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Full text of "Gli albori dell'arte fiorentina: Architettura"

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Gli albori delVarte fiorentina 



Igino Benvenuto Supino 



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Harvard University Library 
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GLI ALBORI 
DELL'ARTE FIORENTINA 



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I. Benvenuto Supino 



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GLI ALBORI 
DELL ARTE FIORENTINA 



FIRENZE 

FRATEIXI ALINARI, Editori 

1906 



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I. Benvenuto Supino 



GLI ALBORI 
DELLARTE FIORENTINA 



FIRENZE 

FRATELLI ALINARI, Editori 

1906 



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I. Benvenuto Supino 



GLI ALBORI 
DELL'ARTE FIORENTINA 



FIRENZE 

FRATELLI ALINARI, Editori 

1906 



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I. Benvenuto Supino 



GLI ALBORI 
DELL'ARTE FIORENTINA 



FIRENZE 

FRATELLI ALINARI, Editori 

1906 



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1/ 



UNIVERSITY j 
LIBRARY I 



PROPRIETÀ LETTERARIA 






373-906. — Ptrense, tipografia di Salvftdore Landi, Via Santa Caterina, 13 



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ARCHITETTURA 



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IL SAN GIOVANNI 



L'ARCHITETTURA ROMANICA 



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Tav.I 



San Giovanni 



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e 



/OL rifiorire delle energie popolari e con V ampliarsi del 
dominio del Comune s' inizia un' èra nuova nella storia del- 
l' arte nostra, la quale, pur manifestandosi in modo assai 
vario nelle diverse regioni della Penisola, mostra dovunque 
e sempre, nell'interpretazione delle forme romane e bizan- 
tine da cui trasse l' origine, gli stretti legami che avvince- 
vano ancora gli interpreti alla tradizione classica. 

Ma se questa tradizione fondamentale e le forme co- 
struttive si mantennero costanti nei vari centri della Pe- 
nisola, le forme decorative, invece, assunsero fisonomia 
varia, a seconda della natura e del carattere di ciascuna 
regione, sicché, meglio che nelle opere architettoniche, 
nelle produzioni scultorie e talvolta nelle parti secon- 
darie, vediamo rispecchiarsi le espressioni caratteristiche 
locali. 

Questa varietà di manifestazioni artistiche, eco fedele 
di gusti, di tendenze e di influssi svariati, si rivela non 



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IO IL SAN GIOVANNI 



solo fra regione e regione, ma anche fra paese e paese 
di una regione stessa. Così, dentro il ristretto cerchio della 

/ Toscana, il felice connubio della costruzione classica con 
lo stile lombardo, produce quel particolare stile pisano-lue- 

y chese, che il Cattaneo vorrebbe chiamare appunto toscano- 
lombardo; e mentre in questo tipo le forme ornamentali 
dell'arte classica decadente, che i bizantini fecero proprie, 
sono riprese e interpretate con sentimento speciale, sotto 
l'influsso dell'arte lombarda e orientale, a Firenze i co- 
struttori del periodo romanico mantengono ad esse tut- 
tavia il sapore della tradizione romana, e creano un gruppo 
di edifizi in cui permane ancora vivace l'influenza dell'an- 
tica scuola pagana. In San Miniato (il tempio fiorentino 
di cui più sicuramente ci sono note le origini e le vicende), 
i due più recenti storici dell'architettura bene a ragione 
ammirarono < la serietà con cui si è tentato di seguire 
fedelmente e semplicemente le tracce di un alto ideale ri- 
conosciuto nelle reliquie del passato. Bisogna intendere 
storicamente - proseguono il Dehio e il Bezold - quale 
intimo risveglio fosse necessario per risentire di nuovo 
questa specie di bellezza. Certo, il San Miniato è ben 
lungi dall'essere perfettamente corretto; ma non v'ha 
dubbio che una grazia così delicata e serena, tanta se- 
rietà e chiarezza non si ritrovano allora in nessun' al- 
tra parte dell'Occidente. È il primo segno dell'alba che 
precorre la radiosa giornata dell'arte >*\ 



*) DEmo u. Bezold, Dù Kirchliche Baukunst des Abendlandes, Stuttgart, 
1892. Voi. I, pag. 610-61 1. 



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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 



Lo Studio delr architettura fiorentina del periodo roma- 
nico è reso oltremodo difficile dalla mancanza di precise 
notizie e sicuri documenti intorno al principale suo mo- 
numento: il San Giovanni, che la tradizione vanta come 
il più vetusto della città. Quando più moderni scrittori di- 
mostrarono che il tempio magnifico è ancora quale fu in 
origine (fatta s'intende la debita parte ai numerosi re- 
stauri), e quell'origine fissarono alla fine del iv secolo 
o al principio del successivo, fu loro facile far derivare, 
da quell'archetipo la maggior parte dei motivi costrut- 
tivi e decorativi che si notano negli altri edifizi sacri della 
città. 

< Tutti i caratteri di questi edifizi - scrive il Nardini, 
il più recente illustratore dell' insigne monumento - a senso 
mio trovano la loro spiegazione (e non la troverebbero 
altrimenti) nell'esistenza in Firenze di un antico archetipo 
che non è pagano, e che non appartiene perciò ad un'arte 
esautorata e morta, ma che è cristiano, e che pur deri- 
vando immediatamente dall'antico e conservandone tutta 
l'impronta, rappresenta la formula di una architettura vì- 
vente, nata col nuovo culto, e dalla quale per conse- 
guenza si possono attingere, come a legittima fonte, le 
ispirazioni nei tempi avvenire. E questo archetipo, que- 
sto compromesso fra l'architettura pagana e le successive 
forme cristiane, che perpetua nei Fiorentini l'uso strano 
ed eccezionalissimo di quasi tutte le costumanze archi- 



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la IL SAN GIOVANNI 



tettoniche del gentilesimo, è appunto il Duomo di San Gio- 
vanni > ^K 

Veramente gli stessi primi costruttori cristiani mostra- 
rono di non guardare tanto per la sottile se la fonte a cui at- 
tinsero era legittima o no; e quelli artisti, come del resto 
gli artisti di ogni tempo, usarono della più grande libertà 
di scelta e di interpretazione nelle forme e nelle decorazioni 
dei loro monumenti. Ma nell'indirizzo che Tarte assume 
in Firenze nel periodo romanico è qualche cosa di più della 
semplice copia di un antico modello : è tutta una caratte- 
ristica interpretazione che rivela quello stesso spirito onde 
quattro secoli dopo rifiorirà in tutte le manifestazioni della 
vita il così detto Rinascimento. Questo fenomeno luminoso, 
secondo confermano le più recenti indagini storiche e let- 
terarie, non vuol essere più, come altra volta si credeva, 
limitato ai principi del secolo xv o alla fine del prece- 
dente, bensì risale con i suoi albori più alto nei secoli: tutti 
ormai consentono nel riconoscere che la facella classica 
non si spense mai, e che un barlume almeno portò sempre 
anche nei tempi del medioevo, apparsi ad alcuni più chiusi 
ad ogni sentimento d'arte. E in Firenze bastò meglio che 
altrove quella luce, alimentata da un particolare sentimento 
di romanità, per il quale il popolo non riconosceva altra 
origine che dall'antica madre; e ne venerava in ogni ru- 
dere la memoria, e ne conservava fedele il ricordo nei nomi 
dei nuovi edifizi che crescevano sulle antiche rovine. 



*) Nardini, // Duomo di San Giovanni, oggi BatHsUro di Firenze, Fi- 
renze, Alìnarì, 1902, pag. 55. 



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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 13 

Naturale e necessaria era quindi la tendenza a far 
risorgere le pratiche decorative pagane, a ripristinare 
sotto nuove forme i motivi classici della decorazione; e 
perciò i monumenti fiorentini del periodo medievale as- 
sumono un carattere che si può dire particolare di que- 
sta scuola e di questa città. < Essa sola fra tutte conserva 
la trabeazione nella sua piena integrità, e nei capitelli la 
forma schiettamente corinzia, nonché quella composita; e 
nei capitelli dei pilastri certa elegante varietà del genere 
corinzio di sapore eminentemente classico, e nei fusti dei 
pilastri scannellati i rudenti in basso. Conserva gli archi- 
travi e gli archivolti suddivisi in più fasce, che dalFalto al 
bctsso decrescono a somiglianza di quelli romani ; le finestre 
rettangolari recinte da stipiti; le colonnette con le spirali 
fittissime a canto vivo; la forma tabernacolare alle fine- 
stre, il tipo classico dei frontespizi e tante altre particola- 
rità che rivelano sempre vivace dopo tanti secoli V influenza 
della scuola pagana > ^\ 

Ma a spiegare queste pratiche e queste tendenze non 
basta davvero quel supposto archetipo, né basterebbe, an- 
che se potessimo essere certi dell' origine antichissima del 
San Giovanni; né questo si sarebbe conservato a noi nei 
suoi puri lineamenti se veramente lo spirito e il sentimento 
dei costruttori fiorentini non fosse stato capace d'inten- 
dere e di apprezzare quelle forme classiche : mille altri 
esempi insegnano che ai templi più popolari ogni età 
nuova, di regola, impose nuove forme in armonia col ge- 



») Nardini, op, ài., pag. 54 e 55. 



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14 IL SAN GIOVANNI 



nio e con la moda allora prevalenti. E questo sa bene 
anche il Nardini, il quale rilevò che nei pilastri angolari 
del San Giovanni < V ogìvalismo allora prevalente non ri- 
spettò punto il vecchio stile dell' edifìzio, ma si sostituì 
audacemente a quello per quanto sapeva e poteva; com*è 
d'altronde nell'indole della moda, che anche nell'arte è 
tiranna» e com'è tendenza umana, provata da tanti altri 
esempi che ci fornisce la storia > ^K 

Meglio, dunque, si appose lo stesso scrittore quando 
riconobbe che l' architettura posteriore al Mille < come 
spettante ad età meno barbara, abbia potuto trattare le 
reminiscenze e le forme classiche con minor rozzezza e con 
alquanto più garbo che non nell'età carlovingia e longo- 
bardica, per modo che sembrassero riawicinarsi all' an- 
tico > ^^; e questo, più efficacemente che altrove nell'Italia 
centrale, in cui i ricordi classici durarono più vivi e 
tenaci. 

Se a Pfsa, infatti, le forme classiche si modificano sotto 
l'influsso dell'arte orientale; a Lucca, sotto il predominio 
dell' arte lombarda ; in Firenze, meno soggetta delle altre 
città toscane a influenze straniere, i costruttori s' ispi- 
rano alle forme romane, la cui libera interpretazione si 
manifesta evidente negli elementi architettonici degli edi- 
fizi medievali, e in particolar modo del San Giovanni. 

Ma è poi il San Giovanni così antico come la tradi- 
zione vorrebbe, e più recenti studiosi confermano? 



') Nardini, op, ciL, pag. 32. 
^) Ihid., pag. 24. 



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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 15 



Giovanni Villani così racconta « come in Firenze fu 
fatto il tempio di Marti, il quale oggi si chiama il Duomo 
dì San Giovanni: 

< I cittadini di quella essendo in buono stato» ordi- 
nare di fare nella detta cittade uno tempio maraviglioso 
air onore dello Iddio Marte, per la vittoria eh' e' Romani 
avieno avuta della città di Fiesole, e mandaro al Senato 
di Roma che mandasse loro gli migliori e più sottili mae- 
stri che fossono in Roma, e così fu fatto. E feciono ve- 
nire marmi bianchi e neri, e colonne di più parti di lungi 
per mare e poi per Arno; feciono conducere e macigni e 
colonne da Fiesole, e fondaro e edificaro il detto tempio 
nel luogo che si chiamava Camarti anticamente, e dove 
i fìesolani facevano loro mercato. Molto nobile e bello il 
feciono a otto facce, et quello fatto con grande diligenzia, 
il consecraro allo Iddio Marti, il quale era Idio di Ro- 
mani, e feciollo figurare inn intaglio di marmo in forma 
d'uno cavaliere armato a cavallo; il puosono sopra una 
colonna di marmo in mezzo di quello tempio, e quello 
tennero con grande reverenzia e adoraro per loro Idio 
mentre che fu il paganesimo in Firenze. Et troviamo che il 



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i6 IL SAN GIOVANNI 



detto tempio fu cominciato al tempo che regnava Otta- 
viano Agusto, e che fu edificato sotto ascendente di sì 
fatta costolazione, che non verrà meno quasi in etterno : e 
così si truova scritto in certa parte, e intagliato nello spaz- 
zo del detto tempio > *\ E dove descrive Firenze di- 
strutta da Totila, aggiùnge: « E poi che Totile l'ebbe così 
consumata di genti e dell'avere, comandò che fosse di- 
strutta e arsa e guasta, e non vi rimanesse pietra sopra 
pietra, e così fu fatto : se non che da V occidente rimase 
una delle torri che Igneo Pompeo avea edificata, e dal 
settentrione e dal mezzogiorno una delle porte, et in fra 
la città presso a la porta, casa stve domo, chiamato prima 
Casa di Marti » ^^ 



. La tradizione raccolta dallo storico fiorentino trovò se- 
guaci numerosi non solo fra gli antichi scrittori quali Dante, 
il Boccaccio, Marchionne di Coppo Stefani, Matteo Pal- 
mieri, Leonardo Bruni, il Poliziano e il Cellini, ma anche 
fra i moderni antiquari e storici dell'arte, e tra i più insi- 
gni, come il Borghini e il Baldinucci. Il Manni però < riget- 
tando le favolosità di Marte, di cui il Villani aveva pieno 
il capo, > afferma che il San Giovanni < fosse fatto per 
Chiesa cristiana e non qual Tempio d' idolatria, concorren- 
dovi e la sua forma e la sua struttura. Questo, a similitudine 



*) Villani, Cronica, Libro I, cap. XLII. Cfr, Cod, Riccardiano, n. 1532, 
2/ Ibid., Libro II, cap. I. 



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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 17 

de' celebri Battisteri scorgendosi, e vicino, come son quelli, 
alle respettive Cattedrali.... sembra che venisse di pianta 
edificato affine di servire pe '1 Battesimo, e non altramente 
nel suo principio.... circa Tanno CCCCXXXVI nel conso- 
lato di Roma di Teodoro > ^K 

All'opinione delManni si associarono THubsch, e ai nostri 
giorni il compianto architetto Nardini, che al San Giovanni 
dedicò una speciale monografia. Non mancò pertanto chi 
sostenne Tedifizio famoso sorgesse alla fine del secolo vi, 
o sul principio del successivo, per la pietà della regina Teo- 
dolinda, dopo che essa ebbe fondato in Monza lo splen- 
dido tempio in onore del Battista; o chi lo giudicò del vii o 
deirviii secolo; e a queste ipotesi si accostarono il Lami, 
il Gori, il Nelli, il Del Migliore, il Del Rosso; altri molti, in- 
vece, quali il Kugler, il Lflbke, il Fergusson, il Burckhardt, 
il Cattaneo, il Dehio e il Bezold riportarono la costruzione 
al secolo xi o xii. 

Oli imprende lo studio di un edifizio suole ripetere 
r antico motto: fe saxa docebunt ; ma per il San Giovanni 
le pietre sembra abbiano dato troppo diversi responsi a 
quei molti che tentarono d'interpretarle. Non tutti però 
le interrogarono senza preconcetti; e ciò può giustificare 
che si tenti anche una volta da noi la vessata questione, 
con la speranza almeno di rilevare, senza alcuna preoc- 
cupazione di giudizio, ciò che appare sicuro e inoppugna- 
bile, sgombrando il terreno dalle troppe incertezze che le 
tradizioni popolari e le erudite vi hanno accumulato. 



*> Manki, Principj della reUgidne cristiana in Firenze, pag. 73-74. 



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i8 IL SAN GIOVANNI 



II 



Nessuno oggi può dar peso alla narrazione dei vecchi 
cronisti fiorentini sull'origine del San Giovanni, perchè i 
caratteri architettonici dell* edifizio, quale si presenta nella 
struttura e nella decorazione, escludono in modo assoluto 
che potesse prima essere un tempio pagano. Già il Lami 
additò nel fatto che i Fiorentini per fabbricare la chiesa si 
erano valsi dei materiali tolti dalle rovine degli antichi 
edifizi guasti o disfatti, « vale a dire de' marmi e delle 
pietre che erano nell' Anfiteatro e nel Teatro e nel vicino 
tempio di Marte > , la causa < onde poi nacque V equivoco 
che la chiesa di San Giovanni fosse una volta il Tempio di 
Marte » ^\ Più tardi V Hlibsch, dallo studio diretto e par- 
ticolareggiato del monumento, fu portato a rilevare l'ec- 
cessiva larghezza dell'intercolunnio; gli archi di scarico 
impostati dietro l' architrave che vanno da una colonna al- 
l' altra e che ricascano sopra delle imposte trasversali inca- 
strate nei muri perimetrali; i due ordini di gallerie che 
traversando i contrafforti girano attorno l' edifizio: tutte 
particolarità che non si riscontrano in nessuno dei monu- 
menti romani ^K Si aggiunga poi che quelli dell'epoca tarda 



Lami, Lizioni, Voi. I, pag. 135. 

2' HuBSCH, Monuments de V ArchiUciure chrétienne depuis Constaniinjusgu'à 
CharUmagne, iradutide l'alieTnandpar'V.GliiE.KBEK, Paris, Morel, 1866,001.39. 



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E L* ARCHITETTURA ROMANICA 19 

o costruiti nelle più lontane regioni dell'Impero, si svi- 
luppano con forme diverse dall'esterno all'interno; e se 



Ranta del San Giovanni 
(Proporzione da 1 a 300) 



per un rarissimo caso s'incontra un edifizio ottagono al 
di fuori, questo sarà rotondo al di dentro ; se ottagono al 
di dentro, sarà di fuori quadrato : basti ricordare il Mau- 



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20 IL SAN GIOVANNI 



soleo di Diocleziano a Spalato, il tempio del Sole a Balbek, 
le sale delle Terme Diocleziane a Roma. 

Notando questo fatto, giustamente il Nardini avverte 
come le forme poligonali non trovassero grazia presso i 
Romani se non molto raramente, e soltanto negli ultimi 
tempi in cui V arte cominciava a deviare dai vecchi modi, 
cedendo a nuove e più libere fogge di decorazione, forse 
meglio convenienti alla trasformazione che T architettura 
andava risentendo ^K Perciò' già la struttura ottagona del 
San Giovanni ne dimostra almeno troppo improbabile 
r origine romana. Di più, le rotonde dell* architettura ro- 
mana non ci offrono mai V esempio di cupola coperta da 
tetto piramidale; le loro callotte emisferiche sono fatte 
sempre a vòlta semplice e scoperta, ed hanno quindi vi- 
sibile la curvatura del loro estradosso ^. 

Inoltre, la mancanza di portico apparisce tanto strana a chi 
conosce le norme costanti dell' architettura classica e rende 
il tempio così disadatto agli usi del culto pagano, che il 
Borghini s'ingegnò di dimostrare che anche questo tempio 
avesse un atrio il quale sporgeva libero a somiglianza dei 
pronai dei templi prostili romani, dove ora è la così detta 
scarsella: così «l'ottava parte ove era l'entrata fu gua- 
sta: perchè tolte via le colonne, scamata la grossezza del 
vestibulo, rimurata la porta e rotto l'architrave piano, fu 
girato quell'arco che vi si vede e vi son rimasi ancora 
i capitelli e parte de' pilastri, che come nell'altre facce 



>) Nardini, op, cit„ pag. 7-8. 
^ Ibid., pag. 8 e 13. 



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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 21 

V* erano, e sono né più né meno rotti, che si veggan quegli 
della cappella di testa del Panteon, e par quasi che e* siano 
apposta rimasi testimonj, che ella avea la medesima forma 
che r altre >'\ 



n Tempio di Marte 
(secondo Vincenzo Borghini) 



E il Richa, non dicendo però donde traesse la notizia : 
< La scarsella, o sia tribuna, si principiò nel 1202, la quale 
cade dove prima era la porta antica ed unica di San Gio- 



>) Borghini, Discorsi, Firenze, 1755. Voi. I, pag. 164. 



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22 



IL SAN GIOVANNI 



vanni, e nel farsi convenne spostarsi in fuori ed occupare 
braccia 3 e mezzo della Piazza, rompendosi ancora parte 
dell'architettura interiore per farvi un arco a porzione di 
circolo, che è una magnifica apertura > ^\ 

Ma le disposizioni murarie su quel lato del Battistero, 
mostrano evidentemente - e rilevò pur questo con V usata 




Sezione orizzontale del San Giovanni al piano delle loggette del I^ Ordine intemo 
Proiezione orizzontale del tetto 

(Proporzione da 1 a 300) 



competenza il Nardini - di essere state, anche nei parti- 
colari più piccoli, preordinate all'esistenza di quell'arco; 
e non è d'altronde ammissibile che in quel lato dell'otta- 
gono si aprisse, a costruzione compiuta, un arco a rottura, 
con pericolo di far rovinare tutto l'edifizio. 



*) RlCHA, Notizie isioriche delle Chiese fiorentine. Firenze, 1757. Voi. V, 
pag. xxxni. 



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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 23 

Se in orìgine la tribuna non fosse esistita, e quindi il 
grande arco fosse stato aperto dopo, all'interno quella 
parte avrebbe avuto anch* essa, al pari di tutte le altre, le 
loggette bifore; e, come accade nella faccia ov'è la porta 
maggiore, le scalette a chiocciola sarebbero state costruite 
nel vivo dei due piloni angolari. Qui invece le scalette 
procedono rettilinee sul dorso dell'arco, dimostrando così 
di essere state subordinate alla costruzione della tribuna; 
fatte cioè con essa e per essa ^K 

Le conclusioni del Nardini furono pienamente confer- 
mate dai saggi condotti proprio sotto l'attuale scarsella, 
i quali hanno messo in luce le fondamenta di un'abside 
primitiva, di forma semicircolare, mutata più tardi in ret- 
tangolare; onde tutto induce ad escludere l'esistenza di 
un atrio antico in luogo dell'attuale tribuna, e a non la- 
sciar dubbio che il Battistero sia in ogni sua parte in aperto 
contrasto con le disposizioni e gli usi dei templi pagani. 
Sulla questione della scarsella torneremo poi. 



Non rimarrebbe allora che supporre - con esempio, del 
resto, non nuovo - fosse il tempio in origine una sala delle 
Terme, di cui lì presso alla Porta Romana è accertata l'esi- 
stenza e furono riconosciute . le tracce negli ultimi scavi. 
Ma anche si sa che quelle Terme non erano di grande im- 
portanza e sontuosità, e che in quelli scavi presso e sotto 



>) Nardini, op, di., pag. 87-88. 



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«4 



IL SAN GIOVANNI 



la scarsella del San Giovanni, uscirono in luce reliquie 
architettoniche di una casa repubblicana fra le più anti- 




Sezione orizzontale del San Giovanni al piano dei lucernari 
(Proporzione da 1 a 300) 

che e singolari di Firenze romana. < Casa signorile - in- 
segna il Milani - di architettura manifestamente più etnisca, 
ossia toscanica, che romana; dall'atrio probabilmente a dis- 



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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 2$ 

phivium, con due stanze simmetriche ai lati del tablinum, 
due aloe e tre cubiculi sui lati maggiori dell'atrio. A que- 
ste stanze davano accesso le porte, di cui sono conser- 
vate le soglie. Sul pavimento a mosaico del tabHnum, 
elegantemente riquadrato a tasselli neri e rossi su fondo 
bianco, nello stile dell'età repubblicana, e su tutta la parte 
póstica della casa, dov^era forse V horlus, sorse nel me- 
dioevo il bel San Giovanni, dopoché la casa signorile era 
stata però ridotta ad abitazione più modesta, per quanto 
decorata di marmi (sec. n); dopoché, nei più bassi tempi 
romani (sec. v), era diventata ricovero dei poveri, un in- 
sieme di stamberghe della più umile specie >'^ Si aggiunga 
a ciò che tra le rovine della costruzione romana si rinven- 
nero alcune monete appartenenti tutte ai più bassi tempi, 
e, tra le meglio riconoscibili, una col nome di Onorio ^K 
Non dunque tempio romano e nemmeno sala termale, 
ma fin dall'origine edifizio per il culto cristiano. 



Ili 



Le prime tracce del cristianesimo in Firenze si hanno 
verso la metà del secolo iii, quando cioè, molti seguaci 
della nuova fede, fra i quali san Miniato e i suoi compagni, 
caddero vittime dei violenti tentativi di Decio per ripri- 



') Mnj^Ni, Museo topografico dell' Etruria, pag. 117-118. 
2) Ibid., pag. 168. 



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26 IL SAN GIOVANNI 



stìnare gli antichi costumi e il culto dei romani. Tuttavia 
il paganesimo aveva sempre salde radici in questa città 
(ove del resto le superstizioni pagane sopravvissero lunga- 
mente) anche dopo che sui primi del secolo iv essa era 
divenuta sede vescovile. 

La vittoria di Stilicone contro Radagasio, in cui si vide un 
segno palese della nuova fede, contribuì grandemente al 
trionfo del cristianesimo ^\ Non si può dire però che a 
questa vittoria, avvenuta, come si credeva, il giorno di 
santa Reparata, si debba riconnettere, secondo l'antichis- 
sima tradizione, l'origine del culto speciale dei fiorentini 
per quella Santa Vergine a cui per riconoscenza essi avreb- 
bero dedicata la chiesa che divenne poi la Cattedrale, per- 
chè la vittoria di Radagasio avvenne il 23 di agosto del 405, 
non rs di ottobre, e la costruzione della chiesa, anche 
se dovuta all'elemento greco - che tanto contribuì alla 
diflfusione del cristianesimo e fu sempre numeroso in Fi- 
renze, - si deve riferire ad età molto più tarda ^\ 



La più antica chiesa, di cui rimanga ricordo in testi- 
monianze coeve e sicure, è la celebre basilica di San Lo- 



*) Cfr. Davidsohn, GeschichU von Florenz, Berlino, 1896. Voi. I, 
pag. 32, 3^- 

2) Ristori, Della venuta e del soggiorno di San^ Ambrogio in Firenu, 
Estratto Az}\' Archivio Storico Italiano, Dispensa IV del 1905, pag. 37. - 
Davidsohn, op, e loc, cit. - Cocchi, Le Chiese di Firenze dal secolo iv ai 
secolo XX. Voi. I, Quartiere di San Giovanni, 



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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 27 

renzoy dovuta alla liberalità di una pia matrona, e con- 
sacrata nel 393 da sant'Ambrogio. Una tradizione - che 
non ha alcun fondamento storico - vuole che il corpo del 
vescovo san Zanobi, seppellito in San Lorenzo, venisse 
trasportato da questa chiesa alla Cattedrale dedicata a 
San Salvatore ; e perchè il Villani aveva creduto che fosse 
€ rimosso il nome alla grande chiesa di Santo Salvatore 
in Santa Reparata e rifatto Santo Salvatore in Vescovado 
com' è ai nostri dì > *^ il Nardini sostenne che il nome di 
San Salvatore fu rimosso dal San Giovanni, e che perciò 
sino dalla origine V attuale Battistero venisse costruito per 
Cattedrale ^K E a raggiungere la dimostrazione, citò questi 
documenti : 

1 . Un codice manoscritto del secolo xiii esistente nel- 
r archivio dell'Opera di Santa Maria del Fiore, col titolo 
Mores et consuetudines Canoiiice fiorentine, nel quale si legge: 
Pro festo Sci. Salvatoris pulsamus tribus vicibus Hij campanas, 
quia olim fuit caput istius Ecclesie. 

2. La colonna di San Zanobi, in faccia alla porta 
settentrionale del San Giovanni, la quale perchè eretta là 
dove sorgeva l'olmo che rinverdì all'urto del feretro del 
Santo Vescovo è riprova che la chiesa di San Salvatore 
sorgesse dove è il San Giovanni. 

3. Infine, l'antico messale già nella Cattedrale, poi 
nella Barberiniana di Roma, in cui è scritto un Oremus 
da recitare sulla porta di San Giovanni, il quale incomin- 



*> Vn-LANi, Cranica, Lib. I, cap. LXI. 
^) Nardini, op, ciL, pag. 67 e seg. 



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28 IL SAK GIOVANNI 



eia : Propinare qiMcsumus, Domine, nobis famulis tuis, per 
hujus Sci. Zenobii Con/essoris tui atque Pontifids qui in pre- 
senti REQUiESCiT ECCLESIA, merita gloriosa, ecc. *^ 

Questi tre documenti, che dovrebbero provare l'esi- 
stenza di una cattedrale fiorentina consacrata a San Sal- 
vatore, all'esame della critica si dimostrano privi di ogni 
importanza. Il passo citato per il suono delle campane, in 
occasione della festa di San Salvatore, è nel codice Riccar- 
diano, da cui deriva quello del Duomo, di altro carattere e di 
epoca un poco più tarda. Quanto alla colonna di San Zanobi 
ben rilevò il Davidsohn, che Lorenzo Amalfitano, raccon- 
tando il miracolo dell'olmo rinverdito non accenna affatto 
al monumento che ne perpetua la memoria; ond'è neces- 
sario concludere, che prima del 1040 circa essa non doveva 
esistere, e che fu eretta dopo la traslazione del corpo di 
san Zanobi da San Lorenzo a Santa Reparata, traslazione 
avvenuta piuttosto tardi K L' Oremus, infine, non doveva 
per nulla essere cantato sulla porta di San Giovanni ; anzi 
il Sacramentario Barberiniano dice che quivi, cantatosi il 
Vangelo di san Giovanni, il cantore intonava il Te Deum: 
solo alla fine di esso e dopo il versetto : Ora prò nobis 
iS. Zanobi, intonava il Sacerdote il ricordato Oremus. < Io 
credo - prosegue il Ristori - perchè così portano le con- 
suetudini liturgiche, che intuonato il Te Deum nel par- 
tirsi di San Giovanni si andasse cantando fino all'altare di 
Santa Reparata, e quivi il Sacerdote recitasse la ricordata 



*) Nardini, op, cti., pag. 78, nota i, e Ristori, ap. cit., pag. 23. 
2) Davidsohn, Geschkhte von Fiorerà, pag. 145. 



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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 29 

orazione; come ancora suol farsi quando col canto del 
Te Deum ritornano le processioni **. 



. Che il San Salvatore, dunque, fosse la prima cattedrale 
fiorentina, alla quale dopo la costruzione della Santa Repa- 
rata sarebbe stato mutato il titolo, è favola che non merita 
r onore di ulteriori confutazioni; che il corpo di san Za- 
nobi da San Lorenzo, ov* ebbe sepoltura, venisse tra- 
sportato in San Giovanni prima che a Santa Reparata, è 
smentito da Lorenzo Amalfitano, il quale dice così : corpus 
autem sacratissimum ipso die, quo de/unctus est, octavo scilicet 
kalendas lunii, reconditum est in arca marmorea et positum 
est in Ecclesia S. Laurentii iuxta altare. Quod cum fuisset 
aliquod annorum cunicuUs elapsis, ob infestationem qtwrundam 
gentium translatum est in S. Reparalae basilicam ecc. ^. 

La chiesa di Santa Reparata è, del resto, meno antica 
di quanto comunemente si credette: data la dubbia auten- 
ticità della carta del Vescovo Specioso dell'anno 724, non 
ne abbiamo testimonianze anteriori al 987 ; onde sarebbe 
imprudente far risalire l'origine di quel tempio al di là del 
secolo nòno. 

Se quindi il San Lorenzo consacrato verso la fine del 
IV secolo era la chiesa maggiore di Firenze, è possibile 
ammettere che contemporaneamente e per uso di Catte- 



>) Ristori, op, cit., pag. 22. 
2) Ihid,, pag. 19-20. 



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30 IL SAN GIOVANNI 



drale si costruisse un tempio del tipo, della forma e del 
carattere del San Giovanni? Quale solenne avvenimento - 
di cui sarebbe strano non fosse giunto sino a noi pur un 
ricordo - può giustificare queir eccezione che effettiva- 
mente rappresenta il Battistero fra le costruzioni di quel 
periodo? Quale fatto autorizza a supporre che i cristiani 
a Firenze, allora, come si sa, non molto numerosi né potenti, 
dessero mano a un edifizio di tanto splendore, per poi ridursi, 
nonostante il crescere progressivo di essi e della città, a 
costruire la Santa Reparata di forma tanto più modesta? 



Sant'Ambrogio, chiamato a Firenze per consacrare la 
basilica di San Lorenzo, non solo non ricorda la chiesa 
di San Salvatore, ma non parla nemmeno del San Gio- 
vanni, Ora, sembra veramente poco probabile che se già 
Fattuale Battistero era stato destinato al culto cristiano, 
anzi, già costruito per uso di Cattedrale, il Santo, non solo 
non ne tenesse parola, ma non celebrasse qualche sacra 
funzione in un tempio così cospicuo e recente. Se poi si 
stava allora costruendo, è anche più strano che egli non 
accennasse in qualche modo alla nuova chiesa, che doveva 
appunto, per la sua imponenza, apparire al Santo Vescovo 
la più bella consacrazione della nuova fede trionfante in 
Firenze. Onde, se ha ragione il Nardini neir affermare che 
molti edifizi < si dovrebbero cancellare dal novero degli 
esistenti o degli esistiti perchè tacquero di essi coloro che 
potevano averli veduti > , ha torto di sostenere che < nel 



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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 31 

nome diverso portato allora dal San Giovanni potrebbe 
aversi una spiegazione di questo silenzio di sant'Ambro- 
gio > ^\ dacché^ come abbiamo rilevato, non solo i più 
reputati scrittori escludono che esistesse una chiesa sotto 
il titolo di San Salvatore, ma concordano altresì neir im- 
possibilità di farne tutt'una con l'attuale Battistero. 

Il Nardini vorrebbe che sin dair origine < la chiesa di 
Santa Reparata fosse la pieve battesimale del Duomo di 
San Giovanni » , e suppone, quindi, che col progresso dei 
tempi le parti venissero invertite : il San Giovanni si ri- 
ducesse a pieve battesimale e la Santa Reparata diven- 
tasse Duomo € forse anche perchè la sua struttura ba- 
silicale si prestava meglio agli usi di cattedrale, come 
nel San Giovanni la forma ottagona si affaceva meglio 
agli usi di battistero > ^\ Ma perchè imaginare un fatto 
così strano, quando è noto che sino dal quinto secolo in 
Occidente le costruzioni poligonali erano prescelte e de- 
stinate più specialmente ad uso di Battistero? 



IV 



Non per Battistero peraltro sarebbe stato costruito in 
origine il San Giovanni, ma per Cattedrale, E THabsch 
a conferma della supposizione, ricorda la chiesa che 



*) Nardini, op, et/., pag. 79. 
2) lòid,, pag. 80. 



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52 IL SAN GIOVANNI 



San Gregorio Nazianzeno fece costruire a Neocesarea: 
€ Il dit formellement qu'elle formait un octogone, et elle 
avait beaucoup d'analogie avec le monument qui nous 
occupe > ^\ 

La chiesa che avrebbe avuto tanta analogia col nostro 
Battistero non esiste più; e Io stesso Htibsch ne deve 
ricavare una ricostruzione grafica dalla descrizione riferita 
dal figlio di san Gregorio, dalla quale, veramente, si ap- 
prende soltanto che quello era un tempio stupendo, co- 
struito su pianta ottagona regolare, con gallerie e con 
portici, con la cupola, a quanto pare, aperta in alto come 
quella del Pantheon, e adorna di decorazioni in plastica 
imitanti perfettamente la natura; fabbricata con pietre da 
taglio meravigliosamente messe in opera.... ^\ Ma è pos- 
sibile, ossia, è accettabile una ricostruzione, sia pure del- 
l' Hflbsch, su questi semplici e generici dati? 

È vero, altresì, che il più recente illustratore del San Gio- 
vanni afferma l'esistenza di esempi chiarissimi t i quali 
ci provano come la forma ottagona non fosse aliena dagli 
edifizi primordiali del cristianesimo », e di questi esempi, 
per limitarsi all'Italia, ricorda il San Lorenzo di Milano 
e il San Vitale di Ravenna. Ma circa il San Lorenzo lo 
stesso scrittore rimane incerto se spetti agli ultimi tempi 
romani o ai primitivi cristiani ^^; anzi, propende per la prima 



*) HÙBSCH, Op, et/., col. 39. 

2) lòt'd., col. 40. 

3) « .... se fosse provato veramente che il San Lorenzo Maggiore di 
Milano in origine fosse la gran sala delle Terme Massimiano convertita 
poi all'uso cristiano; ma v'è chi crede ch'esso fosse un edifizio cristiano 



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E I^' ARCHITETTURA ROMANICA 33 

ipotesi, notando che la sua orìgine pagana avrebbe con- 
ferma anche dalla forma a costruzione centrale, diversa 
assai da quella adottata generalmente nelle basiliche cri- 
stiane *\ Quanto al San Vitale, non solo la tradizione e il 
sentimento romano scompaiono quasi del tutto per dar 
luogo a forme d'arte bizantina, ma esso rimane esempio 
rarissimo di chiesa puramente ottagona ; e - come avvertì 
il Rivoira - nelle chiese coeve bizantine che ancora riman- 
gono in piedi, l'ottagono portante la cupola è associato 
con un recinto quadrato '\ 

È noto che alle chiese primitive a pianta circolare non 
mancavano mai l'atrio e l'abside; pur tuttavia giova ri- 
cordare che lo spirito felicemente logico dell'Occidente 
non accolse un tipo di costruzione che ripugnava al sen- 
timento tradizionale, e che, non rispondendo alle esigenze 
del culto cristiano, non fu punto adottato, come si af- 
ferma, nei primi secoli del cristianesimo. Nel San Gio- 
vanni in Laterano, l'organismo ottagono trovò un'appli- 
cazione per uso di Battistero, essendo tal pianta consigliata 
dalla forma del fonte nel quale si battezzava ; nel Mausoleo 
di Santa Costanza si ripeteva una forma tradizionale pa- 
gana per i sepolcri dei più notevoli cittadini. Ben può dirsi. 



fin dalla nascita» (Nardini, op, ctt., pag. 13, nota 2). E altrove: « Monu- 
mento cospicuo e d'importanza altissima che non si è giunti ancora a 
decidere se veramente sia opera romana o del periodo cristiano primitivo. 
Hùbsch l'attribuisce al Cristianesimo; io però sarei tentato a sospettarlo 
degli ultimi tempi pagani» {iòid,, pag. 11 3-1 15). 

Nardini, op, cit„ pag. 115. 

2) RrvoiRA, Le origini dell'Architettura Lombarda e delle site principali 
derivcadoni nei paesi d'Oltr'Aipe, Roma, 1901. Voi. I, pag. 71. 



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34 IL SAN GIOVANNI 



insomma, che gli edifici circolari o poligonali, quando non 
siano riduzioni delP antico, sorgessero soltanto fra noi sotto 
r influsso deir architettura bizantina, 

Non considerando però la struttura esteriore, ossia la 
forma ottagona comune anche ai Battisteri del periodo 
longobardo, non sono forse gli elementi architettonici ond* è 
costituito il monumento nostro, in aperto contrasto con i 
caratteri dell' arte bizantina e lombarda ? 



¥ 



Se si ammette con THabsch e col Nardini, che il San Gio- 
vanni sia stato costruito sin dall' origine per Cattedrale, 
quasi contemporaneamente al San Vitale di Ravenna, vien 
fatto di supporre, che, come nel San Vitale, le gallerie del 
tempio fiorentino dovessero essere riservate alle donne. 
Ma mentre si spiega benissimo che a questo scopo fossero 
destinati gli ambulatori della chiesa ravennate, così ampi e 
spaziosi, ai quali si accede per mezzo di comode scale, non 
s'intende davvero come avrebbero potuto. le donne fioren- 
tine,, desiderose di assistere alle sacre funzioni, passare per 
le anguste scalette a chiocciola girate nei due piloni d* an- 
golo e trattenersi negli anditi affatto disadatti del supposto 
matronèo, incomodo evidentemente a qualsiasi uso pubblico. 

È dunque la struttura esterna ed interna del San Gio- 
vanni, che impedisce di crederlo edificato per Cattedrale; 
di crederlo poi costruzione romana, sia pure della deca- 
denza, impediscono la pianta ottagona, la cupola a sesto 
acuto e il carattere della sua decorazione. 



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Tav. Ili 



Una faccia interna del San Giovanni 



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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 35 

Era frequente Tuso nei primi secoli del cristianesimo di 
adoperare per le nuove costruzioni materiali tolti da mo- 
numenti pagani, ma come avvertì lo stesso Borghini < non 
sono così uniti, né così uniformi gli edifizi fatti di spoglie 
e di rovine d'altre fabbriche » '^; e la basilica di San Lo- 
renzo fuori le mura e il Santo Stefano Rotondo di Roma 
e tante altre chiese fatte veramente di pezzi antichi sono 
lì a provarlo. Invece, nell* interno di San Miniato, dove 
mancavano i capitelli antichi se ne scolpirono di nuovi, 
e in alcuni di questi, le parti decorative sono sommaria- 
mente indicate, col proposito, poi non adempiuto, di finirle 
sul posto; mentre in San Giovanni ai frammenti architet- 
tonici presi a prestito da antichi edifizi si vedono armo- 
niosamente corrispondere i nuovi, onde è chiaro che agli 
avanzi numerosi di materiale romano e a un progredito 
spirito imitativo si debba T adozione, per parte dei costrut- 
tori locali, di queste forme decorative. 

Tutto il sistema statico e ornamentale del Battistero fio- 
rentino è troppo intenzionalmente derivato da determinati 
modelli sicché risponda alla più ingenua maniera del pe- 
riodo primitivo cristiano ; mostra troppo visibile lo studio 
degli antichi motivi, il ritorno al sentimento classico; un 
indirizzo che deriva dallo stesso spirito onde si animò il Ri- 
nascimento, e che caratterizza l'architettura fiorentina e 
nel primo e nel secondo periodo storico, neirxi e nel 
XV secolo ^\ 



>) Borghini, Discorsi, Voi. I, pag. 144. 

^ Cfr. KuGLER, GescMchte der Baukunst, Stuttgart, 1892. Voi. II, pag. 61. 



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36 IL SAN GIOVANNI 



Non certo nel periodo cui vorrebbero risalire THubsch 
e il Nardini, può credersi gli artisti rievocassero così 
felicemente gli antichi esemplari» dando prova, insieme» 
di una sapienza costruttiva, che, per raggiungere, biso- 
gnavano ancora ben altri progressi della tecnica. 



Fino dai primi secoli del cristianesimo una delle più 
grandi preoccupazioni degli architetti fu la costruzione 
delle vòlte. I Romani, che ebbero nella cupola il più ca- 
ratteristico elemento della loro architettura, erano arrivati 
prontamente dalla vòlta a botte alla cupola piantata sopra 
un muro circolare, tentando anche il raccordo per mezzo 
di pennacchi fra la pianta poligonale e quadrata e la cu- 
pola sferica. I Bizantini, invece, traendo partito dagli in- 
segnamenti del passato, poggeranno la cupola su quattro 
punti di appoggio collocati agli angoli del quadrato cir- 
coscritto, uniti insieme con grandi archi, sui quali imposte- 
ranno i pennacchi, e daranno ad essa - come a Santa Sofia — 
ardimenti sino allora sconosciuti. Passo notevole questo, 
che segna veramente una netta linea di confine tra T ar- 
chitettura romana e quella del medioevo. 



Il sistema di copertura ha indubbiamente nello stile e 
nel carattere di un monumento un'importanza ben mag- 
giore che non abbiano le parti secondarie e decorative. A 



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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 37 

torto, quindi V Hùbsch, le cui teorie furono seguite e fatte 
proprie dal Nardini, affermò che tutte le chiese così del- 
l' Oriente come dell* Occidente, nonostante la loro varietà 
icnografica, non presentano che un solo stile, e che le 
distinzioni che si fanno tra lo stile delle basiliche e quello 
bizantino non hanno alcun fondamento ^\ 

Ma se un che di comune (derivato dalle relazioni con 
l'arte classica preesistente), si riscontra in tutte le co- 
struzioni accanto ad alcuni caratteri proprt, che ciascuna 
regione rivela intorno a queste forme più generali, d'altra 
parte per comprendere sotto un medesimo stile tutti i 
monumenti religiosi da Costantino a Carlo Magno, biso- 
gnerebbe, come notò il Dartein, non tener conto delle 
varietà icnografiche e del sistema di copertura, ossia del- 
l' elemento principale e direttivo delle diverse combinazioni 
architettoniche ^^ 



Il sistema costruttivo del San Giovanni, secondo il Nar- 
dini, sta a dimostrare una rivoluzione nella statica archi- 
tettonica dei Romani ; la quale fondando3Ì sulle resistenze 
passive che si esercitano in modo uniforme per tutto l' àm- 
bito dell' edifizio mercè lo sviluppo delle sue massicce e 
poderose muraglie, resulta perciò essenzialmente opposta 



*) HtJBSCH, op, cit., col. XIV: « Les deux grandes régions architcc- 
toniques, rOccident et TOrient, n'ont qu'un seul style, et la distinction 
du style des basiliques et de l' ancien style byzantin n'est aucunement 
fonde ». Cfr. Naiidini, op. cit., pag. 175. 

^ Dartein, Éhide sur VArchiteciure Lombarde, pag. 519. 



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38 IL SAN GIOVANNI 



a quello del nostro tempio, che intende precipuamente 
y alla leggerenza della costruzione, e la consegue per mezzo 
delle resistenze attive e dalle controspinte verticali *\ 
« Era naturale dunque - prosegue lo stesso scrittore - che 
i primi architetti cristiani, sfruttando pur sempre e per- 
fezionando i principj e la tecnica della scuola romana, 
escogitassero un sistema statico che li abilitasse a tirar 
su delle moli gigantesche senza quell'enorme spreco di 
materiali, che pur sarebbe occorso seguitando il costume 
degli architetti della scuola pagana. Di qui pertanto l'ori- 
gine di quel sistema statico mirabilissimo, in virtù del quale 
le colonne sostengono e le muraglie rinfiancano; di qui 
la sostituzione accorta delle resistenze di posizione alle 
resistenze di quantità; di qui, finalmente, T obbiettivo rag- 
giunto della leggerezza grandissima e dell'economia nelle 
costruzioni » ^\ 

Se però nella edificazione di ampie sale a vòlta si 
credette dapprima necessario di dare ai muri uno spes- 
sore considerevole per renderli meglio capaci non solo di 
sopportare un peso perpendicolare, ma di resistere a una 
forte spinta laterale, in seguito si cercò di rendere sempre 
più leggera ed economica la costruzione, e mentre il muro 
venne alleggerito addossandovi le colonne, che concorrono 
anch' esse al sostegno e si veggono usate per sorreggere 
effettivamente archi e vòlte, la cupola si sgravò egualmente 
con la suddivisione della massa nell' ossatura resistente e 



*) Nardini, op, cit., pag. ii. 
2) Ibid,, pag. 17-18. 



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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 39 

nel riempimento; adottando costole diagonali nelle cro- 
ciere; forando il tamburo con finestre o nicchie sormon- 
tate da robusti archi di scarico *\ 

Non diremo, quindi, che il San Giovanni offra il primo 
esempio di colonne concorrenti direttamente al sostegno 
della vòlta, e nemmeno che il sistema statico dell'archi- 
tettura romana si appoggi esclusivamente sul principio 
delle resistenze passive conseguite con V inerzia delle po- 
derose masse murali ^\ perchè agli architetti romani del- 
l' ultimo periodo si devono quegli artifizi che tanto con- 
tribuirono ad agevolare il compito dei successori, e che 
rappresentano indubbiamente T emancipazione dalle pra- 
tiche antiche e il trapasso a un sistema di statica nuova: 
ad essi, cui non fu punto ignoto il magistero dell'equi- 
librio, che permette di impostare, senza pericolo, ardite 
costruzioni sopra strutture relativamente poco poderose. 
Tutto il sistema usato nel medioevo per la ripartizione 
delle spinte è in germe nelle loro costruzioni : basterà far 
aggettare dalle mura, entro, cui sono nascosti, i sottarchi 
e i costoloni; basterà costruire in pietra questi elementi 
divenuti aggettanti e indipendenti ; basterà dare maggiore 
sviluppo ai contrafforti perchè dalle costruzioni romane 
germogli il principio della struttura gotica ^\ , 



') GiOVANNONi, Za Sàia UrmaU delia Villa Liciniana e le cupole romane. 
Estratto dagli Annali della Società degli Ingegneri e Architetii Italiani, fase. 3, 
anno 1904, pag. 35. 

2) Nardini, op. cit,, pag. 15. 

3) Choisy, L'art de hàHr chez les Romains, Paris, 1873 ; e Histoire de 
VArchitecture, Paris, 1899; cfr. De Vogùe, Syrie Centrale, Architecture civile 
et religieuse du i^ au VJi^ siècle, Paris, 1865-77. 



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40 EL SAN GIOVANNI 



Le nuove forme architettoniche, come le nuove conquiste 
statiche, non apparvero improvvisamente col trionfo del 
cristianesimo, ma furono il resultato di una lenta evoluzione 
per la quale s' incominciò a rendere le vòlte meno pesanti e 
più ampie, sia assottigliandole, sia impiegando materiali più 
leggeri, sia, finalmente, costruendole con anfore vuote. Nella 
tomba di Sant' Elena (f 328), madre di Costantino (co- 
struzione più nota sotto il nome di Tor Pignattara), la 
cupola è composta di anfore vuote disposte a spirale e a 
cerchio ; con laterizi vuoti è formata quella del Battistero 
di San Giovanni in Laterano (461-468); infine, nel Mausoleo 
di Santa Costanza, la cupola, che si parte da un tamburo 
centrale elevato su colonne binate, disposte nel senso dello 
spessore del muro, riceve la controspinta dalla vòlta anu- 
lare a botte deir ambulatorio ^\ 

Così si arriva ai monumenti di Ravenna, la cui struttura 
segfna un perfezionamento sulle costruzioni precedenti. Nel 
Battistero di Neone (449-458) la cupola emisferica era stata 
costruita interamente con file sovrapposte di tubi in- 
seriti gli uni negli altri; nel San Vitale (526), il raccordo 
della cupola con la struttura ottagona dell' edifizio è otte- 
nuto, anziché con pennacchi sferici, per mezzo di nicchie; 
e la cupola trova una parte della sua stabilità nella 
soprelevazione dei muri che le servono di sostegno, a 



*) GiovANNONi, op. ci/,, pag. 35, e Rivoira, op, «/., pag. 36 e seg. 



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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 41 

differenza delle cupole bizantine dello stesso periodo, nelle 
quali la stabilità è raggiunta per mezzo di contrafforti 
esterni ai muri del tamburo, oppure disposti sul perimetro 
esterno della cupola ^K Sono, pertanto, questi gli edifizi 
che offriranno elementi preziosi alle nuove e più ardite 
conquiste della statica; che trasmetteranno ad un periodo 
più felice per Parte la pratica delle costruzioni a vòlta. 

Come allora non esitare ad ammettere che la sa- 
piente struttura della cupola del Battistero fiorentino 
preceda quei monumenti in cui gli architetti si erano 
studiati di dare alle vòlte maggiore sviluppo, non già 
con la risoluzione dei problemi statici, che a quelle strut- 
tura si connettevano, ma con Tuso di materiale più leg- 
giero? 

Non si risolve, d* altronde, la questione con l'affermare 
che gli architetti fiorentini, ricercando nuovi artifizi e non 
potendoli più trovare nel campo della pratica, si volges- 
sero alla speculazione e li chiedessero alla scienza. E dalla 
scienza - è sempre il Nardini che scrive - essi ricavarono 
che quanto meno la curva di una vòlta si dilunga dalla 
verticale, tanto minore viene ad essere la spinta che essa 
esercita sui punti di appoggio e di sviluppo. Eccoci al- 
lora direttamente alla descrizione delle vòlte a mezzo del 
sesto acuto ^^ E a mostrare che l'antichità non manca 
di esempi di questo tipo di costruzioni, lo stesso scrittore 
ricorda la vòlta interna del sepolcro dei Plauzi a Roma, 



1) Cfr. RrvoiRA, op. cit», pag. 34-79. 

2) Nardini, op» ctt,, pag. 122. 



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IL SAN GIOVANNI 



o il solito San Lorenzo di Milano. Se non che il primo 
fu ridotto a fortezza nei bassi tempi e restaurato tutto 
da Paolo II; il secondo, da sala termale ridotto a chiesa, 
nel 107 1 venne distrutto dal fuoco e riedificato; nel 1104, 
rovinò in parte e fii ricostruito; nel 11 24 fu danneggiato 
da un secondo incendio. Riparato allora più solidamente, 
così restò sino al 1573 in cui cadde gran parte della vòlta. 
E fu probabilmente nel 11 24 che la cupola dalla forma 
circolare passò a quella ottagonale con pennacchi gradi- 
nati a risalti, pur sviluppandosi sempre sopra la originaria 
pianta quadrata ^K 



¥ 



L'arco acuto non costituisce per sé stesso il carattere 
fondamentale del sistema organico che pur da quell'arco 
si denomina talvolta ; ma, anche ammesso che il sesto acuto 
della cupola del San Giovanni non sia una velleità estetica 
bensì un' esigenza statica, e perciò < tenga alla sostanza più 
che alla forma > ^\ pure non si deve dimenticare che in ar- 
chitettura lo sviluppo delle forme è strettamente legato a 
quello della costruzione. Come dunque la struttura del Bat- 
tistero fiorentino non ci permetterebbe, nonostante il sesto 
acuto della sua cupola, di riportare il monumento al periodo 
gotico, perchè di questo stile mancano troppi altri elementi 
essenziali, così non sapremmo davvero come conciliarla con 



*) Dartein, op. cu., parte II, pag. 4-5. 
^) Nardini, op, cu,, pag. 121. 



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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 43 

gli esempì che ci rimangono di costruzioni del periodo pri- 
mitivo cristiano. Ma abbiamo, invece, molte chiese del pe- 
riodo romanico, anche in Toscana, ove Tuso dell'arco acuto 
è frequente; abbiamo il Duomo di Pisa con Tarco acuto in* 
tutti i valichi delle navi intermedie, e altresì nella cupola ; 
onde fra noi si avverte il singolare fenomeno che, nel pe- 
riodo' romanico, le chiese hanno di sovente V arco acuto, 
mentre invece nel periodo gotico non mancano esempi di 
costruzioni con Tarco a tutto sesto. 

Meglio si appose lo stesso Nardini '^ allorché, non sviato 
da nessun preconcetto, scriveva a proposito della cupola 
del Duomo di Firenze : « Fino da quando il cristianesimo, 
esercitando apertamente il suo culto, abbandonava il co- 
stume delle robuste vòlte pagane, che più non s'attagliavano 
alla leggerezza dei sostegni adottati dalla nuova architet- 
tura, le cupole, ridotte anch' esse più leggiere e nella spes- 
sezza e nei 'materiali ond' erano fatte, e non potendo perciò 
mostrar più allo scoperto, come prima, il loro estradosso, 
si cominciò a sentire il bisogno di ripararle dalla incle- 
menza delle stagioni. Di qui la pratica di sormontarle e 
difenderle con un tetto piramidale, pratica che, iniziata nei 
primi secoli del cristianesimo, divenne poi universale a 
tutte le cupole delle chiese lombarde, non solo nel me- 
dio evo, sì anche ai tempi del Risorgimento, Questo si- 
stema a doppia copertura non si può davvero chiamare 
un sistema di cupole doppie; si può credere però che 



') Filippo di Ser Brunelksco e la cupola del Duomo di Firtnze, Livorno, 
Meucci, 1885, pag. 56. 



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44 IL SAN GIOVANNI 



potesse esserne il germe : imperocché in architettura, come 
in tutte le cose umane, le idee ed i fatti non nascono gi- 
ganti, ma si manifestano prima in germe, e sviluppando 
poi per gradi diventano perfetti >. 

Non è strano che cosi savie considerazioni vengano di- 
menticate dal valente architetto a segno da fargli se- 
guire e sostenere la vecchia tradizione intomo all'età del- 
l' edifizio fiorentino? 

Una costruzione così sapiente come quella del San Gio- 
vanni, che rappresenta un progresso sulle antiche costru- 
zioni pagane e sulle stesse costruzioni primitive cristiane, 
le quali, se avevano il vanto, come nota THabsch, di 
una grande leggerezza, non raggiungevano (trattandosi 
specialmente di costruzioni a vòlta) quella del nostro Bat- 
tistero, non può riferirsi né al quarto, né al quinto se- 
colo. La struttura della cupola, poi, con i piloni e i con- 
trafforti che seguitando su in alto costituiscono altrettanti 
sproni a rinforzo e a controspinta della medesima, e al- 
tresì a sostegno del tetto piramidale che la ricopre (of- 
frendo in qualche modo un primo modello di cupola 
doppia), sempre più dovrebbe persuadere dell'impossi- 
bilità che questo monumento sia anteriore o contempora- 
neo a quelle chiese in cui il tetto non ha rapporto alcuno 
con l'organismo architettonico. 

È vero bensì che l'ispezione accurata del monumento per- 
mette di dubitare che la cupola del San Giovanni avesse 
sin dall'origine la copertura nella forma presente: ma in 
tutti i casi il mutamento - come vedremo - é di poco 
posteriore alla costruzione stessa. 



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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 45 

Nei lati interni degli sproni che oggi s'innalzano fino 
al tetto, a metri 3.25 dal piano dell'ambulatorio sovra- 



Proiezione orizsontale degli sproni che controspingono la cupola e reggono 
il tetto. " Sezione orizzontale del tetto e della cupola al piano della cor- 
nice finale estema. 

(Proporzione da 1 a 300) 

Stante le gallerie, un filare di pietra, alto cent. 9 Ya» ag- 
getta per cent. 6 72 ; e la soprelevazione del muro este- 



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46 IL SAN GIOVANNI 



riore poggia parzialmente in falso, partendosi, cioè, da una 
specie di toro che sporge dal muro stesso per cent, io '/j. 
Questi dati di fatto ci inducono ad ammettere che in 
origine lo spazio perimetrale occupato dalla grossezza 
dei muri e dalle gallerie fosse coperto da un tetto a 
spiovenza regolare, e che dal limite superiore di questo 
s* innalzassero gli spicchi della cupola coperta sempli- 
cemente di laterizi. Ma essendo apparse agli angoli di 
essa larghe fenditure, che si vedono tuttora, a meglio 
assicurarne la stabilità, si accrebbe il carico contro la 
spinta; s'innalzarono gli sproni addossandoli alla cupola 
stessa: quindi il bisogno di mascherare i nuovi rinforzi 
con Tattico ^K 

E certo, pertanto, che questa forma esteriore di rive- 
stimento della cupola a sesto acuto più che mai induce 
ad escludere non solo l'origine romana ma pur quella 
primitiva cristiana del San Giovanni, la cui agile e sa- 
piente struttura non può nemmeno riferirsi al periodo 
longobardo, nel quale la timidezza dei costruttori si pa- 
lesava con mura più spesse, con intervalli più ristretti, 
con luci meno ampie. 



*) Nella Relazione deir architetto Del Moro, pubblicata dal Nardini 
{op, cit., pag. 127, nota i), si dice che la vòlta « si parte di sopra alla 
cornice del secondo ordine architettonico con una grossezza quasi co- 
stante di metri 1.15, ed è costruita con lastre di pietra forte diligente- 
mente murate ». Ora è bene avvertire che lo spessore della cupola è di 
circa metri 1.15 all'impostatura, ma va leggermente diminuendo sino a 
raggiungere i 60 cent. ; che essa è costituita con bozzette di pietra forte 
sino air altezza di 8 metri, poi con grossi mattoni rettangolari, che misu- 
rano cent. 30X45 e dello spessore di circa 7 cent. 



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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 47 



Né basta, d'altronde, affermare che neirxi e nel xii se- 
colo i costruttori, incapaci di erigere grandi vòlte, erano 
perciò obbligati a coprire a cavalietti le navate maggiori 
delle loro chiese, o ricordare che se essi costruivano delle 
cupole non erano mai arrivati alla grandiosità di questa 
fiorentina *\ Prima sarebbe da vedere se la mancanza 
di vòlte nella navata maggiore non derivasse, piuttosto 
che da incapacità, da forzata parsimonia o anche dal de- 
siderio di mantenere alle basiliche il tipo e il carattere 
primitivo. Certo, le vòlte, sia a crociera, sia a botte avreb- 
bero avuto bisogno di più solidi e robusti sostegni; di 
mura più spesse e più compatte. Sarebbe allora stato ne- 
cessario sacrificare il carattere stesso dell' edifizio, cioè 
l'altezza delle navate, lo slancio dei pilastri e delle co- 
lonne, con danno evidente della luminosità di tutta la co- 
struzione; e questo non potevano volere quei costruttori 
i quali mostrarono II proposito di rendere più agili, più 
leggeri, più aperti i nuovi monumenti. Maggiore difficoltà 
poi doveva presentare indubbiamente la costruzione di una 
cupola nella crociera di una cattedrale; mentre nel San Gio- 
vanni, invece, non solo la limitata altezza rese più agevole 
il lavoro, ma la forma stessa ottagonale presentò minore 
difficoltà di quella sul rettangolo, e la struttura a sesto 



*) Reymond, La sculpture fiorentine, Firenze, Alinari, 1898. Voi. II, 
pag. 80. 



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48 IL SAN GIOVANNI 



acuto ne facilitò la costruzione per modo da far supporre, 
con ragione, allo stesso Nardini, che venisse innalzata senza 
armatura. 

A tutto ciò si aggiunga la convenienza, per le cupole 
ottagone, di un* apertura in alto, e V opportunità di chiu- 
dere quell'apertura con una lanterna; onde la notizia data 
\/ dal Villani, che nel 1150 < si fece fare il capannucdo 
levato in colonne e la mela e la croce d'oro al dì so- 
pra > , ossia che alla primitiva chiusura fu data allora più 
nobiltà di finimento. Il Nardini, mettendo in rapporto la 
lanterna col marmo solstiziale del pavimento, propende 
a crederne autore Strozzo Strozzi (f 1052), e riscontra 
nell'epigrafe che gira attorno allo zodiaco i caratteri del 
secolo XI, mentre questa figurazione a intarsio del Batti- 
stero è contemporanea a quella del San Miniato (1207). 
E se anche la cupola, com' è più probabile, fu chiusa molto 
prima, queir ornamentazione < levata in colonne > deve 
indicare 1* ultimo finimento della rinnovata copertura, con- 
fermando così che non solo i lavori costruttivi ma pur 
quelli decorativi dovevano avviarsi al loro definitivo com- 
pimento. 



VI 



Dei vecchi monumenti (notò il Boito) rimangono per 
solito notizie o tradizioni o documenti sicuri per gli anni 
in cui vennero prodotti; mancano, invece, quasi sempre 



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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 49 

quelli particolareggiati delle rinnovazioni e delle trasfor- 
mazioni compiute nei secoli posteriori e per le quali spes- 
sissimo Tedificio cambiava forma in ogni sua parte, si trasfi- 
gurava nella pianta, negli akati, nello stile, tanto da non 
ricordare in nulla T edificio che lo precedeva e da non 
serbare con esso altra analogia se non quella del nome 
e del sito ^K Per il Battistero i documenti tacciono puf 
troppo e sulla fondazione e sulle trasformazioni succes* 
sive. Le antiche carte non ci hanno conservato che que- 
sti ricordi : neir 899 la chiesa di San Giovanni aveva per 
contitolare *an Miniato \ nel 909 era detta mira flùrtn^ 
Hnam civitatem^^\ nel 1059 venne di nuovo consacrata dal 
pontefice Niccolò II *^ Succedette al San Lorenzo nella 
dignità di Cattedrale, e così restò sin verso la metà del 
secolo XI ; dopo il qual tempo se la troviamo talvolta men- 
zionata come la maggior chiesa e associata a Santa Re^ 
parata, fi sì è avuto riguardo a quello che fu, non a quello 
che era divenuta > ^\ Siffatta scarsità di notizie tanto più 
rende necessario l'esame e lo studio del monumento stesso 
a meglio stabilire il tempo più probabile della sua origine 
nella forma attuale. 



>> Borro, La chiesa di SanfAbondio e la Basilica di tallo, in Archilillura 
del Medio Evo in Ilalia, pag. li. 

2) Diploma del Re Berengario dell'anno 899 già pubblicato dall' Ughelli : 
Concéssimiu il condonaviMui Ecclesia» Sandorum Johannis et MimaH\s\ que 
caputesi Florenlini episcopalus eie, cfr. Lami, Sanclae ecclesiae florenHnae Mo- 
numenla. Voi. I, pag. 564, nota a, 

3) Lami, Monumenta, Voi. II, pag. 938, nota b, 

^) Spogli Stroziiani di Memorie ecclesiastiche in Afch. di Stato di Firenze. 
5> Firenze antica e moderna, Voi. I, pag. 34; cfr. RlCHA^ op, di,, tomo Vi, 
pag. 6-9. 



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5© IL SAN GIOVANNI 



¥ 



La maggior parte degli studiosi stranieri furono con- 
cordi nell' assegnare il San Giovanni al periodo romanico; 
non però da una seria analisi architettonica del monumento 
derivarono questa conclusione, ma da alcune circostanze 
storiche e dal desiderio di far coincidere il più famoso 
edifizio sacro della città col periodo del primo rifiorire del 
classicismo in Firenze. Né alcun nuovo argomento, oltre i 
già noti, ci offre la polemica sorta nel 1855 ^^a THUbsch 
e il Kugler intorno ai due più importanti edifìzi cristiani 
di Milano e di Firenze; il San Lorenzo Maggiore e il 
San Giovanni '\ 

Il Kugler fii tra i primi che ascrissero il tempio fioren- 
tino al principio del secolo xii; e il fatto che il titolo di Cat- 
tedrale passasse appunto in quel tempo dal San Giovanni a 
Santa Reparata, e V altro che nel 1 1 1 7 i Pisani, per la guar- 
dia fatta alla loro città durante V impresa delle Baleari, re- 
galassero ai Fiorentini due colonne di porfido, parvero al 
dotto tedesco favorevoli argomenti all'ipotesi che in quegli 
anni appunto si procedesse al rinnovamento della chiesa ; 
e che quel dono delle due colonne non si abbia a spie- 
gare altrimenti che col desiderio di favorire un' intrapresa 
costruttiva specialmente cara ai cittadini di Firenze. < Con 



") Deuisches Kunsiblatt, 1855, pag. 184 e seg., e pag. 228 e seg. : Hubsch, 
Dos hedeutendsU Denkmal altchristlicher Kunst zu Mcdland, - KuGLER, In 
Betreff der AnHkriHk des Herm D/ H, Hubsch, 



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* E L'ARCHITETTURA ROMANICA 51 

ciò - conclude - ci pare che venga designato quel tempo, 
per la costruzione stessa o il principio di essa. Circa la 
metà del secolo, Tedifizio era in ogni modo finito nelle 
sue parti principali; mentre si sa che nel 1150 fu posta 
la lanterna in cima alla cupola. L* ornamentazione seguì a 
poco a poco nei successivi decennt. Nel 1 200 fu eseguito 
il pavimento di marmo; nel 1225, secondo T iscrizione, il 
musaico della tribuna > ^K 

Ma oltre il fatto che le colonne dei Pisani posano ai 
lati della porta principale del San Giovanni, e danno per- 
ciò a credere giungessero troppo tardi per essere uti- 
lizzate nella nuova costruzione, per altro motivo ancora 
dal Kugler dissentì lo Schnaase intorno alla data, a suo 
avviso tarda. < Il fatto che la costruzione ha un'abside 
per r altare mostra chiaramente che non era ancora adi- 
bita ad uso di Battistero, e per conseguenza la sua origine 
deve risalire molto avanti il 11 28; quindi proprio nell'un- 
decimo secolo >^K Eccoci, cosi, di nuovo alla questione 
deir abside. 



¥ 



Già dicemmo, col Nardini, come tutte le disposizioni 
murarie su quel lato del Battistero ov' è V abside mostrino 
evidentemente di essere state, anche nei particolari più 
piccoli, preordinate all'esistenza dell'arco trionfale interno; 



'> Kugler, Geschichte der Baukunsi, Voi. II. pag. 58, 59. 

2) Schnaase, GeschichU der Bildendm Kunsf, Voi. IV, pag. 442, nota. 



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52 IL SAN GIOVANNI 



onde r impossibilità che la così detta scarsella venisse ag- 
giunta in epoca posteriore ^\ 

L'esame poi della fondazione semicircolare della pri- 
mitiva tribuna, scoperta negli scavi del 1895, ha mostrato 



Accenno schematico delln trìbamt prìmìttra 
(Dal Nardini) 

nel combaciamento esatto di questa costruzione con il 
corpo ottagono, nel suo preciso incentramento, nella re- 
golare altezza e uniforme qualità dei pietrami, nonché 



') Rapporto del^ architetto Corinti alla Commissione storico^artistica Co- 
munale; n, 65, 14 settembre 1895: « Si è scavato dietro all^ tribuna di 
San Giovanni, e si è trovato il muro circolare già veduto quando, nel- 
r agosto 1887, fu ivi scavato per collocare il tubo dell'acqua potabile, 
come rilevasi dal rapporto dell' ing. Fraschetti nella Naxione del 7 ago- 
sto 1887. Il cerchio di questo muro, di notevole spessore, trova il suo cen- 
tro sulla met^ del lato di ponente dell'ottagono, che segna la pianta del 
tempio. Questo muro, per diverso suQ ri«eghe» va via via allargandosi 



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> 
H 






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E L'ARCHITOTTURA ROMANICA S3 

nello Stesso numero di filari dell'abside e della chiesa, 
la contemporaneità delle due costruzioni. 

Il San Giovanni, quindi, quale noi oggi lo vediamo, è 
sorto dopo il Mille e non ha avuto alcuna modificazione 
essenziale nel suo organismo costruttivo; né i documenti 
ricordati sopra contrastano alle conclusioni cui lo studio 
del monumento ci ha condotti, ove essi si riferiscano, come 
tutto induce a credere, ad un più antico e diverso edi- 
fizio, il quale, anche secondo la nostra opinione, ebbe ori- 
gine sotto la Signoria longobarda. 



VII 



Scrisse il Lami, « che al tempo della nostra regina 
Teodelinda, la quale fu quella che elesse per protettore 
del regno de' Longobardi san Giovan Battista, i Fiorentini 
secondando il genio divoto della loro sovrana, vollero eri- 
gere una chiesa ad onore di quel Santo >.... e la fabbri- 
carono fuori delle mura, secondo l'uso degli antichi fedeli 
cristiani i quali < erano consueti di edificar le Cattedrali 



alla ba«Q, e dopo quattro di queste lo vediamo attraversare lo smalto di 
un pavimento romano.,., di mosaico. 

« La tribuna, o scarsella, come si chiamava, che è di pianta rettaogo<- 
lare, venne a posare sopra questo muro circolare ,* e per edificarla si do- 
verono fare delle fondazioni suppletive ai suoi angoli, che non trovar 
vano riposo sul muro circolare. Per questa non contemporaneità e per 
questa discontinuità nella fondazione, la tribuna aggiunta alla chiesa venne 
a fendersi in più parti dalla base alla volta». 



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54 IL SAN GIOVANNI 



fuora delle città, benché nelle più prossime vicinanze >. 
E ben avverte, proseguendo, che molte città edificarono 
le loro chiese < talmente nell* estremo, e come sulle mura, 
che vi è tutta l'apparenza che in antico, prima che que- 
ste città si ampliassero, ed allargassero il circuito delle 
mura, rimanessero fiiora del cerchio anteriore delle me- 
desime > ^K 



È noto che l'antico Palazzo del Vescovo sorse diret- 
tamente sopra costruzioni romane delle quali ha conservato 
in pianta l'andamento dei muri, come in elevazione una 
qualche traccia dei muri stessi. Esso formava un lungo 
rettangolo compreso fra la Piazza dell' Olio e quella 
di San Giovanni, il cui lato corto veniva ad essere pa- 
rallelo all'attuale Via dei Cerretani dalla quale distava 
sei metri ^K Da questo lato si rinvennero, infatti, gli 
avanzi dell'antica Porta del Vescovo o del Duomo con 



1) Lami, Lezioni, VoL I, pag. 59-60. 

2) Rapporto dell' archiietio CorinH, n. 24, 30 novembre 1894. « Del- 
l'antico Episcopio la parte più conservata, per le tracce venute fino a 
noi, è quella che dalla porta antica della città si estendeva verso Piazza 
dell'Olio. £ in questa parte della episcopale dimora, che si trova la sala 
d' udienza, nella quale ai legnami dell' antico solaio vennero sostituite le 
vòlte a crociera, sostenute dà due robusti pilastri di pietra, dei quali uno 
è sempre visibile nel mezzo dell' attuale sala ridotta. L' altra parte, forse 
più antica, dell' Episcopio, ma più manomessa, specialmente per la ridu- 
zione fattane dal Dosio, è quella che si estendeva verso S. Giovanni, la 
quale doveva protrarsi sulla piazza attuale al di là della facciata stessa 
del Dosio ». 



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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 55 

le sue robuste torri ^*; e a questa si congiunsero più tardi 
le mura, che dalla Postierla dei Visdomini (al principio 
dell'attuale Via dei Servi) facevano capo a Santa Maria 
in Campo. 

Ma in quelli stessi scavi apparvero, dal lato opposto, 
sotto la Volta dei Pecori, gli avanzi di un'antica torre, 
che si staccava dal suolo con uno zoccolo massiccio alto 
un metro, formato di filaretto; e a questa si congiunge- 
vano grossi muri in direzione dell'antica chiesa di San Cri- 
stoforo degli Adimari ^. E poiché di antiche mura si rin- 



») Cfr. Rapporti Corinti, n. 54, 28 giugno 1895 ; n. 55, 6 luglio 1895 ; 
n. 58, 26 luglio 1895; n. 61, 16 agosto 1895. 4kExtant adhuc roiundae 
Éurres et poriarum monumenta, quae nunc episcopatui connexa sunt, quae, qui 
Romam viderit, non videbit solum, sedjurabit esse Romana, non solum qualia sunt 
Romaemoenia latericia coctilique materia, sed et forma ». Coluccio Salutati, 
Jnvectrva. Cfr. Davidsohn, Forschungen zur àlteren Geschichte von Florenz, 
pag. IO. 

2) Rapporto dell' architetto Corinti, n. 24, 30 novembre 1894, cfr. an- 
che il Rapporto n. 52, 12 giugno 1895, in cui si legge: «Rinnovandosi 
adesso il tubo del gas lungo la Via dell'Arcivescovado, è venuto a sco- 
prirsi, per il cavo fatto, lo zoccolo o base di un' antica torre, che stava 
sull'angolo della Via dell'Arcivescovado e della Volta dei Pecori. Questa 
torre, per quella parte di elevazione, 70 cent., che ancora ne rimane 
sotto, r attuale piano stradale, è formata di un be> filaretto, e misura, alla 
base, sul lato occidentale ora scoperto, metri 7.30. Lo spessore dei muri 
di elevazione era di metri 1.45. Ora il suo tronco si trova per intero 
sull'area pubblica. Quivi a metri 1.20 sopra il lastrico romano, si trova il 
suolo dal quale si erge la torre ; a metri 2.30 sopra il lastrico stesso si tro- 
vava quello della vecchia Via dell'Arcivescovado, e a metri 2. co trovasi 
l'attuale piano stradale. Dalla fondazione a questa torre viene investita la 
strada romana, corrispondente sotto la Via dell'Arcivescovado, nella sua 
incrociatura con altra strada romana, che si dirige verso levante. Di 
questa strada vedemmo il piano lastricato quando dai signori Rossi e 
Ceci si fecero, sul lato meridionale della piazza di S. Giovanni, le fon- 
damenta della nuova fabbrica ». 



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56 IL SAN GIOVANNI 



vennero le tracce al principio della Via de' Calzaioli, quasi 
in faccia al Vicolo degli Adimari (e v'è tuttora del rin- 
venimento il ricordo) '^ mura che per V attuale Via del- 
l' Oche andavano a unirsi alla Postierla di San Benedetto 
o dei Tedaldini (onde V altra ìscrìziont : semper restituénda 
oc servanda antìquitas)^ non par dubbio che questo dovesse 
essere il più antico cerchio della Città medievale ^\ e che 
il San Giovanni restasse fuori di esso < benché nelle più 
prossime vicinanze > ^\ secondo l'antico uso, e la concorde 
affermazione degli scrittori. In seguito, le mura vennero 
a contenere anche il nuovo tempio sorto di pianta < affine 
di servire pe '1 Battesimo e non altramente nel suo prin- 
cipio > ^\ non però secondo vorrebbero il Manni e il Lami, 
quale una dipendenza di Santa Reparata che divenne Cat- 
tedrale tanti secoli dopo. 



Troppo triste si è da qualcuno raffigurata la condizione 
di Firenze nel periodo longobardo ^\ al quale, invece, più 
recenti studi ascrivono il primo vigoreggiare ed affer- 



1) BiQAzzi, Iscrizùmi e Memorie delia Città di lìretue. Firenze, 1887, 
pag. 207 : « Che dà mezzogiorno a ponente | qui volgesse il primo cerchio 
delle mura di Firenze | le fondamenta ritrovate | confermano >. Cosi suona 
r iscrizione oggi spostata per far luogo a una brutta insegna dei magazzini 
della Fabbrica Lombarda di telerie. 

2) Cfr. UccKLLi, Letture sulle Antichità di Firenu in AtH della Società 
Colombaria di Firensse. Firenze, 1893. Rapporto III, pag. 23-25. 

^ Mahih, Prindpj della religione cristiana in Firenxe, pag. 73. 
*) Cfr, Nardini, op. cii„ pag. 18-19 e 75. 



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E L'ARCHTTETTURA ROMANICA 57 

marsi della nuova gente predestinata ad avere tanta parte 
nella storia d'Italia e nella cnltura dell'evo moderno. In- 
torno a questo tempo, i vescovi fiorentini accrebbero il 
loro potere e la loro influenza, mentre nella città s'in- 
cominciavano le nuove costruzioni di edifizi ecclesiastici 
e civili. 

Le torri che i longobardi innalzarono a scopo di guardia 
e di osservazione, fra cui il Guardingo^ che sorse suir an- 
tico teatro romano, le burelle o prigioni, i monasteri e le 
chiese, delle quali due dedicate a San Michele, una a 
San Giovanni, e una a San Pietro in coelo aureo^ confer- 
mano r attività edilizia di quel periodo ^K Nulla di strano, 
quindi, che durante la generale conversione dei longobardi 
al cristianesimo, dovuta all' opera di papa Gregorio, effica- 
cemente aiutato dalla regina Teodolinda, si costruisse su 
pianta ottagona, secondo la forma tradizionale, il Batti- 
stero fiorentino. Ma quella fabbrica primitiva dovette es- 
sere ben lontana dalla grandiosità e dalla magnificenza del 
tempio attuale, mentre la maggior parte dei battisteri di 
stile lombardo appaiono costituiti da un recinto poligonale, 
quasi sempre ottagono, coperto da tetto a cavalietti o da 
vòlta, con un bacino nel centro per il fonte ^\ 

Modesta costruzione, dunque, anche questa fiorentina, 
che solo a cagione dell'essere così felicemente situata, 
divenne poi la chiesa maggiore, più che vera e propria 
Cattedrale, come conferma il vedere riserbato alla nuova 



»> Davidsohn, GeschichU von Florem, Gap. Ili, pag. 70-73. 
^ DARTEm, ArchiUciure Lombarde, pag. 399. 



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58 IL SAN GIOVANNI 



Santa Reparata Tonore di accogliere, forse appena condotta 
a compimento, il corpo di san Zanobi, e più tardi quelli 
dei due pontefici, morti in Firenze, Vittore II (f 1057), e 
Stefano IX (f 1058). 

Comunque sia, il vecchio edifizio adibito ad uso di Cat- 
tedrale e insieme di Battistero, associò al nome del Bat- 
tista quello del martire fiorentino san Miniato, ed ebbe 
aggiunto l'abside per le esigenze del culto. 



Quando il Nardini dimostrò che il San Giovanni, così 
com'è, nacque con le sue tre porte e la tribuna; che i 
lati dell'ottagono dove sono queste aperture presentano, 
rispetto agli altri, maggiore larghezza; che tanto all'in- 
terno quanto all' esterno l' intercolunnio è più spaziato per 
lasciare più libero e ampio adito alle porte, e che nel lato 
prospiciente il Duomo questo intercolunnio è anche mag- 
giore perchè appunto la porta che vi si apriva doveva 
essere la principale ^\ non pensava che questi dati avreb- 
bero posto in serio pericolo la sua tesi. 

Ammettendo, infatti, il Battistero costruito nel iv se- 
colo e subito dopo il Palazzo del Vescovo ^\ è lecito do- 
mandare, allora, d' accordo con tutti i più antichi scrittori, 
se può credersi che il monumento mancasse di quel solo 



1) Nardini, ap, ctt,, pag. 96 e nota. 

2) Ristori, Alcune notizie sul Palazzo del Vescovo fiorentino. Estratto dal- 
V Archivio Storico Italiano. Serie V, Tomo XVIII, Anno 1896, pag. 4-5. 



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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 59 

accesso che appariva il più strettamente necessario, per 
essere da quel lato l'Episcopio, mentre dagli altri lati 
erano soltanto orti, campi e mura; o se fosse possibile 
che le porte del tempio venissero disposte in modo affatto 
contrario ai bisogni e alle esigenze del clero, specie quando 
nulla impediva di aggiungere dove meglio piacesse quel- 
la abside. 

Che il Palazzo del Vescovo fosse provvisto di un atrio 
è attestato dai documenti ; se poi quest* atrio si pro- 
lungasse così da investire il Battistero, e da servire 
nel tempo stesso al Palazzo e alla Chiesa, non abbiamo 
dati sufficienti per stabilire *\' certo, le antiche carte con- 
fermano che la casa del Vescovo fronteggiava il San Gio- 
vanni, anzi, che V atrio del Palazzo rispondeva davanti alla 
Basilica ^K 



*) In una carta dell' Archivio Arcivescovile di Lucca dell'anno 897, 
già pubblicata dal Muratori (cfr. Memorie e documenti per servire all' istoria 
della Città e Siato di Lucca, Voi. IV; 2, App. 70) si legge, che Amedeo Conte 
di Palazzo, mandato in Toscana dall' imperatore Lamberto per rivendi- 
care alcune possessioni di chiese e terre al Vescovo di Lucca, venne in 
Firenze in domum episcopi ipsius crvitatis, in atrio ante basilica S, Joannis 
Baptiste, (Arch. di Lucca + n. 5). Da questo documento il più recente 
storico di Firenze vorrebbe che proprio davanti al San Giovanni, dal lato 
ov' è la scarsella, fosse anticamente un atrio (Geschichte von Florenz, pag. 72 
e pag. 862, n. 4), confermando cosi l' ipotesi avanzata dal Borghini, dal 
Richa e da altri molti. Ma il documento citato ci fa conoscere soltanto 
che di fronte al San Giovanni era il Palazzo del Vescovo, con im atrio, 
non già che l'atrio facesse parte dell'antica basilica, come del resto 
viene confermato dall' altra carta pubblicata dal Lami, dell' anno 967, che 
incomincia cosi : Dum in Dei nomine, in Croitate Fiorentina, in atrio domus 
episcopaius B, Joannis, episcopio ipsius cmtatis, ecc. (Lami, Monumenta, Voi. I, 
pag. 85, nota). 

^ Ristori, op. cit., pag. 5. 



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6o IL SAN GIOVANNI 



L' ingresso, dunque, era dalla parte dell'Episcopio; il 
fonte nel centro ; V altare, secondo l' uso, addossato al fonte 
e vMto ad oriente ; e forse, come fu supposto ** un cer- 
chio interno di colonne stava a sostegno di una più mode- 
sta copertura, secondo il tipo e il carattere delle costru- 
zioni lombarde. Quando Tediftzio fìi adibito ad uso di 
Cattedrale, per non ingombrare Io spazio davanti alla co- 
struzione già intrapresa di Santa Reparata, T abside, dove 
trovò posto l'altare, fu dovuta aggiungere, di necessità* 
dal lato di ponente; T altare fu ufHiiato alla romana» e così 
restò sino all' anno indicato in questa notizia dello Strozzi : 
< 1336» si volta l'altare dall'altra parte e in testa vi si col- 
loca il tabernacolo, dentrovi la statua di San Giovanni, e 
ai Iati due angioli scolpiti da Andrea Pisano > ^K 

Ma l'attuale Battistero, nato - come dicemmo - con 
la scarsella e le tre porte, non può aver nulla a che fare 
con quello che abbiamo or ora descritto; onde potrebbe 
concludersi che un antico edifizio lasciasse più tardi il posto 
al nuovo e presente ^\ Così soltanto s'intenderebbe come gli 
scrittori fiorentini^ facendo del vecchio e del nuovo un unico 
monumento, si siano dati ad immaginare modificazioni e ri- 
facimenti che l'esame della costruzione stessa ha dimostrato 
impossibili, e non mai, infatti, apportati alla chiesa attuale. 



i) MoTHES, DÌ4 Baukunsi diz MUielalUn in ItoUen, pag;. :;53, e nota. 

'^ Spogli Siromani di M^morU tccU$miUhe m Archivio di Stato di 
Firenze. 

3) Cfr. ScwAASE, Qfschichie der Biìdtndm Kfimfe. Vpl. IV, pa«. 442. 
nota. - LiJBKE, Geschichie der ArchiUktur, Voi. I, pag. 609. ^ FiUSY, DÌ€ 
Loggia dei Lanzi, pag. 62. 



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E L'ARCHITETTURA ROlSlANICA 6| 

Tutte le disposizioni architettoniche di essa ci appa- 
riscono fatte e volute in dipendenza» immediata e neces- 
saria, dalla preesistente Santa Reparata. Che poi il San Gio- 
vanni sorgesse dopo la costruzione di questa basilica è 
dimostrato dalla sua stessa magnificenza in troppo aperto 
contrasto con la « molto grossa forma », come la disse 
il Wlani, della chiesa, che doveva poco dopo diventare 
la Cattedrale fiorentina. 

Cercò, è vero, V Hùbsch di rendere più semplici le que^ 
stioni immaginando il San Giovanni spoglio di ogni deco- 
razione marmorea; ma non si riesce in ogni modo ad 
ovviare alle difficoltà così sapientemente dimostrate dal 
Nardini, le quali non ci consentono di ammettere che al^ 
Tedifìzio, qual è, fosse chiuso T unico accesso con l'abside, 
per aprirvi quindi le nuove e attuali tre porte. 



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Ove si ricordi piuttosto che il 6 novembre del 1059 la 
chiesa veniva di nuovo consacrata dal pontefice Niccolò II, 
parrà ragionevole che questa nuova consacrazione si debba 
riferire non già, come vorrebbe il Nardini, al semplice 
trapasso della chiesa da Cattedrale a Battistero, o al tra* 
sporto del sacro fonte da un luogo ad un altro (mai che si 
sappia esso fu remosso dal San Giovanni) ma a lavori ài 
maggior importanza eseguiti al monumento ^K Questa sup- 
posizione troverebbe conferma nel fatto che lo stesso ponte- 



») Nardini, op. di,, pag. 83. 



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62 IL SAN GIOVANNI 



fice, nello stesso anno della sua dimora in Firenze, consacrò 
non solo la chiesa di San Lorenzo, allora rinnovata, ma pur 
quella di Santa Felicita, radicalmente restaurata e abbellita. 
Tutto dunque concorre a far credere che quando si 
pensò di rendere più degna l' antica basilica posta su quel 
Monte del Re dove il Santo fiorentino fu sepolto, anche 
al Battista, tornato solo titolare della chiesa, e divenuto 
Patrono della Città, si volesse consacrato più ricco e ma- 
gnifico tempio. Ma nel desiderio di non togliere venera- 
zione ed antichità al monumento, si ripetè dell'antico la 
forma generale, cosicché il nuovo non dovesse parere, e 
non fosse effettivamente, che il primitivo e vetusto fonte 
rinnovellato ^\ 



Quale necessità di tribuna può aver mai un Battistero ? 
si è chiesto il Nardini. Ma poiché nel nuovo edificio si 
ripeteva il tipo della vecchia costruzione era naturale che 
quella tribuna, aggiunta al corpo ottagono della chiesa, 
si volesse mantenuta nel rifacimento. 

Una mutazione, tuttavia, si ebbe nella struttura di essa da 
semicircolare a rettangolare ; mutazione, sempre secondo il 
Nardini, avvenuta nel 1050, quando il San Giovanni da 
Cattedrale diventò Battistero : < E poiché con quella tra- 



') Documenti sicuri di un rinnovamento avvenuto fra l'xi e il xn se- 
colo sono i caratteri decorativi delle formelle che ricingevano la vasca 
battesimale, rinvenute dall'architetto Castellucci e' conservate in una stanza 
dell' Opera. 



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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 63 

... . ■ é 

sformazione della chiesa la sua forma circolare non era più 
d* obbligo, si ricostruì in forma rettangolare, forse anche 
per acquistare spazio dinanzi al Vescovato» ^K L'acquisto, 
in tutti i modi, si riduceva a tanto poco, che non crediamo 
per questo solo si fosse indotti al mutamento, il quale (e 
il carattere della decorazione esteriore della tribuna, di- 
verso in qualche modo dal resto dell' edifizio, conferma la 
sua più tarda origine), fu dovuto piuttosto all'impossibilità 
di adattare quel partito decorativo a grandi lastre di 
marmo, con le quali era già rivestito il corpo ottagono 
della chiesa, alla forma circolare della primitiva scarsella. 

Se dunque ripugnava ad ammettere nel iv secolo una 
chiesa cattedrale costruita sin dall'origine nella forma del- 
l'attuale Battistero, nulla di strano che alla primitiva e 
fondamentale struttura ottagona si fosse costretti ad ag- 
giungere quella appendice giustificata soltanto dalle esi- 
genze del culto, e mantenuta, per comodo, nel rifacimento. 

Il fatto, nuovo se in quella forma, non sarebbe più tale 
se prodotto di una susseguente modificazione. Anche nel 
Battistero di Nocera, per le medesime necessità si ag- 
giunse un'abside semicircolare al corpo rotondo dell' edi- 
fizio ^\ così nel San Tommaso di Almenno ^^ e nell' antico 
Battistero di Sant' Ansano a Dofana in provincia di Siena *\ 



*) Nardini, op. cit,, pag. 93. 

^ Isabelle, Les Edifices circulaires et Us dónus, Paris, 1855. Tav. 39, 
pag. 87-89. 

3) Dartein, ArchiUcture Lombarde, pag. 388-394. Tav. 92, 93. 

*) Canestrelli, L* ArchiUttura Medioevale a Siena e nel suo antico terri" 
torio, Siena, 1904, pag. 21. 



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64 IL SAN GIOVANNI 



Ma questa aggiunta non si sarebbe mai potuta fare all' at- 
tuale edifizio (e le ragioni furono già ampiamente svolte) ; 
onde la conferma del rinnovamento avvenuto neirxi secolo. 
Quale difficoltà, del resto, ad ammettere in questo pe- 
riodo e contemporaneamente agli altri monumenti fioren- 
tini anche il bel San Giovanni f 



Vili 



Firenze, sebbene sorta più tardi di altre città toscane a 
libertà, vide sin dai primi anni del secolo xi accrescere 
intorno alla cerchia antica delle sue mura e chiese e mo- 
nasteri e abbazie. La madre del Conte Ugo marchese 
di Toscana edifica la nobile e famosa Badia. Quasi nei 
medesimi tempi si erige quella di San Salvatore a Set- 
timo ; r Oratorio di San Salvi fuori della città diviene mo- 
nastero di San Benedetto; i monaci di quel glorioso Ordine 
cluniacense, cui tanto deve tutta l'architettura medievale, 
occupano la chiesa di Sant'Andrea; il vescovo Ildebrando 
riedifica sontuosamente San Miniato; la basilica di San Lo- 
renzo e la chiesa di Santa Felicita sono rinnovate e abbel- 
lite. E grandi donazioni vediamo in questo tempo fatte alla 
chiesa maggiore, onde al generale risveglio del sentimento 
religioso, che ebbe in san Giovanni Gualberto il più stre- 
nuo campione, si deve indubbiamente l'impulso ad ab- 
bellire 1 sacri edifizi, e a renderli più degni della rina- 
scente città. 



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Tav. V 



Sant'Andrea di Empoli 



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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 65 

Tali abbellimenti trovarono larghi aiuti negli Ordini mo- 
nastici, e in special modo nei benedettini, cui si deve la 
edificazione delle due abbazie di Firenze e di Settimo, delle 
quali, a testimoniare la sapienza dei costruttori, rimangono 
i due originali e caratteristici campanili; nonché della chiesa 
di San Miniato, della Badia di Fiesole e fors* anche della 
stessa Pieve d' Empoli. Ma intorno a tutte queste costru- 
zioni, disgraziatamente, sono arrivate a noi troppo poche 
notizie. 

La Pieve d'Empoli porta sulla facciata Tanno 1093*^; 
la costruzione della chiesa di San Miniato si sa iniziata verso 
il 1018; quasi nello stesso tempo si vuole edificata quella 
dei Santi Apostoli; poco dopo la Badia di Fiesole, e a 
questi susseguono - ma con tracce palesi di qualche de- 
cadimento - il San Salvatore al Vescovado e Sant* Jacopo 
Soprarno. 



La Pieve d' Empoli non serba oggi della sua originaria 
e primitiva struttura che la facciata, la quale, evidentemente, 
deriva da quella di San Miniato. Questa imitazione si spiega 
facilmente con le relazioni, allora esistènti, fra il monastero 



*) Nel fregio ricorrente al disopra delle arcate è scolpita la seguente 
iscrizione : hoc . opus . eximii . praepollens • arte • bìagistri . bis ' novies • 

LUSTRIS . ANNIS • TAM • MILLE • PERACTIS • AC • TRIBUS • EST . CEPTUM . POST • 
NATUH . VIRGINE • VERBUM • QUOD • STUDIO • FRATRUM • SUMMOQUE • LABORE • 
FATRATUM • CONSTAT • RODULFI • BONIZONIS • PRESBITERORUM • ANSELMI • RO- 
LANI>I . PRESBITERIQUE • GERARDI • UNDE • DEO • CARI • CREDUNTUR . ET • AE- 
THERE . CLARI. 



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66 IL SAN GIOVANNI 



di San Miniato e la Pieve empolese, la quale « passò 
alla diocesi fiorentina nel tempo di Ildebrando vescovo di 
essa, e si è mantenuta sempre la prima chiesa di tutta la 
diocesi dopo la Pieve di San Giovanni » *\ A confermare 
del resto le strette relazioni fra i due monasteri sì legge 
nel diploma del Vescovo stesso com'egli donasse fra le 
altre cose al Cenobio fiorentino curtem quoque de Impali 
cum suis pertinentibus quae est sita infra terriiorium de Plebe 
5. Andreas ^^ 

L'interno fii ridotto nel secolo scorso da tre navate alla 
forma attuale; ma il modello della sua struttura si può 
riconoscere nelle due chiese fiorentine di San Miniato e dei 
Santi Apostoli. 



Sulle rovine dell'antica basilica dedicata a San Miniato, 
si rinnovò, intorno al ioi8^\ per merito del Vescovo Ilde- 
brando, 

la chiesa che soggioga 
la ben guidata sopra Rubaconte. 

Già Carlo Magno aveva fatto alla primitiva basilica una do- 
nazione, e Ildebrando, pauperis loci surgentem speciem am- 



*) MAKni, Osservaziom' isioriche sopra i Sigila' antichi, tomo XI, pa- 
gine 83-89. 

^) Berti, Cenni storico-arOsHci per servire di guida ed illusiraùone alia 
insigne basilica di San Miniato al Monte e di alcuni dintorni di Firenu. Fi- 
renze, 1850, pag. 180. 

3) DAvmsoHN, Geschichte von Florenz, pag. 72 e i^^y, Forschungen, pag. Ib- 



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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 67 

pliavit ^^ Ma impedito il Vescovo fiorentino dalla morte, 
qttae ftcerant necessaria explere non valuti. 

In un documento di Enrico IV (circa 1062) si parla del 
compimento deiredifizio d^center constructum e ut modo 
cerniiur honorabUiter restauratum ^' ; può dirsi, quindi, che 
il lavoro, alacremente condotto, fosse in gran parte ter- 
minato, e pure in quell'ordine inferiore della facciata che 
qualcuno ritenne del secolo xiii o del susseguente ^\ di- 
menticando che la facciata della Pieve di Empoli porta 
Tanno 1093, e che, se questa deriva da quella i suoi ca- 
ratteri decorativi, non deve sorprendere che il suo mo- 
dello risalga alla seconda metà del secolo xi. 

Il San Miniato è una basilica a tre navi spartita traver- 
salmente per mezzo di grossi pilastri quadrati cui si ad- 
dossano, quattro mezze colonne. Questi pilastri crociformi 
sostengono gli archi trasversali tanto nella navata maggiore 
quanto nelle minori; e per mezzo dei muri, che si sopre- 
levano sugli archi sino al tetto, la basilica è divisa effetti- 
vamente in tre campate. In ciascuna di queste, fra i pilastri, 
stanno due colonne che sorreggono archi tondi, in modo 
che la sezione longitudinale della chiesa presenta tre gruppi 
di tre arcate ciascuno. In fondo alla nave mediana si apre 
r abside semicircolare. 



') Il Vescovo Ildebrando ordinò questa chiesa di San Miniato (eh' egli 
disse esser propria di San Giovanni cioè del Vescovado di Firenze) a 
Monastero. Lami, Monumenta, Voi. I, pag. 23 nota. Cfr. Berti, op, di,, 

pag. ^^, 

^ Davidsohn, Forschungen sur àlieren GtschichU von Fiorenz, pag. 35. 
^ RivoiRA, Architeiiura Lombarda. Voi. I, pag. 317. 



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68 IL SAN GIOVANNI 



Al principio dell' ultima campata il piano della chiesa è 
sollevato sino a tre quinti dell'altezza delle colonne, che 
di tanto restano nascoste, dando così origine in alto, al 
coro; in basso, alla cripta. A questa, si accede per cinque va- 
lichi arcuati, dei quali tre comprendenti la larghezza della 
navata maggiore; due, una parte delle navate minori, di 
cui l'altra parte è occupata dalle scale che conducono al 
coro. Nella navata centrale ciascuno dei grandi archi tra- 
sversali, destinati ad ottenere un solido e razionale concate- 
namento della fabbrica, è coronato da un timpano che segue 
l'inclinazione del tetto; e fra un arco e l'altro quattro ca- 
valietti visibili posano sopra le mensole sporgenti dal muro, 
nel quale si aprono cinque finestre ad arco tondo, mentre 
le navate minori sono coperte da correnti di legno a spio- 
venza. Gli archi hanno le ghiere modinate di marmo verde; 
i muri e i timpani dell'ultima campata, sono incrostati di 
marmi bianchi e verdi a disegni geometrici; i capitelli ri- 
montano in parte al tempo della costruzione, in parte a 
edifizi pagani. Nell'insieme un sentimento classico si av- 
verte e nella pianta e nei particolari decorativi, che, nel 
bel mezzo del secolo xi, desta meraviglia. 

Lo stesso sentimento e gli stessi caratteri si riscon- 
trano nella facciata, della quale il corpo inferiore presenta 
nelle linee generali un organismo dei più classici, modificato 
soltanto dall'arco voltato sulla colonna. 

Ma la soprelevazione centrale spetta ad età più tarda. 
Non solo è scomparsa la sempUce e severa eleganza 
dell'ordine inferiore, ma è evidente che per dar posto 
al mosaico si tolse la decorazione marmorea sopra la 



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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 69 



finestra di centro. Anche le formelle intarsiate del fron- 
tespizio rivelano la imitazione delle forme ornamentali del 
pavimento (1207); e le cariatidi ai due lati e le due teste 
virili barbute, nonché quelle dei leoni, mostrano chiara 
r impronta della scuola romanica toscana. Nella fronte del 
San Miniato, quindi, si debbono riconoscere tre maniere 
distinte : una, più classica, ossia di carattere schiettamente 
fiorentino, nella parte inferiore (sec. xi) ; V altra che rien- 
tra nel genere delle costruzioni romaniche (sec. xii): men- 
tre il frontespizio terminale si deve riportare - come ab- 
biamo già detto — al principio del secolo xin. 



Queir impronta classica che rende così caratteristica la 
parte inferiore della facciata e le decorazioni interne del 
San Miniato, si palesa anche meglio nella chiesa dei Santi 
Apostoli : una basilica a tre navi, sorretta da colonne di 
marmo verde di Prato; con capitelli compositi ad ecce- 
zione dei due primi corinzi. E come questi capitelli, sor- 
montati da una specie di pulvino, secondo V uso comune 
in Firenze, fanno dire all' Htlbsch che questo sistema « co- 
stituisce l'indizio principale e più costante dei capitelli 
appartenenti all'architettura cristiana primitiva ; > '^ così gli 
archivolti modinati di verde di Prato e si accostano - se- 
condo il Nardini - alle consuetudini classiche più di quelli 
del San Miniato ed accennano per conseguenza ad una mag- 



>) Cfr. HiJBSCH, op, a/., e Nardini, op. et/,, pag. 38. 



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70 IL SAN GIOVANNI 



giore antichità » *\ Ma la costruzione della chiesa attuale 
non può riportarsi al di là del Mille, anche se una tradizione 
(non però molto antica) vanta per fondatore lo stesso Carlo 
Magno. Come notò il Cattaneo, basta il confronto di tutti 
i più minuti particolari con quelli analoghi del San Mi- 
niato per concludere « senza esitanza » che i due monu- 
menti € sono coevi > ^K 

Troviamo in entrambi, certe particolarità condotte con 
tanta eccellenza, da confermare l'abilità dei costruttori e 
degli artefici : ma in special modo nella chiesa dei Santi Apo- 
stoli i capitelli accuratamente lavorati rivelano tanta sa- 
piente maestria nell'interpretazione dell'antico, che, non 
neir undecimo secolo, ma si potrebbero credere scolpiti in 
pieno Quattrocento. 



Se le costruzioni che abbiamo ricordate sembrano rin- 
novare le forme di una decorazione ispirata all'arte clas- 
sica, anche maggiore si avvertirà questo ritorno all'an- 
tico nella Badia Fiesolana. La quale, abbandonata nel 1028 
dal vescovo Jacopo Bavaro per erigere la nuova Catte- 
drale nel recinto della città, fu convertita in Badia e con- 
cessa ai benedettini, ond' è proprio ad essi che si deve il 
restauro ed il rivestimento marmoreo della facciata; a 



*) Nardini, op, di., pag. 147. 

2) Cattaneo, L'architettura in Italia dal secolo vi al Mille circa. Ve- 
nezia, 1889, pag. 169. 



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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 71 



queir Ordine che ci aveva dato il San Miniato e aveva ispi- 
rato la costruzione della Pieve di Empoli. 

L' interno della chiesa fu tutto rinnovato a spese di 
Cosimo il Vecchio; ma nella facciata, solo ricordo della 
costruzione monastica, le fasce degli architravi, anziché 
essere verticali sono inclinate in fuori, come si vedono in 
San Giovanni e talvolta anche nei monumenti romani: alle 
norme dell* arte antica sembrano ispirati i profili delle cor- 
nici, e gli archi posano sulle colonne con l'intermezzo di 
una trabeazione completa che risalta sulle pareti, appunto 
come nel Battistero; < pratica usitatissima - non manca 
di avvertire il Nardini - al tempo della decadenza romana, 
e sconosciuta del tutto nel periodo romanico ed ogivale 
specialmente in Firenze > ^K 

Ma per affermare ciò gli fu necessario avvicinare od 
allontanare dal supposto archetipo le costruzioni in cui 
più o meno vivace apparisse V influsso classico ; onde, con 
errore troppo manifesto, dovette riportare fra il vi e il ix 
secolo la facciata della Badia di Fiesole ; innanzi al Mille 
la chiesa dei Santi Apostoli ; e, a meglio dimostrare la ve- 
rità della teoria da lui imaginata, esaltare a dismisura le 
classiche proporzioni del San Giovanni eh' egli trovò € così 
diverse da quelle delle chiese fiorentine dei secoli xi e xii; 
riscontrando in quelle « i modi eleganti del classicismo > , 
in queste < la pallida ricopia di quei profili tutti stam- 
pati ad un medesimo conio » ; nei capitelli dei pilastri 
deir attico o dell' ordine superiore interno di quel tempio 



*) Nardini, op, cu,, pag. 41. 



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72 IL SAN GIOVANNI 



modi « schiettamente classici » ; in quelli degli altri edi- 
fizi < goffamente barbarici » ^K 

Eppure nei diversi monumenti fiorentini sono adoperati 
egualmente materiali antichi, e a questi adattati i nuovi per 
la necessità della decorazione architettonica. Nessuna mera- 
viglia, del resto, che all'esterno e all' interno del San Miniato 
o del San Giovanni non siano state mantenute ai pilastri le 
dovute proporzioni. Già il Nelli rilevò il fatto notando 
diversi e differenti di altezza e di grossezza i capitelli del 
primo ordine con le basi evidentemente levate da altri 
edifizi. « Oltre a ciò gì' intercolunni sono di spazi fra 
loro diseguali, ed i pilastri dell'ordine superiore posano 
lateralmente, ed in falso alle colonne inferiori.... I pilastri 
del secondo ordine sono sproporzionati, rispetto a quei 
del primo; e le modanature delle cornici vedonsi fatte 
senza alcuna misura, ed a capriccio, partecipando al- 
quanto del gusto corrotto, non sapendosi qual propor- 
zione, o relazione, si abbiano fra loro > ^K E il Del Rosso : 
< Malgrado una combinazione di parti si bene adeguata 
al soggetto e la somma destrezza usata dall' architetto per 
bene impiegare tutto ciò che ha potuto raccogliere dal- 
l'antico, e da questo investigare le proporzioni di tutte 
le altre parti supplite, per inalzare la fabbrica nel suo 
genere molto armonica; contuttociò nei gran supplementi 
fatti, mancandovi l'eleganza delle modinature, e quella 



^) Nardini, op, cit,, pag. 45. 

3) Nelli, Pianta ed Alzato esteriore ed intemo del Battistero di San Giovanni 
Batista, Spiegazione della figura xvii. 



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Tav. IX 



Badia di Fiesole 



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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 73 

grazia e finitezza che richiedevano gli ornamenti acces- 
sorj, ne deriva che questo monumento si manifesta da se 
stesso per un'opera dei tempi più infelici dell'arte, né 
fa quell' impressione che pur dovrebbe nei riguardanti » *\ 
Ma, anche senza le soverchie esagerazioni tanto di chi 
giudica quelle parti decorative così imperfette, quanto di 
chi le vuole a dirittura degne dell'arte classica, si può 
dire che i costruttori del San Miniato, del San Giovanni 
e della Badia Fiesolana, adoperando pezzi antichi che 
avevano sotto mano, seppero sapientemente servirsene, 
e al vecchio adattare il nuovo con ammirevole perizia. 
E perchè queste caratteristiche non sono esclusive del 
Battistero, così non ci pare il caso di supporre questo 
l'archetipo dal quale s'ispirassero i costruttori fiorentini 
per le loro più scorrette derivazioni. 



¥ 



È possibile supporre del vi o dell' viii o del rx secolo 
(strana elasticità di assegnazione !) le forme decorative e i 
motivi ornamentali della Badia ^, documenti sicuri di più 
tarda origine? E perchè ammettere, altresì, caratteri più 
schiettamente classici in questo edifizio che nello stesso 
San Giovanni ? Nella parte superiore del monumento fie- 
solano si mostra, è vero, un trattamento indeciso e barba- 



») Del Rosso, Ricerche sioriciMirchiMiomche sopra il singolarissimo tempio 
di San Giovanni, pag. 47. 

2) Nardini, op, di,, pag. 144, 145. 



10 



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74 IL SAN GIOVANNI 



rico, cioè € un tale affastellamento di linee e d* intarsi che 
fanno argomentare ad un restauro assai sciatto » , non però 
€ che lascino travedere dei tempi non troppo felici per 
Tarte, e ci dimostrino come questo frammento debba te- 
nersi egualmente lontano dai periodi fiorenti dell* architet- 
tura cristiana primitiva, come da quelli del buon tempo 
romanico » ** ; perchè osservando attentamente le tre finestre 
si vedrà che la intelaiatura di esse corrisponde ai caratteri 
di quelle del Battistero, mentre il coronamento cuspidato 
è aggiunta posteriore e veramente barbarica. 

Qual valore, del resto, ha per noi f imbasamento della 
Pieve d* Empoli, in cui le basi delle colonne si profilano 
lungo gli intercolunni, secondo Tuso degli antichi greci 
e romani ^^ quando si avverte nel tempo stesso che il 
motivo deriva dalla tribuna del San Giovanni, e si sa 
che questa decorazione non appartiene all'antichità ma 
al medioevo ? Si ricordino piuttosto le caratteristiche imi- 
tazioni delle forme pagane esistenti in questa chiesa e 
nel San Miniato, in Santi Apostoli e nella Badia di Fie- 
sole, e più che mai parrà ragionevole concludere, che a 
questo risorgimento architettonico fiorentino avvenuto in- 
torno al Mille, con varietà di interpretazioni personali, con 
vivacità di sentimento, che non è di freddi materiali imi- 
tatori ma di ammiratori e studiosi dell'antico, si debba 
anche l'attuale Battistero. 



*) Nardini, op, a'L, pag. 144. 
2) lòid,, pag. 98. 



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Tav. X 



Abside di San Miniato 



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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 75 



Abbiamo già rilevato la elegante purezza del primo or- 
dine della facciata del San Miniato ; chi però ricordi V in- 
terno deir abside della stessa chiesa, meglio si convincerà 
che la decorazione del San Giovanni non è per nulla su- 
periore, e per sentimento e per trattamento, a questo emi- 
ciclo, che si sviluppa entro l'arco trionfale, incorniciato 
da due grandi pilastri scannellati, sormontato da una ricca 
trabeazione, ravvivato da arcate cieche sorrette da colonne 
con capitelli corinzi, improntato tutto a tanta classicità. 



Ma pure neir ammirazione dei particolari della decora- 
zione architettonica di tutti questi monumenti, non bisogna 
esagerare. Rivive, e l'abbiamo rilevato, in quelle forme un 
qualche spirito dell'arte antica: però l'imitazione non rag- 
giunge mai la perfezione dei modelli. In alcune parti è 
palese che i costruttori attinsero non già ai monumenti di 
Roma imperiale, ma alle forme architettoniche usate nelle 
opere di scultura e in specie nei sarcofagi, appunto per 
quel tanto d'impreciso e di sommario che si riscontra in 
quelle sculture della decadenza e in queste derivazioni. E 
dai sarcofagi, un tempo attorno al San Giovanni, si di- 
rebbero derivate le finestre tabernacolari del monumento 
stesso: quelle con il frontespizio cuspidato, le altre il cui 
archivolto s'imposta direttamente sul capitello senza l'inter- 



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76 IL SAN GIOVANNI 



mezzo della trabeazione. Lo ammise lo stesso Nardini'^; 
ma mentre non s' intenderebbe davvero che nel iv secolo 
i costruttori avessero bisogno di trarre i motivi ornamen- 
tali da quelli esemplari, meglio, invece, si spiega che da 
queste sculture (in mancanza di più perfetti originali) traes- 
sero ispirazione i nuovi costruttori, portati allo studio del- 
r antico dal sentimento generale di quel periodo in cui 
l'antichità esercitava un fàscino così grande. 

Non si tratta, invero, di forme antiche imbastardite per 
il lungo uso o per inesperienza di esecutori; sono evi- 
dentemente motivi derivati da quei modelli, attraverso una 
più libera interpretazione; è lo spirito sopra tutto che si è 
cercato di cogliere e di riprodurre in quelle decorazioni. 
Che ciò sia, lo prova la trabeaizione dei monumenti fioren- 
tini, nella quale la cornice occupa un posto talmente pic- 
colo rispetto alle altre due parti che non si può a dirittura 
confrontare con gli esempi che rimangono nei monumenti 
romani, dove invece ha sviluppo tanto maggiore in tutti i 
sensi. Le varie fasce poi nelle quali è diviso l'architrave 
sono ornate con un bastoncino senza intagli, e alle fasce 
non è data altezza decrescente, essendo l'inferiore soltanto 
quasi insensibilmente più stretta. 

Non bisogna peraltro dimenticare che i costruttori fio- 
rentini cercarono, imitando gli antichi esemplari, di adattare 
queste antiche forme alle loro costruzioni, onde all'epistilio 
romano (come si vede in San Giovanni) essi aggiunsero 
il fregio e la cornice; ridotta questa al minimo termine 



1) Nàrdini, op. ciL, pag. 99. 



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Tav. XI 



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Elevazione geometrica 

DELLA parte INFERIORE DELLA FACCIATA DI SaN MiNIATO 



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Tav. XII 



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Elevazione geometrica 

DELLA parte INFERIORE DELLA FACCIATA DELLA BaDIA DI FIESOLE 



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E L'ARCHITETTURA ROMANICA ^^ 

< servendo, come scrisse il Del Rosso, che ne rimanesse 
un segno, un indizio, per finimento del suo ordine > *\ 
Spiegò lo stesso scrittore questa limitazione della cornice 
col desiderio di non recare, a causa dell' aggetto, « noia e 
fastidio alle persone che frequentavano i coretti situati nel- 
r ordine superiore > ^^ ma lasciando stare, come già ab- 
biamo rilevato, la difficoltà di accedere in quelle gallerie, 
perciò mai forse destinate ad uso pubblico, questa carat- 
teristica interpretazione non si avverte solo neir interno, 
ma anche nella trabeazione esterna del San Giovanni, e 
di tutti gli altri monumenti fiorentini, talché le ragioni 
addotte dall'illustratore del singolarissimo tempio, non hanno 
né possono avere alcun fondamento. 

Il Nardini afferma che « nel Duomo di San Giovanni non 
si trova nessuna delle perturbazioni che alterano la propor- 
zione delle colonne, dei pilastri e della trabeazione stessa 
nel San Miniato, nella Pieve d' Empoli e nel San Salvatore 
al Vescovado >^^; dimenticando però che i pilastri della 
fronte e dell'abside del San Miniato, esageratamente svi- 
luppati, trovano il loro riscontro in quelli interni del Bat- 
tistero; che tanto nel rivestimento esterno di questo tem- 
pio, quanto nelle facciate di San Miniato e della Badia 
Fiesolana, le colonne presentano gli stessi rapporti fra 
la grossezza e la lunghezza, sempre inferiore ai dieci 
diametri; la trabeazione conserva gli stessi caratteri, e il 



*> Del Rosso, op, cit,, pag. 43. 

2) Ibid., pag. 44. 

^ Nardini, cp. cit,, pag. 44. 



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78 IL SAN GIOVANNI 



modo, infine, d'interpretare tutte le particolarità architet- 
toniche della decorazione rivela sempre una stessa co- 
mune origine. I disegni che pubblichiamo, in cui sono 
indicate le quote di misurazione dei tre più noti edifìzi 
fiorentini, ci dispensano da ogni ulteriore dimostrazione. 



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Un* altra particolarità accomuna anche più il Battistero 
agli edifizi sacri fiorentini del periodo romanico. 

Era costume dei costruttori di far di macigno i canti o 
pilastri angolari delle fabbriche, anche quando esse erano 
tutte rivestite di marmo ^K Questa caratteristica che il Nar- 
dini afferma dovuta t alla consuetudine deir arte > , e che 
si riscontra nel San Miniato, nella Badia di Fiesole, e nel 
San Salvatore al Vescovo, era comune pure al San Gio- 
vanni avanti il 1293. E negli scavi del 1895, remossi di- 
versi marmi dell' imbasamento, si trovarono cinque filari di 
pietre con le bozze scartate per dar luogo al rivestimento 
di marmo; e l'accuratezza delle commessure dimostrò che 
la loro faccia era lavorata per stare allo scoperto ^^ 



') Nardini, ap. et/., pag. 30, 31. 

^) Rapporto Corinti, n. 66, 20 settembre 1895. « I saggi avviati, per 
cura della Commissione, riguardo alla costruzione del San Giovanni, ven- 
gono continuati dai manifattori dell'Opera del Duomo, dai quali sono 
stati remossi diversi marmi, che formavano la cornice d' imbasamento del 
tempio. Questi marmi occultavano cinque filari di pietre di macigno. Le 
bozze di questi filari appariscono scartate, per dar luogo al rivestimento 
di marmo; però dalle commessure loro, fatte accuratamente, s'induce 
avere quelle avuto la loro faccia estema lavorata per istare allo scoperto ». 



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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 79 

Dunque anche il basamento del San Giovanni fu solo 
più tardi rivestito di marmo : e il Nardini, ricordando che 
0^1 1335 il lavoro non era ancora ultimato, e notando nella 
forma di quel basamento caratteri di somiglianza con quelli 
in uso nelle chiese pisane e lucchesi, suppose che vi avesse 
parte Andrea Pisano, il quale appunto intorno a quegli anni 
metteva su la porta famosa *\ 

Comunque sia, in origine il Battistero aveva i piloni an- 
golari e lo zoccolo di macigno, secondo il costume fio- 
rentino del periodo romanico. Ora, poiché non è possibile 
ammettere che il rivestimento marmoreo del San Giovanni 
(anche se in alcune parti a noi più vicino), non sia con- 
temporaneo alla costruzione della chiesa (d'accordo in 
questo con lo stesso Nardini), si ha così un'altra prova 
della più tarda origine di tutto il monumento, dacché non 
è credibile che i costruttori fiorentini ripetessero a di- 
stanza di cinque o sei secoli nei loro edifizi anche queste 
singolarità costruttive e decorative del Battistero. Perchè 
supporli così inetti da non sapersi staccare in nulla dalla 
servile imitazione dell'archetipo famoso? Perchè togliere 
ad essi, che pur si dimostrarono, nei monumenti a loro 
con certezza dovuti, sapienti costruttori e abili decora- 
tori, ogni sentimento di originalità? 



*) Nardini, op, ciL, pag. 98. 



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8o IL SAN GIOVANNI 



IX 



La più tarda origine del monumento viene, del resto, 
confermata dalle bifore interne, che il Nardini vuole con- 
temporanee alla costruzione della chiesa, mentre V Httbsch 
le crede aggiunte nel secolo xiii; per il primo, dipendenti 
dalla decorazione esteriore ad arcate cieche ; per il secondo, 
dalle tre volticciole interne che costituiscono in ogni lato 
le gallerie. 

Sebbene nei monumenti dell' epoca romanica si av- 
verta molta libertà nella disposizione delle luci, pure, in- 
dipendentemente da ogni elemento decorativo, una certa 
euritmia era sempre osservata. Ritenne V Httbsch che, in 
mancanza del rivestimento marmoreo (egli, come dicem- 
mo, credette la chiesa costruita sin dall' origine in pietra e 
solo più tardi decorata di marmi), quelle finestre avreb- 
bero potuto impostarsi più qua o più là, secondo il co- 
modo della disposizione interna, mentre è tanto evidente 
il desiderio di uniformare le due diverse decorazioni, in- 
terna ed esterna, che non è possibile negare ad esse 
un'origine comune. 

Il Nardini, invece, a dimostrare che la decorazione 
interna fu subordinata alle condizioni di quelle finestre, 
e che perciò il concetto delle bifore nacque con la 
chiesa, afferma che le luci delle due finestre laterali 
combinano con l'archetto estremo della bifora rispet- 



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Tav. XIV 



Particolare dell'ordine interno del San Giovanni 

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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 8i 

tiva'^ Sarà opportuno rilevare, piuttosto, che la finestra 
centrale esterna corrisponde con la bifora centrale interna, 
e che, dovendosi distribuire proporzionalmente distanti 
le due finestre laterali, per esser.e Tedifizio costituito 
da un doppio àmbito di pareti ottagone, e quindi T in- 
terna . più stretta, ne venne di conseguenza che quelle 
finestre esterne non potevano incentrarsi con gli archi 
interni; onde, per farle meglio corrispondere con le bi- 
fore rispettive, si è dovuto sbiecare disegualmente i loro 
sguanci interni. 

Ebbe quindi più ragione V Htibsch di far dipendere le 
bifore dalle volticciole di cui effettivamente sono la conse- 
guenza; e nonostante il Nardini avverta < che nei secoli xii 
e XIII era costume generale includere ed inquadrare le 
bifore in un'arcata, per modo che esse venissero a pa- 
rere e ad essere una suddivisione delP arcata medesi- 
ma » ^ ; dato il carattere del monumento, i costruttori 
del San Giovanni, che pure avrebbero potuto benissimo 
(e rhan fatto nell'interno delle gallerie) iscrivere le bi- 
fore entro gli archi delle volticciole, intesero bene come 
questa forma ripugnasse allo stile e al carattere di tutta 
la decorazione, e in special modo contrastasse colla tra- 
beazione così classica dell' ordine inferiore : quindi la 
necessità di svolgere quel motivo architettonico che 
meglio rispondeva al sentimento decorativo del monu- 
mento. 



») Nardini, op, ciL, pag. 34, 35, e cfr. pag. 58, 59. 
2) Ibid,, pag. 35. 

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82 IL SAN GIOVANNI 



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Né può far difficoltà la forma del capitello ionico che il 
Nardini afferma non usato mai in quel periodo o in quello 
ogivale, perchè, come in Sant'Alessandro di Fiesole, così 
nelle gallerie del San Giovanni si usarono frammenti antichi. 

Il Del Rosso riscontrò che cinque delle colonnette di f 

ordine ionico che sostengono gli archi delle loggette sono | 

di cipollino orientale, e le altre di diverse brecce antiche I 

dissimili nella qualità e nel colore ** ; ma non tutte antiche f 

sono quelle colonnette, come non tutti antichi quei ca- | 

pitelli. 

Nel San Miniato si trovano impiegati nella navata cen- 
trale nove capitelli romani di vario tipo e di diversa ori- 
gine; due piccoli nell'abside (gli altri quattro, pur nella 
sapiente imitazione di antichi esemplari, mostrano chiara 
l'impronta medievale), e sette nella cripta, di cui varie 
colonne con le respettive basi sono molto simili a fram- 
menti raccolti negli ultimi scavi nel centro della città. 

Nella facciata poi, secondo il Milani, oltre i pilastri 
scannellati e varie cornici e capitelli romani, sono parti- 
colarmente notevoli i telai marmorei (antepagmentcù) delle 
tre porte, i quali si direbbero quasi levati di sana pianta 
dalle tre celle del tempio capitolino di Firenze ^^ 



*) Del Rosso, ùp, di,, pag. 52. 

^) Milani, Reliquie di Firenze antica. Estratto dai Monumenti antichi pub^ 
hUcati per cura della R, Accademia dei Lincei, Voi. VI, 1895, col, 63-66. 



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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 83 

Lo Stesso può dirsi del San Giovanni. Oltre i capitelli 
delle colonne esterne che fiancheggiano le porte, alcuni 
dei quali mostrano chiaramente il loro adattamento po- 
sticcio non corrispondendo alla misura del fusto; oltre i 
capitelli romani interni ristuccati e dorati, vi sono parecchie 
basi di colonne la cui provenienza dal Foro fiorentino è 
comprovata dai frammenti di analogo tipo e proporzione 
raccolti negli ultimi scavi. E le colonne, e alcuni frammenti 
dei pilastri e delle basi nonché qualche epistilio, mostrano 
chiara la loro derivazione da monumenti pagani *\ 

Questi importanti e numerosi avanzi di Firenze antica 
non furono senza efficacia sui costruttori fiorentini del 
medioevo, i quali, ora copiando, ora interpretando i vec- 
chi esemplari, lasciarono saggi preziosi del loro spirito 
imitativo e della loro abilità tecnica. Nelle gallerie del 
San Giovanni .i capitelli ionici antichi si distinguono dai me- 
dievali per esser quelli lavorati da tutte le facce; questi, 
soltanto nella parte rivolta all' interno della chiesa. In Santi 
Apostoli i capitelli derivano evidentemente da quelli che 
sormontano le colonne esterne poste ai lati delle porte 
del San Giovanni, e riproducono il motivo caratteristico di 
quel bottone (certo semplicizzazione del fiore) che sta fra 
il secondo ordine dell' acanto e il periato, motivo che tro- 
viamo ripetuto in un capitello del pulpito già in San Piero 
Scheraggio, ora in San Leonardo, e in entrambi i capitelli 
del pergamo di San Miniato. Egualmente, la maggior parte 
di quelli che decorano i pilastri scannellati del San Mi- 



*) Cfr. Milani, op. ciL, col. 68. 



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84 IL SAN GIOVANNI 



niato e del San Giovanni tradiscono, nel particolare trat- 
tamento del marmo, T origine medievale; onde non sap- 
piamo vedere tutta quella vantata disparità che, secondo 
il Nardini, presentano queste diverse decorazioni. 

Per le membrature mancanti - osserva il Milani - e 
per le incrostazioni marmoree delle pareti e per i restauri 
o risarcimenti più antichi, non si può dubitare che siano 
stati adoperati marmi tolti dagli edifizi romani, andati a 
cercare e a scavare dovunque in Firenze e fuori. La prova 
certa di una provenienza anche lontana l'abbiamo nella 
grande base marmorea smezzata, che il Nelli, per il primo, 
osservò impiegata per parapetto nelle gallerie del San 
Giovanni, e che deriva da Ostia *\ 

Ciò in tutti i modi conferma che per costruire e de- 
corare quella loro chiesa non erano bastati ai Fiorentini i 
marmi degli edifizi di Firenze romana, e che dall' amicizia 
dei Pisani, per la via dell'Arno, altri ne ottennero di 
quelli che i Pisani erano andati a scavare espressamente 
ad Ostia per la loro Cattedrale ^K 

Così si ha nuova testimonianza dell'origine a noi più 
vicina dell'attuale Battistero. 



A meglio conchiudere, poi, che la primitiva costruzione 
deve risalire al periodo longobardo, e che il tempio, quale 



Milani, op, di,, pag. 29, nota i, e pag. 64 e seg. 
2) Ibid., pag. 68-70. 



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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 85 

Oggi si vede, appartiene all'età romanica, giova riepilo- 
gare rapidamente gli altri argomenti che abbiamo espo- 
sto, prima di procedere allo studio della sua decorazione 
estema. 

Si è visto, dunque, che oltre le ragioni storiche, la pianta 
ottagona, l'organismo statico e il sistema di copertura della 
cupola, la mancanza di portico o di atrio necessario allora 
air esercizio del culto e agli usi ecclesiastici, escludono non 
solo l'origine romana, ma pur un'origine cristiana primi- 
tiva, e impediscono di ammettere che la chiesa fosse edifi- 
cata per uso di Cattedrale; che la sapiente economia co- 
struttiva del monumento è in aperto contrasto con gli edifizi 
pesanti e massicci del periodo longobardo; e che, infine, i 
più antichi documenti a noi pervenuti non possono in alcun 
modo riferirsi all'attuale San Giovanni, il cui carattere co- 
struttivo e decorativo è in armonia perfetta con quello che 
si avverte nelle altre fabbriche fiorentine dell'età romanica. 



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< Anche la decorazione esterna del San Giovanni, scrive 
il Nardini, è contemporanea alla costruzione della chiesa > *\ 

Non riferiremo qui - che si andrebbe troppo per le 
lunghe - gli argomenti del compianto architetto a so- 
stegno della sua tesi ; ci limiteremo a rilevare, che il co- 



*) NaIidini, op. cit,, pag. 61. 



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86 IL SAN GIOVANNI 



stume romano di decorare cromaticamente gli edifizi non 
è punto dimostrato, com' egli afferma, si estendesse nell'evo 
cristiano primitivo anche alla parte esterna *^ ; anzi, è cosa 
notissima che la decorazione esteriore non rispose mai alla 
ricchezza dell'interno; e ciò che resta delle chiese primi- 
tive cristiane e bizantine, e ciò che si vede riprodotto nelle 
pitture, nelle miniature, negli avori, accenna sempre a una 
semplice struttura a mattoni o a pietre squadrate. 

Non basta affermare, perciò, che il dicromismo fioren- 
tino è la conseguenza naturale del policromismo romano, 
per concludere « che non parrà strano di vederlo adot- 
tato in Firenze nel secolo iv e nel Duomo di San Gio- 
vanni > ; o che il « sistema policromo in esso praticato, 
non è che una trasformazione indigena del vecchio poli- 
cromismo romano, dovuta in parte ai costumi del Cristia- 
nesimo, ed in parte alle condizioni particolari dei mezzi 
edificatori locali > ^\ Indubitabilmente questo policromismo 
fiorentino ha sentito l'influsso bizantino e orientale, e si è 
modificato, col volger dei secoli, per darci ancora quelle 
forme antiche, ma interpretate più liberamente, secondo 
i nuovi gusti e le nuove tendenze artistiche. 



Nella chiesa di Santa Sabina, a Roma, rimane, tuttavia, 
un saggio del modo onde era intesa la decorazione in- 



*) Nardini, op, cii„ pag. 131. 
2) Ibid,, pag. 135. 



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E L'ÀRCHITETTyRA ROMANICA 87 



terna nel v secolo. Anche qui una specie d* intarsio mar- 
moreo simula una costruzione a mattoni; e sopra, entro 
una larga zona, sono ripetute formelle quadrate o ret- 
tangolari, entro le quali si svolgono circoli, rombi e lo- 
sanghe. A Ravenna, pur sotto l'influsso bizantino, le tarsìe 
marmoree del San Vitale conservano ancora classico stile, 
e riproducono forme e caratteri quali si riscontrano nel 
Pantheon; onde è impossibile ammettere che la decora- 
zione interna del nostro San Giovanni possa riferirsi al iv se- 
colo, o ai primi del successivo, per essere in essa, così 
diversamente dagli esempi rimasti, interpretati i tradizio- 
nali motivi. 

Il Nardini, pur riconoscendo che neir applicazione del 
policromismo lo- stesso San Giovanni offre « diversità di 
modi » , affefma, poi, che dopo il mille V architettura fio- 
rentina aveva per canone fisso che nelle colonne il solo 
fusto fosse colorato; nella trabeazione, il solo fregio; e 
il pulvino fosse costantemente nero ^K 

Nessuna difficoltà, allora, per includere anche il Bat- 
tistero nel periodo romanico, dacché, se nel San Miniato 
i pulvini all'esterno sono neri, all'interno, invece, son 
bianchi come quelli delle gallerie del San Giovanni; se 
la trabeazione, tanto all'interno quanto all'esterno del 
San Miniato, ha sempre il solo fregio colorato, tale è 
pure nell'interno e nei due ordini esterni del San Gio- 
vanni ; e se quella del primo ordine ha nero 1* architrave 
e bianca la cornice, per essere questo partito contrarlo 



*) Nardini, op, ctL, pag. 46, 47. 



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ss IL SAN GIOVANNI 



a tutte le buone norme (nella Badia Fiesolana, infatti, è 
bianco il fregio soltanto), si deve ascrivere noti già a va- 
rietà di interpretazioni, ma ad un arbitrario rifacimento, 
o ad un riadattamento posticcio. 

Ammesso, dunque, che lo stesso San Giovanni presenta 
modi diversi di policromismo nelle colonne, nella trabea- 
zione, nelle basi e nei capitelli *^ non ci pare sia il caso 
di stabilire analogie generali e costanti fra il primitivo 
periodo cristiano e quello romanico ; fra il supposto ar- 
chetipo e le imaginarie derivazioni; ma di concludere, 
piuttosto, che quella diversità di forme decorative che 
si avverte nei diversi monumenti medievali fiorentini, 
si debba alla varietà del g^sto personale o del senti- 
mento artistico degli esecutori, quando non sia, come è 
di sovente, conseguenza di posteriori e mal condotti re- 
stauri. 



È naturale, del resto, che i costruttori fiorentini cer- 
cassero essi stessi nella varietà delle ornamentazioni una 
maggior diversità di effetti decorativi che meglio rispon- 
desse al carattere di ogni singolo edifizio. Se, quindi, nelle 
facciate delle chiese basilicali le arcate cieche del primo 
ordine sono state decorate con un doppio rettangolo cir- 
coscritto da un quadrato, quasi a rappresentare delle 
grandi imposte chiuse, o a simulare, forse, la chiesa a più 



Nardini, op, cit., pag. 48. 



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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 89 

navate, nel San Giovanni ottagono questo partito sarebbe 
stato meno opportuno. Così, se per necessità costruttiva 
si adottò air interno il sistema classico degli intercolunni 
architravati, era naturale che il motivo dovesse essere 
ripreso anche all'esterno, com'è ripreso nel secondo or- 
dine, dove alle gallerie interne corrisponde il partito delle 
grandi arcate voltate su colonne. Si aggiunga, che mentre 
nelle chiese basilicali la varietà è ottenuta col movimento 
delle linee terminali e con la decorazione della finestra 
centrale, nel Battistero le otto facce a sagoma -rettango- 
lare obbligavano a un diverso partito; onde la necessità 
di frazionare le formelle allo scopo di rendere più mossa 
e più vivace tutta la decorazione. 

Questa varietà di motivi non è davvero sufficiente a 
farci credere più antico degli altri il rivestimento este- 
riore del San Giovanni ; tanto meno basteranno le colonne 
ottagone dell'ordine superiore, che, per essere in pietra 
e rivestite di marmo, non richiamano affatto, come vor- 
rebbe il Nardini, quelle, ben diverse e di mattoni, del- < 
Tedifizio lungo la via Appia, volgarmente noto sotto il 
nome di tempio del Dio Redicolo. 

C3ie l'adozione di quelle forme si riconnetta al carat- 
tere del policromismo fiorentino ammettiamo, volentieri 
anche noi ; non però che esse possano ascriversi al iv se- 
colo, dacché l'uso del pilastro a pianta ottagona è comune 
in Firenze nel periodo di transizione tra il romanico e il 
gotico; e se le basi e i capitelli conservano il gusto e 
il garbo classico, ciò rientra nel particolare carattere della 
decorazione fiorentina, così strettamente legata ai modelli 



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90 IL SAN GIOVANNI 



antichi, ma pur libera nelF accogliere quanto contribuiva 
air armonico effetto delle sue costruzioni. 



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L* esterna decorcizione del San Giovanni, mostra, del re- 
sto, forme così varie, che si può credere iniziata verso la 
fine del secolo xi e non mai interrotta sino a' nostri giorni. 
Non senza ragione, infatti, affermò il Del Rosso, che al 
monumento possono essere state fatte correzioni, varia- 
zioni ed aggiunte in tempi a noi più vicini, « essendoché 
tanta è la cura che di questo Tempio hanno avuto i fio- 
rentini, che non si è quasi mai dismesso di farvi attorno 
degli abbellimenti e delle riparazioni > ^K 

I pochi documenti pervenuti sino a noi ci insegnano, 
che nel 1293 furono rivestiti di marmi i pilastri angolari 
che erano di macigno; nel 1339 le mura esterne vennero 
rimbiancate, e ripulite le colonne e la ghirlanda finale; 
nel 1345 il tetto di marmo, perchè mal ridotto, fu re- 
staurato; e diciannove anni dòpo vi si dovette rimettere 
le mani. Finalmente, si rifece tutto di nuovo, e occorsero 
venti anni per compiere gli otto gheroni, ossia spicchi di 
marmo che ricoprono la cupola ^\ 

Che insieme si lavorasse anche alle sottoposte facce 
della chiesa pare confermato dai documenti. Negli Spogli 



Del Rosso, op. cit,, pag. 50. 

^ Cfr. Fatti e Memorie dell* Arie dei Mercanti, Spogli di Carlo Strozzi 
in Archivio di Stato di Firenze, Voi. I, e. 9 e seg. 



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Tav. XVin 



Decorazione centrale della facciata di San Miniato 



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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 91 



Strozziani si legge che nel 1502 (28 aprile) TArte dei Mer- 
canti dette a fare a Andrea Sansovino due statue di mar- 



II Battistero 
(Particolare di un Cassone da Nozze del secolo xv) 

mo, € cioè N. S. e San Giovanni quando si battezzano, 
per mettere sopra la porta di San Giovanni verso la 
Misericordia, perchè quelle che v'erano erano così goffe 



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9S IL SAN GIOYANm 



che parevano recassino vergogna » \ E nel Museo Nazio- 
nale del Bargello si conserva un cassone da nozze, ov'è 
riprodotto il Battistero, in cui si vede sulla porta un ta- 
bernacolo di marmo a forma di trittico con archetti tri- 
lobati coronati da cuspidi e da pinnacoli, ed entro tre 
statue: Cristo che riceve il battesimo da san Giovanni 
che è alla destra, mentre a sinistra un angiolo tiene l'asciu- 
gatoio nelle mani. 

Sappiamo, altresì, che Alessio Baldovinetti lavorò di mu- 
saico € sopra la porta di San Giovanni che è rincontro a 
Santa Maria del Fiore > ^. Non v* ha dubbio, insomma, che 
nel lungo volger dei secoli Tedifizio dovette subire restauri 
e rifacimenti ^^ come mostrano le finestre stesse, alcune 
delle quali serbano ancora caratteri e motivi medievali, 
altre, invece, l'impronta dell'arte del Rinascimento. 

Nella finestra sopra la prima porta del Ghiberti, a sorreg- 
gere il plinto delle due colonnette a spirale sono due teste 
di leoni (così è in San Miniato ed era nella Pieve d' Empoli e 
in Sant' Jacopo Oltrarno), che nel loro schietto carattere ro- 
manico ricordano molto da vicino quelle della/acciata em- 
polese. La mensola sottostante (ora nascosta) sorretta da 
piccole mensolette con foglie intagliate, riproduce Io stesso 



^> SpogH Sirozziam, Prowisioai dal 1449 al 1507, e. 279*. 

2) Vasari, ViU, ediz. Milanesi, Voi. II, pag. 596, nota 2. 

3) Si legge negli Spogli Sirozziani: « Dovendosi mettere sopra la porta 
di San Giovanni che risguarda l' Opera le tre figure di bronzo fatte per 
Maestro Già» Francesco Rustici, e bisognando, fotBe, per detto effetto bu- 
care o tagliare in qualche luogo le mura della detta chiesa di San Gio- 
vanni, e proibendolo, alla pena di scudi 100, una provvisione fatta Tan- 
no 1494, però ti sospende detta prowisiotte ». 



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Tav. XIX 



Finestra centrale della faccia a Nord del San Giovanni 



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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 93 

motivo che è nella finestra del San Miniato. Ma debole è 
r intaglio del frontespizio arcuato tanto in questa quanto 
nelle altre due finestre centrali prospicienti il Duomo e 
il Bigallo, e il trattamento della decorazione architettonica 
è ben lungi dal raggiungere quel sentimento che si ammira 
nelle altre più classiche nella struttura, e più caratteristiche 
nei particolari, così che non si può esitare a dirle rifatte 
nel secolo xv o anche in tempi a noi più vicini. 

Diversità di forme decorative offre, invece, la scarsella, la 
quale nelle teste dei leoni posti agli angoli conferma V ori- 
gine sua nei primi anni del secolo xiii, mentre la cornice 
della trabeazione, che gira intorno a tutto il monumento, 
composta di modini ripetuti e malamente intagliati è do- 
cumento sicuro di un più recente e arbitrario rifacimento. 



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Anche ammesso che le archeggiature esterne del San Gio- 
vanni conservino tutti gli elementi che concorrono alla com- 
posizione delle due facciate di San Miniato e della Pieve 
d' Empoli ^\ non ci par questo argomento -sufficiente a 
concludere che quelle due facciate ne siano una deriva- 
zione. Né diremmo che in quelle appariscano gl'indizi della 
licenza medievale per il fatto che i pilastri dell'ordine su- 
periore non s' incentrano negli assi dei pilastri dell* ordine 
sottoposto, com' è nella consuetudine classica ^, perchè 



*) Nardini, ap, cii., pag. 149. 
2) Und,, ivi. 



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94 IL SAN GIOVANNI 



nel San Giovanni medesimo - e lo stesso Nardini lo ri- 
leva - nelle tre facce ove sono le porte i pilastri del- 
l'attico non cadono sull'asse delle colonne delle arcate 
e degli intercolunni sottoposti '^ E se a ciò furono indotti 
i costruttori per accrescere spazio alle porte ^\ anche nelle 
due facciate di San Miniato e d' Empoli, per necessità co- 
struttiva (non si poteva d'altronde allargare o ristringere 
a piacimento la fronte della nave maggiore); si è dovuto 
ricorrere a quella che il Nardini chiama licenza medievale. 

Quanto poi al partito architettonico esterno del San Gio- 
vanni, esso non trova riscontro in nessun altro monumento 
romano della decadenza o del periodo cristiano primitivo: 
quegli ordini sovrapposti, nella libertà e nella varietà dei 
motivi, mostrano caratteri schiettamente medievali, modi- 
ficati, soltanto, neir interpretazione classica dei particolari 
architettonici. 

Il primo ordine, infatti, che doveva apparire staticamente 
il più solido è stato ornato di pilastri (soltanto le tre porte 
sono fiancheggiate da colonne), e sui capitelli s'imposta la 
trabeazione ; il secondo, anche per rendere più agile e più 
leggera la decorazione, ha gli archi voltati sulle colonne 
ettagone (la stessa forma delle colonne conferma il deside- 
rio di alleggerire quella decorazione) ; e l' attico si eleva 
più semplice, ravvivato soltanto da quattro pilastri scan- 
nellati per ogni faccia. Data la struttura del San Giovanni, 
queste forme decorative si adattano mirabilmente alle 



*) Nardini, op. «/., pag. 149. 
2) lòtd., ivi, nota 2, 



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E L'ARCHTTETTURA ROMANICA 95 

mura alte e larghe della chiesa; né sappiamo vedere in 
questi motivi architettonici una ragione di maggiore o mi- 
nore antichità; né possiamo supporre che Taver posto al 
primo ordine i pilastri architravati e al secondo le arcate, 
abbia a costituire un gran divario, o discordare grande- 
mente dal carattere e dal sentimento che é proprio alle 
chiese fiorentine posteriori al Mille. 

Piuttosto, quindi, che parlare di derivazione del vecchio 
archetipo del San Giovanni, ci pare - studiando senza 
preconcetti questi monumenti fiorentini - di trovarci di- 
nanzi a una spontanea produzione di forme architettoni- 
che in cui le tradizioni classiche ritrovano, quasi, il loro 
spirito originario negli interpreti che decorarono quei mo- 
numenti. 



XI 



L'architettura romanica fiorentina non si discosta nel- 
r icnografia dei suoi monumenti dal tipo basilicale ; addossa 
di sovente alla fronte delle sue chiese un atrio, come nel- 
r antica basilica di San Lorenzo, in Santa Reparata e in 
Sant' Jacopo Oltrarno; usa sempre - secondo l'antica tra- 
dizione cristiana - la cripta per conservarvi i Corpi Santi 
e le reliquie; solleva spesso il coro molto al disopra del 
piano della chiesa (nella Badia fiorentina, originale parti- 
colarità, il coro era in basso e in alto T altare che aveva 
accanto il sarcofago del Conte Ugo), e mostra - come 



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96 IL SAN GIOVANNI 



abbiamo avuto agio di rilevare - tutta la sua singolarità 
nei particolari della decorazione architettonica. 

La facciata della Pieve d'Empoli porta la data sicura della 
sua edificazione (1093), e chi ricordi che in questi anni ap- 
punto si lavorava attorno al Duomo di Pisa, cominciato 
soltanto nel 1065, potrà supporre che il motivo pisano sia 
una derivazione dal modello fiorentino. Più nel vero sarà, 
peraltro, chi consideri entrambe le costruzioni, pur nel così 
vario trattamento dei particolari architettonici e decorativi, 
una libera interpretazione delle forme romane decadenti. 

Ma le forme decorative dei più antichi monumenti fio- 
rentini accennano a poco a poco ad alterarsi (come del 
resto si riscontra negli stessi monumenti pisani con- 
dotti sul modello della Cattedrale), perdendo quel sen- 
timento classico che era la loro caratteristica; modifi- 
cando gli elementi architettonici che a quel sentimento 
corrispondevano così mirabilmente. O sia che gli scolari 
non raggiungessero l'abilità dei maestri, o sia che per 
r uso e per la pratica si perdesse V originaria finezza dei 
motivi decorativi, o sia, infine, che venissero a inframmi- 
schiarsi estranee influenze, certo è che nei due monumenti 
fiorentini che seguono a quelli già illustrati - il Sant' Ja- 
copo Oltrarno e il San Salvatore all'Arcivescovado - le 
consuetudini romaniche della scuola fiorentina si vengono 
a rallentare, per dar luogo, come notò bene il Nardini, 
a modi che si discostano assai dal fare paesano e rien- 
trare in quelli dell' uso romanico generale **. Ma queste 



*) NAia)iNi, op, cìL, pag. 158. 



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E L'ARCHITETTURA RQldANICA 97 

alterazioni di forme architettoniche sono altresì conferma 
della originalità e spontaneità di quel movimento che fece 
dire non senza ragione al Vasari : e In Fiorenza poi mi* 
gUorando alquanto T architettura» la chiesa di Sant'Ape* 
stolo.... fut ancorché piccola» di bellissima maniera; per- 
chè, oltre che i fusi delle colonne, sebbene sono di pezzi, 
hanno molta grazia e sono condotti con bella misura, 
i capitelli ancora e gli archi girati per le volticciuole 
delle due piccole navate mostrano come in Toscana era 
rimaso ovvero risorto qualche buono artefice >. E dopo: 
«L'anno poi idi 3 si vede Tarte aver ripreso alquanto 
di vigore nel riedificarsi la bellissima chiesa di San Mi- 
niato in sul Monte, al tempo di messer Alibrando citta- 
dino e vescovo di Firenze; perciocché, oltre agli orna- 
menti che di marmo vi si veggiono dentro e fuori, si 
vede nella facciata d' inanzi, che gli architetti toscani 
si sforzarono d'imitare nelle porte, nelle finestre, nelle 
CG^nne, negli archi, e nelle cornici, quanto potettono il 
più, r ordine buono antico avendolo in parte ricono- 
sciuto neir antichissimo tempio di San Giovanni nella città 
loro » ^K 

È vero che il Vasari aggiunse: « dirò solamente, che 
molto si diviò da questo segno e da questo buon modo 
di fare [del San Giovanni] quando si rifece di marmo la 
facciata della chiesa di San Miniato sul Monte fuor di 
Firenze; perchè quella e molte altre opere, che furon 
fatte poi, non furono punto in bontà a quella somi- 



>) Vasari, op. ciL, Voi. I, pag. 235 e 236. 



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98 IL SAN GIOVANNI 



gitanti » *^ onde non parrebbe doversi dare troppo peso 
alle affermazioni del biografo, il quale, nonostante questa 
contraddizione soggiunge: che Filippo di Ser Brunellesco, 
Donatello e gli altri maestri di quei tempi < impararono 
Tarte col mezzo del San Giovanni e della chiesa di San- 
t'Apostolo di Firenze » ^\ Comunque sia, non è il caso 
davvero di esclamare col Nardini < che la critica odierna 
si sia fatta levar la mano così dal Vasari ! > ^K 



Deir architettura imbastarditasi nelle due cfiiese di 
San Salvatore e di Sant* Jacopo per avvicinarsi sempre 
più alle norme comuni delle costruzioni romaniche, o delle 
nuove forme dell'arte gotica che gli Ordini monastici im- 
portarono di buon' ora in Firenze, non fu rappresentante 
Maestro Buono fiorentino, un costruttore che si educò in- 
vece all'arte nelle scuole di Pisa o di Lucca. Il Vasari, 
che nella vita di Arnolfo ricorda questo fra i maestri 
più elevati < i quali se non trovarono, cercarono almeno 
di trovar qualche cosa di buono >*^; confonde nelle no- 
tizie che dà delle opere da lui condotte artefici di diversa età 
e dello stesso nome. Il Maestro Buono, marmorario fioren- 
tino (come è detto nei documenti), è di un secolo posteriore 
a Gruamonte; fu figlio di Bonaccolto; lavorò in Pistoia 



») Vasari, op. Ht, Voi. I, pag. 333. 

2) Ihid,, pag. 232. 

^) Nardini, op, cit,, pag. 49. 

^) Vasari, op, cit,, Voi. I, pag. 271. 



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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 99 

air altare della chiesa di Santa Maria Nuova nel 1260; alla 
porta e alla vòlta della cappella di Sant' Jacopo .nel 1265; 
alla porta maggiore della Cattedrale, dedicata allora a 
San Zenone, nel 1272; e probabilmente prese anche parte 
ai lavori della facciata di San Piero Maggiore ^K Nel tempo 
in cui stette a Pistoia non s'intraprese cosa di qualche 
importanza che non ne fosse affidata a lui l'esecuzione; 
ma certo in queste costruzioni i caratteri romanici e in 
special modo le forme dell'arte pisano-lucchése sono se- 
guite da Maestro Buono, scultore, architetto e capo di mae- 
stranze. Da lui si volle riedificata la chiesa di Santa Maria 
Maggiore di Firenze, nella seconda metà del secolo xiii; 
ma a lui non può in alcun modo ascriversi quella ricostru- 
zione dovuta al nuovo avviamento architettonico impor- 
tato dagli Ordini monastici. 



Isolata e solitaria manifestazione dell'arte romanica to- 
scana è rimasta la parte inferiore della facciata di Santo Ste- 
fano in Ponte, in origine a tre navate con tre porte, di cui 
le minori sono sormontate da un architrave con sopra un 
arco tondo, e più in alto da una finestrella bifora ad archi 
tondi sorretta al centro da una sottile colonnetta. Costruita 
tutta in pietra da taglio, ha di marmo, a strisce bianche 
e nere, la decorazione delle due finestre poste sopra le 
porte minori nonché della porta maggiore la quale è cir- 



') Comunicazione del dott. Peleo Bacci. 



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loo IL SAN GIOVANNI 



conscritta da una fascia intarsiata a quadrati per angolo, 
egualmente di marmi neri e bianchi. 

Un documento c'insegna che nel 1233 < il priore di 
detta chiesa per pagare un debito di lire ottanta eh' egli 
haveva fatto prò hedificiis et muris ipsius ecclesie faciende, 
e per far case per detta chiesa nel popolo di San Piero 
Gattolini, vendette a frate Aldobrandino, rettore della 
chiesa di San Matteo da i Lepori, dell* Ordine degl'Here- 
mitani, corte, terra, vigna, castagneto, etc, sopra la qual 
terra era posta detta chiesa di San Matteo, per prezzo 
di L. 200 etc, > *^ 

A questi anni si deve riportare la costruzione della parte 
inferiore della facciata; mentre la superiore, di carattere 
gotico (quel bastoncino di tipo borgognone che ricinge la 
finestra centrale ne conferma T origine), si deve riferire 
all'ultimo scorcio del secolo xiii. 



XII 



I pochi monumenti che noi abbiamo illustrato nel corso 
di questo studio sono i soli che rimangono in Firenze del 
perìodo romanico. 

Distrutte le antichissime chiese di Santa Maria in Cam- 
pidoglio, di San Tommaso, dif Sant* Andrea, di San Pier 



*) Spogli Sirozziani di Memorie ecclesiasUche in Archivio di Stato di 
Firenze, e Richa, Chiese fiorenOm^ Voi. II, pag. 65. 



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Tav. XXII 






Santo Stefano al Ponte 



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E L'ARCHITETTURA ROMANICA 



Buonconsìglio» di San BartoIommeOi di San Piero Sche- 
raggio, di San Pier Maggiore, di San Piero in Celoro, di 
San Pancrazio, ecc.; modificate o rinnovate del tutto nel 
loro carattere dalle più tarde sovrapposizioni di nuovi e 
differenti stili architettonici quelle di San Lorenzo, di 
Santa Felicita, di Santa Trinità, di San Stefano in Ponte 
e di Sant' Jacopo Oltrarno ; dobbiamo ascrivere a singoiar 
fortuna che siano giunti sino a noi, ancora ben conservati, 
pochi e insigni modelli i quali servirono a mantener vivo in 
Firenze, anche nel periodo gotico, queir innato sentimento 
classico che doveva più tardi schiudere all'architettura 
nuovi orizzonti, ed esercitare così benefico influsso su tutte 
le manifestazioni dell'arte, e non dell'arte fiorentina sol- 
tanto. 



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ARNOLFO 



L'ARCHITETTURA GOTICA 



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Tav. XXIII 



Badia di San Salvatore a Settimo 



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I 



Quando, sul declinare del secolo xiii, dalle forme dell'arte 
romanica si svolse quel nuovo tipo di architettura, comu- 
nemente detta gotica, i cui elementi lombardi avevano tro- 
vato in terra francese un così potente sviluppo, fu vanto 
degli artisti italiani di aver saputo conciliare col novello in- 
dirizzo la vecchia tradizione, fatta di gloria secolare, atte- 
stata da monumenti insigni, da imponenti rovine, e di aver 
tratto dal nuovo stile solo quei perfezionamenti costruttivi 
e decorativi che trovarono più rispondenti all'indole e al 
sentimento loro. 

Perciò l'architettura gotica italiana apparisce fra noi 
come un compromesso fra le tendenze nuove e le norme 
della tradizione classica, che alle pareti, alle colonne e ai 
pilastri conserva sempre le funzioni tradizionali; e le vòlte 
delle navi mediane, per quell'innato sentimento estetico 
dello spazio, sono sviluppate, invece che su pianta rettan- 



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io6 ARNOLFO 



golare, su pianta quadrata, o quasi quadrata, tanto più re- 
golare ed armonica. I valichi delle nostre chiese riescono 
perciò il doppio più spaziosi di quelli settentrionali; le 
nostre navi minori più sfogate e in più perfetto accordo 
con la navata centrale, concorrendo all'armonia e all'unità 
di tutto Tedifizio. Col rialzamento delle navi laterali, quella 
di mezzo non ha più spazio al di dentro per i trifòrt, né per 
le grandi finestre su in alto ; non lascia più luogo, esterior- 
mente, allo slancio degli sproni volanti e dei sovrapposti 
pinnacoli. I contrafforti alleggeriti, in tal modo, nelle loro 
funzioni, anche per l'uso molto comune fra noi delle ca- 
tene di ferro o di legno, non hanno più la necessità di 
protendersi in basso per mezzo di progressive spor- 
genze. 

Quei valichi così spaziosi aumentando del doppio la di- 
stanza dei contrafforti esterni, impediscono nella parte su- 
periore, sia della nave maggiore, sia delle navi minori, di 
aprire finestre così ampie che occupino, esse sole, tutto 
lo spazio interposto tra un contrafforte e l'altro; impon- 
gono alle navate minori la pianta bislunga; la quale, alla 
sua volta, non permette nell'interno del transetto e del 
coro la disposizione dei collaterali ^K E dalla tradizione 
dell'arte cristiana primitiva deriverà il sistema di iso- 
lare, e di considerare destinato non ad altro uso che a 
quello di reggere le campane, il campanile, che si slancia 
di fianco alla chiesa, ora presso l'abside, ora accanto alla 
facciata. 



*) Cfr. Nardini, De/ Duomo di Milano, Milano, 1889, P^^- 2'- 



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E L*ARCHITETTURA;G0TICA 107 



Attenendosi a questo partito i nostri costruttori si allon- 
tanarono necessariamente dall'esagerato verticalismo delle 
chiese oltramontane, e dettero un così particolare carattere 
ai loro edifizi, che non si può dire rappresentino il vero 
e proprio stile gotico : da ciò la severità con che gli scrit- 
tori stranieri giudicarono questi munumenti. Essi dimentica- 
rono però che quello stile non era richiesto né dal clima, 
né dal sentimento popolare italiano, e non poteva quindi 
non subire da noi le modificazioni portate da quei due 
elementi principali determinanti di ogni manifestazione ar- 
chitettonica. Dimenticarono altresì che le varie e pur tanto 
originali interpretazioni che esso trovò in Italia, a seconda 
delle diverse regioni e scuole, se danno buon argomento 
per rimproverare agli Italiani di non aver compreso il lato 
pratico e tecnico delle nuove forme costruttive, non autoriz- 
zano davvero ad afiFermare, troppo genericamente e troppo 
assolutamente, che essi non capirono mai nulla in fatto di 
architettura gotica. 

Quando questo stile, già fiorente in Francia, e dalla Fran- 
cia importato in Germania e in Inghilterra, penetrò fra noi, 
le principali città della Penisola avevano rinnovato con mira- 
bile slancio le loro Cattedrali. Giustamente rileva il Nardini, 
che tolte le chiese monastiche, gli unici grandi monumenti 
di stile gotico costruiti nel secolo xiv sono il Duomo di 
Firenze, il Duomo di Milano e il San Petronio di Bologna. 
Sono essi, per così dire, il primo saggio di questo stile 



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io8 ARNOLFO 



nuovo, che, mancando presso di noi di precedenti e di tra- 
dizioni, non poteva avere regole generali e costanti, e per 
conseguenza ogni artista lo trattò a suo modo. Onde è vero 
che agli Italiani mancò un tipo di architettura comune alle 
diverse città quale ebbero le altre nazioni europee, e fu- 
rono costretti a crearsi volta per volta uno stile che rispon- 
desse allo spirito di ogni singola loro regione ; ma è anche 
vero che quando nel secolo xiv essi vollero prender parte 
al generale rinnovamento architettonico, appunto col Duomo 
di Firenze e con quello di Milano, crearono i due tipi in cui 
l'arte gotica rivela una singolare perfezione ^\ Questo fatto 
di una nazione che esordisce creandosi uno stile nuovo e 
bellissimo per ogni monumento che innalza, è, per il dotto 
scrittore, cosa unica nella storia dell'arte, perchè ci fa vedere 
come anche V Italia avrebbe potuto spingersi ben oltre in 
questa via, se il Rinascimento non l'avesse così presto in- 
calzatcT, e non avesse troncato le sue tradizioni medievali ^\ 
Ma poiché il Rinascimento ebbe luminoso centro spe- 
cialmente in Firenze, quali tradizioni il suo avvento troncò 
mai in questa città? 



In Italia le forme medievali attinsero la loro forza dal- 
l'arte classica, e a questa sacrificarono gran parte delle 
nuove tendenze ; a Firenze poi, il sentimento classico si 



*> Najrdini, op, cit., pag. 115. 
2) Ibid., pag. 115 e 116. 



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E L'ARCHITETTURA GOTICA 109 



modifica, è vero, nel periodo gotico, ma le forme tradizio- 
nali dell'architettura latina sembrano quasi compenetrarsi 
in questa nuova maniera per ritornare, dopo un troppo breve 
esperimento, a imporsi col Quattrocento. Non è brusco il 
trapasso dall'arte romanica all'arte gotica, perchè, come le 
reminiscenze dello stile romanico si fusero con le forme 
ogivali, così nelle prime opere della Rinascenza rimasero 
palesi le tracce del gotico. E di ciò si ha chiara testimo- 
nianza neir antico frammento della facciata di Santa Maria 
Novella, dovuta alla munificenza di Messer Turino di 
Baldese (1348), nel quale si avverte la fusione dei due 
stili romanico e gotico ; il primo, nell' insieme della com- 
posizione; il secondo, nelle porte laterali con archi acuti 
e frontespizi cuspidati, nelle forme dei pilastri e dei capi- 
telli, e nel carattere dei profili. 



Il Nardini giustamente avverte in Firenze due indi- 
rizzi architettonici: uno, derivato dal connubio dell'arte 
monastica con la paesana, e che accenna a ripristinare 
sotto altre forme i concetti decorativi dell'arte romanica; 
l'altro, che ripete le consuetudini generali dello stile go- 
tico. Il primo, si afferma nel Duomo di Santa Maria del 
Fiore, in Orsanmichele, nel Bigallo e nella Loggia dei 
Priori ; il secondo, in Santa Maria Novella, in Santa Croce, 
in Santa Trinità, in Santa Maria Maggiore. 

L'uso delle vòlte ogivali, il cui equilibrio poggia in 
gran parte sugli archi diagonali e sui loro sostegni, rese 



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ARNOLFO 



necessaria una forma di pilone che organicamente rispon- 
desse alle nuove esigenze. «E mentre gli oltramontani si 
tennero strettamente al pilastro a fascio, prismatico, poU- 
stilo, gli Italiani stabilirono il tipo loro per ogni singolo 
caso ; e a Firenze, le colonne del Duomo - come le chia- 
mavano appunto i maestri fiorentini del Trecento - con- 
tengono in sé gli elementi essenziali che costituiscono 
l'ossatura statica deiredifizio, mostrando nettamente di- 
stinti i sostegni dei sottarchi, dei mezzarchi e dei bottacci 
o costoloni delle respettive vòlte; la pianta di essi è iscritta 
in un quadrato fondamentale; la base e il capitello colle- 
gano in un tutto organico e solido le varie parti che li 
compongono *^ Ma questo pilone adottato in Orsanmichele 
e nella Loggia dei Priori, multiplo e uno, che ha nel suo 
organismo di sostenente tutti gli elementi del sostenuto e 
può dirsi la forma più perfetta del pilone gotico italiano, 
questo pilone così caratteristico della scuola gotica fioren- 
tina, rivela lo studio di assoggettare gli elementi costi- 
tutivi dell'arte ogivale all'organismo classico. All'esterno 
si nota, in basso, una disposizione che richiama lo stilo- 
bate o basamento degli edifizi romani ; in alto, una ripeti- 
zione di cornicette e di fasce che arieggia l'architrave ed 
il fregio delle fabbriche antiche; e finalmente quei bec- 
catelli e quella ghirlanda sostituiscono felicemente la 
cornice dei monumenti pagani e romanici ^^ In queste 



*) Nardini, op, cit,, pag. 67 e seg. ; Il Duomo di San Giovanni, pag. 172. 
- Canestrelli, U Architettura Medievale a Siena, pag. 13. 
. 2) Nardini, // Duomo di San Giovanni, pagg. 162, 172 e 173. 



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E L'ARCHITETTURA GOTICA 



fabbriche, poi, si manifesta una tendenza alla linea oriz- 
zontale che contrasta col sentimento dello stile gotico; 
onde nella Loggia dei Priori, i pilastri mistilinei reggono 
archi a tutto sesto; nel Duomo, al verticalismo dell'arco 
acuto si contrappone il ballatoio, che gira intorno alla na- 
vata maggiore, quasi ad annullare l'effetto slanciato del- 
l' arco stesso e a distruggere la lògica significazione della 
struttura gotica; nel Tabernacolo delFOrcagna, l'arco tóndo 
è sormontato da un gran fregio orizzontale, su cui s'im- 
posta la cuspide. Le stesse finestre tabernacolari col fron- 
tespizio cuspidato e con le colonnine a tortiglione, deri- 
vano dalle finestre dei monumenti romanici. 

Quali tradizioni medievali avrebbe mai potuto conservare 
Firenze se, pur nel momento più pieno dell' ogivalismo, 
gli architetti non seppero dimenticare gli esemplari ro- 
mani, e rivestirono le loro costruzioni gotiche di particolari 
classici ? 



È ormai dimostrato che il Rinascimento, dovuto in prin- 
cipal modo ai Fiorentini, più che agli esempi dell'archi- 
tettura romana si ispirasse a quelli della scuola romanica 
della stessa Firenze. Gli archi girati sulle colonne, gli archi- 
travi piegati ad angolo retto come le cornici di un quadro, 
le finestre i cui stipiti girano senza interruzione sull'arco 
respettivo, e tante altre particolarità dell'architettura fio- 
rentina del Rinascimento, non hanno riscontro negli antichi 
monumenti, ma soltanto negli edifizi medievali di questa 



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112 ARNOLFO 

città ^K Può dirsi quindi che lo stesso sentimento che ani- 
mava i primi costruttori all'alba del secolo xi, si risve- 
gliasse, pur non essendo rimasto sopito del tutto fra le 
nuove correnti artistiche, quattro secoli dopo con rafforzato 
vigore; e che i Fiorentini, liberandosi finalmente dallo stile 
gotico (non inteso mai rettamente e disdegnato col nome di 
barbaro)^ facessero rivivere, tornando a più modeste costru- 
zioni, la maniera deir antica Roma, che adattarono ai bi- 
sogni moderni delle costruzioni ecclesiastiche e civili. Ma 
della maniera classica questi primi innovatori del Rinasci- 
mento come i primi architetti del periodo romanico, non 
imitarono che le forme decorative, e più che imitazione 
fu libera interpretazione di modini, di cornici, di partico- 
lari architettonici desunti da modelli antichi; da ciò la 
mancanza troppo frequente di corrispondenza organica 
fra le forme prese a prestito e le costruzioni stesse; da 
ciò un classicismo più apparente che reale, o, meglio, 
più analitico che sintetico. Bisognerà aspettare che Bra- 
mante e gli altri architetti del secolo xvi, ispirandosi alla 
grandiosità delle costruzioni romane, intendano, non sol- 
tanto l'impronta esteriore di certe forme, ma tutta l'im- 
ponenza e la maestà, che rende meravigliosi gli antichi 
monumenti, perchè l'arte del fabbricare accenni a risorgere 
con vero sentimento classico. 



*> Fontana, // BrunelUschi e l* Architettura classica in Archivio Storico 
dell'Arte, anno VI, 1893, pag. 256 e seg. - Nardini, Il Duomo di San Gio- 
vanni, pag. 174. 



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E L'ARCHITETTURA GOTICA 113 



Gli Ordini religiosi furono i più efficaci cooperatori dello 
svolgersi deir architettura nei diversi periodi e nelle diffe- 
renti forme. I Cluniacensi prima, poi i Cistercensi, final- 
mente i Domenicani e i Francescani dedicandosi all' ar- 
chitettura e alla scultura costruirono essi stessi gli edifizi 
per i loro monasteri, e nelle regole e nell'esercizio delle 
costruzioni addestrarono anche i laici. Ma più propriamente 
ai Cistercensi - presso i quali come già presso i Qunia- 
censi fu in grande onore lo studio dell'architettura - 
spetta il merito di avere importato fra noi i tipi e i ca- 
ratteri dell'arte gotica, sia nella disposizione icnografica 
delle costruzioni, sia nelle forme decorative: e poiché il 
grande ordine claustrale si diffondeva dalla Borgogna, così 
è naturale che negli edifizi a loro dovuti prevalgano mo- 
delli e forme dell' arte francese, e in particolar modo bor- 
gognona ^K 

In Toscana i Cistercensi, con l'Abbazia di San Galgano, 
dettero efficace impulso alle nuove forme che si ritrove- 
ranno poi in parte nel Duomo di Siena; e da San Galgano 
si recheranno i Cistercensi stessi alla Badìa di Settimo, 



') Enlart, Origines fran^aises de V archiieciure gothique en ItaUe, Paris, 
1894. - Canestrelli, L'Abbazia di San Galgano, Firenze, 1896. 

15 



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114 ARNOLFO 

presso Firenze, quando Gregorio IX, nel 1237, la farà sog- 
getta alla Santa Sede. 

L* influenza dei Cistercensi si manifestò ancora negli altri 
Ordini religiosi ; i Francescani e i Domenicani derivano da 
modelli cistercensi le loro costruzioni, le quali, tranne qual- 
che rara eccezione, sono semplici e modeste, e non con- 
sentono altri ornamenti che la decorazione pittorica. 



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L'efficacia che il modello di San Galgano ebbe suir ar- 
chitettura senese è molto maggiore di quella che la Badia 
di Settimo esercitò sui monumenti fiorentini. 

Oggi quest'antica Abbazia è così alterata, per restauri 
e per rifacimenti arbitrari, che ben poco conserva del suo 
primitivo ordinamento. Oltre il campanile, già da noi ri- 
cordato, e il frontispizio della chiesa con i caratteristici 
archetti trilobati di tipo gotico-cistercense, la grande sala 
a vòlta (ora ridotta ad uso di tinaia), è una delle poche 
e più notevoli parti che rimangano dell' antica costruzione. 

Spartita in tre navate, di cui la centrale un po' più larga 
ad arco tondo e le laterali ad arco acuto, è coperta da 
vòlte a crociera semplice, con sottarchi e mezzarchi leg- 
germente rilevati. I capitelli, del solito tipo monastico, ma 
piuttosto rozzi, sono a due strati ; i fusti, costituiti da ci- 
lindri sovrapposti; le basi, attiche. Il rialzamento del suolo 
ha nascosto per metà le colonne ; per cui la costruzione ha 
perduto le sue proporzioni, non però ogni artistico inte- 
resse. 



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E L'ARCHITETTURA GOTICA 115 



U influenza delle costruzioni cistercensi si riscontra nella 
chiesa domenicana di Santa Maria Novella, la quale, nono- 
stante la sua semplicità, è uno degli edifizi gotici italiani 
più strettamente rispondenti al carattere di quello stile. 

Gli architetti del nuovo e grandioso monumento furono 
i due conversi fra Sisto e fra Ristoro, aiutati nel lavoro 
di muratura e di scultura da altri loro confratelli. 

Non erano nuovi nell'arte quei due maestri: nel 1252 
avevano avuto T incarico di costruire alcuni voltoni e for- 
s'anco un cortile o chiostro (tnagnas testudines) nel Palazzo 
del Potestà; nel 1269 avevano gettato di pietra i piloni 
del Ponte, anch'oggi detto alla Carraia; e ad essi si ascrive 
generalmente la piccola chiesa di San Remigio, per la so- 
miglianza che presenterebbe con Santa Maria Novella. La 
quale, fondata nel 1278, conferma la sua origine cister- 
cense, e in special modo la derivazione dal San Galgano 
nella pianta, nelle forme e nelle decorazioni dei pilastri, 
negli archi e nelle vòlte a crociera. 

Ma come i Cistercensi in San Galgano avevano modi- 
ficato il carattere delle loro costruzioni sotto Y influsso del 
sentimento italiano, così gli altri Ordini venuti dipoi, mo- 
strarono di sapere interpretare con grande libertà e in- 
dipendenza alcune forme decorative e alcuni sistemi sta- 
tici derivati da quel modello. 

Lo stesso Enlart riconosce che i monaci cistercensi, 
dovendo di necessità ricorrere, nel paese dove si ferma- 



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ii6 



ARNOLFO 



rono, ad aiuti, questi, sebbene istruiti e educati alla loro 
maniera, aggiungevano dal canto loro o qualche particolare 







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Pianta di Santa Maria Novella 



carattere del tutto locale, o un sentimento del tutto per- 
sonale nell'esecuzione dei lavori a cui erano stati chia- 



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Santa Maria Novella 



Tav. XXVI 



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E L'ARCHITETTURA GOTICA 117 



mati ^K Da ciò, indubbiamente, la varietà grandissima che 
presentano nelle diverse città d'Italia non solo le differenti 
chiese costruite dai Cistercensi, ma pur quelle, tanto più 
numerose, dovute ai Domenicani e ai Francescani. 

Questa indipendenza e libertà di interpretazione si av- 
verte in Santa Maria Novella, dove su pilastri a pianta cro- 
ciforme s'impostano le vòlte 
che si controspingono a vi- 
cenda: quelle delle navate la- 
terali con la vòlta della nave 
maggiore per mezzo di con- 
trafforti innalzati sui sottarchi 
delle navate minori, che ten- 
gono luogo degli archi ram- 
panti. < Ed è meraviglioso 
- scrive Amico Ricci - come 
tutta la gran vòlta e gli archi 
insieme connettansi mediante 
un ammirabile contrasto senza 

, . , ^ Santa Marìa Novella 

vi Sia stato bisogno del soc- 

(Dal Dehio e Bezold) 

corso di chiavi, cavicchie, o 

spranghe, di cui si fece tanto uso nelle fabbriche poste- 
riori > ^. 

La nave centrale è di poco elevata sulle laterali; ogni 
campata è a pianta quadrata, o quasi quadrata, cui na- 
turalmente corrispondono, nelle navate laterali, campate 



*) Enlart, op. ci/., pag. II. 

2) Ricci, S/oria deirArchitethira, Voi. II, pag. 97. 



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ii8 ARNOLFO 



rettangolari per lungo, con sistema - come dicemmo - che 
si mantiene costante in quasi tutte le chiese nostrane di 
tipo gotico. 

< Allo scopo - sempre secondo il Ricci - che la chiesa 
comparisse anche più grande, benché fosse grandissima, 
stimarono questi architetti che gli archi, più spaziosi da 
principio, si restringessero verso il transetto, onde prospet- 
ticamente allungandosi Tedifizio, presentasse una lunghezza 
maggiore della reale > *\ Ma, molto probabilmente, questa 
irregolarità, o meglio, questa particolarità costruttiva derivò 
dalla lentezza con cui procedettero i lavori, per modo che, a 
raggiungere più presto le proporzioni stabilite, si dovettero 
allargare, verso la fronte, gli spazi fra pilastro e pilastro. 

Il campanile, poi, posto all'angolo sinistro della cro- 
ciera, porta al basso della sua cuspide dei frontespizi acu- 
minati, ed è dovuto a fra Jacopo Talenti da Nipozzano, 
all'architetto che con fra Giovanni da Campi successe ai 
due frati conversi nella direzione dei lavori. Alla loro 
opera si associarono in progresso di tempo altri valentis- 
simi costruttori dell'Ordine, ai quali si deve esclusivamente 
il merito della bella costruzione, che non senza ragione, 
ammirata da Michelangiolo, fu da lui detta sua sposa/ 



È notevole, del resto, come in Firenze più che altrove 
le scuole monastiche mantenessero salde radici. Mentre 



*) Ricci, op, cit„ Voi. II, pag. 97. 



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E L' ARCHITETTURA GOTICA 1 19 

in altre città T architettura romanica è arte laicale, e le 
chiese di Pisa, di Lucca, di Pistoia, di Modena, di Parma 
e di Ferrara vengono edificate da laici (onde si direbbe 
che quelle città fatte libere dalla soggezione feudale, a 
testimonianza della propria indipendenza, affidassero ad 
essi il disegno e la direzione delle loro insigni Cattedrali), 
in Firenze alle costruzioni benedettine del secolo xi e xii 
(San Miniato e Badia di Fiesole), seguono quelle cister- 
censi (Badia di Settimo e Badia di Firenze), e del nuovo 
indirizzo artistico importato dall' Ordine cistercense in Ita- 
lia, i Predicatori e i Mendicanti, si fanno i più caldi seguaci. 
Ma sino oltre la metà del secolo xiv fiorì in Firenze 
una scuola monastica gotica, che ebbe architetti famosi, e 
ai quali si dovettero opere notevolissime. I nomi di fra 
Sisto, di fra Ristoro, di fra Mazzetto, di frate Albertino 
Mazzanti, di fra Borghese, di fra Giovanni da Campi, di 
frate Francesco da Carmignano e di frate Jacopo Talenti 
da Nipozzano, di padre Pasquale dall'Incisa, di padre Ra- 
nieri Gualtierotti, di padre Pietro Macci (per non citare 
che i maggiori), 'confermano a sufficienza il numero e il 
valore dei maestri; le chiese ed altri edifizi da essi co- 
struiti a Firenze, a Prato, a Roma attestano la loro va- 
lentia. E, sino dal principio del secolo xiv, l'abilità archi- 
tettonica di quei monaci si era levata in così gran fama, 
che durante tutto il lungo e agitato periodo nel quale si 
discusse e modificò più volte il disegno della nuova Cat- 
tedrale di Santa Maria del Fiore, ogni discussione e mo- 
dificazione, così del complesso come delle varie parti della 
chiesa, era sottoposta al voto di essi. 



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ARNOLFO 



€ Dal recinto delle monastiche mura - scrive Amico 
Ricci - continuano ad uscire maestri espertissimi nelle 
opere più ardue dell'arte, ed il laicato nella sua emanci- 
pazione non ha usurpato air antico magistero la primitiva 
sua influenza, ma si rimane sodisfatto di operare da sé, 
quando circostanze gliene porgano il destro > ^K 

Infatti, mentre fioriva la scuola monastica, ad Arnolfo 
è dato r incarico della costruzione della nuova Cattedrale, 
a Giotto quella del Campanile, e Francesco di Talento di- 
rige i lavori della Chiesa maggiore. Ma l'influsso di quelle 
scuole è sempre così vivo, che Arnolfo, nella costruzione 
della nuova Santa Reparata mostra di derivare dalla scuola 
cistercense ; Giotto fa largo posto nel suo Campanile alla 
materia allegorico-didattica così largamente sviluppata ol- 
tremonte dagli Ordini monastici, e Francesco Talenti, che 
fu forse fratello del celebre costruttore di Santa Maria No- 
vella, fra Jacopo e di fra Giovanni, muratore nella costru- 
zione della libreria del Convento medesimo ^\ impòsta sulla 
fronte della chiesa da lui rinnovata due grandi finestre, de- 
rivando egli pure questo motivo dalle costruzioni cister- 
censi di San Galgano e della Badia fiorentina. 

Né si deve dimenticare che quando la Signoria ebbe 
bisogno dell'opera di valenti architetti, si rivolse ai fi-ati 
di Santa Maria Novella, a quelli di Santo Spirito, o ai 
monaci cistercensi. Oltre fra Sisto e fra Ristoro, che la- 
vorarono, come dicemmo, al Palazzo del Potestà, i due 



») Ricci, op, a/,. Voi. II, pag. 94. 

2) Guasti, San/a Maria del Fiore, pag. 1 1 . 



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E L'ARCHITETTURA GOTICA 12 1 

più celebri domenicani, Giovanni da Campi e Jacopo Ta- 
lenti da Nipozzano, attesero per molti anni al restauro 
e al rinnovamento delle pubbliche costruzioni. Fra Gio- 
vanni, dopo l'alluvione del 1333, riedifica il Ponte alla Car- 
raia.... ipse factus est per Comune totius Ulius operis principaJis 
et unicus architector *^; fra Jacopo magister lapidum et edi- 
Jiciorum è detto bonus in tantum quod Comune Florentice in 
suis edificOs per multos annos eum requirebat ^^ Ai Cister- 
censi, infine, sono affidate dal Comune la costruzione e la 
conservazione dei ponti e delle mura della città, nonché 
le fortificazioni dei castelli e di altri luoghi del contado ^\ 
Da questi documenti ci par lecito dedurre, che a Fi- 
renze la scuola laica si emancipasse dalle influenze mo- 
nastiche soltanto nella seconda metà del secolo xiv, perchè 
solo intorno al 1 350 si forma la vera scuola gotica fiorentina 
con Francesco Talenti, con TOrcagna, con Giovanni di Lapo 



^> Marchese, Memorii dei più insigni piiiori, scultori e architetti dome^ 
nkani, voi. I, pag. 187, nota 2. 

2) Ihid., pag. 191, nota i. 

3) Nuovi documenti insegnano che nel 1259 si pagò dai Cistercensi 
una somma a Tomabello Amati, constituto ad reformandum et reficiendum 
et aptandum pilatn Pontis Rubacantis; il 24 luglio dello stesso anno a Iacopo 
della Scala e ad Ugolino Frescobaldi iibras CD fior, paro, prò expensis ne^ 
cessarOs factis et faciendis prò reactatione Pontis novissimi Sane te Trini tatis; 
il 29 settembre, lire 50 ad Arrighetto ed Ubaldino occupati ad reaptandum 
et reformandum Pontem qui dtcitur Carraria ecc. (Lasinio, Frammento di un 
quaderno di mandati dell'antica Camera del Comune di Firenze, Firenze, 1905). 
Non è dubbio che questi laici al servizio dei monaci cistercensi dovessero 
risentire in qualche modo l' influsso dell'Ordine, che in tutti i suoi edifizi, 
pur facendo larga parte a caratteri nazionali, lasciava tuttavia notevoli im- 
pronte della propria maniera. 

16 



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122 ARNOLFO 

Ghini, con Benci di Cione e Neri di Fioravante, gli ar- 
chitetti di Santa Maria del Fiore, di Or San Michele, della 
Loggia dei Priori. Vorremo dunque ostinarci a conside- 
rare Arnolfo il rappresentante di uno stile che ebbe sol- 
tanto nascimento e sviluppo tanto dopo la sua morte? 



II 



È più difficile rintracciare le opere di Arnolfo archi- 
tetto, che di Arnolfo scultore. Se di questo rimangono do- 
cumenti e monumenti sicuri, e si hanno testimonianze non 
dubbie della sua maestria, dell'architetto non sappiamo che 
quanto ne scrisse il Vasari ; e della sua Santa Reparata non 
resta che il ricordo nella lapide oggi murata sul fianco della 
Cattedrale di fronte al Campanile. Non due, però, furono 
gli artisti dello stesso nome, come vorrebbe il Ricci ** se- 
guito più recentemente dal Frey: Tuno scultore, l'altro 
architetto : il primo, scolaro di Nìccola Pisano ; V altro, di 
queir Jacopo tedesco a cui il Vasari dette il merito della 
costruzione della chiesa francescana di Assisi. < Né il Va- 
sari - scrive Amico Ricci - il quale racconta che Arnolfo 
figlio di Lapo, o Jacobo Tedesco fu V architetto della basi- 
lica d'Assisi, mise in chiaro il dubbio, che anzi lo rese più 
intrigato facendo di due Arnolfi, scultori e architetti, un 
architetto solo.... Un Arnolfo (probabilmente fiorentino), 



*) Ricci, op, cit., voi. II, pag, 56. 



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E L'ARCHITETTURA GOTICA 123 

unito al SUO compagno Pietro, scolpiva V altare, che si am- 
mirava nella chiesa di S. Paolo di Roma.... E appunto in 
quest'epoca medesima Giorgio dice che Arnolfo era occu- 
pato a Firenze in lavori pel pubblico e pei privati, e così 
ci comparisce quest'artefice nel tempo stesso a Roma e 
a Firenze. Né qui si sarebbe arrestata la confusione pro- 
dotta nella vita di Arnolfo dal nostro biografo aretino; 
che se non 1* avesse di poi egli stesso rettificata nella se- 
conda edizione, che pubblicò delle sue opere nel 1568, ci 
narrerebbe come ad Arnolfo, morto a Firenze nel 1300, 
fii data a scolpire la sepoltura per Bonifacio Vili morto 
nel 1303 > ^K 

Il Frey dal canto suo non intende come si possa iden- 
tificare con Arnolfo di Colle Valdelsa l'Arnolfo chiamato 
in un documento perugino del io settembre 1277, de Fio- 
rentia ^\ Ma chi ripensi che, nella petizione al Comune per 
ottenere l'immimità da ogni imposta, Arnolfo doveva ben 
dire il vero luogo di origine, mentre ai Perugini bastò de- 
signarlo col nome della città sotto la cui signoria era 
la terra donde ei trasse i natali e che dava quasi di re- 
gola il titolo di cittadinanza a tutti i nativi nel dominio 
fiorentino, non può meravigliarsi per la diversa indicazione 
dei due documenti. 



*) Ricci, op, cit,, Voi. II, pag. 56. 

2) Arnolfo di Cambio architetto è da identificare collo Scultore Arnolfo fio- 
rentino? in Miscellanea storica della Valdelsa, Anno I, fase. 2, pag. 86 e seg^ 



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124 ARNOLFO 



Di Arnolfo rimangono questi soli e sicuri ricordi: nel 1 265 
Niccola lo nomina fra i suoi scolari nel contratto per il pul- 
pito di Siena ; nel '66 è intimato al Maestro, secondo la pro- 
messa, di farlo venire a lavorare a quel pulpito; nel '77 è 
chiamato dai Perugini per il lavoro della Fonte, che gli 
è pagato nel 1281. Il suo nome si legge nel monumento 
al Cardinale di Braye (f 1282), in Orvieto; nel Taberna- 
colo di San Paolo fuori le mura a Roma (1285); nella lapide 
che consacra la fondazione del Duomo di Firenze (i 296); si 
leggeva nel Ciborio di Santa Cecilia a Roma (1293), e nel 
Sacello di Bonifazio Vili (1296) in Vaticano. Infine, nel 1300 
il privilegio concessogli dalla repubblica fiorentina dice: 
MagisUr Amolphus de Colle filius olim Cafnbii.... capud ma- 
gister laòorerii et operis ecclesie Beate Reparate.... famosior 
magister et magis expertis in hedificationibus ecclesiarum aliquo 
alio qui in vicinis partibus cognoscatur....^^. Nell'Obituario, 
poi, di Santa Reparata è scritto: Vili idus Mariti. Quiescii 
magister Amolfus de F Opera di Sancta Reparata ^\ 



Chi legga nel Villani dei grandi lavori edilizi intrapresi 
dai Fiorentini nella seconda metà del secolo xm in città 



*) Guasti, Santa Maria del Fiore, pag. 20, Doc. 24. 
2) Ihid,, pag. 21, Doc. 25. 



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E L'ARCHITETTURA GOTICA 125 

e nel contado - chiese, castelli, monasteri e palagi, ponti e 
strade, logge e mura - rimarrà sorpreso di non trovare 
mai un accenno agli artisti che vi ebbero parte. A questa 
dimenticanza cercò di rimediare, con molta ingenuità, il Va- 
sari, il quale, a corto di sicure notizie, e pur costretto a 
raccontare le glorie dei più antichi artefici e a descriverne 
le opere, non seppe far di meglio che attribuire ad essi 
quanto d'importante, per testimonianza di storici e di cro- 
nisti, si costruì in Firenze e nel contado. Così ad Arnolfo, 
che in quello scorcio di secolo era stato il fondatore della 
nuova Santa Reparata, doveva andare il vanto e la gloria 
delle altre notevoli costruzioni condotte in quel tempo dai 
concittadini. E a lui furono perciò assegnati quasi tutti 
quegli edifìzi che il Villani aveva ricordato : il disegno della 
Loggia e dei pilastri di Orsanmichele (Libro VII, cap. XCIX), 
la costruzione del Campanile di Badia (Libro VII, cap. XCIX), 
della chiesa di Santa Croce (Libro Vili, cap. VII), dei Ca- 
stelli di San Giovanni e di Castelfranco in Valdarno (Li- 
bro Vili, cap. XVII), della Cattedrale fiorentina (Libro .Vili, 
cap. IX), del Palazzo dei Signori (Libro Vili, cap. XXVI) ; 
e il restauro del Duomo di San Giovanni (Libro Vili, 
cap. III). E quasi tutto ciò non bastasse, il biografo vi ag- 
giunse ancora la fondazione della Loggia e della Piazza 
dei Priori. 

È proprio il caso di ripetere col Frey, che il Vasari 
€ partendo da principt di cui non si può discutere la giu- 
stezza, creò i tre grandi rappresentanti delle tre arti in 
Italia, Cimabue per la pittura, Niccola Pisano per la scul- 
tura, Arnolfo per T architettura, e con ciò si spiega perchè 



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126 ARNOLFO 



egli a questi tre maestri attribuisca il maggior numero 
possibile di opere »*\ 



Non conosciamo la data della nascita di Arnolfo che il 
Vasari, senza fondamento, pone nel 1232 e che il Milanesi, 
senza documenti, porta al 1240. Della sua educazione il 
biografo cinquecentista scrive : < Arnolfo, dalla cui virtù 
non manco ebbe miglioramento T architettura, che da Ci- 
mabue la pittura avuto s'avesse, essendo nato Tanno 1232, 
era quando il padre morì, di trenta anni ed in grandissimo 
credito: perciocché, avendo imparato non solo dal padre 
[Lapo] tutto quello che sapeva, ma appresso Cimabue dato 
opera al disegno per servirsene anco nella scultura, era in 
tanto tenuto il migliore architetto di Toscana >^^ 

Non daremo troppo peso al racconto del Vasari anche 
perchè Cimabue, nato circa il 1240, non avrebbe potuto in- 
segnare il disegno ad Arnolfo, che già nel 1265 è fra i 
migliori allievi di Niccola Pisano, e come tale messo in- 
nanzi per il lavorìo del pulpito senese, e dai Senesi ri- 
chiesto a Niccola stesso quando non lo aveva seguito a 
Siena. Si può quindi credere che dedicatosi giovanetto alla 
scultura, Arnolfo si perfezionasse nell'arte sotto la guida 
del Pisano, e desse per tempo prova della sua abilità. 
Sempre per la fama acquistatasi come scultore, fu ai ser- 



*> Frey, op, cit., pag. 83. 

2) Vasari, ViU, ediz. Milanesi, Voi. I, pag. 283-84. 



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E L'ARCHITETTURA GOTICA 127 

vigi di Carlo d'Angiò; e dai Perugini richiesto a Carlo 
nel 1277; andò poi come scultore neir82 a Orvieto; e 
neirSs, e anche dopo, a Roma. È vero che allora gli ar- 
tefici esercitavano tutte le arti, onde nulla di strano che 
Arnolfo si occupasse anche di architettura. Lapo, suo com- 
pagno nel lavoro del pulpito di Siena, fu nel 1284 archi- 
tetto di Sant'Angelo in Colle, e Donato, T altro aiuto di 
Niccola, diresse nel 1271 la costruzione del Ponte a Foiano 
sul Merse. Della sua grande fama è prova certa la lode di 
maestro eccellente nella costruzione di chiese che gli danno 
i Fiorentini ; ma è altrettanto certo che nessun documento ci 
dà modo di confermare le parole del privilegio : qtLod ipse 
est famosior magister et magis expertus in hedificationibus ec- 
clesiarum aliquo alio qui in vicinis partìòtis cognoscatur. 

Quali saranno mai le chiese costruite da Arnolfo che gli 
meritarono tanto elogio e che indussero i Fiorentini a rivol- 
gersi a lui per la rinnovazione di Santa Reparata? Giacché 
né i lavori condotti per Carlo d'Angiò a Napoli o altrove, 
né quelli di Orvieto e di Roma possono giustificare la 
4C famosa esperienza > vantata dalla Signoria nel decreto 
sopra citato. 



Il Frey, la mancanza di documenti e di monumenti com- 
pensa ascrivendo ad Arnolfo la chiesa di Santa Croce, 
(ossia immaginando che i francescani avessero chiamato 
in Firenze lo scolaro di queir Jacopo tedesco a cui do- 
vevano il tempio famoso di Assisi e che là avevano cono- 



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128 ARNOLFO 

sciuto e visto lavorare); e attribuendogli oltre Santa Croce, 
Santa Trinità, Santa Maria Maggiore, nonché la parte più 
antica del Bigallo, per l'affinità di certi caratteri stilistici 
che questi edifizi presentano con la chiesa francescana di 
Firenze. < A Santa Trinità vediamo svelti pilastri quadrati 
con lesène che salgono ininterrotte sulla soprelevazione 
del muro della navata mediana come a Santa Croce ; ca- 
pitelli a foglie di acanto quasi a foglia di cavolo, su al- 
cuno dei quali s'imposta una specie di tegolo sorretto da 
piccoli dadi quadrati ; archi acuti, ecc. Gli stessi caratteri 
mostrano Santa Maria Maggiore e la parte più antica del 
Bigallo che prospetta la piazza di San Giovanni, di cui gli 
archi rotondi posano su pilastri quadri senza capitelli. Per 
tal modo si avrebbe in Firenze un gruppo di edifizi affini, 
che rispetto a Santa Croce e al Duomo (questi due mo- 
numenti sono più ricche ripetizioni dello stesso motivo), 
portano l'impronta dello spirito di Arnolfo, e così meglio 
s'intenderebbe la reputazione che godeva l'artista, e quindi 
l'onorevole incarico della costruzione di Santa Maria del 
Fiore > ^K 

Ma la Misericordia, pure in quella parte che ha gli archi 
chiusi, è sorta molto più tardi. Sappiamo che nel 135 1 i Ca- 
pitani del Bigallo ricevettero in dono una casa sull'angolo 
del Corso degli Adimari; e nel gennaio dell'anno seguente 
prendevano là < super canto plateae S. Johannis > uno 
spazio per costruirvi un Oratorio. E poiché la decorazione 
marmorea che riveste le due arcate d'angolo doveva in- 



J) Frey, op, a'L, pag. 86, 



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E L'ARCHITETTURA GOTICA 129 

dubbiamente continuare anche nelle altre, così ci pare da 
escludere in modo assoluto la possibilità che Arnolfo la- 
vorasse a quella fabbrica ^K 



1 1 1 I I I fi. 1 1 1 ■ I 7 
Pianta di Santa Maria Maggiore 



Santa Maria Maggiore non si può attribuire - come ab- 
biamo già rilevato - all' architetto Buono fiorentino. Sem- 
plici pilastri sostengono il tetto per mezzo di vòlte e di 



^) Poggi, La Compagnia del Bigailo in Rivista d'Arte, 1904, fase. XI, 
pag. 192 e 194. 

17 



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I30 ARNOLFO 

archi a sesto acuto ; e forse questa semplicità - non sap- 
piamo però con quanto fondamento - fece ascrivere la co- 
struzione ad Arnolfo dagli scrittori delle Notizie e Guida di 
Firenze e dallo stesso Frey. 

< Il pregio di questa chiesa, indipendentemente dall'ef- 
fetto che produce ai nostri occhi, è nella veduta che sia 
dessa il primo modello o punto di partenza di quell'ordine 
di cose che ammiriamo ingentilito in Santa Maria del Fiore, 
e meglio nella Loggia dell' Orcagna > *\ Ma poiché i carat- 
teri costruttivi si mostrano sostanzialmente diversi nella 
chiesetta antica e nei due magnifici monumenti fiorentini, 
così ci pare che sia inutile, ove, come nel caso nostro, 
manchino dati di fatto e sicuri elementi architettonici, par- 
lare di rapporti stilistici e di primi modelli. 



La chiesa di San Remigio così detta dal piccolo ospe- 
dale lì presso destinato ai romei francesi, fu rifatta di 
nuovo nel secolo xiv ; e gli scrittori fiorentini vogliono 
fosse edificata da fra Sisto e da fra Ristoro (trovandovi 
certi caratteri di somiglianza con Santa Maria Novella), o 
che per lo. meno i due conversi architetti togliessero dalla 
vecchia chiesetta - tanto più antica - il concetto per il mag- 
gior tempio ^\ 



*) Notizie e Guida di Firenze e de' suoi contorni, Firenze, Piatti, 1841, 
pag. 300-301. 

2) Marchese, Viia dei pittori, scultori e architetti domenicani. Voi. I, 
pag. 59; cfr. RiCHA, Chiese fiorentine. Voi. I, pag. 258. 



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San Remigio 



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E L'ARCHITETTURA GOTICA 



131 



Nella Guida sopracitata si dice che « San Remigio non pre- 
senta parte nessuna di maniera antica; anzi ponendo mente 
alle sue singole parti, vi si ravvisano gli stessi principi di 




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Hanta di San Remigio 



architettura di Santa Maria Maggiore e di Santa Trinità, 
abbenchè differiscano fra loro nel complesso. Può conget- 
turarsi che simile all'interno di San Remigio fosse la 
Loggia di Orsanmichele che Arnolfo fabbricò circa que- 



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132 ARNOLFO 



st' epoca, e che fu poscia rivestita di pietra e resa più 
adorna Tanno 1337 >*^ 

Ma intanto il Rosselli riporta la costruzione della chiesa 
intorno al 1350, il Fantozzi ai primi del secolo xv^; e 
poiché pur questo edifizio mostra nei suoi caratteri V in- 
flusso dell'arte monastica, ben si appose il Ricci affer- 
mando che anche in esso « troviamo a puntino avverata 
la sentenza ripetuta già tante volte in queste pagine, go- 
vernarsi cioè il magistero architettonico del secolo xiii 
da precetti universali e immutabili > ^. 



Quanto a Santa Trinità essa fu rifatta interamente e 
ingrandita dopo il 1300; e nella pianta ricorda, come ri- 
levò r Enlart, la Cattedrale di Grosseto. In entrambe que- 
ste costruzioni è caratteristica la campata della nave mag- 
giore a pianta rettangolare secondo l'uso comune delle 
chiese settentrionali. La facciata del Duomo di Grosseto, 
costruita, come dice l'iscrizione, nel 1 293, da maestro Sozzo 
di Rustichino da Siena, deriva evidentemente dal Duomo di 
Siena, mentre la facciata di Santa Trinità (di cui il Ghirlan- 
daio ci lasciò ricordo nell'affresco della Cappella Sassetti), 
richiama, secondo il Nardini, i caratteri della scuola pisana. 



*) N0iizi^ é Guida ecc. citata, pag. 309-310. 

2) Fantozzi, Guida della città di Firensse, Firenze, 1846, pag. 158; 
cfr. Cocchi, Le chiese di Firenze ecc.. Voi. I, pag. 136. 
^) Ricci, op, cit,, Voi. II, pag. 96. 



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Tav. XXIX 



Santa Trinità 



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E L'ARCHITETTURA GOTICA 



133 



Ma già, Studiando l'arte pisana, avemmo occasione di no- 
tare che quel motivo di archetti sovrapposti non basta per 
ascrivere Santa Trinità a quella scuola, quando lo strombo 





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Pianta di Santa Trinità 



della porta maggiore s'innalza sino a rompere la prima 
galleria, con concetto addirittura contrario a quello stile, 
ed è riempito, sopra al vano della porta, da cinque ordini 



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134 



ARNOLFO 



sovrapposti di minute archeggiature, che non trovano ri- 
scontro in nessun edifizio pisano. 



Antica facciata della chiesa di Santa Trinità 
(Dall'affresco del Ghirlandaio) 

Osservando poi la parte interna del muro di facciata si 
riscontra una distribuzione ben diversa da quella della ma- 
niera pisana ^^ 



*) Supino, Arte Pisana, Firenze, Alinari, 1904, pag. 97. 



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Tav. XXX 



Badia di Firenze 



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E L'ARCHITETTURA GOTICA 135 



Né ci sembra di dover seguire il Nardini anche quando 
vorrebbe vedere l'opera di Arnolfo nel rifacimento della 
Badia fiorentina, riscontrando in quel fi-ammento antico 
prospiciente il Bargello nella molteplicità delle cornici oriz- 
zontali e nello stile dei profili architettonici l'elemento ro- 
manico; e qualcosa dell'elemento gotico nell'arco acuto 
delle finestre *\ 

In quel frammento appaiono invece evidenti i caratteri 
di una costruzione di tipo gotico-monastico, come nel fram- 
mento superstite della facciata la forma delle cornici e il 
rosone del frontespizio confermano l'origine cistercense di 
quella costruzione. Se poi (e lo ammette lo stesso Nardini), 
nelle chiese romaniche fiorentine non s'incontrano mai 
lesène, le quali appariscono soltanto nei monumenti con- 
temporanei allo stile ogivale ^\ come potremo attribuire 
questi avanzi ad un periodo di transizione ? Ove, infine, 
si ricordi che il rifacimento della Badia fu iniziato nel 1285, 
sarà più che mai difficile ammettere che sul finire del se- 
colo XIII o sul principio del successivo si usasse contem- 
poraneamente in Firenze e nella stessa costruzione uno 
stile architettonico di trapasso fra il romanico e il gotico. 

Quanto al Campanile, la primitiva costruzione risale ai 
Benedettini (come fa fede l'identità del tipo con quelli delle 



') Nardini, // Duomo di San Giovanni, pag. 163. 
2) Ibid., pag. 138. 



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136 ARNOLFO 



due Badie di Settimo e di Firenze e di San Niccola di Pisa), 
e l'avvenuto rifacimento del 1330, dopo cioè la parziale de- 
molizione del 1307, esclude senz'altro l'opera di Arnolfo. 



Lo stesso si dica della Loggia di Orsanmichele, della 
quale il Vasari, perchè il Villani aveva scritto, che nel 1284 
< si fece per lo Comune la loggia sopra la piazza d'Orto 
San Michele ove si vende il grano, e lastricossi e am- 
mattonossi intorno » , volle dare il merito ad Arnolfo, che 
l'avrebbe disegnata < di mattoni e con un semplice tetto 
di sopra » ^K Ma perchè pensare al < miglior architetto di 
Toscana » per costruire un così modesto edifizio, che lo 
stesso Villani descrive < fatto di pilastri sottili e di mattoni 
e mal fondato > ? È vero che il Vasari, nella vita del Gaddi 
racconta, che la nuova loggia fu ricostruita < senza alterar 
però il disegno che lasciò Arnolfo » ^^ ; tuttavia la notizia del 
biografo parrà più che mai priva di fondamento ove si ricor- 
dino le parole del cronista e si tengano presenti i carat- 
teri costruttivi dell'attuale Orsanmichele. 



Rimane Santa Croce, che un'antica e costante tradi- 
zione ascrive al Maestro fiorentino. Anzi, il Frey non solo 



1) Vasari, Vt^ di Arnolfo, ediz. Milanesi, Voi. I, pag. 284. 

2) Vasari, Vita di Taddeo Gaddi, ediz. Milanesi, Voi. I, pag. 576. 



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E L'ARCHITETTURA GOTICA 137 

dà ad Arnolfo il merito della costruzione, ma gli attribuisce 
anche l'esecuzione di alcuni capitelli; e il Dehio e il Bezold, 
ammirati della grandiosità e della severità di quella chiesa, 
vedono nell'autore di essa il degno compagno del poeta 
della Divina Commedia *^ ! 

Una chiesa francescana già fondata nel 1228 e in que- 
st'anno presa da Gregorio IX sotto la sua protezione, venne 
ingrandita con altri èdifizi per uso dei frati minori. 

Innocenzo IV, con bolla data in Perugia il 24 aprile dello 
stesso anno, accordò quaranta giorni d' indulgenza a coloro 
che avessero dato elemosine a favore della fabbrica incomin- 
ciata. Nel 1262 i frati acquistano un pezzo di campo in 
prossimità della chiesa e un muro lungo ventiquattro brac- 
cia della grossezza d'un braccio. Nel 1290 una bolla di 
Niccolò III ricorda la chiesa dei frati minori « che dicesi 
costruita in onore della santa Croce >; finalmente nel 1295 
una provvisione della Signoria di Firenze assegna lire due- 
cento di fiorini piccoli al mese per la durata di un anno 
in hediffitio et prò hediffitio et opere ecclesie fratrum minorum 
de Florentia utinam feliciter secundum formani statuti ini- 
tiando et f adendo > ^\ 

Da questi documenti il Moisè deduce che alle intenzioni 
dei frati e dei fedeli, desiderosi di vedere proseguita la 
fabbrica della nuova chiesa, già iniziata e tuttavia in la- 
voro nel 1252, ostassero ragioni politiche; e che se nel '62 



') « In seiner auf das Strenge und Erhabene gerichteten Kunst zeigt 
er sich als Geistes, nicht bloss Zeitgenosse des Dichters der Divina Co- 
media ». Dehio u. Bezold, op, cit.. Voi. II, pag. 519. 

2) Moisè, Sania Croce, pag. 42-44, e pag. 467, Doc. 3. 

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138 ARNOLFO 



si comprò un gran pezzo di terreno per la nuova chiesa 
da costruire, era naturale < che le proporzioni della fab- 
brica, quale possiamo assicurare che fosse nel '52 inco- 
minciata, dovettero essere di gran lunga inferiori a quelle 
ampie e grandiose che offre Tedifizio attuale, imperciocché 
Tarea intera che occupa ora la chiesa o il convento fu 
comprata dieci anni dopo » ^K 

Non è però supponibile che mancasse un disegno del- 
l'ingrandimento - se anche per ragioni politiche non po- 
tuto condurre innanzi - prima del '95, prima cioè che la 
Signoria s'inducesse per zelo religioso e per decoro cit- 
tadino a venire in aiuto dei frati. E non solo il documento 
surriferito ammette che fosse già alzata la fabbrica della 
chiesa; ma in un ricordo dello Strozzi si legge, che nel 1 267 
Oderigo Cerchi fece costruire una cappella in Santa Croce : 
in bracckio dextro diete ecclesie cum aliati contiguato alteri 
cappelle et ad modum eiusdem simi/iter ^). Da ciò si viene a 
conoscere che la nuova chiesa, di cui nel 1252 si era in- 
cominciato l'ingrandimento, era nel '67 tuttavia in costru- 
zione e doveva avere la consueta forma delle chiese france- 
scane a T. Nel testamento poi di Donato Peruzzi del 1292 
si legge: item voluit quod si fratres minores de FlorenHa 
crescerent eorum ecclesiam vel de novo facerent in fra decetn 
annos post obitum sui testatoris, quod dicti sui fraires expen- 
dant de bonis suis prò hedificanda una cappella in dieta ec- 



*) Moisè, op, cit,y pag. 45. 

2) Archivio di Stato di Firenze, Spogli Strozziani, Libro Z, Voi. 54, 
II» Serie, e. 192, 193. 



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E L'ARCHITETTURA GOTICA 139 



eie sia ad voluntatem ipsorum fratrum suorum, libras 200 bo- 
Tioruni denariorum florentinorum parvorum ^^ ; e poiché la 
cappella fu costruita nei primi anni del secolo xiv, biso- 
gna supporre, che nel 1295 si proseguissero i lavori ini- 
ziati nel *52 per ampliare Tedifizio preesistente, piuttosto 
che, distruggendo il già fatto, si ricominciasse una nuova 
costruzione: e a riprova di ciò stanno le più antiche la- 
pidi sepolcrali, tuttora esistenti, che portano gli anni 1298 
e 1300^^ Onde col Frey dobbiamo questa volta conclu- 
dere che la notizia del Villani < e cominciorsi i fondamenti 
prima dalla parte di dietro ove sono le cappelle, perocché 
prima v'era la chiesa vecchia, e rimase all'ufficio dei frati 
insino che furono murate le cappelle nuove » sia da acco- 
gliere in quanto la nuova costruzione, incominciata verso 
la metà del secolo xiii e poi rimasta interrotta, venisse 
ripresa con nuovo zelo e con nuovi mezzi nel 1 295 ^^ Nel- 
l'altro documento del 1297, pubblicato dal Moisè, é detto 
più chiaramente che i frati presero allora a ricostruire nuo- 
vamente la chiesa, cioè ripresero il lavoro rimasto inter- 
rotto : ecclósiam ipsam rehedificare de novo ceperint, opere più- 
rimutn sumptuoso ad cujus consumationem svòventiones fideliutn 
sunt non modicum oportune *\ 

In tutti i modi è certamente da escludere l'opera di 
Arnolfo nei lavori di ampliamento dell'attuale tempio fran- 



1) Spogli Strozziani, Libro DDD, N.o 60, II» Serie, e. 224. 
^) Sepoltuario Rosselli, Santa Croce : 1298, Lapo Buonanichi de Ghia- 
ceto, Canicci; 1300, Moroni; 1303, Fuccio del Maestro, ecc. 
^) Frey, op, cit., pag. 71. 
*) Moisi, op, di,, pag. 468, Doc. 4. 



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140 ARNOLFO 



cescano; perchè, come tutto conferma, nel 1252, quando 
cioè si cominciò la nuova chiesa, il piano dell' edifizio era 
- e non poteva non essere - già prestabilito e disposto. 
Si obietta che Santa Croce è costruita in pietra anziché 
in mattoni, contrariamente al sistema in uso nelle chiese 
monastiche, che sono quasi tutte in materiale laterizio *^ ; ma 
ognuno che sappia la ricchezza di cave petrose presso Fi- 
renze non troverà strano che, mentre a Pisa e a Bologna 
per la scarsezza di quelle si costruivano di cotto gli edi- 
fizi francescani e domenicani, a Firenze e a Pistoia si usasse 
invece il materiale più alla mano e più economico. La pianta 
stessa di Santa Croce si uniforma in tutto e per tutto alle 
disposizioni delle altre chiese dell'Ordine e chiari vi appa- 
riscono gli influssi monastici; onde i caratteri costruttivi 
non solo, ma gli stessi documenti ci vietano di accogliere 
la tradizione che ascrive ad Arnolfo la fabbrica monu- 
mentale. 



Santa Croce ha tre navi, ciascuna spartita da sette pi- 
lastri ottagoni, con ghiera sporgente, che sostengono le 
arcate a sesto acuto. I capitelli a campana poco svilup- 
pati sono variamente decorati con foglie di acanto; il tetto 
a Cavalletti visibili è a doppio spiovente nella navata cen- 
trale e a piccoli spioventi in senso inverso in ogni cam- 
pata delle navi laterali. Sopra le arcate nella nave mag- 



^) Nardini, // Duomo di San Giovanni, pag. 163. 



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Tav. XXXI 



Santa Croce 



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E L'ARCHITETTURA GOTICA 



141 



giore gira un ballatoio sostenuto da mensole di pietra il 
quale varca, rampando, l'estradosso dei due arconi, che 




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Pianta di Santa Croce 



da quella immettono nel braccio traverso. Lungo la linea 
di esso si aprono dieci cappelle che fiancheggiano il coro 
di forma pentagonale come quello di Assisi; e da questa 
stessa chiesa è pur derivato il tipo delle finestre. Due 



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142 ARNOLFO 



cappelle si aprono nelle due testate del braccio traverso, e 
due altre si addossano al braccio principale. Anticamente 
la chiesa era tutta decorata di pitture, di cui rimangono 
ancora visibili le tracce. 

Sono concordi gli scrittori nell' esaltare la leggerezza 
della grandiosa costruzione, la quale, secondo il Thode, 
avrebbe dovuto avere in origine la copertura a vòlta, non 
eseguita altrimenti a causa delle maggiori proporzioni date 
poi air edifizio '^ Certo è però che la struttura dei pilastri 
esili e svelti, e la larghezza della navata maggiore non 
avrebbero ammesso differente dall'attuale il sistema di co- 
pertura; e ben a ragione loda il Vasari, T accorgimento 
mirabile dell' architetto, che considerata la grande di- 
stanza dei pilastri e l'altezza delle muraglie non giudicò 
opportuno e prudente di caricarvi sopra un gran peso; 
ma fece fare archi da pilastro a pilastro, e sopra a quelli i 
tetti a frontespizio per mandare via le acque piovane con 
docce di pietra, murate sopra i detti archi, dando loro 
tanto pendio, che fossero sicuri, come sono, i tetti dal pe- 
ricolo d'infradiciare; <la qual cosa quanto fu nuova ed inge- 
gnosa, tanto fu utile e degna d' essere oggi considerata. > 



Poiché mancano sicuri documenti dell'attività architet- 
tonica di Arnolfo, prima che gli fosse commessa la costru- 
zione della chiesa di Santa Reparata, e poiché negli anni che 



*) Thode, Franz von Assist. Berlino, 1885, pag. 320. 



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E L'ARCHITETTURA GOTIQA 143 

precedettero il rinnovamento della Cattedrale fiorentina 
egli fu a Roma e vi condusse lavori notissimi, non rimane a 
supporre, se non che, quando s'incominciò a riparare e a 
rinnovare Santa Reparata e mentre si accrescevano i sus- 
sidi del Comune, lo stesso papa Bonifazio, che faceva un 
assegno di tremila fiorini d'oro sulle usure che si resti- 
tuivano al vescovo, specialmente con gli atti di ultima vo- 
lontà, raccomandasse Arnolfo ai Fiorentini, ed essi s'indu- 
cessero a sperimentare, per tal modo, la sua valentia anche 
quale architetto. E i lavori condotti a Roma e lo stesso 
sacello per il pontefice, terminato appunto nel 1296, nel- 
l'anno stesso in cui il Legato del papa poneva con grande 
solennità la prima pietra del nuovo monumento, dovettero 
essere preziosi incitamenti a servirsi dell'opera di così re- 
putato artefice. 



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Già nel dicembre del 1293 si era fatta una nuova prov- 
visione per Santa Reparata, dove si parla non più di sus- 
sidio in reparatione, ma di un rinnovamento, che infatti 
era stato cominciato nel settembre del 1294. 

In che consistessero questi primi lavori è difficile dire 
per mancanza di più precise notizie. Ebbe forse ragione 
il Frey di imaginare lontano da Santa Reparata il Maestro 
dal 1 294 al '96 (in quest'anno appunto egli aveva compiuto a 
Roma il sacello per Bonifazio Vili), ma non però dì crederlo 



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144 ARNOLFO 

< piuttosto occupato in Santa Croce > ^\ perchè se fosse 
stato in Firenze avrebbe potuto benissimo attendere con- 
temporaneamente alle due costruzioni. Come che sia, se 
da due anni si attendeva intorno ai lavori preparatori per 
la chiesa, o sopra un disegno già dato da Arnolfo, o ma- 
gari, senza un piano precisamente prestabilito, V 8 set- 
tembre del 1 296, il giorno della Natività della Vergine, 
per mano del Cardinale Legato Pietro Valeriani da Piperno, 
fu solennemente dato inizio ai lavori di Arnolfo, come dice 
la pietra oggi sul fianco destro difaccia al Campanile. Te- 
stimonianza questa che non autorizza davvero a supporre, 
come vorrebbe il Boito, che la prima pietra si benedicesse 
quando le fondazioni erano compiute e la costruzione in- 
nanzi buon, poco ^K 

Dal magistero di Arnolfo i Fiorentini si ripromettevano 
una Cattedrale magnifica: per ipsius industriam experien- 
tìam et ingenium Comune et populus Floreniie ex magnifico 
et visibìli principio dicti operis ecclesie iamdicte inchoa^ti per 
ipsum magistrum Arnolphum habere sperai venustius et hono- 
raòilius templum aliquo alio quod sit in partibus Tuscie. Così 
si legge nel decreto di esenzione da qualunque gravezza 
concesso dalla Signoria all'architetto nel 1300; privilegio 
del quale poco potè egli godere, perchè la morte lo colse 
nei primi giorni del marzo 1302. 

Per circa sei anni attese dunque il Maestro all'opera 



1) Frey, op, cit., pag. 67 ; cfr. Guasti, op, di,, pag. xxxix. 

2) Boito, Francesco Talenti e il Duomo di Firenze in Architettura del 
Medio Evo in Italia, pag. 192. 



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Tav. XXXD 



Santa Maria del Fiore 



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E L'ARCHITETTURA GOTICA 145 



della nuova Cattedrale fiorentina, che procedette lenta- 
mente sino al 1331; solo nell'ottobre di quest'anno si 
ripresero i lavori, avendone assunta la soprintendenza la 
più potente fra le Arti, quella della Lana, ed essendo stato 
chiamato a capo maestro dell' Opera un artefice non meno 
valente di Arnolfo, Giotto. 

• La provvisione del 1331 parla della chiesa, formosa et 
pukra, ma per difetto di aiuti rimasta per tanto tempo 
negletta con danno e vergogna grande del Comune. 

Nell'aprile del '34 Giotto è nominato maestro e gover- 
natore di Santa Reparata; ma egli più che della chiesa 
si occupò del Campanile, di cui tre mesi dopo la sua ele- 
zione (18 luglio) si cominciano le fondazioni. A Giotto, sol- 
tanto per i lavori del Campanile, succede Andrea Pisano ; 
ma alla chiesa non si pensa più fino a che, nel 1357, gli Ope- 
rai deliberano che al Campanile rimanessero tre maestri 
soltanto con quattro manuali. E poiché a Andrea Pisano suc- 
cessero Francesco Talenti e Neri di Fiora van te non fa me- 
raviglia che, volendosi dar prima compimento alla chiesa, 
si desse al Talenti piuttosto il permesso che la commis- 
sione di fare un disegno < come deono istare le cappelle 
di dietro corrette senza alcun difetto > . Questa delibera- 
zione farebbe supporre che un modello di Arnolfo per 
compiere la chiesa non esistesse, oppure che, esistendo, 
non fosse più rispondente ai nuovi desidert. Intanto, al- 
l'approvazione del modello presentato dal Talenti tenne 
dietro la deliberazione (19 giugno 1357) per la quale si 
misurava la chiesa di Arnolfo, e poco dopo si dava mano 
alla demolizione di parte di questa per edificarne una nuova 

19 



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146 ARNOLFO 



assai più Spaziosa e di maggiore ricchezza. Il 5 luglio 
del 1357, con grande solennità, si benedirono i fonda- 
menti del primo nuovo pilastro, sul modello proposto dal 
Talenti. 

I lavori, condotti da lui e da Giovanni di Lapo Ghini, 
ebbero nel 1366 una interruzione, essendo nel frattempo 
apparsi dei crètti nelle vòlte di nuova costruzione : il Ta- 
lenti fu allontanato, e vennero chiamati a consiglio < buoni 
maestri di pietra e di legname e cittadini fiorentini > : nello 
stesso anno un altro consiglio di < maestri e dipintori > 
ebbe V incarico di formare un modello di grandi propor- 
zioni, che approvato servì poi per condurre a compimento 
r edifizio, sebbene un nuovo disegno avessero ancora pre- 
sentato d'accordo il Talenti, ritornato capo maestro, e 
Giovanni di Lapo Ghini. 



IV 



Esposta così brevemente la storia della costruzione della 
nuova Cattedrale, dobbiamo domandare : che fece Arnolfo 
per r attuale Santa Maria del Fiore, e che rimane del- 
l' opera sua? 

Un tracciato, secondo il disegno primitivo del Maestro 
doveva pur esistere se nel 1357 si ordinò di misurarlo, e 
resultò la costruzione < lunga braccia 164 netta dentro alle 
cappelle; larga, braccia 66 e Ys netta nella parte dinanzi; 
larga, nella parte delle cappelle dove sarebbe poi la cu- 



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E L'ARCHITETTURA GOTICA 147 

pola, braccia 62 netta delle cappelle >'\ V'era il muro 
di facciata tirato un po' in fuori della fronte della chiesa 
antica, v'erano i muri di fianco sino alle due porte almeno, 
le quali si trovano rammentate già : dei Cornacchini quella 
che guarda a settentrione; della Canonica quella presso il 
Campanile. Nella stessa facciata, oltre all'ossatura dove- 
vano già essere incominciati i lavori di ornamento e di 
rivestimento, se si trovarono incrostature di marmi bian- 
chi e verdi e altri frammenti. E che a una facciata di Ar- 
nolfo si pensasse nel 1323, è confermato dalla provvisione 
del 27 maggio di quell'anno in cui si delibera di porre 
in fatie ecclesie Sancte ReparcUe la statua di papa Gio- 
vanni XXIP>. 

Ma col procedere e modificarsi dei lavori, ogni traccia 
dell'opera di Arnolfo è andata perduta: tuttavia, se i par- 
ticolari architettonici di Santa Maria del Fiore non son 
più quelli del Maestro, si può ben dire che i successivi 
mutamenti apportati alla chiesa non alterarono il concetto 
principale del suo primo architetto. 

Ispiratosi molto probabilmente al Duomo di Siena e alle 
grandi linee delle costruzioni romane, di cui aveva vivo 
il ricordo, Arnolfo tentò con somma arditezza di fondere 
1 due tipi diversi di costruzione: quello derivato dalle ba- 
siliche con l'altro a pianta centrale; ossia, di sviluppare 
sopra una costruzione a croce latina una cupola di grandi 
proporzioni, secondo il sistema classico e bizantino. 



') Guasti, op, di,, pag. lix, lx. 
2) Ibid,, pag. Ixv, nota i. 



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148 ARNOLFO 



È noto però che la croce latina male si addice agli edifizi 
sormontati da cupola; perchè la cupola all'esterno viene 
ad essere in qualche modo nascosta dalla lunghezza del 
braccio maggiore, il quale a sua volta è mozzato all' in- 
temo dalle robuste strutture dei piloni e dalle costruzioni 
necessarie al rinfianco della cupola stessa, così che non 
solo apparisce più corto, ma non s'immedesima con la 
parte posteriore dell' edifizio. Necessariamente lo sviluppo 
datò alla cupola portò ad immaginare tutto un sistema 
di rinfianco e di controspinta che si ottenne in modo 
ammirevole con la costruzione delle tribune; ma quelle 
vòlte, quelli sproni e quelle cappelle, che serrano così 
strettamente la cupola immensa, contribuiscono ad ac- 
crescere la sproporzione fra la parte posteriore e l'an- 
teriore dell' edifizio, sproporzione che pur dopo tante 
mutazioni nelle forme, nelle grandezze e nei concetti ri- 
mane, come notò il Boito, anche al giorno d'oggi evi- 
dente '\ 



Se si può credere - come pur ora si accennava - che 
il concetto fondamentale di Arnolfo sopravviva nell'attuale 
Santa Maria del Fiore, non perciò è possibile sperare di 
riconoscere le forme imaginate dal Maestro di Colle in 
quella figura della chiesa dipinta nell' affresco del Cappel- 
lone degli Spagnuoli, e creduta, dopo il Vasari, da altri 



1) Boito, op, cii„ pag. 196. 



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E L'ARCHITETTURA GOTICA 149 

molti fra i quali il Selvatico, il Guasti, il MuUer, il Boito, 
una derivazione dal modello di Arnolfo. 

Già il Nardini rilevò l'assurdità di questa identificazione. 

Nei primi decenni del secolo xiv le fabbriche attuali 
della chiesa e del convento di Santa Maria Novella erano 
non più che agli inizi: della chiesa non esisteva che la 
nave orientale; tutti gli altri lavori furono fatti dal 13 19 
al 1360 sotto la direzione di frate Giovanni da Campi e 
di frate Jacopo da Nipozzano. Così nel 1320 non era an- 
cora compiuta la nave centrale, né quella laterale a po- 
nente; né la Cappella maggiore; né le quattro laterali nel 
braccio traverso ; né i due Cappelloni dei Rucellai e degli 
Strozzi che chiudono le due testate del braccio medesimo. 
Non era fatto il Campanile (1330); non il Cappellone di 
San Niccolò (i334-'37); non la Sagrestia attigua (1334-?); 
non il Chiostro grande (i 334-1 340); non la Biblioteca ; non 
il Refettorio (1350-1353); non l'Ospizio (1359); non il 
Dormitorio (1360).... Come, dunque, si può ammettere che 
quando mancavano ancora quasi per intiero le fabbriche 
principali e più necessarie come la chiesa e il convento, 
fosse già costruita una fabbrica secondaria, quale appunto 
era il Cappellone ? V ha di più. Il Cappellone fa parte, 
in qualche modo, del Chiostro Verde, e il Chiostro é ap- 
poggiato alle mura occidentali della chiesa ed a quelle 
della sagrestia: le prime, nel 1320 erano tuttavia da farsi: 
le seconde, si presero a fare nel 1 334 : quindi per ne- 
cessità la costruzione del Cappellone degli Spagnuoli 
non può risalire al 1320 ma deve riportarsi al 1350. E 
poiché alla morte del Guidalotti, avvenuta nel 1355, il Ca- 



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I50 ARNOLFO 



pitelo non era ancora dipinto, si spiega che nell'affresco 
dietro la chiesa sormonti nella sua interezza il Campanile 
che, cominciato nel 1334, giungeva nel 1342 all'altezza in 
cui adesso si vedono impostate le nicchie, come appa- 
risce neir affresco del Bigallo eseguito appunto in quel- 
la anno. Ora, dacché sappiamo che nel 1357 quando furono 
ripresi i lavori della Cattedrale, il Campanile era quasi 
all'altezza del ballatoio e che nel 1359 per sollecitare la 
costruzione della chiesa il lavoro del Campanile rimase 
sospeso, a questi ultimi anni deve riferirsi la pittura fa- 
mosa del Cappellone ^K 



A chi avrebbe potuto appartenere quel disegno del 
Duomo, si è chiesto il Guasti, se non ad Arnolfo? Non 
avendo il tamburo alla cupola, ed avendo finestre invece 
di occhi nella nave maggiore, non poteva essere la chiesa 
del 1367 (quella cioè dei maestri e dipintori); non quella 
del '57 avendo quattro valichi e non essendovi segno di 
rialzamento, mentre il Talenti ne fece tre e fece visibile il 
rialzamento; non quella, infine, in cui lavorava il Talenti, in- 
torno al 1350, non avendo tre finestre nei primi valichi. E sin 
qui aveva ragione il Guasti ; ma non quando volle sostenere 
che quello doveva essere un disegno architettonico e pro- 
priamente il disegno di Santa Maria del Fiore di Arnolfo ^. 



*) Nardini, Ì7 sistema tricuspidale, pag. 141-151. 
^ Guasti, op, di., pag. Ixi, nota 3. 



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E L'ARCHITETTURA GOTICA 151 



Il Del Moro, ricordando che fra Jacopo Talenti da Ni- 
pozzano, T architetto del Cappellone degli Spagnuoli, fu 
presente all'adunanza del 1 8 giugno 1357 in cui si approvò 
il disegno di Francesco Talenti, e pur all'altra del 1 8 novem- 
bre 1358 nella quale si consigliò che fosse aperta una fine- 
stra unica per ogni valico della chiesa, crede probabile che 
queir affresco, in cui è dipinta Santa Maria del Fiore, ve- 
nisse eseguito € per lo meno dopo il 1357, e che ne sugge- 
risse al pittore l'idea frate Jacopo, forse con l'intendimento 
di mostrare quale a suo giudizio avrebbe dovuto essere la 
cattedrale fiorentina > ^K E aggiunge : < Quella chiesa, chi 
guardi non ai particolari, ma al tutto insieme di essa, è 
informata dallo stesso concetto che fii seguito, sebbene 
in modo più grandioso dai maestri e dipintori.... Essi ag- 
giunsero un quarto valico, alzarono il tamburo della cu- 
pola, delinearono il ballatoio e vollero una sola finestra 
nei due ultimi valichi, lasciando perciò intatto ciò che era 
già stato costruito e da Arnolfo e dal Talenti nel tratto dei 
primi due valichi, ad eccezione dei frontespizi che furono 
soppressi ^ > . Ma il Nardini guardando anche alle partico- 
larità architettoniche della chiesa dipinta, si persuase che 
quella costruzione non poteva derivare dal modello di un ar- 
chitetto, perchè mostra tutti i caratteri di una creazione di 
pittore più b meno fantastica. E rilevò essere contro le con- 
suetudini dell' architettura gotica i capitelli al disotto delle 
grandi arcate e del ballatoio, come appariscono nel corpo 



Del Moro, La Facciala di Santa Maria del Fiore, pag. 13. 
2) Ibid,, ivi. 



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152 ARNOLFO 

anteriore di quella chiesa ; peggio, poi, sulla sommità degli 
sproni e sotto gli architravi orizzontali delle cuspidi, come 
si vedono nel corpo delle tribune della chiesa medesima. 
€ Qui dunque o Arnolfo architettava a casaccio e contro 
le regole, il che non è dato supporre, o cotesta roba non 
appartiene né a lui, né a qualsivoglia altro il quale sa- 
pesse di architetture. Bellissimo poi ed opportuno al sommo 
quell'ultimo sprone, messo là proprio a contatto delle cu- 
spidi minori di quella facciata ! > ^K 

Inoltre, la forma delle finestre e soprattutto la disposi- 
zione dei loro tramezzi, si discostano intieramente dalle 
pratiche dell' architettura fiorentina, e rammentano, invece, 
i partiti adottati per le finestre del grandioso e nuovo brac- 
cio, che dal 1339 al 1356 si volle aggiungere al Duomo 
di Siena; onde gli stessi caratteri architettonici, insieme 
con le reminiscenze della tricuspide orvietana, che si av- 
vertono in quella chiesa dipinta, ci rivelano caratteri se- 
nesi, non fiorentini '^ 

E un pittore seguace della scuola senese fu appunto 
quell'Andrea di Bonaiuto che, matricolato nel 1343, ascritto 
alla Compagnia di San Luca nel 1374, si trova ricordato 
fra i pittori chiamati nel 1366 a fare un disegno o mo- 
dello della chiesa fiorentina. Egli è tutt' uno con quell'An- 
drea da Firenze, che colorì nel Camposanto di Pisa le 
storie di San Ranieri, pagategli nel 1377; storie che pre- 
sentano così stretta affinità con le pitture del Cappellone, 



*) Nardini, // sisUma tricuspidale, pag. 17, nota 2. 
2) Ibid., pag. 150. 



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E L'ARCHITETTURA GOTICA 153 



da autorizzarci ad assegnare al medesimo maestro le due 
opere. Tutto, dunque, concorre non solo ad escludere in 
modo assoluto che nella riproduzione di quella chiesa sia 
da riconoscere il primo modello delF architetto fiorentino, 
di una chiesa cioè, a cui nessuno più pensava quando il 
Cappellone veniva dipinto; una chiesa che si stava, anzi, 
disfacendo per rifare più grande e magnìfica; ma induce 
piuttosto a credere non sia queir affresco se non il pro- 
gettò vagheggiato dallo stesso pittore, che modificò e 
arricchì secondo il proprio gusro e sentimento artistico 
il disegno presentato dai maestri e dipintori, al quale pur 
egli aveva dovuto in qualche modo contribuire con l'opera 
o col consiglio. 



¥ 



Se non è possibile, quindi, studiare i particolari archi- 
tettonici della costruzione di Arnolfo neir affresco del Cap- 
pellone, meno che mai si potrà ricercarli in Santa Croce. 

Eppure il Boito e il Frey trovano tra le due chiese 
tante e così strette relazioni, da non dubitare di ascri- 
verle entrambe allo stesso maestro : < un'analogia - scrisse 
il primo - che si può chiamar somiglianza > ^\ nonostante 
che Santa Croce, di tipo monastico, cioè di semplicissima 
ossatura, sia mancante delle vòlte a crocerà che sono 
l'elemento principale del Duomo fiorentino. 

€ In questi due edifici - aggiunge il Boito - i lati della 



>) Boito, op. di,, pag. 264. 



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154 ARNOLFO 



navata centrale corrono all'alto in linea dritta e severa: 
le cuspidi compariscono sui fianchi delle navi minori e sul 
girare delle tribune e del coro. Se nel Duomo abbiamo 
numerato diciannove timpani, in Santa Croce ne contiamo 
dodici sui soli fianchi, senza dire degli altri che stanno 
sulle braccia trasverse e sulle cappellette dell' abside > ^\ 
Se non che quell' alzarsi delle cuspidi in giro (che noi non 
diremo < non istrettamente necessarie in Santa Croce > ^^ 
perchè servono a nascondere i tetti a doppio spiovente), 
riproduce sì un motivo adottato e subito abbandonato 
nel Duomo (così avrebbe dovuto terminare il tratto di muro 
fra le lesène rispondenti ai valichi interni), ma è motivo 
immaginato e condotto dal Talenti, ossia mezzo secolo 
dopo la morte di Arnolfp. 

Secondo il Frey, invece, lo stile dell' edifizio, le colos- 
sali proporzioni, i piloni slanciati con gli archi acuti, .l'as- 
senza di ogni ornamento sono indizio sicuro della stretta 
affinità dei due monumenti ^K E più recentemente il Rey- 
mond: < Nel concetto del piano della Cattedrale di Fi- 
renze si riconosce bene l'uomo che ha costruito Santa 
Croce, Santa Croce tutta coperta in legno, e che s'ima- 
gina di poter conservare lo stesso piano per ricoprire in 
pietra Santa Maria del Fiore. Il piano del Duomo di Fi- 
renze non è altro che quello di Santa Croce > ^K 



>) BoiTO, op, ctL, pag. 264. 

2) lòtd,, pag.^205. 

3) Frey, op, ci/., pag. 71. 

*) Reymond, L'antica facciata del Duomo di Firenze, Estratto dal L'Arte, 
Anno Vili, fase. Ili, 1905, pag. 4. 



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Tav. XXXIV 



Fianco di Santa Croce 



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E L'ARCHITETTURA GOTICA 155 

Tralasciando tuttavia le differenze veramente radicali 
nella concezione generale delle due chiese, Terrore più 
grave consiste nel paragonare Santa Croce al Duomo 
com* è adesso, il cui braccio lungo non fu eseguito come 
l'aveva ideato Arnolfo. 

Se a Santa Croce il sistema di copertura a cavalietti la- 
sciava completamente libero V architetto di dare al monu- 
mento quel carattere e quello sviluppo che più fosse piaciuto, 
nella nuova Santa Reparafa la pianta doveva dipendere ne- 
cessariamente dal sistema delle vòlte. Non è quindi il taso 
di prendere per termine di confronto quella chiesa fran- 
cescana, nella quale appare evidente il desiderio di con- 
ciliare la maggior ampiezza possibile con la più grande 
economia. 



Un' antica pittura esistente nel lato meridionale del primo 
chiostro di Santa Croce, in cui sono rappresentati alcuni 
fatti della vita di san Francesco, riproduce lo spaccato lon- 
gitudinale del Duomo di Firenze. Il Nardini afferma che 
quest'affresco non può essere anteriore al 1334, veden- 
dosi il Campanile fin sopra le seconde finestre; non po- 
steriore al '56, essendo la tribuna, ivi ritratta (la sola visi- 
bile) costituita, come nel Duomo attuale, da un ottagono 
centrale coperto da cupoletta, dagli sproni di rinfianco, 
dalle cappelle raggianti all'intorno, sebbene diversa, nella 
decorazione esteriore. Vi sono inoltre - prosegue - nel 
disegno di quel Duomo certe particolarità che lo fareb- 



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156 ARNOLFO 



bere supporre anteriore anche alla riforma compiutasi 
n^l '357 per opera di Francesco dì Talento: così, per 
esempio, la disposizione interna della chiesa (a quanto può 
desumersi dai resti malconci di quella pittura), parrebbe co- 
stituita da sei valichi almeno, mentre quella del Talenti non 
ne aveva che tre. Probabilmente questo dipinto venne dun- 
que eseguito verso il 1350, e non farebbe meraviglia ch'esso 
rappresentasse davvero l'antico disegno del Duomo ima- 
ginato da Arnolfo, nel quale i valichi intemi dovevano ap- 
punto essere più numerosi di quanti furono eseguiti poi ^\ 
I valichi, che s'intravedono pur attraverso le alterazioni 
sofferte dall'affresco, sono effettivamente nove: ma se si 
ricordi la libertà con cui allora i pittori riproducevano i 
monumenti che servivano loro di modello e gli edifizi stessi 
che avevano sotto gli occhi, non ci pare il caso di dare so- 
verchio peso a quella architettura, la quale, servendo 
di sfondo a vari episodi della leggenda francescana, fii 
molto probabilmente modificata dall'artista per le esigenze 
della rappresentazione. Onde, piuttosto che una più o meno 
fedele interpretazione del progetto arnolfiano, si ha da ve- 
dere in quella chiesa dipinta (come già in quella del Cap- 
pellone degli Spagnuoli), una libera creazione del pittore, 
anche se il concetto del monumento ritratto derivi in qual- 
che modo nei due diversi affreschi, o dal modello dei 
maestri e dipintori, o dal primitivo disegno dello scultore 
fiorentino. 



>) Nardini, Filippo di Ser BrunelUsco, pag. 129-131 ; cfr. anche // 
Duomo di San Giovanni, pag. 127, nota i. 



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E L'ARCHITETTURA GOTICA 157 

Come non ha per noi alcun valore di documento (e non 
può averlo infatti) il Duomo di Andrea di Bonaiuto, così 
non rha neppur questo di un ignoto scolaro di Giotto, 
dal quale sarebbe errore trarre precise deduzioni intorno 
al carattere della chiesa di Arnolfo; peggio poi intorno 
al numero dei valichi ideati dall* architetto. Quelle lesène 
o contrafforti esterni della decorazione marmorea più pros- 
sima alla facciata, che oggi sono indizi soltanto dell'abban- 
dono dell'antico e primitivo disegno, ci riportano, indubbia- 
mente (in questo son tutti concordi), al periodo arnolfiano. 
E se la struttura delle due prime porte laterali offre te- 
stimonianza di più antica origine nella poca profondità 
degli sguanci, nel carattere monastico della decorazione, 
nella fusione dei due elementi romanico e gotico, anche 
quelle divisioni esterne sono -come scrive il Boito-in quel- 
l'arte logica del medioevo, lampante segno delle divisioni 
interne ^K Perciò, quando fu impostata quella decorazione, 
l'esterno e l'interno della chiesa dovevano essere in corri- 
spondenza fra loro, e ad ogni pilastro, o, come è più pro- 
babile per non suddividere troppo la pianta in maniera 
contraria al sentimento italiano, ad ogni due pilastri do- 
vevano corrispondere una colonna ed un valico interno. 
La misura poi della chiesa di Arnolfo, che fu riscontrata 
nel 1356 di braccia 164, non dà modo di sviluppare in 
questo spazio e con quei punti fissi tuttora esistenti che 
quattro campate corrispondenti ciascuna a due spazi fra 
tre lesène; per tal modo la chiesa imaginata dal suo 



1) BoiTO, op. cit., pag. 197. 



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158 ARNOLFO 

primo architetto veniva ad essere nella nave maggiore a 
campate di pianta rettangolare per largo {barlongue)^ e 
rettangolare per lungo nelle minori: sistema che mostra 
chiara la sua derivazione cistercense, modificata, però, dal 
sentimento e dal carattere italiano. 



Troppo poco invero è anche questo per stabilire la maniera 
dell'architetto, la quale ci pare più che mai difficile poter 
dedurre dalle opere di scultura, le sole che ci rimangano 
del Maestro, siano esse i cibori di Roma o il monumento 
di Orvieto. Tuttavia il Boito scrisse che Arnolfo accettò 
dello stile nuovo « l'arco, i contrafforti, i vasti finestroni 
divisi a più scompartimenti, le rose, le cuspidi, i pinna- 
coli, le foglie rampanti ed altre parti non poche; itia tolse 
a tutte ciò che fornisce loro il vero carattere archiacuto, 
facendole entrare in uno stile originale, cui non si può 
dare più il nome di gotico. È stile fiorentino del xiii se- 
colo, e lo diremmo volentieri amolfesco» se la parola non 
fosse troppo brutta. Le differenze tra lo stile archiacuto 
settentrionale e il fiorentino sono sostanziali, di capitale 
importanza: nel primo c'è più rigidità d'organismo, nel 
secondo più libertà di genio ; nel primo la tradizione ro- 
mana è abbandonata del tutto, nel secondo il classicismo 
s'indovina tuttavia sotto le nuove forme; il primo tende 
audacemente alla linea verticale, il secondo non si sa svin- 
colare completamente dalla tirannia della orizzontale. Ma, 
lasciando le altre differenze de' due stili, osserviamo piutto- 



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E L'ARCHITETTURA GOTICA 159 

Sto come Tarnolfesco si sparse poco, anche nella Toscana 
dov'esso nacque e fiorì. Il che ne pare doversi ascrivere 
a due cagioni: la prima, che in Firenze stessa, non andò 
molto, fu trasmutato ; la seconda, che gli artisti fiorentini, 
chiamati a lavorare qua e là in Italia, seppero, come Ar- 
nolfo a Roma, piegarsi al gusto delle varie provincie > ^K 
E che Arnolfo usasse le rose, le cuspidi, i pinnacoli, 
le foglie rampanti ed altre forme decorative dell' arte go- 
tica, nessuno può mettere in dubbio; che usasse i con- 
trafforti e i finestroni divisi a più scompartimenti non ab- 
biamo argomenti per ammettere o per negare. Tuttavia, 
egli non può davvero essere considerato l'importatore 
dell'arco acuto e tanto meno delle cuspidi, delle guglie, 
dei pinnacoli, tutte forme decorative che si trovano già 
usate da Niccola nelle architetture che arricchiscono gli 
sfondi negli specchi del pulpito senese. 



Ciò che immediatamente gì' Italiani appresero e più pre- 
sto si appropriarono dello stile gotico non fu già il sistema 
costruttivo, ma bensì la forma degli archi, i frontoni, le 
guglie, i pinnacoli e i rosoni traforati, gli elementi esteriori, 
infine, costituenti le parti decorative. Tutto questo trova la 
sua logica e naturale spiegazione nel fatto, che prima che i 
costruttori monastici diffondessero nella Penisola il nuovo 
stile, erano già note produzioni dell'arte decorativa in Italia, 



*) BoiTO, / Cosmati, in ArchiUthira Medievale in Italia, pag. 178, 179. 



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i6o ARNOLFO 



gli c^ggetti per il culto e in special modo gli avori, che eser- 
citarono tanta efficacia sul perfezionamento della scultura, 
nelle quali, naturalmente, queste forme accessorie avevano 
tanta parte, ben corrispondendo al gusto generale del tempo. 
Soltanto più tardi, quando meglio educati ai modelli mona- 
stici, poterono gli artefici nostri apprendere le nuove formule 
costruttive, non sdegnarono di seguirle, e tuttavia non mai 
compiutamente, dacché intesero subito che Tuso del pretto 
stile gotico avrebbe eliminato quasi tutti gli elementi predi- 
letti dello stile latino; onde il bisogno di adattarlo ad una 
tradizione non mai interrotta, e che doveva, dopo breve 
esperimento, trionfare di nuovo. 

Abbiamo così, nel primo fiorire fra noi di questo nuovo 
indirizzo artistico, monumenti in cui la forma e la strut- 
tura romanica sono associate a decorazioni di carattere 
schiettamente gotico. Negli stessi cibori di Roma, Arnolfo 
ritorna alle forme primitive cristiane, arricchite, nei par- 
ticolari della decorazione , da motivi derivati dall' arte 
nuova; e col disegno delle due prime porte laterali del 
Duomo che, da lui, come dicemmo sopra, derivano indub- 
biamente, alle forme romaniche. 

Non è giusto quindi affermare, come fa il Boito, che 
« tra r architettura di Arnolfo e quella dei Pisani corre una 
tale differenza nell'organismo e nelP ornamentazione da 
bastare a costituire due scuole affatto diverse >*^; perchè, 
se per architettura pisana s' intende quella che rifulge nel 
Duomo famoso, non è il caso di' pensare né a Niccola né 



*) Botto, / Cosmati, pag. 178. 



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E L'ARCHITETTURA GOTICA i6i 



ad Arnolfo ; ma se con quella designazione si vuole allu- 
dere air indirizzo artistico inaugurato da Niccola, le opere 
di Arnolfo confermano pienamente la sua educazione alla 
scuola del grande innovatore pisano, modificata poi dall'in- 
flusso della decorazione cosmatesca* 

Anch' egli, come il Maestro, usò quelle forme che an- 
davano generalizzandosi in Italia per opera dei Cister- 
censi ; anch' egli, come Giovanni Pisano, fu più decoratore 
che architetto rispetto allo stile gotico; ossia dai modelli ol- 
tramontani trasse motivi per nuove ornamentazioni a cu- 
spidi e a pinnacoli, ma rimase classico nel fondo delle sue 
composizioni. Come Giovanni, il maestro gotico per eccel- 
lenza fra gl'Italiani, che pur ritorna alle forme dell'archi- 
tettura latina per il suo Camposanto (onde solo ai suoi 
successori si può dare il merito di costruzioni con schietto 
carattere gotico), così Arnolfo, nel quale il sentimento clas- 
sico più vivacemente perdura, non dovette discostarsi dalla 
tradizione della sua scuola. 



V 



Si volle riconoscere la maniera decorativa di Arnolfo 
nel frammento di facciata di cui ci fu conservato il ri- 
cordo dal Poccetti nell'affresco del chiostro di San Marco. 

Il muro di facciata della nuova chiesa, fondato, come 
sappiamo, di sana pianta da Arnolfo dinanzi alla fronte 
dell' antica Santa Reparata, era stato portato sino ad una 

31 



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i62 ARNOLFO 



certa altezza» e anche rivestito di marmi, se non dallo 
stesso Arnolfo, certo col suo disegno. Ma quando il pro- 
getto di lui ebbe per opera del Talenti radicali modifica- 
zioni, quel muro non parve più adatto a sostenere la spinta 
delle nuove vòlte, e il suo spessore non si prestava a 
produrre sufficiente forza di rilievi e di scuri per quella 
facciata che, in armonia con le ingrandite dimensioni del 
tempio, si pensava di erigere più nobile e più grandiosa. 
E venne addossato alla parete già costruita un muro di 
ringrosso, il quale nascose le decorazioni marmoree incro- 
state nell'antica fronte. 

Il De Fabris rinvenne sotto questo muro frammenti di 
marmi bianchi e verdi di figura rettangolare, sormontati 
da un archetto, che rivestivano il fianco del tempio sul lato 
di mezzogiorno, nel punto d'angolo con la facciata, in pros- 
simità del Campanile, t Una colonnetta di marmo verde era 
posta attorno a quell'angolo e si rivoltava sul lato della 
facciata, non già sulla parete apparente di quella, ma sul 
prolungamento della superficie che sta a simulare la luce 
dei così detti finestroni. Tale frammento ancorché minimo 
rispetto alla vastità del tutto insieme, è certo prezioso, 
poiché determina in modo positivo e assoluto il vero stato 
della prima costruzione di Arnolfo > ^\ 

Allo stesso periodo si debbono riferire le incrostazioni 
di corallina, rinvenute nella lunetta posta sopra la porta 



>> Rapporto del prof, Emilio De Fabris alla Deputazione promotrice per la 
edificazione della facciata del Duomo, Firenze, 25 settembre 187 1, in Cavai> 
LUCCI, Santa Maria del Fiore, Appendice prima, pag. 6. 



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Antica facciata del Duomo 
(Dall'affresco del Poccetti nel primo chiostro di Saa Marco) 



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i64 ARNOLFO 



maggiore : V architrave e gli stìpiti della porta stessa non- 
ché le incrostazioni di verde di Prato della porta a sini- 
stra. « E di ciò basta a convincere - prosegue il De Fa- 
bris - non tanto la corrispondenza di rapporti che trovasi 
fra la profondità delle dette incrostazioni ed il muro di Ar- 
nolfo, quanto anche il carattere tutto particolare dei mosaici 
in vetro colorato che sono alla lunetta ed all'architrave 
della porta maggiore, carattere di cui non v'è traccia 
nelle decorazioni esterne posteriori al tempo di Arnolfo > *^ 

Questi frammenti, oggi nel Museo del Duomo (unici 
e sicuri documenti dell'opera di Arnolfo attorno alla sua 
Santa Reparata), escludono che possa egli avere avuto parte 
in quella nuova decorazione, la quale si dovette subordinare 
al rifacimento della chiesa secondo il progetto di Fran- 
cesco Talenti. Basti, a conferma, il disegno della facciata ri- 
tratta nell'affresco del Bigallo (come si sa eseguito nel 1 342), 
ben diverso da quello riprodotto dal Poccetti, per non po- 
tere ammettere, col Nardini, che la decorazione distrutta 
nel 1588 fosse pur sempre quella imaginata e disegnata 
da Arnolfo ^K 

È vero bensì, che lo stesso scrittore afferma altrove ^' 
che quella facciata, di cui si dà generalmente il merito a 
Giotto, non» sia da considerare che < un rimpasto operatosi 
n^l ^ 357-59 dell'antica, già presa ad edificare sugli ultimi 
del secolo xiii >; e crede più vicino al disegno di Arnolfo 



*) Rapporto citato, pag. 7. 

2) Nardini, // Campanile di Santa Maria del Fiore, pag. 55. . 

3) Nardini, Filippo di Ser Brunellesco, ecc., pag. 131, nota 2 e II Duomo 
di San Giovanni, pag. 172, nota i. 



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E L'ARCHITETTURA GOTICA 165 

il prospetto della Gittedrale dipinta nel chiostro di Santa 
Croce, in queir affresco sul quale ci siamo già intrattenuti, 
< imperocché da Arnolfo al Talenti non è a notizia d' al- 
cuno che la chiesa di Santa Maria del Fiore abbia subito 
rinnovamento o modificazione della sua fronte princi- 
pale > ^K Ma quella facciata, terminante in un gran fronte- 
spizio ornato con un occhio a trafori ; con la porta mag- 
giore sormontata da una cuspide con una rosa nel mezzo, 
e tutta decorata ad archeggiature rotonde, così diversa 
nel carattere da quella del Bigallo, ci porta più che mai 
a concludere, come abbiamo detto precedentemente, quanto 
sia vano ricercare T opera di Arnolfo in queste decorazioni 
architettoniche dipinte nei diversi affreschi delle chiese e 
dei chiostri di Firenze. 



VI 



Rimane ancora a dire dell' ultima costruzione attribuita 
ad Arnolfo. 

« Perchè V abitazione de' Priori, come narra Leonardo 
Aretino, non pareva casa pubblica né degna del popolo 
fiorentino, né pareva a' Priori esservi sicuri per la potenza 
della nobiltà, ordinarono un edificio pubblico rilevato e di 
singulare magnificenza > . Fino dal 1 294 nei Consigli fu 
fatta la proposta sufier palatio et de palatio prò Comuni 
Fior entie f adendo et de loco et super loco inveniendo in quo 



*) Nardini, Filippo di Ser Brunellesco, ecc., pag. 131, nota 2. 



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i66 ARNOLFO 

dicH palatium fieri debet\ cercato il luogo, e la ricerca 
andò per le lunghe, cominciarono le trattative coi proprie- 
tari delle case da acquistare (primi fra questi i Della Barba 
e i Foraboschi), sicché occorsero più e diverse provvisioni 
avanti che si iniziassero i lavori, il che fu nel 1299. 

« Nel detto anno (i 298 stile fior.) - dice il Villani - si co- 
minciò a fondare il palagio de* priori per lo Comune e 
popolo di Firenze.... E colà dove puosoup il detto pa- 
lazzo, furono anticamente le case degli liberti, ribelli di 
Firenze et ghibellini, e di que* loro casolari feciono piazza, 
acciò che mai non si rifacessono. E comperarono altre 
case di cittadini, come furono Foraboschi, e fondaro ivi 
su il detto palagio, e la torre de* priori fondata in su una 
torre eh* era alta più di cinquanta braccia eh' era de* Fo- 
raboschi et chiamavasi torre della Vacca. E perchè il detto 
palazzo non si ponesse in sul terreno de* detti liberti coloro 
che Tebbono a far fare il puosono musso, che fu grande 
difficoltà a lasciare però di non farlo quadro, e più disco- 
stato da la chiesa di San Fiero Scheraggio > ^\ 

Che Arnolfo avesse costruito il palazzo di Firenze < a 
simiglianza di quello che in Casentino aveva fatto Lapo 
suo padre ai Conti di Poppi > imaginò il Vasari ; ma il 
castello di Poppi, se nel carattere e nella stessa forma 
delle finestre serba 1* impronta dell'arte fiorentina, non ha 
nulla che fare con il Palazzo dei Priori. Per il quale. 
Tanno successivo a quello che si vuole della fondazione. 



>) Villani, Cronica, Libro Vili, cap. XXVI; cfr. Codd, Riccardiani 
n. 1532 e n. 1533. 



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E L'ARCHITETTURA GOTICA 167 



si acquistano nuove case, e gli atti di acquisto si stipu- 
lano nelle case stesse dette già Palazzo del Popolo e del 
Comune di Firenze : in domo sive Pallatio Populi et Comunis 
Florentie in quo domini Priores Artium et Vexilli/er Justitie 
diete civitatis prò eorum exercendo officio moram trahunt ^\ 

Anche una deliberazione del io aprile 1299 fu fatta 
in domibus dicii Comunis et Populi Fiorentini sitis prope Ec- 
clesiam Sancii Petri Sor adii de Fbrentta, in quibus ipsi domini 
Priores et Vexilli/er morantur prò eorum officio exercendo ^^ 
il che viene a confermare, come notò il Gotti, phe la 
residenza dei Priori nel loro palazzo incominciò appena 
acquistate le prime case che lo dovevano formare. 

Nuovi atti di acquisto si fanno nel 1299, e poi nel 
gennaio del 1300; nel 1301 si comprano le case dei Fora- 
boschi, che non sono ancora del tutto pagate nel 131 1. 
Nel 1 302 si parla già di questa costruzione come di Palazzo 
Nuovo ^\ e nel 1303 i Priori sono in grado di sostenere 
dentro quelle mura < più assalti e battaglie che furono 
loro date>^\ 

Nel 1305 si delibera di spendere cento fiorini prò rea- 
taiione PalcUii dominorum Priorum et Vexilli/eri ^^ ; nel 1 306 
mille fiorini in reaiaJione et copertura Palatii sive turri Pa- 
lata dominorum Priorum ^\ nel 1 307 altri cento in repara- 



*) Gotti, Scoria del Palazzo Vecchio, Firenze, Civelli, 1889, pag. 21. 

2) Ibtd,, ivi. 

3) Frey, op. ctt„ pag. 193, Doc. 53. 

<) Villani, Cronica, lib. Vili, cap. LXVIII. 
5) Frey, op, cit„ pag. 194, Doc. 60. 
*) Ibid,, ivi, Doc. 61. 



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i68 ARNOLFO 



tione tedi et aliorum necessariorum in Palaiio Priorum '^; 
nel 1309 lire 2200 in tecto et copertura Palatii Priorum ^^ \ 
infine si provvede alla elezione di ufficiali prò murando 
et super murando turrim Palatii Populi in quo Priores Ar- 
tium et Vexillifer Justitie prò Comuni morantur ^. 

Nel 1313 vi si teneva Consiglio, e nel '15, il giorno di 
capo d'anno, vi erano convocati il Consiglio dei Cento e 
i Consigli speciale e generale del Capitano e delle Capi- 
tudini delle dodici Arti maggiori. 

« A questo punto era il Palazzo del Popolo - scrive il 
Gotti - ma non ci era stato condotto da Arnolfo, del quale 
sappiamo essere avvenuta la morte agli 8 di marzo del 1 300, 
secondo lo stile fiorentino, o 1301 secondo lo stile co- 
mune. Ma per quanto io sappia o abbia letto non v' ha ri- 
cordo che il disegno di lui fosse toccato da altri dopo la sua 
morte, non ostante che da altri fosse messo in opera >^^ 

Ma bisognerebbe esser sicuri, per dir questo, che un 
disegno di Arnolfo sia esistito veramente, mentre ciò non 
è che una fantastica supposizione di scrittori che copia- 
rono il Vasari. Se effettivamente egli avesse avuto parte 
nella costruzione del Palazzo dei Priori, parrebbe ragio- 
nevole che nel decreto di esenzione da ogni gravezza, con- 
cessogli appunto nel 1300, la Signoria avesse, oltre alla 
sua opera come architetto di Santa Reparata, ricordato 
la sua valentia come autore di quel palazzo che doveva 



Frey, op. cit., pag. 197, Doc. 69. 

2) Ibtd., pag. 198, Doc. 76. 

3) Gotti, op. cit,, pag. 24-25. 
<) Ibtd., pag. 25. 



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E L'ARCHITETTURA GOTICA 169 

servire, e già serviva in parte, di residenza ai Priori stessi. 
Invece quella deliberazione esalta sempre e solamente il 
costruttore della nuova chiesa fiorentina '^ ; di quella chiesa 
che sin da principio prometteva di riuscire la più bella 
di tutta la Toscana. 

Ma più di questo argomento indiretto ci pare, che, a 
contrastare la paternità attribuita ad Arnolfo, valga la sto- 
ria della costruzione, essendo evidente, pur dai documenti 
sopra citati, che essa non uscì di getto dalla mente di un 
artefice, ma nacque a poco a poco e s'ingrandì negli anni 
successivi, con acquisti di nuove case sempre fatti prò de- 
core et fortificatione Palatii Populi Fiorentini ^K 

Allo stesso fine si allargava un' altra volta la pìsizza^ e 
si deputavano ufficiali super Platea Palatii Populi..,. ere- 
scenda amplianda elarganda et augmentanda. Nel 1323 si 
stanziavano i ^ernsì prò /atiendo.,., unam nobilem pulchram 
et decentem arengheriam, in muris seu iuxta muros PalcUii 
Populi, in eo loco seu parte dicti palcUU ubi videbitur offitio 
dominorum Priorum et Vex. lusHtie. < E quella pia^zsi e 
quella ringhiera - aggiunge il Del Lungo - conservarono 
la dolce memoria dell'antica libertà al popolo fiorentino, 
che seguitò a chiamarle de' Signori, anche quando il suo 
palazzo diventò albergo di duchi > ^. 



*) Frey, op, a/., pag. 87. 

2> lòid., pag. 21, Doc. 25. 

3) Del Lungo, jDtno Compagni e la sua Cronica, voi. II, App. Ili, 
SuUa residenza della Signorìa fiorentina, negli ultimi anni del secolo XIII 
e ne' primi del XTV, pag. 454-55. 



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170 ARNOLFO 



Le notevoli somiglianze che appariscono tra il Palazzo 
della Signoria e quello del Potestà confermano una stessa 
origine. Il cortile, in entrambe le costruzioni, è a co- 
lonne ottagone con archi tondi; le finestre esterne sono 
ad arco tondo, piuttosto basse, riempite poi con bifore 
dagli archi acuti e lobati. Nel Palazzo del Potestà, più 
antico, il paramento murario è più finamente condotto, 
e più rozzo (a sassi spuntati) nelle parti aggiunte nel pe- 
riodo gotico ; in quello della Signoria si usò la struttura 
muraria a bugne irregolari, caratteristica delle torri fio- 
rentine di quel periodo. Ma entrambe le costruzioni si 
sono partite da un nucleo primitivo: per il Palazzo del 
Potestà, le case dei Boscoli ; per il Palazzo dei Priori quelle 
dei Foraboschi. 



Dopo tutto quanto siamo venuti esponendo, sulla scorta 
di sicuri documenti, ci pare di poter concludere che Ar- 
nolfo con la costruzione della nuova Santa Reparata, il 
solo edifizio da lui condotto, chiuse la sua vita di artista ; 
e ch'egli, pur adottando certe forme dell'arte nuova, ormai 
divulgate dagli Ordini monastici, non fece che seguire 
quella tendenza a cui gli artefici tutti sembravano dover 
adattare gran parte dell'opera loro. Non fii dunque un 
novatore neir arte ; continuò una tradizione ormai glorio- 
sissima, giunta al colmo ; non portò in essa nessuna mo- 
dificazione notevole, come altri aveva creduto, forse per 
le fantastiche attribuzioni vasariane che impersonavano in 



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E L'ARCHITETTURA GOTICA 171 

luì gli architetti di tutte quasi le principali fabbriche sorte 
in Firenze tra la fine del secolo xiii e la prima metà 
del XIV. Questa nuova maniera fiorirà in Firenze ben 
mezzo secolo dopo che Arnolfo riposava per sempre nella 
chiesa alla quale meglio si lega il suo nome; fiorirà ve- 
ramente solenne e originale in quel caratteristico gruppo 
di monumenti dovuti al Talenti, all'Orcagna, a Giovanni 
di Lapo Ghini, a Benci di Cione e a Neri di Fioravante; 
monumenti grandiosi, ma che restano isolata manifesta- 
zione di un periodo transitorio, dopo il quale, tornando 
ad ispirarsi alle più modeste costruzioni romaniche, i co- 
struttori fiorentini ritroveranno, sotto V influenza dello spi- 
rito latino trionfante per sempre sulle tradizioni artistiche 
d' oltremonte, la vecchia gloriosa via. 



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ScHNAASE Carl, Geschichte der bildenden Kùnste in Mittelalter. Die 
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Selvatico Pietro, Sulla facciata del Duomo di Firenze. Considerazioni. 
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Thode Henry, Franz von Assisi und die Anfange der Kunst der Re- 
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Uccelli G. B., Della Badia fiorentina. Ragionamento storico. Firenze, 1858. 

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Vasari Giorgio, Vite, con nuove annotazioni e commenti di Gaetano 
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Venturi Adolfo, Storia dell'Arte Italiana. Milano, Voi. III e IV, 
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ViLLARi Pasquale, I primi due secoli della Storia di Firenze. Firenze, 
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WoOD Brown J., The dominican church of Santa Maria Novella at Flo- 
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INDICE DELLE TAVOLE 



San Giovanni Pag. 9 

Interno del San Giovanni 23 

Una faccia intema del San Giovanni 34 

Dimostrazione grafica delle esplorazioni fatte sul tergo della tribuna 

del San Giovanni 52 

Sant'Andrea di Empoli 65 

San Miniato 66 

Interno di San Miniato 68 

Santi Apostoli 70 

Badia di Fiesole 73 

Abside di San Miniato 75 

Elevazione geometrica della parte inferiore della facciata di San 

Miniato 76 

Elevazione geometrica della parte inferiore della facciata della Badia 

Fiesolana 77 

Elevazione geometrica dei due ordini estemi del San Giovanni 78 

Particolare dell'ordine intemo del San Giovanni 81 

Cripta di San Miniato ...*.. 82 

Capitello della porta a Nord del San Giovanni e capitello della chiesa 

di Santi Apostoli 84 

Particolare delle finestre del San Giovanni 89 

Decorazione centrale della facciata di San Miniato 91 

Finestra centrale della faccia a Nord del San Giovanni 92 

Particolare dell'attico del San Giovanni 94 

San Salvatore all'Arcivescovado 96 

Santo Stefano al Ponte 100 

Badia di San Salvatore a Settimo 105 

Particolare della facciata di Santa Maria Novella 109 

Sala a vòlta della Badia di Settimo 114 



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i8o INDICE DELLE TAVOLE 

Santa Maria Novella Pag. 117 

Santa Maria Maggiore 129 

San Remigio 131 

Santa Trinità 133 

Badia di Firenze 135 

Santa Croce 140 

Santa Maria del Fiore 145 

Particolare dell' affresco del Cappellone degli Spagnuoli .... 152 

Fianco di Santa Croce 154 

Affresco del primo Chiostro di Santa Croce 155 

Fianco del Duomo presso la facciata 157 

Particolare dell' afiresco del Bigallo 164 



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INDICE DELLE ILLUSTRAZIONI 



Veduta di Firenze Pag. 9 

Pianta del San Giovanni 19 

Il Tempio di Marte, secondo Vincenzo Borghini 21 

Sezione orizzontale del San Giovanni al piano delle loggette del 

primo ordine intemo - Proiezione orizzontale del tetto . . .22 

Sezione orizzontale del San Giovanni al piano dei lucernari. . . 24 
Proiezione orizzontale degli sproni che controspingono la cupola e 

reggono il tetto - Sezione orizzontale del tetto e della cupola 

al piano della cornice finale estema 45 

Accenno schematico della tribuna primitiva (dal Nardini) ... 52 

Il Battistero - Particolare di im cassone da nozze del secolo XV . 91 

Veduta della Badia di San Salvatore a Settimo presso Firenze. . 105 

Pianta di Santa Maria Novella 116 

Santa Maria Novella (dal Dehio e Bezold) 117 

Pianta di Santa Maria Maggiore 129 

Pianta di San Remigio 131 

Pianta di Santa Trinità 133 

Antica facciata della chiesa di Santa Trinità (del Ghirlandaio) . .134 

Pianta di Santa Croce 141 

Antica facciata del Duomo (dall' afi&esco dal Poccetti nel primo 

Chiostro di San Marco) 163 



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INDICE DEL VOLUME 



Il San Giovanni e T Architettura romanica Pag. 7 

Arnolfo e l'Architettura gotica 103 

Bibliografia 173 

Indice delle tavole 179 

Indice delle illustrazioni 181 



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