizioni. [Pubblica alcuni cartelli di sfida di
gentiluomini di Roma e di Bari del sec. XVII]. — N» 42 : M. Scherillo,
i^infe al fonte. [Avverte certe rassomiglianze, che intercedono tra due epi-
sodi della Gerusalemme liberata e dell' Ameto con quello delle Metamor-
fosi, di Atteone, che sorprende Diana mentre si bagna]. — N* 43 : A. Ade-
MOLLO, Curiosità di Storia Teatrale. Due opere sconosciute di N. lomelli.
[Il Tito Manlio e il Demofoonte, rappresentati l'uno a Torino, l'altro a Padova
nel 1743]. — N° 44 : A. D'Ancona, Il congresso storico di Torino e l'Isti-
tuto storico di Roma. [Vedi una lettera del Medin in risposta a questa nel
n° 46]. — N° 45 : E. Parodi , Gli ultimi anni di un patrizio fiorentino.
[A proposito dell'ultimo volume delle lettere di G. Capponi]. — N''46:
G. Antona Traversi, Canti inediti del popolo recanatese. [Da un ms. del
conte Pier Fr. Leopardi. Sono 9 rispetti amorosi].
Gazzetta ili Mantova (Mantova):
Anno XXIII, 1885. — N" 265 : A. Luzio, La morte di un buffone. [Cu-
riosissimo articolo, nel quale il L. pubblica interessanti documenti sulla pas-
sione che i Gonzaga avevano per i buffoni e pei nani, ad un dei quali essi
fecero costruire un apposito appartamento. Sono ghiottissime le lettere di
Alfonso d' Este, di Francesca e di Isabella Gonzaga intorno a questi strani
personaggi della corte. I documenti qui riferiti riguardano più specialmente
il Mattello (cfr. su di esso D'Ancona , in questo Giorn., V, 24, n) ; ma vi
sono ragguagli eziandio sugli altri tre buffoni che allietavano la corte man-
tovana alla fine del sec. XV, Galasso, Diodato, Frittella. Di essi si occupa
spesso il Pistoia nelle sue rime, utilizzate acconciamente dal L.J.
Gazzetta letteraria (Torino) :
Anno IX, 1885. — N» 19: G. Claretta, Di alcuni tumulti degli stu-
denti dell'Università di Torino ne' secoli decorsi. — N'>23: A. Neri, Due
lettere inedite di Fabrizio Maramaldo. [Cavate dalla raccolta di autografi
(donneili della Nazionale di Firenze. Ambedue queste lettere, dirette a Fer-
rante Gonzaga, sono importanti. Esse ci mostrano quando e per qual cagione
il Maramaldo si ritirasse in Napoli]. — N» 25: Ed. Magliani, Letterate
cinquecentiste. [Saggio del libro sulla letteratura della donna, pel quale cfr.
Bollettino del presente fascicolo. Altro saggio nel n» 32]. — Amilcare Bos-
SOLA, Napoleone I nella poesia popolare in Piemonte. — N* 28 : Gian
Martino Saragat, Il pessimismi di G. Leopardi. [La fine nel n" 29]. —
N» 29: A. Neri, Una supplica dei Comici « Gelosi ». [Supplica coil cui
essi chiedono nel 1572 al governo di Genova <c di poter recitar le loro ho-
« neste et esemplar comedie ». E' il più antico docum. che si conosca dei
Gelosi^. — V. Malamani, Per un fatto personale. [L'A. mostra di essersi
impermalito per due osservazioni fatte m questo Giorn., V, 468, al suo
saggio di bibliografia Gozziana inserito in appendice al II voi. del Masi,
Fiabe di C. Gozzi. Dato eziandio che tali osservazioni urbanissime fossero
state inesatte, come il M. ha creduto, egli non sarebbe mai stato in diritto
di insolentire. Ma le osservazioni non sono inesatte se non in quanto sono
le prime capitate in mente all'autore dell'articolo, il quale, volendo, avrebbe
potuto farne ben altre. Sta bene che sotto il n° 106 è registrata la epistola
poetica del Gozzi al De Luca ; ma è pur vero che la edizione del 1783 nel
Saggio non è registrata. La edizione lo01-3 sarà ben citata sette volte (quale
consolazione!); ma è pur sempre a deplorarsi che in questo Saggio il M. non
abbia creduto di dare indicazione esatta delle due edizioni delle Opere e
del loro contenuto e delle cure che vi furono spese dall'autore o da altri.
Del resto tutto il Saggio è condotto in una maniera molto bizzarra e che
farà strabiliare i buoni bibliografi. Per bibliografia, secondo la comune
interpretazione del vocabolo, s'intende l'indice delle opere stampate e ma-
noscritte di uno scrittore. Il metodo più logico e quindi generalmente adot-
SPOGLIO DELLE PUBBLICAZIONI PERIODICHE 449
tato in queste euumerazioni è il seguente; indicare prime per ordine di data
tutte le edizioni dei singoli scritti con le ristampe, poi le Opere insieme
raccolte, quindi i inss. con le note opportune di confronto, ove si tratti di
scritti già editi e che presentino notevoli diversità. 11 M. non ha seguito
(Tuesto metodo. Si direbbe che egli abbia voluto dare un indice cronologico
aegli scritti; ma in questo caso risultano fuori di posto i n' 25, 26, 44, 49
(se il 1760 0 il 1769 non sono errori di stampa), 103 (se sta nel voi. V ed.
Colombani non può essere posteriore al 1804), 106. Pare intenda indicare le
Fiabe secondo l'ordine di rappresentazione, ma allora si domanda : quando
vennero rappresentate quelle dei n' 28, 33, 39, 41, 43, 47, 51, So, 62, 83?
Sono tutte senza data : perchè fu loro assegnato quel luogo ? — Oltre questi
difetti metodici il Saggio rivela in molte altre cose la tra.scuratezza del com-
fiilatore. Manca in parecchi luoghi la indicazione delle pagine del libro ove
a scrittura è inserita ; delle traduzioni in altre lingue non si tien conto ;
i nM2 e 35 andavano a parte tra le opere attribuite al G.; al n* 86 il M.
dice che il Passano non cita il G. come novelliere, il che è falso. Guardi
nel Passano 11, 330, e vi troverà delle indicazioni che mancano affatto al
suo Saggio. Del qual Saggio adunque, che trattandosi di uno scrittore come
Garlo Gozzi avrebbe potuto divenire cosi facilmente, in mano ad un veneto,
una bibliografia compiuta, se si dice che nonostante i vizi accennati di me-
todo e i difetti di esattezza, riesce « utile e comodo », ci sembra che il
sig. M. possa dichiararsi più che soddisfatto]. — N« 31 : Giov. Saraoat,
Le donne ed i suoi diritti sotto gli statuti della repubblica Sassarese, —
N» 33 : A. Neri, Il « Pater noster ■» della monaca. [Importante articoletto,
nel quale il N. pubblica una di quelle curiose poesie, nelle quali viene inserta
una preghiera, a guisa di parodia. Vi è largamente sviluppato il motivo
cosi popolare della monaca insofferente del veloj. — A. Gantalupi, Leo-
pardi e Lenau. [BuonoJ. — N* 35 : Rip van "Winkle, Manzoni e la si-
gnora Carlyle. — N° 36; F. Gabotto, L'uomo in Pietro Bembo. — N* 38:
0. Roux, Una storia letteraria della donna italiana. [Dice che il Magliani
« doveva rovistare (sicì) notizie peregrine nei codici polverosi », ma nono-
stante tale difetto di rovistamento dice che il libro « non è una delle con-
« suete raffazzonature ». E' vero ; non delle consuete, per fortuna]. — N° 39:
A. Neri, Spigolature fra gli autografi. [Una lettera di G. Baretti a Gio-
vanni Lami, 12. X. 1752; una di Diodata Saluzzo a Fortunata Sulgher-
Fantastici, 6, Vili. 1798 ; una di Carlo Botta al Cicognara s. d. ; un' altra
dello stesso al Capponi, 24. IH. 1827 ; una di G. Grassi a G. Leopardi, 17,
XI. 1820 ; una di Silvio Pellico all'attrice Angelica Armani Dalbono, 20. V.
1833]. — N» 41 : F. U. Maranzana, Un tipo fortunato. [Quello del bugiardo,
trattato da Giovanni Ruiz de Alarcon, da Pietro Corneille e dal nostro Gol-
doni. O.sservazioni notevoli a questo articolo del Maranzana fa il Neri nel
n** 43 della Gazzetta]. — N" 44 : V. Malamani , / teatri veneti nel sec.
scorso. — N" 48 : E. Magliani, Un opuscolo misterioso. [Dh notizia della
Protesta del popolo delle due Sicilie scritta da L. Settembrini].
Gazzetta musicale (Milano):
Anno XL, 1885. — N" 26: A. Ademollo, La bella Adriana a Milano
(1611). [Dopo aver descritta, giovandosi delle rime degli An/ioni che ne fab-
bricarono u Teatro delle Glorie, la bellezza della Basile, l'A. riferisce
una curiosa lettera di fra Gregorio Carbonelli da Padova, scritta da Roma
il 6 giugno 1610, alla duchessa di Mantova per darle notizie dell'indole della
cantatrice che andava a Mantova scritturata da Vincenzo. Da Mantova poi
nell'agosto dell'anno seguente l'Adriana passava a Milano e gli entusiasmi
che ivi sollevò son descritti da un anonimo contemporaneo in altra lettera
pure riferita dall'A. L'articolo è fregiato del ritratto di Adriana, riprodotto
dal Teatro delle Glorie]. — N» 27: P. Rattoni, A proposito di D. Cima-
rosa e del suo soggiorno in Canttt. [Gont. n° 28, 29, 30, 31, '32. Raccoglie
notizie abbastanza curiose sulla società che raccoglievasi sul cadere del secolo
450 SPOGLIO DELLE PUBBLICAZIONI PERIODICHE
scorso in casa del Principe Pietrasanta, signore di Gantù, della quale fa
ricordo una Canzonetta del Gimarosa , edita nella Gazzetta]. — N» 37 :
A. Ademollo, La Leonora di Milton e di Clemente IX. [Parla della Leo-
nora Baroni, celebre cantatrice, di cui pubblica un ritratto e dei suoi trionfi
romani (1639). Gont. n» 38, 39].
CHatnbattista Basile (Napoli):
Annoili, 1885. — N« 5: Pompeo Sarnelli [1649-1724]. Brevi cenni biogra-
fici]. — V. Imbruni, Un curioso riscontro. [Il riscontro è tra un passo del
Caviceo e uno del Balzac, con una canzone popolare napolitana], — N" 6:
B. G., Letteratura scolastica. [Raccolta di proverbi e di brevi poesie tradi-
zionali nelle scuole]. — La Direzione, La Posilecheata di Pompeo Sarnelli.
[Indice di quest'opera singolare , molto interessante per la demopsicologia ,
che rimbriani ripubblicò e commentò recentemente con Reinh. Rochlerl.
— No 7: B. Groce, La leggenda di Niccolò Pesce. [Giunta nel n° 8. Vedi
quanto se ne disse in questo Giom., VI, 263]. — N° 9: G. Amalfi, Il di-
monio nelle storte popolari. [Finisce nel n» 10. Importante]. — L'Infasti-
dito, Della Siracusa di Paolo Regio. [La Siracusa del Regio (1545-1607)
è un libro molto raro. Esso è una imitazione dell' Arcadia del Sannazaro ,
ma contiene anche delle novelle. L'imbriani lo ha ripubblicato recentemente].
— N" 10: B. Groce, Un opuscolo popolare del sec. XVI. [Trovato nell'An-
gelica. E' la Vera \relatione | della morte | della sereniss. regina di \ Scotia
nel Lisola De | Inghilterra (Maria Stuarda) del 1587]. — La Direzione ,
Noterelle su Silvio Stampiglia. — N" 12: V. Imbruni, L'uomo e la serpe.
[Riscontra un motivo popolare, accennato da G. G. Gortese, nella Insalata
mescolanza di Carlo Gabrielli d'Ogobio, 1621].
Giornale ligustico (Genova):
Anno XII, 1885. — Fase. 5-6: R. Renier , Giustina Renier Michiel.
[Nella prima parte di questo articolo il R. delinea l'ambiente nel quale nacque
e crebbe Giustina Renier, moglie di Marcantonio Michiel, e si trattiene par-
ticolarmente sul doge Polo Renier e sulle sue relazioni con la massoneria.
Nella seconda parte discorre della vita, dell'animo, dell'ingegno di Giustina
(n. 1755 ■{•1832); nella terza brevemente si occupa delle opere di lei; nella
quarta finalmente illustra le sue relazioni letterarie]. — Alfredo Saviotti,
Una lettera inedita dell'abate Casti [24. IV. 1790. E' tratta dalla corrispon-
denza di mons. Angelo Fabroni, e parla di molti personaggi della corte vien-
nese e del viaggio del G. a Gostantinopoli]. — Fase. 7-8: G. G. Parodi,
Saggio di etim.ologie genovesi. — G. Braggio, Vita privata dei genovesi.
Le donne del sec. Xv nella storia. [Gontinuaz. e fine. Vedi Giorn., V, 478].
— A. Neri, Una lettera inedita di Francesco Algarotti. [E' diretta da Ber-
lino il 20. XI. 1751 a Girolamo Gurlo , per pregarlo di inviargli i disegni
delle principali opere architettoniche genovesi, dei quali Federico il Grande
intendeva giovarsi per la costruzione della sua residenza di Potsdam]. —
A. G. F., Recensione del libro di R. Renier , Il tipo estetico della donna
nel m,edio evo.
Giornale napoletano di filosofia e lettere (Napoli) :
Nuovissima serie, An. I, voi. I, 1885. — Fase. 1°: Onoranze funebri a
Fr. Fiorentino. [Occupano tutto il fascicolo , che si divide in onoranze fu-
nebri, discorsi letti innanzi al feretro, discorsi commemorativi, articoli com-
memorativi. Precede una nota bibliografica dei libri e degli articoli di F. F.].
Il Bar etti (Torino):
Anno XVI, 1885. — N' 18-19: P. Galdera, Come nasce il verso epico
italiano? [Nullo]. — N" 26: F. Pasqualigo, Quistioni dantesche. [Gensura
il Giuliani di avere più volte nel testo del Convito sostituito ragione a ca-
SPOGLIO DELLE PUBBLICAZIONI PERIODICHE 451
gioney o viceveraa. Spiega l'uso dantesco]. — N» 31: F. Pasqualioo, Que-
stioni dantesche. [Propone una emendazione a un luogo del Convito, Trat-
tato II, e. 1].
Il Bibliofilo (Bologna) :
Anno VI, 1885. — N" 6: F. Evola, La stampa siciliana fuori di Pa-
lermo e di Messina nei due secoli decimosesto e decimosettimo. [Qui si
parla di Trapani. Gfr. Giorn., V, 478 e 497]. — A. Bertolotti , varietà
archivistiche e bibliografiche. [Nota: Due commedie italiane rappresentate
in Francia nel i555 (le commedie sono / lucidi del Firenzuola e Flora
di Luigi Alamanni); Una tragedia composta in Spagna da un italiano
(Rusimonda, cioè Rosmunda, di Pietro Cerruti, che la presenta il 30 marzo
1589 al duca di Mantova); Autografi di un poeta teatrale (Andrea Salvadore:
lettere del 9. e 10. I. 1623)]. — F. Novati, Ancora de'miniatori cremonesi.
tA proposito dell'artic. di L. Luchini inserito nel n° 5. Vedi Giom., V, 479.
1 Luchini risponde nei n' 8-9, ed è ammirabile la franchezza, per non dir
di peggio, con la quale nega d'avere scritti strafalcioni evidentissimi: fra gli
altri quello che L'suardo sia stato un miniatore cremonese!]. — N<'7:C. Arlia,
I correttori delle antiche ^tpo^ra^e^orenrtne. [Dall'origine dell'arte tipografica
a gran parte del sec. passato. Questa lista è dedotta da uno zibaldone di D.
M. Manni]. — F. Evola, La stampa siciliana fuori di Palermo... [Edizioni
di Bartolomeo di Franco. Vedi sopra n° 6]. — G. Lozzl Versione dell' An-
guillara delV Eneide. [D'una parte sola, in ottave, stampata la prima volta
nel 1564. L'autore ne faceva dono con un fervorino a stampa molto bizzarro].
— FiL. Raffaelli, Illustrazione di un antico codice inedito di proverbi.
[Rilevante. Si tratta di una specie di poema in terza rima, tutto intessuto
di proverbi, di ser Costantino de' Gaglioffi di Aquila, che si conserva in un
eoa. della bibl. di Fermo scritto alla fine del sec. XIV o nel principio del XV.
Il R. ne riferisce un brano per saggio ed un sonetto autobiografico. —
A. Bertolotti, Varietà archivistiche e bibliografiche. [Nota: Copia di un
libro di controversia religiosa (di fra Leonardo Franchi, sec. XVII, contro
« un libretto del Re d'Inghilterra »); Relazioni dello Zinani con la corte
di Mantova (Gabriele Zinani, secentista, stette al servizio del duca di Man-
tova. Il B. spigola varie notizie nel suo carteggio); / primi poemi di un
poeta (Guidoualdo Benamati, di Gubbio); Una tragedia e rime presentate
al duca di Mantova (da Giambattista Oddoni, 5. IV. 1622. La tragedia in-
titolavasi Edmondoy]. — N^ 8-9: M. Caffi, Miniature cremonesi. — A. Ber-
tolotti , Varietà archivistiche e bibliografiche. [Nulla di notevole]. —
G. PiERGiLi, Una lettera di Terenzio Mamiani a Giacomo Leopardi [del-
l'ottobre 1814. Il P. dice qualche cosa delle relazioni che corsero tra i duo
scrittori]. — F. Etola, La stampa siciliana fuori di Palermo ecc. ( L' A.
riassume le notizie sparse nel suo pr^evole lavoro e termina dando la serie
cronologica delle edizioni citate]. — E.milio Faelli, Saggio di un catalogo
ragionato delle bibliografie degli incunabuli. [Lavoro utile. In questo num.
si giunge sino all'^ compreso]. — N» 10-11: A. Gianandrea , Della tipo-
grafia lesina dal suo rinnovamento sullo scorcio del sec. XVI insinoalla
metà del presente. [Qui il G. discorre di Pietro Farri e di Gregorio Arnaz-
zinij. — P. Riccardi, Almanacchi astrologici del secolo XVIII. [Descrive
nove almanacchi astrologici stampati in Bologna per l'anno 1648 e dà no-
tizie sulla mania astrologica del sec. XVII]. — P. Santi Mattei , Un mi-
niatore del sec XIV. [Insignificante]. — A. Bertolotti, Varietà archivi-
stiche e bibliografiche. [Nota: Libretto in difesa della religione cattolica
(di Felice Milensio); Lettera di un grande raccoglitore di libri e mano-
scritti (F. B. Ferrari. La lettera ha la data 9. IV. 1624)]. — E. Faelu ,
Saggio di un catalogo ragionato. [Continuazione e fine; vedi n* 8-9]. — ^
P. Santi Mattei, La prima edizione della Histoire des sciences mathém.
en Italie di Gugl. Libri. [Si tratta veramente del solo primo volume, stam-
pato nel 1835, la cui edizione andò quasi interamente bruciata. L'esemplare
452 SPOGLIO DELLE PUBBLICAZIONI PERIODICHE
posseduto dall' A. è composto di fogli che il Libri spediva alla madre. Vi
sono alcuni particolari soppressi nella seconda ediz. 1838-411. — Della bi-
blioteca palatina di Heidelberg riunita alla Vaticana nel 1622. [Istruzione
di Gregorio XV a Leone Allacci , incaricato di andare a prendere in Ger-
mania la biblioteca donata alla Santa Sede da Massimiliano di Baviera.
Questa istruzione, in data 22 ott. 1622, è cavata dal cod. Marucell. B. 29].
Il Buonarroti (Roma) :
Serie III, voi. Il, 1885. — Quad. 2° : Una lettera inedita di Silvio Pellico.
[A G. Voigt, 5 febbraio '35]. — Quad. 5": Recensione molto favorevole,
firmata F. L. , del libro del Gian , Un decennio della vita di M. Pietro
Bembo, Torino, 1885.
Il Mendico (Mantova):
Anno V, 1885. — N» 10: A. Bertolotti, Le cortigiane del medio evo
in Mantova. [Dovevano portare « super alios pannos unam clamidem brevem
« pannilini seu pignolati albi cum uno sonaho a parte anteriore ». In caso
di contravvenzione erano esposte « ad berlinam super plateam communis »].
— N" 13: A. Bertolotti, L'oro guai prolungatore della vita. [Lettera
curiosa di un A. Saliatri, da Londra 1 luglio 1622, che manda una ampollina
d'oro potabile e un libretto a stampa , in cui tratta delle molteplici cure
con esso fatte]. — N" 15 : A. Bertolotti , La congelazione del mercurio
e la fabbricazione dell'oro nel palazzo Te. [Il duca Vincenzo Gonzaga paga
400 scudi per un libro di questi segreti a certo Fasciatelli]. — N' 21 :
A. Bertolotti , / buffoni piti cari alla marchesa Isabella di Mantova.
[Il B. ripubblica, come inedito, un documento già dato dal D'Ancona sulla
morte del buffone Matlello (cfr. Giorn., V, 24): più una letterina della mar-
chesa Isabella al marito, in cui gli chiede d'avere il Galasso, altro buffone ;
ripubblicata poi, con qualche correzione, nella Gazzetta di Mantova. Cfr.
il presente Spoglio s. Gazzetta di Mantova^.
Il Fropugnatore (Bologna):
Anno XVIII, 1885. — Disp. 3: C. Arlìa, Spigolatura Laschiana. [Pub-
blica di sul cod. Magi. VII. 1248 tre componimenti del Lasca; ristampa
alcune stanze di lui, già dallo stesso Ar. pubblicate nel Borphini (VI, 357),
e vi unisce un capitolo di anonimo al Grazzini, che comincia: Lasca, io mi
trovo al palagio mio in villa]. — Erasmo Pèrcopo, Le laudi di fra Ja-
copone da Todi nei tnss. delta bibl. nazionale di Napoli. [Continuazione,
vedi Giorn., V, 480]. — E. Lamma, Un capitolo inedito contro Am,ore di
fra Domenico da Montechiello. [Gom. : Le vaglie rime e il dolce dir d'a-
more. Il L. lo estrae dal cod. 1739 della Universitaria di Bologna]. —
G. B. C, GiULiARi, Bibliografia Maffeiana. [Termina il capitolo delle opere
pubblio, in vita, e registra le opere postume e le lettere]. — L. Gaiter esa-
mina il libro di A. Lubin , Dante spiegato con Dante ecc. , la memoria di
A. Gloria, Volgare illustre nel ilOO ecc., e il volume commemorativo La
scala del cielo, edito da F. Zambrini. A quest'ultimo propone emendamenti.
— Disp. 4-5: (}iov. PiNELLi, Il Mattino del Parini , commento. — V. Di
Giovanni, Alcuni luoghi del contrasto di Ciulo d'Alcamo ridotti a miglior
lezione e nuovamente interpretati. [Confrontando la lezione data dal D'An-
cona con la riproduzione eliotipica del Monaci , 1' A. crede poter proporre
diversi miglioramenti nella lettura del documento prezioso. A proposito del
V. 22 torna di nuovo sulla questione degli agostari, e in una nota aggiunta
all'articolo si trattiene ancora sulla defensa]. — L. Pagano , Pietro delle
Vigne in relazione col suo secolo. [Continuazione , vedi Giorn. , IV , 468].
— A. MiOLA, Le scritt. in volg. dei primi tre secoli della lingua ricercate
nei codd. della bibl. Nazionale di Napoli. [Continuazione, vedi Giornale,
IV, 468. Cod. XII. G. 1 , trattati ascetici e per confessori. Cod. XII. G. 2 ,
Specchio di croce del Cavalca. Cod. XII. G. 3, Quadriga spirituale di Nic-
SPOGLIO DELLE PUBBLICAZIONI PERIODICHE 453
colò da Osimo. God. XII. G. 4 , Idem , e altri scritti monastici. Cod. XII,
G. 5, Regolo di S. Francesco e Regolo dei frati minori ecc. Cod. XII. G. 6,
il « liljro chiamato spine et rose » (di fra Giusto da Aquila?) e trattato
della confessione di fra Pietro da Trani. Cod. Xll. G. 7, varie scritture
ascetiche, in mezzo alle quali trovasi una breve cronaca aquilana dal 1254
al 1462. V è pure una specie di atto di contrizione in rima , che vorrebbe
essere in ottave, e comincia Confexome ad deo patre creatore. Il M. lo
jroduce interoj. — E. Pèrcopo, Le laudi di Fra Jacopone da Todi ecc.
"Continuaz., vedi sopra]. — P^rnesto Lamma, Studi sul Canzoniere di Dante.
"Contributo a uVia futura edizione delle rime di D. Il L. dà una tavola delle
rime che furono pubblicato col nome di D. e nota qui 27 codici Lauren/iani
e 6 Magliabech. che ne contengono. Il lavoro, quantunque parecchio abbor^
racciato, non riuscirà inutile. ET a deplorarsi nell'autore una certa inespe-
rienza, che gli fa ripetere cose molto note e talora lo fa uscire in asserzioni
ingiustificate. Per es. a p. 192 n. egli dice di credere certamente della metà
del sec. XV il cod. Laur. XLII, 38, che il Barbieri e altri reputarono del
XIV, e poi a p. 219 lo assegna al XIV (che per uno di quelli errori di
stampa ai cui quest'articolo e zeppo diventa XIX). Il cod. e invece certa-
mente del sec. XIV e basta vederlo per esserne convinti! — Luigi Alber-
TAZZi, Sulla vita del beato Colombini. [Con chiarezza e buon metodo l'A.
dimostra 1° che il b. Giovanni Tavelli da Tossignano compilò un breve
compendio in lingua latina della vita del b. Giov. Colombini; 2° che il detto
compendio è quello stesso che di su un cod. senese fu edito dal Manzi ;
3° cne Feo Belcari lo voltò in volgare e lo inseri nella sua vita del Colom-
bini]. — G. B. G. GiCLiARi, Bibliografia MafTejana. [Opere anonime o pseu-
donimo; opere mss. inedite]. — Recensioni, L. Gaiter, R. Renier, Il tipo
estetico della donna ecc.; T. L., Flagellazione, ragionamento inedito di
G. Leopardi. [Edito per nozze da F. Ferri Mancini].
Il Topino (Foligno):
Anno I, 1885. — N» 25: M. F. P., Il palazzo dei Trinci. [Si discorre
della importanza storica e artistica di questo monumento, ogffi, per incuria
del governo, trascuratissimoj. — N» 26: M. F. P., Sigismondo de Comi-
tibus. [Di questo buono storico del sec. XV si pubblica un ricordo biog^-
fico scritto dall'anconitano Bartolomeo Alpeo, in un cod. che oggi sta nel-
l'archivio comunale di Ancona]. — N" 29: (I![arlo] ATttilio] M[elchu],
L" Apocolocintosi di Barbanera. [Cont. n' 30, 31, 'Si. Ej riassunto un arti-
colo scritto neir Archiv fùr Litteraturgesch. di quest' anno dal Meyer
V. Valdeck, il quale opina che la scena della strega che declama nel Fattst
di Goethe sia stata inspirata dalla lettura delle cabale poetiche contenute
nell'almanacco di Foligno, che si stampa da oltre un secolo col titolo di
Barbanera.
Jl Vessillo israelitico (Casale Monferrato) :
Anno 1885. — ,Punt. XII: Lionello Modona, Una poesia inedita di Ma-
nuello Giudeo. [E una frottola intitolata Bisbiglio, tratta dal cod. 1289 del-
l'Universitaria di Bologna, dove a Manoello è attribuita].
La Cultura (Roma):
Anno IV, 1885. — Voi. VI, n» 7: D. P. esamina M. Bencini, Il vero
Gio. Batt. Fagiuoli. [Rileva deficienze ed errori e dice il libro € prolisso,
« slavato e senza brio ». Cfr. Giom., V, 459]. — B., Ih. Desdouits, Lo legende
tragique de Jordano Bruno. [Allega contro i documenti pubblicati dal
Berti. Cfr. il n» 10 della Cultura, a p. 369]. — N» 10: F. Tocco, Recen-
sione importante della pubblicazione delle opere latine di Giordano Bruno
iniziata da F. Fiorentino. — N« 11: G. Capasso, Fr. Scaduto, Stato e Chiesa
s
454 SPOGLIO DELLE PUBBLICAZIONI PERIODICHE
secondo fra Paolo Sarpi. [Rilevante. Il Ree. rimprovera all' aut. di non
aver tenuto conto dei documenti di Roma e di Venezia studiati recentemente,
e mostra come essi modifichino in parte gli apprezzamenti sulle teorie po-
litiche del S.]. — N» 16-17 : F. Torraca, P. Ercole, Guido Cavalcanti.
[« 11 volume certo non dissipa tutte le oscurità, non colma tutte le lacune;
« ma attesta lungo e diligente studio ». Premesso ciò, il T. muove parecchi
appunti al voi., alcuni dei quali degnissimi di nota]. — P. Merlo, R. Renier,
Il tipo estetico della donna nel m. evo. [Vorrebbe la predilezione per la
biondezza di origine puramente germanica, e che quindi « la determinazione
« germanica del tipo donnesco » fosse posta a fondamento della trattazione].
— A p. 587 segg. resoconto del Congresso storico tenutosi a Torino nel
settembre.
La domenica del Fra^ìo^ssa (Roma):
Anno li, 1885. — N° 24: Trucioli. [Ire accademiche. Risposta al Saviotti
er cui vedi Giorn., V, 475. — Un predicatore del Seicento. Serafino Boni
a Lucca, autore di un Contrapunto quaresimale, edito a Lucca nel 1638].
— G. PicciOLA, Il Carpaccio e il Tiepolo. [A proposito del recente libro
del Molmenti]. — Varietà. Due lettere inedite di A. Vannucci ad E. Bindi.
[Son del 1835 e descrivonsi impressioni di viaggio nella prima; nella seconda
si parla di un libro del Bindi, che gli editori non dicono qual sia]. — N» 25:
0. GuERRi.Ni , Raffaello di M. Minghetti. [Cfr. una lettera di V. Pica sul
medesimo argomento nel n"» 261. — N" 26 : M. Scherillo, Beatrice. [Rias-
sumendo la questione della realtà di Beatrice, lo S. la ammette, ma quanto
alla storicità fa le sue riserve]. — N" 27 : Trucioli. E. Faelli, / moniti
segreti della Compagnia di Gesù. — Varietà. D. Mantovani, Un'opera
poco nota di G. Casanova. [Si tratta del solito Icosameron']. — N" 30 :
Trucioli. G. Bobbio, Un plagio nel sec. XVI. [Pietro Massolo pubblicò
nel 1557 in Bologna de' Sonetti morali, uno de' quali non è che un rifaci-
mento di una ottava famosa dell' Orlando Furioso}. — N" 31 : Trucioli,
E. Faelli, Mario Equicola. [Premessi alcuni cenni biografici, viene a di-
scorrere del Libro de natura de am,ore, del quale descrive una stampa
veneziana sconosciuta, a quanto dice, ai bibliografi. (Fratelli da Sabio, 1525,
in-8o, 203 fi".)]. — N» 34: Trucioli, La D. del F., Curiosità ed aneddoti
romani degli ultimi anni del sec. XVIII. [Dai dispacci dell' Agente luc-
^;hese a Roma, P. Bottini]. — G. Antona-Traversi , Notizie e aneddoti
Leopardiani. [Gont. e fine n^ 35]. — N" 36: Trucioli, A. De Nino, Tenerezze
religiose a Scontrone. — A. Melani , Della patria di Niccola Pisano.
[Gont. e fine n° 36. In questa difficile controversia l'A. non si schiera dalla
parte di coloro che credono Niccola originario di Puglia, e nemmeno di
quelli che lo sostengono toscano di nascita e di educazione. Grede che a
risolverla occorrano dati più sicuri di quelli che ora si possiedono]. —
N° 38, G. Sforza, Un episodio del risorgimento italiano. [Dello sbigotti-
mento di Garlo Lodovico di Borbone Duca di Lucca per i moti del '31 son
prova alcune sue lettere al Mansi, presidente dei ministri, qui pubblicate e i
provvedimenti presi da questo]. — N» 41 : A. Tomaselli, Un poeta dimen-
ticato. [Antonio Somma, udinese (1809-1864) che ebbe parte nella difesa di
Venezia nel 1848, avvocato valente ed autore di tragedie non prive di va-
lore]. — E. GiMBALi, Uno storico delle Paludi Pontine. [M. Spedalieri
scrisse in latino un' opera del bonificamento delle paludi pontine, che tra-
dusse e stampò sotto il proprio nome a Roma nel 1800 mons. N. M. Nicolai].
— N" 42 : G. Ghiarini, Per una nuova edizione delle poesie del Leopardi.
— La D. del F., Due lettere di G. Mazzini. [Sono del 1841 e dirette alla
Quirina Mocenni-Magiotti ; facevano parte del carteggio edito nella N. Anto-
logia (vedi Giorn., IV, 473) ma ora non se ne hanno che copie scorrette. Nella
seconda si ragiona del Foscolo e degli articoli suoi inglesi che si volevano
tradurre]. — N» 43: A. Bianchi, Alcune lettere di E. Ricasoli e F. Pa-
Cini. [Sono cinque del 1872 del 1875, 76, 78 e non troppo importanti].
SPOGLIO DELLE PUBBLICAZIONI PERIODICHE 455
La filosofia delle scuole italiane (Roma) :
Voi. XXXI, 1885. — Disj). 2»: L. Pietrobono, Il fondamento psichico
della vita animale secondo il Rosmini ed il Darwin.
La Rassegna (Roma):
Anno 1885. — 1° nov. (supplemento letterario): Francesco Torraca,
Donne reali e donne ideali. (Lungo e ingegnoso articolo, nel quale il T.
prende ad esaminare il libro del Renier sul Tipo estetico della donna nel
medio evo, con lo scopo di dimostrare che la monotonia del tipo nelle de-
scrizioni poetiche della donna non è peculiare al medio evo e che non si
può trarne illazioni per convalidare la teoria della idealità della donna can-
tata da certe scuole dell'età media. Alcune obiezioni il T. aveva già messo
innanzi nel Corriere del Mattino di Napoli (23 ag. '85), ma qui egli svi-
luppa ampiamente le sue idee e le correda di nuove prove. L'articolo venne
ristampato in un elegante volumetto, Roma, tip. Nazionale, pp. G3].
La Rassegna italiana (Roma):
Anno V, 1885. — Voi. I, fase. 3» (ritardato): M. Armellini, Documento
autografo di Brunetto Latini ^relativo ai Ghibellini di Firenze scoperto
negli archivi della S. Sede. [È un atto notarile rogato da Br. Latini in Pa-
rigi il 15 sett. 1263. L'atto ha certo la sua importanza; ma, anche ammet-
tendo l'autografia sostenuta dall'A., non ci semora che possa chiamarsi un
« insigne documento ». La illustrazione che l'A. ne fa mostra la sua poca
perizia nell'argomento]. — Voi. Ili, fase. 3°: Licurgo Pieretti, Cola di
Rienzo e Bosone da Gubbio. [Sostiene la canz. Spirto gentil diretta a
Bosone].
La Rassegna Nazionale (Firenze):
Anno VII, voi. XXIV. — i° luglio: N. Castagna, G. di Cesare. [Coni,
e fine: vedi voi. XXIIF, p. 204]. — G. Fabris, La conversazione di Man-
zoni. [Raccoglie con garbo notizie curiose sopra i personaggi che solevano
circondare il Manzoni e sui temi delle loro conversazioni]. — t). Catellacci,
Alcune lettere inedite di A. Muratori! [Cont.: vedi voi. XXll, p. 585]. —
A. Nardini Nespotti Mospignotti, Il campanile di S. Maria del Fiore.
[Gont., voi. XXV, pp. 26 sgg. Si propone dimostrare come Giotto non abbia
se non che incominciato il campanile, il quale nelle parti più alte non può
appartenere che alla fine del sec. XIV]. — 16 luglio : L. Grottanelli, Un
collaboratore di L. A. Muratori. [L'A. riunisce notizie biografiche suH'erudito
senese Uberto Benvoglienti, del quale contrappone la serenità e la nobiltà
di carattere alla violenza ed alla venalità del suo concittadino, il Gi^li. 11
lavoro è non privo d'interesse ; ma dalla ricca collezione dei mss. e dei cai>
teggi del Benvoglienti, che si conservano nella Comunale di Siena, il G. po-
teva cavare materiali più copiosi e più importanti.]. — Rassegna biblio-
grafica. A. Gotti, Goldoni e il Teatro di S. Luca a Venezia per D. Man-
tovani. — 1° Agosto: T. Roberti, Lettere inedite di C. Vannetti. [Son sei
lettere scritte alla madre, ed a Marianna Chiusole, durante il suo viaggio nelle
Provincie venete, dal 3 al 16 giugno 1788. Seguono a queste altre cinque del 1790
e '91, al Bettinelli, alla nipote di questo, la Bridi, all'Ab. Gius. Pederzani].
— G. Conti, Madonna Prudenza da Troni. [Fu decapitata come awele-
natrice del marito il 26 aprile 1549 in Firenze. Era giovane e bellissima].
— C. Cipolla, Un documenlo austriaco sui Massoni e sui Carbonari. [Si
tratta di un Rapporto di confronti tra Massoni e CarbonaH con analoghe
osservazioni, tratto dall'archivio di Graz ed edito nel fase. 4 degli Steiermdr-
kische Geschichtsblàtter (1884). L' autore che scriveva forse nel 1817 era
certo un veneto e si rivolgeva a qualche alta autorità austriaca]. — A. Pippi,
Achille Mauri. — 16 agosto, I. Del Badia, Lettere inedite di Benedetto XIV.
[E' un esame delle lettere del Lambertini al canonico Peggi, testé date alla
456 SPOGLIO DELLE PUBBLICAZIONI PERIODICHE
luce dal Kraus; per cui vedi Giorn. V, 4631. — G. Rondoni, Siena e V an-
tico contado Senese ecc. [Gont. vedi voi. XXllI, p. 450. Raccoglie qui gli
elementi tradizionali e fantastici che occorrono nelle narrazioni e nei ricordi
che della battaglia di Montaperti si hanno presso gli scrittori senesi. Tocca poi
d'altre leggende d'indole familiare e privata; come quella della Pia de'Tolomei,
di Cangenova Salimbeni, raccolta dal Bargagli, e di Angelica Montanini,
di cui ha narrati i casi il Sennini : e della famosa del Re Giannino']. —
Voi. XXV, 1° settembre : P. Fea, A. Farnese nei Paesi Bassi. [Gont. vedi
voi. XXV, p. 387 e XXV, p. 334]. — Rassegna bibliografica. [X. X. parla
con lode delle Briciole letterarie di A. De Nino, G. B. G. del Man. della
Letter. It. del sec. XIX di G. Mestica e di un opuscolo su Mon. Leopardi,
non che della polemica Papa-Amalfi]. — 16 settembi'e: G. Guasti, Storia
aneddota del volgarizzamento dei Due Testamenti, fatto dalVab. A. Mar-
tini. — A. Valdarnini, T. Mamiani. — 1° ottobre: G. Rondoni, Siena
e Tantico Contado senese ecc. [In questa seconda parte l'A. prende ad esa-
minare le leggende religiose e prima quella di S. Ansano; poscia le meno
famose di Santa Mattiola, protettrice di Ghiusi, di S. Marziale, viva in GoUe,
de' SS. Gerbone e Regolo]. — A. Astori, Polemica Manzoniana. [Riassume
la lunga e noiosa questione che si è testé dibattuta intorno ai Promessi
Sposi e lo fa con molto giudizio]. — !<> ottobre: Gatellacci, Alcune lettere
inedite di L. A. Muratori. [Gont. vedi voi. XXIV, p. 81].
La Monda (Verona):
Anno III, 1885. — N° 28 : P. Sgulméro, Una epistola di Silvia Curtoni
Terza ad I. Pindem,onte. — N° 32 : Lettere inedite di I. Pindemonte,
S. Pellico, Y. Gioberti e G. Leopardi. [Quattro; ma di poco rilievo]. —
N" 45: F. GuARDiONE, Giuseppina Turrisi- Colonna.
Zia Sapienza (Torino):
Anno VII, 1885. — Voi. XI, fase. 5": Scritti inediti di Antonio Rosmini.
[Vedi Giorn., V, 486^7. Gontinua nei fascicoli successivi]. — Voi. XII, fa-
scicolo 1°: Torello del Garlo, Un po' di storia sui « Promessi Sposi »
di A. Manzoni. [Accenna ai giudizi dati sul celebre romanzo]. — Fase. 34:
G. M. Zampini, Leggendo il « Purgatorio ». La Pia. [Insignificante]. — ,
Torello del Carlo, S. Filippo Neri, il card. Federigo e la dottrina cri-
stiana nei « Prom,essi Sposi » d'Aless. Manzoni.
La acuoia cattolica (Milano):
Anno XIII, voi. XXV, 1885. — Quad. 149: D. Gasalin, S. Tommaso
d'Aquino e Dante Alighieri. [Gont., Quad. 131, 132, 133]. — P. Balan, Il
pontificato di Clemente VII e l'Italia de' suoi tempi. [Gont. vedi Quad. pre-
cedente e 130, 131, 153, 154].
La scuola romana (Roma):
Anno III, 1884-1885. — N» 8: N. Angelletti, Quando e dove scrivesse
Dante le opere minori (cont. e fine). [V. Giornale, 111, 313, IV, 306, V, 487].
— No 10: G. Tirinelli, Critici ed eruditi del secolo XVIII. lY.tV. Gior-
nale, V, 487. I ricordati qui sono Alessandro Zorzi e Glementino Vannetti].
— F. Labruzzi, Il Giordani e un passo del Davila. [Verso la fine del
I. IX della sua Istoria delle guerre civili di Francia, il Davila , descri-
vendo il castello di Blois, chiama pertica dei Bertoni (Bretoni), un cortile
in cui solevano passeggiare e trattenersi i Bretoni. Stimandolo errore mani-
festo, il Giordani suggeriva pratica in luogo, di pertica; ma il L. ha trovato
che quel pertica è spiegato da un passo delle Etudes philosophiques sur Ca-
therine de Médicis, di Onorato di Balzac, dove il cortile è detto Perchoir
aux Bretons]. — F. Labruzzi, Lettera all'avv. Augusto Caroselli. [Ristam-
pata dal Buonarroti, serie II, voi. II, giugno, 1876. Riguarda la canzone del
SPOGLIO DELLE PUBBLICAZIONI PERIODICHE 457
Petrarca Italia mia o i dubbi cui dà luogo]. Epigrammi latini del Varchi.
[Tre]. — N. 11, N. Angeletti, Quando e dove scrivesse Dante ecc. [Con-
tinuazione]. — G. Fracassetti, F. Labruzzi, Sulla canzone petrarchesca
Italia itiia benché *1 parlar sia indarno. [Lettere scambiate nel 1877 fra il
F. e il L ]. — F. Lampertico, Jl Giordani e un passo del Lavila. [L'A.
a giustificare il pertica del Davila ricorda un pertica frascarum, e dice
pertica, nomo comune, essersi usato in Italia]. — Due lettere alla contessa
Enrichetta Dionigi-Orfei. [Di Vincenzo Monti l'una, 27 marzo 1807, di Gia-
como Leopardi l'altra, 27 dicembre 1824]. — G. Fracassetti, F. Labruzzi,
Sulla canzone petrarchesca ecc. [Continuazione]. Epigrammi latini inediti
del Varchi. [Due].
U Ateneo Veneto (Venezia):
Serie IX. — Voi. 1, 1885. — N' 5^: Ern. Bonvecchiato, Giacomo Leo-
pardi e la filosofia dell'amore. — G. Fantoni, Angelo Baldan veneto, mu-
sicista del passato secolo. [Notevole]. — Voi. 11, n' 1-2: Vincenzo Mar-
chesi, Venezia nell'età del rinascimento. [Discorso accademico, nel cattivo
senso della parola]. — Giovanni Glasi, Per il centenario di A. Manzoni.
— Recensione di M. intorno al libro di R. Renier, Il tipo estetico della
donna ecc. — N* 3: A. Salv agnini, Recensione dell'opuscolo di A. Gloria,
Un errore nelle edizioni della Div. Com. ecc. [Sul verso ormai celebre
Padova al palude 1 Cangerà l'acqua che Vicenza bagna (Parad., IX, 46).
11 recensente si dichiara favorevole alla opinione del Gloria].
Letture per le giovinette (Torino):
Voi. V, 1885. — Fase. 1 : AuR. Gotti, Del Novellino. — Fase. 2: A. Graf,
Epopea in Italia. — Fase. 4: A. Gotti, Di Benvenuto Cellini.
L' Illustrazione Italiana (Milano):
Anno XII, 1885. — N» 24 : E. De Marchi, Bisticci e freddure. —
D. A. Parodi, Le tragedie di A. Manzoni. [Cont. e fine, veoi n» 19]. —
N» 26 : A. De Nino, Ovidio nella tradizione popolare di Sulmona. [Cont.,
vedi, num' 2 e 3. Qui il De N. raccoglie le tradizioni sulla casa e sulla
villa d'Ovidio, che sono edifici di Sulmona e dei dintorni, dove restan
vestigia e memorie di templi antichi. A Fonte d'am,ore vi son mine che
si dicon le Poteche de'Viddie e dove la tradizione afferma nascosti tesori.
Nel n° 27 si narra poi come morisse Ovidio; egli fu cacciato in esilio per
aver violata la figlia dell'Imperatore e dopo essere stato una notte intiera
penzolone in un canestro : il che richiama la leggenda virgiliana. Poi si
descrivono le statue che furono erette in Sulmona al concittadino; una era
posta in fronte al palazzo municipale, vestita con abiti talari e si conserva
tuttora ; un busto antico che stava sulla Porta del Salvatore minata per
terremoto nel 1706 è stato poi venduto]. — N" 28 : A. Neri, Un'avventura
dell'ab. P. M. Tosini. [Codesto avventuriere, autore di varie opere, quali La
Libertà dell'Italia dimostrata a' suoi principi e popoli. Storia e sentimento
sopra il Giansenismo, fu quasi causa nel 1703 d'una rottura fra la Repubblica
Genovese e la Spagna : l'incidente è raccontato sopra inediti documenti degli
Archivi Genovesi]. — N» 30: G. Carrocci, Il mercato vecchio di Firenze.
Oratorio di S. Maria della Tromba. — N» 32 : L. CoRio, / giornali della
Repubblica Cisalpina. [Dà qualche notizia sulla Gazzetta Enciclopedica
di Milano che si stampò daQ 1780 al 1802 nella tipografia Motta. Cont.
no 33 e n» 34]. — • G. (jhirardi, Gaud. Ferrari. [Cont. n» 39 e 40]. —
35: F. D'Ovidio, Manzoni e C. Porta. [Continuazione n» 37. L'A. argo-
menta acutamente dall'esame dei caratteri dello stile del Porta e del Man-
zoni l'influenza che il primo può aver esercitato sul secondo; raffronta la
potenza di ambedue nel creare tipi e accenna a consonanze generiche e
parziali che si posson ritrovare fra V uno e l'altro]. — N* 38 : E. Masi, H
Piemonte dal 1802 al 1814. [Cont. n<> 39]. E' un esame dell' opera Storia
Giornale ttorico, VI, fase. 18. 80
458 SPOGLIO DELLE PUBBLICAZIONI PERIODICHE
della Mon. Piem. di N. Bianchii. — N» 40: A. Neri, Lettere d'Artisti di
Teatro. [Sono tre: una del celebre tenore Tacchinardi , la seconda dell'at-
tore Vestri , la terza del Domeniconi]. — M. Scherillo , Don Saverio
Mbomma. [E' un tipo intermedio fra il Capitan Fracassa ed il Guappo^ pa-
rodia del veterano, creato dal Gerlone e scomparso, lui morto, dal teatro
napoletano).
Tj^ Illustrazione per tutti (Roma):
Anno I, 1885. — N» 15: E. Montazio, Beatrice di Pian degli Ontani
[Biografia di questa improvvisatrice popolare toscana].
L* Italia (Koma) :
Anno III, 1885. — N" 1 : G. Castelli , Sculture Ascolane del sec. XI.
tSono nella Chiesa de' SS. Vincenzo ed Anastasio. Gont. e fine n" 2]. —
ì* 2 : G. B. Toschi, Arte Toscana e arte Napoletana nel sec. XII. [Gont.
n° 3]. — N* 5 : G. Cantalamessa, Un nuovo libro su Raffaello. [Esamina
il nuovo libro del Minghetti ed è d' avviso con lui che i disegni dell' Ac-
cademia di Venezia non siano opera di Raffaello]. — N° 7: A. Venturi,
Un codice miniato da Nikolaus Glockenton nella R. Biblioteca Estense
di Modena. — N° 8 : P. Piccirilli , Poeta Ovidius Naso Sulmonensis.
[Pubblica una incisione della statua eseguita nel secolo XV in Sulmona
per rappresentare Ovidio : egli parla anche di un sigillo che si trova in
documenti sulmonesi del sec. XV e XVI; dove è ritratta una mezza figura
« in abito medievale » (?) che regge con le braccia una targa ; il sigillo
porta la leggenda f Sigillum f Sulmone •{- Universitatis e sulla testa della
figura le parole Ovidius Naso. Queste sono novelle prove della popolarità
di cui godette in patria il poeta , da aggiungere alle raccolte dal De Nino.
Gfr. Spoglio, p. 442, 457].
Lucania letteratHa (Potenza):
Anno 1, 1885. — N» 28: V. Jorlin, Giuseppe Massari e Vincenzo Gio-
berti. [Continua nei n' seguenti].
Napoli letteraria (Napoli):
Anno II, 1885. — N" 1 : F. de Sanctis, La scuola liberale del sec. XIX.
[Lezione riassuntiva di un corso sulla scuola manzoniana, ripubblicata da
un'appendice del Roma di Napoli, 1874]. — G. Amalfi, Francesco Fioren-
tino. — P. Imbriani, La Regina di Navarra e Paolo-Luigi Courier. —
[L'I. dimostra come la famosa lettera del Courier da Resina, 1° uov. 1807,
alla cugina Sofia Pigalle, sia un plagio della 34* novella àe\Y Ettamerone,
e come la novella stessa sia d'origine popolare e tuttora vivente. S. Muzzi
la raccolse dal popolo e narrò a suo modo]. — N" 2: A. Broccoli, Intorno
alla nascita e vita letteraria di Simone Porzio, due lettere inedite di
F. Fiorentino a C. Minieri- Riccio. [Continua nel n" 3]. — G. Amalfi,
Gabriele Altilio ed una sua poesia inedita. — .G. Signorini, F. Petrarca
a Linterno.^ [Insignificante]. — Lettere inedite dell'ab. F. Galiani all'ab.
L. Mehus. [È una lettera da Napoli, 20 agosto 1779. Altre cinque furono pub-
blic. nei n^ 35 e 36 dell'anno I. Gfr. q-uesto Giorn., IV, 473]. — Rayo, Il
colera e S. Pellico. [Esame superficiale del carme del P. Il colera in Pie-
monte^. — N» 4 : G. Amalfi, Venticinque tnotti dell'abate Galiani. [Già edito
nella Riv. Minim,a, anno XIII, fase. 9°]. — Cronaca. [Si fa un largo rias-
sunto dell'art, di F. Torraca su Li gliuommeri del Sannazzaro , pubbl. in
questo Giorn., IV, e della Neapolitana di R. Guiscardi]. — N 5: Per
un'ottava inedita diV. Monti. [E' intitolata Al 1813; ed è, mutilo, il celebre
sonetto Alfin sei morto, edito fra le Poesie del M., ediz. Barbera!]. — A. Broc-
coli, Intorno alla vita ed alle opere di Giam,battista della Porta; Due
lettere inedite di F. Fiorentino a C. Minieri-Riccio. [Contin. nel n* 9]. —
SPOGLIO DELLE PUBBLICAZIONI PERIODICHE 450
G. Amalfi, El Giordano di Marino fonata. [Riassunto della tesi di laurea
di F. Ettari, Napoli, 1885]. — N° 7: A. Torre, Polemica daktesca. [Rias-
sunto della polemica fra G. Amalfi o P. Papa , di cui s' è già fatto cenno
più volte]. — N" 8: Un Annoiato, Una seconda quistione manzoniana.
I A proposito degli articoli del D'Ovidio, del Borgognoni e del Patuzzi sulja
(luistione se al Manzoni debba o no accordarsi ospitalità nelle scuole clas-
siche]. — N* 9: G. Amalfi, Il Geronta Sebezio. [E' il titolo di un gior-
naletto satirico che vide la luco in Napoli dal 27 agosto 18^,, per opera
e redazione unica di un avvocatuccio a nomo Domenico Bocchini. Con-
tinua nel no H]. — N» 12: U. Savino, Antonio Tari., reminiscenze. —
N" 13: V. Imbuiani, Tre lettere inedite di F. C. Savigny. [Sono diretto a
Giuseppe Poerio: due del 1827, l'altra del '32. Illustrate largamente dall'I.,
il quale si ferma a preferenza sulla vita del Poerio, nel n" 111. — A. Ca-
sertano , La Rinascenza e Marc Monnier. [Recensione del libro del M.
sulla Rinasc.]. — G. Amalfi, Papajoarvorum. [Ultima parola sulla polemica
dantesca, sorta fra l'A. ed il Papa. Cfr. n° 7]. — N° 15: C. Antona-Traversi,
Per il Pindemonte. [Risposta insolente ma vuota all'articolo del Novati
sulla Cronaca Sibarita]. — V. Visalli, Salomone e Leopardi. [Raffronti
fi'a alcuni brani deW Ecclesiaste o alcuni altri spigolati nelle opere del L.].
— N° 16: Una supplica inedita di G. B. Vico. [Il V. domanda al te
Carlo 111, nel 1735, n'esser nominato regio istoriografo. Dopo una lunga
enumerazione de' suoi titoli, conclude: « Ora il supplicante si trcA^a in grave
« età, con numerosa famiglia, e poverissimo, non avendo dalla sua cattedra
« più di soldo che cento scudi annui con altri pochi incerti, ch'esige dal di-
« ritto delle fedi di Rcttorica, che dà ai Giovani, che passano agli studi Le -
« gali. Per tutto ciò priega la Maestà Vostra d'impiegarlo nella carica di
« Vostro Istorico Regio con tanto di sostentamento, che unito con quello dello
« Cattedra, possa con qualche riposo scrivere le Vostre gloriosissime geste, e
< finire onestamente la vita ». Per questa nuova carica ottenuta, ebbe altri
cento scudrj. — E. Maresca, Francesco Fiorentino poeta. — N» 17 : V. Im-
bruni, La caccia agli astri. [Saggio di demopsicologia comparata]. —
G. Amalfi, // Montesquivio in Italia. — N° 19: F. Trevisan, Una nuova
vita di Ugo Foscolo. [Notizia anticipata della Vita del Foscolo, di Federico
Gilbert de Winkels, di cui è uscito ora il primo volume. Continua nel
n" 20]. — N» 20: E. Costa, Una lettera inedita di Pietro Giordani. [Da
Firenze, 1820. Estratta dalla Comunale di Piacenza. E' tutta contro l'edu-
cazione data dai frati]. — In giro. [Vi si ripubblica l'iscrizione ch'è sulla
tomba del Tcbaldeo in Santa-Maria-in-via-Lata a Roma]. — N* 21 : E. Ma-
GLiANi, Etère del Cinquecento. — N» 22: Bue httere inedite del Mamiani
ad Alessandro Poerio. [L'una è del 1844, l'altra del '45; da Parigli —
F. de Sanctis, La filosofia del Leopardi. [Dal voi. ora pubblicato dal Mo-
rano]. — V. Imbruni, Aloise Cinti delli Fabrizii. [Dalle illustrazioni alla
ristampa della Posifcc/ieato procurata dallo stesso Imbriani]. — E. Magltani,
La canzone d'una suora. [Dea. dei Bardi. Primizia del voi. Storia delle
donne ital., di cui parliamo nel Bollettino. — N» 26 : Falstaff, L'umo-
rismo nell'arte. [Recensione sfavorevole delle due conferenze fatte da Giorgio
Arcoleo al Filologico di Napoli].
Nuoi)à Antologia (Roma) :
Seconda serie, voi. LII. — Fase 13: B. Zumbini, Il Klopstoch c i grandi
epici moderni. [Qualche raffronto con poeti italiani, segnatamente col Tasso
e con Dante]. — G. Franciosi, Dante e il beato Angelico. [E* un parallelo
abbastanza singolare, e in cui ci sembra alquanto travisato il carattere ar-
tistico dell'Alighieri. Come si fa a dire che tujto quanto egli ritrasse « si
« veste, più I) meno, degli spletidori del femminino eterno? »]. — Fase. 14:
Luigi Sailer, Il padre Cristoforo nel romanzo e nella stona. [L'A. con-
siderando gli intendimenti e i metodi artistici del M. crede difficile che egli
rappresentando cosi al vivo padre Cristoforo non facesse se non lavorare di
460 SPOGLIO DELLE PUBBLICAZIONI PERIODICHE
fantasia. Egli pertanto si propone di < ricercare nella storia per vedere se
* il padre Cristoforo sia personificazione fedele di un fenomeno generale,
< ovvero una pretta creazione dell'artista, un pio desiderio del cattolico ».
L'A. narra la curiosa storia di Alfonso III d Este, che vivamente scosso
dalla morte immatura di sua moglie Isabella di Savoia, si fece cappuccino
nel 1629. Fatti simili non erano rari nel sec. XVII. 11 M. si attenne a dati
storici, ma idealizzò la figura di cui TA. mette in chiaro le caratteristiche,
con uno scopo determinato. Secondo lui il M., tratteggiando quel tipo, si
conformò unicamente alla ragione dell'arte, quella di « rispecchiare fedel-
« mente in ogni personaggio tipico da lui creato altrettante specie d'uomini,
« acutamente osservate e distinte, o nella realtà presente o nella storia »].
— A. D'Ancona, Torino e Parigi nel 1643. [Interessanti spigolature dal
diario di Giovanni Rucellai pubblicate recentemente in ediz. non venale da
Y. Tempie-Leader e G. Marcotti. Il D'A. illustra da par suo queste curiose
memorie di viaggio. L'artic. termina nel fase. 15]. — Fase. 15: B. MoR-
SOLIN, Pietro Bembo e Lucrezia Borgia. [Artic. importante e ben condotto].
— Voi. LUI, fase. 17: Tullo Massarani, Carlo Tenca e il pensiero ci-
vile del suo tempo. [Termina nel fase. 18]. — Fase. 18: G. Chiarini, Pietro
Giordani. I primi anni e i primi scritti. {Ì774-1809). [Si trattiene prin-
cipalmente sul Panegirico di Napoleone]. — Fase. 19: Enrico Panzacchi,
Pietro Aretino innamx)rato. [Tratteggia l'amore dell'A. per Angela Serena
e la passione per Ferina Riccia, giovandosi delle lettere aretinesche]. —
G. PiERGiLi, La cultura letteraria nelle scuole. [Riguarda Y Antologia cri-
tica del Morandi]. — Fase. 20: A. Borgognoni, La bellezza femminile e
Vamore nell'antica lirica italiana, a proposito d'una recente pubblicazione.
[Quella del Renier, Il tipo estetico della donna nel medio evo. Specialmente
importante quanto è detto del colore bruno dei capelli. In fine del suo ar-
ticolo il B. richiama alcune celebri descrizioni di donne di poeti latini e
greci. Vedi anche ciò che sul libro del R. e su questa memoria del B.
scrisse la sig. C. Pigorini-Beri in una appendice àeW Opinione del 6 no-
vembre '85]. — G. Martucci, Salvator Rosa nel personaggio di Formica.
[Interessante articolo, che ci descrive la vita allegra del Rosa come attore
burlesco nelle mascherate carnevalesche e nelle commedie dell'arte. Rappre-
sentò il personaggio di Formica e vesti la maschera di Pasquariello].
Opuscoli religiosi, letterari e mortili (Modena):
Serie IV, t. XVII, 1885. — Fase. 50: Pico Luri di Vassano, Modi di
dire proverbiali e motti popolari italiani. [Continuazione; v. t. XVI, p. 360.
Seguita nel fase. 51].
Periodico della Società Storica per la provincia e antica dio-
cesi di Como (Como):
Voi. V, 1885. — E. Motta, Ebrei in Como ed in altre Città del Ducato
Milanese. [Notevole saggio sulle condizioni degli Ebrei nella Lombardia
durante il sec. XV, condotto sulla scorta di documenti inediti dell'Arch. di
Stato di Milano]. — A. Monti, Accademie di Como. [Ricorda le più antiche
Accademie fiorite in questa Città: la Laria, fondata circa il 1560 da Giro-
lamo Passalacqua e morta con lui (1583), sebbene godesse di molto grido e
il Minturno le dedicasse la sua Poetica; quella dei Veloci, istituita nel 1655
da E. Albergati .ed essa pure morta col fondatore (1698), Vlnnocenziana,
eretta dal vescovo Cernuscni nel 1742; la Parteio-Pliniana, eretta nel tempo
medesimo dai Gesuiti; e quella dei Taciturni fondata da G. M. Quadrio.
Oltre a queste ne sono certamente esistite altre; due del Cappellaccio e
degli Amorevoli, che rimonterebbero alla seconda metà del sec. XVI, sono
rammemorate da una raccolta di poesie italiane e latine, già della libreria
Giovio, ora della Comunale. Di alcune si hanno gli autori : un Giov. Cep-
£ato, Lod. Cerutto, Ger. Magnocaballo ; e parecchie son pubblicate per saggio,
fn'altra Accademia degli Indifferenti visse nel sec. XVIII ed infine una
SPOGLIO DELLE l'UHlllJCAZIONI PERIODICHE 461
di Scienze, Lettere ed Arti fu aperta nel 1810 e vi furono ascritti il Giovio,
il Volta ed altri. Perì col Regno d'Italia (1814)], — A. Monti, Il lago di
Como di Mons. Rev. Giovio tradotto in lingua italiana per Vincenso
Becci Sanese. [Del traduttore, che mandava la sua versione della Descriptio
Larii Lacus al cav. A. M. Quadrio, da Tirano il 16 luglio 1560, nulla è
noto; l'Ed. lo crede uno de' Toscani o esiliati dai Medici o sospetti di eresia.
Pare insegnasse la gramVnatica latina a Tirano. Va unito un facsimile della
carta del lago di Como, che si trova nell'edizione veneta, 1569, della De-
scriptio].
Rassegna Pugliese (Trani):
Voi. II, 1885. — N» 10: Giutio Petroni, / dodici maestri di musica di
Terra di Bari. [Brevi cenni]. — N. di Cagno-Politi, Di Giulio Cesare
Vanini martire e pensatore. [Continua nei n' 12, 16]. — C. B., Un antico
vocaholarietto italiano-tedesco. [ L'A. dà saggi di un vocabolarietto italiano-
tedesco pubblicato nel 1500 in Venezia da Giambattista di Sessa, di cui rin-
venne un esemplare nella Casanatense. Il Brunct ne registra varie altre
edizioni dal 1479 al 15171. — N" 13: M. A. Bellucci, / musicisti Baresi.
[Buono indicazioni di bibliografìa musicale]. — S. E. Gustave Colline,
Una bugia napoletana di Wolfango Goethe. [Riguarda W. Hamilton. Si
sarebbe desiderato una maggiore moderazione parlando del Goethe]. —
C. Bertacchi, Recensione degli Studi critici ài F. Colagrosso. [ Favorevole j.
— N^ 14 : S. E. G. C, Un elogio della pazzia italiano. [Ortensio Landi,
ne' suoi Paradossi (^^enezia, 1544) parla di due uomini che avrebbero lodato
la pazzia. L'uno è Erasmo; l'altro, anonimo, secondo il Mclzi, sarebbe Via-
nesio Albergati. L' A. sostiene invece doversi lo scritto a Lelio Benci
sulla fede di un ms. della Casanatense]. — N* 15: Ottavio Serena, La
patria di Mercadante ed altre notizie intorno ad alcuni musicisti del Ba-
rese. [Continua]. — Gustave Colline, Dante Alighieri II poeta latino del
sec. XV. [Articolo diligente, ma senza novità, sui discendenti di Dante]. —
G. C, Un miracolo. [Riferisce tutta intera una curiosissima lettera diretta
il 3 maggio 1586 da un Paolo Landi a Giuseppe Rosacelo di Venezia, nella
quale si narra un caso molto strano occorso in Londra. Quale il caso sia,
lo si può dedurre dal lungo titolo dell'opuscolo, in cui la lettera si contiene
(Napoli, Salvionì, 1586): Copia \ d'una lettera | venuta notamente \ dalla
fortezza di Cales \ nella m.agn. città di Venetia I Nella quale si legge il
grande et spavento | so successo avvenuto in Londra città | principale d'In-
ghilterra alli 24 {d'aprile 1586 \ ove s'intende che mentre in essa città
si recitava \ una Comedia in dispregio della S. Fede, ivi spa \ ventevolmente
apparvero molti diavoli dell' | Inferno e via se ne portarono i Reci-
tanti, I con la m,orte de molti, et altre cose no \ tabili et maravigliose da sa-
j)ersi\ — N° 17: Gustave Colline, Notizie di opere letterarie italiane su
Maria Stuarda. [Interessante. Continua nel n" 19, termina nel n* 20]. —
N° 21 : Gennaro Venisti, Domenico Torricella. [Poeta secantista. Ne é data
•qui la biografia e notizie sulle sue opere, con molto garbo].
Rivista cHtica della letteratura italiana (Firenze):
Anno II, 1885. — N" 2: T. Casini, A. Manzoni, Opere pubbl. da R. Bonghi.
— A. Straccali, M. Bencini, Il vero G. B. Fagiuoli. — A. Medin, G. Bac-
cini. Le facezie del piovano Arlotto. — T. Casini, A. Piumati, Dante Ali-
(jhieri e F. Petrarca — V. Crescini, A. Gloria, Un errore nelle edizioni
della Div. Commedia. — Teza, Otium senense, lett. II a G. Carducci.
[Comunica che il framm. di bestiario in versi da lui segnalato nel n° 5 non
e altro che un brano dell'Acerba e che i versi spagnuoli del Bembo da lui
pubblicati nel Giom. di fi. rom., IV, 73, non sono del Bembo, sì bene fu-
rono da lui messi insieme e impastati con poesie d'altri]. — N° 3: T. Ca-
sini, G. Finzi, Sommario della storia delln lett. it. — G. Biadego, G. B. Giu-
liari. Lettere del marchese Scip. Maffei nel suo periodo di vita militare
462 SPOGLIO DELLE PUBBLICAZIONI PERIODICHE
in Baviera. — E. Teza, F. Paglierani, La Sofonisba di G. Trissino. —
E. MoRPURGO, F. Torraca, Cola di Rienzo e la canz. « Spirto gentil », —
A. Zenatti, P. Ferrieri, Rime inedite di un cinquecentista. — S. Morpurgo,
G. Porro, CatoZo^o dei mss. Trivulziani. — T. Casini, L. Biadene, Il collega-
mento della stanza mediante le rime nella canz. ital. dei sec. XIII e XIV.
— Comunicazioni: T. Casini, Alessandro Tassoni e la Crusca. — N" 4 ;
E. Teza, T. F. Crane, Mediaeval Sermon-Books and Stories. — T. Casini»
L. Biadene, Las razos de trobar e lo Donatz proensals. — S. Morpurgo,
A. Mabellini, Belle rime di Benvenuto Cellini. — G. Setti, A. De Nino,
Briciole letterarie. — T. Casini, F. G. Carnecchia, La vera lezione : versi
59-65 del X Inferno. — Comunicazioni: E Teza, Luoghi da correggere
i^ una lettera di T. Tasso. [Lettera ad Ercole Tasso, che è nel voi. Il,
403 della ediz. Guasti]. — E. Lamma, Di un cod. di rime del sec. XIII.
[Framra. posseduto dal dr. Giov. Barderà. Se ne dà la tavola. Gli autori
sono: G. Guinizelli, Rinuccino, Cine da Pistoia, Dante Al., Gianni Alfani,
Oniesto Boi., Dino Frescobaldi, Verzellino, Terrino, Ser Lippo. Di questo sor
Lippo v'è il principio di una risposta a Dante. Se ne hanno solo i due primi
versi : Dante eo uo che tuo stato pruoueggi \ E uer me drizzi lo tuo inte-
tectò. Corrispondono alla missiva pubblic. in questo Giorn., II, 341]. —
N<* 5: S. Morpurgo, R. Renier, Il tipo estetico della donna nel medio-evo.
— T. Casini, P. Ercole, Guido Cavalcanti. — E. Teza, V. Mikelli, Niccolò
Tommaseo. — L. Biadene, V. Cian, Ballate e strambotti del sec. XV tratti
da un cod. trevisano. — Comunicazioni, A. Zenatti, Una raccolta di sce-
nari della comedia dell'arte. [Da due codici della Corsiniana]. — N" 6:
T. Casini, F. Torraca, Il teatro ital. dei sec. XIII, XIV e XV. A. Ghe-
RARDi, G. 0. Corazzini, L'assedio di Pisa (1405^). — T. Casini, C. Ricci,
Oronache bolognesi di Pietro di Mattiolo e di prete Giovanni. — F. Roe-
DiGER, M. Laue, Ferreto da Vicenza. — A. Zenatti, Catalogne des livrea
mss. et imprimés comp. la bibl. de m. Horace de Landau. — S. Morpurgo,
[A. D'Ancona], L'arte del dire in rima, sonetti di A. Pucci. — A. Zenatti,
G. Mignini, Le tradiz. dell'epopea carolingia nell'Umbria. — Comunica-
zioni: E. Teza, Italiani e spagnuoli, appunti di bibliografia. — I. Del Lungo»
Pentolini. — V. Crescini, Di Jacopo Corbinelli.
Rivista di filologia e istruzione classica (Torino) :
Anno XIV, 1885. — Fase. 1-2: Luigi Valmaggi, La biografia di Vir-
gilio attribuita al grammatico Elio Donato. [Ricerca accurata e interessante
anche per i nostri studi. Il V. conclude : « Noi possediamo una biografia di
« Virgilio che, secondo l'opinione ora prevalente, sarebbe stata compilata
« dal grammatico Elio Donato sopra la vita di esso Virgilio senza dubbia
« inserta da Svetonio nel De viris illustribus ; ma quella biografia non
« può essere di Donato, e nemmeno può rappresentare l'originale di Svetonio;
« si bene essa appartiene ad un anonimo commento alle Bucoliche, una
« delle cui fonti principali fu il commento perduto di Elio Donato, o, forse
« più probabilmente, quello di Servio. Questa biografia, che era la più ampia
« delle antiche, ebbe una grande fortuna nel medio evo, e non tardò a vivere
« di vita propria traendosi seco quella parte di commento che contiene il
« proemio alle ecloghe e che le veniva immediatamente dietro »].
Rivista storica italiana (Torino):
Anno II, 1885. — Fase. 2* : G. Tamassia, Osculum interveniens. [Curioso
articolo sulla importanza consuetudinaria e giuridica del bacio negli spon-
sali. Vi sono anche richiamate molte attestazioni poetiche medioevali, che
avremmo voluto meglio scelte. Qui le inesattezze non mancano: il Wal~
tharius, p. es., è fatto « forse del VI sec. »]. — G. Rondoni, Della vera
origine di Gregorio VII e della stia leggenda. — L. A. Ferrai, Recensione
espositiva del libro di Thor Sundby intorno a Brunetto Latini, trad. Renier.
— C. Falletti Fossati, Oreste Tommasini, La vita e gli scritti di Nic-
SPOGLIO DELLE PUBBLICAZIONI l'ERIODICHE 403
colò Machiavelli, voi. 1. — R. Benier, Recensione del Catalogo dei mas
Trivulziani del Porro. [L'A. fa molte osservazioni al compilatore del cata
loffo e si industria di porre ordinatamente in chiaro i codici più imjK)rtant
della preziosa biblioteca milanese, cosi rispetto alla storia civile come ri
guardo alla letteraria]. — Fase. 3° : B. Morso lin. Recensione del libro di
P. Scaduto, Stalo e Chiesa secondo fra Paolo Sarpi. [Espositiva]. — A
pp. 650-60 resoconto minuto del terzo congresso storico italiano.
Studi di filologia romanza (Roma):
Voi. I, 1885. — Fase. 3: L. Biadene, Las Rasos de trohar e lo Donati
proensals secondo la lez. del ms. Landau. [Ms. della fine del sec. XIII o
principio del XIV. Il B. lo confronta con altri testi noti e ne stabilisce la
genealogia, tanto per l'una come per l'altra delle antiche grammatiche pro-
venzali. Dalla didascalia iniziale e dalle parole di chiusa deduce che autore
del Donato debba senz'altro reputarsi Ugo Faidit (cfr. Giornale, 11, 20-^; HI,
218-21 e 398400; IV, 203-8). Pubblica il testo diplomaticamente (Rettifiche
al testo, dedotte da un nuovo confronto col ms., in Riv. critica, II, 112-Ì3).
In appendice il B. dà notizia della Grammatica provenzale di Bened. Varchi,
staccata da un ms. mgl. e finita ad Ashburnhamplace, d'onde tornò in Italia
con gli altri codici Ashb. (cfr. Giorn., Ili, 102, n. 6). 11 B. mette in sodo
che essa è una traduz. del Donato, condotta sul testo riccardiano]. — G. An-
tona-Traversi, Notizie storiche suW « Amorosa visione ». [Illustra le allu-
sioni storiche del poemetto boccaccesco, e ne ricava la conclusione che esso
dovette essere scritto nel 1341]. — L. Biadene, Correzioni ed aggiunte a
la Passione e Risurrezione. [Pubblicate nel fase. 2°. Cfr. Giorn., fV, 475].
Studi e Documenti di StoHa e Diritto (Roma):
Anno VI, 1885. — Fase. 1-2: A. Battandier, Un volume dei Regesti di
Innocenzo IH donato alla Santità di N. S. Leone XIII da lord. Ashhumìiam.
STKyAnsriEK.E
AnnaZes de la Faculté des Lettres de Bordeaux :
Anno V, 1885. — N* 3: Dumeril, Comines et ses mémoires. [Studia il
misticismo del Comines, quale si appalesa nelle sue memorie e ne indica
una cagione nell' influenza che sul francese esercitò fra G. Savonarola, da
lui conosciuto e consultato nel tempo della sua dimora in Firenze].
Annuaire de la Faculté des lettres de Lyon:
Voi. III. — Fate. 1 : L. Glédat , La chronique de Salimbene, partita
inédites.
BibUothèque de Vécole des chartes (Parigi):
Anno 1885, voi. XLVI. — Fase. 3: Cenno di L. Delisle sulla pubblica-
zione di Francesco Carta, Di un messale valdostano del sec. XV, Roma, 1885.
La descrizione del messale è detta eccellente. — Fase. 4-5: Un cenno di
Elia Berger sul Programma di paleografia e di diplomatica di C. Paoli,
tradotto in tedesco da C. Lohmeyer. Uno del Delisle sui Documenti di Ser
Ciappelletto, pubblicati dallo stesso Paoli nel Giornale (IV, 329-69). Se ne
mostra l'importanza.
464 SPOGLIO DELLE PUBBLICAZIONI PERIODICHE
Bibliothèque universeUe et Mevue Suisse (Losanna):
Anno 90°, 1885. — N» 82: Francois Dumur, Benvenuto Celimi. [Articolo
fatto su' due libri di E. Plon, Benvenuto Cellini, orfévre, médailleur, ecc.,
Parigi, 1883, e Benvenuto Cellini, Nouvel appendice ecc., Parigi, 1884. Se-
guita nel no 83].
BiUletin de la société historique des anciens textes (Parigi) :
Anno 1885. — . Contiene notizia del codice 772 della biblioteca municipale
di Lione, che ci conserva un numero ragguardevole di leggende di santi in
prosa francese. V'è la leggenda di Erode, una redazione del vangelo di Ni-
codemo, un trattato di falconeria ecc. L'indice di questo codice è riferito
nel Literaturblatt, n° 10, p. 426.
BuUetin du BibliopJiUe (Parigi):
Anno 1885, aprile. — V. Develay, Epttres de Pétrarque. [Gont.].
Cronique des beaux-arts et de la littérature (Anversa):
Anno 1885. — 10 ott. : Recensione molto favorevole delle Notizie bio-
grafiche di CI. Monteverdi, pubbl. da S. Davari. [Gfr. Giornale., VI, 311].
Oazette des Beaux-Arts (Parigi):
Voi. XXXI, 1885. — Fase. 336 : Bibliographie des ouvrages publiés en
Franco et à Vétr anger sur Ics beaux-arts et la curiosità pendant le premier
semestre de l'année 1885. — Fase. 338: M. De Ghantelou, Journal du voyage
du Cavalier Bernin en France. [Fine. Vedi Giorn., V, 493]. — Fase. 339 :
E. Muntz, Les dessins de la jeunesse de Raphael. [Sostiene vigorosamente
in questo primo articolo l'autenticità del famoso libro di schizzi dell'Acca-
demia di Belle Arti di Venezia, che parecchi critici negano essere di mano
di Raffaello]. — Gh. Ephrussi, Les médailleurs de la Renaissance. [A pro-
posito dell'opera de A. Heiss]. — Fase. 340: Le Due De Rivoli, A propos
d'un livre à figures vénitien de la fin du XVe siede. [Artic. 1*. (Questo
lavoro, assai notevole, coglie occasione dall'illustrazione di una preziosa e
rara stampa delle Deuote meditatione sopra la Passione del N. S. impressa
a Venezia nel 1491 da Matteo da Parma e Bernardino Benali, per discor-
rere non solo delle altre edizioni della medesima opera uscite in luce a
Venezia, a Milano, a Firenze diciannove volte dal 1480 al 1517; ma anche
degli autori delle belle incisioni che fregiano questa ed altre celebri stampe
veneziane del tempo. Lo scritto, bibliograficamente importantissimo e adorno
da bellissimi fac-simili, cont. e term. nel fase. 341_]. — E. Muntz, Les des-
sins de la jeunesse de Raphael. [In questo 2° articolo l'A. discute l'auten-
ticità de' disegni di Raffaello, di cui si servì il Pinturicchio per gli affreschi
della libreria del duomo di Siena e di alcuni altri sparsi in varie collezioni]^
Journal asiatique (Parigi):
Serie Vili, voi. V, 1885. — N» 3 : H. Zotenberg, Le livre de Barlaam,
et Josaphat. [Rilevante. E' un estratto di una memoria che apparirà nel vo-
lume XXVIII (prima parte) delle Notices et extraits des manuscrits^.
Journal des savants (Parigi):
Anno 1885. — Maggio: B. Haurèau, Manuscrits du Mont-Cassin. [Gon-
tinuazione, vedi Giornale, V, 493. Ultimo articolo sull'argomento nel fasci-
colo di luglio]. — Settembre: B. Hauréau, Epistolae pontificum romano-
rum ineditae. [Sulla pubblicazione recente del Loewenfeld. Continua].
L'Art (Parigi) :
Anno, 1885. — N° 513 : L. Hugonnet, La vériié sur la Fornarina. —
No 514 : E. Muntz, Les artistes Flamands et Allemanda en Italie pendant
le XV' siede.
SPOGLIO DELLE PUBBLICAZIONI PERIODICHE 4GÒ
Le Livre (Parigi):
Anno VI, 1885. — Fase. 9: Pétrarque au Capitole. [Si pubblica tradotto
il discorso che il Petrarca pronunciò 1*8 aprile 1341 in occasione della sua
laurea, secondo il testo edito dall'Hortis].
Vintermédiaire dea chercheurs et dea cttrieux (Parigi):
Anno II, 1885. — N» 10: L'écorché de Milan. [Sulla statua di S. Bar-
tolomeo di Marco Agrati nel Duomo di Milano]. — N° 29: Où est né Eoo-
cace. \_Poffgiartdo risponde citando un documento del 1332 che mostra il
padre del Boccaccio a Napoli]. — N» 30: Prononciation de Gì en patois
Bressan et en italien. [Ulric R-D segnala la pronuncia di ffl identica al-
l'italiana nel Basso Berry].
Polybiblion (Partie littéraire) (Parigi):
Serie II, voi. XXI, 1885. — N» 2 : Th. P., Recensione del libro di Marc
Monnier, La renaissance de Dante à Luther. [Parecchi appunti, ma in
complesso favorevole]. — N° 4 : P. de Nolhac, discorre, facendo molte os-
servazioni di fatto, dell'opera del Chatelain Paléographie des classiques
latins, che esce a dispense. — R. Kerviler si occupa con favore del libro
di Carlo Dejob, De Vinfliience du concile de Trente sur la littérature et les
beaux-arts chez les peuples catholiques.
Hevue cHtiqiie d'histoire et de littérature (Parigi):
Anno XIX, 1885. — No 20 ; Gh. J[oret], A. Thomas, Fr. da Barberino.
[Recensione espositiva favorevole]. — N" 28, Ch. J[oret], A. Thomas, De
Joannis de Monsterolio vita et operibus. [Gfr. Giom., III, 264]. — N» 29 :
P. DE NoLHAG , E. Muntz, La Renaissance en Italie et en France à l'epoque
de Charles YIII. [« ... c'est un livre bien compose, agréable a lire, nourri
« de faits et d'un bon et solide jugement.... il peut paraitre sans désavantage
« à còte des travaux de Burckhardt et de Symonds »]. — N" 34: Em. Picot,
M. Gaster, Literatura populara romana. [Molte interessanti osservazioni
di fatto, che hanno interesse generale per i cultori di leggende e poesia
popolari].
Mevue de Oaacogne (Auch):
Anno 1885. — Fase. 5-6: P. Durrieu, Les Gascons en Italie. [Si tratta
di Maximilien Lamarque e Simon Durrieu che presero parte alla conquista
del Regno di Napoli fatta da Giuseppe Bonaparte. Gfr. Giom. V, 49o].
JRevue dea Deiix Mondea (Parigi):
Voi. LXXI, 1885. — 15 sett.: Gh. Yrurte, L'Epée de Cesar Borgia.
[Prendendo occasione dagli emblemi e dal motto, di cui era fregiata la
spada del Valentino, l'Y. tratteggia il carattere di lui, e si giova a tal uopo
delle più recenti pubblicazioni]. — Voi. LXXII, 15 nov.: E.mile Gkbhart,
La renaissance italienne et la philosophie de Vhistoire. [Esposizione delle
idee del Burckhardt sulla rinascenza, a proposito della recente traduzione
francese della Cultur der Renaissance^.
Sevue dea langtiea romanea (Montpellier):
Serie III, voi. XIII, 1885. — Aprile: G. Decurtins, Un drame haut-en-
gadinois. [Termina la curiosa tragicommedia cominciata nel fascic. antece-
dente. Vedi Giom., V, 495]. — Maggio: Nello spoglio della Rivista crit.
d. lett. it. è notato come il Casini, avendo solo notizia del cod. Vatic. 4796,
credesse di « trarre dall'oblio » un provenzalista del sec. XVI, Bartolomeo
Casassagia {Riv., I, 89). Ma, come qui avverte il Chabaneau, quel Bartolomeo
era già abbastanza noto , perchè ne avea prima parlato il Fortoul nelle
466 SPOGLIO DELLE PUBBLICAZIONI PERIODICHE
Etudes d'archeologie et d'histoire, II, 55-56, e poi il Canello nel Daniello,,
63 e 83. Del Vatic. 4796 appunto tien conto il Canello (p. 83), che conobbe
anche il Vatic. 7182 , rimasto ignoto al Casini. Su questo codice si aggira
una lettera del Canello allo Chabaneau , che è qui pubblicata , insieme al
brano del Fortoul che riguarda i mss. del Gasassagia.
Mevtie dea quetttions historiques (Parigi) :
Anno 1885. — Fase. 75: F. Chamard, Les Abbès au moyen àge. [Studio
notevole sulla parte che gli abati ebbero di diritto negli affari ecclesiastici
e sulle loro insegne durante il medio evo].
JRevue du monde latin (Parigi):
Voi. VI, 1885. — Fase. 2»: De Gourmont, La Beatrice de Dante et ri-
ddai feminin en Italie à la fin du XIII^ siede. (Continua in VII ,3,4").
— • Voi. VII, Fase. 20; Millio , Le Piémont et V Italie de 1835 à i86l,
d'après les souvenirs de la Marquise d^ Azeglio.
Hevtie generale (Bruxelles):
Voi. XXI, 1885. — N» 2: H. De Nimal, Les Bollandistes et les Acta
Sanctorum. [Interessante articolo , in cui si riassume la storia dei BoUan-
disti, si apprezzano i loro meriti, si esaminano i loro metodi nel lavoro].
JRevue internationale (Firenze):
Anno II, 1885. — Voi. VII, fase. 4o: Lue De Saint-Ours, Santa Croce
de Florence. — Voi. Vili, fase. 3° : A. J. Boyer D'Agen , La vocation de
Boccace. [Termina nel fase, successivo. Novella romanzesca senza senso
comune].
JRevue internationale de Venseignement (Paris):
Anno 1885. — N» 7: F. D'Arvert, Un chapitre inédit de V hi$toire de
Vinstruction publique en France: Uhumanisme et la ré forme au XV7*
et au XVII^ siede.
Romania (Parigi):
Tomo XIV, 1885. — N» 53: P. Meyer, Les premières compilations fran-
qaises d'histoire ancienne. [Riguarda Les faits des Romains e la Histoire
ancienne jusqu'à Cesar. La prima di queste compilazioni , condotta su Lu-
cano, ebbe non mediocre diffusione in Italia, ove il M. ne trovò tre codici,
due vaticani , uno marciano. Inoltre la mano italiana si riconosce in due
mss. parigini ; uno di Bruxelles fu scritto a Roma nel 1293 , ed uno cano-
niciano d Oxford fu compilato da Benedetto da Verona alla fine del XIV sec.
Il M. giunge persino a manifestare il dubbio che autore di quest'opera possa
essere Brunetto Latini; ma poi altre ragioni lo inducono a credere cne il
libro sia stato composto molto prima di lui, da uno scrittore nato alla fine
del XII 0 nel principio del XIII secolo. Dei Faits esistono tre traduzioni
italiane, cioè, 1» il Lucano tradotto in prosa di un cod. Riccardiano, di cui
diede estratti il Nannucci; 2" i Fatti di Cesare editi dal Banchi; 3" il Ce-
sariano pubblicato a Venezia nel 1492. Di queste versioni il M. stabilisce
esattamente i rapporti col testo francese. — La seconda parte dell' articolo
è consacrata alle redazioni del libro, che il M. chiama Histoire ancienne
jusqu'à Cesar. Anche di questo parecchie copie furono eseguite in Italia,
ove ebbe pure qualche traduzione. In appendice il M. pone in chiaro al-
cuni punti controversi , lasciati in sospeso dal Mussafia , intorno alle reda-
zioni italiane della Storia traiand]. — A. Morel-Fatio , Notices sur trois
manuscrits de la bibliothèque d'Ostina. [Trovansi oi'a nella Nazionale di
Parigi. Il primo di questi mss. contiene la versione spagnuola del libro De
SPOGLIO DELLE PUBBLICAZIONI PERIODICHE 467
montibus, silvis eoe. del Boccaccio e, in ispagnuolo pure, un discorso di
S. Basilio sulla utilità che i giovani possono ritrarre dalla lettura degli au-
tori profani. Questa traduzione non è condotta sul testo greco, ma Kulla ver-
sione latina di Lionardo Bruni d'Arezzo (puLbl. Milano, 1474). — 11 .secondo
ms. contiene le Tusculane di Tulio clanssimo oratore tradocte di Latino
in volgare fiorentino a jìititione di messere Nugnio Gusmano ispagnuolo
(i456). Il M. F. dà notizie su questo umanista spagnuolo, del quale Vespa-
siisiiio ha scritto la vita. — 11 terzo ms. reca il Corbaccio nel testo italiano].
— J. Ulrich, Chansons ladines. [Pubblica tre canzoni storiche popolari dei
Qrigioni e ne trae argomento per occuparsi brevemente dei pocni avanzi di
poesia popolare storica che ha la letteratura romancia]. — St. Prato ,
L'orma del leone. [Aggiunge nuove indicazioni a quelle già da (lui raccolte
intorno a questa leggenda nel voi. Xll della Rom. Gfr. uiom., II, 459]. —
G. N[iaRAj, La resa di Pancalieri. [Rettifica la lezione di un pas.so del
componimento dialettale piemontese da lui pubblicato nella Romania. Gfr.
Giorn, IV, 318]. — A. "Wesskloksky, Achille Goen, Di una leggenda re-
lativa alla nascita e alla gioventù di Costantino Magno. [Gerca determi-
nare i rapporti del gruppo italiano col gruppo francese della leggenda co-
stantiniana. Art. importantissimo]. — G. Paris, Kr. Nyrop, Ben oìdfranske
Heltedigtninq . [Vane osservazioni. Il libro è in complesso giudicato favo-
revolmente. Parecchie lacune e inesattezze qui notate dal P. (Xìssiamo assi-
curare che verranno ovviate nella versione italiana, di prossima pubblica/.,
della quale abbiamo veduto i fogli]. — Kr. Nyrop, M. Gaster, lAleratura
popolarci romanci. [Articolo assai rilevante e favorevolissimo alla pubblica-
zione del Gaster. Quasi tutte le leggende che vi sono trattate, e intorno
alle quali il N. dà nuove indicazioni, hanno rispondenza diretta o indiretta
nella letteratura italiana]. — Nello spoglio dei periodici P. Meyer prende
in esame i fascicoli 7, 8, 9, di questo Giornale. — N» 54: A. Mussafia,
Berta e Mtlone; Orlandino. [Gome è noto, dal cod. fr. XIII della Marciana
il M. pubblicò già il Macaire (Vienna, 1864), e la Berta de li gran pie
(Rom., III, 339, IV, 91). Ora egli mette in luce dal medesimo codice i due
poemetti che sembrano avere origine più schiettamente italiana e che ri-
guardano la nascita e la fanciullezza d'Orlando]. — A. Thomas, Notice sur
deux manuscrits de la Spagna en vers de la bibl. Nationale de Paris.
[Tre mss. della Spagna in versi furono segnalati dal Rajna. Altri due se
ne trovano nella Nazion. di Parigi, già indicati dal Marsand (n' 125 e 398).
Il primo (ora it. 395) è identico al cod. Riccardiano 2829; il secondo (ora
it. 567) concorda col ms. di Ferrara studiato dal Rajna. 11 Th. riproduce a
fronte il primo canto quale si trova nei due mss.]. — G. Nigra, Il Moro
Saracino, canzone popolare picìnontese. [Di questa canzone era finora nota
una lezione monca riferita dal Ferrare (Canti monferr., AA). Qui se ne pub-
blicano diverse redazioni raccolte in vai-ie parti del Piemonte. 11 N. esamina
queste redazioni confrontandole con diverse altre catalane e occitaniche e
con un canto del dominio di lingua d' oTl. Le sue osservazioni giungono a
dimostrare che « le lezioni linguadochesi , benché trascritte con molla li-
« berta dai raccoglitori, rappresentano meno imperfettamente un presunto
« tipo originario ». Egli non trascura quindi di confrontare la canzone con
le romanze castigliane di Gaiferos e con quelle di Moriana e di Julianesa,
non che con le romanze analoghe di Portogallo e di Gatalogna. Lo conclu-
sioni cui egli viene sono le seguenti: « Si è dimostrata l'identità sostan-
« ziale e formale delle varie lezioni della canzone del Moro Saracino nel
« territorio celto-romanzo, e soltanto in esso. La canzone nelle due penisole
« d'Italia e di Spagna non oltrepassò i confini delle popolazioni romanze a
« substrato celtico. Si è potuto presumere con qualche fondamento che la
« patria originaria di essa è la Francia meridionale, e più specialmente la
<<■ Linguadoca, d'onde s'irradiò in tre direzioni, nella Francia settentrionale,
« nella Gatalogna e nell'Italia superiore. Si è tentato di stabilire che la can-
« zone ebbe origine diversa e processo indipendente dalle romanze casti-
« gliane e dalle loro propagini portoghesi e catalane, che hanno con esse
468 SPOGLIO DELLE PUBBLICAZIONI PERIODICHE
« qualche somiglianza nel soggetto. Si è negata ogni relazione organica tra
« la canzone e le tradizioni sulla dinastia merovingia d'Aquitania »]. —
EiLERT LoESETH, E. Monaci, Sui primordii della scuola poetica siciliana
da Bologna a Palermo. [Non crede provata l'origine bolognese, ma riguarda
il lavoro del M. come un utile contributo alla storia della più antica poesia
italiana]. — Nella Cronaca G. Paris rende conto della versione italiana del
Sundby, Br. Latini. Egli si dichiara per la forma Latino del casato di Bru-
netto.
Séances et travaux de Vacadémie dea sciences morales et po-
Utiques (Parigi):
Voi. CXXIV, 1885. — Fase. 7-8: Arthur Desjardins, Cesar Cantù et
Beccaria.
Alemannia :
Voi. Xlll, 1885. — N» 1 : A. Birlinger, Legende von den Jakohsbrùdern.
— Id., Legenda aurea, elsàssisch. [Gont. nel n» 2]. — N": 2 Zur Sage vom
Venusberg.
Archiv filr Katholiscfies Kirchenrecht :
Voi. LUI, 1885. — P. 3-70 : L. Erler , Die Juden Mittel- und Oberila-
liens im spdteren Mittelalier. [Goiitinuaz. , vedi voi. L. L' E. si trattiene
sulla influenza esercitata dalla predicazione di Bernardino da Feltro, e mette
in luce i vari atteggiamenti dei papi e dei governi verso i giudei]. —
P. 209-21: F. Kayser, Papst Nicolaus V und die luden. [Interessante.
Niccolò alleggerì in alcuni luoghi le prescrizioni cui erano tenuti i giudei,
in altri le aggravò. Li osteggiò nella loro influenza sociale].
Archiv filr lateinische Lexikographie u. Orammatik (Lipsia) :
Anno II, 1885. — Fase. 2: Ph. Thielmann, Habere mit dem Infinitiv
und die Enlstehung des romanischen Futurums. — G. Gròber, Vùlgar-
lateinische Substrate Romanischer Wórter. [Eber-fttXcum fìcatuni].
Archiv fUr lAteraturgeschichte :
Voi. XIII, 1885. — Fase. 3: K. Trautmann, lialienische Juden als
Schauspieler am Hofe zu Mantua (1579-1587), Auffùhrungen der Gelosi
in Venedig (1579).
Archiv f. lAtteratur- und Kirchengeschichte des Mittelalters :
Anno 1, 1885. — P'asc. 1 : Ehrle, Zur Geschichte des Schatzes, der Bi-
bliothek und des Archivs der Pdbste im XIV Jahrhunderte. [Termina
nel fase. 2-3]. — Denifle, Das Evangelium aeternum, und die Comm,ission
zu Anagni. — Fase. 2-3: Ehrle, Zu Betmanns Notizen ueber die Hss. v.
S. Francesco in Assisi.
Beitrdge zur Geschichte der deutschenSprache und lAtteratur:
Voi. X. — Fase. 2: Neuling , Die deutsche Bearbeitung der Alexan-
dreis des Quilichinus de Spoleto.
Bliltter filr Literarische Unterhaltung (Lipsia):
Anno 1885. — N» 5: 0. Speyer, Camillo Cavour. [Recensione delle Let-
tere edite ed inedite del Cavour, tradotte in tedesco da M. Bernardi. Gont.
n» 6]. — N» 12: 0. Speyer, Etne italienische Literaturgeschichte. [E-
same dell'opera del Gaspary]. — N» 13: Th. Paur, Zur Dante-Literatur.
SPOGLIO DELLE PUBBLICAZIONI PERIODICHE 409
[Recensione del libro di G. Klaczko , Florentiner Plaudereien . Nel n* 14
il medesimo scrittore rondo conto della traduzione del Purgatorio fatta da
G. FranckoT. — N» 21: 0. SPEYEn, Der dritte Band von Cavour's Briefen.
— No 42: O. Si'EYER, Italienische Studien. [Ksame del libro di 1. Bayer,
Aus Italien, Cultur und Kunstgeschichte, Bilder und Studien}.
Centralblatt filr Bibliotheksvesen (Lipsia):
Anno 11, 1885. — Fase. I: W. Meyeu, Ein altitalienischer Kupferstich
aus dem Nachlasse Hartmann Schedels. [11 Schedel, umanista di Nùrnberg,
studiò in Italia (1463-60) e ne portò via delle incisioni in legno, in rame ecc.,
che or si conservano nella biblioteca di Monaco ed hanno valore inestimabile.
Il M. descrive qui una incisione in rame, pregevole per la storia del costume
e per quella della incisione, che si ritrova unita ad un manoscritto vergato
dallo Sch. in Padova del 1464, e che quindi rimonta alla metà del sec. xV].
— Recensionen und Anzeigen: M. Perlbach, G. Becker, Catalogi biblio-
thecarum antiq^ui. [Si fanno importanti aggiunte a quest'opera e parecchie
spettano a biblioteche italiane. Cfr. anche fase. 6]. — Fase. 3: Recensionen:
O. H., Catalogue des livres mss. et imprimés comp. la Bibl. de M. H. de
Landau. [Si fanno molti elogi di questo Catalogo , del quale noi pure dis-
correremo]. — Fase. 4 ; Recensionen. [0. H. parla di C. Biscia, Ricordi bi-
bliografici; Antonelli, Indice dei mss. della Civica biblioteca di Ferrara;
G. Porro, Catal. dei codd. mss. della Trivulziana ; Manno e Promis , Bi-
bliografia storica}.
Der Katholik:
Anno 1885. — Agosto: Maria als Vorbild der christlichen Tugenden in
Dantes Purgatorio. [Continua nel fase, di settembre].
Deutsche Literaturzeitung (Berlino):
Anno VI, 1885. — N» 22: G. Voigt, Geiger, Vierteljahrsschrift. [Recen-
sione analitica favorevole del primo fascicolo. Vedi Giom., V, 5011. — N» 23:
W. Bernhardi, H. Blasius, Kónig Enzio. [«Der wissenschafttiche Stand
< unserer Kenntniss ueber Kònig Enzio ist durch die vorliegende Arbeit
« nicht geàndert worden »1. — K. Wenck, M. Laue, Ferreto v. Vicenza.
[Lavoro non definitivo, ma diligente e utile. Cfr. Giom., V. 228]. — 0. Huttio,
W. P. Tuckermann, Die Gartenkunst der italienischen Renaissance-Zeit.
[Cerca ricostruire gli antichi giardini principeschi del nostro rinascimento.
La recensione è molto favorevole]. — N° 25: F. X. Kraus, Bonghi, Ar-
naldo do. Brescia e Francesco a Assisi. — N* 27: H. Grlmm , C. Frey,
Sammlung ausgewdhlter Biographien Vasaris. [Donatello. « Zwei Vorzùge
< hat dr. Freys Ausgabe vor der meinigen: es sind die Abweichungen der
€ ed. von 15K) beigefùgt, und, was ebenso dankenswert ist, alle Stellen des
« Vasarischen Werkes ausgezogen worden, die von Donatello handeln »].
— N° 31 : G. KòRTiNG, A. Lubin, Dante spiegato con Dante. [Rileva il ca-
rattere polemico del libro; ma non sappiamo come possa dire che la pole-
mica è fatta « in ruhiger und obiectiver Weise ». Cfr. Giom., VI, 281].
— B., H. Ludwig, Lionardo da Vinci, Dos Buch von der Molerei. [Questo
libro è indirizzato contro I. P. Richter, autore dell' opera Literary ^orks
of L. da Vinci. Nella ricostruzione del libro della pittura di Leonardo il L.
vuole si tenga gran conto del cod. Vatic. 1270]. — N* 33: B. Wiese, S. S.
(Stefano Stampa), Alessandro Manzoni, la sua famiglia, i suoi amici. [Sfa-
vorevole]. — U° 39: E., A. De Gubernatis, Storia universale della lette-
ratura. [Yalumi XIU-XVIIII. — N« 40: F. Paulsen, H. Denifle, Die Uni-
versitdten des Mittelalters bis 1400. [Si parla del voi I di questa bella
opera, della quale è segnalata la granae importanza: solo si vorrebbero in
essa meno accentuate certe tendenze polemiche]. — N* 46: M. Reibiann,
E. Koeppel, Laurents de Premierfait und John Lydgates Bearbeitungen
V. Boccaccios < De casibus virorum illustrium ». [Favorevole].
470 SPOGLIO DELLE PUBBLICAZIONI PERIODICHE
Deutsch-evangelische Bliitter :
Anno 1885. — N° 5: H. Pfundheller , Zur Charakteristik Michelan-
gelos als Kùnstler. — N" 7: Trede, Weihnachtsdramen in Sicilien. —
No 9: Frid. Hofpmann, Znr Geschichte des rómischen Index.
Englische Studien (Heilbronn):
VoL IX, 1885. — Fase. 1: L. Toulmin Smith, St Patrick' s Purgatori/
and Knight, Sir Owen. [Pubblica una redazione del poema comunemente
detto Owain Miles, secondo un nuovo codice di proprietà privata testò sco-
perto, che appartiene al sec. XV, ed offre notevolissime varianti del testo
Sr'ìh edito in questi Studi dal Kòlbing (I , pp. 57-1211. — Litteratur : Th.
Crùger, Beovulf, poema epico anglosassone del VII sec. , tradotto e illu-
strato da G. Grion (Lucca, 1883). — E. Kòlbing, E. Hausknecht, Floris
and Blauncheflur. [Importante analisi di questo lavoro, sopratutto per quel
che riguarda la critica del testo inglese].
Franco- Oallia :
Voi. II, 1885. — N* 9 Ahrens , Zur Geschichte des sogennanten Phy-
siohgus.
Oermania (Vienna):
Nuova serie, anno XVIII, 1885. — Fase. Ili: Litteratur, F. Liebrecht,
KpuTTTdbia [Notevole recensione della raccolta edita con questo titolo a
Heilbronn. Il L., con la competenza che lo distingue, fa molte e importanti
aggiunte nelle quali anche la parte italiana non è trascurata].
Gottingische gelehrte Anzeigen (Gottinga):
Anno 1885. — N° 15: L. Schulze, Vier Sckriften ueber Thomas à Kem-
pis. [Prende in esame quattro scritti di 0. A. Spitzen sull'autore della Imi-
tazione di Cristo]. — N* 17 : G. Sigwart , Giordano Bruno à Genève.
[Rivista del libro di questo titolo pubblic. da Teodoro Dufour. Vedi Giorn.,
rv, 4911 — N» 19: Th. Nòldeke, J. G. N. Keith-Falconer , Kalilah and
Dimnah. [Pubblicazione del testo siriaco con traduzione inglese ed una
prefazione storico-letteraria. 11 Ree. fa parecchie osservazioni sulla versione
e fa voti affinchè presto venga criticamente esaminato il testo originale
arabo del celebre libro].
HistoriscJies Jahrhueh (Monaco):
Voi. VI, 1885. — Fase. 3 : A. Reumont, A. Manno , L" opera cinquante-
naria della R. Deputaz. di st. patria di Torino. [Resoconto, nel quale si
riassume la storia della Deputazione]. — Fase. 4 : A. Reumont , Zur ita-
lienischen Nekrologie. [Volpicella, Giuliani, Tonini, Pantaleoni, Mamiani,
Fulin. Per parecchi di essi notizie abbastanza rilevanti]. — A. Gottlob,
Regestum Clementis papae V. [Recensione del primo voi. di questa pub-
blicazione, alla quale si muovono parecchi appunti: « Das Werk ist dazu
« bestimmt eine Fundgrube fùr die Geschichte des XIV Jahrh. zu werden »].
Historische Zeitschrift (Monaco e Lipsia):
Nuova serie, 1885. Voi. LXI. — Fase. 5: Literaturbericht : II Siraons-
feld parla dello scritto di G. Voigt, Die Briefsammlungen Petrarca'' s und
der Venetianische Staatskanzler Benintendi, del quale si ferma a lungo a
metter in rilievo l'importanza per gli studi petrarcheschi; e quindi dell'o-
pera del Ghiappelli, Vita e opere giuridiche di Cino da Pistoia, che giudica
favorevolmente fermandosi singolarmente su quanto riguarda le idee poli-
tiche di Cino. Fa poi un rapido cenno dell' opera del Kòrting , Geschichte
der italien. Liter. im Zeitalter der Renaiss. \V. Lang parla poi delle due
pubblicazioni di N. Bianchi, Lettere ined. di M. D'Azeglio e La politica
di M. D'Azeglio, dal 1848 al 1859, che loda assai].
SPOGLIO DELLE PUBBLICAZIONI PERIODICHE 471
Jahrhuch der kiinigU preuss. Knnstaammlungen (Berlino):
Voi. VI, 1885. — Fase. 3: K. Frky, Studien zu Gioito. — H, Grimm, Zu
Raphael. — Fase. 4": Grimm, Michelangelos Mutter und Sticfmutter.
Jahresberichte der Geschichtaìvissenachaft (Berlino):
1885. — Carlo Cipolla rende conto sistematicamente in una ampia ed
accurata rassegna bibliografica di tutti gli scritti comparsi in Italia nel ISHI
intorno alla storia civile, artistica e letteraria del nostro paese.
lAterarisches Centralblatt (Lipsia):
Anno 1885. — N» 23: H. .1., Recensione dell'opuscolo di J. J. Tikkanen
Der malerische Styl Giotto's. [Non è un semplice lavoro sull'arte di G., ma
assorge alla filosofia doli' arte , considerando le idee artistiche quali il me-
dio evo italiano le ebbe nella teoria e nella pratica]. — N» 26: \V. A., Pfluttk-
Harttuiig, Iter italicum, 2" parte. [EspositivoJ. — N' 29: Recensione del
libro di F. S. Kraus , Briefe Beneaicts XIV an den canon. Fr. Peggi.
[Vedi Giorn., V, 463]. — N° 33: Brevi cenni su R. Sabbadini, Guarino
Veronese e il suo epistolario e a G. Spinelli, Biblioarafia goldoniana. —
No 34: Cenno favorevole della Antologia critica di L. Morandi. — N* 44 :
H. J., Cari Frcy, Sammlung ausgevo. Biographien Vasari's.
lÀteraturhlatt fllr germanische und romanische ^litologie
(Hcilbronn) :
Anno VI, 1885. — N» 6: A. L. Stiefel, G. Weinberg, Dos franzósische
Schdferspiel. [Gfr. Giorn., V, 2913. Questa recensione, severa, e importante
per nuovi dati di fatto che lo S. ha occasione di indicare nella storia del
dramma pastorale francese e delle sue connessioni con quello spagnuolo e
con l'italiano]. — Gh. Joret, L. Morandi, Voltaire contro Shakespeare, Ba-
retti contro Voltaire. [Calorosa difesa del Voltaire]. — N» 7: F.Munck.er,
H. Welti, Geschichte des Sonettes in der deutschen Dichtung. [Favorevole.
Cfr. Giorn., V, 284]. — N» 8: K. Meyer, R. Froning, Zur Geschichte und
Beurtheilung der geistlichen Spiele des Mittelalters, insonderheit der Pas-
sionsspiele. [Favorevole]. — W. Meyer, A. Keller, Die Sprache des Vene-
zianer Roland V. [Sarebbe stato scritto da un giullare di Roveredo. Il M.
fa valere contro questa ipotesi molti argomenti]. — B. Wiese, Sundby-Renier,
Della vita e delle opere di Br. Latini. [Favorevole]. — N* 9: B. Wtese,
L. A. Ferrai , Lettere di cortigiane del sec. XVL — N» 10: J. Koch ,
E. Braunholtz , Die erste nichtschristliche Parabel des Barlaam und Jo-
saphat. [Parecchie osservazioni di fatto. Vedi Giorn., Ili, 142].
Mittheilungen des Instituts filr oesterreichiscfie Oeachichts-
forschung (Vienna):
Voi. VI, 1885. — Fase. 3»: Carlo Cipolla rende minuto conto dei tre
primi volumi della Biblioteca storica italiana puhblic. dalla R. Deputaz. di
stòria patria di Torino. [Cfr. Giorn., IV, 490].
yeues Archiv der OeseUschaft filr filiere detttscìie Oeschichta-
kunde (Hannover):
Anno X, 1885. — Fase. 2: E. Dùmmler, Lateinische Gedichte des neunten
bis elften Jahrhunderts.
Bheinisches Museutn far JPhilologie (Francoforte) :
Nuova serie, 1885. Voi. XL, fase. 4: D. E. Schmidt, Zur Geschichte der
Florentiner Handschriften von Cicero's Briefen. [Riprende in esame la
questione già trattata dal Voigt , dal Viertel, e più recentemente dal Men-
472 SPOGLIO DELLE PUBBLICAZIONI PERIODICHE
delssohn, del cod. fiorentino delle Epistol. ad famil. ; ne studia la età , la
storia, ed esprime la opinione che il Niccoli nella questione abbia una parte
assai maggiore di quella che gli è stata sin qui attribuita].
Sitzungsberichte der philosophisch-philologiscfien und histo-
rischen Classe der k. b. Akademie der Wissenschaften
zu Milnchen:
Anno 1885). — Fase. 1: Von Prantl, Leonardo da Vinci in philoso-
phischer Beziehung.
Studien und Mttheilungen aus dem Benedictinerorden:
Anno VI, 1885. — Fase. 2: Kienle , Mittelalterliche liturgische Bilder
aus der Kathedrale von Mailand.
ViertetjahrsschHft filr Kultur u. Litteratur der Renaissance
(Lipsia):
Anno I, 1885. — Fase. 2" : Ludwig Geiger, Der dlteste rómische Musen-
almanach. [Concerne il noto libro intitolato Coryciana, pubblicato in onore
del mecenate tedesco Giovanni Goritz in Roma nel 1524]. — Carl Meyer,
Geistliches Schauspiel und kirchliche Kunst. [Importante per la storia della
drammatica medievale]. — Carl Borinsri , Das Epos der Renaissance.
[L'A. rileva le cattive tendenze ond'è viziata la Poetica del Rinascimento,
parla deW Africa del Petrarca, della continuazione della Eneide, dell'As^ta-
natte , del Vello d" oro di Maffeo Vegio , del Ratto di Elena di Francesco
Sfondrato, della Sforziade del Filelfo , dei poemi di Basinio Basini , della
Italia liberata del Trissino ecc.]. — Fase. 3: L. Geiger, Studien zur Gè-
schichte des franzosischen Humanismus. [Nel e. Ili parla della traduzione
che Guglielmo Tardif fece delle Facezie del Poggio]. — E. Abel, Isota (sic)
Nogarola. [Giovandosi di copiosissimo materiale , stampato e manoscritto ,
l'A. ci porge molte notizie della famiglia Nogarola e la biografia più com-
piuta disotta che siasi fin qui composta. (Questo lavoro fu prima pubblicato
in ungherese negli Atti dell'Accademia Magiara]. — J. Vahlen, Lorenzo Valla
ùber Thomas von Agumo. [L'A., noto per altri lavori sul Valla, pubblica di sul
cod. parigino 7811 della Nazionale, un discorso che il dotto umanista recitò
a ricniesta dei domenicani in lode di S. Tommaso d'Aquino, nella chiesa di
S. Maria sopra Minerva, e dove, pur facendo grandissime lodi del santo, ne
biasima la filosofia]. — A. t. Reumont, Baldassar Castiglione. [Conferma
essere apocrifo uno scritto sopra la incoronazione di Carlo V in Aquisgrana,
scritto cne nella raccolta intitolata Lettere di principi del 1562, è attri-
buito al Castiglione. La falsità aveva provata sin da' suoi tempi il Mazzu-
chelli. L'A. dà alcune altre notizie minate del Castiglione].
Zeitschrift filr hildende Kunst (Lipsia) :
Anno XX, 1885. — Fase. 1: Bucherschau: C. v. L[uTZOw], Les della
Robbia par I. Cavalucci e E. Molinier. — Fase. 4: A. S., G. Uzielli,
Ricerche intomo a Leon, da Vinci. [Molti elogi]. — Fase. 6: H. Holtzinger,
Die Basilika des Paulinus zu Nola. — G. v. Fabriczy, A. Heiss, Les Mé-
dailleurs de la Renaissance. — Fase. 7: Bucherschau: C. v. Fabriczy,
E. Muntz , La Renaissance en Italie et en France etc. — Fase. 9 : T.
Wastler, Die Stiegengewólbe-Decoration im palazzo Grimani. [Descrizione
delle pitture e degli stucchi che decorano questo celebre palazzo veneziano].
Zeitschrift filr deutsche PhUologie (Halle) :
Voi. XVII, 1885. — Fase. 4: J. Koch, Recensione dell'opuscolo di H. Herzog,
Die beiden Sagenhreise v. Flore und Blanscheflur. [Vedi Giorn., IV, 241.
11 K. crede che dalla leggenda di Florio e Biancifiore debba staccarsi com-
pletamente quella di Aucassin et Nicolette].
SPOGLIO DELLE PUBBLICAZIONI PERIODICHE 473
Zeitschrift fUr Kirchengeschichte :
Voi. Ili, 1885. — Fase. 3: Haupt, Zur Geschichte des Joachimismus.
ZeitachHft filr rhiloaophie:
Nuova serie, voi. LXXXVII. — Fase. 2: Euckbn , Die Pkilosophie des
Thomas v. Aquino und die Cultur der Neuzeit.
Zeitschrift filr romanische PìMologie (Halle):
Voi. IX, 1885. — Fase. 2-3: E. Mall, Zur Geschichte der mittelalterU-
chen Fabellitteratur und insbesondere des Esope der Marie de France.
[Importante anche per la storia della favola in Italia. Nel Volgarizzamento
delle favole di Gxdfredo pubblicato dal Ghivizzani {Se. di cur. lett., di-
spense 75-76, Bologna, 186o), si ritrova una parte deìVEsope di Maria]. —
H. J. Heller , Metastasios La Clemenza di Tito. [L'A. fa la storia del
dramma, mostra la stretta relazione che ha col Cinna del Corneille, lo con-
fronta col libretto del Mazzola musicato dal Mozart]. — A. Tobler , Pro-
verbia que dicuntur super natura feminarum. (E' un altro importantissimo
testo volgare tratto dallo stesso codice Saibante (Hamilton) onde l'Ed. irasaa
già la versione dei Disticha Catonis e il Libro di L'gu^on da Laodho. Ne
riparleremo]. — G. Decurtins, Fine altladinische Heimchronik. — W.
Dreser, Nachtràge zu Michaeli's vollsidndigem Vdrterbuche der italie-
nischen und deutschen Sprache. [Vedi Giorn., IV, 325-6]. — 0. Schultz,
Zu den genuesischen Trobadors. [Ricorda un luogo della Histoire et chro-
nique de Provence di Cesare de Nostredame, dove è detto che alla stipu-
lazione di certo trattato fra Garlo d'Angiò e la repubblica di Genova furono
E resenti, r8 di agosto del 1262, Luchetto Gattilusio, Luca Grimaldi, Percivallo
loria, Simone Boria e Giacomo Grill , tutti trovatori genovesi. Soggiunge
alcune note cronologiche che riguardano costoro].
SUickìVOod'8 Edimburgh Magazine:
Anno 1885. — Settembre: Stories from Boiardo: Orlando.
Tlie Acadeììiy (Londra):
Anno 1885. — N° 681 : Current literature. [Si rende conto con particolar
lode delle Ricerche intorno a L. da Vinci di G. Uzielli]. — N» o85: Fine
Art, J. H. MiDDLETON, Growe a. Cavalcasene, Life and Works of Raphael.
[Si loda quest' opera , ma si discutono le opinioni in essa esposte su punti
controversi della vita di Raffaello : così la sua andata a Perugia del 1495 ;
la parte ch'egli ebbe nei disegni per la Libreria di Siena ecc. Lo scrittore
conclude deplorando la poca correttezza della lingua in questo libro ricco di
solidi pregi]. — N" 686: Fine Art, L. Villari, Molmenti's studies of Ve-
netian Art. [L'A. riassume le notizie sin qui ignote e le ipotesi emesse dal
M. nel suo recente libro sul Carpaccio e sul Tiepolo , portandone giudizio
favorevole]. — N" 692: Current literature. [Il sig. I. T. Bells ha tradotto
in lingua inglese col titolo A Glance at the Italian Inquisition, A Sketch
of P. Carnesecchi , il libro di L. Witte sopra il Garnesecchi , uscito alla
luce in Germania nel 1853. La traduzione e stata corredata dall' autore di
aggiunte e di note, ma è troppo letterale e spesso cattiva. Il libro però è
per gli studi sulla Riforma di alto interesse]. = Correspondence: H. Ivrebs,
The date of Dante's Beath. [Il K. fa notare che il sonetto di Pieraccio
Tedaldi, testé ristampato fra i suoi componimenti (Firenze, 1885) in morte
di Dante , porta in fronte la indicazione che Dante morì a' di 5 di set-
tembre 1321, e rileva come vi sia differenza di nove giorni fra questa e la
data che assegnano i biografi, cioè il 14 settembre, giorno dell'esaltazione
della S. Croce. Nel n» 693 T. K. Cheyne avverte come questo sonetto fosse
già stato edito dal Trucchi (li, 43)J. — W. Mercer, Berna of Siena. [Da
una inedita opera di E. Romagnoli, che si conserva nella bibl. di Siena e
che ha note marginali di G. Milanesi, il M. raccoglie notizie intorno a
QiomaU storico, VI, fase. 18. 81
474 SPOGLIO DELLE PUBBLICAZIONI PERIODICHE
Berna o Barna, pittore senese del sec. XIV, e che ha lasciate bellissime
opere in Siena , m Roma in S. Giovanni di Laterano ed in altre città
di Toscana]. — N' 693: Fine Art, C. Monkhouse, J. P. Richter, Notes on
Vasari 's Lives [E' il VI volume della traduzione delle Vite, fatta dal R.
ed in esso l'A., benché si giovi come fondamento precipuo all'opera sua di
quelle del Milanesi, pure con la propria dottrina aggiunge e corregge non
poche cose]. — N° 695 : Foreign Literature. [E. Masi, Le fiabe di C. Gozzi.
Si dice utile la edizione nuova per i cultori degli studi sul teatro italiano e
si loda la prefazione ben fatta e bene scritta. Anche del primo volume del
Dizionario Dantesco di G. Poletto si dice che sarà un opera molto impor-
tante: si riserva però il giudizio ad opera compiuta]. — N° 696 : Correspon-
dence, E. H. Westbourne, The Memorie inutili of C. Gozzi. [Corregge
l'errore commesso dal bibliografo del Masi nel numero precedente che le
Memorie del Gozzi fossero rimaste inedite ; aggiunge che sarebbe utile pub-
blicarne una versione inglese, giudiziosamente sopprimendone le parti di
poco interesse, e che prima del Masi un buon saggio sul Gozzi aveva dato
il Magrini e che ne avea pur discorso gradevolmente Vernon Lee]. —
]S" 704 : 1. W. Bradley, Sebastiano del Piombo in a neio light. [In questo
primo articolo il B. stabilisce, con opportune citazioni di documenti contem-
poranei, che la opinione che Seb. Luciani sia un pittore dozzinale è affatto
erronea e che i suoi coetanei non la dividevano punto].
The Atfienwum (Londra) :
Anno 1885. — N° 3010 : H. Stevens, The manifacture of unique books.
[Descrive un libro di sua proprietà , De Aloysii Cadamusti itineribus ad
terras incognitas, che non e se non un estratto dell'edizione parigina del
1532 del Éovus Orbis; ma così abilmente contraffatta da farla credere una
edizione originale del Sessa (Venezia 1515) e quindi unico esemplare conser-
vatone. Il libro nel 1729 apparteneva ad un aretino, Giuseppe di Marcantonio
Fabroni]. — N° 3014: Historical books. Molmenti, La dogaressa di Venezia'].
— N» 3027: Fine Art. [Crowe and G. B. Cavalcasene, Raphael, his Life
and Works 1° articolo].
The Fomightly Review :
Anno 1885. — Settembre: Burnand, Councils and comedians.
The Quarterly JReview (Londra):
Anno 1885. — Ottobre, n" 322 : Shahspere's Predecessors in the English
Drama. [Articolo sopra il libro di John Addington Symonds così intitolato.
L'anonimo autore, facendo al S. parecchi appunti, insiste sull'influsso eser-
citato dal teatro italiano sull'inglese].
ArJdv for nordisk Filologi :
Voi. Ili, 1885. — No 1 : G. Storm, Om Tidsforholdet mellem Konge-
speilet og Stjòm samt Barlaams Saga.
Sevista de Espana (Madrid) :
Anno 1885. — N° 417 : Asquerino, Leonardo de Vinci.
Revista de Estudios livrea (Lisbona) :
Anno 1885. — N^ 5^: Teixera Bastos, Giordano Bruno.
Samlarem (1):
Voi. V, 1885: G. E. Klemming, Dialogus creaturarum moralizatus. —
Ern. Meyer, Om drottning Kristinas titeràra verksamhet i Italien,
(1) Miscellanea filologica edita da una società letteraria svedese.
COMUNICAZIONI ED APPUNTI
Per la leggenda di Dante. — Fra i racconti d'indole leggendaria che
si legarono al nome di Dante, uno dei più diffusi è quello in cui si riferisco
l'arguta risposta data dal poeta a un buffone di corte, che lodando il pro-
prio stato, proverbiava lui, negletto e in povero arnese. Questa novella è ri-
ferita dal Petrarca, da Poggio Bracciolini, da Michele Savonarola, da Lodovico
Carbone, da Vespasiano da Bisticci, e da parecchi anche fuori d'Italia (1).
Ai raccontatori italiani se ne possono aggiungere due , che , a grande di-
stanza di tempo, provan vie più l'accennata divulgazione. Secco Polentone,
nell'opera sua De claris grammaticis ecc., dice, parlando di Dante (2) :
Dictornm eins memorare nnom hoc loco placet. Interrogatns namqne Verone cur histrioni homiiii
ridicalo et dicaci dominantis aula ac ciritas tota faveret, sibi aatem qui esset vìr doctns atqiu
poeta non amicaretur qnisqaam , respondit id erenire quia similes sni mnltos histrìo , ipse rero
noUnm haberet. Salsa qnidem responsio et mordax. Neqne vero qaicqnam est quod &cilia8 ho-
minem homini qnam momm dmilitado coninng^t.
Quel bizzarro ingegno che fu Gabriello Simeoni (3), in una satira Della
disgrazia degli uomini, che è tra le sue Satire alla bemiesca (4), detto
della mala fortuna che suol toccare agli uomini di virtù e di valore, sog-
giunge :
Ma che sia il niner nostro un'altro inferno,
Vn tormento, uno stratio, ot una morte,
Ecci un'esempio di Danto moderno.
(1) Vedi Papamti, Dantt secondo ìa traditiom « « novellaiori, LiTomo, 1873, pp. 31, 90, M,
110, 117.
(2) L. IV, cod. della Nazionale di Torino. D, UI. 35, f. 57 r.
(3) Vedi TiBABoacHi, St. d. UH. U. (ediz. dei Classici), t. VII, pp. 1427 agg'
(4) Le satire alla bemiesca | di M. Oàbriello Symeoni | con una Elegia sopra €tOa tmorii ili
Re I Francesco Primo, & altre | Rime a diuerse | persone. \ | Jn Turino prò MaHàto Onmoth. \
M.D.XLIX.
476 COMUNICAZIONI ED APPUNTI
Trouossi un tratto il ualente huomo in Corte
Assai mal' in arnese, et scolorito.
Come son tutti quei ch'han mala sorte.
Quando un Buffon ben grasso et ben vestito
(Biscontrandolo à sorte per la uìa)
Lo cominciò à mostrar rìdendo a dito.
Poi disse: con la tua filosofia
Perche pouer sei tu, fauorito io
Et tanto ricco con la mia pazia?
Perchè (rispose Dante) ei piace a Dio
Che tu habbia trooato il tuo Padrone
Simil' à te, done io non trovo U mio.
Non è, come in altri racconti (ma non in tutti), indicata la corte di Gan
Grande della Scala.
A. Graf.
Una vecchia memoru sul « Blandin de Gornoalha ». — È noto che il
ms. G. II. 34 (è questa la vera segnatura; cfr. Giornale, II, 256) della Na-
zionale di Torino contiene un poemetto cavalleresco narrante le avventure
di Blandin de Cornoalha e Guillot Ardii de Miramar, poemetto di tarda,
composizione ed evidentemente compilato su altri simili francesi, ma note-
vole perchè scritto in una lingua che ondeggia tra il provenzale ed il cata-
lano Ccfr. Revue des langues rom., prima serie, V, 275 sgg. e Vili, 31 sgg.).
Nel 1825 il Gazzera ne comunicava una copia al Raynouard, che ne inseriva
una analisi con brani intercalati nel Lexique roman (I, 315 sgg.); il Fauriel
quindi ne parlava nella Hist. de la poesie prov. (Ili, 92-95 : cfr. Iltst. liti.,
XXII, 234-36); e finalmente P. Meyer metteva in luce integralmente il poe-
metto, su di una copia fatta dal Gautier e collazionata dal Guessard, nella
Romania (li, 170 sgg.). Al Meyer non isfuggì avere il Raynouard (Lex., 1, 320)
rinviato a un volume delle Memorie dell' accad. delle scienze di Torino^
ma la citazione del R. è erronea, sicché il M. non ha potuto riscontrarla.
Ben Io fece il prof. Teza, che nel Giorn. di fi. rom. (IV, 187) indicò come
il voi., cui il R. voleva accennare, fosse il XXVII, P. II delle Memorie, e
come ivi a p. 6 si leggano, in una nota di Lodovico Sauli alla sua cono-
sciuta monografia sul romanzo di Tommaso III march, di Sai uzzo, le seguenti
parole: « Di esso romanzo {Blandin) ho letto con molto piacere un'analisi
« scritta con eleganza singolare del signor Portalis des Luckets in questa
« medesima biblioteca in aprile 1813, mentre egli stava in Torino ispettore
« delle stamperie ». Il Teza fece indarno ricerche per trovare questa ana-
lisi : io fui più fortunato. Quando meno me Io aspettava il barone Manno
mi mostrò questa vecchia memoria, ch'egli avea rinvenuta, in copia fattane
dal Vernazza , riordinando le carte dell' Accademia. È scritta in francese ,
condotta con la massima diligenza, e reca precisamente la data d'aprile 1813.
Il primo adunque che si occupasse del romanzo fu realmente il Portalis des
Luckets, il cui lavoro possediamo ms. Nella biblioteca dell'Accademia delle
scienze esiste pure una copia dell'intero poema fatta nel primo ventennio di
questo secolo.
R. Renier.
COMUNICAZIONI ED APPDNTI 477
Emendazioni ai. testo dell'Altissimo. — 11 prof. A, Borgognoni gentil»
mento mi comunica alcune correzioni che egli crederebbe da introdursi nel
testo degli Strambotti e sonetti dell' Altissimo da me recentemente pubbli-
cato. Siccome mi sembrano plausibili tutte, credo non inutile riferirle qui,
avvertendo che qualcuna di osse mi ora stata gih prima proposta dal D'An-
cona : Son. 1, V. 3, el Ciclade, corr. et Ciclade. — Son. Ili, v. 8, al piccai,
corr. el piccol. — Son XI, v. 4, vetro, corr. forse vreto per la rima. —
Son. XIII, v. 5, Alessandro, corr. A Lessandro. — Son. XLVll, v. 4, chor,
corr. cor. — Quanto alla Novella di Gerbino citata a p. xliv «, il Ri^na
crede si tratti di quella ripubblicata come d'anonimo nella disp. 25* della
Scelta di curiosità letterarie. Gfr. Passano, Novellieri ital. in verso, Bo-
logna 1868, pp. 92-94.
R. Renisr.
Giunte ai Cantari e Sonetti ricordati nella cronaca di Benedetto
Dei. — Le note seguenti possono servire a compiere e rettificare in parte
alcune delle notizie illustrative dei cantari e sonetti ricordati dal Dei nella
sua cronaca, pubblicate in questo Giornale (V, 162-202).
Il capitolo in terza rima (XVIII):
Fia prima arato e seminato il mart.
secondo il Manzi (Testi di lingua inediti tratti da' codici della Biblioteca
Vaticana, Roma, De Romjinis, 1816, p. 98-100) fu composto da Cosimo de' Me-
dici dopo il ritorno dal suo esiglio (1433) e diretto a Francesco Sforza. Stimo
opportuno d'indicare le più notevoli varianti dell'edizione del Manzi con-
frontata colla lezione da me seguita, del cod. Laur. Segn. n. IV, ove questo
capitolo fu da un ignoto rimatore rabberciato in guisa che potesse adattarsi
ad un Giovanni Peruzzi : 2, E per montagne — 3, / pesci si vedranno a
branchi andare — 4, Pria ch'io scordar (e possa, si mi serva — 5, La
immagin della tua gentil figura ; — 6, La qual dà a Lombardia e pace
e guerra — 11, E sarà forse prima caldo il verno, — i2, E la state sarà
fervido gelo — 13, E pieno d'allegrezza sia lo 'nfemo — 16, E prodigo
verrà l'avaro Mida — il, fia — 19, E tutt'i cieli pria tomeran bui — 20, d'a-
tarti — 21, Ovver prometter mai d'atare altrui — 23, Chiare di luce —
25, Degli uomini saranno le parole — 26, Prive di sentimenti e d'intel-
letti — 30, E ischiferanno gli uomini e ricetti — 31, ^ volti fieno tutti
gli elementi — 32, Fia piena la terra di stelle. Avuto riguardo alla
concatenazione delle rime è da preferirsi la lezione del cod. Laur.: et fieno
le tenebre di stelle gioconde, — 33, ^ in del germineranno le sementi. —
La terzina che segue manca nel cod. Laur. :
E privo tara il mare di tue onde,
E' venti non andran per V aria piUe,
Sarà la etate tenta poke e fronde.
34, E tutti i fiumi correranno in sue, — 35, E V uom viziato fie tenuto
478 COMUNICAZIONI ED APPUNTI
probo, — 36, Il pigro si terrà d'ampia virtùe. E preferiLile la lezione del
Laur. : el pigro fia tenuto abbia virtù — 37, E fia l'orso critdel umil e
integro — 38, Grazioso senza tosco il fero drago — 42, quando sia nel
prago legge erron. l'ed. del Manzi. Dopo questo v. manca una terzina nel
Laur., che nel cod. Vat. seguito dal Manzi si legge così :
E i lupi iniqui, micidiali e felli
Ptr U valli, pé'' boschi, monti e piani
Fien divorati da templici agnelli.
43, Capre, conigli e cervetti silvani — 44, Fìen tutti insieme andandone
a stuoli, — 45, a morte — 46, E carderuzzi, e verzelli e usignoli — 47, Da-
ranno molta noja e molto impaccio — 48, con penne e voli — 49, E sarà
il fuoco più freddo che ghiaccio, — 50, -& sotto il gelo nascerà la rosa : —
51, Che io non t'ami continuo e sempre — 52, Francesco Sforza sopra
ogni altra cosa.
Fra il penultimo e il terz'ultimo verso havvi una lacuna nell'ed. del Manzi;
nel cod. Laur. gli ultimi versi (49-55) furono interamente rifatti e si leggono
come segue :
49 Et fanussi del ciel(o) più d'nno straccio,
et sarà il bel giardin(o) la selva ombrosa,
e '1 fuoco più freddo [che] ghiaccio,
52 Et a rovescio andrai prima ogni cosa
ched io non t'amy continovamente
Giovannino Peruzzi sopra ogni altra cosa;
55 Che 'n terra mostry le divine tempre.
I sonetti XLV e XLVI (p. 191 e 192) furono pubblicati pure dal Manzi
nell'op. cit. (p. 100 e 101), ove si dicono mandati a Cosimo de' Medici da
una donna di Siena per la sua tornata in patria.
U son. LXI (p. 198):
0 voi egregi e sapienti viri
fu pubblicato dal prof. Carducci tra le Rime di Matteo di Dino Frescobaldi
(Pistoja, 1866, p. 69), di su'l codice Vat. 3213, ove leggesi col nome del
Frescobaldi, avvertendo in nota (p. 107) che questo sonetto è in forma d'e-
pitafio a un Alberto, che disperato in amore par si facesse soldato e finisse
atrocemente: pare anche fosse sepolto in Santa Croce dalla parte del coro.
Ma il mio illustre professore, contrassegnando con un asterisco cotesto
sonetto, ragionevolmente ne poneva in dubbio l'autenticità, poiché il codice
Magi. II, IV, 250 (e. 116«) dice chiaramente che fu fatto da Francesco d'Al-
tobianco degli Alberti per Alberto Alberti quando morì in champo per
la giostra.
La lezione del cod. Magi, è in più luoghi scorretta e manchevole di un
verso, il perchè mi sembra opportuno riprodurlo giovandomi dell'uno e del-
l'altro codice:
0 voi egregi e sapienti viri
che circondate in Santa Croce el coro,
sappiate eh' i' trionfai et or dimoro
in un sepolcro qui ove t'aggiri.
COMUNICAZIONI ED APPUNTI 479
Alberto mi chUmai: e, se ben miri,
vedrai colei per cai Unto martoro
io ebbi giit, che rompe un giogo d'oro,
nò mai ebbe pietà de' miei martiri.
E, per entrare in grazia, el belUcoto
istil di Marte presi e fhi seguace **
in fino al caso atroce e 'mpetnoso.
Pregate Iddio pel corpo mio che giace
in questa oscura tomba verminoso,
che coli 'alma gli dia riposo e pace.
Il sonetto LXII (p. 198) è attribuito ad Antonio da Ferrara nel cod. Cbig.
L. IV. 131, ove leggesi come segue:
Sonetto del M* Anto da Ferrara a Af» Franc^ Yergollesi.
Io ti domando da che nasce il uento
e quanto oien da alto quando pione,
la folgore saetta onde si muoue
e in che le stelle fanno firmamento,
la luna e '1 sole ou' ò suo nascimento,
0 se riluce qui più, o meno altroue,
0 che cosa è di sopra al sommo Gioue
e eh 'è di sotto ad ogni scendìmento.
Ti domando anco di ohe nasce il trono,
perch' a molti animali egli è neleno,
s' egli è a nostra ulta o rio, o buono,
0 se prima di lui muoue '1 baleno,
0 perchè '1 trono sì fa orrìbil sono,
0 qual pianeta tien costoro a freno.
Prego mi dechiarate, ser Franceeco
nato de' Yergollesi il gran maestro.
Quest' ultimo verso nel cod. è scritto : Il gran maestro, ma forse si deve
leggere: et gran maestro.
Ludovico Frati.
Rettifica. — Appena uscito il fase, ultimo del Giom. ator., una gentile
comunicazione del d"" L. Biadane mi fece accorto del singolare equivoco in
cui ero caduto pubblicando la poesia monorimica Regina potentissima sul
del siti exaitata (pp. 214-15). Questa poesia è la stessa già stampata dal
Casini a pp. 187 sgg. dei Poeti bolognesi, e da me accennata nel predetto
articolo mio a p. 212 n. Come accadesse questo strano errore sarebbe poco
utile il dirlo qui ; nò io credo di potermi giustificare agli occhi della Dire-
zione e del pubblico. Dunque rettifico senz'altro, e insieme presento le mie
scuse ai lettori, solo confortandomi nel pensiero che la lezione data da me,
che rimonta a una stampa rimasta ignota al Casini, è parecchio diversa e
quasi sempre migliore di quella impressa nei Poeti bolognesi, e che quindi,
se anche non ho offerto al pubblico un nuovo esempio di serie continua,
non si può dire abbia fatto una pubblicazione inutile del tutto.
Catanzaro, 14 nov. '85.
G. S. SciPiONi.
OHOTSTj^C^
* Il Prefetto della Biblioteca Nazionale di Brera ha diretto, in questi
giorni, una lettera ai Presidenti delle Società Storiche Italiane, nella quale,
detto che il sussidio concesso alla Braidense dal Governo, dal Comune e
dalla Provincia di Milano, gli permette d'acquistare le principali pubblica-
zioni che servono ad illustrare la storia e la letteratura nazionale, li prega
di voler raccomandare ai Soci di spedir quanto non è posto in commercio,
come, ad esempio, gli estratti da Riviste, da Atti Accademici, le pubblica-
zioni per nozze e simili. E un' altra n' ha indirizzata agli autori italiani le
cui opere meritarono essere tradotte nelle lingue straniere, perchè vogliano
mandare copia delle versioni stesse alla Braidense. Questa raccolta potrà
tornar utilissima allo studio della storia, della biografia e della bibliografia
della nostra letteratura, e però noi la raccomandiamo agli scrittori italiani.
* 11 Ministro della Pubblica Istruzione ha dato principio alla pubblica-
zione à' Indici e Cataloghi con tre importanti volumi: I. Pubblicazioni pe-
riodiche (Elenco delle pubblicazioni periodiche italiane e straniere ricevute
dalle biblioteche governative nell'anno 1884); li. Manoscritti Foscoliani^
già proprietà Martelli, della R. Biblioteca Nazionale di Firenze; III. Bi-
segni di Architettura esistenti nella R. Galleria degli Uffizi in Firenze.
Sono annunciati d' imminente pubblicazione : / Manoscritti della R. Biblio-
teca Nazionale di Firenze; Codici palatini (Voi. I, fase. 1) e Inventario
dei codici italiani che conservansi nelle biblioteche di Francia. Voi. I. Ma-
noscritti italiani della Biblioteca Nazionale di Parigi.
* Sono usciti i due primi fascicoli degli Atti della R. Società Romana
di Storia patria (Roma, nella Sede della Società alla biblioteca Vallicel-
liana, 1885). Contengono : il primo, una Relazione al Ministro della P. I.
sullo stato della Biblioteca Vallicelliana, il Regolamento per la Biblioteca
stessa, lo statuto della Società; il secondo, relazioni di sedute, il programma
di un corso pratico di metodologia della storia iniziata dalla Società mede-
sima, un bel discorso del presidente (0. Tommasini) nell'inaugurazione di
esso corso, il regolamento per il servizio della pubblica lettura nella Val-
licelliana.
CRONACA 481
* La stessa Società Romana di Storia Patria ha pubblicato il Regestum
Sublacense, del secolo XI. È un magnifico volume in foglio, di pp. 277,
impresso su carta a mano appositamente fabbricata. Al testo tengon dietro
copiosissimi indici e tre tavole di fac-simili. La edizione fu curata da L. Al-
lodi e G. Levi.
* Per incarico della Società storica Lombarda il sig. Carlo Canetta ha
compilato gli indici sistematici deìV Archivio storico lombardo nel suo primo
decennio (1874-83). Sarebbe desiderabile che questo esempio, già dato del
resto d&lV Arch. star, italiano, venisse seguito da tutti i periodici di storia
regionale.
* Per nozze Puntoni-Giacomelli il prof. F. Pellegrini ha messo in luce
(Pisa, Marietti) alcune lettere di Lodovico Magalotti a Salvatore e a Pompeo
Gasparinì. Sono del 1669 e si riferiscono all'ospitalità concessa al Magalotti
da Pompeo Gasparini.
* Il prof. Pio Ferrieri ha pubblicato (Paravia edit.) una seconda edizione
della sua Guida allo studio critico della letteratura. Questa edizione è
notevolmente accresciuta.
* Una pubblicazione che indirettamente interessa anche gli studi letterari
è quella del sac. Fedele Savio recentemente apparsa (Torino, stamp. reale):
Studi storici sul marchese Guglielmo III di Monferrato ed i suoi figli.
* L'attivissimo e bravo Michele Faloci Pulignani pubblicherà in Foligno
(Campitelli edit.) una Miscellanea francescana di storia, di lettere, di arti.
Questa Miscellanea, che uscirà in fascicoli bimestrali di 32 pagine « si pro-
« pone di pubblicare con sana critica e con opportuna erudizione studi e
« documenti di cose francescane, segnalando in pari tempo tutte le opere
« che si occupano dello stesso soggetto, sia che si tratti di grossi volumi,
« sia che si limitino a piccoli opuscoli, ad articoli inseriti in periodici ».
* La Romania ha pubblicato un fascicolo di indici analitici molto utili
dei suoi primi dieci volumi (1872-82). Un altro indice generale fu pubblicato
dalla Deutsche Rundschau per i suoi primi 40 volumi.
* Tra le pubblicazioni accademiche concernenti l'Italia, uscite in Germania
in questi ultimi mesi , notiamo lo seguenti : Georg Osterhage , Ueber die
Spagna istoriata (programma ginn. Humboldt, Berlino. — Ne parleremo) ;
Alois Kohl, Abhandlung ueber italischen Wein mit Bezugnahme auf
Horatius (progr., Straubing); Max Pomtow, Ueber den Einfiuss der altro-
misclien Vorstellung vom Staat auf die Politik Kaiser Friedrich's I und
die Anschauungen seiner Zeit (laurea, Halle-Wittemberg) ; Emil Koeppel,
Laurent's de Premierfait und John Lydgate's Bearbeitungen von Eoo
caccio's « De casibus virorum illustrium » (tesi di abilitaz.. Monaco. —
Ne parleremo); G. Fritzsche , Die lateinischen Visionen des Mittelalters
bis zur Mitte des XlIJahrh. (laurea, Halle-Wittembcrg); Karl Raab, Ueber
vier allegorische Motive in der lateinischen und deutschen Literatur des
Mittelalters (progr. Leoben); Gustavo Hofmann, Die logudoresische und
campidanesische Mundart (laurea, Strasburgo); Rud. Reese, Die staats-
rechtliche Stellung der Bischofe Burgunds und ItaUens unter Kaiser Prie-
482 CRONACA
drich I (laurea, Gottingen); Menzel, Italienische Politik Kaiser Karl's IV
(progr., Blankenburg i. H.); Th. Thiemann, Deutsche Cultur und Literatur
des XVIII Jahrh. ini Lichte der zeitgenossischen italienischen Kritik
(progr., Dresden-Neustadt. Gfr. Giorn., IV, 480); Paesch, Renaissance und
Humanismus in Italien (progr., Kottbus).
* Nel fascic. d'aprile del periodico francese Le Molieriste, il sig. Giorgio
Monval ha pubblicato una lettera inedita molto curiosa di Lelio Riccoboni,
in cui il celebre attore e scrittore espone a un suo corrispondente, che gliene
aveva fatto domanda, gli usi tenuti dalla Chiesa riguardo ai commedianti, sia
nel rispetto dell' amministrazione de' sacramenti , sia nei matrimoni e nelle
sepolture. La lettera è del 12 luglio 1746. Vedi Revue crxtique, XIX, 437.
* S. Loewenfeld ha pubblicato una raccolta di lettere inedite di pontefici
{Epistolae pontificum, romanorum ineditae, Lipsia, Veit, 1885), tratte da
codici di Parigi, di Londra e di Cambridge.
* Pel testamento dell'ultimo discendente di Volfango Goethe, la grandu-
chessa di Sassonia Weimar è entrata in possesso dei preziosi archivi del
Goethe. Desiderando ella che si faccia sui nuovi materiali una biografia
compiuta del sommo poeta ed una edizione definitiva delle sue opere, si è
costituita a questo scopo in W^eimar una Goethe-Gesellschaft. Intorno alla
cerimonia di apertura e ai primi lavori fatti da questa società letteraria
nell'estate scorso dà notizie diffuse L. Geiger in uno speciale articolo delle
Deutsche Literatur zeitung, che fu tirato anche a parte.
* Nel Messager historique russe Charles Henry ha pubblicato un lungo
articolo su Casanova e Caterina II. Vi è esposta una relazione inedita del-
l'abboccamento che il Casanova ebbe con Caterina, alquanto diversa da quella
delle Memorie e vi è riprodotto un ritratto autentico del Casanova giovane.
* Un'opera importantissima, che segnaliamo, è quella di Enrico Thode
Franz v. Assisi und die Anfdnge der Kunst der Renaissance in Italien
(Berlin, Grote, 1885). L'opera ha particolarmente lo scopo di illustrare la
storia dell' arte ed è arricchita di belle incisioni; ma vi si parla anche
della importanza morale che ebbero gli ordini francescani in Italia e della
attività letteraria dei loro adepti. Si divide in due parti. La prima ha i se-
guenti capitoli : 1" Franz v. Assisi und sein Einfluss auf die italienische
Kunst; 2' Die Darstellungen des Franz und seiner Legende; "à"^ Die Kirche
S. Francesco in Assisi; 4» Die Franciscanerhirchen in Italien. La seconda
contiene: 1" Das Franciscanerthum und seine Bedeutung fùr die italie-
nische Kunst; 2° Die kùnstlerische Neugestaltung der christlichen Dar-
stellungen ; 3» Die allegorische Darstellungen. Segue un' appendice di cinque
capitoli, tra i quali ne segnaliamo uno sulle fonti della vita del santo.
* Leopoldo Delisle descrive x^eW Annuaire Bulletin de la società de Vhi-
stoire de France (Paris, Renouard, 1885) il ms. XXIX, 1 della Laurenziana,
e riferisce i capoversi delle 400 canzoni musicali latine del sec. XIII, che
vi sono inserite. Molte di queste canzoni si riferiscono a fatti della storia di
Francia. Ne riparleremo.
* Y)q\V Odhecaton di Ottaviano Petrucci, prima e rarissima stampa musi-
CRONACA 483
cale di lui, n conosceva solo finora l'esemplare incompiuto della bibliot. del
Liceo musicalo di Bologna. 1. B. Wcckorlin, bibliotecario del conservatorio
di musica di Parigi, avendone acquistato in Ispagna un esemplare compiuto,
ne dà ora una illustrazione (Paris, F. Didot) abbastanza ampia. Egli illustra
pure i Canti B. numero cinquanta e i Canti C. numero cinquanta dello
stesso Petrucci.
* F. Niolsen sta pubblicando a dispense in Copenaghen un Haandbog i
Kirhens historie. E un manuale utilissimo di storia ecclesiastica.
* L'editore Niemeyer di Halle ha pubblicato una raccolta di antichi testi
italiani per uso scolastico. E dovuta alle cure del prof. Ulrich.
* La casa editrice Macmillan di Londra darà presto alla luce un volume
di novelle popolari italiane raccolte dal prof. T. F. Grane della Cornell
University, già ben noto per altri lavori. Le novelle in numero di centonove
appartengono ad ogni parto della penisola e l'editore ne ha tratte parecchie
da pubblicazioni rare e pressoché inaccessibili agli studiosi. La raccolta sarà
preceduta da una introduzione in cui si studia la storia della novella popo-
lare in Italia e arricchita di note nelle quali si porranno di fronte agli ita-
liani i racconti paralleli che esistono negli altri linguaggi europei.
* In Inghilterra ed in America gli studi Danteschi vanno ogni dì più
prendendo incremento. Mentre a Londra esce una ristampa a tenue prezzo
della bella traduzione che ha fatto il Longfellow della Divina Commedia^
si annunciano di prossima pubblicazione altre due versioni : l' una, già inco-
minciata da A. J. Butler, si compie con la stampa del Paradiso : V altra
dovuta al sig. Dean Plumptre, comprenderà anche il Canzoniere. Nell'ultimo
suo rapporto poi la americana Dante Society ha dato in luce molte note
addizionali che devono arricchire una nuova edizione della versione della
Commedia del Longfellow.
* Per incarico della Villon Society il sig. John Payne ha messo mano
a tradurre in inglese il Decamerone.
* La casa in cui nacque nel 1778 il Foscolo a Zante correva testé peri-
colo di venir atterrata. Ma il municipio dietro vive preghiere degli ammi-
ratori del poeta l' ha sottratta alla distruzione acquistandola coli' intendi-
mento di farla sede d'un museo foscoliano.
* A Groninga è apparso un opuscolo in olandese di A. Boets sui Disticha
Catonis. Vi si fa la storia di questo celebre testo e si dà di esso la biblio-
grafia, così dei mss. come delle stampe.
* Il prof. A. Mahn ha posto mano alla pubblicazione d' un' opera di cui
da molto tempo si sentiva il bisogno. È uscita la prima parte (Kóthen,
Schettler) di una sua Gratnmatik der altprovenzalischen Sprache. L'ultima
parte di questa opera conterrà un vocabolario provenzale.
* Il sig. Willard Fiske, che nel 1882 pubblicò a Ithaca, in edizione splen-
dida di sole 160 copie, il suo Catalogne of Petrarch Books, sta ora atten-
dendo ad una seconda edizione molto accresciuta di questa sua pregevolis-
sima bibliografìa petrarchesca.
484 CRONACA
f È morto a Napoli il 1 genn. '86, non ancor cinquantenne, Vittorio Im-
briani, dopo lunghi, atroci patimenti, sostenuti con una serenità veramente
degna di ammirazione. D'ingegno acuto e vivace, fortificato da studi sodi e
profondi, egli ha troppo spesso guastati i suoi lavori con la ricerca appas-
sionata della originalità, ed intorbidate le indagini storiche con felicità ini-
ziate, usando di una ipercritica e di una asprezza nella polemica, che invece
di crescere, toglievan valore ai suoi argomenti. Per questo gli scritti, ove
più grande e più limpida appare la genialità della sua mente, sono ancora
quelli che trattano di poesia, di letteratura popolare : percorrono cioè un
campo, che non poteva facilmente divenire e, se poteva, non diveniva mai
intieramente, un campo di battaglia. Pochi libri di Folh-lore si leggono a
parer nostro con il gusto e l'utilità che arreca la sua Novellaja fiorentina
(Livorno, Vigo, 1877), in cui accanto a cento raffronti cavati da fonti popolari,
son posti altri dedotti da opere letterarie, ignote e malnote, quelle soprattutto
che appartengono a quel periodo così importante e cosi trascurato della storia
letteraria nostra , il seicento. Ed è anzi vivamente da deplorare che l'imbriani,
da tanto tempo costretto a non lavorare se non quel tanto che il malore
gli concedeva, non abbia mai potuto attendere sul serio a far conoscere
quell'età e quella vita letteraria che egli aveva cosi bene studiate. In lui,
ingegno bizzarro, il secolo di bizzarri ingegni avrebbe trovato un degno
raccontatore.
Comunicazione. — Troppo tardi perchè ne potessi tener conto sotto la
rubrica antecedente, il prof. Mussafia ebbe la cortesia di avvertirmi che la
serie monorima da me pubblicata nel Giornale (VI, 303), corrisponde ad una
di Uguccione da Lodi. Gfr. Tobler , Das Buch des Uguqon da Laodho ,
Berlin, 1884, vv. 434473. Il testo Gampori è un rimaneggiamento toscano,
che non so se si estenda a tutto il libro. Potendo, darò in seguito altre
notizie.
R. Renier.
Luigi Morisengo, Gerente responsabile.
Torino — Tip. Vincknzo Bok*.
INDICE ANALITICO DELLO SPOGLIO
Quest' indice riguarda lo Spoglio dell' intera annata III, vo-
lumi V-VI.
L'esponente che accompagna il numero della pagina indica
in quanti articoli diversi nella pagina stessa ricorra il
nom£ 0 la cosa registrata.
Aai' E., V, 470.
Abati nel medio evo, VI, 466.
Abel E., VI, 472.
Accademie: dei Lincei, V, 470; —
delle scienze di Torino, V., 500;
— Mantovana, 471 ; — degli Agiati
in Rovereto, 487; — in Como, VI,
460.
Acerba, VI, 461.
Adami A., V, 475.
Addington Symonds J., VI, 474.
Ademollo A., V, 474. 475*, 476»,
482 ; VI, 4473, 449^ 450.
Agrati M., VI, 465.
Ahrens, VI, 470.
Alamanni L., VI, 451.
Albany (Cont. d'), V, 482.
Albertazzi L., VI, 453.
Alberti L. B., V, 470.
Albicante, V, 479.
Albicini C, V, 473.
Alessandrino G., V, 472.
Alessandro VI, VI, 446.
Alfani A., V, 490.
Alfani G., VI, 462.
Alfieri d'Azeglio G., V, 474.
Alfieri V., V, 474, 476, 482«, 483, 488.
Alfonso d'Este, VI, 448.
Algarotti F., VI, 450.
Alighieri D., V, 475, 477, 4783, 488,
491«; VI, 452, 456, 459«, 461, 468.
469; — Commedia, V, 470, 477,
479, 481, 4832, 487, 493, 502 ; VI,
443, 444, 457, 461, 462«, 469« ; —
Opere minori, V, 487, 456, 457;
— Vita Nuova, V, 473; — Convito,
VI, 450, 451; — Canzoniere, VI,
453; — Beatrice, VI, 454, 466;
— Miscellanea dantesca, V, 501;
— Dizionario dantesco, VI, 474.
Alighieri D. II, VI, 461.
Almanacchi astrologici, VI, 451.
Almanacco di Barbanera, VI, 453.
Alpeo B., VI, 45:3.
Altilio G., VI, 458.
Alvisi E., V, 491, 500.
Amalfi G., V, 478«; VI, 450, 456,
4583, 4595.
Amaseo R., VI, 445.
Amico U. A., VI, 441.
Anfioni, VI, 449.
Angeletti N., V, 487; VI, 456, 457.
Angelico (Beato), VI, 459.
Animali nel medio evo, V, 499.
Anonimi : Veronesi, V, 472; — Sici-
liano, 485; — Capitolo al Lasca,
VI, 452; — Vocabolario italiano-
tedesco del Cinquecento, 461 ; —
Elogio della pazzia, 461 ; — P<m-
sione e Risurrezione, 463.
486
INDICE ANALITICO DELLO SPOGLIO
Anteiss, V, 503.
Anticerberus, v. Bongiovanni.
Antico A., VI, 446.
Antolini, P., V, 478.
Antona-Traversi C, V, 474, 4802,
484, 485, 488 , 498 , 500 ; VI, 447,
448, 454, 459, 463.
Antonelli G., V, 491 ; VI, 469. Vedi
Collezione.
Antonio da S. Gallo, V, 503.
Apollonio di Tiro, V, 494.
Arbitrato pontificio nel sec. XVI,
V, 469.
Architetti della Svizzera italiana, V,
471 ; — del Rinascimento, V, 497.
Architettura : Arco acuto, VI, 445.
Archivi: Vaticano, V, 468; — Pon-
tificio, VI, 468; — Lingunggio ar-
chivistico, VI, 444.
Arcimboldi G., V, 471.
Arcoleo G., VI, 447, 459.
Aretino L., V, 470.
Aretino P., VI, 444, 460.
Arila C, V, 479; VI, 451, 452.
Arlotto (Piovano), V, 479; VI, 461.
Armellini M., VI, 455.
Armi proibite, V, 478.
Arnaldo da Brescia, VI, 469.
Arnolfo di Lapo, V, 503.
Arrighi (M. di Matteo), VI, 443.
Arti , VI , 464 ; — in Toscana e in
Napoli nel sec. XII, VI, 458 ; —
in S. Vitale delle Carpinete , V,
486; — Relazioni artistiche tra
Milano e Ferrara nel sec. XVI,
VI, 443.
Artisti ; svizzeri in Roma, V, 473 ;
VI, 446; — fiamminghi e tedeschi
in Italia, VI, 464; — Carteggio di
artisti, V, 470.
Asquerino, VI, 474.
Astori A., V, 490; VI, 456.
Avvenimenti faceti, v. Anonimo Si-
ciliano.
Avoli A., V, 486.
Bacci 0., V, 491.
Baccini G., VI, 461.
Bacio negli sponsali, VI, 462.
Bagolino S., Vi, 444.
Bailo L., V, 479.
Balan P., V, 487, 500; VI, 456.
Balilla, VI, 446.
Ballate e strambotti del sec. XV, VI,
462.
Ballo nel sec. XVI, V, 499.
Balsimelli F., V, 486.
Balzani U., VI, 442.
Bandelle M., V, 479.
Barbiera R., V, 486, 491.
Baretti G., V, 487 ; VI, 449, 471.
Barlaam e Giosafat, VI, 464, 471,
474.
Baroni L., VI, 450.
Bartoli A., V, 4782, 482*.
Barzelletti G., V, 470, 475, 484.
Barziza, padre e figlio, VI, 444.
Basile A., VI, 449.
BasUio (San), VI, 467.
Basini B., VI, 472.
Basso (A. da), V, 4762.
Battandier A., VI, 463.
Beatrice di Pian degli Ontani, V,
477, 483; VI, 458.
Beccaria C, V, 478 ; VI, 468.
Becci ^^, VI, 461.
Becker G., VI, 469.
Belcari F., VI, 453.
Bclgrano L. T., V, 484*.
Belli G. G., V, 487.
Bells I. T, VI, 473.
Bellucci G., V, 478.
Bellucci M. A., VI, 461.
Beltrami A., V, 484.
Bembo P., V, 488; VI, 449, 452,
460, 461.
Benalio (B. di), VI, 444.
Benamati G., VI, 451.
Benci L., VI, 461.
Bencini M., VI, 447, 453, 461.
Benedetto da Maiano, VI, 445.
Benedetto XIV, V, 476, 492, 498;
VI, 455, 471.
Benvoglienti U., VI, 455.
Beowulf, VI, 470.
Berger E., VI, 463.
Berlan F., VI, 444.
Berna da Siena, VI, 473.
Bernardi I., V, 472.
Bernardino, v. Velardiniello.
Bernardo (Cosimo di), V, 471.
Bernardo da Parenzo, VI, 445.
Bernhardi W., VI, 469.
Bernini G. L., V, 493; VI, 464.
Berta e Milane, VI, 467.
Bertacchi C, V, 491; VI, 461.
Bertolotti A., V, 473, 478, 479*; VI,
4452, 446, 451*, 452^
Berwin A., V, 476.
Betteloni C, V, 486.
Bettinelli S., V., 482.
Beyschlag, V, 498.
Biadego G., V, 491 ; VI, 444, 461.
Biadene L., VI, 4623; 463^.
Bianchi N., V, 502; VI, 454, 458,
470.
INDICE ANALITICO DELLO SPOGLIO
487
Bibbia volgare, V, 480; VI, 456.
BiblioCTafia, VI, 462, 464, 469; —
— degli incunaboli, VI, 451 ; —
Giordaniana , V , 477^ ; — Goldo-
niana, V, 477; VI, 471; — Maf-
feiana, V, 480; VI, 452; — storica,
civile, artistica, letteraria, per l'an-
no 1881, VI, 471 ; Veneta, VI, 444»;
— Veneziana, V, 480.
Bibliographischer Anzeiger, V, 495.
Biblioteca storica italiana, VI, 471.
Biblioteche : Capitolare di Verona, V,
472; — della Sede Apostolica, V,
493, 494, 490; — di Ferrara, V,
491 ; — di Monte Gassino, V, 494:
— Palatina-Vaticana, VI, 452; —
Pontificia, V, 490; VI, 468.
Hindi E., VI, 454.
Bini G., V, 480.
Birlinger A., VI, 468.
Biscia G., VI, 469.
Bisticci e freddure, VI, 457.
Blasius H., VI, 469.
Bobbio G., VI, 454.
Boccaccio G., V, 475, 488, 501; VI,
463, 465, 466 ; — Ameto, VI, 448;
— Ser Ciappelletto, VI, 463; —
Corbaccio,\l, 467; — De man-
tibus silvis etc, VI, 466-7; — De
casibus vir. ili., VI, 469.
Bocchini D., VI, 459. •
Bode W., V, 500.
Boglino B. L., VI, 443.
Bojardo M. M., VI, 473.
Bollandisti, VI, 466.
Bologna, V, 473.
Bologna P., V, 479.
Bonaparte P., V, 4832.
Bonaventura da Benevento, VI, 443.
Bonghi R., V, 489, 475, 480, 487;
VI, 469.
Bongi S., V, 4n\ 479.
Bongiovanni (Fra), V, 492.
Boni S., VI, 454.
Bonofino M., VI, 444.
Bonvecchiato E., VI, 457.
Borghese C, V, 483.
Borgia C, VI, 465.
Borgia L., VI, 460.
Borgognoni A., V, 482, 483», 488;
VI, 460.
Boriski C., VI, 472.
Bosone da Gubbio, V, 482, 487; VI,
447, 455.
Bossola A., VI, 448.
Botta G., V, 476 ; VI, 449.
Botticelli S., V, 470, 475, 479, 483,
493.
Bovo cTAntona, in nuso, V, 497.
Boyer, V, 502.
Boyer d'Agen, A. J., VI, 466.
Bozzelli A., V, 476.
Bracci B., VI, 443.
Bradley I. W„ VI, 474.
Braggio C, V, 478 ; VI, 450.
Braghirolli W., V, 492.
Bramante, V, 473.
Brandes H., V, 498.
Brandi A., V, 492.
Braunholz E., VI, 471.
Brescia (Satira contro) VI, 446.
Bresslau H., V, 498, 501.
Brieger Th., V, 500.
Brilli U., V, 484.
Briquet G. M., V, 470.
Broccoli A., VI, 458».
Brosch M., V, 500».
Bruni L., VI, 467, v. Aretino L.
Bruno G., V, 482, 483, 491, 497;
VI, 445, 453*, 470.
Bruscelli, V, 483.
Bruzzone P., VI, 448.
Buffoni, VI, 448, 452.
Buonafede A., V, 482.
Buonarroti M., V., 501, 502; VI, 470,
471.
Burchard G., V, 496.
Burlamacchi (Congiura del), V, 483.
Burnand, VI, 474.
Busone da Gubbio, v. Bosone.
Caccianiga A., V, 486.
Caccini Signorini F., V, 475.
Cadamosto A., VI, 474.
Caffè (Poesie sul), V, 484.
Caffi M., V, 471 ; VI, 445, 451.
Calco T., V, 473.
Caldera P., VI, 450.
Calvino G., VI, 442, 447.
Calzi C, V, 491.
Cammelli A., V, 492.
Canello U. A., V, 500; VI, 466.
Canetta C , V, 474.
Cantalamessa G., VI, 458.
Cantalupi A., VI, 449.
Cantù d, VI, 468.
Canzonetta per la spedizione sarda a
Tripoli nel 1833, V, 477.
Canzonette antiche, V. 491, 5(X).
Capasse B., V, 476, 500.
Capasso G., VI, 453.i
Capcasa M., VI, 444.
Capobianchi V., VI, 447.
Cappelli A., V, 492.
Capponi G., V, 485, 502; VI, 448.
Garavelli V., VI, 447.
488
INDICE ANALITICO DELLO SPOGLIO
Carbonari, VI, 455.
Garbonelli G., VI, 449.
Garcano G., V, 487.
Carducci G., V, 483, 488, 489.
Carlo Lodovico di Borbone, VI, 454.
Carmina Buratta, V, 503.
Garnecchia F. G., VI, 462.
Carnesecchi P., VI, 473.
Carnevale in Sicilia, V, 484.
Caro A., V, 477», 484'. V. Longo So-
fista ; Virgilio.
Carpaccio V., V, 485 ; VI, 454, 473.
Carrière M., V, 497.
Carta di cotone e di lino, V, 470;
— Fabbricazione di essa, VI, 444.
Carta F., VI, 463.
Carteggio d' una gentildonna vero-
nese, VI, 444.
Casalin D., VI, 456.
Casanova G., V, 475«; VI, 454.
Casassagia B., VI, 465.
Casertano A., VI, 459.
Casini T., V, 480', 4913; VI, 4613,
4627, 465, 466.
Cassani G., V, 492.
Castagna N., V, 490; VI, 455.
Castelli G., VI, 458.
Castellini C, V, 477.
Castets F., V, 495.
Casti G. B., VI, 450.
Castiglione B., VI, 472.
Catalogi antiqui, VI, 469.
Catalogo Landau, VI, 462, 469.
Cattaneo G. C, V, 477,
Cattellacci D., V, 490; VI, 455, 456.
Caterina (S.) da Siena, V, 479 , 489.
Cavalca D., VI, 452.
Cavalcanti G., VI, 454, 462.
Cavalcasene G. B., V, 500; VI, 443,
473, 474.
Cavalli F., VI, 445.
Cavallucci I., VI, 472.
Caviceo I., VI, 450.
Cavour C, V, 500^, 502; VI, 468,
469.
Gecchetti B., V, 472 ; VI, 4445.
Cecco d'Ascoli, VI, 461.
Cellini B., V, 488 ; VI, 457, 462, 464.
Ceresole V., V, 494.
Gerruti P., VI, 451.
Ceruti D., V, 470.
Cesari d'Arpino G., VI, 445.
Cesariano, VI, 466.
Chabaneau C., V, 495; VI, 465.
Ghamard F., VI, 466.
Chatelain VI, 465.
Cherubini G., VI, 447.
Cheyne T. K., VI, 473.
Ghiappelli L., V, 470; VI, 470.
Chiarini G., V, 484, 488 ; VI, 454,
460.
Chirtani L., V, 485.
Ciai (G. di Bartolomeo), VI, 443.
Giampoli D., VI, 442.
Giampolini E., V, 482.
Gian V., VI, 452, 462.
Ciccarelli G. B., V, 477.
Cicceide (La), V, 483.
Cicerchia N., V, 475, v. Anonimi:
Passione e Risurrezione.
Cicerone : Tusculane, traduz. in ita-
liano, VI, 467; — Codice fioren-
tino delle Epistole, VI, 471.
Cielo dal Gamo, V, 480.
Gimarosa D., VI, 449.
Cimbali E., VI, 454.
Gino da Pistoia, V, 491 ; VI, 462,.
470.
Cinti delli Fabrizii A., VI, 459.
Gioni G., VI, 447.
Cipolla C, V, 490, 498; VI, 441,
455, 471».
Cipolla F., V, 487, 498; VI, 441.
Gircignani, VI, 445.
Giulio d'Alcamo, v. Cielo d. G.
Glaretta G., VI, 448.
Claricini (N. de'), V, 478.
Clédat L., VI, 463.
Clemente V, VI, 470.
Clemente VI, VI, 470.
Clemente VII, V, 487; VI, 456.
Godici : Ashbumham, V, 471, 479,
494, 501; VI, 444 ; — della Biblio-
teca Civica di Ferrara, V, 491 ;
VI, 469; — della Nazionale di
Napoli, VI, 452; — di Monte
Cassino, V, 4934; VI, 464; di
S. Francesco in Assisi , VI, 468 ;
— Folignati nella Collezione Ash-
burnh. , V, 481; — Trivulziani,
VI, 462, 463, 469 ; — Vaticani, V,
494 ; — Provenzali , V, 495 ; —
miniati, VI, 458; — del Quattro-
cento, con ricordi autografi di L. da
Vinci, V, 470; — dati in pegno,
V, 479.
Coen A., VI, 467.
Cola di Rienzo, VI, 442, 447, 455,
462.
Colagrosso F., VI, 461.
Colletta, P., V, 500.
Collezione Antonelliana, V, 478.
Colline G., VI, 4615.
Colombini G., VI, 453.
Colonna G., VI, 442.
Colonna L., VI, 442.
INDICE ANALITICO DELLO SPOGLIO
489
Colonna V., V, 492.
Combi C, V, 477.
Comici, VI, 474; — Accesi e Fedeli,
V, 484; — Gelosi, VI, 448, 468.
Comines (Ph. de), VI, 463.
Commedia dell'arte, VI, 462.
Commedia di diece Vergette , V, 494,
Compagni D., V, 501.
Comuni tedeschi (I XIII) veronesi,
VI, 441.
Concilio di Trento, VI, 465.
Congresso storico di Torino, VI, 454,
463.
Constitutiones Marchine Anconita-
nae, V, 471.
Conti G., VI, 455.
Contrizione (Atto di) in rima, VI, 453.
Controversia religiosa, VI, 451*.
Conwav W. M., V, 502,
Corazzmi G. 0., VI, 462.
Corbinelli I., VI, 462.
Corilla Olimpica, V, 482.
Corio B., V, 473.
Corio L., VI, 457.
Corneille P., VI, 473.
Corradi A., V, 477; VI, Ui\
Cortigiane : in Mantova, VI, 452 ; —
nel Cinquecento, VI, 459.
Corycinna, VI, 472.
Cosentino G., VI, 443.
Costa E., V, 488 ; VI, "459.
Costantino Magno (Leggenda di), VI,
467.
Costumi, V. Usi e costumi.
Cottignola (Satira contro), VI, 446.
Coulanges (Marchese di), VI, 447.
Couperus, V, 503.
Courajd, V, 497.
Courier P. L., VI, 458.
Crane T. F., V, 499 ; VI, 462.
Credenze popolari : La caccia agli
astri, VL 459.
Cremona : Scrittori e miniatori cre-
monesi nel sec. XV, V, 479*.
Crescimbeni G. M,,- V, 475.
Crescini V., V, 491 ; VI, 461.
Cristina di Svezia, VI, 474.
Cristini V., V, 477.
Critica (Antologia), V, 493.
Critici ed eruditi del sec. XVIII, V,
4873.
Croce B., VI, 450^.
Cronache: aquilana, VI, 453; — bo-
lognesi, VI, 446, 462; — di Fo-
ligno, VI, 443; — di S. Stefano
ad Rivum Maris , VI, 443 ; — ve-
neta VI 444
Crowe G. A.. V, 500 ; VI, 443, 473, 474. |
Crudeli T,, V, 495,
Cuccagna (Paese di), V, 485.
Cuccugnai, V, 481,
Cugnoni G,, V, 487.
Curtoni Verza S., VI, 456.
Cuturi T., V, 492.
Dafni e Cloe, V, 484. V. Longo So-
nata.
Dall'Acqua Giusti, VI, 445.
D'Ancona A,, V, 475; VL 448, 460,
462,
Dante, v. Alighieri,
Danza macabra, V, 479,
Da Pizzano Cristina, V, 487,
D'Aragona T., V, 491.
Darchini G., V, 480.
D'Arco N., V, 472, 479,
D'Arvert F., VI, 466.
Davari S., V, 492,
Davila, VI, 456, 457,
Da Vinci L.,V, 474,492,493,495, 498,
501, 503; VI, 469, 472, 473, 474.
D'Azeglio (Marchesa), VI, 466.
D'Azeglio M., V, 484 : VI, 470.
De Accoltis B., V, 501.
De' Bardi Dea, VI, 459.
De Biase S., V, 485.
De casu Cesenae, V, 471.
De Chantelou M., VI, 464,
De Comitibus S,, VI, 453,
De' Conti G,, VI, 442,
Decurtins G,, V, 495, 502; VI, 485,
473.
De Domo U., V,. 486,
De Gourmont, VI, 466,
De Gregorio, VI, 441,
De Gubernatis A., V, 498; VI, 469,
Dei B,, V, 478.
Dejob C, VI, 465.
De la Salle B., V, 495.
Del Badia I., VI, 455.
Del Carlo T., V, 487« ; VI, 456».
De r Espinois H., V, 496.
Delisle L., VI, 463*.
Dell' Anguillara A., VI, 451.
Della Porta G, B., VI, 458.
Della Robbia (I), VI, 472,
Delle Colonne G„ V, 499.
Delle Vigne P., VI, 452.
Del Lungo I.. V, 489; VI, 462.
Del Prete L., V, 480.
De Marchi E., V, 486; VI, 457,
De Mayol de Lupe, V, 494.
De' Medici Margherita, V, 490.
Demonio nelle novelle popolari, VI,
450.
De Montaiglon A., V., 493.
Giornale storico, VI, fase. 18.
SS
490
INDICE ANAIJTICO DELLO SPOGLIO
Denifle H., VI, 468, 469.
De Nimal H., VI, 466.
De Nino A., V, 485; VI, 445, 453,
456, 457, 462.
De Nolhac P., V, 494; VI, 4652.
Deputazione di storia patria di To-
rino, VI, 470.
De Rossi G. B., V, 490, 493, 494.
De Saint Ours L., V, 496 ; VI, 466.
De Sanctis F., VI, 458.
Desdouits Th., V, 483; VI, 453.
De Serres B., V, 495.
Desimoni C, VI, 442.
Desjardins A., VI, 468.
D'Éste I., V, 492.
Develay V., VI, 464.
Devote meditatione sopra la Pas-
sione di N. S., \l, 464.
Dialetti: bresciano, VI, 465; — Gallo-
italici di Sicilia, VI, 4412; — ge-
novese, VI, 441, 450; — lonibarao,
VI, 4672 . _ romano. V, 502 ; —
siciliano, VI, 443; — ticinesi, VI,
446 ; — di Veglia, V, 469. — Vedi
Letteratura dialettale.
Dialoffus creattcrarum, VI, 174.
Diario napolitano, V, 471.
Di Cagno Politi N., VI, 461.
Di Cesare G., V, 490; VI, 455.
Diehl Ch., V, 493, 494.
Di Giovanni V., V, 480; VI, 441, 452.
Di Montaldo G., V, 484.
Dittrich F., V, 499.
Dogaresse, VI, 474.
Domenico da Moutechiello, V, 452.
Domeniconi, VI, 457.
Donatello, VI, 469.
Donatz proensals, VI, 462, 463.
Donne : negli statuti della repubblica
di Sassari, VI, 449; — nella storia
di Firenze, V, 496: — del sec. XV,
V, 478 ; VI, 450. V. Letterate.
Doria P., VI, 473.
Doria S., VI, 473.
D'Ovidio F., V, 472, 473, 474», 482,
486; VI, 457.
Dragonetti L., V, 489, 4903.
Dramma pastorale in Francia, VI,
471.
Drammi di Natale in Sicilia, VI, 470.
Dreser W., VI, 473.
Dudizio Sbardellato A., V, 472.
Dufour T., VI, 470.
Dumeril, VI, 463.
Dùmmler E., VI, 471.
Dumur F., VI, 464.
Durrieu P., V, 495 ; VI, 465.
Ebering E., V, 495.
Ebrei: a Mantova, V, 492; — nel
ducato di Milano , VI, 460 ; — in
Italia, VI, 4683.
Ebreo di Venezia, V, 497.
Ebreo Errante, V, 497.
Ehrle, VI, 4682.
Eilert Loeseth, VI, 468.
Elio Donato, VI, 462.
EUinger, V, 499.
Enzo (Re) VI, 469.
Ephrussi Gh., VI, 464.
Epigramma latino, V, 502.
Epopea: carolingia nell'Umbria, VI,
462; — cavalleresca italiana, V,
495; — del Rinascimento, VI, 472;
— francese, VI, 467 ; — in Italia,
VI, 457.
Equicola M., VI, 454.
Ercole P., VI, 454, 462.
Erler L., VI, 468.
Ettari F., V, 478, 491, 501.
Eucken, VI, 473.
Evangelium aeternum, VI, 468.
E vola F., V, 478, 479; VI, 4513.
Fabriczy C v., VI, 4722.
Fabris C, VI, 455.
Faelli E., V. 4772, 479, 482, 484; —
VI, 4512, 4542.
Fagiuoli G. B., VI, 447, 453, 461.
Faidit U., VI, 463.
Falletti Fossati C, VI, 462.
Faloci Pulignani M., V, 471, 4816;
VI, 443, 4532.
Falorsi G., V, 490».
Fantoni G., VI, 457.
Farnese A., V, 490 ; VI, 456.
Farnese 0., V, 490.
Farse rusticali, V, 477.
Fatti (I) di Cesare, VI, 466.
Favole nel medio evo, VI, 473.
Faytinelli (P. de'), V, 480, 491.
Fea P., V, 490 ; VI, 454.
Federico da Montefeltro, VI, 443.
Fernandez de Cordova F., V, 500.
Femio B., V, 471.
Ferrai L. A., V, 470; VI, 442, 445,
462.
Ferrari F. B., VI, 451.
Ferrari G., VI, 457.
Ferrari S., V, 492.
Ferrerò E., V, 470.
Ferretti M., V, 479.
Ferreto da Vicenza, VI, 462, 469.
Ferrieri P., VI, 462.
Feste, VI, 445; — in S. Marco nel
sec. XVI, VI, 448.
INDICE ANALITICO DELLO SFOGLIO
491
Filelfo F., VI, iU.
Finamore G., VI, 442.
Finigucrri T., V, 485, 491.
Finzi G., VI, 461.
Fiore e Biancofiore, VI, 470, 472.
Fiorentino F., V, 482* ; VI, 4;?0, 4583,
459.
Fiorenzo di Lorenzo, V, 502.
Firenze (Amministrazione della giu-
stizia in) , V , 470 ; — Mercato
Vecchio, VI, 457.
Firenzuola A., VI, 451.
Fischer F., V, 501.
Flagellanti del 1439, V, 499.
Flechia G., VI, 441.
Flint R., V, 494, 495.
Folengo T., V, 472, 496.
Foligno, V, 481. V. Usi e costumi.
Fontana B., V, 442.
Fornaciari R., V, 487.
Fornioni T., VI, 447.
Forteguerri N., V, 483.
Fortoul, VI, 465.
Foscarini P. A., V, 477.
Foscolo U., V, 474, 476, 480, 481,
482, 4842, 4852, 436, 438, 490, 498;
VI, 459.
Fracassetti G., VI, 457».
Francesca de Barberino, VI, 465.
Francesco (S.) d'Assisi, V, 471, 478,
487, 493, 494, 496 ; VI, 469.
Franchi L., VI, 451.
Franciosi G., VI, 459.
Francke G., VI, 470, 478, 491^ ; VI,
443.
Frati L., V, 501.
Frescobaldi D., VI, 462.
Frey G., V, 480, 498; VI, 469, 471*.
Frezzi F., V, 481.
Friniatus, V, 477.
Frizzoni G., VI, 445.
Froning R., V, 499; VI, 471.
Frothingam A. L., V, 503.
Fucini R., V, 4832.
Fulin R., VI, 470.
Fumagalli G., V, 477.
Gabotto F., VI, 449
Gabrielli C., VI, 450.
Gagliuffi (G. de'), VI, 451.
Gagno, V, 485.
Gaiter L., V, 480; VI, 452, 453.
Galfredo, VI, 473.
Galiani F., V, 478 ; VI, 458.
Gallerie: Estense, V, 486; — di To-
rino, V, 496; — di Fulvio Orsini,
V, 497.
Garibaldi G., V, 484.
Gaspary A., V, 498, 500»; VI, 468.
Gaster M., VI, 465, 467.
Gattilusio L., VI, 473.
Gattini G., V, 488.
Gaye, V, 470.
Gazzetta enciclopedica di Afilano,
VI, 457.
Gebhart E., VI, 465.
Geiger L., V, 501 ; VI, 469, 472».
Gentile da Foligno, V, 481.
Gelli G. B., V, 480.
Gennarelli A., V, 479.
Gennari G., VI, 442.
Genova: Poesie storiche genovesi,
VI, 446; — Vita privata, V, 478.
Geremia da Montagnone, VI, 442.
Gerini G. B., V, 478.
Geronta (II) sebezio, VI, 450.
Gervasio, V, 477.
Gerunzi E., V, 480, 491.
Gesuiti, VI, 454.
Gherardi A., V, 470»; VI, 462.
Ghinzoni P., V, 471.
Ghirardi G., VI, 457.
Giacometti P., V, 477.
Gianandrea A., V, 471 ; VI, 451.
Gianni L., V, 479.
Giannotti D., VI, 445.
Giardini del Rinascimento, VI, 469.
Giberti G. M., VI, 445.
Gigli G., V, 475.
Gilbert de Winkels F., V, 486; VI,
459.
Gilbert J., V, 502.
Gira, V, 477«.
Ginnetti G., VI, 445.
Gioachinismo, VI, 473.
Giol)erti V., VI, 456, 458.
Giolito G., V, 479.
Gioi-dani P., V, 477, 483, 487«, 488,
492; VI, 456, 457, 459, 460. —
V. Bibliografia.
Giotto, VI, 471*.
Giovanni prete, VI, 446, 462.
Giovio P., VI, 445, 461.
Giraldi E., V, 491.
Gissi P., V, 477.
Giuliani G. B., VI, 470.
Giuliano da Riraini, V, 483.
Giullari G. B. C., V, 472«, 477, 480,
500 ; VI, 452, 453, 461.
Giurisprudenza, sue attinenze con la
letteratura, V, 490.
Giusto da Aquila, VI, 453.
Glissenti F., V, 479.
Gloria A., V, 473, 488, 492; VI, 442,
452, 457«, 461.
Gnoli D., VI, 447.
492
INDICE ANALITICO DELLO SPOGLIO
Goldoni C, V, 484, 489; VI, 455. —
V. Bibliografia.
Goliardi, V. 503.
Gonzaga F., V, 492 ; VI, 448.
Gonzaga I., VI, 448, 452.
Goritz G., VI, 472.
Gòtke V., VI, 453, 461.
Gotti A., V, 490 ; VI, 455, 4572.
Gottlob A., V, 500 ; VI, 470.
Gouse L., V, 493.
Gozzi C, V, 475, 483, 486, 491; VI,
447, 448, 474*.
Gradenigo G., V, 478.
Graf A., V, 482, 483, 488, 496; VI,
457.
Grassi G. VI, 449.
Gravina G. V., VI, 447.
Gravisi A., VI, 446.
Grazzini A. F., v. Lasca.
Gregorio VI, VI, 462.
Grill G., VI, 473.
Grimaldi L., VI, 473.
Grimm H., V, 501 ; VI, 469, 4712.
Grion G., VI, 470.
Gròber G., V, 497 ; VI, 468.
Grossi T., V, 481.
Grosso G. B., V, 490.
Grottanelli L., VI, 455.
Gualtiero da Caltagirone, VI, 444.
Guardione F., V, 480, 486; VI, 456.
Guarino da Verona, V, 491, 501; VI,
471.
Guasconi in Italia, V, 495; VI, 465.
Guasti G., VI, 444, 456.
Guerrazzi D., V, 475, 4832, 484, 489.
Guerrini 0., V, 475, 476 ; VI, 454.
Guglielmo di Durfort, V, 489.
Guglielmo Ebreo, V, 476.
Guicciardini F., VI, 445.
Guido Aretino, V, 492.
Guinizelli G., VI, 462.
Guiscardi R., VI, 458.
Guzman N., VI, 467.
Hàbler, V, 500.
Hagen H., V, 501.
Halfmann R., V. 501.
Hartwig 0., V, 498.
Haupt, VI, 473.
Hauréau B., V, 493 ; VI, 464^.
Hausknecht E., VI, 470.
Heiss A., VI, 464, 472.
Helfert J. A. v., V, 500*.
Heller H. J., VI, 473.
Henry Ch., V, 495.
Herzog H., VI, 472.
HiUebrand G., V, 470.
Hoffmann F., VI, 470.
Holthauser F., V, 499.
Holtzinger H., VI, 472.
Huffer M. P., V, 495.
Hugonnet L., VI, 464.
Hùltig 0., VI, 469.
Imbriani V., V, 478 ; VI, 450', 458,
4593.
Impero e Curia negli anni 1558-1620,
V, 500.
Incisioni italiane del sec. XV, VI,
469.
Indice dei libri proibiti, VI, 470.
Innocenzo III, V, 494; VI, 463.
Inquisizione in Italia, VI, 473.
Intra G. B., V, 471.
Iscrizione di Lantelmo, V, 471.
Istria, VI, 446.
Italia : sul finire del 1584, V, 471 ;
— Cultura e storia dell'arte, VI,
470; — Storia, VI, 466. — V. Ar-
tisti, Guasconi, Inquisizione.
Ivanovich C, V, 475.
Ive A., V, 469.
Jacobi F., V, 487. .
Jacopone da Todi, V, 475, 480; VI,
452, 453.
Jagió V., V, 497.
Jaia D., V, 482.
Jakobsbruder, VI, 468.
Joannis de Monsterolio, VI, 465.
Jomelli N., VI, 448.
Jonata M., V, 477, 478, 491, 501 ;
VI, 459.
Joret Gh., VI, 4652, 471.
Jorìin V., VI, 458.
Jungmann, V, 502.
Jura Regum Aragonensium, V, 496.
Kalilah e Dimnah, VI, 470,
Kaufmann A., V, 499.
Kaiser V., V, 502.
Kayser F., V, 500; VI, 468.
Keith-Falconer .1. G. N., VI, 470.
Keller A., VI, 471.
Kellner L., V, 497.
Kern F., V, 500.
Kerviler L., VI, 465.
Kienle, VI, 472.
Klaczko G., VI, 468.
Klemming G. E., VI, 474.
Koch J., V, 503 ; VI, 471, 472.
Kòlbing E., VI, 470.
Kòppel E., VI, 469.
Kòrting G., V, 498 ; VI, 469, 470.
INDICE ANALITICO DELLO SPOGLIO
403
Kraus F. S., V, 478, 492, 498« ; VI,
456, 469, 471.
Krebs H., V, 502 ; VI, 473.
Krugcr Th., VI, 470.
Labruzzi F., V, 487; VI, 456», 457«.
Ladino, V. 469, 495, 502; VI, 441»,
465, 467, 473.
Lalanne L., V, 493.
Lamma E., V, 479; VI, 452, 453,
462.
Lampertico F., VI, 457.
Land! 0., VI, 461.
Landi P., VI, 461.
Lang Vi., V, 500; VI, 470.
Lanza V, 494.
Lasca VI 451
Latini B.' V, 470, 481; VI, 455, 462,
466, 468, 471.
Laue M., VI, 462, 469.
Lazzarelli G., V, 483, 484.
Legenda aurea, VI, 468.
Leggende : di S. Ansano, VI, 4.56, —
dei SS. Gerbone e Regolo, VI, 456;
di S. Marziale, VI, 456; — di
S. Mattiola, VI, 456; — varie fran-
cesi, VI, 464 ; — senesi, v. Siena.
Le Monnier F., V, 490.
Lenzoni A., V, 475, 476.
Leopardi G., V, 473, 474, 478^, 479,
480, 4862, 503; VI, -447, 448, 449,
451, 453, 454, 456, 457», 459.
Leopardi M., V, 478, 479; VI, 456.
Letterate del Cinquecento , VI, 448.
Letteratura dialettale : siciliana, VI ,
441; — Villanelle in dialetto na-
poletano, V, 477. — V. Dialetti.
Letteratura italiana: nel sec. XIX,
VI, 456; — Storia della lett. ital.,
VI, 461, 468.
Letteratura popolare, VI, 450*, 465,
467; — Apologo di Menenio A-
grippa, V, 4o9; — Giuoco del calcio
in Pistoia, V, 469; — Madonna Pol-
laiola, V, 459; — orma del leone
VI, 467; — KpuuTdòia, VI, 470.
— V. Usi e costumi.
Letteratura scolastica, VI, 450.
Lettere inedite di pontefici, VI, 464.
Leveque Oh., V, 493.
Levy S., V, 497.
Libri G., VI, 451.
Libro chiamato spine et rose, VI, 453.
Liebrecht F., VI, 470.
Lingua italiana, VI, 465; — sua ori-
gine, V, 487: — nel 1100, V,473;
VI, 442, 452.
Lingua latina in Italia, V, 487.
Lingue romanze, V, 497'; VI, 468.
Linguiti A., V, 480.
Lionti F., VI, 442.
Lippmann 0., V, 493.
Lippo, VI, 462.
Lo Forte-Randi A., V, 496.
Lombardi E., V, 480.
Longo Sofista, V, 482, 484. — Vedi
Dafni e Cloe; Caro A.
Loschi A., V, 471.
Lòwenfeld, VI, 464.
Lozzi C, VI, 451.
Lubin A., VI, 469, 452.
Lucano in prosa, VI, 466.
Luchini L., V, 479; VI, 451.
Luciani T., V, 477.
Ludwig H., VI, 469.
Luri di Vassano P., VI, 460.
Lutteri E., V, 472.
Lutzow G. V., VI, 472.
Luzio A., V, 492; VI, 448.
Lydgate G., VI, 469.
Mabellini A., V, 488; VI, 462.
Machiavelli N., V, 499; VI, 445,
462-3.
Madruzzo G., V, 472.
Maffei S., VI, 453, 461. — V. Bi-
bliografia.
Magliani E., VI, 448, 449», 459*.
Magne L., V, 493.
Magno G., V, 480.
Malamani V., V, 491; VI, 444», 448,
449.
Malfrancese, v. Sifilide.
Mail E., VI, 473.
Mameli G., V, 484.
Mamiani T., V, 475, 484; VI, 451,
456, 459, 470.
Mancinelli A., VI, 443.
Mancini G., V, 470.
Mandatari M., V, 478.
Manfredi M., V, 477.
Manno A., VI, 469, 470.
Mantovani D., VI, 454, 455.
Manzini G. B., V, 484.
Manzoni A., V, 472, 4T3, 474», 475»,
476«, 483«, 486*, 487«, 502; VI, 447,
449, 455, 456», 457», 458, 459», 461,
469.
Mannello Giudeo, VI, 453.
Maramaldo F., VI, 448.
Marangone B., V, 470.
Maranzana F. U., VI, 449.
Marche, V, 471.
Marchesi V., VI, 457.
Marcolini F., V, 484.
Maresca E., VI, 450.
494
INDICE ANALITICO DELLO SPOGLIO
Margherita di Navarra, VI, 458.
Maria di Francia, VI, 473.
Maria Stuarda, VI, 450, 461.
Mario J., V, 483, 484.
Marlowe C, V, 497.
Martens "W., V, 498.
Martin, V, 498.
Martinazzoli A., V, 485.
Martinengo-Gesaresco E., V, 502.
Martini A., VI, 456.
Martini (Cecco di Giorgio), V, 470.
Martini G. B., V, 4762.
Martucci G., V, 489; VI, 447, 460.
Maschera perugina, V, 474; — na-
poletana, V. Mbomma.
Masi E., V, 474, 485, 491; VI, 447»,
457, 474.
Massa C, V, 491.
Massarani T., VI, 460.
Massari G., VI, 458.
Massolo P., VI, 454.
Massoni, VI, 455.
Matteis B., V, 487.
Mattiolo (P. di), V, 473.
Mauri A., VI, 455.
Mayer v. Waldeck, VI, 453.
Mazzini G., V, 483, 484; VI, 454.
Mazzola, VI, 473.
Mbomma D. Saverio, maschera na-
poletana, VI, 458.
Medaglie (Incisori di) del Rinasci-
mento, V, 503; VI, 464, 472.
Medin A., VI, 443, 448, 461.
Melani A., VI, 44.5, 454.
Melchia G. A., VI, 453.
Meli G., V, 478.
Melodramma giocoso, V, 476.
Mercer W., VI, 473.
Merlo P., V, 481 ; VI, 454.
Messale del sec. XII, VI, 443; — del
sec. XV, VI, 463.
Messori Roncaglia G., V, 476.
Mestica G., VI, 456.
Metastasio P., V, 481, 488; VI, 473.
Meyer K., VI, 471, 472.
Meyer P., VI, 466, 467.
Meyer W., V, 501; VI, 469, 471.
Michel A., V, 493.
Middleton J. H., VI, 473.
Mignini G., 462.
Mikelli E., V, 462, 487.
Milanesi G., V, 491; VI, 445.
Milensio F., VI, 451.
Milione (II), VI, 444.
Millio, VI, 466.
Minghetti M., VI, 445, 454, 458.
Miniatori: cremonesi, VI, 451 2, —
V. Cremona; — Glockenton N.,
VI, 458.
Miniatura: in Milano nei secoli XIII
e XIV, VI, 4432; — nei codici di
Virgilio, V, 494.
Minoia M., V, 484, 492.
Minucci del Rosso P., V, 490.
Miola A., V, 490; VI, 452.
Miollis, Generale, V, 482.
Mirabella F. M., VI, 4442.
Misantropo Napolitano, V, 477*.
Missirini M.,.V, 477.
Modi proverbiali, VI, 460.
Modena L., VI, 453.
Molineri G. C, V, 476.
Molinier E., VI, 472.
Molmenti P. G., V, 485; VI, 447, 454,
473, 474.
Monaci A., VI, 442.
Monaci E., VI, 468.
Monete, VI, 447.
Mongeri G., VI, 4432.
Moniglia G. A.. V, 476.
Monkhouse C, V, 502; VI, 474.
Monnier M., V, 482, 493; VI, 459,
465.
Montanini A., VI, 456.
Montazio E., VI, 458.
Montecassino, V, 478.
Montesquieu C, VI, 459.
Monteverdi C, VI, 464.
Montgomery Stuart J., V, 502.
Monti A., VI, 460, 461.
Monti V., V, 483, 489, 5012; yi, 447,
457, 458.
Monumenti : di Ravenna, V, 494; —
Loggia del Bigallo, V, 494; — Bat-
tisterio di Firenze, V, 4942, — Log-
gia dei Lanzi, V, 498; — Decora-
zioni murali a Trecciano, VI, 445;
— Porte di S. Giovanni, VI, 445;
— Canipanile di S. Maria del Fiore,
VI, 455; — Oratorio di S. Maria
della Tromba, VI, 457; — Santa
Croce, VI, 466; — San Paolino di
Nola, VI, 472; — Palazzo Grimani
in Venezia , VI, 472.
Moore E., V, 502.
Morandi L., V, 493; VI, 460, 4712.
Morchio D., V, 4772.
Morel-Fatio A., VI, 466.
Moretti C, VI, 446.
Morosi, VI, 441.
Morpurgo S., V, 4912; VI, 462*.
Morsolin B., V, 477»; VI, 460,463.
Mosca E., V, 477.
Motta E., VI, 460.
INDICE ANALITICO DELLO SPOGLIO
495
Movimento letterario nel 1884 in
Italia, V, 480.
Muncker F., VI, 471.
MiJntz E., V, 470, 493, 502 ; VI, 447,
4g43 455 472.
Muratori l! A., V, 490; VI, 455, 456.
Murtola G., V, 479.
Musica a Mantova, V, 491.
Musici: Bartolomeo Tromboncino, V,
492; — Marchetto Cara, V, 492;
— Carlo di Launay, V, 492; — G.
Angelo Testagrossa, V, 492; — A.
Baldan, VI, 457; — in Terra di
Bari, VI, 4613.
Mussafia A., V, 501; VI, 467.
Mussato A., V, 470, 477, 484, 492,
500.
Myers E., V, 502.
Napoleone I nella poesia popolare in
Piemonte, VI, 448.
Napoli, V, 471, 477, 481, 495, 496.
Nardini Nespotti Mospignotti, VI,455.
Narducci E., V, 479; VI, 444.
Negroni C, V, 479^, 480.
Nelli G., V, 482.
Neri A., V, 470, 476*, 4772, 489; VI,
442, 446, 4482, 449^, 450, 457, 458.
Nerucci G., V, 469.-
Neuling, VI, 468.
Niccolini G. B., VI, 444.
Niccolò da Osimo, VI, 452-3.
Niccolò V, V, 500; VI, 447, 468.
Nicolai N. M., VI, 454.
Nicoletti M. A., V, 491.
Nigra C, VI, 4672.
Nogarola I., VI, 472.
Nòldeke Th., VI, 470.
Novati F., V , 469 , 471' , 474 , 479,
4852, 492, 502; VI, 451.
Novellino, VI, 457.
Novellistica medievale, V, 499.
Nyrop K., VI, 467*.
Oddoni G. B., VI, 451.
Olivetti Modena, V, 496.
Olmo F., VI, 446.
Onesto Bolognese, VI, 462.
Opera musicale, V, 477; — buffa, V,
477.
Orlandino, VI, 467.
Oro potabile, VI, 452.
Orsi P., V, 472: VI, 444.
Otranto, v. Studi storici.
Ovidio (Leggenda di), V, 485; VI,
442, 457, 458.
Pacini F.,.VI, 454.
Pagano L., VI, 452.
Paglierani F., V, 482; VI, 462.
Paleografia : latina, VI, 466; — scriU
tura bollatica, VI, 442.
Palingenio M., V, 485.
Panizza A., V, 472.
Pantaleoni, VI, 470.
Panzacchi E., V, 475; VI, 460.
Paoli C, V, 470», 498; VI, 463.
Paolo V, V, 487.
Papaleoni G., V, 491.
Papa P., VI, 456, 459».
Paradisi A., V, 471.
Parini G., V, 491; VI, 452.
Paris G., V, 496; VI, 467, 468.
Parodi C. G., VI, 450.
Parodi D. A., V, 486; VI, 457.
Parodi E., VI, 448.
Partecipazione di morte nel sec. XIV,
VI, 444.
Pasanisi F., V, 483.
Pascal C, V, 478.
Pasolini C. G., V, 502.
Pasqualigo C, VI, 442.
Pasqualigo F., VI, 450, 451.
Passione (La) di Cristo, V, 475.
Pastorale per nozze nel Ì605, V, 479.
Pastorali italisme del Cinquecento,
V, 478.
Pater noster della monaca, \\, 449.
Patrizio (Purgatorio di S.), M, 441,
470.
Paul H., V, 501.
Paulsen F., VI, 469.
Paur Th., VI, 468.
Pellico S., V, 480, 481 ; VI, 449, 452,
456, 458.
Pentolini, VI, 462.
Pèrcopo E., V, 480; VI, 452, 453.
Perini 0., V, 472«.
Perrens, V, 495.
Perrini P., V, 475.
Perkins Ch., V, 494».
Perlbach M., VI, 469.
Perticone F., VI, 444.
Pesce Nicola (Leggenda di), VI, 450.
Petrarca F., V, 4^: VI, 442, 158,
461, 465; — Africa, VI, 472; —
Breviario di lui, V, 477: — Can-
zone: Italia mia, VI, 457^: — Can-
zone: Spirto gentil, V, 4S2, 487;
VI, 455, 462; — Epistole, VI. 464.
470.
Patroni G., VI, 461.
Pflugg-Harttung W. A., V, 499: VI,
471.
Pfundheller H., VI, 470.
Physiologus, VI, 470.
496
INDICE ANALITICO DELLO SPOGLIO
Pica V., VI, 454.
Picciola G., VI, 454.
Piccirilli P., VI, 458.
Piccolomini E. S., V, 477.
Picot E., VI, 465.
Piemonte : dal 1802 al 1814, VI, 457;
— dal 1835 al 1861, 466; — Storia
della monarchia piemontese , VI,
457-8.
Pieretti L., VI, 455.
Piergili G., VI, 451, 460.
Pierling P., V, 496.
Piermartini G., V, 487.
Pietrobono L., VI, 455.
Pietro d'Abano, V, 486.
Pietro di Mattiolo, VI, 462.
Pietro da Rimini, V, 483.
Pietro da Trani, VI, 453.
Pigorini Beri G., VI, 460.
Pindemonte I., VI, 456, 459.
Pinelli G., VI, 452.
Pio VII, V, 494.
Piovano Arlotto, v. Arlotto.
Pipitone Federico G., VI, 444.
Pippi A., VI, 455.
Pisa assediata, VI, 462.
Pisano N., VI, 454.
Pistoia, V. Cammelli.
Pitini Piraino V., V, 478.
Pitrè G., V, 484, 485.
Pittura: bizantina in Italia, V, 493:
— Dipinti liturgici della cattedrale
di Milano, VI, 472 ; — Paesaggio,
V, 502; — Vetri colorati, V, 493;
— Pittura in Piemonte, V, 496 ; —
Affreschi del sec. XIV, V, 486.
Piumati A., V, 491; VI, 461.
Placucci M., V, 469, 485.
Plon E., V, 493, 494, 496; VI, 464.
Poerio G., VI, 459.
Poesia popolare, V, 472; — Canti di
Recanati, VI, 448.
Poesie latine del medio evo, A''1, 471.
Poggi G., VI, 445.
Poggio Bracciolini, VI, 472.
Poletto G., VI, 4742.
Poliziano A., V, 487.
PoUidori P., VI, 443.
Porro G., VI, 462, 463, 469.
Porta C, V, 484, 491; VI, 457.
Porzio S., VI, 458.
Possevino, V, 496.
Pougin, V, 494.
Prantl H. v., V, 501; VI, 472.
Prati G., V, 477, 491.
Prato S., V, 469; VI, 467.
Premierfait (de) L., VI, 469.
Procacci G., V, 483.
Promis, VI, 469.
Proverbia super natura feminarum,
VI, 473.
Proverbi: in rima, VI, 451; — vol-
gari nel 1200, VI, 442.
Prudenzo da Trani, VI, 455.
Pucci A., V, 479; VI, 462.
Puccinotti, V, 486.
Pulci L., V, 483, 501.
Qualichino da Spoleto, VI, 468.
Querno C, V, 491.
Raffaelli F., VI, 451.
RafTaelli R., V, 471.
Rambaldo di Vaqueiras, V, 488.
Ranieri Biscia C, V, 478-9.
Ranke, V, 500.
Rasos de' trobar, VI, 463.
Rastrelli M., V, 479.
Rattoni P., VI, 449.
Ravaisson Mollien L. , V, 493, 495,
503.
Ravenna, v. Monumenti.
Rawdon Brown, VI, 442.
Rayo, VI, 458.
Redtenberger H., V, 497.
Re Giannino, VI, 456.
Regimen sanitatis, V, 501.
Regio P., VI, 450.
Regole dei Frati Minori, VI, 453; —
di S. Francesco, VI, 453.
Reimann M., VI, 469.
Reni G., V, 492.
Renier Michiel G., V, 482; VI, 450.
Renier R., V, 470, 4773, 484, 492,
497; VI, 4502, 453, 454, 455, 457,
460, 4622, 463, 471.
Reumont A. v., V, 4702, 5002; VI,
4422, 4703.
Rezasco G. B., V, 472, 478.
Rhys J., V, 502.
Ricasoli B., VI, 454.
Ricci C, V, 473, 474, 475, 483; VI,
446, 462.
Ricciardi G., V, 477.
PUcciardi P., VI, 451.
Richter J. P., VI, 469, 474.
Riforma, VI, 466 ; — in Italia, V, 498;
— cattolica, V, 498.
Rime inedite di un Cinquecentista,
V. Strozzi L.
Rinascimento, V, 470, 493, 502; VI,
4653, 460, 470, 472.
Rinuccino, VI, 462.
Rip van Winkle, VI, 449.
Riviello R., V, 488.
Rivoli (Due de), VI, 464.
INDICE ANALITICO DELLO SPOGLIO
41)7
Rizzio M., V, 497.
Roberti G., V, 492.
Roberti T., VI, 455.
Rediger F., VI, 462.
Roland, VI, 471.
Roma : Pianta, VI, 447 ; — nelle can-
zoni del marchese di Couiangos ,
VI, 447; — nel sec. XVII1,V1,454.
Romani (L. de"), V, 471.
Romanine, VI, 447.
Ronca U., V, 486, 491, 494, 500.
Rondoni G., V, 490; VI, 456?, 462.
Rosa S., V, 502; VI, 460.
Roseo M., VI, 445.
Rosmini A., V, 486, 487», 498; VI,
455, 456.
Rossi L., V, 476.
Rousseau J. J. a Venezia, V, 494.
Roux 0., V, 474; VI, 449.
Ruberto L., V, 4892.
Rucellai G., VI, 460.
Rusconi A., V, 471.
Ruflb M., V, 472.
Sabbadini G., V, 470.
Sabbadini R., V, 491, 501; VI, 471.
Sabbatini P., V, 490.
Sailer L., VI, 459.
Salicolo M., VI, 447.
Salimbene (Fra), VI, 463.
Salimbeni G., VI, 456.
Salvador! A., V, 47.t; VI, 451.
Salvagnini F. A., V, 475^; VI, 457.
Salvagnoli Marchetti G., V, 486. .
Salviati L., V, 479.
Salvini A. M., V, 475, 484.
Salvioli G., V, 477.
Salvioni C., V, 469.
Salvioni G., VI, 44f^.
Salutati C., V, 471.
Saluzzo D., VI, 449.
Samiel, V, 476.
Sannazaro I., VI, 458.
Sànsovino F., V, 478.
Santi Mattei P., VI, 451^.
Sanzio R., V, 500; VI, 443, 445, 454,
458, 464, 471, 473, 474; — la For-
narina, VI, 464.
Saragat G., VI, 449.
Saragat M., VI, 448.
Sarlo F., V, 491.
Sarnelli P., VI, 450*.
Sarpi P., VI, 444«, 454, 463.
Savigny F. G., VI, 459.
Savino A., V, 494.
Savino U., VI, 459.
Saviotti A., V, 475; VI, 450, 454.
Savonarola G., Vi, 463.
Sbigoli, V, 495.
Scaduto F., VI, 453, 463.
Scala del cielo, VI, 452.
Scelti A., V, 491.
Scenario inedito, V, 489.
Schaube, V, 470.
Scheler, V, 495.
ScheriUo M., V, 4773, 436; VI, 447,
448, 454, 458.
Scherma in Milano, VI, 446.
Schipa M., VI, 443.
Schmid J., V, 500.
Schmidt D. E., VI, 471.
Schònbach A. E., V, 499.
Schuchardt H., V, 497, 501,
SchuItze F. 0., V, 494, 496; VI, 473.
Schulze L., VI, 470.
Scienze occulte, VI, 452.
Scioppio G., V, 479.
Scrofa C., V, 477.
Scultori della Svizzera italiana, V, 471.
Scultura nel Quattrocento, V, 500.
Sculture ascolane del sec. XVI , VI,
458.
Scuola poetica siciliana, VI, 468.
Sebastiano da Rovigno, VI, 445.
Sebastiano del Piombo, VI, 474.
Sennuccio, V, 503.
Serena 0., VI, 461.
Sesler F., VI, 447.
Settembrini L., VI, 449.
Setti G., VI, 462.
Sfide, VI, 447, 448.
Sfondrato F., VI, 472.
Sforza A., VI, 446.
Sforza F., V, 471.
Sforza G., V, 471, 476», 482, 483»,
484; VI, 454.
Sforza M., V, 471.
Sgulmèro P., VI, 456.
Shakespeare W., V, 497»; VI, 471.
Siena: leggende, V, 490; VI, 456».
Sifilide, VI, 441.
Signorini G., VI, 458.
Sigwart G., VI, 470.
Simonetta C., VI, 443.
Simonetta G. M., V, 471.
Simonsfeld, VI, 470.
Slavo-italico, V, 497, 501.
Soave F., V, 473; VI, 446.
Somma A., VI, 454.
Sonetto, V, 503; VI, 471.
Soranzo, V, 480.
Sordini G., V, 486.
Spagna in versi, VI, 467.
Spedalieri M., VI, 454.
Speyer 0., VI, 468«, 469».
Spina B., V, 477«.
498
INDICE ANALITICO DELLO SPOGLIO
Spinelli A. G., V, 491; VI, 443, 471.
Spitzen 0. A., VI, 470.
Springer, V, 498.
Stampa S., VI, 469.
Stampiglia S., VI, 450.
Stefani F., VI, 444.
Stevens H., VI, 474.
Stiefel L., V, 477; VI, 471.
Stigliani T., V, 488.
Storia troiana, VI, 466.
Storia letteraria, VI, 469.
Storm G., VI, 474.
Straccali A., VI, 461.
Streghe nella Levantina, V, 473 ; VI,
446.
Strozzi L., VI, 462.
Studenti svizzeri a Pavia , V , 473;
VI, 446; — Tumulti di St. in To-
rino, VI, 448.
Studi storici, VI, 448; — in Terra
d'Otranto, V, 470.
Sundby Th., V, 470; VI, 462, 468,
471.
Symonds J. A., v. Addington.
Tacconi F., VI, 446.
Tachinardi, VI, 457.
Tamassia G., VI, 462.
Tardif G., VI. 472.
Tari A., VI, 459.
Tasso T., V, 478, 490; VI, 448, 459,
462.
Tassoni A., V, 491, 494, 500; VI, 462.
Tavelli G., VI, 453.
Teatro, V, 477; — in Bologna, V,
473; — in Firenze, V, 476; — in
Mantova, V, 479; VI, 468; — in Ve-
nezia, V, 475; VI, 449; — italiano
dei sec. XIII, XIV, XV, VI, 462; —
italiano in Francia, V, 494; VI, 451;
— in Inghillerra , VI , 474 ; — li-
turgico, V, 499; VI, 471, 472; —
tragico nel Cinquecento , V , 480.
— V. Bruscelli , Farse, Dramma,
Melodramma, Opera, Scenario.
Tebaldeo, VI, 459.
Tedaldi P., VI, 473.
Teixeira Bastos, VI, 474.
Tenca C, VI, 460.
Terrino, VI, 462.
Tessier A., V, 477^; VI, 444.
Testi F., V, 474.
Teza E., VI, 461, 462\
Thielmann Ph., V, 497; VI, 468.
Thomas A., VI, 465^, 467.
Tiepolo, VI, 454, 473.
Tikkanen J. J., VI, 471.
Tinti G., V, 471.
Tipografia : in Perugia , V , 471 ; —
in Verona, V, 471 ; — in Macerata,
V, 471; — nel Ganton Ticino, V,
473; VI, 446; — in Sicilia, V, 478,
479; VI, 4513; — in Milano, VI,
444; — in Venezia, VI, 444; —
— lesina, VI, 451; — Correttori
in Firenze, VI, 451 ; — Invenzione
della T., V, 498.
Tirinelli G., V, 487^; VI, 456.
Tobler A., VI, 473.
Tocco F., V, 483; VI, 453.
Tolomei (Pia dei), VI, 456«.
Tomaselli A., VI, 454.
Tommaseo N., V, 487: VI, 462.
Tommasini 0., VI, 462.
Tommaso da Kempis, VI, 470.
Tommaso (S.) d'Aquino, V, 502; VI,
456, 472.
Tonini, VI, 470.
Torraca F., V, 473, 482, 491; VI,
442, 447, 454, 455, 458, 462«.
Torre A., VI, 459.
Torricella D., VI, 461.
Torino nel 1643, VI, 460.
Torriti .]., V, 503.
Toschi B., V, 486; VI, 458.
Tosini P. M., VI, 457.
Toulmin Smith L., VI, 470.
Tradizioni popolari: i 12 mesi del-
l'anno, \1, 442.
Trattati ascetici, VI, 452, 453.
Trautmann K., VI, 468.
Trede, VI, 470.
Trento : Toponomastica tridentina, V,
472; VI, 444.
Trevisan F., V, 500; VI, 459.
Trinci (Palazzo dei), VI, 453.
Trissino G. G., V, 479, 482; VI, 462,
472.
Troia (Distruzione di), V, 498-9.
Trovatori: nella Marca Trivigiana,
V, 480; — italiani, V, 496.
Tuckermann W. P., VI, 469.
Turrisi Colonna G., VI, 456.
Ugolino di Nuzio, VI, 441.
Ulrich G., V, 469: VI, 4412, 467.
Umanesimo in Francia, V, 501.
Umbria, V, 471.
Università: nel medio evo, VI, 469;
— di Padova, V, 488.
Unti 0., V, 481.
Usi e costumi: Le scampanate, V,
472; — Spectaculum paschae in
Foligno, V, 481 ; — de' contadini
di Romagna, V, 484; — I Turchi,
V, 488 ; — di Venezia, V, 491 ; —
INDICE ANALITICO DELLO SPOGLIO
499
Bruciar la vecchia, V, 502; — Il
lastrone dei debitori in Salaparuta,
VI, 441 ; — Carnevalo in Trapani,
VI, 442; —in Bormio, VI, 442; —
Mattinate, VI, 442 ; — usanze reli-
giose in Scontrone, VI, 454. V.
allo, Carnevale.
Uzielli G., V, 474, 492, 503; VI, 473.
Vahlen J., VI, 472.
Valchiusa, V, 503.
Valdarnini A., VI, 456.
Valla L., VI, 462.
Valmaggi L., VI, 472.
Van der Haegher, V, 496.
Vanini G. C, VI, 461.
Vannetti C, VI, 455, 456.
Vannucci A., VI, 454.
Varchi B., V, 4872; VI, 457^, 463.
Vargnano di Arco 1., V, 472.
Vargnano M., V, 472.
Varriale V., V, 478.
Vasa C V 484
Vasari G., V, 470; VI, 469, 471, 474.
Vassallo C, V, 477.
Vast H., V, 496.
Vecchi A. V., V, 491.
Vegio M., VI, 472.
Velardiniello, V, 477.
Venere (Monte di), VI, 468.
Venezia, V, 472, 487, 501 ; VI, 444»,
457. — V. Bibliografia; Usi e co-
stumi.
Venisti G., VI, 461.
Venturi A., V, 470, 486; VI, 443, 458.
Veratti B., V, 489.
Vergerio P. P., V, 470; VI, 442.
Veron E., V, 494.
Verona, V, 472. — V. Anonimi.
Verso epico italiano, VI, 450.
Verzellino, VI, 462.
Vestri, VI, 457.
Viaggi: da Lucca a Torino nel 1781,
\\ 476; — in Piemonte nel 1729,
V, 476; — in Italia, V, 497.
Vico G. B., V, 473, 494, 495; VI, 459.
Villari L., VI, 473.
Villifranchi G., V, 479.
Virgilio, V, 4773; vi, 462.
Visalli V., VI, 459.
Viscardi G., V, 475.
Visconti, Vi, 447.
Visconti B., VI, 443.
Visconti G. G., VI, 443.
Visconti L., VI, 443.
Vitclleschi M. B., V, 481.
Vittoria A., V, 494.
Voigt G,, VI, 469, 470.
Volkmar, V, 501.
Volpicella S., VI, 470.
Voltaire, V, 481; VI, 471.
Wagner il Pedante, V, 482, 483».
Wastler T., VI, 472.
Weinberg G., VI, 471.
Welti H., V, 500: VI, 411.
Wenck K., VI, 469.
Wendt G., V, 500.
Wesselofsky A., V, 497»; VI, 467.
Westbourne E. H., VI, 474.
Wiese B., V, 497, 500, 501»; VI, 469,
471.
Winkelmann, V, 499.
Witte C, VI, 442.
Witte L., VI, 473.
Triarte Gh., VI, 465.
Zambrini F., VI, 452.
Zampini G. M., VI, 456.
Zanella G., V, 491.
Zanetti G., VI, 444.
Zanolini L. M., V, 479.
Zardo A., V, 470, 488, 492, 500.
Zenatti A., V, 491 ; VI, 4623.
Zeno A., VI, 444.
Zeno (Fratelli) viaggiatori, VI, 443.
Zenone (S.), V, 500.
Zinani G., VI, 451.
Zingarelli N., V, 501.
Zorzi A., VI, 456.
Zotenberg H., VI, 464.
Zschech F., V, 501*.
Zwiedeneck-Sùdenhorst, V, 501.
Zuccaro F., V, 479.
Zumbini B., V, 474, 477, 482, 483,
488, 489; VI, 459.
Zupitza .1 , V, ."VII.
INDICE ALFABETICO
DELLA RASSEGNA E DEL BOLLETTINO
In quest'indice, che abbraccia l'intera annata {w. V e VI) sono
registrati i nomi degli autori e degli editori; i titoli delie
opere sono dati per lo più in forma abbreviata. Il numero
romano indica il volume, l'arabico la pagina.
Ademollo a., I primi fasti del teatro
di via della Pergola, VI, 285.
Albertini F., Opusculum de mira-
hilibus novae urbis Romae, ed.
A. Schmarsow, VI, 421.
Antiche scritture lombarde, ed. G.
Salvioni, V, 290.
Avvenimenti faceti raccolti da un
anonim.0 siciliano, ed. G. Pitrè,
V, 296.
Baccini G., V. Fagiuoli.
Baldinucci N., Moglie e marito, ed.
D. Castelli, VI, 299.
Ballate (IV) pop. del sec. XY, ed.
E. Pèrcopo, V, 314.
Barbiera R., V. Porta.
Bariola F., V. Taccone.
Bellemo V., Giuseppe Zarlino, VI,
300.
Beltrami L., Bramante poeta, Y,
234.
Benedettucci a., V. Leopardi.
Brandes H., Visio S. Pauti, VI, 279.
Cammelli A., v. Pistoia.
Cappelli A., v. Pistoia.
Castelli D., v. Baldinucci.
Cavalcanti G., v. Ercole.
CiAN V., Un decennio della vita di
m. Pietro Bembo, VI, 270.
Costa E., v. Giordani.
Croce B., La leggenda di Niccolò
Pesce, VI, 263.
D'Ancona A., Varietà storiche e leit.,
serie seconda, VI, 434 — v. Pisa.
De Nino A., Briciole letterarie, voi. I,
V, 307 — voi. II, VI, 439.
Di Manzano F., Cenni biografici di
letterati ed artisti friulani, VI,
298.
Durazzo P., Orbis terrarum brevis
descriptio, VI, 302.
EcKLEBEN S., Die dlteste Schilderung
V. Fegefeuer des h. Patricius ,
VI, 414.
Ercole P., Guido Cavalcanti e le
sue rime, VI, 402.
Ettari F., El Giardeno di Marino
Jonata Agnonese, V, 455.
Fagiuoli G. B., Le nozze del dia-
volo, VI, 428.
Falletti Fossati P. C, Saggi, VI,
292.
Fernandez Merino k.. La danza
macabre, V, 287.
Ferrari S., v. Pistoia.
Feurieri P., V. Rime inedite.
FoRNACLARi R., La Ietterai, ital. nei
primi quattro secoli, VI, 409.
Foscolo U., L' Ipercalisse, ed. G. A.
Martinetti, V, 302.
Frizzoni G., V. Notizia.
Gioberti V. e Giordani ?..
inedite, VI, 301.
Lettere
502 INDICE ALFABETICO DELLA RASSEGNA E DEL BOLLETTINO
Giordani P. , Lettere inedite o rare,
ed. P. Costa, V, 306 — v. Gioberti.
Gloria A., Volgare illustre nel 1100,
VI, 253.
Gozzi G., Le fiabe, ed. E. Masi, V,
465.
Joppi V. , Nozze Seravallo — De Con-
dna, V, 316.
Kraus F. X., Briefe Benedicts XI Y,
V, 463.
Laue M., Ferreto v. Vicenza, V, 228.
Leopardi G., Scritti editi sconosciuti,
ed. CI. Benedettucci, VI, 295.
LuBiN A., Dante spiegato con Dante
e polemiche dantesche, VI, 280.
Lumini A., Scritti letterari, V, 309.
Mabellini a.. Delle rime di B. CeU
lini, VI, 424 — V. Reprandino.
Magliani e., Storia lett. delle donne
italiane, VI, 437.
Magrini G. , Studio critico su B.
Menzini, VI, 426.
Mancini G., v. Manoscritti.
Manoscritti (I) della libreria di Cor-
tona, ed. G. Mancini, V. 300.
Martinetti G. A., v. Foscolo.
Masi E., Parrucche e sanculotti nel
sec. XV III, VI, 430 — v. Gozzi.
Mazzoni G., v. Tasso.
Merlino {Istoria rfi), ed. Ulrich, V, 291.
Morandi L., Antologia della critica
lett. moderna, V, 313.
Morelli I., v. Notizia.
Morsolin B. , La ortodossia di Pietro
Bembo, V, 433.
Mussapia a., Ztir Katharinenle-
gende, VI, 416.
Notizia d'opere di disegno pubbl. e
ili. da I. Morelli, ed. G. Frizzoni,
VI, 286.
Novelle pop. toscane , ed. G. Pitrè,
VI, 298.
Paris G., La parabole des trois an-
neaux, VI, 415.
Pascal G., Sulla vita e sulle opere
di Ferd. Galiani, V, 457.
Penco E., Storia della lett. italiana,
voi. I, VI, 436.
PÈRCOPO E., V. Ballate e Poemetti.
Pietro di Mattiolo, Cronaca bolo-
gnese, ed. C. Ricci, V, 290.
Pisa nel 1581, ed. D'Ancona, V, 315.
Pistoia, Rime edite ed inedite , ed.
A. Cappelli e S. Ferrari, V, 242.
Pitrè G., v. Avvenimenti e Novelle.
Poemetti {IV) sacri dei sec. XIV e
XV, ed. E. Pèrcopo, VI, 416.
Porta C, Poesie, ed. R. Barbiera,
V, 441.
Reprandino Orsato, Alcuni sonetti,
ed. A. Mabellini, V, 293.
Ricci C, v. Pietro di Mattiolo.
Rim,e inedite d'un cinquecentista,
ed. P. Ferrieri, V, 314.
Ronca U. , La Secchia rapita di
A. Tassoni, V, 461.
Salvioni C, V. Antiche scritture.
Samosch S. , Machiavelli als Como-
diendichter, VI, 284.
ScHERiLLo M. , La commedia del-
Parte in Italia, V, 276.
ScHMARSOw A., V. Albertini.
Spinelli A. G. , Bibliografia goldo-
niana, V, 269.
Storia di Campriano contadino, ed.
A. Zenatti, V, 258.
Strozzi L. di F., v. P. Ferrieri.
Taccone B., L' Atteone e le rime,
ed. F. Bariola, V, 234.
Tasso T. , Il Rinaldo e T Aminta ,
ed. G. Mazzoni, VI, 422.
Termine Trigona V., Petrarca cit-
tadino, VI, 282.
Tonini C, La coltura lett. e scient.
in Rimini, VI, 288.
Torraca F., Saggi e rassegne, V, 312.
Ulrich G., v. Merlino.
ViccHi L., Vincenzo Monti, 1778-1780,
VI, 432.
Weinberg G. , Das franzòsische
Schdferspiel, V, 293.
Welti H., Geschichte des Sonettes
in der deutschen Dichtung, V, 284.
Zanella G., Paralleli letterari, V,
297.
Zenatti A., v. Storia di Cam,priano-
r^ ^
j
INDICE DELLE MATERIE DEL VI VOLUME
D'ANCONA A., Jl UiOro «mmfovano n«I »«coìo X71 (parte 2>) . . . . Poi;. le 318
CIPOLLA C, Sft«d* «ti Ftrreto dei FtrreU. — 1. Il suo sepolcro. — 2. F. tU' F.
fu ospite di Cnngrandel — Z. Il poema di F. in otur di Ccmgrtmde
e V * Eccerinis » del Mussato » 58
RAJNA P., Per la data della « Vita nuova » « non per essa soltanto ...» 118
SABBADINI R., Notitie sulla vita e gli scritti di alcuni dotti umanisti del tee. XV,
raccolte da codici italiani. — V. Isotta Noijarola ; VI. Antonio da Rho;
VII, Giovanni Aurispa,- Vili. Ouiniforte Bartinna . . . . > 168
NOVATI F., Nuovi studi su Albertino Mussato (parte 1») » 178
FERRARI S., // contrasto della bianca e della bruna » 352
VARIETÀ
CRESCINI V., NotereUa dantesca .201
SCIPIONI G. S., Tre laudi sacre pesaresi » 212
FRATI L., Il « Bel pome », corona di nove sonetti aliégorici .... » 223
RENIEB R., Saggio di rime inedite di Galeotto del Carretto » 231
NOVATI F., Notizie biografiche di rimatori italiani dèi ttcoli XIll e XIV. —
n. Francesco da Barberino » 899
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
SÀLVIONI C, — Andrbà Gloria , Volgare ilhutrt ntl 1100 » pr<mrhi folgori
del 1200 m
ORAF A., — Bekedetto Cbocb, La leggtmda di Niccolò Pete* > 968
LUZIO A., — VrrroRio Cum , Un decennio delia tHa di M. Pietro Bembo
(1583-I5S1) 370
BENIEB R. — Pietro Ebcole, Guido Cavalcanti e U sue rime . . . . > 402
BACCI 0. — Raffaello Fornaciari, Im letterni^tra italiana nei primi quattro seeok » 409
504 INDICE DELLE MATERIE
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
H. BRANDES , Visio S. Pauli, p. 279. — A. LUBIN , Dante spiegato con Dante e polemiche
danUsche, p. 280. — V. TERMINE TRIGONA, Petrarca cittadino, p. 282. — S. SAMOSCH,
Machiatélli als Comòdiendickter, p. 284. — A. ADEMOLLO, I primi fasti del teatro di via
della Pergola in Firenze, p. 285. — Notitia d'opere di disegno pubbl. e illustr. da d. Ja-
copo Morelli, ed. G. Fkizzoni, p. 287. — C. TONINI , La coltura Ictt. e scient. in Rimini
dal sec. XI V ai primordi del XJX, p. 288. — P. C. FALLETTI FOSSATI, Saggi, p. 292.
— CL. BENEDETTUCCI, Leopardi, scritti editi sconosciuti , p. 295. — F. DI MANZANO,
Cenni biografici dei letterati ed artisti friulani dal sec. lY al XIX, p. 298. — Q. PITRÈ,
Potette popolari toscane, p. 298. — N. BALDINUCCI , Mogli» e marito (nozze), p. 29<.). —
V. BELLEMO, Giuseppe ZarUno (nozze), p. 300. — V. GIOBERTI e P. GIORDANI, Let-
tere inedite (nozze), p. 301. — P. DURAZZO, Orbis terrarum brevis descriptio (nozze), p. 302.
— S. ECELEBEN , Di» àlteste Schilderung vom Fegefeuer des h. Patricius , p. 414. —
G. PARIS, La parabole des trois anneaux, p. 415. — 17 poemetti sacri dei sec. XIV e XV,
ed. E. PkECOPO, p. 416. — A MUSSAFIA, Zur Katharinenlegende , p. 416. — F. ALBER-
TINA Opuscuhim de mirabilibus novae urbis Romae, ed. A. Schmaesow, p. 421. — T. TASSO,
Il Rinaldo e V Aminta, ed. G. Mazzoni, p. 422. — A. MABELLINI, Delle rime di Benvenuto
Cellini, p. 424. — G. MAGRINI , Studio critico su Bened. Mentini, p. 426. — Le notee
del diavolo, novella di G. B. FagiuoU, p. 428. — E. MASI, Parrucche e sanculotti nel se-
colo XVIII, p. 430. — L. TICCHI, Vincenzo Monti, le lettere e la politica in Italia dal
1700 al 1830 (Triennio 1778-80), p. 432. — A. D'ANCONA , Varietà storiche e letterarie,
(serie 2a), p. 434. — E. PENCO, Storta della letterat. italiana (voi. I), p. 436. — E. MA-
GLIANI, Storia letteraria delle donne italiane, p. 437. — A. DE NINO, Briciole letterarie
(Tol. II), p. 439.
SPOGLIO DELLE PUBBLICAZIONI PERIODICHE Pag. 441
COMUNICAZIONI ED APPUNTI
E. RENIER, Un altro esempio di • laisse » italiana, p. 303. — F. NOTATI, Una stampa sco-
nosciuta della storia di Campriàno, p. 304. — A. NERI, Una lettera di Gius. Bianchini,
p. 305. — F. NOVATI , Lettere di AmariUi Etrusca , p. 306. — R. RENIER , Giustina
Michiel e la censura, p. 307. — A. GRAF, Per la leggenda di Dante, p. 475. — R. RENIER,
Una vecchia memoria sul « Blandin de Cornoalha », p. 476. — R. RENIER, Emendazioni al
testo dell'Altissimo, p. 477. — L. FRATI, Giunte ai Cantari e Sonetti ricordati nella cro-
naca di Benedetto Dei, p. 477. — G. S. SCIPIONI, Rettifica, p. 479.
CRONACA » 308, 480
INDICE ANALITICO DELLO SPOGLIO » 485
INDICE ALFABETICO DELLA RASSEGNA E DEL BOLLETTINO. . . » 501
■INDING DEPT. APR 2 t9B2
PQ
G5
V.6
Giomede storico della
letteratura Italiana
PLEASE DO NOT REMOVE
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