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Gli albori delVarte fiorentina
Igino Benvenuto Supino
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Harvard University Library
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^ ARTHUR TRACY CABOT
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Books on Fine Arts
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GLI ALBORI
DELL'ARTE FIORENTINA
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INARI, Editori
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I. Benvenuto Supino
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GLI ALBORI
DELL ARTE FIORENTINA
FIRENZE
FRATEIXI ALINARI, Editori
1906
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I. Benvenuto Supino
GLI ALBORI
DELLARTE FIORENTINA
FIRENZE
FRATELLI ALINARI, Editori
1906
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I. Benvenuto Supino
GLI ALBORI
DELL'ARTE FIORENTINA
FIRENZE
FRATELLI ALINARI, Editori
1906
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I. Benvenuto Supino
GLI ALBORI
DELL'ARTE FIORENTINA
FIRENZE
FRATELLI ALINARI, Editori
1906
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LIBRARY I
PROPRIETÀ LETTERARIA
373-906. — Ptrense, tipografia di Salvftdore Landi, Via Santa Caterina, 13
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ARCHITETTURA
1
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IL SAN GIOVANNI
L'ARCHITETTURA ROMANICA
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Tav.I
San Giovanni
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e
/OL rifiorire delle energie popolari e con V ampliarsi del
dominio del Comune s' inizia un' èra nuova nella storia del-
l' arte nostra, la quale, pur manifestandosi in modo assai
vario nelle diverse regioni della Penisola, mostra dovunque
e sempre, nell'interpretazione delle forme romane e bizan-
tine da cui trasse l' origine, gli stretti legami che avvince-
vano ancora gli interpreti alla tradizione classica.
Ma se questa tradizione fondamentale e le forme co-
struttive si mantennero costanti nei vari centri della Pe-
nisola, le forme decorative, invece, assunsero fisonomia
varia, a seconda della natura e del carattere di ciascuna
regione, sicché, meglio che nelle opere architettoniche,
nelle produzioni scultorie e talvolta nelle parti secon-
darie, vediamo rispecchiarsi le espressioni caratteristiche
locali.
Questa varietà di manifestazioni artistiche, eco fedele
di gusti, di tendenze e di influssi svariati, si rivela non
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IO IL SAN GIOVANNI
solo fra regione e regione, ma anche fra paese e paese
di una regione stessa. Così, dentro il ristretto cerchio della
/ Toscana, il felice connubio della costruzione classica con
lo stile lombardo, produce quel particolare stile pisano-lue-
y chese, che il Cattaneo vorrebbe chiamare appunto toscano-
lombardo; e mentre in questo tipo le forme ornamentali
dell'arte classica decadente, che i bizantini fecero proprie,
sono riprese e interpretate con sentimento speciale, sotto
l'influsso dell'arte lombarda e orientale, a Firenze i co-
struttori del periodo romanico mantengono ad esse tut-
tavia il sapore della tradizione romana, e creano un gruppo
di edifizi in cui permane ancora vivace l'influenza dell'an-
tica scuola pagana. In San Miniato (il tempio fiorentino
di cui più sicuramente ci sono note le origini e le vicende),
i due più recenti storici dell'architettura bene a ragione
ammirarono < la serietà con cui si è tentato di seguire
fedelmente e semplicemente le tracce di un alto ideale ri-
conosciuto nelle reliquie del passato. Bisogna intendere
storicamente - proseguono il Dehio e il Bezold - quale
intimo risveglio fosse necessario per risentire di nuovo
questa specie di bellezza. Certo, il San Miniato è ben
lungi dall'essere perfettamente corretto; ma non v'ha
dubbio che una grazia così delicata e serena, tanta se-
rietà e chiarezza non si ritrovano allora in nessun' al-
tra parte dell'Occidente. È il primo segno dell'alba che
precorre la radiosa giornata dell'arte >*\
*) DEmo u. Bezold, Dù Kirchliche Baukunst des Abendlandes, Stuttgart,
1892. Voi. I, pag. 610-61 1.
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E L'ARCHITETTURA ROMANICA
Lo Studio delr architettura fiorentina del periodo roma-
nico è reso oltremodo difficile dalla mancanza di precise
notizie e sicuri documenti intorno al principale suo mo-
numento: il San Giovanni, che la tradizione vanta come
il più vetusto della città. Quando più moderni scrittori di-
mostrarono che il tempio magnifico è ancora quale fu in
origine (fatta s'intende la debita parte ai numerosi re-
stauri), e quell'origine fissarono alla fine del iv secolo
o al principio del successivo, fu loro facile far derivare,
da quell'archetipo la maggior parte dei motivi costrut-
tivi e decorativi che si notano negli altri edifizi sacri della
città.
< Tutti i caratteri di questi edifizi - scrive il Nardini,
il più recente illustratore dell' insigne monumento - a senso
mio trovano la loro spiegazione (e non la troverebbero
altrimenti) nell'esistenza in Firenze di un antico archetipo
che non è pagano, e che non appartiene perciò ad un'arte
esautorata e morta, ma che è cristiano, e che pur deri-
vando immediatamente dall'antico e conservandone tutta
l'impronta, rappresenta la formula di una architettura vì-
vente, nata col nuovo culto, e dalla quale per conse-
guenza si possono attingere, come a legittima fonte, le
ispirazioni nei tempi avvenire. E questo archetipo, que-
sto compromesso fra l'architettura pagana e le successive
forme cristiane, che perpetua nei Fiorentini l'uso strano
ed eccezionalissimo di quasi tutte le costumanze archi-
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la IL SAN GIOVANNI
tettoniche del gentilesimo, è appunto il Duomo di San Gio-
vanni > ^K
Veramente gli stessi primi costruttori cristiani mostra-
rono di non guardare tanto per la sottile se la fonte a cui at-
tinsero era legittima o no; e quelli artisti, come del resto
gli artisti di ogni tempo, usarono della più grande libertà
di scelta e di interpretazione nelle forme e nelle decorazioni
dei loro monumenti. Ma nell'indirizzo che Tarte assume
in Firenze nel periodo romanico è qualche cosa di più della
semplice copia di un antico modello : è tutta una caratte-
ristica interpretazione che rivela quello stesso spirito onde
quattro secoli dopo rifiorirà in tutte le manifestazioni della
vita il così detto Rinascimento. Questo fenomeno luminoso,
secondo confermano le più recenti indagini storiche e let-
terarie, non vuol essere più, come altra volta si credeva,
limitato ai principi del secolo xv o alla fine del prece-
dente, bensì risale con i suoi albori più alto nei secoli: tutti
ormai consentono nel riconoscere che la facella classica
non si spense mai, e che un barlume almeno portò sempre
anche nei tempi del medioevo, apparsi ad alcuni più chiusi
ad ogni sentimento d'arte. E in Firenze bastò meglio che
altrove quella luce, alimentata da un particolare sentimento
di romanità, per il quale il popolo non riconosceva altra
origine che dall'antica madre; e ne venerava in ogni ru-
dere la memoria, e ne conservava fedele il ricordo nei nomi
dei nuovi edifizi che crescevano sulle antiche rovine.
*) Nardini, // Duomo di San Giovanni, oggi BatHsUro di Firenze, Fi-
renze, Alìnarì, 1902, pag. 55.
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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 13
Naturale e necessaria era quindi la tendenza a far
risorgere le pratiche decorative pagane, a ripristinare
sotto nuove forme i motivi classici della decorazione; e
perciò i monumenti fiorentini del periodo medievale as-
sumono un carattere che si può dire particolare di que-
sta scuola e di questa città. < Essa sola fra tutte conserva
la trabeazione nella sua piena integrità, e nei capitelli la
forma schiettamente corinzia, nonché quella composita; e
nei capitelli dei pilastri certa elegante varietà del genere
corinzio di sapore eminentemente classico, e nei fusti dei
pilastri scannellati i rudenti in basso. Conserva gli archi-
travi e gli archivolti suddivisi in più fasce, che dalFalto al
bctsso decrescono a somiglianza di quelli romani ; le finestre
rettangolari recinte da stipiti; le colonnette con le spirali
fittissime a canto vivo; la forma tabernacolare alle fine-
stre, il tipo classico dei frontespizi e tante altre particola-
rità che rivelano sempre vivace dopo tanti secoli V influenza
della scuola pagana > ^\
Ma a spiegare queste pratiche e queste tendenze non
basta davvero quel supposto archetipo, né basterebbe, an-
che se potessimo essere certi dell' origine antichissima del
San Giovanni; né questo si sarebbe conservato a noi nei
suoi puri lineamenti se veramente lo spirito e il sentimento
dei costruttori fiorentini non fosse stato capace d'inten-
dere e di apprezzare quelle forme classiche : mille altri
esempi insegnano che ai templi più popolari ogni età
nuova, di regola, impose nuove forme in armonia col ge-
») Nardini, op, ài., pag. 54 e 55.
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14 IL SAN GIOVANNI
nio e con la moda allora prevalenti. E questo sa bene
anche il Nardini, il quale rilevò che nei pilastri angolari
del San Giovanni < V ogìvalismo allora prevalente non ri-
spettò punto il vecchio stile dell' edifìzio, ma si sostituì
audacemente a quello per quanto sapeva e poteva; com*è
d'altronde nell'indole della moda, che anche nell'arte è
tiranna» e com'è tendenza umana, provata da tanti altri
esempi che ci fornisce la storia > ^K
Meglio, dunque, si appose lo stesso scrittore quando
riconobbe che l' architettura posteriore al Mille < come
spettante ad età meno barbara, abbia potuto trattare le
reminiscenze e le forme classiche con minor rozzezza e con
alquanto più garbo che non nell'età carlovingia e longo-
bardica, per modo che sembrassero riawicinarsi all' an-
tico > ^^; e questo, più efficacemente che altrove nell'Italia
centrale, in cui i ricordi classici durarono più vivi e
tenaci.
Se a Pfsa, infatti, le forme classiche si modificano sotto
l'influsso dell'arte orientale; a Lucca, sotto il predominio
dell' arte lombarda ; in Firenze, meno soggetta delle altre
città toscane a influenze straniere, i costruttori s' ispi-
rano alle forme romane, la cui libera interpretazione si
manifesta evidente negli elementi architettonici degli edi-
fizi medievali, e in particolar modo del San Giovanni.
Ma è poi il San Giovanni così antico come la tradi-
zione vorrebbe, e più recenti studiosi confermano?
') Nardini, op, ciL, pag. 32.
^) Ihid., pag. 24.
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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 15
Giovanni Villani così racconta « come in Firenze fu
fatto il tempio di Marti, il quale oggi si chiama il Duomo
dì San Giovanni:
< I cittadini di quella essendo in buono stato» ordi-
nare di fare nella detta cittade uno tempio maraviglioso
air onore dello Iddio Marte, per la vittoria eh' e' Romani
avieno avuta della città di Fiesole, e mandaro al Senato
di Roma che mandasse loro gli migliori e più sottili mae-
stri che fossono in Roma, e così fu fatto. E feciono ve-
nire marmi bianchi e neri, e colonne di più parti di lungi
per mare e poi per Arno; feciono conducere e macigni e
colonne da Fiesole, e fondaro e edificaro il detto tempio
nel luogo che si chiamava Camarti anticamente, e dove
i fìesolani facevano loro mercato. Molto nobile e bello il
feciono a otto facce, et quello fatto con grande diligenzia,
il consecraro allo Iddio Marti, il quale era Idio di Ro-
mani, e feciollo figurare inn intaglio di marmo in forma
d'uno cavaliere armato a cavallo; il puosono sopra una
colonna di marmo in mezzo di quello tempio, e quello
tennero con grande reverenzia e adoraro per loro Idio
mentre che fu il paganesimo in Firenze. Et troviamo che il
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i6 IL SAN GIOVANNI
detto tempio fu cominciato al tempo che regnava Otta-
viano Agusto, e che fu edificato sotto ascendente di sì
fatta costolazione, che non verrà meno quasi in etterno : e
così si truova scritto in certa parte, e intagliato nello spaz-
zo del detto tempio > *\ E dove descrive Firenze di-
strutta da Totila, aggiùnge: « E poi che Totile l'ebbe così
consumata di genti e dell'avere, comandò che fosse di-
strutta e arsa e guasta, e non vi rimanesse pietra sopra
pietra, e così fu fatto : se non che da V occidente rimase
una delle torri che Igneo Pompeo avea edificata, e dal
settentrione e dal mezzogiorno una delle porte, et in fra
la città presso a la porta, casa stve domo, chiamato prima
Casa di Marti » ^^
. La tradizione raccolta dallo storico fiorentino trovò se-
guaci numerosi non solo fra gli antichi scrittori quali Dante,
il Boccaccio, Marchionne di Coppo Stefani, Matteo Pal-
mieri, Leonardo Bruni, il Poliziano e il Cellini, ma anche
fra i moderni antiquari e storici dell'arte, e tra i più insi-
gni, come il Borghini e il Baldinucci. Il Manni però < riget-
tando le favolosità di Marte, di cui il Villani aveva pieno
il capo, > afferma che il San Giovanni < fosse fatto per
Chiesa cristiana e non qual Tempio d' idolatria, concorren-
dovi e la sua forma e la sua struttura. Questo, a similitudine
*) Villani, Cronica, Libro I, cap. XLII. Cfr, Cod, Riccardiano, n. 1532,
2/ Ibid., Libro II, cap. I.
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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 17
de' celebri Battisteri scorgendosi, e vicino, come son quelli,
alle respettive Cattedrali.... sembra che venisse di pianta
edificato affine di servire pe '1 Battesimo, e non altramente
nel suo principio.... circa Tanno CCCCXXXVI nel conso-
lato di Roma di Teodoro > ^K
All'opinione delManni si associarono THubsch, e ai nostri
giorni il compianto architetto Nardini, che al San Giovanni
dedicò una speciale monografia. Non mancò pertanto chi
sostenne Tedifizio famoso sorgesse alla fine del secolo vi,
o sul principio del successivo, per la pietà della regina Teo-
dolinda, dopo che essa ebbe fondato in Monza lo splen-
dido tempio in onore del Battista; o chi lo giudicò del vii o
deirviii secolo; e a queste ipotesi si accostarono il Lami,
il Gori, il Nelli, il Del Migliore, il Del Rosso; altri molti, in-
vece, quali il Kugler, il Lflbke, il Fergusson, il Burckhardt,
il Cattaneo, il Dehio e il Bezold riportarono la costruzione
al secolo xi o xii.
Oli imprende lo studio di un edifizio suole ripetere
r antico motto: fe saxa docebunt ; ma per il San Giovanni
le pietre sembra abbiano dato troppo diversi responsi a
quei molti che tentarono d'interpretarle. Non tutti però
le interrogarono senza preconcetti; e ciò può giustificare
che si tenti anche una volta da noi la vessata questione,
con la speranza almeno di rilevare, senza alcuna preoc-
cupazione di giudizio, ciò che appare sicuro e inoppugna-
bile, sgombrando il terreno dalle troppe incertezze che le
tradizioni popolari e le erudite vi hanno accumulato.
*> Manki, Principj della reUgidne cristiana in Firenze, pag. 73-74.
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i8 IL SAN GIOVANNI
II
Nessuno oggi può dar peso alla narrazione dei vecchi
cronisti fiorentini sull'origine del San Giovanni, perchè i
caratteri architettonici dell* edifizio, quale si presenta nella
struttura e nella decorazione, escludono in modo assoluto
che potesse prima essere un tempio pagano. Già il Lami
additò nel fatto che i Fiorentini per fabbricare la chiesa si
erano valsi dei materiali tolti dalle rovine degli antichi
edifizi guasti o disfatti, « vale a dire de' marmi e delle
pietre che erano nell' Anfiteatro e nel Teatro e nel vicino
tempio di Marte > , la causa < onde poi nacque V equivoco
che la chiesa di San Giovanni fosse una volta il Tempio di
Marte » ^\ Più tardi V Hlibsch, dallo studio diretto e par-
ticolareggiato del monumento, fu portato a rilevare l'ec-
cessiva larghezza dell'intercolunnio; gli archi di scarico
impostati dietro l' architrave che vanno da una colonna al-
l' altra e che ricascano sopra delle imposte trasversali inca-
strate nei muri perimetrali; i due ordini di gallerie che
traversando i contrafforti girano attorno l' edifizio: tutte
particolarità che non si riscontrano in nessuno dei monu-
menti romani ^K Si aggiunga poi che quelli dell'epoca tarda
Lami, Lizioni, Voi. I, pag. 135.
2' HuBSCH, Monuments de V ArchiUciure chrétienne depuis Constaniinjusgu'à
CharUmagne, iradutide l'alieTnandpar'V.GliiE.KBEK, Paris, Morel, 1866,001.39.
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E L* ARCHITETTURA ROMANICA 19
o costruiti nelle più lontane regioni dell'Impero, si svi-
luppano con forme diverse dall'esterno all'interno; e se
Ranta del San Giovanni
(Proporzione da 1 a 300)
per un rarissimo caso s'incontra un edifizio ottagono al
di fuori, questo sarà rotondo al di dentro ; se ottagono al
di dentro, sarà di fuori quadrato : basti ricordare il Mau-
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20 IL SAN GIOVANNI
soleo di Diocleziano a Spalato, il tempio del Sole a Balbek,
le sale delle Terme Diocleziane a Roma.
Notando questo fatto, giustamente il Nardini avverte
come le forme poligonali non trovassero grazia presso i
Romani se non molto raramente, e soltanto negli ultimi
tempi in cui V arte cominciava a deviare dai vecchi modi,
cedendo a nuove e più libere fogge di decorazione, forse
meglio convenienti alla trasformazione che T architettura
andava risentendo ^K Perciò' già la struttura ottagona del
San Giovanni ne dimostra almeno troppo improbabile
r origine romana. Di più, le rotonde dell* architettura ro-
mana non ci offrono mai V esempio di cupola coperta da
tetto piramidale; le loro callotte emisferiche sono fatte
sempre a vòlta semplice e scoperta, ed hanno quindi vi-
sibile la curvatura del loro estradosso ^.
Inoltre, la mancanza di portico apparisce tanto strana a chi
conosce le norme costanti dell' architettura classica e rende
il tempio così disadatto agli usi del culto pagano, che il
Borghini s'ingegnò di dimostrare che anche questo tempio
avesse un atrio il quale sporgeva libero a somiglianza dei
pronai dei templi prostili romani, dove ora è la così detta
scarsella: così «l'ottava parte ove era l'entrata fu gua-
sta: perchè tolte via le colonne, scamata la grossezza del
vestibulo, rimurata la porta e rotto l'architrave piano, fu
girato quell'arco che vi si vede e vi son rimasi ancora
i capitelli e parte de' pilastri, che come nell'altre facce
>) Nardini, op, cit„ pag. 7-8.
^ Ibid., pag. 8 e 13.
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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 21
V* erano, e sono né più né meno rotti, che si veggan quegli
della cappella di testa del Panteon, e par quasi che e* siano
apposta rimasi testimonj, che ella avea la medesima forma
che r altre >'\
n Tempio di Marte
(secondo Vincenzo Borghini)
E il Richa, non dicendo però donde traesse la notizia :
< La scarsella, o sia tribuna, si principiò nel 1202, la quale
cade dove prima era la porta antica ed unica di San Gio-
>) Borghini, Discorsi, Firenze, 1755. Voi. I, pag. 164.
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22
IL SAN GIOVANNI
vanni, e nel farsi convenne spostarsi in fuori ed occupare
braccia 3 e mezzo della Piazza, rompendosi ancora parte
dell'architettura interiore per farvi un arco a porzione di
circolo, che è una magnifica apertura > ^\
Ma le disposizioni murarie su quel lato del Battistero,
mostrano evidentemente - e rilevò pur questo con V usata
Sezione orizzontale del San Giovanni al piano delle loggette del I^ Ordine intemo
Proiezione orizzontale del tetto
(Proporzione da 1 a 300)
competenza il Nardini - di essere state, anche nei parti-
colari più piccoli, preordinate all'esistenza di quell'arco;
e non è d'altronde ammissibile che in quel lato dell'otta-
gono si aprisse, a costruzione compiuta, un arco a rottura,
con pericolo di far rovinare tutto l'edifizio.
*) RlCHA, Notizie isioriche delle Chiese fiorentine. Firenze, 1757. Voi. V,
pag. xxxni.
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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 23
Se in orìgine la tribuna non fosse esistita, e quindi il
grande arco fosse stato aperto dopo, all'interno quella
parte avrebbe avuto anch* essa, al pari di tutte le altre, le
loggette bifore; e, come accade nella faccia ov'è la porta
maggiore, le scalette a chiocciola sarebbero state costruite
nel vivo dei due piloni angolari. Qui invece le scalette
procedono rettilinee sul dorso dell'arco, dimostrando così
di essere state subordinate alla costruzione della tribuna;
fatte cioè con essa e per essa ^K
Le conclusioni del Nardini furono pienamente confer-
mate dai saggi condotti proprio sotto l'attuale scarsella,
i quali hanno messo in luce le fondamenta di un'abside
primitiva, di forma semicircolare, mutata più tardi in ret-
tangolare; onde tutto induce ad escludere l'esistenza di
un atrio antico in luogo dell'attuale tribuna, e a non la-
sciar dubbio che il Battistero sia in ogni sua parte in aperto
contrasto con le disposizioni e gli usi dei templi pagani.
Sulla questione della scarsella torneremo poi.
Non rimarrebbe allora che supporre - con esempio, del
resto, non nuovo - fosse il tempio in origine una sala delle
Terme, di cui lì presso alla Porta Romana è accertata l'esi-
stenza e furono riconosciute . le tracce negli ultimi scavi.
Ma anche si sa che quelle Terme non erano di grande im-
portanza e sontuosità, e che in quelli scavi presso e sotto
>) Nardini, op, di., pag. 87-88.
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«4
IL SAN GIOVANNI
la scarsella del San Giovanni, uscirono in luce reliquie
architettoniche di una casa repubblicana fra le più anti-
Sezione orizzontale del San Giovanni al piano dei lucernari
(Proporzione da 1 a 300)
che e singolari di Firenze romana. < Casa signorile - in-
segna il Milani - di architettura manifestamente più etnisca,
ossia toscanica, che romana; dall'atrio probabilmente a dis-
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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 2$
phivium, con due stanze simmetriche ai lati del tablinum,
due aloe e tre cubiculi sui lati maggiori dell'atrio. A que-
ste stanze davano accesso le porte, di cui sono conser-
vate le soglie. Sul pavimento a mosaico del tabHnum,
elegantemente riquadrato a tasselli neri e rossi su fondo
bianco, nello stile dell'età repubblicana, e su tutta la parte
póstica della casa, dov^era forse V horlus, sorse nel me-
dioevo il bel San Giovanni, dopoché la casa signorile era
stata però ridotta ad abitazione più modesta, per quanto
decorata di marmi (sec. n); dopoché, nei più bassi tempi
romani (sec. v), era diventata ricovero dei poveri, un in-
sieme di stamberghe della più umile specie >'^ Si aggiunga
a ciò che tra le rovine della costruzione romana si rinven-
nero alcune monete appartenenti tutte ai più bassi tempi,
e, tra le meglio riconoscibili, una col nome di Onorio ^K
Non dunque tempio romano e nemmeno sala termale,
ma fin dall'origine edifizio per il culto cristiano.
Ili
Le prime tracce del cristianesimo in Firenze si hanno
verso la metà del secolo iii, quando cioè, molti seguaci
della nuova fede, fra i quali san Miniato e i suoi compagni,
caddero vittime dei violenti tentativi di Decio per ripri-
') Mnj^Ni, Museo topografico dell' Etruria, pag. 117-118.
2) Ibid., pag. 168.
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26 IL SAN GIOVANNI
stìnare gli antichi costumi e il culto dei romani. Tuttavia
il paganesimo aveva sempre salde radici in questa città
(ove del resto le superstizioni pagane sopravvissero lunga-
mente) anche dopo che sui primi del secolo iv essa era
divenuta sede vescovile.
La vittoria di Stilicone contro Radagasio, in cui si vide un
segno palese della nuova fede, contribuì grandemente al
trionfo del cristianesimo ^\ Non si può dire però che a
questa vittoria, avvenuta, come si credeva, il giorno di
santa Reparata, si debba riconnettere, secondo l'antichis-
sima tradizione, l'origine del culto speciale dei fiorentini
per quella Santa Vergine a cui per riconoscenza essi avreb-
bero dedicata la chiesa che divenne poi la Cattedrale, per-
chè la vittoria di Radagasio avvenne il 23 di agosto del 405,
non rs di ottobre, e la costruzione della chiesa, anche
se dovuta all'elemento greco - che tanto contribuì alla
diflfusione del cristianesimo e fu sempre numeroso in Fi-
renze, - si deve riferire ad età molto più tarda ^\
La più antica chiesa, di cui rimanga ricordo in testi-
monianze coeve e sicure, è la celebre basilica di San Lo-
*) Cfr. Davidsohn, GeschichU von Florenz, Berlino, 1896. Voi. I,
pag. 32, 3^-
2) Ristori, Della venuta e del soggiorno di San^ Ambrogio in Firenu,
Estratto Az}\' Archivio Storico Italiano, Dispensa IV del 1905, pag. 37. -
Davidsohn, op, e loc, cit. - Cocchi, Le Chiese di Firenze dal secolo iv ai
secolo XX. Voi. I, Quartiere di San Giovanni,
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renzoy dovuta alla liberalità di una pia matrona, e con-
sacrata nel 393 da sant'Ambrogio. Una tradizione - che
non ha alcun fondamento storico - vuole che il corpo del
vescovo san Zanobi, seppellito in San Lorenzo, venisse
trasportato da questa chiesa alla Cattedrale dedicata a
San Salvatore ; e perchè il Villani aveva creduto che fosse
€ rimosso il nome alla grande chiesa di Santo Salvatore
in Santa Reparata e rifatto Santo Salvatore in Vescovado
com' è ai nostri dì > *^ il Nardini sostenne che il nome di
San Salvatore fu rimosso dal San Giovanni, e che perciò
sino dalla origine V attuale Battistero venisse costruito per
Cattedrale ^K E a raggiungere la dimostrazione, citò questi
documenti :
1 . Un codice manoscritto del secolo xiii esistente nel-
r archivio dell'Opera di Santa Maria del Fiore, col titolo
Mores et consuetudines Canoiiice fiorentine, nel quale si legge:
Pro festo Sci. Salvatoris pulsamus tribus vicibus Hij campanas,
quia olim fuit caput istius Ecclesie.
2. La colonna di San Zanobi, in faccia alla porta
settentrionale del San Giovanni, la quale perchè eretta là
dove sorgeva l'olmo che rinverdì all'urto del feretro del
Santo Vescovo è riprova che la chiesa di San Salvatore
sorgesse dove è il San Giovanni.
3. Infine, l'antico messale già nella Cattedrale, poi
nella Barberiniana di Roma, in cui è scritto un Oremus
da recitare sulla porta di San Giovanni, il quale incomin-
*> Vn-LANi, Cranica, Lib. I, cap. LXI.
^) Nardini, op, ciL, pag. 67 e seg.
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28 IL SAK GIOVANNI
eia : Propinare qiMcsumus, Domine, nobis famulis tuis, per
hujus Sci. Zenobii Con/essoris tui atque Pontifids qui in pre-
senti REQUiESCiT ECCLESIA, merita gloriosa, ecc. *^
Questi tre documenti, che dovrebbero provare l'esi-
stenza di una cattedrale fiorentina consacrata a San Sal-
vatore, all'esame della critica si dimostrano privi di ogni
importanza. Il passo citato per il suono delle campane, in
occasione della festa di San Salvatore, è nel codice Riccar-
diano, da cui deriva quello del Duomo, di altro carattere e di
epoca un poco più tarda. Quanto alla colonna di San Zanobi
ben rilevò il Davidsohn, che Lorenzo Amalfitano, raccon-
tando il miracolo dell'olmo rinverdito non accenna affatto
al monumento che ne perpetua la memoria; ond'è neces-
sario concludere, che prima del 1040 circa essa non doveva
esistere, e che fu eretta dopo la traslazione del corpo di
san Zanobi da San Lorenzo a Santa Reparata, traslazione
avvenuta piuttosto tardi K L' Oremus, infine, non doveva
per nulla essere cantato sulla porta di San Giovanni ; anzi
il Sacramentario Barberiniano dice che quivi, cantatosi il
Vangelo di san Giovanni, il cantore intonava il Te Deum:
solo alla fine di esso e dopo il versetto : Ora prò nobis
iS. Zanobi, intonava il Sacerdote il ricordato Oremus. < Io
credo - prosegue il Ristori - perchè così portano le con-
suetudini liturgiche, che intuonato il Te Deum nel par-
tirsi di San Giovanni si andasse cantando fino all'altare di
Santa Reparata, e quivi il Sacerdote recitasse la ricordata
*) Nardini, op, cti., pag. 78, nota i, e Ristori, ap. cit., pag. 23.
2) Davidsohn, Geschkhte von Fiorerà, pag. 145.
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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 29
orazione; come ancora suol farsi quando col canto del
Te Deum ritornano le processioni **.
. Che il San Salvatore, dunque, fosse la prima cattedrale
fiorentina, alla quale dopo la costruzione della Santa Repa-
rata sarebbe stato mutato il titolo, è favola che non merita
r onore di ulteriori confutazioni; che il corpo di san Za-
nobi da San Lorenzo, ov* ebbe sepoltura, venisse tra-
sportato in San Giovanni prima che a Santa Reparata, è
smentito da Lorenzo Amalfitano, il quale dice così : corpus
autem sacratissimum ipso die, quo de/unctus est, octavo scilicet
kalendas lunii, reconditum est in arca marmorea et positum
est in Ecclesia S. Laurentii iuxta altare. Quod cum fuisset
aliquod annorum cunicuUs elapsis, ob infestationem qtwrundam
gentium translatum est in S. Reparalae basilicam ecc. ^.
La chiesa di Santa Reparata è, del resto, meno antica
di quanto comunemente si credette: data la dubbia auten-
ticità della carta del Vescovo Specioso dell'anno 724, non
ne abbiamo testimonianze anteriori al 987 ; onde sarebbe
imprudente far risalire l'origine di quel tempio al di là del
secolo nòno.
Se quindi il San Lorenzo consacrato verso la fine del
IV secolo era la chiesa maggiore di Firenze, è possibile
ammettere che contemporaneamente e per uso di Catte-
>) Ristori, op, cit., pag. 22.
2) Ihid,, pag. 19-20.
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30 IL SAN GIOVANNI
drale si costruisse un tempio del tipo, della forma e del
carattere del San Giovanni? Quale solenne avvenimento -
di cui sarebbe strano non fosse giunto sino a noi pur un
ricordo - può giustificare queir eccezione che effettiva-
mente rappresenta il Battistero fra le costruzioni di quel
periodo? Quale fatto autorizza a supporre che i cristiani
a Firenze, allora, come si sa, non molto numerosi né potenti,
dessero mano a un edifizio di tanto splendore, per poi ridursi,
nonostante il crescere progressivo di essi e della città, a
costruire la Santa Reparata di forma tanto più modesta?
Sant'Ambrogio, chiamato a Firenze per consacrare la
basilica di San Lorenzo, non solo non ricorda la chiesa
di San Salvatore, ma non parla nemmeno del San Gio-
vanni, Ora, sembra veramente poco probabile che se già
Fattuale Battistero era stato destinato al culto cristiano,
anzi, già costruito per uso di Cattedrale, il Santo, non solo
non ne tenesse parola, ma non celebrasse qualche sacra
funzione in un tempio così cospicuo e recente. Se poi si
stava allora costruendo, è anche più strano che egli non
accennasse in qualche modo alla nuova chiesa, che doveva
appunto, per la sua imponenza, apparire al Santo Vescovo
la più bella consacrazione della nuova fede trionfante in
Firenze. Onde, se ha ragione il Nardini neir affermare che
molti edifizi < si dovrebbero cancellare dal novero degli
esistenti o degli esistiti perchè tacquero di essi coloro che
potevano averli veduti > , ha torto di sostenere che < nel
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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 31
nome diverso portato allora dal San Giovanni potrebbe
aversi una spiegazione di questo silenzio di sant'Ambro-
gio > ^\ dacché^ come abbiamo rilevato, non solo i più
reputati scrittori escludono che esistesse una chiesa sotto
il titolo di San Salvatore, ma concordano altresì neir im-
possibilità di farne tutt'una con l'attuale Battistero.
Il Nardini vorrebbe che sin dair origine < la chiesa di
Santa Reparata fosse la pieve battesimale del Duomo di
San Giovanni » , e suppone, quindi, che col progresso dei
tempi le parti venissero invertite : il San Giovanni si ri-
ducesse a pieve battesimale e la Santa Reparata diven-
tasse Duomo € forse anche perchè la sua struttura ba-
silicale si prestava meglio agli usi di cattedrale, come
nel San Giovanni la forma ottagona si affaceva meglio
agli usi di battistero > ^\ Ma perchè imaginare un fatto
così strano, quando è noto che sino dal quinto secolo in
Occidente le costruzioni poligonali erano prescelte e de-
stinate più specialmente ad uso di Battistero?
IV
Non per Battistero peraltro sarebbe stato costruito in
origine il San Giovanni, ma per Cattedrale, E THabsch
a conferma della supposizione, ricorda la chiesa che
*) Nardini, op, et/., pag. 79.
2) lòid,, pag. 80.
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52 IL SAN GIOVANNI
San Gregorio Nazianzeno fece costruire a Neocesarea:
€ Il dit formellement qu'elle formait un octogone, et elle
avait beaucoup d'analogie avec le monument qui nous
occupe > ^\
La chiesa che avrebbe avuto tanta analogia col nostro
Battistero non esiste più; e Io stesso Htibsch ne deve
ricavare una ricostruzione grafica dalla descrizione riferita
dal figlio di san Gregorio, dalla quale, veramente, si ap-
prende soltanto che quello era un tempio stupendo, co-
struito su pianta ottagona regolare, con gallerie e con
portici, con la cupola, a quanto pare, aperta in alto come
quella del Pantheon, e adorna di decorazioni in plastica
imitanti perfettamente la natura; fabbricata con pietre da
taglio meravigliosamente messe in opera.... ^\ Ma è pos-
sibile, ossia, è accettabile una ricostruzione, sia pure del-
l' Hflbsch, su questi semplici e generici dati?
È vero, altresì, che il più recente illustratore del San Gio-
vanni afferma l'esistenza di esempi chiarissimi t i quali
ci provano come la forma ottagona non fosse aliena dagli
edifizi primordiali del cristianesimo », e di questi esempi,
per limitarsi all'Italia, ricorda il San Lorenzo di Milano
e il San Vitale di Ravenna. Ma circa il San Lorenzo lo
stesso scrittore rimane incerto se spetti agli ultimi tempi
romani o ai primitivi cristiani ^^; anzi, propende per la prima
*) HÙBSCH, Op, et/., col. 39.
2) lòt'd., col. 40.
3) « .... se fosse provato veramente che il San Lorenzo Maggiore di
Milano in origine fosse la gran sala delle Terme Massimiano convertita
poi all'uso cristiano; ma v'è chi crede ch'esso fosse un edifizio cristiano
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E I^' ARCHITETTURA ROMANICA 33
ipotesi, notando che la sua orìgine pagana avrebbe con-
ferma anche dalla forma a costruzione centrale, diversa
assai da quella adottata generalmente nelle basiliche cri-
stiane *\ Quanto al San Vitale, non solo la tradizione e il
sentimento romano scompaiono quasi del tutto per dar
luogo a forme d'arte bizantina, ma esso rimane esempio
rarissimo di chiesa puramente ottagona ; e - come avvertì
il Rivoira - nelle chiese coeve bizantine che ancora riman-
gono in piedi, l'ottagono portante la cupola è associato
con un recinto quadrato '\
È noto che alle chiese primitive a pianta circolare non
mancavano mai l'atrio e l'abside; pur tuttavia giova ri-
cordare che lo spirito felicemente logico dell'Occidente
non accolse un tipo di costruzione che ripugnava al sen-
timento tradizionale, e che, non rispondendo alle esigenze
del culto cristiano, non fu punto adottato, come si af-
ferma, nei primi secoli del cristianesimo. Nel San Gio-
vanni in Laterano, l'organismo ottagono trovò un'appli-
cazione per uso di Battistero, essendo tal pianta consigliata
dalla forma del fonte nel quale si battezzava ; nel Mausoleo
di Santa Costanza si ripeteva una forma tradizionale pa-
gana per i sepolcri dei più notevoli cittadini. Ben può dirsi.
fin dalla nascita» (Nardini, op, ctt., pag. 13, nota 2). E altrove: « Monu-
mento cospicuo e d'importanza altissima che non si è giunti ancora a
decidere se veramente sia opera romana o del periodo cristiano primitivo.
Hùbsch l'attribuisce al Cristianesimo; io però sarei tentato a sospettarlo
degli ultimi tempi pagani» {iòid,, pag. 11 3-1 15).
Nardini, op, cit„ pag. 115.
2) RrvoiRA, Le origini dell'Architettura Lombarda e delle site principali
derivcadoni nei paesi d'Oltr'Aipe, Roma, 1901. Voi. I, pag. 71.
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34 IL SAN GIOVANNI
insomma, che gli edifici circolari o poligonali, quando non
siano riduzioni delP antico, sorgessero soltanto fra noi sotto
r influsso deir architettura bizantina,
Non considerando però la struttura esteriore, ossia la
forma ottagona comune anche ai Battisteri del periodo
longobardo, non sono forse gli elementi architettonici ond* è
costituito il monumento nostro, in aperto contrasto con i
caratteri dell' arte bizantina e lombarda ?
¥
Se si ammette con THabsch e col Nardini, che il San Gio-
vanni sia stato costruito sin dall' origine per Cattedrale,
quasi contemporaneamente al San Vitale di Ravenna, vien
fatto di supporre, che, come nel San Vitale, le gallerie del
tempio fiorentino dovessero essere riservate alle donne.
Ma mentre si spiega benissimo che a questo scopo fossero
destinati gli ambulatori della chiesa ravennate, così ampi e
spaziosi, ai quali si accede per mezzo di comode scale, non
s'intende davvero come avrebbero potuto. le donne fioren-
tine,, desiderose di assistere alle sacre funzioni, passare per
le anguste scalette a chiocciola girate nei due piloni d* an-
golo e trattenersi negli anditi affatto disadatti del supposto
matronèo, incomodo evidentemente a qualsiasi uso pubblico.
È dunque la struttura esterna ed interna del San Gio-
vanni, che impedisce di crederlo edificato per Cattedrale;
di crederlo poi costruzione romana, sia pure della deca-
denza, impediscono la pianta ottagona, la cupola a sesto
acuto e il carattere della sua decorazione.
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Tav. Ili
Una faccia interna del San Giovanni
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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 35
Era frequente Tuso nei primi secoli del cristianesimo di
adoperare per le nuove costruzioni materiali tolti da mo-
numenti pagani, ma come avvertì lo stesso Borghini < non
sono così uniti, né così uniformi gli edifizi fatti di spoglie
e di rovine d'altre fabbriche » '^; e la basilica di San Lo-
renzo fuori le mura e il Santo Stefano Rotondo di Roma
e tante altre chiese fatte veramente di pezzi antichi sono
lì a provarlo. Invece, nell* interno di San Miniato, dove
mancavano i capitelli antichi se ne scolpirono di nuovi,
e in alcuni di questi, le parti decorative sono sommaria-
mente indicate, col proposito, poi non adempiuto, di finirle
sul posto; mentre in San Giovanni ai frammenti architet-
tonici presi a prestito da antichi edifizi si vedono armo-
niosamente corrispondere i nuovi, onde è chiaro che agli
avanzi numerosi di materiale romano e a un progredito
spirito imitativo si debba T adozione, per parte dei costrut-
tori locali, di queste forme decorative.
Tutto il sistema statico e ornamentale del Battistero fio-
rentino è troppo intenzionalmente derivato da determinati
modelli sicché risponda alla più ingenua maniera del pe-
riodo primitivo cristiano ; mostra troppo visibile lo studio
degli antichi motivi, il ritorno al sentimento classico; un
indirizzo che deriva dallo stesso spirito onde si animò il Ri-
nascimento, e che caratterizza l'architettura fiorentina e
nel primo e nel secondo periodo storico, neirxi e nel
XV secolo ^\
>) Borghini, Discorsi, Voi. I, pag. 144.
^ Cfr. KuGLER, GescMchte der Baukunst, Stuttgart, 1892. Voi. II, pag. 61.
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36 IL SAN GIOVANNI
Non certo nel periodo cui vorrebbero risalire THubsch
e il Nardini, può credersi gli artisti rievocassero così
felicemente gli antichi esemplari» dando prova, insieme»
di una sapienza costruttiva, che, per raggiungere, biso-
gnavano ancora ben altri progressi della tecnica.
Fino dai primi secoli del cristianesimo una delle più
grandi preoccupazioni degli architetti fu la costruzione
delle vòlte. I Romani, che ebbero nella cupola il più ca-
ratteristico elemento della loro architettura, erano arrivati
prontamente dalla vòlta a botte alla cupola piantata sopra
un muro circolare, tentando anche il raccordo per mezzo
di pennacchi fra la pianta poligonale e quadrata e la cu-
pola sferica. I Bizantini, invece, traendo partito dagli in-
segnamenti del passato, poggeranno la cupola su quattro
punti di appoggio collocati agli angoli del quadrato cir-
coscritto, uniti insieme con grandi archi, sui quali imposte-
ranno i pennacchi, e daranno ad essa - come a Santa Sofia —
ardimenti sino allora sconosciuti. Passo notevole questo,
che segna veramente una netta linea di confine tra T ar-
chitettura romana e quella del medioevo.
Il sistema di copertura ha indubbiamente nello stile e
nel carattere di un monumento un'importanza ben mag-
giore che non abbiano le parti secondarie e decorative. A
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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 37
torto, quindi V Hùbsch, le cui teorie furono seguite e fatte
proprie dal Nardini, affermò che tutte le chiese così del-
l' Oriente come dell* Occidente, nonostante la loro varietà
icnografica, non presentano che un solo stile, e che le
distinzioni che si fanno tra lo stile delle basiliche e quello
bizantino non hanno alcun fondamento ^\
Ma se un che di comune (derivato dalle relazioni con
l'arte classica preesistente), si riscontra in tutte le co-
struzioni accanto ad alcuni caratteri proprt, che ciascuna
regione rivela intorno a queste forme più generali, d'altra
parte per comprendere sotto un medesimo stile tutti i
monumenti religiosi da Costantino a Carlo Magno, biso-
gnerebbe, come notò il Dartein, non tener conto delle
varietà icnografiche e del sistema di copertura, ossia del-
l' elemento principale e direttivo delle diverse combinazioni
architettoniche ^^
Il sistema costruttivo del San Giovanni, secondo il Nar-
dini, sta a dimostrare una rivoluzione nella statica archi-
tettonica dei Romani ; la quale fondando3Ì sulle resistenze
passive che si esercitano in modo uniforme per tutto l' àm-
bito dell' edifizio mercè lo sviluppo delle sue massicce e
poderose muraglie, resulta perciò essenzialmente opposta
*) HtJBSCH, op, cit., col. XIV: « Les deux grandes régions architcc-
toniques, rOccident et TOrient, n'ont qu'un seul style, et la distinction
du style des basiliques et de l' ancien style byzantin n'est aucunement
fonde ». Cfr. Naiidini, op. cit., pag. 175.
^ Dartein, Éhide sur VArchiteciure Lombarde, pag. 519.
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38 IL SAN GIOVANNI
a quello del nostro tempio, che intende precipuamente
y alla leggerenza della costruzione, e la consegue per mezzo
delle resistenze attive e dalle controspinte verticali *\
« Era naturale dunque - prosegue lo stesso scrittore - che
i primi architetti cristiani, sfruttando pur sempre e per-
fezionando i principj e la tecnica della scuola romana,
escogitassero un sistema statico che li abilitasse a tirar
su delle moli gigantesche senza quell'enorme spreco di
materiali, che pur sarebbe occorso seguitando il costume
degli architetti della scuola pagana. Di qui pertanto l'ori-
gine di quel sistema statico mirabilissimo, in virtù del quale
le colonne sostengono e le muraglie rinfiancano; di qui
la sostituzione accorta delle resistenze di posizione alle
resistenze di quantità; di qui, finalmente, T obbiettivo rag-
giunto della leggerezza grandissima e dell'economia nelle
costruzioni » ^\
Se però nella edificazione di ampie sale a vòlta si
credette dapprima necessario di dare ai muri uno spes-
sore considerevole per renderli meglio capaci non solo di
sopportare un peso perpendicolare, ma di resistere a una
forte spinta laterale, in seguito si cercò di rendere sempre
più leggera ed economica la costruzione, e mentre il muro
venne alleggerito addossandovi le colonne, che concorrono
anch' esse al sostegno e si veggono usate per sorreggere
effettivamente archi e vòlte, la cupola si sgravò egualmente
con la suddivisione della massa nell' ossatura resistente e
*) Nardini, op, cit., pag. ii.
2) Ibid,, pag. 17-18.
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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 39
nel riempimento; adottando costole diagonali nelle cro-
ciere; forando il tamburo con finestre o nicchie sormon-
tate da robusti archi di scarico *\
Non diremo, quindi, che il San Giovanni offra il primo
esempio di colonne concorrenti direttamente al sostegno
della vòlta, e nemmeno che il sistema statico dell'archi-
tettura romana si appoggi esclusivamente sul principio
delle resistenze passive conseguite con V inerzia delle po-
derose masse murali ^\ perchè agli architetti romani del-
l' ultimo periodo si devono quegli artifizi che tanto con-
tribuirono ad agevolare il compito dei successori, e che
rappresentano indubbiamente T emancipazione dalle pra-
tiche antiche e il trapasso a un sistema di statica nuova:
ad essi, cui non fu punto ignoto il magistero dell'equi-
librio, che permette di impostare, senza pericolo, ardite
costruzioni sopra strutture relativamente poco poderose.
Tutto il sistema usato nel medioevo per la ripartizione
delle spinte è in germe nelle loro costruzioni : basterà far
aggettare dalle mura, entro, cui sono nascosti, i sottarchi
e i costoloni; basterà costruire in pietra questi elementi
divenuti aggettanti e indipendenti ; basterà dare maggiore
sviluppo ai contrafforti perchè dalle costruzioni romane
germogli il principio della struttura gotica ^\ ,
') GiOVANNONi, Za Sàia UrmaU delia Villa Liciniana e le cupole romane.
Estratto dagli Annali della Società degli Ingegneri e Architetii Italiani, fase. 3,
anno 1904, pag. 35.
2) Nardini, op. cit,, pag. 15.
3) Choisy, L'art de hàHr chez les Romains, Paris, 1873 ; e Histoire de
VArchitecture, Paris, 1899; cfr. De Vogùe, Syrie Centrale, Architecture civile
et religieuse du i^ au VJi^ siècle, Paris, 1865-77.
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40 EL SAN GIOVANNI
Le nuove forme architettoniche, come le nuove conquiste
statiche, non apparvero improvvisamente col trionfo del
cristianesimo, ma furono il resultato di una lenta evoluzione
per la quale s' incominciò a rendere le vòlte meno pesanti e
più ampie, sia assottigliandole, sia impiegando materiali più
leggeri, sia, finalmente, costruendole con anfore vuote. Nella
tomba di Sant' Elena (f 328), madre di Costantino (co-
struzione più nota sotto il nome di Tor Pignattara), la
cupola è composta di anfore vuote disposte a spirale e a
cerchio ; con laterizi vuoti è formata quella del Battistero
di San Giovanni in Laterano (461-468); infine, nel Mausoleo
di Santa Costanza, la cupola, che si parte da un tamburo
centrale elevato su colonne binate, disposte nel senso dello
spessore del muro, riceve la controspinta dalla vòlta anu-
lare a botte deir ambulatorio ^\
Così si arriva ai monumenti di Ravenna, la cui struttura
segfna un perfezionamento sulle costruzioni precedenti. Nel
Battistero di Neone (449-458) la cupola emisferica era stata
costruita interamente con file sovrapposte di tubi in-
seriti gli uni negli altri; nel San Vitale (526), il raccordo
della cupola con la struttura ottagona dell' edifizio è otte-
nuto, anziché con pennacchi sferici, per mezzo di nicchie;
e la cupola trova una parte della sua stabilità nella
soprelevazione dei muri che le servono di sostegno, a
*) GiovANNONi, op. ci/,, pag. 35, e Rivoira, op, «/., pag. 36 e seg.
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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 41
differenza delle cupole bizantine dello stesso periodo, nelle
quali la stabilità è raggiunta per mezzo di contrafforti
esterni ai muri del tamburo, oppure disposti sul perimetro
esterno della cupola ^K Sono, pertanto, questi gli edifizi
che offriranno elementi preziosi alle nuove e più ardite
conquiste della statica; che trasmetteranno ad un periodo
più felice per Parte la pratica delle costruzioni a vòlta.
Come allora non esitare ad ammettere che la sa-
piente struttura della cupola del Battistero fiorentino
preceda quei monumenti in cui gli architetti si erano
studiati di dare alle vòlte maggiore sviluppo, non già
con la risoluzione dei problemi statici, che a quelle strut-
tura si connettevano, ma con Tuso di materiale più leg-
giero?
Non si risolve, d* altronde, la questione con l'affermare
che gli architetti fiorentini, ricercando nuovi artifizi e non
potendoli più trovare nel campo della pratica, si volges-
sero alla speculazione e li chiedessero alla scienza. E dalla
scienza - è sempre il Nardini che scrive - essi ricavarono
che quanto meno la curva di una vòlta si dilunga dalla
verticale, tanto minore viene ad essere la spinta che essa
esercita sui punti di appoggio e di sviluppo. Eccoci al-
lora direttamente alla descrizione delle vòlte a mezzo del
sesto acuto ^^ E a mostrare che l'antichità non manca
di esempi di questo tipo di costruzioni, lo stesso scrittore
ricorda la vòlta interna del sepolcro dei Plauzi a Roma,
1) Cfr. RrvoiRA, op. cit», pag. 34-79.
2) Nardini, op» ctt,, pag. 122.
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IL SAN GIOVANNI
o il solito San Lorenzo di Milano. Se non che il primo
fu ridotto a fortezza nei bassi tempi e restaurato tutto
da Paolo II; il secondo, da sala termale ridotto a chiesa,
nel 107 1 venne distrutto dal fuoco e riedificato; nel 1104,
rovinò in parte e fii ricostruito; nel 11 24 fu danneggiato
da un secondo incendio. Riparato allora più solidamente,
così restò sino al 1573 in cui cadde gran parte della vòlta.
E fu probabilmente nel 11 24 che la cupola dalla forma
circolare passò a quella ottagonale con pennacchi gradi-
nati a risalti, pur sviluppandosi sempre sopra la originaria
pianta quadrata ^K
¥
L'arco acuto non costituisce per sé stesso il carattere
fondamentale del sistema organico che pur da quell'arco
si denomina talvolta ; ma, anche ammesso che il sesto acuto
della cupola del San Giovanni non sia una velleità estetica
bensì un' esigenza statica, e perciò < tenga alla sostanza più
che alla forma > ^\ pure non si deve dimenticare che in ar-
chitettura lo sviluppo delle forme è strettamente legato a
quello della costruzione. Come dunque la struttura del Bat-
tistero fiorentino non ci permetterebbe, nonostante il sesto
acuto della sua cupola, di riportare il monumento al periodo
gotico, perchè di questo stile mancano troppi altri elementi
essenziali, così non sapremmo davvero come conciliarla con
*) Dartein, op. cu., parte II, pag. 4-5.
^) Nardini, op, cu,, pag. 121.
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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 43
gli esempì che ci rimangono di costruzioni del periodo pri-
mitivo cristiano. Ma abbiamo, invece, molte chiese del pe-
riodo romanico, anche in Toscana, ove Tuso dell'arco acuto
è frequente; abbiamo il Duomo di Pisa con Tarco acuto in*
tutti i valichi delle navi intermedie, e altresì nella cupola ;
onde fra noi si avverte il singolare fenomeno che, nel pe-
riodo' romanico, le chiese hanno di sovente V arco acuto,
mentre invece nel periodo gotico non mancano esempi di
costruzioni con Tarco a tutto sesto.
Meglio si appose lo stesso Nardini '^ allorché, non sviato
da nessun preconcetto, scriveva a proposito della cupola
del Duomo di Firenze : « Fino da quando il cristianesimo,
esercitando apertamente il suo culto, abbandonava il co-
stume delle robuste vòlte pagane, che più non s'attagliavano
alla leggerezza dei sostegni adottati dalla nuova architet-
tura, le cupole, ridotte anch' esse più leggiere e nella spes-
sezza e nei 'materiali ond' erano fatte, e non potendo perciò
mostrar più allo scoperto, come prima, il loro estradosso,
si cominciò a sentire il bisogno di ripararle dalla incle-
menza delle stagioni. Di qui la pratica di sormontarle e
difenderle con un tetto piramidale, pratica che, iniziata nei
primi secoli del cristianesimo, divenne poi universale a
tutte le cupole delle chiese lombarde, non solo nel me-
dio evo, sì anche ai tempi del Risorgimento, Questo si-
stema a doppia copertura non si può davvero chiamare
un sistema di cupole doppie; si può credere però che
') Filippo di Ser Brunelksco e la cupola del Duomo di Firtnze, Livorno,
Meucci, 1885, pag. 56.
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44 IL SAN GIOVANNI
potesse esserne il germe : imperocché in architettura, come
in tutte le cose umane, le idee ed i fatti non nascono gi-
ganti, ma si manifestano prima in germe, e sviluppando
poi per gradi diventano perfetti >.
Non è strano che cosi savie considerazioni vengano di-
menticate dal valente architetto a segno da fargli se-
guire e sostenere la vecchia tradizione intomo all'età del-
l' edifizio fiorentino?
Una costruzione così sapiente come quella del San Gio-
vanni, che rappresenta un progresso sulle antiche costru-
zioni pagane e sulle stesse costruzioni primitive cristiane,
le quali, se avevano il vanto, come nota THabsch, di
una grande leggerezza, non raggiungevano (trattandosi
specialmente di costruzioni a vòlta) quella del nostro Bat-
tistero, non può riferirsi né al quarto, né al quinto se-
colo. La struttura della cupola, poi, con i piloni e i con-
trafforti che seguitando su in alto costituiscono altrettanti
sproni a rinforzo e a controspinta della medesima, e al-
tresì a sostegno del tetto piramidale che la ricopre (of-
frendo in qualche modo un primo modello di cupola
doppia), sempre più dovrebbe persuadere dell'impossi-
bilità che questo monumento sia anteriore o contempora-
neo a quelle chiese in cui il tetto non ha rapporto alcuno
con l'organismo architettonico.
È vero bensì che l'ispezione accurata del monumento per-
mette di dubitare che la cupola del San Giovanni avesse
sin dall'origine la copertura nella forma presente: ma in
tutti i casi il mutamento - come vedremo - é di poco
posteriore alla costruzione stessa.
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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 45
Nei lati interni degli sproni che oggi s'innalzano fino
al tetto, a metri 3.25 dal piano dell'ambulatorio sovra-
Proiezione orizsontale degli sproni che controspingono la cupola e reggono
il tetto. " Sezione orizzontale del tetto e della cupola al piano della cor-
nice finale estema.
(Proporzione da 1 a 300)
Stante le gallerie, un filare di pietra, alto cent. 9 Ya» ag-
getta per cent. 6 72 ; e la soprelevazione del muro este-
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46 IL SAN GIOVANNI
riore poggia parzialmente in falso, partendosi, cioè, da una
specie di toro che sporge dal muro stesso per cent, io '/j.
Questi dati di fatto ci inducono ad ammettere che in
origine lo spazio perimetrale occupato dalla grossezza
dei muri e dalle gallerie fosse coperto da un tetto a
spiovenza regolare, e che dal limite superiore di questo
s* innalzassero gli spicchi della cupola coperta sempli-
cemente di laterizi. Ma essendo apparse agli angoli di
essa larghe fenditure, che si vedono tuttora, a meglio
assicurarne la stabilità, si accrebbe il carico contro la
spinta; s'innalzarono gli sproni addossandoli alla cupola
stessa: quindi il bisogno di mascherare i nuovi rinforzi
con Tattico ^K
E certo, pertanto, che questa forma esteriore di rive-
stimento della cupola a sesto acuto più che mai induce
ad escludere non solo l'origine romana ma pur quella
primitiva cristiana del San Giovanni, la cui agile e sa-
piente struttura non può nemmeno riferirsi al periodo
longobardo, nel quale la timidezza dei costruttori si pa-
lesava con mura più spesse, con intervalli più ristretti,
con luci meno ampie.
*) Nella Relazione deir architetto Del Moro, pubblicata dal Nardini
{op, cit., pag. 127, nota i), si dice che la vòlta « si parte di sopra alla
cornice del secondo ordine architettonico con una grossezza quasi co-
stante di metri 1.15, ed è costruita con lastre di pietra forte diligente-
mente murate ». Ora è bene avvertire che lo spessore della cupola è di
circa metri 1.15 all'impostatura, ma va leggermente diminuendo sino a
raggiungere i 60 cent. ; che essa è costituita con bozzette di pietra forte
sino air altezza di 8 metri, poi con grossi mattoni rettangolari, che misu-
rano cent. 30X45 e dello spessore di circa 7 cent.
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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 47
Né basta, d'altronde, affermare che neirxi e nel xii se-
colo i costruttori, incapaci di erigere grandi vòlte, erano
perciò obbligati a coprire a cavalietti le navate maggiori
delle loro chiese, o ricordare che se essi costruivano delle
cupole non erano mai arrivati alla grandiosità di questa
fiorentina *\ Prima sarebbe da vedere se la mancanza
di vòlte nella navata maggiore non derivasse, piuttosto
che da incapacità, da forzata parsimonia o anche dal de-
siderio di mantenere alle basiliche il tipo e il carattere
primitivo. Certo, le vòlte, sia a crociera, sia a botte avreb-
bero avuto bisogno di più solidi e robusti sostegni; di
mura più spesse e più compatte. Sarebbe allora stato ne-
cessario sacrificare il carattere stesso dell' edifizio, cioè
l'altezza delle navate, lo slancio dei pilastri e delle co-
lonne, con danno evidente della luminosità di tutta la co-
struzione; e questo non potevano volere quei costruttori
i quali mostrarono II proposito di rendere più agili, più
leggeri, più aperti i nuovi monumenti. Maggiore difficoltà
poi doveva presentare indubbiamente la costruzione di una
cupola nella crociera di una cattedrale; mentre nel San Gio-
vanni, invece, non solo la limitata altezza rese più agevole
il lavoro, ma la forma stessa ottagonale presentò minore
difficoltà di quella sul rettangolo, e la struttura a sesto
*) Reymond, La sculpture fiorentine, Firenze, Alinari, 1898. Voi. II,
pag. 80.
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48 IL SAN GIOVANNI
acuto ne facilitò la costruzione per modo da far supporre,
con ragione, allo stesso Nardini, che venisse innalzata senza
armatura.
A tutto ciò si aggiunga la convenienza, per le cupole
ottagone, di un* apertura in alto, e V opportunità di chiu-
dere quell'apertura con una lanterna; onde la notizia data
\/ dal Villani, che nel 1150 < si fece fare il capannucdo
levato in colonne e la mela e la croce d'oro al dì so-
pra > , ossia che alla primitiva chiusura fu data allora più
nobiltà di finimento. Il Nardini, mettendo in rapporto la
lanterna col marmo solstiziale del pavimento, propende
a crederne autore Strozzo Strozzi (f 1052), e riscontra
nell'epigrafe che gira attorno allo zodiaco i caratteri del
secolo XI, mentre questa figurazione a intarsio del Batti-
stero è contemporanea a quella del San Miniato (1207).
E se anche la cupola, com' è più probabile, fu chiusa molto
prima, queir ornamentazione < levata in colonne > deve
indicare 1* ultimo finimento della rinnovata copertura, con-
fermando così che non solo i lavori costruttivi ma pur
quelli decorativi dovevano avviarsi al loro definitivo com-
pimento.
VI
Dei vecchi monumenti (notò il Boito) rimangono per
solito notizie o tradizioni o documenti sicuri per gli anni
in cui vennero prodotti; mancano, invece, quasi sempre
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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 49
quelli particolareggiati delle rinnovazioni e delle trasfor-
mazioni compiute nei secoli posteriori e per le quali spes-
sissimo Tedificio cambiava forma in ogni sua parte, si trasfi-
gurava nella pianta, negli akati, nello stile, tanto da non
ricordare in nulla T edificio che lo precedeva e da non
serbare con esso altra analogia se non quella del nome
e del sito ^K Per il Battistero i documenti tacciono puf
troppo e sulla fondazione e sulle trasformazioni succes*
sive. Le antiche carte non ci hanno conservato che que-
sti ricordi : neir 899 la chiesa di San Giovanni aveva per
contitolare *an Miniato \ nel 909 era detta mira flùrtn^
Hnam civitatem^^\ nel 1059 venne di nuovo consacrata dal
pontefice Niccolò II *^ Succedette al San Lorenzo nella
dignità di Cattedrale, e così restò sin verso la metà del
secolo XI ; dopo il qual tempo se la troviamo talvolta men-
zionata come la maggior chiesa e associata a Santa Re^
parata, fi sì è avuto riguardo a quello che fu, non a quello
che era divenuta > ^\ Siffatta scarsità di notizie tanto più
rende necessario l'esame e lo studio del monumento stesso
a meglio stabilire il tempo più probabile della sua origine
nella forma attuale.
>> Borro, La chiesa di SanfAbondio e la Basilica di tallo, in Archilillura
del Medio Evo in Ilalia, pag. li.
2) Diploma del Re Berengario dell'anno 899 già pubblicato dall' Ughelli :
Concéssimiu il condonaviMui Ecclesia» Sandorum Johannis et MimaH\s\ que
caputesi Florenlini episcopalus eie, cfr. Lami, Sanclae ecclesiae florenHnae Mo-
numenla. Voi. I, pag. 564, nota a,
3) Lami, Monumenta, Voi. II, pag. 938, nota b,
^) Spogli Stroziiani di Memorie ecclesiastiche in Afch. di Stato di Firenze.
5> Firenze antica e moderna, Voi. I, pag. 34; cfr. RlCHA^ op, di,, tomo Vi,
pag. 6-9.
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5© IL SAN GIOVANNI
¥
La maggior parte degli studiosi stranieri furono con-
cordi nell' assegnare il San Giovanni al periodo romanico;
non però da una seria analisi architettonica del monumento
derivarono questa conclusione, ma da alcune circostanze
storiche e dal desiderio di far coincidere il più famoso
edifizio sacro della città col periodo del primo rifiorire del
classicismo in Firenze. Né alcun nuovo argomento, oltre i
già noti, ci offre la polemica sorta nel 1855 ^^a THUbsch
e il Kugler intorno ai due più importanti edifìzi cristiani
di Milano e di Firenze; il San Lorenzo Maggiore e il
San Giovanni '\
Il Kugler fii tra i primi che ascrissero il tempio fioren-
tino al principio del secolo xii; e il fatto che il titolo di Cat-
tedrale passasse appunto in quel tempo dal San Giovanni a
Santa Reparata, e V altro che nel 1 1 1 7 i Pisani, per la guar-
dia fatta alla loro città durante V impresa delle Baleari, re-
galassero ai Fiorentini due colonne di porfido, parvero al
dotto tedesco favorevoli argomenti all'ipotesi che in quegli
anni appunto si procedesse al rinnovamento della chiesa ;
e che quel dono delle due colonne non si abbia a spie-
gare altrimenti che col desiderio di favorire un' intrapresa
costruttiva specialmente cara ai cittadini di Firenze. < Con
") Deuisches Kunsiblatt, 1855, pag. 184 e seg., e pag. 228 e seg. : Hubsch,
Dos hedeutendsU Denkmal altchristlicher Kunst zu Mcdland, - KuGLER, In
Betreff der AnHkriHk des Herm D/ H, Hubsch,
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* E L'ARCHITETTURA ROMANICA 51
ciò - conclude - ci pare che venga designato quel tempo,
per la costruzione stessa o il principio di essa. Circa la
metà del secolo, Tedifizio era in ogni modo finito nelle
sue parti principali; mentre si sa che nel 1150 fu posta
la lanterna in cima alla cupola. L* ornamentazione seguì a
poco a poco nei successivi decennt. Nel 1 200 fu eseguito
il pavimento di marmo; nel 1225, secondo T iscrizione, il
musaico della tribuna > ^K
Ma oltre il fatto che le colonne dei Pisani posano ai
lati della porta principale del San Giovanni, e danno per-
ciò a credere giungessero troppo tardi per essere uti-
lizzate nella nuova costruzione, per altro motivo ancora
dal Kugler dissentì lo Schnaase intorno alla data, a suo
avviso tarda. < Il fatto che la costruzione ha un'abside
per r altare mostra chiaramente che non era ancora adi-
bita ad uso di Battistero, e per conseguenza la sua origine
deve risalire molto avanti il 11 28; quindi proprio nell'un-
decimo secolo >^K Eccoci, cosi, di nuovo alla questione
deir abside.
¥
Già dicemmo, col Nardini, come tutte le disposizioni
murarie su quel lato del Battistero ov' è V abside mostrino
evidentemente di essere state, anche nei particolari più
piccoli, preordinate all'esistenza dell'arco trionfale interno;
'> Kugler, Geschichte der Baukunsi, Voi. II. pag. 58, 59.
2) Schnaase, GeschichU der Bildendm Kunsf, Voi. IV, pag. 442, nota.
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52 IL SAN GIOVANNI
onde r impossibilità che la così detta scarsella venisse ag-
giunta in epoca posteriore ^\
L'esame poi della fondazione semicircolare della pri-
mitiva tribuna, scoperta negli scavi del 1895, ha mostrato
Accenno schematico delln trìbamt prìmìttra
(Dal Nardini)
nel combaciamento esatto di questa costruzione con il
corpo ottagono, nel suo preciso incentramento, nella re-
golare altezza e uniforme qualità dei pietrami, nonché
') Rapporto del^ architetto Corinti alla Commissione storico^artistica Co-
munale; n, 65, 14 settembre 1895: « Si è scavato dietro all^ tribuna di
San Giovanni, e si è trovato il muro circolare già veduto quando, nel-
r agosto 1887, fu ivi scavato per collocare il tubo dell'acqua potabile,
come rilevasi dal rapporto dell' ing. Fraschetti nella Naxione del 7 ago-
sto 1887. Il cerchio di questo muro, di notevole spessore, trova il suo cen-
tro sulla met^ del lato di ponente dell'ottagono, che segna la pianta del
tempio. Questo muro, per diverso suQ ri«eghe» va via via allargandosi
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>
H
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E L'ARCHITOTTURA ROMANICA S3
nello Stesso numero di filari dell'abside e della chiesa,
la contemporaneità delle due costruzioni.
Il San Giovanni, quindi, quale noi oggi lo vediamo, è
sorto dopo il Mille e non ha avuto alcuna modificazione
essenziale nel suo organismo costruttivo; né i documenti
ricordati sopra contrastano alle conclusioni cui lo studio
del monumento ci ha condotti, ove essi si riferiscano, come
tutto induce a credere, ad un più antico e diverso edi-
fizio, il quale, anche secondo la nostra opinione, ebbe ori-
gine sotto la Signoria longobarda.
VII
Scrisse il Lami, « che al tempo della nostra regina
Teodelinda, la quale fu quella che elesse per protettore
del regno de' Longobardi san Giovan Battista, i Fiorentini
secondando il genio divoto della loro sovrana, vollero eri-
gere una chiesa ad onore di quel Santo >.... e la fabbri-
carono fuori delle mura, secondo l'uso degli antichi fedeli
cristiani i quali < erano consueti di edificar le Cattedrali
alla ba«Q, e dopo quattro di queste lo vediamo attraversare lo smalto di
un pavimento romano.,., di mosaico.
« La tribuna, o scarsella, come si chiamava, che è di pianta rettaogo<-
lare, venne a posare sopra questo muro circolare ,* e per edificarla si do-
verono fare delle fondazioni suppletive ai suoi angoli, che non trovar
vano riposo sul muro circolare. Per questa non contemporaneità e per
questa discontinuità nella fondazione, la tribuna aggiunta alla chiesa venne
a fendersi in più parti dalla base alla volta».
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54 IL SAN GIOVANNI
fuora delle città, benché nelle più prossime vicinanze >.
E ben avverte, proseguendo, che molte città edificarono
le loro chiese < talmente nell* estremo, e come sulle mura,
che vi è tutta l'apparenza che in antico, prima che que-
ste città si ampliassero, ed allargassero il circuito delle
mura, rimanessero fiiora del cerchio anteriore delle me-
desime > ^K
È noto che l'antico Palazzo del Vescovo sorse diret-
tamente sopra costruzioni romane delle quali ha conservato
in pianta l'andamento dei muri, come in elevazione una
qualche traccia dei muri stessi. Esso formava un lungo
rettangolo compreso fra la Piazza dell' Olio e quella
di San Giovanni, il cui lato corto veniva ad essere pa-
rallelo all'attuale Via dei Cerretani dalla quale distava
sei metri ^K Da questo lato si rinvennero, infatti, gli
avanzi dell'antica Porta del Vescovo o del Duomo con
1) Lami, Lezioni, VoL I, pag. 59-60.
2) Rapporto dell' archiietio CorinH, n. 24, 30 novembre 1894. « Del-
l'antico Episcopio la parte più conservata, per le tracce venute fino a
noi, è quella che dalla porta antica della città si estendeva verso Piazza
dell'Olio. £ in questa parte della episcopale dimora, che si trova la sala
d' udienza, nella quale ai legnami dell' antico solaio vennero sostituite le
vòlte a crociera, sostenute dà due robusti pilastri di pietra, dei quali uno
è sempre visibile nel mezzo dell' attuale sala ridotta. L' altra parte, forse
più antica, dell' Episcopio, ma più manomessa, specialmente per la ridu-
zione fattane dal Dosio, è quella che si estendeva verso S. Giovanni, la
quale doveva protrarsi sulla piazza attuale al di là della facciata stessa
del Dosio ».
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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 55
le sue robuste torri ^*; e a questa si congiunsero più tardi
le mura, che dalla Postierla dei Visdomini (al principio
dell'attuale Via dei Servi) facevano capo a Santa Maria
in Campo.
Ma in quelli stessi scavi apparvero, dal lato opposto,
sotto la Volta dei Pecori, gli avanzi di un'antica torre,
che si staccava dal suolo con uno zoccolo massiccio alto
un metro, formato di filaretto; e a questa si congiunge-
vano grossi muri in direzione dell'antica chiesa di San Cri-
stoforo degli Adimari ^. E poiché di antiche mura si rin-
») Cfr. Rapporti Corinti, n. 54, 28 giugno 1895 ; n. 55, 6 luglio 1895 ;
n. 58, 26 luglio 1895; n. 61, 16 agosto 1895. 4kExtant adhuc roiundae
Éurres et poriarum monumenta, quae nunc episcopatui connexa sunt, quae, qui
Romam viderit, non videbit solum, sedjurabit esse Romana, non solum qualia sunt
Romaemoenia latericia coctilique materia, sed et forma ». Coluccio Salutati,
Jnvectrva. Cfr. Davidsohn, Forschungen zur àlteren Geschichte von Florenz,
pag. IO.
2) Rapporto dell' architetto Corinti, n. 24, 30 novembre 1894, cfr. an-
che il Rapporto n. 52, 12 giugno 1895, in cui si legge: «Rinnovandosi
adesso il tubo del gas lungo la Via dell'Arcivescovado, è venuto a sco-
prirsi, per il cavo fatto, lo zoccolo o base di un' antica torre, che stava
sull'angolo della Via dell'Arcivescovado e della Volta dei Pecori. Questa
torre, per quella parte di elevazione, 70 cent., che ancora ne rimane
sotto, r attuale piano stradale, è formata di un be> filaretto, e misura, alla
base, sul lato occidentale ora scoperto, metri 7.30. Lo spessore dei muri
di elevazione era di metri 1.45. Ora il suo tronco si trova per intero
sull'area pubblica. Quivi a metri 1.20 sopra il lastrico romano, si trova il
suolo dal quale si erge la torre ; a metri 2.30 sopra il lastrico stesso si tro-
vava quello della vecchia Via dell'Arcivescovado, e a metri 2. co trovasi
l'attuale piano stradale. Dalla fondazione a questa torre viene investita la
strada romana, corrispondente sotto la Via dell'Arcivescovado, nella sua
incrociatura con altra strada romana, che si dirige verso levante. Di
questa strada vedemmo il piano lastricato quando dai signori Rossi e
Ceci si fecero, sul lato meridionale della piazza di S. Giovanni, le fon-
damenta della nuova fabbrica ».
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56 IL SAN GIOVANNI
vennero le tracce al principio della Via de' Calzaioli, quasi
in faccia al Vicolo degli Adimari (e v'è tuttora del rin-
venimento il ricordo) '^ mura che per V attuale Via del-
l' Oche andavano a unirsi alla Postierla di San Benedetto
o dei Tedaldini (onde V altra ìscrìziont : semper restituénda
oc servanda antìquitas)^ non par dubbio che questo dovesse
essere il più antico cerchio della Città medievale ^\ e che
il San Giovanni restasse fuori di esso < benché nelle più
prossime vicinanze > ^\ secondo l'antico uso, e la concorde
affermazione degli scrittori. In seguito, le mura vennero
a contenere anche il nuovo tempio sorto di pianta < affine
di servire pe '1 Battesimo e non altramente nel suo prin-
cipio > ^\ non però secondo vorrebbero il Manni e il Lami,
quale una dipendenza di Santa Reparata che divenne Cat-
tedrale tanti secoli dopo.
Troppo triste si è da qualcuno raffigurata la condizione
di Firenze nel periodo longobardo ^\ al quale, invece, più
recenti studi ascrivono il primo vigoreggiare ed affer-
1) BiQAzzi, Iscrizùmi e Memorie delia Città di lìretue. Firenze, 1887,
pag. 207 : « Che dà mezzogiorno a ponente | qui volgesse il primo cerchio
delle mura di Firenze | le fondamenta ritrovate | confermano >. Cosi suona
r iscrizione oggi spostata per far luogo a una brutta insegna dei magazzini
della Fabbrica Lombarda di telerie.
2) Cfr. UccKLLi, Letture sulle Antichità di Firenu in AtH della Società
Colombaria di Firensse. Firenze, 1893. Rapporto III, pag. 23-25.
^ Mahih, Prindpj della religione cristiana in Firenxe, pag. 73.
*) Cfr, Nardini, op. cii„ pag. 18-19 e 75.
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E L'ARCHTTETTURA ROMANICA 57
marsi della nuova gente predestinata ad avere tanta parte
nella storia d'Italia e nella cnltura dell'evo moderno. In-
torno a questo tempo, i vescovi fiorentini accrebbero il
loro potere e la loro influenza, mentre nella città s'in-
cominciavano le nuove costruzioni di edifizi ecclesiastici
e civili.
Le torri che i longobardi innalzarono a scopo di guardia
e di osservazione, fra cui il Guardingo^ che sorse suir an-
tico teatro romano, le burelle o prigioni, i monasteri e le
chiese, delle quali due dedicate a San Michele, una a
San Giovanni, e una a San Pietro in coelo aureo^ confer-
mano r attività edilizia di quel periodo ^K Nulla di strano,
quindi, che durante la generale conversione dei longobardi
al cristianesimo, dovuta all' opera di papa Gregorio, effica-
cemente aiutato dalla regina Teodolinda, si costruisse su
pianta ottagona, secondo la forma tradizionale, il Batti-
stero fiorentino. Ma quella fabbrica primitiva dovette es-
sere ben lontana dalla grandiosità e dalla magnificenza del
tempio attuale, mentre la maggior parte dei battisteri di
stile lombardo appaiono costituiti da un recinto poligonale,
quasi sempre ottagono, coperto da tetto a cavalietti o da
vòlta, con un bacino nel centro per il fonte ^\
Modesta costruzione, dunque, anche questa fiorentina,
che solo a cagione dell'essere così felicemente situata,
divenne poi la chiesa maggiore, più che vera e propria
Cattedrale, come conferma il vedere riserbato alla nuova
»> Davidsohn, GeschichU von Florem, Gap. Ili, pag. 70-73.
^ DARTEm, ArchiUciure Lombarde, pag. 399.
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58 IL SAN GIOVANNI
Santa Reparata Tonore di accogliere, forse appena condotta
a compimento, il corpo di san Zanobi, e più tardi quelli
dei due pontefici, morti in Firenze, Vittore II (f 1057), e
Stefano IX (f 1058).
Comunque sia, il vecchio edifizio adibito ad uso di Cat-
tedrale e insieme di Battistero, associò al nome del Bat-
tista quello del martire fiorentino san Miniato, ed ebbe
aggiunto l'abside per le esigenze del culto.
Quando il Nardini dimostrò che il San Giovanni, così
com'è, nacque con le sue tre porte e la tribuna; che i
lati dell'ottagono dove sono queste aperture presentano,
rispetto agli altri, maggiore larghezza; che tanto all'in-
terno quanto all' esterno l' intercolunnio è più spaziato per
lasciare più libero e ampio adito alle porte, e che nel lato
prospiciente il Duomo questo intercolunnio è anche mag-
giore perchè appunto la porta che vi si apriva doveva
essere la principale ^\ non pensava che questi dati avreb-
bero posto in serio pericolo la sua tesi.
Ammettendo, infatti, il Battistero costruito nel iv se-
colo e subito dopo il Palazzo del Vescovo ^\ è lecito do-
mandare, allora, d' accordo con tutti i più antichi scrittori,
se può credersi che il monumento mancasse di quel solo
1) Nardini, ap, ctt,, pag. 96 e nota.
2) Ristori, Alcune notizie sul Palazzo del Vescovo fiorentino. Estratto dal-
V Archivio Storico Italiano. Serie V, Tomo XVIII, Anno 1896, pag. 4-5.
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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 59
accesso che appariva il più strettamente necessario, per
essere da quel lato l'Episcopio, mentre dagli altri lati
erano soltanto orti, campi e mura; o se fosse possibile
che le porte del tempio venissero disposte in modo affatto
contrario ai bisogni e alle esigenze del clero, specie quando
nulla impediva di aggiungere dove meglio piacesse quel-
la abside.
Che il Palazzo del Vescovo fosse provvisto di un atrio
è attestato dai documenti ; se poi quest* atrio si pro-
lungasse così da investire il Battistero, e da servire
nel tempo stesso al Palazzo e alla Chiesa, non abbiamo
dati sufficienti per stabilire *\' certo, le antiche carte con-
fermano che la casa del Vescovo fronteggiava il San Gio-
vanni, anzi, che V atrio del Palazzo rispondeva davanti alla
Basilica ^K
*) In una carta dell' Archivio Arcivescovile di Lucca dell'anno 897,
già pubblicata dal Muratori (cfr. Memorie e documenti per servire all' istoria
della Città e Siato di Lucca, Voi. IV; 2, App. 70) si legge, che Amedeo Conte
di Palazzo, mandato in Toscana dall' imperatore Lamberto per rivendi-
care alcune possessioni di chiese e terre al Vescovo di Lucca, venne in
Firenze in domum episcopi ipsius crvitatis, in atrio ante basilica S, Joannis
Baptiste, (Arch. di Lucca + n. 5). Da questo documento il più recente
storico di Firenze vorrebbe che proprio davanti al San Giovanni, dal lato
ov' è la scarsella, fosse anticamente un atrio (Geschichte von Florenz, pag. 72
e pag. 862, n. 4), confermando cosi l' ipotesi avanzata dal Borghini, dal
Richa e da altri molti. Ma il documento citato ci fa conoscere soltanto
che di fronte al San Giovanni era il Palazzo del Vescovo, con im atrio,
non già che l'atrio facesse parte dell'antica basilica, come del resto
viene confermato dall' altra carta pubblicata dal Lami, dell' anno 967, che
incomincia cosi : Dum in Dei nomine, in Croitate Fiorentina, in atrio domus
episcopaius B, Joannis, episcopio ipsius cmtatis, ecc. (Lami, Monumenta, Voi. I,
pag. 85, nota).
^ Ristori, op. cit., pag. 5.
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6o IL SAN GIOVANNI
L' ingresso, dunque, era dalla parte dell'Episcopio; il
fonte nel centro ; V altare, secondo l' uso, addossato al fonte
e vMto ad oriente ; e forse, come fu supposto ** un cer-
chio interno di colonne stava a sostegno di una più mode-
sta copertura, secondo il tipo e il carattere delle costru-
zioni lombarde. Quando Tediftzio fìi adibito ad uso di
Cattedrale, per non ingombrare Io spazio davanti alla co-
struzione già intrapresa di Santa Reparata, T abside, dove
trovò posto l'altare, fu dovuta aggiungere, di necessità*
dal lato di ponente; T altare fu ufHiiato alla romana» e così
restò sino all' anno indicato in questa notizia dello Strozzi :
< 1336» si volta l'altare dall'altra parte e in testa vi si col-
loca il tabernacolo, dentrovi la statua di San Giovanni, e
ai Iati due angioli scolpiti da Andrea Pisano > ^K
Ma l'attuale Battistero, nato - come dicemmo - con
la scarsella e le tre porte, non può aver nulla a che fare
con quello che abbiamo or ora descritto; onde potrebbe
concludersi che un antico edifizio lasciasse più tardi il posto
al nuovo e presente ^\ Così soltanto s'intenderebbe come gli
scrittori fiorentini^ facendo del vecchio e del nuovo un unico
monumento, si siano dati ad immaginare modificazioni e ri-
facimenti che l'esame della costruzione stessa ha dimostrato
impossibili, e non mai, infatti, apportati alla chiesa attuale.
i) MoTHES, DÌ4 Baukunsi diz MUielalUn in ItoUen, pag;. :;53, e nota.
'^ Spogli Siromani di M^morU tccU$miUhe m Archivio di Stato di
Firenze.
3) Cfr. ScwAASE, Qfschichie der Biìdtndm Kfimfe. Vpl. IV, pa«. 442.
nota. - LiJBKE, Geschichie der ArchiUktur, Voi. I, pag. 609. ^ FiUSY, DÌ€
Loggia dei Lanzi, pag. 62.
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E L'ARCHITETTURA ROlSlANICA 6|
Tutte le disposizioni architettoniche di essa ci appa-
riscono fatte e volute in dipendenza» immediata e neces-
saria, dalla preesistente Santa Reparata. Che poi il San Gio-
vanni sorgesse dopo la costruzione di questa basilica è
dimostrato dalla sua stessa magnificenza in troppo aperto
contrasto con la « molto grossa forma », come la disse
il Wlani, della chiesa, che doveva poco dopo diventare
la Cattedrale fiorentina.
Cercò, è vero, V Hùbsch di rendere più semplici le que^
stioni immaginando il San Giovanni spoglio di ogni deco-
razione marmorea; ma non si riesce in ogni modo ad
ovviare alle difficoltà così sapientemente dimostrate dal
Nardini, le quali non ci consentono di ammettere che al^
Tedifìzio, qual è, fosse chiuso T unico accesso con l'abside,
per aprirvi quindi le nuove e attuali tre porte.
¥
Ove si ricordi piuttosto che il 6 novembre del 1059 la
chiesa veniva di nuovo consacrata dal pontefice Niccolò II,
parrà ragionevole che questa nuova consacrazione si debba
riferire non già, come vorrebbe il Nardini, al semplice
trapasso della chiesa da Cattedrale a Battistero, o al tra*
sporto del sacro fonte da un luogo ad un altro (mai che si
sappia esso fu remosso dal San Giovanni) ma a lavori ài
maggior importanza eseguiti al monumento ^K Questa sup-
posizione troverebbe conferma nel fatto che lo stesso ponte-
») Nardini, op. di,, pag. 83.
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62 IL SAN GIOVANNI
fice, nello stesso anno della sua dimora in Firenze, consacrò
non solo la chiesa di San Lorenzo, allora rinnovata, ma pur
quella di Santa Felicita, radicalmente restaurata e abbellita.
Tutto dunque concorre a far credere che quando si
pensò di rendere più degna l' antica basilica posta su quel
Monte del Re dove il Santo fiorentino fu sepolto, anche
al Battista, tornato solo titolare della chiesa, e divenuto
Patrono della Città, si volesse consacrato più ricco e ma-
gnifico tempio. Ma nel desiderio di non togliere venera-
zione ed antichità al monumento, si ripetè dell'antico la
forma generale, cosicché il nuovo non dovesse parere, e
non fosse effettivamente, che il primitivo e vetusto fonte
rinnovellato ^\
Quale necessità di tribuna può aver mai un Battistero ?
si è chiesto il Nardini. Ma poiché nel nuovo edificio si
ripeteva il tipo della vecchia costruzione era naturale che
quella tribuna, aggiunta al corpo ottagono della chiesa,
si volesse mantenuta nel rifacimento.
Una mutazione, tuttavia, si ebbe nella struttura di essa da
semicircolare a rettangolare ; mutazione, sempre secondo il
Nardini, avvenuta nel 1050, quando il San Giovanni da
Cattedrale diventò Battistero : < E poiché con quella tra-
') Documenti sicuri di un rinnovamento avvenuto fra l'xi e il xn se-
colo sono i caratteri decorativi delle formelle che ricingevano la vasca
battesimale, rinvenute dall'architetto Castellucci e' conservate in una stanza
dell' Opera.
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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 63
... . ■ é
sformazione della chiesa la sua forma circolare non era più
d* obbligo, si ricostruì in forma rettangolare, forse anche
per acquistare spazio dinanzi al Vescovato» ^K L'acquisto,
in tutti i modi, si riduceva a tanto poco, che non crediamo
per questo solo si fosse indotti al mutamento, il quale (e
il carattere della decorazione esteriore della tribuna, di-
verso in qualche modo dal resto dell' edifizio, conferma la
sua più tarda origine), fu dovuto piuttosto all'impossibilità
di adattare quel partito decorativo a grandi lastre di
marmo, con le quali era già rivestito il corpo ottagono
della chiesa, alla forma circolare della primitiva scarsella.
Se dunque ripugnava ad ammettere nel iv secolo una
chiesa cattedrale costruita sin dall'origine nella forma del-
l'attuale Battistero, nulla di strano che alla primitiva e
fondamentale struttura ottagona si fosse costretti ad ag-
giungere quella appendice giustificata soltanto dalle esi-
genze del culto, e mantenuta, per comodo, nel rifacimento.
Il fatto, nuovo se in quella forma, non sarebbe più tale
se prodotto di una susseguente modificazione. Anche nel
Battistero di Nocera, per le medesime necessità si ag-
giunse un'abside semicircolare al corpo rotondo dell' edi-
fizio ^\ così nel San Tommaso di Almenno ^^ e nell' antico
Battistero di Sant' Ansano a Dofana in provincia di Siena *\
*) Nardini, op. cit,, pag. 93.
^ Isabelle, Les Edifices circulaires et Us dónus, Paris, 1855. Tav. 39,
pag. 87-89.
3) Dartein, ArchiUcture Lombarde, pag. 388-394. Tav. 92, 93.
*) Canestrelli, L* ArchiUttura Medioevale a Siena e nel suo antico terri"
torio, Siena, 1904, pag. 21.
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64 IL SAN GIOVANNI
Ma questa aggiunta non si sarebbe mai potuta fare all' at-
tuale edifizio (e le ragioni furono già ampiamente svolte) ;
onde la conferma del rinnovamento avvenuto neirxi secolo.
Quale difficoltà, del resto, ad ammettere in questo pe-
riodo e contemporaneamente agli altri monumenti fioren-
tini anche il bel San Giovanni f
Vili
Firenze, sebbene sorta più tardi di altre città toscane a
libertà, vide sin dai primi anni del secolo xi accrescere
intorno alla cerchia antica delle sue mura e chiese e mo-
nasteri e abbazie. La madre del Conte Ugo marchese
di Toscana edifica la nobile e famosa Badia. Quasi nei
medesimi tempi si erige quella di San Salvatore a Set-
timo ; r Oratorio di San Salvi fuori della città diviene mo-
nastero di San Benedetto; i monaci di quel glorioso Ordine
cluniacense, cui tanto deve tutta l'architettura medievale,
occupano la chiesa di Sant'Andrea; il vescovo Ildebrando
riedifica sontuosamente San Miniato; la basilica di San Lo-
renzo e la chiesa di Santa Felicita sono rinnovate e abbel-
lite. E grandi donazioni vediamo in questo tempo fatte alla
chiesa maggiore, onde al generale risveglio del sentimento
religioso, che ebbe in san Giovanni Gualberto il più stre-
nuo campione, si deve indubbiamente l'impulso ad ab-
bellire 1 sacri edifizi, e a renderli più degni della rina-
scente città.
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Tav. V
Sant'Andrea di Empoli
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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 65
Tali abbellimenti trovarono larghi aiuti negli Ordini mo-
nastici, e in special modo nei benedettini, cui si deve la
edificazione delle due abbazie di Firenze e di Settimo, delle
quali, a testimoniare la sapienza dei costruttori, rimangono
i due originali e caratteristici campanili; nonché della chiesa
di San Miniato, della Badia di Fiesole e fors* anche della
stessa Pieve d' Empoli. Ma intorno a tutte queste costru-
zioni, disgraziatamente, sono arrivate a noi troppo poche
notizie.
La Pieve d'Empoli porta sulla facciata Tanno 1093*^;
la costruzione della chiesa di San Miniato si sa iniziata verso
il 1018; quasi nello stesso tempo si vuole edificata quella
dei Santi Apostoli; poco dopo la Badia di Fiesole, e a
questi susseguono - ma con tracce palesi di qualche de-
cadimento - il San Salvatore al Vescovado e Sant* Jacopo
Soprarno.
La Pieve d' Empoli non serba oggi della sua originaria
e primitiva struttura che la facciata, la quale, evidentemente,
deriva da quella di San Miniato. Questa imitazione si spiega
facilmente con le relazioni, allora esistènti, fra il monastero
*) Nel fregio ricorrente al disopra delle arcate è scolpita la seguente
iscrizione : hoc . opus . eximii . praepollens • arte • bìagistri . bis ' novies •
LUSTRIS . ANNIS • TAM • MILLE • PERACTIS • AC • TRIBUS • EST . CEPTUM . POST •
NATUH . VIRGINE • VERBUM • QUOD • STUDIO • FRATRUM • SUMMOQUE • LABORE •
FATRATUM • CONSTAT • RODULFI • BONIZONIS • PRESBITERORUM • ANSELMI • RO-
LANI>I . PRESBITERIQUE • GERARDI • UNDE • DEO • CARI • CREDUNTUR . ET • AE-
THERE . CLARI.
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66 IL SAN GIOVANNI
di San Miniato e la Pieve empolese, la quale « passò
alla diocesi fiorentina nel tempo di Ildebrando vescovo di
essa, e si è mantenuta sempre la prima chiesa di tutta la
diocesi dopo la Pieve di San Giovanni » *\ A confermare
del resto le strette relazioni fra i due monasteri sì legge
nel diploma del Vescovo stesso com'egli donasse fra le
altre cose al Cenobio fiorentino curtem quoque de Impali
cum suis pertinentibus quae est sita infra terriiorium de Plebe
5. Andreas ^^
L'interno fii ridotto nel secolo scorso da tre navate alla
forma attuale; ma il modello della sua struttura si può
riconoscere nelle due chiese fiorentine di San Miniato e dei
Santi Apostoli.
Sulle rovine dell'antica basilica dedicata a San Miniato,
si rinnovò, intorno al ioi8^\ per merito del Vescovo Ilde-
brando,
la chiesa che soggioga
la ben guidata sopra Rubaconte.
Già Carlo Magno aveva fatto alla primitiva basilica una do-
nazione, e Ildebrando, pauperis loci surgentem speciem am-
*) MAKni, Osservaziom' isioriche sopra i Sigila' antichi, tomo XI, pa-
gine 83-89.
^) Berti, Cenni storico-arOsHci per servire di guida ed illusiraùone alia
insigne basilica di San Miniato al Monte e di alcuni dintorni di Firenu. Fi-
renze, 1850, pag. 180.
3) DAvmsoHN, Geschichte von Florenz, pag. 72 e i^^y, Forschungen, pag. Ib-
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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 67
pliavit ^^ Ma impedito il Vescovo fiorentino dalla morte,
qttae ftcerant necessaria explere non valuti.
In un documento di Enrico IV (circa 1062) si parla del
compimento deiredifizio d^center constructum e ut modo
cerniiur honorabUiter restauratum ^' ; può dirsi, quindi, che
il lavoro, alacremente condotto, fosse in gran parte ter-
minato, e pure in quell'ordine inferiore della facciata che
qualcuno ritenne del secolo xiii o del susseguente ^\ di-
menticando che la facciata della Pieve di Empoli porta
Tanno 1093, e che, se questa deriva da quella i suoi ca-
ratteri decorativi, non deve sorprendere che il suo mo-
dello risalga alla seconda metà del secolo xi.
Il San Miniato è una basilica a tre navi spartita traver-
salmente per mezzo di grossi pilastri quadrati cui si ad-
dossano, quattro mezze colonne. Questi pilastri crociformi
sostengono gli archi trasversali tanto nella navata maggiore
quanto nelle minori; e per mezzo dei muri, che si sopre-
levano sugli archi sino al tetto, la basilica è divisa effetti-
vamente in tre campate. In ciascuna di queste, fra i pilastri,
stanno due colonne che sorreggono archi tondi, in modo
che la sezione longitudinale della chiesa presenta tre gruppi
di tre arcate ciascuno. In fondo alla nave mediana si apre
r abside semicircolare.
') Il Vescovo Ildebrando ordinò questa chiesa di San Miniato (eh' egli
disse esser propria di San Giovanni cioè del Vescovado di Firenze) a
Monastero. Lami, Monumenta, Voi. I, pag. 23 nota. Cfr. Berti, op, di,,
pag. ^^,
^ Davidsohn, Forschungen sur àlieren GtschichU von Fiorenz, pag. 35.
^ RivoiRA, Architeiiura Lombarda. Voi. I, pag. 317.
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68 IL SAN GIOVANNI
Al principio dell' ultima campata il piano della chiesa è
sollevato sino a tre quinti dell'altezza delle colonne, che
di tanto restano nascoste, dando così origine in alto, al
coro; in basso, alla cripta. A questa, si accede per cinque va-
lichi arcuati, dei quali tre comprendenti la larghezza della
navata maggiore; due, una parte delle navate minori, di
cui l'altra parte è occupata dalle scale che conducono al
coro. Nella navata centrale ciascuno dei grandi archi tra-
sversali, destinati ad ottenere un solido e razionale concate-
namento della fabbrica, è coronato da un timpano che segue
l'inclinazione del tetto; e fra un arco e l'altro quattro ca-
valietti visibili posano sopra le mensole sporgenti dal muro,
nel quale si aprono cinque finestre ad arco tondo, mentre
le navate minori sono coperte da correnti di legno a spio-
venza. Gli archi hanno le ghiere modinate di marmo verde;
i muri e i timpani dell'ultima campata, sono incrostati di
marmi bianchi e verdi a disegni geometrici; i capitelli ri-
montano in parte al tempo della costruzione, in parte a
edifizi pagani. Nell'insieme un sentimento classico si av-
verte e nella pianta e nei particolari decorativi, che, nel
bel mezzo del secolo xi, desta meraviglia.
Lo stesso sentimento e gli stessi caratteri si riscon-
trano nella facciata, della quale il corpo inferiore presenta
nelle linee generali un organismo dei più classici, modificato
soltanto dall'arco voltato sulla colonna.
Ma la soprelevazione centrale spetta ad età più tarda.
Non solo è scomparsa la sempUce e severa eleganza
dell'ordine inferiore, ma è evidente che per dar posto
al mosaico si tolse la decorazione marmorea sopra la
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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 69
finestra di centro. Anche le formelle intarsiate del fron-
tespizio rivelano la imitazione delle forme ornamentali del
pavimento (1207); e le cariatidi ai due lati e le due teste
virili barbute, nonché quelle dei leoni, mostrano chiara
r impronta della scuola romanica toscana. Nella fronte del
San Miniato, quindi, si debbono riconoscere tre maniere
distinte : una, più classica, ossia di carattere schiettamente
fiorentino, nella parte inferiore (sec. xi) ; V altra che rien-
tra nel genere delle costruzioni romaniche (sec. xii): men-
tre il frontespizio terminale si deve riportare - come ab-
biamo già detto — al principio del secolo xin.
Queir impronta classica che rende così caratteristica la
parte inferiore della facciata e le decorazioni interne del
San Miniato, si palesa anche meglio nella chiesa dei Santi
Apostoli : una basilica a tre navi, sorretta da colonne di
marmo verde di Prato; con capitelli compositi ad ecce-
zione dei due primi corinzi. E come questi capitelli, sor-
montati da una specie di pulvino, secondo V uso comune
in Firenze, fanno dire all' Htlbsch che questo sistema « co-
stituisce l'indizio principale e più costante dei capitelli
appartenenti all'architettura cristiana primitiva ; > '^ così gli
archivolti modinati di verde di Prato e si accostano - se-
condo il Nardini - alle consuetudini classiche più di quelli
del San Miniato ed accennano per conseguenza ad una mag-
>) Cfr. HiJBSCH, op, a/., e Nardini, op. et/,, pag. 38.
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70 IL SAN GIOVANNI
giore antichità » *\ Ma la costruzione della chiesa attuale
non può riportarsi al di là del Mille, anche se una tradizione
(non però molto antica) vanta per fondatore lo stesso Carlo
Magno. Come notò il Cattaneo, basta il confronto di tutti
i più minuti particolari con quelli analoghi del San Mi-
niato per concludere « senza esitanza » che i due monu-
menti € sono coevi > ^K
Troviamo in entrambi, certe particolarità condotte con
tanta eccellenza, da confermare l'abilità dei costruttori e
degli artefici : ma in special modo nella chiesa dei Santi Apo-
stoli i capitelli accuratamente lavorati rivelano tanta sa-
piente maestria nell'interpretazione dell'antico, che, non
neir undecimo secolo, ma si potrebbero credere scolpiti in
pieno Quattrocento.
Se le costruzioni che abbiamo ricordate sembrano rin-
novare le forme di una decorazione ispirata all'arte clas-
sica, anche maggiore si avvertirà questo ritorno all'an-
tico nella Badia Fiesolana. La quale, abbandonata nel 1028
dal vescovo Jacopo Bavaro per erigere la nuova Catte-
drale nel recinto della città, fu convertita in Badia e con-
cessa ai benedettini, ond' è proprio ad essi che si deve il
restauro ed il rivestimento marmoreo della facciata; a
*) Nardini, op, di., pag. 147.
2) Cattaneo, L'architettura in Italia dal secolo vi al Mille circa. Ve-
nezia, 1889, pag. 169.
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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 71
queir Ordine che ci aveva dato il San Miniato e aveva ispi-
rato la costruzione della Pieve di Empoli.
L' interno della chiesa fu tutto rinnovato a spese di
Cosimo il Vecchio; ma nella facciata, solo ricordo della
costruzione monastica, le fasce degli architravi, anziché
essere verticali sono inclinate in fuori, come si vedono in
San Giovanni e talvolta anche nei monumenti romani: alle
norme dell* arte antica sembrano ispirati i profili delle cor-
nici, e gli archi posano sulle colonne con l'intermezzo di
una trabeazione completa che risalta sulle pareti, appunto
come nel Battistero; < pratica usitatissima - non manca
di avvertire il Nardini - al tempo della decadenza romana,
e sconosciuta del tutto nel periodo romanico ed ogivale
specialmente in Firenze > ^K
Ma per affermare ciò gli fu necessario avvicinare od
allontanare dal supposto archetipo le costruzioni in cui
più o meno vivace apparisse V influsso classico ; onde, con
errore troppo manifesto, dovette riportare fra il vi e il ix
secolo la facciata della Badia di Fiesole ; innanzi al Mille
la chiesa dei Santi Apostoli ; e, a meglio dimostrare la ve-
rità della teoria da lui imaginata, esaltare a dismisura le
classiche proporzioni del San Giovanni eh' egli trovò € così
diverse da quelle delle chiese fiorentine dei secoli xi e xii;
riscontrando in quelle « i modi eleganti del classicismo > ,
in queste < la pallida ricopia di quei profili tutti stam-
pati ad un medesimo conio » ; nei capitelli dei pilastri
deir attico o dell' ordine superiore interno di quel tempio
*) Nardini, op, cu,, pag. 41.
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72 IL SAN GIOVANNI
modi « schiettamente classici » ; in quelli degli altri edi-
fizi < goffamente barbarici » ^K
Eppure nei diversi monumenti fiorentini sono adoperati
egualmente materiali antichi, e a questi adattati i nuovi per
la necessità della decorazione architettonica. Nessuna mera-
viglia, del resto, che all'esterno e all' interno del San Miniato
o del San Giovanni non siano state mantenute ai pilastri le
dovute proporzioni. Già il Nelli rilevò il fatto notando
diversi e differenti di altezza e di grossezza i capitelli del
primo ordine con le basi evidentemente levate da altri
edifizi. « Oltre a ciò gì' intercolunni sono di spazi fra
loro diseguali, ed i pilastri dell'ordine superiore posano
lateralmente, ed in falso alle colonne inferiori.... I pilastri
del secondo ordine sono sproporzionati, rispetto a quei
del primo; e le modanature delle cornici vedonsi fatte
senza alcuna misura, ed a capriccio, partecipando al-
quanto del gusto corrotto, non sapendosi qual propor-
zione, o relazione, si abbiano fra loro > ^K E il Del Rosso :
< Malgrado una combinazione di parti si bene adeguata
al soggetto e la somma destrezza usata dall' architetto per
bene impiegare tutto ciò che ha potuto raccogliere dal-
l'antico, e da questo investigare le proporzioni di tutte
le altre parti supplite, per inalzare la fabbrica nel suo
genere molto armonica; contuttociò nei gran supplementi
fatti, mancandovi l'eleganza delle modinature, e quella
^) Nardini, op, cit,, pag. 45.
3) Nelli, Pianta ed Alzato esteriore ed intemo del Battistero di San Giovanni
Batista, Spiegazione della figura xvii.
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Tav. IX
Badia di Fiesole
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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 73
grazia e finitezza che richiedevano gli ornamenti acces-
sorj, ne deriva che questo monumento si manifesta da se
stesso per un'opera dei tempi più infelici dell'arte, né
fa quell' impressione che pur dovrebbe nei riguardanti » *\
Ma, anche senza le soverchie esagerazioni tanto di chi
giudica quelle parti decorative così imperfette, quanto di
chi le vuole a dirittura degne dell'arte classica, si può
dire che i costruttori del San Miniato, del San Giovanni
e della Badia Fiesolana, adoperando pezzi antichi che
avevano sotto mano, seppero sapientemente servirsene,
e al vecchio adattare il nuovo con ammirevole perizia.
E perchè queste caratteristiche non sono esclusive del
Battistero, così non ci pare il caso di supporre questo
l'archetipo dal quale s'ispirassero i costruttori fiorentini
per le loro più scorrette derivazioni.
¥
È possibile supporre del vi o dell' viii o del rx secolo
(strana elasticità di assegnazione !) le forme decorative e i
motivi ornamentali della Badia ^, documenti sicuri di più
tarda origine? E perchè ammettere, altresì, caratteri più
schiettamente classici in questo edifizio che nello stesso
San Giovanni ? Nella parte superiore del monumento fie-
solano si mostra, è vero, un trattamento indeciso e barba-
») Del Rosso, Ricerche sioriciMirchiMiomche sopra il singolarissimo tempio
di San Giovanni, pag. 47.
2) Nardini, op, di,, pag. 144, 145.
10
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74 IL SAN GIOVANNI
rico, cioè € un tale affastellamento di linee e d* intarsi che
fanno argomentare ad un restauro assai sciatto » , non però
€ che lascino travedere dei tempi non troppo felici per
Tarte, e ci dimostrino come questo frammento debba te-
nersi egualmente lontano dai periodi fiorenti dell* architet-
tura cristiana primitiva, come da quelli del buon tempo
romanico » ** ; perchè osservando attentamente le tre finestre
si vedrà che la intelaiatura di esse corrisponde ai caratteri
di quelle del Battistero, mentre il coronamento cuspidato
è aggiunta posteriore e veramente barbarica.
Qual valore, del resto, ha per noi f imbasamento della
Pieve d* Empoli, in cui le basi delle colonne si profilano
lungo gli intercolunni, secondo Tuso degli antichi greci
e romani ^^ quando si avverte nel tempo stesso che il
motivo deriva dalla tribuna del San Giovanni, e si sa
che questa decorazione non appartiene all'antichità ma
al medioevo ? Si ricordino piuttosto le caratteristiche imi-
tazioni delle forme pagane esistenti in questa chiesa e
nel San Miniato, in Santi Apostoli e nella Badia di Fie-
sole, e più che mai parrà ragionevole concludere, che a
questo risorgimento architettonico fiorentino avvenuto in-
torno al Mille, con varietà di interpretazioni personali, con
vivacità di sentimento, che non è di freddi materiali imi-
tatori ma di ammiratori e studiosi dell'antico, si debba
anche l'attuale Battistero.
*) Nardini, op, a'L, pag. 144.
2) lòid,, pag. 98.
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Tav. X
Abside di San Miniato
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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 75
Abbiamo già rilevato la elegante purezza del primo or-
dine della facciata del San Miniato ; chi però ricordi V in-
terno deir abside della stessa chiesa, meglio si convincerà
che la decorazione del San Giovanni non è per nulla su-
periore, e per sentimento e per trattamento, a questo emi-
ciclo, che si sviluppa entro l'arco trionfale, incorniciato
da due grandi pilastri scannellati, sormontato da una ricca
trabeazione, ravvivato da arcate cieche sorrette da colonne
con capitelli corinzi, improntato tutto a tanta classicità.
Ma pure neir ammirazione dei particolari della decora-
zione architettonica di tutti questi monumenti, non bisogna
esagerare. Rivive, e l'abbiamo rilevato, in quelle forme un
qualche spirito dell'arte antica: però l'imitazione non rag-
giunge mai la perfezione dei modelli. In alcune parti è
palese che i costruttori attinsero non già ai monumenti di
Roma imperiale, ma alle forme architettoniche usate nelle
opere di scultura e in specie nei sarcofagi, appunto per
quel tanto d'impreciso e di sommario che si riscontra in
quelle sculture della decadenza e in queste derivazioni. E
dai sarcofagi, un tempo attorno al San Giovanni, si di-
rebbero derivate le finestre tabernacolari del monumento
stesso: quelle con il frontespizio cuspidato, le altre il cui
archivolto s'imposta direttamente sul capitello senza l'inter-
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76 IL SAN GIOVANNI
mezzo della trabeazione. Lo ammise lo stesso Nardini'^;
ma mentre non s' intenderebbe davvero che nel iv secolo
i costruttori avessero bisogno di trarre i motivi ornamen-
tali da quelli esemplari, meglio, invece, si spiega che da
queste sculture (in mancanza di più perfetti originali) traes-
sero ispirazione i nuovi costruttori, portati allo studio del-
r antico dal sentimento generale di quel periodo in cui
l'antichità esercitava un fàscino così grande.
Non si tratta, invero, di forme antiche imbastardite per
il lungo uso o per inesperienza di esecutori; sono evi-
dentemente motivi derivati da quei modelli, attraverso una
più libera interpretazione; è lo spirito sopra tutto che si è
cercato di cogliere e di riprodurre in quelle decorazioni.
Che ciò sia, lo prova la trabeaizione dei monumenti fioren-
tini, nella quale la cornice occupa un posto talmente pic-
colo rispetto alle altre due parti che non si può a dirittura
confrontare con gli esempi che rimangono nei monumenti
romani, dove invece ha sviluppo tanto maggiore in tutti i
sensi. Le varie fasce poi nelle quali è diviso l'architrave
sono ornate con un bastoncino senza intagli, e alle fasce
non è data altezza decrescente, essendo l'inferiore soltanto
quasi insensibilmente più stretta.
Non bisogna peraltro dimenticare che i costruttori fio-
rentini cercarono, imitando gli antichi esemplari, di adattare
queste antiche forme alle loro costruzioni, onde all'epistilio
romano (come si vede in San Giovanni) essi aggiunsero
il fregio e la cornice; ridotta questa al minimo termine
1) Nàrdini, op. ciL, pag. 99.
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Tav. XI
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Elevazione geometrica
DELLA parte INFERIORE DELLA FACCIATA DI SaN MiNIATO
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Tav. XII
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Elevazione geometrica
DELLA parte INFERIORE DELLA FACCIATA DELLA BaDIA DI FIESOLE
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E L'ARCHITETTURA ROMANICA ^^
< servendo, come scrisse il Del Rosso, che ne rimanesse
un segno, un indizio, per finimento del suo ordine > *\
Spiegò lo stesso scrittore questa limitazione della cornice
col desiderio di non recare, a causa dell' aggetto, « noia e
fastidio alle persone che frequentavano i coretti situati nel-
r ordine superiore > ^^ ma lasciando stare, come già ab-
biamo rilevato, la difficoltà di accedere in quelle gallerie,
perciò mai forse destinate ad uso pubblico, questa carat-
teristica interpretazione non si avverte solo neir interno,
ma anche nella trabeazione esterna del San Giovanni, e
di tutti gli altri monumenti fiorentini, talché le ragioni
addotte dall'illustratore del singolarissimo tempio, non hanno
né possono avere alcun fondamento.
Il Nardini afferma che « nel Duomo di San Giovanni non
si trova nessuna delle perturbazioni che alterano la propor-
zione delle colonne, dei pilastri e della trabeazione stessa
nel San Miniato, nella Pieve d' Empoli e nel San Salvatore
al Vescovado >^^; dimenticando però che i pilastri della
fronte e dell'abside del San Miniato, esageratamente svi-
luppati, trovano il loro riscontro in quelli interni del Bat-
tistero; che tanto nel rivestimento esterno di questo tem-
pio, quanto nelle facciate di San Miniato e della Badia
Fiesolana, le colonne presentano gli stessi rapporti fra
la grossezza e la lunghezza, sempre inferiore ai dieci
diametri; la trabeazione conserva gli stessi caratteri, e il
*> Del Rosso, op, cit,, pag. 43.
2) Ibid., pag. 44.
^ Nardini, cp. cit,, pag. 44.
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78 IL SAN GIOVANNI
modo, infine, d'interpretare tutte le particolarità architet-
toniche della decorazione rivela sempre una stessa co-
mune origine. I disegni che pubblichiamo, in cui sono
indicate le quote di misurazione dei tre più noti edifìzi
fiorentini, ci dispensano da ogni ulteriore dimostrazione.
«
Un* altra particolarità accomuna anche più il Battistero
agli edifizi sacri fiorentini del periodo romanico.
Era costume dei costruttori di far di macigno i canti o
pilastri angolari delle fabbriche, anche quando esse erano
tutte rivestite di marmo ^K Questa caratteristica che il Nar-
dini afferma dovuta t alla consuetudine deir arte > , e che
si riscontra nel San Miniato, nella Badia di Fiesole, e nel
San Salvatore al Vescovo, era comune pure al San Gio-
vanni avanti il 1293. E negli scavi del 1895, remossi di-
versi marmi dell' imbasamento, si trovarono cinque filari di
pietre con le bozze scartate per dar luogo al rivestimento
di marmo; e l'accuratezza delle commessure dimostrò che
la loro faccia era lavorata per stare allo scoperto ^^
') Nardini, ap. et/., pag. 30, 31.
^) Rapporto Corinti, n. 66, 20 settembre 1895. « I saggi avviati, per
cura della Commissione, riguardo alla costruzione del San Giovanni, ven-
gono continuati dai manifattori dell'Opera del Duomo, dai quali sono
stati remossi diversi marmi, che formavano la cornice d' imbasamento del
tempio. Questi marmi occultavano cinque filari di pietre di macigno. Le
bozze di questi filari appariscono scartate, per dar luogo al rivestimento
di marmo; però dalle commessure loro, fatte accuratamente, s'induce
avere quelle avuto la loro faccia estema lavorata per istare allo scoperto ».
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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 79
Dunque anche il basamento del San Giovanni fu solo
più tardi rivestito di marmo : e il Nardini, ricordando che
0^1 1335 il lavoro non era ancora ultimato, e notando nella
forma di quel basamento caratteri di somiglianza con quelli
in uso nelle chiese pisane e lucchesi, suppose che vi avesse
parte Andrea Pisano, il quale appunto intorno a quegli anni
metteva su la porta famosa *\
Comunque sia, in origine il Battistero aveva i piloni an-
golari e lo zoccolo di macigno, secondo il costume fio-
rentino del periodo romanico. Ora, poiché non è possibile
ammettere che il rivestimento marmoreo del San Giovanni
(anche se in alcune parti a noi più vicino), non sia con-
temporaneo alla costruzione della chiesa (d'accordo in
questo con lo stesso Nardini), si ha così un'altra prova
della più tarda origine di tutto il monumento, dacché non
è credibile che i costruttori fiorentini ripetessero a di-
stanza di cinque o sei secoli nei loro edifizi anche queste
singolarità costruttive e decorative del Battistero. Perchè
supporli così inetti da non sapersi staccare in nulla dalla
servile imitazione dell'archetipo famoso? Perchè togliere
ad essi, che pur si dimostrarono, nei monumenti a loro
con certezza dovuti, sapienti costruttori e abili decora-
tori, ogni sentimento di originalità?
*) Nardini, op, ciL, pag. 98.
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8o IL SAN GIOVANNI
IX
La più tarda origine del monumento viene, del resto,
confermata dalle bifore interne, che il Nardini vuole con-
temporanee alla costruzione della chiesa, mentre V Httbsch
le crede aggiunte nel secolo xiii; per il primo, dipendenti
dalla decorazione esteriore ad arcate cieche ; per il secondo,
dalle tre volticciole interne che costituiscono in ogni lato
le gallerie.
Sebbene nei monumenti dell' epoca romanica si av-
verta molta libertà nella disposizione delle luci, pure, in-
dipendentemente da ogni elemento decorativo, una certa
euritmia era sempre osservata. Ritenne V Httbsch che, in
mancanza del rivestimento marmoreo (egli, come dicem-
mo, credette la chiesa costruita sin dall' origine in pietra e
solo più tardi decorata di marmi), quelle finestre avreb-
bero potuto impostarsi più qua o più là, secondo il co-
modo della disposizione interna, mentre è tanto evidente
il desiderio di uniformare le due diverse decorazioni, in-
terna ed esterna, che non è possibile negare ad esse
un'origine comune.
Il Nardini, invece, a dimostrare che la decorazione
interna fu subordinata alle condizioni di quelle finestre,
e che perciò il concetto delle bifore nacque con la
chiesa, afferma che le luci delle due finestre laterali
combinano con l'archetto estremo della bifora rispet-
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Tav. XIV
Particolare dell'ordine interno del San Giovanni
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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 8i
tiva'^ Sarà opportuno rilevare, piuttosto, che la finestra
centrale esterna corrisponde con la bifora centrale interna,
e che, dovendosi distribuire proporzionalmente distanti
le due finestre laterali, per esser.e Tedifizio costituito
da un doppio àmbito di pareti ottagone, e quindi T in-
terna . più stretta, ne venne di conseguenza che quelle
finestre esterne non potevano incentrarsi con gli archi
interni; onde, per farle meglio corrispondere con le bi-
fore rispettive, si è dovuto sbiecare disegualmente i loro
sguanci interni.
Ebbe quindi più ragione V Htibsch di far dipendere le
bifore dalle volticciole di cui effettivamente sono la conse-
guenza; e nonostante il Nardini avverta < che nei secoli xii
e XIII era costume generale includere ed inquadrare le
bifore in un'arcata, per modo che esse venissero a pa-
rere e ad essere una suddivisione delP arcata medesi-
ma » ^ ; dato il carattere del monumento, i costruttori
del San Giovanni, che pure avrebbero potuto benissimo
(e rhan fatto nell'interno delle gallerie) iscrivere le bi-
fore entro gli archi delle volticciole, intesero bene come
questa forma ripugnasse allo stile e al carattere di tutta
la decorazione, e in special modo contrastasse colla tra-
beazione così classica dell' ordine inferiore : quindi la
necessità di svolgere quel motivo architettonico che
meglio rispondeva al sentimento decorativo del monu-
mento.
») Nardini, op, ciL, pag. 34, 35, e cfr. pag. 58, 59.
2) Ibid,, pag. 35.
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82 IL SAN GIOVANNI
1
Né può far difficoltà la forma del capitello ionico che il
Nardini afferma non usato mai in quel periodo o in quello
ogivale, perchè, come in Sant'Alessandro di Fiesole, così
nelle gallerie del San Giovanni si usarono frammenti antichi.
Il Del Rosso riscontrò che cinque delle colonnette di f
ordine ionico che sostengono gli archi delle loggette sono |
di cipollino orientale, e le altre di diverse brecce antiche I
dissimili nella qualità e nel colore ** ; ma non tutte antiche f
sono quelle colonnette, come non tutti antichi quei ca- |
pitelli.
Nel San Miniato si trovano impiegati nella navata cen-
trale nove capitelli romani di vario tipo e di diversa ori-
gine; due piccoli nell'abside (gli altri quattro, pur nella
sapiente imitazione di antichi esemplari, mostrano chiara
l'impronta medievale), e sette nella cripta, di cui varie
colonne con le respettive basi sono molto simili a fram-
menti raccolti negli ultimi scavi nel centro della città.
Nella facciata poi, secondo il Milani, oltre i pilastri
scannellati e varie cornici e capitelli romani, sono parti-
colarmente notevoli i telai marmorei (antepagmentcù) delle
tre porte, i quali si direbbero quasi levati di sana pianta
dalle tre celle del tempio capitolino di Firenze ^^
*) Del Rosso, ùp, di,, pag. 52.
^) Milani, Reliquie di Firenze antica. Estratto dai Monumenti antichi pub^
hUcati per cura della R, Accademia dei Lincei, Voi. VI, 1895, col, 63-66.
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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 83
Lo Stesso può dirsi del San Giovanni. Oltre i capitelli
delle colonne esterne che fiancheggiano le porte, alcuni
dei quali mostrano chiaramente il loro adattamento po-
sticcio non corrispondendo alla misura del fusto; oltre i
capitelli romani interni ristuccati e dorati, vi sono parecchie
basi di colonne la cui provenienza dal Foro fiorentino è
comprovata dai frammenti di analogo tipo e proporzione
raccolti negli ultimi scavi. E le colonne, e alcuni frammenti
dei pilastri e delle basi nonché qualche epistilio, mostrano
chiara la loro derivazione da monumenti pagani *\
Questi importanti e numerosi avanzi di Firenze antica
non furono senza efficacia sui costruttori fiorentini del
medioevo, i quali, ora copiando, ora interpretando i vec-
chi esemplari, lasciarono saggi preziosi del loro spirito
imitativo e della loro abilità tecnica. Nelle gallerie del
San Giovanni .i capitelli ionici antichi si distinguono dai me-
dievali per esser quelli lavorati da tutte le facce; questi,
soltanto nella parte rivolta all' interno della chiesa. In Santi
Apostoli i capitelli derivano evidentemente da quelli che
sormontano le colonne esterne poste ai lati delle porte
del San Giovanni, e riproducono il motivo caratteristico di
quel bottone (certo semplicizzazione del fiore) che sta fra
il secondo ordine dell' acanto e il periato, motivo che tro-
viamo ripetuto in un capitello del pulpito già in San Piero
Scheraggio, ora in San Leonardo, e in entrambi i capitelli
del pergamo di San Miniato. Egualmente, la maggior parte
di quelli che decorano i pilastri scannellati del San Mi-
*) Cfr. Milani, op. ciL, col. 68.
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84 IL SAN GIOVANNI
niato e del San Giovanni tradiscono, nel particolare trat-
tamento del marmo, T origine medievale; onde non sap-
piamo vedere tutta quella vantata disparità che, secondo
il Nardini, presentano queste diverse decorazioni.
Per le membrature mancanti - osserva il Milani - e
per le incrostazioni marmoree delle pareti e per i restauri
o risarcimenti più antichi, non si può dubitare che siano
stati adoperati marmi tolti dagli edifizi romani, andati a
cercare e a scavare dovunque in Firenze e fuori. La prova
certa di una provenienza anche lontana l'abbiamo nella
grande base marmorea smezzata, che il Nelli, per il primo,
osservò impiegata per parapetto nelle gallerie del San
Giovanni, e che deriva da Ostia *\
Ciò in tutti i modi conferma che per costruire e de-
corare quella loro chiesa non erano bastati ai Fiorentini i
marmi degli edifizi di Firenze romana, e che dall' amicizia
dei Pisani, per la via dell'Arno, altri ne ottennero di
quelli che i Pisani erano andati a scavare espressamente
ad Ostia per la loro Cattedrale ^K
Così si ha nuova testimonianza dell'origine a noi più
vicina dell'attuale Battistero.
A meglio conchiudere, poi, che la primitiva costruzione
deve risalire al periodo longobardo, e che il tempio, quale
Milani, op, di,, pag. 29, nota i, e pag. 64 e seg.
2) Ibid., pag. 68-70.
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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 85
Oggi si vede, appartiene all'età romanica, giova riepilo-
gare rapidamente gli altri argomenti che abbiamo espo-
sto, prima di procedere allo studio della sua decorazione
estema.
Si è visto, dunque, che oltre le ragioni storiche, la pianta
ottagona, l'organismo statico e il sistema di copertura della
cupola, la mancanza di portico o di atrio necessario allora
air esercizio del culto e agli usi ecclesiastici, escludono non
solo l'origine romana, ma pur un'origine cristiana primi-
tiva, e impediscono di ammettere che la chiesa fosse edifi-
cata per uso di Cattedrale; che la sapiente economia co-
struttiva del monumento è in aperto contrasto con gli edifizi
pesanti e massicci del periodo longobardo; e che, infine, i
più antichi documenti a noi pervenuti non possono in alcun
modo riferirsi all'attuale San Giovanni, il cui carattere co-
struttivo e decorativo è in armonia perfetta con quello che
si avverte nelle altre fabbriche fiorentine dell'età romanica.
X
< Anche la decorazione esterna del San Giovanni, scrive
il Nardini, è contemporanea alla costruzione della chiesa > *\
Non riferiremo qui - che si andrebbe troppo per le
lunghe - gli argomenti del compianto architetto a so-
stegno della sua tesi ; ci limiteremo a rilevare, che il co-
*) NaIidini, op. cit,, pag. 61.
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86 IL SAN GIOVANNI
stume romano di decorare cromaticamente gli edifizi non
è punto dimostrato, com' egli afferma, si estendesse nell'evo
cristiano primitivo anche alla parte esterna *^ ; anzi, è cosa
notissima che la decorazione esteriore non rispose mai alla
ricchezza dell'interno; e ciò che resta delle chiese primi-
tive cristiane e bizantine, e ciò che si vede riprodotto nelle
pitture, nelle miniature, negli avori, accenna sempre a una
semplice struttura a mattoni o a pietre squadrate.
Non basta affermare, perciò, che il dicromismo fioren-
tino è la conseguenza naturale del policromismo romano,
per concludere « che non parrà strano di vederlo adot-
tato in Firenze nel secolo iv e nel Duomo di San Gio-
vanni > ; o che il « sistema policromo in esso praticato,
non è che una trasformazione indigena del vecchio poli-
cromismo romano, dovuta in parte ai costumi del Cristia-
nesimo, ed in parte alle condizioni particolari dei mezzi
edificatori locali > ^\ Indubitabilmente questo policromismo
fiorentino ha sentito l'influsso bizantino e orientale, e si è
modificato, col volger dei secoli, per darci ancora quelle
forme antiche, ma interpretate più liberamente, secondo
i nuovi gusti e le nuove tendenze artistiche.
Nella chiesa di Santa Sabina, a Roma, rimane, tuttavia,
un saggio del modo onde era intesa la decorazione in-
*) Nardini, op, cii„ pag. 131.
2) Ibid,, pag. 135.
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E L'ÀRCHITETTyRA ROMANICA 87
terna nel v secolo. Anche qui una specie d* intarsio mar-
moreo simula una costruzione a mattoni; e sopra, entro
una larga zona, sono ripetute formelle quadrate o ret-
tangolari, entro le quali si svolgono circoli, rombi e lo-
sanghe. A Ravenna, pur sotto l'influsso bizantino, le tarsìe
marmoree del San Vitale conservano ancora classico stile,
e riproducono forme e caratteri quali si riscontrano nel
Pantheon; onde è impossibile ammettere che la decora-
zione interna del nostro San Giovanni possa riferirsi al iv se-
colo, o ai primi del successivo, per essere in essa, così
diversamente dagli esempi rimasti, interpretati i tradizio-
nali motivi.
Il Nardini, pur riconoscendo che neir applicazione del
policromismo lo- stesso San Giovanni offre « diversità di
modi » , affefma, poi, che dopo il mille V architettura fio-
rentina aveva per canone fisso che nelle colonne il solo
fusto fosse colorato; nella trabeazione, il solo fregio; e
il pulvino fosse costantemente nero ^K
Nessuna difficoltà, allora, per includere anche il Bat-
tistero nel periodo romanico, dacché, se nel San Miniato
i pulvini all'esterno sono neri, all'interno, invece, son
bianchi come quelli delle gallerie del San Giovanni; se
la trabeazione, tanto all'interno quanto all'esterno del
San Miniato, ha sempre il solo fregio colorato, tale è
pure nell'interno e nei due ordini esterni del San Gio-
vanni ; e se quella del primo ordine ha nero 1* architrave
e bianca la cornice, per essere questo partito contrarlo
*) Nardini, op, ctL, pag. 46, 47.
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ss IL SAN GIOVANNI
a tutte le buone norme (nella Badia Fiesolana, infatti, è
bianco il fregio soltanto), si deve ascrivere noti già a va-
rietà di interpretazioni, ma ad un arbitrario rifacimento,
o ad un riadattamento posticcio.
Ammesso, dunque, che lo stesso San Giovanni presenta
modi diversi di policromismo nelle colonne, nella trabea-
zione, nelle basi e nei capitelli *^ non ci pare sia il caso
di stabilire analogie generali e costanti fra il primitivo
periodo cristiano e quello romanico ; fra il supposto ar-
chetipo e le imaginarie derivazioni; ma di concludere,
piuttosto, che quella diversità di forme decorative che
si avverte nei diversi monumenti medievali fiorentini,
si debba alla varietà del g^sto personale o del senti-
mento artistico degli esecutori, quando non sia, come è
di sovente, conseguenza di posteriori e mal condotti re-
stauri.
È naturale, del resto, che i costruttori fiorentini cer-
cassero essi stessi nella varietà delle ornamentazioni una
maggior diversità di effetti decorativi che meglio rispon-
desse al carattere di ogni singolo edifizio. Se, quindi, nelle
facciate delle chiese basilicali le arcate cieche del primo
ordine sono state decorate con un doppio rettangolo cir-
coscritto da un quadrato, quasi a rappresentare delle
grandi imposte chiuse, o a simulare, forse, la chiesa a più
Nardini, op, cit., pag. 48.
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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 89
navate, nel San Giovanni ottagono questo partito sarebbe
stato meno opportuno. Così, se per necessità costruttiva
si adottò air interno il sistema classico degli intercolunni
architravati, era naturale che il motivo dovesse essere
ripreso anche all'esterno, com'è ripreso nel secondo or-
dine, dove alle gallerie interne corrisponde il partito delle
grandi arcate voltate su colonne. Si aggiunga, che mentre
nelle chiese basilicali la varietà è ottenuta col movimento
delle linee terminali e con la decorazione della finestra
centrale, nel Battistero le otto facce a sagoma -rettango-
lare obbligavano a un diverso partito; onde la necessità
di frazionare le formelle allo scopo di rendere più mossa
e più vivace tutta la decorazione.
Questa varietà di motivi non è davvero sufficiente a
farci credere più antico degli altri il rivestimento este-
riore del San Giovanni ; tanto meno basteranno le colonne
ottagone dell'ordine superiore, che, per essere in pietra
e rivestite di marmo, non richiamano affatto, come vor-
rebbe il Nardini, quelle, ben diverse e di mattoni, del- <
Tedifizio lungo la via Appia, volgarmente noto sotto il
nome di tempio del Dio Redicolo.
C3ie l'adozione di quelle forme si riconnetta al carat-
tere del policromismo fiorentino ammettiamo, volentieri
anche noi ; non però che esse possano ascriversi al iv se-
colo, dacché l'uso del pilastro a pianta ottagona è comune
in Firenze nel periodo di transizione tra il romanico e il
gotico; e se le basi e i capitelli conservano il gusto e
il garbo classico, ciò rientra nel particolare carattere della
decorazione fiorentina, così strettamente legata ai modelli
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90 IL SAN GIOVANNI
antichi, ma pur libera nelF accogliere quanto contribuiva
air armonico effetto delle sue costruzioni.
¥
L* esterna decorcizione del San Giovanni, mostra, del re-
sto, forme così varie, che si può credere iniziata verso la
fine del secolo xi e non mai interrotta sino a' nostri giorni.
Non senza ragione, infatti, affermò il Del Rosso, che al
monumento possono essere state fatte correzioni, varia-
zioni ed aggiunte in tempi a noi più vicini, « essendoché
tanta è la cura che di questo Tempio hanno avuto i fio-
rentini, che non si è quasi mai dismesso di farvi attorno
degli abbellimenti e delle riparazioni > ^K
I pochi documenti pervenuti sino a noi ci insegnano,
che nel 1293 furono rivestiti di marmi i pilastri angolari
che erano di macigno; nel 1339 le mura esterne vennero
rimbiancate, e ripulite le colonne e la ghirlanda finale;
nel 1345 il tetto di marmo, perchè mal ridotto, fu re-
staurato; e diciannove anni dòpo vi si dovette rimettere
le mani. Finalmente, si rifece tutto di nuovo, e occorsero
venti anni per compiere gli otto gheroni, ossia spicchi di
marmo che ricoprono la cupola ^\
Che insieme si lavorasse anche alle sottoposte facce
della chiesa pare confermato dai documenti. Negli Spogli
Del Rosso, op. cit,, pag. 50.
^ Cfr. Fatti e Memorie dell* Arie dei Mercanti, Spogli di Carlo Strozzi
in Archivio di Stato di Firenze, Voi. I, e. 9 e seg.
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Tav. XVin
Decorazione centrale della facciata di San Miniato
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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 91
Strozziani si legge che nel 1502 (28 aprile) TArte dei Mer-
canti dette a fare a Andrea Sansovino due statue di mar-
II Battistero
(Particolare di un Cassone da Nozze del secolo xv)
mo, € cioè N. S. e San Giovanni quando si battezzano,
per mettere sopra la porta di San Giovanni verso la
Misericordia, perchè quelle che v'erano erano così goffe
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9S IL SAN GIOYANm
che parevano recassino vergogna » \ E nel Museo Nazio-
nale del Bargello si conserva un cassone da nozze, ov'è
riprodotto il Battistero, in cui si vede sulla porta un ta-
bernacolo di marmo a forma di trittico con archetti tri-
lobati coronati da cuspidi e da pinnacoli, ed entro tre
statue: Cristo che riceve il battesimo da san Giovanni
che è alla destra, mentre a sinistra un angiolo tiene l'asciu-
gatoio nelle mani.
Sappiamo, altresì, che Alessio Baldovinetti lavorò di mu-
saico € sopra la porta di San Giovanni che è rincontro a
Santa Maria del Fiore > ^. Non v* ha dubbio, insomma, che
nel lungo volger dei secoli Tedifizio dovette subire restauri
e rifacimenti ^^ come mostrano le finestre stesse, alcune
delle quali serbano ancora caratteri e motivi medievali,
altre, invece, l'impronta dell'arte del Rinascimento.
Nella finestra sopra la prima porta del Ghiberti, a sorreg-
gere il plinto delle due colonnette a spirale sono due teste
di leoni (così è in San Miniato ed era nella Pieve d' Empoli e
in Sant' Jacopo Oltrarno), che nel loro schietto carattere ro-
manico ricordano molto da vicino quelle della/acciata em-
polese. La mensola sottostante (ora nascosta) sorretta da
piccole mensolette con foglie intagliate, riproduce Io stesso
^> SpogH Sirozziam, Prowisioai dal 1449 al 1507, e. 279*.
2) Vasari, ViU, ediz. Milanesi, Voi. II, pag. 596, nota 2.
3) Si legge negli Spogli Sirozziani: « Dovendosi mettere sopra la porta
di San Giovanni che risguarda l' Opera le tre figure di bronzo fatte per
Maestro Già» Francesco Rustici, e bisognando, fotBe, per detto effetto bu-
care o tagliare in qualche luogo le mura della detta chiesa di San Gio-
vanni, e proibendolo, alla pena di scudi 100, una provvisione fatta Tan-
no 1494, però ti sospende detta prowisiotte ».
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Tav. XIX
Finestra centrale della faccia a Nord del San Giovanni
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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 93
motivo che è nella finestra del San Miniato. Ma debole è
r intaglio del frontespizio arcuato tanto in questa quanto
nelle altre due finestre centrali prospicienti il Duomo e
il Bigallo, e il trattamento della decorazione architettonica
è ben lungi dal raggiungere quel sentimento che si ammira
nelle altre più classiche nella struttura, e più caratteristiche
nei particolari, così che non si può esitare a dirle rifatte
nel secolo xv o anche in tempi a noi più vicini.
Diversità di forme decorative offre, invece, la scarsella, la
quale nelle teste dei leoni posti agli angoli conferma V ori-
gine sua nei primi anni del secolo xiii, mentre la cornice
della trabeazione, che gira intorno a tutto il monumento,
composta di modini ripetuti e malamente intagliati è do-
cumento sicuro di un più recente e arbitrario rifacimento.
¥
Anche ammesso che le archeggiature esterne del San Gio-
vanni conservino tutti gli elementi che concorrono alla com-
posizione delle due facciate di San Miniato e della Pieve
d' Empoli ^\ non ci par questo argomento -sufficiente a
concludere che quelle due facciate ne siano una deriva-
zione. Né diremmo che in quelle appariscano gl'indizi della
licenza medievale per il fatto che i pilastri dell'ordine su-
periore non s' incentrano negli assi dei pilastri dell* ordine
sottoposto, com' è nella consuetudine classica ^, perchè
*) Nardini, ap, cii., pag. 149.
2) Und,, ivi.
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94 IL SAN GIOVANNI
nel San Giovanni medesimo - e lo stesso Nardini lo ri-
leva - nelle tre facce ove sono le porte i pilastri del-
l'attico non cadono sull'asse delle colonne delle arcate
e degli intercolunni sottoposti '^ E se a ciò furono indotti
i costruttori per accrescere spazio alle porte ^\ anche nelle
due facciate di San Miniato e d' Empoli, per necessità co-
struttiva (non si poteva d'altronde allargare o ristringere
a piacimento la fronte della nave maggiore); si è dovuto
ricorrere a quella che il Nardini chiama licenza medievale.
Quanto poi al partito architettonico esterno del San Gio-
vanni, esso non trova riscontro in nessun altro monumento
romano della decadenza o del periodo cristiano primitivo:
quegli ordini sovrapposti, nella libertà e nella varietà dei
motivi, mostrano caratteri schiettamente medievali, modi-
ficati, soltanto, neir interpretazione classica dei particolari
architettonici.
Il primo ordine, infatti, che doveva apparire staticamente
il più solido è stato ornato di pilastri (soltanto le tre porte
sono fiancheggiate da colonne), e sui capitelli s'imposta la
trabeazione ; il secondo, anche per rendere più agile e più
leggera la decorazione, ha gli archi voltati sulle colonne
ettagone (la stessa forma delle colonne conferma il deside-
rio di alleggerire quella decorazione) ; e l' attico si eleva
più semplice, ravvivato soltanto da quattro pilastri scan-
nellati per ogni faccia. Data la struttura del San Giovanni,
queste forme decorative si adattano mirabilmente alle
*) Nardini, op. «/., pag. 149.
2) lòtd., ivi, nota 2,
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E L'ARCHTTETTURA ROMANICA 95
mura alte e larghe della chiesa; né sappiamo vedere in
questi motivi architettonici una ragione di maggiore o mi-
nore antichità; né possiamo supporre che Taver posto al
primo ordine i pilastri architravati e al secondo le arcate,
abbia a costituire un gran divario, o discordare grande-
mente dal carattere e dal sentimento che é proprio alle
chiese fiorentine posteriori al Mille.
Piuttosto, quindi, che parlare di derivazione del vecchio
archetipo del San Giovanni, ci pare - studiando senza
preconcetti questi monumenti fiorentini - di trovarci di-
nanzi a una spontanea produzione di forme architettoni-
che in cui le tradizioni classiche ritrovano, quasi, il loro
spirito originario negli interpreti che decorarono quei mo-
numenti.
XI
L'architettura romanica fiorentina non si discosta nel-
r icnografia dei suoi monumenti dal tipo basilicale ; addossa
di sovente alla fronte delle sue chiese un atrio, come nel-
r antica basilica di San Lorenzo, in Santa Reparata e in
Sant' Jacopo Oltrarno; usa sempre - secondo l'antica tra-
dizione cristiana - la cripta per conservarvi i Corpi Santi
e le reliquie; solleva spesso il coro molto al disopra del
piano della chiesa (nella Badia fiorentina, originale parti-
colarità, il coro era in basso e in alto T altare che aveva
accanto il sarcofago del Conte Ugo), e mostra - come
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96 IL SAN GIOVANNI
abbiamo avuto agio di rilevare - tutta la sua singolarità
nei particolari della decorazione architettonica.
La facciata della Pieve d'Empoli porta la data sicura della
sua edificazione (1093), e chi ricordi che in questi anni ap-
punto si lavorava attorno al Duomo di Pisa, cominciato
soltanto nel 1065, potrà supporre che il motivo pisano sia
una derivazione dal modello fiorentino. Più nel vero sarà,
peraltro, chi consideri entrambe le costruzioni, pur nel così
vario trattamento dei particolari architettonici e decorativi,
una libera interpretazione delle forme romane decadenti.
Ma le forme decorative dei più antichi monumenti fio-
rentini accennano a poco a poco ad alterarsi (come del
resto si riscontra negli stessi monumenti pisani con-
dotti sul modello della Cattedrale), perdendo quel sen-
timento classico che era la loro caratteristica; modifi-
cando gli elementi architettonici che a quel sentimento
corrispondevano così mirabilmente. O sia che gli scolari
non raggiungessero l'abilità dei maestri, o sia che per
r uso e per la pratica si perdesse V originaria finezza dei
motivi decorativi, o sia, infine, che venissero a inframmi-
schiarsi estranee influenze, certo è che nei due monumenti
fiorentini che seguono a quelli già illustrati - il Sant' Ja-
copo Oltrarno e il San Salvatore all'Arcivescovado - le
consuetudini romaniche della scuola fiorentina si vengono
a rallentare, per dar luogo, come notò bene il Nardini,
a modi che si discostano assai dal fare paesano e rien-
trare in quelli dell' uso romanico generale **. Ma queste
*) NAia)iNi, op, cìL, pag. 158.
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E L'ARCHITETTURA RQldANICA 97
alterazioni di forme architettoniche sono altresì conferma
della originalità e spontaneità di quel movimento che fece
dire non senza ragione al Vasari : e In Fiorenza poi mi*
gUorando alquanto T architettura» la chiesa di Sant'Ape*
stolo.... fut ancorché piccola» di bellissima maniera; per-
chè, oltre che i fusi delle colonne, sebbene sono di pezzi,
hanno molta grazia e sono condotti con bella misura,
i capitelli ancora e gli archi girati per le volticciuole
delle due piccole navate mostrano come in Toscana era
rimaso ovvero risorto qualche buono artefice >. E dopo:
«L'anno poi idi 3 si vede Tarte aver ripreso alquanto
di vigore nel riedificarsi la bellissima chiesa di San Mi-
niato in sul Monte, al tempo di messer Alibrando citta-
dino e vescovo di Firenze; perciocché, oltre agli orna-
menti che di marmo vi si veggiono dentro e fuori, si
vede nella facciata d' inanzi, che gli architetti toscani
si sforzarono d'imitare nelle porte, nelle finestre, nelle
CG^nne, negli archi, e nelle cornici, quanto potettono il
più, r ordine buono antico avendolo in parte ricono-
sciuto neir antichissimo tempio di San Giovanni nella città
loro » ^K
È vero che il Vasari aggiunse: « dirò solamente, che
molto si diviò da questo segno e da questo buon modo
di fare [del San Giovanni] quando si rifece di marmo la
facciata della chiesa di San Miniato sul Monte fuor di
Firenze; perchè quella e molte altre opere, che furon
fatte poi, non furono punto in bontà a quella somi-
>) Vasari, op. ciL, Voi. I, pag. 235 e 236.
13
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98 IL SAN GIOVANNI
gitanti » *^ onde non parrebbe doversi dare troppo peso
alle affermazioni del biografo, il quale, nonostante questa
contraddizione soggiunge: che Filippo di Ser Brunellesco,
Donatello e gli altri maestri di quei tempi < impararono
Tarte col mezzo del San Giovanni e della chiesa di San-
t'Apostolo di Firenze » ^\ Comunque sia, non è il caso
davvero di esclamare col Nardini < che la critica odierna
si sia fatta levar la mano così dal Vasari ! > ^K
Deir architettura imbastarditasi nelle due cfiiese di
San Salvatore e di Sant* Jacopo per avvicinarsi sempre
più alle norme comuni delle costruzioni romaniche, o delle
nuove forme dell'arte gotica che gli Ordini monastici im-
portarono di buon' ora in Firenze, non fu rappresentante
Maestro Buono fiorentino, un costruttore che si educò in-
vece all'arte nelle scuole di Pisa o di Lucca. Il Vasari,
che nella vita di Arnolfo ricorda questo fra i maestri
più elevati < i quali se non trovarono, cercarono almeno
di trovar qualche cosa di buono >*^; confonde nelle no-
tizie che dà delle opere da lui condotte artefici di diversa età
e dello stesso nome. Il Maestro Buono, marmorario fioren-
tino (come è detto nei documenti), è di un secolo posteriore
a Gruamonte; fu figlio di Bonaccolto; lavorò in Pistoia
») Vasari, op. Ht, Voi. I, pag. 333.
2) Ihid,, pag. 232.
^) Nardini, op, cit,, pag. 49.
^) Vasari, op, cit,, Voi. I, pag. 271.
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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 99
air altare della chiesa di Santa Maria Nuova nel 1260; alla
porta e alla vòlta della cappella di Sant' Jacopo .nel 1265;
alla porta maggiore della Cattedrale, dedicata allora a
San Zenone, nel 1272; e probabilmente prese anche parte
ai lavori della facciata di San Piero Maggiore ^K Nel tempo
in cui stette a Pistoia non s'intraprese cosa di qualche
importanza che non ne fosse affidata a lui l'esecuzione;
ma certo in queste costruzioni i caratteri romanici e in
special modo le forme dell'arte pisano-lucchése sono se-
guite da Maestro Buono, scultore, architetto e capo di mae-
stranze. Da lui si volle riedificata la chiesa di Santa Maria
Maggiore di Firenze, nella seconda metà del secolo xiii;
ma a lui non può in alcun modo ascriversi quella ricostru-
zione dovuta al nuovo avviamento architettonico impor-
tato dagli Ordini monastici.
Isolata e solitaria manifestazione dell'arte romanica to-
scana è rimasta la parte inferiore della facciata di Santo Ste-
fano in Ponte, in origine a tre navate con tre porte, di cui
le minori sono sormontate da un architrave con sopra un
arco tondo, e più in alto da una finestrella bifora ad archi
tondi sorretta al centro da una sottile colonnetta. Costruita
tutta in pietra da taglio, ha di marmo, a strisce bianche
e nere, la decorazione delle due finestre poste sopra le
porte minori nonché della porta maggiore la quale è cir-
') Comunicazione del dott. Peleo Bacci.
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loo IL SAN GIOVANNI
conscritta da una fascia intarsiata a quadrati per angolo,
egualmente di marmi neri e bianchi.
Un documento c'insegna che nel 1233 < il priore di
detta chiesa per pagare un debito di lire ottanta eh' egli
haveva fatto prò hedificiis et muris ipsius ecclesie faciende,
e per far case per detta chiesa nel popolo di San Piero
Gattolini, vendette a frate Aldobrandino, rettore della
chiesa di San Matteo da i Lepori, dell* Ordine degl'Here-
mitani, corte, terra, vigna, castagneto, etc, sopra la qual
terra era posta detta chiesa di San Matteo, per prezzo
di L. 200 etc, > *^
A questi anni si deve riportare la costruzione della parte
inferiore della facciata; mentre la superiore, di carattere
gotico (quel bastoncino di tipo borgognone che ricinge la
finestra centrale ne conferma T origine), si deve riferire
all'ultimo scorcio del secolo xiii.
XII
I pochi monumenti che noi abbiamo illustrato nel corso
di questo studio sono i soli che rimangono in Firenze del
perìodo romanico.
Distrutte le antichissime chiese di Santa Maria in Cam-
pidoglio, di San Tommaso, dif Sant* Andrea, di San Pier
*) Spogli Sirozziani di Memorie ecclesiasUche in Archivio di Stato di
Firenze, e Richa, Chiese fiorenOm^ Voi. II, pag. 65.
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Tav. XXII
Santo Stefano al Ponte
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E L'ARCHITETTURA ROMANICA
Buonconsìglio» di San BartoIommeOi di San Piero Sche-
raggio, di San Pier Maggiore, di San Piero in Celoro, di
San Pancrazio, ecc.; modificate o rinnovate del tutto nel
loro carattere dalle più tarde sovrapposizioni di nuovi e
differenti stili architettonici quelle di San Lorenzo, di
Santa Felicita, di Santa Trinità, di San Stefano in Ponte
e di Sant' Jacopo Oltrarno ; dobbiamo ascrivere a singoiar
fortuna che siano giunti sino a noi, ancora ben conservati,
pochi e insigni modelli i quali servirono a mantener vivo in
Firenze, anche nel periodo gotico, queir innato sentimento
classico che doveva più tardi schiudere all'architettura
nuovi orizzonti, ed esercitare così benefico influsso su tutte
le manifestazioni dell'arte, e non dell'arte fiorentina sol-
tanto.
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ARNOLFO
L'ARCHITETTURA GOTICA
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Tav. XXIII
Badia di San Salvatore a Settimo
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I
Quando, sul declinare del secolo xiii, dalle forme dell'arte
romanica si svolse quel nuovo tipo di architettura, comu-
nemente detta gotica, i cui elementi lombardi avevano tro-
vato in terra francese un così potente sviluppo, fu vanto
degli artisti italiani di aver saputo conciliare col novello in-
dirizzo la vecchia tradizione, fatta di gloria secolare, atte-
stata da monumenti insigni, da imponenti rovine, e di aver
tratto dal nuovo stile solo quei perfezionamenti costruttivi
e decorativi che trovarono più rispondenti all'indole e al
sentimento loro.
Perciò l'architettura gotica italiana apparisce fra noi
come un compromesso fra le tendenze nuove e le norme
della tradizione classica, che alle pareti, alle colonne e ai
pilastri conserva sempre le funzioni tradizionali; e le vòlte
delle navi mediane, per quell'innato sentimento estetico
dello spazio, sono sviluppate, invece che su pianta rettan-
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io6 ARNOLFO
golare, su pianta quadrata, o quasi quadrata, tanto più re-
golare ed armonica. I valichi delle nostre chiese riescono
perciò il doppio più spaziosi di quelli settentrionali; le
nostre navi minori più sfogate e in più perfetto accordo
con la navata centrale, concorrendo all'armonia e all'unità
di tutto Tedifizio. Col rialzamento delle navi laterali, quella
di mezzo non ha più spazio al di dentro per i trifòrt, né per
le grandi finestre su in alto ; non lascia più luogo, esterior-
mente, allo slancio degli sproni volanti e dei sovrapposti
pinnacoli. I contrafforti alleggeriti, in tal modo, nelle loro
funzioni, anche per l'uso molto comune fra noi delle ca-
tene di ferro o di legno, non hanno più la necessità di
protendersi in basso per mezzo di progressive spor-
genze.
Quei valichi così spaziosi aumentando del doppio la di-
stanza dei contrafforti esterni, impediscono nella parte su-
periore, sia della nave maggiore, sia delle navi minori, di
aprire finestre così ampie che occupino, esse sole, tutto
lo spazio interposto tra un contrafforte e l'altro; impon-
gono alle navate minori la pianta bislunga; la quale, alla
sua volta, non permette nell'interno del transetto e del
coro la disposizione dei collaterali ^K E dalla tradizione
dell'arte cristiana primitiva deriverà il sistema di iso-
lare, e di considerare destinato non ad altro uso che a
quello di reggere le campane, il campanile, che si slancia
di fianco alla chiesa, ora presso l'abside, ora accanto alla
facciata.
*) Cfr. Nardini, De/ Duomo di Milano, Milano, 1889, P^^- 2'-
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E L*ARCHITETTURA;G0TICA 107
Attenendosi a questo partito i nostri costruttori si allon-
tanarono necessariamente dall'esagerato verticalismo delle
chiese oltramontane, e dettero un così particolare carattere
ai loro edifizi, che non si può dire rappresentino il vero
e proprio stile gotico : da ciò la severità con che gli scrit-
tori stranieri giudicarono questi munumenti. Essi dimentica-
rono però che quello stile non era richiesto né dal clima,
né dal sentimento popolare italiano, e non poteva quindi
non subire da noi le modificazioni portate da quei due
elementi principali determinanti di ogni manifestazione ar-
chitettonica. Dimenticarono altresì che le varie e pur tanto
originali interpretazioni che esso trovò in Italia, a seconda
delle diverse regioni e scuole, se danno buon argomento
per rimproverare agli Italiani di non aver compreso il lato
pratico e tecnico delle nuove forme costruttive, non autoriz-
zano davvero ad afiFermare, troppo genericamente e troppo
assolutamente, che essi non capirono mai nulla in fatto di
architettura gotica.
Quando questo stile, già fiorente in Francia, e dalla Fran-
cia importato in Germania e in Inghilterra, penetrò fra noi,
le principali città della Penisola avevano rinnovato con mira-
bile slancio le loro Cattedrali. Giustamente rileva il Nardini,
che tolte le chiese monastiche, gli unici grandi monumenti
di stile gotico costruiti nel secolo xiv sono il Duomo di
Firenze, il Duomo di Milano e il San Petronio di Bologna.
Sono essi, per così dire, il primo saggio di questo stile
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io8 ARNOLFO
nuovo, che, mancando presso di noi di precedenti e di tra-
dizioni, non poteva avere regole generali e costanti, e per
conseguenza ogni artista lo trattò a suo modo. Onde è vero
che agli Italiani mancò un tipo di architettura comune alle
diverse città quale ebbero le altre nazioni europee, e fu-
rono costretti a crearsi volta per volta uno stile che rispon-
desse allo spirito di ogni singola loro regione ; ma è anche
vero che quando nel secolo xiv essi vollero prender parte
al generale rinnovamento architettonico, appunto col Duomo
di Firenze e con quello di Milano, crearono i due tipi in cui
l'arte gotica rivela una singolare perfezione ^\ Questo fatto
di una nazione che esordisce creandosi uno stile nuovo e
bellissimo per ogni monumento che innalza, è, per il dotto
scrittore, cosa unica nella storia dell'arte, perchè ci fa vedere
come anche V Italia avrebbe potuto spingersi ben oltre in
questa via, se il Rinascimento non l'avesse così presto in-
calzatcT, e non avesse troncato le sue tradizioni medievali ^\
Ma poiché il Rinascimento ebbe luminoso centro spe-
cialmente in Firenze, quali tradizioni il suo avvento troncò
mai in questa città?
In Italia le forme medievali attinsero la loro forza dal-
l'arte classica, e a questa sacrificarono gran parte delle
nuove tendenze ; a Firenze poi, il sentimento classico si
*> Najrdini, op, cit., pag. 115.
2) Ibid., pag. 115 e 116.
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E L'ARCHITETTURA GOTICA 109
modifica, è vero, nel periodo gotico, ma le forme tradizio-
nali dell'architettura latina sembrano quasi compenetrarsi
in questa nuova maniera per ritornare, dopo un troppo breve
esperimento, a imporsi col Quattrocento. Non è brusco il
trapasso dall'arte romanica all'arte gotica, perchè, come le
reminiscenze dello stile romanico si fusero con le forme
ogivali, così nelle prime opere della Rinascenza rimasero
palesi le tracce del gotico. E di ciò si ha chiara testimo-
nianza neir antico frammento della facciata di Santa Maria
Novella, dovuta alla munificenza di Messer Turino di
Baldese (1348), nel quale si avverte la fusione dei due
stili romanico e gotico ; il primo, nell' insieme della com-
posizione; il secondo, nelle porte laterali con archi acuti
e frontespizi cuspidati, nelle forme dei pilastri e dei capi-
telli, e nel carattere dei profili.
Il Nardini giustamente avverte in Firenze due indi-
rizzi architettonici: uno, derivato dal connubio dell'arte
monastica con la paesana, e che accenna a ripristinare
sotto altre forme i concetti decorativi dell'arte romanica;
l'altro, che ripete le consuetudini generali dello stile go-
tico. Il primo, si afferma nel Duomo di Santa Maria del
Fiore, in Orsanmichele, nel Bigallo e nella Loggia dei
Priori ; il secondo, in Santa Maria Novella, in Santa Croce,
in Santa Trinità, in Santa Maria Maggiore.
L'uso delle vòlte ogivali, il cui equilibrio poggia in
gran parte sugli archi diagonali e sui loro sostegni, rese
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ARNOLFO
necessaria una forma di pilone che organicamente rispon-
desse alle nuove esigenze. «E mentre gli oltramontani si
tennero strettamente al pilastro a fascio, prismatico, poU-
stilo, gli Italiani stabilirono il tipo loro per ogni singolo
caso ; e a Firenze, le colonne del Duomo - come le chia-
mavano appunto i maestri fiorentini del Trecento - con-
tengono in sé gli elementi essenziali che costituiscono
l'ossatura statica deiredifizio, mostrando nettamente di-
stinti i sostegni dei sottarchi, dei mezzarchi e dei bottacci
o costoloni delle respettive vòlte; la pianta di essi è iscritta
in un quadrato fondamentale; la base e il capitello colle-
gano in un tutto organico e solido le varie parti che li
compongono *^ Ma questo pilone adottato in Orsanmichele
e nella Loggia dei Priori, multiplo e uno, che ha nel suo
organismo di sostenente tutti gli elementi del sostenuto e
può dirsi la forma più perfetta del pilone gotico italiano,
questo pilone così caratteristico della scuola gotica fioren-
tina, rivela lo studio di assoggettare gli elementi costi-
tutivi dell'arte ogivale all'organismo classico. All'esterno
si nota, in basso, una disposizione che richiama lo stilo-
bate o basamento degli edifizi romani ; in alto, una ripeti-
zione di cornicette e di fasce che arieggia l'architrave ed
il fregio delle fabbriche antiche; e finalmente quei bec-
catelli e quella ghirlanda sostituiscono felicemente la
cornice dei monumenti pagani e romanici ^^ In queste
*) Nardini, op, cit,, pag. 67 e seg. ; Il Duomo di San Giovanni, pag. 172.
- Canestrelli, U Architettura Medievale a Siena, pag. 13.
. 2) Nardini, // Duomo di San Giovanni, pagg. 162, 172 e 173.
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E L'ARCHITETTURA GOTICA
fabbriche, poi, si manifesta una tendenza alla linea oriz-
zontale che contrasta col sentimento dello stile gotico;
onde nella Loggia dei Priori, i pilastri mistilinei reggono
archi a tutto sesto; nel Duomo, al verticalismo dell'arco
acuto si contrappone il ballatoio, che gira intorno alla na-
vata maggiore, quasi ad annullare l'effetto slanciato del-
l' arco stesso e a distruggere la lògica significazione della
struttura gotica; nel Tabernacolo delFOrcagna, l'arco tóndo
è sormontato da un gran fregio orizzontale, su cui s'im-
posta la cuspide. Le stesse finestre tabernacolari col fron-
tespizio cuspidato e con le colonnine a tortiglione, deri-
vano dalle finestre dei monumenti romanici.
Quali tradizioni medievali avrebbe mai potuto conservare
Firenze se, pur nel momento più pieno dell' ogivalismo,
gli architetti non seppero dimenticare gli esemplari ro-
mani, e rivestirono le loro costruzioni gotiche di particolari
classici ?
È ormai dimostrato che il Rinascimento, dovuto in prin-
cipal modo ai Fiorentini, più che agli esempi dell'archi-
tettura romana si ispirasse a quelli della scuola romanica
della stessa Firenze. Gli archi girati sulle colonne, gli archi-
travi piegati ad angolo retto come le cornici di un quadro,
le finestre i cui stipiti girano senza interruzione sull'arco
respettivo, e tante altre particolarità dell'architettura fio-
rentina del Rinascimento, non hanno riscontro negli antichi
monumenti, ma soltanto negli edifizi medievali di questa
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112 ARNOLFO
città ^K Può dirsi quindi che lo stesso sentimento che ani-
mava i primi costruttori all'alba del secolo xi, si risve-
gliasse, pur non essendo rimasto sopito del tutto fra le
nuove correnti artistiche, quattro secoli dopo con rafforzato
vigore; e che i Fiorentini, liberandosi finalmente dallo stile
gotico (non inteso mai rettamente e disdegnato col nome di
barbaro)^ facessero rivivere, tornando a più modeste costru-
zioni, la maniera deir antica Roma, che adattarono ai bi-
sogni moderni delle costruzioni ecclesiastiche e civili. Ma
della maniera classica questi primi innovatori del Rinasci-
mento come i primi architetti del periodo romanico, non
imitarono che le forme decorative, e più che imitazione
fu libera interpretazione di modini, di cornici, di partico-
lari architettonici desunti da modelli antichi; da ciò la
mancanza troppo frequente di corrispondenza organica
fra le forme prese a prestito e le costruzioni stesse; da
ciò un classicismo più apparente che reale, o, meglio,
più analitico che sintetico. Bisognerà aspettare che Bra-
mante e gli altri architetti del secolo xvi, ispirandosi alla
grandiosità delle costruzioni romane, intendano, non sol-
tanto l'impronta esteriore di certe forme, ma tutta l'im-
ponenza e la maestà, che rende meravigliosi gli antichi
monumenti, perchè l'arte del fabbricare accenni a risorgere
con vero sentimento classico.
*> Fontana, // BrunelUschi e l* Architettura classica in Archivio Storico
dell'Arte, anno VI, 1893, pag. 256 e seg. - Nardini, Il Duomo di San Gio-
vanni, pag. 174.
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E L'ARCHITETTURA GOTICA 113
Gli Ordini religiosi furono i più efficaci cooperatori dello
svolgersi deir architettura nei diversi periodi e nelle diffe-
renti forme. I Cluniacensi prima, poi i Cistercensi, final-
mente i Domenicani e i Francescani dedicandosi all' ar-
chitettura e alla scultura costruirono essi stessi gli edifizi
per i loro monasteri, e nelle regole e nell'esercizio delle
costruzioni addestrarono anche i laici. Ma più propriamente
ai Cistercensi - presso i quali come già presso i Qunia-
censi fu in grande onore lo studio dell'architettura -
spetta il merito di avere importato fra noi i tipi e i ca-
ratteri dell'arte gotica, sia nella disposizione icnografica
delle costruzioni, sia nelle forme decorative: e poiché il
grande ordine claustrale si diffondeva dalla Borgogna, così
è naturale che negli edifizi a loro dovuti prevalgano mo-
delli e forme dell' arte francese, e in particolar modo bor-
gognona ^K
In Toscana i Cistercensi, con l'Abbazia di San Galgano,
dettero efficace impulso alle nuove forme che si ritrove-
ranno poi in parte nel Duomo di Siena; e da San Galgano
si recheranno i Cistercensi stessi alla Badìa di Settimo,
') Enlart, Origines fran^aises de V archiieciure gothique en ItaUe, Paris,
1894. - Canestrelli, L'Abbazia di San Galgano, Firenze, 1896.
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114 ARNOLFO
presso Firenze, quando Gregorio IX, nel 1237, la farà sog-
getta alla Santa Sede.
L* influenza dei Cistercensi si manifestò ancora negli altri
Ordini religiosi ; i Francescani e i Domenicani derivano da
modelli cistercensi le loro costruzioni, le quali, tranne qual-
che rara eccezione, sono semplici e modeste, e non con-
sentono altri ornamenti che la decorazione pittorica.
¥
L'efficacia che il modello di San Galgano ebbe suir ar-
chitettura senese è molto maggiore di quella che la Badia
di Settimo esercitò sui monumenti fiorentini.
Oggi quest'antica Abbazia è così alterata, per restauri
e per rifacimenti arbitrari, che ben poco conserva del suo
primitivo ordinamento. Oltre il campanile, già da noi ri-
cordato, e il frontispizio della chiesa con i caratteristici
archetti trilobati di tipo gotico-cistercense, la grande sala
a vòlta (ora ridotta ad uso di tinaia), è una delle poche
e più notevoli parti che rimangano dell' antica costruzione.
Spartita in tre navate, di cui la centrale un po' più larga
ad arco tondo e le laterali ad arco acuto, è coperta da
vòlte a crociera semplice, con sottarchi e mezzarchi leg-
germente rilevati. I capitelli, del solito tipo monastico, ma
piuttosto rozzi, sono a due strati ; i fusti, costituiti da ci-
lindri sovrapposti; le basi, attiche. Il rialzamento del suolo
ha nascosto per metà le colonne ; per cui la costruzione ha
perduto le sue proporzioni, non però ogni artistico inte-
resse.
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E L'ARCHITETTURA GOTICA 115
U influenza delle costruzioni cistercensi si riscontra nella
chiesa domenicana di Santa Maria Novella, la quale, nono-
stante la sua semplicità, è uno degli edifizi gotici italiani
più strettamente rispondenti al carattere di quello stile.
Gli architetti del nuovo e grandioso monumento furono
i due conversi fra Sisto e fra Ristoro, aiutati nel lavoro
di muratura e di scultura da altri loro confratelli.
Non erano nuovi nell'arte quei due maestri: nel 1252
avevano avuto T incarico di costruire alcuni voltoni e for-
s'anco un cortile o chiostro (tnagnas testudines) nel Palazzo
del Potestà; nel 1269 avevano gettato di pietra i piloni
del Ponte, anch'oggi detto alla Carraia; e ad essi si ascrive
generalmente la piccola chiesa di San Remigio, per la so-
miglianza che presenterebbe con Santa Maria Novella. La
quale, fondata nel 1278, conferma la sua origine cister-
cense, e in special modo la derivazione dal San Galgano
nella pianta, nelle forme e nelle decorazioni dei pilastri,
negli archi e nelle vòlte a crociera.
Ma come i Cistercensi in San Galgano avevano modi-
ficato il carattere delle loro costruzioni sotto Y influsso del
sentimento italiano, così gli altri Ordini venuti dipoi, mo-
strarono di sapere interpretare con grande libertà e in-
dipendenza alcune forme decorative e alcuni sistemi sta-
tici derivati da quel modello.
Lo stesso Enlart riconosce che i monaci cistercensi,
dovendo di necessità ricorrere, nel paese dove si ferma-
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ARNOLFO
rono, ad aiuti, questi, sebbene istruiti e educati alla loro
maniera, aggiungevano dal canto loro o qualche particolare
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carattere del tutto locale, o un sentimento del tutto per-
sonale nell'esecuzione dei lavori a cui erano stati chia-
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Santa Maria Novella
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E L'ARCHITETTURA GOTICA 117
mati ^K Da ciò, indubbiamente, la varietà grandissima che
presentano nelle diverse città d'Italia non solo le differenti
chiese costruite dai Cistercensi, ma pur quelle, tanto più
numerose, dovute ai Domenicani e ai Francescani.
Questa indipendenza e libertà di interpretazione si av-
verte in Santa Maria Novella, dove su pilastri a pianta cro-
ciforme s'impostano le vòlte
che si controspingono a vi-
cenda: quelle delle navate la-
terali con la vòlta della nave
maggiore per mezzo di con-
trafforti innalzati sui sottarchi
delle navate minori, che ten-
gono luogo degli archi ram-
panti. < Ed è meraviglioso
- scrive Amico Ricci - come
tutta la gran vòlta e gli archi
insieme connettansi mediante
un ammirabile contrasto senza
, . , ^ Santa Marìa Novella
vi Sia stato bisogno del soc-
(Dal Dehio e Bezold)
corso di chiavi, cavicchie, o
spranghe, di cui si fece tanto uso nelle fabbriche poste-
riori > ^.
La nave centrale è di poco elevata sulle laterali; ogni
campata è a pianta quadrata, o quasi quadrata, cui na-
turalmente corrispondono, nelle navate laterali, campate
*) Enlart, op. ci/., pag. II.
2) Ricci, S/oria deirArchitethira, Voi. II, pag. 97.
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ii8 ARNOLFO
rettangolari per lungo, con sistema - come dicemmo - che
si mantiene costante in quasi tutte le chiese nostrane di
tipo gotico.
< Allo scopo - sempre secondo il Ricci - che la chiesa
comparisse anche più grande, benché fosse grandissima,
stimarono questi architetti che gli archi, più spaziosi da
principio, si restringessero verso il transetto, onde prospet-
ticamente allungandosi Tedifizio, presentasse una lunghezza
maggiore della reale > *\ Ma, molto probabilmente, questa
irregolarità, o meglio, questa particolarità costruttiva derivò
dalla lentezza con cui procedettero i lavori, per modo che, a
raggiungere più presto le proporzioni stabilite, si dovettero
allargare, verso la fronte, gli spazi fra pilastro e pilastro.
Il campanile, poi, posto all'angolo sinistro della cro-
ciera, porta al basso della sua cuspide dei frontespizi acu-
minati, ed è dovuto a fra Jacopo Talenti da Nipozzano,
all'architetto che con fra Giovanni da Campi successe ai
due frati conversi nella direzione dei lavori. Alla loro
opera si associarono in progresso di tempo altri valentis-
simi costruttori dell'Ordine, ai quali si deve esclusivamente
il merito della bella costruzione, che non senza ragione,
ammirata da Michelangiolo, fu da lui detta sua sposa/
È notevole, del resto, come in Firenze più che altrove
le scuole monastiche mantenessero salde radici. Mentre
*) Ricci, op, cit„ Voi. II, pag. 97.
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E L' ARCHITETTURA GOTICA 1 19
in altre città T architettura romanica è arte laicale, e le
chiese di Pisa, di Lucca, di Pistoia, di Modena, di Parma
e di Ferrara vengono edificate da laici (onde si direbbe
che quelle città fatte libere dalla soggezione feudale, a
testimonianza della propria indipendenza, affidassero ad
essi il disegno e la direzione delle loro insigni Cattedrali),
in Firenze alle costruzioni benedettine del secolo xi e xii
(San Miniato e Badia di Fiesole), seguono quelle cister-
censi (Badia di Settimo e Badia di Firenze), e del nuovo
indirizzo artistico importato dall' Ordine cistercense in Ita-
lia, i Predicatori e i Mendicanti, si fanno i più caldi seguaci.
Ma sino oltre la metà del secolo xiv fiorì in Firenze
una scuola monastica gotica, che ebbe architetti famosi, e
ai quali si dovettero opere notevolissime. I nomi di fra
Sisto, di fra Ristoro, di fra Mazzetto, di frate Albertino
Mazzanti, di fra Borghese, di fra Giovanni da Campi, di
frate Francesco da Carmignano e di frate Jacopo Talenti
da Nipozzano, di padre Pasquale dall'Incisa, di padre Ra-
nieri Gualtierotti, di padre Pietro Macci (per non citare
che i maggiori), 'confermano a sufficienza il numero e il
valore dei maestri; le chiese ed altri edifizi da essi co-
struiti a Firenze, a Prato, a Roma attestano la loro va-
lentia. E, sino dal principio del secolo xiv, l'abilità archi-
tettonica di quei monaci si era levata in così gran fama,
che durante tutto il lungo e agitato periodo nel quale si
discusse e modificò più volte il disegno della nuova Cat-
tedrale di Santa Maria del Fiore, ogni discussione e mo-
dificazione, così del complesso come delle varie parti della
chiesa, era sottoposta al voto di essi.
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ARNOLFO
€ Dal recinto delle monastiche mura - scrive Amico
Ricci - continuano ad uscire maestri espertissimi nelle
opere più ardue dell'arte, ed il laicato nella sua emanci-
pazione non ha usurpato air antico magistero la primitiva
sua influenza, ma si rimane sodisfatto di operare da sé,
quando circostanze gliene porgano il destro > ^K
Infatti, mentre fioriva la scuola monastica, ad Arnolfo
è dato r incarico della costruzione della nuova Cattedrale,
a Giotto quella del Campanile, e Francesco di Talento di-
rige i lavori della Chiesa maggiore. Ma l'influsso di quelle
scuole è sempre così vivo, che Arnolfo, nella costruzione
della nuova Santa Reparata mostra di derivare dalla scuola
cistercense ; Giotto fa largo posto nel suo Campanile alla
materia allegorico-didattica così largamente sviluppata ol-
tremonte dagli Ordini monastici, e Francesco Talenti, che
fu forse fratello del celebre costruttore di Santa Maria No-
vella, fra Jacopo e di fra Giovanni, muratore nella costru-
zione della libreria del Convento medesimo ^\ impòsta sulla
fronte della chiesa da lui rinnovata due grandi finestre, de-
rivando egli pure questo motivo dalle costruzioni cister-
censi di San Galgano e della Badia fiorentina.
Né si deve dimenticare che quando la Signoria ebbe
bisogno dell'opera di valenti architetti, si rivolse ai fi-ati
di Santa Maria Novella, a quelli di Santo Spirito, o ai
monaci cistercensi. Oltre fra Sisto e fra Ristoro, che la-
vorarono, come dicemmo, al Palazzo del Potestà, i due
») Ricci, op, a/,. Voi. II, pag. 94.
2) Guasti, San/a Maria del Fiore, pag. 1 1 .
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E L'ARCHITETTURA GOTICA 12 1
più celebri domenicani, Giovanni da Campi e Jacopo Ta-
lenti da Nipozzano, attesero per molti anni al restauro
e al rinnovamento delle pubbliche costruzioni. Fra Gio-
vanni, dopo l'alluvione del 1333, riedifica il Ponte alla Car-
raia.... ipse factus est per Comune totius Ulius operis principaJis
et unicus architector *^; fra Jacopo magister lapidum et edi-
Jiciorum è detto bonus in tantum quod Comune Florentice in
suis edificOs per multos annos eum requirebat ^^ Ai Cister-
censi, infine, sono affidate dal Comune la costruzione e la
conservazione dei ponti e delle mura della città, nonché
le fortificazioni dei castelli e di altri luoghi del contado ^\
Da questi documenti ci par lecito dedurre, che a Fi-
renze la scuola laica si emancipasse dalle influenze mo-
nastiche soltanto nella seconda metà del secolo xiv, perchè
solo intorno al 1 350 si forma la vera scuola gotica fiorentina
con Francesco Talenti, con TOrcagna, con Giovanni di Lapo
^> Marchese, Memorii dei più insigni piiiori, scultori e architetti dome^
nkani, voi. I, pag. 187, nota 2.
2) Ihid., pag. 191, nota i.
3) Nuovi documenti insegnano che nel 1259 si pagò dai Cistercensi
una somma a Tomabello Amati, constituto ad reformandum et reficiendum
et aptandum pilatn Pontis Rubacantis; il 24 luglio dello stesso anno a Iacopo
della Scala e ad Ugolino Frescobaldi iibras CD fior, paro, prò expensis ne^
cessarOs factis et faciendis prò reactatione Pontis novissimi Sane te Trini tatis;
il 29 settembre, lire 50 ad Arrighetto ed Ubaldino occupati ad reaptandum
et reformandum Pontem qui dtcitur Carraria ecc. (Lasinio, Frammento di un
quaderno di mandati dell'antica Camera del Comune di Firenze, Firenze, 1905).
Non è dubbio che questi laici al servizio dei monaci cistercensi dovessero
risentire in qualche modo l' influsso dell'Ordine, che in tutti i suoi edifizi,
pur facendo larga parte a caratteri nazionali, lasciava tuttavia notevoli im-
pronte della propria maniera.
16
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122 ARNOLFO
Ghini, con Benci di Cione e Neri di Fioravante, gli ar-
chitetti di Santa Maria del Fiore, di Or San Michele, della
Loggia dei Priori. Vorremo dunque ostinarci a conside-
rare Arnolfo il rappresentante di uno stile che ebbe sol-
tanto nascimento e sviluppo tanto dopo la sua morte?
II
È più difficile rintracciare le opere di Arnolfo archi-
tetto, che di Arnolfo scultore. Se di questo rimangono do-
cumenti e monumenti sicuri, e si hanno testimonianze non
dubbie della sua maestria, dell'architetto non sappiamo che
quanto ne scrisse il Vasari ; e della sua Santa Reparata non
resta che il ricordo nella lapide oggi murata sul fianco della
Cattedrale di fronte al Campanile. Non due, però, furono
gli artisti dello stesso nome, come vorrebbe il Ricci ** se-
guito più recentemente dal Frey: Tuno scultore, l'altro
architetto : il primo, scolaro di Nìccola Pisano ; V altro, di
queir Jacopo tedesco a cui il Vasari dette il merito della
costruzione della chiesa francescana di Assisi. < Né il Va-
sari - scrive Amico Ricci - il quale racconta che Arnolfo
figlio di Lapo, o Jacobo Tedesco fu V architetto della basi-
lica d'Assisi, mise in chiaro il dubbio, che anzi lo rese più
intrigato facendo di due Arnolfi, scultori e architetti, un
architetto solo.... Un Arnolfo (probabilmente fiorentino),
*) Ricci, op, cit., voi. II, pag, 56.
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E L'ARCHITETTURA GOTICA 123
unito al SUO compagno Pietro, scolpiva V altare, che si am-
mirava nella chiesa di S. Paolo di Roma.... E appunto in
quest'epoca medesima Giorgio dice che Arnolfo era occu-
pato a Firenze in lavori pel pubblico e pei privati, e così
ci comparisce quest'artefice nel tempo stesso a Roma e
a Firenze. Né qui si sarebbe arrestata la confusione pro-
dotta nella vita di Arnolfo dal nostro biografo aretino;
che se non 1* avesse di poi egli stesso rettificata nella se-
conda edizione, che pubblicò delle sue opere nel 1568, ci
narrerebbe come ad Arnolfo, morto a Firenze nel 1300,
fii data a scolpire la sepoltura per Bonifacio Vili morto
nel 1303 > ^K
Il Frey dal canto suo non intende come si possa iden-
tificare con Arnolfo di Colle Valdelsa l'Arnolfo chiamato
in un documento perugino del io settembre 1277, de Fio-
rentia ^\ Ma chi ripensi che, nella petizione al Comune per
ottenere l'immimità da ogni imposta, Arnolfo doveva ben
dire il vero luogo di origine, mentre ai Perugini bastò de-
signarlo col nome della città sotto la cui signoria era
la terra donde ei trasse i natali e che dava quasi di re-
gola il titolo di cittadinanza a tutti i nativi nel dominio
fiorentino, non può meravigliarsi per la diversa indicazione
dei due documenti.
*) Ricci, op, cit,, Voi. II, pag. 56.
2) Arnolfo di Cambio architetto è da identificare collo Scultore Arnolfo fio-
rentino? in Miscellanea storica della Valdelsa, Anno I, fase. 2, pag. 86 e seg^
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124 ARNOLFO
Di Arnolfo rimangono questi soli e sicuri ricordi: nel 1 265
Niccola lo nomina fra i suoi scolari nel contratto per il pul-
pito di Siena ; nel '66 è intimato al Maestro, secondo la pro-
messa, di farlo venire a lavorare a quel pulpito; nel '77 è
chiamato dai Perugini per il lavoro della Fonte, che gli
è pagato nel 1281. Il suo nome si legge nel monumento
al Cardinale di Braye (f 1282), in Orvieto; nel Taberna-
colo di San Paolo fuori le mura a Roma (1285); nella lapide
che consacra la fondazione del Duomo di Firenze (i 296); si
leggeva nel Ciborio di Santa Cecilia a Roma (1293), e nel
Sacello di Bonifazio Vili (1296) in Vaticano. Infine, nel 1300
il privilegio concessogli dalla repubblica fiorentina dice:
MagisUr Amolphus de Colle filius olim Cafnbii.... capud ma-
gister laòorerii et operis ecclesie Beate Reparate.... famosior
magister et magis expertis in hedificationibus ecclesiarum aliquo
alio qui in vicinis partibus cognoscatur....^^. Nell'Obituario,
poi, di Santa Reparata è scritto: Vili idus Mariti. Quiescii
magister Amolfus de F Opera di Sancta Reparata ^\
Chi legga nel Villani dei grandi lavori edilizi intrapresi
dai Fiorentini nella seconda metà del secolo xm in città
*) Guasti, Santa Maria del Fiore, pag. 20, Doc. 24.
2) Ihid,, pag. 21, Doc. 25.
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E L'ARCHITETTURA GOTICA 125
e nel contado - chiese, castelli, monasteri e palagi, ponti e
strade, logge e mura - rimarrà sorpreso di non trovare
mai un accenno agli artisti che vi ebbero parte. A questa
dimenticanza cercò di rimediare, con molta ingenuità, il Va-
sari, il quale, a corto di sicure notizie, e pur costretto a
raccontare le glorie dei più antichi artefici e a descriverne
le opere, non seppe far di meglio che attribuire ad essi
quanto d'importante, per testimonianza di storici e di cro-
nisti, si costruì in Firenze e nel contado. Così ad Arnolfo,
che in quello scorcio di secolo era stato il fondatore della
nuova Santa Reparata, doveva andare il vanto e la gloria
delle altre notevoli costruzioni condotte in quel tempo dai
concittadini. E a lui furono perciò assegnati quasi tutti
quegli edifìzi che il Villani aveva ricordato : il disegno della
Loggia e dei pilastri di Orsanmichele (Libro VII, cap. XCIX),
la costruzione del Campanile di Badia (Libro VII, cap. XCIX),
della chiesa di Santa Croce (Libro Vili, cap. VII), dei Ca-
stelli di San Giovanni e di Castelfranco in Valdarno (Li-
bro Vili, cap. XVII), della Cattedrale fiorentina (Libro .Vili,
cap. IX), del Palazzo dei Signori (Libro Vili, cap. XXVI) ;
e il restauro del Duomo di San Giovanni (Libro Vili,
cap. III). E quasi tutto ciò non bastasse, il biografo vi ag-
giunse ancora la fondazione della Loggia e della Piazza
dei Priori.
È proprio il caso di ripetere col Frey, che il Vasari
€ partendo da principt di cui non si può discutere la giu-
stezza, creò i tre grandi rappresentanti delle tre arti in
Italia, Cimabue per la pittura, Niccola Pisano per la scul-
tura, Arnolfo per T architettura, e con ciò si spiega perchè
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126 ARNOLFO
egli a questi tre maestri attribuisca il maggior numero
possibile di opere »*\
Non conosciamo la data della nascita di Arnolfo che il
Vasari, senza fondamento, pone nel 1232 e che il Milanesi,
senza documenti, porta al 1240. Della sua educazione il
biografo cinquecentista scrive : < Arnolfo, dalla cui virtù
non manco ebbe miglioramento T architettura, che da Ci-
mabue la pittura avuto s'avesse, essendo nato Tanno 1232,
era quando il padre morì, di trenta anni ed in grandissimo
credito: perciocché, avendo imparato non solo dal padre
[Lapo] tutto quello che sapeva, ma appresso Cimabue dato
opera al disegno per servirsene anco nella scultura, era in
tanto tenuto il migliore architetto di Toscana >^^
Non daremo troppo peso al racconto del Vasari anche
perchè Cimabue, nato circa il 1240, non avrebbe potuto in-
segnare il disegno ad Arnolfo, che già nel 1265 è fra i
migliori allievi di Niccola Pisano, e come tale messo in-
nanzi per il lavorìo del pulpito senese, e dai Senesi ri-
chiesto a Niccola stesso quando non lo aveva seguito a
Siena. Si può quindi credere che dedicatosi giovanetto alla
scultura, Arnolfo si perfezionasse nell'arte sotto la guida
del Pisano, e desse per tempo prova della sua abilità.
Sempre per la fama acquistatasi come scultore, fu ai ser-
*> Frey, op, cit., pag. 83.
2) Vasari, ViU, ediz. Milanesi, Voi. I, pag. 283-84.
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E L'ARCHITETTURA GOTICA 127
vigi di Carlo d'Angiò; e dai Perugini richiesto a Carlo
nel 1277; andò poi come scultore neir82 a Orvieto; e
neirSs, e anche dopo, a Roma. È vero che allora gli ar-
tefici esercitavano tutte le arti, onde nulla di strano che
Arnolfo si occupasse anche di architettura. Lapo, suo com-
pagno nel lavoro del pulpito di Siena, fu nel 1284 archi-
tetto di Sant'Angelo in Colle, e Donato, T altro aiuto di
Niccola, diresse nel 1271 la costruzione del Ponte a Foiano
sul Merse. Della sua grande fama è prova certa la lode di
maestro eccellente nella costruzione di chiese che gli danno
i Fiorentini ; ma è altrettanto certo che nessun documento ci
dà modo di confermare le parole del privilegio : qtLod ipse
est famosior magister et magis expertus in hedificationibus ec-
clesiarum aliquo alio qui in vicinis partìòtis cognoscatur.
Quali saranno mai le chiese costruite da Arnolfo che gli
meritarono tanto elogio e che indussero i Fiorentini a rivol-
gersi a lui per la rinnovazione di Santa Reparata? Giacché
né i lavori condotti per Carlo d'Angiò a Napoli o altrove,
né quelli di Orvieto e di Roma possono giustificare la
4C famosa esperienza > vantata dalla Signoria nel decreto
sopra citato.
Il Frey, la mancanza di documenti e di monumenti com-
pensa ascrivendo ad Arnolfo la chiesa di Santa Croce,
(ossia immaginando che i francescani avessero chiamato
in Firenze lo scolaro di queir Jacopo tedesco a cui do-
vevano il tempio famoso di Assisi e che là avevano cono-
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128 ARNOLFO
sciuto e visto lavorare); e attribuendogli oltre Santa Croce,
Santa Trinità, Santa Maria Maggiore, nonché la parte più
antica del Bigallo, per l'affinità di certi caratteri stilistici
che questi edifizi presentano con la chiesa francescana di
Firenze. < A Santa Trinità vediamo svelti pilastri quadrati
con lesène che salgono ininterrotte sulla soprelevazione
del muro della navata mediana come a Santa Croce ; ca-
pitelli a foglie di acanto quasi a foglia di cavolo, su al-
cuno dei quali s'imposta una specie di tegolo sorretto da
piccoli dadi quadrati ; archi acuti, ecc. Gli stessi caratteri
mostrano Santa Maria Maggiore e la parte più antica del
Bigallo che prospetta la piazza di San Giovanni, di cui gli
archi rotondi posano su pilastri quadri senza capitelli. Per
tal modo si avrebbe in Firenze un gruppo di edifizi affini,
che rispetto a Santa Croce e al Duomo (questi due mo-
numenti sono più ricche ripetizioni dello stesso motivo),
portano l'impronta dello spirito di Arnolfo, e così meglio
s'intenderebbe la reputazione che godeva l'artista, e quindi
l'onorevole incarico della costruzione di Santa Maria del
Fiore > ^K
Ma la Misericordia, pure in quella parte che ha gli archi
chiusi, è sorta molto più tardi. Sappiamo che nel 135 1 i Ca-
pitani del Bigallo ricevettero in dono una casa sull'angolo
del Corso degli Adimari; e nel gennaio dell'anno seguente
prendevano là < super canto plateae S. Johannis > uno
spazio per costruirvi un Oratorio. E poiché la decorazione
marmorea che riveste le due arcate d'angolo doveva in-
J) Frey, op, a'L, pag. 86,
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E L'ARCHITETTURA GOTICA 129
dubbiamente continuare anche nelle altre, così ci pare da
escludere in modo assoluto la possibilità che Arnolfo la-
vorasse a quella fabbrica ^K
1 1 1 I I I fi. 1 1 1 ■ I 7
Pianta di Santa Maria Maggiore
Santa Maria Maggiore non si può attribuire - come ab-
biamo già rilevato - all' architetto Buono fiorentino. Sem-
plici pilastri sostengono il tetto per mezzo di vòlte e di
^) Poggi, La Compagnia del Bigailo in Rivista d'Arte, 1904, fase. XI,
pag. 192 e 194.
17
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I30 ARNOLFO
archi a sesto acuto ; e forse questa semplicità - non sap-
piamo però con quanto fondamento - fece ascrivere la co-
struzione ad Arnolfo dagli scrittori delle Notizie e Guida di
Firenze e dallo stesso Frey.
< Il pregio di questa chiesa, indipendentemente dall'ef-
fetto che produce ai nostri occhi, è nella veduta che sia
dessa il primo modello o punto di partenza di quell'ordine
di cose che ammiriamo ingentilito in Santa Maria del Fiore,
e meglio nella Loggia dell' Orcagna > *\ Ma poiché i carat-
teri costruttivi si mostrano sostanzialmente diversi nella
chiesetta antica e nei due magnifici monumenti fiorentini,
così ci pare che sia inutile, ove, come nel caso nostro,
manchino dati di fatto e sicuri elementi architettonici, par-
lare di rapporti stilistici e di primi modelli.
La chiesa di San Remigio così detta dal piccolo ospe-
dale lì presso destinato ai romei francesi, fu rifatta di
nuovo nel secolo xiv ; e gli scrittori fiorentini vogliono
fosse edificata da fra Sisto e da fra Ristoro (trovandovi
certi caratteri di somiglianza con Santa Maria Novella), o
che per lo. meno i due conversi architetti togliessero dalla
vecchia chiesetta - tanto più antica - il concetto per il mag-
gior tempio ^\
*) Notizie e Guida di Firenze e de' suoi contorni, Firenze, Piatti, 1841,
pag. 300-301.
2) Marchese, Viia dei pittori, scultori e architetti domenicani. Voi. I,
pag. 59; cfr. RiCHA, Chiese fiorentine. Voi. I, pag. 258.
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San Remigio
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E L'ARCHITETTURA GOTICA
131
Nella Guida sopracitata si dice che « San Remigio non pre-
senta parte nessuna di maniera antica; anzi ponendo mente
alle sue singole parti, vi si ravvisano gli stessi principi di
Uj ■ ,■■ I f
Hanta di San Remigio
architettura di Santa Maria Maggiore e di Santa Trinità,
abbenchè differiscano fra loro nel complesso. Può conget-
turarsi che simile all'interno di San Remigio fosse la
Loggia di Orsanmichele che Arnolfo fabbricò circa que-
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132 ARNOLFO
st' epoca, e che fu poscia rivestita di pietra e resa più
adorna Tanno 1337 >*^
Ma intanto il Rosselli riporta la costruzione della chiesa
intorno al 1350, il Fantozzi ai primi del secolo xv^; e
poiché pur questo edifizio mostra nei suoi caratteri V in-
flusso dell'arte monastica, ben si appose il Ricci affer-
mando che anche in esso « troviamo a puntino avverata
la sentenza ripetuta già tante volte in queste pagine, go-
vernarsi cioè il magistero architettonico del secolo xiii
da precetti universali e immutabili > ^.
Quanto a Santa Trinità essa fu rifatta interamente e
ingrandita dopo il 1300; e nella pianta ricorda, come ri-
levò r Enlart, la Cattedrale di Grosseto. In entrambe que-
ste costruzioni è caratteristica la campata della nave mag-
giore a pianta rettangolare secondo l'uso comune delle
chiese settentrionali. La facciata del Duomo di Grosseto,
costruita, come dice l'iscrizione, nel 1 293, da maestro Sozzo
di Rustichino da Siena, deriva evidentemente dal Duomo di
Siena, mentre la facciata di Santa Trinità (di cui il Ghirlan-
daio ci lasciò ricordo nell'affresco della Cappella Sassetti),
richiama, secondo il Nardini, i caratteri della scuola pisana.
*) N0iizi^ é Guida ecc. citata, pag. 309-310.
2) Fantozzi, Guida della città di Firensse, Firenze, 1846, pag. 158;
cfr. Cocchi, Le chiese di Firenze ecc.. Voi. I, pag. 136.
^) Ricci, op, cit,, Voi. II, pag. 96.
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Tav. XXIX
Santa Trinità
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E L'ARCHITETTURA GOTICA
133
Ma già, Studiando l'arte pisana, avemmo occasione di no-
tare che quel motivo di archetti sovrapposti non basta per
ascrivere Santa Trinità a quella scuola, quando lo strombo
V i / \ i
'■T l' ".•^■'•'
\ /il \ / !i\ /
■ . r ■ ■ . . T
Pianta di Santa Trinità
della porta maggiore s'innalza sino a rompere la prima
galleria, con concetto addirittura contrario a quello stile,
ed è riempito, sopra al vano della porta, da cinque ordini
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134
ARNOLFO
sovrapposti di minute archeggiature, che non trovano ri-
scontro in nessun edifizio pisano.
Antica facciata della chiesa di Santa Trinità
(Dall'affresco del Ghirlandaio)
Osservando poi la parte interna del muro di facciata si
riscontra una distribuzione ben diversa da quella della ma-
niera pisana ^^
*) Supino, Arte Pisana, Firenze, Alinari, 1904, pag. 97.
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Tav. XXX
Badia di Firenze
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E L'ARCHITETTURA GOTICA 135
Né ci sembra di dover seguire il Nardini anche quando
vorrebbe vedere l'opera di Arnolfo nel rifacimento della
Badia fiorentina, riscontrando in quel fi-ammento antico
prospiciente il Bargello nella molteplicità delle cornici oriz-
zontali e nello stile dei profili architettonici l'elemento ro-
manico; e qualcosa dell'elemento gotico nell'arco acuto
delle finestre *\
In quel frammento appaiono invece evidenti i caratteri
di una costruzione di tipo gotico-monastico, come nel fram-
mento superstite della facciata la forma delle cornici e il
rosone del frontespizio confermano l'origine cistercense di
quella costruzione. Se poi (e lo ammette lo stesso Nardini),
nelle chiese romaniche fiorentine non s'incontrano mai
lesène, le quali appariscono soltanto nei monumenti con-
temporanei allo stile ogivale ^\ come potremo attribuire
questi avanzi ad un periodo di transizione ? Ove, infine,
si ricordi che il rifacimento della Badia fu iniziato nel 1285,
sarà più che mai difficile ammettere che sul finire del se-
colo XIII o sul principio del successivo si usasse contem-
poraneamente in Firenze e nella stessa costruzione uno
stile architettonico di trapasso fra il romanico e il gotico.
Quanto al Campanile, la primitiva costruzione risale ai
Benedettini (come fa fede l'identità del tipo con quelli delle
') Nardini, // Duomo di San Giovanni, pag. 163.
2) Ibid., pag. 138.
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136 ARNOLFO
due Badie di Settimo e di Firenze e di San Niccola di Pisa),
e l'avvenuto rifacimento del 1330, dopo cioè la parziale de-
molizione del 1307, esclude senz'altro l'opera di Arnolfo.
Lo stesso si dica della Loggia di Orsanmichele, della
quale il Vasari, perchè il Villani aveva scritto, che nel 1284
< si fece per lo Comune la loggia sopra la piazza d'Orto
San Michele ove si vende il grano, e lastricossi e am-
mattonossi intorno » , volle dare il merito ad Arnolfo, che
l'avrebbe disegnata < di mattoni e con un semplice tetto
di sopra » ^K Ma perchè pensare al < miglior architetto di
Toscana » per costruire un così modesto edifizio, che lo
stesso Villani descrive < fatto di pilastri sottili e di mattoni
e mal fondato > ? È vero che il Vasari, nella vita del Gaddi
racconta, che la nuova loggia fu ricostruita < senza alterar
però il disegno che lasciò Arnolfo » ^^ ; tuttavia la notizia del
biografo parrà più che mai priva di fondamento ove si ricor-
dino le parole del cronista e si tengano presenti i carat-
teri costruttivi dell'attuale Orsanmichele.
Rimane Santa Croce, che un'antica e costante tradi-
zione ascrive al Maestro fiorentino. Anzi, il Frey non solo
1) Vasari, Vt^ di Arnolfo, ediz. Milanesi, Voi. I, pag. 284.
2) Vasari, Vita di Taddeo Gaddi, ediz. Milanesi, Voi. I, pag. 576.
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E L'ARCHITETTURA GOTICA 137
dà ad Arnolfo il merito della costruzione, ma gli attribuisce
anche l'esecuzione di alcuni capitelli; e il Dehio e il Bezold,
ammirati della grandiosità e della severità di quella chiesa,
vedono nell'autore di essa il degno compagno del poeta
della Divina Commedia *^ !
Una chiesa francescana già fondata nel 1228 e in que-
st'anno presa da Gregorio IX sotto la sua protezione, venne
ingrandita con altri èdifizi per uso dei frati minori.
Innocenzo IV, con bolla data in Perugia il 24 aprile dello
stesso anno, accordò quaranta giorni d' indulgenza a coloro
che avessero dato elemosine a favore della fabbrica incomin-
ciata. Nel 1262 i frati acquistano un pezzo di campo in
prossimità della chiesa e un muro lungo ventiquattro brac-
cia della grossezza d'un braccio. Nel 1290 una bolla di
Niccolò III ricorda la chiesa dei frati minori « che dicesi
costruita in onore della santa Croce >; finalmente nel 1295
una provvisione della Signoria di Firenze assegna lire due-
cento di fiorini piccoli al mese per la durata di un anno
in hediffitio et prò hediffitio et opere ecclesie fratrum minorum
de Florentia utinam feliciter secundum formani statuti ini-
tiando et f adendo > ^\
Da questi documenti il Moisè deduce che alle intenzioni
dei frati e dei fedeli, desiderosi di vedere proseguita la
fabbrica della nuova chiesa, già iniziata e tuttavia in la-
voro nel 1252, ostassero ragioni politiche; e che se nel '62
') « In seiner auf das Strenge und Erhabene gerichteten Kunst zeigt
er sich als Geistes, nicht bloss Zeitgenosse des Dichters der Divina Co-
media ». Dehio u. Bezold, op, cit.. Voi. II, pag. 519.
2) Moisè, Sania Croce, pag. 42-44, e pag. 467, Doc. 3.
18
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138 ARNOLFO
si comprò un gran pezzo di terreno per la nuova chiesa
da costruire, era naturale < che le proporzioni della fab-
brica, quale possiamo assicurare che fosse nel '52 inco-
minciata, dovettero essere di gran lunga inferiori a quelle
ampie e grandiose che offre Tedifizio attuale, imperciocché
Tarea intera che occupa ora la chiesa o il convento fu
comprata dieci anni dopo » ^K
Non è però supponibile che mancasse un disegno del-
l'ingrandimento - se anche per ragioni politiche non po-
tuto condurre innanzi - prima del '95, prima cioè che la
Signoria s'inducesse per zelo religioso e per decoro cit-
tadino a venire in aiuto dei frati. E non solo il documento
surriferito ammette che fosse già alzata la fabbrica della
chiesa; ma in un ricordo dello Strozzi si legge, che nel 1 267
Oderigo Cerchi fece costruire una cappella in Santa Croce :
in bracckio dextro diete ecclesie cum aliati contiguato alteri
cappelle et ad modum eiusdem simi/iter ^). Da ciò si viene a
conoscere che la nuova chiesa, di cui nel 1252 si era in-
cominciato l'ingrandimento, era nel '67 tuttavia in costru-
zione e doveva avere la consueta forma delle chiese france-
scane a T. Nel testamento poi di Donato Peruzzi del 1292
si legge: item voluit quod si fratres minores de FlorenHa
crescerent eorum ecclesiam vel de novo facerent in fra decetn
annos post obitum sui testatoris, quod dicti sui fraires expen-
dant de bonis suis prò hedificanda una cappella in dieta ec-
*) Moisè, op, cit,y pag. 45.
2) Archivio di Stato di Firenze, Spogli Strozziani, Libro Z, Voi. 54,
II» Serie, e. 192, 193.
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E L'ARCHITETTURA GOTICA 139
eie sia ad voluntatem ipsorum fratrum suorum, libras 200 bo-
Tioruni denariorum florentinorum parvorum ^^ ; e poiché la
cappella fu costruita nei primi anni del secolo xiv, biso-
gna supporre, che nel 1295 si proseguissero i lavori ini-
ziati nel *52 per ampliare Tedifizio preesistente, piuttosto
che, distruggendo il già fatto, si ricominciasse una nuova
costruzione: e a riprova di ciò stanno le più antiche la-
pidi sepolcrali, tuttora esistenti, che portano gli anni 1298
e 1300^^ Onde col Frey dobbiamo questa volta conclu-
dere che la notizia del Villani < e cominciorsi i fondamenti
prima dalla parte di dietro ove sono le cappelle, perocché
prima v'era la chiesa vecchia, e rimase all'ufficio dei frati
insino che furono murate le cappelle nuove » sia da acco-
gliere in quanto la nuova costruzione, incominciata verso
la metà del secolo xiii e poi rimasta interrotta, venisse
ripresa con nuovo zelo e con nuovi mezzi nel 1 295 ^^ Nel-
l'altro documento del 1297, pubblicato dal Moisè, é detto
più chiaramente che i frati presero allora a ricostruire nuo-
vamente la chiesa, cioè ripresero il lavoro rimasto inter-
rotto : ecclósiam ipsam rehedificare de novo ceperint, opere più-
rimutn sumptuoso ad cujus consumationem svòventiones fideliutn
sunt non modicum oportune *\
In tutti i modi è certamente da escludere l'opera di
Arnolfo nei lavori di ampliamento dell'attuale tempio fran-
1) Spogli Strozziani, Libro DDD, N.o 60, II» Serie, e. 224.
^) Sepoltuario Rosselli, Santa Croce : 1298, Lapo Buonanichi de Ghia-
ceto, Canicci; 1300, Moroni; 1303, Fuccio del Maestro, ecc.
^) Frey, op, cit., pag. 71.
*) Moisi, op, di,, pag. 468, Doc. 4.
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140 ARNOLFO
cescano; perchè, come tutto conferma, nel 1252, quando
cioè si cominciò la nuova chiesa, il piano dell' edifizio era
- e non poteva non essere - già prestabilito e disposto.
Si obietta che Santa Croce è costruita in pietra anziché
in mattoni, contrariamente al sistema in uso nelle chiese
monastiche, che sono quasi tutte in materiale laterizio *^ ; ma
ognuno che sappia la ricchezza di cave petrose presso Fi-
renze non troverà strano che, mentre a Pisa e a Bologna
per la scarsezza di quelle si costruivano di cotto gli edi-
fizi francescani e domenicani, a Firenze e a Pistoia si usasse
invece il materiale più alla mano e più economico. La pianta
stessa di Santa Croce si uniforma in tutto e per tutto alle
disposizioni delle altre chiese dell'Ordine e chiari vi appa-
riscono gli influssi monastici; onde i caratteri costruttivi
non solo, ma gli stessi documenti ci vietano di accogliere
la tradizione che ascrive ad Arnolfo la fabbrica monu-
mentale.
Santa Croce ha tre navi, ciascuna spartita da sette pi-
lastri ottagoni, con ghiera sporgente, che sostengono le
arcate a sesto acuto. I capitelli a campana poco svilup-
pati sono variamente decorati con foglie di acanto; il tetto
a Cavalletti visibili è a doppio spiovente nella navata cen-
trale e a piccoli spioventi in senso inverso in ogni cam-
pata delle navi laterali. Sopra le arcate nella nave mag-
^) Nardini, // Duomo di San Giovanni, pag. 163.
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Tav. XXXI
Santa Croce
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E L'ARCHITETTURA GOTICA
141
giore gira un ballatoio sostenuto da mensole di pietra il
quale varca, rampando, l'estradosso dei due arconi, che
U...t...iT Z 7
Pianta di Santa Croce
da quella immettono nel braccio traverso. Lungo la linea
di esso si aprono dieci cappelle che fiancheggiano il coro
di forma pentagonale come quello di Assisi; e da questa
stessa chiesa è pur derivato il tipo delle finestre. Due
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142 ARNOLFO
cappelle si aprono nelle due testate del braccio traverso, e
due altre si addossano al braccio principale. Anticamente
la chiesa era tutta decorata di pitture, di cui rimangono
ancora visibili le tracce.
Sono concordi gli scrittori nell' esaltare la leggerezza
della grandiosa costruzione, la quale, secondo il Thode,
avrebbe dovuto avere in origine la copertura a vòlta, non
eseguita altrimenti a causa delle maggiori proporzioni date
poi air edifizio '^ Certo è però che la struttura dei pilastri
esili e svelti, e la larghezza della navata maggiore non
avrebbero ammesso differente dall'attuale il sistema di co-
pertura; e ben a ragione loda il Vasari, T accorgimento
mirabile dell' architetto, che considerata la grande di-
stanza dei pilastri e l'altezza delle muraglie non giudicò
opportuno e prudente di caricarvi sopra un gran peso;
ma fece fare archi da pilastro a pilastro, e sopra a quelli i
tetti a frontespizio per mandare via le acque piovane con
docce di pietra, murate sopra i detti archi, dando loro
tanto pendio, che fossero sicuri, come sono, i tetti dal pe-
ricolo d'infradiciare; <la qual cosa quanto fu nuova ed inge-
gnosa, tanto fu utile e degna d' essere oggi considerata. >
Poiché mancano sicuri documenti dell'attività architet-
tonica di Arnolfo, prima che gli fosse commessa la costru-
zione della chiesa di Santa Reparata, e poiché negli anni che
*) Thode, Franz von Assist. Berlino, 1885, pag. 320.
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E L'ARCHITETTURA GOTIQA 143
precedettero il rinnovamento della Cattedrale fiorentina
egli fu a Roma e vi condusse lavori notissimi, non rimane a
supporre, se non che, quando s'incominciò a riparare e a
rinnovare Santa Reparata e mentre si accrescevano i sus-
sidi del Comune, lo stesso papa Bonifazio, che faceva un
assegno di tremila fiorini d'oro sulle usure che si resti-
tuivano al vescovo, specialmente con gli atti di ultima vo-
lontà, raccomandasse Arnolfo ai Fiorentini, ed essi s'indu-
cessero a sperimentare, per tal modo, la sua valentia anche
quale architetto. E i lavori condotti a Roma e lo stesso
sacello per il pontefice, terminato appunto nel 1296, nel-
l'anno stesso in cui il Legato del papa poneva con grande
solennità la prima pietra del nuovo monumento, dovettero
essere preziosi incitamenti a servirsi dell'opera di così re-
putato artefice.
Ili
Già nel dicembre del 1293 si era fatta una nuova prov-
visione per Santa Reparata, dove si parla non più di sus-
sidio in reparatione, ma di un rinnovamento, che infatti
era stato cominciato nel settembre del 1294.
In che consistessero questi primi lavori è difficile dire
per mancanza di più precise notizie. Ebbe forse ragione
il Frey di imaginare lontano da Santa Reparata il Maestro
dal 1 294 al '96 (in quest'anno appunto egli aveva compiuto a
Roma il sacello per Bonifazio Vili), ma non però dì crederlo
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144 ARNOLFO
< piuttosto occupato in Santa Croce > ^\ perchè se fosse
stato in Firenze avrebbe potuto benissimo attendere con-
temporaneamente alle due costruzioni. Come che sia, se
da due anni si attendeva intorno ai lavori preparatori per
la chiesa, o sopra un disegno già dato da Arnolfo, o ma-
gari, senza un piano precisamente prestabilito, V 8 set-
tembre del 1 296, il giorno della Natività della Vergine,
per mano del Cardinale Legato Pietro Valeriani da Piperno,
fu solennemente dato inizio ai lavori di Arnolfo, come dice
la pietra oggi sul fianco destro difaccia al Campanile. Te-
stimonianza questa che non autorizza davvero a supporre,
come vorrebbe il Boito, che la prima pietra si benedicesse
quando le fondazioni erano compiute e la costruzione in-
nanzi buon, poco ^K
Dal magistero di Arnolfo i Fiorentini si ripromettevano
una Cattedrale magnifica: per ipsius industriam experien-
tìam et ingenium Comune et populus Floreniie ex magnifico
et visibìli principio dicti operis ecclesie iamdicte inchoa^ti per
ipsum magistrum Arnolphum habere sperai venustius et hono-
raòilius templum aliquo alio quod sit in partibus Tuscie. Così
si legge nel decreto di esenzione da qualunque gravezza
concesso dalla Signoria all'architetto nel 1300; privilegio
del quale poco potè egli godere, perchè la morte lo colse
nei primi giorni del marzo 1302.
Per circa sei anni attese dunque il Maestro all'opera
1) Frey, op, cit., pag. 67 ; cfr. Guasti, op, di,, pag. xxxix.
2) Boito, Francesco Talenti e il Duomo di Firenze in Architettura del
Medio Evo in Italia, pag. 192.
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Tav. XXXD
Santa Maria del Fiore
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E L'ARCHITETTURA GOTICA 145
della nuova Cattedrale fiorentina, che procedette lenta-
mente sino al 1331; solo nell'ottobre di quest'anno si
ripresero i lavori, avendone assunta la soprintendenza la
più potente fra le Arti, quella della Lana, ed essendo stato
chiamato a capo maestro dell' Opera un artefice non meno
valente di Arnolfo, Giotto.
• La provvisione del 1331 parla della chiesa, formosa et
pukra, ma per difetto di aiuti rimasta per tanto tempo
negletta con danno e vergogna grande del Comune.
Nell'aprile del '34 Giotto è nominato maestro e gover-
natore di Santa Reparata; ma egli più che della chiesa
si occupò del Campanile, di cui tre mesi dopo la sua ele-
zione (18 luglio) si cominciano le fondazioni. A Giotto, sol-
tanto per i lavori del Campanile, succede Andrea Pisano ;
ma alla chiesa non si pensa più fino a che, nel 1357, gli Ope-
rai deliberano che al Campanile rimanessero tre maestri
soltanto con quattro manuali. E poiché a Andrea Pisano suc-
cessero Francesco Talenti e Neri di Fiora van te non fa me-
raviglia che, volendosi dar prima compimento alla chiesa,
si desse al Talenti piuttosto il permesso che la commis-
sione di fare un disegno < come deono istare le cappelle
di dietro corrette senza alcun difetto > . Questa delibera-
zione farebbe supporre che un modello di Arnolfo per
compiere la chiesa non esistesse, oppure che, esistendo,
non fosse più rispondente ai nuovi desidert. Intanto, al-
l'approvazione del modello presentato dal Talenti tenne
dietro la deliberazione (19 giugno 1357) per la quale si
misurava la chiesa di Arnolfo, e poco dopo si dava mano
alla demolizione di parte di questa per edificarne una nuova
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146 ARNOLFO
assai più Spaziosa e di maggiore ricchezza. Il 5 luglio
del 1357, con grande solennità, si benedirono i fonda-
menti del primo nuovo pilastro, sul modello proposto dal
Talenti.
I lavori, condotti da lui e da Giovanni di Lapo Ghini,
ebbero nel 1366 una interruzione, essendo nel frattempo
apparsi dei crètti nelle vòlte di nuova costruzione : il Ta-
lenti fu allontanato, e vennero chiamati a consiglio < buoni
maestri di pietra e di legname e cittadini fiorentini > : nello
stesso anno un altro consiglio di < maestri e dipintori >
ebbe V incarico di formare un modello di grandi propor-
zioni, che approvato servì poi per condurre a compimento
r edifizio, sebbene un nuovo disegno avessero ancora pre-
sentato d'accordo il Talenti, ritornato capo maestro, e
Giovanni di Lapo Ghini.
IV
Esposta così brevemente la storia della costruzione della
nuova Cattedrale, dobbiamo domandare : che fece Arnolfo
per r attuale Santa Maria del Fiore, e che rimane del-
l' opera sua?
Un tracciato, secondo il disegno primitivo del Maestro
doveva pur esistere se nel 1357 si ordinò di misurarlo, e
resultò la costruzione < lunga braccia 164 netta dentro alle
cappelle; larga, braccia 66 e Ys netta nella parte dinanzi;
larga, nella parte delle cappelle dove sarebbe poi la cu-
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E L'ARCHITETTURA GOTICA 147
pola, braccia 62 netta delle cappelle >'\ V'era il muro
di facciata tirato un po' in fuori della fronte della chiesa
antica, v'erano i muri di fianco sino alle due porte almeno,
le quali si trovano rammentate già : dei Cornacchini quella
che guarda a settentrione; della Canonica quella presso il
Campanile. Nella stessa facciata, oltre all'ossatura dove-
vano già essere incominciati i lavori di ornamento e di
rivestimento, se si trovarono incrostature di marmi bian-
chi e verdi e altri frammenti. E che a una facciata di Ar-
nolfo si pensasse nel 1323, è confermato dalla provvisione
del 27 maggio di quell'anno in cui si delibera di porre
in fatie ecclesie Sancte ReparcUe la statua di papa Gio-
vanni XXIP>.
Ma col procedere e modificarsi dei lavori, ogni traccia
dell'opera di Arnolfo è andata perduta: tuttavia, se i par-
ticolari architettonici di Santa Maria del Fiore non son
più quelli del Maestro, si può ben dire che i successivi
mutamenti apportati alla chiesa non alterarono il concetto
principale del suo primo architetto.
Ispiratosi molto probabilmente al Duomo di Siena e alle
grandi linee delle costruzioni romane, di cui aveva vivo
il ricordo, Arnolfo tentò con somma arditezza di fondere
1 due tipi diversi di costruzione: quello derivato dalle ba-
siliche con l'altro a pianta centrale; ossia, di sviluppare
sopra una costruzione a croce latina una cupola di grandi
proporzioni, secondo il sistema classico e bizantino.
') Guasti, op, di,, pag. lix, lx.
2) Ibid,, pag. Ixv, nota i.
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148 ARNOLFO
È noto però che la croce latina male si addice agli edifizi
sormontati da cupola; perchè la cupola all'esterno viene
ad essere in qualche modo nascosta dalla lunghezza del
braccio maggiore, il quale a sua volta è mozzato all' in-
temo dalle robuste strutture dei piloni e dalle costruzioni
necessarie al rinfianco della cupola stessa, così che non
solo apparisce più corto, ma non s'immedesima con la
parte posteriore dell' edifizio. Necessariamente lo sviluppo
datò alla cupola portò ad immaginare tutto un sistema
di rinfianco e di controspinta che si ottenne in modo
ammirevole con la costruzione delle tribune; ma quelle
vòlte, quelli sproni e quelle cappelle, che serrano così
strettamente la cupola immensa, contribuiscono ad ac-
crescere la sproporzione fra la parte posteriore e l'an-
teriore dell' edifizio, sproporzione che pur dopo tante
mutazioni nelle forme, nelle grandezze e nei concetti ri-
mane, come notò il Boito, anche al giorno d'oggi evi-
dente '\
Se si può credere - come pur ora si accennava - che
il concetto fondamentale di Arnolfo sopravviva nell'attuale
Santa Maria del Fiore, non perciò è possibile sperare di
riconoscere le forme imaginate dal Maestro di Colle in
quella figura della chiesa dipinta nell' affresco del Cappel-
lone degli Spagnuoli, e creduta, dopo il Vasari, da altri
1) Boito, op, cii„ pag. 196.
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E L'ARCHITETTURA GOTICA 149
molti fra i quali il Selvatico, il Guasti, il MuUer, il Boito,
una derivazione dal modello di Arnolfo.
Già il Nardini rilevò l'assurdità di questa identificazione.
Nei primi decenni del secolo xiv le fabbriche attuali
della chiesa e del convento di Santa Maria Novella erano
non più che agli inizi: della chiesa non esisteva che la
nave orientale; tutti gli altri lavori furono fatti dal 13 19
al 1360 sotto la direzione di frate Giovanni da Campi e
di frate Jacopo da Nipozzano. Così nel 1320 non era an-
cora compiuta la nave centrale, né quella laterale a po-
nente; né la Cappella maggiore; né le quattro laterali nel
braccio traverso ; né i due Cappelloni dei Rucellai e degli
Strozzi che chiudono le due testate del braccio medesimo.
Non era fatto il Campanile (1330); non il Cappellone di
San Niccolò (i334-'37); non la Sagrestia attigua (1334-?);
non il Chiostro grande (i 334-1 340); non la Biblioteca ; non
il Refettorio (1350-1353); non l'Ospizio (1359); non il
Dormitorio (1360).... Come, dunque, si può ammettere che
quando mancavano ancora quasi per intiero le fabbriche
principali e più necessarie come la chiesa e il convento,
fosse già costruita una fabbrica secondaria, quale appunto
era il Cappellone ? V ha di più. Il Cappellone fa parte,
in qualche modo, del Chiostro Verde, e il Chiostro é ap-
poggiato alle mura occidentali della chiesa ed a quelle
della sagrestia: le prime, nel 1320 erano tuttavia da farsi:
le seconde, si presero a fare nel 1 334 : quindi per ne-
cessità la costruzione del Cappellone degli Spagnuoli
non può risalire al 1320 ma deve riportarsi al 1350. E
poiché alla morte del Guidalotti, avvenuta nel 1355, il Ca-
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I50 ARNOLFO
pitelo non era ancora dipinto, si spiega che nell'affresco
dietro la chiesa sormonti nella sua interezza il Campanile
che, cominciato nel 1334, giungeva nel 1342 all'altezza in
cui adesso si vedono impostate le nicchie, come appa-
risce neir affresco del Bigallo eseguito appunto in quel-
la anno. Ora, dacché sappiamo che nel 1357 quando furono
ripresi i lavori della Cattedrale, il Campanile era quasi
all'altezza del ballatoio e che nel 1359 per sollecitare la
costruzione della chiesa il lavoro del Campanile rimase
sospeso, a questi ultimi anni deve riferirsi la pittura fa-
mosa del Cappellone ^K
A chi avrebbe potuto appartenere quel disegno del
Duomo, si è chiesto il Guasti, se non ad Arnolfo? Non
avendo il tamburo alla cupola, ed avendo finestre invece
di occhi nella nave maggiore, non poteva essere la chiesa
del 1367 (quella cioè dei maestri e dipintori); non quella
del '57 avendo quattro valichi e non essendovi segno di
rialzamento, mentre il Talenti ne fece tre e fece visibile il
rialzamento; non quella, infine, in cui lavorava il Talenti, in-
torno al 1350, non avendo tre finestre nei primi valichi. E sin
qui aveva ragione il Guasti ; ma non quando volle sostenere
che quello doveva essere un disegno architettonico e pro-
priamente il disegno di Santa Maria del Fiore di Arnolfo ^.
*) Nardini, Ì7 sistema tricuspidale, pag. 141-151.
^ Guasti, op, di., pag. Ixi, nota 3.
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E L'ARCHITETTURA GOTICA 151
Il Del Moro, ricordando che fra Jacopo Talenti da Ni-
pozzano, T architetto del Cappellone degli Spagnuoli, fu
presente all'adunanza del 1 8 giugno 1357 in cui si approvò
il disegno di Francesco Talenti, e pur all'altra del 1 8 novem-
bre 1358 nella quale si consigliò che fosse aperta una fine-
stra unica per ogni valico della chiesa, crede probabile che
queir affresco, in cui è dipinta Santa Maria del Fiore, ve-
nisse eseguito € per lo meno dopo il 1357, e che ne sugge-
risse al pittore l'idea frate Jacopo, forse con l'intendimento
di mostrare quale a suo giudizio avrebbe dovuto essere la
cattedrale fiorentina > ^K E aggiunge : < Quella chiesa, chi
guardi non ai particolari, ma al tutto insieme di essa, è
informata dallo stesso concetto che fii seguito, sebbene
in modo più grandioso dai maestri e dipintori.... Essi ag-
giunsero un quarto valico, alzarono il tamburo della cu-
pola, delinearono il ballatoio e vollero una sola finestra
nei due ultimi valichi, lasciando perciò intatto ciò che era
già stato costruito e da Arnolfo e dal Talenti nel tratto dei
primi due valichi, ad eccezione dei frontespizi che furono
soppressi ^ > . Ma il Nardini guardando anche alle partico-
larità architettoniche della chiesa dipinta, si persuase che
quella costruzione non poteva derivare dal modello di un ar-
chitetto, perchè mostra tutti i caratteri di una creazione di
pittore più b meno fantastica. E rilevò essere contro le con-
suetudini dell' architettura gotica i capitelli al disotto delle
grandi arcate e del ballatoio, come appariscono nel corpo
Del Moro, La Facciala di Santa Maria del Fiore, pag. 13.
2) Ibid,, ivi.
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152 ARNOLFO
anteriore di quella chiesa ; peggio, poi, sulla sommità degli
sproni e sotto gli architravi orizzontali delle cuspidi, come
si vedono nel corpo delle tribune della chiesa medesima.
€ Qui dunque o Arnolfo architettava a casaccio e contro
le regole, il che non è dato supporre, o cotesta roba non
appartiene né a lui, né a qualsivoglia altro il quale sa-
pesse di architetture. Bellissimo poi ed opportuno al sommo
quell'ultimo sprone, messo là proprio a contatto delle cu-
spidi minori di quella facciata ! > ^K
Inoltre, la forma delle finestre e soprattutto la disposi-
zione dei loro tramezzi, si discostano intieramente dalle
pratiche dell' architettura fiorentina, e rammentano, invece,
i partiti adottati per le finestre del grandioso e nuovo brac-
cio, che dal 1339 al 1356 si volle aggiungere al Duomo
di Siena; onde gli stessi caratteri architettonici, insieme
con le reminiscenze della tricuspide orvietana, che si av-
vertono in quella chiesa dipinta, ci rivelano caratteri se-
nesi, non fiorentini '^
E un pittore seguace della scuola senese fu appunto
quell'Andrea di Bonaiuto che, matricolato nel 1343, ascritto
alla Compagnia di San Luca nel 1374, si trova ricordato
fra i pittori chiamati nel 1366 a fare un disegno o mo-
dello della chiesa fiorentina. Egli è tutt' uno con quell'An-
drea da Firenze, che colorì nel Camposanto di Pisa le
storie di San Ranieri, pagategli nel 1377; storie che pre-
sentano così stretta affinità con le pitture del Cappellone,
*) Nardini, // sisUma tricuspidale, pag. 17, nota 2.
2) Ibid., pag. 150.
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E L'ARCHITETTURA GOTICA 153
da autorizzarci ad assegnare al medesimo maestro le due
opere. Tutto, dunque, concorre non solo ad escludere in
modo assoluto che nella riproduzione di quella chiesa sia
da riconoscere il primo modello delF architetto fiorentino,
di una chiesa cioè, a cui nessuno più pensava quando il
Cappellone veniva dipinto; una chiesa che si stava, anzi,
disfacendo per rifare più grande e magnìfica; ma induce
piuttosto a credere non sia queir affresco se non il pro-
gettò vagheggiato dallo stesso pittore, che modificò e
arricchì secondo il proprio gusro e sentimento artistico
il disegno presentato dai maestri e dipintori, al quale pur
egli aveva dovuto in qualche modo contribuire con l'opera
o col consiglio.
¥
Se non è possibile, quindi, studiare i particolari archi-
tettonici della costruzione di Arnolfo neir affresco del Cap-
pellone, meno che mai si potrà ricercarli in Santa Croce.
Eppure il Boito e il Frey trovano tra le due chiese
tante e così strette relazioni, da non dubitare di ascri-
verle entrambe allo stesso maestro : < un'analogia - scrisse
il primo - che si può chiamar somiglianza > ^\ nonostante
che Santa Croce, di tipo monastico, cioè di semplicissima
ossatura, sia mancante delle vòlte a crocerà che sono
l'elemento principale del Duomo fiorentino.
€ In questi due edifici - aggiunge il Boito - i lati della
>) Boito, op. di,, pag. 264.
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154 ARNOLFO
navata centrale corrono all'alto in linea dritta e severa:
le cuspidi compariscono sui fianchi delle navi minori e sul
girare delle tribune e del coro. Se nel Duomo abbiamo
numerato diciannove timpani, in Santa Croce ne contiamo
dodici sui soli fianchi, senza dire degli altri che stanno
sulle braccia trasverse e sulle cappellette dell' abside > ^\
Se non che quell' alzarsi delle cuspidi in giro (che noi non
diremo < non istrettamente necessarie in Santa Croce > ^^
perchè servono a nascondere i tetti a doppio spiovente),
riproduce sì un motivo adottato e subito abbandonato
nel Duomo (così avrebbe dovuto terminare il tratto di muro
fra le lesène rispondenti ai valichi interni), ma è motivo
immaginato e condotto dal Talenti, ossia mezzo secolo
dopo la morte di Arnolfp.
Secondo il Frey, invece, lo stile dell' edifizio, le colos-
sali proporzioni, i piloni slanciati con gli archi acuti, .l'as-
senza di ogni ornamento sono indizio sicuro della stretta
affinità dei due monumenti ^K E più recentemente il Rey-
mond: < Nel concetto del piano della Cattedrale di Fi-
renze si riconosce bene l'uomo che ha costruito Santa
Croce, Santa Croce tutta coperta in legno, e che s'ima-
gina di poter conservare lo stesso piano per ricoprire in
pietra Santa Maria del Fiore. Il piano del Duomo di Fi-
renze non è altro che quello di Santa Croce > ^K
>) BoiTO, op, ctL, pag. 264.
2) lòtd,, pag.^205.
3) Frey, op, ci/., pag. 71.
*) Reymond, L'antica facciata del Duomo di Firenze, Estratto dal L'Arte,
Anno Vili, fase. Ili, 1905, pag. 4.
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Tav. XXXIV
Fianco di Santa Croce
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E L'ARCHITETTURA GOTICA 155
Tralasciando tuttavia le differenze veramente radicali
nella concezione generale delle due chiese, Terrore più
grave consiste nel paragonare Santa Croce al Duomo
com* è adesso, il cui braccio lungo non fu eseguito come
l'aveva ideato Arnolfo.
Se a Santa Croce il sistema di copertura a cavalietti la-
sciava completamente libero V architetto di dare al monu-
mento quel carattere e quello sviluppo che più fosse piaciuto,
nella nuova Santa Reparafa la pianta doveva dipendere ne-
cessariamente dal sistema delle vòlte. Non è quindi il taso
di prendere per termine di confronto quella chiesa fran-
cescana, nella quale appare evidente il desiderio di con-
ciliare la maggior ampiezza possibile con la più grande
economia.
Un' antica pittura esistente nel lato meridionale del primo
chiostro di Santa Croce, in cui sono rappresentati alcuni
fatti della vita di san Francesco, riproduce lo spaccato lon-
gitudinale del Duomo di Firenze. Il Nardini afferma che
quest'affresco non può essere anteriore al 1334, veden-
dosi il Campanile fin sopra le seconde finestre; non po-
steriore al '56, essendo la tribuna, ivi ritratta (la sola visi-
bile) costituita, come nel Duomo attuale, da un ottagono
centrale coperto da cupoletta, dagli sproni di rinfianco,
dalle cappelle raggianti all'intorno, sebbene diversa, nella
decorazione esteriore. Vi sono inoltre - prosegue - nel
disegno di quel Duomo certe particolarità che lo fareb-
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156 ARNOLFO
bere supporre anteriore anche alla riforma compiutasi
n^l '357 per opera di Francesco dì Talento: così, per
esempio, la disposizione interna della chiesa (a quanto può
desumersi dai resti malconci di quella pittura), parrebbe co-
stituita da sei valichi almeno, mentre quella del Talenti non
ne aveva che tre. Probabilmente questo dipinto venne dun-
que eseguito verso il 1350, e non farebbe meraviglia ch'esso
rappresentasse davvero l'antico disegno del Duomo ima-
ginato da Arnolfo, nel quale i valichi intemi dovevano ap-
punto essere più numerosi di quanti furono eseguiti poi ^\
I valichi, che s'intravedono pur attraverso le alterazioni
sofferte dall'affresco, sono effettivamente nove: ma se si
ricordi la libertà con cui allora i pittori riproducevano i
monumenti che servivano loro di modello e gli edifizi stessi
che avevano sotto gli occhi, non ci pare il caso di dare so-
verchio peso a quella architettura, la quale, servendo
di sfondo a vari episodi della leggenda francescana, fii
molto probabilmente modificata dall'artista per le esigenze
della rappresentazione. Onde, piuttosto che una più o meno
fedele interpretazione del progetto arnolfiano, si ha da ve-
dere in quella chiesa dipinta (come già in quella del Cap-
pellone degli Spagnuoli), una libera creazione del pittore,
anche se il concetto del monumento ritratto derivi in qual-
che modo nei due diversi affreschi, o dal modello dei
maestri e dipintori, o dal primitivo disegno dello scultore
fiorentino.
>) Nardini, Filippo di Ser BrunelUsco, pag. 129-131 ; cfr. anche //
Duomo di San Giovanni, pag. 127, nota i.
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E L'ARCHITETTURA GOTICA 157
Come non ha per noi alcun valore di documento (e non
può averlo infatti) il Duomo di Andrea di Bonaiuto, così
non rha neppur questo di un ignoto scolaro di Giotto,
dal quale sarebbe errore trarre precise deduzioni intorno
al carattere della chiesa di Arnolfo; peggio poi intorno
al numero dei valichi ideati dall* architetto. Quelle lesène
o contrafforti esterni della decorazione marmorea più pros-
sima alla facciata, che oggi sono indizi soltanto dell'abban-
dono dell'antico e primitivo disegno, ci riportano, indubbia-
mente (in questo son tutti concordi), al periodo arnolfiano.
E se la struttura delle due prime porte laterali offre te-
stimonianza di più antica origine nella poca profondità
degli sguanci, nel carattere monastico della decorazione,
nella fusione dei due elementi romanico e gotico, anche
quelle divisioni esterne sono -come scrive il Boito-in quel-
l'arte logica del medioevo, lampante segno delle divisioni
interne ^K Perciò, quando fu impostata quella decorazione,
l'esterno e l'interno della chiesa dovevano essere in corri-
spondenza fra loro, e ad ogni pilastro, o, come è più pro-
babile per non suddividere troppo la pianta in maniera
contraria al sentimento italiano, ad ogni due pilastri do-
vevano corrispondere una colonna ed un valico interno.
La misura poi della chiesa di Arnolfo, che fu riscontrata
nel 1356 di braccia 164, non dà modo di sviluppare in
questo spazio e con quei punti fissi tuttora esistenti che
quattro campate corrispondenti ciascuna a due spazi fra
tre lesène; per tal modo la chiesa imaginata dal suo
1) BoiTO, op. cit., pag. 197.
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158 ARNOLFO
primo architetto veniva ad essere nella nave maggiore a
campate di pianta rettangolare per largo {barlongue)^ e
rettangolare per lungo nelle minori: sistema che mostra
chiara la sua derivazione cistercense, modificata, però, dal
sentimento e dal carattere italiano.
Troppo poco invero è anche questo per stabilire la maniera
dell'architetto, la quale ci pare più che mai difficile poter
dedurre dalle opere di scultura, le sole che ci rimangano
del Maestro, siano esse i cibori di Roma o il monumento
di Orvieto. Tuttavia il Boito scrisse che Arnolfo accettò
dello stile nuovo « l'arco, i contrafforti, i vasti finestroni
divisi a più scompartimenti, le rose, le cuspidi, i pinna-
coli, le foglie rampanti ed altre parti non poche; itia tolse
a tutte ciò che fornisce loro il vero carattere archiacuto,
facendole entrare in uno stile originale, cui non si può
dare più il nome di gotico. È stile fiorentino del xiii se-
colo, e lo diremmo volentieri amolfesco» se la parola non
fosse troppo brutta. Le differenze tra lo stile archiacuto
settentrionale e il fiorentino sono sostanziali, di capitale
importanza: nel primo c'è più rigidità d'organismo, nel
secondo più libertà di genio ; nel primo la tradizione ro-
mana è abbandonata del tutto, nel secondo il classicismo
s'indovina tuttavia sotto le nuove forme; il primo tende
audacemente alla linea verticale, il secondo non si sa svin-
colare completamente dalla tirannia della orizzontale. Ma,
lasciando le altre differenze de' due stili, osserviamo piutto-
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E L'ARCHITETTURA GOTICA 159
Sto come Tarnolfesco si sparse poco, anche nella Toscana
dov'esso nacque e fiorì. Il che ne pare doversi ascrivere
a due cagioni: la prima, che in Firenze stessa, non andò
molto, fu trasmutato ; la seconda, che gli artisti fiorentini,
chiamati a lavorare qua e là in Italia, seppero, come Ar-
nolfo a Roma, piegarsi al gusto delle varie provincie > ^K
E che Arnolfo usasse le rose, le cuspidi, i pinnacoli,
le foglie rampanti ed altre forme decorative dell' arte go-
tica, nessuno può mettere in dubbio; che usasse i con-
trafforti e i finestroni divisi a più scompartimenti non ab-
biamo argomenti per ammettere o per negare. Tuttavia,
egli non può davvero essere considerato l'importatore
dell'arco acuto e tanto meno delle cuspidi, delle guglie,
dei pinnacoli, tutte forme decorative che si trovano già
usate da Niccola nelle architetture che arricchiscono gli
sfondi negli specchi del pulpito senese.
Ciò che immediatamente gì' Italiani appresero e più pre-
sto si appropriarono dello stile gotico non fu già il sistema
costruttivo, ma bensì la forma degli archi, i frontoni, le
guglie, i pinnacoli e i rosoni traforati, gli elementi esteriori,
infine, costituenti le parti decorative. Tutto questo trova la
sua logica e naturale spiegazione nel fatto, che prima che i
costruttori monastici diffondessero nella Penisola il nuovo
stile, erano già note produzioni dell'arte decorativa in Italia,
*) BoiTO, / Cosmati, in ArchiUthira Medievale in Italia, pag. 178, 179.
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i6o ARNOLFO
gli c^ggetti per il culto e in special modo gli avori, che eser-
citarono tanta efficacia sul perfezionamento della scultura,
nelle quali, naturalmente, queste forme accessorie avevano
tanta parte, ben corrispondendo al gusto generale del tempo.
Soltanto più tardi, quando meglio educati ai modelli mona-
stici, poterono gli artefici nostri apprendere le nuove formule
costruttive, non sdegnarono di seguirle, e tuttavia non mai
compiutamente, dacché intesero subito che Tuso del pretto
stile gotico avrebbe eliminato quasi tutti gli elementi predi-
letti dello stile latino; onde il bisogno di adattarlo ad una
tradizione non mai interrotta, e che doveva, dopo breve
esperimento, trionfare di nuovo.
Abbiamo così, nel primo fiorire fra noi di questo nuovo
indirizzo artistico, monumenti in cui la forma e la strut-
tura romanica sono associate a decorazioni di carattere
schiettamente gotico. Negli stessi cibori di Roma, Arnolfo
ritorna alle forme primitive cristiane, arricchite, nei par-
ticolari della decorazione , da motivi derivati dall' arte
nuova; e col disegno delle due prime porte laterali del
Duomo che, da lui, come dicemmo sopra, derivano indub-
biamente, alle forme romaniche.
Non è giusto quindi affermare, come fa il Boito, che
« tra r architettura di Arnolfo e quella dei Pisani corre una
tale differenza nell'organismo e nelP ornamentazione da
bastare a costituire due scuole affatto diverse >*^; perchè,
se per architettura pisana s' intende quella che rifulge nel
Duomo famoso, non è il caso di' pensare né a Niccola né
*) Botto, / Cosmati, pag. 178.
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E L'ARCHITETTURA GOTICA i6i
ad Arnolfo ; ma se con quella designazione si vuole allu-
dere air indirizzo artistico inaugurato da Niccola, le opere
di Arnolfo confermano pienamente la sua educazione alla
scuola del grande innovatore pisano, modificata poi dall'in-
flusso della decorazione cosmatesca*
Anch' egli, come il Maestro, usò quelle forme che an-
davano generalizzandosi in Italia per opera dei Cister-
censi ; anch' egli, come Giovanni Pisano, fu più decoratore
che architetto rispetto allo stile gotico; ossia dai modelli ol-
tramontani trasse motivi per nuove ornamentazioni a cu-
spidi e a pinnacoli, ma rimase classico nel fondo delle sue
composizioni. Come Giovanni, il maestro gotico per eccel-
lenza fra gl'Italiani, che pur ritorna alle forme dell'archi-
tettura latina per il suo Camposanto (onde solo ai suoi
successori si può dare il merito di costruzioni con schietto
carattere gotico), così Arnolfo, nel quale il sentimento clas-
sico più vivacemente perdura, non dovette discostarsi dalla
tradizione della sua scuola.
V
Si volle riconoscere la maniera decorativa di Arnolfo
nel frammento di facciata di cui ci fu conservato il ri-
cordo dal Poccetti nell'affresco del chiostro di San Marco.
Il muro di facciata della nuova chiesa, fondato, come
sappiamo, di sana pianta da Arnolfo dinanzi alla fronte
dell' antica Santa Reparata, era stato portato sino ad una
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i62 ARNOLFO
certa altezza» e anche rivestito di marmi, se non dallo
stesso Arnolfo, certo col suo disegno. Ma quando il pro-
getto di lui ebbe per opera del Talenti radicali modifica-
zioni, quel muro non parve più adatto a sostenere la spinta
delle nuove vòlte, e il suo spessore non si prestava a
produrre sufficiente forza di rilievi e di scuri per quella
facciata che, in armonia con le ingrandite dimensioni del
tempio, si pensava di erigere più nobile e più grandiosa.
E venne addossato alla parete già costruita un muro di
ringrosso, il quale nascose le decorazioni marmoree incro-
state nell'antica fronte.
Il De Fabris rinvenne sotto questo muro frammenti di
marmi bianchi e verdi di figura rettangolare, sormontati
da un archetto, che rivestivano il fianco del tempio sul lato
di mezzogiorno, nel punto d'angolo con la facciata, in pros-
simità del Campanile, t Una colonnetta di marmo verde era
posta attorno a quell'angolo e si rivoltava sul lato della
facciata, non già sulla parete apparente di quella, ma sul
prolungamento della superficie che sta a simulare la luce
dei così detti finestroni. Tale frammento ancorché minimo
rispetto alla vastità del tutto insieme, è certo prezioso,
poiché determina in modo positivo e assoluto il vero stato
della prima costruzione di Arnolfo > ^\
Allo stesso periodo si debbono riferire le incrostazioni
di corallina, rinvenute nella lunetta posta sopra la porta
>> Rapporto del prof, Emilio De Fabris alla Deputazione promotrice per la
edificazione della facciata del Duomo, Firenze, 25 settembre 187 1, in Cavai>
LUCCI, Santa Maria del Fiore, Appendice prima, pag. 6.
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Antica facciata del Duomo
(Dall'affresco del Poccetti nel primo chiostro di Saa Marco)
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i64 ARNOLFO
maggiore : V architrave e gli stìpiti della porta stessa non-
ché le incrostazioni di verde di Prato della porta a sini-
stra. « E di ciò basta a convincere - prosegue il De Fa-
bris - non tanto la corrispondenza di rapporti che trovasi
fra la profondità delle dette incrostazioni ed il muro di Ar-
nolfo, quanto anche il carattere tutto particolare dei mosaici
in vetro colorato che sono alla lunetta ed all'architrave
della porta maggiore, carattere di cui non v'è traccia
nelle decorazioni esterne posteriori al tempo di Arnolfo > *^
Questi frammenti, oggi nel Museo del Duomo (unici
e sicuri documenti dell'opera di Arnolfo attorno alla sua
Santa Reparata), escludono che possa egli avere avuto parte
in quella nuova decorazione, la quale si dovette subordinare
al rifacimento della chiesa secondo il progetto di Fran-
cesco Talenti. Basti, a conferma, il disegno della facciata ri-
tratta nell'affresco del Bigallo (come si sa eseguito nel 1 342),
ben diverso da quello riprodotto dal Poccetti, per non po-
tere ammettere, col Nardini, che la decorazione distrutta
nel 1588 fosse pur sempre quella imaginata e disegnata
da Arnolfo ^K
È vero bensì, che lo stesso scrittore afferma altrove ^'
che quella facciata, di cui si dà generalmente il merito a
Giotto, non» sia da considerare che < un rimpasto operatosi
n^l ^ 357-59 dell'antica, già presa ad edificare sugli ultimi
del secolo xiii >; e crede più vicino al disegno di Arnolfo
*) Rapporto citato, pag. 7.
2) Nardini, // Campanile di Santa Maria del Fiore, pag. 55. .
3) Nardini, Filippo di Ser Brunellesco, ecc., pag. 131, nota 2 e II Duomo
di San Giovanni, pag. 172, nota i.
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E L'ARCHITETTURA GOTICA 165
il prospetto della Gittedrale dipinta nel chiostro di Santa
Croce, in queir affresco sul quale ci siamo già intrattenuti,
< imperocché da Arnolfo al Talenti non è a notizia d' al-
cuno che la chiesa di Santa Maria del Fiore abbia subito
rinnovamento o modificazione della sua fronte princi-
pale > ^K Ma quella facciata, terminante in un gran fronte-
spizio ornato con un occhio a trafori ; con la porta mag-
giore sormontata da una cuspide con una rosa nel mezzo,
e tutta decorata ad archeggiature rotonde, così diversa
nel carattere da quella del Bigallo, ci porta più che mai
a concludere, come abbiamo detto precedentemente, quanto
sia vano ricercare T opera di Arnolfo in queste decorazioni
architettoniche dipinte nei diversi affreschi delle chiese e
dei chiostri di Firenze.
VI
Rimane ancora a dire dell' ultima costruzione attribuita
ad Arnolfo.
« Perchè V abitazione de' Priori, come narra Leonardo
Aretino, non pareva casa pubblica né degna del popolo
fiorentino, né pareva a' Priori esservi sicuri per la potenza
della nobiltà, ordinarono un edificio pubblico rilevato e di
singulare magnificenza > . Fino dal 1 294 nei Consigli fu
fatta la proposta sufier palatio et de palatio prò Comuni
Fior entie f adendo et de loco et super loco inveniendo in quo
*) Nardini, Filippo di Ser Brunellesco, ecc., pag. 131, nota 2.
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i66 ARNOLFO
dicH palatium fieri debet\ cercato il luogo, e la ricerca
andò per le lunghe, cominciarono le trattative coi proprie-
tari delle case da acquistare (primi fra questi i Della Barba
e i Foraboschi), sicché occorsero più e diverse provvisioni
avanti che si iniziassero i lavori, il che fu nel 1299.
« Nel detto anno (i 298 stile fior.) - dice il Villani - si co-
minciò a fondare il palagio de* priori per lo Comune e
popolo di Firenze.... E colà dove puosoup il detto pa-
lazzo, furono anticamente le case degli liberti, ribelli di
Firenze et ghibellini, e di que* loro casolari feciono piazza,
acciò che mai non si rifacessono. E comperarono altre
case di cittadini, come furono Foraboschi, e fondaro ivi
su il detto palagio, e la torre de* priori fondata in su una
torre eh* era alta più di cinquanta braccia eh' era de* Fo-
raboschi et chiamavasi torre della Vacca. E perchè il detto
palazzo non si ponesse in sul terreno de* detti liberti coloro
che Tebbono a far fare il puosono musso, che fu grande
difficoltà a lasciare però di non farlo quadro, e più disco-
stato da la chiesa di San Fiero Scheraggio > ^\
Che Arnolfo avesse costruito il palazzo di Firenze < a
simiglianza di quello che in Casentino aveva fatto Lapo
suo padre ai Conti di Poppi > imaginò il Vasari ; ma il
castello di Poppi, se nel carattere e nella stessa forma
delle finestre serba 1* impronta dell'arte fiorentina, non ha
nulla che fare con il Palazzo dei Priori. Per il quale.
Tanno successivo a quello che si vuole della fondazione.
>) Villani, Cronica, Libro Vili, cap. XXVI; cfr. Codd, Riccardiani
n. 1532 e n. 1533.
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E L'ARCHITETTURA GOTICA 167
si acquistano nuove case, e gli atti di acquisto si stipu-
lano nelle case stesse dette già Palazzo del Popolo e del
Comune di Firenze : in domo sive Pallatio Populi et Comunis
Florentie in quo domini Priores Artium et Vexilli/er Justitie
diete civitatis prò eorum exercendo officio moram trahunt ^\
Anche una deliberazione del io aprile 1299 fu fatta
in domibus dicii Comunis et Populi Fiorentini sitis prope Ec-
clesiam Sancii Petri Sor adii de Fbrentta, in quibus ipsi domini
Priores et Vexilli/er morantur prò eorum officio exercendo ^^
il che viene a confermare, come notò il Gotti, phe la
residenza dei Priori nel loro palazzo incominciò appena
acquistate le prime case che lo dovevano formare.
Nuovi atti di acquisto si fanno nel 1299, e poi nel
gennaio del 1300; nel 1301 si comprano le case dei Fora-
boschi, che non sono ancora del tutto pagate nel 131 1.
Nel 1 302 si parla già di questa costruzione come di Palazzo
Nuovo ^\ e nel 1303 i Priori sono in grado di sostenere
dentro quelle mura < più assalti e battaglie che furono
loro date>^\
Nel 1305 si delibera di spendere cento fiorini prò rea-
taiione PalcUii dominorum Priorum et Vexilli/eri ^^ ; nel 1 306
mille fiorini in reaiaJione et copertura Palatii sive turri Pa-
lata dominorum Priorum ^\ nel 1 307 altri cento in repara-
*) Gotti, Scoria del Palazzo Vecchio, Firenze, Civelli, 1889, pag. 21.
2) Ibtd,, ivi.
3) Frey, op. ctt„ pag. 193, Doc. 53.
<) Villani, Cronica, lib. Vili, cap. LXVIII.
5) Frey, op, cit„ pag. 194, Doc. 60.
*) Ibid,, ivi, Doc. 61.
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i68 ARNOLFO
tione tedi et aliorum necessariorum in Palaiio Priorum '^;
nel 1309 lire 2200 in tecto et copertura Palatii Priorum ^^ \
infine si provvede alla elezione di ufficiali prò murando
et super murando turrim Palatii Populi in quo Priores Ar-
tium et Vexillifer Justitie prò Comuni morantur ^.
Nel 1313 vi si teneva Consiglio, e nel '15, il giorno di
capo d'anno, vi erano convocati il Consiglio dei Cento e
i Consigli speciale e generale del Capitano e delle Capi-
tudini delle dodici Arti maggiori.
« A questo punto era il Palazzo del Popolo - scrive il
Gotti - ma non ci era stato condotto da Arnolfo, del quale
sappiamo essere avvenuta la morte agli 8 di marzo del 1 300,
secondo lo stile fiorentino, o 1301 secondo lo stile co-
mune. Ma per quanto io sappia o abbia letto non v' ha ri-
cordo che il disegno di lui fosse toccato da altri dopo la sua
morte, non ostante che da altri fosse messo in opera >^^
Ma bisognerebbe esser sicuri, per dir questo, che un
disegno di Arnolfo sia esistito veramente, mentre ciò non
è che una fantastica supposizione di scrittori che copia-
rono il Vasari. Se effettivamente egli avesse avuto parte
nella costruzione del Palazzo dei Priori, parrebbe ragio-
nevole che nel decreto di esenzione da ogni gravezza, con-
cessogli appunto nel 1300, la Signoria avesse, oltre alla
sua opera come architetto di Santa Reparata, ricordato
la sua valentia come autore di quel palazzo che doveva
Frey, op. cit., pag. 197, Doc. 69.
2) Ibtd., pag. 198, Doc. 76.
3) Gotti, op. cit,, pag. 24-25.
<) Ibtd., pag. 25.
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E L'ARCHITETTURA GOTICA 169
servire, e già serviva in parte, di residenza ai Priori stessi.
Invece quella deliberazione esalta sempre e solamente il
costruttore della nuova chiesa fiorentina '^ ; di quella chiesa
che sin da principio prometteva di riuscire la più bella
di tutta la Toscana.
Ma più di questo argomento indiretto ci pare, che, a
contrastare la paternità attribuita ad Arnolfo, valga la sto-
ria della costruzione, essendo evidente, pur dai documenti
sopra citati, che essa non uscì di getto dalla mente di un
artefice, ma nacque a poco a poco e s'ingrandì negli anni
successivi, con acquisti di nuove case sempre fatti prò de-
core et fortificatione Palatii Populi Fiorentini ^K
Allo stesso fine si allargava un' altra volta la pìsizza^ e
si deputavano ufficiali super Platea Palatii Populi..,. ere-
scenda amplianda elarganda et augmentanda. Nel 1323 si
stanziavano i ^ernsì prò /atiendo.,., unam nobilem pulchram
et decentem arengheriam, in muris seu iuxta muros PalcUii
Populi, in eo loco seu parte dicti palcUU ubi videbitur offitio
dominorum Priorum et Vex. lusHtie. < E quella pia^zsi e
quella ringhiera - aggiunge il Del Lungo - conservarono
la dolce memoria dell'antica libertà al popolo fiorentino,
che seguitò a chiamarle de' Signori, anche quando il suo
palazzo diventò albergo di duchi > ^.
*) Frey, op, a/., pag. 87.
2> lòid., pag. 21, Doc. 25.
3) Del Lungo, jDtno Compagni e la sua Cronica, voi. II, App. Ili,
SuUa residenza della Signorìa fiorentina, negli ultimi anni del secolo XIII
e ne' primi del XTV, pag. 454-55.
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170 ARNOLFO
Le notevoli somiglianze che appariscono tra il Palazzo
della Signoria e quello del Potestà confermano una stessa
origine. Il cortile, in entrambe le costruzioni, è a co-
lonne ottagone con archi tondi; le finestre esterne sono
ad arco tondo, piuttosto basse, riempite poi con bifore
dagli archi acuti e lobati. Nel Palazzo del Potestà, più
antico, il paramento murario è più finamente condotto,
e più rozzo (a sassi spuntati) nelle parti aggiunte nel pe-
riodo gotico ; in quello della Signoria si usò la struttura
muraria a bugne irregolari, caratteristica delle torri fio-
rentine di quel periodo. Ma entrambe le costruzioni si
sono partite da un nucleo primitivo: per il Palazzo del
Potestà, le case dei Boscoli ; per il Palazzo dei Priori quelle
dei Foraboschi.
Dopo tutto quanto siamo venuti esponendo, sulla scorta
di sicuri documenti, ci pare di poter concludere che Ar-
nolfo con la costruzione della nuova Santa Reparata, il
solo edifizio da lui condotto, chiuse la sua vita di artista ;
e ch'egli, pur adottando certe forme dell'arte nuova, ormai
divulgate dagli Ordini monastici, non fece che seguire
quella tendenza a cui gli artefici tutti sembravano dover
adattare gran parte dell'opera loro. Non fii dunque un
novatore neir arte ; continuò una tradizione ormai glorio-
sissima, giunta al colmo ; non portò in essa nessuna mo-
dificazione notevole, come altri aveva creduto, forse per
le fantastiche attribuzioni vasariane che impersonavano in
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E L'ARCHITETTURA GOTICA 171
luì gli architetti di tutte quasi le principali fabbriche sorte
in Firenze tra la fine del secolo xiii e la prima metà
del XIV. Questa nuova maniera fiorirà in Firenze ben
mezzo secolo dopo che Arnolfo riposava per sempre nella
chiesa alla quale meglio si lega il suo nome; fiorirà ve-
ramente solenne e originale in quel caratteristico gruppo
di monumenti dovuti al Talenti, all'Orcagna, a Giovanni
di Lapo Ghini, a Benci di Cione e a Neri di Fioravante;
monumenti grandiosi, ma che restano isolata manifesta-
zione di un periodo transitorio, dopo il quale, tornando
ad ispirarsi alle più modeste costruzioni romaniche, i co-
struttori fiorentini ritroveranno, sotto V influenza dello spi-
rito latino trionfante per sempre sulle tradizioni artistiche
d' oltremonte, la vecchia gloriosa via.
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INDICE DELLE TAVOLE
San Giovanni Pag. 9
Interno del San Giovanni 23
Una faccia intema del San Giovanni 34
Dimostrazione grafica delle esplorazioni fatte sul tergo della tribuna
del San Giovanni 52
Sant'Andrea di Empoli 65
San Miniato 66
Interno di San Miniato 68
Santi Apostoli 70
Badia di Fiesole 73
Abside di San Miniato 75
Elevazione geometrica della parte inferiore della facciata di San
Miniato 76
Elevazione geometrica della parte inferiore della facciata della Badia
Fiesolana 77
Elevazione geometrica dei due ordini estemi del San Giovanni 78
Particolare dell'ordine intemo del San Giovanni 81
Cripta di San Miniato ...*.. 82
Capitello della porta a Nord del San Giovanni e capitello della chiesa
di Santi Apostoli 84
Particolare delle finestre del San Giovanni 89
Decorazione centrale della facciata di San Miniato 91
Finestra centrale della faccia a Nord del San Giovanni 92
Particolare dell'attico del San Giovanni 94
San Salvatore all'Arcivescovado 96
Santo Stefano al Ponte 100
Badia di San Salvatore a Settimo 105
Particolare della facciata di Santa Maria Novella 109
Sala a vòlta della Badia di Settimo 114
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i8o INDICE DELLE TAVOLE
Santa Maria Novella Pag. 117
Santa Maria Maggiore 129
San Remigio 131
Santa Trinità 133
Badia di Firenze 135
Santa Croce 140
Santa Maria del Fiore 145
Particolare dell' affresco del Cappellone degli Spagnuoli .... 152
Fianco di Santa Croce 154
Affresco del primo Chiostro di Santa Croce 155
Fianco del Duomo presso la facciata 157
Particolare dell' afiresco del Bigallo 164
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INDICE DELLE ILLUSTRAZIONI
Veduta di Firenze Pag. 9
Pianta del San Giovanni 19
Il Tempio di Marte, secondo Vincenzo Borghini 21
Sezione orizzontale del San Giovanni al piano delle loggette del
primo ordine intemo - Proiezione orizzontale del tetto . . .22
Sezione orizzontale del San Giovanni al piano dei lucernari. . . 24
Proiezione orizzontale degli sproni che controspingono la cupola e
reggono il tetto - Sezione orizzontale del tetto e della cupola
al piano della cornice finale estema 45
Accenno schematico della tribuna primitiva (dal Nardini) ... 52
Il Battistero - Particolare di im cassone da nozze del secolo XV . 91
Veduta della Badia di San Salvatore a Settimo presso Firenze. . 105
Pianta di Santa Maria Novella 116
Santa Maria Novella (dal Dehio e Bezold) 117
Pianta di Santa Maria Maggiore 129
Pianta di San Remigio 131
Pianta di Santa Trinità 133
Antica facciata della chiesa di Santa Trinità (del Ghirlandaio) . .134
Pianta di Santa Croce 141
Antica facciata del Duomo (dall' afi&esco dal Poccetti nel primo
Chiostro di San Marco) 163
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INDICE DEL VOLUME
Il San Giovanni e T Architettura romanica Pag. 7
Arnolfo e l'Architettura gotica 103
Bibliografia 173
Indice delle tavole 179
Indice delle illustrazioni 181
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