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Full text of "Giornale storico della letteratura italiana"

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HANDBOUND 
AT  THE 


UNIVERSITY  OF 
TORONTO  PRESS 


GIORNALE   STORICO 


LETTERATURA  ITALIANA 


VOLUME    VI. 

(2o  semestre  1886). 


}1^ 

GIORNALE  STORICO 

DELLA  ? 

LETTERATURA  ITALIANA 


DIRETTO  E   REDATTO 


ARTURO  GRAF,  FRANCESCO  NOVATI,  RODOLFO  RENIER. 


VOLUME  VI. 


W^ 


TORINO 
ERMANNO    LOESCHER 

FIRENZE  ROMA 

Via   Tornabuoni,   20  Via    del    Corso,   307 

1885 


PROPRIETÀ    LETTERARIA 


%>^ 


^\^[ 


qi. 


Torino  —  ViKCBxzo  Boka,  Tip.  di  S.  M.  e  de'  EB.  Principi. 


I' 


IL   TEATRO  MANTOVANO 

nSTEL    SEC.    X:"VI  (1). 


YII. 


Se  il  Dramma  religioso  continuava  a  vivere  stentatamente  nel 
contado,  lo  spettacolo  urbano,  circa  la  metà  del  secolo  XVI,  a  che 
Siam  giunti  ormai  col  nostro  racconto,  stava  per  ricevere  efficace 
impulso  dalla  fondazione  dei  teatri  stabili,  innalzati  con  la  ma- 
gnificenza propria  dell'architettura  del  tempo,  nonché  dalla  riu- 
nione dei  comici  in  Compagnie.  Da  questi  due  fatti,  dei  quali  or 
ora  vedremo  le  prove,  ebbe  vigor  nuovo  l'arte  drammatica  ;  non 
più  passatempo  momentaneo  e  ad  intervalli,  con  attori  avventizi 
e  qua  e  là  ragranellati,  ma  forma  costante  del  costume  civile,  e 
costante  professione  di  vita. 

Nel  '39  frattanto,  moriva  Isabella,  che  tanta  e  sì  nobil  parte 
aveva  avuto  alle  sorti  del  teatro:  e  nel  '40,  il  figlio  di  lei  Fe- 
derico. A  questo  succedeva  Francesco,  che,  essendo  ancor  gio- 


(1)  Contin.  Vedi  voi.  V,  fase.  13-14. 
Giornale  storico,  VI,  fase.  16-17. 


2  A.  d'ancona 

vanetto,  rimase  sotto  la  tutela  degli  zii,  cardinal  Ercole  (1)  e  Don 
Ferrante,  signore  di  Guastalla  (2),  e  della  madre  Margherita  Pa- 
leologa.  Di  questo  tempo  della  minorità  del  Duca  abbiamo  un 
prezioso  ricordo  di  feste  teatrali,  nella  seguente  Lettera  del  25 
febbraio  1542,  scritta  appunto  a  Don  Ferrante  dal  celebre  Ippo- 
lito Gapilupi  (3): 

lll.™o  et  Ecc."»»  Sig.  et  P.rone  osse.""" 
Da  molti  giorni  in  qua  io  ho  scritto  brevemente  a  V.  E.  per  carestia  di 
soggetti.  Hor  questa  mia  non  sarà  cosi  brieve  come  son  state  l'altre,  perchè 
mi  presterà  materia  di  scriver  il  Garneval  passato ,  il  quale  è  riuscito  bel- 
lissimo, considerando  il  poco  spatio  di  tempo,  che  si  ha  havuto  :  et  pur  in 
cosi  poco  tempo,  che  non  è  stato  più  di  dodici  dì,  si  sono  fatto  tre  Gomedie, 
una  Moresca,  et  due  feste  bellissime;  il  giovedì  grasso  ne  fu  recitata  una 
in  casa  di  Mons.''^  l'Abbate  (4) ,  che  si  chiama  il  Ragazzo  (5),  da  certi  gio- 
vani da  Goito,  i  quali,  ancorché  sieno  di  quel  luogo  dove  è  la  perfettione 
et  l'eccellenza  della  lingua  mantovana ,  tuttavia  recitavano  di  modo ,  che 
qui  fu  tolerabile.  La  domenica  appresso,  Mons.*  R."»»  (6)  fece  una  festa  al 


(1)  Ercole,  figlio  prediletto  di  Isabella,  ottenne  la  porpora  nell'  anno  ven- 
tesimosesto dell'età  sua.  Fu  uomo  dotto  e  pio,  e  il  papa  lo  elesse  a  presiedere 
il  Concilio  di  Trento:  morì  in  tal  ufficio  nel  1563.  Fece  da  Giulio  Romano 
costruire  la  cattedrale  essendo  vescovo  di  Mantova,  e  nel  tempo  che  governò 
lo  stato,  migliorò  molto  la  città.  Morendo,  lasciò  al  nipote  gli  arazzi  di 
Raffaello  :  vedi  Bettiinelli,  Op.  di.,  p.  82,  e  Volta,  Op.  cit..  Ili,  86. 

(2)  Questi  è  Don  Ferrante  1°,  fratello  di  Federigo,  signor  di  Guastalla, 
principe  di  Molfetta  e  viceré  di  Sicilia,  la  cui  Vita  fu  scritta  dal  Gosel- 
LiNi  (ristamp.  dal  Rosini,  Pisa,  Gapurro,  1821).  Fu  gran  guerriero;  ma  amò 
anche  le  lettere  e  protesse  i  letterati.  Morì  nel  1557,  lasciando  suo  succes- 
sore Cesare,  del  quale  abbiamo  già  detto. 

(3)  Ippolito  Gapilupi,  nato  nel  1511,  prima  segretario  del  card.  Ercole  e  di 
D.  Ferrante,  poi  Vescovo  di  Fano  e  Nunzio  apostolico  a  Venezia,  morì  nel 
1580.  Fu  poeta  latino  ed  italiano,  ed  espertissimo  nelle  cose  di  stato.  Le  sue 
Lettere  diplomatiche  per  gli  affari  di  Svezia  e  di  Polonia,  e  particolarmente 
quelle  della  nunziatura  a  Venezia,  che  contengono  preziosi  ragguagli  sul 
concilio  di  Trento,  meriterebbero  veder  la  luce. 

(4)  Il  D'Arco,  Arte  ed  Artefici  ecc.  p.  129,  sospetta  che  si  tratti  di  Ga- 
leazzo Boschetti-Gonzaga  arcidiacono  della  cattedrale,  poi  primicerio  di 
S.  Andrea. 

(5)  Commedia  del  Dolce,  stampata  a  Venezia  nel  1541. 

(6)  Probabilmente  il  card.  Ercole. 


IL  TEATRO  MANTOVANO  NEL  SEC.  XVI  3 

Sig.*  Ascanio  in  casa  del  Conte  Brunoro  per  esservi  sala  capace ,  dove  fu- 
rono invitate  forpc  cinquanta  gentildonne ,  delle  più  belle  et  delle  più  no- 
bili, che  ci  siano;  innanzi  cena  si  fece  la  Moresca  che  ho  detto  di  sopra,  la 
quale,  et  per  gli  habiti ,  et  per  una  musica  di  voci  et  stromenti ,  che  fu 
mescolata  con  quella,  fu  di  cosi  dolce  passatempo  agli  occhi  et  agli  orecchi 
di  chi  fu  presente ,  che  per  me  confesso  di  non  haver  veduto  né  udito  cosa 
simile  a  quella  che  mi  dilettasse.  Quei  che  fecero  la  moresca  erano  otto 
servidori  di  Mons.  R.""",  i  quali  erano  vestiti  a  guisa  di  pastori  col  dissegno 
di  messer  Giulio  Romano  (1)  in  questo  modo.  Havevano  una  camicia  per 
uno  di  cendado  verde,  le  calze  et  il  giuppone  di  tela  dipinta  di  color  simile 
alla  carne,  le  scarpe  di  pelli  di  gatto  di  Spagna,  con  certi  groppi,  con  tocca 
d'oro,  di  lupi  cervieri,  uno  dinanzi  al  petto,  et  l'altro  di  dietro,  accomodati 
di  man  propria  di  mess.  Giulio,  et  legati  con  tocca  d'oro  :  in  capo  havevano 
pelli  negre  roversie,  che  imitavano  naturalmente  i  capelli  ricci,  con  ghirlanda 
di  lauro,  et  con  maschere  al  volto  (2),  le  quali  erano  senza  mento,  accioc- 
ché non  fossero  lor  ad  impedimento  nella  musica  et  nella  moresca.  Oltre  a 
questi  otto  pastori,  oravi  il  Dio  lor  Pan  vestito  nella  medesima  maniera,  ma 
con  le  corna,  sì  come  si  figura.  Questo  é  uno  Giudeo,  che  suona  l'arpa  (3), 
il  quale  fu  il  primo  ad  uscir  in  sala  come  lor  Dio,  si  che  se  ne  usci  in  modo 
di  moresca  con  l'arpa  in  mano,  dietro  al  quale  uscirono  ad  uno  ad  uno  gli 
otto  pastori,  con  una  basta  per  uno  nella  man  destra,  facendo  la  medesima 
moresca,  che  haveva  fatta  il  lor  Dio:  de' quali  ve  n'erano  quattro,  che  oltre 
all'haste  avevano  uno  strumento  per  man  nella  sinistra,  appoggiato  sopra  la 
spalla,  un  violone,  doi  leuti,  et  un  flauto.  Poiché  tutti  furono  usciti ,  et  si 
hebbero  radunati  in  cerchio  girando  intorno  alla  sala  con  certi  lor  contra- 
passi, ch'io  non  so  discerner  né  far,  i  quattro  dagli  stromenti  cominciarono 
il  lor  concerto  con  parole  accomodate  all'  habito  loro ,  et  gli  altri  quattro 
col  lor  Dio  si  posero   in  atto   di   ascoltare.  Finito  il  concerto,  tutti  otto  si 


(1)  Scrive  il  Vasari  di  Giulio  che  «  non  fu  mai  il  più  capriccioso  nelle 
«  mascherate,  e  in  fare  stravaganti  abiti  per  giostre,  feste  e  torneamenti  ». 

(2)  Provveditore  delle  maschere  era  forse  Baldassaro  de  Gortellinis,  detto 
Magistro  a  mascherisi  in  favor  del  quale  è  iscritta  una  partita  nel  1547. 
Forse  era  modenese:  che  Modena  era  la  città  ove  si  facevano  le  maschere, 
e  il  Gampori,  Notizie  per  la  vita  di  Lod.  Ar.,  reca  a  pag.  72  un  paga- 
mento fatto  nel  1521  a  m»  Michele  di  Gortelini  «  a  conto  di  mascare  ha 
«  dato  questo  carnevale  per  le  comedie  di  m.  Alessandro  Guirino  e  de 
«  m.  Ludovico  Areosto  ». 

(3)  È  questi  senza  dubbio  Abramo  dall'Arpa,  del  quale  abbiam  già  detto 
in  addietro,  colla  scorta  del  Canal,  p.  49. 


4  A.  d'ancona 

diedero  in  punto  al  menar  delle  mani  con  le  lor  baste:  et  così,  et  con  gli 
habiti  ebe  riuscirono  maravigliosi,  et  con  la  musica,  cbe  fu  dolcissima,  et 
con  la  lor  agilità  et  destrezza,  cbe  non  fu  poca,  diedero  grandissima  pastura 
agli  spettatori:  et  percbè  i  morescanti  non  sieno  da  me  in  parte  alcuna  pri- 
vati della  lor  laude  non  li  nominando,  io  dirò  a  V.  E.  i  nomi  loro,  ancbor 
cb'essa  non  li  conosca  tutti.  Erano  questi  Volpino  (1),  il  Bendidio  (2),  il 
Leale,  Hieronimo  Negro  (3),  il  Preposto  da  Fermo  (4),  Carlo  Luzara  (5),  et 
il  Gredenzero,  et  un  Palafreniero  :  i  primi  quattro  intervennero  nella  musica 
et  nella  moresca,  gli  altri  quattro  s'impacciarono  solamente  nella  moresca: 
la  quale  finita,  si  danzò  et  si  cenò  coppiosissimamente.  Il  Lunedì  fu  recitata  la 
seconda  comedia  dai  Chierici  del  Domo,  cioè  i  Captivi  di  Plauto  latino,  et 
Mons.«  fece  la  spesa  de'vestimenti,  i  quali  furono  di  tela  di  vario  colore,  et  furono 
cosi  ben  composti  per  mano  di  messer  Giulio,  che  bavendosi  riguardo  alla  poca 
valuta  loro,  erano  degni  di  maraviglia.  La  Comedia  ancborcbè  fusse  latina, 
nondimeno  per  gli  habiti,  et  per  certi  intermezzi  volgari,  i  quali  dichiara- 
vano l'argomento  d'atto  in  atto,  non  venne  a  noia,  né  agli  uomini  né  alle 
donne,  cbe  non  intendevano  il  latino,  perciocché  dagli  argomenti  et  da'gesti 
de'  recitanti  se  non  capirono  il  tutto,  ne  capirono  la  maggior  parte.  Finita 
la  Comedia  ogn'uno  tornò  a  casa  sua  a  cena.  11....  dì  di  Carnevale  fu  reci- 
tata la  terza  Commedia  composta  da  un  Scenese,  intitolata  VAmor  costante  (6). 
Questa  diede  più  cbe  l'altre  due  da  ridere  alla  brigata,  et  fu  assai  ben  re- 
citata. Mons.  l'Abbate  non  volle  che  a  questa  ultima  Comedia ,  poiché  fu 


(1)  Il  Volpino  degli  Olivi  abitò  in  Coito,  fu  sacerdote,  poi  canonico  della 
cattedrale  di  Mantova,  studioso  di  lettere  e  di  poesia:  vedi  D'Arco,  Op. 
cit.,  p.  129. 

(2)  Marcantonio  Bendidio,  di  origine  ferrarese,  ma  ai  servigj  dei  Gonzaga  : 
del  quale  il  Ferrato  pubblicò  nel  1878,  Mantova,  Balbiani  e  Druetti,  alcune 
curiose  e  belle  Lettere  descrittive  del  viaggio  fatto  dalla  march.  Isabella 
a  Cavriana  e  al  lago  di  Garda  nel  1535. 

(3)  Fu  dai  Gonzaga,  che  lo  avevano  in  gran  conto,  spedito  ambasciatore 
in  Spagna,  ove  ebbe  il  titolo  di  cavalier  d'Alcantara,  ed  é  con  molte  lodi 
ricordato  da  Ascanio  Mori  da  Ceno:  vedi  D'Arco,  Op.  cit.,  p.  129. 

(4)  E  Federico  Guerrieri,  che  in  una  Lettera  del  Giovio  del  1524  é  detto 
lo  Reverendo  Federigo  Guerrero,  preposto  della  cattedrale  di  Mantova. 
1  Guerrieri  erano  originarj  di  Fermo:  D'Arco,  ibid. 

(5)  Carlo,  figlio  di  Cristoforo  valoroso  guerriero,  detto  lo  Scaramuzza, 
tenne  in  Mantova  diversi  ufBcj,  fra  i  quali  quello  di  collaterale:  vedi 
D'Argo,  ibid. 

(6)  Di  Alessandro  Piccolomini,  sanese,  composta  nel  1531  per  la  venuta 
dell'  imperatore  a  Siena. 


IL  TEATRO  MANTOVANO  NEL  SEC.  XVI  5 

finita,  si  partissero  tutte  le  donne ,  siccome  havevano  fatto  all'altre  due,  et 
però  finita  la  Gomedia  ne  invitò  forse  (juaranta,  le  quali,  accettato  Y  invito 
et  cenato,  intertennero  la  festa  insino  alle  nove  hore.  Mi  sono  scordato  di 
scriver  che  il  di  delle  feste  si  correva  alla  quintana,  et  furono  fatte  alcune 
livree,  non  però  di  molta  spesa:  la  maggior  che  sia  stata  fatta,  fu  del  Conte 
Camillo  Castiglioni  del  Corno  (1). 

Il  Cardinale,  che,  come  si  vede  da  questa  lettera  del  Gapilupi , 
aveva  dovuto  ad  altri  ricorrere  per  avere  una  sala  atta  alle  com- 
medie, nel  1549  diede  incarico  all'architetto  mantovano  G.B.Bertani, 
traduttore  ed  illustratore  di  Vitruvio,  di  costruire  un  teatro  sta- 
bile, prescegliendo  a  tal  uopo  un'area  capace  fra  il  castello  e  la 
cavallerizza.  Il  Bertani  aveva  già  dato  prove  della  virtù  sua, 
quando,  al  principio  di  cotest'anno,  Don  Filippo,  richiamato  in 
Spagna  dal  padre,  si  era  trattenuto  tre  giorni  in  Mantova,  onore- 
volmente accolto  da  quei  signori  (2).  E  il  teatro  poco  appresso  era 
costruito  (3)  :  di  forma  semicircolare,  e  a  scaglioni  per  gli  spetta- 
tori :  e  dinnanzi,  la  scena.  Nell'ottobre  frattanto,  nuovi  spettacoli 
rallegravano  la  città,-  essendovi  giunta  con  splendido  corteggio 
Caterina,  figlia  di  Ferdinando  re  de'  Romani,  sposa  al  duca  Fran- 
cesco. Che  in  tale  occasione  si  facessero,  tra  gli  altri  festeggia- 
menti, anche  commedie,  lo  abbiamo  veduto  qui  addietro  (4):  la 
recitazione  di  una  commedia  fu  affidata  agli  ebrei:  quella  del- 
l'altra, ai  «  nostri  recitanti  »,  fra'  quali  forse  saranno  stati  alcuni 
di  quelli  che  il  Gapilupi  ricorda  aver  preso  parte  agli  spettacoli 
scenici  di  ott'  anni  innanzi. 


(1)  Campori,  Gli  artisti  ital.  e  stran,  negli  stati  estensi,  Modena,  1855, 
p.  375,  e  riprodotta  nel  D'Arco,  Op.  cii.,  II,  128. 

(2)  Vedi  nel  D'A.rco,  Op.  cit.,  Il,  132,  il  documento  in  data  14  maggio  1549 
che  elegge  soprintendente  alle  fabbriche  dello  stato  il  Bertani,  cujus  eximia 
virtus  abdita  et  recondita  usque  in  adventu  sereniss.  Hispaniarum.  regis, 
in  hanc  urheni  quasi  sepulia  remanserit,  tunc  vero  manifesta,  niagis 
eluxerit  et  refulserit. 

(3)  Difatti,  già  agli  8  ott.  1549  Francesco  Tosabezzi  scriveva:  «  Il  theatro 
«  si  va  tuttavia  finendo  e  riesce  molto  bene  ».  Secondo  il  Volta,  III,  58, 
parrebbe  fosse  veramente  finito  soltanto  nel  '51. 

(4)  Vedi  a  p.  47. 


6  A.  d'ancona  ' 

Ma  i  gaudj  della  Corte  furono  di  breve  durata,  essendo  nel  '50 
morto  il  Duca  appena  diciasettenne.  Gli  successe  il  fratello  Gu- 
glielmo: ma,  avendo  egli  soli  dodici  anni,  continuò  la  reggenza. 
Durante  la  minorità  del  principe,  i  documenti  d'Archivio  non  ci 
somministrano  soverchi  esempj  di  spettacoli  scenici.  Ferveva  la 
guerra  contro  i  Farnesi,  e  il  Cardinale  doveva  provvedere  a  for- 
tificare il  territorio  mantovano  e  monferrino,  e  guardarlo  dalle 
incursioni  devastatrici  dei  belligeranti.  Tuttavia  nel  '53  ai  12  giu- 
gno si  ha  memoria  di  una  recita,  in  questa  lettera  del  segretario 
Cornacchia  al  Duca: 

Si  sono  recitati  i  Suppositi  (1),  come  sa  V.  E.  che  si  doveva  fare.  Si  è 
principiato  tra  le  diecinove  et  vinti  bore ,  et  si  è  finito  nanti  le  vinti  tre. 
Sono  stati  benissimo  recitati  a  parte  per  parte  :  la  comedia  poi,  V.  E.  sa  cbe 
è  riputata  fra  le  belle  :  però,  oltre  la  bellezza ,  l'esser  ben  detta  1'  ha  fatta 
comparire  molto  più.  Vi  hanno  fatto  un  dialogo  novo,  qual  è  reuscito,  per 
essere  stato  recitato  da  mess.  Piero  Olivo.  Hanno  finto  che  una  donna,  che 
andava  cercando  un  gentilhomo  per  trattenimento  di  sua  madonna,  è  stata 
ritrovata  da  queste  ferraresi,  et  hanno  voluto  che  vaddi  a  fare  il  Prologo  a 
queste  donne,  massime  alla  IH.""*  Sig.""^  Principessa,  et  lei  sdegnata,  ancorché 
ve  l'habino  cacciata  per  forza,  non  glie  lo  ha  voluto  fare  :  et  così  è  restata 
la  comedia  senza  Prologo.  La  scena  era  la  medema,  salvo  che  l'hanno  ador- 
nata di  fronde  et  fiori. 

E  i  Suppositi  furono  ripetuti  nuovamente  nel  '63,  per  onorare 
Ercole  e  Rodolfo,  figli  di  Massimiliano  di  Boemia,  che  andavano 
alla  volta  di  Spagna.  Nel  '65  poi,  troviamo  questo  solo  ricordo  nei 
registri  di  tesoreria: 

Al  Sig.  Tasso  per  la  comedia,  ducati  50  d'oro. 
Ed  è  chiaro   trattarsi  di  Bernardo,  e  probabilmente  della  dire- 


(1)  I  Suppositi  furono  la  prima  volta  rappresentati  in  Ferrara  nel  1509 
agli  otto  di  febbraio,  come  apparisce  da  lettera  del  Prosperi  ad  Isabella 
Gonzaga,  recata  dal  Gampori,  Notiz.  per  la  vita  di  L.  Ariosto,  p.  69. 
Dieci  anni  dopo  furono  riprodotti  in  Vaticano  alla  presenza  di  Leon  X: 
ihid,  p.  71. 


IL  TEATRO  MANTOVANO  NEL  SEC.  XVI  7 

zione  a  lui  affidata  di  qualche  recita,  come  ne  abbiamo  già  ve- 
duto altro  esempio. 

Cresceva  frattanto  in  età  il  Duca,  che  menava  in  moglie  Eleonora, 
figlia  del  re  de'  Romani,  diventando  così  genero  di  Cesare,  e  co- 
gnato al  re  di  Polonia,  e  ai  duchi  di  Baviera,  di  Ferrara  e  di 
Toscana.  Nel  suo  lungo  regno  potè  agevolmente  secondare  l'in- 
clinazione alle  arti,  e  favorirne  i  cultori.  Protettore  efficace  del 
gran  Palestrina,  ajutò  il  nuovo  avviamento  della  musica  e  si  di- 
lettò egli  stesso  di  comporre  (1);  dei  comici  fu  munifico  mece- 
nate. Appartiene  ai  suoi  tempi  la  prima  menzione  di  veri  attori 
comici,  di  maschere  teatrali  e  di  comiche  Compagnie  :  salvochè 
la  storia  della  virtuosa  canaglia  comincia  col  ricordo  di  una  ba- 
ruffa. Infatti  nel  1566  Ferrante  da  Bagno  avvisava  il  segretario 
Grotto  essere  accaduta  in  piazza  una  certa  questione 

...  nella  quale  vi  intravenne  anco  lo  Spagnolo  da  le  comedie,  come  quello 
che,  insieme  col  Malherba  et  Giuseppe  Grasso,  sono  continui  commensali 
del  cavaliere  Bergamasco  ;  et  perchè  il  detto  Spagnolo  non  venne  in  tempo 
di  recitare  la  comedia,  per  cagione  di  andare  ad  impacciarsi  ne  la  questione, 
perciò  ne  nacque  Toccasione  de  l'altra  rissa  che  fu  tra  questi  comici. 

È  superfluo  notare  che  qui  non  si  può  trattare  di  uno  Spa- 
gnuolo  vero  e  proprio,  ma  di  quell'attore  che  nella  commedia 
del  cinquecento  faceva  le  parti  dell'antico  miles  gloriosus,  e  pa- 
rodiava le  sbravazzate  e  il  parlare  iperbolico  dei  nuovi  domina- 
tori d' Italia.  Né  credo  sia  nel  vero  il  Riccoboni,  quando,  parlando 
di  questo  personaggio  comico,  scrive  che  la  dominazione  spagnuola 
avendo  attirato  fra  noi  anche  dei  commedianti  di  cotesta  nazione, 
ne  vennero  per  tal  modo  al  nostro  teatro  i  Capitani  Spavento^ 
Matamoros,  Sangre  y  Fuego,  parlando  puro  o  mescolato  il  lin- 
guaggio iberico  (2):  dacché  tutto  porta  a  tenere  per  vero  che 
la  maschera  del  Capitano  spagnuolo  nascesse  in  Italia,  quando 


(1)  Canal,  Op.  cit.,  pp.  31  sgg. 

(2)  Hist.  du  Th.  italien,  p.  56. 


8  A.   D  ANCONA 

unica  vendetta  alla  baldanza,  alla  rapacia,  alla  miseria  degli  in- 
solenti padroni  era  il  canzonarli  sulla  scena.  E  invero,  le  Com- 
pagnie comiche  spagnuole  vennero  soltanto  più  tardi  fra  noi  (1). 

Ma  chi  fosse  appunto  quello  Spagnuolo  che  nel  '66  recitava  in 
Mantova,  è  difficile  il  ritrovare:  né  sapremmo  se  fossero  pure 
comici  il  Malerba  e  il  Grasso  (2).  Fece,  come  è  noto,  le  parti  di 
Capitan  Spavento,  e  ne  stampò  le  Bravure,  Francesco  Andreini: 
ma  poiché  ei  nacqjie  nel  1548,  e  prima  fu  soldato,  e  a  vent'anni 
schiavo  de'  Turchi ,  non  può  trattarsi  di  lui.  Più  facilmente  po- 
trebbe nello  Spagnuolo  delle  commedie  riconoscersi  Fabrizio  de 
Fornaris  napoletano,  che  intorno  al  1570  scorreva  la  Francia  e 
l'Italia,  rappresentando  le  parti  di  un  capitano  millantatore,  par- 
lando sempre  in  lingua  spagnuola  e  facendosi  nominare  il  Ca- 
pitano Coccodrillo  (3). 

Poco  dopo,  in  una  lettera  del  segretario  ducale  Luigi  Rogna , 
in  data  dell'  11  maggio  1567,  e  in  altre  successive  dell'anno  stesso, 
vediamo  ricordati  i  Graziani:  e  siamo  così  in  pieno  dominio  della 
Com/mjedia  dell'Arie  e  delle  maschere: 

S.  E.  ha  fatto  recitare  hoggi  una  comedia  dai  Gratiani,  nella  scena  qui  di 
Castello,  et  è  stato  a  udirla  insieme  col  sig.  Principe  ill."">,  et  l'ha  gustata 
assai  al  mio  giuditio. 


(1)  Infatti  il  Barbieri  a  p.  105  della  Supplica:  «  La  Spagna  prima  si 
«  serviva  delle  nostre  italiane  (Compagnie),  e  i  comici  vi  facevano  assai  bene  : 
<  Arlicchino,  Ganassa  et  altri  hanno  servito  la  felice  memoria  di  Filippo  2°, 
«  e  si  fecero  ricchi:  ma,  dopo,  quel  regno  ne  ha  partorite  tante,  che  ne 
«  riempie  tutti  quei  gran  paesi,  e  ne  manda  anche  molte  Compagnie  in  Italia  ». 
L'autore  anonimo  di  un  libro  contro  il  dominio  spagnuolo  in  Italia,  che  è  poi 
G.  B.  Levizzani  modenese,  nello  Zimbello  o  vero  l'Italia  schernita,  San  Ma- 
rino, MDCXLI ,  p.  100 ,  se  la  prende  anche  colle  Compagnie  comiche  spa- 
gnuole, dicendo  «  gli  histrioni  spagnuoli  (sia  detto  con  buona  pace  di  chi 
«  ciò  loro  permette)  si  veggono  nelle  città  più  sante  della  Italia  su  i  pu- 
«  blici  palchi  mescolare  il  sacro  col  profano,  facendo  comparire  ruffiane 
«  con  la  corona  in  mano,  e  nominare  di  continuo  il  nome  di  Dio  invano, 
«  e  servirsi  delle  preghiere  divine  per  conseguimento  di  voglie  disoneste  ». 

(2)  Un  Grasso,  mantovano,  ma  Niccolò  di  nome,  è  autore  di  una  com- 
media, r  Eutichia,  stampata  nel  1524  in  Roma. 

(3)  VediFR.  Bartoli,  I,  230,  che  reca  una  Bravura  del  capitan  Cocco- 
drillo, tratta  dalla  comedia  del  De  Fornaris  L'Angelica,  tutta  in  spagnuolo. 


IL  TEATRO  MANTOVANO  NEL  SEC.  XVI  9 

E  il  18: 
Heri  si  fece  nel  palazzo  del  Sig.  Cesare  Ecc."»"  una  comedia  de  Gratiani. 

E  il  medico  Ettore  Micoglio  sotto  la  stessa  data: 
Qui  non  si  sente  di  nuovo  che  le  Gomedie  del  Gratiano. 

Quest'  ultima  menzione  ci  fa  sicuri  che  i  Graziarli  sono  la  Com- 
pagnia governata  e  diretta  dal  comico  Graziano,  al  modo  come  poi 
i  Pedrolini,  vorrà  dire  la  Compagnia  condotta  da  Pedrolino:  e 
cosi  col  1567  abbiamo  il  più  antico  ricordo  di  questa  maschera, 
di  origine  e  loquela  bolognese,  caricatura  di  dottore  vecchio,  ri- 
dicolo per  ignoranza  e  scostumatezza,  e  che,  col  cognome  di  Ba- 
loardi,  de' Violoni,  Forbizone  da  Francolino,  delle  Godige  ed 
altri,  durò  due  secoli  e  più  sulla  scena  italiana  e  francese,  fa- 
cendo sempre  ridere  alle  sue  spalle:  immagine,  come  il  messer 
Nicia  del  Machiavelli,  della  miseria  intellettuale  e  della  goffag- 
gine di  chi  della  scienza  non  ha  altro  che  il  titolo.  Ma  chi  fu  il 
primo  Graziano?  e  questo  che  recitava  a  Mantova  nel  '67  fu  egli 
il  primo? 

Dicesi  che  l'inventore  di  questa  maschera  fosse  Luzio  Bur- 
chiella,  che  si  sottoscrive  appunto  Lus  Burchiella  Graiià.  Ma 
era  cotesto  un  nome  vero  o  un  soprannome?  A  buon  conto,  Bur- 
chiella soprannomavasi  anche  Antonio  da  Molino,  annoverato  tra 
1  più  antichi  comici  veneziani  (1),  e  che  sembra  anteriore  al  Luzio: 
né  Graziano  era  pur  esso  nome  del  tutto  nuovo,  trovandosi  cosi  de- 
signato anche  un  poeta  popolare  del  principio  del  secolo  (2).  E 


(1)  Sansovino,  Yenetia  città  nobilissima  et  singolare,  Venetia,  Sanso- 
vino,  1581,  p.  168. 

(2)  Nel  bel  catal.  Rothschild,  I,  654,  testé  pubbl.  per  cura  del  prof.  Picot, 
si  registra  questo  componimento  s.  a.  n.,  che  l' illustratore  crede  però  esser 
stato  stampato  a  Lione  verso  il  1508,  dacché  vi  si  trova  una  silografia  che 
comparisce  anche  nell'  Ospitai  d'amour  di  indubitata  stampa  lionese  :  «  Fro- 
«  tola  nova  contra  venetiani  composta  per  magistro  Gratiano  de  la  cita  di 
«  Luca  novamente  stampata  ».  Comincia:  Turchi  Mori  e  Saracini  Con  gran 
giente  socorete  Che  Marzocho  è  in  la  rete  Prexo  a  VArno  con  li  Orsini. 


10  A.  D  ANCONA 

il  Molino,  che  mescolava  il  greco  e  lo  schiavone,  potrebbe  in 
cotali  impasti  esser  stato  maestro  a  Luzio,  che  formò  un  linguaggio 
tutto  suo  e  perciò  detto  grazianesco ,  pieno  di  equivoci  e  di 
spropositi,  ma  di  fondo  bolognese  (1).  Ad  ogni  modo,  poiché  del 
Burchiella  graziano  abbiamo  un  sonetto  stampato  nel  1570  e 
una  lettera  inserita  dal  Rao  nella  sua  raccolta  delle  Argute  et 
Facete,  che  usci  alla  luce  in  Pavia  nel  '76  (2),  può  ben  ammet- 
tersi ch'ei  sia  quegli  di  che  parla  il  documento  mantovano  del  '67. 
Tuttavia,  si  potrebbe  anche  pensare  a  Bernardino  Lombardi 
della  Compagnia  dei  Confidenti,  o  a  Lodovico  dei  Bianchi  bolo- 
gnese (3),  ambedue  celebrati  graziani:  ma  se  ci  pare  da  esclu- 
dere assolutamente  quest'  ultimo,  confessiamo  di  rimanere  al- 
quanto incerti  fra  Luzio  e  il  Lombardi  (4). 


(1)  Bartolom.  Rossi  comico,  nella  Prefazione  alla  Fiammella  del  De  For- 
NARis,  Parigi,  Abell'Angelieri,  1584,  dice:  «  E  Gratiano  chi  voi  che  parli 
«  bolognese,  chi  ferrarese,  chi  da  Francolino:  bora  non  parlano  né  l'ima  né 
«  l'altra  lingua,  solo  che  si  sforzano  di  dire  il  tutto  alla  riversa  ». 

(2)  Sonetto  e  Lettera  sono  riferiti  da  Fr.  Bartoli,  I,  140. 

(3)  Ad.  Bartoli,  p.  cxxxii,  ha  pubblicato  alcune  lettere  del  De  Bianchi 
al  Granduca  Ferdinando,  del  1576  e  del  1589.  Ne  aggiungo  qui  un'altra  in- 
dicatami dal  cav.  Gaetano  Milanesi,  e  tratta  dell' Arch.  di  Stato  di  Firenze: 

«  Ser.^o  mio  Sig.''^ 

«  A  ciò  che  V.  A.  conoscha  che  sempre  vi  tengo  nel  core  et  ancho  desidero 
«  se  mai  mi  sarà  dal  cielo  concesso  tanta  gratia,  ò  voluto  con  la  presente 
«  ochasione  con  ogni  riverencia  salutarla  con  mandarli  un  pocho  de  la  mia 
«  sciencia,  se  bene  sarà  tropo  presuncione  mi  farà  gracia  dacetarla  e  pa- 
«  rendoli  pigliarne  anche  qualche  spaso  nel  legerla  e  con  questo  umilmente 
«  me  gì  inchino  e  basio  le  ser.™^  mani  pregando  il  cielo  per  ogni  felicità 
«  e  contento  di  V.  A.  Ber.""*  Di  Vinecia  all'  il  di  Luglio  1587. 

sempre  fedel  servitore 

Lodovicho  di  Bianchi  da  Bologna. 

detto  il  dotor  Gradano  di  Gelosi  ». 

È  probabile  che  ciò  che  il  Bianchi  inviava  al  Granduca,  fossero  «  Le 
«  cento  e  quindici  conclusioni.  In  ottava  rima.  Del  plusquam  perfetto  Dottor 
«  Gratiano  Partesana  da  Francolino  comico  Geloso.  Et  altre  manifatture  e 
«  compositioni  nella  sua  buona  lingua  »,  stampate  appunto  nel  1587  a  Firenze. 

(4)  11  Sand,  Masques  et  Bouffons,  Paris,  Levy,  1877,  II,  34,  preciserebbe 
così,  ma  non  sappiamo  se  esattamente,  alcune  date  della  vita  dei  tre  attori  : 


IL  TEATRO  MANTOVANO  NEL  SEC.  XVI  11 

Dallo  stesso  Rogna  e  nello  stesso  anno,  ma  nel  giugno,  abbiamo 
un  ricordo  di  altra  Compagnia  comica,  che  recitava  in  Mantova, 
e  che  si  direbbe  diretta  da  una  donna.  Il  Rogna,  infatti,  scrive  : 

Domenica  passata  fu  fatta  una  bella  comedia  dalla  Compagnia  della 
Flaminia;  vi  fu  gran  concorso  di  gentilhuomini  e  gentildonne,  giudici,  pro- 
curatori, dottori  ecc. 

Or  chi  era  ella  questa  Flaminia,  che  ci  si  presenta,  se  non 
come  la  prima,  almeno  come  una  delle  prime  donne  che  calcas- 
sero le  scene  (1)?  Non  è  certamente  quella  che  con  tal  nome 
corse  trionfalmente  i  teatri  d'Italia  e  di  Francia,  e  che  fu  moglie 
a  Pier  Maria  Cecchini  detto  Fritellino  (2).  Di  quella,  il  Plutarco 
dei  comici  italiani  scrive  a  questo  modo  :  «  Flaoninia,  nome  tea- 
«  trale  d'una  attrice,  che  faceva  da  prima  donna  nella  Compa- 
«  gnia  de'  comici  Accesi,  diretta  da  Pier  Maria  Cecchini  intorno 
«  al  1609.  Il  suo  vero  nome  era  quello  di  Orsola,  ma  del  suo  co- 
«  gnome  non  ci  è  pervenuta  alcuna  notizia  (3)  ».  E  reca  due  so- 
netti fatti  per  lei  :  l'uno  dei  quali  di  Girolamo  Oraziani,  quando 
egli  aveva  circa  15  anni ,  e  l'altro  di  Gian  Bernardino  Sessa, 
quando  Flaminia  nel  1609  recitava  a  Milano.  Ora ,  essendo  il 
futuro  autore  del  Conquisto  di  Granata  nato  nel  1604,  sa- 
remmo col  suo  parto  poetico  al  1619.  In  ambedue  i  sonetti  si 


«  Dans  la  troupe  dite  des  Gelosi ,  qui  vint  en  Franco  en  1572,  le  ròle  du 
«  docteur  Graziano  était  rempli  par  Lucio  Burchiella,  acteur  plein  de  verve 
«  et  d'esprit,  qui  fut  remplacé  en  1578  par  Lodovico  de  Bologne.  En  1572 
«  Bernardino  Lombardi  vint  en  BVance  dans  la  troupe  des  Confidenti:  il 
«  avait  l'emplois  des  docteurs.  Aussi  bon  poéte  qu' acteur  distingue,  il 
«  publia  à  Ferrara  en  1583  une  comèdie  en  cinq  actes,  plusieurs  fois  reim- 
«  primée,  Y Alchimista  ». 

(1)  Secondo  il  Cecchini  {Fritellino) ,  Breve  discorso  int.  alle  Comedie., 
Venezia,  Pinellì,  1621,  p.  9,  nel  1621  erano  appena  «  cinquant'anni  che  si 
«  costumano  donne  in  scena  ».  II  Riccoboni,  Op.  cit.,  p.  42,  dice  che  furono 
introdotte  «  vers  Fan  1560». 

(2)  11  Quadrio,  V,  237,  la  fa  erroneamente  moglie  allo  Scala. 

(3)  Fr.  Bartoli,  Op.  cit.,  I,  227;  e  li ,  293,  dove  nota  che  fu  moglie  al 
Cecchini. 


12  A.  d'ancona 

lodano  le  amorose  stelle  e  il  bel  viso  e  la  virtù  d'amore  della 
attrice.  Ma  i  documenti  mantovani  ci  parlano  di  Flaminia  nel 
1567,  e  da  quest'anno  al  1619  ne  corrono  cinquantadue,  ch'è  un 
bel  tratto  di  tempo  per  tutti,  e  specialmente  per  una  attrice, 
tanto  più  che  converrebbe  immaginarcela  di  un  venticinque  anni 
almeno,  quando  nel  '67  era  già  sul  teatro.  Notiamo  anche  che 
il  De  Sommi  la  ricorda  già  illustre,  sebbene  giovane,  nel  '56  :  e 
dovessimo  anche  leggere  invece  '65,  il  conto  tornerebbe  ugual- 
mente male.  Dunque  questa  del  1567  è  una  prima  e  più  antica 
Flaminia,  non  la  Cecchini  degli  Accesi  (1):  ma  di  lei,  oltre  il 
nome,  null'altro  sappiamo,  salvo  che  fu  romana,  come  ci  attesta 
il  De  Sommi. 

Né  più  chiaro  apparisce  chi  possa  essere  il  Pantalone  del  do- 
cumento che  segue:  che  è  una  lettera  del  Rogna  in  data  del 
1°  luglio  dello  stesso  '67:  né  chi  fosse  la  signora  Angela,  la 
quale  sembra  unisse  alla  professione  comica  il  mestiere  di  sal- 
tatrice. 

Hoggi  si  sono  fatte  due  comedie  a  concorrenza  :  una  nel  luogo  solito,  per 
la  sig/*  Flaminia  et  Pantalone,  che  si  sono  accompagnati  colla  sig.""^  An- 
gela, quella  che  salta  cosi  bene;  l'altra  dal  Purgo  (2),  in  casa  del  Lanzino, 
per  quella  sig.""*  Vincenza ,  che  ama  il  sig.  Federigo  da  Gazuolo.  L'  una  et 
l'altra  Compagnia  ha  avuto  udienza  grande  et  concorso  di  persone:  ma  la 
Flaminia  più  nobiltà,  et  ha  fatto  la  tragedia  di  Bidone  mutata  in  Tragi- 
comedia  (3),  che  è  riuscita  assai  bene.  Gli  altri,  per  quel  che  si  dice,  sono 


(1)  Terza  Flaminia  è  l'Agata  Calderoni  (sulla  quale  vedi  Fr.  Bartoli, 
I,  144,  Sand,  II,  175)  moglie  di  Francesco  Calderoni  detto  Silvio.  Avevano 
compagnia  a  sé,  la  quale  dice  il  Riccoboni,  Op.  ciY.,  p.  75:  «  quitta  l' Italie 
«  et  passa  en  Allemagne  au  service  de  l'Electeur  de  Baviere  à  Munich  et 
«  à  Bruxelles,  de  là  à  Vienne  en  Autriche  au  service  de  l' empereur  Leopold 
«  et  de  Joseph  roi  des  Romains  ».  Questa  Flaminia  fu  nonna  della  quarta, 
cioè  di  Elena  Balletti  moglie  di  Luigi  Riccoboni,  sulla  quale  è  da  vedere 
la  curiosa  pubblicazione  dell'  Ademollo,  Una  famiglia  di  comici  italiani 
del  sec.  XVIII,  Firenze,  Ademollo,  1885,  cap.  I. 

(2)  Il  Purgo  è  una  parte  di  Mantova ,   presso  la  piazzetta  di  S.  Andrea. 

(3)  Non  sapremmo  decidere  se  si  tratti  della  Bidone,  tragedia  del  Dolce, 
stampata  già  dal  1547  in  Venezia  dall'Aldo,  o  di  quella  di  G.  B.  Giraldi 
edita  in  Ferrara  nel  1583:  ma  parrebbe  piuttosto  della  prima. 


IL   TEATRO  MANTOVANO  NEL   SEC.   XVI  13 

riesciti  assai  goffi.  Andranno  seguitando  costoro  a  concorrenza ,  et  con  un 
certo  non  -pò  che  d'invidia ,  sforzandosi  a  fare  di  aver  maggior  concorso,  a 
guisa  dei  Letori,  che  nelle  città  de'  studi  si  industriano  di  aver  più  numero 
di  scolari.  ~ 

Ed  ecco  il  bravo  Rogna  paragonare  i  comici  ai  professori,  non 
pensando  che  più  tardi  si  potrà  dare  il  caso,  raro  se  vuoisi,  di 
ragguagliare  questi  agli  istrioni! 

Quel  Pantalone  potrebbe  del  resto  essere  Giulio  Pasquati  pa- 
dovano, che  poi  fece  parte  dei  Gelosi,  applauditissimo  di  qua 
e  di  là  dalle  Alpi  col  nomignolo  di  Magnifico  (1).  Più  chiaro 
è  chi  sia  la  signora  Vincenza.  È  questa  l'attrice  che  il  Garzoni 
chiama  la  «  dotta  Vicenza,  che  imitandola  facondia  ciceroniana, 
«  ha  posto  l'arte  comica  in  comunanza  con  l'oratoria ,  e  parte 
«  con  la  beltà  mirabile,  parte  con  la  grazia  indicibile,  ha  eretto 
«  nobilissimo  trionfo  di  sé  stessa  al  mondo  spettatore,  facendosi 
«  divulgare  per  la  più  eccellente  commediante  di  nostra  etade  (2)  ». 
Si  chiamava  Armani  (3),  ed  apparteneva  a  famiglia  originaria 
di  Trento  :  ma  era  nàta  in  Venezia.  Aveva  avuto  educazione 
assai  accurata  :  sapeva  il  latino,  la  logica,  la  retorica,  la  musica, 
e  cantava  assai  bene.  Era  anche  scultrice:  una  Sara  Bernhart 
del  secolo  XVI  !  Fu  poetessa  ;  e  Francesco  Bartoli  reca  parecchi 
saggi  de'  suoi  componimenti,  fra'  quali  è  notevole  una  canzonetta 


(1)  Fr.  Bartoli,  II,  80:  Baschet,  Op.  cit.,  pp.  59-63,  83. 

(2)  La  piazza  universale  di  tutte  le  professioni  del  mondo,  Venezia, 
Alberti,  1616,  p.  320. 

(3)  Forse  la  famiglia  sua  era  di  comici.  Troviamo  di  fatti  in  (juei  tempi 
un  Tiberio  d'Armano,  il  quale  dedicando  al  senatore  Tiepolo  la  Bidone  del 
Dolce,  dice  cosi  :  «  Avendo  il  padre  mio  questo  carnevale  passato  (cioè 
«  nel  1546)  aperto  in  Venezia  la  strada  ad  altrui  di  avvezzar  le  orecchie, 
«  corrotte  per  tanti  anni  dai  giuochi  inetti  di  certi  moderni  comici,  alla  gra- 
«  vita  tragica,  ed  essendo  io  stato  il  primo  che ,  secondo  la  debolezza  dei 
«  miei  teneri  anni,  sotto  abito  di  Ascanio  rappresentai  la  Bidone  di  m.  Lo- 
«  dovico  Dolce  ecc.  ».  A  questo  Tiberio  «  virtuoso  fanciullo  »  il  Dolce  dedicò 
la  sua  commedia  il  Capitano,  Venezia,  Giolito,  1545,  e  fra  le  rime  sue  si 
trovano  sonetti  ad  un  Aquilante  d'Armano:  v.  Cicogna,  Intorno  la  vita  e 
gli  scritti  del  Bolce,  Venezia,  Antonelli,  1863,  pp.  64,  65,  73. 


14  A.   D  ANCONA 

d'amore  assai  sensuale,  non  brutta  di  certo.  Recitò  la  prima  volta 
a  Modena,  e  riuscì  ber.e  nel  tragico,  nel  comico,  nel  genere  pasto- 
rale, e  nella  recitazione  all'improvviso.  Girò  tutta  l'Italia:  e  al 
suo  avvicinarsi,  «  si  sparava  l'artiglieria  per  l'allegrezza  del  suo 
«  arrivo  »:  come  afferma  il  Bartoli,  aggiungendo:  «  e  ciò  non  è  fa- 
«  vola  (1)  »:  reclame  fragorosa,  alla  quale  non  giungono  le  attrici 
moderne,  che  si  contentano  di  far  sparare  bombe  di  parole  ai 
giornalisti.  Gara  al  pubblico,  ai  dotti,  ai  principi,  bella  di  forme, 
eulta  d'ingegno,  non  è  da  meravigliare ,  come  ricorda  il  Rogna, 
che  di  se  invaghisse  uno  dei  principi  Gonzaga.  Intanto  nel  '67 
Mantova  era  divisa  nell'ammirazione  di  due  attrici  rivali:  la  Fla- 
minia e  la  Vincenza.  Infatti  il  Rogna  cosi  continua  ad  informarci 
su  di  esse,  con  lettera  del  6  luglio: 

Non  hieri  l'altro  la  Flaminia  era  comendata  per  certi  lamenti  che  fece  in 
una  tragedia  che  recitorno  dalla  sua  banda ,  cavata  da  quella  novella  del- 
l'Ariosto, che  tratta  di  quel  Marganorre  (2),  al  figliuolo  sposo  del  quale,  la 
sposa,  ch'era  la  Flaminia ,  sopra  il  corpo  del  primo  suo  sposo ,  poco  dianzi 
amazzato  in  scena,  per  vendetta  diede  a  bere  il  veleno  dopo  haverne  bevuto 
anch'essa,  onde  l'uno  et  l'altro  mori  sopra  quel  corpo,  et  il  padre,  che  perciò 
voleva  uccidere  tutte  le  donne ,  fu  dalle  donne  lapidato  et  morto.  La  Vin- 
cenza, all'incontro,  era  lodata  per  la  musica,  per  la  vaghezza  degli  habiti  et 
per  altro,  benché  il  soggetto  della  sua  tragedia  non  fosse  e  non  riuscisse 
COSI  bello.  Heri  poi,  a  concorrenza  e  per  intermedii,  in  quella  della  Vincenza 
si  fece  comparire  Cupido,  che  liberò  Glori,  nimpha  già  convertita  in  albero  (3). 
Si  vidde  Giove  che  con  una  folgore  d'alto  ruinò  la  torre  d'un  gigante,  il 
quale  havea  imprigionati  alcuni  pastori  ;  si  fece  un  sacrificio  :  Cadmo  seminò 
i  denti,  vidde  a  nascer  et  a  combatter  quelli  huomini  armati  :  hebbe  visibil- 
mente le  risposte  da  Febo,  et  poi  da  Pallade  armata  (4),  et  in  fine  cominciò 


(1)  1,  50. 

(2)  Orlando  fur.,  e.  XXXVII. 

(3)  Fr.  Bartoli,  I,  51,  dice  di  lei:  «  Esprimeva  con  tale  artifizio  la  vita 
«  e  i  costumi  delle  semplici  pastorelle  sotto  il  nome  di  Clori,  che  indusse 
«  ogni  ingegno  a  concederle  il  primo  onore  fra  tutti  i  recitanti  ». 

(4)  Il  Bartoli,  loc.  cit.,  così  dice:  «  Nelle  Pastorali  da  lei  prima  introdotte 
«  in  scena,  inseriva  alcuni  favolosi  intermedi,  facendo  or  da  Minerva  ed  or 
«  da  Venere  ». 


IL  TEATRO  MANTOVANO  NEL  SEC.  XVI  15 

a  edificar  la  città.  La  Flaminia  poi,  oltre  l'havere  apparato  benissimo  quel 
luogo  de-  corami  dorati,  et  haver  trovati  abiti  bellissimi  da  nimpha,  et  fatto 
venire  a  Mantova  quelle  selve ,  monti ,  prati ,  fiumi  et  fonti  d'Arcadia,  per 
intermedi  della  Favola  introdusse  Satiri,  et  poi  certi  maghi,  et  fece  alcune 
moresche,  a  tal  che  bora  altro  non  si  fa  né  d'altro  si  parla,  che  di  costoro. 
Chi  lauda  la  gratia  d'una ,  chi  estolle  l' ingegno  dell'altra  :  et  così  si  passa 
il  tempo  a  Mantova. 

E  l'8  luglio: 

Le  comedie  vanno  continuando,  et  hieri  l'Ili.»»»  Sig.  Massimiliano  ci  volle 
essere,  et  si  sforzò  di  sostenersi  su  la  gamba  per  haver  quel  piacere,  et  vi 
fu  anche  seco  l'altro  111.™»  Sig.  Massimiliano.  Hoggi  ancora  si  dice  che  fa- 
ranno cose  rare;  ma  al  fine  tutte  sono  zancie. 

E  il  di  appresso,  Don  Antonio  Geruto,  giureconsulto  e  poeta: 

Io  ho  lasciato   una   dolcissima   compagnia ,  che  mi  voleva  condurre  alla 

commedia  intitolata  la  Spada   dannata  (1) Non  si  attende  ad  altro  che 

alle  comedie,  né  fra  il  popolo  si  sente  dir  altro  che  queste  parole:  Io  sono 
della  parte  di  Flaminia:  et  io  della  Vincenza:  et  tutte  due  le  case  si  em- 
piono di  brigate.  Si  é  detto  che  in  Consiglio  grande  fu  proposto  da  molti 
gentiluomini  veneziani,  che  per  ogni  modo  si  doveva  levar  via  questi  come- 
dianti,  allegando  di  molte  ragioni,  et  massime  che  portano  via  gli  denari  : 
da  molti  altri  fugli  opposto  che  no:  anzi  che  si  devono  accarezzare,  perchè 
mentre  la  gioventù  sta  occupata  in  questi  sollazzi,  non  tendano  alli  giuochi, 
alle  bestemmie  et  altre  tristizie,  et  che  se  guadagnano,  spendono  ancora,  et 
che  le  città  si  devono  tenere  allegre  a  qualche  modo  :  et  così  questa  parte 
prevalse  l'altra  (2).  Heri  il  sig.  Federico  da  Gazuolo  venne  a  posta  a  Man- 


(1)  Probabilmente  uno  scenario  della  Commedia  dell'Arte,  del  quale  non 
trovo  notizie.  La  spada  fatale  è  una  commedia  di  Virgilio  Verucci,  ma 
del  secolo  successivo. 

(2)  Circa  i  provvedimenti  del  governo  veneto  in  fatto  di  teatro,  vedi  Orig. 
dd  T.,  Il,  227,  283.  Una  bella  serie  di  documenti  in  proposito  è  da  trovare 
in  Sforza,  F.  M.  Fiorentini  e  i  suoi  contemporanei  lucchesi,  Firenze,  Me- 
nozzi,  1879,  pp.  793-806.  Non  vi  é  però  nulla  dell'  anno  1567.  Aggiungasi  agli 
altri  questo  documento  dell'Arch.  Gonzaga,  che  è  una  lettera  dell'agente  du- 
cale Paolo  Moro  allo  Strozzi,  da  Venezia,  7  ott.  1581  :  «  Verissimo  è  che  nel 


16  A.  d'ancona 

tova  per  menar  seco  la  comediante  Vincenza  a  solazzo;  ma  la  cattivella  du- 
bitando de  non  vi  lasciare  in  un  punto  l'acquisto  di  molti  mesi ,  fatto  con 
sudore,  fingendo  di  haver  un  certo  sdegno  con  lui,  si  riparò  bravamente,  et 
lui  a  guisa  della  donna  del  corso  (?),  subito  tornò  in  dietro,  bravando  et 
bestemiando,  non  essendogli  restato  altro  che  la  lingua  per  potersi  vendicare. 

Seguita  ancora  la  cronaca  teatrale,  condita  di  maldicenza:  e 
noi  continueremo  a  riferirla,  registrando  anche  questa  lettera  del 
Rogna,  dell' 11  luglio: 

L'Ili.™"  S.""  Cesare  è  ritornato  da  Guastalla  per  il  battesimo,  o  che  si  è  fatto 
0  che  si  ha  da  fare  d'un  figliolo  del  genero  del  S.'  Massimiliano  Gonzaga, 
cioè  di  quello  da  Tiene  vicentino.  Esso  s.'  Cesare  Ecc."»^  honorò  ieri  con  la 
presenza  sua  la  commedia  della  Flaminia,  per  essere  sua  vicina ,  con  tutto 
che  fosse  invitato  a  quell'altra,  che  fu  una  pastorale  bellissima,  per  quanto 
si  dice,  et  si  vidde  lo  a  convertire  in  vacca.  Giove  e  Giunone  parlarono  in- 
sieme: venne  poi  e  spari  la  nebbia,  Mercurio  col  sono  adormentò  Argo,  et 
poi  gli  tagliò  la  testa,  una  Furia  infernale  fece  venire  in  furia  quella  vacca, 
et  in  fine  fu  di  nuovo  convertita  in  nimpha ,  et  il  padre  eh'  era  un  fiume, 
venne  ancor  lui,  versando  acqua,  a  fare  la  sua  parte,  et  in  un  istante  me- 
desmo  i  pastori  fecero  le  loro  nozze,  et  eccetera.  Vi  era  l'Ili.™*  S.'"  Massimi- 
liano dal  Borgo  (1). 

Ma  il  giorno  10  il  grave  Don  Ceruto  cosi  scrive: 

Questi  comedianti  cominciano  già  a  dare  in  zero  ,  et  poche  persone  le 
vanno:  son  frusti  del  tutto. 

II  15  il  Rogna  avvisa  che  una  delle  Compagnie  se  ne  va: 


«  Consiglio  Ex.™*  de'  Dieci  fu  preso  che  più  non  si  fossero  comedie  in  Ve- 
«  netia,  con  strettezza  grande  di  ballotte.  La  causa  ho  inteso,  che  un  Ch.™* 
«  Sig.^'s  Angustino  Barbarigo,  qual  è  molto  scrupoloso,  essendo  consigliero, 
«  ha  tanto  strepitato  ch'ha  fatto  passare  detta  parte.  Si  tiene  che  li  preti 
«  giesuiti  hanno  reclamato  assai,  che  nelli  palchi  di  quelli  due  loghi  fabri- 
«  cati  a  posta  si  operassero  molte  scelleratezze,  con  scandolo  :  né  ho  potuto 
«  penetrar  altro  ». 
(1)  Massimiliano  Gonzaga,  che  abitava  in  Borgo  Predella. 


IL  TEATRO  MANTOVANO  NEL   SEC.  XVI  17 

Un  di  queste  Compagnie  di  comici ,  cioè  quella  della  Vincenza ,  se  n'  è 
andata  a  Ferrara  :  l'altra  seguita,  et  è  stata  forza  ch'el  Potestà  habbia  fatto 
comandamento  a'  Notai  che  non  vi  vadino,  perchè  in  queir  bora  non  poteva 
bavere  notaio  alcuno. 

La  proibizione  si  estese  anche  agli  ecclesiastici,  come  ne  in- 
forma il  Geruto  ai  31  luglio: 

Il  vescovo  proibì  ai  frati  et  preti  d'andare  alla  commedia,  e  fu  grave  per- 
dita, perchè  si  vedevano  andarvi  sino  25  frati  in  una  sol  volta. 

Intanto  il  favore  alla  Flaminia,  rimasta  padrona  del  campo, 
continuava  ancora:  ai  3  agosto  il  Rogna  ci  fa  sapere  che 

si  prepara  nel  palazzo  della  Ragione   una  commedia  per  oggi  dalla 

Flaminia. 

Forse  della  Compagnia  faceva  parte  un  Graziano,  al  quale  allude 
il  medesimo  Rogna  in  una  dei  3  settembre: 

Le  dico  che  in  una  bella,  comedia  che  si  è  fatta  hoggi,  per  quanto  intendo 
da  quelli  che  ci  sono  stati,  Mess.  Gratiano  si  è  portato  benissimo. 

E  cosi  chiuderemo  l'anno  :  feracissimo ,  a  quel  che  vedemmo, 
di  rappresentazioni  sceniche,  che  ormai  non  erano  più  ornamento 
accessorio  di  gaudj  carnevaleschi  o  di  feste  ducali,  ma  sollazzo  d'o- 
gni tempo,  offerto  al  pubblico,  che  vi  accorreva  a  frotte.  Evidente- 
mente ormai  la  Commedia  non  è  più  un  privilegiato  divertimento 
di  pochi,  non  ha  per  spettatori  soltanto  principi  e  cortigiani,  ma 
l'intera  cittadinanza.  Le  Compagnie  hanno  cangiato  in  popolare  e 
generale,  un  costume  che  prima  era  di  alcune  classi  :  e  ormai  si 
recitava  tutto  l'anno,  finché  ci  fosse  roba  in  repertorio  e  durasse 
il  favore  del  pubblico:  e  se  i  ricordi,  pur  assai  abbondanti,  del 
1567  non  vanno  più  là  del  settembre,  egli  è  forse  perchè  di  li  a 
poco  moriva  la  vecchia  duchessa  Margherita  di  Monferrato. 

Ma  anche  il  '68  è  ricco  di  rappresentazioni,  e  ci  fa  far  cono- 
scenza con  un  celebre  attore.  Ai  2  di  febbraio,  il  Rogna  cosi  scri- 
veva al  Castellano  di  Mantova  che  trovavasi  a  Casale: 

Giornale  storico,  VI,  fase.  16-17.  2 


18  A.  d'ancona 

Si  lavora  alla  gagliarda  nella  sena  per  la  barriera  che  si  farà  la  notte 
di  carnevale,  et  per  la  comedia  che  si  farà  la  notte  della  giobbia  grassa, 
nelle  quali  due  sere  S.  Ecc.*  vuol  far  banchetto  in  Castello.  Il  Magnanino 
ogni  di  è  per  Mantova  facendo  le  più  ridicole  cose  del  mondo  alla  conta- 
dinesca (1). 

Di  altra  recita  fatta  allora  dagli  Ebrei ,  abbiamo  già  detto  :  ai 
13  febbraio  il  Rogna  avvertiva  che  ci  si  andavano  preparando. 
Ai  20,  Teodoro  Sangiorgio  faceva  noto  al  Duca  che 

la  comedia  sarà  pronta  la  sera  di  carnevale  ; 

e  probabilmente  si  allude  alle  Due  Fulvie  del  Farone.  Più  tardi, 
nell'aprile,  ai  26,  Baldassare  de  Preti  faceva  sapere  al  castellano, 
tuttora  in  Gasale,  che 

S.  Ecc.*  ha  fatto  fare  comedia  da  due  compagnie:  T  una  de  Pantalone, 
l'altra  del  Ganaza.  Ha  voluto  S.  K.  che  si  unisca  in  una,  et  ha  tolto  li  mi- 
liori  :  lì  era  la  Sig.*"*  Vicenza  et  la  Sig.""*  Flaminia,  quali  hanno  recitato  be- 
nissimo, ma  tanto  ben  vestite  che  non  poterla  esser  più. 

Ecco  dunque  per  voler  del  Duca  riunite,  se  non  rappacificate, 
le  due  rivali,  e  promossa  fra  esse  la  emulazione  artistica,  e  anche 
quella  suntuaria!  Quanto  agli  altri  personaggi  comici  qui  ram- 
mentati, ripetiamo  i  dubbj  già  espressi  intorno  al  Pantalone.  Qual- 
che cosa  però  di  più  positivo  possiamo  dire  quanto  al  Ganaza, 
il  quale  non  può  essere  altri  che  il  G-anassa  bergamasco  (2),  chia- 


(1)  Chi  sarà  questo  Magnanino  ?  Ho  dubitato  un  momento  che  si  potesse 
trattare  del  pittore  e  poeta  vicentino  G.  B.  Maganza,  scrittore  nel  vernacolo 
contadinesco  pavano,  che  si  faceva  chiamare  Magagnò,  e  che  invece  di  Ma- 
gnanino si  avesse  a  leggere  Magagnino:  ma  nella  bella  monografia  del  prof. 
D.  BoRTOLAN,  G.  B.  Maganza  seniore,  Bassano,  Roberti,  1883,  non  trovo 
che  andasse  mai  a  Mantova. 

(2)  11  Gampardon,  Les  comédiens  du  Roi  de  la  troupe  italienne,  Paris, 
Berger-Levrault,  1880,  I,  VI,  sostiene  che  si  chiamasse  Gavazzi,  e  nei  do- 
cumenti francesi  legge  Gavasse  anziché  Ganasse.  Ma  dubitiamo  fortemente 
ch'ei  sbagli,  tutti  concordemente  dicendo  Ganassa  o  Ganazza. 


IL  TEATRO  MANTOVANO  NEL  SEC.  XVI  19 

mate  erroneamente  dal  biografo  Bartoli,  Giovanni,  ma  che  da  atti 
ufllciali(l)  si  vede  essersi  detto  Alberto.  Costui  fu  uno  dei  primi, 
se  non  il  primo  (2),  che  trasportasse  oltralpi  la  commedia  italiana, 


(1)  Cioè,  un  Arrét  del  Parlamento  del  15  ott.  1571  in  favore  di  «.  Albert 
«  Ganasse  et  ses  compaignons  italiens  (Baschet,  Op.  cit,  p.  24)  »:  una  partita 
del  Registro  del  Tesoriere  di  Francia,  del  1572,  intitolata  a  «  Albert  Ga- 
«  nasse,  joueur  de  comedies  »  per  la  somma  di  75  lire  tornesi  (Ibid.,  p.  42): 
e  altra  partita  dell'ott.  dello  stesso  anno  per  500  «  a  Albert  Ganasse  et  ses 
«  compaignons,  joueurs  de  comedies  (Ibid.,  p.  42)  ». 

(2)  I  comici  italiani  cominciano  ad  apparire  assai  presto  in  Francia,  e 
secondo  il  mio  amico  prof.  Picot,  Pierre  Gringoire  et  les  comédiens  ital., 
Paris,  Morgand  et  Fatout,  1878,  p.  24,  se  ne  ha  traccia  già  dal  1520.  Certo 
è  che  in  un  documento  del  12  dee.  1530  si  trova  menzionato  «  maistre 
«  André  italien  »,  comico  al  servizio  del  re,  incaricato  di  allestire  «  farces 
«  et  moralites  »  per  l'entrata  della  regina;  (Ibid.,  p.  25):  e  si  ricordano 
anche  «  les  italiens,  e' est  a  ?avoir  Messire  Mathée  et  ses  compagnons 
(Ibid.,  p.  26),  facitori  di  «  mystères  »  per  la  medesima  ricorrenza.  È  noto 
che  nel  1548  la  «  natione  fiorentina  »  fece  ai  27  sett.  recitare  in  Lione  la 
Calandra  per  festeggiare  Y  entrata  di  Enrico  II  e  Caterina  de'  Medici  :  gli 
attori  erano  italiani ,  anzi  toscani ,  e  le  prospettive  furono  fatte  da  un 
m.''  Nannoccio  fiorentino,  e  gli  ornamenti  da  un  m.»  Zanobi  scultore:  vedi 
Baschet,  Op.  cit.,  p.  9.  Nel  '55  due  altre  commedie  italiane  si  recitarono 
a  Parigi  innanzi  alle  corte:  non  però  a  quel  che  sembra,  da  veri  comici, 
ma  da  gentiluomi  dilettanti,  come  si  rileva  da  questa  lettera  di  Stefano 
Guazzo  al  castellano  Calandra  di  Mantova  in  data  del  9  marzo,  pubbl.  dal 
sig.  Bertolotti  nel  Bibliofilo  del  giugno  1885  :  «  Di  novo  io  non  ho  cosa  al- 
«  cuna  da  scrivere,  so  non  che  questo  Natale  si  recitorno  i  Lucidi,  comedia 
«  del  Firenzuola,  innanzi  a  S.  Maestà,  della  quale  io  ne  dissi  una  parte;  et 
«  il  simile  ho  fatto  in  una  comedia  del  signor  Luigi  Alamanni,  intitolata 
«  Flora,  la  quale  si  recitò  già  otto  giorni  a  Fontanableo,  con  grandissimo 
«  piacere  di  S.  Maestà  et  tutta  la  Corte  ».  Nel  '72,  cioè  un  anno  dopo  il 
Ganassa,  troviamo  in  Francia  Soldino  fiorentino,  comédien  à  la  suite  de 
S.  M.  (Baschet,  p.  35),  e  in  queir  anno,  e  poi  nel  '78,  un  Anton  Maria  vene- 
ziano (Ibid.,  p.  37):  nel  '78  un^  Massimiano  Milanino  (Ibid.,  p.  87)  e  nel  79 
un  Paolo  da  Padova  (/6irf.,  p.  87)  colle  loro  Compagnie:  la  Compagnia  dei 
Gelosi  vi  si  portò  nel  "77  (Ibid.,  p.  69).  Il  Campardon,  Op.  cit.,  I,  IX, 
ricorda  per  1'  '83  una  Compagnia  condotta  da  Battista  Lazzaro,  che  recitò 
anziché  sM" hotel  de  Bourbon,  a  quello  de  Bourgogne:  vedi  anche  Ba- 
schet, p.  88.  Il  Magnin  (Teatro  Celeste:  Les  commencements  de  la  coméd. 
ital.  en  France,  in  Rev.  d.  deux.  m.,  1847,  IV,  p.  859)  farebbe  comparire 
in  Francia  i  Confidenti  con  Bernardino  Lombardi ,  Fabrizio  de  Fornaris 
detto  Capitan  Cocodrillo  e  la  Maria  Malloni  (Celia)  fino  dal  1572  «  et  peut- 
«  ótre  plus  tòt  »  ;  ma  in  fatto  non  si  sa  che  ci  capitassero  innanzi  all'  '84  : 


20  A.  d'ancona 

e  ve  la  facesse  applaudire.  Nel  1571  lo  troviamo  in  Francia ,  a 
capo  d'una  Compagnia  comica.  Il  re  aveva  a  questi  comici  ita- 
liani conceduto  sue  lettere  patenti,  e  si  disponevano  a  cominciare 
le  loro  recite  al  prezzo  di  3,  4,  5  e  6  soldi,  secondo  i  posti.  Ma 
questi  prezzi  sembrarono  ai  signori  del  Parlamento  «  una  specie 
«  di  esazione  sul  povero  popolo  ».  Veramente  ci  verrebbe  voglia 
di  fermarci  un  poco  a  meditare  quante  cose  si  sono  dette  e  fatte 
a  nome  del  «  povero  popolo  »;  ma  tiriam  via.  Intanto  il  davvero 
povero  Ganassa  era  invitato  a  portare  al  procuratore  generale 
i  danari  incassati,  e  a  tutti  gli  abitanti  di  Parigi  veniva  vietato  di 
assistere  alle  recite  della  Compagnia  italiana  sotto  pena  di  am- 
menda. Il  re,  Carlo  IX,  era  a  caccia:  e  i  comici  ricorsero  alla 
Camera  delle  vacazioni,  ma  nulla  ottennero,  essendo  ogni  delibe- 


vedi  Baschet,  p.  89,  Molano,  Molière  et  la  coméd.  ital.,  Paris,  Didier,  1867, 
pp.  41,  354,  e  Ademollo,  Una  famiglia  di  comici  ital.  ecc.,  p.  xxxvi.  Si 
direbbe  quasi  che  l' elenco  della  compagnia  dell'  '84  si  trovasse  in  questi 
versi,  che  riproduciamo  con  qualche  correzione  necessaria,  posti  in  bocca 
di  Bergamino  nella  Fiammella  di  Bartolomeo  Rossi  veronese,  comico  con- 
fidente, dedicata  al  Duca  di  Giojosa  e  stampata  a  Parigi  da  Abel  Angeliero 
in  cotest'anno  : 

Ho  vist  de  là,  Messìr,  anc  nna  frotta 

De  com^diant,  e  '1  Babba   Pakiama 

L'è  qnel  chi  mena  innanz'  e  in  drè  per  tut, 

Domandand:  Signor  Luti,  la  salcizza? 

La  Signora  Vincenza  i  so  cavai 

De  bianc  son  trasmntad  tutt  in  carbon  ; 

La  Polonia  è  tomada:  col  Battaia 

Ho  vist  la  Lidia,  ma  qael  so  marit 

Mi  non  l'ho  vist,  ma  pens  che  '1  sia  andat 

Dentr'  el  Zodiaco,  per  formar  quel  segno 

Che  scemenza  l'invern;  e  Ravanel 

E  con  Cakotta  che  i  crepo  bevend. 

Lessandbo  depentor,  con  Pantalon 

Hor  ride,  hor  canta,  hor  crida  delle  doie , 

Col  Signor  Fabio  eh 'è  tegnuo  al  terz  ; 

I  m'à  dit  Saio,  eh 'è  '1  so  servidor, 

Con  dir  eh'  avea  bisogn  d'  un  Bubattin, 

Che  l'è  una  parte  nova  in  quel  paes, 

E  me  s'è  oiferta  s'agh  voliva  andar  : 

Mi  dis  de  no,  ma  che  gh'  insegneraf 

Un  hom  da  ben  che  ghe  saraf  andat: 

Dov'  i  ha  propost  di  mand  a  tor  il  Zekla 

Perchè  fa  la  cascada  della  scala. 


IL  TEATRO  MANTOVANO  NEL   SEC.   XVI  21 

razione  in  proposito  rimessa  al  di  di  S.  Martino.  Tuttavia,  tro- 
viamo di  nuovo  in  Parigi  la  Compagnia  condotta  dal  Ganassa 
nell'agosto  del  1572,  pel  matrimonio  di  Margherita  di  Valois  col 
re  di  Navarra.  E  forse,  all'ombra  della  protezione  reale,  potè  re- 
starvi fino  al  '74,  quando  vediamo  il  Ganassa  in  Spagna  ai  servizj 
di  Filippo  2°,  rappresentando  «  comedias  italianas,  mimicas  por 
«  la  mayor  parte,  y  bufonescas,  de  asuntos  triviales  et  popula- 
«  res  (1)  ».  SI  dice  che  in  Spagna  arricchisse,  e  che  incontrasse 
il  favor  del  pubblico,  mescolando  il  suo  bergamasco  collo  spa- 
gnuolo.  Il  p.  Ottonelli  gli  dà  lode,  egli  si  acerrimo  nemico  de' 
comici,  di  aver  dilettato  senza  cader  nell'osceno:  e  il  Quadrio 
assevera  che  «  da  lui  impararono  gli  Spagnuoli  a  far  le  commedie 
«  modeste  e  pudiche,  il  che  prima  non  era  uso  fra  loro  (2)  ». 
Della  reputazione  in  che  sali  in  Francia,  è  buon  testimone  il  signor 
de  la  Fresnaye,  che  potè  udirlo,  e  che  insieme  col  «  bon  Pan- 
«  lalon  »  esalta 

...  Zany,.dont  Ganasse 

Nous  a  representé  la  fa^on  et  la  grace. 

Per  quello  che  assevera  il  Fournier,  creò  egli  il  tipo  del  Baron 
de  Guenesche,  che  sarebbe  il  suo  nome  un  poco  alterato;  e  la  pa- 
rola francese  ganache  resterebbe  tuttavia  a  ricordo  della  popo- 
larità del  personaggio  comico  da  lui  inventato  (3). 


(1)  Parole  di  D.  Gassano  Pellicer  nel  Tratado  sobre  el  orig.  y  progress,  de 
la  comed.  y  histrionismo  en  Espana,  recate  dal  Baschet,  p.  49.  Nel  Royer, 
Hist.  univers.  du  Théàtre,  Paris,  Franck,  1879,  II,  166,  trovo  queste  notizie 
sul  Ganassa  in  Spagna  :  «  Les  Gonfréries  construisirent  pour  les  italiens  un 
«  theàtre  couvert  dans  la  Gour  de  la  Pacheca.  Ganasse  demanda  un  bail 
«  de  dix  ans,  et  il  s'engagea  à  payer  une  avances  de  600  réaux,  et  à  donner 
«  en  outre  deux  reprèsentations  à  bénéfice  pour  les  frais  de  la  construction. 
«  Les  600  réaux  avancés  devaient  décompter  à  raison  de  dix  rcaux  par  jour, 
«  prix  de  la  location.  L'  empresario  s' engageait  en  outre  à  donner  un  nù- 
€  nimum  de  soixante  reprèsentations  ». 

(2)  St.  e  rag.  d'ogni  poesia,  V,  237. 

(3)  Baschet,  p.  45.  Secondo  il  Sano,  II,  295  nella  Compagnia  del  Ganassa, 
che  fu  a  Parigi  nel  1570  (?)  ci  sarebbe  stato  come  Zanni,  un  Tabarino  che 


22  A.  d'ancona 

Ritornando  ora  ai  nostri  documenti,  il  Rogna  ai  13  maggio  1568 
ci  attesta  che 

....  non  vi  è  altro  di  nuovo,  se  non  che  ogni  giorno  si  fanno  comedie  o 
tragedie,  et  in  un  altro  luogo  moresche  con  salti  miracolosi... 

Nell'agosto,  la  villeggiatura  ducale  della  Montalta  era  ralle- 
grata da  una  Compagnia  comica,  con  sommo  diletto  del  Principe 
e  del  suo  congiunto  Lodovico  duca  di  Nevers,  ma  con  noia  di 
qualche  cortigiano:  uno  dei  quali  Giov.  Paolo  de'  Medici,  il  5 
di  cotesto  mese  scriveva  in  Mantova  ad  un  amico: 

Io  comincio  a  straccarmi  del  star  qui,  e  mi  viene  in  fastidio  li  zanni,  li 
venetiani  et  le  puttane.  Hieri  fu  qui  la  Sig.""*  Vincenza  con  la  sua  Compa- 
gnia ,  che  radopiò  la  comedia  mentre  pioveva  :  ma  come  ho  detto,  me  n  e 
stuffo. 

E  il  Rogna,  ai  18: 

Le  comedie  si  fanno  qui  hora  sotto  la  loggia  prima ,  dove  viene  anco  il 
Sig.""  Duca  di  Nevers,  et  hoggi  si  farà  una  Pastorale. 

L'anno  volgeva  al  suo  termine  con  una  grave  perdita  per  l'arte 
teatrale.  Un  Gandolfo,  del  quale  rimane  sconosciuto  il  cognome,. 
ai  15  settembre  cosi  scriveva  al  Castellano  di  Mantova: 

La  Vicentia  comediante  è  stata  atosegata  in  Cremona. 

E  ciò  forse  fu  opera  di  qualche  amante  spregiato ,  che  non 
poteva  perdonarle  l'affetto  verso  il  suo  compagno  di  scena,  A- 
driano  Valerini,  veronese,  dottore  e  comico,  rinomato  nelle  parti 
d'amoroso,  e  che  per  la  Vincenza  aveva  abbandonata  l'altra  bella 


però  «  n'etait  pas  encore  le  célèbre  Tabarin,  qui  une  cinquantaine  d'an- 
«  nées  plus  tard  amassait  la  foule  avec  son  maitre  Mondor,  et  jouait  aussi 
«  des  farces  sur  la  Place  Dauphine  ».  Donde  il  Sand  abbia  tolto  questa  no- 
tizia, ignoro. 


IL  TEATRO  MANTOVANO  NEL  SEC.  XVI  23 

e  valente  attrice,  Lidia  da  Bagnacavallo  (1).  Era  ancor  viva  la 
Lidia?  amava  tuttavia  il  sig/ Federigo  da  Gazuolo  la  Vincenza? 
Ma  non  perdiamoci  in  congetture:  certo  è  che  se  la  celebre 
attrice  mori  avvelenata,  dovette  essere  o  per  gelosia  di  mestiere 
0  per  vendetta  amorosa  di  un  amante  non  curato  o  di  una  ri- 
vale offesa.  Il  Valerini  raccolse  l'ultimo  sospiro  dell' Armani, 
che  si  congedò  da  lui,  da  vera  prima  donna,  con  un  verso: 
Restati  in  pace:  io  me  ne  vado,  addio.  Il  Bartoli  assicura  che 
mori  «  munita  degli  ordini  sacri  e  piena  di  rassegnazione  »  :  il  Va- 
lerini scrisse  e  stampò  una  Orazione  funebre  in  lode  di  lei  (2): 
poi,  anch'egli  si  sarà  rassegnato. 

Perchè  mai  i  documenti  dell'Archivio  mantovano,  dopo  averci 
offerta  cosi  abbondante  messe  di  particolari,  nulla  a  un  tratto  ci 
presentano  fino  al  1573?  Furono  anni  di  pace,  né  parrebbe  che  il 
teatro  dovesse  tacere  per  strepito  d'armi  o  per  alti  negozj  di  Stato, 
0  che  tutte  le  Compagnie  fossero  altrove  impegnate,  o  andate  in 
paesi  stranieri,  ove  già  erano  desiderati  la  commedia  e  i  comici 
italiani  (3):  cosicché  •  sarebbe  più  plausibile  il  supporre  che  i  do- 


(1)  Fr.  Bartoli,  I,  290,  li,  259.  11  primo  a  parlare  di  questa  Lidia  è  il 
Garzoni,  Op.  cit.,  p.  320,  che  era  suo  concittadino.  Più  tardi  vi  fu  un'altra 
Lidia,  cioè  Virginia  Rotari:  vedi  Baschet,  p.  280. 

(2)  Fr.  Bartoli,  li,  259. 

(3)  In  Germania  la  commedia  italiana,  se  dobbiamo  credere  a  Francesco 
Vettori,  Viaggio  in  Allemagna ,  Parigi,  1837,  p.  173,  sarebbe  stata  cono- 
sciuta fin  dal  1507.  Reca  egli  infatti  una  commedia  che  dice  essersi  fatta 
recitare  in  cotest'  anno  in  Augusta  dal  vescovo  Gurgense,  e  dice  di  recarla 
tradotta:  ma  di  questa  commedia  potrebb' essere  come  di  tante  altre  novelle 
e  aneddoti  e  lepidezze,  di  che  il  Vettori  infiora  la  sua  descrizione:  cioè,  fa- 
rina del  suo  sacco.  Certo  è  che  cotesta  commedia  è  tutta  italiana  di  sog- 
getto e  di  carattere.  Un  cinquant'  anni  dopo,  troviamo  in  Baviera  la  com- 
media dell'arte,  come  Cesare  Bini,  Rivista  di  libri  vecchi  e  nuovi,  Mi- 
lano, tipogr.  internazionale,  1868,  p.  204,  ne  ha  dato  notizia,  togliendola  ai 
Dialoghi  di  Massimo  Trojano,  Venetia,  Zaltieri,  1569.  Raccontando  ciò  che 
fu  fatto  nelle  nozze  di  Guglielmo  6»  conte  palatino  del  Reno  e  duca  di 
Baviera  con  madama  Renata  di  Loreno,  il  Trojano,  gentiluomo  napoletano, 
che  vi  assisteva,  riferisce  ohe  dopo  cena  si  fece  «  una  comedia  all'improv- 
viso alla  italiana  »,  nella  quale  il  celebre  musico  Orlando  Lasso,  fiammingo, 
ma  per  lunga  dimora  quasi  italiano,  fece  benissimo  da  Magnifico  venetiano 


24  A.  d'ancona 

cumenti  teatrali  di  quattro  anni  sieno  andati  smarriti.  Né  il  1573 
ci  offre  altro,  salvo  una  lettera  del  Capitano  di  Giustizia  in  data  del 
31  gennaio,  colla  quale  dice  essersi  messo  d'accordo  col  Bargello 
per  rimediare  ai  rubamenti  di  borse,  divenuti  frequenti  durante  le 
recite  delle  commedie.  E  neanche  maggior  importanza  per  la 
storia  del  teatro  ha  la  notizia,  data  dal  suddetto  Capitano,  d'un 
tumulto  avvenuto  «  nel  luogo  ove  si  recita,  con  porre  mano  alle 
«  spade  et  pugnali  »la  sera  deiril[nov.  1574.  Però,  se  nel  carne- 
vale passato  non  c'erano  stato  commedie,  n'ebbe  colpa  certo  im- 
broglio, cosi  esposto  dal  capo-comico  dei  Gelosi,  Rinaldo  Petignoni 
detto  Fortunio,  in  una  sua  al  Duca  del  12  febbraio  '74  da  Venezia: 

Rinaldo,  altrimenti  Fortunio ,  per  nome  suo  e  de  la  Compagnia  deli  co- 
medianti  detti  li  Gelosi,  con  ogni  humiltà  e  debita  reverenza ,  ricorre  a  li 
piedi  de  l'A.  V.  suplicandola  si  degni  che  nel  dolersi  che  fa  il  sig/  Agosto 
Trissino  con  detto  Rinaldo  e  compagni,  che  non  sieno  venuti  questo  carnevale 
a  Mantova  a  recitare  le  loro  comedie,  che  quella  non  vogli  credere  se  non 
quello  che  si  troverà  essere  la  mera  verità,  cioè  che  havendo  detto  Rinaldo 


col  nome  di  «  messer  Pantalone  de'  bisognosi  »,  e  Messer  G.  B.  Scolari  da 
Trento,  fu  il  Zanne,  e  il  Trojano  «  fece  tre  personaggi,  l'uno  fu  il  prologo, 
«  vestito  da  rozzo  villano,  V  altro  l'innamorato  sotto  il  nome  di  Polidoro,  e 
«  r  altro  lo  spagnuolo  disperato,  chiamato  Don  Diego  di  Mendoza  ;  il  ser- 
«  vitore  di  Polidoro  fu  Don  Carlo  Livizzano,  il  servitor  del  Spagnuolo  fu 
«  Giorgio  d'Ori  da  Trento:  la  Cortegiana  innamorata  di  Polidoro,  chiamata 
«  Camilla,  fu  il  marchese  di  Malaspina,  e  la  sua  serva  Ercule  Terzo,  et  un 
«  servo  francese  ».  La  commedia  di  tre  atti,  fu  concertata  fra  Massimo  e 
Orlando ,  preceduta  da  un  Prologo  «  alla  cavaiola  »,  e  intramezzata  da  ma- 
drigali musicali  dal  Lasso.  Lo  scenario  è  dato  in  cotesto  scritto  di  Trojano, 
e  qui  non  lo  riferiamo  per  la  sua  lunghezza:  ricorderemo  soltanto  che  Pan- 
talone, il  quale  già  si  chiama  de'  Bisognosi,  aveva  «  un  giubbone  di  raso 
«  cremesino,  con  calze  di  scarlatto  fatte  alla  venetiana,  et  una  vesta  nera, 
«  lunga  insino  ai  piedi,  e  con  una  maschera  ».  11  Bini  che  rimise  in  luce 
questa  menzione  della  commedia  delV  arte  fuori  d' Italia ,  non  è  altri  che 
il  Camerini;  e  sebbene  col  suo  nome  ristampasse  cotesta  notizia  nei  suoi 
Precursori  del  Goldoni,  Milano,  Sonzogno,  1872,  p.  180,  e  poi  nel  111  voi. 
uscito  postumo  dei  Nuovi  Profili  Letterari,  Milano,  Battezzati,  1876,  p.  220, 
non  so  che  altri  se  ne  giovasse  in  tanto  scrivere  che  si  fa  suU'  argomento. 
Perciò  ne  ho  qui  voluta  ravvivar  la  memoria,  come  ricordanza  ancora  dello 
strano  ma  pur  caro  amico  perduto. 


IL  TEATRO  MANTOVANO  NEL  SEC.  XVI  25 

domandato  al  sig.»"  Agosto  più  e  più  volte  s'egli  doveva  andar  a  Mantova 
con  la  Compagnia  questo  carnevale ,  da  quello  gli  è  stato  sempre  risposto 
non  saper  alcuna  cosa,  né  haver  ordine  alcuno  sopra  di  questo  negotio,  et 
che  se  bene  nel  fine  del  carnevale  a  l' improviso  è  stato  avisato  detto  Ri- 
naldo e  suoi  compagni  di  dovere  andare  a  Mantova  per  simile  eifetto,  che 
S.  A.  debba  haver  riguardo  alla  povertà  di  quello  e  de  li  suoi  compagni, 
quali  come  huomini  mercenarii ,  di  già  si  trovavano  obligati  in  Venetia,  e 
non  potevano  partire,  se  non  con  gran  danno  e  vergogna  loro,  e  che  quando 
fossero  stati  in  sua  libertà,  sì  come  hanno  fatto  delle  altre  volte,  così  anco 
adesso  sarebbero  venuti  senza  riguardo  di  spesa  e  di  danno  alcuno  ;  e  di 
tutto  questo,  per  confcrmation  de  le  ragioni  sue  e  de'  suoi  compagni,  se  ne 
potrà  informare  per  una  litera  scritta  al  presente  al  detto  sig.*"  Agosto:  dove 
facendosi  chiara  de  la  verità  et  de  la  innocenza  mia  e  de"  miei  compagni, 
la  supplico  a  difFenderci  dall'ira  di  detto  sig/  Agosto  contro  di  noi  concitata 
senza  cagione,  come  dimostra  in  una  litera  scrittami  per  la  posta  passata, 
e  questo  sarà  imponendogli  silenti©  sopra  di  ciò,  et  tanto  più  essendo  infor- 
mata de  la  mia  pronta  volontà  in  servire  sempre  S.  A.,  alla  quale  prego  per- 
petua felicità  e  contentezza  et  humilmente  baso  le  mani. 

Umilissimo  Servitore 
Rinaldo  Pktignoni  (1). 

E  nulla  abbiamo  pel  '75  ;  e  pel  '76,  che  fu  anno  in  che  la  peste 
infieri  in  Mantova,  lasciando  10  mila  morti,  questo  solo  :  che  gli 
abitanti  di  Acquanegra  nel  contado  mantovano,  invitavano  il 
19  maggio  il  principe  Vincenzo  ad  una  commedia  «  che  hanno 
«  ordita  fra  di  loro  ».  Di  un  prologo  stravagante  che  nel  '79 
Leone  De  Sommi  meditava  premettere  ad  uno  spettacolo  scenico, 
abbiamo  già  detto. 

Ma  nel  '79  appunto  i  Documenti  ci  danno  ai  5  di  maggio  no- 
tizia di  un  fatto  grave:  la  cacciata,  cioè,  della  Compagnia  dei 
Gelosi  dalla  città  e  stato  di  Mantova.  Il  documento,  che  però  è 
una  semplice  minuta,  e  potrebbe  anche  non  essersi  tradotto  in 
decreto,  dice  cosi: 


(1)  Comunicazione  del  cav.  A.  Bertolotti,  archivista. 


26  A.  d'ancona 

D'ordine  del  Duca,  che  tosto  abbiano  ad  essere  cacciati  dalla  città  e  dallo 
stato  di  Mantova  i  Comici  detti  Gelosi ,  che  alloggiano  all'insegna  del  Bis- 
sone, e  similmente  il  sig/  Simone,  che  recita  la  parte  di  Bergamasco,  e  il 
sig/  Orazio  e  il  sig/  Adriano,  che  recitano  la  parte  amantiorum,  e  Gabriele 
detto  dalle  Haste,  loro  amico. 

Facciamo,  come  si  può,  un  poco  di  storia  dei  Gelosi.  Di  essi, 
già  almeno  dal  '69  riuniti  in  Compagnia  (1),  la  prima  menzione 
risale  al  1571 ,  quando  recitavano  in  Francia ,  e  precisamente 
dWHótel  de  Nevers  in  Parigi  nel  marzo,  e  a  Nogent-le-Roi  nel 
maggio  pel  battesimo  di  Carlo  Enrico  di  Clermont  (2).  Che, 
come  alcuni  scrivono  (3),  si  fondessero  poco  tempo   dopo   coi 


(1)  Vedi  il  documento  che  riprodurremo  più  oltre,  pubblio,  dal  Neri  nella 
Gazz.  letter.  di  Torino,  25  luglio  '85. 

(2)  Il  documento  francese  sincrono,  citato  dal  Baschet,  p.  18,  li  chiama 
Galozi,  ma  è  evidente  trattarsi  dei  Gelosi.  Non  parrebbe  che  si  abbiano  a 
confondere  colla  Compagnia  del  Ganassa ,  che  recitò  a  Parigi  solo  nel  set- 
tembre: vedi  Baschet,  p.  19.  11  Baschet  stesso,  p.  14 ,  congettura  che  fos- 
sero fatti  venire  a  Parigi  dal  Nevers,  che  era  un  Gonzaga. 

(3)  Secondo  il  Sano,  Op.  cit.,  I,  44  e  304,  i  Confidenti  con  Celia,  col  Lom; 
bardi  ed  il  De  Fornaris  vennero  in  Francia  nel  '71,  e  verso  lo  stesso  tempo 
ci  capitarono  i  Gelosi,  con  Orazio,  Adriano  e  Lidia;  le  due  Compagnie  si 
fusero  nel  '74  formando  i  Comici  Uniti,  che  recitarono  a  Parigi  fino  al  '76, 
finché  cioè  i  Fratelli  della  Passione  fecero  chiudere  il  loro  teatro:  allora,  alla 
fine  del  '76,  i  Comici  si  ridivisero,  e  lo  Scala  rifece  i  Gelosi,  che  Enrico  III 
trovò  a  Venezia,  e  fece  di  nuovo  venire  in  Francia  nel  '77.  Poi  ripassarono 
le  Alpi,  e  nel  '78  a  Firenze  lo  Scala  formò  la  sua  celebre  compagnia,  nella 
quale  il  Sand  fa  entrare  perfino  Francesco  Bartoli  !  Stimiamo  inutile  rilevare 
tutte  le  patenti  inesattezze  di  questo  passo  del  Sand.  Secondo  il  Baschet,  p.  52, 
i  Gelosi  si  ricomposero  sotto  la  direzione  dello  Scala,  aggregandosi  i  migliori 
dei  Confidenti,  prima  del  '75.  Adolfo  Bartoli,  p.  cxxxi,  scrive  che  nel  '74  i 
Gelosi  e  i  Confidenti  formarono  insieme  gli  Uniti,  separandosi  poi  di  nuovo, 
ed  i  Gelosi  ricomponendosi  collo  Scala  per  capo.  Ma  le  prove  di  tutto  ciò  io 
non  so  trovare,  e  parrai  che  la  fonte  comune  sia  il  Magnin,  art.  cit.,  p,  850, 
che  però  non  reca  documenti  o  prove  a  conforto  di  quanto  asserisce  sulla 
unione  delle  due  Compagnie  nel  '74  e  sulla  separazione  nel  '76.  La  cosa  può  es- 
sere, ma  non  ne  rinvengo  testimonianze  autorevoli.  Invece,  documenti  autentici 
recati  dal  Pagani,  Teatr.  a  Milano,  Milano,  Sonzogno,  1884,  pp.  21  sgg.,  e  36, 
ci  mostrano  i  Confidenti  autonomi  a  Milano  nel  giugno  '74  e  nel  maggio  '75. 
Circa  la  unione  delle  varie  Compagnie,  trovo  soltanto  nel  Quadrio,  V,  242, 
che  circa  il  1580  gli  Uniti  si  congiunsero  in  Bergamo  «  per  qualche  giorno  » 
coi  Gelosi.   Lo  Zeno  (Annotaz.  al  Fontan.,  I,  361),  dice  che  nella  Prefa- 


IL  TEATRO  MANTOVANO  NEL  SEC.  XVI  27 

Confidenti,  formando  la  Compagnia  degli  Uniti,  e  poi  di  nuovo  se 
ne  disfaccassero  per  riassumere  l'antico  nome,  ò  cosa  possibile, 
ma  della  quale  non  trovo  sicuro  riscontro.  Troviamo  invece 
i  Gelosi  nei  '72  a  Genova  (1),  e  '74  a  Venezia:  non  solo  nel  febbrajo, 
come  resulta  dalla  lettera  di  Rinaldo,  ma  anche  nel  luglio,  quando 
ebbe  voglia  di  sentirli,  e  principalmente  la  loro  prima  donna, 
signora  Vittoria,  Enrico  3°,  che,  venendo  di  Polonia,  andava  in 
Francia  ad  assumervi  la  corona  reale  (2).  Forse  egli  aveva  potuto 
altra  volta  udire  cotesti  comici,  in  Francia:  forse  arrivatogli  il 
grido  della  loro  valentìa,  ebbe  vaghezza  di  certificarsi  del  vero:  e 
la  Repubblica  si  affrettò  a  procurargli  questo  sollazzo,  chiamando 
sollecitamente  i  Gelosi,  che  erano  in  quel  momento  a  Milano, 
per  concorrere  alle  onoranze  e  feste  fatte  dalla  città  a  Don 
Gioanni  d'Austria,  il  vincitore  della  battaglia  di  Lepanto  (3). 
La  signora  Vittoria,  che  dal  Quadrio  (4)  è  detta  Piissimi  di  co- 
gnome e  nativa  di  Ferrara,  e  sulla  scena  si  chiamava  Fioretta,  è 
quella  della  quale  il  Garzoni  dice  enfaticamente:  «  Ma  sopratutto 
«  parmi  degna  d'eccelsi  onori  quella  divina  Vittoria,  che  fa  meta- 
«  morfosi  di  se  stessa  in  scena:  quella  bella  maga  d'amore,  che 
«  alletta  i  cuori  di  mille  amanti  con  le  sue  parole  :  quella  dolce 
«  sirena,  che  ammalia  con  soavi  incanti  l'alma  de'suoi  divoti  spel- 
«  tatori ,  e  senza  dubbio  merita  d'esser  posta  come  un  compendio 
«  dell'arte,  avendo  i  gesti  proporzionati,  i  moti  armonici  e  concordi, 
«  gli  atti  maestrevoli  e  grati,  le  parole  affabili  e  dolci,  i  sospiri  ladri 
«  e  accorti,  i  risi  saporiti  e  soavi,  il  portamento  altiero  e  gene- 


zionc  alla  Fiammella  del  Rossi  si  rinvengono  alcuni  indizj  della  separazione 
dei  Gelosi  dai  Confidenti,  avvenuta  <  non  molto  dopo  »  il  '77.  Ma  né  al 
Baschet,  p.  92,  nò  a  me,  che  ho  ritentato  la  prova,  è  riuscito  trovar  nulla 
in  codesta  Prefazione.  Insomma,  su  questo  punto  capitale  della  unione  e 
disunione  delle  due  Compagnie,  regna  la  massima  incertezza. 

(1)  A.  Neri,  nella  Gazz.  lett.  di  Torino,  25  luglio  1885. 

(2)  «  Le  Roy  désire  extrémement  les  voir  (i  Gelosi),  et  il  désire  surtout 
«  que  la  femme,  qui  jouait  aussi  cet  hiver,  soit  de  la  compagnie  »:  Ba- 
schet, p.  56. 

(3)  Baschet,  p.  57. 

(4)  Op.  cit.,  V,  242. 


28  A.  d'ancona 

«  roso,  e  in  tutta  la  persona  un  perfetto  decoro,  quale  spetta  e 
«  s'appartiene  a  una  perfetta  commediante  (1)  ».  Anche  il  Por- 
cacchi,  che  descrisse  le  Attioni  di  Arrigo  3°,  parlando  degli 
spettacoli  datigli  in  Venezia,  afferma  che  «  la  donna  è  unica  ». 
Sapeva  infatti  recitare  egualmente  bene  nella  tragedia  e  nella 
commedia,  da  regina  e  da  servetta,  ed  era  anche  buona  ballerina, 
come  attesta  una  poesia  del  conte  Gr.  B.  Mamiano,  pesarese  (2).  I 
Gelosi,  adunque,  alla  presenza  di  Enrico  recitarono,  fra  le  altre, 
una  tragedia,  che  non  è  veramente  tragedia  (3),  composta  da 
Cornelio  Frangipane,  e  messa  in  musica  da  Claudio  Merulo  (4), 
e  due  commedie  dell'arte.  Erano  della  Compagnia,  oltre  la  signora 
Vittoria,  Simone  da  Bologna  (secondo  Zanni  o  Arlecchino),  Giulio 
Pasquati  {Magnifico),  Rinaldo,  detto  Forlunio,  ed  altri  valenti 
ed  applauditi  comici  :  i  nomi  ce  ne  sono  dati  dal  Porcacchi,  che 
dice  11  primo  «  rarissimo  in  rappresentare  la  persona  di  un  fac- 
«  chino  bergamasco,  ma  più  raro  nelle  argutie  e  nelle  inventioni 
«  spiritose  »  ;  il  secondo,  tale,  che  si  sta  in  dubbio  «  qual  sia  in 
«  lui  maggiore  la  grazia  o  l'acutezza  dei  capricci,  spiegati  a  tempo 


(1)  Piazza  universale  ecc.,  p.  320. 

(2)  Fr.  Bartoli,  II,  273. 

(3)  Nella  raccolta  a  stampa  di  cose  italiane  e  latine  fatte  per  la  venuta 
del  Re,  vi  è  questa  così  detta  tragedia,  con  un  discorso  dell'autore  circa 
siffatto  titolo  dato  ad  un'opera  che  non  è  tragica,  e  nel  quale  si  difende 
contro  coloro  che  di  ciò  l'accusassero:  vedi  Allacci,  Brammaturg .,  Venezia, 
Pasquali,  1755.  L'Yriarte,  La  vie  d'un  patricien  de  Yenise  au  XVI  siede, 
Paris,  Rothschild,  p.  237,  dice  che  il  componimento  del  Frangipane  è  un 
misto  di  ballo,  di  musica  e  di  poesia,  dove  Venere ,  Marte ,  Giove ,  Iride, 
Pallade,  le  Amazzoni,  Mercurio  ecc.  fanno  via  via  la  lor  parte,  sotto  figura 
di  principi  francesi:  Caterina  de'  Medici,  ad  esempio,  comparisce  in  forma 
di  Pallade.  Alla  fine,  si  presagisce  alla  Francia  il  ritorno  dell'età  dell'oro, 
dopo  le  guerre  civili.  Cori  numerosi  diretti  dai  tanti  maestri  che  allora  ab- 
bondavano a  Venezia,  costituiscono  la  maggior  parte  di  questa  rappresen- 
tazione. 

(4)  Non  dallo  Zarlino,  come  erroneamente  asserì  l'Algarotti:  vedi  [Arri- 
GONi],  Notizie  ed  osservaz.  intorno  alVorig.  e  progresso  dei  Teatri  in  Ve- 
nezia, Venezia,  Gondoliere,  1841,  p.  13.  Lo  Zarlino  compose  le  musiche  che 
andarono  incontro  al  Re  sul  Bucintoro:  vedi  Ademollo,  I primi  fasti  della 
mus.  ital.  a  Parigi,  Milano,  Ricordi,  1884,  p.  7. 


IL  TEATRO  MANTOVANO  NEL  SEC.  XVI  29 

«  e  sentenziosamente  »;  il  terzo  valentissimo  «  nell'accomodar 
«e  novi,  argomenti,  ed  in  sapergli  ridurre  alla  scena  tragica  o  co- 
«  mica  con  abiti ,  con  fogge  e  con  rapresentationi  nobili  (1)  », 
sicché  si  direbbe  piuttosto  direttore  della  Compagnia,  come  ap- 
parisce anche  dalla  lettera  del  1574,  che  semplice  attore.  E  dei 
Gelosi  Enrico  restò  cosi  soddisfatto,  che  nel  maggio  del  '76,  quie- 
tate appena  le  cose  del  regno,  scriveva  al  suo  ambasciatore  a 
Venezia,  Monsieur  du  Ferrier,  perchè  procurasse  mandargli  a 
Parigi  il  Magnìfico  e  la  sua  Compagnia  comica:  la  quale,  tro- 
vandosi allora  alla  Corte  imperiale  (2),  non  potè  innanzi  al  '77 
aderire  all'invito  del  Cristianissimo,  Svaligiati  dagli  Ugonotti  alla 
Charité  sur  Loire,  i  Comici  italiani  poterono  però  il  25  gennaio 
presentarsi  sulle  scene  di  Blois,  con  gran  soddisfazione  del  Re  e 
della  Corte,  che  continuarono  a  prendervi  diletto,  sebbene  un 
predicatore,  in  presenza  dello  stesso  Enrico,  osasse  dire  che  era 
molto  mal  fatto  l'andare  ad  ascoltarli.  Da  Blois  si  trasferirono  a 
Parigi,  dove,  dice  il  sig.  de  l'Estolle,  prendevano  quattro  soldi 
per  testa  agli  spettatori,  e  v'era  tal  concorso  di  popolo,  che  i 
quattro  Tnigliori  predicatori  della  capitale  non  ne  raccoglie- 
vano tutti  insieme  altrettanti  (3).  Ma  anche  a  Parigi  non  man- 
carono guai  ai  Gelosi ,  dacché  il  Parlamento  pronunziò  solen- 
nemente, le  commedie  loro  nuli'  altro  insegnare  salvo  il  liber- 
tinaggio e  l'adulterio,  ed  essere  pestifere  scuole  di  corruzione 
alla  gioventù  d'ogni  sesso.  Protestarono  i  comici,  e  il  Re  li  prese 
sotto  la  sua  protezione,  tanto  che  poterono  continuare  a  recitare 
sino  all'ottobre.  Questo  breve  bigliettino  di  Enrico  al  suo  tesoriere 
è  prova  del  gusto  che  ei  prendeva  ad  udire  i  Gelosi  e  la  com- 
media a  braccia: 


(1)  Vedi  Baschet,  p.  61,  nota. 

(2).  In  un  artic.  di  Albert  Lindner  nel  Magaz.  f.  d.  Literat.  d.  /n-  und 
Ausi.,  28  febbr.  '85,  trovo  che  da  certi  Registri  di  Conti  della  camera  im- 
periale resulta  che  una  Compagnia  comica  italiana,  dove  erano  Francesco 
e  Isabella  (Andreini)  e  Flaminio  (Scala)  recitò  a  Linz  a  tempo  di  Massi- 
miliano li:  dovrebb' essere  dunque  nel  tempo  dal  1564  al  76:  ma  non  si 
è  sicuri  che  fossero  i  Gelosi. 

(3)  [Parfait],  Hist.  de  Vane.  Th.  ital.,  Pai'is,  Lambert,  1753,  p.  2. 


30  A.  D  ANCONA 

Monsieur,  jay  accordé  aux  commédiens  de  avoir  ce  quilz  avoient  a  Bloys, 
je  veux  qu'ainsi  soit  faict  et  qu'il  n'y  ait  pas  faulte,  car  j'ay  plaisir  à  les 
oyr,  que  je  n'ay  eu  oncques  plus  parfaict  (1). 

L'anno  appresso,  secondo  assevera  il  Magnin  (2),  i  Gelosi  erano 
a  Firenze,  e  sembra  che  là  la  Compagnia  si  riformasse  con  quegli 
attori  famosi,  che  vengono  ricordati  dall'Andreini,  cioè:  Lodo- 
vico (3)  {Grattano),  Simone  (4)  {Zanni)  e  Gabriello  (5)  {Fran- 
catrippa),  tutti  tre  da  Bologna:  il  Pasquati  {Pantalone),  Orazio 
padovano  {Vinnaniorato),  Adriano  Valerini  (altro  innarnorato), 
Girolamo  Salimbeni  {Zanohio  da  Piombino),  Prudenzia  veronese 
{seconda  donna).  Silvia  Roncagli  {Fy^anceschina),  Francesco  An- 
dreini  {Capitan  Spavento  da  valle  inferna)  e  sua  moglie  Isabella 
{prima  donna  innam,orata).  «  Di  quelle  Compagnie,  dice  l'An- 
«  dreini,  non  se  ne  trovano  più!  (6)».  Vuole  il  Magnin  (7)  che 
la  Compagnia  restasse  in  Firenze  anche  nel  '79  (8):  ma  certo 
è  che  intanto,  nel  maggio,  erano  sfrattati,  come  vedemmo,  da 
Mantova,  donde  sembra  andassero  a  Milano,  ivi  pure  l'anno 
appresso,  seccati  e  minacciati  di  sfratto  dal  giudice  Monforte  (9). 

Il  grosso  della  Compagnia  in  Mantova  alloggiava  al  Biscione: 
gli  altri,  forse  quelli  di   maggior  valore,  altrove:  e  perciò  ven- 


(1)  Baschet,  p.  76. 

(2)  Art.  cit.,  p.  851.  E  Ad.  Bartoli,  Op.  ciL,  p.  cxxxi. 

(3)  Fr.  Bartoli,  II,  295. 

(4)  Fr.  Bartoli,  II,  240.  Il  Rossi  nella  prefazione  alla  Fiammella  loda 
«  M.  Simone,  zanne  dei  signori  Gelosi,  e  m.  Battista  da  Rimino,  zanne  dei 
«  signori  Confidenti  »  perchè  «  osservano  il  vero  dicoro  de  la  Bergamasca 
«  lingua  ». 

(5)  Fr.  Bartoli,  I,  248. 

(6)  Bravure  del  Capit.  Spavento,  Venezia,  Barboni,  1669,  rag.  XIV,  p.  53. 

(7)  Art.  cit.,  p.  851. 

(8)  Ad.  Bartoli,  p.  cxxxiv,  dice:  «  lo  sappiamo  con  sicurezza  della  nascita 
«  di  G.  B.  Andreini  ».  La  notizia  della  nascita  di  G.  Battista  in  Firenze  nel 
'79  è  data  nella  biografia  di  lui  di  Fr.  Bartoli,  I,  13.  Ma  può  darsi,  se  la 
notizia  è  esatta,  eh' ei  nascesse  prima  del  Maggio:  notevole  è  ad  ogni  modo, 
che  nel  documento  mantovano,  gli  Andreini  non  sieno  ricordati. 

(9)  Pagani  ,  Op.  cit. ,  p.  23.  Altro  documento  dei  Gelosi  recato  a  p.  22 
sembrerebbe  spettare  al  1579. 


IL  TEATRO  MANTOVANO  NEL  SEC.  XVI  31 

gono  rammentati  separatamente  dagli  altri.  Degli  attori  magni- 
ficati dall'Andreini,  qui  troviamo  solo  tre:  Simone  da  Bologna, 
il  sig.  Orazio  ed  il  sig.  Adriano.  Chi  fosse  il  primo  e  qual  parte 
facesse,  ci  è  già  noto:  Orazio  era  di  nome  Nobili,  padovano  di 
patria,  e  faceva  la  parte  d'innamorato  (1):  il  sig.  Adriano  era 
il  Valerini  da  Verona,  dottore  e  letterato,  autore  della  tragedia 
Afrodite,  non  che  di  rime  e  prose,  e  che  già  abbiam  ricordato 
come  amante  di  Lidia  da  Bagnacavallo  e  poi  dell'Armani:  an- 
ch' egli  amoroso,  col  nome  di  Aurelio  (2).  Par  che  più  tardi 
mettesse  compagnia  da  per  sé  (3),  e  nell'  '83  recitava  certa- 
mente a  Milano  (4);  ma  S.  Carlo,  tenendo  che  le  commedie  fos- 


(1)  Fr.  Bartoli,  II,  63,  ne  dà  poche  notizie,  rimandando  alle  lodi  che 
fanno  di  lui  il  Bruni  nelle  Fatiche  comiche  e  1'  Andreini  nel  Capitan 
Spavento. 

(2)  Nella  prima  metà  del  sec.  XVII  vi  fu  un  altro  comico  —  certamente 
non  potè  essere  il  Valerini  —  che  portò  il  nome  di  Aurelio:  ed  è  ricordato 
dal  Baschet,  pp.  276,  298,  all'anno  1620.  Di  lui  il  cav.  Bertolotti  ci  comu- 
nica questa  lettera  del  7  Luglio  1621  al  Duca ,  tratta  dagli  Archivj  di 
Mantova  : 

«  Per  tener  ravvivata  in  V.  A.  la  memoria  della  mia  riverente  servitù, 
«  vengo  col  testimonio  di  questa  a  farle  humile  reverenza  et  a  supplicarla 
«  che  altrettanto  le  piaccia  di  conservarmi  in  sua  gratia  quanto  è  degnato 
«  di  darmi  luogo  in  essa,  mentre  io,  per  fine  di  questa ,  inchinandola  di 
«  nuovo,  prego  a  V.  A.  da  N.  S.  D.  proportionata  grandezza  al  suo  real 
«  merito  et  al  mio  particolar  desiderio.  Di  Napoli.  Devotiss.  et  humiliss. 
«  servitore 

«  Aurelio  fedele  comico  » 

Un  terzo  Aurelio  fu  Bartolomeo  Ranieri,  piemontese,  espulso  di  Francia 
per  cause  politiche,  nel  1689:  vedi  Parfait,  Op.  cit.,  p.  HO:  Campardon, 
Op.  cit.,  1,  p.  139,  235. 

(3)  Così  dice  Fr.  Bartoli,  li,  260.  Il  Magnin,  Ari.  cit.  p.  851,  assevera 
che  la  sua  Compagnia  fu  quella  degli  Uniti:  lo  stesso  dice  Ad.  Bartoli, 
p.  cxxxvii,  aggiungendo  che  ciò  dovette  avvenire  circa  il  1580. 

(4)  L'Andreini,  Bravure  ecc.,  p.  53,  dice,  senza  notar  Tanno,  che  a  Mi- 
lano i  Gelosi  recitavano  a  Porta  Tosa  nelle  case  degli  Incarnatini.  Una 
Compagnia  comica,  della  quale  non  si  fa  il  nome,  nel  1591  recitava  in  un 
camerone  o  granaio  vuoto  di  proprietà  del  Comune  nel  Broletto,  in  via  So- 
lata :  vedi  Pagani  ,  Teatr.  a  Mil.,  p.  19. 


32  A.  d'ancona 

sero  cosa  peccaminosa,  fece  si  che  gli  fosse  tolto  il  permesso  di 
recitare.  Dopo  molti  dibattimenti,  il  Santo  si  piegò  a  più  miU 
consigli,  purché  il  Valerini  si  sottomettesse  alle  norme  prescritte 
da  S.  Tommaso  circa  il  tempo,  il  luogo  e  le  persone,  «  il  tempo, 
«  che  non  sia  di  quaresima:  il  luogo,  che  non  sia  chiostro  sacro: 
«  e  le  persone,  che  non  sieno  religiose:  ed  impose  a'  comici  che 
«  mostrassero  gli  scenarj  delle  commedie  giorno  per  giorno  al 
«  suo  foro,  e  così  ne  furono  dal  detto  Santo  e  dal  suo  vicario 
«  molti  sottoscritti  :  ma  gli  affari  di  quell'uffizio  fecero  tralasciare 
«  l'ordine,  giurando  il  Valerini  che  non  sarebbero  stati  gli  altri 
«  soggetti  meno  onesti  dei  riveduti  (1)  ». 


(1)  Fr.Bartou,  II,  260.  11  Barbieri,  detto  Beltrame,  che  fu  primo  nella  sua 
Supplica,  p.  164,  a  raccontare  il  fatto,  aggiunge:  «  Il  Braga,  cosi  chiamato  il 
«  Pantalone  di  quella  Compagnia,  e  il  Pedrolino,  avevano  ancora,  e  non  è 
«  molto,  di  quei  suggetti,  o  siano  scenarj  di  commedie,  sottoscritti,  e  quelli 
«  segnati  da  S.  Carlo  tengono  custoditi:  e  nelle  Compagnie,  ove  ora  sono, 
«  vi  è  chi  ne  ha  due,  e  gli  tiene  a  casa  per  non  li  smarrire  ».  Il  Ricco - 
BONI,  Hist.  du  th.  ital.,  Paris,  1728,  p.  58,  scrive:  «Dans  ma  premiere  jeu- 
«  nesse  j'ai  connu  une  vieille  comedienne,  qui  s'appelloit  sur  le  théàtre 
«  Lavinia  (meglio  che  la  Diana  Ponti  o  la  Marina  Antonazzoni,  sarà 
«  questa,  come  resulterebbe  dal  Bartoli  I,  281,  l'Antonia  Isola),  la  quelle 
«  dans  l'heritage  de  son  pere  avoit  trouvé  nombre  de  ces  canevas  signés  par 
«  S.  Charles  Borromée ,  dont  elle  s' etoit  defaite  pour  en  fair  present  à 
«  des  s§avans,  qui  l'en  avoient  instamment  priée.  Agata  Calderoni  detta 
«  Flaminia,  grande  mere  de  ma  femme,  a  vù  et  examiné  ces  canevas,  et 
«  m'a  assuré  avoir  été  longtemps  indignò  contro  sa  bonne  amie  Lavinia 
«  pour  ne  pas  en  avoir  conserve  quelques-uns.  Malgré  toutes  ces  assurances, 
«  je  n'étois  pas  content,  j'aurois  souhaité  d'en  avoir  vù  moi-méme  ».  È  da 
vedere  in  questo  proposito  il  libro  anonimo,  ma  di  un  Castiglioni,  Senti- 
menti di  S.  C.  Borromeo  int.  agli  Spettacoli,  Bergamo,  Lancellotti,  1759, 
dove  a  p.  39  è  recato  l'ordine  del  Governatore  di  Milano  del  1569  che  «  non 
«  si  facci  comedia  alcuna,  che  non  sia  prima  revista  per  il  prevosto  di 
«  S.  Barnaba  »  :  che  era  allora  il  p.  Alessandro  Sauli ,  poi  beatificato. 
Segue  la  narrazione  minuta  di  tutte  le  «  sante  importunità  »  del  Bor- 
romeo, e  le  noie  date  ai  Comici  dall'autorità  politica,  istigata  dall'eccle- 
siastica, ma  spesso  ancora  in  conflitto  di  giurisdizione  con  questa,  sul 
proposito  delle  commedie,  finché  si  arriva  al  racconto  dei  casi  del  1583, 
pei  quali  il  Castiglioni  ricorre  al  Barbieri  «  la  cui  autorità  non  è  da  sprez- 
«  zare  » ,  e  secondo  il  quale  «  il  decreto  dell'  Arcivescovo  di  Milano  fu 
«  pubblicato  l'anno  1583,  registrato  da  Mons.  Fontana  ferrarese  a  e.  45  della 
«  sua  Instit.  ».  Il  Barbieri  stesso  aggiunge,  che  trent'anni  dopo  il  fatto  di 


IL  TEATRO  MANTOVANO  NEL  SEC.  XVI  33 

Costretti  ad  ignorare  il  vero  motivo  della  cacciata  dei  Gelosi  da 
Mantova,  non  possiamo  però  supporre  che  fosse  nemicizia  o  poca 
propensione  del  Duca  per  il  teatro.  Bisogna  che  que'  comici  ne 
avessero  fatta  qualcuna  delle  grosse  (1)  per  incorrere  nell'ira  di 
Guglielmo,  del  quale  tutti  gli  atti  provano  invece  l'amore  al  teatro 
ed  agli  attori.  Che  intanto,  anche  sfrattati  i  Gelosi,  non  fossero 
abolite  le  commedie,  è  attestato  da  un  ordine  ducale  del  17  feb- 
braio 1580,  col  quale 

...  si  permette ,  eccetto  ai  Religiosi,  ai  sudditi  nostri  di  mascherarsi  et  di 
godere  il  trattenimento  della  comedia,  che  si  fa  questa  sera  nelle  scene  di 
questo  castello,  e  perciò  concediamo  a  ciascuno  che  dalle  23  ore  fino  ad  una 
ora  dopo  finita  la  comedia,  possano  entrarvi  mascherati ,  avvegnaché  nella 
grida  delle  maschere  abbiamo  vietato  alle  maschere  l'entrata  delle  porte  che 
conducono  in  questa  nostra  Corte  e  Castello. 

E  sia  per  evitare  inconvenienti,  sia  per  dar  segno  di  benevo- 
lenza ad  un  cantore  ed  istrione  di  Corte,  che  già  conosciamo 
col  nomignolo  di  Zoppo,  ai  14  marzo  il  Duca  segnava  quest'atto: 


Milano,  anche  a  Palermo,  essendovi  allora  costà  Trappolino  «  quello  che 
«  pochi  mesi  sono  morì  nell'eremo  vicino  a  Venezia  dopo  molt'anni  di  pe- 
«  nitenza  »,  si  cominciò  a  sottoscrivere  gli  scenarj  dall'autorità  ecclesiastica. 
Ho  riassunto  il  curioso  libro  del  Castiqlioni  nelle  Orig.  del  T.,  II,  278-84, 
e  così  ha  fatto  anche  lo  Scherillo,  La  Commedia  dell'Arte  in  Italia, 
Torino,  Loescher,  1884,  pp.  135  sgg.  Vedi  anche  la  cit.  monografia  di  Gentile 
Pagani,  Del  Teatro  in  Milano  avanti  il  1598,  Milano,  Sonzogno,  1884, 
pp.  32  sgg. 

(1)  «  Per  cagione  dei  profani  Comici ,  che  pervertono  l' arte  antica ,  in- 
«  troducendo  nelle  comedie  disonestà  e  cose  scandalose...  giace  come  nel 
«  fango  sepolta  l' arte  comica,  e  da'  Signori  vengono  sbanditi  fuori  de'  stati 
«  loro,  dalle  leggi  avviliti,  da'  popoli  con  diverse  beffe  scornati,  e  da  tutto 
«  il  mondo,  quasi  per  pena  delle  loro  scorretioni,  meritamente  delusi.  Per 
«  l'historie  tu  trovi  le  Compagnie  divise:  la  Signora  è  in  Parma,  il  Magni- 
«  fico  è  a  Venezia,  la  Ruffiana  in  Padoa,  il  Zani  a  Bergamo,  il  Gratiano 
«  a  Bologna,  e  bisognano  patenti  e  licenze  da  ogni  banda,  se  vogliono  re- 
«  citare  e  guadagnarsi  il  vitto,  perchè  tutte  le  persone  sono  ammorbate  da 
«  questa  vii  canaglia,  che  mette  ogni  disordine  in  campo,  e  compie  di  mille 
«  scandali  intorno,  dovunque  vanno»:  Garzoni,  Op.  cit.,  p.  320. 

Giortmle.  storico,  VI,  fase.  16-17.  3 


34  A.  d'ancona 

Instrutti  dell'infonnatione  che  ha  il  giocondo  nostro  Filippo  Angelone  di 
tutti  li  comici  mercenari ,  zaratani  et  cant'  in  banchi ,  lo  eleggiamo  per 
superiore  ad  essi  in  tutti  li  nostri  stati,  si  che  alcuno  di  loro,  o  solo  o  ac- 
compagnato, non  habbia  ardire  di  recitare  comedie  o  cantare  in  banco,  ven- 
dendo ballotte  0  simili  bagattelle,  senza  sua  licenza  in  scritto,  né  d'  indi 
dipartirsi  senza  la  meds.""»  licenza,  sotto  pena  di  essere  tutti  spogliati  di 
ciò  che  haveranno,  così  comune  come  proprio,  da  esser  diviso  in  tre  parti  (1). 

E'  si  vede  che  nel  concetto  comune  non  si  osservava  quella 
dottrina  del  commediante  Beltrame,  che  cioè  «  dal  circolatore 
«  al  comico  vi  sono  molti  gradi  (2)  »,  e  che  in  certo  modo  i  signori 
virtuosi  e  i  cerretani  formavano  una  sola  famiglia.  Ma  il  Duca 
continuava  tuttavia  ad  esserne  mecenate  amplissimo,  e  quasi 
potrebbe  dirsi  che  si  fosse  fatto,  per  amor  del  teatro,  agente  mas- 
simo delle  Compagnie  comiche  per  l'Italia  e  per  l'estero.  Ecco, 
in  prova,  una  lettera  di  lui  del  30  maggio  '80,  dalla  quale  anche 
si  vede  che  le  recite  non  erano  state  in  Mantova  interrotte  col 
partire  dei  Gelosi,  e  che  è  diretta  al  potestà  di  Verona  per  rac- 
comandargli i  Confidenti,  sui  quali  parrebbe  essersi  allora  ac- 
colto il  favore  ducale: 

La  Compagnia  de'  comici  Confidenti ,  quale  di  presente  si  trova  in  questa 
città,  desidera  al  partir  suo  di  qui  venirsene  costì  a  recitare  le  loro  comedie 
per  trattenimento  publico  di  cotesta  città,  et  però  mi  hanno  ricercato  d'in- 
tercedere per  loro  con  V.  S.,  perchè  concedi  ad  essi  licenza  di  poterlo  fare. 

E  consimile  raccomandazione  è  fatta  il  27  aprile  al  cardinal 
d'Este  : 


(1)  Successore  all'Angeloni  in  quest'ufficio  fu  Tristano  Martinelli,  nel  '99, 
e  poi  anche  a  quel  che  pare,  nel  1613  preposto  ai  «  comici,  mercenarj,  ba- 
«  gatellieri,  saltatori  che  vanno  sulla  corda,  che  mostrano  mostri  et  edificj 
«  e  simili  cose,  et  zarlattani  che  mettano  banchi  per  le  piazze  per  vendere 
«  ogli ,  unguenti ,  pomate ,  lituarj ,  controveleni ,  bolle ,  moscardini ,  acque 
«  muschiate,  zibetto,  muschio,  instorie  ed  altre  cose  stampate,  ongia  della 
«  gran  bestia,  et  che  mettano  castelli  per  medicare,  et  simile  sorta  di  gente  ». 
Vedi  Portigli,  Brano  dell'  Epistolario  d'Arlecchino,  in  Strenna  Manto- 
vana pel  1871,  p.  101. 

(2)  Supplica,  p.  31. 


IL  TEATRO  MANTOVANO  NEL  SEC.  XVI  35 

La  Vittoria  con  la  Compagnia  de'  suoi  comici  desidera  di  poter  recitare 
le  loro  comedic  nella  città  di  Padova,  però  hanno  pregato  me  a  intercedere 
con  V.  S.  IH.™*,  perchè  la  favorisca  insieme  £0i  suoi  compagni ,  acciocché 
col  mezzo  dell'autorità  di  V.  S.  111.™*  possino  ottenere  quanto  desiderano. 

Forse  erano  gli  stessi  Confidenti,  che  non  erano  potuti  andare  a 
Verona  :  forse  trattasi  d'altra  Compagnia.  Nella  storia  delle  Com- 
pagnie comiche  del  tempo  regna  tanta  incertezza,  che  nulla  si  può 
affermare  in  proposito.  Il  Duca  stesso  si  divertiva  a  scomporle  e 
ricomporle,  come  si  vede  da  questa  lettera  di  Agostino  Trissino, 
diretta  probabilmente  al  segretario  ducale  Marcello  Donati,  e 
che  sta  fra  le  date  delle  due  precedenti,  essendo  del  22  giugno  : 

Dopo  la  partita  del  Ser.™»  Sig.'  Principe  andai  dalla  S.""*  Vittoria  per  darli 
il  buon  giorno,  et  la  trovai  di  tanta  mala  voglia ,  che  quasi  mi  fece  lacri- 
mare,  dicendomi  che  il  S.""  Principe  Ser.™°  ha  detto  ad  alcuni  della  sua 
Compagnia ,  con  pena  della  sua  disgratia ,  debano  andare  nella  Compagnia 
di  quella  donna  (forsi  non  troppo  sana ,  per  quanto  mi  vien  detto)  lamen- 
tandosi detta  Sig.""*,  dicendo  non  saper  la  causa,  perchè  il  Ser.°>o  Sig.""  Prin- 
cipe li  voglia  dare  questo  danno  di  smembrare  la  sua  Compagnia,  non  ha- 
vendo  mai  lasciato  di  servirlo,  né  di  giorno  né  di  notte  et  d'ogni  bora,  et 
poi  per  guiderdone  di  questo ,  habbia  a  meritarsi  tale  afronte  :  certo  che 
S.  A.  potria  revocare  questo  comandamento,  mi  è  parso  voler  scrivere  queste 
quattro  parole  a  V.  S.,  acciò  favorisca  la  S.»"*  et  me  insieme ,  di  supplicare 
l'A.  S.  che  non  voglia  fare  questo  torto  a  questa  Compagnia,  atteso  che  lori 
sono  stati  servitori,  et  sono  per  servire  ad  ogni  minimo  cenno,  come  Lei  ha 
visto  sin  bora. 

Ma  chi  era  quest'altra  donna,  che  il  Duca  cosi  visibilmente 
proteggeva  a  danno  della  Vittoria?  Sembra  che  fosse  quella  della 
Compagnia  di  Pedrolino,  ma  non  ne  sappiamo  altro:  come  ci 
è  ignoto  chi  fosse  l'attore  che  nel  1580  sosteneva  la  maschera 
di  Pedrolino  (1).   Come  si  vede  le  Compagnie   intanto  erano 


(1)  Togliamo  questa   notizia  su  Pedrolino  dal  Sano,  Op.  cit.,  I,  257,  la- 
sciandone a  lui  la  responsabilità  :  ed  anche  del  dare  al  Cocchi  i  Bernardi,  che 


36  A.  d'ancona 

cresciute  di  numero:  vi  erano  i  Gelosi,  i  Confìdenti,  a  cui 
probabilmente  apparteneva  la  signora  Vittoria,  gli  Uniti,  che 
potrebb'essere  una  cosa  stessa  con  la  Compagnia  di  Pedrolino  (1), 
i  Desiosi  (2)  ed  altre,  o  senza  nome  o  di  nome  ignoto,  come  quella 
formatasi  a  Genova  nel  '67  fra  Guglielmo  Rerillo  napoletano.  An- 
gelo Michele  da  Bologna  e  Marcantonio  veneto:  societaiem  in- 
simul  recitandi  co^nedias ,  dice  il  contratto ,  e ,  all'occorrenza , 


sono  del  D'Ambra,  e  dove  il  servo  è  Pietro  e  non  Pedrolino:  «.Pedrolino, 
«  Piero,  Pierrot  est  le  mème  personnage,  paraissant  sur  la  scène  italienne 
«  dès  1547  dans  une  comédie  de  Cristoforo  Castelletti  sous  la  dénomination 
«  de  Pierro  valet;  nous  le  retrouvons  remplissant  le  méme  emploi  dans  i 
«  Bernardi  de  G.  M.  Cecchi  en  1563,  et  dans  les  pièces  de  Luigi  Grotto, 
«  autre  autres  dans  la  Attiera,  1587:  il  joue  sous  le  nom  de  Pedrolin  les 
«  valets  naifs  avec  Bertolin  (Zecca).  Dans  la  troupe  des  Gelosi  de  1578  à 
«  1604  inclusivement,  les  ròies  de  valet  sont  joués  par  Pedrolino,  Burat- 
ti tino  et  Arlecchino...  Dans  les  cinquante  scenarios  de  FI.  Scala  il  est  pres- 
«  que  toujours  l'amoureux  préferé  de  la  soubrette  Franceschina  ».  Ag- 
giunge (p.  263)  che  Pedrolino  divenne  Pierrot  in  Francia  per  opera  del 
Molière  nel  Don  Juan  (1656),  e  che  la  parte  di  Pierrot  fu  creata  e  lunga- 
mente sostenuta  da  Giuseppe  Giaratoni  ferrarese  (p.  274). 

(1)  Neir  anno  1576  la  Compagnia  di  Petrolino  trovasi  in  Toscana  come 
si  ricava  dalla  seg.  lettera  del  Commissario  Capponi  al  Granduca  (Arch.  Med. 
filza  687,  e.  135):  «  La  Compagnia  di  Petrolino  per  una  supplicatione  dice 
«  a  V.  A.  S.  esser  stata  gran  parte  della  invernata  in  Firenze  et  di  poi  in 
«  Pisa,  et  doppo  certe  settimane  essersene  andata  a  Luccha,  et  quando  ha 
«  satisfatto  li  Lucchesi,  volendosene  ritornare  a  Pisa,  non  è  stata  da  me 
«  lasciata  entrare.  È  stato  vero  questo,  perchè  nelle  ragunate  et  habitationi 
«  rispetto  a  certi  amori  di  lor  donne,  sentii  tali  romori  che  ne  poteva  uscir 
«  Beandoli  notabili,  et  però  non  gli  ho  voluto  concedere  il  ritorno.  Oggi 
«  avendo  ottenuto  da  V.  A.  habitino  in  Pisa  senza  far  ragunate  o  comedie, 
«  non  ho  mancato  di  obedir  a'  suoi  comandi,  et  significarli  anchora  la  ca- 
«  gione  perchè  no  la  ho  voluto  lasciar  entrar,  et  a  V.  A.  S.  mi  raccomando 
«  et  prego  felicità.  Di  Pisa,  a  dì  28  di  Luglio  1576.  (Comunicazione  del 
cav.  Gaetano  Milanesi). 

(2)  Nel  1581  i  Desiosi  erano  a  Pisa ,  come  ne  fa  fede  il  Montaigne, 
Yoyage  ecc.,  Ili,  174,  che  ivi  li  trovò,  e  ricorda  che  ne  faceva  parte  un 
Fargnoccola,  che  par  nome  di  maschera.  Egli  si  piacque  della  loro  conver- 
sazione, e  giuoco  con  essi  alla  riffa,  e  da  buon  cavaliere,  mandò  a  regalare 
del  pesce  alle  «  donne  commedianti  ».  A  Pisa  vennero  anche  a  recitare,  ma 
non  si  sa  in  qual  anno,  i  Gelosi,  come  si  ricava  dalle  Bravure  dell'  An- 
DREINI,  p.   131. 


IL  TEATRO  MANTOVANO  NEL   SEC.  XVI  37 

sonandi,  cantaridi,  halandi  ecc.  (1).  Il  Duca  intanto  continuava 
nella  sua  idea  fissa  di  formare  una  nuova  Compagnia  di  ottimi 
attori,  e  a  ciò  si  riferisce  la  seguente  lettera  di  un  comico,  già 
noto  pel  proprio  valore,  ma  che,  da  buon  marito  di  prima  donna 
celebre,  univa  al  proprio  il  nome  della  moglie.  La  lettera,  scritta 
ai  17  settembre  da  Firenze,  è  di  Drusiano  Martinelli: 

Io  ho  inteso  come  l'A.  V.  voleva  che  io  entrassi  con  la  moglie  nella  Com- 
pagnia de  Pedrolino,  la  qual  cosa  havrei  molto  volentieri  fatto  per  amore 
di  V.  A.  et  averci  pagato  tal  occasione  tanto  sangue,  sol  per  obedire  il  mio 
Sig.""'  et  patrone,  ateso  che  non  ci  è  cosa  al  mondo  eh'  io  non  facesse  per 
quello.  Però  i  Pedrolini  si  sono  accomodati  con  la  S/»  Vitori,  et  io  averò 
una  bona  Compagnia,  perchè  or  meglio  comoderò  la  mia,  et  faremo  la  terza 
Compagnia.  Sì  che  se  S.  A.  S.  voi  aver  comedianti  in  Mantova  per  (questo 
carnevale,  non  ci  è  la  meglio  Compagnia  de  la  nostra,  ateso  che  i  Gelosi 
e  i  Confidenti  vano  a  Venetia:  però  se  S.  A.  S.  vele  che  venirne  per  il  car- 
nevale a  Mantova,  dia  la  risposta  o  sì  o  no  al  portatore  di  questa,  che  sarà 
mio  padre,  o  in  carta  o  a  bocca,  che  lui  me  la  farà  avere:  ma  meglio  sarà 
a  farla  scrivere,  volendo  che  veniamo;  perchè  i  compagni  verano  più  vo- 
lentieri: e  questo  le  scrivo  perchè  se  V.  A.  S.  non  me  dà  risposta  tra  un 
mese,  noi  andiamo  a  Napoli  per  il  carnevale.  Non  altro,  basciando  humil.'« 
i  genochi  di  V.  A.  S. 

Di  V,  A.  S.  Mum.  servo 

Drusiano  Martinelli,  marito  di  M.'  Angelica. 

Questo  Drusiano  Martinelli,  fratello  all'altro  di  nome  Tristano 


(1)  Belgrano  in  Arch.  Stor.,  S"^  serie,  XV,  422  (Anno  1872).  A  Milano 
nel  '78  chiedeva  di  recitare  la  Compagnia  degli  Intronati,  che  al  nome  si 
direbbero  senesi ,  ma  non  apparirebbero  tali  allo  stile  di  questa  supplica  : 
«  Li  fidelissimi  servi  di  S.  E.  i  virtuosi  comici  Intronati,  come  solito  di 
«  cadon  anno,  con  il  megio  però  di  sua  licenzia,  recitan  quivi  in  Milano 
«  le  sue  solite  Comedie,  bora  humilmente  se  ricoreno  da  quella,  supplican- 
«  dola  per  sua  solita  pietà  e  cortesia  sia  servita  conceder  le  già  solite  li- 
«  cenzie  alli  detti  virtuosi  Intronati,  di  puoter  recitar  le  lor  honeste  Co- 
«  medie  quivi  in  Milano,  tanto  e  con  il  modo  delli  prossimi  passati  anni, 
«  et  ciò  sperano  da  Sua  Eccellenzia,  offerendosi  pregar  il  S.  Idio  per  lei  »  : 
vedi  Pagani,  Teatr.  a  Mil.,  p.  21. 


38  A.  d'ancona 

e  celebre  Arlecchino,  non  era  un  attore  volgare,  se  già  nel  '77 
e  nel  '78  era  stato  in  Inghilterra  (1)  recitando  alla  presenza  della 
regina  Elisabetta.  Più  tardi,  nell'  '88,  andò  col  fratello  in  Spa- 
gna (2),  e  poi  di  nuovo,  nel  1600,  in  Francia,  a  capo  della  Com- 
pagnia degli  Accesi  (3).  Era  suddito  del  Duca,  come  figlio  di  un 
Francesco  «  cittadino  et  habitante  di  Mantova  ».  Chi  fosse  e 
quanto  valesse  nell'arte  la  moglie  madama  Angelica,  della  quale 
avremo  da  riparlare,  non  consta  (4). 

Si  appressavano  intanto  le  feste  pel  matrimonio  del  Principe 
Vincenzo  con  Margherita  Farnese,  ed  oltre  aver  ordinato  una 
commedia  agli  Ebrei  e  al  De  Sommi,  come  già  notammo  addietro, 
si  ricorreva  per  tal  circostanza  alla  signora  Vittoria,  e  ne  fa  fede 
la  seguente  lettera  di  Augusto  Trissino  del  25  decembre  1580: 

Messer  Filippo  Angeloni  scrive  di  ordine  di  S.  A.  alla  sig.'*  Vittoria  che 
voglia  venire  con  la  sua  Compagnia  questo  carnevale  a  Mantova,  con  l'oc- 
casione di  queste  Ser.™*  nozze. 

A  celebrare  adunque  questo  nodo,  che  poi  doveva  sciogliersi 
per  inabilità  della  sposa,  la  città  si  dispose  di  buon'ora  all'allegria. 
Si  recitò  in  Castello,  come  resulta  da  una  lettera  di  Aurelio  Zi- 
braraonti  del  27  gennaio:  ai  4  febbraio  il  vescovo  d'Osimo  fece 
rappresentare  in  casa  sua  una  pastorale  assai  bella,  come  attesta 
Don  Francesco  Borsato.  L'entrata  solenne  della  nuova  principessa 


(1)  Collier,   The  hist.  of.  engl.  dram,  poet.,  cit.  in  Bartoli,  p.  cxxix. 

(2)  Ad.  Bartoli,  p.  cxxx. 

(3)  Baschet,  p.  109.  Vedi  anche  una  lettera  di  Tristano  al  segretario 
Vinta,  in  Ad.  Bartoli,  p.  cxxxiv,  nota. 

(4)  Forse  era  quell'Angelica  Alberigi  —  così  almeno  par  doversi  leg- 
gere la  sottoscrizione  —  che  circa  questo  tempo,  e  precisamente  ai  15  gennajo 
dell'  '83,  scriveva  a  questo  modo  da  Bologna  al  Duca:  «  Essendo  desiderosa 
«  la  nostra  Compagnia  far  comedie  questo  carnevale  in  Mantova,  la  supli- 
«  camo  resti  servita  di  far  che  solo  la  nostra  possa  recitare  comedie,  poiché 
«  habbiamo  da  Filippo  musico  di  S.  A.  havute  lettere  che  dobbiamo  andare, 
«  e  perchè  se  ne  vuol  venire  un  altra  non  uguale  a  questa  in  far  comedie, 
«  però  suplico  S.  A.  mi  favorisca  che  non  vanghi  altro  che  la  nostra  ». 


IL  TEATRO  MANTOVANO  NEL  SEC.  XVI  39 

ebbe  luogo  il  30  aprile  1581,  e  non  fecero  difetto  sceniche  rap- 
presentazioni, senza  che  ci  sia  dato  saper  quali  precisamente  (1). 
Altrettanto  fu  fatto  1'  anno  appresso ,  quando  Anna  Caterina , 
figlia  di  Guglielmo,  andò  sposa  all'arciduca  Ferdinando  d'Austria, 
che  fu  nell'aprile.  E  ai  G  di  luglio  di  quest'anno  '82  abbiamo  la 
seguente  lettera  dei  Confidenti  (2)  al  Duca,  da  Bologna: 

Ad  un  sol  cenno  del  messo  di  V.  A.  S."""  ci  ritrovassimo  subito  pronti  ad 
ogni  sua  richiesta,  quantunque  sia  con  gran  danno  nostro,  ma  per  non  esser 
qui  tutta  la  Compagnia,  non  si  è  potuto  spedire  il  messo,  il  quale  hora  per 
altri  suoi  servitii  parte  di  Bologna,  con  promessa  di  partirci  subito  che  sia 
qui  tutta  la  Compagnia,  essendo  quelli  che  sono  fuori  di  qui  conformi  al 
nostro  volere,  come  crediamo  sarano  tutti,  pregandogli  felice  stato. 

Era  andato  a  scritturarli  il  noto  Filippo  Angeloni,  che  due  giorni 
appresso  confermava  la  lettera  del  capo  della  Compagnia,  assi- 
curando che  i  comici  per  partire  aspettavano  soltanto  da  Firenze 
«  la  signora  Diana  e  Gratiano  ».  Si  direbbe  che  la  signora  Diana 
Ponti  (3),  detta  Lavinia,  si  fosse  sciolta  dai  Desiosi  (4),  entrando 
fra'  Confidenti,  al  modo  stesso  come  poi  fu  dei  Fedeli  (5).  Di  lei 
non  molto  sappiamo,  salvo  che  fu  anche  poetessa,  ed  esistono  sue 
rime  a  stampa  (6),  e  che  nel  1601  era  in  Francia  (7).  Del  resto,  la 


(1)  11  Canal,  Op.  cit.,  p.  68,  ricorda  la  musica  fatta  da  Paolo  Cantino  per 
gli  intermezzi  a  una  Commedia  recitata  alla  Corte  di  Mantova  nell'  '81, 
probabilmente  in  questa  ricorrenza. 

(2)  Anche  V  anno  innanzi  i  Confidenti  erano  a  Bologna  raccomandati  dal 
duca  stesso  al  cardinal  Cesi,  come  risulta  da  lettera  di  questo  porporato  al 
Gonzaga  in  data  del  27  maggio:  «  Sì  come  io  scrissi  a  Monsignor  d'Osmo, 
«  che  mi  contentavo  per  rispetto  di  V.  A.,  non  son  mancato  di  far  serbare 
«  il  luoco  qua  alli  comici  Confidenti,  et  non  mancherò  di  farglielo  serbare 
«  ancora,  non  solo  per  il  tempo  che  mi  scrive  per  la  sua  delli  25  di  questo, 
«  ma  per  quanto  sarà  comandato  da  V.  A.  ». 

(3)  Da  non  confondersi  con  altra  celebre  Diana,  ma  del  sec.  XVIII,  su 
cui  vedi  Fr.  Bartou,  1,  194,  e  Goldoni,  Memorie,  ediz.  Lòhner,  1,  286. 

(4)  In  fronte  al  Postumio  pubblicato  nel  1601  a  Lione  dallo  Scala  leg- 
gesi  un  Sonetto  «  della  signora  Diana  Ponti  detta  Lavinia,  Comica  Desiosa  » . 

(5)  Ad.  Bartoli,  p.  cxxxix. 

(6)  Quadrio,  V,  244. 

(7)  Baschet,  p.  114,  120:  Sano,  II,  175. 


40  A.   D  ANCONA 

ritroveremo  fra  poco.  Il  Graziano  potrebbe  essere  Lodovico  da 
Bologna.  E  forse  questi  stessi  comici  Confidenti,  all'andata  o  al 
ritorno,  si  fermarono  alla  villa  estense  di  Belriguardo.  Vi  ha  al- 
meno un  avviso  da  Ferrara  al  Duca  del  13  agosto,  che  i  comici 
hanno  avuto  «  scudi  trenta  per  cinque  o  vero  sei  comedie  »  ivi 
recitate  a  richiesta  della  duchessa  di  Ferrara. 

Il  principe  Vincenzo  teneva  dal  padre  il  gusto  delle  com- 
medie e  la  protezione  dei  comici  (1) ,  e  insieme  la  voglia  di  ri- 
manipolare le  Compagnie.  Nel  1583  infatti,  si  era  messo  in  capo 
di  fondere  in  una  sola  buonissima,  tre  Compagnie  comiche  non 
in  tutto  buone,  mettendovi  a  capo  Francesco  Andreini  e  la  [moglie 
di  lui,  la  celebre  Isabella.  L'Andreini  pistoiese,  nato  circa  il  1548, 
fu  dapprima  soldato  :  militò  nelle  galee  toscane,  e  preso  dai  turchi, 
stette  ott'anni  schiavo.  Fuggì,  e  tornato  in  Italia  si  diede  alla 
professione  di  comico,  probabilmente  unendosi  ai  Gelosi,  dapprima 
facendo  le  parti  d'innamorato,  poi  creando  quella  di  soldato  su- 
perbo e  vantatore,  col  nome  di  Capitan  Spavento  della  vai  d'In- 
ferno. Si  provò  anche  con  lode  agli  altri  personaggi  del  Dottor 
siciliano,  del  negromante  Falsirone  e  perfino  del  pastore  Co- 
rinto. Capo  della  Compagnia  comica  che  andò  in  Francia  nel 
1600,  e  fu  acclamatissima  dal  Re  e  sua  famiglia  e  da  tutta  la 
Corte  (2),  restò  oltr'alpi  fino  alla  morte  della  moglie  :  dopo  questo 
triste  caso,  che  lo  privava  di  una  consorte  bella  e  fedele  e  di 
una  inarrivabile  compagna  nel  giuoco  scenico,  abbandonò  il  teatro 


(1)  Protesse  ogni  sorta  di  virtuosi,  e  per  un  maestro  di  ballo  è  la  se- 
guente al  duca  Ferdinando  di  Baviera,  in  data  25  ott.  1579,  comunicatami 
dal  cav.  Bertolotti  :  «  Evangelista  Papazzoni  mantovano  maestro  di  ballo 
«  della  maestà  cesarea,  mio  signore,  havendo  ottenuto  licenza  di  venirsene 
«  a  Mantova  per  accomodare  alcuni  suoi  affari  e  ritornarsene  fra  tre  mesi  al 
«  suo  servitio,  vien  ritardato  da  li  ministri  di  S.  M.  diferiscono  la  sua  spedi- 
«  tione  a  poter  effettuar  questo  suo  desiderio,  perciò  havrò  ricorso  all'  E.  V. 
«  perchè  lo  favorisca  di  farlo  spedire  conforme  alla  mente  di  S.  M.  Di  che 
«  io  ne  la  prego  molto,  come  faccio  anco  a  comandarmi  ogni  volta  che  se 
«  le  presenterà  occasione  di  valersi  di  me  et  delle  cose  mie,  col  qual  fine 
«  le  bacio  la  mano.  Il  Principe  di  Mantova  ». 

(2)  Basghet,  pp.  126  sgg. 


IL  TEATRO  MANTOVANO  NEL  SEC.  XVI  43 

e  si  ridusse  a  Venezia.  Pubblicò  nel  1607  le  Bravure  del  Ca- 
pitan ^pavento,  nell'  '11  le  due  Favole  boschereccie  V Ingannala 
Proserpina  e  V Alterezza  di  Narciso;  l'anno  dopo,  i  Ragiona- 
menti fantastici  posti  in  forma  di  dialoghi  rappresentativi,  nel 
'16  raccolse  le  Lettere  e  i  Frammenti  di  scritture  della  moglie, 
e  nel  '18  mise  fuori  la  seconda  parte  delle  Bravure.  Cosi  il  suo 
pensiero  era  quasi  costantemente  volto  al  teatro,  al  quale  avviava 
il  figlio  Giambattista.  Mori  in  Mantova  ai  20  agosto  del  1624  (1). 
Maggior  fama  consegui  la  moglie,  nata  in  Padova  nel  1652,  e 
sposatasi  a  lui  nel  '78.  Sotto  la  direzione  e  i  consigli  del  marito 
e  di  Flaminio  Scala,  capocomico  dei  Gelosi,  divenne  ben  presto 
una  delle  più  celebrate  attrici  italiane  del  suo  tempo.  Era  bella, 
era  colta  e  gentile:  la  morte,  in  giovane  età  e  nel  fior  delia 
gloria,  ne  fece  più  noto  il  nome.  Vivente,  fu  lodata  dal  Tasso  (2) 
e  dal  Gbiabrera  (3);  morta,  dal  Marini  (4):  i  maggiori  poeti  del 
tempo  (5).  Era  anche  lei  poetessa,  e  ci  restano  la  favola  bosche- 
reccia la  Mirtina  (6)  e  un  volume  di  Rime,  col  titolo  aggiunto 
al  suo  nome,  di  comica  gelosa  (1601).  Amava  l'arte  sua,  che  il- 
lustrò non  solo  colla  singoiar  valentia,  ma  coll'ingegno  e,  eh'  è 
meglio,  colla  virtù:  che  niuno  ebbe  mai  a  dir  nulla  sul  conto 
suo,  ed  anzi  per  lei  la  professione  di  attrice  fu  circondata  di  luce 
purissima.  Gara  ai  regnanti  d'Italia  e  di  Francia,  applaudita  dal 
pubblico  delle  due  nazioni,  serbò  modesto  il  contegno.  Nell'aprile 
del  1604,  partiva  col  marito  dalla  Francia,  colmata  di  onori  da 
Enrico  IV  e  da  Maria  de'  Medici.  «  Elle  a  donne  tout  contante- 
«  ment  d'elle  et  de  sa  troupe  au  Roy  mon  seigneur  et  à  moi: 
«  c'est  pourquoi  je  vous  la  recommaiide  avec  affection  »:  così 


(1)  Fr.  Bartoli,  I,  8. 

(2)  Sonetto:  Quando  v'ordiva  il  prezioso  velo.  ' 

(3)  Sonetto:  0  di  scena  dolcissima  sirena. 

(4)  Sonetto:  Piangete,  orbi  teatri  ecc. 

(5)  Poesie  francesi  in  lode  di  Isabella,  vedile  nella  Hist.  de  Vancien.  th. 
ital.  en  Fr.  dei  fratelli  Parfait,  t'aris,  Lambert,  1753,  pp.  4  sgg. 

(6)  Un  breve  cenno  sulla  Mirtilla,  vedilo  in  Napoli-Signorelli,  Op.  cit., 
Ili,  286. 


40 

^".  A.   D  ANCONA 

scriveva  la  regina  alla  duchessa  di  Mantova  (1).  Ma  a  Lione  la 
sorprendeva  il  male,  ed  ivi  moriva  l'il  giugno.  Ebbe  universale 
compianto  e  solenni  onori  funebri:  «  alla  sua  morte  fu  favorita 
«  dalla  Comunità  di  Lione  in  Francia  d'insegne  e  di  mazzieri,  e 
«  con  doppieri  dei  signori  mercanti  accompagnata  (2)  »  :  una  me- 
daglia (3)  scolpita  in  suo  onore  ce  ne  conserva  l'immagine  (4). 
Il  principe  Vincenzo  adunque  tentò,  per  la  formazione  della 
gran  Compagnia  comica  da  lui  vagheggiata,  i  due  coniugi  An- 
dreina E  il  primo  di  essi  così  gli  rispondeva  da  Ferrara  ai  13 
d'aprile  del  1583: 

Per  il  sìg.'  Antonio,  musico  di  V.  A.  S.,  ò  inteso  l'animo  suo  e  la  sua  buona 
intentione  intorno  alla  novella  Compagnia,  ch'Ella  brama  mettere  insieme. 
E  perchè  mi  trovo  obbligatissimo  alla  gentiliss.™*  gratia  di  V.  A.  S.  non 
posso  se  non  con  mio  grand.™'  dispiacere  ringratiarlo  del  cortesis."''»  animo 
suo  d'havermi  fatto  degno,  insieme  con  la  mia  consorte,  d'essere  annoverato 
fra  così  degna  Compagnia.  Poiché  trovandomi  obligato  et  legato  per  fede 
alla  Compagnia  de'  comici  Gelosi ,  et  in  particolare  al  dar.™"  S.""  Alvise 
Michiele ,  padrone  della   stantia  di  Venetia  (5),  sono  astretto  a  non  poter 


(1)  Baschet,  p.  145. 

(2)  Barbieri,  La  Supplica,  Bologna,  Monti,  1636,  p.  40. 

(3)  Riprodotta  dal  Moland,  Molière  et  la  comécl.  italienne,  Paris,  Didier, 
1867,  p.  100.  Il  Magnin  nell'ara,  cit.,  p.  848  nota  che  «  en  la  voyant  dans 
«  les  gracieux  autours  florentins,  on  croit  presque  avoir  sous  les  yeux  un 
«  portrait  de  mad."«  Rachel  dans  le  costume  de  Marie  Stuart  ». 

(4)  La  principal  fonte  della  biografia  d'Isabella  è  Fr.  Bartoli,  I,  31  segg. 
Aggiungansi  il  cap.  IV  dell'opera  del  Baschet,  e  Ad.  Bartoli,  pp.  cix  e 
sgg.  Avendo  riferito  gli  altri  giudizj  del  Garzoni  sulle  attrici  del  tempo 
suo,  riprodurremo  anche  quello,  egualmente  enfatico,  d'Isabella:  «La  gra- 
«  tiosa  Isabella,  decoro  delle  scene,  ornamento  de'  teatri,  spettacolo  superbo 
«  non  meno  di  virtù  che  di  bellezza,  ha  illustrato  ancora  lei  questa  profes- 
«  sione,  in  modo  che,  mentre  il  mondo  durerà,  mentre  staranno  i  secoli, 
«  mentre  avranno  vita  gli  ordini  e  i  tempi ,  ogni  voce,  ogni  lingua ,  ogni 
«  grido  risuonerà  il  celebre  nome  d'Isabella  »:    Op.  cit,  p.  320. 

(5)  Nella  cosi  detta  Corte  Michiela  presso  il  Campanile,  in  contrada  S.  Cas- 
siano:  vedi  [Arrigoni]  Notizie  ed  osservaz.  intorno  aWorig.  ed  al  progr. 
dei  teatri  in  Yen.,  Venezia,  Gondoliere,  1840,  p.  16.  E  il  mio  articolo  II 
Teatro  a  Venezia  sulla  fine  del  sec.  XVII,  in  Fanfulla  della  Domenica, 
lo  Marzo  '85. 


IL  TEATRO  MANTOVANO  NEL  SEC.  XVI  43 

accettare  il  partito  et  il  volere  di  V.  A.  S.,  poiché  per  mettere  insieme  questa 
Compagnia  bisogna  guastarne  tre:  la  qual  cosa  par  difficile,  se  bene  a  V.  A.  S. 
ogni  difficilissima  cosa  ò  facilissima  a  farsi:  inoltre,  che  ritrovandomi  in 
Ferrara  solo,  non  posso  senza  il  parere  degli  altri  compagni  manco  offerire 
la  Compagnia  de'  Gelosi  al  servitio  di  V.  A.  S.  Con  che  pregandola  a  tenermi 
con  la  mia  consorte  nel  numero  delli  suoi  minimi  servitori,  etc. 

Francesco  Andreini 
comico  geloso. 

Procurò  almeno  il  principe  di  avere  pei  Con/?cfen#/ un'attrice 
il  cui  nome  ci  giunge  nuovo,  e  così  le  scrisse  il  2  aprile: 

A  Ma  Ottilia  Eolico  comica. 
Car,™»  mia.  Li  comici  Confidenti,  dei  quali  bora  io  mi  servo,  desiderano 
di  haver  voi  in  compagnia  loro,  il  che  anche  a  me  piace,  per  intendere  la 
sufficienza  vostra;  perciò  mi  sarà  di  non  poca  soddisfatione  che,  posponendo 
ogni  cosa,  vi  transferiate  qui  a  servire  me  et  a  compiacere  loro,  che  vi  amano 
molto.  State  sana.  Per  farvi  piacere 

Il  PRiN.e  DI  Mantova. 

La  Giulia  era  a  Bologna,  e  per  ciò  il  principe  così  scriveva  lo 
stesso  giorno  al  sig.  Pirro  Malvezzi: 

Scrivo  costì  alla  Giulia  Eolico  comica ,  che  voglia  venire  a  Mantova  a 
recitare  nella  Compagnia  dei  comici  Confidenti ,  quali  bora  mi  servono: 
credo  che  debba  venire:  tuttavia  si  rendesse  difficile,  prego  V.  S.  ad  essere 
contenta  d'interporre  l'autorità  sua,  perchè  quanto  prima  si  ritrovi  qui,  ch'io 
ne  terrò  obligo  a  V.  S.  et  a  Lei. 

Ma  non  parrebbe  che  le  speranze  di  Vincenzo  venissero  coronate 
di  buon  esito.  Il  25  il  Malvezzi  replicava  a  questo  modo: 

Quanto  al  particolare  di  M."^  Giulia  Eolico ,  non  ho  mancato  di  far  con 
essa  quegli  ufficj  che  V.  A.  desidera,  si  come  intenderà  dal  suo  mandato: 
la  quale  si  è  finalmente  risoluta  a  quello  che  vedrà  per  ima  lettera  sua, 
scrittami  questa  mattina,  che  le  mando  inclusa:  se  comanderà  ch'io  mi  ado- 
peri in  questo  soggetto  più  oltre ,  degnerà  d' avvisarmene ,  che  tanto  farò 
quanto  sarà  il  mio  potere  e  il  suo  desiderio. 


44  A.  d'ancona 

Mancando  la  lettera  inclusa,  mancano  altri  particolari  ;  ma  forse 
questa  comica  è  la  Giulia  Brolo,  che  si  trova  sottoscritta  nella  se- 
guente lettera  collettiva  degli  Uniti  al  Principe,  in  data  3  aprile 
1584  da  Ferrara: 


Havendo  noi  Comici  Uniti,  umilissimi  servi  di  V.  A.  S.,  di  nuovo  tornata 
insieme  la  Compagnia  di  Pedrolino ,  come  già  era,  et  anco  migliorata  di 
personaggi  famosi  nell'  arte  comica,  et  desiderando  noi  venire  a  recitare  a 
Mantova  con  buona  gratia  di  V.  A.  S.,  humilmente  la  preghiamo  et  suppli- 
chiamo concederne  licenza  si  che  possiamo  venire,  che  subito  saremo  pron- 
tissimi. Noi  sariamo  venuti  confidandosi  nella  bontà  di  V.  A.  S.,  ma  perchè 
il  sig/  Filippo  Angeloni  musico  fa  ogni  opera  acciò  che  noi  non  ci  ven- 
ghiamo,  habbiamo  prima  voluto  farne  consapevole  V.  A.  S.,  affine  che  la  si 
degni  trattarne  con  l'A.  S.'"*  del  S.'  Duca  suo  padre,  et  far  sì  che  possiamo 
venire  liberamente  a  servirla. 


E  qui  seguono  le  sottoscrizioni  degli  Uniti,  cioè:  Pedrolino, 
Bertolino,  Magnifico,  Gratiano,  Lutio,  Capitan  Cardone,  Fla- 
minio, Batt"  da  Treviso  Franceschina,  la  signora  Giulia  Brolo, 
Isàbela,  Gio.  Donato,  GrUlo.  Non  di  tutti  costoro  è  facile  dar 
ragguagli.  Bertolino  fu  sul  teatro  quel  Niccolò  Zecca,  del  quale 
il  Barbieri  {Beltrame)  cosi  dice:  «  Il  sig.  Niccolò  Zecca,  detto  in 
«  commedia  Bertolino,  giovane  di  gran  coraggio  e  di  qualche 
«  eccellenza  nel  giocar  d'armi  e  nel  danzare,  ha  ricevuto  honore 
«  di  servir  molte  volte  nella  caccia  l'A.  R.  del  Serenissimo  Duca 
«  di  Savoia,  et  è  stato  honorato,  oltre  a  molti  regali,  d'un  sin- 
«  golar  appatente  di  poter  levare  cavalli  dalla  ducal  scuderia  a 
«  suo  beneplacito,  et  ire  a  caccia  in  ogni  luogo  riserbato  a 
«  S.  A.  R.,  con  previlegio  che  per  qualsivoglia  bando  che  potesse 
«  sospender  la  permissione  a  privilegiati  da  S.  A.  R.,  non  mai 
«  s' intenda  esclusa  la  gratia  fatta  a  Bertolino)  (1)  ».  E  il  Qua- 


(1)  Supplica  ecc.,  p.  40.  11  Sand,  I,  248,  confonde  malamente  Bertolino 
col  Bertoldino  di  G.  C.  Croce. 


IL  TEATRO  MANTOVANO  NEL  SEC.  XVI  45 

drio  (1)  aggiunge  che  ugual  privilegio  «  gli  fece  pure  il  duca 
«  di  Mantova  per  li  proprii  suoi  stati  »:  le  quali  cose  tutte  mentre 
nulla  veramente  provano  sul  suo  valor  comico,  neanche  bastano  a 
provare  che  questo  Bertolino  dell'  '84  sia  quello  Zecca,  del  quale 
l'Archivio  mantovano  serba  lettere  del  1646  ed  oltre  sino  al  '59, 
e  che  il  Barbieri  qualifica  per  «  giovane  ».  Lo  Zecca  fu  dunque 
un  secondo  Bertolino,  non  quello  degli  Uniti  dell'  '84  (2).  Il  Lutio 
potrebb' essere  quel  Lucio  Fedele,  cioè  della  Compagnia  Ae'  Fe- 
deli, che  il  Capaccio  nel  suo  Segretario  e  il  Ghilini  nel  Teatro  (3) 
celebrano  come  eccellentissimo  comico  (4).  Di  Battista  da  Tre- 
viso {Franceschina),  attore  che,  evidentemente  faceva  parti  di 
donna,  vedremo  più  oltre  una  lettera.  Flaminio  potrebb'  essere 
Giovan  Paolo  Fabri:  salvochè,  se  è  vero  quel  che  scrive  Fran- 
cesco Bartoli  ch'ei  nascesse  a  Cividal  del  Friuli  precisamente 
nel  1567,  nel  tempo  a  cui  si  riferisce  la  lettera  degli  Uniti  sa- 
rebbe stato  giovanissimo  (5).  E  Gio.  Donato  potrebb'essere  Giov. 
Donato  Lombardi  da  Bitonto,  attore  e  insieme  autore  del  Nuovo 
Prato  di  Prologhi  (Venezia,  1618)  e  della  commedia  il  Fortu- 
nato amante  (Messina,  1589)  (6). 

L'istanza  degli  Uniti  era  confortata  da  una  commendatizia  della 
sorella  stessa  del  Principe,  la  Duchessa  di  Ferrara,  Margherita 
Gonzaga,  che  il  giorno  dopo  scriveva  cosi  al  fratello: 

Questi  Comici  mi  pregano ,  come  potrà  vedere  l'A.  V.  da  rinchiuso  me- 
moriale che  mi  hanno  dato,  di  raccomandargli  a  lei,  per  impetrar  col  mezo 


(1)  Op.  cit,  V,  239. 

(2)  Nel  1672  Bertolino  era  Ambrogio  Broglia:  vedi  Quadrio,  V,  244. 

(3)  «  Lucio  fedele  Comico  di  gran  nome  e  de'  più  celebri ,  eh'  habbiano 
«  per  l'addietro  nobilitate  le  Scene  con  applauso  e  soddisfazione  degli  udi- 
«  tori  »:  Ghilini,  Teatro  d'huomini  letterati  ecc.,  Venetia,  Guerigli,  1647,  p.  132. 

(4)  Il  Quadrio,  Op.  cit.,  V,  237,  lo  fa  fiorire  verso  il  1560:  forse  troppo 
presto. 

(5)  Sul  Fabri  e  sulle  sue  opere  a  stampa  vedi  Fr.  Bartoli,  I,  202,  e 
Ad.  Bartoli,  p.  cxxi. 

(6)  Fr.  Bartoli,  I,  301  :  Ad.  Bartoli,  p.  cxxii. 


46  A.  d'ancona 

suo  dal  S.™°  S/  nostro  Padre,  licenza  di  venire  costà  a  rappresentare  le  loro 
comedie,  et  se  ben  voglio  credere  eh'  Ella  da  sé  si  sarebbe  indotta  a  favo- 
rirgli, non  dimeno  per  satisfargli  ho  io  voluto  aggiongere  questa  mia  rac- 
comand.ne  et  assicurarla  che  il  favore  che  farà  loro  accettarò  per  molto  grato 
piacere  da  V.  A.,  a  cui  bacio  la  mano.  N.  S.  Dio  la  conservi. 

Non  sappiamo  se  nell'aprile  la  Compagnia  andasse  effettiva- 
mente a  Mantova,  dove  forse  il  Principe  la  desiderava  per  le 
sue  seconde  nozze  :  certo  è  che  nel  giugno  era  a  Reggio,  donde 
ai  27  stava  in  sulle  mosse  per  venire  a  servire  Vincenzo: 

Essendo  noi  prontissimi  per  servire  S.  A.  S.  veniamo  con  questa  nostra  a 
salutarlo  et  farle  riverenza,  avisandola  come  non  mancheremo  di  trovarci 
tutti  uniti  in  Mantova  per  il  cinque  o  il  sei  di  luglio  prossimo  a  venire. 
Pregandola  favorirci  con  il  suo  potere,  di  sicurissimo  viaggio,  poiché  inten- 
diamo la  strada  esser  mal  sicura  da  Reggio  a  Mantova.  Con  che  facendo 
fine ,  umilmente  baciamo  le  degnissime  mani  di  V.  A.  S.  pregando  N.  S.  la 
feliciti. 

/  Comici  Uniti  (1). 

Neil'  '85  gli  Uniti  tornavano  ancora  in  Mantova,  come  attesta 
questa  patente  in  data  4  maggio  del  collaterale  Carlo  Luzzara: 

In  virtù  della  presente  concediamo  alli  Comici  Uniti  di  potere  recitare  in 
questa  città ,  cominciando  dal  giorno  d'  hoggi  per  tutto  quel  tempo  che  vi 
staranno  :  et  in  fede  gli  habbiamo  conceduto  la  presente  licenza  sottoscritta 
di  mano  del  notaio  nostro  et  sigillata  del  nostro  maggior  sigillo. 

Ma  questo  foglio,  munito  di  sigillo  ed  autenticato  dal  notaio 
Cristoforo  Acquanegra,  si  vede  che  in  fatto  contava  poco,  come 
poco  contava  il  serenissimo  Principe  appetto  al  serenissimo  Duca, 
che  amava  le  commedie  (2)  e  i  comici,  ma  anche  in  ciò  voleva 


(1)  Comunicazione  dell'archivista  cav.  Bertolotti. 

(2)  Nel  carnevale  di  cotest'  anno  '85  il  duca  erasi  recato  a  Vicenza  a  ve- 
dere il  Teatro  Olimpico:  vedi  Marzari,   Storia  di  Vicenza,  p.  208.  Vi  si 


IL  TEATRO  MANTOVANO  NEL  SEC.  XVI  47 

rispettata  la  sua  autorità.  Non  par  dubbio  infatti  che  agli  Uniti 
si  riferisca  la  seguente  del  segretario  ducale  Trissino,  di  sei  giorni 
appresso,  e  l'altra  dell'altro  segretario  Guidobono  del  13:  l'una 
da  Revere,  l'altra  dal  Gazo.  La  prima  dice  cosi: 

Il  sig.""  Duca  nostro  Ser."»*  ha  inteso  che  in  Mantova  ci  sono  (ìelli  come- 
dianti,  che  recitano  senza  licenza  né  saputa  dell'  A.  S.  Però  mi  ha  comesso 
che  scriva  a  V.  S.  dicendoli  che  non  sa  se  il  S/  Princ^  Ser.™°  li  habbia  fatto 
venire;  che  avendoli  fatti  venire ,  crederia  che  fossero  venuti  per  recitare 
all'A.  S.  per  passare  il  tempo,  ma  non  recitare  in  Mantova  senza  licenza  del 
Ser."'»  S/  Duca  mio  patrone.  Piaccia  adunque  a  V.  S.  di  darci  aviso  come 
sta  la  cosa,  acciò  ne  possi  dar  ragguaglio  a  S.  A.  S.™** 

E  l'altra: 

Ordina  il  S."*»  N.  S.''^  che  V.  S.  dia  licenza  a'  comedianti  che  recitano  costi, 
che  subito  si  partine  da  codesta  città,  senza  punto  fermarsi,  meritando  essi 
molto  maggior  castigo  di  questo ,  poiché  hanno  avuto  licenza  da  S.  A.  di 
stare  in  Mantova  et  recitarvi  comedie ,  non  essendo  ciò  vero.  Il  che  potrà 
V.  S.  rimprover£irli,  con  dirli  da  chi  hanno  imparato  di  farsi  falsamente  scudo 
della  persona  ,S.™*  di  S,  A. 

Probabilmente  in  tutto  ciò  vi  era  conflitto  di  prerogative  fra 
i  due  illustri  filodrammatici,  e  forse  l'Angeloni,  posto  da  banda, 
istigava  il  Duca.  Ad  ogni  modo,  Vincenzo  non  si  dava  per  vinto, 
e  ai  20  luglio  scriveva  al  Pomponazzi,  allora  in  Milano,  perchè 
procurasse  di  avere 

...  Lodovico  Gratiano,  affinchè  venga  a  Mantova  a  recitare  nella  Compagnia 
della  Diana;  che  vorrebbe  far  recitare  delle  commedie  per  suo  passatempo 
in  città. 

Ma  sette  giorni  dopo,  l'ambasciatore  rispondeva  che  Graziano 


recitava  allora  VEdipo  tiranno  di  Sofocle,  tradotto  da  Orsato  Giustiniani,  e 
la  parte  del  protagonista  fu  sostenuta  dal  famoso  Luigi  Groto  detto  il  cieco 
d'Adria:  vedi  Napoli-Signorelli,  Op.  cit.,  Ili,  115. 


48  A.  d'ancona 

(Lodovico  de'  Bianchi)  non  avrebbe  recitato  senza  Pantalone 

(Giulio  Pasquati): 

Ho  parlato  a  Lodovico  Gratiano ,  il  quale  prontissimamente  si  è  offerto 
di  venire  a  servire  V.  A.  ogni  volta  che  Ella  abbia  fatto  venire  per  l'istessa 
causa  Giulio  da  Padova,  raccordando  che  senza  lui  non  si  farà  cosa  buona. 

Neanche  questa  essendo  riuscita  al  Principe,  egli  se  n'andò  con 
comici  e  giuocatori  di  pallone  in  villa  a  Marmirolo,  come  ce  n'in- 
forma il  22  luglio  il  cancelliere  ducale  Anteo  Cizzola.  Nel  setr 
terabre  successivo  però,  potè  egli  avere  spettacolo  anche  in  città. 
Luigi  Olivo  castellano,  agli  11  di  detto  mese,  ci  fa  sapere  che 

11  Ser.'^o  S/  Principe  è  stato  hoggi  qui  alla  comedia. 
E  il  7  ottobre,  che 

Il  Ser."»o  S.'  Principe  ha  fatto  far  hoggi  comedia  qui  in  Castello ,  alla 
quale  è  stata  anco  la  Ser.""»  Sj»  Principessa  (1). 

Dell'  '86  non  abbiamo  ricordi,  salvo  questa  lettera  dei  Comici 
Gelosi  da  Bologna  in  data  del  primo  dell'anno,  colla  quale  chie- 
dono al  principe  la  licenza  patema  per  venire  a  recitare  a 
Mantova  : 

Havendo  la  Compagnia  aspettata  la  sua  licentia ,  come  per  l' ultima  sua 
lettera  ne  scrisse,  et  non  sendo  venuta,  né  meno  ad  un  altra  nostra  lettera 
dato  risposta,  si  è  risoluto  d'inviare  il  presente  messo  con  la  supp.c»  inclusa 
per  la  licentia  del  S.™°  suo  s.""  padre,  supp.i»  si  degni  mandarne  la  sua  li- 
centia spedita,  che  la  Comp.'»  attenderà  la  speditione,  et  subito  partirà. 

Nel  febbraio  forse  la  Corte  osservò  il  lutto  per  la  morte  del 
congiunto  Ferrante  Gonzaga,  principe  di  Castiglione  delle  Stiviere 
e  fratello  a  S.  Luigi:  ma  nel  maggio  ben  potevano  le  commedie 


(1)  In  quest'anno  il  Canal,  Op.  cit.,  p.  64,  registra  una  commedia  da  re- 
citarsi per  la  venuta  di  una  Arciduchessa,  della  quale  il  Wert  compose  gli 
intermezzi  in  musica. 


IL  TEATRO  MANTOVANO  NEL  SEC  XVI  49 

trovar  luogo  tra  le  feste  per  la  nascita  di  un  principino.  Vincenzo 
però  in  cotest'  anno  fece  qualche  cosa  di  meglio  che  attendere 
ai  pettegolezzi  delle  prime  donne  e  dei  graziani,  ottenendo  dal 
duca  Alfonso  d'Este  la  libertà  di  Torquato  Tasso,  dall'oscurità  del 
carcere  ferrarese  tratto  allora  agli  splendori  della  Corte  dei  Gon- 
zaga. E  il  poeta,  che  l'anno  dopo  doveva  scapparsene  da  Man- 
tova (1),  dedicava  al  suo  liberatore  la  tragedia  il  Torrismondo. 
In  stile  che  prelude  al  seicento,  abbiamo  dell'anno  seguente 
due  lettere  dell'Isabella  Andreini,  comica  gelosa,  ai  Signori  di 
Mantova.  La  prima,  in  data  di  Firenze  14  gennaio  1587,  è  di- 
retta al  Duca,  ed  altra  simile,  alla  Duchessa: 

Ser.^o  sig.re 

Se  nell'Etiopia  dove  sono  genti  barbare  si  trovano  alcuni  popoli  che  quan- 
tunque barbari  siano,  adorano  dui  dij,  l'uno  immortale  e  l'altro  mortale,  lo 
immortale  come  creatore  de  tutto  l'Universo  et  il  mortale  come  loro  beni- 
ficatore,  quanto  maggiorm.*^  qui  nella  bella  Italia  giardino  del  mondo,  dove 
è  lume  di  fede  e  splendor  di  costumi  politici  si  deve  adorare  l' alto  et  im- 
mortale Dio,  sommo  motore  dell'universo,  e  nel  bellis.'^o  seno  della  nobilis.™* 
città  di  Manto,  V.  A.  S~  come  Dio  mortale  vero  datore  di  tanti  e  sì  notabili 
beneficij  ì  Certo  sì  che  far  lo  deve  ogn'  uno  e  poi  che  questo  si  deve  a 
V.  A.  S.,  io  che  umilis."'*  e  devot.™»  serva  gli  sono,  non  resto  di  adorarlo 
come  mio  mortale  Dio;  poiché  da  lui  ho  ricevuto  il  singoiar  benefitio  et 
segnalatis.™"  favore  dell'  haver  accettato  Lavinia  mia  figliola  (2)  per  sua 
umilis."'*  serva ,  la  quale  con  la  occasione  del  sig.''^  Claudio  Francese  suo 
devot.°'°  vengo  di  nuovo  a  ricordargliela  servitrice ,  et  me  con  mio  marito 
devot.^i  di  V.  A.  S.,  alla  quale  pregandole  dal  supremo  dator  delle  gratie  ogni 
felice  successo,  insieme  con  la  Ser."*  Sig.'"^  Principessa  sua  consorte,  um.*« 
me  li  racc.^**  in  gratia  et  bacio  la  degnis.""^  cappa. 

Dalla  qual  lettera  si  ricava  un  fatto,  rinnovatosi  spesso  dappoi: 


(1)  Vedi  Torquato  Tasso  e  Antonio  Costantini  nelle  mie  Varietà  storiche 
e  letter.,  Milano,  Treves,  1883,  I,  75. 

(2)  Le  quattro  figlie  dell'Isabella,   a  quel  che  ne  assevera  Fr.  Bartoli, 
1,  33,  furono  tutte  monache  in  Mantova. 

Giorfuth  storico,  TI,  fase.  16-17.  4 


50  A.  d'ancona 

dell'onorare  cioè  che  i  principi  facevano  i  comici  col  tener  loro 
a  battesimo  i  figliuoli.  «  Molti  principi  e  principesse,  re  e  reine, 
«  imperatori  e  imperatrici,  dice  trionfalmente  Beltrame  (1),  hanno 
«  tenuto  a  battesimo  i  figliuoli  de'  comici  de'  nostri  tempi,  e  gli 
«  honorano  col  chiamarli  con  nome  di  compari  e  comare  in  voce 
«  e  in  iscritto...  Hor  chi  non  sa  che  tali  gratie  non  si  concedono 
«  a  persone  infami  ?  »  E  l'Ottonelli  confessa  di  aver  udito  «  in 
«  Firenze  da  Girolamo  Chiesa,  comico  modesto  e  tra'  comici  detto 
«  il  dottor  Violone  »,  che  a  lui  toccarono  uguali  venture.  «  Io, 
«  disse  il  Chiesa,  hebbi  in  Francia  il  mio  primo  figliuolo ,  e  fu 
«  tenuto  a  battesimo  dal  Duca  N.  (io  tacio  e  tacerò  i  nomi  uditi 
«  per  degni  rispetti)  e  dalla  Principessa  N.  Il  secondo  parto  fu 
«  d'una  figliuola,  tenuta  dal  Seren.  Principe  N.  cardinale.  Il  terzo 
«  fu  figliuolo,  tenuto  dal  Sereniss.  Principe  N.,  che  poi  fu  Duca.  Il 
«  quarto  parto  fu  d'una  figliuola,  tenuta  dalla  Sereniss.  Duchessa 
«  N.  (2)».  Non  a  tutti  certamente  concedevansi  tali  favori;  mai 
casi  citati,  e  altri  che  vedremo  in  seguito,  confermano  le  con- 
clusioni di  Beltrame,  e  mostrano  il  concetto  in  che  generalmente 
tenevansi  allora  quelli  che  professavano  l'arte  drammatica. 

L'altra  lettera  della  Isabella  è  alla  Principessa  di  Mantova, 
pur  da  Firenze,  in  data  del  5  aprile  '87. 

Ser."»«  Sig." 

Con  la  occasione  della  venuta  del  S."»"  S.'  Princ^  suo  degn.°»«  consorte 
qua  a  Fiorenza  et  con  la  comodità  del  S.  Claudio  Francese  suo  aff.™»  et 
divot.™o  Ser.'e,  non  ho  voluto  mancare  di  venire  con  questa  mia  a  farle  ri- 
verenza con  tutta  quella  umiltà  maggiore  che  per  me  sua  umil.™*  e  devot."*» 
servitrice  si  puote,  pregando  S.  A.  S.  degnasse  di  conservarmi  in  sua  bona 
gratia  insieme  con  Lavinia  mia  figliola  et  sua  hum.°""  servitrice ,  facendo 
anco  sapere  a  S.  A.  S.  come  dal  S.™»  Granduca  suo  deg.»"°  Padre  e  dalla 
S.™'  Gran  duchessa,  sono  stata  favorita,  oltre  a  molt' altri  favori,  d'un  segna- 
latis.»""  favore,  simile  a  quello  fattomi  da  S.  A.  S.,  d'accettare  la  sorella  mi- 
nore di  Lavinia  mia  figliola  per  sua  servitrice,  della  cui  gratia  e  di  quella 


(1)  Supplica,  p.  4L 

(2)  Della  Christ.  moderai,  ecc.,  p.  27. 


IL  TEATRO  MANTOVANO  NEL  SEC.  XVI  51 

che  mi  fece  S.  A.  S.  rendo  gratie  infinite  a  Iddio  et  alle  V.e  Al.ze  S.me,  alle 
qaali  prego  dal'  istesso  Dìo  tutte  ecc. 

Moriva  intanto,  ai  14  di  agosto,  il  duca  Guglielmo,  né  è  da 
stupire  se  pel  rimanente  dell'anno,  e  pel  principiare  del  succes- 
sivo, facciano  difetto  le  notizie  teatrali ,  e  se  probabilmente  la 
seguente  lettera  di  Battista  da  Treviso,  detto  la  Franceschina, 
rimase  senza  risposta  favorevole: 

Sicome  gli  infiniti  favori  et  gratie  che  mi  ha  sempre  fatto  V.  A.  Ser."»» 
mi  levano  la  speranza  di  poterle  far  servitii  che  da  quelle  me  disobleghe, 
così  la  grandezza  dell'animo  suo  pronto  sempre  a  compiacere  i  suoi  servitori 
me  dà  ardire  di  supplicarla  di  una  gratia;  il  che  tanto  più  volentieri  mi 
movo  a  fare ,  quanto  che  questo  mi  porgerà  occasione  di  poterla  di  novo 
servire.  La  supplico  adunque  con  ogni  humiltà  e  col  maggior  affetto  eh'  io 
posso,  che  per  sua  benignità  si  degni  concedermi  licenza  di  poter  venire  a 
Mantova  con  una  compagnia  di  Comici  a  recitar  comedie ,  assicurandola 
che  la  Compagnia  è  tale,  che  merita  esser  favorita  da  V.  A.  Ser.  di  questa 
gratia,  et  perchè  son  certo  che  secondo  la  sua  solita  benignità  è  per  conce- 
dermi questa  licenza,  non  gliene  farò  maggior  instantia ,  ma  supplicandola 
a  tenermi  per  quel  vero  servitore  che  sempre  le  sono  stato  e  le  sono,  le 
faccio  humiliss.te  reverentia,  et  prego  il  sig."^  Dio  che  prosperi  ogni  suo  de- 
siderio. Di  Vicenza  24  novembre  1587. 

Di  V.  A.  Ser.™*  humiliss.mo  servitor 
Battista  degli  Amorevoli  da  Treviso  detto  la  Frane. na 
Comico  Amorevole  (1). 

Ma  r88  non  finiva  senza  che  Vincenzo  non  volesse  godersi 
qualche  recita,  come  si  vede  dalla  seguente  del  17  giugno,  colla 
quale  raccomanda  al  Governatore  di  Milano  i  Gelosi,  che  fin  al- 
lora avevano  recitato  a  Mantova: 

Li  Gomedianti  Gelosi  se  ne  vengono  hora  a  cotesta  città  con  pensiero  di 
puotere  con  bona  gratia  dell'  Ecc.*  V.  trattenervisi  alcuni  giorni ,  et  perchè 
qui  dove  io  ho  loro  permesso  il  recitare,  si  sono  diportati  bene,  ond'io  resto 


(1)  Comunicazione  dell'archivista  cav.  Bertolotti. 


52  A.  d'ancona 

con  desiderio  di  giovar  loro,  ho  voluto  accompagnarli  con  questa  mia  all'  E.  V. 
pregandola  (quando  ciò  non  sia  per  esserle  in  disgusto)  a  volerli  lasciar 
recitare  per  quel  tempo  che  a  lei  parerà. 

Partiti  però  i  Gelosi,  il  duca  sentiva  bisogno  di  aver  altra  Gona- 
pagnia,  e  comandava  al  solito  Filippo  Angeloni  di  andar  tosto 

a  Bologna  a  prendere  i  Comici,  e  che  questi  conducano  su  le  carrette  le 
robbe  loro. 

E  quando  anche  questi  altri  furono  partiti,  agli  spassi  ducali 
provvide,  come  vedemmo  addietro,  la  Università  degli  Ebrei  man- 
tovani. 


{Continua) 

Alessandro  D'Ancona. 


STUDI  SU  FERRETO  DEI  FERRETI 


Il  suo  sepolcro. 

Sulla  tomba  del  Ferreto,  e  sulle  iscrizioni  che  alla  stessa  si 
riferiscono,  richiamò  testé  la  nostra  attenzione  Massimiliano 
Laue  (1),  autore  di  un  pregevolissimo  opuscolo  intorno  al  celebre 
poeta  e  storico  vicentino.  Il  Laue  trascrive  l'iscrizione  metrica, 
senza  accennare  neppure  alla  esistenza  di  alcuna  iscrizione  pro- 
saica, che,  di  regola,  si  accompagnava  alla  metrica  sui  monu- 
menti sepolcrali  medioevali.  Il  Laue  copia  il  suo  testo  da  quello 
edito  nel  1853  dal  co.  Giovanni  Girolamo  Orti  Manara  (2).  Nella 
edizione  dell'  Orti,  abbiamo  effettivamente  anche  una  iscrizione 
in  prosa,  corrente  sul  listello  del  sarcofago  ;  ma  senza  esitare 
può  dirsi  che  mal  corrisponde,  per  il  suo  contenuto,  alla  iscri- 
zione metrica.  Insieme  con  queste  due  iscrizioni,  l'Orti  ci  dà  una 
terza  iscrizione  in  prosa,  che  si  riferisce  all'ultimo  trasporto 
subito  dal  monumento  nel  1839.  Le  tre  iscrizioni  furono  comu- 


(1)  Ferreto  von  Vicenza ,  seine  Dichtungen  und  sein  Geschichtswerk, 
Halle,  1884,  p.  4. 

(2)  Cenni  storici  e  documenti  che  risguardano  Cangrande  I  della  Scala, 
Verona,  1853,  p.  146.  Il  Laue  cosi  legge  il  v.  5:  «  Est  decus  hic  patriae 
«  Ferr.  gloria  gentis  » ,  mentre  T  Orti  a  ragione  ha  :  «  Est  —  Ferr.  hic 
«  gloria  g.  ».  Così  leggesi  sulla  pietra. 


54  e.  «IPOLLA 

nicate  all'Orti  dal  vicentino  ab.  Antonio  Magrini,  persona  di 
molta  erudizione.  Il  compianto  Magrini  attendeva  all'illustra- 
zione della  chiesa  di  S.  Lorenzo,  dove  si  trova  anche  oggidì  il 
monumento  del  Ferreto.  Nella  biblioteca  Bertoliana  Comunale 
di  Vicenza  si  conservano  mss.  le  Memorie  del  Magrini  intomo 
alla  suddetta  chiesa;  in  parte  da  lui  già  corrette  e  preparate 
per  la  stampa,  in  parte  forse  ancora  bisognose  dell'ultima  lima. 

Chi  entra  nella  chiesa  di  S.  Lorenzo  in  Vicenza  resta  colpito 
dal  contrasto  fra  il  nuovo  e  l'antico.  L'ossatura  architettonica 
della  chiesa  risponde  alla  promessa  che  il  visitatore  ebbe  dalla 
facciata;  in  altre  parole  è  perfettamente  antica.  Ma  sopra  la 
parte  originale  si  è  qui  e  colà  distesa  quasi  una  nebbia;  l'into- 
naco bianco  diffuso  sulle  pareti  della  chiesa ,  sebbene  di  certo 
non  sia  riuscito  a  velare  completamente  ciò  che  vi  ha  di  originale 
e  di  bello,  tuttavia  produce  una  impressione  alquanto  sgradita. 

Il  sarcofago  del  Ferreto  raccoglie  in  se  stesso  più  vivace  che 
mai  il  contrasto  ora  indicato.  Bisogna  confessare  che  anche  questa 
volta  i  restauratori  danneggiarono  il  monumento  con  ottime  in- 
tenzioni ;  vale  a  dire  per  conservarlo,  e  per  onorare  cosi  la  me- 
moria dell'insigne  letterato.  Il  monumento  è  nell'interno  del  tempio, 
addossato  alla  parete  destra  di  chi  entra  dalla  porta  principale. 

La  tomba  poggia  sopra  un  alto  basamento  a  forma  di  dado, 
affatto  moderno,  che  data  cioè  dal  1839,  anno  in  cui  il  monu- 
mento fu  collocato  nel  sito  che  occupa  di  presente.  Sopra  tale 
basamento  leggesi  l'iscrizione,  riferita  anche  dall'Orti,  e  che  qui 
riproduco: 

MEMORUE 

FERRETI  •  RISTORICI  •  ET  •  POETAE 

SVI  •  TEMPORIS  •  CLARISSIMI 

VETVSTVM  •  FERRETIAE  •  GENTIS  •  SEPVLCHRVM 

IN  •  AVERSA  •  HVIVS  •  MVRI  •  FACIE  •  OLIM  •  POSITVM 

DEINDE  •  IN  •  TEMPLI  •  FRONTEM  •  TRANSLATVM 

ANNO  •   MDCXLII 

HIC  •  DEMVM  ■  ADIECTIS  •  BASI  •  ET  •  FASTIGIO 

CVRA  •  CIVIUM  •  RESTITVIT 

ANNO  •  M  •  D  •  CCC  •  XXXIX 


STUDI  SU  FERRETO  DEI  FERRATI  55 

L'arca  è  antica,  in  marmo  bianco;  pur  troppo  fu  alquanto 
scalpellata,  coli'  intenzione  di  levarne  le  scabrosità,  toglierne  le 
traccie  del  tempo,  e  farla  in  somma  più  bella.  La  buona  inten- 
zione fu  ancora  una  volta  dannosa.  La  cornice  si  compone  di 
un  listello,  di  una  gola,  e  di  un  tondino.  Ed  è  sul  listello  che 
corre  in  caratteri  gotici  antichi  la  iscrizione  seguente:  s[epul- 
chrum]  •  domini  •  Fer^reti  •  brexane  '  (et  s)uor{um). 

S-'^OmiPI-HG  r»  Re:\T«BR#^:?W^^^^Ì»: 

Le  ultime  parole  sono  molto  consunte,  e  sulla  pietra  furono  re- 
stituite 0  meglio  segnate  a  colore  (1).  Non  è  meraviglia  se  furono 
lette  talora  diversamente.  La  lezione  tuttavia  è  sicura.  Il  gotico 
è  piuttosto  del  tipo  del  sec.  XIII,  che  non  di  quello  del  sec.  XIV; 
pure  al  sec.  XIII  accenna  anche  l'arca,  sia  per  il  disegno,  che 
per  la  maniera  con  cui  è  lavorata.  E,  perciò,  a  parte  anche 
ogni  considerazione  storica,  tosto  si  giudica  che  la  tomba  è  da 
ritenersi  anteriore  al  nostro  Ferreto,  morto  nel  1337. 

Sulla  fronte  della  tomba,  nel  centro,  entro  uno  scudo,  vedesi 
l'arma  della  famiglia  Ferreto ,  consistente  in  una  specie  di  ala, 
spiegata,  con  13  penne.  Ai  lati  dell'arma  stanno  due  cerchi,  in 
ciascuno  dei  quali  è  inscritta  una  croce  greca.  Ogni  braccio  della 
croce,  foggiato  a  ventaglio,  terminasi  in  tre  bottoncini  o  globetti. 
Somiglianti  croci  veggonsi  pure  sulle  faccie  laterali  dell'arca  o 
sarcofago,  una  per  faccia.  Pur  troppo  nel  1839  non  si  badò  a 
nascondere  entro  al  muro  parietale  della  chiesa  metà  del  sar- 
cofago, cosi  che  delle  croci  laterali  non  restano  visibili  che  le 
due  metà  anteriori. 

Il  sarcofago  è  sormontato  da  un  coperchio  a  tipo  classico,  coi 
due  vacelli  od  antefisse  ai  cantoni  della  fronte.  Non  è  a  dire  se 


(1)  Il  facsimile  qui  dato,  lo  desunsi  sia  da  calchi  e  disegni  da  me  presi 
sul  sito,  sia  da  un  bel  disegno  a  mia  preghiera  eseguitone  dal  gentilissimo 
sig.  Vittorio  Barichella,  vicebibliotecario  della  Bertoliana;  s'abbia  l'egregia 
persona  i  miei  più  vivi  ringraziamenti. 


56  e.  CIPOLLA 

questa  appendice  stuoni  col  tipo  medioevale  dell'  arca ,  ma  pur 
bisogna  perdonarla  all'intenzione  di  chi  ve  l'ha  posta.  Lo  stile  lo 
dice,  fu  fatta  nel  1839,  quando  era  predominante  il  gusto  semi- 
classico, che  regnò  senza  contrasti  sino  a  non  molti  decenni  ad- 
dietro. L'Orti  (p.  146)  conferma  ciò,  sempre  sulla  fede  del  Magrini, 
il  quale  nei  suoi  citati  mss.  dice:  «  L'urna  di  mezzo,  a  cui  fti 
nel  1839  aggiunta  una  nuova  base  e  nuovo  coperchio...  ». 

Alquanto  sopra  al  coperchio  indicato,  sta  incastonata  nella 
parete  l'iscrizione  metrica,  composta  non  di  tre  distici  come  ri- 
sulta dall'Orti  e  dal  Lane ,  ma  di  quattro.  È  incisa  su  due  lapidi 
(in  pietra  molle,  e  molto  corrose),  la  prima  delle  quali  porta  i 
primi  distici ,  mentre  la  seconda  ci  reca  l'ultimo.  Le  due  lapidi, 
di  eguale  larghezza,  sono  bene  ravvicinate  l' una  all'altra ,  e  lo 
stucco  raccomodò  le  cose  per  modo  che  non  è  facile  scoprire  la 
commettitura  delle  due  pietre.  Ne  risulta  dunque  una  tavola 
unica ,  la  quale  sta  inquadrata  in  una  semplice  cornice  di  stile 
moderno. 

Tale  è  il  monumento.  Come  si  vede,  nel  1839  si  ebbe  cura  di 
alzarlo  quanto  più  si  poteva,  sia  col  basamento,  sia  col  coper- 
chio, sia  in  fine  col  collocare  lassù  in  alto  le  lapidi  colle  iscri- 
zioni metriche.  Nel  far  questo  si  aveva  certo  per  iscopo  di  a- 
dattare  il  monumento  al  contorno  entro  a  cui  lo  si  collocò. 
Difatti  il  monumento  sta  sotto  ad  un  grande  arco,  sostenuto  da 
colonnine  leggere  e  svelte,  che  si  alzano  sopra  piedistalli.  Lo 
stile  di  questo  contorno  è  quello  della  Rinascenza,  con  elementi 
gotici  :  è,  in  una  parola,  un  bell'arco  di  trionfo  tolto  da  qualche 
altare  del  sec.  XV. 

L'iscrizione  metrica  è  in  caratteri  romani,  ma  tra  la  scrittura 
dei  primi  distici,  e  quella  dell'ultimo  può  riscontrarsi  qualche  dif- 
ferenza degna  di  riguardo.  Sopratutto  va  osservato  che  i  punti  che 
dividono  le  parole,  nella  prima  parte  rispondono  al  mezzo  delle 
lettere  (anzi  talvolta  si  hanno  due  punti,  l'uno  sotto  l'altro),  se- 
condo lo  stile  antico ,  mentre  nella  seconda  stanno  al  basso,  se- 
condo l'uso  moderno.  Ciò  premesso,  ecco  la  doppia  epigrafe: 


STUDI   SU   FERRETO   DEI  FERRETI  57 

HIC  •   SITVS  •    EST  •    CLARA   •    KERRETVS  •   ORIGINE  •    VATES 
SCALTGEROS  •    DECVIT   •    QVEM  •    CECINISSE  •   DVCES 

S.CRIPSIT  •   ET  •    ANNALES    •    GENVENSE    •    ET    •    IN  •   ORDINE    •   BELLVM 
ET  •    NOVA  •   DE  •   PRISCIS   •   CARMINA  •    TEMPORIBVS 
EST  •    DECVS  •    HIC  •   PATRIìE  •   FERRETI  •    HIC  •    GLORIA  •    GENTIS 
HIC  •    LOCAT  •    iETERNVS  •    NOMEN  •   ET  •    OSSA  •    LAPIS 
O  .  PIETATIS  .  OPVS  .  CRIBRO  .  OLIM  .  TRANSTULIT  .  TNDAM 
NVNC  .  VATEM  .  GENIVM  .  MARMORA  .  CVM  .  CINERE 
M   DC   XLII 


La  data  1642  si  riferisce  all'ultimo  distico,  e  significa  una  trasla- 
zione del  sarcofago  ;  ne  parleremo  fra  breve.  Ritornando  ai  primi 
distici,  essi  e  per  lo  stile  e  per  la  lingua  si  manifestano  assai  più 
antichi  dell'ultimo,  il  quale  non  è  di  facile  interpretazione,  come 
sembra  aver  ritenuto  anche  Scipione  Maffei,  il  quale  per  primo 
forse  lo  pubblicò  (1).  Siccome  il  Maffei  stesso  notò,  e  come  ripetè 
poscia  il  Magrini  (2),  vi  si  contiene  un'allusione  al  v.  151  del 
Trionfo  della  Castità  del  Petrarca.  Come  una  volta  la  Pietà  portò 
dal  fiume  al  tempio  acqua  col  cribro,  così  ora  trasportò  il  poeta, 
il  genio,  il  marmò  e  la  cenere. 

In  ambedue  le  iscrizioni  vediamo  adesso  le  lettere  colorite  in 
nero:  tale  coloritura  sarà  stata  data  loro  nel  1839,  quando  la 
lapide  fu  murata  li  dove  sta  al  presente ,  e  ciò  per  rendere  le 
lettere  in  qualche  modo  leggibili  dal  basso.  Rammentisi  quanto 
dicemmo  sulla  coloritura  delle  parole  dell'iscrizione  in  prosa. 

Nella  paleografia  dei  primi  distici,  mi  pare  di  scorgere  qual- 
cosa che  ricordi  un'epoca  diversa  da  quella  a  cui  il  carattere 
in  generale  ci  richiama.  Il  carattere  attuale  sembra  non  essere 
anteriore  al  sec.  XVI  avanzato.  I  dittonghi  ae  si  ottennero  col 
nesso  cp.' gli  et  non  sono  espressi  colla  sigla  7,  ma  col  segno  &. 
Tutto  questo  ci  parla  di  epoca  tarda.  Ma  per  l'opposto  ci  fa  pen- 


(1)  Ver.  illustr.,  ed.  in-fol.,  P.  II,  col.  66.  La  doppia  iscrizione  vide  poscia 
la  luce  in  Faccioli,  Musceum  Lapidarium  Vicentinum,  Vicenza,  1776,  p.  46. 

(2)  Nei  suoi  citati  mss.,  nella  Bibi.  Com.  Vicent. 


58  e.   CIPOLLA 

sare  ad  un'epoca  più  antica  l'ommissione  del  dittongo  in  patrne, 
al  V.  5.  E  più  ancora  mi  colpi  la  finale  di  ì)ellvm  (vs.  3),  dove 
la  V  è  fatta  al  tipo  antico,  e  la  m  è  ottenuta  col  segno  5.  Que- 
st'ultimo segno  è  eseguito  da  mano  avvezza  al  carattere  gotico, 
a  cui  esso  legittimamente  spetta  e  stuona  perciò  colla  <fc  sopra 
indicata.  Mi  venne  dunque  il  sospetto  che  l'attuale  iscrizione  sia 
una  ripetizione  d'iscrizione  più  antica,  senza  dittonghi,  a  carat- 
teri gotici,  e  incisa  forse  sulla  medesima  pietra,  sulla  quale  si 
sarebbe  ripetuta  l'attuale. 

Il  Pagliarino,  cronista  vicentino  del  sec.  XV,  tanto  nella  ver- 
sione italiana  che  abbiamo  a  stampa,  quanto  nel  testo  latino  della 
sua  cronaca  (conservato  in  più  codici  nella  Bibl.  Gom.  di  Vicenza) 
tace  della  tomba  del  Ferreto.  Egli  discorre  a  lungo  del  poeta,  e 
dà  l'elenco  delle  sue  opere  (1):  elenco  prezioso,  e  che  noi  c^- 
gidi  non  potremmo  in  alcun  modo  rifare.  Ma,  non  ostante  la 
stima  eh'  egli  mostra  di  professare  al  Ferreto,  del  sepolcro  tace 
affatto. 

La  prima  notizia  sul  sepolcro  del  Ferreto  poeta  mi  fu  comu- 
nicata cortesemente  da  Vittorio  Barichella,  vice  bibliotecario  di 
Vicenza,  il  quale  la  trovò  nel  testamento  (villa  di  Fuggian, 
9  maggio  1503,  atti  Antonio  Fuggian  notaio)  che  fece  rogare 
«  egregius  vir  Daniel  quondam  Jacobi  de  Ferreto  notarius  et 
«  civis  Vincentiae  ».  Questi  è  il  Ferreto  a  cui  si  riferisce  l'ora- 
zione epitalamica  edita  dal  Muratori  (2).  Nel  testamento,  Daniele 


(1)  Gfr.  anche  Calvi,  Scritt.  Vicent.,  I,  p.cLii  sgg.,  e  Orti,  Op.cit.,  p.  41. 

(2)  R.  I.  S.,  IX,  1189-90.  L'anonimo  autore  dell'orazione  afferma  esplici- 
tamente che  Daniele  di  Giacomo  Ferreto  discendeva  dal  Ferreto  poeta  e 
storico.  Il  testamento  di  Daniele  esiste  nell'Arch.  not.  di  Vicenza.  11  Bari- 
chella potè  trovarlo ,  da  un  dato  che  egli  lesse  sopra  una  scheda  del  com- 
pianto vicentino  Luigi  Gristofoletti.  Voglio  qui  ricordato  il  nome  dell'amico 
recentemente  perduto  (f  26  genn.  1885).  Valente  paleografo ,  molto  lavorò 
nelle  carte  dell'Arch.  Notarile  di  Verona,  cui  fu  per  lunghi  anni  addetto.  Il  Ba- 
richella, nei  cenni  necrologici  che  pubblicò  sul  Gristofoletti  (giornale  vicent. 
Il  Berico,  24  marzo  1885)  non  potè  rammentare  l'ultimo  lavoro  del  Gristo- 
foletti, cioè  l'ordinamento  delle  antiche  carte  d'amministrazione  del  GoUegio 
Notarile  di  Verona.  Combattè  nella  gloriosa  difesa  di  Vicenza,  1848-9. 


STUDI  SU  FERRETO  DEI  FERRETI  59 

ordina  d' esser  sepolto  «  in  monumento  siue  archa  lapidea  ubi 
«  requiescunt  ossa  dni  Ferreti  Brexani  et  dni  Ferreti  poetae 
«  sito  super  cimiterio  Ecclesiae  sancti  Laurentii  de  Vincentia 
«  ordinis  fratrum  minorum  pene  portam  Gapellae  gloriosissimae 
«  genitricis  semper  Virginis  Mariae...  ».  Poco  dopo,  Daniele  ripete 
la  stessa  cosa,  ingiungendo  al  figlio  Girolamo  di  tenere,  finché 
vivrà,  «  in  ordine  certam  lampadam  quae  est  desuper  archara 
«  sitam  super  cimiterio  conventus  ecclesiae  sancti  Laurentii  de 
«  Vincentia,  in  qua  requiescunt  ossa  domini  Ferreti  brexani  et 
«  domini  Ferreti  poetae  et  ante  imaginem  gloriosae  genitricis 
«  semper  virginis  Mariae,  ponendo  oleum  necessarium  in  dieta 
«  lampada  quod  ardere  debeat  ad  omnes  et  singulas  festivi- 
«  tates...  ». 

Quindi  ci  bisogna  discendere  per  quasi  novantanni  e  venire  al 
1590  in  circa,  cioè  al  viaggio  letterario  di  Lorenzo  Schrader  (1). 
L'erudito  tedesco,  parlando  di  Vicenza,  e  precisamente,  sotto  la 
rubrica  in  aede  D.  LavrenUi,  stampa  la  iscrizione  del  Ferreto, 
omettendo  naturalmente  l'ultimo  distico,  che  a  quel  tempo  non 
esisteva.  Nessuna  variante  può  notarsi  fra  il  testo  dello  Schrader 
e  il  nostro. 

Non  molto  dopo  Gius.  Scaligero  la  riprodusse  (2),  parlando  in- 
cidentalmente di  quegli  antichi  letterati,  la  cui  fama  venne  scom- 
parendo. Egli  omette ,  ben  s' intende ,  l'ultimo  distico,  composto 
trent'anni  dopo  l'edizione  del  suo  libro.  L'ultimo  verso  degli  altri 
distici  viene  dallo  Scaligero  letto  cosi: 

Hic  locat  seternum  nomen  et  ossa,  lapis. 

Lo  Scaligero  sostituisce  quindi  ceternum  ad  ceternus.  Dunque 


(1)  Monumentorum  Italice  quce  hoc  nostro  sceculo  et  a  christianis  posita 
sunt  lib.  lY  ed.  a  Laurentio  Schradero  Salberstadien.  Saccone,  Halmae- 
stadii,  M-D-XGII,  p.  325.  La  più  moderna  iscrizione  vicentina  riferita  dallo 
S.  è  del  1584. 

(2)  Confutano  fabulae  Burdonum  (in  Opuscola  varia,  Francofurti,  1612, 
II,  182-3). 


60  e.  CIPOLLA 

tale  sostituzione  sarà  una  sua  congettura,  dacché  lo  Schrader  lesse 
ceternus,  cosi  come  oggi  pure  vediamo  sulla  lapide.  Vaetemus 
è  più  classico;  peraltro  la  lezione  dello  Scaligero  non  è  senza 
attrattiva,  poiché  per  sé  non  ci  sarebbe  alcun  motivo  per  dare 
al  lapis  l'epiteto  di  ceternus,  mentre  si  capisce  benissimo, 
perché  si  possa  e  anzi  sia  conveniente  chiamare  ceternum  il 
nomen  del  Ferreto.  Chi  preferisse  quindi  la  congettura  dello 
Scaligero,  avrebbe  una  nuova  ragione  per  credere  che  l'iscri- 
zione metrica  originale  sia  stata  sostituita  da  una  riproduzione, 
lievemente  modificata. 

Silvestro  Castellini  fu  un  erudito  e  storico  vicentino  ,  ucciso 
dalla  peste  nel  1630.  Anch'egli  appartiene  adunque  a  un  tempo 
anteriore  al  1642.  Parlando  (1)  della  cappella  della  Concezione, 
che  stava  presso  alla  chiesa  di  S.  Lorenzo,  egli  scrive  cosi: 
«  Vicino  alla  porta  di  questa  chiesuola  si  vede  una  nobile  arca 
«  di  pietra  viva,  dentro  la  quale  si  conservano  le  ceneri  di  Ferreto 
«  Ferreti  Vicentino  historico  et  poeta  celebre  al  suo  tempo,  come 
«  le  opere  sue,  che  fin'  bora  si  conservano  manuscritte,  ci  fan' 
«  manifesto ,  onde  per  conservare  la  memoria  di  quest'  huomo 
«  da  suoi  posteri  sopra  la  detta  arca  ui  é  stato  posto  questo 
«  epigramma,  che  anche  dal  Scrader  é  stato  riposto  nelli  suoi 
'<  monumenti  d'Italia:  Hic  situs  —  et  ossa  lapis  ».  Il  Castellini 
legge  ceternus.  Riferito  l'epigramma,  segue  :  «  et  sopra  in  carat- 
«  tere  antico  S.  Dni  Ferreti  Broxa  et  hceredvm  svorum  ». 

Dal  Castellini  impariamo  più  cose.  Siccome  egli  riferisce  male, 
verso  la  fine ,  l' iscrizione  in  prosa ,  cosi  dobbiamo  credere  che 
anche  al  suo  tempo  essa  fosse  consunta  assai.  Di  quest'  ultima 
iscrizione  egli  dice  esser  incisa  in  carattere  antico.  Farmi  che 
con  tale  espressione  egli  voglia  significare:  in  carattere  gotico. 
Ne  segue  dunque  che  l'iscrizione  metrica  fosse  anche  allora  in 
carattere  romano.  La  quale  opinione  viene  confermata  dalla  frase 


(1)  Descrizione  della   città  di  Vicenza ,  ms.  autogr.  nella  Bibliot.  Gom. 
di  Vicenza. 


STUDI   SU   FERRETO  DEI   FERRETI  61 

che  adopera  il  Castellini  dicendola  collocata  dai  posteri  dei  Ferreto. 
Questa  frase  non  può  alludere  ai  posteri  immediati  del  poeta; 
poiché  in  tal  caso  si  ridurrebbe  a  una  insulsaggine.  Il  Castellini 
dunque  vide  l'iscrizione  metrica  ormai  rifatta,  e  ridotta  presso 
a  poco  allo  stato  odierno:  e  giudicò  l'iscrizione  come  recente. 
Tutto  questo  conferma  e  completa  quanto  abbiamo  asserito  ante- 
cedentemente, parlando  delle  copie  dovute  allo  Schrader  e  a 
Gius.  Scaligero. 

Intorno  alla  traslazione  del  monumento  avvenuta  nel  1642, 
possediamo  il  documento  relativo,  ch'io  vidi  in  copia,  in  un  grosso 
volume  spettante  già  alla  libreria  Gonzati,  in  Vicenza,  e  conte- 
nente pure  tra  l'altro  un  articolo  di  Gaetano  Ferreti,  scritto  nel 
1820  col  titolo  Memorie  genealogiche  della  famiglia  de' Ferreti  (1). 
Dall'atto  di  traslazione,  31  ottobre  1642,  tolgo  quanto  fa  al  no- 
stro scopo:  «  L'arca  di  preda  della  Famiglia  De  Nobili  de  Ferreto 
«  era  posta  sopra  il  cimiterio  di  Padri  Franciscani  di  S.  Lorenzo 
«  vicina  alla  chiesa  della  Santissima  Goncetione  nel  qual  sito 
«  per  tempo  immemorabile  s'attrovano  con  l'inscrittione,  che  sarà 
«  registrata  anco  nel  fine  del  presente  instroraento.  Questo  anno 
«  li  confratelli  della  Compagnia  della  Santissima  Goncettione  hanno 
<c  refabricata  la  loro  chiesa,  et  quella  allongata  assegno  dove  a 
«  quest'  hora  s'attrova  con  la  longhezza  della  quale  venivano  ad 
«  includere  nella  medesima  chieseta  l'arca  et  il  suo  sito.  Doveva 
«  questa  permanere  nella  forma,  et  antichità  nel  posto  ove  fu 
<<  dagli  antichi  signori  Ferretti  per  conservazione  delle  loro  ossa 
«  posta,  li  signori  Confratelli  per  render  la  Chiesa  più  cospicua, 
«  et  espedita  hanno  suplicato  li  Molto  Reverendi  Padri  di  poter 
«  trasportare  l'istessa  arca  con  la  forma,  et  lettere  ch'essa  ha- 
«  veva,  levandola  da  quel  luoco,  e  ponerla  nel  medesimo  Cimi- 
«  terio  appresso  la  facciata  della  chiesa  di  S.  Lorenzo  nell'angolo 


(1)  Tra  i  mss.  Gonzati,  ora  nella  Bibl.  Com.  di  Vicenza.  Qui  le  notizie 
sull'umanista  Ferreto  sono  desunte  dal  Calvi  (che  citerò  fra  breve^;  da 
questo  non  dipende  la  tavola  genealogica,  che  anzi  (come  vedremo)  si  ac- 
corda poco  colle  opinioni  del  Calvi. 


62  e.   CIPOLLA 

«  ultimo  vacuo  verso  la  strada  publica  luoco  destinato  a  quel- 
«  l'effetto  et  subrogato  in  luogo  del  primo.  Li  Molto  Reverendi 
«  Padri  supplicati  sono  condescesi  capitularmente  a  30  di  set- 
«  tembre,  et  hanno  prestato  il  consenso,  come  appare  dall'atto, 
«  che  sarà  qui  registrato;  perciò  dovendo  anco  concorrere  il 
«  consenso  de'  signori  Ferretti  Patroni  dell'arca  li  quali  in  quanto 
«  si  può,  desideravano  compiacere  essa  Confraternita,  perchè  la 
«  loro  Chiesa  in  honore  della  beata  Vergine  resti  più  cospicua, 
«  et  più  ampia  sono  contentati  di  venire  a  questa  compositione, 
«  cioè:  Che  l'arca  antedicta  con  l'ossa,  che  conserva,  a  tutte 
«  spese  di  qualunque  sorte  della  stessa  Confraternita  sia  levata 
«  da  luogo  antico,  e  posta  nel  moderno  a  pian  della  terra  nel 
«  luogo  già  detto  della  facciata  della  porta  della  Chiesa ,  dove 
«  debba  stare  per  l'avvenire  perpetuamente.  Che  restino  riposte 
«  non  solamente  le  lettere  antiche  scolpite  in  pietra,  che  vi  erano 
«  sopra ,  ma  restino  aggiunti  di  nuovo  quelli  due  ultimi  versi; 
^i  principia  il  primo:  0  pietatis  opus  con  quanto  segue,  e  sia 
«  postovi  il  coperto  di  lastra  in  forma  di  cuba  di  capitello  al- 
«  l'antica,  dove  in  quel  sito  per  conservatione  dell'ossa  sia  fatte 
«  l'escavationi  in  terreni  et  ogni  altra  spesa  assessoria  della  me- 
«  desima  confraternita,  senza  che  a  queste  concorrino  li  signori 
«  Ferreti,  li  quali  siano  conservati  nell'antichità  et  possesso  della 
«  loro  arca...  »  (1). 

Tale  documento  c'istruisce  pienamente  sopra  una  pagina  assai 
importante  nella  stoi:ia  dell'arca  del  Ferreto.  La  sua  posizione 
antica  che  lo  Schrader  ed  il  Castellini  designano  più  o  meno 
indeterminatamente,  qui  viene  indicata  con  precisione.  Era  col- 
locata esteriormente  alla  chiesetta  della  Concezione,  e  in  sua 
piena  vicinanza  :  donde  (1642)  fu  trasportata  presso  la  chiesa  di 
S.  Lorenzo,  addossandola  alla  sua  facciata.  Il   testamento  1503 


(1)  L' originale  di  questo  documento  ora  non  esiste  più  nell'  Archivio 
S.  Lorenzo,  carte  dei  Fratelli  della  Concezione.  (Archivi  presso  la  Bibl.  Gora, 
di  Vicenza).  Quivi  abbiamo  invece  {Libro  Parti,  no  16)  altri  atti  che  si 
riferiscono  alla  traslazione,  da  16  giugno  a  30  settembre  1642. 


STUDI  SU  FERRETO  DEI  FERRETI  63 

di  Daniele  Ferreti  ponendo  l' arca  nel  cimitero  di  S.  Lorenzo , 
presso  la  cappella  della  Vergine,  dimostra  che  il  sepolcro  fer- 
retiano  non  mutò  posto  nel  periodo  1503-1642.  Neil'  un  caso  e 
nell'altro,  la  tomba  era  sempre  nel  cimitero  di  S.  Lorenzo.  Questa 
antica  posizione  della  tomba  fu  indicata  nella  iscrizione  del  1839, 
colla  frase  :  in  aver  sa  huius  7nuri  facie ,  con  riferimento  alla 
sua  collocazione  odierna. 

Il  Maffei  si  esprime  in  modo  vago.  Egli  trovò  la  tomba  in 
S.  Lorenzo  di  Vicenza  (1).  Ma  il  Barbarano  (2)  afferma  che  al 
tempo  suo  la  tomba  si  trovava  addossata  alla  facciata  di  S.  Lo- 
renzo, vicino  alla  porta,  e  presso  alle  tombe  di  Marco  Marrano, 
di  Benvenuto  da  Porto  e  di  Lapo  degli  liberti.  Queste  tre  ultime 
tombe  si  trovano  ancora  al  loro  posto,  esattamente  indicato  dal 
Barbarano. 

Nell'atto  di  traslazione  abbiamo  con  precisione  descritta  anche 
la  forma  della  copertura  da  darsi  alla  tomba ,  in  occasione  del 
suo  trasporto.  Nel  citato  studio  mss.  di  Gaetano  Ferreti  (a.  1820) 
sta  inserta  una  tavola  a  penna  che  riproduce  la  tomba,  quale 
era  al  suo  tempo.  Essa  poggia  sul  terreno,  e  le  serve  di  coper- 
chio una  semplice  lastra  di  pietra,  secondo  lo  stile  medioevale. 
Lo  protegge  una  copertura  a  doppio  piovente,  sostenuta  da  un 
arco  a  sesto  acuto,  poggiante  sopra  due  capitelli,  non  si  sa  come 
sostenuti.  Forse  erano  modiglioni.  La  pietra  colla  iscrizione  me- 
trica, infitta  nella  parete,  è  collocata  cosi  che  la  sua  linea 
superiore  coincide  presso  a  poco  colla  linea  inferiore  dei  capi- 
telli. Il  complesso  architettonico  disgusta  l' occhio  assai  meno, 
che  non  facciano  gli  ornamenti  di  lusso  profusi  nel  1839.  Tutto 
combina  colle  indicazioni  che  trovammo  nell'atto  di  traslazione: 
dal  che  dobbiamo  conchiudere  che,  dal  1642  al  1839,  la  tomba 


(1)  Il  Maffei  ,  a  torto ,  rimprovera  a  Giuseppe  Scaligero  di  aver  omesso 
l'ultimo  distico  «  temendo  forse  di  non  esser  da  qualche  importuno  richiesto 
«  di  dichiararlo  ».  Quando  lo  Scaligero  scriveva,  quel  distico  non  esisteva 
ancora. 

(2)  Historia  ecclesiastica  di  Vicenza,  V,  106  (Vicenza,  1761). 


64  e.  CIPOLLA 

non  mutò  sito,  ne  subì  modificazioni.  Lo  stesso  può  ripetersi  per 
il  periodo  che  dal  1839  viene  ai  dì  presenti. 

A  migliore  dichiarazione  di  ciò,  trascrivo  dai  citati  mss.  del 
Magrini  :  «  L' urna  di  mezzo...  era  stata  posta  sulla  fine  del  se- 
«  colo  XVI  a  ridosso  dell'esterna  parete  della  chiesa  {di  S.  Lo- 
«  renzó)  vicino  alla  cappella  Madia  eretta  nel  1325,  nel  cui 
«  ingrandimento  del  1642  essendo  essa  compresa ,  venne  di 
«  comune  accordo  dei  Padri  (Francescani),  della  famiglia  Fer- 
«  reto  e  della  Fraglia  della  Concezione  trasportata  nel  sito,  ove 
«  di  presente  è  posta  l'urna  di  Perdono  Repeta  »  (1).  Qui  il  Ma- 
grini allega  l'atto  di  traslazione,  ch'egli  avea  veduto  in  copia 
nella  Libreria  Gonza  ti.  È  forse  la  copia  stessa,  che  citai  poco 
addietro.  Qui  dunque  Antonio  Magrini  ricorda  una  traslazione 
anteriore  alle  due  sopra  ricordate:  ed  essa  sarebbe  avvenuta  sul 
cadere  del  secolo  XVI.  Di  essa  non  trovai  altrove  memoria,  e 
sembra  difficile  a  concordarsi  col  tenore  dell'atto  di  traslazione, 
dove  è  detto  che  da  tempo  immemorabile  l'arca  trovavasi  presso 
la  chiesetta  della  Concezione.  Oltrecciò  si  noti  che  nel  testa- 
mento 1503  la  tomba  dicesi  situata  presso  alla  porta  della  cap- 
pella della  Vergine,  e  che  nel  1642  è  ricordata  la  cappella.  È 
quindi  ragionevole  credere  che  la  tomba  fosse  sempre  stata 
presso  alla  porta  di  detta  cappella. 

Concludendo,  dalle  cose  premesse  risulta: 

a)  L'iscrizione  metrica  (escluso  il  quarto  distico)  è  oggi  quale 
fu  veduta  circa  il  1590  da  Lorenzo  Schrader; 

&)  Tale  iscrizione  metrica  sembra  una  riproduzione  d' altra 
più  antica,  e  probabilmente  scritta  in  gotico,  e  senza  dittonghi 
(quindi  del  sec.  XIV?): 

e)  L'iscrizione  metrica  si  riferisce  al  Ferreto  storico  e  poeta, 
mentre  l'epigrafe  che  corre  sul  listello  parla  di  dominus  Fer- 
retus  Brexane. 


(1)  Similmente  in  Orti,  p.  146. 


STUDI  SU  FERRETO  DEI  FERRETI  65 

n  nostro  Ferreto  è  identico  col  Ferretus  Brexane  anzidetto? 
Il  testamento  di  Daniele  Ferreto,  come  si  è  visto,  distingue  netta- 
mente le  due  persone.  Ma  anche  senza  il  testamento,  prove  non 
mancano.  Il  Magrini  ha  già  negato,  e  con  ragione,  la  identità  dei 
due  Ferreti.  Il  Calvi  (1),  affermando  la  diversità  delle  due  famiglie, 
cita  un  documento  del  1266,  appartenente  alle  monache  di  San 
Pietro  in  Vicenza  ;  ivi  si  legge  :  «  Ego  Ferretus  Brexane  Notarius 
«  Camere  ».  Il  Magrini  lo  trova  ricordato  fino  al  1291,  in  un  do- 
cumento, ch'egli  allega  sulla  fede  di  alcuni  mss.  del  Barbarano. 
Il  Magrini  rammenta  ancora  che«il  medesimo  personaggio  viene  dal 
Castellini  ricordato  sotto  l'a.  1287.  Nella  genealogia  conservataci 
da  Gaetano  Ferreti ,  esso  figura  come  assunto  al  notariato  nel 
1243.  Il  Ferretus  Brexane  mori  probabilmente  prima  che  lo 
storico  Ferreto  nascesse.  Il  Pagliarino  cita  un  documento  del 
1300:  «  D.  Donatus  Judex  q.  Ferreti  Bressani  »;  e  quindi  ricorda 
un  doc.  del  1326,  in  cui  comparisce:  «Ottobonusq.  d.  Donati  de 
«  Ferreto  »,  ecc. 

Le  migliori  notizie  sulla  vita  di  Ferreto  umanista  le  abbiamo 
nel  citato  Calvi,  e  in  un  lavoro  anteriore,  dovuto  a  un  diligen- 
tissimo  erudito  vicentino.  Fortunato  Vigna.  Il  Vigna  radunò  innu- 
merevoli documenti  sulla  storia  della  sua  patria,  in  una  raccolta 
che  sotto  il  nome  di  Zibaldone  sta  nella  Comunale  di  Vicenza. 
In  un  documento  del  17  maggio  1320,  della  Camera  notarile  di 
Vicenza,  il  Vigna  (2)  lesse  «  Ferretus  de  Ferreto  Gastaldi©  »  (3). 
In  egual  forma  ricomparisce  il  nome  del  poeta  in  consimile  do- 
cumento del  15  settembre  1331.  Il  Vigna  riferisce  un  atto  del  13 
marzo  1321,  nel  quale   incontrasi:  «  Ferretus  notarius  domini 


(1)  Scrittori  di  Vicenza,  1,  p.  CLii  (Vicenza,  1772). 

(2)  Preliminare  di  alcune  dissertazioni  intorno  alla  parte  migliore  della 
storia  ecclesiastica  e  secolare  della  città  di  Vicenza ,  Vicenza ,  1747,  tipo- 
grafia Berno,  pp.  lx  sgg. 

(3)  È  questo  il  documento  che ,  citato  poi  dal  Magrini ,  viene  indicato 
dal  Laue,  p.  5,  il  quale  supponeva  che  fosse  stato  veduto  per  la  prima  volta 
dal  Magrini.  Il  Magrini  lo  ricorda  sulla  fede  del  Vigna.  Al  Laue  rimasero 
ignoti  gli  scritti  del  Vigna  e  del  Calvi:  scritti  di  carattere  affatto  locale, 
difficilmente  possono  esser  noti  fuori  di  patria. 

Giornale  storico,  VI,  fase.  16-17.  5 


66  e.  CIPOLLA 

«  lacobi  Ferreti  ».  In  altro  atto,  del  Collegio  de'  Notai,  a.  1337,  si 
parla  delle  spese  fatte  «  prò  anima  Ferreti  de  Ferreto  defuncti  ». 
Il  Calvi  (1)  riferisce  l'annotazione  riguardante  la  radiazione 
del  nome  del  defunto  Ferreto  dall'albo  dei  Gastaldioni  della 
Fraglia  dei  Notai:  essa  porta  la  data  del  10  marzo  1337,  e  il  nome 
del  Ferreto  vi  comparisce  nella  forma  :  Ferrettcs  lacobi  de  Fer- 
reto. Al  Vigna  era  noto  il  testamento  del  Ferreto:  anzi  non  solo 
lo  ricorda  nell'opera  sua  che  stiamo  esaminando  (p.  lxiii-lxiv), 
ma  eziandio  ne  lasciò  copia  nel  Zibaldone  (tomo  IX,  18-9).  Vidi 
la  pergamena  originale  del  testamento  nella  Bibl.  Com.  di  Vi- 
cenza (2);  spetta  al  4  marzo  1337.  Qui  il  nome  del  testatore  leg- 
gesi  nella  seguente  maniera:  «  dns  Feretus  not.  9  dnj  lacobi 
«  Ferreti  civis  Vinc.  ».  È  credibile  dunque  ch'egli,  figlio  di  Gia- 
como, avesse  per  avo  un  Ferreto:  il  Ferreti  che  si  legge  in  fine 
alla  formula  di  denominazione  può  bensì  ricongiungersi  alla  forma 
del  cognome  famigliare  (quale  risulta  dagli  altri  documenti  citati), 
ma  può  anche  semplicemente  richiamare  il  nome  dell'avo  (3). 

Il  nostro  Ferreto  nulla  ha  dunque  a  che  fare  col  Ferrettcs 
Brexane.  Egli  è  soltanto  :  Ferreto  de'  Ferreti ,  senz'altro  appel- 
lativo. Nel  Ferretus  Brexane  abbiamo  invece  il  rappresentante 
di  un  altro  ramo  della  famiglia  dei  Ferreti,  ben  distinto  dal  no- 
stro. Una  certa  parentela  ci  sarà  stata,  poiché  anche  il  ramo  di 
Ferreto  Brexane  abbonda  di  notai,  come  in  generale  tutti  i 
Ferreti  sono  in  relazione  col  Collegio  Notarile  di  Vicenza  (4). 


(1)  Op.  cit.,  p.   CLVI. 

(2)  Archivio  di  s.  Corona,  n»  14  dell'Inventario,  Pergain.  n°  501. 

(3)  Fortunato  Vigna  (Preliminare,  p.  lx),  scrive:  «  egli  propriamente 
«  dicevasi  Ferreto,  di  Iacopo  di  Ferreto.  Cosi  abbiamo  ne'  libri  dello  Seri- 
«  gno  di  Santa  Corona,  che  sono  nel  Collegio  de'  Nobili  Notaj  ».  Il  Calvi 
cita  (p.  CLiv)  un  doc,  a.  1326,  nel  quale  comparisce  uno  dei  fratelli  del  nostro 
Ferreto  «  Gitajnus  qu.  lacobi  de  Ferreto  ».  Ma  Cittadino  e  Ferreto  nell'albo 
dei  Notai,  che  consultai  in  copia  del  1578  nella  Bibl.  Com.  di  Vicenza,  com- 
pariscono cosi:  «  Feretus  lacobi  Ferreti  »  (fol.  35')  «  Citainus  lacobi  Fer- 
«  reti  »  (fol.  41').  L'avo  Ferreto  deve  essere  quello  segnato  coU'a.  1278  nella 
genealogia  conservata  da  Gaetano  Ferreti. 

(4)  Gfr.  Vigna,  p.  lx.  * 


STUDI  SU  FERRETO  DEI  FERRETI  67 

Gaetano  Ferreti,  nel  suo  ms.  più  volte  citato,  ci  conserva  una 
genealogia  della  famiglia,  nella  quale  il  Ferreto,  storico  e  poeta, 
discende  dal  Ferreto  Brexane. 

Brcssan  Ferreti  * 

(accettato  1243  nel  collegio 
dei  Notai) 

Ferreto  (1278) 


Giacomo  giudice  (1302)  Donato  giudice  (1321) 

Il  Giacomo,  qui  menzionato,  è  il  padre  dello  storico.  Per  certo, 
e  1  documenti  lo  provano,  il  padre  del  nostro  Ferreto  chiama- 
vasi  Giacomo,  ed  era  notaio;  tuttavia  la  sua  parentela  col  Fer- 
retus  Brexane,  almeno  nella  maniera  coni'  è  indicata  da  Gaetano 
Ferreti,  è  tutt'altro  che  certa.  Il  Pagliarino  non  mostra  di  cono- 
scerla; e  nei  documenti  da  lui  citati,  come  si  è  ora  veduto,  ab- 
biamo un  argomento  per  ritenere  inesatto  l'albero  genealogico 
testé  riferito,  giacché  Donato  era  figlio,  e  non  nipote  di  Ferreto 
Brexane.  Intorno  a-  ciò  i  dotti  vicentini  ci  potranno  fornire  no- 
tizie più  complete  (1). 

Per  noi  basta  di  aver  trovato  di  che  confermare  l'esistenza  di 
una  vera  contraddizione  tra  l' iscrizione  metrica ,  e  quella  in 
prosa  (2).  La  contraddizione  venne  del  resto  avvertita  anche  dal 
Vigna.  Egli  (p.  lxii-lxiii)  dopo  aver  riprodotta  l'epigrafe  metrica, 


(1)  Giovanni  da  Schio ,  altro  valente  ricercatore  della  storia  vicentina 
{Memorabili,  mss.  nella  Bibl.  Gom.  Vicent.)  mantiene  distinte  le  due  famiglie 
Ferreti. 

(2)  Locchè  può,  forse,  convalidarsi  anche  con  un  altro  passaggio  del  Fa» 
gliarini  «...  et  anno  1350  Daniel  dictus  Folae  q.  Barnabae  q.  ser  Ottoboni 
«  de  Ferreto,  et  d.  Fontana  filia  q.  dni  lacobi  de  Ferreto  ludicis  ».  Fontana 
comparisce  come  sorella  del  Ferreto  umanista ,  anche  nel  testamento  di 
quest'ultimo.  Se  Daniele  e  Fontana  fossero  stati  stretti  parenti,  cioè  appar- 
tenenti a  una  stessa  famiglia,  ciò  sarebbe  stato  indicato  probabilmente  dal 
documento.  Questo  invece  non  apparisce,  almeno  secondo  la  citazione  che 
ne  fa  il  Pagliarini.  Al  tempo  del  Pagliarini,  viveva  il  notaio  Giacomo  q. 
Folca:  quindi,  come  sembra,  della  discendenza  del  Ferreto  Brexane. 


68  e.   CIPOLLA 

osserva  :  «  Ma  perchè  le  lettere  di  que'  versi  non  sono  lavoro 
«  de'  tempi  d'allora,  anzi  modernissime  ;  così  noi  crediamo,  che 
«  siano  fatte  incidere  li,  moltissimi  anni  dopo;  volendo  darci  ad 
«  intendere,  che  sia  in  quell'arca  stato  riposto  il  Ferreto  storico  e 
«  poeta,  mentre  leggonvisi  all'  intorno  alcune  corrose  lettere,  che 
«  dinotano  esservi  stato  posto  anticamente  un  qualche  Ferreto  ». 
Tale  opinione  è  divisa  anche  dal  P.  Eleonoro  da  S.  Ignazio  (al 
secolo:  Alvise  Borgo),  dotto  vicentino  del  cadere  del  secolo 
scorso  (1). 

Ma  c'è  ancora  di  più.  Il  nostro  Ferreto  dispose  di  esser  sepolto 
non  già  in  S.  Lorenzo,  ma  in  S.  Corona.  «  Jn  primis  eligo  sepul- 
«  turam  corporis  mei  apud  locum  ecclesie  sancte  Corone  fratrum 
«  predicatorum  de  Vincentia  ».  S.  Lorenzo  era  dei  frati  Minori 
(Francescani).  In  favore  dei  Francescani  di  S.  Lorenzo  dispose 
soltanto  di  un  legato  «  prò  missis  et  orationibus  dicendis  prò  anima 
«  mea  ».  Il  testamento  si  conservò  nell'archivio  di  S.  Corona,  cioè 
nel  Monastero  Domenicano  presso  al  quale  Ferreto  fu  quindi 
effettivamente  sepolto,  in  obbedienza  alle  sue  disposizioni  testa- 
mentarie. 

La  contraddizione  che  prima  rilevammo  sotto  un  aspetto,  ora 
ci  ricomparisce  dunque  sotto  altro  riguardo  e  più  grave.  Per 
tentare  un  accordo  fra  questi  fatti ,  che  sembrano  eliminarsi  a 
vicenda,  azzardo  la  seguente  ipotesi  :  —  Il  nostro  Ferreto  de'Ferreti 
fu  sepolto  in  S.  Corona,  mentre  da  tempo  esisteva  il  sepolcro  del 
Ferreto  Brexane  presso  la  chiesa  di  S.  Lorenzo,  dei  Frati  Minori. 
Il  monumento  in  S.  Corona  andò  poi  distrutto,  e  dentro  il  sec.  XV, 
colle  ossa  del  poeta,  anche  la  lapide  fu  trasportata  a  S.  Lorenzo,  e 
aggiunta  al  sepolcro  spettante  ad  altro  ramo  della  famiglia  dei  Fer- 
reti.  Potrebbesi,  è  vero,  fare  un'ipotesi  diversa,  e  cioè:  la  tomba  di 
Ferreto  Brexane  esisteva  in  antico  a  S.  Corona,  ed  ivi  ricevette  la 
salma  del  Ferreto  umanista  :  fu  in  appresso  trasportata  a  S.  Lo- 
renzo, insieme  coli' epigrafe   metrica.  Quest'ultima   ipotesi  mi 


(1)  Serie  delle  famiglie  Vicentine,  mss.  nella  Comun.  di  Vicenza. 


STUDI  SU  FERRETO  DEI  FERRETI  69 

sembra  assai  poco  probabile,  per  vari  motivi ,  che  disgiunti  forse 
non  hanno  valore  decisivo,  ma  che  uniti  assieme  non  mancano 
di  eflìcacia  :  anzitutto  i  distici  dell'  epigrafe  metrica  sembrano 
alludere  ad  una  tomba  esclusivamente  destinata  al  Ferreto 
umanista;  poiché  rispondono  al  modo  con  cui  usa  vasi  fare  in 
simili  casi,  e  mancano  di  qualsiasi  allusione  personale  ad  altri 
membri  della  famiglia  del  defunto.  In  secondo  luogo,  il  Ferreto 
nel  suo  testamento  dice  semplicemente  eligo  sepulturam  corporis 
mei  apud  locum  ecclesie  sanate  Corone ,  senza  far  parola  del 
sarcofago  di  Ferreto  Brexane  «  et  suorum  »  nel  quale  egli 
avrebbe  saputo  di  dover  esser  collocato.  La  dicitura  del  testa- 
mento sembra  quindi  favorire  l' ipotesi  che  al  Ferreto  umanista 
sia  stata  eretta  una  tomba  speciale.  Oltracciò  trovando  noi  l'arca 
sepolcrale  del  Ferreto  Brexane  in  S.  Lorenzo,  prima  che  ci 
siano  argomenti  in  contrario,  è  ragionevole  credere  che  ivi 
sia  sempre  stata,  senza  supporre  la  poco  probabile  traslazione  di 
un  monumento  di  mole  rilevante,  senza  un  motivo  speciale. 

All'età  del  Pagliarino  sembra  esistessero  parecchie,  o  almeno 
due  tombe  antiche  dei  Ferreti.  Egli  scrive  infatti:  «  Ferretam 
«  familiam  vetustissimam  esse,  et  eorum  sepulchra  et  maiorum 
«  nostrorum  annales  demonstrant  ».  Non  per  nulla  certo  egli 
adoperò  il  plurale.  Dal  che  può  dedursi  abbastanza  provata  la 
distruzione  di  un  monumento  almeno  de'  Ferreti.  E  questo  parmi 
verisimile  che  sia  quello  'del  poeta,  che  dovea  trovarsi  in  S.  Co- 
rona, dove  nel  1503  non  esisteva  più.  Il  trasporto  ebbe  luogo 
dunque  tra  V  età  del  Pagliarino  e  il  1503,  e  quindi  probabilmente 
sul  cadere  del  sec.  XV.  Forse  il  not.  Daniele  Ferreto  fu  colui 
che  si  prese  la  massima  cura  affinchè  le  ossa  del  suo  illustre 
antenato  venissero  gelosamente  conservate,  quando  se  ne  disfece 
la  tomba. 

Se  tale  ipotesi  ha  valore,  la  prima  e  vera  tomba  del  celebre 
Ferreto  non  esiste  più  ;  la  distruzione  del  monumento  potrà 
attribuirsi  forse  alle  vicissitudini  subite  dalla  Chiesa  ;  o  ad  altri 
fatti  che  i  dotti  Vicentini  potranno,  spero,  spiegarci.  Cosi  pure 
una  più  minuta  ricerca  intorno  alla  genealogia  dei  Ferreti  non 


70  C.  CIPOLLA 

potrà  a  meno  di  gettare,  sia  pure  indirettamente,  qualche  sprazzo 
di  luce  anche  sulla  biografia  del  poeta. 

Quanto  al  tempo  in  cui  può  essere  stata  incisa  nuovamente 
l'iscrizione  del  poeta,  le  ragioni  paleografiche  accennano  alla 
seconda  metà  del  sec.  XVI.  Difllcilmente  può  scendersi  fino  a 
dopo  la  visita  dello  Schrader  (1590  circa).  Nulla  vieta  peralti-o  il 
supporre  che  l'iscrizione   sia   stata  rinnovata  anche  più  volte. 

Qui  mi  permetto  una  congettura,  ch'io  stesso  riconosco  come 
assai  ardita.  Abbiamo  veduto  poco  fa  che  il  Magrini,  non  consta 
su  quali  documenti  appoggiato,  accenna  ad  una  traslazione  della 
tomba  sul  cadere  del  sec.  XVI.  Più  addietro  notammo  una  di- 
screpanza di  lezione  tra  lo  Schrader  (circa  1590),  e  lo  Scaligero 
(1612),  dove  avvertimmo  ch'essa  poteva  benissimo  dipendere  da 
una  congettura  di  quest'ultimo  erudito.  Ma  è  lecito  dare  di  ciò 
una  spiegazione  diversa,  e  supporrò  che  la  copia  che  servi  allo 
Scaligero  sia  stata  eseguita  anteriormente  a  quella  dello  Schrader. 
Ciò  ammesso,  potrebbe  credersi  che  la  differenza  di  lezione  di- 
penda da  ciò,  che  allo  Scaligero  abbia  servito  la  lezione  antica, 
mentre  lo  Schrader  vide  la  iscrizione  attuale.  Gongiungendo 
questa  ipotesi  ai  dati  poco  fa  enunciati ,  consegue  un'  altra  ipo- 
tesi secondo  la  quale  la  tomba  subì  qualche  restauro  o  ritocco 
(non  vorrei  parlare  di  traslazione)  anche  nel  sec.  XVI  avanzato, 
È  vero  peraltro  che  la  lezione  aetemum  dello  Scaligero  è  tut- 
t' altro  che  sicura  ;  ma  questo  non  distrugge  del  tutto  l' ultima 
nostra  ipotesi,  poiché  c'è  sempre  a  sufficienza  per  supporre  che 
l'elogio  metrico  abbia  patito  qualche  rifacimento  nell'epoca  in- 
dicata. 

Prima  di  terminare  ringrazio  il  prof.cav.  ab.  Bernardo  Morsolin, 
il  prof.  ab.  Dom.  Bortolan,  bibliotecario  della  Comunale  di  Vicenza, 
nonché  il  ricordato  sig.  Vittorio  Barichella.  Nella  recente  mia 
visita  a  Vicenza  essi  mi  usarono  ogni  gentilezza,  e  mi  facilitarono 
in  tutti  i  modi  le  indagini.  Maggiori  cortesie  non  avrei  potuto 
neppure  augurarmi. 


STUDI  SD  FERRETO  DEI  FERRETI  71 


II. 


IFerreto  deTerreti  fu.  ospite  di  Cangrande*? 


Nella  mia  StoìHa  delle  signorie  italiane  (p.  41) ,  a  proposito 
di  Cangrande  della  Scala,  leggesi  il  seguente  periodo:  «  aperse 
«  splendidamente  il  suo  palazzo  a  Dante,  a  Giotto,  a  Ferreto  Vi- 
«  centino,  a  Sagacio  Muzzio  Gazzata,  ad  Albertino  Mussato: 
«  nelle  sue  sale  dorate  ospitò  con  magnificenza  poeti ,  teologi , 
«  musici  ». 

L'arguto. ed  eruditissimo  Max  Lane  (1)  appuntò  le  riferite pa- 
role,  specialmente  per  quanto  si  attiene  al  Ferreto.  Egli  dice  che 
la  mia  descrizione  risale  in  parte  alla  notizia  che  Guido  Panci- 
roli  ricavò  dalla  Cronaca  di  Sagazio  della  Gazzata:  fonte  poco 
attendibile,  come  mostrò  il  eh.  prof.  Scheffer-Boichorst,  Aus 
Dante's  Verhannung,  p.  93.  D'altronde  Panciroli  non  parla  di 
Ferreto;  e  l'asserzione  mia  è  soltanto  una  combinazione  infondata. 

La  quistione  accennata  qui  dal  Lane  riesce  adunque  duplice, 
aggirandosi  intorno  al  valore  della  testimonianza  del  Panciroli , 
e  intorno  all'ospitalità  che  Cangrande  offerse,  o  meno,  al  Ferreto. 

Le  pagine  che  seguono  non  sono  una  mia  difesa.  Cercherò  so-   , 
lamento  di  spiegare  un  po'  diffusamente  il  mio  pensiero,  rimet- 
tendomi ad  altri  per  il  giudizio. 

Principio  da  ciò  che  si  attiene  al  Ferreto.  Anzitutto  il  Laue 
mi  mette  in  bocca  una  espressione  che  in  fatto  credo  di  non 
aver  pronunciato  :  «  . . .  ist  es  nur  eine  unbegriindete  Kombina- 
«  tion,  dass  er  am  Hofe  zu  Verona  leì)te  ».  Io  mi  limitai  a  dire 
che  Cangrande  aperse  il  suo  palazzo  al  F.;  locchè  è  assai  meno. 

(1)  Op.  cit.,  p.  21. 


72  C.  CIPOLLA 

Giotto  venne  a  Verona  senza  dubbio,  e  lavorò  nel  palazzo  Sca- 
ligero: ma  neppur  di  lui  potrebbesi  dire  con  ragione  che  visse 
alla  corte  di  Gangrande. 

Il  Lane  ebbe  il  merito,  nel  suo  opuscolo  sul  Ferreto,  di  di- 
mostrare che  il  notaio  Vicentino  si  occupò  delle  cose  pubbliche, 
nella  propria  città.  Questo  apparisce  da  alcuni  degli  ultimi  versi 
del  poema  in  onor  di  Gangrande,  come  il  Lane  osservò  a  buon 
diritto  : 

nam  rebus  agendis 

Sollicitum  me  cura  vocat . . .  (1). 

Il  suo  testamento  è  redatto  in  Vicenza,  4  aprile  1337:  molti 
passi  della  historia  ce  lo  mostrano  abitare  in  quella  città,  e  in 
nessun  luogo  egli  ricorda  d'esserne  uscito.  Giovanissimo,  nel  1320, 
fu  eletto  Gastaldo  del  Gollegio  dei  Notai  in  Vicenza.  Il  relativo 
documento,  edito  dal  Vigna  (2),  «porta  la  data  del  17  maggio  di 
quell'anno.  Al  Vigna  stesso  siamo  debitori  di  un  documento,  13 
marzo  1321 ,  nel  quale  il  nostro  Ferreto  si  rivolge  «  dominis 
«  Gastaldionibus,  Gonsiliarijs  et  toto  Gapitulo  Fratalie  Notariorura 
«  Givitatis  Vincentie  »  supplicando  di  poter  «  libere  et  absolute 
«  exercere  quodam  offltium  camare  ad  banchum  malefitiorum  » 
in  luogo  del  proprio  fratello  Zitayno  (Gittadino).  In  quel  momento 
pertanto  il  Ferreto  non  solo  viveva  in  Vicenza,  ma  non  aveva 
alcun  pensiero  d'allontanarsene.  Il  suo  nome  non  fu  cancellato 
mai  dalle  matricole  del  Gollegio  Notarile  di  Vicenza.  Tant'è  vero, 
che  egli  si  professa  notaio  anche  nel  testamento:  che  i  notai 
spesero  per  suffragi  all'anima  sua  dopo  la  morte,  e  che  con  atto 
speciale,  del  10  aprile  1337,  radiarono  il  nome  di  lui  defunto 
dall'albo  dei  Gastaldioni  (3).  Il  Vigna  trovò  che  il  Ferreto  era 
Gastaldione  addi  15  settembre  1331  :  «  e  con  tal  nome  vedesi  in 


(1)  Lib.  IV,  vs.  934. 

(2)  Preliminare  di  alcune  disseriazioni  intorno  alla  parte  migliore  della 
storia  ecc.  di  Vicenza,  Vicenza,  1747,  I,  p.  lx. 

(3)  Calvi,  Scritt.  di  Vicenza,  Vicenza,  1772,  p.  clvi. 


STUDI  SD  FERRETO  DEI  FERRETI  73 

«  tutti  e  due  que'libri  »  il  primo  è  il  libro  J,  donde  il  Vigna  ricavò 
la  nota  citata  del  1320:  e  l'altro  è  il  libro  K  dal  quale  egli 
desunse  l'altra  del  1331  «  descritto,  ora  come  Castaldo,  ora  come 
«  Consigliere,  ed  ora  come  Notaio  del  suo  Collegio  ».  Cosi  il  Vigna. 

È  quindi  sicuro  che  il  F.  passò  la  sua  vita  in  Vicenza,  eserci- 
tando onoratamente  il  notariato ,  e  traendone  lucro.  Le  cariche 
inerenti  al  Collegio  dei  Notai  furono  gli  offici  cittadini,  ai  quali 
egli  allude  nel  suo  poema. 

Il  motivo,  per  cui  ho  ricordato  il  Ferreto  tra  gli  ospiti  di 
Cangrande,  lo  desunsi  dal  carme.  Non  è  certo  una  prova  sicura, 
quella  ch'io  posso  qui  addurre,  ma  è  peraltro  un  indizio  degno, 
parmi,  di  riflessione.  Di  certo,  in  nessun  luogo  il  Ferreto  affermò 
esplicitamente  di  essere  stato  ospitato  dallo  Scaligero,  ma  questo 
non  impedisce  che  lo  sia  stato.  Chi  pensa  alla  dipendenza  di 
Vicenza  dallo  Scaligero,  ed  alla  vicinanza  di  quella  città  con 
Verona ,  è  tratto  facilmente  a  credere  che  il  muniflcentissimo 
Cangrande  abbia  invitato  alla  sua  mensa  un  poeta ,  di  merito , 
da  cui  veniva  lodato.  Come  è  notorio,  il  carme  termina  (1.  IV) 
con  un'apostrofe  del  poeta  a  Cangrande.  Essa  non  isfuggì  al  Lane, 
il  quale  crede  che  la  preghiera  del  Ferreto  non  abbia  ottenuto 
tutto  il  premio  aspettato.  Questo  può  ammettersi  ;  l'incertezza  co- 
mincia quando  discutiamo  sul  contenuto  e  più  sull'esito  della  pre- 
ghiera istessa.  Il  Ferreto  chiedeva  proprio  allo  Scaligero  che  lo 
chiamasse  addirittura  a  Verona,  e  che  gli  somministrasse  di  che 
vivere  tranquillamente?  Ecco  le  parole  oscure  e  forse  maliziosette 
del  poeta: 

Nunc  mihi  dum   labens  animus,  dum  junior  aetas 
Fessa  jacet,  metuitque  onori  succumbere  tanto, 
Da  veniam,  vatique  novo  concede  quietam 
Saltem  animi  sedem  ;  nam  tu ,  licet  arduas  iste 
Sit  labor,  in  nostris  semper  venerabere  metris. 
Jam  vatis  insano  dudum  lassata  profundo 
Vela  trahit,  tutoque  cupit  requiescere  portu. 

Quindi  rassomiglia  se  stesso  e  il  suo  libro  a  Palinuro  che  trema 
e  tentenna.  Incoraggia  se  stesso  e  il  carme  (quasi  personificato). 


74  C.   CIPOLLA 

col  pensiero  che  quando  entrerà  nel  palazzo  (  «  tecta  subibis  »  ), 
gli  verrà  incontro  colui  «  quem  virtus  experta  juvat,  quem  ditat 
«  honestas:  moribus  ingenioque  pari  moderamine  Pallas  ».  Se 
non  ci  fossero  motivi  per  dubitare  che  a  Ferreto  rimanesse  sco- 
nosciuta la  cantica  del  Paradiso,  saremmo  tentati  quasi  di  veder 
qui  una  lontana  imitazione  stilistica  del  verso  dantesco:  «  Con 
«  lui  vedrai  colui  che  impresso  fue,  ecc.  (1)  ». 
Prosegue  il  Poeta,  parlando  al  suo  istesso  carme: 

Ille  tibi  plus  hospes  erit,  tequc  impiger  aula 
Magnanimi  comperet  heri,  famaeque  petitum 
Nomen,  et  emeriti  pignus  dabit  ille  laboris. 
Tu  modo,  cui  vatum  restat  tutela  piorum, 
Inclyte  Maecenas,  animi  fiducia  nostri, 
Suscipe,  et  hospitio  non  dedignare;  peracti 
Dux  operis,  signare  viam,  qua  Ferretus  auctor 
Invidiosus  agat  placidam  sine  nube  quictem  (2). 

Che  un  po'  velatamente  il  Poeta  chiedesse  favori  allo  Sca- 
ligero, è  chiaro.  Le  lodi  eh'  egli  tributa  al  principe  mostrano 
ch'egli  sperava  protezione:  ma  che  chiedesse  un  oflicio  è  un'altra 
quistione.  Il  carme  fu  scritto  tra  l'autunno  del  1328  e  l'estate 
del  1329,  dopo  la  conquista  di  Padova  e  prima  della  caduta 
di  Treviso,  quando  cioè  Gangrande  era  all'apogeo  della  gloria 
e  della  potenza.  Che  proprio  quei  versi  siano  una  domanda  di 
impiego,  nel  senso  più  umile  di  questa  parola,  non  è  provato  dal 
passo  su  riferito.  Il  Ferreto  infatti  invia  al  principe  il  suo  lavoro, 
e  chiede  la  sua  approvazione:  domanda  cioè,  per  il  libro,  ospitalità, 
e  per  sé  medesimo,  riposo  (per  aver  terminato  il  poema),  accom- 
pagnato da  invidiata  gloria.  Potrà  dirsi  che  a  vantaggio  proprio 
chiedeva  :  «  quietam  saltem  animi  sedem  » ,  dove  quel  saltem 
non  fu  pronunciato  senza  motivo.  Alla  lettera  quella  frase  non 
significa:  olire  alla  quiete  dell'animo,  datemi  anche  quella  del 


(1)  Par.,  XVII,  76. 

(2)  Alla  fine  del  lib.  IV. 


STUDI   SU   FERRETO  DEI   FERRETI  75 

corpo;  sibbene:  olire  alla  quiete,  datemi  quella  sicurezza  che 
dipende  da  sì  eccelsa  protezione,  nonché  quella  piena  conten- 
tezza che  sta  nella  gloria.  La  frase  «  quieta m  saltem  animi 
«  sedem  »  bisogna  considerarla  in  armonia  coll'altra,  pur  testé 
riferita,  «  signare  viam  qua  Ferretus  etc.  ».  Ambedue  le  frasi 
alludono  certo  a  un  premio  aspettato  dal  poeta  in  ricompensa 
del  carme  da  lui  composto.  Ciò  è  tanto  vero  che  nella  seconda 
frase,  il  Ferreto  chiama  sé  stesso  auctor  {peracti  operis),  mentre 
a  Gangrande  dà  l'appellativo  ài  Dux  peracti  opeì^is.  hi '^v'mci'^io 
del  carme,  il  poeta  dice  che  chi  vuol  fama ,  deve  cantare  Gan- 
grande. Questo  argomento  non  può  esser  trascurato  da  nessuno, 
poiché  a  tutti  importa  acquistar  onore  e  «  mansurum  nomen  ». 
Gome  dirà  dopo  :  «  famaque  petitum  Nomen  et  emeriti  pignus 
«  dabit  ille  laboris  ».  Non  potrebbe  supporsi  che  il  Ferreto  sperasse 
anzitutto  l'onore  di  poeta  palatino,  oltre  alla  laurea  poetica,  che 
aveva  redimito  il  capo  del  Mussato?  (1)  Le  ricompense  materiali 
si  possono  presumere:  tuttavia  non  sono  espresse. 

Giò  premesso  come  preambolo,  parmi  indispensabile  ammettere 
una  relazione,  non  dirò  d'amicizia,  ma  certo  non  fredda,  tra  il  mu- 
nifico Scaligero  e'  il  Ferreto.  Altrimenti  quest'ultimo  non  avrebbe 
ardito  di  dedicargli  un  libro ,  e  sopratutto  di  chiamare  il  suo 
eroe  cogli  epiteti  di  inclyte  Maecenas,  ed  animi  fiducia  nostri. 
Ghe  se  si  volesse  opporre  che  tali  epiteti ,  considerati  isolata- 
mente non  provano  molto ,  noi  potremmo  richiamarci  al  con- 
testo, e  anzi  a  tutto  il  tono  del  Garme.  In  questo  mancano  tutte 
quelle  frasi  a  cui  ricorre  un  uomo  il  quale  non  conosciuto  in- 
voca la  protezione  di  un  potente.  Appena  chiama  sé  stesso  no- 
vum  vatem,,  ma  in  riguardo  ad  essere  egli  novizio  ancora  nel- 
l'arte del  poetare ,  e  senza  che  da  questa  frase  risulti  in  lui 
alcuna  esitazione  dipendente  dall'essere  egli  sconosciuto  a  Gan- 
grande. Né  mancano  espressioni  più  chiare.  Verso  il  principio 
del  libro  I  sollecitando  la  coorte  dei  poeti  a  cantare  Gangrande, 
ricorda  ad  essa  che  l'eroe  le  presta  volentieri  orecchio:  «  Ecce 


(1)  Sulle  relazioni  tra  il  F.  ed  il  Mussato  ritoineremo  nello  Studio  III. 


76  e.  CIPOLLA 

«  tibi  placidas  prebet  vir  maximus  aures  ».  Se  non  avesse  saputo 
in  antecedenza  di  fargli  cosa  grata,  col  presentargli  il  suo  elogio 
poetico ,  egli  si  sarebbe  tenuto  assai  sulle  generali  :  o,  a  meglio 
dire,  nulla  avrebbe  scritto.  Fu  questa  la  mia  persuasione,  allorché 
scrissi  le  linee  impugnate  dal  Lane.  Mi  sarò  forse  ingannato;  ma 
ancora  la  mi  pare  non  destituita  di  peso.  Forse  il  Ferreto  entrò 
in  relazione  collo  Scaligero  fin  da  giovanotto,  per  mezzo  del 
Gampesani.  Costui,  morto  sul  cadere  del  1323,  nel  1311  scrisse 
un  carme  per  lodare  lo  Scaligero  che  avea  liberato  Vicenza  dai 
Padovani,  dei  quali  il  poeta  sparla  fieramente  (1). 

Ammesso  adunque  che  il  F.  sia  entrato  in  qualche  dimestichezza 
collo  Scaligero,  ne  dedussi  ch'egli  n'abbia  visitato  il  palazzo.  Ciò 
ammisi,  perchè  è  notorio,  anche  indipendentemente  dalla  notizia 
riferita  dal  Panciroli,  che  Gangrande  accoglieva  nelle  sale  del 
suo  palazzo,  i  letterati,  gli  artisti,  ecc.  Gli  aneddoti  che  si  rac- 
contano in  proposito ,  sono  de'  più  graziosi  e  de'  più  conosciuti  ; 
e  sarebbe  un  fuor  d'opera  di  ricordarli  al  presente. 

Questo  motivo  non  è  senza  gravità,  anche  perchè  il  Ferreto, 
vicentino,  abitava  a  poche  miglia  da  Verona  :  una  visita  alla  corte 
Scaligera  non  portava  che  pochissimo  disagio.  Ma  evvi  qualche 
cosa  di  meglio.  Il  F.  mostra  di  conoscere  pienamente  il  palazzo  Sca- 
ligero. Il  lecta  subibis  del  passaggio  ultimo  riferito  già  ci  fa  inten- 
dere che  il  poeta  Vicentino  parlava  dell'aula  scaligera,  come  di  un 
palazzo  ben  noto,  e  quasi  a  lui  famigliare.  Arrischio  anche  quest'ul- 
tima frase,  in  grazia  di  un  altro  luogo  del  carme  (lib.  Ili,  vs.  118 
sgg.)  dove  addirittura  abbiamo  una  descrizioncella  di  quel  palazzo. 

Parlasi  ivi  di  Gangrande,  appena  nato.  Egli  dopo  aver  succhiato 
il  latte  materno,  si  pone  a  contemplare  il  ricco  palazzo: 

Tunc  egregiam  circumspicit  aedem 
Jam  satur  atque  oculis  lustrat  per  singula  fixis, 
Miraturque  trabes  et  mille  coloribus  actos 
Exterius  muros,  fulvumque  in  vestibus  aurum 
Et  pictos  in  sede  thoros. 


(1)  11  carme  è  perduto,  salvi  pochi  versi  riferiti  da  Battista  Pagliarino, 
Chronica  di  Vicenza,  Vicenza,  1663,  p.  182. 


STUDI  SU  FERRETO  DEI  FERRETI  77 

E  poco  prima  (vs.  74)  ricorda:  «  Marmoreum...  thalamum  ». 

Le  auree  vesti:  i  letti,  le  travi,  le  mura  dipinte  (affreschi);  (jui 
c'è  tutto  quello  che  forma  l'ornamento  di  una  opulenta  sede 
principesca.  Non  è  un  palazzo  qualsiasi  quello  ch'egli  descrive, 
ma  è  il  palazzo  Scaligero,  nel  quale  il  Ferreto  ammirò  gli  af- 
freschi di  Giotto.  Alla  fine  del  libro  II  il  F.  ricorda  l'altare  (sa- 
crum  Jovis)  palatino.  Vorremmo  dire,  che  egli  ripeteva  tutto 
questo  solo  perchè  altri  gliene  aveva  parlato?  Anche  nella  M- 
storia  ricorda,  e  con  certa  predilezione,  l'aula  scaligera ,  dove 
Albertino  Mussato  e  Giacomo  da  Carrara,  prigionieri,  vennero 
trattati  con  generosità  cortese  (1).  Per  il  complesso  di  questi 
argomenti  mi  pare  che  la  tesi,  se  non  è  addirittura  pienamente 
provata ,  almeno  è  resa  probabilissima. 

Nel  novembre  1328  Gangrande  celebrava  la  conquista  di  Pa- 
dova con  una  sontuosissima  curia.  Tra  i  forestieri  accorsi  a 
Verona  a  goder  del  tripudio,  fra  i  mille  che  avranno  approfit- 
tato della  buona  occasione  per  sollazzarsi ,  e  per  far  figura  in 
mezzo  ai  signori  raccolti  intorno  allo  Scaligero,  a  noi  può  piacere 
d'immaginarci  anche  il  poeta  vicentino.  Tra  le  feste  e  i  banchetti 
di  quel  mese,  il  Ferreto  può  aver  avuto  facilità  di  leggere  i  suoi 
versi  al  signor  di  Verona.  È  questa  una  congettura  destituita  di 
adeguate  prove,  se  vuoisi;  ma  è  anche  poco  probabile  che  la 
fama  delle  feste  veronesi  non  abbia  spinto  il  poeta  vicentino  a 
fare  un  viaggio  di  poche  miglia,  e  che  a  lui  potea  riuscire  molto 
profìcuo.  Le  circostanze  nelle  quali  il  Carmen  fu  composto,  con- 
fortano la  presente  congettura.  Il  Carmen  infatti  fu  compilato, 
0  almeno  compiuto  (2)  per  festeggiare  la  conquista  di  Padova, 

Pare  che  il  L.  trovando  tra  il  carme  e  la  storia  una  sentita 
diversità  di  giudizio  riguardo  a  Gangrande,  voglia  quasi  conchiu- 
derne che  il  F.  nella  sua  opera  in  prosa  abbia  voluto  in  qualche 
modo  vendicarsi  di  Gangrande,  per  il  premio  negato.  Se  mai 


(1)  Ap.  Muratori,  IX,  1145  C,  1148  G. 

(2)  Non  è  questo  il  luogo  di  far  minute  ricerche  sulla  cronologia  del  Carme. 


78  e.   CIPOLLA 

questo  fosse  il  pensiero  del  L.,  non  è  del  tutto  esatto,  a  mio 
credere. 

Non  devesi  dimenticare  che  Gangrande  conquistò  Treviso  poco 
dopo  che  il  F.  scrisse  il  carme.  Può  darsi  anche  che  il  F.  non  sia 
giunto  nemmanco  a  presentarglielo  intero.  Questo  potrà  essere 
ammesso  più  facilmente  da  chi  voglia  ritardare  il  carme  sino  al 
1329,  e  vedere  nel  verso  146  del  libro  III,  dove  si  profetizza  la 
caduta  di  Treviso,  quasi  un'  allusione  a  fatti  che  stessero  real- 
mente compiendosi.  È  indubitato  che  Gangrande  comparisce  in 
altro  aspetto  nella  hisioria,  che  nel  carme.  Quivi  c'è  l'apo- 
teosi dell'eroe:  pare  anzi  che  il  F.  abbia  voluto  rappresentarci 
deliberatamente  l'opposto  di  ciò  che  la  fama  popolare  narrava 
intorno  alla  nascita  di  Eccelino,  e  che  il  Mussato  ritrasse  nella 
sua  tragedia  Ecerinis  (1).  Dopo  ciò,  ben  si  capisce  che  cosa  debba 
seguirne.  Nella  hisioria  si  accusa  Gangrande  di  molti  delitti:  egli 
ottenne  con  denaro  il  vicariato  di  Verona  (col.  1064  E):  si  macchiò 
di  violenti  rapine  per  carpire  oro  ai  Vicentini  ed  ai  Veronesi 
(col.  1131  D):  fu  libidinoso  e  mancator  di  fede  (col.  1131  D-E).  Ma 
con  tutto  questo,  il  Ferreto  non  è  avaro  verso  di  lui  neanche 
nelle  lodi.  Il  valor  militare  e  la  rapidità  delle  mosse  sono  pregi 
messi  spesso  in  risalto  (p.  e.,  col.  1143).  Egli  è  «  juvenis  animo- 
«  sus  »  (col.  1087  G):  cupido  di  gloria,  locchè  per  un  umanista 
vale  un  grande  elogio  (col.  1131 D);  «  acer  et  strcnuus  adolescens  » 
(col.  1127);  «  heros  Scaliger  »  (col.  1178)  (2);  non  fu  mai  truce  o 
avido  di  sangue  (col.  1144  E);  sotto  la  sua  dominazione,  Vicenza 
migliorò  (col.  1123  B-E);  fatto  prigione  Giacomo  da  Garrara ,  lo 
trattò  con  bontà  (col.  1145  G).  Sorpasso  alle  frasi  in  cui  lo  si  dice  . 
tiranno,  ecc.:  sia  perchè  tiranno  vale  infine  unicamente  signore, 
sia  perchè  le  invettive  contro  i  signori  e  le  signorie  formano 
uno  dei  luoghi  comuni  del  nostro  storico ,  anelante  alla  antica 
hbertà  democratica. 

Una  cosa  sola  noto,  ed  è  questa.  Secondo  il  L.  (p.  23),  a  quanto 


(1)  Di  ciò  tratteremo  nello  Studio  III. 

(2)  Nel  Carme  (1.  II,  vs.  189):  «  Scaliger  heros  ». 


STUDI   SU   FERRETO   DEI   FERRETI  79 

pare,  la  historia  si  differenzia  dal  Carmen,  poiché  in  quella  tutto 
l'affetto  del  F.  è  rivolto  verso  la  sua  patria,  Vicenza,  mentre  in 
questo  esso  si  appunta  in  Cangrande.  È  verissimo  che  l'amore  per 
Vicenza  brilla  splendidamente  nelle  pagine  della  historia;  ma 
esso  non  resta  occulto  neanche  nel  Carmen.  Quivi  leggiamo  (Uh.  I, 
vs.  301  sgg.)  un  bellissimo  tratto ,  e  altamente  poetico,  in  cui  il 
Ferreto  inneggia  a  Vicenza,  nunquam.  Servili  caritura  jugo,  e 
la  descrive  quale  un  agnello  fra  due  lupi  o  due  leoni  ;  e  i  due 
lupi  0  i  due  leoni  sono  Padova  e  Verona.  Davvero  che  ci  volea 
un  po'  d'ardimento  a  dir  tutto  questo  in  una  composizione  diretta 
al  signor  di  Verona ,  il  quale  da  pochi  anni  avea  occupato  Vi- 
cenza. Neil'  historia  si  deplora  il  reggimento  tirannico  tenuto 
dallo  Scaligero,  e  in  alcun  luogo  chiamasi  mite  il  giogo  dei  Pa- 
dovani (1065  G,  1066  A-G);  ma  altrove  il  poeta  impreca  contro  il 
loro  governo  tirannico  (col.  984  A-B),  e  si  rallegra  della  loro 
cacciata  (col.  1070  G)  (1).  Non  bisogna  mai  prendere  alla  lettera 
il  Ferreto.  Sarebbe  il  vero  modo  per  non  intenderlo  (2).  Nel 
Carmen,  per  citare  un  esempio  fra  mille,  egli  stigmatizza  i  vizi 
della  famiglia  degli  Eccelini,  adoperando  le  parole  più  ardenti  e 
più  fiere.  Né  s' intenerisce  per  l' orribile  strage  compiuta  nella 
rocca  di  S.  Zenone.  E  dopo  rimproveri  si  amari,  la  narrazione  si 
compie  (fine  del  libro  I)  nella  forma  seguente: 

deleta  propago 
Nobilis  interi!  t,  nullo  reparabilis  aevo. 

Se  non  ci  restasse  che  questo  verso ,  certo  dovremmo  credere 
che  il  F.  fosse  un  ammiratore  della  noMlis  propago  di  Ezzelino. 


(1)  Si  potrebbe,  con  pari  sistema,  confrontare  il  giudizio  del  Ferreto  in- 
torno ad  Alberto  della  Scala,  nel  Carme,  con  quello  eh'  egli  manifesta  nelle 
Storie.  Ma  non  è  questo  il  luogo  d'esaminare  le  opinioni  politiche  del  Ferreto. 

(2)  Gfr.  ciò  che  dissi  in  Misceli,  di  stor.  ital.,  XXllI,  Appendice,  p.  xni 
(Torino,  18B4). 


80  e.  CIPOLLA 

Passiamo  ora  alla  seconda  quistione.  Essa  si  riferisce  solo  in- 
direttamente al  F.,  e  perciò  accontenterommi  di  poche  parole, 
dirette  soltanto  ad  esporre  lo  stato  della  controversia. 

È  notissima  la  descrizione  della  corte  di  Gangrande  della  Scala 
riferita  dal  Panciroli,  sulla  fede  di  Sagacie  Muti  Gazzata;  perciò  non 
mi  soffermo  a  riassumerla.  Ricordo  piuttosto  che  primo  a  metterla 
in  luce  fu  il  Muratori.  Pubblicando  egli  (1)  la  Cronaca  reggiana 
di  Sagacio  (Levalossi)  e  Pietro  della  Gazzata,  nella  prefazione  (p.  2) 
riportò  da  Guido  Panciroli  due  brani  dei  predetti  cronisti.  Uno 
si  riferisce  all'a.  1371  e  dipende  da  Pietro  Gazzata.  L'altro,  ed  è 
quello  che  a  noi  interessa ,  viene  dal  Panciroli  registrato  sotto 
l'a.  1318,  ma  a  dir  vero,  per  l'argomento,  non  si  riferisce  stret- 
tamente a  questo  anno.  Il  Muratori  parlando  della  storia  reg- 
giana del  Panciroli ,  la  dice  «  nondum  evulgata  »,  locchè  fu 
ripetuto  dallo  Scheffer-Boichorst  (2),  per  essergli  sfuggito  che  la 
storia  del  Panciroli  fu  pubblicata,  sia  in  testo  (3),  sia  anche  in 
versione  italiana  dovuta  a  Prospero  Viani  (4). 

Il  citato  Scheffer-B.,  cosi  benemerito  della  storia  italiana  del 
sec.  XIV,  prese  in  minuto  e  coscienzioso  esame  anche  il  passaggio 
ora  citato,  nel  quale  si  descrive  la  corte  di  Gangrande  in  Ve- 
rona. Parlasi  delle  varie  sale  ed  appartamenti  fabbricati  e  ar- 
redati e  dipinti  per  le  varie  classi  di  persone,  guerrieri,  dotti,  ecc. 
che  lo  Scaligero  albergava  presso  di  sé.  Il  passo  è  poetico:  ed 
offre  quindi  molto  campo  alla  critica. 

Lo  Sch.-B.  lo  combattè  sotto  vari  punti  di  vista.  Prima  di  tutto 
notò  che  quel  passaggio  manca  alla  Gronaca,  quale  è  pubblicata 
dal  Muratori,  quantunque  il  Panciroli  scriva:  «  Sagatium  Mutum 
«  Gazadium...  humaniter  (CangravìM)  excepit,  qui  postea  eius 


(1)  R.  I.  S.,  XVIII,  5  sgg. 

(2)  Aus  Dante' s  Yerhannung,  Strassburg,  1882,  p.  93:  «  ...  seiner  noch 
«  ungedruckten  Geschichte  von  Reggio  ». 

(3)  Rer.  hist.  patriae  suae  libri  odo,   Regii  Lepidi,  1847  (dove  il  passo 
contrastato  sta  a  p.  244). 

(4)  Storia  della  città  di  Reggio  tradotta,  Reggio ,  1846  (il  passo  nostro 
veggasi  nel  t.  I,  p.  291). 


STUDI  SD  FERRETO  DEI  FERRETI  81 

«  hospitalis  disciplinae  rationes,  diversarumque  coenationum,  et 
«  cubiculorum  sumptus  et  ornamenta  diligenter  descripsit  ».  La 
condizione  critica  del  testo  di  questa  Cronaca  Reggiana  è  assai 
contrastata,  ed  è  ad  augurare  che  essa  rivegga  presto  la  luce 
nella  nuova  edizione  che  sta  apprestandosi  da  un  valoroso  eru- 
dito reggiano,  il  co.  Ippolito  Malaguzzi.  11  Muratori  ebbe  a  sua  di- 
sposizione un  cod.  spettante  ai  Benedittini  di  S.  Pietro  e  Prospero 
di  Reggio,  oltre  ad  un  ms.  dell'Estense.  Il  primo  dei  due  codici  è 
il  più  antico  ;  ma  ciò  nonostante  è  imperfettissimo,  essendo  ace- 
falo, e  mancando  di  parecchi  brani  nella  porzione  della  Cronaca 
dovuta  a  Pietro  Gazzata.  Il  Muratori  enunciò  e  lamentò  tali  per- 
dite. Alla  bontà  del  eh.  sig.  conte  Malaguzzi  sono  debitore  se  posso 
dar  un  breve  cenno  intorno  a  quel  ms.  (1).  Chi  sa  che  Pietro  della 
Gazzata  fu  «  abbas  sancti  Prosperi  inferioris  »  dal  1363  al  1414 
(in  cui  morì),  come  leggesi  nella  sua  iscrizione  sepolcrale  (2),  po- 
trebbe supporre  che  noi  avessimo  qui  il  Codice  originale.  Ma  ciò 
non  è.  Il  Malaguzzi  m'avverte  che  il  ms.  appartiene  alla  metà 
circa  del  sec.  XV,  tranne  alcune  postille  ed  aggiunte  del  sec.  XVI. 
Lasciando  le  aggiunte,  il  testo  è  di  due  mani,  contemporanee  o 
quasi,  delle  quali  la  prima  arriva  copiando  sino  all'a.  1385,  e  la 
seconda  prosegue  fino  al  1388.  Al  1371  il  copista  lasciò  in  bianco 
mezza  facciata  ed  una  carta,  segno  dell'imperfezione  del  ms.  che 
stava  a  sua  disposizione  ;  il  principio  è  mutilo.  Il  cod.  Modenese, 
del  sec.  XVII,  è  una  copia  del  Reggiano,  giusta  l'opinione  del 
sullodato  co.  Malaguzzi,  il  quale  mi  comunicò  con  larghezza  ve- 
ramente straordinaria  tutte  queste  notizie.  L'autografo  del  cro- 
nista non  si  è  perciò  conservato. 

Non  potei  procurarmi  un  opuscolo  del  signor  Giuseppe  Turri, 
Delle  Cronache  dei  Gazzata  e  degli  scrittori  di  esse  (Reggio 
Emilia,  1865),  che  trovasi  riassunto  diffusamente  nell'^rc/^.  5^.  2Y. 
(ser.  Ili,  II,  2,   212-8).   Egli  opina  che  tre  siano  i  cronisti  e 


(1)  Ora  nella  BiLl.  comunale  di  Reggio. 

(2)  Presso  Muratori,   loc.  cit.,  p.  2  tav. ,  e  Arch.  stor.  ital. ,  serie  III, 
t.  II,  2,  214. 

Giornale  storico,  VI,  fase.  16-17.  8 


g2  e.   CIPOLLA 

non  dae.  Il  primo  cronista  sarebbe  Sagacio  Muti  della  Gazzata 
che  scrisse  sino  al  1303:  lo  crede  morto  nel  1353.  Il  secondo 
sarebbe  Sagacino  Levalossi,  dal  1303  al  1353,  nel  quale  anno  di- 
venne cieco,  e  vecchissimo  mori  nel  1357.  L'ultimo  finalmente  è 
l'abate  Pietro  Muti  della  Gazzata,  di  cui  Sagacio  era  avo  paterno 
e  Sagacino  era  proavo  materno.  Il  Turri,  distribuendo  cosi  fra 
questi  tre  la  Cronaca  Reggiana,  di  cui  ci  occupiamo,  opina  che 
il  primo  di  essi  abbia  scritto  anche  uno  speciale  e  separato  trat- 
tato della  magnificenza  di  Cane  della  Scala,  citato  dal  Panciroli 
e  ora  perduto.  Lascio  al  co.  Malaguzzi  l'esame  della  troppo  ardita  . 
opinione  messa  avanti  (o  piuttosto  solo  patrocinata)  dal  Turri 
sui  tre  scrittori  della  Cronaca,  e  vengo  a  ciò  che  già  accennò 
il  Muratori,  e  che  risulta  immediatamente  dal  nostro  testo. 

Lo  stile  della  Cronaca  sembra  abbastanza  uniforme,  e  forse  noi 
l'attribueremmo  ad  un  solo  scrittore,  se  sotto  l'a.  1353  ,  aprile, 
non  leggessimo  quanto  trascrivo  (col.  72,  A-B)  :  «  Ipso  mense  de- 
«  fecit  visus  d.  Sachacino  proavo  meo,  qui  hactenus  huc  usque 
«  scripsit  gesta,  et  nihil  ultra  scripsit;  erat  enim  tunc  annorum 
«  LXXX(X)I....  Hanc  Chronicam  perdidi  tempore  spoliationis  huius 
«  civitatis  et  ipsam  recuperavi  1382  de  mense  Augusti,  excepto 
«  quod  desunt  gesta  Atilae  et  Eccelini  de  Romano  et  regis  Gor- 
«  radini  et  alia  plura  quae  ordinate  scripserat.  Eodem  anno  ego 
«  frater  Petrus  d.  Franceschini  de  Gazata  coepi  amodo  scribere 
«  quae  sequuntur...»  A  primo  aspetto  parrebbe  che  l'abate  Pietro 
non  avesse  fatto  altro  che  proseguire  la  cronaca  di  Sagacino.  Ma 
nel  fatto,  egli  fece  qualcosa  di  più.  Il  Muratori  (p.  2)  ammise  che 
Pietro  aggiungesse  delle  postille  al  testo  del  suo  antenato.  Ciò  è 
evidente  per  gli  anni  1348,  1349,  1351  (col.  67,  68,  70).  P.  e.,  col.' 
67  E  :  «  et  ego  ductus  fui  extra  castrum  per  brachium  a  d.  Fran- 
«  cischino  patre  meo...»,  dove  si  parla  chiaramente  di  Pietro. 
Alla  col.  67  C  nel  testo  stesso  della  Cronaca  una  frase  c'è  almeno, 
scritta  da  Pietro  :  l'ab.  di  S.  Prospero  «  recepit  in  monachos  suos 
«  fratres  Petrum  filium  d.  Franceschini  de  Gazata,  qui  in  pro- 
«  cessu  temporis  fuit  abbas  dicti  loci,  et  fratrem  lohannem  ecc.-» 
Sembra,  di  primo  esame,  che  solamente  la  frase  qui  in  processu 


STUDI  SU  FERRETO  DEI  FERRETI  83 

loci  sia  di  Pietro,  che  ve  la  potea  aggiungere  facilmente  al  mar- 
gine. Ma  ciò  non  è  ammissibile;  poiché,  finito  l'elenco  dei  frati 
ricevuti  allora  in  convento,  abbiamo  :  «  Haec  scripsi  quia  ex  eis 
«  fui  unus  minimus  ».  Queste  parole,  dovute  indubitatamente  a 
Pietro,  indicano  che  tutto  il  tratto  è  di  Pietro.  Egualmente  in 
col.  70G-Ele  vestigia  del  ritocco  sono  innegabili.  S'io  non  m'in- 
ganno dunque,  Pietro  non  solo  postillò  la  cronaca  del  suo  ante- 
nato, ma  le  diede  una  veste  più  o  meno  nuova  nell'atto  di  tra- 
scriverla. Non  sostengo  per  questo  che  la  Cronaca  sia  tutta  sua. 
Tutt'altro.  Il  fondo  è  del  proavo  ;  ma  una  parte  nella  compila- 
zione spetta  al  nipote.  Concedo  anzi  che  probabilmente  ciò  che 
spetta  al  nipote  è  assai  limitato. 

Il  Panciroli  conosceva  la  Cronaca  detta  dei  Gazzata,  che  egli  cita 
nel  proemio  alla  sua  Storia:  «  Primus  quidem  Sagacius  Mutus 
«  cognomento  Gazadius,  non  panca  suorum  temporum  usque  ad 
«  annum  h.  s.  1353,  quo  jam  nonagenarius  oculos  amisit,  non  pe- 
«  nitus  inutili  historia  composuit.  Quam  postea  Petrus  eius  nepos, 
«  insigni  religione  ac  doctrina  monachus,  continua  aliquot  anno- 
«  rum  serie  est  prosequutus  ».  Il  Sagacio  del  Panciroli  è  il  Sagacino 
(Levalossi)  rammentato  da  Pietro  della  Gazzata  nel  luogo  testé 
recitato.  Dove  riferisce  il  brano  riguardante  la  corte  di  Cangrande, 
Guido  Panciroli  cita  pure  Sagacio  Muto  Gazadio ,  e  lo  fa  nella 
maniera  seguente:  «  Sagacium  Mutum  Gazadium  Regiensem,  li- 
«  terarum  elegantia,  ut  illa  ferebant  tempora,  satis  eruditum,  hu- 
«  maniter  excepit  ».  Secondo  il  Panciroli  adunque,  lo  stesso  uomo 
che  scrisse  la  cronaca  reggiana  sino  al  1353,  e  divenne  cieco  in 
quell'anno,  parlò  anche  della  corte  di  Cangrande.  Tale  conclusione 
non  combina  colla  tesi  sostenuta  dal  Turri  :  ma  a  noi  non  incombe 
occuparci  di  ciò.  Se  anche  va  perduta  la  distinzione  tra  lo  sto- 
rico Sagacio  e  lo  storico  Sagacino,  la  è  cosa  che  poco  ora  ci 
riguarda. 

Fulvio  Azzari,  non  di  molto  posteriore  al  Panciroli,  lasciò  un 
voluminoso  ms.  di  storia  reggiana,  che  venne  ricordato  dal  Mu- 
ratori. Il  co.  Malaguzzi,  che  lo  vide  ed  esaminò  nella  Bibl.  Estense 
in  Modena,  mi  assicura  che  l'Azzari,  per  quanto  riguarda  la 


84  e.  CIPOLLA 

notizia  sulla  corte  scaligera,  utilizzò  semplicemente  il  passo  del 
Panciroli.  Dell'Azzari  abbiamo  a  stampa  il  compendio  del  suo 
lavoro  (1),  dal  quale  pure  apparisce  ch'egli  doveva  conoscere  il 
Panciroli,  e  basarsi  sulla  sua  attestazione.  Quanto  alla  ricerca 
attuale ,  egli  scrive  :  «  Sagaccio  Mutti  cognominato  il  Gazadio, 
«  scrittore  delle  cose  del  suo  tempo,  amato  da  Gan  della  Scala, 
«  fece  un  trattato  della  sua  magnificenza  ». 

Il  Panciroli  non  dice  affatto  che  il  brano,  di  cui  ci  occupiamo, 
egli  l'abbia  letto  nella  Cronaca  detta  dei  Gazata,  ed  è  per  questo 
che  Fulvio  Azzari  potè  pensare  ad  uno  scritto  separato  dell'antico 
cronista  ;  locchè,  nel  modo  visto,  venne  ripetuto  dal  Turri.  Anzi 
la  forma  con  cui  si  esprime  il  giureconsulto  reggiano,  lascia  facile 
adito  a  tale  ipotesi:  «  ...  qui  hospitalis  disciplinae  rationes,  etc, 
«  diligenter  descripsit  ».  Peraltro  egli  non  lo  afferma.  Restano 
quindi  possibili  o  discutibili  parecchie  supposizioni: 

I)  Sagacie  (dal  Pane,  forse  con  facile  errore  detto  Muti  della 
Gazata)  scrisse  un  trattato  sulla  corte  di  Gangrande; 

II)  Sagacie  in  un'  opera  diversa  dalla  Cronaca ,  parlò  tra 
l'altro  anche  di  Cangrande; 

in)  Sagacie  parlò  di  Gangrande  nella  sua  Cronaca.  Pietro 
della  Gazza ta  ritoccando  la  Cronaca,  omise  il  brano  relativo,  che 
può  essersi  conservato  separatamente,  anche  per  la  sua  singola- 
rità, ma  che  non  ci  pervenne  nel  corpo  della  Cronaca; 

IV)  n  copista  del  sec.  XV,  che  trascrisse  la  Cronaca,  lasciò 
fuori  quel  tratto  nel  codice  a  noi  giunto. 

L'esame  diligente  dei  Codici  Gazzadiani  potrebbe  recare  qualche 
luce  su  tali  spinose  quistioni.  Noto  soltanto  che  il  Panciroli  cita 
dalla  Cronaca  Gazzata  un  fatto  del  1371 ,  che  nella  Cronaca,  se- 
condo il  cod.  Reggiano,  manca,  poiché  cade  in  una  lacuna  (cfr. 
ediz.  Murai,  col.  77);  dal  che  può  dedursi  che  il  Panciroli  aveva 
a  sua  disposizione  un  Codice  della   Cronaca   migliore  di  quelli 


(1)  Compendio  delle  historie  della  città  di  Reggio ,  raccolto  da  Ottavio 
suo  fratello,  Reggio,  1623.  Veggasi  quivi  nella  classe  Filosofi,  poeti  ecc. 


STUDI  SU  FERRETO  DEI  FERRETI  85 

che  sono  a  noi  pervenuti.  E  può  ancora  dedursi  che  le  lacune 
ora  deplorate  nel  cod.  Reggiano  non  sono  quelle  di  cui  parlò 
Pietro  Gazzata.  Le  quali  considerazioni  possono  spiegare  la  sup- 
posizione lY,  testé  riferita. 

Prima  di  terminare  questa  discussione,  è  ancora  necessario  fere 
un'osservazione.  Sagacio,  come  reggiano,  non  poteva  di  certo 
amare  Gangrande ,  per  alcun  motivo  politico.  Nonostante  ciò,  è 
pure  un  fatto  che  nella  sua  Cronaca  ne  parla  in  complesso  fa- 
vorevolmente. Sotto  l'a.  1319  discorrendo  di  una  irruzione  dello 
Scaligero  nel  Reggiano,  non  gliene  muove  rimprovero  (col.  30-1). 
Più  tardi,  a.  1322,  una  importante  guerra  venne  mossa  da  Gan- 
grande contro  Reggio,  che  n'ebbe  molto  a  soffrire.  Sagacio  espone 
i  mali  piombati  sulla  sua  patria  per  cagion  di  Gangrande  ,  ma 
pur  si  affretta  a  dire  che  quest'  ultimo  «  mandaverat  suis ,  ne 
«  incenderent  Burgum  (Sanctae  Grucis)  »  (col.  33-4).  Venendo  a 
dire  dei  fatti  dell'a.  1328,  Sagacio  discorre  volentieri  della  curia 
data  dallo  Scaligero  per  celebrare  la  conquista  di  Padova.  È 
verissimo  che  le  curie  di  Gangrande  erano  famose  in  Italia;  ma 
non  perciò  è  meno,  interessante  l'ascoltare  come  ne  parli  lo  sto- 
rico reggiano.  «  Die  XXVII  Novembris  facta  est  curia  solemnis 
«  in  Verona  per  d.  Ganem  de  la  Scala,  in  qua  triginta  octo  no- 
«  biles  equites  fecit,  et  unicuique  donavit  unum  destrerium  et 
«  unum  palafrenum  arredatum,  et  duas  robas  de  varis  fodratas. 
«  In  hac  curia  fuerunt  quinque  millia  equorum  forensium  ex 
«  diversis  locis;  nobiles  quamplurimi  ibi  fuerunt  »  (col.  40  D). 
Leggendo  ciò,  non  parrebbe  che  anche  Sagacio  si  fosse  recato  in 
tale  occasione  a  Verona?  Più  importante  ancora  è  per  noi  il 
profilo,  che  il  reggiano  ci  lasciò  di  Gangrande,  eh'  egli  certa- 
mente conobbe  di  veduta.  Là  dove  ne  commemora  la  morte, 
22  luglio  1329,  scrive  :  «  Hic  homo  non  magnus  sed  bene  compositus 
«  et  probus  ultra  modum,  et  magni  cordis  et  animi,  semper 
«  primus  centra  inimicos  percutiens,  et  de  ipso  multa  canta- 
«  bantur  et  merito  »,  e  si  compiace  che  sia  stato  sepolto  «  cum 
«  honore  maxime  »  (col.  42  A-B).  Qui  abbiamo  un  lusinghiero 
ritratto  morale  del  principe,  che  ci  fa  rifletter  molto.  Se  Sagacio 


86  e.  CIPOLLA 

non  poteva  amare  Gangrande  per  motivi  politici,  quali  altre  cause 
c'erano  per  le  quali  egli  non  solo  lo  ammirasse,  ma  quasi  ne 
fosse  entusiasta?  Né  si  dimentichi,  che  allato  al  profilo  morale 
c'è  il  ritratto  fisico,  poiché  Sagacio  sa  dirci  che  Gangrande  non 
era  alto  di  statura,  ma  ben  composto  della  persona  (1).  Egli 
l'avea  quindi  veduto.  La  fi'ase  magni  cordis  et  animi  mi  lascia 
sospettare,  ch'egli  avesse  fatto  esperienza  della  sua  ospitalità,  in 
alcuna  occasione;  tocche  è  pur  quanto  assevera  il  Panciroli. 
Forse,  come  dicevo,  visitò  lo  Scaligero  nell'occasione  della 
curia  anzidetta.  Allora  la  corte  Scaligera  era  frequentatissima: 
chi  sa  che  le  tinte  calde  della  sua  descrizione  non  dipendano 
anche  un  tantino  dal  fatto  che  egli  abbia  veduto  il  palazzo 
Scaligero  appunto  in  un  momento  solenne? 

Goncludendo:  fino  a  migliori  prove,  la  mancanza  del  passaggio 
discusso,  nella  Cronaca  Gazzata  quale  a  noi  pervenne,  com'è  un 
fatto  avvertito  dal  Muratori,  così  non  è  una  circostanza  che  sen- 
z' altro  basti  a  dichiarare  spurio  quel  passaggio  istesso.  Forse 
m'ingannerò,  ma  mi  sembrano  severchiamente  gravi  le  parole 
con  cui  lo  Scheffer-B.  (2)  accusa  di  leggerezza  il  Panciroli,  il 
quale  avrebbe  avuto  in  mano  invece  uno  scritto  assai  più  tardo, 
e  per  un  abbaglio  lo  avrebbe  attribuito  a  Sagacio. 

Il  secondo  motivo  che  indusse  lo  Schefler-Boichorst  ad  impu- 
gnare l'attendibilità  della  citazione,  dipende  dalle  ultime  parole  di 
questa  :  esse  seguono  immediatamente  alla  descrizione  delle  sale 
del  palazzo  Scaligero.  «  Ganis  ipse  mensam  suam  aliquibus  in- 
«  terdum  communicans,  Guidonem  a  Castello  Regiensem,  qui  ob 
«  sinceritatem  Longobardus  simplex  vocabatur,  et  Dantem  Ali- 
«  gerium,  hominis  ea  etate  clarissimi  ingenio  delectatus,  saepius 
«  vocare  consueverat  ».  A  questo  brano  lo  Scheffer-Boichorst  fa 


(1)  Il  Ch.  Ver.  (ap.  Murat.,  Vili,  641)  lo  dice  «  staturae  magne  »;  la  sua 
imagine  sepolcrale,  lo  dimostra  uomo  tarchiato. 

(2)  Fra  l'altro,  l'illustre  critico  tedesco  scrive  :  «  Wer  weiss,  durch  welchen 
«  Irrthum ,  durch  welche  Flùchtigkeit  Panciroli  die  schòne ,  romantische 
«  Beschreibung ,  die  ein  viel  Spàterer  sich  erdichèet  hatte ,  dem  zeitgenòs- 
«  sischen  Sagazio  della  Gazata  aufbOrdete?  » 


STUDI  SD  FERRETO  DEI  FERRETI  87 

una  obbiezione  che  per  avventura  potrà  ad  alcuno  parere  non 
del  tutto  fondata;  invece  una  seconda  obbiezione  forse  può  sol- 
levarsi in  proposito. 

Vediamo  prima  l'argomento  dell'illustre  tedesco.  Egli  allega  il 
luogo  {Purg.  XVI,  121-6)  dove  Dante  ricorda  Guido  da  Castello 
con  parole  di  altissima  riverenza.  Dopo  avere  levato  a  cielo  gli 
antichi  costumi  della  valle  padana,  rammemora  tre  vecchi  di 
quella  regione,  i  quali ,  colla  vita  dignitosamente  virtuosa,  con- 
servavano tuttora  intatte  le  antiche  tradizioni: 

Ben  V*  en  tre  vecchi  ancora ,  in  cui  rampogna 
L'  antica  età  la  nuova ,  e  par  lor  tardo 
Che  Dio  a  miglior  vita  li  ripogna  ; 

Currado  da  Palazzo,  e  il  buon  Gherardo 
E  Guido  da  Castel  che  me'  si  noma 
Francescamente  il  semplice  Lombardo. 

Il  prof.  Scheffer-B.  non  sa  intendere  (1)  come  Guido  da  Castello, 
vecchio  oramai  nell'anno  1300,  possa  essere  stato  ospite  di  Gan- 
grande,  insieme  con  Dante.  Se  non  m'illudo,  in  quel  passaggio  non 
è  detto  che  Guido  da  Castello  e  Dante  Allighieri  si  trovassero 
assieme  ai  conviti  di  Cangrande  ;  ma  soltanto  che  l'uno  e  l'altro 
furono  ospiti  suoi.  Fulvio  Azzari,  nel  libro  poc'anzi  allegato,  mo- 
stra, a  dir  vero,  d'aver  intese  le  parole  del  Panciroli  nel  senso 
che  Guido  da  Castello  e  Dante  siansi  trovati  compagni  presso 
Cangrande:  «  Guido  Castello  per  sua  sincerità  fu  chiamato  il 
«  semplice  Lombardo,  trattenuto,  et  molto  amato  da  Cane  grande 
«  della  Scala  et  compagno  di  Dante  Algieri  {sic!)  ».  Farmi  invece 
che  lo  storico  dica  solamente  che  lo  Scaligero  l'ospitò  l'uno  e 
l'altro,  senza  dire  se  uniti  o  divisi,  ravvicinando  i  due  perso- 
naggi, solo  perchè  ambedue  erano  amici  dello  Scaligero. 

Né  so  vedere  come  sia  difficile  ad  ammettersi  che  Cangrande 


(1)  «  Und  dieser  Mann  solite  noch  Canes  Gast  gewesen  sein?  Wohl  gar 
«  noch  gleichzeitig  mit  Dante?  » 


88  e.  CIPOLLA 

possa  aver  ospitato  Guido  da  Castello.  Gangrande  divenne  unico 
signor  di  Verona  nel  1311,  dopo  la  morte  di  suo  fratello  Alboino,  al 
quale  da  alcuni  anni  era  collega.  Guido,  vecchio  nel  1300 ,  non 
morì  si  tosto;  poiché  ospitò  «  semel  »,  il  ghibellin  fuggiasco;  ciò 
che  viene  attestato  da  Benvenuto  da  Imola  (1).  Presso  l'Az- 
zari,  allato  al  nome  di  Guido,  è  segnato  Ta.  1241:  che  cosa  in- 
dichi, non  lo  so.  Certo  non  significa  l'anno  della  morte.  Il  Tira- 
boschi  (2)  non  conosce  su  questo  personaggio  altre  notizie,  oltre 
a  quelle  che  abbiamo  da  Dante  e  da  Benvenuto  da  Imola.  Il 
sig.  co.  Malaguzzi  (3) ,  mercè  un  Estimo  edito  dal  Taccoli , 
provò  che  Guido  viveva  nel  1315:  potè  dunque  visitare  Gan- 
grande. 

Mi  si  presentò  alla  mente  un'altra  difficoltà,  diversa  affatto  da 
quella  posta  avanti  dal  prof.  Scheflfer-B.  Eccola  :  —  le  parole  del 
Panciroli  affermano  decisamente  che  Guido  da  Castello  «  oh  sin- 
«  ceritatem  »  chiamavasi  «  Longobardus  simplex  »  :  l'asserzione 
dipende  dal  verso  di  Dante  poco  fa  recitato?  In  caso  affermativo, 
è  probabile  una  tale  citazione,  e  in  tal  forma,  presso  uno  scrit- 
tore della  metà  del  sec.  XIV?  —  Meditando  sopra  queste  quistioni, 
dubitai  che  non  solo  il  passo  dipenda  da  Dante ,  ma  che  anzi 
contenga  una  interpretazione  poco  precisa  delle  parole  dantesche. 

Benvenuto  da  Imola,  a  proposito  del  citato  verso  di  Dante: 
«  che  me'  si  noma  Francescamente  il  semplice  Lombardo  »,  scrive 
cosi  :  «  Exponunt  aliqui  (4),  quia  de  curialitate  sua  tanta  fama  crevit 
«  per  Franciam,  quod  vocabatur  simplex  Lombardus.  Sed  istud 
«  est  vanum  dicere.  Immo  debes  scire,  quod  Galli  vocant  omnes 
«  Italicos  Lombardos ,  et  reputant  eos  valde  astutos.  Ideo  bene 


(1)  Comm.,  ap.  Muratori,  Ant.  ital.,  1,  1207. 

(2)  Biblioteca  Modenese,  Modena,  1781,  I,  428  sgg.;  Storia  della  lettera- 
tura italiana,  Modena,  1788,  IV,  430. 

(3)  Guido  da  Castello  e  Dante  Alighieri,  Reggio  Emilia,  1877.  Il  M. 
stesso  (a  cui  debbo  somma  gratitudine)  ebbe  la  bontà  d' indicarmi  il  suo 
opuscolo,  ignoto  anche  al  eh.  prof.  Sch.-B. 

(4)  Cosi  espone  I'Ottimo:  «  per  Francia  di  suo  valore  e  cortesia  fu  tanta 
«  fama,  che  per  eccellenza  li  valenti  uomini  il  chiatriavano  il  semplice 
«  Lombardo  ». 


STUDI  SU  FERRETO  DEI  FERRETI  89 

«  dixit,  quod  proprie  vocaretur  Gallice  simplex  Lombard/as. 
«  Simile  dixit  supra  de  Henrico  rege  Anglorum,  ubi  dixit:  Ve- 
«  dete  il  re  da  la  semplice  vita  ».  —  Guido  era  Lombardo,  per 
nascita;  e  per  la  sua  virtuosa  vita  era  «  semplice  Lombardo  »; 
presa  tal  frase  in  senso  francese,  varrebbe:  era  un  italiano  sem- 
plice, schietto.  Ciò  posto,  mi  sorse  un  dubbio,  appoggiato  anche 
al  vocaretur  di  fra  Benvenuto:  le  parole  di  Dante  si  possono 
intendere  nel  senso  che  Guido  dalla  gente  chiamavasi  effettiva- 
mente, e  data  alla  voce  il  senso  francese:  semplice  Lombardo? 
È  chiaro  che  no  ;  se  gli  italiani ,  lo  dicevano  semplice  Lom- 
bardo, dovevano  usare  questa  frase  nel  senso  proprio  e  non  nel 
senso  francese.  Il  senso  francese  è  escogitato  da  Dante,  per  dar 
risalto  all'eccellenza  del  suo  amico.  Dunque  nella  frase  dantesca, 
vi  è  qualche  cosa  di  soggettivo.  Ma  quanto?  Propongo  di  rite- 
nerla addirittura  tutta  soggettiva:  Guido  si  dovrebbe  chiamare 
non  con  altro  nome  che  con  quello  di  «  semplice  Lombardo  », 
adoperando  per  sopraggiunta  la  voce  «  Lombardo  »  nel  senso 
francese  di  «  Italiano  ».  In  altre  parole  il  pensiero  di  Dante 
sarebbe  il  seguente  :  io  dovendolo  dire  Lombardo,  perchè  di  Lom- 
bardia ,  vorrei  che"  questa  voce  si  prendesse  nel  senso  francese, 
di  italiano,  poiché  così  Guido  verrebbe  proclamato  quale  il  più 
schietto  non  solo  tra  i  lombardi,  ma  eziandio  fra  gl'italiani. 
L'avverbio  francescamente  ci  fa  vedere  che  tutta  la  proposi- 
zione è  solamente  un  nobile  pensiero  di  Dante,  ispirato  a  lui 
da  altissima  stima  e  da  riconoscenza  profonda.  La  frase  «  sem- 
«  plice  Lombardo  »,  è  parallela  a  «  gran  Lombardo  »  {Farad., 
XVII,  71).  Tuttavia  nel  passo  dello  Scaligero,  Dante  non  adopera 
niuna  frase  o  parola,  che  come  francescamente  lasci  scorgere 
un  giudizio  soggettivo  nell'epiteto  da  lui  adoperato.  Che  se  si 
volesse  riguardare  i  due  casi  come  veramente  identici,  ci  rimar- 
rebbe un'altra  quistione  da  sciogliere.  Vorremo  credere  che  lo 
Scaligero ,  al  quale  si  allude  in  quest'  ultimo  passo,  fosse  Barto- 
lomeo od  Alboino,  portasse  in  realtà  il  nome  di  gran  Lombardo, 
e  cosi  si  chiamasse  comunemente?  Ignoro  che  ciò  si  sia  finora 
dimostrato.  Quanto  a  me  non  potei  recare  altro  che  un  luogo 


90  e.  CIPOLLA 

di  Pietro  Azario  (1).  Egli  narra  di  Gangrande,  che  a  Milano, 
quando  il  Bavaro  fu  incoronato,  fece  sfoggio  delle  sue  ricchezze 
«  ut  apud  iraperatorem  crederetur  potior  Lombardus  ».  Il  passo, 
riguardando  Gangrande,  non  è  parallelo  al  luogo  dantesco. 

Rimarrebbe  ora  a  studiare  dal  lato  grammaticale  il  si  noma 
dantesco,  per  vedere  se  fra' Benvenuto  lo  ha  reso  bene  col  suo 
vocaretur;  ma  per  lo  scopo  nostro  basta  ora  aver  formulato  un 
dubbio.  E  un  dubbio  e  non  più  è  il  pensiero  che  mi  si  fissò  in 
mente;  per  avventura  non  è  che  una  allucinazione.  Ai  dotti  la 
forse  non  ardua  sentenza  (2). 

Se  l'interpretazione  ora  esposta  non  fosse  completamente  er- 
ronea, noi  avremmo  in  Sagacino  (Levalossi)  una  asserzione  sba- 
gliata: egli  direbbe  che  Guido  chiamavasi  dal  popolo  «  simplex 
«  Longobardus  » ,  mentre  cosi  lo  nomò  Dante  una  volta ,  in 
segno  di  rispetto. 

Alla  mia  obbiezione  rispondo  cosi  :  il  passaggio,  su  cui  insistiamo, 
è  affatto  estraneo  al  brano  copiato  (o  compendiato)  di  sulla  storia 
di  Sagacio.  Appartiene  invece,  e  per  intero  (cioè  tanto  nella 
forma,  quanto  nella  sostanza)  al  Panciroli.  Ecco  il  contesto,  come 
ora  ci  apparisce  dall'edizione  delle  Storie  reggiane  di  quest'  ul- 
timo :  —  descrizione  del  palazzo  scaligero  :  «  —  et  picturis  mirifice 
•«  exornabantur.  Ganis  ipse  mensam  suam  aliquibus  interdum 
«  communicans,  ecc.  »  Seguono  le  parole  sopra  riferite,  e  che 
riguardano  il  nostro  Guido  sino  a  «  saepius  vocare  consueverat.  » 
Dopo  di  che  vien  subito:  «  Sessii  et  ipsi  in  eam  aulam  jam- 
«  dudum  recepti  »,  e  continua  la  storia  dei  da  Sesso.  Al  Pan- 
ciroli va  ascritto  senza  dubbio  ciò  che  riguarda  questa  nobile 
famiglia,  che  trovò  onorata  accoglienza  in  Verona.  Se  ciò  è  vero, 
al  Panciroli  stesso  deve  attribuirsi  anche  il  periodo  che  imme- 


(1)  Ap.  Murat.  XVI,  311  D. 

(2)  Francesco  da  Buti  (II,  384)  senti  quanto  sia  diflBcile  ammettere  che 
Guido  venisse  volgannente  e  da  tutti  chiamato  il  semplice  lombardo.  Laonde 
egli  spiegò  il  verso  di  Dante  con  una  supposizione,  forse  più  artificiosa  che 
vera:  «  ...  e  però  dice:  il  semplice  lombardo;  cioè  citramontano  semplice, 
«  perchè  fu  omo  di  buona  fede,  e  forse  così  era  nominato  in  qualche  can- 
«  sone,  0  sonetto,  o  romanzo  fatto  in  francioso  ». 


STUDI  SU  FERRETO  DEI  FERRETI  91 

diatamente  precede,  consono  al  susseguente  si  nell'argomento, 
che  nella  esposizione  stilistica.  Al  principio  del  tratto,  il  Pan- 
ciroli  citò  il  Sagacio ,  affrettandosi  a  dire  eh'  egli  diligenter 
descripsit  la  corte  Scaligera.  E  perciò  a  Sagacio  non  dobbiamo, 
parmi,  attribuire  nulla  più  di  quanto  si  riferisce  strettamente 
alla  enunciata  descrizione.  Questa  soluzione  della  nostra  obbie- 
zione è  anche  una  risposta  alla  obbiezione  dello  S.-B.,  poiché 
scagiona  addirittura  il  Sagacio  da  ogni  responsabilità  per  il  tratto 
posto  in  controversia,  quand'anche  se  ne  potesse  provare  l'er- 
roneità. 

Un'ultima  obbiezione  muove  vagamente  il  eh.  prof.  Scheffer-B., 
al  quale  ripugna  d'accettare  la  bella,  romanzesca  descrizione, 
che  gli  sa  di  tarda  compilazione.  Qui  entrasi  in  argomento 
assai  delicato,  poiché,  per  vagliare  l'attestazione  di  Sagacio, 
bisognerebbe  addentrarci  in  ricerche  minute  sulla  costruzione 
dei  castelli  medioevali;  esse  sono  estranee  alle  presenti  indagini. 
Che  la  corte  scaligera  fosse  dipinta  è  cosa  notoria.  Il  Giotto  vi 
lavorò  sino  dai  primi  anni  del  sec.  XIV.  Alcuni  frammenti  di  pitture 
a  soggetto  romanzesco  (costumi)  (?),  e  a  soggetto  storico  si  trova- 
rono nell'a.  1884  ,  e  appartengono  forse  al  sec.  XIV  più  o  meno 
avanzato  ;  delle  pitture  a  soggetto  storico  feci  cenno  altrove ,  e 
qui  non  mi  ripeterò.  Queste  ultime  stanno  ancora  in  posto,  mentre 
quelle  a  soggetto  romanzesco  (?)  furono  trasportate  nel  Civico 
Museo  di  Verona,  dove  aspettano  un  illustratore.  A  parte  anche 
tutto  questo,  ognun  sa  quanto  e  come  nel  Medioevo  si  usasse 
dipinger  le  pareti  delle  sale  nei  castelli  signorili  :  la  pittura  era 
di  sovente  allegorica.  Chi  visitò  il  Castello  medioevale,  innalzato 
in  Torino  nell'occasione  dell'Esposizione  Nazionale  (1884),  ne  vide 
una  riproduzione  assai  degna  di  nota. 

Osservo  ancora,  che,  se  anche  si  ammettesse  che  la  fantasia 
abbia  lavorato  un  po'  in  quella  descrizione,  di  qui  non  potrebbe 
trarsi  buon  argomento  per  tosto  giudicare  tarda  e  di  niun  va- 
lore la  descrizione  stessa,  e  toglierla  a  Sagacio.  L'ospite  della 
corte  scaligera  può  aver  caricato  il  colorito;  e  il  Panciroli  può 
aver  dato  risalto  a  qualche  tinta. 


92  e.  CIPOLLA 

Riferii  di  sopra  la  descrizione  dell'aula  Scaligera  lasciataci  dal 
Ferreto,  nel  carme  in  onor  di  Gangrande  (I,  120-2).  Anche  il 
Ferreto  parla  di  pitture:  sono  dipinti  a  mille  colori  i  muri: 
dipinte  le  travature:  dipinti  i  letti.  La  descrizione  del  Ferreto 
ha  molto  a  che  fare  con  quella  di  Sagacio  (Levalossi). 

Non  potrebbe  peraltro  supporsi  che  il  Panciroli  desumesse  la 
sua  notizia  dal  Ferreto,  e  poi  la  ascrivesse  a  Sagacio.  Prima  di 
tutto  l'uniformità  tra  Sagacio  e  il  Ferreto  non  è  completa.  Que- 
st'ultimo si  contenta  di  due  versi  e  mezzo,  mentre  il  Cronista 
reggiano  è  diffuso.  Oltracciò  al  tempo  del  Panciroli  pare  che  le 
opere  del  Ferreto  fossero  cadute  in  dimenticanza.  La  lettera 
proemiale  che  il  Panciroli  premette  alle  sue  Storie,  porta  la  data 
di  Padova,  16  genn.  1560.  Nel  1531  lo  storico  vicentino  Merzari 
affermò  che  gli  scritti  del  Ferreto  erano  andati  perduti,  e  solo 
nel  1627  se  ne  ebbe  al  pubblico  alcuna  notizia  per  mezzo  del 
Vossio  (1).  Al  principio  del  sec.  XVII ,  Giuseppe  Scaligero  (2), 
parlando  dei  letterati,  che,  dopo  avere  avuto  molta  rinomanza, 
caddero  in  oblio,  include  fra  questi  il  Ferreto,  e  scrive:  «  ut 
«  alios  omittam,  quis  hodie  meminit  Ferretae  poetae  Vicentini,  qui 
«  Scaligerorum  principum  gesta  carmino  cecinit?  ».  Copia  subito 
l'epitaffio  in  cui  si  loda  il  Ferreto  vates ,  se  ne  encomiano  i 
carmina,  e  si  dice:  «  Scaligeros  decuit  quem  cecinisse  duces  ». 
È  molto  probabile  che  Giuseppe  Scaligero  conoscesse  il  libro 
del  Ferreto,  solo  dal  ricordo  fattone  nell'  iscrizione  sepolcrale; 
tanto  più  che  si  accorda  con  essa  nell'adoperare  il  plurale,  quasi 
che  Ferreto  abbia  cantato  non  uno  solo,  ma  vari  personaggi 
della  famiglia  della  Scala.  Cantò  Cangrande,  e  solo  indirettamente 
encomiò  suo  padre  Alberto  e  sua  madre  Verde  de'  Salizzoli. 

La  somiglianza  tra  la  descrizione  del  palazzo  scaligero  fatta 
dal  Ferreto,  e  il  cenno  che  ne  leggiamo  presso  il  Sagacio  può 


(1)  Gfr.  Antonio  Magrini,  presso  Orti,  Cenni  storici  e  documenti  che 
risguardano  Gangrande  I  della  Scala ,  Verona ,  1853 ,  p.  37.  La  cronaca 
vicentina  del  Pagliarini,  scritta  nel  sec.  XV,  fu  pubblicata  solo  nel  1663. 

(2)  Confutano  fahulae  Burdonum,  in  Opuscula  varia,  Francofurti,  1612, 
11,  18. 


STUDI  SU  FERRETO  DEI  FERRETI  08 

offrir  adito  ad  un'  altra  congettura ,  di  cui  il  lettore  farà  il 
giudizio  che  crede.  Come  il  lettore  rammenterà,  poco  addietro 
abbiamo  esposto  una  congettura  secondo  la  quale  il  Ferreto 
venne  a  Verona  in  occasione  della  curia  tenuta  da  Cangrande 
per  festeggiare  la  presa  di  Padova.  Ora,  considerando  il  modo 
con  cui  Sagacie  (Levalossi)  parla  della  curia  stessa,  sorge  in 
noi  il  sospetto  che  lo  storico  reggiano  sia  appunto  venuto  a 
Verona  in  quella  occasione.  La  somiglianza  tra  le  descrizioni 
del  palazzo  Scaligero  in  Ferreto  e  nel  preteso  pseudo-Gazzata 
può  forse  dipendere  dal  fatto  che  i  loro  autori  si  siano  trovati 
a  Verona  nel  medesimo  tempo,  e  nella  stessa  occasione  abbiano 
veduto  e  ammirato  il  palazzo  di  Cangrande? 

Il  Gazzata,  nella  Cronaca,  dandoci  il  profilo  dello  Scaligero, 
come  il  lettore  ricorda,  soggiunge  che  di  lui  multa  cantabantur 
et  merito.  Ora  il  Ferreto  afferma  che  niun  poeta  parlò  espres- 
samente di  Cangrande.  Paragonando  queste  due  asserzioni,  è 
facile  congetturare  che  Sagacie ,  scrivendo  quanto  si  riferì , 
alludesse  non  agli  epigrammi  composti  per  la  morte  di  Can- 
grande, e  meno  ancora  ai  versi  di  Dante  nel  Paradiso,  ma 
addiritura  al  Ferreto.  Non  mi  nascondo  che  le  parole  del  Fer- 
reto difficilmente  si  possono  prendere  nel  pieno  e  intero  loro 
significato,  essendo  noto,  p.  e.,  il  carme  edito  dal  Freher;  ma, 
checche  sia  di  ciò,  la  testimonianza  del  poeta  Vicentino  ha  per 
certo  un  valore.  D'altra  parte  non  ignoro  che  il  mMlta  cantabantur 
può  comprendere  anche  canzoni  popolari.  In  ogni  modo  noto  la  re- 
lazione in  cui  la  citata  espressione  del  Ferreto  sta  col  passo  di  Sa- 
gacie; considerata  essa  in  armonia  agli  altri  fatti  testé  esposti,  raf- 
ferma i  risultati  a  cui  eravamo  ormai  giunti.  Tengasi  anche 
ricordato  che  il  Panciroli  espressamente  attesta  essere  stato  Sa- 
gacie ospite  presso  Cangrande. 

Termino  non  senza  esprimere  il  vivo  dispiacere  ch'io  provai 
per  essermi  trovato  forse  talvolta  in  non  perfetta  armonia  d'o- 
pinioni con  uomini  cosi  dotti  come  sono  e  lo  Scheffer-B.,  e  il 
Laue,  i  quali  per  di  più  sono  tanto  benemeriti  degli  studi  di 
storia  italiana  nel  XIV  secolo. 


94  e.  CIPOLLA 


HI. 


Il  poema  del  IPerreto  in  onor  di  Oarigrande 
e  r  Eccer'liiis  del  lS/L-cLaaa.to. 


Se  prendessimo  alla  lettera  la  prima  linea  del  Carmen  scritta 
dal  Ferreto  in  onor  di  Gangrande,  dovremmo  conchiuderne  che 
esso  sia  stato  il  primo  lavoro  poetico  dell'umanista.  Anzi  il  primo 
suo  scritto  addirittura,  giacché  non  diede  mano  alla  sua  Storia, 
se  non  che  nel  1330;  ed  esordendo  a  questa,  come  si  dice  nuovo 
allo  scrivere  in  prosa,  così  cenna  i  suoi  carmi  giovanili  (1). 

Le  parole  del  Carmen,  alle  quali  alludo,  son  queste,  e  spettano 
all'invocazione  a  Pallade,  con  cui  ha  principio  il  libro  I: 

(vs.  6) 

Nunc  mihi,  dum  prìmos  in  Carmine  molior  ausus, 
Magnanimum  refer,  alma,  Canem 

Queste  parole  tuttavia  non  devono  prendersi  alla  lettera,  seb- 
bene sembrino  raffermate  dalla  fine  del  libro  IV,  dove  il  Ferreto 
implora  per  se  stesso  vati  novo  la  protezione  dello  Scaligero. 
La  data  del  poema  è  conosciuta ,  e  il  Muratori  lo  ascrisse  al 
1329.  Sicuramente  è  posteriore  al  10  settembre  1328,  e  per 
chiari  motivi.  Nel  giorno  suddetto  Gangrande  entrò  trionfatore 
in  Padova  (2),  la  qual  città  ci  viene  qui  descritta  dal  Ferreto, 
come  soggetta  a  Gangrande  (3).  Il  poeta  è  certissimo  che  Tre- 


(1)  Dice  cioè  di  essersi  fino  allora  dedicato  solo  alla  poetica  (ap.  Mura- 
tori, IX,  943  B). 

(2)  GoRTusi,  ap.  Muratori,  XII,  846. 

(3)  La  testimonianza  è  esplicita  :    «  . . . .   et   Phrygii   reparas    Antenoris 
«  urbem  »  (1.  Ili,  vs.  114). 


STUDI  SU  FERRETO  DEI  FERRETI  95 

viso  pure  si  sottometterà  a  Gangrande,  e  spera  che  il  dominio 
dello  Scaligero  si  estenderà  sino  al  golfo  Veneziano,  e  compren- 
derà Gividale,  ecc.  (1).  Per  l'opposto,  dopo  conquistato  Treviso,  sul 
declinare  del  luglio  1329  Gangrande  morì. 

Alquanto  anteriori  al  presente  Carmen  sono  le  composizioni 
metriche,  ch'egli  scrisse  per  la  morte  di  Benvenuto  da  Gampe- 
sani,  poeta  e  letterato  Vicentino.  Pubblicò  quei  versi  il  Muratori  (2); 
e  sono  scritti  senza  dubbio  subito  dopo  la  morte  del  Gampesani,  la 
quale  avvenne  sul  declinare  del  1323,  come  risulta  da  uno  degli 
scritti  medesimi  (3).  In  altra  di  quelle  composizioni,  il  Ferreto 
dice  chiaramente  che  la  morte  del  Gampesani  era  recente.  Ri- 
volgendosi alla  Dea  «  quae  nostrae  decidis  tempora  vitae  »  ri- 
corda prima  di  tutto  —  e  non  senza  giusto  motivo  —  i  fatti  poli- 
tici, ne'  quali  essa  aveva  una  funebre  parte.  Quindi  il  suo  pensiero 
si  rivolge  all'amico  estinto  : 

At  saltem  egregio  potuisti  parcere  vati, 
Impia,  quem  morsu  praessisti  saeva  recenti, 
Vitalesque  suo  rapuisti  corpore  sensu  (4) 

Se  la  morte  del  Gampaesani  era  recente,  la  data  delle  poesie 
del  Ferreto  è  assicurata. 

In  quell'epoca  il  Ferreto  era  assai  giovane,  forse  aveva  29 
anni,  e  forse  era  anche  di  minore  età  (5).  Fin  d'allora  si  pro- 


ci) Lib.  Ili,  vs.  146  sgg. 

(2)  R.  I.  S.,  IX,  1183  sgg.  Le  composizioni  sono  sei. 

(3)  Ap.  Muratori,  IX,  1185  B. 

(4)  Ap.  Muratori,  IX,  1183  G-D. 

(5)  In  altro  mio  scritto  (Misceli,  di  st.  ital.,  XXIII ,  Append. ,  p.  xi)  in- 
clinai a  crederlo  nato  intorno  al  1297.  Trascurai  ivi  un  dato  del  quale  mi 
fece  risovvenire  il  Laue  (Op.  cit.,'0).  Il  Lane  non  ritiene  decisa  la  quistione, 
e  sta  contento  di  porre  la  nascita  del  Ferreto  tra  il  1295  e  il  1297.  A  fa- 
vore del  1295  (o  meglio  del  1294)  sembra  deporre  il  dato  di  cui  mi  sono 
poi  occupato  incidentalmente  in  questo  Giornale ,  V,  229  ;  il  Laue  lo  co- 
nobbe solo  indirettamente,  dal  Magrini,  citato  dall'ORTi,  Cenni  storici  ecc., 
p.  146.  Fortunato  Vigna  trovò  che  il  Ferreto  era  Castaldo  dei  Notai  di 
Vicenza  addi  17  maggio  1320.  Sopra  di  che  egli  ragiona  così  :  «  ...  almeno 


96  e.   CIPOLLA 

fessava  grande  ammiratore  del  Mussato,  come  apparisce  dai  versi 
indirizzati  al  medesimo  (1),  per  eccitarlo  a  scrivere  in  lode  del 
Gampesani  : 

Tu  quoque  perpetuam  rebus  dare  Carmine  famam 
Et  potes  et  nosti,  Latiae  qui  bella  ruinae 
Gesta  sub  Arctoo  scripsisti  Cesare,  vates. 

Nei  versi  che  seguono ,  il  Ferreto  dice  al  Mussato  :  se  tu 
canterai  le  lodi  del  Gampesani,  potrà  avvenire  che  dopo  la 
tua  morte  altro  poeta  inneggi  a  te.  Con  tali  parole  sembra 
che  il  Ferreto  voglia  promettere  al  Mussato  di  dedicargli  egli 
stesso  un  carme,  quando  venisse  a  morire  (2).  I  tre  versi  ora 
riferiti  ci  dicono  che  il  Mussato  aveva  pubblicata  la  sua  historia 
Augusta,  e  serbano  assoluto  silenzio  circa  VEccerinis,  nonché 
sopra  la  laurea  poetica  del  Mussato.  Quando  il  Mussato  fu  fatto 
prigioniero  da  Cangrande,  sul  declinare  di  settembre  1314,  non 
aveva  dato  in  pubblico  neanche  la  hist  Aug.,  sebbene  forse  l'a- 
vesse ormai  compiuta  da  qualche  mese  (3).  Il  Ferreto,  nella  sua 
historia,  parlando  della  prigionia  del  Mussato,  scrive:  «  Non- 
«  dum  enim  ille  lauro  hederaque  virenti  sub  poétae  titulo 
«  decoratus  coronam  attulerat  ;  nec  dum  etiam  historia  illi 
«  edita,  Ezerinique  tragoedia,  quam  postea  jam  poeta  vocatus 
«  in  propatulo  edidit  »  (4).  Da  queste  ultime  parole  si  potrebbe 


«  doveva  essere  nato  il  1294,  giacché  per  uno  Statuto  del...  Collegio  (de' 
«  Notai),  esercitare  l'Ofizio  di  Castaldia  non  poteva,  chi  finiti  non  avea  li 
«  vencinquanni  ».  E  il  Vigna  allega  lo  Statuto  del  1283,  dove  sotto  la  ru- 
brica De  electione  Gastaldiorum  et  Ckmsiliariorum,  si  legge  :  «  Quod  nuUus 
«  possit  esse  Gastaldio  vel  Consiliarius  nisi  fuerit  maior  annis  vigintiquinque  » 
{Preliminare  di  alcune  dissertazioni  ecc.,  Vicenza,  1747,  p.  lxi). 

(1)  Ap.  Muratori,  IX,  1187-8. 

(2)  Da  ciò  può  dedursi  che  il  Ferreto  fosse  di  gran  lunga  più  giovane  del 
Mussato,  il  quale,  come  provò  il  eh.  prof.  A.  Gloria,  nacque  nel  1262  (cfr. 
Zardo,  Alb.  Mussato,  p.  8:  Minoia,  Alb.  Mussato,  p.  46). 

(3)  Avanti  all'aprile  1314,  secondo  Zardo,  pp.  2434. 

(4)  Hist.,  1.  e,  1145  D. 


STUDI   SU  FERRETO  DEI  FERRETI  97 

desumere  che  VEccerinis  sia  posteriore  all'  incoronazione  poe- 
tica del  Mussato  ;  locchè  sembra  falso.  Assai  più  che  VMst  Aug., 
fu  appunto  VEccerinis  che  gli  procurò  l'eccelso  onore  (1).  La 
cattività  del  Mussato  fu  breve,  essendo  stato  posto  in  libertà 
in  seguito  alla  pace  tra  lo  Scaligero  e  Padova,  7  ottobre  1314. 
La  data  dell'incoronazione  è  incerta  ;  avvenne  sicuramente  nel- 
l'occasione di  un  Natale:  chi  sta  per  l'anno  1314,  chi  propende 
per  il  1315,  e  chi  per  il  1316  (2).  Comunque  sia  delle  qui- 
stioni  di  minore  entità ,  resta  provato  che  le  ricordate  poesie 
del  Ferreto ,  sono  posteriori ,  e  cioè  del  1323-4  incirca,  e  per- 
ciò anteriori  al  suo  carme  per  Gangrande.  Nei  citati  versi 
del  Ferreto,  Tu  quoque  ecc.  si  accenna  alla  historia  Augusta 
come  a  prova  della  valentia  poetica  del  Mussato.  Anche  ciò 
merita  spiegazione,  poiché  la  historia  è  in  prosa.  Nell'edizione 
Muratoriana  fanno  parte  di  essa  alcuni  tratti  in  versi,  che  ora 
il  Minoia  riconobbe  far  parte  di  altra  opera,  interamente  poe- 
tica. L'apparente  contraddizione  può  eliminarsi  considerando  che 
il  Ferreto  fondeva  in  un  concetto  unico  la  valentia  del  Mussato, 
e  la  historia  che  avea  dato  tanta  riputazione  al  nome  dello 
scrittore  padovano.  La  storia  in  versi  potea  ben  servire  di  le- 
game per  raccogliere  in  un  pensiero  unico  i  vari  aspetti  del- 
l'attività letteraria  del  Mussato. 

Anche  altre  composizioni  poetiche  del  Ferreto  si  debbono 
reputare  anteriori  al  1328-9.  L'epigramma  in  lode  di  Bailardino 
Nogarola  è  del  1315;  e  probabilmente  è  del  1321  il  carme  per 
la  morte  di  Dante,  e  di  cui  resta  solo  un  breve  frammento  (3). 

Tali  composizioni  forse  al  Ferreto  sembravano  bazzecole,  in 
confronto  del  carme  eroico  con  cui  prendeva  a  lodare  il  principe 
Scaligero.  Del  resto  non  è  questo  che  a  noi  ora  interessi  di  porre 
in  rilievo.  A  noi  importa  notare  la  relazione  antica  che  cor- 
reva tra  Ferreto  e  il  Mussato,  e  questa  l'abbiamo  trovata  nelle 


(1)  Minoia,  pp.  139  sgg.;  Zardo,  pp.  153,  244. 

(2)  Zardo,  p.  153,  difende  il  1314.  Il  Minoia,  p.  139,  preferisce  forse  il  1316. 

(3)  Gfr.  Laue,  pp.  14-15;  Orti,  pp.  41-129. 

Giornale  storico,  VI,  fase.  16-17.  7 


98  C.  CIPOLLA 

prime  composizioni  poetiche  del  Vicentino.  Il  Pagliarino  (1),  che 
nella  sua  storia  di  Vicenza  ci  lasciò  memoria  degli  scritti  del  Fer- 
reto,  nota  ch'egli  conosceva  anche  la  risposta  dal  Mussato  fatta 
al  Ferreto  (2).  Che  cosa  dicesse  in  questa  epistola  il  Mussato,  noi 
so;  certo  non  può  avere  biasimato  il  Gampesani,  che  piuttosto 
di  farlo,  avrebbe  di  certo  taciuto.  Il  Mussato  verso  1311  scrisse 
una  epistola,  che  è  la  XVII  (3),  per  rispondere  al  Gampesani 
«  adversus  opus  metricum  per  eum  factum  in  laudem  domini 
«  Ganis  grandis  et  vituperium  Paduanorum ,  cum  capta  fuit 
«  Vicentia.  »  Se  ora  egli  si  decideva  a  parlar  con  rispetto  del 
Gampesani ,  è  ragionevole  conchiudere  che  molto  viva  e  salda 
fosse  l'amicizia  che  lo  legava  al  Ferreto.  Lo  Zardo  (4)  sospetta 
che  l'amicizia  tra  i  due  scrittori  siasi  stretta  nella  occasione  in 
cui  il  Mussato  prigioniero  fu  condotto  in  Vicenza ,  e  dimorò  in 
casa  di  Gregorio  da  Poiana.  La  ipotesi  è  molto  ragionevole; 
solamente  bisogna  avvertire  che  il  Mussato  non  può  essersi 
trattenuto  se  non  che  pochissimo  in  Vicenza,  essendo  andato 
tosto  a  Verona,  dove  lo  Scaligero  lo  accolse  nel  proprio  pa- 
lazzo, e  quivi  ne  fece  medicar  le  ferite  (5).  Oltracciò  qualcuno 
potrebbe  trovare  un  po'  strano  che  il  Ferreto ,  il  quale  non 
sempre  è  restio  a  intrattenere  il  lettore  delle  sue  storie,  con  ricordi 
personali,  trascuri  ora  di  dar  rilievo  all'occasione  per  la  quale 
diventò  amico  del  Mussato.  L'argomento  non  è  decisivo;  ma  può 
forse  bastare  per  proporre  anche  l'ipotesi  che  il  Ferreto  abbia 
conosciuto  il  Mussato  prima  della  caduta  di  Vicenza  sotto  Gan- 
grande  (1311),  da  giovinetto,  e  che  poscia,  per  quanto  le  circo- 
stanze glielo  permettevano,  abbia  coltivata  quella  preziosa  amicizia. 
La  laurea  poetica  concessa  al  Mussato  deve  aver  fatto  grande 


(1)  Cronaca  di  Vicenza,  Vicenza,  1663,  p.  182:  «  et  si  vede  ancora  la 
«  risposta  di  Mussato  à  Ferreto  ».  Gfr.  Laue,  p.  11. 

(2)  Non  è  accennata  né  dal  Minoia,  né  dallo  Zardo. 

(3)  In  Graev.,  Thes.  antiq.  It.,  VI,  2,  51-2.  L'epistola  è  molto  acre,   e 
accusa  Gangrande  di  inganno.  Neppure  per  il  Gampesani  ci  sono  parole  melate. 

(4)  Op.  cit.,  p.  293. 

(5)  Ferreto,  ap.  Muratori,  IX,  1145. 


STUDI  SU  FERRETO  DEI  FERRETI        •     99 

impressione  sul  Eerreto,  il  quale  s'interessava  delle  cose  Padovane 
in  generale  (1),  e  di  quelle  del  Mussato  in  ispecie.  Né  vale 
oppor-re  il  fatto  che  nel  carme  che  a  lui  indirizzò  per  la  morte 
del  Gampesani  tace  della  laurea  poetica  :  giacché  ad  essa  può 
vedersi  quasi  una  allusione  nel  verso  «  Tu  quoque  perpetuam 
«  rebus  dare  Carmine  famam  Et  potes  et  nosti  ».  Questo  entu- 
siastico elogio  dice  molte  cose.  È  quindi  lecito  credere  che  il 
Ferreto  abbia  sentito  profondamente  lo  stimolo  dell'  ambizione, 
e  forse  anche  quello  dell'invidia.  E  perciò,  avendo,  vs.  132  sgg., 
deliberato  di  scrivere  un  carme  eroico,  scelse  un  grande  argo- 
mento. Pensò  a  Gangrande:  (I,  vs.  18-9) 

quem  decorat  gens  Itala  factis 

Quem  stupet  immenso  quidquid  complectitur  orbe. 

Osservò  che  l'eroe  non  era  stato  cantato  (vs.  20): 

Nondum  aliquis  patulo  discussa  poemata  cantu 
Tradidit,  aut  meritos  in  te  iactavit  honores. 

Persuaso  di  aver  trovato  un  soggetto  degno  di  canto,  si  rivolge 
ai  poeti,  e  li  rimprovera,  perchè  avevano  sino  allora  taciuto,  e 
tacevano  ancora: 

Quid  vatum  facis  alma  cohors?  quam  carmino  dignam 
Materiam  expectas? 

L'eroe  vi  premierà,  dice  egli,  ai  poeti  : 

Numquam  maioribus  ultro 
Te  studiis  miscere  velis,  nec  iniqua  vocabis 
Praemia,  non  sterilem  neglecta  quaerere  laborem. 

Lo  Scaligero  v'ascolta  e  vi  darà  la  fama  eterna,  che  tutti  cer- 
chiamo (vs.  27)  : 


(1)  Carmen  per  Gangrande,  I,  vs.  132  sgg.,  262  sgg. 


100  e.  CIPOLLA 

Quis  enim  nisi  respuet  amens 

In  se  perpetui  convertere  signa  decoris, 
Hoc  sibi  mansurum  nomen  velit? 

Pare  che  il  Ferreto  attendesse  dal  suo  Mecenate  (come  lo 
chiama  al  fine  del  canto  IV  e  ultimo)  la  fronda  poetica.  Dal  cadere 
del  1325  il  Mussato  era  esule  a  Ghioggia,  dove  morì  il  31  maggio 
1329,  come  il  prof.  Andrea  Gloria  ha  chiaramente  dimostrato  (1). 
Saremmo  tentati  a  credere  che  il  Ferreto  abbia  scritto  il  Carmen 
dopo  la  morte  del  Mussato,  e  quasi  per  aspirare  a  succedergli 
nella  fama.  Ci  sconsiglia  peraltro  da  tale  ipotesi  la  ristrettezza  del 
tempo,  che  rimarrebbe  per  la  composizione,  poiché  il  Carmen 
fu  certo  compiuto  avanti  alla  morte  di  Gangrande,  22  luglio  1329. 
Forse  la  lontananza  del  Mussato,  che  viveva  quasi  sconosciuto 
nella  sua  solitudine,  bastò  ad  incoraggiare  il  Ferreto  nel  suo  ten- 
tativo. Affranto  dagli  anni,  e  più  dalle  fatiche,  piagato  nel  cuore, 
disilluso  del  mondo,  il  vecchio  uomo  di  stato  si  preparava  a  mo- 
rire, cercando  di  dimenticare  e  di  essere  dimenticato.  Forse  il 
Carmen  dal  Ferreto  preparato  assai  prima  del  maggio,  non 
ebbe  la  forma  attuale  che  dopo  la  morte  del  grande  Padovano. 

Non  affermo  che  il  Ferreto  di  proposito  contrapponesse  se 
stesso  al  Mussato.  Il  ricorrere  alla  protezione  scaligera  già  ba- 
stava per  metterlo  in  una  certa  contrapposizione  al  Mussato,  il 
quale  viveva  in  dignitoso  esigilo,  sulle  spiaggie  del  mare,  sotto 
il  dominio  veneziano.  La  tempera  del  Mussato  non  era  quella 
del  Ferreto.  L' uno ,  uomo  politico,  s' era  trovato  in  mezzo  al 
turbinio  delle  pubbliche  cose,  fra  il  cozzare  delle  armi  e  l'ira 
delle  passioni  ;  invece  l' altro  si  accontentò  di  inneggiare  alle 
muse  e  di  contemplare  in  silenzio  alcuni  vaghi  ideali  democra- 
tici, mentre  passava  il  suo  tempo  nella  tranquillità  degli  affari 
notariU.  Morto  il  Mussato ,  morto  Gangrande,  il  Ferreto  mostrò 


(1)  La  sua  dimostrazione  è  accolta  non  solo  dal  padovano  Zardo  (pp.  24041, 
ma  anche  dal  Minoia  (pp.  163  sgg.),  il  quale  sembra  ignorsu-e  qui  le  inda- 
gini del  prof.  Gloria. 


STUDI  SU  FERRETO  DEI  FERRETI  101 

schietto  l'animo  suo;  e  mentre  abbandonò  la  poesia,  terminò  la 
vita  scrivendo  le  Storie,  dove  del  Mussato  si  fa  ricordo  con  parole 
ispirate  a  profonda  e  sincera  reverenza.  Svaniti  i  sogni  fatti  al- 
lorché il  grido  di  vittoria  rimbombava  da  ogni  parte  intorno  a 
lui,  dinanzi  alla  mente  dello  storico  si  ripresentarono  le  memorie 
della  giovinezza  :  in  lui  prevalse  nuovamente  il  pensiero  della 
patria. 

Nel  Carmen  in  lode  di  Gangrande,  non  è  ricordato  il  Mussato. 
L'eccitamento  ai  poeti,  di  cui  si  è  detto,  non  poteva  essere  diretto 
all'esule  di  Ghioggia.  In  niun  luogo  poteva  entrare  il  nome  del 
Mussato.  Eppure  il  Mussato  stava  anche  qui  dinanzi  alla  mente 
del  Ferreto.  Il  quale,  se  mirava  ad  emularne  la  fama,  non  disde- 
gnava d'imitarlo,  molto  pedissequamente. 

Questo  non  è  il  luogo  di  ricercare  le  fonti  del  Carmen  ferre- 
tiano.  Per  lo  scopo  nostro  sarà  sufficiente  vedere  come  tra  queste 
fonti  si  deve  numerare  YEccerinis  di  Mussato. 

11  primo  libro  del  Carmen  contiene  anzitutto  l'invocazione  a 
Pallade,  perchè  assista  il  poeta  nel  canto.  Quindi  il  poeta  si  me- 
raviglia che  un  argomento  di  tanta  importanza,  quale  la  vita  di 
Gangrande,  non  sia  stato  trattato  dai  poeti,  mentre  esso  può  dar 
fama  a  chi  se  ne  occupa.  Vengono  poscia  le  esitazioni  del  vate 
per  la  difficoltà  dell'impresa.  Accennate  in  poche  frasi  le  imprese 
dell'Eroe,  si  scende  a  parlar  di  Verona,  e  di  questa  città  si  fa 
una  breve  e  abbastanza  elegante  descrizione:  né  si  omette  di 
toccare  delle  sue  origini,  parlando  della  gente  lulia  e  di  Brenno. 
La  storia  di  Verona  guida  il  poeta  a  dirci  del  feroce  Ezzelino 
(vs.  122),  e  di  questo  egli  tesse  la  vita  sino  alla  fine  del  I  libro 
(vs.  451)..  compresa  anche  nella  narrazione  la  strage  di  Alberico, 
cioè  l'orribile  tragedia  della  rocca  di  S.  Zenone. 

Nella  vita  pertanto  di  Ezzelino,  é  patente  l' imitazione  che  il 
F.  fa  diQWEccerinis.  Soltanto  bisogna  'notare  che  il  Mussato  si 
accontenta  di  pochi  fatti  saglienti:  la  nascita  del  tiranno:  il  ca- 
stigo che  Ezzelino  ordinò  contro  il  nuncio,  che  gli  avea  riferita 
la  perdita  di  Padova:  gli  ultimi  rovesci,  e  la  morte  a  Gassano, 
6CC0,  se  non  gli  unici  fatti  messici  davanti  dal  Mussato,  certo  quelli 


102  e.   CIPOLLA 

SU  cui  egli,  con  mano  di  peritissimo  artista,  raccolse  la  luce  più 
viva.  Il  F,  che  scrive  una  storia  verseggiata,  conduce  il  tiranno 
quasi  passo  passo  attraverso  alle  sue  imprese.  Minore  riesce  la 
efficacia  del  suo  racconto,  quantunque  questo  sia  d'assai  più 
completo.  • 

Nel  Ferreto  non  c'è  la  leggenda  sulla  nascita  demoniaca  di 
Ezzelino,  alla  quale  egli  sostituisce  la  descrizione  delia  rocca  di 
Romano,  che  il  poeta  avea  veduto,  inorridendo,  coi  propri  occhi 
(vs.  138:  «  Vidi  ipse  locum,  ecc.  »).  Peraltro  vedremo  di  qui  a 
poco  che  un  accenno  a  tale  racconto  popolare  non  manca  anche 
nel  Cm^men,  là  dove  il  Ferreto  ripete,  quasi  colle  parole  del 
Mussato,  la  morte  di  Ezzelino  in  Soncino. 

Il  luogo,  in  cui  si  avvicinano  davvero  i  due  poeti,  ò  là  dove 
descrivono  l'altezza  suprema  della  potenza  di  Ezzelino,  dalla 
quale  esordisce  la  sua  rapida  caduta. 

Ferreto,  I,  vs.  159: 

Et  jam  capta  tuis  (1)  parebat  Marchia  signis 
Caesaris  imperio. 

Mussato,  atto  II,  vs.  59; 

Parens  Tyranno  Padua;  jam  sceptrum  tenet 
Agens  superbas  divus  imperii  vices 
Eccelinus. 

Ezzelino  medita  stragi  e  rovine: 
Ferr.,  I,  128: 

quot  morte  duces,  quot  caede  potentes 

Damnasti,  et  gravibus  poenis  tormenta  dedisti. 

Muss.,  II,  60: 

Ah  quot  exilia  populis  minax 

Promittit!  atros  carceres,  ignea,  cruces. 
Tormenta,  mortes,  exilia,  diras  fames 


(1)  Di  Ezzelino.  Gfr.  il  vs.  93  «  ancipites...  tumultua  »,  con  Muss.  atto  II» 
vs.  45:  «  ancipites  vices  ». 


STUDI  SU  FERRETO  DEI  FERRETI  103 

Quindi  il  P.  ci  mette  davanti  Ezzelino  nel  mentre  si  studia 
indarno  di  conquistar  Mantova.  Girava  intorno  ad  essa  cosi  come 
il  lupo  s'aggira  intorno  al  chiuso.  La  resistenza  ne  acuiva  la 
rabbia,  ne  cresceva  il  dispetto,  e  gli  svegliava  nell'animo  i  più 
truci  disegni  di  vendetta. 
(Ferr.,  I,  vs.  197) 

Talibus  interea  furiis  agitatus  iniquos 
Versabas  in  mente  dolos,  hostique  futurum 
Exitium  crudele  nimis. 

E  intanto  la  sua  fortuna  svaniva,  e  Padova  veniva  occupata 
dai  Crociati  e  dai  Guelfi. 

Ciò  che  colpisce,  è  la  contraddizione  tra  le  speranze  di  Ezze- 
lino, e  la  dolorosa  notizia  che  gli  arreca  un  nuncio  non  aspe^ 
tato;  cioè:  i  crociati,  i  guelfi  entrarono  in  Padova.  Il  fatto  è  storico, 
poiché  viene  narrato  dal  Rolandino,  e  dal  cosi  detto  Monaco  di 
S.  Giustina  di  Padova  (1).  Ma  l'averne  veduto  l'importanza  ar- 
tistica, è  proprio  merito  del  Mussato.  Egli  pure  descrive  Ezzelino 
in  un  mare  di  progetti  ;  anzi  si  diffonde  in  ciò  assai  più  che  non 
faccia  Perreto,  il  quale  era  in  ispecie  preoccupato  dalla  verità 
storica.  Oltracciò  egli  avea  già  detto  abbastanza,  col  narrare  la 
impresa  di  Mantova,  taciuta  dal  Mussato. 

Muss.,  atto  III,  se.  I,  vs.  9  {parole  pronunziate  da  Ezzelino): 

Inanes  ducimus  frustra  moras, 

Gapiamus  urbes  undique,  et  late  loca, 
Verona,  Vicentia,  Padua  nutui  meo 
lam  subiacent,  progrediar  ulterius  cito, 
Promissa  Lombardia  me  dominum  vocat, 
Habere  puto.  Meos  nec  ibi  sistam  gradus, 
Italia  mihi  debetur.  Haud  equidem  satis 
Est  illa 


(1)  MGH.,  Script.,  XIX,  114,  167.  Cfr.  Antonio  Godo  (ap.  IN^uratori, 
Vili,  88),  e  Nic.  Smereglo  {ivi.,  101 ,  e  nell'  ed.  Lampertico,  Scritti  storici 
e  letterari,  II,  280). 


104  e.   CIPOLLA 

Intanto  si  presenta  (se.  2)  Ziramonte,  annunciando  che  in  Pa- 
dova era  stata  tronca  la  testa  a  un  ribelle  d'alto  lignaggio.  Ez- 
zelino, infuriando,  ne  gioisce: 
(w.  8  sgg.) 

Cum  plebe  pereat  omne  nobilium  genus, 

Non  sexus,  aetas,  non  ullus  gradus 

A  caede  nostra  liber,  aut  expers  eat. 

Vagetur  ensis  undique,  et  largus  cruor 

Abundet  atra  tabe  profusus  foro,  ecc. 

Dice  il  Ferreto  semplicemente  che  la  mano  di  Dio  sventò  i 
disegni  del  malvagio  (I,  vs.  199): 

sed  diva  Potestas 

Humanas  intra  curas  rerumque  meatus 
Praescia,  quae  nullo  cohibetur  foedere,  certas 
Fatorum  mutare  vices,  ac  cetera  versat 
Sponte  sua,  et  coelo  terras  dominatur  in  omnes 
Propositis  inimica  tuia,  sceleriqpie  nefando 
Obstitit,  ecc. 

Colali  pensieri  vennero  forse  suggeriti  al  Ferreto  dal  discorso 
posto  in  bocca  dal  Mussato  a  certo  fra  Luca  ;  questi,  cerca  cal- 
mare la  furia  di  Ezzelino,  parlandogli  di  Dio,  e  mostrandogli  che 
enormi  erano  gli  eccessi  a  cui  si  abbandonava,  egli,  sotto  gli  occhi  di 
Lui.  Ezzelino,  titubante  un  po',  conchiude  dicendo  ch'egli  si  stima 
appunto  mandato  da  Dio  per  esercitarne  le  vendette. 

È  a  questo  punto  che  il  Mussato  introduce  il  nunzio  che  ar- 
reca la  dolorosa  quanto  inaspettata  notizia  della  caduta  di  Pa- 
dova. Tra  i  versi  posti  in  bocca  al  nunzio  (se.  4,  vs.  14)  è  note- 
volissimo il  seguente: 

Capta  Padua  est,  et  exules  illam  tenent. 

Esso  infatti  rassomiglia  moltissimo  al  luogo  parallelo  del  Fer- 
reto, e  particolarmente  ai  due  ultimi  tra  i  versi  che  qui  trascrivo: 
(vs.  206  sgg.) 


STUDI  SU  FERRETO  DEI  FERRETI  105 

Namque  repentino  delatus  ab  aethere  cursu 
Seu  volucrum  pennis,  aut  acris  turbine  venti, 
Qualiter  AEolio  Boreas  emittitur  antro, 
Venit  anhelanti  referens  tibi  nuntius  ore, 
Amissam  Fatavi  sedem,  tutumque  rebelles 
Invasisse  locum  et  portas  hìibuisse  patentes. 

L'epiteto  di  anhelans  dato  al  nunzio  è  in  Rolandino,  il  quale 
narra  il  fatto  così:  (Ezzelino,  tornando  da  Mantova,  viene  al 
Mincio)  «  ubi  nuncius  ecce  quidam  anxius  et  anhelans  stetit  ante 
«  tyranni  presenciam  et  ipsi  interroganti:  qiie  nova?  respondit 
«  infelix  ille  :  mala ,  dompne,  quia  Paduam,  perdidistis  ;  illum 
«  siquidem  nuncium  absque  mora  fecit  eccidi  suspendio  ».  Se- 
condo il  Rolandino ,  dunque ,  lo  sventurato  nunzio  fu  tosto  im- 
piccato. Il  Monaco  di  S.  Giustina  non  dice  nulla  di  ciò.  Il  Mussato 
e  il  Ferreto  vogliono  che  Ezzelino  gli  facesse  mozzare  il  piede, 
ed  ecco  in  qual  modo  si  esprimono. 

Il  Ferreto  (vs.  212  sgg.)  comincia  dal  parlare  del  gran  dolore 
che  Ezzelino  provò  per  la  perdita  di  Padova  :  quindi  fa  che  il 
tiranno  pronunci  un  dilavato  discorso  (vs.  224-32),  con  cui  nega 
fede  al  nunzio,  e  lo  condanna  al  taglio  del  piede. 

Comincia: 

Quid  tam  ficta  nobis  conventa  referre. 

E  poi  (vs.  226  Sgg.)  : 

Nam  tu  temerarius  auctor. 

Serve  loquax  sceleris?  die,  die.  Te  scimus  et  ista 
Verba  carere  fide.  Cur  nam  mentiris  et  audes 
Perjuro  sermone  loqui!  Dabis  improbe  poenas, 
Et  tibi  prò  meritis  verborum  praemia  dictis 
Digna  feres.  Fede  mulctatus  jam  segnìor  istinc 
Ito  procul. 

Con  maschia  brevità ,  il  Mussato  attribuisce  ad  Ezzelino  due 
versi,  ai  quali  rispondono  nella  sostanza,  e  in  parecchie  parole 
i  versi  del  F.  {l.  e,  vs.  15): 

Abscede  mendax  serve,  mutilatus  pede 
Praemium  relatu  toUe  condignum  tuo. 


106  e.   CIPOLLA 

Qui  la  dipendenza  del  F.  è  evidente.  Il  Mussato  sorvola  sugli  av- 
venimenti successivi,  che  invece  vengono  esposti  dettagliatamente 
dal  Ferreto.  In  qualche  frase  anche  qui  può  sorprendersi  la  rela- 
zione dei  due  scritti.  P.  e.,  il  F.  (I,  370)  scrivendo:  «  Trans  A- 
duam  tua  signa  geris  »,  ci  ricorda  il  M.  (atto  IV,  se.  2,  18,  25): 
«  Collata  ad  Aduae  signa  fixerunt  vadum  »,  «  Ad  flumen  Aduam 
«  signa  »,  ecc. 

Nella  descrizione  della  morte  di  Ezzelino  dopo  la  rotta  di  Gas- 
sano i  due  poeti  si  incontrano  nuovamente.  Era  un  argomento 
tragico,  quello:  il  truce  tiranno  muore  sprezzando  le  medicine, 
ed  i  cihi:  e  va,  quasi  volentieri,  all'inferno  dove  l'attende  suo 
padre,  il  Demonio. 

Mussato,  a.  IV,  se.  2,  vs.  52  segg.: 

Abductus  inde  spernit  (1)  oblatas  dapes, 
Guras  salutis,  atque  vitales  cibos, 
Acerque  moritur  fronte  crudeli,  minax, 
Et  Patris  umbras  sponte  tartareas  subit, 
Positum  cadaver  tumba  Sucini  tenet. 

Il  F.  copiò  e  dilavò.  Non  ricordandosi  quasi  d'aver  taciuto  che 
Ezzelino  è  figlio  del  diavolo,  egli  riproduce  il  pensiero  che  leg- 
gemmo ora  in  Mussato  (vs.  55)  :  «  Et  Patris  umbras,  ecc.  » 

Ferreto  I,  387  sgg.: 

lille  summa  ferunt  peragentem  tristia  nuUis 
Incaluisse  cibis,  avidumque  occumbere  morti 
Oblatas  sprevisse  dapes,  medicaeque  paratam 
Artis  opem,  tumidumque  oculis,  et  fronte  superba 
Execrìisse  Deos  omnes  ac  mitia  Coeli 
Numina,  et  inferno  tantum  debere  Parenti 
Quod  superest.  Tandem  absumptis  jam  viribus,  imo 
Commendata  Jovi  (2)  totiens,  ablata  refugit 


(1)  L'ediz.,  di  cui  fo  uso,  che  è  quella  del  Minoia,  legge  qui  speruit. 

(2)  Nel  Giove  imo  (=  Demonio)  c'è  una  ripetizione  che  serve  soltanto  a 
diluire  il  pensiero.. 


STUDI  SU  FERRETO  DEI  FERRETI  107 

Umbra  ferox,  stygiesque  haud  indignata  tenebras 
Sponte  subit,  multumque  illis  valet  improba  regnis. 
At  brevis  impositum  tumulo  premit  urna  cadaver. 

Il  F.  (vs.  398  sgg.)  narra  come  l'annunzio  di  tal  morte  si  dif- 
fondesse all'intorno.  E  nel  Mussato  non  manca  il  ricordo  dell'ef- 
fetto prodotto  nelle  città  dalla  lieta  novella  della  uccisione  di 
Ezzelino.  Il  Mussato  ci  trasporta  proprio  in  mezzo  agli  avveni- 
menti, tra  gli  oppressi  che  respiravano  largo,  dopo  tanta  tirannia, 
e  si  rallegravano  della  ricuperata  libertà.  Un  inno  delicato  e 
dolce  è  pronunciato  dal  Coro.  Comincia: 

Vota  solvamus  pariter  Datori 

Digna  tantorum ,  juvenes ,  honorum, 
Vos  senes,  vos  et  trepidae  puellae. 

Il  F.,  al  principio  del  lib.  II,  descrivendo  l'allegrezza  dei  Mar- 
chigiani per  la  morte  di  Ezzelino  e  di  Alberico,  non  dimentica 
il  pensiero  del  Mussato.  Scrive  (vs.  6-7): 

....*...  Primi  juvenes  duxere  choreas. 
Et  pueri,  mixtique  senes,  hilaresque  puellae  (1). 

Qui  la  tragedia  del  Mussato  ha  termine;  mentre  il  F.  descrive 
eziandio  la  uccisione  di  Alberico. 

Il  Mussato,  nell'atto  II,  parla  anche  di  Verona.  Quand'egli  scri- 
veva, pensava  a  Gangrande.  Bisognava  dunque  che  una  parola 
vibrata  si  scagliasse  contro  la  città,  da  cui  veniva  il  nemico  della 
patria.  Quindi  egli  scrive  : 


(1)  Hilaresque  puellae  è  tolto  da  Ovidio  (  TV.,  Ili ,  12,5),  dal  quale  di- 
pende ìinche  il  duxere  choreas  (Met.,  XIV,  520).  Bisogna  tener  in  mente 
anche  la  frase  virgiliana  «  pueri ,  innuptaeque  puellae  »  (Aen. ,  II ,  238  ; 
VI,  307;  Georg.,  IV,  476),  che  ricorre  anche  in  Stazio  (Syl.,  I,  1,  12).  Ma 
ciò  non  prova  nulla  contro  ciò  che  noi  sosteniamo.  Il  F.  infatti  potea  be- 
nissimo giovarsi  delle  sue  reminiscenze  classiche  per  infiorare  un  concetto 
che  non  era  suo. 


108  e.  CIPOLLA 

0  semper  huius  Marchiae  clades  vetus 
Verona,  limen  hostium,  et  bellis  iter, 
Sedes  tyranni,  sive  tale  hominum  genus 
Natura  ab  ista  tale  producat  solum  ecc. 

Il  F.  non  poteva  dir  questo,  poiché  inneggiava  anzi  al  principe 
Veronese.  Vi  contrappone  dunque  le  lodi  di  Verona  (I,  vs.  77 
sgg.),  e  lo  fa  con  molto  garbo,  e  con  disinvolta  eleganza  di  stile, 
nonostante  le  consuete  ampollosità.  In  un  luogo  peraltro  (I,  vs.308) 
si  lamenta  anche  di  Verona,  ed  è  là  dove  ci  mette  dinanzi  la  sua 
Vicenza  minacciata  da  una  parte  da  Verona  e  dall'altra  da  Padova. 
Qui  abbiamo  dunque  un  po'  d'imitazione  a  rovescio.  Un  migliore 
esempio  di  ciò ,  lo  possiamo  trovare  nella  narrazione  della  na- 
scita di  Gangrande.  È  la  narrazione  del  Mussato,  per  cosi  dire, 
rovesciata,  ma  non  del  tutto  peraltro.  Principia  il  libro  II 
colla  descrizione  dell'allegrezza  che  la  Marca  provò  per  la  di- 
struzione della  temuta  famiglia  da  Romano.  Il  poeta  si  sofferma 
sopra  Verona,  e  ciò  gli  dà  occasione  di  parlare  dell'origine  della 
signoria  Scaligera.  Esalta  Alberto  della  Scala,  assai  più  di  quello 
che  faccia  poi  nelle  Storie.  Il  F.  racconta  il  matrimonio  di  Al- 
berto con  Verde  (de'  Salizzoli),  e  cosi  si  apre  la  via  a  dire  della 
nascita  di  Cane.  Descrive  le  costellazioni  (II,  vs.  196)  ch'erano  in 
cielo,  al  momento  in  cui  i  due  principi  (vs.  212) 

Nocte  thoro  excepti,  placidi  post  tempora  somni, 
Indulsero  pares  Veneri  (1). 

Similmente  il  Mussato  (lasciando  tuttavia  da  parte  le  costel- 
lazioni) pone  in  bocca  ad  Adheleita  (Atto  I,  se.  unica,  vs.  15-6): 
«...  cuius  ad  laevum  latus  |  Supina  jacui  ».  Poi  viene  il  racconto 
dell'apparizione  del  Demonio^  la  quale  comincia  (vs.  28):  «  Quum 
«  prima  noctis  hora  ecc.  »  Adheleita  rimane  fieramente  turbata 

(vs.  51  sgg.): 

Sed,  heu  recepta  pertinax  niraium  venus  (1) 
Incaluit  intus  viscera  exagitans  statina, 

(1)  Si  ricordi  il  vs.  197,  lib.  II,  del  Ferreto,  testé  riportato:  «  Indulsero 
«  pares  Veneri  ». 


STUDI   SU  FERRETO  DEI  FERRETI  109 

Onusque  sensit  terribile  venter  tui, 
Eccerine,  digna  veraque  propago  patria. 

Di  Cane  invece  il  F.  narra,  con  concetto  affatto  diverso,  ma  con 
parole  non  dissimili  (vs.  185)  : 

Ecce  dies  felix,  et  lux  instabat  amati 
Temporis,  adventusque  tui  generosa  propago. 

Verde  tosto  prende  sonno  placidamente  (vs.  216  sgg.): 

At  tua  post  dulces  Veneris  sopita  labores 
Mater  in  amplexu  cari  diffusa  mariti  ecc. 

Adheleita  per  contrario  non  prenderà  giammai  sonno  in  sua  vita 
(Mussato,  vs.  67  sgg.): 

A  tempore  quidem,  Nate,  dicti  criminis 
Semper  meduUas  ussit  aetneus  vapor; 
Viscera  malignus  ab  inde  torsit  spiritus, 
Nec  nostra  curis  corpora  absolvit  sopor. 
Tunc  me  vigilia  vana,  seu  somni  quies 
Incerta  tenuit. 

Il  Demonio  nel  comparire  ad  Adheleita  era  uscito  dall'imo  della 
terra,  levando  questa  un  gran  remore  (vs.  30-2)  : 

Et  ecce  ab  imo  terra  mugitum  dedit, 
Grepuisset  ut  centrum,  et  foret  apertura  Chaos; 
Altumque  versa  resonuit  coelum  vice. 

Comparisce  il  Demonio  accompagnato  dal  tuono  (vs.  35). 

Tutto  ciò  dà  magnijQcenza  alla  poesia  del  Mussato,  e  prepara 
il  lettore  a  fatti  spaventosi  si,  ma  grandi.  Il  F.  non  dimentica 
l'effetto  che  qui  produce  il  tuono  o  il  boato,  e  ne  approfitta, 
a  modo  suo.  Verde  sogna  di  partorire  un  Cane  che  scuote  il 
mondo  coi  latrati  (vs.  219-20): 

Visa  sibi  est  peperisse  Ganem,  qiii  fortibus  armis 
Terrebatque  suis  totam  latratibus  orbem. 

L'appellativo  di  grande,  il  Ferreto  lo  lascia  intendere,  venne 


110  G.  CIPOLLA 

al  neonato  dal  sogno  che  lo  rappresentava,  come  si  vede,  quale 
uno  spaventoso  cane,  e  dal  fatto  di  suo  straordinario  vigore.  Ciò  fa 
studiato  e  aperto  contrapposto  col  racconto  del  Mussato.  E  sono 
proprio  espressioni  studiate  quelle  del  Ferreto,  il  quale  volea 
far  dimenticare  che  Gangrande,  quantunque  di  persona  «  bene 
«  compositus  »  passava  tuttavia  per  un  «  homo  non  magnus  »  (1). 
Verde  dopo  il  sogno  rimase  confusa  e  tremante,  expavU  (vs.  224); 
ma  il  suo  timore  è  ben  diverso  dallo  spavento  e  dall'orrore  che 
Adheleita  provava  pur  nel  pensare  alle  sue  relazioni  col  de- 
monio {l.  e,  vs.  3  sgg.).  Alberto  confortò  Verde  con  belle  pa- 
role, ed  essa  si  ricompose  tranquilla,  e  s'addormentò.  Intanto  egli 
andò  ad  inginocchiarsi  davanti  all'altare,  e  levò  al  cielo  una 
preghiera.  Con  questa  preghiera  comincia  il  libro  III.  La  pre- 
ghiera di  Alberto  va  raffrontata  alla  supplica  rivolta  con  fiere 
parole  da  Ezzelino  a  suo  padre  il  Demonio  (vs.  91  sgg.).  Ambedue 
le  preghiere  cominciano  col  riconoscere  la  potenza  del  supplicato. 
In  Mussato: 

Depulse  ab  astrìs  mane  iam  lucens  polis, 
Pater  superbe,  triste  qui  regnum  tenes, 
Chaos  profundum  :  cuius  imperio  lucent 
Delieta  Manes  ecc. 

Ferreto  (III,  1  sgg.): 

Juppiter  omnipotens,  coeli  moderator  et  imae 
Telluris,  stygiique  lacus,  qui  stagna  profundi 
Lata  maris,  teiTaeque  globum  metiris  et  astra  ecc. 

Il  F.  può  aver  avuto  sott'occhio  la  preghiera  di  Edipo  ad  Atropo 
in  Stazio  {Theb.,  I,  56),  tanto  più  che  poco  dopo  fa  comparire  le 
Parche.  Ma  questo  non  toglie  che  il  pensiero  discenda  sostan- 
zialmente dal  Mussato.  Ezzelino  ricorda  al  Demonio  che  sempre 
gli  era  stato  fedele,  odiando  Cristo: 

Christum  negavi  semper  exosum  mihi, 
Odique  semper  nomen  inimicum  Crucis. 


(1)  Sagacio  Cazzata,  ap.  Murat.,  XVIII,  42;  ma  cfr.  Chr.  Ver.,  ap.  Mu- 
rat.,  VIII,  641. 


STUDI   SU  FERRETO  DEI  FERRETI  111 

E  in  Ferreto  : 

si  te  colui  semperque  putavi 

Mente  pium,  si  pura  fides,  et  prorata  voluntas 
Speravit  prodesse  deum,  nunc  annue  votis, 
Dive,  meis  ecc. 

In  Mussato,  l'invocazione  finisce  : 

Annue  Satan,  et  filium  talem  proba. 

Adheleita,  come  riferimmo,  narrò  che  (I,  68)  : 
Semper  medullas  ussit  aetneus  vapor. 

In  F.  avviene  l'opposto,  e  Verde  partorisce  senza  dolore  (vs.  52 
segg.).  Egli  dice  infatti  (vs,  81-2):  «  nullum  partu  sensisse  dolo- 
«  rem  |  visa  sibi  »,  E  poco  prima  (vs,  75-6): 

modicoque  agitata  labore 

Deposuit  gravitatis  onus,  peperitque  virilem 
Ex  utero  fetum;  qui  postquam  vagiit  infans 
Editus  et  magnam  vagitu  terruit  aulam  ecc. 

Qui  ancora  insiste  il  F,  sul  romore  che  accompagna  l'apparizione 
d'un  personaggio  importante,  È  la  riproduzione  del  pensiero  del 
Mussato,  che  riportammo  testé.  Il  F,  non  è  peraltro  contento,  giac- 
ché poco  dopo  (vs,  92-3)  ritorna  di  nuovo  sul  forte  vagito:  «  ingens 
«  I  Vagitu  clamor  », 

Adheleita ,  vedendo  il  suo  bambino ,  riconosce  nelle  fattezze 
qual  mostro  avea  partorito.  In  Mussato  {l.  e.  vs.  59),  essa  dice, 
rivolta  al  figlio: 

Nec  monstruoso,  Nate,  sine  partu  venis, 

Necis  prognosticus  ventrem  levas 

Gruentus  infans,  fronte  crudeli  minax, 
Terribile  visu,  atroxque;  portentum  indicans. 

Verde  vuol  rimirare  il  suo  bambino,  e  tutta  si  rallegra  con- 
templandolo (vs,  98  sgg,): 

Obstupuit  gavisa  parens,  cur  tantus  in  ilio 

Et  vigor  et  magnos  species  diffusa  per  artus 

Quae  frons  laeta  nimis,  patrique  simillinius  esset  ecc. 


112  C.  CIPOLLA 

Anche  Verde  temeva  di  non  aver  generato  una  persona  umana, 
e  fu  per  ciò  che  volle  tosto  vedere  il  suo  nato.  Tutto  questo 
è  il  contrapposto  della  poesia  del  Mussato.  Continua  di  li  a  poco 
il  F.  (vs.  103-4): 

Ut  vero  ancipites  posuit  de  corde  timores 
Nympha  Virens,  viditque  suum  certissima  natura 
Humanam  in  speciem  ecc. 

Così  le  imprese  di  Ezzelino,  tutte  malvagie,  trovano  il  loro  con- 
trapposto nelle  conquiste  di  Gangrande,  che  le  Parche  prean- 
nunziano sulla  culla  dello  Scaligero  (III,  vs.  130  sgg.). 

Farmi  ormai  inutile  spigolare  altri  confronti,  riguardanti  que- 
sto 0  quel  passaggio  mentre  le  comparazioni  che  abbiamo  isti- 
tuito bastano  a  provarci  due  cose.  La  prima  è  che  il  F.  imitò 
qui  VEccerinis  del  Mussato,  modificando  il  suo  modello,  e  allar- 
gandosi nelle  narrazioni  storiche.  Come  lo  stile  del  poeta  pado- 
vano è  asciutto,  stringato,  efficace;  così  quello  del  notaio  vicen- 
tino è  ampio,  frondoso,  retorico.  Le  frasi  classiche  vi  sono  sparse 
a  mano  larghissima;  ma  non  impediscono  che  si  riconosca  chiaro 
il  tipo  presente  al  poeta.  I  fatti  storici  che  il  Ferreto  chiese  ai 
cronisti  del  tempo,  e  che  con  prodiga  mano  sparse  nel  suo  poema, 
non  fanno  che  ampliare  il  nocciolo  a  lui  offerto  dal  racconto 
del  poeta  padovano.  La  seconda  cosa  che  risulta  provata  è  che 
quanto  il  Ferreto  narra  di  meraviglioso  intorno  alla  nascita  di 
Gangrande,  è  parto  unicamente  della  sua  fantasia,  e  gli  fu  ispi- 
rato dal  desiderio  di  far  di  Gangrande  il  contrapposto  di  Ezzelino. 
Intorno  ad  Ezzelino  il  popolo  avrà  narrato  ciò  che  il  Mussato 
raccolse,  e,  fattolo  suo,  riprodusse  artisticamente  nella  tragedia. 
Quanto  a  Gangrande,  non  solo  tutte  l'altre  fonti  sono  affatto  lon- 
tane dal  dire  quello  che  narra  il  F.,  ma  non  abbiamo  alcun  motivo 
per  credere  che  ciò  a  nessuno  sia  mai  capitato  in  mente,  fuori 
che  al  povero  poeta.  Del  resto  il  meraviglioso ,  di  cui  egli  fece 
tesoro,  si  riduce,  a  ben  vedere,  ad  una  scipita  bizzarria. 

Garlo  Gipolla. 


ll'b 


PER  LA  DATA  DELLA  "VITA  NUOVA, 

E  NON  PER  ESSA  SOLTANTO 


«  Dopo  questa  tribulazione  avvenne,  in  quel  tempo  che  molta 
«gente  andava  per  vedere  quella  imagine  benedetta,  la  quale 
«  Gesù  Cristo  lasciò  a  noi  per  esempio  della  sua  bellissima  figura, 
«  la  quale  vede  la  mia  donna  gloriosamente,  che  alquanti  pere- 
«  grini  passavano  per  una  via,  la  quale  è  quasi  mezzo  della  cit- 
«  tade,  ove  nacque  e  morio  la  gentilissima  donna;  e  andavano, 
«  secondo  che  mi  parve ,  molto  pensosi.  »  Cosi  leggiamo  nella 
massima  parte  delle  edizioni  verso  la  fine  del  tormentatissimo 
libello  (1);  e  qui  dentro  s'è  vista  da  molti  in  passato  (2),  e  ancor 
si  vede  da  un  uomo  di  autorità  somma  —  dal  D'Ancona  (3)  — 


(1)  §  41,  secondo  la  divisione  Introdotta  dal  Torri. 

(2)  Non  davvero,  come  taluni  paion  credere,  dal  Witte  per  il  primo.  Lo 
dirò  colle  parole  del  Witte  medesimo  :  «  Quasi  tutti  gli  scrittori  che  parlano 
«  di  questo  passo,  a  cominciare  dal  Sermartelli,  lo  riferiscono  all'  anno  del 
<i  giubbileo  »  (La  Vita  Nuova,  Lipsia,  1876,  p.  114).  Per  il  Sermartelli,  o 
per  chi  altri  abbia  curato  Tediz.  stampata  da  lui,  la  cosa  risulta  dalla  parola 
Giubileo  messa  nel  margine  accanto  al  passo,  quale  indicazione  del  contenuto. 

(3)  La  Yita  Nuova,  2»  ed.,  Pisa,  1884,  p.  xiv  della  Prefazione. 

Giornale  storico,  VI,  fase.  16-17.  8 


114  PIO  RAJNA 

e  con  una  specie  di  accanimento  dal  Lubin  (1),  un'allusione  al 
Giubileo  del  1300. 

Che  lallusione  ci  si  contenga,  negò  trentanni  fa  il  Todeschini  (2), 
e  negarono  recentemente  il  Giuliani,  il  Fornaciari  (3),  il  d' Ovi- 
dio (4).  Il  Todeschini,  dalla  variante  va  invece  di  andava  offer- 
tagli dalle  edizioni  Pesarese  e  Serraartelli  e  dal  codice  Ghigiano, 
disse  di  non  lasciarsi  muovere  «  per  nulla  ad  alterar  la  volgata  »; 
ma  ingegnosamente  ci  scorse  una  prova  «  che  l'uso  di  andare  a 
«  questo  pellegrinaggio  continuava  anche  al  tempo  dei  copisti 
«  cui  la  variante  si  dovrebbe;  che  non  si  tratta  quindi  del  giu- 
«  bileo,  né  di  altra  straordinaria  occasione,  in  cui  siasi  mostrata 
«  la  Veronica,  ma  di  una  occasione  che  si  riproduceva  tutti  gli 
«  anni.  »  Il  Giuliani  invece ,  nell'  ultima  sua  edizione  ,  adotta  e 
propugna  il  va;  e  che  cosi  sia  da  leggere  crede  parimenti  il 
Fornaciari,  non  sgomentandosi  del  resto  neppur  dell'ipotesi  che 
Dante  possa  aver  scritto  andava.  Quanto  al  d'Ovidio,  di  questo 
punto  speciale  egli  non  tocca. 

n  problema  della  lezione  ha  qui  un'  importanza  capitale,  e  non 
si  può  di  certo  muover  d'altronde  che  da  esso.  All'autorità  dei 
codici  si  son  già  richiamati,  in  maniera  troppo  vaga  il  Giuliani,  e 
con  maggior  larghezza  di  esame  e  determinatezza  di  indagini  il 
Fornaciari  ;  ma  converrà  precisare  ancor  più  che  non  si  sia  fatto 
da  lui,  ed  aggiungere  nuovi  dati.  Per  gli  spogli  eseguiti  in  ser- 
vigio di  questa  o  quella  edizione  si  sapeva  leggersi  va  nel  co- 


(1)  Dante  spiegato  con  Dante  e  Polemiche  Dantesche ,  Trieste ,  1884 , 
pp.  39  sgg.  e  95. 

(2)  Todeschini,  Osservazioni  sul  testo  della  Vita  Nuova,  t.  II,  p.  94 
degli  Scritti  su  Dante.  Di  questo  lavoro  il  Todeschini  parla  come  di  cosa 
compiuta  in  una  lettera  al  Witte  del  15  aprile  1854  (p.  101).  Le  sue  espres- 
sioni permetterebbero  di  pensare  che  esso  fosse  terminato  anche  da  un  tempo 
non  molto  breve  ;'ma  la  postilla  che  ci  riguarda  —  una  delle  ultime,  si  badi  — 
non  può  essere  anteriore  al  1854,  perchè  contiene  la  citazione  di  un  libro  che 
porta  anch'esso  in  fronte  come  data  quel  medesimo  anno. 

(3)  Giuliani,  La  Vita  Nuova,  3*  ed.,  Firenze,  1883,  p.  152;  Fornaciari, 
Studi  su  Dante,  Milano,  1883,  pp.  116  e  156. 

(4)  La  Vita  Nuova  di  Dante  ed  una  recente  edizione  di  essa,  nella 
Nuova  Antologia,  2»  serie,  t.  XLIV  (marzo,  1884),  p.  247. 


PER  LA  DATA  DELLA   «  VITA  NUOVA  »   ECC.  il5 

dice  Gorsiniano  1085  (1),  nel  Ghigiano,  L.  V.  176  (2),  in  quello 
donato  dal  Witte  alla  biblioteca  di  Strasburgo  (3).  Va,  non  an- 
dava, ho  visto  io  stesso,  per  buona  parte  dopo  il  Fornaciari,  in 
dodici  manoscritti  fiorentini  :  sei  spettanti  alla  Nazionale,  GÌ.  VI, 
143,  GÌ.  VII,  187  e  1103,  SS.  Annunz.,  B.  2, 1267,  Palat.  119,  e 
204,  0  piuttosto  E.  5.  5.  43;  cinque  alla  Laurenziana,  PI.  XL,  31 
e  42,  PI.  XG  sup.,  136  e  137,  e  —  ospite  nuovo  —  Ashburnham 
679  (4);  uno  finalmente  alla  Riccardiana,  1050  (5).  Di  un  tredi- 
cesimo codice  fiorentino  in  mano  privata  e  di  parecchi  suoi  con- 
fratelli sparsi  per  l'Italia  so  che  leggono  va  grazie  all'altrui  cor- 
tesia. Sono  il  Martelliano  ben  noto,  il  Vaticano-Gapponiano  262, 
il  Napoletano  XIII,  G.  9,  il  Trivulziano  1050,  l'Ambrosiano  R.  95 
sup.  13,  il  Braidense  AQ,  XI,  5,  il  Marciano  Gì.  IX,  191  (6).  Gon- 
corda  altresì  il  codice  445  della  Gapitolare  di  Verona ,  salvo  il 
portar  vae  in  cambio  di  va  (7).  Segno  a  parte  per  un  eccesso 
di  scrupolo  il  va  dell'edizione  pesarese  e  sicuramente  anche  del 
codice  andato  a  finire  Dio  sa  dove  su  cui  l'edizione  fu  condotta; 


(1)  Vedi  l'ed.  Torri. 

(2)  Vedi  l'ed.  maggiore  del  D'Ancona,  mia  quanto  al  testo,  dove  ben  cinque 
altri  va  avrebbero  ad  esser  registrati  —  con  qual  conseguenza,  non  è  questo 
il  momento  di  dire  —  se  gli  spogli  dei  relativi  codici ,  eseguiti  dal  buon 
Calvi,  impiegato  alla  Nazionale  di  Firenze,  e  dovuti  adoperare  senza  nem- 
meno aver  visto  la  coperta  dei  volumi ,  non  avessero  lasciato  a  desiderare 
parecchio.  Almeno  mi  par  poco  probabile  che  si  tratti  invece  d'una  mador- 
nale inavvertenza  mia  propria ,  ancorché  delle  colpe  mie  in  quel  lavoro , 
giovanile  affatto  e  affrettato  contro  volontà,  non  ne  manchino  davvero. 

(3)  Vedi  appunto  l'ed.  del  Witte. 

(4)  Questo  679  è  il  numero  che  il  codice  ha  portato  dall'Inghilterra  e  che 
dovrà  poi  far  posto  a  non  so  qual  altro.  Neil'  inventario  presentato  al  Par- 
lamento dal  Governo  in  occasione  dell'acquisto  è  diventato  610. 

(5)  Un  altro  codice  Riccardiano ,  il  1054 ,  non  ci  dà  della  Vita  Nuova 
altro  che  il  principio. 

(6)  Per  i  codd.  Martelliano,  Vaticano,  Napoletano,  sono  tenuto  al  signor 
P.  Papa;  per  questo  Trivulziano,  e  per  un  compagno  suo  da  citarsi  or  ora, 
al  conte  G.  Porro  ;  per  l'Ambrosiano  e  il  Braidense  all'amico  F.  Novati  ;  per  il 
Marciano  —  anzi  per  due  Marciani  —  al  conte  G.  Soranzo. 

(7)  Superfluo  perfino  dire  che  qui  la  lezione  mi  viene  dalla  gentilezza , 
nota  a  tutti,  del  bibliotecario  Mons.  Giullari. 


116  PIO   RAJNA 

per  uno  scrupolo  invece  doveroso,  quello  dell'edizione  Sermar- 
telli,  che  non  ha  diritto  d'esser  tenuto  a  calcolo  se  non  ci  di- 
mostra d'esser  uscito  d'altronde  che  da  uno  dei  manoscritti  già 
enumerati. 

E  andava?  —  ATidava,  introdotto  e  propagato  dal  Biscioni,  vorrà 
esser  cercato  anzitutto  nel  cod.  biscioniano,  che  si  trova  diventato 
attualmente  il  marciano  GÌ.  X,  26.  E  noi  ve  lo  troviamo  in  realtà; 
sennonché  è  scritto  in  margine  di  mano  tanto  o  quanto  posteriore, 
mentre  nel  testo  è  va  che  si  legge  qui  pure.  Un  altro  andava 
come  lezione  del  testo  abbiamo  bensì  in  un  secondo  codice  Ash- 
burnhamiano,  vale  a  dire  nell'  843  (1);  un  terzo  ed  ultimo  nel 
Trivulziano  1058. 

Numericamente  le  cose  non  van  bene  per  Yandava.  Stanno 
da  una  parte  ventiquattro  testimoni  perlomeno,  dall'altra  tre; 
che  se  il  non  esser  propriamente  completa  la  mia  rassegna  dei 
codici  (2)  lascia  adito  alla  possibilità  di  veder  sbucar  fuori  per 
Yandava  qualche  altro  fautore,  un'esperienza  cosi  larga  ci  attesta 
che  cresceranno  assai  più  anche  gli  avversai'i.  Ma  alla  ragione  del 
numero  la  critica  bada  poco:  pesa  le  testimonianze,  non  le  conta. 
Sennonché,  pur  guardando  le  cose  sotto  questo  rispetto,  le  sorti 
non  paiono  voler  mutare.  In  quel  coro  di  ventiquattro  e  più  voci 
non  ne  mancan  di  sicuro  di  fioche  e  di  stonate;  ma  ci  si  tro- 
vano altresì  tutti  i  più  fedeli  esecutori  della  musica  giovanile 
dantesca.  Noto  in  primo  luogo  il  Magliabechiano  VI,  143  (3);  e 


(1)  774  dell'inventario  governativo. 

(2)  Non  so  intanto  come  legga  il  codice  Cavalieri  (Witte  ,  Vita  Nuova, 
p.  xxviii),  non  so  come  legga  il  Bodleiano  114  (Catalogo  Mortara,  col.  128). 
E  di  certo  ne  esiston  degli  altri. 

(3)  Come  mai  conoscendo  questo  codice  il  Biscioni  abbia  potuto  dire  nella 
Prefazione  all'edizione  sua  (Prose  di  Dante  Alighieri  e  di  messer  Gio.  Boc- 
cacci,  p.  xxxviiii),  «  Non  è  stato  possibile  qui  in  Firenze  vederne  »  (della 
Vita  Nuova  e  del  Convito)  «  alcuno  esemplare  del  300  »,  è  cosa  poco  men 
che  incredibile;  si  capisce  bensì  come  il  possessore  abbia  preferito  un  ma- 
noscritto mediocre,  ma  suo,  ad  uno  eccellente  appartenente  ad  altri.  Solite 
debolezze!  Del  resto  quella  nota  dei  manoscritti  «  che  sono  serviti  per  la 
«  presente  Edizione  »  (p.  411),  è  una  mera  lustra,  e  per  poco  non  è  a  dire 


PER  LA  DATA   DELLA   «   VITA   NUOVA   »   ECC.  117 

meritano  di  stargli  vicini,  e  per  età  e  per  valore,  il  Martelliano, 
il  Riccardiano,  e  credo  bene  anche  il  Veronese.  Vuol  pur  es- 
sere avvertito  l'accordo  che  si  manifesta  in  questo  caso  tra  fa- 
miglie di  codici  nettamente  distinte:  quella  che  dà  le  divisioni 
delle  rime  come  parte  del  testo;  quella  che  le  converte  in  glosse; 
quella  che  le  tralascia.  Che  se  poi  ci  si  fa  a  considerare  come 
sia  composto  il  terzetto  che  abbiam  dall'altra  parte,  non  lo  pren- 
diamo davvero  in  maggior  stima  di  quel  che  porti  la  sua  esiguità 
numerica.  Del  codice  biscioniano  si  parla  dai  moderni  con  ter- 
mini enfatici  di  cui  proprio  non  par  degno  (1)  ;  gran  merito  es- 
sere stato  la  fonte  della  cosiddetta  volgata,  una  volta  che  questa 
volgata  lascia  tanto  a  desiderare  !  Ma  il  peggio  si  è  che  Vandava, 
stando  colà  come  variante  o  correzione  segnata  da  un  lettore, 
perde  a  dir  poco  quattro  quinti  della  sua  autorità.  Quanto  al 
codice  Ashburnham,  è,  a  fargli  grazia,  della  fine  del  quattrocento; 
e  sproposita  cotanto,  e  dappertutto  e  nel  nostro  passo  mede- 
simo (2),  che  proprio  dalla  sua  lancia  imbelle  non  sappiam  troppo 
che  aiuto  possa  venire.  Resta  così  a  sopportare  pressoché  tutto  il 
peso  della  lotta  il  codice  Trivulziano,  ch'io  non  so  dire  quanto 
propriamente  valga  (3),  ma  cui  non  si  fa  di  certo  ingiustizia  di- 
chiarandolo impari  a  un  tanto  compito:  esso,  scritto  nel  1425,  a 


un'  impostura.  Tutto  si  dovette  ridurre  a  dare  un'occhiata,  e  a  riscontrare  , 
se  mai,  qualche  passo. 

(1)  Preziosissimo  lo  dice  L.  Pizzo  nella  sua  edizione  della  Tita  Nuova , 
Venezia,  1865,  pp.  xiii  e  138.  Della  sua  preziosità  aveva  parlato  un  secolo 
fa  il  Morelli,  Bibl.  manoscritta  di  Tomm.  Gius.  Farsetti.,  Venezia,  1771, 
p.  283;  e  famoso  lo  aveva  predicato,  in  una  nota  apposta  al  cod.,  il  Farsetti 
medesimo  (Pizzo,  p.  139).  E  dire  che  il  Biscioni  stesso  aveva  invece  sentito 
il  bisogno  di  scusare  la  scelta ,  dicendo  in  sostanza  che  non  aveva  trovato 
di  meglio! 

(2)  «  Dopo  questa  tribulatione  auenne  che  molta  gente  andava  per 
«  uedere  quella  imagine  benedetta  la  quale  yhu  xpo  lascio  a  noi  per  esemplo 
«  della  sua  bella  figura  la  quale  uide  la  mia  donna  gloriosamente  »  ecc. 
Se  non  fosse  che  il  codice  Trivulziano  ha  le  parole  «  in  quello  tempo  »,  si 
sarebbe  stati  portati  a  credere  Vandava  un  prodotto  della  loro  omissione. 

(3)  Non  ho  nemmeno  alla  mano,  per  farne  un  poco  di  prova,  la  rarissim 
edizione  milanese  del  1827,  per  la  quale  il  codice  fu  adoperato  assai. 


118  PIO  RAJNA 

Treviso,  da  un  lombardo.  Però  fino  da  ora  non  si  può  dubitar  me- 
nomamente che  quando  sarà  compiuto  il  lavoro  di  classificazione 
e  di  confronto  di  tutti  i  codici  della  Vita  Nuova,  il  risultato  verrà 
ad  essere  che  in  questo  luogo  va,  non  andava,  è  la  lezione  vo- 
luta dalla  tradizione  manoscritta. 

Di  questo  va  non  s'inquieta  troppo  il  Lubin:  crede  che  esso  si 
concilii  assai  bene  anche  coll'allusione  al  Giubileo  (1):  «  Si  dica 
«  dunque  che,  se  la  vera  lezione  è  in  quel  tempo  che  molta 
«gente  va  per  vedere  ecc.  quel  va  indica  un  tempo  che  non 
«  era  ancora  passato,  un  anno  che  non  era  ancora  finito  quando 
«  l'autore  scriveva  quel  racconto;  e  che  secondo  i  dati  storici 
«  quell'anno  non  può  essere  se  non  il  1300  (2)  »,  Che  il  Lubin 
abbia  potuto  persuadersi  di  una  cosa  siffatta,  è  per  verità  un  po' 
strano.  0  che  sorta  di  lingua  vuol  far  scrivere  a  Dante  !  Non  ha 
egli  visto  che  in  quel  tempo  designa  qualcosa  di  più  o  men 
lontano,  o  che  si  rappresenta  come  tale?  E  lasciamo  pur  stare 
altri  sgorbi  ed  altre  sconvenienze  che  risultano  da  questa  sua 
idea  peregrina.  Insomma,  che  dato  il  va  non  si  possa  assoluta- 
mente intendere  altrimenti  se  non  *  nel  tempo  in  cui  molta  gente 
«suole  andare»,  è  cosi  manifesto  che  sarebbe  sciupar  tempo 
e  spazio  l'insisterci.  E  il  Lubin  stesso  si  persuaderà  che  fino  a 
qui  almeno  i  suoi  avversari  hanno  ragione,  una  volta  che  abbia 
capito  cosa  propriamente  essi  sostengano,  il  che  —  non  so  come  — 
non  pare  essergli  riuscito  finora  (3). 

Ma  con  ciò  la  questione  non  è  punto  finita  di  risolvere.  L'au- 
tografo della  Vita  Nuova  nessuno  di  noi  l'ha  veduto,  e  potreb- 


(1)  Anche  il  Sermartelli  pensò,  come  s'  è  visto,  al  giubileo,  e  nondimeno 
il  suo  testo  dice  va.  Ma  egli  non  ebbe  a  rifletter  più  che  tanto  se  le  due 
cose  potessero  o  no  stare  insieme. 

(2)  Pag.  95. 

(3)  Egli  sembra  ostinarsi  a  credere  (vedi  pp.  40,  41 ,  43 ,  95)  che  il  quel 
tempo  anche  per  coloro  che  dissenton  da  lui  abbia  a  designare  un  anno  deter- 
minato. Ma  per  essi  non  designa  niente  affatto  un  anno,  bensì  una  stagione, 
un  periodo  di  ogni  anno.  Lo  aveva  pur  già  detto  chiaramente  il  Todeschini 
nel  luogo  riportato  in  principio. 


PER  LA  DATA  DELLA   €   VITA  NUOVA  »  ECC.  119 

bero  pur  esserci  ragioni  intrinseche  cosi  forti,  che  costringessero, 
a  dispetto  della  critica  diplomatica,  a  scartare  la  lezione  va  ed 
a  mantenere  nel  testo  Vandava.  Ossia,  potrebbero  pur  esserci  mo- 
tivi (se  non  fosse  per  ciò,  chi  mai  vorrebbe  pensare  a  ribellarsi 
ai  risultati  di  quella  critica  (1)?)  i  quali  ci  mettesser  proprio 
nella  necessità  di  vedere  indicato  nelle  parole  di  Dante  il  Giu- 
bileo di  Papa  Bonifazio.  La  questione  si  trasforma,  e  diventa  un 
problema  prettamente  storico. 

Si  legga  comunque  si  vuole,  l'Alighieri  ci  rappresenta  «  molta 
«  gente  »  che  si  conduce  a  Roma  in  pellegrinaggio.  Nessun  dubbio 
che  nel  1300  della  gente  ve  ne  sia  andata  moltissima;  ma  i  critici 
della  Vita  Nuova  paiono  non  aver  saputo  abbastanza  che  moltis- 
sima ce  ne  andava  da  otto  secoli  almeno  (2).  Il  passo  più  antico 
che  sia  da  prendere  in  considerazione  a  questo  proposito  è  disgra- 
ziatamente alquanto  incerto  di  lezione  ed  anche  di  significato. 
Si  tratta  di  alcune  parole  riguardanti  S.  Pietro ,  scritte  da  S.  Ge- 
rolamo nel  principio  dell'opera  De  viris  illustribus  o  De  scripto- 
ribus  ecclesiasticis  come  s'abbia  a  chiamare:  «  Sepultus  Romae 
«  in  Vaticano^,  juxta  viam  triumphalem,  totius  orbis  veneratione 
«  celebratur  (3).  >  Orhis  od  urì)is?  —  I  codici  variano  ;  e  da  loro, 
finché  non  sian  stati  studiati  e  ordinati  sistematicamente,  è  vano 
sperare  una  decisione.  La  decisione  bisogna  dunque  domandarla  ad 


(1)  Non  ci  si  ribellerebbe  di  certo  il  Todeschini,  che  rifiutando  il  Giubileo 
riteneva  Vandava  perchè  a  lui  non  risultavano  ragioni  sufficienti  di  dargli 
lo  sfratto.  E  il  bisogno  di  darglielo  non  lo  sentiva;  poiché,  se  è  assurdo 
ammettere  il  va  e  tener  fermo  il  Giubileo,  all'opinione  di  chi  non  vuol  sa- 
pere del  Giubileo  Vandava  non  darebbe  gran  noia.  In  che  modo ,  ha  detto 
assai  bene  il  Fornaciari,  p.  156. 

(2)  Per  la  conoscenza  e  per  lo  studio  di  questo  punto  mi  è  stata  di  somma 
utilità  l'opera  modesta  di  mole ,  ma  giudiziosa  ed  erudita,  che  in  occasione 
del  Giubileo  del  1750  pubblicarono  in  Roma  Raflaele  Sidone  e  Antonio  Mar- 
tinetti :  Bella  Sacrosanta  Basilica  di  S.  Pietro  in  Vaticano,  Libri  due  ; 
vedi  t.  I,  pp.  136-150,  il  paragrafo  intitolato  II  concorso  de' Popoli  al  Tempio 
Vaticano. 

(3)  Nella  grande  edizione  delle  Opere  curata  dal  Vallarsi ,  Verona,  1734, 
II,  813. 


120  PIO   RAJNA 

argomenti  intrinseci  ;  e  ancor  essi  si  fanno  gioco  di  noi,  schieran- 
dosi in  due  campi.  Qualcuno  sta  per  orbis:  la  venerazione  della 
sola  Roma  sembra  poca  cosa  ;  e  di  certo  anche  il  totius  ci  farebbe 
aspettare  non  so  che  di  più  ampio.  Ma  d'altra  parte,  mentre  un 
mutamento  di  urbis  in  orbis  per  opera  dell'età  successiva  s'in- 
tende a  meraviglia  perchè  d'accordo  coll'evoluzione  delle  idee  e 
dei  fatti,  per  venire  da  orbis  ad  urbis  s'ha  come  a  far  cammi- 
nare la  storia  a  ritroso.  S'aggiunga  che  dà  a  conoscere  di  aver 
letto  urbis  l'autore  dell'antica  traduzione  greca  (1).  Tutto  pon- 
derato, la  bilancia  piega  dunque  di  qui,  e  rimane  ben  scarsa  la 
probabilità  che  S.  Gerolamo  ci  attesti  già  incominciato  nel  392  — 
in  quell'anno  egli  scriveva  —  il  gran  moto  del  mondo  cristiano 
alla  volta  di  Roma.  E  a  scemare  ancora  siffatta  probabilità  si  fa 
innanzi  la  considerazione  che  quel  tanto  che  Vorbis  ci  darebbe 
ce  lo  può  ritogliere  il  celebratur,  in  quanto  esso  colle  parole  che 
l'accompagnano  può  esprimerci  anche  la  venerazione  che  i  fe- 
deli avessero  per  S.  Pietro  senza  muoversi  di  casa  loro.  In  com- 
penso tuttavia  leggendo  urbis  la  frase,  se  perde  in  estensione, 
acquista  in  intensità.  Ristretta  ai  soli  Romani,  la  venerazione,  a 
meno  di  fare  di  S.  Gerolamo  un  eretico,  vuol  esser  qualcosa  di 
più  concreto.  Soggetto  logico  del  periodo  sarà  di  sicuro,  non  la 
persona  o  la  memoria  di  Pietro,  ma  il  suo  sepolcro  ;  il  celebrari 
andrà  inteso  nel  senso  proprio  di  essere  frequentato  (2);  e  così 
un  principio  di  pellegrinaggio  —  esistesse  già,  come  par  proba- 
bile, 0  non  esistesse  la  chiesa  —  noi  lo  verremo  pur  sempre  ad 
avere. 
Che  i  cominciamenti  sieno  oscuri  ed  irti  pertanto  di  difficoltà 


(1)  Questa  traduzione,  stampata  a  fronte  del  testo  nell'edizione  citata,  rende 
il  passo  così:  Kri&euGeic;  òè  èv  'Pib|Lir)  èv  tùj  BoTiKdvuj  TrXrjaiov  Tfì<;  óboO  t^c, 
èuiKXriv  TpiounqpaXiaq ,  |Li€Tà  TiavTÒc,  toO  oePd(T|aaToq  Trapà  tù)v  'Pu)|aaiujv 
epriaKeùerai.  Al  'Puj|Liaiuiv  si  può  esser  tentati  di  dare,  e  in  più  d'un  modo, 
un  significato  assai  più  esteso  che  non  sia  quello  degli  abitatori  di  Roma; 
ma  r  èv  'Piifiij  che  precede  dissuade  dal  persistere  nell'idea. 

(2)  Se  l'astratto  veneratione  sembra  far  diflBcoltà,  si  pensi  quanto  spesso 
si  dica  in  italiano  «  esser  frequentato  dalla  divozione  dei  fedeli  ». 


PER  LA   DATA   DELLA   «   VITA   NUOVA   »   ECC.  121 

e  di  questioni,  è  una  verità  che  neppur  stavolta  ci  si  è  voluta 
smentire.  Ma  se  qui  le  nubi  non  ci  permettono  di  discernere  con 
certezza  se  siamo  ai  primi  albori  o  se  il  sole  è  già  spuntato, 
un  secolo  dopo  —  non  gran  cosa  nei  giorni  dell'umanità  —  esso 
è  già  alto  sull'orizzonte.  ìi^aW Apologeticus  che  per  incarico  di 
un  Sinodo  S.  Ennodio  scrisse  nel  501  o  nel  502  (1)  in  difesa  di 
papa  Simmaco  e  del  Sinodo  stesso,  ci  son  parole  che  non  lasciano 
luogo  ad  equivoco.  A  Roma  è  venuto  il  vescovo  di  Aitino,  nomi- 
nato Visitator  della  Chiesa  romana  da  Teodorico,  a  istigazione 
della  parte  avversa  a  Simmaco  e  fautrice  del  suo  competitore 
Lorenzo;  c'è  venuto:  e  sobillato  da  questa  fazione,  non  si  è  nep- 
pur fatto  vedere  a  S.  Pietro:  «  Invisis  Beati  Apostoli  liminibus 
«ad  usum  furoris  vestri  jam  nescius  sui  advocatur;  et  illud 
«  quod  ex  omnibus  orbis  cardinibus  devotos  attra- 
«hit,  positum  in  vicinitate  transitur  (2).»  E  qui  Ennodio,  ri- 
spondendo ad  un'obbiezione  che  immagina  poterglisi  fare  per 
toglier  valore  a  quest'atto  di  ossequio  intralasciato,  parla  della 
moltitudine  di  guarigioni  e  di  liberazioni  di  ossessi  avvenuta  in 
quel  luogo  (3). 


(1)  La  data  precisa  soffre  in  conseguenza  dell'incertezza  cronologica  che 
e"  è  riguardo  ai  sinodi  che  fecero  capo  al  trionfo  di  Simmaco;  vedi  parti- 
colarmente la  discussione  del  Mansi ,  nella  sua  edizione  dei  Concila,  Vili , 
303  sgg.  Si  tratta  peraltro  di  un'  oscillazione  più  che  trascurabile  per  noi. 
Al  massimo,  ma  contro  ogni  probabilità,  V Apologeticus  di  Ennodio  potrebbe 
esser  fatto  discendere  fino  al  503. 

(2)  Nell'edizione  sirmondiana  delle  Opere  di  Ennodio,  p.  343  ;  nei  Concila 
del  Mansi,  Vili,  283. 

(3)  Il  passo  merita  d'esser  riportato,  perchè  mostra  che,  se  i  pellegri- 
naggi e  la  venerazione  delle  reliquie  avevan  già  preso  gran  piede ,  si  po- 
tevano ancora  disapprovar  queste  cose  senza  passar  per  eretici:  «  Dicatis 
«  forsitan ,  Apostoli  genio  decerpi ,  si  putatur  coeli  civis  terrarum  locis  in- 
«  ciudi.  Tamen,  quamvis  benedictio  poscentibus  ubique  praestetur,  et  exigat 
«  praesentiam  martyris  fides  et  devotio  supplicantis,  negari  non  potest,  di- 
«  ligentiae  natali  solo  plus  tribui,  et  majorera  affectum  loca  impetrare,  de 
«  quibus  ad  superna  transitur.  Quam  fidem  allegationi  curationum  multitudo 
«  jam  praestitit,  et  utimur  post  obsidionem  diabolicam  testibus  jam  sanatis. 
«  Haec  licet  per  redemptorem  nostrum  in  toto  orbe  celebrentur,  est  tamen 


122  PIO  RAJNA 

Passiamo  alla  prima  metà  del  secolo  Vili.  Sarà  un  indizio  in- 
diretto, ma  pur  sempre  significativo,  quello  che  risulta  da  certe 
parole,  scritte,  pare,  nel  730  da  papa  Gregorio  II  a  Leone  Isau- 
rlco,  l'Iconoclasta  (i).  Leone  aveva  minacciato  di  distruzione  l'ef- 
fìgie del  Principe  degli  Apostoli  :  di  lui,  risponde  il  Pontefice,  «  che 
«  tutti  i  regni  dell'occidente  hanno  in  conto  di  un  Dio  terre- 
stre (2)  !  E  lo  sfida  a  provarcisi,  se  vuole  sperimentar  le  ven- 
dette degli  occidentali.  Tutta  questa  venerazione  pressoché  ido- 
latra, questo  presunto  accanimento  di  tanti  regni  per  la  difesa 
di  un  simulacro  che  sta  senza  dubbio  nella  chiesa  di  S.  Pietro  (3), 
indica  che  a  quella  chiesa  si  viene  senza  dubbio  da  ogni  parte. 

Procediamo  di  un  mezzo  secolo.  Al  tempo  di  Carlo  Magno,  Al- 
enino, nell'omelia  «  In  natalibus  S.  Willibrodi  »,  scriverà,  «  Roma 
«  urbs ,  orbis  caput ,  beatorum  Apostolorum  Petri  et  Pauli  spe- 
«  cialius  quodammodo  gloriosissimis  laetatur  triumphis.  Unde  ad 
«  eamdem  et  gentes  et  populi  cum  devoto  pectoris  officio  cotidie 
«  concurrunt,  ut  majori  quique  apud  Apostolos  fidei  compunctione 
«  vel  sua  defleant  crimina ,  vel  coelestis  vitae  abundantiori  spe 
«  sibi  aditum  aperiri  deposcant  (4).  »  Qua  dentro  mette  conto  di 
rilevare  quel  S.  Paolo  accoppiato  con  S.  Pietro.  Lo  rilevo  per 
mettere  in  guardia  contro  deduzioni  eccessive  :  i  pellegrinaggi  a 
Roma  erano  indirizzati  anzitutto  a  Pietro,  e  Paolo  veniva  ad  es- 


«  non  modica  monumenti  illius  per  frequentiam  comparata  nobilitas  ».  Si 
noti  che  qui  si  ragiona  così  tranquillamente  con  avversari  che  per  solito  si 
caricano  d' ingiurie. 

(1)  Vedi  il  Baronio,  all'  anno  726  :  data  corretta  dal  Pagi  nell'  edizione 
lucchese,  XII,  345. 

(2)  éiraYYéXXt)  KaTaXOaai  xal  àqpaviam  tòv  xapoKTfìpa  toO  dYiou  TTérpou, 
8v  ai  TtSaai  3acriXemi  Tr\<^  b^aeujc,  Geòv  èiriYeiov  éxovai.  Così  la  versione 
greca,  nella  quale  soltanto  ci  è  pervenuta  la  lettera  (ed.  cit.,  pag.  353). 

(3)  11  simulacro  si  ritiene  essere  la  statua  famosa,  adesso  di  S.  Pietro,  un 
tempo  di  Giove.  Per  verità  il  xapoKxfìpa  non  parrebbe  favorevole  a  questa 
idea;  ma  è  da  considerare  che  abbiamo  a  fare  con  una  traduzione.  Quanto, 
al  trattarsi  a  ogni  modo  di  cosa  che  è  nella  gran  basilica  romana,  nessun 
dubbio. 

(4)  Ada  Sanct.  Ord.  S.  Ben.,  sec.  Ili,  anno  739:  III,  i,  573  nell'edizione 
di  Venezia. 


PER   LA   DATA   DELLA   «   VITA  NUOVA   »    ECC.  123^ 

serne  in  generale  solo  come  una  specie  di  accessorio  (1).  Facile 
veder  le  ragioni. 

Nella  sua  omelia  Alenino  enumera  dopo  Roma  varie  altre  città 
rese  insigni  dalla  memoria  e  dal  sepolcro  di  questo  o  quel  santo  : 
Milano,  Tours,  Parigi,  Reims.  Avesse  scritto  qualche  poco  più  tardi, 
non  avrebbe  potuto  tacere  di  un  luogo  per  sé  oscurissimo,  cre- 
sciuto rapidissimamente  ad  una  fama  immensa  per  motivo  appunto 
di  una  tomba.  Egli  viveva  sempre  o  era  morto  appena ,  quanda 
nella  remota  Galizia,  presso  il  capo  che  conserva  ancora  il  nome 
di  Finisterre,  fu  ritrovata  o  si  credette  trovata  —  tutt'uno  per  quei 
tempi  —  nientemeno  che  la  tomba  di  un  altro  apostolo ,  cioè  *  di 
S.  Jacopo  (2).  E  allora  ecco  anche  a  quella  volta  dirigersi  i  pel- 
legrini in  gran  folla.  Andavano  a  Gompostella,  e  nella  Spagna, 
anzi  forse  più  ancora  nella  Spagna  che  altrove,  si  chiamavano 
tuttavia  e  continuarono  sempre  a  chiamarsi  Romei:  persistenza 
buona  essa  pure  a  servir  di  riprova  della  somma  frequenza 
delle  peregrinazioni  romane  nelle  età  anteriori.  Roma  peraltro 
non  ebbe  alcun  bisogno  di  cercare  in  questo  vestigio  del  passato 
consolazione  nessuna:  essa  non  dovette  neppure  accorgersi  di  un 
rallentamento  di  frequenza  a'  suoi  santuari.  Molti  d'allora  in  poi 
fecero  un  pellegrinaggio  di  più;  e  se  i  luoghi  di  pellegrinaggio 
si  accrescevano,  crescevano  anche  i  devoti,  giacché  nuove  na- 
zioni, vergini  di  fede,  si  venivano  guadagnando  al  cristianesimo. 
E  meno  che  mai  Roma  ebbe  poi  a  patir  danno  allorché  anche 
un'altra  tomba  in  Europa  acquistò  attrattiva  stragrande.  Curioso- 


(1)  Per  quel  che  riguarda  il  periodo  delle  origini,  si  noti  come  S.  Giro- 
lamo ci  parli  bensì  nell'  opera  già  allegata  (cap.  5)  anche  del  luogo  della 
sepoltura  di  S.  Paolo,  ma  senza  pronunziar  nessuna  frase  che  faccia  riscontro 
a  quella  che  abbiamo  udito  per  S.  Pietro  :  «  Hic  ergo  quarto  decimo  Neronis 
«  anno,  eodem  die  quo  Petrus,  Romae  prò  Ghristo  capite  truncatur,  sepul- 
«  tusque  in  via  Ostiensi,  anno  post  passionem  Domini  tricesimo  septimo.  » 

(2)  L' anno  preciso  della  grande  scoperta  non  si  conosce  ;  ma  merita  cre- 
denza r  Historia  Compostellana  che  colloca  il  fatto  al  tempo  di  Alfonso  il 
Casto  e  di  Carlo  Magno,  opperò  tra  il  791  e  r8i4.  Vedi  Dozy,  Rech.  sur 
V  /list,  et  la  littér.  de  V  Espagne,  3«  ed.,  Il,  398-99. 


124  PIO   RAJNA 

fenomeno  quello  di  un  santo  da  dozzina,  qual  è,  a  fargli  grazia, 
S.  Egidio,  in  origine  di  certo  non  più  miracoloso  di  altri  infiniti, 
venuto,  non  poco  tempo  dopo  la  sua  morte,  a  riuscir  terzo  ac- 
canto a  due  apostoli  (1)!  Io  vado  tuttavia  pensando,  e  la  crono- 
logia mi  conferma  nell'idea,  che  cotale  celebrità  si  colleghi  stret- 
tamente col  fatto  dell'essere  Sain  Giti,  Saint  Gilles,  a  mezza  strada 
tra  Roma  e  Compostella  (2),  e  ritengo  che  la  frequenza  colà  vada 
debitrice  di  molto  al  grande  accorrere  che  si  faceva  agli  altri  due 
pellegrinaggi  (3).  Del  resto,  per  quanto  famoso,  S.  Egidio   non 


(1)  Si  veda  una  carta  del  1046  citata  dal  Mabillon  {Ann.  Ord.  S.  Ben. , 
IV ,  434  neir  edizione  di  Lucca)  di  cui  si  son  ricordati  opportunamente  i 
Bollandisti  nel  Commentario  intorno  a  S.  Egidio,  Sett.  I,  285.  Odolrico,  arci- 
vescovo di  Lione,  approva  che  il  Monastero  di  Savigny  accetti  la  donazione 
di  una  chiesa  e  le  offerte  «  quas  attulerint  homines  peregrini  et  Romei, 
«  pergentes  ad  loca  sanctorum,  tam  ad  beatam  Mariam  et  sanctum  Petrum 
«  Romae,  quam  ad  sanctum  Jacobum  et  sanctum  Aegidium  ».  A  questa 
voce,  che  viene  un  po'  da  vicino,  serva  di  conferma  una  che  giunge  dal- 
l' Italia.  Lo  spedale,  cioè  V  ospizio  d'AItopascio,  il  più  celebre  tra  gli  spedali 
di  pellegrini  in  Europa,  era  dedicato  a  S.  Jacopo  e  a  S.  Egidio.  Vedi  i  do- 
■cumenti  che  ci  presenta  il  Lami  suW  Hodoeporicon  di  Caritene  ed  Ippofilo 
(Deliciae  Eruditorum) ,  pag.  1370  sgg.  Oltre  a  questi  duo  santi  appare  a 
volte  anche  S.  Cristoforo,  per  un  motivo  diverso  dal  loro  e  facile  a  scorgere. 
Ma  di  lui  si  tace  troppo  spesso,  o  meglio  si  fa  menzione  troppo  raramente, 
perchè  non  sia  chiaro  che  gli  si  aveva  assai  meno  riguardo.  Nella  chiesa 
il  suo  posto  sarà  stato  di  certo  sulla  parete  esteriore. 

(2)  Queste  due  città  si  considerano  proprio  come  i  due  capi  di  una  grande 
Via  Sacra.  Però  in  un  documento  del  secolo  XIII  —  bisogna  che  anticipi 
qui  in  nota  una  citazione  che  ripeterò  più  oltre  nel  testo  —  l'Ospizio  di 
S.  Bartolommeo  al  colmo  dell'  Appennino  Pistoiese  ci  si  dice  posto  sulla 
strada  «  que  celebri us  Romam  et  Sanctum  lacopum  ducit  ». 

(3)  Veda  il  Paris,  che  ha  rilevato  anch' egli  la  singolarità  della  cosa 
(Vie  de  Saint  Gilles.,  pp.  lxxiii-iv),  se  questa  riflessione  gli  paia  adatta  a 
diradare  un  poco  il  mistero.  Fra  Compostella  e  Roma  v'erano  certo  molti  altri 
luoghi  che  potevano  approfittare,  e  che  approfittarono  anche  difatti  della 
felice  loro  situazione;  ma  intanto,  a  nessuno  che  fosse  posto  o  in  territorio 
spagnuolo  o  in  territorio  italiano  era  possibile  di  uscire  dalla  mediocrità 
per  la  ragione  dell'aver  troppo  vicino,  qui  S.  Pietro,  là  S.  Giacomo:  chi 
vede  mai  le  stelle  quando  sull*  orizzonte  e'  è  il  sole  ?  Invece  un  santuario 
francese  poteva  fare  grande  assegnamento  sul  bisogno  vivissimo  che  doveva 
sentire  la  Francia  di  possedere  anch' essa  un  santuario  di  prim' ordine:  oltre 
alla  ragione  dell'  amor  proprio,  è  tanto  comodo  l' avere  ad  una  distanza  non 


PER  LA  DATA  DELLA   «   VITA  NUOVA   »   ECC.  125 

minacciò  mai  di  offuscare  S.  Jacopo,  e  meno  ancora  S.  Pietro; 
bensì,  come  sempre  accade  di  coloro  che  son  portati  in  alto  da 
ragioni  casuali,  decadde  abbastanza  presto  esso  medesimo  (1). 

S.  Jacopo  era  già  visitatissimo  (2),  S.  Egidio  ancora  non  credo  (3), 
quando,  intorno  all'  865,  Papa  Niccolò  I,  a  dimostrazione  che  la 
Chiesa  Romana  è  propriamente  chiesa  cattolica,  universale,  mette 


soverchia  un  posto  dove  farsi  fare  dei  miracoli  ogni  volta  che  occorra!  E 
quando  il  bisogno  c'è,  si  trova  poi  anche  sempre  chi  ci  sa  provvedere.  Né 
il  bisogno  era  dei  francesi  soltanto.  Moltissimi  si  movevano  dalla  Spagna 
per  venire  a  S.  Pietro,  molti  dall'  Italia  per  andare  a  S.  Jacopo ,  ai  quali 
per  istrada  mancavan  le  forze  per  compiere  il  viaggio.  Senza  S.  Egidio 
avrebbero  perduto  la  fatica.  E  qui  entrò  forse  di  mezzo  anche  una  giusta 
compassione  da  parte  dei  pontefici,  che  forse  per  riguardo  a  questi  volonterosi 
impotenti  largirono  a  S.  Egidio  un  poco  di  quei  tesori  di  indulgenze  di  cui  chi 
conosca  la  misura  delle  penitenze  imposte  nel  medioevo  ai  peccatori  sa  qual 
bisogno  supremo  si  dovesse  provare.  E  tanto  più  i  papi  dovevano  esser  disposti 
a  favorire  S.  Egidio  e  a  farne  come  una  specie  di  simulacro  dei  santuari  mag- 
giori, in  quanto  il  monastero  apparteneva  propriamente  alla  Santa  Sede,  che  ne 
difese  sempre  vigorosamente  il  possesso,  e  in  quanto  era  intitolato  a  S.  Pietro, 
e  insieme  con  lui  a  S.  Paolo  (  Bollandisti  ,  t.  cit. ,  p.  292).  Ragioni  pa- 
recchie, come  si  vede;. ma  che  tutte  non  fanno  se  non  rifrangere  in  vario 
modo  queir  unico  raggio  della  situazione  a  mezzo  del  cammino  di  S.  Jacopo 
e  di  S.  Pietro  :  non  propriamente  sulla  strada,  ma  cosi  vicino  ad  essa  da  non 
far  diflferenza  alcuna. 

(1)  Un  segno  molto  espressivo  di  questa  decadenza  ce  lo  darà  quello  stesso 
Altopascio  da  cui  s' è  avuta  una  prova  della  gloria.  A  poco  a  poco  i  docu- 
menti mettono  S.  Egidio  in  disparte,  finché  esso  sparisce  del  tutto.  Soltanto 
di  S.  Jacopo  parla  la  Regola  del  1239,  di  cui  ho  sott'  occhio  1'  antica  tra- 
duzione italiana,  pubblicata  parzialmente  dal  Lami,  Op.  cit.,  pp.  1432  sgg., 
e  integralmente  dal  Fanfani,  nella  Scelta  di  Curiosità  letterarie,  n"  54, 
Bologna  1864  {Regola  dei  Frati  di  S.  Jacopo  d' Altopascio).  Vedi  in  que- 
st'  edizione  pp.  15 ,  16 ,  22 ,  30  ecc.  ecc.  Cosa  da  far  propriamente  mera- 
viglia, S.  Egidio,  nonché  tra  i  santi  per  cui  i  frati  digiunano  (pp.  36-37), 
non  ha  neppur  più  luogo  tra  quelli  di  cui  si  deve  «  'guardare  »  la  festa 
(pp.  38-39). 

(2)  Vedi  una  testimonianza  anteriore  di  qualche  anno  alla  metà  del  se- 
colo IX  in  un  testo  arabo  tradotto  dal  Dozy,  Op.  cit.,  II,  277. 

(3)  Me  ne  persuade  una  lettera  scritta  neir879  da  Giovanni  Vili  agli 
arcivescovi  di  Arli,  Narbona,  ed  Aix,  perché  mettano  al  dovere  il  vescovo 
di  Nìmes  usurpatore  dei  diritti  romani  su  quel  monastero,  dove,  lasciando 
altro,  se  ne  parla  come  di  «  quoddam  monasterium  »  {Epist.  191  ;  Concilia, 
ed.  Mansi,  XVII,  130). 


126  PIO  RAJNA 

sotto  gli  occhi  dell'imperatore  Michele  le  tante  migliaia  d'uomini 
che  «  ex  omnibus  finibus  »  vengono  «  quotidie  »  a  cercare  la 
protezione  e  l'intercessione  di  S.  Pietro,  e  che  fan  sì  che  Roma 
paia  raccogliere  in  sé  tutte  le  nazioni  (1).  Due  secoli  dopo,  nel 
1080,  Gregorio  VII  darà  una  solenne  lavata  di  capo  al  vescovo 
di  Rouen,  perchè  né  lui  né  i  suoi  suflfraganei  s  erano  ancora, 
dacché  egli  era  papa,  fatti  vedere  a  Roma  :  «  Qui  vero  labor,  aut 
«  quae  difflcultas  prae  aliis  dissuasit  vobis  per  tantum  spatii  Beatum 
«  Petrum  negligere,  cum  ab  ipsis  mundi  finibus  etiam  gentes 
«  noviter  ad  fidem  conversae  studeant  annue  tam  mulieres  quam 
«  viri  venire  ad  eum  (2)?  »  E  chiuderò  le  citazioni  con  Pietro 


(1)  «  Siquidem  tanta  inillia  hominuiti  protectioni  ac  intercessioni  beati 
«.  apostolorum  principis  Petri,  ex  omnibus  finibus  terrae  properantium,  sese 
«  quotidie  conferunt,  et  usque  in  finem  vitae  suae  apud  ejus  limina  semet 
■«  mansura  proponunt,  ut,  ■»  ecc.  {Epist.  8:  Concilia,  ed.  cit.,  XV,  207).  Se 
Niccolò  ha  voluto  dire  che  ogni  giorno  arrivano  a  Roma  non  so  quante 
migliaia  di  pellegrini,  la  sua  è  un'  esagerazione  avvocatesca  ;  se  invece  ha 
inteso  che  molte  migliaia  son  di  continuo  per  le  strade,  non  dirà  altro  che 
il  vero.  E  cosi  per  mettere  al  coperto  la  sua  veridicità  non  bisogna,  non- 
ostante la  grammatica,  riferire  a  tutte  quelle  migliaia  il  proposito  di  rima- 
nere a  Roma  fino  alla  morte.  Certo  ve  ne  rimanevano  e  ve  ne  morivan 
molti:  quanto  mai  istruttiva  a  questo  riguardo  una  bolla  di  Leone  IX,  del- 
l'anno 1049  (CoUect.  Bullar.  Sacros.  Basii.  Vatic,  Roma,  1747,  1,  22  sgg.); 
ma  di  coloro  che  vi  lasciavan  la  vita  un  gran  numero,  se  non  i  più,  s'eran 
messi  in  cammino  con  tutt'  altra  intenzione.  Morivano  a  Roma  come  tanti  e 
tanti  altri  morivano  in  viaggio,  o  andando  o  ritornando. 

(2)  Lib.  9,  ep.  1:  Concilia,  ed.  cit.,  XX,  339.  Anche  qui  dentro,  come 
presso  Niccolò,  c'è  dell'esagerazione;  e  consiste  in  queW  annue,  che  certo 
deve  contrapporsi  al  per  tantum  spatii,  e  col  quale  si  vengono  pertanto  a 
significare  dei  pellegrinaggi  annuali  delle  persone  medesime,  che  fanno  ap- 
parire viepiù  riprovevole  la  continuata  negligenza  del  vescovo  e  dei  suoi. 
Ora,  che  tutta  la  cristianità  —  il  perfino  significatoci  dall'  ab  ipsis  e  dal- 
Yetiam  viene  ad  includere  naturalmente  gli  altri  —  venisse  a  Roma  una 
volta  l'anno,  questo  è  propriamente  un  po' troppo!  Ci  saranno  ben  stati  di 
coloro  che  ci  saran  venuti  molte  e  molte  volte,  e  anche  per  molt'  anni  di 
seguito;  ma  per  quanto  si  voglian  supporre  numerosi,  raiFrontati  all'univer- 
salità dei  cristiani  o  anche  solo  dei  pellegrini,  è  impossibile  che  non  fos- 
sero eccezioni.  Vero  che  Gregorio  non  dice  veniunt,  bensì  student  venire; 
sennonché,  se  al  desiderio  e  al  proposito  non  seguiva  l'effetto  almeno  in 
misura   assai   larga,  Gregorio  non  era   in  diritto  di   parlare  a  quel   modo; 


PER  LA  DATA  DELLA   «  VITA  NUOVA   »  ECC.  127 

Mallio,  che  nella  preziosissima  descrizione  della  Basilica  Vaticana 
dedicata  ad  Alessandro  III,  ci  ha  lasciato  scritto:  «  Quia  igitur 
«  totus  orbis  terrarum  huic  sanctissimae  Dei  et  beati  Petri  Apo- 
«  stoli  basilicae...  debitae  subjectionis  exhibet  obsequium,  multi  ex 
<■'  diversis  mundi  partibus,  ob  reverentiam  ejusdem  Apostoli,  hic 
«  conveniunt  oratores  (1),  in  tantum  siquidem,  quod  multoties  vix 
■«  ad  altare  possumus  accedere  (2).  » 

A  queste  attestazioni  giova  soggiungere  due  prove  d'altro  ge- 
nere ,  le  quali  non  hanno  meno  valore  davvero.  La  prima  con- 
siste nella  fondazione  di  numerosissimi  ospizi,  sia  a  Roma  stessa  (3), 
dove  uno,  detto  Schola  Francorum,  in  servigio  della  nazione 
franca,  fu  istituito  o  ampliato  e  largamente  dotato  da  Carlo  Magno 
medesimo  (4),  sia  poi  specialmente  lungo  tutte  le  strade  che  vi 
conducevano  (5)  ;  cosi  alle  porte  delle  città  o  dentro  le  loro  mura, 


senza  contare  ch'egli  sì  esponeva  a  sentirsi  ripetere  dal  vescovo  quel  che 
già  si  vede  aveva  detto  ,  che  l' intenzione  di  venire  ce  1'  aveva  anche  lui. 
O  è  dunque  cosi  difficile,  parlando  e  scrivendo,  di  star  sempre  nei  limiti 
del  vero?  Gran  disgrazia  per  le  scienze  storiche,  costrette  a  stare  in  con- 
tinua diffidenza,  e  a  fare  un  sciupio  di  critica  che  proprio  potrebbe  loro 
essere  risparmiato. 

(1)  Pregatori,  devoti,  quindi  pellegrini  :  Vedi  Du  Gange,  s.  v. 

(2)  BoLLANDiSTi,  giugno,  VII,  38. 

(3)  Vedi  Sidone  e  Martinetti,  Op.  cit.,  pp.  142  sgg.  La  bolla  di  S.  Leone  IX 
che  essi  citano,  e  che  è  davvero  una  fonte  assai  ricca  per  questi  ospizi 
romani  e  per  più  altre  cose  relative  ai  pellegrinaggi,  è  quella  medesima 
che  ho  avuto  occasione  di  ricordare  in  nota  nella  pagina  precedente. 

(4)  iJ.,  p.  145;  e  vedi  anche  due  note  alla  bolla  citata,  p.  23.  Non  so  se 
il  diploma  di  Carlo  Magno,  che  si  cita  come  esistente  nell'Archivio  del  Ca- 
pitolo Vaticano,  abbia  poi  visto  la  luce.  Bisognerebbe  averlo  sott'  occhio  per 
determinar  bene  l'opera  imperiale  o  reale  che  fosse,  non  rappresentata, 
credo,  con  piena  esattezza  nel  libro  sidoniano.  Questo  mi  risulta  da  ciò,  che 
mentre  lì  si  dice  edificata  da  Carlo  la  chiesa  di  S.  Salvatore  cui  la  Schola 
Francorum  era  annessa,  da  un  luogo  della  bolla  di  Leone  vedo  che  essa 
esisteva  e  possedeva  di  già:  «  Imperator  autem  et  Leo  Papa,  quod  Ecclesia 
«  Salvatoris  habuerat,  non  abstulerunt,  sed  illi  de  gratia  multa  dederunt  » 
(p.  24).  A  meno  che  quest'  Imperatore  —  un  Carlo  senza  dubbio  (vedi  p.  23) 
—  non  fosse  Carlo  il  Calvo. 

(5)  Di  queste  strade,  e  specialmente  di  taluna,  mi  accadrà  di  discorrere 
presto  in  un  altro  lavoro. 


128  PIO  RAJNA 

come  in  aperta  campagna.  Per  la  sola  Lucca  e  per  il  solo  se- 
colo Vili,  troviamo  tante  di  cotali  istituzioni,  da  doverne  assolu- 
tamente strabiliare  (1).  E  a  poca  distanza  di  lì,  continuando  per 
il  cammino  allora  battuto  universalmente,  abbiamo  Altopascio, 
radice  e  capo  di  un  ordine  ampiamente  propagato  di  Ospedalieri, 
analogo  a  quello  di  S.  Giovanni  di  Gerusalemme  (2);  e  li  presso 
altri  spedali  minori  (3);  ed  altri  poi  su  perla  Val  d'Elsa (4);  e 
così  mano  mano,  proseguendo  o  ritornando  addietro.  Insomma, 
lungo  ogni  .strada  per  Roma ,  gli  spedali  od  ospizi  costituiscono 
una  catena  non  mai  interrotta,  di  cui  gli  anelli,  fino  al  secolo  XII 
0  al  XIII,  si  vengon  facendo  sempre  più  fitti. 

L'altra  prova  si  deduce,  non  più  da  ciò  che  troviamo  lungo 
queste  strade,  ma  da  queste  strade  stesse.  Mettessero  pure  a 
Roma,  esse  non  servivano  già  semplicemente  a  chi  andasse  colà 
0  ne  venisse  ;  ed  anche  coloro  che  andavano  o  che  ne  tornavano 
non  eran  tutti  pellegrini  (5):  c'erano  mercanti,  re  ed  imperatori 


(1)  Vedi  Muratori,  Ant.  It.  M.  Ae.,  Ili,  559  sgg.,  nella  Diss.  37»,  che 
tratta  appunto  De  hospitalibus  peregrinorum,  infirmorum,  infantium  expo- 
sitorum  etc.  Fra  le  molte  fondazioni,  segnalo  quella  di  S.  Michele  (anno  721, 
col.  567),  sì  perchè  essa  ha  luogo  di  ritorno  dai  «  liminibus  Beati  Petri  Aposto- 
«  lorum  Principia  »  e  per  un  voto  fatto  colà,  come  perchè  qui  si  istituisce  in 
realtà  un  ospizio  avendo  1'  aria  di  fondare  unicamente  una  chiesa  e  un  mo- 
nastero. Cosi  seguiva  molte  volte;  il  che  viene  a  dire  che  spesso  i  mona- 
steri sono  usciti  dall'amor  del  prossimo,  e  non  semplicemente  dall'  ascetismo 
e  peggio.  Ciò  deve  renderci  molto  più  benevoli  verso  chi  profondeva  il  suo 
in  opere  di  cotal  fatta,  e  deve  in  generale  esser  tenuto  bene  a  calcolo  nel 
giudizio  intorno  alle  idee  ed  ai  sentimenti  dei  secoli  barbari. 

(2)  E  degli  Ospedalieri  di  S.  Giovanni  i  frati  di  Altopascio  vorranno  poi 
un  giorno  avere  la  regola  ancor  essi;  e  l'otterranno  da  Gregorio  IX  nel  1239, 
senza  perder  nulla  per  questo  della  loro  indipendenza.  Vedi  la  bolla  tra  i 
tanti  materiali  raccolti  dal  Lami  per  la  storia  di  Altopascio  nel  citato  ffo- 
doeporicon,  p.  1314. 

(3)  Ib.,  p.  870  ed  altrove. 

(4)  Soltanto  in  un  punto  che  mi  studierò  di  determinare  nello  scritto  cui 
alludo  qui  sopra,  ne  trovo  due. 

(5)  Quindi  anche  la  bolla  più  volte  citata  di  Leone  IX  distingue  advenae 
e  peregrini;  e  dice  la  chiesa  di  S.  Salvatore  «  constitutam  ad  sepulturam 
«  omnium  hominum  de  qualibet  parte  Mundi  Romam  venientium,  quali- 
«  cumque  ex  causa  »  (p.  23). 


PER  LA  DATA  DELLA   «   VITA  NUOVA  »  ECC.  129 

col  loro  seguito,  eserciti  interi.  Eppure,  ciononostante,  si  direbbe, 
a  sentir  certe  voci,  che  le  strade  ci  fossero,  solo  per  servire  ai 
pellegrini  ed  ai  pellegrinaggi.  L'ospizio  di  S.  Bartolommeo  in 
Alpi  è  rappresentato  in  una  lettera  patente  del  suo  Rettore  come 
sulla  via  «  que  celebrius  Romam  et  sanctum  lacopum  ducit  »  (1). 
Qui  parla  un  ecclesiastico  :  non  è  un  ecclesiastico  Federico  n  che 
in  un  diploma  del  1244  chiama  «  strata  publica  peregrinorum  » 
quella  ricordata  or  ora  che  passa  per  Altopascio  (2).  Riesce  poi 
allo  stesso  effetto  la  denominazione  di  Strada  Romea:  che,  se  per 
sé  medesimo  Romeo  non  significherebbe  altro  che  Romano  (3), 
in  realtà  nei  linguaggi  nostri  esso  è  di  uso  esclusivo  per  i  pel- 
legrini. Cosi  il  Rom,ea  dice  Rom,ana  la  strada  solo  in  quanto 
essa  conduce  a  Roma  chi  ci  va  per  vera  o  supposta  divozione. 
E  la  denominazione  fu  di  uso  comune  assai  (4).  Volendo  pur  ci- 
tare qualche  esempio,  menzionerò  il  più  antico  documento  in  cui 
occorra  il  nome  di  Altopascio,  nella  forma  Theupascio:  che  è  una 
donazione  fatta  nel  1056  alla  chiesa  di  S.  Pietro  a  Pozzevole  di 
certi  appezzamenti  di  terra,  di  cui  ben  tre  hanno  un  lato  in 
via  Romea ,  in  via  quae  dicitur  Romea  (5) .  E  la  continua- 
zione nordica  di  questa  strada,  nel  tratto  che  da  Piacenza  si 
volgeva  ad  occidente  varcando  la  Trebbia,  trovo  così  nominata 
molte  volte,  grazie  al  Du  Gange  (6),  negli  Statuti  piacentini  del 
secolo  XIV  (7),  a  proposito  soprattutto  del  ponte  che  essa  aveva 


(1)  Il  documento  è  del  2  dicembre  1267,  e  ne  ha  un  esemplare  l'Archivio 
di  Stato  di  Firenze  (Diplomatico;  Provenienza  Pistoia).  A  me 
fu  indicato  ad  altro  proposito  dall'  amico  prof.  G.  Paoli. 

(2)  Lami,  Op.  cit.,  p.  1348;  Huillard-Bréholles,  ffist  diplom.  Frid.  sec., 
VI,  180. 

(3)  Intorno  all'etimologia  e  alla  storia  di  questo  vocabolo  tratto  distesa- 
mente in  appendice. 

(4)  Quindi  le  tante  menzioni  che  se  n'  hanno,  per  esempio,  nell'  ottimo 
Dizionario  geografico,  fisico,  storico  della  Toscana  del  Repetti  :  opera  che 
dovrebb'  essere  conosciuta  e  adoperata  ben  più  che  non  sia. 

(5)  Lami,  Op.  cit.,  p.  1319. 

(6)  Sotto  RoMEus  Gaminus. 

(7)  Pubblicati  più  di  una  volta  in   antico,  e  ristampati  modernamente  a 

OiortMlt  storico,  VI,  fase.  16-17.  9 


130  PIO   RAJNA 

SU  questo  fiume,  detto,  per  distinguerlo  da  quelli  che  ci  avevano 
altre  strade,  il  ponte  di  Trebbia  super  Sfrata  Romea,  de  strafa 
Romea ,  sfrate  Romeae  (1).  Né  il  nome  si  fermava  al  di  qua 
delle  Alpi.  Una  convenzione  del  1273  tra  l'aragonese  re  Giacomo 
e  Berengario  vescovo  di  Magalona,  additata  dal  Du  Gange  essa 
pure,  ci  conduce  da  non  so  bene  qual  fiume  «  usque  ad  stratam 
«  publicam  seu  caminura  Romeum  ».  Qui  siamo  nei  dintorni  di 
Montpellier  (2).  Non  nasca  l'idea  che  in  queste  regioni  il  romeo 
abbia  forse,  anche  riferito  a  strada,  il  senso  generico  che  cono- 
sciamo in  lui  in  quanto  si  adoperi  per  le  persone,  sicché  il 
«  cammino  Romeo  »  possa  avere  per  meta  la  vicina  S.  Egidio; 
che  un  altro  documento,  del  declinare  del  secolo  XI,  nel  darci 
i  confini  di  una  condamina  (3)  «  quae  est  sita  prope  castellum 
«  quod  dicitur  Forcalcherium  »,  ce  la  descrive  distendentesi  ad 
occidente ,  «  in  via  qua  (sic)  egreditur  ab  Ecclesia  sancti  Pro- 
«  bacii  usque  ad  viam  puplicam  de  Roma  »  (4).  Senza  bisogno  di 
altri  dati,  Forcalquier  mostra  che  la  strada  viene  dalla  vai  di 


Parma,  nel  1860,  insieme  con  altri  documenti  congeneri:  Statuta  varia  ci- 
vitatis  Placentiae. 

(1)  L.  IV,  10,  De  Pontibus  reficiendis,  p.  326  della  nuova  edizione.  Vedi 

anche  V,  68,  De  aquis  (p.  386)  :   «  Omnes qui  scavizant  vel  scavizabunt 

«  stratam  Romeam,  vel  stratam  de  Rivalgario  »  ecc. 

(2)  I  reali  d'Aragona  avevano  la  signoria  di  Montpellier  dal  principio  del 
secolo.  Per  le  contestazioni  continue  tra  loro  e  il  vescovado  di  Magalona, 
inevitabili  davvero  nella  condizione  dei  rispettivi  dominii,  si  può  vedere  la 
Gallia  Christiana,  t.  VI,  e  VEist.  génér.  de  Languedoc,  t.  IV  (1*  ed.).  Si 
l' una  che  1'  altra  parlano  anche  dell'  atto  da  cui  toglie  il  suo  esempio  il 
Du  Gange  {G.  Chr.,  col.  773;  H.  d.  L.,  p.  13);  e  vengono  a  correggerne 
la  data,  che  nel  Glossarium  è  il  1272,  per  non  essersi  badato  a  fare  la 
debita  riduzione  di  stile.  Mi  duole  che  a  me  non  sia  stato  accessibile  il 
testo  del  documento,  e  che  mi  sia  così  mancata  la  determinazione  precisa 
dei  luoghi.  Probabilmente  sulla  Strada  ÌRomea  sarà  stato  anche  l'ospizio  di 
lebbrosi  al  ponte  «  Castelli-novi  »  di  cui  abbiamo  nella  Gallia  Christiana 
il  regolamento,  stabilito  nel  1138  da  un  predecessore  di  Berengario  (t.  cit., 
col.  355  degV  Instrumenta). 

(3)  Vedi  il  vocabolo  nel  Du  Gange. 

(4)  Cartulaire  de  l'Abbaye  de  Saint  Victor  de  Marseille  (nella  collezione 
dei  Docum.  inéd.  pour  servir  à  VHist.  de  Fr.),  II,  9.  La  data  della  carta  è 
compresa  nei  limiti  di  un  decennio:  1065-1075. 


PER   LA   DATA   DELLA    «   VITA   NUOVA   »    ECC.  131 

Susa,  certamente  per  il  Monginevro;  Montpellier  ci  fa  conoscere 
che  si  dirige  verso  la  Spagna  e  Compostella.  Essa  stessa,  per  chi 
la  percorre  in  questa  direzione,  sarà  già  diventata  il  cammino  di 
S.  Giacomo  ;  e  presso  Baiona  andrà  ad  unirsi  colla  via  che  se 
ne  veniva  di  verso  nord ,  per  condursi  poi  insieme  al  passo  di 
Roncisvalle. 

Per  tornar  dunque  di  dove  ci  siamo  partiti ,  ossia  alla  Vita 
Nuova,  la  «  molta  gente  »  non  è  per  nulla  affatto  un  indizio  in 
favore  del  1300;  anzi,  come  fu  già  osservato  e  dal  Giuliani  e  dal 
d'Ovidio  (1),  sta  contro  di  esso,  in  quanto  è  un'espressione  d'assai 
troppo  temperata  per  indicare  un  concorso  che  trasse  a  Roma, 
al  dire  del  Villani  tanto  invocato  dai  fautori  appunto  del  Giu- 
bileo, «  gran  parte  de'  Cristiani  che  allora  viveano  »  (2);  o,  per 
lasciare  le  frasi  indeterminatamente  esagerate  —  però  anche  il 
totum  orbem,  allegato  pur  esso,  di  Gino  da  Pistoia  (3)  —  che  vi 
tenne  «  al  continuo,  in  tutto  l'anno  durante,...  oltre  al  popolo  ro- 
«  mano,  duecentomila  pellegrini,  senza  quegli  ch'erano  per  gli 
«  cammini  andando  e  tornando  »  (4). 

Ma  e'  è  la  «  Imagine  Benedetta,  la  quale  Gesù  Cristo  lasciò  a 
«  noi  per  esempio  della  sua  bellissima  figura  »:  cioè  il  Sudario, 
il  Volto  Santo,  o,  come  il  medio  evo  diceva  comunemente,  la 


(1)  Nei  luoghi  indicati. 

(2)  Cron.  Fior.,  viii,  36. 

(3)  D'Ancona,  Op.  cit.,  xv-xvi  :  dal  libro  di  L.  Ghiappelli,  Vita  e  opere 
giuridiche  di  Cino  da  Pistoia,  Pistoia  1881,  p.  27.  Il  passo,  spettante  al 
commento  del  1.  vii,  tit.  47,  si  trova  a  carte  315  r°.,  col.  1",  nell'  edizione 
lionese  del  1547. 

(4)  ViLL.,  1.  cit.  Colla  determinazione  numerica  del  cronista  fiorentino  si 
può  dire  concordi  quella  che  abbiamo  da  un  tedesco:  l'autore  degli  Annales 

Colmarienses  Maiores;  il  quale,  in  un  passo  citato  dal  Raynaldo  negli  Ari' 
nales  Ecclesiastici  e  che  io  riporterò  come  s'  ha  nel  Pertz,  SS.,  XVII,  225, 
dice  che  «  tantus  factus  fuit  concursus  in  Romam,  quod  sepius  una  die 
«  egressi  sunt  triginta  milia  hominum  pariterque  ingressi,  ut  communiter 
«  pauperes  retulerunt.  »  Data  la  permanenza  di  quindici  giorni,  voluta  dalla 
bolla  pontificia,  i  dugentomila  pellegrini  del  Villani  portano  che  in  media 
avessero  ad  entrare  e  ad  uscire  circa  tredicimila  persone;  che  viene  appunto 
ad  essere  il  concorso  medio  presumibile  là  dove  s' aveva  un  maximum, 
frequente  di  trenta  migliaia. 


132  PIO  RAJNA 

Veronica  (1).  Stava  nella  basilica  Vaticana,  dentro  ad  un  ciborio 
sorretto  da  sette  colonne,  che  si  elevava  isolato  con  appiedi  un 
altare  in  fondo  alla  navata  destra,  dinanzi  alla  cappella  della 
Vergine  del  Presepio  (2).  Il   ciborio,  rimosso  nel    1606,  quando 


(1)  Intorno  alla  Veronica  compose  un'opera  speciale  negli  ultimi  anni 
della  sua  vita  il  bolognese  Giacomo  Grimaldi,  custode  sagace  e  diligentis- 
simo  dell'  archivio  capitolare  di  S.  Pietro,  morto  nel  1623.  Vedi  Fantuzzi 
Scrittori  bolognesi,  IV,  309.  L'opera,  assai  pregevole  e  ricca  di  documenti, 
non  fu  mai  stampata;  e  neppure  fu  stampata  mai,  e  questa  probabilmente 
neppur  mai  compiuta,  un'  altra,  ricca  a  quanto  pare  di  documenti  pur  essa, 
che  sullo  stesso  soggetto  veniva  preparando  Fr.  M.''  Torrigio,  secondo  abbiamo 
da  lui  medesimo  nelle  Sacre  Grotte  Vaticane,  Roma  1635,  pp.  201  e  205. 
Qualche  saggio  del  suo  lavoro  il  Torrigio  vien  pure  a  darcelo  in  queste  Grotte. 
Dell'opera  manoscritta  del  Grimaldi,  non  dell'altra,  approfittarono  gli  autori 
della  bella  Collectio  Bullarum  Sacrosanctae  Basilicae  Vaticanae  (Roma , 
1747-52),  che  ho  già  citato  qualche  volta,  e  che  avrò  a  citare  altre  parecchie. 
E  poiché  sto  facendo  un  po'  di  bibliografia,  menzionerò  come  più  meritevoli, 
senza  aspettare  altre  occasioni,  Gio.  Severano,  che  nel  1630  pubblicò  le  Me- 
morie Sacre  delle  Sette  Chiese  di  Roma;  i  Bollandisti,  che  della  pretesa  Santa- 
Veronica  e  di  ciò  che  vi  si  riferisce  discorsero  con  dotta  credulità  nel  1. 1  del 
febbraio  (pp.  449  sgg.);  il  Sidone  e  il  Martinetti  —  quest'ultimo  uno  dei  racco- 
glitori anche  del  Bollarlo  Vaticano  —  di  cui  s'è  già  lodato  il  libro;  per  ultimo 
un  moderno,  il  Moroni,  che  in  quell'immenso  guazzabuglio  che  è  il  Dizionario 
di  erudizione  storico-ecclesiastica  tocca  della  Veronica  infinite  volte  e  ne 
tratta  lungamente  ex  professo  sotto  Volto  Santo  (t.  CHI ,  91  sgg.) ,  som- 
ministrando un  materiale  non  inutile  a  chi  porti  di  suo  quel  che  il  Moroni 
non  poteva  metter  davvero,  cioè  un  poco  di  discernimento.  Un'  opera  da 
me  non  vista,  e  che  da  quanto  ne  dicono  nella  prefazione  il  Sidone  e  il 
Martinetti  (p.  xxiii-iv)  appare  pregevole  ancor  essa,  è  quella  uscita  a  Roma 
nel  1744  col  titolo  Altarium,  et  Reliquiarum  Sacrosanctae  Basilicae  Vati- 
canae Descriptio  Historica.  Non  credo  tuttavia  m'  abbia  a  nuocere  il  non 
avervi  potuto  ricoiTere. 

(2)  Vedi  specialmente  il  Severano,  che  ha  il  gran  merito  di  essere  stato 
ancora  testimonio  oculare:  I,  71.  Alle  sue  parole  accrescerà  evidenza  la 
tavola  iconografica  che  accompagna  nei  Bollandisti,  giugno,  VII,  la  disser- 
tazione intorno  al  vecchio  S.  Pietro.  Un  passo  di  Pietro  Mallio  potrebbe  far 
nascere  il  pensiero  che  il  Sudario  stesse  un  tempo  dentro  alla  cappella  stessa 
della  Vergine  :  «  Ab  alia  parte  basilicae  B.  Petri  est...  oratorium  sanctae  Dei 
«  genitricis  virginis  Mariae,  quod  vocatur  Veronica,  ubi  sine  dubio  est  Su- 
«  darium  Ghiisti...  »  (cap.  vi,  §  IH,  Boll.,  t.  cit.,  p.  47).  E  non  è  egli  il 
solo  a  pronunziare  parole  ambigue.  Ma  la  verità  risulta  chiara  da  un  altro 
luogo  suo,  dove  della  cappella  è  detto,  «  ante  quod  oratorium  est  etiam  Su- 
«  darium  Ghristi  quod  vocatur  Veronica  »  (v.  82,  p.  45). 


PER  LA  DATA  DELLA   «  VITA  NUOVA  »   ECC.  133 

San  Pietro  ebbe  a  intraprendere  la  trasformazione  della  sua  parte 
anteriore,  era  stato  innalzato  da  un  Giovanni,  «  servo  di  Santa 
«  Maria»  (1),  nel  quale  pertanto  gli  eruditi  son  tratti  a  ricono- 
scere Papa  Giovanni  VII ,  edificatore  della  vicina  cappella  (2). 
Questo  vai  quanto  dire  clie  la  Veronica  dovrebbe  esser  stata 
messa  a  quel  posto  fin  dai  primissimi  anni  del  secolo  Vili  (3). 
Lì  si  trovava  ad  ogni  modo,  e  da  tempo,  quando,  sul  cadere  del 
secolo  X,  Benedetto,  monaco  di  S.  Andrea  sul  Soratte,  scriveva 
la  sua  cronaca  (4). 
Il  ciborio  è  già  un  segno  evidente  della  venerazione  in  cui  la 


(1)  Joannis  servi  S.  Mariae,  si  leggeva  sull'  altare  annesso  al  ciborio 
(Se  VER  ANO,  1.  cit.);  e  il  frammento  con  questa  iscrizione  si  conservava  an- 
cora nelle  Grotte  Vaticane  alla  metà  del  secolo  passato  (Coli.  Bull.  Bas.  Vat., 
I,  89,  in  nota),  ed  è  probabilissimo  che  ci  si  trovi  tuttavia. 

(2)  Ve  lo  riconoscono  tutti,  e  certo  con  buon  fondamento.  Alle  altre  ra- 
gioni di  probabilità  s'  aggiunga  quella  che  risulta  dall'  analogia  della  scritta 
citata  dianzi  con  quella  che  si  leggeva  nella  cappella  sotto  all'  immagine 
di  Papa  Giovanni ,  fattosi  rappresentare  in  atto  di  oblatore  :  Joannes  in- 
dignus  Episcopus  fecit  B.  Bei  Genitricis  servus  (Severano  ,  p.  70  ;  Tor- 
RiGio,  Sacre  Grotte  Vaticane,  p.  117).  Con  tutto  ciò,  in  tanta  abbondanza 
di  Papi  Giovanni,  bisogna  che  io  lasci  luogo  a  qualche  pochino  di  dubbio, 
in  ossequio  al  silenzio  che  mantiene  su  questo  punto  il  Liber  Pontificalis 
{Rer.  It.  Scr.,\\l,i,  151)  dove  parla  dell' edificazione  della  cappella:  silenzio 
cui  non  sarebbe  da  usare  questo  riguardo  se  il  biografo  non  spendesse  molte 
parole  per  i  mosaici  che  adornavano  le  pareti.  La  ragione  sarà  peraltro 
che  il  ciborio  non  doveva  essere  opera  magnifica  come  parevano  i  mosaici. 
Un  altro  motivo  di  dubbio  me  l'aveva  pur  fatto  sorgere,  finché  del  docu- 
mento mi  stavan  dinanzi  solo  i  frammenti  riportati  nel  Bollario  Vaticano 
(1,  8),  una  lettera  già  citata  addietro  di  Papa  Gregorio  li  a  Leone  l' Icono- 
clasta: poiché  li  dentro  il  Papa  discorre  di  immagini  e  statue  che  sono  in 
S.  Pietro,  senza  pronunziar  sillaba  che  possa  in  nessun  modo,  checché  paia 
agli  editori  (V.  Sudarium  nell'  Indice) ,  essere  riferito  alla  Veronica.  Ma 
una  volta  che  ebbi  dinanzi  la  lettera  tutta  intera  negli  Annales  del  Baronio, 
vidi  che  non  era  da  ricavarne  nessun  dato  neppur  contro  la  presenza  del- 
l'immagine. 

(3)  Giovanni  VII  fu  pontefice  dal  705  al  708,  sicché  e'  é  poco  da  spaziare. 

(4)  Ripete  anch'  egli  di  Papa  Giovanni  che  «  Inter  multa  operum  inlu- 
«  strium  fecit  oratorium  sancte  Dei  genitricis,  opere  pulcherrimo,  intra  cccle- 
«  sia  beati  Petri  apostoli,  ubi  dicitur  a  Veronice  ■»  (Pertz.,  <S.S.,  Ili,  700). 
Benedetto  trascrive  qui  Beda;  ma  le  parole  che  a  noi  importano,  «  ubi  di- 
«  citur  a  Veronice  »,  le  aggiunge  di  suo. 


134  PIO  RAJNA 

immagine  fu  tenuta  ab  antiquo  ;  ma  cotale  venerazione  andò 
crescendo  via  via,  stavolta,  credo,  per  impulso  specialmente  dei 
volghi,  incapaci  di  dubitare,  come  poco  o  tanto  continuarono  a 
fare  molti  ecclesiastici  (1),  se  li  s'avesse  poi  proprio  l'impressione 
lasciata  dal  volto  di  Cristo.  Sia  come  si  vuole,  si  venne  a  tanto, 
che  la  stessa  tomba  del  Principe  degli  Apostoli  rimase  sopraffatta. 
Io  non  so  decidere  se  le  dieci  candele  che  alla  metà  del  secolo  XII 
ardevano  giorno  e  notte  dinanzi  a  quella,  valessero  già  più  che 
le  otto  lampade  di  questa  (2);  ma  so  bene  che  sul  declinare  del 
secolo  successivo,  nel  1289,  Papa  Niccolò  IV  metteva  esplicita- 
mente la  Veronica  in  capo  alle  prerogative  della  Basilica  Vati- 
cana, relegando  il  corpo  di  S.  Pietro  nel  secondo  posto  insieme 
con  tutte  l'altre  reliquie  (3). 

he  cose  preziose  non  si  lasciano  esposte  di  continuo  agli 
sguardi  di  tutti;  s' intende  pertanto  troppo  bene  che  meno  che 
mai  la  Veronica  poteva  ordinariamente  rimanere  scoperta.  Quindi 
i  Mirabilia  •■  «  Ad  dextram  est  altare  Veronice,  supra  quod  Ve- 
ronica est  inclusa  »  (4).  A  volte  accadeva  che  si  mostrasse  per 


(1)  Un  luogo  al  dubbio  si  lascia  manifestamente,  ogni  volta  che  si  parla 
della  cosa  come  di  una  tradizione;  e  così  si  fa  ancora  dal  De  Angelis, 
primo  editore  del  Mallio  (Roma,  1646),  che  riferendo  la  pretesa  origine  del 
Sudario  frammette  le  parole  «  ut  veneranda  antiqua  et  religiosa  traditio 
«  habet  »  (p.  120).  Qualcosa  di  analogo  vien  pure  a  dire,  ancorché  prece- 
duto da  «  sine  dubio  »  1'  «  ut  a  nostris  majoribus  accepimus  »  datoci  dal 
Mallio  stesso,  o  da  chi  quarant'  anni  dopo  ne  rimaneggiò  il  testo. 

(2)  /&.,  p.  48;  VI,  121.  Credo  legittima  in  questo  passo  la  lezione  eclet- 
tica dei  Bollandisti,  ma  risparmio  al  lettore  la  discussione  critica  che  ci 
sarebbe  da  fare  in  proposito.  Non  gli  tacerò  invece  che  per  conto  suo  il 
Mallio  deve  apprezzare  ben  altrimenti  S.  Pietro  e  la  sua  tomba  che  non  la 
Veronica.  Si  legga  il  capitolo  i,  e  si  paragoni  coi  luoghi  dove  si  tocca  del- 
l' immagine. 

(3)  Coli.  Bull.  SS.  Eccl.  Vat.,  I,  214.  Colla  bolla  di  Niccolò  se  ne  confronti 
una  emanata  nel  1319  da  Giovanni  XXII  (ib.,  p.  254),  in  cui  ritornano  gli 
stessi  elementi  e  le  stesse  espressioni,  ma  dove  1'  ordine  è  invertito.  Guar- 
date da  Avignone,  le  cose  riprendevano  proporzioni  più  naturali.  Curiosa 
ed  istruttiva  più  che  non  paia  a  prima  giunta  questa  specie  di  lotta  di  pre- 
minenza tra  l'ospite  e  l'ospitato! 

(4)  Pag.  50  neir  edizione  Parthey  (Berlino,  1869). 


PER  LA  DATA  DELLA   «  VITA   NUOVA  »   ECC.  135 

singoiar  privilegio  a  visitatori  illustri  e  alla  loro  brigata.  Gotali 
ostensioni  eccezionali  risaliranno  di  certo  a  Dio  sa  quando;  ma 
solo  tardi  cominciamo  a  trovarne  notizie.  Non  conosco  esempio  più 
antico  del  1191 ,  allorché  passò  per  Roma  Filippo  Augusto,  di 
ritorno  dalla  poco  felice  spedizione  d'Oriente  (1).  Lo  stesso  favore 
fatto  da  Papa  Celestino  al  re  di  Francia  fu  concesso  nel  1217  da 
Onorio  III  al  conte  Guglielmo  d'Olanda  (2).  Procedendo  innanzi 
le  memorie  diventan  più  frequenti,  e  hanno  lasciato  molte  tracce 
nei  Regesta  Pontifìcum  (3);  in  nessuno  tanto  numerose  come  in 
quello  di  Clemente  VI,  che  in  un  papato  di  dieci  anni  (1342-1352) 
ce  ne  offre  ben  dodici  casi  (4). 

Questa  grazia  segnalata  nell'anno  1300  si  concedette  da  Papa 
Bonifazio  anche  a  tutti  i  più  umili  :  la  Veronica  si  faceva  vedere 
in  S.  Pietro  «  ogni  venerdì  o  dì  solenne  di  festa  »  (5),  in  modo 
che  ciascun  pellegrino,  dovendo  restare  a  Roma  almeno  quindici 
giorni,  aveva  occasione  di  godere  di  quella  vista  due  volte  o  più. 


(1)  De  Vita  et  gestis  Henrici  II  di  Benedetto  abate  di  Peterborough: 
Bouquet,  XVII,  541. 

(2)  Emonis  Chronicon:  Pertz,  SS.,  XXUI,  482.  Notevole  che  Benedetto 
sentiva  il  bisogno  di  spiegare  cosa  fosse  la  Veronica,  come  si  trattasse  di  cosa 
non  ben  nota  :  «  Et  ostendit  Regi  Franciae  et  suis  capita  apostolorum  Petri 
«  et  Pauli,  et  Veronicam,  id  est,  pannum  quemdam  lineum  quern  Jesus- 
«  Ghristus  vultui  suo  impressit,  in  quo  pressura  illa  ita  manifeste  apparct 
«  usque  in  hodiernum  diem  ac  si  vultus  Jesu-Christi  ibi  esset,  et  dicitur 
«  Veronica,  quia  mulier  cujus  pannus  ille  erat,  dicebatur  Veronica.  »  In 
ben  altro  modo,  e  con  ben  altro  sentimento  si  esprime  il  compagno  del 
Conte  d'Olanda,  di  cui  Emone  riporta  il  racconto  :  «  Quos  domnus  papa  be- 
«  nigne  suscepit,  de  virtute  Frisonum  et  audacia  et  in  destructione  civitatum 
«  Hispanie  non  parum  ga visus.  Qui  nostris  precibus  aures  sue  sancii- 
«  tatis  inclinavit  in  tantum,  ut  Veronicam  Domini  nobis  infra  paucos 
«  dies  bis  videndam  monstraret.  »  Gli  Olandesi  avevano  di  certo  molti  me- 
riti: oso  dire  tuttavia  che  in  un'età  un  poco  più  tarda  si  sarebber  dovuti 
contentare  di  vedere  la  Veronica  una  volta  sola  in  cambio  di  due. 

(3)  Vedi  Severano,  Op.  cit.,  1,  159. 

(4)  Coli.  Bull.  SS.  Eccl.  Vat.,  1,  34546,  in  nota,  attingendo  all'opera  del 
Grimaldi. 

(5)  ViLL.,  l.  cit.  «  Ogni  dì  solenne  di  festa  »  vuol  dire  ogni  solennità,  non 
ogni  festa,  come  spiega  malamente  il  Lubin,  p.  41. 


136  PIO   RAJNA 

Ecco  il  gran  fondamento  a  supporre  che  dunque  il  passo  della 
Vita  Nuova  alluda  appunto  all'anno  del  Giubileo  (1). 

Che  la  deduzione  non  sia  ricavata  a  fil  di  logica ,  mostrano 
chiaro  due  passi  che  da  un  pezzo  si  citano  a  questo  medesimo 
proposito.  L' uno  è  di  Dante  stesso  :  e  sono  1  versi  103  sgg.  del 
XXXI  del  Paradiso: 

Qual  è  colui  che  forse  di  Croazia 

Viene  a  veder  la  Veronica  nostra 

Che  per  l'antica  fama  non  si  sazia, 
Ma  dice  nel  pensier  fin  che  si  mostra: 

Signor  mio  Gesù  Cristo,  Dio  verace, 

Or  fu  SI  fatta  la  sembianza  vostra? 
Tal  era  io,  ecc. 

L'altro  è  il  sonetto,  in  cui  il  Petrarca,  coli' intendimento  non 
raggiunto  davvero  di  commuoverci  poi  col  confronto  degli  affanni 
suoi  amorosi,  ci  impietosisce  profondamente  per  il  pellegrino  che 
se  ne  viene  a  Roma  affranto  dagli  anni,  abbandonando  patria  e 
famiglia: 

Movesi  '1  vecchierel  canuto  e  bianco, 

con  quel  che  segue  (Son.  xii).  Né  i  versi  danteschi  né  quelli  del 
Petrarca  hanno  nulla  a  fare  con  nessun  Giubileo:  lo  dicono 
troppo  manifestamente  i  presenti  viene,  muovesi,  ecc.,  a  meno 
di  immaginare  che  Dante  scrivesse  gli  ultimi  canti  del  suo  poema 
nel  1300,  e  messer  Francesco  componesse  questo  sonetto  «  in  Vita  » 
di  Madonna  Laura  l'anno  1350,  vale  a  dire  due  anni  dopo  che 
essa  era  morta!  —  E  allora?  —  Allora  risulta  anche  di  qui  sol- 
tanto che  il  desiderio  di  veder  la  Veronica  —  desiderio  che  ci 
riesce  ben  comprensibile  quando  si  consideri  che  quella  con- 
templazione delle  vere  fattezze  del  Cristo  alla  fede  ed  alle  idee 
medievali,  appariva  come  un'  anticipazione  del  paradiso  (2),  — 


(1)  LuBiN,  p.  cit.  e  p.  95. 

(2)  Si  faccia   attenzione  a  quello  che  dice  Dante  di   Beatrice   nel    nostro 


PER  LA  DATA  DELLA   «  VITA  NUOVA   »  ECC.  137 

era  una  delle  principali  attrattive  che  a  quei  tempi  conduce- 
vano a  Roma  anche  i  pellegrini  di  ogni  anno;  e  ne  risulta  del 
pari  in  modo  manifestissimo  che  ogni  anno  avevano  ad  esserci 
occasioni  in  cui  la  Veronica  fosse  visibile  per  tutti.  Ciò  del  resto 
è  già  evidente  anche  per  ragioni  intrinseche:  sarà  bene  che 
una  reliquia  si  mostri  di  rado  alla  moltitudine  ;  ma  guai  se  non 
si  facesse  veder  mai!  Tutto  quanto  il  fervore  si  spegnerebbe  in 
breve  tempo,  peggio  assai  che  a  profonderla  di  troppo. 

Che  una  qualche  ostensione  periodica  ci  fosse,  non  nega  per- 
altro nient' affatto  neppure  il  Lubin;   ma  ciò,   secondo  lui,  non 

fa  nulla  per  via  d' una  circostanza  speciale.  «  Sappiamo che 

«  l'usanza  consueta  di  tutti  gli  anni  era,  che  la  Veronica  si  mo- 
«  strava  una  sola  volta  all'anno,  la  seconda  Domenica  dopo  l'Epi- 
«  fania  o,  come  dice  Metilde  d'Hakeborn,  nella  Domenica  omnis 
«  terra.»  (1)  Ora,  com'era  mai  possibile,  egli  osserva,  che  «nel 
«  crudo  gennajo  e  con  quei  mezzi  di  viaggiare  d'allora  »  venis- 
sero «  da  tutte  le  parti  della  Cristianità  i  fedeli  a  Roma?»  (2). 
—  Date  le  premesse,  la  deduzione  fa  testimonianza  più  onorevole 
per  il  cuore  del  (iantofilo  triestino,  che  per  il  modo  suo  di  ra- 
gionare. Posto  che  la  Veronica  dalla  comune  dei  pellegrini  si 
possa  vedere  unicamente  nell'occasione  qui  indicata,  può  rincre- 
scere per  quei  poveretti  e  per  i  disagi  che  avranno  a  soffrire; 


passo  della  Vita  Nuova;  e  similmente  si  noti  che  il  vecchierello  del  Pe- 
trarca viene  «  Per  veder  la  sembianza  di  colui  Che  ancor  lassù  nel  ciel 
«  vedere  spera  ».  Così  il  sentimento  del  medio  evo  si  spiega  assai  bene  e 
merita  profondo  rispetto.  Desta  invece  in  noi  un'  impressione  di  ben  altro 
genere  il  Moroni,  che  anch'egli  ci  parla  pur  sempre  da  uomo  di  quei  tempi, 
CHI ,  91 ,  con  parole  non  so  se  più  enfatiche  o  sciocche.  Leggendole,  vien 
fatto  di  ripetersi  anche  una  volta  che  il  medio  evo  noi  lo  abbiamo  sempre 
in  mezzo  a  noi;  ma  come  tralignato!  Resta  il  cadavere:  lo  spirito  che  lo 
animava  se  n'  è  ito. 

(1)  Pag.  95;  e  il  medesimo  fu  detto  a  p.  40,  riportando  le  parole  della 
vecchia  dissertazione  del  Lubin  stesso  Intorno  all'epoca  della  Vita  Nuova. 
Se  11  non  si  dice  «  soltanto  una  volta  all'  anno  »,  si  soggiunge  poi  subito 
nella  pagina  seguente. 

(2)  Pag.  41. 


138  PIO   RAJNA 

ma  che  questi  disagi  essi  li  affrontino  animosamente,  non  è  punto 
lecito  mettere  in  dubbio.  Giacché,  quanto  all'accorrersi  ben  di 
lontano,  «  forse  di  Croazia  »  e  Dio  sa  donde,  per  veder  la  Veronica, 
quanto  all'esser  quella,  almeno  nella  prima  metà  del  secolo  deci- 
moquarto, un'attrattiva  principalissima  del  pellegrinaggio  a  Roma, 
ce  lo  attesta  Dante,  ce  lo  attesta  il  Petrarca,  che  non  vogliono 
saper  di  smentite. 

Alle  conseguenze  non  si  sfugge  dunque  se  non  quando  le  pre- 
messe stesse  sian  da  mutare.  Ma  avanti  di  venire  all'indagine, 
se  vogliano  esser  mutate  oppur  no,  vediamo  di  procacciarci  della 
festa  del  gennaio  una  conoscenza  un  po'  più  piena  di  quella  che 
potremmo  ricavare  dalle  parole  di  Metilde,  o  a  parlar  più  proprio, 
di  chi,  lei  morta,  pretese  di  esporne  le  visioni  e  le  rivelazioni  (1). 

Della  festa  noi  conosciam  propriamente  il  principio.  Fu  isti- 
tuita nel  1208  da  Papa  Innocenzo  III  con  una  bolla  del  3  genn., 
che  si  può  leggere  in  molti  luoghi  (2),  indirizzata  «  Rectori  et 
«  fratribus  »  dello  Spedale  di  S.  Spirito,  fondazione  insigne  del  me- 
desimo Innocenzo.  Che,  non  si  tratta  di  nessuna  solennità  da  cele- 
brarsi in  S.  Pietro,  né  di  cosa  in  cui  la  Veronica  entri  altrimenti 
che  per  la  finestra.   Il  Pontefice  vuol  commemorare  le  Nozze 


(1)  Liber  Gratiae  spiritualis  Visionum  et  Revelationum  beatae  Mecthildis 
Tirginis,  1.  i,  e.  li.  Riferirò  qui  il  passo  in  forma  eclettica  e  con  corre- 
zioni mie,  valendomi  delle  edizioni  veneziane  del  1522  e  del  1558.  «  Haec 
«  Dei  anelila  docuit  sorores  ut  spirituali  devotione  Romam  ad  diem  qua 
«  ostenditur  facies  Domini,  tenderent,  legentes  tot  vicibus  pater  noster,  quot 
«  miliaria  Inter  Romam  et  ipsum  locum  erant.  Quo  cum  pervenissent, 
«  summo  pontifici  peccata  sua  confiterentur ,  accipientes  ab  eo  remissionem 
«  omnium  peccatorum.  Et  sic  in  dominica  sumentes  corpus  domini,  bora 
«  qua  eis  liberius  vacaret  ad  orandum ,  cum  oratione  quam  dictaverint 
«  Ghristi  imaginem  suppliciter  adorarent.  Quod  dum  sorores  fecissent,  sequens 
«  visio  eidem  monstrata  est  dominica  prima  post  octavas  epiphaniae,  quando 
«  Romae  agitur  festum  ostensionis  eiusdem  imaginis,  dum  cantaretur  missa 
«  omnis  terra.  Vidit  dominum  sedentem  »  ecc.  Avverto  che  i  dubbi  gravi 
che  le  due  edizioni  mi  suscitano  e  lasciano  intomo  al  modo  di  leggere  questo 
luogo,  non  toccan  punto  la  sostanza. 

(2)  Mi  limiterò  a  citare  Baluze,  Epist.  Inn.  Ili,  II,  99  {ep.  179);  Coli. 
Bull.  SS.  Eccl.  Yat.,  I,  89. 


PER  LA  DATA  DELLA   «  VITA  NUOVA   »   ECC.  139 

di  Gana,  simbolo  di  quelle  del  Peccatore  convertito  colla  Grazia 
divina,  e  a  cotale  commemorazione  giudica,  per  un  motivo  tutto 
mistico,  particolarmente  adatto  lo  Spedale  ;  se  pure  invece,  stando 
meno  alla  lettera,  non  direm  piuttosto  che  egli  vuol  concedere 
al  suo  Santo  Spirito,  e  per  esso  all'  unita  chiesa  di  S*  Maria  in 
Sassia,  l'onore  e  il  beneficio  di  una  Stazione  solenne  (1),  e  che 
le  ragioni  mistiche  lo  conducono  a  scegliere  come  specialmente 
opportuno  per  ciò  il  giorno  in  cui  si  legge  il  vangelo  delle 
Nozze.  Ma  siccome  a  queste  Nozze  partecipava  la  Vergine  e  ad 
esse  fu  invitato  Gesù,  alla  festa,  celebrata  in  una  chiesa  consa- 
crata appunto  a  Maria,  gli  par  ragionevole  di  far  venire  solen- 
nemente da  S.  Pietro,  portata  dai  canonici  «  infra  capsam  ex  auro 
«  et  argento  et  lapidibus  pretiosis  ad  hoc  specialiter  fabrefactam  », 
l'immagine  del  Salvatore,  «  fidelibus  populis  qui  ad  has  nuptias 
«  celebrandas  devote  convenerint,  desiderabiliter  ostendenda  ». 
Il  Papa  in  persona  interverrà  coi  cardinali,  celebrerà  la  messa, 
predicherà  intorno  alle  opere  di  misericordia,  e  ne  darà  l'esempio 
con  una  copiosa  elargizione.  Né  chi  rimanga  escluso  dall'elemo- 
sina se  ne  tornerà  a  mani  vuote  :  ognuno  degli  intervenuti  s'avrà 
un  anno  d'indulgenza. 

La  processione  della  Veronica  dal  Vaticano  a  Sassia  e  vice- 
versa «  cum  hymnis  et  canticis,  psalmis  et  faculis  »,  come  dicono 
in  un  passo  da  riportarsi  più  oltre  (2)  le  Gesta  d'Innocenzo,  la 
troviam  confermata  con  tutto  il  resto  da  Onorio  III,  e  treni' anni 
dopo  da  Alessandro  IV  (3),  ed  ancora  durava  nel  1279  (4).  Quando 
fosse  abolita,  non  risulta.  I  più  la  protraggono  fino  a  Sisto  l\  : 


(1)  Si  sa  bene  cos'  è  Stazione  in  linguaggio  ecclesiastico  e  più  special- 
mente romano. 

(2)  Vedi  p.  148. 

(3)  Le  bolle  dell'  uno  e  dell'  altro,  del  5  luglio  1223  e  del  1  marzo  1255, 
sono  mera  ripetizione  di  quella  d' Innocenzo.  Coli.  Bull.  SS.  Bas.  Vat..,  I, 
HO  e  132. 

(4)  Son  menzionate  ancora  in  quest'  anno  da  Niccolò  III  le  candele  e  i 
dodici  denari  che  i  canonici  di  S.  Pietro  ricevono  «  quando  vadur.t  ad  Ho- 
«  spitale  Sancti  Spiritus  cum  Effigie  Jesu  Ghristi  ».  /6.,  I,  182. 


140  PIO  RAJNA 

sulla  fede  del  Torrigio,  il  quale  scrive  che  Sisto  «  per  giuste  ra- 
«  gioni  »  stabilì  che  la  Veronica  «  non  si  portasse  più  alla  detta 
«  Chiesa  »  di  S.  Spirito,  «  ma  nella  scritta  Domenica,  e  la  seconda 
«  festa  della  Pentecoste  andasse  la  processione  di  S.  Spirito  alla 
«  Basilica  Vaticana,  à  veder  detta  sacra  Eflagie,  come  appare  per 
«  sua  Bolla  conservata  nel  prefato  Archivio  di  S.  Spirito  »  (1). 
Sennonché  il  Torrigio  fa  dire  alla  Bolla  molto  più  di  quel  che 
non  dica  in  realtà  (2).  Essa  non  fiata  di  abolizione:  determina  sem- 
plicemente che  i  membri  di  una  certa  confraternita,  già  istituita 
in  Santo  Spirito  da  Eugenio  IV  e  che  Sisto  risuscita,  «  in  crasti- 
«  num  solemnitatis  Pentecostes  proximae  futurae,  et  successive 
«  anno  quolibet  eadem  die ,  impedimento  cessante  legitimo,  in 
«  Basilica  Principis  Apostolorum  de  Urbe  conveniant,  in  qua, 
«  hujusmodi  rei  memoria,  ostendatur  Sudarium  Salvatoris  Domini 

«  nostri  Jesu  Ghristi,  eoque  ostenso,  inde processionaliter  se 

«  transferant  ad  Ecclesiam  dicti  Hospitalis  ».  È  dunque  nel  vero 
non  so  quale  tra  gli  autori  del  Bollarlo  Vaticano,  ritenendo  che 
la  processione  della  Veronica,  di  cui  non  abbiam  più  traccia  al- 
cuna, fosse  caduta  in  disuso  da  un  pezzo  ;  e  può  darsi  che  ci  sia 
altresì  supponendo  che  l'abbandono  seguisse  al  tempo  del  trasfe- 
rimento della  sede  ad  Avignone  e  per  suo  effetto  (3).  Bisogna 
peraltro  lasciar  più  che  socchiuse  le  porte  anche  all'  ipotesi 
che  la  cosa  seguisse  più  tardi;  poiché  per  tutti,  ciò  che  in  quella 
festa  del  gennaio  venne  subito  a  preponderare  senza  confronto 
fu  la  Veronica  di  cui  s' era  cosi  sitibondi ,  non  l'intervento  del 
papa  né  la  sua  predica.  Ora  la  Veronica  era  monopolio  dei  ca- 
nonici di  S.  Pietro,  i  quali  rimasero  al  loro  posto.  Una  volta  poi 
concesso  un  discreto  grado  di  verosimiglianza  all'idea  che  il  fatto 


(1)  Sacre  Grotte  Vaticane,  p.  2Qo. 

(2)  Ho  davanti  il  documento,  nell'  edizione  del  Bollarlo  Romano  dovuta 
a  G.  Goquelines,  cominciata  ad  uscire  nel  1739  :  t.  Ili,  P.  3»,  p.  158.  Il  passo 
che  ci  riguarda  viene  a  p.  160.  Che  la  bolla  cui  il  Torrigio  vuole  alludere 
sia  proprio  questa  e  questa  soltanto,  è  indubitato  specialmente  per  ciò  che 
egli  soggiunge  intorno  a  certe  reliquie.  La  data  è  il  21  marzo  1477. 

(3)  Appena.,  p.  56. 


PER  LA   DATA   DELLA   «  VITA  NUOVA  »   ECC.  141 

sia  indipendente  dall'assenza  dei  pontefici,  ne  viene  la  necessità 
di  ammetter  del  pari  che  possa  anche  esser  seguito  prima  che 
l'assenza  avesse  principio,  tra  il  1279  e  il  1309.  Sia  come  si  vuole, 
la  processione  non  sparì  senza  lasciarsi  dietro  una  coda.  Rimase 
un'ostensione  della  Veronica  in  S.  Pietro;  rimase  altresì  una  pro- 
cessione in  quel  giorno  medesimo  da  S.  Spirito  a  S.  Pietro,  non 
meno  reale  perchè  il  Torrigio  la  faccia  erroneamente  istituire 
ancor  essa  dalla  bolla  di  Papa  Sisto  (1),  e  che  par  ben  ragione- 
vole di  ritenere  cominciata  quando  cessò  il  costume  primitivo, 
come  a  guisa  di  compenso. 

Ora  che  sappiamo  in  cosa  consistesse  e  quale  sia  stata  la  storia 
della  festa  del  gennaio,  siam  meglio  preparati  per  affrontare  la 
questione,  se  essa,  per  i  pellegrini  del  tempo  cui  dobbiamo  tra- 
sportarci, s'abbia  da  ritenere  la  sola  occasione  di  contemplar  la 
Veronica.  Al  primo  leggere  le  parole  del  libro  delle  visioni  di 
Metilde,  si  direbbe  che  fosse;  e  ciò  scusa  il  Lubin  dell'averlo 
creduto,  se  anche  non  lo  scusa  dell'averlo  affermato  un  po'  troppo. 
Ma  rileggendo  ci  nascon  già  certi  dubbi;  e  dei  raffronti  vengon  poi 
a  mostrarci  che  i  dubbi  son  ben  fondati,  e  che  un'espressione  che 
sembrerebbe  provare,  non  prova  nulla  (2),  sicché  conchiudiamo 


(1)  Egli  la  fa  istituire  precisamente  perchè  la  trovava  nell'  uso  del  suo 
proprio  tempo.  Vedi  in  proposito  l'Alveri,  Roma  in  ogni  stato,  Roma  1664, 
II,  214.  Importa  avvertire  che  l'Alveri  prende  in  parte  dal  Torrigio,  perchè 
non  s' abbia  a  vedere  in  lui  un  testimonio  valido  delle  abolizioni  ed  istitu- 
zioni falsamente  attribuite  a  Sisto.  Siccome  peraltro  in  tutto  ci  ha  da  essere 
un  progresso,  le  processioni  che  si  voglion  create  dal  Pontefice  di  due  di- 
ventan  tre:  una  tuttavia  senza  Veronica. 

(2)  La  frase  che  parrebbe  accennare  ad'  un  giorno  solo,  sarebbe  Vad  diem 
qua  ostenditur,  in  principio  del  brano  da  me  riportato.  Ora  ecco  che 
nel  1366,  cioè  in  un  tempo  in  cui,  come  vedremo,  le  estensioni  erano  incon- 
testabilmente varie.  Urbano  V,  ordinando  al  capitolo  vaticano  che  la  Vero- 
nica sia  mostrata  straordinariamente  al  marchese  Niccolò  d'  Este  e  compa- 
gnia, adduce  il  motivo  ch'egli  non  può  «  ex  certis  causis  »  trattenersi  «  usque 
«  ad  diem  solitae  ostensionis  praefatae  Veronicae  »  (Coli.  Bull. 
SS.  Eccl.  Yat.,  II,  4).  Questo  giorno  non  è  poi  nient'affatto  la  domenica  dopo 
l'ottava  dell'  epifania,  fuor  d' ogni  questione  perchè  la  bolla  è  del  sedici 
febbraio;  ma  di  ciò  per  il  momento  noi  non  ci  si  deve  occupare. 


142  PIO  RAJNA 

che  il  solo  partito  cui  ci  si  possa  appigliare  si  è  di  mettere  per 
ora  a  dormire  di  nuovo  questo  benedetto  Liher  Gratiae  spiri- 
tualis ,  e  di  affidarci  a  guide  che  ci  conducano  con  mano  più 
ferma  (1).  E  la  prima  guida  sarà  la  ragione,  la  quale  non  durerà' 
fatica  a  convincerci  con  discorsi  quanto  mai  semplici  ed  evidenti. 
Troppo  chiaro  che  anche  innanzi  al  1208  la  Veronica  doveva 
pure  in  qualche  occasione  esser  visibile  al  popolo;  chiaro  troppo 
che  non  si  potè  pensare  a  mostrarla  fuor  di  casa  avanti  che  in 
casa  sua  propria.  E  non  s'immagini  che  si  mostrasse  sì,  ma  pre- 
cisamente in  quella  medesima  domenica  dopo  l'ottava  dell'epifania: 
la  scelta  di  quel  giorno  dipese,  come  abbiam  visto,  da  lutt'altri 
motivi  che  dalla  Veronica  ;  e  fu  caso  che  la  chiesa  annessa  allo 
Spedale  di  S.  Spirito  fosse  consacrata  alla  Vergine ,  e  che  però 
s'  o£frisse  un  buon  pretesto  di  condurci  personalmente  anche 
il  figliuolo.  Pretendere  che  si  desse  poi  altresì  la  combinazione 
dell'esser  quello  il  giorno,  e  il  giorno  unico  sui  365  dell'anno,  in 
cui  la  Veronica  si  mostrasse  in  S.  Pietro,  sarebbe  un  avere  nelle 
coincidenze  una  di  quelle  tali  fedi ,  che  han  la  potenza  di  tra- 
sportar le  montagne.  E  bisognerebbe  esser  dotati  di  una  gran 
voglia  di  arrampicar  sui  cristalli ,  senza  assomigliare  per  nulla 


(1)  Con  mano  ferma  vorrebbe  bensì  condurci  un  certo  passo  d'  una  cro- 
naca romanesca,  che  il  Moroni  (CHI,  96)  prende  da  un  trattato  del  Cancel- 
lieri sulla  Settimana  Santa,  da  me  non  potuto  vedere.  Il  Sudario  vi  è  rap- 
presentato «  nello  sito  di  s.  Spirito  in  Sassia  in  una  cameretta  foderata 
«  tutta  de  marmoro  et  de  ferro,  e  serrata  a  6  chiavi,  e  non  se  mostrava 
«  se  non  una  volta  T  anno  ».  Questa  dimora  in  S.  Spirito  il  Moroni  non  sa 
dire  in  che  periodo  cada,  e  non  glielo  dirà  dunque  neppure  la  sua  fonte; 
ma  dal  posto  in  cui  la  registra  si  vede  che  tende  a  riportarla  al  secolo  XIII. 
Molto  erroneamente,  credo:  si  tratterà  invece  del  tempo  favoloso  anteriore 
nientemeno  che  al  706  e  alla  collocazione  in  S.  Pietro.  Poiché,  mentre  i  più 
volevano  che  a  S.  Pietro  il  Sudario  fosse  portato  da  S.  Maria  Rotonda,  cioè 
dal  Panteon,  pretendevano  alcuni  che  tra  il  Panteon  e  S.  Pietro  si  fosse 
frapposto  l'episodio  di  una  collocazione  a  S.  Spirito.  Vedi  Alveri,  Roma  in 
ogni  stato,  II,  212.  Cose,  s'intende,  degne  di  molta  fede!  Però  l'unica  cosa 
che  si  raccoglie  dal  cronista  si  è  che  al  tempo  suo  le  ostensioni  eran  più 
d' una.  Il  «  non  se  mostrava  se  non  una  volta  V  anno  »  sta  in  tacito ,  ma 
sicuro  contrapposto  con  ciò  che  l'autore  vedeva  seguire  dattorno  a  sé. 


PER   LA   DATA   DELLA    «   VITA   NUOVA    »    ECC.  143 

alle  mosche  o  ad  altri  insetti,  per  cercare  scampo  in  un'altra 
congettura:  in  questa  cioè  che  la  nuova  ostensione  portasse  a 
sopprimere  le  antiche.  Capisce  ognuno  quanti  ostacoli  ci  si  op- 
ponessero. E  per  che  motivo  poi  si  sarebbe  ciò  fatto? 

È  indubitato  pertanto  che  perlomeno  dal  1208  la  Veronica  fu 
visibile  più  d'una  volta  l'anno.  E  si  può  anche  arrischiarsi  ad  indi- 
care a  'priori  una  circostanza  in  cui  non  è  neppur  concepibile  che 
l'immagine  non  fosse  tolta  dal  suo  ripostiglio.  Una  reliquia  tanto 
preziosa  della  Passione  voleva  di  certo  esser  mostrata  al  popolo 
nella  Settimana  Santa,  e  più  specialmente  in  quel  venerdì  che 
riportava  non  solo  dinanzi  alla  mente,  ma  in  molte  maniere  anche 
agli  occhi ,  il  giorno  in  cui  Cristo,  salendo  o  salito  il  Calvario, 
doveva  aver  lasciato  sul  panno  presentatogli  dalla  donna  pietosa 
l'impronta  del  volto  trasudante  sangue.  Questo,  non  la  domenica 
dell'andata  a  S.  Spirito,  era  il  vero  giorno  del  Sudario.  Anche  i 
calendari  mi  forniranno  una  conferma,  in  quanto,  se  ce  n'è  che 
mettono  la  festa  di  S.ta  Veronica  al  4  febbraio,  che  vorrebb'essere 
il  giorno  della  sua  morte  e  che  tale  sarà  diventato  Dio  sa  per 
qual  confusione,  altri,  come  avvertono  i  Bollandisti  (1),  «  referunt 
«  eam  xxv  Martij ,  rati  eo  die  Christum  prò  salute  hominum 
«  passum,  suam  tum  S.  Veronicae  effigiem  dedisse  ».  Che  poi  una 
congettura  cosi  spontanea  colga  propriamente  nel  segno,  proverà 
il  costume  dello  stesso  anno  1300.  La  Veronica  si  mostrava  allora, 
quanto  alle  feste,  solo  nelle  solenni ,  e  invece  in  tutti  quanti  i 
venerdì,  che  della  passione  sono  altrettante  commemorazioni 
minori,  e  che  son  come  altrettante  immagini  più  pallide  del  ve- 
nerdì per  eccellenza. 

Due  estensioni  periodiche  possiamo  dunque  dire  di  averle  as- 
sodate. Saranno  poi  le  sole  ?  —  Documenti  che  in  modo  diretto  ci 
chiariscano  intorno  a  questo  punto,  per  il  secolo  XIII  io  non  ne 
conosco  ;  ce  n'è  bensì  uno  del  declinare  del  secolo  successivo,  che 
potrà  tornar  utile  anche  a  noi. 


(1)  Febbr.,  I,  452. 


144  PIO  RAJNA 

Colla  data  del  29  luglio  1370  Urbano  V,  nel  soggiorno  che  fece 
a  Montefiascone  prima  di  ritornarsene  in  Francia,  diresse  a  Gia- 
como, vescovo  d'Arezzo,  ch'egli  lasciava  suo  Vicario  spirituale  in 
Roma,  la  bolla  seguente: 

«  Gum  non  deceat,  quod  tua  Fraternitas,  quae  gerit  in  Urbe 
«  in  spiritualibus  vices  nostras,  ab  ostensione  sacri  Sudarli  Do- 
«  mini  Nostri  Jesu  Ghristi  consuetis  facienda  temporibus  exclu- 
«  datur;  Fraternitati  tuae  dictum  Sudarium  semel  in  quolibet 
«  infrascriptorura  dierum,  videlicet  quartae  feriae,  Goenae  Domini, 
«  Parasceve ,  ac  Sabbati  Sancti  Majoris  Hebdomadae ,  necnon 
«  Festi  Ascensionis  Dominicae,  et  primae  Dominicae  post  Octavam 
«  Epiphaniae  Domini,  diebus  quibus  consuevit  praefatum  Suda- 
«  rium  estendi  populo,  per  te  ipsum  libere  eidem  populo  osten- 
«  dendi  ;  ac  contradictores  per  censuram  Ecclesiasticam,  appella- 
«  tiene  postposita,  compescendi  »  ecc.  (1). 

Queste  ultime  parole  di  minaccia  ed  altre  che  le  completano, 
vanno  di  sicuro  ai  canonici  di  S.  Pietro,  dai  quali  solitamente  il 
Sudario  era  mostrato.  Essi  soli  avevan  comune  col  Papa,  cui  po- 
tendo l'avrebbero  forse  negato  volentieri,  il  gran  privilegio  di 
metter  le  mani  sulla  santa  reliquia:  tantoché  si  vide  nel  1452 
un  imperatore.  Federico  IH,  creato  apposta  canonico,  perchè 
potesse  cavarsi  anche  lui  questo  gusto  (2).  Né  l'esempio  rimase 
isolato  (3).  Si  capirà  dunque  come  ci  fosse  bisogno  di  una  bolla 
speciale  perchè  lo  stesso  vice-papa  non  restasse  da  meno  di  un 


(1)  Coli.  Bull.  SS.  Eccl.   Yat.,  Il,  18. 

(2)  ToRRiGio,  Grotte  Vaticane,  p.  201  ;  cfr.  Severano,  I,  160,  e  Moroni, 
CHI,  98.  L'autorità  cui  si  fa  capo  è  Maffeo  Vegio,  testimonio  oculare,  che 
ci  rappresenta  l' imperatore  «  Magno  desiderio  videndi  contingendique  ac- 
«  census  ». 

(3)  Furono  creati  canonici  soprannumerari  allo  stesso  modo  e  col  medesimo 
intento,  nel  1624  Vladislao,  allora  principe  reale  e  poi  re  di  Polonia,  nel  i700 
il  granduca  di  Toscana  Cosimo  III.  Vedi  Torrigio,  p.  206;  Severano,  l.  cit, 
Moroni,  CHI,  98-99.  Le  bolle  di  queste  creazioni  —  senza  menzione  speciale 
della  Veronica  —  si  hanno  nella  Coli.  Bull.  SS.  Eccl.  Vat.,  Ili,  236  e  282. 
Vladislao  e  Cosimo  fecero  anche  l' ostensione  al  popolo  in  abiti  ecclesiastici; 
se  l'avesse  fatta  anche  l'imperatore  Federico,  dalle  fonti  non  par  che  risulti. 


PER  LA  DATA  DELLA   «  VITA   NUOVA  »   ECC.  145 

canonico  qualunque,  e  come  ciononostante  fossero  ancora  da 
presumere  opposizioni  ben  fiere. 

Ma  non  è  delle  prerogative  né  delle  renitenze  canonicali  che 
qui  ci  s'abbia  a  occupare.  Per  noi  è  di  grande  interesse  l'enu- 
merazione completa  dei  giorni  in  cui  la  Veronica  si  faceva  ve- 
dere nel  1370.  Ossia,  nel  1370  e  già  da  un  pezzo,  poiché  quelli 
son  giorni  «  quibus  consuevit  praefatum  Sudarium  estendi 
«  populo  »;  sono  «  consueta  tempora  »  (1).  E  quei  giorni  sono 
sei  :  quattro  della  Settimana  Santa ,  dal  mercoledì  al  sabato  ;  la 
domenica  di  gennaio  che  conosciamo  anche  troppo  ;  e  finalmente 
l'Ascensione.  Teniam  pure  per  fermo  che  il  costume  qui  rappre- 
sentatoci risale  più  addietro  che  il  1300.  Ognuno  sa  con  quanta 
lentezza  i  riti  s'innovino  :  per  poter  vedere  il  Sudario  una  volta 
di  più  bisogna  forse  avanzarsi  sino  al  1629,  in  cui  comincerà  ad 
esser  mostrato  anche  il  3  di  maggio,  ossia  nel  giorno  dell'Invenzione 
della  Croce,  e  ciò  solo  per  via  del  suo  stare  colle  reliquie  della 
croce  stessa,  non  per  motivo  suo  proprio  (2).  E  a  questa  ragione 
generica  e  comprensiva  se  ne  aggiungeranno  delle  specifiche. 
Quelle  considerazioni  che  già  ci  avevan  condotto  a  supporre  come 
indubitabile  l'osténsione  del  Venerdì  Santo,  adesso  che  abbiamo 
qualcosa  di  positivo  su  cui  fondarci ,  avranno  bene  la  forza  di 
farci  ritenere  perlomeno  più  antico  di  qualche  secolo  che  non 
ci  appaia  da  un  documento  casuale  quella  che  ha  luogo  in  altri 
giorni  della  stessa  settimana.  Al  più  al  più  si  può  ammettere  la 
possibilità  che  dei  quattro  giorni  ne  mancasse  qpialcuno,  che  sa- 


(1)  Gli  è  per  effetto  di  questa  nostra  bolla,  malamente  conosciuta,  che 
s' è  attribuito  a  Urbano  V  di  aver  lui  fissato  certi  giorni,  che  son  poi  pro- 
priamente questi,  in  cui  la  Veronica  si  dovesse  mostrare.  Vedi  Severano, 
I,  159;  MoRONi,  CHI,  97. 

(2)  Coli.  Bull.  SS.  Eccl.  Yat.,  Ili,  24041.  L'accrescimento  fino  ai  giorni 
nostri  non  si  riduce  a  questo  giorno  soltanto  (Vedi  MoROia,GIII,  101);  ed 
io  non  posso  darmi  la  briga  di  ricerche  per  determinare  nei  singoli  casi  la 
data  dell'istituzione.  In  fondo  peraltro  non  s'è  aggiunto  molto  a  considerar 
le  cose  anche  solo  alla  superficie;  e  s' è  aggiunto  meno  ancora  se  si  guar- 
dano un  poco  addentro. 

QiomaU  storico,  VI,  fase.  16-17.  10 


146  PIO   RAJNA 

rebbe,  se  mai,  il  mercoledì.  Quanto  all'Ascensione,  essa  può  do- 
mandare un  certo  grado  di  conferma  all'uso  seguito  durante  il 
Giubileo.  A  quel  modo  che  il  mostrarsi  allora  la  Veronica  ogni 
venerdì  fu  come  a  dire  una  moltiplicazione  dell'estensione  solita 
del  Venerdì  Santo,  il  mostrarla  nelle  feste  solenni  deve  verosimil- 
mente trovare  una  corrispondenza  ed  un  germe  nell'uso  consueto 
di  qualche  speciale  solennità.  Ora,  mancandoci  l'Ascensione,  noi 
non  ne  abbiamo  alcuna;  giacché  mal  può  dirsi  una  vera  solen- 
nità la  domenica  dopo  l'ottava  dell'Epifania. 

Dagl'  imbarazzi  della  penuria  siam  cascati  adesso  in  quelli  della 
troppa  abbondanza.  Poiché  la  Veronica  nel  periodo  che  a  noi  sta 
a  cuore  si  poteva  vedere  senza  esser  re  né  gran  signori  in  tre 
diversi  tempi  dell'anno  —  intorno  alla  metà  di  gennaio,  nella  Set- 
timana Santa,  quaranta  giorni  dopo  la  Pasqua  —  quale  sarà  stata 
l'occasione  prescelta  da  un  maggior  numero  di  pellegrini,  parti- 
colarmente tra  coloro  che  venivan  di  lontano? 

Mettiam  pure  fiduciosamente  in  disparte  l'Ascensione.  Si  tratta 
di  un'ostensione  semplice  ed  unica,  che  non  può  davvero  gareg- 
giare colle  altre  rivali:  queste,  un'ostensione  che  si  ripete  per 
più  giorni  di  seguito,  e  un'  ostensione  accompagnata ,  o  ancora 
adesso,  o  perlomeno  fino  ad  un  momento  quanto  mai  prossimo, 
da  una  processione  solenne.  Ma  tra  il  gennaio  e  la  pasqua,  o  da 
che  parte  è  mai  la  prevalenza?  Qui  davvero  il  decidere,  quanto 
più  si  consideri,  quanto  più  si  rifletta,  più  diventa  arduo. 

Una  delle  cause  che  tale  lo  rendono,  si  è  precisamente  quel 
dubbio,  se  la  processione  istituita  da  Innocenzo  III  duri  tuttavia 
0  sia  già  stata  dismessa.  Par  poca  la  differenza  tra  l'esser  ridotti 
all'estensione  in  S.  Pietro,  e  l'aver  la  Veronica  condotta  attorno 
per  le  strade  di  Roma?  Poiché  la  diversità  è  cosi  grande,  sarà 
indispensabile  assegnare  ad  ognuna  delle  due  idee  il  suo  grado 
di  verosimiglianza  ;  e  nessun  dubbio  che  voglia  concedersene  uno 
assai  maggiore  all'ipotesi  che  l'abolizione  sia  seguita  dal  1300  in 
là  —  periodo  tanto  più  spazioso  e  che  un  certo  assegnamento 
sulla  traslazione  della  sede  ad  Avignone  può  farlo  di  sicuro  — 
anziché  nel  ventennio  che  separa  il  1300  dalle  colonne  d'Ercole 


PER   LA   DATA   DELLA   «   VITA   NUOVA   »   ECC.  147 

del  1279  (1).  Invece  un  altro  dubbio  non  so  se  voglia  esser  ri- 
solto favorevolmente  ancor  esso.  La  processione  è  già  molto  per 
sé-;  ma  diventa  un  fatto  incomparabilmente  più  strepitoso  dato 
che  la  Veronica  fosse  trasportata  in  maniera  da  esser  visibile 
lungo  tutto  quanto  il  tragitto  da  S.  Pietro  a  S.  Spirito.  —  Era?  Non 
era  ?  —  Che  l' immagine  non  si  portasse  propriamente  scoperta, 
questo  è  indubitato:  infra  capsam ,  dice  Papa  Innocenzo,  e  ri- 
petono insieme  col  rimanente  Onorio  ed  Alessandro  (2).  Ma  la 
capsa  0  reliquiario  (3)  noi  la  potremmo  immaginare  in  forma 
suppergiù  di  cornice,  quali  sono  i  reliquiari  che  si  mettono  sugli 
altari ,  sicché ,  stesa  al  di  sotto  di  un  cristallo ,  la  Veronica  si 
trovasse  diventata  la  tela  di  un  quadro.  E  a  rappresentarci  le 
cose  in  questo  modo  inclinerebbe  un  preteso  portento  narratoci 
da  Matteo  Paris  sotto  la  data  del  1216  (4).  Sennonché  tanta  pro- 
fusione di  Veronica,  di  una  reliquia  per  solito  cosi  avaramente 
mostrata  e  che  neppure  si  lasciava  esposta  sopra  l'altare  suo 


(1)  Vedi  p.  149.  ■ 
<2)  Ibid. 

(3)  Vedi  il  vocabolo  capsa  nel  Du  Gange. 

(4)  Pag.  201  neir  ed.  parigina  del  1644.  Sebbene  il  cronista  narri  il  fatto 
quando  sta  per  passare  al  1217,  sarà  da  riportare  almeno  al  gennaio  del  1216, 
se  deve  corrispondere  al  tempo  reale  della  processione  e  rimaner  sempre 
nei  confini  del  papato  d' Innocenzo,  morto  il  16  o  17  luglio  di  queir  anno. 
Ecco  il  racconto.  «  Dum  vero  fortunalis  alea  statum  Regni  Angliae  talibus 
«  turbinibus  exagitaret,  dominus  Papa  Innocentius,  quem  vacillantis  Ec- 
«  clesiae  cura  soUicitabat ,  effigicm  vultus  Domini,  quae  Veronica  dicitur, 
«  ut  moris  est,  de  ecclesia  sancti  Petri  versus  hospitale  sancti  Spiritus  reve- 
«  renter  cum  processione  baiulabat.  Qua  peracta,  ipsa  eflBgies,  dum  in 
«  locum  suum  apportaretur,  se  per  se  gyrabat,  ut  verso  staret  ordine,  ita 
«  scilicet,  ut  frons  inferius,  barba  superius  locaretur.  Quod  nimis  abhorrens 
«  dominus  Papa,  credidit  illud  in  triste  sibi  praesagium  evenisse,  et  ut 
«  plenius  Deo  reconciliaretur ,  Consilio  fratrum,  in  honorem  ipsius  effigici, 
»  quae  Veronica  dicitur ,  quandam  orationem  composuit  elegantem ,  cui 
«  adiecit  quondam  Psalmum,  cum  quibusdam  versiculis;  et  eadem  dicentibus, 
«  decem  dierum  concessit  indulgentiam,  ita  scilicet,  ut  quotiescumque  repe- 
«  tatur  toties  dicenti  tantundem  indulgentiae  concedatur.  »  Riguardo  alla 
preghiera  e  all'indulgenza,  vedi  Sidone  e  Martinetti,  op.  cit.,  p.  34,  dove 
si  citano  due  codici  vaticani  (n"  3769  e  3779). 


148  PIO  RAJNA 

proprio  (1),  pare  inverosimile,  tanto  più  in  una  festa  a  cui  la 
Veronica  si  può  dir  tirata  per  i  capelli.  E  fan  contro  anche  le 
parole  della  bolla  d'Innocenzo  e  de' suoi  successori,  nelle  quali, 
assolutamente,  io  non  trovo  annunziata  che  un'estensione  al  modo 
consueto  da  farsi  nella  chiesa  di  S.'*  Maria  (2). 

Ma  sia  pure  cosi,  è  tuttavia  positivo  che  la  festa  del  gennaio 
attirava  un  gran  concorso.  Comincia  dall' esserne  mallevadore 
l'autore  contemporaneo  delle  Gesta  d'Innocenzo  :  «  Instituit  autem 
«  apud  hospitale  praedictum  stationem  solemnem  Dominica  post 
«  octavas  Epiphaniae,  in  qua  populus  ibi  confluit  Ghristianus  ad 
«  videndum  et  venerandum  Sudarium  Salvatoris,quod  cum  hymnis 
«  et  canticis,  psalmis  et  faculis,  a  basilica  Sancti  Petri  ad  locum 
«  illum  processionaliter  deportant,  et  ad  audiendum  et  intelli- 
«  gendum  sermonem  exhortatorium  quem  ibi  facere  debet  Ro- 
«  manus  Pontifex  de  operibus  pietatis ,  et  ad  promerendam  et 
«  obtinendam  indulgentiam  peccatorum  quam  exercentibus  se 
«  ad  opera  misericordiae  pollicetur  »  (3).  Il  populus  Christianus 
che  ibi  confluit  non  può  essere  semplicemente  la  gente  che  si 
trovava  già  a  Roma;  e  stiam  pur  sicuri  che  il  motivo  dell'ac- 
correre è  la  Veronica ,  non  il  sermone ,  e  solo  in  grado  affatto 
secondario  anche  l'indulgenza  di  un  anno,  cose  a  cui  il  cronista 
è  tratto  a  dar  molta  evidenza  dal  voler  essere  eco  fedele  della 
bolla  e  delle  intenzioni  del  suo  pontefice. 

Quel  che  seguiva  nei  primordi  dell'istituzione  non  vale  peraltro 


(1)  L' ostensione  della  Veronica  deve  esser  sempre  consistita  nel  prenderla 
per  i  due  lembi  superiori  e  nel  tenerla  spiegata  qualche  tempo  dinanzi  agli 
occhi  degli  spettatori. 

(2)  Mi  giova  metter  qui  tutto  il  passo  testuale  perchè  si  veda  genuina- 
mente il  contesto:...  «  Idcirco  rationabiliter  instituimus,  ut  eflBgies  Jesu 
«  Ghristi  a  beati  Petri  Basilica  per  ejusdem  Ganonicos  ad  dictum  Hospitale, 
«  ubi  memoria  gloriosissimae  Matris  ejus  recolitur,  infra  capsam  ex  auro 
«  et  argento  et  lapidibus  pretiosis  ad  hoc  specialiter  fabrefactam  venerabi- 
«  liter  deportetur,  fidelibus  populis  qui  ad  has  nuptias  celebrandas  conve- 
«  nerint  desiderabiliter   ostendenda  ». 

(3)  Gesta  Inn.  Ili,  cap.  144  ed  ultimo:  p.  88  nella  stampa  che  precede 
le  Epistolae  nell'  edizione  del  Baluze. 


PER  LA  DATA  DELLA   «  VITA  NUOVA  »   ECC.  149 

ad  assicurarci  che  avvenisse  altrettanto  un'ottantina  d'anni  più 
tardi ,  in  condizioni  fors'  anche  modificate.  Ma  qui  viene  a  far 
sentire  la  sua  voce,  proprio  al  momento  più  opportuno,  Giacomo 
Cardinale  di  S.  Giorgio  al  Velo  d'Oro,  in  quella  sua  narrazione 
poetica  e  prosaica  del  Giubileo  del  1300,  che  è  strano  non  si  sia 
ancor  provveduto  a  pubblicare  (1).  In  un  brano  comunicato  dal 
Raynaldo  nella  continuazione  del  Baronio,  descrivendo  i  casi  del 
principio  dell'anno  e  il  popolo  che  in  certo  modo  forza  la  mano 
a  Bonifacio  prevenendo  la  pubblicazione  della  bolla  famosa  colla 
credenza  che  il  Giubileo  sia  stabilito  dalla  tradizione,  egli  cosi 
dice:  «  lis  initiis  in  dies  civium  externorumque  fldes  et  pere- 
«  grinatio  augeri  coepit,  quibusdam  prima  centesimi  die  (2)omnium 
«  culparum  sordes  deieri  asserentibus,  caeteris  annorum  centum 
«  indulgentiam  fore:  sicque  fere  usque  ad  bimestre  tempus ,  et 
«  similiter  die,  qua  toti  orbi  venerabilis  revelatur  efflgies,  vulgo 
«  Sudarium  seu  Veronica  dieta,  [cum]  (3)  longe  plus  solito  com- 
«  pactis  turbis  convenirent,  utrinque,  dubii,  sperantes  erant.  »  Il 
giorno  qui  voluto  indicare  è  il  nostro ,  né  saprebb'  essere  alcun 
altro,  dacché  esso  è  il  solo  della  sua  specie  anteriore  a  quello 
in  cui  il  Giubileo  fu  bandito  (4);  e  che  il  tott  orU  non  indichi 
semplicemente  che  la  Veronica  era  allora  visibile  per  ognuno, 
bensì  venga  ancora  ad  accennare  che  si  veniva  realmente  a 
vederla  da  molte  parti,  non  può  rimaner  dubbio  a  nessun  inten- 
ditore poco  0  tanto  sagace. 


(1)  Di  questa  scrittura,  che  ognuno  sarà  lieto  di  vedere  aggiunta  alle  altre 
del  medesimo  Cardinale  stampate  dai  Bollandisti  (maggio,  IV,  437-484)  e 
neppur  quelle  riprodotte  per  intero  in  altre  raccolte,  merita  bene  di  esser 
raccomandata  la  pubblicazione  alla  solerte  Società  Romana  di  Storia  Patria. 

(2)  Gli  anni  son  come  i  giorni  del  secolo. 

(3)  Supplisco  io  il  cum,  senza  del  quale  non  vedo  come  corra  la  sintassi, 
prontissimo  a  ritirarlo  dinanzi  ad  un'  emendazione  migliore  che  fosse  data 
dal  vero  o  supposto  autografo  e  dagli  altri  manoscritti. 

(4)  Se  Vet  similiter  pare  accenni  ad  un  giorno  non  compreso  nel  bimestre 
tempus  che  precede,  si  accusi  l'autore  d' inesattezza  di  espressione,  a  meno 
di  voler  addossare  la  colpa  alla  lezione  poco  corretta.  Di  che  giorno  si  tratti, 
ha  ben  visto  il  Rohrbacher,  St.  Univ.  della  Chiesa,  t.  XIX,  p.  400  della 
traduzione  italiana. 


150  PIO  RAJNA 

Tuttavia  va  pur  tenuto  conto  che  il  biografo  d'Innocenzo,  che 
il  Cardinal  di  S.  Giorgio,  guardando  le  cose  da  Roma,  son  soggetti 
ad  illudersi  e  portati  ad  esagerare;  e  davvero  sono  espressioni 
altamente  enfatiche,  e  questo  totus  orbis  dell'uno,  e  il  populus 
christianus  dell'altro.  Però  noi  sentiamo  il  bisogno  di  una  qualche 
voce  lontana.  E  una  voce  lontana,  spettante  ancor  essa  a  questi 
tempi  (1),  è  quella  del  libro  delle  Visioni  di  Metilde,  meritevole 
adesso  di  essere  raccattato  di  nuovo  per  un  momento.  Sia  pure 
una  finzione,  non  la  visione  soltanto  della  domenica  Omnis  terra, 
ma  anche  l'andata  a  Roma  delle  compagne  per  eccitamento  del- 
l'estatica donna,  la  finzione  stessa  suppone  che  di  siffatte  andate 
dalla  Germania  ne  seguisser  davvero.  Perlomeno  mette  in  sodo  che 
l'ostensione  del  gennaio  era  ben  nota  in  quelle  parti  :  il  che,  date 
le  condizioni  degli  animi,  è  già  una  premessa  da  trascinarsi  dietra 
non  pochi  viaggi.  Importante  altresì  che  la  domenica  nostra  par 
conosciuta  (il  pare  è  imposto  da  dubbi  d'interpunzione  e  inter- 
pretazione) come  la  festa  per  eccellenza  dell' ostensione  deside- 
ratissima:  «  quando  Romae  agitur  festum  ostensionis  ejusdem 
«  imaginis  ». 

S'ha  un  bel  dir  tuttavia  che  si  viene.  Ma  e  come  si  fa  a  passar 
le  montagne?  le  Alpi  prima;  poi  ancora  gli  Appennini!  —  Io  non 
istarò  a  indagare  come  si  facesse  ;  ma  che  si  passassero ,  posso 
asserirlo.  Si  guardi  al  cronista  Emone:  parte  dal  suo  monastero  di 
Werum,  nella  Germania  più  settentrionale,  il  9  di  nov.  ;  vien  per 
la  Francia,  infila  la  Val  Moriana,  entra  in  Italia  per  Susa,  e  mette 
piede  in  Roma  il  19  genn.  (2).  Ebbe  a  superare  il  Genisio  propria 


(1)  Non  istarò  a  discutere  se  Metilde  morisse  nel  1299,  o  nel  1310,  e  nep- 
pure ad  esaminare  se  la  data  precisa  abbia  a  ritenersi  più  largamente  dubbia 
(vedi  LuBiN,  Osservaz.  sulla  MateMa  Svelata  del  clr.  J.  A.  Scartazzini, 
Graz,  1878,  pp.  50-51):  n'ho  d'avanzo  di  una  certa  approssimazione. 

(2)  Pertz,  ss.,  XXIII,  470-71.  Una  particolarità  meritevole  di  nota  si  è 
che  Emone  arrivò  si  può  dir  l' indomani  della  festa  del  gennaio ,  che 
nel  1212,  anno  in  cui  egli  compi  il  suo  viaggio,  aveva  a  cadere  il  14,  e 
riparti  1'  11  marzo,  due  settimane  avanti  la  pasqua  (25  marzo).  Fa  mera- 
viglia il  non  vederlo  trattenersi  fino  alle  ostensioni  della   Settimana  Santa. 


PER   LA   DATA   DELLA   «  VITA   NUOVA   »   ECC.  151 

verso  la  fine  di  dicembre  ;  e  non  sente  neppure  il  bisogno  di  farci 
nessuno  sfogo  sulle  difficoltà  dovute  vincere.  Si  vede  che  i  monti 
non  mettevano  al  medio  evo  troppa  maggior  paura  d'inverno  che 
d'estate.  Di  ciò  ravviserei  una  ragion  principale  nella  frequenza 
stessa  dei  viaggiatori;  un'altra  nell'aversi  numerosi  gli  ospizi.  E 
gli  ospizi,  sparsi  oramai  con  tanta  abbondanza  lungo  tutta  la 
strada,  vengono  a  dirci  che  non  solo  i  pericoli,  ma  anche  i  di- 
sagi del  viaggio  erano  minori  assai  che  non  si  tenda  ad  imma- 
ginarli. Non  è  poca  cosa  davvero  per  chi  si  metta  in  cammino 
il  saper  d'incontrare  ogni  giorno,  e  non  una  volt^  sola,  luoghi 
istituiti  apposta  per  dargli  riposo,  cibo,  albergo,  assistenza.  E  di 
ospizi  abbondava  poi  anche  Roma;  sicché  non  pochi  potevano 
anche  venire  prima  che  la  stagione  si  fosse  fatta  pessima ,  e 
aspettare  a  ritornarsene  quand'essa  avesse  già  temperato  i  suoi 
rigori  (1).  Già,  nessuno  veniva  a  Roma  senza  trattenercisi  almeno 
qualche  settimana. 

Di  fronte  a  queste  ragioni  fondatissime  che  s'allegano  dalla 
festa  del  gennaio,  anche  la  Settimana  Santa  ne  può  mettere  avanti 
delle  buone,  suscettibili,  grazie  a  Dio,  di  essere  esposte  assai  più  in 
breve.  Nonostante  tutti  i  temperamenti,  è  innegabile  che  la  con- 
siderazione della  stagione  mantiene  un  valore  considerevole;  ed 
è  manifesto  che  la  Settimana  Santa  si  trovava  sotto  questo  ri- 
spetto in  condizioni  migliori  assai.  Ci  si  trovava  ancor  più  che 


Siccome  errori  di  data  non  possiam  supporne  perchè  il  testo  ci  fornisce 
delle  riprove,  non  si  può  se  non  ammettere  che  ad  Emone,  o  importasse 
pochino  della  Veronica,  o  che  la  Veronica  gli  fosse  stata  mostrata  privata- 
mente. Scegliam  pure  la  seconda  ipotesi:  resterà  sempre  a  far  dubitare 
che  della  Veronica  molto  molto  non  gli  sia  importato,  il  fatto  del  non  aver 
lasciato  in  proposito  nessun  ricordo  speciale. 

(1)  Si  veniva  anche  addirittura  per  il  novembre  e  non  si  ripartiva  che  a 
pasqua.  Tale  è  il  caso  per  S.  Willibaldo  e  per  il  fratello  Wunibaldo 
«  Tunc  illi  duo  germani  ibi  manserunt  a  nativitate  sancti  Martini  x>  (H  nov. 
«  usque  ad  aliud  solemnitatis  Pascha  »  {Hodoeporicon  S.  Willibnldi  :  Ga- 
Nisio,  Thes.  Monum.,  ed.  Basnage,  II,  i,  108).  E  i  due  sarebbero  arrivati 
anche  prima,  se  a  Lucca  non  avessero  perduto  il  padre,  col  quale  se  ne  ve 
nivano.  Non  prenderei  tuttavia  questo  esempio  come  una  nonna  comune 
Qui  si  tratta  di  gente  di  condizione  elevata. 


152  PIO  RAJNA 

non  paia;  poiché,  grazie  all'errore  del  calendario  giuliano,  l'anno 
naturale  precedeva  quello  degli  uomini  e  della  chiesa  di  una  se^ 
timana  e  qualcosa  più  ;  sicché  nella  realtà  non  si  dava  nemmeno 
il  caso  che  la  Pasqua  cadesse  mai  nel  marzo.  Inoltre,  l'abitudine 
delle  andate  a  Roma  nel  tempo  pasquale  datava  da  tempo  im- 
memorabile, e  dalla  tradizione  attingeva  quindi  una  forza,  di  cui 
è  da  tenere  ben  conto.  E  valgon  poi  molto  quelle  ostensioni  che 
si  replicano  più  giorni  di  seguito;  valgono,  perchè,  dando  perfino 
la  possibilità  di  contemplare  ripetutamente  la  Veronica,  avevano 
a  costituire  una  grande  attrattiva;  e  valgono  insieme  in  quanto 
s'hanno  da  riguardare  come  un  effetto  della  gran  moltitudine 
che  accorreva  sitibonda  di  quella  vista.  Originariamente,  oso  af- 
fermare ,  la  Veronica  si  doveva  mostrare  solo  il  venerdì  ;  tenne 
dietro  presto  il  giovedì  (1);  il  mercoledì  ed  il  sabato  s'hanno  a 
ritenere  imposti  dalla  gran  ressa,  e  di  questa  ressa  vengono  ad 
essere  una  prova  assai  valida. 

Così  s'accorreva  per  la  festa  del  gennaio,  s'accorreva  per  la 
Pasqua;  e  la  scelta  riesce  pertanto  molto  ardua.  Tutto  considerato, 
inclinerei  a  decidere  in  favore  di  quest'ultima  ;  ma  non  senza  una 
certa  titubanza,  accresciuta  dalla  riflessione  che  intorno  alla  do- 
menica delle  Nozze  di  Gana  restano,  come  s'  è  veduto,  oscurità 
assai  deplorevoli.  Non  tituberei  invece  per  poco  che  ci  si  dovesse 
inoltrare  nel  sec.  XIV;  allora  di  sicuro,  caduta  assai  probabilmente 
in  disuso  la  processione  a  S.  Spirito,  venuto  a  mancare  lo  splen- 
dore dell'intervento  pontificio,  la  festa  di  papa  Innocenzo  dovette 
ripiegare  la  sua  bandiera.  È  questa  considerazione  del  tempo  che 
non  mi  permette  di  aggiungere  agli  argomenti  in  favore  della 
Pasqua  la  glossa  della  redazione  amplificata  dell'Ottimo  al  luogo 
del  Paradiso:  «  ...  che  di  Croazia,  cioè  di  Schiavonia,  viene  a 
vedere  «  per  la  quaresima  a  Roma  il  Sudario»  (2). 


(1)  Alle  ragioni  intrinseche  s'aggiunga  il  fatto  esteriore  che  modernamente 
nel  giovedì  e  venerdì,  e  soltanto  in  essi,  il  Sudario  si  mostra  o  si  mostrava 
tempo  addietro,  come  ahbiam  dal  Moroni  (CHI,  101),  «  più  volte  al  giorno  ». 

(2)  Da  nessun   altro   commentatore,  per  quanto   almeno   ho  visto   io,  si 


PER  LA  DATA  DELLA   «  VITA  NUOVA  »   ECC.  153 

Ma  se  rimane  dell'incertezza  rispetto  a  questo  punto  speciale, 
non  ne  rimarrà  davvero  nessuna  quanto  al  non  esserci  nella 
Veronica  neppur  l'ombra  d'un  motivo  per  voler  leggere  andava 
in  cambio  del  va  dei  manoscritti,  e  per  cercare  l'allusione  al  Giu- 
bileo nel  passo  della  Vita  Nuova.  Diciam  piuttosto  che  se  le  cose 
stessero  a  rovescio,  vale  a  dire  se  dessero  andava  i  manoscritti, 
non  si  potrebbe  conservarlo  altro  che  a  patto  di  riferirlo  ancor 
esso  al  costume  degli  anni  soliti.  Poiché  e'  è  da  meravigliarsi 
come  non  si  sia  considerato,  che,  se  nelle  condizioni  ordinarie 
stava  bene  che  la  Veronica  fosse  una  delle  principali  ragioni 
dell'andare  a  Roma,  nel  1300  essa  rimaneva  offuscata  dal  fatto 
di  gran  lunga  più  importante  dell'  Indulgenza  Plenaria.  Era  la 
prima  volta  che  una  larghezza  così  inestimabile  si  concedeva  ad 
altri  che  a  chi  prendesse  le  armi  per  la  fede.  Tra  la  fine  del 
secolo  XII  e  il  principio  del  XIII  e  non  so  fin  quando  anche 
dopo,  il  maggior  perdono  che  si  potesse  acquistare  venendosene  a 
Roma  da  paesi  remoti  e  oltramarini,  era  di  tre  anni  (1).  Nel  1289 
Niccolò  IV  allargò  bene  le  mani;  tanto  da  concedere  per  i  due 
periodi  più  privilegiati ,  che  sono  quelli  appunto  in  cui  cadono 
anche  le  nostre  estensioni  della  Veronica,  nientemeno  che  tre 


ricava  nulla.  Tutti  dicono  che  il  sudario  si  mostra  a  Roma,  senza  specifi- 
cazione di  tempo.  Ho  consultato  il  Laneo,  Benvenuto  da  Imola,  il  da  Buti, 
il  commento  che  si  vuol  fatto  compilare  da  Giovanni  Visconti,  ed  altri 
ancora. 

(1)  «  Et  quia  solennitas  maxima  est  »  —  si  parla  della  festa  di  S.  Pietro  e 
Paolo  —  «  maximam  remissionem  [Apostolica]  prudentia  omnibus  ad  eam 
«  devote  venientibus  condonavit.  [Quae  videlicet  remissio,  Apostolica  provi- 
le dentia  sic  tripartita  distinguitur ,  ut  Romanis  et  circumjacentibus ,  unius 
«  anni;  Tuscis,  Lombardis  et  Apulis,  et  ceteris  mare  non  transeuntibus, 
«  duorum  annorum  ;  sed  et  his  qui  maria  transmeare  noscuntur,  trium  anno- 
«  rum  maneat  remissio  peccatorum.  Simili»  eademque  remissio  facta  pro- 
«  batur  in  hac  beati  Petri  basilica  in  Goena  Domini ,  quando  consecratur 
«.  ibi  sanctum  Ghrisma;  in  Ascensione  Domini  similiter.]  »  Gosì  la  descrizione 
della  basilica  vaticana  scritta,  come  si  disse,  dal  Mallio,  accresciuta  dopo 
morto  Gelestino  Ili,  e.  i,  §  6:  Boll.,  giugno,  VII,  38.  11  brano  tra  paren- 
tesi è  una  giunta  del  secondo  autore;  il  che  non  implica  punto  che  gli  or- 
dini stessi  non  potessero  esser  già  in  vigore  anche  quando  il  Mallio  scriveva. 


154  PIO  RAJNA 

anni  e  tre  quarantene  per  giorno  (1);  ma  di  qui  all'indulgenza 
plenaria,  a  un  lavacro  universale  che  senza  neppur  più  il  bisogno 
di  calcoli  aritmetici  liberava  da  molte  asprezze  in  questa  vita  e 
dava  la  certezza  della  salute  eterna,  eh,  ce  ne  corre  !  E  gli  uo- 
mini di  allora  ce  lo  dimostrano  coUesser  venuti  a  Roma  in  mol- 
titudine così  strabocchevole.  È  dunque  per  l'Indulgenza,  per  il 
Perdono  che  si  viene;  e  chiunque  parli  allora  del  Giubileo  ce  lo 
dice  espresso  (2).  E  lo  dice  lo  stesso  Villani,  nonostante  che  le  sue 


(1)  È  la  bolla  cui  s' è  alluso  anche  a  p.  134  :  «...  A  Dominica  vero  de 
«  Adventu  usque  ad  primam  Dominicam  post  Octavas  Epiphaniae,  et  a  Domi- 
«  nica  Quinquagcsimae  hinc  ad  Octavas  Pascae,  quolibet  die,  tres  annos  et 
«  tres  quadragenfis  »  ((hll.  Bull.  SS.  Eccl.  Vat.,  I,  214).  Questo  e  tutto  il 
rimanente  per  i  visitatori  di  S.  Pietro.  Anche  per  i  giorni  non  privilegiati 
s'arriva  qui  a  concedere,  previa,  beninteso,  la  confessione  «  unum  annum  et 
«  quadraginta  dies  ». 

(2)  Gli  Annales  Colmarienses  citati  a  p.  131 ,  n.  4:  «  Bonifacius  papa 
«  anno  Domini  1300  ratione  iubilei  omnibus  venientibus  Romam  tanta  abso- 
«  lutionis  beneficia  contulit,  quod  tantus  factus  fuit  concursus  »  ecc.  Gino 
da  Pistoia  nel  passo  ricordato  anch'esso  in  quella  pagina  medesima:  «  Ita 
«  audivi  eum  dicentem  Bononiae  »  —  si  tratta  del  famoso  giurista  Pietro  di 
Belleperche  —  «  cum  peregrinus  venit  et  repetiit  hanc  legem  ilio  tempore 
«.  quo  indulgentia  centesimi  anni  dominus  Bonifacius  Papa  octavus  fecit  totum 
«  orbem  peregrinari  Romam.  »  Tolommeo  da  Lucca,  Annales  (Rer.  It.  Scr., 
XI,  1303)  :  «  Eodem  anno,  in  Galendis  Januariis  »  (inesatto)  «  instituta  fuit 
«  indulgentia  pienissima  omnium   peccatorum  per  Papam  Bonifacium ,  qui 

«  tunc   Ecclesiam  regebat :  unde  factus   est   concursus   populi    tantus  ex 

«  omni  genere  et  natione  »  ecc.  Una  curiosa  iscrizione  d'  un  fiorentino,  che 
appose  alla  casa  sua  (tale  ha  da  ritenersi)  la  memoria  del  Giubileo  per  far 
sapere  ai  posteri  che  e'  eran  stati  anche  lui  e  sua  moglie  :  «...  Et  cum 
«  eodem  a[n]no  fuisset  a  papa  Bonifatio  soUepnis  remissio  omnium  pecca- 
«  torum  videlicet  culparum  et  penarum  omnibus  euntibus  Romam  indulta, 
«  multi  ex  ipsis  Tartaris  ad  dictam  indulgentiam  Romam  accesserunt.  E 
«  andovi  Ugolino  chola  molglie  ».  L' iscrizione,  pubblicata  primamente  dal 
Lami  nelle  Deliciae  Eruditorum  e  di  11  riprodotta  dal  Mansi  nelle  note 
al  Raynaldo,  è  ancora  al  suo  posto  in  via  della  Fogna,  verso  lo  sbocco 
sulla  Piazza  di  S'^  Croce ,  poco  alta  da  terra  in  modo  da  esser  leggibile 
assai  comodamente.  Cosi  ho  potuto  correggere  delle  inesattezze  e  qualche 
grosso  sproposito.  Per  finire,  comunicherò  le  parole  di  una  Riformagione 
bolognese  del  19  ottobre  1300,  di  cui  dà  il  contenuto  il  Ghirardacci,  Hist. 
di  Boi.,  1,  421,  e  della  quale  ho  il  testo  grazie  alla  cortesia  del  prof. 
V.  Fiorini  (Reg.  D.,  f  18):  «  Item  quod   placet  Consilio  et   masse   populi 


PER  LA  DATA  DELLA   «  VITA   NUOVA  »   ECC.  155 

parole  siano  precisamente  quelle  che,  frantese,  ebbero  a  dare 
impulso  all'idea  erronea  del  Lubin  e  degli  altri  (1).  Così  la  con- 
clusione viene  ad  essere  che  il  passo  nostro  può  riferirsi  ad 
c^ni  anno,  eccettuato  per  l'appunto  quel  1300  che  si  credeva 
di  vederci  indicato. 

Non  so  se  per  staccare  dallo  scoglio  un'  ostrica  di  così  po- 
vera apparenza  parrà  che  mettesse  conto  di  star  tanto  tempo 
sott'  acqua.  Ma  io  son  di  parere  che  in  generale ,  o  si  lascino 
stare  le  questioni,  o  si  veda  di  andarne  al  fondo.  Tutto  quanto  è 
superficiale  non  procaccia  soddisfazione  nessuna  alla  verità,  la 
quale  invece  si  appaga  di  ogni  ben  che  minimo  guadagno,  purché 
sia  sicuro.  Del  resto  non  è  detto  che  la  nostra  ostrica  non  rac- 
chiuda una  perla.  Dimostrare  che  la  Vita  Nuova  non  contiene  per 
nulla  affatto  la  pretesa  allusione  al  Giubileo,  gli  è  un  permettere 
che  la  vincano  definitivamente  le  ragioni  che  portano  a  ritenerla 
anteriore  di  parecchi  anni,  e  un  rendere  quindi  un  servigio  non 
vano  alla  cronologia  dantesca,  e  però  alla  storia  intellettuale  del 
Poeta.  Nonostante  il  bastone  messo  tra  le  ruote  per  via  d'una 
falsa  lezione ,  la  .quale  ripete  probabilmente  essa  stessa  la  sua 


«  predicto  {sic)  de  infrascripta  et  super  infrascripta  petitione  providere, 
«  tenor  cuius  talis  est.  Vobis  dio  cap.  ancianorum  et  consulibus  comunis  et 
«  populi  bon.  exponitur  tam  per  peregrinos  qui  ire  et  redire  habent  Romam 
«  propter  Indulgentias  peccatorum  ipsorum  recipiendas  quam  ex  parte  mer- 
«  catorum  et  aliorum  hominum  qui  habent  ire  et  redire  per  stractam  qui 
«  itur  florentiam  quod  cum  dieta  strata  a  terra  sancti  Rophili  super  usque 
«  ad  terram  Pedramale  sit  calancosa  »  ecc.  Ho  riferito  questo  passo,  più 
ancora  che  per  via  del  punto  che  si  veniva  illustrando,  perchè  indicherà, 
a  chi  noi  sapesse,  per  che  strada  fossero  venuti  i  pellegrini  che  Dante  dice 
di  aver  visto  passare.  Poiché,  se  nel  1300  quella  strada  fu  molto  più  battuta 
che  di  solito,  era  pur  sempre  essa  che  conduceva  in  Toscana  chi  andava  a 
Roma  per  Firenze. 

(1)  Siccome  il  «  Per  la  qual  cosa  gran  parte  de'  cristiani  che  allora  viveano 
«  feciono  il  detto  pellegrinaggio  »  segue  alla  notizia  sulle  estensioni  della 
Veronica,  dev'  esser  parso  che  il  Per  la  qual  cosa  si  riferisse  ad  essa, 
mentre  invece  è  da  riportare  alla  «  piena  e  intera  perdonanza  »  di  cui  s' è 
detto  largamente  prima.  La  Veronica  è  un  accidente  :  si  mostra  «  per  e  o  n- 
«  solazione  de' cristiani  pellegrini  ».  E  di  lei  la  bolla  del  Giubileo  non 
fa  nemmeno  menzione. 


156  PIO  RAJNA 

origine  dall'idea  fallace  che  suscitò  nel  Witte  e  negli  altri,  pa- 
recchi non  s'eran  lasciati  smuovere  e  sostenevano  a  spada  tratta 
e  con  buoni  argomenti  ciò  che  è  di  sicuro  la  verità.  E  degli 
argomenti  se  ne  potrebbero  ancora  aggiungere:  questo  peresempio: 
che  non  è  punto  consentaneo  all'indole  della  VUa  Nuova,  che 
vi  si  trovi  inserita,  sia  pur  sotto  forma  di  circonlocuzione,  ciò 
che  equivarrebbe  all'  indicazione  precisa  di  un  anno.  Ma  per 
quanto  si  ragionasse  bene,  la  dimostrazione  non  era  così  rigorosa 
che  ognuno  le  si  dovesse  assolutamente  piegare:  prova  ne  sia 
—  altro  davvero  non  occorre  —  l'aver  persistito  il  D'Ancona  nel- 
l'antica opinione.  Ecco  perchè  non  mi  par  perduto  il  tempo  che 
ho  speso  per  farla  finita  una  volta  per  sempre  colla  causa  d'ogni 
male. 

Se  questo  tuttavia  del  rendere  un  servigio  —  piccolo  o  grande, 
poco  importa  —  alla  Vita  Nuova  e  agli  studi  danteschi,  come  fu 
l'occasione,  fu  anche  il  fine  prossimo  delle  ricerche  intraprese, 
non  è  che  con  esse  non  si  sia  anche  raggiunto  un  intento  più 
largo.  Se  ciò  non  fosse  non  darei  fuori  di  sicuro  il  lavoro  mio 
altro  che  in  dimensioni  assai  più  modeste.  Ma  per  giungere  colà 
dove  noi  si  voleva,  s'ebbe  a  passare  per  selve  intricate,  dove  la 
vita  medievale  presentava  certi  suoi  aspetti  molto  più  importanti 
a  conoscere  che  a  prima  giunta  non  sì  penserebbe. 


PER  LA  DATA  DELLA   «  VITA  NUOVA   »   ECC.  157 


^PI^ENDl  CE 

(Vedi  pag.  129). 
ROMEO. 


Stando  al  Diez,  Et.  W.,  I,  s.  v.,  e  Gr.,  F,  224,  il  vocabolo  romeo  sarebbe  un 
romero  —  romarius  —  che  avrebbe  insolitamente,  dietro  impulsi  analogici, 
perduto  il  secondo  r.  Quanto  a  me ,  non  dubito  di  tener  per  erronea  la 
spiegazione. 

Essa  fu  suggerita  dal  romero  spagnuolo ,  romeiro  portoghese ,  e  dal  ve- 
dere che  anche  la  Francia  conobbe  im  romier ,  e  che  romero  occorre  in 
qualche  nostro  testo  dialettale,  e  propriamente  aquilano  (Muratori,  Ant.  It. 
M.  Ae.,  VI,  648;  st.  837  e  838).  Ma  era  da  considerare  che,  ad  eccezione 
del  territorio  castigliano-portoghese,  dominano  dovunque  forme  senza  r,  tutte 
indissolubilmente  legate  :  accanto  all'  italiano  romeo  e'  è  1'  antico  catalano 
romeu;  il  provenzale  romeu,  romieu;  l'antico  francese  romieu,  romiau;  e 
ci  sono  ancora  a  ribadirli  i  derivati  romeatge ,  romavatge ,  romavage,  ge- 
melli del  nostro  romeaggio  ;  e  nella  Provenza  per  di  più  romavia,  di  cui  a 
torto  certi  editori  han  fatto  romania.  Manifestamente  tutte  queste  forme 
metton  capo  a  romaeus ,  che  non  incontriamo  soltanto  nelle  solite  carte , 
nelle  solite  cronache,  dove  è  da  considerare  come  semplice  riflesso  delle 
forme  romanze  (chi  aveva  pretensioni  di  scrittore  usava  romipeta),  ma  che 
abbiamo  altresì  da  uno  dei  glossari  fatti  conoscere  dal  Mai:  Class.  Atict., 
VII,  577. 

E  cos'  è  romaeus  ?  Sarà  esso  mai  una  nuova  creazione  fabbricata  suU'  a- 
nalogia  di  Judaeus ,  Hehraeus ,  Galilaeus  ?  —  Sarebbe  strano  che  fosse , 
avendosi  qui  a  fare  con  una  terminazione  non  diventata  mai  frequente  nel 
latino  neppure  nelle  sue  ultime  fasi;  appare  più  che  mai  inverosimile,  se  si 
riflette  come  accanto  ai  tre  vocaboli  enumerati ,  certo  i  più  comuni  della 
loro  specie,  non  vi  sia  una  città  di  Juda,  Hebra,  Galila ,  che  potesse  por- 
tare a  foggiar  qualcosa  di  somigliante  anche  per  Roma.  Impossibile  dunque 


158  PIO   RAJNA 

duhitare  che  romaeus  non  sia  il  f)iu|Liato<;  greco;  come  del  resto  non  sono 
altro  che  forme  greche  Judaeus  e  compagnia. 

Quanto  a  ramerò  e  simili,  nei  paesi  dove  prevale  senza  confronto  il  tipo 
romeo  saranno  essi  che  a  rovescio  di  quel  che  s'  era  supposto  vorranno  es- 
sere addebitati  all'analogia.  E  in  questo  senso  l'analogia  agiva  con  ben  altra 
intensità,  poiché  era  esercitata  nientemeno  che  dai  riflessi  di  -arius,  il  più 
fecondo  forse  tra  tutti  i  suffissi  nelle  lingue  romanze.  A  conferma  citerò  la 
forma  giudero,  che  mi  tengo  sicuro  d' aver  incontrato,  nonostante  che  non 
sappia  adesso  indicarne  esempi.  E  allora ,  una  volta  che  romero ,  rom.etro, 
restano  unicamente  alla  Spagna  e  al  Portogallo ,  vorranno  bene  ancor  essi 
esser  considerati,  se  non  come  semplici  modificazioni  analogiche  di  romeo, 
almeno  come  forme  venutecisi  a  sostituire  per  effetto  della  stragrande  diffu- 
sione dei  derivati  in  -ero,  -eiro.  In  fondo,  come  si  vede ,  una  differenza  ap- 
pena percettibile. 

Così  del  problema  prettamente  linguistico  c'è  da  sbrigarsi  in  breve.  Ma 
accanto  ad  esso  vien  subito  a  sorgerne  un  altro ,  secondo  me  di  maggiore 
attrattiva.  Chi  desidera  di  penetrare  addentro  nelle  questioni  non  è  soddi- 
sfatto del  conoscere  che  una  cosa  sia,  se  non  gli  riesce  di  sapere  altresì  in 
che  modo  avvenga  che  sia.  0  come  mai  il  vocabolo  che  in  greco  diceva 
romano  ebbe  ad  introdursi  nel  dominio  latino ,  e  come  fece  a  prendere 
quel  suo  peculiare  significato? 

Dell'enimma  si  posson  proporre  varie  spiegazioni.  Una  consisterebbe  nel- 
l'immaginare  che  il  popolo  cominciasse  dal  chiamar  romani  coloro  che  fa- 
cevamo il  pellegrinaggio  di  Roma;  ne  ho  conosciuto  io  stesso  dei  romani  e 
dei  napoletani  che  non  ad  altro  che  ad  un  viaggio  andavano  debitori  del- 
l'esser chiamati  cosi  ;  qualche  erudito  ecclesiastico ,  per  evitare  confusione , 
avrebbe  cominciato  a  sostituire  la  forma  greca  equivalente,  e  l'innovazione, 
rispondendo  davvero  ad  un  bisogno,  si  sarebbe  a  poco  a  poco  fatta  strada. 
Sennonché  e'  è  da  considerare  due  cose.  I  pellegrinaggi  a  Roma  cadono  in 
un  periodo  in  cui  il  significato  di  romano  si  é  tanto  dilatato  e  già  si  sente 
cosi  vivo  il  bisogno  dì  valersene  per  contrapporlo  a  barbaro,  che  lontano 
da  Roma  poco  si  può  pensare  ad  adoperarlo  nel  suo  significato  primitivo. 
Inoltre  abbiam  dovuto  tirare  in  iscena  l'arbitrio  individuale.  Ora,  se  questo 
arbitrio  ha  di  sicuro  nella  storia  delle  lingue  una  parte  assai  maggiore  che 
non  si  pensi  dai  più,  esso  tuttavia,  salvo  testimonianze  positive,  ci  trasporta 
talmente  nel  dominio  delle  pure  e  semplici  congetture,  da  togliere  ogni  va- 
lore scientifico  ai  risultati.  Guardiamoci  dunque  dall'  introdurlo  nei  calcoli 
se  non  ci  par  proprio  d'esser  stretti  da  una  necessità  assoluta. 

Un'  altra  ipotesi.  'Piu|Liaì0(;  potrebb'  esser  stato  importato  ed  essersi  diffuso 


PER  LA   DATA   DELLA   «   VITA  NUOVA  »   ECC.  159 

col  significato  suo  proprio,  ed  anzi  col  senso  ristretto  di  «  abitante  di  Roma  ». 
Il  glossario  citato  più  sopra  lo  traduce  con  romensis;  e  col  vocabolo  stesso 
traduce  poi  subito  anche  romuleus.  11  resto  del  cammino  si  capisce  come 
sarebbe  stato  percorso:  il  popolo  stesso  avrebbe  chiamato  addirittura  romaei 
colofo  che  andavano  a  Roma,  a  quella  maniera  medesima  che  prima  ave- 
vamo immaginato  li  potesse  chiamar  romani.  Coli'  andar  del  tempo  poi,  la 
tendenza  alle  determinazioni  specifiche  e  le  occasioni  senza  confronto  mag- 
giori che  c'erano  di  nominare  i  pellegrini  anziché  i  «  romani  di  Roma  », 
avrebber  fatto  si  che  romeo  conservasse  unicamente  il  primo  significato  e  in 
quello  si  raffermasse.  —  Ma  anche  qui  c'è  una  grave  obbiezione.  Se  i  romani 
fossero  mai  stati  detti  con  una  tal  quale  frequenza  romaei  (s'intende,  da 
gente  estranea  alla  città),  noi  dovremmo  di  cotal  uso  trovare  esempi  negli 
scrittori;  tanto  più  che  l'uso  stesso,  dacché  abbiamo  a  fare  con  un  vocabolo 
greco,  dovrebb'  essere  incominciato  tra  gente  dotta.  Quanto  al  Glossario,  da 
solo  non  ci  aflSda:  son  troppi  gli  schiarimenti  che  noi  avremmo  anzitutto 
da  chiedere  all'autore,  o  forse  piuttosto  agli  autori. 

Volgiamoci  alti'ove.  Se  movessimo  dall'idea  che  Romani  fossero  stati  chia- 
mati neir  occidente  gli  abitanti  dell'impero  orientale?  0  non  vennero  real- 
mente a  chiamarsi  Twinaìoi  essi  medesimi?  Posto  ciò,  immaginiamo  che 
di  là  venissero  molti  pellegrini  a  visitare  la  tomba  di  Pietro:  erano  Romaei, 
ed  era  naturale  che  così  fosser  detti.  Con  un  procedimento  di  generalizza- 
zione facile  da  comprendere  sarebber  poi  diventati  romei  i  pellegrini  tutti 
quanti.  —  Non  punto  difficile  da  comprendere  in  sé  stesso,  il  procedimento 
é  tuttavia  ben  poco  ammissibile  nel  caso  nostro.  Senza  escludere  che  dei 
pellegrini  orientali  venissero  a  Roma,  il  loro  numero  non  fu  mai  di  sicuro 
molto  cospicuo,  né  paragonabile,  anche  solo  lontanissimamente,  a  quello  degli 
occidentali.  Prima  condizione  dei  pellegrinaggi  è  che  li  favoriscano  gli  ec- 
clesiastici; e  in  generale  quelli  dell'oriente  non  potevan  di  certo  vedere  di 
buon  occhio  che  col  venirsene  alla  tomba  di  S.  Pietro  si  servisse  agi'  interessi 
della  sede  romana,  inoltre,  l'uso  latino  di  chiamar  romaei  i  confratelli  greci, 
è  ancor  esso  di  quelli  di  cui  s'è  in  diritto  di  cercar  le  prove  negli  scrittori, 
e  di  cui  intanto,  che  io  veda,  le  prove  negli  scrittori  non  si  trovano. 

Dopo  essermi  tre  volte  lasciato  respingere  da  terra,  m'illuderò  io  sperando 
di  riuscire  finalmente  a  metter  piede  sulla  riva?  Io  penso  che  'Pui|Liato<; 
abbia  preso  il  significato  di  pellegrino  molto  lontano  dall'  Italia  e  da  tutto 
l'occidente;  in  un  paese  non  greco,  e  dove  nondimeno  la  lingua  greca  era 
ampiamente  propagata:  nella  Palestina.  Avanti  che  Roma  diventasse  un  luogo 
di  pellegrinaggio ,  aveva  già  cominciato  ad  esser  luogo  di  pellegrinaggio 
la  «  Terra  Santa  ».   Nel  secolo  quarto  i  fedeli  vi  andavano  numerosissimi. 


160  PIO  RAJNA 

Appartiene  all'anno  333  l'Itinerarium  Hierosolymitanum,  che  ci  conduce 
a  Gerusalemme  nientemeno  che  da  Bordeaux.  Alla  fine  del  secolo,  nel  397, 
S.  Gerolamo ,  che  per  Roma ,  secondo  ogni  probabilità ,  ci  indica  solo  uno 
stadio  iniziale,  ci  si  dice  sopraffatto  a  Betlemme  «  tantis  de  toto  orbe  con- 
«  fluentibus  turbis...  monachorum  »  {Ep.  66, 14),  da  poter  reggere  a  fatica  all'uf- 
ficio che  s'era  imposto.  Ci  venivano  monaci,  ma  non  monaci  soltanto:  c'eran 
laici,  donne,  gente  di  molte  specie,  (juantunque  probabilmente  non  vi  si  ve- 
desse ancora  la  turba  cenciosa  del  medio  evo.  Comunque,  una  gran  parte 
di  costoro  erano  e  dovevano  di  necessità  esser  detti  'Puj|Lia!oi;  erano  'Pu)|ùiatoi 
tutti  gl'Italiani,  i  Galli,  gli  Spagnuoli,  gli  occidentali  insomma;  si  chiama- 
vano forse  già  'Pui|iatoi  per  opposizione  alla  gente  del  paese  anche  coloro 
che  venivano  da  Costantinopoli  e  da  quelle  parti.  Aggiungendo  a  ciò  che 
per  altra  ragione  che  di  pellegrinaggio  pochi  'Pw|aaToi  dovevano  condursi 
colà,  s'intenderà  ottimamente  in  che  modo  la  parola  potesse  assumere  il 
senso  specifico  di  cui  ci  si  voleva  render  conto.  Si  pensi  a  peregrinus  stesso, 
che  dal  significare  straniero  in  genere,  si  riduce  ad  essere  usato  quasi  unica- 
mente per  gli  stranieri  che  vengono  o  che  vanno  a  visitar  luoghi  santi. 

Resta  che  si  cerchi  di  spiegarci,  in  che  maniera  l' uso  della  Palestina 
possa  esser  stato  trasportato  nei  paesi  nostri.  —  Anche  qui  le  spiegazioni  non 
difettano.  La  più  semplice  consisterebbe  sul  pensare  che  i  pellegrini  stessi, 
che  si  sentivan  chiamare  Romaei  a  Betlemme,  a  Gerusalemme,  adottassero 
il  nome,  e  lo  portassero  seco  nel  ritorno.  Mancanti  com'  erano  di  una  desi- 
gnazione specifica,  era  naturale  ne  accettassero  una,  la  quale,  sebbene  non 
fosse  per  nulla  tale  in  se  stessa,  tale  poteva  parere  e  diventava  per  chi  non 
era  greco  di  linguaggio. 

Io  non  so  tuttavia  se  non  sia  entrato  di  mezzo  un  altro  fattore.  Quand'anche 
non  inclinassi  a  credere  che  sì ,  dovrei  qui  renderne  conto,  non  foss'  altro 
per  la  gratitudine  dell'esser  stato  esso  per  l'appunto  che,  guidandomi  nell'o- 
riente e  in  Terra  Santa,  mi  condusse  a  chiarire,  se  non  m'illudo,  il  mistero  del 
romano  diventato  pellegrino.  Nel  corso  del  lavoro  che  precede  ho  avuto  a 
parlare  qualche  poco  degli  Spedali  od  Ospizi  :  qui  bisogna  che  risalga  alle 
origini ,  dietro  la  scorta  del  Cavedoni,  che  ne  discorse  assai  dottamente  illu- 
strando un'iscrizione  algerina  (Cenni  sopra  alcune  iscrizioni  Cristiane  re- 
centemente  scoperte  nella  già  Reggenza  di  Algeri:  nella  Continuazione 
delle  Memorie  di  Religione,  di  Morale  e  di  Letteratura,  t.  VII,  Modena  1839; 
pp.  125  sgg.).  Come  vera  e  propria  istituzione  di  beneficenza  cotali  Ospizi 
cominciarono  in  oriente,  ancorché  si  voglia  che  il  primo  a  fondarne  imo  — 
a  Costantinopoli  —  fosse  un  senatore  romano  :  Zotico,  che  aveva  seguito  Co- 
stantino nella  nuova  capitale.  Zotico  era   un  cristiano   fervente,  tanto  da 


PER  LA  DATA  DELLA   «  VITA  NUOVA   »   ECC.  161 

esser  poi  venerato  per  santo  ;  e  fu  opera  cristiana  che  gli  Eevoboxeta,  come  si 
chiamavano,  si  moltiplicassero  in  quelle  parti,  suscitando  poi  un'  emulazione 
non  generosa,  perchè  originata  da  passione  soltanto,  in  Giuliano  l'apostata, 
che  non  sapeva  perdonare  agli  «  empi  Galilei  »  la  carità  verso  i  bisognosi. 

Finora,  a  Costantinopoli,  a  Cesarea,  gli  Hevoboxeta  servivano  per  gli  Eévoi, 
per  i  peregrini  in  genere,  e,  testimonio  Giuliano,  aprivano  le  loro  porte  ospi- 
tali agli  stessi  Ebrei  ;  ma  propagatasi  V  istituzione  alla  Ten-a  Santa,  essa 
vi  servì  propriamente  per  coloro  che  andavano  a  visitare  i  luoghi  della 
Passione.  E  a  proposito  di  un  monasterium  e  diversorium  edificato  da  lui 
stesso  che  S.  Girolamo  pronunzia  le  parole  citate  poc'  anzi.  Sempre  in  Be- 
tlemme un'  altra  fondazione  consimile  era  sorta  per  opera  di  quella  Paola, 
di  cui  Gerolamo  ebbe  a  tessere  uno  splendido  elogio  funebre  nel  404  {Ep.  108; 
vedi  il  §  14).  E 11  in  questo  «  diversorium  peregrinorum  »  della  vedova  romana, 
furono  ospitati  di  sicuro  Dio  sa  quanti  'Puj|Lia!oi;  e  dovett'  essere  per  opera 
loro  specialmente  che  S.  Girolamo  potè  dire  della  santa  donna  {Ep.  108,  3), 
«  Quam  Romae  habitantem  nuUus  extra  Romam  noverai,  latentem  in  Be- 
«  theleem  et  barbara  et  Romana  terra  miratur  ». 

Forse  precisamente  dalla  Terra  Santa  e  da  Betlemme  gli  5€vo6oxeta  furono 
importati  in  Italia;  almeno,  eccita  a  supporre  ciò  il  vedere  che  il  primo  di 
cui  si  sappia  fu  fondato  da  Pammachio,  genero  per  l'appunto  di  Paola,  e 
datosi  a  vita  monastica  dopo  la  morte  della  moglie:  «  Audio  te  »,  gli  scrive 
Gerolamo  (Ep.,  66, 11)  «  xenodochium  in  Portu  fecisse  Romano,  et  virgam 
«  de  arbore  Abraham  in  Ausonio  piantasse  litore  ».  Che  fosse  edificato  spe- 
cialmente per  chi  ritornava  dal  pellegrinaggio  di  Gerusalemme,  non  è 
detto  ;  ma  l' averlo  fondato  ad  Ostia,  e  non  a  Roma ,  mostra  chiaro  che 
s' aveva  la  mira  a  gente  che  arrivava  di  lontano. 

Vado  pensando,  se  mai  non  accadesse  appunto  11  dentro  che  i  pellegrini 
cominciassero  a  dirsi  Romaei  altresì  fra  di  noi.  Anche  il  nome  greco  di 
Pammachio  ferma  un  poco  l' attenzione.  Non  e'  è  tuttavia  bisogno  di  andare 
tant' oltre  per  riconoscere  che  gli  Eevoboxeta  ci  fanno  apparire  anche  sotto 
un  altro  rispetto  legato  all'oriente  il  romeare  degli  occidentali,  e  vogliono 
esser  presi  in  considerazione  nella  questione  nostra.  Al  fatto  di  un'  istitu- 
zione greca  propagatasi  nel  mondo  latino  non  si  può  a  meno  di  ravvicinare 
quello  di  un  vocabolo  greco  che  viene  a  galla  in  latino  in  un  senso  così 
intimamente  connesso  con  quell'istituzione.  E  vuoisi  avvertire  che  dell'ori- 
gine greca  gli  Spedali  conservarono  a  lungo  il  ricordo  nel  loro  nome  me- 
desimo :  nelle  carte  lucchesi  del  secolo  Vili,  per  non  citar  altro,  essi  con- 
tinuano ad  esser  detti  Senodochia  o  Senodocia,  e  non  mai  altrimenti. 

Si  ammetta  del  resto  una  dipendenza  del  fenomeno  linguistico  dall'altro, 

Oxomak  storico,  VI,  fase.  16-17.  11 


162  PIO   RAJNA 

si  creda  ad  un  mero  parallelismo,  un  conforto  ne  viene  sempre  alla  spie- 
gazione che  ho  dato  di  romaeus.  Ed  è  a  questa  spiegazione  soltanto  che 
io  tengo.  Romei  non  furono  dunque  in  origine  dei  non  romani  che  anda- 
vano a  Roma,  bensì  dei  romani  in  senso  largo  che  si  vedevano  arrivare  in 
tutt' altro  luogo.  I  pellegrinaggi  alla  tomba  di  S.  Pietro  venutisi  a  mettere 
accanto  a  quelli  di  Palestina,  e  spesso  di  certo  compiuti  unitamente  fin  dal 
quinto  secolo,  contribuirono  di  sicuro  alla  conservazione  ed  alla  propaga- 
zione del  vocabolo,  come  quelli  che  gli  vennero  a  dare  una  specie  di  nuovo 
contenuto.  Per  effetto  di  una  falsa  etimologia  ciò  che  indicava  la  prove- 
nienza parve  significare  lo  scopo  del  viaggio;  e  delle  false  etimologie  non 
è  poca  davvero  l'efficacia. 

Curiose,  chi  adesso  le  abbracci  nel  loro  insieme,  le  vicende  del  nostro 
vocabolo,  e  buone  a  confermare  anche  una  volta  quanta  parte  di  storia 
umana  sia  chiusa  nei  vocaboli.  Romeo,  che  nella  età  successiva  viene  a 
narrare  della  maggiore  antichità  dei  pellegrinaggi  romani  rispetto  agli  altri 
tutti  dell'  Europa ,  ora  che  slam  voluti  risalire  al  nascimento  e  all'infanzia, 
conta  come  questi  medesimi  pellegrinaggi  fossero  preceduti  da  un  grande 
accorrere  dell'occidente,  non  dell* oriente  soltanto,  verso  la  Terra  Santa. 
Peccato  che  se  i  vocaboli  sanno  tante  cose,  sia  molto  difficile  indurli,  se 
non  ad  aprir  bocca,  a  parlare  un  linguaggio  abbastanza  intelligibile! 


P.  Rajna. 


3sroa?iz:iE 

sulla  vita  e  gli  scritti 

DI  ALCUNI  DOTTI  UMANISTI  DEL  SECOLO  XV 

raccolte  da  codici  italiani  (1). 


V. 

ISOTTA  NOGAROLA. 

Isotta  Nogarola  è  spessissimo  nominata,  ma  nessuno  ancora  la 
ha  studiata  come  merita;  e  ci  sono  a  trarre  molte  notizie  inedite 
dalle  nostre  biblioteche.  Alcune  ne  darò  qui -ora;  di  altre  indi- 
cherò la  fonte. 

È  del  1436  che  nell'epistolario  inedito  di  Guarino  incomincia 
la  corrispondenza  epistolare  tra  lui  e  le  sorelle  Nogarola.  Nel- 
l'ottobre di  quell'anno  Guarino  dimorava  nella  sua  villa  di  Val 
Policella  presso  Verona,  dove  si  era  ricoverato  da  Ferrara,  in- 
festata dalla  pestilenza.  Da  Verona  Giacomo  Foscari,  figlio  del 
doge,  gli  mandò  a  Val  Pohcella  alcuni  scritti  delle  sorelle  No- 
garola, i  quali  Guarino,  col  suo  solito  entusiasmo  esagerato  e 
passaggero,  levò  alle  stelle,  proponendo  le  due  fanciulle  come 
esempio  ai  giovanotti  infingardi:  vos  animum  geritis  muliebrem, 
Ulaqtce  virgo  viri.  E  mandò  quegli  scritti  a  Leonello  a  Ferrara, 


(1)  Contin.  Vedi  rol.  V,  p.  148. 


164  R.  SABBADINI 

il  quale  anche  11  ammirò  (1).  Al  principio  del  1437  Guarino  era 
di  ritorno  a  Ferrara.  La  Isotta  incoraggiata  dalle  lodi  di  Guarino 
gli  scrisse  nel  1437  una  bellissima  ed  elegante  lettera,  nella  quale 
fa  di  lui  un  entusiastico  elogio,  deplorando  che  Verona  si  sia  la- 
sciato sfuggire  quell'insigne  maestro  (2).  Ma  Guarino  (chi  lo  sa 
perchè?)  non  rispose  a  quella  lettera,  e  fu  una  sventura  per  l'I- 
sotta, poiché  a  Verona  cominciò  a  essere  tacciata  di  spudorata 
e  a  divenire  il  bersaglio  delle  lingue  malediche.  Allora  la  povera 
Isotta  riscrisse  una  lettera  sconfortante  a  Guarino,  lamentandosi 
della  sorte  della  donna  e  chiamandosi  delusa  nella  sua  aspetta- 
zione. Questa  volta  Guarino  rispose  (3);  la  risposta  è  dell'a- 
prile 1437.  Egli  la  conforta  ad  essere  superiore  al  proprio  sesso 
nei  sentimenti  forti,  come  già  gli  era  superiore  nella  cultura. 

Alla  poco  cavalleresca  trascuranza  del  padre  riparò  poi  Giro- 
lamo, primogenito  di  Guarino,  che  nel  1437  (poteva  allora  con- 
tare 18  anni)  scrisse  una  lunga  e  gentilissima  lettera  alla  Isotta  (4), 
in  cui  dopo  di  averla  paragonata  alle  donne  più  famose,  fa  un 
panegirico  della  virtù,  citando  molti  esempi  antichi.  La  Isotta  gli 
rispose  cortesemente  (5),  ritornando  sulle  lodi  della  virtù  e  con- 
gratulandosi con  lui  di  tanta  istruzione  in  così  giovinetta  età. 

Qui  mi  viene  suggerita  una  considerazione.  Comunemente  si 
fa  morire  Isotta  nel  1466  di  38  anni;  io  direi  di  48;  perchè  se 
nel  1466  avea  38  anni,  nel  1436  ne  avrebbe  avuti  otto,  e  a  otto 
anni  non  si  scrive  latino  da  farne  andare  in  visibilio  Guarino  ;  e 
poi  la  lettera  dell'Isotta  a  Guarino  dei  primi  mesi  del  1437,  quando 
essa  sarebbe  entrata  appena  nel  nono  anno,  è  di  tale  eleganza  e 


(1)  Queste  notizie  sono  tratte  da  quattro  lettere,  che  vedranno  presto  la 
luce,  di  cui  la  prima  e  la  seconda  di  Guarino  a  Leonello  d'Este  (Gom.  :  Su- 
perioribus  diebus;  e:  Quam  inter  bacchanalia) ;  la  terza  a  Giacomo  Fo- 
scari  (Gom.  :  Bies  hic  mihi  festivus)  ;  la  quarta  di  Lionello  a  Guarino  (Gom.  : 
JEtsi  saepenumero,  vir  clarissimé). 

(2)  Bibl.  Riccard.  di  Firenze,  cod.  779,  fol.  306;  cod.  924,  fol.  232. 

(3)  lUd.,  cod.  924,  fol.  225;  Gapitolare  di  Verona,  cod.  GGLVI. 

(4)  Gapitolare,  ibid.,  fol.  12. 

(5)  Gapitolare,  ibid.,  fol.  15. 


NOTIZIE  DI  ALCUNI  UMANISTI  165 

mostra  tanta  erudizione  e  gravità,  che  io  non  esiterei  a  dare 
alla  Isotta,  quando  la  scrisse,  un  18  anni  ;  sicché  la  farei  nata 
nel  1418. 

Nella  biblioteca  Comunale  di  Ferrara  (1)  esiste  una  lunghis- 
sima lettera,  che  possiamo  dire  un  trattato,  indirizzata  a  Giacomo 
Antonio  Marcello,  patrizio  veneziano;  in  essa  l'Isotta  lo  consola 
della  morte  del  figlio  Valerio.  Porta  la  data  di  Verona,  9  a- 
gosto  1461  (2). 

Dell'Isotta  vi  sono  parecchie  lettere  al  giovane  Damiano  Burgo 
in  un  codice  della  Riccardiana  di  Firenze  (3). 


VI. 


ANTONIO  DA  RHO  (RAUDENSE). 

Antonio  da  Rho,  frate  dell'  ordine  di  S.  Francesco,  visse  a  Mi- 
lano nel  secolo  XV.  Scrisse,  fra  le  altre  opere,  una  intitolata: 
de  imitatione,  sulla  quale  credo  opportuno  dare  qualche  notizia. 
Trascrivo  anzitutto  quel  poco  che  ne  dice  il  Voigt  (4).  «  Antonio 
«  da  Rho  nel  de  imitatione  mirava,  a  quanto  pare,  al  medesimo 
«  scopo  che  il  Valla  yìqW Eleganze.  Né  si  può  nemmeno  decidere 
«  quale  di  queste  due  opere  sia  comparsa  prima.  Quantunque 
«  noi  potremmo  dare  la  priorità  al  Milanese,  perché  il  Valla  ri- 


(1)  God.  135.  NA.  5. 

(2)  Yeronae  Y  Idus  Sextiles  1461.  —  Ecco  un  passo  dell'  introduzione 
che  mostra  le  sue  relazioni  col  Marcello:  Cura  maluerim  omnibtts  audaoo 
^t  impudens,  quam  a  te,  benignissimo  patre,  et  ab  his  qui  me  tuam  hu- 
inanissimam  filiani  ab  ineunte  aetate  mea  prò  tua  in  me  et  in  Nogarolam 
familiam  singulari  cavitate  et  mea  in  te  reverentia  semper  cognoverunt, 
iudicari.... 

(3)  God.  924. 

(4)  Wiederbelebung^,  l,pp.  513^14. 


166  R-  SABBADINI 

«  guardo  a  una  regola  speciale,  ch'egli  pretende  d'aver  trovata 
«  primo,  non  rimanda  alle  sue  Eleganze,  ma  accusa  il  rivale  di 
«  averla  udita  da  uno  dei  suoi  scolari.  » 

Per  capire  questo  giudizio,  che  del  resto  non  è  troppo  esatto,, 
bisogna  sapere  che  il  Valla  ha  composto  un  libercolo,  intitolato: 
Adnotationes  in  Antonium  Raudensem,  che  è  una  critica  al  de 
fmitatione  del  Rho.  Ecco  come  è  nato  questo  libercolo.  Il  Valla 
stava  a  Barletta  col  re  di  Napoli,  quando  da  Milano  arrivò  al  re 
il  codice  del  de  imitatione  del  Raudense.  Giovanni  Olzina,  quasi 
alter  hoc  saeculo  Mecaenas,  che  avea  un  figliolo  che  studiava 
il  latino,  pregò  il  Valla  di  fargli  delle  note  al  libro  del  da  Rho, 
perchè  il  figlio  lo  potesse  adoperare  con  più  profitto.  Il  Valla 
acconsenti;  ma  quando  giunse  al  passo,  dove  il  Raudense  spie- 
gando la  parola  omnis  confutava  la  sua  opinione  sull'uso  di 
quisque,  allora  sdegnatosene,  mutò  proposito  e  alle  note  diede 
forma  di  invettiva  e  le  publicò  (1). 

Quanto  alla  questione  della  priorità,  è  risoluta  dallo  stesso  Valla. 
Il  Raudense,  alla  parola  omnis,  ha  questo  passo  :  «  Alcuni  ere- 
«  demo  che  quisque  e  quiqice  non  si  possano  adoperare  che  dopo 
«  il  superlativo  plurale,  come  optimos  quosque  viros  e  sanctis- 
«  simi  quique  viri.  Ma  costoro  possono  sedere  sul  banco  degli 
«  asini;  leggano  Macrobio,  che  dice  nel  singolare  e  senza  il  su- 
«  periati vo,  die  quoque  e  homine  quoque  ».  —  Qui  Antonio  da 
Rho  ha  preso  veramente  una  solenne  cantonata,  perchè  il  Valla^ 
a  cui  qui  si  allude,  non  ha  mai  sognato  una  regola  simile,  mentre 
la  regola  che  dà  egli  sull'uso  del  quisque  è  una  delle  più  ele- 
ganti delle  sue  Eleganze.  Ha  ragione  perciò  il  Valla  di  redarguire 
acremente  il  suo  contradditore.  Sentiamo  la  nota  del  Valla: 
«  Chi  sono  costoro,  che  così  credono,  o  Raudense?  Solo  io  ciò 
«  ho  insegnato  e  tu  lo  hai  inteso  dai  miei  scolari  e  io  lo  ho  letta 
«  alla  tua  presenza  in  codesto  tuo  trattato,  come  ho  detto  già 


(1)  Queste  notizie  si  traggono  dalla  dedica  premessa  dal  Valla,  alle  Ad- 
notationes. 


NOTIZIE  DI  ALCUNI    UMANISTI  167 

«  nel  proemio  al  II  libro  delle  Eleganze.  Ma  o  codesta  imperti- 
«  nenza  non  l'avevi  ancora  scritta,  quando  io  leggevo  questo  tuo 
«  passo,  0  me  ne  dimenticai  poi  nello  scrivere  la  mia  opera;  poiché 
«  io  ho  composto  il  mio  trattato  parecchi  anni  dopo  il  tuo,  quan- 
«  tunque,  se  non  erro ,  lo  publicai  prima  di  te  ossia  me  lo  pu- 
«  bucarono  gli  altri.  »  (1)  —  Il  resto  non  ha  importanza  per  la 
nostra  questione. 

Vediamo  di  spiegare  quelle  parole,  dove  il  Valla  dice  che  I'jE'- 
leganze  gliele  publicarono  gli  altri.  Infatti  egli ,  compitele ,  lo 
avea  mandate  a  Giovanni  Olzina,  segretario  di  re  Alfonso,  e  al- 
l'Aurispa  ;  l' Aurispa  senz'  altro,  assente  l'Olzina,  le  publicò  (2). 
—  Dall'altra  parte  il  Valla  dice  (3)  che  un  plagiario  (che  è  il 
Raudense)  approfittando  o  delle  proprie  lezioni  o  delle  relazioni 
dei  suoi  scolari,  si  fece  bello  delle  penne  del  pavone,  inserendo 
in  un  libro,  quod  festinabat  edere,  le  regole  sull'uso  di  prae, 
quarti  e  quisque,  che  furono  per  la  prima  volta  enunciate  da 
lui.  Il  plagiario  avea  dato  a  leggere  al  Valla  il  trattato,  dove 
quelle  regole  erano  esposte  ;  il  Valla  leggendole  alla  sua  presenza 
gli  fece  notare  il  furto,  ma  quegli  arrossendo  se  ne  schermì  con 
un'arguzia,  che  delle  cose  degli  amici  ci  si  può  servire  come 
delle  proprie. 

Da  questo  risulta  che  il  Raudense  lavorava  sul  suo  trattato 
de  imitatione  alquanti  anni  prima  che  il  Valla  mettesse  mano 
alle  sue  Eleganze;  che  fin  dal  tempo  che  il  Valla  dimorava  a 
Milano  il  Raudense  gh  lesse  qualche  passo  del  suo  trattato,  in 
cui  spiegava  le  regole  di  quisque  e  di  quam,  rubate  a  lui.  Il 
trattato  del  Raudense  parla  del  quam  verso  la  fine;  dunque  do- 
veva esser  forse  terminato  del  tempo  che  il  Valla  stava  a  Milano, 
cioè  al  più  tardi  del   1439,   anno  in  cui  il  Valla,  se  non  erro, 


(1)  Siquidem  aliquot  annis  post  te  opus  candidi,  tatnetsi,  ut  opinar,  ante 
edidi,  licei  alii  potius  edidere  quam  ego.  —  Adnotationes  in  A.  Rauden- 
Sem,  Venetiis,  1519,  p.  153. 

(2)  Questo  è  detto  nella  dedica  alle  Adnotationes. 

(3)  Nel  proemio  al  II  libro  delle  Eleganze. 


168  R.   SABBADINI 

passò  al  servizio  di  re  Alfonso.  In  quel  tempo  le  Eleganze  non 
erano  ancora  o  appena  cominciate  (1). 

Sul  trattato  del  Rlio  si  trovano  alcune  notizie  nella  biblioteca 
Ambrosiana.  Ivi  si  legge  una  lettera  inedita  di  Cosimo  Raimondi 
al  Rho  (2),  nella  quale  lo  eccita  a  scrivere  un  trattato  de  imi- 
tatione,  che  manca  né  fu  fatto  dagli  antichi  ;  in  esso  dovrebbero 
essere  raccolti  i  passi  migliori  degli  scrittori  più  rinomati  perchè 
servissero  di  modello  alla  gioventù.  Il  Rho  rispose  al  Raimondi 
con  una  lettera  (3),  pure  inedita,  che  è  a  un  tempo  la  prefa- 
zione al  de  imitatione.  In  essa  dice  che  saper  le  regole  non 
basta  ;  ci  vogliono  anche  gli  esempi,  ma  scelti  in  modo,  da  avere 
il  meglio  degli  scrittori:  quindi  doversi  evitare  le  parole  rare; 
maestro  sopratutto  in  questo  essere  Cicerone.  Previene  poi  gli 
attacchi  dei  maligni  e  protesta  che  anche  a  un  frate  è  lecito 
occuparsi  di  studi  classici  :  munda  sunt  mundis. 

Il  trattato  del  da  Rho  non  si  conosce  che  dalle  Adnotatio- 
nes  del  Valla.  Il  Valla  lo  esamina  parola  per  parola,  dove  gli 
sembra  che  si  deva  emendare;  si  limita  agli  usi  delle  parole, 
alla  loro  latinità,  alla  loro  costruzione;  non  esamina  mai  la 
struttura  del  periodo;  e  veramente  a  questo  esame  il  Valla 
non  arrivò  mai,  nemmeno  nelle  sue  Eleganze.  La  critica  del 
Valla  è  molto  severa,  ma  sempre  giusta;  con  essa  ha  compiuto 
l'opera  delle  Eleganze;  anzi  le  Adnotaiiones  spesso  furono  stam- 
pate come  appendice  alle  Eleganze.  Con  l'uno  e  con  l'altro  scritto 
del  Valla  il  libro  del  Rho  fu  inesorabilmente  messo  a  tacere,  il 
che  però  non  significa  che  fosse  di  poco  valore  ;  anzi  la  sua  ira- 
portanza  appare  evidente  dalla  stessa  critica  del  Valla. 

Il  trattato  del  Rho  non  fu  mai  stampato  e  nemmeno  si  ha 
manoscritto  per  intiero.  Un  codice  dell'  Ambrosiana  (4)  ne  pos- 
siede un  frammento ,   che  contiene   parte  della  lettera  a ,  fino 


(1)  Proemio  al  V  libro  delle  Eleganze. 

(2)  God.  H.  49  inf.,  fol.  209  :  Com.  :  Cum  ea  quae  ad  dicendum  pertinent. 

(3)  Ibid.,  fol.  210;  Com.:  Puto  erit  operae  pretium,  doctissime  Cosma. 

(4)  Cod.  H.  49  inf. 


NOTIZIE  DI  ALCUNI   UMANISTI  169 

alla  parola  alphabetum.  Perchè  questo  trattato  era  un  dizionario 
alfabetico,  un  prontuario  di  eleganze,  di  sinonimi,  di  cognizioni 
letterarie,  rettoriche,  storiche  di  ogni  genere.  Quando  l'autore 
spiega  una  parola,  reca  tutti  i  suoi  sinonimi  anche  lontani,  ci- 
tando sempre  esempi;  gli  articoli  talvolta  sono  lunghissimi:  al- 
trettanti trattatelli.  Argomentando  dal  frammento,  tutta  l'opera, 
che  doveva  essere  di  gran  mole,  va  giudicata  molto  favorevol- 
mente. La  lingua  è  abbastanza  buona  ;  quello  che  si  deve  notare 
è  che  il  Rho  non  distingue  l'uso  e  le  parole  del  buon  tempo  da 
quelli  della  decadenza  e  cita  promiscuamente  poeti  e  prosatori. 
Cicerone  e  la  Bibbia.  In  ciò  il  Valla  gli  è  infinitamente  supe- 
riore. 


VII. 

GIOVANNI  AURISPA. 

Su  questo  umanista,  di  cui  si  sa  tanto  poco,  fornisce  qualche 
buona  notizia  l'epistolario  inedito  di  Guarino.  Verso  il  1426  egli 
era  già  in  intima  relazione  con  Guarino  e  col  Panormita  (1); 
probabilmente  allora  stava  a  Bologna  o  per  lo  meno  ci  si  doveva 
esser  trovato  col  Panormita.  Nel  maggio  del  1428  si  era  già  sta- 
bilito a  Ferrara  come  maestro  di  Meliaduce,  figlio  spurio  del 
marchese  Nicolò  (2).  E  solo  del  1428  può  esservi  andato,  perchè 
da  una  lettera  di  Guarino  dell' 11  decembre  1427  (3)  si  deduce 
che  non  c'era  ancora.  Infatti  in  quella  lettera  è  detto  che  Gia- 
como Zilioli,  consigliere  del  marchese  Nicolò,  era  stato  da  lui 
incaricato  di  trovare  un  maestro  per  Meliaduce  (4);  lo  Zilioli  ne 


(1)  Bibl.  Marciana  di  Venezia,  cod.  ci.  XIIII,  n*  221,  fol.  95;  lettera  del 
Panormita  a  Guarino;  Com.  :  Aurispa  Siculus,  familiaris  noster. 

(2)  Bibl.  Estense  di  Modena,  cod.  94,  n»  33. 

(3)  Ibid.,  n°  24. 

(4)  Di  Meliaduce  scrive   queste   parole  Enea  Silvio  Piccolomini  (De  vir. 


170  R-   SABBADINI 

avea  proposto  uno,  ma  Guarino  ne  lo  dissuase  un  po'  brusca 
mente  ;  certo  quegli  non  era  l'Aurispa  :  l'Aurispa  verosimilmente 
fu  proposto  da  Guarino. 

Del  1429  troviamo  l'Aurispa  ancora  a  Ferrara  (1);  fu  in  que- 
st'anno che  il  Panormita  gli  scrisse  la  falsa  notizia  della  morte 
di  Guarino.  E  a  Ferrara  lo  troviamo  pure  del  1433,  nel  quale 
anno  parti  per  il  concilio  di  Basilea  (2). 

Vili. 

GUINIFORTE  BARZIZZA. 

Le  lettere  di  Guiniforte  Barzizza  si  leggono  stampate  con 
quelle  del  padre  Gasparino  nell'edizione  del  Furietto  (3),  ma  non 


clar.,  XI):  Eum  (Aurispam)  Meliaduci  filio  protono lar io  magistrum  tradidit. 
È  chiaro  che  invece  di  protonotarìo  si  deve  leggere  notho.  —  Questo  Me- 
liadux  0  Miliadux  oppure  Omiliadus  è  pressoché  ignoto.  Parecchie  notizie 
di  esso  si  ricavano  dalla  cronaca  ferrarese  (Muratori,  Rer.  It.  Scrip.,  XXIIII). 
Nel  14  luglio  1425 ,  di  sabato ,  esso  fuggi  da  Ferrara  e  si  ricoverò  alla 
corte  di  Milano:  non  è  detto  perchè  (Muratori,  ibid.,  p.  185).  Nel  maggio 
1440,  quando  la  figlia  del  marchese  di  Monferrato  andava  moglie  del  re  di 
Cipro,  Meliaduce  la  accompagnò  fino  a  Cipro  e  di  là  passò  a  Gerusalemme 
(p.  190).  Nel  marzo  1444  andò  incontro  a  Maria,  figlia  del  re  Alfonso,  che 
veniva  sposa  di  Leonello  in  Ferrara  (p.  193),  e  nel  19  ottobre  dello  stesso 
anno  accompagnò  fino  al  ponte  di  Castel  Tealdo  il  fratello  Borso  che  an- 
dava a  Napoli  (p.  193).  (Della  parte  presa  da  Meliaduce  nelle  nozze  di  Leo- 
nello con  Maria  d'Aragona  parla  anche  Giovanni  Toscanella  in  una  lettera 
all'Aurispa,  da  Ferrara  i°  giugno  [1444];  Ambrosiana  di  Milano,  cod.  F.  S. 
V,  18).  Meliaduce  morì  nel  25  gennaio  1453  (p.  201).  Lasciò  un  figlio,  Ni- 
colò, abate,  che  nel  1459  andò  al  servizio  di  Giacomo  Piccinino  (p.  205).  — 
Il  nome  di  Omiliadus  si  legge  in  una  lettera  di  Poggio  a  Leonello  (Poggii, 
De  varietale  fortunae,  Parigi,  1723,  p.  214);  la  lettera  ha  la  data  di  Fi- 
renze, mi  Nonas  Maii;  l'anno  è  probabilmente  il  1435;  in  quel  tempo  Me- 
liaduce stava  a  Firenze  col  cavaliere  Feltrino  Boiardo. 

(1)  Bibl.  Estense  di  Modena,  cod.  57,  n^  26. 

(2)  Bibl.  Marciana,  cod.  ci.  XIIII,  n»  221 ,  fol.  101....  vir  clarus  Aurispa 
hoc  triduo  concilium  petit. 

(3)  Roma.  1723. 


NOTIZIE  DI  ALCUNI   UMANISTI  171 

sono  tutte.  Un  buon  numero,  trent'una,  delle  quali  venticinque 
inedite,  sono  raccolte  in  un  codice  della  biblioteca  comunale  di 
Ferrara  (i).  Esse  formano  due  gruppi  che  si  seguono  immedia- 
tamente. 

Il  primo  gruppo  comprende  sei  lettere;  il  cod.  non  dà  alcuna 
indicazione;  l'indice  premesso  al  cod.  le  attribuisce  erroneamente 
a  Gasparinus  Bergomensis;  sono  invece  del  figlio.  —  Il  secondo 
gruppo  comprende  venticinque  lettere.  Sono  senza  indirizzo;  l'in- 
dice le  attribuisce  a  Francesco  Filelfo  e  nel  cod.  portano  que- 
st'intestazione, di  mano  posteriore  :  Infrascriptae  sunt  Epistolae 
Francisci  Philelpìii.  Ma  che  non  sono  del  Filelfo,  bensì  di  Gui- 
niforte  apparisce  dal  contenuto;  in  alcune  Guiniforte  nomina  sé 
stesso;  in  altre  nomina  il  padre;  qualcuna  porta  nel  margine,  in 
carattere  quasi  impercettibile,  le  sigle  G.  B.  oppure  Gut  Bar. 
(=  Guinifortus  Barzizius). 

Primo  gruppo  —  N.  1  (inedita).  Guiniforte  al  re  Alfonso  — 
Senza  data  (2).  Protesta  di  dedicargli  da  ora  in  poi  i  propri 
studi. 

N.  2  (edita).  Guin.  all'arcivescovo  cancelliere  del  regno.  — 
Data:  3  aprile  1432. 

N.  3  (inedita).  Guin.  al  re  (Alfonso)  d'Aragona.  —  Senza 
data  (3).  —  Si  mette  tutto  nelle  sue  mani. 

N.  4  (inedita).  —  Guin.  allo  stesso.  —  Senza  data  (4).  — 
Ringrazia  il  re  di  averlo  ammesso  alla  sua  presenza. 

N.  5  (edita).  Guin.  a  .  .  .  —  Data:  Barcamona,  21  maggio  1432. 

N.  6  (edita)  Guin.  all'arcivescovo  cancelliere.  —  Data  :  Sira- 
cusa, 23  ottobre  1432. 

Secondo  gruppo  —  Mantengo  nella  numerazione  l'ordine  del 
cod.  ma  dispongo  le  lettere  cronologicamente. 


(1)  Cod.  HO.  NA.  4. 

(2)  Gom.:  Constitueram  primum. 

(3)  Gom.:  Ea  omnia  maiestati. 

(4)  Gom.:  Optandissimus  hic  mihi  dies  illuxit. 


172  R.  SABBADINI 

N.  1  (inedita)  Guin.  a —  Data  :  Ex  Mediolano  III  Non. 

Quint.  1432  (1).  —  Si  duole  che  sia  stato  colto  da  malattia  in 
Genova,  la  quale  fu  forse  cagionata  dal  viaggio  per  mare.  Spera 
di  rivederlo  presto  e  risanato. 

N.  9  (inedita).  Guin.  a  Giacomo  Peregri  (2).  —  Ex  Medio- 
lano III  Nonas  QuintU.  1434.  —  Gli  dimostra  falsa  l'accusa  di 
Ogliastro  contro  Giorgio  (Calala),  a  cui  tentava  sostituirsi  nella 
grazia  regia  ;  l'accusava  di  non  aver  consegnato  al  re  un  De  of- 
ficiis  ch'egli  gli  avea  dato.  Guiniforte  assicura  che  Giorgio  non 
ebbe  mai  quel  libro.  (Questo  Giorgio  era  stato  preso  come  scri- 
vano da  Guiniforte  il  giorno  prima  della  partenza  da  Palermo). 
Gli  chiede  scusa  della  tardanza  nello  scrivergli,  causa  la  ma- 
lattia. 

N.  3  (edita).  Guin.  a —  Ex  Mediolano  III  Non.  QuinW. 

1434.  —  Medesimo  argomento  della  precedente. 

N.  2  (edita).  Guin.  a —  Ex  Mediolano  IIII  Id.  QuintU. 

1434  (3). 

N.  4  (inedita).  Guin.  (al  re  d'Aragona).  —  Ex  Mediolano 
XVII  Sept.  1434  (4).  —  Guiniforte  era  a  Milano  come  legato 
del  re  d'Aragona.  Lo  incolse  una  malattia,  che  lo  ridusse  in  fin 
di  vita  e  i  medici  gli  proibirono  di  muoversi  da  Milano  per  pa- 
recchi anni,  per  riguardi  di  salute.  Prega  pertanto  il  re  di  la- 
sciarlo a  Milano,  dove  spera  gli  vengano  offerti  buoni  patti  dal 
duca.  Da  Garsina  e  da  Giorgio  Gatala,  che  ritornano,  sentirà 
quali  sieno  veramente  le  condizioni  della  sua  salute  (5). 

N.  8  (inedita).  Guin.  (al  luogotenente  ducale  [Luigi  Grotto]). 


(1)  Gom.:  Qui  tuum  in  Italiani  reditum  nuper  adnuntiarunt ,  Pater 
Reverendissime. 

(2)  In  margine  è  scritto:  G.  B.  (Guinifortus  Barzizius)  s.  p.  d.  lacoho 
Peregri  regio  Senatori  ac  Ticecanzellario.  Gom.  :  Non  dubito ,  vir  diaris- 
sime, Oleastrum,  quemdam,. 

(3)  Nell'edizione  del  Furietto  questa  lettera  manca  di  data. 

(4)  Gom.:  Ex  Garsina  Medina  milite  fortissimo. 

(5)  Garsina  era  a  Milano  per  trattare  alcuni  affari  del  fratello  (Enrico) 
del  re,  maestro  della  milizia  di  S.  Giacomo. 


NOTIZIE  DI  ALCUNI   UMANISTI  173 

Ex  Mediolano  Idib.  Sept.  1435  (1).  —  Prega  il  Grotto  di  usar 
mitezza  verso  il  segretario  di  re  Alfonso,  Giovanni  Olzina,  pri- 
gioniero, al  quale  Guiniforte  andava  debitore  di  molti  bene- 
flcii  (2). 

N.  5  (inedita).  Guin.  (a  Pietro  d'Aragona,  fratello  di  re  Al- 
fonso). —  Ex  Mediolano  X  Kal.  Octobr.  1435  (3).  —  Pietro  d'A- 
ragona avea  chiesto  a  Guiniforte  come  fossero  trattati  dal  duca 
i  suoi  due  fratelli  (prigionieri)  Alfonso  ed  Enrico.  Risponde  che 
il  duca  usa  loro  tutte  le  cortesie  e  che  il  15  corrente  settembre 
avendo  entrambi  pranzato  a  Gussago,  a  sette  miglia  da  Milano, 
la  sera  nel  ritorno  in  città  furono  festeggiati  dalla  popolazione. 
Pochi  giorni  dopo  entrarono  nel  Castello,  non  sotto  custodia,  ma 
per  maggior  comodità  :  ivi  possono  cacciare. 

N.  6  (inedita).  Guin.  (al  duca  di  Milano).  —  Ex  Mediolano 
XI  Kal.  Dee.  1435  (4).  —  Guiniforte  era  andato  testé  al  Castello 
di  porta  Giove,  chiamatovi  dai  fratelli  Alfonso  ed  Enrico  d'Ara- 
gona, che  desideravano  servirsi  di  lui  come  segretario  nell'as- 
senza di  Giovanni  Olzina.  Prega  il  duca  di  scusarlo,  se  non  gliene 
ha  chiesto  prima  il  permesso. 

N.  7  (inedita).  Guin.  a —  Ex  Mediolano  III  Id.  Sept. 

1436  (5).  —  Spera  che  sia  giunto  in  Catalogna,  ma  non  se  ne  ha 
ancora  notizia.  Gli  offre,  anche  lontano,  i  propri  servigi. 

N.  10  (inedita).  Guin.  (a  Pietro  d'Aragona).  —  Ex  Medio- 
lano III  Idus  (6)  Dee.  1436.  —  Il  Sarmento  avea  chiesto  a  Gui- 
niforte qualche  opuscolo  in  nome  del  re.  Gli  manda  la  lettera 
scritta  in  Sicilia  sull'impresa  del  fratello  Alfonso  alle  isole  Gerbe. 


(1)  Com.:  Quod  hoc  ipso  tempore  facturus. 

(2)  Con  questa  lettera  si  fissa  la  data  di  altre  tre,  che  ne  sono  senza  nel- 
r  edizione  del  Furietto  (pp.  170-171;  171-172;  172);  tutte  tre  versano  sul 
medesimo  argomento  della  presente,  ma  le  sono  anteriori;  sempre  però  ap- 
partengono allo  stesso  anno. 

(3)  Com.:  De  fratris  tui  Serenissimi  Regis  in  hanc  urbem  adventu. 

(4)  Com.:  Quoniam  inter  humana,  illustrissime  Princeps. 

(5)  Com.  :  Magna  hic  omnes  expectatione  tenemur,  illustrissime  Princeps. 

(6)  Ms.  Idibus;  Com.:  Saepe  cum  equi  te  insigni  familiari  tuo  Sarmento 
Joanne. 


174  R-  SABBADINI 

N.  11  (inedita).  Guin.  a....:  —  Ex  Mediolano  XI  Kal.  Sept. 
1437  (1).  —  Guiniforte  né  per  tempo  né  per  lontananza  si  di- 
menticherà di  lui;  gli  offre  sempre  i  propri  servigi. 

N.  18  (inedita).  Guin.  a —  Ex  Mediolano  XI  Kalendas 

Sept.  1438  (2).  —  Si  compiace  dei  suoi  onori.  Lo  prega  di  salu- 
targli il  re. 

N.  19  (inedita).  Guin.  al  Folonato.  —  IIII  Id.  Sept  1438  (3). 
—  Coglie  l'occasione  del  ritorno  di  Antonio  Barbastro  per  scri- 
vergli. Lo  prega  di  salutargli  il  re. 

N.  24  (inedita).  Guin.  (a  Lucido  Gonzaga).  —  Ex  Mediolano 
VI  Kal.  AprU.  1439  (4).  —  Guiniforte  avea  inteso  grandi  elogi 
di  Lucido  (5)  dall'amico  Zaccaria  (Rido),  col  quale  parlava  spesso 
di  lui.  Già  avea  inteso  parlar  tanto  bene  di  suo  padre  marchese  da 
Giacobello  Malabarba  (6). 

N.  12  (inedita).  Guin.  (al  re  Alfonso).  —  Ex  Mediolano  IIII 
Id.  Sept.  1439  (7).  —  Nell'occasione  che  parte  da  Milano  il  regio 
legato  Angelo  di  Montfort  conte  di  Campobasso,  scrive  al  re  per 
domandargli  quello  che  fino  allora  la  modestia  gli  impedì,  che 
volesse  cioè  farlo  suo  luogotenente  a  Milano  (8). 


(1)  Conti.:  Etsi  nulla  se  offerat. 

(2)  Com.  :  Quae  ab  omnibus  istinc. 

(3)  In  margine  è  scritto:  Gui.  Bar.  s.  p.  d.  Pholonato  regio  secretario; 
Com.:  Super  sederem  ab  hoc  scribendi  officio. 

(4)  Com.:  Quod  nihil  hactenus  ad  te  scripserim. 

(5)  Gian-Lucido,  figlio  del  marchese  Gonzaga  di  Mantova,  studiò  legge  a 
Pavia  (dove  lo  suppone  la  presente  lettera)  dall'ottobre  1438  al  1442;  cfr. 
Andres,  Codici  Capilupi  di  Mantova,  p.  163. 

(6)  Giacobello  Malabarba  era  fratello  della  moglie  di  Guiniforte.  —  A 
questo  stesso  anno  potrebbe  appartenere  la  lettera  di  Guiniforte  dell'edizione 
del  Furietto  (pp.  162-163)  senza  data ,  che  tratta  del  medesimo  argomento. 
In  questa  lettera  Guiniforte  parla  dell'incarico  datogli  dal  duca  di  interpretar 
Dante  plebeio  stilo  (in  volgare).  E  di  questo  stesso  incarico  parla  in  un'altra 
lettera  (ed.  Furietto,  pp.  76-81). 

(7)  Com.:  Biu  tacui,  Serenissime  Rex. 

(8)  Con  ciò  si  potrebbe  forse  spiegare  il  titolo  di  ducalis  vicarius  gene- 
ralis,  che  Guiniforte  dà  a  sé  stesso  e  che  il  Voigt  {Op.  cit.,  I,  p.  512,  n.  1) 
giustamente  confessa  di  non  capire. 


NOTIZIE   DI   ALCUNI   UMANISTI  175 

N.  20  (edita).  Guin.  (al  marchese  di  Monferrato).  —  Ex  Me- 
amano  XV mi  Febr.  1440. 

N.  13  (inedita).  Guin.  (al  re  Alfonso).  —  Ex  Mediolano  X 
Kal.  lunii  1440  (1).  —  Profittando  della  partenza  di  Inico  (Enico) 
Da  volo  da  Milano  gli  manda  finalmente  Seneca;  ma  Inico  tor- 
nerà a  Milano,  dove  il  duca  lo  vuole  impiegare.  Gli  manda  anche 
le  Sententiae  in  Epistulas  Senecae  di  suo  padre  Gasparino. 

N.  14  (inedita).  Guin.  (al  re  d'Aragona  ?).  —  Ex  Mediolano 
XV  lulii  1440  (2).  —  Venendo  il  canonico  Allegri  presso  il  re, 
coglie  occasione  di  offrirgli  i  propri  servigi.  Partirà  Inico  Davolo. 

N.  25  (inedita).  Guin.  a —  Ex  Mediolano  VII  Kal.  Sext. 

1440  (3).  —  Il  Davolo  gli  porterà  i  codici  che  chiede:  gode  di  sen- 
tire le  buone  nuove  di  lui;  spera  che  la  guerra  finirà  presto  e 
favorevolmente. 

N.  15  (inedita).  Guin.  (al  re  Alfonso).  —  Ex  Mediolano  pridie 
Idus  Sextil.  1440  (4).  —  Dice  di  aver  sigillata  il  giorno  VII  Kal. 
Quint.  (5)  la  lettera  con  cui  gli  mandava  Seneca.  Gli  tocca  anche 
dell'altra  lettera,  scrittagh  in  occasione  della  partenza  di  Angelo 
di  Montfort  (6).  Non  gU  dice  ancora  nulla  delle  sue  nuove  spe- 
ranze (7),  perchè  aspetta  che  si  effettuino.  Quanto  al  Davolo,  lo 
consiglia  di  rimandarlo  a  Milano. 

N.  16  (inedita).  Guin.  (a  Inico  Davolo).  —  Ex  Mediolano 
pridie  Id.  Sext.  1440  (8).  —  Fa  i  più  lieti  pronostici  sull'avvenire 
del  Davolo  e  lo  eccita  a  tornar  subito  a  Milano,  che  il  duca  lo 
aspetta. 

N.  21  (inedita).  Guin.  (al  marchese  di  Monferrato).  —  Ex  Me- 


(1)  Gom  :  Quem  videre  Senecam'tantopere  flagitasti,  Princeps  illustrissime. 

(2)  Gom.:  Joanne  Alegre  Tironensi  canonico. 

(3)  Gom.:  Litteras  ab  tua  Celsitudine. 

(4)  Gom.:  Litteras  ad  Celsitudinem  tuam. 

(5)  Gfr.  lettera  n»  25,  la  quale  però  ha   VII  Kal.  Sext. 

(6)  Gfr.  lettera  n»  12. 

(7)  Quae  de  me  feliciora  narrantur. 

(8)  Gom.:  Felicem  te,  Inice,  iudico. 


176  R.  SABBADINI 

(Molano  XVI  Kal.  Mari.  1441  (1).  —  È  obbligato  al  marchese  dei 
ringraziamenti  per  la  lettera  consolatoria  (2). 

N.  22  (inedita).  Guin.  (a  Lucido  Gonzaga).  —  Ex  Mediolano 
VI  Id.  Sept  1441  (3).  —  Gli  manda,  per  mezzo  di  Guglielmo, 
quella  fra  le  lettere  esercitatone,  che  si  poterono  salvare  :  pars 
rrmccima,  nescio  quorum  rmilignitate,  periti. 

N.  17  (inedita).  Guin  a —  Eoe  Mediolano  XIIII  Januar. 

1442  (4).  —  Gli  esprime  il  dispiacere  per  la  partenza  da  Milano  di 
Giovanni  Zabrugada,  suo  scolaro.  Gli  parla  della  felicità  del  proprio 
matrimonio,  veramente  fecondo:  non  passa  anno,  che  la  moglie  non 
lo  arricchisca  di  un  nuovo  figlio. 

N.  23  (inedita).  Guin.  (all'imperatore).  —  Senza  data  (5).  — 
Domanda  un'udienza  per  sé  e  per  Stefano  Caccia,  di  Novara,  dot- 
tore in  legge. 

Remigio  Sabbadini. 


(1)  Com.:  Quod  meum  erga  humanitatem  tuam. 

(2)  Nella  morte  della  figlia  del  marchese,  Guiniforte  gli  avea  scritto  una 
lettera  di  condoglian/a. 

(3)  Gora.  :  Oum  prò  singulari  in  illustr.  Principem. 

(4)  Com.:  Una  mihi  illa. 

(5)  Com.:  Recreavit  me,  humanissime  Cassar  ac  dive  Imperator. 


IV 


NUOVI  STUDI  SU  ALBERTINO  MUSSATO  (i) 


Quanto  più  in  Italia  e  fuori  d'Italia  gli  studi  intorno  al  risor- 
gimento dell'antichità  classica  vanno  acquistando  favore  e  cresce 
e  si  addensa  la  schiera  di  coloro,  che  a  cotesta  impresa  consa- 
crano le  loro  fatiche,  si  afforza  nell'animo  dei  più  la  persuasione 
che  a  ricercare  e  rinvenire  di  si  gran  fatto  le  origini  è  d'uopo  risa- 
lire assai  più  in  alto  di  quanto  siasi  quasi  sino  ad  oggi  stimato. 
Non  è  molto  lontano  il  tempo,  nel  quale  le  ricerche  intorno  al 
rinascimento  erano  intorbidate  da  quelle  prevenzioni  medesime, 
che  intralciarono  già  le  indagini  intomo  al  più  antico  periodo 
della  nostra  letteratura  ;  come  vi  fu  un  tempo,  in  cui  all'Alighieri 
si  dava  il  vanto  di  avere  insieme  alla  poesia  creata  la  lingua 
italiana,  cosi  si  è  durato  e  si  dura  ad  attribuire  al  Petrarca  ed 
al  Boccaccio  piena  ed  intera  la  lode  di  aver  essi  i  primi  ecci- 
tato quel  fervore  per  lo  studio  dei  classici,  che  doveva  si  pron- 
tamente propagarsi  e  recar  frutti  tanto  meravigliosi.  Man  mano 


(1)  A.  Zardo,  Albertino  Mussato,  studio  storico  e  letterario^  Padova, 
A.  Draghi,  1884  (16o,  pp.  388).  —  M.  Minoia,  Bella  vita  e  delle  opere  di 
Albertino  Mussato,  Saggio  critico,  Roma,  Forzani  e  Gomp.,  1884  (8*  pp.  294). 

Giornale  storico,  VI,  fase.  16-17.  12 


178  F.  NOVATI 

invece  che  delle  condizioni  della  cultura  letteraria  italiana  nei 
secoli  XIII  e  xrv  la  cognizione  diviene  più  larga  e  più  profonda, 
queste,  che  parevano  verità  inconcusse,  passano  nel  numero  delle 
opinioni  invecchiate  ed  erronee,  se  non  false  addirittura.  Non  è 
più  lecito  incominciare  oggi  dai  grandi  dotti  fiorentini  la  storia 
del  risorgimento  classico,  perchè  si  comprende  che  essi  hanno 
avuto,  oltre  che  dei  precursori,  degli  antecessori  ;  perchè  si  vede 
che  il  movimento  non  fu  iniziato  da  loro  per  l'ottima  ragione 
che  a  loro  preesisteva;  che  al  masso  non  le  loro  braccia  pode- 
rose diedero  il  primo  crollo,  perchè  già  cento  e  cento  mani  l'a- 
vevano spinto  su  quella  china,  che  doveva  poi  tutta  percorrere 
senza  arrestarsi  più  mai.  E  così  oggi  anche  dell'Umanesimo  si 
•può,  si  deve  e  si  è  già  incominciato  a  scrivere  la  preistoria. 

Un  portato  di  questa  necessità  di  rettificare  le  vecchie  opinioni, 
di  trasportare  più  indietro  quei  limiti,  vere  colonne  d'Ercole,  dai 
quali  la  vecchia  erudizione  faceva  principiare  il  risveglio  clas- 
sico nella  penisola,  sembrami  in  gran  parte  il  vivo  interesse,  di 
cui  da  qualche  tempo  vediamo  fatto  argomento  Albertino  Mus- 
sato. Alla  aureola  di  gloria  che  gli  cinge  il  capo,  la  critica 
odierna  (caso  non  comune!)  in  luogo  di  togliere,  si  compiace  ag- 
giungere de'raggi;  si  piace  restituirgli,  non  pure  non  isfrondata 
ma  rinverdita,  la  laurea  dai  contemporanei  concessa.  Nel  Mus- 
sato, non  che  lo  storico  insigne  ed  il  latinista  corretto  ed 
efficace,  oggi  si  ammira  il  precursore  della  erudizione  e  della 
dottrina  del  Quattrocento  :  e  come  tale ,  insieme  al  Ferreto,  a 
Benvenuto  de'  Gampesani,  a  Lovato,  scrivendo  la  storia  del  Ri- 
sorgimento, lo  ha  testé  studiato  il  Kòrting  (1);  e  a  lui  ha  consa- 
crate alcune  pagine  della  sua  Storia  della  letteratura  italiana 
il  Gaspary  (2);  è  infine  a  riporre  in  piena  luce  i  suoi  meriti  di 
letterato  e  di  dotto  che  intendono  i  due  libri,  dei  quali  avrò 
in  queste  pagine  occasione  di  far  molto  spesso  ricordo:  lo  Studio 


(1)  G.  Kòrting,  Die  Anfdnge  der  Renaissance-Utteraiur  in  Italien.,  I, 
pp.  310  sgg.  E  cfr.  Giom.,  Ili,  426-27. 

(2)  A.  Gaspary,  Gesch.  der  Ital.  Liter.,  I,  396  sgg. 


NDOVI  STUDI  SU  ALBERTINO  MUSSATO  179 

del  prof.  Zardo  ed  il  Saggio  Critico  del  sig.  Minoja;  libri  che, 
apparsi  in  luce  a  breve  intervallo  di  tempo,  meritano  di  fermare 
l'attenzione  degli  studiosi  per  l'amore  con  cui  i  loro  autori  mo- 
strano d'avere  atteso  alla  trattazione  dell'importante  argomento; 
per  L  tentativi  di  risolvere  questioni  non  poche  e  non  facili , 
relative  alla  vita  ed  alle  opere  di  Albertino;  e  perchè  inoltre 
ci  fanno  anche  una  volta  toccar  con  mano  come  nuove  scoperte 
ci  prepari  ancora  l'avvenire,  ignoti   tesori  ci   riserbino  ancora 
le  nostre  biblioteche  e,  pur  troppo,  come  molto  tempo  ancora 
debba  scorrere  prima  che  della  vita  letteraria  italiana  nel  due- 
cento e  nel  trecento  sia  lecito  dire  intieramente  rintracciati  ed 
adoperati  i  documenti  che  l'oblìo  ed  il  tempo  non  hanno  distrutti. 
Il  prof.  Zardo  ha  posto  nel  delineare  la  immagine  dell'  uomo, 
che  incarna  in  sé  uno  dei  momenti  più  notevoli  e  tempestosi 
della  storia  di  Padova,  oltreché  l'affetto  dello  studioso  anche  la 
riverenza  del  concittadino.  E  di  questa  riverenza  l' influsso  ap- 
pare manifesto  nel  suo  libro,  che  mira  sopratutto  a  mettere  in 
rilievo  la  parte  cospicua  avuta  da  Albertino  nel  maneggio  della 
publica  cosa,  gli  sforzi  generosi,  coi  quali,  quanto  gli  bastò  la 
vita,  colla  spada -e  colla  penna  sforzossi  di  impedire  che  la  sua 
città  precipitasse  in  quell'abisso  di  guai,  donde  si  risollevò  di  fio- 
rente, squallida,  di  potente,  fiacca,  di  libera,  schiava.  Sulla  scorta 
quindi  degli  storici  contemporanei  e  dei  documenti  sincroni ,  il 
Zardo  si  é  piaciuto  (son  sue  parole  (1))  ritessere  largamente  la 
storia  di  Padova  dalla  calata  di  Enrico  VII  fino  al  sorgere  della 
tirannide  carrarese;  ma,  trasportato  dalla  fiumana  impetuosa  di 
tanti  gravi  avvenimenti,  ha  finito  forse  per  dimenticare  un 
po'  troppo  di  frequente  che  suo  uflìcio  era  narrare  non  già  le 
vicende  di  Padova,  bensì  quelle  d'Albertino  e  che  in  costui  non 
meno  che  il  politico  esigevano  largo  studio  il  poeta  ed  il  dotto. 
Così  è  avvenuto  che,  mentre  la  parte  storica  del  suo  lavoro  si 
può  lodare  per  sicurezza  e  copia  di  notizie,  quella  dedicata 


(1)  Avvertenza,  p.  3. 


180  F.   NOVATl 

invece  alle  indagini  sui  casi  e  sugli  scritti  del  Mussato  e  singo- 
larmente sul  luogo  che  gli  compete  nella  vita  letteraria  del 
tempo,  si  debba  stimare  alquanto  debole  e  scarsa.  Non  solo 
infatti  non  vi  troviamo,  accanto  ai  già  noti,  adoperati  nuovi  ma- 
teriali (e  che  se  ne  potessero  trovare  e  di  notevoli  lo  vedremo 
in  appresso),  ma  anche  di  quelli  già  raccolti  non  si  può  dire 
che  sia  stato  tratto  tutto  il  partito  che  se  ne  doveva  cavare. 

Questo,  che  a  me  (e  potrei  benissimo  ingannarmi)  sembra  il 
difetto  capitale  del  libro  del  Zardo,  ha  evitato  il  Minoja,  avvedutosi 
come  la  preoccupazione  di  mettere  in  chiaro  l' importanza  sto- 
rica del  Mussato  non  dovesse  essere  spinta  tant'  oltre  da  fare, 
se  non  trascurare,  almeno  reputare  meno  degna  di  studio  la  lette- 
raria. Ed  il  Minoja  ha  anche  capito  come  per  far  ciò  coscienziosa- 
mente fosse  indispensabile  mostrare  quanto  il  Mussato  si  estollesse 
fra  i  dotti  fiorenti  al  suo  tempo,  non  solo  in  Padova  ma  in  Italia. 
Però,  mi  è  pur  forza  il  dirlo,  concessa  al  Minoja  questa  lode,  di  più 
non  si  potrà  proprio  fare  ;  se  il  disegno  era  buono,  non  altrettanto 
diremo  del  modo  con  cui  egli  ha  tentato  di  tradurlo  in  effetto.  Accor- 
diam  pure  al  sig.  Minoja  quelle  attenuanti  che  egli  stesso  domanda; 
ammettiamo  che  siangli  mancati,  com'egli  scrive,  libri  e  documenti. 
Ma,  anche  concesso  tutto  ciò,  sarà  sempre  mestieri  concludere  che 
al  lavoro  egli  si  è  accinto  con  troppo  scarsa  preparazione;  che 
troppe  cose  mostra  di  ignorare,  delle  quali  la  cognizione  gli  sarebbe 
riuscita  altrettanto  necessaria,  quanto  facile  a  conseguire,  poiché  di 
lavori  notissimi,  anzi  addirittura  capitali,  ei  mostra,  non  solo  di  non 
essersi  giovato,  ma  nemmeno  d'averne  sospettata  l'esistenza  (1). 


(1)  Sconosciute  gli  sono  le  belle  pagine  del  Kòrting,  testé  citate;  scono- 
sciuti tutti  i  lavori  del  Gloria,  che  contengono  documenti  della  più  grande 
importanza  per  la  biografia  di  Albertino;  sconosciuti  gli  altri  scritti,  publi- 
cati  intorno  a  contemporanei  del  Mussato,  ad  esempio,  quello  sul  Ferreto 
dello  Zanella,  e  cosi  via,  via:  in  ogni  capitolo,  mentre  troviamo  indicati 
lavori  d'importanza  accessoria,  sono  poi  dimenticati  libri  principalissimi.  Per 
dare  un  esempio,  noterò  che  il  M.  si  lagna  a  p.  13  di  non  aver  potuto  vedere 
gli  Statuti  padovani  in  nessuna  delle  edizioni,  tanto  antiche  che  recenti  che 
ne  furono  fatte,  e  d'aver  dovuto  ricorrere  ad  un  codice  vaticano  !  Ma  bastava 


NUOVI   STUDI   SU   ALBERTINO  MUSSATO  181 

L'accusa  quindi  di  ignoranza ,  che  egli,  con  una  severità  assai 
poco  giustificata,  lancia  contro  tutti  coloro  che  si  sono  prima  di 
lui  occupati  dello  storico  padovano,  ben  facilmente  si  potrebbe 
ritorcere  contro  chi  fa  mostra,  oltreché  di  tanta  esiguità  di  co- 
gnizioni ,  di  una  trascuratezza  nello  scrivere  davvero  straordi- 
naria !  Mentre  infatti  il  Zardo,  benché  non  la  pretenda  a  scrittore 
elegante,  espone  e  discute  in  forma  correttissima  e  disinvolta,  il 
Minoja  maneggia  così  malamente  la  lingua  italiana ,  da  recar 
troppo  spesso  oltraggio  alla  grammatica  ed  alla  sintassi  (1).  Ora 


rivolgersi  ai  lavori  del  Gloria  e  del  Fertile  per  trovarvi  intorno  agli  or- 
dinamenti politici  ed  amministrativi  di  Padova  nel  sec.  XIII  le  più  compiute 
notizie  ! 

(1)  Ad  evitare  V  accusa  di  esagerazione  addurrò  fra  gli  infiniti  esempì  che 
potrei  raccogliere,  alcuni  pochi.  11  farlo  è  agevolissimo  :  non  e'  è  che  da 
aprire  il  libro  del  sig.  M.  per  trovarvi  licenze  d' ogni  sorta.  Ecco  ciò  che  si 
legge  a  p.  3:  «  Nella  infelice  Marca  ogni  libertà  si  spense,  riducendo  (la 
«  libertà?)  quel  popolo  ad  una  moltitudine  di  sudditi..  ».  Ed  a  p.  5:  <  E  inu- 
«  tile  di  dire  (sic)  che  quella  vita  gioiosa  ed  amorosa  cessasse  di  un  subito...  ». 
Porre  l' imperfetto  del  soggiuntivo  dove  dovrebbe  stare  il  presente  è  abitudine 
cronica  nel  M.:  vedi  p.  12,  p.  107,  p.  109  ecc.  A  p.  9,  parlando  della  morte  dei 
da  Romano,  il  M.  scrive  :  «  Senza  dubbio  codesta  strage,  come  quella  del  popolo 
€  siciliano  contro  l' oppressione  francese...  fu  troppo  crudele....  ».  E  quella 
del  buon  senso  qui  non  lo  è  meno?  «  0  perchè  (continua  il  M.)  una  pa- 
«  rola  di  perdono  non  fu  detta  da  chi  pur  toccava  di  dirla?  ».  Ma  ecco  a 
p.  10  una  scoperta  che  farà  strabiliare  gli  studiosi  di  storia  fiorentina  ed 
anche  qualcun  altro  :  «  E  come  nella  repubblica  fiorentina  s' era  sempre 
«  proibito  di  poter  parlare  contro  le  leggi  proposte  nei  Consigli,  se  non  a 
«  favore...  ».  Non  meno  elegantemente  espresso  è,  due  o  tre  linee  dopo,  un 
parallelo  fra  Dante  ed  il  Mussato.  «  In  ciò  fortunato  anche  lui  come  TAli- 
<  ghieri,  al  quale  la  generazione  che  passava,  scendendo  nel  sepolcro,  gli 
«  lasciava  ancor  fresche  le  memorie...  ».  Né  meno  peregrino  e  per  la  forma 
e  per  la  sostanza  quest'  altro  a  p.  13  :  «  insieme  con  il  podestà  erano 
«  chiamati  al  governo  della  cosa  pubblica  gli  Anziani...  eletti,  anno  per 
«  anno,  da' Collegi  delle  arti,  dette  fraglie  (le  arti?!),  come  oggi  giorno 
«  per  (sic!)  i  deputati..  ».  Ma  codeste  sono  ancor  piccolezze;  a  p.  19  infatti 
il  sig.  M.  ci  fa  ammirare  un  «  territorio,  che  cominciò  a  ripopolarsi  di  ter- 
«  ricciuole,  di  ville,  di  casali  »;  forse  per  renderci  meno  amaro  lo  spettacolo 
che  a  p.  132  presentano  delle  «  povere  provincie,  senza  campi,  senza  in- 
«  dustria  alcuna  »!  E  siam  sempre,  come  si  vede,  alle  prime  pagine.  Chi 
volesse  spigolare  in  tutte  le  289  che  formano  il  volume,  come  ho  fatto  io, 
di  simili  gemme  avrebbe  da  riempirne  parecchie  carte.  Io  credo  però  oppor- 


182  F.   NO  VATI 

questo  è  forse  far  troppo  a  fidanza  con  la  indulgenza  o  la  sbada- 
taggine dei  lettori  ! 


tuno  limitarmi  a  questo  saggio,  pago  di  riportare  un  solo  periodo  ancora, 
che  leggo  a  p.  35.  Si  parla  di  Marsilio  da  Padova  :  «  Onde  le  condizioni 
«  speciali  del  suo  paese  ebbero  non  poca  influenza  sull*  animo  di  Marsilio, 
«  nel  quale  di  certo  un  nuovo  mondo  gli  tumultuava  dentro,  pensando  sul 
modo  (!)  di  sciogliere  il  gran  problema  politico  e  religioso  ».  Debbo  però 
notare  ancora  come  la  negligenza  della  forma  nel  libro  del  M.  non  stia 
rinchiusa  nei  termini  delle  licenze  sintattiche.  Egli  innova  anche  le  regole 
grammaticali.  Così  fino  ad  ora  si  è  stati  avvezzi  a  creder  necessario  che 
il  sostantivo  e  il  verbo  che  lo  regge  concordino  nel  numero.  11  sig.  M. 
non  si  cura  di  queste  bazzecole  e  quindi  a  p.  18  ci  regala  un  fiorì,  che 
regge  non  so  quanti  sostantivi  plurali,  forse  per  dar  coraggio  all'  eravi 
di  p.  37  e  allo  scrisse  di  p.  89,  che  sostengono  il  medesimo  gravoso  ufficio. 
Vero  è  che  in  compenso  altrove  il  verbo  al  plurale  regge  il  sostantivo 
singolare;  cosi  a  p.  40:  «  Nessun  critico',  tanto  di  Lupato',  quanto  di  Al- 
«  bertino,  credo  che  1'  abbiano  notato  »  ;  a  p.  41  «  11  Collegio  dei  notari . . . 
«  pregarono  Albertino  *;  e  così  a  p.  81,  a  p.  144,  a  p.  191  ecc.  Lascio  andare 
le  metafore  strampalate,  delle  quali  è  pieno  il  libro,  i  modi  di  dire  volgarissimi 
0  impropri:  «il  clero,  il  più  avido  forse  della  brutta  soma  dei  de  Romano» 
(p.  9) ,  il  De  Nono  che  dice  «  qualche  verità  con  la  tinta  sempre  vera  e 
«  svantaggevole  (!)  per  il  Mussato  »  (p.  55),  il  quale  aveva  «  natura  uma- 
«  nista  »  ed  era  per  di  più  «  piacevolone  »  !  (pp.  60  e  70)  :  il  «  diluvio  di 
«  croci  »  che  si  ebbe  alla  fine  del  sec.  XIV  e  che  faceva  deplorar  al  Sac- 
chetti la  decadenza  della  cavalleria  (p.  64)  ;  1'  «  interporsi  in  mezzo  »  di  certi 
ambasciatori  (p.  128);  V  Ecerinis  che  «  fece  furore  »  (p.  141),  benché,  per 
dirla  schietta,  il  latino  del  Mussato  sia  «  asciutto  e  ossuto!  »  (p.  223).  Lascio 
andare  la  fenomenale  trascuratezza  nelle  citazioni,  per  cui  il  medesimo  libro 
si  trova  ricordato  ogni  volta  in  modo  diverso  e  mai  esattamente  (cosi  pp.  53, 
154,  209  ecc.),  segno  eloquente  forse  del  modo  con  cui  le  citazioni  sono 
state  messe  insieme:  basti  dire  che  la  canzone  Spirto  gentil ...  è  cosi  citata 
a  p.  70  :  «  Petrarca,  canzone  attribuita  a  Gola  di  Rienzi  »  !  Ma  non  si  può 
proprio  tacere  delle  mende  gravissime  che  offrono  tutti  i  testi  latini  che  il 
M.  ha  avuto  occasione  di  riferire  nel  corso  del  suo  lavoro.  Editi  ed  inediti 
riboccano  di  errori  e  non  sempre  tipografici.  Cito  a  caso  fra  gli  inediti.  A 
p.  23  cosi,  il  M.  riporta  dal  Fons  memorabilium  universi  di  Domenico 
di  Arezzo  un  brano  del  De  lite  Naturae  et  Forlunae ,  opera  perduta  del 
Mussato.  Nel  frammento  (che  il  M.  ha  il  merito  d'aver  indicato  per  il  primo) 
si  parla  di  Padova  :  «  Mirum ,  dice  lo  storico ,  quam  bene  fausta  fuit  ci- 
«  vitas,  quam  laute,  (sic)  naturae  dotata  muneribus,  quam  frugi,  quam, 
«  fertili,  (sic)  quam.  salubri  coelo,  quam,  sinceris  gaudeat  elementis . . .  ». 
E  poco  dopo:  «  Colericum.  genus  liom.inuni  (i  Padovani),  complexione  lati- 
ci dabili,  quietum,  tractabile,  liberale,  donec,  litteris  increnientibus  (sic), 
«  ad  statum  mundonae  felicitatis  venit-».  Ora  qui  ci  son  almeno  tre  errori 


NUOVI  STUDI   SU  ALBERTINO  MUSSATO  183 

Come  dicevo,  il  sig.  Minoja  ha  destinato  a  descrivere  insieme  alle 
vicende  politiche  della  Marca  Trevigiana  quelle  pure  della  cultura 


che  tolgono  addirittura  l'intelligenza  del  testo.  Che  vuol  significar  la  virgola 
dopo  laute?  E  come  sta  quel  fertili  unito  a  coelo?   E  che  razza  di  roba  è 
litteris  incrementibus  ?  Voglio  ammettere  che  questi  non  siano  errori  di  let- 
tura del  sig.  M.,  ma  strafalcioni  di  chi  ricopiò  il  cod.  Chigiano:  certo  è  però 
che  nel  cod.  Laurenz.,  di  cui  mi  servirò  per  riprodurre  più  innanzi  il  fram- 
mento Mussatiano  nella  sua  integrità,  non  ci  sono.  E  vi  ha  di  peggio.  A  p.  41 
un  altro  brano  del  Fons ,  tratto  dal  medesimo  cod.,  è  riferito  così  :  «  Lova- 
«  ceus  (sic)  pactavinus  vates  paulo  prius  floruit  quam  Petracca:  nec  eo  in- 
«  ferior  fama  esse . . .  quod  amplexus  juris  civilium   studium  12  tabulas 
«  cum  musis  scrihuit  (sic  !)  et  animum  ah  elichonis  (sic)  curis  ad  forensem 
«  strepitum  commutavit  ».  I  sic  sono  aggiunti  da  me;  il  sig.  M.  dinnanzi 
ad  un  scribuit  non  si  sgomenta  !  Eppure  anche  qui  era  facile  notare  gli  errori 
del  cod.  (se  pur  del  cod.  sono),  tanto  più  che  il  brano,  il  quale  non  è  altra  cosa, 
che  una  quasi  letterale  riproduzione  delle  parole  che  nel  Rer.  Mem.,  1.  Il,  3, 
il  Petrarca  consacra  a  Lovato,  era  già  stato  fatto  conoscere  dal  Mehus  (Vita 
Ambr.  Trav.,  p.  ccxxxiii),  dove  troviamo  non  Lovaceus,  ma  Lovattus,  non 
fama  esse  . . . ,  ma  esset,  nisi  quod;  non  scribuit,  ma  miscuit;  non  elichonis^ 
ma  elichoniis  !  Non  meno  che  questo ,  estratto  dal  Fons,  è  incredibilmente 
spropositato  un  altro  frammento  riguardante  il  poeta  padovano ,   che  il  M. 
ha  dedotto  dal  cod.  vatic.  5290.  Eccolo,  quale  lo  leggiamo  a  p.  39:  «  Scientia 
«  extulit  Lovatum,  •nam  scientia  sua  poetica  et  juridica  militiani  meruit 
«■  habere.  Hic  legum   Doctor  et  legis   conditor  de  maioribus  suo  tempore 
«  in  populo  paduano  quoad  regimen  civitatis  fuit  Lovatus  judex,  miles  et 
«  poeta  :  (sic  !)  solemnis  et  lautum  latus  est  (sic  !)  ut  quasi  de  aliquo  non 
«  curaret, ...  ».  Credo  che  nessuno,  nemmeno  il  sig.  M.,  possa  capir  verbo 
di  questo  periodo.  E  che  cos'  è  in  lautum  latus!?  Evidentemente  il  sig.  M. 
non  ha  saputo  restituire  la  punteggiatura  e  capire  la  scrittura  del  codice.  Si 
scriva  :  «  Hic  legum  doctor  et  legis  conditor  de  maioribus  suo  tempore  in  pò- 
<i  pulo  paduano,  quoad  regimen  civitatis,  fuit.  Lovatus  judex,  miles  et  poeta 
«  solemnis  tantum  elatus  est,  ut  quasi  de  aliquo  non  curaret ...»  e  il  senso 
tornerà.  Si  comprende  agevolmente  che,  ponendo  così  poca  cura  nell'intendere 
per  davvero  i  testi  che  egli  cita,  il  sig.  M.  sia  anche  traduttore  infedelissimo. 
E  difFatti  nei  brani,  che  egli  traduce,  della  Historia  Augusta,  la  precisione 
e  la  fedeltà  troppe  volte  si  desiderano.  Ma  parmi  ad  ogni  modo  strano  che 
egli  sia  andato   tant'  oltre  da   volgere  le  parole   del   Prologo  al  poemetto 
sull'assedio  di  Padova ...  «  m,olle  et  vulgi  intellectione  propinquum,  sonet 
«  eloquium,  quo  altius  edoctis  nostra  stylo  eminentior^  deserviret  Sistoria, 
«  essetque  metricum  hoc  demissum,  sub  cam,oena   leniore  notariis  et  qui' 
«  busque  clericulis  blandimentum,  »  ;   così  :  «  non  fosse  (lo  stile)  alto ,  né 
«  tragico,  ma  piano  e  facile  ad  esser  compreso  dai  più;  sicché  la  storia  di 
«  stile  più  alto  possa  servire  ai  meglio  dotti,  e  i  versi ,  umili  e  cantati  su 
«  camenapiù  leggera,  tornino  piacevoli  ai  notari  »  (p.  42).  Ma  che  cosa  crede 


184  F.  NOVATI 

padovana  nel  secolo  decimoterzo  la  prima  parte  del  suo  libro. 
E  di  essa  i  tre  primi  capitoli,  occupati  dalla  narrazione  dei  casi, 
che  diedero  e  tolsero  alla  Marca  l'epiteto  di  gioiosa,  non  si  pos- 
sono dire  mal  fatti,  sebbene  non  vi  manchino  inesattezze  parec- 
chie e  si  risenta  la  solita  scarsezza  di  cognizioni  (1).  Ma  non 
altrettanto  invece  diremo  dei  capitoli  che  seguono,  nei  quali 
sembra  che  l'A.  abbia  voluto  tratteggiare  le  condizioni  della  cul- 
tura italiana  nel  medio  evo  ;  diciamo  sembra,  perchè  non  è  facile 
raccapezzarsi  nella  strana  miscela  di  fatti,  di  tempi,  di  nomi,  che 
offrono  quelle  pagine  (2).  Alle  quali  il  Minoja  fa  poi  seguire  un 


dunque  che  sia  la  Camena  il  sig.  M.?  Uno  strumento  musicale?  —  Il  sig.  M. 
al  quale  una  critica  molto,  troppo,  domenicale  non  ha  davvero  mercanteg- 
giati gli  elogi,  e  forse  altri  con  lui,  leggendo  questi  appunti  mi  taccieranno 
di  pedanteria.  Né  per  me  è  stato  piacevole  il  farli  ;  ma,  d'altra  parte,  come 
passar  sotto  silenzio  errori  di  questo  genere,  quando  di  un  libro  che  ne  ri- 
bocca, si  trova,  incredibile  a  dirsi,  commendata  fra  le  altre  doti,  Yeleganza 
dello  stile? 

(1)  Così,  accennando  al  fervore  di  civiltà,  che  animò  per  quasi  un  secolo  le 
città  della  Marca,  il  M.  tocca  pure  dell'attività  letteraria  di  cui  diedero  prova, 
citando  un  lavoro  molto  importante  del  Rajna,  Le  origini  delle  famiglie  pa- 
dovane, in  Romania,  IV,  161.  Ma  gli  sono  poi  sfuggite  le  belle  riflessioni  che 
il  medesimo  dotto  e  caro  amico  mio  fa  su  questo  argomento  nella  magistrale 
Introduzione  a  Le  fonti  dell'  0.  F.  (pp.  9  sgg.).  Eppure  egli  avrebbe  forse 
avuto  bisogno  di  formarsi  sulla  letteratura  franco-dialettale  del  sec.  XIII, 
delle  idee  più  esatte  di  quelle  che  presentemente  possiede ,  se  almeno  dob- 
biamo giudicarne  da  queste  riflessioni:  «  E  se  Nicola  da  Padova  scrive  in 
«  francese  il  poema  sui  gesti  (!)  di  Carlomagno,  attingendo  spesso  a  tradi- 
«  zioni  indigene,  altri  nostri  cantatori ,  usando  spesso  il  proprio  dialetto ,  o 
«  il  latino  volgare,  si  ispirano  alla  propria  fantasia  »  (p.  3).  Ormai  non  si 
dovrebbe  più  sentir  discorrere  di  un  poema  (e  quale  poema  del  resto,  la  Prise 
0  V Entree"?)  di  Niccola  da  Padova,  personaggio  fantastico,  nato  dalla  confu- 
sione di  due  diversi  individui  ;  e  chi  chiedesse  al  sig.  M.  che  cosa  sia  il  latino 
volgare,  e  quali  i  cantatori  che  l'hanno  adoperato,  lo  metterebbe,  crediamo, 
in  un  bell'impiccio!  Anche  ci  pare  strano  l'annunzio  che  a  p.  4  si  dà  del- 
l'esistenza di  un  prezioso  commentario  alla  B.  Com,m,edia,  quasi  sconosciuto, 
inedito  ancora,  benché  scritto  certo  da  un  contemporaneo  del  poeta.  Ma  non 
é  venuto  al  sig.  M.  pur  un  vago  sospetto  che  questo  ignoto  volume,  in  cui 
si  cita  volentieri  l'autorità  di  M.  Pino  della  Tosa,  potesse  essere  V Ottimo? 

(2)  Il  sig.  M.  protesta  di  voler  ricordare  cose  «  non  di  certo  peregrine  e 
«  nuove  »;  ma,  se  non  alle  cose,  questi  epiteti  si  potrebbero  applicare  al 
modo,  con  cui  esse  sono  rammentate.  Prendendo  argomento  da  una  divisione 


NUOVI   STUDI   SU  ALBERTINO  MUSSATO  185 

breve  esame  dei  monumenti  che  ci  attestano  il  vigoreggiare  degli 
studi  in  Padova  nel  sec.  XIII,  soffermandosi  a  discorrere  di  Pietro 
d'Abano  e  di  Marsilio  dei  Mainardini  e  limitandosi  intorno  agli 
altri  dotti  e  letterati,  che  fiorivano  allora  nella  Marca,  a  riferire 
poche,  vecchie,  e  non  sempre  esatte,  notizie  (1).  Ecco  quanto  ha 


storica  che,  sebbene  egli  non  lo  dica,  è  attinta,  insieme  ad  altre  osservazioni, 
da  un  corso  di  lezioni  ben  noto  del  prof.  D'Ancona,  l'A.  ammette  che  la  coltura 
antica  siasi  perpetuata  attraverso  il  medio  evo  per  tre  vie  :  le  scuole  laiche, 
le  ecclesiastiche ,  le  monacali.  E  fin  qui  sta  bene.  Ma  delle  tre ,  parrebbe 
poi  che  il  M.  desse  la  prevalenza  alla  seconda:  «  E  però  non  si  nega  — 
«  scrive  egli  infatti  a  p.  26  —  che,  massime  nel  medio  evo  più  barbaro  la 
«  autorità  religiosa  prevalesse  per  tutto;  che  la  cultura  e  la  vita  intellettuale 
«  fossero  privativa  di  quella  casta  {quale?).  Ma  l'antico  sapere  nelle  loro  (I) 
«  mani  non  progredì  né  punto  né  poco . . .  l'antichità  non  fu  affatto  intesa, 
«  e  tanto  meno  intuita  e  gustata.  Financo  la  poesia,  anche  trattando  tema 
«  profano,  ebbe  sempre  scopo  religioso  (?)  e  fu  figlia  della  scuola  e  prodotto 
«  artificiale.  Di  che  non  vanno  esenti  nemmeno  i  più  grandi,  trovandosi  nelle 
«  opere  stesse  di  Gassiodoro,  di  Agostino  e  di  Tommaso  (!)  rettorica  decla- 
«  mazione  ecc  ».  Questo  periodo  é  da  sé  solo  prova  esuberante  della  con- 
fusione ,  che  intorno  alle  condizioni  letterarie  del  medio  evo  regna  nella 
mente  del  sig.  M.  Metter  S.  Agostino  in  un  mazzo  con  S.  Tommaso,  rinvenire 
i  caratteri  delie  lettere  del  V  secolo  negli  scritti  d'  un  dottore  del  XIII  è 
addirittura  il  non  plus  ultra  della  libertà  di  spirito  !  E  di  questa  libertà  il 
sig.  M.  usa  poco  appresso  per  dir  tutto  il  contrario  di  quanto  ha  affermato 
qui  e  sentenziare  che  «  non  v'  ha  dubbio  che  la  letteratura  profana  pri- 
«  meggiasse  del  tutto  fra  noi  »  (p.  27)!  Sarebbe  aff'ar  troppo  lungo  racco- 
gliere tutti  i  grotteschi  travestimenti,  sotto  i  quali  pochi  fatti,  male  ricordati 
e  peggio  intesi,  vengono  passati  a  rassegna  in  codeste  pagine,  vero  semen- 
zaio d'errori. 

(1)  Anche  qui  si  nota  la  solita  mancanza  di  proporzione.  Perchè  spendere 
due  pagine  intorno  a  Pietro  d'  Abano  (sul  quale  si  sarebbe  potuto  citare  il 
recente  lavoro  del  Ronzoni),  due  intorno  a  Marsilio,  che  nel  movimento  let- 
terario di  cui  è  centro  il  Mussato,  non  hanno  se  non  piccolissima  parte,  e 
restringere  poi  il  ricordo  di  tutti  gli  altri  contemporanei  del  M.,  suoi  amici 
e  come  lui  eruditi  o  poeti,  ad  una  nuda  enumerazione  di  nomi,  fatta  in  questa 
bella  maniera?  «  Pertanto  altri  amici  del  Mussato ,  se  non  famosi ,  come 
«  Marsilio,  mi  s'affollano  alla  mente.  Il  tempo  correva,  sto  per  dire,  poetico; 
«  e  in  quasi  tutte  le  città  principali  della  Marca  fiorivano  poeti  che  ver- 
«^seggiavano  in  lingua  latina  . . .  Onde  eravi  Benvenuto  dei  Gampesani,  Fer- 
«  reto  Vicentino,  il  poeta  Gastellano  e  Giambone  d'Andrea,  Lupato,  Bonatino, 
«  Giovanni  professore  di  grammatica,  Bonincontro  da  Mantova,  Guizzardo 
«  maestro  di  grammatica  e  1'  amico  di  Dante  e  d'  Albertino ,  Giovanni  di 
«  Virgilio  {anche  questo  della  Marcai)  ».  Vero  è  che  nelle  pagine  seguenti 


186  F.  NOVATI 

fatto  il  Minoja  per  dare  modo  di  meglio  valutare,  posti  a  confronto 
con  quelli  d'altri,  i  meriti  letterari  del  Mussato:  e  come  appar 
chiaro,  è  troppo  poco.  Senza  timore  quindi  di  sembrare  ingiusto 
verso  di  lui,  tornerò  a  ripetere  che  egli  non  ha  proprio  saputo 
condurre  ad  effetto  l'impresa  che  vagheggiava. 

Per  ricollocare  Albertino  nel  luogo  che  gli  compete,  ben  altra 
si  sarebbe  dovuto  fare.  Invece  di  abbandonarsi  ad  una  corsa 
sfrenata  attraverso  i  secoli  e  tirar  in  ballo  Boezio,  S.  Agostino, 
Marciano  Gapella  e  Gassiodoro  ;  invece  di  ripetere  le  solite  (banali 
ormai)  riflessioni  sull'influsso,  che  nelle  lettere  medievali  hanno 
esercitato  il  sentimento  religioso  e  la  persistenza  delle  tradizioni 
classiche  ;  più  saggiamente  il  Minoja  avrebbe  operato,  restringendo 
le  sue  indagini  entro  modesti  confini  e  cercando  di  far  loro  riacqui- 
stare in  solidità  quello  che  perdevano  in  ampiezza.  Ed  allora  le 
ragioni,  per  le  quali  Albertino  potè  assorgere  a  tanta  eccellenza 
(ragioni  che  egli  è  andato  a  cercare,  senza  trovarle,  naturalmente, 
nel  bujo  dei  secoli  barbari),  il  Minoja  le  avrebbe  rinvenute  nelle 
condizioni  stesse  dei  tempi,  in  cui  lo  scrittore  padovano  ha  fiorito, 
nella  vita  letteraria  italiana,  quale,  varcata  la  metà  del  secolo 
decimoterzo ,  si  era  andata  esplicando.  Questa  età  infatti  può 
essere  considerata  come  l'istante,  nel  quale  si  inizia  quel  rivol- 
gimento negli  studi,  che  darà  vita  alla  rinascenza;  in  cui  rom- 
pono all'orizzonte  i  primi  bagliori  di  quello  che  diverrà  giorno 
splendidissimo;  in  cui  dal  suolo  spuntano,  inavvertiti,  i  germi  che 
cresceranno,  come  il  granello  di  senape  della  parabola  biblica , 
in  albero  gigantesco.  E  tale  verità,  non  oscurata  dal  rapido  pro- 
gredire della  cultura ,  che  gettò  nell'ombra  tutti  gli  anteriori 
manchevoli  tentativi,  brillava   ancora  apertissima  dinnanzi  agli 


il  M.  raccoglie  notizie  intorno  al  Favafoschi ,  ma  sono  sempre  quelle  che 
aveva  date  il  Tiraboschi;  e  nemmeno  ne  sa  il  M.  il  cognome,  che  non  lo 
chiamerebbe,  come  fa,  D'Andrea  (p.  38).  Anche  di  Lovato  il  M.  non  riporta, 
oltre  i  passi  ben  poco  importanti  dei  quali  ho  già  ricordato  il  deplorevole 
stato,  se  non  i  soliti  ragguagli ,  essi  pure  attinti  dal  Tiraboschi  {St.  della 
leu.  ital. ,  lib.  111).  E  sull'  uno  e  suU'  altro  dotto  molto  più  esatte ,  copiose 
e  in  parte  nuove  notizie  offre  lo  Zardo  (pp.  277  sgg.). 


NUOVI   STUDI   SU   ALBERTINO  MUSSATO  187 

occhi  dei  dotti  del  secolo  seguente;  e  se  il  Petrarca  non  volle 
mai  chiaramente  confessarla ,  altri ,  pur  suoi  contemporanei  o 
quasi,  l'hanno  affermata  ad  alta  voce.  In  Firenze  Goluccio  Salu- 
tati, in  Padova  Secco  Polentone,  tessendo,  a  poca  distanza  di 
tempo,  la  storia  della  lingua  latina,  si  accordavano  nel  sentenziare 
che  questa  dall'abiezione,  in  cui  il  medioevo  l'aveva  gettata,  solo 
cento  0  centocinquant'anni  innanzi  all'incirca  aveva  incominciato 
a  risorgere  ;  ed  è,  come  ho  detto  altra  volta,  in  Albertino  Mus- 
sato, che  essi  unanimi  riconoscono  di  sì  fatto  risveglio  il  più 
efficace  promotore.  Ma  non  nel  Mussato  soltanto;  che  di  tanta 
gloria,  concessagli  intera  dal  Polentone,  il  Salutati  chiama  par- 
tecipe anche  un  toscano:  messer  Gerì  d'Arezzo  (1). 

Alla  lunga  notte  che  si  è  addensata  intorno  al  suo  nome,  Geri 
d'Arezzo  non  arriverà  forse  a  sottrarsi  più  mai,  ove  il  caso  non 
gli  si  porga  propizio,  rimettendone  all'aperto  quegli  scritti,  che 
ora  dobbiamo  lamentare,  se  non  perduti,  nascosti  (2):  le  lettere 
cioè  e  le  satire  in  prosa  ed  in  verso  (3),  che  gli  avevano  acquistata 
presso  i  contemporanei  una  larga  celebrità,  della  quale  ci  giunge 
un'eco  nelle  lodi,  non  [soltanto  di  Goluccio,  ma  anche  di  altri  e 
dotti  amici  suoi  e  del  Petrarca,  Lapo  da  Gastiglionchio  (4)  e  Ben- 


(1)  Così  nella  lettera  al  Zabarella,  quanto  nell'  altra  Cardinali  Patavino 
(Bartolomeo  Oleario),  da  me  citate  neWArch.  stor.  per  Trieste  ecc.,  II,  82. 

(2)  Un  codice  di  lettere  sue  esisteva  ancora  alla  fine  del  sec.  XV  nella 
libreria  Visconteo-Sforzesca  di  Pavia  (vedi  G.  D'Adda,  Indagini  stor.  artist. 
e  bibl.,  p.  9,  n"  72,  e  Mazzatinti,  Invent.  della  Bibl.  Viso.  Sforz.  in  questo 
Giorn.,  I,  51  ;  nell'uno  e  nell'altro  inventario  però  il  nome  del  nostro  è  cor- 
rottamente riferito:  Epistolae  Geni  de  Aretio,  Ghini  de  Aretio);  ma  le  ri- 
cerche che  per  noi  sono  state  fatte  alla  Nazionale  di  Parigi,  nella  speranza 
di  rinvenire  fra  i  non  molti  mss.  pavesi,  che  ora  vi  si  conservano,  anche 
questo,  riuscirono  infruttuose.  Io  starò  quindi  pago  a  dare  ben  presto  in  luce 
le  poche  lettere  che  di  Geri  ho  potuto  trovare,  augurando  ad  altri  migliore 
fortuna. 

(3)  Suir  indole  degli  scritti  di  Geri  ci  dà  notizie  il  Salutati  in  un  passo , 
sin  qui  inedito,  della  citata  lettera  al  Zabarella:  Gerius  aretinus,  egli  scrive, 
cuius  versus  et  epistolas  satyrasque  prosaicas  non  ìnediocriter  commen' 
damus. 

(4)  Vedi  la  sua  Epistola  ossia  Ragionamento,  ed.  Mehus,  Bologna,  Cor- 
ciolani,  MDGGGIII,  dove  a  p.  78  cosi  si  parla  del  nostro  autore:  «  uno  ec- 


188  F.  NOVATI 

venuto  da  Imola  (1).  Albertino  adunque  nell'Italia  nordica,  Geri 
nella  media:  ecco  i  due  uomini,  intorno  ai  quali  il  movimento  classico 
del  sec.  XIII  si  raccoglie,  per  i  quali  si  afferma.  Ma  non  sono  i  soli. 
Per  poco  che  le  ricerche  continuino,  altri  nomi  usciranno  alla 
luce  ed  ai  loro  verranno  accompagnandosi  :  quelli  dei  loro  amici, 
dei  loro  cooperatori.  Pur  troppo  anche  per  questo  riguardo  la 
perdita  dell'epistolario  di  Geri  resta  e  resterà  perdita  inestima- 
bile ;  esso  infatti  ci  avrebbe  fatto  toccar  con  mano  come  in  tutta 
Toscana  negli  ultimi  decenni  del  duecento  abbia  fiorito  una  schiera 
di  studiosi,  per  i  quali  le  discipline  letterarie  erano  via  alle  giuri- 
diche e  di  esse  ad  un  tempo  complemento.  Carattere  questo  sin- 
golarissimo dell'epoca:  i  più  di  codesti  poeti,  o  latini  o  volgari, 
sono  in  pari  tempo  giudici,  giureconsulti,  notai.  Giureconsulto  è 
Gerì,  felice  imitatore  nelle  sue  delle  epistole  di  Plinio  (2);  notaio 
prima,  giudice  poi,  è  l'amico  suo,  Francesco  da  Barberino,  del 
quale  la  fama  di  poeta  mediocre,  sin  qui  a  stento  concedutagli, 
va  rafforzandosi  per  quella  di  ricercatore  sagace  e  profondo  della 
letteratura  classica  e  delle  volgari  di  Francia,  man  mano  che 
il  suo  Commentario  ai  Documenti  si  studia  (3);  giureconsulti  son 
pure  gli  amici  loro.  Cambio  da  Poggibonsi,  Gherardo  da  Castel- 
fiorentino  (4)  :  uomini  tutti  stimati  ed  adoperati  nelle  publiche 
faccende,  che  il  tempo  a  queste  o  ai  propri  ufTìci  sottratto,  im- 
piegano nello  scrivere  esametri  o  canzoni ,  epistole  o  sonetti. 


«  celiente  dottore  di  leggi ,  il  quale  fu  chiamato  messer  Geri  d'  Arezzo  ,  il 
«  quale  ancora  fu  grande  autorista  e  morale,  disse  in  una  sua  Epistola,  la 
«  quale  scrisse  a  un  suo  amico  di  questi  due  nomi  Guelfo  e  Ghibellino  »  ecc. 

(1)  G.  Tamburini,  B.  Rambaldi  da  Imola  ecc.,  e  di  lui  Commento  latino 
sulla  D.  Commedia,  voi.  II,  Imola,  Galeati,  1856,  p.  465.  Alcune  notizie  su 
Geri  vedi  pure  in  Lumini,  Scritti  letterari,  I,  118-119. 

(2)  Tale  lo  dice  Goluccio  in  un  pas.so  inedito  della  lettera  all'  Oleario  : 
«  m,axim.us  Plini  Secundi  oratoris,  qui  alterius  eiusdem  nominis  sororis 
«  nepos  fuit,  im,itator ...  ». 

(3)  Vedi  A.  Thomas,  F.  da  Barberino  ecc.,  p.  60. 

(4)  Ben  noto  è  Gherardo,  del  quale  ci  rimangono  rime  non  da  spregiarsi. 
Su  lui  e  su  Cambio  darò  presto  notizie  biografiche ,  cavate  da  documenti 
fiorentini. 


NUOVI   STUDI   SU  ALBERTINO  MUSSATO  189 

Ed  a  tutti  Firenze  è,  se  non  per  nascita,  per  dimora,  nutrice. 
Quanto  strane,  ove  ci  si  rifletta,  paiono  dopo  di  ciò  le  lodi  di 
digrossatore  de'  Fiorentini ,  che  con  si  candida  ingenuità  attri- 
buisce a  ser  Brunetto  il  buon  Villani!  (1). 


(1)  Anche  il  recente  e  dotto  biografo  del  da  Barberino  non  mi  sembra 
molto  persuaso  di  quella  inferiorità  intellettuale,  in  cui  Firenze  sul  cadere  del 
sec.  XIII  si  sarebbe  trovata,  secondo  una  vulgata  sentenza,  rispetto  ad  altre 
città  italiane.  Se  i  Fiorentini,  egli  scrive,  erano  rimasti  abbastanza  a  lungo 
in  ritardo,  riguadagnarono  ben  presto  il  tempo  perduto  ;  e,  ricordato  Brunetto, 
aggiunge  che  a  fianco  di  lui  non  dovevano  mancare  altri  maestri.  In  con- 
ferma di  che  riferisce  come  un  documento  dell'Archivio  di  Stato  di  Firenze 
dimostri  l'esistenza  nel  1294  di  un  Egidio  di  Guido  de' Cantori,  doctor  gra- 
ìnaticae  (Op.  cit.,  p.  11).  Son  convinto  che  chi  a  questo  scopo  intraprendesse 
diligenti  ricerche  negli  atti  pubblici  e  privati  del  tempo  molti  e  molt*  altri 
di  questi  digrossatori  rinverrebbe!  Il  Manni,  che  vi  si  era  un  po' provato, 
ha  nel  suo  Zibaldone  di  Notizie  Patrie^  che  ora  si  conserva  fra  i  mss.  della 
Bigazziana,  lasciati  dei  materiali  che  ne  sono  prova  tanto  eloquente  da 
indurmi  a  chieder  licenza  di  riferirne  qui  quella  parte  che  risguarda  i  primi 
decenni  del  sec.  XIV  e  in  certo  qual  modo  la  fine  del  secolo  precedente. 
Che  se  tanto  era  il  numero  degli  insegnanti  nei  primi  anni  del  trecento, 
è  pur  lecito  crederlo  non  meno  considerevole  già  per  Io  innanzi!  Agli 
ultimi  del  duecento  ci  riportano  così  quel  Magister  Michael  doctor  puero- 
rum,  del  quale  una  figlia  è  ricordata  nel  1315  nei  protocolli  di  Ser  Uguc- 
cione  Bondotti  :  que'dottori  Gianninus  Magister  puerorum  q.  Gerii  Parietis 
et  Guido  magister  in  eadem  arte  quond.  Bernardi  Floris  de  Parma, 
che  appaiono  sotto  V  anno  1301  nei  registri  di  Ser  Grimaldo  di  Compagno 
e  il  Ser  Donatus  Guidi  doctor  puerorum  pop.  S.  Laurentii,  che  nel  me- 
desimo anno  rammenta  Ser  Uguccione  Bondotti  già  citato.  Del  1306  è  un 
Ser  Andrea,  quondam,  Andreae  doctor  puerorum  ;  del  1315  un  Ser  Cam- 
binus  Bonafidei,  anch'esso  doctor  puerorum  ;  dell'anno  seguente  i  registri  di 
Ser  Granaiuolo  della  Torre  ci  fanno  conoscere  1'  esistenza  di  un  Ser  Bonsi, 
doctor  puerorum,,  filius  olim,  Ser  Redditae  pop.  S.  Ognissanti.  Nel  1320  tro- 
viamo menzione  di  un  Philippus  quond.  Naddi  doctor  gramaticae  pop. 
S.  Laurentii  ;  il  quale  quattr'anni  dopo,  come  risulta  dai  protocolli  di  Ser  Mi- 
chele di  Salvestro  Contadini,  si  associava  a  Magister  Latinus,  doctor  grama- 
ticae filius  Andreae  Berlinghieri  de  pop.  S.  Petri  majoris;  che  poi  ricompare 
nel  1327,  di  nuovo  solo,  nei  registri  di  Ser  Rustico  di  Moranduccio.  Nei  rogiti 
di  ser  Lotteringo  di  Puccio,  sotto  I'  anno  1327,  è  rammentato  un  Magister 
Ducius  olim,  Ciuffae  de  Vico  Fiorentino  m,agister  Gram.aticae,  qui  moratur  in 
populo  S.  Petri  Scheradii  ;  del  1331  abbiam  ricordo  di  un  Ser  Pierus,  olim 
Profetae  m,agistri  gramatice pop.  S. Petri  majoris  e  di  un  Antonius  Bona- 
venturae  doctor  puerorum.  E  per  terminare,  del  1333  è  memoria  di  un  altro 
Ser  Pierus  Ser  Gherardi,  doctor  puerorum  ;  e  di  un  Nicolcis  olim  Ser  Dttccii 


190  F-    NOVATI 

Non  minore  è  l'attività  letteraria,  che  ferve  al  tempo  medesimo 
nell'Italia  Superiore,  sopratutto  nella  Marca  Trevigiana;  e  più 
agevole  inoltre  era  fino  da  ora  il  delinearne  un  quadro,  poiché 
più  copiosi  all'uopo  soccorrono  i  documenti.  Qual  luogo  sia  ormai 
necessario  assegnare  nella  storia  letteraria  nostra  a  quella  produ- 
zione poetica,  di  cui,  dalla  fine  del  secolo  duodecimo  in  poi,  di- 
venne focolare  la  valle  del  Po,  dopo  gli  studi  recenti  non  è  alcuno 
che  lo  ignori  e  già  alle  pagine,  narranti  le  vicende  della  lirica 
nostra  antica  ed  il  suo  trasmutarsi  di  Sicilia  in  Bologna,  di  Bo- 
logna in  Firenze ,  gli  storici  altre  hanno  dovuto  afirettarsi  ad 
aggiungerne,  non  mai  scritte,  per  tenere  discorso  di  quella  sin- 
golare efflorescenza  di  epiche  e  romanzesche  narrazioni,  che 
danno  vita  alla  letteratura  franco-veneta  ;  di  quella  rigogliosa  vita- 
lità, di  cui,  benché  trapiantata  in  terra  straniera,  godette  la  lirica 
di  Provenza  e  di  quel  tesoro  di  canti  dialettali,  che  formano  la 
poesia  morale  e  religiosa  veneta  e  lombarda  del  sec.  XIII.  Ma 
tutti  intenti  a  chiarire  l'apparizione  e  le  manifestazioni  di  tale 
molteplice  produzione  colta  ad  un  tempo  e  popolare,  non  ancora, 
se  non  in  qualche  parte,  disotterrata,  i  critici  sono  stati  costretti 
a  trascurare  alquanto  l'altra  corrente,  che  in  pari  tempo  si  ma- 
nifesta ;  accanto  alla  poesia  cortigiana  e  popolare  non  hanno  dato 
che  scarso  luogo  alla  dotta,  all'erudita. 

Eppure  anche  nell'Italia  Superiore ,  come  in  Toscana ,  questa 
letteratura  dotta  fiorisce  sul  cadere  del  secolo  XIII  ed  offre  i 
medesimi  caratteri  ;  anzi  essi  qui  appaiono  (forse  per  la  maggior 
copia  di  documenti  a  noi  conservati)  più  chiari  e  più  determinati. 
Anche  nella  Marca-Trevigiana,  per  tenerci  stretti  al  nostro  argo- 


de  Prato  doctor  puerorum  pop.  S.  Laurentii  fa  menzione  sotto  l'anno  1334 
Ser  Landò  da  Fasciola.  E  tutti  costoro  tenevano,  a  quanto  sembra,  scuole 
di  grammatica,  scuole  cioè,  dove  si  ammaestravano  i  fanciulli,  già  esperti 
nel  leggere  ;  poiché  è  credibile  che  altre ,  ove  si  insegnavano  i  primi  rudi» 
menti  ai  bambini,  non  mancassero;  se  almeno  non  erriamo  nel  dare  tale 
interpretazione  ad  un  documento,  pure  ricordato  dal  Manni,  dove  è  ricordo 
sotto  Fanno  1304  di  una  domina  Clementia,  doctrix  puerorum,  docens  legere 
Psalterium,  Donatum  etc. 


NUOVI  STUDI   SU  ALBERTINO   MUSSATO  191 

mento,  vediamo  cosi  gli  studi  classici,  come  la  poesia  volgare  dive- 
nire patrimonio  quasi  esclusi-vo  della  classe  medesima  ;  anche  qui  è 
per  lo  più  con  giureconsulti  e  notai  che  noi  abbiamo  a  che  fare  (1). 
Ed  il  luogo,  che  in  Toscana  terrebbe  Geri  d'Arezzo,  in  Padova,  prima 
di  Albertino,  lo  occupa  il  giudice  Lovato.  La  perdita  degli  scritti 
di  costui  ci  vieta  disgraziatamente  di  portare  un  giudizio  sicuro 
sul  suo  valore  letterario  e  di  renderci  cosi  ragione  della  fama 
che  consegui  (2),  fama  ben  grande  se,  mezzo  secolo  almeno  dopo 
la  sua  morte,  poteva  mantenersi  tanto  vivace  ancora  da  provo- 
care le  notissime  lodi  del  Petrarca!  Tuttavia  i  pochi  ragguagli, 
che  intorno  a  lui  si  possono  ragranellare  presso  scrittori  contem- 
poranei 0  posteriori,  ci  permettono  di  affermare  che  allo  studio 
dell'antichità  egli  dovette  nella  sua  patria  con  la  dottrina  e  con 
l'esempio  dare  impulso  non  tenue.  Poeta  lo  hanno  sino  ad  o^i 
attestato  le  parole  del  Petrarca,  giudice  per  fermo  non  troppo 
indulgente,  e  lo  confermano  que' titoli  dei  suoi  componimenti  che 
si  vengono  esumando  (3)  ;  certe  osservazioni ,  da  lui  dettate  sui 


(1)  Curioso  esempio  di  questa  mescolanza  di  poeta  e  di  giureconsulto  ci 
offre  il  Da  Tempo ,  che  da  precetti  giuridici  trae  sprone  e  conforto  ad  in- 
traprendere il  suo  trattato  delle  rime  volgari  :  «  Lege  testante,  cosi  egli  nel 
«  Proemio,  omnia  nova  sunt  pulchritudine  decorata  Justinianaque  sanctio 
«  manifestai  naturam  deproperare  edere  novas  formasi  (Grion,  Op.  cit, p. 69). 

(2)  I  GoRTUSii  (Hist.,  lib.  I,  cap.  XI),  celebrando  la  floridezza  di  Padova 
nel  primo  decennio  del  sec.  XIV,  fanno  singolare  menzione  di  Lovato:  Haec 
aetas  pacis  habuit  Lovatum  Paduanum,  praeter  caetera  Militem  et  ludicem 
decoratum.  Un  nuovo  documento,  che  lo  riguarda,  ha  testé  dato  in  luce  il 
Gloria  (Riv.  stor.,  II,  p.  134). 

(3)  Dallo  Zardo  {Op.  cit.,  p.  278)  apprendiamo  che  Lovato  aveva  com- 
posto un  poema  de  conditionibiis  urbis  Paduae  et  peste  Guelfi  et  Gibò- 
lengi  nominis,  dedicandolo  al  nipote  Rolando  da  Piazzola.  Siccome  que- 
st'opera si  conservava  ancora  in  Padova  a  mezzo  il  secolo  decimoquinto,  e 
forse  anche  in  un  cod.  della  Viscontea  Sforzesca  di  Pavia  (cfr.  D'Adda,  Op.  cit., 
p.  10),  così  non  sarebbe  impossibile  che  una  volta  o  l'altra  tornasse,  quando 
meno  si  speri,  alla  luce.  Sarebbe  curioso  il  raccogliere  notizie  intorno  ai  nume- 
rosissimi scritti,  che  in  prosa  ed  in  verso  furono  fra  noi  composti  nel  corso 
del  sec.  XIII  in  esecrazione  delle  parti  che  laceravano  la  penisola.  Non  è 
intanto  da  passare  sotto  silenzio  una  curiosa  coincidenza  :  così  il  capo  scuola 
toscano,  Geri  d'Arezzo ,  come  quello  veneto ,  Lovato ,  furono  indotti  a  trat- 
tare, l'uno  in  prosa,  l'altro  in  versi,  il  medesimo  tema. 


192  F.  NOVATI 

metri  di  Seneca,  ci  daranno  d'ora  innanzi  diritto  di  chiamarlo 
grammatico,  erudito  (1).  Talché,  quando  Giovanni  di  Virgilio  ci 
narra  che  Licida,  morendo,  consegnava,  simbolico  dono,  ad  Al- 
fesibeo  la  sua  zampogna,  egli  attestava  sotto  il  velame  delle  vec- 
chie forme  allegoriche  un  fatto  certamente  vero  (2).  Non  soltanto 


(1)  Esse  si  leggono  nel  cod.  Vaticano  1769,  ms.  membranaceo  di  fogli  346, 
scritto  a  due  colonne,  di  mano  elegante  e  adorno  di  ricche  iniziali.  Oltre 
le  Declamazioni  di  Quintiliano  (f.  144  t)  il  cod.  contiene  la  maggior  parte 
degli  scritti  filosofici  e  morali  di  Seneca,  compresi  gli  apocrifi  (f.  45  r  - 192 1). 
Vengono  quindi  delle  sentenze  in  versi  latini,  disposte  per  ordine  alfabetico, 
(f.  492t-194r);  quindi  un  certo  numero  d'altre  ex  variis  philosophorum 
dictis  collecte  (f .  194  t  - 195 1).  Dopo  alcuni  altri  estratti  seguono  le  Tragedie 
di  Seneca,  con  le  quali  il  volume  si  chiude  (f.  197  r- 246  r).  11  recto  ed  il 
tergo  dell'ultimo  foglio  sono  occupati  dai  soliti  estratti  di  S.  Gerolamo, 
relativi  a  Seneca,  dall'  apocrifo  epitafio  di  costui  ecc.  Quindi  una  nota,  cui 
da  mano  diversa  da  quella  che  scrisse  le  linee  precedenti,  ma  del  mede- 
simo tempo,  venne  apposto  il  seguente  titolo:  Nota  domini  Lovati  Judicis 
et  poete  potavi.  Seneca  in  decem  istis  tragediis  usus  est,  ut  plurim,um,, 
m^tro  archilochio  trimetro  iambico  acathelectico  (sic)  :  quod  m,etrum  constai 
ex  sex  pedibus.  Primo:  iam,bo,  spondeo,  anapesto,  dactilo,  tribracho,  pro- 
celleum,atico  (sic).  Secundo  :  jam,bo  vel  tribacho  (sic).  Tertio:  iambo,  spondeo, 
dactilo,  anapesto,  tribacho.  Quarto  :  iambo  tribacho.  Quinto  :  spondeo,  ana- 
pesto, dactilo.  Sexto:  iam,bo  vel  purichio  (sic).  —  Primus  pes  est  iambus,  ut 
in  Hercule:  Soror  tonantis  etc.  Est  spovdeus,  ut  in  eodem,;  Nomen  reli- 
ctum  est  etc.  Est  anapestus  ut  in  eodem:  Tyrie  per  undas  etc.  Est  dactilus, 
ut  in  eodem.:  Sed  vetera  querimur  etc.  Est  tribrachus,  ut  in  Medea:  Re- 
media quociens  etc.  Est  procelleumaticus ,  ut  in  eadem  :  Pavet  animus, 
horret  etc.  Secundus  pes  est  iambus,  ut  in  Hercule:  Soror  tonantis  etc. 
Est  tribrachus,  ut  in  eodem:  Hinc  clara  gemini.  Tertius  pes  est  iambus  ut: 
Soror  tonantis,  hoc  enim  solum  mihi.  Est  spondeus,  ut  in  eodem;  Nomen 
relictum  est  —  semper  alienum  lovem.  Est  dactilus,  ut  in  eodem:  lUinc 
timendum  ratibus  ac  ponto  gregem.  Est  anapestus,  ut  in  eodem:  Pacem 
reducere  velie  vectori  expedit.  Est  tribrachus,  ut  in  eodem,  :  Archadia  qua- 
tere  nemora  menalium  suem.  Quartus  pes  est  iambus,  ut:  Soror  tonantis  etc. 
Est  tribrachus,  ut:  Nomen  relictum  est  etc.  Quintus  pes  est  spondeus,  ut: 
Soror  tonantis  etc.  Est  anapestus,  ut:  Ac  tempia  summi  vidua  deserui 
etheris.  Est  dactilus,  ut  in  eodem:  Non  eam,  sed  nunc  pereat  omnis  me- 
moria. Sextus  pes  est  iambus,  ut  :  Locumque  celo  pulsa  pellicibus  dedi  Est 
purichius,  ut:  Nomen  relictum  est.  — Semper  alienum  Jovem.  —  Aliam  va- 
riationem  pedum,  in  hoc  libro  circa  hoc  genus  m,etri  non  memini  me  legisse. 

(2)  Auratis  qui,  ftonde  virens,  (Mnsactus)  quoque  cantat  avenis, 

Quas  illi  moriens  Lycidas  in  pignus  amoris 

Dimisìt,  dicens:  Quia  mnsis  cemeris  aptns, 
His  Mnsactus  eiis:  hedere  tua  tempora  lambent. 


NUOVI   STUDI   SU   ALBERTINO  MUSSATO  193 

simbolicamente,  ma  realmente,  Albertino  ha  raccolta  la  poetica 
eredità  di  Lovato;  è  alla  scuola  del  dotto  giudice  che  il  giovanetto 
scrivano  potè  sbramare  la  sete  di  scienza  che  lo  ardeva,  cre- 
scendo ai  di  lui  insegnamenti,  come  vi  cresceva  l'amico  e  coe- 
taneo suo,  Rolando  da  Piazzola,  che  un  singolare  documento  ci 
addita  più  tardi  curioso  ricercatore  di  lapidi  antiche  fra  le  rovine 
della  città  eterna  (1).  E  la  schiera  di  studiosi  e  di  poeti,  che 


loh.  de  Yerg.  Ed.  in  Bandini,  Cat.  Cod.  Mss.  Lat.  etc,  II,  20.  È  questa 
del  resto  opinione  tenuta  cosi  dal  Zardo  (Op.  cit,  p.  278)  come  dal  Minoia 
(Op.  cit.y  p.  40).  Gfr.  i  vv.  29  sgg.  àelV Epistola  ad  Roland.  (Ili)  del  Mussato. 
(1)  Nel  medesimo  cod.  vat.,  nel  quale  si  leggono  le  note  di  Lovato,  è  tra- 
scritta pure  una  apocrifa  iscrizione,  riguardante  Lucano,  per  cui  vedi  F.Eyssen- 
HARDT,  t.  VI,  P.  V  del  Corpus  Inscript.  Latin.  (Berlino,  1885),  che  comprende 
le  Inscript.  Urbis  Romae  (Falsae,  p.9,  «.6).  Ora  nel  cod.  essa  è  preceduta  dalla 
nota  seguente  :  MCCCIII.  mense  Januario  ego  Rolandus  de  Plazola,  dum 
Rome  essem  legatus  civitatis  Padue,  apud  ecclesiam  S.  Pauli  forte  inveni  et 
vidi  marmoreum,  saxum,  cum  his  litteris  etc.  La  nota,  dalla  quale  si  è  cercato 
far  sparire,  cancellandoli,  i  nomi  di  Rolandus  e  di  Padua,  non  è,  come  si 
capisce,  autografa  ;  molto  probabilmente  il  possessore  del  cod.  la  ha  trascritta 
da  un  più  «mtico  esemplare,  che  aveva  appartenuto  a  Rolando  e  nel  quale 
costui  insieme  allo  scrittarello  di  Lovato  aveva  anche  registrata  la  sua  sco- 
perta. A  questa  ipotesi  mi  sembra  dia  molto  appoggio  il  fatto  che  il  cod. 
appartenne  certamente,  se  non  ad  un  padovano,  ad  un  veneto;  tale  infatti  lo 
svela  una  postilla,  eh'  ei  fece  ad  un  luogo  dell' Allegatio  prò  divite  contra 
pauperem  di  Quintiliano,  dove  alle  parole  :  nihil  est  crudelius  morte  homi- 
num, ,  quos  populus  occidit  fece  questa  chiosa  :  Dio  te  guarde  de  m,an  de 
puovolo.  L'appunto  di  Rolemdo  ha  per  noi  interesse,  non  solo  in  quanto  ce 
lo  manifesta  dedito  agli  studi,  ma  anche  perchè  giova  a  togliere  ogni  dub- 
biezza intorno  al  tempo  dell'  andata  a  Roma  di  Albertino,  come  legato  di 
Padova  a  Bonifazio  Vili.  Certamente  ciò  avvenne,  non  già  circa  il  1297, 
come  voleva  il  Wychgram,  bensì  nel  1302,  come  sostennero  il  Gavacio  ed 
il  Colle  e  credono  probabile  lo  Zardo  {Op.  cit.,  p.  25)  ed  anche  il  Minoja 
{Op.  cit.,  p.  69);  giacché  Rolando  dovette  essergli  nelI'uflBcio  compagno.  Che 
l'amicizia  fra  i  due  fosse  incominciata  dalla  gioventù  loro,  quando  erìino  disce- 
poli di  Lovato,  lo  afferma  Albertino  stesso  quando  scrive  {Epist.  Ili,  ad  Rai.)  : 

Incipe  tunc  nostrae  floreiu  narrare  iuventaa 
Et  Celebris  TÌtae  gandia  prima  refer. 

Giovanni  di  Virgilio  afferma  poi  aver  saputo  ciò  da  Rolando  medesimo  in 
Bologna  {Dixit  ut  Aemilia  sub  rupe  mihi  m,emor  Alcon).  Ora  dell'andata 
di  Rolando  a  Bologna  nel  1319 ,  quale  Giudice  del  Podestà  Nicolò  da  Car- 
rara, mi  danno  certa  notizia  le  Sentenze  da  lui  pronunciate  per  la  creazione 
di  alcuni  noteii  il  19  e  il  23  giugno  di  tale  anno,  che  ho  rinvenute  nel 
R.  Archivio  di  quella  città  {Matric.  e  Seni,  di  Notai,  f.  31 1). 

Qiomale  storico,  VI,  fase.  16-17.  13 


194  F.   NOVATI 

attorniò  il  giudice  padovano,  dovette,  cresciuta  di  numero  e  di 
valore,  raccogliersi,  lui  spento,  intorno  al  riconosciuto  suo  suc- 
cessore, formando  una  scuola  letteraria,  l'origine  della  quale  e 
lo  sviluppo  importano  non  meno  alla  storia  delle  discipline  clas- 
siche che  a  quella  della  letteratura  volgare. 

Nel  seno  infatti  di  codesta  società  che,  rimovendo  le  crollanti 
barriere  della  vecchia  tradizione  scolastica,  si  accingeva,  ancor 
peritosa,  a  tentare  vie  inesplorate,  sentieri  da  secoli  inaccessi,  con- 
tinuava pur  sempre  a  vivere  qualche  resto  di  quella  coltura,  che 
l'aveva  un  tempo  signoreggiata,  la  coltura  cavalleresca.  Sui  primi 
del  secolo  XIV  questo  predominio  già  era  quasi  scomparso;  le 
cose  andavano  ben  diversamente  da  quello  che  cent'  anni  in- 
nanzi; nessuno,  o  quasi  nessuno,  pensava  più  ad  esprimere  i 
propri  sentimenti  in  lingua  diversa  dalla  nativa;  ma  il  prestigio, 
che  1  monumenti  della  lingua  d' oc  e  di  quella  d' oil  avevano 
esercitato,  non  era  ancora  intieramente  svanito.  Ed  invero,  se 
cosi  non  fosse,  come  si  potrebbero  spiegare  certi  fatti?  Come  si 
capirebbe,  ad  esempio,  che  Lovato  andasse  proprio  a  scegliere, 
come  argomento  di  un  poema  latino,  le  avventure  di  Isotta  e  di 
Tristano?  (1)  Come  i  bizzarri  racconti,  che  riempiono  le  Genea- 


(1)  L' esistenza  di  questo  poema  di  cui  un  brevissimo  frammento  si  legge 
nel  cod.  Laur.  PI.  XXXIII ,  31,  f.  46  r,  ci  è  attestata  anche  da  alcuni  versi 
della  ecloga  di  Giovanni  di  Virgilio  al  Mussato ,  che  passarono  finora  inos- 
servati. 11  Graf,  che  li  ha  riferiti  nei  suoi  notevoli  Appunti  per  la  storia 
del  ciclo  brettone  {Giom.,  V,  116),  osserva  giustamente  a  proposito  degli  ul- 
timi due,  dove  si  dice  che  per  Isotta 

heroes  simnl  deceitavere  Britanni , 
Lanciloth  et  Lamirotb  et  nescio  qnis  Falamedes; 

sembrargli  «  Giovanni  confondesse  le  Storie  di  Tristano  con  quelle  di  Lan- 
«  cilotto  ».  Le  parole  molto  vaghe  del  grammatico  bolognese  non  ci  con- 
cedono di  chiarir  bene  quale  sia  stato  1'  argomento  del  poema  di  Lovato  ; 
ma  mi  par  probabile  che  egli  avesse  verseggiato  del  Tristano  una  delle 
redazioni  più  recenti,  nella  quale  alle  avventure  del  nipote  di  Re  Marco 
si  fossero  quindi  già  consertate  quelle  di  Lancilotto  e  di  Ginevra.  Co- 
munque sia  di  ciò,  il  fatto  tanto  più  è,  a  mio  avviso ,  notevole ,  in  quanto 
può  porgere  argomento  a  credere  che  in  Italia  i  dotti,  gli  eruditi,  non 
fossero  animati  da  quel  dispregio  per  le  finzioni   del   ciclo   brettone,   del 


NUOVI  STUDI  SU  ALBERTINO   MUSSATO  195 

logìae  ed  i  romanzi  di  Giovanni  da  Naone  e  ci  fanno  passare 
sotto  gli  occhi,  stranamente  camuffate  all'antica ,  delle  larve  di 
cavalieri  erranti,  fioriti  prima  che  Troia  fosse?  (1)  Godeste  grame 
fantasie  di  giullare,  narrate  in  linguaggio  curialesco,  non  erano 
già  più,  egli  è  ben  vero,  che  l'eco  di  tradizioni  ormai  in  parte 
dimenticate  e  sdegnate  insieme  a  quei  racconti,  che  ne  avevano 
provocata  la  nascita  (2);  ma  che  questa  dimenticanza  e  questo 
sdegno  non  fossero  andati  tropp' oltre  lo  prova  il  vederle  dal 
giudice  padovano  studiosamente  raccolte.  La  lirica  adunque,  che 
di  codesta  coltura  era  stato  il  portato  e  l'espressione,  anche  in 
queste  mutate  condizioni,  continuò,  non  solo  a  vivere,  ma  a  fio- 
rire. Che  Lovato  la  coltivasse  a  noi  non  è  dato  affermarlo  con 
certezza,  ma  chi  ci  vieterà  di  credere  che  la  poetica  corrispon- 
denza eh'  ei  tenne  con  Bonatino  ed  il  Mussato  e  le  scherzose 
contese  che  con  quest'  ultimo  ebbe  rispetto  alla  superiorità  del 
lupo  sull'asino  non  fossero  scritte  in  volgare  (3)?  Ad  ogni  modo, 


quale  davano  prova  i  francesi.  La  letteratura  latina ,  fiorita  in  Francia 
nei  secoli  XII  e  XIH,  che  pur  non  ha  disdegnato  di  far  sue  qualche  volta 
le  leggende  carolingie,  non  ci  offre  per  ciò  che  spetta  alle  regis  Arthuri 
amhages  pulcerrimae ,  nulla,  o  io  m'inganno,  di  somigliante;  sarebbe 
adunque  la  prima  volta  che  questi  racconti,  i  quali  avevano  persino  a  Bi- 
sanzio ottenuto  diritto  di  cittadinanza,  ci  appaiono  rivestiti  di  classico  palu- 
damento. 

(1)  Vedi  Rajna,  Le  origini  delle  fam.  pad.  1.  e. 

(2)  Rajna,  Op.  cit.,  p.  179. 

(3)  Assai  noto  e  più  volte  prodotto  è  quel  passo  della  Vita  A.  Mussati  di 
Secco  Polentone  (passo  scomparso  nella  redazione,  che  ne  dà  il  cod.  Rice. 
191) ,  che  ricorda  come  avesse  diebus  unis  Padua  civitas  Lovatum ,  Bo- 
natinum  et  Mussatum,  qui  delectarentur  metris  et  amice  versibus  concer- 
tarent.  Di  queste  amichevoli  tenzoni  qualche  notizia  più  precisa  ci  viene 
offerta  da  M.  Savonarola,  il  noto  autore  del  Be  laudibus  Patavii  (lib.  I, 
cap.  3,  De  viris  illustribus  et  non  sacris)  in  un  passo,  che,  cosa  singolare! 
è  sfuggito  a  quanti  di  Albertino  hanno  trattato.  Dopo  aver  dato  ad  Al- 
bertino il  terzo  luogo  fra  gli  scrittori ,  che  onorarono  la  patria ,  il  S.  così 
viene  a  discorrere  di  Lovato:  «  Quartum  huius  ordinis  sederti  Lovato 
«  Poetae,  ex  nobili  Lovatorum  prosapia  nato,  cuius  veneranda  ossa  apud 
«  Antenorem,  urbis  nostrae  parenteni,  in  operosa  Arca,  qiAatuor  su- 
«  stentata  columnis,  etiam  non  parvo  cum  honore  tenentur.  Viri  enim  hi 
«  illustres    et   legum  ìnaxitni   interpretes   uno   fuerunt  tempore;  scrip- 


196  F.  NOVATI 

anche  se  non  per  lui,  certo  lui  vivo,  la  scuola  poetica  padovana  si 
afferma  per  opera  di  quell'Ildebrandino,  che  ricorda  Dante,  di  quel 
l'Amerigo  e  di  quell'Alberto,  che  il  da  Barberino  conobbe  (1),  di 


«  sitque  unus  alteri;  erantque  de  Asino  et  Lupo  metrice  contendentes. 
«  Et  utriusque  causas  intelligere  non  est  insuave  et  quantum  Philoso- 
«  phiae  noverint ,  jocosa  et  fabulosa  eorum  verba  declarant  ».  Chi  sa  se 
nella  contesa  Ysengrin  e  Bernard  non  facessero  capolino?  Queir  epiteto  di 
fabulosa,  che  il  S.  adopera  potrebbe  la^iarlo  sospettare.  Riguardo  a  Bona- 
tino  il  dotto  prof.  Gloria  ha  testé  {Riv.  stor.,  II,  p.  135)  esposta  la  conget- 
tura che  egli  sia  da  identificarsi ,  non  già  come  proponeva  il  Tiraboschi , 
con  il  Bergamasco  Bono  da  Castiglione,  ma  con  il  giureconsulto  mantovano 
Bovatino ,  che  insegnava  in  Padova  sui  primi  del  sec.  XIV  (f  1301).  Lo 
scambio  dell'in  con  n  nei  codd.,  che  il  Gloria  crede  cagione  dell'errore,  per 
cui  di  Bovatino  si  sarebbe  fatto  Bonatino,  mi  pare  più  che  probabile.  Sola 
difficoltà  però  è  per  me  questa ,  che  quanti  codici  del  De  scriptor.  ili.  di 
Secco  io  ho  visti  leggono,  non  già  Bovatinus ,  ma  Bonatinus:  talché  con- 
verrebbe ammettere  ben  antico  l'errore. 

(1)  Il  Thomas  (F.  da  Barberino  ecc.,  p.  70),  riferendo  un  brano  del  com- 
mento latino  ai  Doc.  d'Am.,  in  cui  si  parla  di  costoro,  li  ritiene  affatto  sco- 
nosciuti; ma  che  nelV Alberto  si  potesse  riconoscere  il  Mussato,  vide  il 
Renier  (Giorn.,  Ili,  92),  che  però  non  inclina  punto  ad  accogliere  tale 
identificazione  :  notando  e  che  di  Albertino,  come  poeta  lirico,  il  Polentone 
non  parla  e  che  nel  tempo,  in  cui  il  da  B.  si  trovava  a  Padova,  il  Mussato 
era  a  Firenze  esecutore  di  giustizia.  Per  verità  né  l'uno  né  l'altro  argomento 
mi  paiono  tali  da  precludere  ogni  via  all'  identificazione  del  rimatore  ricor- 
dato dal  B.  con  il  Mussato;  il  Polentone,  come  ha  ignorato  l'esistenza  di  pa- 
recchi scritti  di  Albertino,  può  con  altrettanta  facilità  esser  rimasto  al  buio 
anche  riguardo  al  suo  canzoniere,  che  (é  inutile  il  dirlo)  io  credo  ferma- 
mente non  debba  essersi  limitato  al  sonetto  in  bisticci  ad  Antonio  da  Tempo. 
E  in  secondo  lungo  il  modo  con  cui  messer  Francesco  parla  de'  due  poeti, 
Amerigo  ed  Alberto,  non  mi  pare  implichi  di  necessità  che  egli  li  cono- 
scesse di  persona:  il  tono  anzi  del  suo  racconto  è  quello  di  chi  ripete  cosa 
udita  da  altri.  Infine  si  potrebbe  notare  a  favore  dell'identificazione,  che 
Alberto  in  tutte  le  sue  canzoni  si  lamentava  della  durezza  della  sua  donna, 
al  contrario  d'  Amerigo  ;  ora  nell'  unico  sonetto ,  che  del  Mussato  ci  è 
giunto,  egli  fa  proprio  altrettanto  : 

Die,  sM'non  mento,  di,  perchè  s'ammanta 

Amor  sì  forte  ver  mi  eh'  o  sofferto 

Con  lui,  contento,  sempre  star  con  tanta 

Voglia..? 

Dopo  di  che  esprimerò  anch'io  un  dubbio  che  mi  trattiene  dal  venire  a  con- 
cludere che  l'Alberto  barberiniano  é  il  Mussato.  Se  si  trattasse  di  lui  il  Barbe- 
rino avrebbe  dovuto  chiamarlo  non  Alberto,  ma  Albertino,  poiché  questo,  più 
che  un  diminutivo,  è  da  considerarsi  quale  un  vero  e  proprio  nome  ;  e  d'ai- 


NUOVI  STUDI  SU  ALBERTINO  MUSSATO  197 

Giambone   de' Favafoschi  (1),   di   Matteo  Gorreggiaio,  del  Mus- 
sato stesso,  e  de'  molti  minori ,  dei  quali  oltreché  i  nomi  ci  son 


tronde  nessun  scrittore,  nessun  documento,  né  contemporaneo  nò  posteriore, 
ha  mai  chiamato  il  Mussato  Alberto.  Se  è  lecita  un'altra  congettura  si  po- 
trebbe nell'Alberto  del  Da  Barberino  supporre  invece  indicato  queir  Alberto 
Dt3  Bibio,  che  lo  Scardeone  ricorda  {Hist.  Pat.,  lib.  II,  ci.  X)  come  autore 
ài  un  libro  mulliplicis  historiae  multa  sane  varietate  refertum  et  praesertini 
de  novissima  origine  totius  Marchiae  Tarvisinae . . .  che  egli  però  dice 
perduto.  Il  De  Bibio  è  annoverato  fra  gli  abitanti  del  quartiere  di  Ponte 
dei  Molini  nel  Ruolo  dei  cittadini  di  Padova  del  1275  (Grion,  Delle  rime 
volg.,  p.  252),  e  come  sapiens  rammentato  dal  Da  Naone  (vedi  Rajna,  Op. 
cit.,  p.  167). 

(1)  Il  sig.  MoRPURGO,  nel  dare  alla  luce  le  notevoli  i2iwe  ined.  di  G.  Quirini 
e  Ant.  da  Tempo  {Arch.  stor.  per  Trieste  ecc.,  I,  142  sgg.),  avvertiva  come 
un  de' poeti,  a  cui  il  da  Tempo  dirige  alcuni  sonetti,  Andrea  Zamboni,  po- 
tesse «  esser  benissimo  tutt'  una  persona  con  quell'Andrea  Zamboni  pado- 
«  vano  »,  il  quale  «  viveva  e  scriveva  nel  1335  »  e  che  viene  ricordato 
come  «  autore  d'  una  meschinissima  cronaca  patria  »  intitolata  «  De  genere 
«  quorumdam  civium  urbis  Paduae  »  (p.  153).  Lasciando  andare  le  parecchie 
inesattezze  che  queste  parole  contengono  (cfr.  Rajna,  Op.  cit.,  p.  166),  mi  limi- 
terò ad  avvertire  come  la  identificazione  proposta  e  che  a  me  pure  sorri- 
derebbe assai,  urti  però  contro  una  difficoltà  non  lievissima.  L' autore  del 
poemetto  in  esametri  sulle  famiglie  padovane,  ora  perduto,  che  Giovanni  da 
Naone  gratifica  sempre  dell'epiteto  di  sapiente,  al  quale  il  Mussato  si  ri- 
volgea  per  consiglio,  facendo  amplissime  lodi  del  suo  ingegno,  della  sua 
autorità,  non  si  chiamava  Andrea  Zamboni,  come  scrive  il  sig.  Morpurgo 
sulla  fede  del  cod.  Vat.  Urb.  697,  bensì  Zambono  d'Andrea  de' Favafoschi. 
Perchè  si  possa  ammettere  adunque  che  il  poeta  volgare  sia  tutt'  uno  col 
latino,  converrà  supporre  un  errore  nelle  rubriche  del  cod.,  che  ci  ha  con- 
servati i  versi  suoi  e  quelli  a  lui  diretti.  E  dacché  mi  trovo  a  toccare  di 
questo,  noterò  come  il  sig.  M.  abbia,  a  mio  avviso,  poco  felicemente  interpretata 
la  risposta,  che  al  Da  Tempo,  il  quale  gli  aveva  chiesto  quale  differenza  in- 
tercedesse fra  queste  quattro  cose,  animo,  core,  mente  ed  intelletto,  fece  il 
Favafoschi.  Egli  scrive  difFatti  :  «  Alla  innocente  domanda  di  Antonio,  lo 
«  Zamboni  risponde  ironico  e  sdegnoso,  dicendogli  oltre  il  resto,  che  di  tali 
«  questioni  non  s' addicono 

a  quelli  eh'  anno  poccho  in  f  accha  sale  ; 

«  brutto  verso,  ma  peggiore  che  a  noi  dovette  sembrare  al  povero  giudice. 
«  Il  quale  però  seppe  rispondere  con  rime  ancor  più  forti,  concludendo  cosi 
«  un  sonetto  indirizzato  ad  Andrea  : 

«  Con  tal  natura  disputar  a  pungni 

«  vorrei  ben  volentieri,  orso  che  grungni!  »  (p.  153). 

Leggendo  il   sonetto  di  Giambone  d'Andrea   l'ironia  e  lo  sdegno  che  Tedi- 


198  F.  NOVATI 

pervenute  in  parte  anche  le  rime  (1).  Ed  a  tutti  costoro,  che, 
poetando,  si  sforzano  ormai  di  raggiungere  queir  unità  di  lin- 
guaggio, della  quale  la  lirica  toscana  innanzi  tutto  e  quindi  l'o- 
pera di  Dante  vengono  ogni  dì  più  mostrando  la  necessità  per 
chi  voglia  avvicinarsi  agli  eccellenti  dicitori,  unendo  alla  dottrina 


tore  vi  ha  rinvenuto,  io  non  li  so  ritrovare.  Mi  sembra  anzi  all'  opposto 
che  il  poeta  vi  faccia  sfoggio  di  modestia  esagerata  ;  poiché  le  parole  : 

Tal  chose  dir  non  è  sen^a  diffecto 

A  quegli  ch'anno  poccho  in  9accha  salle; 

ben  lungi  dall'  essere  rivolte  al  Da  Tempo,  lo  sono  da  Giambono  a  sé  mede- 
simo ,  che  accusa  di  aver  troppo  poco  sale  in  zucca  per  poter  trattare  senza 
biasimo  di  sì  gravi  questioni.  Tanto  è  vero  questo,  che  ripetutamente  chiede 
perdono  della  sua  scarsa  scienza  al  saggio  e  conoscente  interlocutore  : 

Chi  scritto  m'  à  par  sagio  e  cognosciente  : 
Lui  prìegho  che  *1  mio  dir  e'  non  riprove 
se  poccho  lo  mio  cor  cognQscie  e  sente. 

Anche  sull'interpretazione  che  il  medesimo  Editore  dà  del  sonetto  responsivo 
inviato  dal  Da  Tempo  a  Zambono  ci  sembra  siano  da  fare  delle  riserve.  Il  Da 
Tempo  nella  contro  risposta  mantiene  le  rime  che  aveva  adoperate  nel  suo  so- 
netto il  Favafoschi  e  questi  a  sua  volta  aveva  serbate  le  rime  della  proposta 
di  Antonio  :  così  che  abbiamo  tre  sonetti  condotti  sulle  rime  medesime,  le  quali 

nei   tre   ritornelli   sono  le   seguenti  :   1  asengni-sengni  —  2  ingengni- 

(il  secondo  verso  manca)  —  3  pingni-gringni.  Ora  la  corrispondenza  che 
esiste  fra  queste  cinque  parole  si  rompe  quando  si  leggano,  come  il  sig.  M.  ha 
fatto  pugni  e  grugni  le  due  ultime.  Che  vi  sia  infatti  assonanza  d'e  ed  i 
ben  si  capisce;  ma  d'i  e  d't<  è  foneticamente  impossibile.  Ne  consegue  quindi 
esser  falsa  l' interpretazione  proposta  dal  sig.  M.  ;  certo  Antonio  da  Tempo 
non  ha  mai  inteso  scrivendo  : 

Con  tal  natura  disputar  a  pingni 
Vorrei  ben  volentieri,  orso  che  gringni  ; 

di  dire:  disputerei  volentieri  con  te  a  pugni,  o  orso  che  grugnisci  (!);  ma 
assai  più  probabilmente  :  vorrei  ben  volentieri  disputare  a  pegni,  cioè  met- 
tendo pegno,  con  uomo  della  tua  indole,  ora  che  so  che  tu  grigni,  che  tu 
ridi,  e  si  sottintende,  di  domande  quali  le  mie.  Certo  nemmeno  inteso  così 
il  sonetto  del  giudice  padovano  brillerà  molto  per  chiarezza;  ma  ad  ogni 
modo  si  elimineranno  i  pugni  e  i  grugniti  e  sopratutto  l'orso,  che  facevano 
pur  la  bizzarra  figura  in  un  sonetto  come  questo! 

(1)  Quanto  si  conosce  di  Matteo,  che  sapeva  anche  di  francese,  è  raccolto 
nel  cit.  Arch. ,  p.  151.  Per  gli  altri  cfr.  Morpurgo,  Poeti  veneti  del  Tre- 
cento in  Arch.  stor.  per  Trieste  ecc.,  p.  135,  e  'R.^ììyer,  L'enumer.  dei  poeti 
volg.  del  Trec.  nella  Leandreide,  ibid.,  pp.  315  sgg. 


NUOVI  STUDI   SU  ALBERTINO  MUSSATO  199 

l'esempio,  dà  leggi  il  cantore  di  una  nuova  Selvaggia,  Antonio 
Cane  da  Tempo  (1).  Cosi  nemmeno  il  trattatista  manca  a  questa 
scuola,  della  quale  è  a  desiderarsi  che  indagini  nuove  concedano 
di  conoscere  presto  più  largamente  i  prodotti  ed  i  legami  che  la 
rannodano  alle  altre  scuole  poetiche  della  penisola. 

Poiché  fra  i  fatti,  che  già  preludiano  al  risorgimento,  anche 
questo  è  degno  di  attenzione;  la  fratellanza,  se  non  nuova,  certo 
maggiore,  che  viene  stringendo,  benché  diversi  di  patria,  ignoti 
spesso  gli  uni  agli  altri  di  persona,  i  cultori  degli  studi  medesimi. 
Una  corrispondenza  assidua  infatti  non  solo  serba  vive  le  rela- 
zioni amichevoli  fra  i  cittadini  di  paesi  finitimi  ;  non  solo  stringe 
gli  studiosi  ed  i  rimatori  di  Padova  a  quelli  di  Verona,  di  Ve- 
nezia, di  Vicenza,  di  Treviso;  ma  a  quelli  puranche  di  Lombardia, 
di  Romagna,  di  Toscana.  E  quando  a  ciò  non  intendono  le  gravi 
epistole  latine,  soccorrono  all'uopo  i  sonetti ,  che  volano,  messag- 
geri di  filosofici  quesiti,  di  dubbi  amorosi,  di  facezie,  di  rimbrotti, 
da  un  capo  all'  altro  d' Italia  (2).  E  cosi ,  oltreché  nelle  città 
della  Marca,  Albertino  conta  amici  ed  ammiratori  un  po'  daper^ 
tutto;  ai  nomi  di  Marsilio  da  Padova,  di  Castellano,  diFerreto, 
di  Benvenuto  de^Gampesani ,  di  Giovanni  da  Vicenza  s'aggiun- 
gono, e  non  sono  i  soli,  quelli  di  Bonincontro  mantovano,  di  Ri- 
naldo de' Cenci,  di  Giovanni  di  Virgilio,  di  Guizzardo  da  Bologna. 
E  quello  che  or  dico  del  Mussato,  si  può  ripetere  per  gli  altri. 
I  sonetti  di  Giovanni  Quirini,  uno  dei  più  castigati  rimatori  del 
tempo,  da  Venezia  corrono  a  Ravenna,  come  da  Cesena  vi  arri- 
vano, a  venerare  il  sommo  maestro,  l'Alighieri ,  le  ecloghe  di 


(1)  Che  Antonio  da  Tempo  avesse  egli  pure  celebrata  la  sua  donna  sotto 
il  simbolico  nome  di  Selvaggia,  è  particolare  sin  qui,  per  quanto  credo, 
inavvertito,  che  ci  dà  l'ignoto  autore  della  Leandreide: 

Antonio  di  Tempo  vi  chonsilglia 
padoano  a  parlar  drito  per  rima  ; 
di  sua  dona  selvatia  ama  la  cilglia. 

(Op.  ctt.,  p.  316). 

(2)  Intorno  alle  Corrispondenze  poetiche  sulla  fine  del  sec.  XIII  sono  date 
buone  notizie  nel  recente  libro  di  P.  Ercole,  Le  Rime  di  G.  Cavalcanti^ 
pp.  56  sgg. 


200  F.   NOVATI 

Giovanni  di  Virgilio.  E  quando  il  poeta  veneziano  cede  al  bi- 
sogno di  effondere  il  suo  corruccio  contro  l'audace  avversario  di 
Dante,  l'astrologo  ascolano,  è  ad  un  bolognese  che  si  rivolge;  a 
quel  Matteo,  che  non  dovrebbe  di  mezzi  villani  Chiamare  alcun, 
ma  tutto  dir  cortese  (1).  Pari  varietà  di  patria,  di  dimora,  tro- 
veremmo certamente  nei  corrispondenti  di  Antonio  da  Tempo, 
ove  del  suo  Canzoniere,  che  fu  senza  dubbio  ricchissimo,  restasse 
qualche  cosa  di  più  che  dei  dispersi  frammenti;  poiché  egli  dovette 
vantare  l'amicizia  di  tutti  i  più  noti  rimatori  contemporanei,  se 
con  tutti  si  contenne  come  sappiamo  aver  fatto  con  l' imolese 
Carradori  (2).  Ma  il  più  bello,  il  più  efficace  documento  dell'in- 
timo legame  che  rannoda  sui  primi  del  trecento  i  poeti  e  gli 
scrittori  tutti  della  penisola ,  i  più  grandi  come  i  più  umili ,  ci 
viene  a  mio  avviso  offerto  da  queir  ecloga  che  Giovanni  di  Vir- 
gilio indirizzava  dopo  la  morte  di  Dante,  ad  Albertino  Mussato  (3). 
In  questo  componimento,  ispirato  al  maestro  bolognese  dalla  brama 
di  esprimere  insieme  alla  propria  l'ammirazione  di  tutti  i  cultori 
degli  studi  per  il  poeta, 

cui  pugnai  patrio  prò  cannine  vitifer  Eugan 
strataque  Dardanii  non  murmurat  unda  Tiraavi  (4), 
tale  melos  edit  mellitis  tibia  labris; 

il  padovano  è  riposto  in  tal  seggio  che  più  onorevole  non  po- 
trebbe essergli  assegnato  da  alcuno.  Egli ,  che  i  contemporanei 
acclamano  erede  di  Lovato  e  di  Dante,  incarna  cosi  la  vita  nuova 
di  pensiero  che  anima  l'Italia  ;  l'accoppiamento  squisito  e  geniale 
dell'antica  colla  nuova  cultura,  che  produrrà  frutti  mirabili  tanto 
nel  pieno  rigoglio  dell'umanesimo,  nel  secolo  decimoquinto. 

{Continua). 

F.   NOVATI. 


(1)  Arch.  cit.,  pp.  16  sgg. 

(2)  Arch.  cit.,  p.  21. 

(3)  Edita  già  a  p.  365  del  t.  XI  dei  Carm.  Illustr.  Poetar.  Italor.  essa  fu 
più  correttamente  ristampata  con  l'aggiunta  delle  preziose  glosse  marginali 
ed  interlineari  che  la  dichiarano  di  sul  cod.  laurenz.  dal  Bandini  nel  cit. 
tomo  del  suo  Catalogo.  Tuttavia  il  Minoia  non  ne  sospetta  pur  l'esistenza! 

(4)  Bandini,  Op.  cit.,  e.  9. 


201 


VAR I  E  TÀ 


NOTERELLA    DANTESCA 


Al  prof.  F.  Novali, 

Ritorniamo,  se  non  le  spiace ,  carissimo  amico,  al  dantesco 
accismare  (1).  La  etimologia,  alla  quale  propende  lo  Zingarelli,  non 
è  originariamente  del  Diez  (2),  è  invece  del  Galvani.  Già  dal 
1828  il  valoroso  modenese  nel  suo  Saggio  di  alcune  postille  alla 
divina  Commedia  spiegò  da  acesmar  e  da  acesmer  il  dantesco 
accismare;  ma  parlò  a'  sordi,  che  seguitarono  tradizionalmente 
lessicografi  e  commentatori  a  giurare  nella  parola  del  Da  fiuti 
e  della  Crusca  (3).  Perciò  il  Galvani  allargò  la  sua  postilla  in 
una  lezione  accademica,  che  fu  prima  stampata  nel  1837,  e  fu 
poi  ripubblicata  insieme  alle  altre  lezioni  raccolte  ne'  due  volumi. 


(1)  Gfr.  Giornale,  t.  Ili,  p.  417. 

(2)  Ella  crede  che  il  Diez  non  abbia  voluto  escludere  affatto  la  derivazione 
di  accismare  da  cisma  (oxicffia).  II  Diez  scrive:  «  di  sicuro  da  azesmar  è 
«  accismare  di  Dante,  che  altrimenti  si  spiega  da  cisma  •».  Ora  è  vero  che 
il  grande  maestro  non  condanna  con  aperte  parole  la  seconda  etimologia, 
ma  non  parmi,  d'altra  parte,  che  mostri,  col  semplice  ricordo,  di  ammetterla 
implicitamente ,  bensì  che  voglia  solo  registrarla  quale  notizia  e  a  comple- 
mento di  quanto  disse  sopra  accismare.  Se  no ,  si  riesce  a  questa  logica  : 
certamente  è  vero  questo ,  ma  può  darsi  anche  che  non  sia  vero.  0  l' una 
cosa  0  l'altra.  E  il  Diez  ragionava  invece  molto  correttamente. 

(3)  Lo  Zingarelli  scrive:  «  il  Buti  parrebbe  leggere  ascisma  ».  Ma  anzi 
legge  cosi:  cfr.  il  testo  del  suo  commento,  edito  dal  Giannini,  Pisa,  Nistri, 
1858,  t.  I,  p.  722. 


202  V.   CRESCINI 

che  uscirono  il  1839-40  (1).  «  Ed  io  non  so,  scriveva  poco  più 
«  tardi  il  Nannucci,  come  mai  i  moderni  editori  della  divina  Gom- 
«  media  non  abbiano  profittato  delle  spiegazioni  chiare  ed  aperte, 
■«  che  di  quel  verbo  {accismaré)  ci  ha  date  il  Galvani  (2).  »  Ne 
profittarono  però  in  seguito  i  commentatori,  come,  ad  esempio, 
il  Fraticelli,  il  Bianchi  e  lo  Scartazzini  (3). 

Il  Galvani,  fatto  famigliare  con  il  verbo  dantesco,  che  gli  ap- 
pariva una  vecchia  conoscenza  per  i  molti  suoi  studi  d'antico 
francese  e  di  provenzale,  s'oppone  a  qualunque  altra  spiegazione, 
che  non  s'accordi  col  senso  di  acesmar  provenz.  e  di  acesmer 
francese.  Pareva  al  Galvani ,  e  tanto  meglio  pare  adesso  a  noi 
in  cosi  splendido  progresso  di  studi,  «  il  cercar...  nell'Allighieri 
«  parole  e  provenzali  e  francesi  allora  viventi  e  conosciute  ai 

«  gentili più  consentaneo  col  vero  (4)  di  quello  che  l'attribuirgli 

«  parole  o  tutte  trovate ,  od  immediate  dal  greco  (5).  »  Crede 
che  in  questo  luogo  di  Dante  domini  l' ironia ,  e  ritiene  inoltre 
che  la  rima  abbia  costretto  forse  il  poeta  ad  usarla  (6).  «  I  verbi 
«  pertanto,  seguita  egli,  acesmar  ed  acesmer,  che  non  altro 
«  provenzalmente  e  francescamente  significarono  fuorché  ornare. 


(1)  Cfr.  G.  Galvani,  Lezioni  accademiche,  Modena,  1839-40,  t.  II,  p.  33: 
«  Della  origine  e  della  significazione  della  voce  accismaré  ad  illustrazione 
«  di  un  luogo  di  Dante  nella  D.  Commedia  ». 

(2)  Cfr.  Analisi  critica  dei  verbi  italiani,  p.  31,  n.  3. 

(3)  Lo  Scartazzini  è  in  questo  punto  poco  esatto.  Anzitutto ,  chi  gli  ha 
dimostrato  che  il  fr.  acesmer  sia  derivato  dal  prov.  azesmar?  Lo  può  scu- 
sare tuttavia  il  fatto,  che  in  questa  arbitraria  affermazione  lo  hanno  prece- 
duto il  Nannucci  e  il  Diez.  Ancora  :  non  è  vero  che  il  Galvani  non  ispieghi 
accismaré  per  conciare,  acconciare  (cfr.  infatti  la  cit.  memoria  del  Galvani, 
m  fine). 

(4)  Cfr.  su  questo  argomento  quello  che  dice  egregiamente  lo  Zingarelli 
a  p.  183  del  suo  studio. 

(5)  Allude  alla  imaginata  derivazione  da  schisma,  ayi\a\xo.:  cfr.  Yocabol. 
della  Crusca,  alle  voci  accismaré  e  cisma. 

(6)  Cfr.  p.  138  della  memoria  dello  Zingarelli ,  ove  è  posto  un  problema 
interessantissimo  e  delicatissimo  :  «  ma  non  possiamo  noi  anche  rintracciare 
«  proprio  sul  pensiero  di  Dante  qualche  influenza  della  rima?  »  Si  noti  bene 
che  la  rima  in  -isma,  degna  proprio  dell'ardimentoso  e  aristocratico  Arnaldo 
Daniello  della  poesia  italiana,  non  ci  si  presenta  nell'intero  poema  dantesco 
che  a  questo  luogo.  E  si  osservi  pure  come  il  Galvani,  fra  tanta  idolatria 
di  ciechi  pedanti  per  TAllighieri,  si  mostri  ragionevole  e  acuto.  —  Giacché 
poi  sono  a  questo  argomento  della  rima  nella  Commedia,  noterò  un  errore 


VARIETÀ  203 

«  abbigliare,  guarnire,  apprestare,  furono  adoperati  qui ,  volti 
«  neWaccismare  dantesco,  a  modo  di  dolorosa  ironia,  siccome  fu 
«  in  modo  d'altra,  ma  non  dissimigliante  ironia  nella  parola,  quel 
«  dire  Agamennone ,  IL,  IV,  v.  339,  Ulisse  di  mali  doli  ornato: 
«  Kol  où  KOKoìoi  bóXoicTi  K€KaaMév6:  e  fu  perciò  come  dicesse:  è  qui 
«  dietro  un  diavolo  che  ne  abbiglia  di  questo  modo  crudele  ;  che 
«  cosi  crudelmente  ci  sfregia  e  adorna  nella  persona  :  e  ciò  ac- 
«  cennando  a  que'  sformati  tagli  e  dolorosi  cincischìi,  che  da  esso 
«  lui  ricevevano  ».  Aveva  già  il  Galvani,  come  dissi  il  '37,  pub- 
blicata la  sua  lezione,  quando  usci  l'opera  del  Gherardini  :  Voci 
e  maniere  di  dire  italiane  additate  a'  futuri  vocabolaristi,  Mi- 
lano, 1840,  nella  quale,  t.  I,p.253,  il  vivacissimo  critico  della  Crusca, 
accettando  la  derivazione  da  scismxi,  focosamente  sosteneva  che 
si  dovesse  leggere  ascismare,  non  accismare,  come  il  Da  Buti, 
e  press'a  poco  come  il  Buonanni,  che  aveva  voluto  leggere  :  Un 
diavolo  è  qua  dietro  che  ne  scisma.  Rigettava  pure  il  Gherar- 
dini l'immediata  derivazione  da  cisma= scisma ,  poiché  questa 
voce  gli  sembrava  falsa ,  e  non  autorizzata  da'  due  esempi  a  lui 
sospetti  assai  della  Fiera  del  Buonarroti  e  delle  Lettere  di 
D.  Gio.  Dalle  Celle  (1). 

Ma  il  Galvani  nella  ristampa  della  lezione ,  riferite  le  argo- 
mentazioni e  la  sentenza  del  Gherardini,  dichiara  di  persistere 
nell'opinione  sua,  concludendo:  «  che  la  voce  al  luogo  Dantesco 
«  debba  ritenersi  nella  significazione  primitiva  ed  originaria  sem- 
«  bra  assai  conseguente,  badando  e  al  modo  de'  nostri  volgari  che 
«  usano  appunto  le  frasi:  accomodare,  aggiustare,  o  conciare 
«  uno  per  le  feste  e  simili,  coli 'identica  antifrasi,  ed  all'autore 
«  che  la  adoperò,  cioè  a  Dante,  vago  de'  provenzalismi,  e  desi- 
«  deroso  di  mostrarsi  perito  in  quella  favella,  la  quale  passava 
«  allora  per  la  gentile  ». 


commesso  dallo  Zingarelli  nel  fine  capitolo ,  che  di  essa  tratta.  Le  traspo- 
sizioni d'  accento  in  rima ,  quelle  che  lo  Z.  efficacemente  nomina  enclisie 
sforzate ,  non  sono  tra  gli  artifici  personali  del  divino  poeta.  Per  1'  antica 
poesia  italiana,  senza  molto  cercare,  cfr.  Gaix,  Origini  ecc.,  p.  196;  per  la 
poesia  provenzale  cfr.  Diez,  Die  Poesie  der  Troubadours,  2*  ed.,  p.  82. 

(1)  Il  Gherardini  aveva  torto,  che  non  solo  nel  toscano,  ma  pure  in  altre 
parlate  romanze  venne  a  prodursi  la  forma  cisma.  Cfr.  esempio  recato  dal 
Ducange;  vedi  cisma  e  phariseare ,  ove  la  forma  del  latino  medievale  ri- 
flette certo  la  volgare,  e  Diez,  Etym.  W.,  I,  vedi  cisma,  ove  si  registrano 
lo  sp.  cisma  e  lant.  francese  cisme. 


204  V.  CRESGINI 

Per  verità  mi  pare  che  questa  spiegazione  del  Galvani  sia  la 
sola  vera.  Con  ciò  voglio  dire  che  nemmeno  la  congettura  di  lei, 
caro  amico,  per  quanto  arguta,  mi  persuade,  e  che  col  Nannucci, 
col  Diez,  con  buoni  commentatori,  col  Gaspary,  collo  Zingarelli, 
seguito  ad  intendere  il  verbo  dantesco  al  modo  del  Galvani.  Na- 
turalmente è  questione  subiettiva,  perchè  la  lettera  del  testo  si 
presta  all'una  interpretazione  e  all'altra:  accisma,  che  pare  la 
lezione  migliore  (1),  tanto  può  ricondurci  ad  acesmar  che  a 
cisma.  Ma  valgono  per  la  prima  di  queste  etimologie  assai  più 
ragioni  interne,  che  per  la  seconda.  Con  essa  infatti  si  riconnette 
il  verbo  dantesco  a  parola  conosciuta  in  lingue  sorelle,  che  eser- 
citarono influsso  sull'idioma  letterario  nostro,  si  ricollega  all'uso 
che  se  ne  scoperse  in  altri  de'  vecchi  scrittori  italiani  (2)  e  nel- 
l'anonimo rimatore  genovese  (3);  con  essa  risalta  piena  la  solita 


(1)  Accismn  legge  il  famoso  cod.  Vaticano ,  che  si  voleva  del  Boccaccio 
(cfr.  ed.  Fantoni),  come  il  testo  Bartolini,  la  cui  stampa  fu  condotta  col 
riscontro  di  65  codici  (Udine,  1823),  come  la  maggior  parte  de'  codd.  ado- 
perati dallo  ScARABELLi  ad  illustrazione  dell'  esemplare  Lambertiniano  della 
commedia  da  lui  pubblicato,  come  il  testo  del  Witte,  come,  finalmente, 
il  gruppo  dei  mss.  studiati  dallo  Zingarelli.  Acisma  leggono  le  quattro  prime 
stampe  della  Commedia  (vedine  la  riproduzione  Vernon,  Londra  1858,  p.  196); 
accisma  leggono  Tediz.  aldina  del  1502,  quella  della  Crusca  del  1595,  del 
Volpi  del  1727,  del  Niccolini,  Capponi  ecc.  del  1837. 

(2)  Lo  Zingarelli  (p.  113)  dice  che  nell'antico  italiano  il  riflesso  di  acesmar 
è  di  uso  estesissimo.  Questo  è  troppo,  e  credo  che  lo  Zingarelli  sarebbe  im- 
barazzato a  dare  le  prove  della  sua  affermazione.  Torno  intanto  a  citare  gli 
esempi  soliti,  di  Guido  Guinizelli  e  del  Lucano  volgare  (cfr.  Nannucci,  Ma- 
nuale ecc.,  I*,  p.  40,  n.  2).  Del  resto  dall'  ediz.  critica  de'  poeti  bolognesi 
apparisce  che  soli  due  codici  danno  al  luogo  noto  di  G.  Guinizelli  la  lezione 
cesmata.  D'uno  anzi  di  questi  codd.  non  si  è  sicuri  ;  si  deve  credere  per  esso 
alla  asserzione  del  Fiacchi.  Io  ritengo  che  la  parola  sia  sembrata  fin  dap- 
principio troppo  esotica  e  si  sia  durata  fatica  ad  accoglierla  ne'  canzonieri  : 
infatti  nel  cod.  Alessandri,  secondo  il  Fiacchi,  in  margine  stava  a  modo  di 
correzione  :  quando  appare  in  fra  V altre  più  adorna,  ove  la  parola  ostica 
è  evitata ,  e  che  è  la  lezione  accolta  nel  suo  testo  critico  dal  Casini  ,  Le 
rime  dei  poeti  bolognesi  del  sec.  XIII,  Bologna,  1881,  pp.  32,  284. 

(3)  Cfr.  Rime  genovesi  (Arch.  Glott. ,  li ,  2) ,  XXXVIII.  114.  XLIII.  85. 
XLIX.  129.  248.  LXXIX.  57.  In  quest'ultimo  luogo  s' ha  il  sost.  cesmo. 
Mentre  correggevo  le  bozze  di  questo  scritterello  capitarono  le  Annotazioni 
sistematiche  alle  Ant.  Rime  Genov.  e  alle  Prose  Genov.  del  Flechia 
(Arch.  Glott.,  Vili.  3).  Il  Flechia  (pp.  318,  338)  registra  gli  esempì  da  me 
già  avvertiti,  e  rimanda  al  Diez,  Less.,  I,  164,  s.  csmar. 


VARIETÀ  205 

efficacissima  ironia  dantesca ,  rispondente  poi  in  questo  caso  al 
senso  di  una  frase  comune,  facilmente  risvegliata  nella  memoria 
di  Dante  dalla  pena,  ch'egli  descriveva,  di  tanti  colpevoli  in  si 
crudele  modo  conciati  dalla  spada  del  diavolo.  Invece  è  artifi- 
ciosa la  derivazione  da  cisma,  non  si  stenta  a  vederlo,  così  nel 
senso  di  scisma,  come  nella  speciale  accezione  da  lei  notata. 
Dante  sillogizzerebbe  cosi  :  coloro  che  furono  seminatori  di  cisma 
(divisione)  dal  diavolo  vengono  cismali  (divisi).  Allora  conviene 
essere  logici,  e  ritenendo  che  Dante  fino  coll'identità  delle  parole 
abbia  voluto  significare  la  rigida  parità  della  colpa  e  della  pena, 
si  deve  leggere  : 

Vi  tutti  gli  altri  che  tu  vedi  qui , 
Seminator  di  scandalo  e  di  cisma 
Fur,  vivi;  e  però  son  fessi  così. 

Un  diavolo  è  qua  dietro,  che  ne  cisma 
Sì  crudelmente  ecc.  ecc. 

0  col  Buonanni,  se  si  vuol  meglio,  devesi  leggere  ne'due  punti 
corrispondenti,  scisma  sost.  e  scisma  verbo.  Perchè  infatti  quella 
preposizione  di  accisma?  Sentendo  che  anche  una  differenza 
lieve  avrebbe  turbato  il  voluto  effetto  (Ji  un  tale  rapporto  di 
parole,  conceduto  l'intendimento  che  gli  si  attribuisce  da'  seguaci 
del  Da  Buti,  Dante  lo  avrebbe  certamente  reso  visibile  e  sensi- 
bile con  perfetta  uguaglianza  di  termini.  Perchè  infine,  mi  si 
lasci  dire,  si  ritorna  alla  benedetta  sentenza  del  marchese  Co- 
lombi: simili  giochetti  si  fanno  o  non  si  fanno,  e  con  scisma  e 
accisma  il  giochetto  non  riesce  compito.  D'altra  parte  Dante  ha 
già  rilevata  chiaramente,  la  rispondenza  che  corre  tra  la  colpa 
e  la  pena  di  questi  dannati,  ha  già  detto: 

E  tutti  gli  altri,  che  tu  vedi  qui, 
Seminator  di  scandalo  e  di  scisma 
Fur,  vivi;  e  però  son  fessi  così. 

Ma ,  notiamolo  subito,  1'  ha  rilevata  con  parole  diverse  dicendo 
che  i  seminatori  di  scandalo  e  di  scisma  sono  fessi.  Dato  che 
accisma  valesse  fende,  Dante  tornerebbe  a  ripetere,  con  prolis- 
sità che  gli  è  ignota,  la  stessa  cosa.  Poi  accisma  si  riferirebbe 
ad  una  parte   dei   dannati   della  nona  bolgia ,  a'  seminatori  di 


206  V-   CRESCINI 

scisma,  non  a'  seminatori  di  scandalo.  Finalmente  il  verbo  cis- 
TYiare  o  accismare,  derivando  da  cisma,  che  ha  significazione 
affatto  speciale,  e  che  da  Dante  è  in  questa  significazione  ado- 
perato, meglio  che  (secondo  il  primitivo  e  più  semplice  valore) 
dividere,  fendere,  vorrebbe  dire  :  produrre  cisìui  o  scismi.  Ma 
che  leggono  ascismxi,  come  il  Da  Buti  voleva  e  più  tardi  il  Ghe- 
rardini,  ci  sono  codici  ragguardevoli.  Ora  qui  bene  osserva  Lu- 
ciano Scarabelli  (1)  che  la  lezione  ascismu  dev'essere  provenuta 
da  chi  scrisse  sotto  dettatura  di  qualche  toscano ,  il  quale  pro- 
nunciava acìsma,  che  meglio  assai  di  accisma  può  essere  la  forma 
originaria,  con  la  palatina  assibilata,  in  modo  che  se  n'avesse  la 
linguale  s .  Trovando  scritto  a  questa  maniera  il  Da  Buti  fu  colpito 
dalla  somiglianza  di  questa  voce  con  la  precedente  rima  scìsm^a, 
e  imaginò  quella  sua  etimologia  e  conseguente  spiegazione.  Anche 

ilcod.  cassineseci  dà:  sem,inator  di  scandalo  e  di  sisma Un 

diavolo  e  qua  dietro  che  nasiSTna.  Acesm^ar  poteva  dare  all'i- 
taliano così  la  sibilante  dentale  s,  come  la  linguale  s,  come  la 
esplosiva  palatina  e.  Nel  God.  cassinese  potrebbe  aversi  però 
asisma  per  asciSTua ,  come  sismxi  per  scisma ,  con  s  espressa 
da  semplice  s  (2).  Ma  questa  voce  acesm,ar,  salendo  dal  riflesso  ita- 
liano alla  voce  originaria,  da  che  deriva  ?  Respingo  l'etimologia  del 
Roquefort  [Glossaire  Roman,  v.  acesmer),  che  vorrebbe  la  voce 
corrispondente  francese  da  un  supposto  bassolatino  acosm,are  ecc., 
come  quella  del  Galvani,  che,  per  la  solita  ragione  dell'influsso 
greco  di  Marsiglia  sulla  Gallia,  vorrebbe  che  direttamente  ai  due 
volgari  gallici  fosse  la  parola  scesa  da  Koa^eìv.  Neppure  l'etimologia 
dieziana  da  adaestimare  mi  va.  Accolgo  invece  e  ripresento  una 
etimologia  dimenticata,  quella  del  Ducange,  il  quale  fa  risalire 
acesmer  a  scem.a,  schema,  axn^a-  G^ià.  dalle  lingue  classiche  questa 
voce,  oltrepassata  la  significazione  primitiva  di  forma,  figura, 
venne  a  indicare  abito,  veste;  già  dal  latino  antico  schema  venne 
a  scema  (3).  Nel  medioevo  il  greco  e  il  latino  ci  presentano 


(1)  Gfr.  Esemplare  della  Divina  Commedia  donato  ÓMpapa  {Benedetto  XIV) 
Lambertini  ecc.,  edito  secondo  la  sua  ortografia ,  illustrato  dai  confronti 
di  altri  XIX  codici  danteschi  inediti  e  fornito  di  note  critiche  da  Luciano 
Scarabelli,  Bologna,  Romagnoli,  1870,  I,  p.  497.  La  lezione  ascisma  tro- 
viamo anche  nell'  ediz.  dell'  Inferno  dantesco  col  comm.  di  Guiniforto  delli 
Bargigi  fatta  a  cura  dell'avv.  G.  Zacheroni,  Marsiglia-Firenze  1838. 

(2)  Vedi  anche  nel  Gloss.  latino  del  Du  Gange  sisma  per  schisma,  scisma. 

(3)  Gfr.  il  Dizionario  del  Porcellini. 


VARIETÀ  207 

questa  parola  frequentemente  (1).  Il  Glossario  latino  del  Ducange 
ce  la  spiega  cosi:  Forma,  species,  ornatus,  vestitus,  habitus; 
e  a  proposito  di  quest'ultimo  significato  noterò  che  nel  greco  e 
nel  latino  codesta  voce  designò  particolarmente  l'abito  monastico. 
Si  formò  da  essa  il  verbo  scemari  che  valse  ornatu,  suo  òble- 
ctari;  si  formò  ancora  il  verbo  ascemare,  che  troviamo  usato 
da  S.  Colombano:  «  quia  naturam  ascematus  est,  qui  eam  ex 
«  nihilo  creavit  »  i.  e.  (aggiungesi  nel  Du  Gange):  «  induit,  ea  se 
«  quasi  ornavit.  »  Ora,  solamente  per  questo  etimo  io  mi  spiego 
perfettamerrte  i  significati  di  acesmer  e  axiesmar,  pe'  quali  ri- 
mando, od  altrimenti  questa  lettera  non  ha  più  fine,  al  Borei, 
al  Ménage,  al  Roquefort,  al  Rochegude,  al  Raynouard  ecc.  Ma 
si  osserverà  che  alla  derivazione  di  acesmer  e  acesmar  da  sce- 
mari,  ascem,are  s'oppone,  però  debolmente,  una  difficoltà  fone- 
tica :  donde  viene  alla  forma  francese  ed  alla  provenzale  quella 
s  che  non  si  trova  ne'  due  verbi  latini  ?  Si  risponde  molto  presto 
che  nel  provenzale  5  si  intercala  in  parecchie  parole  innanzi  m, 
(si  veda  Diez,  Grammaire  ecc.,  I,  377);  si  risponde  che  «  le  vieux 
«  frangais,  secondo  afferma  il  Burgny  {Gram,m.  de  la  langue 
«  dCoil  P,  43),  intercale  souvent  s  devant  n,  in,  l,  et  t  »  (2).  Ma 
come  avvenne  che  il  Diez  fece  discendere  da  adaestimare  il 
verbo,  di  che  discorriamo?  È  nata  confusione  tra  acesmar  ecc. 
(cfr.  Raynouard,  Lex.  R.  V.  207)  e  azesmar,  il  quale  ultimo 
realmente  e  con  perfetta  normalità  fonetica  deriva  da  adae- 
stim-are.  La  confusione  era  anche  più  facile,  se  vogliamo,  per 
qualche  affinità  ideologica,  che  si  produsse  tra  i  due  verbi  (3). 
Metto  a  fronte  i  due  luoghi  del  Lex.  Roman,  in  cui  compaiono 
distinti  i  due  verbi: 


(1)  Cfr.  del  Du  Gange  il  Gloss.  latino  e  il  greco. 

(2)  Accanto  ad  acesmer  \  antico  francese  presenta  la  forma  acemer, 
acemmer  (cfr.  Godefroy,  Dictionnaire  de  r ancienne  langue  franqaise, 
s.  V.  Acesmer),  la  quale  potrebbe  rappresentare  il  dileguo  della  s  innanzi 
la  consonante  (vedi  alnme)  operatosi,  com'  è  noto,  assai  presto,  ma  potrebbe 
anche  essere  l' immediato  riflesso  di  ascemare.  SuU'  epentesi  di  s  nell'antico 
francese  vedi  Diez,  Grammaire,  1,  424,  per  il  quale  essa  avrebbe  mero 
valore  di  segno  prosodico  indicante  l'allungamento  della  vocale  precedente. 

(3)  Anche  il  Burguy  {Grammaire  ecc.  IIP.  4-5)  confonde  insieme  aesmer, 
aasmer,  esmer  ed  acesmer.  S' identificano  le  due  forme  nella  significazione 
di  préparer,  ajuster,  ma  non  trovo  che  aesmer,  aasmer  ecc.  arrivino  alla 
netta  significazione  orner,  parer  propria  di  acesmer,  e  che,  per  quanto  a 
me  pare,  deve  essere  stata  la  prima  e  fondamentale  di  questo  vei-so. 


208  V.  CRESCINI 

III,  219: 

Adesmar,  Azesmar,  Aesmar,  V.,  estimer,  calculer,  évaluer,  apprécier ,  pré- 
parer,  comparer. 

V,  207: 
AssERNAR,  Asermar,  Acesmar,  préparer,  appréter,  disposer,  orner. 

Il  Diez  cita  poi  un  luogo  del  Ferabras ,  in  cui  veramente  si 
ha  azesm,ar  da  adesmar,  adestimar.  ludi  differenza  tra  i  due 
verbi  doveva  avvertirsi  nel  provenzale  dalla  pronuncia,  poiché 
azesmar  aveva  certo,  in  origine  almeno,  il  suono  della  sibilante 
dentale  sonora  svoltasi  dalla  esplosiva  dentale  sonora  originaria, 
fenomeno  questo  che ,  secondo  è  notissimo,  specialmente  e  abbon- 
dantemente occorre  nel  provenzale  e  nel  rumano  anche  senza 
che  vi  s'abbia  la  condizione  migliore,  perchè  altrove  il  fenomeno 
avvenga ,  senza  il  nesso  di,  dj  (1).  All'opposto,  acesmar  doveva 
avere  il  suono  della  sibilante  dentale  sorda.  E  azzfmare  onde 
viene?  Io  credo  che  abbia  colto  nel  segno  lo  Schuchardt  facendo 
derivare  guest'  altro  verbo  da  accimare  (2).  Ma  io  seguito  a 
discorrere  senz'avvedermi  che  ho  lasciata  insoluta  una  piccola 
difficoltà  di  ordine  fonetico  per  la  derivazione  délVacciSTna  dan- 
tesco da  acesmar.  Negli  altri  esempì  italiani  conosciuti  abbiamo 
cesm,are  e  acesmare;  nel  luogo  dantesco  dovremmo  avere  ac- 
cesmxx.  Certamente  per  effetto  della  esplosiva  palatina  sorda 
precedente  la  e  si  è  assottigliata  in  i  nell'  infinito  del  verbo , 
onde  acciSTYmre ,  da  cui  poi  la  forma  accism,a,  che  a  Dante 
riusciva  comodissima  per  la  rima.  Probabilmente  è  tutta  opera 
sua  questa  leggera  modificazione  fonetica. 

Qui  avrei  finito,  ma  dacché  ormai  ho  tanto  abusato  della  sua 
cortesia ,  mi  permetto  di  aggiungere  ancora  qualche  parola.  Il 
prof.  D'Ancona  trova  che  contrappasso  non  è  jieologismo  dan- 
tesco, e  cita  dalle  Rime  Genovesi  la  Yoce^contrapeiso.  Nel  luogo 
di  Dante  e  in  quello  del  poeta  genovese  e'  è  identità  di  concetto; 
ma  contrapeiso  é  contrappeso,  non  contrappasso.  Nelle  Rim^ 
genovesi  (poiché  furono  citate  aggiungo  quest'osservazione)  vedi 
inoltre  la  voce  darsena,  che  fu  argomento  di  un'altra  noterella 


(1)  Gfr.  Diez,  Grammaire,  I,  217. 

(2)  Jahrhuch ,  XII,  114;  e  Scheler,  Anhang,  I,  al  Diz.  del  Diez,  4*  ed., 
p.  718. 


VARIETÀ  209 

dantesca  del  prof.  D'Ancona  (cxxxviii,  109);  come  pure  il  verbo 
rangurà,  rangurarse  (li,  10;  lvii,  49-50;  lxxvi,  12;  xcv,  91). 
Quanto  ad  abbellire,  ch'ella,  caro  amico,  tanto  giustamente  crede 
comune,  nel  senso  di  parer  bello,  all'antico  italiano  ed  alle  due 
favelle  romane  di  Gallia  (1),  lo  Zingarelli  cadde  in  una  curiosa  con- 
traddizione che,  del  resto,  non  mi  pare  l'unico  segno  di  negligenza 
nel  suo  pur  sempre  notevolissimo  lavoro.  A  p.  112  col  Nannucci 
e  col  Blanc  egli  dichiara  abbellire mh  provenzalismo;  a  pp.  141-42 
col  Gaspary  crede  che  gallicismi  di  significato  come  abbellire, 
adesso,  arrivare,  cappello  ecc.,  non  si  possono  decisamente  dir 
tali,  ecc.  ecc.;  e  conclude:  «perciò  noi  siamo  stati  sempre  cauti 
«  nella  ricerca  di  questi  gallicismi!...  »  Cosi  cappello,  per  il  quale, 
lo  vedemmo  ora,  egli  dice  che  bisogna  essere  cauti  nel  senten- 
ziare, a  p.  120  è  invece  un  gallicismo  bello  e  buono. 

La  saluto,  mio  carissimo,  e  le  auguro  che  nuove  noterelle 
dantesche  non  mi  offrano  occasione  di  ripeterle  altre  tirate  come 
questa. 

Suo  Vincenzo  Grescini. 

P.  S.  Aggiungo  sulle  bozze  che  potei  conoscere  la  lezione  pre- 
sentata da  un  buon  numero  di  mss.  della  Commedia  Dantesca  al 
V.  37  del  XXVni  déìYInferno.  La  lezione  prevalente  è  acisma 
0  accisma. 

Godici  Marciani: 

L  (Zanetti)  sec.  XIV  (vedi  Fulin,  /  codici  veneti  della  Div.  Comm., 
nel  volume  /  codici  di  Dante  in  Venezia,  Venezia,  1865,  pp.  127-130);  — 
LI!  (Zanetti)  sec.  XIV  (Fulin,  Op.  cit.,  pp.  122-24);  —  CI.  IX.  XXXIV, 
sec.  XIV  (Fulin,  Op.  cit.,  pp.  152-55);  —  GÌ.  IX.  GLXXXIII,  sec.  XIV 
(Fulin,  Op.  cit.,  pp.,.  146-150);  -^  LVII  (Zanetti),  sec.  XV  (Fulin,  Op.  cit., 
pp.  170-73);  —  GÌ.  l'x.  XXXI  v.,  sec.  XV  (Fulin,  Op.  cit.,  pp.  173-77);  — 
GÌ.  IX.  XXXII,  sec.  XV  (Fulin,  Op.  cit.,  pp.  138-140);  —  Gì.  IX.  GXXVII, 
sec.  XV  (Fulin,  Op.  cit.,  pp.  177-79);  —  Gì.  IX.  GXXVIII,  sec.  XV  (Fulin, 
Op.  cit.,  pp.  144-46);  —  Gì.  IX.  GDXXVIII,  sec.  XV  (Fulin,  Op.  cit., 
pp.  179-82);  —  GÌ.  IX.  GDXXIX,  sec.  XV  (Fulin,  Op.  cit.,  pp.  158-59);  — 


(1)  Poiché  non  fu  ricordato,  noto  qui  a  pie  di  pagina  V  esempio  di  abelir, 
nel  senso  di  cui  si  discorre,  in  un  luogo  de'  Monumenti  del  Mussafia  :  cfr. 
A.  118,  e  Gloss. 

Qiomalé  storico,  VI,  fase.  16-17.  14 


210  V.   GRESCINI 

tutti  questi  codici  insieme  a  quello  del  Museo  Correr  (Venezia) ,  Ms.  VI. 
nro.  676,  sec.  XV  (Fulin,  Op.  cit,  pp.  161-63)  (1),  ed  al  cod.  Wcovich  Laz- 
zari, sec.  XV  (Fulin,  Op.  cit.,  pp.  163-66),  danno  acisma ,  mentre  accisma 
leggono  i  marciani  seguenti:  LI  (Zanetti),  sec.  XIV  (Fulin,  Op.  cit,  pp.  118-19); 
—  LUI  (Zanetti),  sec.  XIV  (Fulin,  Op.  cit,  pp.  119-22);  —  LIV  (Zanetti); 
sec.  XIV  (Fulin,  Op.  cit,  pp.  113-18)  (2);  —  LV  i(Zanetti),  sec.  XIV 
(Fulin,  Op.  cit,  pp.  166-70);  —  GÌ.  IX.  XXXI  A. ,  sec.  XIV  (Fulin,  Op. 
cit,  pp.  131-33).  AsciSMA  si  vuole  leggere  nel  prezioso  marciano  CI.  IX. 
CGLXXVI ,  sec.  XIV  (Fulin  ,  Op.  cit. ,  pp.  149-50) ,  ma  in  questo  punto 
la  scrittura  è  guastissima;  ascisma  danno  chiaramente  il  cod.  CI.  IX.  XXX, 
sec.  XIV  (Fulin,  Op.  cit.,  pp.  134-36),  il  cod.  CI.  IX.  XXXlll,  sec.  XV  (Fulin, 
Op.  cit.,  pp.  136-38) ,  e  1'  altro  CI.  IX.  CCCXXXIX ,  sec.  XV  (Fulin  ,  Op. 
cit.,  pp.  156-57).  Di  comunicazioni  intorno  questi  mss.  veneziani  vado  debi- 
tore alla  cortese  premura  del  mio  promettente  allievo  sig.  Carlo  Magno.  Dei 
quattro  codici  della  Commedia  posseduti  dalla  Biblioteca  del  Seminario  di 
Padova,  quello  segnato  col  num.  IX,  e  quello  che  porta  il  num.  67  leggono 
acisma;  il  num.  2  agisma.  Vedi  su  questi  codici  il  Batines,  Bibl.  Dant., 
I,  620,  638;  II,  14547;  La  Div.  Comm.  ecc.,  Udine,  1823,  voi.  I,  pp.  xxii-xxiv; 
Angelo  Sicca,  Rivista  delle  varie  lezioni  della  Div.  Com.  ecc.,  Padova,  1832. 
Ho  voluto  anche  vedere  le  spiegazioni  che  di  accisma  dettero  i  vecchi  com- 
mentatori di  Dante.  L'  anonimo  nel  cod.  cassinese ,  e  1'  anonimo  fiorentino 
sfuggirono  le  difficoltà  schivando  la  diretta  spiegazione  del  verbo  problema- 
tico. Altrettanto  possiamo  dire  di  Pietro  di  Dante.  L' Ottimo  commenta  : 
«  ...  sono  seminatori  di  scandoli  e  di  scisma,  e  però  sono  così  fessi;  e  ma- 
«  nifesta  chi  è  colui ,  che  cosi  li  fende  ;  e  con  che  è  tutto  il  processo  di 
«  questa  pena  »  (3);  Benvenuto  da  Imola:  «  Un  diavol  e  qua  dentro  che 
«  n  accismu  un  diavolo  squarcia  »  (trad.  Tamburini,  I,  682);  Iacopo  della 
Lana  (ed.  Scarabelli,  I,  445):  «  un  demonio  li  piaga  e  appenali  come  ap- 
«  pare  ».  L' Ottimo  e  Benvenuto  ci  fanno  conoscere  che  non  fu  solo  il  Da 
Buti  a  spiegare  accism,a  a  quel  modo  eh'  egli  ha  fatto;  il  primo  trova  in 
accism^re  un  sinonimo  di  fendere,  l'altro  lo  spiega  con  isquarciare  (4).  Ma 


(1)  Nel  testo  del  Fulin  questo  cod.  è  segnato  col  n.  905,  eh'  era  quello 
ancora  del  Catalogo  Soranzo ,  essendo  appartenuto  il  cod.  alla  libreria  del 
senatore  I.  Soranzo. 

(2)  Accisma  in  questo  cod.  non  è  ben  chiaro,  perchè  vi  è  scritto  su.  II 
e.  28  Inf.  appartiene  del  resto  in  questo  cod.  a  carte  aggiunte  e  di  mano 
diversa  delle  precedenti. 

(3)  Il  cod.  marciano  LVl  (Zanetti)  contiene  parte  dell'  Ottimo  commento, 
dal  V  Inf.  al  VI  Purg.  Delle  buone  varianti  di  essa  parte  offerse  esempi 
il  Fulin,  Op.  cit.:  se  ne  occuperà  metodicamente  il  sig.  Carlo  Magno.  Il 
comm.  al  luogo  nostro,  secondo  questo  manoscritto,  presenta  :  «  e  manifesta 
«  chi  è  colui  che  si  li  fende  et  con  che  et  tutto  il  processo  ecc.  ». 

(4)  Anche  il  Bargigi,  p.  637,  ed.  Zacheroni,  che  legge  ascisma,  spiega 
divide  e  taglia. 


VARIETÀ  211 

consultando  il  commento  latino  aìVInfemo,  contenuto  nel  cod.  marcisuio  LVII 
(Zanetti)  e  attribuito  a  Benvenuto  da  Imola  (cfr.  Fulin  ,  Op.  cit. ,  p.  171), 
vedo  che  accisma  si  chiarisce  per  exomat  et  polit.  Non  posso  detenninare 
adesso  se  l'attribuzione  a  Benvenuto  di  questo  commento  sia  giusta,  e  se  si 
possa  credere  ad  una  così  flagrante  contraddizione  fra  il  testo  e  la  versione 
Tamburini.  Comunque,  ecco  un  vecchio  commentatore  (il  cod.  fu  scritto  nel 
1421,  e  nel  commento  al  e.  XVIIl,  e.  281 1.,  si  indica  il  1379  come  l'anno 
in  cui  si  scrivevano  le  chiose  a  quel  dato  luogo) ,  che  ha  imberciato  nel 
segno  (1).  Ma  fu  un  solitario:  quella  benedetta  parola  dagli  altri  non  fu  in- 
tesa; e  si  schivò,  0  si  chiarì  un  po'  cervelloticamente. 


(1)  Anche  B.  Bianchi  annota:   €  un  antico  commentatore  chiosa  la  voce 
€  accisma,  comit,  expolit  ».. 


TRE  LAUDI  SACRE  PESARESI 


La  storia  della  lauda  sacra,  per  molti  rispetti  interessantissima, 
nonostante  i  lavori  di  egregi  e  colti  ingegni,  resta  tuttavia  a 
mezzo.  Contributi  validissimi  si  vanno  frequentemente  apportan- 
dovi; ma  finché  non  sarà  messo  a  disposizione  o  a  conoscenza 
degli  studiosi  quanto  v'ha  d'inedito  o  di  nascosto  per  le  diverse 
biblioteche;  finché  non  sarà  discussa,  e  con  documenti  positivi 
dimostrata,  la  via  che  cotesto  genere  di  poesia  ha  percorso  e  le 
forme  che  ha  avute;  un  lavoro  veramente  definitivo  è  impossi- 
bile. Mi  sia  quindi  permesso  di  richiamare  l'attenzione  degli  eru- 
diti sopra  alcune  laudi ,  di  particolare  interesse ,  che  sebbene 
pubblicate  per  le  stampe,  per  la  rarità  degli  opuscoli  in  che  si 
trovano,  sono  rimaste  pressoché  ignote,  o  non  tenute  in  quella 
considerazione  che  mi  sembrano  meritare.  Io  le  dico  pesaresi, 
perchè  ritrovansi  insieme  a  capitoli  di  confraternite  pesaresi, 
presso  le  quali  ne  era  prescritta  la  recitazione.  A  Pesaro  quindi 
furono  probabilmente  composte. 

La  prima,  e  di  gran  lunga  più  importante,  per  l'antichità  di- 
mostrata evidentemente  dall'essere  scritta  in  alessandrini  mono- 
rimici  (primo  esempio,  ch'io  mi  sappia,  di  tal  forma  di  laudi  (1)) 
è  una  parafrasi  della  Salve  Regina,  dopo  la  quale  si  trova  nei 
Capitoli  della  Confraternita  di  Santo  Antonio,  da  recitarsi,  come 
espressamente  vi  si  nota,  quando  si  riceveva  un  fratello.  Per  de- 
terminare il  tempo  a  cui  essa  appartiene,  converrebbe  aver  pre- 
sente l'originale  o  almeno  qualche  antichissima  copia  manoscritta 
dei  capitoli  di  detta  confraternita,  o  sapere  per  lo  manco  in  qual 
torno  di  tempo  essa  confraternita  si  fondasse:  poiché  evidente- 
mente, come  anche  dirò  appresso,  la  laude  essendo  di  rito  pel 


(1)  11  BiADENE  nella  sua  accurata  nota  sulle  poesie  monorimiche  (vedi  Studi 
di  filologia  romanza,  fase.  2,  p.  236),  cita  altri  tre  esempì  di  poesie  mono- 
rimiche  ,  a  serie  contimm ,  come  la  nostra  ;  ma  fra  queste  una  sola  poesia 
religiosa,  pubblicata  dal  Casini  nelle  Rime  bolognesi,  che  non  è  però  una 
lauda  vera  e  propria. 


VARIETÀ  213 

ricevimento  dei  nuovi  adepti,  si  conservò  in  seguito  quale  fu 
posta  primamente.  Ma  le  mie  indagini  non  portarono  alcun  pro- 
fitto, tacendone  il  diligentissimo  Olivieri,  che  scrisse  un  erudito 
volume  sulla  storia  della  Chiesa  pesarese  nel  sec.  XIII,  ed  essendo 
andato  disperso  per  incuria  di  chi  vi  soprastette,  l'archivio  ric- 
chissimo della  Chiesa  di  Sant'  Antonio.  Certo ,  la  Confraternita 
dovette  essere  di  molto  antica,  come  quella  che  acquistò  belle 
ricchezze  e  che  presto  ottenne  grandissima  importanza  per  es- 
servi iscritti  i  più  facoltosi  della  città.  Tanto  che  Giovanni  Sforza, 
uomo  da  saper  trar  partito  d'ogni  minima  cosa,  per  render  vana 
qualsivoglia  occasione  di  futuro  pericolo  pel  suo  dominio,  non 
mancò  di  ascrivervisi  anch'egli:  e  nel  1508,  fattosi  elegger  Priore, 
ordinò  una  riforma  dei  capitoli,  togliendo  alcuni  articoli  che  non 
gli  andavano  a  garbo  e  aggiungendone  altri  sulla  proibizione  del 
portare  armi  e  d'intricarsi  di  cose  politiche.  Con  le  quali  modi- 
ficazioni sostanziali,  e  con  poche  altre  puramente  formali,  come 
portavano  i  tempi  di  poi,  la  Confraternita  di  S.  Antonio  si  man- 
tenne, senza  gravi  disquilibri,  sino  quasi  al  tempo  nostro.  Giovanni 
Sforza,  più  curante  della  sostanza,  lasciò  intatte  le  preghiere, 
non  volendo  menomamente  recar  disturbo  ai  fedeli.  Così  è  che 
la  nostra  Laude  monorimica  e  rozza  si  trova  nella  prima  stampa 
dei  Capitoli  della  Confraternita,  fatta,  dopo  la  riforma  sforzesca, 
dai  Soncini  nel  1510  (1). 

Questa  stampa  venne  anche  integralmente  riprodotta  nel  1531, 
a  di  26  giugno,  pei  tipi  di  Baldassarre  de  Francesco  Cartolare 
Perusino,  stampatore  in  Pesaro ,  e  subì  piccole  variazioni ,  spe- 
cialmente rispetto  alle  preghiere,  nella  edizione  del  1724,  per 
Niccolò  Degni.  Le  antiche  e  rozze  laudi  non  parvero  cosa  bella, 
perchè  troppo  semplici  e  neglette ,  e  furono  sostituite  da  odi , 
quanto  più  moderne  e  più  gonfie  e  roboanti,  tanto  meno  religio- 
samente sentite. 

Ed  ora  ecco  la  Laude,  quale  io  la  ricavo  dalla  edizione  del  '31, 
non  essendomi  riuscito  vedere  quella  dei  Soncino,  di  cui  però  ci 
offre  ampia  ed  esatta  descrizione  il  conte  Manzoni  negli  interes- 
santissimi Annali  tipografici  dei  Soncino  (2).  Quando  il  senso  o 


(1)  Un  argomento  a  determinare  il  tempo,  al  quale  essa  laude  appartiene, 
potrebbe  esser  dato  dall'  accenno  a  papa  Innocenzo ,  che  trovasi  nel  v.  60  : 
«  Dal  beato  papa  Innocentio  da  lui  ci  fo  ordinata  ».  Ma  quale  dei  nume- 
rosi Innocenzì,  che  si  succedettero  sulla  sedia  apostolica  nei  sec.  XIII  e  XIV  ? 
Sarebb'  egli  il  più  noto  fra  essi,  l'Innocenzo  111,  gran  datore  peraltro  d' in- 
dulgenze? L'essere  nominato  senz'  altro,  potrebbe  dai'ne  indizio? 

(2)  Voi.  Ili,  pp.  252-54. 


214  G.  S.  SCIPIONI 

il  verso  0  la  rima  danno  sicuro  indizio  di  errore,  mi  permetto 
alcune  ricostruzioni,  portando  a  pie'di  pagina  l'esatta  lezione  della 
stampa. 

Regina  potentissima  sul  eie!  siti  exaitata 

Sopra  la  vita  angelica  siti  santificata 

Scala  di  sapienzia  madre  glorificata 

Sposa  di  Ghristo  anelila  voi  siti  humiliata. 

Denanti  a  Lui  de  gloria  voi  siti  incoronata  5 

De  le  virtìi  santissime  voi  siti  obumbrata 

Figlia  de  san  Gioachino  e  de  santa  Anna  nata 

Stella  del  ciel  chiarissima  gemma  glorificata 

Che  per  salvar  lo  seculo  fosti  al  mondo  creata 

Piena  siti  di  gratia  damor  fortificata  10 

Sopra  a  li  altri  fiori  de  gloria  incoronata 

Palma  preciosissima  stella  del  mondo  ornata 

Giardino  aulentissimo  rosa  ingarofolata 

Manna  tutta  purissima  viola  inviolata 

Voi  siti  'na  colonna  in  1'  alto  ciel  formata  15 

Anima  de  penitentia  stella  purificata 

Forteza  di  hierusalem  dintorno  circondata 

Pel  fructo  che  dottasti  la  vita  a  noi  fo  data 

Soprana  di  sapientia  siti  colonna  stata 

Ponzella  de  abstinentia  voi  siti  amaistrata  20 

Piena  siti  di  gloria  donna  de  honor  segniata 

Unguento  dalegrezza  oliva  piantata 

Balsamo  aulentissimo  manna  dal  ciel  mandata 

Sopra  ogni  mei  dulcissimo  damor  siti  infiammata 

Su  tutti  laltri  vergine  siti  la  più  exaitata  25 

Sacrificio  aulentissimo  siti  certa  colata 

Madre  di  sapientia  da  christo  suscitata 

Da  li  sancti  propheti  molto  fosti  aspectata 

Beata  sarà  quella  anima  che  da  voi  sera  guidata 

vostra  possanza  altissima  in  ciel  fortificata  30 

0  lume  splendidissimo  damor  siti  apregiata 

Vostra  vita  certissima  sempre  vera  odorata 

Donzella  dulcissima  de  odore  adornata 


T.    1.  Regina  potentissima  sopra  del  cielo  siti  exaitata. 

Sopra  la  vita  angelica  voi  siti  santificata. 
V.    7.  Figliuote  de  san  Giovachino  e  de  santa  Anna  voi  fosti  nata. 
y.  11.  Sopra  ali  altri  fiori  de  gloria  voi  siti  incoronata. 
V.  15.  Voi  siti  colonna  in  alto  in  ciel  formata. 
r.  19.  Soprana  di  sapienza  donna  de  reverentia. 

Siti  colonna  stata  vergine  dubidientia. 
f.  30.  Vostra  possanza  altissima  altra  fine  grandissima. 
V.  31.  In  ciel  fortificata  lume  splendidissimo  soave  dolcissima. 
T.  32.  Damore  siti  appregiata  vostra  vita  certissima. 
V.  33.  Sempre  vera  odorata  donzella  dolcissima  de  odore  ornata. 


VARIETÀ  215 

Sopra  ogni  fiore  o  rosa  siti  desiderata 

Myrra  sacratissima  da  christo  esaminata  35 

Puluia  da  li  nuvole  del  cielo  acqua  rosata 

Con  lo  tuo  santo  figlio  da  li  magi  adorata 

Siti  pietra  firmissiraa  sopra  alaltrc  fondata 

Pietra  preciosa  siti  la  più  fina  atrovata 

Quando  a  voi  vien  con  lacryme  1'  anima  separata  40 

Difendila  madonna  che  non  sia  condannata 

Sempre  stia  in  alegrezza  con  Dio  consolata 

Del  benedetto  ventre  ne  nacque  tal  derrata 

Che  tutta  Ummana  gente  ne  fo  recomperata 

Del  suo  santo  latore  uscì  sangue  e  acqua  rosata  45 

Lo  baptesmo  fo  fatto  e  la  fé'  confirmata 

Che  per  rasone  ogni  anima  dee  essere  salvata. 

Regina  de  justitia  sempre  siti  laudata 

Fontana  de  scientia  vera  iustificata. 

Luna  de  sufferentia  regina  incoronata  50 

Ave  gratia  piena  da  laugel  salutata 

Recordave  di  lanima  che  sta  mortificata 

Che  dal  inimico  falso  non  sia  acompagnata 

Questo  sermone  e  solo  per  voi  vergin  beata 

Che  tutta  Ummana  gente  vi  sia  recomandata  55 

Donanti  al  tuo  figliolo  per  noi  sii  advocata 

Chi  la  dice  e  chi  la  intende  in  ciascuna  fiata 

Lanima  da  lo  inferno  ben  sera  sensata 

Tri  anni  e  di  quaranta  di  perdonanza  fo  data 

Dal  beato  papa  innocentio  da  lui  ci  fo  ordinata  60 

E  da  iesu  Christo  ci  fo  confermata 

Or  salutam  la  vergine  in  ciascuna  fiata 

Sempre  sia  benedecta  e  da  noi  ringratiata 

E  così  ci  difenda  degni  mortale  peccata.  Amen.  64 


Le  altre  due  Laudi  appartengono  alla  serie  di  quelle  che  si 
dicono  drammatiche,  ed  hanno  una  speciale  importanza,  potendosi 
in  certo  modo  determinare  il  tempo  in  cui  dovettero  essere  com- 
poste, 0  almeno  introdotte  nell'uso  quotidiano.  Esse  erano  recitate 


V.  34.  Sopra  ogni  fiore  o  rosa  desiderata. 

V.  30.  Pnlnia  da  li  nuvole  dal  del  fresca  acqua  rosata. 

T.  37.  Con  Io  tao  santo  figliuolo  da  li  tri  magi  adorata. 

V.  38.  Pietra  finnis.sima  siti  ìa  più  fondata  sopra  alattre. 

T.  43.  Del  vostro  ventre  benedetto  si  ne  nacque  tal  derata. 

V.  56.  Denanti  al  tuo  figliolo  per  noi  sìa  nostra  advocata. 

V.  61.  E  da  iesQ  Christo  ci  fo  confermata  or  salutamo. 

V.  62.  La  vergine  in  ciascuna  fiata. 


216  G.  S.  SCIPIONI 

dalla  Confraternita  della  Nunziata,  pure  in  Pesaro,  insieme  ai  cui 
capitoli  si  ritrovano,  nella  stampa  fattane  da  Baldassarre  de 
Francesco  Gartularo  Perusino  nel  1531.  Neil'  ultimo  articolo  di 
tali  capitoli  viene  chiaramente  detto  che  fondatore  della  Confra- 
ternita fu  il  Beato  Cecco  da  Pesaro;  quel  beato  Cecco  che  si  vuol 
tanto  infiammato  d'amore  per  la  Vergine,  da  ritrarne,  per  solo 
entusiasmo,  eccellentemente  l'imagine.  La  tradizione  assegna  come 
opera  sua  una  bella  testa  di  Madonna,  a  fresco,  che  si  venera 
nella  Chiesa  del  Ponte  Metauro,  a  tre  chilometri  da  Fano.  Quel 
beato  Cecco  che  infiammò  di  santo  zelo  siffattamente  al  suo  tempo 
i  cittadini  di  Pesaro,  Fano  e  dintorni,  da  condurli  processionai- 
mente,  vestiti  di  tuniche  candide,  salmodiando  e  percotendosi ,  a 
visitare  i  sacri  luoghi  delle  vicinanze.  Lo  stesso  Carlo  Malatesta 
si  dice  vi  prendesse  parte.  Di  tale  enfatico  uomo,  che  continuava 
la  tradizione  dei  S.  Francesco  e  dei  Fasani,  scrisse  a  lungo  lo 
storico  e  archeologo  pesarese,  Annibale  Olivieri- Abati,  e  sappiamo 
che  visse  nel  sec.  XIV,  sicché  alla  metà  del  secolo  XIV  dobbiamo 
riportare  l'origine,  se  non  l'introduzione  in  Pesaro  di  queste  due 
laudi.  Le  quali  oltre  all'uscire  dalla  cerchia  degli  argomenti  con- 
suetudinariamente in  esse  trattati,  porgono,  per  quel  ch'io  so,  il 
primo  esempio  di  laudi  drammatiche  in  endecassillabi  e  ottava 
rima,  metro  e  ritmo  adoperato  più  comunemente  nelle  Devozioni. 
Sì  che  può  dirsi  rappresentino  1'  anello  di  congiunzione  tra 
la  laude  propriamente  detta  e  la  Devozione,  o  il  principio  del 
Dramma  sacro. 

Dall'Umbria  così  vicina  e  così  congiunta  da  vie  e  da  interessi, 
certamente  venne  alle  Marche  l'ordine  delle  confraternite  ;  che  si 
estesero  poi  tanto  e  cosi  radicatamente,  da  rimanerne  tuttora 
vestigi  non  insignificanti.  E  colle  Confraternite  vennero  e  rima- 
sero anche  le  tradizioni  rappresentative.  Ricordo  aver  veduto  da 
bambino,  nella  mia  terra  nativa  (Pergola,  nella  Provincia  di  Pe- 
saro), la  sera  del  venerdì  santo  sacre  rappresentazioni  mute  per 
le  vie.  Nei  luoghi  ove  passava  la  processione  (nella  quale  al 
Cristo  morto  precedevano  i  simboli  della  passione ,  portati  da 
fanciulli  vestiti  nei  più  svariati  costumi),  e  specialmente  sul  sa- 
crato delle  chiese ,  gruppi  di  uomini  e  fanciulli ,  adorni  delle 
vesti  tradizionali,  raffiguravano  i  più  salienti  episodi  della  vita 
di  Gesù  :  Gesù  messo  in  croce  ;  Gesù  legato  alla  colonna  ;  Gesù 
nell'orto,  e  via.  E  nella  città  di  Fano  esiste  tuttavia  una  Confra- 
ternita di  vecchi  operai,  nella  cui  cappella  la  notte  del  venerdì 
santo,  sino  al  mezzogiorno  del  sabato,  si  raccolgono  i  devoti  di- 


VARIETÀ.  217 

nanzi  a  un  altare,  ove  è  rappresentata  Maria  addolorata  appiè 
del  Calvario.  Dal  pulpito  il  prete  legge  alcune  orazioni  e  medi- 
tazioni sui  dolori  della  Vergine,  mentre  ad  ogni  pausa  una  mu- 
sica mesta  intuona  un  inno,  cantato  pateticamente.  Verso  il  mez- 
zogiorno del  sabato,  dopo  alcune  cerimonie  dei  preti  dinanzi  al- 
l'altare, allo  sciogliersi,  come  suol  dirsi,  delle  campane,  la  musica 
si  fa  più  lieta,  e  calando  a  un  tratto  una  tela  raffigurante  il  cielo, 
appare  al  di  sopra  del  Calvario  Cristo  risorto  e  glorioso ,  in 
quello  che  due  angioli  scendono  a  coronare  Maria  (1). 

Or  ecco  senza  più  le  due  laudi,  tali  quali  ritraggo  dalla  so- 
praccennata edizione  dei  Capitoli  della  Nunziata  in  Pesaro,  ira. 
cui  se  ne  trovano  anche  altre  che  non  accade  qui  citare,  per- 
chè di  minore  importanza  e  d'altra  forma. 


Lauda  a  conforto  de  peccatori. 


Tornate  peccatori  a  penitentia 
E  ciascuno  hoggi  in  colpa  a  dio  si  renda 
Che  salvo  e  quel  che  pecca  et  poi  samenda 
Tanta  e  del  redentor  lalta  cleraentia. 

Piangiamo  tutti  quanti  amaramente 
Ciascuno  a  pie  della  croce  el  suo  peccato 
El  redentor  che  in  croce  sta  pendente 
Per  tsinto  amor  che  ci  ha  sempre  portato 
Et  per  comprar  anchor  V  humana  gente 
Hai  ciel  apporto  et  linferno  serrato 
Con  la  sua  morte  o  alma  benedetta 
Veggio  hogi  a  braccia  aperte  al  ciel  taspecta. 

Dhe  non  ti  disperar  mai  peccatore 
Ben  che  sii  stato  al  mondo  scelerato 
Che  se  ti  penti  con  contrito  core 
Di  pur  tua  colpa  et  spento  fia  el  peccato 
Guarda  come  glie  morto  per  tuo  amore 
Et  col  suo  proprio  sangue  tha  lavato 
Ito  alla  morte  com  un  puro  agnello 
Per  liberarti  cheri  al  ciel  ribello. 

Fu  Maddalena  al  mondo  peccatrice 
Et  purgo  per  pentirse  ogni  peccato 


(1)  Cfr.  Torraca,  Reliquie  del  dramma  sacro  nelle  prov.  merid.,  in 
Studi  di  storia  leti,  najìoletana. 


218  ^  G.  S.  SCIPIONI 

Che  direna  del  ladron  ora  infelice 
Et  penitente  in  croce  ul  fé  beato 
Fu  longin  anchor  lui  nel  ciel  felice 
Che  per  ferrirlo  fu  ralluminato 
Addunque  che  non  torni  peccatore 
Se  dio  rimette  ogni  mondano  errore. 

Et  quel  calice  santo  li  fu  porto 
Et  ber  pur  li  convienne  (benché  amaro) 
Accioche  eternalmente  non  sia  morto 
Lhom  peccator  che  li  fu  sempre  caro 
Resuscitato  andò  per  dar  conforto 
Ai  santi  padri  che  nel  limbo  andaro, 
Seguite  adunque  questo  santo  segno 
Che  fa  chi  in  petto  el  porta  del  ciel  degno. 

Qual  sarà  quel  cor  dur  che  non  si  muovi? 
Vedendo  de  Giesu  suo  pena  atroce 
Le  spine  acute  et  li  pungenti  chiovi 
Laceto  el  fel  la  lancia  et  lalta  croce 
Hoggi  chel  tuo  signor  benigno  truovi 
Piangendo  prega  lui  col  humil  voce 
Che  del  peccar  ti  dia  gran  continentia 
Con  la  speranza  fede  et  patientia 

Non  son  peccati  al  mondo  tanto  gravi 
Una  lacrima  sola  un  cor  contrito 
Binanti  al  tuo  signor  hoggi  non  lavi 
Che  lavato  ha  lerror  chera  infinito 
Hora  hai  tu  peccator  del  ciel  le  chiavi 
Ritorna  al  tuo  signor  che  se  smarrito 
Non  creder  tu  che  Dio  perder  ti  voglia 
Poi  che  per  te  patita  ha  pena  et  doglia. 


Xps  in  cruce  ad  peccatores. 

Che  aspetti  peccator  che  non  te  muovi 
Perche  se  sempre  al  tuo  signor  ingrato? 
Guarda  la  croce  li  spini  li  chiovi 
Guarda  al  mio  corpo  tutto  lacerato 
Che  aspetti  che  ai  ben  far  non  ti  rinnovi 
Poi  che  col  sangue  tho  mondo  et  lavato 
Con  le  ferrite  mie  tho  fatto  sano 
Fai  che  mio  sangue  non  sia  sparso  in  vano 

Non  si  commise  mai  si  gran  peccato 
Che  chi  si  pente  con  contrito  core 
Da  me  non  sia  rimesso  et  perdonato 
Pur  che  non  si  disperi  el  peccatore 


VARIETÀ  ,  •  219 

Et  anohor  Giuda  harei  nel  ciel  salvato 
Se  pentito  si  fusse  del  suo  errore 
Si  dispero  non  hebbe  pationtia 
Et  non  cognobbe  la  mia  gran  clementia 
Se  voi  cognoscer  quanto  io  sia  clemente 
Pensa  che  a  Maddalena  io  perdonai 
Me  nego  pietre  et  pianse  amaramente 
Onde  io  del  ciel  le  chiavi  li  donai 
Longin  che  mi  ferì  si  crudelmente 
Non  sol  li  rendei  el  lume  ma  el  salvai 
Torna  a  me  peccator  poi  che  te  chiamo 
Che  giorno  et  notte  tua  salute  bramo. 

Peccator  respondet  ad  Jesum  conversits. 

Io  tho  Giesu  si  gravemente  offeso 
Ohio  non  ardisco  in  alto  alzare  el  ciglio 
Da  poi  che  mhai  dallinferno  difeso 
Guardami  anchor  dogni  mondan  periglio 
Fa  del  tuo  amor  el  mio  cor  tanto  acceso 
Chio  fugga  del  peccato  el  fiero  artiglio 
Non  giudicar  secondo  el  fallir  nostro 
Ma  secondo  lamor  choggi  ci  hai  mostro. 

Jesus. 

Io  ti  perdon  contrito  peccatore 
Poi  che  chiedi  merce  con  humil  voce 
Lardante  charita  limmenso  amore 
Hoggi  per  te  mi  fa  pender  in  croce 
Per  tua  colpa  et  non  già  pel  mio  errore 
Son  sceso  in  terra  a  patir  pena  atroce 
Lerror  passato  ti  vo  perdonare 
Hor  vade  et  noUi  amplius  peccare. 

Peccator. 

Jesu  benigno  che  hoggi  in  croce  pendi 
Per  la  pietà  che  scender  ti  fé  in  terra 
Col  sangue  tuo  col  qual  vita  ci  rendi 
Per  la  tua  morte  che  linferno  serra 
Pel  sacro  legno  col  qual  ci  difendi 
Dallo  antico  inimico  et  da  sua  guerra 
Fa  si  chio  fugga  ogni  mortai  peccato 
Mantienimi  mondo  poi  che  mhai  lavato. 


220  G.  S.  SCIPIONI 


Jesus  ad  patrem. 

Perdona  padre  a  costor  che  non  sanno 
Come  per  lor  salute  io  pendo  in  croce 
Padre  perdona,  e  non  san  che  si  fanno 
Io  grido  sitio  sitio  ad  alta  voce 
Che  della  lor  salute  ho  grande  affanno 
Questa  e  la  sete  et  lardor  che  mi  coce 
Perdona  che  per  questo  io  son  mandato 
Et  tutto  quel  che  e  scritto  ho  consumato. 

Finis. 


In  solemnitate  corporis  Xpi. 


Come  e  possibil  chel  verbo  incarnato 
Che  roggie  el  ciel  la  terra  laria  el  mare 
In  così  breve  spatio  sia  serrato? 
Questo  nel  mio  intelletto  non  può  intrare 
Dice  che  in  momento  e  in  ogni  lato 
Et  questo  la  natura  noi  può  fare 
Onde  io  creder  non  posso  che  sia  vero 
Che  questo  sia  di  Christo  el  corpo  intero. 


Xps  loquitur. 

0  gente  sempre  al  creder  tarda  et  stolta 
Al  ben  far  cieca,  sorda  pigra  et  lenta 
La  fede  tua  la  qual  veggio  già  spenta 
Voi  chio  venga  a  morir  un  altra  volta. 

Che  mi  vai  peccator  per  te  esser  morto 
Poi  che  se  tanto  al  creder  ostinato 
Quante  volte  el  mio  sangue  a  ber  tho  porto 
Et  dato  in  cibo  el  mio  corpo  sacrato 
Pur  mi  sforzo  condurti  salvo  in  porto 
Benché  con  lopre  tue  sia  sempre  ingrato 
Hor  vedi  sparso  per  più  chiaro  segno 
Quel  sangue  che  per  te  sparsi  in  sul  legno. 


VARIETÀ  221 


Tho  già  fatto  al  mondo  in  ogni  parte 
Per  lo  tuo  amor  miracol  mille  et  mille 
Scrisser  di  me  già  tante  antique  carte 
E  gran  propheti  et  le  savie  sibille 
El  tuo  cor  frodo  pur  da  me  si  parte 
Raccendi  homai  le  già  spente  faville 
Che  più  aspetti  homai,  che  non  credi 
Poi  chel  mio  sangue  sparso  aperto  vedi. 


Sacerdos  loquitur. 


Misero  iniquo  incredul  peccatore 
Saratti  mai  remesso  un  tal  peccato? 
Hor  ben  cognosco  el  mio  comisso  errore 
Et  quanto  al  mio  signor  son  stato  ingrato 
Misericordia,  o  vero  redentore 
Misericordia  a  questo  scelerato 
Piangerò  sempre  et  faro  penitentia 
Perdonami  signor  per  tua  clementia. 


Xps. 

Resuscitato  apparvi  a  Maddalena 
Tocco  Thomasso  el  mio  costato  aperto 
Peregrin  fransi  el  pane  et  nella  cena 
E  miei  discipul  mi  cognober  certo 
De  testimoni  la  scrittura  e  piena 
Et  tu  non  credi  e  questo  il  premio  el  morto 
Hor  mi  bisogna  poi  che  Ihuon  non  crede 
Spargere  el  sangue  et  rinovar  la  fede. 


Sacerdos. 


0  verbo  eterno  o  verbo  salvatore 
Verbo  che  per  salvarci  se  incarnato 
Concede  tanta  vita  al  peccatore 
Che  pianger  possa  el  suo  grave  peccato. 
Et  se  per  per  penitentia  et  gran  dolore 
Error  alchun  giamai  fu  perdonato 
Concedimi  chio  facci  penitentia 
Con  lacryme  digiuni  et  astinentia. 


282  G.  s.  sciPioNi 

Et  voi  veri  Christian  non  dubitate 
Che  questo  e  il  corpo  ver  del  nostro  Dio 
Guardate  al  sangue  et  più  non  vicilate 
Pigliate  exempio  ornai  del  caso  mio 
Quando  tal  sacramento  voi  pigliate 
Siate  col  cor  contrito  humile  et  pio 
Seguendo  sempre  questo  santo  segno 
Che  fa  chi  bene  el  segue  del  ciel  degno. 


Finis. 

G.  S.  SCIPIONI. 


IL  BEL  POME 

CORONA   DI   NOVE   SONETTI   ALLEGORICI 


Una  delle  forme  della  poesia  allegorica  in  Italia  è  quella  dei 
sonetti  a  corona,  cioè  collegati  e  continuati  sopra  un  solo  e  me- 
desimo argomento. 

Da  un  codice  della  Palatina  di  Vienna  del  XIV  secolo  il  Mus- 
safia  produsse  cinque  sonetti  (1)  che  contengono  un  Giudizio  di 
amore ,  dove  l'amante  si  duole  che  gli  sia  negata  obbedienza 
dalla  sua  donna,  e  questa  è  invitata  da  un  messo  a  presentarsi 
al  tribunale  d'Amore,  che  pronuncia  la  sua  sentenza  a  favore 
dell'  amante.  Un  poemetto  allegorico-didattico  intitolato  :  Conci- 
liato d'Amore,  pubblicato  dal  Monaci  tra  i  facsimili  di  antichi 
manoscritti  per  uso  delle  scuole  di  filologia  neolatina  (2),  è  at- 
tribuito da  un  codice  Marciano  a  Tommaso  di  Giunta  alias  Tre- 
guano,  e  componesi  di  sei  sonetti  e  ventiquattro  canzoni.  Di  Fol- 
gore da  San  Gemignano  ci  resta  una  serie  di  cinque  sonetti 
allegorici  sui  pregi  e  le  virtù  che  dee  avere  un  cavaliere  (3); 
oltre  di  che,  com'  è  noto,  il  Romanzo  della  Rosa  pure  fu  para- 
frasato in  dugentotrentadue  sonetti  (4). 

Gli  esempì  tuttavia  non  abbondano  si  che  un  nuovo  documento 


(1)  Cinque  sonetti  antichi  tratti  da  un  codice  della  Palatina  di  Vienna 
da  Adolfo  Mussafu,  Vienna,  1874. 

(2)  Roma,  Martelli,  1883,  fase.  2  (tav.  48-50). 

(3)  Le  rime  di  Folgore  da  San  Gemignano  e  Cene  della  Chitarra,  nuo» 
vamente  pubblicate  da  G.  Navone,  Bologna,  Romagnoli  1880,  pp.  4549. 

(4)  Il  Fiore,  poème  italien  du  XIII  siècle,  en  CCXXXII  sonnets,   imité 
du  Roman  de  la  Rose,  par  Durante  ;  texte  inédit  publié  avec  facsimile., 


224  L.  FRATI 

di  simil  genere  di  poesia  non  possa  avere  in  sé  qualche  pregio 
per  essere  pubblicato;  tanto  più  se  ci  fornisce  un'altra  prova 
dell'influenza  che  esercitò  sulla  nostra  poesia  il  Roman  de  la 
Rose,  assai  noto  ed  imitato,  come  dissi,  anche  in  Italia. 

La  corona  di  sonetti  che  ora  traggo  dal  codice  Magliabe- 
chiano  XXIII,  4, 140  trovasi  adespota  in  fine  al  manoscritto  (da 
car.  163  v  a  167  v)  con  altri  diciannove  sonetti,  la  più  parte  del 
Petrarca,  ed  alcune  ottave  del  Ninfale  Fiesolano  (da  car.  134  r 
a  163  v)  di  mano  diversa  da  quella  del  resto  del  codice,  che  con- 
tiene la  Guerra  Catilinaria  di  Sallustio  volgarizzata  da  Fra  Bar- 
tolomeo da  San  Goncordio  (car.  1  r  a  60  i?)  e  un  volgarizzamento 
di  Lucano  (car.  61  «?  a  133  r). 

La  composizione  di  questi  sonetti  parmi  senza  dubbio  che  si 
possa  tenere  anteriore  d'assai  al  tempo  in  cui  furono  trascritti 
in  cotesto  codice,  che  sembra  della  fine  del  XV  secolo,  o  de' primi 
anni  del  XVI. 

L'autore  volle  certamente  fare  allusione  ad  una  sua  avventura 
d'amore;  egli  immagina  d'essere  entrato  in  un  giardino  e  d'aver 
visto  un  sì  bel  pomo  che  tosto  se  ne  invaghì.  Ma  eravi  un  or- 
tolano assai  geloso,  che 

non  ne  are'  dato  altrui  solo  una  foglia. 

Pure  tornando  un  giorno  tutto  solo  a  quel  giardino,  tentò  di 
cogliere  il  desiderato  frutto,  ma  quando  sentì  quelValher  cigolare 
abbandonò  l'impresa  non  senza  far  proposito  di  ritornare.  Allor- 
ché volle  ritentare  l'assalto,  trovò  l'albero  tutto  imprunato,  ond'egli 
se  ne  tornò  privo  d'ogni  speranza,  dicendo  fra  sé  :  non  avrò  mai 
del  dolce  frutto  il  quale  ho  disiato. 

Cominciò  allora  a  fingersi  amico  dell'ortolano  e  tanto  seppe 
fare  che  un  giorno,  mentre  questi  se  ne  stava  sulla  strada  hen 
m£zzo  miglio  lungi  dal  giardino,  dopo  aver  levati  tutti  i  pruni 
potè  finalmente  cogliere  il  frutto  proibito. 

L'allegoria  non  è  certamente  nuova;  oltre  ai  noti  versi  del 


introducHon  et  notes  par  Ferdinand  Gastets,  Paris,  Maisonneuve  et  G®, 
1881.  Di  cotesto  poema  parlarono  diffusamente ,  e  con  molta  dottrina ,  il 
D'Ancona  ed  il  Borgognoni;  l' uno  nella  Nuova  Antologia  (voi.  LVIII , 
pp.  694-707),  l'altro  nella  Rassegna  settimanale  (Vili,  247-249). 


VARIETÀ  226 

Contrasto  di  Cielo  dal  Camo  (1)  e  la  canzone  di  ser  Bonaggiunta 
monaco  della  Badia  di  Firenze  (2),  che  incomincia: 

Un  arbore  fogliato 
d' amor  novo  riguardo 
lo  qual  sanza  ritardo 
mostranza  fé'  di  dar  fructo  di  cima. 

si  può  rammentare  il  seguente  sonetto  dell'Angiolieri  : 

Per  ogne  gocciola  d'  acqua  eh'  ha  '1  mare , 
Ha  cento  milia  allegrezze  il  meo  core , 
E  qualunque  di  tutte  è  la  minore 
Procura  più  che  d'  uomini  il  sudare. 

Eh'  i'  seppi  tanto  tra  dicere  e  fare , 
Ched  i'  salii  suU'  alber  dell'  amore , 
Ed  alla  sua  mercè  colsi  quel  fiore, 
Ch'  io  tanto  disiava  d'  odorare. 

E  poi  eh'  i'  fu  di  queir  albero  sceso 
si  volsi  per  lo  frutto  risalire. 
Ma  non  potei ,  però  eh'  i'  fu'  conteso. 

L'allegoria  è  la  stessa ,  se  non  che  mentre  l'Angiolieri  se  ne 
andò  contento  d'aver  colto  il  flore,  rammentandosi  del  proverbio: 

Chi  tutto  vuole  nulla  dee  avire. 

n  Nostro  ritentò  la  prova  più  volte  in  fino  a  taùto  che  tra 
due  rami  il  suo  innesto  ebbe  messo  e  potè  dire  : 

i'  pur  forni'  si  eh'  io  non  me  ne  scorno , 
E  vi  lascia'  chorae  d' usanza  l' escha  , 
non  perch'io  chreda  che  mai  frutto  n' escha. 

Lodovico  Frati. 


(1)  Strof.  XVll  e  XVIll. 

(2)  È  nel  cod.  vat.  3213  (car.  127-128),  e  fu  pubblicata  dal  Corbinelli 
nella  Raccolta  di  antiche  rime  aggiunta  alla  Bella  mano  (pp.  94  6  95  a)  e 
nella  Raccolta  di  rime  ant.  tose,  Palermo,  1817,  voi.  I,  p.  281.  Questa  al- 
legoria trovasi  non  solo  nella  lirica  amorosa,  ma  anche  nella  religiosa;  e 
accanto  all'albero  dell'amor  profano  sorge  l'arbore  del  divino  amore  nella 
auda  di  fra  lacopone  che  incomincia  :  Un  arbore  è  da  Dio  piantato  \  Quale 
amor  è  nominato  ecc.  (ed.  Tresatti,  p.  586).  Nel  codice  900  della  Bibl.  Pa- 
latina di  Vienna  (car.  52  a  -  66  è)  è  un  Tractatus  de  arbore  amoris  divini 
(vedi  Tabulae  codd.  mss.  Bibl.  Palai.  Yindobon.  cwserwafor,  Vindobonae,  1864) 

OiormU  storico.  Ti,  fase.  16-17.  15 


226  L-  FRATI 


I. 


r  vidi  in  un[o]  giardino  un  sì  bel  pome 
che  d'  abbracciano  i'  n'  ebbi  una  gran  voglia  , 
[sì]  grande  che  anchora  ne  sono  chon  doglia 
in  fra  me  stesso  immaginando  chome. 

Però  che  v'era  un  si  pregiato  nome, 
un  ortolano  che  drente  vi  spogl(i)a 
non  ne  are'  dato  altrui  sol  una  foglia 
chi  gli  avesse  donate  sette  Rome. 

Ma  chi  nel  cierchuito  entrar[e]  vol(es)se 
e'  le  lasciava  ben  vedere  altrui , 
ma  non  volea  che  il  frutto  si  cogliesse. 

Ed  io  per  me  vi  diche  che  vi  fui, 
che  'nmaginai  se  choglier  ne  potesse 
[sì]  eh'  io  vi  tornasse  poscia  san^a  lui. 

Non  v'eron  pruni  che  [mi]  potessin  pugniere, 
e  '1  chor[e]  mi  disse  di  potervi  agiugniere. 


11. 


Tornando  poi  chon  bella  (1)  provedenga 

•  tutto  solitto  a  quel  giardin[o]  sovrano, 
e'  sapea  ben  che  non  v'  è  1'  ortolano 
che  m'  are'  dato  greve  penitenza. 

E  a  queir alber[o]  eh' è  di  gran  potenza, 
per  la  suo  man[oJ  (2)  la  presi  ad  anbo  mano , 
mostrò  che  dal  pedan  non  fosse  sano , 
sì  ch(e)  io  di  ghuastallo  ebbi  temenga. 

Ma  sondo  del  giardin  signiore  in  tutto , 
quando  senti'  quell' alber[o]  cigholare 
uscinne  fuori,  e  non  cholsi  del  frutto. 

Ma  bem  mi  puosi  in  chuor[e]  di  ritornare 
s' i'  ne  dovesse  in  tutto  esser[e]  distrutto , 
puosimi  in  chuor[e]  di  noUo  abandonare. 

Ma  io  mi  pento  ben  che  io  mi  volsi, 
che  quando  i'  fu'  signor[e]  eh'  i'  non  ne  cholsi. 


(1)  chom  peUe  il  cod. 

(2)  Così  il  cod.  Forse  il  suo  ramof 


VARIETÀ  227 


III. 


Poi  quando  vi  tornai  era  inpininato 
quest'  albero  ,  onde  forte  sospirai 
diciendo  tra  mio  chuor[e]  :  noli'  are'  mai  (1) 
del  dolge  frutto  el  qual'  ò  disiato. 

E  quasimente  chorae  disperato 
subitamente  a  esso  io  m' apichai 
per  si  gran  forga  ched  io  lo  pieghai , 
eh'  io  mi  parti'  da  prun[i]  tutto  graffiato. 

[Ma]  non  eh'  io  avessi  però  del  frutto  saggio , 
che  chome  prima  io  ne  tornai  digiuno 
per  non  riciever[e]  dal  villano  ontrag(g)io. 

Ma  sendo  chosi  punto  da  quel  pruno , 
subito  imaginai  nel  mio  choraggio 
di  levameli  tutti  ad  uno  ad  uno. 

Ghopertamente  adoperando  senno 
sanga  mostrar  niuno  senbiante  o  segnio. 


{1)  Cosi  il  cod.,  ma  panni  si  debba  leggere:  no  l'arò  mai. 


IV. 


Quest'  albero  amoroso  eh'  io  vi  dieho 
pendar  solea  spesso  sopra  la  via  (1) , 
or  non  vi  fa  chome  solea  1'  onbria 
e  al  passarvi  molto  i'  m' afFaticho. 

Ben(e)  che  rortolan[o]  si  mostri  amicho 
non  el  domando  eh'  io  farei  villania , 
perch'  io  m'  achorgho  ben  che  gielosia 
è  nel  suo  chor[e]  ched  io  me  ne  notricho. 

E  non  è  stante  che  1'  abia  inprunato  , 

ma  tanto  à  fatto  (2)  ehon  suo  arghomento 
eh'  io  noi  posso  veder[e]  quand'  io  vi  ghuato. 

Ma  spesso  trae  un  amoroso  vento 
e  fai  sì  forte  pieghare  da  un  lato 
eh'  io  vegio  un  pocho  e  partemi  (3)  chontento. 

Ma  chome  la  donzella  al  liochorno 
penso  ehon  umiltà  di  far[e]  ritorno.        • 


(1)  Forse  da  correggere:  Pender  soleva  spesso  sw/ia  via. 

(2)  Cod.:  ma  ùtnto  affatto. 

(3)  parte  mi  il  cod. 


228  L.   FRATI 


Io  fece  d' umiltà  mia  armadura , 
poi  chon  superbia  fu  macho  sì  vile 
e  a  queir  alber[o]  che  tanto  è  gientile 
tornai  chon  quel  signior[e]  che  m'  asichura. 

E  schurità  (1)  eh'  io  li  feci  paura 
vegiendomi  venir[e]  chotanto  huraile , 
mostrò  eh'  alquanto  chinasse  lo  stile 
del  grande  isdegno  che  ha  per  natura. 

lo  non  diche  perchè  nella  gi(u)ntura 
provato  fossi  di  salirvi  suso , 
ma  ben  levai  de'  pruni  buo'  partita 

E  avisami  ritto  chome  fuso 
[che]  fatta  verrebbe  mie  voglia  fornita 
levando  i  prun[i]  che  1'  albero  tien  chiuso. 

Ma  e'  non  si  può  metter[e  la]  tela  al  subio 
eh'  io  non  chavasse  1'  ortolan[o]  del  dubbio. 


(1)  CoA  il  cod.  Forse  siehttriàt 


VI. 


Ghoir  ortolano  chominciai  a  usare , 
perchè  di  me  non  fosse  più  geloso , 
e  per  poter[e]  più  volte  di  naschoso 
de'  prun  d' intorno  all'  albero  levare. 

Se  nel  giardino  e'  mi  volea  menare  (1) , 
di  ciò  me  ne  mostrava  chorucioso  (2) 
acciò  che  fosse  pur  volonteroso 
a  dir[e]:  vien  mecho  drente  a  desinare. 

Poi  chonvenia  eh'  ad  acto  ritornasse  , 
de'  prun[i]  levava ,  ma  non  però  tanti 
che  r  hortolan[o]  di  nulla  s'achorgiesse. 

Una  avea  in  vista  e  un'  altra  in  serbianti 
allo  sprunar[e]  fé'  le  volte  si  spesse , 
che  'n  pochi  dì  gli  levai  lutti  quanti. 

Ma  poi  c'ie  fue  Ji  prjni  e  sprnchi  (3)  isciolto, 
la  sua  salita  mi  gravava  molto. 


(1)  Il  cod.:  »  mi  volea  mettere. 

(2)  chucioso  il  cod. 

(3)  spochi  il  cod. 


VARIETÀ  229 


VII. 


Poi  che  dall' alber[o]  dov'era  l'alte^Qa 
ehi  levati  tutti  pruni  e  sprechi , 
alla  sua  cima  sempre  ave(v)a  gli  echi 
disiderando  di  salirfe]  V  altera. 

Eir  era  tanta  la  sua  morbide^a , 
perch'  era  tutto  ischietto  san^a  nocchi , 
eh'  i'  diciea  di  me  :  fie  fatto  rochi 
prima  eh'  io  possa  montar[e]  suo  belle^ga. 

Ma  'n  verità  sempre  verso  me  chinasse  (1) 
ben  chonveria  eh'  io  vi  metesse  un[o]  'nesto , 
che  '1  frutto  suo  per  me  di  su  fruttasse. 

Poi  mi  parti'  immaginando  questo , 
ma  non  però  ched  io  mi  gli  achostasse 
tanto  si  fé'  al  riio  cuore  manifesto, 

Ch'  io  vidi  tanto  in  vista  e  in  senbianga 
eh'  io  mi  pai  ti'  chon  grau(de)  mia  speranza. 


(1)  CoA  il  cod.,  ma  panni  che  s' a1)bia  a  leggero:  se  'nverso  tne  chinasse  oppure  se  'npresso. 


Vili. 

Quell[o]  ortolan[o]  m' invitò  a  desinare , 

subitamente  io  accie ttai  lo  'nvito 

san^a  dimorare  cho  llui  fu'  ito 

nel  nobile  giardino  a  sollagare. 
Ma  e'  mi  fé'  chontra  mia  voglia  stare 

dirimpetto  a  quell'  albero  fiorito  , 

ed  io  mangiando  quasi  isbigottito 

sempre  avea  l' echio  all'  albero  mirare. 
Ma  e'  facia  ghuatatura  ghuercia , 

ed  io  onesto  quando  mi  fue  aehorto 

però  eh'  eli  era  pieno  di  ma  mancia  (1). 
Che  se  aveduto  si  fosse  del  torto 

ch  io  li  facia  chon  un[o]  baston[e]  di  quercia 

veraciemente  che  m'  arebbe  morto. 
Ma  di  niun[o]  fallo  di  me  non  s'  achorse , 

onde  eh'  allora  tutto  uscì  del  forse. 


(1)  Così  il  cod.  Forse  :  mala  tnerce,  cioè  pieno  dì  malizia  ? 


230  L.  FRATI 


IX. 


Un  giorno  l' ortolano  in  sulla  strada 
ben  me^o  miglio  [di]  lungi  dal  giardino 
i'  ebi  chiamato  un[o]  mie  chonpagno  fino 
che  per  ingiegnio  mei  tenesse  a  bada. 

E  a  quello  albero  che  tanto  m'  agrada , 
n'  andai  chome  s' i'  fosse  un[o]  paladino; 
per  forga  missi  1'  albero  al  dichino 
e  dissi:  omai  chosl  chonvien  che  vada. 

Dal  me^o  in  giù  quel!'  albero  era  fesso 
sì  che  da  pie'  levai  1'  erba  d'intorno 
e  tra  dua  rami  el  mio  'nesto  ebbi  messo. 

Temendo  di  non  far[e]  tropo  sogiorno 
del  'nesto  ve  n'  entrò  forse  un[o]  somesso 
i'  pur  forni'  sì  eh'  io  non  me  ne  schorno , 

E  vi  lassia'  chome  d'  usanza  l' escha 
non  perch'  io  chreda  che  mai  frutto  n"  escha. 


SAGGIO  DI  RIME  INEDITE 


DI 


GALEOTTO      DEL     CARRETTO 


I. 


La  figura  del  marchese  Galeotto  del  Garretto  è  significante  per 
vari  rispetti.  Storico  e  poeta,  fiori  in  quello  scorcio  del  sec.  XV, 
in  cui  si  trovano  già  tutti  i  germi  letterari  che  poi  con  tanta 
lussuria  di  vegetazione  si  svilupparono  nel  secolo  seguente.  Nato 
di  famiglia  illustre ,  fu  stretto  d' amicizia  con  molti  personaggi 
cospicui  dell'età  sua.  Visse  alla  corte  di  Monferrato  e  fu  in  re- 
lazione costante  con  quelle  di  Milano  e  di  Mantova  e  coi  lette- 
rati che  le  frequentarono  (1).  Egli  prese  parte  insomma  a  tutto 


(1)  La  biografia  di  Galeotto  non  fu  peranco  scritta,  ma  non  tarderà  molto 
ad  esserlo  degnamente.  Poco  ci  dicono  gli  storici  de'  fatti  suoi  ;  chi  voglia 
ricostruii-si  la  sua  vita  deve  ancora  ricorrere  a  documenti  inediti.  Si  può  dire 
che  di  certo  conosciamo  soltanto  finora ,  oltre  alcuni  dati  rilevati  ma  non 
documentati  dell'Avogadro,  l'anno  in  cui  morì,  il  1531,  messo  fuor  di  dubbio 
da  V.  Promis  (Curiosità  e  ricerche  di  storia  subalpina.  III,  4344)  con  un 
docum.  dell'Arch.  di  Stato  torinese.  Già  T  Avogadro  (Mon.  hist.  patriae; 
Scrìptor.,  Ili)  aveva  osservato  come  la  sua  morte  non  dovesse  essere  di  molto 
posteriore  al  1530 ,  perchè  fino  a  queir  anno  è  condotta  la  sua  cronaca ,  e 
perchè  Niccolò  Franco,  nel  1546,  lo  dice  defunto  da  16  anni.  Questa  crono- 
logia, già  antecedentemente  addotta  dal  CRESciMBEm  (/.  d.  u.  p.,  V,  39) 
venne  con  poco  scusabile  errore  contraddetta  dal  Vallauri  (Storia  d.  poesia 
in  Piemonte,  I,  75),  che  lo  fece  morto  in  Roma  nel  1527. 


232  R.  RENIER 

quel  movimento  artistico  e  poetico  dell'Italia  settentrionale,  pa- 
rallelo al  movimento  fiorentino  e  forse  in  parte  conseguenza  di 
esso,  che  appena  ora  si  comincia  a  studiare  con  qualche  propo- 
sito. E  per  ginn  la  fu  piemontese,  di  quella  regione  cioè,  che  (si 
disse  e  si  ripetè  da  molti)  ebbe  cultura  essenzialmente  francese, 
fu  segregata  quasi,  fino  al  sec.  XVI,  dal  rimanente  della  penisola. 
Errore  manifesto,  come  altra  volta  ebbi  ad  accennare  (1). 

Oltre  la  Cronaca  di  Monferrato,  che  scritta  prima  in  prosa  (2), 
venne  poi  da  Galeotto  medesimo  posta  in  ottava  rima  (3),  egli 
va  specialmente  celebre  per  aver  dato  con  la  Sofonisba  uno  dei 
primi  abbozzi  tragici  (4).  AVbozzo  tragico  io  la  chiamo,  e  non 
altro,  perchè  le  mancano  tutti  i  requisiti  per  esser  detta  vera- 
mente tragedia ,  a  cominciare  dalla  divisione  regolare  in  atti, 
giacché  il  numero  sterminato  di  essi ,  che  i  posteri  vollero  tro- 
varvi, levando  le  più  alte  grida  per  la  irregolarità  di  quella  com- 
posizione (5),  non  era  realmente  nelle  intenzioni  dell'autore,  né 


(1)  Gfr.  Giornale,  IV,  60. 

(2)  Fu  pubblic.  da  Gustavo  Avoqadro  nel  voi.  Ili  Scriptorum  dei  Mon. 
hist.  patriae  (1848),  che  la  fece  precedere  da  un  erudito  proemio. 

(3)  Questa  riduzione  è  tuttavia  inedita  (cfr.  pei  codici  che  la  conservano 
Vallauri,  Storia  della  poesia  in  Piemonte ,  I,  97) ,  se  ne  eccettui  i  pochi 
estratti  che  ne  diede  G.  Vernazza  nella  Yita  di  Benvenuto  Sangiorgio , 
premessa  alla  sua  cronaca,  Torino,  1780,  pp.  2,  30-31,  4344,  51-54,  un  epi- 
sodio che  ne  stampò  per  nozze  l'avv.  Lavagno  [Un  convito  nuziale  dato 
da  Galeazzo  Visconti,  Torino,  1884),  e  altri  frammenti  insignificanti  messi 
in  luce  qua  e  là  occasionalmente.  11  Vernazza  dice  che  la  cronaca  di  Ga- 
leotto in  ottave  fu  presentata  a  Bonifacio  di  Monferrato  nel  1493.  Il  signor 
Giovanni  Minoglio  già  da  parecchi  anni  ha  promesso  di  pubblicarla  intera. 

(4)  La  Sofonisba  venne  stampata  solo  una  quarantina  d'anni  dopo  che  era 
stata  composta,  nel  1546  in  Venezia  da  Gabriel  Giolito  de'  Ferrari,  per  cura 
di  Niccolò  Franco ,  che  le  faceva  andare  innanzi  una  lettera  al  nipote  di 
Galeotto,  Alberto  del  Garretto,  in  data  Gasale  1545,  nella  quale  stabiliva  la 
priorità  del  marchese  nel  trattare  questo  soggetto.  Non  si  deve  trascurare 
il  fatto  che  il  Senato  veneto  aveva  dato  licenza  al  Giolito  di  stampare  la 
tragedia  fin  dal  1543,  come  appare  dal  privilegio  in  data  21  aprile  di  quel- 
l'anno, che  si  conserva  nell'Arch.  dei  Frari  (Senato  Terra,  R».  32,  e.  142  v.). 

(5)  Il  primo  a  lamentarsene  fu  Angelo  Ingegneri  nel  suo  noto  libro  Bella 
poesia  rappresentativa  et  del  m,odo  di  rappresentare  le  favole  sceniche, 
Ferrara ,  1598.  «  Il  che  mi  fa  ricordare  d'  una  tragedia  di  Sofonisba ,  fatta 
«  in  ottava  rima  da  un  poeta,  di  cui  non  mi  sovviene  il  nome,  ma  l'ho  ve- 
«  duta  alla  stampa,  né  credo  che  vi  sia  gran  pena  a  ritrovarne;  la  quale 
«  inchiude  nella  sua  scena,  non  solo  Girta,  Gartagine  e  la  patria  di  Massi- 


VARIETÀ  233 

apparisce  dalla  stampa.  Il  che  non  toglie  che  questa  Sofonisba, 
scritta  in  ottave  (1)  e  dedicata  il  22  marzo  1502  a  Isabella  Gon- 
zaga (2),  non  sia  degnissima  di  studio,  e  troppo  trascurata  da 
coloro  che  occupandosi  della  Sofonisba  trissiniana  ebbero  a  toc- 
care delle  prime  tragedie  italiane  (3). 

Tre  altre  composizioni  drammatiche  del  Del  Garretto  furono 
divulgate  per  le  stampe,  il  Tempio  d'amore  (4),  le  Nozze  di 


«  nissa,  ma  la  città  di  Roma,  et  la  reggia  di  Tolomeo  in  Egitto,  et  diverse 
«  altre  parti  del  mondo;  dall'una  all'altra  delle  quali  i  personaggi  fanno 
«  tragitto  a  lor  beneplacito ,  sì  però ,  che  quando  occorre  uno  di  così  fatti 
«  passaggi  (per  dargli  per  avventura  verisimilitudine  di  tempo)  si  fornisce 
«  r  atto.  Di  maniera  che  la  favola  è  divisa  in  quindici  o  venti  atti,  con  una 
«  rarità  d'  essompio  maravigliosa  »  (p.  43).  11  Grescimbeni  ,  tenendo  dietro 
a  queste  parole,  chiamò  Galeotto  «poeta  vago  di  stravaganze  »  (/.  d.  v.p., 
I,  310),  e  gli  storici  successivi  ripeterono  tale  giudizio  precipitato. 

(1)  Tranne  i  cori,  che  sono  generalmente  in  metri  lirici,  ad  eccezione  di 
quello  a  p.  33,  che  è  in  terzine,  e  dell'altro  a  p.  40,  che  è  (si  noti)  in  versi 
sciolti. 

(2)  La  dedicatoria  è  stampata  in  fronte  alla  edizione. 

(3)  Della  Sofonisba  di  G.  G.  Trissino,  scritta  nel  1515,  pubblicata  nel  '24 
e  rappresentata  solo  nel  '62,  Torquato  Tasso  ebbe  a  dire  :  «  L'Italia  à  debito 
«  col  medesimo  (Trisainó)  d'aver  tentata  una  via  alpestre  e  piena  d'inciampi, 
«  e  d'averla  il  primo  tentata  con  onore  »  (cfr.  nota  riferita  a  facsimile  nella 
pubblicazione  di  F.  Paglierani,  La  Sofonisba  di  G.  G.  Trissino  con  note 
di  Torquato  Tasso ,  Bologna,  1884),  né  io  ho  nulla  a  ridire  contro  il  giu- 
dizio dell'autore  del  Torrismondo,  giacché  mi  sembra  troppo  severa  la  sen- 
tenza di  E.  CiAMPOLiNi  (Atti  della  R.  Accademia  Lucchese ,  XXIII ,  605) , 
il  quale  dice  che  se  alla  Sofonisba  trissiniana  si  leva  la  innovazione  for- 
male, essa  viene  ad  avere  «  meno  che  mediocre  importanza  ».  Tuttavia 
avrei  desiderato  che  il  Morsolin  ,  là  dove  accenna  agli  antecedenti  della 
tragedia  del  Trissino  {G.  G.  Trissino,  Vicenza,  1878,  pp.  89-90)  si  fosse 
indugiato  un  po'  più  sul  tentativo  del  Del  Garretto ,  che  resta  ancora  a  stu- 
diare di  sana  pianta. 

(4)  Tempio  de  amore  del  mol  \  to  magnifico  et  cele  |  berrimo  poeta  si  | 
gnor  Galeotto  \  marchese  dal  |  Carretto.  In  fine  Mediolani  ex  officina  Minu- 
tiana  idibus  octobris  MDXIX.  Impensis  D.  presbyt.  Ntcolai  de  Gorgonzola. 
In-8°,  di  14  quaderni  più  un  quinterno.  Se  ne  conserva  un  bellissimo  esemplare 
nella  biblioteca  di  S.  M.  il  Re  in  Torino  (cfr.  Brunet,  Manuel,  I,  1600  e 
Graesse,  Trésor,  11,  55).  Questa  peraltro  non  é  la  prima  edizione.  Ve  n'  è 
un'  altra  citata  solo  dall'ALLACCi  {Drammaturgia,  Venezia,  1755,  p.  756)  e 
sconosciuta  agli  altri  bibliografi  e  storici ,  intorno  alla  quale  1'  Avogadro 
{Monumenta  cit.)  scrive  :  «  Una  prima  ediz.  del  Tempio  d' mmore  vuoisi 
«  pure  fatta  in  Milano  il  1»  sett.  1518  dal  libraio  Giov.  Antonio  Legnano 


234  R.   RENIER 

Psiche  e  Cupidine  (1),  i  Sei  contenti  (2).  Di  queste,  l'ultima  sola 


€  ma  quest'  edizione  è  ora  pressoché  ignota  ».  Ne  esiste  un  esemplare  in 
Ambrosiana ,  uno  nella  Magliabechiana ,  uno  nella  Comunale  di  Bologna , 
ed  un  altro  potei  vederne  presso  un  bibliofilo  torinese  mio  amico.  La  stampa 
meno  rara  è  quella  del  1524:  Comedia  \  nvova  \  del  magnifico  et  \  cele- 
berrimo poe  I  ta  signor  \  Galeotto  Marche  |  se  dal  Carretto  \  intitvlata  \ 
Tempio  de  amore.  In  fine  Stampata  nella  inclita  cita  di  Venetia  per  Ni- 
colo Zopino  e  Yicentio  compagno  nel  MCCCCC  e  XXIIII.  A  dì  iiii  de 
Marzo.  Regnante  lo  inclito  Principe  messer  Andrea  Gritti.  Nella  av- 
vertenza premessa  dagli  stampatori  a  questa  edizione  se  ne  parla  come  di 
opera  ignota:  «  Essendomi  a  questi  giorni  pervenuto  ne  le  mane  il  uenu- 
«  stissimo  Tempio  de  Amore,  poema  tersissimo,  si  de  inuentione  piacevolis- 
«  sima,  sì  de  gioconde  fabulationi  et  novo  (sic)  lepiditati  referto  dil  facun- 
«  dissimo  et  leggiadro  Poeta  signor  Galeotto  marchese  dal  Garretto ,  mi  è 
«  parso  conueneuole  non  tenere  celato  et  sepulto  un  si  pretioso  thesauro, 
«  quasi  inuido  a  li  eleuati  spirti,  anzi  mandarlo  in  la  publica  luce,  a  comune 
«  diletto  de  studiosi  serui  d' amore  ».  E  da  avvertirsi  peraltro  che  questa 
nota  proemiale  è  riproduzione  fedelissima  di  quella  che  «  loanne  Antonio 
«  Legnano  libraio  solerte  et  curioso  »  mandò  innanzi  alla  edizione  del  '18. 
L'ultima  rimpressione,  di  Bologna  1525,  trovasi  nella  Marciana. 

(1)  Noze  de  Psyche  et  Cupidine  celebrate  |  per  lo  Magnifico  Marchese 
Galeoto  \  dal  Carretto:  Poeta  in  lingua  Tusca  \  nò  uulgare.  Sotto  una  si- 
lografia, che  rappresenta  Amore  saettante  un  uomo  seduto  all'ombra  di  un 
albero,  con  in  mano  la  mandola  o  la  chitarra.  Manca  qualunque  nota  tipo- 
grafica. Se  il  Vallauri  avesse  veduto  (e  non  ci  voleva  molto  !)  questo  esem- 
plare, che  si  trova  nella  Reale  di  Torino  (altri  se  ne  rinvengono  cosi  nel 
fondo  magliabechiano  come  nel  palatino  della  Nazionale  di  Firenze ,  nella 
Marciana  di  Venezia,  e  nella  Goi-siniana  di  Roma),  non  avrebbe  mosso  rim- 
provero al  Quadrio  {St.  e  rag.,  V,  65)  perchè  citò  una  ediz.  «  senza  data  di 
luogo  né  di  anno  ».  Ben  é  vero  che  il  Brunet,  il  Graesse  (luoghi  cit.),  il 
MoLiNi  (Operette,  Firenze,  1858,  p.  145),  I'Avogadro  (luogo  cit.)  ecc.,  citano 
solo  la  ediz.  di  Milano,  per  Agostino  di  Vimercato,  1520;  ma  probabilmente 
questa  è  la  seconda.  Nella  biblioteca  nazion.  di  Brera  esiste  un'  altra  ediz. 
milanese,  da  Borgo,  1545. 

(2)  Li  sei  I  contenti.  |  Comm,edia  dell'  III.  S.  \  Galeotto  del  \  Carretto,  \ 
delli  Marchesi  di  \  Savona  \  Nuovamente  data  in  luce  |  del  MDXLII.  In 
fine:  Im,pressa  in  Casal  di  San  Vaso  per  Giovan  Antonio  Guidone.  Del 
MDXLII.  Questa  edizione,  citata  dal  Quadrio ,  dal  Tiraboschi ,  dal  Brunet, 
dall'Avogadro,  dal  Vallauri,  é  siffattamente  rara  che  il  Crescimbeni  (V,  39) 
mise  la  commedia  tra  le  opere  del  marchese  che  non  sapeva  se  fossero  im- 
presse, e  il  Napoli  Signorelli  (Storia  critica  de'  teatri ,  V ,  29) ,  la  disse 
addirittura  inedita.  Non  se  ne  trovano  esemplari  in  nessuna  delle  maggiori 
biblioteche  pubbliche  dell'  Italia  superiore  e  centrale ,  e  neppure  in  Gasale, 
ove  fu  stampata.  Ve  n'è  bensì  uno  in  carta  azzurra  in  una  miscellanea  della 
biblioteca  dell'Archiginnasio  di  Bologna,  Aula  16.  B.  YII-24,  Op.  2. 


VARIETÀ  23& 

è  in  prosa  e  da  quanto  ne  dice  Niccolò  Franco  ben  si  discerne 
che  deve  essere  una  imitazione  delle  commedie  plautine,  che  in 
quel  risveglio  delle  forme  classiche  avevano  avuto  tanta  fortuna(l). 
Le  altre  due  sono  rappresentazioni  di  carattere ,  più  che  altro, 
allegorico,  ritenenti  ancora  moltissimo  del  fare  di  quelle  ecloghe 
drammatiche  e  di  quelle  rappresentazioni  cortigiane,  con  cui 
veramente  il  nostro  teatro  aulico  principia;  aliene  da  ogni  ri- 
spetto per  le  unità  aristoteliche ,  notevolissime  segnatamente 
per  la  varietà  grande  di  metri,  che  vi  troviamo  impiegati.  A 
queste  due  commedie  ne  va  aggiunta  una  terza  pure  in  versi, 
pubblicata  di  recente,  il  Timon  greco  (2),  che  Galeotto  spediva 
nel  1498  a  Isabella  Gonzaga  (3).  E  un'altra  commedia,  che  fu 


(1)  Niccolò  Franco,  in  una.  lettera  molto  curiosa  al  marchese  Alberto  del 
Garretto,  in  data  di  Casale  1542,  che  è  in  fondo  al  suo  Dialogo  dove  si  ra- 
giona delle  bellezze,  Gasale,  Guidone,  1542,  scrive:  «  Gon  quella  fretta  che 
«  da  la  scarsità  del  hore  m'è  suta  data  ho  letta  la  Gomedia  dei  Sei  Gontenti, 
«  la  quale  da  la  penna  del  S.  Galeotto  vi  fu  lasciata.  Ella,  per  quel  saggio 
«  che  n'ho  gustato,  m'  è  piaciuta  siffattamente ,  che  non  meno  contento  mi 
«  truovo  io  del  haverla  veduta ,  che  si  trovano  alla  fine  i  Sei ,  che  entra- 
«  vengono  ne  gli  atti  scenici  ».  E  dopo  una  digressione  politica  aggiunge: 
«  Et  però  ritorno  ai  Sei  Gontenti  de  la  Gomedia ,  ove  sommamente  m'  ha 
«  soddisfatto  lo  stratagema  di  Mastallone,  per  che  colto  in  adulterio  con  la 
«  sua  serva  per  raddolcire  il  cruccio  dela  mogliera,  fece  veduto  eh'  elli  ve- 
«  leva  farsi  castrare  in  penitenza  de  suoi  misfatti ,  il  che  credendogli  la 
«  pietosa  consorte,  e  forse  più  per  pietà  di  lei  che  di  lui,  non  volle  in  ve- 
«  runa  guisa.  Senza  dubbio  fu  accorto  1'  avedimento  del  buon  marito  ».  E 
qui  fa  una  digressione  sui  frati,  che  vorrebbe  fossero  castrati  daddovero,  e 
termina  augurando  che  quest'opera  di  Galeotto  «  ne  la  stampa  si  canonizzi  ». 

(2)  Edita  da  G.  Minoglio,  Torino,  Paravia,  1878.  La  didascalia  iniziale 
suona  così:  Comedia  de  Timon  greco  composita  da  Galeotto  del  Carretto 
et  intitulata  a  la  ill.^na  et  virtuosissima  Madonna  Isabella  Marchesana  di 
Mantua  felicissima.  Questa  commedia,  conservataci  ms.  nella  biblioteca  del 
marchese  Gampori,  ha  intento  morale,  giacché  mira  a  dimostrare  la  potenza 
delle  ricchezze.  E  divisa  regolarmente  in  cinque  atti,  e  scritta  per  la  maggior 
parte  in  ottava  rima,  quantunque  non  vi  manchino  terzine,  quartine  e  se- 
stine. In  fine  il  poeta  prende  egli  stesso  la  parola  e  parla  a  li  circumstanti 
in  terzine,  svolgendo  la  morale  della  sua  azione  scenica. 

(3)  La  lettera  di  Galeotto,  con  cui  egli  accompagna  il  Timone  a  Isabella 
(Gasale,  2  gen.  1498),  venne  pubblicata  da  V.  Promis,  Galeotto  del  Carretto 
ed  alcune  sue  lettere,  in  Curiosità  e  ricerche  di  storia  subalpina.  III,  46. 
Lo  stesso  Promis  stampò  nella  Miscellanea  di  storia  italiana,  XI,  346,  una 
lettera  del  marchese  a  Isabella  di  pochi  giorni  posteriore  (14  gen.  1498),  ia 


236  R.  RENIER 

dedicata  alla  sorella  della  Gonzaga,  Beatrice  Sforza  (f  2  gen.  1497), 
e  che,  probabilmente  dal  nome  suo,  si  intitolava  Beatrice,  mandò 
Galeotto  a  Isabella  il  24  novembre  1498  (1)  e  nell'anno  seguente 
sappiamo  che  venne  eseguita  in  Gasale  con  gli  intermezzi  lirici 
musicati  dal  Tromboncino  (2).  Un'ultima  commedia  di  Galeotto, 
di  cui  si  ignora  il  titolo ,  né  quindi  si  sa  se  possa  identificarsi 
con  alcuna  delle  conosciute ,  sembra  egli  avesse  intenzione  di 
inviare  a  Isabella  alla  fine  del  1499  (3),  e  il  29  gennaio  1500 
diceva  di  avergliela  mandata  da  otto  giorni. 

Non  è  questa  l'unica  opera  di  Galeotto,  intorno  alla  quale  di- 
fettano notizie  precise.  Niccolò  Franco,  in  una  delle  sue  lettere 
ad  Alberto  del  Garretto,  dopo  avergli  lodato  l'ingegno  e  le  virtù 
dell'avolo  suo,  gli  dice:  «  Il  che  deve  a  voi  essere  grande  stimolo 
«  a  dar  tosto  a  la  luce,  non  pure  le  Vertù  Prigioniere,  ma  le 
«  tre  Gomedie,  la  Sophonisba ,  le  Rime  de  la  vita  Cortigiana,  e 
•«  ciò  che  scrisse,  perciochè  in  ogni  suo  scritto  parmi  conoscere 


cui  rettifica  un  passo  del  Timone  malamente  copiato.  Questa  lettera  era 
stata  antecedentemente  pubblicata  da  G.  Glaretta,  nella  medesima  Miscel- 
lanea, I,  379. 

(1)  L'invio  di  questa  commedia,  preannunciato  nella  cit.  lettera  di  Gasale 
2  gen.  1498,  venne  accompagnato  con  lettera  24  nov.  1498,  pubbl.  dal  Promis 
{Curiosità,  111,  47),  insieme  ad  «  una  balzereta  inserta  in  una  egloga  ». 
Ecco  le  precise  parole:  «  Mando  etiam  la  comedia  mia  che  ho  fatto  transcri- 
«  vere  quale  già  mandai  a  la  ili.™*  madama  duchessa  sorella  vostra  puocho 
«  avante  che  lei  moresse  ».  Isabella  ne  accusava  ricevuta  con  lettera  del 
29  dee.  1499  (a  nativitate),  1498  (st.  com.):  «  Havessimo  li  di  passati  in- 
«  sieme  cum  la  lettera  v.  le  barzellette,  egloga  et  comedia,  che  ne  scrivesti 
«  mandare:  quale  et  per  la  bontà  loro  et  per  la  memoria  tenete  de  nui  ne 
«  furono  et  sono  graditissime  et  habiamole  in  pretio  »  (Archivio  Gonzaga, 
Copialett.  dC Isabella ,  L.  IX).  A  questa  commedia  accenna  il  D'  Ancona  , 
Origini,  II,  243,  n.  4. 

(2)  Vedi  Da  vari,  La  musica  a  Mantova ,  in  Riv.  st.  mantovana ,  I,  57. 
Questo  fatto  fu  rilevato  anche  dal  D'Ancona,  Il  teatro  mani,  nel  sec.  XVI, 
in  Giorn.  stor.,  V,  34,  n.  4,  con  una  leggiera  svista  nella  data  della  lettera 
di  Galeotto,  che  è  del  23  (e  non  del  3)  giugno  1499. 

(3)  Lo  deduco  dal  seguente  passo  di  una  lettera  inedita  di  Galeotto  a  Isa- 
bella, in  data  Pontestura  17  die.  1499,  che  è  nell'Archivio  Gonzaga,  e  che 
risponde  a  una  d'Isabella  del  21  nov.  1499,  la  quale  può  leggersi  nel  Libro  X 
del  Copialettere  d'Isabella:  «  La  comedia  che  la  ex.tì*  y  j^^e  richiede  an- 
«  chora  che  non  sia  degna  de  andar  a  tanto  conspecto  quanto  è  quello  de  la 
•«  ex.*^'^  V.  non  farò  dubitanza  de  mandarla  tutta  volta  eh'  io  1'  babbi  tran- 
«  scritta  in  bona  forma  ». 


VARIETÀ  237 

«  acutezza  d'ingegno,  novità  di  trovare,  e  destrezza  di  satira,  al 
«  cui  soggetto  egli,  come  inimico  del  vitio,  parve  attamente  nato 
«  nel  nostro  secolo  vitioso  »  (1).  Nella  quale  enumerazione  noi 
troviamo  fatto  cenno  di  due  scritti  di  Galeotto  ignoti  del  tutto,  le 
Virtù  prigioniere  e  le  Riine  della  vita  cortigiana.  Su  questo 
accenno  del  Franco  si  appoggiarono  gli  eruditi  nel  citare  queste 
due  opere  (2)  ed  erra  sicuramente  l'Avogadro  quando  le  ritiene 
edite  (3).  Che  cosa  fossero  queste  Virtù  prigioniere  non  è  facile 
il  dirlo:  una  produzione  in  qualsivoglia  modo  drammatica  non 
sembra  ;  è  più  probabile  fossero  un  poemetto  allegorico.  Intorno 
alle  Rime  della  vita  cortigiana  sarà  necessario  spendere  qualche 
parola. 


II. 


Dalla  ricca  corrispondenza  epistolare,  per  la  massima  parte 
inedita,  che  il  Del  Garretto  tenne  con  la  marchesana  di  Man- 
tova, si  deduce  chiaramente  che  egli  scrisse  un  numero  ragguar- 
devole di  componimenti  lirici.  Isabella,  con  quella  sua  sete  con- 
tinua di  poesia,  era  instancabile  nel  chiedere  a  Galeotto  sue  rime, 


(1)  Vedi  la  prima  delle  lettere  del  Franco  ad  Alberto  nella  citata  appen- 
dice al  Dialogo  delle  bellezze,  senza  num.  di  pagina. 

(2)  Grescimbeni,  /.  d.  v.  p.,  V,  39;  Tiraboschi,  fSt.  lett.,  ed.  ci.,  VII,  1870; 
Vallauri,  Op.  cit.,  I,  98  ecc.  ecc. 

(3)  L'Avogadro  (luogo  cit.)  dice  che  le  Yirtù  e  le  Rime  furono  e  fatte 
«  di  pubblica  ragione  in  Casale  ».  Io  ne  feci,  o  ne  feci  fare,  ricerca  in  tutte 
le  principali  biblioteche  pubbliche  d'Italia  senza  verun  risultato.  E  siccome 
nessun  bibliografo  né  erudito  ha  veduto  queste  presunte  edizioni,  mi  credo 
licenziato  a  ritenere  che  T  Avogadro  prendesse  errore.  Lo  stesso  Avogadró 
cita  piu-e  di  Galeotto  YHistoria  di  Giuseppe  da  fratelli  venduto,  da  la  bibbia 
di  parola  in  parola  e  in  ottava  rima  tradotta ,  e  dice  che  quest'  opera 
«  fu  pubblicata  in  Casale  per  Giacomo  Antonio  Guidone  nel  1542,  per  cura 
«  del  nipote  marchese  Alberto,  il  quale  la  dedicava  alla  Marchesana  di  Mon- 
«  ferrato,  Anna  d'Alan§on  ».  Qui  ci  troviamo  di  fronte  ad  un  fatto  più  grave, 
giacché  i  particolari  sono  troppi  per  ritenere  si  tratti  di  un  equivoco,  né 
la  confusione  col  Joseph  del  CoUenuccio,  che  è  commedia  scritta  in  terzine, 
e  che  non  ebbe  mai  una  edizione  di  Casale ,  può  presentare  alcuna  verosi- 
miglianza. È  tuttavia  strano  che  di  questo  poemetto  di  Galeotto  non  sia 
rimasto  alcun  esemplare,  che  porti  almeno  il  nome  di  lui. 


238  R.   RENIER 


e  Galeotto,  da  parte  sua,  era  instancabile  nel  compiacerla  (1).  La 
gentile  marchesa,  passionatissima,  come  ognun  sa,  per  la  musica, 


(1)  Per  citare  solo  alcuni  dei  molti  documenti  che  vi  sono  di  ciò ,  ecco 
che  cosa  scriveva  Galeotto  a  Isabella  in  data  Casale  23  marzo  1496:  «  Non 
«  me  essendo  concesso  al  presente  ad  puoter  visitar  la  ex.''*  v.  personalmente 
«  come  è  l'animo  et  desiderio  mio,  m'è  parso  far  parte  del  debito  visitarla 
«  cum  questa  et  cum  alchune  mie  rime  benché  inepte  et  insulse;  pure  la 
«  ex"*  v.  accettarà  TafFectionata  fede  mia,  quale  mi  ha  dato  baldanza  a  scri- 
«  verle,  et  tanto  più  conosciendo  la  humanità  grande  che  regna  in  quella. 
«  Per  il  che  mando  a  la  ex.*»*  v.  p.  mes.  lo  vicario  tri  oapituli ,  una  ode 
«  vulgare ,  duy  strambotti  et  due  frottole ,  quale  cose  se  haveranno  in  sé 
«  qualche  gratia  che  possano  esser  accette  a  la  ex."*  v.,  anchor  che  io  manda 
«  de  acqua  al  mare,  mi  piacerà,  se  non,  prego  quella  che  ne  faccia  sacri- 
«  ficio  a  Vulcano  »  (Promis,  Curiosità,  IH,  45).  La  lettera  di  risposta  di 
Isabella  trovasi  nel  Copialettere  della  marchesa  (L.  VI),  in  data  Mantova 
13  aprile  1496:  «  Havemo  ricevuto  la  lettera  vostra  insieme  con  le  Rime 
«  che  ha  veti  composto:  de  l'una  et  l'altra  cosa  havemo  preso  piacere  assai  : 
«  sì  per  intendere  che  continuati  ne  la  afFectione  che  altre  volte  haveti 
«  monstrato  portarne:  sì  etiam  per  legere  voluntieri  le  vostre  Rime:  quali 
«  sono,  et  de  parole  et  de  sententie  in  perfectione.  Però  ve  ringratiamo  che 
«  ce  le  habiati  mandato,  et  pregandove  che  componendone  de  le  altre,  oc- 
«  correndovi  latore,  ce  le  vogliati  mandare,  offerendone  a  li  vostri  beneplaciti 
«  sempre  disposte  ecc.  ».  Insieme  col  Timone  Galeotto  le  spediva  «  due 
«  balzerette  et  uno  strambotto  »  (Promis,  Curiosità,  III,  46).  Il  21  nov.  1499 
Isabella  gli  scriveva  {Copiai.,  L.  X):  «  Havessimo  li  dì  passati  una  vostra... 
«  cum  alcune  balzerette  et  adesso  ne  havemo  un'  altra  de'  undece  instanti, 
«  pur  cum  balzerette,  quale  sicomo  semo  solite  fare  tutte  le  altre  cose  vostre, 
«  queste  ne  sono  state  gratissime  et  subito  le  dessimo  al  Tromboncino  per 
«  farli  el  canto  ».  A  cui  Galeotto  rispondeva  il  29  genn.  1500:  «  Per  l'am- 
«  bassator  vostro  de  Milano  ho  havuto  una  de  v.  ex."*,  ne  la  quale  fa  men- 
«  tiene  haver  havute  le  balzerette  che  gli  mandai  per  Pelegrino,  il  che  me 
«  piace  et  tanto  più  quanto  le  ha  dato  al  Tromboncino  che  gli  faccia  el 
«  canto:  et  per  che  m.  Francesco  da  Sannazaro,  quale  fa  ritorno  a  Mantua, 
«  m'ha  pregato  che  non  lo  lassa  partire  senza  qualche  mia  balzeretta,  an- 
«  Cora  che  puochi  dì  sono  io  gli  scrissi  che  non  gli  mandava  più  balzerette 
«  per  non  fastidirla,  per  havergliene  mandato  gran  copia,  ad  richiesta  sua 
«  gli  mando  la  presente  belzeretta  »  (Promis,  Curiosità,  111,  4748).  Da 
Pontestura  Galeotto  scrive  a  Isabella  il  26  gen.  1503:  «  Geterum  io  mando 
«  uno  capitulo  mio  et  una  belzeretta  cum  una  oratione  de  S.  Francesco  a 
«  la  S.  V.,  a  ciò  che  la  si  ricordi  di  me  suo  fidel  servitore  ».  E  il  6  ott.  1506: 
«  lo  harei  mandato  a  la  ex."*  v.  alcune  mie  belzerette,  ma  per  haver  inteso 
«  che  da  molte  bande  glie  ne  fìocchano  in  quella  cita,  per  non  stomacharla 
«  ho  lassato  de  mandarle  ».  11  10  giugno  1516  le  invia  «  un  capitulo  in 
«  dialogo  di  tre  persone»,  e  il  30  ott.  1513  avea  mandato  al  march.  Fran- 


VARIETÀ  239 

che  ella  stessa  coltivava  con  profitto,  affidava  spesso  le  composi- 
zioni liriche  dell'amico  suo  al  Tromboncino  o  al  Marchetto,  acciò 
le  musicassero  (1);  e  sembra  che  ne  ricavasse  molto  diletto,  poiché 
ogni  qualvolta  il  marchese  stava  qualche  tempo  a  spedirle  cose 
sue,  ella  gliene  faceva  richiesta.  Di  che  lusingato  Galeotto,  non 
lasciava  passar  occasione  per  Mantova  senza  depositare  ai  piedi 
della  bella  e  colta  marchesana  qualche  suo  nuovo  tributo  poe- 
tico; e  quando  non  poteva  farlo,  se  ne  scusava  (2),  e  la  stessa 
Sofonisha  dedicava  alla  marchesa ,  quasi  ad  ammenda  di  non 
averle  per  qualche  tempo  inviato  sue  rime  (3). 


Cesco  «  uno  capitalo  in  dialogo  de  uno  che  parla  cun  un  spirto  »  e  nel 
mandarlo  dicea  di  provare  «  qualche  erubescientia  ».  Ma  le  citazioni  si  po- 
trebbero moltiplicare  con  grande  facilità,  e  poco  profitto.  —  Di  questi  e 
degli  altri  documenti  relativi  a  Galeotto,  che  si  trovano  nell'Archivio  Gonzaga, 
ebbi  cortese  comunicazione  dal  mio  bravo  discepolo  Giovanni  Girelli,  che  da 
parecchio  tempo  si  occupa  della  vita  e  degli  scritti  di  Galeotto,  e  avrebbe 
già  pubblicato  in  proposito  una  monografia,  se  gravi  ragioni  di  salute  non 
glielo  avessero  impedito. 

(1)  Copiose  attestazioni,  ricavate  dall'Archivio  Gonzaga,  si  possono  trovare 
nel  menzionato  scritto  di  S.  Da  vari.  La  musica  a  Mantova ,  in  Riv.  stor. 
mantovana,  I,  55  e  62. 

(2)  Cosi  il  25  giugno  1501  :  «  La  ex.  v.  me  habi  per  excusato  se  non  gli 
«  mando  qualche  mie  rime,  per  che  mi  persuado  che  quella  a'  tempi  mo- 
«  derni  non  ne  faci  troppo  stima  per  che  mi  par  che  a  questa  etate  Phebo 
«  stii  nascoso  tra  urtiche  et  lappole,  né  ardisco  a  comparere  per  paura  de 
«  tanti  alabardi  et  hor  mai  mi  par  tempo  che  pigli  qualche  riposo  come 
«  potrò  el  meglio,  essendo  stato  per  adrieto  in  tanto  prezzo  et  travagliato 
«  da  colloro,  che  nel  suo  monte  coglieranno  el  sacro  lauro  ».  Cui  Isabella 
rispondeva  il  30  giugno  (Copialett.,  L.  XII):  «  La  visitatione  che  cun  la 
«  lettera  vostra  ne  haveti  facta  n'  è  stata  oltre  modo  grata  :  et  havemo 
«  acceptata  la  scusa  de  non  avere  composto  questi  giorni  rime,  parendone 
«  che  r  homo  invellupato  in  tanti  travagli  che  portano  questi  tempi  non 
«  possi  attendere  a  virtù  et  manco  a  cose  amorose.  Nondimeno  quando  per 
«  sfogare  le  passione  vostre  componereti  qualche  versi,  ricordative  de  far- 
«  cene  copia,  sì  come  nui  ne  faremo  stima  ». 

(3)  Lo  si  ricava  dal  seguente  brano  rilevantissimo  della  dedicatoria,  in 
data  22  marzo  1502  :  «  Considerando  poi  1'  antiquo  obligo  et  innata  servitù 
«  et  osservanza  in  verso  di  vostra  altezza,  quale  è  stata  di  sì  eflScace  sorte, 
«  che  come  da'  miei  giovanili  anni  me  gli  ha  dedicato ,  et  come  suo  sud- 
«  dito  inchinato  in  assenza  mia  a  visitarla  col  tributo  di  qualche  mia  rima, 
«  così  mi  sospinge  a  perseverare  insino  che  lo  spirito  mio  reggerà  queste 
«  ossa,  non  mi  sciogliendo  mai  dal  volontario  e  spontaneo  mio  antico  ob- 
«  bligo,  et  come  per  qualche  impedimento,  e  mal  disposte  conditioni  de'  tempi, 


240  R.   RENIER 

Le  Rime  della  vita  cortigiana,  cui  il  Franco  accenna,  dovet- 
tero senza  dubbio  essere  un  codice  contenente,  se  non  tutta,  una 
parte  almeno  di  queste  liriche  di  Galeotto.  Questo  codice  è  per- 
duto, 0  smarrito.  Ben  è  vero  che  il  Quadrio  cita  una  stampa  di 
Rime  di  amx)re  di  Galeotto  Del  Garretto  ;  ma  si  può  dire  con 
certezza  che  è  una  confusione  con  la  edizione  milanese  del  1519 
del  Tempio  d'am,ore  (1).  Sicché,  quando  nel  1879  il  Promis  di- 
ceva di  non  conoscere  liriche  staccate  di  Galeotto,  e  di  non  po- 
terne quindi  riferire  alcuna  (2),  aveva  perfettamente  ragione. 

Se  non  che  qualche  indagine  fatta  nel  materiale  manoscritto  del 
tempo  mi  ha  condotto  a  rintracciare  alcune  liriche  del  marchese, 
sfuggite,  non  si  sa  come,  al  naufragio  delle  altre.  L'autografo 
di  Gaspare  Visconti ,  che  costituisce  oggi  il  codice  Trivulziano 
1093,  su  cui  avrò  a  tornare  in  altra  occasione,  mi  somministrò 
una  corrispondenza  poetica  tra  Galeotto  ed  il  magnifico  Gaspare  (3), 
col  quale  ebbero  relazione,  più  o  meno,  tutti  i  poeti  fioriti  alla 
corte  di  Ludovico  il  Moro.  Il  cod.  109  della  bibl.  di  S.  M.  il  Re 
in  Torino  reca  (a  e.  17)  una  Canzone  di  mes.  Galeotto  del  car- 
7'etto  querula;  e  probabilmente  sono  sue  anche  le  rime  adespote 
che  la  seguono  in  quel  ms.,  del  quale  altri  avrà  ad  occuparsi. 
Ma  il  maggior  numero  di  poesie  di  Galeotto  trovasi  ancora  nel 
ms.  it.  1543  della  Nazionale  di  Parigi,  e  quindi  naturalmente  nel 


«  ho  pur  fatto  qualche  intervallo  in  non  havergli  mandato  de  le  mie  rime 
«  il  dovuto  tributo,  che  oro  et  argento  non  è  in  me  di  potergli  mandare, 
«  né  quella  ne  ha  di  bisogno,  né  manco  lo  ricerca,  mi  è  parso  per  non 
«  cadere  in  contumacia  di  mandargli  questa  mia  opera  continuata,  la  qual 
«  per  una  volta  sei"à  in  satisfatione  de  le  mie  rime,  che  le  soleva  mandare, 
«  e  del  tempo  interrotto  in  scrivei'la  al  solito  costume,  e  dedicargliela,  la 
«  quale,  quantunque  rozza,  la  prego  che  l' accetti  con  quel  perfetto  e  be- 
«  nigno  animo,  come  io  con  devoto  e  ben  disposto  cuore  e  confidentia  gliela 
«  mando  ». 

(1)  Ecco  come  il  Quadrio  (li,  222)  indica  questa  presunta  edizione  :  Rime 
di  amore  del  m,olto  m,agnifico  et  celeberrimo  poeta  signor  Galeotto  m,ar- 
chese  del  Carretto.  Mediolani,  ex  officina  Minutiana  1519,  impensis  D. 
Presbyteri  Nicolai  de  Gorgonzola.  Come  abbiamo  veduto,  a  spese  appunto 
di  questo  Niccolò  da  Gorgonzola,  è  uscita  le  edizione  minuziana  1519  del 
Tempio  d'amore.  —  Tuttavia  il  Vallauri  (Op.  cit.,  I,  97)  e  il  Minoglio 
{Timone,  p.  9)  abboccarono  l'errore  del  Quadrio. 

(2)  Curios.,  III,  43. 

(3)  Vedi  il  son.  che  ha  il  n»  VII  nel  presente  Saggio,  e  la  risposta  di 
Gaspare  che  gli  fa  seguito. 


VARIETÀ  241 

Magliabechiano  II,  II,  75,  che  è  con  esso  in  rapporti  strettissimi  (1). 
In  questi  due  codici  le  liriche  di  Galeotto,  disposte  nel  medesimo 
ordine  e  con  le  stesse  rubriche,  sono  in  numero  di  26.  Ponendo 
a  base  il  cod.  Parigino,  che  è  il  più  antico  e  corretto,  io  ne  pub- 
blico qui  alcune,  pur  trascurando  una  canzone  in  cui  il  Del  Car- 
retto inveisce  genericamente  contro  i  parnassiani  del  tempo  suo  (2), 
una  lunga  disperata  in  terzine  (3)  ed  una  lunghissima  ecloga  in 
isdruccioli  (4).  Stampo  alcuni  sonetti,  che  mi  sembrano,  per  vari 
rispetti,  rilevanti.  Uno  di  essi  (n"  II)  esprime  un  amore  passionato 
e  sensuale;  un  altro  (n"  III),  nel  quale  ogni  verso  principia  con 
l'ultima  parola  del  verso  precedente,  è  notevole  per  quella  ar- 
tificiosità nella  forma  e  nel  concetto,  che  ben  a  ragione  fece 
vedere  ad  occhio  sagace  un  secentismo  anticipato  in  questi 
poeti  cortigiani  del  sec.  XV  cadente;  un  altro  ancora  (n°  V)  è 
politico,  scritto  nella  maniera  che  tanto  piacque  al  Bellincioni  e 
al  Pistoia.  Mi  sembrò  utile  pubblicare  alcune  ottave  (n"  VIII),  che 
sono  sfogo  di  un  amore  disperato,  e  in  fine  ho  aggiunto  due 
poesie  (n*  IX  e  X),  che  sono  le  migliori  fra  quante  ne  conosco 
di  Galeotto,  e  vanno  poste  nel  novero  delle  sue  barzellette. 

Già  vedemmo  dai  documenti  addotti  che  il  genere  poetico,  in 
cui  egli  particolarmente  si  esercitò  ed  ebbe  fama,  fu  appunto 
questo  delle  barzellette.  La  barzelletta,  chiamata  anche,  meno 
propriamente ,  frottola ,  può  e  deve  essere  considerata  come  il 
frutto  della  intromissione  di  una  corrente  popolare  nella  poesia 
aulica  di  quel  tempo.  Essa  ebbe  grande  fortuna,  perchè  si  pre- 
stava assai  ad  essere  musicata  (5).  Derivata,  probabilmente,  dalla 
ballata  minima,  si  intrometteva  volentieri  nelle  composizioni  dram- 
matiche cortigiane  della  fine  del  sec.  XV.  Cosi  la  rappresentazione 
della  fatica,  composta  dal  Belhncioni  «  a  contemplatione  del  signor 
«  Antonio  Maria  Sanseverino  »,  termina  con  una  barzelletta  (6); 


(1)  Di  questi  due  codici  diedi  le  tavole  degli  autori  nel  presente  Giornale 
(V,  238  n.),  ove  pure  pubblicai  (V,  236  n.)  di  sul  cod.  Mgl.  un  sonetto  di 
Galeotto  suU'  insegna  del  Moro.  Nel  cod.  Parigino,  a  e.  123  v.,  trovasi  an- 
notata, da  mano  diversa  da  quella  che  scrisse  il  codice,  la  data  28  agosto  1497. 

(2)  Parig.,  e.  89».;  Mgl.  e.  49  u. 

(3)  Parig.,  e.  92 r;  Mgl.  e.  53 w. 

(4)  Parig.,  e.  96  v;  Mgl.  e.  59». 

(5)  Cfr.  in  proposito  Canal,  Della  musica  in  Mantova,  in  Mem.  del- 
Vista.  Veneto,  voi.  XXI,  P.  Ili,  1882,  p.  671. 

(6)  Rime  di  Bern.  Bellincioni,  11,  204. 

Giornale  storico,  VI,  fase.  16-17.  16 


242  R.  RENIER 

e  un'altra  ne  aveva  scritta  lo  stesso  Bellincioni  per  la  rappre- 
sentazione fatta  ad  onore  di  monsig.  Federigo  Sanseverino  (1),  ed 
altre  ne  inseri  nell'ecloga  drammatica  fatta  per  commissione  del 
conte  di  Gaiazzo  e  in  quella  famosissima  delle  sette  arti  liberali, 
recitata  in  Pavia,  alla  presenza  del  Moro,  pel  dottorato  di  monsig. 
Della  Torre  (2).  Graleotto  Del  Garretto  finisce  con  una  barzelletta 
{Sempt^e  ognuno  ha  da  spey^are)  il  suo  Tempio  d'amore,  e 
un'altra  ne  puoi  ravvisare  nel  dialogo  tra  Fileno  e  la  Speranza. 
Nelle  Nozze  di  Psiche  e  Cupidine  è  intonata  una  barzelletta, 
quando  Psiche  viene  portata  da  Zefiro  nel  palazzo  d'Amore  (  Vieni 
sposa  e  qui  possedè),  e  una  seconda  è  cantata  poscia  dalle  ancelle 
in  lode  della  bellezza  di  Psiche  {Gloria  al  nostro  almo  signore), 
e  una  terza  da  Pane  quando  a  lui  giunge  Psiche  fuggitiva  {Crudel 
fuge  se  lo  sai).  A  questo  genere  può  essere  richiamato  anche  il 
canto  epitalamico,  che  chiude  la  citata  azione  drammatica,  non 
che  alcuni  dei  componimenti  lirici  che  il  coro  doveva  cantare 
tra  gli  atti.  Ghiaro  quindi  apparisce  che  in  quei  componimenti 
primitivi  della  drammatica  aulica ,  in  cui  notiamo  un  accosta- 
mento della  musica  alla  poesia,  che  pronuncia  quella  fusione  dei 
due  elementi  solo  un  secolo  dopo  verificatasi  nel  melodramma,  il 
nostro  Galeotto  si  piaceva  di  inframmettere  delle  barzellette, 
come  altri  delle  canzoni  e  delle  ballate  (3).  Le  due  barzellette 
spicciolate  di  Galeotto ,  che  riferisco,  seguono  la  forma  metrica 
più  comune  in  questi  componimenti,  sono  cioè,  come  le  barzel- 
lette celebri  di  Serafino  Aquilano  e  quelle  del  Magnifico  e  dell' Am- 
brogini  (4),  composte  di  versi  ottonari  con  il  ritornello  di  quattro 
0  due  versi,  che  si  riprende  in  fine  d'ogni  strofe. 


(1)  Op.  cit.,  II,  202. 

(2)  Op.  cit.,  II,  225-37  e  238-52. 

(3)  È  noto,  per  citare  un  esempio,  come  si  trovino  lìallate  e  barzellette 
in  ambedue  le  redazioni  àeW" Orfeo.  Nel  Tirsi  del  Castiglione  v'ha  una 
cosidetta  canzonetta,  che  in  realtà  non  è  altro  se  non  una  stanza  di  can- 
zone. Gfr.  ToRRACA,  Il  Teatro  italiano  dei  sec.  XIII,  XIY  e  Xy,  Firenze 
1885,  p.  422. 

(4)  Quindici  barzellette  di  Serafino,  alcune  delle  quali  molto  notevoli,  si 
trovano  nella  ediz.  di  Venezia  1516  delle  Opere  de  lo  elegante  poeta  Sera- 
phino  Aquilano.  Cfr.  Carducci,  Poesie  di  Lorenzo  de'  Medici,  Firenze  1859, 
p.  408  e  p.  LHi-vi.  Intorno  alle  diverse  forme  di  barzellette  vedi  Minturno, 
Arte  poetica,  Napoli  1725,  p.  265-67;  Quadrio,  St.  e  rag.,  II,  179-80;  Gre* 
sciMBENi,  I.  d.  V.  p.,  l,  70  e  204.  In  data  20  aprile  1504  Galeotto  scriveva 


VARIETÀ  243 

Ma  già  che  sono  a  parlare  di  componimenti  lirici  di  Galeotto, 
voglio  chiudere  rammentando  una  sua  particolare  benemerenza. 
Egli  fu  uno  dei  primi  ad  usare  la  saffica  rimata.  Il  prof.  Casini, 
nel  suo  recente  trattatene  di  metrica ,  deficentissimo  ogniqual- 
volta esce  dalla  letteratura  delle  origini ,  si  accontenta  di  ripe- 
tere col  Carducci  che  il  «  primo  esempio  »  di  saffica  rimata  è 
dovuta  ad  Angelo  di  Costanzo  (n.  1507)  (1).  Già  il  Torraca  ha  mo- 
strato come  certamente  anteriore  a  questo  tentativo  (2)  sia  quello 
di  B.  Casanova,  che  si  trova  in  un  codice  di  rimatori  napolitani 
del  sec.  XV  cadente  (3).  L'oscurità  quasi  assoluta  che  vi  è  intorno 
al  Casanova,  non  ci  permette  di  sapere  se  l'esempio  dato  da  lui 
sia  anteriore  o  posteriore  a  quelli  di  Galeotto  :  che  sia  posteriore 
di  parecchi  decenni  alla  ode  saffica  senza  rima,  recitata  da  Lio- 
nardi  Dati  nel  celebre  certame  coronario  del  22  ottobre  1441,  è 
fuor  di  dubbio  (4).  Ma  il  tentativo  isolato  del  Dati  entra  nella  ca- 
tegoria di  quelli  che  riguardano  le  forme  metriche  latine  con 
poco  frutto  risuscitate  nella  nostra  lingua.  Quelli  del  Del  Carretto 
invece,  per  rintracciare  i  quali  davvero  non  ci  voleva  erudizione 
peregrina,  perchè  ne  avea  fatto  cenno,  quantunque  incompiuto, 
il  Quadrio  (5),  sono  tutti  rimati,  ed  hanno  lo  schema  AA.Bb  (6). 


a  Isabella:  «  Geterum  io  gli  mando  certe  mie  balzerette  in  sonetti,  i  quali 
«  se  non  sono  come  meriterebbero  d' essere  per  andar  a  tanto  conspetto 
«  quanto  è  quello  della  ex.""  v.  prego  la  mi  perdoni  ».  Queste  barzellette 
in  sonetti  non  erano  forse  altro  che  sonetti  di  versi  corti,  i  sonetti  sette- 
nari degli  antichi  trattatisti. 

(1)  Sulle  forme  metriche  italiane  notizia,  Firenze  1884,  p.  98. 

(2)  La  saffica  del  Costanzo,  che  principia  Tante  bellezze  il  cielo  ha  in 
te  cosparte,  è  nelle  Rime  di  A.  di  C.  (voi.  XXX  del  Parnaso  dello  Zatta) 
a  p.  119.  Una  sua  saffica  latina  è  nel  volume  delle  Rime  d' A.  di  C,  Pa- 
dova, 1738,  a  p.  138. 

(3)  Gfr.  Torraca,  Rimatori  napoletani  del  quattrocento,  in  Anniuirio 
del  R.  Istit.  tecnico  di  Roma,  anno  IX,  1884,  p.  92-94. 

(4)  Vedi  G.  Carducci,  La  poesia  barbara  nei  sec.  XV  e  XVI,  Bologna 
1881,  p.  17-21. 

(5)  Stor.  e  rag..  Ili,  285.  Il  Quadrio  cita  solo  un  esempio  di  saffica  di 
Galeotto,  del  Tempio  d'amore,  mentre  ve  ne  sono  altri,  sfuggiti  a  tutti,  che 
registro  nella  nota  seguente. 

(6)  Due  sono  le  saffiche  di  Galeotto,  che  si  trovano  nel  Tempio  d'amore, 
una  (quella  rilevata  dal  Quadrio)  nel  dialogo  tra  Pazienza  e  Fileno  (Vivi 
giocondo,  o  placido  Fileno);  l'altra  nel  dialogo  tra  Fileno  e  Virtù  {Donne 
che  dite?  che  novelle  haveteì).  Tre  se  ne  incontrano  nelle  Nozze  di  Psiclie 


244  R.  RENIER 

Se  questa  forma  a  rima  baciata  debba  per  questo  solo  fatto  me- 
trico reputarsi  anteriore  all'esempio  a  rime  alternate  (ABAb)  del 
Casanova,  seguito  dal  Costanzo,  non  credo  si  possa  stabilire  con 
sicurezza.  A  ogni  modo  è  certo  che  se  il  Poliziano,  componendo 
la  Favola  di  Orfeo,  recitata  la  prima  volta  nel  1471,  reputava 
utile  l'inserirvi  una  saffica  latina  in  onore  del  cardinale  Gonzaga, 
ciò  vuol  dire  che  allora  l'uso  delle  saffiche  italiane  non  era  pe- 
ranco  invalso  ;  ed  è  probabile  anche,  che  il  precoce  risveglio  di 
quella  forma  latina,  nella  maniera  che  al  Del  Carretto  fu  propria, 
abbia  la  sua  ragione  in  quella  specie  di  continuazione  della  forma 
saffica  nella  metrica  italiana  del  medioevo,  che  è  rappresentata 
dal  serventese  caudato  (1). 

Rodolfo  Renier. 


e  Cupidine,  le  prime  due  cantate  dalle  sorelle  di  Psiche  (Patre  almo  caro 
e  tu  pia  genitrice  e  Triste  meschine  oimè  de  noi  che  fia)  ed  una  dal  coro 
dopo  il  quarto  atto  {Giove  che  intende  quel  che  vai  amore). 

(1)  Trattato  dei  ritmi  volgari  di  Gidino  di  Somm,acampagna,  ed.  Giu- 
LiARi,  Bologna  1870,  p.  153  sgg.  Nel  1883  il  Borgognoni  si  domandava: 
«  Ma  la  safSca  rimata  deriva  proprio  dal  tentativo  del  Tolomei  ?  L'  antico 
«  serventese,  nella  sua  più  ordinaria  forma,  non  è  per  avventura  anche  esso 
«  una  specie  di  saffica?  E  non  potrebbe  ciò  provare  che  sino  ab  antico  si 
«  pensò  di  trarre  dal  metro  saffico,  usato  in  taluni  inni  della  chiesa,  una 
«  per  qualche  modo  rassomigliante  combinazione  ritmica?  Dubbi  questi  che 
«  vai  la  pena  che  sian  chiariti,  se  e'  è  modo  ».  (Raspollature  metriche,  in 
Preludio,  VII,  n»  19-20).  Non  era  male  avvertire  che  questo  raccostamento 
della  saffica  alla  forma  più  comunemente  usata  del  serventese  fu  dapprima 
praticato  dal  Quadrio  (III,  286). 


RIME  Di  GALEOTTO  DEL  GARRETTO 

1(1). 

Invidia  acerba,  inexorabil  doto, 

che  di  tal  donna  el  stame  troncai'  hai  ; 
sangue  sitisti  et  sangue  bevi  ormai, 
sacia  el  tuo  corpo  sitibundo  e  voto. 


(1)  Parig.  e.  94  r;  Mgl.  e.  56  r. 


VARIETÀ  245 

Ma  tuoi  disegni  non  te  andranno  a  voto, 

che  se  '1  suo  corpo  avesti,  non  avrai  6 

r immortai  spirto,  che  più  vale  assai, 

né  '1  suo  gran  nomo,  che  per  tutto  è  noto. 
L' angel  che  tiene  le  hilanze  in  celo  9 

di  man  de  Pluto  ha  tolta  la  santa  alma, 

del  che  scornato  con  strider  ne  geme. 
Virtù,  bellezza  et  onestate  insieme  12 

qual  suor  compagne  al  suo  terrestre  velo 

con  lei  son  ite  in  cel  con  gloria  e  palma. 


Yaiuakti.  —  I,  V.  4:  Sana;  v.  10,  ha  tolto  la  grande  alma;  v.  11,  con  dolor  ne  geme;  v.  18, 
^ual  fur. 


II  (1). 


Se  m' ami ,  a  che  più  stai  da  me  lontana  ? 

se  star  vói  pur  lontana,  a  che  più  m'ami? 

se  più  non  m'ami,  a  che  m'inviti  e  chiami?  3 

se  tu  mi  chiami,  a  che  sei  vèr  me  strana? 
Se  tu  sei  donna  et  sei  di  carne  umana, 

a  che  recusi  aver  quel  che  più  brami?  6 

Cogli  el  bel  frutto  da'  toi  verdi  rami 

che  perder  tempo  è  stil  di  donna  insana. 
Tu  sei  nel  laberinto  et  io  in  pregione;  9 

Ischia  ti  tene,  et  io  sto  in  Mongibello, 

tu  voglia  hai  di  tornar  et  io  d'averti. 
El  donque  qual  tua  ambigua  opinione  12 

ti  tarda  a  non  tornar,  poi  che  son  quello 

che  di  ragione  degio  possederti? 

Che  Dio  non  vuol  tenerti  15 

per  non  far  torto  a  cui  tu  sei  promessa, 

eh'  a  tor  quel  d'  altri  è  furto  e  iniuria  expressa. 


Ili  (2). 


Donna,  tu  parti,  et  io  mi  parto  et  resto, 
resto  col  corpo  e  l' alma  sen  va  teco , 
teco  fia  sempre  e  qui  vivrommi  ceco, 
ceco  vedratti  el  cor  mio  afflitto  e  mesto; 


(1)  Parig.  e.  95»;  Mgl.  e.  68  r. 

(2)  Parig.  e.  96»;  Mgl.  e.  59  r. 


246  R.  RENIER 

mesto  mi  doglio  del  mio  mal  funesto, 

funesto  m'è  el  piacer,  s' alcun  n'ho  meco,  6 

meco  s'affligge  el  spii'to  in  questo  speco, 
speco  di  pianto,  a  me  dolce  e  molesto. 

Molesto  me  fia  sempre  el  viver  solo,  9^ 

solo  fra  gente  et  senza  sensi  vivo, 
vivo  d'  affanni  e  in  viva  morte  morto. 

Morto  pasrommi  de  penseri  et  dolo  12^ 

dol  con  memoria  del  tuo  aspetto  divo, 
divo  et  felice  ad  altri,  a  me  sconforto. 


IV  (1). 


1  mei  passati  e  indarno  ispesi  tempi, 

i  passi  persi  e  le  fatiche  avute 

ne  la  mia  acerba  e  vana  servitute  S 

mi  sono  al  rimembrar  al  cor  stechi  empi. 
El  sovenir  de' mei  gran  duri  scempi 

mi  fan  le  chiome  per  spavento  irsute,  6 

già  fatte  per  amor  bianche  e  canute 

enanti  el  tempo  che  me  invechi  e  attempi. 
Dispetto  e  sdegno  m'  hanno  extinto  e  tolto  9 

el  foco  interno,  che  già  m'  arse  el  core 

mentre  che  fui  a  la  catena  avvolto. 
Ormai,  la  dio  mercede,  io  ne  son  fuore  i2 

e  son  d'  amor  de  donna  ingrata  sciolto, 

di  che  ringrazio  chi  ne  fu  l' autore. 


IV  —  V.  5,  giù  duri;  v.  7,  per  accion. 


V  (2). 

Certa  risposta  del  soprascripto. 

Ferrara  va  pur  dricto  a'  cavamenti 
et  vede  che  san  Marco  nota  e  tace 
et  sa  che  come  quel  eh'  in  Lerna  giace 
ciò  eh'  egli  afferra  sempre  tien  co'  denti. 


(1)  Parig.  e.  120  r;  Mgl.  e.  90  r. 

(2)  Parig.  e.  120  r;  Mgl.  e.  90  r. 


VARIETÀ.  247 

Tutti  i  soldati  sono  malcontenti 

et  d' aver  guerra  a  ciascheduno  piace  ;  6 

ma  ci  Mor,  in  cui  consiste  et  guerra  et  pace, 

ambiguo  stassi  et  vive  tra  duo  menti. 
San  Marco  alterna  se  '1  deamante  acciuffa  9 

et  de  tai  cavamenti  mal  si  loda, 

pur  cominciar  non  osa  la  baruffa. 
La  biscia  sen  sta  stretta  et  non  si  snoda,  12 

che  '1  tempo  noi  richiede,  unde  tal  ciuffa 

risolverassi  in  fumo  ne  la  coda. 

Ben  che  gran  rumor  s' oda  15 

vedremo  non  aver  la  guerra  loco 

che  nul  se  vuol  tirar  su' piedi  el  foco. 


V  —  V.  3,  Ambedue  i  codici  leggono  Lerga.  Credo  che  qni  si  alluda  all'idra,  che  stava  nella 
palude  di  Lerna.  —  v.  13,  M>ta  tal. 


VI  (1). 

Dialogo  del  soprascripto  cT  uno  che  litiga  et  della  iustitia. 

—  Dimmi,  iustizia,  per  che  sei  fuggita? 

—  Favor,  mendacio,  fraudo,  arte  e  bisanti 

han  fatto  liga  insieme  e  tutti  quanti  3 

per  forza  m'  han  del  mondo  ora  bandita. 

—  Come?  ragione  non  te  porge  aita? 

—  Ragione  è  morta.  —  E  que'  dottor  prestanti         6 
Bartolo  e  Baldo  dove  sono?  —  Erranti 

e  spersi  vanno  e  lor  lege  è  schernita. 

—  r  vedo  pure  molti  incliti  viri  9 

in  li  senati,  in  corte  e  'n  li  teatri 
allegar  lege  e  ministrar  ragione. 

—  Le  lege  da  lor  sono  sante  e  bone,  12 

ma  par  eh'  ogniuno  per  capei  le  tiri 
al  suo  proposto  e  le  dilanii  e  squatri. 

—  Donche  costor  son  latri?  15 

—  Latri  non  già ,  ma  fan  del  bianco  nero 

e  mai  se  dice,  a  dar  sentenzio,  el  vero. 


(1)  Parig.  e.  91»;  Mgl.  e.  52 r. 

VI  —  V.  16,  Il  cod.  Parig.,  certo  per  errore,  ha  Laltri. 


248  R.   RENIER 

VII  (1). 

Galeotto  del  Cavetto  a  Gaspare  Visconti. 

Pacienzia  sempre  alberga  in  cuor  gentile, 
prudenzia  fa  el  suo  nido  in  uom  secreto; 
l'accomodarsi  a' tempi  et  viver  lieto  3 

de  la  sua  sorte,  è  virtuoso  stile. 

Saggio  è  coUui  et  vie  più  che  virile 

che  ben  si  regie  col  suo  mal  pianeto,  6 

però  '1  tuo  Mor,  qual  sempre  fo  discreto, 
inspecto  ha  1  cuor  de  un  suo  servo  umile. 

Il  qual  s'  è  eletto  tal  suo  arcan  collegio,  9 

ha  facto  come  il  fabro  in  cui  sta  ingegno 
qual  pria  che  l' opri  l' or  prova  al  cemento. 

Grodi,  Gasparro,  che  salir  ti  vegio  12 

per  tue  virtù  a  grado  assai  più  degno 
eh'  al  cribro  più  bel  fassi  il  buon  frumento. 


Risposta  al  soprascripto  sonetto. 

Se'l  Mor  che  in  ogni  gesto  è  signorile 

meco  si  è  mostro  dolce  et  mansueto 

lo  sforza  sua  bontà,  qual  fa  ch'io  meto  3 

in  prima  gioventù  fructo  senile. 
Se  tu  sei  stato  più  di  me  civile 

in  alegrarti  ch'io  sia  gionto  al  ceto  6 

patritio,  fai  come  è  '1  tuo  consueto 

che  far  suol  ciaschuno  altro,  al  par  tuo,  vile. 
Ma  se  me  alzasse  la  mia  sorte  al  seggio  9 

de  tenir  fra  mortali  il  primo  segnio 

facendo  il  mondo  a  me  servir  contento, 
sempre  teco  serò  quale  esser  deggio  12 

e  prorapto  sempre  a  ciascun  tuo  desegnio 

che  vero  amico  non  si  gonfia  al  vento. 


Vili  (2). 


Come  se  prova  l' oro  in  la  fornace 
tu  hai  provato  e  conosciuto  assai 
se  ti  son  stato  servitor  verace; 
sì  come  argento  al  foco  experto  m'  hai. 


(1)  Trivnlziano  1093,  e.  Tv.  Ivi  pure  la  risposta  di  Gaspare. 

(2)  Parig.  e.  91  r;  Mgl.  e.  51». 


VARIETÀ  249 

Ma  poi  che  '1  mio  servir  t' increscie  e  spiace, 

se  te  abandono,  mi  par  tempo  ormai;  6 

che  chi  se  pente  del  suo  perso  tempo, 

ancor  se  emendi  tardo ,  è  assai  per  tempo. 
Occhi  suavi  cosi  belli  in  vista  9 

del  mio  cor  morte  e  dolce  sepoltura,  * 

occhi  leggiadri ,  dove  V  alma  trista 

arde  morendo,  e  del  morir  non  cura;  12 

se  morte  in  tal  dolcezza  ognor  s'  acquista 

morir  può  lieto  ognun  senza  pagura. 

0  dolce  sguardo,  in  cui  morto  mi  pasco,  15 

ardendo  in  foco  e  morto  ancor  rinasco! 
Ognun  che  serve  altrui  serve  a  'sto  fine 

sperando  del  servire  aver  mercede:  18 

el  frate  che  dio  serve  in  discipline 

in  pene  et  in  vigilie,  in  fame,  in  sede 

spera  coglier  la  rosa  entro  le  spine  21 

e  poi  di  vita  eterna  farsi  erede: 

col  grege  sta  il  pastor  a  piogie  et  prine 

per  che  la  gonna  guadagnar  si  vede,  24 

et  io  che  servo  e  stento  altro  non  aggio 

né  mai  spero  d' aver,  se  non  oltraggio. 


Vni  —  T.  4,  n  cod.  Parig.  ha  al  tocclio. 


IX  (1). 


Io  mi  sento  in  mezo  el  core 
una  bella  margarita, 

che  mi  chiede,  exorta,  invita  3 

a  cantar  del  suo  bel  fiore. 
Oh  è  r  amore  ! 
El  bel  fior  de  margarita  6 

nasce  in  orti,  in  campi,  in  prati, 
r  erba  è  fresca  e  saporita 

e  conforta  gli  affannati,  9 

molti  son  resuscitati 
per  sto  fior  da  morte  a  vita. 

La  galante  margarita  12 

è  pur  fior  sopra  ogni  fiore, 
oh  è  r  amore. 


(1)  Parig.  e.  90  r;  Mgl.  e.  50  p. 


250  *  R.   RENIER 

Una  rosa  è  vago  fiore  15 

a  laudarla  egli  è  ragione, 
ma  bellezza  e  "1  dolce  odore 
molto  piace  alle  persone,  18 

ma  se  viene  al  paragone 
tristo  fior  fai'à  fugita; 

La  galante  margarita  ecc.  21 

La  celeste  mamoleta 

è  legiadra  et  amorosa, 

a  vederla  in  su  l'erbeta  24 

per  li  prati  è  bella  cosa, 
chi  la  fiuta  ol  più  che  rosa 
quando  è  fresca  e  ben  fiorita;  27 

La  galante  ecc. 

Bianco  e  bello  è  '1  gelsomino 

con  r  odore  assai  gentile ,  30 

molto  adorna  un  bel  giardino, 
quando  viene  al  fin  d*  aprile  : 
egli  è  alegro  e  non  già  vile ,  33 

ad  amarlo  ognun  l'invita; 
La  galante  ecc. 

El  garofan  su  le  piante  36 

con  la  lunga  e  verde  rama 
veramente  egli  è  galante 

et  ognuno  il  cerca  e  brama;  39 

sua  bellezza  è  de  gran  fama 
et  a  molti  è  ben  gradita; 

La  galante  ecc.  42 

Margarita  è  la  più  vaga, 

la  più  bella  e  la  più  degna. 
Margarita  el  cor  m' inpiaga,  45 

margarita  in  cor  mi  regna, 
margarita  è  la  mia  insegna 
fin  che  in  corpo  arò  la  vita.  48 

Viva  donca  margarita 
solo  fior  sopra  ogni  fiore, 

oh  è  r  amore.  51 


IX  —  V.  17,  onore  —  w.  40-41,  nel  coti.  Parig.  sono  invertiti  nell'ordine,  errore  manifesto. 


VARIETÀ  251 

X(l). 

Chi  bon  ama  tardi  oblia 

e  sua  fiamma  mai  non  more, 

più  che  mai  mi  se'  nel  core  3 

e  più  t' amo  assai  che  pria. 
Se  gran  tempo  è  tra  noi  stato, 

come  accade,  alcuno  sdegno,  6 

è  '1  mio  cuor  tanto  turbato 

che  di  colora  fui  pregno, 

e  tornato  a  tranquil  segno  9 

io  son  quello  che  già  fui 

né  per  ira  o  dir  d'  altrui 

el  mio  amor  ti  fu  minore.  12 

Più  che  mai  mi  se'  nel  core. 
L'amor  grande,  ch'ho  nel  petto, 

non  te  l'oso  ademostrare,  15 

ma  lo  tengo  ascoso  e  stretto 

per  non  far  altrui  parlare; 

basta  assai  che  indicare  18 

può' ai  sguardi  occulti  e  presti, 

al  parlare,  agli  atti  e  gesti 

eh'  ancor  dura  el  nostro  amore.  21 

Più  che  mai  ecc. 
Per  un  sdegno  un  vechio  amore 

extirpar  non  se  sol  mai  24 

che  a  levar  un  gran  calore 

gli  convien  de  V  acqua  assai  : 

chi  non  sa  che  sempre  mai  27 

tra  gli  amanti  è  or  pace  or  guerra 

non  però  eh'  amor  gli  sferra 

de'  lor  cuori  el  dardo  fuore.  30 

Più  che  mai  ecc. 
Se  fu  fatto  sacramento 

già  tra  noi  de  non  più  amarsi  33 

quel  non  vai,  per  che  col  vento, 

tolta  r  ira,  sòie  andarsi  : 

Iddio  sòie  delegiarsi  36 

di'  spergiuri  de'  gli  amanti 

per  che  sa  che  tutti  quanti 

fatti  son  per  Io  furore.  39 

Più  che  mai  ecc. 


(1)  Parig.  e.  95  r  ;  Mgl.  e.  57  r. 


252  R.  RENIER 

Ma  se  amor,  come  è  suo  stile, 

puoi  el  sdegno  maggior  viene,  42 

spero  che  '1  tuo  cor  gentile 
più  che  mai  mi  vorrà  bene. 
In  te  ho  posta  ogni  mia  spene,  45 

quel  eh'  è  andato  andato  sia , 
ogni  cosa  nova  sia, 

questo  è  el  fin  del  mio  tenore.  48 

Più  che  mai  ecc. 


X  —  T.  6.  Ambedue  i  codici  hanno  Come  accende,  forse  erroneamente.  Io  ho  proposta  una 
lezione  che  mi  sembra  migliore,  ma  non  è  giustificato  dai  testi  a  penna.  Nel  Mgl.  tutta  la  strofe 
è  molto  corrotta,  ma  negli  altri  luoghi  si  corregge  col  Parig. 


?^3 


RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 


ANDREA  GLORIA.  —  Volgare  illustre  nel  1100  e  proverbi  vol- 
gari del  1200.  —  Memoria  estratta  dagli  Atti  del  R.  Isti- 
tuto veneto  di  scienze,  lettere  ed  arti,  Tomo  III,  serie  VI. 
—  Venezia,  1885  (8'»  pp.  90). 

Il  prof  A.  Gloria  ci  presenta  in  questo  lavoro  la  prosecuzione  di  cpaelle 
sue  indagini  intorno. all'origine  della  lingua  letteraria  d'Italia  di  cui  ci  aveva 
già  dato  un  primo  saggio  in  un'  operetta  apparsa  anni  or  sono  (1).  La  tesi 
precipua  che  l'A.  sostiene  e  della  quale  sola  noi  intendiamo  occuparci  e'  è 
chiaramente  indicata  dal  titolo  stesso  dei  due  lavori.  Secondo  il  G.  già  avanti 
il  mille  doveva  esistere,  accanto  al  volgare  plebeo  che  chiunque  ha  lume 
d' intelletto  deve  ormai  ammettere,  un  volgare  proprio  degli  uomini  culti, 
identico  o  quasi  identico  in  tutta  Italia.  La  prova  poi  di  questa  sua  affer- 
mazione l'A.  la  trova  nel  solo  fatto  che  le  voci  volgari  di  cui,  per  un  mo- 
tivo 0  l'altro,  vanno  fornite  le  scritture  latine  dal  sec.  VII  in  poi,  ci  occorrono 
frequentemente  in  una  doppia  forma  di  cui  una,  la  più  corrotta,  s'attribuisce 
dal  G.  al  volgar  plebeo,  l'altra,  quella  che  maggiormente  s'accosta  al  latino 
0  quantomeno  al  tipo  idiomatico  italiano,  al  volgare  illustre  (2).  Da  questo 


(1)  Del  volgare  illustre  dal  sec,  Yllfino  a  Dante.  Stndj  storici  di  A.  0.  (Estratto  dagli  Atti  «oo., 
Tol.  VI,  serie  V),  Venezia,  1880,  pp.  136. 

(2)  L'idea  di  volgere  le  forme  volgari,  che  occorrono  nelle  carte  latine,  a  rischiarare  le  vicende 
della  lìngua  durante  i  secoli  di  mezzo,  non  ò  affatto  nuova.  L'  ebbe  già  V  ab.  Dom.  Barsoochini 
di  Lucca  {JUemoria  suUo  stato  della  lingua  in  Lucca  avanti  H  MiU»  negli  AtU  delia  R.  Accadtmia 
lucchese,  voi.  VI,  ISSO,  pp.  117-172),  delle  cui  raccolte  il  O. ,  che  quindi  non  merita  il  rimpro- 
vero mossogli  nella  Domenica  del  Fracassa  del  19  aprile  1885,  con  abbondanza  si  giova  nel  primo 
degli  or  or  menzionati  lavori.  Il  Barsocchini  espone  le  sue  idee  abbastansa  oonAisamente.  Mi  par 
tuttavia  di  non  andare  errato  ricapitolando  il  sno  pensiero  come  segue  :  avanti  il  mille  eàstevano 


254  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

volgare  illustre  sarebbe  poi  derivato  l'italiano  in  quanto  è  lingua  dei  libri 
e  della  gente  eulta. 

Queste  conclusioni  non  provocarono,  come  la  profonda  dottrina  del  G.  e 
l'importanza  dell'argomento  avrebbero  richiesto,  una  pubblica  controversia  (1); 
ma  l'A.  ha  cura  di  informarci  che,  in  comunicazioni  private,  si  dichiara- 
rono con  lui  concordi  il  Ganello  e  il  Caix,  due  dotti  che  la  scienza  non 
avrà  mai  abbastanza  rimpianti,  e  da  lui  dissenzienti  il  d'Ancona,  il  Gaspary 
e  il  Fumi. 

Nel  dettare  ora  quest'articolo  non  ho  io  già  la  pretensione  d'impancarmi 
da  uguale  fra  tanti  valentuomini  ;  solo  ci  tengo  a  dire  brevemente  ed  alla 
buona  di  alcune  obiezioni ,  alquanto  ovvie  del  resto,  che  si  possono  opporre 
alle  conclusioni  del  G.,  conclusioni  che  io,  lo  dico  subito,  non  posso  non 
ritenere  sbagliate. 

Cominciamo  dal  lasciar  parlare  l'A.  Da  pp.  80-81-82  del  suo  primo  lavoro 
si  ricavano  le  seguenti  affermazioni:  «  Gli  uomini  colti  ebbero  sempre  il 
«  bisogno  di  parlare  un  linguaggio  più  copioso  di  vocaboli  e  anche  più 
«  forbito  di  quello  degli  incolti  »  ;  e,  più  oltre  :  «  Avendo  gli  uomini  colti 
«  bisogno,  come  s'è  detto,  d'un  linguaggio  più  copioso  del  plebeo,  non  po- 
«  teano  desumerne  i  vocaboli  se  non  dalla  lingua  latina  e  dai  volgari  tutti 
«  d'Italia,  vale  a  dire  desumerli,  come  poi  per  la  lingua  italiana,  per  nove 
«  decimi  dalla  lingua  latina  e  per  un  decimo  da  essi  volgari.  E  dovendo  i 
«  colti  uomini,  a  motivo  de' vocaboli,  stare  attaccati  alla  lingua  latina, 
«  doveano  anche  non  allontanarsi  dalla  forma  di  questa,  ma,  d'  altro  lato 
«  trascinati  dalla  nuova  corrente  ad  abbracciare  anche  la  invalsa  forma 
«  volgare,  erano  forzati  perciò  a  tenersi  in  bilico  tra  questa  e  quella.  Donde 
«  una  forma  propria  del  linguaggio  nobile  non  più  quella  della  lingua  latina, 
«  ma  neanco  quella  del  linguaggio  plebeo...  »  ;  e,  più  oltre  ancora  :  «  Da 
«  chi  pertanto  gli  uomini  colti  appresero  il  linguaggio  nobile?  Dalla  sola 
«  necessità  che  li  costringeva  parlando  a  non  istaccarsi  dalla  lingua  latina, 
«  eh'  essendo  ferma  e  universalmente  intesa  adoperavano  negli  scritti,  e  a 
«  un  tempo  li  costringeva  per  essere  intesi  dagl'  incolti  a  darle  parlando 
€  la  forma  volgare  presa  dal  linguaggio  di  questi  ». 

Che  gli  uomini  culti  abbiano  ed  abbiano  sempre  e  dappertutto  avuto 
bisogno  d' un  linguaggio  più  copioso  (2)  non  v'  ha  chi  ne  dubiti.  —  Ma  perchè 


dne  lingue,  ambedue  latine,  Tana  parlata,  l'altra  scritta;  la  prima,  materialmente  latina,  era 
quella  che  già  in  Roma  si  parlava  diversamente  dal  popolo  ;  intorbidata  poi  ancor  più  ,  nel  suo 
materiale ,  dalle  tante  voci  e  dagli  strani  accenti  che  v'  erano  stati  introdotti  dai  barbari  che 
stanziarono  in  Italia  ;  la  seconda  era  quella  che  si  manteneva  o  tentavasi  di  mantener  viva  mercè 
le  leggi,  i  pubblici  atti  e  la  Chiesa.  Questa  tuttavia  veniva  influenzata  dalla  prima. 

(1)  Se  ne  togli  la  critica  di  un  Anonimo  nel  voi.  VI ,  n»  136  ,  della  Rassegna  settimanale  di 
politica,  scienze,  lettere  ed  arti  (Roma,  1880).  —  Il  Casello,  Storia  della  lett.  Hai.  nel  sec.  X  VI, 
p.  314,  cosi  s'esprime:  «  Il  G.  ha  avuto  il  merito  non  piccolo  di  richiamare  l'attenzione  sull' e- 
«  sistenza  già  antica  al  tempo  di  Dante  di  uno  o  più  volgari  illustri  viventi  accanto  ai  volgari 
«  del  popolo  ».  Il  Gaspaky,  Geschichte  der  italienischcn  Literatur  ,  I,  p.  483  :  «  seine  Idee  der 
«  Scheidung  eines  volgare  illustre  schon  in  jenen  Zeiten  halt«  ich  fur  irrig».  —  Non  ho  notizia, 
né  posso  averla  in  questo  momento,  di  un  articolo  del  BOhmer  apparso  nei  Romanische  Studien. 

(2)  «  E  anche  più  forbito»  aggiunge  il  G.  ;  ma  su  ciò  gli  è  d'uopo  di  fare  qualche  riserva.  Se 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  255 

da  questa  verità  d' ordine  così  generale  debba  scaturire  una  cosi  forniidabil 
prova  in  favore  dell'  assunto  propugnato  dal  G,  non  si  capisce.  Per  attri- 
buirle una  tal  forza  dovrebbe  essere  prima  dimostrato  che,  nei  secoli  onde 
qui  ci  occupiamo,  il  latino  non  era  cosi  prepotentemente  la  lingua  obbligata 
della  cultura  da  rendere  supei'fluo  al  pensiero  qualunque  altro  stromonto 
di  estrinsecazione  che  il  latino  non  fosse,  e  che  quindi  quest'  idioma  non 
rappresentasse  esso  nei  bisogni  della  cultura  quella  parte  che  l'A.  attribuisce 
al  suo  volgare  illustre  (1).  Ma  una  tal  dimostrazione  riuscirà  senza  dubbio 
difficile  anche  al  G.  che  dei  tempi  di  mezzo  ha  pur  si  vasta  notizia. 

Che  una  lingua  letterata,  un  volgare  illustre^  possa  formarsi,  dirò  così, 
artificialmente,  vale  a  dire  non  di  tal  maniera  che  la  parlata  di  un  dato 
municipio  o  d' una  data  provincia  assurga ,  concorrendo  momenti  storici 
straordinariamente  secondi,  a  dignità  di  parlare  nazionale,  ma  così  che  dessa 
lingua  letterata,  da  tutti  parlata  e  da  tutti  intesa,  pur  non  abbia  sua  culla 
in  un  dato  punto  della  nazione,  e  ci  appaia  piuttosto  come  un'armonica 
fusione,  inconscientemente  compiuta  dall'uomo,  di  elementi  diversi,  è  fatto 
innegabile  di  cui  abbiamo  splendido  esempio  nel  tedesco  moderno.  Ma  in  Ger- 
mania aiutavano  a  ciò  circostanze  speciali  non  poche  :  qui  la  grande  distanza 
che  correva  tra  latino  e  tedesco  doveva  necessariamente  riserbare  a  questo, 
in  ogni  manifestazione  della  vita  pubblica,  una  parte  grandissima;  qui  una 


per  maggior  forbitezza  si  vuol  intendere  che  la  maggior  educazione  possa  promuovere  l'adozione  o 
il  riflnto  di  certe  parole,  di  certi  modi  di  dire,  nonché  una  sostenutezza  generale  dell'espressione, 
ya  bene  ;  ma  non  si  vada  più  in  là ,  che  il  voler  estendere  il  concetto  della  maggiore  o  minor 
forbitezza  anche  alla  struttura  fonetica  della  parola,  sarebbe  come  ammettere  la  legittimità  d'uno 
di  quei  giudizi  estetici  subiettivi  che  tanto  ripugnano  alla  severa  crìtica,  ma  di  cui  tanto  si  com- 
piace il  vulgo  semicnlto.  Nel  nostro  caso  il  falso  giudizio  o  il  pregiudizio  consiste  in  ciò,  che  il 
parlare  della  gente  colta  si  reputi  sempre  più  forbito  e  più  fine  non  per  altro  che  perchè  appnnto 
la  gente  eulta  lo  parla.  Dal  che  conseguono  delle  contraddizioni  curiose:  occorre,  p.  es.,  che,  in  un 
dato  dialetto ,  una  data  forma  la  quale  più  s'  accosta  al  volgare  illustre  ,  cioè  a  quella  foggia  di 
linguaggio  che  nella  mente  delle  masse  deve  rappresentare  il  Urtium  comparationis ,  pur  sembri 
brutta  perchè  dalle  classi  colte  non  usata;  cosi  al  mio  paese  il  cittadino  si  servirà  delle  forme 
aitar.  Ubar,  tnétar,  mentre  il  contadino  dirà  altro,  libro,  metro.  Non  v'ha  dubbio  che  la  forma 
contadinesca  essendo  addirittura  identica  coll'italiana,  dovr'ia  parere  '  più  forbita  '  ;  nient 'affatto: 
chi  in  città,  parlando  dialetto,  dicesse  altro  ecc.,  darebbe  a  divedere  d'essere  tutt 'altro  cbe  colto, 
e  il  contadino  stesso  che  vuol  ingentilire  il  suo  linguaggio  s'affretta  ad  abbandonare  quelle  forme 
che  sono  uno  dei  più  spiccati  contrassegni  del  parlar  campagnnolo. 

(1)  Il  limitatissimo  campo  delle  cognizioni ,  la  scarsa  densità  della  coltura  ,  spiegherebbero  a 
sufficienza,  anche  in  mancanza  d'altri  argomenti  ,  come  una  lingna  morta  (che  perù  era  stata  d 
viva!)  abbia  potuto  servire  per  tanti  secoli  da  organo  esclusivo  del  pensiero  non  solo  negli  scrìtti, 
ma  anche  nella  conversazione  di  genere  elevato.  Non  si  vuol  tuttavia  escludere  che  abbia  potuto 
aver  luogo  anche  in  volgare,  come  può  succedere  oggidì  che  si  ragioni  di  argomenti  gravi,  sempre 
però  che  sia  esclusa  la  solennità,  in  dialetto  anziché  in  italiano.  Ma  a  me  non  costa  ano  sfbno 
rimmaginarmi  un  prete  del  mio  paese  che  discorrendo  di  teologia  mi  esca  ftiorì  colla  parola  irtm- 
tùstatuiagiùn ,  od  un  avvocato  che  parli  di  una  casa  gravdda  da  s*rvitii ,  di  «c«pì  uh  gvidai , 
di  decUnaziùn  da  fòro  ,  o  uno  speziale  che  dica  acid  tartdreg  o  bicarbonaa  d«  tèda  ;  non  erado 
però  che  ciò  dia  diritto  nò  al  prete,  né  all'avvocato,  né  allo  speziale  di  credersi  depositarì  d'una 
lingua  diversa  da  quella  che  parlano  tutti  gli  altrì,  e  ciò  nemmeno  nel  caso  che  quelle  gravi  pa- 
role venissero  da  loro  dette,  invece  che  in  forma  dialettale,  in  forma  italiana.  Ora  che  ona  iden- 
tica condizione  di  cose  sia  stata  possibile  anche  nel  medio  evo  non  si  può  ragionevolmente  negare. 


256  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

coscienza  nazionale  non  mai  spenta  che  s'  era  splendidamente  documentata 
nelle  due  letterature  che  precedettero  lo  sbocciare  del  tedesco  moderno  ;  qui 
anche  un'  apparenza  di  politica  unità  nel!'  Impero,  debole  sì,  ma  che  pur 
aveva  a  maneggiare  negozi  d'  ogni  ordine  e  d'  ogni  parte  di  Germania  e  a 
cui,  come  ad  astro  maggiore,  s'uniformavano  nei  modi,  nei  costumi,  nel 
parlare  le  centinaia  di  piccole  corti  germaniche  (1).  E  fu  appunto  nella 
cancelleria  dell'Impero  il  quale  fu  prima  alemanno-svevo  poi  austro-bavarico 
che  si  compì  quel  conguaglio  fra  i  dialetti  tutti  dell'Alta  Germania,  che 
pur  è  si  vasta  e  di  dialettali  varietà  sì  ricca,  e  di  questi  col  Basso  tedesco, 
che  'ci  è  appunto  rappresentato  dal  tedesco  moderno.  Ma  se  dalla  Germania 
noi  volgiamo  lo  sguardo  all'  Italia  e'  imbattiamo  subito  in  ben  mutate  con- 
dizioni :  qui  la  grande  rassomiglianza  del  volgare  col  latino,  soprattutto  col 
latino  generalmente  invalso,  facevano  di  questa  la  lingua  obbligata  della 
Chiesa  (e  questa  ben  più  premeva  suU'  Italia  che  sul  resto  dell'  universo), 
delle  scuole,  del  Foro,  di  ogni  sorta  d'Atto  pubblico  o  privato,  d'ogni  mani- 
festazione letteraria  ;  qui  ogni  tradizione  nazionale  metteva  capo  a  Roma, 
ragione  di  più  perchè  la  lingua  di  questa  si  considerasse  e  s' impiegasse 
qual  vera  lingua  della  nazione  ;  qui  infine  il  Papato,  la  più  possente  auto- 
rità politica,  non  rappresentava  per  nulla  ciò  che  l'Impero  rappresentava  in 
Germania,  essendo  esso  d'istituzione  necessariamente  antinazionale  e,  nella 
lingua ,  uno  dei  più  saldi  puntelli  della  latinità.  Dimodoché  non  si  capisce 
come  all'  italiano  d'allora  il  quale,  scrivendo  latino,  s' illudeva  allegramente 
di  scrivere  un  idioma  suo  nazionale,  avrebbe  potuto  venir  in  mente  di  ser- 
virsi d' un  altra  lingua  che  la  latina  ;  molto  saviamente  quindi  si  indica 
qual  causa  principale  del  tardo  apparire  fra  noi  dei  primi  albori  di  lettere 
nazionali  la  tenace  prevalenza  della  lingua  e  d'  ogni  sorta  di  tradizioni  ro- 
mane. Ma,  date  queste  condizioni,  qual  ragion  d'essere  poteva  mai  avere,  a 
che  mai  doveva  servire  un  volgare  illustre?  E  come  mai  potremmo  noi, 
quanti  siamo  italiani  dal  Gottardo  al  Lilibeo,  che  ci  lamentiamo  tuttora, 
malgrado  Veppur  ci  capiamo  e  dopo  tanti  secoli  di  rigogliosa  vita  letteraria 
e  un  sì  potente  risveglio  della  coscienza  nazionale,  che  al  nostro  pensiero 
non  sia  concesso  un  tale  mezzo  di  manifestazione  che  ogni  italiano,  di  qua- 
lunque provincia,  possa  dire  veramente  connaturato  a  se  stesso,  concedere 
il  vanto  d'  averlo  posseduto ,  senz'  averne  bisogno  e  in  condizioni  spropor- 
zionatamente peggiori  delle  nostre ,  ai  nostri  antenati  dei  secoli  VII-XII  ? 
L'ammettere  di  tali  cose  equivarrebbe  a  creder  possibile  che  un  cespuglio 
di  rose  possa  nascere  e  fiorire  su  d'una  nuda  roccia  e  di  pieno  inverno. 

Ma  v'  ha  di  più.  Quando,  nei  sec.  XI  e  XII,  migliorate  alquanto  le  con- 
dizioni civili  e  politiche  del  popolo,  si  cominciò  ad  osare  e  qualcuno  volle 
dettare  in  volgare,  la  forma  prescelta  fu  dessa  quella  del  volgare  illustre, 
.che,  ove  fosse  stato  una  realtà,  doveva  pur  imporsi  senz'  altro?  No  ;  gli 
scarsi   documenti  in  volgare  a  noi   tramandati  da  quei   secoli  sono  tutti  in 


(1)  E  si  noti  ancora  che  la  diversità  delle  epoche  importa ,  a  scapito  dell'  Italia  di  quei  secoli 
in  cui  il  G.  porrebbe  l'elaborazione  del  volgare  illustre  italiano ,  una  non  lieve  diversità  di  con- 
dizioni civili,  intellettuali  e  morali. 


RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA  257 

volgare  plebeo  (1);  è  dialettale  l'inscrizione  del  Duomo  di  Ferrara  (cfr,  le 
forme  cenque  e  /ò),  è  dialettale  la  carta  sarda  della  fine  del  sec.  XI,  è  dia- 
lettale il  frammento  epico  bellunese  (Arch.  Glottol.  it.,  I,  411-12),  ha  spic- 
cate caratteristiche  meridionali  il  Ritmo  Cassinese  e  .circa  all'  antica  Con- 
fessione latino-volgare  così  s' esprime  il  Picchia  (Arch.  Glottol.,  VII,  123;  : 
«  Le  peculiarità  dialettiche  del  volgare,  se  non  accennano  risolutamente  ad 
«  una  speciale  regione  d"  Italia,  possono  tuttavia,  se  non  e'  illudiamo,  tenersi 
«  per  verisimilissimamente  proprie  dell'  Italia  centrale  con  esclusione  dello 
«  Provincie  napolitano  e  della  Toscana  »  e,  più  oltre  :  «  La  congettura  del 
<.<  Monaci  »  (secondo  cui  il  God.  che  contiene  la  Confessione  proverrebbe 
dall'Umbria)  «  non  sarebbe,  parci,  contraddetta  dalla  qualità  del  dialetto  ». 

Né  qui  s' arresta  1'  attività  di  questi  volgari  provinciali  ;  crebbero  essi  a 
vita  letteraria,  certo  non  indecorosa,  ed  ogni  provincia,  sopratutto  nell'Alta 
Italia,  va  provvista  di  monumenti  dialettali  antichi.  Ne  ha  la  Venezia,  n'ha 
la  Lombardia,  n'ha  Genova,  n'ha  il  Piemonte,  n'ha  l'Umbria,  ne  ha  Napoli, 
n'  ha  la  Sicilia  e  si  riferiscono  non  solo  alle  lettere  propriamente  dette  ma 
anche  a  cose  giuridiche  come  è  provato  dallo  Statuto  di  Ghieri  e  dalla  Sen- 
tenza di  Rivalta,  ambedue  in  dialetto  pedemontano.  —  Né  va  perso  di  vista 
un  fatto,  emergente  da  quelle  scritture,  il  quale  ci  prova  quanto  poco  erano, 
prima  dell'Alighieri,  maturi  i  tempi  per  una  lingua  comune  (2)  ed  è  questo  : 
che  esse  ci  rappresentano  non  già  dei  dialetti  provinciali  ma  solo  munici- 
pali ;  cosi  nel  Veneto  s'  hanno  monumenti  veneziani,  padovani  e  veronesi  e 
in  Lombardia,  milanesi  e  bergamaschi. 

E  vero  che  il  G.,  come  appare  ripetutamente  dalle  sue  parole  che  più 
sopra  si  riferiscono,  afferma  aversi  avuto  un  volgare  illustre  solo  parlato 
non  già  scritto.  Ma,  a  tacere  che  ciò  non  isposserebbe  nel  concetto  che  li  anima 
nessuno  degli  argomenti  ftnora  avanzati,  il  G.  avrebbe  dovuto  accorgersi 
che  appunto  quella  sua  affermazione  é  talmente  grave  da  schiacciare  in 
germe  tutta  la  sua  argomentazione  intorno  al  volgare  illustre  :  e  ciò  perchè 
un  volgare  illustre  comune  a  tutta  la  nazione  e  contrapposto  a  tanti  volgari 
plebei  non  si  può  altrimenti  concepire  che  come  una  lingua  primamente 
scritta,  ridottasi  poi  a  lingua  parlata  per  l' influenza  che  le  lettere  sogliono 
esercitare  sulla  nazione.  Tale  é  la  storia  del  francese,  dello  spagnuolo  e  del 
tedesco ,  qualunque  sia  il  processo  per  cui  in  ognuno  di  quei  paesi  s' è 
elaborato  il  volgare  illustre. 

E  qui  lasciamo  queste  obiezioni  d' indole  generale  e  passiamo  piuttosto 
ad  esaminare  se  la  tesi  del  G.  che,  come  vedemmo,  poggia  sul  fatto  delle 
doppie  forme,  veramente  di  queste  doppie  forme  s' avvantaggi. 

La  teoria  del  G.  sul  processo  di  formazione  del  volgare  illustre  da  lui 
propugnato  si  può  leggere  nella  citazione  letterale  che  delle  sue  parole  si 
fa  in  principio  di  questo  articolo;  circa  alla  quale  teoria  solo  dirò  che  se 
può  forse  costituire,  per  il  sistema  di  bilanciamento  che  quivi  si  asserisce 


(1)  Certo  il  Q.  non  vorrai  erigersi  a  paladino  delle  CarU  d'Arborea. 

(2)  n  Bartoli  é  il  Massaiia  avevano  bensì  sostenuto  che  s'  avesse  per  tutta    1'  Albi   Italia   ana 
lingua  comune.  Ma  l'Ascoli  lia,  con  solidissimi  argomenti,  dimostrata  l' insussistenza  del  fatto. 

Giornali  storico,  VI,  fase.  16-17.  17 


258  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

applicato,  un  interessante  problema  di  meccanica,  certo  ripugna,  in  quanto 
riguardi  il  processo  formativo  delle  lingue,  ad  ogni  retto  criterio  di  forma- 
zione storica,  ed  è  quindi  cosa  che  la  glottologia  mal  potrebbe  prendere 
sul  serio. 

Una  cosa  si  può  ritenere  da  quelle  parole,  ed  è  questa:  che  la  diversità 
tra  due  forme,  una  apparentemente  più  corrotta,  1'  altra  più  vicina  al  latino 
o  al  linguaggio  letterario  d' Italia  (il  latino,  levatene  le  desinenze,  e  l' ita- 
liano, che  è  il  toscano  o  meglio  il  fiorentino,  si  trovano  poi  essere  tanto 
fra  di  loro  affini  che  il  rabberciamento,  sul  tipo  latino,  d'una  data  forma 
volgare  deve,  nella  maggior  parte  dei  casi,  condurre  necessariamente  ad  una 
forma  comune  ad  ambedue),  devesi  ad  una  transizione  tra  la  forma  di  vol- 
gare ed  il  latino.  Ma  questa  transizione  non  va  già  compresa  come  qual- 
checosa  di  vivo,  di  realmente  ed  organicamente  compiutosi  nella  bocca  di 
chi  parlava  ;  era  al  contrario,  opera  di  notai  più  o  meno  culti,  più  o  meno 
pedanti,  compiutasi  sulle  sole  carte  e  destinata  a  restar  cosa  morta  in  queste. 
Di  tali  adattamenti  d' una  forma  dialettale  su  im  tipo  più  illustre  vanno 
fornite  anche  le  carte  notarili  moderne  (1)  ;  né  per  avventura  s'  aspettano 
che  un  giorno  qualcheduno  si  valga  di  loro  come  di  fondamento  a  troppo 
ardite  conclusioni. 

Procedevano  i  notai,  nel  latinizzare,  con  certe  norme  le  quali  eran  loro 
dettate,  più  che  dalla  ragione,  da  un'  istintivo  senso  analogico,  il  quale  però 
non  era  in  tutti  egualmente  vivace  né  ugualmente  sicuro  e  conseguente. 
Quindi  la  varietà  delle  forme  la  quale,  come  appare  dagli  elenchi  del  G.  va  ben 
sovente  più  oltre  della  dualità  (2);  e  la  cosa  si  spiega,  ove  s'avesse  bisogno  di 


(1)  Citerò  un  esempio,  per  il  qnale  ho  appunto  interrogato  nn  notaio.  V  ha  al  mio  paese  nna 
località  detta  il  ciòss,  nna  parola  che,  secondo  ogni  probabilità,  rìsale  a  clì.uso.  Ora  di  tre  notai 
che  aressero  bisogno  di  inserire  quella  parola  in  un  atto,  è  certo  che  uno,  forse  il  più  ayrednto, 
scriverebbe  senz'  altro  ciòss  ,  il  secondo  la  italianizzerebbe  a  metà  aggiungendo  la  desinenza  -o , 
ciosso,  il  terzo  andrebbe  più  oltre,  e,  abituato  a  vedersi  corrispondere  sovente  ci-  lombardo  e  chi- 
italiano  {ciaf-,  chiave,  ciamà  =  chiamare),  fabbricherà  senza  scrupoli  la  forma  chiasso. 

(2)  Può  cioè  occorrerci  una  data  voce  in  tutte  le  forme  che  vanno  dalla  volgare  veramente  viva 
fino  alla  latinizzazione  perfetta.  — •  Dagli  elenchi  padovani  del  G.  panni  tuttavia  risultare  che  più 
ripugnasse  lo  scrivere  la  forma  prettamente  volgare  quando  questa  più  si  scostava  dal  tipo  latino. 
Cosi  non  si  trovano  in  essi  elenchi  né  1'  -ó  =  -dto,  né  1'  -é^-àte,  non  si  trovano  cioè  le  corrispon- 
denze dei  marcò  e  dei  bontè  che  Dante  biasima  nei  padovani  e  per  la  cui  istorica  realtà  rimando 
il  G.  a  pp.  431-32  del  voi.  I  dell'  Archivio  glottologico  italiano.  Vero  è  che  Dante  notò  quelle 
forme  un  secolo  più  tardi  di  quello  a  cui  risalgono  i  più  recenti  diplomi  sfruttati  dal  G, ,  ma 
s'andrà  errati  ritenendo  che  non  se  ne  rinverrebbero  nemmeno  nei  documenti  coevi  di  Dante. 
--  Circa  poi  alle  latinizzazioni  perfette ,  chi  vorrebbe  escludere  che  molte  parole  latine  dei 
documenti ,  anziché  essere  sgorgate  di  primo  ìmpeto  dalla  mente  de'  notai ,  non  ci  appaiano 
invece  di  forma  latina  per  essere  passate  anch'  esse  attraverso  il  tramite  di  quel  ragionamento, 
dirò  così,  inconsciente,  per  cui  da  -do  si  costruiva  -odo,  -àto?  Che  giunto  cioè  ad  -cito  il  notaio 
vi  abbia  appiccicata  quella  desinenza  latina  che  nel  costrutto  in  cui  trovavasi  1'  -dto  era  gram- 
maticalmente richiesta?  Un  fatto  che  pare  ammettere  anche  il  G. ,  se  io  mal  non  interpreto 
le  parole  che  sono  in  fine  a  p.  61  del  suo  primo  lavoro,  e  che  è  provato  -da  us  e  -t,  desinenze 
verbali ,  aggiunti  persino  a  voci  di  stampo  non  più  latino ,  come  in  dissimus ,  dissit.  Cadrebbe 
così  r  obiezione  che  muove  lo  stesso  G.  al  Gaspary  col  chiedere  perchè  i  notai ,  una  volta  in 
via  di  latinizzare ,  non  andassero  fino  in  fondo.  Certo  che  ci  son  andati  e  ben  di  spesso.  Ma  il 
G.,  imbattutosi,  pnta  caso,  in  un  robure,  e  meglio  ancora  in  un  roburi  o  in  un  robtiris,  non  si 


RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA  259 

maggiori  schiarimenti,  anche  da  questo,  che  i  documenti  dai  quali  le  forme 
sono  desunte  si  estendono  per  più  di  tre  secoli  (ve  n'  ha  dell' 819  e  del  4183) 
durante  i  quali  e  le  abitudini  dovevano  variare  come  dovevano  variare  i 
rapporti  tra  volgare  e  latino,  e  che  forse  i  notai  non  eran  tutti  della  città 
di  Padova,  od  anche  essendolo,  avranno  appartenuto  a  diversi  quartieri  della 
città  ;  la  qual  ultima  circostanza  doveva  importare  una ,  benché  leggiera, 
differenza  di  dialetto  tra  gli  uni  e  gli  altri  (così,  a  tacer  d'altro,  non  è  im- 
possibile che  in  una  stessa  città  si  dica  in  un  quartiere  albero  e  in  un  altro 
albaro  e  forse  in  un  terzo  alboro),  una  differenza  che  avrebbe  potuto  sempre 
rispecchiarsi  nelle  latinizzazioni. 

Le  norme  più  comunemente  applicate,  onde  nobilitare  una  parola  plebea, 
che  io  trovo  negli  es.  del  G.  sono  le  seguenti  :  a)  si  restituisce  la  tenue  che, 
fra  vocali,  s'  era  degradata  in  media  (-àto  da  -ddo,  laco  da  lago  ecc.)  ;  b)  si 
restituiscono  A  b  e  ì\  p  che,  fra  vocali,  s'erano  degradati  in  v  (avitare^abù 
lare  ecc.);  e)  si  ristabilisce  per  e  palatino  il  -s-  dolce  {fornase^ fornace);  d)  si 
restituisce  la  media  caduta  {-ddo  da  -do);  e)  si  tramuta  in  e  q  g  palatini  il 
z  che  segue  a  consonante  e  si  tramutano  in  ciò  eia  le  formolo  zo  za;  f)  bì 
restituisce  Vi  sopratutto  postonico,  che  s' era  ridotto  ad  e;  g)  si  ristabilisce 
la  vocale  iniziale  aferizzata  {amabile  da  mabile);  h)  vien  restituito  l'o,  de- 
gradato ad  «,  sia  in  sillaba  tonica  che  in  sillaba  atona;  i)  si  ritorna  al  dit- 
tongo au  (bozentauro,  aurese),  j)  si  ristabilisce  il  nesso  et;  k)  si  ritorna  da 
-ego  ad  -teo  e  da  -dro  ad  -drio  (1). 


mA  peritato  di  interpretarlo  senz'altro  come  nna  forma  latina  senza  porsi  la  domanda  che  noi  or 
ora  ci  ponevamo  {roboreto  di  fronte  a  rovereto  occorre  del  resto  negli  stessi  elenchi  del  G,,  ed  ò 
certamente  nna  latinizzazione  perfetta,  malgrado  l'o  per  i»,  e  quantunque  il  G.  lo  ponga  fn  le 
forme  di  volgare  illustre).  Forme  perfettamente  latinizzate,  vale  a  dire  che  non  ci  rappresentano 
forme  intermediarie  tra  il  latino  e  il  volger  plebeo,  abbondano  presso  il  G.  (cosi  bovario  ecc.).  — 
Che  poi  chi  diceva  carpeneto,  aìboro,  A  sia  fatto  meglio  intendere  dal  volgo,  il  quale  diceva  car- 
panedo,  albaro,  di  colui  che  avesse  detto  carpineta,  albero,  la  non  mi  vuol  entrare. 

(1)  Queste  norme  dovevano  valere  ,  su  per  giù,  per  gran  parte  dell'Alta  Italia.  —  Diverse  sa- 
ranno state  quelle  d'  altri  dialetti ,  ma  la  tendenza  rimaneva  sempre  quella ,  di  ravvicinare  cioò 
alla  latina  la  forma  volgare  ;  e  se  il  veneto  si  sforzava  di  ridurre  a  t  il  suo  -d-,  il  napoletano  si 
sai^  sforzato  di  ridurre  a  <2  il  suo  -t-  o  -tt-  di  parole  come  umetto ,  e  a  fui  il  suo  nn  di  parole 
come  qttanno.  Non  istupisce  quindi ,  né  costituisce  quella  sì  valida  prova  che  il  O.  vorrebbe ,  il 
fatto  che  in  questo  lavoro  di  ricostituzione  i  diversi  volgari  abbiano  potuto,  partendo  ognono  d» 
un  punto  diverso,  ritrovarsi  assieme  nella  forma  latinizzata;  e  stupisce  ancor  meno  ove  si  consi- 
deri la  minor  diversità  che  allora  correva  fra  essi  ;  anzi  se  le  norme  fossero  sempre  state  e  dap- 
pertutto conseguentemente  applicate  avrebbero  dovuto  incontrarsi  sempre;  e  non  solo  i  volgari 
d'Italia  fra  di  loro,  ma  tutti  i  volgari  neo-latini  ;  e  certo  tutti  s'incontrano  in  quelle  proporzioni 
nelle  quali  s'incontrano  fra  di  loro  i  volgari  d'Italia.  Questa  conclusione  s' impone ,  e  il  G.  non 
vi  s'è  potuto  sottrarre  del  tutto,  poiché  s'è  giovato  nello  sue  ricerche  anche  di  documenti  tna- 
cesi,  del  che  si  giustifica  con  queste  parole  :  «  Pare  a  me  che  il  volgare  di  questa  (della  Fr»ncia) 
«  si  debba  considerare,  appunto  rispetto  al  tempo,  quale  altro  linguaggio  plebeo  d'Italia,  «Tendo 
«  originato  anche  quello  come  questo  dal  padre  comune  ,  il  dialetto  romano  ».  Ma  non  capisco 
perchè  il  O.  si  fermi  a  metà  strada  ;  accanto  alle  forme  plebee,  troverà  nei  documenti  di  Francia 
e  di  Spagna,  precisamente  come  in  quelli  d'Italia  e  colle  stesse  tergiversazioni ,  quelle  di  volgare 
illustre,  le  quali  forme  illustri  somiglieranno ,  a  un  dipresso ,  a  quelle  che  si  trovano  nei  docn- 
menti  italiani,  donde  la  logica  conseguenza  che  il  volgare  illo-itre  del  G.  non  eia  della  sola  Italia, 
ma  di  tutta  quanta  la  romanità. 


260  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

Ma  come  s'osservavano  poi  queste  norme?  Lasciamo  stare  quelle  parole 
in  cui  la  latinizzazione  ci  si  appalesa  riuscita  nonché  i  pretti  latinismi 
(come  collecta,  defuncto,  episcopello,  domino,  thio,  columnelli  contrapposti  a 
colta,  defonto,  veskevello,  don),  e  le  parole  volgari  che  si  possono  ritenere 
non  alterate  (e  sono  ben  poche  :  tegia,  crea  ecc.  verine=\èv']me  vergine,  co 
capo  ed  altre),  e  atteniamoci  a  quelle  in  cui  ci  s'appalesano  nello  stesso 
tempo  e  la  base  volgare  e  l' opera  di  ricostruzione  ;  e'  imbatteremo  subito 
in.  un  vero  caos  di  forme  provocato  soprattutto  da  questo,  che,  occorrendo 
al  notaio  di  dover  applicare,  nel  ricostruire  alla  latina  la  parola  plebea,  in 
una  stessa  voce  più  d'  una  delle  norme  anzidette,  s'  applica  1'  una  e  s' om- 
mette  l' altra.  E  siccome  il  criterio  del  G.  nello  scevrare  la  parola  plebea 
dalla  illustre  doveva  necessariamente  coprirsi  colle  norme  seguite  da'  notai 
nelle  loro  ricostruzioni,  così  1'  opera  del  G.  non  poteva  non  riuscire  un  tes- 
suto di  contraddizioni  e  lo  provino  gli  esempi  seguenti  : 

vlg.  ili.:  afumegado,  vlg.  pi.:  afomigado.  Qui  la  prima  forma  avrebbe 
di  illustre  I'm  mantenuto,  la  seconda  Vi.  Ma  hanno  comune  di  plebeo  il  -gado 
colle  sue  due  medie  al  posto  di  due  tenui.  Prevalendo  in  ambedue  i  carat- 
teri plebei  dovrebbero  dichiararsi  ambedue  plebee,  ciò  che  il  G.  non  fa.  La 
forma  nobile  dovrebbe  suonare  a  fumicato,  la  plebea  afumegado; 

vlg.  ili.  :  beato,  vlg.  pi.  :  biato  Mao.  Beato  sarebbe  senz'  alcun  dubbio 
di  volg.  ili.  Ma  biato  non  sarebbe  plebeo  che  per  quell'e  che  si  riduce  ad 
i  neir  iato.  La  desinenza  -dto  dovrebb'  essere  esclusivamente  illustre.  Biao 
sarebbe  esclusivamente  plebeo; 

vlg.  ili.:  amabile,  vlg.  pi.:  mabile  amavile.  Ben  classificata  la  prima 
forma.  Ma  mabile,  mentre  ha  di  plebeo  1' aferesi  dell' -a  avrebbe  d'illustre 
il  -b-.  Amavile,  all'incontrano,  ha  di  plebeo  il  -v-,  ma  avrebbe  d'illustre 
Va-.  Ambedue  assieme  hanno  d' illustre  V-i-.  La  vera  forma  esclusivamente 
plebea  sarebbe  mdvele,  o,  poiché  Va-  non  deve  necessariamente  cadere, 
amdvele  ; 

albaro  è  dichiarato  plebeo,  pel  suo  a,  di  fronte  ad  albero;  ma,  subito 
dopo  albareto,  sempre  coli' a,  è  dichiarato  illustre,  in  causa  del  -t-,  di  fronte 
ad  albaredo,  forma  questa  che  può  essere  di  puro  volgar  plebeo. 

punticelli  è  relegato  tra  le  forme  plebee  a  motivo  del  suo  u=o;  ma 
altrove  si  decerne  un  diploma  di  nobiltà  a  baruncello,  in  causa  del  e  e 
malgrado  I'm,  mentre  lo  z  fa  dichiarar  plebeo,  malgrado  Y o,  baronzello; 

è  nobile  castagna  di  fronte  a  castegna;  ma  il  -d-  fa  perdere  all'  a  la 
sua  nobiltà,  nella  forma  castagnedo; 

è  poi  plebeo,  malgrado  il  -^  e  a  causa  del  g-,  gardeto  allato  a  cardato. 

ottorità  è  dichiarato  plebeo  di  fronte  ad  auctorità,  che  nel  suo  auct- 
ci  s' addimostra  di  pretta  ricostituzione  latina  ;  ma  l'aw-  di  aurese,  di  fronte 
ad  aurifice,  non  salva  quella  parola  dalla  scurrilità;  e  sarebbe  veramente 
bella  forma  plebea  (orese=oré[v]ese)  senza  Yau-  che  la  deturpa; 

malgrado  Y-ario  che  pur  deve  considerarsi,  di  fronte  all' -aro  plebeo, 
qual  una  delle  prime  caratteristiche  di  volgar  illustre  son  dichiarati  plebei, 
pel  suo  u,  mulinarlo  (vlg.  ili.  m-olinario)  ;  pel  suo  z ,  calzinaria  (vlg.  ili. 
calcinaria)  e,  pel  suo  -v-  soppresso,  boario  (vlg.  ili.  bovario);  ma,  all'incon- 
trano, pel  suo  -^  di  fronte  al  -d-  di  codegnara,  è  dato  per  illustre  cotegnara. 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA  261 

E  qui  chiudo  questa  serie  d'esempi,  avvertendo  prima  che  non  sono  cer- 
cati col  lanternino  e  che ,  invece ,  lor  so  no  potrebbero  aggiungere  senza 
fatica  di  molti.  —  Ora  ognuno  comprenderà  essere  lavoro  sprecato  il  voler 
mettere  a  base  d' un  ragionamento  il  quale  tende  a  sì  alte  conclusioni  delle 
forme  di  volgare  illustro  che  non  sono  per  nulla  conseguenti  a  se  stesse, 
delle  forme  di  volgar  plebeo  che  lo  sono  meno  ancora,  e  che,  paragonate 
colle  illustri,  ci  offrono  una  tale  contraddizione  di  rapporti. 

Ma  alle  contraddizioni  s' accoppiano  gli  svarioni.  Ignorante  o  troppo  pre- 
potentemente trasportato  dall'  istinto  dell'  analogia,  falsamente  applicava  il 
notaio  quelle  sue  norme  di  ricostruzione  anche  a  suoni  che,  nella  voce 
volgare,  continuavano  inalterata  la  base  latina  e  ciò  perchè  egli  troppo  viva- 
cemente si  sovveniva  che  lo  stesso  suono  volgare  assai  di  spesso  veniva 
tramutato  in  un  dato  e  diverso  suono  o  nesso  di  suoni  latini.  Così,  abituato  a 
vedersi  corrispondere  t  volgare  con  et  latino,  ricostruiva  in  et  anche  dei  t 
volgari  che  pur  risalivano  a  t  latino,  tal'è  il  caso  in  quactro  ;  abituato  a  tra- 
mutare un  -u-  volgare  in  b  (avitare  =  habitare),  ricostruiva  falsamente  uva  in 
uba  ;  solito  a  rimutaro  in  e  palatino  in  -s-  volgare  (FeUse=Felice,  fornase^foT' 
nace)^  non  s'avvedeva  più  che  nel  -s-  di  Adese  s'ha  la  inalterata  continuazione 
del  -s-  di  Athesis  e  scriveva  Adice;  abituato  a  sostituire  e  latino  a  g  vol- 
gare (amigo=amico),  procedeva  nello  stesso  modo  in  ordine  al  lat.  caliga  e  ne 
traeva  un  calecario  (i).  —  E  poteva  accadere  al  notaio  anche  questo  di  inter- 
pretare il  suflSsso  -éto  falsamente  per  -étto  come  in  castagnettoacastaneto  o 
di  interpretare  un  -nn-  quale  prodotto  assimilativo  di  un  -dn- ,  ciò  onde 
s'  ha  esempio  in  adnutino  di  fronte  ad  annotino  che  senz'  alcun  dubbio 
sarà  una  derivazione  dff  anno  (2). 

Non  sono  questi  esempì  una  prova  luminosa  della  artificiosità  di  tutte  le 
forme  che  stanno  raccolte  negli  elenchi  del  G.?  Tali  strafalcioni  non  sono 
certamente  mai  entrati  nel  patrimonio  di  nessun  idioma  né  illustre  né  plebeo. 
Ed  è  tanto  vero  che  io  sfido  il  G.  a  trovarmi  nel  volgar  padovano  o  nel- 
r  italiano  i  diretti  continuatori  di  quelle  forme  sbagliate  o  d'altre  che  loro 
equivalgano. 

Ma  supponiamo  un  momento  che  tutte  le  obiezioni  che  fin  qui  si  son 
mosse  alla  tesi  del  G.  non  abbiano  forza  veruna,  supponiamo  che  essa  tesi 
veramente  s'avvantaggi  delle  forme  che  il  G.  presenta  ne' suoi  elenchi,  ri- 
marrebbe pur  sempre  questa  osservazione  da  fare  :  é  vero  che  la  maggior 
rassomiglianza  tra  il  latino  e  la  lingua  letteraria  d'Italia  doveva  importare 
che,  nel  processo  di  nobilitazione,  si  riuscisse  soventi  a  delle  forme  comuni 
ad  ambedue  ;  ma  non  é  men  vero  che  l'evoluzione  fonetica  poteva  qua  e  là 
condurre,  e  l'ha  condotta,  la  parola  italiana  a  tale  distanza  dalla  sua  scaturigine 


(1)  Equivalgono  questi  svarioni  a  quelli  che  farebbe  nn  veneto  ricostruendo  il  suo  ateno  in 
acino,  0  un  lombardo  ricostruendo  in  ebriglio  il  suo  ebrèj,  ebreo  (cfr.  cotw»;  s  consiglio)  ecc. 

(2)  Omettendo  il  quadro  che  si  trova  due  volte ,  e  sempre  indicato  come  forma  in  ogni  modo 
volgare,  in  quelle  sue  prove  di  ricostruzione  del  linguaggio  dei  sec.  di  mezzo ,  nn»  impresa  ch« 
io  devo  giudicare  iniblice  e  nel  concetto  e  nella  riuscit* ,  il  G.  assegna  uért  ealtcario  admuMto 
al  volg^  plebeo,  Adict  e  c(uitgnetto  al  volgare  illustre. 


262  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

da  far  cessare  o  almeno  da  intorbidare  alquanto  la  rassomiglianza.  In  tali  con- 
giunture, la  parola  che  secondo  il  G.  è  di  volgare  illustre,  ci  s'appalesa  dessa 
più  vicina  al  latino  o  all'italiano  ?  Rispondo  senza  ambagi  :  al  latino.  Così 
il  suffisso  -ario  è  nello  stesso  tempo  e  la  risultanza  del  processo  di  nobilita- 
zione, è,  cioè,  secondo  il  G.,  di  volgare  illustre,  ed  è  il  pretto  suffisso  latino. 
Ma  r  italiano,  se  ha  -arto  in  parole  che  nella  maggior  parte  sono  d'  origine 
evidentemente  letterata  e  che  quindi  non  contano,  ha,  prevalentemente,  per 
risposta  normale  di  quel  suffisso,  -aio  o  -iero  -e.  Un'  altra  riduzione  italiana 
di  cui  non  trovo  traccia  negli  elenchi  del  G.  è  quella  dei  nessi  ci,  pi,  hi, 
f,  a  chi,  pi,  hi,  fi,  eppure  questa  riduzione  s'  ha  già  nei  più  antichi  docu- 
menti di  quella  lingua  che  poi  è  divenuta  la  lingua  illustre  d' Italia  e  si 
può  ragionevolmente  supporre  che  fosso  già  fenomeno  dell'  idioma  italiano 
nel  1183,  epoca  a  cui  risale  il  più  fresco  dei  documenti  onde  il  G.  estrae 
le  sue  forme  (1). 

Come  spiegansi  questi  fatti  i  quali  sono  certamente  di  tal  natura  da  tur- 
bare non  poco  gli  intimi  rapporti  che,  secondo  il  G.,  esistono  tra  il  suo 
volgare  illustre  e  l'italiano?  0  pensa  forse  il  G.  che  l'evoluzione  da  -ario 
ad  -ajo  ecc. ,  da  jsi  a  pi  ecc. ,  siasi  compiuta  nel  breve  lasso  di  tempo  che 
corre  dal  1150  al  primo  apparire  di  documenti  italiani,  cioè  toscani?  Se  lo 
pensa  e  vuol  farcelo  pensare,  fuori  le  prove! 

Tutta  questa  seconda  parte  del  mio  ragionamento  ha  dovuto  versare  intorno 
al  valore  che  possono  avere  le  forme  volgari  da  cui  vanno  provvisti  i  do- 
cumenti latini  dell'  età  di  mezzo,  più  specialmente,  di  quelli  sfruttati  dal  G. 
Ma  se  quest'  esame  ha  potuto  essere  utile  non  sarebbe  certo  men  utile 
un  esame  intorno  al  valore  lessicale  di  quelle  voci;  importerebbe  cioè  di 
sapere,  per  dirla  a  mo'  d' esempio,  se  curticella  risponda  lessicalmente  in 
tutto  e  per  tutto  al  corticella  della  nostra  lingua  letteraria.  Ma  un  tal  esame 
sarebbe  per  ora  impossibile,  sia  perchè  le  voci  in  realtà  non  son  molte,  sia 
perchè  ci  rappresentano  in  non  piccola  parte  nomi  propri  di  persone  e  di 
luoghi,  sia,  infine,  perchè  non  si  ha  sott'occhi  il  passo  in  cui  ogni  singola 
voce  si  trova  (2).  E  quest'  impossibilità  d' un  raffi-onto  lessicale  avrebbe 
dovuto  trattenere  il  G.  dal  dare  per  così  assolute  le  sue  conclusioni  ;  che  i 
fenomeni  fonetici  non  sono  tutto  in  una  lingua  ;  v'  è  il  lessico,  v'  è  la  nur- 
fologia,  v'  è  la  sintassi  e  più  in  su  lo  stile  e,  trattandosi  d'  un  linguaggio 
illustre,  quella  generale  elevatezza  d'  espressione  nel  manifestare  il  pensiero, 
nella  quale  si  riassumono  tante  cose  buone  e  cattive,  ma  che  pur  è  la  prima 
ragione  e  condizion  d'essere  d'un  volgare  illustre.  Ora  di  tuttociò,  foss' anche 
la  tesi  del  Gloria  inattaccabile  e  dal  punto  di  vista  dei  criteri  generali  e 
da  quello  del  valore  delle  singole  voci,  non  è  possibile  dare  una  prova, 
poiché  per  darla  ci  vorrebbe  appunto  un  intiero  documento  scritto  in  pretto 
volgare  illustre.  Ma  si  può  con  sicurezza  aflfermare  che  questo  documento 
non  si  troverà. 


(1)  Voglio  ancora  si  notino  contrata  e  tirata  (dati  come  illustri  di  fronte  a  contru,  cioè  contrda, 
e  a  strada,  strd)  dove  l'italiano  ha  contrada,  strada. 

(2)  Questo  si  può,  fra  altro ,  tuttavia  ricavare  ,  che  caligario  ,  per  quanto  comune  a  più  d'  un 
dialetto  italiano,  non  è  riconosciuto  dalla  lingua  letteraria. 


RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA  26^ 

Io  non  vorrei ,  giunto  in  fine  di  queste  linee ,  che  le  mie  obiezioni 
suonassero  disapprovazione  all'  opera  dell'  egregio  cattedratico  padovano ,  il 
quale,  noto  in  tutta  Italia  e  fuori  per  la  serietà  de'suoi  studi  in  altri  campi 
dello  scibile,  non  è  glottologo,  ciò  onde  nessuno  gli  farà  aggravio,  ed  ha 
dovuto  trattare  il  suo  subietto  con  metodo  e  criteri  diversi  da  quelli  che  la 
grammatica  comparata  richiederebbe.  Nò  ciò  è  male,  poiché  l'esclusività 
dei  criteri  non  è,  nò  certo,  ch'io  mi  sappia,  è  mai  stata  caparra  d'  un  giu- 
dizio per  ogni  suo  lato  completo  e  d'  altra  parte  nessuno  di  noi  vorrebbe 
meritarsi  il  biasimo  che  Ben  Johnson  infliggeva  a  certi  grammatici  del 
suo  tempo  quando  egli  loro  diceva  «  nessuno  dimentica  il  suo  primo 
«  mestiere;  date  ad  un  grammatico  da  decidere  intorno  al  destino  dei  re  e 
«  delle  nazioni,  esso  ne  farà  una  quistione  di  grammatica  ».  —  Gli  spogli 
che  il  G.  va  facendo  con  tanta  competenza  ed  ai  quali  egli  incoraggia  con 
parola  sì  calda  e  convinta,  non  potranno  eh'  essere  fecondi  d'ottimi  risultati. 
Se  non  ne  uscirà  la  prova  del  volgare  illustre  ne  usciranno  sempre  nume- 
rose ed  importantissime  notizie  per  la  storia  de'  volgari  ;  per  esse  sarà  pos- 
sibile stabilire  utilissimi  e  desiderati  rafironti,  anzi  non  sarà  che  su  tali 
spogli  operati  abbondantemente  in  ogni  parte  del  nostro  paese  che  si  potrà 
stabilire  una  seria  cronologia  dei  fenomeni  fonetici  comuni  a  tutta  Italia  o 
propri  di  ciascun  dialetto;  e  ciò,  mi  creda  il  G.,  non  sarà  poco  (1). 

Carlo  Salvioni. 


BENEDETTO  CROCE.  —  La  leggenda  di  Niccolò  Pesce.  — 
Estratto  dal  Giambattista  Basile,  anno  III,  n*  7.  —  Napoli, 
Stab.  tip.  di  Vincenzo  Posole,  1885  (8°,  pp.  14). 

Che  povera  cosa  quest'opuscoletto,  e  quale  increscevole  documento,  nella 
tenuità  sua,  della  fretta,  della  incuria,  della  leggerezza  con  cui  troppo  spesso 
fra  noi  si  trattano  argomenti  di  critica  e  di  erudizione  !  Il  signor  Croce  crede 
di  aver  messe  le  mani  sopra  un  soggetto  vergine,  e  questo  soggetto  altri 
dieci,  a  dir  poco,  l'hanno  avuto  tra  mani  prima  di  lui.  Così  che,  non  solo 
egli  non  accresce,  se  non  per  picciolissima  parte,  la  conoscenza  di  esso,  ma 
ignora  e  lascia  in  disparte  il  più  di  quanto  già  da  altri  era  stato  trovato  e 
notato,  e  viene  in  conseguenza  di  ciò  a  conclusioni  e  giudizi  in  tutto  erronei. 


(1)  I  proverM  volgari  di  Geremia  da  Montagnone,  editi  dal  G.  nello  stesso  laroro  che  ha  dato 
motivo  alle  precedenti  pagine,  non  forniscono  nessuna  prova  in  più  per  la  tesi  del  G.,  nò  questi 
pretende  trovarvela.  Sono  in  volgare  pavano  e  il  G.  ha  fatto  ,  pubblicandoli  ,  opera  bnonisBÌiiia , 
oomechò  essi  costitmscano  nn  documento  linguistico  non  ispregevole.  —  Del  vantaggio  che  da 
essi  potranno  trarre  la  demopsicologia  e  la  scienza  delle  tradizioni  popolari  non  è  mio  compito 
il  toccare. 


264  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

Basti  il  dire  eh'  ei  non  sa  nulla  della  famosa  poesia  dello  Schiller ,  Ber 
Taucher,  nella  quale  riappare  con  nuove  fogge  e  nuovo  carattere,  ma  senza 
il  nome  dell'antico  eroe,  la  leggenda  di  Nicola  Pesce,  e  le  fonti  della  quale 
ebbero  ad  indagare  e  Valentino  Schmidt,  e  il  Gòdeke,  e  il  Dùntzer,  e  il 
Goetzinger,  e  il  ViehofF,  e  quanti  furono  insomma  gli  annotatori  e  i  com- 
mentatori del  grande  poeta  tedesco  (1). 

Detto  assai  brevemente  alcimchè  dei  racconti  tuttora  vivi  sulle  bocche  del 
popolo  napoletano,  racconti  che  certo  meritavano  un  più  largo  riferimento; 
soggiunte  alcune  notizie  non  molto  importanti,  ma  soprattutto  non  nuove, 
circa  il  rozzo  bassorilievo  che  ancora  si  vede  nel  sedile  di  Porto  in  Napoli, 
e  che  il  popolo  giudica  immagine  di  Nicola,  il  signor  C.  passa  a  far  ricordo 
degli  scrittori  che  di  secolo  in  secolo  si  tramandarono  la  leggenda,  e  indaga 
nelle  nan-azioni  loro  la  graduale  trasformazione  della  leggenda  stessa,  o, 
com'egli  dice,  della  storia  in  leggenda.  Ora,  questi  scrittori,  sono  appena  una 
mezza  dozzina;  numero  a  dir  vero  troppo  scarso,  per  chi  si  vanta  (p.  10)  di 
far  di  proposito  ricerche  sulla  fonte  primitiva  della  leggenda,  e  rintrac- 
ciare di  questa  la  graduale  trasformazione.  Però  non  riuscirà,  spero,  discaro 
al  lettore,  se,  considerata  la  curiosità  dell'argomento  (si  tratta  di  una  delle 
non  molte  leggende  in  tutto  italiane  di  origine),  io  verrò  accompagnando 
l'esame  dell'opuscolo,  con  notizie  intese  a  compiere  la  trattazione  dell'argo- 
mento, traendole,  sia  da  libri  non  tutti  facilmente  accessibili,  sia  (per  qualche 
parte)  da  appunti  miei. 

Il  primo  scrittore  citato  dal  signor  G.  è  Fra  Salimbene,  il  notissimo  cro- 
nista (2),  il  quale,  cercando  di  denigrare  in  tutti  i  modi  Federico  II,  raccon- 
tato di  certe  sue  stravaganze,  o,  com'egli  le  chiama,  superstizioni,  soggiunge (3): 
«  Quarta  ejus  superstitio  fuit,  quia  quemdam  Nicolam  contra  voluntatem 
«  suam  pluries  misit  in  fundum  Phari,  et  pluries  rediit  inde;  et  volens  pe- 
«  nitus  veritatem  cognoscere,  si  vere  ad  fundum  descendisset  et  inde  redisset, 
«  nec  ne,  projecit  cupam  suam  auream,  ubi  credebat  majus  esse  profundum, 
«  quam  ille,  cum  descendisset,  invenit  et  attulit  sibi,  et  miratus  est  Impe- 
*  rator.  Cum  autem  iterum  vellet  eum  mittere,  dixit  sibi:  nullo  modo  me 
«  mittatis  illuc,  quia  ita  turbatum  est  mare  inferius,  quod,  si  me  miseritis, 
«  nunc[uam  redibo.  Nihilominus  misit  eum,  et  nunquam  est  reversus  ad  eum, 
«  quia  periit  ibi;  nam  in  ilio  fundo  maris  sunt  magni  pisces,  tempore  ma- 
«  rinae  tempestatis,  et  sunt  ibi  scopuli  et  naves  multae  fractae,  ut  referebat 
«  ipse.  Iste  potuit  dicere  Friderico,  quod  habetur  Jonae  II  :  Proiecisti  me  in 
«  profundum,  etc.  Iste  Nicola  homo  siculus  fuit,  et  quadam  vice  offendit 
«  gi'aviter  et  exasperavit  matrem,  et  imprecata  est  ei  mater  quod  semper 
«  habitaret  in  aquis,  et  raro  appareret  in  terra  ;  et  ita  accidit  sibi.  Nota  quod 


(1)  Nel  no  8 ,  anno  III ,  del  QiambaUista  Basile  ,  uscito  quando  il  presente  articolo  era  già, 
scritto  e  composto,  il  sig.  C.  ricorda,  in  un'appendice  al  suo  lavoro,  la  poesia  dello  Schiller,  ma 
non  altro. 

(2)  Accanto  al  nome  il  sig.  C.  pone  in  parentesi  gli  anni  1225-1290.  Perchè  ?  se  incerto  l'anno 
della  morte,  non  così  quello  della  nascita,  che  si  sa  essere  stato  il  1221. 

(3)  Chronica,  Parma,  1857,  pp.  168-9. 


RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA  265 

«  Pharuin  in  Sicilia,  jiixta  mcssanam  civitatcm,  est  quoddam  brachium  maris, 
«  ubi  aliquando  est  niagnus  discursus,  et  magni  gurgites  fiunt  ibi,  qui  naves 
«  absorbent  et  demcrgunt:  item  in  ilio  Pharo   sunt   syrtes   et   caribdes  et 

«  scopuli  praegrandes  et  multa  infortunia Omnia  supradicta  centics  audivi 

€  et  didici  a  fratribus  mossanae  civitatis,  qui  mei  amici  valde  fuerunt.  Ego 
«  etiam  babui  in  ordine  fratrum  Minorum  germanum  consanguineum  fratrem 
«  Jacobinum  do  Cassio  ex  civitate  parmensi,  qui  in  mcssana  civitatc  babi- 
€  tah&t,  et  mihi  haec  eadem,  quae  diximus,  referebat  ». 

Il  signor  G.  riconosce  a  questo  racconto  un  carattere  perfettamente  stO' 
rico,  e  assevera  (p.  8)  che  il  fatto  per  sé,  pel  modo  com'è  raccontato,  sema 
intenzione  di  destar  meraviglia,  e  per  le  sue  modeste  proporzioni,  è  in- 
dubitabilmente storico;  poi  passa  alla  sua  seconda  testimonianza,  che  è 
quella  del  bolognese  Francesco  Pipino,  che  fiori  nella  prima  metà  del  se- 
colo XIV.  Questo  cronista  cosi  racconta  (1):  «  Nicolaus  Piscis  hoc  tempore 
«  in  Regno  Siciliae  natus  est.  Hic  enim,  dum  puer  esset,  delectabatur  esse 
«  in  aquis  assiduus;  cujus  mater  ob  hoc  indignata,  maledictionem  illi  im- 
«  precata  est,  ut  scilicet  semper  esse  delectaretur  in  aquis,  et  extra  eas  non 
«  posset  vivere  ;  quod  siquidem  contigit,  nam  semper  ex  tunc  in  aquis  maris 
«  vixit  ut  piscis.  Diu  extra  aquas  esse  'non  poterai  ;  nautis  apparebat,  et  cum 
«  eis  in  navibus  aliquandiu  erat,  maris  aestus  illis  praedicens,  et  secreta 
«  quae  viderat  in  profundo.  Anguillam  maximura  piscium  esse  dixit,  et  inter 
«  Siciliam  et  Galabriam  pelagus  profundissimus  esse.  Imperator  Fridericus 
«  cum  eo  serraonem  habuit,  et  projecto  in  fundo  vaso  argenteo,  institit  illi, 
«  ut  descenderet  in  profundum,  ac  vas  illud  aflferrct.  Ille  vero  ait:  si  descen- 
«  dero  in  profundum,  non  revertar:  Experiri  tandem  promisit;  et  quum 
«  descendisset,  ultra  non  comparuit  hominum  visui.  Reminiscor,  quod,  dum 
«  puer  essem,  audire  consuevi  matres,  dum  puerulis  vagientibus  terrorem 
«  vellent  incutere,  tunc  eis  Nicolaum  ad  raemoriam  reducebant  ».  E  qui  il 
sig.  G.  dice  che  si  ha  già  la  leggenda,  non  la  leggenda  compiuta,  quale  ap- 
pare di  poi,  ma  la  leggenda  in  formazione  (p.  9).  Sebbene  la  leggenda  si 
possa  già  agevolmente  riconoscere  nel  racconto  di  Salimbene,  pure  il  sig.  G. 
avrebbe  qualche  ragione  ne'  suoi  giudizi,  se  non  istesse  il  fatto  che  la  leg- 
genda, una  vera  leggenda,  è  assai  più  antica,  così  di  Francesco  Pipino,  come 
di  Fra  Salimbene  ;  fatto  che  manda  subito  all'aria  tutti  i  ragionamenti  e  tutti 
i  giudizi  del  sig.  Grece.  Ciò  che  di  Nicola  Pesce  narra  Gualtiero  Mapes,  il 
quale  scriveva  in  sullo  scorcio  del  secolo  XII,  passa  in  istranezza  quanto  ne 
narrano  i  due  cronisti  italiani.  In  un  capitolo  delle  sue  Nugae  curialium^ 
egli  narra  la  storia  a  questo  modo:  «  Multi  vivunt  qui  nobis  magnum  et 
«  omni  adrairatione  majus  enarrant  se  vidisse  circa  pontum  illud  prodigium 
«  Nicolaum  Pipe,  hominem  aequoreum,  qui  sine  spiraculo  diu  per  mensem  vel 
«  annum  vicinia  ponti  cum  piscibus  frequentabat  indemnis,  et  tempestate  de- 
«  pressa  navibus  in  portu  exitum  vetabat  praesagio,  vel  egressis  reditum  indi- 
«  cebat.  Verus  homo,  nihil  inhumanum  in  membris,  nihil  in  aliquo  quinque 
«  sensuum  defectus  habens,  trans  hominem  acceptat  aptitudinem  piscium. 


(1)  Chronicon,  e.  XLVIII,  ap.  Mobatobi,  Scriptoret,  t.  IX,  col.  669. 


266  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

«  Gum  autem  in  mare  descendebat  moram  ibi  facturus,  fragmenta  veteris  ferri 
«  de  biga  vel  pedibus  equorura  vel  antiquitate  supellectilis  avulsi  secum  defer- 
«  rebat,  cujus  nondum  rationem  audivi.  Hoc  uno  erat  imrainutus  ab  hominibus 
«  et  piscibus  unitus,  quod  sine  maris  odore  vel  aqua  vivere  non  potuit;  cuna 
«  abducebatur  longius  tanquam  anhelitu  deficiente  recurrebat.  Cupivit  eum 
«  rex  Siculus  Willielmus  auditis  bis  videre,  jussitque  ipsum  praesentari, 
«  quem  dum  invitum  traherent,  inter  manus  eorum  absentia  maris  extinctus 
«  est  »  (1).  Ora,  questa  di  Gualtiero  Mapes  è  la  testimonianza  più  antica  che 
si  conosca,  una  testimonianza  quasi  contemporanea  al  fatto  che  si  narra,  e 
si  scorge  da  essa  come  la  leggenda  avesse  già  assunto  un  carattere  molto 
strano,  sebbene  fosse  lontana  ancora  dagli  svolgimenti  e  accrescimenti  poste- 
riori. Noto  di  passaggio  che  Gualtiero  Mapes  fu  in  Italia,  e  che  in  Italia 
probabilmente  egli  ebbe  cognizione  della  leggenda. 

Un'  altra  testimonianza  assai  antica  è  quella  di  Gervasio  di  Tilbury,  il 
quale  nei  suoi  Otta  imj)erialia,  composti  in  sul  principiare  del  secolo  XIII, 
narra  quanto  segue:  «Sicilia  ab  Italia  modico  freto  distinguitur,  in  quo 
«  Scylla  et  Charybdis,  marinae  voragines,  quibus  navigia  absorbentur  aut 
«  colliduntur,  quem  locum  Pharum  nominant.  In  hanc  referunt  ex  coactione 
«  regis  Siculi  Rogerii  descendisse  Nicolaum  Papam,  hominem  de  Apulia 
«  oriundum,  cuius  mansio  fere  continua  erat  in  profundo  maris.  Hic  a  ma- 
«  rinis  beluis  quasi  natus  ac  familiaris  vitabatur  ad  malum;  maris  sedulus 
«  explorator,  currentibus  in  pelago  navibus,  nautis  instantes  tempestates 
«  praenuntiabat,  et  cum  derepente  a  mari  nudus  prorumpebat,  nihil  praeter 
'<  oleum  a  transeuntibus  postulabat,  ut  ejus  beneficio  fundum  abyssi  maris 
'<  speculatius  intueri  posset  atcjue  rimari.  Hic  in  Pharo  nemorosam  abyssum 
«  esse  dicebat.  Ex  arborum  itaque  oppositis  obicibus  fluctus  collidi  invicem 
<i  proponebat,  asserens,  in  mari  montes  esse  et  valles,  sylvas  et  campos  et 
«  arbores  glandiferas,  ad  cujus  rei  fidem  nos  quoque  glandes  marinas  in 
«  littore  maris  saepe  prospeximus  »  (2).  Questo  racconto  ha  per  noi  molta 
importanza,  perchè  Gervasio  fu  in  Sicilia,  ed  ivi,  senz'alcun  dubbio,  raccolse 
gli  elementi  di  esso.  La  leggenda,  quale  Gervasio  ce  la  presenta,  è  certo 
più  compiuta  che  non  nel  racconto  del  Mapes  ;  ma  non  per  questo  si  può 
far  giudizio  sicuro  dello  svolgimento  a  cui  la  leggenda  stessa  era  andata 
soggetta,  negli  anni  che  intercedono  fra  l'un  riferimento  e  l'altro.  Il  Mapes 
dice  poco,  ma  quel  poco  accenna  a  molto  più,  ch'ei  non  conobbe,  o  non 
curò  ripetere.  Bensì  è  da  notare  tra  i  due  racconti  una  curiosa  contraddi- 
zione. In  entrambi  figura  un  re,  che  è  causa  indiretta  della  morte  dell'uoma 
portentoso;  ma  nell'uno  questi  muore  perchè  tolto  fuor  dell'acqua;  nell'altro, 
perchè  costretto  ad  andare  sino  al  fondo  di  essa.  La  coppa  d'oro  o  d'argento 
è  estranea  ad  entrambi,  ma  non  assolutamente  esclusa  dal  silenzio  di  Gervasio. 
Dai  due  racconti  si  può  rilevare  che  la  leggenda  era  già  copiosa  di  ramifi- 
cazioni e  di  fronde,  e  che  più  di  una  versione  ne  correva  tra  il  popolo. 


(1)  Be  Nttgis  curialium,  dist.  IV,  e.  13,  De  Nicolao  Pipe  homine  aequoreo,  ed.  di  T.  Wright, 
Londra,  1850.  Liebrecht,  Zur  Tolkskunde,  Heilbronn,  1879,  pp.  49-50. 

(2)  Ap.  Leibnitz,  Scriptores  rerum  brunsvicensium  ,  t.  I,  p.  921.  Liebrecht,  Des  Gervasius 
von  Tilbury  Olia  imperiaìia,  Hannover,  1856,  pp.  11-12. 


RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA  267 

E  probabilmente  ad  una  versione  diversa  dalle  due  riferite  dal  Mapes  e 
da  Gervasio  accenna  un  trovatore  provenzale,  che  in  una  delle  sue  canzoni» 
detto  come  non  sappia  togliersi  dal  suo  amore,  sebbene  sappia  di  dovervi 
trovare  la  morte,  si  paragona  al  nostro  Nicola,  dicendo: 

Tais  estand  cnm  Nichola  de  Bar 

Qne  Ai  Tisqaes  Ione  temps  savis  hom  fora, 

Qn'estet  grana  temps  mest  los  peissos  en  mar 

E  sabia  que  i  morrìa  qnalqn'ora, 

E  ges  pertant  no  volo  venir  en  say, 

E  si  0  fetz,  tost  tornet  morir  lay, 

En  la  gran  mar  don  pueys  non  poc  issir, 

Enans  i  pres  la  mort  senes  mentir  (1). 

La  leggenda  è  dunque  certamente  anteriore  a  Federico  II,  ma  si  viene 
spostando,  e  legando  successivamente  al  nome  di  vari  principi,  caso  certo 
non  nuovo  nella  storia  delle  leggende.  Il  Mapes  la  lega  a  uno  dei  due  Gu- 
glielmi (1154-1166,  1166-1189)  (2);  Gervasio  a  Ruggero,  primo  conte  di  Sicilia, 
poi  re  di  Sicilia  e  di  Puglia  (1101-1154):  altri  poi  la  legheranno  ad  alcuno 
degli  Aragonesi.  Non  mi  pare  improbabile  che  al  nome  di  Federico  II  la 
leggenda  sia  stata  legata,  con  le  intenzioni  ostili  che  si  vedono  nel  racconto 
di  Fra  Salimbene,  da  avversari  suoi,  che  potrebbero  essere  quei  minoriti 
medesimi  che  il  frate  cronista  ricorda.  S'intende  poi  come,  tal  legame  con- 
tratto, la  leggenda  non  potesse,  stante  la  celebrità  di  Federico  II,  cosi  facil- 
mente prosciogliersene;  ond'è  che  i  più  degli  scrittori  che  la  riferiscono  in 
seguito,  la  lasciano  a  quel  nome  legata.  Tra  i  molti  merita  uno  speciale 
ricordo  Fazio  degli  liberti,  il  quale  vi  accenna  nel  Bittamondo  a  questo  modo  : 

Quel  eh'  io  dico  or  nota  e  non  sii  soro  : 

Per  dar  esempio  a  molte  lingue  adre, 

Che  dan  crude  bestemmie  ai  figli  loro, 
Nicola  bestemiato  dalla  madre, 

Ch'  ei  non  potesse  mai  del  mare  uscire, 

Convenne  abbandonar  parenti  e  padre. 
E  poi  volendo  al  precetto  ubbidire 

Di  Federico,  nel  profondo  mare 

Sènza  tornar  mai  su  si  mise  a  gire  (3). 


(1)  Facbibl  ,  Histoirc  de  ìa  poesie  provengale ,  t.  UI ,  p.  505  ;  Archiv  fùr  da*  Siudium  der 
neueren  Sprachen  und  Literaturen ,  t.  XXXIII ,  p.  466  ;  Qbioh  ,  Il  Patto  di  San  Patritio ,  in 
Propttgnatore,  voi.  Ili ,  P.  2a  ,  pp.  74-5.  Quella  canzone  nei  manoscritti  si  trova  attribuita  a 
Raimon  Jordan,  Perdigon,  Raimbant  de  Vaqueiras,  Gui  d'Uisel.  Da  questi  versi  il  Grìon,  secondo 
l'usanza  sua,  tolse  argomento  alle  più  arrischiate  congetturo.  Secondo  lui,  Nicola  potrebbe  easer» 
tutt'  uno  con  San  Nicolò  di  Bari  ,  protettor  dei  marinai  ,  e  potrebbe  esser  perito  in  qualche  le- 
mota  spedizione  nell'Oceano.  Può  darsi  che  Nicola  fosse  propriamente  di  Bari  :  a  ciò  non  contrad- 
dice Gervasio  facendolo  pugliese.  Fra  Salimbene  e  Francesco  Pipino  Io  vogliono  siciliano  ;  altri , 
più  tardi,  lo  fecero  napoletano. 

(2)  n  Wright  crede  sia  Guglielmo  II;  ma  non  si  può  provare. 

(3)  L.  II,  e.  27.  Nel  suo  inedito  commento  al  Ditìamondo,  Guglielmo  Capello  ripete  ìb  sostuua 
il  riicconto  di  Francesco  Pipino,  ma  con  particolarità  che  lascian  credere  avere  egli  attinto,  piot- 


268  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

Notisi  che  della  maledizione  materna  qui  ricordata,  e  di  cui  danno  parti- 
colareggiato ragguaglio  Fra  Salimbene  e  Francesco  Pipino,  non  è  indizio  nei 
racconti  del  Mapes  e  di  Gervasio  e  nell'accenno  del  poeta  provenzale.  Ciò 
dà  buono  argomento  a  credere,  che  essa  non  entrasse  nella  leggenda  se  non 
più  tardi;  entratavi  poi,  dovette  conferire  assai  efficacemente  alla  diffusione 
della  leggenda  medesima.  Notevole,  a  tale  riguardo,  è  il  cenno  con  cui 
Francesco  Pipino  chiude  la  sua  narrazione;  ma  temo  che  s'inganni  il  sig.  G. 
quando  da  essa  trae  argomento  a  sospettare  non  so  quali  trasformazioni 
della  leggenda  nella  bocca  del  volgo  (p.  9).  Le  madri  dovevano  ricordare  ai 
loro  figliuoli  il  nome  di  Nicola  Pesce,  non  come  quello  di  una  Mormo,  o  di 
un  Orco,  non  come  uno  spauracchio  propriamente,  secondo  immagina  il 
sig.  C,  ma  piuttosto  come  un  esempio  memorabile  delle  triste  conseguenze 
a  cui  conduce  la  disobbedienza. 

Il  sig.  G.  confessa  di  non  aver  trovato,  dopo  quelle  due  che  reca  in  prin- 
cipio, altre  notizie  della  leggenda  sino  al  Cinquecento  ;  poi  cita  un  passo  della 
Siracusa  pescatoria  di  Paolo  Regio,  stampata  in  Napoli  nel  1568,  ricorda 
una  Relazione  in  ispagnuolo,  stampata  in  Barcellona  nel  1608,  e  che  egli 
non  potè  vedere;  riferisce  il  racconto  inserito  dal  famoso  gesuita  padre  Kircher 
nel  suo  Mundus  suhterraneiis ,  e  basta.  Ma  c'è  ben  altro,  e  il  sig.  G.  era 
almeno  in  obbligo  di  non  ignorare  ciò  che  di  Nicola  Pesce  dicono  alcuni 
autori  napoletani.  Ecco  qui  una  indicazione  sommaria  di  autori  e  di  libri 
che  ne  parlano:  Riccobaldo  da  Ferrara,  Compilatio  chronologica;  Giovanni 
Gobio  o  Juniore,  Scala  coeli;  Chronica  ahreviata  de  factis  civitatis  Parmae; 
Raffaello  Volaterrano,  Commentarti  urbani;  Gioviano  Pontano,  De  imm,a- 
nitate  e  carme  latino  Be  Cola  Pisce;  Alexander  ab  Alexandre,  Geniales 
dies;  Tommaso  Fazello,  De  rebus  siculis;  Giulio  Gesare  Scaligero,  Exer- 
citationes;  Pietro  Mexia,  Sylva  de  varia  leccion  (1);  Gasparo  Bugati,  Historia 
universale;  Simone  Majolo,  Bies  caniculares;  Tommaso  Porcacchi,  Le  isole 
più  famose  del  mondo;  Giovanni  Pretorio,  Anthropodemus  plutonicus; 
Happel,  Relationes  curiosae;  Benito  Geronimo  Feyjoo,  Theatro  universal. 
E  altri  molti  ce  ne  sono;  ma  già  in  questi  si  può  vedere  come  la  leggenda 
si  andasse  variando  via  via,  sin  oltre  il  mezzo  del  secolo  scorso.  Nel  poemetto 
del  Pontano  fa  irruzione  tutta  la  mitologia  (2). 

E  ora  che  cosa  pensare  della  leggenda  in  sé  stessa?  Ha  essa,  o  meno,  una 
origine  storica?  Non  è  punto  improbabile  che  l'abbia.  Notisi  che  l'appellativo 
di  Pesce  non  vien  fuori  se  non  più  tardi;  Gualtiero  Mapes  parla  di  un 
Nicola  Pipe  (Pipi  =  Pepe?)  e  Gervasio  di  Tilbury  di  un  Nicola  Papa,  e  non 
mi  par  buona  congettura  il  pensare  che  quel  Pepe  o  quel  Papa  sia  altera- 


tosto  che  dal  cronista  bolognese ,  da  un'  altra  fonte  ,  a  cui  anche  questi  per  avventura  farebbe 
capo.  In  luogo  di  una  o  di  due,  il  Capello  fa  scendere  tre  volte  nel  mare  Nicola,  che  dice  nativo 
di  Pozzuoli. 

(1)  Libro  divulgatissimo  e  nel  Cinquecento  tradotto  anche  in  italiano. 

(2j  Vedi  per  altre  notizie  un  articolo  inserito  nella  Augsburger  aUgemeine  Zeitung  [Beilagé) , 
anno  1881,  ni  306,  307,  e  H.  Ullkich,  Beitràge  tur  Geschichte  der  Tauchersage,  Progr.,  Dresda, 
1884.  Avvertasi  di  non  confondere  con  la  nostra  leggenda  un»  stori»  popolare  francese  du  plon- 
geur,  intorno  cui  vedi  un  articolo  nella  Mélusine,  II,  5. 


RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA  269 

zione  di  Pesco,' giacché,  di  regola,  i  nomi  non  si  alterano  in  guisa  che  ad 
una  forma  più  familiare  (e  per  giunta,  qui,  troppo  ben  ricordata  dai  fatti 
che  si  narravano),  se  ne  sostituisca  un'altra  che  è  meno.  Perciò  Pepe  o 
Papa  potrebbe  essere  benissimo  un  vero  e  proprio  cognome,  e  la  leggenda 
avrebbe  potuto  formarsi  a  questo  modo.  Nel  duodecimo  secolo  ci  sarebbe 
stato  in  Puglia,  o  in  Sicilia,  un  notatore  non  meno  valente  che  ardito,  per 
nome  Nicola  Pepe  o  Papa.  Di  costui  si  cominciarono  a  raccontar  cose  mi- 
rabili, poi,  con  porlo  in  relazione  sempre  più  stretta  e  continua  col  mare, 
teatro  delle  sue  imprese,  con  attribuire  al  suo  corpo  qualità  richieste  appunto 
da  un  siffatto  commercio,  si  cominciò  a  confondere  l'uomo  col  mostro,  l'uomo 
terrestre  con  quell'uomo  marino,  di  cui  sotto  vari  nomi  si  trova  fatto  ricordo 
in  certi  trattati  del  medio  evo,  e  del  pieno  Rinascimento.  Odasi  come  descrive 
una  delle  varietà  dell'uomo  marino,  il  così  detto  monaco,  Gotofredo  da 
Viterbo  nel  Pantheon  (1),  parlando  del  mare: 

Piscis  ibi  monachas,  sen  forma  monastica  crescit  : 

Fertquo  cucnllatnm  per  maris  alta  capat. 
Calceus  est  illi  confonnis  et  ampia  cncnlla, 
Tarn  bene  dìsposìta,  qna  non  foret  aptior  olla; 

Et  qaasi  vox  bominis  garrnla  lingua  satis. 
Frons,  manna,  et  vultus,  bominnm  moderamine  fultos 
Dam  facit  insnltus,  reboatque  movetene  tumnltas, 

Mergere  navicnlas  saepios  arte  parat. 

Salvo  la  ostilità  delle  intenzioni,  ciò  ricorda  quanto  la  leggenda  narra 
delle  apparizioni  di  Nicola  ai  naviganti.  Gotofredo  parla  di  una  voce  simile 
a  quella  dell'uomo;  nxa  il  mostro  poteva  giungere  ad  appropriarsi  lo  stesso 
umano  linguaggio.  Ludovico  Vives  parla  di  un  uomo  marino  catturato  in 
Olanda,  il  quale  cominciò  a  parlare  dopo  due  anni  di  cattività  (2).  Del  resto 
il  Mapes  chiama  appunto  Nicola  hominem  aequoreum ,  e  dice  che  poteva 
vivere  lunghissimo  tempo  senza  respirare,  e  anzi  che  non  poteva  vivere  fuori 
dell'acqua.  Il  Pontano  poi  dice  Nicola  fatto  simile  a  un  mostro  del  mare,  li- 
vido, squammoso,  orrido,  e  nell'opuscolo  spagnuolo  citato  dal  sig.  C,  e  più 
sopra  ricordato,  la  fusione  dell'uomo  col  mostro  è  interamente  compiuta, 
giacché  di  Nicola  Pesce  si  dice  che  es  medio  hombre  y  medio  pescado.  Può 
darsi  inoltre  che  nella  leggenda  di  Nicola  abbiano  in  qualche  modo  influito 
lontane  ricordanze  dei  miti  di  Nereo  e  dei  Tritoni,  non  in  tutto  spente  forse 
allora  sulle  coste  dell'Italia  meridionale;  ma  intorno  a  ciò  nulla  si  può  dir 
di  preciso  :  bensì  parrai  da  dover  notare  che  quella  leggenda  ha  riscontri  in 
altre  leggende  affini  di  notatori  celebri,  per  esempio  in  quella  del  danese 
Niclas,  di  cui  narra  il  Pontano  che  passava  la  più  parte  del  suo  tempo  nel 
mare. 

A.  Graf. 


(1)  P.  1»,  ap.  Stedvio,  Scriptores,  t.  II,  P.  I,  p.  29. 

(2)  De  veritate  fidei  christianae,  1.  II. 


270  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

VITTORIO  GIAN.  —  Un  decennio  della  vita  di  M.  Pietro  Bembo 
{1523-lo31).   —   Appunti  biografici   e   Saggio  di  sludì  sul 
Bembo ,   con   Appendice   di   documenti  inediti.   —   Torino , 
E.  Loescher,  1885  (8»,  pp.  xvi-240). 

«  I  venti  anni  che  corsero  dal  1519  al  1539,  dal  momento  in  cui  il  Bembo 
«  abbandonava  la  corte  romana  come  prelato  a  quello  in  cui  vi  tornava  come 
«  cardinale,  sono  i  più  belli  della  sua  vita,  sono  quelli  in  cui  sta  più  ad 
«  agio  la  sua  natura  di  letterato  e  di  uomo.  Ammirato  e  riguardato  da  tutti 
«  come  maestro:  tutto  intento  ai  suoi  studi  di  poesia,  di  lingua,  di  numis- 
«  matica,  di  storia  e  perfin  di  botanica;  consultato  dalla  Signoria  veneziana 
«  sui  miglioramenti  da  introdurre  nell'Università  padovana  :  egli  se  la  viveva 
«  circondato  da  una  schiera  d'amici  e  di  corteggiatori,  che  gli  faceano  cre- 
«  dere  trasferito  al  suo  Nonianum  (Villa  Bozza,  presso  S.  Maria  di  Non)  il 
«  centro  degli  studi  umani  d'Italia.  Questa  era  l'opinione  de'  ben  pensanti. 
«  Che  se  qualche  temerario,  quale  il  Broccardo,  si  permetteva  di  dubitare 
«  che  i  sonetti  del  Bembo  fossero  degni  del  Petrarca,  o  in  altro  modo  qua- 
«  lunque  offendesse  l'idolo  comune,  erano  anche  pronti  i  più  battaglieri  fra 
«  gli  amici  di  lui,  a  schiacciarlo  sotto  i  vituperi.  Pietro  Aretino  si  vantava, 
«  infatti,  d'aver  fatto  morire  di  vergogna  il  Broccardo. 

«  Ma  la  vanità  soddisfatta  e  la  tranquilla  agiatezza  della  vita  dedita  agli 
«  studi  prediletti,  non  erano  il  solo  argomento  della  sua  felicità.  Affetti  più 
«  intimi  e  più  sacri,  quelli  di  padre  e  di  quasi  marito,  gli  rivelarono  nuove 
«  fonti  di  godimento,  anche  nei  modesti  e  talvolta  angusti  recessi  della 
«  propria  casa  ». 

È  un  decennio  di  questo  periodo,  così  tratteggiato  maestrevolmente  dal 
Ganello  (1),  che  il  Gian  ha  preso  ad  illustrare:  presentando  il  suo  libro  come 
«  un  primo  contributo  modesto  »  al  minuto  e  diligente  lavoro  di  prepai'azione, 
che  rimane  ancora  in  gran  parte  a  fare  per  una  monografia  completa  sul 
Bembo.  La  scelta  per  uno  studio  parziale  non  poteva  esser  migliore  :  né  l'oc- 
casione più  adatta  a  discorrere  l'operosità  letteraria  del  B.,  e  fissare  i  tratti 
più  marcati  del  suo  carattere.  Per  la  modestia  del  titolo,  e  per  le  ripetute 
dichiarazioni  dell'A.  che  non  ha  inteso  «  di  fare  un  libro  nel  vero  senso 
«  della  parola,  e  molto  meno  un  libro  foss'anche  in  piccola  parte  definitivo  », 
sarebbe  ingiusto  muovergli  addebito  di  quanto  v'ha  nel  suo  saggio  di  fram- 
mentario e  manchevole;  né  parimenti  è,  crediamo,  da  insistere  su'  difetti 
inseparabili  da  ogni  pubblicazione  giovanile,  e  che  l'A.  per  primo  arguta- 
mente confessa,  poiché  da  questo  importante  contributo  si  può  già  avere 
affidante  promessa  di  lavori  più  equilibrati  ed  organici ,  in  cui  la  disposi- 
zione de'  materiali  abbia  più  lucidità ,  più   rilievo ,   sia  men  faticosa  e  più 


(1)  Storta  della  leti.  it.  nel  sec.  X71,  Milano,  VaUardi,  1880,  p.  74. 


RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA  271 

agile  e  sobria  la  trattaziono.  Per  ora  piace  constatare  le  felici  attitudini  del- 
l'A.  alla  ricerca;  l'ardore,  l'entusiasmo  anzi  che  egli  vi  porta;  la  larga  co- 
noscenza della  letteratura  dell'argomento;  l'esattezza  e  l'acume  critico  non 
comuni.  E  i  risultati  che  espone,  i  nuovi  documenti  che  produce,  sono,  come 
vedremo,  del  maggior  interesse. 

Nel  lasciare  la  corte  dì  Leone  X,  prevenendo  di  poco  la  morte  del  Papa, 
il  Bembo  era  stanco  e  disilluso  :  alle  speranze  ambiziose,  che  gli  avevan  fatto 
concepire  i  favori  di  Giovanni  de'  Medici  appena  salito  al  Pontificato,  l'av- 
venire non  aveva  risposto:  sulla  via  di  quella  rapida  fortuna,  che  aveva  va- 
gheggiato sicura,  s'era  troppo  presto  fermato,  quasi  a'  primi  passi.  La  dignità 
cardinalizia,  a  cui  il  B.  maggiormente  mirava,  gli  era  per  allora  mancata; 
e  i  lauti  benefici  ottenuti  da  Leone  X,  da'  quali  doveva  ripetere  più  tardi  il 
suo  tranquillo  soggiorno  di  Padova,  in  una  posizione  indipendente  ed  agiata, 
gli  parevano,  nel  cruccio  dell'ambizione  fallita,  scarso  compenso  al  sacrificio 
fatto  della  sua  libertà  per  tanti  anni ,  all'  interruzione  forzata  degli  studi. 
La  morte  del  padre,  avvenuta  nel  1519,  aveva  inoltre  imposto  al  B.  nuove 
cure,  nuovi  doveri:  ed  egli  che  apparentemente  aveva  chiesto  al  Papa  tem- 
poranea licenza,  per  provvedere  alla  scossa  salute  e  agli  interessi  familiari 
intricati,  lasciò  dunque  Roma  nel  1521  con  l'animo  di  non  più  tornarvi,  salu- 
tando finalmente  con  gioia  la  propria  liberazione.  Padova  gli  si  ofiriva  come 
«  città  di  temperatissimo  aere,  in  sé  molto  bella,  e  sopratutto  comoda  e  ri- 

«  posata,  ed  attissima  agli  ozi  delle  lettere,  quanto  altra giammai,   anzi 

«  pur  molto  più  »;  e  là,  nella  sua  ridente  villetta,  il  B.  decise  di  stabilirsi 
per  sempre.  Senza  contare  qualche  rara  gita  a  Venezia,  infatti,  in  questi 
dieci  anni  illustrati  dal  Gian,  il  B.  si  mosse  sole  due  volte  dal  suo  ritiro: 
nel  1524  per  recarsi  ad  ossequiare  il  nuovo  Pontefice  di  casa  Medici,  sostando 
brevemente  a  Bologna,  dove  l'avevano  attratto  la  piacevole  compagnia  del- 
l'amico Molza  (1),  e  le  grazie  gentili  di  Gamilla  Gonzaga;  nel  1529  per  ti"o- 
varsi  ancora  a  Bologna,  fra  la  società  fiorita  e  brillante  che  vi  aveva  richia- 
mato il  convegno  del  Papa  con  l'Imperatore. 

Alle  vicende  politiche  non  concedeva  ormai  più  che  uno  sguardo  distratto  : 
felice  di  esser  fuori  da  ogni  molestia  di  pubblici  affari,  nel  fecondo  e  geniale 
raccoglimento  della  vita  privata.  Aveva  con  sé  la  Morosina,  la  bella  giovi- 
netta conosciuta  a  Roma,  che  di  questi  anni  (1523-25-28)  lo  fece  padre  di 
Lucilio,  Torquato,  Elena  (2):  aveva  quel  Cola  Bruno,  amico  prezioso  che  riu- 
niva le  qualità  di  amministratore  accorto  e  provato  e  di  arguto  censore  let- 


(1)  L'À.  lascia  indeciso  (p.  26)  so  il  Bembo  rivedesse  il  Molza  a  Bologna  od  a  Roma:  ma  l'in- 
contro arrenne  certo  a  Bologna,  perchè  il  Molza  non  ne  parti  che  nel  marzo  del  1525.  Ercole 
Gonzaga  lo  presentava  a  sua  madre  Isabella  d'  Este  ,  che  era  allora  in  Roma,  con  qoesta  lettera 
(Bologna,  13  marzo  1525):  «  Il  Molza  virtuosissimo  giovane  viene  a  Roma,  e  ben  ch'io  so  che 
«  senza  raccomandatione  la  vede  molto  voluntieri  li  homini  dotti,  pur  non  dubito  punto  che  per 
«  mio  rispetto  la  non  li  faci  anchor  maggiore  ciera,  s)  per  esser  lui  meritevole,  sì  per  amor  mio. 
«  Lo  raccomando  adunque  a  V.  Exc.  non  in  altro  se  non  in  vederlo  voluntieri ,  scriverla  anchor 
<  più  circa  ciò  se  io  non  sapesse  che  lai  per  so  stesso  sforxerk  lei  e  tntti  li  soi  a  farli  carezze  » 
(Ardi.  Gonzaga). 

(2)  Sulla  quale  vedi  Nebi,  Passatempi  letterari,  Genova,  1882,  pp,  33  agg.:  e  tra*  docniaenti 
del  Saggio  le  tre  lettere  del  B.  dirette  a  lei  (XXIX,  XXX,  XXXI). 


272  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

terario  (1).  S'era  così  formato  un  piccolo  mondo  di  affetti,  che  il  Gian  descrive 
accuratamente,  mostrando  quanto  il  B.  fosse  sollecito  pe'  suoi  nepoti,  e  po- 
nendo bene  in  luce  le  sue  relazioni  con  la  Morosina.  La  figura  di  lei  rimane 
sempre  in  una  penombra  discreta,  ma  è  evidente  la  trasformazione  che  si 
venne  operando  di  questi  anni  nella  vita  intima  del  Bembo,  per  cui  l'amante 
di  Roma  s'elevò  a  fedele  e  rispettata  compagna,  malgrado  l'equivoco  d'una 
irregolare  unione.  Vi  eran  tutti  gli  elementi  necessari'  a  costituire  la  famiglia  ; 
non  mancava  che  la  sanzione  del  rito,  per  cause  tanto  facili  a  intendere 
quanto  ardue  a  rimuovere,  e  il  Bembo  dovè  farne  a  meno,  senza  che  ciò  ral- 
lentasse in  lui  i  legami  dell'affetto  e  del  dovere,  né  la  morale  contemporanea 
vi  trovasse  nulla  a  ridire. 

Su  questa  vita  serena,  solo  talvolta  turbata  da  momentanei  imbareizzi  eco- 
nomici, getta  un'ombra  sinistra  il  tentato  avvelenamento  a  cui  il  Bembo 
scampò  per  sua  somma  ventura  nel  1530;  e  questo  fatto,  rimasto  ignoto  o 
mal  noto  a'  precedenti  biografi ,  è  pienamente  chiarito  dal  Gian.  Lo  scel- 
lerato attentato  fu  commesso  da  un  nipote  del  B.,  Garlo,  bastardo  di  suo 
fratello  Bartolomeo:  giovane  scapestrato,  che  rispondeva  con  sì  mostruosa 
ingratitudine  alle  cure  affettuose  dello  zio.  Fu  ordinata  subito  dal  Senato  la 
più  attiva  inquisizione  sul  fatto  (doc.  XXXIX):  e  poiché  Garlo  era  scappato 
a  Roma,  il  B.  indignato  dal  suo  cinico  contegno,  si  fece  a  chiedere  un  breve 
papale,  che  autorizzasse  a  procedere  contro  di  lui.  L'animo  buono  del  B.  non 
resse  però  a  lungo  ne'propositi  di  giusto  castigo  contro  il  malvagio  :  e  sembra 
che  tutto  fosse  sopito,  né  il  procedimento  avesse  più  corso.  Il  Bembo,  pro- 
fondamente commosso  da  quell'  avvenimento ,  riprese  bentosto  la  sua  tran- 
quillità e  le  sue  occupazioni:  e  il  1530  segna  una  data  memorabile  per  la 
bibliografia  delle  sue  opere,  che  vennero  allora  raccolte  in  tre  volumi,  pe'  tipi 
de'  fratelli  da  Sabbio  (pp.  157  e  sgg.). 

Alla  sua  attività  letteraria  è  dedicata  la  parte  principale  del  Saggio;  e 
l'A.,  dopo  aver  toccato  delle  abitudini  non  mai  interrotte  dal  Bembo  di 
compor  versi,  squisitamente  elaborati  e  fin  tormentati  nella  forma  (2);  dopo 


(1)  Prova  eloquente  del  grande  affetto  e  della  piena  fiducia  che  il  Bembo  aveva  per  Cola,  si  ha 
dal  suo  testamento  del  1535 ,  che  TA.  ha  per  la  prima  volta  pubblicato  (doc.  VI)  insieme  alle 
variazioni  del  secondo  testamento  del  1544  (doc.  VII). 

(2)  L'A.,  parlando  delle  prime  stampe  di  rime  del  B.,  dice  d'aver  invano  ricercato  quel  Fioretto  di 
cose  nuove  nobilissime  ecc.,  ed.  dal  Zoppino  nel  1508,  citato  dal  MazzucheUi  nella  bibliografia  del  B. 
Ne  abbiamo  visto  un  esemplare  nella  Bibl.  Angelica  di  Roma  (ER.  3.  17),  e  se  la  nostra  annota- 
zione è  esatta,  nulla  conterrebbe  del  B.  —  Il  Gian  rileva  poi  un  fatto  finora  presso  che  inavver- 
tito, che  cioè  dopo  la  morte  del  B.  si  tentò  più  volte  di  far  mettere  all'indice  le  sue  rime  (p.  46). 
Il  fatto  è  tanto  più  strano  perchè  in  data  3  dicembre  1547  era  stato  concesso  da  Paolo  III  un 
amplissimo  privilegio  al  Gualteruzzi  per  la  stampa  di  tutte  le  opere  del  B.  Di  questo  breve  a 
stampa,  di  cui  troviamo  una  copia  nell'Arch.  Gonzaga,  ecco  le  prime  linee:  «  Cum  sicut  dilectus 
«  filius  Carolus  Gualterutius  fiinensis  nobis  nuper  exponi  fecit,  ipse  diversa  opera  latina  et  graeca 
«  ac  etiam  materno  sermone  scripta  per  bo:  me:  Petrum  Card.  Bembnm  composita,  sicut  ab  eodem 
«  Cardinale  in  ejus  ultima  voluntate  eidem  Carolo  demandatum  fuit,  ad  publicam  literatorum  ho- 
«  minum  commoditatem  imprimi  facere  intendat ,  nos  eiusdem  Caroli  precibus  super  hoc  humi- 
«  liter  porrectis  inclinati ,  ob  memoriam  etiam  ipsins  Petri  Cardinalis  doctissimi  et  eruditissimi 
«  viri,  omnibus  et  singulis  Librorum  impressoribus  et  Bibliopolis inhibemus  ecc.  ». 


RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA  273 

aver  accennato  al  carme  latino,  Benacus.,  uscito  del  1524,  e  dedicato  al  Giberti, 
prima  che  si  guastassero  per  la  badia  di  Rosaccio  (1);  ptissa  alla  pubblica- 
zione delle  Prose  della  volpar  lingua,  avvenuta  nel  1525.  L'anno  innanzi 
ne  aveva  presentato,  in  omaggio  a  Clemente  VII,  un  esemplare  manoscritto; 
e  per  la  stampa  il  B.  aveva  ottenuto  dalla  Signoria  di  Venezia  un  privilegio 
(doc.  XV),  che  non  impedì  punto  uscisse  di  li  a  poco,  con  suo  molto  sdegno, 
una  sfacciata  contraffazione  (doc.  XVI,  XVII).  È  noto  che  per  le  Prose,  Pel- 
legrino Morato,  il  padre  della  celebre  Olimpia,  sorse  ad  accusare  il  Bembo 
di  plagio  a  danno  del  Fortunio;  e  il  Bembo  irritato  protestò  con  una  lettera 
a  B.  Tasso,  in  cui  s'offriva  a  mostrare  un  libretto  d'annotazioni,  dove  da 
tempo  —  prima  che  il  Fortunio  «  sapesse  ben  parlare ,  non  che  male  scri- 
<  vere»  —  aveva  in  embrione  gettato  le  idee  fondamentali  dell'opera.  Il 
Gian  avvalora  quest'affermazione,  seguendo  passo  passo  la  composizione  delle 
Prose;  sin  da  quando  cioè,  ne  balenava  al  Bembo,  nel  1500,  tra  il  fervore 
d'una  passione  amorosa,  il  primo  concetto,  che  poi  riprese  e  maturò  nel  non 
breve  soggiorno  di  Urbino.  Un'importante  lettera  al  Ramusio  (doc.  XIII),  ci 
mostra  che  già  nel  1512,  il  Bembo  aveva  composto  il  primo  libro  del  suo 
Dialogo  volgare,  come  allora  intendeva  intitolare  le  Prose.  Era  perciò  na- 
turale che  si  risentisse  vivamente  dell'accusa  del  Morato  :  e  questi  ebbe  cer- 
tamente a  ricredersi,  poiché  come  notò  il  Bonnet  (2)  —  e  il  Gian  ha  ommesso 
di  ricordare  —  pochi  anni  dappoi  il  Bembo  rendeva  grazie  al  Morato  di  al- 
cuni versi  «  pieni  di  spirito  non  meno  che  eleganti  »  (3),  composti  in  sua 
lode.  —  Men  chiara  riesce  la  cagione  de' disgusti,  che,  pure  per  le  Prose, 
il  B.  ebbe  con  Vincenzo  Calmela.  Deve  credersi  col  Seghezzi  che  costui 
avesse  rubato  al  Bembo  «  le  abbozzature  delle  Prose  »?  Lo  si  può  supporre 
dalle  cautele  che  il  B.  raccomandava  a'  suoi  amici,  nel  comunicar  loro  i 
primi  libri  dell'opera,  perchè  nulla  trapelasse  delle  idee  che  vi  eran  svolte  : 
dicendo  che  in  ogni  luogo  non  mancavano  Galmeti  (p.  51).  Ma  intorno  a 
questo  particolare  mancano  gli  elementi  necessari  per  un  sicuro  giudizio  ;  e 
cosi  pure  non  possiamo  stabilire  se  il  B.  abbia  o  no  esposto  esattamente,  nel 
primo  libro  delle  Prose,  le  opinioni  che  combatte  del  Galmeta,  circa  l'origine 
e  il  carattere  della  lingua  cortigiana  (4).  Il  Castelvetro  accusò  addirittura 
il  B.  d'averle  svisate  in  malafede;  ma  la  sua  animosità  personale  insistente 
scema  valore  all'accusa.  Il  libro  del  Galmeta  sulla  volgar  poesia  non  fu  mai 


(1)  Interessanti  sono  le  lettere  del  B.  (doc.  XIX,  XX,  XXI)  pnbblicate  dal  Gian  so  questa  con- 
troversia. La  condotta  del  Oiberti  non  fa  in  qneiroccasione  molto  corretta,  e  il  6.  ne  lo  redargn) 
con  insolita  asprezza ,  dolente  di  vedersi  sfuggire  ana  buona  prebenda  e  peggio  anche  di  esser 
burlato  dal  Datario.  Si  direbbe  che  l'Aretino ,  il  quale  tra  l'altre  accuse  atroci  contro  il  Oiberti 
gli  lanciava  pur  quella  d'  una  avidità  insaziabile  nel  beccarsi  benefizi ,  non  avesse  in  ciò  tutti  i 
torti.  (Cod.  Marc,  It.  ci.  X.  n.  XL:  P.  Aretino  a  Gian  Matthto  mulo  vescovo  di  Verona  tnd*- 
gnamente).  Nondimeno,  il  Bembo  e  il  Oiberti ,  qnalch' anno  dopo,  si  rappattumarono:  ed  eniio 
Teramente  degni  di  amarsi  e  stimarsi  a  vicenda. 

(2)  Yila  di  Olimpia  Morato  (trad.  it.  di  Massimo  Fabi),  Milano ,  1854,  p.  3). 

(3)  Peregrini  Morati  carmina  quaedam  latina  (Venezia,  153S);  Bbioi,  Spisi.  famU.,  lib.  TI, 
p.  654  (giugno,  1534). 

(4)  Filippo  Oriolo  da  Bassano,  in  un  poema  sconosciuto,  Il  Momti  Pamato  —  contenuto  in  un 
OiomaU  storico,  VI,  fase.  16-17.  18 


274  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

pubblicato,  e  già  a  tempo  del  Gastelvetro  e  del  Barbieri  (p.  53),  non  pare  ne 
rimanesse  più  che  un  semplice  riassunto.  Perdita  invero  non  molto  rincre- 
scevole,  per  chi  conoscendo  i  suoi  gonfissimi  versi,  e  avendo  avuto  occasione 
di  vedere  qualche  sua  lettera  spropositata  (1) ,  non  può  facilmente  immagi- 
nare nel  Galmeta  un  trattatista  autorevole  in  cosi  gravi  questioni. 

Sul  Bembo  neo-latinista  —  cioè  raccoglitore  e  studioso  di  codici  proven- 
zali, di  rime  e  prose  antiche  volgari  —  l'A.  dà  i  risultati  più  notevoli  degli 
studi  moderni:  e  al  suo  diligente  riassunto  crediamo  che  per  ora,  senza 
nuove  esplorazioni,  resti  ben  poco  da  aggiungere.  Il  Gian  ribatte  anzitutto 
l'insinuazione  del  Gastelvetro,  che  il  Bembo  si  desse  l'aria  di  conoscitore 
della  poesia  trovadorica,  senza  intendere  il  provenzale:  ma  rimane  indeciso 
circa  r  as.serzione  del  Gastelvetro,  che  tutti  i  libri  provenzali  del  B.  erano 
pervenuti  in  sua  mano.  Ora  il  Sandonnini  ha  dato  il  catalogo  (2),  sfuggito 
al  Gian,  de'  libri  del  Gastelvetro:  da  cui  risulta  che  in  tutto  e  per  tutto  pos- 
sedeva soltanto  «  una  vacchetta  di  versi  provenzali  in  membranis  »  —  un 
«  dizionario  spagnuolo  provenzale  a  penna  in  membranis  »  —  e  un  «  Seba- 
stiano Brand  (?)  poemi  provenzali  »;  e  tanta  povertà  di  libri  provenzali ,  in 
una  biblioteca  assai  ricca  per  un  privato,  induce  certamente  a  credere  che 
il  Gastelvetro  affermasse  il  falso  circa  il  passaggio  de'  codici  del  B.  in  sua 
proprietà.  Fatto  è  che  fra'  posseduti  dal  Bembo,  quello  esistente  alla  Nazionale 
di  Parigi  era  tale  che,  se  anche  il  B.  non  n'avesse  studiato  altri,  «egli 
«  avrebbe  già  potuto  dir  di  conoscere  una  parte  non  piccola  del  patrimonio 
«  poetico  dei  trovatori  »  (Saggio,  p.  77);  e  il  Gastelvetro,  che  pretendeva  d'a- 
vere tutti  i  libri  del  B.,  non  pare  possedesse  né  conoscesse  questo ,  né  che 
molto  di  più  avesse  del  proprio.  —  Le  sue  denigrazioni  astiose  non  possono  in 
nulla  detrarre,  che  il  Bembo  sia  stato  col  Golocci  de'  primi  e  più  benemeriti 
iniziatori  degli  studi  neo-latini.  Anche  il  Golocci,  oltreché  di  poesia  porto- 
ghese, s'occupò  di  poesia  provenzale:  e  l'A.,  a  conferma  d'una  notizia  del- 
l'Ubaldini,  produce  un  documento  mantovano  (XXIII),  che  prova  come  il 
letterato  jesino  avesse  da'  Gonzaga  un  codice  in  prestito.  Un  documento  an- 
teriore non  conosciuto  dal  Gian,  e  che  ci  pare  importante  pubblicare  (3),  ci 


cod.  del  Campori  —  da  cui  l' A.  ha  tratto  nna  interessante   rassegna   de'  poeti   più   famosi   del 
tempo  (doc.  XL  ed  ultimo)  riassume,  cosi,  in  due  versi  la  teoria  del  Calmela  circa  la  lingua  volgare: 

V'era  il  Calmela  cruccioso  in  vista, 
Ch'esser  dicea  la  volgare  poesia 
Nata  da  lingua  cortigiana  mista. 

(1)  Se  ne  ha  qualcuna  importante  storicamente  nell'Arch.  Gronzaga. 

(2)  T.  SAKDOimnii,  L.  Gastelvetro  e  la  stia  famifilin,  Bologna,  1882,  pp.  314  sgg. 

(8)  È  una  lettera  scritta  a  nome  del  march.  Federico  Gonzaga  all'  ambasciatore  mantovano 
a  Roma  {Reg.  Liti.  Reserv.,  lib.  36):  «  Havendo  noi  inteso  che  Mario  Equicola  già  nostro  se- 
«  cretario  altre  volte  prestò  al  M.co  m.  Jo.  Zorzo  Tressina  alcuni  libri  in  lingua  lemosìna 
«  eh'  erano  parte  della  nostra  libraria  et  parte  ni  erano  sta  donati  dal  p.to  Mario  scrivessimo 
«  questi  dì  passati  una  lettera  al  p.to  m.  Jo.  Zorzo  (cfr.  Giornale,  III,  102,  n.  8),  credendo 
«  che  fosse  a  Vicenza  o  a  Yenetia ,  pregandolo  che  ni  volesse  far  bavere  ditti  libri  ;  et  in 
«  sua  absentia  fu  aperta  la  ditta  lettera   per   suo  figliolo ,   havendogli   cosi  detto  il  correrò  da 


RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  275 

permette  di  stabilire  che  non  quel  solo  codice  provenzale,  ma  altri  parecchi 
dovè  il  Golocci  avere  da  Mantova;  e  precisamente  gli  stessi  già  dati  in  pre- 
stito al  Trissino.  E  qui  si  affaccia  una  congettura,  a  nostro  avviso,  assai 
plausibile:  il  Rembo  che  era  nello  migliori  relazioni  co'  Gonzaga,  e  amicis- 
simo dell'Equicola  —  tantoché  in  una  letterina  pubblicata  dal  Gian  (doc.  Ili) 
si  firma  Vantico  amico  e  fratello,  e  dall'Equicola  poi  veniva  a  titolo  d'onore 
ricordato  fra' più  celebrati  poeti  nel  Libro  di  Natura  d' Amore  (i)  —  il  Bembo, 
non  meno  appassionato  del  Golocci  e  del  Trissino  in  ricercar  libri,  non  do- 
vette procurarsi  anche  prima  di  loro  da  Mantova,  que'  codici  liberalmente 
concessi  a'  suoi  due  confratelli  ?  Hlgli  fu  a  Mantova  nel  1505  (2),  vi  tornò 
nel  1519  per  una  missione  affidatagli  da  Leone  X  (Saggio ,  p.  6  e  doc.  II), 
e  potè  di  persona  esaminare  il  valore  di  que'  codici  provenzali ,  di  cui  l'E- 
quicola  nella  Natura  d'Amore,  mostra  aver  fatto  profondo  studio,  per  modo 
che  tra'  provenzalisti  del  Ginquecento  a  lui  spetta  una  parte  cospicua ,  fi- 
nora poco  più  accennata  (3). 
Ma  naturalmente  più  che  alla  poesia  trovadorica,  le  indefesse  ricerche  del 


«  parte  nostra ,  et  per  il  medesimo  ni  fu  risposto  che  non  sapeva  dora  fossero  ,  che  sao  patre 
«  li  potria  forsi  bavere  a  Firenze  od  a  Roma  dorè  ha  li  altri  libri.  Hora  che  semo  arisati , 
«  il  p.to  m.  Jo.  Zorzo  esser  lì  in  Roma  ,  volerne  che  voi  gli  dimandati  da  parte  nostra  li  ditti 
«  libri  et  le  pregate  che  ne  li  roglìa  far  bavere  ,  et  harendoli  li  re  li  roglia  consignare  a  voi , 
*  che  ni  farii  piacere  grandissimo,  et  ogni  volta  che  li  bisognaranno  et  qaesti  libri  et  altre  com 
«  che  habbiamo  per  lui  li  potrà  bavere  a  sno  piacere,  perchè  siamo  per  fargli  piacer  sempre  per 
«  l'amore  che  gli  portamo  per  le  virtù  sue.  Et  havendoli  lì  semo  contenti  che  li  prestate  al 
«  S.r  Benedetto  Porto  per  compiacerne  m.  Angelo  CoUoccio  che  li  faceta  tratucrivere,  consignan- 
<  doli  ditti  libri  ad  uno  ad  nno,  cioò  quando  ve  ne  restituisca  uno  li  ne  dareti  un  altro  et  prò- 
«  cnrarete  di  ricuperarli  copiati  che  saranno...  Mantuae,  4  die.  1525  ».  —  Nella  lettera  pubblicata 
dal  Clan,  l'ambasciatore  mantovano  scrive  da  Roma  (4  loglio  1526) ,  che  si  rimandi  la  ricernta 
rilasciata  dal  Colocci  per  il  codice  «  che  se  li  imprestò  a  questi  di  >  ed  è  lecito  quindi  argùre 
che  ne'  mesi  corsi  dal  dicembre  1525  al  luglio  1526  il  Colocci  avesse  copiato  tutti  gli  altri  :  e 
questo,  tenuto  solo  per  pochi  giorni,  fosse  l'ultimo. 

(1)  Libro  di  natura  d'amore  di  Mario  Equicola  novamtnte  stampato  et  con  somma  diltgencia 
corretto  (Venezia,  Fratelli  da  Sabbio,  1526).  —  Dc^o  Dante ,  Cavalcanti ,  Boccaccio ,  Petrarca , 
Jean  de  Meung  ed  altri  illustri  poeti,  di  cui  riassume  il  concetto  d'amore,  l'Eqnicola  pone  il  s*to 
Bembo  e  giovane  di  interissimi  costumi,  iu  studio  di  lettere  clarissimo  »,  e  si  scaglia  contro  gli 
ignoranti  che  «  de  li  Asolani  non  potendo  le  rime  dannare  per  essere  laodatiasime ,  tepidamente 
«  ne  ragionano  ». 

(2)  Fu  allora  che  la  marchesa  Isabella  incaricò  il  Bembo  di  suggerire  a  Giambellino  il  soggetto 
d'un  quadro  che  &cesse  degnamente  riscontro  ad  opere  del  Mantegna  e  di  altri  maestri,  che  il  B. 
avea  visto  nello  studiolo  di  lei  (p.  107).  —  Il  Cian  pubblica  in  proposito  un'  altra  lettera  ddila 
Marchesa  al  B.  (doc.  XXVI),  in  cui  v'ha  qualche  liere  errore  di  trascrizione:  così  leggasi  $«niird 
^T'sentia,  e  lavoreri,  che  è  forma  dialettale,  in  luogo  dì  lavoriti. 

(3)  Snll'Equicola  ha  dato  poco  fa  alcune  notizie  il  sig.  Emilio  Facili  nella  Domenica  del  Fra- 
cassa (anno  II ,  no  31)  ripetendo  parecchi  errori  inveterati.  L'  Equicola  morì  nel  loglio  1525  e 
non  nel  1530  (cfr.  Rivista  st.  tnant.,  I,  12,  n.  3):  perciò  il  libretto  D.  Isabella*  Estensi»  Mem- 
tuae  Principis  Iter  in  Narbonenscm  GalUam  per  JKarium  Aequicolam  (s.  a.  n.  1.),  si  riferiaee  • 
un  viaggio  di  molto  precedente  a  quello  del  1532.  Yi  è  infatti  nominato  come  fiinciullo  Fededco 
Gonzaga  figlio  d'Isabella ,  nato  nel  1500.  —  Il  Faelli  dimentica  infine  l' illostrazioiM  &tta  4al- 
l'Equicola  dell'impresa  d'Isabella  Estense  nec  sp*  n*c  metM.  —  L'Eqnicola  fa  paieochio  tempo  la 
Francia  :  e  da  ciò  la  grande  conoscenza  che  potò  procararsi  delle  doe  letteratue,  e  Pacqaiito  di 
codici  provenzali  da  lui  poi  donati  al  Gonzaga. 


276  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

Bembo,  come  del  Colocci,  dovevano  volgersi  agli  antichi  monumenti  del 
nostro  volgare:  e  TA.  passa  in  rassegna  i  codici  ormai  famosi  che  il  B.  ha 
studiato  e  posseduto  (pp.  79  e  sgg.);  accenna  alla  stampa  del  Novellino,  a  cui 
tanto  contribuì,  esortando  il  Gualteruzzi  a  intraprenderla  (1);  e  si  ferma  di 
preferenza  sull'edizione  aldina  del  Petrarca,  procurata  dal  B.  nel  1501,  circa 
la  quale  l'A.  riprende  la  questione  dibattuta,  se  veramente  fosse  condotta 
sopra  un  autografo  del  Petrarca.  — ''Che  il  Bembo  possedesse  autografi  fram- 
mentari del  Canzoniere,  non  è  messo  in  dubbio  da  alcuno:  e  in  una  lettera, 
che  il  Gian  ricorda  altrove  men  a  proposito  (p.  137;,  il  B.  scriveva  d'aver 
riposti  in  una  elegante  borsa  donatagli  «  i  fogli  di  quelle  poche  rime  di 
«  mano  del  P.  »  che  aveva ,  aggiungendo  che  quella  «  tasca  »,  per  quanto 
«  bella  e  vaga  »,  non  avrebbe  potuto  esser  mai  <<  convenevole  a  bastanza  », 
per  il  prezioso  tesoro  che  conteneva.  Come  tutti  sanno  questi  pochi  fogli , 
passati  dal  B.  a  Fulvio  Orsini,  si  conservano  nella  Vaticana.  —  Ma  altro  è 
che  il  Bembo  per  l'edizione  aldina  avesse  potuto  realmente  disporre  dell'in- 
tero autografo  del  Canzoniere;  e  l'esplicita  affermazione  di  Aldo  a  tale  ri- 
guardo ha  trovato  anche  oggi,  come  allora,  molti  increduli.  Ora  il  Gian  reca 
suir  edizione  aldina  un'  importante  testimonianza ,  tratta  da  una  lettera  di 
Lorenzo  da  Pavia  ad  Isabella  d'Este  :  lettera  pubblicata  già  dal  Baschet  (2), 
ma  sfuggita  al  Garducci  e  al  Borgognoni.  Lorenzo  da  Pavia,  uno  de'  più 
«  eccellenti  et  ingegnosi  maestri  »  (3)  nel  fabbricai-  strumenti  musicali,  era 
un  intelligente  ed  attivissimo  corrispondente  artistico  della  Marchesa  di  Man- 
tova: e,  mentre  Aldo  stava  preparando  la  stampa  del  Petrarca,  Lorenzo  ne 
dava  notizia  all'illustre  principessa,  dicendo  che  si  era  avuto  da  un  padovano 
l'originale  del  P.  ed  egli  stesso  l'aveva  visto  ed  «auto  in  mane».  A  nome 
certamente  d'Aldo  soggiungeva  che  la  prima  copia  e  la  più  bella,  sarebbe 

stata  per  la  Marchesa,  onde  avere  «  bono  augurio  de  fare  de  gran  bene 

«  de  dita  opera  ».  Isabella  d'Este  ebbe  infatti,  non  un  solo,  ma  due  esemplari 
del  Petrarca  aldino,  che  le  costarono  carissimi  (4),  e  superbamente  rilegati. 


(1)  Gio.  Fr.  Valerio,  amico  del  Bembo,  scriveva  da  Venezia  a  Isabella  d'Este  il  24  nov.  1511: 
«  n  gentile  m.  Pietro  Barignano  presente  exhibitore  dimanderìi  per  mio  nome  a  V.  Ex.  dui  testi 
«  delle  cento  Novelle  antichi  ;  l'uno  ne  vidd'io  nella  grotta,  l'altro  che  è  il  migliore  nel  camerino 
«  di  m.  Znan  Jacomo  Calandra  in  carta  bona  ,  per  il  che  quanto  più  posso  riverente  supplico 
«  V.  S.  si  degne  prestarglimi  tnttadna  a  fine  che  per  pochi  giorni  io  me  ne  possa  servire  in  uno 
«  mio  bisogno  che  tuttavia  ho  fra  le  mani  »  (Arch.  Gonzaga).  Qual  era  questo  bisogno? 

(2)  Aldo  Manutio,  Lettres  etdocuments,  1495-1515;  Venetiis,  ex  aed.  Antonellianis,  MDCCCLXVIl 
(160  esempi,  fuori  commercio). 

(3)  Così  lo  chiama  fra  Sabba  da  Castiglione  nel  CIX  de'suoi  Ricordi,  Mantova,  Osanna,  1594, 
p.  221;  cfr.  Baschet,  Op.  cit.,  p.  11  n.  e  Appendice  2a. 

(4)  Baschet,  p.  74.  —  Al  Baschet  è  sfuggita  questa  bella  letterina  della  marchesa  di  Mantova, 
che  respingeva,  perchè  troppo  cari,  alcuni  libri  di  Aldo  {Copialett.,  lib.  18).  —  «  M.  Aldo.  Li 
«  quattro  volumi  de  libri  in  carta  membrana  che  ne  ha  veti  mandati  al  judicio  de  ogniuno  sono 
«  cari  dil  doppio  più  che  non  valeno  :  havemoli  restituiti  al  messo  vostro,  il  qual  non  ha  negato 
«  esser  il  vero,  ma  scusatovi  che  li  compagni  vostri  non  ni  voleno  mancho  ;  et  oifrendovi  che  ne 
«  fareti  stampire  de  li  altri  ,  quando  vi  accaderà  et  che  li  dareti  per  pretio  honesto  et  usareti 
«  magior  diligentia  di  bavere  bone  carte  et  di  meglior  corectione ,  havemo  gratifichato  1'  animo 
«  vostro  et  expectarimo  de  esser  servite ,  offerendoni  alli  piaceri  vostri  paratissime.  Mant.  ult. 
«  Junij  MDV  ». 


RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA  277 

SI  trovan  compresi  nell'elenco  dei  libri  da  lei  posseduti  (1).  È  possibile  che 
Lorenzo  da  Pavia,  il  quale  viveva  tra  la  più  scelta  società  letteraria  ed  ar- 
tistica di  Venezia,  e  per  la  Marchesa  di  Mantova  aveva  uno  zelo  e  una  fe- 
deltà a  tutta  prova,  tentasse  ingannarla,  o  parlasse  a  sproposito,  asserendo 
d'aver  visto  lui  coi  suoi  occhi  l' originale  del  Petrarca?  Non  ci  sembra;  e 
senza  pretesa  di  risolvere  tutta  la  lunga  e  intricata  questione,  si  può  non- 
dimeno concludere  che,  se  non  un  autografo  vero,  per  lo  meno  un  codice 
creduto  tale  in  perfetta  buona  fede,  servì  senza  dubbio  per  l'aldina  del  1501. 
Il  Bembo  non  lo  seguì  scrupolosamente,  dacché  Aldo  stesso  in  una  nota  ap- 
posta a  pochi  esemplari  (Saggio,  p.  96),  confessava  che  «dove  bisogno  è 
«  stato  »  si  era  «  riveduto  et  racconosciuto  •»  il  testo  :  e  a  ciò  si  deve  se 
anche  tra'  contemporanei  non  si  acquetarono  del  tutto  le  eccezioni  ed  i  dubbi 
sull'aldina. 

Oltre  i  codici  volgari,  altri  importantissimi  di  classici  latini,  fra  cui  quelli 
celebri  di  Virgilio  e  Terenzio,  furono  posseduti  dal  Bembo  (pp.  102  e  sgg.): 
e  accanto  a  tanti  preziosi  cimelii,  la  sua  casa  accoglieva  veri  tesori  d'anti- 
chità e  capolavori  mirabili  d'arte.  L'A.  sulla  scorta  dell'Awonmo  Morelliano, 
dà  una  rapida  illustrazione  del  museo  del  Bembo  (pp.  105  e  sgg.):  che,  se- 
condo l'enfatica  espressione  dell'Aretino,  attraeva  a  Padova,  come  Roma,  dei 
visitatori  ansiosi  «  di  vedere  sì  fatti  miracoli  nei  marmi  et  sì  divini  esempi 
<  in  figure  »  (2).  11  B.  aveva  formato  quel  Museo,  dando  prova  d'un  raro  gusto 
artistico  :  e  solo  il  Gellini,  con  la  sua  petulanza  vanagloriosa,  poteva  dire  che 
il  B.,  benché  grandissimo  nelle  lettere  «  e  nella  poesia  in  superlativo  grado... 
«  non  intendeva  nulla  al  mondo  »  dell'arte  sua  (3). 

S'immagina  facilmente  come  la  splendida  casa  a  Padova  e  l'amena  villetta 
del  B.  diventassero  il  convegno  di  tutti  i  letterati  che  erano  o  passavan  nel 
Veneto;  e  a  lui  specialmente  facessero  capo  i  professori  più  valenti  dell'an- 
tico Ateneo.  11  B.  s'interessava  vivamente  alle  sorti  dell'Università  padovana, 
non  tralasciò  ogni  pratica  opportuna  per  conservarle  il  Montesdoca,  riputato 
filosofo  (p.  115);  e  fu  largo  di  valido  appoggio  al  Longolio,  dottissimo  gio- 
vane fiammingo,  la  cui  morte  immatura  rimpianse  con  profondo  dolore  (4). 

La  Signoria  di  Venezia  non  poteva  tardare  a  riconoscere  i  meriti  eminenti 
del  Bembo;  e  nel  1530,  morto  il  Navagero,  fu  destinato  a  succedergli  il  B., 
nel  duplice  ufficio  di  storico  e  di  bibliotecario  della  Nicena  (p.  173).  L'A.  ri- 
solleva giustamente  il  valore  sin  qui  disconosciuto  delle  Storie  Venesiane: 
la  cui  forma  classica  solenne,  soverchiamente  elaborata  su'  modelli  dell'an- 
tichità, ha  fatto  quasi  del  tutto  perder  di  vista  nel  giudizio  comune  la  serietà 
sostanziale  innegabile  del  contenuto.  Il  B.  infatti  non  consultò  soltanto  i  do- 


(1)  Un  esemplare  è  cosi  descritto  nell'inventario:  «  Petrarca  in  ottavo  in  carta  per^^mmeo» 
«  stampa  d'Aldo  coperto  di  corame  negro  indorato  con  li  fornimenti  d'argento  ».  L'altro  era  mea 
conserN'ato. 

(2)  Abetino,  L«Here,  Parigi,  1609,  V,  159. 

(3)  Cellini,   Yiia,  lib.  I,  xciv. 

(4)  Delle  opere  del  Longolio  va  ricordata  V  edisione ,  fatta  nel  1524 ,  doe  anni  dopo  dalla  iva 
morte  ,  a  Firenze  da  F.  Giunta  :  perchè  contiene  nn  libro  di  lettere  scrittegli  dal  Bembo  e  dal 
Sadoleto.  —  Christophori  LongoUi  Orationes,  Eixisd«m  Episiolariim  libri  qiiatuor,  Epitt.  Btmbi 
et  Sadoleti  liber  %mu». 


278  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

cumenti  ufficiali  che  furon  messi  a  sua  disposizione,  ma  insistè  per  giovarsi 
anche  dei  Diari  del  Sanudo  ;  e  perciò  forse  le  sue  Storie  hanno  più  che  altro 
il  carattere  di  cronaca,  come  notava  il  Ranke  (1).  Al  quale  non  era  passata 
inosservata  l'importanza  delle  Storie  del  B.,  per  le  copiose  notizie  e  i  difllisi 
particolari  che  altrimenti  ci  mancherebbero  su  molti  fatti:  e  nel  Ranke  il 
Gian  avrebbe  potuto  trovare  sulla  composizione  delle  Storie  parecchie  osser- 
vazioni acutissime. 

Da  una  lettera  del  Varchi  è  curioso  rilevare  come  l'Aretino  pretendesse 
d'esser  stato  anche  lui  ricercato  a  scriver  la  storia  di  Venezia,  ma  «  in  lingua 
«  losca  »  (2);  e  il  Bembo,  a  detta  del  Varchi,  si  sarebbe  compiaciuto  di  questo 
incarico   dato  a  m.  Pietro ,   giudicandolo  in  questa  «  come  nelle   altre   cose 

«e  tutte sufficientissimo  »,   e   profferendosi  cordialmente   ad   aiutarlo.  Ma 

l'Aretino  non  ne  fece  più  nulla;  e  il  suo  nome  ci  richiama  ora  alla  sciagu- 
rata polemica  combattuta  per  il  Bembo  nel  1531  contro  il  Broccardo,  che 
ne  usci  dilaniato  ed  infranto.  11  Gian  non  ha  creduto  che  su  quel  «  putiferio 
<  letterario  »  (3),  vi  fosse  nulla  d'aggiungere  alla  narrazione  diffusa  che  n'ha 
fatto  il  Virgili  nel  suo  libro  sul  Berni;  ma  veramente  noi  possiamo  after- 
mare,  che  dell'altro  non  poco  resterebbe  a  dire,  come  ci  riserbiamo  di  mo- 
strare quanto  prima.  L'A.  si  è  limitato  ad  attenuare,  ed  in  ciò  consentiamo 
pienamente  con  lui,  il  biasimo  che  il  Virgili  fa  ridondare  sul  Bembo,  per  la 
ingenerosa  ed  atroce  vendetta  contro  il  Broccardo.  11  Bembo  era  stato  gua- 
stato dalla  prona  adorazione  dei  contemporanei,  per  modo  che  alla  sua  vanità 
sempre  accarezzata  doveva  parere  un  crimenlese  la  più  piccola  nota  discor- 
dante; però  non  può  esser  imputabile  degli  eccessi  dell'Aretino,  a  cui  pre- 
meva di  far  dello  zelo,  perchè  i  servizi  della  sua  terribile  penna  fossero  ben 
apprezzati,  da  chi  era  ritenuto  il  supremo  dittatore  letterario  (4).  Geme 
avrebbe  dovuto  aver  degli  scrupoli  il  Bembo,  a  cercare  la  difesa  clamorosa 
d'un  uomo,  che  ormai  s'era  imposto  con  l'arma  potente  della  stampa:  e  al 
quale  s'inchinavano  non  solo  principi,  letterati,  artisti,  ma  fin  donne  illibate 
come  la  Golonna  e  Veronica  Gambara  ? 

Su  quella  società  letteraria,  e  specialmente  sugli  amici  del  Bembo,  il  Gian 
ha  dato  nel  suo  Saggio  molte  notizie,  ed  ha  illustrato  ampiamente  la  ras- 
segna de'  poeti  contemporanei  fatta  da  Filippo  Oriolo ,  che  chiude  la  serie 
de'  documenti  (5).  Vediamo  cosi  passare  quasi  tutta  la  folla  de'  letterati  mi- 
nori, che  componevano  attorno  al  Bembo  una  corona  di  ammiratori  devoti; 
e  sui  quali  allora  parve  levarsi  com'aquila,  per  noi  come  «  il  più  grande 
«  tra  i  mediocri  ». 
Alessandro  Luzio 

(1)  Ranke,  Zur  Kritik  neuerer  Geschichtschreiher ,  Lipsia,  Dnncker  e  Humtlot,  1884,  pp.  87  sg. 

(2)  Lettere  scritte  al  sig.  P.  A.,  Venezia,  Marcolini,  1551,  I,  319. 
(5)  Virgili,  F.  Berni,  Firenze,  1881,  P.  I,  cap.  12o. 

(4)  Più  tardi,  nel  1535 ,  quando  il  Baldinelli  osò  criticare  le  Epistole  del  Bembo ,  P.  Aretino 
gli  scagliò  due  sonetti  satirici:  il  primo  de'  quali ,  che  il  Gian  crede  inediti  (p.  184  ,  n.  3)  ,  fu 
pubblicato  dal  Trucchi  {Poesie,  111,  211). 

(5)  L'A.  illustrando  i  versi  dell'Oriolo,  dà  qualche  nuovo  documento  sul  Serafino  ,  sull'  Unico, 
sull'Altissimo  ;  e  pel  Tebaldeo  riassume  le  notizie  contenute  in  un  opuscolo  raro  del  Coddè , 
che  le  trasse  in  gran  parte  dall'  Arch.  Gonzaga ,  dove  altre  molte  se  ne  trovano  tuttavia  e 
anche  più  importanti. 


BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO 


HERMANN  BRANDES.  —  Visio  S.  Paul?.  Ein  Beiirag  zur  Vi- 
sionslitteratur  mit  einem  deutschen  und  zwei  lateinischen 
Texten.  —  Halle,  Max  Niemeyer,  1885  (8°,  pp.  vi-102). 

Fra  le  Visioni  che  mostrano  avere  particolare  attinenza  con  la  Divina 
Commedia.,  e  che  Dante  'presumibilmente  conobbe,  tiene  uno  dei  primi  luoghi 
la  "Visione  detta  di  S.  Paolo.  Di  essa  ebbero  già  ad  occuparsi,  per  tacere 
di  altri,  r  Ozanam ,  nel  suo  libro  Dante  et  la  philosophie  catholique  au 
treizième  siècle,  e  il  D'Ancona,  nei  suoi  Precursori  di  Dante.  In  quest'  o- 
pascolo  il  B.  attende  a  dare  della  Visione  stessa,  e  delle  versioni  che  se 
n'ebbero  in  varie  lingue,  un'idea  più  piena  e  particolareggiata  che  altri  non 
abbia  fatto.  Parla  anzi  tutto  dell'  originale  greco ,  di  cui  una  recensione  fu 
scoperta  dal  Tischendorf  nel  1843,  e  della  traduzione  che  se  ne  fece  in  si- 
riaco. Paragonando  questa  traduzione  coi  rimaneggiamenti  latini,  si  possono 
restituire  al  testo  greco  alcune  parti,  che,  non  si  sa  come,  né  quando,  ne  furono 
espunte:  in  essa  altre  poi  ne  sono  che  il  traduttore  aggiunse  di  suo.  Della 
versione,  o  meglio,  delle  versioni  latine,  il  B.  conosce  22  manoscritti,  numero 
certo  rilevante,  che  attesta  non  essere  stato  poco  il  favore  onde  questa  leg- 
genda ebbe  a  godere  nel  medio  evo.  Di  questi  22  manoscritti  uno  solo  si 
trova  in  Italia ,  nella  Vaticana.  La  versione  latina  si  scinde  in  sei  diverse 
redazioni,  le  quali  si  vanno  sempre  più  discostando  dall'  originale  greco ,  e 
riappariscono  poi,  con  nuove  alterazioni,  nelle  versioni  volgari.  Noi  non  pos- 
siamo seguire  l'A.  nella  minuta  comparazione  di  queste  redazioni  tra  loro; 
solo  diremo  che  il  fastidioso,  ma  utile  lavoro,  è  da  lui  condotto  con  molta 
diligenza.  Egli  entra  poscia  a  parlare  delle  versioni  volgari ,  e  prima  delle 
tedesche,  poi  delle  francesi  e  delle  inglesi,  facendo  cenno,  dopo  le  francesi, 
anche  della  provenzale  pubblicata  dal  Bartsch,  e  di  una  danese.  Più  di  una 


280  BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO 

volta  in  questa  sua  trattazione  l' A.  rimanda  ad  altro  scritto  da  lui  prece- 
dentemente pubblicato  nel  voi.  VII  degli  Englischen  Studien  (vedi  questo 
Giornale,  voi.  Ili,  p.  324).  Vengono  in  ultimo  due  testi  latini,  un  testo  te- 
desco, e  alcune  osservazioni.  Il  lavoro  del  sig.  B.  è  molto  pregevole,  ma  di 
un  difetto  che  vi  troviamo  non  ci  sembra  si  possa  scusare.  L'  A.  non  pare 
abbia  avuto  menomamente  sentore  delle  versioni  italiane.  Ora  una  di  queste 
versioni  fu  pubblicata  dal  Villari  tra  le  Antiche  leggende  e  tradizioni  che 
illustrano  la  Divina  Commedia  (1),  e  altre  si  hanno  tuttavia  inedite  nella 
Palatina  e  nella  Riccardiana  (2). 


ANTONIO  LUBIN.  —  Dante  spiegato  con  Dante  e  polemiche 
dantesche.  —  Trieste,  G.  Balestra,  1884  (8°,  pp.  202). 

Come  tutti  i  libri  polemici,  anche  questo  avrebbe  bisogno  di  lunghi  studi 
e  raffronti  per  porre  in  sodo  da  qual  parte  stia  la  verità,  o  meglio  quanto 
di  ragione  e  quanto  di  torto  vi  sia  nelle  opinioni  dei  disputanti.  Giudicando 
inopportuno  l'entrare  qui  nel  merito  delle  questioni,  noi  ci  accontenteremo 
di  accennarle  obbiettivamente.  La  reputazione  che  gli  studi  danteschi  del 
prof,  di  Graz  meritamente  godono,  e  la  stessa  importanza  della  materia  che 
egli  qui  tratta,  renderanno  il  nostro  annuncio  gradito  a  coloro  che  hanno 
posto  in  Dante  i  loro  studi  speciali. 

A  fondamento  quasi  del  presente  libro,  l'A.  pone  alcune  considerazioni 
sulla  celebre  formula  del  Giuliani  Dante  spiegato  con  Dante,  mostrando  come 
essa,  presa  in  senso  assoluto,  sia  deficiente,  perchè  Dante  non  si  spiega  con 
Dante  solo,  e  come  a  bene  applicarla  sia  necessario  molto  discernimento  in- 
dividuale da  parte  dell'interprete. 

Degli  scritti  che  seguono,  a  parer  nostro,  il  più  rilevante  è  l'ultimo,  inti- 
tolato Notizia  del  mio  comm,ento  alla  Com.  di  D.  A.  a  sua  difesa.  In  esso 
l'A.,  avendo  notato  alcune  contraddizioni  nelle  critiche,  anche  benevole,  che 
furono  pubblicate  intorno  al  suo  noto  volume  dantesco  del  1881  (3),  e  non 
credendo  giusta  la  designazione  di  repertorio  o  di  raccolta  enciclopedica, 
con  cui  alcuni  qualificarono  quel  libro,  espone  le  ragioni  che  lo  indussero  a 
scriverlo,  il  metodo  da  lui  seguito,  il  sistema  allegorico  della  interpretazione 
di  Dante,  le  principali  nozioni  poste  in  chiaro.  Questo  discorso  sintetico,  in 
cui  si  compendiano  le  idee  ed  i  ragionamenti  espressi  con  estensione  nel  vo- 
lume menzionato,  riesce  molto  utile. 

Gli  altri  scritti  hanno  carattere  personale,  si  dirigono  cioè  personalmente 


(1)  Annali  dette  Universiià  toscane,  Pisa,  1865. 

(2)  D'Ancona,  /  Precursori  di  Dante,  Firenze,  1874,  p.  44  n. 

(3)  Commedia  di  D.  A,  preceduta  dalla   Vita  e  da   Studi  preparatori  illustrativi ,   esposta  e 
commentata  da  A.  Lubw,  Padova,  1881. 


BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO  281 

contro  Tuno  o  Taltro  studioso  di  Dante.  Due  di  essi  sono  diretti  contro  Raf- 
faello Fornaciari.  Nel  primo  (pp.  81  sgg.)  il  L.  riprendo  la  questione  crono- 
logica della  V.  iV.,  già  da  lui,  come  tutti  sanno,  molto  acutamente  discussa 
in  apposita  dissertazione  pubblicata  in  Graz  nel  1862.  Egli  qui,  contro  al  For- 
naciari (1),  difende  la  sua  antica  opinione  che  la  V.  N.  debba  essere  stata 
scritta  nella  primavera  del  1300.  Nel  secondo  articolo,  che  ci  parve  degnis- 
simo di  nota,  poiché  certo  uno  dei  meriti  principali  del  L.  è  l'avere  profon- 
damente studiata  la  allegoria  del  poema,  combatte  la  interpretazione  data  dal 
Fornaciari  della  Lucia  dantesca  (2). 

Uno  scritto  ha  per  titolo  La  Beatrice  di  .Dante  e  i psicologi  senza  psiche 
(pp.  10  sgg.)  ed  ha  intenzione  di  colpire  direttamente  il  Bartoli.  Crediamo  di 
apporci  ritenendo  che  il  L.  si  sia  lasciato  particolarmente  andare  a  questa 
confutazione  per  una  noticina  che  lo  riguarda  nella  Storia  del  Bartoli  (V,  74  n), 
in  cui  è  notata  certa  confusione  e  contraddizione  che  v'è  nella  teoria  inter- 
media del  L.,  secondo  la  quale  la  beatrice  è  la  Portinari  e  insieme  «  la  V.  N. 
«  è  il  racconto  delle  fasi  della  Musa  di  D.  ».  Se  non  ci  inganniamo,  il  L.  non 
ha  cognizione  piena  della  ipotesi  del  Bartoli  intorno  al  principale  amore  del- 
l'Alighieri. Sembra  che  egli  conosca  solo  il  voi.  V  della  Storia  e  il  noto  ar- 
ticolo del  FanfuUa  d.  domenica;  non  il  voi.  IV,  in  cui  veramente  il  Bartoli 
ha  esposto  i  migliori,  i  più  saldi  suoi  argomenti  negativi  (3). 

Il  più  vivace  (troppo  vivace,  a  dir  vero)  di  questi  articoli  è  la  Risposta  a 
Francesco  D'Ovidio  (pp.24sgg.),  occasionata  dalla  breve  memoria  del  D'Ovidio 
sulla  V.  N.,  che  si  legge  nella  iV.  Antologia  del  15  marzo  '84.  Che  quella 
memoria  sia  diretta  in  gran  parte  contro  il  L.,  e  che  questi  non  vi  sia  sempre 
trattato  con  quella  cortesia  dalla  quale  le  polemiche  scientifiche  non  si  do- 
vrebbero mai  allontanare,  conveniamo;  ma  non  ci  sembra  per  questo  che 
il  L.  avesse  il  diritto  di  rincarar  la  dose  delle  insolenze,  dicendo  che  il  D'O. 
professa  nella  polemica  «  principi  che  la  coscienza  di  uno  scrittore  onesto 
«  deve  rigettare  »  (p.  26),  e  che  «  non  iscrive  per  discoprire  il  vero,  ma  scrive 
«  per  scrivere  »  (p.  31),  e  che  «  falsa  le  parole  e  i  concetti  altrui  »  (p.  39),  e 
che  «  i  suoi  amici  e  colleghi  dovrebbero  consigliarlo  a  scriver  fiabe  e  non 
«  critiche  ;  con  quelle  egli  riescirebbe  di  farsi  onore,  ma  per  queste  è  inetto  » 
(p.  58  n).  Dopo  ciò,  si  crede  l'ottimo  L.  veramente  licenziato  a  rimproverare 
al  D'O.  le  sue  «  espressioni  da  trivio  »?  (p.  25).  Oh  irritabile  genus! 


(1)  studi  tu  Dante,  Milano,  1883,  pp.  154  sgg. 

(2)  Cfr.   OiornaU,  I,  483. 

(3)  A  pp.  14-15  il  L.  scriTe  :  «  Sarei  molto  curioso  di  sapere  che  ne  dice  (dtlU  idM  d4l  B.) 
«  Rodolfo  Kenier,  autore  del  bel  libro  La  Vita  Xuova  «  ìa  Fiammetta,  studio  critico,  nel  qnale 
«  con  tanta  lode  ha  rilevato  i  fenomeni  psicologici  eccitati  nel!'  innamorato  della  psichica  Bea- 
«  trice,  e  che  produssero  quelle  rime.  Se  vero  1'  assunto  del  Bartoli ,  quello  studio  non  sarebbe 
«  altro  che  una  fantasticheria  del  Renier  ».  Che  non  sia  precisamente  cosi ,  il  L.  potrk  redaro 
se  prenderà  a  considerare  i  capitoli  sull'amore  di  D.  nel  lY  voi.  del  Bartoli.  La  gentile  carioaità 
sua  poi  potrà  essere  facilmente  appagata  da  quanto  è  scrìtto  nel  presente  OiomaU,  II,  379  igg. 


282  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO 

VINCENZO   TERMINE   TRIGONA.   —   Petrarca   cittadino.    ~ 
Studio  critico.  —  Catania,  N.  Giannotta,  1885  (16°,  pp.  208). 

La  stessa  deficienza  di  coltura  e  di  idee  esatte,  che  notammo  in  un  opu- 
scolo dantesco  del  sig.  Trigona,  pubblicato  due  anni  sono  (1),  scorgesi  nel 
presente  libretto  petrarchesco. 

Quantunque  egli  non  voglia  «  attentare  alla  grandezza  del  Petrarca  » 
(p.  2),  quantunque  egli  sia  deciso  di  «  mostrare  un  Petrarca  vero,  non  pre- 
vie concetto,  quale  dovrebbe  essere  mostrato  da  una  critica  spassionata  »  (p.  3), 
il  fatto  certo  si  è  che  il  preconcetto  apparisce  da  ogni  linea  del  libro ,  ed 
è  singolarmente  aiutato  da  una  ignoranza  non  comune  in  chi  scrive  di  cose 
letterarie.  Uno  che  ci  dice  avere  il  Petrarca,  insieme  col  Boccaccio  trionfato 
«  in  quei  secoli  nei  quali  la  tirannia  teocratica  del  Vaticano ,  e  la  civile 
«  degli  stranieri,  di  conserva  procedendo,  soggiogarono  ed  abbrutirono  1'  a- 
«  nimo  degli  italiani  »,  giacché  «  essi  furono  i  due  dii  di  quei  secoli  sven- 
«  turati  :  1'  uno  {il  Boccaccio)  pasceva  il  senso  grossolano ,  goffo  e  brutale 
«  del  volgo  nobile  e  plebeo  con  la  caricatura ,  lo  scherzo  e  la  descrizione 
«(  voluttuosa  della  nudità  svelata  del  tutto,  o  semivelata,  che  è  più  eccitante, 
«  ed  andava  a  finire  nell'  Adone  del  Marini  ;  1'  altro  {il  Petrarca)  pasceva 
«  il  sentimento  delicato  e  gentile  della  signoria  nobile  o  popolana  con  1'  e- 
«  lomento  musicale  e  l'armonia,  ed  andava  a  finire  nell'  Arcadia  (p.  159)  ; 
uno  che  scrive  di  codeste  baie ,  se  non  ha  smarrito  il  bene  dell'  intelletto , 
dev'  essere  per  lo  meno  un  solenne  ignorante. 

In  fondo ,  il  chiodo  su  cui  batte  sempre  il  sig.  Trigona  è  questo  :  il  Pe- 
trarca non  senti  vivamente  né  l'amicizia,  né  l'amore  per  la  donna,  né  quello 
per  la  scienza,  né  quello  per  la  patria  :  l'unica  sua  passione  era  per  la  gloria, 
cui  sacrificava  tutto  ;  egli  fu  un  retore  ambizioso ,  non  altro.  11  che  nel 
bello  stile,  che  fa  onore  al  Tr. ,  suona  così  :  «  la  molla  segreta  che  muove 
«.<  il  Petrarca  non  é  stata  afferrata  dai  critici;  alcuni  l'hanno  intraveduta 
«  solamente,  e  non  hanno  fondato  su  di  essa  i  loro  studiì.  A  me  pare  che 
«  io  abbia  afferrato  tale  molla,  la  quale  per  me  consiste  nell'  egoismo,  nel- 
«  r  orgoglio  e  nella  vanità  »  (p.  68).  E  a  mostrare  come  abbia  veramente 
afferrata  quella  tal  molla,  egli  fa  vedere  come  il  Petrarca  «  vero ,  appas- 
«  sionato,  ingenuo,  sincero  »  non  si  trovi  né  nel  Secretum,  né  nelle  lettere, 
né  nel  Canzoniere.  11  Canzoniere  è  «  più  ispirato  dall'  amor  di  scrivere, 
«  che  dall'  amor  di  Laura  »  (p.  29);  quei  sonetti  fanno  «  nausea  »  (p.  30) 
al  sig.  Tr.,  mentre  il  latino  del  P.  gli  «  toglie  il  respiro  »  (p.  32).  Ma  già 
si  capisce;  il  latino  é  una  lingua  «  completamente  morta»  (p.  15),  e  quindi 
non  vive  nella  nostra  vita  intellettuale ,  e  chi  scrive  in  quella  lingua  non 
può  fare  che  una  «  congerie  di  nielenzaggini  {sic)  e  di  freddure  »  (p.  21). 


(1)  Vedi  Giornale,  II,  214. 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO  283 

Accostando  passi  di  opere  diverse,  scritte  in  tempi  diversi,  trova  delle  con- 
traddizioni, e  perci(S  sentenzia  che  il  P.  mentì  (p.  40  e  altrove).  E  cosi  passo 
passo,  viene  a  trattare  il  suo  tenia,  il  P.  cittadino.  Qui  è  a  casa  sua.  La  sua 
dimostrazione  pi'occde  per  paragoni.  Il  P.,  solo  preoccupato  della  sua  gloria, 
invidioso  di  Dante  (1),  vuoto  ecc.,  non  poteva  amare  sinceramente  1'  Italia. 
La  sua  canzone  ai  signori  della  penisola  non  è  lirica ,  ma  storica ,  perchè 
l'autore  vi  «  resta  assolutamente  passivo  »  (p.  67).  Al  confronto  di  quella 
del  Leopardi,  la  canzone  petrarchesca  è  «  un'acqua  stagnante  »  (p.  74):  il 
P.  non  sa  che  indicare  «  il  medicinale,  che  dovrà  muovere  i  grandi  d' Italia  » 
(p.  75).  Se  vogliamo  trovare  qualcosa  di  simile  alla  canzone  del  P.,  analiz- 
ziamo  i  sonetti  all'Italia  del  Filicaia ,  che  sono  tale  abominio  «  da  rendere 
«  eternamente  infame  il  nome  dell'autore  »  (p.  83)  ;  mentre  la  canzone  leo- 
pardiana è  da  paragonarsi  a  quella  che  comincia  0  patria  degna  di  trionfai 
fama,  che  FA.  (beato  lui  !)  non  dubita  affatto  sia  opera  di  Dante  (pp.  83-85). 
Infine,  avendo  lo  Zumbini  accostata  la  canzone  del  P.  al  canto  di  Sordello, 
l'A.  ne  prende  occasione  per  fare  un  altro  minuto  confronto,  da  cui  risulta 
che  lo  Zumbini  «  si  accontenta  della  patina,  e  non  investiga  il  cuore  di  lui  », 
del  Petrarca  (pp.  85-104).  Altre  due  canzoni  l'A.  esamina,  Quel  e  ha  nostra 
natura  in  sé  più  degno,  che  non  crede  sia  opera  del  Petrarca,  e  la  celebre 
canzone  allo  spirto  gentil,  che  gli  importa  poco  a  chi  possa  essere  stata  in- 
dirizzata, mentre  a  lui  basta  stabilire  che  anche  là  non  v'è  se  non  la  solita 
molla.  Quella  molla  stessa  che,  secondo  lui,  fa  dire  al  P.  di  aver  avuto  con 
Gola  relazioni,  che  non  ebbe  (p.  131),  e  che  gli  fece  fingere  di  prender  sul  serio 
le  discese  di  Carlo  IV  in  Italia.  E  poi,  volete  una  prova  finale  sicura  della 
vanagloria  petrarchesca?  Guardate  i  Trionfi:  due  di  essi  sono  i  più  lunghi, 
quello  dell'amore  e  quello  della  fama  (p.  163). 

Insomma,  senza  seguire  più  oltre  gli  acuti  ragionamenti  dell'A.,  «  il  Pe- 
«  trarca  viveva  con  Platone ,  S.  Agostino ,  Cesare  e  Cicerone ,  sconosceva 
«  tempi,  uomini,  cose  e  circostanze,  non  aveva  fine  pratico  prestabilito,  né 
«  a  questo  avrebbe  saputo  indirizzare  l'opera  sua,  perciò  non  poteva  essere 
«  un  uomo  politico  »  (p.  153).  Né  solo  non  fu  un  uomo  politico ,  ma  non 
fu  neppure  un  poeta.  A  leggere  i  suoi  versi  il  sig.  Trigona  prova  «  una 
«  noia  mortale  »,  mentre  davanti  al  Mosé  di  Michelangelo  egli  «  si  ran- 
«  nicchiò  nel  fondo  del  suo  cuore  » ,  nonostante  le  imperfezioni  di  quella 
statua  (p.  47).  I  sospiri  del  P.  gli  fanno  «  rabbia  »  e  Io  costringono  ad  escla- 
mare :  «  se  un  uomo  veramente  potesse  arrivare  a  tanto ,  io  lo  stimmatizp 
«  zerei  »  (^p.  48).  Né  solo  il  Petrarca  non  fu  artista  grande,  né  uomo  politico, 
né  uomo  sincero,  ma  «  in  fondo  poi ,  egli  non  é  né  un  ascetico,  né  un  in- 
«  namorato,  né  un  patriota,  né  un  artista  osservatore  dei  fenomeni  naturali; 
«  egli  è  un  nulla,  un  individuo  senza  individualità,  un  essere  senz'essere  » 


(1)  Quanto  ai  rapporti  del  P.  con  Dante,  l'A.  cade  in  nna  contraddizione  patente.  A  p.  49  ri- 
ferisce approvando  an  passo  del  Qin^ené,  in  cui  è  detto  che  «  il  P.  compose  i  Trionfi  pueodii 
«  anni  dopo  aver  ricevuto  dal  Boccaccio  un  esemplare  della  Commtdia  > ,  e  poi  a  p.  51  sciÌTe 
che  il  V.  conobbe  le  opere  di  D.  «  prima  che  Boccaccio  lo  istigaaae  •  leggerle;  difatU  noi  to- 
«  diamo  che  egli  tentò  d'imitare  Dante  e  nel  Cantonitr»  e  nei  3V*0i^  ». 


284  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO 

(pp.  37-38).  Eppure,  chi  il  crederebbe?,  questo  Petrarca  che  «  non  è  grande 
«  per  alcuna  delle  sue  opere  e  delle  sue  azioni  considerate  separatamente  » 
è  invece  «  grande,  grandissimo  per  tutto  Tinsieme  delle  sue  opere,  delle  sue 
«  virtù  e  dei  suoi  vizii  »  (p.  171).  Strana  combinazione! 

Dopo  tutto  questo  anche  noi  dovremmo  tirare  una  somma,  e  mettere  a 
carico  del  sig.  Trigona  tutte  le  divagazioni  dal  suo  soggetto,  tutto  il  filoso- 
fismo spropositato  delle  sue  argomentazioni,  tutta  la  sua  ignoranza  dei  tempi 
e  della  letteratura  che  tratta  (1);  ma  per  quel  poco  che  abbiamo  detto  cre- 
diamo che  i  lettori  avranno  tirato  la  somma  da  loro  stessi,  e  ci  risparmiamo 
quindi  la  fatica  e  la  noia. 


SIEGFRIED  SAMOSCH.  —  Machiavelli  als  Comòdiendichter 
und  italienische  Pirofile.  —  Minden  i.  W.,  J.  C.  G.  Bruns' 
Verlag,  1885  (8%  pp.  x-132). 

Il  signor  Samosch  usa  di  far  precedere  gli  opuscoli  in  cui  di  tanto  in  tanto 
discorre  di  letteratura  italiana  da  alcuni  estratti  di  articoli  laudatori,  in  cui 
si  dice  ogni  bene  di  lui  e  delle  cose  sue.  Questa  usanza  può  essere  un  te- 
stimonio gradevole  della  benignità  della  critica;  ma  non  sappiamo  quanto 
possa  giovare  all'autore  ed  ai  libri  suoi.  In  questo,  come  negli  altri  che  gli 
andarono  innanzi,  nulla  di  nuovo.  In  diciotto  paginette  l'A.,  sulle  tracce  del 
Villari,  pretende  parlare  del  Machiavelli  come  commediografo,  e  non  fa 
se  non  ripetere  cose  dette.  Tra  i  Profili  seguono:  un  Pietro  Metastasio  in 
undici  pagine,  un  Ugo  Foscolo  in  diciannove,  un  Giovan  Battista  Niccolint 
in  quindici.  Anche  qui  né  un  fatto  né  una  idea  nuova.  Del  resto  l'A.  rac- 
conta queste  sue  novelle  come  se  tutto  fosse  chiaro,  certo,  assodato,  come  se 
di  nulla  si  facesse  dubbio  o  questione.  Basti  dire  che  parlando  del  Foscolo 
non  fa  nemmen  cenno  delle  tante  cose  che  si  son  discusse  in  questi  ultimi 
anni  in  Italia  circa  U  poeta.  Tutti  questi  lavoretti  paiono  fatti  con  la  scorta 
di  uno  0  due  libri,  e  l'A.  pare  che  abbia  una  certa  ripugnanza  a  vedere  ciò 
che  altri  possano  avere  scritto  prima  di  lui.  Il  solo  libro  che  citi  a  propo- 
sito del  Metastasio  é  II  teatro  italiano  nel  secolo  XVIII  del  Guerzoni;  e 
pare  che  non  conosca  nemmeno  quello  del  Landau,  Die  italienische  Lite- 
ratur  am  ósterreichischen  Hofie,  da  cui  avrebbe  potuto  attingere  con  pro- 
fitto. Insomma  questi  bozzetti,  mentre  non  riescono  di  nessun  giovamento  agli 
studiosi,  non  si  può  dire  nemmeno  che  offrano  una  buona  e  sostanziosa  let- 
tura al  pubblico  largo.  Sono  a  dirittura  inutili. 


(1)  Non  conosce  ciò  che  del  Petrarca  scrissero  l'Hortis,  il  Koerting,  il  Voigt.  Il  VII  volnme 
della  Storta  del  Barigli,  pubblicato  nel  gennaio  del  1884,  se  non  erriamo ,  gli  capitò  fra  mano 
quando  il  presente  volumetto  era  in  corso  di  stampa. 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO  285 

ALESSANDRO  ADEMOLLO.  —  /  primi  fasti  del  teatro  di  via 
della  Percola  in  Firenze.  —  Milano,  Stab.  Ricordi,  1885 
(12°,  pp.  32). 

Di  questo  scritto  si  è  dato  cenno  quando  venne  inserito  nella  Gazzetta 
musicale  di  Milano  (1),  ma  esso  è  di  tanta  importanza  per  la  storia  del 
melodramma  nostro,  che  stimiamo  utile  il  dirne  ancora  qualcosa  più  speci- 
ficatamente. 

Che  gli  Accademici  Immobili  comprassero  verso  la  metà  del  sec.  XVII 
un  tiratoio  dell'arte  della  lana  situato  in  via  della  Pergola  e  lo  trasformas- 
sero, architetto  Ferdinando  Tacca,  in  un  meraviglioso  teatro,  è  certo  cosa 
importante  a  sapersi,  quando,  come  fa  l'A.,  ci  si  danno  della  cosa  testimo- 
nianze sincrone  e  disegni,  pur  sincroni,  di  quello  splendido  edificio.  Ma  vie 
più  interessante  è  notare  come  quel  teatro  fosse  chiamato  a  precorrere  gli 
altri,  sì  nella  sua  conformazione,  sì  nei  primi  spettacoli  che  vi  si  diedero. 
E  infatti,  a  differenza  degli  altri  maggiori  teatri  del  tempo,  che  tutti  più  o 
meno  si  attenevano  ai  modelli  palladiani,  quello  di  Firenze  precorse  l'attuale 
architettura  teatrale,  essendo  conformato  in  maniera  non  disforme  da  quella 
che  oggi  si  usa.  E  inoltre,  come  l'A.  pone  in  chiaro,  esso  fu  solennemente 
inaugurato  nel  1657  col  Potestà  di  Colognole,  melodramma  giocoso,  parole 
di  Gio.  Andrea  Moniglia,  musica  di  Iacopo  Melani.  Questo  genere  di  mu- 
sica piacque,  sicché  il  Moniglia  compose,  negli  anni  successivi,  per  la  Per- 
gola altri  melodrammi  burleschi. 

Tuttociò  è  importantissimo  per  la  storia  della  nostra  opera  buffa.  Che  il 
primo  tentativo,  imperfetto  quanto  si  vuole,  di  adattamento  della  musica 
ad  una  azione  giocosa  sia  da  riconoscersi  veramente  neìV Anfipamaso  del 
Vecchi,  l'A.,  accordandosi  con  le  ultime  osservazioni  del  Renier  (2),  rico- 
nosce di  buon  grado.  Ma  è  certo  che  nelle  opere  del  Moniglia  noi  abbiamo 
il  melodramma  giocoso  meglio  fissato  e  determinato,  e  che  esse  vengono, 
se  non  a  stabilire  una  continuità,  certo  a  rompere  quel  lungo  e  inesplica- 
bile intervallo  che  vi  sarebbe  tra  la  comedia  armonica  del  Vecchi  (fine 
del  sec.  XVI)  e  l'apparire  della  musica  buffa  in  Napoli  (princ.  del  sec.  XV 111). 
Tanto  più  quindi  è  a  deplorare  che  l'A.,  il  quale  ebbe  a  disposizione  tanto 
bel  materiale,  non  si  sia  indugiato  un  po'  più  nello  spiegarci  l'azione  di 
quei  melodrammi,  in  modo  che  si  riuscisse  ad  intendere  quale  ne  fosse  pre- 
cisamente il  carattere.  E  infatti  necessario  lo  stabilire  con  esattezza  le  rela- 
zioni di  queste  antiche  rappresentazioni  musicali  con  la  commedia  dell'arte, 
per  vedere  le  immancabili  influenze  reciproche  che  dovettero  intercedere 
fra  le  une  e  l' altra.  L' A.  accenna  solo ,  a  questo  riguardo,  che  dal  Pazzo 


(1)  Cfr.  Giomaìe,  V,  476. 

(2)  L'Ademollo  lo  avea  (^à  affermato  nell'altro  suo  prezioso  libretto  /  pruni  fasti  delia  muiica 
italiana  a  Parigi,  Milano  1884,  p.  85,  n.  2. 


286  BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO 

per  forza  del  Moniglia  fu  tratto  lo  scenario  Gli  stratagemmi  d'amore  del 
Riccoboni  padre  (p.  14,  n.  1).  Dalla  lista  dei  personaggi,  e  da  altri  partico- 
lari, ci  sembra  dover  dedurre  che  queste  azioni  sceniche  del  Moniglia  non 
dovessero  essere  apertamente  popolari,  né  schiettamente  ridanciane  come 
certo  fu  V Anfìparnaso  prima,  e  dopo  l'opera  buffa  di  Napoli.  Ma  ci  sarebbe 
assai  grato  saperne  di  più.  Come  pure  ameremmo  conoscere  un  po'  meglio 
quel  melodramma  di  Giulio  Strozzi,  musicato  da  Francesco  Sacrati,  che  col 
titolo  di  Festa  teatrale  della  finta  pazza  fu  rappresentato  nel  1641  in  Ve- 
nezia e  poi,  come  chiaramente  dimostrò  altrove  l' Ademollo  (1),  ebbe  l'onore 
di  essere  il  primo  melodramma  rappresentato  a  Parigi  nel  febbraio  del  1645. 
Questa  curiosa  azione,  mezzo  coreografica  e  mezzo  recitata,  è  detta  dal  Gastil- 
Blaze,  che  certo  si  valse  di  documenti  sincroni  :  «  un  opera  bouflfon ,  une 
«  parade  musicale,  un  mélodramme  où  le  noble  se  mélait  au  comique  ». 
Era  dunque  opera  buffa  anche  questa?  Ma  in  qual  grado?  ma  come? 

Gli  altri  due  capitoli  del  presente  libretto  riguardano,  l'uno  la  rappresen- 
tazione della  Ipermenestra  di  Francesco  Cavalli  (parole  del  Moniglia), 
dramma  immensamente  spettacoloso,  che  fu  dato  alla  Pergola  nel  1658  per 
festeggiare  la  nascita  di  un  figliuolo  di  Filippo  IV  ;  l'altro  V Ercole  in  Tebe, 
grandiosa  opera-ballo,  rappresentata  pure  alla  Pergola  per  la  venuta  della 
bizzarra  principessa  d'Orléans,  sposa  di  Cosimo  111,  a  Firenze,  spettacolo  che 
costò  alla  corte  la  bellezza  di  96  mila  lire  toscane. 

Come  tutti  i  lavori  dell'Ademollo,  anche  questo  è  fatto  con  singolare  ab- 
bondanza di  cose  nuove  e  curiose,  sapientemente  disposte. 


Notizia  d'opere  di  disegno  pubblicata  e  illustrata  da  D.  Iacopo 
Morelli.  —  Seconda  edizione  riveduta  e  aumentata  per  cura 
di  «xUSTAVO  Frizzoni.  —  Bologna,  N.  Zanichelli,  1884  (8°, 
pp.  xL-266). 

Agli  studiosi  di  cose  d' arte  è  noto  come  il  benemerito  erudito  veneto 
Iacopo  Morelli  rinvenisse  tra  i  rass.  zeniani  un  quaderno  di  appunti,  scritto 
nella  prima  metà  del  sec.  XVI,  in  cui  si  teneva  nota  di  molte  opere  d'arte 
esistenti  allora  in  raccolte  pubbliche  e  private  di  Padova,  Cremona,  Milano, 
Pavia,  Bergamo,  Crema  e  Venezia.  Queste  notizie  sono  date  con  buona  co- 
noscenza d'arte,  e  lungi  dal  consistere  in  un  magro  catalogo,  somministrano 
eziandio  indicazioni  sugli  artefici,  sulle  qualità  specifiche  dei  quadri  e  delle 
statue,  sui  fatti  e  le  persone  che  rappresentano,  su  coloro  che  gli  possede- 
vano. Si  intende  quindi  di  leggieri  come  questa  notizia,  data  nel  tempo 
della  massima  fioritura  artistica,  riesca  preziosa  per  la  storia  dell'arte  nostra, 


(1)  Vedi  i  cit.  Primi  fasti  delia   musica  ital.  a  Parigi,  pp.  16-23,  e  anche,  per  il  Sacrati, 
pp.  95-107. 


BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO  287 

svelandoci  con  sicurezza  la  patornità  di  alcuni  lavori  dubbi,  illuminandoci 
sulle  vicende  di  altri,  capitati  talora  in  pinacoteche  ed  in  mu-sci  d'  oltralpe 
o  d'oltremare. 

Il  Morelli  corredò  questa  nota  di  un  esteso  ed  erudito  commento  e  la 
pubblicò  in  Bassano  nel  1800.  Tale  sue  edizione  era  già  da  tempo  divenuta 
assai  rara,  sicché  al  sig.  Gustavo  Frizzoni  venne  il  pensiero  di  procurarne  una 
seconda.  Se  non  che,  essendo  in  questo  ottantennio  molto  progrediti  gli  studi 
storici  suir  arte,  ed  essendosi  arricchita  per  nuovi  e  dotti  libri  la  cognizione 
che  abbiamo  degli  antichi  maestri  e  rintracciate  e  identificate  molte  opere 
loro,  che  si  lamentavano  perdute,  il  F.  ha  creduto  bene  di  rifondere  il  com- 
mentario del  Morelli  in  un  nuovo  lavoro  di  chiosa,  nel  quale  si  tenesse 
conto  dei  dati  di  fatto  posti  in  sodo  dal  primo  editore  e  insieme  vi  si  ag- 
giungessero i  nuovi  risultati  delle  ulteriori  ricerche.  E  in  questo  lavoro,  non 
certo  di  poco  momento,  egli  ebbe  la  ventura  di  potersi  giovare  delle  giunte 
che  alla  sua  prima  edizione  avea  fatto  il  Morelli  stesso,  preparandone  una 
seconda,  e  delle  note  che  vi  appose  il  dottissimo  Cicogna.  Sicché  la  presente 
edizione  doppiamente  si  avvantaggia  sulla  precedente,  e  per  le  note  inedite 
di  due  eminenti  eruditi  ora  defunti,  e  per  le  nuove  chiose  del  Frizzoni.  Il 
quale  ultimo,  a  sua  volta,  ha  voluto  nella  breve,  ma  acconcia,  prefazione, 
trattare  anche  un  altro  punto  controverso,  quello  che  riguarda  l'autore  della 
notizia,  consacrata  sinora  col  nome,  che  le  resterà,  di  Anonimo  morelliano. 
Appoggiandosi  alle  recenti  ricerche  del  Bernasconi,  il  F.  rivendica  il  mano- 
scritto al  patrizio  veneto  Marcantonio  Michiel. 

Di  questo  libro  importante  a  noi  basta  aver  dato  un  annuncio ,  perchè 
solo  indirettamente  si  collega  coi  nostri  studi,  per  quelle  molte  fila  che  ten- 
gono unita  la  storia  delle  arti  a  quella  delle  lettere  nel  rinascimento. 
Critiche  non  ne  vogliamo  fare,  che  non  sono  della  nostra  competenza.  Di- 
remo solo  genericamente  che  il  lavoro  ci  sembra  condotto  con  molto  garbo, 
ma  che  avremmo  preferito  di  vedere  più  nettamente  divisa  la  parte  delle 
chiose  che  appartiene  al  Morelli  da  quella  aggiunta  dal  novello  editore. 
Cosi  come  il  commento  é,  non  sempre  riesce  agevole  il  distinguere  l' una 
dall'  altra,  quando  ragioni  di  cronologia  non  lo  facciano  manifesto. 

Chiuderemo  osservando  che  alcune  di  queste  notizie  e  chiose  riguardano 
direttamente  gli  studi  nostri  :  così  le  preziose  indicazioni  sugli  oggetti  d'arte 
e  su  alcuni  codici  conservati  da  Pietro  Bembo  nella  sua  casa  di  Padova 
(pp.  40  sgg.)  (1),  le  notizie  intorno  al  castello  di  Pavia  ed  alla  sua  libreria 
(pp.  119-21),  quelle  sul  celebre  Breviario  Grimani  ora  nella  Marciana 
(pp.  2014),  le  altre  su  diversi  volumi  con  disegni  artistici  che  si  trovavano 
in  Venezia  in  casa  Gabriele  Vendramin  (pp.  221-22),  infine  le  osservazioni 
del  Morelli  sul  Tiziano  letterato,  nelle  quali  vengono  confutate  parecchie 
asserzioni  del  Liruti,  che  confuse  Tiziano  il  vecchio  con  Tiziano  iuniore 
(pp.  211-14). 


(1)  Queste  notizie  vennero  recentemente  atiliszate  da  Y.  Cuk  per  la  sua  ricoctmxìone  della 
biblioteca  e  del  museo  di  P.  Bembo  in  Padova.  Cflr.  Un  decennio  deUa  vita  di  M.  P.  B.,  Torino, 
1885,  pp.  102  sgg. 


288  BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO 


CARLO  TONINI.  —  La  coltura  letteraria  e  scientifica  in  Rimini 
dal  sec.  XIV  ai  primordi  del  XIX.  —  Rimini,  tip.  Danesi, 
1884.  —  Due  volumi  (16°,  pp.  xxxviii-524  e  730). 

Nel  sec.  passato  Angelo  Battaglini,  illustratore  della  corte  letteraria  di  Si- 
gismondo Malatesta,  volse  l'animo  suo  ad  un  lavoro  storico  sulla  letteratura 
riminese.  A  un'  opera  simile  attesero  Gaetano  Urbani  e  Zefirino  Gambetti  ; 
ma  le  ricerche  di  tutti  questi  non  giunsero  che  a  porre  insieme  una  parte 
del  materiale.  E  molto  altro  materiale  raccolse  pure  l'ili.  Luigi  Tonini,  il 
dotto  e  benemerito  storico  di  Rimini;  ma,  com'è  noto,  nell'opera  sua  egli 
non  giunse  oltre  il  sec.  XV  (1). 

Carlo  Tonini,  figlio  di  Luigi,  e  attuale  bibliotecario  della  Gambalunghiana, 
ha  posto  a  profitto  il  materiale  raccolto  dai  suoi  predecessori ,  ha  esteso  le 
ricerche  in  quelle  parti  che  gli  sembravano  manchevoli  ed  ha  compilata  la 
presente  opera  utilissima. 

L'A.  non  ha  creduto  opportuno  di  fare  un  dizionario  degli  scrittori  rimi- 
nesi.  A  mostrare  lo  sviluppo  delle  lettere  e  delle  scienze  nella  sua  città  na- 
tale, gli  parve  più  acconcia  una  esposizione  sistematica,  per  secoli  e  per 
generi.  E  tale  maniera  di  esposizione  ha  certamente  i  suoi  vantaggi.  Il  danno 
maggiore  che  ne  consegue  è  l'esservi  naturalmente  spezzata  l'opera  di  quegli 
scrittori,  che  si  esercitarono  in  vari  studi;  ma  a  questo  inconveniente  l'A. 
ha  rimediato  assai  bene  con  un  diligente  e  minutissimo  indice  analitico.  Per 
il  metodo  adunque  si  può  ben  dire  che  quest'  opera  non  lasci  nulla  a  desi- 
derare ;  come  pure  encomiabilissima  ce  ne  sembra  la  forma,  efficace  e  talora 
elegante,  quantunque  non  sempre  immune  dalla  retorica.  La  copia  delle  no- 
tizie qui  raccolte  è  sicuramente  ragguardevole,  e  in  molte  parti  il  T.  utilizza 
fonti  manoscritte.  Certamente  in  più  di  una  occasione  egli  avrebbe  potuto 
ampliare  d'assai  le  sue  cognizioni,  se  avesse  profittato  dei  materiali  mss.  delle 
maggiori  nostre  biblioteche  e  avesse  fatto  ricerche  d'archivio  fuori  della  sua 
Rimini.  Ma  noi  comprendiamo  benissimo  la  difficoltà  di  simili  ricerche,  le 
quali  forse  avrebbero  di  troppo  esteso  quest'opera,  che  è  già  riuscita  abba- 
stanza voluminosa  senza  di  questo. 

Noi  non  possiamo  seguire  qui,  nei  limiti  di  questo  cenno,  neppure  nelle 
linee  generali,  il  libro  del  T.,  in  cui  è  accumulata  tanta  e  si  varia  materia, 
gran  parte  della  quale  direttamente  non  riguarda  i  nostri  studi.  Diremo  solo 
che  nei  secoli  più  antichi,  molto  bene  si  rileva  dal  T.  la  benemerenza  let- 
teraria ed  artistica  dei  Malatesti,  che  giunsero  a  fare  di  Rimini  un  vero 
centro  di  coltura.  Nel  sec.  XIV,  con  Pandolfo  Malatesta,  si  inizia  il  mecena- 


(1)  Della  Storia  di  Rimini  di  L.  Tonini  abbiamo  a  stampa  cinque  volumi.  Un  VI,  destinato  a 
coronare  1'  edificio,  narrando  i  fatti  occorsi  dal  1500  al  1800 ,  fa  scritto  da  C.  Tonini  ed  è  ora 
in  corso  di  stampa. 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO  289 

tismo  di  quei  principi.  Pandolf^,  come  tutti  sanno,  fa  amico  del  Petrarca  (1), 
grande  protettore  di  letterati,  letterato  e  rimatore  egli  stesso.  E  rimatore  non 
ispregevolo  fu  pure  Malatesta  Malatesti,  figliuolo  di  lui  (2).  Questa  bella  tra- 
dizione Venne  proseguita  dipoi  da  Pandolfo  II  e  da  suo  fratello  Carlo  (3);  ma 
raggiunse  il  massimo  della  gloria  nel  sec.  XV,  con  quel  Sigismondo  Mala- 
testa,  poeta  e  protettore  di  poeti,  uomo  d'armi,  mecenate  delle  arti,  che  è 
molto  noto  per  il  lavoro  antico  del  Battaglini  e  per  i  moderni  di  L.  Tonini 
e  dell' Yriarte  (4).  È  specialmente  seguendo  le  orme  del  Battaglini  che  il  T. 
ci  delinea  la  corte  letteraria  di  Sigismondo ,  ove  Giusto  de'  Conti  era  giu- 
dice e  adiutore,  il  parmigiano  Basinio  Basini,  educato  alla  scuola  del  Ooa- 
rino,  scriveva  il  suo  poema  Hesperidos,  destinato  a  celebrare  la  vittoria  di 
Sigismondo  contro  Alfonso  di  Napoli,  Gasparo  Broglio  dettava  la  sua  cronaca, 
e  parecchi  dei  poeti  più  famosi  del  tempo  lavoravano  intorno  aW  Isotteo, 
raccolta  di  carmi  latini  in  lode  di  Sigismondo  e  di  Isotta,  sua  amasia.  Una 
delle  glorie  principali  di  Rimini  e  della  corte  malatestiana  in  quel  tempo, 
fu  Roberto  Valturio,  consigliere  di  Sigismondo  e  suo  storico,  chiamato  dal 
pubblico  il  monarca  di  tutte  le  scienze,  autore  di  quel  celebre  trattato  De 
re  tnilitari,  che  compito  nel  1455,  veniva  pubblicato  nel  1472  in  Verona,  in 
una  edizione  di  cui  non  si  sa  se  maggiormente  ammirare  la  fattura  tipogra- 


(1)  n  cod.  Marncelliano,  che  l'A.  cita  di  seconda  mano  (I,  58) ,  come  contenente  ana  lettera 
del  Petrarca  al  Malatesta ,  crediamo  certo  sia  una  copia  di  quella  bizzarra  raccolta  del  Doni  di 
cose  autentiche  ed  apocrifa  (1547),  che  trovasi  spogliata  dallo  Zambbini,  Op.  v.  a  s<.*,  837. 

(2)  Delle  sue  rime,  parecchie,  delle  qnali  sono  ora  sparsamente  pubblicate ,  sta  proparando  una 
edizione,  condotta  su  tutti  i  principali  mss.,  il  prof.  O.  .S.  Scipioni. 

(3)  A  Pandolfo  II  Malatesta  fu  diretto  un  curioso  sonetto  in  tre  lingue,  latino,  italiano,  fran- 
cese (non  provenMale,  come  dice  il  T. ,  1 ,  78)  da  Simone  di  Ser  Dino  da  Siena.  Essendo  poco 
noto,  crediamo  utile  il  riferirlo  dalla  memoria  del  Battaolimi,  Della  cori»  leti,  di  Sigùm.  Pand. 
Jialatesta,  in  Basinii  parmensis  opera  praestantiora.  Rimini,  1874,  li,  121  : 

Madens  sub  undis  radiantis  Phoebi, 

latens  sub  ,Tove  Venereque  Marte, 

statnens  alta  dignitatis  arte, 

cnlmen  sub  vera  probitate  Phoebi  ; 
0  senex  jnventute,  o  pensier  grevy, 

0  fonte  excelso  de  vertute  sparte, 

comò  potè  natura  tanto  omarte, 

poi  che  più  sempre  in  ver  de'  del  sn  levi  ? 
Alta  rimetnr  gloriaqne  fama 

et  cor  sub  aatris  claritate  micans 

o  dolce  0  benigne  onde,  o  verde  lama. 
Vons  etes  di  vertus  tra  tnot  ghens 

avec  lo  plus  ghentil  per  nostra  dama 

che  ghie  vons  nnquam  amor  cor  vivans. 

(4)  Non  andava  dimenticato  quello  che  su  Sigismondo  dicono  il  Voiot,  Witdtrb.  d*$  ci.  Al- 
ierth.*,  I,  579  sgg.  ;  il  Geioer  ,  Renaissance  und  HumanismHi ,  Berlin,  1882,  pp.  212  a^.,  e 
specialmente  il  Makcini,  Tito  di  L.  B.  Alberti,  Fìrense,  1882,  p.  343  ,  che  si  dilanga  soli»  co- 
struzione del  tempio  di  S.  Francesco. 

OiomaU  storico,  VI,  fase.  16-17.  1» 


290  BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO 

fica,  meravigliosa  per  quel  tempo,  o  la  preziosità  delle  figure  per  la  storia 
dell'arte  militare  (1). 


(1)  La  ediz.  principe,  1472,  fu  fatta  in  Verona  da  Giovanni  di  Niccolò  veronese;  e  in  Verona, 
da  Bonino  de'  Boninl ,  fu  fatta  pare  la  2a  ediz.  (1483)  e  contemporaneamente  ne  fu  edita  una 
versione  volgare.  Di  queste  edizioni  parla  con  sufficiente  esattezza  il  T.  (I,  121-124).  Trattandosi 
di  opera  capitale  per  la  storia  della  stampa  in  Italia ,  non  crediamo  inutile  dar  qui  V  elenco  di 
coloro  che  ne  discorsero  più  o  meno  estesamente ,  secondo  lo  schedario  che  ci  viene  gentilmente 
comunicato  dal  sig.  Pietro  Sgnlmero.  È  inutile  il  dire  che  in  questa  distinta  cronologica  lasciamo 
da  parte  i  massimi  hibliografi,  che  tutti  possono  consaltare.  Le  lettere  s.  e.  indicano  le  opere  in 
cui  il  Valturio  è  semplicemente  catalogato. 


1678.  —  G.  M.  KOKiQ,  Bibliothecà  vetus  et  nova,  Altdorfii,  1678,  p.  829  (s.  e). 

1722.  —  P.  A.  Oblasdi,  Origine  e  progressi  detta  stampa  o  sia  dell'arte  impressoria,  e.  n.  tip. 

ma  Bologna,  1722,  p.  145. 
1731-31.  —  S.  Maffei  ,  Verona  illustrata  ,  Verona,  1731-32  (due  ediz.,  Tana  in-4o,  e  l'altra 

in-fol.).   —  Nella  prefazione  A  chi  legge;  nel  L.  Ili  della  P.  II;    nel  cap.  VI 

della  P.  ni. 
1740.  —  Histoire  de  l'origine  et  des  pre'miers  progrès  de  Vlmprimerie,  La  Haye,  1740,  p.  58. 
1742.  —  Th.  Gkoboi,  Allgemeines  Europ.  Bt'icher-Lexicon,  Leipzig,  1742,  IV,  p.  243  (s.  e). 
1755.  —  Bibliothecà  Smiihiana,  Venetiis,  1755,  II,  cxx-cxxv. 
1764.  —  G.  P.  Db  Bure  ,  Bibliographie  insiructive  (voi.  jurispr.  et  sciences  et  arts) ,  Paris, 

1764,  pp.  579-80. 

1768.  —  J.  B.  L.  Obmont,  DicUon.  typographique,  Paris,  1768,  U,  300  (s.  e). 

1769.  —  G.  F.  De  Bobe,  Supplém.  à  la  Bibliogr.  instructive,  Paris,  1769,  I,  344  (s.  e). 
1775.  —  S.  Bettinelli,  Del  risorgimento  d'Italia,  Bassano,  1775,  II,  225-27. 

1780.  —  G.  TiBABOscHi,  St.  d.  lett.  it.,  T.  VI,  P.  I,  Napoli,  1780,  p.  323. 

1783.  —  G.  De  Bure  ,    Catal.  des  liures  de  la  Ubi.  de  feu  M.  le  Due  de  la  TaUière ,  P.  P., 

Paris,  1783,  I,  591  (s.  e). 
1787.  —  I.  Morelli,  Bibliothecà  Maphaei  Pinelli  veneti,  Venetiis,  1787,  I,  342. 

1789.  —  Catalogne  des  livres  de  la  bibl.  de  M.  Pierre- Antoine  Bolongaro-Crevenna,  Amsterdam, 

1789,  II,  249  (s.  e). 

1790.  —  BibUoth.  elegantissima  parisina,  Londres-Paris,  1790,  p.  42  (s.  e). 

1791.  —  F.  X.  Laire,  Index  librorum,     Senonis,  1791,  I,  290-91. 

1794.  —  F.  Fossi ,    Cat.  cod.  saec.  X  V  impressorum  qui  in  pub.  bibl.  Magliab.  Fior,  adser- 

vantur,  Florentiae,  1794,  coli.  759-60. 

1795.  —  G.  W.  Panzer,  Annales  typographici,  Norimbergae,  1795,  pp.  501-502. 

1796.  —  A.  Cabli,  Istoria  della  città  di  Verona,  voi.  VI,  Verona,  1796,  pp.  410-11. 

1803.  —  G,  Galeani  Napione,  Notizie  de''  principali  scrittori  di  arte  militare,  in  Mémoires  de 
l'Acad.  des  sciences  de  Turin  pour  les  anne'es  X  et  XI,  Turin ,  1803,  p.  448. 

1805,  —  G.  Galeani  Napione  ,  DeU'  origine  delle  stampe  delle  figure  in  legno  ed  in  rame , 
nelle  Mémoires  anzidette  per  gli  anni  XII  e  XIII,  Turin,  1805,  p.  401. 

1807.  —  Santander  ,  Diction.  bibliogr.  choisi  du  XVe  siècle,  voi.  III,  Bruxelles,  1807,  p.  423. 

1809.  —  P.  J.  Fournier,  Nouveau  diction.  portati/ de  bibliographie^,  Paris,  1809,  p.  535  (s.  e). 

1809.  —  L.  Lanzi,  Storia  pittorica  della  Italia^,  Bassano,  1809,  I,  87. 

1810.  —  W.  Beloe,  Anecdotes  of  literature  and  scarce  books,  voi.  IV,  London,  1810,  pp.  358-60. 
1815.  —  Catal.   des  livres  rares  et  pre'cieux  de  la  bibl.  de  feu  M.  le  comte  de  Mac-Carthy , 

Paris,  1815,  I,  325  (s.  e). 
1821.  —  Catalogo  ragionato  dei  libri  d'arte  e  d' antichità  possed.  dal  conte  Cicognara ,  Pisa , 
1821,  I,  124-25. 

1824.  —  M.  P",  Diction.  bibliogr. ,  Paris,  1824,  II,  379  (s.  e). 

1825.  —  [V.  G.  Ventcei],  Compendio  Clelia  storia  sacra  e  profana  di  Verona,  Verona ,  1825, 

n,  96-97. 


BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO  291 

Neirultima  metà  del  sec.  XV  inoltre  contribuirono  alla  fama  di  Rimini 
fra  Giovanni  da  Serravalle,  chiosatore  di  Dante  (1),  Giovanni  Aurelio  Augu- 
relli  e  specialmente  la  famiglia  dei  llarausii,  illustrata  in  particolar  modo  da 
Paolo,  Girolamo  e  Giambattista. 

Nel  sec.  XVI  solamente  fu  introdotta  in  Rimini  l' arte  tipografica,  e  il 
pnmo  tipografo  fu  Niccolò  Brenta  (2).  I  letterati  più  cospicui  che  vi  «bbero 
in  questo  secolo  i  natali  furono  Giovanni  Bruno  de'  Parcitadi,  poeta  lirico; 
Malatesta  Fiordiani,  autore  di  un  poemetto  Della  natura  e  qualità  de'  pesci 
e  di  altri  componimenti  poetici,  tutti  poco  reperibili,  e,  a  quanto  ne  dice  il  T., 
non  degni  d'oblio;  Francesco  Modesti,  che  scrisse  in  latino  una  Yeneziade, 
che  gli  guadagnò  una  pensione  dalla  repubblica  veneta  ;  Pietro  Belmonti,  di 
cui  è  notevole,  per  i  costumi  del  tempo,  un'opera  didattica,  la  Instituzione 
della  sposa,  scritta  per  una  sua  figlia,  ed  anche  una  commedia  tuttora  ine- 
dita, di  cui  il  T.  è  primo  a  dar  notizia;  infine  quel  Malatesta  Porta,  amico 
del  Tasso,  poeta  epico  e  tragico,  difensore  della  Gerusalemme  in  imo  spe- 
ciale scritto  apologetico. 

Il  sec.  XVII,  su  cui  non  ci  tratterremo  troppo,  diede  a  Rimini  ben  cinque 
accademie,  fra  le  quali  va  specialmente  famosa  quella  degli  Adagiati.  E  in 
Rimini  appunto  nasceva  in  quel  secolo  lo  storico  delle  accademie,  Giuseppe 
Malatesta  Garuffì,  della  cui  opera,  V Italia  accademica,  è  solamente  a  stampa 
un  volume  (1688),  mentre  il  rimanente  si  conserva  manoscritto  nella  Gam- 
balunghiana.  Questa  celebre  biblioteca  fu  precisamente  fondata  nel  seicento 
da  Alessandro  Gambalunga,  sul  quale  pure  L.  Tonini  scrisse  una  dotta  me- 
moria. Egli  pose  nel  1614  il  primo  nucleo  di  quella  libreria,  stanziando  una 
rendita  annua  perchè  si  aumentasse.  Rimini  fu  pure  una  delle  prime  città 
d'Italia  ad  avere  un  giornale:  la  Gazzetta  di  Rimini  cominciò  ad  uscire  il 
10  agosto  1660. 

Il  sec.  XVIIl  fu  per  Rimini  molto  glorioso.  Vi  ebbe  la  prima  educazione 
Lorenzo  Ganganelli,  che  fu  papa  Clemente  XIV  ;  vi  soggiornò  il  Goldoni  (3); 
vi  scrisse  drammi,  melodrammi  e  una  tragedia  Daniele  Giupponi;  vi  fiorì  il 


1830.  —  6.  Amati,  Ricerche  storico-critico-scientifiche  sulle  origini,  scoperti  ecc.,  voi.  Y,  Mi- 
lano, 1830,  pp.  537-38. 

1853.  —  C.  Cavattoki,  Z^iw  memorie  intorno  V  antica  stampa  veronése ,  in  Mem.  rf«fi'  accad. 
d'agricoltura,  commercio  ed  arti  di  Verona ,  voi.  XXIX,  pp.  63-106. 

1871.  —  G.  B.  C.  GioLiAKi,  Della  tipografia  veronese,  Verona,  1871,  pp.  9-11. 

1876.  —  C.  Ermes  Visconti,  Ordine  deWesercito  ducale  sfortesco,  in  Arch.  storico  lombardo, 

III,  475. 

1877.  —  Tre  lettere  del  prof .  Ànt.  Yalsecchi  al  sig.  conte  Bonifacio  Fregoso  intomo  il  primo 

libro  stampato  in  Verona  (nozze  Bosetto-Saitori) ,  Vicenza  ,  1877  (vedi  la  ras- 
segna bibl.  fattane  dal  Biadboo,  in  Arch.  veneto,  XIII,  429-32). 
1883.  —  G.  BiADEoo,  Il  primo  libro  stampato  a  Verona,  a  pp.  205-12  del  voi.  Da  Ubri  $  ma- 
noscritti. Verona,  1883. 

(1)  Cfr.  questo  Giornale,  li,  358  sgg.,  e  IV,  58. 

(2)  L.  Tonini  scrisse   una  speciale  memoria  solle  Officine  tipografiche  riminesi,   che  n  legge 
negli  Atti  della  dep.  di  Romagna,  voi.  IV. 

(3)  Nel  discorrere  del  Goldoni  in  Rimini  (II ,  221-29)  il  T.  desume   (laasi   tutte  le  sue  notizie 
dalle  Memorie. 


292  BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO 

dottissimo  cardinale  Giuseppe  Garampi,  insigne  non  meno  per  i  suoi  meriti 
come  diplomatico,  che  per  le  sue  opere  archeologiche  e  storiche.  Ma  speciale 
illustrazione  di  Riinini  fu  nel  passato  secolo  Aurelio  Bertòla,  che  ha  il  me- 
rito di  essere  stato  uno  dei  primi  a  far  conoscere  ed  apprezzare  in  Italia  la 
letteratura  tedesca.  L'amicizia  fraterna  del  Bertòla  col  Gessner,  che  egli  tra- 
dusse (1);  i  suoi  molti  meriti  come  poeta;  alcune  delle  sue  relazioni  più  ce- 
lebri, sono  cose  ben  note  a  chiunque  si  occupi  dei  nostri  studi.  Ma  il  T.  nelle 
pagine  che  di  lui  scrive,  le  più  importanti  certo  di  tutta  la  sua  opera,  ci  dà 
notizie  nuove  interessanti,  essendosi  potuto  valere  del  ricco  carteggio  inedito 
del  Bertòla.  Ben  altro  e  maggiore  profitto  noi  crediamo  si  possa  trarre  da 
queste  lettere ,  se  dicono  vero  certi  accenni  discreti  dell'  A.  (2).  Le  rela- 
zioni del  Bertòla  col  Metastasio,  col  Pindemonte,  col  Foscolo,  col  Cesari,  col 
Mascheroni  sono  troppo  interessanti  perchè  noi  non  ci  sentiamo  costretti  a 
far  voti  aflSnchè  quanto  prima  il  T. ,  od  altri ,  consacri  uno  studio  speciale 
al  carteggio  che  ci  conserva  la  memoria  di  tutte  queste  corrispondenze  af- 
fettuose. 

Del  sec.  nostro  il  T.  non  si  occupa.  Egli  si  limita  a  dare  una  tavola  di 
scrittori  (11,  687)  (3),  ed  a  consacrare  un  breve  capitolo  (11,  653-61)  alle  con- 
dizioni degli  studi  in  Rimini  nei  primi  anni  del  secolo,  notando  con  giusta 
compiacenza  il  profitto  che  vi  fece,  frequentando  la  scuola  medica  di  Michele 
Rosa,  il  cesenate  Maurizio  Bufalini. 

Noi  auguriamo  a  tutte  le  città  italiane,  che  ebbero  una  storia  scientifica 
e  letteraria,  libri  come  questo  del  dr.  Tonini.  Oggi  che  si  va  perdendo  la 
nobile  tradizione  dei  cultori  di  storia  municipale  e  ad  essi  si  sostituisce  la 
pessima  gramigna  dei  professorini  saputelli  e  petulanti,  incapaci  di  ogni  oc- 
cupazione seria  e  talora  di  ogni  sentimento  elevato,  libri  siffatti  confortano. 


PIO  CARLO  F ALLETTI  FOSSATI.  —  Saggi.  —  Palermo,  tip.  ed. 
Giannone  e  Lamantia,  1885  (8°,  pp.  vi-392). 

Uno  solo  di  questi  scritti  si  riferisce  ad  argomento  propriamente  letterario; 
ma  anche  gli  altri,  quando  se  ne  eccettui  l'ultimo  {La  monarchia  piemon- 
tese dal  1772  al  1802)  si  riattaccano  indirettamente  ai  nostri  studi.  Tre 
furono  già  editi  in  riviste  e  compaiono  in  questo   volume   migliorati  e   ac- 


(1)  «  Il  più  bell'idillio  che  potessero  scrivere  Glessner  e  Bertòla  sarebbe  stato  quello  della  loro 
«  amicizia  »,  dice  con  frase  felice  lo  Zanella,  Paralleli  letterari.  Verona,  1885,  p.  136. 

(2)  Per  es.,  dopo  aver  riferito  un  brano  di  lettera  della  celebre  Morelli,  l'A.  aggiunge:  «  Se 
«  Gorilla  amasse  il  Bertòla  oltre  ai  limiti  di  un  amor  letterario,  noi  sapremmo  affermare.  Egli  è 
«  però  certo,  che  più  d'una  delle  donne  letterate,  non  esclusa  la  Gismondi,  fu  perdutamente  presa 
«  dai  vezzi  di  quest'uomo  veramente  fatto  per  vincere  il  sesso  gentile.  Ciò  si  apprende  senza  am- 
«  bagi  nelle  lettere  che  esse  gli  scriveano  »  (II,  412m.). 

(3)  In  questa  tavola  occorre  un  errore  di  nnmeraz.  delle  pagine,  che  prosegue  per  tutto  il  se- 
guito del  volume.  Del  resto,  specialm.  nel  l  voi.,  gli  errori  di  stampa  sono  oltremodo  numerosi. 


BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO  293 

cresciuti;  uno  è  stampato  qui  per  la  prima  volta  e  reca  il  titolo  L'ultima 
marchesa  d'Azeglio. 

Questo  esteso  lavoro  è  condotto  sui  Souvenirs  historiques  di  Gostanza 
d'Azeglio,  pubblicati  nel  1884  dal  figliuol  suo  Emanuele.  Vi  si  dà  un  quadro 
molto  vivace  e  vero  della  vita  piemontese  nei  tempi  in  cui  si  preparava  il 
riscatto  nazionale,  e  tutto  le  persone  più  l)cnemerite  di  quel  glorioso  periodo 
ci  sono  fatte  passare  d' innanzi.  Lo  si  legge  quindi  con  piacere ,  tanto  più 
che  il  F.  si  è  saputo  tener  lontano  da  ogni  partigianeria  ed  ha  lasciato  par- 
lare i  fatti.  Tuttavia  nella  esecuzione  di  questo  lavoro  si  lamenta  talvolta  un 
po'  troppo  di  trascuratezza,  specialmente  nelle  citazioni,  che  sono  abbastanza 
numerose,  ma  fatte  per  lo  più  in  modo  cosi  generico  da  non  rendere  agevole 
il  riscontro.  Riguardano  in  questo  saggio  anche  la  storia  letteraria  le  pagane 
su  Massimo  D'  Azeglio  (pp.  228  sgg). ,  nelle  quali  il  F.  cercò  delineare  il 
carattere  di  lui  come  uomo  privato  e  come  politico,  e  il  capitolo  sulla  cul- 
tura in  Piemonte  (pp.  177  sgg.),  che  non  è  immune  da  inesattezze  (1). 

Nel  saggio  La  lotta  per  le  Alpi  e  Carlo  Emanuele  1,  il  F.  parla  con 
qualche  ostensione  delle  opere  letterarie  e  politiche  che  attestano  il  desiderio 
di  indipendenza  degli  Italiani  verso  il  mezzo  del  sec.  XVII,  ed  esamina  in 
particolare  tre  scritti  politici  del  tempo,  La  staterà  politica  d'Italia^  Il  Po- 
litico soldato  Monferrino ,  Il  Zimbello  (pp.  111-123).  Poi,  venendo  a  mo- 
strare il  risveglio  della  idea  d'indipendenza  per  opera  di  Carlo  Emanuele  I, 
tocca  eziandio  della  protezione  accordata  da  questo  principe  illuminato  alle 
lettere  (pp.  123-128)  (2). 

Ma  il  saggio  che  più  particolarmente  tratta  ai^omento  letterario  è  il  primo 
di  questo  volume ,  Silvio  Pellico  e  la  marchesa  di  Barolo ,  comparso  la 
prima  volta  nella  Rivista  europea.  Questo  saggio  ha  lo  scopo  di  illustrare 
dieci  lettere  del  Pellico,  ed  una  della  marchesa,  al  padre  dell'A.  Le  lettere 
sono  pubblicate  in  appendice.  11  F.,  nella  prima  parte  del  suo  scritto,  cerca 
mettere  in  chiara  luce  il  carattere  di  Giulia  Golbert-Falletti,  ultima  marchesa 
di  Barolo.  Egli  mostra  come  tradizioni  di  famiglia  e  abitudini  del  sentimento 
facessero  di  questa  donna  benefica  una  retriva ,  ma  nello  stesso  tempo  so- 
stiene con  buoni  argomenti  che  i  viaggi  per  1'  Italia  che  essa  faceva  in 
compagnia  del  Pellico  e  dell'  abate  Del  Ponte  non  erano  viaggi  politici. 
L' amor  patrio  della  Barolo  era  una  specie  di  umanitarismo  cattolico ,  del 
quale  risentivano  V  influsso  le  molte  istituzioni  benefiche  da  lei  fondate  o 
promosse.  A  poco  a  poco  la  marchesa ,  salda  nelle  sue  idee  retrive  mentre 
il  mondo  camminava,  si  trovò  isolata  in  mezzo  alla  nobiltà  piemontese ,  in 


(1)  Per  es.  a  p.  180  si  attribuisce  al  Comparetti  il  merito  di  aver  illastrato  il  folk-lort  mon- 
ferrino, ciò  che  invece  devesi,  com'è  noto,  al  Ferrare  ,  e  discorrendo  delle  cantoni  popolari  pie- 
montesi citasi  un  articolo  della  Pigorìni  rig^ardant«  altro  soggetto,  e  non  si  fa  parola  degli  stndi 
coscienziosi  del  Nigra.  Per  gli  autodidascali  (pp.  185-86)  sarebbe  stato  utile  rinviare  allo  scrìtto 
del  D'Ancona,  Caratteri  di  piemontesi  illustri  del  séc.  XIX  (in    Varietà,  I,  229  sgg.). 

(2)  Intorno  al  risveglio  del  sentimento  nazionale  nel  sec.  XVII  sarebbe  stato  beM  che  VA. 
avesse  messo  a  profitto  i  Saggi  di  polemica  »  di  poesia  poUiica  pubblicati  dal  D'Axcoxa  nell'ilr- 
chivio  veneto  del  1872. 


294  BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO 

cui  le  nuove  idee  facevansi  strada.  Essa  offre  un  singolare  contrasto  con 
Costanza  D'Azeglio,  mente  acuta  ed  illuminata,  che  nonostante  i  pregiudizi 
della  classe  sociale  cui  apparteneva,  seppe  vedere  così  addentro  nei  casi  po- 
litici de'  tempi  suoi.  La  marchesa  di  Barolo  si  spaventava  per  ogni  fatto , 
per  ogni  opinione  che  si  sottraesse  alla  più  schietta  ortodossia  o  mirasse  a 
scalzare  que'  principi  legittimisti,  che  essa  reputava  incrollabili.  Quindi  nel 
suo  tempo  essa  è  un  anacronismo ,  e  che  il  doloroso  sentimento  di  ciò  la 
rendesse  fanatica ,  non  è  a  meravigliare.  Ma  forse  meno  facile  a  compren- 
dere si  è  che  le  idee  retrive  di  questa  donna  potessero  essere  con  tanto  ca- 
lore divise  dal  Pellico,  che  bene  o  male  nel  movimento  politico  s'era  trovato 
e  aveva  ingegno,  se  non  superiore,  tale  almeno  da  intendere  di  che  si  trat- 
tasse. In  questa  parte  il  F.,  se  non  ci  inganniamo,  è  troppo  indulgente  verso 
il  poeta  di  Saluzzo.  «  Confessiamo  il  vero  (dice  egli):  vedere  il  patibolo; 
«  languire  per  dieci  lunghissimi  anni  in  carcere  e  poi  ricevere  la  libertà , 
«  la  luce,  la  vita  dalla  magnanimità  d'un  principe,  i  cui  diritti  si  erano 
«  oifesi,  credo  che  modificherebbe  le  idee  in  più  d'uno  di  noi,  che  ora  par- 
«  liamo  e  scriviamo  liberamente.  La  riconoscenza  del  Pellico,  senza  dubbio, 
«  fu  eccessiva  e  gli  fece  perder  di  vista  i  bisogni  veri  del  popolo  italiano, 
«  ma  egli  merita  compatimento  »  (pp.  27-28).  Questa  riconoscenza  del  Pel- 
lico verso  r  Austria,  perchè  lo  aveva  tenuto  troppo  poco  nello  Spielberg,  è 
davvero  curiosa!  Più  d'uno  di  noi,  se  ne  assicuri  1' A.,  non  la  sentirebbe 
affatto,  e  farebbe  bene  a  non  sentirla,  perchè  è  un  assurdo  del  sentimenta- 
lismo, è  una  aberrazione  nell'apprezzamento  dei  diritti  umani.  Una  conver- 
sione come  quella  del  Manzoni,  la  si  comprende  facilmente  ;  una  conversione 
come  quella  del  Pellico,  si  potrà  spiegarla  e  anche  compatirla^  come  tutti 
gli  stati  patologici  dello  spirito  umano,  ma  giustificarla  no  davvero. 

Che,  del  resto,  la  relazione  del  Pellico  con  la  Falletti  fosse  purissima,  noi 
non  abbiamo  ragione  di  dubitarne;  ma  non  crediamo  che  il  giornale  torinese 
La  croce  di  Savoia,  diffondendo  nel  1852  la  notizia  che  il  Pellico  prendeva 
in  moglie  la  marchesa ,  intendesse  calunniarli.  Questa  parola  compare  in 
una  lettera  francese  della  Falletti  (p.  66),  come  nella  protesta  del  Pellico, 
il  quale  in  lettera  privata  trattava  di  «  impudente  razza  di  bricconi  »  (p.  64) 
coloro  che  aveano  comunicato  quella  notizia.  Alla  loro  indignazione,  punto 
giustificata,  si  può  perdonare  queste  violenze,  tanto  più  quando  si  consideri 
che  si  trattava  di  dare  addosso  ai  liberali. 

Il  F.  non  ha  potuto  vedere  i  numeri  del  giornale  La  Croce  di  Savoia  in 
cui  si  parla  di  questo  fatto  (cfr.  p.  33  n.).  Ecco  pertanto  come  stanno  le 
cose.  Nel  n°  7  febbraio  1852  leggesi  secca  secca  la  seguente  notizia:  <<  Si 
«  dà  per  certo  che  la  signora  marchesa  Falletti  di  Barolo ,  nata  Colbert , 
«  abbia  recentemente  contratto  matrimonio  in  Roma  col  suo  bibliotecario 
«  Silvio  Pellico  ».  Nel  n»  26  febbraio  dell'anno  stesso  èvvi  la  smentita  del 
Pellico  cosi  concepita: 

Sig.  Redattore  della  Croce  di  Savoia, 

Non  leggo  il  suo  giornale  ,  ma  ho  letto  nel  Cattolico  di  Genova  un  articolo  tratto  da  un  nu- 
mero della  Croce  di  Savoia ,  nel  quale  si  dà  per  certo  che  la  signora  marchesa  di  Barolo ,  nata 
Colbert,  ha  contratto  matrimonio  col  suo  bibliotecario  Silvio  Pellico  :  è  una  calunnia  ;  questo  ma- 


BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO  295 

trìinonio  sarebbe   indegno  di  lei.  Io  che  conosco  i  saoi  meriti  e  le  me  virtù  ,   devo  proteatare 
contro  l'ingiusta  malevolenza  di  un  simile  annunzio. 

Prego  Y.  S.,  appoggiandomi  alla  leggo,  di  rendere  al  più  presto  pnbblica  la  smentita  che  do  a 
questa  falsità:  la  riconoscenza  che  debbo  alla  mia  benefattrice  me  ne  fa  an  dovere  di  cosdanza. 
Napoli,  17  febbraio  1852. 

Silvio  Pbluco. 


Il  redattore  fa  precedere  la  lettera  da  un  lungo  cappello,  in  cui  dice  delle 
cose  giuste  e  generose.  Rileviamo  specialmente  le  seguenti  parole,  con  cui  si 
scusa  dalla  taccia  di  aver  consciamente  offeso  il  Pellico  :  «  Poniamo  da  banda 
«  l'illustre  marchesa  nata  Colbert ,  ,con  la  quale  non  ha  che  faro  il  nostro 
«  giornale.  Quanto  a  Silvio  Pellico ,  noi  protestiamo  innanzi  tutto  che  non 
«  abbiamo  avuto  intenzione  di  offenderlo  e  fargli  dispiacere  in  alcuna  guisa, 
«  quando  ci  è  accaduto  di  dire  che  egli  si  maritava.  Un  tempo  noi  abbiamo 
«  amato  e  venerato  grandemente  il  poeta  di  Saluzzo;  noi  eravamo  giova- 
«  nissimi  allora,  e  il  nome  di  Pellico  era  in  tutte  le  bocche  e  in  tutti  i 
«  cuori.  Noi  onoravamo  in  lui  il  martire  della  libertà  italiana ,  la  vittima 
«  dell'oppressione  straniera,  e  nel  tempo  stesso  l'ingegno  nazionale.  Né  quel- 
«  l'amore  e  rispetto  sono  scemati  nell'  animo  nostro ,  e  se  non  hanno  ali- 
«  mento  in  un  obbietto  vivo  e  presente,  rimangono  almeno  nella  memoria. 
«  Oltre  a  ciò  noi  piangiamo  in  lui  la  vittima  di  un'  altra  oppressione ,  la 
«  quale,  forse  piià  che  l'austriaca,  è  stata  cagione  della  rovina  della  patria 
«  nostra;  né  qui  fa  d'uopo  che  noi  manifestiamo  più  apertamente  il  nostro 
«  pensiero.  Singoiar  destino  d'un  uomo!  La  sua  vita  non  è  stata  che  una 
«  lunga  prigionia!  Dopo  le  catene  che  gli  toglievano  la  libertà  del  corpo, 
«  gli  furono  fabbricafe  quelle  dell'  anima  ;  nelle  quali  ora  si  ravvolge  con- 
«  tento  e  felice!  Chi  potrebbe  dire  una  parola  di  offesa  contro  costui,  e 
«  meritare  il  nome  di  onesto  scrittore?  »  A  parte  il  brutto  stile  del  gazzet- 
tiere, qui  si  dicono  francamente  cose  verissime. 


CLEMENTE  BENEDETTUCCI.  —  Leopardi,  scritti  editi  scono- 
sciuti. —  Spigolature.  —  Recanali,  tip.  Rinaldo  Simboli, 
1885  (8°,  pp.  xxxviii-470). 

Dire  che  questo  volume,  di  cui  l'idea  venne  all'A.  nel  compilare  la  parte 
riguardante  il  Leopardi  di  una  sua  Biblioteca  recanatese,  rechi  agli  studi 
leopardiani  fatti  molto  nuovi  e  molto  rilevanti  non  si  potrebbe  davvero. 
Chiunque  abbia  idea  di  quello  che  sono  le  pubblicazioni  di  testi  inediti  o 
rari  troverà  senza  dubbio  che  il  prof.  Benedettucci  ha  incredibilmente  gon- 
fiato il  suo  soggetto,  non  ha  saputo  contenersi  nei  giusti  limiti  che  quelle 
poche,  poco  rilevanti  e  non  sempre  sicure  briciole  leopardiane  gli  dovevano 
imporre.  Se  noi  esaminiamo  questo  grosso  volume,  vi  troviamo  che  su  circa 
500  pagine,  poco  più  di   160  recano  scritti   leopardiani  o  presunti  di   lui. 


296  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO 

mentre  gli  altri  due  terzi  del  libro  risultano  di  prefazioni  o  preamboli  (per 
usare  la  parola  prediletta  dall'A.)  e  di  troppo  numerose  pagine  bianche. 
Difficilmente  si  poteva  dare  in  più  spazio  meno  roba.  Come  ciò  torni  a 
danno  grandissimo  del  volume  e  della  idea  del  resto  encomiabile  del  suo 
compilatore,  ognuno  che  ha  fior  di  senno  sei  vede.  E  tanto  più  questa  ten- 
denza ad  ingigantire  i  particolari,  a  far  delle  mosche  elefanti  è  biasimevole, 
inquantochè,  tranne  forse  in  un  caso,  questioni  veramente  serie  e  difficili, 
che  richiedessero  un  ampio  svolgimento,  l'autore  non  ne  aveva  per  le  mani, 
e  lo  straordinario  sciupo  di  spazio  si  deve  quindi  quasi  sempre  ad  una  spe- 
ciale prolissità  di  esposizione,  o  al  desiderio  di  toccare  questioni  laterali, 
che  col  libro  ci  hanno  poco  o  punto  che  vedere.  Per  esempio  non  ci  pos- 
siamo persuadere  che  fosse  necessario  il  fare  nella  prefazione  (pp.  xxx-xxxvii) 
tante  riserve  sul  valore  filosofico  dello  ingegno  del  Leopardi,  e  molto  meno 
di  estendersi  altrove,  colta  l'occasione  per  i  capelli,  in  una  digressione  ten- 
denziosa contro  il  Botta  (pp.  286-91). 

Accennando  questo  difetto  metodico,  che  vi  è  nel  recente  volume  leopar- 
diano, non  vogliamo  con  ciò  porre  in  dubbio  la  utilità  sua.  Noi  siamo  d'av- 
viso (e  più  volte  ci  è  accaduto  di  ripeterlo;  che  degli  scrittori  sovrani  ogni 
cosa,  benché  minima,  possa  avere  il  suo  interesse,  e  siamo  ben  lungi  dal- 
l'associarci  a  quelli  che,  scemi  di  mente  e  destituiti  di  ogni  soda  coltura, 
fingono  d'essere  tutti  assorti  nelle  sintesi  solenni,  nei  massimi  problemi,  e 
nella  considerazione  dei  fatti  grandi,  per  potere  con  olimpico  disprezzo  sen- 
tenziare pedantesca  ed  inconcludente  la  ricerca  e  la  illustrazione  delle  mi- 
nuzie. Il  prof.  Benedettucci  adunque,  avendo  potuto  con  sicurezza  stabilire 
la  paternità  leopardiana  di  alcuni  scritti  disseminati  in  vecchi  e  poco  acces- 
sibili giornali  e  sfuggiti  sinora  agli  studiosi,  ha  fatto  bene  a  rimetterli  ìp 
luce,  recando  le  prove  della  loro  autenticità.  Nelle  quali  prove.  Io  diciamo 
con  piacere,  se  l'A.  è  riuscito  talora  soverchiamente  abbondante,  è  certo  che 
egli  è  sempre  convincentissimo  e  mostra  critica  ponderata  ed  acuta,  e  buona 
conoscenza  degli  scritti  leopardiani. 

I  periodici,  in  cui  Giacomo  Leopardi  scrisse,  sono  per  ordine  cronologico 
i  seguenti:  lo  Spettatore  di  Milano,  le  Effemeridi  letterarie  di  Roma,  il 
Caffè  di  Petronio  di  Bologna,  il  Nuovo  ricoglitore  di  Milano,  Y Antologia 
di  Firenze  (1).  Oltre  le  cose  firmate  del  L.,  che  in  alcuni  di  questi  si  leg- 
gono, ve  ne  sono  altre  anonime  o  pseudonime,  la  cui  autenticità  può  esser 
messa  in  chiaro  solamente  con  indizi  o  attestazioni  sparse  nelle  lettere.  Dallo 
Spettatore  il  B.  ricava  due  recensioni  del  L.,  delle  quali  1'  una  è  certamente 
sua,  l'altra  può  dar  luogo  a  qualche  dubbio.  La  prima  ha  specialmente  im- 
portanza perchè  è  nuova  prova  della  buona  conoscenza  che  il  L.  aveva 
dell'ebraico  (2):  essa   infatti   concerne  il  Salterio  italianizzato  da  Giuseppe 


(1)  11  B.  sospetta  che  vi  siano  cose  anonime  del  L.  anche  nel  Giornale  arcadico  di  Roma  e 
n^W Abhreviatore  di  Bologna,  ma  non  crede  si  possa  verificare  nulla  di  sicuro  in  proposito.  Cfr. 
pp.  176-177. 

(2)  Tanto  più  ciò  deve  farci  piacere,  inquantochè  gli  altri  fatti  da  cui  si  poteva  dedurre,  secondo 
il  B.  (p.  2-1 M.),  la  conoscenza  dell'ebraico  nel  Leopardi  sono  di  poco  momento.  Mi  sembra  infatti 


BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO  297 

Venturi  e  versificato  da  G.  B.  Gazola  (1).  La  seconda  scrittura  riguarda  la 
traduzione  delle  Eroidi  di  Ovidio  data  dal  Femandez.  Dalle  Effemeridi  leU 
terarie  del  De  Romanis  il  B.  estrae  una  rivista  anonima  e  molto  interes- 
sante- della  versione  dell'  Iliade  di  Michele  Leoni ,  in  cui  sono  particolar- 
mente notevoli  i  molti  e  ammirativi  giudizi  che  il  L.  dà  del  Monti  e  della 
sua  traduzione;  e  aggiunge  le  Notae  in  M.  T.  Ciceronis  de  Republica,  che 
quantunque  firmate  dal  L.,  non  vennero  sinora  mai  riprodotte.  —  Dal  Caffè 
di  Petronio  del  Brighenti,  giornaletto  bolognese  che  durò  solo  l'anno  1825, 
il  B.  toglie  un  manifesto  delle  opere  di  Cicerone  (edizione  Stella),  che  con 
critica  industre  prova  essere  opera  del  Leopardi,  e  inoltre  il  più  importante 
degli  scritti  qui  raccolti,  una  versione  della  Batracomiomachia,  che  è  inter- 
media tra  la  prima  redazione,  del  1816,  e  la  definitiva  del  1826.  Buon  ma- 
teriale per  chi  studia  l' arte  del  L.  potrà  offrire  il  confronto  tra  queste  tre 
versioni  successive.  —  Dalla  Antologia  il  B.  riproduce  l' insignificantissimo 
manifesto,  con  cui  il  L.  annunciava  la  ediz.  1831  dei  suoi  Canti. 

Oltracciò  al  B.  non  parve  soverchio  il  ristampare  due  prosette  d'occasione, 
che  si  trovano  nella  rarissima  e  soppressa  ediz.  napoletana  del  1835,  e  non 
comparvero  nelle  altre,  e  due  dichiarazioni,  una  conosciuta  contro  i  Bialo- 
ghetti  di  Monaldo  Leopardi  e  l'altra  ignota  contro  le  Considerazioni  del  me- 
desimo sulla  storia  del  Botta. 

Più  rilevanti  sono  alcune  poesiole  tradotte  dal  greco  e  pubblicate  nel  1816 
in  occasione  di  nozze,  tra  le  primissime  cose  certo  che  il  L.  mise  a  stampa, 
note  sinora  solo  in  parte  per  riimpressioni  recenti.  In  una  appendice  di  cose 
dubbie  l'A.  inserisce  una  prosetta  sull'invidia,  firmata  il  conte  Leopardi., 
ed  edita  nella  Lanterna  magica  di  Napoli  del  1837.  La  crede  versione  di 
una  prosa  francese  di -Giacomo,  che  non  gli  riuscì  di  rintracciare.  Aggiunge 
inoltre  una  contraflfazione  di  versione  trecentistica  d'una  favola  d'Esopo,  che 
assegna,  non  senza  buoni  argomenti  congetturali,  al  L.  per  essere  inserita 
nello  Spettatore  del  1817. 

Come  si  vede,  questo  volume,  se  non  offre  cose  molto  ghiotte  e  peregrine, 
non  è  peraltro,  nel  tutt' insieme,  destituito  d'importanza,  e  nessuno  che 
abbia  i  volumi  con  cui  in  questi  ultimi  anni  si  venne  completando  la  raccolta 
lemonnieriana  delle  opere  del  Recanatese,  quello  del  Viani,  quello  del  Volta, 
i  due  del  Piergili  ed  i  due  del  Cagnoni,  ne  vorrà  star  senza. 


che  solo  VAiwlogia ,  che  si  trova  tra  le  carte  sinnerìane  di  Firenze  (cfr.  Pieboili,  Nuckì  docu- 
menti, p.  45,  tt.  1),  attesti  una  conoscenza  diretta  della  lingua,  mentre  negli  altri  casi  citati  dai 
B.  non  è  certo  che  il  L.  osasse  i  testi  anziché  le  versioni. 
(1)  Non  versificato  dal  Venturi,  come  per  una  svista  il  B.  dice  a  p.  45  e  nell'indice. 


298  BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO 

F.  DI  MANZANO.  —  Cenni  hiografici  dei  letterati  ed  artisti 
friulani  dal  secolo  IV  al  XIX.  —  Udine,  P.  Gambierasi, 
1885  (8°,  pp.  227). 

Il  conte  Francesco  di  Manzano,  ben  noto  ai  cultori  degli  studi  storici  per 
i  molti  suoi  lavori ,  che  illustrano  la  storia  del  Friuli,  del  quale  ha  anche 
tessuti  ^ì  Annali,  con  questa  pubblicazione  ha  voluto  rendere  un  nuovo 
servigio  agli  studiosi  offrendo  loro  raccolte  e  compendiate  sulle  fonti  migliori 
e  più  autorevoli  le  notizie  spettanti  alla  vita  ed  alle  opere  dei  letterati  ed 
artisti  del  Friuli  dal  sec.  IV  al  XIX.  Cosi  circa  mille  nomi  ci  passano  din- 
nanzi: da  Eliodoro,  Florenzio,  Fortunaziano,  Ruffino,  Paolo  Diacono,  S.  Pao- 
lino, veniamo  giù  giù  per  Lorenzo  e  Giovanni  Bondi,  Toramasino  de'Cerchiari, 
Odorico  da  Pordenone,  ai  letterati  e  poeti  del  sec.  XV:  a  Jacopo  di  Porcia, 
a  Gir.  Savorgnano  ed  ai  maggiori  del  XVI  :  M.  A.  Flaminio,  Erasmo  di  Val- 
vasone,  l'Aleandro,  il  Robortello,  il  Delminio,  il  Nicoletti,  gli  Amaltei,  Giro 
di  Pers,  Cornelio  Frangipane;  e  la  schiera  eletta  trova  degni  continuatori,  nei 
secoli  a  noi  più  vicini,  nel  Fontanini,  nel  Liruti,  nel  Bini,  nel  De  Rossi,  nel 
Della  Torre;  per  tacere  dei  più  recenti,  il  Pirona,  il  Ciconi,  il  Nievo,  che  il 
Friuli  rivendica  a  sé.  Non  tutti  questi  cenni  sono  naturalmente  di  una  esat- 
tezza tale  da  non  lasciare  adito  a  correzioni  e,  sopratutto,  ad  aggiunte  ;  ma 
ad  ogni  modo  il  lavoro  del  dotto  storico  friulano  è  degno  di  lode  per  la  sua 
utilità  e  ci  consente  di  congratularci  vivamente  con  lui,  che  in  età  si  avan- 
zata mantiene  sempre  tanto  vivace  il  culto  degli  studi  e  la  operosità  del- 
l'ingegno. 


GIUSEPPE  PITRÈ.   —   Novelle  popolari  toscane.   —   Firenze , 
G.  Barbèra,  1885  (12°,  pp.  xlii-318). 

L'avv.  Giovanni  Siciliano  raccoglieva  in  Toscana  dalla  viva  voce  del  po- 
polo queste  novelle,  e  le  comunicava  al  Pitrè,  che  ne  fece  un  libro  impor- 
tantissimo. Siccome  esso  si  dirige  ad  un  pubblico  piuttosto  largo,  l'illustre 
editore  gli  ha  fatto  precedere  una  acconcia  prefazione,  in  cui  tocca  dei  primi 
raccoglitori  di  racconti  popolari  e  dello  sviluppo  che  successivamente  ottenne  il 
folk-lore,  e  quindi  con  molta  chiarezza  determina  le  due  principali  teorie  in- 
torno alla  formazionie  e  diffusione  delle  novelle  popolari,  mostrandosi  incline 
a  quella  proposta  dalla  scuola  storica.  A  questa  prefazione  d'indole  generale 
segue  una  bibliografia  delle  principali  raccolte  di  novelle  popolari  italiane, 
che  riuscirà  utile  come  prontuario  anche  agli  specialisti. 

Le  novelle  sono  in  tutto  76,  divise  in  tre  gruppi.  A  noi  non  compete  in- 
dagarne l'importanza  per  la  novellistica  popolare  comparata.  Sì,  invece,  ri- 
leviamo che  i  riscontri  con  altre  novelle  italiane  posti  in  fine  ad  ognuna  di 


BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO  299 

esse,  hanno  spesso  volte  interesso  diretto  per  chi  si  occupa  di  storia  lette- 
raria, giacché  richiamano  novelle,  che  si  annoverano  nel  nostro  patrimonio 
classico.  Così,  p.  es.,  ve  ne  sono  che  hanno  riscontro  nel  Novellino  (pp.  73, 
208,  243),  nel  Boccaccio  (pp.  296-97),  nel  Sacchetti  (pp.  305,  310),  nel 
Sercambi  (p.  287),  nel  Poggio  (p.  288  e  301) ,  nel  Mambriano  (p.  32  e 
39),  nello  Straparola  (pp.  19,  73,  276,  291),  in  Cinzio  de'  Fabrizi  (p.  170 
a  243)  ecc.  Particolarmente  notevole  è  la  XLU,  Cecino,  che  è  una  variante 
della  notissima  fiaba  del  petit-poncet,  di  cui  il  Paris  (nel  1875)  non  avea  tro- 
vato traccia  in  Italia.  Ora  se  ne  hanno  a  stampa  diverse  redazioni  italiane, 
che  il  P.  enumera. 

Quanto  alla  diligenza  e  alla   dottrina   con  cui  il  volume   è  condotto,  ci 
sembrerebbe  inutile  lo  spender  parola.  11  nome  del  Pitrè  dice  tutto. 


N.  BALDINUGCI.  —  Moglie  e  marito  (Nozze  Pardo  Roques-Oli- 
vetti).  —  Firenze,  Carnesecchi,  1884  (8°,  pp.  10). 

Niccolò  Baldinucci  ha  lasciato  una  curiosa  opera,  intitolata  i  Capitoli  di 
Arcadia ,  della  quale  il  cod.  autografo,  arricchito  di  figure  acquarellate  a 
ciascun  capitolo ,  esiste  nella  Nazionale  di  Firenze  (1).  Uno  di  questi  capi- 
toli, quello  per  l'appunto  che  tratta  del  matrimonio,  ha  dato  testé  alla  luce  in 
occasione  di  nozze  il  detto  prof.  D.  Castelli.  Il  poeta  dà  così  alla  moglie  come 
al  marito  degli  ottimi  consigli:  ma  essi  non  avrebbero  certamente  perduto 
nulla  ad  essere  esposti  in  forma  più  elegante  e  poetica.  Il  più  delle  volte  in- 
vece le  strofe  del  B.  fanno  risovvenire  delle  più  brutte  e  prosaiche  che  abbia 
mai  dettate  messer  Francesco  da  Barberino.  Strano  contrasto,  fra  tante  pre- 
diche e  raccomandazioni  di  serbare  il  santo  timor  di  Dio,  fa  questa  strofa, 
che  l'egregio  Editore  ha  con  ogni  ragione  lasciata  in  bianco ,  ma  che  noi 
senza  pericolo  di  offendere  caste  orecchie  di  gentili  donzelle  possiamo  rife- 
rire (2).  Il  poeta  si  lamenta  della  malvagità  dei  tempi  suoi  : 


La  moglie  non  si  cerca 

s«  non  per  i  denari; 

e  nulla  mai  importa 

se  la  sia  guercia  o  storta, 

né  importa  se  sìa  vecchia  o  sia  mal  sana  ; 

e  perciò  poi  si  cerca  la 

(1)  Una  diligente  descrizione  del  cod.  vedi  in  Bartoli,  /  tnanoscritti  itaUani  dtUa  Bibl.  Hom. 
di  Firetue,  I,  pp.  17  sgg. 

(2)  Sarebbe  la  4. 


300  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO 


V.  BELLEMO.  —  Giuseppe  Zarlino  (Nozze  Voltolina-Grescini). 
Ghioggia,  1884  (8°  gr.,  pp.  48). 

Assai  lodevole  è  stato  il  pensiero  del  signor  E.  Scarpa  di  dare  alla  luce 
questa  inedita  monografia  del  Bellemo  intorno  ad  un  uomo  che  da  umili 
condizioni  seppe  per  valore  d'ingegno  sollevarsi  ad  onorevole  stato  e  lasciare 
di  sé  chiarissima  memoria  negli  annali  della  musica  italiana.  11  Zarlino, 
ordinato  prete,  andò  nel  1541  da  Ghioggia  a  Venezia  e  quivi  studiò  sotto  la 
direzione  del  celebre  fiammingo  Adr.  Willaert,  maestro  di  Cappella  di  San 
Marco  (1527-1563).  Salito  presto  in  reputazione,  pubblicò  nel  1557  le  sue 
Institutioni  harmoniche  e  nel  1562  le  Dimostrationi  ;  le  quali  opere  ac- 
crebbero così  la  sua  fama,  che  del  1565  fu  chiamato  a  succedere  al  "Willaert 
temporaneamente  e  quindi,  contro  le  consuetudini,  confermato  in  tal  posto 
a  vita.  Né  alla  musica  soltanto  si  limitò  l' operosità  dello  Zarlino  ;  egli 
scrisse  anche  un  trattato  Della  Pazienza;  si  occupò  della  riforma  del  ca- 
lendario e  appunto  su  tale  argomento  diede  fuori  nel  1577,  dietro  incarico 
della  Signoria,  un  trattatello  Be  vera  anni  forma  (1).  Il  suo  valore  e  la  sua 
virtù  lo  fecero  proporre  dell'  '82  a  vescovo  di  Ghioggia;  ma  la  Curia  Romana 
non  esaudì  il  desiderio  dei  suoi  concittadini.  Morì  il  4  febbraio  1590,  la- 
sciando una  splendida  biblioteca,  lodata  da  molti  contemporanei.  Nella  vita 
veneziana  del  tempo  il  Z.,  che  il  Fétis  chiama  uno  dei  più  grandi  musicisti 
italiani,  occupa  un  posto  notevole  :  egli  era  uno  dei  più  assidui  frequentatori 
di  quei  geniali  e  dotti  convegni  che  avevan  luogo  nella  casa  del  Tintoretto 
e  cui  rallegrava  della  sua  bellezza  quell'Aspasia  veneziana,  che  fu  Veronica 
Franco. 

Il  B.  conferma  che  la  tragedia  Proteo,  Postar  del  mare,  scritta  da  Cor- 
nelio Frangipane  per  la  venuta  di  Enrico  re  di  Polonia  a  Venezia  del  1574, 
fu  musicata  dallo  Zarlino,  il  quale  venne  però  aiutato  da  Claudio  Merulo,  or- 
ganista; il  che  gioverebbe  a  spiegare  le  parole  alquanto  oscure  del  Frangi- 
pane, che  avevano  dato  argomento  di  Sospettare  non  l'attribuzione  del  Proteo 
al  Z.  fosse  erronea  (2). 

Notevole  è  poi  il  cenno ,  che  il  Z.  fa  in  uno  de'  suoi  scritti ,  opportuna- 
mente rilevato  dal  B.,  a  quella  consuetudine  di  far  sacre  rappresentazioni, 
che  in  Ghioggia  non  é  spenta  neppur  oggi  intieramente.  Gioverà  riferire  le 
parole  stesse  del  Z.,  il  quale  narra  come  la  Rappresentazione  si  desse  nel  1528 
dai  Battuti  per  scongiurare  la  peste.  «...  Fecero  un  apparecchio  assai  como- 
«  damente  ornato,  secondo  che  portava  quel  tempo,  sopra  un  grande  burchio, 
«  il  qual  facea  non  solo  bella  vista,  ma  eziandio  muover  il  popolo  a  gran 


(1)  Pag.  XXVI. 

(2)  Pag.  xxra.  Cfir.  anche  p.  xli,  dove  si  parla  dell'  Orfeo  ,  libretto  musicato  dal  Z. ,  e  di 
altri  non  pochi  rinvenuti  dal  B.  nella  Marciana  (p.  xlix)  che  sembrano  doversi  a  lui  attribnìre. 
Vedi  poi  Qiornale,  IV,  449. 


BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO  301 

«  devozione,  lo  non  mi  ricordo  però  in  particolare  il  soggetto  della  historia, 
«  0  cosa  che  recitavano,  ma  so  bene  in  universale  per  quello  che  mi  dissero 
€  anche  molti  della  Città  che  si  rappresentava  la  persona  della  gloriosa 
«  madre  di  Dio,  quella  di  S.  Rocco,  S.  Sebastiano  et  S.  Cristoforo  et  d'altri 
«  Santi ,  i  quali  pregavano  Iddio  nostro  Signore  per  la  liberazione  della 
«  Città  da  quella  mala  influenza.  Onde  stando  il  popolo  divotamente  ad 
«  ascoltare,  si  vedovano  molti  dirottamente  piangere  »  (1). 


V.  GIOBERTI  e  P.  GIORDANI.  —  Lettere  inedite  (Nozze  Mon- 
tani-Galli,  XX  aprile  MDGGGLXXXIIII).  —  Novara,  Fratelli 
Miglio  (8°,  pp.  15). 

Nella  Teorica  del  sopranaturale,  stampata  a  Bruxelles  del  1838,  il  Gioberti, 
parlando  del  Leopardi  aveva  affermato  che  il  poeta  fu  reso  incredulo  da 
personaggio  a  cui  ingegno,  scritti  e  nome  davano  autorità  grande.  Si  volle 
veder  qui  accusato  il  Giordani  e  questi  lo  seppe ,  lo  credette  e  scrisse  da 
Parma  il  18  dicembre  1840  una  lettera  al  Baruffi,  amicissimo  del  Gioberti, 
respingendo  sdegnosamente  il  carico  fattogli.  Il  Baruffi  comunicò  all'  amico 
la  lettera  del  Giordani  e  quegli  rispose  avere  per  il  Giordani  «  un'  altissima 
stima  »;  altrettanta  nutrirne  per  il  Leopardi,  di  cui  adorava  la  memoria,  e, 
non  pago  di  ciò,  scrisse  anche  direttamente  al  Giordani  stesso;  ma  la  lettera 
è  irreperibile.  Non  sembra  tuttavia  che  le  ire  giordaniane  lo  commovessero 
molto ,  perchè  nel  gennaio  del  '41  scriveva  al  Massari  che  avrebbe  deside- 
rato che  il  Giordani  gli  scagliasse  contro  addirittura  una  invettiva:  «  Le 
«  collere  del  Giordani  sono  cosi  eleganti!  »  Anche  di  questa  lettera  ebbe  il 
letterato  parmigiano  notizia  e  se  ne  risentì;  non  aveva  tutti  i  torti!  «  Il  Gio- 
«  berti  (egli  scriveva  quindi  il  24  febbraio  al  Baruffi  in  una  lettera,  che  vede 
«  ora  la  prima  volta  la  luce)  deve  essere  un  capo  strano,  e  quanto  a  buona 
«  fede  un  vero  gesuita  ».  Dopo  di  che  torna  a  ribattere  acremente  l'accusa 
fattagli,  a  suo  credere,  dal  Gioberti,  che  informato  di  tale  rinnovamento  di 
sdegni,  cercò  di  nuovo  mitigarli  con  una  moderatissima  lettera  (25  maggio  1841  ). 
Queste  baruffe  terminarono  poi  felicemente.  Quando  del  '48  il  Gioberti,  fra 
la  gioia  del  risveglio  italiano,  giunse  festeggiatissimo  a  Parma,  fu  abl)rac- 
ciato  dal  Giordani,  del  quale  fece  poscia  un  magnifico  elogio  nel  Rinnova- 
mento civile. 

Queste  lettere  del  Gioberti  e  del  Giordani  sono  la  più  notevole  cosa  che 
sia  pubblicata  nell'elegante  opuscolo  di  cui  parliamo.  Ad  esse  seguono  altre 
due  del  Giordani ,  l'una  scritta  da  Piacenza  il  27  dicembre  1795  ad  un 
G.  Bertani  di  Gastellarquato ,  tutta  piena  di  proteste  d'amicizia  di  un  entu- 
siasmo un  po'  affettato;  l'altra,  di  pregio  anche  minore,  inviata  da  lui,  come 
prosegretario  della  Bolognese  Accademia  dì  Belle  Arti ,  al  neo-accademico 
conte  Carlo  Verri  (7  novembre  1814). 

(1)  Pagg.  xn  sgg. 


302  BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO 

P.  DURAZZO.  —  Orhis  terrarum  brevis  descriptio.  —  Mantova, 
Eredi  Segna,  1885  (8^  pp.  29). 

Il  prof.  P.  Durazzo  ha  pubblicato,  dedicandola  al  sig.  D.  Fellini  nel  giorno 
delle  sue  nozze,  una  Orbis  terrarum  brevis  descriptio,  cavata  dal  cod.  784 
della  Universitaria  di  Padova.  Questo  trattatello  ha  interesse  per  noi  solo 
in  quanto  si  trova  in  un  codice  che  contiene  unicamente  scritti  di  Niccolò 
Perotto;  il  che  potrebbe  essere  a  prima  vista  argomento  abbastanza  forte 
per  far  congetturare  che  sia  opera  sua.  Ma  d'altra  parte,  come  osserva  bene 
il  Durazzo,  non  trovandosi  in  nessuna  altra  opera  del  Perotto  accenno  al- 
cuno che  ci  possa  autorizzare  a  crederlo  versato  nelle  discipline  geografiche 
e  cosmografiche  (1),  così  dobbiamo  rinunciare  alla  congettura.  Piuttosto  è 
probabile  che  questo  trattato  fosse  diretto  al  Perotto,  perchè  è  volta  ad  un 
Nicolò  (Nicolae  mi)  la  lettera  dedicatoria,  al  quale  di  più  si  dice:  tibi  vero  pe- 
ragranti  maria  Siciliamque  visenti;  e  il  Perotto  fu  nel  1456  da  Callisto  III 
mandato  a  visitare  appunto  le  chiese  dell'Italia  meridionale  e  della  Sicilia. 
Chi  sia  poi  o  possa  essere  in  questo  caso  l' autore ,  il  Durazzo  ignora  e 
spera  che  per  opera  di  qualche  studioso  venga  presto  a  conoscersene  il  nome. 
*  Questa  Brevis  Descriptio  non  doveva  essere  che  la  prefazione  di  un'opera 
assai  più  vasta,  trattante,  come  dice  l'autore,  de  cosmogr aphia,  de  hominis 
genitura  et  de  Romanorum,  muneribus.  Alla  lettera  dedicatoria  tien  dietro 
un  quadro  dei  paesi  dei  quali  poi  si  parla:  è  la  solita  descrizione  del  mondo 
tripartito  dall'oceano.  Nella  chiusa  si  nota  un  rozzo  disegno  della  rosa  dei 
venti. 

Sebbene  lo  scritto  non  abbia  molta  importanza,  pure  il  Durazzo  ha  cre- 
duto darlo  alle  stampe  per  «  aumentare  quel  materiale,  che  intorno  alla 
«  storia  della  Geografia  si  va  con  troppa  lentezza  raccogliendo  ».  L'edizione 
di  soli  60  esemplari  è  assai  ben  condotta  e  con  molta  eleganza,  presentan- 
dosi fedele  riproduzione  del  codice.  Il  testo  è  arricchito  di  note  illustrative 
fatte  con  quella  diligenza,  che  gli  studiosi  di  cose  geografiche  conoscono 
esser  solita  nel  Durazzo. 


(1)  Vedi  Zeno,  Dissert.  Yoss.,  I,  pp.  265-271. 


COMUNICAZIONI  ED  APPUNTI 


Un  altro  esempio  di  «  laisse  »  italiana.  —  11  dr.  Biadene  ha  recente- 
mente enumerato  i  pochi  esempi  di  serie  continua  che  noi  abbiamo  nella 
poesia  italiana  dei  primi  secoli,  e  l'amico  prof.  Scipioni  ne  aggiunge  uno 
nuovo  in  questo  medesimo  fascicolo  del  Giornale  (p.  214).  Tale  circostanza 
mi  fé'  tornare  a  mente  come  or  non  è  molto  io  abbia  avuto  occasione  di 
osservare  un  fatto  simile  in  un  cod.  posseduto  dal  marchese  Gampori.  11  cod. 
è  certo  dei  più  antichi  che  si  trovino  in  quella  preziosa  collezione.  11  com- 
pianto Luigi  Lodi,  che  ne  diede  una  descrizione  accurata  (alla  quale  rimando) 
nel  Catalogo  dei  Codici  e  degli  autografi  posseduti  dal  marchese  Giuseppe 
Campori,,  Modena,  1875,  pp.  3-4,  lo  fa  del  sec.  XllI,  appoggiandosi  sicura- 
mente, più  che  altro,  su  di  una  nota  che  leggesi  sulla  prima  carta.  Io  non 
saprei  decidermi  per  una  così  notevole  antichità:  il  carattere  del  codice 
sembrami  piuttosto  del  sec.  XIV,  ma  certamente  della  prima  metà.  Chi  ne 
facesse  uno  studio  coscienzioso,  di  che  non  sarebbe  indegno,  verrebbe  in 
proposito  agevolmente  a  conclusioni  positive.  —  Comunque  sia,  il  contenuto 
del  codice,  il  quale  probabilmente  apparteneva  a  un  convento  di  monaci,  è 
di  argomento  morale  e  religioso,  dettato  in  certi  versi  scorrettissimi  nella 
metrica  ed  evidentemente  corrotti,  più  forse  dall'uso  di  recitarli,  che  dall'a- 
manuense che  gli  trascrisse.  Questi  versi,  la  cui  misura  varia,  sono  per  lo 
più  rimati  a  due  a  due.  Solo  in  fine  (e.  20  tj  ■  21  r)  trovasi  una  tirade  in 
one^  e  un'altra  verso  il  mezzo  in  ato  (e.  10  u  -  li  r),  che  mette  conto  di 
riferire.  Vi  si  parla  di  ciò  che  aspetta  il  peccatore  indurito  nel  peccato. 
Trascrivo  diplomaticamente,  sciogliendo  solo  le  abbreviazioni. 

R.  RSNIKR. 


Essegli  more  infratanto  emolto  malgoidato  Entrolonferno  nebene  asspecUto 

Culai  aquegli  asseruito  none  adromentato  Unque  nonuisera  mù  abitato  nebagniato 

Massitosto  comellospirito  e  del  corpo  Essceuerato  Mafusse  pur  baciato  et  scaaellato 

ullaccio  igittaalcollo  Essiila  incatenato  Sepenseria  essere  un  ree  incoronato 


304 


COMUNICAZIONI  ED   APPUNTI 


Madi^an  forconi  diferro  isspesso  seratoccato 
Cento  fiato  il  die  per  melcorpo  forato 
Daltre  pene  sotante  chenesim  crericato 
Nolpoterei  isscriuere  innno  anno  passato 
Coloro  caifende  adio  questo  ledistinato 
quelli  che  non  crede  morire  credo  lidefalire 
Diquello  pensieri  cefa  ciasscuno  nereticato 
Ogniomo  ilpuo  sapere  anconone  soadacto 
Chelamorte  aniano  omo  none  perdonato 
Ancoi  ellomo  ellegro  edere  atrauersato 
diquesto  mondo  allaltro  come  distinato 
Il  molto  peccatore  perduto  auera  ilflato 
Non  per  cessia  neambra  nemoscato 
An(i  pnte  più  desto  recam  morto  nelfossato 
Dacoloro  chellama  piutosto  esschifato 
Snoro  necugini  ne  fratello  può  durare  allato 
nepadre  nemadre  chella  nnrìcilato 
Canto  di  crudeli  uestimenta  halloru  fla  addobato 


Innuno  poco  didrappo  sera  inuoluppato 
Delpigiore  chetrouerra  seraconprato 
Dio  con  tostamente  alachesa  fuportato 
Dipalio  couerto  chepoco  iflalassato 
Diconfessamente  mistieri  liflancatato 
Portalo  almolimento  ouelli  fla  sugiellato 
Dimalta  et  dicalcina  ebene  soffrenato 
Matalprocuratore  illui  faie  dilnierato 
Chegli  manduca  labochca  et  lemani  elcostato 
Volentieri  seneparte  collui  chellaportato 
Matalne  partito  chella  molto  pianto 
Euamolto  dinoto  porta  il  collegato 
Egrìda  Aadaltap  (1)  boce  dolente  et  malfatato 
Ouese  caro  cugino  comeco  abandonato 
Sepuo  tornare  pur  alacasa  pur  chessia  lassato 
Grossi  bronctoni  seradicio  chegli  lassato 
Incapo  delterfa  silladimenticato. 


(1)  Le  due  lettere  in  corsÌTO  sono  espunte. 


Una  stampa  sconosciuta  della  storia  di  Campriano.  —  Alle  edizioni 
della  Storia,  indicate  dal  Passano  e  dal  Zenatti,  si  può  aggiungerne  un'altra 
rimasta  ignota  ad  ambedue ,  che  dietro  cortese  indicazione  mi  fu  dato  rin- 
venire neir  Ambrosiana.  Eccone  una  breve  descrizione:  La  historia  |  di 
Campriano  contadino  ,  |  quaVera  molto  povero ,  &  hauea  sei  figliole  da 
maritare.  Et  con  astutia  faceua  cacar  danari  a  vn  suo  Asino ,  che  egli 
hat*ea,  &  lo  |  uendè  al  alcuni  Mercadanti  per  cento  scudi  |  Et  poi  uendè 
loro  una  Pentola,  che  bolliua  senza  fuoco,  &  un  Coniglio,  che  portaua  \ 
l'imbasciate,  &  una  Tromba,  che  resuscitaua  i  Morti,  <&  finalmente  \  gittò 
quei  Mercadanti  in  vn  fiume.  \  Nuovamente  com,posta  per  Gironim.o  Er- 
vasto  a  comm.une  dilettatione.  Segue  un  intaglio  in  legno ,  ove  è  figurato 
Campriano  che,  spingendo  innanzi  a  sé  l'asino  bardato  e  colle  sporte,  parte 
di  casa.  Tre  donne  stanno  affacciate  alle  finestre  del  casolare,  ed  una  dirige 
il  discorso  al  villano.  Quindi  :  In  Bologna,  per  Vittorio  Bonacci.  Con  licenza 
de  Superiori  \  Et  di  nuouo  ristam,pata  in  Oruieto,  per  il  Cololdi:  4  fogli 
con  segn.  e  rich.  linee  46  per  pag.  :  ogni  pagina  a  due  col.  F.  4  t  :  Finita  al 
uostro  honore  è  la  nouella.  \  Il  fine.  —  La  stampa  ha  manifesti  segni  di 
appartenere  alla  fine  del  sec.  XVI.  Sebbene  nel  frontispizio  si  dica  noua- 
mente  composta ,  il  testo  non  offre  alcuna  variante  colle  altre  del  tempo , 
delle  quali  riproduce  anzi  fedelmente  le  scorrezioni  e  gli  errori. 


F.   NOVATI. 


COMUNICAZIONI  ED  APPUNTI  305 

Una  i-kttera  di  Giuskppe  Bianchini.  —  Gli  importanti  o  curiosi  docu- 
menti di  sor  Ciappelletto,  oditi  ed  illustrati  da  Cesare  Paoli  (cfr.  questo  Giom., 
V ,  330) ,  mi  hanno  fatto  tornare  alla  mente  una  lettera  di  Giuseppe  Bian- 
chini ,  che  si  conserva  ancora  inedita  nella  raccolta  di  autografi  Gonnelli, 
esistente  nella  Biblioteca  Nazionale  di  Firenze  (cart.  3,  n.  198).  È  senza  in- 
dirizzo, ma  riesce  facile  rilevare  dal  testo  che  venne  scritta  a  Domenico  Maria 
Manni.  Eccola: 

Sig.re  Sing.re  mio  Pro.n  C!ol.mo 

Carissiina  mi  è  stata  la  lettera  di  V.  S.,  e  tanto  più,  perchè  io  non  mi  credeva,  che  ella  fosae 
per  iscrivermi  da  Montelnpo.  Ho  letto  l'abbozzo  intomo  alla  prima  Novella  del  Boccaccio,  che 
mi  ha  mandato,  e  solo  ho  agginnto  in  marine  il  loogo  e  l'anno  dell'edizione  del  mio  Boccaccio, 
dove  ò  a  penna  la  consapnta  nota.  Io  non  ho  cose  da  aggiangere  ;  dirò  bensì ,  che  dove  ella  ac- 
cenna, che  in  Prato  è  stata  la  famiglia  de'  Cepparelli,  afferma,  che  pur  allora,  cioè  ne'  tempi  di 
ser  Ciappelletto  ella  esistesse,  la  qnal  cosa  non  so  se  possa  esser  vera,  almeno  con  qael  cognome. 
Io  non  mi  impegnerei  a  tanto,  e  solo  direi,  che  in  Prato  è  stata  la  famiglia  de'  Cepparelli,  ulti- 
mamente mancata ,  e  che  è  fiorita  con  qualche  lustro ,  della  quale  può  essere  che  anticamente 
fosse  ser  Ciappelletto,  e  che  forse  ne'  t«mpi  posteriori  le  desse  il  nome.  Mi  rimetto  al  suo  senno. 
Per  provare  la  verità  isterica  di  questa  Novella ,  mi  dà  molto  peso  una  riflessione  che  io  vo  fa- 
cendo. Se  questa  fosse  una  pura  favola ,  e  finzione ,  non  faceva  di  mestiere  che  il  Boccaccio  nel 
fljie  di  essa  affermasse  con  tanta  chiarezza  ,  che  creder  si  dovea ,  che  ser  Ciappelletto  non  fosse 
santo,  ma  bensì  dannato,  per  la  sua  sceleratezza,  e  miscredenza,  perchè  come  favola  non  avrebbe 
recato  maraviglia  nelle  menti  altrui  ;  ma  perchè  ella  era  istoria ,  e  forse  nota  a  molti  e  molti , 
per  non  dare  scandolo,  dopo  aver  detto  che  ser  Ciappelletto  fu  tenuto  per  santo ,  giudicò  neces- 
sario nel  fino  della  Novella  di  crederlo  dannato ,  e  dire  tutte  l' altre  cose  che  egli  dico.  Compa- 
tisca questa  riflessione. 

Perchè  poi  io  vedo ,  che  ella  in  questa  prima  novella  si  degna  di  far  menzione  della  mia  per- 
sona, con  eccesso  di  troppa  bontà,  le  rendo  anticipatamente  le  più  distinte  grazie,  e  confesso  di 
non  meritare  ri  fatto  onore. 

Circa  alla  mia  opera  de'  Qrànduchi ,  ella  sappia  che  l' ho  terminata  ,  e  il  signor  Marchese  £i- 
nuccini  l'ha  tenuta  in  mano  più  d'un  mese,  e  l'ha  fì&tta  vedere,  e  non  è  stata  disapprovata.  La 
Serenissima  Elettrice  ha  accettata  la  Dedica ,  e  per  mezzo  del  signor  Quidncci  mi  darà  i  Bami 
per  ornare  l'opera  co'  Ritratti  de'  Granduchi:  ma  con  tutte  queste  cose  mi  viene  detto,  o  per  dir 
meglio  ordinato  dal  signor  Marchese  Binuccini,  parlando  però  confidentemente,  che  non  si  vorrebbe 
che  si  stampasse  a  Firenze;  in  sequela  di  ciò,  spero,  che  quest'opera  si  stamperà  a  Venetia  con 
magnificenza ,  e  forse  tra  pochi  giorni  si  manderà  1'  Originale  al  Pasquali.  Il  signor  Gerì  tratta 
r  affare ,  nel  quale  mi  son  rimesso  interamente.  Tatto  ciò  che  le  ho  scrìtto  della  mia  opera  lo 
tenga  segreto. 

Le  rimando  il  suo  abbozzo  ;  e  creda  che  non  desidero  altro ,  se  non  rivederla  a  Firenze ,  e  di- 
scorrere insieme  secondo  il  solito.  Mi  conservi  il  suo  amore  e  creda  che  io  sarò  sempre  con  pie- 
nezza di  stima 

Prato,  30  7.bre  1740. 

Dev.nu)  Obb.mo  Str.re 

OlUBIPPB     BlAHCHIXI. 

Il  Manni,  sul  principio  della  sua  illustrazione  alla  prima  novella  del  Boc- 
caccio (Ist.  del  Dee,  p.  146),  fa  onorevole  ricordo  del  Bianchini;  «  il  quale  », 
egli  dice,  «  al  presente  lavoro  confortandomi,  ha  ad  esso  col  consiglio  e  col- 
«  l'opera  qualche  giovamento  prestato  ».  E  ben  si  vede  che  nel  fatto  di  ser 
Ciappelletto  egli  ha  accettato  le  osservazioni  dell'erudito  pratese,  esponendole 
quasi  con  le  stesse  parole  e  come  cosa  propria  nel  suo  lavoro. 

Achille  Nkri. 


Qiornak  ttorico,  TI,  fase.  16-17.  30 


306  COMUNICAZIONI  ED  APPUNTI 

Letture  di  Amarilli  Etrusca.  —  La  Biblioteca  Nazionale  di  Milano, 
mercè  la  solerzia  ben  nota  del  suo  egregio  Prefetto,  si  è  testé  arricchita  di 
un  considerevole  numero  di  lettere  d'uomini  illustri  della  fine  dello  scorso 
secolo,  che  hanno  formato  parte  della  corrispondenza  del  cav.  Giuseppe  Ber- 
nardoni,  uomo  di  molti  studi  e  rivestito  di  alti  uffici,  così  durante  il  regno 
napoleonico  come  sotto  la  restaurazione  austriaca.  In  questa  raccolta,  donata 
dal  nipote  di  lui  alla  Braidense,  si  hanno  molte  lettere  di  C.  Arici,  che  trattano 
sopratutto  del  poema  La  Pastorizia,  à&ìm  intrapreso  per  suggerimento  del 
Bernardoni  medesimo  (vedi  A.  Zanelli,  Bella  vita  e  delle  opere  di  C.  Arici, 
p.  43);  dell'Acerbi,  fondatore  della  Biblioteca  Italiana;  del  Barbieri,  Bel- 
letti, Fattori,  Ferroni.  Un  copioso  carteggio  vi  è  pure  del  noto  grammatico 
milanese,  il  Gherardini;  ed  uno  non  scarso  di  G.  A.  Maggi,  nel  quale  si 
trovano  molte  notizie  intorno  agli  scritti  inseriti  dal  Foscolo  in  riviste  in- 
glesi e  che  il  figlio  del  Maggi  andava  raccogliendo.  Alle  trattative  per  com- 
perare al  prezzo  di  150  francesconi  la  copia,  che  avea  fatta  il  Serassi  di  tutto 
l'epistolario  del  Tasso,  sono  consacrate  varie  lettere  del  Montani  e  del  Rosini 
(1821);  della  sua  disegnata  Biografia  degli  illustri  italiani  viventi  parla 
C.  E.  Muzzarelli.  Molti  altri  nomi  oltre  a  questi  si  potrebbero  citare,  quelli  del 
Grossi  ad  es.,  del  Litta,  del  Paravia,  del  Rosmini,  del  Torri,  del  Vaccari  ;  ma 
degno  di  interesse  speciale  è  il  carteggio  tenuto  dal  Bernardoni ,  dal  1803 
al  1805  in  circa ,  con  la  famosa  Amarilli:  carteggio  che  ci  è  prova  (non 
nuova  del  resto)  della  familiarità  con  la  quale  la  poetessa  trattava  i  suoi 
amici.  Al  voi  infatti  succede  presto  il  tu  ;  al  Bernardoni  carissimo,  il  caro 
Beppe,  e  da  Bologna,  ad  esempio,  noi  vediamo  Amarilli  scrivere  (luglio  1803) 
vigliettini  di  questo  tenore:  Scellerato,  eccoti  i  viglietti.  Crudelaccio ,  non 
vuoi  dunque  venire  oggi  a  trovarmi?  Ebbene  oggi  te  la  perdono,  m,a 
dimani  t'ammazzo  e  questa  sola  idea  contemplerà  oggi  per  effettuarla  do- 
mani la  tua  nemica  Amarilli.  —  Parecchie  volte  poi  la  improvvisatrice,  oltre 
a  raccomandazioni  per  persone  più  o  meno  ignote,  introduce  nelle  lettere 
notizie  sugli  scritti  suoi,  i  suoi  trionfi  ,  le  sue  accademie ,  i  suoi  viaggi  ;  e  dà 
anche  dei  giudizi  letterari.  Cosi  è  abbastanza  curioso  quello,  che  scrivendo  da 
Pavia  nel  1803,  dice  del  Monti,  che  le  consacrava  «  tutto  il  tempo  che  altre 
«  volte  dava  allo  studio  »  :  «  Egli  ha  scritto  e  sta  ultimando  una  opera  che  leverà 
«  rumore  in  Europa:  opera  che  illustrerà  l'Italiani  (sic)  al  pari  del  suo  au- 
«  tore.  Spazia  con  stil  robusto,  ma  non  secco  e  vuoto  di  grazie,  nelle  pro- 
«  vincie  di  tutte  le  scienze  e  di  tutte  parla  come  s'egli  le  possedesse  ad  una 
«  ad  una.  Fa  meraviglia  veder  Monti  altissimo  Poeta  ragionare  co'  filosofi , 
«  smascherar  l'impostura,  ricercare  le  cagioni,  dedurne  da  esse  gli  eflfetti  e 
«  preccorrere  (sic)  con  pie  velocissimo,  anzi  con  tre  passi  di  Nettuno,  uno 
«  spazio  infinito,  lasciandosi  dietro  non  pochi  di  quei  che  hanno  grido  d'ot- 
«  timi  e  scienzati  (sic),  prosatori  e  pensatori  tra  noi  profondissimi  ».  Questo 
accesso  d'entusiasmo  non  si  ferma  qui  ;  Amarilli  continua  ancora  un  bel  po' 
sul  tono  medesimo,  paragonando  gli  spregiatori  dell'opera  del  Monti  a  quegli 
animali  in  cui  Circe  convertì  i  compagni  d'Ulisse  ;  e  quindi  conclude  :  «  Ecco 
«  quali  idee  in  me  destò  la  lettura  che  ieri  il  nostro  amico  mi  fece.  Che 
«  che  {sic)  sia  per  succedere  dopo  la  pubblicazione  di  questa  opera  somma 
«  io  penserò  sempre  cos'i,  giacché  tra  tanti  ciechi,  vantar  posso  d'avere  un 


COMUNICAZIONI  ED  APPUNTI  307 

«  occhio  ».  —  Anche  Amarilli  però  a  Favia  eccitava  entusiasmi.  Il  4  febbraio 
essa,  rendendo  conto  di  una  Accademia  data  il  giorno  innanzi,  aggiunge  che 
la  sera  stessa  ne  avrebbe  tenuta  un'altra  :  «  Malgrado  la  neve  che  cade  di- 
«  rottamente,  si  teme  che  voglia  essere  ugualmente  numerosa,  ondo  si  sono 
«  date  delle  disposizioni  per  tenere  a  freno  la  folla ...  ».  Quale  improvvi- 
satore potrebbe  oggi  sperare  altrettanto?  Le  venticinque  lettere  della  Ban- 
dettini  sono  or  ora  state  raccolte  in  un  grazioso  libriccino  per  nozze  Della 
Beffa-Grondona  dall'egregio  dott.  Filippo  Salveraglio  (1). 

F.   NOVATL 


(1)  Milano,  tip.  A.  Lombardi,  ottobre  1885.  Ediz.  di  75  eMmplari  nnmerati. 


Giustina  Michiel  e  la  censura.  —  In  un  recente  scritto  su  Oiustina 
Renier  Michiel  riferii  un  brano  di  una  lettera  sconosciuta  di  Ippolito  Pin- 
demonte  a  Giustina,  nella  quale  si  parla  di  difficoltà  frapposte  dalla  censura 
alla  pubblicazione  dell'opera  sulle  Feste  veneziane  (cfr.  Giornale  ligustico, 
XII,  189,  n.  2).  Tale  particolarità  può  ricavar  nuova  luce  da  un'  altra  let- 
tera, indirizzata  dalla  Michiel  a  un  abate  AdoUi.  Questa  lettera ,  posseduta 
già  dal  cav.  Giuseppe  Scolari ,  fu  di  recente  acquistata ,  con  tutta  la  bella 
autografoteca  Scolari,  dalla  bibl.  comunale  di  Verona.  Di  essa  e  delle  altre 
lettere  della  gentildonna  veneziana,  che  fanno  parte  della  collezione,  mi  fa- 
vorì copia  l'egr.  Pietro  Sgulmero,  al  quale  sono  lieto  di  manifestare  qui  la 
mia  riconoscenza. 

R.  RXNISR. 

Amico  pregiatistimo, 
1m  mia  sorpresa  eguaglia  quasi  il  mio  dispiacere  per  le  alterazioni  che  vennero  fatte  alla  mia 
Futa  del  Corpo  di  San  Marco.  Ho  sempre  detto,  cbe  se  si  credesse  neceesaiio  alcune  significanti 
modificazioni,  io  non  avrei  più  stampato  le  mie  feste.  Se  il  Censore  non  fosse  al  tempo  stesso  lo 
stampatore,  io  sarei  stata  avvertita  delle  correzioni  prima  che  s'incominciasse  il  lavoro ,  e  allora 
mi  sarei  fatta  lecito  di  far  osservare  al  sig.  Censore,  che  l'Opera  tntta  è  ano  sfogo  di  un'anima 
Repubblicana,  non  già  un  assortimento  d'idee  di  uno  spirito  ambizioso  che  cerca  di  abbagliare  e 
comandare  l' ammirazione  ;  che  tutto  ciò  è  chiaramente  indicato  nella  Prelkzioiie ,  e  ohe  tutto 
deve  corrispondere  all'oggetto.  Dirò  dunque,  che  o  non  si  dovea  permettere  l'Opera,  o  peraam 
che  sia  non  si  deve  scrupoleggiare  tanto  su  certe  frasi  alterandone  precisamente  il  senso.  E  chi 
v'ha  che  sappia  cosa  sia  pianto  il  quale  ignori  che  dopo  il  pianto  non  si  può  cantare  senza  sforzar 
la  voce  perchè  non  tremi  ?  Employer  la  voix  poi  è  una  sostituzione  insipida  ,  giacché  ognnn  sa , 
che  il  canto  non  può  nascere  senza  l'impiego  della  voce.  Non  saprei  poi  immaginare  che  offender 
possano  le  due  righe  che  furono  soppresse,  tanto  più  che  vengono  modificate  dalla  posteriori.  L» 
posteriori  poi  senza  le  antecedenti  propriamente  non  reggono.  Se  il  sig.  Censore  teme  le  sinistre 
interpretazioni  de'  lettori,  egli  deve  pensare  che  tutto,  come  dico  nella  Prefazione,  è  soggetto  ad 
allusioni.  Concludiamo:  lo  non  aspiro  ad  una  gloria  che  già  non  potrei  acquistare  colla  stampa 
della  mia  Opera  ,  ma  ancora  meno  poi  vorrei  colla  stampa  e  colle  correzioni,  perdere  quel  pò  di 
credito  che  mi  venne  per  cortesia  da'  miei  amici.  Se  io  scrivo  cose  da  non  potersi  stampare ,  ii 
tralasci  la  stampa,  e  questo  fu  il  mio  primo  patto.  Quindi  il  sig.  Oamba  o  cambi  il  foglietto ,  • 
s'astenga  d'ora  innanzi  dal  por  mano  di  suo  arbitrio  nei  passi  controversi,  orvero  siano  per  non 
istampati  li  primi  otto  fogli  e  siami  venduto  il  Manoscritto.  Io  sarò  sempre  grata  a  Lei  per  tolte 
le  amichevoli  cure  che  la  si  ò  preso  sin  qni. 

Onrema 
Al  sig.  Ab.  AooLLi. 


CIl02SrA.C^ 


*  La  Miscellanea  filologica ,  destinata  ad  onorare  la  memoria  dei 
professori  Gaix  e  Ganello ,  tanto  precocemente  rapiti  agli  studi ,  è  già 
molto  avanzata  nella  composizione ,  sicché  si  spera  di  presto  vederla  pub- 
blicata. Ecco  pertanto  i  titoli  degli  scritti  che  essa  contiene:  1,  Miklosich, 
Ueber  die  Nationalitdt  der  Bulgaren;  2,  Stengel,  Ueber  den  lateinischen 
Ursprung  der  romanischen  fùnfzehnsilbner  und  damit  verwandter  wei- 
terer  Versarten  ;  3 ,  Merlo ,  Problemi  fonologici  sulV  articolazione  e  sul- 
l'accento; 4,  Gròber,  Etymologien;  5,  Gandino ,  Osservazioni  sopra  un 
verso  del  poema  provenzale  su  Boezio;  6,  Gaspary,  Molière'' s  Don  Juan; 
7,  Tobler,  Etymologisches ;  8,  Paris,  Les  serments  de  Strasbourg  (Intro- 
duction  à  un  commentaire  grammatical);  9,  Paoli,  Notizia  di  un  codi- 
cetlo  fiorentino  di  ricordi  scritto  in  volgare  nel  sec.  XIII;  10,  Fumi, 
Postille  romanze;  11,  Gustavo  Meyer,  Der  Einfluss  des  Lateinischen  auf 
die  Albanesische  Formenlehre;  12,  Michaelis,  Studien  zur  hispanischen 
Wortdeutung;  13,  Neumann,  Die  Enlwickelung'von  Consonant  -\-  w  im,  Fran- 
zósischen;  14,  Miola,  Un  testo  drammatico  spagnuolo  del  sec.  XV;  15,  Wiese, 
Einige  Dichtungen  Leonardo  Giustiniani  s  ;  16,  Flechia,  Etimologie  sarde; 
17,  Obédénare,  Une  forme  de  Varticle  roumain  qui  se  met  devant  les  sub- 
stanti fs  et  les  adiectifs  ;  18,  Gornu,  Recherches  sur  la  conjugaison  espagnole 
au  XIII^  et  XI V^  siede;  19,  Meyer,  Complainte  provengale  et  complainte 
latine  sur  la  mort  du  Patriarche  d'  Aquilée   Grégoire  de  Montelongo  ; 

20,  Avolio,  La  questione   delle   rime  nei  poeti  siciliani  del  secolo  XIII ; 

21,  Zingarelli,  Un  serventese  di  Ugo  di  Sain  Circ;  22,  Mussafia,  Una  par- 
ticolarità sintattica  della  lingua  italiana  dei  prim,i  secoli;  23,  Leite  de 
Vasconcellos,  Etymolagias  populares  portuguesas  ;  24,  Renier,  Un  mazzetto 
di  poesie  musicali  francesi;  25,  Suchier,  Ueber  die  Tenzone  Dante' s  mit 
Forese  Donati;  26,  D'Ancona,  L'arte  del  dire  in  rima.  Sonetti  di  Antonio 
Pucci;  27,  Pieri,  Il  verbo  aretino  e  lucchese;  28,  Morosi,  L'odierno  dialetto 
catalano  di  Alghero  in  Sardegna;  29,  Gaster,  Die  rumaenischen  «  Mira- 


CRONACA  909 

«  cles  de  Notre  Dame  »;  30,  Salvioni,  Antichi  testi  dialettali  chieresi; 
31,  Biadene,  La  forma  metrica  del  commiato  nella  canzone  italiana  dei 
secoli  XIII  e  XIV;  32,  Novali,  Il  ritmo  Cassinese  e  le  sue  interpretazioni; 
33,  Monaci,  Sull'antica  poetica  portoghese;  34,  D'Ovidio,  Della  quantità 
per  natura  delle  vocali  in  posizione;  35 ,  Ascoli ,  Due  lettere  filologiche 
(1*,  Di  un  filone  paleoitalico  diverso  dal  romano,  che  s'avverte  nel  campo 
neolatino  ;  2",  I  neogrammatici  e  l'irlandese  «  cébaith  »);  36,  Mila,  Un  alba 
catalana. 

*  Estratta  dal  Rendiconto  dell'Accademia  di  scienze  morali  e  politiche  di 
Napoli  ci  giunse  una  relazione  di  Vittorio  Imbriani,  che  ha  per  titolo  No- 
tizie di  Marino  Jonata  Agnonese.  Tratta  del  Giardeno,  con  maggior  copia 
di  erudizione  certo  e  con  maggior  oculatezza  (se  non  con  metodo  molto  mi- 
gliore), di  quello  che  abbia  fatto  il  sig.  F.  Ettari.  Cfr.  Giornale,  V,  455. 

*  Il  signor  Giovanni  Gerquetti  ha  pubblicato  per  nozze  Bandini-Gasparini 
(Osimo,  Rossi)  un  interessante  scritterello  sul  primo  sonetto  della  Vita  Nuova. 
Vi  si  discutono  le  opinioni  esposte  dai  critici  su  di  esso  e  si  producono 
nuove  osservazioni  degne  di  nota.  Che  il  giovane  autore  non  abbia  creduto 
di  poter  venire  a  una  conclusione  positiva,  è  cosa  che  gli  fa  grandissimo 
onore,  poiché  mostra  che  egli  non  piglia  tali  questioni  sottilissime  alla  leg- 
giera, come  tanti  fanno.  Lo  scritto  è  condotto  con  ordine,  con  accurata  co- 
noscenza del  soggetto  e  acume  di  critica.  Excelsior! 

*  Per  le  nozze  Geccaroni- Voglia  il  prof.  GÌ.  Benedettucci  pubblicò  (Re- 
canati, Simboli,  1885)  Un  sonetto  sconosciuto  di  Vincenzo  Monti  per  nozze 
in  Recanati  nel  1791.  Questo  sonetto  nuziale  del  Monti,  che  comincia:  Signor, 
mentre  ben  altro  i  tuoi  pensieri,  fu  stampato  la  prima  volta  in  Macerata 
nel  1791,  per  le  nozze  della  marchesa  Isabella  Antici,  sorella  della  futura 
madre  di  Giacomo  Leopardi,  col  conte  Leandro  Mazzagalli. 

*  Per  le  nozze  dell'illustre  Gaston  Paris  il  nostro  G.  Pitrè  ha  stampato 
in  cinquanta  esemplari  (Palermo,  tip.  del  Giornale  di  Sicilia,  1885):  «So- 
natovi,  balli  e  canti  nuziali  del  popolo  siciliano. 

*  Sappiamo  che  il  prof.  Giovanni  Romagnoli  ha  ultimato  un  lavoro  su 
Frate  Tommaso  Sardi  e  il  suo  poema  inedito  dell'Anima  peregrina.  Il 
poema  del  Sardi,  che  giace  pressoché  sconosciuto  in  mss.  di  Firenze  e  di 
Roma,  merita  di  essere  illustrato.  E  quindi  a  desiderarsi  che  la  monografia 
del  Romagnoli  vegga  presto  la  luce. 

*  Due  notevoli  opuscoli  nuziali,  dovuti  alla  dottrina  del  cav.  Andrea  Tessier, 
meritano  d'essere  qui  segnalati  (Venezia,  tip.  dell'Ancora,  1885).  L'uno,  stam- 
pato per  nozze  Battaggia-Giudice,  contiene  //  Moreto  attribuito  a  Virgilio 
giusta  il  volgarizzamento  di  un  anonimo  del  sec.  XVI.  Questo  poemetto, 
rarissimo  nella  edizione  originale  del  1543,  venne  ristampalo  dal  Gamba  per 
nozze  nel  1827,  e  quindi  dal  Tessier  in  un  num.  del  Giornale  degli  eruditi 
e  curiosi.  In  quel  medesimo  Giornale  si  discusse  se  il  volgarizzamento  do- 
vesse 0  no  reputarsi  opera  del  Garo,  secondo  una  congettura  ammessa  dal 


310  CRONACA 

Gamba;  e  su  questo  soggetto  il  Tessier  ritorna  nella  prefazione  al  presente 
opuscolo.  —  La  seconda  pubblicazione,  occasionata  dalle  nozze  Gaviola-Bi- 
netti,  consiste  in  Alcune  lettere  di  Veneti  illustri  al  celebre  P.  Giovanni 
degli  Agostini,  tratte  dal  carteggio  dell'Agostini,  che  il  Tessier  ha  di  recente 
acquistato.  Le  lettere  sono  di  Gaspare  Gozzi,  Giangirolamo  Gradenigo,  Gio- 
vanni Brunacci,  Angiolo  Galogerà,  Angelo  Maria  Querini,  Marco  Foscarini, 
Giammaria  Mazzuchelli,  Anselmo  Gostadoni.  Segue  ad  esse  un  molto  copioso 
ed  accurato  commentario. 

*  Giambattista  Passano  sta  stampando  con  l'editore  Morelli  una  appendice 
al  Dizionario  delle  opere  anonime  e  pseudonime  del  Melzi. 

*  Sarà  pubblicato  tra  breve  dalla  Società  bibliofìla  torinese  un  volumetto 
contenente  gli  strambotti  e  i  sonetti  di  Cristoforo  Fiorentino  detto  l'Altissimo. 
Il  volume  uscirà  a  cura  di  R.  Renier,  che  nella  prefazione  discorrerà  del- 
l'opera massima  dell'Altissimo  e  darà  la  bibliografia  delle  sue  opere  minori. 

*  Il  solerte  Giuseppe  Biadego  ha  recentemente  pubblicato  (Verona,  Golds- 
chagg)  una  trentina  di  lettere  di  Paolo  Paruta  tratte  dal  carteggio  della  fa- 
miglia Serego,  ora  esistente  nella  bibl.  Comunale  di  Verona.  Queste  lettere 
sono  indirizzate  per  la  maggior  parte  a  personaggi  cospicui  della  famiglia 
Serego.  Nella  illustrazione  il  Biadego  ha  potuto  utilizzare  i  dispacci  del  Pa- 
ruta preparati  per  la  stampa  dal  compianto  R.  Fulin,  che  vedranno  tra  non 
molto  la  luce  a  cura  della  Deputazione  veneta  di  storia  patria. 

*  II  sig.  Leto  Alessandri,  per  incarico  avuto  dall'Accademia  Properziana 
di  Assisi,  ha  pubblicato  (Foligno,  Campitelli)  un  copioso  ed  accurato  com- 
mentario Della  vita  e  degli  scritti  di  Antonio  Cristofani.  Vi  si  dà  molto 
minutamente  la  biografia  del  letterato  e  storico  umbro,  si  illustrano  le  sue 
relazioni,  e  si  fa  la  storia  delle  opere  sue,  di  cui  in  fondo  al  volume  trovasi 
l'elenco  bibliografico. 

*  Presentati  all'ultimo  recentissimo  congresso  storico  e  pubblicati  nel  vo- 
lume XXIV  della  Miscellanea  di  storia  italiana^  abbiamo  gli  Indices  chro- 
nologici  ad  scriptores  rerum  italicarum  quos  L.  A.  Muratorius  coUegit. 
Questa  importante  pubblicazione  venne  compilata,  sui  materiali  raccolti  da 
tre  distinti  allievi  della  Facoltà  filologica  di  Torino ,  per  cura  di  Carlo  Ci- 
polla e  di  Antonio  Manno.  È  un  bello  e  utilissimo  lavoro,  condotto  con  la 
scienza  e  la  diligenza  per  cui  vanno  segnalate  tutte  le  opere  dei  due  chiari 
eruditi. 

*  Nella  Scelta  di  curiosità  letterarie  il  dr.  Erasmo  Pèrcopo  ha  pubblicati 
IV  poemetti  sacri  dei  sec.  XIV  e  XV.  Ce  ne  occuperemo  particolarmente. 

*  Riceviamo  un  opuscolo  pregevole  del  prof.  De  Chiara  su  Galeazzo  di 
Tarsia  (Cosenza,  tip.  Principe).  Sui  documenti  pubblicati  dal  Broccoli  nella 
Napoli  letteraria  (efr.  Giornale,  IV,  308),  e  su  altri  da  lui  rintracciati,  il 
De  Chiara  cerca  stabilire  quale  fra  i  baroni  di  Belmonte  fosse  il  vero  au- 
tore del  canzoniere. 


CRONACA  311 

*  Ci  giungono  due  rilevanti  opuscoli  di  Alessandro  Àdemollo.  L'udo,  in- 
titolato La  bell'Adriana  a  Milano,  tratta  della  «  più  celebre  fra  le  virtuose 
«  italiane  di  musica  nella  prima  metà  del  sec.  XVll  »  ,  Adriana  Basile; 
l'altro  ha  per  soggetto  La  Leonora  di  Milton  e  di  Clemente  IX,  cioè  la 
notissima  Eleonora  Baroni.  Sono  stampati  ambedue  dallo  Stab.  Ricordi. 

*  Merita  considerazione  una  bella  raccolta  di  Notizie  biografiche  del  di- 
stinto maestro  di  musica  Claudio  Monteverdi,  tratte  dai  documenti  dell'Ar- 
chivio Gonzaga  per  cura  di  quell'esemplare  archivista  e  coscienzioso  erudito 
che  è  Stefano  Davari.  Questo  lavoro  è  estratto  dagli  Atti  dell'Accademia 
Virgiliana  di  Mantova. 

*  Il  prof.  Francesco  Ravagli  sta  per  pubblicare  un  lavoro  sulla  vita  e  gli 
scritti  di  Rinuccio  di  Gastiglion  Fiorentino,  umanista  del  sec.  XV  e  maestro 
del  Valla. 

*  La  seconda  serie  testé  uscita  delle  Varietà  storiche  e  letterarie  di  Ales- 
sandro D'Ancona  contiene  :  Il  romanzo  della  Rosa  in  italiano  —  TI*.  Veltro  » 
di  Dante  —  Di  alcuni  pretesi  versi  danteschi  —  La  poesia  politica  itor 
liana  ai  tempi  di  Lodovico  il  Bavaro  —  //  Regno  d'  Adria.  Disegno  di 
secolarizzazione  degli  Siati  pontifici  nel  sec.  XIV  —  L'  antico  Studio  fio- 
rentino —  L'antico  linguaggio  politico  ed  amministrativo  d'Italia  —  Due 
antichi  fiorentini:  Ser  Iacopo  Mazzei  e  Bernardo  Rucellai  —  Una  gen- 
tildonna fiorentina  del  sec.  XV —  Alessandro  VI  e  il  Valentino  in  novella 
—  Giangiorgio  Trissino  —  /  com.ici  italiani  in  Francia  —  Unità  e  fe- 
derazione: studi  retrospettivi  {1792-1814)  —  Poesia  e  musica  popolare 
italiana  nel  nostro  secolo  —  Carlo  Tenca  e  i  suoi  scritti  di  critica  lette- 


*  È  in  corso  di  pubblicazione  (Loescher  editore)  una  Storia  del  Cicero- 
nianismo e  di  altre  questioni  letterarie  nelV  età  della  rinascenza  del  pro- 
fessore Remigio  Sabbadini. 

*  Per  nozze  Rimini-Todros  il  sig.  Leone  Rimini  pubblica  nove  lettere  di 
Pietro  Brighenti  a  Domenico  Albertazzi  (Forlì,  Groppi).  Sono  specialmente 
curiose  per  le  notizie  che  vi  si  danno  di  letterati  celebri ,  fra  gli  altri  del 
Giordani,  del  Foscolo ,  del  Leopardi.  Ecco  quale  impressione  fece  a  prima 
giunta  il  Leopardi  a  questo,  che  esser  doveva  poi  suo  intimo  amico  (Lett. 
20  luglio  1825)  :  «  Andai  con  Giordani  lunedì  sera  ad  accogliere  Leopardi 
«  che  veniva  dalle  sue  Marche.  Me  lo  figuravo  diverso  e  quando  lo  vidi 
«  scendere  dal  legno  con  un  certo  berrettino  di  maglia,  una  palandrana  del 
«  tempo  di  Pio  VI ,  un  po'  gobbo ,  magro  e  cogli  occhi  abbarbagliati  e  ci- 
«  sposi ,  mi  parve  impossibile  che  dovesse  essere  quel  mare  di  scienza  che 
«  il  Giordani  dice.  Gli  feci  molte  cortesie,  ma  mi  parve  duro,  non  so  se  per 
«  naturale  o  per  la  stanchezza  del  viaggio  ». 

*  Per  nozze  Businari-Stellot  fu  pubblicato  in  Venezia  nello  scorso  agoeto, 
da  alcuni  amici  dello  sposo,  i  quali  non  si  danno  altrimenti  a  conoscere  che 
per  le  iniziali  dei  loro  nomi,  una  breve  prosa  italiana,  tratta  da  un  codice 


312  CRONACA 

miscellaneo  (probabilmente  naniano)  del  secolo  XIV,  e  che  essi,  gli  editori 
stimano  essere,  quasi  senza  dubbio,  un  capitolo  del  Milione  di  Marco  Polo, 
che  manca  a  tutte  le  edizioni  sinora  fatte  di  questo  libro.  Vi  si  descrivono 
certe  costumanze  nuziali,  in  uso  nella  città  di  Dharoihu  o  Daroidhu ,  nella 
provincia  di  Eumogi,  adiacente  al  Gatai. 


f  II  27  dello  scorso  agosto  mori  in  Wackerbarthsruhe,  presso  Dresda,  il 
dr.  J.  G.  Th.  Graesse,  che  da  molti  anni  era  in  quest'ultima  città  custode 
della  biblioteca  regia.  Tutti  gli  studiosi  conoscono  il  suo  Trésor  de  livres 
rares  et  précieux,  e  il  suo  Lehrbuch  einer  allgemeinen  Literaturgeschichte, 
opera  assai  farragginosa ,  ma  utile.  Si  occupò  di  leggende  e,  tra  V  altre  di 
quelle  dell'Ebreo  errante  e  di  Tannhàuser.  Nei  Beitràge  zur  Literatur  und 
Sage  des  Mittelalters  (Dresda,  1850) ,  pubblicò  i  Mirabilia  Romae  secondo 
un  codice  Vaticano ,  e  alcuni  capitoli  dello  Pseudo  Villani ,  riguardanti  la 
leggenda  di  Virgilio  Mago.  Pubblicò  anche,  malamente,  la  Legenda  aurea 
del  Voragine  e  il  Dialogus  creaturarum.  Ebbe  molta  erudizione ,  ma  non 
mente  critica.  Era  nato  in  Grimma  nel  1814. 


Luigi  Morisengo,  Gerente  responsabile. 


Torino  —  Tip.  Yotcenzo  Boka. 


IL   TEATRO  MANTOVANO 

jsriEXj  SEC  3:vi. 

Continnazione.    Vedi    toI.    YI,    p.    1. 


Comparisce  col  1589  una  nuova  stella  sul  cielo  drammatico 
mantovano:  una  fin  ora  ignota  Margherita  Favoli,  suddita  del 
duca,  che  a  lui  o  meglio  a  qualcheduno  di  Corte,  ricorreva  colla 
seguente  dei  6  gennajo  (1). 

Confidata  ne  la  bontà  di  V.  S.  vengo  con  questa  mia  a  pregarla  favorirmi: 
che  io  insieme  con  il  nostro  Pantalone  restiamo  serviti  di  un  poco  di  quella 
pietra  bezoar,  fino  a  la  suma  di  nove  giorni,  et  questa  vi  si  chiede  per  due 
de'  nostri,  che  sono  vicini  a  la  morte  de  male  de  petegie...  So  quanto  V.  S. 


(1)  A  quest'anno  '89",  e  precisamente  ai  30  marzo,  appartiene  la  seguente 
lettera  di  un  suddito  del  duca ,  residente  a  Madrid ,  che  gli  offre  una  sua 
tragedia  Rosmonda:  «  Hebbi  già  da  fanciullo,  quando  venni  in  Mantova 
«  per  4  anni  nelle  scuole  di  humanità ,  particolare  et  humile  devotione  a 
«  V.  A.  S.,  perchè  già  in  sua  persona  mi  pareva  vedere  un  ritratto  di  quelli 

«  famosi  Heroi,  che  nell'età  passata  diede  la  casa  sua  al  mondo In  questo 

«  tempo  la  malenconia  di  questa  Corte  inclinò  1'  animo  mio  a  cose  tristi  : 
«  onde  mi  posi  a  comporre  questa  mia  Rasimonda  tragedia ,  con  pensiero 
«  fermo  di  honorarla  del  suo  s.™"  nome.  Mentre  dunque  viveva  con  questa 
«  deliberata  volontà ,  arrivò  in  questa  Corte ,  mandato  da  V.  A.  con  sante 
«  reliquie,  Don  Giovanni  suo  capellano.  Al  suo  ritorno  subito  mi  determinai 
«  anch'io  di  mandare  questa  mia»  operetta,  che  contiene  le  reliquie  dell'  hi- 
«  storia  et  avvenimenti  tragici  de'  primi  re  de'  Longobardi  Alboino  et  Ra- 
«  simonda,  acciocché  con  reliquie  anco  ritornasse  a  V.  A.  il  suo  capellano. 
«  Degnisi  per  tanto  V.  A.  accettare  il  mio  picciolo  dono,  acciò  quel  contento 
«  eh'  hebbi  in  formarlo  si  faccia  compito  nel  dedicarlo.  Degnisi  anche  di 
«  accettare  me  col  libro  per  suo  devotiss.»  serv.'*  Pietro  Cerruti  ». 

Ai  3  di  agosto  il  Duca  gli  faceva  scrivere  che:  «  a  S.  A.  piacque  e  ricevè 
«  molto  gusto  de'  vostri  componimenti  tragici  di  Rasimonda,  che  gli  avete 
«  mandati  »  :  della  qual  cosa  poi  il  Cerruti  significava  tutta  la  sua  gioja  ad 
Alberto  Cavriani  segretario  ducale,  con  altra  da  Madrid  del  20  dello  stesso 
mese. 

Giornali  storico,  VI,  fase.  18.  21 


3Ì4  A.  d'ancona 

lascia  far  l'ufficio  de  la  carità,  e  potendo  la  supplico  far  questa  limosina, 
ch'io  li  ne  resterò  insieme  con  li  altri  in  quell'obligo  magiore  che  si  possa, 
•e  potendo  anche  io  mi  comandi.  Li  resto  serva  di  core.  Di  casa. 

Margherita  Favoli  comicha. 

Nulla  sa  il  Bartoli  di  costei,  e  null'altro  ci  è  dato  conoscerne, 
salvo  che  agli  11  ottobre  1592,  il  Duca  stesso  la  raccomandava 
ai  Comici  Uniti: 

Trasferendosi  la  Compagnia  vostra  a  Firenze,  S.  A.  per  riputazione  della 
vostra  Compagnia  desidera  che  Madama  Margherita  Paoli  mantovana  venga 
■con  voi  altri  a  recitare,  e  S.  A.  desidera  che  sia  ben  veduta  e  trattata  da 
tutti  voi. 

Nozze  principesche ,  fra  Ferdinando  de'  Medici  e  Cristina  di 
Lorena,  allietavano  nel  1589  Firenze,  e  il  Duca  di  Mantova  vi 
accorreva  a  mostrare  il  suo  valore  nelle  giostre  e  la  sua  mu- 
nificenza, spendendo  nel  viaggio  e  nella  dimora  di  pochi  giorni 
oltre  100  m.  ducati.  Trajano  Bobba,  preannunziandogli  gli  spetta- 
coli di  che  avrebbe  goduto,  così  intanto  gli  scriveva  da  Firenze: 

Molti  spettacoli  si  rappresenteranno  in  Firenze  per  la  venuta  della  Ser.™* 
Sposa,  et  tra  li  altri  si  rappresenterà  per  comedia  il  Giudicio  di  Paride, 
recitato  da  alcuni  giovanetti  nobili  fiorentini,  quali  non  arrivano  di  gran 
lunga  a  quelli  che  recitorono  in  Mantova:  poiché,  se  devo  dire  il  vero,  piut- 
tosto pare  che  aspettino  la  lecione  nanti  al  maestro,  che  recitare. 

Il  Giudizio  di  Paride  era  una  favola  in  cinque  atti  di  Miche- 
langelo Buonarroti  il  Giovane  (1):  ma  il  Duca  potè  ascoltare  nella 
gran  sala  di  Palazzo  Vecchio  anche  altre  commedie  :  la  Pellegrina 
di  m.  Girolamo  Bargagli ,  recitata  da  nobili  giovani  senesi  della 
Accademia  degli  Intronati;  e  ai  6  di  maggio,  dai  comici  Gelosi 
con  la  celebre  loro  prima  donna  Vittoria,  la  Zingara  di  ignoto, 
intramezzata  con  gli  stessi  stupendi  intermezzi  della  Pellegrina, 
e  con  spesa  di  40  mila  ducati:  poi,  ai  13,  la  Pazzia,  opera  d'/- 
sabella  commediante,  la  quale  eguagliò  in  maestria  la  Vittoria 


(1)  La  Favola  fu  stampata  nel  1608 ,  dedicandola  ai  Serenissimi  e  ricor- 
dando che  fu  «  con  reale  magnificenza  rappresentata  nelle  felicissime  nozze  »  : 
vedi  M.  A.  Buonarroti,  Opere  varie,  Firenze,  Le  Mounier,  1863,  p.  44. 


IL  TEATRO  MANTOVANO  NEL  SEC.  XVI  315 

e  fece  maravigliar  tutti  pel  suo  «  valore  ed  eloquenza  (1)  »:  e  pro- 
babilmente cosi  la  Zingara  come  la  Pazzia  sono  commedie  a 
soggetto,  l'ultima  delle  quali  parrebbe  un  nuovo  titolo  letterario 
da  aggiungersi  agli  altri  della  Andreini.  La  Compagnia  dei  Gelosi 
manteneva  cosi  l'alta  sua  riputazione,  e  ai  12  di  decembre  il  Duca 
le  dava  segno  del  suo  favore  con  cospicuo  dono,  per  mezzo  del 
Presidente  del  Maestra to: 

11  Serenissimo  signor  nostro  comanda  che  V.  S.  faccia  dare  alli  comici 
Gelosi^  che  si  trovano  hora  qui,  100  scudi  che  l'A.  S.  dona  loro  (2). 

Del  resto,  il  favore  del  Duca  si  estendeva  anche  agli  Accesi, 
che  raccomandava  alle  autorità  di  Brescia,  perchè  ivi  potessero 
recitare.  Onorio  Scotti  cosi  gli  rispondeva  agli  8  gennajo  del  '90: 

Obedendo  a  quant'è  piaciuto  all'A.  V.  di  comandarmi  con  la  lettera  sua, 
andai  subito  a  trovar  li  signor  Rettori ,  acciò  in  gratia  sua,  si  come  mi  co- 
manda, concedessero  licenza  alli  comici  Accesi  di  venire  in  questa  città  a 
recitar  le  loro  comcdie,  ma  per  non  esser  ciò  in  podestà  loro  dovendo  venir 
r  autorità  da  Venetia,  piacerà  all'A.  V.  di  escusarli  et  a  me  perdonare,  so 
conforme  al  infinitissimo  desiderio  che  tengho  d'ubedirla  et  servire,  non  ho 
potuto  operare  quanto  mi  vien  per  lei  comandato.  La  supplico  perhò  con  ogni 
reverenza  che  si  come  me  li  sono  dedicato  per  umiliss.»  servitore,  non  lassare 
mai  occasione  di  valersi  della  vita  mia  et  ogni  mio  potere,  che  recevendo 
ciò  dalla  benignità  sua,  renderò  al  Al.  V.  quelle  gratie  che  m'obligha  un 
tanto  dono,  che  sarà  il  fino  baciandolli  con  ogni  humiltà  le  mani.  Che  N.  S. 
li  doni  quanto  desideri  (3). 

Il  carteggio  che  segue  ci  dà  notizia  di  un  altro  attore  scono- 
sciuto, e  del  gusto  che  alle  commedie  pigliava  anche  un  reve- 
rendo cardinale  di  santa  madre  Chiesa.  Ai  13  gennajo  del  '90 
abbiamo  infatti  questa  lettera  del  Donati  al  co.  Ulisse  Bentivogli 
di  Bologna  : 

Havendo  il  S."'°  S.  mio  inteso  che  Andreazzo  Gratiano  comico  si  scansa 


(1)  Comunicazione  amichevole  del  cav.  G.  E.  Saltini,  di  notizie  tratte  dal 
Diario  del  Settimanni,  voi.  V,  149-132. 

(2)  Comunicazione  dell'archivista  cav.  Bertolotti. 

(3)  Comunicazione  dell'archivista  cav.  Bertolotti. 


316  A.  d'ancona 

di  venire  a  servire  qua  nella  Compagnia  destinatagli  dalI'A.  S.,  conformje  a 
quello  che  ne  scrisse  a'  dì  passati  a  V.  S.  111.™*  il  sig.  Giulio  Geffini,  con 
dire  che  ha  da  andare  colla  Compagnia  della  Diana  a  Roma  per  servitio 
deirill.™o  Card.e  Montalto,  mi  ha  comandato  che  io  scriva  a  V.  S.  perchè 
si  contenti  di  usar  diligente  inquisitione  per  sapere  la  verità  di  ciò  :  perchè, 
se  così  sia  il  vero,  S.  A.  si  acquieterà,  anteponendo  ad  ogni  suo  gusto,  la 
soddisfatione  del  sud.o  Card."  IH.™». 

E  il  24  cosi  replicava  il  Bentivogli: 

AUi  giorni  passati  mi  venne  una  staffetta  del  S.  Giulio  Ceffini,  che  in 
nome  di  quell'A.  S.™*  mi  comandava  che  per  tutto  quel  Veneri  dovesse  es- 
sere costì  Andreazzo  Graziano  comico,  onde  andai  subito  a  trovarlo  e  li 
volsi  dare  denari  a  suo  piacere,  acciò  se  ne  venissi  costà,  et  egli  allora  mi 
diede  buona  intenzione,  senza  certa  promessa,  di  venire,  se  ben  mostrava 
dispiacere  grandissimo  d'haver  mandate  le  sue  robe  alla  volta  di  Roma  con 
quella  Compagnia,  e  promesso  d'andar  con  loro.  Poco  dopo  due  giorni  che 
doveva  partire,  mi  disse  che  assolutamente  non  poteva  venire,  perchè  non 
sapeva  trovar  modo  di  apparente  scusa  con  queste  sue  donne;  e  sopra  ciò 
li  risposi  in  maniera  che  credo  m'intendesse.  Mi  venne  poi  a  trovare  a  casa, 
dicendomi  che  la  sig.»  Diana  aveva  spedito  a  posta  al  8."»°  di  Mantova 
per  dimandar  favore,  che  detto  Graziano  andasse  con  loro  a  Roma,  spe- 
rando nella  benignità  di  S.  A.  che  otterrebbe  tal  grazia,  e  mi  pregò  che 
aspettassi  la  risposta  di  questa  donna,  che  haria  fra  quattro  giorni  differita 
l'andata  sua  a  Mantova.  Io  ne  diedi  conto  subito  al  Ceffini  del  seguito , 
per  straordinario  di  Ferrara,  né  mai  poi  ho  avuto  risposta.  Passato  questo 
tempo,  costui  mi  venne  a  trovare,  dicendomi  che  li  bisognava  andare  a 
Roma  con  la  Compagnia  per  recitare,  et  che  havea  promesso  a  detta  Com- 
pagnia et  airill.™"  Montalto,  e  che  pensava,  non  essendo  venuta  risposta 
alla  sig.*  Diana  né  a  me,  che  l'A.  S.  non  se  ne  curasse  più,  e  perciò  vo- 
leva partire  assolutamente.  Io  feci  ogni  sforzo  per  trattenerlo,  né  potetti 
altro:  ma  mi  promesse  (se  però  si  può  credere  alle  parole  di  simil  gente), 
che  quando  S.  A.  mostrerà  desiderio  ch'egli  vadia,  per  lettere  alla  signora 
Diana  come  a  me,  che  se  ben  fosse  in  Roma,  ch'io  glie  ne  dessi  conto,  che 
subito  verrebbe.  Et  io  vista  la  lettera  di  V.  S.,  per  il  medesimo  staffiero, 
mettendolo  sopra  le  poste,  la  stessa  notte  lo  inviai,  e  lo  mandai  a  trovare  detto 
Graziano  a  Firenze,  dove  intendo  che  lo  troverà,  ricordandoli  con  mia  let- 
tera quanto  mi  haveva  promesso,  e  che  si  risolva  a  venire  a  obedire  S.  A.  S. 
lo  ho  usate  tutte  quelle  diligenze  possibili,  e  son  certissimo  che  il  S.  Card.*® 


IL  TEATRO  MANTOVANO  NEL  SEC.  XVI  317 

Montalto,  se  ben  ha  fatto  ha  ver  licenza  a  costoro  di  poter  andare  a  Roma, 
credo  non  di  meno  che  l'andata  di  costui  non  l'importi  cosa  alcuna,  non 
l'havendo  mai  conosciuto  né  scrittoli,  o  so  il  sig.""  Card.'»  detto  havesse  vo- 
luto costui,  harei  eseguito  l'ordine  datomi  da  V.  A.,  senz'altra  diligenza, 
come  m'accenna  in  nome  di  S.  A.  Sappia  bene  V.  S.,  che  questo  è  un  bor- 
dello d'innamoramenti  di  puttane  con  questi  furfanti;  e  questo  è  quanto  mi 
occorre  per  hora. 

Il  Cardinal  Montalto,  che  mostrava  tanto  desiderio  di  aver  in 
Roma  i  Desiosi,  era  Alessandro  Peretti  Damasceni,  nipote  di  Sisto  V, 
e  vice-cancelliere  di  S.  Chiesa.  A  Roma  non  si  era  allora  cosi  in- 
tolleranti, in  fatto  di  comici  e  di  commedie,  come  altrove,  e  come 
fu  ivi  stesso  più  tardi.  Già  dal  1578  il  Card.  Paleolti  arcive- 
scovo di  Bologna  erasi  lagnato  che  a  Roma  stavasi  per  «  dar  li- 
«  cenza  ai  Bolognesi  di  far  fare  le  commedie  »;  e  fece  contro  tal 
deliberazione  un  premuroso  ricorso,  allegando  «  una  memoria  teo- 
«  logica  assai  efficace,  in  cui  si  dimostrava  che  l'uso  dell'arte  comica 
«  era  incompatibile  con  la  professione  del  cristianesimo  *.  Il  card. 
Boncompagni,  nipote  di  Gregorio  XIII  allora  regnante,  replicò  che 
«  la  licenza  era  stata  data  sull'informazione  avutasi  che  il  card,  di 
«  S.  Prassede  aveva  tollerato  che  le  commedie  fossero  fatte  in  Mi- 
«  lano».  Il  Paleotti  ne  scrisse  subito  al  card,  di  S.  Prassede,  ch'era 
poi  lo  zelantissimo  Borromeo,  il  quale  rispose  ch'egli  veramente  non 
tollerava  le  commedie,  ma  avea  dovuto  piegarsi  al  temperamento 
di  rivedere  gli  scenarj,  sebbene  ciò  riuscisse  imperfettamente  (1). 


(1)  Crediamo  utile  riferire  la  Lettera  del  Sauto  al  Paleotti,  traendola  dal 
già  cit.  libro  del  C.\stiglioni  ,  Sentimenti  di  S.  C.  BoìTomeo  intorno  agli 
spettacoli,  p.  90:  «  Ho  visto  quanto  V.  S.  IH."»  mi  scrive  con  la  sua  delti 
«  2  del  corrente  intorno  a  quei  commedianti,  ch'Ella  dubitava  non  venissero 
«  a  Bologna  :  sopra  di  che  le  dico  in  risposta,  che  è  vero  che  già  molti  anni 
«  sono  vennero  qui  a  Milano  questi  o  simili  commedianti,  alti  quali  io  non 
«  proibii  espressamente  che  non  recitassero,  perchè  non  mi  pareva  di  poter 
«  trovare  in  ciò  facile  esecuzione,  avendo  il  Principe  secolare  in  ciò  altro 
«  senso.  Doppo  fatti  sopra  ciò  tutti  gli  officj  con  il  Governatore  che  io  potei, 
«  non  potendo  più,  si  osservò  quel  temperamento  di  far  rivedere  quelle  com- 
«  medie ,  con  precetti  alti  commedianti  sotto  pene  gravi ,  di  non  uscire  di 
«  quelle  parole  formali,   con  che  stavano  le  commedie  corrette  da  alconi 


318  A.  d'ancona 

Intanto,  valendosi  della  licenza  ricevuta  da  Roma,  i  commedianti 
cominciarono  a  recitare  a  Bologna:  ma  il  Paleotti  fece  tanto,  ri- 


«  gentiluomini  deputati  a  questo.  Ma  come  era  questa  correzione  quasi  im- 
«  possibile ,  per  esser  tutte  le  lor  commedie  piene  di  cose  oscene ,  né  essi 
«  sapevano  farle  senza  queste  oscenità,  massime  che  i  spettatori  ordinaria- 
«  mente  anno  tal  senso,  che  senza  di  queste,  cioè  delle  oscenità,  pare  che 
«  non  gustino  quelle  commedie ,  aggiuntovi  ancora ,  se  ben  mi  ricordo ,  la 
«  proibizione  di  non  farle  nelle  feste ,  o  almeno  a  certe  ore  di  esse ,  si  an- 
«  darono  prima  difficoltando,  e  poi  colla  pietà  di  quei  deputati  escludendo 
<.<  affatto,  mettendosi  essi  al  saldo  di  non  ne  approvar  più  alcuna,  comecché 
«  tutte  fossero  talmente  inoneste ,  che  ancora  non  patissero  di  essere  cor- 
«  rette,  e  così  si  stancarono  i  commedianti,  e  ci  lasciarono  in  pace  parten- 
«  dosi  di  qui.  Tornarono  poi  coll'occasioue  dell'esser  qui  il  sig.  D.  Giovanni 
«  d'Austria ,  e  allora  non  si  usò  di  vederle  né  correggerle ,  ma  bene  tenni 
«  saldo  io  di  non  lasciargli  recitare  le  feste,  e  sebbene  in  questo  particolare 
«  io  fui  ricercato  a  nome  del  sig.  D.  Giovanni  a  volergli  dar  licenza,  non- 
«  dimeno  io  non  lo  volsi  permetter  mai ,  e  glielo  proibii  anche  in  precetti 
«  penali,  ed  egli  lasciò  che  i  commedianti  ubidissero.  Questo  è  passato  qui 
«  intorno  alle  Commedie,  le  quali  allora  appunto  terminarono  nell'ingresso 
«  della  peste  in  Milano.  Non  le  ho  tollerate,  perchè  le  abbia  per  punto  tol- 
«  lerabili  né  che  mai  siano  oneste,  ma  l'ho  passata  alcuna  volta  nel  modo 
«  che  ho  detto,  per  non  veder  che  più  potessi  far  con  frutto.  So  nondimeno 
«  dall'altra  parte  pur  troppo  gli  scandali,  i  disordini  e  la  corruttela  de'costumi 
«  specialmente  de'cittadini,  che  suol  nascere  da  esse,  anzi  io  giudico  che  siano 
«  ancora  ordinariamente  più  perniciose  ai  costumi  ed  alle  anime,  che  non 
«  sono  quelli  seminarj  di  tanti  mali,  i  balli,  le  feste  e  simili  spettacoli,  per- 
«  che  le  parole,  atti  e  gesti  disonesti  e  lascivi,  che  intervengono  in  simili 
«  commedie,  come  sono  più  latenti,  così  fanno  negli  animi  degli  uomini  più 
«  gagliarda  impressione;  e  mi  pare,  se  non  fosse  ancora  il  danno  che  ne 
«  sarebbe  per  risultare  a  quella  città ,  dovrebbe  in  ogni  modo  V.  S.  111.™* 
«  far  ogni  officio  con  N.  S.  perchè  non  le  permettesse  in  quelle  parti,  per 
«  carità  verso  noi  altri,  che  con  simile  esempio  in  città  dello  stato  ecclesia- 
€  stico,  massime  in  tempi  così  calamitosi  come  questi ,  non  averemo  come 
«  difendersi  nell'avvenire  di  qua  in  non  ammetterli  ». 

La  seguente  supplica  dei  Gelosi  al  governo  genovese,  pubblicata  testé  da 
Achille  Neri,  nella  Gazzetta  letteraria  di  Torino  (25  luglio  1855)  si  ri- 
ferisce ai  tempi  accennati  dal  Santo  vescovo  colla  designazione  generica 
già  molti  anni  sono:  e  infatti  riguarda  gli  anni  dal  1569  al  '72.  La  sup- 
plica  è  degli  ultimi  mesi  di  quest'  anno  : 

«  Ecc.""»  Prencipe  et  111.™*  S.", 
«  Non  già  per  esser  molesti  alle  S.  V.  IH.^^e,  ma  necessitati  dal  gran  bi- 
«  sogno,  i  poveri  Comici  Gelosi,  devotissimi  servi  di  questo  felicissimo  Do- 
«  minio,  tornano  a  supplicar  humilmente  le  S.  V.  Ill.™«  che  per  sua  infinita 


IL  TEATRO  MANTOVANO   NEI,   .SlvC.  XVI  319* 

correndo  al  San  Sisto  (Buoncompagni)  che  gli  riusci  di  «  liberarsi  » 
dalla  loro  presenza.  A  Roma  però  avevano  i  comici  come  lor  pro- 
tettore, lo  stesso  figlio  del  Papa,  Jacopo  Buoncompagni  (1):  e  poi, 
durante  il  pontificato  di  Sisto  V,  il  cardinal  Montalto.  Il  Borromeo, 
a  sua  volta,  non  cessava  dal  far  guerra  al  teatro,  specialmente 
dacché  in  Milano  nell'  84  «  osarono  alcuni  religiosi  di  fare  una 
«  rappresentazione  intitolata:  Il  ìnartirio  de'  SS.  Giovanni  e 
«  Paolo,  nella  quale,  oltre  le  maniere  mimiche  e  buflbnesche, 
«  e  certi  profani  episodj,  che  apertamente  spiravano  deprava- 
«  zione  de'  costumi,  v'era  di  più  uno  d'essi,  che,  sotto  figura  di 
«  negromante,  spacciava  a  mano  salva  magiche  superstizioni  (2)  ». 
Il  santo  si  appellò  anche  al  Governatore,  che  gli  replicò  «  che  si 
•<  poteva  passare  senza  pena  questo  delitto,  principalmente  che 
«  nello  stesso  tempo  fu  recitato  in  Roma  nella  casa  di  un  Gar- 
«  dinaie,  un  dramma  alla  presenza  di  alcuni  altri  Porporati  (3)  ». 
Scrisse  il  Borromeo  subito  a  Roma,  per  dimandare  s'era  vera 
questa  notizia  «  d'una  commedia  fatta  in  casa  del  sig""  Cardinale 
«  de'  Medici,  dove  erano  intervenuti  altri  otto  e  più  Cardinali  », 
pregando  inoltre  di  interrogare  in  proposito  la  mente  di  S.  S.:  e 
Mons.  Speziano  così  gli  rispondeva  ai  14  d'aprile  1584: 


<.<  benignità  e  clemenza  gli  concedano  di  poter  recitar  le  loro  honeste  et 
«  esemplar  Comedie  per  tutto  il  mese  di  Novembre  prossimo  venturo,  o  per 
«  quanto  meno  le  è  di  sodisfattione ,  acciò  possano  ristorarsi  delle  molte 
X  spese  e'  han  fatte  dimorando  ociosi  in  Genova,  essende  questo  da  tutta  la 
«  nobiltà  universalmente  desiderato,  ricordando  alle  S.  V.  111.™»  che  la 
«  stanza  dove  si  recita  non  è  capace  di  più  di  cento  e  cinquanta  gentilho- 
«  mini  che  subito  la  empiono,  talché  gli  artigiani  non  v'  han  loco,  ricor- 
«  dandole  anche  che  i  sudetti  Comici  non  sono  mai  stati  discacciati  da  Città 
«  alcuna,  come  ne  può  ben  render  testimonianza  Milano,  dove  già  quat- 
te tr'  anni  la  staggione  dell'  estate  hanno  esercitata  la  loro  proflfessione  col 
«  consenso  del  R."'°  Cardinal  Boromeo  specchio  del  viver  Cristiano.  Di  novo 
«  inchinandosi  le  chiedono  questa  gratia  per  singolare,  acciochè  la  venuta 
«  di  Genova  non  sia  causa  di  tanto  suo  danno.  E  N.  S.*""  Dio  le  prosperi 
«  eternamente  ». 
E  il  Governo,  con  decreto  del  13  ottobre,  dava  loro  il  richiesto  permesso 

(1)  Castiglioni,  Op.  cit.,  p.  111. 

(2)  Ibid.,  p.  157. 

(3)  Ibid.,  p.  158. 


320  A.  d'ancona 

Cotesto  signor  Governatore  poteva  dire  molti  altri  luoghi,  nelli  quali  si 
sono  fatte  Commedie  con  la  presenza  de'  Personaggi  della  qualità  ch'Ella 
scrive,  che  sono  noti  a  tutti  :  ma  V.  S.  111.""*  non  se  ne  deve  affatto  mara- 
vigliare 0  dolere,  poich'Elia  ancora  vi  ha  la  parte  sua,  perciocché  mentre  sta 
qui  le  pare  mill'anni  di  partirsene,  e  non  si  cura  di  quello  che  si  fa. 

E  interrogato  il  Papa,  lo  Speziano  ai  21  scriveva  di  nuovo: 

S.  Santità  mostrò  di  non  sapere  che  si  fossero  fatte  quelle  Commedie, 
delle  quali  V.  S.  IH.™*  mi  scrisse ,  e  gli  spiacque  d'intenderlo ,  per  il  mal 
esempio  che  si  dà  (1). 

Tuttavia  nell'  '86  ai  20  febbrajo  in  casa  del  sig.'  Orazio  Rucellai, 
recita  vasi  VA7nore  costante  di  Alessandro  Piccolomini  «  alla  pre- 
«  senza  della  sorella  del  Papa,  di  Montalto,  delle  sorelle,  e  delli 
«  Cardinali  Alessandrino  e  Dezza  et  Ambasciatore  di  Spagna, 
«  oltre  il  molto  concorso  di  altri  signori  principali  (2)  ».  E  due 
anni  appresso  «  dopo  un  gran  contrasto  fu  concesso  licenza  alli 
«  Desiosi  di  poter  fare  delle  Commedie  di  giorno,  però  senza 
«  donne,  senza  potersi  portare  dalli  ascoltatori  arme  di  sorta 
«  alcuna,  et  che  havessero  licenza  che  non  si  faccia  rumore  sotto 
«  le  medesime  scene  (3)  ».  Ma  che  vorrà  dire  quel  senza  donne? 
senza  che  le  attrici  recitassero,  e  fossero,  come  più  tardi  pre- 
valse in  Roma  e  in  parte  dello  Stato  pontificio  (4),  sostituite 


(1)  Ibid.,  pp.  158-9. 

(2)  Avviso  di  Roma,  in  Ademollo,  Una  famiglia  di  comici  italiani  ecc., 
p.  XXXII. 

(3)  Avviso  di  Roma,  e.  s.,  p.  xxxi. 

(4)  Nel  1676  Innocenzo  XI  proibiva  nuovamente  alle  donne  di  salir  sulla 
scena,  e  le  loro  parti  erano  fatte  da  giovanetti:  vedi  Fr.  Bartoli,  II,  76. 
Il  Goldoni,  Memorie,  I,  4,  racconta  che  a' suoi  tempi  a  Ravenna  e  nelle 
Legazioni  si  ammettevano  donne  sulla  scena,  non  a  Roma  (ibid.,  II,  38), 
dove  quando  egli  andò  a  porre  in  scena  la  Vedova  di  spirito,  donna  Placida 
e  donna  Luisa  furono  un  ragazzo  parrucchiere  e  un  garzone  legnaiuolo. 
L'abate  Richard,  Descript,  histor.  et  critiq.  de  l'Italie  etc,  Paris,  1769,  I, 
cxiv,  vide  in  Roma  «  un  acteur  faire  le  ròle  de  Pamela  avec  une  barbe 
«  épaisse  et  une  voix  rauque  ».  Assevera  il  Bonazzi  ,  Storia  di  Perugia , 


IL  TEATRO  MANTOVANO  NEL  SEC.  XVI  321 

da  giovani,  non  sempre  imberbi:  o  senza  presenza  di  donne? 
Parrebbe  più  accettabile  la  prima  spiegazione  (1),  tanto  più  che 
altre  attestazioni  contemporanee  (2)  ci  assicurano  che  le  donne 
intervenissero  agli  spettacoli.  Il  carnevale  romano  di  cotesto 
anno  '88  fu  copioso  ad  ogni  modo  di  rappresentazioni  sceniche. 
Una  commedia  fu  dai  Desiosi  rappresentata  nel  palazzo  dell'Ar- 
ciprete di  S.  Pietro,  alla  presenza  di  donna  Camilla  Peretti,  so- 
rella del  Papa.  Un'altra  sera,  essa  coi  suoi  figliuoli  assistè  ad 
altra  recita  nel  palazzo  Ridolfl,  e  fra  gli  spettatori,  oltre  il  fiore 
delle  dame  romane,  erano  nove  Cardinali.  Altri  simili  sollazzi  si 
ebbero  presso  Virginio  Orsini,  Federico  Cesi,  Giuliano  Cesarini  e 
Orazio  Rucellai.  Anche  il  Card.  Sforza  fece  recitare  nel  suo  guar- 
daroba, invitandovi  alcuni  Cardinali  e  parecchi  prelati  (3).  In 
queste  recite  quasi  private  non  si  potrebbe  escludere  che  la  signora 
Diana  e  le  altre  donne  facessero  la  loro  parte:  la  loro  sostitu- 
zione con  giovani  sbarbati  doveva  essere  riserbata  alle  rappre- 
sentazioni in  pubblico. 

Tornando  adesso  al  Duca  di  Mantova,  sembra  probabile,  che, 
con  tutto  il  suo  potere,  non  riuscisse  ad  acchiappare  il  recalci- 
trante Graziano.  Per  rifarsi,  nell'aprile  si  fece  venire  una  Com- 
pagnia che  recitava  a  Milano,  come  si  vede  da  questa  del  prior 
Cavriani  all'ambasciatore  ducale  cav.  Olivo,  in  data  del  7  : 

Ho  trattato  coll'A.  S.  dei  cento  et  cinquanta  ducatoni  che  V.  S.  diede 
costì  a  Filippo  Angeloni  per  condurre  a  Mantova  li  comedianti,  li  quali  dice 
che  V.  S.  se  li  pigli  dalli  trecento  che  da  Casale  li  furono  rimessi. 

Forse  si  tratta  della  Compagnia  dei  Gelosi,  che  dopo  la  morte 


Perugia,  Boncompagni,  1878,  11,  452,  che  «  per  impegno  della  principessa 
«  Braschi,  sorella  di  Pio  VI,  le  donno  sullo  scorcio  del  secolo  tornarono 
«  a  comparire  sui  teatri  di  Roma  ». 

(1)  Cosi  l'intende  I'Hubner,  Siste  V,  Paris,  Hachette,  1882,  II,  99. 

(2)  Montaigne,  Voyage  en  Italie,  Paris,  Le  Jay,  1764,  II,  131,  dice  che 
le  donne  a  Roma  si  lasciano  vedere  «  en  coche,  en  feste  ou  en  théàtre  ». 

(3)  HUBNER,  Op.  cit.,  II,  101. 


322  A.  d'ancona 

di  S.  Carlo  nell'  '84  potè  più  volte  recitare  in  Milano,  finché  Fe- 
derigo Borromeo  nel  '96  ritornò  ai  rigori  dello  zio  (1).  Infatti  nel 
settembre  dell'  '89  essi  erano  a  Milano,  e  vi  ritornarono  nel  no- 
vembre del  '90  (2). 

I  comici  davano  da  fare  al  Duca  probabilmente  più  che  i  suoi 
sudditi,  e  quantunque  assai  spesso  si  burlassero  di  lui  e  delle  sue 
voglie  e  de'  suoi  ordini,  non  cessava  egli  di  proteggerli  e  di  cu- 
rarne a  suo  modo  gì'  interessi ,  come  si  desume  anche  dal  suo 
carteggio  dell'  '91  (3),  relativo  ad  una  andata  degli  Uniti  a  Ve- 


(1)  Castiglioni,  Op.  cit.,  p.  105.  Secondo  assevera  il  Pagani,  Op.  cit., 
p.  42  solo  nel  1597  si  venne,  in  proposito  delle  commedie  e  compagnia 
comiche  «  ad  una  concordia  fra  la  Chiesa  e  lo  stato  ». 

(2)  Ad.  Bartoli,  pp.  cxxxii-iv;  ove  si  recano  lettere  del  De  Bianchi  al 
granduca  Ferdinando  da  Milano,  settembre  '89  e  nov.  '90. 

(3)  Nel  Carnevale  del  '91  si  fecero  commedie,  ma  non  si  sa  quali  né  da 
chi:  ciò  si  rileva  però  da  un  «  Quinternetto  delle  spese  fatte  per  l'apparato 
«  della  barrerà,  comedie  et  altre  spese  ».  Le  spese  per  questi  sollazzi  car- 
nevaleschi ascendono  a  L.  22482.  13.  6.  Quelle  per  comedianti  sono  no- 
tate in  L.  639.  Noterò  alcune  partite.  A  M.  Ant.  Scalabrino  per  «  la  tela 
«  dipinta  quale  stava  stabile  dietro  al  palazzo  mobile  di  legname,  L.  48  ». 
Per  il  detto  «  palazzo  mobile  dipinto  di  chiaro  seuro,  L.  18  ».  Di  più  «  nella 
«  prima  fronte  della  scena  ha  dipinto  quattro  arbori  di  rilievo,  dui  quadri 
«  di  tela  dietro  a  questi,  dipinti  a  arbori,  la  città  con  torrette  e  carte  tra- 
«  sparenti  nei  fori,  il  monte  del  tempio  et  quello  di  Bacco,  ornati  tutti  di 
«  fiori  di  rilevo  e  foglie  di  vite,  dipinto  di  fuori  il  tempio  con  la  fabbrica 
«  del  pogginolo,  ornato  dentro  il  tempio  e  dipinto  la  fabrica  del  monte  di 
«  Bacco,  r  Arco  d' Iride,  una  tela  per  la  barca,  finta  acqua,  un  tempio  che 
«  havea  da  sorgere,  quattro  corni  ecc.,  stimato  per  M.  Stefano  Santo  Vito 
«  pittore,  se  li  dà  L.  165  ».  Seguono  altre  partite,  a  mess.  Anastaso  Ana- 
stasi  pittore,  «  per  nove  ghirlande  di  cartone  adorate  con  lauro  et  fiori,  L.  9: 
«  per  sei  dardi  inargentati,  et  coloriti  li  pomi,  et  sei  bastoni  da  Pastori 
«  similmente  inargentati  e  coloriti,  L.  12;  sei  cimbali  adorati  di  stagnolo 
«  le  fascie,  L.  3;  sei  manarini,  sei  vanghe  et  sei  cortelletti  inargentati  di 
«  stagnolo,  L.  6;  quattro  cavagnoli  dipinti  di  verde,  inargentati  et  adorati 
«  d'  oro  buono  in  più  lochi,  L.  3  ;  un  capello  di  cartone  adorato  et  lavorato 
«  di  nero,  L.  2;  otto  picche  e  quattro  bastoni  adorati,  inargentati  et  dipinti 
«  di  più  colori,  L.  16;  due  armature  dipinte  et  adorate  a  fogliami,  L.  60; 
«  tre  stocchi  dipinti  di  morello,  adorati  et  inargentati  L.  4;  nove  libri 
«  adorati  et  dipinti,  L.  9  ecc.  »  E  a  Mess.  Massimiano  Nastasi,  scudi  35 
«  per  la  fattura  e  spese  della  tela  dipinta  a  paesi,  che  traversava  la  scena, 
«  e  quattro  quadri  parte  simili  e  parte  a  nuvoli  ;  e  per  aver  dipinto  il  cielo 
«  di  turchino  e  nuvoli,  tutto  per  le  scene  di  corte,  scudi  210  ». 


IL  TEATRO  MANTOVANO  NEL  SEC.   XVI  323 

rona.  Ai  19  di  marzo  il  Duca   cosi  scriveva  al  co.  Mario  Bevi- 
lacqua : 

La  Compagnia  dei  comici  Uniti  desidera  di  venir  costi  per  recitar  com- 
medie, et  perciò  mi  hanno  ricercato  a  scrivere,  cora'ho  fatto  a  cotesto  S.' 
Podestà  che  se  ne  contenti:  con  tutto  ciò  non  ho  voluto  lasciare  di  racco- 
mandarla a  V.  S.  particolarmente,  come  faccio  con  questa ,  pregandola  per 
amor  mio  ad  haverla  a  cuore. 

E  ai  23  il  Bevilacqua  rispondeva  aver  egli  fatto  ogni  officio 
presso  i  rettori  di  Verona,  per  aver  la  licenza: 

....  ma  perchè  sono  alienissimi  et  contrarj  a  tal  sorta  di  trattenimento , 
non  è  stato  possibile  di  poterla  ottenere. 

La  risposta  officiale  al  Duca  fu  questa: 

La  conditione  di  quest'anno,  tanto  penurioso,  non  n'ha  lasciato  dar  luoco 
sinhora  a  li  Comici  di  rapresentaro  le  loro  comedie,  ma  vedendo  es.ser  tale  il 
desiderio  di  V.  A.  lo  faremo  dentro  a  pochissimi  giorni,  essendo  noi  tenuti 
a  servirla  con  ogni  prontezza  in  tutto  quello  che  potemo,  et  a  V.  A.  rive- 
rentemente baciamo  le  mani.  Di  Verona  li  xxvij  maggio  MDXCI. 

Di  V.  A.  Seruitori  aff"' 

Li  Rettori  di  Verona  (1). 

Al  Duca  doveva  certo  parer  strano  che  ci  fosse  gente,  la  quale 
non  volesse  saperne  di  sollazzarsi  colle  commedie,  e  nel  settembre 
ritornava  alla  carica:  ma  il  Potestà  teneva  duro,  e  a  Vincenzo 
toccò  a  piegar  il  capo,  ammettendo  che  non  dipendeva  da  poca 
premura  del  conte  Bevilacqua 

...  se  ciò  non  ha  potuto  succedere  conforme  al  suo  e  mio  desiderio. 

Manieri  impicci  gli  procurava  il  marito  di  Madama  Ange- 
lica ,  cioè  Drusiano  Martinelli ,  come  si  vede  da  questa  lettera 
di  Drusiano  stesso,  del  27  ottobre  '91  da  Milano  al  capitano  Ales- 


(1)  Comunicazione  dell'archivista  cav.  Bertolotti. 


324  A.   D  ANCONA 

Sandro  Gatrani  in  corte  del  Duca,  che  si  riferisce  a  rivalità  di 
prime  donne  fra  Angelica  ed  una  Margherita,  la  quale  potrebbe 
essere  la  Paoli  sopra  ricordata: 

Quella  saperà  come  Gasparo  Jnpriale  pavese  è  qui  in  Milano  risoluto  di 
tagliare  il  volto  ad  Ang.ca  per  comissione  della  Malgarita  comica,  non  avendo 
risguardo  alla  paroUa  data  a  S.  A.  S.:  e  sta  di  questa  maniera.  Avendo  la 
Malgarita  fatto  copia  di  se  a  Gasparo  con  promessa  di  tagliar  il  volto  Ang.ca, 
avendo  lei  inteso  che  S.  A.  S.  ne  mandava  a  Milano,  ne  avisò  Gasparo,  qual 
subito  come  V.  S.  sa ,  venne  a  Mantova  per  tratare  insieme  come  avevano 
a  incaminare  il  negocio,  et  alla  nostra  partita  ne  seguitò  ma  non  ne  agionse: 
però  venne  in  Milano  et  sta  qui  per  far  V  effetto.  Ma  à  voluto  Iddio  che  si 
sia  scoperto  qui  con  un  principal  cavagliero,  et  con  il  favore  d' un  gran 
gentilomo  che  lo  favorisce,  gli  adimandò  agiuto  di  giente  non  conosciuta. 
Dove  il  cavagliero  essendo  da  tal  gentilomo  richiesto  in  favore  di  Gasparo, 
gli  promise  agiuto;  hor  inspirato  da  Dio  mandò  a  chiamar  Leandro,  con  il 
quale  aveva  per  il  passato  intrinsica  amicizia,  e  interogoUo  chi  era  questa 
Ang.ca  et  che  vita  teneva.  Leandro  gli  narò  esser  maritata,  e  eh'  onestamente 
esercitava  1'  arte  comica,  et  come  era  stata  mandata  da  S.  A.  S.,  qual  per 
sua  gratia  l'aveva  sempre  favorita,  et  gli  narò  i  favori,  le  gracie  et  i  doni  che 
S.  A.  S.  gli  aveva  fatto.  Queste  parole  comose  talm**  il  cavagliero,  ch'egli 
scoperse  come  Gasparo  con  il  favore  d' un  suo  amico  gli  aveva  adimandato 
agiuto  per  tagliar  il  volto  Ang.ca,  ma  per  averli  recircato  cosa  indegna  a 
un  par  suo,  et  in  particolare  per  amor  di  S.  A.  S.  non  voleva  inpaciarsene, 
ma  che  fuse  secretamente  avisata:  ma  prima  voleva  che  Leandro  fuse  chiaro 
che  quanto  li  diceva  era  vero,  e  che  farla  andar  la  cosa  in  longo,  perchè 
anco  Gasparo  voleva  prima  assicurar  Ang.ca  con  servitù  et  presenti  da  man- 
giare, afine  che  mai  pensase  in  lui,  et  che  di  questo  non  ne  parlasse  con 
persona,  sino  che  lui  non  lo  avisava,  che  da  un  prete  lo  faria  avisar  di 
quanto  pasarla;  et  così  fece,  et  quanto  li  disse  è  stato  vero,  perchè  Gasparo 
l'à  presentata,  et  gli  à  fatto  et  fa  molta  servitù  con  gran  proferte.  Hor  es- 
sendo il  cavagliero  inportunato  da  Gasparo  a  venirne  a  un  fine,  jeri  mandò 
a  chiamar  Leandro  et  voleva  senza  mentuarlo  lui  che  ne  avisase  Ang.ca,  dove 
Leandro  lo  pregò  a  non  lo  intricare  in  tal  cosa,  ma  egli  come  cavagliero 
lo  poteva  fare,  che  saria  tenuto  secreto.  Dove  hoggi  il  cavagliero  è  venuto 
solo  secretam.*e  in  camera  d'Ang.ca,  et  gli  à  narato  quanto  era  passato,  et 
confermatoli  ciò  che  avea  detto  a  Leandro  esser  vero,  et  che  quanto  faceva 
Gasparo  era  per  comisione  della  Malgarita,  et  che  aveva  tirato  la  cosa  in 
longo   sino  che  lei   gli   provedeva,  e  la  consigliò  a  visarne  S.  A.  S.  che 


IL  TEATRO  MANTOVANO  NEL  SEC.  XVI  325 

facesse  scrivere  qui  al  conte  Piro  Visconte,  che  favorisca  Ang.o*  in  un  ne- 
gocio  che  lei  gli  dirh  a  boca,  che  lui  poi  ne  avisarà  ciò  che  gli  averemo 
a  dirCj  a  fine  che  la  cosa  vadi  in  niente;  ma  se  mai  lo  palesaso  lui,  che  la 
faria  batre  in  pezzi  se  fusse  in  cappo  al  mondo:  però  quando  S.  A.  S.  vorà 
sapere  chi  è  il  cavagliero  et  chi  favorisce  Gasparo,  cello  dirò  a  boca,  et 
quando  S.  A.  S.  avesse  dubio  che  ciò  non  fosse  vero,  ma  nascesse  da  mali- 
gnità, la  strada  di  chiarirsene  è  questa.  Far  ordinare  secretam.'»  alla  posta 
che  tutte  le  lettere  che  vengono  alla  Malgarita  et  al  S'  Masimigliano,  et 
quelle  che  si  danno  alla  posta  in  Mantova  che  vengono  a  Gasparo  Jnpriale 
et  a  Carlo  che  fa  da  Francèschina,  siano  tute  portate  in  mano  di  S.  A.  S., 
et  letole  e  toltone  copia,  risararle  e  darli  recapito ,  a  fine  che  le  lettere  co- 
rine :  perchè  o  in  una  o  nell'  altra  si  scoprirà  il  vero,  non  eh'  io  abbia  su- 
spetto  ch'el  S""  Masimigliano  né  Carlo  siano  intricati  in  tal  cosa,  ma  perchè 
molte  lettere  che  vano  alla  Malgarita  sono  incluse  in  quelle  del  S''  Masi- 
migliano, et  di  quelle  che  vengono  a  Gasparo  sono  incluse  in  quelle  di  Carlo: 
et  il  segno  è  questo.  Quando  la  Malgarita  scrive  a  Gasparo,  gli  aricoraanda 
il  suo  negocio,  o  si  ricorda  di  lei  o  simil  cose,  et  che  gli  tiene  ducato  il 
putino.per  suo  conto.  11  ricordarsi  di  lei  è  il  sfriso  d'Ang.ca,  et  il  putino  è 

con  riverencia Però  V.  S.  mi  farà  gracia  di  far  sapere  il  tutto 

a  S.  A.  S.  et  mostrarli  questa  mia  e  suplicarlo  per  parte  nostra  a  meterli 
provisione ,  ateso  che  non  potiamo  difendere  con  Gasparo  per  non  sapere 
di  far  piacere  o  dispiacere  a  S.  A.  S.,  avendo  comandato  ad  Ang.c»  che  stia 
savia ,  né  contro  alla  Malgarita  per  essergli  la  sua  parola.  Piacia  adonque 
a  S.  A.  S.  per  l'amor  di  Dio,  di  far  scrivere  al  conte  Piro  o  a  chi  più  li 
piace  in  favor  d'Ang.ca,  overo  sia  contento  che  si  partimo  et  venirsene  a 
Mantova,  che  questo  carnevale  lo  serviremo  costà.  Ancor  che  parrai  indi- 
gnità a  fugirmene  in  questa  maniera,  essendo  sotto  la  protecione  di  S.  A.  S.» 
per  non  aquistar  fama  esser  fugiti  per  qualche  infamia,  però  quanto  coman- 
derà S.  A.  S.  tanto  faremo,  avisandolo  che  la  cosa  sia  secreta  :  che  trista 
Ang.ca;  et  anco  perché  Gasparo  viene  questo  carnevale  a  Mantova:  che  se 
S.  A.  S.  avendo  saputo  che  questo  è  vero ,  ne  potrà  fare  quella  dimostra- 
zione che  li  piacerà,  overo  darmi  licencia  a  me,  ch'io  farò  conoscere  che 
sono  homo  dabene  et  che  sempre  fece  onore  alla  mia  patria,  perchè  non 
siamo  gente  da  sfrisi Di  Milano  a  di  27  ottobrio  1591. 

Di  V.  S.  afr."»o  ser.»"*  Drusiano  Martinelli. 


Segue  sullo  stesso  argomento  quest'altra,  al  medesimo  capitano 
Catrani,  datata  da  Caravaggio  li  9  novembre: 


336  A.  d'ancona 

AUi  giorni  passati  vi  scrissi  due  mie  per  conto  del  negocio  d'Angelica, 
et  vi  scrissi  il  modo  come  S.  A.  S.  poteva  chiarirsene  in  far  levar  le  letre, 
ch'io  vi  scrissi:  però  ogni  giorno  più  si  va  scoprendo  la  cosa  esser  veris- 
sima, nella  maniera  ch'io  gli  scrissi,  et  abiamo  saputo  anco  che  per  far  riu- 
scire le  cose  con  presteza ,  aveva  dato  danari  ad  uno  che  si  adimanda  il 
Piazza,  perchè  gli  tagliasse  il  volto  sul  palco  ;  ma  la  cosa  è  stata  scoperta 
da  un  gentilomo  mio  amico  et  amico  di  questo  Piazza,  qual  si  ha  fatto  dare 
la  parolla  al  detto  Piazza  non  se  ne  impazzare,  ma  che  si  stia  secreti  che  ne 
avisarà  il  gentilomo  del  tutto  che  sucederà,  et  à  anco  avisato  il  gentilomo, 
che  advertisca  che  quando  la  Malgarita  scrive  al  sig.  Gasparo,  che  indrizza 
le  letre  qui  a  Milano,  in  mano  d'un  giovine  della  posta  medema  di  Milano, 
che  si  chiama  m.  Paulo  Girolamo  Picotto,  che  lui  poi  li  manda  a  chi  le 
vano:  però  è  di  bisogno  di  avisarne  anco  di  questo  S.  A.  S.,  che  faccia 
anco  levare  le  letre  indrizate  al  detto  giovine;  se  V.  S.  mi  manda  risposta 
et  qualche  letra  di  favore  di  S.  A.  S.  per  qualche  cavagliero,  indrizatela  a 
Milano  in  mano  di  quel  mercante,  che  dice  Angelica  che  gli  à  portato  una 
vostra  o  a  qualche  vostro  amico,  perchè  venghino  sicure,  che  non  mi  siano 
tolte,  et  eh'  el  nostro  amico  li  dia  poi  subito  in  mano  di  Angelica  o  mie. 
Siamo  ancor  qui  in  Garavazo,  et  credo  che  li  staremo  ancora  otto  giorni,  e 
poi  andaremo  a  Milano,  dove  la  Gompagnia  li  voi  star  fino  a  Natale:  ma 
io  et  Angelica  faremo  quanto  piacerà  a  S.  A.  S.,  o  restar  qui  o  venire.  V.  S. 
per  amor  nostro  faccia  opera  con  solicitudine  che  S.  A.  S.  si  chiarisca  della 
verità  nel  modo  ch'io  gli  scrissi  et  scrivo,  non  essendo  questa  mia  per  altro. 
Prego  Iddio  lo  felici.  Di  Caravagio. 

Come  andasse  a  finire  la  cosa,  non  apparisce  :  certo  che  il  Duca, 
nella  cui  grazia  erano  molto  innanzi  e  Drusiano  e  madama  An- 
gelica, avrà  impedito  lo  sfregio  minacciato  alla  diva:  non  però 
privò  della  sua  protezione  la  Favoli,  come  abbiam  visto  qua  ad- 
dietro. Il  Martinelli  intanto  andò  a  Firenze,  litigato  fra  i  due 
principi,  secondo  apparisce  dalla  seguente  lettera  da  cotesta  città 
in  data  del  10  giugno  1592  ;  e  a  quel  che  pare,  litigato  non  per 
cause  teatrali ,  ma  per  qualche  invenzione  o  segreto  o  imbroglio 
che  possedeva  e  cercava  vendere: 

§_mo   gre 

Dal  Gap.*'  Alesandro  mi  è  stato  mostrato  una  lett.^  scritali  dal  S.""  Gui- 
•dobono  secret.'»  et  consig."'»  di  V.  A.  S.,  nella  quale  si  contiene  che  io  ve- 


IL   TKATRO   MANTOVANO  NEL  SEC.   XVI  327 

nendo  costà  V.  S.  mi  vedrà  volentieri,  ot  che  io  restano  da  lei  sodisfato  : 
et  perchè  so  che  un  suo  cenno  m'à  da  essere  espresso  comandam.'»,  non 
mancarò  di  fare  ogn'  hopera  ot  tentare  ogni  strada  di  poter  venire  a  servire 
r  A.  Sua,  et  ne  ringracio  la  MM  di  Dio,  che  mi  fa  degno  di  poterla  servire, 
et  che  lei  tenga  conto  di  me,  et  io  come  suo  fed.«»*  ser.'"  accetto  «unii.'* 
ogni  sua  cortese  proferta. 

Y.  A.  S.  saperà  che  dominica  passata  il  gran  Duca  mi  mandò  a  chia- 
mare air  Ambrosiana,  dove  di  novo  mi  à  fatto  dire  eh'  io  mi  contentasse 
della  proferta  che  mi  fece  fare,  et  io  con  un  core  generoso  gli  fece  dire 
che  più  tosto  che  toro  500  scudi  al  anno  ch'io  gli  facio  un  presente  del  tutto, 
et  che  io  me  ne  volevo  andare:  dove  che  mi  fece  dire,  che  mi  darà  al  pre- 
sente una  suma  di  danari  eh'  io  sarò  contento,  et  mi  è  stato  acenato  di 
dua  o  tre  milla  scudi  alla  mano:  però  se  non  mi  danno  tutti  li  dieci  milla 
scudi  alla  mano  in  una  volta  oltra  la  provisione,  io  non  ci  voglio  stare  in 
nisun  modo,  perchè  sicome  mi  amancano  hora  della  promessa  fatemi,  mi 
potriano  anco  amancar  col  tempo  del  resto,  et  io  a  bonora  tanto  eh'  io  son 
vivo  et  sano,  voglio  aquistare  qualche  beni  per  i  miei  figlioUi:  et  creda 
V.  A.  S.  ch'io  averla  pagato  questa  ocasione  col  mio  sangue,  non  per  altro 
se  non  per  il  desiderio  che  io  tengo  di  servire  all' A.  sua  per  essere  mio 
Sig.''6  et  patron  naturale,  che  con  altri  non  la  farei,  per  quanto  horro  è  al 
mondo,  et  più  tosto  lei  per  niente  che  d' altri  per  gran  premio.  Però  questa 
sera  me  ne  ritorno  all'Ambrosiana,  dove  credo  sarò  spedito  et  averò  li  dua 
0  tre  milla  scudi:  et  subito  spedito,  adimandarò  licencia  di  venire  a  como- 
dare i  fati  miei,  et  come  sarò  a  Mantova  farò  quanto  V.  A.  S.  si  degnerà 
comandarmi,  et  restando  in  servicio  suo  trovare  qualche  legitima  scusa,  che 
senza  perdere  la  gracia  del  granduca,  potrò  con  mio  honore  servire  V.  A.  S., 
come  poi  gli  dirò  a  boca,  prometendogli  eh'  io  farò  tutto  quello  eh'  io  potrò 
et  saperò  per  servirla  et  darli  gusto,  non  guardando  qua  a  interesso  alcuno, 
et  spero  in  Dio  eh'  io  farò  vedere  a  V.  A.  S.,  secreti  tali  che  li  piaccrano 
et   sarano   di   suo   grande  utile,  et   farò   ogni   diligentia  di  venire   con   il 

S""  Gap"  Alesandro Di  Firenza  a  di  10  Giugno  1592. 

Di  V.  A.  S.  Um.°»o  et  fed.»<>  Serro 

Drusian  Martinelli. 

Poco  dopo  lo  troviamo  a  Mantova,  e  il  Duca  par  si  impicciasse 
anche  di  trovargli  una  casa,  e  se  ne  parla  in  questa  del  capi- 
tano Gatrani  al  principe,  in  data  20  luglio: 

Le  casa  per  Drusiano  por  dcligenza  ch'esso  habbia  usata,  me  dice  non 
v'  essere  altro  che  quella  di  Claudio,  la  quale  credo  che  esso  n'  andrà  fuora 


228  A.  d'ancona 

mal  voluntieri,  se  però  V.  A.  S.  non  glie  ne  comandasse:  che  con  l'apartam.*» 
che  esso  tiene  et  le  due  camere  che  son  d' affittare  nella  detta  casa,  si  pa- 
garebbe  in  tutto  scudi  25.  Y 'è  un  altra  casa  presso  Sant'agnese  per  quanto 
essi  me  dicano,  che  si  paga  de  fitto  35  scudi,  la  qual  essi  vorebbono  torre, 
et  perciò  viene  Arlechino  a  darne  conto  a  V.  A.  S.  Ho  voluto  di  ciò  far- 
glene  consapevole,  poiché  ieri  le  piacque  comandarmi  eh'  io  vedesse  sopra 
ciò  quel  che  v'era  per  comodo  di  Drusiano. 

A  che  cosa  dovesse  servire  questa  casa,  resta  ignoto:  forse  a 
qualche  laboratorio:  ma  da  quest'altra  del  Martinelli  stesso,  del 
23  agosto,  parrebbe  ch'ei  lavorasse  per  coramission  del  Duca  a 
preparargli  sollazzi  teatrali  : 
Ser.°»o  SigJ», 

I  dui*  edeficii  sono  ormai  in  termine  di  cominciare  a  meterli  insieme ,  et 
s' io  avesse  avuto  Maestri  a  bastanza  sariano  de  già  forniti,  ma  non  gli  è 
che  dui  M."  che  li  lavorano  a  torno,  et  gli  spontoni  non  sono  arivati  che 
bora,  et  i  dui  Moschetoni  per  la  mostra  non  sono  ancora  venuti  :  però  io 
gli  guarnirrò  di  cane  d' archebuso  per  bora  ;  dove  si  fano  gli  edefici,  non 
vi  è  loco  per  meterli  insieme  che  non  siano  visti  da  tutti:  ma  se  così 
piace  a  V.  A.  S.,  li  meterò  insieme  in  casa  mia  in  dui  camaroni  che  per- 
sona del  mondo  non  lo  saperà,  et  poi  subito  ne  avisarò  V.  A.  S.,  alla  quale 
suplico  voglia  degiarsi  concedermi  questa  gracia  de  venerli  a  vedere  prima 
lei  solo  8ecretam.*«,  et  dopoi  se  li  piacerà  farli  vedere  a  chi  più  li  tornarà 
a  comodo,  avisandola  che  sempre  sarà  a  tempo  de  mostrarli,  et  sino  che 
nisuno  non  li  ano  visti,  sono  di  V.  A.  S.  solo,  ma  dopoi  visti  non  sono  più 
suoi  secreti,  ma  di  chi  gli  ano  visti.  V.  A.  S.  è  giudicioso:  m'intendo  facia 
lei  :  solo  la  suplico  per  la  prima  volta  vederli  lei  solo  o  in  casa  mia  o  dove 
ordinarà  V.  A.  S.  che  gli  vada  a  metere  insieme ,  che  Tristano  viene  per 
questa  resolucione,  pregando  Iddio  che   feliciti   l'A.  V.   S.™^  (1). 


(1)  Probabilmente,  avendo  rinunziato  al  servizio  toscano,  il  Martinelli  entrò 
fin  da  quest'  anno   stabilmente  a  quello  del   Duca  di   Mantova.  Per   l'anno 
successivo,  lo  attestano  almeno  queste  ricevute. 
«  A  dì  15  Marzo  1593. 

«  lo  Drusian  Martinelli  confesso  aver  ricevuto  dal  S.""  Hottaviano  Gavriani 
«  per  man  del  S."^  Ippolito  della  camera  di  S.  A.  S.  quaranta  tre  scudi  che 
«  sono  per  resto  et  compimento  delle  provisioni  che  mi  dona  S.  A.  S.  per 
«  tutto  genaro  pross.»  passato  «  Io  Drusian  Martinelli. 

«  lo  Drusian  Martinelli  ò  avuto  dal  Sig.''  Ott.no  Gavriani  scudi  25  a  bon 
«  conto  di  quello  eh'  io  avanzo  con  S.  A.  S.,  a  di  dui  Agosto  1593 

«  Io  Drusian  Martinelli  affermo  quanto  di  sopra  ». 


IL  TEATRO   MANTOVANO   NEL   SEC.  XVI  329 

Occupandoci  del  teatro  mantovano,  non  dobbiamo  tacere  che  a 
quest'anno  appartiene  la  stampa  della  commedia  di  un  Gonzaga, 
del  ramo  detto  dei  signori  nobili  di  Mantova.  Il  Rampazzetto  di 
Venezia  stampava  invero  con  cotesta  data  Oli  Inganni,  commedia 
deirillustr.  signor  Gurtio  Gonzaga,  che  Maddalena  Gampiglia,  nota 
letterata  vicentina,  dedicava  «  alla  signora  Dama  Marfisa  da  Este  e 
«  Cibo  »,  augurando  che  la  produzione  «  di  questo  divino  spirito  » 
sia  chiamata  «  la  regina  delle  commedie  del  nostro  secolo  ». 
Questo  Gonzaga  nato  nel  '36  e  morto  a  Borgoforte  nel  '99,  esal- 
tato a  cielo  a'  suoi  tempi,  e  specialmente  dal  Tasso,  pel  suo  poema 
il  Fidamante  stampato  nell'  '82,  scrisse  anche  alcune  Liriche,  e,  a 
quel  che  ne  dice  la  Campiglio,  tradusse  in  parte  Y Eneide,  e  re- 
citò nell'Accademia  vaticana  di  S.  Carlo  Borromeo  una  orazione 
in  lode  della  lingua  volgare.  Fu,  come  attesta  il  Tiraboschi,  non 
meno  valente  in  armi  che  in  lettere,  e  nel  '59  venne  dal  card.  Er- 
cole mandato  per  negozj  politici  alla  corte  cesarea.  La  commedia 
è  delle  solite  di  quel  tempo:  più  ci  attraggono  in  essa  certe  fi- 
gurine, rappresentanti  le  varie  scene,  che  sono  disseminate  nel 
libercolo. 

Massima  preoccupazione  era  in  questi  anni  al  Duca  un  gran 
spettacolo,  del  quale  ragioneremo  partitamente  più  innanzi:  ma 
ciò  non  toglieva  ch'egli  non  pensasse  anche  ad  altre  commedie  (1) 
e  alle  Compagnie  comiche ,  e  specialmente  a  quella  sua  pre- 
diletta degli  Uniti ,  i  quali  veramente,  allora,  erano  molto  disu- 
niti, e  dispersi  in  varie  città.  Ai  4  luglio  del  '93  si  rimborsavano 


(1)  Resta  soltanto  il  ricordo  delle  «  spese  fatte  per  la  comedia  del  mese 
«  di  febraro  1593  »,  cioè:  «  A  M""»  Vincenzo  Taragnoli  per  ha  ver  fatto  un 
«  leone  et  un  serpente  et  barbe  nove  per  i  pastori,  et  aconciate  tutte  quelle 
«  che  erano  in  casa  per  i  Satiri,  L.  55;  A  M''°  Francesco  Cremonese  ma- 
«  rangone,  per  ha  ver  stoppe  le  finestre,  fatti  i  sedili,  il  palco  delle  donne, 
«  et  tirate  le  corde  del  coperto  della  scena,  L.  48;  fattura  e  spesa  di  17  ca- 
«  pigliature  per  la  comedia  L.  169;  a  Messer  Dario  pittore  per  tutte  le 
«  fatture  et  spese  fatte  in  colori  et  dipinture  per  li  apparati  et  vestimenti, 
«  L.  197;  Per  12  mascare  et  8  barbe,  tutte  fomite  con  la  sua  cordella  per 
<<  la  comedia,  L.  19;  Per  para  8  scarpe  per  li  cantori  mietitori  del  2»  in- 
«  termedio  della  comedia,  L.  18:  Per  il  fitto  di  n<»  16  habitì  per  la  comedia 
«  per  giorni  3,  L.  22,  ecc.  In  tutto,  L.  996  >. 

Giornale  storico,  YI,  fase.  18.  89 


330  A.  d'ancona 

infatti  a  Leandro  commediante  (1)  le  spese  occorsegli  per  man- 
dare ad  avvisare  i  comediantì  di  S.  A.,  di  tornarsene  di  Ferrara 
e  Reggio,  ove  si  trovavano,  a  Mantova:  e  l'Angeloni  era  spedito 
a  Firenze  a  ripigliarvi  la  Compagnia  degli  Uniti:  alla  quale, 
come  vedemmo,  quando  essa  appunto  stava  «  trasferendosi  a  Fi- 
«  renze  »  nell'ottobre  del  '92,  il  Duca  aveva  raccomandato  la 
Margherita  Favoli.  Ora,  una  Aurelia  desiderando  entrare  nella 
compagnia  della  Vittoria,  si  raccomandava  per  ciò  al  Duca:  al 
quale  cosi  scriveva  da  Verona,  ai  27  marzo  '93,  un  Giusto  Giusti: 

Aurelia  comica  desidera  sommamente  di  haver  luogo  et  unirsi  con  la  Com- 
pagnia di  Vittoria,  sperando  con  la  scorta  di  s\  gran  donna  di  poter  avan- 
zarsi nella  professione.  Et  perchè  sa  che  un  minimo  cenno  di  V.  A.  S.  può 
farla  degna  di  questa  gratia,  è  venuta  a  pregarmi  con  la  maggior  istanza 
del  mondo,  ch'io  voglia  supplicar  V.  A.  S.  del  suo  favore,  nella  cui  beni- 
gnità havendo  ella  prima  fondata  ogni  sua  speranza,  stima  che  la  interces- 
sione mia,  come  di  servitore  tanto  obligato  et  divoto  di  V.  A.  S.,  possa 
giovarle  non  poco.  Et  io  amerei  grandemente  che  il  buon  desiderio  di  questa 
donna  fosse  aiutato  dal  mio  reverente  affetto.  Supplico  adunque  V.  A.  S.  con 
tutto  l'animo,  che  resti  servito  di  essaudir  così  giusta  et  virtuosa  domanda. 
Di  che,  non  pur  l'istessa  Compagnia  di  Vittoria  può  ricevere  accrescimento, 
ma  particolarmente  la  nostra  città,  ove  sperano  di  far  lor  comedie,  sentirà 
grandissimo  gusto,  essendo  Aurelia  da  ciascuno  generalmente  ben  vista.  Et 
a  V.  A.  S.  riverentemente  m'inchino. 

P.S.  Giovami  di  credere  che  se  bene  la  Compagnia  è  stabilita,  di  conse- 
guire questa  grazia,  et  come  di  cosa  già  ricevuta  le  resto  con  quel  magior 
obligo  che  possi  venire  dal  mio  conoscimento. 

La  Vittoria  potrebb'  esser  sempre  quella  che  nel  '74  venne 
applaudita  da  Enrico  3°,  e  che  nell'  '89  abbiamo  ritrovata  a  Fi- 
renze. Ormai  provetta,  poteva  ben  servire  di  guida,  di  sostegno, 
di  «  scorta  »  a  una  attrice  principiante.  Ma  chi  fosse  quest'^w- 
relia,  probabilmente  veronese,  non  è  dato  conoscere.  Non  è  cer- 


(1)  Questo  Leandro  è  probabilmente  un  Leandro  Ricci,  nipote  al  pantalone 
Federigo  Ricci,  che  più  tardi,  nel  1612,  si  trova  nella  compagnia  di  Arlec- 
chino (Tristano  Martinelli),  e  vi  era  ancora  nel  '20,  quando,  tornando  in 
Francia,  morì  a  Chambéry:  vedi  Baschet,  pp.  225,  280,  287. 


IL  TEATRO  MANTOVANO  NEL  SEC.  XVI  331 

tamente  la  Brigida  Bianchi,  comica  fedele  (1),  che  illustrò  il  nome 
di  Aurelia  sulle  scene  d'Italia  e  di  Francia,  e  fu  madre  di  Cintio, 
ovverosia  Marcantonio  Roraagnesi.  La  Bianchi  è  una  seconda  Aiir 
relia:  della  prima,  come  anche  già  della  prima  Flaminia,  dob- 
biam  rassegnarci  a  non  saper  nulla.  E  invero  la  Bianchi,  che  nel 
1659  dedicava  alla  regina  di  Francia  e  stampava  in  Parigi  V In- 
ganno fortunato  ovvero  V Amunte  aUboiirita,  tradotta  dallo  spa- 
gnuolo,  e  nel  '66  mandava  alle  stampe  i  Rifiuti  di  Pindo,  raccolta 
di  poesie  indirizzate  da  lei  al  re  Luigi,  morì  nel  novembre  del 
1703:  e  sebbene  avesse  allora  90  anni  (2),  non  può  essere  la  co- 
mica raccomandata  dal  gentiluomo  veronese  al  Duca. 

Né  questa  diOiV Aurelia  fu  la  sola  raccomandazione  che  allora 
ricevesse  il  Duca,  divenuto  non  sapremmo  dire  se  protettore  e 
patrono,  ovvero  piuttosto  servitore  e  agente  della  comica  fa- 
miglia :  dacché  nello  stesso  anno  a  lui  cosi  si  rivolgeva  da  Roma 
un  povero  dottor  Graziano,  che  vi  aveva  trovato  la  mala  ven- 
tura : 

S.«">  S'  Duca 

Gianpaulo  Agochij  Bolognese  d."»  Dottore,  Ser.'«  di  V.  A.  S.,  quel  il  quale 
à  recitato  a  Mantova  et  a  Viedana  a  V.  A.  S.  e  ch'à  recevuto  tanti  favori 
e  cortesie  da  S.  A.  si  ritruova  in  Roma  e  qualche  un  mese  fa  è  usito  di 
pregione,  et  li  è  stato  dui  anni  in  secreta  senza  esser  examinato,  per  essere 
stato  perseguitato  da  un  suo  parente  :  con  Taiuto  di  Dio  e  di  quela  S.*"'  Maria 
di  Loreto  e  per  amor  di  V.  A.  et  il  favor  del  Gard.i»  Cintio  S.  Giorgio 
fui  examinato  et  ralessato  senza  altro  impedimento,  doppo  che  m' aveano 
tenuto  dui  anni  in  gabia:  così  ricoro  ìdla  benignità  e  amorevoleza  di  V.  A.  S., 


(1)  Fr.  Bartoli  dà  separatamente,  come  si  trattasse  di  due  diverse  pe^ 
sono,  notizie  di  Brigida  Bianchi  (I,  123)  e  di  Brigida  Fedeli  (I,  208),  attri- 
buendo alla  prima,  la  traduzione  della  commedia  spagnuola,  alla  seconda  le 
poesie,  delle  quali  dà  per  saggio  un  sonetto  a  mad.''*  della  Vallière.  L' er- 
rore nasce  da  ciò  che  notò  il  Quadrio  (V,  244),  che,  cioè,  nella  stampa  delle 
poesie  invece  di  porre  Aurelia  comica  fedele  fu  posto  Aurelia  Fedeli. 

(2)  [Parfait]  ,  Hist.  de  Tane.  th.  ital. ,  p.  26.  La  Bianchi  si  ritirò  dal 
teatro  l'anno  1683  e  passò  gli  ultimi  suoi  anni  in  \ma  casa  di  Via  S.  Denis. 
Il  GuELLETTE  dice  averla  spesso  vista  nella  sua  vecchiaja  quand'  era  co- 
stretta al  letto,  e  trovatala  «  extrémement  parée  et  se  conformant  toujours 
«  aux  modes  nouvelles  ». 


338  A.  d'ancona 

che  si  voglia  degnare  di  farmi  favor,  oltra  tanti  altri  recevuti  da  S.  A.,  di 
mandarmi  o  farmi  dare  qualche  pochi  di  denari,  acciò  io  possa  partirmi  di 
Roma  e  andar  a  casa  mia  a  Bologna,  e  subito  venire  a  Mantua  a  dar  spassa 
a  V.  A.  S.  e  star  alegram.*«  questo  carneval;  non  altro  dirò  per  non  fastidir 
la  V.  A.,  se  non  che  la  prego  e  la  supp.co  per  amor  di  Dio  a  non  mancare, 
acciò  possa  neser  una  volta  di  tanto  tri  cavaje,  eternam.*^  gli  ne  resterò 
con  obligo  a  V.  A.,  e  si  degnarà  di  far  indrizar  la  risposta  di  questa  al- 
l' Ecc.*«  S/  Don  Virginio  Orsini  :  non  altro  se  non  che  conti.t^  pregarò 
N.  S.  Iddio  per  la  sua  lunga  e  felice  vita.  Di  Roma  il  dì  13  di  9bre  1593, 
D.  V.  A.  S.  afF."»o  ser.'«  Gioanpaulo  dalli  Agochij 

d.*»  Dottor  Gratian  Scarpazon. 

Dove  si  recitasse  allora  in  Mantova,  essendosi  bruciato  nel  '91  il 
teatro  ducale,  ricostruito  e  riaperto  solo  nel  1608  (1),  non  sappiamo: 
ma  nel  '94  due  commedie  almeno  si  rappresentarono  nel  palazzo 
del  Te,  dacché  si  ha  un  ordine  di  S.  A.  di  pagare  per  quelle  ai 
commedianti  venticinque  ducatoni.  E  nel  carnevale,  per  ralle- 
grare la  Serenissima  signora,  uscita  di  puerperio,  si  ha  da  una 
lettera  del  Rogna  (5  febbrajo),  che  si  attendeva  ordinariamente 

...  a  comedie,  maschere,  festini ,  cene  et  cose  simili ,  come  conviene  alla 
stagione  ; 

come  più  tardi  nel  maggio,  pel  battesimo  del  neonato,  oltre  una 
barriera,  si  ebbe 

...  sulla  scena  grande  una  bella  comedia. 

Ma  in  quest'anno  lo  spettacolo  più  notevole  dell'Italia  supe- 
riore fu  quello  dato  dalla  città  di  Milano  al  conte  di  Haro,  figlio 
del  sig.  Contestabile  di  Gastiglia,  Juan  Fernandez  de  Velasco, 
governatore  della  Lombardia,  e  del  quale  abbiamo  un  minuto 
ragguaglio  trasmesso  dall'  ambasciator  ducale  a  Milano ,  Lodo- 
vico Falletti,  al  consigliere  ducale  Tullio  Petrozani.  Non  spiacerà 
forse  al  lettore  l'udirne  la  descrizione: 


(1)  Per  le  nozze  del  principe  Francesco  con  Margherita  di  Savoja:  archi- 
tetto il  cremonese  Viani,  del  quale  diremo  più  oltre. 


IL  TEATRO  MANTOVANO  NEL  SEC.  XVI  338 

Nella  Comedia  fatta  fare  dalla  Comunità  di  Milano  a  13  d'ottobre  1504, 
per  honorare  le  nozze  del  S.''  Conto  d'Arò. 

Primo  intermedio. 

Dato  il  segno,  cade  la  tela  figurata  il  mare,  adornata  di  diverse  sorti  di 
pesci,  per  il  che  si  scoperse  la  scena  affigurata  la  città  di  Napoli.  In  mezzo 
al  palco  stava  a  traverso  una  tela  dipinta  che  assomigliava  alla  marina, 
sopra  della  quale  apparse  la  Vittoria  comediante  accomodata  a  modo  di 
sirena.  Costei  fece  il  prologo,  il  quale  finito,  la  scena  subito  fu  coperta 
d'una  tela  dipinta  d'arbori,  boschi,  monti  e  colli  ameni,  ove  comparsero 
Fetonte  et  Epapho  contrastando  insieme,  dicendo  Epapbo  potersi  vantare 
essere  figliuolo  di  Giove,  ma  che  non  sapeva  come  Fetonte  potesse  essere 
figliuolo  del  sole,  chiamandoli  chiarezza  di  questo.  Fetonte  andò  a  trovare 
Climene  sua  madre,  addimandandola  se  era  stato  generato  dal  Sole:  lei  giu- 
rando che  sì,  li  disse  che  andasse  dal  Sole  a  dimandarglielo.  Così  vi  andò,  et 
di  lontano  inginochiatosi,  con  la  mano  avanti  gl'occhi,  gli  domandò  signo, 
acciò  conoscesse  essere  suo  figliuolo.  Egli  giurando  per  la  stigia  palude  li  disse 
che  sì,  et  che  in  segno  di  ciò  domandasse  ciò  eh'  egli  voleva,  et  cavandosi 
li  raggi  r  accarezzò  molto.  Fetonte  li  domandò  di  guidare  un  giorno  il  suo 
carro  della  luce.  Febo  lo  dissuase  da  ciò  perchè  non  lo  havrehbe  saputo 
guidare,  pure  insistendo,  glie  lo  dà,  ongendolo  prima  acciò  non  abbrugiasse. 

2.*>  intermedio. 

La  scena  fu  coperta  tutta  in  un  subito  con  tele  dipinte  con  arbori  secchi 
et  campagne,  che  non  parevano  se  non  fuoco,  per  il  gran  calore.  A  mezo 
il  palco  comparvero  i  Fiumi  con  li  ami,  che  in  cambio  d'essere  pieni  d'acqua 
s'abbrugiavano,  et  per  ciò  esclamavano  a  Giove  di  tanta  distrutione.  Fatte 
queste  esclamationi,  comparvero  i  quattro  Tempi  dell'  anno,  ciascuno  dolen- 
dosi del  danno  che  pativano  per  il  gran  calore,  et  poi  tutti  insieme  ingi- 
nochiati  cantando  invocarono  Giove  che  li  soccorresse,  onde  tirò  il  tuono, 
s' aperse  il  cielo  et  comparse  Giove  a  cavallo  dell'Aquila,  che  rispose  volervi 
provedere.  Fetonte  passando  sopra  il  carro,  lamentandosi  di  tanta  fatica  et 
del  gran  pericolo  in  che  si  trovava.  Giove  lo  saetò,  et  lo  fece  cadere  dal 
cielo,  et  la  madre  sua  comparse  lamentandosi  d'  bavere  perso  il  figliuolo, 
et  che  le  sorelle  per  il  gran  piangere  si  erano  convertite  in  piante  di  pioppe. 
Et  s'udiron  strepiti  grandi  di  tuoni  in  cielo,  dopo  i  quali  continuando  i 
lampi  et  tuoni,  tempestò  confetti  sopra  il  palco,  che  causò  gran  alegrena 
a  Relichino  et  Pedrolino,  et  molto  riso  alli  ascoltanti. 

3o  intermedio. 

Comparse  la  tela  della  scena  depinta  che  afiSgurava  la  bella  primavera. 


334  A.  d'ancona 

uscendo  una  bell."^*  donna  vestita  pomposamente  sopra  un  carro  tirato  da 
due  leoni,  che  cantava  beli.™'  versi,  la  quale  era  l' Aurora,  et  al  suo  sco- 
prirsi, le  stelle  ch'erano  rosseggianti  in  cielo,  s'annichilarono.  Era  costei 
accompagnata  da  varij  canti  d'  uccelli  et  massime  de  rusignoli,  et  simil.te 
de  galli.  Comparvero  cinque  Pastori  con  viole  che  sonavano  per  eccellenza, 
et  con  essi  erano  quattro  villani  che  ballavano  nizzarda  et  altri  balli,  che 
fecero  bello  vedere.  Comparvero  li  Fiumi  con  li  urni  pieni  d' acqua,  che  sca- 
turivano acque  odorifere,  e  cantando  versi. 

4o  intermedio. 

Finito  il  terzo  atto  et  la  musica  al  solito,  le  tele  di  verdura  copersero  la 
scena,  e  comparsero  le  4  Stagioni  dell'anno,  e  ciascuna  recitò  versi  in  lode 
et  ringratiamento  delle  racquistate  sue  ordinarie  forze,  et  poi  comparvero 
quattro  Dei,  i  quali  cantarono  madrigalli  bell.™^  et  nel  finire  conchiusero: 
andiamo  andiamo,  con  concento  sonoro  più  volte  dicendo:  andiamo  andiamo. 
E  così  fu  finita  la  comedia. 

Li  Comedianti  che  furono  gli  ordinarij,  comparvero  beniss°  vestiti,  li  in- 
termedij  ornati.  Costa  alla  comunità  di  Milano  da  2.™  du.".  Gli  auditori 
eccedevano  6."".  Vi  era  il  senato  et  tutti  li  Maestrati  con  quelli  di  Provig.«, 
infinite  et  ben  ornate  Dame.  Sue  Ecc.«e  et  la  casa  sua  s' intendono  (1). 

Ma  nel  '95,  mancando,  si  vede,  i  comici ,  supplirono ,  chi  lo 
crederebbe?,  i  Gesuiti  (2).  Infatti  ecco  quanto  dice  una  lettera 


(1)  Gentile  Pagani,  Bel  Teatro  in  Milano  avanti  il  1598  ecc.,  p.  17, 
ci  fa  sapere  come  fu  in  tale  occasione  appositamente  costruito  un  teatro , 
architettato  da  Giuseppe  Meda  :  V  invenzione  dello  spettacolo  fu  affidata  al 
trentino  Nunzio  Galiti,  le  pitture  a  Valerio  Profondavalle,  e  la  direzione  sce- 
nica all'  attore  Leandro,  che  potrebb'  essere  Leandro  Ricci. 

(2)  Anche  a  Roma  i  Gesuiti,  pronti  sempre  a  secondare  l'umor  de'  tempi 
e  volgerlo  a  lor  senno,  davano  rappresentazioni  sceniche.  Nel  1573,  riferisce 
l'ambasciator  Paolo  Tiepolo,  «  ha  fatto  S.  S.  prohiber  commedie  :  solo  i  Gesuiti 
«  di  sua  licentia  haimo  fatto  rappresentar  dalli  giovani,  che  si  allevano  con 
«  gran  disciplina  e  religione  nelli  loro  collegii,  due  tragedie,  che  cosi  l'hanno 
«  chiamate,  in  lingua  et  verso  latino  :  1'  una  di  cose  passate  del  Testamento 
«  vecchio,  del  Re  Acab,  assai  bella  et  comendata,  et  1'  altra  di  cose  non 
«  ancora  successe,  ma  che  nel  Testamento  novo  si  trovano  figurate  et  pre- 
«  dette  che  habbiano  d'avenire,  dell'estremo  universale  Giudicio:  impresa 
«  certo  ardita,  ma  per  comune  parere  assai  felicemente  reuscita  »:  Muti- 
NELLi,  St.  arcana  ed  anedottica  d'Italia  ecc.  Venezia,  Naratovich,  1855, 
I,  108. 


IL  TEATRO  MANTOVANO  NEL  SEC.  XVI  335 

senza  sottoscrizione  diretta  all'ambasciatore  ducale  a  Venezia,  in 
data  7  febbraio: 

11  lo  di  febbraio  gli  Gesuiti,  in  casa  del  S.'  Don  Ferrando,  fecero  recitare 
una  rapresentatione  di  S.  Eustachio.  Vi  fu  S.  A.  e  molta  gente.  Et  gli  co- 
medianti,  homini  et  nobili,  la  sera  in  casa  degriU.""'  Sig.""'  Gazj  fecero  una 
opera  heroica.  In  casa  mia  quelli  cavalieri  et  gentiluomini  che  recitano  fa- 
cessimo una  comedia,  che  tante  dame  et  cavalieri  vi  furono,  che  fu  un  stu- 
pore, che  dicono  fu  bellissima.  Questa  sera  in  casa  mia,  come  l'altro  hierì, 
si  è  fatto  comedia  nel  medesimo  modo.  Hoggi,  giorno  di  carnevale,  fanno 
una  comedia  certi  virtuosi  in  casa  del  sig.  Don  Ferrando,  dove  sarà  S.  A., 
et  ognuno  che  vi  potrà  stare. 

Le  quali  cose  sono  confermate  per  la  massima  parte  da  An- 
tonio Della  Valle,  scrivente  il  primo  di  quaresima  allo  stesso  am- 
basciatore: 

È  passato  il  Carnevale  senza  maschere  sì,  ma  non  già  senza  domestichi 
trattenimenti,  giochi,  convitti,  feste,  canti,  suoni,  et  sopra  gli  altri  di  co- 
medie  belle  e  piacevoli,  dotte  et  eleganti,  ma  da  giovani  gentilhuomini  della 
città  nostra,  eccitati  dal  nobile  e  vivace  spirito  del  nostro  S.'  Alfonsino 
Gonzaga,  gratiosissimO  Monsig.'»,  rappresentate  con  tanta  gratia,  che  avan- 
zano le  più  degne  et  migliori  parti  dei  veri  professori,  nel  dire  grave  et  fa- 
ceto, nei  gesti,  negl'atti,  nel  sembiante,  nei  componimenti  di  tutta  la  per- 
sona a  guisa  di  Proteo  in  ogni  forma  a  lor  voglia  tramutato. 

Ma  se  in  quest'anno,  senza  poterne  additare  la  vera  causa,  non 
troviamo  Compagnie  recitanti  in  Mantova,  abbiamo  però  ai 
2  marzo  una  raccomandazione  per  privati  negozj  del  Duca  al 
Card,  di  S.  Clemente  in  favore  di  Silvio  Gambi  comico,  del  quale 
manca  ogni  ragguaglio  biografico:  e  nell'aprile,  ai  10,  questa 
del  consiglier  Cheppio  a  Niccolò  Bellone  ambasciator  ducale  a 
Milano,  per  raccomandargli  la  Compagnia  degli  Uniti,  che  ormai 
si  fregiava  del  nome  di  Compagnia  del  S.^  Duca  di  Mantova: 

Sarà  presentatore  di  questa  a  Y.  S.  Mess.  Drusiano  Martinelli,  che  nelle  ° 
comedie  recita  la  parte  d' Arlechino  (1) ,  o  qualchedun  altro  della  Compa- 


(1)  Sarebbe  difficile  sapere  a  quale  dei  due  fratelli,  ambedue  Arìecchini^ 


336  A.  d'ancona 

gnia  de'  Comici  Uniti ,  che  per  altro  nome  si  chiama  la  Compagnia  del 
S.^^o  Sigj  nostro,  come  che  serva  a  S.  A.  più  particolarmente,  et  anche  per 
essere  stata  unita  et  mantenuta  coU'autorità  sua.  Questi  dirà  a  V.  S.  più  a 
pieno  il  bisogno  suo  et  della  Compagnia  istessa,  et  mi  comanda  S.  A.  ch'io 
l'accompagni  con  questa,  incaricandole  che  spendendo  il  nome  dell'  A.  S., 
non  manchi  di  procurare  con  chi  bisognerà,  et  anche  presso  il  sig/  Gover- 
natore, che  non  solo  sia  permesso  questa  està  a  detta  Compagnia  recitare 
in  Milano  le  sue  comedie,  ma  di  più  che  sia  sola,  acciò  si  levi  ogni  con- 
correnza, et  occasione  di  scandalo. 

Il  tenore  della  supplica  fatta  dagli  Uniti  al  Governatore  di 
Milano  il  18  aprile,  fu  il  seguente: 

Già  altre  volte  la  Compagnia  de'  Comici  Uniti  hanno  rappresentato  le  loro 
comedie  in  questa  città,  et  desiderano  di  fare  il  medesimo  questa  estate, 
come  ne  ha  passato  ufficio  con  V.  E.  l'Ambasciatore  di  Mantova.  Supplicano 
r  E.  V.  restare  servita  di  concederli  l' istesso  di  potere  recitare  come  sopra, 
senza  che  li  sia  dato  impedimento  alcuno,  et  come  hanno  fatto  per  altri 
tempi. 

E  il  Marchese  Alifer  riscrisse  a  tergo: 

Si  conceda  nella  moderna  forma  già  concessa  a  Diana  Desiosa.  Die 
7  Junij  1595  (1). 

Dieci  giorni  dopo  il  Bellone  rispondeva  al  Gheppio: 

Tutto  che  altri  comedianti  havessero  ottenuta  già  licenza  di  rappresentare 


si  riferisca  il  seguente  brano  di  lettera  del  20  marzo  '93 ,  del  protonotaro 
Pomponazzi  ambasciatore  ducale  a  Venezia ,  al  segretario  del  duca ,  e  per 
che  cosa  Arlecchino  volesse  una  commendatizia  per  Costantinopoli.  Voleva 
egli  forse  tentar  la  fortuna  fra'  Turchi,  e  far  ad  essi  conoscere  la  commedia 
italiana  ?  «  Il  fratello  di  Arlichino  non  mi  domandò  altro  presentandomi  la 
«  lettera  di  V.  S.  dei  10  del  presente,  che  una  raccomandatione  in  persona 
«  sua  al  sig.  Ambasciadore  della  Maestà  Cesarea  in  Costantinopoli,  la  qual 
«  gli  ho  procurato,  et  penso  che  in  ogni  occasione  egli  n'  bavera  buon  gio- 
«  vamento,  come  le  desidero  per  servire  a  V.  S.,  la  quale  mi  fa  particolaris- 
«  sima  gratia  sempre  che  mi  comanda  ».  (Comunicazione  dell'  archivista 
cav.  Bertolotti). 

(1)  Pagani,  Op.  cit.,  p.  24.  E  vedi  a  p.  41  altra  licenza  data  agli  Uniti 
nel  maggio  '96. 


IL  TEATRO  MANTOVANO  NEL  SEC.  XVI  337 

le  loro  comedie,  con  inteutione  d'esser  soli  qui  questa  està,  s'è  però  anco 
operato  che  i  comici  Uniti  del  S."">  S.""  n.'»  possine  anch'essi  recitare  le 
loro,  quaJi,  come  migliori,  spero  che  riceveranno  poco  sconcio  da  gli  altri 
suddetti,  a  che  concorre  parimenti  Arlechino  stesso,  il  quale  in  voce  potrà 
riferire  quanto  ha  fatto,  scrìvendone  io  soccintamente  all'  A.  V.  come  anco 
a  V.  S. 

L'altro  Martinelli,  Tristano,  era  colla  Compagnia  della  Diana 
o  dei  Desiosi  (1),  dopo  aver  abbandonata  quella  di  Pedr olino,  e 
ai  4  decembre  del  '95  cosi  scriveva  a  un  famigliare  del  Duca  : 

Questa  mia  sarà  per  salutare  V.  S.  et  pregarla  insieme  che  si  voglia  di- 
gnare  di  favorirmi  in  quello  che  li  scrivo,  che  gliene  restarò  obbligatissimo. 
Quello  che  V.  S.  à  da  operare  per  me  si  è  che  V.  S.  dica  a  S.  A.  S.  se  si 
vele  servire  di  me  (juesto  carnevale  de  la  mia  parte  in  comedia,  ch'el  mi 
comandi,  che  ad  ogni  minimo  suo  ceno,  io  sarò  prontissimo  a  venirlo  a  ser- 
vire ;  et  se  mi  son  partito  dalla  Compagnia  di  Pedrolino,  io  ne  ò  auto  mille 
occasioni,  benché  vogliono  essere  patroni  et  non  compagni,  et  io  non  es- 
sendo uso  a  servire ,  mi  pareva  che  mi  facessero  torto  :  et  per  questo  et 
per  altre  cose,  io  mi  son  partito,  ma  non  sono  anco  stato  io  il  primo,  che 
tre  o  quattro  altri  si  sono  partiti  inanzi  di  me,  per  tante  insolencie  che  co- 
storo usano  a'  suoi  compagni.  Perciò  io  prego  et  suplico  V.  S.  che  per 
l'amor  di  Dio  non  manchi  di  far  questa  relacione  a  S.  A.  S.,  a  ciò  che  non 
pensase  che  io  non  lo  volesse  servire,  perchè  li  sono  servitore  di  core, 
senza  interesi  alcuno;  et  volendosi  servire  di  me,  V.  S.  mi  dia  avisi  qui  in 
Cremona  nella  Compagnia  de  la  sig."""  Diana  comica,  et  indrizare  le  letere 
a  M.  Giambattista  Lazarone  comico  (2),  che  lui  me  le  farà  avere,  et  la 
prego,  0  dentro  o  fora,  darmi  aviso,  a  ciò  sapia  quello  che  ò  da  fare.  Non 
altro.  N.  S.  la  conservi  in  sua  tanta  gratia.  Di  Cremona. 

Tristano  Martinelli 
detto  Arlechino  y  comico  (3). 


(1)  Da  un  documento  nel  Pagani,  Op.  cit^  p.  23  appare  che  la  Diana 
co'  Desiosi  nell'Aprile  dell'  anno  innanzi,  1595,  chiedeva  recitare  a  Milano 
«  con  modestia  et  honestà  et  con  csempj  boni  ». 

(2)  Un  Battista  Lazzaro  abbiam  visto  capocomico  in  Francia  nel  1583,  e 
i  suoi  mobili  sequestrati  dal  magistrato:  vedi  Baschet,  p.  88. 

(3)  Comunicazione  del  cav.  Bertolotti. 


338  A.  d'ancona 

Null'altro  si  sa  di  questa  pratica.  Nel  principio  però  del  suc- 
cessivo anno  '96,  i  Desiosi,  ai  quali  apparteneva  allora  Tristano, 
davano  alcune  loro  commedie  in  Mantova,  come  resulta  dalla 
seguente  in  data  6  gennaio,  del  Duca  alla  Duchessa  di  Ferrara 
e  a  Don  Cesare  D'Este: 

Con  l'occasione  del  passaggio  per  qui  dalli  comici  Desiosi,  ho  io  sentito 
alcuna  delle  loro  comedie,  che  in  effetto  mi  hanno  apportato  non  poco  gusto  ; 
perciò  facendomi  eglino  sapere  che  volentieri  verrebbero  costì  a  passare  il 
presente  carnevale,  mentre  potessero  ottenere  la  licenza  dal^Ser.""»  Sig.'' 
Duca,  non  ho  voluto  lasciare  di  pregare  per  loro  V.  A.  che  resti  servita  di 
procurarglielo,  assicurandolo  che  costoro  sono  persone  di  bon  garbo  et  fa- 
ceti in  modo,  che  giova  il  credere,  che  Ella  in  questi  dì  apunto  carnevale- 
schi sii  per  sentirne,  tutte  le  volte  che  si  compiacerà  d'udirli,  particolar 
piacere. 

Duca  di  Ferrara  era  allora  Alfonso  n,  che  morendo  l'anno 
appresso,  fece  andare  a  monte ,  come  già  notammo,  una  recita 
degli  Ebrei  mantovani. 

La  seguente,  da  Bologna  ad  Ottavio  Gavriani  tesoriere  del  Duca, 
fa  vedere  che  i  comici  Desiosi  non  erano  sconoscenti  dei  favori 
fatti  loro  dal  Duca  e  suoi  officiali: 

Non  scordevoli  della  cortesis.™*  offerta  fattane  da  V.  S.  111.  per  benefitio 
nostro,  in  esseme  protettore  con  S.  A.  S.  nel  farne  rimborsare  dell'utile  dei 
Palchetti,  la  supp.^^»  si  degni  accettare  il  picciolo  dono  che  li  manda  tutta 
la  Gomp.i*,  il  quale  ancorché  superfluo,  li  servirà  per  memoriale,  et  insieme 
quello  di  S.  A.  S.,  il  quale  pregamo  la  si  degni  presentarglielo,  e  del  seguito 
darne  con  una  sua  subito  ragguaglio,  diretta  a  Giuseppe  Scarpetta  comico 
nella  via  della  Mascarela,  che  del  tutto  la  Gomp.*»  se  li  oflfera  perpetua 

servitrice Bologna  15  feb.^»  1576. 

Li  Comici  Desiosi. 

Per  quest'  anno  possiamo  ancora  registrare  una  lettera  della 
Andreini  : 

S.™o  S.'  Duca  mio  S.'e 
Quel  male  il  quale  ci  aviene  per  nostro  difetto  è  facilis."  da  sopportare, 
ma  intolerabile  è  quello  che   senza  nostra  colpa  ci   accade:  intolerabile  è 


IL  TEATRO  MANTOVANO  NEL  SEC.  XVI  339 

adunque  il  male  et  graviss.»  dispiacere  eh'  io  sentì,  S.™"  mio  S/*,  nel  vedermi 
poco  in  gratia  di  V.  A.  S.,  gratia  da  me  ragionevolmente  stimata  cpianto  la 
propria  vita,  poi  che  questo  mi  aviene  non  per  lo  mio,  ma  per  l'altrui  di- 
fetto. Ma  dato  e  concesso  pure,  sicome  piace  alla  nemica  mia  sorte,  ch'io 
sia  fatta  d' alcuna  cosa  colpevole  appresso  l'A.  V.  S.,  ricordisi  per  gratia  il 
mio  benigno  Sig.""*)  che  i  principi  altro  non  sono  che  Dij  terreni,  e  siccome 
non  è  lecito  agli  Dei  il  serbar  sdegno  od  ira  centra  le  cose  mortali,  così 
non  è  lecito  a  voi,  mio  terreno  Dio,  l'essere  adirato  o  sdegnato  contro  di  me, 
sua  infinitiss.™»  serva,  ma  perchè  è  proprio  degli  animi  grandi  il  dementi- 
carsi  presto  l' offese,  quand'  io  pure  l' habbia  o  per  mia  sciocchezza  o  per 
r  altrui  inganno  offesa,  mi  giova  di  credere  che  V.  A.  S.  non  pur  si  sia  pla- 
cata et  habbia  posta  l'offesa  in  oblio,  ma  l' habbia  interam.'»  perdonata,  del 
che  et  io  e  '1  mondo  tutto  sarà  sicuro  al'  bora  che  piacerà  a  FA.  V.  S.  di 
richiamarmi  alla  sua  desideratis.*  servitù,  del  che  con  ogni  affetto  la  prego, 
pregando  anco  Iddio  che  conceda  a  V.  A.,  alla  S.°»»  moglie  e  figli  ogni 
maggior  felicità.  Di  Bologna  li  27  9bre  1596. 

D.  V.  A.  S.  Hum."»»  Serva  Isabella  Andreini. 

Nulla  abbiamo  pel  '97  :  ma  col  '98  abbiamo  i  soliti  sollazzi  car- 
nevaleschi. Francesco  Ongarino  cosi  ne  ragguaglia  l'ambasciata 
ducale  a  Venezia:  . 

Qui  si  trova  tuttavia  il  Clariss.™"  S.''  Pietro  Friuli  et  il  S'  Gio.  Già.* 

Latova  milanese,  che  fatto  Carnevale  se  ne  andranno  alle  case  loro.  Do- 
mani 1.0  febb.o  si  farà  una  bella  mascherata  a  cavallo  da  Gianizz.'  et  Gran- 
turco, capo  della  quale  sarà  S.  A.  Lunedì  sera  si  reciterà  la  Pastorale  di 
D.n  Federico  Follino,  poeta  comico:  si  correrà  poi  all'  anello  al  solito,  et  si 
starà  allegram.'e  per  questi  3  dì Mant.*,  l'ulto  di  Genn.»  1598. 

E  anche  nell'  aprile  si  preparavano  commedie ,  come  resulta 
dalle  seguenti  del  Gheppio,  ambedue  del  9,  una  al  consiglier  Pe- 
trozzani  a  Gasale,  l'altra  al  Duca: 

Questi  recitanti  della  Comedia  mi  hanno  portati  gli  annessi  libretti  per 
due  parti  che  hanno  assegnati  al  S.*"  Falsteo  Gorni  et  a  Mes.'  Eugenio  Ga- 
gnani,  che  sono  costì  con  S.  A.,  come  vederanno  dalle  inscritioni  de  libretti: 
piacerà  a  V.  S.  R.™*  di  farli  chiamare  et  dar  loro  detti  libretti ,  con  far 
ufficio  che  costì  et  per  viaggio  vadano  imparando  lo  parti  assegnate  nella 
forma  che  stanno  accomodate  et  corrette  nei  libretti,  per  esercitarli  poi  qui 


340  A.  d'ancona 

al  ritorno  con  gli  altri  compagni,  et  con  questa  a  V.  S.  bacio  la  mano  ecc. 

Si  va  attendendo  al  negotio  della  Comedia  con  ogni  diligenza ,  ma 

tutte  queste  imprese  nel  principio  trovano  delle  difficoltà,  che  non  si  pos- 
sono superare  se  non  con  un  poco  di  tempo 

Non  è  qui  menzionata  la  commedia  che  si  stava  provando,  ma 
da  una  lettera  del  7  maggio  del  poeta  Gaspare  Asiani,  si  direbbe 
che  fosse  sua.  Se  fosse  la  Pronuba,  già  stampata  dieci  anni  in- 
nanzi a  Mantova  stessa  dall'Osanna  (1),  o  se  fosse  più  probabil- 
mente un'altra,  non  è  facile  asserire  (2).  La  lettera  intanto  è 
questa: 

M.'o  IH."""  S.'  mio  Oss.°">, 
Il  continuo  esercizio  di  questa  comedia  et  le  molte  difficoltà  che  quasi 
insuperabili  tuttavia  si  vanno  scuoprendo ,  non  mi  lasciano  tempo  di  venir 
a  dar  conto  a  V.  S.  d'alcune  menucie,  a  quali  vorrei  puoter  sodisfare  senza 
fastidirla ,  come  sarebbe  il  dar  le  parti  che  sovravanzano  a  quelli  che  per 
ambizione  le  aspettano  dalle  mani  di  lei ,  quali  per  compire  il  servitio  di 
S.  A.  gliele  andrò  inviando;  e  per  adesso  le  dirò  che  questa  mattina  Mons.' 
Pollini  et  io  siamo  restati  in  appuntamento  (se  cosi  a  Lei  piace)  che  dia  com- 
missione a  quel  sovrastante  che  paga  le  opere  et  lavorieri  della  comedia, 
di  dare  al  Bidello,  qual  ha  servito  un  mese  e  quasi  mezzo  T  altro,  due  du- 
cattoni  a  conto  del  suo  salario ....  Di  casa,  7  mag.o  1598. 

Gasparo  Asiani. 

Il  marito  di  madama  Angelica  continuava  intanto  a  dar  da 
fare  al  Duca.  Agli  11  marzo  1598  si  lagnava  di  esser  preso  di 
mira  dajdue  imbauttati,  e  cosi  ne  scriveva  al  Gheppio: 

Queli  due  inbautati  che  oggi  ò  detto  a  V.  S.,  sono  stati  anco  tuta  sera 
inbautati  su  questi  cantoni  et  pasegiando  molte  volte  inanti  la  mi   porta  : 


(1)  Bettinelli,  Op.  cit.,  p.  97. 

(2)  Il  Bettinelli,  Op.  cit.,  p.  97  scrive:  «  L'anno  stesso  1530  trovo  stam- 
«  pato  in  Venezia  il  Formicone  commedia  in  prosa  e  del  nostro  Gasparo 
«  Asiani,  che  vi  uni  gli  intermedj  in  verso.  DedicoUa  ad  Alfonso  Gonzaga, 
«  e  stara  possi  a  Mantova  del  1588  e  '89  ».  Chi  ci  capisce  qualche  cosa? 
Si  stampò  nel  '30,  o  nell'  '88  o  '89  ?  Il  Quadrio,  Op.  cit.,  V,  92,  registra  la 
Pronuba  non  solo  sotto  l'anno  1588,  ma  anche  in  data  del  '94. 


IL  TEATRO  MANTOVANO  NEL  SEC.  XVI  341 

io  gli  ho  fato  parlare  per  Sig/  Julio  Tornelli  scrimatorei  loro  gli  ano  risposto 
ohe  la  strada  è  comune.  Io  ho  mandato  a  chiamare  il  loco  tenente  del  ba- 
riselo che  loro  erano  qui,  et  è  venuto,  ma  mi  à  detto  non  aver  alcuna  co- 
misiono  de  pigliarli  :  l'uno  de  questi  dicono  se  adimanda  Ottavio  Caura,  et 
l'altro  dicono  esser  un  guantaro,  tati  dua  soldati  di  corte.  Domatina  vero  a 
parlare  con  V.  S.  M.'o  111."»,  per  la  quale  prego  Iddio  la  felicità.  Di  casa  a 
dì  11  marzo  1598. 

Di  V.  S.  M.»»  m."  aflf.°«>  ser.'o 

Drusiano  Martinelli. 
Questi  dua  sono  stati  in  aguaito  questa  mattina,  e  hanno  segmtato  il  d.<o 
Drusiano  inbautati,  e  questa  sera  fanno  il  med.o;  tutto  so  per  bocca  del  d.'' 

Drusiano. 

11  v.o  CavaU.0 

Una  lettera,  di  poco  posteriore ,  del  capitano  Gatrani  al  con- 
siglier  Gheppio  apre  uno  spiraglio  di  luce  sinistra  nella  casa 
coniugale  del  Martinelli,  e  ci  porge  questi  non  onorevoli  par- 
ticolari su  lui  e  sulla  fida  consorte: 

Havendo  io  detto  a  V.  S.  molto  lUJ^  a  viva  voce  la  qualità  di  Drusiano 
comediante,  il  modo  -che  tenne  per  mettermi  in  disgratia  del  Ser.™*»  S.', 
et  della  mia  pregionia  di  cinque  mesi  et  vinti  giorni  con  tanto  mio  dano 
di  vita  et  di  roba,  mi  è  parso  per  più  memoria  farli  questa  narativa, 
afinchè  più  destintamente  la  ne  possi  parlar  a  S.  A.  Dirò  prima  che  sondo 
questo  Drusiano  uso  a  dar  memoriali  falsi,  et  venendomi  al' orecchi  (ora 
ch'io  procuro  levarli  le  sottoscritte  comodità)  che  esso  voi  dare  memoriali 
all'AUza  sua  contro  di  me,  non  per  zelo  d'onore,  poi  ch'egli  non  l' à  mai 
haute,  et  sapendo  io  che  ieri  egli  venne  a  parlar  a  V.  S.  et  dice  anco 
haver  parlato  a  S.  A.,  mi  son  mosso  per  tal  effetto  ricararmi  (?)  da  lei, 
et  che  mi  facci  gratia  di  procurar  con  1"  Alt.*  sua,  che  resti  servita  di 
far  veder  il  memoriale  eh'  egli  ha  dato  o  che  darà  contro  di  me;  et  se  si 
trova  ch'egli  dica  la  verità,  S.  A.  mi  castighi,  che  do  la  parola  a  V.  S.  di 
starmene  qua  ad  aspettare  la  sententia  dell'Alt.»  sua,  et  caso  costui  diponghi 
il  falso  (come  è  suo  uso)  che  S.  A.  come  Principe  giusto,  ne  facci  quella 
demonstratione  che  conviene ,  et  non  comportare  che  un  servitore  che  1*  à 
servito ,  passa  dieci  anni ,  in  governi  et  altri  carichi,  come  io  ho  servito 
honoratamente,  sia  lacerato  con  calunnie  false  da  un  infame  come  è  costui, 
dal  quale  ho  receuto  quel  male  che  S.  A.  et  il  mondo  sa.  Le  comodità  ch'io 
ò  detto  son  le  seguente.  Mentre  Drusiano  è  stato  ultimamente  in  questa 


342  A.  d'ancona 

città,  che  son  da  cinque  mesi  in  circa,  à  visso  sempre  de  mio  con  il  vivere 
ch'io  mandavo  a  sua  mogie,  et  egli  atendeva  a  godere  e  star  allegramente 
sapendo  bene  de  dove  veniva  la  robba,  et  comportava  che  sua  moglie  stesse 
da  me  et  venisse  alla  mia  abitatione,  et  non  atendeva  ad  altro  che  a  dor- 
mire, magnare,  et  lasciava  correre  il  mondo  :  come  di  questo  ne  farò  far  fede 
avanti  S.  A.  da  più  testimonie  degni  di  fede.  Ma  perchè  circa  otto  giorni 
sono  io  li  ò  fatto  intendere  per  la  massara  che  si  trovi  da  vivere,  che  non 
voglio  ch'egli  viva  de  mio,  mena  rovina  et  j^rla  di  ricorso  al  Alt.*  sua,  et 
di  più  per  haverli  fatto  sapere  che  quella  casa  è  mia,  poi  che  io  ne  pago 
il  fitto  (come  mostrare)  et  che  se  ne  proveda  d' una,  tratta  alla  peggio  sua 
moglie,  con  farli  quella  mala  compagnia  che  S.  A.  potrà  sapere;  et  di  più 
per  haver  saputo  che  '1  mobile  che  è  nella  suddetta  casa,  è  maggior  parte 
mio  et  che  io  lo  vorrò  quando  mi  tornerà  comodo.  Questi  son  li  capi  che 
rhan  fatto  mettere  in  fuga  a  parlar  di  ricorso  a  S.  A.,  et  non  zelo  di  ho- 
nore  come  à  detto,  poiché  mentre  io  ò  speso  per  mantenerlo ,  esso  à  con- 
sentito a  qualunque  cosa  che  io  ho,  come  infame  ch'egli  è.  Me  ritrovo 
haver  un  figlio  di  detta  dona,  il  qual  io  ò  fatto  alevar  et  sempre  ò  tenuto 
presso  di  me  o  della  Signora  Hippolita  Aldegatta,  di  sei  anni  in  circa. 
Il  Drusiano  sempre  à  saputo  che  ò  tenuto  detto  figlio  per  tale ,  né  mai  à 
detto  nulla  :  ma  ora  vinto  dal  sdegno ,  sapendo  quanto  io  amo  detto  figlio 
dice  che  voi  suplicar  S.  A.  a  farglene  ristituir:  di  che  l'Alt.*  sua  (come  in- 
formata prima  che  ora)  son  sicuro  bavera  risguardo  a  l'occorentie  del  mondo. 
Fo  sapere  a  V.  S.  che  quando  io  fui  liberato  di  pregione,  per  ordine  di  S.  A. 
andai  con  il  Sig.''  Ferrante  Gonzaga  in  Ungaria,  et  alla  partita  eh'  io  feci 
donai  tutto  il  mio  mobile  che  me  ritrovavo  alla  sudetta  donna ,  perchè  si 
potesse  mantenere  havendola  il  marito  abandonata;  di  che  non  ostante  ella 
si  mantenne,  ma  asieme  con  altre  sue  cosetti  le  vendè  al  Sig."*  Lodovico 
Bagno  per  scudi  ducente,  in  credenza,  li  quali  io  ò  ultimamente  riscossi  et 
mi  son  contentato  che  la  detta  donna  metti  detti  danari  a  nome  suo,  sopra 
non  so  che  terre  :  et  ora  che  questo  infame  à  visto  che  io  ò  consentito  a 
tal  alocatione,  di  che  egli  pensa  godere ,  tratta  mal  quel  che  non  basta  a 
credere  sua  mogie,  con  dirli  a  tutte  l' ore  quelle  maggior  ingiuriose  parole 
che  si  possano  dire  a  una  del  Fuso.  E  perchè  egli  diede  parola  a  V.  S.,  qual 
lei  presi  a  nome  di  S.  A.,  di  far  buona  compagnia  a  sua  mogie  come  lei  sa, 
poco  dopo  la  lasciò  senza  nissuna  sorte  de  recapito,  in  modo  tale  che  se  io 
non  le  dava  un  mio  letto  da  dormir  et  provederla  di  casa  con  altre  cosette 
necessarie,  et  lasciarli  da  dementar  mio  figliolo,  quando  son  stato  fuor  d'I- 
talia, con  il  qual  ella  parimente  s'è  mantenuta,  sarebbe  stata  forzata  di  andar 
mendicando,  o  ver  di  aprir  bottega  pubblica  :  come  di  tutte  le  sopradette 


IL  TEATRO  MANTOVANO  NEL  SEC.  XVI  343 

cose  mi  oblìgo  provar  per  persone  degne  di  fede  nel  tribunale  che  S.  A. 

comanderà.  E  perchè  questo   vituperoso  con  falsi  memoriali  altro  volte  à 

messo  in  canpo  cose,  che  ò  ardimento  dire ,  che  quasi  son  maravigliato  se 

S.  A.  lo  ascolta,  tuttavia  si  vanta  che  l'Alt.*  sua  lo  ama,  come  fa  Arlichino 

suo  fratello,  et  che  lo  voi  al  suo  servitio  con  arogarli  et  prometterli  molto 

dell'Alt.*   sua,  et  per  questo  (contro  a  mia  natura)  fo  sapere  a  V.  S.  che 

Arlichino  à  strappazato  il  servitore  di  S.  A.  in  Fiorenza  et  in  Parma,  come 

l'Alt.*  sua  se  ne  può  informare  da  Pedrolino  et  Cardane,  et  che  (juesto  Dru- 

siano  à  sparlato  contro  S.  A.  in  Parma,  come  da  Carletto,  che  fa  da  Frati- 

ceschina  in  comedia,  l'Alt.''  sua  si  potrà  informare.  Non  ostante  in  Turino 

et  in  altri  luoghi  questi  dua  fratelli  han  detto  cose,  per  quanto  intendo, 

non  erano  licite,  contro  S.  A.  Si,  che  per  tutte  le  sudette  cause,  V.  S.  potrà 

comprendere  la  qualità  di  questi  fratelli,  et  contrapesarle  con  la  servitù  et 

qualità  mia,  et  in  conformità  dame  quella  parte  a  l'Alt.*  sua  che  richiede 

il  servitio  et  riputatione  d'un  Principe  come  questo.  Et  io  starò  aspettando 

sentir  il  seguito,  afinchè  sappi  il  mondo  la  deferentia  che  si  fa  da  me  (che 

son  certo  haver  servito  honoratamente)  et  da  questi  vituperosi.  Et  con  far 

reverentia  a  V.  S.  molto  ni.'"«,  resto  con   pregarli  ogni  maggior  contento. 

Di  Mantova,  li  29  aprile  1598. 

Di  V.  S.  molto  IlL-^e 

afiF."°  ed  oblig.°">  servitore 

Alessandro  Gatranj. 

Vincenzo  intanto,  sebbene  avesse  a  trattare  con  siffatta  mar- 
maglia, non  rimetteva  punto  della  smania  di  far  l'impresario  e 
scomporre  e  ricomporre  Compagnie  comiche;  e  nuova  e  non 
ultima  prova  n'  è  questa  lettera  di  Tristano  Martinelli  da  Mo- 
dena 2  maggio  '98,  diretta  al  Duca,  e  nella  quale  si  tocca  anche 
delle  faccende  fra  Drusiano  e  il  Gatrani,  proponendo  che  quel 
che  è  stato  è  stato,  e  si  viva  da  cristiani  : 

Avendo  inteso  da  mio  fratello  che  V.  A.  S.  gli  ha  ordinato  mi  scriva 
ch'io  lassa  la  mia  Compagnia,  et  che  venga  in  la  sua,  perchè  così  è  il  suo 
volere,  io  non  mancarò  di  eseguire  il  volere  di  V.  A.  con  tutto  il  core: 
ma  bisogna  remediare  a  certi  particulari,  come  V.  A.  intenderà.  La  saperà 
come  che  io  sono  obligato  per  scritura  di  andare  a  Fiorenza  al  suo  tempo, 
et  il  Ser.™*>  gran  duca  ha  volsiuto  che  tutti  si  sottoscriviamo:  qui  il  sig.' 
Duca  anco  lui  à  volsiuto  che  ci  prometiamo  per  questo  Carnevale,  et  quello 
che  a  me  importa  più,  li  fo  a  sapere  che  venendo  io  a  Mantova,  verso  in 


344  A.  D'ANCONA 

gran  peiicolo  della  vita  mia:  dove  avrei  ad  esser  più  sicuro,  sono  manco 
sicuro,  et  se  V.  A.  non  ci  mette  la  mano,  in  dar  ordine  al  cap."  Alessandro 
et  a  un  altro,  che  li  dirò  poi  a  boca,  che  mi  lassano  stare  me  et  mio  fra- 
tello, che  no  ne  perseguitone  più  come  ano  fato  per  il  passato,  come  si  sa 
poblicamente,  che  fumo  loro  che  mandarno  alla  strada  per  amazare  se  ne 
trovavano ,  et  questo  ò  saputo  da  molti  et  particolarmente  da  uno  de'  mo- 
derni Farinelli,  per  favore  del  sig.""  conte  Ottavio  Avogadro  con  promisione 
di  non  lo  palesare,  però  prego  V.  A.  per  l'amor  di  Dio,  come  giusto  signore 
et  christiano,  di  remediarvi  in  dirli  solo  una  minima  sua  paroUa  sul  saldo, 
che  ne  lasano  stare,  poiché  noi  non  ricerchiamo  né  vendetta  né  giustitia, 
solo  desideriamo  eserli  amici  et  servitori,  et  quel  chi  è  pasato  non  se  ne 
parla  più,  per  vivere  da  christiani  et  giustamente.  Per  conto  di  Fiorenza,  io 
credo  come  che  V.  A.  li  fa  sapere  che  questa  è  sua  volontà,  e  che  non  è 
mia  causa,  che  si  aquieteranno,  e  per  desobligarmi  da  questo  insieme  et 
da'  miei  compagni,  V.  A.  sarà  servita  farmi  scrivere  per  uno  de'  suoi,  quatro 
righe  in  nome  di  V.  A.  che  si  voi  servire  di  me,  a  ciò  vedendo  quella  le- 
tera,  siano  sicuri  che  non  è  mia  invencione,  come  tuti  dicano.  Però  suplico 
V.  A.  S.  a  non  mancare  di  dare  detti  ordeni,  et  in  particulare  la  letera, 
a  ciò  mi  possa  partire  con  sodisfacione  di  questi  signori  e  de'  miei  com- 
pagni. Pregando  sempre  N.  S.  per  la  sua  felicittà. 

Di  V.  A.  S.  aff.°»o  servo 
Tristano  Martinelli,  detto  Arlechino. 

Questo  attore,  fratello  a  Drusiano,  appartiene  più  veramente 
al  secolo  XVII,  quando  fu  come  re  della  scena  improvvisa. 
Discorriamone  un  poco,  a  costo  anche  di  travalicare  i  termini, 
che  ci  siamo  imposti,  del  secolo  decimosesto.  Usando  della  libertà 
comica  e  della  riputazione  in  eh'  era  salito,  trattava  da  pari  a 
pari  coi  principi,  e  i  principi  erano  contenti  della  sua  degnazione 
arlecchinesca.  Fra  le  altre,  il  20  marzo  del  '97  scriveva  cosi  da 
Mantova  al  Granduca  di  Toscana: 

Non  gli  dirò  altro,  se  non  che,  per  quanto  Ella  abbia  cara  la  mia  gratia, 
ch'Ella  faccia  quanto  gli  ordino  e  comando,  e  beata  Lei  se  si  saperà  acco- 
modare con  l'humor  mio,  perché  essendo  ambi  due  noi  ricchi  e  possenti, 
spero  che  le  cose  nostre  passeranno  sempre  felicemente.  Ella  sappia  dunque 
conservarsi  l'amicizia  mia,  sì  come  io  so'  risoluto  di  preservarmi  la  sua  in 
secula  et  infinita  seculorura  (1). 


(1)  Ad.  Bartoij,  p.  cxxxv,  nota. 


IL  TEATRO   MANTOVANO  NEL  SEC.  XVI  345 

Nel  '99  Enrico  IV  gli  scriveva: 

Arlecbin ,  essendo  venuta  la  fama  vostra  fino  a  me ,  et  della  bona  Com* 
pagnia  de'  comedianti  che  voi  avete  in  Italia,  io  ho  destinato  di  farvi  pas- 
sare li  monti,  e  tirarvi  in  questo  mio  regno.  ** 

E  terminava: 

Pregando  Dio,  Arlechino,  che  vi  abbia  in  sua  santa  guardia  (1). 

Aderendo  a  quest'invito,  sebbene  già  con  decreto  del  29  aprile  '99 
fosse  fatto  dal  duca  Vincenzo,  soprastante  ai  comici  mercenaij , 
ciarlatani  ecc. ,  di  Mantova  e  distretto ,  forse  come  successore 
air  Angeloni  (2) ,  il  Martinelli  se  ne  andò  nel  1600  in  Francia 


(1)  Ad.  Bartoli,  p.  cxxxv,  il  quale  dubita  alquanto  dell'autenticità  della 
lettera:  il  Baschet,  p.  107,  fa  solo  notarne  qualche  inesattezza. 

(2)  A  quest'ufficio  si  riferisce  la  seguente  lettera  al  Duca,  in  data  7  a- 
gosto  "99: 

Al  Duca  di  Mant.»,  Verona. 
Ser.»"»  Sig.' 

Tristano  Martinelli,  um.™"  servo  di  V.  A.  S.  con  li  suoi  compagni  sup.no 
V.  A.  farli  giustitia.  La  saperà  come  che  quelli  da  le  bolete  per  invidia 
et  per  dispetto  che  non  li  volsi  dare  a  mangiare  l'officio  che  V.  A.  per  sua 
bontà  mi  donò,  per  essere  io  avisatto  che  inganavano  il  povero  Felipo  molto 
bene,  et  anco  per  averne  io  gli  utili  che  loro  pretendevano  avere,  j  galan- 
thomeni  per  vendicarsi  ano  fatto  quanto  V.  A.  intenderà,  et  questo  pochi  lo 
sa|:  prima,  a  tuti  quelli  che  mi  venevano  a  dar  guadagno,  loro  gli  dicevano 
che  io  era  un  tirano  et  che  li  facevo  pagar  tropo  et  gli  facevano  fugire  la 
più  parte  senza  pagarmi;  io  giuro  a  V.  A.  che  li  lasavo  il  terzo  di  quello 
che  comanda  il  decreto  :  non  li  bastando  questo,  perchè  vedevano  che  poco 
me  ne  curava,  che  fecero  per  darmi  magior  dano  a  me  et  vergogna  alla 
Gomp.^?  andorno  sotto  man  dal  S.""  Cotto,  che  gli  favorisse,  perchè  fra  loro 
se  intendano,  et  con  bel  modo  e  lor  inventione  ebero  ordine  di  far  fare  una 
grida,  che  non  se  esercitase  la  comedia  né  il  montar  in  banco  per  alcuni 
giorni ,  ma  loro  non  fecero  come  avevano  avuto  ordino  ma  fecero  bandire 
tuti  i  comici  et  zaratani,  et  alcuni  che  se  ritrovava  nella  città  gli  cazomo 
via  subito  termine  un  bora,  che  mai  più  si  vide  tal  crudeltà:  et  di  più  de 
là  a  tre  giorni  vene  Gasparo  saltatore  con  una  corap.*  che  non  sapevano  il 
crudel  bando,  e  per  disaviar  la  città  de  queste  gente,  gli  fecero  dare  tre 
strapate  di  corda  per  uno;  et  in  quel  raedesmo  tempo  arivò  la  Comp.»  di 
V.  A.  che  venevamo  a  Verona,  et  detto  Cotto  la  note  gli  fece  metere  pri- 
gione tuti  et  ordinò  che  li  dasero    la  corda  a  tuti ,  chon  tute  che  lo  avi- 

eiorfwU  storico,  VI,  fase.  18.  23 


346  A.  d'ancona 

colla  Compagnia  comica  degli  Accesi.  Ito  immediatamente  a 
salutare  il  Re,  prese  il  tempo  che  si  era  levato  dal  suo  seggio,  e 
postovisi  egli,  si  volse  al  re  come  se  il  re  fosse  Arlecchino,  dicendo: 
Ebbene,  io  sono  contento  che  siate  venuto  colla  Compagnia  vo- 
stra a  dai'mi  gusto:  prometto  di  proteggervi  e  di  darvi  tanto  e 
tanto  di  pensione.  Il  re  non  gli  disdisse  nulla,  ma  poi  gli  gridò: 
Olà,  è  un  po'  troppo  che  fate  la  parte  mia:  ormai  lasciatemi  ri- 
pigliarla. Ciò  racconta  Tallemant  de  Réaux  (1).  Compose  anche 
un  simulacro  di  libro  intitolato:  Compositicms  de  Rhetorique  de 
ilf.*"  Bon  Arlequin,  comicorum  de  civUate  novalensis,  corrigidor^ 
de  la  bona  langue  francese  et  latina,  condutier  de  comediens, 
connestàble  de  messieurs  les  hadauds  de  Paris,  capital  ennemi 
de  tous  les  laquais,  etc,  dedicandolo  :  Au  magnanime  tnonsieur, 
m/msieur  Henry  de  Bourbon,  premier  bourgeois  de  Paris,  chef 
de  tous  les  messieurs  de  Lyon,  amirai  de  la  m£r  de  Marseille, 
Tnaistre  de  la  m.oitìè  du  pont  d'Avignon  et  bon  ami  du  m/xistre 
de  l'autre  moitiè,  depensier  libérale  de  canonades,  terreur  du 
Savoyard ,  sparente  des  Espagnols ,  secrétaire  secret  du  plus 
secret  cabinet  de  madame  Marie  De  Medici,  Grand  tresorier 
des  comediens  italiens,  et  Prince  plics  que  tout  autre  digne 
d'estre  engravé  en  mèdaiUe  tani  dèsirèe.  Il  volume  elegante,  e 
con  le  pagine  inquadrate  a  doppia  riga,  e  il  titolo  progressivo  di 


sasero  che  erano  comici  di  S.  A.  ;  volse  la  bona  sorte  che  la  SJ"  Diana 
andò  subito  da  Mad."»*  S.">*  fuora  et  le  contò  il  fatto.  S.  A.  n'ebe  gran  di- 
sgusto et  li  fecero  usire,  et  se  non  si  faceva  così  presto  avevano  tuti  la 
corda,  dove  che  i  poveretti  tuti  sono  restati  confusi  et  mal  sodisfati  nel 
avere  ricevuto  tal  afronto  in  la  città  dove  più  sperano  averne  favori  :  però 
io  con  tuti  loro  preghiamo  e  suplichiamo  V.  A.  S.  per  l'amor  di  Dio  far 
metere  ordine  a  qu.**  gente  malignia  et  invediosa,  inemici  nostri  a  torto, 
che  ne  lasano  vivere  in  pace,  et  particular.'^  che  mi  lasano  stare,  et  lasarmi 
godere  in  pace  l'officio  che  V.  A.  per  sua  gratia  et  bontà  mi  à  donato  di  sua 
propria  volontà  e  cortesia,  aciò  posa  guadagnarmi  qualche  cosa  per  mantenir 
casa  mia,  et  ciò  ottenendo  etc*.  Di  Verona  a  di  7  ag.*°  1599. 
Di  V.  A.  S.  Um.^a»  servo 

Tristano  Martinelli 
detto  Arlechino  comico  scrise. 
(1)  Historiettes,  ediz.  Techener,  1854,  I,  16. 


IL  TEATRO  MANTOVANO  NEL  SEC.  XVI  347 

tre  libri,  è  vuoto:  salvo  che  vi  è  qua  e  là  il  ritratto  d'Arlecchino 
e  di  alcuno  dei  suoi  compagni,  e  il  breve  racconto  di  un  sogno 
nel  quale  è  profetizzato:  Monsieur  Arlequin,  habebis  medagliam 
et  colanayn  (1).  Il  libro  si  conserva  nella  Nazionale  parigina, 
dove,  nella  quantità,  vi  saranno  certo  molti  altri  libri  più  pieni 
e  insieme  più  vuoti  di  questo  d'Arlecchino! 

Tristano  tornò  ancora  in  Francia  nel  1613,  dopo  lunghe  trat- 
tative, nelle  quali  egli  si  dirigeva  alla  Regina  mia  comare,  e 
Maria  gli  rispondeva:  ad  Arlecchino  mio  compare.  E  invero  ella 
aveva  nell'  'li  tenuto  a  battesimo  un  figlio  di  raesser  Tristano 
e  di  madama  Cassandra  de  Guanteriis  sua  moglie:  sicché  Arlec- 
chino era  parente  spirituale  della  real  donna,  ch'egli  chiamava 
familiarmente  com,adre  regina  gallina,  sottoscrivendosi  cmnpare 
cristianissimo,  come  s'ei  fosse  di  casa  di  Francia.  Le  accoglienze 
festose  ch'egli  ebbe  tornando  a  Parigi,  ei  le  descrive  cosi: 

S.  M.  ne  fece  pagare  in  Lione  ducati  1200,  subito  giunti  a  Parigi  poi 
la  mi  mandò  a  chiamare,  et  vedendomi  la  mi  fece  de  quelle  accoglienze 
che  pochi  le  crederannp ,  perchè  sono  state  accoglienze  contro  a  prama- 
tica ,  a  le  pare  sue  :  oltre  a  molte  belle  parole  che  S.  M.  mi  disse ,  la  mi 
menò  nel  suo  gabinetto ,  et  mi  mise  una  colana  di  sua  mano  al  collo , 
che  pesa  dui  cento  doble  con  la  sua  medaglia  in  favore  dil  nostro  com- 
paradico:  la  sera  gli  fesimo  una  comedia:  subito  la  fece  dare  alla  Com- 
pagnia ducati  500 ,  et  ne  segnò  d."  200  al  mese ,  et  le  spese ,  quando 
serviamo  fora  de  Parigi ,  et  a  me  in  particulare  la  mi  dà  danaacosto 
d."  quindici  al  mese  per  le  spese  di  mia  moglie,  la  quale  fra  pochi  giorni 
partorirà:  et  il  Re  à  da  essere  il  compadre,  et  sua  sorella  la  regina  di 
Spagna  comadre ,  et  lo  vogliano  tenire  de  sue  mane  proprie  al  battesimo , 
et  se  gli  è  maschio,  il  Re  lo  vuole  per  lui,  et  se  gli  è  femina ,  la  Regina 
lo  vuole  per  lei:  et  mia  moglie  lo  vorebe  per  lei:  sicché  io  sono  intrigatto 
a  contentargli  tutti  tre:  io  ho  pensato,  per  levare  l'occasione  di  questo 
remore ,  di  darcene  uno  per  uno,  a  ragione  de' gatti:  ch'el  pare  che  i  fi- 
glioli d' Arlechino  siano  gattesini  da  donare.  Orsù ,  sia  come  si  voglia  il 
sig.  Idio;  sia  quello  che  vorà,  quello  sarà  il  meglio  della  mia  creatura  (2)  ». 


(1)  Baschet,  pp.  116  sgg. 

(2)  Lettera  del  4  ottobre  1613  al  e.  Striggi  di  Mantova,  recata  dal  Por- 


348  A.  d'ancona 

Nel  luglio  del  '14,  Arlecchino  con  Lelio  (G.  B.  Andreini)  (1)  e 
Florinda  (Virginia  Andreini)  (2)  e  il  Capitano  Rinoceronte  (Gi- 
rolamo Garavini)  (3)  e  tutto  il  resto,  ripassava  le  Alpi,  né  la  Com- 
pagnia ritornò  in  Francia  prima  del  '20.  Essa  si  componeva,  oltre 
che  dei  sopranominati,  di  Fichetlo  (Lorenzo  Nettuni)  (4),  Panta- 
lone (Federigo  Ricci)  (5),  la  Lidia  (Virginia  Rotari)  (6),  la  Ber- 
netta  (Urania  Liberati)  ecc.  (7).  Nel  1621,  Tristano,  ormai  vecchio, 
implorava  licenza  di  riposarsi  e  andarsene  ;  ma  i  compagni  non 
volevano,  ed  egli  se  ne  fuggì.  Non  lasciò  però  il  teatro,  quan- 
tunque segnasse  le  sue  lettere  «  Arlechin,  già  comico  »,  e  nel 
carnevale  del  '23  era  coi  Fedeli  a  Venezia,  e  poi  altrove.  Anzi, 
nel  '26  supplicava  di  tornare  in  Francia  a  servire  i  serenissimi 
compare  e  comare  (8).  Non  andò  di  certo:  e  mori  nel  '30  sui  75 
anni  «  de  fevre  et  cataro  »,  come  dice  una  cronaca  (9).  Poteva 
ormai  chiudere  la  sua  vita,  superbo  dei  trionfi  ottenuti,  e  dei  favori 
ond'  era  stato  colmato,  egli  re  da  commedia,  dai  regnanti  della 
terra.  Nelle  sue  lettere  vi  ha  qualche  cosa  della  vena  buffonesca 
del  suo  concittadino  Merlin  Coccajo:  nei  suoi  atti  vi  ha  qualche 


TIGLI,  nel  suo  interessante  Brano  dell'Epistolario  d'Arlecchino  (nella  cit. 
Strenna  Mantovana  pel  1871,  p.  108). 

(1)  Su  G.  B.  Andreini,  vedi  Fr.  Bartoli,  I,  13  sgg.;  Ad.  Bartoli,  p.  cxiv; 
Magnin,  Teatro  celeste,  in  Revue  des  deux  mondes,  1847,  t.  IV;  Baschet, 
pp.  282,  296,  3i7,  332;  Sand,  I,  323  ecc. 

(2)  Su  Virginia  Andreini,  vedi  Fr.  Bartoli,  1,  38  sgg.;  Ad.  Bartoli, 
pp.  cxxxviii-xl;  Quadrio,  V,  244;  Baschet,  pp.  207,  271-3,  280,  317;  Canal, 
pp.  112  ecc. 

(3)  Su  Girolamo  Garavini,  vedi  Fr.  Bartoli,  I,  2.52;  Ad.  Bartoli,  p.  CLxx; 
Baschet,  pp.  280  ecc.  E  questi  il  comico  al  quale,  morto,  fu  trovato  sulle 
carni  un  aspro  cilizio:  vedi  Beltrame,  Supplica  ecc.,  e.  XII. 

(4)  Sul  Nettuni,  vedi  Baschet,  p.  280. 

(5)  Sul  Ricci,  vedi  Baschet,  p.  280. 

(6)  Sulla  Rotari,  vedi  Baschet,  p.  280.  Non  si  confonda  questa  Lidia  colla 
più  antica,  da  Bagnacavallo,  a  cui  già  accennammo.  Questa  era  moglie  di 
Baldo  Rotari,  anch'esso  commediante. 

(7)  Sulla  Liberati,  vedi  Baschet,  p.  280. 

(8)  Vedi  per  tutto  ciò  i  cap.  VI-VII  del  Baschet. 

(9)  Portigli,  Op.  cit.,  p.  113. 


IL  TEATRO  MANTOVANO  NEL  SEC  XVI         349 

cosa  di  aretinesco:  i  principi,  senza  ch'egli  li  flagellasse,  lo  ave- 
vano tributato  in  virtù  dei  suoi  lazzi. 

Torniamo  adesso  al  duca  Vincenzo,  che  non  cessava  di  preoc- 
cuparsi dei  suoi  favoriti.  Ai  13  marzo  1599  egli  cosi  scriveva  al 
Card,  di  S.  Clemente  a  Ferrara:  "^ 

Desiderando  li  comici  Accesi  di  poter  dopo  Pasqua  recitare  in  cotesta 
■città,  con  buona  gratia  di  V.  S.  III."*,  mi  hanno  pregato  a  voler  interce- 
dere da  Lei  la  licenza,  ond'io  per  il  piacere  che  ho  d'ogni  loro  utile, 
volentieri  me  ne  sono  contentato. 

Ma  il  posto  era  già  preso,  e  il  Cardinale  cosi  replicava  ai  28  : 

La  Compagnia  de'  Comici  Confidenti ,  che  questo  carnevale  ha  tenuto 
in  trattenimento  colle  sue  comedie  Ferrara,  con  la  sollecituiline  ha  pre- 
venuto l'istanza,  che  per  mezzo  dell'  A.  Y.  mi  fanno  li  comici  Accesi.  Mi 
trovo  dunque  haver  data  licenza  di  recita,  doppo  Pasqua  alli  suddetti,  ma 
non  per  questo  s' escludono  gli  altri ,  dopo  che  i  primi  saranno  partiti , 
quando  però  a  N.  S.  non  paja  troppo  lunga  e  continua  questa  recrea- 
tiene.  Da  me  certo  non  resterò  mai  di  non  servire  sempre  l'A.  V. 

Facciamo  adesso,  conoscenza  con  due  comici,  la  cui  celebrità 
rifulse  però  maggiormente  nel  secolo  seguente:  con  Pier  Maria 
Cecchini  e  Silvio  Fiorillo.  Il  Cecchini,  detto  Friteltino,  era  nativo 
di  Ferrara,  e  fece  con  applauso  sotto  cotesta  maschera  le  parti 
di  secondo  zanni.  Ebbe  potenti  amicizie  e  protezioni,  e  il  Lan- 
driani  vice-legato  di  Bologna,  gli  diceva:  «  Godo  quando  io  so 
«  d'aver  questo  popolo  intento  allo  vostre  commedie,  e  non  er- 
«  rante  per  le  strade  o  trattenuto  in  luogo  viziosi,  e  per  quiete 
«  del  mio  governo  vorrei  che  steste  qui  tutto  l'anno  ».  Scrisse  la 
Flaminia  schiava  e  V Amico  tradito,  commedie,  e  i  Brevi  di- 
scorsi intormo  alle  comm£die,  commedianti  e  spettatori,  e  un 
volume  di  Lettere  facete  e  m,orali.  Fu  in  grazia  specialmente 
dell'  imperator  Massimiliano ,  che  lo  nobilitò  con  amplissimo  di- 
ploma in  data  del  novembre  1616.  Mori  verso  il  1645  (1).  Questa 


(1)  Barbieri,  p.  40;  Fr.  Bartoli,  1, 166;  Ad.  Bartoli,  p.  cxxm  e  cxxxvii; 
Baschet,  pp.  152,  176,  275. 


350  A.  d'ancona 

lettera  al  Gheppio,  del  28  maggio  1599,  parla  di  un  certo  ne- 
gozio che  gli  stava  a  cuore,  e  potrebbe  riferirsi  alla  filatura 
della  seta  per  caduta  d'acque  da  lui  introdotta  a  Mantova: 

Inviai  alli  giorni  passati  un  altra  mia  a  V.  S.  111.  per  mano  del  Mag.co 
Galiazzo  MJ"  di  casa  deiriH.^^  S.""  Prospero  Gonzaga,  su  la  quale  la  pregavo 
a  farmi  gracia  di  farmi  sapere  che  esito  ha  havuto  il  negocio  e  quello  che 
di  esso  posso  sperare ,  ma  non  havendo  visto  risposta  alcuna  ho  giudicato 
quel  che  deve  essere ,  cioè  che  li  molti  affari  suoi  et  li  negocij  di  magior 
importanza  del  mio,  V  habbino  levato  il  potermi  far  rispondere.  Hora  con 
quest'altra  la  supplico  a  torsi  tanto  spacio  che  mi  possi  far  intendere  qual- 
che cosa  per  il  lator  di  questa ,  il  quale  è  un  homo  n'""  mandato  a  posta 
per  altri  servici]  della  Comp.'*  al  S."'»  S."^  Duca ,  e  se  mi  voi  poi  favorir 
maggiorm.'o  mi  comandi,  che  gusto  maggiore  non  potrei  ricevere  di  questo,  ecc. 
Di  Bologna,  28  Mag.»  1599. 

Pier  Maria  Cecchini 
d.o  fritt.o  comico. 

L'altro  attore,  che  adesso  primamente  apparisce,  è  Silvio  Fio- 
rillo, napoletano,  ornamento  degli  Accesi,  degli  Affezionati,  dei 
Risoluti,  inventore  della  parte  del  Capitan  Mattamoros,  e  autore 
di  parecchie  commedie,  tratte  la  massima  parte  dall'Ariosto,  e 
delle  ridUcolose  disfide  e  prodezze  di  Pulcinella  (1).  Ai  20  di 
novembre  del  '99  ecco  quanto  egli  scriveva  all'Altezza  del  Duca 
di  Mantova: 

Ancora  che  non  occorra  che  io  con  questa  mia  dica  la  cagione  perchè 
questa  Pasqua  non  sono  venuto  a  servirla,  conforme  all'obligo,  poiché 
S.  A.  Ser.™*  lo  deve  molto  ben  sapere ,  per  quanto  le  avesse  fatto  inten- 
dere il  sig.""  Dott.  Pompeo  Grassi  (2) ,  che  per  la  cagione  dell'infermità 
di  mia  socera ,  mancai ,  e  con  tutto  ciò  io  dissi  al  signor  Pompeo  che  se 
mi  voleva  dare  i  danari,  che  V.  A.  haveva  ordinato,  che  io  le  havrei  dato 
qui  bonissima  sicurtà ,   più  eh?  la  mità  de  i  danari  haverei  lassato  a  casa 


(1)  Fr.  Bartoli,  I,  223. 

(2)  Il  Grassi  era  l'inviato  mantovano  a  Napoli,  ed  una  sua  lettera  de'  18  no- 
vembre attesta  che  il  Fiorillo  «  sta  de  malissimo  colore,  et  fiacchissimo  di 
«  forze  »  per  sofferta  lunga  malattia. 


IL  TEATRO  MANTOVANO  NEL  SEC.  XVI  361 

che  era  in  gran  bisogno,  et  T  altra  mità  a  me  sariano  serviti  per  il  viagio; 
et  lui  mi  disse  che  lui  non  havca  tal  ordine,  si  che  fui  forzato  a  mio  mal 
grado  restare,  con  intentiono  venire  questo  carnevale,  dove  che  ia  mia 
fortuna  me  à  privato  di  questa  speranza,  poi  che  mi  ò  sopragiunta  una 
infermità  di  febre  maligna ,  che  me  h  tenuto  doi  mesi  in  letto  et  in  fine 
di  morte ,  et  me  ha  lasciato  poco  sano  et  con  oppilatione ,  sì  che  non  es- 
sendo padrone  di  me  stesso,  non  posso  per  questo  anno  servirla  :  dove  che 
la  prego  dignarsi  di  perdonarrae ,  serbando  questa  servitù  a  roagior  co- 
modità ,  et  mantenerme  nella  sua  bona  gratia ,  pregandoli  a  favorirme  di 
farme  dare  risposta,  acciò  io  sia  sicuro  essere  in  sua  gratia,  che,  venendo 
occasione ,  possa  ritornare  alla  sua  servitù.  Non  altro  :  resto  pregando  il 
Signor  che  gli  dia  il  complimento  di  tutti  i  suoi  honesti  desiderj. 

Di  vostra  Ser.""  Altezza  fedelissimo  et  perpetuo  servitore 
Silvio  Fiorillo  detto  il  Gap.*»  Mattamoros  comico. 

PS.  Et  acciò  V.  Altezza  sia  sicuro,  che  quanto  scrivo  è  la  verità ,  il 
sig.  dottor  Pompeo  è  quello  che  ve  po'  fare  degna  fede  come  persona  ver- 
dadera  e  fidata  di  V.  Altezza  (1). 

E  cosi  cogli  ultimi  giorni  del  '99  si  chiuderebbero  anche  le 
nostre  ricerche  sul  teatro  mantovano,  se  non  avessimo  espressa- 
mente lasciato  addietro  alcuni  documenti,  che  preludono  al  gran 
spettacolo  scenico  della  Corte  dei  Gonzaga  nel  '98 ,  e  per  una 
serie  di  quindici  anni  ci  conducono  poi  alla  famosa  e  splendida 
rappresentazione  del  Pastor  Fido,  fatta  fare  allora  dal  Duca 
Vincenzo. 


(1)  Comunicazione  dell'archivista  cav.  Bertolotti.  Altra  lettera  del  Fiorillo 
del  4  gennaio  1600,  conferma  che  la  malattia  gli  impedisce  di  venire  a  Man- 
tova, e  che  ci  anderà  dopo  Pasqua.  Ci  andò  effettivamente,  ma  verso  il  1616» 
dacché  una  sua  lettera  al  Duca  dell'I  1  maggio  1621,  afferma  di  esser  stato 
lontano  da  Napoli  cinque  anni. 

{ConUn'i(a) 

Alessandro  D'Ancona. 


IL  CONTRASTO  DELLA  BIANCA  E  DELLA  BRUNA 


Fra  i  poemetti  popolari  nel  cinquecento  trovo  un  curioso 
«  Contrasto  della  Bianca  e  della  Bruna  »;  quale,  poiché  non 
ha  richiamato  ancora  l'attenzione  d'alcuno,  mi  piace  qui  ripor- 
tare ;  studiandolo  nelle  sue  attinenze  con  certi  episodi  dell'antica 
epopea  romanza  rifrondita  in  Italia,  e  nella  somiglianza  con  un 
poemetto  francese  del  quindicesimo  secolo  ;  senza  tuttavia  dimen- 
ticare le  relazioni  che  lo  collegano  con  certi  canti  lirici  cari 
anche  oggi  al  popolo  in  qualche  parte  d'Italia. 


I. 


Andrea  Calmo,  eteroclito  ingegno  che  alla  metà  del  cinquecento 
scriveva  pel  popolo  nel  nativo  dialetto  veneto,  volendo  in  una 
sua  lettera  (1)  far  del  vezzoso  alla  «  Vaghizante  Giunon  madona 
«  Anzola  Sarra  »,  bizzarramente  firmandosi:  «  Mengrelin  di  Tardai 


(1)  Supplimento  delle  lettere  piacevoli  di  M.  Andrea  Calmo,  Libro  III, 
nel  quale  si  contiene  varij  et  ingegnosi  discorsi  filosofici  in  lingua  Veneta 
composti.  Cito  Tediz.  :  Vinegia ,  appresso  Domenico  Farri  MDLXVI,  non 
avendo  potudo  vedere  quella  fatta  dal  medesimo  editore  nel  1559;  la  quale, 
al  dire  dello  Zeno  nelle  note  al  Fontanini  (Biblioteca  dell'  eloquenza  ita- 
liana), sarebbe  la  prima. 


IL   CONTRASTO  DELLA  BIANCA   E  DELLA   BRUNA  353 

«  da  Muran ,  fuso  de  la  vostra  Rocca  »,  pregava  la  vaghizante 
Giunon  di  volerlo  qualche  volta  chiamar  «  a  lezer  el  libero  de 
«  Altóbello,  l'innamoramento  de  Carlo,  e  i  cinque  volumi  de  Or- 
«  landò,  0  veramente  l'istoria  d'Otinelo  e  Julia,  la  desgratia  de 
«  Guiscardo  et  Gismonda,  o  el  contrasto  de  la  bianca  e  de  la 
«  bruna,  o  la  lezenda  de'Buranelli  —  che  per  ogni  casa  ha  diesi 
«  fieli  —  tanto  bon  teren  ha  le  so  done  ».  Il  che  basta  per  argo- 
mentare la  grande  popolarità  che,  ai  giorni  del  Calmo,  allietava 
il  poemetto;  che  certo  doveva  essere  sorto  da  parecchi  anni, 
facendo  ragione  al  tempo  che  è  necessario  ad  un  canto  per  po- 
tersi diffondere  con  tanto  rigoglio  quanto  il  Calmo  licenzia  di 
credere,  in  regione  diversa  da  quella  in  che  è  nato.  Fermata 
cosi  la  popolarità  del  Contrasto,  ci  si  fa  incontro  una  domanda, 
cui  bisogna  pure  in  qualche  modo  rispondere;  bisogna,  se  non 
altro,  vedere  se  altri  cercò  soddisfarla,  e  come;  ed  è  questa: 
Chi  ne  è  l'autore? 

Il  Calmo,  naturalmente,  non  lo  dice,  o  che  non  lo  sappia,  o 
non  gli  importi  saperlo;  come  non  lo  sapeva  e  non  lo  voleva 
sapere  il  popolo:  il  .poemetto  conteneva  una  materia  che  il  popolo 
reputava  di  proprietà  comune;  la  presentava  in  una  forma  dalla 
quale  non  apparivano  schietti  e  rilevati  i  caratteri  di  una  ori- 
ginalità individuale;  e  tanto  al  popolo  bastava  perchè  egli  lo 
reputasse  fattura  o  del  primo  cantastorie  che  glielo  ricantava 
fra  gli  stridori  di  un  violino,  o  del  primo  editore  che  glielo 
presentava  fregiato  di  intagli ,  sui  muriccioli  ;  fattura  di  tutti 
o  di  nessuno.  Il  nome  dell'  autore ,  quando  non  sia  rinfrescato 
dalle  stampe  compiacenti  che  se  lo  portino  in  fronte  o  se  lo 
strascichino  dietro,  è  presto  dimenticato.  Ma  ciò  che  tutti  di- 
menticano, gli  eruditi  poi  perseguono  aflànnosamente  ;  essi  vo- 
gliono dare  a  Cesare  quello  che  è  di  Cesare:  spesse  volte,  tuttavia, 
accaldati  e  frettolosi  non  badano  attentamente  al  valore  e  alla 
virtù  delle  basi  su  che  si  fondano  per  dare  a  ciascuno  quanto 
gli  spetta  ;  come  sembra  sia  accaduto  nel  presente  caso.  Di  fatto 
l'autore  del  Contrasto  era  rimasto  sconosciuto  fino  al  secolo 
scorso,  forse  volato  in  cielo  ove  sale  tutto  che  qua  giù  si  dimen- 


354  S.   FERRARI 

tica,  si  perde;  quando  si  credè  di  riacchiapparlo,  un  erudito, 
il  Golucci,  nella  persona  di  Belizari  da  Cingoli,  e  lo  fermò  nel  se- 
guente passo  della  Biblioteca  Picena  (Osimo  MDGGXGI):  «Il 
«  Quadrio  (1)  ed  il  Grescimbeni  (2)  hanno  con  giustizia  annove- 
«  rato  questo  cingolano,  che  fiorì  circa  l'anno  1530,  fra  i  buoni 
«  poeti  centonisti  di  quel  tempo.  Infatti  abbiamo  di  lui  alla  stampa 
«  diversi  centoni,  formati  con  i  versi  del  Petrarca,  sopra  il  San- 
ate tuario  di  Loreto  (3),  e  vanno  uniti  al  Canzoniere  di  questo  ec- 
«  celiente  poeta,  impresso  in  Venezia  per  Niccolò  di  Aristotile 
«  Zopino  (1536,  in-12).  Si  ha  inoltre  col  nome  di  Bellizario  da 
«  Cingoli  :  Il  Contrasto  della  Bianca  e  della  Brunetta,  in  8"  rima, 
«  Venezia,  per  Gio.  Bonfadino,  1620,  in-4°,  e  di  questa  produ- 
«  zione  si  dà  conto  nel  catalogo  della  biblioteca  Capponi  (p.  120). 
«  Finalmente  non  è  da  tacersi  che  in  una  raccolta  di  rime  spirituali 
«  fatta  nel  secolo  XVI,  molte  se  ne  leggono  a  pp.  34  e  seg.  di 
«  detto  Bellisario;  e  segnatamente  il  Credo  posto  in  terza  rima, 
«  il  cui  principio  è  il  seguente  :  Credo,  Signor,  che  tu  sei  staio 
«  e  sei  ». 

Ora  io,  per  quante  diligenze  mie  e  di  amici  abbia  adoperate, 
non  ho  potuto  trovare  in  detto  catalogo  (se  pure  è  quello  stam- 
pato in  Roma  per  Bernabò  nel  1747)  il  passo  che  servì  al  Golucci  ; 
ma  dubito  forte,  massime  osservando  che  i  cataloghi  non  usano 
suffragare  quanto  afiermano  con  documenti ,  che  nel  catalogo 
Capponi  altro  non  si  abbia  che  il  titolo  :  Contrasto  della  Bianca  e 
della  Brunetta  con  una  frottola  di  Belizari  da  Cingoli,  il  quale 
sia  parso  sufficiente  al  Golucci  per  la  sua  esplicita  asserzione; 
confermandolo  in  questa  sua  opinione  l' indole,  la  qualità  del 
poeta  come  egli  se  lo  figurava  desumendolo  dagli  storici  che  a 
pie  di  pagina  si  sono  riportati.  Stando  le  cose  in  tal  modo,  l'at- 
tribuzione si  dovrebbe  adunque  al  Golucci,  non  al  Capponi:  ma 


(d)  Stor.  e  rag.  d'ogni  poes.,  voi.  I,  p.  172  (Not.  del  Gol.). 

(2)  Istor.  volg.  poes.,  t.  II,  p.  200  (Not.  del  Gol.   Ma  nel  Grescimbeni  io 
non  ho  potuto  trovare  questo  Belizari  :  sì  bene  vi  è  un  Benedetto  da  Cingoli). 

(3)  M.\RTORELLi,  Teatr.  istor.  della  S.  Casa,  t.  Il,  p.  406.  (Not.  del  Gol.). 


IL  CONTRASTO  DELLA  BIANCA  E  DELLA  BRUNA  356 

è  essa  certa,  è  probabile,  è  giusta  ?  Qui  pure  per  rispondere  ade- 
guatamente bisognerebbe  avere  notizie  sicure  del  poeta,  massime 
sul  tempo  in  che  poetava,  e  non  ne  abbiamo;  perciò  ora,  sino  a 
prova  contraria,  riterremo  che  egli  fiorisse  intorno  al  1530,  data  già 
da  altri  messa  in  campo  :  probabilissima  del  resto.  Prima  di  tutto, 
se  il  Colucci  per  attribuire  il  poemetto  a  Belizari  da  Cingoli  non  ha 
avuto  altro  appoggio  che  il  titolo  riferito;  è  corso  troppo.  Vero, 
che  il  titolo  ha  :  con  una  frottola  di  Belizari  da  Cingoli;  ma  non 
per  questo  è  necessario  che  del  medesimo  cingolano  sia  ancora  il 
Contrasto;  né  l'ordine  in  che  le  poesie  sono  stampate  accredita 
questa  necessità ,  poiché ,  finito  il  cantare ,  di  nuovo  si  legge: 
Fotola  (sic)  di  Bellinzari  da  Cingoli,  con  che  si  viene  in  certo 
qual  modo  a  staccare  questo  componimento  dall'anteriore;  e  se 
noi  volessimo  da  quella  sola  iscrizione  ricavare  che  anche  il 
componimento  anteriore  è  di  Belisario ,  allora ,  a  più  forte  ra- 
gione, dovremmo  attribuire  allo  stesso  la  ballata  che  anonima  se- 
guita subito  dopo  alla  frottola  e  compie  il  fioretto,  il  quale  di  tutte 
e  tre,  e  nello  stesso  ordine,  risulta  composto  in  tutte  le  stampe  ; 
ballata  icommcìai  .All'  inferno  voglio  andare)  che  non  senza 
difl^coltà  può  essere  attribuita  a  tale  che  poetasse  intomo  al 
1530,  perchè  si  trova  già  in  codici  (Marucelliano,  C.  256)  scritti 
nella  metà  del  quattrocento,  e  nel  1485  ò  già  tanto  popolare  da 
poter  servire  come  esemplare  alle  laudi  (1):  credo  pertanto  che 
il  titolo  di  che  parliamo,  sia  da  riferirsi  solo  alla  frottola,  non 
alle  altre  parti  componenti  la  stampa  in  discorso. 

Ma  quali  ragioni  aveva  ed  ha  favorevoli  il  Da  Cingoli  per  es- 
sere ritenuto  autore  del  Contrasto?  Quali  ne  ha  contrarie?  (Ho 
detto  «  aveva  ed  ha  favorevoli  »  e  solo  «  ha  contrarie  »,  perchè 
in  quelle  che  io  me  gli  dichiaro  favorevole,  mi  suppongo  d'accordo 
col  Colucci;  in  quelle  contrarie,  no,  poiché  nel  fatto  appare  che  il 
Colucci  di  contrarie  non  ne  avesse).  Ecco  :  le  ragioni  favorevoli 


(1)  Alvisi,  Canzonette  antiche,  pp.  56  e  80-81.  Alla  libreria  Dante,  Fi- 
renze, 1884. 


356  S.  FERRARI 

sono,  che  egli  fu  tra  i  poeti  centonisti  (non  so  se  centonista  sia  nel 
vocabolario,  ma  è  fatto  come  sonettista  che  pure  c'è,  e  in  buon  senso) 
e  popolari  più  accreditati  del  tempo,  componendo  dotti  centoni  e 
frottole  (che  in  fine  poi  sono  centoni,  ma  incatenati  specialmente 
di  proverbi)  e  laudi.  Prove  della  sua  popolarità  sono  per  l'appunto 
il  titolo,  tante  volte  riferito,  messo  là  in  cima  della  frottola, 
quasi  squillo  di  trombetta  che  chiamasse  il  popolo  ad  udire  o 
a  lecere,  accertando  che  si  sarebbe  divertito;  ed  il  vedere 
che  tal  frottola  dovette  incontrare  moltissimo  nel  cinquecento, 
se  la  ritroviamo  anonima  fra  notissime  poesie  in  un  manoscritto 
d'allora  (Magi.  II,  I,  p.  398);  ma  più  di  tutte,  prova  capitale  della 
popolarità  di  Belizari  è  il  trovarlo  citato  da  Giulio  Cesare  Croce 
nel  suo  Indice  universale  della  Libraria,  o  Studio  del  celebra- 
tissimo  Arcidottore  Gratian  Furbson  da  Franculin;  opera  che 
a  torto  il  Guerrini  (1)  nella  diligente  bibliografia  del  favoleggiatore 
di  Bertoldo,  giudicò  «  una  lista  di  libri  imaginari  e  buffi  »,  poi- 
ché di  buffo  non  vi  è  che  il  modo  con  che  i  libri  e  gli  autori 
sono  indicati  nell'imitazione  scherzosa  e  pazzericcia  dell'opera 
bibliografica  tentata  dal  Doni,  ma  che  del  resto  è  ancor  esso  un 
prezioso  catalogo  di  libri  non  imaginari  ma  reali  gustati  dal  popolo 
nel  cinquecento.  Il  Croce  néiV Indice  ricorda  il  poeta  con  queste 
parole,  sibilline  in  vero  :  «  Belizari  da  Cingoli,  sopra  la  Dialettica 
«  -  Tó  4,  con  i  cartoni  di  asse  di  Pero  Bergamotto,  con  le  virgole, 
«  et  i  spatij  di  terra  creta,  lavorata  al  torno  ».  E  ad  aumentargli 
credito,  certo  concorse  la  fama  di  centonista  ;  fama,  si  noti  bene, 
che  io  mi  do  a  credere  sempre  di  popolo,  come  lo  avverte  il 
fatto  che  i  suoi  centoni  erano  stampati,  in  fondo  al  Petrarca, 
dallo  Zopino,  l'editore  per  eccellenza  di  cose  popolari  nei  primi 
decenni  del  cinquecento.  Pare  tuttavia  che  tal  fama  non  si 
sorreggesse  fra  le  persone  colte,  se,  a  pena  mezzo  secolo  dopo, 
nel  1579,  messer  Panfilo  da  San  Severino  (proprio  uno  della  sua 
regione  !)  in  un'  opera  stampata  a  Camerino,  volendo  annoverare 


(1)  La  vita  e  le  opere  di  Giulio  Cesare  Croce,  Bologna,  Zanichelli,  1879. 


IL   CONTRASTO  DELLA  BIANCA  E  DELLA  BRUNA  367 

i  migliori  poeti  centonisti  a  cominciare  ab  antiquo  per  finire  coi 
suoi  tempi,  non  trova  modo  di  arrandelhirlo,  sia  pure  per  ripieno 
di  verso,  in  alcun  posto.  Né  si  creda  che  messer  Panfilo  fosse 
in  tali  cose  una  mosca  senza  capo,  uno  che  non  avesse  mani  in 
pasta;  egli  era  nientemeno  che  l'autore  dell'opera  Gli  centonici 
et  historici  Capitoli  et  alcuni  pieni  di  sdruccioli  e  bistici  et  altri 
versi  di  varie  sorti;  ove  per  l'appunto,  nel  capitolo  dedicatolo 
all'illustrassimo  e  reverendissimo  signore  Luigi  cardinal  da 
Este  si  fa  sfilare  davanti  tutti  i  suoi  veri  o  creduti  predecessori. 
Ancora  a  costo  di  darla  un  po'  pei  viottoli  voglio  riportare  parte 
di  tal  capitolo,  attesa  la  sua  importanza. 


CAPITOLO   INTITOLATORIO. 


In  tal  libro,  Signor,  ci  si  contiene 
un  numero  d'assai  varij  centoni , 
et  ha  d'istorie  molte  carte  piene. 

Ha  sdruccioli ,  eh'  assai  ne  fé'  de'  buoni 
il  Serafin  ,  eh'  è  in  Vatican  dipinto 
pel  papa  estremo  de  gli  altri  Leoni. 

E  '1  Sannazar  fu  da  le  Muse  spinto 

ne  r  Arcadia  a  trovarne  copia  grande , 
ma  in  Comedie  Ariosto  ce  l'ha  vinto. 

Ha  de' bisticci  ancor  cose  ammirande, 
che  r  Ariosto  usò  ne  li  suoi  canti , 
che  'n  capo  ebbe  d'allor  verdi  ghirlande. 

Et  Enea  Piccoluom  ne  fece,  inanti 

che  fusse  papa ,  uno  sonetto  intiero , 
eh' ad  amor  fello,  et  agli  amenti  amanti. 

E  Luigi  nel  suo  Morgante  altiero, 

un  bell'ottavo;  e  Luca  Pulci  ancora, 
pur  di  sua  casa ,  assai  versi  ne  fero. 

Dante  ancor  esso  più  di  vinti  fuora 

ne  diede;  et  il  Petrarca  egli  più  volte 
gli  usò  con  la  sua  vena  alta  e  sonora. 


358  S.  FEKRARI 


e  da  le  rime  et  opre  altrui  son  tolte 
molte  cose ,  e  ciò  fé  Petrarca  detto 
e'  ha  messe  rime  altrui  tra  sue  raccolte; 

che  in  una  sua  canzon  ci  dà  ricetto 

a  quattro,  o  cinque  versi  integri  altrui; 
e  n'  usò  fora'  in  qualche  suo  sonetto. 

E  la  Vittoria  marchesana ,  a  cui 

diedi  versi  in  Viterbo ,  un  sonetto  essa 
fece  in  canton ,  tra  gli  sonetti  sui. 

E  di  Proba  un  centon  or  ne  va  impres.sa 
un* opra;  e  un'altra  di  Ausonio  Gallo; 
che  r  una  e  l' altra  a  legger  n'  è  concessa. 

E  d'un  Giulio  Bidello  or  senza  fallo 

ci  sono  più  centon  che  d'uom  alcuno; 
me  eccetto  come  qui,  lettor,  vedrallo. 

E  un  Ippolito  Esin  ne  fa  qualcuno. 

Essa  Vittoria  in  versi  petrarcheschi, 

ma  Proba  e  Gallo  il  fé  di  Marso  ognuno. 

Io  Ganimede  i  miei  gli  ho  saldi  meschi 
ora  tutti  di  quei  d' Esso  poeta 
che  fu  per  Laura  in  amorosi  veschi. 

Ora ,  perchè  non  sia ,  qual  pura  beta , 
insipida  mia  rima,  aggio  furati 
versi  ad  altri  poeti ,  e  nullo  il  vieta. 


In  questo  capitolo  di  Ganimede  (povero  Ganimede,  che  versi!), 
quale  ora  non  può  essere  illustrato,  Belizari  non  si  trova:  non 
venendomi  pertanto  egli  stesso  incontro,  sarà  bene  che  io  me 
ne  ritorni  a  lui,  e  conchiuda  che  da  quanto  si  è  visto,  risulta  che 
Belizari,  autore  di  centoni  e  di  laudi  e  di  frottole,  poeta  popo- 
lare in  voga ,  può  benissimo,  per  questi  riguardi,  essere  tenuto 
autore  o  rimaneggiatore  di  un  contrasto  cavalleresco  ;  e  si 
spiega  come  il  Golucci  fosse  tanto  corrivo  a  prestar  fede,  ed  a 
farvi  anche  le  frange,  al  catalogo  Capponi;  ma  prove  serie  che 
convertano  tale  probabilità  in  certezza  non  ne  abbiamo.  Io  poi, 
per  conto   mio,  nego  addirittura  che  il  Contrasto  possa  essere 


IL  CONTRASTO  DELLA   BIANCA  E   DELLA   BRUNA  359 

opera  di  un  cingolano,  per  ragioni  di  stile  e  di  lingua;  le  quali 
se  oggi  presso  la  maggior  parte  dei  critici  ngn  hanno  gran  peso, 
non  per  questo  contano  meno.  Per  me,  fra  lo  stile  del  presente 
contrasto  e  quello  che  governa  le  altre  opere  del  poeta  vi  è 
troppa  distanza;  e  la  lingua,  la  lingua  poi  è  certo  di  un  toscano 
(senese?),  e  più  antica  che  quella  adoperata  nei  primi  del  cin- 
quecento. 

Se  l'autore  del  Contrasto  ci  è  ignoto,  possiamo,  se  non  altro,  fissar 
l'anno  in  che  esso  Contrasto  ebbe  vita  nelle  stampe?  Neppur  questo. 
Dobbiamo  accontentarci  di  dire  che  l'edizione  più  antica  porta 
la  data  del  1545;  ma  che,  secondo  ogni  probabilità,  è  una  ristampa: 
ne  è  indizio  anche  a  chi  non  voglia  tener  conto  del  «  nuova- 
«  mente  ristampata  »,  attribuendo  il  motto  solo  alla  frottola,  la 
scorrezione  stessa  del  poemetto;  ed  ip  ho  soventi  volte  notato 
che  le  stampe  popolari  riproducendosi,  si  boscano  di  errori  e  di 
errori,  massime  metrici,  che  è  una  maraviglia;  peggiorano  di 
mano  in  mano  che  si  allontanano  dalla  prima  impressione,  che 
quasi  sempre  fu  vista  dall'autore,  o  fu  condotta  da  tale  editore 
che  la  raccoglieva  .al  suo  apparire  quando  ancora  non  era  stata 
guasta  e  sconquassata  nella  memoria  dei  volghi  :  oltre  a  che  non 
solo  i  traviamenti  della  memoria  congiurano  contro  l'integrità 
della  letteratura  popolare,  ma  ben  più  il  cambiarsi  e  l'alterarsi 
degli  usi  e  dei  costumi  e  della  lingua  nel  popolo. 

Qui,  prima  di  studiare  il  Contrasto,  sarà  meglio  vederlo.  Ripro- 
duco la  stampa  più  antica  del  1545,  che  or  ora  illustrerò,  cor- 
retta di  quelli  che  io  stimo  evidenti  e  grossolani  errori  di  stampa 
ignorante,  i  quali  rilego  nelle  note,  non  senza  addurre  le  ragioni 
per  cui  io  li  reputi  errori.  E  in  nota,  per  dieci  ottave,  do  le 
varietà  di  altra  edizione;  per  dieci  ottave  solo,  essendo  mutilo 
l'esemplare  che  ci  rimane.  E  in  nota  ancora  porrò  alcune  brevi 
illustrazioni  sulla  lingua  del  poemetto  e  sulla  topica  di  esso,  mo- 
strando per  quanti  vivagni  si  riattacchi  ai  poemi  cavallereschi 
italiani  e  massime  al  Margarite  e  2\X  Innamorato ,  senza  tut- 
tavia toccar  quasi  mai  l'invenzione  sua  speciale,  ossia  l'argo- 
mento del  contrasto;  cosa  che  vedremo  e  studieremo  dopo.  E 


360  S.  FERRARI 

aggiungerò  di  più,  in  margine  al  testo,  gli  argomenti ,  perchè 
da  essi  spicchi  più,  chiara  e  più  unita  alla  nostra  mente  tutta 
la  trama  del  poemetto. 


IL 


(Biblioteca  Nazionale  (Palatina)  di  Firenze:  E.  6.  5.  3). 

El  contrasto  della  BiXca  <fe  DELLA  Bru  |  netta:  Con  vna 
Frottola  de  Bellizari  da  Cingoli.  \  Nuouamente  Stampata.  Sotto, 
un  intaglio  in  legno  che  mostra  il  duello  fra  due  cavalieri  seguiti 
da  uomini  a  piedi  ed  a  cavallo:  l'uno  dei  due  (mi  figuro  sia  la 
Bianca),  ha  avuto  la  peggio,  e  rovina  da  cavallo  giù;  poi,  le 
due  prime  stanze  del  poemetto,  in  doppia  colonna,  compiono  la 
prima  pagina.  Indi  le  stanze  seguitano  in  doppia  colonna  ,  a 
cinque  per  colonna,  sino  in  fine  ;  solo  la  seconda  colonna  nel  di- 
ritto di  Aii  ha  quattro  ottave,  perchè  il  posto  della  quarta 
è  occupato  da  un  intaglio  che  raffigura  di  nuovo  un  duello. 
Sotto  alla  40*  ed  ultima  ottava  si  legge  :  Finito  el  contrasto  della 
Bianca  Et  della  Brunetta.  Nel  rovescio  di  A  tre  sta  la  Fotola 
di  Bellizari  da  Cingoli:  Chi  intenda  slaga  a  tento  ;  termina  :  frot- 
tola resta  in  pace.  Finis.  Seguita  una  ballata  :  A  linferno  voglio 
andare,  che  finisce:  che  in' ardisca  a  confortare.  \  Il  fine.  |  |  Stam- 
pata in  Firenze:  Anno  \  M.D.XLV.  —  Carte  4,  in^",  segn.  Aii. 

Questa  è  l'edizione  che  io,  con  leggieri  cambiamenti  della  grafia 
riproduco.  La  stessa  era  già  stata  descritta  dal  Visconte  Golomb  de 
Batines,  nella  Bibliografia  delle  antiche  rappresentazioni  sacre  e 
profane,  stampate  nei  secoli  XV  e  XVI,  con  questa  importante 
annotazione  :  «  C  è  un  componimento  simile  in  versi  francesi  in- 
«  titolato  :  Dèbat  de  deux  Damoyselles  lune  nomme  la  noyre, 
«  Iantine  la  tanne,  stampato  negli  ultimi  anni  del  secolo  XV  ». 

Golomb  de  Batines  cita  oltre  a  questa,  altre  due  edizioni  sulla 
fede  di  altri  cataloghi;  una  (Gatal.  Libri,  n°  1118),  uscita  in  Bologna 


IL  CONTRASTO  DELLA  BIANCA  E  DELLA  BRUNA  361 

nel  secolo  XVI,  s.  a.,  in-4°,  di  4  carte  a  2  col.;   l'altra  (Gatal. 
HiWert,  n»  6449),  pure  in-4°,  senza  nota  tipografica  di  sorta. 

10  di  più,  favorito  dal  professor  Pio  Rajna  che  più  volte  mi  ha 
in  questo  lavoro  sorretto,  ho  potuto  conoscere  una  nuova  edizione 
che  si  trova  ora  nell'Ambrosiana  colla  segnatura  S.  Q.  0.  VI.  50. 

11  Contrasto  della  Bianca  e  della  Brunetta  Con  vna 
Frottola  di  Bellizari  di  Cigoli,  Nuouamente  Ristampata.  In 
Venetia,  Con  licenza  de' Superiori.  Et  in  Bassano,  Per  Gio: 
Antonio  Remondini.  La  vignetta  mostra  un  campo  di  battaglia. 

Di  questo  esemplare  rimangono  solo  la  prima  e  l'ultima  carta. 


Una  donna  bella,  fiorendo  Chi  vedesse  in  prima  una  donna  bella 

primavera ,    va    in    un  apparer  bella ,  in  tra  le  altre  il  fiore , 

giardino  a  coglier  fiori  che  è  il  fior  de  ciascuna  donzella, 

per  ghirlande.  e  confortando  va  el  suo  amatore; 

al  tempo  ci  dà  fresca  la  novella, 
eh'  ogni  frutto  ritoma  in  suo  verdore , 
solazando  donzelle  et  amatori, 
8       venendo  primavera  con  sci  fiori; 


1-16.  I  primi  quattro  versi  sarebbero  forse  la  protasi  del  poemetto?  Ovrero  la  protasi  è  rac- 
chinsa  nei  primi  dodici  ?  Difficile  rispondere.  Poco  chiare ,  in  ogni  modo ,  qneste  dae  ottaro  fino 
al  verso  qnattordici.  Degne  di  molta  attenzione  appaiono  le  varietà  offerte  dalla  St.  Yan.: 

Chi  pria  vedesse  in  una  donna  bella 

apparir  bella  in  tra  le  altre  un  tlot\, 

che  è  il  fior  di  ciascnna  donzella, 

e  confortando  va  il  sno  amadore  ; 

ti  tempo  ci  dà  fresca  la  novella 

ch'ogni  frutto  ri  toma  in  sno  verdore 

solazando  donzelle  et  amadorì 
8         vedendo  primavera  coi  suoi  fiorì; 
una  mattina  n«{  mese  di  maggio 

andò  a  cogliere  rose  <  fior  novelli 

allegramente  con  un  buon  coraggio 

per  far  ghirlanda  a  donne  et  a  donzelle 

do*  damigeììe  che  non  han  paraggio 

sentivano  cantar  di  molti  tieeelU, 

l'una  è  la  Bianca  fiasca  e  colorita, 
16         e  l'altra  la  Brunetta  saporita. 

Anche  VJntelligenta  apre  coUa  descrizione   della  primavera.  È  inutile  insistere  sul  favore  cke  a 
Giornale  storico,  VI,  fase.  18.  24 


362 


S.  FERRARI 


La  Bianca  e  la  Bruna. 


L'amatore. 

n  giovanetto  è  fatto  gii*- 
dice  di  bellezza. 


Impaccio  del  giovinetto. 


una  mattina  dil  mese  di  Maggio 
andò  a  coglier  rose  et  fior(i)  novelli 
allegramente  con  un  bon  XJoraggio , 
per  far  girlande  a  donne  et  a  donzelli! 
Donne  et  donzelli  che  non  han  paraggi© 
udivano  cantar  di  molti  ucelli  ; 
r  una  è  la  Bianca  fresca  et  colorita , 

16        e  l'altra  è  la  Brunetta  saporita. 
Et  ambedue  andorno  a  una  fontana 
sol  per  lavar  lor  viso  relucente , 
et  còlto  avendo  più  menta  pisana 
et  de  molte  altre  erbe  assai  olente , 
basilico  ancor(a)  salvia  e  mazorana , 
odor  che  piace  più  a  tutta  gente , 
da  r  altra  parte  v'  era  un  bel  fantino 

24        più  fresco  et  bianco  che  rosa  di  spino. 
Lo  qual  quelle  chiamaron  di  presente: 
—  Per  Dio,  fantino,  odi  questa  novella, 
et  odi  bene ,  e  vieni  a  poner  mente , 
et  di'  la  verità:  Quale  è  (la)  più  bella?  — 
Ma  r  una  et  Y  altra  era  tanto  piacente 
che  reluceva  più  che  non  fa  (la)  stella; 
guardando  le  bellezze  et  loro  amore 


tali  descrizioni  accordarono  i  poeti  firancesi  e  italiani.  Non  sarà  inutile  tuttavia  rimandare  il 
lettore  a  vedersi:  1)  il  Boccaccio,  Teseide,  II,  3  sgg.,  ove  si  leggono,  fra  gli  altri,  (questi  due  versi: 
Sra  Teseo  dal  dolce  amor  distretto  \  In  un  giardin  pensando  a  suo  diletto;  e  più  ancora  nel  III, 
6  sgg.,  quando  Emilia  coglie  fiori,  per  inghirlandarsi  nel  giardino;  —  2)  Il  Sacchetti,  Battaglia 
dells  vecchie  e  delle  giovani,  I,  6,  nella  descrizione  dell'orto:  Con  prati  verdi  dilettosi  e  gai,  | 
Con  alberi  fioriU  verno  e  state,  \  Fontane  vive  ancor  v'  erano  assai,  |  Con  acque  chiare  nitide  e 
stillate,  I  Uccei  v'  avea  e  di  molte  ragioni ,  |  Aranci  pini  e  datteri  e  cedroni'.-  —  3)  1'  Orlando 
Jnnam.,  P.  II,  XX,  1.  £=  Paraggio,  vale  uguaglianza,  così  nella  Tavola  Rotonda  (curata  dal  Po- 
lidori)  :  Amore  non  guarda  pabaooio  di  bellezza  né  di  ricchezza. 

17.  La  St.  Fior,  ha:  Et  ahbb  andorno;  ho  corretto  come  si  vede ,  per  ragion  di  misura ,  se- 
guendo la  St.  Yen. 

18.  St.  Ven.  :  lo  viso  BitnoBNTE. 

19.  St,  Ven.  :  E  molte  altre  erbe. 
22.  St.  Ven.  :  a  tutta  la  gente. 

24.  La  St.  Fior.  :  che  cosa  di  spina;  manifesto  errore  per  kosa  ,  come  ha  la  stampa  Ven.  Il 
Bocc,  nella  Teseide,  XII,  77:  Più  bello  e  fresco  che  rosa  di  spina;  e  1'  Orlando  Innamorato , 
P.  I,  ni,  41  :  Di  bianchi  gigli  e  di  rose  di  spina. 

25.  St.  Ven.  :  La  qual  quelle  chiamoeno. 
28.  St.  Ven.  :  chi  è  più  bella. 

30.  St.  Ven.  :  Che  bildcban  più  che  non  fa  stella. 


IL  CONTRASTO  DELLA  BIANCA  E  DELLA  BRUNA 


363 


Bellezze  della  Bianca. 


Vesti  e  ricchezze. 


Bellezze  della  Bruna. 


32       non  conoscoa  qual  fosse  la  megliore. 
L'  una  è  la  Bianca  fresca  et  colorita , 
più  cho  di  magio  quando  rosa  appare  ; 
d'  ogni  bellezza  bolla  ella  fornita , 
che  tutta  gente  fa  maravigliare. 
Vestita  r  era  di  seta  fiorita 
che  vien  de  la  Seria,  di  là  dal  mare; 
mille  boton(i)  da  piedi  et  mani  avea , 

40       che  ciascadun  un  gran  dinar  valea. 
In  testa  ella  portava  una  corona 
di  pietre  prec'iose  et  oro  fino, 
sei  milia  perle,  che  valea  ciascuna, 
come  dice  la  istoria ,  un  bel  fiorino  ; 
e  come  il  sol  fa  perder[e]  la  luna 
al  giorno,  quando  viene  il  mattutino, 
così  facea  quella  bianca  dongella 

48        che  sopra  tutte  V  altre  è  la  più  bella. 
L' altra  è  la  Bruna ,  qual  ha  el  dolce  riso, 
che  fa  maravigliar  tutta  la  gente: 
bella  ha  la  gola  et  delicato  viso , 
0  quanto  era  vezzosa  et  relucente! 


32.  St.  Yen.  :  Non  cokoscevam.  Il  fantino ,  così  imbarazzato  nella  scelta  de  la  più  bella ,  tà 
ripensare  al  giovane  dei  canti  popolari  moderni.  Casetti  e  Imbriaxi,  Canti  dtlU  Provinei»  Mtridio- 
nali,  I,  1  sgg. 

33.  È  il  y.  15  tale  e  qaale. 

35.  St.  Yen.  :  D'  ogni  belletta  bbn  eba  fornita.  Questa  lezione  è,  credo ,  più  vicina  all'  origi- 
nale ;  che  potè  forse  essere  :  D'ogni  bellegMO  ben  eW  è  fornita. 

36.  St.  Yen.  :  Totta  la  gente. 

37.  La  St.  Fior,  ha  :  Vestita  egli  era  ;  ho  corretto  con  la  Yen.  L' Intettigema  ancora  è  vestita 
di  seta  soriana.  Per  la  ricchezza  delle  vesti  e  degli  adornamenti ,  oltre  alle  descrizioni  nell'  7n< 
telUgenza,  e  neirA)n«fo,  e  a  tante  altre ,  puoi  ancora  prestare  attenzione  al  passo  del  Sacchetti 
che  riporto  in  nota  al  v.  61,  e  vederne  parecchie  nel  Morgant»;  al  C.  YI,  p.  es.,  str.  17  e  18. 

38.  St.  Yen.  :  di  là  dkl  mare. 

39.  St.  Yen.  :  Milìe  bottoni  a  piedi  e  man  avea.  Nel  Morg. ,  XXY ,  93,  dell*  vette  di  UUvieri 
è  detto  :  Diecimila  seraffi  o  più  vai  qttesta. 

40.  St.  Yen.  :  Che  ciaschedun. 

42.  St.  Yen.  :  Di  pietre  pretiosb  d'obo  fino. 

43.  St.  Yen.  :  milla,  e  anche  altrove. 

45.  St.  Yen.  :  E  come  il  sole  fa  perdeb  la.  Gas.  e  Ixbb.  ,    Gp.  cit. ,   II ,   180:    À  tanto  ino 
splendor  tributo  inchino  |  Siccome  fa  la  luna  a  fronte  al  sole. 
47.  St.  Yen.  :  donzella. 

49.  St.  Yen.  :  il  dolce. 

50.  Lo  stesso  che  il  verso  36,  variato  l'ordine  delle  parole. 

51.  St.  Yen.  :  e  delicato  il  viso. 

52.  St.  Yen.:  e  bii.ocxnte. 


364 


S.   FERRARI 


Vesti  e  gioie. 


Le  due  donzelle  nel  giar- 
dino. 


Arrivo  delVamante. 


pareva  essere  nata  in  paradiso. 
Vestita  era  di  drappo  adornamente , 
da  capo  a  piedi  avea  rabini  tanti 

56        che  valean  ben  cento  milia  bisanti. 
In  testa  ella  portava  una  girlanda 
di  pietre  preciose  lavorata, 
un  saracin  la  fece  in  Alexandra , 
cento  milia  ducati  era  costata. 
E  se  vi  par  l'istoria  troppo  spanda , 
io  ve  la  vendo  come  l' ho  comprata. 
Questa  Brunetta  onesta  vaga  e  fina 

64        leggiadra  magna  degna  et  pellegrina. 
E  trambe  due  si  levorno  un  mattino 
la  Bianca  e  la  Brunetta  ognuna  isnella, 
andorno  a  solazzar  in  un  giardino , 
e  l'una  e  l'altra  o  quanto  all'era  bella! 
et  a  seder  se  misson  sotto  un  pino , 
cantando  rosignuol(i)  su  la  ramella 
facendo  dolci  versi  per  amore  : 

72        da  r  altra  parte  venne  1'  amatore. 


53.  St.  Yen.  :  Pareva  fussb  fiata. 

57.  St.  Yen.  :  ohiblakoa. 

59.  La  St.  Fior,  ha  Alexandria,  e  la  Yen.  àlessakdba.  "SdiV Inteìlig .  (st.  12),  abbiamo  :  Ed  à 
una  mantadura  oltremarina  ]  Piena  di  molte  pietre  preziose  :  |  D'overa  fu  di  terra  àlessakobiita. 
Ancora  la  descrizione  degli  adornamenti  della  Bmna,  e  come  già  la  descrizione  di  quelli  della  Bianca, 
e  degli  altri  già  citati  di  Olivieri,  termina  col  ralutame  presso  a  poco  il  costo  :  onde  ripenso  vo- 
lentieri ai  passi  àelVIntellig.  che  accennano  o  dicono  il  prezzo  delle  gemme  e  delle  vesti,  qaando 
accada  nominarle,  come  alla  st.  204  :  Con  molte  gemme  di  gran  valimento  ;  e  meglio  alla  205  e 
alla  206:  Con  quei  cari  rubin  maravigUanU ,  |  Ch'una  città  valea  pur  l'una  sola;  e  Sacchetti, 
Op.  cit. ,  lY  ,  62  :  J?  di  lor  veste  si  sono  addobbate  (  Sì  riccamente  che  narrando  queUo  |  Par- 
rebbe a  chi  r  tidisse  non  credibile,  |  Per  lo  tesoro  di  stima  valibile  ;  e  questi  ultimi  versi  illu- 
strano molto  bene  quelli  segnati  61,  62,  che  or  ora  seguitano  nel  nostro  poemetto. 

61.  Ori.  Innam.  :  P.  I,  I,  22  :  Et  altre  assai  che  nel  mio  dir  non  spando. 

63.  St.  Yen.  :  vaoa  fina. 

64.  St.  Yen.  :  magna  e  degna  feUiEobina. 

65.  St.  Yen.  :  Et  AMBEDmB  si.  Qui  il  poeta  pare  si  rifaccia  da  capo. 

67.  Vedi  la  nota  ai  versi  1-16. 

68.  St.  Fior.  :  Et  l'dna  l'altba;  ho  corretto  con  la  Yen. 

69.  St.  Yen.  :  ce  messon.  L'innamoramento  sotto  il  pino  è  provenzale.  Cfr.  Del  Lungo,  Dino 
Compagni,  I,  470. 

70.  St.  Yen.  :  n.  bosionvol  su.  —  Ramella.  La  Crusca  ha  un  esempio  di  Inghilfredi,  in  Rime 
antiche;  e  questo  del  Boccaccio  nel   Ninfale  Fiesolano  :  Istarsi  all'ombra  di  fresche  bahelle. 

72.  St.  Yen.  :  vene  l'akadobe.  Amatore  ;  per  amante.  La  Crusca  cita  questo  esempio  del  Pe- 
trarca, Trionfo  d'Amore,  II:  E  quel  vano  amatore  che  la  propia  \  BeUezta  disiando  fu  distrutto. 


IL   CONTRASTO  DELLA  BIANCA   E  DELLA  BRUNA 


365 


Saluto  dell'  amante. 


Parole  della  Bianca. 


Risposta  della  Bruna ,   e 
vanto  di  bellezza. 


El  qual  essendo  assai  savio  e  prudente 
cortese  valoroso  et  ammaestrato 
(et)  salutò  ciascaduna  di  presente, 
come  dal  buon  maestro  ha  imparato. 
—  Ben  stia  tu,  o  Brunetta  piacente. 
Ancor  tu.  Bianca,  dal  viso  rosato.  — 
Ciascuna  di  costor  li  respondìa: 

80       —  Tu  aie  lo  benvenuto,  o  vita  mia.  — 
Le  donzellette  ai  parlar  mainerò 
furon  levate  in  piedi  immantinente. 
E'  riscontrò  la  Bruna  nel  sentiero , 
quella  basciò  in  bocca  arditamente. 
Disse  la  Bianca:  —  E  mio  era  primiero, 
perchè  amato  io  l'aggio  longamente; 
deh  !  noi  chiamare  a  te ,  Brunetta  mia  ; 

88       lassel  venire  a  me,  per  cortesia. 
E  la  Brunetta  rispose  al  presente, 
e  disse:  —  Bianca,  mi  pari  impazzata. 
Non  lo  vardare  e  non  li  poner  mente 
perchè  non  hai  persona  angelicata. 
Egli  è  venuto  a  me  primeramente , 
ecco  la  gioia  che  lui  me  ha  donata  : 
io  r  ho  amato  più  che  omo  sia , 

96        et  amerollo  sempre  in  vita   mia.  — 


73.  8t.  Yen. 

74.  St.  Yen. 
amcustrato. 

75.  St.  Yen. 

77.  St.  Yen. 

78.  St.  Yen. 

79.  St.  Yen. 


ossea  SAVIO   PKVDIirTB. 

Amaestrato.  FoiiGOBE  da  S.  Qbmimako  (Nannncci,  I,  p.  344):Saggio,  eorUu,  i 


Ls  salutò  CIASCUNA  di  presente. 

Bene. 

Anco  tu. 

OLI   RISPONDIA. 

80.  Tu  SIA  lo  ben  venuto  anima  mia. 

89  e  sgg.  Qua  e  lì.  si  trova  molta  somiglianza  con  questi  versi,   ancor»  inediti,  àtXL'OrUmdo, 
poema  che,  come  provò  il  prof.  Rajna,  servi  per  tanti  rispetti  al  Pulci: 


Disse  la  Bruna  —  Cara  mia  sorella 
più  ventura  ho  di  te  perchè  sia  hella. 

Dicie  la  Bianca:  Tu  hai  van  pensare 
Io  ho  auto  di  lui  molto  piacere, 
perch'egli  aveva  me,  non  te,  mirare; 
tu  ti  potesti  ben  di  ciò  avedere.  — 
Disse  la  Bruna:  —  SI,  mi  meravigli 
perchè  io  ho  di  te  gli  occhi  pia  befli. 


366 

Vanto  della  Bianca. 


104 


Vanto  della  Bruna. 


112 


Hpoeia  sirivolgealpuhlico. 


Bue  donne  fiorentine  elette 
giudici.  120 


Bifesa  della  Bianca. 


S.  FERRARI 

Disse  la  Bianca  :  —  0  Bruna  maledetta , 
se  tu  non  lassi  star  questo  amatore , 
di  quel  e'  hai  detto  io  ne  farò  vendetta, 
innanzi  a  lui  ti  farò  poco  onore: 
io  son  la  Bianca  e  tu  sei  la  Brunetta , 
più  bella  son  di  te ,  ancor  migliore  ; 
più  bianca  son  che  neve  di  montagna 
che  in  braccio  mi  terrebbe  '1  re  di  Spagna.  — 

(Alora)  La  Brunetta  fu  forte  corocciata , 
le  disse:  —  Bianca,  deh!  più  non  parlare  ; 
quando  la  neve  in  montagna  è  durata 
al  sol  si  vien  tutta  quanta  a  disfare  : 
ma  io  son  la  Brunetta  inzucherata 
e  molto  saporita  da  basciare; 
et  io  son  la  Brunetta  morbidella, 
miglior  di  te ,  et  anco  la  più  bella.  — 

Or  vedereti  guerra  cominciare 
fra  due  donzelle  per  uno  amatore  ; 
Tuna  e  l'altra  si  han(o)  forte  a  minaciare, 
e  ditto  se  han(no)  di  molto  disonore. 
Questa  question  non  si  può  dischiarare, 
com(e)  si  de  diffinire  questo  errore. 
Mandòrno  per  due  donne  a  Fiorenza 

.  che  diffiniscon  questa  lor  sentenza. 

Le  donne  fur  venute  a  quelle  amante 
per  metter  pace  a  tanta  lor  questione. 
Dissen  le  donne  :  —  Venite  davante  : 
Ognuna  di  voi  dica  sua  ragione.  — 
Parlò  la  Bianca  con  dolce  sembiante , 


103.  TiGBi,  Canti  popolari  Toscani,  74  :  Bianca  come  la  neve  di  montagna;  e  nel  Calmo  (Op. 
cit.),  Lett.  alla  sig.  Yitruvia  :  «  bianca  a  mo'  la  neve  di  montagna  ». 

104.  Tigri,  Op.  cit.,  1\:  E  le  vostre  bellezze  vanno  in  Francia  |  Saigon  le  scale  dell'  impera- 
tore ;  e  il  Magnifico,  Nencia  :  Aver  la  Nencia  e  tenersela  in  braccio,  |  Morbida  e  bianca  che  par 
xm  stignaccio. 

109-111.  Vedi  lo  strambotto  antico  nel  Cabdccci,  Cantilene  e  Ballate  ecc.:  Brunetta,  c'hai  le 
ruose  aUe  mascelle,  \  Le  labra  de  lo  zucchero  rosato.  E  il  Calmo,  Op.  cit.,  Lett.  alla  sig.  CaU- 
donia ,  in  difesa  della  carne  bruna ,  si  riporta  al  «  dito  antigo  ,  che  terra  negra  fa  bon  pan  ; 
«  son  hruneta,  son  dolceta  ».  E  in  Caset.  e  Imbr.,  Op.  cit.,  II,  140:  Brunetta  saporita. 

120.  Qui  bisogna  dare  a  sentenza  il  senso  di  questione,  come  par  giastiflchi  il  verso  122:  Per 
metter  pace  a  tanta  lor  questione  ;  diffinire  in  questo  caso  è  il  verbo  tecnico,  e  vale  terminar*. 


Difesa  della  Bruna. 


IL   CONTRASTO  DELLA   BIANCA  E  DELLA  BRUNA  367 

e  disse  :  —  Io  non  so  già  per  qual  cagione, 
questa  Brunetta  eh'  è  cotanto  ingrata 
128       81  fortemente  m' abbia  minacciata.  — 

Disse  la  Bianca:  —  Donne,  in  cortesia, 
quel  ch'io  vi  dico,  prego  vi  stia  a  mente. 
Or  questo  amante  si  è  la  vita  mia, 
che  sempre  io  l'aggio  amato  caramente: 
e  certo  per  fugir  cia8cun(a)  folìa, 
nò  biasmo  acquistar  da  tutta  gente 
e  che  mi  guardi  dagli  mal  parlanti, 
136        me  tolsi ,  sendo  il  fior  degli  altri  amanti. 

E  la  Brunetta  im  pie  si  fu  levata , 
parendo  un  angel  proprio  che  parlasse. 
—  Per  la  mia  fé',  s'io  serò  ascoltata 
dirò  la  verità,  se  mi  giovasse! 
Io  son  di  lui  sì  forte  inamorata 
eh'  io  non  lo  lassarci  se  mi  tagliasse , 
perchè  un  [più]  bel  giamai  né  più  polito 
144        non  fu  al  mondo,  e  lo  voglio  per  marito. 

(AUhor)  Una  di  quelle  donne  da  Firenze 
all'  amator  così  prese  a  parlare , 
e  sì  gli  disse:  —  0  cavalier  valente, 
per  cortesia ,  te  voglio  or  domandare 
de  quel'  eh' inamorasti  primamente; 
dimmi  la  verità  non  me  '1  celare.  — 
Egli  rispose  con  la  mente  franca: 
152        —  Prima  m'inamorai  di  questa  Bianca.— 

Disson  le  donne  :  —  Che  Cristo  ci  vaglia  ! 
questa  è  una  gran  sententia  (d)a  diflSnire  : 
amor ,  come  la  spada ,  fende  e  taglia ,  . 
e  spesse  volte  ancor  fa  rom(o)  languire. 


n  giovinetto  è  interrogato. 


Risposta. 

I  giudici  rimetton  la  que- 
stione alle  armi. 


133.  Ciascxm'.  Troncamento  darò  ;  da  sì  fatte  durexio  per  altro,  gli  antichi  non  riftiggiTaiio. 
Saoch.,  Op.  cit.,  I,  17  :  Il  del  legato  con  cateti  d'argento. 

135.  L'  odio  degli  amanti  contro  le  lingue  viperine  è  tradizionale  nella  letteratura  del  popolo, 
n  lÀnguaccio  di  Olimpo  da  Sassoferrato  ne  ò  una  prova  molto  evidente.  E  una  ballata  del  Umt 
gniflco  ha  per  ripresa  :  lo  prego  Dio,  che  tutti  %  mal  parlanti,  |  Faccia  star  stmpr*  «n  gnm  do- 
lori e  pianti.  Nella  lirica  provenzale  è  poi  comune. 

137.  Sacch.,  Op.  cit.,  I,  31  :  ^  Caterina  in  piV  .si  fu  Imtaia. 

140.  Se  mi  giovasse  !  Ho  messo  il  punto  ammirativo    interpretando  il  M  desideiatiTO  per  coti. 


368 


S.   FERRARI 


Vanto   di   bravura 
Bianca. 


Vanto  delia  Bruna. 


La  piazza  di  Siena  è  il 
campo  di  battaglia.  Pre- 
parativi. 


Se  questo  non  s'  acquista  per  battaglia , 
io  non  so  quel  che  ne  debbia  seguire. 
Donar  sententia  che  non  sia  mal  data , 

160        difendasi  a  battaglia  giudicata.  — 
della  Disse  la  Bianca  :  —  Sì ,  ben  volentieri , 

chi  voi  combater  meco  venga  in  piazza  ; 
farò  guarnire  ci  mio  scudo  legieri 
e  la  mia  relucente  e  bona  mazza  ; 
perchè  lo  sappi  donne  et  cavalieri 
e  eh'  ognun  possa  aver  lieta  la  fazza  : 
Chi  perde  la  battaglia,  questo  è  usanza, 

168        di  non  ballar  et  di  non  far  più  danza.  — 
E  la  Brunetta  rispose  al  presente, 
e  disse  :  —  Cosi  voglio ,  o  mal  villana  ! 
di  questa  guerra  ti  farò  perdente , 
sappi  che  ti  darò  la  morte  strana  ; 
et  per  farlo  saper  a  tutta  gente 
io  mandarò  un  bando  per  Toscana  : 
Chi  perde  la  battaglia  e  1'  amatore , 

176        giamai  più  (si)  vesta  panno  di  colore.  — 
Le  donzelle  furon  deliberate 

battaglia  far  su  la  piazza  di  Siena  ; 
erbe  minute  con  altre  fiorate, 
tutta  la  piazza  n'  era  colma  e  piena  ; 
rose  con  gigli  et  viole  imbalconate 
bianche  e  vermiglie  con  menta  serena; 


160.  difendasi;  per  si  proroghi  f 

177.  Se  il  verso  non  va  modificato  altrimenti,  certo  doveva  essere  corretto  negli  accenti  quando 
si  cantava:  Le  donzelle  fueòn  deliberate.  0  diceva:  Le  donzelle  si  fur  deliberate? 

179.  fiorate.  Nel  Tkamatkk  (ediz.  di  Mantova) ,  non  trovo  fibrata  che  nel  senso  di  schiuma. 
Qui  sta  per  fiorita  ,  cioè  «  quelle  filze  di  verzura  che  si  appiccano  dove  si  fa  festa  ,  o  che  si 
«  spargono  per  le  strade  »  ;  e  il  Dizionario  conforta  quest'ultimo  senso,  che  meglio  s'  addice  al 
caso  nostro,  con  un  esempio  del  Vasari,    Vite  :  «  Sparger  la  fiorita  nelle  strade  ». 

181.  Imbalconate.  Incarnate,  appellativo  che  si  dà  alle  rose.  Firenzuola,  Dial.  beli.  Bonn.: 
«  L'incarnato,  altrimenti  imbalconato,  è  un  color  bianco  ombreggiato  di  rosso,  o  un  rosso  om- 
«  breggiato  di  bianco,  simile' alle  rose  che  incarnate  o  imbalsamate  si  chiamano  ».  Ma  già  il 
Poca,  XIX  sonetti  amorosi  {Propugnatore,  voi.  XI),  son.  6o:  Deh  ,  rosa  imbalconata!  \  Ditemi 
dove  vien  tal  crudeltate. 

182.  La  st.  con  mekte  serena  ;  ci  ho  posta  risolntamenie  la  mano  ,  correggendo  ;  henchè  non 
trovi  nel  Dizionario  l'epiteto  di  sererux  dato  a  menta  :  più  sopra  abbiamo  menta  pisana  ;  ed  anche 
essa  nel  Diz.  manca. 


IL  CONTRASTO   DELLA  BIANCA  E   DELLA  BRUNA 


369 


Descrizione  della  cortina. 


Passatempi  dell'amatore. 


et  tutte  due  tenean  corte  bandita, 
184        la  Bianca  o  la  Brunetta  colorita. 

Intorno  al  campo  v'  era  una  cortina 
la  qual  venne  dal  regno  feminoro, 
che  con  sue  man  la  fece  una  regina 
la  qual  fu  donna  del  re  Antenore; 
le  corde  eran  di  seta  alessandrina, 
e  mille  campanelle  de  fin  oro; 
d'argento  una  cordella,  qual  tirava, 
192        e  nel  tirarla  uccelli  assai  cantava. 

Poi  r  amatore  andava  solazzando 
sopra  la  piazza  con  molti  donzelli 
aste  depinte  e  bagordi  spezzando; 
vestivan  seta,  e  ben  politi  snelli 
ciascun  versi  d'amor  giva  cantando, 
con  più  di  cento  cavallier  novelli; 
sonagli  d'oro  e  pettoral(i)  d'argento 
200  adorni  de  rubin(i),  eh'  io  non  vi  mento. 

Tutta  la  gente  corre(v)a  per  vedere; 
donne,  fanciulli  e  molti  cavallieri; 
et  quello  che  volea  mangiar  o  bere 


183.  Vedi  la  Tcseide ,  VI ,  7  agg.  :  nel  tempo  che  precede  la  battaglia  i  dae  amici  sono  baoni 
amici,  e  spendeano  ìarganunte...  e  AUro  che  suoni  canti  ed  attegrexta  \  Nelle  lor  case  non  si  sentia 
mai;...  né  giammai,  |  Erano  in  casa  senta  forestieri,..  |  B  nulla  si  lasciavano  a  donare,  \  SU  tran 
d'ogni  gran  largheBza  pieni. 

185.  La  ricchezza  della  cortina  rispecchia  i  fulgori  dei  padiglioni.  È  notimmo  quello  nel  PcLa, 
XIV,  42  sgg. 

186.  Intelligenza  (st.  225)  :  Attalista  regina  d'Amaztoni,  |  Quel  che  s'appella  il  regno  feminoro. 
190.  campanelle.  Il  Dizionario   avverte   che   campanelle  si  chiamano  ancora  qoei   cerchietti  di 

ferro  (qui  d'oro  adunque)  nei  quali  scorrono  le  tende  e  le  portiere. 

193.  È  impossibile,  leggendo  tali  feste,  sognato  in  Siena,  non  ricordare  i  sonetti  di  Folgore. 

194.  domelli:  il  verso  che  occupa  il  n»  166  giustifica  la  spiegazione  di  donMelU  applicato  a 
quei  giovani  nobili  che  si  preparavano  al  cavalierato. 

196.  St.  Fior.  :  Vksti  a  seta  ;  ho  corretto  io  :  vkstivak  seta. 

198.  cavallier  novelli.  Era  di  prammatica  che  i  cavalieri  novelli  «  armeggiassero  »  e  <  bafor- 
«  dassero  »  lietamente,  n  sonetto  di  Foloore  (ediz.  cit.,  p.  346):  Ora  si  fa  un  donisi  cmaìitri, 
E  vuoisi  far  noveUaniente  degno  ecc.,  illumina  benissimo  questa  o  le  due  seguenti  ottave. 

199-200.  Ogni  qualvolta  che  gli  antichi  poeti  cavallereschi  intoppavano  nei  cavalli  sellati  e 
bardati,  ne  dipingevano  partitamente  e  lucentemente  gli  addobbi.  Il  Pulci  e  il  Boiardo  speesiasimo. 
Anche  qui,  come  sopra,  par  che  il  Sacch.,  Op.  cit..  Ili,  40,  aguzzi  la  punta  dell'ironia:  Soor'un 
destrier  coverto  d'un  aliso  |  Velluto  incatenato,  per  suo'  fama,  \  D'incrocicchiate  catene  d'arfenio, 
I  Con  tante  perle,  che  mi  fé'  pavento. 

203.  La  St.  Fior,  ha  veramente  coeì  :  Et  qusi.  che  voleva  mangiar  o  bere. 


370 


S.  FERRARI 


Giorno  del  combattimento. 


Lamento  di  molte    dami- 
gelle per  la  pugna. 


glie  n'  era  dato  assai  ben  volontieri. 
Mille  donzelle  servon  per  piacere, 
dove  eran  coppe  d' oro  e  bei  bicchieri  : 
le  mense  eran  coperte  a  confezioni, 

208        con  più  fagìan  dorati  e  bon  caponi. 
Araldi  v'  eran  con  giocolatori 
tutti  vestiti  d'  oro  et  onorati , 
chi  voi  cavalli  e  chi  voi  corridori 
a  ogniun  volentieri  ve  n'eran  dati, 
perchè  non  son  avari  e'  donatori  ; 
né  già  del  paradiso  (v')  eran  cacciati. 
Tempo  mi  par  di  dir  questa  battaglia. 

216        Or  ascoltati,  che  '1  parlar  mi  vaglia. 
Una  mattina  di  Pasqua  rosata 
andorno  per  combatter  le  dongelle  ; 
ciascuna  eran  ben  acompagnata 
da  mille  donni  e  mille  damigelle. 
(O)gniuna  di  lor  ha  roba  ricamata 
con  panni  alciati  come  nimphe  belle; 
appresso  d'  esse  cavallier  parlando  , 

224        la  Bianca  et  la  Brunetta  amaestrando. 
Le  dongelle  andavano  per  la  via 
dicendo  :  —  Questo  forte  me  dispiace , 
fra  due  dongelle  esser  tanta  resia 


203-05.  FoLOOBE  (son.  nlt.  dt.),  dica  che  il  CATallier  novello ,  Annona,  pane  e  vin  dà  a  fore- 
stieri, I  Manze,  pernici  e  cappon  per  ingegno,  \  Donzelli  e  servidori  a  dritto  segno  ;  e  nel  sonetto 
pel  «  Giorno  di  Conviti  »  (ediz.  cit.,  p.  345):  Donne  e  donzelle  stan  per  tutte  bande ,  \  Figlie  di 
Re  di  Conti  e  di  Baroni,  \  E  donzeUetti  giovani  garzoni  |  Servir,  portando  amorose  ghirlande. 

206.  Innamorato,  I,  1 ,  19:  Ed  ecco  piatti  grandissimi  [d'oro  |  Coperti  di  finissima  vivanda 
I  Coppe  di  smalto  con  sottil  lavoro. 

207.  Confettioni.  U  Dizionario  spiega,  con  un  es.  del  Trattato  del  Peccato  Mortale:  «  ogni  qiMin- 
«  tità  di  confetti,  di  conserve  e  simili  ».  Sarebbe  allora  tutto  quanto  è  apparecchiato  nel  verso  di 
Folgore  (son.  ult.  cit.):  Frutta,  confetti,  quanto  li  è  'n  talento. 

208.  Folgore  (son.  ult.  cit.):  E  cotti  manzi  et  arrosti  capponi  ,  oltre  al  verso  citato  nelle 
note  103-105.  Nel  Pulci,-  Op.  cit.,  vedi  il  convito  che  ha  luogo  al  C.  XVI,  24  sgg.  :  Con  preziosi 
vin  confetti  e  frutte. 

209.  Pulci,  luogo  ora  cit.,  massime  il  verso:  Buffoni  e  giuochi  e  infiniti  piaceri. 
212-213.  Lo  stesso  senso  manifestato  nel  verso  204. 

214.  paradiso.  Il  primo  senso  fu  i'orto,  poi,  come  qui,  di  luogo  delizioso. 
217.  Anche  V Innanwrato  apre  con  una  giostra  Allor  di  maggio  a  la  pasqua  eosata. 
222.  alciati,  alzati,  succinti.  Dante,  Piirg.,  Trescava,  alzato,  l'umile  salmista. 
225.  0  leggere  andavano,  o  rifare:  E  le  donzelle  andavan  per  la  via. 


Offerta  di  due  cavalieri. 

Risposta  delle  due  guer- 
riere. 


IL  CONTRASTO  DELLA  BIANCA  E  DELLA  BRUNA  371 

Sarebbe  alcun  di  tanta  cortesia, 
che  si  combatte  per  amor  fallace, 
ch'in  fra  costor  potesse  metter  pace?  — 
Allor  dui  cavallier  disson  di  poi: 

232        —  Lassate  a  noi  il  combatter  per  voi.— 
Le  dongellette  allor  d'  uno  volere 
disson: —  Cavallieri,  or  tenete  a  mente: 
se  noi  dovcssem  spender  più  avere 
che  fusse  mai  dal  Levante  al  Ponente, 
questa  battaglia  non  può  rimanere 
che  noi  non  la  faciamo  arditamente. 
Ben  mille  grazie,  cavallier,  n'aggiate; 

240        per  cortesia,  de  qui  or  ve  levate.  — 
Le  due  dongellc  furo(n)  in  su  la  piazza 
ov'  era  già  la  battaglia  ordinata  ; 
ognuna  aveva  scudo  e  bona  mazza , 
elmo  lucente  ed  allato  la  spada. 
Disse  la  Bianca:  —  Or  tu,  Brunetta  pazza, 
tu  sei  verso  di  me  apparecchiata  ; 
or  ti  difendi,  ch'io  ti  vo' ferire 

248        et  oggi  è  '1  dì  eh'  io  ti  farò  morire.  — 
Ella  gli  dette  (co)sì  grande  ferita 
sopra  de  l' elmo ,  qual  era  cerchiato. 
Quasi  la  Brunetta  fu  sbigottita 
per  lo  terribei  colpo  che  gli  ha  dato. 
Ognun  cridava:  —  Oimè,  trista  la  vita  !  — 
Et  a  ciascun  ne  prendeva  peccato 
veder  combatter  quelle  due  dongelle 

256       che  in  quel  tempo  non  eran  le  più  belle. 
Disse  la  Brunetta  :  —  Ormai  t' attendi 
di  questa  guerra,  Bianca  scolorita. 
Tu  perderai  ciò  che  qui  ritta  spendi. 


La  Bianca  principia  il 
duello  con  parole  e  con 
fatti. 


Risposta  della  Bruna. 


246.  St.  Fior.,   Tu  sei  ver  di. 

254.  A  ciascun  n»  prendeva  peccato:  ducono  ne  avert  compassione.  Il  Dìx.  non  ciU  che  na 
esempio  delle  Favole   Esopiane:  Il  cavaUtr  veduta  la  donna  in  tanta  «  si  gravosa  noia  li  ri 

PBESE   PECCATO. 

257.  Deve  forse  correggersi  :  Disse  te  Bruna  —  Il  fimb  ormai  t'attmdi  1 
259.  9i(t  ritia  per  qui  semplicemente,  si  trova  in  Dante,  nel  Boccaccio,  ed  in  altri  aaticlii.  n 
Salvisi  nelle  Prose  ToscaM  la  dice  voce  ancor  viva  fra  i  contadini. 


372 


S.  FERRARI 


Bel  colpo  della  Bruna. 
Seguita  il  duello. 


La  Bruna  vincitrice. 


La  Bianca  si  arrende. 


Viene  il  notaio:  e  il  gio- 
vinetto sposa  la  Bruna. 


oggi  è  quel  dì  che  tu  serai  finita , 
io  ti  vengo  a  ferir,  or  ti  difendi.  — 
Et  alla  Bianca  dette  tal  ferita 
che  se  non  fusse  l'elmo  bono  e  forte 

264        certamente  ella  li  dava  la  morte. 
Et  sonsi  date  sì  crudel'  mazzate 
che  tutte  l'arme  indosso  (si)  fraccassorno, 
gli  elmi  e  li  scudi  e  le  mazze  ferrate 
in  terra  trambe  due  le  gittorno; 
poi  di  concordia  da  cavai  smontate 
e  gionte  in  terra ,  presto  si  pigliorno 
r  una  con  l' altra ,  le  drezze  tirando , 

272       su  per  la  piazza  si  van  strassinando. 
Si  come  la  Brunetta  era  più  forte 
pigliò  la  Bianca  e  gettolla  per  terra, 
e  per  la  golia  la  strinse  in  tal  sorte 
che  punto  non  la  lascia  e  disferra; 
dicendo  :  —  Bianca,  se  non  voi  la  morte, 
rendite  a  me ,  che  ho  vinto  la  guerra 
e  anche  ho  vinti  tutti  li  amatori  ; 

280        qui  non  te  varrà  liscio  né  colori. 

La  Bianca  disse:  —  Deh!,  Brunetta  mia, 
io  ti  farò  la  croce  con  le  brazza; 
deh!  non  me  occider,  per  tua  cortesia; 
abbiti  l'amator,  ben  prò  ti  fazza , 
tu  si  r  hai  vinto  per  tua  gagliardia  : 
venga  el  notaro  che  carta  ne  fazza. 
Deh  !  non  m'  occider  poich'  io  me  rendo, 

288        che  m' ingenochio  e  più  non  mi  difendo. 
El  notar[o]  fu  gionto  immantinente , 
lo  qual  fece  una  carta  degna  e  bella; 
e  r  amator  fra  tutta  quella  gente 
sposò  la  Bruna  e  detteli  due  anella , 
poi  si  la  bascia  e  abraccia  stretsunente 
e  dipartissi  e  vassene  con  quella. 


276.  disferra  ,  scioglie.  Il  Dizionario  non  dà  disferrare  con  questo  significato  ;  sì  bene  porta 
nn  esempio  di  sferrare  tolto  dal  Beeni,  Ori.,  2,  II,  46:  Brandimarte  tornò  dov'era  Orlando  | 
E  lo  sferrò  del  laccio  incontanente. 

280.  St.  Fior.  :  Qoiti  non  te  t^ebà  liscio  ne  colori. 

286.  St.  Fior.  :  ne  faccia. 


IL  CONTRASTO  DELLA   BIANCA   E  DELLA   BRUNA 


373 


Dolore  della  Bianca. 


Un  cavaliere  s'  offVe  alla 
Bianca  in  isposo. 


La  Bianca  accetta  il  ca- 
valiere. 


U  poeta  si  congeda. 


La  Bianca  tutta  rimase  adolorata 
296        piangendo  lo  suo  amor  la  sventurata. 
E  sì  diceva  :  —  0  lassa  (me)  tapinella  ! , 
mai  più  non  voglio  star  in  questa  vita  ; 
inanzi  mi  vo'  far  una  gonella, 
da  pie  tagliarla ,  e  poi  farme  romita  ; 
e  vogliome  serrar  dentro  una  cella, 
e  quivi  vo'  che  sia  la  mia  finita  ; 
po'  che  perduto  ho  la  mia  speranza 
304        non  voglio  più  baiar  né  far  mai  danza. 
Un  cavallier  era  ricco  e  possente, 
sentendo  (co)si  la  Bianca  lamentare, 
rispose  a  lei:  —  Non  dubitar  niente, 
per  questo  i'  non  ti  voglio  abandonare; 
el  sole  è  bello  e  la  luna  è  lucente  : 
si  che  per  tanto  non  ti  vo'  lassare  : 
ma  come  bon  fidel  sempre  mi  arai 
312        e  tu  per  tuo  signor  sì  mi  terrai.  — 
La  Bianca  mnilmente  respondia  : 
—  Cavallier  degno,  vi  son  obligata; 
et  voi  di  me  arete  signoria 
poi  che  per  vostra  serva  mi  son  data  ; 
diece  milli  fiorini  eh'  i'  ho  in  casa  mia 
e  altra  robba  ch'è  per  voi  apparechiata.  ^ 
Sì  che  la  Bianca  andò  con  quel  signore. 
320        Finita  è  questa  istoria  al  vostro  onore. 


Finito  el  contrasto  della  Bianca 
Et  della  Brunetta. 


295.  Non  torna  il  verso.  Forse  accorata  t 

299-302.  Molte  poesie  popolari  italiane  si  potrebbero  schierare  sotto  queste  mbrìche  che  hanno 
molte  attinenze  fra  di  loro,  e  suggerite  tutte  dall'amore  :  Desiderio  di  far$i  romiti,  lk$id*rio  éU 
chiìtdersi  in  un  chiostro  ;  Pentimenti  dell'  essersi  fatti  romiti  o  di  dover  partire  péQtgrimmtà» 
pel  mondo;  Pentimento  d'essersi  fatto  frate  o  nwnaca.  Si  reggano  gli  strambotti  di  Panfilo  Suri, 
che  ho  ripubblicati  io  da  una  stampa  antica  nella  Biblioteca  di  letteratura  popolare;  e  le  ballate 
col  titolo  Sventurato  Pellegrino ,  quali  si  possono  leggere  dopo  gli  strambotti  del  Qinstiniani 
nella  stampa  fatta  In  Trevigi  nel  HDCXXXYU.  (Un  eeemplare  ò  nella  UniTenitarìa  di  Bologna). 


374  S.   FERRARI 


III. 


Ora  prima  di  comparare  il  poemetto  testé  veduto  con  altre 
composizioni,  quali  già  da  principio  indicai,  simili  nella  sostanza, 
benché  diversamente  atteggiate,  affinchè  da  tale  comparazione 
chiare  emergano  le  rassomiglianze  che  detti  componimenti, 
rami  discesi  da  un  medesimo  cespite,  hanno  fra  loro,  credo 
bene  presentare  anzi  tutto  la  materia  del  contrasto;  il  che  faccio 
collegando  e  dando  unità  e  vita  agli  argomenti  già  fiancati 
nel  margine  del  testo ,  e  ripigliando  quando  abbisogni  le  illustra- 
zioni e,  per  le  prime  dieci  ottave,  le  varietà  di  lezione  poste  in 
nota;  fila  tutte  ordite  in  disparte  non  già  per  lasciarle  poi  cadere 
affatto,  ma  per  procedere  più  snellamente  innanzi;  e  da  richia- 
marsi nel  tessuto  solo  quando  l'economia  del  lavoro  lo  richiegga. 

Adunque:  i  primi  dodici  versi  non  si  capisce  bene  a  che  vo- 
gliano approdare;  solo  si  intende  che  siamo  in  primavera.  Ma 
eroiche  gesta  e  gemiti  d'amore  quando  mai  negli  antichi  pro- 
venzali e  francesi  e  giù  giù  nella  poesia  italiana  lirica  ed  epica 
che  da  quelle  prendeva  l'impulso  e  le  mosse,  non  risuonarono 
fra  canti  d'augelli  e  gemere  di  fonti  e  verde  di  prati  e  di  boschi 
e  chiarezza  d'aria  tutta  piena  di  sole!  Più  sotto  troviamo  ancora 
il  pino,  eroico  e  severo  e  tradizionale  testimone  di  assemblee  e 
di  colpi  d'arme  e  di  giuramenti  d'amore  !  e  per  tutto  il  poemetto 
sentore  della  lingua  più  antica,  discesa  quasi  intatta  dalle  sca- 
turigini. Negli  ultimi  quattro  versi  della  seconda  strofa  compaiono 
le  donne,  o  le  due  donne  (particolareggiando  meglio)  secondo 
la  diversa  lezione:  la  Bianca  e  la  Brunetta.  Poi,  nella  strofa 
seguente,  viene  l'amatore,  ed  é  subito  disputato  dalle  due  giovi- 
nette, ed  eletto  giudice  di  loro  bellezze;  indi  il  poeta  si  ferma 
volentieri  a  descrivere  le  fanciulle  e  lo  sfarzo  di  loro  vesti,  come 
più  sotto  ostenta  compiacentemente  la  ricchezza  dell'  arme  e 
delle  bardature  dei  cavalli:  ir  che  apparteneva  alla  topica  del 
poema  cavalleresco.  Cosi  si  arriva  al  verso  64;  e  qui  giunti,  pare 


IL  CONTRASTO  DELLA  BIANCA   E   DELLA  BRUNA  375 

che  il  poeta  si  rifaccia,  anzi  si  rifa,  da  capo:  poiché  di  nuovo 
troviamo  le  fanciulle  nel  giardino;  di  nuovo  c'è  T amatore;  di 
nuovo  si  ammirano  le  bellezze  della  Bianca  e  della  Bruna  :  ma 
il  processo,  o  meglio  la  presentazione  dei  fatti,  accade  in  un  modo 
diverso.  L'amatore  questa  volta  non  se  ne  resta  li  zitto  e  fermo 
come  prima  ;  ora  bacia  arditamente  in  bocca  la  Brunetta  :  il  che 
porge  occasione  alle  due  donne  di  vantar  esse  stesse  in  persona  le 
loro  bellezze  quali  ausiliatrici  potenti  dei  diritti  che  ciascuna  si 
arroga  sull'amante:  indi  interviene  il  poeta  ad  avvertire  il  pub- 
blico che  non  essendo  le  due  fanciulle  giunte  ad  una  conclusione 
netta  e  chiara,  han  dovuto  ricorrere  a  due  giudici:  i  giudici 
scelti  sono,  per  avventura,  «  due  dame  da  Firenze  ».  Dal  verso 
120  al  240  abbiamo  l'intervento  dei  giudici  che  odono  le  due  parti 
accapigliate,  e  dopo  aver  richiesto  il  giovinetto  di  chi  prima  si 
fosse  innamorato,  alla  sua  risposta  «  prima  m'innamorai  di  questa 
«  Bianca  »,  trovandosi  esse  più  impacciate  che  mai,  rimettono  la 
soluzione  alle  armi:  sentenza  che  le  fanciulle  accettano  di  gran 
cuore,  fermando  subito  le  condizioni  a  cui  dovrà  sottostare  la  parte 
vinta.  Per  comprendere  l'impaccio  dei  giudici  bisogna  risalire 
all'origine  della  lite  e  vedere  che  proprio  era  difficile  «  difflnire 
«  questo  errore  »,  secondo  la  frase  del  poeta.  Che  le  due  fanciulle 
presentano  ai  giudici  ragioni  tanto  delicate  e  dritti  di  onore  cosi 
poco  sindacabili,  che  una  mano  di  donna  non  può  pesarli  sulla 
bilancia  della  giustizia  a  lei  affidata  senza  pericolo  che  la  bilancia 
le  sfugga  cigolando.  L'una,  la  Bianca,  accampa  che  fu  amata 
prima,  e  che  lo  «  tolse  essendo  il  fior  degli  altri  amanti  »;  l'altra, 
la  Bruna,  che  ella  l'ama  pazzamente,  e  che,  in  mancanza  d'altre 
ragioni,  lo  vuole  perchè  lo  vuole;  ma  lasciando  tuttavia  supporre, 
poiché  l'ha  baciata  prima  nel  giardino,  che  oggi  l'amatore  lei 
prediliga. 

Ora  i  giudici  par  che  comprendano  che  essi  non  possono  risol- 
vere la  questione  che  nel  caso  in  cui  la  Brunetta,  che  ora  sembra 
la  preferita,  sia  stata  ancora  la  prima  amata;  perciò  non  chie- 
dono all'amatore  chi  prescelga  al  presente,  ma  chi  abbia  amata 
prima:  al  che  rispondendo  egli  sfavorevolmente  alla  Bruna,  le 


376  S.  FERRARI 

donne  fiorentine  non  sanno  più  che  farsi;  le  giovinette  hanno 
ragione  ambedue  ;  o  il  torto  veramente  l'ha  il  giovine  che  prima 
amò  l'una,  poi  l'altra  :  definire  la  questione  è  perciò  rimesso  alle 
spade.  E  qui  il  poemetto  ci  si  presenta  da  studiare  sotto  un  altro 
aspetto,  poiché  i  duellanti  sono  le  fanciullette  medesime  ;  e  la 
nostra  mente,  manco  a  dirlo,  rivede  subito  i  tipi  delle  donne 
guerriere;  ma  più  che  ad  Antea  a  Mar  fisa  a  Bradamante  ricorre, 
massime  per  ragioni  intrinseche  alle  modalità  del  certame,  alla 
battaglia  delle  Giovani  e  delle  Vecchie  nel  Sacchetti.  Tornando 
al  Contrasto,  a  questo  punto,  siamo  informati  che  il  luogo  scelto 
a  battagliare  è  il  bellissimo  Campo  di  Siena;  ed  osserviamo  di 
nuovo  come  il  Nostro,  che  ama  soffermarsi  a  tutte  le  stazioni 
nelle  quali  ripigliavano  fiato  i  poeti  cavallereschi  e  con  nuove 
fantasie  lasciavano  riposare  quelle  lungamente  perseguite  prima  ; 
(stazioni  che  erano  come  bei  palazzi  fiancheggianti  le  strade 
maestre  e  gli  aggiramenti  regi  della  cavalleria,  ove  i  poeti  sali- 
vano ammiranti  pitture  e  sognanti  morgane,  vinti  da  strani  mi- 
raggi e  ne  uscivano  abbarbagliati  e  ricchi  di  luce,  di  suoni,  di 
colori,  riprendendo  più  riposati  e  più  baldi  il  gran  viaggio);  ci 
ammanisca  una  corte  bandita  ed  accenni  a  un  padiglione,  intanto 
che  si  aspetta  la  zuffa.  E  la  zuffa  (vv.  217-294)  ha  luogo  nella 
lieta  stagione  in  che  s'apre  ancora  l' Innamorato,  per  la  Pasqua 
delle  rose;  dopo  che  le  fanciulle  han  respinta  l'offerta  di  due 
cavalieri  che  s'impegnano  di  combattere  in  loro  vece.  Il  duello 
è  a  colpi  di  mazza:  vincitrice,  la  Brunetta,  che  sposa  l'amatore, 
presente  il  notare.  Gol  lamento  della  Bianca,  e  le  nozze  di  lei 
con  un  cavaliere  che  lì  su  due  piedi  le  propone  di  sposarla,  si 
chiude  il  Contrasto.  E  il  poeta  si  licenzia: 

Finita  è  questa  storia  al  vostro  onore. 

Giacché  é  finita,  passiamo  ai  raffronti,  movendo  da  ciò  :  che  la 
caratteristica  peculiare  del  poemetto  é  l'essere  un  contrasto  fra 
due  fanciulle  che  si  differenziano  fra  loro  pel  colore:  donde  il 
titolo. 


IL  CONTRASTO  DELLA  BIANCA  E   DELLA   BRUNA  377 

Già  Golomb  de  Ratines,  descrivendo  la  stampa  fiorentina  aveva 
richiamato,  un  poemetto  in  antico  francese,  intitolato  :  Le  Dèbat 
de  deùx  Lemoiselles,  V  une  nommée  la  Moire  et  l'autre  la 
Tannèe,  allegando  una  stampa  del  quattrocento.  Trovandosi  oggi 
il  poemetto  ripublicato  nel  Tomo  V  del  Recueil  de  poèsies  fran- 
QOises  des  XV  et  XVI  siécles  Morales,  Facétieuses,  Histo- 
riques,  rèunies  et  annoièes  par  M.  Anatole  de  Montaiglon 
(Paris,  1856),  a  noi  è  dato  studiarlo,  giovandoci  inoltre  della 
prefazione  che  il  Montaiglon  ha  premessa  alla  edizione  da  lui 
curata. 

In  essa  il  dotto  francese  ne  informa  come  il  dèbat  si  conosca 
per  due  manoscritti,  il  più  antico  dei  quali  risale  alla  metà  del 
quattrocento  ;  e  per  quattro  stampe,  tre  antiche  ed  una  moderna; 
e  la  moderna  ancora,  uscita  dai  tipi  Didot,  per  cura  del  Bock, 
nel  1825,  non  sarebbe  che  una  riproduzione  di  una  antica 
stampa  in  gotico,  che  il  Montaiglon  giudica  guasta  ed  alterata  no- 
tevolmente, poiché  vi  si  trovano  alcuni  versi  inutili  e  inconclu- 
denti nel  posto  d'altri,  che  alludendo  a  personali  storici  sono 
meritevoli  di  attenzione  per  fissare  il  tempo  in  che  fu  com- 
posto 0  rifatto  il  dèbat,  e  per  rafforzare  una  ragionevole  ipotesi 
sull'autore  dello  stesso  ;  che  anche  il  dèbat  è  adunque  anonimo. 

Il  Montaiglon  ci  dà  il  poemetto  reintegrato  nella  forma  che 
si  può  ritenere  originale,  ricavandolo  dal  manoscritto  più  an- 
tico ove  sta  fra  armoniosa  compagnia  di  ballate  e  di  rondò, 
col  nome  in  fronte  di  Siramonet  Gaillau  ;  poeta,  fiorito  alla  corte 
di  Carlo  Duca  D'Orléans.  Tale  compagnia  bastò  al  Montaiglon 
per  legittimare  l'ipotesi  che  anche  il  dèbat  possa  essere  del 
Gaillau,  riallacciando  quel  fatto  con  questi  altri:  che  il  Gaillau 
viveva,  come  è  detto,  alla  corte  del  Duca  d'Orléans;  e  che  nel 
poemetto  (sono  i  versi  poi  tolti  nella  stampa  gotica)  si  nominano 
chiaramente  due  donne  strette  in  vincoli  di  parentela  col  Duca. 
Né  la  congettura  mi  pare  esagerata,  l'autore  certo  fu  poeta  dotto, 
non  di  popolo. 

Questa  l'invenzione  del  dèbat:  11  poeta  entrato,  in  primavera, 

GiomaU  storico,  VI,  fase.  18.  25 


378  S.   FERRARI 

in  un  amenissimo  giardino,  ed  in  esso  diportandosi,  poiché  la 
bellezza  del  posto  raddolciva  i  suoi  dolori  ed  affanni,  arriva  in 
luogo  ove  soi^e  una  casa,  nella  quale  ode  due  donne  amorosa- 
mente cantare.  Nascostosi,  le  osserva  distinguendole  pel  colore 
della  veste,  giacché  l'una  aveva  «  sa  robe  tannée  »,  e  l'altra 
«  une  noire  robe  »:  intende  che  fra  loro,  mestissime,  è  accesa 
una  sfida,  non  con  altre  arme  che  coi  canto,  per  la  quale  cia- 
scuna vuol  prevalere  sull'  altra  nell'  essere  infelice  per  isfortu- 
nato  amore.  Finita  la  canzone,  che  ha  tale  infelicità  amorosa 
per  argomento,  si  accordano  nel  portare  la  sfida  davanti  a  due 
dame,  ed  escono  nel  giardino.  Il  poeta,  che  ha  tutto  udito  scrive 
il  contrasto  ed  egli  stesso  lo  porta  davanti  alle  persone  indicate. 
Ma  certe  cose ,  meglio  che  nella  nostra  prosa ,  sarà  meglio  ve- 
derle nella  freschezza  della  lingua  nativa.  Ecco  la  protasi  del 
dèbat: 

Mes  dames,  j 'aporte  nouvelles 
de  deux  femmes  cointes  et  belles, 
en  amours  trop  desconfortées, 
qui  se  sont  à  vous  raportées 
pour  juger  vray  de  leurs  querelles. 
Embusché  me  suis  derrière  elles 
pour  ouyr  leurs  plaintes  mortelles; 
en  escript  les  ay  rapportées. 
Mes  dames  etc. 

Ed  ecco  come  e  in  che  stagione  il  poeta  si  addentri  nel  giar- 
dino che  è  il  luogo  del  contrasto: 

Vouloir  m' est  prins  d' escripre  icy 
qu'  en  la  saison  qu'  arbres  florissent , 
hors  d'  un  manoir  aux  champs  issy, 
pour  veoir  les  biens  qui  de  terre  yssent 
et  comme  oyseaulx  se  resjouissent 
quant  voient  leurs  pers  arriver, 
aussi  comme  herbes  reverdissent 
a  l'issue  du  temps  d'iver: 


IL  CONTRASTO  DELLA  BIANCA  E  DELLA   BRUNA  379 

Par  une  solitaire  yssue, 
en  uno  sente  me  vins  rendre, 
qui  cstoit  pavóe  et  tissuo 

de  fleurettes  et  d'erbe  tendre;  ^^ 

là  maint  roussignol  et  calendre 
ouy  sur  arbres  chanter  moult  bien; 

■ed  il  poeta,  che  appare  piagato  di  molte  malinconie  e  dispiaceri, 
attraversato  un  giardino,  che  gli  si  apre  dinnanzi,  arriva  ad 

une  maison,  par  semblant  bonne, 
che 

scoit  cn  ung  bout  du  vergier; 

ove  ascolta  il  canto  delle  due  donne. 

Si  vins  à  l'huys  de  la  maison 

marchant  tout  bellement  le  pas; 

et  lors  ontendy  la  raison 

de  deux  femmes,  qui  par  compas 

devisoient,  sans  celer  le  pas, 

r  une  à  r  autre  leurs  entreprinses. 

Il  poeta  capisce  che  tenzonano  d'amore;  perciò  si  fa  animo  a 
nascondersi  e  ad  ascoltare. 

Lors  m'  einbuchay  en  ung  lieu  noir, 
où  je  croy  que  nulle  d' entre  elle» 
ne  m' éust  veu  là  remouvoir 
sans  avoir  clarté  de  chandelles. 

Si  ferma  lungamente  a  descrivere  le  due  donne,  massime  nelle 
vesti,  da  cui  prendono  l'appellativo;  a  dire  i  tristi  motivi  del 
duolo  che  le  affligge,  lagrimose  per  l' infelice  amore  di  cui  por- 
tano tante  insegne  nei  volti  delicati 

Entre  elles  noise  ne  ten^on 

ne  vy  fors  que  parfaiz  esbas; 

chascune  avoit  une  chan^on 

en  scs  mains,  dont  vint  leurs  debatz; 


380  S.   FERRARI 

e  la  sostanza  della  tenzone  sta  in  questo  che  l'ima  vuol  vincere 
l'altra  vantando  la  propria  infelicità: 

Seur,  je  vous  enseigne 
et  monstre  par  vifve  raison 
que  mon  cueur  plus  en  larmes  baigne 
que  le  vostre  en  toute  saìson. 

Questi  sono  i  giudici:  per  la  Tannée: 

celle 
qui  est  duchesse  d'Orléans, 

e  per  la  Noire: 

sa  seur,  comtesse  d'Angoulesme: 

due  personaggi  storici  adunque;  poi  che  la  prima  è  Maria  de 
Gleves,  moglie  di  Carlo  duca  d'Orléans  (m.  1465);  la  seconda, 
Margherita  di  Rohan,  moglie  di  Giovanni  d'Orléans,  conte  d'An- 
goulèrae  (m.  1476):  onde  il  Montaiglon  pose  il  debat  fra  le  poesie 
storiche.  E  il  poeta,  in  fine,  chiude: 

portay  aux  dames  le  débat. 

Da  questo  rapido  riassunto  si  scorge  subito  la  somiglianza  che 
il  óèbat  francese  mostra  con  la  prima  parte  del  contrasto  ita- 
liano, la  quale  è  determinata  dal  fatto  che,  come  indica  il  nome, 
sono  ambedue  una  sfida,  una  sfida  di  due  dame  intitolate  dal 
colore:  ma  lo  svolgimento  del  fatto  in  ambedue  è  molto  diffe- 
rente ;  causa  precipua  di  questo,  la  condizione  in  che  sono  i  due 
poeti  in  faccia  alle  contendenti;  l'essere  uno,  poeta  popolare, 
l'altro  colto  e  dotto.  La  condizione  del  poeta  dà  una  intonazione 
speciale  al  componimento,  e  ne  compenetra  tutte  le  parti.  Perchè 
il  poeta  popolano,  ripeto  quanto  già  dissi  in  principio,  rima- 
neggia, rilavora  una  materia  comune  a  tutti,  collettiva,  non  nu- 
trita del  suo  sangue,  poiché  egli  la  vende  come  l'ha  comprata  ; 
ma  il  poeta  colto,  se  pure  accatta  l'ordito  capitale  da  una  fan- 


IL  CONTRASTO  DELLA  BIANCA   E  DELLA   BRUNA  381 

tasia  preesistente,  lo  ricompone,  Io  riordina  e  su  vi  tesse  una  tela 
a  bei  colori  in  modo  tale  che  il  tutto  apparisca  come  cosa  indivi- 
duale, sua.  Egli  va  nel  giardino,  egli  assiste  al  contrasto;  le  due 
donne  sono  viventi  nel  mondo  della  realtà;  i  due  giudici  pure; 
appartengono  alla  storia,  al  vero  non  immaginato  o  creduto,  ma 
nella  sua  irradiazione  materiale.  Perciò  mentre  il  poeta  italiano, 
umile  ed  incolto,  non  arrisica  di  staccarsi  dal  convenuto  della 
tradizione,  e  se  amplia,  amplia  aggiungendo  sempre  materia  di 
popolo  e  collettiva;  il  poeta  francese  invece,  dotto,  cambia,  mi- 
gliora a  sua  posta.  E  la  materia,  nei  due,  è  perciò  colorita  in  un 
modo  affatto  diverso.  Nella  fantasia  popolare  le  due  fanciulle 
stanno  parate  prima  a  svillaneggiarsi  di  santa  ragione,  e  a  con- 
tendersi l'amatore,  lui  presente  ;  poi,  a  rebbiarsi  a  suon  di  mazza  : 
ma  nella  visione  spirituale  del  gentiluomo  francese,  le  contrastanti 
sono  gentili  e  delicate  signore  che  faran  capo  della  contesa  al 
nobile  sangue  di  Francia,  e  tutto  è  come  loro  soave  e  delicato.  Non 
sono  dal  poeta  distinte  pel  colore  della  pelle,  che  avrebbe  potuto 
sembrare  meno  riverente,  ma  per  quello  della  veste;  non  com- 
battono, per  impossessarsi  dell'  amatore,  a  colpi  di  bastone,  ma 
in  casa,  credendosi  "sole,  sfogano  l'interno  dolore  dell'animo,  e  il 
loro  amore  è  lontano.  Ancora;  colla  scelta  dei  giudici  nel  fran- 
cese termina  il  contrasto:  non  la  gentilezza  permetteva  che 
avesse  una  conclusione  che,  qualunque  fosse,  avrebbe  sempre 
offesa  runa  o  l'altra;  e  le  donne,  uscite  all'aperto,  si  mostrano 
belle  lagrimose  nel  giardino:  ed  al  vederle  il  poeta  forse  ebbe 
voglia  di  paragonarle  alle  rose  che  sbocciavano  intorno  rigate 
di  rugiada.  Queste  le  differenze  dei  contrasti  sui  quali  ho  voluto 
insistere.  Che  essi  derivano  da  un  ceppo  comune  mi  par  certo 
da  quanto  si  è  ragionato;  ponendo  mente  sopratutto,  alla  fine,  la 
scelta  cioè  dei  giudici. 

I  due  contrasti,  pertanto,  ci  si  presentano  come  due  svolgi- 
menti compiuti  i\  diversi  di  una  medesima  invenzione.  E  quando 
questa  sia  prima  apparsa  nelle  sue  origini,  non  è  nostro  compito 
di  qui  ricercare;  onde  ci  soffermeremo  solo  sul  modo  con  che 
nel  Trecento  e  nel  Quattrocento  si  venne  man  mano  disvilup- 


382  S.  FERRARI 

pando  al  sole  della  fantasia  popolare,  sino  al  punto  di  finire  per 
sé  e  da  sé;  il  che  credo  sia  da  ricercarsi  nei  poemi  cavallere- 
schi antichi.  E  in  essi  il  primo  determinarsi  del  Contrasto  nella 
nuova  forma,  che  poi  avrà  vari  sviluppi,  spogliato  della  frasca ,^ 
non  ci  apparirà  altro  che  come  una  semplice  gara  di  due  fanciulle, 
nel  quale  l'una  vuole  sopravanzare  l'altra  in  qualche  modo,  e  la 
beffeggia;  conseguenze  del  fatto.  Così  circoscritto  l'argomento, 
noi  lo  troviamo  già  fornire  un  episodio  all'  Uggeri  il  Danese^ 
poema  cavalleresco  appartenente  forse  al  secolo  XIV;  ed  assi- 
stiamo al  suo  crescere  ed  espandersi  in  altri  corrispondenti  epi- 
sodi àQ[y Orlando  e  del  Margarite,  che,  com'  è  noto,  gran  parte 
della  sua  tela  ebbe  dall'  Orlando.  E  le  relazioni  che  a  questo  pro- 
posito corrono  fra  il  Danese  e  Y Orlando,  il  professor  Rajna,  da 
par  suo,  per  quanto  richiedeva  l'economia  del  suo  lavoro,  di- 
mostrò già  in  un  suo  articolo  su  Uggeri  il  Danese;  inserito  nella 
Romania,  dal  quale  sarà  bene  che  noi  pigliamo  le  mosse.  Né 
solo  mi  servo  delle  fatiche  a  stampa  dell'egregio  professore,  ma 
sì  ancora  di  schiarimenti  che  mi  ha  largheggiati  in  iscritto: 
dei  quali  ringraziandolo  qui ,  non  intendo  mettere  in  vista  la 
sua  gentilezza,  si  compiere  un  dovere. 

Nel  Danese  abbiamo  due  episodi,  fra  loro  incatenati,  sulle  avven- 
ture che  a  Rinaldo,  ad  Orlando  e  ad  altri  due  compagni  toc- 
cano nella  corte  del  re  pagano  Libanoro,  in  Setta.  Nel  primo, 
vediamo  i  quattro  cristiani,  accolti  gentilmente  ed  ospitati  da 
Bianciarda  figliuola  del  re,  la  quale  offre  loro  da  mangiare. 
Mentre  mangiano,  un  grosso  pazzo  viene  a  ghermir  loro  di  sotto 
la  pietanza,  pel  che  col  pugno  serrato  Rinaldo  gli  appicca  tale 
un  colpo  nel  petto  «  che  in  sulla  sala  il  distese  ciertano  »;  onde, 
levatosi  a  rumore  il  palazzo,  Bianciarda  calma  le  ire  facendo 
passare  i  quattro  guerrieri  per  ambasciatori  dell' Amostante.  A 
questo  episodio,  se  ne  intreccia  ora  un  secondo  che  é  quello  che 
fa  al  nostro  caso.  «  Libanoro  (lascio  la  parola  al  Rajna),  oltre  a 
«  Bianciarda,  ha  un'altra  figlia,  per  la  quale  si  sta  tenendo  una 
«  gran  giostra,  appunto  quando  capitano  alla  terra  i  quattro  cri- 
«  stiani.  Filicie,  che  è  bellissima  fanciulla,  non  ha  la  virtù  del- 


IL  CONTRASTO  DELLA  BIANCA   E  DELLA  BRUNA  383 

4c  Tumiltà,  e  orgogliosa  di  ciò  che  si  fa  per  lei,  schernisce  la 
«  sorella  per  il  fatto  del  pazzo  ».  E  qui  abbiamo  per  appunto  le 
due  donne  in  gara  di  chi  troverà  un  miglior  cavaliere  che  per 

loro  giostri  (Rajna,  loc.  di.): 

« 

Quella  Filicie  per  cui  si  giostrava 
in  cotal  guisa  a  Bianciarda  parlava: 
—  Sirocchia  mia,  tu  ài  molta  ventura 
in  giente  che  con  pazzi  fan  battaglia; 
ma  tu  non  troveresti,  in  fede  pura, 
un  che  per  te  faciesse  una  berzaglia. 

Bianciarda  prega  Rinaldo: 

Rompi  una  lancia  per  mio  amor,  guerriere: 

e  Rinaldo  vince  tutti.  «  Allora  nessuno  osa  più  farsi  avanti;  però 
«  Bianciarda  si  volge  trionfante  a  Filicie  : 

Vedi  '1  mio  drudo,  in  tal  guisa  diciea, 
che  tu  di'  che  con  pazzi  sa  provare; 
vint'  à  '1  torniamento ,  e  quel  re  morto; 
giamai  non  vidi  guerrier  tanto  acorto. 

«  Filicie  confessa  che  è  vero,  e  Rinaldo,  venuto  alla  donzella, 
<  ne  riceve  i  ringraziamenti  ».  Vediamo  adesso,  sempre  nel  citato 
articolo,  l'Orlando  (e.  LVIIMX).  «  Il  re  Diliano  ha  due  figlie: 
«  Bianca  e  Brunetta.  Per  amore  della  prima,  che  è  la  più  bella, 
«  mantiene  giostra  un  fiero  Saracino,  alla  valentia  del  quale  nes- 
«  suno  può  durare.  Vi  capita,  in  abito  da  pellegrino,  Rinaldo,  e 
«  se  ne  sta  osservando  ».  Come  di  sopra,  qui  pure  abbiamo  il 
solito  svillaneggiarsi  delle  sorelle: 

E  quella  dama  bianca  ciò  vedendo, 
la  sua  sorella  bruna  à  proverbiare, 
inver  di  lei  tal  parole  dicendo  : 
—  Non  truovi  chi  per  te  abbi  a  giostrare.  — 

Questo  il  motivo  del  contrasto,  lo  stesso  adunque  che  nel  Danese; 
e  come  nel  Danese,  qui  pure  Rinaldo  è  pregato  di  prendere  le 


384  S.   FERRARI 

parti  della  fanciulla  offesa;  parte  che  al  solito  egli  accetta  di 
gran  cuore  e,  vestite  l'armi,  vince  tutti  i  nemici;  e  ancora 
vediamo  la  Brunetta  (che  corrisponde  a  Bianciarda)  rendere  alla 
sua  volta  l'offese  alla  sorella  vinta  ;  e  ancora,  finalmente,  abbiamo 
che  il  pellegrino  ritornato  a  Brunetta 

la  dama  il  ringraziava  di  cuor  fino. 

Fin  qui  per  tanto  i  due  poemi  procedono  d'accordo;  ma  d'ora  in 
poi  hqW Orlando  si  ha  un  nuovo  svolgimento  dell'avventura,  un 
abbellimento,  un  ampliamento  della  favola  che  noi,  per  ragione 
d'ordine,  chiameremo  seconda  parte.  Per  vero,  nel  Danese  l'av- 
ventura di  Rinaldo  non  ha  séguito,  e  il  paladino,  non  senza  tut- 
tavia grande  rincrescimento  di  Bianciarda,  si  parte  istigato  da 
Orlando  che  temeva  le  sue  poderose  mattie  nell'accattar  brighe 
e  rompere  tregue;  onde  i  Baron  di  galoppo  si  partirò,  come 
dice  il  manoscritto  magliabechiano  (cod.  II,  31):  ma  nell' Or- 
lando  le  cose  procedono  diversamente,  e  la  prima  parte  ter- 
mina con  qualche  varietà  che  dà  luogo  e  spiana  ragionevol- 
mente la  via  alla  seconda.  «  In  esso  (seguita  il  Rajna  in  una 
sua  lettera  alla  quale  debbo  quanto  d'inedito  si  trova  qui  citato) 
«  la  Brunetta,  ringraziato  Rinaldo,  gli  domanda  secondo  le  costu- 
«  manze  del  paese,  il  cavallo  del  campione  abbattuto,  che  subito 
«  le  è  fatto  dare.  Vien  sulla  piazza,  armato  in  modo  da  non  esser 
«  riconosciuto,  il  padre  della  fanciulla.  Rinaldo  abbatte  lui  pure. 
«  Nel  cadere  gli  esce  l'elmo,  ed  è  cosi  ravvisato  ;  ma  egli,  lungi 
«  dall'adirarsi,  attribuisce  a  sé  tutta  la  colpa,  dice  a  Rinaldo  che 
«  Macone  e  Apollino  lo  benedicano,  e  lo  invita  a  venire  seco 
«  al  palazzo.  Viene  Rinaldo,  e  disarmatosi,  indossa  la  schiavina. 

Intanto  le  mense  si  fuor  messe, 
e  le  vivande  vennen  molto  spesse. 
Amendue  le  fanciulle  hanno  a  servire 
e'  pellegrini,  il  buon  Rinaldo  acorto  ; 
e  ciascun'  lo  sguardava  con  desire 
ed  allo  dio  d'Amor,  chiedea  conforto: 
quella  Brunetta  sentiva  martire, 


IL  CONTRASTO  DELIA  BIANCA  E  DELLA  BRUNA  385 

il  SUO  bel  drudo  mira  con  diporto; 
e  la  Bianca  la  stratia  perchè  mira  : 
e  per  Rinaldo  ciascuna  suspira. 

Tutti  mangiaron  con  sovran  diletto, 
e  fuoron  ben  serviti  e  onorati;  * 

mangiato  e'  hanno,  sì  come  v'  ho  detto, 
tutti  fuoron  da  tavola  levati  ; 
e  quello  dame  con  gentile  aspetto 
in  una  zambra  amenduc  sono  andate; 
disse  la  Bruna  :  —  Gara  mia  sorella , 
più  ventura  ho  di  te,  perchè  sia  bella. 

Vedi  quel  pellegrin  quanto  m'ha  'mare, 
e  vedi  quant'  egli  è  di  gran  potere.  — 
Dicie  la  Bianca  :  —  Tu  hai  van  pensare; 
io  ho  auto  di  lui  molto  piacere, 
perch'  egli  aveva  me  non  te  a  mirare. 
E  ti  potesti  ben  di  ciò  avedere. 
Disse  la  Bruna  —  Sì  mi  meravigli 
perchè  io  ho  di  te  gli  occhi  più  begli. 

«  Qui  termina  il  foglio,  e  rimaniamo  in  asso,  giacché  quello  che 
«  segue,  ed  è  l' ultimo  dei  fogli  conservati,  lascia  capire  che  vi 
«  è  una  lacuna  di  qualche  carta.  Ma  non  è  a  dubitare  che  l'e- 
«  pisodio  terminasse  come  nel  Pulci,  e  per  l'appunto  con  la  morte 
«  della  Bianca  ». 

E  questa  da  vero  è  una  piccola  disgrazia  per  noi  che  dobbiamo 
ricavare  le  conseguenze  da  raffronti  minuziosi  di  piccoli  fatti,  che 
avremmo  bisogno  di  aver  sempre  e  in  tutto  chiari,  presenti  e  ac- 
certati. Il  Pulci,  è  vero,  sopperisce  alla  parte  che  manca  nell'Ano- 
nimo; ma  la  mancanza  rende  impossibile  poi  il  raffronto  dei  due 
testi  fra  loro,  e  non  possiamo  determinar  bene  se  il  Contrasto 
della  Bianca  e  della  Bruna  abbia  attinto  piuttosto  all'uno  che 
all'altro.  Facendo  di  necessità  virtù,  terminiamo  la  seconda  parte  e 
vediamo  la  chiusa  dell'episodio  nel  Morgante;  con  grande  nostra 
riverenza  e  con  diletto  e  gioia  vediamola  rinverdire  nella  fiorenti- 
nità del  Pulci,  in  quelle  strofe  facili,  colorite,  varie,  briosissime, 
non  senza  prima  aver  detto  che  l'episodio  delle  due  sorelle  è  al 


386  S.   FERRARI 

canto  XXn;  e  che  ben  distinto  nelle  sue  due  parti  (come  nel 
Danese)  va,  per  la  prima  parte,  dalla  strofa  224,  verso  due,  fino 
a  tutto  il  sesto  verso  della  234;  e  per  la  seconda,  dal  penultimo 
verso  dell'ottava  234,  in  cui  Rinaldo  torna  al  palagio,  fino  al 
settimo  verso  della  238,  nel  quale  è  la  partenza  di  Rinaldo. 

La  seconda  parte  è  tanto  breve  nel  Morgante,  che  spero  non 
sarò  tacciato  d'indiscrezione  riportandola  intera.  Il  padre  delle 
fanciulle  che  era  stato  vinto  in  giostra, 

a  bell'agio 

Rinaldo  ne  menò  seco  al  palagio; 
Che  di  sua  forza  si  maravigliava. 

1  suoi  compagni  con  lui  fé' venire, 

e  un  convito  solenne  ordinava, 

e  le  fanciulle  stavano  a  servire; 

e  l'una  e  l'altra  Rinaldo. guardava 

innamorata  del  suo  grande  ardire; 

e  pò    mangiato,  in  una  zambra  vanno, 

e  le  fanciulle  gran  disputa  fanno. 
E  dice  ognuna  ch'era  la  più  bella, 

e  che  Rinaldo  giudicassi  questo; 

contente  son  1'  una  e  1'  altra  sorella. 

Rinaldo  alla  Brunetta  disse  presto, 

e  eh'  avea  il  suo  amor  donato  a  quella; 

il  che  fu  tanto  alla  Bianca  molesto, 

eh'  ad  un  balcon  con  un  laccio  di  seta 

s' impiccò  in  una  camera  segreta. 
Della  qualcosa  ciascun  si  lamenta. 

Rinaldo  co' compagni  si  partia, 

e  la  Brunetta  riman  malcontenta; 

—  Macon,  dicendo,  ti  mostri  la  via. 

Dove  tu  sia,  peregrin,  ti  rammenta 

della  Brunetta,  che  tua  sempre  sia.  — 

E  dettegli  un  fermaglio  la  Brunetta 

per  ricordanza  di  lei  meschinetta. 
E  volle  prima  il  suo  nome  sapere  : 

quando  sentì,  com'egli  era  Rinaldo, 

s'  accese  tanto  del  suo  gran  potere, 

che  non  si  spense  mai  poi  questo  caldo; 


IL  CONTRASTO   DELLA  BIANCA  E  DELLA  BRUNA  387 

benché  mai  più  noi  dovea  rivedere, 
pur  si  rimase  nel  suo  petto  saldo. 

VOrlando  e  il  Morgante,  di  conseguenza,  non  sono,  in  quanto 
concerne  la  prima  parte  dell'episodio  delle  due  fanciulle,  altro 
che  uno  svolgimento  del  Danese  da  cui  deriva  ancora  l'av- 
ventura del  pazzo,  la  quale  a  noi  oramai  più  non  giova  ricordare. 
I  tre  episodi  nei  tre  poemi  hanno  di  comune  l'ossatura  del  fatto, 
e  combinano  fra  loro  in  molti  punti  pei  quali  divergono  dai  due 
contrasti  che  formano  lo  studio  principale  del  nostro  lavoro.  Cosi  si 
può  osservare  che  nei  tre  poemi  maggiori  le  donne  contendenti 
sono  sorelle,  nei  poemetti  no;  che  in  questi  la  cagione  del  con- 
trasto è  r  amore,  in  quelli  una  superbiuzza  selvaggia  e  focosa, 
non  ancora  tosata  e  ravviata  dalle  convenienze  e  dalla  galan- 
teria addicentesi  a  figlie  di  re  ;  ma  sovra  tutto  si  deve  por  mente 
a  che  le  donne  nei  poemetti  combattono  in  persona,  onde  deb- 
bono al  proprio  valore  la  gloria  di  aver  conquistato  l'amante: 
là  dove  Bianciarda  e  Brunetta  del  Danese,  àeW Orlando ,  del 
Morgante,  si  accontentano  di  mandar  avanti  Rinaldo  o  altro 
cavaliere:  dal  che  poi  deriva  ancora  che  nei  poemetti  i  conten- 
denti sono  forzati  a  ricorrere  ai  giudici  che  sentenzino  di  loro 
virtù;  negli  episodi,  no.  Benché  a  guardar  sottilmente  vi  si  ac- 
corga che  in  questi  ultimi  pure  il  giudice  fa  capolino,  ed  è 
per  avventura  Rinaldo ,  a  cui  in  certo  qual  modo  nel  Contrasto 
della  Bianca  e  della  Brunetta  corrisponde  il  fantino ,  nel 
quale,  prima  della  scelta  dei  due  giudici  in  persona  delle  donne 
di  Firenze,  la  questione  era  stata  rimessa  :  e  si  osservò  già  che 
a  questo  punto  il  poemetto  quasi  rincomincia  e  piglia  un  altro 
andare,  lasciando  così  supporre  che  il  poeta  seguendo  più  reda- 
zioni di  una  varia  materia  poetica,  non  avesse  in  sé  tanta  forza 
di  disporla  in  un  ordine  rigoroso. 

Queste  le  varietà,  per  le  quali  i  tre  episodi  cavallereschi,  d'ac- 
cordo fra  loro,  si  differiscono  dal  Contrasto;  varietà,  per  altro, 
di  tal  fatta,  che  servono  adunque  esse  pure  a  mettere  più  scol- 
pitamente in  vista  come  tutti  questi  componimenti  procedano  da 
radici  comuni. 


388  *S.  FERRARI 

Ma  io  volevo  ancora  far  notare  come  dal  Danese,  in  cui  questa 
invenzione  è  ancora  si  può  dire  in  germe,  si  sia  potuto  arrivare 
al  Contrasto  della  Bianca  e  della  Bruna  che  forma  un  poemetto 
a  sé,  e  deriva  ancora  la  sua  ragione  d'essere  di  altre  fonti.  Ho 
già  fatto  osservare  che  le  forme  di  mezzo  sono  V Orlando  e  il  Mar- 
gante,  i  quali  hanno,  di  più,  una  seconda  parte ,  per  la  quale 
staccandosi  dal  Danese  si  riavvicinano  più  strettamente  al  Con- 
trasto; ma  di  ciò,  dopo. 

E  che  neìVOrlando  e  nel  Morgante  si  vegga  man  mano  cre- 
scere ed  esplicarsi  ciò  che  nel  Danese  è  appena  accennato,  è 
ancora  in  embrione,  credo  debba  sembrar  chiarissimo  a  chiunque 
voglia  confrontarli.  I  nomi,  per  esempio,  delle  fanciulle  nel  Da- 
nese sono  Bianciarda  e  Filicie,  senz'altro  ;  ora,  che  il  nome  Bian- 
ciarda  abbia  suggerito,  per  contrapposizione ,  agli  altri  poemi 
l'altro  di  Bruna,  può  ben  darsi,  se  bene  non  apparisca  necessario 
da  quanto  si  ha  nel  poema;  come  non  era  necessario  si  arrivasse 
al  vanto  delle  bellezze  fra  le  due  donne,  se  nel  Danese  non  tro- 
viamo altro  che  Filicie  dipinta  come  bellissima ,  e  perchè  tale, 
arrogante  e  l'altra  invece  umile  e  che  comprende  la  sua  infe- 
riorità verso  la  sorella;  queste  cose,  dico,  sebbene  non  appari- 
scano necessarie ,  s' intende  bene  come  possano  essere  acca- 
dute nei  campi  della  fantasia.  Cosi  sempre  più  ci  si  avvicina 
alla  forma  del  Contrasto;  e  il  Morgante  si  avvantaggia  sul- 
r  Orlando.  Subito  nell'  Orlando  Bianciarda  diventa  Bianca,  e 
Filicie  è  battezzata  in  Brunetta:  se  non  che  non  più  è  Bianca 
la  vezzosa  e  la  bella,  ma,  invertite  le  parti,  è  Brunetta:  e  d'ora 
in  poi  la  favorita  sarà  sempre  la  Brunetta,  in  tutto:  essa, 
alla  fine,  sarà  sempre  vincitrice.  I  colori  che  abbiamo  visti 
già  ben  distinti  neW Orlando:  «  E  quella  dama  Manca  ciò  ve- 
«  dendo,  La  sua  sorella  bruna  » ,  li  troviamo  con  analisi  più 
minuta  risplendere  nel  Pulci  :  «  Questa  era  molto  bianca  e 
«  molto  bella...  E  come  bruna  si  chiama  Brunetta  ». 

Passiamo  alla  seconda  parte  dell'episodio  che  tratta  la  gelosia 
delle  due  fanciulle,  donde  poi,  si  può  dire  naturalmente,  sgorga 
il  contrasto  della  bellezza,  il  quale,  cosi  largamente  colorito  nel 


IL  CONTRASTO  DELLA  BIANCA  E  DELLA  BRUNA  389 

Contrasto  italiano,  apparisce  già  bene  tratteggiato  nei  poemi.  Ma 
essi  in  questo  non  attingono  più  al  Danese;  e  si  vede  subito  dal 
fatto  che  le  fanciulle  si  innamorano  ambedue  di  Rinaldo,  donde 
vengono  a  parole:  ognuna  dice  che  era  la  più  bella,  del  che  nel 
Danese  non  è  fatto  il  minimo  cenno:  anzi  è  contrario  a  quanto 
ivi  si  lascia  supporre,  che  cioè  Filicie  fosse  brutta;  ed  è  con- 
trario, e  si  noti,  alla  prima  parte  àdW Orlando  e  del  Morgante 
stessi,  alla  parte  cioè  nella  quale  essi  seguitano  il  Danese,  ove 
Brunetta  è  dipinta  come  meno  bella ,  come  sventurata  :  e  solo 
dopo  il  ritomo  di  Rinaldo  vincitore  della  Giostra,  si  accende  la 
sfida,  e  allora  solo  la  Brunetta  garrisce:  Più  ventura  ho  di  te 
perchè  più  bella.  La  seconda  parte,  adunque,  dell'episodio,  stretta 
di  tanti  legami  al  Contrasto,  è  derivata  da  altre  fonti.  Credo  io,  da 
canti  e  tradizioni  popolari  antichissime  sulle  bellezze  della  donna 
e  intorno  alla  preferenza  che  si  deve  accordare  al  colore  delle 
carni;  canti  e  tradizioni  in  molta  parte  vivi  anche  oggi  in  Italia. 

Come  il  popolo  esprima  la  gara,  che  pur  tacendo  si  indicono 
i  volti  bruni  e  i  bianchi,  si  veda  nelle  raccolte  dei  proverbi  e 
dei  canti  popolari  ;  .oggi  che  si  larga  messe  ne  è  stata  raccolta. 

Spigolo  dal  Pasqualigo,  Raccolta  di  proverbi  veneti,  quanto 

segue  : 

1.  Val  più  una  moretina  in  t' una  gamba 

'  che  n'  è  una  biancolina  grossa  e  granda. 

2.  A  dona  bianca,  per  esser  bela 

poco  ghe  manca. 

3.  Xe  megio  una  mora  con  tutti  i  soi  ati,  che 

una  bianca  co  cento  ducati. 

E  i  vanti  della  Bianca  pure  sono  molti,  né  quelli  della  Bruna 
sono  da  meno;  come  si  può  ancora  vedere  nel  commento  che 
ho  messo  a  pie  del  Contrasto.  Bellissima  questa  lode  della  Bruna 
tolta  dai  Canti  popolari  di  Calabria  Citeriore,  raccolti  da  J.  M. 
De  Limone  (1). 


(1)  Archivio  per  lo  studio  delle  Trad.  popolari,  Palermo  1884. 


390  S.  FERRARI 

Brunetta ,  eh'  a  lu  pipi  arrisimigli , 
conu  de  Sampranciscu  lavurata, 
tu  puesti  'mpacci  li  rosi  e  li  jigli; 
ssi  labra  sunu  coccia  de  granata. 
A  santa  Catarina  arrisimigli, 
ma  de  bellezza  e  no  de  santitati. 

E  a  Grottaminarda  (Principato  Ulteriore)  si  canta  (1). 

A  la  chiazza  d'Assisa  a  mano  manca, 
e'  è  'na  brunetta  che  mme  fa  morire , 
'mpietto  le  porta  doje  rose  'janche, 
la  bocca  chiagnosella  sempre  ride.... 

Ganti  questi  che  ricordano  molto  da  presso  gli  antichi.  Eccone 
uno  antico  favorevole  alle  brune  (2): 

Brunetta  e'  hai  le  ruose  alle  mascelle, 
le  labbra  dello  zucchero  rosato; 
garofalate  porti  le  mammelle, 
che  oli  più  che  non  fa  lo  moscato; 
tu  se'  la  fiore,  s' io  n'  amassi  mille 
non  t' abandono  mentre  eh'  aggio  il  fiato. 

Ed  eccone  un  altro  in  cui  le  brune  sono  vituperate  (3): 

Tu  se' più  nera  che  mora  di  macchia, 

per  te  si  perde  thnta  lavatura; 

quando  ti  lavi  il  viso ,  inganni  1'  acqua 

perchè  ti  lavi  il  viso  eoi  sapone: 

più  nera  se'  che  un  calabrone  : 

r  aequa  che  Viterbo  mena 

non  ti  laverebbe,  tanto  se' nera. 


(1)  Gasetti  e  Imbriani,  Canti  pop.  merid.,  già  cit.,  1,  p.  20: 

(2)  Carducci,  Cantil.  e  ballate,  p.  59. 

(3)  Biblioteca  di  Ietterai,  popol.,  voi.  I,  p.  77. 


IL  CONTRASTO   DELLA   BIANCA  E   DELLA   BRUNA  391 

Ma  fra  i  canti  lirici,  antichi  e  moderni,  speciale  attenzione 
merita  un  canto  amebeo  pubblicato  l'anno  scorso  neW Archivio 
per  lo  studio  delle  tradizioni  popolari,  diretto  dal  Pitró;  il  canto 
è  popolare  in  Calabria,  ed  è  conosciuto  ancora  in  Sicilia,  come 
ricavo  da  una  nota  del  Renier  a  p.  139  del  suo  libro:  Il  tipo 
estetico  della  donna  nel  Medioevo  (1),  ove,  è  riprodotto  in  appen- 
dice a  p.  182. 

Ora  questo  Canto,  pubblicato  colla  denominazione  di  Con- 
trasti ,  è  per  l'appunto  un  contrasto  fra  la  Brunetta  e  la  Bianca, 
in  quartine  di  rime  alternate;  e  la  ragione  e  l'ordine  del  con- 
trasto appaiono  subito  dalla  prima  quartina  che,  detta  in  persona 
del  poeta,  è  il  preludio  alla  sfida  in  bocca  delle  donne. 

Mera  chi  quistioni  de  bellizza! 
Na  brunetta  na  janca  à  dispidatu  : 
r  à  dispidatu  ccu  tanta  grannizza  ; 
su'juti  avanti  lu  Mastru  Juratu. 

Qui  espongono  le  donne  le  loro  ragioni  perchè  l'una  in  bellezza 
valga  più  dell'altra  ;  finché  alle  ragioni  della  Brunetta  la  Bianca 
si  dichiara  vinta.  Siamo  adunque  nello  stesso  ordine  di  idee  che 
nei  contrasti  precedenti  esaminati  ;  e  basta  vedere  la  protasi  del 
contrasto  odierno  che  ora  abbiam  letta,  per  chiarirci  subito  che 
nei  punti  capitali  è  conformato  per  l'appunto  come  gli  antichi. 
In  quei  primi  quattro  versi  abbiamo:  —  1)  una  questione  di 
bellezza;  —  2)  le  rivali  che  hanno  i  nomi  di  Bianca  e  di 
Bruna,  derivati  dal  colore  delle  carni  ;  —  3)  la  superbia,  nel  terzo 
verso,  delle  fanciulle  o  di  una  sola  ;  —  4)  il  giudice.  Io  non  posso 
riportare  tutto  il  canto,  anche  perchè  non  breve  :  basterà  il  dire 
che  i  paragoni  delle  bellezze  sono  tolti,  per  lo  più,  da  cose  basse, 
casereccio,  alla  mano  a  tutti.  La  Brunetta,  per  esempio,  si  ras- 
somiglia al  vino;  la  Bianca,  alla  bambagia:  la  Brunetta  a 

la  tila, 
cà  la  tila  è  brunetta  ppe  natura  ; 


(1)  Edito  in  Ancona,  presso  il  Morelli,  1885. 


392  S.  FERRARI 

e  la  Bianca  al 

sapuni 
chi  ci  fanu  la  varba  li  varlieri. 

E  cosi  fino  alla  fine  ;  ove  per  altro  non  abbiamo,  come  non  mai 
si  ha  negli  altri  componimenti,  la  deliberazione  del  giudice;  ma 
la  chiusa  è  data  dalla  Bianca,  che,  al  solito,  è  vinta,  e  dichiara 
la  sua  disfatta.  Questa  è  la  chiusa: 

Brunetta.    —    Ju  su' brunetta  e  su  cumu  lu  mari, 
duvi  portanu  Y  acqua  tutti  i  jumì  : 
duvi  vana  li  varchi  a  navicari, 
duvi  si  mera  lu  suli  e  la  luna. 

lanca.         —    Povara  vita  mia  'nterra  jetatta 
mo'chi  sugnu  restata  perditura! 
Aiu  ccu  lu  miu  tuortu  leticatu, 
Brunetta,  ti  soi  nava  e  reditura. 

Questo  a  me  par  sufl3ciente  per  determinare  che  negli  episodi 
deìV  Orlando  e  del  Mor gante  e  quindi  nel  Contrasto,  il  nuovo 
elemento  introdotto  di  più  che  nel  Danese,  era  pur  esso  deri- 
vato da  una  materia  già  divenuta  popolare  :  ma  tutto  ciò  non 
giova  che  ad  illustrare  l'antico  Contrasto  della  Bianca  e  della 
Bruna  in  quella  parte  di  sua  invenzione  che  arriva  alla  scelta 
dei  giudici,  e  nello  scioglimento  sempre  favorevole  alla  Bruna;  ma 
nell'antico  Contrasto  rimane  tuttavia  altra  materia  poetica  che 
non  si  trova  nel  dèbat  francese  (e  si  sono  già  viste  le  ragioni, 
per  le  quali  in  nessun  modo  il  poeta  poteva  dare  tale  esplicazione 
al  suo  gentile  poemetto),  e  non  si  trova  negli  episodi ,  i  quali 
naturalmente  essendo  parte  di  più  vasta  tessitura  non  potevano 
essere  trattati  con  quella  larghezza  che  può  e  deve  concedersi 
invece  ad  un  componimento  che  ha  ragione  di  essere  in  se  stesso 
e  non  è  parte  di  nessun  altro.  Questa  nuova  parte  è  il  combat- 
timento a  colpi  di  mazza  fra  le  due  fanciulle;  della  quale  mi 
sbrigherò  con  poche  parole  dicendo  che  probabilmente  al  nostro 
anonimo  l' idea  della  pugna  venne  dal  poemetto  di  Franco  Sac- 
chetti che  ha  per  titolo:  La  Battaglia  delle  belle  donne  di  Fi- 


IL  CONTRASTO  DELLA  BIANCA  E  DELLA   BRUNA  393 

renze  colle  vecchie:  che  altre  fonti  vicine  e  popolari  alle  quali 
potesse  attingere,  io  non  conosco.  Forse  il  poeta  ne  conobbe,  e  dal 
popolo  le  derivò  :  a .  me  non  rimane  che  da  sperare  di  aver 
condotto  il  lettore  a  credere  nella  probabilità  del  fetto;  poiché 
ciò  vorrà  dire  che  egli  è  meco  d' accordo  nel  ritenere  come 
l'autore  del  Contrasto  non  sia  altro  che  uno  dei  molti  canta- 
storie, più  0  meno  colti,  che  alla  fine  del  quattrocento  rimaneg- 
giavano la  poesia  lirica  ed  epica  che  era  im  patrimonio  comune 
dei  popoli  di  razza  neolatini  :  ed  è  ancora  meco  d'accordo  nel  cre- 
dere alla  popolarità  nel  Quattrocento  del  Contrasto  della  Bianca 
e  della  Bruna  nelle  varie  forme  che  abbiamo  esaminate  (1). 

Severino  Ferrari. 


(1)  L'amico  Salomone  Morpurgo  mi  avverte  che  egli  nella  biblioteca  Vit- 
torio Eman.  di  Roma,  vide  alcuni  anni  or  sono  un  esemplare  del  Contrasto, 
di  cui  fece  allora  la  descrizione  che  segue.  La  notizia  mi  è  giunta  troppo  tardi 
perchè  io  me  ne  potessi  giovare.  Nella  misceli.  3059,  ops.  23  è  «  Il  Contrasto 
«  I  Della  I  Bianca  |  E  Della  |  Brimctta  |  Con  una  frottola  di  Bellizari  |  di  Ci- 
«  goli  II  Nuouamente  ristampata  ».  Sotto  :  rozza  e  piccola  incisione  rappre- 
sentante una  battaglia  «  In  Viterbo  per  Pietro  Martinelli  [s.  a.]  |  Con  Licenza 
«  de'  Superiori  ».  Ops.  di  carte  12  con  segnature  Aj-Ag  e  richiami  A  e.  9* 
«  Frottola  di  Bellizari  |  Da  Cigoli  ».  Comincia  :  «  Ch'intende  stia  attento  ». 
Aggiungo  ancora  che  il  Passano  (Novellieri  Italiani  in  verso,  Bologna, 
Romagnoli,  1868)  descrive  una  stampa  a  p.  18:  4s.Contrasto  (il)  della  bianca 
«  e  della  brunetta  con  una  frottola  di  Bellizari  da  Cingoli,  Bologna 
«  (s.  a.  n.  I.)  in  4°.  Carte  4  a  2  col.  con  una  stampa  in  legno  sul  fronte- 
«  spizio.  L'edizione  sembra  fatta  sul  finire  del  sec.  XVI  ».  (E  forse  quella 
di  cui  parlò  il  Libri.  Vedi  più  sopra  il  mio  articolo  a  pp.  360  e  61).  Rimanda 
poi  a  p.  13:  «  Bruna  (la)  e  la  Bianca  s.  1.  n.  a.  In  8">  »;  e  ricava 
questa  notizia  del  Quadrio  voi.  VI,  p.  365.  E  il  Quadrio  a  tal  luogo  registra 
fra  i  poemetti  del  genere  «  La  Bruna  la  Bianca.  In  8°  senz' altra  nota, 
«  ma  è  stampa  di  Siena.  Contiene  questo  poemetto  in  8»  rima  una  storiella 
«  delle  dette  due  donne  che  per  gara  di  qual  fosse  più  bella  vennero  fra 
«  loro  a  battaglia  ».  Può  credersi  da  questo  parole  del  Quadrio  che  nella 
stampa  su  descritta  non  vi  sia  indizio  di  Belizari  da  Cingoli ,  il  che  con- 
forterebbe quanto  io  a  tal  proposito  ho  asserito  e  ragionato,  ma  bisogne- 
rebbe pur  poterla  vedere  questa  stampa. 


OiomaU  storico,  VI,  fase.  18.  M 


_A.  jP  I>  E  ISr  D  1  O  E 


A  compimento  della  stampa  popolare  che  ha  il  Contrasto 
della  Bianca  e  della  Brunetta,  publico  la  frottola  di  Belizari  da 
Cingoli,  e  la  ballata  che  chiude  la  raccoltina.  Alla  frottola 
aggiungo  le  lezioni  varianti  che  ci  sono  porte  dal  codice  Ma- 
gliabechiano,  II,  I,  398  (Catalogo  del  Bartoli,  tomo  ì,  p.  265), 
scritto,  per  quella  parte  che  reca  la  frottola,  nella  seconda 
metà  del  Cinquecento  ;  e  la  ballata  corredo  delle  varietà  che  si 
hanno  nel  codice  Marucelliano  C  256  (della  metà  del  Quattro- 
cento), secondo  che  si  ledono  a  stampa  nella  pag.  56  e  seg.  del 
volumetto  curato  dall'Alvisi  col  titolo  di  Canzonette  Antiche, 
uscito  in  Firenze,  presso  la  libreria  Dante,  nel  1884.  A  pagina  80 
dello  stesso  volumetto  si  impara  ancora  che  la  ballata  All'inferno 
voglio  andare  era  annoverata  fra  quelle  su  cui  si  regolava  il 
canto  delle  canzoni  sacre,  come  si  ricava  dalle  due  raccolte  di 
laudi  stampate  in  Firenze  nel  1485  e  nel  1512,  e  da  una  terza 
manoscritta  conservata  dal  codice  della  SS.  Annunziata  che  ha 
il  numero  1545. 


FROTOLA  (1)  DE  BELIZARI  DA  CINGOLI 

Chi  intende  staga  a  tento,  Socatre  in  certo  loco 

che  inteso  ho  volte  cento  questo  bel  motto  ha  messo  ; 

a  degni  omini  dire:  che  conoscer  sé  stesso 

piacciavi  sempre  a  udire  per  certo  è  gran  fatica  : 

assai,  e  parlar  poco.  10    che  infino  alla  formica 


(1)  La  st.,  per  errore,  Fotola. 

1.  Chi  ode  stia.  —  3.  Da  savi  omini.  —  10.  E  infino. 


IL  CONTRASTO  DELLA  BIANCA  E   DELLA  BRUNA 


395 


li  piace  il  bon  governo; 
la  estate  per  l' inverno 
ripon  la  vituaglia. 
Chi  procaccia  e  travaglia, 

15    resiste  ad  ogni  stento. 

Tal  volta  un  om  vai  cento, 
e  cento  non  vai  uno. 
Chi  non  stima  nissuno, 
pigli  essempio  da  Saulo. 

20    Non  è  si  brutto  el  diaulo 
come  el  si  dipinge: 
or  ti  coce,  or  ti  tinge, 
e  molti  si  fan  belli. 
Chi  ha  paura  di  ucelli, 

25    non  getti  il  seme  in  terra. 
Non  parlar  mai  di  guerra 
so  voi  viver  in  pace. 
La  speranza  è  fallace, 
non  riesci  i  pensieri, 

■30    li  sogni  non  son  veri, 
se  lo  aspettar  rincresce. 
Chi  voi  pigliar  del  pesce 
bisogna  che  si  bagni. 
Non  lasar  mai  compagni 

35    immezo  dell'  impiccio. 
Chi  fa  come  lo  riccio 
parte  compagni  presto. 
Gentil  costume  è  questo, 
che  tu  non  faci  ad  me 

40    quel  che  non  vói  per  te, 
fugendo  inganni  e  dolo. 
Cerca  prima  star  solo 


che  male  accompagnato. 
D'omo  che  sia  segnato 

45    non  te  fidar  col  pegno. 
Se  dice  amor  e  regno 
non  voi  mai  compagnia. 
Se  camini  per  via, 
tienti  al  sentier  antico. 

50    Perfetto  è  quel  amico 
che  r  hai  nel  tempo  reo. 
Chi  non  è  bon  giudeo 
non  è  mai  bon  cristiano. 
Prega  Dio  de  star  sano 

55    e  aver  bona  ventura. 
Chi  fuge  e  chi  ha  paura, 
vien  mangiato  da  cani. 
Da  furia,  da  villani, 
ancor  da  gran  partiti, 

60    e  dalli  fiumi  quiti, 
fugine  mille  miglia, 
Delle  volpe  si  piglia, 
delle  maestre  dico. 
Chi  è  povero  e  mendico 

65    non  debbe  esser  altiero. 
Non  li  si  crede  il  vero, 
chi  se  dà  troppo  vanto. 
Non  si  pò  esser  santo 
senza  tormento  atroce. 

70    E  sempre  il  troppo  noce, 
el  poco  non  ce  basta. 
Tutto  el  viaggio  guasta 
chi  manca  in  mezzo  il  corso. 
Col  bastone  e  col  morso 


11.  bmn  governo.  —  12.  tastate  per.  —  13.  la  vettovaglia.  —  18.  stima  alcuno.  —  19.  pigli 
exeìplo.  —  20.  Non  è  brutto  il  diavolo:  e  cosi  anche  la  st.  —  21.  Cosi  come  si  finge.  —  82.  0  ti 
morde ,  o  ti.  —  23.  Chi  ti  fa  belli  belli.  —  25.  Ifon  getti  seme.  —  29.  Non  riesce  e.  —  80.  17 
sogni.  —  31.  £^  l'aspettar.  —  34.  mai  i  compagni.  —  35.  Nel  mezo.  —  37.  compoffnia  presto.  — 
39.  faci  a  altri.  —  40.  quello  non.  —  44.  Omo  che.  —  46.  Dice  chamore.  —  48.  Se  (w  di  amdar 
por.  —  51.  Che  ài.  —  55.  avere  buona.  —  57.  Sei  van  mangiando.  —  58.  di  nllani.  —  59.  Aneh» 
da  stran.  —  60.  e  dagli  fiumi  cheti.  —  63,  Delle  mastre  ti  dico.  —  64.  CU  ò  pcter  mendico.  — 
69.  Santa,   —   70.  El  troppo  sempre  noce.  —  73.  o  meio. 


396 


S.  FERRARI 


75    si  scorge  ogni  cavallo. 

Per  una  vo[l]ta  el  fallo 

si  deve  perdonare. 

Sempre  trova  daffare 

chi  va  cercando  rogna. 
80    Non  creder  a  chi  sogna; 

fa  come  San  Tomasso. 

De  qui  non  dir  non  passo, 

che  gli  omini  se  affronta. 

In  im'  ora  se  sconta 
85    r  ingiurie  e  di  mill'  anni. 

Li  uomini  ne  gli  affanni 

si  prova,  e  l'or  nel  fuoco. 

Vói  veder  un  da  poco? 

guarda  come  il  se  regge. 
90    Chi  sempre  l'arme  elegge, 

combatte  col  vantaggio. 

Ho  inteso  un  motto  saggio 

da  greci  e  da  latini, 

che  chi  semina  spini, 
95    discalzo  andar  non  debbia. 

Quel  che  se  fonda  in  nebbia. 

el  fondamento  cade. 

Chi  troppo  sotto  rade 

sol  spesso  scorticare. 
100  Del  vin  dolce  cavare 

visto  ho  lo  aceto  forte. 

Nemo  della  sua  sorte 

si  contenta  e  diletta. 

Non  cercar  mai  Vendetta 


105  con  tua  vergogna  e  danno. 

Chi  voi  ricchir  'n  un  anno, 

è  impiccato  in  sei  mesi. 

Li  giorni  in  vano  spesi, 

tutto  è  tempo  spreccato. 
110  Chi  fa  doppio  el  peccato 

dupplica  penitentia. 

Chi  non  ha  patientia 

non  può  salir  ad  alto; 

né  si  può  far  bel  salto 
115  essendo  un  loco  stretto. 

Chi  gioca  destro  e  netto 

li  paga  di  calcagna. 

Uccello  di  campagna 

è  meglio  che  di  gabbia. 
120  La  superbia  e  la  rabbia 

sempre  voi  star  in  cima. 

Tre  cose  non  si  stima: 

beltà  di  meretrice  ; 

un'  altra  ancor  si  dice  : 
125  fortezza  di  bastagio  ; 

l'altra  dirò  più  adagio: 

conseglio  de  disfatto. 

Chi  può  far  un  bel  tratto, 

non  chiami  i  vicini. 
130  Passare  e  bergamini 

ne  stan  per  tutto  el  mondo. 

Tiente,  non  gir  al  fondo; 

piglia  essempio  da  l'oglio. 

Sempre  dov'  è  cordoglio 


75.  Si  doma.  —  77.  Si  debba.  —  81.  —  san  Tommaso.  —  82.  Di  qui  non  dire  a  caso.  — 
83.  Che  degluomini.  —  84.  En  un'  ora.  —  85.  —  Lengiurie.  —  86.  E  gluomini.  —  87.  Si 
prouovano.  —  89.  come  si.  —  90.  Sempre  chi.  —  91.  con  vantaggio.  —  95.  scalzo.  —  97.  A 
questo  punto  il  cod.  aggiunge  i  versi  che  si  leggono  più  sotto  segnati  coi  numeri  che  vanno  dal 
159  al  165,  più  la  prima  parola  (salvo)  del  166.  Errore  di  memoria  che  l'amanuense  corresse  pas- 
sandogli sopra  più  tratti  di  penna.  —  98-99.  Mancano  nel  cod.  —  105.  Di  farla  con  tuo.  — 
108.  E  giorni.  —  109.  Tutto  «7  tempo  è  sprezato.  —  110.  Così  fa.  —  113.  in  alto.  —  115.  in 
luogo.  —  117.  lo  paga.  —  119.  E  me  che  della.  —  124.  Dun  altra.  —  130.  Pasere  e  fiorentini. 
—  131.  Ne  sono.  —  133.  H  cod.  salta  17  versi  e  rìappicca  con  quello  da  noi  numerato  150. 


IL  CONTRASTO  DELLA  BIANCA  E   DELLA  BRUNA 


397 


135  si  sol  star  in  accidia. 
Prima  dcsid(e)ra  inuidia 
che  la  compassione. 
Trislo  e  longo  sermone 
Tha  in  odio  a  chi  l'ascolta. 

140  Chi  te  inganna  una  volta 
non  te  ne  fidar  più. 
Non  so  si  hai  inteso  tu 
questo  per  cosa  nova, 
che  papari  si  trova 

145  che  mena  a  bever  l'oche. 
Savie  persone  poche, 
de  matti  vidi  assai. 
Fu  seminato  in  guai 
quando  fu  fatto  il  mondo; 

150  è  l'amaro  in  fondo, 

per  ogniun  la  sua  parte  : 
natura  e  '1  ciel  comparte 
le  cose  dolce  e  agre. 
Sempre  alle  bestie  magre 

155  sogliono  andar  le  mosche. 
Le  guerre  lite  tosche 
sempre  si  fan  coi  pugni. 
Colui  che  crede  a  sugni, 
se  fonda  in  acqua  o  fiume. 

160  Piccion  eh'  abbia  bon  piume 
leva  de  gran  peliate. 
Le  balle  paregiate, 
non  c'è  vantagio  un  pelo. 
Non  è  più  santi  in  cielo 

165  che  a  l'inferno  diavoli. 
Salvò  la  capra  e  i  cavoli 
colui  che  fece  il  tuto. 
Che  ti  par  di  quel  muto 


che  te  dechiara  corno? 
170  Maledetto  è  quello  omo 

che  in  omo  se  confida. 

Chi  te  consiglia  e  grida, 

li  debbi  esser  tenuto. 

Meglio  assai  uno  adiuto 
175  che  cinquanta  consigli. 

Sempremai  fa  che  pigli 

li  partiti  migliori. 

Quattro  cinque  e  sei  fiori 

già  non  fa  primavera. 
180  Da  bosco  e  da  rivera 

gli  omini  assai  piace. 

Chi  sente  de  l'audace, 

lo  adiuta  la  fortuna. 

Chi  non  ha  cosa  alcuna, 
185  cosa  alcuna  non  perde. 

Chi  se  conduce  al  vérde 

facci  del  desperato. 

Tal  volta  toma  el  fiato 

a  chi  sta  su  la  morte. 
190  Spesso  chi  vive  in  corte, 

si  more  a  l'ospedale. 

Cucina  senza  sale, 

fagli  zero  via  zero. 

Dui  giotti  a  un  tagliere 
195  fa  per  uno  e  per  doi. 

Frotola,  come  pòi 

predici  questo  mutto, 

tanto  che  sapia  il  tutto. 

ci  fa  eh'  io  mora  in  breve. 
200  Prima  morir  si  deve 

che  aver  la  fede  fallace. 

Frottola  resta  in  pace.—  Finis. 


150.  E  dello  atnato.  —  151.  Jf'à  ciasetmo  U.  -  155.  Sogìion  posar  le.  -  156.  Uto  «  toteht. 

—  157.  con  pugni.  —  158.  sogni.  —  159.  «  in  fiume.  —  160.  ckan  buone.  —  166.  etiro  a  U 
eapra  «'.  —  106.  Che  dirai  di  quel  mutto.  169.  Che  lo  dechian.  — 170.  Maìadttio  qutUo.  —  173. 
Gli  dehhe.  —  174.  Meglio  è.  —  176.  Fa  sempre  mai.  —  178.  o  sei.  —  179.  non  fan.  —  181.  iati  mi. 

—  189.  in  sulla.  —  193.  La  st.  ha,  con  manifesto  errore ,  Mero  via  caro.  Il  cod.  :  fagli  un  M 
Mero  Mero.  —  194.  Dua  ghiotti  a  uno.  —  195.  per  do.  —  196.  Frotolta  ma  non  può  no:  •  eoa 
questo  verso  la  frottola  ha  compimento  nel  ms.. 


398 


S.  FERRARI 


BALLATA  (1). 


A  l'inferno  voglio  andare 
come  tristo  e  disperato, 
non  mi  venga  alcuno  allato 
che  m'ardisca  confortare; 
5        A  l'inferno  voglio  andare 
come  tristo  e  disperato. 
Ognun  dice  :  porta  in  pace. 
Fatto  sta  che  non  posso  io 
star  in  vita  in  un  desio, 

10    poi  che  son  scazato  a  torto: 
non  bisogna  dar  conforto 
a  chi  sia  per  anegare. 

A  l'inferno  ecc. 
Se  t'avesse  fatto  oltraggio, 

15    portarla  patientia, 

ma  me  duol  far  penitentia 
non  avendo  mai  peccato  : 
a  gran  torto  m'  hai  lassato 
meschinello  in  pene  amare. 

20        A  l'inferno  ecc. 

(0)  amator(i)  di  me  pigliati 
questo  esempio  e  questo  specchio; 


per  amar  son  fatto  vecchio 
poscia  al  fin  abandonato: 
25    questo  è  quel  e'  ho  guadagnato 
per  seguire  e  per  amare. 

A  l'inferno  ecc. 
Quando  in  terra  sarò  posto, 
che  sarà  fra  poco  spatio, 
30    cridarò  de  tanto  stratio 
sempre  mai  vendetta  a  Dio, 
poscia  ancor(a)  col  spirito  mio- 
lo  verro  a  molestare. 
A  l'inferno  ecc. 
35    0  meschin  chi  se  confida 
de  amoroso  sacramento; 
che  '1  m'è  dato  in  pagamento 
quel  giamai  (non)  haria  creduto,, 
e  non  son  più  conosciuto 
40    né  in  ciel,  né  in  terra,  né  in  mare. 
A  l'inferno  voglio  andare 
come  tristo  e  disperato 
non  mi  venga  alcun  allato 
che  m'ardisca  a  confortare. 
Il  fine. 


(1)  n  titolo  manca  nella  stampa. 

1.  All'inferno  ch'i  voglio.  —  7.  L'ordine  delle  strofe  è  diverso  nel  cod.,  ove  l'ultima  della  st, 
è  prima  ;  la  terz'  oltima ,  ultima  ;  la  prima  ,  dopo  la  ripresa ,  seconda  ;  e  la  seconda ,  terza.  — 
8.  chi  non.  —  9.  t'  non  disio.  —  10.  po'  eh'  i  son  lascaio.  —  12.  sia  per.  —  14.  s'i  avessi 
fatto  oltraggo.  —  15.  Porterilo  in.  —  17.  mai  errato.  —  18.  torto  t'  som  lascato.  —  21.  Ama- 
tori da  mme  pigliate.  —  23.  Per  amor  son.  —  24.  E  al  fine.  —  26.  Per  servire  e.  — 
30.  Qriderrò  d'intornno  straezio.  —  32.  E  po'  lo  spirito  mio.  —  33.  Verrà  te  a.  —  37.  Che  m'à. 
—  38.  QueU  eh'  i'  mai  are'.  —  39.  Non  sono  più.  —  40.  Uè  in  terra  né  'n  cieli. 


Ora  mi  tocca  di  fare  un'ultima  aggiunta.  Nella  Palatina  di  Firenze  ho 
ultimamente  trovato  un  opuscoletto ,  senza  data  ma  certo  del  cinquecento , 
che  porta  la  frottola  di  Belizari  da  Cingoli  da  sola.  Ho  rinvenuta  questa 
stampa  troppo  tardi  per  potermene  giovare  convenientemente  nel  corpo  del- 
l'articolo e  nell'Appendice  ;  mi  basta  perciò  far  osservare  come  essa  fornisca 
un  niipvo  argomento  per  credere  Belizari  sia  autore  soltanto  della  Frottola 
che  va  unito  al  Contrasto  della  Bianca  e  della  Bruna,  e  non  del  Contrasto 
né  della  ballata.  Questa  é  la  stampa  che  nella  Palatina  di  Firenze  ha  l'in- 
dicazione E,  6,  6,  154,  n»  12  :  Frottola  |  di  Belizari  |  da  Cigoli.  |[  Nuo- 
vamente ristampata  ad  instanza  d'ogni  spirito  gentile.  [|  [C'è  una  vignetta 
che  rappresenta  una  persona  seduta  al  tavolo  in  atto  di  scriverei.  In  Fio- 
renza, Per  Gianantonio  Caneo.  |  Nella  piazza  del  Serenissimo  |  Gran  Duca 
[s.  a.].  Il  Sono  quattro  carte  in  ottavo  senza  num.  e  segnat.  Incomincia:  Chi 
intende  staga  attento:  finisce:  non  stanno  bene  insieme.  Finis. 


VAR I  E  TÀ 


NOTIZIE  BIOGRAFICHE  DI  RIMATORI  ITALIANI 


del  secoli  ^CTTI  e  2XV. 


II. 

FRANCESCO  DA  BARBERINO. 

Dopo  che  un  romanista  di  molta  fama,  il  prof.  A.  Thomas,  ha 
cosi  ciottamente  dissertato  intorno  alla  vita  ed  ap:li  scritti  di  messer 
Francesco,  è  ben  naturale  che  nel  campo  da  lui  mietuto  agli  altri 
non  resti  a  raccogliere  se  non  qualche  spiga,  rimasta  a  lui  ce- 
lata 0  inavvertita.  Perciò,  mentre  attendiamo  con  viva  impa- 
zienza dal  professore  di  Tolosa  comunicazione  dei  documenti,  da 
lui  testé  ritrovati  a  Vienna  (1),  i  quali  debbono  arrecare  nuova  ed 
insperata  luce  intorno  alle  cagioni  che  determinarono  il  da  Bar- 
berino a  recarsi  in  Francia  e,  una  volta  arrivatovi,  a  dimorarvi 
assai  più  lungamente  di  quello  che  avesse  fermato;  non  reputo 
inutile  dar  luogo  qui  a  due  documenti ,  che  ce  lo  mostrano  nei 
suoi  anni  maturi,  in  Firenze,  e  ci  danno  alcune  notizie  intorno 
ai  beni  da  lui  posseduti.  Al  secondo  di  essi  dà  qualche  maggiore 
interesse  il  fatto  che  vi  ritroviamo  ricordata  la  seconda  medile 


(1)  Vedi  Romania,  XIII,  451. 


400  F.  NOVATl 

di  messer  Francesco;  della  quale  al  Thomas,  come  all' Ubaldini, 
erano  rimasti  ignoti  e  il  nome  e  la  famiglia  (1). 

L'uno  e  l'altro  son  tratti  dai  protocolli  di  ser  Mazzingo  da 
Monterappoli  (2)  : 

Eodem  anno  et  indictione  \_i33i,  Ind.  XIV^  die  vigesimo  secundo  mensis 
Aprelis  (sic)  secundum  consuetudinem  florentinam.  Actum  in  populo  sancii 
Florentii  fior,  presentìbus  testibus  ser  Junta  Bindi  de  Asciano  notario , 
Stephano  Sintoris  de  Asciano,  qui  moratur  Florentie  et  Bufo  Corsi  pop. 
sancte  Chrestine  —  et  aliis  ad  hoc  vocatis  et  rogatis.  Pateat  omnibus  evi- 
denter  hanc  paginam  inspecturis  quod  sapiens  vir  dominus  Franci- 
scus  quondam  Nerii  de  Barberino,  iuris  utriusque  peritus, 
qui  ìiodie  moratur  in  populo  sancii  Florentii  supradicii,  om,ni  via,  jure, 
modo  ,  causa  et  forma  ,  quibus  m,elius  potuit  per  se  et  per  suos  heredes 
iure  proprio  in  perpetuum  dedii,  vendidit  et  tradidit  et  concessit  et  quod 
plus  valet  infrascripto  pretio  pure,  libere,  simpUciter  et  irrevocabiliter 
inter  vivos  donavit  Symoni  quondam  Manfredi  pop.  sancii  Michaelis  Ber- 
telde  de  Florentia ,  qui  hodie  m.oratur  in  pop.  sancii  Stephani  in  pane 
prò  se  et  suis  heredibus  em.enti  et  recipienti,  quoddam.  podere  et  ierras 
cum  palaiio  et  domo  adherente  sive  appodiata  dicio  palaiio  et  cum, 
m,uris  et  duobus  tinis ,  actis  ad  vendemiam,  et  cum,  vineis  olivis  et  aliis 
arboribus  super  se  positis  in  populo  sancte  Lucie  de  Casciano ,  Castri  de 
Barberino,  Comitaius  Florentie  etc....  Et  hanc  venditionem  donaiionem  et 
omnia  singula  suprascripta  et  infrascripta  fedi  dicius  dominus  Fran- 
ci scus  prò  pretio  et  nomine  pretii  florenorum  de  auro  quingentoruni 
bonorum  et  purorum,  recti  ponderis  et  conii  fiorentini. 

Segue  a  questo  atto  la  Procurano  facta  per  dictum  domi- 
num  Franciscum  prò  dicto  Symone  e  quindi  la  Consensio  et 


(1)  Vedi  Thomas,  Fr.  da  Barb.,  p.  31.  D.  M.  Manni  nel  suo  prezioso 
Zibaldone  di  Notizie  Patrie,  che  si  conserva  nella  Bigazziana  di  Firenze , 
fa  cenno  di  un  documento  nel  quale  appariva  come  attrice,  Barna,  prima 
ancora  che  fosse  donna  di  messer  Francesco.  Riporto  qui  quanto  egli  scrive 
a  e.  71  r  :  «  Da  Barberino.  1314.  D.  Barna  q.  Tani  Ranerii  Conosci ,  pò- 
«  puli  S.  Felicitatis  promiitit  D.  Francisco  Judici  de  Barberino  suo  futuro 
«  marito.  Aggiugnilo  al  Mazzuchelli  ». 

(2)  I  protocolli  di  ser  Mazzingo  di  Napoleone  Gennai  da  Monterappoli,  se- 
gnati G.  107,  sono  contenuti  in  due  grossi  volumi,  il  primo  di  carte  sive  foliis 
de  bombice  (come  scrive  lo  stesso  ser  Mazzingo  in  fine  del  volume  apponendovi 
il  segno  di  tabellionato)  366  ;  il  secondo  di  sole  161  ;  ma  è  mutilo.  Ser  Mazzingo 
aveva  la  clientela  dei  Seminetti  e  de'  Giandonati,  ed  era  anche  il  notaio  del 
Capitolo  fiorentino,  come  risulta  da  quanto  si  legge  a  e.  314  del  primo  vo- 
lume. I  due  atti  qui  riferiti  stanno  a  f.  57t  e  59t  di  questo  stesso  tomo. 


VARIETÀ  401 

Renuntiaiio  domine  Barne  uxoris  domine  Francisci,  che  in 
parte  riferisco: 

Item  postea  anno  et  indictione  pred.  die  vigesimo  tertio  dicti  mensis 
Aprelis  actum  in  pop.  sancii  Florentii  fior,  presentibus  testibus  ser  Dino 
ser  Yermilgli  de  Castro  fiorentino  et  ser  Tuccio  Gerini  de  Tingnano  et 
ser  Bartolo  Nevaldini  de  Barberino  notario ,  qui  morantur  Florentie  et 
aliis  ad  hec  vocatis  et  rogatis.  Domina  Barna  filia  olim  Tanucci 
R  in  ieri  et  uxor   domini   Francisci   quondam    Nerii  predicti , 

lecto  sibi  et  per  ordinem  exposito  dicto  instrumento  venditionis  etc 

consensu  et  parabola  dicti  dom.ini  Francisci    viri  sui  consensit  et  re- 
nuntiavit  om,ni  iuri  suo  ypotecarum,  etc.  (1). 


(1)  Aggiungerò  qui  qualche  altra  notiziola  intorno  al  Da  Barberino ,  ve- 
nutami sott'occhio.  Un  atto,  rogato  da  Ser  Lupino  di  Giovanni  Riceuti  del 
1297 ,  in  cui  compare  Ser  Franciscus  Neri  de  Barberino ,  cita  nei  suoi 
spogli  F.  Dell'  Ancisa  ,  il  quale  fa  pur  cenno  d' altre  carte  ove  il  nostro 
è  ricordato.  Uno  strumento  da  lui  rogato  è  citato  nelle  Delizie  degli  Eruditi 
Toscani,  t.  X,  p.  228.  Del  1327  è  un  lodo,  a  cui  egli  prese  parte;  Tistru- 
mento,  che  sta  fra  quelli  di  Ser  Giallo  di  Dino  da  Petrognano  (Archivio 
di  Stato,  e.  480,  f.  llOt),  comincia  cosi:  Item  eodem  anno  et  indictione  die 
trigesima  m.ensis  Junii  nos  Franciscus  de  Barberino,  utriusque 
iuris  doctor  et  Bartholomeus  condam  Gucci  de  Siminettis  de  Florentia, 
arbitri ,  arbitratores  et  amici  comm,unes  electi  et  absumpti  a  Ser  Janno 
olim,  Buonaprese  de  Siminettis  prò  se  ipso  tantum-  et  etiam,  prò  Simone 
eius  filio  ex  parte  una  et  Berto  olim  Ser  Primerani  de  dictis  Siminettis 
prò  se  ipso  et  domina  Caterina  et  Franceschina  eius  filiabus,  prò  quibus 
et  qualibet  earum  de  rato  et  rati  habitione  promisit  ex  parte  altera  ;  et 
domina  Lagia  uxor  Simonis  de  Aleis  etc.  L'atto  fu  steso  in  casa  di  messer 
Francesco,  posta  nel  pop.  di  S.  Fiorenzo.  Si  noti  questo  nuovo  esempio  del 
nome  di  Lagia  da  unirsi  a  quelli  già  ricordati  dal  Renier  (  Giorn.  stor., 
IV,  330);  anche  nelle  Provvigioni  del  1351  (f.  69)  apparisce  una  Domina 
Lagia  de  Barberino.  Tornando  al  poeta  1' Ancisa,  ci  fa  sapere  che  egli 
fu  del  1341  console  per  l'arte  dei  Giudici  e  dei  Notai.  Contemporaneo  al 
nostro  fu  un  altro  Francesco  da  Barberino,  anch'  egli  notaio',  del  quale  è 
ricordo  nelle  Provvigioni  del  1354  (f.  22),  e  nelle  Delizie  degli  Erud.  Tose, 
XXI,  p.  57. 

F.  NOVATI. 


RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 


PIETRO  ERCOLE.  —  Guido  Cavalcanti  e  le  sice  rime.  —  Studio 
storico-letterario  seguito  dal  testo  critico  delle  rime  con  com- 
mento. —  Livorno,  F.  Vigo,  1885  (8°,  pp.  416). 

Se  la  fama  di  Guido  Cavalcanti,  come  pensatore  e  come  poeta,  fu  molto 
notevole  nei  tempi  in  cui  visse  e  nel  secolo  di  cui  egli  vide  appena  gli  al- 
bori (1),  non  si  può  dire  che  tacesse  dipoi.  11  nome  di  chi  aveva  avuto  l'o- 
nore d'esser  chiamato  dall'Alighieri  il  suo  primo  amico,  non  poteva,  per  ciò 
solo,  esser  di  leggieri  oscurato,  né  nei  letterati  potea  venir  meno  la  curiosità 
di  leggere  quelle  rime  con  cui  avea  tolto  l'uno  all'altro  Guido  \  La  gloria 
della  lingua.  Se  peraltro  la  sua  celebre  canzone  sulla  natura  d'amore  tentò 
più  volte  l'acutezza  dei  filosofi,  sicché  abbiamo  a  stampa  il  commento  sopra 
di  essa  di  Dino  del  Garbo  (1498) ,  di  Paolo  del  Rosso  (1568) ,  di  Girolamo 
Frachetta  (1585),  di  Egidio  Romano  (1602),  ed  altri  se  ne  conservano  ine- 
diti (2);  non  è  men  vero  per  questo  che  una  edizione  in  cui  si  riunissero 
tutte  e  sole  le  rime  del  nostro  Guido  dovea  farsi  aspettare  parecchio.  La 
più  antica  e  copiosa  raccolta  di  rime  di  Guido  trovasi  nella  celebre  edizione 
giuntina  del  1527,  ma  non  é  compiuta,  né,  come  si  sa,  consacrata  a  questo 
solo  poeta.  A  una  raccolta  esclusiva  sembra  bensì  che  pensasse,  già  nel  se- 
colo XVI,  il  senese  Gelso  Cittadini ,  e  il  materiale  messo  insieme  da  lui  è 
nel  ms.  Chig.  L.  IV.  122  ;  ma  egli  non  riuscì  a  colorire  il  suo  disegno,  sicché 


(1)  L' Ercole  (pp.  26-29)  indica  gli  scrittori  antichi  che  si  occuparono  di  Guido ,  cioè ,  oltre 
Dante  e  Dino,  Giovanni  e  Filippo  Villani ,  il  Boccaccio,  U  Sacchetti.  Egli  pubblica  anche  di  su 
un  cod.  di  Udine  un  sonetto  d'  un  Giovanni  Pellegrini  in  lode  di  Salomone  ebreo  ,  nel  quale  è 
menzionato  il  Cavalcanti  tra  altri  poeti.  A  questo,  volendo,  si  potrebbero  aggiungere  un  sonetto 
abbastanza  noto  di  Cino  Binuccini  ed  una  ignota  canzone  di  Anselmo  Calderoni  (cfr.  il  mio  Fazio, 
p.  ccLxxv),  la  menzione  della  Leandreide  {Arch.  per  Trieste  ,  I,  315)  e  quella  della  Fimerodia 
(Propugnai.,  XV,  I,  348),  ove  si  dice  del  Cavalcanti  che  «  nel  filosofare  ebbe  gran  grido  ». 

(2)  Cbescimbeki,  1.  d.  v.  p.,  H,  267. 


RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA  403 

di  lui  abbiamo  a  stampa  solamente  alcune  notizie  sulla  vita  del  Cavalcanti  (1). 
Né  più  fortunato  sembra  fosse  il  tentativo ,  rimasto  ignoto  all'  Ercole,  del- 
l'insigne erudito  roveretano  Girolamo  Tartarotti,  il  quale  pure,  verso  il  mezzo 
del  sec.  passato ,  s'  era  accinto  a  raccogliere  tutto  il  patrimonio  poetico  di 
Guido  (2).  Sicché,  se  si  vuole  una  raccolta  esclusiva  delle  rime  di  lui» 
bisogna  pur  scendere  sino  all'anno  1813,  in  cui  Antonio  Gicciaporci  metteva  in- 
sieme, con  non  troppa  soddisfazione  degli  eruditi,  la  sua  raccolta  non  venale. 
La  quale  raccolta  stessa,  non  troppo  facilmente  reperibile,  e  condotta  con 
la  intenzione  manifesta  di  impinguare  il  più  possibile  il  retaggio  poetico  di 
Guido,  veniva  soppiantata  nel  1881  dalla  nota  edizione  dell'Arnone. 

All'Arnone  va  tenuto  conto  ch'egli  fu  dei  primi  a  tentare  fra  noi  un  testa 
critico  con  tutto  l'apparato  di  erudizione  che  ad  un  lavoro  simile  si  conviene. 
Che  se  il  suo  testo  non  può  dirsi  critico  affatto,  e  se  il  suo  faticoso  tenta- 
tivo di  stabilire  una  genealogia  dei  codici  miscellanei  sulla  base  delle  sole 
rime  di  Guido  è  fallito,  e  se  di  sviste  e  di  errori  quel  suo  libro  certo  non 
manca ,  non  per  questo  è  lecito  a  chi  non  sia  uso  contaminare  con  preoc- 
cupazioni personali  rabbiose  la  serenità  e  la  dignità  degli  studi  gridargli  la 
croce  addosso.  Ed  è  perciò  che  io  non  saprei  mai  lodare  abbastanza  il  pro- 
fessore Ercole,  che  dando  ora  del  Cavalcanti  una  edizione  per  ogni  rispetto 
migliore  di  quella  del  suo  antecessore,  seppe  contenersi  verso  di  lui  da  ga- 
lantuomo e  da  gentiluomo. 

Per  quanto  riguarda  il  testo,  la  edizione  dell'Ercole  viene  in  molta  parte 
a  confermare  quella  dell'Arnone.  Come  l'Arnone,  cosi  pure  l'È.  ammette  che 
due  sole  delle  canzoni  attribuite  al  Cavalcanti  dal  Gicciaporci  siano  vera- 
mente autentiche  (pp-  204-11);  concordi  sono  i  due  critici  (né  poteva  essere 
diversamente)  nel  dichiarare  apocrifi  la  frottola  ed  il  madrigale  attribuiti  a 
Guido  da  qualche  codice  (pp.  220-21);  concordi  in  genere  anche  rispetto  alle 
ballate,  due  delle  quali  l'È.  si  astiene  dal  pubblicare  perchè  furono  combat- 
tute dall'Arnone  con  argomenti  di  valore  molto  discutibile  (pp.  217-20)  (3). 


(1)  Cfr.  Ercole,  pp.  171  e  193. 

(2)  Lo  Zeno  ,  annotando  la  Bihliot.  del  Fontaxini  (Venezia ,  1753 ,  II ,  1-2)  scrive  :  «  Qaeete 
«  Rime  del  Cavalcanti  han  bisogno  di  nna  mano  medica  e  caritatevole  ,  che  gnaste  e  malconcie 
«  le  emendi  e  raddrizzi,  o  mancanti  le  ajnti.  Si  spera  che  questa  sarà  quella  del  sig.  ab.  Girol. 
«  Tartarotti  da  Boveredo,  dal  qaale  sien  riprodotte  in  migliore  stato,  riscontrate  sopra  altri  esem- 
<  plari  ,  e  accresciute  ,  e  di  note  necessarie  arricchite  ,  e  tali  che  vie  più  confermeranno  l' alta 
«  estimazione  ,  che  si  ha  del  suo  acuto  ingegno  e  posato  giudicio  ».  Il  Tartarotti  infatti  lasciò 
tttk  le  sue  carte  un  indice  delle  rime  del  Cavalcanti  stampate  e  mss.,  come  ci  attesta  il  Vannetti, 
e  dietro  a  lui  Iacopo  Morelli  nelle  Aggiunte  mss.  al  Catalogo  Zanetti,  che  si  leggono  nel  codice 
Marciano  R.  XCIX.  In  quelle  aggiunte  si  parla  pure  di  un  ms.  membranaceo ,  esistente  allora 
nella  pubblica  biblioteca  di  Bovereto,  che  il  Tartarotti  avea  comprato  in  Roma  nel  1739.  Questo 
ms.  dovea  contenere  sonetti  e  canzoni  di  Dante,  il  commento  di  Dino  del  Garbo  alla  canz.  Dofma 
mi  prega,  volgarizzato  da  Iacopo  Mangiatroia  ,  e  due  canzoni  di  Lionardo  d'  Arezzo.  I  caporeni 
di  queste  due  canzoni  sono  dal  Tartarotti  stesso  indicati  in  un  suo  artìcolo  della  RaccoUa  Calo- 
gero, voi.  XXIII,  p.  253,  ove  parla  di  quel  suo  codice  (cfr.  anche  della  st«s8a  Raccolta  voi.  XXXII, 
pp.  155-56).  Dove  ora  questo  codice  si  trovi  non  mi  è  riuscito  di  precisare. 

(3)  In  questo  e  in  parecchi  altri  casi  sì  sente  il  desiderio  di  nna  sezione  distinta  in  cui  fos- 
sero pubblicate  le  rime  di  autenticità  dubbia. 


404  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

Intorno  ai  sonetti,  se  ne  togli  qualche  confusione  naturalissima  con  Guido 
Orlandi,  i  codici  presentano  sufficienti  guarentigie  di  autenticith.  È  ben  vero 
che  nel  1884 ,  in  un  foglio  letterario  settimanale ,  che  allora  si  pubblicava 
in  Roma,  veniva  annunciata  con  aria  di  mistero  la  scoperta  di  una  canzone 
da  attribuirsi  a  Dante,  e  di  61  sonetti  inediti  del  Cavalcanti.  E  la  scoperta 
sarebbe  stata  davvero  ragguardevole,  se  fosse  stata  una  scoperta.  Ma  le  ra- 
gioni per  cui  quei  versi  adespoti  del  cod.  Vaticano  3793  avrebbero  dovuto 
assegnarsi  nientemeno  che  all'Alighieri  ed  al  primo  amico  suo,  non  parvero 
convincenti  a  chi  se  ne  occupò.  11  D'Ancona  si  dichiarò  contrario  alla  attri- 
buzione della  canzone  a  Dante  (1)  ;  TE.  dimostra,  con  buone  ragioni  (pp.  359-63), 
quanto  sia  inverosimile  che  quel  gruppo  di  sonetti  appartenga  a  Guido.  Solo 
peraltro  quando  anche  quella  parte  del  codice  vaticano  sarà  posta  in  luce, 
la  critica  potrà  esercitarsi  in  questa  controversia. 

Ai  58  codici  esaminati  dall'  Arnone  l'È.  ne  aggiunge  cinque ,  tutti  abba- 
stanza noti,  il  445  della  Capitolare  di  Verona,  l'O.  63  sup.  dell'Ambrosiana, 
il  Mgl.  VII,  1040,  il  Martelliano  celebre  per  i  Conti,  il  Ferroniano  I,  IX.  18 
della  Comunale  di  Siena.  Come  gli  fu  già  osservato,  poteva  tener  conto  anche 
del  Mgl.  VII,  1060  (2),  che  da  p.  317,  n.  2,  si  può  arguire  non  essergli  ri- 
masto ignoto.  —  Ai  cinque  nuovi  mss.  esaminati  l'È.  dedica  una  descrizione 
più  larga ,  quelli  già  descritti  dallo  Arnone  accenna  semplicemente.  Ma  sì 
nell'un  caso  come  nell'altro,  questa  bibliografia  lascia  alquanto  a  desiderare. 
Siccome  i  codici  miscellanei  di  rime,  che  per  queste  edizioni  di  poeti  dei 
primi  secoli  si  usano,  sogliono  essere  quasi  sempre  gli  stessi,  mi  sembra  che 
ormai  converrebbe  smettere  l'abitudine  di  ripetere  (talora  incompiutamente) 
le  medesime  descrizioni,  e  molto  più  ragionevole  sarebbe  il  rimandare  a  co- 
loro che  prima  ne  hanno  tenuto  parola.  Così  rispetto  ai  codici  Riccardiani 
2846  e  1118,  al  Mgl.  VII.  1208  e  al  Veronese  445,  l'È.  avrebbe  fatto  bene 
a  rimandare  alle  tavole  che  ne  pubblicò  il  Casini  in  questo  Giornale  (3), 
e  così  pure  per  quel  che  riguarda  il  Vaticano  3213  (4).  E  quanto  al  Pala- 
tino 418  dovevasi  accennare  alla  stampa  diplomatica  che  se  ne  sta  facendo 
nel  Propugnatore;  e  intorno  al  cod.  Centanni  (Marciano  it.  IX,  63)  dove- 
vasi osservare  averne  dato  la  tavola,  pure  nel  Propugnatore  (5),  il  Ronconi. 
L'  E.  sembra  creda ,  ed  è  un  errore,  che  il  cod.  Vatic.  3214  sia  stato  pub- 
blicato intero  da  L.  Manzoni  (pp.  172  e  201) ,  mentre  egli  non  riprodusse 
se  non  quella  parte  di  esso  che  allora  era  inedita.  E  forse  in  base  a  tale 
equivoco  che  l'È.  rimanda  altrove  alla  stampa  del  Manzoni  per  la  canzone 
di  Tommaso  da  Faenza  in  difesa  d'  Amore ,  della  quale  realmente  il  Man- 
zoni (6)  non  diede  se  non  il  capoverso ,  mentre  fu  pubblicata  intera  prima 


(1)  Canzon.  vatic,  III,  361. 

(2)  Cfr.  Oiornale,  IV,  119-21. 

(3)  III,  171-81  e  187-89;  IV,  116-18  e  123-28.  Nel  discorrere  del  cod.  Capitolare  il  Casini  cadde 
in  pareccM  errori,  che  verranno  rettificati.  Anche  rispetto  alle  poesie  antiche  del  Mgl.  VII,  1040 
«ra  da  richiamare  il  Giornale,  II,  339  n. 

(4)  Cfr.  Giornale,  UI,  162  w. 

(5)  XIV,  I,  192-94. 

(6)  Riv.  di  fil.  rom.,  I,  75. 


RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA  405 

dallo  Zambrini  (1)  e  poi  da  me  (2).  Non  è  esatto  il  dire  (p.  180  n.)  che  il 
cod.  it.  554  della  Nazionale  di  Parigi  è  una  riproduzione  in  tutto  fedele 
della  raccolta  aragonese ,  che  abbiamo  in  due  noti  mss.  fiorentini ,  giacché 
il  cod.  Parigino  si  scosta  nelle  ultime  carte  dagli  altri.  Né  è  cosa  giusta 
l'attenersi,  per  la  raccolta  Bartoliniana,  al  cod.  Marciano,  mentre  si  sa  che 
la  copia  più  antica  che  ne  possediamo  è  nel  ms.  2448  dell'Universitaria  di 
Bologna,  ms.  cui  l'È.  accenna  (p.  184  n.),  senza  dargli  veruna  importanza, 
e  non  indicandone  neppure  la  segnatura  esatta.  Del  non  avere  egli  fatto  caso 
delle  altre  tre  copie  note  di  quella  raccolta  di  rime,  non  gli  vorrò  io  muovere 
rimprovero. 

Come  già  fece  l'Arnone,  TE.  pone  a  base  di  buona  parte  della  sua  edi- 
zione il  cod.  Ghig.  L.  Vili.  305  e  il  Vatic.  3214.  Solo  il  testo  di  quattro  poesie 
si  appoggia  su  altri  codici.  Ma  a  differenza  di  quanto  1'  Arnone  fece ,  1'  E. 
non  si  fa  scrupolo  di  introdurre  nel  suo  testo  critico  quelle  varianti  che 
crede  rispondenti  «  alla  lingua,  all'arte,  all'intenzione  del  poeta  »  (pp.  169 
e  p.  223).  Neir  esame  che  io  feci  di  parecchie  tra  queste  liriche ,  confron- 
tandole con  la  riproduzione  diplomatica  del  cod.  Ghigiano  data  dal  Molteni 
e  dal  Monaci  e  col  testo  semidiplomatico  dell'Arnone,  potei  convincermi  che 
l'È.  non  abusa  di  questo  suo  criterio  soggettivo,  ma  ne  usa  con  quella  par- 
simonia e  oculatezza  che  in  simili  bisogne  non  dovrebbero  mai  mancare. 
Io  non  ho  peraltro  la  beata  sicurezza  di  poter  affermare  cosi  in  assoluto  che 
questo  modo  di  pubblicare  i  testi  sia  il  migliore ,  anzi  sia  l'unico  vero.  Di 
una  tale  sicurezza  mi  vergognerei,  dopo  avere  messo  in  pratica  io  stesso  un 
sistema  diverso  (3).  Ghe  il  costruirsi  un  codice  nuovo,  togliendo  ai  testi  che 
si  conoscono  quello  che  sembra  più  consentaneo  all'  indole  dell'autore  e  al 
suo  stile ,  sia  per  lo  meno  molto  pericoloso ,  dovrebbe  essere  consentito  da 
tutti.  Ciò  non  toglie  peraltro  che  questo  sistema  possa  essere  praticato  senza 
scrii  inconvenienti  in  alcuni  casi  speciali,  giacché  dobbiamo  persuaderci  che 
in  questa,  come  in  tante  altre  questioni  di  metodo,   un  criterio  assoluto  ed 


(1)  Op.  volg.  a  st.^,  p.  385. 

(2)  Fazio,  p.  219.  Credevo  che  dopo  quanto  fu  osservato  in  quel  mio  libro  (p.  cccxjux  n.)  non 
si  dovesse  più  dire,  come  fa  l'E.  (p.  57  n.  ),  che  «  Tomaso  di  Faenza  non  è  altri  che  il  Tomaso 
«  di  Buezuola  ricordato  da  Dante  ».  Che  io  sappia ,  nessun  testo  antico  lo  chiama  così ,  mentre 
Ugolino  è  detto  chiaramente  Ugolino  bitmola  di  romagrw,  dal  Tatic.  3214. 

(3)  Molto  malamente,  a  quanto  dicono  alcuni.  Sospettai  quasi  che  me  lo  dicesse  anche  ,  nella 
maniera  più  cruda,  il  prof.  Casini,  nella  Rivista  critica  del  maggio  '85  (uscita  in  ottobre),  il  quale, 
discorrendo  appunto  del  presente  libro  dell'Ercole,  accenna  a  tale,  che  dopo  aver  criticato  il  me- 
todo suo,  fece  cattiva  prova  nella  pratica  mettendo  insieme  <  il  più  bello  e  ameno  e  grosso  zi- 
«  baldone  che  in  fatto  di  potati  antichi  possa  vantare  la  filologia  italiana  modernissima  ».  Se  non 
che  questo  sospetto  mi  si  dissipò  subito ,  giacché  mi  tornarono  alla  mente  le  parole  con  coi  lo 
stesso  prof.  Casini  terminava  una  recensione  di  quel  mio  libro  inserita  in  questo  GiortMÌ»  (I,  477): 
«  Del  resto  queste  piccole  mende  non  possono  oscurare  il  merito  indiscutibile  del  lavoro  del  B., 
«  il  quale  può  ben  compiacersi  di  aver  arricchita  la  filologia  italiana  dì  un'opera  che  la  onora  e 
<  rende  testimonianza  amplissima  dell'indirizzo  serio  ed  efficace  che  certi  studi  vanno  prendendo 
«  fira  noi  ».  Quale  figura  buffonesca  avrebbe  fatta  quel  valentuomo,  se  il  mio  sospetto  fosse  stato 
ra^onevole  ! 


406  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

identico  non  si  può  avere,  non  dirò  per  tutti  i  secoli,  ma  neppure  per  tutti 
gli  scrittori.  La  pubblicazione  critica  dei  testi  antichi ,  nelle  attuali  condi- 
zioni degli  studi,  senza  che  si  abbia  modo  di  stabilire  una  indiscutibile  ge- 
nealogia dei  manoscritti  miscellanei  di  rime,  presenta  ancora  mille  difficoltà 
e  mille  incertezze.  In  questo  lento  lavorìo  chi  viene  dopo  ha  dei  grandi  van- 
taggi su  chi  viene  prima,  vantaggi  che  di  rado  sono  riconosciuti. 

Il  lavoro  che  ha  fatto  TE.  sul  testo  del  Cavalcanti  può  dare  certo  luogo 
a  molte  obiezioni  particolari;  ma  bisogna  convenire  che  è  stato  condotto 
con  coscienza  ed  intelligenza.  Non  contento  di  dare  di  ogni  poesia  le  va- 
rianti e  lo  schema  metrico,  egli  ha  voluto  accompagnarle  con  una  parafrasi 
e  con  un  commento.  Il  commento  è  storico,  esegetico,  comparativo.  Nel  com- 
mentare la  difficilissima  canzone  filosofica  egli  si  valse,  con  ragione,  dei 
commenti  antichi,  specialmente  di  quello  del  Colonna.  Talvolta  gli  avviene 
in  queste  chiose  di  perdersi  in  digressioni  non  troppo  opportune ,  come  là 
dove,  a  proposito  del  sonetto  famoso  /'  vegno  'l  giorno  a  te  infinite  volte, 
discorre  delle  varie  opinioni  sul  traviamento  di  Dante  (pp.  324-29),  o  dove 
(pp.  406407)  discute  la  cronologia  della  ballata  Perch'  i'  no  spero  di  tornar 
giammai.  Tali  discussioni  le  avrei  vedute  più  volentieri  nel  discorso  proe- 
miale, ove  si  fa  la  storia  interna  di  Guido  e  della  sua  poesia. 

I  sette  primi  capitoli  sono  destinati  a  questa  trattazione  interna ,  di  cui 
l'Arnone,  nel  volume  suo,  non  si  occupò  punto.  Nella  prima  parte  TE.  di- 
scorre della  vita  di  Guido,  nella  seconda  più  particolarmente  de'  suoi  versi. 
Nel  ritessere  la  vita  pubblica  del  poeta  e  nello  esporre  le  tristi  sue  vicende 
in  mezzo  al  parteggiare  tristissimo  de'  tempi  suoi,  egli  si  è  valso  molto  delle 
ricerche  non  mai  abbastanza  lodate  del  Del  Lungo.  Su  una  cosa  sola  qui 
vorrei  richiamare  l'attenzione  dell'E.  Egli  sembra  credere  che  «  Guido  abbia 
«  avuto  la  prima  educazione  retorico-filosofica  da  Brunetto  Latini  »,  quan- 
tunque ritenga  che  il  Cavalcanti  non  fosse  precisamente  condiscepolo  di 
Dante  (pp.  12-13).  Ora,  che  Brunetto  tenesse  veramente  scuola  in  Firenze  è 
negato  ragionevolmente  da  molti  critici.  Ma  io  non  credo  poi  affatto  che 
egli  avesse  mai  nella  città  sua  la  importanza  che  l'P].  gli  attribuisce  e  che 
gli  antichi  eruditi  inclinavano  a  dargli.  A  p.  63  l'È.  dice  che  le  nozioni  di 
fisica  penetrarono  in  Firenze  «  per  tante  e  diverse  compilazioni ,  tra  cui 
«  sommo  fu  il  Tesoro  di  ser  Br.  Latini  »  ;  a  p.  55 ,  facendo  una  divisione 
non  troppo  felice  delle  diverse  scuole  poetiche  che  vigevano  in  Firenze,  ne 
riconosce  una  «  derivata  dal  francese  e  rappresentata  da  Br.  Latini  »,  e  a 
questa  scuola  riaccenna  a  p.  66,  ove  chiama  il  Latini  «  introduttore  dei 
«  poemi  didascalici  ed  allegorici  in  Firenze  »;  a  p.  130  n.  suppone  addirit- 
tura che  «  il  nuovo  carattere  filosofico  »  venisse  alla  lirica  dagli  «  insegna- 
«  menti  e  dall'esempio  di  Br.  Latini  ».  Tutto  questo ,  io  credo ,  è  campato 
in  aria.  Né  come  scienziato,  né  come  letterato  abbiamo  ragione  di  ritenere 
che  il  Latini  esercitasse  una  influenza  grande  sui  suoi  concittadini;  e  par- 
lare di  una  scuola  poetica  fondata  da  lui,  che  fu  sì  povero  verseggiatore,  é 
semplicemente  lavorare  di  fantasia.  So  bene,  del  resto,  che  queste  idee  non 
sono  dell'E.  solamente;  esse  hanno  tutte  la  loro  origine  remota  in  quel  vanto 
di  digrossatore  de'  Fiorentini,  che  G.  Villani  accorda   così  generosamente 


RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA  407 

a  Brunetto.  Quanto  poco  fondato  sia  questo  encomio  solenne,  fu  già  da  altri 

mostrato  recentemente  (1). 

«  L'amore  fu  per  Guido  il  sentimento  più  caro,  più  naturale  »  (p.  49).  Il 
primo  e  quindi  il  più  caldo  ed  alto  amore  del  Cavalcanti  fu  per  quella  Gio- 
vanna, che  di  Beatrice  fu  primavera.  Con  ingegnosa  analisi  psicologica  l'È. 
cerca  stabilire  quali  delle  liriche  amoro.se  di  Guido  debbano  reputarsi  dirette 
a  lei.  Sono  la  maggior  parte,  e  quelle  per  l'appunto  in  cui  più  si  discerne 
l'impronta  dello  stil  nuovo.  11  .secondo  amore  del  poeta  fu  per  la  tolosana 
Mandetta,  e  T  E.  crede  avesse  i  caratteri  d'  una  vera  passione.  «  Dopo  1'  a- 
«  more  sereno  per  Giovanna  e  la  passione  per  Mandetta,  spinto  dall'indole 
«  ardente  dell'animo,  andò  errando  qua  e  là  per  altri  amori,  che  poterono 
«  per  qualche  tempo  destargli  desiderii  e  passioni;  ma  non  lasciarono  mai 
«  traccia  profonda  nel  corso  della  sua  vita  »  (p.  46).  Tra  questi  amori  leg- 
gieri l'È.  mette  quello  per  la  Pinella  bolognese,  che  crede  da  identificarsi 
con  la  pastorella. 

11  più  importante  e  ben  fatto  tra  questi  capitoli  riguardanti  la  vita  del 
Cavalcanti  è  quello  che  tratta  delle  sue  amicizie.  L'  E.  ha  il  merito  di  avere, 
nella  pai'te  introduttiva  di  questo  capitolo,  tentato  per  primo  una  classifica- 
zione delle  corrispondenze  poetiche  nel  dugento  (pp.  56-68).  Quantunque  non 
tutte  le  cose  che  qui  son  dette  persuadano  interamente  il  lettore  (2)  e  quan- 
tunque vi  si  notino  ommissioni  non  lievi  (3),  nessuno  vorrà  negare  a  queste 
pagine  la  importanza  che  hanno.  Passa  quindi  TE.  a  trattare  particolarmente 
delle  corrispondenze  poetiche  di  Guido  con  l'Orlandi,  con  Dino  Compagni, 
con  Gianni  Alfani,  con  Lapo  degli  liberti  e  finalmente  delle  sue  relazioni 
con  Cino  e  con  Dante —  La  corrispondenza  con  l'Orlandi  offre  campo  all'È, 
di  fare  una  digressione  sulla  religiosità  di  Guido  (pp.  74-83).  Egli  ritiene 
non  si  abbiano  suflBcienti  argomenti  per  giudicare  eterodosso  il  poeta  fioren- 
tino. A  me  sembra  che  se  ne  abbiano  ancora  meno  per  ritenerlo  ortodosso, 
e  che  anche  dopo  le  riflessioni  dell' E.  gli  argomenti  del  D'Ovidio  (4)  ten- 
denti a  spiegare  il  celebre  verso  del  X  Inf.  e  quelli  del  Bartoli  (5)  sul  pel- 
legrinaggio a  S.  Jacopo,  cui  il  Cavalcanti  s'era  indotto  così  di  mala  voglia 
e  che  terminò  invece  sì  lietamente  a  mezza  via,  abbiano  molto  peso.  Se  non 
che  io  credo  che  qui  l'È.  non  si  scosti  poi  tanto  dall'  opinione  degli  altri 
come  a  lui  stesso  forse  può  sembrare.  Egli  non  istenta  ad  ammettere  che 
Guido  fosse  spregiudicato  e  «  oscillante  tra  la  fede  ed  il  dubbio  »  ;  solo  non 
crede  che  fosse  ateo.  A  me  sembra  che,  in  fin  dei  conti,  gli  stessi  sosteni- 


(1)  Dal  Notati  iu  questo  Giornale,  VI,  189. 

(2)  Non  so  come,  per  es.,  si  possa  dire  che  il  Compagni  non  dovette  conoscere  personalmente  il 
Goinizelli,  solo  perchè  gli  dice  in  un  sonetto  Ma  voi  sentite  d'amor,  credo,  poco  (p.  59). 

(3)  Tra  queste  voglio  notarne  specialmente  una.  L'È.  non  doveva  trascurare  una  delle  più  an- 
tiche corrispondenze  poetiche  che  ci  siano  rimaste ,  intendo  accennare  a  quella  tra  Iacopo  Mo- 
stacci, Pier  della  Vigna  e  Iacopo  da  Lentino  recata  dal  cod.  Barberiniano  XLV.  47,  e  lumeggiata 
recentemente  dal  Monaci  (Sui  primordi  della  scttola  poetica  siciliana,  Boma,  1884).  Un'altra 
corrispondenza  simile  ravvisò  il  Monaci  stesso  (p.  15  ».)  nel  Caiuon.  ckigiano. 

(4)  Saggi  critici,  pp.  312-19. 

(5)  Storia,  IV,  164-67. 


408  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

tori  dell'incredulità  di  Guido  siano  d'una  opinione  molto  simile  alla  sua. 
Essi  vollero  riconoscere  nel  Cavalcanti  un  eterodosso,  non  un  ribelle  addi- 
rittura. 

La  seconda  parte  della  trattazione  interna,  in  cui  l'È.  si  addentra  nell'e- 
same delle  rime,  è  rilevante  ancor  essa.  L'A.  ha  cercato  di  esaurire  l'argo- 
mento (1),  ma  forse  non  vi  è  riuscito  come  credeva.  Egli  ha  seguito  le  orme 
del  Bartoli  nel  distinguere  l'elemento  filosofico  dall'elemento  fantastico  nella 
poesia  di  Guido  e  nel  far  notare  le  differenze  tra  il  primo  elemento  e  lo 
psicologismo  del  Guinizelli.  Ma  a  me  sembra  che  qui,  meglio  che  in  qua- 
lunque altro  luogo,  avrebbe  trovato  posto  una  indagine  non  ancora  fatta  e 
per  lo  meno  molto  curiosa.  Si  tratta  di  esaminare  minutamente  quanto  di 
personale  abbia  Guido  introdotto  nella  sua  canzone  Donna  mi  prega,  la 
quale,  si  voglia  o  non  si  voglia,  è  in  gran  parte  la  chiave  per  intender  la 
metafisica  amorosa  dei  poeti  dello  stil  nuovo.  Questa  indagine,  mi  sembra, 
non  sarebbe  stata  per  nulla  estranea  al  soggetto,  come  TE.  crede  {p.  114), 
né  avrebbe  presentato  le  difficoltà  che  egli  imagina.  Se  l'È.  la  avesse  fatta, 
forse  non  gli  sarebbe  sembrata  tanto  nuova  la  teoria  (o  meglio  rappresenta- 
zione psicologica)  degli  spiritelli,  ch'egli  chiama  con  poco  acconcio  vocabolo 
spiritismo  (p.  130-33).  11  passaggio  della  celebre  teoria  delle  tre  anime  a 
questa  figurazione  fantastica  degli  spiritelli  è  molto  più  agevole  di  quanto 
a  prima  giunta  apparisca.  E  la  stessa  teoria  anzi,  che  passata  dal  regno 
della  riflessione  in  quello  della  fantasia,  vi  trova  nuovi  aspetti  e  nuove  forme 
e  si  diletta  a  scoprire  delle  piccole  personalità  concrete  là  dove  vi  sono 
unicamente  le  diverse  manifestazioni  particolari  di  quelle  tre  grandi  fun- 
zioni della  vita,  che  la  filosofia  scolastica  voleva  nettamente  distinte. 

Non  mi  è  dato  indugiarmi  sui  capitoli  che  particolarmente  trattano  dei 
sonetti  e  delle  ballate.  Così  in  genero  posso  dire  che  mi  sembrano  condotti 
bene,  con  ordine,  con  amore,  e  che  vi  è  concessa  la  parte  dovuta  alla  consi- 
derazione della  metrica,  la  quale  in  libri  di  questo  genere  non  dovrebbe  mai 
essere  trascurata.  Un  felice  ravvicinamento  l'È.  ha  fatto  tra  il  sonetto 
della  scrignatuzza  di  Guido  e  quello  della  vecchiuzza  di  Cecco  Angiolieri 
(pp.  14S51).  Egli  propende  a  credere  che  il  sonetto  dell' Angiolieri  sia  fog- 
giato su  quello  del  Cavalcanti. 

Il  libro  adunque  che  il  prof.  E.  ha  pubblicato  può  dirsi  un  libro  utile 
sotto  tutti  gli  aspetti,  e  farebbe  male  chi  per  qualche  difetto  che  vi  si  trova 
negasse  allo  studioso  critico  del  Cavalcanti  la  benemerenza  ch'egli  si  è  con- 
quistata. Una  cosa  sola  a  me  sembra  da  biasimarsi  acerbamente  e  senza 
pietà,  la  inesattezza  continua  e  veramente  strana  delle  citazioni.  Può  dirsi 
un  caso  quando  l'A.  cita  esattamente  le  pagine  dei  libri  cui  egli  rimanda  : 
di  solito  cita  appena  le  maggiori  divisioni  di  essi  ;  molte  volte  neppur  queste. 
Citazioni   simili  non  possono  essere  verificate  che  con   somma  difficoltà  e 


(1)  Lo  si  vede  specialmente  dalle  continue  domande  che  egli  si  muove,  alcune  delle  quali  sono 
tali  da  non  poter  avere  che  una  risposta  tutta  ipotetica.  Che  ragione  v'era ,  p.  es. ,  di  chiedersi 
perchè  Guido  non  scrivesse  un  trattato  filosofico  in  prosa  (p.  113) ,  e  perchè  Dante  non  menzio- 
nasse anche  la  seconda  canzone  del  Cavalcanti  (p.  127)  ? 


RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA  409 

sono  contrarie  a  quella  precisione  critica,  che  in  altre  cose  TE.  possiede. 
Forse  è  questo  in  lui  solamente  un  difetto  di  pratica.  E  di  difetti  simili  non 
ne  mancano  certo  nel  suo  libro.  Uno,  fra  gli  altri,  è  questo,  che  nei  compo- 
nimenti lunghi  (canzoni  o  ballate)  la  numerazione  a  strofe,  cui  si  rimanda 
nella  distinta  delle  varianti,  non  corrisponde  alla  numerazione  continua  che 
i  componimenti  hanno  nella  stampa. 

Rodolfo  Renier. 


RAFFAELLO  FORNACI  ARI.  —  La  letteratura  italiana  nei  primi 
quattro  secoli  {XIII-XVl).  —  Quadro  storico.  —  Firenze  , 
G.  G.  Sansoni,  editore,  1885  (16°,  pp.  xii-417). 

Quadro  storico?  E  dunque  dopo  il  Disegno  storico  già  ritoccato  e  ricolo- 
rito, finalmente  un  libro  che  per  quattro  secoli,  dal  XIII  al  XVI,  ci  dia,  più 
che  uno  schema,  un  vero  e  proprio  manuale  della  nostra  storia  letteraria  ?  Che 
cosa  ha  voluto  fare  l'egregio  prof.  Raffaello  Fornaciari;  e  potremmo  domandare 
anche  :  il  disegnatore  ben  noto  com'è  riuscito  pittore  ?  Nella  prefazione  egli 
dichiara  lo  scopo  del  suo  libro  con  molta  esattezza.  «  Un  libro  di  storia 
«  letteraria  che  stesse  saldo  ai  fatti  esattamente  esposti  secondo  le  migliori 
«  notizie ,  evitasse  ogni  spirito  di  sistema  e  certe  simpatie  ed  antipatie  in- 
«  giuste  ed  esagerate,  che  s'avvicinasse  insomma  nel  modo  che  comportano 
«  i  tempi  e  la  natura  di  un  compendio  alla  maniera  rigorosa  insieme  e  tran- 
«  quilla  del  Tiraboschi;  un  libro  che  non  si  levasse  a  teorie  egheliane  di 
«  estetica  nebulosità,  ma  mostrasse  contenuti  nel  fatto  stesso  i  pregi  e  i  di- 
«  fetti  letterarii  conforme  ai  risultamenti  più  accertati;  un  libro  altresì  che 
«  iniziasse  i  giovani  allo  studio  della  bibliografia  mal  separabile  da  quello 
«  della  storia,  tale  fu  il  concetto  che  ebbi  nel  comporre  il  presente  Quadro 
«  Storico,  ristretto  all'età  più  originale  della  nostra  letteratura.  Gli  diedi 
«  questo  titolo,  perchè  non  tutta  la  materia  fu  svolta  colla  stessa  ampiezza, 
<  ma  poste,  dirò  così,  sul  davanti  le  figure  principali,  le  altre  andarono  via 
«  via  degradando  e  sfumando  nel  fondo,  senza  dire  di  quelle  che  restarono 
«  fuori  del  tutto  ».  L'autore  seguita  poi  a  render  ragione  più  minutamente 
del  suo  metodo  e  del  suo  lavoro,  non  dissimulando  che  diverse  circostanze  gli 
furono  sfavorevoli  e  principalmente  il  fatto  che  egli  cominciò  a  scrivere  il 
libro  come  un  semplice  rifacimento  del  Disegno  storico. 

Dirò  subito  che  se  il  Quadro  storico  non  porta  contributo  notevole  di 
nuovi  fatti  e  giudizi  alla  storia  della  nostra  letteratura,  ha  in  confronto  di 
molti  dei  più  o  meno  infelici  compendi  apparsi  recentemente,  con  altri  non 
pochi,  il  pregio  delle  utilissime  note  bibliografiche,  alla  fine  di  ciascuna  le- 
zione, per  le  quali  l'alunno  delle  scuole  secondarie  e  anche  il  professore 
(come  dice  e  s'augura  l'autore ,  p.  xi)  hanno  il  mezzo  di  estendere  e  ap- 
profondire le  ricerche  sui  singoli  argomenti.  Ciò  che  toma  di  non  poca  lode 

Giornale  storico,  VI,  fase.  18.  27 


410  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

al  Fornaciari,  il  quale  allo  studio  della  lingua  e  della  letteratura  nostra  ha 
resi  anche  per  Taddietro  incontestabili  servigi. 

Non  mi  aifretterò  troppo  a  particolari  osservazioni  che  pure  avrei  da  fare 
in  non  piccol  numero,  e  alcune  delle  quali  trascelte  esporrò  :  noto  subito 
alcune  cose  che,  a  parer  mio ,  costituiscono  i  difetti  generali  del  lavoro,  e 
che,  trattandosi  di  un  libro  fatto  principalmente  per  le  scuole,  vogliono  più 
lungo  discorso  de'  particolari  errori. 

Il  F.  dice  di  aver  preferito  nello  scrivere  il  suo  Quadro  il  metodo  «  che 
«  aggruppa  gli  scrittori  secondo  le  principali  sedi  letterarie,  metodo  fondato 
«  sulla  natura  stessa  delle  cose  ecc.  ecc.  ».  In  fin  de'  conti  il  F.  di  questo 
metodo  si  serve  solamente,  e  non  esclusivamente,  per  cinque  lezioni,  usando 
nell'altre,  come  già  nel  Disegno,  o  la  trattazione  monografica  o  la  cronologica 
o  la  trattazione  per  generi  che,  come  è  facile  a  capire,  è  la  più  difficile,  ma 
anche,  ben  fatta,  la  più  semplice  e  la  più  vera,  secondo  me.  Ora,  il  metodo 
adoprato  per  quelle  cinque  lezioni  (meno  per  le  lezioni  sul  sec.  XIV,  ma  al 
massimo  grado  per  quelle  sul  sec.  XVI ,  nel  quale,  più  che  ne'  precedenti 
secoli,  la  letteratura  nostra,  pur  mantenendo  o  acquistando  talvolta  un  certo 
carattere  regionale,  fu  soprattutto  ed  essenzialmente  italiana),  questo  metodo 
oltre  ogni  dire  artificioso,  come  quello  che  ci  costringe  a  vagare  e  anche  a 
saltare  d'una  regione  in  un'altra  in  cerca  di  un  prosatore  o  d'un  poeta;  con 
l'antico  non  del  tutto  corretto,  mantenuto  per  alcune  parti,  e  quasi  direi,  so- 
vrapposto, genera  una  confusione  singolare,  come  parziali  esempì  dimostre- 
ranno. Confusione  tanto  più  grande  quanto  più  si  desiderano  nel  libro  del  F. 
certe  trattazioni  indispensabili,  secondo  l'opinione  mia,  in  un  buon  manuale  per 
le  scuole,  e  che  avrebbero  potuto  servir  bene  di  guida  in  quella  che  è  spesso 
una  selva  selvaggia.  E  sono:  invece  della  difettosissima  Introduzione,  della 
quale  toccherò,  una  dichiarazione  succinta  della  nomenclatura  tecnica,  paleo- 
grafica e  metrica  che  occorre  spesso  al  F.  d'adoprare  (se  anche  le  scuole 
secondarie  devono  finalmente  sapere  e  saper  chiamare  col  loro  nome  certe 
cose);  un  breve  sommario  della  storia  della  coltura  medioevale,  segnatamente 
in  Italia,  necessario  a  ben  comprendere  la  origine  della  lingua  e  della  lette- 
ratura nostra  (lezione  1  e  lì)  ;  una  qualche  notizia  delle  condizioni  poli- 
tiche e  della  storia  delle  scienze  e  delle  arti  in  Italia  ne' vari  periodi  della 
letteratura,  come  in  parte  già  fece  bene  l'Ambrosoli  e  il  Fornaciari  tenta 
per  alcune  città  in  alcuni  periodi  ;  uno  specchietto  cronologico  sapientemente 
ordinato  alla  fine  di  ogni  periodo  letterario ,  coi  nomi  degli  autori  e  delle 
opere,  come,  p.  es.,  neW Atlante  lett.  e  cronologico  della  leti.  it.  (Livorno, 
Masi,  1828),  e  da  \V.  Freund  nella  sua  Tafel  der  italienischen  Litteratur- 
geschichte,  benché  non  molto  bene,  si  tentò;  qualche  considerazione  sulle 
relazioni ,  molte  specie  per  il  periodo  studiato  dal  Fornaciari ,  della  lette- 
ratura nostra  colle  altre  d'Europa,  oltre  la  provenzale  antica  e  la  francese 
antica;  e  infine  una  disposizione  materiale  e  tipografica  (i  Francesi  ci  pos- 
sono insegnare)  più  grata  più  chiara  più  razionale ,  che  agevolasse  la  let- 
tura delle  non  poche  pagine. 

Questi  difetti,  con  altri  che  avrò  occasione  di  rilevare,  e  quell'errore  fon- 
damentale di  metodo  sopra  notato  tolgono  al  libro  del  F.  non  poco  valore  di- 
dattico. 


RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA  411 

Altro  difetto  generale,  per  alcune  parti  dipendente  dal  primo,  è  la  man_^ 
canza  d'economia  nella  disposiziono  e  nell'esposizione,  sicché  spesso  avviene 
di  desiderare  in  nota  quello  che  è  nel  testo ,  e  viceversa.  Un  terzo  difetto 
generale  finalmente,  parmi,  quella  indeterminatezza  e  nebulosità  di  lin- 
guaggio che  l'autore  adopera  di  sovènte  nell'indicare  certi  passaggi  da  un 
periodo  letterario  ad  un  altro ,  da  un  genere  ad  un  altro ,  questa  e  quella 
male  dissimulanti  il  suo  imbarazzo  dinanzi  a  certe  quistioni  o  di  per  sé 
difficili  0  tali  divenute  per  l'ordinamento  stesso  della  materia  (pp.  22,  29, 
64,  67,  69,  94,  tra  molte  che  potrei  citare). 

Difettosissima  ho  chiamata  l'introduzione  (La  letteratura  e  i  suoi  generi)  e 
vorrei  aggiungere  non  degna  di  rimanere  in  compagnia  degli  altri  capitoli, 
dove  l'autore  bene  spesso  si  addimostra  accorto  e  coscienzioso  estimatore  degli 
studi  e  de'  metodi  moderni.  11  F.,  volendo  pur  dare  un'introduzione  simile, 
avrebbe  dovuto  considerare  lo  svolgimento  storico  de'  vari  generi  letterari  e 
non  confondere  quello  che  i  generi  sono  oggi,  p.  es.,  per  l'Italia,  con  quello 
che  erano  prima,  per  esempio,  per  i  Greci,  o  sono  divenuti  di  poi  per  altri 
popoli.  E  qui  potrei  citare  copiosamente  quelli  che  a  me  paiono  gravi  errori, 
ma  che  altri  potrebbe  dire  speculazioni  sul  vero  e  sul  bello  in  relazione 
con  l'arte:  mi  contenterò  invece  di  notare  che  mentre  a  p.  4  il  Fornaciari 
scrive:  «  La  poesia  si  svolge  organicamente  nei  tre  generi  principali,  epopea 
«  lirica  drammatica  che  naturalmente  dovrebbero  seguirsi  in  quest'ordine  »; 
a  p.  6  ci  rivela  :  «  La  lirica  sarebbe  di  sua  natura  la  poesia  anteriore  a  tutte 
«  l'altre,  ma  dovendo  (sic)  trattare  con  maestria  le  passioni  e  rivestirsi  di 
«  una  forma  agile  ed  armoniosa,  fiorisce  per  lo  più  dopo  l'epopea...  ». 

Passiamo  ad  altro.  Nel  discorso  sull'origine  della  lingua  italiana  trovo  in 
generale  con  molte  inesattezze  (p.  es.  nel  paragr.  6  il  F.  discorre  ancora  della 
possibilità  d'un  tipo  di  lingua  letteraria  balenato  come  in  nube  agli  occhi 
de'primissimi  scrittori)  una  concisione  troppo  maggiore  di  quella  che  non  sia 
necessaria  per  lo  scolare  del  liceo,  per  il  quale  certe  quistioni  non  sono  mai 
troppo  chiaramente  esposte.  Così  nel  parlare  (lezione  li)  della  poesia  sicula, 
intorno  alla  quale  non  si  doveva  mancare  di  tener  conto  di  più  recenti  opi- 
nioni, come  quella  del  Monaci,  perchè  l'autore  non  accenna,  altro  che  con 
frasi  vaghe,  a  una  poesia  popolare  che  si  può  dimostrare  preesistente  alla 
provenzaleggiante?  E  perchè  nel  parlare  de'  più  antichi  monumenti  di  prosa 
non  si  è  tenuto  più  stretto  alla  divisione  nuova  e  scientifica  del  Bartoli , 
come  qualche  altro  compediatore,  p.  es.  il  Finzi,  fece?  E  tra  le  raccolte  di 
poesie  antiche  che  ei  cita  (alla  nota  5,  p.  33)  perchè  non  ricorda  la  Giun- 
tina, e  perchè  in  questo  luogo  almeno ,  opportunamente ,  non  dice  qualche 
cosa  de' principali  canzonieri  che  le  contengono?  Rincresce  di  vedere,  per 
esempio,  che  per  la  quistione  del  Malispini  (p.  31)  il  F.,  nel  testo,  discute,  e  più 
.  lungamente  del  necessario  ;  mentre  per  le  rime  di  Dante  (p.  43)  egli  accenna 
solo  rapidissimamente  a  qualche  dubbio  dei  critici  sulla  vera  appartenenza 
d'esse  ;  e  per  le  epistole,  fa  lo  stesso  e  fuor  di  posto  (p.  46,  cfr.  p.  38).  Del- 
l'egloghe di  Dante  al  così  detto  G.  del  Virgilio,  come  poi  di  quelle  del  Pe- 
trarca (pp.  46,  64)  lo  scolare  può  desiderare,  io  penso,  di  sapere  di  più,  e  se 
sieno  un  genere  nuovo  o  no.  E  gli  accenni  all'imitazione  del  Petrarca  pa- 
iono, a  p.  73,  al  lor  posto,  come  poi  nella  storia  del  sec.  XVI  (p.  es.  pp.  358 


412  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

e  388)  sufficienti?  Il  Fornaciari  crede  poi  sul  serio  (p.  73)  a  una  vera  e 
propria  popolarità  delle  rime  del  Petrarca?  È  errato  dire  «  la  gloria  del 
«  Boccaccio  come  pocla  dovea  essere  quella  di  dar  principio  (sic)  all'epopea  » 
(p.  84);  né  molto  oggettivo  parnii  il  giudizio  che  si  legge  sul  Corbaccio  (p.  91), 
e  troppo  ortodosso  (colgo  Y  occasione  di  dirlo)  in  generale  il  pensiero  del- 
l'egregio autore.  Quello  poi  che  si  dice  della  leggenda  troiana  (p.  85)  a  pro- 
posito del  Filostrato,  non  dimostra  che  il  F.  trascura  qualche  volta  di  li- 
correre  alle  vere  fonti,  e  lavora  di  seconda  mano?  Nella  lezione  VII  per 
ragione  del  metodo  adottato  si  parla  a  poca  distanza  di  Giotto  e  del  Frezzi 
(pp.  106  e  109)  e  mentre  fugacissimi  accenni  vi  trovi  allo  svolgimento  della 
poesia  popolare  (p.  116),  vi  hai  in  compenso  (p.  Ili)  riassanta  la  quistione 
diniana;  come  nella  lezione  Vili  (pp.  138  e  139)  tu  assisti  alla  discussione 
sull'autore  del  Governo  della  famiglia,  mentre  cerchi  invano  perchè  «  intorno 
«  alla  metà  e  dopo  (del  1400)  abbiamo  in  Firenze,  principalmente  per  la  pro- 
«  tezione  medicea,  un  periodo  di  letteratura  volgare  in  cui  il  popolo  nella  sua 
«  naturalezza  e  leggiadria  tende  a  conseguire  la  forbitezza  dei  letterati,  e  vi- 
«  ceversa  i  letterati  danno  ai  loro  studi  forma  paesana  e  popolare  »  (p.  130). 

Agli  scolari  domando  che  cosa  importerà  di  sapere  .se  la  tragedia  Orfeo  sia 
da  un  codice  magliahechiano  attribuita  al  Tebaldeo?  (p.  151).  La  storia,  per  la 
storia  della  quale  avrei  voluto  nel  libro  del  Fornaciari  maggiore  esattezza 
e  più  ordine,  si  cominciò  proprio  a  scrivere  in  lingua  italiana  alla  corte  di 
Lodovico  il  Moro  ?  (p.  160).  Quando  arriviamo  a'  lirici  del  quattrocento 
(p.  162)  non  si  sentirà  dal  lettore  il  bisogno  di  riconnetterli  coi  trecentisti,  di 
vedere  delle  due  epoche  poetiche  le  relazioni,  le  differenze  ?  Non  mi  pare 
né  elegante  né  proprio  dire:  <<  Siamo  giunti  al  sec.  XVI,  cioè  a  quelli  au- 
«  tori  che,  o  nati  in  esso  o  nel  precedente,  scrissero  durante  il  medesimo  le 
€  loro  opere  principali  »  (p.  173). 

Sul  cinquecento  il  Fornaciari  ci  dà  in  confronto  degli  altri  compendi  scola- 
stici molte  notizie  ;  e  i  capitoli  sull'Ariosto,  sul  Machiavelli  e  Guicciardini,  e 
sul  Tasso ,  dove  le  difficoltà  della  disposizione  della  materia  meno  si  frap- 
ponevano, mi  sembrano  in  generale  ben  condotti.  Ma  perchè  scrivere  (p.  229) 
«  ora  il  Machiavelli  è  da  tutti  reputato  uno  de'  pochi  {sic)  cinquecentisti 
«  che  perfezionassero  la  prosa  »,  con  la  frase  volgaruccia  che  segue  «  e  i 
«  suoi  scritti  sono  posti  a  logorarsi  nelle  mani  degli  scolari?  »  Ha  avuto 
mai  l'Italia  tanti  e  cosi  grandi  prosatori  come  nel  500,  il  secolo  del  Casti- 
glione e  del  Gellini?  Perché  poi  chiamare  il  Tasso  (p.  271)  il  più  romantico 
de' poeti  antichi?  Assai  si  fraintende,  mi  pare,  questa  benedetta  parola  (e 
la  cosa?)  del  romanticismo.  Sul  Tasso  poi  il  Fornaciari  formula,  o  m'inganno, 
giudizi  forse  troppo  favorevoli  e  troppo  avventati  qualche  volta  (pp.  270-71). 

A  p.  279  il  Fornaciari  scrive  :  «  La  letteratura  del  cinquecento  comincia 
«con  Pietro  Bembo  ».  Perchè?  A  p.  288,  quando  parla  dell'elegantissimo 
Fracastoro,  non  sente  il  Fornaciari  il  bisogno  di  trattare  separatamente  della 
poesia  latina  in  Italia,  come  poi  quasi  egli  confessa  nel  riepilogo  della  storia  del 
cinquecento?  Della  parodia  del  petrarchismo  (meglio  si  direbbe  più  generi- 
camente critica  per  le  varie  forme  che  prese)  poteva  l'autore  (p.  291)  dirci 
qualche  cosa  di  più;  come  più  diffusamente  e  ordinatamente  poteva  raccontarci 
delle  dispute  per  la  lingua  (p.  300),  giovandosi,  p.  es.,  del  lavoro  del  sig.  Cri- 


RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA  413 

vellucci.  E  dirò  che,  come  parlando  dell'endecasillabo  sciolto  (p.  314)  il  Forna- 
ciari  non  poteva  trascurare  affatto  di  ricordare  che  molto  prima  del  sec.  XVI 
ne  troviamo,  sebbene  isolato,  esempio,  cosi  parlando  in  altri  luoghi  di  altri 
metri ,  doveva  non  trascurare  di  accennare  (ma  come  lo  poteva  nella  divi- 
sione voluta  della  materia?)  all'origine  e  allo  svolgimento  delle  nostre 
forme  metriche,  studio  che  è  già  troppo  trascurato  nelle  scuole.  Parlando 
di  "Vincenzo  Borghini  (p.  325)  non  avrebbe  potuto  il  Fornaciari  accennare 
meno  rapidamente  all'erudizione  fiorentina  nel  XVI  secolo,  che  preparò  la 
grande  erudizione  per  cui  Firenze  fu  famosa  nel  1600?  Nelle  tre  ultime  le- 
zioni si  scorge  più  che  mai  il  difetto  dell'ordine,  e  si  sento  più  la  necessità 
della  divisione  per  generi:  il  Nelli,  un  esempio  tra  molti  citabili,  che  visse 
quasi  sempre  a  Venezia  (p.  336) ,  lo  troviamo,  perchè  nato  a  Siena,  tra'  se- 
nesi: così  di  Bernardo  Tasso  si  parla  troppo  tempo  dopo  del  figlio.  Finisco 
con  due  domande.  Non  è  esagerato,  chi  sappia  la  storia  degli  studi  proven- 
zali in  Italia ,  chiamare  il  Barbieri  (p.  351)  vero  iniziatore  degli  studi  di 
filologia  romanza?  E  proprio  da  credere  che  gl'Italiani  {ossero  più  savi  e  più 
logici  a  non  occuparsi  delle  scienze  filosofiche  come  gli  stranieri  che  ne 
svolsero  le  ultime  pericolose  conseguenze  ? 

In  una  nuova  edizione,  che  gli  auguro  prossima,  potrà  vedere  l'egregio  au- 
tore su  molti  degli  argomenti  che  egli  ha  trattati  e  studiati  molti  altri  lavori 
che  a  lui  in  questa  prima  sono  sfuggiti ,  e  che  citare  qui  sarebbe  troppo 
lungo.  Procurerà  anche  il  valente  prof.  Fornaciari  di  evitare  (p.  es.  pp.  131, 
145,  241,  281,  346)  certe  forme  che  possono  parere  o  ingenue  o  scorrette; 
egli  che  dimostra  una  sì  larga  conoscenza  dei  classici  nostri ,  tanto  amore 
par  l'arte  e,  non  di  rado,  anche  eccellente  stile  didattico. 

Orazio  Baco. 


BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO 


SELMAR  ECKLEBEN.  —  Die  àlteste  Schilderung  vom  Fege- 
feuer  des  heil.  Patricius.  Etne  lilterarische  Untersuchung . 
—  Halle  a.  S.,  Max  Niemeyer,  1885  (8°,  pp.  61). 

L'autore  di  questo  diligente  lavoro  dimostra  che  la  leggenda  del  Purga- 
torio di  San  Patrizio,  cosi  diffusa  anche  in  Italia,  non  è  tanto  antica  quanto 
si  crede.  Le  Yite  più  antiche  del  santo,  le  quali  risalgono  al  IX  od  Vili  se- 
colo, non  la  contengono:  essa  compare  per  la  prima  volta  in  una  Yita  che 
alcuni  giudicarono  del  VII ,  altri  del  X  secolo ,  e  che ,  conosciuta  sotto  il 
nome  di  Vita  tripartita,  si  attribuisce  a  Sant'Evino.  Se  non  che  l'A.  prova 
con  validi  argomenti  non  d'altro  trattarsi  che  d'una  interpolazione,  fatta  nel 
secolo  XII.  In  un'altra  Yita,  composta  verso  il  1180  dal  monaco  locelino,  la 
leggenda  compare,  ma  in  forma  rudimentale  ancora.  La  leggenda  svolta  e 
compiuta,  quella  in  cui  figura  il  cavaliere  Owen,  devesi  ad  un  monaco  ci- 
stcrciense, per  nome  (probabilmente)  Enrico  di  Saltrey,  il  quale  fioriva  verso 
la  fine  del  secolo  XII,  e  la  narrò  tra  il  1187  e  il  1197,  forse  poco  dopo 
il  1189.  Nel  corso  della  indagine  l'A.  tocca  parecchi  altri  argomenti  inte- 
ressanti. Egli  mostra  come  la  vita  del  santo,  secondo  si  narrava,  desse  buona 
occasione  a  nuove  leggende,  come  prendesse  a  formarsi  questa  del  Purgatorio  e 
di  quali  elementi.  Parlando  della  voga  grandissima  ond'essa  godette  nel  medio 
evo,  accenna  a  una  ragione  che  gli  par  capitale,  e  consisterebbe  nel  fatto 
che  il  cavaliere  Owen  non  penetra  nei  regni  ultramondani  solamente  in 
ispirito;  ma  ci  va  in  carne  ed  ossa.  La  sua  non  è  già  una  semplice  visione, 
come  tante  ne  produssero  quei  secoli  d'ascetismo,  ma  una  peregrinazione 
vera  e  propria.  In  ciò  vi  ha  certamente  del  vero;  ma  notisi  che  Owen  non  è  il 
solo  che  compia  il  viaggio  in  tali  condizioni.  S.  Brandano,  nel  corso  della 
sua  navigazione,  giunge  coi  compagni  all'isola  dei  dannati.  Ugone  d'Alvernia, 
Guerino  il  Meschino,  vanno  all'inferno  vestiti  d'ossa  e  di  polpe,  e  nelle  fiabe 
popolari  spesso  si  parla  d'uomini  favoriti  dal  cielo,  che  vi  andarono  allo 
stesso  modo.  Certamente  la  cagion  principale  della  grandissima   voga  otte- 


BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO  415 

nula  dalla  leggenda  del  Purgatorio  di  S.  Patrizio  fu  la  indicazione  determi- 
nata e  precisa  del  luogo  (la  famosa  caverna,  o  il  famoso  pozzo),  per  cui 
potevasi  avere  accesso  ai  regni  bui,  e  a  cui  traevano  i  pellegrini.  Ed  è  noto 
che  nei  1497  papa  Alessandro  VI  ordinò  la  chiusura  del  cosi  detto  Purga- 
torio sulla  denuncia  e  sulla  querela  di  un  monaco  di  Eymstadt,  in  Olanda, 
il  quale,  avendo  intrapreso  apposito  pellegrinaggio  per  purgare  in  quel  luogo 
i  suoi  peccati ,  ed  avendo  anche  pagato  a  tal  fine  certi  denari  al  vescovo , 
non  ebbe  visione  alcuna  dell'altro  mondo,  e  si  rimase  deluso. 

L'A.,  di  cui  abbiam  brevemente  esaminato  lo  scritto ,  promette  di  ritor- 
nare, quand'abbia  compiute  le  indagini  a  ciò  necessarie,  sopra  il  suo  tema, 
e  mostrare  quali  aspetti  la  leggenda  abbia  assunti  nei  secoli  successivi,  nelle 
varie  letterature. 


GASTON  PARIS.  —  La  paràbole  des  trois  anneaux.  Confé- 
rence  fatte  à  la  Società  des  ètudes  juives  le  9  mai  1885. 
—  Estratto  dalla  Revue  des  ètudes  juives,  t.  XI.  —  Parigi, 
1885  (8°,  pp.  19). 

È  la  storia  della  parabola  celebre  che  dà  argomento  alla  novella  3^  della 
Giornata  I  del  Decamerone.  Con  copia  d'idee  che  danno  significazione  e  ri- 
lievo ai  fatti,  con  arte  che  avviva  il  soggetto,  l'A.  ricerca  la  origine  prima 
della  finzione ,  ne  distingue  le  forme  e  i  caratteri ,  ne  seguita  le  vicende. 
Ricordato  l'antagonismo  delle  tre  religioni  monoteistiche,  giudaismo,  cristia- 
nesimo, maomettismo;  ricordata  più  particolarmente  la  lotta  tra  le  due  prime, 
fatto  cenno  delle  persecuzioni  esercitate  dai  cristiani  contro  gli  ebrei,  egli, 
e  crediamo  si  opponga,  considera  la  parabola  stessa  come  una  ingegnosa 
invenzione  di  perseguitati,  per  sottrarsi,  senza  rinnegare  la  propria  fede,  alla 
insidia  di  certe  domande,  e  attutire  l'astio  e  la  intolleranza  dei  persecutori. 
La  parabola,  che  ha  tutto  il  carattere  di  certe  immaginose  concezioni  orien- 
tali, è  certamente  di  origine  ebraica,  e  la  forma  in  cui  essa  apparve  da 
prima  è  quella  conservataci  in  un  racconto  dello  Scebet  Jehuda,  libro  del 
secolo  XV.  In  questo  racconto  due  sole  religioni,'  e  non  tre,  si  trovan  di 
fronte,  la  cristiana  e  l'ebraica,  e  la  pericolosa  domanda  è  fatta  dal  re  Pietro 
d'Aragona  (1094-1104)  ad  un  Ebreo  il  quale  aveva  grande  riputazione  di 
saggezza.  Costui,  con  ingegnosa  risposta,  rimanda  il  re  all'infallibile  giudizio 
di  Dio,  e  la  novella  non  contien  nulla  che  stabilisca  in  qualche  modo  la  pree- 
minenza dell'  una  o  dell'  altra  religione.  Da  questo  primo  racconto,  per  la 
comune  trafila  di  una  versione  già  alterata",  e  non  pervenuta  insino  a  noi, 
derivano  tutti  gli  altri ,  nei  quali ,  a  canto  all'  altre  due  religioni ,  prende 
posto  anche  il  maomettismo ,  e  che  1'  A.  molto  opportunamente  distingue 
in  due  serie,  di  quelli  cioè  in  cui  prevale  l'intendimento  cristiano  e  di  quelli 
in  cui  prevale  un  intendimento  scettico.  Alla  prima  serie  appartengono 
i  racconti  di  Stefano  di  Borbone  e  dei  Gesta  Romanorum  e  il  Dis  dou  vrai 
aniel  pubblicato  dal  Tobler;  alla  seconda  i  racconti  del  Novellino,  di  Bu- 
sone  da  Gubbio ,  del  Boccacio  e  del  Leasing.   Air  A.  non  paiono   convin- 


416  BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO 

centi,  come  non  erano  parse  al  Bartoli  (1) ,  le  ragioni  addotte  da  chi  crede 
che  fonte  della  novella  del  Boccaccio  sia  stato  il  racconto  di  Busone,  e  ve- 
ramente non  sono.  Egli  nota  fra  quello  e  questo,  e  ancora  fra  quello  e  l'altro 
del  Novellino  una  differenza  essenziale,  prodotta  da  quella  disputa  circa  la 
eredità  che  nei  due  racconti  italiani  più  antichi  manca,  e  per  cui  il  racconto 
del  Boccaccio  si  raccosta  a  quelli  dell'altra  serie.  Notiamo  qui  a  questo  pro- 
posito, che  è  in  tutto  arbitraria  l'affermazione  del  Cappelletti,  non  suffi-agata 
da  prova  di  sorta,  che  la  novella  da  cui  il  Boccaccio  tolse  la  sua,  è  la  LXXIII 
del  Novellino  (2).  Da  ultimo  l'A.  riferisce  una  parabola  che  riguarda,  non 
più  le  tre  religioni,  ma  i  seguaci  loro,  parabola  che  prima  occorre  nella 
Disciplina  clericalis,  poi  ricomparisce,  variata,  nei  Gesta  Romanorum  e 
negli  Ecatommiti  del  Giraldi  Gintio.  In  una  nota  egli  ci  fa  poi  la  grata 
promessa  di  voler  tornare  sull'argomento  trattato  in  questa  conferenza  e  dare 
un  lavoro  compiuto  corredato  di  note  e  che  si  distenda  nelle  indagini  mi- 
nute. Allora  sarà  anche  il  caso  di  ricordarsi  che,  secondo  l'aff'ermazione  del 
Salomone-Marino,  la  novella  delle  tre  anella  è  ancor  viva  in  Sicilia  (3). 


1 V  poemetti  sacri  dei  secoli  XIV°  e  XV°,  pubblicati  per  la  prima 
volta  ed  illustrati  dal  dr.  Erasmo  Pèrgopo.  —  Bologna,  Gae- 
tano Romagnoli,  M.DGGG.LXXXV  (Dispensa  GGXI  della  Scelta 
di  curiosità  letterarie,  S",  pp.  lxiv-222). 

ADOLF  MUSSAFIA.  —  Mittheilungen  aus  romanischen  Iland- 
schriften.  IL  'Zur  Katharinenlegende.  —  Vienna,  1885.  — 
Estratto  dal  voi.  GX  dei  Sitzungsherichte  der  phil.-hist. 
Classe  der  hais.  Akademie  der  Wissenschatten  (8»,  pp.  69). 

Si  vanno  moltiplicando  nelle  stampe  i  testi  dialettali  dell'Italia  meridionale, 
come  già  si  sono  moltiplicati  quelli  dell'Italia  settentrionale.  Al  volgarizza- 
mento dei  Disticha  Catonis  pubblicato  dal  Miola  nel  1878,  al  De  regimine 
sanitatis  edito  l'anno  scorso  dal  Mussafia,  il  Dr.  Pèrcopo  fa  ora  tener  dietro 
questi  nuovi  testi,  contributo  importante  alla  storia  della  letteratura  dialettale 
in  Italia. 

Sono,  come  dice  il  titolo,  quattro  poemetti,  e  cioè:  1°  Il  Transito  della 
Madonna;  2o  La  leggenda  di  S.  Caterina;  S»  La  leggenda  di  S.  Giuliano  lo 
Spedaliere;  4o  La  leggenda  di  S.  Margherita  d'Antiochia:   segue  un  fram- 


(1)  1  primi  due  secoli  della  letteratura  italiana,  p.  589. 

(2)  Osservazioni  storiche   e   letterarie  e   notizie   sulle  fonti  del  Decamerone  (Propugnatore , 
anno  XVI,  p.  35. 

(:ì)  La  baronessa  di  Carini,  Palermo,  1873,  p.  20. 


BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO  417 

mento  della  leggenda  di  S.  Gregorio,  e  un'appendice  di  dieci  sonetti  inediti 
di  Buccio  di  Ranallo. 

Nella  Prefazione  l'Kd.  descrive  anzitutto  il  codice  d'onde  sono  tratti  i  testi, 
che  è  quello  segnato  XIII.  D.  59  della  Biblioteca  Nazionale  di  Napoli;  codice 
importante  che  già  ebbe  ad  attirare  sopra  di  sé  l'attenzione  di  parecchi  stu- 
diosi, qui  ricordati  in  nota.  Esso  è  della  fine  del  secolo  XV,  mentre  alcuni 
dei  componimenti  che  vi  si  contengono  sono  notabilmente  più  antichi;  cosa 
rincrescevole  per  più  rispetti,  tra  gli  altri  perchè  la  lingua  loro  sarà  stata 
di  certo  tanto  o  quanto  alterata  nella  tarda  trascrizione.  Descritto  il  codice, 
l'Ed.  passa  a  dire  di  ciascun  poemetto  in  particolare,  indicandone  il  soggetto, 
rintracciandone  le  fonti,  ricordando  altre  versioni  e  redazioni  della  stessa 
leggenda,  forestiere  e  nostrane,  notando  particolarità  dialettali  e  metriche. 
Tutta  questa  parte  è  molto  lodevole  per  diligenza  e  per  ordine,  non  ostante 
che  lasci  qua  e  là  desiderare  maggior  copia  di  notizie ,  o  più  largo  svol- 
gimento. 

Il  transito  della  Madonna ,  composto  ad  istanza  di  una  contessa  Mobilia 
(Amabilia)  di  su  multi  profundi  libri ,  ha  stretta  attinenza ,  oltre  che  col 
racconto  del  Voragine,  anche  con  due  apocrifi  latini,  pubblicati  dal  Tischendorf 
nelle  Apocalypses  apocryphae.  La  composizione  risalirebbe,  secondo  l'Ed.,  ai 
principi  del  secolo  XIV:  il  dialetto  non  si  può  dire  che  sia  abbruzzese 
schietto,  ma  tale  è  nel  fondo ,  ripulito  e  colto  abbastanza,  e  sparso  di  lati- 
nismi. Sono  strofe  CXXI ,  composte  di  quattro  alessandrini  (chiamiamogli 
così)  monorimi,  e  di  due  endecasillabi  a  rima  baciata,  lo  stesso  schema  di 
quelle  usate  nel  Decalogo  e  nella  Salve  Regina  dall'aìwnimo  bergamasco. 
11  testo,  nella  presente  sua  lezione,  appare  assai  guasto. 

La  leggenda  di  S.  Caterina  d'Alessandria  è  in  distici  settenari,  che  formano 
1772  versi  distribuiti  in  XXXII  capitoletti ,  e  fu  composta  da  quel  Buccio 
di  Ranallo  di  cui  si  ha  una  cronaca  in  versi  pubblicata  nel  t.  VI  delle  An- 
tiquitates  italicae  del  Muratori.  L'anno  della  composizione  è,  secondo  il  poeta 
stesso  avverte  in  fine  del  suo  componimento,  il  1330.  La  versione  della  leg- 
genda a  cui  più  si  raccosta  il  suo  racconto  è  quella  che  più  tardi  Bonino 
Mombrizio  inserì  nel  suo  Sanctuarium  ;  ma  l'Ed.  crede  che  Buccio  tenesse 
innanzi  anche  una  qualche  redazione  francese.  Qui  sarebbe  stato  opportuno 
entrare  in  un  esame  alquanto  più  accurato  e  più  diligente  delle  numerose 
versioni  e  redazioni  di  questa  leggenda  celebre.  Non  pare  che  l'Ed.  abbia 
avuto  contezza  di  /due  racconti  latini  inseriti  nel  Florilegium  Casinense  (1), 
e  di  uno  recentemente  pubblicato  da  E.  Einenkel  (2):  parlando  delle  reda- 
zioni francesi,  egli  ricorda  quella  attribuita  a  Thibaut  de  Vernon,  di  cui  si 
discorre  nei  tt.  XIII  e  XXIIl  dell' Histoire  littèraire  de  la  France;  ma  gli  è 
sfuggito  quanto  di  un  altro  racconto  in  versi  è  detto  nel  t.  XXVIII,  pp.  253-61 
dell'opera  medesima.  Tra  le  relazioni  straniere  1'  Ed.  avrebbe  potuto  ricor- 
dare anche  l'inglese,  pubblicata  da  J.  Merton  per  l'Abbotsford  Club,  Londra, 


(1)  In  appendice  alla  BiblìoUieca  Casinensis,  i.  Ili,  1877,  pp.  76,  184. 

(2)  The  life  of  Saint  Katherint  uith  it$  Latin  Originai,  Londra,  1884. 


418  BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO 

1841,  sotto  il  titolo  Legend  of  St.  Katharina  of  Alexandria  ;  V  antico  mi- 
stero tedesco  ecc.  Il  poemetto  di  Buccio  è  scritto  nel  volgare  abruzzese,  a 
bastanza  toscaneggiante,  pieno  di  latinismi,  colto,  e,  in  certo  modo,  elegante. 
La  leggenda  di  S.  Giuliano  lo  Spedaliere  è  assai  breve,  non  contando  in 
tutto  che  171  verso ,  e ,  dice  l'Ed.,  offre  assai  poco  interesse  per  la  gran- 
dissima scorrezione  del  testo.  Ma  la  scorrezione  del  testo,  la  quale  è  somma 
veramente,  non  toglie  già  ogni  valore  al  racconto,  su  cui  ci  sarebbe  stato 
qualcosa  di  non  inutile  da  dire.  Secondo  la  versione  più  vulgata ,  che  è 
quella  pur  del  Voragine,  è  lo  stesso  Giuliano  che  riceve  l'annuncio  dell'orrDnl 
delitto  cui  è  chiamato  a  compiere,  la  uccisione  cioè  del  padre  e  della  madre, 
e  lo  riceve  da  un  cervo  da  lui  inseguito  alla  caccia.  Nel  poemetto  qui  stam- 
pato si  narra  tutt'altrimente.  Quando  nasce  Giuliano,  le  fate  sopraggiun- 
gono e  gli  danno  questa  mala  ventura,  ch'egli  abbia  da  uccidere  entrambi 
i  genitori, 

Qnandanca  le  &te  sci  li  disse, 

Lu  patre  e  la  sua  matre  lui  oecidesse. 

Il  padre  ode  ogni  cosa  : 

La  patre  nella  càmmora  staeva 
La  nocte,  quando  nacque  Jnliano: 
Troppo  ben  le  fate  lo  vedea 
Quando  lo  fatare  humile  e  piano. 

Vorrebbe  uccidere  il  figliuolo  per  iscampare  se  stesso  e  la  donna,  ma  costei 
glielo  impedisce.  Giunto  all'età  di  dieci  anni.  Giuliano,  vedendo  spesso  pian- 
gere la  madre  assai  duramente,  le  chiede  un  giorno  la  cagione  del  suo 
dolore  :  saputala,  si  parte,  e  va,  pellegrino,  a  San  Iacopo  di  Gallizia.  Il  rima- 
nente del  racconto  presenta  alcune  altre  particolarità  che  qui  non  rileve- 
remo. Ora,  quell'episodio  delle  fate,  che,  non  si  dice,  ma  saranno  state  tre, 
rimanda  in  modo  indubitabile  ad  una  fonte  francese;  giacché  gli  è  noto 
quanto  spesso  nei  romanzi  cavallereschi  del  medio  evo  si  facciano  comparire 
tre  fate  intorno  alla  cuUa  del  neonato  eroe,  la  cui  sorte  dipende  dagli  au- 
guri e  dalle  imprecazioni  che  quelle  gli  fanno  (1).  Non  sappiamo  se  in  alcuna 
dell'altre  versioni  italiane  della  leggenda  che  l'Ed.  ricorda  si  trovi  nulla  di 
simile.  In  quella  pubblicata  dal  Maini  (Reggio,  1854)  e  nell'altra  inserita 
nel  Propugnatore  (t.  V,  1872),  San  Giuliano  riceve  l'avvertimento  in  sogno; 
ma  la  tradizione  più  vulgata  anche  in  Italia  doveva  essere  assai  nota,  giac- 
ché il  Maurolico  dice  nel  suo  Martyrologium  (12  febbraio):  Hic  venator 
fuisse  perhibetur  qualem  picturae  representant.  Certamente  il  poemetto 
che  qui  abbiamo  deriva  da  un  qualche  racconto  francese,  dove  il  tema  della 
leggenda  era  a  questo  modo  romantizzato.  Qualche  altro  indizio  di  esem- 
plare francese  forse  non  manca.  Nella  prima  strofa  pulzella  e  nuvella 
rimano  con  un'  eterna ,  che  fa  subito  pensare  a  xkrieterneUe  francese.  Ad 
ogni  modo  il  racconto  nostro  è   cosi  abbreviato  e  compendioso  da  riuscire 


(1)  Vedi,  per  non  moltiplicare  le  citazioni,  Maurv,  [jes  fées  du  moyen  age,  p.  30. 


BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO  419 

oscuro  in  più  luoghi:  probabilmonto  il  traduttore  ridusse  ia  cotal  forma  una 
narrazione  molto  più  larga.  Particolarità  degna  di  nota,  le  prime  sei  stanze 
del  poemetto  sono  ottave,  l'altre  sestine. 

Per  quanto  importa  all'illustrazione  della  leggenda  l'Ed.  cita  una  lezione 
di  Giovanni  Galvani,  Di  San  Giuliano  lo  Spedaliere  e  del  Pater  noster 
usato  da'  viandanti  ecc. ,  inserito  nel  t.  II  delle  sue  Lezioni  Accademiche. 
Non  sarebbe  stato  inopportuno  a  tale  proposito,  se  non  compiere  le  indagini 
di  lui,  allargarlo  alquanto.  La  leggenda  si  trova  narrata  pure  nei  Gesta  Ro- 
manorum  (1),  da  Bonino  Mombrizio,  da  altri  molti.  Il  cosi  detto  Pater  noster 
fu  ripubblicato  in  un  volumetto  della  Scelta  di  curiosità  letterarie,  intito- 
lato Ubbie,  ciancioni  e  ciarpe  del  secolo  XIV  (2).  Si  poteva  tener  conto 
anche  del  seguente  opuscolo  :  Foglietti ,  San  Giuliano  V  Ospitntore ,  cenni 
storici,  Firenze ,  1879.  Un  così  detto  Diporto  letterario  del  Tribolati  sulla 
novella  del  Boccaccio  che  chiede  argomento  allo  scritto  del  Galvani,  non 
ha  valore  di  sorta.  Forse  in  Italia  corse  qualche  particolare  leggenda  circa 
la  penitenza  con  cui  il  santo  espiò  il  non  volontario  delitto,  giacché  nel 
Capitolo  al  Fracastoro  il  Berni  dice: 

,  Se  aveste  visto  nn  san  Ginlian  dipinto 

Uscir  di  nn  pozzo  fuor  fino  al  bellico, 
D'aspidi  sorde  e  d'altre  serpi  cinto. 

La  leggenda  di  Santa  Margherita,  come  quella  di  San  Giuliano ,  come  il 
poemetto  del  Transito  della  Madonna,  è  anonima,  ma  scritta  ancor  essa  nel 
medesimo  dialetto  abruzzese.  Ha  grandissima  somiglianza  con  un  racconto 
in  prosa  pubblicato  dal  Manni ,  e  l'Ed.  gli  crede  entrambi  derivati  dallo 
stesso  testo  latino  medievale.  Il  poemetto  è  in  istrofe  tetrastiche  monorime 
di  endecasillabi,  e  conta  in  tutto  517  versi. 

Il  frammento  della  leggenda  di  San  Gregorio  conta  17  versi  solamente,  e 
non  si  può,  stante  la  brevità  sua,  riconoscere  a  quale  versione  appartenga. 
Quanto  ai  dieci  sonetti  di  Buccio  di  Ranallo ,  essi  fan  parte  della  sua  cro- 
naca in  versi  nel  cod.  XV.  F.  56  della  Nazionale  di  Napoli ,  ma  mancano 
all'edizione  di  essa  ricordata  di  sopra.  Trattano  del  reggimento  della  città 
dell'Aquila  e  d'altri  interessi  cittadini.  Dopo  il  frammento  della  leggenda  di 
San  Gregorio ,  e  prima  dei  dieci  sonetti,  si  ha  il  Lessico  delle  voci  più 
notabili. 

L'edizione  dei  testi  è  commendevole;  solo  qua  e  là  ci  sarebbe  da  fare  qualche 
osservazione  o  qualche  appunto ,  dove  l'Ed.  pare  che  non  abbia  intesa  la 
lezione  data  dal  codice,  o  dove  ha  trascurato  di  dare  qualche  schiarimento 
opportuno.  Ecco  alcuni  esempi  :  Poemetto  I:  V.  80,  La  dompna  disse:  «  En- 
«  tèndìme,  che  èi  tu  amico  m,eu  ».  L'Ed.  spiega  :  Comprendomi,  che  tu  sei 
amico  mio  ;  parole  di  cui  non  ben  si  coglie  il  significato.  Quella  della  donna 
è  una  interrogazione,  e  va  spiegata  così:  Intendimi,  cioè  ascoltami,  chi  sei  tu. 


(1)  Cap.  XVIII,  ediz.  Oesterley. 

(2)  Disp.  LXXII,  Bologna,  1866. 


420  BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO 

amico  mio?  In  fatti  l'angelo  risponde:  Messagiu  so"  de  Cristu,  dellu  figliolu 
teu.  —  V.  96,  severire,  verbo  che,  usato  in  vari  modi  e  tempi,  si  trova  in 
più  altri  luoghi  di  questi  testi,  chiedeva  spiegazione  :  vale  sceverare ,  cioè 
separare  (al  verso  690  si  trova  un  desseverèro,  che  è  proprio  il  dessevrerent 
francese.  In  molti  altri  luoghi  l'Ed.  tralascia  di  dare  spiegazione  ,  sia  nelle 
note,  sia  nel  lessico,  di  vocaboli  che  non  ben  s'intendono  a  prima  giunta, 
mentre  altri  ne  spiega  che  non  offrono  difficoltà.  —  V.  126,  Nunqiiam  pec- 
cascione  no  agia  in-genio.  Questo  verso  appartiene  ad  una  preghiera  della 
Vergine,  che,  sul  punto  di  morire ,  si  raccomanda  al  figliuolo ,  perchè  nes- 
suna potestà  sia  data  al  demonio  sopra  di  lei.  Il  cod.  reca:  Nunquam  per 
cascione  no  agia  ingenio  ;  e  la  correzione  dell'Ed.  non  pare  necessaria , 
giacché,  in  questa  forma,  il  verso  significherebbe:  Non  abbia  (il  demonio) 
per  cagione,  cioè  in  qualche  modo,  o,  fors'anche ,  per  mia  colpa  (v.  i  vari 
significati  e  usi  di  cagione  nel  toscano)  ingegno ,  ossia  inganno ,  da  eserci- 
tare contro  di  me.  Ingegni  si  chiamarono  appunto  molto  spesso  gl'inganni 
del  diavolo.  —  Vv.  138-9,  Ancora  io  te  faczo  pregherà;  Pur  alla  tua  vo- 
luntà  sia.  L'Ed.  nota:  pregherà:  è  in  assonanza  con  sia,  prima  sea  ?  In 
luogo  di  pregherà  mettasi  pregheria.  —  V.  207,  Nepote  mio,  io  piange  cha 
allo  altro  mundo  tiro-UEà.  nota:  tiro.  È  un  poco  strana  questa  locuzione, 
ma,  m,i  pare,  che  si  somigli  a  quella  comune:  io  tiro  da  questa  parte,  per 
mi  dirigo,  ecc.  Non  è  strana ,  e  tirare  nel  toscano  ha ,  tra  gli  altri  signifi- 
cati, anche  quello  di  aver  la  mira,  tendere.  —  V.  528,  Le  lampade  &  li  etri 
foro  apprisi.  L'Ed.  nota:  apprisi  forse  apcisiì  vedi  al  v.  561  appicciàro  e 
appese;  o  è  da  prendere?  Si  lasci  sicuramente  apprisi,  part.  pass.  pi.  di 
apprendere,  e  al  v.  561  si  legga  apprese  e  non  appese.  E  di  uso  antico  nel 
toscano  apprendersi  il  fuoco  per  accendersi  il  fuoco.  Non  parrà  strano  che 
in  qualche  dialetto  apprendere  si  sia  usato  senz'altro  in  significato  di  ac- 
cendere, solo  significato,  notisi  bene,  che  abbia  serbato  nel  rumeno  :  apprinde 
lum,inare,  accendi  il  lume.  Nell'Antica  parafrasi  lombarda,  edita  dal  For- 
ster (1),  si  ha  lampea  apresa  e  aprendeva  una  nuola.  —  V.  555 ,  pone, 
I.  potè.  —  V.  660,  entensaro ,  contesero.  Ha  una  stessa  origine  col  toscano 
tenza,  tenzone,  col  fr.  tencer,  e  rimanda,  non  già  a  intendo,  intensum , 
ma  a  tenere,  tentus,  tentiare  (Diez ,  Et.  Wtb.  113,438).  —  V.  709,  allecare, 
1.  allocare.  Va  perciò  cancellato  dal  Lessico ,  dov'è  registrato  come  forma 
di  allegare.  —  Poemetto  II.  V.  94 ,  De  gradii  in  grado  andaro.  L'Ed.  : 
intendi:  i  gradini  del  tempio.  Interpretazione  erronea.  Si  tratta  della  mol- 
titudine che  Massenzio  ha  convocata  per  sacrificare  agl'idoli,  e  i  versi  che 
precedono  lasciano  intendere  che  si  tratta  dei  vari  gradi,  ossia  delle  varie 
condizioni  sociali.  —  V.  957,  Mostrali  allo  presente.  L'  Ed.  nota  :  per  alla 
presenza?  o  meglio:  allei  p.?  Non  già;  allo  presente  vale,  come  anche  in 
toscano,  im,m,ediatamente,  subito.  —  Poemetto  IV.  V.  412,  Sòstete  un  pochu 
chò-lla  toa  spada  arrotala.  L'Ed.  propone:  Sòstete  un  pochu  chò-lla  toa 
spata ,  senz'altro  ;  ma  anche  al  v.  483  si  legge  :  Levate  susu  cò-lla  tua 
spada  arrotata. 


(1)  Arch.  glottol.  ital.,  t.  VII,  p.  3L 


BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO  421 

Qualche  altra  lievo  menda  potrebbe  accennarsi  qua  è  là,  ma  in  sostanza 
l'Ed.  ha  curato  con  molta  diligenza  il  suo  testo ,  e  ha  mostrato  di  avere 
tutte  Je  qualità  necessarie  per  attendere  a  cosi  lutti  lavori.  Egli  esco  di 
buona  scuola.  Speriamo  di  avere  tro  non  molto  ad  occuparci  di  altri  frutti 
de'  suoi  ottimi  studi. 

La  stessa  leggenda  di  S.  Caterina,  pubblicata  dal  dr.  Pèrcopo,  pubblicò 
pure  contemporaneamente  Adolfo  Mussafia,  tanto  benemerito  degli  studi  ro- 
manzi in  genere  e  di  quelli  concernenti  l'antica  nostra  letteratura  dialettale 
in  ispecie.  Egli  dà  il  testo  di  su  una  copia  procacciatagli  dal  Monaci ,  e 
collazionata  col  codice  dallo  stesso  dr.  Pèrcopo,  il  quale  avverte  ciò  in  una 
nota  del  suo  volume  (p.  xxxii),  e  dice  che  il  testo  suo  era  già  quasi  tutto 
stampato  quando  seppe  dell'  intenzione  che  pure  il  Mussafìa  aveva  di  pub- 
blicarlo. Il  Mussafìa  attende  da  gran  tempo  a  un  lavoro  sopra  le  varie  re- 
dazioni della  leggenda  di  S.  Caterina  e  spera  di  poterlo  fare  presto  di  pul)- 
blica  ragione.  Egli  giudica  assai  più  verosimile  che  Buccio  di  Ranallo  abbia 
attinto  da  una  fonte  latina  che  non  da  una  volgare,  e  nota  come  il  racconto 
suo,  ora  s'accosti  alla  redazione  pubblicata  dall'  Einenkel,  ora  a  quella  che 
offre  il  Voragine,  ma  spesso  ancora  coincida  col  racconto  di  Bonino  Mom- 
brizio.  Nota  pure,  come  fa  del  resto  anche  il  Pèrcopo,  certe  reminiscenze  dan- 
tesche sparse  per  entro  al  poemetto.  L'edizione  sua,  oltre  che  di  un  glos- 
sario, è  corredata  di  osservazioni  sulla  lingua  e  sul  metro  e  di  utili  note  ai 
luoghi  dubbi  o  difficili. 


FRANCISCI  ALBERTINI.  —  Opusculum  de  ìniràbUibus  novae 
urbis  Romae ,  herausgegeben  von  August  Schm.\rsow.  — 
Heiibronn,  Verlag  von  Gebr.  Henninger,  188C  (8",  pp.  xxin-77). 

Francesco  Albertini  nacque  di  genitori  fiorentini  sullo  scorcio  del  secolo  XV; 
studiò  lettere,  musica,  pittura;  fu  prima  cappellano  e  canonico  di  S.  Lorenzo 
in  Firenze  ;  fu  poscia  in  Roma,  ai  servigi  dei  cardinale  Fazio  Santoriò,  dove 
fiorì  ai  tempi  di  Giulio  IL  Compose  molte  opere ,  volgari  e  latine ,  che  si 
possono  veder  registrate  dal  Mazzuc belli;  ma  le  sole  che  tengan  vivo  il  nome 
di  lui  son  quelle  che  trattano  d'arte  e  di  antichità,  due  delle  quali  sono  di 
molta  importanza  per  gli  studiosi  della  Rinascenza.  L'una,  intitolata  Memo- 
moriate  di  molte  statue  e  pitture  sono  nelVinclyta  Ciptà  di  Florentia,  fu, 
sono  alcuni  anni,  ristampata  da  Max  lordan;  l'altra  è  questa  di  cui  par- 
liamo. L"  Opusculum  de  mirabilibus  novae  et  veteris  Urbis  Romae  fu  dal- 
l'Autore compiuto  nel  giugno  1509,  ma  cominciato  parecchi  anni  innanzi,  e 
pubblicato  la  prima  volta  per  Giacomo  Mazochio  in  Roma  nel  1510.  Una 
edizione  del  1505,  ricordata  da  parecchi,  è  immaginaria.  Altre  tro  edizioni 
se  ne  fecero  sino  al  1523 ,  dello  quali  due  in  Roma ,  una  in  Leida.  Nella 
lettera  dedicatoria  a  Giulio  li,  l'autore  chiarisce  il  suo  intendimento,  che  è 
di  emendare  gli  antichi  Mirabilia,  riboccanti  di  favole,  e  di  aggiunger  loro 
una  notizia  delle  cose  mirabili  di  Roma  nuova. 


422  BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO 

L'Ed.  ha  creduto  di  dover  ristampare  solamente  questa  seconda  parte  del- 
l'Opuscuktm,  il  che  è  rincrescevoie  per  più  rispetti,  ma  giustificato  dall'in- 
tenzione ch'egli  ebbe  nel  ristamparla,  quella,  cioè,  di  «  provvedere  per  le 
«  esercitazioni  di  storia  dell'arte  nelle  Università  tedesche,  un  libro  a  cui  si 
«  legasse  per  molteplici  nodi  la  storia  artistica  di  Roma,  dai  tempi  all'incirca 
«  di  Martino  V  sino  a  quelli  di  Clemente  VII  ».  Considerato  sotto  questo 
aspetto,  il  libro  ha  molto  valore,  giacché,  come  fa  osservare  lEd.  stesso,  porge 
allo  studioso  l'occasione  unica  ed  inapprezzabile  di  girare  l'Eterna  Città  con 
la  scorta  di  un  contemporaneo,  che  gli  mostra  a  dito  tutte  le  cose  mirabili 
ond'essa  era  ripiena  ai  tempi  di  Giulio  II.  A  confermar  questo  dire  gioverà 
riportar  qui  i  titoli  dei  XVII  capitoli:  I.  De  Nova  Urbe  Roma.  II.  De  non- 
-nullis  ecclesiis  et  capellis.  III.  De  palatiis  Pontificum.  IV.  De  domibus 
Cardinalium.  V.  De  hospitalibus.  VI.  De  bibliothecis.  VII.  De  Castro  Sancti 
Angeli.  VIII.  De  Belvidere.  IX.  De  porticibus.  X.  De  viis  et  plateis. 
XI.  De  sepulchris  memorandis.  XII.  De  valvis  et  columnis  aeneis.  XIII.  De 
officina  cudendae  pecuniae.  XIV.  De  fontibus  et  pontibus.  XV.  De  cloacis 
et  purgatione  Anienis.  XVI.  De  aedificiis  ab  Tulio  II  constructis.  XVII.  De 
laudibus  civitatis  Florentiae  et  Savonae. 

L'edizione  è  condotta  sopra  le  due  prime  di  Roma  e  su  quella  di  Leida, 
ma  non  per  ciò  il  testo  è  esente  da  qualsiasi  errore.  Così  a  p.  60  leggiamo 
un  Poggium  Brandolinuni  per  Poggium  Bracciolinuni ,  a  p.  68  un  Albe- 
ricus  Vespulsius  per  Americus  Vespucciits  o  Vespusins.  Se  tali  errori  sono 
nelle  edizioni  antiche,  potevansi  e  dovevansi  correggere.  L'Ed.  ha  pure  ac- 
compagnato il  testo  di  note  che  non  sempre  sono  irreprensibili ,  o  quali 
richiedeva  il  bisogno.  Nel  e.  XVII  Francesco  Albertini  fa  una  lunga  enu- 
merazione di  uomini  insigni  per  cui  andava  superba  Firenze,  contentandosi, 
per  altro,  il  più  delle  volte  di  ricordarne  i  nomi.  A  questi  nomi  l'Ed.  op- 
portunamente appone  alcune  brevi  note  dichiarative,  ma  non  per  tutti  Io  fa, 
e  non  si  scorgono  le  ragioni  che  possono  averlo  indotto  a  dire,  o  a  tacere. 
Alcuna  volta  poi  erra  nel  voler  chiarire,  o  dice  cose  men  che  giuste.  Così 
il  Bartolomaeus  Lapacinus  del  testo ,  non  è ,  com'egli  immagina ,  Giuliano 
Lapaccini,  bibliotecario  di  Cosimo  de'  Medici,  ma  il  domenicano  Bartolomeo 
Lapacci,  che  Eugenio  IV  creò  maestro  del  Sacro  Palazzo  nel  1439 ,  e  che 
fu  poi  vescovo  d'Argo  e  di  Corone.  Così  gli  è  ingiusto  definire  Lionardo 
Dati  un  meschino  poetucolo  ,  senz'altro  {ein  armseliyer  Dichterling).  Ciò 
non  ostante ,  questa  ristampa  giunge  assai  opportuna ,  e  avrà  buona  acco- 
glienza anche  fuori  di  quelle  Università  tedesche  a  cui  l'Ed.  l'ha  destinata. 


T.  TASSO.  —  Il  Rinaldo  e  V Aminia,  per  cura  di  Guido  Mazzoni. 
—  Firenze,  Sansoni,  1884  (uscito  nel  novembre  1885)  (32", 
pp.  xvi-361). 

Questo  volumetto,  annunziato  da   tempo,  viene  solo   adesso    alla   luce,  e 
forma  parte  della  Piccola  Biblioteca  Italiana  con  tanto  amore  iniziata  dal 


BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO  423 

povero  Sansoni,  il  qualo  il  Mazzoni  nobilmente  ricorda  nello  ultimo  righe 
della  sua  Prefazione.  Questa  raccolta  non  si  dirige  agli  eruditi,  ma  al  pub- 
blico in  generale  ;  V  editore  adunque,  ritornando  alle  prime  stampe,  ha  cer- 
cato di  dare  un  testo  esatto  di  questi  poemetti,  senza  entrare  in  veruna 
questione  sul  merito  di  esso  ;  soltanto  viene  indicando  per  saggio  alcuni 
errori  del  Resini  nella  sua  ornai  famigerata  edizione  delle  Opere  del  Tasso  (1), 
né  il  trovarli  stimo  sia  costato  al  M.  grande  fatica.  Ben  aggiunse  V Alle- 
goria del  Rinaldo,  e  i  quattro  Intermezzi  dell'Aminta  che  nelle  stampe 
antiche  non  sono;  essendo  questi  ultimi  stati  pubblicati  dal  Poppa  nella 
sua  ediz.  delle  Opere  postume  del  T.  (2);  e  in  Appendice  li  sciolti  scritti  dal 
Monti  in  nome  del  Bodoni,  che  dedicava  la  sua  ediz.  deW Aminta  (1789)  ad 
Anna  Malaspina. 

Il  M.  dice  aver  voluto  conservare  la  grafia  antica  ;  ciò  crediamo  sia  bene 
p.  e.  per  le  preposizioni  articolate  che  il  Tasso  voleva  propriamente  sciolte, 
come  si  vedono  accuratamente  corrette  da  lui  in  un  ms.  di  sue  rime  scritto 
da  altri  ;  ma  poteva  abbandonarla  in  certi  casi  che  al  tempo  del  Tasso  erano 
soltanto  di  uso  tradizionale  e  non  rappresentano  graficamente  un  suono, 
come  p.  e.  Vet. 

Il  M.  doveva  premettere  all'ediz.  un  suo  studio,  che  dice  condotto  già  a 
buon  punto,  sul  Rinaldo  e  suU'Awmto  ;  ma  da  esso,  aggiunge,  essere  stato 
distolto  da  altre  cure  non  certameute  maggiori  ne  migliori. 

Certo  non  era  facil  cosa  dare  una  buona  lezione  di  questi  poemetti  sempre 
pubblicati  scorrettissimamente.  Mss.  del  Rinaldo  non  si  conservano;  àe\- 
y Aminta  uno  autografo  citano  il  Serassi  (3)  e  il  Fontanini  (4)  che  lo  rico- 
nobbe come  l'unico  esemplare  approvato  dall'Aut.  Questo  era  posseduto  dal 
marchese  Ansaldi  e  servì  alla  stampa  fatta  in  Pesaro  (Nobili  1824),  e  già 
prima  il  Poggiali  (5)  dice  d'un  autografo,  probabilmente  lo  stesso,  servito 
all'edizione  di  Cornino  (Padova  1722),  la  quale  vanta  condotta  sui  migliori 
testi  ;  sebbene  il  Gamba  (6)  la  dica  superata  dalle  più  recenti.  Avremmo  bra- 
mato che  il  M.  almeno  di  queste  e  d'altre  poche  ediz.  principali  avesse  fatto 
particolar  menzione. 

Torna  qui  opportuno  ricordare  come  il  M.  abbia  curato  per  la  stessa  rac- 
colta la  Gerusalemme;  e  inoltre  abbia  dato  altri  due  scritti  intorno  al 
Tasso,  raccolti  nel  volumetto  In  Biblioteca  :  l'uno  Della  Gerusalemme  con- 
quistata, l'altro  Sulle  rime.  In  questo  ultimo  scritto  il  M.  ben  a  ragione 
gridava  forte  esser  vergogna  il  non  aver  ancora  una  ediz.,  se  non  critica , 
almeno  leggibile  delle  rime  di  Torquato,  ed  a  ciò  accenna  anche  in  qualche 
punto  della  prefazione  alla  stampa  di  cui  parliamo.  Siamo  lieti  ora  di  an- 
nunciare al  Mazzoni  e  a  quanti  s'occupano  di  cose  letterarie  che  a  riparare 


(1)  Pisa,  Caparro,  1821-32. 

(2)  Roma,  Dragondelli,  1666. 

(3)  Yita  di  T.  T^,  I,  242  e  II,  369. 

(4)  Aminta  difesa,  pp.  377  e  384. 

(5)  Serie,  I,  376,  no  671. 

(6)  Serie,  No  956. 


424  BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO 

tale  vergogna  e  ad  adempiere  il  desiderio  attende  con  amore  grande  un 
giovane  studioso.  Egli,  non  intendendo  risparmiarsi  fatiche,  ci  darà  una 
edizione  critica,  e,  per  quanto  è  possibile,  completa  di  dette  rime,  e  in  questo 
modo  sarà  pure  adempiuto  uno  dei  più  ardenti  voti  dello  sventurato  poeta. 


ADOLFO  MABELLINI.  —  Delle  rime  dì  Benvenuto  Cellint  — 
Firenze,  G.  B.  Paravia,  1885  (32°,  pp.  viii-334). 

Al  dr.  Mabellini  va  tenuto  conto  che,  quantunque  egli  abbia  già  varie 
cosette  alla  luce  del  sole,  è  pur  sempre  un  giovane  che  fa  le  sue  prime 
armi.  In  grazia  di  ciò  molte  imperfezioni  di  questo  suo  lavoro,  se  non  vanno 
taciute,  che  sarebbe  disonesto,  devono  essere  almeno  compatite. 

E  di  imperfezioni,  a  dir  vero,  ce  ne  sono  parecchie,  e  non  leggiere,  in 
questo  opuscolo  gonfiato  a  volume.  Anzitutto  vi  è  un  vizio  che  chiameremo 
metodico;  l'A.  è  riuscito  a  convincersi  che  veramente  le  rime  del  Gellini 
hanno  una  grande  importanza,  che  egli  è  un  poeta,  o  per  lo  meno,  ad  usare 
le  parole  sue,  che  del  poeta  ha  «  il  vero  temperamento  »  (p.  288).  Forse, 
chi  ben  guardi  troverà  la  prima  radice  di  questo  apprezzamento  in  una  nota 
marginale  di  Vittorio  Alfieri,  il  quale  in  un  suo  esemplare  della  vita  celli- 
niana,  imbattutosi  nel  verso  Che  molti  io  passo  e  chi  mi  passa  arrivo, 
scrisse  che  «  esso  solo  svela  che  Benvenuto  potea  essere  sommo  poeta  »  (1). 
Ora,  l'Astigiano  non  è  forse  buon  giudice  di  poesia?  Si  certo;  ma  chiunque 
lo  abbia  in  pratica  sa  come  egli  si  lasciasse  facilmente  dominare  dal  pre- 
concetto, e  negli  scatti  del  suo  nervosismo,  fra  molte  cose  vere  ed  acute, 
ne  dicesse  moltissime  ingiuste  o  per  lo  meno  esagerate.  Qui  i  preconcetti 
furono  per  lo  meno  due,  l'amore  e  l'ammirazione  ch'egli  dovette  avere  per 
il  Gellini,  che  studiò  molto  e  in  parte  imitò,  l' impressione  che  dovette  fargli 
quel  verso,  di  concetto  e  di  tempra  veramente  alfieriano.  Guai  se  si  dovesse 
dare  il  peso  di  giudizi  meditati  e  attendibili  a  tutte  le  chiose  che  l'Alfieri 
scrisse  sui  suoi  libri  e  sui  suoi  scartafacci  di  Montpellier  e  di  Firenze! 

Nei  versi  del  Gellini  risplende  talora  la  vivacità  e  l'arguzia  del  suo  spi- 
rito; ma  noi  non  riusciamo  a  trovare  in  essi  nessuna  di  quelle  qualità  che 
cai'atterizzano  il  poeta.  Né  ci  sembra  giusto  il  dire  col  M.  che  i  suoi  difetti 
dipendono  da  mancanza  di  educazione  letteraria  (p.  291).  Infatti  il  Gellini 
visse  nelle  migliori  condizioni  per  riuscire,  oltreché  artista  eccellente,  anche 
buon  poeta:  egli  quasi  sempre  in  mezzo  a  uomini  colti,  in  luoghi  ove  let- 
tere ed  arti  fiorivano  di  conserva,  egli  artista  in  un  tempo  in  cui  gli  artisti 
erano  più  o  meno  letterati  quasi  tutti.  Gome  riuscì  limpido  ed  efficace  pro- 
satore, sarebbe  riuscito  anche  buon  fabbro  di  versi,  se  la  natura  a  ciò  lo 


(1)  Pagg.  293-94.  Il  M.  ha  fatto  male  a  non  avvertire  che  questa  chiosa  era  già  stata  rilevata 
nel  1829  dal  Tassi. 


BOLLETTINO   BIBLIOORAPICO  426 

avesse  chiamato.  Invece  le  sue  rime  sono  stentate  sino  alla  oscurità,  sbi- 
lenche, convenzionali,  sciatte,  insomma  meno  che  mediocri. 

Quindi  noi  non  possiamo  giudicare  se  non  come  un  vizio  di  melodo  la 
considerazione  larga  e  quasi  solenne,  che  il  M.  ha  creduto  di  dar  loro.  Che 
valesse  la  pena  di  classificarle,  come  egli  ha  fatto,  e  di  annotarle  e  ten^ 
tarne  la  spiegazione,  meglio  di  quello  che  egli  ha  fatto,  non  lo  neghiamo: 
ma  insisterci  sopra  troppo,  no.  Non  contento  della  eccessiva  larghezza  data 
al  suo  studio ,  il  M.  ha  ^voluto  assorgere  talora  a  idee  generali ,  toccare 
in  poche  pagine,  per  es.,  del  delitto  nel  rinascimento  e  del  sentimento  reli- 
gioso nel  sec.  XVI.  Quest*  ultima  considerazione  specialmente  (pp.  138-143) 
è,  nella  brevità  sua,  veramente  miseranda;  e  si  capisce  come,  con  quella 
così  monca  preparazione,  l'A.  abbia  potuto  stupirsi  molto  del  contradditorio 
che  v'è  fra  la  religiosità  del  Gellini  e  le  sue  ribalderie,  e  come  abbia  po- 
tuto ritenere  «  profondamente  sentite  »  alcune  frasi  delle  poesie  religiose 
di  Benvenuto,  nelle  quali  una  mediocre  pratica  della  poesia  sacra  del  tempo 
gli  avrebbe  rivelato  il  convenzionalismo  (1).  Tale  deficienza  di  coltura  gene- 
rale fa  che  TA.,  segnatamente  nel  proemio  (pp.  4-6),  lardelli  la  sua  prosa 
di  citazioni  poco  attendibili  e  meno  ancora  opportune;  tale  deficienza  lo  fa 
uscire  in  spiegazioni  e  notizie  che  in  un  libro  di  erudizione  muovono  vera- 
mente al  sorriso;  lo  induce  a  dirci,  per  es.,  che  «  il  vero  nome  del  Lasca 
«  fu  di  Anton  Francesco  Grazzini  »  e  perchè  Lasca  si  denominasse  (p.  52), 
e  che  le  Vite  del  Vasari  sono  «  preziose  per  le  notizie  che  ci  forniscono  e 
«  per  la  beata  copia  di  lingua  che  le  abbellisce  »  (p.  63  n.),  e  che  la  so- 
domia fu  quel  peccato  «  pel  quale  Dante  Alighieri  riserbò  il  cantuccio  d'una 
«  sua  bolgia  e  vi  pose  il  proprio  maestro  ser  Brunetto  Latini  »  (p.  106)  (2). 
E  mentre  l'A.  si  perde  nelle  generalità  vuote  e  dice  tante  cose  superflue, 
egli  è  ben  lungi  dall'  avere  neppur  tentato  di  chiarire  le  difficoltà  che  in 
alcune  delle  rime  celliniane  si  trovano,  quantunque  l' intendimento  lodevole 
di  farlo  sembri  non  gli  sia  mancato.  Gli  è  che  proprio  in  lui  si  vede  una 
certa  repugnanza  alle  minuzie,  che  è  cosa  certamente  non  buona;  tanto  è 
vero  che  non  si  cura  neppure  (e  ci  voleva  ben  poco)  di  dare  una  bibliografia 
compiuta  delle  edizioni  in  cui  compaiono  le  rime  di  Benvenuto  (pp.  19-20) 
e  quando  altrove  cerca  di  determinare  la  cronologia  precisa  delle  poesie 
scritte  in  carcere,  impiega  prima  una  intera  paginetta  (pp.  125-26)  a  scusarsi 
di  farlo. 

Eppure  un  lavoro  simile,  a  voler  riuscire  veramente  utile,  avrebbe  dovuto 
essere  né  più  né  meno  che  un  lavoro  di  ricerca  minuta  e  definitiva.  Né  si 
può  dire  che  all'  A.  ne  manchino  le  attitudini ,  che  quando  ci  si  mette  fa 
con  garbo:  ma  egli  deve  ancora  esser  dominato  da  quella  passione  per  le 
grandi  idee  e  per  le  sintesi  affrettate,  da  quel  desiderio  di  generalizzare,  che 


(1)  Noto  per  incidenza  che  a  p.  200  l'A.  mostra  credere  sia  un  «  concetto  del  Cellini  »  la 
divisione  delle  tre  anime,  o  meglio  le  tre  diverse  potenze  che  informano  nn' anima  sola.  Ma 
questa  divisione  è  pare  di  tutta  la  filosofia  scolastica  e  Dante  stesso  la  segue  !  Cfir.  Purgai.,  XXV, 
87  8gg.;  Convito,  III,  2  e  IV,  7  ;  Latiot,  Tesoro,  VI,  4. 

(2)  Per  dare  questa  peregrina  notizia  il  M.  ù  serve  anche  delle  parole  d'altri. 

GiomaU  storico,  VI,  fase.  18.  28 


426  BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO 

in  alcune  menti  giovanili  è  una  vera  malattia.  Il  tempo  gli  insegnerà  che 
questa  tendenza  è  tanto  facile  quanto  è  pericolosa,  e  che  a'  giorni  nostri  noi 
non  abbiamo  bisogno  di  aumentare  il  cumulo,  già  lacrimevolmente  grande, 
delle  sintesi  imperfette  ed  erronee  ;  ma  piuttosto  di  accrescere  di  fatti  certi, 
ben  definiti,  ben  ordinati,  ben  caratterizzati  le  nostre  cognizioni  analitiche. 
La  maggiore  benemerenza  che  il  M.  si  sia  acquistata  con  questo  volume 
si  è  certo  quella  che  risulta  dalla  sua  appendice.  In  due  codici  Riccardiani, 
in  due  Magliabechiani  e  nelle  Carte  Vasari  egli  trovò  parecchie  rime  inedite 
di  Benvenuto  e  le  pubblica  qui.  Altri  ha  già  osservato  come  sei  dei  sonetti 
qui  pubblicati  appartengano  al  Caro  (1).  Del  resto,  tranne  due  sonetti  amorosi 
veramente  notevoli  (pp.  314-15),  queste  rime  non  escono  dai  motivi  trattati 
nelle  altre  celliniane  già  edite  ;  ma  ciò  non  toglie  che  il  M.  abbia  fatto  bene 
a  stamparle.  Anche  qui  un  commento  si  fa  talora  desiderare ,  e  in  molti 
luoghi  il  testo  corre  male.  Sarà  veramente  difetto  degli  originali?  Lo  cre- 
diamo volentieri  in  parecchi  casi;  ma  in  altri  l'opera  dell'editore  avrebbe 
potuto  essere  più  diligente  e  oculata  (2). 


GIUSEPPE  MAGRINI.  —  Studio  critico  su  Benedetto  Menzini. 
—  Napoli,  Carlo  La  Cava,  editore,  1885  (8^  pp.  105). 

Un  lacrimevole  studio. 

Il  prof.  Magrini  s'era  proposto  un  compito  molto  modesto,  ma  che  avrebbe 
pure  potuto  avere  la  sua  attrattiva  e  la  sua  utilità  :  dire  della  vita  del  poeta 
il  puro  necessario,  attenendosi  a  quanto  già  ebbero  a  scriverne  Francesco  del 
Teglia  e  Giuseppe  Paolucci  da  Spello;  ricostruirne  il  carattere,  cercandone 
gli  elementi  (son  sue  parole)  per  entro  alle  opere.  Diciamo  che  il  compito 
poteva  avere  attrattiva  ed  utilità ,  sebbene  sia  un  grande  errore  il  credere 
che  la  figura  intellettuale  e  morale  di  uno  scrittore  possa  ricavarsi  intera 
dai  libri  ch'egli  ha  lasciati,  mentre  assai  spesso  se  ne  debbon  andare  a  rin- 
tracciare certi  lineamenti  principali  per  mezzo  ai  fatti  minuti  e  volgari  della 
vita  cotidiana  :  ad  ogni  modo  gli  è  certo  che  a  questo  compito  il  prof.  Ma- 
grini ha  soddisfatto  assai  male.  Letto  il  suo  libercolo ,  del  Menzini  si  sa 
quello  che  si  sapeva  prima.  Quella  tale  ricerca  degli  elementi  e  quella  tale 
ricostruzione  del  carattere  riescono  a  questo  sommario  giudizio,  che  U  Men- 


ci) C&.  N.  Antologia ,  16  sett.  1885 ,  p.  387.  I  sonetti  dell'  Apologia  sono  quelli  che  dal  M. 
sono  stampati  a  pp.  299-302. 

(2)  La  metrica  in  moltissimi  versi  avrebbe  potuto  rettificarsi  senza  introdurre  modificazioni  so- 
stanziali. Talora  la  interpunzione  proposta  dall'editore  è  la  causa  prima,  se  non  sola,  della  oscu- 
rità (cfr.  p.  313).  Qualche  difetto  di  interpretazione  non  manca.  Ad  es.  nel  fram.  XXII  il  M. 
legge  (si  parla  di  una  donna)  Ch'uman  gel  parea  viva,  e  poi  ch'è  morta— Gissene  al  ciel  di  Dio 
più  fida  ancella.  E  annota  :  «  forse  ciel;  cielo  umano  contrapposto  a  cielo  di  Dio  »  (p.  316).  Ma 
se  si  leggesse  CA'  un  angel  parea  viva ,  non  sarebbe  tutto  chiaro  ?  Vm  per  un  il  M.  non  l' b» 
mai  trovato  negli  antichi  mss.7 


BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO  427 

zini  fu  un  mattoide  (p.  34)  afflitto  di  megalomania  e  di  mania  persecutrice. 
Chi  sperasse  di  trovare  in  queste  pagine  l'opera  dello  psicologo  diligente  ed 
oculato,  che  ravvisa  e  distingue  le  movenze  e  gli  atteggiamenti  innumere- 
voli di  uno  spirito  ;  che  mette  a  nudo  la  sottil  trama  della  vita  interiore  ; 
che  scopre  gli  elementi  molteplici  onde  si  compongono  certe  qualità  del 
carattere ,  che  agli  occhi  del  volgo  paion  tutte  di  un  pezzo  e  di  una  tinta; 
chi  credesse  di  trovar  ciò  in  queste  pagine ,  sia  pure  in  tenue  grado ,  s'in- 
gannerebbe a  partito  e  perderebbe  il  suo  tempo. 

Ma  s'ingannerebbe  a  partito  e  perderebbe  il  suo  tempo  del  pari  chi  cre- 
desse di  trovarvi  una  erudizione  letteraria  conveniente  al  soggetto.  Non  solo 
le  osservazioncelle  che  l'A.  viene  facendo  sopra  le  varie  maniere  di  compo- 
nimenti in  cui  il  Menzini  esercitò  l'ingegno,  e  specie  sopra  le  satire,  sono 
poverissima  cosa;  ma  gli  errori  ond'egli  viene  seminando  la  sua  trattazione 
son  tali  e  tanti,  è  tale  e  tanta  la  inettitudine  di  certi  giudizi  ond'ei  la  viene 
corroborando,  da  non  lasciar  intendere  come  si  cimenti  a  fare  opera  di  cri- 
tica chi  prova  d'avere  a  tale  officio  sì  scarsa  preparazione. 

Alcuni  esempi  basteranno  a  far  palese  quanto  affermiamo.  A  p.  15  il  no- 
tissimo Moneglia  è  detto  un  tal  Moneglia ,  come  se  fosse  uomo  nuovo 
nella  storia  letteraria  italiana.  A  pp.  534  il  Trissino  e  Vltalia  liberata 
dai  Goti  son  fatti  del  secolo  XVII.  A  p.  96  ci  si  parla  di  \iin  numero 
infinito  di  scrittori  satirici,  che,  nel  seicento,  menarono  a  tondo  la  sferza, 
e  ci  si  gettano  in  un  fascio  davanti  l'Alamanni,  il  Rosa,  l'Aretino,  il  Doni, 
il  Franco  ed  il  Sellano.  Certi  nomi,  specie  forastieri,  sono  conciati  in  istrano 
modo.  Al  Magliabechi  si  regalano  sempre  due  e.  Lope  de  Vega  diventa , 
ben  inteso,  Lopez  de  Vega.  Al  Voiture  si  regala  un  accento  acuto  sulla  u  ; 
allo  Scudéry  (o  alla  Scudéry  ?)  si  dà  un  accento  grave  in  luogo  dell'acuto , 
e  una  i  in  luogo  della  y.  L'abate  Colin,  che  il  Molière  transformò  in  Tris- 
sotin,  qui  si  trasforma  in  Cotèn.  Uno  dei  Desmarels  perde  in  tanta  confu- 
sione una  s,  mentre  il  Fontenelle,  per  non  essere  così  subito  riconosciuto 
dal  Muratori  che  gli  vuol  male,  si  fa  chiamare  Fontanelle.  Questo  disordine 
si  propaga  dagli  uomini  ai  falli  e  alle  cose:  Veuphuism  degl'Inglesi  diventa 
per  gli  Italiani  Veuphismo,  e  i  fahliaux  (veramente  fablaux)  si  diluiscono 
alquanto  in  fablieaux  (pp.  61,102). 

Veniamo  alle  vedute  storiche  ed  ai  giudizi  dell'Autore.  Ecco  una  piccola 
immagine  del  secolo  XVI  (p.  25):  «  11  carattere  che  contraddistingue  il  cin- 
«  quecento  era  lo  scetticismo  che,  ridendo  della  superstizione  popolare,  della 
«  cavalleria ,  delle  crociate ,  di  tutte  le  forme  religiose  e  di  tutte  le  istitu- 
«  zioni  vecchie  e  nuove ,  rivelava  un'intenzione  profonda  foriera  di  riforma 
«  radicale  che  già  rumoreggiava  dal  settentrione  ».  Ed  ecco  un  ritrattino  del 
secolo  XVII  (p.  8):  «  Il  secolo  decimosettimo  è  secolo  megalomaniaco  :  tutti 
«  scrivono ,  ma  per  amore  di  gloria  ;  e  quasi  tutti  armonizzano  nell'adula- 
«  zione  scambievole ,  e  nel  far  del  Parnaso  un  nuovo  Olimpo  popolato  da 
«  unk  miriade  di  semidei  maggiori  e  minori  che,  libando  il  soave  nettare  di 
«  Apollo,  apprestato  loro  dalle  Pieridi,  producono  il  miele  ascreo,  panacea 
«  dei  mortali  ».  Questo  apotegma  si  trova  proprio  sull'uscio  come  per  dire: 
Lasciate  ogni  speranza ,  ecc.:  il  marinismo  e  l'arcadia  sono  manifestazioni 
morbose  detcrminate  dal  medesimo  atrofizzaraento  di  spirito. 


428  BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO 

Come  il  lettore  avrà  notato,  il  prof.  Magrini  ha  un  modo  suo  di  pensare 
a  cui  si  attaglia  un  modo  ancora  più  suo  di  parlare.  Egli  è  un  anarchico 
e  un  socialista  in  fatto  di  lingua ,  e  spoglia  i  verbi  dei  loro  reggimenti ,  e 
toglie  ai  vocaboli  la  lor  proprietà,  e  manda  a  soqquadro  tutti  gli  ordinamenti 
delle  parti  del  discorso.  Per  lui  un  periodo  diventa  un  momento  di  sosta  (p.  5), 
la  fosforescenza  toglie  a  fondamento  le  metafore  strane  (ibid.),  il  difetto 
della  vita  vera  può  essere  sostituito  dal  compassato  tnovimento  d'una  vita 
affatto  convenzionale  (p.  6),  il  farsi  prete  può  riputarsi  via  facile  sul  cam- 
mino dell'onore  e  della  gloria  (p.  8) ,  a  Cristina  di  Svezia  è  dato  godersi 
sfacciatamente  erotici  amori  (p.  23),  è  disturbata  l'oscena  soavità  che  sca- 
turisce dal  comandare  alle  plebi  e  dal  succhiarne  il  sangue  (p.  25),  ecc.,  ecc. 
In  risarcimento  di  tante,  forse  non  illegittime,  ma  ad  ogni  modo  gravi  ma- 
nomissioni, l'A.  regala  alla  lingua  una  ofanità  divenuta  m,oda  (p.  25),  la 
quale,  se  non  è  l'astratto  dell'aggettivo  spagnuolo  ufano,  noi  non  sappiamo 
davvero  che  altro  si  possa  essere. 

E  diremo ,  per  concludere ,  che  questa  ofanità  di  far  libri  senza  aver 
buono  in  mano  per  farli  sarà  si  una  moda,  ma  è  di  sicuro  una  pessima  moda. 


Le  nozze  del  diavolo,  novella  di  Gio.  Battista  Fagiuoli.  —  Fi- 
renze, Salani,  1885  (16^  pp.  30). 

Tutti  sanno  che  il  faceto  poeta  fiorentino ,  prendendo  l'argomento  dalla 
nota  novella  di  Niccolò  Machiavelli,  raccontò  novamente  in  versi,  rimaneg- 
giandolo un  poco,  il  curioso  ed  allegorico  fatto,  inserendolo  in  un  capitolo 
indirizzato  a  sua  moglie.  Dopo  la  stampa  di  tutte  le  Rime  piacevoli  uscite 
dalla  penna  di  lui,  due  volte,  che  sappiamo,  era  venuta  fuori  a  parte  questa 
novella  nel  secolo  nostro,  la  prima  l'anno  1820,  la  seconda  nel  1851  (1). 
Quella  fu  tratta  dalla  edizione  delle  Rime ,  questa  invece ,  comparsa  prima 
in  alcuni  numeri  del  giornale  VArte,  e  poi  raccolta  in  opuscolo,  si  afferma 
esemplata  sopra  «  un  autografo  »,  sebbene  erroneamente  venga  dichiarata 
«inedita».  E  assai  notevole  il  brano  seguente  dell'avvertenza:  «  11  Fagiuoli, 
«  checché  sul  conto  suo  voglia  dirne  la  tradizione  inveterata,  non  fu  che  una 
«  degli  attuari  della  Cancelleria  Arcivescovile  fiorentina.  11  suo  spirito  libero 
«  ma  onesto,  in  opposto  alla  corrente  di  un  secolo  perversamente  cortigiano, 
«  da  quegli  a'  quali  non  poteva  piacere,  si  travolse  a  bella  posta,  ed  in  faccia 
«  al  popolo  ignorante  volle  coprirsi  colla  sciocca  bizzania  ».  Come  ben  si 
vede,  in  queste  parole  è  adombrata  la  tesi  presa  a  svolgere,  non  felicemente, 
nel  libro  del  Bencini  (2) ,  al  quale  rimase  ignoto  questo  opuscolo ,  donde 
avrebbe  potuto  riconoscere  che  quel  suo  concetto  non  era  nuovo  affatto. 


(1)  Cfr.  Passano,  Novellieri  in  versi,  Bologna,  Bomagnolì,  1868,  pp.  174  seg. 

(2)  n  vero  Oiovan  Battista  FagiuoU  ecc.,  Firenze,  1884.  Cfr.  questo  Oiornale,  V,  459. 


BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO  429 

L'edizione  novissima  messa  fuori  dal  Salani  venne  curata  da  Giuseppe 
Baccini  che  ha  avuto  il  felice  pensiero  di  riprodurre  in  quegli  opuscoletti 
destinati  al  popolo  poesie  piacevoli  di  autori  classici;  e  già  si  sono  veduti 
il  Lamento  di  Cecco  da  Varlungo  del  Baldovini ,  l'altro  in  morte  della 
Sandra  del  Fiacchi,  La  Nencia  di  Lorenzo  de'  Medici ,  La  Beca  da  Dico- 
mano  del  Pulci,  e  le  curiose  ottave  del  Cicognini  in  nome  Pippo  di  Legnaia. 
Egli  non  ha  voluto  seguire  il  testo  delle  Rime,  ma  ristampa  la  novella 
«  tale  e  quale  »  l'ha  «  trovata  nell'autografo  »  conservato  nella  Bibl.  Riccar- 
diana  (cod.  3486);  e  ciò  perchè  ha  subito  nella  edizione  delle  Rime  delle 
modificazioni  per  opera  della  Censura.  Abbiamo  dunque  due  autografi,  l'uno 
appartenente  ad  un  privato  e  seguito  dall'editore  del  1851,  l'altro  che  ha  ser- 
vito alla  presente  edizione.  Ora  non  paia  strano  che  due  siano  gli  originali 
dell'autore,  perchè  dal  confronto  agevolmente  si  riconosce  come  quello  del 
1851  rappresenti  la  redazione  forse  di  primo  getto,  ma  senza  meno  anteriore 
a  quella  del  codice  Riccardiano  ;  poiché ,  mentre  non  vi  mancano  i  tratti 
evidentemente  modificati  o  espunti  dalla  Censura,  non  vi  si  leggono  alcune 
terzine  recate  dal  secondo  autografo,  ed  anche  dalla  stampa  del  secolo  pas- 
sato. Alcune  altre  varianti  di  forma,  che  si  trovano  nella  stampa  del  51  ri- 
spetto a  quella  del  Baccini,  dipendono  in  parte  da  errori  di  lettura  dell'ano- 
nimo editore,  e  in  parte  da  evidenti  correzioni  introdottevi  più  tardi  dal 
Fagiuoli  stesso,  il  quale  tuttavia,  rivedendo  il  suo  capitolo,  mentre  forse 
l'ordinava  per  la  stampa ,  modificò  un  verso ,  ma  dimenticò  di  mettere  in 
accordo  con  esso  le  rime  dei  corrispondenti.  Infatti  nella  stampa  del  51  si 
leggono  le  terzine  49  e  50  cosi  : 

Chi  giudica  e  chi  regna  abbi  dae  orecchi 

E  non  nn  solo,  e  quello  lungo,  e  a  volo 

Non  creda  a  ognuno,  ma  senta  parecchi. 
Odi  pertanto,  o  indiavolato  stuolo  , 

Se  non  è  vero  e  diam  retta  a  costoro. 

Diranno  che  Fintone  ò  un  gran  faginolo. 

Nella  recente  il  secondo  verso  della  prima  invece  di  a  volo ,  ha  :  duro  ; 
ma  la  seguente  è  tal  quale.  Di  questo  errore ,  non  avvertito  dal  Baccini , 
s'accorse  probabilmente  il  Fagiuoli,  mandando  in  luce  le  rime,  e  corresse 
come  si  vede  nella  vecchia  stampa. 

Può  quindi  ritenersi  che  la  lezióne,  che  abbiamo  dinanzi,  sia,  meno  qualche 
piccola  variante  introdotta  dall'  autore  rivedendo  le  bozze,  la  definitiva  e  la 
più  compiuta.  La  più  compiuta  certamente,  se  si  considera  che  alcuni  cam- 
biamenti e  qualche  soppressione  sono  dovuti  alle  forbici  del  revisore.  La 
terzina  9*  dice,  secondo  l'autografo,  parlando  della  novella: 

Benchò  dican  persone  accreditate. 

Ch'ella  sia  storia,  giacché  il  Machiarello 
La  racconta  con  troppa  veri  tate. 

Il  nome  del  gran  segretario  fiorentino  costituiva  di  per  sé  un'eresia,  nò 
■doveva  vedersi  in  iscrittura,  neppure  quando  serviva  ad  un^alantuomo  per 


430  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO 

\in  atto  di  lealtà  ;  comparisca  il  buon  Fagìuoli  plagiario ,  non  monta,  ma 
l'abbominata  parola  non  si  pronunzia  :  e  al  poeta  convenne  mutare.  Più  in- 
nanzi scriveva  : 

Però,  diavoli  miei,  che  dite  voi? 

Io  voglio  la  Giustizia,  e  ch'ella  sia 

Fatta  a  ciascuno  voglio  ancor  di  poi; 
E  s'oggi  v'è  nel  mondo  carestia 

Di  chi  intenda  che  cosa  sia  ragione, 

Abbondi  chi  l'intenda  in  casa  mia. 

Che  vi  fosse  più  giustizia  all'  inferno  che  nel  mondo  non  volle  il  censore 
fosse  affermato,  e  fu  d'uopo  rabberciare,  tagliando  via  alla  meglio.  Toccando- 
poi  della  spiritata,  aveva  detto,  secondo  il  Machiavelli: 

....  rivelava 
Le  cose  più  nascoste,  e  più  celate. 
Ed  i  peccati  ch'an  non  confessava: 
Fra  gli  altri  ella  scoperse  quei  d'un  frate. 
Che  una  donna  vesti  da  frataccino, 
E  tenne  seco  in  cella  qnattr'annate. 

Altro  inevitabile  taglio  e  accomodatura.  È  così  resecato  l'accenno  al  clero,, 
ed  all'altare  da  erigersi  sul  palco  dove  avea  a  comparire  l'indemoniata  fran- 
cese. E  qui  tornerà  opportuno  avvertire  da  ultimo,  che  nella  stampa  con- 
temporanea sono  scomparsi  tutti  i  nomi  delle  casate  che  figurano  nella  novella 
originale  in  prosa,  e  che  erano  stati  ripetuti  dal  Fagiuoli  nell'autografo; 
siccome  i  re  di  Napoli  e  di  Francia  sono  cambiati  in  semplici  signori.  Non 
so  perchè  il  B.  avendo  recato  il  principio  del  capitolo,  non  ne  abbia  dato 
anche  la  fine ,  che  ne  è  la  conveniente  conclusione  ;  gli  editori  del  20  e 
del  51,  meglio  avvisati,  l'avevano  riprodotto  intero. 

Sono  rimasti  in  questo  opuscoletto  alcuni  errori,  che  per  la  brevità  e  per 
la  sua  natura  popolare,  non  dovrebbero  esserci.  A  p.  6,  v.  24  contro  leggi 
conto;  p.  7,  v.  2  n'  I.  'n;  p.  8,  v.  11  dir  1.  di;  p.  9,  v.  11  E  1.  È;  p.  10,^ 
V.  28  cadrem  1.  cadremo  ;  p.  12,  v.  33  A  coprire  vi  sonpur  i  capelli  1.  A 
coprirle...  cappelli;  p.  28,  v.  12  perdesi  1.  perdessi. 


ERNESTO  MASI.  —  Parrucche  e  Sanculotti  nel  secolo  XVIIl.. 
—  Milano,  Treves,  1886  (16°,  pp.  xii-355). 

Con  questo  titolo  che  determina,  un  po'  bizzarramente,  ma  pur  con  verità, 
quella  lotta  fra  il  vecchio  e  il  nuovo  che  per  diverse  vie  e  aspetti  vari  fu 
la  cagione  efficiente  de'  tempi  moderni,  il  M.  ha  raccolto  una  serie  di  scritti^ 
già  comparsi  hinc  inde,  e  in  questa  ristampa  ritoccati  e  in  qualche  piccola 
parte  accresciuti.  A  parecchi  hanno  dato  argomento  alcuni  libri  importanti 


BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO  431 

o  curiosi,  che  si  vennero  man  mano  pubblicando  negli  ultimi  anni;  ma  non 
si  possono  dire  recensioni  bibliografiche  o  critiche  nel  vero  significato  della 
parola;  poiché  T A.  assomma  i  tocchi  più  spiccati,  o  aggruppa  le  figure  più 
appariscenti,  per  delineare  a  sua  volta  un  quadro,  che  è  sovente  sintesi  ben 
riuscita  di  più  vasta  tela.  Non  dico  che  egli  tralasci  a  tempo  e  a  luogo  di 
esporre  il  suo  giudizio  intorno  all'opera  dalla  quale  attinge  la  materia  del 
suo  discorso ,  accennando  eziandio  ai  difetti  o  alle  inesattezze  ;  ma  sovente 
quel  ch'ei  ne  pensa  apparisce  al  lettore  dalle  viscere  stesse  del  suo  scritto, 
onde  gli  riesce  agevole  intendere  di  qual  natura  sia  quel  lavoro,  presentato 
in  questa  guisa  dal  M.  alla  sua  osservazione.  Importa  notare  tuttavia  che 
alcuna  volta  l'A.  sembra  colto  da  improvvise  impazienze,  e  quando  chi  le^e 
crede  essere  condotto  ad  una  conclusione  omogenea  ed  opportuna,  si  trova 
inopinatamente  dinanzi  la  fine  così  tronca  in  modo  poco  piacevole.  D'altra 
parte  però  devesi  riconoscere  in  lui  il  gran  pregio  di  saper  fare,  anco  rife- 
rendosi a  lavori  altrui,  opera  originale;  poiché  avendo  sortito  ingegno  acuto 
e  mente  serena,  sa  con  forma  chiara  e  spigliata  illustrare  l'argomento  con 
la  virtù  delle  proprie  osservazioni ,  le  quali  non  si  scostano  mai ,  o  quasi , 
dalla  giustizia  e  dalla  equanimità. 

E  questa  lode  gli  si  deve  altresì  per  i  lavori  propriamente  originali,  nei 
quali  é  bello  riscontrare  la  cura  sollecita  della  ricerca ,  e  lo  studio  di  ri- 
durre in  acconcio  ed  artistico  organismo  il  materiale  raccolto.  Di  che  ci  por- 
gono testimonianza  in  questo  volume  gli  scritti  intitolati:  Frusta  Letteraria 
e  Bue  Pedagogo  —  /  racconti  della  nonna  —  La  figlia  di  Vincenzo  Monti 
—  U  Teatro  Giacobino  in  Italia.  L'A.  già  aveva  parlato  del  Baretti  e  delle 
persecuzioni  veneziane  di  cui  fu  vittima  nella  sua  importante  monografia 
intorno  all'Albergati;  ma  qui  si  ferma  più  specialmente  a  lumeggiare  con 
inediti  documenti  la  guerra  fra  il  critico  piemontese  e  il  padre  Appiano 
Buonafede.  Cosi  un  tratto  della  vita  di  quel  randagio  Scannabue  ci  è  rivelata 
per  via  di  particolari,  rimasti  fino  a  qui  nell'ombra,  o  non  ben  intesi  e 
chiariti  dai  biografi  :  donde  si  svela  la  molla  che  gli  eccitò  contro ,  se  già 
non  fosse  bastata  la  sua  lingua  sfrenata,  tanta  e  così  violenta  ira  della  so- 
spettosa repubblica.  E  la  figura  losca  del  frate,  tanto  dotto  quanto  misleale, 
modifica  l'impressione  di  certi  eccessi  del  suo  contradditore,  che  non  era  uno 
stinco  di  santo.  Il  M.  perciò  non  si  fa  né  apologista  dell'uno,  né  detrattore 
dell'altro,  ma  giudica  rettamente  a  tenore  dei  fatti  che  man  mano  viene 
esponendo.  Graziosa  la  forma  dei  Racconti  della  nonna ,  e  adatta  all'argo- 
mento, siccome  importanti  i  due  fatti  di  ragione  diversa  rimasti  nella  tradi- 
zione e  nella  poesia  popolare  ;  il  supplizio  del  ladro  Lucchini  tradito  dalla 
sua  amante,  e  la  morte  dei  due  patrioti.  De  Rolandis,  impiccato,  e  Zamboni 
uccisosi,  od  ucciso  nelle  carceri.  La  Costanza  Monti,  moglie  di  Giulio  Per- 
ticari,  ci  é  messa  dinanzi  agli  occhi  nella  sua  vera  fisionomia,  quale  si  rileva 
dalle  lettere  sue  e  dai  documenti  contemporanei  ;  né  dopo  letto  questo  scritto, 
che  è  de'  meglio  condotti ,  ci  sentiamo  disposti  ad  assolvere  la  bellissima 
donna  da  certi  peccati  di  mera  leggerezza  ;  ma  ci  apparisce  pura  dalle  ac- 
cuse calunniose  onde  fu  trafitta  per  vie  bieche  e  sleali.  11  M.  non  dà  al  suo 
lavoro  né  tono  né  colorito  apologetico;  ma  conduce  per  mano  il  lettore  a 
convenire  pienamente  nelle  sue  conclusioni.  Il  teatro  Giacobino  in  Italia  è 


432  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO 

titolo,  a  dir  vero,  troppo  grande,  rispetto  allo  svolgimento  dato  al  soggetto, 
della  qual  cosa  sembra  essersi  accorto  in  qualche  luogo  l'A.  stesso,  poiché 
cerca  attenuarne  l'estensione  ;  tuttavia,  anche  cosi  com'è,  il  lavoro  ha  parti 
importanti,  e  riesce  veramente  persuasivo  là  dove  ricerca  e  discopre  le  affi- 
nità del  teatro  italiano  con  quello  francese  del  periodo  rivoluzionario,  e  ne 
rileva  con  acuta  felicità  le  differenze.  Manca  un  po'  nell'insieme  di  fusione 
e  di  omogeneità,  ma  in  compenso  vi  sono  osservazioni  e  rilievi  importanti, 
sì  come  molta  padronanza  della  materia. 

Come  tutti  sanno ,  il  M.  si  è  occupato  tre  volte  del  Goldoni ,  e  nel  già 
citato  libro  intorno  all'Albergati ,  e  con  una  lodata  prefazione  alla  prima 
raccolta  importante  delle  lettere  del  comico  veneziano ,  e  necessariamente 
discorrendo  per  ultimo  di  Carlo  Gozzi  ;  or  qui  con  la  Politica  goldoniana 
esamina  un  aspetto  della  vita  di  quel  grande  ;  con  le  lettere  di  lui  intorno 
a  Leonardo  da  Vinci,  delle  quali  il  nostro  Giornale  già  altra  volta  si  è 
occupato,  aggiunge  alcunché  alla  sua  biografia;  infine  per  mezzo  degli  ap- 
punti goldoniani  riassume  bellamente  gli  studi  che  sono  venuti  fuori  sopra 
il  medesimo  argomento. 

La  forma  di  conferenza  lasciata  allo  scritto  nel  quale  discorre  del  Meta- 
stasio,  scusa  la  rapidità  della  trattazione  e  il  tacere  o  toccare  appena  alcuni 
punti  notevoli:  pur  chi  ben  guarda  trova  qualche  cosa  di  nuovo  e  non  detto 
da  altri,  e  riconosce  la  giustezza  di  parecchie  sentenze  derivate  da  squisito 
sentimento  dell'arte.  Le  lettere  dell'Albergati  e  del  De  Rossi  intorno  ai 
Drammi  lagrimevoli,  riprodotte  qui  con  un  breve  preambolo,  sono  specchio 
fedele  di  quanto  valessero  nella  critica  que'  nostri  antenati,  i  quali  né  inte- 
ramente vecchi,  né  al  tutto  e  coraggiosamente  nuovi,  si  cullarono  in  uno 
strano  ibridismo,  brancolando  a  tentoni  in  mezzo  alle  bufere  politiche  e  let- 
terarie onde  furono  colti. 

Curioso  il  profilo  di  Dario  Cappelli,  Un  sopravissuto,  de'  comici  del  vec- 
chio stampo.  Aveva  conosciuto  l'Alfieri  negli  ultimi  anni,  e  poi  ebbe  dime- 
stichezza col  Pellico  e  con  le  Marchionni.  Mori  novantenne  e  poverissimo  in 
pieno  secolo  XIX  dopo  il  '61 ,  e  fu  l'ultima  parrucca,  con  cui  si  chiude  il 
geniale  volume,  in  mezzo  al  quale  stanno  forse  a  disagio  le  brevi  pagine 
sulla  Commedia  reazionaria,  che  per  la  loro  esiguità  turbano  il  lieto  concerto. 


LEONE  VICCHI.  —  Vincenzo  Monti,  le  lettere  e  la  politica  in 
Italia  dal  1760  al  1830  {Triennio  1778-80).  —  Roma,  For- 
zani,  1885  (pp.  xvi-372). 

Questo  volume  forma  la  terza  parte  dell'opera  che  il  V.  sta  dettando  in- 
torno a  Vincenzo  Monti  ;  terza  nell'ordine  materiale  di  stampa ,  ma  prima 
secondo  la  cronologia,  e  rispetto  a  quelle  già  edite,  poiché  comprende  il 
triennio  nel  quale  il  giovane  poeta,  partitosi  dalla  casa  paterna,  incominciò 
nella  desiderata  Roma  le  sue  prime  prove.  Non  era  nuovo  affatto  alla  poesia. 


BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO  433 

ehò  già  in  patria  aveva  dato  faori  componimenti  di  varia  maniera,  e  s*era 
procacciata  la  conoscenza  del  Cancellieri  e  del  Minzoni.  Ma  sentiva  in  se 
uno  smodato  fuoco  che  lo  rendeva  bramoso  di  fama,  e  la  sua  terra  gli  ap- 
pariva  ristretta  a  spiegare  le  ali.  Siamo  dunque  al  punto  in  che  egli  abban- 
dona Ferrara,  e  s'avvia  a  Roma.  Intanto  che  il  Monti  corro  per  la  sua  strada, 
VA.  si  distendo  ad  informarci  del  modo  onde  si  facevano  i  viaggi  a  quei  dì, 
con  molti  particolari,  riscontri,  dati  statistici,  ed  esempi  ;  quindi,  prendendo 
le  mosse  dalle  diverse  porte  della  città  alle  quali  facevano  capo  le  strade 
esterne,  viene  a  discorrere  della  topografia  di  Roma  ;  ed  ecco  dopo  alquante 
pagine  ricomparirci  dinnanzi  il  nostro  poeta ,  che  sta  per  entrarvi.  Ma  qui 
il  V,  ci  avverte  che  farà  una  intramessa  per  dare  al  lettore  un  «  cenno  sulla 
Roma  del  1778  »,  cioè  della  sua  condizione  politica  ed  amministrativa;  e  così 
ce  ne  andiamo ,  dopo  questo  «  cenno  »  che  si  prolunga  per  quasi  duecento 
pagine,  a  ritrovare  il  Monti,  appena  arrivato  in  città,  essendovi  entrato  dalla 
porta  del  Popolo  il  26  maggio  1778  a  due  ore  di  notte. 

Or  vediamo  finalmente  il  poeta  all'opera,  desideroso  di  mettersi  innanzi, 
e  di  trovare  una  occupazione  proficua.  I  primi  passi  furono  in  Arcadia  e 
all'Accademia  degli  Aborigeni;  né  si  lasciò  sfuggire  le  buone  occasioni  di 
nozze  illustri  per  farsi  strada.  E  già  il  suo  nome  usciva  dalla  comune  schiera, 
quando,  trovandosi  radunate  parecchie  poesie  ed  alcune  prose,  volle  uscissero 
in  luce  raccolte  in  un  volume  e  corrette  ;  ciò  fu  il  noto  Saggio  di  poesie 
edito  a  Livorno  nel  1779.  Esaminando  questo  libro  riesce  agevole  riconoscere 
quali  fossero  i  concetti  letterari  del  poeta ,  quale  il  suo  ingegno  e  la  sua 
cultura  ;  per  ciò  il  V.  vi  richiama  l'attenzione  del  lettore ,  e  ne  rileva,  per 
questo  lato,  l'importanza  del  contenuto.  Seguita  quindi  enumerando  gli  scritti 
venuti  fuori  man  mano  dalla  sua  penna  negli  anni  1779-80 ,  e  fra  questi  è 
notevole  la  Prosopopea  di  Pericle ,  rifatta  quasi  del  tutto  più  tardi,  della 
quale  egli  mette  a  riscontro  le  due  redazioni.  Si  chiude  quindi  il  volume, 
con  la  storia  particolareggiata  delle  contese  letterarie  fra  il  nostro  poeta  e 
Tex-gesuita  Galfo. 

Questo  è  brevemente  il  contenuto  del  libro,  nel  quale,  come  abbiamo  ve- 
duto, si  discorre  del  Monti  assai  poco;  mentre  invece  l'A.  s'intrattiene  con 
molta  larghezza  intorno  alle  condizioni  di  Roma  a  quei  dì.  Né  vorremo  noi 
negare  che  vi  siano  utili  e  curiose  notizie,  e  neppure  che  fossero  a  questo 
luogo  opportune;  ma  a  nostro  avviso  era  necessario  meglio  osservare  l'eco- 
nomia del  lavoro,  e  non  dilungarsi  fuor  misura  in  particolari  minutezze: 
occorreva  mettere  sotto  gli  occhi  del  lettore  una  ben  accomodata  sintesi,  che 
non  lo  distraesse  per  troppo  lungo  tratto  dal  principale  soggetto.  Inoltre,  se 
da  un  lato  si  riconoscono  profittevoli  alcune  citazioni  per  disteso,  altre,  come 
gli  estratti  lunghissimi  dal  Diario  del  Cracas,  riescono  affatto  superflue.  Si 
dica  lo  stesso  di  parecchi  brani  riprodotti  per  intero  dalla  nota  opera  del 
Silvagni,  della  quale  bastava  citare  la  pagina.  Anzi  a  questo  proposito  av- 
vertiremo come  sia  al  tutto  trascurata  siffatta  maniera  di  citazione,  poiché 
l'A.  si  limita  a  ripetere  inutilmente  ad  ogni  momento  il  titolo  dell'opera 
onde  attinge,  con  le  relative  note  tipografiche,  il  che  bastava  fosse  fatto  la 
prima  volta. 

Osserveremo  poi  che  non  conosciamo  una  commedia  di  Carlo  Gozzi  inti- 


434  BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO 

tolata:  L'Avventuriere  onorato  (p.  148),  bensì  quella  notissima  del  Goldoni;  e 
che  non  ci  persuadono  le  ragioni  con  le  quali  l'A.  nega  al  Chigi  la  parte- 
cipazione nella  celebre  satira  II  Conclave^  attribuita  all'abate  Sertor.  Il  carat- 
tere del  principe  Sigismondo,  come  ci  è  assai  bene  rappresentato  dall'Ade- 
mollo  e  dall'autore  stesso  nel  precedente  volume,  ce  lo  fa  credere  capacissimo 
d'aver  ispirato,  ed  anche  posto  mano  in  quella  pasquinata.  Quanto  alle  stampe 
di  questo  dramma  satirico,  non  sono  certo  cosi  rare,  secondo  afferma  il  V.  ; 
ne  abbiamo  dinnanzi  l'edizione  procurata  da  G.  A.  Ranza  in  Bologna  l'anno 
secondo  della  Repubblica  Cisalpina,  che  contiene  il  Memoriale  in  ottave 
rivolto  al  Papa  dal  Sertor,  con  la  risposta  pur  a  lui  attribuita. 

Non  possiamo  infine  rimanerci  dal  notare  la  forma  molto  trascurata,  e  la 
mancanza  di  un  appropriato  organismo  ;  e  deploriamo  poi  vivamente  la  inop- 
portuna prefazione,  e  certi  tocchi  (chiamiamoli  così)  in  nota  affatto  fuor  di 
luogo. 


ALESSANDRO  D'ANCONA.  —  Varietà  storiche  e  letterarie.  — 
Serie  seconda.  —  Milano,  Fratelli  Treves,  1885  (8^  pp.  393). 

Diamo  qui  appresso  i  titoli,  e  indichiamo  sommariamente  il  contenuto  dei 
sedici  saggi  che  compongono  questa  seconda  serie ,  pubblicata  pur  ora  (1). 
Ricordiamo  trattarsi  di  scritti  già  sparsamente  pubblicati,  senza  di  che  ne 
avremmo  dato  più  minuto  ragguaglio. 

I.  Il  Romanzo  della  Rosa  in  italiano.  Tratta  del  Fiore,  traduzione  molto 
abbreviata,  in  sonetti,  del  famoso  Roman  de  la  Rose,  pubblicata  da  Ferdi- 
nando Gastets  a  Montpellier,  nel  1881.  A  p.  30  un'importante  nota  aggiunta 
tratta  di  quel  Sigieri  di  Brabante  che  l'Alighieri  ricorda  nel  X  del  Para- 
diso. —  II.  H  Veltro  di  Dante.  Espone  e  corrobora  una  opinione  assai  plau- 
sibile del  Del  Lungo,  che  col  famoso  suo  veltro  Dante  non  abbia  già  voluto 
indicare  una  determinata  persona ,  a  lui  nota ,  e  nemmeno  un  imperatore 
invocato,  ma  bensì  un  pontefice  di  là  da  venire.  —  III.  Di  alcuni  pretesi 
versi  danteschi.  Sopra  i  versi  pubblicati  da  Gregorio  Palmieri  nel  1878,  in- 
tomo ai  quali  si  fece  allora  un  certo  rumore  nei  giornali  inglesi.  L'A.  mostra 
che  non  possono  essere  di  Dante,  e  con  ingegnose  ragioni  cerca  l'origine 
probabile  della  interpolazione.  Accenna  ad  alcune  altre  interpolazioni  fatte 
nella  Commedia.  —  IV.  La  poesia  politica  italiana  ai  tem.pi  di  Lodovico 
il  Bavaro.  L'A.  cerca  nella  poesia  del  tempo  la  eco  delle  speranze,  dei 
giudizi,  delle  passioni  cui  fece  nascere  in  Italia ,  prima  la  calata  del  Ba- 
varo, poi  la  sua  trista  dipartita.  I  componimenti  ricordati  sono:  una  canzone 
attribuita  a  Pietro  o  Iacopo  di  Dante,  un'altra  dell'Imolese  Iacopo  Carradori, 
una  terza  di  Fazio  degli  Uberti,  la  nota  profezia  di  frate  Stoppa  dei  Bostichi, 
un  canto  popolare  contumelioso ,  il  Centiloquio  di  Antonio  Pucci,  il  Ditta- 
mondo  ;  in  appendice  una  poesia  latina  inedita ,  tratta  dal  codice  parigino 


(1)  Vedi  per  la  prima  serie,  Giornale,  II,  417. 


BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO  435 

della  Nazionale  5696,  opera  di  un  chierico  normanno  che  voleva  gratificarsi 
Giovanni  XXII.  —  VI.  Il  Regno  d'Adria.  Disegno  di  secolarizzazione  degli 
stati  pontifici  nel  secolo  XIV.  E  la  storia  di  questo  singolare  disegno,  ideato 
dall'antipapa  Clemente  VII ,  rifatta  sulle  tracce  di  Paolo  Durrieu ,  che  la 
espose  nella  Revue  des  questions  historiques  del  1880.  —  VII.  L'antico  studio 
fiorentino.  Notizia  delle  vicende  e  degli  ordinamenti  di  questo  studio,  tratta 
dalla  pubblicazione  di  Alessandro  Qhcrardi,  Gli  statuti  della  Università  e 
Studio  fiorentino  dell'anno  MCCCLXXXVII ecc.,  Firenze,  1881.— VIII.  L'an- 
tico linguaggio  politico  ed  amministrativo  d'Italia.  Dà  conto  del  libro  di 
Giulio  Rezasco,  Dizionario  del  linguaggio  italiano  storico  ed  amministra- 
tivo (Firenze ,  1882  )  che  riceve  in  queste  pagine  il  meritato  encomio.  — 
IX.  Due  antichi  Fiorentini:  Ser  Iacopo  Mazzei  e  Bernardo  Rucellai.  In- 
teressanti ed  acconco  spigolature  da  una  pubblicazione  di  Cesare  Guasti , 
Lettole  di  un  notaro  a  un  m^cante  del  secolo  XIV  (Firenze,  1881)  e  da 
una  di  G.  Marcotti,  Un  mercante  fiorentino  e  la  sua  famiglia  nel  secolo  XV 
(Firenze,  1881).  —  X.  Una  gentildonna  fiorentina  del  secolo  XV.  Spigola- 
ture dalle  Lettere  di  una  gentildonna  fiorentina  (Alessandra  Macinghi  negli 
Strozzi)  del  secolo  XV  ai  figliuoli  suoi,  pubblicate  da  Cesare  Guasti ,  Fi- 
renze, 1877.  —  XI.  Alessandro  VI  e  il  Valentino  in  novella.  L'A.  rileva 
accortamente  come  nella  novella  decima  della  Deca  nona  degli  Ecatommiti 
di  G.  B.  Giraldi  Cintio  sieno,  sotto  nomi  supposti,  ritratti  Alessandro  VI  e 
Cesare  Borgia  e  narrata  la  fine  di  entrambi.  Nota  inoltre  come  nella  novella 
seconda  di  quella  medesima  Deca  si  narri  la  storia  di  Corradino  di  Svevia. 

—  XII.  Giangiorgio  Trissino.  Dà  conto  del  libro  del  Morsolin,  Giangiorgio 
Trissino  o  Monografia  di  un  Letterato  del  secolo  XVI,  Vicenza ,  1878,  e 
di  altre  pubblicazioni  d'elio  stesso  autore  riguardanti  il  poeta  Vicentino.  — 
XIII.  /  comici  italiani  in  Francia.  Notizia  messa  insieme  principalmente 
con  la  scorta  dell'ottimo  libro  del  Baschet,  Les  Comédiens  italiens  à  la  Cour 
de  France  sous  Charles  IX,  Henri  III,  Henri  IV et  Louis  XIII,  Parigi,  1882. 

—  XIV.  Unità  e  federazione.  Studi  retrospettivi  (1792-1814).  Interessanti 
notizie  della  duplice  forma  in  che  ripetutamente  si  venne  manifestando  in 
quegli  anni  il  sentimento  nazionale  degl'Italiani.  —  XV.  Poesia  e  musica  popo- 
lare italiana  nel  nostro  secolo  (con  quattro  tavole  musicali).  L'A.  parla,  attin- 
gendo a  ricordi  propri  ed  a  stampe,  di  molti  canti  popolari,  amorosi,  satirici, 
politici,  guerreschi  che  ebbero  voga  in  Italia  prima  e  dopo  del  quarantotto. 

—  XVI.  Carlo  Tenca  e  i  suoi  scritti  di  critica  letteraria.  Giusto  tributo 
d'onore  all'uomo  egregio  che  l'Italia  perdette  or  son  due  anni  e  di  cui  Tulio 
Massarani  attende  a  pubblicare  gli  scritti. 

Dato  questo  breve  sommario,  non  abbiam  bisogno  di  aggiungere  che  gli 
scritti  tutti  raccolti  in  questo  secondo  volume,  sia  che  dien  conto  di  liLri  e 
di  ricerche  altrui ,  sia  che  offrano  indagini  e  risultati  propri ,  fan  sempre 
testimonio  del  senso  storico  retto  e  squisito,  della  eccellenza  e  sicurtà  del 
metodo,  dell'amplissima  e  varia  dottrina  che  gli  studiosi  da  gran  tempo  co- 
noscono essere  doti  possedute  in  sommo  grado  dall'autore,  e  che  in  essi  si 
ha  esempio  di  quella  maniera  di  lavoro  appunto  per  cui  soltanto  la  nostra 
storia  letteraria  potrà  acquistare  la  pienezza  e  l'esattezza  che  troppo  ancora 
le  mancano. 


436  BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO 

EMILIO  PENCO.  —  storia  della  letteratura  italiana.  —  Vo- 
lume primo.  Le  origini.  —  Firenze,  tipografia  di  Gr.  Barbèra, 
1866  (8%  pp.  vii-183). 

Non  sappiamo  quale  ineluttabile  necessità  abbia  potuto  spingere  il  pro- 
fessore Emilio  Penco  a  pubblicar  questo  libro;  ma,  qual  ch'essa  sia,  non 
possiamo  se  non  deplorarla.  Nella  breve  prefazione  dice  l'A.  d'essersi  accinto 
all'ardua  impresa  con  quell'entusiasmo  giovanile,  il  quale,  sprezzati  gV  in- 
ciampi, altro  non  vede  che  lo  splendor  della  meta;  e  soggiunge  che  gli 
ostacoli  non  lo  sgominarono.  Assai  meglio  sarebbe  stato  spendere  questo 
giovanile  entusiasmo  in  istudiare  anzi  che  in  iscrivere;  o  se  scrivere  si  voleva 
ad  ogni  modo,  bisognava  ricordarsi  almeno  che  non  basta  guardare  lo  splendor 
della  meta,  ma  si  deve  anzi  tutto  sapere  dove  si  mettono  i  piedi.  Manifestati 
gl'intendimenti  suoi,  l'A.  si  dice  pronto  a  ricredersi  d'ogni  suo  errore,  qua- 
lora altri  il  convinca  del  mancamento  colla  dignità  civile  che  impone  a 
chi  lavora  nello  stesso  campo  di  sostenersi  a  vicenda,  con  stima  affettuosa, 
e  largo  compatimento.  Questa  specie  di  captatio  benevolentiae  dà  una  po- 
vera idea  del  concetto  che  il  sig.  P.  si  è  formato  della  critica  e  degli  offici 
suoi.  Non  signore;  non  c'è  dignità  civile  che  imponga  altrui  di  sostenere  i 
guastamestieri  e  di  compatire  agl'incompatibili  spropositi;  anzi  la  dignità 
civile,  e  più  particolarmente  la  dignità  degli  studi,  che  è  dignità  dell'umano 
intelletto,  vogliono  appunto  il  contrario.  Dovere  della  critica  sensata  ed 
onesta,  fatta  in  servigio,  non  degli  scrittori,  ma  degli  studi,  è  di  sterpare 
dalle  radici,  senza  esitanze  e  senza  ipocrite  cerimonie,  queste  male  piante, 
che  d'ogni  parte  invadono  e  aduggiano  di  mala  ombra  le  scuole.  I  dieci- 
mila arcadi,  che  ai  tempi  del  Baretti  assordavano  d'insen.sate  rime  l'Italia, 
smesso  di  far  versi,  si  son  dati  alla  erudizione  e  alla  critica,  senza  però  mu- 
tare gli  abiti  della  mente  e  il  costume.  Son  sempre  gli  stessi,  salvo  che  fan 
più  male:  allora  dicevano  melensaggini;  ora  dicono  spropositi. 

Per  non  parlar  d'altro,  da  un  pezzo  in  qua  fioccano  storie  letterarie 

Come  fa  neve  in  Alpe  senza  vento, 

e  l'una  è  peggiore  dell'altra,  e  il  critico  non  ripara  a  dir  di  tutte  tutto  il 
mal  che  si  meritano.  Questa,  di  cui  parliamo,  è  certamente  tra  le  peggiori, 
e  il  sig.  P.  s'inganna  a  partito  quando  spera  di  poter  giovare  per  essa  alla 
gioventù  studiosa  d'Italia.  Giovare?  eh,  via!  Non  si  giova  alla  gioventù 
studiosa  insegnando  che  la  lingua  italiana  deriva  dai  dialetti  italici  coesi- 
stenti col  latino  (p.  1)  ;  che  le  serventesi  furono  animiate  dall' imm,aginativa 
fecondissima  degli  Arabi  (p.  3);  che  Folchetto  (quale  di  grazia?)  fu  uno  dei 
trovatori  italiani  che  poetarono  in  provenzale,  dimenticando  poi  nientemeno 
che  Bordello  (p.  3);  che  la  lingua  antica  siciliana  trionfò  in  Toscana  (p.  12); 
che  la  tenzone  (sic)  di  Giulio  d'Alcamo  risonò  in  un  baleno  ad  ogni  convito, 
echeggiò  sulle  bocche  dei  cavalieri  e  delle  castellane  (p.  12)  ;  che  Pier  delle 


BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO  437 

Vigne  fu  quegli  che  introdusse  le  similitudini  nella  poesia  (p.  19)  ;  che  Àn* 
tonio  Pucci  rifece  il  Be  Taediis  di  Gherardo  Pateclo  (p.  35)  ecc.  ecc.  Non  si 
giova  alla  gioventù  studiosa  dando  per  vere  cose  false,  per  certe  cose  dubbie, 
ponendo  tra  i  siciliani  Folcacchiero  dei  Folcacchieri  (p.  20),  che  fu  senese; 
parlando  degli  struggimenti  di  cuore  di  Nina  Siciliana  quando  è  tutt*  altro 
che  certo  che  una  Nina  Siciliana  sia  esistita  mai  (p.  57);  parlando  del  contrasto 
di  Cielo  dal  Gamo  senza  fare  la  più  piccola  allusione  alle  infinite  questioni  che 
si  fecero  intorno  a  quella  poesia  ed  al  suo  autore  ;  affermando  che  Pier  delle 
Vigne  è  il  primo  che  compose  sonetti  (p.  19)  ecc.  Non  si  giova  alla  gioventù 
con  una  trattazione  monca ,  scucita ,  disordinata  ;  con  dar  prova  di  nessun 
discernimento  nella  scelta  dei  libri  con  Taiuto  dei  quali  la  trattazione  stessa 
si  viene  facendo;  con  attingere  spesso  a  fonti  che  a  loro  volta  sono  compi- 
lazioni di  seconda  e  di  terza  mano;  con  correr  del  rimanente  per  sua  l'opera 
del  Bartoli;  con  mostrare  di  non  aver  cognizione  alcuna  delle  edizioni  mi- 
gliori ;  col  mostrarsi  pochissimo  e  malissimo  informato  di  certe  questioni 
grosse,  quale  sarebbe  quella  di  Dino  Compagni;  con  sbrigare  in  quattro  pa- 
role parti  importantissime  della  storia  letteraria  delle  origini,  quale  quella 
della  diffusione  della  epopea  francese  in  Italia;  con  non  dir  verbo  di  fatti 
rilevantissimi;  coll'avventare  in  lingua  e  stile  deplorabili  giudizi  incongrui 
0  impertinenti.  A  p.  115,  n.  4,  troviamo  detto  che  il  Gantù,  qui  chiamato 
con  isfacciata  quanto  bugiarda  lode  il  più  grande  storico  moderno,  rivide  le 
bozze  del  libro.  Davvero?  Le  nostre  congratulazioni. 

Il  sig.  P.  impiega  le  ultime  venti  pagine  del  suo  volume  in  dare  i  giu- 
dizi di  eminenti  letterati  e  della  stampa  sopra  non  sappiamo  qual  suo  liber- 
colo petrarchesco.  Gli  eminenti  letterati  sono  Giulio  Garcano,  G.  B.  Giuliani 
e  Antonio  Crocco;  ma  tutti  sanno  che  cosa  valgano  certe  lodi  date  per  let- 
tera da  persone  che  non  s'aspettano  di  vedersi  stampare  le  lettere  che  scri- 
vono. Ad  ogni  modo,  mentre  il  Giuliani  si  congratula  con  l'autore  della 
leggiadria  del  suo  stile,  il  sig.  Crocco  lo  esorta  in  sostanza  a  scrivere  un 
pochino  meglio.  I  giudizi  della  stampa  son  ciò  che  si  può  immaginare  di 
più  ameno,  e  in  questa  gara  di  lodi  fan  bella  mostra  di  sé  II  Fossanese, 
La  Staffetta  di  Napoli,  L'Ordine  di  Ancona,  La  Sicilia  Cattolica  di  Pa- 
lermo, Il  Cittadino  di  Ancona,  L'Avanguardia  di  Cosenza.  Ci  duole  che  il 
nostro  Giornale  non  possa  accompagnarsi  con  si  lieta  brigata. 

In  copertina  il  sig.  P.  annunzia  la  prossima  pubblicazione  del  secondo 
volume  dell'opera  sua.  Ascolti,  se  crede,  un  nostro  consiglio,  o  piuttosto  il 
consiglio  di  Guido  da  Montefeltro:  sia 

Lnag»  promessa  coll'attender  corto. 


EDUARDO  MAGLI  ANI.  —  Storia  letteraria  delle  donne  italiane, 
—  Napoli,  A.  Morano,  1885  (16',  pp.  vi-269). 

Questo  libro,  quantunque  presentato  al  pubblico  dall'editore  Morano  come 
«  il  compimento  »  delle  «  insuperabili  letterature  di  Settembrini  e  De  Sanctis  » 


438  BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO 

è  sì  povera,  sciatta  e  spropositata  cosa,  che  ci  asterremmo  volentieri  dal 
parlarne,  se  oltre  l'obbligo  di  additare  agli  studiosi  i  libri  buoni,  non  aves- 
simo quello  di  far  loro  evitare  i  libri  cattivi  e  gli  inconcludenti. 

Con  una  dozzina  di  opere  diverse  di  valore  e  di  intenti,  che  vengono  qui 
citate  come  Dio  non  vuole,  il  sig.  M.  ha  compilato  questa  sedicente  storia 
letteraria  delle  donne,  della  quale  abbiamo  ora,  a  quanto  sembra,  solamente 
il  primo  volume,  poiché  TA.  non  vi  si  spinge  oltre  il  sec.  XVI.  Noi  ne  leg- 
gemmo una  buona  metà  di  questo  volume,  e  per  quanto  una  simile  lettura 
ci  tenesse  allegri,  non  abbiamo  creduto  necessario  di  proseguirla  sino  al  fondo. 

Comincia  il  M.  parlandoci  della  letteratura  provenzale,  che  per  lui  è  una 
«  letteratura  fenomenale  »  (p.  9),  cui  mancarono  «  le  coscienze,  il  contenuto 
«  sempre  nuovo  e  sempre  mutabile  della  realtà,  la  nazione,  le  persona- 
«  lità  »  (p.  10).  Quantunque  a  p.  13  egli  abbia  il  coraggio  di  affermare  che 
ha  d'innanzi  «  non  pochi  documenti  »,  chiaro  si  discerne  aver  egli  affron- 
tato questa  parte  del  suo  tema  senz'  altra  guida  che  alcuni  pochi  e  mal 
scelti  volumi  di  erudizione.  Egli  ha  bisogno  di  imparare  dal  Ginguené  (o 
Ginquené,  come  a  lui  piace  chiamarlo  sempre)  che  le  vite  dei  poeti  provenzali 
del  Nostredame  sono  poco  attendibili  (p.  7);  ma  ciò  non  toglie  che  presti 
fede  al  Monaco  delle  Isole  d'Oro  (1)  e  si  abbandoni  fiducioso  al  Millot.  Del 
Diez  non  sa  nulla  e  si  può  giurare  che  ha  consultato  il  Raynouard  solo  per 
riferire  qualche  brano  provenzale,  che  altrove  avea  trovato  tradotto.  Quindi 
non  sospetta  neppure  che  tutto  quel  bell'edifìcio  intorno  alle  corti  d'amore 
ch'egli  vagheggia  sia  stato  in  gran  parte  rovinato  dall'acume  e  dalla  dot- 
trina del  massimo  fra  i  romanisti.  Ma  questo  sarebbe  ancora  meno  male; 
giacché  noi  non  crediamo  definitivamente  risoluta  la  questione,  né  lo  sarà 
finché  non  si  riprenda  seriamente  ad  esaminare  il  curioso  libro  di  Andrea 
cappellano.  Ve  ben  di  peggio  in  queste  pagine.  L'A.  non  riferisce  quasi 
mai  rettamente  i  nomi  dei  trovatori  ;  egli  continua  a  credere  alle  grandi 
influenze  della  civiltà  e  della  coltura  araba  nel  mezzodì  della  Francia  (p.  10); 
egli  reputa  che  tenzon  sia  una  parola  provenzale  (p.  3);  egli  definisce  le 
cohle  «  antiche  poesie  divise  in  stanze,  che  per  lo  più  contengono  amorose 
«  dichiarazioni  »  (p.  12);  egli  prende  Vensenhamen  di  Amanieu  De  Sescas 
per  «  un  lungo  poema  sull'educazione  delle  dame  »  e  lo  considera  quale  pre- 
cursore del  Castiglione  (p.  9).  Quest'ultimo  granciporro  mostra  come  l'A.  non 
si  sia  neppure  presa  la  briga  di  andar  a  vedere  i  documenti  che  più  diret- 
tamente dovevano  interessarlo. 

Né  si  creda  che  sia  più  forte  allorché  si  addentra  propriamente  nel  suo 
territorio,  la  letteratura  italiana.  Sprovvisto  di  ogni  critica,  vede  poetesse 
dovunque  :  accetta  a  chius'occhi  la  Nina,  fa  scrivere  in  rima  la  problema- 
tica Selvaggia  de' Vergiolesi  (p.  46),  appoggiandosi  a  un  suo  preteso  madri- 
gale (2)  e  fa  la  peregrina  scoperta  che  questa  Selvaggia  «  visse  prima  del 


(1)  Sa  questa  e  soUe  altre  fonti  del  Nostredame  vedi  Babtsch,  Die  Quellen  von  Jehan  de  Nosire- 
damxa,  in  Jakrb.  /.  rom.  u.  engl.  Liti.,  XIII,  5-18.  Cfr.  Meteb,  Les  dernùrs  troub.  de  la  Prov., 
Paris,  1871,  pp.  16-17. 

(2)  Cfr.  Babtoli,  St.,  IV,  63,  n.  3. 


BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO  439 

«  Petrarca  »  (p.  45).  Il  M.  ha  ancora  la  fortuna  di  prestar  fedo  ad  un  gruppo 
di  poetesse  vissuto  nel  soc.  XIV,  Giustina  Perotti,  Leonora  della  Oonga, 
Ortensia  di  Guglielmo ,  Livia  del  Chiavello ,  e  a  loro  consacra  un  intero 
capitoletto  (pp.  59-66),  chiamandole  petrarchiste.  Questa  sezione  delle  petrar- 
chiste  l'A.  la  vorrà  poi  conservata  gelosamente  anche  negli  altri  secoli,  a 
rischio  che  gli  succeda  come  nel  sec.  XV,  ove  ha  un  capitolo  intitolato  pe- 
trarchiste (pp.  115  sgg.)  senza  pur  una  letterata  che  possa  veramente  dirsi 
seguace  del  Petrarca.  Nel  sec.  XIV  (chi  lo  crederebbe?)  queste  petrarchiste, 
di  autenticità  .sicurissima,  come  abbiamo  veduto,  «  non  leggevano  nemmeno 
«  il  libro  delle  preghiere  e  ricevevano  un'educazione  di  ferro,  com'era  il  so- 
«  colo  »  (p.  63).  Non  vi  sembrano  una  cosa  ghiotta  le  belle  petrarchiste 
del  trecento,  che  con  tutta  la  loro  educazione  di  ferro  non  sono  mai  esistite? 

A  p.  69  impariamo  che  Brunetto  Latini  e  Guido  Guinicelli  furono  profes- 
sori nell'università  di  Bologna,  dalla  quale  uscirono,  con  Gino,  Guido  Caval- 
canti e  Dante  Alighieri.  A  p.  71  ci  si  dice  che  nel  De  claris  mulieribus 
vien  confusa  la  storia  col  mito.  A  p.  115  rileviamo  che  solo  nel  sec.  XV 
apparisce  nella  poesia  italiana  «  una  nuova  forma  »,  che  è,  per  chi  noi 
sapesse,  «  1'  ottava  rima  ».  Ma  non  basta.  «  Fiorivano  intanto  anche  a  Fi- 
«  renze  due  nuovi  generi  poetici  nati  dal  popolo  ;  erano  una  poesia  profana 
«  ed  un'altra  sacra  :  lo  strambotto  esclusivamente  adoperato  dal  popolo  e 
«  rifiutato  dalle  corti,  e  la  laude,  un  componimento  religioso  ch'ebbe  tra 
«  i  migliori  interpreti  Lucrezia  Tornabuoni  e  Antonia  Pulci  ».  La  quale 
Antonia  Pulci  non  si  accontentava  di  comporre  delle  laudi,  ma  «  scrisse 
«  anche  lei  un  romanzo  nominato  la  Regina  d"  Oriente  »  (p.  120).  Questa 
Antonia  è  proprio  degng  di  andar  a  braccetto  con  quella  signora  Palla  di 
Firenze,  che  «  fa  dell'esiglio  un  tranquillo  e  delizioso  soggiorno  »  a  p.  131. 

Le  poche  citazioni  fatte  ammaestrano  abbastanza  sulla  importanza  del 
libro.  Anche  quando  l'A.  copia,  e  gli  avviene  spesso,  come  fu  dimostrato  (1), 
egli  non  può  far  a  meno  di  cadere  in  inesattezze  ed  errori,  sicché  le  verità 
meno  discusse  in  bocca  sua  diventano  quasi  contestabili.  Egli  non  ha  idea 
chiara  di  nulla,  e  quando  va  a  tentoni  con  quella  sua  prosa  scorretta  e 
bracalo  na  a  traverso  i  nostri  secoli  letterari,  dei  quali  non  capisce  lo  spi- 
rito, è  una  pietà  il  vederlo.  Noi  non  possiamo  neppure  incoraggiarlo  a  rifare 
il  lavoro  con  migliore  preparazione  :  ci  sembra  che  a  questi  studi  gli  manchi 
ogni  attitudine. 


A.  DE  NINO.  —  Briciole  letterarie.  —  Volume  II,  Lanciano,  R.  Ca- 
rabba,  1885  (12»,  pp.  284). 

Al  primo  volume  di  questa  raccolta  dei  suoi  scritti  sparsi ,  del  quale  ab- 
biamo già  reso  conto,  il  De  Nino  ne  ha  fatto  sollecitamente  seguire  un 
secondo,  non  inferiore  per  nitidezza  di  tipi  al  precedente. 


(1)  Dal  ToBBACA,  nelU  Ratttgna  del  19  sett.  1885. 


440  BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO 

In  quanto  al  contenuto  però,  anche  a  proposito  di  questo  volume,  si  potreb- 
bero ripetere  le  osservazioni  già  fatte  (1)  ;  vale  a  dire  che  se  nell'  autore 
fosse  stato  un  po'  meno  vivace  il  sentimento  di  tenerezza  per  i  suoi  parti , 
cosi  da  indurlo  a  sacrificare  davvero  i  deboli  e  gli  infermicci,  il  volume,  se 
scemato  di  mole,  ne  sarebbe  però  cresciuto  di  pregio.  Ad  ogni  modo,  dacché 
l'autore  stesso  sembra  nella  Prefazione  disposto  a  dividere  questa  nostra 
opinione,  così  staremo  contenti  di  avvertire  come  anche  nel  presente  volume 
si  leggano  alcuni  scritti ,  non  scevri  di  interesse  per  gli  studiosi.  Ricorderò 
quindi,  lasciando  in  disparte  quelli  d'argomento  non  letterario,  lo  scritto  in- 
titolato Pasquale  Borrelli  ed  il  romanzo  storico  di  P.  Colletta,  nel  quale 
sono  opportunamente  recati  in  mezzo  nuovi  dati  biografici  sul  Borrelli , 
egregio  giureconsulto  napoletano,  vissuto  fra  le  procelle  dell'età  napoleonica, 
di  cui  trattò  anche  il  Fiorentino.  11  De  Nino  combatte  le  accuse  che  contro 
il  suo  biografato  lanciò  il  Colletta ,  il  quale  del  resto  fu  pagato  di  eguale 
moneta  dal  Borrelli  così  nel  Saggio  sul  romanzo  storico  di  Pietro  Col- 
letta ,  come  nei  Casi  memorabili  antichi  e  moderni  del  regno  di  Napoli. 
Non  senza  curiosità  si  leggono  anche  gli  scritti  su  Giacomo  Caldera  ed 
il  suo  sepolcro ,  sul  Mattei ,  poeta  vernacolo  di  Rieti  (1622-1705) ,  e  le 
notizie  intorno  ad  alcune  monete  di  Cittaducale  e  di  Ortona,  a  Gentile 
da  Leonessa ,  alle  opere  letterarie  dell'  astronomo  Capocci.  Una  parte  non 
scarsa  del  volume  è  occupata  poi  dalla  ristampa  di  un  poemetto  in  verna- 
colo Scannese,  scritto  nel  secolo  scorso  da  Romualdo  Parente,  giureconsulto 
e  poeta.  Il  poema,  intitolato  Lu  matremonio  azz'uso  o  sciengano  le  nozze 
tra  Mariella  e  Nanno  della  terra  di  Scanno,  consta  di  57  ottave,  ed  oltre 
all'  essere  curioso  documento  per  la  storia  dei  costumi ,  può  anche  offrire 
materia  di  osservazioni  ai  cultori  degli  studi  dialettali.  Il  De  Nino  ha  cre- 
duto necessario  corredare  la  stampa  di  una  letterale  versione;  per  conto 
nostro  ci  sarebbe  stato  più  caro  che  egli  si  fosse  limitato  a  dare  note  di- 
chiarative soltanto  delle  voci  di  più  ardua  intelligenza,  e,  lasciando  da  parte 
certi  scrupoli,  ci  avesse  fatto  invece  conoscere  anche  l'altro  componimento 
vernacolo  ed  inedito  del  Parente ,  La  figlienna  de  Mariella ,  che  è  delle 
Nozze  la  continuazione.  Gli  ammiratori  del  Muratori  troveranno  infine  in 
questo  volume  quattro  lettere  inedite,  da  lui  scritte  nel  corso  del  1737  e  '38 
all'abbate  Pietro  PoUidori  lancianese;  uomo  che  lasciò  a  monumento  del 
suo  ingegno  e  della  sua  erudizione  molte  e  pregevoli  opere  storiche,  nonché 
un  bizzarro  libretto ,  volto  a  difendere  i  Calabresi  dall'  imputazione ,  che  si 
faceva  loro  dai  volghi  italiani,  di  aver  essi  tormentato,  essi  crocifisso  Gesù 
Cristo! 


(1)  Yedl  Cfiornale,  V,  307. 


SPOGLIO  DELLE  PUBBLICAZIONI  PERIODICHE 


(1) 


IT^LIAIsrE 


Annali  universali  di  medicina  e  chirurgia  (Milano): 

Voi.  GCLXXI,  1885.  —  P.  228  :  A.  Corradi,  Un  libro  raro  di  sifilografia 
e  un'edizione  ignota  del  Benivieni.  —  Voi.  GGLXXII,  p.  312  :  [A.  Corradi], 
Biblioteca  di  un  medico  marchigiano  del  sec.  XIV.  [Nel  codice  diploma- 
tico di  S.  Vittoria,  circond.  di  Fermo,  il  Gianandrea  trovò  l'inventario  dei 
libri  posseduti  dal  medico  trecentista  maestro  Ugolino  di  Nuzio  e  lo  pub- 
blicò nel  Bibliofilo  (an.  VI).  I  volumi  sono  46.  Il  C.  ripubblica  qui  questo 
elenco,  corredandolo  di  numerose  illustrazioni]. 

Archivio  glottologico  italiano  (Torino): 

Voi.  Vili,  1882-1885.  —  Puntate  24  (ritardate):  G.  Ulrich,  Canzoni  ladine, 
—  F.  e  C.  Cipolla,  Dei  coloni  tedeschi  nei  XIII  Comuni  Veronesi.  — 
G.  Ulrich,  Susanna,  sacra  rappresentazione  del  secolo  XVII,  testo  ladino, 
varietà  di  Bravugn.  [Cf.  voi.  IX,  pp.  107-114].  —  De  Gregorio,  Fonetica 
dei  dialetti  gallo-italici  di  Sicilia.  —  Flechia,  Annotazioni  sistematiche  alle 
Antiche  Rime  Genovesi  (voi.  Il,  pp.  161-312)  e  alle  Prose  Genovesi  (voi.  Vili, 
pp.  1-97);  §  I.  Lessico.  —  Morosi,  Osservazioni  ed  aggiunte  alla  Fonetica 
wei  dialetti  gallo  italici  di  Sicilia. 

Archivio  per  lo  studio  delle  tradizioni  popolari  (Palermo)  : 

Voi.  IV,  1885.  —  Fase.  2'>:  U.  Antonio  Amico,  Lu  'nfemu  di  san  Par 
iriziu.  [Poemetto  popolare  siciliano  in  ottava  rima,  nel  quale  un  omu  prò- 
spiru  e  felici  viene  condotto  dal  demonio  pri  un  piccatu  chi  nun  lassa  mai 
a  visitare  l'inferno.  Rozza,  ma  efficace  descrizione  delle  pene  infernali.  In 
qualche  luogo  si  potrebbe  ravvisare  un  influsso  (forse  indiretto)  di  Dante. 
Il  peccatore  si  trova  dapprincipio  'ntra  un  boscu  scurusu  e  sulla  porta  in- 
fernale sta  scritto:  'Scitini  di  spiranza  vui  chi  ^ntrati"].  — V.  Di  Giotànni, 
n  lastrone  dei  debitori  in  Salaparuta  nel  1633.  [A  Salaparuta  esiste  ancora 
«  un  ben  lungo  e  largo  lastrone,  sul  quale,  dice  la  tradizione,  erano  obbligati 
<  i  debitori  dare  publico  e  ignominioso  spettacolo  della  loro  misera  condi- 
«  zione  ».  La  pena  era  simile  a  quella  che  si  infliggeva  in  Firenze,  e  mentre 
la  si  faceva  subire  al  paziente  gli  si  diceva  :   chi  ha  di  aviri  si  venghi  e 


(1)  I    presente  Spoglio  riguarda  i  mesi  di  giugno,  loglio,  agosto,  settembre,  ottobre  1885. 
OiomaU  storico,  VI,  fase.  18.  29 


442  SPOGLIO  DELLE   PUBBLICAZIONI  PERIODICHE 

paghi.  L'A.  pubblica  documenti].  —  F.  Lionti,  Una  consuetudine  cnrnevor 
lesca  della  città  di  Trapani.  [<  Molte  persone  riunite  fra  loro  gridando  e 
«  facendo  baccano  giravano  per  tutte  le  vie  e  viuzze  della  città,  o  permet- 
«  tevansi  di  chiamare  per  nome  le  donne  del  paese,  rivolgendo  al  loro  indi- 
«  rizzo  parole  ed  atti  disonesti  ».  Poiché  le  conseguenze  di  questo  cattivo 
uso  erano  molte  volte  tragiche,  il  presidente  del  Regno  ordinava  il  31  gen- 
naio 1545  al  capitano  di  Trapani  di  proibire  tale  consuetudine.  Qui  si  pub- 
blica la  sua  lettera].  —  D.  Giampoli,  La  leggenda  d'Ovidio  in  Sulmona. 
[Gfr.  Giornale.,  V,  485].  —  C.  Pasqualigo,  Recensione  della  memoria  di 
À.  Gloria,  Volgare  illustre  nel  liOO  e  proverbi  volgari  nel  1200.  [Vedi 
Giornale,  VI,  253.  Notizie  sulla  raccolta  di  proverbi  di  Geremia  da  Monta- 
gnone  fatta  nel  sec.  Xllll  —  Fase.  3»  :  A.  Neri  ,  Il  monarca  dei  matti, 
costumanza  carnevalesca  di  Bormio  nel  sec.  XVII.  [Tratto  dal  libro  del 
Neri    Costum.   e  solazzi,  pp.  102-106].  —  G.  Gennari,    Delle  mattinate. 

S Questa  breve  dissertazione  riguarda  le  gazzarre  per  le  seconde  nozze,  che 
popolino  suol  fare  in  tutte  le  parti  d'Italia.  Stampata  nel  1822  e  divenuta 
assai  rara,  viene  or  q_ui  riprodotta  dal  D'Ancona,  che  nella  breve  prefazione 
che  le  manda  innanzi  enumera  i  nomi  diversi  che  questa  consuetudine  ha 
nelle  provincie  italiane  ed  esprime  una  sua  congettura  intorno  a  quello  di 
mattinate,  che  sembra  a  prima  giunta  il  meno  proprio].  —  G.  Finamore  , 
I  dodici  mesi  dell'anno.  [Diverse  redazioni  meridionali.  Gfr.  Giorn.,  II,  250]. 

Archivio  della  Società  Romana  di  Storia  Patria  (Roma): 

Voi.  Vili,  1885.  —  Fase.  1-2:  B.  Fontana,  Documenti  dell'Archivio  Va- 
ticano e  delV Estense  circa  il  soggiorno  di  Calvino  a  Ferrara.  —  F.  Torraca, 
Cola  di  Rienzo  e  la  canzone  Spirto  gentil  di  F.  Petrarca.  [Lavoro  pieno 
d'acume  e  ingegnosissimo.  L'A.  sostiene  che  la  nota  canzone  non  può  ad- 
altri  riferirsi  che  a  Gola  di  Rienzo.  Vuoisi  notare  peraltro  che  Licurgo  Pie- 
retti  recò  novamente,  in  un  opuscolo  molto  pregevole,  gravi  ragioni  in  con- 
trario, e  promise  tornare  sull  argomento.  Il  T.  gli  risponderà.  La  questione 
s'ingrossa,  giacché  sappiamo  avere  il  Bartoli  trovata  m  altri  codici  la  can- 
zone intitolata  a  Rosone  da  Gubbio].  —  U.  Balzani,  Landolfo  e  Giovanni 
Colonna  secondo  un  codice  Bodleiano.  [Si  tratta  di  Landolfo  Colonna,  cano- 
nico di  Chartres,  autore  del  Breviarium  Historiarum,  e  del  trattato  De  statu 
et  mutatione  Rom,ani  Imperii,  e  di  suo  nipote  Giovanni,  autore  del  Mare 
Historiarum.  L'A.  mette  insieme  alcune  buone  notizie  di  questi  scrittori  e 
addita  parecchie  erronee  opinioni  dei  biografi.  Pubblica  in  fine  una  notizia 
della  morte  di  Giovanni  de'  Conti,  arcivescovo  di  Nicosia  e  di  Cipro,  una 
lettera  di  Landolfo  a  Giovanni,  un  frammento  di  cronaca  (1294-1311)  il 
tutto  tratto  dal   cod.  131  della   Bodleiana  di  Oxford.  Pare  gli   sia  sfuggito 

S[uanto  di  Landolfo  ebbe  a  dire  A.  Thomas  nel  suo  volume,  Les  lettres  à 
a  cour  des  papes,  Roma,  1884].  —  A.  Monaci,  Una  questione  sulla  scrit- 
tura bollatica. 

Archivio  storico  italiano  (Firenze)  : 

Serie  IV,  voi.  XVI,  1885.  —  Disp.  4*:  L.  A.  Ferrai,  E  processo  di  Pier 
Paolo  Vergerio.  [Continuaz.  e  fine.  Vedi  Giornale,  V,  470.  1  documenti  sono 
inseriti  nella  disp.  5a].  —  A.  Reumont,  Carlo  Witte.  [Articolo  molto  inte- 
ressante, nel  quale  non  solamente  si  danno  notizie  intorno  alla  vita  del  W. 
ed  ai  suoi  studi  danteschi,  ma  si  tocca  eziandio  degli  uomini  ragguardevoli 
con  cui  ebbe  relazione  in  Italia.  Il  R.  si  giova  di  lettere  a  lui  dirette  dal 
defunto  amico.  Speciale  importanza  ha  l'elenco  cronologico  degli  scritti  di 
G.  Witte,  con  cui  l'articolo  si  chiude].  —  Disp.  5^:  A.  Reumont,  Rawdon 
Brown  [«  R.  B.  non  fu  già  primo  a  riconoscere  la  somma  importanza  dei 
€  Diari  di  Marino  Sanuto  per  la  storia  veneta  ed  italiana  non  solo  ma  per 
«  tutta  la  storia  dei  tempi  suoi.  La  vistosa  serie  di  volumi  di  questo  instan- 
«  cabile  collettore  e  sagace  illustratore  di  carte  d'ogni  genere  e  notizie,  ad- 
«  ditatagli  dall'ab.  Pietro  Bettio  bibliotecario  della  Marciana,  era  da  lungo 


SPOGLIO  DELLE  PUBBLICAZIONI  PERIODICHE  443 

'«  tempo  servita  ad  indigeni  quanto  a  stranieri.  Più  degli  altri  Emmanuele 

«  Cicogna aveva   dimostrato  qiial  uso  si  può  fare  dei    Diari,  e  Leopoldo 

•«  Rante  nei  suoi  Pontefici  Romani  avea    ravvivata  la    memoria  delle  rela- 

€  zioni  diplomatiche,  di  cui  le  più  antiche  si  hanno  dai  Diari  in  estratti 

«  Ma  finanche  il  Cicogna,  il  più  diligente  e  cosconzioso  raccoglitore  di  date 
«  della  storia  della  sua  patria,  ha  da  cederla  forse  airinstancabile  Britanno 
«  nella  perfetta  perlustrazione  dai  58  volumi  in  foglio  che  giungono  sino 
€  alla  morte  del  Sanuto  ».  Dopo  aver  discorso  delle  opere  storiche  del  B.  e 
delle  identificazioni  letterarie  da  lui  tentate,  di  don  Chisciotte  col  duca  di 
Lerma  e  di  Otello  con  Cristofulo  Moro,  il  R.  prende  a  tratteggiarlo  nella 
vita  privata].  —  C.  Desimoni,  /  viaggi  e  la  caria  dei  frateUt  Zeno  vene- 
ziant. 

Archivio  storico  lombardo  (Milano): 

Anno  XII,  1885.  —  Fase.  2»:  A.  Ventuhi,  Relazioni  artistiche  tra  le 
Corti  di  Milano  e  Ferrara  nel  secolo  XV.  [Ci  si  parla,  tra  l'altro,  di  carte 
da  giuoco  e  di  libri  miniati].  —  G.  Mongeri,  L'arte  del  Minio  nel  Ducato 
di  Milano  dal  secolo  XIII al  XVI.  Appunti  tratti  dalle  memorie  postume 
del  marchese  Gerolamo  d'Adda  [Importante].  —  Fase.  3o  :  A.  G  Spinelli, 
Carme  in  morte  di  Cicco  Simonetta.  [Latino,  tratto  da  un  codice  dell'Ar- 
chivio Sala-Busca  in  Milano;  anonimo].  —  G.  Mongeri,  L'arte  del  Minio  ecc. 
[Seguito].  —  A.  Medin,  Letteratura  poetica  Viscontea.  [Ricordati  vari  com- 
ponimenti poetici  riguardanti  Bernabò  e  Gian  Galeazzo  visconti,  e  già  dati 
alle  stampe,  l'A.  pubblica  due  sonetti  di  Marchionne  di  Matteo  Arrighi  per 
la  prigionia  di  Bernabò  ;  una  risposta  di  Braccio  Bracci  ad  una  supposta 
missiva  del  Soldano  di  Babilonia,  che  avrebbe  chiesto  della  nobiltà  ai  esso 
Bernabò  ;  un  sonetto  in  lode  di  Luigi,  figliuolo  di  costui ,  composto  dallo 
stesso  Braccio;  un  sonetto  anonimo  in  cui  si  deplorano  le  tristi  condizioni 
della  Lombardia]. 

Archivio  storico  per  le  Marcite  e  per  V  Umbria  (Foligno)  : 

Anno  1885,  voi.  II.  —  Fase.  6»  (2o  dell'annata)  :  M.  Faloci  Puugnani  , 
Cronaca  di  Foligno  di  Bonaventura  di  Benevento.  [Fu  pubblic.  dal  Mu- 
ratori (Antiq.,  IV),  e  poi  riprodotta  dal  Tartini  (R.  L  S.,  l).  Ma  queste 
stampe  sono  monche  e  scorrette.  Le  lacune  e  le  scorrezioni  pos-sono  essere 
colmate  ed  emendate  col  prezioso  codice  autografo  di  Bonaventura  che  serba 
la  sua  cronaca  e  parecchie  altre  cose  da  lui  notate  dal  '1300  al  1346.  Di 
questo  codice  l'A.  dà  una  descrizione  particolareggiata].  —  L.  Frati,  Fede" 
vico  duca  d'Urbino  e  il  veltro  dantesco.  [Dal  cod.  Ambr.  C.  35  sup.  il  F. 
estrae  una  lettera  di  Giovanni  di  Bartolomeo  Ciai  fiorentino  seguita  da  un 
ternario  in  onore  di  Federico  da  Montcfeltro,  scritto  quando  per  opera  sua 
i  Fiorentini  conquistarono  Volterra  nel  1472.  Vi  si  finge  che  Federico  sia 
il  veltro  profetato  dall'Alighieri].  —  A.  Mancinelli,  Recensione  del  libro 
su  Raffaello  di  Gavalcaselle  e  Crowe. 

Archivio  storico  per  le  provincie  napoletane  (Napoli): 

Anno  X,  1885.  —  Fase.  3°:  M.  Schifa,  La  cronaca  di  S.  Stefano  ad 
Rivum  Maris.  [L'A.  prova  questa  cronaca,  stampata  dal  Saraceni  a  Chieti 
nel  1876,  e  di  cui  fu  primo  a  parlare  l'abate  Pietro  Pollidori  nel  secolo 
scorso,  non  essere  altro  che  una  impostura]. 

Archivio  stoi'ico  siciliatio  (Palermo): 

Anno  IX,  1884.  —  Fase.  34:  Ben.  Luigi  Boglino,  Di  un  codice  messale 
della  prima  metà  del  duodecimo  secolo  esistente  nella  Biblioteca  Comu- 
nale di  Palermo.  [Importante  per  la  storia  dell'antica  liturgia  latina].  — 
Giuseppe  Cosentino,  Un  documento  in  volgare  siciliano  del  1320.  [E'  un 
decreto  di   nuova   imposizione.  La  data  non  ci  sembra  in  tutto  sicura].  — » 


444  SPOGLIO  DELLE  PUBBLICAZIONI  PERIODICHE 

G.  PiPiTONE  Federico,  A  proposito  di  una  partecipazione  di  morte  nel 
secolo  XIV.  [L'A.  parla  delle  relazioni  tra  Venezia  e  la  Sicilia  nel  medio 
evo  e  pubblica  una  lettera  latina  con  cui,  il  31  gennaio  1375,  Federico  III, 
detto  il  Semplice,  partecipa  al  Doge  Giovanni  Sebenico  la  morte  della  regina 
Antonia].  —  Francesco  M.  Mirabella,  Una  lettera  del  P.  Mariano  Bo- 
nofino  di  Alcamo.  [Latina,  a  S.  Bagolino,  senza  data].  —  Francesco  M.  Mi- 
rabella, Di  alcuni  disegni  e  dipinti  del  poeta  Sebastiano  Bagolino,  notizie 
e  documenti. 

Archivio  trentino  (Trento): 

Anno  IV,  1885.  —  Fase.  1":  P.  Orsi,  Saggio  di  toponomastica  tridentina, 
[Continua/,  e  fine;  vedi  111,  2]. 

Archivio  veneto  (Venezia): 

Anno  XV,  1885.  —  Voi.  XXIX,  Parte  I  :  B.  Gecchetti,  La  vita  dei  Ve- 
neziani nel  1300.  [Continuaz.  e  fine  della  prima  parte.  Gfr.  Giorn.,  V,  472]. 

—  B.  Gecchetti,  La  stampa  tabellare  in  Venezia  nel  1447\  Non  si  cono- 
scevano finora  documenti  sulla  stampa  in  Venezia  anteriori  al  privilegio 
concesso  a  Giov.  da  Spira  nel  1469.  I  documenti  che  qui  si  pubblicano, 
tratti  dalle  carte  della  fam.  Barbarigo  riguardano  le  stampe  «  mediante 
«  forme  a  segni  immobili  ».  Gfr.  Gazzetta  di  Venezia,  1885,  n'  72,  89,  911. 

—  F.  S[tefani],  Memorie  per  servire  all'istoria  della  inclita  città  di  Ve- 
nezia. [Pubblicazione  di  un  brano  di  cronaca  veneta  di  Girolamo  Zanetti, 
contenuta  nel  cod.  Marc.  XI,  58.  Riguarda  gli  anni  1742  e  '43  ed  è  minu- 
tissima. Interessa  anche  gli  studi  letterari  perchè  vi  si  tien  conto  di  quanto 
facevasi  nei  teatri,  della  venuta  in  Venezia  di  letterati,  della  comparsa  di 
nuovi  libri  ecc.  Speriamo  di  poter  ritornare  in  luogo  più  acconcio  su  questo 
rilevante  documento].  —  G.  Guasti,  Una  figlia  di  Pietro  Aretino.  [Docum. 
rogato  nel  1549,  riguardante  le  nozze  di  Adria,  figliuola  di  Pietro  Aretino 
con  Dietallevi  di  Simone.  Il  G.  lo  pubblica  illustrandolo].  —  Rassegna  : 
V.  Malamani,  G.  Biadego,  Carteggio  inedito  d'una  gentildonna  veronese; 
A.  Tessier,  F.  Berlan,  La  introduzione  della  stampa  in  Milano.  —  Dedotta 
dalla  relazione  fatta  alla  Camera  trovasi  una  distinta  dei  Codici  di  m,ateria 
veneta  nella  collezione  di  L.  Ashburnham.  [Godici  del  Milione,  parecchi 
scritti  del  Sarpi ,  molte  lettere  di  A.  Zeno  ecc.].  —  P.  Il:  B.  Gecchetti,  Il 
vitto  dei  Veneziani  nel  sec.  XIV.  [Continua  nei  fase,  seguenti].  —  V.  Ma- 
lamani, Un  episodio  letterario  del  1827.  [Intorno  sW Antonio  Foscarini 
del  Niccolini.  E'  un  capitolo  del  voi.  L'ultima  dama  veneziana,  di  immi- 
nente pubblicazione].  —  B.  C,  Altri  stampatori  ed  altri  librai.  [Nuovo 
contributo  alla  stona  della  tipografia  veneziana].  —  B.  C,  Per  la  storia 
dell'arte  della  carta  nelle  provincie  venete.  [Docum.  del  28  nov.  1361  rela- 
tiva a  Fr.  Biancon,  fabrianese,  venuto  nel  veneto  ad  esercitare  il  mestiere 
della  carta  bambagina].  —  Bullettino  di  bibliografia  veneta.  [1884  e  1885]. 

—  B.  Gecchetti,  Proposta  e  saggio  di  un  dizionario  del  linguaggio  ar- 
chivistico italiano.  —  Voi.  XXX,  P.  I:  B.  Gecchetti,  Le  «  scaule»  vene- 
ziane e  Dante.  [A  proposito  del  verso  dantesco  (Purg.  XXXI)  Sovresso 
l'acqua  lieve  come  spuola.  Il  G.  appoggia  la  lezione  scola  recata  da  diversi 
testi.  Scaula  o  scola  dicevasi  in  Venezia  una  specie  di  navicella  originaria- 
mente destinata  ai  traghetti].  —  B.  G.  Libri  stam,pati  nel  sec.  XV  da 
Matteo  Capcasa  di  Parma,  socio  di  Bernardino  di  Benalio  da  Bergamo. 

—  Bullettino  di  Bibliografia  veneta.  [1884-85].  —  E.  Narducci  dà  una 
tavola  accurata  del  cod.  S.  IV.  8  della  Angelica,  importante  ms.  umanistico 
intitolato  :  Utriusque  Barzizae,  patris  et  filii,  Pauli  veneti  et  aliorum  ora- 
tiones  et  epistolae. 

Arte  e  storia  (Firenze): 

Anno  IV,  1885.  —  N»  24:  F.  Perticone,  La  tomba  di  Gualtiero  da  Cor 
latagirone.  [E'  stata  ritrovata   dietro  scavi  la   lapide   sepolcrale  di   questo 


SPOGLIO  DELLE  PUBBLICAZIONI  PERIODICHE  445 

barone  che  ebbe  parte  alia  congiura  del  Vespro  e  fu  decapitato  per  ordine 
di  Pietro  d'Aragona.  Essa  non  sembra  però  contemporanea].  —  N»  26: 
A.  Melani,  Raffaello  di  M.  Minghetti.  —  M.  Cafki,  A  proposito  di  due  ar- 
tisti Istriani.  [Parla  di  Bernardo  da  Parenzo  e  di  Sebastiano  da  Rovigno, 
pittori  dei  sec.  XVIJ.  —  N»  27  :  G.  Poggi,  Delle  feste  religiose  e  civili 
tenute  in  Or-San-Michele.  [Pubblica  un  documento  del  14^,  dove  si  tro- 
vano notizie  interessanti  la  q^uestione  che  ora  si  agita  sul  miglior  modo  di 
ridurre  questo  edifìcio  all'antico  suo  stato].  —  X,  Antiche  decorazioni  mu- 
rali a  Trecciano  nel  Senese.  [In  una  torre  son  dipinti  più  di  duecento 
stemmi  gentilizi,  de' quali  si  ignora  la  origine  ed  il  significato].  —  N*  28: 
G.  Milanesi,  A  proposito  della  tintura  delle  porte  di  S.  Giovanni.  —  N»  29: 
A  Bertolotti,  Spigolature  storico-artistiche,  [li  testamento  e  morte  del  pittore 
Circignani,  1586].  —  N°  41  :  A.  Bertolotti,  Spigolature  storico-artistiche. 
[Notizie  inedite  dei  cav.  G.  Cesari  d'Arpino  pittore].  —  N®  42:  G.  Frizzoni, 
Le  opere  giovanili  di  Benedetto  da  Maiano.  —  A.  De  Nino,  Concezio  Gin- 
netti di  Castelvecchio  Subequo.  [Giurista  del  secolo  scorso,  che  lasciò  un 
poema  in  sonetti,  intitolato  Le  Muse  nel  Vaticano,  ovvero  le  vite  dei 
sommi  Pontefici  da  Pietro  in  qua  (Pio  VII),  lì  De  N.  riporta  per  saggio 
il  sonetto  su  Bonifazio  Vili]. 

Atti  del  a.  Istituto  Veneto  di  scienze,  lettere  ed  arti  (Venezia): 

Serie  VI,  tomo  ili,  disp.  7".  —  Ferdinando  Cavalli,  Cenni  biografici  di 
Giordano  Bruno.  [Si  serve  specialmente  della  vita  scrittane  dal  Berti].  — 
Disp.  9»  :  Luigi  A.  Ferrai,  Lettere  inedite  di  Donato  Giannotti.  [L'editore 
desidera  una  nuova  edizione  dell'epistolario  del  G.,  molte  lettere  di  lui  es- 
sendo venute  in  luce  dopo  la  collezione  pubblicata  nel  1850  dal  Polidori. 
La  vita  scrittane  dal  Vannucci  più  non  corrisponde  allo  stato  delle  nostre 
cognizioni  intorno  a  questo  scrittore.  11  F.  pubblica  due  lettere  inedite  esi- 
stenti in  un  ms.  dell'Ambrosiana,  nel  quale  si  contiene  in  copia  un  carteggio 
di  Giovanni  Matteo  Giberti  con  Romolo  Amaseo  e  la  lettera  conosciuta  del 
Giovio  a  D.  Donato  Rollio  Salentino  sul  fatto  della  Prevesa,  in  data  25  feb- 
braio 1540.  La  prima  delle  nuove  lettere  del  G.  scritta  a'  30  di  giugno  1530 
esiste  in  copia  assai  scorretta.  P]'  diretta  ad  Antonio  Michieli  ;  in  parte  de- 
scrive, sopra  una  pianta,  che  non  ci  è  rimasta,  la  villa  de'  Medici  del  Poggio 
a  Caiano.  Il  resto  della  lettera  si  riferisce  all'operetta  latina  del  Michieli 
sul  contado  e  sulla  città  di  Bergamo  e  al  libro  sulla  repubblica  veneta, 
eh'  esso  G.  stava  compilando.  Onde  così  si  corregge  l'afTermazione  dei  Poli- 
dori,  ripetuta  dal  Vannucci  che  quest'opera  del  G.  sia  stata  compiuta  nel  1526. 
Nella  lettera  chiede  al  Michieli  notizie  per  il  suo  lavoro.  Gii  duole  non  po- 
tergli mandare  un'opera  in  versi  sull'assedio  di  Firenze  stampato  a  Perugia, 
cioè  il  noto  poemetto  di  Mambrino  Roseo  da  Fabriano.  Cunose  le  parole, 
che  riporta  come  dette  dal  Machiavelli  sulla  sincerità  delle  proprie  Storie 
fiorentine  (si  confrontino  però  le  osservazioni  delleditore);  accenna  ad  altre 
di  quel  tempo.  La  seconda  lettera,  autografa,  è  scritta  da  Padova  il  24  feb- 
braio 1566  a  Jacopo  Gorbinelli  (di  cui  cfr.  Giornale  storico,  li,  fase.  6»).  E'  la 
giù  tarda  lettera  autografa  del  G.  che  si  conosca.  Paria  delie  storie  del 
ruicciardini,  in  cui  non  ha  trovato  falsità  alcuna  ;  dal  1494  al  1527  gli 
piacque  grandemente,  solo  desiderando  ch'egli  «  havessi  honorato  più  citta- 
«  dini  ch'egli  non  honora  »,  e  ne  cita  i  nomi.  Le  trova  troppo  scarse  dopo 
il  1527.  Accenna  alle  ragioni  da  cui  fu  poi  indotto  a  lasciar  Padova  e 
ridursi  a  Roma  (ove  morì  nel  1573)].  —  Dall'Acqua  Giusti,  L'arco  acuto 
€  i  Guelfi.  [Giudica  l'arco  acuto  venuto  di  Francia.  Spiega  l'apparire  del- 
l'arco acuto  nella  chiesa  di  San  Francesco  d'Assisi  nel  terzo  decennio  del 
secolo  XIII  con  le  relazioni,  che  il  Santo  ebbe  con  la  Francia,  e  il  fiorire 
dello  stile  ogivale  alla  fine  del  secolo  e  nel  seguente  con  la  dominazione  an- 
gioina. Crede  sarebbe  durato  l'impulso  al  risorgere  delie  forme  classiche  se 
la  signoria  sveva  avesse  continuato]. 


446  SPOGLIO  DELLE  PUBBLICAZIONI  PERIODICHE 

Atti  della  società  lijfure  di  storia  patria  (Genova)  : 

Voi.  XIII,  1884  (arretrato).  —  Fase.  !<>  e  5«  :  A.  Neri,  Poesie  storiche 
genovesi.  [Lamento  di  Genova  contro  i  Francesi  probabilmente  del  1464  ; 
altro  lamento  dei  Genovesi  contro  Galeazzo  Maria  Sforza  ;  una  barzelletta 
del  1511  ;  un'  altra  barzelletta  composta  nel  1625  in  occasione  della  guerra 
dei  Genovesi  contro  Carlo  Emanuele  II;  una  Canzonetta  alla  Curda  com- 
posta l'anno  1747  del  asidio  di  Genova,  illustrando  le  quali  il  N.  dà  pre- 
ziose notizie  su  quella  che  ormai  si  può  chiamare  la  leggenda  di  Balilla]. 

Atti  e  metnorie  della  Società  Istriana  di  archeologia  e  storia 
patria  (Parenzo). 
Anno  II,  1885.  —  Fase.  1-2:  A.  Gravisi,  Andrea  Antico  istriano  da  Mon- 
tona.  [A.  Zenatti  in  un  suo  lavoro  sopra  questo  celebre  maestro  di  musica 
aveva  tolto  a  lui  per  darlo  al  Petrucci  il  merito  d'avere  il  primo  stampate  le 
note  musicali  in  caratteri  mobili.  Il  G.  pubblica  adesso  una  lettera  del- 
l'avo suo,  Girolamo  Gravisi,  buon  erudito,  scritta  nel  1789  al  marchese  Po- 
lesini possessore  della  rarissima  stampa  dell'Antico  :  Frottole  intabulate  da 
sonare  organi,  nella  quale  si  sostiene  che  primo  inventore  delle  Intavolature 
per  gli  organi  è  (stato  veramente  l'Antico,  al  quale  nel  1517  Leone  X 
concedeva  per  ciò  il  privilegio,  togliendolo  al  Petrucci  che  l'aveva  conse- 
guito nel  lol3  senza  aver  mai  dato  prova  di  meritarlo].  —  F.  Olmo,  De- 
scrittione  dell" Histria.  [E'  un  documento  del  sec.  XVII  cavato  dall'Archivio 
di  Stato  di  Venezia.  La  paternità  dell'Olmo  è  probabile,  non  certa]. 

Atti  e  memorie  delle  MR.  Deputazioni  di  storia  patria  per 
le  Provincie  di  Moinagna  (Bologna): 

Serie  III,  voi.  III.  —  Fase.  1-2:  Corrado  Ricci,  Frammento  della  cro- 
naca bolognese  di  prete  Giovanni.  [Dal  1406  al  1409.  Completa  la  cronaca 
di  Pietro  di  Mattiolo  pubblicata  dal  R.  Cfr.  Giorn.,  V,  290J. 

Bollettino  storico  della  Svizzera  italiana  (Bellinzona)  : 

Anno  VII,  1885.  —  N'  4-5:  A.  Bertólotti,  Artisti  Svizzeri  in  Roma 
nei  sec.  XV,  XVI e  XVII.  [Continuazione,  vedi  Giornale,  V,  473.  Prosegue 
nei  num.  seguenti].  —  Le  streghe  nella  Levantina  nel  sec.  XV.  [Continua- 
zione, vedi  Giornale,  V,  473.  Termina  nel  n"*  9].  —  Studenti  svizzeri  a 
Pavia  nello,  seconda  metà  del  1400.  [Continuazione,  vedi  Giornale,  luogo 
citato.  Prosegue  nei  num.  successivi].  —  Satire  in  versi  cantra  Cottignola 
e  Brescia.  [La  prima  satira,  in  terzine,  comincia  Se  tu  non  fusse  Cotignola 
ingrata.  La  seconda  è  accennata  in  una  lettera  del  1°  febbraio  1473  inviata 
da  un  Giovanni  Zucchi  al  duca  di  Milano.  In  questa  lettera  si  dice  avere  i 
veneziani  ordinato  ai  rettori  di  Brescia  di  sospendere  una  nuova  tassa  im- 
posta a  quella  città  per  «  la  grande  indignazione  de  quello  populo  »,  essen- 
dosi trovati  per  la  città  «  alcuni  scripti  buttati  de  nocte  »,  che  dicevano  : 
Ferrareze,  pude  et  molta  \  fece  dar  a  Brexa  la  volta.  |  La  scarpa,  decime 
et  talia  \  farà  far  a  Brexa  nova  travalia'].  —  La  tipografia  del  canton 
Ticino  dal  1800  al  1859.  [Continuazione,  vedi  Giornale,  V,  473].  —  Saggio 
di  una  bibliografia  di  Francesco  Soave.  [Gontinuaz.,  vedi  Giornale,  1.  cit.]. 

—  No  6  :  Scuola  di  scherma  in  Milano  nel  1474.  [E'  pubblicata  una  let- 
tera al  duca  di  Milano  del  capitano  Giovanni  Angelelli,  nella  quale  egli 
comunica  una  sfida  di  scherma  avvenuta  fra  un  «  magistro  Ferando  spa- 
«  gnuolo  »  e  vari  schermitori  italiani,  di  cui  dà  i  nomi].  —  Un  documento 
per  il  pittore  Francesco  Tacconi  [1475]. —  G.  Salvioni,  Aggiunte  e  retti- 
fiche alle  Note  bibliografiche  sui  dialetti  ticinesi.  [Pubblicate  nel  Bollettino, 
an.  V].  —  No  8  :  Una  lettera  del  pittore  Cristoforo  Moretti.  [Die.  1470]. 

—  N"  9:  Un  importante  documento  per  papa  Alessandro  Vi.  [Tratto 
dall'Archivio  di  Milano.  E'  una  lettera  di  Ascanio  Sforza  del  3  die.  1498  e 
«  spiega  il  malcontento  dei  Regnanti  di  Portogallo  verso  il  simoniaco  papa, 
«  espostogli  da  una  speciale  loro  ambasciata  »]. 


SPOGLIO  DELLE  PUBBLICAZIONI   lERIODICHE  447 

Bullettino  della  commissione  archeologica  comunale  di  Roma: 

Voi.  XIII.  —  F88C.  2  :  Visconti,  Una  pianta  di  Roma  del  sec.  XIV  pub- 
blicata dal  sig.  Muntz. 

Bullettino  di  numismatica  e  sfragistica  (Camerino): 

Anno  II,  1885.  —  N'  8-9:  V.  Gapobianchi,  Un  triplo  ducato  d'oro  inedito 
del  papa  Niccolò  V.  [E'  una  delle  più  artistiche  monete  dell'epoca  del  risor- 
gimento. Fu  coniata  m  occasione  del  giubileo  1450]. 

Fanfulla  détta  Domenica  (Roma): 

Anno  VII,  1885.  —  N»  24:  V.  Cara  velli.  Un  Arcade  ribelle.  [Ck^lie 
occasione  dalla  festa  che  il  7  giugno  si  celebrò  a  Rogliano  di  Calabria  in 
onore  di  G.  V.  Gravina  per  ricordare  le  idee  generose  ed  ardite  del  famoso 
letterato].  —  N»  25  :  E.  Masi,  Il  giudicio  di  Apollo.  [Dà  breve  conto  di  un 
dialogo  doli  ab.  G.  Cherubini  scritto  a  celebrare  C.  Gozzi  e  la  sua  fiaba  II  Coirvo\ 
—  No  28  :  G.  Antona  Traversi,  G.  Leopardi  a  Pisa.  [Si  pubblicano  brani 
di  una  lettera  del  d""  Girolamo  Cloni  intorno  alla  sua  andata  a  Pisa  in  com- 
pagnia del  poeta.  Il  Cioni  fa  del  Leopardi  un  ritratto  vivace  e  che  dev'  es- 
sere vero].  —  N°  30  :  A.  Ademollo,  Virtuosi  e  virtuose  d'altri  tempi.  Le 
più  antiche  delle  Romanine  (1580-1610).  (Si  chiamarono  con  il  nomignolo 
ai  Romanine  nei  sec.  XVII  e  XVIIl  le  fanciulle  romane  che,  educate  alla 
musica  nelle  scuole  di  Roma,  andaron  poi  ad  esercitare  l'arte  loro  nelle 
Corti  italiane  e  straniere  e  più  tardi  sui  pubblici  teatri.  La  Vittoria  e  la 
Caterinuccia,  fiorite  vereo  la  fine  del  sec.  XVI,  sono  di  questa  schiera  le  più 
antiche  e  qui  l'A.  raccoglie  con  la  consueta  sua  diligenza  notizie  molte  e 
curiose].  —  N"  31  :  D.  Gnoli  ,  Un  Amore  di  V.  Monti  e  il  Werther  di 
Goethe.  [Il  Ferra],  pubblicando  in  questo  Giornale  le  lettere  del  Monti  alla 
Fantastici  ha  espresso  il  dubbio  che  gli  Sciolti  al  Chigi  e  i  Pensieri  sian 
stati  scritti  per  quella  Carlotta,  della  quale  esse  lettere  ci  han  fatto  cono- 
scere l'esistenza.  Il  G.  è,  di  avviso  che  la  supposizione  non  sia  troppo  fon- 
data e  combattendo  l'asserzione  del  Ferrai  che  i  Pensieri  siano  affatto  indi- 
pendenti dal  Werther  adduce  parecchi  argomenti  a  confortar  la  sua  opinione 
che  dell'opera  di  Goethe  si  sia  in  essi  il  Monti  largamente  giovato].  — 
M.  Scherillo,  Una  nuova  difesa  di  Cola  di  Rienzo.  [Lo  S.  trova  che  gli  ar- 
gomenti addotti  nel  suo  recente  studio  dal  Torraca  non  giovano  a  difendere  la 
causa  del  Tribuno  ed  esprime  il  suo  convincimento  che  la  Canzone  Petrar- 
chesca sia  diretta  a  Bosone.  Il  Torraca  ha  risposto  nel  n°  32  di  questo  stesso 
giornale.  Alla  risposta  del  T.  la  Direzione  ha  poi  fatto  seguire  certa  lettera 
del  prof.  F.  Sesler  che  non  offre  altro  di  notevole  se  non  la  persuasione  in  cui 
è  il  sullodato  prof,  che  di  Bosone  si  tratti  nella  Canzone  e  non  d'altri;  cosa  poco 
importante,  come  ognun  vede].  —  N*  33  :  G.  Martucci,  G.  B.  Fagiuoli  se- 
condo una  recente  monografia.  [Si  loda  la  monografia  del  Bencini  per  i  risul- 
tati nuovi  che  arreca  ;  ma  non  si  risparmia  di  avvertirne  i  gravi  difetti. 
Cfr.  Giorn.,  V,  4591.  —  N"  35  :  E.  Masi,  Un  viaggio  misterioso.  [Cont.  n°  36. 
Riguarda  l'andata  di  Calvino  a  Ferrara  nel  1535;  fatto  contrastato,  sul  quale 
i  documenti  rinvenuti  negli  Archivi  modenesi  dal  prof.  B.  Fontana  recano 
luce  nuova  e  imprevedutal.  —  N°  36  :  T.  Fornioni,  L'  Umorismo  nel  Man- 
zoni. [A  proposito- di  un  libro  dell  Arcoleo,  Sull'Umorismo  nell'Arte  Mo- 
derna]. —  No  37  :  A.  Ademollo  ,  Curiosità  di  storia  teatrale.  Un  Casus 
belli  fra  Mantova  e  Dresda  nel  i685.  [A  cagione  di  Margherita  Salicolo, 
giovane  e  bella  cantatrice,  che,  abbandonando  il  servizio  del  Duca  di  Man- 
tova se  ne  andò  a  Dresda  col  Principe  Elettore  di  Sassonia,  nel  1685  corse 
fra  i  due  principi  una  sfida,  della  quale  l'A.  narra  con  la  scorta  di  docu- 
menti dell  Archivio  Gonzaga,  le  non  sanguinose  vicende].  —  N"  40  :  A.  Ade> 
MOLLO,  Roma  nelle  Canzoni  del  Marchese  di  Coulanges.  [11  Coulanges,  che 
venne  a  Roma  due  volte  dal  1658  al  1691 ,  ha  cantato  la  vita  della  so- 
cietà romana  e  le  belle  dame  del   tempo  nelle  sue   poesie,  delle  quali  l'A. 


448  SPOGLIO  DELLE   PUBBLICAZIONI    PERIODICHE 

dà  dei  saggi].  —  N'  41  :  P.  G.  Molmenti,  Feste  in  S.  Marco  nel  sec.  XVI. 
—  P.  Bruzzone,  Sfide  e  punizioni.  [Pubblica  alcuni  cartelli  di  sfida  di 
gentiluomini  di  Roma  e  di  Bari  del  sec.  XVII].  —  N»  42  :  M.  Scherillo, 
i^infe  al  fonte.  [Avverte  certe  rassomiglianze,  che  intercedono  tra  due  epi- 
sodi della  Gerusalemme  liberata  e  dell'  Ameto  con  quello  delle  Metamor- 
fosi, di  Atteone,  che  sorprende  Diana  mentre  si  bagna].  —  N*  43  :  A.  Ade- 
MOLLO,  Curiosità  di  Storia  Teatrale.  Due  opere  sconosciute  di  N.  lomelli. 
[Il  Tito  Manlio  e  il  Demofoonte,  rappresentati  l'uno  a  Torino,  l'altro  a  Padova 
nel  1743].  —  N°  44  :  A.  D'Ancona,  Il  congresso  storico  di  Torino  e  l'Isti- 
tuto storico  di  Roma.  [Vedi  una  lettera  del  Medin  in  risposta  a  questa  nel 
n°  46].  —  N°  45  :  E.  Parodi  ,  Gli  ultimi  anni  di  un  patrizio  fiorentino. 
[A  proposito  dell'ultimo  volume  delle  lettere  di  G.  Capponi].  —  N''46: 
G.  Antona  Traversi,  Canti  inediti  del  popolo  recanatese.  [Da  un  ms.  del 
conte   Pier  Fr.  Leopardi.  Sono  9  rispetti  amorosi]. 

Gazzetta  ili  Mantova  (Mantova): 

Anno  XXIII,  1885.  —  N"  265  :  A.  Luzio,  La  morte  di  un  buffone.  [Cu- 
riosissimo articolo,  nel  quale  il  L.  pubblica  interessanti  documenti  sulla  pas- 
sione che  i  Gonzaga  avevano  per  i  buffoni  e  pei  nani,  ad  un  dei  quali  essi 
fecero  costruire  un  apposito  appartamento.  Sono  ghiottissime  le  lettere  di 
Alfonso  d'  Este,  di  Francesca  e  di  Isabella  Gonzaga  intorno  a  questi  strani 
personaggi  della  corte.  I  documenti  qui  riferiti  riguardano  più  specialmente 
il  Mattello  (cfr.  su  di  esso  D'Ancona ,  in  questo  Giorn.,  V,  24,  n)  ;  ma  vi 
sono  ragguagli  eziandio  sugli  altri  tre  buffoni  che  allietavano  la  corte  man- 
tovana alla  fine  del  sec.  XV,  Galasso,  Diodato,  Frittella.  Di  essi  si  occupa 
spesso  il  Pistoia  nelle  sue  rime,  utilizzate  acconciamente  dal  L.J. 

Gazzetta  letteraria  (Torino)  : 

Anno  IX,  1885.  —  N»  19:  G.  Claretta,  Di  alcuni  tumulti  degli  stu- 
denti dell'Università  di  Torino  ne' secoli  decorsi.  —  N'>23:  A.  Neri,  Due 
lettere  inedite  di  Fabrizio  Maramaldo.  [Cavate  dalla  raccolta  di  autografi 
(donneili  della  Nazionale  di  Firenze.  Ambedue  queste  lettere,  dirette  a  Fer- 
rante Gonzaga,  sono  importanti.  Esse  ci  mostrano  quando  e  per  qual  cagione 
il  Maramaldo  si  ritirasse  in  Napoli].  —  N»  25:  Ed.  Magliani,  Letterate 
cinquecentiste.  [Saggio  del  libro  sulla  letteratura  della  donna,  pel  quale  cfr. 
Bollettino  del  presente  fascicolo.  Altro  saggio  nel  n»  32].  —  Amilcare  Bos- 
SOLA,  Napoleone  I  nella  poesia  popolare  in  Piemonte.  —  N*  28  :  Gian 
Martino  Saragat,  Il  pessimismi  di  G.  Leopardi.  [La  fine  nel  n"  29].  — 
N»  29:  A.  Neri,  Una  supplica  dei  Comici  «  Gelosi  ».  [Supplica  coil  cui 
essi  chiedono  nel  1572  al  governo  di  Genova  <c  di  poter  recitar  le  loro  ho- 
«  neste  et  esemplar  comedie  ».  E'  il  più  antico  docum.  che  si  conosca  dei 
Gelosi^.  —  V.  Malamani,  Per  un  fatto  personale.  [L'A.  mostra  di  essersi 
impermalito  per  due  osservazioni  fatte  m  questo  Giorn.,  V,  468,  al  suo 
saggio  di  bibliografia  Gozziana  inserito  in  appendice  al  II  voi.  del  Masi, 
Fiabe  di  C.  Gozzi.  Dato  eziandio  che  tali  osservazioni  urbanissime  fossero 
state  inesatte,  come  il  M.  ha  creduto,  egli  non  sarebbe  mai  stato  in  diritto 
di  insolentire.  Ma  le  osservazioni  non  sono  inesatte  se  non  in  quanto  sono 
le  prime  capitate  in  mente  all'autore  dell'articolo,  il  quale,  volendo,  avrebbe 
potuto  farne  ben  altre.  Sta  bene  che  sotto  il  n°  106  è  registrata  la  epistola 
poetica  del  Gozzi  al  De  Luca  ;  ma  è  pur  vero  che  la  edizione  del  1783  nel 
Saggio  non  è  registrata.  La  edizione  lo01-3  sarà  ben  citata  sette  volte  (quale 
consolazione!);  ma  è  pur  sempre  a  deplorarsi  che  in  questo  Saggio  il  M.  non 
abbia  creduto  di  dare  indicazione  esatta  delle  due  edizioni  delle  Opere  e 
del  loro  contenuto  e  delle  cure  che  vi  furono  spese  dall'autore  o  da  altri. 
Del  resto  tutto  il  Saggio  è  condotto  in  una  maniera  molto  bizzarra  e  che 
farà  strabiliare  i  buoni  bibliografi.  Per  bibliografia,  secondo  la  comune 
interpretazione  del  vocabolo,  s'intende  l'indice  delle  opere  stampate  e  ma- 
noscritte di  uno  scrittore.  Il  metodo  più  logico  e  quindi  generalmente  adot- 


SPOGLIO  DELLE   PUBBLICAZIONI    PERIODICHE  449 

tato  in  queste  euumerazioni  è  il  seguente;  indicare  prime  per  ordine  di  data 
tutte  le  edizioni  dei  singoli  scritti  con  le  ristampe,  poi  le  Opere  insieme 
raccolte,  quindi  i  inss.  con  le  note  opportune  di  confronto,  ove  si  tratti  di 
scritti  già  editi  e  che  presentino  notevoli  diversità.  11  M.  non  ha  seguito 
(Tuesto  metodo.  Si  direbbe  che  egli  abbia  voluto  dare  un  indice  cronologico 
aegli  scritti;  ma  in  questo  caso  risultano  fuori  di  posto  i  n'  25,  26,  44,  49 
(se  il  1760  0  il  1769  non  sono  errori  di  stampa),  103  (se  sta  nel  voi.  V  ed. 
Colombani  non  può  essere  posteriore  al  1804),  106.  Pare  intenda  indicare  le 
Fiabe  secondo  l'ordine  di  rappresentazione,  ma  allora  si  domanda  :  quando 
vennero  rappresentate  quelle  dei  n'  28,  33,  39,  41,  43,  47,  51,  So,  62,  83? 
Sono  tutte  senza  data  :  perchè  fu  loro  assegnato  quel  luogo  ?  —  Oltre  questi 
difetti  metodici  il  Saggio  rivela  in  molte  altre  cose  la  tra.scuratezza  del  com- 

fiilatore.  Manca  in  parecchi  luoghi  la  indicazione  delle  pagine  del  libro  ove 
a  scrittura  è  inserita  ;  delle  traduzioni  in  altre  lingue  non  si  tien  conto  ; 
i  nM2  e  35  andavano  a  parte  tra  le  opere  attribuite  al  G.;  al  n*  86  il  M. 
dice  che  il  Passano  non  cita  il  G.  come  novelliere,  il  che  è  falso.  Guardi 
nel  Passano  11,  330,  e  vi  troverà  delle  indicazioni  che  mancano  affatto  al 
suo  Saggio.  Del  qual  Saggio  adunque,  che  trattandosi  di  uno  scrittore  come 
Garlo  Gozzi  avrebbe  potuto  divenire  cosi  facilmente,  in  mano  ad  un  veneto, 
una  bibliografia  compiuta,  se  si  dice  che  nonostante  i  vizi  accennati  di  me- 
todo e  i  difetti  di  esattezza,  riesce  «  utile  e  comodo  »,  ci  sembra  che  il 
sig.  M.  possa  dichiararsi  più  che  soddisfatto].  —  N«  31  :  Giov.  Saraoat, 
Le  donne  ed  i  suoi  diritti  sotto  gli  statuti  della  repubblica  Sassarese,  — 
N»  33  :  A.  Neri,  Il  «  Pater  noster  ■»  della  monaca.  [Importante  articoletto, 
nel  quale  il  N.  pubblica  una  di  quelle  curiose  poesie,  nelle  quali  viene  inserta 
una  preghiera,  a  guisa  di  parodia.  Vi  è  largamente  sviluppato  il  motivo 
cosi  popolare  della  monaca  insofferente  del  veloj.  —  A.  Gantalupi,  Leo- 
pardi e  Lenau.  [BuonoJ.  —  N*  35  :  Rip  van  "Winkle,  Manzoni  e  la  si- 
gnora Carlyle.  —  N°  36;  F.  Gabotto,  L'uomo  in  Pietro  Bembo.  —  N*  38: 
0.  Roux,  Una  storia  letteraria  della  donna  italiana.  [Dice  che  il  Magliani 
«  doveva  rovistare  (sicì)  notizie  peregrine  nei  codici  polverosi  »,  ma  nono- 
stante tale  difetto  di  rovistamento  dice  che  il  libro  «  non  è  una  delle  con- 
«  suete  raffazzonature  ».  E'  vero  ;  non  delle  consuete,  per  fortuna].  —  N°  39: 
A.  Neri,  Spigolature  fra  gli  autografi.  [Una  lettera  di  G.  Baretti  a  Gio- 
vanni Lami,  12.  X.  1752;  una  di  Diodata  Saluzzo  a  Fortunata  Sulgher- 
Fantastici,  6,  Vili.  1798  ;  una  di  Carlo  Botta  al  Cicognara  s.  d.  ;  un'  altra 
dello  stesso  al  Capponi,  24.  IH.  1827  ;  una  di  G.  Grassi  a  G.  Leopardi,  17, 
XI.  1820  ;  una  di  Silvio  Pellico  all'attrice  Angelica  Armani  Dalbono,  20.  V. 
1833].  —  N»  41  :  F.  U.  Maranzana,  Un  tipo  fortunato.  [Quello  del  bugiardo, 
trattato  da  Giovanni  Ruiz  de  Alarcon,  da  Pietro  Corneille  e  dal  nostro  Gol- 
doni. O.sservazioni  notevoli  a  questo  articolo  del  Maranzana  fa  il  Neri  nel 
n**  43  della  Gazzetta].  —  N"  44  :  V.  Malamani  ,  /  teatri  veneti  nel  sec. 
scorso.  —  N"  48  :  E.  Magliani,  Un  opuscolo  misterioso.  [Dh  notizia  della 
Protesta  del  popolo  delle  due  Sicilie  scritta  da  L.  Settembrini]. 

Gazzetta  musicale  (Milano): 

Anno  XL,  1885.  —  N"  26:  A.  Ademollo,  La  bella  Adriana  a  Milano 
(1611).  [Dopo  aver  descritta,  giovandosi  delle  rime  degli  An/ioni  che  ne  fab- 
bricarono u  Teatro  delle  Glorie,  la  bellezza  della  Basile,  l'A.  riferisce 
una  curiosa  lettera  di  fra  Gregorio  Carbonelli  da  Padova,  scritta  da  Roma 
il  6  giugno  1610,  alla  duchessa  di  Mantova  per  darle  notizie  dell'indole  della 
cantatrice  che  andava  a  Mantova  scritturata  da  Vincenzo.  Da  Mantova  poi 
nell'agosto  dell'anno  seguente  l'Adriana  passava  a  Milano  e  gli  entusiasmi 
che  ivi  sollevò  son  descritti  da  un  anonimo  contemporaneo  in  altra  lettera 
pure  riferita  dall'A.  L'articolo  è  fregiato  del  ritratto  di  Adriana,  riprodotto 
dal  Teatro  delle  Glorie]. —  N»  27:  P.  Rattoni,  A  proposito  di  D.  Cima- 
rosa  e  del  suo  soggiorno  in  Canttt.  [Gont.  n°  28,  29,  30,  31,  '32.  Raccoglie 
notizie  abbastanza  curiose  sulla  società  che  raccoglievasi  sul  cadere  del  secolo 


450  SPOGLIO  DELLE  PUBBLICAZIONI  PERIODICHE 

scorso  in  casa  del  Principe  Pietrasanta,  signore  di  Gantù,  della  quale  fa 
ricordo   una  Canzonetta   del   Gimarosa ,   edita   nella  Gazzetta].  —  N»  37  : 

A.  Ademollo,  La  Leonora  di  Milton  e  di  Clemente  IX.  [Parla  della  Leo- 
nora Baroni,  celebre  cantatrice,  di  cui  pubblica  un  ritratto  e  dei  suoi  trionfi 
romani  (1639).  Gont.  n»  38,  39]. 

CHatnbattista  Basile  (Napoli): 

Annoili,  1885.  —  N« 5:  Pompeo  Sarnelli  [1649-1724].  Brevi  cenni  biogra- 
fici]. —  V.  Imbruni,  Un  curioso  riscontro.  [Il  riscontro  è  tra  un  passo  del 
Caviceo  e  uno  del  Balzac,  con  una  canzone  popolare  napolitana],  —  N"  6: 

B.  G.,  Letteratura  scolastica.  [Raccolta  di  proverbi  e  di  brevi  poesie  tradi- 
zionali nelle  scuole].  —  La  Direzione,  La  Posilecheata  di  Pompeo  Sarnelli. 
[Indice  di  quest'opera  singolare ,  molto  interessante  per  la  demopsicologia , 
che  rimbriani  ripubblicò  e  commentò   recentemente   con   Reinh.  Rochlerl. 

—  No  7:  B.  Groce,  La  leggenda  di  Niccolò  Pesce.  [Giunta  nel  n°  8.  Vedi 
quanto  se  ne  disse  in  questo  Giom.,  VI,  263].  —  N°  9:  G.  Amalfi,  Il  di- 
monio  nelle  storte  popolari.  [Finisce  nel  n»  10.  Importante].  —  L'Infasti- 
dito, Della  Siracusa  di  Paolo  Regio.  [La  Siracusa  del  Regio  (1545-1607) 
è  un  libro  molto  raro.  Esso  è  una  imitazione  dell'  Arcadia  del  Sannazaro , 
ma  contiene  anche  delle  novelle.  L'imbriani  lo  ha  ripubblicato  recentemente]. 

—  N"  10:  B.  Groce,  Un  opuscolo  popolare  del  sec.  XVI.  [Trovato  nell'An- 
gelica. E'  la  Vera  \relatione  |  della  morte  |  della  sereniss.  regina  di  \  Scotia 
nel  Lisola  De  |  Inghilterra  (Maria  Stuarda)  del  1587].  —  La  Direzione  , 
Noterelle  su  Silvio  Stampiglia.  —  N"  12:  V.  Imbruni,  L'uomo  e  la  serpe. 
[Riscontra  un  motivo  popolare,  accennato  da  G.  G.  Gortese,  nella  Insalata 
mescolanza  di  Carlo  Gabrielli  d'Ogobio,  1621]. 

Giornale  ligustico  (Genova): 

Anno  XII,  1885.  —  Fase.  5-6:  R.  Renier  ,  Giustina  Renier  Michiel. 
[Nella  prima  parte  di  questo  articolo  il  R.  delinea  l'ambiente  nel  quale  nacque 
e  crebbe  Giustina  Renier,  moglie  di  Marcantonio  Michiel,  e  si  trattiene  par- 
ticolarmente sul  doge  Polo  Renier  e  sulle  sue  relazioni  con  la  massoneria. 
Nella  seconda  parte  discorre  della  vita,  dell'animo,  dell'ingegno  di  Giustina 
(n.  1755  ■{•1832);  nella  terza  brevemente  si  occupa  delle  opere  di  lei;  nella 
quarta  finalmente  illustra  le  sue  relazioni  letterarie].  —  Alfredo  Saviotti, 
Una  lettera  inedita  dell'abate  Casti  [24.  IV.  1790.  E'  tratta  dalla  corrispon- 
denza di  mons.  Angelo  Fabroni,  e  parla  di  molti  personaggi  della  corte  vien- 
nese e  del  viaggio  del  G.  a  Gostantinopoli].  —  Fase.  7-8:  G.  G.  Parodi, 
Saggio  di  etim.ologie  genovesi.  —  G.  Braggio,  Vita  privata  dei  genovesi. 
Le  donne  del  sec.  Xv  nella  storia.  [Gontinuaz.  e  fine.  Vedi  Giorn.,  V,  478]. 

—  A.  Neri,  Una  lettera  inedita  di  Francesco  Algarotti.  [E'  diretta  da  Ber- 
lino il  20.  XI.  1751  a  Girolamo  Gurlo ,  per  pregarlo  di  inviargli  i  disegni 
delle  principali  opere  architettoniche  genovesi,  dei  quali  Federico  il  Grande 
intendeva  giovarsi  per  la  costruzione  della  sua  residenza  di  Potsdam].  — 
A.  G.  F.,  Recensione  del  libro  di  R.  Renier ,  Il  tipo  estetico  della  donna 
nel  m,edio  evo. 

Giornale  napoletano  di  filosofia  e  lettere  (Napoli)  : 

Nuovissima  serie,  An.  I,  voi.  I,  1885.  —  Fase.  1°:  Onoranze  funebri  a 
Fr.  Fiorentino.  [Occupano  tutto  il  fascicolo ,  che  si  divide  in  onoranze  fu- 
nebri, discorsi  letti  innanzi  al  feretro,  discorsi  commemorativi,  articoli  com- 
memorativi. Precede  una  nota  bibliografica  dei  libri  e  degli  articoli  di  F.  F.]. 

Il  Bar  etti  (Torino): 

Anno  XVI,  1885.  —  N'  18-19:  P.  Galdera,  Come  nasce  il  verso  epico 
italiano?  [Nullo].  —  N"  26:  F.  Pasqualigo,  Quistioni  dantesche.  [Gensura 
il  Giuliani  di  avere  più  volte  nel  testo  del  Convito  sostituito  ragione  a  ca- 


SPOGLIO  DELLE  PUBBLICAZIONI    PERIODICHE  451 

gioney  o  viceveraa.  Spiega  l'uso  dantesco].  —  N»  31:  F.  Pasqualioo,  Que- 
stioni  dantesche.  [Propone  una  emendazione  a  un  luogo  del  Convito,  Trat- 
tato II,  e.  1]. 

Il  Bibliofilo  (Bologna)  : 

Anno  VI,  1885.  —  N"  6:  F.  Evola,  La  stampa  siciliana  fuori  di  Pa- 
lermo e  di  Messina  nei  due  secoli  decimosesto  e  decimosettimo.  [Qui  si 
parla  di  Trapani.  Gfr.  Giorn.,  V,  478  e  497].  —  A.  Bertolotti  ,  varietà 
archivistiche  e  bibliografiche.  [Nota:  Due  commedie  italiane  rappresentate 
in  Francia  nel  i555  (le  commedie  sono  /  lucidi  del  Firenzuola  e  Flora 
di  Luigi  Alamanni);  Una  tragedia  composta  in  Spagna  da  un  italiano 
(Rusimonda,  cioè  Rosmunda,  di  Pietro  Cerruti,  che  la  presenta  il  30  marzo 
1589  al  duca  di  Mantova);  Autografi  di  un  poeta  teatrale  (Andrea  Salvadore: 
lettere  del  9.  e  10.  I.  1623)].  —  F.  Novati,  Ancora  de'miniatori  cremonesi. 

tA  proposito  dell'artic.  di  L.  Luchini  inserito  nel  n°  5.  Vedi  Giom.,  V,  479. 
1  Luchini  risponde  nei  n'  8-9,  ed  è  ammirabile  la  franchezza,  per  non  dir 
di  peggio,  con  la  quale  nega  d'avere  scritti  strafalcioni  evidentissimi:  fra  gli 
altri  quello  che  L'suardo  sia  stato  un  miniatore  cremonese!].  —  N<'7:C.  Arlia, 
I correttori  delle  antiche  ^tpo^ra^e^orenrtne.  [Dall'origine  dell'arte  tipografica 
a  gran  parte  del  sec.  passato.  Questa  lista  è  dedotta  da  uno  zibaldone  di  D. 
M.  Manni].  —  F.  Evola,  La  stampa  siciliana  fuori  di  Palermo...  [Edizioni 
di  Bartolomeo  di  Franco.  Vedi  sopra  n°  6].  —  G.  Lozzl  Versione  dell' An- 
guillara  delV Eneide.  [D'una  parte  sola,  in  ottave,  stampata  la  prima  volta 
nel  1564.  L'autore  ne  faceva  dono  con  un  fervorino  a  stampa  molto  bizzarro]. 
—  FiL.  Raffaelli,  Illustrazione  di  un  antico  codice  inedito  di  proverbi. 
[Rilevante.  Si  tratta  di  una  specie  di  poema  in  terza  rima,  tutto  intessuto 
di  proverbi,  di  ser  Costantino  de'  Gaglioffi  di  Aquila,  che  si  conserva  in  un 
eoa.  della  bibl.  di  Fermo  scritto  alla  fine  del  sec.  XIV  o  nel  principio  del  XV. 
Il  R.  ne  riferisce  un  brano  per  saggio  ed  un  sonetto  autobiografico.  — 
A.  Bertolotti,  Varietà  archivistiche  e  bibliografiche.  [Nota:  Copia  di  un 
libro  di  controversia  religiosa  (di  fra  Leonardo  Franchi,  sec.  XVII,  contro 
«  un  libretto  del  Re  d'Inghilterra  »);  Relazioni  dello  Zinani  con  la  corte 
di  Mantova  (Gabriele  Zinani,  secentista,  stette  al  servizio  del  duca  di  Man- 
tova. Il  B.  spigola  varie  notizie  nel  suo  carteggio);  /  primi  poemi  di  un 
poeta  (Guidoualdo  Benamati,  di  Gubbio);  Una  tragedia  e  rime  presentate 
al  duca  di  Mantova  (da  Giambattista  Oddoni,  5.  IV.  1622.  La  tragedia  in- 
titolavasi  Edmondoy].  —  N^  8-9:  M.  Caffi,  Miniature  cremonesi.  —  A.  Ber- 
tolotti ,  Varietà  archivistiche  e  bibliografiche.  [Nulla  di  notevole].  — 
G.  PiERGiLi,  Una  lettera  di  Terenzio  Mamiani  a  Giacomo  Leopardi  [del- 
l'ottobre 1814.  Il  P.  dice  qualche  cosa  delle  relazioni  che  corsero  tra  i  duo 
scrittori].  —  F.  Etola,  La  stampa  siciliana  fuori  di  Palermo  ecc.  (  L'  A. 
riassume  le  notizie  sparse  nel  suo  pr^evole  lavoro  e  termina  dando  la  serie 
cronologica  delle  edizioni  citate].  —  E.milio  Faelli,  Saggio  di  un  catalogo 
ragionato  delle  bibliografie  degli  incunabuli.  [Lavoro  utile.  In  questo  num. 
si  giunge  sino  all'^  compreso].  —  N»  10-11:  A.  Gianandrea  ,  Della  tipo- 
grafia lesina  dal  suo  rinnovamento  sullo  scorcio  del  sec.  XVI  insinoalla 
metà  del  presente.  [Qui  il  G.  discorre  di  Pietro  Farri  e  di  Gregorio  Arnaz- 
zinij.  —  P.  Riccardi,  Almanacchi  astrologici  del  secolo  XVIII.  [Descrive 
nove  almanacchi  astrologici  stampati  in  Bologna  per  l'anno  1648  e  dà  no- 
tizie sulla  mania  astrologica  del  sec.  XVII].  —  P.  Santi  Mattei  ,  Un  mi- 
niatore del  sec  XIV.  [Insignificante].  —  A.  Bertolotti,  Varietà  archivi- 
stiche e  bibliografiche.  [Nota:  Libretto  in  difesa  della  religione  cattolica 
(di  Felice  Milensio);  Lettera  di  un  grande  raccoglitore  di  libri  e  mano- 
scritti (F.  B.  Ferrari.  La  lettera  ha  la  data  9.  IV.  1624)].  —  E.  Faelu  , 
Saggio  di  un  catalogo  ragionato.  [Continuazione  e  fine;  vedi  n*  8-9].  — ^ 
P.  Santi  Mattei,  La  prima  edizione  della  Histoire  des  sciences  mathém. 
en  Italie  di  Gugl.  Libri.  [Si  tratta  veramente  del  solo  primo  volume,  stam- 
pato nel  1835,  la  cui  edizione  andò  quasi  interamente  bruciata.  L'esemplare 


452  SPOGLIO  DELLE   PUBBLICAZIONI   PERIODICHE 

posseduto  dall'  A.  è  composto  di  fogli  che  il  Libri  spediva  alla  madre.  Vi 
sono  alcuni  particolari  soppressi  nella  seconda  ediz.  1838-411.  —  Della  bi- 
blioteca palatina  di  Heidelberg  riunita  alla  Vaticana  nel  1622.  [Istruzione 
di  Gregorio  XV  a  Leone  Allacci ,  incaricato  di  andare  a  prendere  in  Ger- 
mania la  biblioteca  donata  alla  Santa  Sede  da  Massimiliano  di  Baviera. 
Questa  istruzione,  in  data  22  ott.  1622,  è  cavata  dal  cod.  Marucell.  B.  29]. 

Il  Buonarroti  (Roma)  : 

Serie  III,  voi.  Il,  1885.  —  Quad.  2°  :  Una  lettera  inedita  di  Silvio  Pellico. 
[A  G.  Voigt,  5  febbraio  '35].  —  Quad.  5":  Recensione  molto  favorevole, 
firmata  F.  L. ,  del  libro  del  Gian ,  Un  decennio  della  vita  di  M.  Pietro 
Bembo,  Torino,  1885. 

Il  Mendico  (Mantova): 

Anno  V,  1885.  —  N»  10:  A.  Bertolotti,  Le  cortigiane  del  medio  evo 
in  Mantova.  [Dovevano  portare  «  super  alios  pannos  unam  clamidem  brevem 
«  pannilini  seu  pignolati  albi  cum  uno  sonaho  a  parte  anteriore  ».  In  caso 
di  contravvenzione  erano  esposte  «  ad  berlinam  super  plateam  communis  »]. 

—  N"  13:  A.  Bertolotti,  L'oro  guai  prolungatore  della  vita.  [Lettera 
curiosa  di  un  A.  Saliatri,  da  Londra  1  luglio  1622,  che  manda  una  ampollina 
d'oro  potabile  e  un  libretto  a  stampa ,  in  cui  tratta  delle  molteplici  cure 
con  esso  fatte].  —  N"  15  :  A.  Bertolotti  ,  La  congelazione  del  mercurio 
e  la  fabbricazione  dell'oro  nel  palazzo  Te.  [Il  duca  Vincenzo  Gonzaga  paga 
400  scudi  per  un  libro  di  questi  segreti  a  certo  Fasciatelli].  —  N'  21  : 
A.  Bertolotti  ,  /  buffoni  piti  cari  alla  marchesa  Isabella  di  Mantova. 
[Il  B.  ripubblica,  come  inedito,  un  documento  già  dato  dal  D'Ancona  sulla 
morte  del  buffone  Matlello  (cfr.  Giorn.,  V,  24):  più  una  letterina  della  mar- 
chesa Isabella  al  marito,  in  cui  gli  chiede  d'avere  il  Galasso,  altro  buffone  ; 
ripubblicata  poi,  con  qualche  correzione,  nella  Gazzetta  di  Mantova.  Cfr. 
il  presente  Spoglio  s.  Gazzetta  di  Mantova^. 

Il  Fropugnatore  (Bologna): 

Anno  XVIII,  1885.  —  Disp.  3:  C.  Arlìa,  Spigolatura  Laschiana.  [Pub- 
blica di  sul  cod.  Magi.  VII.  1248  tre  componimenti  del  Lasca;  ristampa 
alcune  stanze  di  lui,  già  dallo  stesso  Ar.  pubblicate  nel  Borphini  (VI,  357), 
e  vi  unisce  un  capitolo  di  anonimo  al  Grazzini,  che  comincia:  Lasca,  io  mi 
trovo  al  palagio  mio  in  villa].  —  Erasmo  Pèrcopo,  Le  laudi  di  fra  Ja- 
copone  da  Todi  nei  tnss.  delta  bibl.  nazionale  di  Napoli.  [Continuazione, 
vedi  Giorn.,  V,  480].  —  E.  Lamma,  Un  capitolo  inedito  contro  Am,ore  di 
fra  Domenico  da  Montechiello.  [Gom.  :  Le  vaglie  rime  e  il  dolce  dir  d'a- 
more. Il  L.  lo  estrae  dal  cod.  1739  della  Universitaria  di  Bologna].  — 
G.  B.  C,  GiULiARi,  Bibliografia  Maffeiana.  [Termina  il  capitolo  delle  opere 
pubblio,  in  vita,  e  registra  le  opere  postume  e  le  lettere].  —  L.  Gaiter  esa- 
mina il  libro  di  A.  Lubin ,  Dante  spiegato  con  Dante  ecc. ,  la  memoria  di 
A.  Gloria,  Volgare  illustre  nel  ilOO  ecc.,  e  il  volume  commemorativo  La 
scala  del  cielo,  edito  da  F.  Zambrini.  A  quest'ultimo  propone  emendamenti. 

—  Disp.  4-5:  (}iov.  PiNELLi,  Il  Mattino  del  Parini ,  commento.  —  V.  Di 
Giovanni,  Alcuni  luoghi  del  contrasto  di  Ciulo  d'Alcamo  ridotti  a  miglior 
lezione  e  nuovamente  interpretati.  [Confrontando  la  lezione  data  dal  D'An- 
cona con  la  riproduzione  eliotipica  del  Monaci ,  1'  A.  crede  poter  proporre 
diversi  miglioramenti  nella  lettura  del  documento  prezioso.  A  proposito  del 
V.  22  torna  di  nuovo  sulla  questione  degli  agostari,  e  in  una  nota  aggiunta 
all'articolo  si  trattiene  ancora  sulla  defensa].  —  L.  Pagano  ,  Pietro  delle 
Vigne  in  relazione  col  suo  secolo.  [Continuazione ,  vedi  Giorn. ,  IV ,  468]. 

—  A.  MiOLA,  Le  scritt.  in  volg.  dei  primi  tre  secoli  della  lingua  ricercate 
nei  codd.  della  bibl.  Nazionale  di  Napoli.  [Continuazione,  vedi  Giornale, 
IV,  468.  Cod.  XII.  G.  1 ,  trattati  ascetici  e  per  confessori.  Cod.  XII.  G.  2 , 
Specchio  di  croce  del  Cavalca.  Cod.  XII.  G.  3,  Quadriga  spirituale  di  Nic- 


SPOGLIO  DELLE   PUBBLICAZIONI   PERIODICHE  453 

colò  da  Osimo.  God.  XII.  G.  4 ,  Idem ,  e  altri  scritti  monastici.  Cod.  XII, 
G.  5,  Regolo  di  S.  Francesco  e  Regolo  dei  frati  minori  ecc.  Cod.  XII.  G.  6, 
il  «  liljro  chiamato  spine  et  rose  »  (di  fra  Giusto  da  Aquila?)  e  trattato 
della  confessione  di  fra  Pietro  da  Trani.  Cod.  Xll.  G.  7,  varie  scritture 
ascetiche,  in  mezzo  alle  quali  trovasi  una  breve  cronaca  aquilana  dal  1254 
al  1462.  V  è  pure  una  specie  di  atto  di  contrizione  in  rima ,  che  vorrebbe 
essere  in  ottave,  e  comincia  Confexome  ad  deo  patre  creatore.  Il  M.  lo 
jroduce  interoj.  —  E.  Pèrcopo,  Le  laudi  di  Fra  Jacopone  da  Todi  ecc. 
"Continuaz.,  vedi  sopra].  —  P^rnesto  Lamma,  Studi  sul  Canzoniere  di  Dante. 
"Contributo  a  uVia  futura  edizione  delle  rime  di  D.  Il  L.  dà  una  tavola  delle 
rime  che  furono  pubblicato  col  nome  di  D.  e  nota  qui  27  codici  Lauren/iani 
e  6  Magliabech.  che  ne  contengono.  Il  lavoro,  quantunque  parecchio  abbor^ 
racciato,  non  riuscirà  inutile.  ET  a  deplorarsi  nell'autore  una  certa  inespe- 
rienza, che  gli  fa  ripetere  cose  molto  note  e  talora  lo  fa  uscire  in  asserzioni 
ingiustificate.  Per  es.  a  p.  192  n.  egli  dice  di  credere  certamente  della  metà 
del  sec.  XV  il  cod.  Laur.  XLII,  38,  che  il  Barbieri  e  altri  reputarono  del 
XIV,  e  poi  a  p.  219  lo  assegna  al  XIV  (che  per  uno  di  quelli  errori  di 
stampa  ai  cui  quest'articolo  e  zeppo  diventa  XIX).  Il  cod.  e  invece  certa- 
mente  del  sec.  XIV  e  basta  vederlo  per  esserne  convinti!  —  Luigi  Alber- 
TAZZi,  Sulla  vita  del  beato  Colombini.  [Con  chiarezza  e  buon  metodo  l'A. 
dimostra  1°  che  il  b.  Giovanni  Tavelli  da  Tossignano  compilò  un  breve 
compendio  in  lingua  latina  della  vita  del  b.  Giov.  Colombini;  2°  che  il  detto 
compendio  è  quello  stesso  che  di  su  un  cod.  senese  fu  edito  dal  Manzi  ; 
3°  cne  Feo  Belcari  lo  voltò  in  volgare  e  lo  inseri  nella  sua  vita  del  Colom- 
bini]. —  G.  B.  G.  GiCLiARi,  Bibliografia  MafTejana.  [Opere  anonime  o  pseu- 
donimo; opere  mss.  inedite].  —  Recensioni,  L.  Gaiter,  R.  Renier,  Il  tipo 
estetico  della  donna  ecc.;  T.  L.,  Flagellazione,  ragionamento  inedito  di 
G.  Leopardi.  [Edito  per  nozze  da  F.  Ferri  Mancini]. 

Il  Topino  (Foligno): 

Anno  I,  1885.  —  N»  25:  M.  F.  P.,  Il  palazzo  dei  Trinci.  [Si  discorre 
della  importanza  storica  e  artistica  di  questo  monumento,  ogffi,  per  incuria 
del  governo,  trascuratissimoj.  —  N»  26:  M.  F.  P.,  Sigismondo  de  Comi- 
tibus.  [Di  questo  buono  storico  del  sec.  XV  si  pubblica  un  ricordo  biog^- 
fico  scritto  dall'anconitano  Bartolomeo  Alpeo,  in  un  cod.  che  oggi  sta  nel- 
l'archivio comunale  di  Ancona].  —  N"  29:  (I![arlo]  ATttilio]  M[elchu], 
L" Apocolocintosi  di  Barbanera.  [Cont.  n'  30,  31,  'Si.  Ej  riassunto  un  arti- 
colo scritto  neir  Archiv  fùr  Litteraturgesch.  di  quest'  anno  dal  Meyer 
V.  Valdeck,  il  quale  opina  che  la  scena  della  strega  che  declama  nel  Fattst 
di  Goethe  sia  stata  inspirata  dalla  lettura  delle  cabale  poetiche  contenute 
nell'almanacco  di  Foligno,  che  si  stampa  da  oltre  un  secolo  col  titolo  di 
Barbanera. 

Jl  Vessillo  israelitico  (Casale  Monferrato)  : 

Anno  1885.  — ,Punt.  XII:  Lionello  Modona,  Una  poesia  inedita  di  Ma- 
nuello  Giudeo.  [E  una  frottola  intitolata  Bisbiglio,  tratta  dal  cod.  1289  del- 
l'Universitaria di  Bologna,  dove  a  Manoello  è  attribuita]. 

La  Cultura  (Roma): 

Anno  IV,  1885.  —  Voi.  VI,  n»  7:  D.  P.  esamina  M.  Bencini,  Il  vero 
Gio.  Batt.  Fagiuoli.  [Rileva  deficienze  ed  errori  e  dice  il  libro  €  prolisso, 
«  slavato  e  senza  brio  ».  Cfr.  Giom.,  V,  459].  —  B.,  Ih.  Desdouits,  Lo  legende 
tragique  de  Jordano  Bruno.  [Allega  contro  i  documenti  pubblicati  dal 
Berti.  Cfr.  il  n»  10  della  Cultura,  a  p.  369].  —  N»  10:  F.  Tocco,  Recen- 
sione importante  della  pubblicazione  delle  opere  latine  di  Giordano  Bruno 
iniziata  da  F.  Fiorentino.  —  N«  11:  G.  Capasso,  Fr.  Scaduto,  Stato  e  Chiesa 


s 


454  SPOGLIO   DELLE   PUBBLICAZIONI  PERIODICHE 

secondo  fra  Paolo  Sarpi.  [Rilevante.  Il  Ree.  rimprovera  all'  aut.  di  non 
aver  tenuto  conto  dei  documenti  di  Roma  e  di  Venezia  studiati  recentemente, 
e  mostra  come  essi  modifichino  in  parte  gli  apprezzamenti  sulle  teorie  po- 
litiche del  S.].  —  N»  16-17  :  F.  Torraca,  P.  Ercole,  Guido  Cavalcanti. 
[«  11  volume  certo  non  dissipa  tutte  le  oscurità,  non  colma  tutte  le  lacune; 
«  ma  attesta  lungo  e  diligente  studio  ».  Premesso  ciò,  il  T.  muove  parecchi 
appunti  al  voi.,  alcuni  dei  quali  degnissimi  di  nota].  — P.  Merlo,  R.  Renier, 
Il  tipo  estetico  della  donna  nel  m.  evo.  [Vorrebbe  la  predilezione  per  la 
biondezza  di  origine  puramente  germanica,  e  che  quindi  «  la  determinazione 
«  germanica  del  tipo  donnesco  »  fosse  posta  a  fondamento  della  trattazione]. 

—  A  p.  587  segg.  resoconto  del  Congresso  storico  tenutosi  a  Torino  nel 
settembre. 

La  domenica  del  Fra^ìo^ssa  (Roma): 

Anno  li,  1885.  —  N°  24:  Trucioli.  [Ire  accademiche.  Risposta  al  Saviotti 
er  cui  vedi  Giorn.,  V,  475.  —  Un  predicatore  del  Seicento.  Serafino  Boni 
a  Lucca,  autore  di  un  Contrapunto  quaresimale,  edito  a  Lucca  nel  1638]. 

—  G.  PicciOLA,  Il  Carpaccio  e  il  Tiepolo.  [A  proposito  del  recente  libro 
del  Molmenti].  —  Varietà.  Due  lettere  inedite  di  A.  Vannucci  ad  E.  Bindi. 
[Son  del  1835  e  descrivonsi  impressioni  di  viaggio  nella  prima;  nella  seconda 
si  parla  di  un  libro  del  Bindi,  che  gli  editori  non  dicono  qual  sia].  —  N»  25: 
0.  GuERRi.Ni ,  Raffaello  di  M.  Minghetti.  [Cfr.  una  lettera  di  V.  Pica  sul 
medesimo  argomento  nel  n"»  261.  —  N"  26  :  M.  Scherillo,  Beatrice.  [Rias- 
sumendo la  questione  della  realtà  di  Beatrice,  lo  S.  la  ammette,  ma  quanto 
alla  storicità  fa  le  sue  riserve].  —  N"  27  :  Trucioli.  E.  Faelli,  /  moniti 
segreti  della  Compagnia  di  Gesù.  —  Varietà.  D.  Mantovani,  Un'opera 
poco  nota  di  G.  Casanova.  [Si    tratta  del   solito   Icosameron'].  —  N"  30  : 

Trucioli.  G.  Bobbio,  Un  plagio  nel  sec.  XVI.  [Pietro  Massolo  pubblicò 
nel  1557  in  Bologna  de'  Sonetti  morali,  uno  de'  quali  non  è  che  un  rifaci- 
mento di  una  ottava  famosa  dell'  Orlando  Furioso}.  —  N"  31  :  Trucioli, 
E.  Faelli,  Mario  Equicola.  [Premessi  alcuni  cenni  biografici,  viene  a  di- 
scorrere del  Libro  de  natura  de  am,ore,  del  quale  descrive  una  stampa 
veneziana  sconosciuta,  a  quanto  dice,  ai  bibliografi.  (Fratelli  da  Sabio,  1525, 
in-8o,  203  fi".)].  —  N»  34:  Trucioli,  La  D.  del  F.,  Curiosità  ed  aneddoti 
romani  degli  ultimi  anni  del  sec.  XVIII.  [Dai  dispacci  dell'  Agente  luc- 
^;hese  a  Roma,  P.  Bottini].  —  G.  Antona-Traversi  ,  Notizie  e  aneddoti 
Leopardiani.  [Gont.  e  fine  n^  35].  —  N"  36:  Trucioli,  A.  De  Nino,  Tenerezze 
religiose  a  Scontrone.  —  A.  Melani  ,  Della  patria  di  Niccola  Pisano. 
[Gont.  e  fine  n°  36.  In  questa  difficile  controversia  l'A.  non  si  schiera  dalla 
parte  di  coloro  che  credono  Niccola  originario  di  Puglia,  e  nemmeno  di 
quelli  che  lo  sostengono  toscano  di  nascita  e  di  educazione.  Grede  che  a 
risolverla  occorrano  dati  più  sicuri  di  quelli  che  ora  si  possiedono].  — 
N°  38,  G.  Sforza,  Un  episodio  del  risorgimento  italiano.  [Dello  sbigotti- 
mento di  Garlo  Lodovico  di  Borbone  Duca  di  Lucca  per  i  moti  del  '31  son 
prova  alcune  sue  lettere  al  Mansi,  presidente  dei  ministri,  qui  pubblicate  e  i 
provvedimenti  presi  da  questo].  —  N»  41  :  A.  Tomaselli,  Un  poeta  dimen- 
ticato. [Antonio  Somma,  udinese  (1809-1864)  che  ebbe  parte  nella  difesa  di 
Venezia  nel  1848,  avvocato  valente  ed  autore  di  tragedie  non  prive  di  va- 
lore]. —  E.  GiMBALi,  Uno  storico  delle  Paludi  Pontine.  [M.  Spedalieri 
scrisse  in  latino  un'  opera  del  bonificamento  delle  paludi  pontine,  che  tra- 
dusse e  stampò  sotto  il  proprio  nome  a  Roma  nel  1800  mons.  N.  M.  Nicolai]. 

—  N"  42  :  G.  Ghiarini,  Per  una  nuova  edizione  delle  poesie  del  Leopardi. 

—  La  D.  del  F.,  Due  lettere  di  G.  Mazzini.  [Sono  del  1841  e  dirette  alla 
Quirina  Mocenni-Magiotti  ;  facevano  parte  del  carteggio  edito  nella  N.  Anto- 
logia (vedi  Giorn.,  IV,  473)  ma  ora  non  se  ne  hanno  che  copie  scorrette.  Nella 
seconda  si  ragiona  del  Foscolo  e  degli  articoli  suoi  inglesi  che  si  volevano 
tradurre].  —  N»  43:  A.  Bianchi,  Alcune  lettere  di  E.  Ricasoli  e  F.  Pa- 
Cini.  [Sono  cinque  del  1872  del  1875,  76,  78  e  non  troppo  importanti]. 


SPOGLIO  DELLE  PUBBLICAZIONI  PERIODICHE  455 

La  filosofia  delle  scuole  italiane  (Roma)  : 

Voi.  XXXI,  1885.  —  Disj).  2»:  L.  Pietrobono,  Il  fondamento  psichico 
della  vita  animale  secondo  il  Rosmini  ed  il  Darwin. 

La  Rassegna  (Roma): 

Anno  1885.  —  1°  nov.  (supplemento  letterario):  Francesco  Torraca, 
Donne  reali  e  donne  ideali.  (Lungo  e  ingegnoso  articolo,  nel  quale  il  T. 
prende  ad  esaminare  il  libro  del  Renier  sul  Tipo  estetico  della  donna  nel 
medio  evo,  con  lo  scopo  di  dimostrare  che  la  monotonia  del  tipo  nelle  de- 
scrizioni poetiche  della  donna  non  è  peculiare  al  medio  evo  e  che  non  si 
può  trarne  illazioni  per  convalidare  la  teoria  della  idealità  della  donna  can- 
tata da  certe  scuole  dell'età  media.  Alcune  obiezioni  il  T.  aveva  già  messo 
innanzi  nel  Corriere  del  Mattino  di  Napoli  (23  ag.  '85),  ma  qui  egli  svi- 
luppa ampiamente  le  sue  idee  e  le  correda  di  nuove  prove.  L'articolo  venne 
ristampato  in  un  elegante  volumetto,  Roma,  tip.  Nazionale,  pp.  G3]. 

La  Rassegna  italiana  (Roma): 

Anno  V,  1885.  —  Voi.  I,  fase.  3»  (ritardato):  M.  Armellini,  Documento 
autografo  di  Brunetto  Latini  ^relativo  ai  Ghibellini  di  Firenze  scoperto 
negli  archivi  della  S.  Sede.  [È  un  atto  notarile  rogato  da  Br.  Latini  in  Pa- 
rigi il  15  sett.  1263.  L'atto  ha  certo  la  sua  importanza;  ma,  anche  ammet- 
tendo l'autografia  sostenuta  dall'A.,  non  ci  semora  che  possa  chiamarsi  un 
«  insigne  documento  ».  La  illustrazione  che  l'A.  ne  fa  mostra  la  sua  poca 
perizia  nell'argomento].  —  Voi.  Ili,  fase.  3°:  Licurgo  Pieretti,  Cola  di 
Rienzo  e  Bosone  da  Gubbio.  [Sostiene  la  canz.  Spirto  gentil  diretta  a 
Bosone]. 

La  Rassegna  Nazionale  (Firenze): 

Anno  VII,  voi.  XXIV.  —  i°  luglio:  N.  Castagna,  G.  di  Cesare.  [Coni, 
e  fine:  vedi  voi.  XXIIF,  p.  204].  —  G.  Fabris,  La  conversazione  di  Man- 
zoni. [Raccoglie  con  garbo  notizie  curiose  sopra  i  personaggi  che  solevano 
circondare  il  Manzoni  e  sui  temi  delle  loro  conversazioni].  — t).  Catellacci, 
Alcune  lettere  inedite  di  A.  Muratori!  [Cont.:  vedi  voi.  XXll,  p.  585].  — 
A.  Nardini  Nespotti  Mospignotti,  Il  campanile  di  S.  Maria  del  Fiore. 
[Gont.,  voi.  XXV,  pp.  26  sgg.  Si  propone  dimostrare  come  Giotto  non  abbia 
se  non  che  incominciato  il  campanile,  il  quale  nelle  parti  più  alte  non  può 
appartenere  che  alla  fine  del  sec.  XIV].  —  16  luglio  :  L.  Grottanelli,  Un 
collaboratore  di  L.  A.  Muratori.  [L'A.  riunisce  notizie  biografiche  suH'erudito 
senese  Uberto  Benvoglienti,  del  quale  contrappone  la  serenità  e  la  nobiltà 
di  carattere  alla  violenza  ed  alla  venalità  del  suo  concittadino,  il  Gi^li.  11 
lavoro  è  non  privo  d'interesse  ;  ma  dalla  ricca  collezione  dei  mss.  e  dei  cai> 
teggi  del  Benvoglienti,  che  si  conservano  nella  Comunale  di  Siena,  il  G.  po- 
teva cavare  materiali  più  copiosi  e  più  importanti.].  —  Rassegna  biblio- 
grafica. A.  Gotti,  Goldoni  e  il  Teatro  di  S.  Luca  a  Venezia  per  D.  Man- 
tovani. —  1°  Agosto:  T.  Roberti,  Lettere  inedite  di  C.  Vannetti.  [Son  sei 
lettere  scritte  alla  madre,  ed  a  Marianna  Chiusole,  durante  il  suo  viaggio  nelle 
Provincie  venete,  dal  3  al  16  giugno  1788.  Seguono  a  queste  altre  cinque  del  1790 
e  '91,  al  Bettinelli,  alla  nipote  di  questo,  la  Bridi,  all'Ab.  Gius.  Pederzani]. 

—  G.  Conti,  Madonna  Prudenza  da  Troni.  [Fu  decapitata  come  awele- 
natrice  del  marito  il  26  aprile  1549  in  Firenze.  Era  giovane  e  bellissima]. 

—  C.  Cipolla,  Un  documenlo  austriaco  sui  Massoni  e  sui  Carbonari.  [Si 
tratta  di  un  Rapporto  di  confronti  tra  Massoni  e  CarbonaH  con  analoghe 
osservazioni,  tratto  dall'archivio  di  Graz  ed  edito  nel  fase.  4  degli  Steiermdr- 
kische  Geschichtsblàtter  (1884).  L' autore  che  scriveva  forse  nel  1817  era 
certo  un  veneto  e  si  rivolgeva  a  qualche  alta  autorità  austriaca].  —  A.  Pippi, 
Achille  Mauri.  —  16  agosto,  I.  Del  Badia,  Lettere  inedite  di  Benedetto  XIV. 
[E'  un  esame  delle  lettere  del  Lambertini  al  canonico  Peggi,  testé  date  alla 


456  SPOGLIO  DELLE  PUBBLICAZIONI  PERIODICHE 

luce  dal  Kraus;  per  cui  vedi  Giorn.  V,  4631.  —  G.  Rondoni,  Siena  e  V an- 
tico contado  Senese  ecc.  [Gont.  vedi  voi.  XXllI,  p.  450.  Raccoglie  qui  gli 
elementi  tradizionali  e  fantastici  che  occorrono  nelle  narrazioni  e  nei  ricordi 
che  della  battaglia  di  Montaperti  si  hanno  presso  gli  scrittori  senesi.  Tocca  poi 
d'altre  leggende  d'indole  familiare  e  privata;  come  quella  della  Pia  de'Tolomei, 
di  Cangenova  Salimbeni,  raccolta  dal  Bargagli,  e  di  Angelica  Montanini, 
di  cui  ha  narrati  i  casi  il  Sennini  :  e  della  famosa  del  Re  Giannino'].  — 
Voi.  XXV,  1°  settembre  :  P.  Fea,  A.  Farnese  nei  Paesi  Bassi.  [Gont.  vedi 
voi.  XXV,  p.  387  e  XXV,  p.  334].  —  Rassegna  bibliografica.  [X.  X.  parla 
con  lode  delle  Briciole  letterarie  di  A.  De  Nino,  G.  B.  G.  del  Man.  della 
Letter.  It.  del  sec.  XIX  di  G.  Mestica  e  di  un  opuscolo  su  Mon.  Leopardi, 
non  che  della  polemica  Papa-Amalfi].  —  16  settembi'e:  G.  Guasti,  Storia 
aneddota  del  volgarizzamento  dei  Due  Testamenti,  fatto  dalVab.  A.  Mar- 
tini. —  A.  Valdarnini,  T.  Mamiani.  —  1°  ottobre:  G.  Rondoni,  Siena 
e  Tantico  Contado  senese  ecc.  [In  questa  seconda  parte  l'A.  prende  ad  esa- 
minare le  leggende  religiose  e  prima  quella  di  S.  Ansano;  poscia  le  meno 
famose  di  Santa  Mattiola,  protettrice  di  Ghiusi,  di  S.  Marziale,  viva  in  GoUe, 
de'  SS.  Gerbone  e  Regolo].  —  A.  Astori,  Polemica  Manzoniana.  [Riassume 
la  lunga  e  noiosa  questione  che  si  è  testé  dibattuta  intorno  ai  Promessi 
Sposi  e  lo  fa  con  molto  giudizio].  —  !<>  ottobre:  Gatellacci,  Alcune  lettere 
inedite  di  L.  A.  Muratori.  [Gont.  vedi  voi.  XXIV,  p.  81]. 

La  Monda  (Verona): 

Anno  III,  1885.  —  N°  28  :  P.  Sgulméro,  Una  epistola  di  Silvia  Curtoni 
Terza  ad  I.  Pindem,onte.  —  N°  32  :  Lettere  inedite  di  I.  Pindemonte, 
S.  Pellico,  Y.  Gioberti  e  G.  Leopardi.  [Quattro;  ma  di  poco  rilievo].  — 
N"  45:  F.  GuARDiONE,  Giuseppina  Turrisi- Colonna. 

Zia  Sapienza  (Torino): 

Anno  VII,  1885.  —  Voi.  XI,  fase.  5":  Scritti  inediti  di  Antonio  Rosmini. 
[Vedi  Giorn.,  V,  486^7.  Gontinua  nei  fascicoli  successivi].  —  Voi.  XII,  fa- 
scicolo 1°:  Torello  del  Garlo,  Un  po'  di  storia  sui  «  Promessi  Sposi  » 
di  A.  Manzoni.  [Accenna  ai  giudizi  dati  sul  celebre  romanzo].  —  Fase.  34: 
G.  M.  Zampini,  Leggendo  il  «  Purgatorio  ».  La  Pia.  [Insignificante].  — , 
Torello  del  Carlo,  S.  Filippo  Neri,  il  card.  Federigo  e  la  dottrina  cri- 
stiana nei  «  Prom,essi  Sposi  »  d'Aless.  Manzoni. 

La  acuoia  cattolica  (Milano): 

Anno  XIII,  voi.  XXV,  1885.  —  Quad.  149:  D.  Gasalin,  S.  Tommaso 
d'Aquino  e  Dante  Alighieri.  [Gont.,  Quad.  131,  132,  133].  —  P.  Balan,  Il 
pontificato  di  Clemente  VII  e  l'Italia  de'  suoi  tempi.  [Gont.  vedi  Quad.  pre- 
cedente e  130,  131,  153,  154]. 

La  scuola  romana  (Roma): 

Anno  III,  1884-1885.  —  N»  8:  N.  Angelletti,  Quando  e  dove  scrivesse 
Dante  le  opere  minori  (cont.  e  fine).  [V.  Giornale,  111,  313,  IV,  306,  V,  487]. 

—  No  10:  G.  Tirinelli,  Critici  ed  eruditi  del  secolo  XVIII.  lY.tV.  Gior- 
nale, V,  487.  I  ricordati  qui  sono  Alessandro  Zorzi  e  Glementino  Vannetti]. 

—  F.  Labruzzi,  Il  Giordani  e  un  passo  del  Davila.  [Verso  la  fine  del 
I.  IX  della  sua  Istoria  delle  guerre  civili  di  Francia,  il  Davila ,  descri- 
vendo il  castello  di  Blois,  chiama  pertica  dei  Bertoni  (Bretoni),  un  cortile 
in  cui  solevano  passeggiare  e  trattenersi  i  Bretoni.  Stimandolo  errore  mani- 
festo, il  Giordani  suggeriva  pratica  in  luogo, di  pertica;  ma  il  L.  ha  trovato 
che  quel  pertica  è  spiegato  da  un  passo  delle  Etudes  philosophiques  sur  Ca- 
therine de  Médicis,  di  Onorato  di  Balzac,  dove  il  cortile  è  detto  Perchoir 
aux  Bretons].  —  F.  Labruzzi,  Lettera  all'avv.  Augusto  Caroselli.  [Ristam- 
pata dal  Buonarroti,  serie  II,  voi.  II,  giugno,  1876.  Riguarda  la  canzone  del 


SPOGLIO   DELLE   PUBBLICAZIONI   PERIODICHE  457 

Petrarca  Italia  mia  o  i  dubbi  cui  dà  luogo].  Epigrammi  latini  del  Varchi. 
[Tre].  —  N.  11,  N.  Angeletti,  Quando  e  dove  scrivesse  Dante  ecc.  [Con- 
tinuazione]. —  G.  Fracassetti,  F.  Labruzzi,  Sulla  canzone  petrarchesca 
Italia  itiia  benché  *1  parlar  sia  indarno.  [Lettere  scambiate  nel  1877  fra  il 
F.  e  il  L  ].  —  F.  Lampertico,  Jl  Giordani  e  un  passo  del  Lavila.  [L'A. 
a  giustificare  il  pertica  del  Davila  ricorda  un  pertica  frascarum,  e  dice 
pertica,  nomo  comune,  essersi  usato  in  Italia].  —  Due  lettere  alla  contessa 
Enrichetta  Dionigi-Orfei.  [Di  Vincenzo  Monti  l'una,  27  marzo  1807,  di  Gia- 
como Leopardi  l'altra,  27  dicembre  1824].  —  G.  Fracassetti,  F.  Labruzzi, 
Sulla  canzone  petrarchesca  ecc.  [Continuazione].  Epigrammi  latini  inediti 
del  Varchi.  [Due]. 

U Ateneo  Veneto  (Venezia): 

Serie  IX.  —  Voi.  1,  1885.  —  N'  5^:  Ern.  Bonvecchiato,  Giacomo  Leo- 
pardi e  la  filosofia  dell'amore.  —  G.  Fantoni,  Angelo  Baldan  veneto,  mu- 
sicista del  passato  secolo.  [Notevole].  —  Voi.  11,  n'  1-2:  Vincenzo  Mar- 
chesi, Venezia  nell'età  del  rinascimento.  [Discorso  accademico,  nel  cattivo 
senso  della  parola].  —  Giovanni  Glasi,  Per  il  centenario  di  A.  Manzoni. 
—  Recensione  di  M.  intorno  al  libro  di  R.  Renier,  Il  tipo  estetico  della 
donna  ecc.  —  N*  3:  A.  Salv agnini,  Recensione  dell'opuscolo  di  A.  Gloria, 
Un  errore  nelle  edizioni  della  Div.  Com.  ecc.  [Sul  verso  ormai  celebre 
Padova  al  palude  1  Cangerà  l'acqua  che  Vicenza  bagna  (Parad.,  IX,  46). 
11  recensente  si  dichiara  favorevole  alla  opinione  del  Gloria]. 

Letture  per  le  giovinette  (Torino): 

Voi.  V,  1885.  —  Fase.  1  :  AuR.  Gotti,  Del  Novellino.  —  Fase.  2:  A.  Graf, 
Epopea  in  Italia.  —  Fase.  4:  A.  Gotti,  Di  Benvenuto  Cellini. 

L' Illustrazione  Italiana  (Milano): 

Anno  XII,  1885.  —  N»  24  :  E.  De  Marchi,  Bisticci  e  freddure.  — 
D.  A.  Parodi,  Le  tragedie  di  A.  Manzoni.  [Cont.  e  fine,  veoi  n»  19].  — 
N»  26  :  A.  De  Nino,  Ovidio  nella  tradizione  popolare  di  Sulmona.  [Cont., 
vedi,  num'  2  e  3.  Qui  il  De  N.  raccoglie  le  tradizioni  sulla  casa  e  sulla 
villa  d'Ovidio,  che  sono  edifici  di  Sulmona  e  dei  dintorni,  dove  restan 
vestigia  e  memorie  di  templi  antichi.  A  Fonte  d'am,ore  vi  son  mine  che 
si  dicon  le  Poteche  de'Viddie  e  dove  la  tradizione  afferma  nascosti  tesori. 
Nel  n°  27  si  narra  poi  come  morisse  Ovidio;  egli  fu  cacciato  in  esilio  per 
aver  violata  la  figlia  dell'Imperatore  e  dopo  essere  stato  una  notte  intiera 
penzolone  in  un  canestro  :  il  che  richiama  la  leggenda  virgiliana.  Poi  si 
descrivono  le  statue  che  furono  erette  in  Sulmona  al  concittadino;  una  era 
posta  in  fronte  al  palazzo  municipale,  vestita  con  abiti  talari  e  si  conserva 
tuttora  ;  un  busto  antico  che  stava  sulla  Porta  del  Salvatore  minata  per 
terremoto  nel  1706  è  stato  poi  venduto].  —  N"  28  :  A.  Neri,  Un'avventura 
dell'ab.  P.  M.  Tosini.  [Codesto  avventuriere,  autore  di  varie  opere,  quali  La 
Libertà  dell'Italia  dimostrata  a' suoi  principi  e  popoli.  Storia  e  sentimento 
sopra  il  Giansenismo,  fu  quasi  causa  nel  1703  d'una  rottura  fra  la  Repubblica 
Genovese  e  la  Spagna  :  l'incidente  è  raccontato  sopra  inediti  documenti  degli 
Archivi  Genovesi].  —  N»  30:  G.  Carrocci,  Il  mercato  vecchio  di  Firenze. 
Oratorio  di  S.  Maria  della  Tromba.  —  N»  32  :  L.  CoRio,  /  giornali  della 
Repubblica  Cisalpina.  [Dà  qualche  notizia  sulla  Gazzetta  Enciclopedica 
di  Milano  che  si  stampò  daQ  1780  al  1802  nella  tipografia  Motta.  Cont. 
no  33  e  n»  34].  — •  G.  (jhirardi,  Gaud.  Ferrari.  [Cont.  n»  39  e  40].  — 
35:  F.  D'Ovidio,  Manzoni  e  C.  Porta.  [Continuazione  n»  37.  L'A.  argo- 
menta acutamente  dall'esame  dei  caratteri  dello  stile  del  Porta  e  del  Man- 
zoni l'influenza  che  il  primo  può  aver  esercitato  sul  secondo;  raffronta  la 
potenza  di  ambedue  nel  creare  tipi  e  accenna  a  consonanze  generiche  e 
parziali  che  si  posson  ritrovare  fra  V  uno  e  l'altro].  —  N*  38  :  E.  Masi,  H 
Piemonte  dal  1802  al  1814.  [Cont.  n<>  39].  E'  un  esame  dell'  opera  Storia 

Giornale  ttorico,  VI,  fase.  18.  80 


458  SPOGLIO  DELLE  PUBBLICAZIONI    PERIODICHE 

della  Mon.  Piem.  di  N.  Bianchii.  —  N»  40:  A.  Neri,  Lettere  d'Artisti  di 
Teatro.  [Sono  tre:  una  del  celebre  tenore  Tacchinardi ,  la  seconda  dell'at- 
tore Vestri  ,  la  terza  del  Domeniconi].  —  M.  Scherillo  ,  Don  Saverio 
Mbomma.  [E'  un  tipo  intermedio  fra  il  Capitan  Fracassa  ed  il  Guappo^  pa- 
rodia del  veterano,  creato  dal  Gerlone  e  scomparso,  lui  morto,  dal  teatro 
napoletano). 

Tj^ Illustrazione  per  tutti  (Roma): 

Anno  I,  1885.  —  N»  15:  E.  Montazio,  Beatrice  di  Pian  degli  Ontani 
[Biografia  di  questa  improvvisatrice  popolare  toscana]. 

L* Italia  (Koma)  : 

Anno  III,  1885.  —  N"  1  :    G.  Castelli  ,  Sculture  Ascolane  del   sec.  XI. 

tSono  nella  Chiesa  de'  SS.  Vincenzo  ed  Anastasio.  Gont.  e  fine  n"  2].  — 
ì*  2  :  G.  B.  Toschi,  Arte  Toscana  e  arte  Napoletana  nel  sec.  XII.  [Gont. 
n°  3].  —  N*  5  :  G.  Cantalamessa,  Un  nuovo  libro  su  Raffaello.  [Esamina 
il  nuovo  libro  del  Minghetti  ed  è  d'  avviso  con  lui  che  i  disegni  dell'  Ac- 
cademia di  Venezia  non  siano  opera  di  Raffaello].  —  N°  7:  A.  Venturi, 
Un  codice  miniato  da  Nikolaus  Glockenton  nella  R.  Biblioteca  Estense 
di  Modena.  —  N°  8  :  P.  Piccirilli  ,  Poeta  Ovidius  Naso  Sulmonensis. 
[Pubblica  una  incisione  della  statua  eseguita  nel  secolo  XV  in  Sulmona 
per  rappresentare  Ovidio  :  egli  parla  anche  di  un  sigillo  che  si  trova  in 
documenti  sulmonesi  del  sec.  XV  e  XVI;  dove  è  ritratta  una  mezza  figura 
«  in  abito  medievale  »  (?)  che  regge  con  le  braccia  una  targa  ;  il  sigillo 
porta  la  leggenda  f  Sigillum  f  Sulmone  •{-  Universitatis  e  sulla  testa  della 
figura  le  parole  Ovidius  Naso.  Queste  sono  novelle  prove  della  popolarità 
di  cui  godette  in  patria  il  poeta ,  da  aggiungere  alle  raccolte  dal  De  Nino. 
Gfr.  Spoglio,  p.  442,  457]. 

Lucania  letteratHa  (Potenza): 

Anno  1,  1885.  —  N»  28:  V.  Jorlin,  Giuseppe  Massari  e  Vincenzo  Gio- 
berti. [Continua  nei  n'  seguenti]. 

Napoli  letteraria  (Napoli): 

Anno  II,  1885.  —  N"  1  :  F.  de  Sanctis,  La  scuola  liberale  del  sec.  XIX. 
[Lezione  riassuntiva  di  un  corso  sulla  scuola  manzoniana,  ripubblicata  da 
un'appendice  del  Roma  di  Napoli,  1874].  —  G.  Amalfi,  Francesco  Fioren- 
tino. —  P.  Imbriani,  La  Regina  di  Navarra  e  Paolo-Luigi  Courier.  — 
[L'I.  dimostra  come  la  famosa  lettera  del  Courier  da  Resina,  1°  uov.  1807, 
alla  cugina  Sofia  Pigalle,  sia  un  plagio  della  34*  novella  àe\Y Ettamerone, 
e  come  la  novella  stessa  sia  d'origine  popolare  e  tuttora  vivente.  S.  Muzzi 
la  raccolse  dal  popolo  e  narrò  a  suo  modo].  —  N"  2:  A.  Broccoli,  Intorno 
alla  nascita  e  vita  letteraria  di  Simone  Porzio,  due  lettere  inedite  di 
F.  Fiorentino  a  C.  Minieri- Riccio.  [Continua  nel  n"  3].  —  G.  Amalfi, 
Gabriele  Altilio  ed  una  sua  poesia  inedita.  —  .G.  Signorini,  F.  Petrarca 
a  Linterno.^  [Insignificante].  —  Lettere  inedite  dell'ab.  F.  Galiani  all'ab. 
L.  Mehus.  [È  una  lettera  da  Napoli,  20  agosto  1779.  Altre  cinque  furono  pub- 
blic.  nei  n^  35  e  36  dell'anno  I.  Gfr.  q-uesto  Giorn.,  IV,  473].  —  Rayo,  Il 
colera  e  S.  Pellico.  [Esame  superficiale  del  carme  del  P.  Il  colera  in  Pie- 
monte^. —  N»  4  :  G.  Amalfi,  Venticinque  tnotti  dell'abate  Galiani.  [Già  edito 
nella  Riv.  Minim,a,  anno  XIII,  fase.  9°].  —  Cronaca.  [Si  fa  un  largo  rias- 
sunto dell'art,  di  F.  Torraca  su  Li  gliuommeri  del  Sannazzaro ,  pubbl.  in 
questo  Giorn.,  IV,  e  della  Neapolitana  di  R.  Guiscardi].  —  N  5:  Per 
un'ottava  inedita  diV.  Monti.  [E' intitolata  Al  1813;  ed  è,  mutilo,  il  celebre 
sonetto  Alfin  sei  morto,  edito  fra  le  Poesie  del  M.,  ediz.  Barbera!]. — A. Broc- 
coli, Intorno  alla  vita  ed  alle  opere  di  Giam,battista  della  Porta;  Due 
lettere  inedite  di  F.  Fiorentino  a  C.  Minieri-Riccio.  [Contin.  nel  n*  9].  — 


SPOGLIO  DELLE   PUBBLICAZIONI   PERIODICHE  450 

G.  Amalfi,  El  Giordano  di  Marino  fonata.  [Riassunto  della  tesi  di  laurea 
di  F.  Ettari,  Napoli,  1885].  —  N°  7:  A.  Torre,  Polemica  daktesca.  [Rias- 
sunto della  polemica   fra  G.  Amalfi  o  P.  Papa ,   di  cui  s'  è  già  fatto  cenno 
più  volte].   —   N"  8:  Un  Annoiato,  Una  seconda  quistione   manzoniana. 
I  A  proposito  degli  articoli  del  D'Ovidio,  del  Borgognoni  e  del  Patuzzi  sulja 
(luistione  se  al  Manzoni  debba  o  no  accordarsi  ospitalità   nelle  scuole  clas- 
siche]. —   N*  9:  G.  Amalfi,  Il  Geronta  Sebezio.   [E'  il  titolo  di  un  gior- 
naletto satirico  che  vide  la  luco  in  Napoli  dal  27  agosto    18^,,  per  opera 
e  redazione  unica   di  un   avvocatuccio   a   nomo   Domenico   Bocchini.  Con- 
tinua nel  no  H].    —   N»  12:  U.  Savino,  Antonio  Tari.,  reminiscenze.  — 
N"  13:  V.  Imbuiani,   Tre  lettere  inedite  di  F.  C.  Savigny.  [Sono  diretto  a 
Giuseppe  Poerio:  due  del  1827,  l'altra  del  '32.  Illustrate  largamente  dall'I., 
il  quale  si  ferma  a  preferenza  sulla  vita  del  Poerio,  nel  n"  111.  —  A.  Ca- 
sertano ,   La  Rinascenza  e  Marc  Monnier.  [Recensione  del  libro  del  M. 
sulla  Rinasc.].  —  G.  Amalfi,  Papajoarvorum.  [Ultima  parola  sulla  polemica 
dantesca,  sorta  fra  l'A.  ed  il  Papa.  Cfr.  n°  7].  —  N°  15:  C.  Antona-Traversi, 
Per  il  Pindemonte.  [Risposta  insolente  ma  vuota  all'articolo  del  Novati 
sulla  Cronaca  Sibarita].  —  V.  Visalli,  Salomone  e   Leopardi.    [Raffronti 
fi'a  alcuni  brani  deW Ecclesiaste  o  alcuni  altri  spigolati  nelle  opere  del  L.]. 
—  N°  16:    Una   supplica   inedita   di    G.  B.    Vico.   [Il  V.  domanda  al  te 
Carlo  111,  nel  1735,  n'esser  nominato   regio   istoriografo.   Dopo   una   lunga 
enumerazione  de' suoi  titoli,  conclude:  «  Ora  il  supplicante  si  trcA^a  in  grave 
«  età,  con  numerosa  famiglia,  e  poverissimo,  non  avendo  dalla  sua  cattedra 
«  più  di  soldo  che  cento  scudi  annui  con  altri  pochi  incerti,  ch'esige  dal  di- 
«  ritto  delle  fedi  di  Rcttorica,  che  dà  ai  Giovani,  che  passano  agli  studi  Le - 
«  gali.  Per  tutto  ciò  priega  la  Maestà  Vostra  d'impiegarlo   nella  carica  di 
«  Vostro  Istorico  Regio  con  tanto  di  sostentamento,  che  unito  con  quello  dello 
«  Cattedra,  possa  con  qualche  riposo  scrivere  le  Vostre  gloriosissime  geste,  e 
<  finire  onestamente  la  vita  ».  Per  questa  nuova  carica  ottenuta,  ebbe  altri 
cento  scudrj.  —  E.  Maresca,  Francesco  Fiorentino  poeta.  —  N»  17  :  V.  Im- 
bruni, La   caccia   agli  astri.    [Saggio   di  demopsicologia  comparata].  — 
G.  Amalfi,  //  Montesquivio  in  Italia.  —  N°  19:  F.  Trevisan,  Una  nuova 
vita  di  Ugo  Foscolo.  [Notizia  anticipata  della   Vita  del  Foscolo,  di  Federico 
Gilbert   de   Winkels,  di   cui  è  uscito  ora   il  primo  volume.  Continua  nel 
n"  20].  —  N»  20:  E.  Costa,  Una  lettera  inedita  di  Pietro  Giordani.  [Da 
Firenze,  1820.  Estratta  dalla  Comunale  di  Piacenza.   E'  tutta  contro  l'edu- 
cazione data  dai  frati].  —  In  giro.   [Vi  si  ripubblica  l'iscrizione  ch'è  sulla 
tomba  del  Tcbaldeo  in  Santa-Maria-in-via-Lata  a  Roma].  —  N*  21  :  E.  Ma- 
GLiANi,  Etère  del  Cinquecento.  —  N»  22:  Bue  httere  inedite  del  Mamiani 
ad  Alessandro  Poerio.  [L'una  è  del  1844,    l'altra  del    '45;   da  Parigli  — 
F.  de  Sanctis,  La  filosofia  del  Leopardi.  [Dal  voi.  ora  pubblicato  dal  Mo- 
rano]. —  V.  Imbruni,  Aloise  Cinti  delli  Fabrizii.  [Dalle  illustrazioni  alla 
ristampa  della  Posifcc/ieato  procurata  dallo  stesso  Imbriani].  —  E.  Magltani, 
La  canzone  d'una  suora.  [Dea.  dei  Bardi.   Primizia  del  voi.   Storia  delle 
donne  ital.,  di  cui   parliamo   nel   Bollettino.   —  N»  26  :  Falstaff,  L'umo- 
rismo nell'arte.  [Recensione  sfavorevole  delle  due  conferenze  fatte  da  Giorgio 
Arcoleo  al  Filologico  di  Napoli]. 

Nuoi)à  Antologia  (Roma)  : 

Seconda  serie,  voi.  LII.  —  Fase  13:  B.  Zumbini,  Il  Klopstoch  c  i  grandi 
epici  moderni.  [Qualche  raffronto  con  poeti  italiani,  segnatamente  col  Tasso 
e  con  Dante].  —  G.  Franciosi,  Dante  e  il  beato  Angelico.  [E*  un  parallelo 
abbastanza  singolare,  e  in  cui  ci  sembra  alquanto  travisato  il  carattere  ar- 
tistico dell'Alighieri.  Come  si  fa  a  dire  che  tujto  quanto  egli  ritrasse  «  si 
«  veste,  più  I)  meno,  degli  spletidori  del  femminino  eterno?  »]. — Fase.  14: 
Luigi  Sailer,  Il  padre  Cristoforo  nel  romanzo  e  nella  stona.  [L'A.  con- 
siderando gli  intendimenti  e  i  metodi  artistici  del  M.  crede  difficile  che  egli 
rappresentando  cosi  al  vivo  padre  Cristoforo  non  facesse  se  non  lavorare  di 


460  SPOGLIO  DELLE  PUBBLICAZIONI  PERIODICHE 

fantasia.  Egli  pertanto  si  propone  di  <  ricercare  nella  storia  per  vedere  se 
*  il  padre  Cristoforo  sia  personificazione  fedele  di  un  fenomeno  generale, 
<  ovvero  una  pretta  creazione  dell'artista,  un  pio  desiderio  del  cattolico  ». 
L'A.  narra  la  curiosa  storia  di  Alfonso  III  d  Este,  che  vivamente  scosso 
dalla  morte  immatura  di  sua  moglie  Isabella  di  Savoia,  si  fece  cappuccino 
nel  1629.  Fatti  simili  non  erano  rari  nel  sec.  XVII.  11  M.  si  attenne  a  dati 
storici,  ma  idealizzò  la  figura  di  cui  TA.  mette  in  chiaro  le  caratteristiche, 
con  uno  scopo  determinato.  Secondo  lui  il  M.,  tratteggiando  quel  tipo,  si 
conformò  unicamente  alla  ragione  dell'arte,  quella  di  «  rispecchiare  fedel- 
«  mente  in  ogni  personaggio  tipico  da  lui  creato  altrettante  specie  d'uomini, 
«  acutamente  osservate  e  distinte,  o  nella  realtà  presente  o  nella  storia  »]. 

—  A.  D'Ancona,  Torino  e  Parigi  nel  1643.  [Interessanti  spigolature  dal 
diario  di  Giovanni  Rucellai  pubblicate  recentemente  in  ediz.  non  venale  da 
Y.  Tempie-Leader  e  G.  Marcotti.  Il  D'A.  illustra  da  par  suo  queste  curiose 
memorie  di  viaggio.  L'artic.  termina  nel  fase.  15].  —  Fase.  15:  B.  MoR- 
SOLIN,  Pietro  Bembo  e  Lucrezia  Borgia.  [Artic.  importante  e  ben  condotto]. 

—  Voi.  LUI,  fase.  17:  Tullo  Massarani,  Carlo  Tenca  e  il  pensiero  ci- 
vile del  suo  tempo.  [Termina  nel  fase.  18].  —  Fase.  18:  G.  Chiarini,  Pietro 
Giordani.  I  primi  anni  e  i  primi  scritti.  {Ì774-1809).  [Si  trattiene  prin- 
cipalmente sul  Panegirico  di  Napoleone].  —  Fase.  19:  Enrico  Panzacchi, 
Pietro  Aretino  innamx)rato.  [Tratteggia  l'amore  dell'A.  per  Angela  Serena 
e  la  passione  per  Ferina  Riccia,  giovandosi  delle  lettere  aretinesche].  — 
G.  PiERGiLi,  La  cultura  letteraria  nelle  scuole.  [Riguarda  Y Antologia  cri- 
tica del  Morandi].  —  Fase.  20:  A.  Borgognoni,  La  bellezza  femminile  e 
Vamore  nell'antica  lirica  italiana,  a  proposito  d'una  recente  pubblicazione. 
[Quella  del  Renier,  Il  tipo  estetico  della  donna  nel  medio  evo.  Specialmente 
importante  quanto  è  detto  del  colore  bruno  dei  capelli.  In  fine  del  suo  ar- 
ticolo il  B.  richiama  alcune  celebri  descrizioni  di  donne  di  poeti  latini  e 
greci.  Vedi  anche  ciò  che  sul  libro  del  R.  e  su  questa  memoria  del  B. 
scrisse  la  sig.  C.  Pigorini-Beri  in  una  appendice  àeW  Opinione  del  6  no- 
vembre '85].  —  G.  Martucci,  Salvator  Rosa  nel  personaggio  di  Formica. 
[Interessante  articolo,  che  ci  descrive  la  vita  allegra  del  Rosa  come  attore 
burlesco  nelle  mascherate  carnevalesche  e  nelle  commedie  dell'arte.  Rappre- 
sentò il  personaggio  di  Formica  e  vesti  la  maschera  di  Pasquariello]. 

Opuscoli  religiosi,  letterari  e  mortili  (Modena): 

Serie  IV,  t.  XVII,  1885.  —  Fase.  50:  Pico  Luri  di  Vassano,  Modi  di 
dire  proverbiali  e  motti  popolari  italiani.  [Continuazione;  v.  t.  XVI,  p.  360. 
Seguita  nel  fase.  51]. 

Periodico  della  Società  Storica  per  la  provincia  e  antica  dio- 
cesi di  Como  (Como): 

Voi.  V,  1885.  —  E.  Motta,  Ebrei  in  Como  ed  in  altre  Città  del  Ducato 
Milanese.  [Notevole  saggio  sulle  condizioni  degli  Ebrei  nella  Lombardia 
durante  il  sec.  XV,  condotto  sulla  scorta  di  documenti  inediti  dell'Arch.  di 
Stato  di  Milano].  —  A.  Monti,  Accademie  di  Como.  [Ricorda  le  più  antiche 
Accademie  fiorite  in  questa  Città:  la  Laria,  fondata  circa  il  1560  da  Giro- 
lamo Passalacqua  e  morta  con  lui  (1583),  sebbene  godesse  di  molto  grido  e 
il  Minturno  le  dedicasse  la  sua  Poetica;  quella  dei  Veloci,  istituita  nel  1655 
da  E.  Albergati  .ed  essa  pure  morta  col  fondatore  (1698),  Vlnnocenziana, 
eretta  dal  vescovo  Cernuscni  nel  1742;  la  Parteio-Pliniana,  eretta  nel  tempo 
medesimo  dai  Gesuiti;  e  quella  dei  Taciturni  fondata  da  G.  M.  Quadrio. 
Oltre  a  queste  ne  sono  certamente  esistite  altre;  due  del  Cappellaccio  e 
degli  Amorevoli,  che  rimonterebbero  alla  seconda  metà  del  sec.  XVI,  sono 
rammemorate  da  una  raccolta  di  poesie  italiane  e  latine,  già  della  libreria 
Giovio,  ora  della  Comunale.  Di  alcune  si  hanno  gli  autori  :    un  Giov.  Cep- 

£ato,  Lod.  Cerutto,  Ger.  Magnocaballo  ;  e  parecchie  son  pubblicate  per  saggio, 
fn'altra  Accademia  degli  Indifferenti  visse  nel   sec.  XVIII  ed   infine   una 


SPOGLIO   DELLE   l'UHlllJCAZIONI   PERIODICHE  461 

di  Scienze,  Lettere  ed  Arti  fu  aperta  nel  1810  e  vi  furono  ascritti  il  Giovio, 
il  Volta  ed  altri.  Perì  col  Regno  d'Italia  (1814)],  —  A.  Monti,  Il  lago  di 
Como  di  Mons.  Rev.  Giovio  tradotto  in  lingua  italiana  per  Vincenso 
Becci  Sanese.  [Del  traduttore,  che  mandava  la  sua  versione  della  Descriptio 
Larii  Lacus  al  cav.  A.  M.  Quadrio,  da  Tirano  il  16  luglio  1560,  nulla  è 
noto;  l'Ed.  lo  crede  uno  de'  Toscani  o  esiliati  dai  Medici  o  sospetti  di  eresia. 
Pare  insegnasse  la  gramVnatica  latina  a  Tirano.  Va  unito  un  facsimile  della 
carta  del  lago  di  Como,  che  si  trova  nell'edizione  veneta,  1569,  della  De- 
scriptio]. 

Rassegna  Pugliese  (Trani): 

Voi.  II,  1885.  —  N»  10:  Giutio  Petroni,  /  dodici  maestri  di  musica  di 
Terra  di  Bari.  [Brevi  cenni].  —  N.  di  Cagno-Politi,  Di  Giulio  Cesare 
Vanini  martire  e  pensatore.  [Continua  nei  n'  12,  16].  —  C.  B.,  Un  antico 
vocaholarietto  italiano-tedesco.  [  L'A.  dà  saggi  di  un  vocabolarietto  italiano- 
tedesco  pubblicato  nel  1500  in  Venezia  da  Giambattista  di  Sessa,  di  cui  rin- 
venne un  esemplare  nella  Casanatense.  Il  Brunct  ne  registra  varie  altre 
edizioni  dal  1479  al  15171.  —  N"  13:  M.  A.  Bellucci,  /  musicisti  Baresi. 
[Buono  indicazioni  di  bibliografìa  musicale].  —  S.  E.  Gustave  Colline, 
Una  bugia  napoletana  di  Wolfango  Goethe.  [Riguarda  W.  Hamilton.  Si 
sarebbe  desiderato  una  maggiore  moderazione  parlando  del  Goethe].  — 
C.  Bertacchi,  Recensione  degli  Studi  critici  ài  F.  Colagrosso.  [ Favorevole j. 

—  N^  14  :  S.  E.  G.  C,  Un  elogio  della  pazzia  italiano.  [Ortensio  Landi, 
ne'  suoi  Paradossi  (^^enezia,  1544)  parla  di  due  uomini  che  avrebbero  lodato 
la  pazzia.  L'uno  è  Erasmo;  l'altro,  anonimo,  secondo  il  Mclzi,  sarebbe  Via- 
nesio  Albergati.  L' A.  sostiene  invece  doversi  lo  scritto  a  Lelio  Benci 
sulla  fede  di  un  ms.  della  Casanatense].  —  N*  15:  Ottavio  Serena,  La 
patria  di  Mercadante  ed  altre  notizie  intorno  ad  alcuni  musicisti  del  Ba- 
rese. [Continua].  —  Gustave  Colline,  Dante  Alighieri  II poeta  latino  del 
sec.  XV.  [Articolo  diligente,  ma  senza  novità,  sui  discendenti  di  Dante].  — 
G.  C,  Un  miracolo.  [Riferisce  tutta  intera  una  curiosissima  lettera  diretta 
il  3  maggio  1586  da  un  Paolo  Landi  a  Giuseppe  Rosacelo  di  Venezia,  nella 
quale  si  narra  un  caso  molto  strano  occorso  in  Londra.  Quale  il  caso  sia, 
lo  si  può  dedurre  dal  lungo  titolo  dell'opuscolo,  in  cui  la  lettera  si  contiene 
(Napoli,  Salvionì,  1586):  Copia  \  d'una  lettera  |  venuta  notamente  \  dalla 
fortezza  di  Cales  \  nella  m.agn.  città  di  Venetia  I  Nella  quale  si  legge  il 
grande  et  spavento  |  so  successo  avvenuto  in  Londra  città  |  principale  d'In- 
ghilterra  alli  24  {d'aprile  1586  \  ove  s'intende  che  mentre  in  essa  città 
si  recitava  \  una  Comedia  in  dispregio  della  S.  Fede,  ivi  spa  \  ventevolmente 
apparvero  molti  diavoli  dell'  |  Inferno  e  via  se  ne  portarono  i  Reci- 
tanti, I  con  la  m,orte  de  molti,  et  altre  cose  no  \  tabili  et  maravigliose  da  sa- 
j)ersi\  —  N°  17:  Gustave  Colline,  Notizie  di  opere  letterarie  italiane  su 
Maria  Stuarda.  [Interessante.  Continua  nel  n"  19,  termina  nel  n*  20].  — 
N°  21  :  Gennaro  Venisti,  Domenico  Torricella.  [Poeta  secantista.  Ne  é  data 
•qui  la  biografia  e  notizie  sulle  sue  opere,  con  molto  garbo]. 

Rivista  cHtica  della  letteratura  italiana  (Firenze): 

Anno  II,  1885.  —  N"  2:  T.  Casini,  A.  Manzoni,  Opere  pubbl.  da  R.  Bonghi. 

—  A.  Straccali,  M.  Bencini,  Il  vero  G.  B.  Fagiuoli.  —  A.  Medin,  G.  Bac- 
cini.  Le  facezie  del  piovano  Arlotto.  —  T.  Casini,  A.  Piumati,  Dante  Ali- 
(jhieri  e  F.  Petrarca  —  V.  Crescini,  A.  Gloria,  Un  errore  nelle  edizioni 
della  Div.  Commedia.  —  Teza,  Otium  senense,  lett.  II  a  G.  Carducci. 
[Comunica  che  il  framm.  di  bestiario  in  versi  da  lui  segnalato  nel  n°  5  non 
e  altro  che  un  brano  dell'Acerba  e  che  i  versi  spagnuoli  del  Bembo  da  lui 
pubblicati  nel  Giom.  di  fi.  rom.,  IV,  73,  non  sono  del  Bembo,  sì  bene  fu- 
rono da  lui  messi  insieme  e  impastati  con  poesie  d'altri].  —  N°  3:  T.  Ca- 
sini, G.  Finzi,  Sommario  della  storia  delln  lett.  it.  —  G.  Biadego,  G.  B.  Giu- 
liari.  Lettere  del  marchese  Scip.  Maffei  nel  suo  periodo  di  vita  militare 


462  SPOGLIO  DELLE  PUBBLICAZIONI   PERIODICHE 

in  Baviera.  —  E.  Teza,  F.  Paglierani,  La  Sofonisba  di  G.  Trissino.  — 
E.  MoRPURGO,  F.  Torraca,  Cola  di  Rienzo  e  la  canz.  «  Spirto  gentil  »,  — 
A.  Zenatti,  P.  Ferrieri,  Rime  inedite  di  un  cinquecentista.  —  S.  Morpurgo, 
G.  Porro,  CatoZo^o  dei  mss.  Trivulziani.  —  T.  Casini,  L.  Biadene,  Il  collega- 
mento della  stanza  mediante  le  rime  nella  canz.  ital.  dei  sec.  XIII  e  XIV. 

—  Comunicazioni:  T.  Casini,  Alessandro  Tassoni  e  la  Crusca.  —  N"  4  ; 
E.  Teza,  T.  F.  Crane,  Mediaeval  Sermon-Books  and  Stories.  —  T.  Casini» 
L.  Biadene,  Las  razos  de  trobar  e  lo  Donatz  proensals.  —  S.  Morpurgo, 
A.  Mabellini,  Belle  rime  di  Benvenuto  Cellini.  —  G.  Setti,  A.  De  Nino, 
Briciole  letterarie.  —  T.  Casini,  F.  G.  Carnecchia,  La  vera  lezione  :  versi 
59-65  del  X  Inferno.  —  Comunicazioni:  E  Teza,  Luoghi  da  correggere 
i^  una  lettera  di  T.  Tasso.  [Lettera  ad  Ercole  Tasso,  che  è  nel  voi.  Il, 
403  della  ediz.  Guasti].  —  E.  Lamma,  Di  un  cod.  di  rime  del  sec.  XIII. 
[Framra.  posseduto  dal  dr.  Giov.  Barderà.  Se  ne  dà  la  tavola.  Gli  autori 
sono:  G.  Guinizelli,  Rinuccino,  Cine  da  Pistoia,  Dante  Al.,  Gianni  Alfani, 
Oniesto  Boi.,  Dino  Frescobaldi,  Verzellino,  Terrino,  Ser  Lippo.  Di  questo  sor 
Lippo  v'è  il  principio  di  una  risposta  a  Dante.  Se  ne  hanno  solo  i  due  primi 
versi  :  Dante  eo  uo  che  tuo  stato  pruoueggi  \  E  uer  me  drizzi  lo  tuo  inte- 
tectò.  Corrispondono  alla  missiva  pubblic.  in  questo  Giorn.,  II,  341].  — 
N<*  5:  S.  Morpurgo,  R.  Renier,  Il  tipo  estetico  della  donna  nel  medio-evo. 

—  T.  Casini,  P.  Ercole,  Guido  Cavalcanti.  —  E.  Teza,  V.  Mikelli,  Niccolò 
Tommaseo.  —  L.  Biadene,  V.  Cian,  Ballate  e  strambotti  del  sec.  XV  tratti 
da  un  cod.  trevisano.  —  Comunicazioni,  A.  Zenatti,  Una  raccolta  di  sce- 
nari della  comedia  dell'arte.  [Da  due  codici  della  Corsiniana].  —  N"  6: 
T.  Casini,  F.  Torraca,  Il  teatro  ital.  dei  sec.  XIII,  XIV  e  XV.  A.  Ghe- 
RARDi,  G.  0.  Corazzini,  L'assedio  di  Pisa  (1405^).  —  T.  Casini,  C.  Ricci, 
Oronache  bolognesi  di  Pietro  di  Mattiolo  e  di  prete  Giovanni.  —  F.  Roe- 
DiGER,  M.  Laue,  Ferreto  da  Vicenza.  —  A.  Zenatti,  Catalogne  des  livrea 
mss.  et  imprimés  comp.  la  bibl.  de  m.  Horace  de  Landau.  —  S.  Morpurgo, 
[A.  D'Ancona],  L'arte  del  dire  in  rima,  sonetti  di  A.  Pucci. —  A.  Zenatti, 
G.  Mignini,  Le  tradiz.  dell'epopea  carolingia  nell'Umbria.  —  Comunica- 
zioni: E.  Teza,  Italiani  e  spagnuoli,  appunti  di  bibliografia.  —  I.  Del  Lungo» 
Pentolini.  —  V.  Crescini,  Di  Jacopo  Corbinelli. 

Rivista  di  filologia  e  istruzione  classica  (Torino)  : 

Anno  XIV,  1885.  —  Fase.  1-2:  Luigi  Valmaggi,  La  biografia  di  Vir- 
gilio attribuita  al  grammatico  Elio  Donato.  [Ricerca  accurata  e  interessante 
anche  per  i  nostri  studi.  Il  V.  conclude  :  «  Noi  possediamo  una  biografia  di 
«  Virgilio  che,  secondo  l'opinione  ora  prevalente,  sarebbe  stata  compilata 
«  dal  grammatico  Elio  Donato  sopra  la  vita  di  esso  Virgilio  senza  dubbia 
«  inserta  da  Svetonio  nel  De  viris  illustribus  ;  ma  quella  biografia  non 
«  può  essere  di  Donato,  e  nemmeno  può  rappresentare  l'originale  di  Svetonio; 
«  si  bene  essa  appartiene  ad  un  anonimo  commento  alle  Bucoliche,  una 
«  delle  cui  fonti  principali  fu  il  commento  perduto  di  Elio  Donato,  o,  forse 
«  più  probabilmente,  quello  di  Servio.  Questa  biografia,  che  era  la  più  ampia 
«  delle  antiche,  ebbe  una  grande  fortuna  nel  medio  evo,  e  non  tardò  a  vivere 
«  di  vita  propria  traendosi  seco  quella  parte  di  commento  che  contiene  il 
«  proemio  alle  ecloghe  e  che  le  veniva  immediatamente  dietro  »]. 

Rivista  storica  italiana  (Torino): 

Anno  II,  1885.  —  Fase.  2*  :  G.  Tamassia,  Osculum  interveniens.  [Curioso 
articolo  sulla  importanza  consuetudinaria  e  giuridica  del  bacio  negli  spon- 
sali. Vi  sono  anche  richiamate  molte  attestazioni  poetiche  medioevali,  che 
avremmo  voluto  meglio  scelte.  Qui  le  inesattezze  non  mancano:  il  Wal~ 
tharius,  p.  es.,  è  fatto  «  forse  del  VI  sec.  »].  —  G.  Rondoni,  Della  vera 
origine  di  Gregorio  VII  e  della  stia  leggenda.  —  L.  A.  Ferrai,  Recensione 
espositiva  del  libro  di  Thor  Sundby  intorno  a  Brunetto  Latini,  trad.  Renier. 

—  C.  Falletti  Fossati,  Oreste  Tommasini,  La  vita  e  gli  scritti  di  Nic- 


SPOGLIO  DELLE  PUBBLICAZIONI   l'ERIODICHE  403 

colò  Machiavelli,  voi.  1.  —  R.  Benier,  Recensione  del  Catalogo  dei  mas 
Trivulziani  del  Porro.  [L'A.  fa  molte  osservazioni  al  compilatore  del  cata 
loffo  e  si  industria  di  porre  ordinatamente  in  chiaro  i  codici  più  imjK)rtant 
della  preziosa  biblioteca  milanese,  cosi  rispetto  alla  storia  civile  come  ri 
guardo  alla  letteraria].  —  Fase.  3°  :  B.  Morso lin.  Recensione  del  libro  di 
P.  Scaduto,  Stalo  e  Chiesa  secondo  fra  Paolo  Sarpi.  [Espositiva].  —  A 
pp.  650-60  resoconto  minuto  del  terzo  congresso  storico  italiano. 

Studi  di  filologia  romanza  (Roma): 

Voi.  I,  1885.  —  Fase.  3:  L.  Biadene,  Las  Rasos  de  trohar  e  lo  Donati 
proensals  secondo  la  lez.  del  ms.  Landau.  [Ms.  della  fine  del  sec.  XIII  o 
principio  del  XIV.  Il  B.  lo  confronta  con  altri  testi  noti  e  ne  stabilisce  la 
genealogia,  tanto  per  l'una  come  per  l'altra  delle  antiche  grammatiche  pro- 
venzali. Dalla  didascalia  iniziale  e  dalle  parole  di  chiusa  deduce  che  autore 
del  Donato  debba  senz'altro  reputarsi  Ugo  Faidit  (cfr.  Giornale,  11,  20-^;  HI, 
218-21  e  398400;  IV,  203-8).  Pubblica  il  testo  diplomaticamente  (Rettifiche 
al  testo,  dedotte  da  un  nuovo  confronto  col  ms.,  in  Riv.  critica,  II,  112-Ì3). 
In  appendice  il  B.  dà  notizia  della  Grammatica  provenzale  di  Bened.  Varchi, 
staccata  da  un  ms.  mgl.  e  finita  ad  Ashburnhamplace,  d'onde  tornò  in  Italia 
con  gli  altri  codici  Ashb.  (cfr.  Giorn.,  Ili,  102,  n.  6).  11  B.  mette  in  sodo 
che  essa  è  una  traduz.  del  Donato,  condotta  sul  testo  riccardiano].  —  G.  An- 
tona-Traversi,  Notizie  storiche  suW  «  Amorosa  visione  ».  [Illustra  le  allu- 
sioni storiche  del  poemetto  boccaccesco,  e  ne  ricava  la  conclusione  che  esso 
dovette  essere  scritto  nel  1341].  —  L.  Biadene,  Correzioni  ed  aggiunte  a 
la  Passione  e  Risurrezione.  [Pubblicate  nel  fase.  2°.  Cfr.  Giorn.,  fV,  475]. 

Studi  e  Documenti  di  StoHa  e  Diritto  (Roma): 

Anno  VI,  1885.  —  Fase.  1-2:  A.  Battandier,  Un  volume  dei  Regesti  di 
Innocenzo  IH  donato  alla  Santità  di  N.  S.  Leone  XIII da  lord.  Ashhumìiam. 


STKyAnsriEK.E 


AnnaZes  de  la  Faculté  des  Lettres  de  Bordeaux  : 

Anno  V,  1885.  —  N*  3:  Dumeril,  Comines  et  ses  mémoires.  [Studia  il 
misticismo  del  Comines,  quale  si  appalesa  nelle  sue  memorie  e  ne  indica 
una  cagione  nell'  influenza  che  sul  francese  esercitò  fra  G.  Savonarola,  da 
lui  conosciuto  e  consultato  nel  tempo  della  sua  dimora  in  Firenze]. 

Annuaire  de  la  Faculté  des  lettres  de  Lyon: 

Voi.  III.  —  Fate.  1  :   L.   Glédat  ,  La  chronique  de   Salimbene,  partita 

inédites. 

BibUothèque  de  Vécole  des  chartes  (Parigi): 

Anno  1885,  voi.  XLVI.  —  Fase.  3:  Cenno  di  L.  Delisle  sulla  pubblica- 
zione di  Francesco  Carta,  Di  un  messale  valdostano  del  sec.  XV,  Roma,  1885. 
La  descrizione  del  messale  è  detta  eccellente.  —  Fase.  4-5:  Un  cenno  di 
Elia  Berger  sul  Programma  di  paleografia  e  di  diplomatica  di  C.  Paoli, 
tradotto  in  tedesco  da  C.  Lohmeyer.  Uno  del  Delisle  sui  Documenti  di  Ser 
Ciappelletto,  pubblicati  dallo  stesso  Paoli  nel  Giornale  (IV,  329-69).  Se  ne 
mostra  l'importanza. 


464  SPOGLIO  DELLE   PUBBLICAZIONI  PERIODICHE 

Bibliothèque  universeUe  et  Mevue  Suisse  (Losanna): 

Anno  90°,  1885.  —  N»  82:  Francois  Dumur,  Benvenuto  Celimi.  [Articolo 
fatto  su'  due  libri  di  E.  Plon,  Benvenuto  Cellini,  orfévre,  médailleur,  ecc., 
Parigi,  1883,  e  Benvenuto  Cellini,  Nouvel  appendice  ecc.,  Parigi,  1884.  Se- 
guita nel  no  83]. 

BiUletin  de  la  société  historique  des  anciens  textes  (Parigi)  : 

Anno  1885.  — .  Contiene  notizia  del  codice  772  della  biblioteca  municipale 
di  Lione,  che  ci  conserva  un  numero  ragguardevole  di  leggende  di  santi  in 
prosa  francese.  V'è  la  leggenda  di  Erode,  una  redazione  del  vangelo  di  Ni- 
codemo,  un  trattato  di  falconeria  ecc.  L'indice  di  questo  codice  è  riferito 
nel  Literaturblatt,  n°  10,  p.  426. 

BuUetin  du  BibliopJiUe  (Parigi): 

Anno  1885,  aprile.  —  V.  Develay,  Epttres  de  Pétrarque.  [Gont.]. 

Cronique  des  beaux-arts  et  de  la  littérature  (Anversa): 

Anno  1885.  —  10  ott.  :  Recensione  molto  favorevole  delle  Notizie  bio- 
grafiche di  CI.  Monteverdi,  pubbl.  da  S.  Davari.  [Gfr.   Giornale.,  VI,  311]. 

Oazette  des  Beaux-Arts  (Parigi): 

Voi.  XXXI,  1885.  —  Fase.  336  :  Bibliographie  des  ouvrages  publiés  en 
Franco  et  à  Vétr anger  sur  Ics  beaux-arts  et  la  curiosità  pendant  le  premier 
semestre  de  l'année  1885.  —  Fase.  338:  M.  De  Ghantelou,  Journal  du  voyage 
du  Cavalier  Bernin  en  France.  [Fine.  Vedi  Giorn.,  V,  493].  —  Fase.  339  : 
E.  Muntz,  Les  dessins  de  la  jeunesse  de  Raphael.  [Sostiene  vigorosamente 
in  questo  primo  articolo  l'autenticità  del  famoso  libro  di  schizzi  dell'Acca- 
demia di  Belle  Arti  di  Venezia,  che  parecchi  critici  negano  essere  di  mano 
di  Raffaello].  —  Gh.  Ephrussi,  Les  médailleurs  de  la  Renaissance.  [A  pro- 
posito dell'opera  de  A.  Heiss].  —  Fase.  340:  Le  Due  De  Rivoli,  A  propos 
d'un  livre  à  figures  vénitien  de  la  fin  du  XVe  siede.  [Artic.  1*.  (Questo 
lavoro,  assai  notevole,  coglie  occasione  dall'illustrazione  di  una  preziosa  e 
rara  stampa  delle  Deuote  meditatione  sopra  la  Passione  del  N.  S.  impressa 
a  Venezia  nel  1491  da  Matteo  da  Parma  e  Bernardino  Benali,  per  discor- 
rere non  solo  delle  altre  edizioni  della  medesima  opera  uscite  in  luce  a 
Venezia,  a  Milano,  a  Firenze  diciannove  volte  dal  1480  al  1517;  ma  anche 
degli  autori  delle  belle  incisioni  che  fregiano  questa  ed  altre  celebri  stampe 
veneziane  del  tempo.  Lo  scritto,  bibliograficamente  importantissimo  e  adorno 
da  bellissimi  fac-simili,  cont.  e  term.  nel  fase.  341_].  —  E.  Muntz,  Les  des- 
sins de  la  jeunesse  de  Raphael.  [In  questo  2°  articolo  l'A.  discute  l'auten- 
ticità de'  disegni  di  Raffaello,  di  cui  si  servì  il  Pinturicchio  per  gli  affreschi 
della  libreria  del  duomo  di  Siena  e  di  alcuni  altri  sparsi  in  varie  collezioni]^ 

Journal  asiatique  (Parigi): 

Serie  Vili,  voi.  V,  1885.  —  N»  3  :  H.  Zotenberg,  Le  livre  de  Barlaam, 
et  Josaphat.  [Rilevante.  E'  un  estratto  di  una  memoria  che  apparirà  nel  vo- 
lume XXVIII  (prima  parte)  delle  Notices  et  extraits  des  manuscrits^. 

Journal  des  savants  (Parigi): 

Anno  1885.  —  Maggio:  B.  Haurèau,  Manuscrits  du  Mont-Cassin.  [Gon- 
tinuazione,  vedi  Giornale,  V,  493.  Ultimo  articolo  sull'argomento  nel  fasci- 
colo di  luglio].  —  Settembre:  B.  Hauréau,  Epistolae  pontificum  romano- 
rum  ineditae.  [Sulla  pubblicazione  recente  del  Loewenfeld.  Continua]. 

L'Art  (Parigi)  : 

Anno,  1885.  —  N°  513  :  L.  Hugonnet,  La  vériié  sur  la  Fornarina.  — 
No  514  :  E.  Muntz,  Les  artistes  Flamands  et  Allemanda  en  Italie  pendant 
le  XV'  siede. 


SPOGLIO  DELLE  PUBBLICAZIONI   PERIODICHE  4GÒ 

Le  Livre  (Parigi): 

Anno  VI,  1885.  —  Fase.  9:  Pétrarque  au  Capitole.  [Si  pubblica  tradotto 
il  discorso  che  il  Petrarca  pronunciò  1*8  aprile  1341  in  occasione  della  sua 
laurea,  secondo  il  testo  edito  dall'Hortis]. 

Vintermédiaire  dea  chercheurs  et  dea  cttrieux  (Parigi): 

Anno  II,  1885.  —  N»  10:  L'écorché  de  Milan.  [Sulla  statua  di  S.  Bar- 
tolomeo di  Marco  Agrati  nel  Duomo  di  Milano].  —  N°  29:  Où  est  né  Eoo- 
cace.  \_Poffgiartdo  risponde  citando  un  documento  del  1332  che  mostra  il 
padre  del  Boccaccio  a  Napoli].  —  N»  30:  Prononciation  de  Gì  en  patois 
Bressan  et  en  italien.  [Ulric  R-D  segnala  la  pronuncia  di  ffl  identica  al- 
l'italiana nel  Basso  Berry]. 

Polybiblion  (Partie  littéraire)  (Parigi): 

Serie  II,  voi.  XXI,  1885.  —  N»  2  :  Th.  P.,  Recensione  del  libro  di  Marc 
Monnier,  La  renaissance  de  Dante  à  Luther.  [Parecchi  appunti,  ma  in 
complesso  favorevole].  —  N°  4  :  P.  de  Nolhac,  discorre,  facendo  molte  os- 
servazioni di  fatto,  dell'opera  del  Chatelain  Paléographie  des  classiques 
latins,  che  esce  a  dispense.  —  R.  Kerviler  si  occupa  con  favore  del  libro 
di  Carlo  Dejob,  De  Vinfliience  du  concile  de  Trente  sur  la  littérature  et  les 
beaux-arts  chez  les  peuples  catholiques. 

Hevue  cHtiqiie  d'histoire  et  de  littérature  (Parigi): 

Anno  XIX,  1885.  —  No  20  ;  Gh.  J[oret],  A.  Thomas,  Fr.  da  Barberino. 
[Recensione  espositiva  favorevole].  —  N"  28,  Ch.  J[oret],  A.  Thomas,  De 
Joannis  de  Monsterolio  vita  et  operibus.  [Gfr.  Giom.,  III,  264].  —  N»  29  : 
P.  DE  NoLHAG ,  E.  Muntz,  La  Renaissance  en  Italie  et  en  France  à  l'epoque 
de  Charles  YIII.  [«  ...  c'est  un  livre  bien  compose,  agréable  a  lire,  nourri 
«  de  faits  et  d'un  bon  et  solide  jugement....  il  peut  paraitre  sans  désavantage 
«  à  còte  des  travaux  de  Burckhardt  et  de  Symonds  »].  —  N"  34:  Em.  Picot, 
M.  Gaster,  Literatura  populara  romana.  [Molte  interessanti  osservazioni 
di  fatto,  che  hanno  interesse  generale  per  i  cultori  di  leggende  e  poesia 
popolari]. 

Mevue  de  Oaacogne  (Auch): 

Anno  1885.  —  Fase.  5-6:  P.  Durrieu,  Les  Gascons  en  Italie.  [Si  tratta 
di  Maximilien  Lamarque  e  Simon  Durrieu  che  presero  parte  alla  conquista 
del  Regno  di  Napoli  fatta  da  Giuseppe  Bonaparte.  Gfr.  Giom.  V,  49o]. 

JRevue  dea  Deiix  Mondea  (Parigi): 

Voi.  LXXI,  1885.  —  15  sett.:  Gh.  Yrurte,  L'Epée  de  Cesar  Borgia. 
[Prendendo  occasione  dagli  emblemi  e  dal  motto,  di  cui  era  fregiata  la 
spada  del  Valentino,  l'Y.  tratteggia  il  carattere  di  lui,  e  si  giova  a  tal  uopo 
delle  più  recenti  pubblicazioni].  —  Voi.  LXXII,  15  nov.:  E.mile  Gkbhart, 
La  renaissance  italienne  et  la  philosophie  de  Vhistoire.  [Esposizione  delle 
idee  del  Burckhardt  sulla  rinascenza,  a  proposito  della  recente  traduzione 
francese  della  Cultur  der  Renaissance^. 

Sevue  dea  langtiea  romanea  (Montpellier): 

Serie  III,  voi.  XIII,  1885.  —  Aprile:  G.  Decurtins,  Un  drame  haut-en- 
gadinois.  [Termina  la  curiosa  tragicommedia  cominciata  nel  fascic.  antece- 
dente. Vedi  Giom.,  V,  495].  —  Maggio:  Nello  spoglio  della  Rivista  crit. 
d.  lett.  it.  è  notato  come  il  Casini,  avendo  solo  notizia  del  cod.  Vatic.  4796, 
credesse  di  «  trarre  dall'oblio  »  un  provenzalista  del  sec.  XVI,  Bartolomeo 
Casassagia  {Riv.,  I,  89).  Ma,  come  qui  avverte  il  Chabaneau,  quel  Bartolomeo 
era  già  abbastanza  noto ,   perchè   ne  avea  prima   parlato  il  Fortoul  nelle 


466  SPOGLIO  DELLE  PUBBLICAZIONI   PERIODICHE 

Etudes  d'archeologie  et  d'histoire,  II,  55-56,  e  poi  il  Canello  nel  Daniello,, 
63  e  83.  Del  Vatic.  4796  appunto  tien  conto  il  Canello  (p.  83),  che  conobbe 
anche  il  Vatic.  7182 ,  rimasto  ignoto  al  Casini.  Su  questo  codice  si  aggira 
una  lettera  del  Canello  allo  Chabaneau ,  che  è  qui  pubblicata ,  insieme  al 
brano  del  Fortoul  che  riguarda  i  mss.  del  Gasassagia. 

Mevtie  dea  quetttions  historiques  (Parigi)  : 

Anno  1885.  —  Fase.  75:  F.  Chamard,  Les  Abbès  au  moyen  àge.  [Studio 
notevole  sulla  parte  che  gli  abati  ebbero  di  diritto  negli  affari  ecclesiastici 
e  sulle  loro  insegne  durante  il  medio  evo]. 

JRevue  du  monde  latin  (Parigi): 

Voi.  VI,  1885.  —  Fase.  2»:  De  Gourmont,  La  Beatrice  de  Dante  et  ri- 
ddai feminin  en  Italie  à  la  fin  du  XIII^  siede.  (Continua  in  VII  ,3,4"). 
— •  Voi.  VII,  Fase.  20;  Millio  ,  Le  Piémont  et  V Italie  de  1835  à  i86l, 
d'après  les  souvenirs  de  la  Marquise  d^ Azeglio. 

Hevtie  generale  (Bruxelles): 

Voi.  XXI,  1885.  —  N»  2:  H.  De  Nimal,  Les  Bollandistes  et  les  Acta 
Sanctorum.  [Interessante  articolo ,  in  cui  si  riassume  la  storia  dei  BoUan- 
disti,  si  apprezzano  i  loro  meriti,  si  esaminano  i  loro  metodi  nel  lavoro]. 

JRevue  internationale  (Firenze): 

Anno  II,  1885.  —  Voi.  VII,  fase.  4o:  Lue  De  Saint-Ours,  Santa  Croce 
de  Florence.  —  Voi.  Vili,  fase.  3°  :  A.  J.  Boyer  D'Agen  ,  La  vocation  de 
Boccace.  [Termina  nel  fase,  successivo.  Novella  romanzesca  senza  senso 
comune]. 

JRevue  internationale  de  Venseignement  (Paris): 

Anno  1885.  —  N»  7:  F.  D'Arvert,  Un  chapitre  inédit  de  V  hi$toire  de 
Vinstruction  publique  en  France:  Uhumanisme  et  la  ré  forme  au  XV7* 
et  au  XVII^  siede. 

Romania  (Parigi): 

Tomo  XIV,  1885.  —  N»  53:  P.  Meyer,  Les  premières  compilations  fran- 
qaises  d'histoire  ancienne.  [Riguarda  Les  faits  des  Romains  e  la  Histoire 
ancienne  jusqu'à  Cesar.  La  prima  di  queste  compilazioni ,  condotta  su  Lu- 
cano, ebbe  non  mediocre  diffusione  in  Italia,  ove  il  M.  ne  trovò  tre  codici, 
due  vaticani  ,  uno  marciano.  Inoltre  la  mano  italiana  si  riconosce  in  due 
mss.  parigini  ;  uno  di  Bruxelles  fu  scritto  a  Roma  nel  1293 ,  ed  uno  cano- 
niciano  d  Oxford  fu  compilato  da  Benedetto  da  Verona  alla  fine  del  XIV  sec. 
Il  M.  giunge  persino  a  manifestare  il  dubbio  che  autore  di  quest'opera  possa 
essere  Brunetto  Latini;  ma  poi  altre  ragioni  lo  inducono  a  credere  cne  il 
libro  sia  stato  composto  molto  prima  di  lui,  da  uno  scrittore  nato  alla  fine 
del  XII  0  nel  principio  del  XIII  secolo.  Dei  Faits  esistono  tre  traduzioni 
italiane,  cioè,  1»  il  Lucano  tradotto  in  prosa  di  un  cod.  Riccardiano,  di  cui 
diede  estratti  il  Nannucci;  2"  i  Fatti  di  Cesare  editi  dal  Banchi;  3"  il  Ce- 
sariano  pubblicato  a  Venezia  nel  1492.  Di  queste  versioni  il  M.  stabilisce 
esattamente  i  rapporti  col  testo  francese.  —  La  seconda  parte  dell'  articolo 
è  consacrata  alle  redazioni  del  libro,  che  il  M.  chiama  Histoire  ancienne 
jusqu'à  Cesar.  Anche  di  questo  parecchie  copie  furono  eseguite  in  Italia, 
ove  ebbe  pure  qualche  traduzione.  In  appendice  il  M.  pone  in  chiaro  al- 
cuni punti  controversi ,  lasciati  in  sospeso  dal  Mussafia ,  intorno  alle  reda- 
zioni italiane  della  Storia  traiand].  —  A.  Morel-Fatio ,  Notices  sur  trois 
manuscrits  de  la  bibliothèque  d'Ostina.  [Trovansi  oi'a  nella  Nazionale  di 
Parigi.  Il  primo  di  questi  mss.  contiene  la  versione  spagnuola  del  libro  De 


SPOGLIO  DELLE   PUBBLICAZIONI    PERIODICHE  467 

montibus,  silvis  eoe.  del  Boccaccio  e,  in  ispagnuolo  pure,  un  discorso  di 
S.  Basilio  sulla  utilità  che  i  giovani  possono  ritrarre  dalla  lettura  degli  au- 
tori profani.  Questa  traduzione  non  è  condotta  sul  testo  greco,  ma  Kulla  ver- 
sione latina  di  Lionardo  Bruni  d'Arezzo  (puLbl.  Milano,  1474).  —  11  .secondo 
ms.  contiene  le  Tusculane  di  Tulio  clanssimo  oratore  tradocte  di  Latino 
in  volgare  fiorentino  a  jìititione  di  messere  Nugnio  Gusmano  ispagnuolo 
(i456).  Il  M.  F.  dà  notizie  su  questo  umanista  spagnuolo,  del  quale  Vespa- 
siisiiio  ha  scritto  la  vita.  —  11  terzo  ms.  reca  il  Corbaccio  nel  testo  italiano]. 
—  J.  Ulrich,  Chansons  ladines.  [Pubblica  tre  canzoni  storiche  popolari  dei 
Qrigioni  e  ne  trae  argomento  per  occuparsi  brevemente  dei  pocni  avanzi  di 
poesia  popolare  storica  che  ha  la  letteratura  romancia].  —  St.  Prato  , 
L'orma  del  leone.  [Aggiunge  nuove  indicazioni  a  quelle  già  da  (lui  raccolte 
intorno  a  questa  leggenda  nel  voi.  Xll  della  Rom.  Gfr.  uiom.,  II,  459].  — 
G.  N[iaRAj,  La  resa  di  Pancalieri.  [Rettifica  la  lezione  di  un  pas.so  del 
componimento  dialettale  piemontese  da  lui  pubblicato  nella  Romania.  Gfr. 
Giorn,  IV,  318].  —  A.  "Wesskloksky,  Achille  Goen,  Di  una  leggenda  re- 
lativa alla  nascita  e  alla  gioventù  di  Costantino  Magno.  [Gerca  determi- 
nare i  rapporti  del  gruppo  italiano  col  gruppo  francese  della  leggenda  co- 
stantiniana. Art.  importantissimo].  —  G.  Paris,  Kr.  Nyrop,  Ben  oìdfranske 
Heltedigtninq .  [Vane  osservazioni.  Il  libro  è  in  complesso  giudicato  favo- 
revolmente. Parecchie  lacune  e  inesattezze  qui  notate  dal  P.  (Xìssiamo  assi- 
curare che  verranno  ovviate  nella  versione  italiana,  di  prossima  pubblica/., 
della  quale  abbiamo  veduto  i  fogli].  —  Kr.  Nyrop,  M.  Gaster,  lAleratura 
popolarci  romanci.  [Articolo  assai  rilevante  e  favorevolissimo  alla  pubblica- 
zione del  Gaster.  Quasi  tutte  le  leggende  che  vi  sono  trattate,  e  intorno 
alle  quali  il  N.  dà  nuove  indicazioni,  hanno  rispondenza  diretta  o  indiretta 
nella  letteratura  italiana].  —  Nello  spoglio  dei  periodici  P.  Meyer  prende 
in  esame  i  fascicoli  7,  8,  9,  di  questo  Giornale.  —  N»  54:  A.  Mussafia, 
Berta  e  Mtlone;  Orlandino.  [Gome  è  noto,  dal  cod.  fr.  XIII  della  Marciana 
il  M.  pubblicò  già  il  Macaire  (Vienna,  1864),  e  la  Berta  de  li  gran  pie 
(Rom.,  III,  339,  IV,  91).  Ora  egli  mette  in  luce  dal  medesimo  codice  i  due 
poemetti  che  sembrano  avere  origine  più  schiettamente  italiana  e  che  ri- 
guardano la  nascita  e  la  fanciullezza  d'Orlando].  —  A.  Thomas,  Notice  sur 
deux  manuscrits  de  la  Spagna  en  vers  de  la  bibl.  Nationale  de  Paris. 
[Tre  mss.  della  Spagna  in  versi  furono  segnalati  dal  Rajna.  Altri  due  se 
ne  trovano  nella  Nazion.  di  Parigi,  già  indicati  dal  Marsand  (n'  125  e  398). 
Il  primo  (ora  it.  395)  è  identico  al  cod.  Riccardiano  2829;  il  secondo  (ora 
it.  567)  concorda  col  ms.  di  Ferrara  studiato  dal  Rajna.  11  Th.  riproduce  a 
fronte  il  primo  canto  quale  si  trova  nei  due  mss.].  —  G.  Nigra,  Il  Moro 
Saracino,  canzone  popolare  picìnontese.  [Di  questa  canzone  era  finora  nota 
una  lezione  monca  riferita  dal  Ferrare  (Canti  monferr.,  AA).  Qui  se  ne  pub- 
blicano diverse  redazioni  raccolte  in  vai-ie  parti  del  Piemonte.  11  N.  esamina 
queste  redazioni  confrontandole  con  diverse  altre  catalane  e  occitaniche  e 
con  un  canto  del  dominio  di  lingua  d'  oTl.  Le  sue  osservazioni  giungono  a 
dimostrare  che  «  le  lezioni  linguadochesi ,  benché  trascritte  con  molla  li- 
«  berta  dai  raccoglitori,  rappresentano  meno  imperfettamente  un  presunto 
«  tipo  originario  ».  Egli  non  trascura  quindi  di  confrontare  la  canzone  con 
le  romanze  castigliane  di  Gaiferos  e  con  quelle  di  Moriana  e  di  Julianesa, 
non  che  con  le  romanze  analoghe  di  Portogallo  e  di  Gatalogna.  Lo  conclu- 
sioni cui  egli  viene  sono  le  seguenti:  «  Si  è  dimostrata  l'identità  sostan- 
«  ziale  e  formale  delle  varie  lezioni  della  canzone  del  Moro  Saracino  nel 
«  territorio  celto-romanzo,  e  soltanto  in  esso.  La  canzone  nelle  due  penisole 
«  d'Italia  e  di  Spagna  non  oltrepassò  i  confini  delle  popolazioni  romanze  a 
«  substrato  celtico.  Si  è  potuto  presumere  con  qualche  fondamento  che  la 
«  patria  originaria  di  essa  è  la  Francia  meridionale,  e  più  specialmente  la 
<<■  Linguadoca,  d'onde  s'irradiò  in  tre  direzioni,  nella  Francia  settentrionale, 
«  nella  Gatalogna  e  nell'Italia  superiore.  Si  è  tentato  di  stabilire  che  la  can- 
«  zone  ebbe  origine  diversa  e  processo  indipendente  dalle  romanze  casti- 
«  gliane  e  dalle  loro  propagini  portoghesi  e  catalane,  che    hanno  con  esse 


468  SPOGLIO   DELLE  PUBBLICAZIONI   PERIODICHE 

«  qualche  somiglianza  nel  soggetto.  Si  è  negata  ogni  relazione  organica  tra 
«  la  canzone  e  le  tradizioni  sulla  dinastia  merovingia  d'Aquitania  »].  — 
EiLERT  LoESETH,  E.  Monaci,  Sui  primordii  della  scuola  poetica  siciliana 
da  Bologna  a  Palermo.  [Non  crede  provata  l'origine  bolognese,  ma  riguarda 
il  lavoro  del  M.  come  un  utile  contributo  alla  storia  della  più  antica  poesia 
italiana].  —  Nella  Cronaca  G.  Paris  rende  conto  della  versione  italiana  del 
Sundby,  Br.  Latini.  Egli  si  dichiara  per  la  forma  Latino  del  casato  di  Bru- 
netto. 

Séances  et  travaux  de  Vacadémie  dea  sciences  morales  et  po- 
Utiques  (Parigi): 

Voi.  CXXIV,  1885.  —   Fase.  7-8:  Arthur  Desjardins,  Cesar  Cantù  et 
Beccaria. 


Alemannia  : 

Voi.  Xlll,  1885.  —  N»  1  :  A.  Birlinger,  Legende  von  den  Jakohsbrùdern. 
—  Id.,  Legenda  aurea,  elsàssisch.  [Gont.  nel  n»  2].  —  N":  2  Zur  Sage  vom 
Venusberg. 

Archiv  filr  Katholiscfies  Kirchenrecht  : 

Voi.  LUI,  1885.  —  P.  3-70  :  L.  Erler  ,  Die  Juden  Mittel-  und  Oberila- 
liens  im  spdteren  Mittelalier.  [Goiitinuaz. ,  vedi  voi.  L.  L'  E.  si  trattiene 
sulla  influenza  esercitata  dalla  predicazione  di  Bernardino  da  Feltro,  e  mette 
in  luce  i  vari  atteggiamenti  dei  papi  e  dei  governi  verso  i  giudei].  — 
P.  209-21:  F.  Kayser,  Papst  Nicolaus  V  und  die  luden.  [Interessante. 
Niccolò  alleggerì  in  alcuni  luoghi  le  prescrizioni  cui  erano  tenuti  i  giudei, 
in  altri  le  aggravò.  Li  osteggiò  nella  loro  influenza  sociale]. 

Archiv  filr  lateinische  Lexikographie  u.  Orammatik  (Lipsia)  : 
Anno  II,  1885.   —   Fase.   2:  Ph.  Thielmann,  Habere  mit  dem  Infinitiv 
und  die  Enlstehung  des  romanischen  Futurums.  —  G.  Gròber,   Vùlgar- 
lateinische  Substrate  Romanischer  Wórter.  [Eber-fttXcum  fìcatuni]. 

Archiv  fUr  lAteraturgeschichte  : 

Voi.  XIII,  1885.  —  Fase.  3:  K.  Trautmann,  lialienische  Juden  als 
Schauspieler  am  Hofe  zu  Mantua  (1579-1587),  Auffùhrungen  der  Gelosi 
in  Venedig  (1579). 

Archiv  f.  lAtteratur-  und  Kirchengeschichte  des  Mittelalters  : 

Anno  1,  1885.  —  P'asc.  1  :  Ehrle,  Zur  Geschichte  des  Schatzes,  der  Bi- 
bliothek  und  des  Archivs  der  Pdbste  im  XIV  Jahrhunderte.  [Termina 
nel  fase.  2-3].  —  Denifle,  Das  Evangelium  aeternum,  und  die  Comm,ission 
zu  Anagni.  —  Fase.  2-3:  Ehrle,  Zu  Betmanns  Notizen  ueber  die  Hss.  v. 
S.  Francesco  in  Assisi. 

Beitrdge  zur  Geschichte  der  deutschenSprache  und  lAtteratur: 

Voi.  X.  —  Fase.  2:  Neuling  ,  Die  deutsche  Bearbeitung  der  Alexan- 
dreis  des  Quilichinus  de  Spoleto. 

Bliltter  filr  Literarische  Unterhaltung  (Lipsia): 

Anno  1885.  —  N»  5:  0.  Speyer,  Camillo  Cavour.  [Recensione  delle  Let- 
tere edite  ed  inedite  del  Cavour,  tradotte  in  tedesco  da  M.  Bernardi.  Gont. 
n»  6].  —  N»  12:  0.  Speyer,  Etne  italienische  Literaturgeschichte.  [E- 
same  dell'opera  del  Gaspary].  —   N»  13:  Th.  Paur,  Zur  Dante-Literatur. 


SPOGLIO  DELLE  PUBBLICAZIONI    PERIODICHE  409 

[Recensione  del  libro  di  G.  Klaczko ,  Florentiner  Plaudereien .  Nel  n*  14 
il  medesimo  scrittore  rondo  conto  della  traduzione  del  Purgatorio  fatta  da 
G.  FranckoT.  —  N»  21:  0.  SPEYEn,  Der  dritte  Band  von  Cavour's  Briefen. 

—  No  42:  O.  Si'EYER,  Italienische  Studien.  [Ksame  del  libro  di  1.  Bayer, 
Aus  Italien,  Cultur  und  Kunstgeschichte,  Bilder  und  Studien}. 

Centralblatt  filr  Bibliotheksvesen  (Lipsia): 

Anno  11,  1885.  —  Fase.  I:  W.  Meyeu,  Ein  altitalienischer  Kupferstich 
aus  dem  Nachlasse  Hartmann  Schedels.  [11  Schedel,  umanista  di  Nùrnberg, 
studiò  in  Italia  (1463-60)  e  ne  portò  via  delle  incisioni  in  legno,  in  rame  ecc., 
che  or  si  conservano  nella  biblioteca  di  Monaco  ed  hanno  valore  inestimabile. 
Il  M.  descrive  qui  una  incisione  in  rame,  pregevole  per  la  storia  del  costume 
e  per  quella  della  incisione,  che  si  ritrova  unita  ad  un  manoscritto  vergato 
dallo  Sch.  in  Padova  del  1464,  e  che  quindi  rimonta  alla  metà  del  sec.  xV]. 

—  Recensionen  und  Anzeigen:  M.  Perlbach,  G.  Becker,  Catalogi  biblio- 
thecarum  antiq^ui.  [Si  fanno  importanti  aggiunte  a  quest'opera  e  parecchie 
spettano  a  biblioteche  italiane.  Cfr.  anche  fase.  6].  —  Fase.  3:  Recensionen: 
O.  H.,  Catalogue  des  livres  mss.  et  imprimés  comp.  la  Bibl.  de  M.  H.  de 
Landau.  [Si  fanno  molti  elogi  di  questo  Catalogo ,  del  quale  noi  pure  dis- 
correremo]. —  Fase.  4  ;  Recensionen.  [0.  H.  parla  di  C.  Biscia,  Ricordi  bi- 
bliografici; Antonelli,  Indice  dei  mss.  della  Civica  biblioteca  di  Ferrara; 
G.  Porro,  Catal.  dei  codd.  mss.  della  Trivulziana  ;  Manno  e  Promis ,  Bi- 
bliografia storica}. 

Der  Katholik: 

Anno  1885.  —  Agosto:  Maria  als  Vorbild  der  christlichen  Tugenden  in 
Dantes  Purgatorio.  [Continua  nel  fase,  di  settembre]. 

Deutsche  Literaturzeitung  (Berlino): 

Anno  VI,  1885.  —  N»  22:  G.  Voigt,  Geiger,  Vierteljahrsschrift.  [Recen- 
sione analitica  favorevole  del  primo  fascicolo.  Vedi  Giom.,  V,  5011.  —  N»  23: 
W.  Bernhardi,  H.  Blasius,    Kónig    Enzio.   [«Der  wissenschafttiche  Stand 

<  unserer  Kenntniss  ueber  Kònig  Enzio  ist  durch  die  vorliegende  Arbeit 
«  nicht  geàndert  worden  »1.  —  K.  Wenck,  M.  Laue,  Ferreto  v.  Vicenza. 
[Lavoro  non  definitivo,  ma  diligente  e  utile.  Cfr.  Giom.,  V.  228].  —  0.  Huttio, 
W.  P.  Tuckermann,  Die  Gartenkunst  der  italienischen  Renaissance-Zeit. 
[Cerca  ricostruire  gli  antichi  giardini  principeschi  del  nostro  rinascimento. 
La  recensione  è  molto  favorevole].  —  N°  25:  F.  X.  Kraus,  Bonghi,  Ar- 
naldo do.  Brescia  e  Francesco  a  Assisi.  —  N*  27:  H.  Grlmm  ,  C.  Frey, 
Sammlung  ausgewdhlter  Biographien  Vasaris.  [Donatello.  «  Zwei  Vorzùge 

<  hat  dr.  Freys  Ausgabe  vor  der  meinigen:  es  sind  die  Abweichungen  der 
€  ed.  von  15K)  beigefùgt,  und,  was  ebenso  dankenswert  ist,  alle  Stellen  des 
«  Vasarischen  Werkes   ausgezogen  worden,  die  von  Donatello  handeln  »]. 

—  N°  31  :  G.  KòRTiNG,  A.  Lubin,  Dante  spiegato  con  Dante.  [Rileva  il  ca- 
rattere polemico  del  libro;  ma  non  sappiamo  come  possa  dire  che  la  pole- 
mica è  fatta  «  in  ruhiger  und  obiectiver  Weise  ».  Cfr.  Giom.,  VI,   281]. 

—  B.,  H.  Ludwig,  Lionardo  da  Vinci,  Dos  Buch  von  der  Molerei.  [Questo 
libro  è  indirizzato  contro  I.  P.  Richter,  autore  dell'  opera  Literary  ^orks 
of  L.  da  Vinci.  Nella  ricostruzione  del  libro  della  pittura  di  Leonardo  il  L. 
vuole  si  tenga  gran  conto  del  cod.  Vatic.  1270].  —  N*  33:  B.  Wiese,  S.  S. 
(Stefano  Stampa),  Alessandro  Manzoni,  la  sua  famiglia,  i  suoi  amici.  [Sfa- 
vorevole]. —  U°  39:  E.,  A.  De  Gubernatis,  Storia  universale  della  lette- 
ratura. [Yalumi  XIU-XVIIII.  —  N«  40:  F.  Paulsen,  H.  Denifle,  Die  Uni- 
versitdten  des  Mittelalters  bis  1400.  [Si  parla  del  voi  I  di  questa  bella 
opera,  della  quale  è  segnalata  la  granae  importanza:  solo  si  vorrebbero  in 
essa  meno  accentuate  certe  tendenze  polemiche].  —  N*  46:  M.  Reibiann, 
E.  Koeppel,  Laurents  de  Premierfait  und  John  Lydgates  Bearbeitungen 
V.  Boccaccios  <  De  casibus  virorum  illustrium  ».  [Favorevole]. 


470  SPOGLIO  DELLE  PUBBLICAZIONI    PERIODICHE 

Deutsch-evangelische  Bliitter  : 

Anno  1885.  —  N°  5:  H.  Pfundheller  ,  Zur  Charakteristik  Michelan- 
gelos  als  Kùnstler.  —  N"  7:  Trede,  Weihnachtsdramen  in  Sicilien.  — 
No  9:  Frid.  Hofpmann,  Znr  Geschichte  des  rómischen  Index. 

Englische  Studien  (Heilbronn): 

VoL  IX,  1885.  —  Fase.  1:  L.  Toulmin  Smith,  St  Patrick' s  Purgatori/ 
and  Knight,  Sir  Owen.  [Pubblica  una  redazione  del  poema  comunemente 
detto  Owain  Miles,  secondo  un  nuovo  codice  di  proprietà  privata  testò  sco- 
perto, che  appartiene  al  sec.  XV,  ed  offre  notevolissime  varianti  del  testo 
Sr'ìh  edito  in  questi  Studi  dal  Kòlbing  (I ,  pp.  57-1211.  —  Litteratur  :  Th. 
Crùger,  Beovulf,  poema  epico  anglosassone  del  VII  sec. ,  tradotto  e  illu- 
strato da  G.  Grion  (Lucca,  1883).  —  E.  Kòlbing,  E.  Hausknecht,  Floris 
and  Blauncheflur.  [Importante  analisi  di  questo  lavoro,  sopratutto  per  quel 
che  riguarda  la  critica  del  testo  inglese]. 

Franco-  Oallia  : 

Voi.  II,  1885.  —  N*  9  Ahrens  ,  Zur  Geschichte  des  sogennanten  Phy- 
siohgus. 

Oermania  (Vienna): 

Nuova  serie,  anno  XVIII,  1885.  —  Fase.  Ili:  Litteratur,  F.  Liebrecht, 
KpuTTTdbia  [Notevole  recensione  della  raccolta  edita  con  questo  titolo  a 
Heilbronn.  Il  L.,  con  la  competenza  che  lo  distingue,  fa  molte  e  importanti 
aggiunte  nelle  quali  anche  la  parte  italiana  non  è  trascurata]. 

Gottingische  gelehrte  Anzeigen  (Gottinga): 

Anno  1885.  —  N°  15:  L.  Schulze,  Vier  Sckriften  ueber  Thomas  à  Kem- 
pis.  [Prende  in  esame  quattro  scritti  di  0.  A.  Spitzen  sull'autore  della  Imi- 
tazione di  Cristo].  —  N*  17  :  G.  Sigwart  ,  Giordano  Bruno  à  Genève. 
[Rivista  del  libro  di  questo  titolo  pubblic.  da  Teodoro  Dufour.  Vedi  Giorn., 
rv,  4911  —  N»  19:  Th.  Nòldeke,  J.  G.  N.  Keith-Falconer ,  Kalilah  and 
Dimnah.  [Pubblicazione  del  testo  siriaco  con  traduzione  inglese  ed  una 
prefazione  storico-letteraria.  11  Ree.  fa  parecchie  osservazioni  sulla  versione 
e  fa  voti  affinchè  presto  venga  criticamente  esaminato  il  testo  originale 
arabo  del  celebre  libro]. 

HistoriscJies  Jahrhueh  (Monaco): 

Voi.  VI,  1885.  —  Fase.  3  :  A.  Reumont,  A.  Manno ,  L"  opera  cinquante- 
naria della  R.  Deputaz.  di  st.  patria  di  Torino.  [Resoconto,  nel  quale  si 
riassume  la  storia  della  Deputazione].  —  Fase.  4  :  A.  Reumont  ,  Zur  ita- 
lienischen  Nekrologie.  [Volpicella,  Giuliani,  Tonini,  Pantaleoni,  Mamiani, 
Fulin.  Per  parecchi  di  essi  notizie  abbastanza  rilevanti].  —  A.  Gottlob, 
Regestum  Clementis  papae  V.  [Recensione  del  primo  voi.  di  questa  pub- 
blicazione, alla  quale  si  muovono  parecchi  appunti:  «  Das  Werk  ist  dazu 
«  bestimmt  eine  Fundgrube  fùr  die  Geschichte  des  XIV  Jahrh.  zu  werden  »]. 

Historische  Zeitschrift  (Monaco  e  Lipsia): 

Nuova  serie,  1885.  Voi.  LXI.  —  Fase.  5:  Literaturbericht :  II  Siraons- 
feld  parla  dello  scritto  di  G.  Voigt,  Die  Briefsammlungen  Petrarca'' s  und 
der  Venetianische  Staatskanzler  Benintendi,  del  quale  si  ferma  a  lungo  a 
metter  in  rilievo  l'importanza  per  gli  studi  petrarcheschi;  e  quindi  dell'o- 
pera del  Ghiappelli,  Vita  e  opere  giuridiche  di  Cino  da  Pistoia,  che  giudica 
favorevolmente  fermandosi  singolarmente  su  quanto  riguarda  le  idee  poli- 
tiche di  Cino.  Fa  poi  un  rapido  cenno  dell'  opera  del  Kòrting ,  Geschichte 
der  italien.  Liter.  im  Zeitalter  der  Renaiss.  \V.  Lang  parla  poi  delle  due 
pubblicazioni  di  N.  Bianchi,  Lettere  ined.  di  M.  D'Azeglio  e  La  politica 
di  M.  D'Azeglio,  dal  1848  al  1859,  che  loda  assai]. 


SPOGLIO  DELLE  PUBBLICAZIONI   PERIODICHE  471 

Jahrhuch  der  kiinigU  preuss.  Knnstaammlungen  (Berlino): 

Voi.  VI,  1885.  —  Fase.  3:  K.  Frky,  Studien  zu  Gioito.  —  H,  Grimm,  Zu 
Raphael.  —  Fase.  4":  Grimm,  Michelangelos  Mutter  und  Sticfmutter. 

Jahresberichte  der  Geschichtaìvissenachaft  (Berlino): 

1885.  —  Carlo  Cipolla  rende  conto  sistematicamente  in  una  ampia  ed 
accurata  rassegna  bibliografica  di  tutti  gli  scritti  comparsi  in  Italia  nel  ISHI 
intorno  alla  storia  civile,  artistica  e  letteraria  del  nostro  paese. 

lAterarisches  Centralblatt  (Lipsia): 

Anno  1885.  —  N»  23:  H.  .1.,  Recensione  dell'opuscolo  di  J.  J.  Tikkanen 
Der  malerische  Styl  Giotto's.  [Non  è  un  semplice  lavoro  sull'arte  di  G.,  ma 
assorge  alla  filosofia  doli'  arte ,  considerando  le  idee  artistiche  quali  il  me- 
dio evo  italiano  le  ebbe  nella  teoria  e  nella  pratica].  —  N»  26:  \V.  A.,  Pfluttk- 
Harttuiig,  Iter  italicum,  2"  parte.  [EspositivoJ.  —  N'  29:  Recensione  del 
libro  di  F.  S.  Kraus ,  Briefe  Beneaicts  XIV  an  den  canon.  Fr.  Peggi. 
[Vedi  Giorn.,  V,  463].  —  N°  33:  Brevi  cenni  su  R.  Sabbadini,  Guarino 
Veronese  e  il  suo  epistolario  e  a  G.  Spinelli,  Biblioarafia  goldoniana.  — 
No  34:  Cenno  favorevole  della  Antologia  critica  di  L.  Morandi.  —  N*  44  : 
H.  J.,  Cari  Frcy,  Sammlung  ausgevo.  Biographien  Vasari's. 

lÀteraturhlatt  fllr  germanische   und   romanische  ^litologie 

(Hcilbronn)  : 

Anno  VI,  1885.  —  N»  6:  A.  L.  Stiefel,  G.  Weinberg,  Dos  franzósische 
Schdferspiel.  [Gfr.  Giorn.,  V,  2913.  Questa  recensione,  severa,  e  importante 
per  nuovi  dati  di  fatto  che  lo  S.  ha  occasione  di  indicare  nella  storia  del 
dramma  pastorale  francese  e  delle  sue  connessioni  con  quello  spagnuolo  e 
con  l'italiano].  —  Gh.  Joret,  L.  Morandi,  Voltaire  contro  Shakespeare,  Ba- 
retti  contro  Voltaire.  [Calorosa  difesa  del  Voltaire].  — N»  7:  F.Munck.er, 
H.  Welti,  Geschichte  des  Sonettes  in  der  deutschen  Dichtung.  [Favorevole. 
Cfr.  Giorn.,  V,  284].  —  N»  8:  K.  Meyer,  R.  Froning,  Zur  Geschichte  und 
Beurtheilung  der  geistlichen  Spiele  des  Mittelalters,  insonderheit  der  Pas- 
sionsspiele.  [Favorevole].  —  W.  Meyer,  A.  Keller,  Die  Sprache  des  Vene- 
zianer  Roland  V.  [Sarebbe  stato  scritto  da  un  giullare  di  Roveredo.  Il  M. 
fa  valere  contro  questa  ipotesi  molti  argomenti].  —  B.  Wiese,  Sundby-Renier, 
Della  vita  e  delle  opere  di  Br.  Latini.  [Favorevole].  —  N*  9:  B.  Wtese, 
L.  A.  Ferrai ,  Lettere  di  cortigiane  del  sec.  XVL  —  N»  10:  J.  Koch  , 
E.  Braunholtz ,  Die  erste  nichtschristliche  Parabel  des  Barlaam  und  Jo- 
saphat.  [Parecchie  osservazioni  di  fatto.  Vedi  Giorn.,  Ili,  142]. 

Mittheilungen  des  Instituts  filr  oesterreichiscfie   Oeachichts- 
forschung  (Vienna): 

Voi.  VI,  1885.  —  Fase.  3»:  Carlo  Cipolla  rende  minuto  conto  dei  tre 
primi  volumi  della  Biblioteca  storica  italiana  puhblic.  dalla  R.  Deputaz.  di 
stòria  patria  di  Torino.  [Cfr.  Giorn.,  IV,  490]. 

yeues  Archiv  der  OeseUschaft  filr  filiere  detttscìie  Oeschichta- 
kunde  (Hannover): 

Anno  X,  1885.  —  Fase.  2:  E.  Dùmmler,  Lateinische  Gedichte  des  neunten 
bis  elften  Jahrhunderts. 

Bheinisches  Museutn  far  JPhilologie  (Francoforte)  : 

Nuova  serie,  1885.  Voi.  XL,  fase.  4:  D.  E.  Schmidt,  Zur  Geschichte  der 
Florentiner  Handschriften  von  Cicero's  Briefen.  [Riprende  in  esame  la 
questione  già  trattata  dal  Voigt ,   dal  Viertel,  e  più  recentemente  dal  Men- 


472  SPOGLIO  DELLE  PUBBLICAZIONI  PERIODICHE 

delssohn,  del  cod.  fiorentino  delle  Epistol.  ad  famil.  ;  ne  studia  la  età ,  la 
storia,  ed  esprime  la  opinione  che  il  Niccoli  nella  questione  abbia  una  parte 
assai  maggiore  di  quella  che  gli  è  stata  sin  qui  attribuita]. 

Sitzungsberichte  der  philosophisch-philologiscfien  und  histo- 
rischen  Classe  der  k.  b.  Akademie  der  Wissenschaften 
zu  Milnchen: 

Anno  1885).  —  Fase.  1:  Von  Prantl,  Leonardo  da  Vinci  in  philoso- 
phischer  Beziehung. 

Studien  und  Mttheilungen  aus  dem  Benedictinerorden: 

Anno  VI,  1885.  —  Fase.  2:  Kienle  ,  Mittelalterliche  liturgische  Bilder 
aus  der  Kathedrale  von  Mailand. 

ViertetjahrsschHft  filr  Kultur  u.  Litteratur  der  Renaissance 

(Lipsia): 

Anno  I,  1885.  —  Fase.  2"  :  Ludwig  Geiger,  Der  dlteste  rómische  Musen- 
almanach.  [Concerne  il  noto  libro  intitolato  Coryciana,  pubblicato  in  onore 
del  mecenate  tedesco  Giovanni  Goritz  in  Roma  nel  1524].  —  Carl  Meyer, 
Geistliches  Schauspiel  und  kirchliche  Kunst.  [Importante  per  la  storia  della 
drammatica  medievale].  —  Carl  Borinsri  ,  Das  Epos  der  Renaissance. 
[L'A.  rileva  le  cattive  tendenze  ond'è  viziata  la  Poetica  del  Rinascimento, 
parla  deW Africa  del  Petrarca,  della  continuazione  della  Eneide,  dell'As^ta- 
natte ,  del  Vello  d"  oro  di  Maffeo  Vegio ,  del  Ratto  di  Elena  di  Francesco 
Sfondrato,  della  Sforziade  del  Filelfo ,  dei  poemi  di  Basinio  Basini ,  della 
Italia  liberata  del  Trissino  ecc.].  —  Fase.  3:  L.  Geiger,  Studien  zur  Gè- 
schichte  des  franzosischen  Humanismus.  [Nel  e.  Ili  parla  della  traduzione 
che  Guglielmo  Tardif  fece  delle  Facezie  del  Poggio].  —  E.  Abel,  Isota  (sic) 
Nogarola.  [Giovandosi  di  copiosissimo  materiale ,  stampato  e  manoscritto , 
l'A.  ci  porge  molte  notizie  della  famiglia  Nogarola  e  la  biografia  più  com- 
piuta disotta  che  siasi  fin  qui  composta.  (Questo  lavoro  fu  prima  pubblicato 
in  ungherese  negli  Atti  dell'Accademia  Magiara].  —  J.  Vahlen,  Lorenzo  Valla 
ùber  Thomas  von  Agumo.  [L'A.,  noto  per  altri  lavori  sul  Valla,  pubblica  di  sul 
cod.  parigino  7811  della  Nazionale,  un  discorso  che  il  dotto  umanista  recitò 
a  ricniesta  dei  domenicani  in  lode  di  S.  Tommaso  d'Aquino,  nella  chiesa  di 
S.  Maria  sopra  Minerva,  e  dove,  pur  facendo  grandissime  lodi  del  santo,  ne 
biasima  la  filosofia].  —  A.  t.  Reumont,  Baldassar  Castiglione.  [Conferma 
essere  apocrifo  uno  scritto  sopra  la  incoronazione  di  Carlo  V  in  Aquisgrana, 
scritto  cne  nella  raccolta  intitolata  Lettere  di  principi  del  1562,  è  attri- 
buito al  Castiglione.  La  falsità  aveva  provata  sin  da'  suoi  tempi  il  Mazzu- 
chelli.  L'A.  dà  alcune  altre  notizie  minate  del  Castiglione]. 

Zeitschrift  filr  hildende  Kunst  (Lipsia)  : 

Anno  XX,  1885.  —  Fase.  1:  Bucherschau:  C.  v.  L[uTZOw],  Les  della 
Robbia  par  I.  Cavalucci  e  E.  Molinier.  —  Fase.  4:  A.  S.,  G.  Uzielli, 
Ricerche  intomo  a  Leon,  da  Vinci.  [Molti  elogi]. — Fase.  6:  H.  Holtzinger, 
Die  Basilika  des  Paulinus  zu  Nola.  —  G.  v.  Fabriczy,  A.  Heiss,  Les  Mé- 
dailleurs  de  la  Renaissance.  —  Fase.  7:  Bucherschau:  C.  v.  Fabriczy, 
E.  Muntz ,  La  Renaissance  en  Italie  et  en  France  etc.  —  Fase.  9  :  T. 
Wastler,  Die  Stiegengewólbe-Decoration  im  palazzo  Grimani.  [Descrizione 
delle  pitture  e  degli  stucchi  che  decorano  questo  celebre  palazzo  veneziano]. 

Zeitschrift  filr  deutsche  PhUologie  (Halle)  : 

Voi.  XVII,  1885. —  Fase.  4:  J.  Koch,  Recensione  dell'opuscolo  di  H.  Herzog, 
Die  beiden  Sagenhreise  v.  Flore  und  Blanscheflur.  [Vedi  Giorn.,  IV,  241. 
11  K.  crede  che  dalla  leggenda  di  Florio  e  Biancifiore  debba  staccarsi  com- 
pletamente quella  di  Aucassin  et  Nicolette]. 


SPOGLIO   DELLE  PUBBLICAZIONI  PERIODICHE  473 

Zeitschrift  fUr  Kirchengeschichte  : 

Voi.  Ili,  1885.  —  Fase.  3:  Haupt,  Zur  Geschichte  des  Joachimismus. 

ZeitachHft  filr  rhiloaophie: 

Nuova  serie,  voi.  LXXXVII.  —  Fase.  2:  Euckbn  ,  Die  Pkilosophie  des 
Thomas  v.  Aquino  und  die  Cultur  der  Neuzeit. 

Zeitschrift  filr  romanische  PìMologie  (Halle): 

Voi.  IX,  1885.  —  Fase.  2-3:  E.  Mall,  Zur  Geschichte  der  mittelalterU- 
chen  Fabellitteratur  und  insbesondere  des  Esope  der  Marie  de  France. 
[Importante  anche  per  la  storia  della  favola  in  Italia.  Nel  Volgarizzamento 
delle  favole  di  Gxdfredo  pubblicato  dal  Ghivizzani  {Se.  di  cur.  lett.,  di- 
spense 75-76,  Bologna,  186o),  si  ritrova  una  parte  deìVEsope  di  Maria].  — 
H.  J.  Heller  ,  Metastasios  La  Clemenza  di  Tito.  [L'A.  fa  la  storia  del 
dramma,  mostra  la  stretta  relazione  che  ha  col  Cinna  del  Corneille,  lo  con- 
fronta col  libretto  del  Mazzola  musicato  dal  Mozart].  —  A.  Tobler  ,  Pro- 
verbia que  dicuntur  super  natura  feminarum.  (E'  un  altro  importantissimo 
testo  volgare  tratto  dallo  stesso  codice  Saibante  (Hamilton)  onde  l'Ed.  irasaa 
già  la  versione  dei  Disticha  Catonis  e  il  Libro  di  L'gu^on  da  Laodho.  Ne 
riparleremo].  —  G.  Decurtins,  Fine  altladinische  Heimchronik.  —  W. 
Dreser,  Nachtràge  zu  Michaeli's  vollsidndigem  Vdrterbuche  der  italie- 
nischen  und  deutschen  Sprache.  [Vedi  Giorn.,  IV,  325-6].  —  0.  Schultz, 
Zu  den  genuesischen  Trobadors.  [Ricorda  un  luogo  della  Histoire  et  chro- 
nique  de  Provence  di  Cesare  de  Nostredame,  dove  è  detto  che  alla  stipu- 
lazione di  certo  trattato  fra  Garlo  d'Angiò  e  la  repubblica  di  Genova  furono 
E  resenti,  r8  di  agosto  del  1262,  Luchetto  Gattilusio,  Luca  Grimaldi,  Percivallo 
loria,  Simone  Boria  e  Giacomo  Grill ,  tutti  trovatori  genovesi.  Soggiunge 
alcune  note  cronologiche  che  riguardano  costoro]. 

SUickìVOod'8  Edimburgh  Magazine: 

Anno  1885.  —  Settembre:  Stories  from  Boiardo:  Orlando. 

Tlie  Acadeììiy  (Londra): 

Anno  1885.  —  N°  681  :  Current  literature.  [Si  rende  conto  con  particolar 
lode  delle  Ricerche  intorno  a  L.  da  Vinci  di  G.  Uzielli].  —  N»  o85:  Fine 
Art,  J.  H.  MiDDLETON,  Growe  a.  Cavalcasene,  Life  and  Works  of  Raphael. 
[Si  loda  quest'  opera ,  ma  si  discutono  le  opinioni  in  essa  esposte  su  punti 
controversi  della  vita  di  Raffaello  :  così  la  sua  andata  a  Perugia  del  1495  ; 
la  parte  ch'egli  ebbe  nei  disegni  per  la  Libreria  di  Siena  ecc.  Lo  scrittore 
conclude  deplorando  la  poca  correttezza  della  lingua  in  questo  libro  ricco  di 
solidi  pregi].  —  N"  686:  Fine  Art,  L.  Villari,  Molmenti's  studies  of  Ve- 
netian  Art.  [L'A.  riassume  le  notizie  sin  qui  ignote  e  le  ipotesi  emesse  dal 
M.  nel  suo  recente  libro  sul  Carpaccio  e  sul  Tiepolo ,  portandone  giudizio 
favorevole].  —  N"  692:  Current  literature.  [Il  sig.  I.  T.  Bells  ha  tradotto 
in  lingua  inglese  col  titolo  A  Glance  at  the  Italian  Inquisition,  A  Sketch 
of  P.  Carnesecchi ,  il  libro  di  L.  Witte  sopra  il  Garnesecchi ,  uscito  alla 
luce  in  Germania  nel  1853.  La  traduzione  e  stata  corredata  dall'  autore  di 
aggiunte  e  di  note,  ma  è  troppo  letterale  e  spesso  cattiva.  Il  libro  però  è 
per  gli  studi  sulla  Riforma  di  alto  interesse].  =  Correspondence:  H.  Ivrebs, 
The  date  of  Dante's  Beath.  [Il  K.  fa  notare  che  il  sonetto  di  Pieraccio 
Tedaldi,  testé  ristampato  fra  i  suoi  componimenti  (Firenze,  1885)  in  morte 
di  Dante ,  porta  in  fronte  la  indicazione  che  Dante  morì  a'  di  5  di  set- 
tembre 1321,  e  rileva  come  vi  sia  differenza  di  nove  giorni  fra  questa  e  la 
data  che  assegnano  i  biografi,  cioè  il  14  settembre,  giorno  dell'esaltazione 
della  S.  Croce.  Nel  n»  693  T.  K.  Cheyne  avverte  come  questo  sonetto  fosse 
già  stato  edito  dal  Trucchi  (li,  43)J.  —  W.  Mercer,  Berna  of  Siena.  [Da 
una  inedita  opera  di  E.  Romagnoli,  che  si  conserva  nella  bibl.  di  Siena  e 
che   ha   note   marginali  di  G.  Milanesi,   il  M.  raccoglie   notizie   intorno  a 

QiomaU  storico,  VI,  fase.  18.  81 


474  SPOGLIO  DELLE  PUBBLICAZIONI  PERIODICHE 

Berna  o  Barna,  pittore  senese  del  sec.  XIV,  e  che  ha  lasciate  bellissime 
opere  in  Siena ,  m  Roma  in  S.  Giovanni  di  Laterano  ed  in  altre  città 
di  Toscana].  —  N'  693:  Fine  Art,  C.  Monkhouse,  J.  P.  Richter,  Notes  on 
Vasari  's  Lives  [E'  il  VI  volume  della  traduzione  delle  Vite,  fatta  dal  R. 
ed  in  esso  l'A.,  benché  si  giovi  come  fondamento  precipuo  all'opera  sua  di 
quelle  del  Milanesi,  pure  con  la  propria  dottrina  aggiunge  e  corregge  non 
poche  cose].  —  N°  695  :  Foreign  Literature.  [E.  Masi,  Le  fiabe  di  C.  Gozzi. 
Si  dice  utile  la  edizione  nuova  per  i  cultori  degli  studi  sul  teatro  italiano  e 
si  loda  la  prefazione  ben  fatta  e  bene  scritta.  Anche  del  primo  volume  del 
Dizionario  Dantesco  di  G.  Poletto  si  dice  che  sarà  un  opera  molto  impor- 
tante: si  riserva  però  il  giudizio  ad  opera  compiuta].  —  N°  696  :  Correspon- 
dence,  E.  H.  Westbourne,  The  Memorie  inutili  of  C.  Gozzi.  [Corregge 
l'errore  commesso  dal  bibliografo  del  Masi  nel  numero  precedente  che  le 
Memorie  del  Gozzi  fossero  rimaste  inedite  ;  aggiunge  che  sarebbe  utile  pub- 
blicarne una  versione  inglese,  giudiziosamente  sopprimendone  le  parti  di 
poco  interesse,  e  che  prima  del  Masi  un  buon  saggio  sul  Gozzi  aveva  dato 
il  Magrini  e  che  ne  avea  pur  discorso  gradevolmente  Vernon  Lee].  — 
]S"  704  :  1.  W.  Bradley,  Sebastiano  del  Piombo  in  a  neio  light.  [In  questo 
primo  articolo  il  B.  stabilisce,  con  opportune  citazioni  di  documenti  contem- 
poranei, che  la  opinione  che  Seb.  Luciani  sia  un  pittore  dozzinale  è  affatto 
erronea  e  che  i  suoi  coetanei  non  la  dividevano  punto]. 

The  Atfienwum  (Londra)  : 

Anno  1885.  —  N°  3010  :  H.  Stevens,  The  manifacture  of  unique  books. 
[Descrive  un  libro  di  sua  proprietà ,  De  Aloysii  Cadamusti  itineribus  ad 
terras  incognitas,  che  non  e  se  non  un  estratto  dell'edizione  parigina  del 
1532  del  Éovus  Orbis;  ma  così  abilmente  contraffatta  da  farla  credere  una 
edizione  originale  del  Sessa  (Venezia  1515)  e  quindi  unico  esemplare  conser- 
vatone. Il  libro  nel  1729  apparteneva  ad  un  aretino,  Giuseppe  di  Marcantonio 
Fabroni].  —  N°  3014:  Historical  books.  Molmenti,  La  dogaressa  di  Venezia']. 
—  N»  3027:  Fine  Art.  [Crowe  and  G.  B.  Cavalcasene,  Raphael,  his  Life 
and  Works  1°  articolo]. 

The  Fomightly  Review  : 

Anno  1885.  —  Settembre:  Burnand,  Councils  and  comedians. 

The  Quarterly  JReview  (Londra): 

Anno  1885.  —  Ottobre,  n"  322  :  Shahspere's  Predecessors  in  the  English 
Drama.  [Articolo  sopra  il  libro  di  John  Addington  Symonds  così  intitolato. 
L'anonimo  autore,  facendo  al  S.  parecchi  appunti,  insiste  sull'influsso  eser- 
citato dal  teatro  italiano  sull'inglese]. 


ArJdv  for  nordisk  Filologi  : 

Voi.  Ili,  1885.  —  No  1  :  G.  Storm,  Om   Tidsforholdet  mellem  Konge- 
speilet  og  Stjòm  samt  Barlaams  Saga. 

Sevista  de  Espana  (Madrid)  : 

Anno  1885.  —  N°  417  :  Asquerino,  Leonardo  de  Vinci. 

Revista  de  Estudios  livrea  (Lisbona)  : 
Anno  1885.  —  N^  5^:  Teixera  Bastos,  Giordano  Bruno. 

Samlarem  (1): 

Voi.  V,  1885:  G.  E.  Klemming,  Dialogus  creaturarum  moralizatus.  — 
Ern.  Meyer,  Om  drottning  Kristinas  titeràra  verksamhet  i  Italien, 


(1)  Miscellanea  filologica  edita  da  una  società  letteraria  svedese. 


COMUNICAZIONI  ED  APPUNTI 


Per  la  leggenda  di  Dante.  —  Fra  i  racconti  d'indole  leggendaria  che 
si  legarono  al  nome  di  Dante,  uno  dei  più  diffusi  è  quello  in  cui  si  riferisco 
l'arguta  risposta  data  dal  poeta  a  un  buffone  di  corte,  che  lodando  il  pro- 
prio stato,  proverbiava  lui,  negletto  e  in  povero  arnese.  Questa  novella  è  ri- 
ferita dal  Petrarca,  da  Poggio  Bracciolini,  da  Michele  Savonarola,  da  Lodovico 
Carbone,  da  Vespasiano  da  Bisticci,  e  da  parecchi  anche  fuori  d'Italia  (1). 
Ai  raccontatori  italiani  se  ne  possono  aggiungere  due ,  che ,  a  grande  di- 
stanza di  tempo,  provan  vie  più  l'accennata  divulgazione.  Secco  Polentone, 
nell'opera  sua  De  claris  grammaticis  ecc.,  dice,  parlando  di  Dante  (2)  : 

Dictornm  eins  memorare  nnom  hoc  loco  placet.  Interrogatns  namqne  Verone  cur  histrioni  homiiii 
ridicalo  et  dicaci  dominantis  aula  ac  ciritas  tota  faveret,  sibi  aatem  qui  esset  vìr  doctns  atqiu 
poeta  non  amicaretur  qnisqaam  ,  respondit  id  erenire  quia  similes  sni  mnltos  histrìo ,  ipse  rero 
noUnm  haberet.  Salsa  qnidem  responsio  et  mordax.  Neqne  vero  qaicqnam  est  quod  &cilia8  ho- 
minem homini  qnam  momm  dmilitado  coninng^t. 

Quel  bizzarro  ingegno  che  fu  Gabriello  Simeoni  (3),  in  una  satira  Della 
disgrazia  degli  uomini,  che  è  tra  le  sue  Satire  alla  bemiesca  (4),  detto 
della  mala  fortuna  che  suol  toccare  agli  uomini  di  virtù  e  di  valore,  sog- 
giunge : 

Ma  che  sia  il  niner  nostro  un'altro  inferno, 
Vn  tormento,  uno  stratio,  ot  una  morte, 
Ecci  un'esempio  di  Danto  moderno. 


(1)  Vedi  Papamti,  Dantt  secondo  ìa  traditiom  «  «  novellaiori,  LiTomo,   1873,  pp.  31,  90,  M, 
110,  117. 

(2)  L.  IV,  cod.  della  Nazionale  di  Torino.  D,  UI.  35,  f.  57  r. 

(3)  Vedi  TiBABoacHi,  St.  d.  UH.  U.  (ediz.  dei  Classici),  t.  VII,  pp.  1427  agg' 

(4)  Le  satire  alla  bemiesca  |  di  M.  Oàbriello  Symeoni  |  con  una  Elegia  sopra  €tOa  tmorii  ili 
Re  I  Francesco  Primo,  &  altre  |  Rime  a  diuerse  |  persone.  \  |  Jn  Turino  prò  MaHàto  Onmoth.  \ 
M.D.XLIX. 


476  COMUNICAZIONI  ED  APPUNTI 

Trouossi  un  tratto  il  ualente  huomo  in  Corte 

Assai  mal'  in  arnese,  et  scolorito. 

Come  son  tutti  quei  ch'han  mala  sorte. 
Quando  un  Buffon  ben  grasso  et  ben  vestito 

(Biscontrandolo  à  sorte  per  la  uìa) 

Lo  cominciò  à  mostrar  rìdendo  a  dito. 
Poi  disse:  con  la  tua  filosofia 

Perche  pouer  sei  tu,  fauorito  io 

Et  tanto  ricco  con  la  mia  pazia? 
Perchè  (rispose  Dante)  ei  piace  a  Dio 

Che  tu  habbia  trooato  il  tuo  Padrone 

Simil'  à  te,  done  io  non  trovo  U  mio. 

Non  è,  come  in  altri  racconti  (ma  non  in  tutti),  indicata  la  corte  di  Gan 
Grande  della  Scala. 

A.  Graf. 


Una  vecchia  memoru  sul  «  Blandin  de  Gornoalha  ».  —  È  noto  che  il 
ms.  G.  II.  34  (è  questa  la  vera  segnatura;  cfr.  Giornale,  II,  256)  della  Na- 
zionale di  Torino  contiene  un  poemetto  cavalleresco  narrante  le  avventure 
di  Blandin  de  Cornoalha  e  Guillot  Ardii  de  Miramar,  poemetto  di  tarda, 
composizione  ed  evidentemente  compilato  su  altri  simili  francesi,  ma  note- 
vole perchè  scritto  in  una  lingua  che  ondeggia  tra  il  provenzale  ed  il  cata- 
lano Ccfr.  Revue  des  langues  rom.,  prima  serie,  V,  275  sgg.  e  Vili,  31  sgg.). 
Nel  1825  il  Gazzera  ne  comunicava  una  copia  al  Raynouard,  che  ne  inseriva 
una  analisi  con  brani  intercalati  nel  Lexique  roman  (I,  315  sgg.);  il  Fauriel 
quindi  ne  parlava  nella  Hist.  de  la  poesie  prov.  (Ili,  92-95  :  cfr.  Iltst.  liti., 
XXII,  234-36);  e  finalmente  P.  Meyer  metteva  in  luce  integralmente  il  poe- 
metto, su  di  una  copia  fatta  dal  Gautier  e  collazionata  dal  Guessard,  nella 
Romania  (li,  170  sgg.).  Al  Meyer  non  isfuggì  avere  il  Raynouard  (Lex.,  1,  320) 
rinviato  a  un  volume  delle  Memorie  dell'  accad.  delle  scienze  di  Torino^ 
ma  la  citazione  del  R.  è  erronea,  sicché  il  M.  non  ha  potuto  riscontrarla. 
Ben  Io  fece  il  prof.  Teza,  che  nel  Giorn.  di  fi.  rom.  (IV,  187)  indicò  come 
il  voi.,  cui  il  R.  voleva  accennare,  fosse  il  XXVII,  P.  II  delle  Memorie,  e 
come  ivi  a  p.  6  si  leggano,  in  una  nota  di  Lodovico  Sauli  alla  sua  cono- 
sciuta monografia  sul  romanzo  di  Tommaso  III  march,  di  Sai  uzzo,  le  seguenti 
parole:  «  Di  esso  romanzo  {Blandin)  ho  letto  con  molto  piacere  un'analisi 
«  scritta  con  eleganza  singolare  del  signor  Portalis  des  Luckets  in  questa 
«  medesima  biblioteca  in  aprile  1813,  mentre  egli  stava  in  Torino  ispettore 
«  delle  stamperie  ».  Il  Teza  fece  indarno  ricerche  per  trovare  questa  ana- 
lisi :  io  fui  più  fortunato.  Quando  meno  me  Io  aspettava  il  barone  Manno 
mi  mostrò  questa  vecchia  memoria,  ch'egli  avea  rinvenuta,  in  copia  fattane 
dal  Vernazza ,  riordinando  le  carte  dell'  Accademia.  È  scritta  in  francese  , 
condotta  con  la  massima  diligenza,  e  reca  precisamente  la  data  d'aprile  1813. 
Il  primo  adunque  che  si  occupasse  del  romanzo  fu  realmente  il  Portalis  des 
Luckets,  il  cui  lavoro  possediamo  ms.  Nella  biblioteca  dell'Accademia  delle 
scienze  esiste  pure  una  copia  dell'intero  poema  fatta  nel  primo  ventennio  di 
questo  secolo. 

R.  Renier. 


COMUNICAZIONI  ED  APPDNTI  477 

Emendazioni  ai.  testo  dell'Altissimo.  —  11  prof.  A,  Borgognoni  gentil» 
mento  mi  comunica  alcune  correzioni  che  egli  crederebbe  da  introdursi  nel 
testo  degli  Strambotti  e  sonetti  dell' Altissimo  da  me  recentemente  pubbli- 
cato. Siccome  mi  sembrano  plausibili  tutte,  credo  non  inutile  riferirle  qui, 
avvertendo  che  qualcuna  di  osse  mi  ora  stata  gih  prima  proposta  dal  D'An- 
cona :  Son.  1,  V.  3,  el  Ciclade,  corr.  et  Ciclade.  —  Son.  Ili,  v.  8,  al  piccai, 
corr.  el  piccol.  —  Son  XI,  v.  4,  vetro,  corr.  forse  vreto  per  la  rima.  — 
Son.  XIII,  v.  5,  Alessandro,  corr.  A  Lessandro.  —  Son.  XLVll,  v.  4,  chor, 
corr.  cor.  —  Quanto  alla  Novella  di  Gerbino  citata  a  p.  xliv  «,  il  Ri^na 
crede  si  tratti  di  quella  ripubblicata  come  d'anonimo  nella  disp.  25*  della 
Scelta  di  curiosità  letterarie.  Gfr.  Passano,  Novellieri  ital.  in  verso,  Bo- 
logna 1868,  pp.  92-94. 

R.  Renisr. 


Giunte  ai  Cantari  e  Sonetti  ricordati  nella  cronaca  di  Benedetto 
Dei.  —  Le  note  seguenti  possono  servire  a  compiere  e  rettificare  in  parte 
alcune  delle  notizie  illustrative  dei  cantari  e  sonetti  ricordati  dal  Dei  nella 
sua  cronaca,  pubblicate  in  questo  Giornale  (V,  162-202). 

Il  capitolo  in  terza  rima  (XVIII): 

Fia  prima  arato  e  seminato  il  mart. 

secondo  il  Manzi  (Testi  di  lingua  inediti  tratti  da'  codici  della  Biblioteca 
Vaticana,  Roma,  De  Romjinis,  1816,  p.  98-100)  fu  composto  da  Cosimo  de'  Me- 
dici dopo  il  ritorno  dal  suo  esiglio  (1433)  e  diretto  a  Francesco  Sforza.  Stimo 
opportuno  d'indicare  le  più  notevoli  varianti  dell'edizione  del  Manzi  con- 
frontata colla  lezione  da  me  seguita,  del  cod.  Laur.  Segn.  n.  IV,  ove  questo 
capitolo  fu  da  un  ignoto  rimatore  rabberciato  in  guisa  che  potesse  adattarsi 
ad  un  Giovanni  Peruzzi  :  2,  E  per  montagne  —  3,  /  pesci  si  vedranno  a 
branchi  andare  —  4,  Pria  ch'io  scordar  (e  possa,  si  mi  serva  —  5,  La 
immagin  della  tua  gentil  figura  ;  —  6,  La  qual  dà  a  Lombardia  e  pace 
e  guerra  —  11,  E  sarà  forse  prima  caldo  il  verno,  —  i2,  E  la  state  sarà 
fervido  gelo  —  13,  E  pieno  d'allegrezza  sia  lo  'nfemo  —  16,  E  prodigo 
verrà  l'avaro  Mida  —  il,  fia  — 19,  E  tutt'i  cieli  pria  tomeran  bui  —  20,  d'a- 
tarti  —  21,  Ovver  prometter  mai  d'atare  altrui  —  23,  Chiare  di  luce  — 
25,  Degli  uomini  saranno  le  parole  —  26,  Prive  di  sentimenti  e  d'intel- 
letti —  30,  E  ischiferanno  gli  uomini  e  ricetti  —  31,  ^  volti  fieno  tutti 
gli  elementi  —  32,  Fia  piena  la  terra  di  stelle.  Avuto  riguardo  alla 
concatenazione  delle  rime  è  da  preferirsi  la  lezione  del  cod.  Laur.:  et  fieno 
le  tenebre  di  stelle  gioconde,  —  33,  ^  in  del  germineranno  le  sementi.  — 
La  terzina  che  segue  manca  nel  cod.  Laur.  : 

E  privo  tara  il  mare  di  tue  onde, 
E'  venti  non  andran  per  V  aria  piUe, 
Sarà  la  etate  tenta  poke  e  fronde. 

34,  E  tutti  i  fiumi   correranno  in  sue,  —  35,  E  V  uom  viziato  fie  tenuto 


478  COMUNICAZIONI  ED  APPUNTI 

probo,  —  36,  Il  pigro  si  terrà  d'ampia  virtùe.  E  preferiLile  la  lezione  del 
Laur.  :  el  pigro  fia  tenuto  abbia  virtù  —  37,  E  fia  l'orso  critdel  umil  e 
integro  —  38,  Grazioso  senza  tosco  il  fero  drago  —  42,  quando  sia  nel 
prago  legge  erron.  l'ed.  del  Manzi.  Dopo  questo  v.  manca  una  terzina  nel 
Laur.,  che  nel  cod.  Vat.  seguito  dal  Manzi  si  legge  così  : 

E  i  lupi  iniqui,  micidiali  e  felli 
Ptr  U  valli,  pé''  boschi,  monti  e  piani 
Fien  divorati  da  templici  agnelli. 

43,  Capre,  conigli  e  cervetti  silvani  —  44,  Fìen  tutti  insieme  andandone 
a  stuoli,  —  45,  a  morte  —  46,  E  carderuzzi,  e  verzelli  e  usignoli  —  47,  Da- 
ranno molta  noja  e  molto  impaccio  —  48,  con  penne  e  voli  —  49,  E  sarà 
il  fuoco  più  freddo  che  ghiaccio,  —  50,  -&  sotto  il  gelo  nascerà  la  rosa  :  — 
51,  Che  io  non  t'ami  continuo  e  sempre  —  52,  Francesco  Sforza  sopra 
ogni  altra  cosa. 

Fra  il  penultimo  e  il  terz'ultimo  verso  havvi  una  lacuna  nell'ed.  del  Manzi; 
nel  cod.  Laur.  gli  ultimi  versi  (49-55)  furono  interamente  rifatti  e  si  leggono 
come  segue  : 

49  Et  fanussi  del  ciel(o)  più  d'nno  straccio, 

et  sarà  il  bel  giardin(o)  la  selva  ombrosa, 

e  '1  fuoco  più  freddo  [che]  ghiaccio, 
52  Et  a  rovescio  andrai  prima  ogni  cosa 

ched  io  non  t'amy  continovamente 

Giovannino  Peruzzi  sopra  ogni  altra  cosa; 
55  Che  'n  terra  mostry  le  divine  tempre. 

I  sonetti  XLV  e  XLVI  (p.  191  e  192)  furono  pubblicati  pure  dal  Manzi 
nell'op.  cit.  (p.  100  e  101),  ove  si  dicono  mandati  a  Cosimo  de'  Medici  da 
una  donna  di  Siena  per  la  sua  tornata  in  patria. 

U  son.  LXI  (p.  198): 

0  voi  egregi  e  sapienti  viri 

fu  pubblicato  dal  prof.  Carducci  tra  le  Rime  di  Matteo  di  Dino  Frescobaldi 
(Pistoja,  1866,  p.  69),  di  su'l  codice  Vat.  3213,  ove  leggesi  col  nome  del 
Frescobaldi,  avvertendo  in  nota  (p.  107)  che  questo  sonetto  è  in  forma  d'e- 
pitafio  a  un  Alberto,  che  disperato  in  amore  par  si  facesse  soldato  e  finisse 
atrocemente:  pare  anche  fosse  sepolto  in  Santa  Croce  dalla  parte  del  coro. 

Ma  il  mio  illustre  professore,  contrassegnando  con  un  asterisco  cotesto 
sonetto,  ragionevolmente  ne  poneva  in  dubbio  l'autenticità,  poiché  il  codice 
Magi.  II,  IV,  250  (e.  116«)  dice  chiaramente  che  fu  fatto  da  Francesco  d'Al- 
tobianco  degli  Alberti  per  Alberto  Alberti  quando  morì  in  champo  per 
la  giostra. 

La  lezione  del  cod.  Magi,  è  in  più  luoghi  scorretta  e  manchevole  di  un 
verso,  il  perchè  mi  sembra  opportuno  riprodurlo  giovandomi  dell'uno  e  del- 
l'altro codice: 

0  voi  egregi  e  sapienti  viri 

che  circondate  in  Santa  Croce  el  coro, 
sappiate  eh'  i'  trionfai  et  or  dimoro 
in  un  sepolcro  qui  ove  t'aggiri. 


COMUNICAZIONI  ED  APPUNTI  479 

Alberto  mi  chUmai:  e,  se  ben  miri, 

vedrai  colei  per  cai  Unto  martoro 

io  ebbi  giit,  che  rompe  un  giogo  d'oro, 

nò  mai  ebbe  pietà  de' miei  martiri. 
E,  per  entrare  in  grazia,  el  belUcoto 

istil  di  Marte  presi  e  fhi  seguace  ** 

in  fino  al  caso  atroce  e  'mpetnoso. 
Pregate  Iddio  pel  corpo  mio  che  giace 

in  questa  oscura  tomba  verminoso, 

che  coli 'alma  gli  dia  riposo  e  pace. 

Il  sonetto  LXII  (p.  198)  è  attribuito  ad  Antonio  da  Ferrara  nel  cod.  Cbig. 
L.  IV.  131,  ove  leggesi  come  segue: 

Sonetto  del  M*  Anto  da  Ferrara  a  Af»  Franc^  Yergollesi. 

Io  ti  domando  da  che  nasce  il  uento 

e  quanto  oien  da  alto  quando  pione, 

la  folgore  saetta  onde  si  muoue 

e  in  che  le  stelle  fanno  firmamento, 
la  luna  e  '1  sole  ou'  ò  suo  nascimento, 

0  se  riluce  qui  più,  o  meno  altroue, 

0  che  cosa  è  di  sopra  al  sommo  Gioue 

e  eh 'è  di  sotto  ad  ogni  scendìmento. 
Ti  domando  anco  di  ohe  nasce  il  trono, 

perch'  a  molti  animali  egli  è  neleno, 

s'  egli  è  a  nostra  ulta  o  rio,  o  buono, 
0  se  prima  di  lui  muoue  '1  baleno, 

0  perchè  '1  trono  sì  fa  orrìbil  sono, 

0  qual  pianeta  tien  costoro  a  freno. 
Prego  mi  dechiarate,  ser  Franceeco 

nato  de'  Yergollesi  il  gran  maestro. 

Quest'  ultimo  verso  nel  cod.  è  scritto  :  Il  gran  maestro,  ma  forse  si  deve 
leggere:  et  gran  maestro. 

Ludovico  Frati. 


Rettifica.  —  Appena  uscito  il  fase,  ultimo  del  Giom.  ator.,  una  gentile 
comunicazione  del  d""  L.  Biadane  mi  fece  accorto  del  singolare  equivoco  in 
cui  ero  caduto  pubblicando  la  poesia  monorimica  Regina  potentissima  sul 
del  siti  exaitata  (pp.  214-15).  Questa  poesia  è  la  stessa  già  stampata  dal 
Casini  a  pp.  187  sgg.  dei  Poeti  bolognesi,  e  da  me  accennata  nel  predetto 
articolo  mio  a  p.  212  n.  Come  accadesse  questo  strano  errore  sarebbe  poco 
utile  il  dirlo  qui  ;  nò  io  credo  di  potermi  giustificare  agli  occhi  della  Dire- 
zione e  del  pubblico.  Dunque  rettifico  senz'altro,  e  insieme  presento  le  mie 
scuse  ai  lettori,  solo  confortandomi  nel  pensiero  che  la  lezione  data  da  me, 
che  rimonta  a  una  stampa  rimasta  ignota  al  Casini,  è  parecchio  diversa  e 
quasi  sempre  migliore  di  quella  impressa  nei  Poeti  bolognesi,  e  che  quindi, 
se  anche  non  ho  offerto  al  pubblico  un  nuovo  esempio  di  serie  continua, 
non  si  può  dire  abbia  fatto  una  pubblicazione  inutile  del  tutto. 
Catanzaro,  14  nov.  '85. 

G.  S.  SciPiONi. 


OHOTSTj^C^ 


*  Il  Prefetto  della  Biblioteca  Nazionale  di  Brera  ha  diretto,  in  questi 
giorni,  una  lettera  ai  Presidenti  delle  Società  Storiche  Italiane,  nella  quale, 
detto  che  il  sussidio  concesso  alla  Braidense  dal  Governo,  dal  Comune  e 
dalla  Provincia  di  Milano,  gli  permette  d'acquistare  le  principali  pubblica- 
zioni che  servono  ad  illustrare  la  storia  e  la  letteratura  nazionale,  li  prega 
di  voler  raccomandare  ai  Soci  di  spedir  quanto  non  è  posto  in  commercio, 
come,  ad  esempio,  gli  estratti  da  Riviste,  da  Atti  Accademici,  le  pubblica- 
zioni per  nozze  e  simili.  E  un'  altra  n'  ha  indirizzata  agli  autori  italiani  le 
cui  opere  meritarono  essere  tradotte  nelle  lingue  straniere,  perchè  vogliano 
mandare  copia  delle  versioni  stesse  alla  Braidense.  Questa  raccolta  potrà 
tornar  utilissima  allo  studio  della  storia,  della  biografia  e  della  bibliografia 
della  nostra  letteratura,  e  però  noi  la  raccomandiamo  agli  scrittori  italiani. 

*  11  Ministro  della  Pubblica  Istruzione  ha  dato  principio  alla  pubblica- 
zione à' Indici  e  Cataloghi  con  tre  importanti  volumi:  I.  Pubblicazioni  pe- 
riodiche (Elenco  delle  pubblicazioni  periodiche  italiane  e  straniere  ricevute 
dalle  biblioteche  governative  nell'anno  1884);  li.  Manoscritti  Foscoliani^ 
già  proprietà  Martelli,  della  R.  Biblioteca  Nazionale  di  Firenze;  III.  Bi- 
segni  di  Architettura  esistenti  nella  R.  Galleria  degli  Uffizi  in  Firenze. 
Sono  annunciati  d' imminente  pubblicazione  :  /  Manoscritti  della  R.  Biblio- 
teca Nazionale  di  Firenze;  Codici  palatini  (Voi.  I,  fase.  1)  e  Inventario 
dei  codici  italiani  che  conservansi  nelle  biblioteche  di  Francia.  Voi.  I.  Ma- 
noscritti italiani  della  Biblioteca  Nazionale  di  Parigi. 

*  Sono  usciti  i  due  primi  fascicoli  degli  Atti  della  R.  Società  Romana 
di  Storia  patria  (Roma,  nella  Sede  della  Società  alla  biblioteca  Vallicel- 
liana,  1885).  Contengono  :  il  primo,  una  Relazione  al  Ministro  della  P.  I. 
sullo  stato  della  Biblioteca  Vallicelliana,  il  Regolamento  per  la  Biblioteca 
stessa,  lo  statuto  della  Società;  il  secondo,  relazioni  di  sedute,  il  programma 
di  un  corso  pratico  di  metodologia  della  storia  iniziata  dalla  Società  mede- 
sima, un  bel  discorso  del  presidente  (0.  Tommasini)  nell'inaugurazione  di 
esso  corso,  il  regolamento  per  il  servizio  della  pubblica  lettura  nella  Val- 
licelliana. 


CRONACA  481 

*  La  stessa  Società  Romana  di  Storia  Patria  ha  pubblicato  il  Regestum 
Sublacense,  del  secolo  XI.  È  un  magnifico  volume  in  foglio,  di  pp.  277, 
impresso  su  carta  a  mano  appositamente  fabbricata.  Al  testo  tengon  dietro 
copiosissimi  indici  e  tre  tavole  di  fac-simili.  La  edizione  fu  curata  da  L.  Al- 
lodi e  G.  Levi. 

*  Per  incarico  della  Società  storica  Lombarda  il  sig.  Carlo  Canetta  ha 
compilato  gli  indici  sistematici  deìV Archivio  storico  lombardo  nel  suo  primo 
decennio  (1874-83).  Sarebbe  desiderabile  che  questo  esempio,  già  dato  del 
resto  d&lV Arch.  star,  italiano,  venisse  seguito  da  tutti  i  periodici  di  storia 
regionale. 

*  Per  nozze  Puntoni-Giacomelli  il  prof.  F.  Pellegrini  ha  messo  in  luce 
(Pisa,  Marietti)  alcune  lettere  di  Lodovico  Magalotti  a  Salvatore  e  a  Pompeo 
Gasparinì.  Sono  del  1669  e  si  riferiscono  all'ospitalità  concessa  al  Magalotti 
da  Pompeo  Gasparini. 

*  Il  prof.  Pio  Ferrieri  ha  pubblicato  (Paravia  edit.)  una  seconda  edizione 
della  sua  Guida  allo  studio  critico  della  letteratura.  Questa  edizione  è 
notevolmente  accresciuta. 

*  Una  pubblicazione  che  indirettamente  interessa  anche  gli  studi  letterari 
è  quella  del  sac.  Fedele  Savio  recentemente  apparsa  (Torino,  stamp.  reale): 
Studi  storici  sul  marchese  Guglielmo  III  di  Monferrato  ed  i  suoi  figli. 

*  L'attivissimo  e  bravo  Michele  Faloci  Pulignani  pubblicherà  in  Foligno 
(Campitelli  edit.)  una  Miscellanea  francescana  di  storia,  di  lettere,  di  arti. 
Questa  Miscellanea,  che  uscirà  in  fascicoli  bimestrali  di  32  pagine  «  si  pro- 
«  pone  di  pubblicare  con  sana  critica  e  con  opportuna  erudizione  studi  e 
«  documenti  di  cose  francescane,  segnalando  in  pari  tempo  tutte  le  opere 
«  che  si  occupano  dello  stesso  soggetto,  sia  che  si  tratti  di  grossi  volumi, 
«  sia  che  si  limitino  a  piccoli  opuscoli,  ad  articoli  inseriti  in  periodici  ». 

*  La  Romania  ha  pubblicato  un  fascicolo  di  indici  analitici  molto  utili 
dei  suoi  primi  dieci  volumi  (1872-82).  Un  altro  indice  generale  fu  pubblicato 
dalla  Deutsche  Rundschau  per  i  suoi  primi  40  volumi. 

*  Tra  le  pubblicazioni  accademiche  concernenti  l'Italia,  uscite  in  Germania 
in  questi  ultimi  mesi ,  notiamo  lo  seguenti  :  Georg  Osterhage ,  Ueber  die 
Spagna  istoriata  (programma  ginn.  Humboldt,  Berlino.  —  Ne  parleremo)  ; 
Alois  Kohl,  Abhandlung  ueber  italischen  Wein  mit  Bezugnahme  auf 
Horatius  (progr.,  Straubing);  Max  Pomtow,  Ueber  den  Einfiuss  der  altro- 
misclien  Vorstellung  vom  Staat  auf  die  Politik  Kaiser  Friedrich's  I  und 
die  Anschauungen  seiner  Zeit  (laurea,  Halle-Wittemberg)  ;  Emil  Koeppel, 
Laurent's  de  Premierfait  und  John  Lydgate's  Bearbeitungen  von  Eoo 
caccio's  «  De  casibus  virorum  illustrium  »  (tesi  di  abilitaz..  Monaco.  — 
Ne  parleremo);  G.  Fritzsche ,  Die  lateinischen  Visionen  des  Mittelalters 
bis  zur  Mitte  des  XlIJahrh.  (laurea,  Halle-Wittembcrg);  Karl  Raab,  Ueber 
vier  allegorische  Motive  in  der  lateinischen  und  deutschen  Literatur  des 
Mittelalters  (progr.  Leoben);  Gustavo  Hofmann,  Die  logudoresische  und 
campidanesische  Mundart  (laurea,  Strasburgo);  Rud.  Reese,  Die  staats- 
rechtliche  Stellung  der  Bischofe  Burgunds  und  ItaUens  unter  Kaiser  Prie- 


482  CRONACA 

drich  I  (laurea,  Gottingen);  Menzel,  Italienische  Politik  Kaiser  Karl's  IV 
(progr.,  Blankenburg  i.  H.);  Th.  Thiemann,  Deutsche  Cultur  und  Literatur 
des  XVIII  Jahrh.  ini  Lichte  der  zeitgenossischen  italienischen  Kritik 
(progr.,  Dresden-Neustadt.  Gfr.  Giorn.,  IV,  480);  Paesch,  Renaissance  und 
Humanismus  in  Italien  (progr.,  Kottbus). 

*  Nel  fascic.  d'aprile  del  periodico  francese  Le  Molieriste,  il  sig.  Giorgio 
Monval  ha  pubblicato  una  lettera  inedita  molto  curiosa  di  Lelio  Riccoboni, 
in  cui  il  celebre  attore  e  scrittore  espone  a  un  suo  corrispondente,  che  gliene 
aveva  fatto  domanda,  gli  usi  tenuti  dalla  Chiesa  riguardo  ai  commedianti,  sia 
nel  rispetto  dell'  amministrazione  de'  sacramenti ,  sia  nei  matrimoni  e  nelle 
sepolture.  La  lettera  è  del  12  luglio  1746.  Vedi  Revue  crxtique,  XIX,  437. 

*  S.  Loewenfeld  ha  pubblicato  una  raccolta  di  lettere  inedite  di  pontefici 
{Epistolae  pontificum,  romanorum  ineditae,  Lipsia,  Veit,  1885),  tratte  da 
codici  di  Parigi,  di  Londra  e  di  Cambridge. 

*  Pel  testamento  dell'ultimo  discendente  di  Volfango  Goethe,  la  grandu- 
chessa di  Sassonia  Weimar  è  entrata  in  possesso  dei  preziosi  archivi  del 
Goethe.  Desiderando  ella  che  si  faccia  sui  nuovi  materiali  una  biografia 
compiuta  del  sommo  poeta  ed  una  edizione  definitiva  delle  sue  opere,  si  è 
costituita  a  questo  scopo  in  W^eimar  una  Goethe-Gesellschaft.  Intorno  alla 
cerimonia  di  apertura  e  ai  primi  lavori  fatti  da  questa  società  letteraria 
nell'estate  scorso  dà  notizie  diffuse  L.  Geiger  in  uno  speciale  articolo  delle 
Deutsche  Literatur zeitung,  che  fu  tirato  anche  a  parte. 

*  Nel  Messager  historique  russe  Charles  Henry  ha  pubblicato  un  lungo 
articolo  su  Casanova  e  Caterina  II.  Vi  è  esposta  una  relazione  inedita  del- 
l'abboccamento che  il  Casanova  ebbe  con  Caterina,  alquanto  diversa  da  quella 
delle  Memorie  e  vi  è  riprodotto  un  ritratto  autentico  del  Casanova  giovane. 

*  Un'opera  importantissima,  che  segnaliamo,  è  quella  di  Enrico  Thode 
Franz  v.  Assisi  und  die  Anfdnge  der  Kunst  der  Renaissance  in  Italien 
(Berlin,  Grote,  1885).  L'opera  ha  particolarmente  lo  scopo  di  illustrare  la 
storia  dell'  arte  ed  è  arricchita  di  belle  incisioni;  ma  vi  si  parla  anche 
della  importanza  morale  che  ebbero  gli  ordini  francescani  in  Italia  e  della 
attività  letteraria  dei  loro  adepti.  Si  divide  in  due  parti.  La  prima  ha  i  se- 
guenti capitoli  :  1"  Franz  v.  Assisi  und  sein  Einfluss  auf  die  italienische 
Kunst;  2'  Die  Darstellungen  des  Franz  und  seiner  Legende;  "à"^  Die  Kirche 
S.  Francesco  in  Assisi;  4»  Die  Franciscanerhirchen  in  Italien.  La  seconda 
contiene:  1"  Das  Franciscanerthum  und  seine  Bedeutung  fùr  die  italie- 
nische Kunst;  2°  Die  kùnstlerische  Neugestaltung  der  christlichen  Dar- 
stellungen ;  3»  Die  allegorische  Darstellungen.  Segue  un'  appendice  di  cinque 
capitoli,  tra  i  quali  ne  segnaliamo  uno  sulle  fonti  della  vita  del  santo. 

*  Leopoldo  Delisle  descrive  x^eW Annuaire  Bulletin  de  la  società  de  Vhi- 
stoire  de  France  (Paris,  Renouard,  1885)  il  ms.  XXIX,  1  della  Laurenziana, 
e  riferisce  i  capoversi  delle  400  canzoni  musicali  latine  del  sec.  XIII,  che 
vi  sono  inserite.  Molte  di  queste  canzoni  si  riferiscono  a  fatti  della  storia  di 
Francia.  Ne  riparleremo. 

*  Y)q\V  Odhecaton  di  Ottaviano  Petrucci,  prima  e  rarissima  stampa  musi- 


CRONACA  483 

cale  di  lui,  n  conosceva  solo  finora  l'esemplare  incompiuto  della  bibliot.  del 
Liceo  musicalo  di  Bologna.  1.  B.  Wcckorlin,  bibliotecario  del  conservatorio 
di  musica  di  Parigi,  avendone  acquistato  in  Ispagna  un  esemplare  compiuto, 
ne  dà  ora  una  illustrazione  (Paris,  F.  Didot)  abbastanza  ampia.  Egli  illustra 
pure  i  Canti  B.  numero  cinquanta  e  i  Canti  C.  numero  cinquanta  dello 
stesso  Petrucci. 

*  F.  Niolsen  sta  pubblicando  a  dispense  in  Copenaghen  un  Haandbog  i 
Kirhens  historie.  E  un  manuale  utilissimo  di  storia  ecclesiastica. 

*  L'editore  Niemeyer  di  Halle  ha  pubblicato  una  raccolta  di  antichi  testi 
italiani  per  uso  scolastico.  E  dovuta  alle  cure  del  prof.  Ulrich. 

*  La  casa  editrice  Macmillan  di  Londra  darà  presto  alla  luce  un  volume 
di  novelle  popolari  italiane  raccolte  dal  prof.  T.  F.  Grane  della  Cornell 
University,  già  ben  noto  per  altri  lavori.  Le  novelle  in  numero  di  centonove 
appartengono  ad  ogni  parto  della  penisola  e  l'editore  ne  ha  tratte  parecchie 
da  pubblicazioni  rare  e  pressoché  inaccessibili  agli  studiosi.  La  raccolta  sarà 
preceduta  da  una  introduzione  in  cui  si  studia  la  storia  della  novella  popo- 
lare in  Italia  e  arricchita  di  note  nelle  quali  si  porranno  di  fronte  agli  ita- 
liani i  racconti  paralleli  che  esistono  negli  altri  linguaggi  europei. 

*  In  Inghilterra  ed  in  America  gli  studi  Danteschi  vanno  ogni  dì  più 
prendendo  incremento.  Mentre  a  Londra  esce  una  ristampa  a  tenue  prezzo 
della  bella  traduzione  che  ha  fatto  il  Longfellow  della  Divina  Commedia^ 
si  annunciano  di  prossima  pubblicazione  altre  due  versioni  :  l' una,  già  inco- 
minciata da  A.  J.  Butler,  si  compie  con  la  stampa  del  Paradiso  :  V  altra 
dovuta  al  sig.  Dean  Plumptre,  comprenderà  anche  il  Canzoniere.  Nell'ultimo 
suo  rapporto  poi  la  americana  Dante  Society  ha  dato  in  luce  molte  note 
addizionali  che  devono  arricchire  una  nuova  edizione  della  versione  della 
Commedia  del  Longfellow. 

*  Per  incarico  della  Villon  Society  il  sig.  John  Payne  ha  messo  mano 
a  tradurre  in  inglese  il  Decamerone. 

*  La  casa  in  cui  nacque  nel  1778  il  Foscolo  a  Zante  correva  testé  peri- 
colo di  venir  atterrata.  Ma  il  municipio  dietro  vive  preghiere  degli  ammi- 
ratori del  poeta  l' ha  sottratta  alla  distruzione  acquistandola  coli'  intendi- 
mento di  farla  sede  d'un  museo  foscoliano. 

*  A  Groninga  è  apparso  un  opuscolo  in  olandese  di  A.  Boets  sui  Disticha 
Catonis.  Vi  si  fa  la  storia  di  questo  celebre  testo  e  si  dà  di  esso  la  biblio- 
grafia, così  dei  mss.  come  delle  stampe. 

*  Il  prof.  A.  Mahn  ha  posto  mano  alla  pubblicazione  d'  un'  opera  di  cui 
da  molto  tempo  si  sentiva  il  bisogno.  È  uscita  la  prima  parte  (Kóthen, 
Schettler)  di  una  sua  Gratnmatik  der  altprovenzalischen  Sprache.  L'ultima 
parte  di  questa  opera  conterrà  un  vocabolario  provenzale. 

*  Il  sig.  Willard  Fiske,  che  nel  1882  pubblicò  a  Ithaca,  in  edizione  splen- 
dida di  sole  160  copie,  il  suo  Catalogne  of  Petrarch  Books,  sta  ora  atten- 
dendo ad  una  seconda  edizione  molto  accresciuta  di  questa  sua  pregevolis- 
sima bibliografìa  petrarchesca. 


484  CRONACA 

f  È  morto  a  Napoli  il  1  genn.  '86,  non  ancor  cinquantenne,  Vittorio  Im- 
briani,  dopo  lunghi,  atroci  patimenti,  sostenuti  con  una  serenità  veramente 
degna  di  ammirazione.  D'ingegno  acuto  e  vivace,  fortificato  da  studi  sodi  e 
profondi,  egli  ha  troppo  spesso  guastati  i  suoi  lavori  con  la  ricerca  appas- 
sionata della  originalità,  ed  intorbidate  le  indagini  storiche  con  felicità  ini- 
ziate, usando  di  una  ipercritica  e  di  una  asprezza  nella  polemica,  che  invece 
di  crescere,  toglievan  valore  ai  suoi  argomenti.  Per  questo  gli  scritti,  ove 
più  grande  e  più  limpida  appare  la  genialità  della  sua  mente,  sono  ancora 
quelli  che  trattano  di  poesia,  di  letteratura  popolare  :  percorrono  cioè  un 
campo,  che  non  poteva  facilmente  divenire  e,  se  poteva,  non  diveniva  mai 
intieramente,  un  campo  di  battaglia.  Pochi  libri  di  Folh-lore  si  leggono  a 
parer  nostro  con  il  gusto  e  l'utilità  che  arreca  la  sua  Novellaja  fiorentina 
(Livorno,  Vigo,  1877),  in  cui  accanto  a  cento  raffronti  cavati  da  fonti  popolari, 
son  posti  altri  dedotti  da  opere  letterarie,  ignote  e  malnote,  quelle  soprattutto 
che  appartengono  a  quel  periodo  così  importante  e  cosi  trascurato  della  storia 
letteraria  nostra ,  il  seicento.  Ed  è  anzi  vivamente  da  deplorare  che  l'imbriani, 
da  tanto  tempo  costretto  a  non  lavorare  se  non  quel  tanto  che  il  malore 
gli  concedeva,  non  abbia  mai  potuto  attendere  sul  serio  a  far  conoscere 
quell'età  e  quella  vita  letteraria  che  egli  aveva  cosi  bene  studiate.  In  lui, 
ingegno  bizzarro,  il  secolo  di  bizzarri  ingegni  avrebbe  trovato  un  degno 
raccontatore. 


Comunicazione.  —  Troppo  tardi  perchè  ne  potessi  tener  conto  sotto  la 
rubrica  antecedente,  il  prof.  Mussafia  ebbe  la  cortesia  di  avvertirmi  che  la 
serie  monorima  da  me  pubblicata  nel  Giornale  (VI,  303),  corrisponde  ad  una 
di  Uguccione  da  Lodi.  Gfr.  Tobler  ,  Das  Buch  des  Uguqon  da  Laodho , 
Berlin,  1884,  vv.  434473.  Il  testo  Gampori  è  un  rimaneggiamento  toscano, 
che  non  so  se  si  estenda  a  tutto  il  libro.  Potendo,  darò  in  seguito  altre 
notizie. 

R.  Renier. 


Luigi  Morisengo,  Gerente  responsabile. 


Torino  —  Tip.  Vincknzo  Bok*. 


INDICE  ANALITICO  DELLO  SPOGLIO 


Quest'  indice  riguarda  lo  Spoglio  dell'  intera  annata  III,  vo- 
lumi V-VI. 

L'esponente  che  accompagna  il  numero  della  pagina  indica 
in  quanti  articoli  diversi  nella  pagina  stessa  ricorra  il 
nom£  0  la  cosa  registrata. 


Aai'  E.,  V,  470. 

Abati  nel  medio  evo,  VI,  466. 

Abel  E.,  VI,  472. 

Accademie:  dei  Lincei,  V,  470;  — 

delle  scienze  di  Torino,  V.,  500; 

—  Mantovana,  471  ;  —  degli  Agiati 

in  Rovereto,  487;  —  in  Como,  VI, 

460. 
Acerba,  VI,  461. 
Adami  A.,  V,  475. 
Addington  Symonds  J.,  VI,  474. 
Ademollo   A.,  V,  474.   475*,   476», 

482  ;  VI,  4473,  449^  450. 
Agrati  M.,  VI,  465. 
Ahrens,  VI,  470. 
Alamanni  L.,  VI,  451. 
Albany  (Cont.  d'),  V,  482. 
Albertazzi  L.,  VI,  453. 
Alberti  L.  B.,  V,  470. 
Albicante,  V,  479. 
Albicini  C,  V,  473. 
Alessandrino  G.,  V,  472. 
Alessandro  VI,  VI,  446. 
Alfani  A.,  V,  490. 
Alfani  G.,  VI,  462. 
Alfieri  d'Azeglio  G.,  V,  474. 
Alfieri  V.,  V,  474,  476,  482«,  483,  488. 
Alfonso  d'Este,  VI,  448. 
Algarotti  F.,  VI,  450. 
Alighieri  D.,  V,  475,  477,  4783,  488, 


491«;  VI,  452,  456,  459«,  461,  468. 
469;  —  Commedia,  V,  470,  477, 
479,  481,  4832,  487,  493,  502  ;  VI, 
443,  444,  457,  461,  462«,  469«  ;  — 
Opere  minori,  V,  487,  456,  457; 

—  Vita  Nuova,  V,  473;  —  Convito, 
VI,  450,  451;  —  Canzoniere,  VI, 
453;  —  Beatrice,  VI,  454,  466; 

—  Miscellanea  dantesca,  V,  501; 

—  Dizionario  dantesco,  VI,  474. 
Alighieri  D.  II,  VI,  461. 
Almanacchi  astrologici,  VI,  451. 
Almanacco  di  Barbanera,  VI,  453. 
Alpeo  B.,  VI,  45:3. 

Altilio  G.,  VI,  458. 

Alvisi  E.,  V,  491,  500. 

Amalfi  G.,  V,  478«;  VI,  450,  456, 
4583,  4595. 

Amaseo  R.,  VI,  445. 

Amico  U.  A.,  VI,  441. 

Anfioni,  VI,  449. 

Angeletti  N.,  V,  487;  VI,  456,  457. 

Angelico  (Beato),  VI,  459. 

Animali  nel  medio  evo,  V,  499. 

Anonimi  :  Veronesi,  V,  472;  —  Sici- 
liano, 485;  —  Capitolo  al  Lasca, 
VI,  452;  —  Vocabolario  italiano- 
tedesco  del  Cinquecento,  461  ;  — 
Elogio  della  pazzia,  461  ;  —  P<m- 
sione  e  Risurrezione,  463. 


486 


INDICE  ANALITICO  DELLO  SPOGLIO 


Anteiss,  V,  503. 
Anticerberus,  v.  Bongiovanni. 
Antico  A.,  VI,  446. 
Antolini,  P.,  V,  478. 
Antona-Traversi   C,   V,  474,  4802, 

484,  485,  488  ,  498  ,  500  ;  VI,  447, 

448,  454,  459,  463. 
Antonelli  G.,  V,  491  ;  VI,  469.  Vedi 

Collezione. 
Antonio  da  S.  Gallo,  V,  503. 
Apollonio  di   Tiro,  V,  494. 
Arbitrato   pontificio   nel   sec.    XVI, 

V,  469. 

Architetti  della  Svizzera  italiana,  V, 
471  ;  —  del  Rinascimento,  V,  497. 

Architettura  :  Arco  acuto,  VI,  445. 

Archivi:  Vaticano,  V,  468;  —  Pon- 
tificio, VI,  468;  —  Lingunggio  ar- 
chivistico, VI,  444. 

Arcimboldi  G.,  V,  471. 

Arcoleo  G.,  VI,  447,  459. 

Aretino  L.,  V,  470. 

Aretino  P.,  VI,  444,  460. 

Arila  C,  V,  479;  VI,  451,  452. 

Arlotto  (Piovano),  V,  479;  VI,  461. 

Armellini  M.,  VI,  455. 

Armi  proibite,  V,  478. 

Arnaldo  da  Brescia,  VI,  469. 

Arnolfo  di  Lapo,  V,  503. 

Arrighi  (M.  di  Matteo),  VI,  443. 

Arti ,  VI ,  464  ;  —  in  Toscana  e  in 
Napoli  nel  sec.  XII,  VI,  458  ;  — 
in  S.  Vitale  delle  Carpinete ,  V, 
486;  —  Relazioni  artistiche  tra 
Milano   e   Ferrara   nel    sec.  XVI, 

VI,  443. 

Artisti  ;  svizzeri  in  Roma,  V,  473  ; 
VI,  446;  —  fiamminghi  e  tedeschi 
in  Italia,  VI,  464;  —  Carteggio  di 
artisti,  V,  470. 

Asquerino,  VI,  474. 

Astori  A.,  V,  490;  VI,  456. 

Avvenimenti  faceti,  v.  Anonimo  Si- 
ciliano. 

Avoli  A.,  V,  486. 

Bacci  0.,  V,  491. 

Baccini  G.,  VI,  461. 

Bacio  negli  sponsali,  VI,  462. 

Bagolino  S.,  Vi,  444. 

Bailo  L.,  V,  479. 

Balan  P.,  V,  487,  500;  VI,  456. 

Balilla,  VI,  446. 

Ballate  e  strambotti  del  sec.  XV,  VI, 

462. 
Ballo  nel  sec.  XVI,  V,  499. 
Balsimelli  F.,  V,  486. 
Balzani  U.,  VI,  442. 


Bandelle  M.,  V,  479. 
Barbiera  R.,  V,  486,  491. 
Baretti  G.,  V,  487  ;  VI,  449,  471. 
Barlaam  e  Giosafat,  VI,  464,  471, 

474. 
Baroni  L.,  VI,  450. 
Bartoli  A.,  V,  4782,  482*. 
Barzelletti  G.,  V,  470,  475,  484. 
Barziza,  padre  e  figlio,  VI,  444. 
Basile  A.,  VI,  449. 
BasUio  (San),  VI,  467. 
Basini  B.,  VI,  472. 
Basso  (A.  da),  V,  4762. 
Battandier  A.,  VI,  463. 
Beatrice   di   Pian   degli   Ontani,  V, 

477,  483;  VI,  458. 
Beccaria  C,  V,  478  ;  VI,  468. 
Becci  ^^,  VI,  461. 
Becker  G.,  VI,  469. 
Belcari  F.,  VI,  453. 
Bclgrano  L.  T.,  V,  484*. 
Belli  G.  G.,  V,  487. 
Bells  I.  T,  VI,  473. 
Bellucci  G.,  V,  478. 
Bellucci  M.  A.,  VI,  461. 
Beltrami  A.,  V,  484. 
Bembo  P.,  V,  488;  VI,  449,  452, 

460,  461. 
Benalio  (B.  di),  VI,  444. 
Benamati  G.,  VI,  451. 
Benci  L.,  VI,  461. 
Bencini  M.,  VI,  447,  453,  461. 
Benedetto  da  Maiano,  VI,  445. 
Benedetto  XIV,  V,  476,  492,  498; 

VI,  455,  471. 
Benvoglienti  U.,  VI,  455. 
Beowulf,  VI,  470. 
Berger  E.,  VI,  463. 
Berlan  F.,  VI,  444. 
Berna  da  Siena,  VI,  473. 
Bernardi  I.,  V,  472. 
Bernardino,  v.  Velardiniello. 
Bernardo  (Cosimo  di),  V,  471. 
Bernardo  da  Parenzo,  VI,  445. 
Bernhardi  W.,  VI,  469. 
Bernini  G.  L.,  V,  493;  VI,  464. 
Berta  e  Milane,  VI,  467. 
Bertacchi  C,  V,  491;  VI,  461. 
Bertolotti  A.,  V,  473,  478,  479*;  VI, 

4452,  446,  451*,  452^ 
Berwin  A.,  V,  476. 
Betteloni  C,  V,  486. 
Bettinelli  S.,  V.,  482. 
Beyschlag,  V,  498. 
Biadego  G.,  V,  491  ;  VI,  444,  461. 
Biadene  L.,  VI,  4623;  463^. 
Bianchi  N.,  V,  502;  VI,  454,  458, 

470. 


INDICE  ANALITICO  DELLO  SPOGLIO 


487 


Bibbia  volgare,  V,  480;  VI,  456. 
BiblioCTafia,  VI,  462,  464,  469;  — 

—  degli  incunaboli,  VI,  451  ;  — 
Giordaniana ,  V  ,  477^  ;  —  Goldo- 
niana, V,  477;  VI,  471;  —  Maf- 
feiana,  V,  480;  VI,  452;  —  storica, 
civile,  artistica,  letteraria,  per  l'an- 
no 1881,  VI,  471  ;  Veneta,  VI,  444»; 

—  Veneziana,  V,  480. 
Bibliographischer  Anzeiger,  V,  495. 
Biblioteca  storica  italiana,  VI,  471. 
Biblioteche  :  Capitolare  di  Verona,  V, 

472;  —  della  Sede  Apostolica,  V, 
493,  494,  490;  —  di  Ferrara,  V, 
491  ;  —  di  Monte  Gassino,  V,  494: 

—  Palatina-Vaticana,  VI,  452;  — 
Pontificia,  V,  490;  VI,  468. 

Hindi  E.,  VI,  454. 
Bini  G.,  V,  480. 
Birlinger  A.,  VI,  468. 
Biscia  G.,  VI,  469. 
Bisticci  e  freddure,  VI,  457. 
Blasius  H.,  VI,  469. 
Bobbio  G.,  VI,  454. 
Boccaccio  G.,  V,  475,  488,  501;  VI, 
463,  465,  466  ;  —  Ameto,  VI,  448; 

—  Ser  Ciappelletto,  VI,  463;  — 
Corbaccio,\l,  467;  —  De  man- 
tibus  silvis  etc,  VI,  466-7;  —  De 
casibus  vir.  ili.,  VI,  469. 

Bocchini  D.,  VI,  459.  • 

Bode  W.,  V,  500. 

Boglino  B.  L.,  VI,  443. 

Bojardo  M.  M.,  VI,  473. 

Bollandisti,  VI,  466. 

Bologna,  V,  473. 

Bologna  P.,  V,  479. 

Bonaparte  P.,  V,  4832. 

Bonaventura  da  Benevento,  VI,  443. 

Bonghi  R.,  V,  489,  475,  480,  487; 

VI,  469. 
Bongi  S.,  V,  4n\  479. 
Bongiovanni  (Fra),  V,  492. 
Boni  S.,  VI,  454. 
Bonofino  M.,  VI,  444. 
Bonvecchiato  E.,  VI,  457. 
Borghese  C,  V,  483. 
Borgia  C,  VI,  465. 
Borgia  L.,  VI,  460. 
Borgognoni  A.,  V,  482,  483»,  488; 

VI,  460. 
Boriski  C.,  VI,  472. 
Bosone  da  Gubbio,  V,  482,  487;  VI, 

447,  455. 
Bossola  A.,  VI,  448. 
Botta  G.,  V,  476  ;  VI,  449. 
Botticelli  S.,  V,  470,  475,  479,  483, 

493. 


Bovo  cTAntona,  in  nuso,  V,  497. 

Boyer,  V,  502. 

Boyer  d'Agen,  A.  J.,  VI,  466. 

Bozzelli  A.,  V,  476. 

Bracci  B.,  VI,  443. 

Bradley  I.  W„  VI,  474. 

Braggio  C,  V,  478  ;  VI,  450. 

Braghirolli  W.,  V,  492. 

Bramante,  V,  473. 

Brandes  H.,  V,  498. 

Brandi  A.,  V,  492. 

Braunholz  E.,  VI,  471. 

Brescia  (Satira  contro)  VI,  446. 

Bresslau  H.,  V,  498,  501. 

Brieger  Th.,  V,  500. 

Brilli  U.,  V,  484. 

Briquet  G.  M.,  V,  470. 

Broccoli  A.,  VI,  458». 

Brosch  M.,  V,  500». 

Bruni  L.,  VI,  467,  v.  Aretino  L. 

Bruno  G.,  V,  482,  483,  491,  497; 

VI,  445,  453*,  470. 
Bruscelli,  V,  483. 
Bruzzone  P.,  VI,  448. 
Buffoni,  VI,  448,  452. 
Buonafede  A.,  V,  482. 
Buonarroti  M.,  V.,  501,  502;  VI,  470, 

471. 
Burchard  G.,  V,  496. 
Burlamacchi  (Congiura  del),  V,  483. 
Burnand,  VI,  474. 
Busone  da  Gubbio,  v.  Bosone. 

Caccianiga  A.,  V,  486. 

Caccini  Signorini  F.,  V,  475. 

Cadamosto  A.,  VI,  474. 

Caffè  (Poesie  sul),  V,  484. 

Caffi  M.,  V,  471  ;  VI,  445,  451. 

Calco  T.,  V,  473. 

Caldera  P.,  VI,  450. 

Calvino  G.,  VI,  442,  447. 

Calzi  C,  V,  491. 

Cammelli  A.,  V,  492. 

Canello  U.  A.,  V,  500;  VI,  466. 

Canetta  C  ,  V,  474. 

Cantalamessa  G.,  VI,  458. 

Cantalupi  A.,  VI,  449. 

Cantù  d,  VI,  468. 

Canzonetta  per  la  spedizione  sarda  a 

Tripoli  nel  1833,  V,  477. 
Canzonette  antiche,  V.  491,  5(X). 
Capasse  B.,  V,  476,  500. 
Capasso  G.,  VI,  453.i 
Capcasa  M.,  VI,  444. 
Capobianchi  V.,  VI,  447. 
Cappelli  A.,  V,  492. 
Capponi  G.,  V,  485,  502;  VI,  448. 
Garavelli  V.,  VI,  447. 


488 


INDICE  ANALITICO  DELLO  SPOGLIO 


Carbonari,  VI,  455. 

Garbonelli  G.,  VI,  449. 

Garcano  G.,  V,  487. 

Carducci  G.,  V,  483,  488,  489. 

Carlo  Lodovico  di  Borbone,  VI,  454. 

Carmina  Buratta,  V,  503. 

Garnecchia  F.  G.,  VI,  462. 

Carnesecchi  P.,  VI,  473. 

Carnevale  in  Sicilia,  V,  484. 

Caro  A.,  V,  477»,  484'.  V.  Longo  So- 
fista  ;  Virgilio. 

Carpaccio  V.,  V,  485  ;  VI,  454,  473. 

Carrière  M.,  V,  497. 

Carta  di  cotone  e  di  lino,  V,  470; 
—  Fabbricazione  di  essa,  VI,  444. 

Carta  F.,  VI,  463. 

Carteggio  d' una  gentildonna  vero- 
nese, VI,  444. 

Casalin  D.,  VI,  456. 

Casanova  G.,  V,  475«;  VI,  454. 

Casassagia  B.,  VI,  465. 

Casertano  A.,  VI,  459. 

Casini  T.,  V,  480',  4913;  VI,  4613, 
4627,  465,  466. 

Cassani  G.,  V,  492. 

Castagna  N.,  V,  490;  VI,  455. 

Castelli  G.,  VI,  458. 

Castellini  C,  V,  477. 

Castets  F.,  V,  495. 

Casti  G.  B.,  VI,  450. 

Castiglione  B.,  VI,  472. 

Catalogi  antiqui,  VI,  469. 

Catalogo  Landau,  VI,  462,  469. 

Cattaneo  G.  C,  V,  477, 

Cattellacci  D.,  V,  490;  VI,  455,  456. 

Caterina  (S.)  da  Siena,  V,  479 ,  489. 

Cavalca  D.,  VI,  452. 

Cavalcanti  G.,  VI,  454,  462. 

Cavalcasene  G.  B.,  V,  500;  VI,  443, 
473,  474. 

Cavalli  F.,  VI,  445. 

Cavallucci  I.,  VI,  472. 

Caviceo  I.,  VI,  450. 

Cavour  C,  V,  500^,  502;  VI,  468, 
469. 

Gecchetti  B.,  V,  472  ;  VI,  4445. 

Cecco  d'Ascoli,  VI,  461. 

Cellini  B.,  V,  488  ;  VI,  457,  462,  464. 

Ceresole  V.,  V,  494. 

Gerruti  P.,  VI,  451. 

Ceruti  D.,  V,  470. 

Cesari  d'Arpino  G.,  VI,  445. 

Cesariano,  VI,  466. 

Chabaneau  C.,  V,  495;  VI,  465. 

Ghamard  F.,  VI,  466. 

Chatelain  VI,  465. 

Cherubini  G.,  VI,  447. 

Cheyne  T.  K.,  VI,  473. 


Ghiappelli  L.,  V,  470;  VI,  470. 

Chiarini  G.,  V,  484,  488  ;  VI,  454, 
460. 

Chirtani  L.,  V,  485. 

Ciai  (G.  di  Bartolomeo),  VI,  443. 

Giampoli  D.,  VI,  442. 

Giampolini  E.,  V,  482. 

Gian  V.,  VI,  452,  462. 

Ciccarelli  G.  B.,  V,  477. 

Cicceide  (La),  V,  483. 

Cicerchia  N.,  V,  475,  v.  Anonimi: 
Passione  e  Risurrezione. 

Cicerone  :  Tusculane,  traduz.  in  ita- 
liano, VI,  467;  —  Codice  fioren- 
tino delle  Epistole,  VI,  471. 

Cielo  dal  Gamo,  V,  480. 

Gimarosa  D.,  VI,  449. 

Cimbali  E.,  VI,  454. 

Gino  da  Pistoia,  V,  491  ;  VI,  462,. 
470. 

Cinti  delli  Fabrizii  A.,  VI,  459. 

Gioni  G.,  VI,  447. 

Cipolla  C,  V,  490,  498;  VI,  441, 
455,  471». 

Cipolla  F.,  V,  487,  498;  VI,  441. 

Gircignani,  VI,  445. 

Giulio  d'Alcamo,  v.  Cielo  d.  G. 

Glaretta  G.,  VI,  448. 

Claricini  (N.  de'),  V,  478. 

Clédat  L.,  VI,  463. 

Clemente  V,  VI,  470. 

Clemente  VI,  VI,  470. 

Clemente  VII,  V,  487;  VI,  456. 

Godici  :  Ashbumham,  V,  471,  479, 
494,  501;  VI,  444  ;  —  della  Biblio- 
teca Civica  di  Ferrara,  V,  491  ; 
VI,  469;  —  della  Nazionale  di 
Napoli,  VI,  452;  —  di  Monte 
Cassino,  V,  4934;  VI,  464;  di 
S.  Francesco  in  Assisi ,  VI,  468  ; 
—  Folignati  nella  Collezione  Ash- 
burnh. ,  V,  481;  —  Trivulziani, 
VI,  462,  463,  469  ;  —  Vaticani,  V, 
494  ;  —  Provenzali ,  V,  495  ;  — 
miniati,  VI,  458;  —  del  Quattro- 
cento, con  ricordi  autografi  di  L.  da 
Vinci,  V,  470;  —  dati  in  pegno, 
V,  479. 

Coen  A.,  VI,  467. 

Cola  di  Rienzo,  VI,  442,  447,  455, 
462. 

Colagrosso  F.,  VI,  461. 

Colletta,  P.,  V,  500. 

Collezione  Antonelliana,  V,  478. 

Colline  G.,  VI,  4615. 

Colombini  G.,  VI,  453. 

Colonna  G.,  VI,  442. 

Colonna  L.,  VI,  442. 


INDICE   ANALITICO  DELLO  SPOGLIO 


489 


Colonna  V.,  V,  492. 

Combi  C,  V,  477. 

Comici,  VI,  474;  —  Accesi  e  Fedeli, 

V,  484;  —  Gelosi,  VI,  448,  468. 
Comines  (Ph.  de),  VI,  463. 
Commedia  dell'arte,  VI,  462. 
Commedia  di  diece  Vergette ,  V,  494, 
Compagni  D.,  V,  501. 

Comuni   tedeschi  (I   XIII)  veronesi, 

VI,  441. 

Concilio  di  Trento,  VI,  465. 

Congresso  storico  di  Torino,  VI,  454, 

463. 
Constitutiones   Marchine   Anconita- 
nae,  V,  471. 

Conti  G.,  VI,  455. 

Contrizione  (Atto  di)  in  rima,  VI,  453. 

Controversia  religiosa,  VI,  451*. 

Conwav  W.  M.,  V,  502, 

Corazzmi  G.  0.,  VI,  462. 

Corbinelli  I.,  VI,  462. 

Corilla  Olimpica,  V,  482. 

Corio  B.,  V,  473. 

Corio  L.,  VI,  457. 

Corneille  P.,  VI,  473. 

Corradi  A.,  V,  477;  VI,  Ui\ 

Cortigiane  :  in  Mantova,  VI,  452  ;  — 
nel  Cinquecento,  VI,  459. 

Corycinna,  VI,  472. 

Cosentino  G.,  VI,  443. 

Costa  E.,  V,  488  ;  VI,  "459. 

Costantino  Magno  (Leggenda  di),  VI, 
467. 

Costumi,  V.  Usi  e  costumi. 

Cottignola  (Satira  contro),  VI,  446. 

Coulanges  (Marchese  di),  VI,  447. 

Couperus,  V,  503. 

Courajd,  V,  497. 

Courier  P.  L.,  VI,  458. 

Crane  T.  F.,  V,  499  ;  VI,  462. 

Credenze  popolari  :  La  caccia  agli 
astri,  VL  459. 

Cremona  :  Scrittori  e  miniatori  cre- 
monesi nel  sec.  XV,  V,  479*. 

Crescimbeni  G.  M,,-  V,  475. 

Crescini  V.,  V,  491  ;  VI,  461. 

Cristina  di  Svezia,  VI,  474. 

Cristini  V.,  V,  477. 

Critica  (Antologia),  V,  493. 

Critici  ed  eruditi  del  sec.  XVIII,  V, 
4873. 

Croce  B.,  VI,  450^. 

Cronache:  aquilana,  VI,  453;  —  bo- 
lognesi, VI,  446,  462;  —  di  Fo- 
ligno, VI,  443;  —  di  S.  Stefano 
ad  Rivum  Maris ,  VI,  443  ;  —  ve- 
neta   VI    444 

Crowe  G.  A..  V,  500  ;  VI, 443, 473,  474.  | 


Crudeli  T,,  V,  495, 
Cuccagna  (Paese  di),  V,  485. 
Cuccugnai,  V,  481, 
Cugnoni  G,,  V,  487. 
Curtoni  Verza  S.,  VI,  456. 
Cuturi  T.,  V,  492. 

Dafni  e  Cloe,  V,  484.  V.  Longo  So- 
nata. 
Dall'Acqua  Giusti,  VI,  445. 
D'Ancona  A,,  V,  475;  VL  448,  460, 

462, 
Dante,  v.  Alighieri, 
Danza  macabra,  V,  479, 

Da  Pizzano  Cristina,  V,  487, 

D'Aragona  T.,  V,  491. 

Darchini  G.,  V,  480. 

D'Arco  N.,  V,  472,  479, 

D'Arvert  F.,  VI,  466. 

Davari  S.,  V,  492, 

Davila,  VI,  456,  457, 

Da  Vinci  L.,V,  474,492,493,495, 498, 
501,  503;  VI,  469,  472,  473,  474. 

D'Azeglio  (Marchesa),  VI,  466. 

D'Azeglio  M.,  V,  484  :  VI,  470. 

De  Accoltis  B.,  V,  501. 

De'  Bardi  Dea,  VI,  459. 

De  Biase  S.,  V,  485. 

De  casu  Cesenae,  V,  471. 

De  Chantelou  M.,  VI,  464, 

De  Comitibus  S,,  VI,  453, 

De'  Conti  G,,  VI,  442, 

Decurtins  G,,  V,  495,  502;  VI,  485, 
473. 

De  Domo  U.,  V,.  486, 

De  Gourmont,  VI,  466, 

De  Gregorio,  VI,  441, 

De  Gubernatis  A.,  V,  498;  VI,  469, 

Dei  B,,  V,  478. 

Dejob  C,  VI,  465. 

De  la  Salle  B.,  V,  495. 

Del  Badia  I.,  VI,  455. 

Del  Carlo  T.,  V,  487«  ;  VI,  456». 

De  r  Espinois  H.,  V,  496. 

Delisle  L.,  VI,  463*. 

Dell' Anguillara  A.,  VI,  451. 

Della  Porta  G,  B.,  VI,  458. 

Della  Robbia  (I),  VI,  472, 

Delle  Colonne  G„  V,  499. 

Delle  Vigne  P.,  VI,  452. 

Del  Lungo  I..  V,  489;  VI,  462. 

Del  Prete  L.,  V,  480. 

De  Marchi  E.,  V,  486;  VI,  457, 

De  Mayol  de  Lupe,  V,  494. 

De'  Medici  Margherita,  V,  490. 

Demonio  nelle  novelle  popolari,  VI, 
450. 

De  Montaiglon  A.,  V.,  493. 


Giornale  storico,  VI,  fase.  18. 


SS 


490 


INDICE  ANAIJTICO  DELLO  SPOGLIO 


Denifle  H.,  VI,  468,  469. 

De  Nimal  H.,  VI,  466. 

De  Nino  A.,  V,  485;  VI,  445,  453, 
456,  457,  462. 

De  Nolhac  P.,  V,  494;  VI,  4652. 

Deputazione  di  storia  patria  di  To- 
rino, VI,  470. 

De  Rossi  G.  B.,  V,  490,  493,  494. 

De  Saint  Ours  L.,  V,  496  ;  VI,  466. 

De  Sanctis  F.,  VI,  458. 

Desdouits  Th.,  V,  483;  VI,  453. 

De  Serres  B.,  V,  495. 

Desimoni  C,  VI,  442. 

Desjardins  A.,  VI,  468. 

D'Éste  I.,  V,  492. 

Develay  V.,  VI,  464. 

Devote  meditatione  sopra  la  Pas- 
sione di  N.  S.,  \l,  464. 

Dialetti:  bresciano,  VI,  465;  —  Gallo- 
italici di  Sicilia,  VI,  4412;  —  ge- 
novese, VI,  441,  450;  —  lonibarao, 
VI,  4672 .  _  romano.  V,  502  ;  — 
siciliano,  VI,  443;  —  ticinesi,  VI, 
446  ;  —  di  Veglia,  V,  469.  —  Vedi 
Letteratura  dialettale. 

Dialoffus  creattcrarum,  VI,  174. 

Diario  napolitano,  V,  471. 

Di  Cagno  Politi  N.,  VI,  461. 

Di  Cesare  G.,  V,  490;  VI,  455. 

Diehl  Ch.,  V,  493,  494. 

Di  Giovanni  V.,  V,  480;  VI,  441,  452. 

Di  Montaldo  G.,  V,  484. 

Dittrich  F.,  V,  499. 

Dogaresse,  VI,  474. 

Domenico  da  Moutechiello,  V,  452. 

Domeniconi,  VI,  457. 

Donatello,  VI,  469. 

Donatz  proensals,  VI,  462,  463. 

Donne  :  negli  statuti  della  repubblica 
di  Sassari,  VI,  449;  —  nella  storia 
di  Firenze,  V,  496:  —  del  sec.  XV, 
V,  478  ;  VI,  450.  V.  Letterate. 

Doria  P.,  VI,  473. 

Doria  S.,  VI,  473. 

D'Ovidio  F.,  V,  472,  473,  474»,  482, 
486;  VI,  457. 

Dragonetti  L.,  V,  489,  4903. 

Dramma  pastorale  in  Francia,  VI, 
471. 

Drammi  di  Natale  in  Sicilia,  VI,  470. 

Dreser  W.,  VI,  473. 

Dudizio  Sbardellato  A.,  V,  472. 

Dufour  T.,  VI,  470. 

Dumeril,  VI,  463. 

Dùmmler  E.,  VI,  471. 

Dumur  F.,  VI,  464. 

Durrieu  P.,  V,  495  ;  VI,  465. 


Ebering  E.,  V,  495. 

Ebrei:    a  Mantova,  V,  492;  —  nel 

ducato  di  Milano ,  VI,  460  ;  —  in 

Italia,  VI,  4683. 
Ebreo  di  Venezia,  V,  497. 
Ebreo  Errante,  V,  497. 
Ehrle,  VI,  4682. 
Eilert  Loeseth,  VI,  468. 
Elio  Donato,  VI,  462. 
EUinger,  V,  499. 
Enzo  (Re)  VI,  469. 
Ephrussi  Gh.,  VI,  464. 
Epigramma  latino,  V,  502. 
Epopea:  carolingia  nell'Umbria,  VI, 

462;  —  cavalleresca   italiana,  V, 

495;  —  del  Rinascimento,  VI,  472; 

—  francese,  VI,  467  ;  —  in  Italia, 

VI,  457. 
Equicola  M.,  VI,  454. 
Ercole  P.,  VI,  454,  462. 
Erler  L.,  VI,  468. 
Ettari  F.,  V,  478,  491,  501. 
Eucken,  VI,  473. 
Evangelium  aeternum,  VI,  468. 
E  vola  F.,  V,  478,  479;  VI,  4513. 

Fabriczy  C  v.,  VI,  4722. 

Fabris  C,  VI,  455. 

Faelli  E.,  V.  4772,  479,  482,  484;  — 

VI,  4512,  4542. 
Fagiuoli  G.  B.,  VI,  447,  453,  461. 
Faidit  U.,  VI,  463. 
Falletti  Fossati  C,  VI,  462. 
Faloci   Pulignani  M.,  V,  471,  4816; 

VI,  443,  4532. 
Falorsi  G.,  V,  490». 
Fantoni  G.,  VI,  457. 
Farnese  A.,  V,  490  ;  VI,  456. 
Farnese  0.,  V,  490. 
Farse  rusticali,  V,  477. 
Fatti  (I)  di  Cesare,  VI,  466. 
Favole  nel  medio  evo,  VI,  473. 
Faytinelli  (P.  de'),  V,  480,  491. 
Fea  P.,  V,  490  ;  VI,  454. 
Federico  da  Montefeltro,  VI,  443. 
Fernandez  de  Cordova  F.,  V,  500. 
Femio  B.,  V,  471. 
Ferrai  L.  A.,  V,  470;  VI,  442,  445, 

462. 
Ferrari  F.  B.,  VI,  451. 
Ferrari  G.,  VI,  457. 
Ferrari  S.,  V,  492. 
Ferrerò  E.,  V,  470. 
Ferretti  M.,  V,  479. 
Ferreto  da  Vicenza,  VI,  462,  469. 
Ferrieri  P.,  VI,  462. 
Feste,  VI,  445;  —  in  S.  Marco  nel 

sec.  XVI,  VI,  448. 


INDICE  ANALITICO  DELLO  SFOGLIO 


491 


Filelfo  F.,  VI,  iU. 

Finamore  G.,  VI,  442. 

Finigucrri  T.,  V,  485,  491. 

Finzi  G.,  VI,  461. 

Fiore  e  Biancofiore,  VI,  470,  472. 

Fiorentino  F.,  V,  482*  ;  VI,  4;?0,  4583, 

459. 
Fiorenzo  di  Lorenzo,  V,  502. 
Firenze  (Amministrazione  della  giu- 
stizia  in) ,    V ,   470  ;   —    Mercato 

Vecchio,  VI,  457. 
Firenzuola  A.,  VI,  451. 
Fischer  F.,  V,  501. 
Flagellanti  del  1439,  V,  499. 
Flechia  G.,  VI,  441. 
Flint  R.,  V,  494,  495. 
Folengo  T.,  V,  472,  496. 
Foligno,  V,  481.  V.  Usi  e  costumi. 
Fontana  B.,  V,  442. 
Fornaciari  R.,  V,  487. 
Fornioni  T.,  VI,  447. 
Forteguerri  N.,  V,  483. 
Fortoul,  VI,  465. 
Foscarini  P.  A.,  V,  477. 
Foscolo  U.,  V,  474,  476,  480,  481, 

482,  4842,  4852,  436,  438,  490,  498; 

VI,  459. 
Fracassetti  G.,  VI,  457». 
Francesca  de  Barberino,  VI,  465. 
Francesco  (S.)  d'Assisi,  V,  471,  478, 

487,  493,  494,  496  ;  VI,  469. 
Franchi  L.,  VI,  451. 
Franciosi  G.,  VI,  459. 
Francke  G.,  VI,  470,  478,  491^  ;  VI, 

443. 
Frati  L.,  V,  501. 
Frescobaldi  D.,  VI,  462. 
Frey  G.,  V,  480,  498;  VI,  469,  471*. 
Frezzi  F.,  V,  481. 
Friniatus,  V,  477. 
Frizzoni  G.,  VI,  445. 
Froning  R.,  V,  499;  VI,  471. 
Frothingam  A.  L.,  V,  503. 
Fucini  R.,  V,  4832. 
Fulin  R.,  VI,  470. 
Fumagalli  G.,  V,  477. 

Gabotto  F.,  VI,  449 

Gabrielli  C.,  VI,  450. 

Gagliuffi  (G.  de'),  VI,  451. 

Gagno,  V,  485. 

Gaiter  L.,  V,  480;  VI,  452,  453. 

Galfredo,  VI,  473. 

Galiani  F.,  V,  478  ;  VI,  458. 

Gallerie:  Estense,  V,  486;  —  di  To- 
rino, V,  496;  —  di  Fulvio  Orsini, 
V,  497. 

Garibaldi  G.,  V,  484. 


Gaspary  A.,  V,  498,  500»;  VI,  468. 

Gaster  M.,  VI,  465,  467. 

Gattilusio  L.,  VI,  473. 

Gattini  G.,  V,  488. 

Gaye,  V,  470. 

Gazzetta   enciclopedica  di   Afilano, 

VI,  457. 
Gebhart  E.,  VI,  465. 
Geiger  L.,  V,  501  ;  VI,  469,  472». 
Gentile  da  Foligno,  V,  481. 
Gelli  G.  B.,  V,  480. 
Gennarelli  A.,  V,  479. 
Gennari  G.,  VI,  442. 
Genova:   Poesie  storiche  genovesi, 

VI,  446;  —  Vita  privata,  V,  478. 
Geremia  da  Montagnone,  VI,  442. 
Gerini  G.  B.,  V,  478. 
Geronta  (II)  sebezio,  VI,  450. 
Gervasio,  V,  477. 
Gerunzi  E.,  V,  480,  491. 
Gesuiti,  VI,  454. 
Gherardi  A.,  V,  470»;  VI,  462. 
Ghinzoni  P.,  V,  471. 
Ghirardi  G.,  VI,  457. 
Giacometti  P.,  V,  477. 
Gianandrea  A.,  V,  471  ;  VI,  451. 
Gianni  L.,  V,  479. 
Giannotti  D.,  VI,  445. 
Giardini  del  Rinascimento,  VI,  469. 
Giberti  G.  M.,  VI,  445. 
Gigli  G.,  V,  475. 
Gilbert  de  Winkels  F.,  V,  486;  VI, 

459. 
Gilbert  J.,  V,  502. 
Gira,  V,  477«. 
Ginnetti  G.,  VI,  445. 
Gioachinismo,  VI,  473. 
Giol)erti  V.,  VI,  456,  458. 
Giolito  G.,  V,  479. 
Gioi-dani  P.,  V,  477,  483,  487«,  488, 

492;  VI,   456,   457,   459,   460.  — 

V.  Bibliografia. 
Giotto,  VI,  471*. 
Giovanni  prete,  VI,  446,  462. 
Giovio  P.,  VI,  445,  461. 
Giraldi  E.,  V,  491. 
Gissi  P.,  V,  477. 
Giuliani  G.  B.,  VI,  470. 
Giuliano  da  Riraini,  V,  483. 
Giullari  G.  B.  C.,  V,  472«,  477,  480, 

500  ;  VI,  452,  453,  461. 
Giurisprudenza,  sue  attinenze  con  la 

letteratura,  V,  490. 
Giusto  da  Aquila,  VI,  453. 
Glissenti  F.,  V,  479. 
Gloria  A.,  V,  473,  488,  492;  VI,  442, 

452,  457«,  461. 
Gnoli  D.,  VI,  447. 


492 


INDICE   ANALITICO   DELLO   SPOGLIO 


Goldoni  C,  V,  484,  489;  VI,  455.  — 

V.  Bibliografia. 
Goliardi,  V.  503. 
Gonzaga  F.,  V,  492  ;  VI,  448. 
Gonzaga  I.,  VI,  448,  452. 
Goritz  G.,  VI,  472. 
Gòtke  V.,  VI,  453,  461. 
Gotti  A.,  V,  490  ;  VI,  455,  4572. 
Gottlob  A.,  V,  500  ;  VI,  470. 
Gouse  L.,  V,  493. 
Gozzi  C,  V,  475,  483,  486,  491;  VI, 

447,  448,  474*. 
Gradenigo  G.,  V,  478. 
Graf  A.,  V,  482,  483,  488,  496;  VI, 

457. 
Grassi  G.  VI,  449. 
Gravina  G.  V.,  VI,  447. 
Gravisi  A.,  VI,  446. 
Grazzini  A.  F.,  v.  Lasca. 
Gregorio  VI,  VI,  462. 
Grill  G.,  VI,  473. 
Grimaldi  L.,  VI,  473. 
Grimm  H.,  V,  501  ;  VI,  469,  4712. 
Grion  G.,  VI,  470. 
Gròber  G.,  V,  497  ;  VI,  468. 
Grossi  T.,  V,  481. 
Grosso  G.  B.,  V,  490. 
Grottanelli  L.,  VI,  455. 
Gualtiero  da  Caltagirone,  VI,  444. 
Guardione  F.,  V,  480,  486;  VI,  456. 
Guarino  da  Verona,  V,  491,  501;  VI, 

471. 
Guasconi  in  Italia,  V,  495;  VI,  465. 
Guasti  G.,  VI,  444,  456. 
Guerrazzi  D.,  V,  475,  4832,  484,  489. 
Guerrini  0.,  V,  475,  476  ;  VI,  454. 
Guglielmo  di  Durfort,  V,  489. 
Guglielmo  Ebreo,  V,  476. 
Guicciardini  F.,  VI,  445. 
Guido  Aretino,  V,  492. 
Guinizelli  G.,  VI,  462. 
Guiscardi  R.,  VI,  458. 
Guzman  N.,  VI,  467. 

Hàbler,  V,  500. 
Hagen  H.,  V,  501. 
Halfmann  R.,  V.  501. 
Hartwig  0.,  V,  498. 
Haupt,  VI,  473. 
Hauréau  B.,  V,  493  ;  VI,  464^. 
Hausknecht  E.,  VI,  470. 
Heiss  A.,  VI,  464,  472. 
Helfert  J.  A.  v.,  V,  500*. 
Heller  H.  J.,  VI,  473. 
Henry  Ch.,  V,  495. 
Herzog  H.,  VI,  472. 
HiUebrand  G.,  V,  470. 
Hoffmann  F.,  VI,  470. 


Holthauser  F.,  V,  499. 
Holtzinger  H.,  VI,  472. 
Huffer  M.  P.,  V,  495. 
Hugonnet  L.,  VI,  464. 
Hùltig  0.,  VI,  469. 

Imbriani  V.,  V,  478  ;  VI,  450',  458, 
4593. 

Impero  e  Curia  negli  anni  1558-1620, 
V,  500. 

Incisioni  italiane  del  sec.  XV,  VI, 
469. 

Indice  dei  libri  proibiti,  VI,  470. 

Innocenzo  III,  V,  494;  VI,  463. 

Inquisizione  in  Italia,  VI,  473. 

Intra  G.  B.,  V,  471. 

Iscrizione  di  Lantelmo,  V,  471. 

Istria,  VI,  446. 

Italia  :  sul  finire  del  1584,  V,  471  ; 
—  Cultura  e  storia  dell'arte,  VI, 
470;  —  Storia,  VI,  466.  —  V.  Ar- 
tisti, Guasconi,  Inquisizione. 

Ivanovich  C,  V,  475. 

Ive  A.,  V,  469. 

Jacobi  F.,  V,  487.      . 

Jacopone  da  Todi,  V,  475,  480;  VI, 

452,  453. 
Jagió  V.,  V,  497. 
Jaia  D.,  V,  482. 
Jakobsbruder,  VI,  468. 
Joannis  de  Monsterolio,  VI,  465. 
Jomelli  N.,  VI,  448. 
Jonata   M.,  V,  477,  478,  491,  501  ; 

VI,  459. 
Joret  Gh.,  VI,  4652,  471. 
Jorìin  V.,  VI,  458. 
Jungmann,  V,  502. 
Jura  Regum  Aragonensium,  V,  496. 

Kalilah  e  Dimnah,  VI,  470, 

Kaufmann  A.,  V,  499. 

Kaiser  V.,  V,  502. 

Kayser  F.,  V,  500;  VI,  468. 

Keith-Falconer  .1.  G.  N.,  VI,  470. 

Keller  A.,  VI,  471. 

Kellner  L.,  V,  497. 

Kern  F.,  V,  500. 

Kerviler  L.,  VI,  465. 

Kienle,  VI,  472. 

Klaczko  G.,  VI,  468. 

Klemming  G.  E.,  VI,  474. 

Koch  J.,  V,  503  ;  VI,  471,  472. 

Kòlbing  E.,  VI,  470. 

Kòppel  E.,  VI,  469. 

Kòrting  G.,  V,  498  ;  VI,  469,  470. 


INDICE  ANALITICO  DELLO  SPOGLIO 


403 


Kraus  F.  S.,  V,  478,  492,  498«  ;  VI, 

456,  469,  471. 
Krebs  H.,  V,  502  ;  VI,  473. 
Krugcr  Th.,  VI,  470. 

Labruzzi  F.,  V,  487;  VI,  456»,  457«. 
Ladino,  V.  469,  495,  502;  VI,  441», 

465,  467,  473. 
Lalanne  L.,  V,  493. 

Lamma  E.,  V,  479;   VI,  452,  453, 

462. 
Lampertico  F.,  VI,  457. 
Land!  0.,  VI,  461. 
Landi  P.,  VI,  461. 
Lang  Vi.,  V,  500;  VI,  470. 
Lanza  V,  494. 
Lasca  VI   451 
Latini  B.'  V,  470,  481;  VI,  455,  462, 

466,  468,  471. 
Laue  M.,  VI,  462,  469. 
Lazzarelli  G.,  V,  483,  484. 
Legenda  aurea,  VI,  468. 
Leggende  :  di  S.  Ansano,  VI,  4.56,  — 

dei  SS.  Gerbone  e  Regolo,  VI,  456; 
di  S.  Marziale,  VI,  456;  —  di 
S.  Mattiola,  VI,  456;  —  varie  fran- 
cesi, VI,  464  ;  —  senesi,  v.  Siena. 

Le  Monnier  F.,  V,  490. 

Lenzoni  A.,  V,  475,  476. 

Leopardi  G.,  V,  473,  474,  478^,  479, 
480,  4862,  503;  VI, -447,  448,  449, 
451,  453,  454,  456,  457»,  459. 

Leopardi  M.,  V,  478,  479;  VI,  456. 

Letterate  del  Cinquecento ,   VI,  448. 

Letteratura  dialettale  :  siciliana,  VI , 
441;  —  Villanelle  in  dialetto  na- 
poletano, V,  477.  —  V.  Dialetti. 

Letteratura  italiana:  nel  sec.  XIX, 
VI,  456;  —  Storia  della  lett.  ital., 
VI,  461,  468. 

Letteratura  popolare,  VI,  450*,  465, 
467;  —  Apologo  di  Menenio  A- 
grippa,  V,  4o9;  —  Giuoco  del  calcio 
in  Pistoia,  V, 469;  —  Madonna  Pol- 
laiola,  V,  459;  —  orma  del  leone 
VI,  467;  —  KpuuTdòia,  VI,  470. 
—  V.  Usi  e  costumi. 

Letteratura  scolastica,  VI,  450. 

Lettere  inedite  di  pontefici,  VI,  464. 

Leveque  Oh.,  V,  493. 

Levy  S.,  V,  497. 

Libri  G.,  VI,  451. 

Libro  chiamato  spine  et  rose,  VI,  453. 

Liebrecht  F.,  VI,  470. 

Lingua  italiana,  VI,  465;  —  sua  ori- 
gine, V,  487:  —  nel  1100,  V,473; 
VI,  442,  452. 

Lingua  latina  in  Italia,  V,  487. 


Lingue  romanze,  V,  497';  VI,  468. 

Linguiti  A.,  V,  480. 

Lionti  F.,  VI,  442. 

Lippmann  0.,  V,  493. 

Lippo,  VI,  462. 

Lo  Forte-Randi  A.,  V,  496. 

Lombardi  E.,  V,  480. 

Longo  Sofista,  V,  482,  484.  —  Vedi 

Dafni  e  Cloe;  Caro  A. 
Loschi  A.,  V,  471. 
Lòwenfeld,  VI,  464. 
Lozzi  C,  VI,  451. 
Lubin  A.,  VI,  469,  452. 
Lucano  in  prosa,  VI,  466. 
Luchini  L.,  V,  479;  VI,  451. 
Luciani  T.,  V,  477. 
Ludwig  H.,  VI,  469. 
Luri  di  Vassano  P.,  VI,  460. 
Lutteri  E.,  V,  472. 
Lutzow  G.  V.,  VI,  472. 
Luzio  A.,  V,  492;  VI,  448. 
Lydgate  G.,  VI,  469. 

Mabellini  A.,  V,  488;  VI,  462. 

Machiavelli  N.,  V,  499;  VI,  445, 
462-3. 

Madruzzo  G.,  V,  472. 

Maffei  S.,  VI,  453,  461.  —  V.  Bi- 
bliografia. 

Magliani  E.,  VI,  448,  449»,  459*. 

Magne  L.,  V,  493. 

Magno  G.,  V,  480. 

Malamani  V.,  V,  491;  VI,  444»,  448, 
449. 

Malfrancese,  v.  Sifilide. 

Mail  E.,  VI,  473. 

Mameli  G.,  V,  484. 

Mamiani  T.,  V,  475,  484;  VI,  451, 
456,  459,  470. 

Mancinelli  A.,  VI,  443. 

Mancini  G.,  V,  470. 

Mandatari  M.,  V,  478. 

Manfredi  M.,  V,  477. 

Manno  A.,  VI,  469,  470. 

Mantovani  D.,  VI,  454,  455. 

Manzini  G.  B.,  V,  484. 

Manzoni  A.,  V,  472,  4T3,  474»,  475», 
476«,  483«,  486*,  487«,  502;  VI,  447, 
449,  455,  456»,  457»,  458,  459»,  461, 
469. 

Mannello  Giudeo,  VI,  453. 

Maramaldo  F.,  VI,  448. 

Marangone  B.,  V,  470. 

Maranzana  F.  U.,  VI,  449. 

Marche,  V,  471. 

Marchesi  V.,  VI,  457. 

Marcolini  F.,  V,  484. 

Maresca  E.,  VI,  450. 


494 


INDICE   ANALITICO  DELLO   SPOGLIO 


Margherita  di  Navarra,  VI,  458. 

Maria  di  Francia,  VI,  473. 

Maria  Stuarda,  VI,  450,  461. 

Mario  J.,  V,  483,  484. 

Marlowe  C,  V,  497. 

Martens  "W.,  V,  498. 

Martin,  V,  498. 

Martinazzoli  A.,  V,  485. 

Martinengo-Gesaresco  E.,  V,  502. 

Martini  A.,  VI,  456. 

Martini  (Cecco  di  Giorgio),  V,  470. 

Martini  G.  B.,  V,  4762. 

Martucci  G.,  V,  489;  VI,  447,  460. 

Maschera  perugina,  V,  474;  —  na- 
poletana, V.  Mbomma. 

Masi  E.,  V,  474,  485,  491;  VI,  447», 
457,  474. 

Massa  C,  V,  491. 

Massarani  T.,  VI,  460. 

Massari  G.,  VI,  458. 

Massolo  P.,  VI,  454. 

Massoni,  VI,  455. 

Matteis  B.,  V,  487. 

Mattiolo  (P.  di),  V,  473. 

Mauri  A.,  VI,  455. 

Mayer  v.  Waldeck,  VI,  453. 

Mazzini  G.,  V,  483,  484;  VI,  454. 

Mazzola,  VI,  473. 

Mbomma  D.  Saverio,  maschera  na- 
poletana, VI,  458. 

Medaglie  (Incisori  di)  del  Rinasci- 
mento, V,  503;  VI,  464,  472. 

Medin  A.,  VI,  443,  448,  461. 

Melani  A.,  VI,  44.5,  454. 

Melchia  G.  A.,  VI,  453. 

Meli  G.,  V,  478. 

Melodramma  giocoso,  V,  476. 

Mercer  W.,  VI,  473. 

Merlo  P.,  V,  481  ;  VI,  454. 

Messale  del  sec.  XII,  VI,  443;  —  del 
sec.  XV,  VI,  463. 

Messori  Roncaglia  G.,  V,  476. 

Mestica  G.,  VI,  456. 

Metastasio  P.,  V,  481,  488;  VI,  473. 

Meyer  K.,  VI,  471,  472. 

Meyer  P.,  VI,  466,  467. 

Meyer  W.,  V,  501;  VI,  469,  471. 

Michel  A.,  V,  493. 

Middleton  J.  H.,  VI,  473. 

Mignini  G.,  462. 

Mikelli  E.,  V,  462,  487. 

Milanesi  G.,  V,  491;  VI,  445. 

Milensio  F.,  VI,  451. 

Milione  (II),  VI,  444. 

Millio,  VI,  466. 

Minghetti  M.,  VI,  445,  454,  458. 

Miniatori:  cremonesi,  VI,  451 2,   — 


V.  Cremona;    —   Glockenton    N., 

VI,  458. 

Miniatura:  in  Milano  nei  secoli  XIII 
e  XIV,  VI,  4432;  —  nei  codici  di 
Virgilio,  V,  494. 

Minoia  M.,  V,  484,  492. 

Minucci  del  Rosso  P.,  V,  490. 

Miola  A.,  V,  490;   VI,  452. 

Miollis,  Generale,  V,  482. 

Mirabella  F.  M.,  VI,  4442. 

Misantropo  Napolitano,  V,  477*. 

Missirini  M.,.V,  477. 

Modi  proverbiali,  VI,  460. 

Modena  L.,  VI,  453. 

Molineri  G.  C,  V,  476. 

Molinier  E.,  VI,  472. 

Molmenti  P.  G.,  V,  485;  VI,  447,  454, 
473,  474. 

Monaci  A.,  VI,  442. 

Monaci  E.,  VI,  468. 

Monete,  VI,  447. 

Mongeri  G.,  VI,  4432. 

Moniglia  G.  A..  V,  476. 

Monkhouse  C,  V,  502;  VI,  474. 

Monnier  M.,  V,  482,  493;  VI,  459, 
465. 

Montanini  A.,  VI,  456. 

Montazio  E.,  VI,  458. 

Montecassino,  V,  478. 

Montesquieu  C,  VI,  459. 

Monteverdi  C,  VI,  464. 

Montgomery  Stuart  J.,  V,  502. 

Monti  A.,  VI,  460,  461. 

Monti  V.,  V,  483,  489,  5012;  yi,  447, 
457,  458. 

Monumenti  :  di  Ravenna,  V,  494;  — 
Loggia  del  Bigallo,  V,  494;  —  Bat- 
tisterio  di  Firenze,  V,  4942,  —  Log- 
gia dei  Lanzi,  V,  498;  —  Decora- 
zioni murali  a  Trecciano,  VI,  445; 

—  Porte  di  S.  Giovanni,  VI,  445; 

—  Canipanile  di  S.  Maria  del  Fiore, 
VI,  455;  —  Oratorio  di  S.  Maria 
della  Tromba,  VI,  457;  —  Santa 
Croce,  VI,  466;  —  San  Paolino  di 
Nola,  VI,  472;  —  Palazzo  Grimani 
in  Venezia ,  VI,  472. 

Moore  E.,  V,  502. 

Morandi  L.,  V,  493;  VI,  460,  4712. 

Morchio  D.,  V,  4772. 

Morel-Fatio  A.,  VI,  466. 

Moretti  C,  VI,  446. 

Morosi,  VI,  441. 

Morpurgo  S.,  V,  4912;  VI,  462*. 

Morsolin  B.,  V,  477»;  VI,  460,463. 

Mosca  E.,  V,  477. 

Motta  E.,  VI,  460. 


INDICE  ANALITICO  DELLO  SPOGLIO 


495 


Movimento   letterario    nel    1884    in 

Italia,  V,  480. 
Muncker  F.,  VI,  471. 
MiJntz  E.,  V,  470,  493,  502  ;  VI,  447, 

4g43  455  472. 

Muratori  l!  A.,  V,  490;  VI,  455, 456. 
Murtola  G.,  V,  479. 
Musica  a  Mantova,  V,  491. 
Musici:  Bartolomeo  Tromboncino,  V, 

492;  —  Marchetto  Cara,  V,  492; 

—  Carlo  di  Launay,  V,  492;  —  G. 

Angelo  Testagrossa,  V,  492;  —  A. 

Baldan,  VI,  457;  —  in  Terra    di 

Bari,  VI,  4613. 
Mussafia  A.,  V,  501;  VI,  467. 
Mussato  A.,  V,  470,  477,  484,  492, 

500. 
Myers  E.,  V,  502. 

Napoleone  I  nella  poesia  popolare  in 

Piemonte,  VI,  448. 
Napoli,  V,  471,  477,  481,  495,  496. 
Nardini  Nespotti  Mospignotti,  VI,455. 
Narducci  E.,  V,  479;  VI,  444. 
Negroni  C,  V,  479^,  480. 
Nelli  G.,  V,  482. 
Neri  A.,  V,  470,  476*,  4772,  489;  VI, 

442,  446,  4482,  449^,  450,  457,  458. 
Nerucci  G.,  V,  469.- 
Neuling,  VI,  468. 
Niccolini  G.  B.,  VI,  444. 
Niccolò  da  Osimo,  VI,  452-3. 
Niccolò  V,  V,  500;  VI,  447,  468. 
Nicolai  N.  M.,  VI,  454. 
Nicoletti  M.  A.,  V,  491. 
Nigra  C,  VI,  4672. 
Nogarola  I.,  VI,  472. 
Nòldeke  Th.,  VI,  470. 
Novati  F.,  V  ,  469 ,  471' ,  474  ,  479, 

4852,  492,  502;  VI,  451. 
Novellino,  VI,  457. 
Novellistica  medievale,  V,  499. 
Nyrop  K.,  VI,  467*. 

Oddoni  G.  B.,  VI,  451. 

Olivetti  Modena,  V,  496. 

Olmo  F.,  VI,  446. 

Onesto  Bolognese,  VI,  462. 

Opera  musicale,  V,  477;  —  buffa,  V, 

477. 
Orlandino,  VI,  467. 
Oro  potabile,  VI,  452. 
Orsi  P.,  V,  472:  VI,  444. 
Otranto,  v.  Studi  storici. 
Ovidio   (Leggenda  di),  V,  485;  VI, 

442,  457,  458. 

Pacini  F.,.VI,  454. 


Pagano  L.,  VI,  452. 
Paglierani  F.,  V,  482;  VI,  462. 
Paleografia  :  latina,  VI,  466;  —  scriU 

tura  bollatica,  VI,  442. 
Palingenio  M.,  V,  485. 
Panizza  A.,  V,  472. 
Pantaleoni,  VI,  470. 
Panzacchi  E.,  V,  475;  VI,  460. 
Paoli  C,  V,  470»,  498;  VI,  463. 
Paolo  V,  V,  487. 
Papaleoni  G.,  V,  491. 
Papa  P.,  VI,  456,  459». 
Paradisi  A.,  V,  471. 
Parini  G.,  V,  491;  VI,  452. 
Paris  G.,  V,  496;  VI,  467,  468. 
Parodi  C.  G.,  VI,  450. 
Parodi  D.  A.,  V,  486;  VI,  457. 
Parodi  E.,  VI,  448. 
Partecipazione  di  morte  nel  sec.  XIV, 

VI,  444. 
Pasanisi  F.,  V,  483. 
Pascal  C,  V,  478. 
Pasolini  C.  G.,  V,  502. 
Pasqualigo  C,  VI,  442. 
Pasqualigo  F.,  VI,  450,  451. 
Passione  (La)  di  Cristo,  V,  475. 
Pastorale  per  nozze  nel  Ì605,  V,  479. 
Pastorali   italisme   del   Cinquecento, 

V,  478. 

Pater  noster  della  monaca,  \\,  449. 

Patrizio  (Purgatorio  di  S.),  M,  441, 
470. 

Paul  H.,  V,  501. 

Paulsen  F.,  VI,  469. 

Paur  Th.,  VI,  468. 

Pellico  S.,  V,  480,  481  ;  VI,  449,  452, 
456,  458. 

Pentolini,  VI,  462. 

Pèrcopo  E.,  V,  480;  VI,  452,  453. 

Perini  0.,  V,  472«. 

Perrens,  V,  495. 

Perrini  P.,  V,  475. 

Perkins  Ch.,  V,  494». 

Perlbach  M.,  VI,  469. 

Perticone  F.,  VI,  444. 

Pesce  Nicola  (Leggenda  di),  VI,  450. 

Petrarca  F.,  V,  4^:  VI,  442,  158, 
461,  465;  —  Africa,  VI,  472;  — 
Breviario  di  lui,  V,  477:  —  Can- 
zone: Italia  mia,  VI,  457^:  —  Can- 
zone: Spirto  gentil,  V,  4S2,  487; 

VI,  455,  462;  —  Epistole,  VI.  464. 
470. 

Patroni  G.,  VI,  461. 
Pflugg-Harttung  W.  A.,  V,  499:  VI, 

471. 
Pfundheller  H.,  VI,  470. 
Physiologus,  VI,  470. 


496 


INDICE   ANALITICO   DELLO   SPOGLIO 


Pica  V.,  VI,  454. 

Picciola  G.,  VI,  454. 

Piccirilli  P.,  VI,  458. 

Piccolomini  E.  S.,  V,  477. 

Picot  E.,  VI,  465. 

Piemonte  :  dal  1802  al  1814,  VI,  457; 

—  dal  1835  al  1861,  466;  —  Storia 
della  monarchia  piemontese ,  VI, 
457-8. 

Pieretti  L.,  VI,  455. 

Piergili  G.,  VI,  451,  460. 

Pierling  P.,  V,  496. 

Piermartini  G.,  V,  487. 

Pietrobono  L.,  VI,  455. 

Pietro  d'Abano,  V,  486. 

Pietro  di  Mattiolo,  VI,  462. 

Pietro  da  Rimini,  V,  483. 

Pietro  da  Trani,  VI,  453. 

Pigorini  Beri  G.,  VI,  460. 

Pindemonte  I.,  VI,  456,  459. 

Pinelli  G.,  VI,  452. 

Pio  VII,  V,  494. 

Piovano  Arlotto,  v.  Arlotto. 

Pipitone  Federico  G.,  VI,  444. 

Pippi  A.,  VI,  455. 

Pisa  assediata,  VI,  462. 

Pisano  N.,  VI,  454. 

Pistoia,  V.  Cammelli. 

Pitini  Piraino  V.,  V,  478. 

Pitrè  G.,  V,  484,  485. 

Pittura:  bizantina  in  Italia,  V,  493: 

—  Dipinti  liturgici  della  cattedrale 
di  Milano,  VI,  472  ;  —  Paesaggio, 
V,  502;  —  Vetri  colorati,  V,  493; 

—  Pittura  in  Piemonte,  V,  496  ;  — 
Affreschi  del  sec.  XIV,  V,  486. 

Piumati  A.,  V,  491;  VI,  461. 

Placucci  M.,  V,  469,  485. 

Plon  E.,  V,  493,  494,  496;  VI,  464. 

Poerio  G.,  VI,  459. 

Poesia  popolare,  V,  472;  — Canti  di 

Recanati,  VI,  448. 
Poesie  latine  del  medio  evo,  A''1, 471. 
Poggi  G.,  VI,  445. 
Poggio  Bracciolini,  VI,  472. 
Poletto  G.,  VI,  4742. 
Poliziano  A.,  V,  487. 
PoUidori  P.,  VI,  443. 
Porro  G.,  VI,  462,  463,  469. 
Porta  C,  V,  484,  491;  VI,  457. 
Porzio  S.,  VI,  458. 
Possevino,  V,  496. 
Pougin,  V,  494. 
Prantl  H.  v.,  V,  501;  VI,  472. 
Prati  G.,  V,  477,  491. 
Prato  S.,  V,  469;  VI,  467. 
Premierfait  (de)  L.,  VI,  469. 
Procacci  G.,  V,  483. 


Promis,  VI,  469. 

Proverbia  super  natura  feminarum, 
VI,  473. 

Proverbi:  in  rima,  VI,  451;  —  vol- 
gari nel  1200,  VI,  442. 

Prudenzo  da  Trani,  VI,  455. 

Pucci  A.,  V,  479;  VI,  462. 

Puccinotti,  V,  486. 

Pulci  L.,  V,  483,  501. 

Qualichino  da  Spoleto,  VI,  468. 
Querno  C,  V,  491. 

Raffaelli  F.,  VI,  451. 

RafTaelli  R.,  V,  471. 

Rambaldo  di  Vaqueiras,  V,  488. 

Ranieri  Biscia  C,  V,  478-9. 

Ranke,  V,  500. 

Rasos  de'  trobar,  VI,  463. 

Rastrelli  M.,  V,  479. 

Rattoni  P.,  VI,  449. 

Ravaisson  Mollien  L. ,  V,  493,  495, 

503. 
Ravenna,  v.  Monumenti. 
Rawdon  Brown,  VI,  442. 
Rayo,  VI,  458. 
Redtenberger  H.,  V,  497. 
Re  Giannino,  VI,  456. 
Regimen  sanitatis,  V,  501. 
Regio  P.,  VI,  450. 
Regole  dei  Frati  Minori,  VI,  453;  — 

di  S.  Francesco,  VI,  453. 
Reimann  M.,  VI,  469. 
Reni  G.,  V,  492. 

Renier  Michiel  G.,  V,  482;  VI,  450. 
Renier  R.,  V,  470,  4773,  484,  492, 

497;  VI,  4502,  453,  454,  455,  457, 

460,  4622,  463,  471. 
Reumont  A.  v.,  V,  4702,  5002;  VI, 

4422,  4703. 
Rezasco  G.  B.,  V,  472,  478. 
Rhys  J.,  V,  502. 
Ricasoli  B.,  VI,  454. 
Ricci  C,  V,  473,  474,  475,  483;  VI, 

446,  462. 
Ricciardi  G.,  V,  477. 
PUcciardi  P.,  VI,  451. 
Richter  J.  P.,  VI,  469,  474. 
Riforma,  VI,  466  ;  —  in  Italia,  V,  498; 

—  cattolica,  V,  498. 
Rime   inedite  di  un   Cinquecentista, 

V.  Strozzi  L. 
Rinascimento,  V,  470,  493,  502;  VI, 

4653,  460,  470,  472. 
Rinuccino,  VI,  462. 
Rip  van  Winkle,  VI,  449. 
Riviello  R.,  V,  488. 
Rivoli  (Due  de),  VI,  464. 


INDICE  ANALITICO  DELLO  SPOGLIO 


41)7 


Rizzio  M.,  V,  497. 

Roberti  G.,  V,  492. 

Roberti  T.,  VI,  455. 

Rediger  F.,  VI,  462. 

Roland,  VI,  471. 

Roma  :  Pianta,  VI,  447  ;  —  nelle  can- 
zoni del  marchese  di  Couiangos , 
VI, 447;  —  nel  sec.  XVII1,V1,454. 

Romani  (L.  de"),  V,  471. 

Romanine,  VI,  447. 

Ronca  U.,  V,  486,  491,  494,  500. 

Rondoni  G.,  V,  490;  VI,  456?,  462. 

Rosa  S.,  V,  502;  VI,  460. 

Roseo  M.,  VI,  445. 

Rosmini  A.,  V,  486,  487»,  498;  VI, 
455,  456. 

Rossi  L.,  V,  476. 

Rousseau  J.  J.  a  Venezia,  V,  494. 

Roux  0.,  V,  474;  VI,  449. 

Ruberto  L.,  V,  4892. 

Rucellai  G.,  VI,  460. 

Rusconi  A.,  V,  471. 

Ruflb  M.,  V,  472. 

Sabbadini  G.,  V,  470. 

Sabbadini  R.,  V,  491,  501;  VI,  471. 

Sabbatini  P.,  V,  490. 

Sailer  L.,  VI,  459. 

Salicolo  M.,  VI,  447. 

Salimbene  (Fra),  VI,  463. 

Salimbeni  G.,  VI,  456. 

Salvador!  A.,  V,  47.t;  VI,  451. 

Salvagnini  F.  A.,  V,  475^;  VI,  457. 

Salvagnoli  Marchetti  G.,  V,  486.    . 

Salviati  L.,  V,  479. 

Salvini  A.  M.,  V,  475,  484. 

Salvioli  G.,  V,  477. 

Salvioni  C.,  V,  469. 

Salvioni  G.,  VI,  44f^. 

Salutati  C.,  V,  471. 

Saluzzo  D.,  VI,  449. 

Samiel,  V,  476. 

Sannazaro  I.,  VI,  458. 

Sànsovino  F.,  V,  478. 

Santi  Mattei  P.,  VI,  451^. 

Sanzio  R.,  V,  500;  VI,  443,  445,  454, 

458,  464,  471,  473,  474;  —  la  For- 

narina,  VI,  464. 
Saragat  G.,  VI,  449. 
Saragat  M.,  VI,  448. 
Sarlo  F.,  V,  491. 
Sarnelli  P.,  VI,  450*. 
Sarpi  P.,  VI,  444«,  454,  463. 
Savigny  F.  G.,  VI,  459. 
Savino  A.,  V,  494. 
Savino  U.,  VI,  459. 
Saviotti  A.,  V,  475;  VI,  450,  454. 
Savonarola  G.,  Vi,  463. 


Sbigoli,  V,  495. 

Scaduto  F.,  VI,  453,  463. 

Scala  del  cielo,  VI,  452. 

Scelti  A.,  V,  491. 

Scenario  inedito,  V,  489. 

Schaube,  V,  470. 

Scheler,  V,  495. 

ScheriUo  M.,  V,  4773,  436;  VI,  447, 

448,  454,  458. 
Scherma  in  Milano,  VI,  446. 
Schipa  M.,  VI,  443. 
Schmid  J.,  V,  500. 
Schmidt  D.  E.,  VI,  471. 
Schònbach  A.  E.,  V,  499. 
Schuchardt  H.,  V,  497,  501, 
SchuItze  F.  0.,  V,  494,  496;  VI,  473. 
Schulze  L.,  VI,  470. 
Scienze  occulte,  VI,  452. 
Scioppio  G.,  V,  479. 
Scrofa  C.,  V,  477. 

Scultori  della  Svizzera  italiana,  V,  471. 
Scultura  nel  Quattrocento,  V,  500. 
Sculture  ascolane  del  sec.  XVI ,  VI, 

458. 
Scuola  poetica  siciliana,  VI,  468. 
Sebastiano  da  Rovigno,  VI,  445. 
Sebastiano  del  Piombo,  VI,  474. 
Sennuccio,  V,  503. 
Serena  0.,  VI,  461. 
Sesler  F.,  VI,  447. 
Settembrini  L.,  VI,  449. 
Setti  G.,  VI,  462. 
Sfide,  VI,  447,  448. 
Sfondrato  F.,  VI,  472. 
Sforza  A.,  VI,  446. 
Sforza  F.,  V,  471. 
Sforza  G.,  V,  471,  476»,  482,  483», 

484;  VI,  454. 
Sforza  M.,  V,  471. 
Sgulmèro  P.,  VI,  456. 
Shakespeare  W.,  V,  497»;  VI,  471. 
Siena:  leggende,  V,  490;  VI,  456». 
Sifilide,  VI,  441. 
Signorini  G.,  VI,  458. 
Sigwart  G.,  VI,  470. 
Simonetta  C.,  VI,  443. 
Simonetta  G.  M.,  V,  471. 
Simonsfeld,  VI,  470. 
Slavo-italico,  V,  497,  501. 
Soave  F.,  V,  473;  VI,  446. 
Somma  A.,  VI,  454. 
Sonetto,  V,  503;  VI,  471. 
Soranzo,  V,  480. 
Sordini  G.,  V,  486. 
Spagna  in  versi,  VI,  467. 
Spedalieri  M.,  VI,  454. 
Speyer  0.,  VI,  468«,  469». 
Spina  B.,  V,  477«. 


498 


INDICE   ANALITICO  DELLO   SPOGLIO 


Spinelli  A.  G.,  V,  491;  VI,  443,  471. 

Spitzen  0.  A.,  VI,  470. 

Springer,  V,  498. 

Stampa  S.,  VI,  469. 

Stampiglia  S.,  VI,  450. 

Stefani  F.,  VI,  444. 

Stevens  H.,  VI,  474. 

Stiefel  L.,  V,  477;  VI,  471. 

Stigliani  T.,  V,  488. 

Storia  troiana,  VI,  466. 

Storia  letteraria,  VI,  469. 

Storm  G.,  VI,  474. 

Straccali  A.,  VI,  461. 

Streghe  nella  Levantina,  V,  473  ;  VI, 
446. 

Strozzi  L.,  VI,  462. 

Studenti  svizzeri  a  Pavia ,  V ,  473; 
VI,  446;  —  Tumulti  di  St.  in  To- 
rino, VI,  448. 

Studi  storici,  VI,  448;  —  in  Terra 
d'Otranto,  V,  470. 

Sundby  Th.,  V,  470;  VI,  462,  468, 
471. 

Symonds  J.  A.,  v.  Addington. 

Tacconi  F.,  VI,  446. 

Tachinardi,  VI,  457. 

Tamassia  G.,  VI,  462. 

Tardif  G.,  VI.  472. 

Tari  A.,  VI,  459. 

Tasso  T.,  V,  478,  490;  VI,  448, 459, 
462. 

Tassoni  A.,  V,  491,  494, 500;  VI,  462. 

Tavelli  G.,  VI,  453. 

Teatro,  V,  477;  —  in  Bologna,  V, 
473;  —  in  Firenze,  V,  476;  —  in 
Mantova,  V,  479;  VI,  468;  —  in  Ve- 
nezia, V,  475;  VI,  449;  —  italiano 
dei  sec.  XIII,  XIV,  XV,  VI,  462;  — 
italiano  in  Francia,  V,  494;  VI,  451; 

—  in  Inghillerra ,  VI ,  474  ;  —  li- 
turgico, V,  499;  VI,  471,  472;  — 
tragico  nel  Cinquecento  ,  V  ,  480. 

—  V.  Bruscelli ,  Farse,  Dramma, 
Melodramma,  Opera,  Scenario. 

Tebaldeo,  VI,  459. 
Tedaldi  P.,  VI,  473. 
Teixeira  Bastos,  VI,  474. 
Tenca  C,  VI,  460. 
Terrino,  VI,  462. 
Tessier  A.,  V,  477^;  VI,  444. 
Testi  F.,  V,  474. 
Teza  E.,  VI,  461,  462\ 
Thielmann  Ph.,  V,  497;  VI,  468. 
Thomas  A.,  VI,  465^,  467. 
Tiepolo,  VI,  454,  473. 
Tikkanen  J.  J.,  VI,  471. 
Tinti  G.,  V,  471. 


Tipografia  :  in  Perugia ,  V ,  471  ;  — 
in  Verona,  V,  471  ;  —  in  Macerata, 
V,  471;  —  nel  Ganton  Ticino,  V, 
473;  VI,  446;  —  in  Sicilia,  V,  478, 
479;  VI,  4513;  —  in  Milano,  VI, 
444;  —  in  Venezia,  VI,  444;   — 

—  lesina,  VI,  451;  —  Correttori 
in  Firenze,  VI,  451  ;  —  Invenzione 
della  T.,  V,  498. 

Tirinelli  G.,  V,  487^;  VI,  456. 

Tobler  A.,  VI,  473. 

Tocco  F.,  V,  483;  VI,  453. 

Tolomei  (Pia  dei),  VI,  456«. 

Tomaselli  A.,  VI,  454. 

Tommaseo  N.,  V,  487:  VI,  462. 

Tommasini  0.,  VI,  462. 

Tommaso  da  Kempis,  VI,  470. 

Tommaso  (S.)  d'Aquino,  V,  502;  VI, 
456,  472. 

Tonini,  VI,  470. 

Torraca  F.,  V,  473,  482,  491;  VI, 
442,  447,  454,  455,  458,  462«. 

Torre  A.,  VI,  459. 

Torricella  D.,  VI,  461. 

Torino  nel  1643,  VI,  460. 

Torriti  .].,  V,  503. 

Toschi  B.,  V,  486;  VI,  458. 

Tosini  P.  M.,  VI,  457. 

Toulmin  Smith  L.,  VI,  470. 

Tradizioni  popolari:  i  12  mesi  del- 
l'anno, \1,  442. 

Trattati  ascetici,  VI,  452,  453. 

Trautmann  K.,  VI,  468. 

Trede,  VI,  470. 

Trento  :  Toponomastica  tridentina,  V, 
472;  VI,  444. 

Trevisan  F.,  V,  500;  VI,  459. 

Trinci  (Palazzo  dei),  VI,  453. 

Trissino  G.  G.,  V,  479,  482;  VI,  462, 
472. 

Troia  (Distruzione  di),  V,  498-9. 

Trovatori:  nella  Marca  Trivigiana, 
V,  480;  —  italiani,  V,  496. 

Tuckermann  W.  P.,  VI,  469. 

Turrisi  Colonna  G.,  VI,  456. 

Ugolino  di  Nuzio,  VI,  441. 
Ulrich  G.,  V,  469:  VI,  4412,  467. 
Umanesimo  in  Francia,  V,  501. 
Umbria,  V,  471. 
Università:  nel  medio  evo,  VI,  469; 

—  di  Padova,  V,  488. 
Unti  0.,  V,  481. 

Usi  e  costumi:  Le  scampanate,  V, 
472;  —  Spectaculum  paschae  in 
Foligno,  V,  481  ;  —  de'  contadini 
di  Romagna,  V,  484;  —  I  Turchi, 
V,  488  ;  —  di  Venezia,  V,  491  ;  — 


INDICE  ANALITICO  DELLO   SPOGLIO 


499 


Bruciar  la  vecchia,  V,  502;  —  Il 
lastrone  dei  debitori  in  Salaparuta, 
VI,  441  ;  —  Carnevalo  in  Trapani, 
VI,  442;  —in  Bormio,  VI,  442;  — 
Mattinate,  VI,  442  ;  —  usanze  reli- 

giose   in    Scontrone,  VI,   454.   V. 
allo,  Carnevale. 
Uzielli  G.,  V,  474,  492,  503;  VI,  473. 

Vahlen  J.,  VI,  472. 

Valchiusa,  V,  503. 

Valdarnini  A.,  VI,  456. 

Valla  L.,  VI,  462. 

Valmaggi  L.,  VI,  472. 

Van  der  Haegher,  V,  496. 

Vanini  G.  C,  VI,  461. 

Vannetti  C,  VI,  455,  456. 

Vannucci  A.,  VI,  454. 

Varchi  B.,  V,  4872;  VI,  457^,  463. 

Vargnano  di  Arco  1.,  V,  472. 

Vargnano  M.,  V,  472. 

Varriale  V.,  V,  478. 

Vasa  C    V  484 

Vasari  G.,  V,  470;  VI,  469,  471,  474. 

Vassallo  C,  V,  477. 

Vast  H.,  V,  496. 

Vecchi  A.  V.,  V,  491. 

Vegio  M.,  VI,  472. 

Velardiniello,  V,  477. 

Venere  (Monte  di),  VI,  468. 

Venezia,  V,  472,  487,  501  ;  VI,  444», 
457.  —  V.  Bibliografia;  Usi  e  co- 
stumi. 

Venisti  G.,  VI,  461. 

Venturi  A.,  V,  470,  486;  VI,  443, 458. 

Veratti  B.,  V,  489. 

Vergerio  P.  P.,  V,  470;  VI,  442. 

Veron  E.,  V,  494. 

Verona,  V,  472.  —  V.  Anonimi. 

Verso  epico  italiano,  VI,  450. 

Verzellino,  VI,  462. 

Vestri,  VI,  457. 

Viaggi:  da  Lucca  a  Torino  nel  1781, 
\\  476;  —  in  Piemonte  nel  1729, 
V,  476;  —  in  Italia,  V,  497. 

Vico  G.  B.,  V,  473,  494,  495;  VI,  459. 

Villari  L.,  VI,  473. 

Villifranchi  G.,  V,  479. 

Virgilio,  V,  4773;  vi,  462. 


Visalli  V.,  VI,  459. 
Viscardi  G.,  V,  475. 
Visconti,  Vi,  447. 
Visconti  B.,  VI,  443. 
Visconti  G.  G.,  VI,  443. 
Visconti  L.,  VI,  443. 
Vitclleschi  M.  B.,  V,  481. 
Vittoria  A.,  V,  494. 
Voigt  G,,  VI,  469,  470. 
Volkmar,  V,  501. 
Volpicella  S.,  VI,  470. 
Voltaire,  V,  481;  VI,  471. 

Wagner  il  Pedante,  V,  482,  483». 

Wastler  T.,  VI,  472. 

Weinberg  G.,  VI,  471. 

Welti  H.,  V,  500:  VI,  411. 

Wenck  K.,  VI,  469. 

Wendt  G.,  V,  500. 

Wesselofsky  A.,  V,  497»;  VI,  467. 

Westbourne  E.  H.,  VI,  474. 

Wiese  B.,  V,  497, 500,  501»;  VI,  469, 

471. 
Winkelmann,  V,  499. 
Witte  C,  VI,  442. 
Witte  L.,  VI,  473. 

Triarte  Gh.,  VI,  465. 

Zambrini  F.,  VI,  452. 

Zampini  G.  M.,  VI,  456. 

Zanella  G.,  V,  491. 

Zanetti  G.,  VI,  444. 

Zanolini  L.  M.,  V,  479. 

Zardo  A.,  V,  470,  488,  492,  500. 

Zenatti  A.,  V,  491  ;  VI,  4623. 

Zeno  A.,  VI,  444. 

Zeno  (Fratelli)  viaggiatori,  VI,  443. 

Zenone  (S.),  V,  500. 

Zinani  G.,  VI,  451. 

Zingarelli  N.,  V,  501. 

Zorzi  A.,  VI,  456. 

Zotenberg  H.,  VI,  464. 

Zschech  F.,  V,  501*. 

Zwiedeneck-Sùdenhorst,  V,  501. 

Zuccaro  F.,  V,  479. 

Zumbini  B.,  V,  474,  477,  482,  483, 

488,  489;  VI,  459. 
Zupitza  .1 ,  V,  ."VII. 


INDICE  ALFABETICO 


DELLA    RASSEGNA    E   DEL   BOLLETTINO 


In  quest'indice,  che  abbraccia  l'intera  annata  {w.  V  e  VI)  sono 
registrati  i  nomi  degli  autori  e  degli  editori;  i  titoli  delie 
opere  sono  dati  per  lo  più  in  forma  abbreviata.  Il  numero 
romano  indica  il  volume,  l'arabico  la  pagina. 


Ademollo  a.,  I primi  fasti  del  teatro 

di  via  della  Pergola,  VI,  285. 
Albertini  F.,  Opusculum  de  mira- 

hilibus   novae   urbis   Romae,  ed. 

A.  Schmarsow,  VI,  421. 
Antiche  scritture  lombarde,  ed.  G. 

Salvioni,  V,  290. 
Avvenimenti  faceti  raccolti  da  un 

anonim.0  siciliano,  ed.  G.  Pitrè, 

V,  296. 

Baccini  G.,  V.  Fagiuoli. 
Baldinucci  N.,  Moglie  e  marito,  ed. 

D.  Castelli,  VI,  299. 

Ballate  (IV)  pop.  del  sec.  XY,  ed. 

E.  Pèrcopo,  V,  314. 
Barbiera  R.,  V.  Porta. 
Bariola  F.,  V.  Taccone. 
Bellemo  V.,  Giuseppe  Zarlino,  VI, 

300. 
Beltrami  L.,  Bramante  poeta,  Y, 

234. 
Benedettucci  a.,  V.  Leopardi. 
Brandes  H.,  Visio  S.  Pauti,  VI,  279. 

Cammelli  A.,  v.  Pistoia. 
Cappelli  A.,  v.  Pistoia. 
Castelli  D.,  v.  Baldinucci. 
Cavalcanti  G.,  v.  Ercole. 
CiAN  V.,  Un  decennio  della  vita  di 

m.  Pietro  Bembo,  VI,  270. 
Costa  E.,  v.  Giordani. 
Croce  B.,  La  leggenda  di  Niccolò 

Pesce,  VI,  263. 


D'Ancona  A.,  Varietà  storiche  e  leit., 

serie  seconda,  VI,  434  —  v.  Pisa. 
De  Nino  A.,  Briciole  letterarie,  voi.  I, 

V,  307  —  voi.  II,  VI,  439. 
Di  Manzano  F.,  Cenni  biografici  di 

letterati  ed   artisti   friulani,  VI, 

298. 
Durazzo  P.,  Orbis  terrarum  brevis 

descriptio,  VI,  302. 

EcKLEBEN  S.,  Die  dlteste  Schilderung 

V.  Fegefeuer    des   h.   Patricius , 

VI,  414. 

Ercole  P.,  Guido  Cavalcanti  e  le 

sue  rime,  VI,  402. 
Ettari  F.,  El  Giardeno  di  Marino 

Jonata  Agnonese,  V,  455. 

Fagiuoli  G.  B.,  Le  nozze  del  dia- 

volo,  VI,  428. 
Falletti  Fossati  P.  C,  Saggi,  VI, 

292. 
Fernandez  Merino  k..  La  danza 

macabre,  V,  287. 
Ferrari  S.,  v.  Pistoia. 
Feurieri  P.,  V.  Rime  inedite. 
FoRNACLARi  R.,  La  Ietterai,  ital.  nei 

primi  quattro  secoli,  VI,  409. 
Foscolo  U.,  L' Ipercalisse,  ed.  G.  A. 

Martinetti,  V,  302. 
Frizzoni  G.,  V.  Notizia. 


Gioberti  V.  e  Giordani  ?.. 
inedite,  VI,  301. 


Lettere 


502      INDICE  ALFABETICO  DELLA  RASSEGNA  E  DEL  BOLLETTINO 


Giordani  P.  ,  Lettere  inedite  o  rare, 
ed.  P.  Costa,  V,  306  —  v.  Gioberti. 

Gloria  A.,  Volgare  illustre  nel  1100, 
VI,  253. 

Gozzi  G.,  Le  fiabe,  ed.  E.  Masi,  V, 
465. 

Joppi  V. ,  Nozze  Seravallo — De  Con- 
dna,  V,  316. 

Kraus  F.  X.,  Briefe  Benedicts  XI Y, 

V,  463. 

Laue  M.,  Ferreto  v.  Vicenza,  V,  228. 
Leopardi  G.,  Scritti  editi  sconosciuti, 

ed.  CI.  Benedettucci,  VI,  295. 
LuBiN  A.,  Dante  spiegato  con  Dante 

e  polemiche  dantesche,  VI,  280. 
Lumini  A.,  Scritti  letterari,  V,  309. 

Mabellini  a..  Delle  rime  di  B.  CeU 
lini,  VI,  424  —  V.  Reprandino. 

Magliani  e.,  Storia  lett.  delle  donne 
italiane,  VI,  437. 

Magrini  G.  ,  Studio  critico  su  B. 
Menzini,  VI,  426. 

Mancini  G.,  v.  Manoscritti. 

Manoscritti  (I)  della  libreria  di  Cor- 
tona, ed.  G.  Mancini,  V.  300. 

Martinetti  G.  A.,  v.  Foscolo. 

Masi  E.,  Parrucche  e  sanculotti  nel 
sec.  XV III,  VI,  430  —  v.  Gozzi. 

Mazzoni  G.,  v.  Tasso. 

Merlino  {Istoria  rfi),  ed.  Ulrich,  V,  291. 

Morandi  L.,  Antologia  della  critica 
lett.  moderna,  V,  313. 

Morelli  I.,  v.  Notizia. 

Morsolin  B.  ,  La  ortodossia  di  Pietro 
Bembo,  V,  433. 

Mussapia  a.,  Ztir  Katharinenle- 
gende,  VI,  416. 

Notizia  d'opere  di  disegno  pubbl.  e 
ili.  da  I.  Morelli,  ed.  G.  Frizzoni, 

VI,  286. 

Novelle  pop.  toscane ,  ed.  G.  Pitrè, 
VI,  298. 

Paris  G.,  La  parabole  des  trois  an- 

neaux,  VI,  415. 
Pascal  G.,  Sulla  vita  e  sulle  opere 

di  Ferd.  Galiani,  V,  457. 
Penco  E.,  Storia  della  lett.  italiana, 

voi.  I,  VI,  436. 


PÈRCOPO  E.,  V.  Ballate  e  Poemetti. 

Pietro  di  Mattiolo,  Cronaca  bolo- 
gnese, ed.  C.  Ricci,  V,  290. 

Pisa  nel  1581,  ed.  D'Ancona,  V,  315. 

Pistoia,  Rime  edite  ed  inedite ,  ed. 
A.  Cappelli  e  S.  Ferrari,  V,  242. 

Pitrè  G.,  v.  Avvenimenti  e  Novelle. 

Poemetti  {IV)  sacri  dei  sec.  XIV  e 
XV,  ed.  E.  Pèrcopo,  VI,  416. 

Porta  C,  Poesie,   ed.  R.  Barbiera, 

V,  441. 

Reprandino  Orsato,  Alcuni  sonetti, 

ed.  A.  Mabellini,  V,  293. 
Ricci  C,  v.  Pietro  di  Mattiolo. 
Rim,e   inedite  d'un  cinquecentista, 

ed.  P.  Ferrieri,  V,  314. 
Ronca   U.  ,   La   Secchia   rapita    di 

A.   Tassoni,  V,  461. 

Salvioni  C,  V.  Antiche  scritture. 

Samosch  S.  ,  Machiavelli  als  Como- 
diendichter,  VI,  284. 

ScHERiLLo  M. ,  La  commedia  del- 
Parte  in  Italia,  V,  276. 

ScHMARSOw  A.,  V.  Albertini. 

Spinelli  A.  G. ,  Bibliografia  goldo- 
niana, V,  269. 

Storia  di  Campriano  contadino,  ed. 
A.  Zenatti,  V,  258. 

Strozzi  L.  di  F.,  v.  P.  Ferrieri. 

Taccone  B.,  L' Atteone  e  le  rime, 
ed.  F.  Bariola,  V,  234. 

Tasso  T.  ,  Il  Rinaldo  e  T  Aminta , 
ed.  G.  Mazzoni,  VI,  422. 

Termine  Trigona  V.,  Petrarca  cit- 
tadino, VI,  282. 

Tonini  C,  La  coltura  lett.  e  scient. 
in  Rimini,  VI,  288. 

Torraca  F.,  Saggi  e  rassegne,  V,  312. 

Ulrich  G.,  v.  Merlino. 

ViccHi  L.,  Vincenzo  Monti,  1778-1780, 

VI,  432. 

Weinberg     G.  ,    Das    franzòsische 

Schdferspiel,  V,  293. 
Welti  H.,  Geschichte  des  Sonettes 

in  der  deutschen  Dichtung,  V,  284. 

Zanella  G.,  Paralleli  letterari,  V, 

297. 
Zenatti  A.,  v.  Storia  di  Cam,priano- 


r^  ^ 


j 


INDICE  DELLE  MATERIE  DEL  VI  VOLUME 


D'ANCONA  A.,  Jl  UiOro  «mmfovano  n«I  »«coìo  X71  (parte  2>)  .  .  .  .  Poi;.  le 318 
CIPOLLA  C,  Sft«d*  «ti  Ftrreto  dei  FtrreU.  —  1.  Il  suo  sepolcro.  —  2.  F.  tU'  F. 

fu  ospite  di  Cnngrandel  —  Z.  Il  poema  di  F.  in  otur  di  Ccmgrtmde 

e  V  *  Eccerinis  »  del  Mussato »         58 

RAJNA  P.,  Per  la  data  della  «  Vita  nuova  »  «  non  per  essa  soltanto  ...»  118 
SABBADINI  R.,  Notitie  sulla  vita  e  gli  scritti  di  alcuni  dotti  umanisti  del  tee.  XV, 

raccolte  da  codici  italiani.  —  V.  Isotta  Noijarola  ;  VI.  Antonio  da  Rho; 

VII,  Giovanni  Aurispa,-  Vili.  Ouiniforte  Bartinna     .        .        .        .        >        168 

NOVATI  F.,  Nuovi  studi  su  Albertino  Mussato  (parte  1») »        178 

FERRARI  S.,  //  contrasto  della  bianca  e  della  bruna »        352 


VARIETÀ 


CRESCINI  V.,  NotereUa  dantesca .201 

SCIPIONI  G.  S.,  Tre  laudi  sacre  pesaresi »       212 

FRATI  L.,  Il  «  Bel  pome  »,  corona  di  nove  sonetti  aliégorici         ....  »        223 

RENIEB  R.,  Saggio  di  rime  inedite  di  Galeotto  del  Carretto »       231 

NOVATI   F.,  Notizie  biografiche  di  rimatori  italiani  dèi  ttcoli  XIll  e  XIV.  — 

n.  Francesco  da  Barberino »       899 


RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 


SÀLVIONI  C,    —   Andrbà  Gloria  ,    Volgare  ilhutrt  ntl  1100  »  pr<mrhi  folgori 

del  1200 m 

ORAF  A.,  —  Bekedetto  Cbocb,  La  leggtmda  di  Niccolò  Pete* >  968 

LUZIO   A.,    —    VrrroRio    Cum  ,    Un  decennio    delia    tHa  di  M.  Pietro  Bembo 

(1583-I5S1) 370 

BENIEB  R.  —  Pietro  Ebcole,  Guido  Cavalcanti  e  U  sue  rime      .        .        .       .        >  402 

BACCI  0.  —  Raffaello  Fornaciari,  Im  letterni^tra  italiana  nei  primi  quattro  seeok  »  409 


504  INDICE   DELLE   MATERIE 


BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO 

H.  BRANDES ,  Visio  S.  Pauli,  p.  279.  —  A.  LUBIN  ,  Dante  spiegato  con  Dante  e  polemiche 
danUsche,  p.  280.  —  V.  TERMINE  TRIGONA,  Petrarca  cittadino,  p.  282.  —  S.  SAMOSCH, 
Machiatélli  als  Comòdiendickter,  p.  284.  —  A.  ADEMOLLO,  I  primi  fasti  del  teatro  di  via 
della  Pergola  in  Firenze,  p.  285.  —  Notitia  d'opere  di  disegno  pubbl.  e  illustr.  da  d.  Ja- 
copo Morelli,  ed.  G.  Fkizzoni,  p.  287.  —  C.  TONINI ,  La  coltura  Ictt.  e  scient.  in  Rimini 
dal  sec.  XI V  ai  primordi  del  XJX,  p.  288.  —  P.  C.  FALLETTI  FOSSATI,  Saggi,  p.  292. 

—  CL.  BENEDETTUCCI,  Leopardi,  scritti  editi  sconosciuti ,  p.  295.  —  F.  DI  MANZANO, 
Cenni  biografici  dei  letterati  ed  artisti  friulani  dal  sec.  lY  al  XIX,  p.  298.  —  Q.  PITRÈ, 
Potette  popolari  toscane,  p.  298.  —  N.  BALDINUCCI ,  Mogli»  e  marito  (nozze),  p.  29<.).  — 
V.  BELLEMO,  Giuseppe  ZarUno  (nozze),  p.  300.  —  V.  GIOBERTI  e  P.  GIORDANI,  Let- 
tere inedite  (nozze),  p.  301.  —  P.  DURAZZO,  Orbis  terrarum  brevis  descriptio  (nozze),  p.  302. 

—  S.  ECELEBEN  ,  Di»  àlteste  Schilderung  vom  Fegefeuer  des  h.  Patricius  ,  p.  414.  — 
G.  PARIS,  La  parabole  des  trois  anneaux,  p.  415.  —  17  poemetti  sacri  dei  sec.  XIV  e  XV, 
ed.  E.  PkECOPO,  p.  416.  —  A  MUSSAFIA,  Zur  Katharinenlegende ,  p.  416.  —  F.  ALBER- 
TINA Opuscuhim  de  mirabilibus  novae  urbis  Romae,  ed.  A.  Schmaesow,  p.  421.  —  T.  TASSO, 
Il  Rinaldo  e  V Aminta,  ed.  G.  Mazzoni,  p.  422.  —  A.  MABELLINI,  Delle  rime  di  Benvenuto 
Cellini,  p.  424.  —  G.  MAGRINI ,  Studio  critico  su  Bened.  Mentini,  p.  426.  —  Le  notee 
del  diavolo,  novella  di  G.  B.  FagiuoU,  p.  428.  —  E.  MASI,  Parrucche  e  sanculotti  nel  se- 
colo XVIII,  p.  430.  —  L.  TICCHI,  Vincenzo  Monti,  le  lettere  e  la  politica  in  Italia  dal 
1700  al  1830  (Triennio  1778-80),  p.  432.  —  A.  D'ANCONA  ,  Varietà  storiche  e  letterarie, 
(serie  2a),  p.  434.  —  E.  PENCO,  Storta  della  letterat.  italiana  (voi.  I),  p.  436.  —  E.  MA- 
GLIANI,  Storia  letteraria  delle  donne  italiane,  p.  437.  —  A.  DE  NINO,  Briciole  letterarie 
(Tol.  II),  p.  439. 

SPOGLIO  DELLE  PUBBLICAZIONI  PERIODICHE Pag.  441 

COMUNICAZIONI  ED  APPUNTI 

E.  RENIER,  Un  altro  esempio  di  •  laisse  »  italiana,  p.  303.  —  F.  NOTATI,  Una  stampa  sco- 
nosciuta della  storia  di  Campriàno,  p.  304.  —  A.  NERI,  Una  lettera  di  Gius.  Bianchini, 
p.  305.  —  F.  NOVATI ,  Lettere  di  AmariUi  Etrusca  ,  p.  306.  —  R.  RENIER  ,  Giustina 
Michiel  e  la  censura,  p.  307.  —  A.  GRAF,  Per  la  leggenda  di  Dante,  p.  475.  —  R.  RENIER, 
Una  vecchia  memoria  sul  «  Blandin  de  Cornoalha  »,  p.  476.  —  R.  RENIER,  Emendazioni  al 
testo  dell'Altissimo,  p.  477.  —  L.  FRATI,  Giunte  ai  Cantari  e  Sonetti  ricordati  nella  cro- 
naca di  Benedetto  Dei,  p.  477.  —  G.  S.  SCIPIONI,  Rettifica,  p.  479. 

CRONACA »  308,  480 

INDICE  ANALITICO  DELLO  SPOGLIO »  485 

INDICE  ALFABETICO  DELLA  RASSEGNA  E  DEL  BOLLETTINO.         .        .      »  501 


■INDING  DEPT.  APR    2  t9B2 


PQ 

G5 

V.6 


Giomede  storico  della 

letteratura  Italiana 


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