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LUIGI RASI
DIRETTORE DELLA R. SCUOLA DI RECITAZIONE DI FIRENZE
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COMICI ITALIANI
BIOGRAFIA
BIBLIOGRAFIA. ICONOGRAFIA
MEDAGLIA D'ORO
all'Espoaizione Nazionale di Torino del 1898
FIRENZE
FRANCESCO LUMACHI
LIBRAIO-EDITORE
Successore dei FRATELLI BOCCA
C. Klincksieck PARIGI rue de Lille, ii
I COMICI ITALIANI
Volume II
LUIGI RASI
DIRETTORE DELLA R. SCUOLA DI RECITAZIONE DI FIRENZE
1 COMICI ITALIANI
BIOGRAFIA :.
BIBLIOGRAFIA, ICONOGRAFIA
FIRENZE
FRANCESCO I. U M A C H I
LlIlKAlO-EnnORE
SucGFSsoKK DKi FRATELLI BOCCA
PROPRIETÀ LETTERARIA
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C J I r i ! r
r- ]5-''j^^
FiKUNZK, Tipografia di S. J^andì, direttore ^^WArte della Stamptu
SECONDA NOTA DEGLI ASSOCIATI
Ascari Mina - Istituto Stenografico - Mi-
lano.
Antona-Traversi Giannino - Milano.
Beltrami Alfonso - Firenze (2 copie).
Biblioteca del Domioo Club - Bologna.
Biblioteca Lucchesi-Palli - Napoli.
Biblioteca dell'Istituto Tecnico - Reg-
gio Emilia.
Biblioteca del Senato - Roma.
Biblioteca di Sassari.
Biblioteca di S. Marco - Venezia.
Biblioteca Comunale - Verona.
Biblioteca Società di lettura ~ Genova.
Biblioteca di Zara.
Biblioteca Nazionale - Parigi.
Biblioteca dell'Accademia di Francia -
Parigi.
Biblioteca dell'Opera - Parigi.
Biblioteca del Museo Camavalet - Pa-
rigi.
Biblioteca Nazionale - Torino.
Benf Luigi - Grenova.
Bocca cav. aw. (Huseppe - Torino.
Brenti aw. Giuseppe - Rocca San Ca-
sciano.
Borgia-Mandolini conte Camillo - Pe-
rugia.
Bruno dott. Edoardo - Firenze.
Broglio conte Luigi - Milano.
Besso Salvatore - Roma.
Bracci Giuseppe, artista drammatico.
Bordeaux Carlo, artista drammatico.
Corsini principe Tommaso.
Carini Luigi, artista drammatico.
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Civelli comm. Antonio - Firenze.
Cipriani Don Laronte - Borgo San Lo-
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Cesareo prof. G. A. - Palermo.
Duse Eleonora, artista dramm. (3 copie).
Ferrari prof. Vittorio - Milano.
Ferravilla cav. uff. Edoardo, artista dram-
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Franchini Teresa, artista drammatica.
Galliani Antonio, artista drammatico.
Guasti Amerigo, artista drammatico.
Gramatica Emma, artista drammatica.
Istituto Italiano d'Arti Grrafiche - Ber-
gamo.
Levi dott. Cesare - Firenze.
Libreria Harrassowitz - Lipsia.
Libreria Drucker - Verona.
Libreria Moderna - Genova.
424671
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Libreria Spoerri Enrico - Pisa.
Libreria Bocca F.Wi - Torino (14 copie).
Libreria Bocca F.Ui - Roma (9 copie).
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Libreria Clatiseii di Hans Rink - To-
rino (2 copie).
Libreria Seeber - Firenze (2 copie) .
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Reinach cav. Enrìco - Artista dramma-
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Rivalta Angelo - Firenze.
Rosellini-Glech Graziosa - Firenze.
Rosselli nob. Del Torco - Firenze.
Sacerdote cav. aw. Giacomo - Torino.
Sambon cav. Ginlio - Milano.
Scotti rag. Vittorìo - Milano.
Taurìma prof. Giuseppe - Salerno.
Vanbianchi Carlo - Milano.
Zanazzo Luigi - Roma.
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1. — / Comici ilaliani. Voi. II.
I COMICI ITALIANI
Laboranti Regina. Genovese, fu artista di grandissimo
pregio, fiorita nella metà di questo secolo. Fu moglie dell'at-
tore Tommaso Degola (V.), e buona amica di Gustavo Modena,
che nell'album di lei scriveva:
Io lucqai morto, cao sigoora, e tale fui gindicalo anche dalla levatrice. Fu il chi-
iD^a Znliani, celebre chitargo di Venezia, che mi mise il sangae.in circolazione e mi fece
miagolare a forsa di tcnlacciate.
Era nel 1850 la prima attrice della Compagnia Astolfi,
Capodaglio e Venturoli. \jd.Moda di quell'anno (25 giugno) par-
lando della Compagnia che recitava all'I. R. Teatro alla Can-
nobbìana, dice :
Primieramente lérnieremo la nostra attenzione sdUb gentile prima donna Regina
Laboranti. Queita gioTinetta, dotata di natnrali requisiti per riescir ottima artista dram-
matiCB, inprete a atadiame i precetti dalla rinomata Ristori, la quale seppe fidare il
LABORANTI - LANDI
genio della nobilissima allieva, ed infondere nella di lei azione gran parte di quella perìzia
che la elevarono al grado delle prime celebrità drammatiche dei nostri giorni. Nella La-
boranti tralace il dire ed il gesto della Ristori
Nella sua serata di benefìzio scelse nn nuovo dramma francese dei signori Scrìbe
e Legreve (sic), Legouvé, tradotto dall'artista comico Gaetano Vestrì, col titolo Adriana
Lecottvreur, Se in altre produzioni la Laboranti è fedele all' indole della sua parte, e sa,
diremo cosi, convertire in verità l'illusione delle scene, nella parte di Adriana superò sé
stessa. Nell'atto quinto, dove la francese commediante rimane avvelenata fiutando un maz-
zolino di fiori inviatole dalla sua rivale, il lento processo della venefica emanazione fu
cosi bene dipinto dalla Laboranti, che a giudìzio dei provetti frequentatori della commedia,
ELLA RAGGIUNSE LA SUBLIMITÀ DELLA RISTORI.
Lampredi Anna. Trascrivo da Fr. Bartoli :
Accademica fiorentina, che recitò nel Teatro della Piazza Vecchia
nella sua Patria. Luigi Perelli capocomico la stabili per la sua compa-
gnia Tanno 1778, ond'ella potè incominciare ad apprendere le buone
regole dell'arte, e collo studio e collo spirito fece degli avanzamenti, e fu
lodata specialmente in Bologna nel nuovo Pubblico Teatro Tanno 1779.
Passò poi con la Faustina Tesi Tanno medesimo in qualità di seconda
attrice, e poscia acquistando maggior concetto, Fedele Venini la volle
nella sua Truppa per assoluta prima donna. Dopo la morte di questo
comico, ella è rimasta tuttavia co' suoi stessi compagni, e per il Piemonte
fa presentemente (1781) distinguersi piena d'abilità per la sua professione,
inclinata alle cose della musica, e pronta a' più ardui impegni nel faticoso
mestier delle Scene.
Lancetti-Modena Luigia. (V. Bernaroli).
Landi Orazio. È fra i Comici coslanti che firmarono il re-
clamo al Duca di Modena, citato al nome di Degli Amorevoli
Vittoria. Nella lettera, tra Aurelio di Secchi e Vittoria Amore-
voli è la firma: < Io Oratio landi Afermo quanto in ciò si
contiene, > che fu omessa per errore.
Landi Luzio. Fiorentino, fu artista di assai pregio per le
parti comiche, fiorito al tempo in cui Goldoni era al soldo di
Medebach. Furon scritte per lui le parti di Leandro nel Teatro
comico, nella Gasialda, e in qualche altra commedia. Passò
n^l 1753 3.1 Teatro S. Luca, e ci fa sapere il Bartoli che inau-
LANDI 5
guTÒ le recite di quell'autunno col rappresentar bravamente il
personaggio del signor Gio. ^f aria della Bragola- Sostenne le
parti di Curcuma, di Donna Rasinufta, di Donna Roscga e altre
ancora, scritte a posta per lui dal Goldoni. Poco prima del-
l'autunno del '55, fuggì da Venezia colla moglie, mettendo lo
scompiglio nella Compagnia, che non sapeva come sostituirli.
E tal fatto mise innanzi al pubblico il Goldoni nella introdu-
zione a quelle recite autunnali, che è nel tomo quinto del jVucz\'»
teatro comico (Venezia, Pitteri, mdcclviii).
Rimasto vedovo, il Laudi passò a seconde nozze con un'at-
trice di merito per le commedie improvvise, di nome Assunta,
senese, con la quale fu a Napoli, d'onde tornò poi in Lombar-
dia nel '68, scritturato nella Compagnia di Pietro Rossi. L'anno
seguente, fattosi capocomico, uccise nel teatro di Reggio l'ap-
paratore Spisani, e fu messo in carcere, poi assolto, per con-
statata provocazione, come dai due documenti che trovo nel-
l'Archivio di Modena.
Tavola di Stato - /j dicembre 1769,
Siamo riscontrati dal Giudice di Reggio, che nella sera de' 30 dello scorso novem>
bre, restò gravemente ferito in rissa tra le scene di quel Teatro con colpo di Spada dal
Comico Imcìo Landi fiorentino Giuseppe Spisani Bolognese vomo al seniigio della Com-
pagnia Comica, che attualmente sta in esso recitando; e che nella sera de' 5 corrente cessò
di vivere. H feritore trovasi in Carcere, e contro di Lui abbiamo ordipato allo stesso Giu-
dice di sollecitamente proseguire il Processo con ogni rigore di giustizia, ed a norma delle
Istruzioni dell'aula Criminale, per riferirne in seguito le risultanze.
Tavola di Stato - 7 febbraio 1770,
Con nostro ossequiatissimo Dispaccio de* 1 3 del prossimo passato Dicembre fu ri-
scontrata Vostra Altezza Serenissima dell'Omicidio commesso in Reggio dal Comico Lucio
Landi, stato colà sin' ora carcerato, in persona di Giuseppe Spisani Bolognese Vomo al
servigio della Compagnia Comica, che in allora recitava in quel Teatro, e di cui l'Omicida
n' è il Capo, viene in oggi d' essere dal Consiglio Criminale risoluta la di lui Causa colla
decretata dichiarazione, che attese le circostanze concorse nel predetto Omicidio, e partico-
larmente la qualità del medesimo stato eseguito a propria necessaria difesa, debba rilasciarsi
< ex quo satis » quindi secondo le provvidenze portate da' Sovrani regolamenti abbiamo ordi-
nata la esecuzione dell' anzidetto Decreto nell'atto stesso, che ne facciamo il presente rispet-
tabilissimo rapporto a Vostra Altezza Serenissima a disimpegno de' propri! nostri doveri.
6 LANDI
Dice il Bartoli che la grazia gli venne dalle intercessioni
della moglie. Nonostante l'ottenuta libertà, il Landi, aggiunge
il Bartoli, non ebbe più buon successo negl' interessi suoi, e
morì del '74 a Grosseto.
Viveva ancora nel 1 782 la moglie < la quale - dice il Bar-
toli - ad una vita piena d'inerzia, decaduta quasi interamente
dair acquistatosi concetto, in compagnie di niun valore andava
passando con stento la propria vita. >
Landi Caterina. Moglie del precedente. Cominciò a reci-
tare in compagnie nomadi, poi in quella di Medebach al S. An-
gelo di Venezia. Passò il 1753 col marito al S. Luca, dove creò
la parte di Fatima nella Sposa persiana, e d'onde uscì del '55
per voler del marito, per non tornarvi mai più. Carlo Goldoni
ritrasse i suoi pregi fisici e artistici nel seguente sonetto che
\\^\ Poeta fanatico recita Tonino (scena X dell'atto II) a Beatrice,
sotto le cui spoglie si nascondeva appunto la Landi:
Morbido e folto crin fra il biondo e il nero,
spaziosa fronte, e bianco viso e pieno,
occhio celeste or torbido, or sereno,
angusto labbro, vigoroso, austero.
Tenera e breve man, degna d* impero,
candido, bipartito, amabil seno,
d'ogni proporzion corpo ripieno,
aria sprezzante, e portamento altero.
Questa è di voi visibile bellezza,
ma di gloria maggior degna vi rende
la velata beltà che più si apprezza.
Spirto che tutto vede e tutto intende,
arte ^che tutto brama e tutto sprezza,
cuore che manda fiamme e non s'accende.
Caterina Landi morì ancor giovane a Venezia Tanno 1761.
Landi Annay fiorentina, nata Sarti, figliuola di un lavora-
tore di seta, fu attrice di molti pregi per le parti dì prima donna
LANDI - LANDINI
assoluta, che sostenne la prima volta in Malta nella Cofnpagnia
di Andrea Patriarchi. La via dell'arte le fu contesa dal padre,
tanto che per imprenderla, dovette sottrarsi alla soggezione di
lui, prendendo marito. Fioriva al tempo del Bartoli (i 781), che
di lei così lasciò scritto : < Anche in Palermo fu lodato il suo
merito, e così pure in molte città della Lombardia e della To-
scana, come non meno nella Liguria e nel Piemonte. È fornita
questa attrice di buona presenza, la naturai favella molta gra-
zia le dona, e co'proprj studj non lascia di rendersi ben accetta
universalmente a' di lei spettatori. >
Landi Giovanni, nato a Bologna il 1760, e rimasto in te-
nera età orfano del padre, fu allevato ed istruito da illustre
famiglia bolognese. Recitò, giovanissimo, le parti di amoroso
in una compagnia di poco conto, poi nelle ben note di Bianchi,
Pellandi, Goldoni e Granara. Venuto a matura età, si diede al
ruolo di caratterista col quale salì in bella rinomanza. Creò con
molto successo la parte di Mamma Agata nelle Convenienze Tea-
trali del Sografi, e recitò anche talvolta colla maschera di Ar-
lecchino. Morì nel 1835 a Ferrara.
Landini Raffaello. Di lui, il più celebre degli stenterelli
moderni, nato a Firenze nel 1823, discorre diffusamente Jarro
nella sua opera Origine della maschera di stenterello, da cui ri-
ferisco in ristretto. Da compositore nella stamperia Celiai in
via de' Martelli passò allo studio della maschera, esordendo in
un teatrino popolare di via delle Ruote con la Compagnia di
Vincenzo Da Caprile, di cui sposò nel '50 la figliuola Anna.
Piacque ad Amato Ricci, che il Landini, giovanissimo, studiava
dalla platea della Piazza Vecchia, e recitò con lui il '46. Nel '48
fece la quaresima come Stenterello alla stessa Fidizzs. Vecchia,
mentre il Cannelli spopolava al Borgognissanti. Morto il Ricci
di colera nel '55, Raffaello Landini prese lo scettro della ma-
schera di stenterello, né più ebbe chi lo imitasse o gli si ac-
costasse. NélVI/omme blasé, nonostante la innata modestia che
LANDINI- LANDOZZr
lo faceva tremar di spavento al ricordo del Ricci, insuperato in
quella parte, fu grandissimo. Si ebbe l'ammirazione e la stima
di valenti, quali Gherardi Del Te-
sta, Pietro Fanfani, Vittorio Berse-
zio e Valentino Carrera, del quale
ultimo recitò con molto plauso la
Quaderna di Nanni. Il 1 7 maggio
dell' 84 recitava per sua beneficia-
ta all'Arena Garibaldi di Livorno,
nella commedia Stenierello e il suo
cadavere. La sera del 21 alle sei
e mezzo era morto.
« Dalla luce abbagliante della
ribalta - conclude Jarro con belle
parole - dal fragore degli applausi
passar, quasi senza Intervallo, alla
oscurità, al silenzio della tomba! -
Stenterello e il suo cadavere non era
più una commedia, ma l'epilogo
tragico di un'esistenza: quasi ap-
pena cessato il suono della sua ul-
tima risata, e gittati gli screziati abiti della Maschera, dava l'ul-
timo sospiro.... era avvolto nello squallido lenzuolo funerario. >
''A.
Landozzì Giacomo. Artista egregio per le parti amorose,
nacque a Siena il primo maggio del 1812 da Vincenzo e da
Teresa Benvenuti. Recitato prima co' filodrammatici senesi, poi
con quelli di Firenze, ove s'era fissato dopo la morte del padre
al principio del '29, esordì in Compagnia Villani, quale primo
amoroso nell'antico teatrino della Carconia. allora del Giglio,
oggi Nazionale. Dalla Compagnia meschina del Villani, vo-
glioso di levarsi a più spirabil aere, il Landozzi passò per
l'anno '30-'3i in quella dell'Anna Pieri, qual semplice /««^/-/Vo,
salendo poi a grado a grado, perseverante e studioso, al ruolo
di primo attor pavane, che sostenne degnamente per lunghi
LANDOZZI
anni. Passò il '31, dalla Compagnia Pieri, in quella di Dome-
nico Verzura, poi, nel '33, primo attore in quella di Lorenzo
Cannelli, nel '34 di Corrado Vergnano, e nel '35 di Carlo Gol-
doni diretta da Augusto Ben, in cui stette due anni. Fu poi dal
'37 al '40 con Romualdo
Mascherpa, il '40-'4 1 con
Luigi Vestri, Ìl '42-'43 di
nuovo col Mascherpa si-
no al '46, il '47 con Cipro
e Soci, poi in società con
Vincenzo Gandolfi. Entrò
il '48 con Gaetana Rosa,
e il '49 sino a tutto il '50
con Antonio Giardini. An-
dò il '51 a' Fiorentini di
Napoli a sostituirvi il pri-
mo attore Pietro Monti,
e vi rimase fino al '54, nel
qual anno prese in Com-
pagnia Lombarda ìl po-
sto di Alamanno Morelli.
Dal '55 al '75, anno della sua nomina a direttore artistico nel-
l'Accademia de' Filodrammatici di Milano, fu con Santecchi,
ancora col Giardini, col Tassoni, colla Baraccani, col Boldrini,
coirAliprandi, coi Duse, coll'Ajudi, colla Biagini-Pescatori, col
Bozzo, col Lambertini, col Moro-Lin, col Mazzola, col Pascali,
con Tommaso Salvini, con cui fu in America, generico primario.
di nuovo coll'Alìprandi, e con Codecasa-Senatori
Giacomo Landozzi si trovò al fianco di Clementina Caz-
zola, di Adelaide Ristori, di Luigi Vestri e di altri sommi, e
s'acquistò fama di artista valoroso, ne' tre generi diversi, rap-
presentando con ugual perizia il Fulgenzio AegV Innamorati, Ìl
Guglielmo A^' Due Sergenti, e il Rinaldo della Pia. E se come
attore e direttor di compagnie s' ebbe moltissime lodi, non mi-
nori furon quelle tributate al direttore de' filodrammatici, l'af-
r/n/ya»/. Voi. ti.
IO LANDOZZI - LAPY
fetto e il rispetto dei quali T accompagnarono fino all'ultimo
giorno di sua vita che fu il 6 maggio dell' '88. Giovanni Ema-
nuel salutò l'egregio artista al cimitero con brevi e commo-
venti parole.
Aveva il 1 andozzi sposata del '34, mentr'era in Compa-
gnia Vergnano, una Maria Chiavistelli, fiorentina, attrice me-
diocre, ma siffattamente pazza da avvelenar gli ultimi anni del
pover uomo, dalla quale ebbe dodici figliuoli, e la quale morì
nel Pio Albergo Trivulzio, il 20 ottobre del '9 1 .
Fra le mie note d' arte ne trovo una di Enrico Montazio,
il valoroso aristarco, che concerne la beneficiata del nostro
attore al Cocomero di Firenze il 28 gennaio del 1847. E 'sta
volta il fiero articolista ha ragioni da vendere, dacché rimpro-
vera al Landozzi di avere nella demenza di Tito distesa una
sentenza su candida carta di Bath, con penna d'oca intinta in
calamajo di carta pesta dorata; e di avere assicurato nell'an-
nunzio della rappresentazione che * ììou ri sarcbber mancate le
f^ropric e dei'olutc decorazioni, uè avreòòer mancato di zelo li attori
nel ra/'/^resentar/e....^ le decorazioni?...
Lapy Giuseppe. Così ci è descritto da Antonio Piazza nel
suo Teatro (\'enezia, Costantini, 1777):
Veane coli, per recìtmre in Prìmaveffa. b Cocoìca Compagna dd L. . . . . Bolognese,
nomo assai £uno«o per la sordìdexxa delia sna aTarìàa, e per la sva temerità di metter
mano ne^ì altrui schtiu Barbiere di pn>lessk>ne^ passò daQa bonega al Teatro, mettendosi
la maschera del TXv.Vrr, perchè sapeva parlar Bolognese. Il celebre OéZiirmì^ inimitabile
a ben vKiìre^ anobio i cv>qM più malùtti, si Tabe di qnella rema, per la sna Cmrt-mmt^
nella ^^\<5.fi /Vr.v.'wcr.c, e per ^^C*,\-r^^nry/*.\V ne^ Immatm/^n^x\ la qne' te<crH, c^ bastava
assai p*xv> a tir risiere, cv>h2Ì ebbe Kvtttaa. Ma^ro qnanto il dì^:iao> eoa
e inta^ULU, aitando nna vv>ce svXtile, e cammìaando come le anitre che
la cvvla, nv>a et wO di j^iù, pervhè il l:\>poio ^U battesse le tra ti» S«abàIi:o in nna delle
•^ciase CocttAx^nie di V^ratf^ia^ jpuadj^r^^ aK'«^:\> per «Citì aaa\ spese poco pochxssxiao, e
la v^•»^^$;v> kkvìo arrxvKù Vecvbk»» cv^w*è pcese2:e«ente. paria ascerà il sno disgnstoso
viiaW<:v.\ c\xi «{^K^IU stessa pe^iK-^x^^te «it proa;£%£2Jk che nsaxm d& ^>xine, Scendo la barba.
F>x^iire bji il cv>rx^v^sv> di Tecuxre n^^Ie^ Tra^pt^ì^» Oà Pocvx^ ' FVccio I È beota la tna, o
<^.<:.^5xa? Uà Krv>e sh R*>a\* ti juHìa lv<\>"^'3^"5e xe*t:ro di .w J^ Cj^^^^ e tn non lo
i$*r4tì? Ks« si p«vS dir *5Ùle sceae attore Ì3t5».>errt>ije pìi v£i htt. Kr-^ore uetltu e^ il
A-^<,~a/ d^l 3K>str\> 55^^<^\ e a t.i::i xìss^je iati^f^pajLre» e dxlla n>^. jl st $tr«SS^ qnando trova,
i cifi' s'*^'^==*^^ savv«rv^f. c^; ^r.^xhxxia d* a<;:K* U aoasse, e ìc xa.3vìa a éir da
Ab^i^ji N^'^^rnvN v> BKN av.s» rv«5a saju ^ «^^c^rre a x^«jÙsSì< rrv^xa t«ti s^«ei. che sì
LAPY II
scono per la sua Compagnia. La narrativa di Egisto nella Merope è il suo pezzo diletto,
per conoscere l'altmi abilità. Sdraiato magistralmente, corregge, applaude, biasima, ap>
prova, s' alza dal suo tribunale, tira le braccia al suo discepolo, gli torce il collo, gli piega
la vita, e poi non si conchiude nulla. Ogni giorno qualche infelice va alla gran prova, e
sappia leggere, o no, egli lo lusinga, vantandosi, per la sua abilità d* insegnare, di poter
fare in pochi giorni, un gran Comico, anco di un guattero che non sa l' alfabeto. Pazienza
se i delirìi della sua ignoranza si limitassero all'arte sola di recitare; ma in oltre vuol
esser autore, e correttor degli autori. Sicario da Originali, osa con quella roano vilissima,
che la saponata faceva per i biricchini del suo Paese, d'aggiungere, di cangiare, di de-
turpare i sudati scritti de* Poeti, senza rispettare nemmeno il Molière dell' Italia, il famoso
Goldoni^ a cui egli è debitore di tutto quello che al mondo possedè. Sprezzatore dell'altrui
merito, non fa mai conto de' Personaggi, che recano decoro e vantaggio alla sua Compagnia,
crede di bastar egli solo al sostentamento della medesima, lascia andar chi vuole andare,
mai non prega nessuno, è villano ed insolente con tutti. Per queste sue pessime qualità
egli ha privato il Teatro Italiano del suo migliore ornamento, disgustando la Prima Donna,
che allora era seco, e sostenendo un puntiglio contro di lei.
Francesco Bartoli difende con grande calore il Lapy dalle
accuse ingiuriose del Piazza.... Forse l'uno e l'altro esagera-
rono le tinte ; ma io credo assai meno quello di questo. La
chiusura dell' articolo del Piazza, per esempio, potrebbe far
supporre, in quell'accenno all'allontanamento dalla Compagnia
della Prima Donna (la Caterina Manzoni, a cui l'opera del
Teatro è dedicata), eh' ella avesse a veder qualcosa in quelle
ingiurie; tanto più che sei anni avanti, nella Giulietta (Vene-
zia, MDCCi-xxi), non aveva il Piazza saputo trovare in lei altra
dote fuorché una particolare bellezza, come vedremo all'arti-
colo di questa attrice.
A Giuseppe Lapy si deve più specialmente la importa-
zione forestiera dei drammi così detti lagrimosi che sostituì al
teatro di Goldoni, non più tanto proficuo per lui, tradotti a
posta da Elisabetta Caminer. Il repertorio dunque della Com-
pagnia fu a iniziativa sua de' più varj, sapendo egli con buon
discernimento alternar le commedie, coi citati drammi, e colle
tragedie: e di tal discernimento accoppiato a una operosità
senza pari, egli potè godersi i frutti nella vecchiaja. < Vive il
Lapy tuttavia (1782) - scrive il Bartoli - in buona prosperità,
ed ha la consolazione di vedere la sua famiglia incamminata ad
un auge, per cui anche dopo la di lui morte rimarrà al mondo
una degnissima ricordanza degli onorati meriti suoi. >
12 LAPY - LAUSTI
In una lettera che si conserva autografa nella biblioteca
di Verona, e che trovasi pubblicata nel catalogo descrittivo
dei manoscritti della Biblioteca stessa, il Làpy dà ragguaglio
da Venezia il 22 ottobre del 1770 a Domenico Rosa-Morando
del successo ottenuto colla sua tragedia La Andromaca, già
replicatasi quattro sere, e reclama aggiunte e modificazioni
per le nuove repliche da farsi quando la quantità delle genti che
presentemente sono in Villeggiatura si saranno restituite iti Vene-
zia. E anche a lui si raccomanda perchè il signor Girolamo
Pompei favorisca i versi che desidera di aggiungere alla sua
Calliroe, avendo il bisogno di darla nuova a Venezia, poiché -
^SS^^^S^ ~ ^^^ ^?/^^/a Dominante, se non si fanno cose nuove, e
non vedute, 7ion si fa mai bene il nostro interesse.
Lapy-Belloni Luigia. (V. Belloni-Lapy).
Lapy-Della Seta Laura. (V. Delta Seta-Lapy).
Laurenziis Giuseppe Antonio. Recitava- dice il Bartoli-
intorno al 1710 ai Fiorentini di Napoli. Era la prima donna
della Compagnia di tal bellezza maravigliosa, che il Laurenziis
se ne invaghì, corrisposto : e provò, pare, tutti i tormenti della
gelosia pel pittore napolitano Domenico Brandi, il quale, affa-
scinato dalle rare doti di lei, riusci a entrar, con donativi da
pazzo, nelle sue grazie. Tormenti assai fuggevoli, che dopo di
averla il Brandi seguita a Roma, in Ancona, a Venezia, vedu-
tosi posposto al compagno d'arte, se ne tornò a Napoli. È ve-
ramente strano che di tal meravigliosa bellezza, prima donna
rinomata, a detta di Bernardo de'Dominici (Vite de' Pittori na-
poletani)^ da cui il Bartoli riferisce la notizia, non sia giunto al-
cun cenno sino a noi. Forse la Palombera (V.)?
Lausti Francesco. Lodigiano, È citato dal Bartoli come
artista di prosa e di canto. Recitava da comico le parti ^^-
V innamorato, e fu nella Compagnia di Pietro Rossi.... Eraperò
r.AUSTI - LAVAGGI
più valente nell'arte del canto che esercitava con la moglie,
alternandola pur sempre con quella di comico, secondo gli tor-
nava più il conto.
Lavaggi Gaspare. Nacque il dì d'Ognissanti del 1849 a
Milano, da Giuseppe, cuoco, e da Caterina Checchi. Studiò ben
poco agi' Ignorantelli, poi,
giovinetto, fu messo in uno
studio d'avvocato, che ab-
bandonò all'insaputa dei pa-
renti per recarsi a recitare
in una Compagnia Raspini
al Teatro Stadera. Vagò per
alcun tempo in accozzaglie
di commedianti dell'infima
specie, finché, udito da Bel-
lotti-Bon, fii da lui scrittu-
rato, passando in breve al
ruolo assoluto dì primo ai-
tare giovine, in cui per l'ar-
dore della passione e per la
spontaneità non ebbe mai
chi gli stesse a fronte. Con
Giacinta Pezzana, Cesare Rossi, Bellotti-Bon, Annetta Campi,
fu tra' primi ornamenti di quella gran compagnia, che, sboc-
concellata di poi, segnò il primo passo della rovina dì Belletti.
Da quello sbocconcellamento nacque la società dì Pia Marchi,
Francesco Ciotti e Gaspare Lavaggi, che per comica brevità
solea chiamarsi la Compagnia Ciotti Lavamarchi. Una compa-
gnia tutta freschezza, tutta passione, tutta vita, che fu per più
anni la diletta dal pubblico. Lavaggi fece poi società con Zerri;
poi, sposatosi a Giuseppina Boccomini, diventò capocomico
solo, con varia fortuna. Scritturatosi colla moglie nella Com-
pagnia di Alamanno Morelli, sì recò in America, dove (1881),
un colpo d'apoplessia, prostrò d'un tratto quella fibra gagliarda
14 LAVAGGI - LAVINIA
d'artista, che, moribondo, sorretto dalla compagna sua, volle
subito essere restituito in patria. Recuperata una parte delle
perdute forze, si riebbe così da poter riapparire con la moglie
alla luce della ribalta; ma fu un lampo fuggevole, fu l'ultimo
guizzo della lampada vicina allo spegnersi. Fermatosi a Li-
vorno, non bastandogli l'animo di restare estraneo a quell'arte
in cui visse più anni acclamato, acquistò le Arene Alfieri e Ga-
ribaldi, nelle quali scritturava compagnie di varia specie, con-
servando con l'avvedutezza e con la operosità a sé e alla fa-
miglia quella vita di agiatezze che s'era formata col teatro.
Gaspare Lavaggi fu anche uno de' più eleganti attori della
nostra scena di prosa, e se ne compiaceva. Quando non era
ancor uomo, né omai più giovinetto, ebbe la brutta e perdo-
nabile vanità di ripudiar suo padre al conspetto dei compagni,
per l'altro Lavaggi, fabbricante di fiammiferi, se non erro. Co-
nosciuta il padre la bambinata del figliuolo, volle farsi un ri-
tratto in perfetto costume di cuoco, con la casseruola in una
mano e il mestolo nell'altra, e glie ne mandò una copia.
Del valor suo nell'arte molti testimoni abbiamo negl'in-
numerevoli giornali. A me basti ricordare qui che se taluno
dopo di lui potè avere maggior finezza di recitazione, niuno
mai lo superò nell'ardore della passione e nella spontaneità.
U Armando della Sio^nora dalle Camelie, il Ferdinando della Ce-
leste, lo Scoronconcolo della Notte a Firenze, e altre parti di varia
indole ebbero in lui un interprete indimenticabile. A Roma
pe' '1 centenario di Voltaire gli fu coniata una medaglia d'ar-
gento, ed ebbe frequenti onori di rime. Morì d'un cancro alla
faccia a Livorno, nel 'g8, lasciando un figliuolo. Armando, da-
tosi da poco all'arte, e che promette, dicono, di mostrarsi de-
gno erede della gloria paterna.
Lavinia. Riferisce il Croce (pp. cit.) :
Nel 1662 era a Napoli, tra i comedianli lombardi, ano chiamato Zaccagnino, che
recitava da Zanni, « qual godeva una donna chiamata Lcevinia^ similmente comediante e
si stimava che fusse e che non fusse sua moglie, et haveva acquistato con la scena e con
gli amanti qualche commodità di considerazione ; questa, com' è solito dell'oziosa nobiltà
LAVINIA - LAZZARO 15
napoletana, che oggi si è avanzata assai nel bordello, lussi, ignoranza, e povertà, fu posta
in conditione dalli donativi del Prìncipe d'Avellino, dal Principe di Belmonte, et altrì no-
bili et ignobili, che con pochissima moneta la goderono. Venuto frescamente Don Vin-
cenzo Spinelli, Principe di Tarsia a Napoli dal suo stato, cominciò ancor iui a vagheg-
giar la Lavinia, che volle mascherarsi da Zaccagnino, non bastandolo quello che aveva
speso in Calabria a buffoni, comedie, cacciatori, conviti, musica continua, cavalcatori, mastrì
di scrìma, ecc. » In quel carnevale Don Vincenzo Spinelli fece una mascherata, in abito
da Zanni, e distribuiva cartelli, fece la scritta : la moglie del Principe Zaccagnino. (V. Fui-
doro ms. Bibl. naz. ad an. — ).
Chi si nascondesse sotto questo nome di Lavinia non sa-
prei dire. Antecedenti le sono la Ponti (V.) e rAntonazzoni(V.),
e posteriori risola (V.) e la Torri (V.). Strana coincidenza:
mentre nel i6go l'Anna Maria Torri sosteneva le parti di La-
vinia in Compagnia del Duca di Modena, Giulio Cesare Torri
quarant'anni prima (1650) sosteneva quelle di Zaccagnino nella
stessa compagnia.
Lavinio. Sosteneva la parte ^innamorato il 1634 nella Com-
pagnia degli Affezionati.
Di lui è detto nella Scena illustrata: Lavinio che s inge-
gnava di formarsi un Eco, il quale rispondesse dal Teatro voci
di faìna al desiderio della sua gloria, udendo il rimbombo delle
sue elaborate fatiche.
Lazzarìni Luigi. Cominciò a recitar nella Compagnia di
Nicodemo Manni, dalla quale passò poi in quelle di Girolamo
Brandi, di Pietro Rosa, di Francesco Paganini e di Nicola Me-
nichelli, col quale trovavasi del 1782. Fu reputato attore di
pregio così nella maschera di Brighella, come nelle parti d'm-
namorafo, di tiranno e di padre.
Lazzaro Battista. E citato dal Baschet come capocomico
in Francia del 1583 all'Hotel de Bourgogne, ma con poca
fortuna. Forse, concordando le date e il luogo, questo Lazzaro
potrebbe non essere altro da Battista Veronese (V.), o da Bat-
tista da Rimino? E forse non altro da Battista Lazarone, a cui
si viene ora accennando?
16 LAZARONE - LEIGHIÌB
Lazarone Giambattista. Una lettera dell'Arlecchino Mar-
tinelli a un famigliare del Duca di Mantova, con data dì Cre-
mona 4 decembre 1 595, ci dà notizia di questo comico in Com-
pagnia della Diana, al quale Ìl Martinelli fa indirizzar le sue
lettere per maggior sicurezza.
Leandro. (V. Pilastri Francesco).
Leìgheb Giovanni. Attore brillante rinomatissimo, nacque
il 1812 a Venezia da famiglia non d'artisti.
Ernesto Rossi, col quale
Giovanni Leigheb fu in società
dalla quaresima del '49 a tutto
il carnovale del '51, così ce lo
descrive :
eiB QDa buona pasta d'uomo, giovia-
lone, spensierato, ma onesto; era sempre stato
io primarie compagnie, Mascherpa, Domeni-
coni, ecc., ecc. Poco fortunato nelle parti di
primo amoroso, passò a quelle di brillante, e
fu cosi fortunato il passaggio, che riusei a
contendere il primato a Bellotli Amilcare,
Ballotti Boo, Giardini ed altri che non ri-
cordo. Se tu lo avessi veduto nelle parti di
Balandar, nella Cattna di Scribe, nel Mar-
chtse Ciabattina e nel Bruno fitalori, nel
Capitane Carlotta, nelle Damigelle dìSaml-
Cyr, come l'ho vedalo e udito io, compren-
deresti come abbia potuto trasfondere il suo
brio e la sua vivacità al figlio Claudio, che
3. Possedeva una viscomica naturale, una (acilitA di memoria,
1 castigatezza di gesti e di modi, che lo rendevano atto alla
: di ogni carattere comico e semiserio. Nella commedia in dia-
chc cosa di geniale, grazioso, oserei dire inarrivabile. Chi mai
alla parte di Ludrilta nel Ludro e la stia gran giurnata di
ti gli altri che ho veduto dopo, non furono che pallide copie.
lo potè arrivare. Il brav' uomo era carico di famiglia. Aveva
. il padre
ioUez
a di Un;
le ed e
interpretaz
ba potuto come lui
F. A. Bonf - Nessi
Lo stesso Bellolti £
moglie, quattro figli e nn quinto per via,
I rovesci politici loavevano ridotto, come me, a chiedere an rifugio ed un pane alla Com-
pagnia Moncalvo, nella quale, come già ti dissi , la paga veniva come la febbre terzana, se le cose
andavano per il toro verso; se poi malandavano un pochino, allora era nna quartana, unaquin-
restava che la domenica. - Miseria per miseria, dicemmo, lacdamo
n solo pezzo di pane lo divideremo, e rìngrazieremo messer Domine Dio.
LEIGHEB
E qui contìnua a discorrer della Compagnia, e delle tra-
versie patite pel colera a Trieste, ove perderon la prima at-
trice Ferrari (V.), e d'onde fuggirono per recarsi a far l'au-
tunno a Fiume.
Cessata la società col Rossi, Giovanni Leigheb passò con
lo stesso ruolo in Compagnia Colomberti, poi in altre, ora socio,
ora scritturato. Morì
a Sebenico il maggio
del '66.
Le^heb Claudio.
Figlio del preceden-
te, nato il 20 agosto
del 1848 a Fano, è
l'ultimo brillante delia
vecchia grande scuo-
la, uno de' migliori
allievi, se non Ìl mi-
gliore, di Luigi Bel-
lotti-Bon, del quale
prese e saviamente si
assimilò suoni e at-
teggiamenti.
Esordì bambi-
no nella Compagnia
di suo padre, e così,
egli stesso, mi descri-
. ve i suoi primi passi:
«quella che non mi
andava giìl era la par-
te di uno dei figli nel-
V Edipo Re: non pote-
' * Poi. Bitlini - Livorno.
vo resistere allo stra-
zio di vedere all'ultimo atto mìo padre senza occhi; anzi, al
Filodrammatico di Trieste, una sera, ho piantato tutti e me ne
3. - / Contici iUliam. Voi. II.
i8 LEIGHEB
sono andato via di scena piangendo. Si vede che non ero nato
per le parti tragiche. Dove però mi son fatto onore fu nel figlio
nei Due Sergenti, e nel paggetto milanese nei Parinì. > Dopo
le peripezie toccate al suo povero padre nel '59, si scritturò
come generico giovine, secondi briVanli e marni, in varie compa-
gnie, ultima quella di Sterni, Rosaspina e Bonivento, in cui,
animato da suo padre che gli fu primo maestro, finì coll'assu-
mere ÌI ruolo di primo brillante, mantenuto poi nella Compa-
gnia di Raffaele Lambertini, della quale faceva parte Enrico
Capelli e Giuseppina Ferronì, sua moglie, e nella quale stette
fino a tutto il carnovale del '67. Dal '68 al '70 fu con Luigi
Bellotti-Bon, che nella quaresima del '69, più padre che capo-
comico, gli organizzò una grande rappresentazione per esone-
rario dal servizio militare, al Teatro delle Logge di Firenze, ove
si recitaron Le smanie per la villeggiatura, col concorso del ce-
lebrato Cesare Dondini. «Ciò che fece Bellotti per me in quella
occasione - egli mi diceva - non posso descrivertelo : un padre
non avrebbe potuto fare di piìl!... Rammentalo e mollo nel tuo
libro; ci tengo che lo si sappia.» E questo fervore di ricono-
scenza non genera meraviglie nella bocca di Claudio Leigheb,
che con la rettitudine scrupolosa dell'uomo, con il culto pro-
fondo dell'artista si acquistò la benevolenza e la stima di quanti
lo conobbero.
Entrò il '71, brillante e primo attor comico, nella Compa-
gnia di Fanny Sadowski diretta da Cesare Rossi; compagnia
1 nuova, piena di entusiasmi, di giovinezza, di
y^^ forza. N'eran. parte principale, oltre al Rossi,
'*"J la Campi, la Zerri-Grassi, la Migliotti, dive-
^^S^^ ""Jt^ poi sua moglie a Genova nella quaresima
^^|^^k|^ der73, la Bernieri, Ceresa, D'Ippolito, Giulio
^^^^^H Rasi, Pesaro, Bosio, Luigi Rasi, ecc. ecc.
^^^^^^ Fu dal '74 al '76 nella Compagnia N.° 3
— ^^^■« di Bellotti-Bon, diretta da Cesare Rossi; dal
'77 air '81 in quella della Città di Torino, r'82 con la Marini,
dall' '83 all' '87 con la Compagnia Nazionale di Roma, daH"88
LEIGHEB
m A é
■£ M^ ,.^E
al '90 con la Marini, dal '9 1 al '93 in Società con Novelli, dal '94
al '96 con Andò, dal '97 al '99 con la Reiter.
Sono dunque trent'annì di vita d'arte vissuta, in cui il
trionfo non s'andò mai attenuando, per la modestia grande del-
l'uomo e dell'artista accoppiata a una volontà di ferro, e ad un
rispetto di sé e del pubblico, direi incredibile. Lo stesso fer-
vore di una prima rappresentazione noi troviamo in lui alla
cinquantesima replica: rade volte, al momento di andare in
20 LEIGHEB
scena, egli non rilegge air uscio d'entrata o non ripete a me-
moria la sua parte per addentrarsi nel personaggio. E che de-
liziose macchiette egli produsse, rimaste incancellate nella sto-
ria del nostro teatro ! Chi non ricorda, per esempio, V abate del
Nessuno va al Campo di Paolo Ferrari ? Che irresistibili effetti
di riso in quella misurata, aristocratica comicità! E con che
arte, con che sentimento egli seppe a* suoi ideali piegare i varj
generi che si rincorrono, s'incalzano, s'intrecciano con prodi-
giosa rapidità ! Che nota elegante, che sciccherìa egli ha saputo
mettere nel più grottesco delle moderne pochades ! La zia di
Carlo, Il marito di Babette ! E quel vario, ricco repertorio di
farse, dinanzi a cui scaturivan fresche, spontanee le più gaje
risate ? Ricordate L'uomo d'affari ? L'amore delTarte ? // pa-
letot} Narciso il parrucchiere} E, tra' monologhi, chi meglio di
lui, o come lui, direbbe W punto interrogativo di Salsilli?
Né v'ha chi abbia maggiore il culto dell'arte: a volte par-
rebbe mutarsi in esagerazione o in posa, se non si conoscesse
pienamente la sua buona fede. Nemico per principio, o per con-
suetudine, del soggettare, egli ripete il suo testo con una fedeltà
scrupolosa. Non mai accolse l'idea di circondarsi d'astri mi-
nori per emerger di tra essi come sole, ma volle sempre che
le altre figure del gran quadro fosser tra le migliori. Avverso
all'applauso o alla risata prodotti da una inconsulta scurrilità,
egli sopprime le soverchie arditezze, a scapito non sol dell'ef-
fetto, ma dell' interesse.
Né Claudio Leigheb costringe le sue doti nei confini del
teatro. Dotato di un singolare spirito di imitazione egli dise-
gna, dipinge, pupazzetta con correttezza e spigliatezza incre-
dibili, mettendo nelle sue macchiette quel sentimento che manca
assai volte negli artisti di professione. Anche la scoltura delle
castagne d'India entra ne' suoi pregi di artista; e il Boutet
nella Tribuna della Domenica gli dedicò a questo proposito un
grazioso articolo illustrato.
Di lui scrisse anche Tommaso Salvini: e credo di non poter
finir meglio questo breve cenno, che riferendo qui le sue parole:
LEIGHEB 3t
ClaDiUo Leigbeb i l'attore comico più casligato e più preciso ch'io m'abbia codd-
(cinto ! Egli possiede il segreto di esUirarc con modi e mezxi sempre dignitosi, e co] non
lasciarsi trasportare dall'uditorio, che spesse volte, a torlo, pretende più di quello che l'arte
deve coDcedere. È nn artista che non pone mai il piede in Odio, sia che tratti il genere
totalmente burlesco, sia che a questo si congìunga aleno che di serio: coscienzioso esercita
la sna arte religiosamente, e l'unico appunto che mi permetto di fargli i quello di mostrarsi
talvolta, nella movenza della fisonomia, nell'intonazione dì qualche frase, troppo imitatore
del non mai abbastaoia compianto egregio artista Bellotti-Bon. Non pertanto il Ldgheb
resterà indimenticabile negli annali della storia dell'arte.
Due suoi fratelli, Achille ed Ugo, seguìron l'arte del pa-
dre; il primo come brillante, artista mediocre, fermatosi poi a
Bologna a insegnarvi recitazione : il ^^cox^^o generico e secondo
carotiere, coscienzioso, accurato, che recitò quasi sempre al
fianco di Gaudio.
Leigheb-M^lìotti Teresa. Moglie del precedente, seconda
donna, magnifica di forme, ha serbato nella fatale corsa del
tempo, la espressione d'infantile gioìalità, che la fece sempre
22 LEIGHEB - LEONARDO
una delle più simpatiche attrici del teatro italiano di prosa.
Nata a Carmagnola, cominciò ad esercitarsi bambina coi filo-
drammatici della Malfatti, recitando poi talvolta in piemontese
coir artista Gemelli. Entrò il '72, ancor giovinetta, nella Com-
pagnia della Sadowski, come prima attrice giovane e amorosa
sotto l'Annetta Campi, passando, dopo non molti anni, nello
sviluppo precoce della persona, alle parti di seconda donna, che
non abbandonò più.
Lelli N. Bolognese. Recitò con molto plauso le parti di Dottor
Balanzoni nelle Compagnie della Battaglia, del Paganini, del Pe-
relli e della Colleoni. Abbandonata l'arte, si restituì in patria, ove
stette più che trent'anni. Molte notizie di comici del suo tempo
furon da lui date al Colomberti, che le affidò in vario tempo alla
carta, se non con perfetta esattezza, certo con moltissima cura.
Leonardi Giacomo. Veronese, alternativamente Brighella
e padre nobile, fu artista egregio così nel premeditato, come
air improvviso. Fu lungo tempo con la Battaglia, il Sacco, e il
Lapy. Scrupolosissimo ne' suoi doveri, non lo era menò ne' suoi
diritti. Un giorno di ritardo nello spesato, provocava il suo im-
mediato licenziamento dal capocomico. Non volle che la mo-
glie recitasse per non esser distratta nelle faccende di casa,
ch'ella dovea fare con matematica precisione: e guai se la
colazione, il pranzo o la cena subiva qualche ritardo. Alla
stessa ora, per tempissimo, s'alzava, e studiava la parte se
premeditata, o passeggiava su e giù per la stanza, se improv-
visa, componendo, ricomponendo lo sceneggio e i discorsi.
Giunto a casa dalle prove, solca far l'ispezione alla casa, per
ben accertarsi che tutto fosse a suo posto. Questa specie di
orologio vivente morì a Venezia sui primi di questo secolo.
Leonardo. Era secondo e terzo amoroso a vicenda con Odoardo
nella Compagnia che desiderava di unir Fabrizio (V.) pel 1664
al servizio del Duca di Modena.
LEONESI - LIDIA 23
Leonesi Alamanno, bolognese, dopo essere stato applau-
ditissimo filodrammatico, andò nel 1825 con Fabbrichesi in
qualità di padre nobile a sostituir De Marini ne' suoi riposi.
Morto il Fabbrichesi, passò con Angelo Rosa, poi con altri,
sinché affari di famiglia noi richiamarono a Bologna, ove cessò
di vivere nel 1 840.
Libanti Giovanni, nato a Verona da onesti parenti nel 1756,
entrò, compiuti gli studi di latino, nella Cavalleria de' Cappe-
letti al servizio della Repubblica Veneta. Lasciata poi la milizia
per l'arte della scena, si scritturò quale amoroso dando subito
prova di certa riuscita, mercè le sue doti fisiche e intellettuali
che mostrava con ugual successo e nel premeditato e nell' im-
provviso. Fu acclamatissimo nella Compagnia di Domenico
Narini, poi al S. Luca di Venezia in quella di Luigi Perelli,
nella quale si sposò colla giovane attrice Chiara Mattordese.
Passò da quella del Perelli nelle Compagnie di Marta Coleoni
e di Maddalena Battaglia, colla quale, al S. Gio. Crisostomo di
Venezia, il carnevale del 1800, creò la parte di protagonista
r\€^ Abate della Spada, traduzione dell'Andolfati, che replicò
fra le universali acclamazioni per undici sere. Fu due anni a
Napoli con Giacomo Modena, poi con Antonio Goldoni col
quale creò il protagonista nel dramma V Incognito, che replicò
diciotto sere a Torino e venti a Venezia, il carnevale del 1806,
traendo il pubblico all'entusiasmo. Ma fu l'ultimo carnevale
per lui, che una fiera improvvisa malattia gli troncò la vita a
cinquant'anni.
Liberati Urania, detta in commedia Ber netta, recitava le
parti di serva, nella Compagnia che l'Arlecchino Tristano Mar-
tinelli (V.) condusse a Parigi nel novembre del 1620.
Lidia detta Da Bagnacavallo. Attrice famosa, intorno
alla quale e antichi e moderni hanno fatto il più fitto bujo che
si possa dire. Trascrivo le parole del Garzoni :
24 LIDIA
non lascio da parte quella Lidia gentile della patria mia, che con si politi discorsi,
e con si bella grazia, piangendo un di per Adriano, lasciò in un mar di pene l'affannato
core di quel poeta, che perso nel suo amore, le mandò quel Sonetto, che comincia,
Lidia mia, il di, che d'Adrian per sorte
ti strinse amor con mille nodi Talma,
io vidi il mar, che fu per lui si in calma,
a me turbato minacciar la morte.
Che dopo le ricerche di Fr. Bartoli col dato di una intera quar-
tina non si sia ancora trovato questo intero sonetto, mi pare
un po' strano : e oserei supporre esser opera inedita dello
stesso buon concittadino Garzoni. Ma di lui, o del Sommi,
come suppone il D'Ancona, non monta. Che la Lidia fosse una
donnina allegra, credo si possa affermare, richiamandoci alla
memoria quei versi di Bartolommeo Rossi, veronese, comico
confidente, il quale nella sua Fiammella (Parigi, Abell' Ange-
liero, 1584) fa dire nell'atto III, scena VI, a Bergamino:
Ho vist la Lidia, ma quel so marit
mai non V ho vist, ma pens che '1 sia andat
dentr' el Zodiaco, per formar quel segn
che scomenza T invern
Intanto dunque la Lidia, giacché d' altre Lidie di quell' epoca
non è pervenuta a noi notizia, aveva marito.
Quanto all'essere stata l'amante del Valerini, prima o dopo
la Vincenza Armani, vediamo: l'Armani era morta nel 1569, e
il Valerini pubblicò l'orazione funebre nel '70. Nel '71 i Gelosi
andarono in Francia con Orazio, Adriano, e Lidia; e Fr. Bar-
toli dice che la Lidia da Bagnacavallo fioriva nel '75 circa.
A me parrebbe dunque molto più logica la deduzione che il
Valerini dopo la perdita dell'Armani, traesse conforto dalle
grazie della Lidia da Bagnacavallo.
Forse Lidia era già in Compagnia, quando viveva l'Ar-
mani ? Il Rossi nella pastorale citata fa dire a Bergamino che
La Signora Vincenza i so cavai
de bianc son trasmutad tutt in carbon.
LIDIA - LIPPARINI
I SO cavai?... I so cavei?... I capelli della Vincenza tinti?...
Avea i capei lunghi di finissimoro, dice il Valerini. O eran que-
sti del Rossi comici non a noi pervenuti ? Eppure V unione di
questi tre nomi, Vincenza, Lidia, Orazio, potevan benissimo
essere insieme a quell'epoca : Orazio era il Rossi stesso, autore
della Fiammella. E se Lidia era nella Compagnia con la Vin-
cenza, forse dovette ella entrare un po', per dispetto, invidia,
e gelosia, nell' attossicamento dell'Armani? Forse la Lidia è
nome di guerra preso dopo la morte dell' Armani, la quale sap-
piamo chiamarsi così appunto nelle commedie? Naturalmente
il Garzoni allora avrebbe parlato di lei, morta l'Armani, poiché,
rimpiazzatala nel ruolo di prima donna in commedia, ebbe modo
soltanto allora, sotto il nome di Lidia, di spiegare i suoi forti ta-
lenti artistici: assai diversi, veramente, da quelli dell'Armani, se
stiamo ai due ritratti di virilità e di maestà nell'una, del Vale-
rini, di gentilezza e di grazia nell'altra, del Garzoni. Ma chi si
nascondeva sotto questo nome di Lidia?... Nessuna risposta.
Limbergher Gioacchino. Fu tra' comici della Compagnia
italiana in Dresda, e sosteneva il ruolo di amoroso. Prese parte
il carnevale del 1749 alla rappresentazione Amor non ha ri-
guardi (V. Bastona Marta), e nel 7 febbraio 1752 a quella del
Zoroastro (V. Arbes (D') Cesare), in cui sosteneva il personag-
gio di Abramane, primo sacerdote degli Idoli.
Gioacchino Limbergher, o Limperger, fu de' peggiori se
non il peggiore della compagnia. Così ce lo descrive l'anonimo
critico di Stuttgart nel suo Contributo alla storia e alla prospe-
rità del Teatro:
Gioacchino Limperger è giovane ; né arte, né natura lo innalzano. È di media sta-
tura, magro, e di una fisonomia molto stupida. La andatura, V azione, la parola sono
forzate ; dovrebbe imparare a ballare. Le mani e i piedi gli sono d' impaccio ; e a volte
non sa come muoverli. Non par fatto per il teatro, n suo ruolo é di un giovane amoroso
che ha poca intelligenza, ed é ciò che gli si conviene.
Lipparìni Angelo, nato a Bologna il 1 801, si diede giova-
nissimo all'arte, esordendo in compagnie secondarie nel ruolo
4. — / Comici italiani. VoL JI.
LIPPARINI
di amoroso: e tanto vi progredì, che nel biennio '28-'2g lo ve-
àì\z.mo primo attore assoluto nella rinomata Compagnia di Lucre-
zia e Amalia Bettini. Sposata poi la vedova dell'attore larcos,
Marietta Borgì, pregiata servetta, formò
compagnia, mantenendosi per quasi un
trentennio uno de' più esperti capoco-
mici. E dice il Colomberti nelle sue note
che la Compagnia del Lipparìni, fton mai
primaria per celebri attori, non/u mai se-
condaria a nessun altra per piacere al.pub-
I blico delle primarie città d'Italia. In essa
nonostante, al fianco della Manetta, già
di per sé un de' più grandi ornamenti,
militarono la Santoni, la Fumagalli, il
Coltellini, il Marini. Avanti Ìl '60 il Lipparini, abbandonato il
teatro, si restituì in patria, dove morì sul cadere del '79.
Lasciò molti figli dedicati all'arte paterna, tra' quali uno
che sposò Lucrezia Bettini, figlia della celebre Amalia.
Lipparìnì-Borgi Marietta, moglie del precedente, già ve-
dova dell'artista Giovanni larcos, nacque Ìl 1810, e morì a Bo-
logna l'ottobre del 1880.
Principal colonna della compagnia di suo marito, fu con
lui dal '29 al '60, sorgente non interrotta di lauti guadagni.
Dice il Colomberti che < nulla potevasi vedere sulla scena dì
più grazioso. Il di lei spirito, le grazie, la civetteria decente e
gastigata, una profonda conoscenza del carattere della sua
parte, e tutto ciò unito ad una figura non alta ma proporzio-
nata perfettamente, congiunta ad un bel volto adorno da due
occhi nerissimi pieni di malizia, e ad una voce, benché un poco
nasale, gratissima all'orecchio: tutte queste belle doti la ren-
devano la favorita del Pubblico. Non si creda però che il Lip-
parini s'illudesse sul merito della moglie: egli se ne serviva
in caso di bisogno anche come Prima Donna, ma non dimen-
ticava che questa é il vero pernio di una Compagnia »
LIVINI - LOCATELLI 2
-/
Livini Ferdinando. Artista di molto pregio per le parti di
primo attore così in commedia come in tragedia, poi di brUlaìite,
nacque a Pisa il 1790 da civili parenti. Fatti gli studi in quella
Università, si diede all'arte comica, la quale esercitò dapprima
in compagnie di second' ordine, poi in quelle primarie di Tad-
dei, di Raftopulo, e di Tessari, Prepiani e Visetti ai Fiorentini
di Napoli il 1825, sostituito poscia dalGottardi, nel qual tempo
abbracciò il ruolo del brillaìite. Datosi poi al capocomicato,
percorse il Regno di Napoli e Sicilia, ma con non troppa for-
tuna. Morì a Foggia nel 1845.
Locatelli Domenico, detto Trivellino in teatro, recitava
mirabilmente le parti di spiritoso intrigante, in costume di ar-
lecchino senza la maschera. Dovè recarsi a Parigi verso il 1644,
perchè il 9 gennaio dell' anno seguente fé' battezzare nella
chiesa di Saint Germain-l'Auxerrois, un figlio per nome Carlo
Francesco, eh' egli ebbe dalla moglie Luisa Gabrielli (comica
anch'essa, sotto nome di Lucilla, che recitò molto applaudita
nella Finta pazza di Giulio Strozzi), tenutogli a battesimo da
Francesco di Bassompierre, maresciallo di Francia, e da Anna
Dufay per conto dell'alta e potente principessa Carlotta-Mar-
gherita di Montmorency, principessa di Condè. Non c'è male!
Domenico Locatelli era amato e stimato alla Corte, e il padre di
GueuUette che lo senti recitare, affermava essere stato valen-
tissimo artista. Del '48 compose in francese l'argomento della
commedia italiana, Rosaura Imperatrice di Costantinopoli, recitata
poi al Petit Bourbon soltanto nel '58. Ma del '51 e '52 lo vediamo
in Italia, come appare dalla supplica del io agosto 1651 da Ve-
rona, di cui s'è parlato al nome di Fiala Giuseppe Antonio;
e da queste lettere che riferisco inedite dall'Archivio di Mo-
dena, in cui troviamo anche notizia della moglie Gabbrielli:
Ser.rao Sig.r* mio S.^e e Prone, sempre Coll."»o
Hieri mandai un piego per un Padre zoccolante a V. A. Ser.m* con le lettere del-
l'ordinario di venetia e di milano sono anciosissimo di sapere se V. A. S. le babbi hauute
per mia quiete.
28 LOCATELLI
Triuellino hieri sotto la parola del S.i* Co. Baiardi fu attacchato alla corda in Piazza,
e poi fu rilasciato per il manchamento connesso l'altra sera, e recitò hiersera. Oitauio è
ritirato nel Carmine e non se lasciato trouare, che ha timore di peggio, ma S. A. S. è
addirato contro di lui, e più d'ogn' altro un Nobile venetìano, che si trouaua in modena
che haueua seguito lucilia moglie di Triuellino nella quale è fieramente inamorato, parti
la mattina subito da modena questo Nobile cum mali pensieri uerso Otlauio, Che è quanto
e sucesso sin' hora e ui sia dì nono, e laccio hum.^^ et oseq.n^*^ riuerenza a V. A. Ser.ni^
Modena li 3 febraio 1652,
Di V. A. Ser.ma Hum.o e «lev ™o Scr.« oseq «0 sempre
Alessandro Superchi.
Ser.nio Sig.r« mio Sig.»^ e Pron. sempre CoU.nio
Questa passata notte alle X hore mi sono comparse le lettere dì V. A. S. e in con-
formità de suoi da me ambiti comandi ho recapitato subito la sua al S. Sassi; quella
della S. marchese Constanzo questa mattina.
Hiersera i comici nell' ultimo atto della comedia uenerono un pocho alle mani, cioè
Triuelino e Ottauio dentro pero, e dicono che fosse Triuellino che dasse un pugno ad
ottauio. che subito ciò seguito Triuellino uenne fuori senza maschera e domandò perdo-
nanza allo Ser.ino s. P.o che si trouaua alla comedia, sin hora non si è ueduto alcuna
dimostratione di castigho, e si spera anchora che S. A. li perdoni.
Inuio a V. A. S. le annesse littere uenute di venetia e portate dall' ordinario di
milano, Che sarà il fine col fargli hum.* et osseq.i^A riuerenza. Modena li 2 febraio i6s2.
Di V. A. S. Hum.o e deu.»® Ser. uero e oseq.™»
Alessandro Superchi.
Tornò poi nel '53 a Parigi (vedi il brano di lettera del
1 6 agosto nella Muse historìque di Loret, riferita al nome di
Adami Beatrice), sposò il 9 giugno del '65 in seconde nozze
e alla presenza di Cristoforo Contugi detto l'Orvietano, di Giu-
seppe Giaratoni, Pierot, e di altri, Maria di Creil vedova di
Francesco de Houpy. Sotto questa data abbiamo un ordine di
pagamento dal tesoro reale a Domenico Locatelli di lire 1 200
per la sua pensione dell'anno stesso. Morì a cinquantotto anni
il 26 aprile del '71 e fu sepolto il dì dopo nella chiesa del con-
vento dei Grands-Augustins. Era nato dunque il '13, e andò
in Francia la prima volta a trentadue anni. Robinet, continua-
tore della Muse historìque di Loret, così annunzia la morte di
Locatelli nella sua lettera del 2 maggio '71 :
La Parque souvent très-cruelle,
(o justes cieux ! quelle nouvelle !)
par un tour traitre Oc fort vilain,
LOCATELLI - LOLLI 29
nous vient d'enlever Trivelin,
qui dedans la troupe italique,
etoii un si charmant comique:
elle a fait ce tour, par dépit
comme je crois, de maint repit
qu'il falloit que la maricaude,
qui ne veut pas que l'on la fraude,
accordàt, sans nul doute, à ceux
qui voyoient ce facétieux,
lequel leur iiispirant la joye,
lui ravissoit ainsi sa proye.
O vous, qu'il a fait vivre ainsi,
daignez donc en lisant ceci,
faire pour lui quelque prière,
c'est le raoins que vous puissiez faire.
Pel ritratto e costume di Locatelli, V. Cantù Carlo.
Lodovico da Bologna. (V. Bianchi De Ludovico).
LoUi Eustachio. Recitava il 1650-51 nella Compagnia del
Duca di Modena le parti di Zanni sotto il nome di Fichetto. Di
lui non abbiamo altre notizie che queste rintracciate in alcune
lettere dell'Archivio di Modena, fra cui la seguente allegata a
un'altra del comico Nelli, che riferisco intera:
Al nome di Dio
adi 15 Aprile 165 1 in Bologna.
Noi sottoscritti Comici facciamo fede come sono uenute da Padona tre lettere dirette
a jichetto nostro compagno, scritte da Cauaglierì di colà, con le quali ci persuadono a non an-
dare a recitare in quella Città, altrimenti scoreremo grani pericoli per essersi diuisa la Città
nel prethendere, chi la nostra Compagnia, e chi quella della Sig.^a Armellina, che per ciò ci
consigliano a non andarui per non mettere a rischio la ulta d'uno di noi ; le quali tre lettere
se gli è ritirato a se un Cauagliere Bolognese hauendoci imposto il non palesare ne lui, ne chi
ha scritto le suddette tre lettere. In fede di che noi tutti habbiamo sottoscritto per far cono-
scere, che è la uerìtà, e non inuenzione, ne della Sig.^a Angiola, ne del Dottore suo marito ecc.
io ISABELLA FRANCHINI detta Colofibina afermo quanto di sopra.
Io Bernard.^ Coris detto Siluio comico affermo quanto di sopra si contiene.
Io Eustachio lolli fichetto affermo quanto di sopra.
Io Gio. Andrea Zanotti detto Ottauio affermo ecc.
Io Giuseppe Albani detto Pantalone affermo.
Io Giacinto Bbndinelli detto ValP affermo ecc.
30 LOLLI
Ma il Duca di Modena non si lasciò intimidire dalle mi-
naccie di quei cavalieri, e die ordini, col mezzo dell' Obizzi, al
Podestà di Padova, perchè senz'altro la sua compagnia si re-
casse a recitar colà, com' era già stabilito. Ai quali ordini seguì
la seguente lettera dell' Obizzi :
Ser.n»o mio Signore
Ho presentata la lettera di V. A. al Sig.r Luigi Molino bora nostro Podestà, col
quale non ho hauuto mestieri d'accompagnamenti di parole per ìndnrlo a seruir V. A.
professandoli egli, come sa, grandissima diuozione, e credo non rispondere se non l' ordi-
nario che uiene in riguardo di douer mandar la lettera in Senato per le loro strette proi-
bizioni. Veramente io come quello che suol prouedere ogni anno questa città di comici,
non sapendo la mente di V. A. hauea promesso il luogo coli' assenso de' Rettori alla
compagnia di Parma, ma subito riccuuti i commandi di V. A. ho scritto, che si prone-
dano, e pertanto la supplico deuotamente a commandar a Fichetto^ e compagni che siano
qui per 1' ottaua di Pasqua, e m' inchino a V. A. humilissimamente. Di Padoua l'ultimo
d'aprile 165 1.
Di V. A. S. humiiis8.™o e fcdeliss."® Ser.»*
Pio Enea degli Obizzi.
Di fuori : ai Duca di Modena.
L'avere scritto quelle tre lettere accennate a Fichetto, e
non ad altri, e l'avere scritto T Obizzi di < comandare a Fichetto
e compagni, ecc. ecc. » prova mi pare che il Lolli avesse in
quella compagnia principalissima parte.
Lolli Giovan Antonio. Abbiamo in molte lettere dell'Ar-
chivio di Modena precise notizie di questo comico, il quale fu
rinomatissimo artista sotto la maschera del Dottore, e col nome
teatrale di Dottor Brent'mo, a differenza del suo omonimo Gio-
van Angiolo Lolli che sotto la stessa maschera fu celebre in
Francia col nome di Dottor Baloardo. La prima notizia tro-
viamo in una lettera del 1 66 1 , che ci fa sapere come innanzi a
quel tempo il Dottor Brentino facesse parte della Compagnia
del Principe Alessandro Farnese. È lo stesso Duca di Modena
che si rivolge al Cardinal Legato di Bologna, pregandolo di
chiamare a sé il Lolli e di persuaderlo con belle promesse ad
accettare l'invito di far parte della Compagnia del Duca, al
che pare si fosse mostrato renitente.
LOLLI 31
Da un'altra lettera del 30 giugno '76 di Don Alfonso
d' Este si apprende come il Dottor LoUi fosse in Francia. Ma
il '77 era a Verona al servizio del Duca di Modena. Il '79 si
trovò a recitar nientemeno che a Londra.... con disastrosi re-
sultati, ch'egli stesso ampollosamente e comicamente ci ap-
prende in una preziosa lettera del '79 che pubblico integral-
mente :
ni.mo et Ecc.™o Sig.o' Sig.or et Padron Col.'"o
In fine, la Saprema bontà, di Sua Altezza Reale là Sig.^^ Duchessa di lorch, là
quale non inuidia punto la Generosità del nostro Ser.n*o Padrone, ha ottenuta là dà noi
tanto desiderata licenza; doppo esser stati per tre mesi Infruttuosi appresso questa Real
Corte, è quello che più importa anco à noi stessi, non hanendo potuto rapresentare che
solo u.... sei Comedie con Pochissimo Applauso, è niente d* Vtile; È be[nsi vero] Però
che si hebbe già in due uolte per ricorso fatto alla Nos[tra] Ser.n^^ Prottetrice è Padrona,
cento cinquanta Pezze, è si die[de] tredici Pezze per uno; beuanda, che semi non per
smorzare ma per accendere maggiormente là sete à questo Idropico corpo di Compagnia ;
Potati che furono à pena i Rami del Vechio debito, ripuluUorno in breue in tanta copia
che mossa di nono à Pietà là Prodiga mano di Sua Altezza Reale ha ritrouato il modo
di sradicare questa infruttuosa Pianta. Indi in quantità sufficiente seminando Argenteo Sale
nel fertile terreno della nostra Pouertà, già sterille l'ha reso; Siamo dunque richi, perchè
la Compagnia [è| senza debiti; Infermità, che ci haueua ridotti poco [più] che alli estremi;
se con Aurei siroppi non ueniua cu[ra]ta; Piaga cosi Vasta, che per medicarla Vna sol
uol[ta] è stato neccessario Adoprare ottocento Pezze ; rissanati dunque, senza altra licenza
del Medico, Vogliamo mutar aria à Dio Piacendo, è si i disgusti eh' io prono dà questa
turba di Compagni sregolata, non mi fanno ricadere, spero di ritornare con salute à riue-
dere il Panaro, terminato che haurò di più mirare l'Abhorito Tamiggi; Attendo perciò
un Ostro fauoreuole per scostarmi quanto prima dà questi lidi ; Nel' quali' tempo là prego
di nono à non scordarsi di me' è di quanto nel' ultima mia le scrissi poiché là mia Flemma
si è resa in tutto è per tutto in habile à poter più proseguire auanti; ò mutatione di
Compagni, ò libertà; Londra li 17 febraro Ì679.
Di V. E.. Huin ™0 Scr.«> DeuoL'no
Gio. Antonio Lolli detto il Dottore Comico,
Di fuori : ai' Ill.mo et Ecc.nio Sig.^ et Padron Col.mo U
Sig.' Don Alfonso D'Este
Franca per Mantoa Modena.
A questo viaggio di Londra si riferisce l'altra sua lettera
da Lione al comico Francesco Delli Angioli (V.). Con lettera
del 3 marzo 1683, il Duca di Mantova scriveva al Duca di
Modena, per chiedergli insieme ad altri comici il Dottor Bren-
tino, da aggregare alla propria compagnia.
32 • LOLLI
Ma il Duca di Modena continuò a tener compagnia, e in
essa il Lolli, di cui abbiamo la seguente lettera curiosissima:
Altezza Ser.">a
Gio. Antonio Lolli Allias Dottor Brentino Comico, Humil.n»o Sernitore di Vostra
Altezza Serenissima Doppo di hauere per lo spatio di anni otto sernito con ogni Decoro
et honorenolezza al' Altezza Vostra fu Già Vn'Anno fa fuori di tempo, è senza alcun'
Demerito, Dal' Sig.»"« Don Alfonso, licentiato dal* Ser."»o Seruiggio, à conditione però,
di non passare i monti fuori di Itallia, né di impegnarsi con altri Prencipi; onde non
hauendo in dodici mesi potuto Impiegarsi nella Comica atteso le circostanze Sud. te fu
neccessitato ricorrere con lettere all' Sud.to Sig.^ Don Alfonso per qualche Sollieuo più
Volte Ma sempre senza frutto, onde ridotto in estrema Neccessità, è Carico di Debiti |
ricorre con Profonda humilta à Piedi di Vostra Altezza Ser.»"» Supplicandola à Volere
con occhio Pietoso riflettere alla sua Causa non hauendo doppo un'Anno Perduto ; modo
di sostentarsi, che di tanta Gratia. Quam Deus &.
Di fuori: Memoriale
All'Altezza Ser.n^a Dell' Signor
Duca di Modena
Per Gio. Antonio Lolli Comico
detto il' Dottore.
{Rescritto della Cancelleria) prouisto 21 maggio 1686,
Infatti nel maggio '86 egli figurava nella lista dei comici
del Duca, al fianco dei coniugi Fiala, di Antonio Riccoboni, di
Carlo San Giorgi, ecc. ecc., ai quali per sussistenza furono as-
segnate due doppie il mese. E lo troviamo del '92 sempre al
servizio del Duca, a cui scrive da Ferrara Luigi Bentivoglio,
pregandolo di concedere la permissione al Dottor Brentino di
trasferirsi a recitar colà nella compagnia da lui protetta.
Altro non mi fu possibile rinvenire, specialmente per
quanto potesse concernere un suo grado di parentela con Fi-
chetto e col Dottor Baloardo, dei quali era contemporaneo.
Lolli Giovanni-Batista- Angelo -Agostino. Bolognese,
nato circa il 1628, fu reputatissimo attore in Francia sotto la
maschera del Dottore, col nome di Graziati Baloardo, Il Tra-
lage in una sua nota manoscritta parla della eccellenza de' co-
stumi di Lolli, il quale, un po' fors' anco per questo, e un po' pel
suo nome di Angelo, era noto più specialmente col nome di
l'Ance, o Lange, col quale anche talvolta
si firmava. Fece rappresentare nel '70
una commedia intitolata Z^ Gentilhomme
camfiagnard, ou les Débauches d'Arie-
quin. Sposò Patrizia Adami (V.), ser-
vetta col nome di Diamant'ina. insieme
alla quale fu naturalizzato francese il
16 giugno del 1683, e si ritirò dal tea-
tro, a cagione dell' età e de' malanni,
nel 1694, con una pensione di mille lire,
sostituito da Marc'Antonio Romagnesi,
che avea recitato sin allora gli amorosi.
Giov. Angiolo Lolli morì a Parigi nel
suo domicilio, me du Croissant. Ìl 4 no-
vembre 1702, e fu sepolto l'indomani
nella chiesa di Sant' Eustacchio.
Il Loret, nella Muse historique del
14 febbraio 1654, così ci apprende una disputa sorta fra il
Dottor Lolli e il Pantalon Turi:
Baloardo Cotnèdien,
lequel eocor qu'Iialien,
n'est qu'un auteur mélancolique,
l'autre jour en piace publique,
vivement attaquer osa
le Pantalon Bisognosa,
qui pour repousser l'incartade,
mit soudain la main à l'espade,
et se chatoliillèrent loag-iems,
devanc quantité d'assistans;
qui croyant leur combat tragique,
n'ètre que fiction comique,
laissérent leurs grands coup tirer,
sans nullement les sèparer.
Si le come, ou l'histoire n'erre
Baloardo tombant par terre,
s'écria « Dieu ! quelle pitie!
« les Francois ont peu d'amìtié !
34 LOLLI - LOLLIO
— i
« Ayant commencé de combattre,
« nous pensions qu'on nous tint à quatre;
« sans cet espoir nous n'eussions pas;
« nul de nous n'étant sanguinaire;
« on nous a pourtant laissé faire,
ce Donc pour m'étre un peu trop hàté,
« je suis navré par le coté.
« Veramenìc queste personnes
« ne sont ni courtoises, ni bonnes. »
Tour chagrin, lout pale & transi,
Baloardo parloit ainsi,
en regardant saigner sa playe.
Que Taventure, ou non, soit vraye,
en la saison de maintenant,
tout est de caréme prenant.
LoUio Carlo. Nacque a Bergamo nel 1832, e, terminati a
pena gli studi ginnasiali, entrò aspirante nel Tribunale di prima
istanza; ma, perseguitato dal governo austriaco pei suoi sen-
timenti patriottici, fu costretto ad esulare, e consacrarsi alle
scene, esordendo nell'autunno 1852 con la drammatica com-
pagnia di Nicola Cola. Venuto a mancare il primo attor gio-
vane in Compagnia Domeniconi, egli fu chiamato a sostituirlo,
facendo subito bella prova con la parte di Emanuele nel Se-
greto. Passò, dopo un triennio, nella Compagnia di Luigi San-
tecchi, ov'era Enrichetta Abati, che divenne poi sua moglie,
indi, assunto il ruolo di primo attore assoluto, nella lombarda
diretta da Zamarini. Tentò il capocomicato in società con
Federigo Boldrini, ma con poca fortuna; e si scritturò, termi-
nato Tanno, e per un triennio, con Giuseppe Trivelli, col quale
ebbe la fortuna di recitare al fianco di Gustavo Modena, soste-
nendo le parti di David nel Saul, di Nemours nel Luigi XI, di
Loivendegen e del Duca d' Alba nel Cittadino di Gand.
Da quella del Trivelli passò nelle Compagnie di Gaspare
Pieri, di Pieri e Dondini, di Colomberti e Casilini, e di Lupi.
Entrò poi in società con Augusto Bertini e Leontina Papà, e
diresse, a Napoli, la Compagnia del Teatro Nuovo, impresario
il Luzi. Fu inoltre nella Compagnia n." 2 di Fanny Sadowski, di-
retta da Luigi Monti, da cui si sciolse il '76 per la morte della
moglie, diventando di bel nuovo capocomico, e inaugurando Ìl
giugno di quell'anno il Politeama Alfieri di Genova. Fu con
la Pezzana in Ispagna e Portogallo, e, tornato in Italia, con
Bollini; passando poi di
società in società fino al-
l'anno, in cui fu nomina-
to Professore secondario
alla R. Scuola di Recita-
zione di Firenze.
Ebbe dall'Abati una
figliuola, Antonietta, già
seconda donna, poi pri-
ma, moglie dell'artista
Giuseppe Strini, e sposò
in seconde nozze l'attrice
Annetta Cavallotti, da cui
ebbe due figliuoli.
Dire della squisitez-
za dell'animo e della inte-
grità di Carlo Lollio non
potrei. Mite, affettuoso,
debole financo, si faceva
leone contro la umana in-
giustizia. Di fronte al suo dovere dì uomo onesto non conosceva
ostacoli. E questa sua rettitudine senza pari gli costò la vita. Di-
sfatto dalla malattia dì cuore, impotente quasi a muoversi dal
letto di morte, con uno sforzo supremo un giorno levò il capo, e
si diede a sclamare con voce rotta dal pianto; « perdono! per-
dono!... perdono tutti! perdono tutto!...» E dopo qualche giorno,
il 2 2 nov. 1 893, morì ; e io nulla ho più da aggiungere, ubbidiente
e devoto all'amico, al padre, al protettore e difensore mio; ma
voglio qui, in questo libro, ov'è trasfusa tanta parte di me, chiu-
dere i cenni della vita di Carlo Lollio con una Y>3so\a.: gratitudine /
36 LOMBARDI
Lombardi Bernardino. Recitava le parti di Graziano nella
Compagnia dei Comici Confidenti, che tanto grido levaron tra noi
e in Francia nella seconda metà del sec. xvi. Non è ben chiarito in
quale epoca si recassero a Parigi, ma non prima, pare, del '75;
né in quale si fondessero coi Gelosi, formando la Compagnia dei
Comici Uniti, e da quelli poi si risciogliessero. Al nome di Al-
berghini-Angelica, è pubblicato il madrigale di Cristoforo Cor-
belli che generò la notizia data dal Quadrio della loro unione
circa r '80. Ma una supplica pubblicata dal Belgrano abbiam
neir '83 di Bernardino Lombardi a nome degli Uniti Confidenti
per recitare a Genova nei mesi di aprile, maggio e giugno, ed al-
tra ne abbiamo neir '86 al Senato Genovese, de' soli Confidenti.
Fu il Lombardi anche autore di una commedia in prosa,
intitolata V Alchimista, e dedicata a Giulio Pallavicino (Ferrara,
Baldini, 1583, poi Venezia, Sessa, 1586, e Spineda, 1602), in
cui, scrive Adolfo Bartoli nella sua introduzione agli Scenar j,
< noi troviamo quello che è così raro nella commedia italiana
del secolo xvi, qualche carattere studiato e disegnato. La sa-
tira dell'Alchimista è ben fatta, e Momo, Lucrezia, il servo Vol-
pino hanno qualche originalità, si staccano dal solito e mono-
tono convenzionalismo di quasi tutti i personaggi drammatici
del cinque e seicento. Le stesse Nafissa vecchia ed Angelica
cortigiana si può asserire che non sono come tutte quelle altre
infinite cortigiane e vecchie della scena italiana. >
Alla fine di essa è un suo sonetto, non brutto, al Pallavi-
cino, che il Bartoli riferisce nel suo cenno : ma io preferisco
metter qui una scena del Graziano (la 3* dell'atto II), la quale
ci darà meglio un'idea dello scrittore e dell'artista:
SCENA III
POCOINTESTA & GRATIANO
Poe. Che cosa vorrà il suo seruitor dal mio patrone cosi allo scuro, che non ne habbiamo
anchora tredici del Mese? & sono decinoue miglia sonate in torre di Nona, & non
ho finito ancho il primo sonno, & la patrona della sua sema mi manda, per eh' io
parli col mio padrone: ma eccolo a fede mia, e nò burlo già, che volete voi da me?
Gra. Desedet zucca senza sai, tu duorme an ualenthom, Oh quand qstu no dorm l' è pur
vizilant as pò ben dir che essendo con mi, ch'ai sia insiem du huomn dlla caplina
LOMBARDI 37
lu in te la tutia, e mi in quel eh se sa. Dim Pocintesta, che cosa voi similitndinar
quel che t'ha in quel Alcest?
Poe. Mad. s* io vo dal patrone, volete eh* io mi leui di questo letto, o pure ho d'andami
cosi ignudo: horsu aprìtimi la porta, e fatemi lume, che gli è vn giorno di notte,
che par di mezzo Agosto, o bel solaio alla sala del mio patrone; ho patrona dite
al messere, che non voglio leuarmi.
Gra. a son masculin, e no famulin, & ti no nie in casa, ne in tal lett es t'auuri i occhi
t vedrrà se ti no srà orb, dim vn poc, mat purta qle rob, cha t' ho scritt in qella plizza.
Poe. Eccoci il giorno, ma chi mi ha portato qui senza mia licenza, & m' ha riuestito,
che paio vn hnomn di legno? patrone son qui; perchè M. & il mio messere con
Pocointesta madorono la casa del semitore in villa p portare in vn cesto le coma
del bufolo caprino, che voi sete, suo amico.
Gra. Tn sa dir al to concet, zuè la tua vpilation, tu vuo dir Mad. la qual parland cun
mi vuol vnfrir l'infumad parol, che te ne par, nonella qsi?
Poe. Signor si, eccomi vino da donerò; e s*io muoro mai più, che possiate essere ea-
strato ; mi pareua hora dormendo, che haueuate perduto il ceruello, & che il mio per
cercarlo era restato pegno per la vettura del cauallo alla Storta.
Gra. Non tant derimonie, at domand le robeno al cernei.
Poe. O vi dirò, il messo, che mi fu portato dalla lettera, dicea cosi. Per vn presente ti
lauerai il viso, come voglio, che tu pigli co tre pesci in porto, e vn passo in mezo
il Tenere co '1 dissegno d' vna tetta vecchia, & che tu metta vna buona cura alle cose
del fiamingo, accio resti sano, & teghi V acqua, & eh' io venissi col subito per vna
cossa eh' importa, si che intendete il presente, la lettera no me la diede; il viso me
lo lauai; i tre pesci eccoUi, il passo in mezo il Tenere lo farò, se voi pagate la spesa
del ritorno; il disegno della tetta vecchia non se ne troua; il Fiamingo, perchè non
è stitico, non volse la cura; ne li diedi l'acqua, perchè li piaceua più il Vino: il
subbio eccolo, che ve ne pare ? non son' io lesto ? & se non mi credete ecco la lettera.
Gra. Ti n' sa liezer, lassa far à mi, da qui che te m' ha srui in ti garit ; la dis qsi ascolta
qnest è al suzett, al tintor della littera, pr la patent t' haurà auis, com'a vuoi, eh
t' pii al cumtrapes, e vn cumpas mezan, eum al dsegn d' ceuetta vecchia, & met bona
cura alle eos del fìameng azzò che le tiengan ben l' aqua ferma, * * subi pr vna cosa
de porca: mo fat qui, va in tal mia studi, e tua al mia cumtrafat dpint int l'voli
dal naturai, e puortal alla sgnora Angzielica da mia parte, e dii cha vuoi parlar cun
lià sta sira sacchettamente, chin dit ? t' bastard l' amit d' far l' imbastarda con la va.
Poe. £ di che sorte; dirò cosi. M. ritrat mi manda da voi la cortigiana, acciò le mandiate
vn sacchetto di mente per il bastardo, da far l'amito al basto del mio patrone, &
contrafarà nello studio del Pittore l'olio nell' rerinale, non va cosi?
Gra. Si si o bon tia al più bon rutori al più bel vrlador pr dir la to intintation, che sia
ma vsci dalla scola d' Zezaron, potta d' Zuda, s' Roma perdes qstù, a mi la free pò
castra da vera, va mit zo qste rob, e tua quel cha t' ho dit, e vsa bona salcizza da
Vdine di gratia intomo à Fiora, che vaga a eà d' la surella d' la patrona, sat Pocintesta
garbat? e mi andarò dal mia eumpar per vn mia disegn.
Lombardi Francesco. Nativo di Alessandria della Paglia,
commesso un omicidio in patria, esulò per sottrarsi ai rigori
della giustizia, e si fece frate dell'ordine di S. Francesco.
Stanco poi della vita monastica, fuggì dal convento in paesi
38 LOMBARDI
ov' era sconosciuto, sinché, unitosi alla Compagnia di Nicola
Petrioli, si diede al teatro recitando le parti di secondo innamo-
rato (era Testate del 1740, al Teatro Ducale di Milano). Nella
chiesa parrocchiale detta S. Maria della Mascarella in Bologna,
prese moglie, con cui visse molti anni senza figliuoli, e che gli
morì del 1 768 in Venezia. Pcissato nella Compagnia di Vincenzo
Bazzigotti, e recatosi a Siena, tentò in vano di psissare a se-
conde nozze con una giovane del paese, per nome Caterina,
divenuta poi la moglie di Antonio Fiorilli. Sempre in Compa-
gnia del Bazzigotti fu il carnovale del '70 in Ferrara, dove,
scoperto alla fine, risolse di palesare il suo stato al Marchese
Camillo Bevilacqua, coli' aiuto del quale potè ottenere la pro-
tezione del Cardinal Crescenzi, Legato di Ferrara, che invioUo
a Roma appiedi di papa Clemente XIV, dal quale ottenne la
più ampia assoluzione di ogni sua colpa. Tornò air ordine
de' cappuccini, e da una sua lettera a un Facchini di Ferrara,
in data del 2 febbraio 1771, firmata Fra Gian Fedele d'Ales-
sandria, stridente cappuccino indegno, e pubblicata per intero da
Fr. Bartoli, sappiamo com' egli, appena entrato, avesse avuto
la direzione spirituale, che durò sei mesi, dal Padre Maestro
Bonaventura di Ferrara; poscia un Lettore, il Padre Giuseppe
Maria d'Alessandria, per psissar la filosofia. All'ottobre avrebbe
mutato convento per lo studio della teologia, e avrebbe offi-
ciato a Pentecoste.
Si diede poi alle Missioni apostoliche, e lo vediam percor-
rere tutta la Marca Anconitana, e fece con grande successo il
quaresimale del '77 a Bologna, in quella stessa chiesa della
Mascarella, ove, rinnegata la fede, avea preso moglie. Suo vivo
desiderio sarebbe stato quello d'andar tra* barbari, missiona-
rio, beato di affrontare e sostenere il martirio per la fede di
Cristo, ma la morte lo colse del '78, mentre stava predicando
in Romagna.
li Stefano da Nizza di Provenza. Il Bartoli lo dice
comico di qualche merito. Recitò le parti àHnnamorato in Com-
LOMBARDI 39
pagaia di Nicodemo Manni, con la moglie Anna, egregia ser-
vetta, con la quale passò poi a Napoli e a Palermo (1782).
Lombardi Rodrigo. Bolognese, comico eccellente per le
parti di Dottore, nelle quali e per la intelligenza e per la viva-
cità non ebbe chi gli stesse a fronte. Fu uno de' principali or-
namenti della Compagnia di Antonio Sacco, di cui sposò la
sorella Adriana, moglie poi in seconde nozze dell'artista Ata-
nasio Zannoni. Ebbe da tal matrimonio molti figliuoli, e ne
vediam due sul teatro: Benedetto, prima ballerino nella Com-
pagnia del Sacco, rimasto in tal carica sul teatro a Lisbona
per undici anni al servizio di quella Corte, poi, tornato in Italia
e già maturo, Arlecchino di molto pregio, morto a Torino nel
carnovale del 1 795 ; e Rosa, graziosa e pregevole donnina, che
sposò Francesco Arena, il figliastro del Pantalone d'Arbes, e
morì giovanissima. Quando dalla Compagnia Grimani uscì il
Dottore Monti, Rodrigo Lombardi andò a sostituirlo, e Gol-
doni lasciò scritto di lui (Pasquali, XIV, 9) eh' era bravo, eccel-
lente: e valente lo disse pure il Gozzi nell'appendice al suo
Ragtonamento ingenuo (IV, 45). Fu autor di Scenarj di comme-
die all' improvviso, eh' egli recitava mirabilmente, intitolate
Il Dottore giudice e padre, e Chi trova un amico trova u?t tesoro,
o sia // Dottore avvocato dei poveri. Nel 1 749, sceso all'osteria
della Croce Bianca in Parma, ove dovea far la stagione d'estate
coi Parenti, fu colpito da sì repente e terribile male, che do-
vette, in capo a pochi dì, soccombere nella pienezza della vi-
rilità.
Lombardi Giovanni. Figlio di Benedetto, di cui s' è fatto
cenno all'articolo precedente, fu attore pregiatissimo in Roma
per le parti di donna. Passò poi in varie compagnie nel ruolo
di primo amoroso, e tale fu molti anni in quella di Giacomo
Moggio. Scrisse molte commedie rappresentate e non istam-
pate, e, lasciata l'arte, si ritirò prima a Mirandola, poi a S. Gio-
vanni in Persiceto, dove morì nel 1836.
40 LOMBARDI
Lombardi Federigo. Fratello del precedente, fu come lui
artista egregio per le parti di primo amoroso, che sostenne
nelle migliori compagnie del suo tempo. Sposò in Siena una
certa Giuseppa Zacchea di Milano. Venuto a maturità, vestì la
maschera del Brighella, sotto la quale si mostrò pur valentis-
simo, e morì in Bologna nel 1850.
Lombardi Rosa. Sorella dei precedenti, nacque a Venezia
nel 1 741, e cominciò da bimba a mostrar grandi attitudini alla
scena. Fu coi parenti nella Compagnia Sacco, e recatasi poi
con essa a Lisbona assieme ai fratelli e ad altri fanciulli, recitò
con gran maestria le parti àX prima attrice, protetta e remunerata
da quei Sovrani sino al dì del famoso terremoto del 1755, in
cui fu costretta a tornarsene con la Compagnia in Italia. Progre-
dendo in età, in perizia, in bellezza, potè assumere il ruolo di
prima attrice assoluta, in cui fu acclamata a Venezia e altrove
come una delle più chiareartiste del suo tempo. Sposò a ven-
tidue anni Giuseppe Arena, il celebre inventor delle macchine,
trasformazioni, voli, ecc., per le favole teatrali scritte da Carlo
Gozzi pel capo-comico Sacco, ma, non compiuti i ventiquat-
tr'anni, le si palesò tal grado di anemia che in pochissimo
tempo la estinse in Venezia nel 1765, seguita nel sepolcro a
breve distanza dallo sposo accoratissimo.
Lombardi Francesco. Primo figlio di Federigo, nacque a
Bergamo il 1 792, e, con l'esempio del padre, si mostrò fin da gio-
vanetto egregio amoroso in Compagnia di Antonio Goldoni, poi
di Giacomo Dorati ; riuscendo quindi, sotto gli ammaestramenti
di Giovanni Libanti, artista de' più pregiati. Venuto a morte in
Compagnia Fabbrichesi il celebre Giovanni Bettini, andò il Lom-
bardi a sostituirlo; e sì bene uscì dal cimento, che partito il
Belli-Blanes, egli ne sostenne le migliori parti di amoroso, pas-
sando di trionfo in trionfo. Indescrivibile è il fanatismo da lui
destato a Napoli, solo uguagliato dal fratello Alessandro. Fu
quindi nella Compagnia di Luigi Vestri, stipendiato dal vecchio
LOMBARDI
Duca Torlonia per tre stagioni annuali in Roma, e quivi anche sì
rinnovarono i trionfi di Napoli. Passò da. questa primo ai/ore con
Giacomo Modena, poi, intollerante di giogo, formò da sé com-
pagnia della quale fu prima attrice l'Amalia Vidari. La quare-
sima del '25 diede improvvisamente addìo alle scene per riti-
rarsi a Bologna, ove aveva segretamente sposata la Principessa
Maria Hercolani.
Il Colombertì dice di lui: che sortì dalla natura
e inquieto, atrabiliire, pontìglioso e prepolenle. Villano e sprezzante di tutto
e di tatti, non aveva amici perche voleva suppedìtar tatti con il suo prepotente contegno,
e con il suo basso e triviale frasario. Osteiiante, bene spesso era preso dal vino, ed in
allora netmno sapeva il modo di contenersi con Ini. Secondandolo, se ne olTendeva, op-
ponendosegli, bisognava litigare, e anche venire alle mani. Dotata di una forza ercolea,
sn di essa afiidavasi per insoleatire a dritto o a torto
- / Comi
aaliat
. VoL II
42 LOMBARDI
A questo carattere violento, irruento, dovè il Lombardi
la più tragica delle morti, che il Colomberti ancora ci racconta
ne' suoi particolari :
Senti vasi egli una mattina indisposto di s&lnte; aveva ordinato un brodo, e tar-
dando a riceverlo, si recò egli stesso in cucina dal cuoco, uomo già vecchio, e che da
molti anni serviva nel palazzo della Principessa. Là giunto, corse fra loro un dialogo con
minaccie da parte del Lombardi, e di scuse da quella del cuoco ; ma queste non servirono
che a iritar maggiormente il padrone, il quale fini col percuotere il vecchio. Questi che
stava sventrando un pollo, aveva in mano un lungo coltello e affilato. Alla provocazione,
l' insultato e percosso rispose avvertendolo di fermarsi : ma seguitando quegli brutalmente a
percuoterlo, il cuoco, perduto il lume della ragione, gli piantò il coltello nel basso ventre,
e Lombardi cadde immerso nel suo sangue. A quella vista, il disgraziato vecchio fuggi
dal palazzo, col coltello grondante sangue in mano, urlando lungo la via, e correndo a
costituirsi in prigione, dove mori di dolore dopo pochi mesi. Mentre il cuoco correva alla
polizia a palesare il fatto, Federigo, padre di Francesco, che non abitava con lui, lo andò
a cercar nel suo appartamento, e avendo saputo dal cameriere ov' era, andò alla cucina ;
ed entrato in quella, gli si presentò l'orribile spettacolo del figlio steso in terra, ed im-
merso in un lago di sangue. Come il povero Federigo rimanesse, immagini il lettore, n
figlio, dopo pochi secondi, gli spirò fra le braccia, dopo averlo riconosciuto, ma senza
pronunziare una parola.
Era il giugno del 1845.
Molti testimoniaron della grandezza del suo valore. Fran-
cesco Righetti nel suo Teatro italiano (II, 104), parlando de' co-
mici figli di comici, dice : // solo Francesco Lombardi s'alza gi-
gante in mezzo a tanti suoi confratelli, che, 0 giacciono nell'oscurità,
0 appena toccano la mediocrità.
Nella Galleria de' più rinomati attori drammatici italiani,
da cui ho tolto il presente ritratto, è uno scritto di Tommaso
Locatelli, il quale dice di lui:
Il Lombardi è dotato dalla natura di alta e bella persona, d'una corretta e chiara
pronunzia, e di una voce forte e soave, atta in singoiar modo a piegarsi a tutte le infi-
nite varietà di quegli affetti, eh' ei vuole esprimere, e che sa cosi mirabilmente trasfondere
negli animi de' suoi uditori. Benché le parti tutte gli stieno bene del pari, pure la tragedia
è quasi il suo campo d' onore, dov' egli in quelle, che sostiene, si addentra cosi, che più
in lui non vedete l'attore, ma vi trovate dinanzi l'eroe ch'ei rappresenta. Milano n'ebbe
già una prova solenne, che poteva riuscire per lui troppo fatale, allorquando del 1821 su
quelle scene rappresentando V Emone nx^^ Antigone dell'Alfieri, nell'atto ch'ei dovea si-
mulare di uccidersi, veramente si feri del pugnale nel fianco.
Tal fatto ci è descritto nel seguente sonetto, che tien
dietro allo scritto del Locatelli:
LOMBARDI 43
Sei tu, Lombardi, o il furibondo Emone,
d'Antigone svenata al crudo aspetto,
che col barbaro padre in ria tenzone
d'ira trabocca e disperato aflfetto?
Chi pingendo natura, al paragone
starà di te, cui Torrido subbietto
sul brando micidial tragge boccone,
tal che piaga non finta apri nel petto?
Surse il popolo allora e un grido mise
visto il garzon che si scolora e langue,
e pietoso terror Talme conquise.
Il cordoglio comun piagnealo esangue;
sola dell' astigian l'ombra sorrise
allo stillar d' inaspettato sangue. a. p.
Lombardi Alessandro. Fratello del precedente, nacque a
Mantova nel 1796, né fu men celebre di Francesco, poiché
se a lui non si accostò nella tragedia, lo uguagliò nel dramma,
e lo superò nella commedia. Di bella figura, se bene alquanto
esile, di voce armoniosissima, d'ingegno pronto, di coltura
non comune venutasi acquistando da sé con l'assidue letture,
di maniere dolcissime, fu amato da quanti lo conobbero. Si
tolse dalla famiglia il 1 8 1 5 per andare amoroso in Compagnia
di Angelo Venier, col quale dopo un anno, assunse per due anni
ancora il ruolo óì primo amoroso assoluto. Passò poi (\Md\ primo
attor giovine in Compagnia di Gaetano Goldoni-Riva, in cui
stette fino al '21, per entrar poi a Napoli in quella di Salvador
Fabbrichesi, superando la più difficile prova, dacché andava
ad affrontar quello stesso pubblico, che sino a poche sere in-
nanzi, aveva avuto incredibili entusisismi pel fratello France-
sco. Ma una sì preziosa esistenza doveva, essere anzi tempo
troncata, non così tragicamente come quella del fratello, ma
non men stranamente. Alessandro Lombardi, in una cena di
amici a Trieste nella primavera del 1820, forse un po' alterato
dal vino, fé' scommessa di stritolar co' denti un bicchiere di
cristallo, e tutto inghiottirlo. Già egli ne avea fatta la prova
44 LOMBARDI - LOMBARDO
senza conseguenza; ma l'ebbe 'sta volta, e fatalissima. Da
quella sera, al momento della digestione, acutissimi dolori al
pilòro lo mettevano alla tortura. Giunto a Napoli, si fece visi-
tare dallo Scottugno, una celebrità medica d'allora, il quale,
per mettere in opera ogni mezzo, all'intento di strapparlo alla
morte, gli fé' dividere la sua casa e la sua mensa; e tali e tante
furon le cure affettuose di lui, che il povero giovane si riebbe
alquanto. Ma, sciaguratamente, il Fabbrichesi ruppe contratto
coi Fiorentini, per recarsi un triennio nell'Italia centrale; e il
Lombardi, non ostante le supplicazioni dello Scottugno, volle
seguir, come di dovere, il suo capocomico, accettando le conse-
guenze, qualunque esse si fossero. Giunto a Trieste nella pri-
mavera del '24, si riaffacciarono i sintomi del terribile male, a
cui dovette soggiacere in Venezia dopo pochi mesi, non ancor
compiuto il ventinovesimo anno.
Lombardo Gio. Donato detto il Bitontino. Il D'Ancona
dice che il Gio. Donato, che è tra gli Uniti firmati nella sup-
plica del 3 aprile 1584 da Ferrara al Principe di Mantova per
andar colà a recitare, potrebb' essere Lombardo nostro. Che
abbia poi questi che vedere con Bernardino Lombardi, del
quale il Belgrano non sarebbe alieno dal crederlo figlio o fra-
tello, e suo successore nella maschera di Pedrolino, non mi
riesce di capire. Più probabile è la congettura del D'Ancona,
benché, senza prova di fatto e con la sola opera alla mano del
Lombardo stesso {Nuovo Prato di prologhi di Gio. Donato Lom-
bardo da Bitonfo, detto il Bitontino. In Venezia, 1 6 1 8), si potrebbe
fin anco supporre ch'ei non fosse comico, ma semplice direttor
di compagnie e autore di prologhi per tutti coloro che glie li or-
dinarono. In fatti: non solamente egli ne compose (sono in tutti
sessantatrè, due dei quali soltanto in versi: della primavera e
della impietà) per comici di professione, ma anche per dilettanti.
Nella licenza del prologo nono {d'Amore) dice: ho co?igiunti
dietro questo teatro certi amorosi Accademici, per recitare alla
vostra presenza un'opera amorosa.
LOMBARDO - LUCCHESI 45
In quella del prologo ventunesimo {della Glorici)^ dice :
Oggi coronerò di qncsta corona di lauro, di fiche, e di rose quest'Accademia, la
quale s'ha proposto recitarvi una graziosa, piacevole e sentenziosa comedia: li dono le
rose per la fatica pigliata ; li porgo le fiche per il compito travaglio, e al fine gli ornarò
il capo di lauro, perchè l' avranno recitata. Fate silenzio, eh' io anco mi porrò qui dietro
ad udirla, e non vo star qui per non invaghirli tanto della mia bellezza, che sol mirando
il premio, che se gli darà, incorressero in atto disdicevole, rozza prononcia, gesti disconci,
difforme venustà, disusati vestimenti, et altre cose non convenienti al grado loro.
E in quella del XXII (della Pace) :
Io son venuto a darvi saggio di questa bell'opera, c'oggi vi recitaranno questi dotti
figli ; et se non avrà pronunzia Varroniana, disposizione Aristotelica, e locuzione di Plauto,
ornata facondia di Cicerone, gesti del greco Demostene, et eccellenza dell'africano, iscusati
siano appresso voi, ch'a tal mestibro di rkcitark usi non sono, ma ritrovandosi
Genio Dio del piacere secretamente tra tutti, in questo festivo giorno, pieno di contenta
gioja, et immenso giubilo, oggi ve lo mostreranno con l'animo pronto in rappresentar-
vela ; piacendovi con lieto volto ascoltarla, e donargli manifesti segni, eh' ella sia riuscita
conforme al vostro desiderio.
La licenza del prologo LI V {della Faticd)^ dice :
Ogni cosa che giovamento apportar suole, da me fatica, procede, sicome vedrete
in questa nuova Comedia, la quale con fatica è composta, e s' hanno affaticati alcuni Ac-
cademici farvene un presente in questo giorno.
Né solo per Compagnie comiche, o per Accademie com-
poneva i suoi prologhi, ma anche per Compagnie di canto,
come abbiamo da quello de gì' inventori della musica, il venti-
quattresimo della raccolta, che termina così : abbiamo proposto
in questo luoco con la musica dei dolci concenti di cotanti amanti,
ai cigni rassomigliati, e con le note di cotante Progne e Filomene,
cantarvi dolcemente col suono delle vostre parole un'opera composta
in Madrigale di dodeci voci.
Fu anche autore di una commedia intitolata // fortunato
amante e stampata in Messina da Fausto Buffalini, in-8, il 1589.
Lucchesi Domenico. Romano. Abbiamo di lui notizie nel-
r operetta di Francesco Bartoli. Esordì in patria recitando le
parti ^innamorato, poi trasferitosi il 1768 in Lombardia, si
scritturò nella Compagnia di Pietro Colombini, mostrandosi
artista egregio nelle commedie all'improvviso. Passò poi in
46 LUCCHESI - LUSTRINI
quella migliore di Vincenzo Bugani, col quale stette più anni;
e sotto gV insegnamenti di Giustina Cavalieri tanto progredì,
che Girolamo Medebach lo volle con sé a Venezia nel S. Gio-
van Grisostomo. Uscito Luigi Benedetti dalla Compagnia di
Antonio Sacco, andò il Lucchesi a sostituirlo, e quivi si tro-
vava ancora nell' '83, ammiratissimo dai comici e dal pubblico
per la prontezza di spirito nella commedia dell'arte, e per la
intelligenza e diligenza in quella studiata
Lucio Fedele. Forse lo stesso Lutio, che firmò la supplica
degli Uniti con Gio. Donato (V. Lombardo) e altri? Forse lo
stesso Burchiella, come abbiam detto al nome di questo (V.)?
Ma il Burchiella era dottore, e nella supplica degli Uniti è ap-
punto il Gratiano, accanto a Lutio. A meno che come abbiam
in essa Batista da Treviso Franceschina, non s'avesse a legger
Gratiano Lutio, senza la virgola. Ma è ipotesi forse arrischiata.
Lugo Olga^ nata a Genova da famiglia borghese, e recatasi
giovanetta a Milano, entrò in quella maggiore filodrammatica,
e neir '80 esordì quale amorosa con Luciano Cuniberti, passando
poi con lo stesso nel ruolo di prima attrice, al quale era più
adatta, anche per la figura matronale, ond'era dotata. Passò
poi con Lavaggi e Drago, e a questo si unì in matrimonio nel-
r'85. Andò nel '92 a sostituir la povera Silvia Pietriboni nel
ruolo di prima attrice assoluta; e formò poi Compagnia col ma-
rito che tenne a intervalli e con varia fortuna.
Lustrini Geminiano. Fiorito - dice il Colomberti - tra
il 1790 e il 1820, sostenne con massima lode nelle migliori
Compagnie del suo tempo, Coleoni, Dorati, Goldoni e Perotti,
il ruolo di tiranno tragico. Le parti di Creonte così nel Polinice
come Ti^ Antigone, di Egìsto neir Oreste, di Appio nella Virgi-
nia, furon da lui magistralmente recitate ; ma dove non ebbe
rivali, fu nelle due di Opimio nel Cajo Gracco, e di Zambrino
nel Galeotto Manfredi. Lasciò l'arte ancor giovane, e si recò a
LUSTRINI - LUTTIANI 47
Roma, custode del Palazzo dì Firenze, ove albergava l'amba-
sciatore del Granduca di Toscana, e morì verso il '40.
Luttiani Francesco e Giulio. Sono citati dal Bertolotti
(pp. cit.) fra i commedianti che furon di passaggio in Mantova,
e presero alloggio all'albergo del Cappello il 29 dicembre
del 1591.
^'^P^
7. — / Comici Haliani, VoL □
I COMICI ITALIANI
MafiTeì Benedetto. Sappiamo dall'aggiunta del Bartoli al-
l'articolo di Flaminia, che il famoso brighella Atanasio Zanoni
possedeva di lui un manoscritto del 1625, intitolato: Discorsi
da Commedia di me Benedetto Maffei detto il Furioso, allievo
della signora Flaminia Comica detta Orsola Cecchini.
Maggi Andrea. Fu al suo apparir sulla scena uno de' più
promettenti giovani, preconizzato il successore degno di Tom-
maso Salvini e dì Ernesto Rossi. Nato a Torino da famiglia
agiata, passò dal collegio di San Francesco di Paola, ove com-
piè il corso ginnasiale, al ministero delle finanze, qual volon-
tario. Fu della scuola di Carolina Malfatti (V.), e del '72, poco
più che ventenne, era a' Fiorentini di Napoli, amoroso, in Com-
pagnia Alberti, di cui eran parti principali la Pezzana e l'Ali-
prandi, Bozzo e Serafini. Di fisionomia dolce ed aperta, di
figura maestosa ed elegante, di voce forte e soavissima, non
tardò molto ad abbandonar la stabile Compagnia napoletana
per entrare in una delle nomadi di primissimo ordine. Accolto
primo aitor giovane da L. Bellotti-Bon, fu assunto, dopo alcune
prove, a cagione appunto de' suoi mezzi fisici, al grado A\ primo
attore assoluto, cominciando a entrar nelle maggiori grazie del
pubblico col Ferréol di Sardou, che egli recitava magnìfica-
mente, e diventandone poi Ìl Beniamino col Conte Rossori G.Gia-
cosa, di cui fu, si può dire, interprete unico.
In brevissimo tempo il giovane e già forte artista passò
dal repertorio regolare di compagnia, alle parti del grande
MAGGI 53
repertorio, allettato, nel costante favore del pubblico, da spe-
ciali interpretazioni di Amleto e di Otello. E infatti egli si mo-
strò sotto le spoglie de' varj grandi personaggi di Shakspeare,
salutato, se non forse come un avvenimento, certo come una
promessa; e la fama del trionfo corse ovunque nel vecchio e
nuovo mondo, ed egli s'ebbe onori inaspettati in Russia, in
America, in Austria, in Polonia, ecc.
Forse alle sue interpretazioni mancava quello studio pa-
ziente, analitico, profondo che accoppiato alle naturali attitu-
dini, innalza l'artista alle sfere più alte; forse allo addentrarsi
in esse profondità mancava in lui 1' acume indispensabile ;
forse.... ma lasciamo a tale proposito discorrer Tommaso Sal-
vini, che il valoroso giovane seguì amorosamente a traverso
le varie fasi :
Andrea Maggi è uno dei più prestanti attori che abbiano calcate le scene nostre
da mezzo secolo in qua. In alcune parti, per la prestanza fisica, non ha rivali. Se non
potè salire alla sommità, deve incolpare sé stesso. Può egli asserire di avere assiduamente
e profondamente studiata Parte sua? Non lo credo. Quali tesori di doni naturali egli pos-
siede ! Quale intuizione estesa, feconda, ma attutita dalla poca applicazione. Sembrerebbe
ei pensasse che l' arte non abbisogna di studio e che, apprese le parole, il resto venisse
da sé. Se per poco questo pur giovane artista avesse potuto persuadersi nel principio della
sua carriera che l' arte va coltivata con maggior cura e serietà, con indagini perseveranti,
con profonde meditazioni, affinchè renda frutti maturi e prelibati, non ne raccoglierebbe
degli scialbi ed acerbi. Tanto ingegno, tanta naturale attitudine avrebbero promesso mi-
glior resultato. I^ esuberanza dei suoi mezzi fisici, con T invidiabile suo organo vocale,
credo che in luogo di giovargli gli furono dannosi, poiché, se avesse dovuto combattere
qualche lieve imperfezione, si sarebbe maggiormente addentrato nello studio dei segreti,
che dirò psicologici, dell'arte, e ne avrebbe ottenuto uno splendido effetto. Nullameno
egli occupa uno dei primi posti nell'areopago dell'arte drammatica italiana.
E lo Stesso giudizio avea dato due anni prima Giulio Pic-
cini {farro) ne' suoi primi studj Sul palcoscenico e in platea (Fi-
renze, Paggi, 1893): al quale anche potè aggiungere parole
di gran lode per l'arte di mettere in iscena, e per l'indole dol-
cissima dell' artista e dell' uomo.
Al momento in cui scrivo, egli si trova in Società con
r attore Della Guardia al Teatro Valle di Roma ove ha creato
in italiano la parte di De Cyrano Bergerac con tal successo, che
Adelaide Ristori ha dichiarato essere a suo avviso la interpre-
54 MAGGI - MAJANI
tazione di Andrea Maggi la più bella e completa interpreta-
zione di attore ch'ella abbia sentito dacché ha abbandonato
il teatro.
Maggi-Marchi Pia. (V. Marchi).
Magnano. Fu artista del San Salvatore di Venezia, tartas-
sato con Medebac, Falchi e la Marliani da Carlo Gozzi nel suo
ditirambo pel Truffaldino Sacchi, e in un sonetto burchiellesco.
(V. Falchi Francesco).
Magni Carlo, milanese, recitava con molto plauso le parti
di primo innamorato sotto il nome di Odoardo. Fu lungo tempo
nelle Compagnie di Francesco Berti e di Pietro Rossi, poi,
nel 1762, in quella di Onofrio Paganini, per tornar poi, dopo
un solo anno, in quella del Rossi. Affetto da aneurisma nel
collo, dovè, dice il Bartoli, abbandonar le scene del '65, e sta-
bilirsi a Milano sua patria, dove morì del '68. A cagione di
tale infermità fu accusato talvolta di freddezza: nuUameno
ebbe fama di comico egregio ; e nel Baldassarre di Ringhieri,
eh' egli creò, e nella Favo/a del Corvo, non ebbe chi gli stesse
a fronte. Scrisse alcun che di poesia, e il Bartoli dà come sag-
gio del suo stile il brindisi in versi martelliani (bruttini anzi
che no) eh' egli recitò a Brescia nel Convitato di pietra, e in cui
sono le lodi sperticate di quella città.
Majani Francesco. Nato a Bologna nel 17 18, abbandonò
il mestiere del sarto per l' arte del teatro, dopo di aver dato
prove di singolare attitudine tra' filodrammatici della sua città.
Recitò lungo tempo a Venezia e specialmente nel Teatro di
San Luca, pel quale dettava il Goldoni le sue commedie. Creò
degnamente il Majani le parti di protagonista nel Padre per
amore e nel Medico olandese; e aggiunge il Bartoli che nel
Disertar francese, sostenne ia7ito eccellentemente la parte del
padre di Dorimel, che fu di molti applausi onorato. Avanzando
MAJANI 55
negli anni, abbandonò la Compagnia, eh' era allora al Sant'An-
gelo, e messa la maschera del Brighella, si andò scritturando
in Compagnie di giro, ultima delle quali fu quella di Onofrio
Paganini, in cui morì a Bologna nel carnevale del '78. Carlo
Goldoni fa cenno, nel XIV volume dell' edizione del Pasquali,
della moglie di lui, bolognese, punto inclinata al teatro per la
estrema sua freddezza, e per la incorreggibile pronunzia dia-
lettale, a cui volle affidar la parte di Graziosa nella Bancarotta,
che a cagione appunto della sua melensaggine, riuscì, egli
dice, uno de' più dilettevoli personaggi della commedia.
Majanì Giuseppe, figlio del precedente, e più noto in arte
col diminutivo di Majanino, sostituì il padre, vecchio, nelle
parti di primo innamorato, in cui riuscì a perfezione per la
eleganza della persona, la pieghevolezza della voce, la facilità
della memoria. Venezia, Milano, Genova, Torino, Mantova,
Parma furon teatro de' suoi trionfi. Il Bartoli lo dice grande
nel premeditato e all' improvviso ; e aggiunge che sapeva an-
che farsi applaudire ne' semplici annunci fuor del sipario per
lo spettacolo del domani. Fu anche autore, e si rappresentaron
di lui con successo La donna che non si trova e La bella castel-
lana. Dopo molti anni passati in Compagnia del Lapy, si scrit-
turò col Medebach, poi (i 782-83) colla Battaglia al San Giovan
Crisostomo. Alle sue belle qualità di artista, il Bartoli mette
come contrapposto quelle dell'uomo tutt' altro che lodabili.
Fu giocatore nel più largo senso della parola; e tanto potè
la passione cieca sull'animo di lui, che per essa fu più volte
ridotto a mal partito, avendo dovuto ricorrere a strattagemmi
e raggiri non degni di un uomo dabbene.
Metto anch'io qui, come chiusa, il sonetto del Bartoli,
che è alla fine del suo articolo.
Bravo Comico in Scena, e bravo in Piazza
raggiratore ed inventor di Fole;
ed in Teatro e fuori ei può che vuole
con il talento suo, che ogni altro ammazza.
MAJANI - MAJERONI
Convien pur dir, eh' ei sia di quella razza
ch'Argo ingannò perch' Io dappoi gì' ìnvole ;
oppur del ceppo della scaltra Iole,
che ad Ercoi feo filar, depor la mazza.
Nel Socco e nel Coturno ei Roscio imita;
per l'Arte Teatral niun di più brama,
essendo all'eccellenza in lui salita.
Famoso il Majanino ognun già chiama:
&nioso nell' astuzia anco più ardita;
onde in suo onor suona per tutto 6ma.
Majeronì Achille. Metto qui intero il breve e bello arti-
colo che il dottor Icilio Polese, direttore dell' Arie drammatica.
pubblicava nel suo giornale, il 21 gennaio del 1888:
Achille Majeroni è morto a Bologiut
t ieri (io) «Ile sei pomerìdiine.
' Cbe vitn artistica ipeniierala fn ta
Bua! Era tiglio dell'arte. Sua madre fu la fa-
moaa attrice veneziana Morelli, qnell' attrice
che ai primi del secolo fu di moda per lo squi-
sito modo di recitare le commedie di Gotdoui.
Majeroni, fatte le prime armi in com-
pagnie intime, a un tratto rifulte in quella
rinomata Compagnia Lombards, fondata e
diretta dal milanese Giacinto Battaglia, di-
stinto commediografo. - Povero Battaglia !
Come presto fosti dimenticato, specialmente
dai tuoi concittadini ! E sapete chi faceva
parte della rinomata Compagnia Lombarda
di Giacinto Battaglia oell'anno 1S46? ~ Ln
Fanny Sadowski, la gentile May«r, la Botte-
ghini. Alamanno Morelli (fratellastro di Ma-
jeronit. Luigi Bellotti-Bon, Gaetano Veltri e
Achille MajeroDi.
Poi Majeroni, scritturato da Ade-
laide Ristori, fece il giro dei principati teatri
d' Europa.
Dopo il primo giro artistico all'estero.
Adamo Alberti lo scritturò nella sua compa-
Fiorentini di Napoli, compagnia sussidiata con biglietto regio
' anni ed anni, passando da un teatro all'altro. Là il ino nome
gnia permanente al
borbonico, e là rin
diventò gigante.
Formò Compagnia nel 1S66, e quando il
Veneto, la Compagaia Majeroni era la compagnia
1 prendeva possesso del
MAJERONI 57
Guadagnò denari a cappellate - ne spese a sacchi. Visse in un bel momento arti-
stico - non seppe approfittarne. Come abbiamo i milionari Salvini e Rossi, ci debbono
essere gli spensierati che all'indomani non pensano.
Amò i molti figli. Fu buon marito; e dalla sua buona compagna, signora Graziosa,
fu pietosamente assistito sino all' ultimo momento della sua vita.
Aveva sessantacinque anni.
Come artista, era bravo senza essere ottimo; era bello, aveva una voce armoniosa,
incantava la sua figura statuaria.
Ecco mostrato in poche parole l'artista e Tuomo ; a com-
plemento delle quali dirò che nacque in Milano il 1824 da
Eduardo, ufficiale del primo impero, che lasciò poi la milizia
per darsi all'arte, esordendo nella Compagnia Romagnoli, Bon
e Berlaffa, e da Antonia Musich, nobile ungherese. Dell'arte
sua e della sua vita abbiam testimonianza in un manoscritto
contemporaneo di epigrammi (forse del Forti), da cui traggo
i seguenti:
A Majeroni
Sei sopportabile nelle commedie,
molto insoffribile nelle tragedie:
giura non più rappresentar TEgisto,
e chiedi a tanto ardir perdono a Cristo.
Alla Morelli
Riprender vuoi marito:
e in mezzo a tanti comici birboni,
il più birbo scegliesti in Majeroni?
Veggo che di te stessa
tu stessa sei nemica.
Tel perdonino i figli, il ciel ti benedica.
Cominciò Achille a sostener nel '40 col padre, in compa-
gnia Modena, le parti di Agostino nel Clermont di Scribe, di Già-
natu nel Saul, e di Roberto nei Due Sergenti, applauditissimo
sempre. Dalla Compagnia Lombarda passò il '49, primo attore
assoluto, in quella di Coltellini e Zannoni, con Carolina Santoni
prima attrice. Tornò il '50 in Compagnia Lombarda, e fu il '35
in quella di Cesare Dondini. Tornato dopo il '60 dall'estero colla
Ristori, si unì colla Sadowski e si fermò al Teatro del Fondo
8. — / Comici italiani. Voi. II.
58 MAJERONI - MAJONE
in Napoli, ove mise in iscena con allestimenti non più veduti,
il Faust e il Don Giovanni, che gli procacciaron lodi nuove
e ingenti somme; e dove, dopo varie peregrinazioni, tornò
del '68.
Achille Majeroni fu il più generoso degli artisti dramma-
tici; ma la sua generosità era piuttosto prodigalità, o meglio
scialacquo. Soldato del '49 alle barricate di Roma, si ebbe at-
testazioni di lode da Garibaldi e dall' Avezzana. Creò del '65,
all'infierir del colèra, la compagnia di Misericordia, essendo
capitano della guardia nazionale. I poveri soccorse in ogni ma-
niera, e organizzò grandi recite gratuite pei militari di bassa
forza, reduci dalle patrie battaglie. Colpito il Taddei d'apo-
plessia, il Majeroni gli die gratuitamente per due anni la co-
spicua somma di diciottomila lire, procurandogliene poi altre
dodicimila con una solenne rappresentazione eh' egli fece in-
sieme a Tommaso Salvini. Fu nel lusso pari a principi: ebbe
cavalli e carrozze di ogni specie, e servitori di ogni razza. Vòl-
tegli la sorte le spalle, incalzando la vecchiaja e i malanni, i
suoi compagni d'arte si ricordaron di lui, ma non così da ri-
sparmiargli l'ultima ora nella miseria.
Aveva sposato del '59 Graziosa Bignetti, comica e figlia
di comici, compagna d'arte di lui, a' Fiorentini di Napoli, ove
sosteneva con buon successo le parti di prima attrice giovane.
Una caratteristica di Achille Majeroni fu il gran pizzo
ch'egli non tolse mai, fuorché pel Goldo7ii e le sue sedici commedie
di Paolo Ferrari, eh' egli recitò stupendamente al Teatro Gallo
di Venezia il 16 dicembre del '53.
Ebbe un fratello, Odoardo, artista di qualche pregio, che
si diede ai primi attori del gran repertorio, nei quali riuscì tal-
volta sufficientemente.
Majone Domenico. Una delle più forti speranze del nostro
teatro di prosa, dileguata improvvisamente dopo soli dieci
anni di vita artistica. Povero e caro Mimi ! Era nato il 2 feb-
braio 1844 a Napoli da Giuseppe Majone e da Rosa Demiccolis.
MAJONE - MALDOTTI
Se ben compiuto gli studi legali, ebbe amore profondo, radi-
cato pel teatro, al quale avrebbe voluto sagrificare codici e
pandette. Ma il padre vi si opponeva recisamente. Venuta al
Fondo la Ristori, ed ammalatosi Y amoroso della compagnia, il
Majone, dilettante egregio, andò a sostituirlo sotto nome di
Morandini. Morto il padre nel feb-
braio del '62, egli entrò di punto in
bianco primo amoroso ai Fiorentini di
Napoli, dove, mercè gli ammaestra-
menti del Taddei, dell'Alberti, del Sal-
vini, della Cazzola, della Pezzana, della
Marini, salì a tal grado d' arte, che la
quaresima del '70 partiva con la ma-
dre per Cremonaa raggiunger laCom-
pagniadi Alamanno Morelli, della qua-
le egli era il primo attore assoluto. Due
anni di arte, due anni di trionfo ! Nella
Signora dalle Camelie. neW Onore della
famiglia, nel Falconiere, nella Suotiatrice d' arpa, ecc., mostrò a
quale altezza avrebbe potuto salire : s' ebbe onori e lodi dai cri-
tici migliori, e Paolo P'errari, Filippi, Arbib, dichiararon riser-
bato per lui il posto di Tommaso Salvini. E tante speranze, tanti
bei sogni distrutti d'improvviso a soli ventotto anni. Assalito
fieramente da febbre miliare, la mattina del 30 novembre 1 872,
rendeva l'anima al Signore.
Domenico Majone aveva soavissima l' indole, che gli tra-
spariva in tutti i lineamenti della faccia. DÌ forme più tosto
erculee, se ben corto di braccia, male gli si attagliavano le
parti sdolcinate. In quelle che richiedevano accenti di passione
gagliarda era artista de' più forti.
Maldottì. < Fanciullo grazioso - dice Fr. Bartoli - che in
età puerile recitava la parte d'Amorino in Bologna l'anno 1634
nella Compagnia de' Comici Affezionati. È molto lodato da
Bartolommeo Cavalieri nella Scena Illustrala. >
6o MALDOTTI - MALFATTI
Maldottì Antonio. Nato il 1773 a Venezia da poveri pa-
renti, si diede all'arte, dopo la lor morte, riuscendo in breve,
artista di grido per le parti di brighella nelle commedie all' im-
provviso, e di tiranno nelle tragedie e ne' drammi scritti. In
tali ruoli lo vediamo a' primi del 1 800 con Antonio Pellandi,
applauditissimo. Dicon le note del tempo che i versi dell'asti-
giano declamasse mirabilmente, e che niuno gli stesse a petto
nella maschera del brighella. Formò poi compagnia per far
salire al grado di prima donna assoluta sua moglie Giovanna,
avvenente e pregevole prima amorosa; e dopo dodici anni di
capocomicato, or fortunato or disastroso, si scritturò per un
triennio in Compagnia Perotti, poi, il 1820, coi figli Luigi e
Adelaide (Luigi, sposatosi alla figlia del capocomico Cavicchi,
abbandonato dalla moglie, ridotto alla più squallida miseria,
si suicidò, avvelenandosi, verso il 1828), in quella di Velli e
Mascherpa, nella quale cessò di vivere la primavera del 1823.
Maldotti Adelaide. Figlia del precedente, nacque sul prin-
cipio del 1 803, e fu mirabile servetta. Né solamente fu pre-
giata come attrice, ma altresì come cantante, possedendo essa
una voce magnifica di contralto e mezzo soprano. Era il '24
col fratello Luigi in Compagnia Fini, che lasciò dopo un anno
per quella della Toffoloni, nella quale tanto piacque al Tea-
tro Nuovo di Firenze come cantante, che l'impresario Feroci
le offrì di abbandonar l'arte comica per la lirica, scritturan-
dola per quattro anni; compiuti i quali, ella passò stipendiata
dal celebre Lanari per altri quattro. La sua carriera artistica fu
gloriosa, ma brevissima; che nell'autunno del '35, scritturata al
Carcano di Milano, morì di consunzione a soli trentadue anni.
Malfatti-Gabusi Carolina. Figlia di un bravo macchinista
teatrale, nacque a Piacenza il 1809. Passata con lui dalla Com-
pagnia di Napoli diretta dal Fabbrichesi in quella di Righetti
e Blanes, entrò, dopo tre anni, in quella di Bazzi e Righetti,
che più non lasciò, e che divenne più tardi la celebre Compa-
MALFATTI - MALLONI 6i
gnia Reale Sarda. Esordì, bambina, il 1821, nelle Risoluzioni
in amore del Nota, e, cresciuta in età, diventò una pregevole
generica. Si sposò a un certo Malfatti, il quale, impazzito, fii
ricoverato in un manicomio, e da lei mantenuto. Ma non po-
tendo ella sopperire a tante spese, si tolse dall'arte, trovando
aiuto ne' compagni, che le affidarono per l'istruzione teatrale
le loro bimbe, tra le quali Adelaide Tessero, Luigia Robotti,
Cristina Andrà, ecc. Fu nominata maestra nel '51 all'Acca-
demia Filodrammatica di Torino, e da quell'ora datò la rino-
manza vera della Malfatti. Licenziata dalla carica, ma non ab-
bandonata da una sola delle sue allieve, tanto perseverò, serena
e fidente, che la sua scuola fiorì per trenta e più anni, dando
all'arte attori e attrici, come il Maggi, l'Emanuel, la Campi,
la Reinach, la Boccomini, la Migliotti, il Diotti
Fra le prime alunne che lasciaron la scuola dal '59 al '60,
eran la Tessero e la Pezzana, la quale dettò alcuni cenni bio-
grafici della maestra (Torino, Paravia, 1893), da cui son tratte
le presenti notiziole. Né solo come artista e maestra va ricor-
data la Malfatti, ma anche come cittadina. Del '59 fondò il Comi-
tato femminile per soccorso ai feriti delle patrie battaglie, e ne
fu sempre il vice-presidente. Le recite di beneficenza date dalla
sua scuola non si contano. E questa donna, la cui vita fu tutta
un generoso e spontaneo sagrificio in prò' degli altri, è morta
più che ottantenne, povera e abbandonata, nel suo quinto piano,
in cui non eran né men più i mobili, eh' ella, ammalata, vendè
per trovar modo di tirare avanti, e da cui - bene dice la Pez-
zana — la forte donna avea veduto sorgere e tramontare parec-
chie generazioni d'artisti, rimanendo essa in piedi per piangere
sugli amici perduti.
Malloni Marìa. È davvero a dolersi che in nessuna delle
biblioteche pubbliche o private d'Italia e di fuori abbia rin-
venuto il libretto, che già Fr. Bartoli chiama raro, stampato
a Venezia da Gio. Pietro Pinelli il 161 1 col titolo: Corona di
lodi alla Signora Maria Mattoni detta Celia Comica; il quale
62
MALLONI
anche ha in fine una Scrittura — dice il Bartoli — sopra i meriti
della stessa, dettata in prosa dal Commendatore Cleoneo Ac-
cademico Oscuro. Molte cose avremmo forse potuto riferire
sui pregi di codesta donna che fu incontestabilmente a testi-
monianza di molti una delle più forti attrici del suo tempo, sì
per dottrina, sì per valore artistico. Ma ci basti sapere da
Francesco Gabrielli, il celebre Scappino (V.), eh' ella fu di in-
gegno e di memoria prontissimi. La Celia — egli scrive da Fer-
rara, ov'egli si trovava con la Compagnia e con la stessa Mal-
Ioni, ad Antonio Costantini, segretario del Duca di Mantova,
il 6 gennaio 1 627 (pag. 964) — è la prima donna che reciti, poiché
se la Compagnia od altri mettono fuori opere 0 comedie nove, lei
subito le recita, che la Lavinia (l' Antonazzoni) né altra donna non
lo farà, se prima di un messe, non si hanno premeditato quello che
nel soggietto si contiene.
Intanto resta dunque assodato che sì il Sand {op. cit.), sì
il Magnin nel suo Teatro Celeste in Rev. d, deux m. del 1847,
^ . erroneamente fanno
comparire m Francia
la Celia il 1571 e '72.
Nel 162 7, giudicata dal
Gabbrielli prima fra le
prime donne, avrebbe
avuto al meno al meno
settant' anni.
L'oroscopo rin-
venuto nella Biblioteca
Nazionale di Firenze ci
dà l'anno di nascita che
è il 1599 e la città na-
tale: Ferrara; più, l'an-
no del viaggio in Fran-
cia: il 1602. Il resto,
come sempre, è indeci-
frabile. Ma anche per l'andata in Francia come concorderebber
MALLONI 63
le due date 1599 e 1602? A tre anni andò in Francia? Forse
ella v'andò colla madre, comica anch'essa, e forse prima a
portar sul teatro il nome di Celia, della quale il Magnin avrebbe
potuto notar l'apparizione a Parigi il 1572 ? E chi son codeste
Malloni, o almeno codesta Lucilla Malloni, di cui trovo la se-
guente domanda senza data nell'Archivio di Stato di Modena?
Ser.mo Sig.*"® Duca,
Virginia et Lucilla Maloni commìci con la loro Compagnia supplicano a Vostra
Altezza Serenissima a volergli concedere licenza di poter recitare Commedie nella Città di
Reggio per tutto questo Camouale, cK' il tutto otterrà per gratia singolarissima dalla beni-
gnità di Vostra Altezza Serenissima quale Dio mantenga felicissima con tutta la Ser.m^ Casa.
Di fuori l A Vostra Altezza Serenissima
per la Virginia et Lucilla Commici.
(Rescritto della Cancelleria) s'è scritto.
Alla testimonianza Gabbrielli, va subito congiunta quella
del Beltrame Barbieri, che nella Supplica (1634) chiama la Celia
giovane di belle lettere e comica famosa ; alle quali poi tengon
dietro quelle di letterati illustri, e, prima, del Cavaliere Marino,
che, nell'ottave 68, 69 e 70 del Canto XVII à^ Adoìie, la mette
quarta fra le Grazie :
Un* altra anco dì più, che *I pregio ha tolto
D'ogni rara eccellenza a tutte queste,
Aggregata ve n' è, non è già molto,
E sempre di sua man la spoglia, e veste,
Celia s'appella, e ben del Ciel nel volto
Porta la luce, e la beltà Celeste;
Ed oltre ancor, che come il Cielo è bella,
Ha l'armonia del Ciel nella favella.
O con abito pur, che rappresenti
Ninfa selvaggia, il suo Pastore alletti,
O dolce esprima in amorosi accenti
Fatta Donna civile alti concetti,
O talor spieghi in tragici lamenti
Reina illustre i suoi pietosi affetti.
Co' sospiri non men, che con la laude
Chi ne langue trafitto, e chi l'applaude.
64 MALLONI
Talia, che ha de' Teatri il sommo onore,
Invida, a costei cede il primo vanto,
Onde veggendo pur la Dea d'Amore,
Che le Grazie di grazia avanza tanto.
Non sol degna la fa del suo favore
Fra l'altre tutte, e del commercio santo,
Ma per renderla in tutto al Cielo eguale
Sempiterna V ha fatta, ed immortale.
Egregia dunque appar qui in ogni genere di poesia
drammatica. E per la pastorale infatti abbiamo nuova testimo-
nianza nel seguente sonetto che le indirizzò il conte Ridolfo
Campeggi, quand' ella recitò in Bologna V Aminta del Tasso :
Alla Signora Celia Comica Confidente,
Silvia neir Aminta rappresentando
Donna, s' io miro gli occhi, o il crine in onde.
La bella fronte, e le serene ciglia,
In sé (dico al mio cor) con meraviglia
Le bellezze del Ciel Celia nasconde.
Ma se al rigor, cui pudicizia infonde,
Risguardar la ragion pur mi consiglia.
Soggiungo: al nome fier, che altera or piglia.
Il rigor delle Stive ahi ben risponde.
O Silvia, o Celia pur; co' detti grati
Rendi, s' armino alfin di fiamme, e gelo,
Pietose r ire, e gli odj innamorati.
Anzi, eh' eguale ai nati lumi in Delo,
Spargendo di virtù raggi animati,
Il nome hai fra le Selve, e il core in Cielo.
Dagli altri sonetti pubblicati dal Bartoli ne tolgo uno del
Cavaliere Gerosolimitano Fra Ciro di Pers, dettato con inge-
gnosa strampaleria, e che trovo ancora nella raccolta di motti
Brighelleschi di Atanasio Zannoni (Torino, 1807), da lui proba-
bilmente recitato a qualche innamorata, sotto la maschera di
Brighella :
MALLONI 65
Alla Signora Maria detta Celia in Commedia
Celia, e Maria, voi siete e Mare, e Cielo,
E sono i pregi in voi del Ciel, del Mare.
Vi dà le perle, ed i coralli il Mare:
La luce avete, e T armonia dal Cielo.
Pien d'augelli canori è il vostro Cielo:
Di musiche Sirene il vostro Mare.
Beato il Ciel, eh' è tetto a si bel Mare,
Beato il Mar, eh' è specchio a si bel Cielo.
Mentre è sereno il Ciel, tranquillo il Mare,
Icaro esser vorrei per questo Cielo,
E dar novello nome a questo Mare.
O pur mi concedesse amico il Cielo
Morir nuovo Leandro in si bel Mare,
Perir nuovo Fetonte in si bel Cielo.
E metto qui ancora il seguente, non citato dal Bartoli,
che tolgo dalle Rime di Pace Pasini, edite a Vicenza nel 1642,
per gli eredi di Francesco Grossi :
Sopra Celia Comica
Scioglier la lingua, & annodare i cori,
melar le labra, e amareggiar gli affetti,
piagare i seni e non aprire i petti,
strugger la speme et animar gli amori;
Scoprir la neve e suscitar gli ardori,
nutrire angoscie e partorir diletti,
influir tema e implacidir gli aspetti,
sono in Celia d'amor forze e stupori.
Ma co' vezzi condir grave alterezza
maturir gli anni in immaturo crine,
e maritar l'Honor con la Dolcezza;
Il sesso sublimar sopra il confine,
gli oceani capir de la Bellezza,
sono in Celia del cielo opre diuine.
9. — / Comici italiani. Voi. II.
66 MALLONI
E ora, come saggio del suo stile, do anch* io il sonetto
eh' ella dettò in risposta a uno di Paolo Fabbri, pubblicati en-
trambi da Fr. Bartoli :
Risposta di Celia
Pompa d'onor, che dall' obblio di Lete
Sempre fuggendo accresci gloria agli anni,
E quasi Cacciator tendi la rete
Alla virtù con onorati affanni.
Poggia pur tu colà, dove si miete
Eterna fama; mentre io spiego i vanni
Inutili, e tarpati a basse mete
Nel troppo affetto il tuo sapere inganni.
Veggio (Talpa non son) che in te risplende
Ciò, che può far, ciò che può dar natura,
Che di bearti eternamente intende.
O rara contro Morte, alta ventura,
O virtù, che in te sol l'anima accende
Perch' ella viva d* immortale arsura.
Maria Malloni, detta Celia, fu dunque comica confidente e
spensierata, e fiorì nella prima metà del secolo xvii. Ch' ella
accoppiasse al grande valore artistico un'altrettale bontà del-
l'animo non pare : si sarebbe anzi portati a credere che avesse
con le compagne di palcoscenico e di ruolo comune la dia-
voleria; sciupata in parte dal fatto, che mai madre di comica
spinse la petulanza, il pettegolezzo, la malignità, l'abbiettezza
sì alto, come la madre di Maria, a cui s'aggiungeva poi come
braccio destro delle sue male azioni un figliuolo, fior di cana-
glia, disperazione vera del povero direttore Flaminio Scala.
I dissapori, le battaglie, le accuse a Don Giovanni de' Medici,
(il capocomico), e le scuse poi, le invidie, gli scandali sulla scena
tra i partigiani di Celia e quelli di Lavinia (l'Antonazzoni), le
sonore fischiate a quella in pubblico teatro, e le pubbliche di-
fese dello Scala, e le lettere di Celia, sono pubblicate e chiarite
in un articolo di Achille Neri, uscito nella Scena illustrata del
MALLONI - MANTOVANI 67
i^ agosto 1887. Dal quale anche appare, dopo un reciso ri-
chiamo air ordine, come Celia si andasse ammansando, così da
farsi chiamar dallo Scala stesso coppa d'oro, e chiedere in isposa
da Iacopo Antonio Fidenzi detto Cintio; matrimonio che non
potè poi farsi per solenne divieto della madre infame, che ve-
dea morto con esso ogni sorgente di lucro.
Malossi Carlo. Di Parma: recitava sotto la maschera di
Pantalone; ed è citato dal Bertolotti fra i comici che nel 1658
abitavano in Roma nel distretto della Parrocchia di San Pietro.
Malucelli Carlo, bolognese, nato il 1650, recitava le parti
del Dottore; e fu tra i comici che andaron da Venezia a Var-
savia, scritturati a posta da Tommaso Ristori, Tanno 17 14,
per la Corte di Dresda. Fu ascritto a quel teatro come socio,
e quando, il 1732, tutto il personale italiano fu licenziato, fu
fatta eccezione per la coppia Bertoldi, per Bellotti, e per que-
sto vecchio ottantenne, a cui fu assegnata la pensione annua di
500 fiorini, e che quivi morì nel 1747, a novantasette anni.
(V. Bellotti Natale).
Manni Nicodemo. Fiorentino Fu conduttore - dice
Fr. Bartoli - di una Comica Compagnia per molti anni e recitò
nel tempo istesso con grazia n^^ caratteri caricati , . . . Fu scrit-
tore di commedie, tra cui La Fannì, pubblicata p^r le stampe,
e viveva ancora nel 1783.
Mantovani Mariano. Bolognese. Fu attore di gran pre-
gio per le parti ài innamorato. Fu con Onofrio Paganini, poi,
nel 1764, con Pietro Rossi. Sposò Regina Cicuzzi, rimasta
vedova (V.), ed è questo il secóndo marito, che al nome di lei
si cita come sconosciuto. Quando il Magni lasciò T arte, il
Mantovani passò con molto successo alle parti di primo attore:
ma recatosi colla Compagnia a Vercelli, l'autunno del '65, vi
morì, a treni' anni circa, colpito da malattia violenta.
68 MANZANI - MANZONI
i Francesco. < Comico che fioriva - dice Fr. Bat-
toli - intorno il i655.>
Recitava le parti di Capitano col nome di Capitan terre-
moto, suggeritogli dalla grande statura e dalla voce potente.
Scrisse talvolta pel teatro, e tradusse dallo spagnolo in prosa
italiana la tragedia: A gran danno gran rimedio (Torino, Za-
pata, 1661).
Manzoni Giovan Battista, piacentino, nato verso il 1730,
esordì col ruolo ^innamorato, dedicandosi poi esclusivamente
alla maschera òHarUcchino, che sostenne con molto favore, e per
la novità e spontaneità de' lazzi, e per le ariette musicali che
mescolava con molto garbo nelle varie commedie. Fu molti
anni con Pietro Rossi, poi col Paganini, poi di nuovo col Rossi,
poi col Lapy al San Luca di Venezia, dal quale passò con la
stessa Compagnia al Sant'Angelo. Si ritirò con la moglie a
Venezia, in cui viveva ancora al tempo di Fr. Bartoli (1782).
Manzoni Caterina, moglie del precedente, viveva in un
ritiro di Padova, sua patria, quando il Manzoni la sposò (1762).
Esordì nella Compagnia di Pietro Rossi con parti di poca im-
portanza, nelle quali però die' subito a vedere a qual grado
sarebbe salita col volere e lo studio. Passò da quella del Rossi
nella Compagnia di Onofrio Paganini, in cui progredì rapida-
mente, facendosi molto applaudire e come attrice e come can-
tante. Destata poi l'invidia della prima donna della compagnia,
artista provetta, ma già vecchia, non fu riconfermata dal Paga-
nini, e tornò con Pietro Rossi, col quale a Livorno, a Parma, a
Verona, s'ebbe i maggiori onori nelle cose studiate e improv-
vise. L'autunno del 1768 entrò col marito al San Luca di
Venezia in Compagnia Lapy; e dice il Bartoli esser giunto a
tale il successo, che il pubblico, non contento di applaudirla in
teatro, l'accompagnava ogni sera a casa fra le più festose
acclamazioni. Delle parti eh' ella sostenne, vanno citate più
specialmente quelle di Cleri nel Disertor francese, e della prò-
MANZONI 69
tagonista nella Gabbriella di Vergy, in cui la Manzoni raggiunse
il sommo dell'arte. Grande nella commedia, fu grandissima nel
dramma. E tuttavia nel vigore degli anni, al colmo della gloria,
più che circondata, assediata dal favore del pubblico, abban-
donò l'arte, dopo il carnovale del 1774, fermandosi in Venezia,
in cui viveva floridamente ancora deU"8i, tutta intenta all'au-
stera educazione dei due suoi figliuoletti.
Francesco Bartoli le indirizzò il seguente sonetto :
Alla Signora Caterina Manzoni
Io, nel fiorir de' bei vostri anni acerbi
sul picciol Ren per quella via vi scorsi,
che a sottrarsi del tempo ai fieri morsi
insegna, ed a' suoi fasti empj e superbi.
Sul lido d'Adria poi spargendo verbi
di virtù colmi, orecchio anco vi porsi ;
e eh' è r ingegno vostro atto m'accorsi,
a far^ che il duolo altrui si disacerbi.
Crebbe virtude in voi, crebbe in me stima
pe' vostri merri, e pel saper profondo,
che ad Elicona fa salirvi in cima.
Ond' oggi il mio desir più non v' ascondo,
il qual con prosa incolta e bassa rima,
tenta innalzarvi, e farvi eterna al Mondo.
•
Alla testimonianza di Fr. Bartoli fo seguir quella di Carlo
Gozzi [Memorie inutili, voi. II), il quale, accennando al fatto
che la Manzoni, da lui scritturata pel Sacchi, si sciolse poi
dall' impegno, vinta dalle supplicazioni e dalle lagrime de' suoi
compagni e delle sue compagne, che vedeansi alla rovina, ab-
bandonati da lei, conchiude :
Ella ha abbandonata in età giovanile la comica professione in cui si distingueva
dalle altre attrici, per abilità, e per educazione, pochi anni dopo V accennato accidente, e
s' è ben meritata la fortuna che la pose in istato di poter lare un tal passo, per dedicarsi,
com' ella fa con tutto lo spirito, a istillare in due suoi figliuoletti, le massime più austere
della virtù sociale e spirituale.
70
MANZONI - MARCHESETTI
E l'altra non meno attendibile, sebbene il Bartoli non
abbia troppe tenerezze per lui, di Antonio Piazza, il quale
dopo di averla acerbamente giudicata nella Giulietta (1771),
dicendo :
ha una lettera di raccomandazione nel volto che dovunque presentasi non
le manca mai un accoglimento umanissimo. Giovine, ben fatta, di statura mediocre, e d'una
bellezza particolare, le si farebbe un torto a non applaudirla ; ma invece di brava sarebbe
meglio gridare bella per non ingannarla. In lei merita una gran lode il suo buon volere
che fa tutti i sforzi possibili per renderla capace della sua professione, ma la meschina non
è nata per la medesima
le dedica poi, sei anni più tardi, // Teatro, nel quale sono a
profusione le lodi per l'incomparabile artista. Delle qualità
della donna egli discorre così nella lettera dedicatoria:
Quando dirò che una donna voi siete che fece onore al Teatro coli* abilità sua e
col suo contegno ; che del medesimo nulla serbate, nell' ozio grato della vostra vita pre-
sente ; che alla vivezza dello spirito accoppiate la docilità del core, e alla finezza del discer-
nimento r indole di compatire ; che ne' divertimenti co' quali il secolo invita la freschezza
della età vostra, mantenere sempre sapete la decenza muliebre, la eguaglianza de' modi,
il tratto affabile, le maniere cortesi; quando, ripeto, dirò tutto questo di Voi, non avrò
dato che un saggio del vostro carattere, ma robusto di verità, mallevadori delle quali
potranno farsi tutti quelli, che vi conoscono e trattano.
Marcheselli. Trovo a questo nome il seguente curioso do-
cumento nell'Archivio di Stato di Modena :
Ser.»na Altezza,
Solo mi trono in obligo di vmiliare à V. A. S. tome oggi a mezo giorno è urtata
in uno di questi Molini una Barca, in cui ui era la Compagnia Comica detta MarcheseUi^
quale da Turino con passaporto del Sig.*" Ambasciatore di Francia passana a Verona per
recitami questo Carneuale; fortunatamente e con stento si sono saluate le persone, che
molto hanno soferto, auendo per altro perduto quasi tutto l'Equipaggio con loro gran danno.
Altro non ho che auanzare a V. A. S. mentre con la maggiore vmiltà sempre ai
miei doueri mi dico.
Di V. A. S.
Brescello li 16 Dicembre 1738.
Vmilissimo Dcv."® Ob.™o Seruitore Suditto
Prospero Mal aguzzi.
Marchesetti Carlo. Era il 17 14 V arlecchino della Compa-
gnia italiana di Varsavia, formata a Venezia da Tommaso Ri-
stori per la Corte di Dresda. Aggiunge il Barone O Byrn {pp. cit.)
MARCHESETTI - MARCHESINI 71
per questo artista, che dipinse pel teatro di Varsavia una scena
di camera.
Marchesini Antonio, veneziano, ebbe molto grido come
capocomico. Recitava le parti ^ inìiamorato, e Fr. Bartoli lo
dice 4c Uomo di molto ingegno, che non solo in Teatro, ma al
Tavolino ancora mostrar sapeva uno spiritoso talento. > Non
ebbe alcuno mai in società, e cumulò denari quanti volle :
ma proprio al momento, in cui credè la sua sorte assicurata
per sempre cominciò a esser da essa perseguitato, e con sif-
fatta costanza, che in capo a pochi anni fu ridotto in miseria.
Aveva sposato la vedova Brigida Sgarri, da cui ebbe una
femmina, monaca a Fano, e un maschio, Giovanni, marito
della famosa Regina Cicuzzi (V.). Rimasto vedovo passò a se-
conde nozze con la prima donna Lucrezia Tabuini di Modena,
artista pregiatissima nelle parti studiate e nelle improvvise,
mortagli in Bologna il 1762. Antonio Marchesini si ritirò poi
in Venezia, ov' ebbe - dice il Bartoli - pietosi sussidi da Gero-
lamo Medebach, e dove morì del 1765.
Si mantenne viva nei repertori del tempo una sua com-
media, xxiXkX.oX'dXò.LaMaga avvocato, che aveva in fine il seguente
sonetto :
Diede natura all'uom sul proprio Core
un assoluto, indipendente impero.
Questo nel nascer nostro don primiero
da lui si riconosce per favore.
Ma a chi reca piacere, a chi dolore;
ed io il provai finora acerbo, e fiero:
se per serbarne il suo dominio intero,
di due morti sugl'occhi ebbi l'onore.
Pur mercè a' Numi liberai lo sposo,
il germano placai, contenta sono;
scevra d'ogni periglio avrò riposo.
Ma perchè dell'arbitrio io goda il dono,
cortesi voi quel che sperar non oso,
donate a' falli miei gentil perdono.
72 MARCHESINI - MARCHETTI
Metto qui la patente accordatagli dal Duca di Modena,
che tolgo da queirArchivio di Stato, a testimonianza de' suoi
meriti, e del conto in cui egli era tenuto :
Antonio Marchesini dichiarato attuale Servitore di Sua Altezza Ser.in^
Francesco &.
Partendo dai Nostri Stati per portarsi altrove Antonio Marchesini Capo della Com-
pagnia de' Comici, che ha esercitata per più mesi tal professione ne' Teatri di Modena, e
di Sassuolo con piena nostra sodisfazione, e della nostra Corte, ed' anendo perciò motivo
d'accordargli la nostra prottezione, con ascrìverlo nel numero de nostrì attuali Sruitorì,
1' accompagniamo colle presenti nostre lettere patenti, in vigore delle quali preghiamo i
Signori Prìncipi per i Stati de quali gli occorrerà transitare, e rìspettivamente ricerchiamo
i loro Minbtrì a far godere allo stesso Marchesini i suoi cortesi riguardi, lasciandolo pas-
sare liberamente col suo seguito, e Bagaglio, e tanto poi comandiamo espressamente aj
Ministri, Officiali, e Sudditi Nostri per quanto stimano la gratia. In fede &.
Dato in Modena dal Nostro Ducal Palazzo questo di i6 xmbre 1753.
Dal Paglicci-Brozzi {pp. ctt)^ sappiamo che nell'estate
del 1738 recitava al Teatro Ducale di Milano. Aveva in Com-
pagnia il figliastro Francesco Sgarri, buon arlecchino, e Pietro
Vidini, buon comico anch' egli, forse marito della Madda-
lena (V.), e tanto vi piacque che fu riconfermato per la se-
guente estate.
Marchesini Regina. (V. Cicuzzi Marchesini).
Marchetti Stefano. Recitava nella seconda metà del se-
colo XVII le parti d^ innamora/o sotto il nome di Lelio. Nella
lettera di Giuseppe Fiala, accennata al suo nome (V.), è questo
brano che si riferisce al Marchetti :
pongo auanti gì' occhi di Vostra Signoria III. ma che sono in Napoli con
cinque persone carico di debiti fatti per uenir in questa Città, non con altro ogetto che
di leuarmi dalla tirannia e persecutione di Lelio marchetti e suoi adherenti, che è stato
la rouina di mia casa, che se io hauessi hauto minimo comando nel tempo sono dimorato
in modona non mi sarei partito e non sarei cosi consumato.
Altre due lettere (entrambe dell'archivio Rasi) si hanno
di lui: una da Venezia del 2 dicembre 1673, non sappiam bene
a chi diretta, nella quale sono i ringraziamenti per l'avuta parte
intera, e le assicurazioni della concordia completa della com-
MARCHETTI 73
pagnia; e l'altra da Bologna del 4 aprile 1679 appena decifra-
bile, nella quale domanda una lettera di raccomandazione pel
Cavaliere Bartolomeo Longhì a Genova, a favore di sua mo-
glie, comare della persona sconosciuta, a cui è indirizzata la
lettera. Molto probabilmente la moglie è quella tal Marchetta,
citata al nome di Girolamo Chiesa, la quale appunto, nel 1664,
s'era fatta aufricc d'una Compagnia, in cui s'erano impegnati
il Dottor Violone e Bagolino: impegno che, a detta dello scri-
vente Ludovico Bevilacqua, era più aito di perfidia, e liuore
contro la signora Marzia {la Fiali) che sincero, et anteriore à quello,
che haueuano con questa signora.... Il che concorderebbe forse
col fatto dell'essere stato il Marchetti, come abbiam visto, la
rovina della casa Fiali.
Marchetti Angelo, di famiglia lucchese, studiò pittura in
patria, andando poi a perfezionarsi a Viareggio sotto due fra-
telli di sua madre, Emilia Rustici. Colà, entrato nella Società
filodrammatica, esordì colla parte di
Paolo in Francesca da Rimini del Pel-
lico, e tale ne fa il successo che tutti lo gj ' ^^0i^^ \
consigliarono a gettare i pennelli per é " ^p ^^ \
darsi all'arte del comico. Il nonno, con-
trarissimo sul mutamento, profittò della
partenza di una tartana per Napoli, e
v'imbarcò Ìl nipote assieme a un altro
giovane pittore, certo Prati. Non po-
tendo sfogare in altro modo il suo fer-
vore pe '1 teatro, si diede il Marchetti
a declamar nelle società napoletane le
poesie del Giusti e del Berchet, per le quali s'ebbe non so
quanti giorni dì carcere. Tutto intento nel pensiero del teatro,
conobbe a NapoU varj comici, tra' quali Rafaele Negri, padre
di Adelaide Falconi, del quale sposò più tardi l'altra figliuola
Ergilda. Dopo alcune recite al Teatro Partenope, fu scritturato
da Adamo Alberti a' Fiorentini, quale amoroso a vicenda con
74 MARCHETTI - MARCHI
Luigi Monti, assumendo alla sua partenza il ruolo dì primo attor
giovine a fianco della Sadowski, della Cazzola, della Monti, di
Taddei, di Alberti, di Bozzo, di Majeroni, di Tommaso Salvini,
di Angelo Vestri, di Marchionni e di Virginia Marini, con la
quale passò poi in Compagnia di Alessandro Monti. Quindi co-
minciò veramente a farsi popolare il nome di Angelo Marchetti,
che fra le tante sue interpretazioni, ammiratissimo per castiga-
tezza e slancio, diventò sorprendente in quella, dì Armando nella
Signora dalle Camelie, colla quale, a fianco di Virginia Marini, il
grande astro saliente, allora, formava il più bel duetto artistico
che mai si potesse credere. Alla fine del carnovale del 1868 fu
aggredito in Milano; derubato dell'orologio e del portamo-
nete, e minacciato di morte se avesse parlato. Affetto da vizio
cardiaco, e di fibra singolarmente sensibile, ammalò poco dopo;
e, trasportato a Viareggio, quivi morì il 6 febbraio del 1869.
Sulla pietra che suggella il suo sepolcro nella cappella
del Vecchio Camposanto, è la seguente epigrafe :
Qui presso all'avo ed al padre piangendo deposero
le spoglie mortali di Angelo Marchetti della dram-
matica arte cultore egregio - Ergilda consorte,
Alessandro fratello.
Il fratello Alessandro fu comico anch'esso, e anche capo-
comico solo e in società. Giovane colto, si adoperò con qual-
che suo scritto in prò dell'arte drammatica, alla quale, non
ostante il posto che oggi occupa di rappresentante di una
compagnia d'assicurazioni, è sempre legato di vivissimo affetto.
Marchi Francesco e Isabella. (V. Fiala Giuseppe).
Marchi-Maggi Pia. Figlia di Cesare e Carlotta Marchi, ar-
tisti drammatici, quello brillante, qxxestdL prima attrice giovine, poi
prima attrice e madre, nacque a Verona del 1846. Diventata la
prifna attrice assoluta di una Compagnia di L. Bellotti-Bon, si
diede all'interpretazione del gran repertorio moderno, facen-
dosi ammirar schiettamente in ogni lavoro, non esclusa la
Moglie di Claudio ; ma il suo vero periodo di gloria fu di quei
sei anni passati nella Compagnia di Alamanno Morelli, a fianco
di Luigi Monti, col quale formava la più deliziosa coppia d'in-
namorati che si potesse mai veder su la scena. Svegliatis-
sima di mente, di spi-
rito pronto, ebbe atti-
tudini singolari alle
parti comiche, che col-
tivò amorosamente sul
tardi, acquistandosi
con Ninicke. Ma Cou-
sine, Fenttne à Papa, e
altro, il nome di Judic
italiana.
Recitò come tutti
i figli d'arte, piccolis-
sima; poi fu messa in
collegio a Milano, dal
quale uscita, tornò a
recitare, esordendo al
Corcano con la parte
di prima donna nel Ca-
Valter di spirito di Gol-
doni, in Compagnia di
Adelaide Ristori, colla
quale visitò Londra, Parigi, Barcellona. Del repertorio dì
Achille Torelli, e specialmente di Fragilità che fu scritta per
lei, fu a' bei tempi antiqui ìnterpetre eccellente, unica: in quello
di Dumas figlio, Francillon, Moglie di Claudio. Diana di Lys,
non ebbe rivali, fuorché Eleonora Duse. DÌ comicità irresisti-
bile, e d'ingegno come abbiam detto vivacissimo, seppe trar
grande partito da ogni situazione la più semplice; una piccola
scena recitata da lei, assumeva proporzioni gigantesche! Che
deliziosa macchietta, ad esempio, quella à.€X operaja i\€i}^ Ispet-
tore dei vagoni'letio, che invita ai baci col falso tic/,.. Sembrò a
tutti e per un pezzo eh' ella dovesse avere il cuore invulnera-
76 MARCHI - MARCHIONI
bile; ma un bel giorno con universa! sorpresa, si ammogliò al
bello e forte attore Andrea Maggi, dal quale poi si distaccò
artisticamente avendo così diverse le attitudini e le aspirazioni !
Benché non piii giovane, essa continuava a farsi ammirare ed
applaudire nelle sue vecchie interpretazioni. Se si fosse decisa
ad assumere un ruolo più conveniente, ella sarebbe certo tor-
nata a' bei giorni dei più clamorosi e sinceri trionfi. Colpita a
Roma d'influenza, che poi andò mutandosi in polmonite, vi
morì il 29 aprile 1900, assistita dal marito, dalla sorella, dal
figliuolo, desolati. Fu pianta sinceramente da molti amici, dalla
stampa e da ogni specie di pubblico che si vide rapir d'im-
provviso una delle sue più dilette artiste.
Marchi Adelina. Sorella minore della precedente, ricca
d'intuizione artistica e dì squisito sentire, fu, per più anni, amo-
rosa eletta nella Compagnia di Luigi
Pezzana a fianco di Giovanni Ceresa.
Benché difettosa alquanto nella pronun-
cia, potè passare con una recitazione
calda e spontanea, al ruolo di prima
attrice assoluta in Compagnie di primo
ordine, come della Sadowski, diretta da
Luigi Monti, nella quale io l'ebbi col-
lega affezionata, dì L. Bellottì-Bon, e di
Giovanni Emanuel. In questa, una delle
sue ultime e più belle interpretazioni
fu della protagonista in Odetìa di Sar-
dou, che replicò acclamatissima per più sere al Teatro Alfieri
di Torino, Oggi la egregia artista è fuor della scena maritata
a un ufficiale dell'esercito.
Marchioni Angelo. Fiorentino. Giovane di sicura abilità nelle
parti di Imiamoralo. Addcstrossi nell'arte del recitare fra gli accademici
della sua Patria; e poi passò a Napoli, dove sì fece onore. Ritornato a
Firenze, recitò nel Teatrino della Piazza Vecchia, ed oggi scorre l'Iulia
con la Compagnia di Giovanni Roffi, facendo sempre più conoscere con
certezza i teatrali meriti suoi.
MARCHIONI - MARCHIONNI 77
Così Francesco Bartoli. Ma io credo che s'abbia a leg-
gere Marchionni anziché Marchioni, figliuolo di Casimiro, non
sappiam dire se comico, marito di Elisabetta di Pompeo Bai-
desi e padre della celebre Carlotta che gli nacque, mentr' egli
e la moglie (i 796) trovavansi a Pescia in Compagnia di Giovan
Battista Mancini.
Marchionni Carlotta. Figlia del precedente e di Elisabetta
Baldesi, nacque a Pescia nel 1 796. Messa nel collegio delle
Orsoline di Verona, si vuole che fosse trovata in estasi dinanzi
a una statua di sant' Orsola, alla quale recitava certe sue fila-
strocche. Recitazione, che ripeteva poi per invito della stessa
direttrice e delle compagne nelle ore di ricreazione. Balzò di
punto in bianco dai silenzi del chiostro alle lusinghe della scena,
in cui passò di compagnia in compagnia sostenendo parti or
di paggetto, or di amorosa, or di seconda donna, sinché il 1 8 1 1 fu
scritturata prima attrice dal capocomico Lorenzo Pani, sino
al '14; nel quale anno appunto, essendo a spasso in Firenze
gli artisti Antonio Belloni, Ferdinando Meraviglia, Carlo Cala-
mai e Luigi Domeniconi, formarono con Elisabetta Marchionni
una società, di cui fu prima donna assoluta la diciassettenne Car-
lotta, la quale esordì al piccolo teatro della Piazza Vecchia nella
Pamela ntclnle del Goldoni.- Narra il Colomberti che la società
iniziò il corso delle sue recite, non solamente senza alcun cor-
redo di scena, ma senza fin anco il libro della commedia che fu
per buona ventura trovato sur un banchetto. L'esordire della
giovane attrice fu il primo passo alla celebrità, che divise, unica
fra le donne, con Luigi Vestri e Gustavo Modena.
Ma il Modena si chiuse nella cerchia della tragedia e del dramma, n Vestri e la
Marchionni personificarono forse meglio quella varietà di attitudini che è degli attori italiani
soltanto, e che permette a ciascuno di loro, che sia veramente nato all'arte, di suscitare
le commozioni più disparate e diverse ; di passare con stupenda volubilità e occorrendo in
nna sera medesima dal tragico al comico, dall'Alfieri al Goldoni : d' essere come la Mar-
chionni ora Mirra o Clitennestray più tardi Mirandolina o Rosaura : come il Vestri oggi
Don Marno^ domani // povero Giacomo.
(Ferdinando Martini, Al teatro. Firenze, Bemporad, 1895).
78 MARCHIONNI
E più largamente il Colomberti:
La naturale sensibilità, il nobile gestire, l'espressione del volto, e più di tutto il
suono armonioso della voce donavano alla Carlotta un fascino che dominò per quasi tren-
ta anni tutti i pubblici d' Italia. Chi la vide rappresentare VAUxina, La Fiera, La Lusirt"
ghiera, e La Vedova in solitudine del Nota; La Sposa sagace, le due Pamele, GP Innamorati,
le tre Zelinde del Goldoni ; La bella Fattora, traduzione del conte Piosasco ; le due Chiare
di Rosenberg, La figlia della terra d* esilio, DOrfanella svizzera, drammi scritti a pK>sta
per lei dal fratello Luigi, non potè a meno di riconoscere e di applaudire in lei quei tratti
di grande attrice, che caratterizzano il vero genio. Un altro genere da lei insuperabilmente
rappresentato era quello delle parti ingenue. La Ciurli o La famiglia indiana, la Lauretta
di Gonzales, e varie altre erano da lei con tale innocenza rappresentate, e nel tempo stesso
con una verità si grande da far supporre che l'arte non vi aggiungesse nulla del proprio,
quando invece era la sublimità di questa che le faceva raggiungere il vero ; e se questa
somma attrice fu a tante superiore nella commedia e nel dramma, con non minore maestria
seppe innalzarsi nella tragedia, poiché la Francesca da Rimini, eh' ella creò, la Pia d^Tolo-
mei, la Mirra, VOttaifia, e tante altre le procuraron sempre nuovi trionfi.
E Francesco Righetti nel suo Teatro italiano, dopo di
avere accennato alle invidie suscitate da lei nelle compagne
d' arte, e di avere enumerati alcuni difetti di gesto e d' intona-
zione dovuti a mancanza di scuola, viene a concludere così:
Ma io sfido tutti i delicati conoscitori dell' arte comica a dirmi in chi, dove, e
quando si è veduto nella commedia italiana una donna, che con tanta grazia, con tanta
decenza, e con tanta nobiltà passeggi la scena? Io m'appello a tutte le dame di tutte le
corti più galanti, se si può con miglior dignità ed amabilità in una nobile e gentile con-
versazione, dir sedete come lo dice la nostra Marchionni; con quale vivacità di colorito
sa ella moltiplicare e compartire le tinte in una scena di gelosia ! Chi sa comporre qnello
sguardo, accomodar quel labbro, emettere quel suono di voce in una scena d'ironia al
pari di lei? Della felicità sorprendente nelle transazioni, e nel passaggio d'un affetto al-
l' altro, della dizione semplicissima e naturale, dell'artifizio che par tutto natura, ne ab-
biamo un esempio parlante nella Lusinghiera dell'avvocato Nota.
E qui fa un' analisi minuziosa e interessante dell' interpre-
tazione, in cui la Carlotta si mostrò più che in altre artista di
genio; alla quale fa seguir quella della Mirra, che ne fu la
creazione più maravigliosa, approdando alle stesse conclusioni,
e terminando poi con queste parole : < la nostra Marchionni ha
dei difetti: e chi non ne ha? Ma dove ella è grande, è più
grande di tutte. >
La società con tanta modestia e direi meglio povertà co-
stituita, andò innanzi dodici anni tra l'ammirazione e l'applauso
di ogni pubblico, esempio unico di artistica fratellanza. Termi-
MARCHIONNI
nati i quali la Carlotta passò (la quaresima del '23) nella Com-
pagnia Reale Sarda, in cui portò coll'arte e co' costumi l'amore
del pubblico verso di lei al grado d'idolatria, e da cui si staccò
nel '39. per ridursi a vita privata, e non tornar più sulle scene,
fuorché tal volta a scopo di beneficenza. Morì nubile di paralisi
al cuore ìn Torino nel 1861. Nubile ! A proposito del sagrificio
ch'ella avea fatto all'arte degli affetti di sposa e di madre, Giu-
seppe Costetti {op. cit, 38) dice:
E quando ti rifletU che la verginità di CarlolU Muchionni non fu nns muchera
«stnU per gabellare irresponsabilmente non dirò la scoitomateiza, ma nemmeno le facili
mondanità della vita del teatro, ma fa invece nna castità immacolata e tersa, non appannata
mai neppure dal soffio della maldicenza che, fra le quinte, è vipereo; k da pensare pint-
8o MARCHIONNI
tosto che quell'anima forte e quella vigorosa fantasia si piacessero del contrasto fra la
severità del costume che s'era imposta, e le sfrenate amorose passioni che doveva rap-
presentare.
E più oltre (pag. 41):
Carlotta Marchionni, la estatica di Verona {allude al ColUgio delle Orsoline), la im-
mancabile alle messe meridiane della Consolata o di San Filippo, che prima di uscir sulla
scena ogni sera si faceva senza ostentazione, né sotterfugio, il suo bravo segno di croce,
rappresentò alla perfezione Donna Giulia {La Lusinghiera) e le sue spinte civetterie, come
già aveva reso le fiamme incestuose di Mirra.
E il Colomberti:
Carlotta Marchionni fu donna adoma di modi squisiti e gentili ; d' ingegno perspi-
cace e pronto. Tanta era l' attrattiva del suo conversare, che la di lei casa era in ogni città
frequentata dai più rinomati ingegni in Arti, Scienze, e Letteratura. L'arte che professava
fu sempre per lei una seconda esistenza. Né questa le impedi d'essere figlia amorosissima,
perché non volle mai separarsi dalla sua genitrice ; e quando la morte glie la tolse, le fece
innalzare nel Campo Santo di Torino un monumento che racchiuse, dopo varj anni, anche
le di lei spoglie mortali.
La madre morì d'anni 65 il dì 24 marzo 1835; ^^ ebbe
sulla sua tomba questa iscrizione :
Ad Elisabetta Marchionni Sanese | dalla figlia Carlotta | cui
raddoppiò gli affanni nel mancar della madre | amata sopra
tutte le cose umane com'era degna.
Giovanni Prati dettò il seguente sonetto :
Visitando la tomba di sua madre
Si ; vidi anch' io queli' urna e quelle forme
sculte nel marmo, e che tu piangi estinte:
E volto a quella che là dentro dorme,
e per aura miglior V ali ha sospinte,
sclamai : « Beata, che traesti T orme
da queste zolle in vanità dipinte,
dove s' indraca un popolo difforme,
che troppo ha T alme nella creta avvinte.
Beata ancor, che dietro te lasciasti
una che piange in queste basse rive,
come cosa mortai più non la tocchi.
Troppo le tombe scordano i rimasti !
Troppo, e Dio se ne accora. Ella non vive
dal di che ha chiuso alla sua madre gli occhi.»
MARCHIONNI 8i
Gli onori tributati alla grande Carlotta ricordan quelli
tributati più di due secoli a dietro a Isabella Andreini; onori
di rime, di medaglie, di marmi. Madame di Staél, a una rap-
presentazione della Mirra in Milano, lei che all'ammirazione
del teatro italiano non fu molto inchinata, voltasi a Silvio Pel-
lico, sclamò : elle à le genie de son art au dernier poinL Tra' versi
dettati in suo onore, del Pezzòli nella Galleria dei più rinomati
attori drammatici italiani, del Vico nell'opera del Costetti, ecc.,
scelgo il principio e la fine del sermone di Giuseppe Barbieri,
// Teatro, a lei dedicato, che è men facile a trovarsi :
Pochi nel geni'al comico ludo
surgono ad alta meta insigni attori;
e Tu forse nel tragico lamento
unica sei, che l'anime distempri
d' ineffabil dolcezza ; e ben Tu fosti
a miracol mostrar, di Ciel venuta,
soavissima Venere del pianto.
O rara donna ! A questo erami dunque
la tua maravigliosa arte serbata,
questo voleva il mio destin, che tutto
Tamaro e il dolce, in che passai la vita,
«quand'era in parte altr'uom da quel ch'i' sono;»
tutto m' avesse a ribollir nel petto,
e traboccarmi in lagrime dagli occhi;
e me da me diviso, e in te pendente
confondermi con teco? Illustre donna,
chi non t' ammira ? Di vivaci plausi
ferve al tuo comparir l'Itala scena;
che dove a Te simile altra sorgesse,
di Melpomene alunna e di Talia,
men sonerebbe glorioso il vanto,
che le galliche prove a noi rinfaccia.
o delle Muse
verace figlia, e delle Grazie alunna,
a Te mi volgo, in Te conforto e speme
11. — / Comici italiani. Voi. II.
82 MARCHIONNI
giovami por ; clie Tu Roscia de' palchi,
Tu del bello imitar casta, decente,
affettuosa, amabile, maestra
farai le scene di lor meglio accorte;
e sarai vivo specchio, in che guardando
attori e spettator, prendano forma
d'ogni sincera teatral virtude.
Opra è questa da Te. Natura ed arte
Ti componeano al bello ed all'onesto.
Sirena del dolore, io ti saluto.
Marchionni Luigi. Fratello della precedente, nacque a
Venezia il 2 novembre 1791. De' primi anni dell'arte sua rife-
risce il Colomberti il seguente aneddoto :
Il direttore Antonio Belloni che trova vasi con la Compagnia Paganini nel 1803 uni-
tamente all' Elisabetta, da poco divenuta vedova, possedeva un piccolo cane, che, divenuto
idrofobo, fuggi di casa, e si recò in quella della Marchionni, forse per non mordere i pa-
droni. Giunto colà, incontrò in una stanza Luigi e la di lui sorella (non già la Carlotta,
ma la Luigia, che appena aveva raggiunti i dieci anni). Fratello e sorella in quel punto
litigavano per un motivo qualunque, e Luigi, veduto il cane, lo aizzò contro la sorella,
che venne morsicata, e mori dopo pochi giorni. La madre, furiosa contro del figlio, ca-
gione innocente della morte della sorella, lo cacciò di casa. Inutili furono le discolpe del
giovinetto, e le preghiere di tutta la Compagnia; la madre rimase inflessibile. Il Capo-
comico ed il Belloni lo impiegarono con la Compagnia condotta dal caratterista Francesco
Pieri; e là il disgraziato giovinetto fu obbligato a suggerire, copiare originali e parti, non
meno che a far parti adattate alla sua età. Benché da tanti obblighi non ritraesse che un
piccolo stipendio, pure non solo provvedeva alla propria sussistenza, ma siccome era stu-
diosissimo, toglievasi spesso il pane dalla bocca, per comprare dei Ubrì. Nelle ore in cui
poteva esser libero da' suoi doveri (e queste non erano tali che nella notte), si occupava
continuamente a leggere ; ed essendo pieno d' ingegno naturale, e dotato di ferace memoria,
seppe profondamente istruirsi, e in seguito diventare un buon autore teatrale, ed un ottimo
artista. Sembra che il tempo e l'amor materno, non meno delle preghiere della sorella,
gli ottenessero il perdono della severa Elisabetta dopo diciassette anni di esilio dalla fa-
miglia: e infatti lo ritroviamo nel i8ao nella Società drammatica della madre e della sorella
al posto di primo amoroso assoluto^ dopo la scelta del primo attore Meraviglia, con la
moglie Teresa, brava prima e seconda donna giovane.
(Era questa figliuola del buon secondo caratterista e servo
sciocco Giuseppe Grazzini).
Entrò il 1825 con l'impresa Tessari, Prepiani e Visetti
2! Fiorentini di Napoli, ove stette sino al '64, anno della sua
morte. Il Marchionni fu Fattore generico per eccellenza. Bril-
MARCHIONNI- MARIANI
lante e tiranno, padre nobile e amoroso, caratterista e promiscuo.
s' ebbe fama di Garrìck redivivo. La Moda di Napoli dice : « è
difficile veder due volte il Marchionni con la stessa sembianza:
diverso sempre da sé sot-
to le diverse forme che
veste su le scene, ei non
somiglia a sé stesso che
in una sola cosa, cioè In
esser sempre eccellente.»
Di lui abbiamo tra-
gedie : / Martiri, Olindo
e Sofronia, Edea Zave/la
o La presa di Negroponte,
La Vestale, che meritò gli
elogi di Vincenzo Monti e
di Ugo Foscolo; spetta-
coli : Pirro, o i Venti Re
all'assedio di Troja, La fi-
glia della terra d'esilio; drammi : Chiara di Rosenberg calunniata.
Chiara innocente, L Or/aìiella svizzera; lavori questi scritti per
la sorella Carlotta e da lei con molto successo recitati. Poi li-
bretti d'opera, come L' Esule di Roma e Belisario, musicati dal
celebre Donizetti, e una infinità di traduzioni dal francese e
riduzioni in prosa e in versi che furon vive per molti anni
ne'repertorj delle nostre primarie compagnie.
Marchis (De) Giuseppe. Uno dei primi attori della Com-
pagnia di Gioacchino Petrelli. Autore di un dramma. La morte
di San Nicola, che fu rappresentato per più sere nel 1 800 a
Tolentino.
Marcucci Anna. (V. Fiala-Narici Marzia).
Marìanì-Zampieri Teresìna. Dei primi anni di questa
egregia artista, nata a Firenze al principio del 1871, e andata
84 MARIANI
il '77 e *7 8 a sostener colla Ristori a Parigi e in Ispagna le
parti di uno dei bimbi nella Medea e del Delfino nella Maria
Antonietta, una delle più intellettuali tra le %\ov2iXÌ\ prime donne
del nostro teatro di prosa, così parla Gace nel Resto del Carlino
del 29 novembre 1897:
Scioltasi la Compagaia Ristori, le sventare domestiche cominciarono a sperimentare
la tempra del caore della piccola attrice, edacaadola alla scuola del dolore. Il padre di
lei, Aatonio, oriundo romaao, buoa attore, formò una discreta compagnia, che dopo brevi
tentativi, si scioglieva: e recatosi a Torino colla famiglia, prestò P opera sna a quella
Società Filodrammatica ; ma rottosi l' accordo, quei bersagliati si trovarono ancora in balia
della ventura.
Dimenticati dalla famiglia comica, si stabilirono a Torino ; il padre con un impiego
di copista, le due donne ad agucchiare per la sartoria del Teatro Regio. La madre tornò
per alcun tempo nella Compagnia Milone Vazer ; ma ben tosto ancora al lavoro dell'ago.
Poi, anche questo mancò col cader della stagione teatrale, e fu allora un travagliarsi, un
assoggettarsi a fatiche nuove, ad occupazioni penose e di tenue guadagno. Le belle manine
della giovinetta lavorarono alla fabbricazione delle cartucce nell'arsenale militare, e trapun-
sero ricami di crocheis pel convento delle Josephitus,
In quei giorni, la famiglia Mariani, più per sfogo che per guadagno, andava coi
dilettanti alla Venaria Reale, dove la giovine attrice interpretava i caratteri più disparati
e più strani, quali la Linda di Chamounix o il Maino della spinetta» Il direttore della
Filodrammatica del Teatro Nazionale, Alessandro Emanuel, ammirato dai pregi della bionda
attrice, la scritturava per le recite del carnevale ; e in questo periodo di tempo incomin-
ciano i suoi primi trionfi.
A quindici anni, la Compagnia Diligenti-Pezzana l'accoglieva con amore; e nel 1885
nella parte di Edith del Figlio di Coralia debuttava applaudita al teatro dei Rozzi di
Siena; continuando negli anni successivi, colle Compagnie Novelli, Pasta e Drago, a raf-
forzare sempre più la sua delicata fibra d'artista.
Dopo gli anni, che chiameremo di noviziato, ma che furono
anni di vita artisticamente vissuta, nei quali la prima attrice
giovane colla intelligenza svegliata, colla voce insinuante, colla
dizione limpida e piana, era diventata l'idolo del pubblico, passò
prima attrice assoluta nella Compagnia di Cesare Rossi, osteg-
giata dai più, che vedevano in lei nelle grazie del viso, la
eterna ingenua, ma accompagnata dall'incoraggiamento dei
pochi, che vedevan nella gagliardia della sua mente, e della
sua volontà, nello sviluppo ognor crescente delle sue attitudini,
una giovane forza che sarebbe arrivata in breve agli alti gradi
dell'arte. E i pochi non s'ingannarono: alla Fernanda, alla
Ivonne, alla Pia, alla Iolanda, seguì la Dorina, la Parigina, la
MARIANI - MARINI
Innamorata, la Santuzza, non esclusa la inevitabile Margherita
Gauthier, in cui la Mariani si cimentò, cosciente della battaglia
grande che ingaggiava col pubblico, ma fidente nelle sue forze.
E vinse. E il pubblico
r acclamò; e procla-
mò artista fine e po-
tente.... D'ingegno
pieghevolissimo, pas-
sò con singolare sicu-
rezza e rapidità ai
generi più disparati,
riuscendo interpre-
te felice della nuova
scuola. Oggi è capo-
comica, e maritata a
Vittorio Zampieri; e
dopo un viaggio bre-
ve ma fortunato in
America, tornò tra
noi al Valle di Roma,
ove interpretò mira-
bilmente Zaza. l'affa-
scinante mosaico tea-
trale di Berton, per riprendere il largo verso la Spagna, ove
l'attendevano onori non isperati. Le più che festose, entusia-
stiche accoglienze di Madrid e di Barcellona la compensarono
a esuberanza de' tristi anni della fanciullezza, che, tra le accla-
mazioni di un popolo artista, le torneranno alla mente con na-
turale e vivo compiacimento, sentendo di dovere a sé sola, alla
sua tenacità, al suo amore per l'arte, all'ingegno suo, se potè
da quelli balzar nella vita presente tutta intessuta di rose.
Marini Giuseppe, veronese, esercitatosi tra' dilettanti della
sua patria, si diede all'arte nel 1810, dedicandosi per la sua
maestosa figura al ruolo di tiranno, che sostenne con raoltis-
86 MARINI
sima lode nelle primarie compagnie di Raftopulo, Goldoni,
Dorati, Internari e Paladini, Perotti e Fini.
Morì a Firenze Tanno 1854.
ini Virginia, figlia di Carlo e Teresa Weiss, nacque
ad Alessandria della Paglia il 19 novembre del 1844. Essendo
il padre custode del teatro d'Alessandria, la piccola Virginia
attendeva ogni mattina alla ripulitura dei palchi e della platea,
ingannando il tempo con tirate di commedia che aveva impa-
rate la sera in teatro. Il fiorentino Giovan Battista Marini,
discreto artista (era generico dignitoso il 1853 in Compagnia
Sadowski-Astolfi), sorpresala nelle sue declamazioni, scoprì il
tesoro magnifico della sua voce, e, vedovo da poco e per giunta
con figliuoli, propose alla Virginia di sposarla, coli' intento d'ini-
ziarla alla vita dell'arte. Essa accettò, il matrimonio accadde
nel 1858, e Virginia Marini diventò nello stesso tempo attrice.
Questa la leggenda.
Fu i suoi primi anni servetta con Meneghino Preda; poi,
il '62, ingenua ai Fiorentini di Napoli, ove mostrò subito quali
altezze avrebbe saputo raggiungere. Era la prima volta che
recitava in italiano. Ttta Nane, pseudonimo che cela uno dei
più modesti e più intelligenti cultori dell'arte nostra, così de-
scrive quello e gli altri primi passi in un bello e appassionato
articolo apparso nella Tribuna illustrata del settembre '94 :
Adamo Alberti scelse per il debutto un vecchio pasticcio del Bayard: // nuovo
Figaro e la Modista, La modista era lei, la Marini. La sala metteva paura. H pubblico
aveva avuto per una settimana i grandi della Compagnia, Salvini, la Clementina Cazzola,
e non dico altro. Della Marini nessuno aveva mai sentito ripetere il nome. Qnand'ecco
arriva sulla scena lei con una scatola in mano, vestita proprio come una sartina che si
rechi a domicilio, e, senza uscire dalla naturalezza, fa sentire la musica di quella voce.
Apriti cielo! Fioccarono gli applausi, e lei, poveretta, non credeva a sé stessa; subito
Tommaso Salvini la slanciò nel genere drammatico, e il successo fu eguale. Essa non
perdeva sillaba della Cazzola, che, per eleganza, naturalezza, profonda intuizione d'arte,
si collocò fra la Ristori e la Sadowsky, e in certe parti non trovò chi riuscisse a supe-
rarla; e più tardi, a Firenze, quando la Cazzola ammalò, Tommaso Salvini ricorse alla
signora Virginia; e la signora Virginia, improvvisando sera per sera un'interpretazione,
cominciò a spiccare il gran salto, sempre sotto gli auspici del gran colosso Salvini, artista
completo, dividendo il regno dell'arte con la Tessero e la Pezzana, e tutte tre facendo
credere con i grandi successi fatti ottenere alle commedie di Gherardi Del Testa e di Achille
MARINI 8;
Torelli, M proverbi del Snner, ù drammi del Coitetti, ai lavori nuutodontici dell'ultima
maniera di Paolo Ferrari, al medio evo di Giaccia, ^la rominiU di Pietro Cona, all«
galanterìe di De Renzif, dì Martini, di Caitelnaovo, e tutto il resto di Codiuello, di
Ifnratori, di Montecorboll, di Castelvecchio, di Sabbatini e di tanti altri, tacendo credere
all' eiiilenza d' no moderno teatro italiano.
Virginia Marini fu il '63 con Luigi Domeniconi, e il '64
con Gaspare Pieri. Il 'ò^-'Os era di nuovo con Adamo Alberti
ai Fiorentini dì Napoli, e questa volta prima attrice giovane:
dal '66 al '68 con Alessandro Monti, dal '68 al '69 con Tom-
maso Saivini, dal '69 al '72 con Alamanno Morelli. Poi ebbe
Compagnia propria, entrò nella Compagnia Nazionale, tornò
a formar Compagnia.... Fu con Ermete Zacconi e con Giovanni
Emanuel.... poi.... mutati i tempi, mutati i sistemi, mutati gl'in-
dirizzi, mutate le scuole, sì ritirò dall'arte in Roma, ov'è tut-
tavia, chiamata a coprire la cattedra di arte della recitazione
nel Liceo musicale dì Santa Cecilia, creata per decreto del
Ministro Baccelli. Questa la cronaca della
vita artistica dì Virginia Marini.
Enrico Panzacchi, analizzando la in-
terpretazione A^\X Adriana Lccouvreur di
Qementina Cazzola (V.) e di Virginia Ma-
rini, di questa viene a dire :
UAdriann invece TupprcscntHtBci dalla Marini i altra
donna. Forse meno ligia alle inleozioni di Scrìbe e Legoavé,
forse mero fedele alla biografia, ma più confonne a Datura e
vetitì. Sulle ptìme è la giovine donna che ama e crede nel-
l'amore, che pare profonda e confidente nei gesti, nel volto,
nei toni pacati della sua belln voce ! La passione legaa dentro
poderosa, assoluta, una di qoelle passioni che decidono il destili
che dorma e sogni tranquilla carezzata dalia fede
Resane, nell'anticamera della tragedia, Adriana
naturalezza dj giovine attrice spigliata, allegra, carezzevole,
buon sangue e buona cera.
Chi in quella bonaccia profonda indovinerebbe la tempesta del quarto
trasfigurazione compiuta. Il portamento, il gesto, gli occhi assumono un fare
e fulmineo; la voce ha sibili come il serpente e inflessioni
iceratrici come d'aculeo. L'invettiva di Fedra gittata a guisa
'uno schiaffo a d'un pugno di fango sai volto della rivale, ci
vela a un tratto tutta la potenza tragica dell'amore à^ Adriana
ci fa anche presentire il terribile sciogliraento del dramma.
di lutla una vita, ma pare
dalla speranza. Sotto le belle vesti di
lil'a
a latto sempre
Ai successi delV Adriana Lecouvreur
dovrebber qui aggiungersene migliaia ;
che, per oltre un ventennio, Virginia Ma-
rini ha tenuto con Adelaide Tessero lo
scettro del teatro italiano dì prosa, e, direi
quasi, di canto, tale e tanta era la carezzosa musicalità della
sua voce. Quando non sì andava svogliatamente com'oggi a
teatro, per veder la riuscita di un nuovo lavoro, sul quale sì
ha già una preventiva poca fede; ma ci si accorreva entu-
siasti a giudicar di una interpretazione, suscitante poi ne' con-
fronti le più vive discussioni, la vita artistica di Virginia Ma-
rini era il trionfo non interrotto di ogni sera. Passando dalle
schiette e composte comicità della Serva amorosa agli sfrenati
e sfacciati ardori di Messalina, e da questi alle sospirate roman-
ticherie del Cuore ed arte, poi a Frine. ^Adriana Lecouvreur,
alla Signora dalle Camelie, al Trionfo d'amore, alla Straniera, a
Cecilia, al Falconiere, alla Donna e lo Scenico, al Fratello d'armi,
3\\& Donne curiose, a tutto un repertorio de'più vasti e disparati
e in verso e in prosa. Virginia Marini non sentiva il bisogno
di correr dietro alle solleticanti e stimolanti sudicierie di una
pochade per attirare e guadagnarsi il pubblico; ma bastava lei,
lei sola, circondata da una modesta schiera di compagni, i quali
potevan chiamarsi Alamanno Morelli, Giovanni Ceresa, Fran-
cesco Ciotti, Guglielmo Privato, Giulio Rasi, Sante Pietrotti,
Pierina Giagnoni, Anna Job, e via discorrendo.
Ricordiamo ancora Virginia Marini alla vigilia della cele-
brità con Alessandro Monti al Teatro Alfieri di Firenze! Quale
Signora dalle Camelie allora ! Che duetti d' amore con Angelo
Marchetti!... E tutto il periodo Salviniano? Quale armonia, che
fusione di sospiri ! Che Figli ddle Selve allora ! Che OtelU ! Che
Zaire!... Perchè, Virginia Marini, al fianco
di Tommaso Salvini, diventò una di quelle
artiste, rimasta unica poi, che sollevava,
come il suo grande compagno e maestro,
le platee con una semplice inflessione dì
voce; era quella una forza sua. I versi,
nella sua bocca, si andavano aprendo e
sviluppando in melodie nuòve.... forse non
sincere talvolta, forse non sempre d'into-
nazione perfetta, ma di una maravigliosa
efficacia sul pubblico, che rimaneva vinto di sorpresa, e sog-
giogato.... L'arte della Marini fu plastica nella dizione e nel
portamento. Artista non troppo sincera, forse, al molto studio
sagrificò di conseguenza la spontaneità. Gli scatti subitanei,
le improvvisazioni inattese, e diciam pure gl'improvvisi lampi
d'arte della Tessero mancavano a Virginia Marini; ma nella
\2. — t Comici italiani. Val. IL
90 MARINI - MARIOTTI
grande, grandissima artista del momento mancavan le elette
qualità dell'altra, che, se bene un po' meccanicamente, si mo-
strava tutte le sere colla stessa voglia, colla stessa arte, cogli
stessi mezzi, che formaron sì lungo tempo l' idolatria del pub-
blico pagante. Perchè anche questo va pur notato. Di Virginia
Marini non si potè mai dire : < stasera son capitato male ; re-
cita col sangue al naso/> Ma tanta gloria, tanti entusiasmi, do-
vevan finire come per incanto. A' venti anni di acclamazioni,
che avrebber dovuto lasciarne ripercossa l'eco per tanti e tanti
anni ancora, seguì un silenzio di tomba. Il pubblico teatrale,
che in Italia è l'espressione più viva e chiara dell'umana in-
gratitudine, vòlte le spalle all' idolo vecchio, ne cercò di nuovi ;
e, non trovatili, li creò, e a quelli si prosternò. I trinciamenti
d'aria col braccio e l'indice distesi, le inflessioni di voci ad alti
e bassi, a scatti voluti, tutto il grande convenzionalismo del-
l'antica scuola, cede il campo alle dizioni incolori nella lor na-
turalezza, alle movenze studiate nella lor trascuratezza, a tutto
insomma il grande convenzionalismo della scuola moderna.
Virginia Marini ha chiuso il vecchio periodo, che comprese
con lei la Ristori, la Tessero, la Pezzana, la Marchi, la Campi,
la Giagnoni, Morelli, Ciotti, Ceresa, Pasta, Salvadori, Bellotti,
Rasi, Vestri, ecc Eleonora Duse ha aperto il periodo nuovo,
che comprende
Marìotti Olinto. Fiorentino, primo attor giovine de' più in-
telligenti, nacque il 1850. Cominciò a recitare in compagnie di
poco o niun conto, finché, morto Giulio Rasi, andò a sostituirlo
in Compagnia Morelli, acquistandosi in breve la stima e bene-
volenza de' pubblici più arcigni, per la svegliatezza della mente,
lo slancio della passione, la interpretazione mai errata. Le due
parti che tra l'ultime gli crebber fama, furono il Duca Valentino
nei Borgia, e V Ammiraglio Rotei nella Cleopatra di Pietro Cossa.
Aveva sposato Laura Tessero, sorella minore di Adelaide, prima
attrice giovane di qualche pregio, e morì, giovanissimo, com-
pianto da tutta l'arte.
MARIOTTI
Di lui riferisco le parole dì Yorik, come quelle che ci dàn
chiaro Ìl ritratto dell'artista e dell'uomo;
Aveva ippena Irent'anni, era pieno di vita e di sperania, Torte, robusto, gagliardo,
ricco d'iug^no, lieto della sua torte, felice della simpatia, dell' affetto, della itima, io che
lo tSDevano i snoi concittadini. Era entrato di fresco
nell'arte, e non per la solita porta delle diiìUaiioni
e delle stanchezze. C'era venato per vocaiione vera,
e ci aveva portato un animo generoso, ana niente
colta, nn'istmiione non connine. Scriveva con garbo
in prosa ed in verso; aveva anche fra le ioe carte
qualche non iolèlice tentativo drammatico; si era
latto largo nella achiera degli artisti per l'ingegno
tao vivace, per la fettiviti dello spirito, per l'ar-
gnzia della parola, per la bontì del cuore, per l' ar-
dore infaticabile de' suoi stndj continnì. Festeggiato
da per tatto, applaudito, incora[^alo, camminava
a fronte alta, e con passo spedito verso nn avve-
nire che non pareva troppo lontano.
E nel pieno fiore delle sue speranze mori
a Matetica, la mattina del 37 settembre, alle ore Ire,
pronnniiando a stento col labbro agoniziante il
nome di personaggi drammatici che gli rammen-
tavano i suoi più lusinghieri trionfi.... Rotei....
VaUntino....
Cosi mnojono gli artisti veri I II povero Olinto vivrà però lungamente a:
memoria d^i amici fedeli, e nel compianto del pubblico italiano.
Paolo Ferrari dettò, in nome della vedova, la seguente
iscrizione che trovasi nel monumentino erettogli in Firenze a
San Miniato al Monte:
a nella
OLINTO MARIOTTI FIORENTINO
COLTIVÒ LE LETTERE SCRISSE PEL TEATRO
FU ARTISTA DRAMMATICO
AFPLAUDITISSIHO
ALLE DIFFICOLTÀ DELLA VITA
OPPOSE ANIMO SALDO
VOLONTÀ PERTINACISSIMA
AVEVA VINTO
COMINCIAVA A GUSTARE LS GIOIE
DELL'ARTE DEGLI AMORI DRLLA FAMIGLIA
QUANDO
TRENTENNE APPENA
IL d1 XXVII SETTEMBRE MDCCCLXXIX
MORÌ
IO LAURA TESSERO VEDOVA DI LUI
GLI POSI QUESTO RICORDO
DEL MIO AMORE DEL MIO DOLORE
IL NOVEMBRE MDCCCLXXX
92 MARLIANI
Marliani Giuseppe, piacentino. Trascrivo da Francesco
Bartoli :
Fece egli in sua gioventù il Ballerino da corda in una Compagnia
di saltatori diretta da Gaspare Raffi Romano, di cui sposò la Maddalena
di lui sorella; e vedesi ancora andare attorno una stampa in Rame con
espressevi tutte le forze, ch'egli faceva, e con sotto questa iscrizione:
Giuseppe Marliani ballerino da corda.
Fu il Marliani istruito nell'arte comica da Alessandro d'Afflisio
Innamorato di merito; e però in Venezia ballava di giorno co' suoi com-
pagni e colla moglie, in un casotto nella Piazza di San Marco, e la sera
recitava con gli stessi nel Teatro di San Moisè, esercitandosi nella ma-
schera di Brighella.
Questi i principii di questo artista, che, passato poi nella
Compagnia di Girolamo Medebach, col quale stette più anni,
potè, al Sant'Angelo e al San Gio. Grisostomo mostrare più
largamente i veri pregi ond'era ornato. Il Bartoli cita una
commedia, particolare fatica di lui, nella quale sosteneva parec-
chi personaggi, parlava più dialetti, e faceva mille giuochi ca-
pricciosi. Né solo air improvviso fu attore pregiato, ma anche
nelle cose studiate, in cui, deposta la maschera del Brighella,
si mutava egregiamente in tiranno, come né[V Attila e néiVEz-
zelino dell'abate Chiari. Passò vecchio, con la moglie, da quella
del Medebach nella Compagnia della Battaglia, nella quale vi-
veva ancora al 1781.
Sappiamo dal Bartoli essere stato un uomo de' più ca-
pricciosi; giuocatore arrabbiato del Lotto, dilettante alchimi-
sta, era riuscito a comporre un metallo somigliante all'argento,
di ben poco valore ; ma, soprattutto, uomo probo, e come tale
amato, e stimato da tutta l'arte. (V. Medebach Teodora).
Marliani-Raffi Maddalena. Veneziana, moglie del prece-
dente, e attrice egregia nelle parti di serva, fu sempre col ma-
rito sotto il nome di Corallina, eccettuato un triennio, in cui
se ne staccò, per inconsideratezza, còme dice il Goldoni. Nelle
VARLIAXI « VARTEILI <;i
Oj6e rnrrcTvise non aveva cii le s:e:55>e arr^^ttc^: e nt\> rr>e^
rzeiriare ni tile 3 valor suo. eie 3 GoL^v^ni e il Ch:an sonsser
rei ccere a r-?sta per lei: cuegrìì Z-i j<"»t^^ «j:*s?,^» ax^j. Z^ .:>vif,i
^z rjrié,\ La Z^K^MiutnE: cuesti Li r€^.:Vs:j j'^^^^\*sj^ /" ,<% r/
m€SJ<j è<fz£^ Zjm pirr^iza^ EH leu a propcvsito deUa ^^t.j a.^^.v-v^,
Carlo Gclioni scrive yMcm^^ II, i lo^:
da ocrdft al pori di Isi, cn «sa s^rxBe tmk-xòxu mohv> NrlU <^ aiMiKk^» pk^iMi
<5 ssàrJrT> e S ti irti, e Bcstrav^ felìd dìsposùicaì per U €v>mat<vtùi: <^U a>t^ra ahhaft^
4ÌcB^o sao Barilo per gioraaDe ìacoBsìsieratexnL, e renite a mmìrsì con luì dv^{v^ tnr aatiù
prrm>mr\o V ùapàtgo dì serra aeOa Cocipagma di Medebadi sotto i) niMiM' di c>r;««^.i^M«
Era gcBXiìe, rapprescntaTii le parti di serm, e quìadi noa mancai dMnttre$«araù
per là. Presi cara della sua persona, e composi ma commedia per la $ua prin^a j^ivrk'iua^
Vai^ama Medebach mi somministrava idee interessanti, commoventi, e d*un cwrxìv»
sfpfirr ed xnaooeate; e madama MarUami^ tìtil, piena dì spìrito, e naturalmente accorta,
daTa mi nsoro stimolo alla mia immaginativa, e incorag^vami a U>x>rare in quel ^nere
di commedie che richiedono ardfixio e finezza.
Cominciai dalla S^r^a amorosa « « . «
Questa commedia ebbe un incontro completo. C^ra/lxma fu estremaniente applau^
dita, ma dircone tosto una ridale formidabile per madama Medebach.
E nella prefazione alla Scrzui oìNorosa (Edizione Pasquali,
voi. Ili, pag. 76):
Non nego che molto non abbia contribuito ali* ottima riuscita di tal comme^lia il
merito personale di quell'eccellente attrice, che sostenne mirabilmente il person«g){io di
Corallima: ma appunto conoscendo io dove potea fare maggior risalto la di lei abiliti^, ho
procurato vestirU d'una prontezza di spirito, che a lei suol essere famigliare, e mi è riuscito
l'effetto, a misura dell'intenzione.
Recatasi col marito nella Compagnia Battaglia, rimase
tuttavia, benché in là con gli anni, quella celebre Corallina che
fu nella sua fresca giovinezza, e le lodi - dice il Bartoli - che a
lei si danno in alcuni moderni romanzi sono depne di lei ; ma me-
£lio sarebbero state in una storia vera, di quello che figurano in
mezzo alle favole. Patente allusione all'opere del Piazza, che ha
parole di vivissimo encomio per T incomparabile artista. (Vedi
Medebach Teodora).
Martelli Antonio. Bolognese. Di sarto ch'egli era, si mutò
in Brighella, esordendo nella Compagnia di Antonio Marche-
94 MARTELLI
sini ; e tanto progredì nell' arte, che, venuto a mancar l'Ange-
leri (V.) al S. Luca di Venezia, egli vi fu chiamato a sostituirlo,
l'autunno del 1754. Né solamente apparve buon Brighella, ma
buon caratterista in genere ; e Carlo Goldoni scrisse per lui il
Todaro Brontolon, il Fabrizio A'^^ Innamorati, il Don PoHcarpto
della Sposa sagace, il Don Mauro déiV Amante di se stesso, ed
altro ; commedie tutte, nelle quali, a detta del BartoH, mostrò
tanto valore da diventare il Beniamino di Venezia, dove stette
lunghi anni, prima al San Luca, poi al Sant'Angelo, sotto la
direzione di Giuseppe Lapy, del quale, sempre a detta del
BartoH, fu più che amico, fratello.
Ho messo, a detta del BartoH, poiché a detta invece di
Antonio Piazza, l'autor del Teatro, il valore artistico del
Martelli e l'amor suo pel Lapy furon di assai bassa lega.
Ecco in fatti ciò ch'egli ne dice alla pagina 18 del secondo
volume :
Il Brighella di quella Compagnia era un bolognese nasuto che faceva il sartore di
professione, e cangiata l' aveva in quella di commediante. D suo pregio maggiore è un gran
tuono di voce da spaventare un'armata, tuono che mai non si cangia, e che stordisce
l' udienza. Egli si crede il più bravo di tutti i comici dell' Universo, per i caratteri. In
che consiste la sua bravura ? Nel fare da vecchio in una scena, e in un' altra da giovine,
senza mutar personaggio; anzi, spesse volte, queste mutazioni succedono in una scena
medesima; perocché la comincia tremante, e piegato col capo a terra, e la finisce ritto,
ritto sulla persona. Oh che bravo caratterista! Bisogna poi goderselo nelle tragedie. Se
pare, l' Impresario, vestito all' eroica il Re di Coppe, costui pare una figura de' Tarrocchi,
e quando sono fuori tutti e due, non si può dare di meglio. Uno, che nel Foro Romano
parla da Dottore, l'altro che urla, senza poter mai piegare quella voce da bufalo, formano
una coppia galante da far ridere anche quando si ammazzano. Li gondolieri del mio paese
hanno sempre sostenuto colle loro mani callose, che quel Brighella è un grande uomo.
Con coloro, chi grida più ha più merito, e dove trovare tra i comici una voce da stali
e premi più sonora di quella? Qualora detto venivagli, che qualche altro recitava bene
delle sue parti ; come, diceva, se il Goldoni le ha scritte per me I Io sono stato il primo
a (arie ; non può darsi, non è vero : o saranno mie copie, o reciteranno male. Ah ! Che
forza di argomentare! che testa da foro! Era gran amico dell'Impresario, ma ancor più
di sua moglie, donna giovine e non brutta. Le scene di gelosia, che tratto tratto nasce-
vano tra di loro, erano delle più bizzarre eh' uscir possano da una poetica fantasia. Dottore
faceva la barba a Brighella, e questo cuciva la roba dell' altro ; cosi aveva il comodo di
star sempre vicino alla sua Bella. Che bel vedere in Casa uniti que' due celebri Perso-
naggi 1 L' Impresario al tavolino in veste da camera, in berretta bianca, cogli occhiali sul
naso, a rovinar Commedie, pareva un moribondo che scrivesse il suo testamento; e bri-
ghetta, coli' ago in mano, il suo sartore che gli facesse l'abito da morto. E poi la sera,
sul palco a fare da Imperatori, da Re!!...
MARTELLI - MARTINELLI <K
Forse, alcun po' delle lodi togliendo all'uno, e alcun
po' de' biasimi all'altro, avremo nel Martelli un bravo artista
per le parti comiche, non essendosi egli mai spacciato, e in
ciò conviene anche il Battoli, per attore tragico.
Era al Sant'Angelo di Venezia il 1795-06, ^r^M/a e ca-
raiterisia della Compagnia Pellandi, e tu primo a recitarxn la
parte del vecchio di centoquattr' anni nella Madre di famiglia
del Sografi. Il 24 gennaio 1797 vi recitò al Sant'Angelo Gu-
glielmo e Carolina, dramma tradotto dall' Albergati ; e \-i fu
< illuminazione a giorno, j)erchè recitò il signor Martelli, ricu-
peratosi da ima grave malattia. > {Teatro a/^/*.^ voL 8, pag. lo^.
Martelli Francesco. Figlio del precedente, iniziato al teatro
da suo padre e dal capocomico Lapy, con l'esempio di Maja-
nino e del Pettinaro (Grandi Tommaso), ch'erano in compa-
gnia, recitava le parti à^ innamorato. 11 Bartoli lo incita a un
più serio studio, e a un maggiore riserbo col bel sesso, po-
tendo, j)er tal modo, < giungere — egli dice - ad acquistarsi in
tutto quella pregevole fama, che ancora sull'ali librata si va
pigramente arrestando, sino che un più lodevole stimolo di
questo attore le faccia incessantemente più alto spiegar il
volo. >
Martinelli Tristano. Figlio di Francesco e Lucìa, manto-
vano, fu, se non il più antico, il più grande certo degli antichi
arlecchini, fiorito tra gli ultimi venti anni del '500 e i primi
trenta del '600. Le prime notizie che abbiamo di lui son del
fratello Drusiano dalla Spagna, ov' erano entrambi, l'uno at-
tore, l'altro direttore, nel 1588. Lo troviamo poi nella Compa-
gnia di Pcdr olino, Giovanni Pelesini, dalla quale, com'egli
scrive a un famigliare del Duca da Cremona, il 4 dicembre '95,
si partì per mali trattamenti e più per insofferenza dì giogo,
passando in quella A€ Desiosi o della Diana, in cui lo troviamo
ancora Tanno successivo a Mantova e a Bologna, il '97 a Pia-
cenza, onde scrive gajamente a Ferdinando de' Medici, chia-
96 MARTINELLI
mandolo neir intestatura misericordioso tutore, e nella sopra-
scritta < suo come fratello minore Messer Ferdinando Medici,
ma non de quei che toccano il polso >, e il '99 a Verona, anno
appunto, in cui, con decreto del 29 aprile, fu fatto dal Duca
Vincenzo soprastante ai Comici mercenarj, ciarlatani, ecc., di
Mantova e distretto; carica che gli suscitò contro l'invidia
de' malevoli, com' egli ebbe a dolersi col Duca in una lettera
del 7 di agosto, riferita intera dal D'Ancona.
Enrico IV, entrato il maggio 1599 in trattative di matri-
monio colla principessa di Toscana, Maria de' Medici, e dive-
nuto ufficialmente suo promesso sposo nell'inverno del '600,
avendo stabilito di andarla ad incontrare a Marsiglia o a Lione,
pensò per la fine del '99 di accaparrarsi in Francia la Compa-
gnia del Duca di Mantova, di cui era ornamento principale il
Martinelli. A questo infatti, col mezzo del signor di Rohan suo
cugino, allora in Firenze, fece, il 21 dicembre '99 da Parigi,
r invito formale di recarsi nel suo regno, promettendogli ogni
buon trattamento: e l'invito fu accettato per la Pasqua ve-
gnente, e il Duca Vincenzo I il 19 aprile raccomandava con
ogni calore al Duca d'Aiguillon e al Duca di Nevers i suoi
bonissiìni recitanti, I quali non si recaron subito in Francia,
trattenuti a Torino dal Principe di Savoja, che di essi molto si
dilettava; ma Drusiano Martinelli, fratello dell'Arlecchino, e
marito dell'Angelica (V. Alberghini), che da tre settimane si
trovava già in Lione, ebbe ordine da Enrico di tornare a To-
rino a prendervi la Compagnia; che si recò subito in fatti a
Lione, come appare dal dispaccio dell'ambasciador di Venezia
dell! 8 di agosto, che ci fa sapere come andasse il Re quasi
ogni giorno alle commedie degl' italiani. Ma venuti Enrico e il
Principe di Savoja alle armi pe '1 Marchesato di Saluzzo, i co-
mici italiani furon messi in disparte sino alla vittoria del Re
francese, il quale, dopo la presa di Montmélian, si recò trion-
fante a incontrar la sposa in Lione, ove, il 17 dicembre, fu
celebrato il real matrimonio, e ove si trattennero un mese e
mezzo circa. A questo tempo il Martinelli, che, avido com' era,
MARTINELLI
non lasciava nulla d'intentato pel mantenimento sollecito d'ogni
promessa che gli veniva fatta, pubblicò un libro per ottenere
dal Re e dalla Regina la promessa collana con medaglia d'oro,
del quale il Baschet, alla cui opera magistrale più volte citata
vo queste notizie attingendo, ha fatto un largo cenno, ma il
quale per la sua curiosità e rarità, riporto qui per intero.
COMPOSITTONS
^fflXQXS:-
Itiriittiiri dffr^tT ISoflilllx.
Esso trovasi nella Biblioteca Nazionale di Parigi, e ha l'in-
dicazione: Yz — ^22 — di Riserva. È composto di 70 pagine
in 40, inquadrate da un doppio filetto bruno, e pressoché tutte
bianche, con in testa le parole COMP. DE RHETOR. a dritta;
e LIVRE I o II o III a sinistra.
MARTINELLI
Dietro al frontespizio (V. pag. preced.), ridotto della metà ,
è una pagina bianca, poi, pagine 3 e 4, la seguente lettera di
dedica :
AL MAGNANIMO
Moniienr, Monsieur HENRY de BOURBON, premier bnrgeois de Psris, chef de
tati le« MesEieun de LyoD, Coate de Mommeillao, Chastellan da fort de Santa Catertni,
GoDTernetir de la Breua, Pretentor del Msrqaiiat de Salnces, Armiral de la mer de Mar-
aeille, maistre de la moitié du poat d'Anignon, & bon amii da maiitre de l'aatra moitit,
Conteiller Sonnerara aa Conseil de guerra contre tea PlainontoU, GratieiinMinio coorrear
de bagae, Cappitaine general de France et de Nauarre, Despensier liberal de canonadei,
Terrear de Sanoyard, Spanente de Spagnols, Colonel dei soldati, qui Bont en Sanoye,
Secrelaire Secret du plus (ecret Cabinet ite Madama MARIA DI MEDICI, Reina dn
Loasre, Grand ThreMrìer dei Conicdieni Italieas. & Prince plus qoe tont aatre digne
d'estre engraoè en Medaille tant de inoy desirée & plus ultra,
SALUT,
ET
A MAdama
Madama sa femme antanl.
MARTINELLI
99
Pagina 5 :
Ha %EINE, Colana
Quantumque donni moy,
Autrement m'en iray cert
XOY Medaglia
per la morbin
in Itaglia.
Qui è il ritratto d'Arlecchino in ginocchio della pagina 25.
ET HARLEQVIN DONNERA A V. M.
Un meT^o (C) Niente,
Con un (O) Niente entierr.
Accompagnato con un (RE).
La pagina 6 ha il ritratto che trovasi a pagina precedente,
leggermente ridotto.
Pagina 7 :
LIVRE PREMIER
DE RHETORIQVE
Quantumque la chaine & la Medaglia
Pour la monstrer à ces Messieurs d' Itaglia,
Seguon pagine bianche dalla 8 alla 24.
TTTK
cnsD
DE RHETORIQVE
Riproduco la pagina 25, ridotta della metà.
MARTINELLI
Seguon pagine bianche dalla 26 alla 47.
Riproduco la pagina 48, ridotta della metà.
Alla pagina 49 è l'indicazione del terzo libro, ma senza
testo, sormontata da un fregio.
Alla pagina 50 è il ritratto di Pantalone, riprodotto al
nome di Pasquati.
Alla pagina 5 1 è il ritratto di Capitano, riprodotto al nome
di Garavini, preceduto dal distico:
Vamtno à Paris à Je' da CauagUer
qne gannaremo agita bien da corner.
e colla leggenda :
LEV ANTA QVE NO'MATO HOMBRE ENTIERA.
Seguon pagine bianche dalla 52 alla 56.
Pagina 57:
SONGE
le me suis itiiomniuto ce malin,
Qtt'att fachiii d'Ìniporlau:za
mi lìroit par la panica,
I
f
A'H
:' V
[
7
\
ìl^
Se^^"
TH^CK^
MARTINELLI loi
et mi disoity Monsitur Arlequin,
Habehis medagliam & colanam,
le respondis en donnant,
si non me burlai opinio:
Piaccia a Iddio
di farci vedere il maturo parto
di queste pregne speranT^e.
Per la mia foy en songeant au guadagno
io parlo Toscolagno.
Pagina 58:
SONET IN
ottaua rima.
Vient, void & vince, el grand Cesar Roman,
Così ha faict HENRY Roy de BOVRBON,
Qu'a prins la Bressa, le Fort, & Mommeillan
Plus facilment, que manger maccaron.
A Moy, qui suis Arlequin Sauojan
Me semble bien qu' HENRY a grand reson
De far'que Carlo li tienna parole
De luy rendre Salux et Carmagnole.
Que venga la verole
A son conseil, qui Ta mal conseillé,
Qu'est causa qu' Arlequin est ruiné.
Ah sacra Majesté,
Fais moy doner tout astheure pour streina
La medaglia, attachee à una grossa chaina.
Poi tutto bianco fino alla fine.
Gli Accesi erano ancora l'ottobre del 1 601 a Parigi, d'onde,
nonostante le richieste della Contessa Maria di Boussu per
averli nelle Fiandre e in Brabante, pare tornassero in Italia nel
prossimo autunno.
Il IO novembre 1606 da Fontainebleau Enrico scriveva
gajamente a suo cugino Ferdinando Gonzaga, cardinale un
anno dopo, nonostante i suoi vent' anni, perchè la Duchessa di
Mantova tenesse la promessa fatta alla cognata di Francia d'in-
ioa MARTINELLI
viarie novamente i comici italiani; i quali però non andaron
altrimenti, allegando la malattia d'Arlecchino, e le difficoltà
delle attrici per avventurarsi a un tal viaggio d' inverno. Se-
guiron nuovi inviti a più riprese del Re e della Regina al Duca
e alla Duchessa e ad Arlecchino medesimo, il quale tuttavia
persistè nel rifiuto. Morto Enrico (30 maggio 16 io), si adoperò
vivamente un anno dopo la Regina Reggente per avere alla
Corte il Martinelli, di cui fé' tenere in suo nome a battesimo
un figliuolo, l'ottobre del 161 1, come annunzia il Martinelli
stesso al Vinta in una lettera datata da Bologna il 4 gennaio 16 1 2;
e corser trattative fra loro e il Cardinal Gonzaga, per lo spazio
di due anni, a cagione delle difficoltà che nascevano ad ogni
istante, generate per invidia di mestiere ora da Lelio, Giovan
Battista Andreini (V.), che sopr'a tutto, voleva avere egli l'in-
carico di formare e condurre la compagnia, ora da Florinda,
Virginia Andreini (V.), che s' era scatenata contro la Flavia,
Margherita Luciani, moglie del Capitano Rinoceronte (V. Ga-
ravini), la quale col marito aveva risolto di voler non più sa-
perne di viaggi all'estero. Ma finalmente, dopo un carteggio
ben nudrito da ambe le parti, la Compagnia si mise in viaggio
in piena estate del 161 3 per alla volta di Parigi, fermandosi a
dar qualche rappresentazione dal 26 agosto a Lione, e arri-
vando ai primi di settembre a Parigi, ove recitarono il io al
Louvre: di questa e di altre rappresentazioni riferisce il Ba-
schet le parole di Malherbe, che non son le più tenere pei
componenti la Compagnia in genere e per Messer Arlecchino
in ispecie. Passaron poi da Parigi a Fontainebleau, e di qui
novamente a Parigi, ove esordiron in pubblico all'Hotel de
Bourgogne il 24 novembre. Recitarono a Parigi fino alla fine
di luglio del 16 14, ora all'Hotel de Bourgogne per diverti-
mento del pubblico, ora al Louvre per quello della Corte; e a
mostrar la famigliarità che Arlecchino s' era in essa acquistata,
attesta il Malherbe che il 27 gennaio il Re e la Regina Reg-
gente in persona tennero nuovamente un suo figliuolo a bat-
tesimo.
MARTINELLI 103
La Compagnia allora era composta di: Tristano Marti-
nelli, Arlecchino ; Federigo Ricci, Pantalone; Ricci, suo figlio,
Leandro; Giovanni Pellesini, Pedro/ino, che aveva allora ottan-
tasette anni; Baldo e Lidia Rotari; Gio. Battista e Virginia
Andreini, Lelio e Florinda; Girolamo Garavini, Rinoceronte ;
Nicotina; Bartolomeo Bongiovanni, Graziano.
Il Baschet non ci dice altro che dal '14 al '20 non vi fu
più Compagnia di comici italiani in Francia; ma non mancaron
per lo meno i soliti negoziati, come appare dalla lettera inte-
ressantissima del ' 1 5 di Arlecchino alla Comare Cristianissima,
che riproduco fedelmente (Raccolta Rasi), proveniente dalla
casa Charavay di Parigi.
Contro il Tesoriere dalla mezza collana, al quale accenna,
s' era già scagliato Arlecchino in un poscritto di altra lettera
con data di Mantova, 3 dicembre 161 1, in cui lo chiama cane
cornuto, e gli prepara un purgante per renderlo uomo dabbene.
La terza comparsa di Arlecchino in Francia fu dunque alla fine
del '20. Questa volta la Compagnia aveva in meno il Pellesini,
la Niccolina, Baldo Rotari, Bongiovanni, e perde in viaggio a
Chambery il giovane Ricci, Leaìidro. Aveva in più : Giovanni
Rivani, Lorenzo Nettuni, Fichetto, e Urania Liberati, serva,
sotto nome di Bernetta, Assente il Re, pare non recitasse che
al suo ritorno, il 12 gennaio 1621, all'Hotel de Bourbon; poi,
dal 6 al 28 aprile, a Fontainebleau. In una lettera della Regina
Anna al Duca di Mantova del 6 marzo, sono lodi particolari
del Martinelli, e in altra di Maria, la Regina Madre, raccoman-
dandolo per la prioria di San Ruffino, a favore di un ecclesia-
stico suo parente. Quando il Re annunciò la sua partenza nel
mezzogiorno della Francia per andarvi a raggiungere la sua
armata, confermò i comici a Parigi, per trovarveli al suo ri-
torno; ma Arlecchino, allegando in iscusa l'età avanzata e il
bisogno di riposo, domandò umilmente congedo, il quale poi,
non essendogli stato accordato, si prese da sé dopo una serie
non breve di accuse e di difese di tutta la Compagnia, dinanzi
a cui Messer Arlecchino non era più il conduttore, ma il ti-
I04 MARTINELLI
ranno. Egli fuggì alla fine di giugno, e si restituì a Mantova,
a godervi la pace sospirata nella sua casetta di via dell'Aquila;
pace, che non fu, pare, di molta durata; giacché vediamo il
Martinelli qo' Fedeli a Venezia il carnovale del '23; e il luglio
del '26 accennava ancora al desiderio di comparir novamente
in Francia.
Morì nel '30 a settantacinque anni circa, e nella soprin-
tendenza de' comici, escludendosi questa volta i virtuosi del
Monferrato, furono confermati i figliuoli con decreto del 1 3 set-
tembre 1639.
Martinelli Drusiano. Fratello del precedente. Arlecchino
anch' egli, era nel 1572 capocomico in Inghilterra, secondo il
Collier, citato da Adolfo Bartoli {pp, ciL^ CXXIX), e in Ispagna
r '88 col fratello Tristano, come abbiam da una sua lettera alla
madre del 1 8 agosto, di cui lo stesso Bartoli {ivi, CXXX) rife-
risce le parole: staremo tutto guest' anno qui in Spagna. Abbiam
veduto nell'articolo precedente, com'egli nel '600 fosse, se
non il direttore della Compagnia che andò a Parigi, per lo
meno il conduttore o amministratore.... Nessun documento ci
parla del valor suo artistico ; e forse egli era più bravo armeg-
gione che buono attore, se, più tosto che Drusiano Martinelli,
spesse volte veniva altrui designato fratello di Arlecchino, o
marito di Madama Angelica, com' egli medesimo si sottoscrive
in una lettera al Duca di Mantova, del 17 settembre 1580, da
Firenze. (V. Alberghini).
Ma se notizie non ci son pervenute di lui come attore,
a bastanza ne abbiamo come uomo e come marito, in due let-
tere sue da Milano del 27 ottobre '91 e da Caravaggio del
9 novembre al capitano Alessandro Catrani, che il D'Ancona
riferisce per intero {pp, cit.^ II, 504), e in cui son descritti i
garbugli e le minaccie di morte per conto di una Malgarita
comica, che si potrebbe credere, come già dissi, la Luciani,
moglie del Capitano Rinoceronte (V. Garavini), e che il D'An-
cona propenderebbe invece a ritener quella Margherita Pa-
MARTINELLI
105
voli (V.), che il Duca raccomandava il '92 ai Comici Uniti. Da
essa lettera, naturalmente, risulta evidente la onestà così di
Angelica, proclamata dal compagno d'arte Leandro, come di
lui homo datene el che sempre fece onore alla sua patria, e la diso-
nestà di Margherita, amante di Gasparo Imperiale, che, avuto
il mandato di sfregiar nel volto l'Angelica, mentr'era in palco
a recitare, lo aveva passato a un tal Piazza, che poi confessò
tutto, non volendosi immischiare in sì losca faccenda. Da altre
lettere pubblicate dallo stesso D'Ancona, Io sappiamo a Fi-
renze il 1° giugno del '92, e a Mantova il 20 luglio, dove pare
armeggiasse presso il Duca, suo nuovo padrone, per certi suoi
segreti. Poi troviamo ancora (ivi, 523) una lettera dell'i i mar-
zo '98, in cui designa due individui imbauttati, che pare lo
posteggiassero innanzi alla porta di casa. Dopo di averne av-
vertito infruttuosamente il luogotenente del bargello, e lo
Schermidore Giulio Tornelli, ne scriveva per ajuto al Consi-
gliere Chesipio. I due imbauttati, a detta del MartineUi, erano
certo Ottavio Caura, e un guantaro, soldati entrambi di corte.
Ma la lettera più curiosa, e che ci mette al nudo Drusiano e
Angelica nella lor intimità conjugale, è quella che il Capitano
Catrani scriveva di Mantova il 29 aprile '98 al Consigliere
Cheppio, riferita anch'essa per intero dal D'Ancona (j-vi, 523),
nella quale spicca in mezzo alle accuse di uomo falso, calun-
niatore, senza onore, infame, questo brano edificante :
Mentre Drasiano è stato ultimamente in questa città che son da cinque mesi in
circa, à visso sempre de mio con il vivere eh' io mandavo a sua moglie, et egli atendeva
a godere e star alegramente sapendo bene de dove veniva la robba, et comportava che
sua moglie stesse da me et venisse alla mia abitàtione, et non atendeva ad altro che a
dormire, magnare, et lasciava correre il mondo: come di questo ne (arò far fede avanti
S. A. da più testimonie degni di fede. Ma perchè circa otto giorni sono io li ho fatto
intendere per la massaia che si trovi da vivere, che non voglio ch'egli viva de mio,
mena rovina et parla di ricorso al Alt.^ Sua, et di più per haverli fatto sapere che quella
casa è mia, poi che io ne pago il fìtto (come mostrarò) et che se ne proveda d' una,
tratta alla peggio sua moglie, con farli quella mala compagnia che S. A. potrà sapere; et
di più per haver saputo che '1 mobile che è nella suddetta casa, è maggior parte mio et
che io lo vorrò quando mi tornerà comodo. Questi son li capi che lo han fatto mettere
in fuga a parlar di ricorso a S. A. et non zelo di honore come à detto, poiché mentre
io ò speso per mantenerlo, esso à consentito a qualunque cosa che io ho, come infame
che egli è.
14. — / Comics italiani, VoL IL
I06 MARTINELLI - MARTORINI
Da lungo tempo durava la tresca fra il Catrani e TAn-
gelica, se v'era di mezzo un figliuolo di sei anni, tenuto sem-
pre dal Catrani che T amava, e or per vendetta disputatogli
al Duca dal Martinelli, il quale non cessò mai di vituperar
la moglie, scacciandola di casa, e obbligando così il Catrani
stesso a provvederla di un letto e lasciarli tanto da alimen-
tare il figliuolo, se non volea che andasse mendicando, ov-
vero aprisse bottega pubblica. E di queste accuse e dello sparlar
contro il Duca stesso, e dell'avere il fratello Arlecchino stra-
pazzato in Firenze e in Parma il servo di S. A. chiama il
Catrani a testimonio Carletto che sosteneva in commedia le
parti di Franccschina, Pedrolino e Cardone. E anche Tristano
era siffattamente intricato nelle faccende del fratello, che da
lui stesso sappiamo in una lettera del 2 maggio '98 al Duca,
come entrambi fosser perseguitati e minacciati di morte; onde
chiedeva protezione al Duca, non volendo ricercar né ven-
detta, né giustizia, ma desiderando solo di viver da cristiani
e giustamente.
Martorini Baldassarre. Citato dal Bartoli come ottimo
commediante e per le commedie improvvise e per quelle stu-
diate. Fu con Antonio Marchesini; poi, a Malta, con Maria
Grandi; poi a Napoli (nel 1774 era al San Carlino, con Teresa
Martorini, probabilmente la moglie, e firmava, insieme a' suoi
compagni, con a capo Don Tomaso Tomeo, una supplica al
Re per ottenere che fosse attenuata la gran concorrenza che
avevan ne' teatri Nuovo e Fiorentini) (V. Di Giacomo, op. cit.) e
a Roma, serbandosi anche in età avanzata comico eccellente.
Viveva ancora al tempo del Bartoli (1782), il quale ci fa sapere
com'egli a Malta scrivesse un Prologo in versi martelliani,
< dove finse che i comici agitati da una burrasca si trovassero
vicini a naufragare; e che poi assistiti da Netunno (il quale
lasciavali con questi due versi:
restate dunque amici al puro aer sereno,
che a riposar men torno ad anfitrite in seno),
MARTORINI - MARZOCCHI 107
potessero felicemente in queir Isola approdare, e far servitù a
quella Nazione, come di fatto poi fecero. >
Martorìni Elisabetta. Figlia del precedente, e allevata,
fanciulla, dal Pantalone Giovanni Vinacesi, di cui il Bartoli non
ci dà notizie, esordì nella Compagnia di Vincenzo Bazzigotti,
facendosi notar subito per chiare attitudini alla scena; e tanto
con la volontà e l'ingegno vi progredì, che fu il 1775 al S. Cas-
siano di Venezia prima donna assoluta di Gerolamo Medebach.
Entrò il 1780 con Antonio Sacco al Teatro S. Luca, ove tro-
vavasi ancora il 1782. Fr. Bartoli, contemporaneo, ha per lei
parole di alto encomio e come attrice e come donna. < È la
Martorini molto commendabile - egli dice -nelle parti tenere
ed amorose, mostrando coli' espressione della voce gl'interni
affetti dell'anima; distinguendosi in singoiar modo con atten-
zione indefessa anche nelle più minute cose, senza ommetterne
alcuna, e tutto volendo che giovi, e contribuisca alla perfezione
di ciò che ella rappresenta. > E più giù : < nel nubile suo stato,
al fianco d' una vecchia tutrice, esposta agli occhi del mondo,
fornita di bellezza e di grazia, ella ha saputo schermirsi dal-
l' insidie del secolo. >
Marzocchi Giovanni. Comico assai pregiato nella ma-
schera del Dottore che sostenne al Teatro S. Luca di Venezia
al servizio dei nobili Vendramini. Fu in Germania e in Italia
festeggiatissimo sempre, anche in parti a viso scoperto, e morì
in Udine del 1772.
Marzocchi Caterina. Bolognese, moglie del precedente,
fu espertissima prima donna in ogni genere di rappresenta-
zioni. Recitò sempre a fianco di suo marito, e morì a Verona
del 1768.
Marzocchi Gaspare, bolognese, figlio dei precedenti, fu
egregio artista per qualsivoglia genere di parti. Dopo di avere
io8 MARZOCCHI - MASCHERPA
recitato in alcune compagnie di giro, si fermò al S. Gio. Cri-
sostomo di Venezia con Girolamo Medebach, passando poi con
Maddalena Battaglia. Si dedicò più specialmente alla maschera
del Brighella, che sostenne assai degnamente, e in cui fu so-
stituito dal Marliani, serbandosi egli attore generico de' più
provetti. Il 1795-96 era al S. Gio. Grisostomo con la Battaglia,
e vi recitava i caratteri sotto nome di Anselmo.
Mascherpa Romualdo. Celebre capocomico, figlio di
Abramo, piccolo possidente, nacque in Casal Pusterlengo verso
il 1785, ed ebbe una mediocre educazione, nonostante gli anni
trascorsi al seminario di Lodi, ove fu testimonio di sul campa-
nile della chiesa della battaglia data sul ponte della città agli
austriaci dal generalissimo Bonaparte. Venuta nel suo paesello
una piccola compagnia di comici, egli, da essi istigato, si diede
al teatro, passando di peripezia in peripezia, ma acquistandosi
pur sempre una crescente fama di buon attore. Le interpreta-
zioni di^VC Abate de V Epée, di Misantropia e pentimento, del Cava-
liere di spirito, del Cavaliere di buon gusto, delle due Pamele, e
di altri lavori comici, drammatici, o tragici, lo collocarono fra
i migliori del suo tempo. Sposò in quel torno Maria vedova
Buccinieri, già servetta di buon nome, e formò la quaresima
del 1818 una buona società col primo attore Luigi Velli, di cui
facevan parte comici egregi, quali: il Vismara, il Dones, lo
Zuanetti, il Baraldo, la celebre Polvaro, ecc.
Lo vediamo in quest'anno citato nella sentenza del tribu-
nale statario di Modena, dove si afferma che Carlo Zucchi im-
putato « assistette alla recezione.... dei comici Velli e Vismara
nella setta massonica, non che al conferimento del grado di
maestro all'altro comico Mascherpa, sottoscrivendone le rela-
tive patenti. > (V. Doc, rig, il Governo degli Austro-Estensi pub-
blicati per ordine del dott. Farini, voi. I, parte I, pag. 35. —
Comunicazione F. Martini).
Notizie comunicate alla L R. Polizia di Milano fanno cre-
dere che egli abbia introdotto, o restaurata in Modena la mas-
MASCHERPA 109
soneria come incaricato dai comitati superiori di quella setta.
Fece molti proseliti.
Da un quadro storico sulle Sette, tratto dalla Inquisizione
istituita negli Stati Estensi, risulta che Romualdo Mascherpa
fu aggregato alla massoneria nel 1818, per opera dell' ex-offi-
ciale Carlo Zucchi e del capitano Sirelli. Tale notizia venne
confermata dallo stesso Mascherpa in uno scritto da lui pre-
sentato alla I. R. Polizia di Venezia.
Il 1824 si fece capocomico solo, e potè aver l'onore,
mercè la sua probità e la buona accolta degli artisti, di mettere
la sua Compagnia al servizio di Maria Luigia Duchessa di Parma,
con uno stipendio annuo per quelle stagioni che doveva passar
nella capitale. Dal '25 al '49, anno della sua morte, avvenuta
in Torino, ebbe scritturate le seguenti prime attrici, le migliori
del tempo: Maddalena Pelzet 1825-27 - Isabella Belloni Co-
lomberti 1828 - Maddalena Pelzet 1829-30 - Erminia Ghe-
rardi 1831-34- Amalia Bettini 1835-36 -Laura Della Seta 1837
- Carolina Santoni 1838-39 - Antonietta Robotti 1840-41 -
Adelaide Ristori (due compagnie fatte a posta per lei) 1842-46
— Carolina Santoni 1847-49; ^ ì seguenti primi attori: Luigi
Carraresi 1825-26 - Luigi Domeniconi 1827-31 -Antonio Co-
lomberti 1832-36 - Giacomo Landozzi 1837-39 "" Antonio Co-
lomberti 1840-42 — Giacomo Landozzi 1843-49 - Luigi Gatti-
nelli, caratterista, fu con lui dal 1826 al '44, anno della sua
morte improvvisa. Il Guagni che lo sostituì stette in Compagnia
fino alla morte del Mascherpa. Sei anni fu con lui il brillante
Costantino Venturoli, e dieci anni Cesare Dondini. L'Adelaide
Fabbri, che sostituì nel ^2>^ 1^ madre nobile e caratteristica
Isabella Buggi Brangi, restò in Compagnia finché visse. Il Ma-
scherpa insomma serbò uniti il maggior tempo che potè i suoi
scritturati, convinto che principal forza di una Compagnia fosse
nell'affiatamento. Sappiamo ch'egli fu capocomico de' più
onesti e miti, e di pochissime parole. Non si occupò mai di
direzione, ch'egli affidava a uno de' suoi artisti; e v'eran mesi
in cui non compariva sul palcoscenico, se non per recitarvi.
Ito
MASCHERPA
A complemento di questi cenni, metto qui l'elenco della
Compagnia per la quaresima del 1 842, secondo la distribuzione
dell' originale, e il suo repertorio:
fv
Prima amorosa
Matilde Chiari
Servetta
Amalia Colom berti
(b
^'i-»
^'0
Prima attrice
Adelaide Ristori
Madre nobile
Adelaide Fabbri
Attrici generiche
Angela Buccinieri
Rosa Rizzoli
Maria Leigheb
Maria Mascherpa
ff^
Altra amorosa
Argenide Dondini
Caratteristica
Teodora Dondini
>-.<i»
u
W^'^
-^
Primo attore assoluto
Antonio Colomberti
Primo amoroso
Giovanni Leigheb
Altro amoroso
Agostino Buccinieri
Generici
Ettore Dondini
Enrico Ristori
Giuseppe Bignami
Francesco Paglini
cJj
Parti brillanti
Cesare Dondini
Parti d'aspetto
Luigi Cardarelli
Parti ingenue
Augusta Ristori
Cesare Ristori
Suggeritore
AsTORRE Rizzoli
Poeta
Iacopo Ferretti
'^■s>
Caratterista e Promiscuo
Luigi Gattinelli
Tiranni e Padri
Paolo Fabbri
Primo generico di cignardo
Achille Dondini
Generici
Giorgio Vismara
Antonio Ristori
Paolo Riva
Macchinista — TroTarobe — Due Traduttori — Apparatore
REPERTORIO
Torquato Tasso di Goldoni - La discordia di quindici anni - // figlio
assassino per la madre - La fedeltà alla prova - // diadema di Nota - Ditta
Scaff e Clerambeau di Scribe - Un fallo - La finta ammalata di Goldoni -
// mulatto - Un matrimonio in Francia sotto Luigi XV - Rifiuto e vendetta
- // custode della moglie altrui - // galantuomo per transa:(ione di Giraud -
Un bicchier d'acqua - // dominò nero - Pamela nubile di Goldoni - Una ca-
tena di Scribe - GVinnammorati di Goldoni - Il flagrante delitto - Eulalia
Granger - La calunnia di Scribe - Maria Stuarda - Don Cesareo Perse-
poli - La lettrice - La Pia de Tolomei - La fuga dal forte di Sant'Andrea
di Venezia - // testamento di una povera donna - La cognata - Don Mar-
:(io alla bottega del caffé di Goldoni - // proscritto - M alvina - Felice
come, una principessa - Filippo - Papà Goriot - / due Sergenti - Marion
de rOrme.
Masi Napoleone. Nato a Rimini da artisti drammatici,
il 28 febbraio del 1857, cominciò a recitar parti di bimbo con
Salvini e con Rossi, entrando poi, grandicello, come secondo
brillanie in Compagnia di Luigi Pezzana e Achille Dondinì che
del Masi aveva sposato la sorella Manetta. Divenuto Ìl co-
gnato capocomico, Napoleone
Masi dovè sostituire nelle parti
di brillante assoluta gli attori
Bonfiglio e Tramonti, parti che
poi, per costante favore di pub-
blico, non abbandonò più. Fu
socio di Calamai, poi scritturato
da Sterni e Majeroni, poi da Mo-
relli e dalla Tessero, coi quali
s'ebbe, assieme al Mariotti, ii
diploma d'incoraggiamento dei
giurì drammatico milanese. Do-
po due anni, andò per un trien-
nio nella Società Meschini e Ca-
silini; poi con Marini, dal quale
si tolse, non terminato il contratto e pagata una rilevante pe-
nale, per andar a sostituire Claudio Leigheb nella Compagnia di
Cesare Rossi, col quale stette dair'82 31*94, tranne l"87,incui,
avendo voluto il Rossi riposare, passò brillante con Eleonora
Duse. Smessa il Rossi compagnia, il Masi entrò brillante nella
nuova Società Rosaspina e Paradossi, scioltasi dopo pochi mesi
a Riraini, e finì l'anno a stento in quella Cocconato De Chiara.
Sostituì il Talli nel '96 con Sichel e Tovagliati, e fu il '97-'g8
con Paladini e la Mariani, da cui si tolse, per entrarvi poi
il 'geo, dopo di essere stato un anno in società con Sichel e
Zoppetti.
Questo lo stato di servizio di Napoleone Masi, il quale,
senza elevarsi alle massime altezze, fu sempre attore assai fe-
steggiato per una vena di comicità spontanea e vivissima, e
per correttezza di dizione.
112 MASSA - MATERAZZI
Massa Innocenzia. < Romana. Giovane, che partita dalla
sua Patria diedesi alla comica professione ; e che in alcune va-
ganti Compagnie da circa sei anni va ritrovando impiego. I suoi
pregi d'avvenenza, non meno che la sua abilità, la vanno so-
stenendo sui teatri con una mediocre fortuna. > Così Francesco
Bartoli.
Massaro Francesco. Comico napoletano di gran pregio
per la parte di Don Fastidio ch'egli creò. Dell'origine del tipo
così parla Di Giacomo {pp. cit,):
Giuseppe Pasquale Cirillo che, assieme al Lorenzi, recitava nel teatrino domestico
del Duca di Maddaloni ed aveva anche un altro teatro di filodrammatici a casa sua
e che, per mettere in burla un paglietta molto conosciuto per la sua bessaggine cercava
l'attore che ne sapesse vestire i panni e l'ignoranza, capitò un giorno in un barbiere alto
«
allampanato e con un naso meraviglioso : proprio tal quale il paglietta di cui voleva far
la caricatura. Costui si chiamava Francesco Massaro
Cerlone lo adocchiò e se ne giovò per le sue commedie.... Una sera, nel 1768,
il pubblico della Cantina^ mentre applaudiva freneticamente al Massaro, lo vide, d'un
subito, arrovesciarsi addietro e stramazzar, con un grido, sul palcoscenico. Cessarono, come
d'incanto, la risata e gli applausi. Gli attori, sgomentati, affollarono il palcoscenico, e Pul-
cinella, con gli altri, si chinò sul povero Massaro inerte. Vi fu un gran silenzio : gli spet-
tatori aspettavano, ansiosi, ritti nella platea, ritti nei palchi. E a un tratto la voce d'un
di quegli attori annunziò, tremante, in quel lugubre silenzio: Signori, Francesco Massaro
è morto!...
Francesco Bartoli ha pel Massaro parole di gran lode,
come quegli che era < fornito di una grazia prodotta in lui
dalla natura e coltivata dall'arte.... Tutto in lui parlava, e cam-
minando e gestendo e levando il cappello e stando immobile:
effetto di uno studio fondato, e fatto da lui nella difìficile scuola
del teatro. >
Materazzi Francesco. Nato a Milano, verso il 1652, era
parte il 1686 della Compagnia del Duca di Modena in qualità
di Dottore, a vicenda con Galeazzo Savorini. Fu scritturato dal
Riccoboni per la Compagnia italiana del Reggente che si recò
a Parigi il 17 16, e vi recitò sotto la stessa maschera per molti
anni. Passò a seconde nozze il 13 novembre del '31 per puro
atto di pietà, con Vincenza Gallini-Bertoi, vedova del Pantalone
MATERAZZI - MAZZOCCA 113
Alberghetti, e morì il 29 novembre 1738 a ottantasei anni, na-
turalizzato francese, e ufficiale del Re. Il D'Origny annunzia
così la sua morte : s il ne fit pas regretter le Comédien, on regretta
sincéremcnt l* honnéte homme, l'homme verttieux, l'époux tendre
et le bievfaiteur des pauvres,
Mattagliani Vittoria. È ricordata da Fr. Bartoli, come
attrice di merito per le commedie improvvise e studiate. Fu
in qualche Compagnia di Venezia, poi seconda donna con Ono-
frio Paganini, al fianco di Rosa Brunelli, prima donna, poi,
avanzando negli anni, in Compagnie varie di pochissimo
conto.
Mazza Onofrio. Comico egregio per le parti à^ innamorato,
che sostenne nelle varie Compagnie di Napoli. Il 1754 era con
Domenicantonio di Fiore al Casotto del San Carlino; dal '63
al '69 ottenne, per farvi commedie, un rimessone dei Reverendi
Padri Agostiniani a Portici. Il '70, fatto vecchio, fu per essere
licenziato di compagnia, ma con una supplica al Re, vi rimase
fino air '82. Vistosi abbandonato e ridotto alla miseria, avanzò
una supplica al Re per ottener grazia di < esporre una statua
di cera del Servo di Dio Benedetto Labre, senza riscuoter nulla
eccetto che qualche limosina che graziosamente gli si darà. >
Ma la statua non attira nulla. Neil' '86 dimanda di essere ripreso
in compagnia, e ne tenta il modo accusando e denunziando il
Tomeo come despota e < ingannatore della R. Udienza, avendo
registri falsi. > Naturalmente in compagnia non fu ripreso, e
dovè finire la vita nel modo più miserevole. (Di Giacomo,
op. cit.).
Mazzocca Ida. Nata a Monselice il 16 novembre 1876 da
Giuseppe Mazzocca primo attore e Maria Santato, non comica,
è stata una delle poche buone prime attrici giovani che vantasse
il nostro teatro di prosa. Fatte le prime armi nella Compa-
gnia di suo padre, si scritturò prima attrice giovane con Arturo
15. — / Comici italiani. Voi. II.
MAZZOCCA - MAZZOTTI
Garzes pel '92, passando poi nel-
lo stesso ruolo, il '93, con An-
giolo Diligenti, il '94 con Fran-
cesco Garzes, il '95 con Andrea
Maggi, e il '96 con Flavio Andò ;
dal quale staccatasi, passò il '97
nella Compagnia Mariani-Zam-
pieri, e il '98 in quella di Eleo-
nora Duse, andando nell'ottobre
a sostituir con Ermete Zacconi
la Varini ammalata. Dopo il qual
tempo, maritatasi fuor del teatro, abbandonò definitivamente
l'arte.
Mazzocchi Luigi. Mantovano. Recitò le parti di Dottore
nelle Compagnie di Pietro Rossi, di Domenico Bassi, 6(1781)
di Francesco Paganini. 11 Bartoli lo dice « fornito di qualche
cognizione intorno alle lettere; ed occorrendo sa recitare an-
cora in parti serie nelle studiate rappresentazioni. >
Mazzetti Pietro. Avvocato veneziano. Dopo di aver preso
moglie, e consumato ogni sostanza di entrambi, si diede al-
l'arte comica, nella quale riuscì buon attore per le parti d'm«a-
morato. Fu nelle Compagnie di Pietro Rossi e di Luigi Perelli.
Viveva ancora nel 1782.
Mazzetti Margherita. Attrice di bella rinomanza, fu nella
gio\\n&zz3LprÌ7na donna egregia; egregia madre nobile nella ma-
turità, e caratterista perfetta e unica nella vecchiezza. Nel 1827,
vicina ai settant'anni, serbava ancora tutto il fuoco della prima
età, la morbidezza del gesto e della persona.
Francesco Augusto Bon scrisse per lei non pochi lavori,
tra' quali: La donna e i romanzi, U importuno e V astratto. La lot-
teria di Vienna, Ludro e la sua gran giornata, ecc. Fu eccellente
nelle commedie del Goldoni, e sì vuole che colla sua morte,
MAZZOTTI - MEDEBACH 115
avvenuta in Livorno nel 1836, scemasse d'assai l'importanza
del suo ruolo.
Medebach (Metembach) Girolamo. II più celebre capoco-
mico del secolo xviii, che dovè gran parte della sua celebrità,
se non tutta, a' vincoli artistici eh' egli ebbe con Carlo Goldoni,
nacque a Roma nel 1 706 circa da Giovanni Francesco, e gli
furon messi i nomi di Agostino, Rsiimondo, Girolamo. A tredici
anni abbandonò Roma con una compagnia di attori, e l'autunno
del 1739 f'^ce la sua prima comparsa a Venezia, ove agiva la
Compagnia di ballerini da corda e comici insieme, diretta da
Gasparo Raffi, dal quale fu scritturato, e del quale, divenuto
poi direttore della Compagnia, domandò in moglie ufficial-
mente, il 1 5 gennaio 1 740, la figlia Angela, Teodora, Giovanna,
lucchese, di circa diciassette anni, che trovavasi da pochi mesi
a Venezia. Furon testimoni, fra gli altri, della domanda, il padre
della sposa Gasparo Raffi del fu Lazzaro, romano, di quaran-
tadue anni, l' attore Giuseppe Marliani, piacentino, zio della
sposa (V.), esperto ballerino da corda, ed egregio Brighella, e
i comici Gasparo Zorni di Gorizia, e Francesco Monti di Mi-
lano. Ma, o in questa domanda il Medebach di fronte alla gio-
vinezza della sposa si è scemato gli anni, o il Bartoli, che glie
ne dà novanta circa nel 1 78 1 , ha voluto esageratamente aumen-
tarli. Il nome di Metembach, messo fra parentesi, trovo in una
istanza a Sua Eccellenza il signor conte Cristiani, amministra-
tore generale di Stato di Modena a dì 3 luglio 1748:
Geronimo Metembach, e Gaspare Raffi, condatori di una Compagnia di comici e
servidori umilissimi di Vostra Eccellenza. Ossequiosamente la suplicano, a degnarsi di con-
cederle licenza per rappresentare nel corr.te estate un corso di Recite nel Teatro Rangoni
che della Grazia etc.
E il permesso fu accordato. E la Compagnia vi recitò la
prima volta, col Goldoni presente, la Vedova scaltra. Il i o marzo
era stata firmata fra l'autore e il capocomico la scrittura, in
forza della quale doveva quegli scrivere otto commedie atl-
Tanno, e averne in compenso dal Medebach 450 ducati, con
Il6 MEDEBACH
obbligo di seguir la Compagnia anche nelle città di terraferma.
Pare che la Compagnia tornasse al Rangoni di Modena anche
Testate del '49. I patti di scrittura furon mantenuti da ambe
le parti; e se il buon successo delle commedie stabilì la fama
dello scrittore, non meno formò la fortuna dell'impresario. Il
Medebach recitava in esse la parte di Ottavio, scritte a posta
per lui. Fatto poi questi pubblicare dal Bettinelli il teatro di
Goldoni, senza il di lui consenso, tanto egli se ne aspri che
ruppe il contratto, passando a scrivere pel Teatro San Luca:
e ciò fu al 15 febbraio del 1752. Ricorse allora il Medebach
all'opera dell'Abate Pietro Chiari, il quale, se ben per nulla
comparabile al Goldoni, ne fu tuttavia un formidabile antago-
nista. Alle di lui commedie romanzesche, salite alle stelle, altre
non men romanzesche contrapponeva il Goldoni, come: La
sposa persiana. Le Ir cane. La Peruviana, La bella selvaggia; a
queste altre nuove e più romanzesche, o meglio, più ancor
bislacche contrapponeva il Chiari ; e, tra' due litiganti, chi go-
deva era il solito terzo, che accumulava danaro. E il Medebach
ebbe colla sua Compagnia luminosi successi dovunque ; e lo
vediamo, partendosi da Milano, ove avea fatto il migliore de-
gP incontri nell'estate del '55, munito di Lettere-Patenti del
Duca di Modena, Francesco III, dettate nella forma più larga
e laudativa. Nel '61 gli venne a morte la moglie, e visse di tal
perdita addoloratissimo per molti anni, passando poi a seconde
nozze con la figlia del noto dottore Scalabrini di Bologna, che
sopravvisse al marito, e che vediamo più tardi in Compagnia
di Pietro Rosa. L'agosto del '62 fino a tutto il settembre recitò
al Rangoni di Modena, d'onde dovea recarsi a Reggio per la
fiera, invitatovi in nome del Capponi da Alessandro Frosini,
che dice la Compagnia di lui, la migliore che si conosca. Partito
quello stesso anno e quello stesso mese il Goldoni per Parigi,
cessaron le gare poetiche ; e il Medebach per alcun tempo con-
tinuò a condur Compagnia con relativa fortuna. Lo rivediamo
Testate del '63, del '66 e del '74 in Milano, e al suo partirne,
gli furon volta per volta rinnovate le Patenti del Duca. L'agosto
MEDEBACH 117
del '70, nonostante il contratto già firmato, non andò più a
Milano, ove con nuova deliberazione, fu abolita la stagione di
prosa, per surrogarvi le opere buffe. Si recò invece a Modena
ove ottenne il solito gran successo; avendo seco il comico
cantante. Sante Vitali, che sosteneva egregiamente le parti di
Dottore, e che poco dopo il suo arrivo in Modena fu tocco
d'apoplessia, e vi morì a trentotto anni. Ma recitandosi con
buon successo le nuove traduzioni della Caminer al Sant'An-
gelo, e con immensa fortuna le imitazioni dallo spagnuolo di
Carlo Gozzi al San Luca, il povero Medebach (recitava allora
al SanGio. Grisostomo) n'ebbe in poco tempo deserto il teatro,
e dovè ricorrere, l'autunno del 1772, a Maddalena Battaglia,
prima donna allora di grandissima fama, che gli recò non co-
mune sollievo, specialmente con le molte rappresentazioni della
Semiramide di Voltaire. Sollievo effimero codesto; dappoiché
concesso ingiustamente il teatro alla stessa Battaglia, il Mede-
bach, rassegnato, si rifugiò a quello di San Cassiano, dove le
sorti non furon delle più prospere. Passò poi, o meglio, tornò
al Sant'Angelo, partitosene il Lapy, e con miglior fortuna; non
tale però da non costringerlo il 1780 ad abbandonar quella
Venezia, per la quale avea così indefessamente e onestamente
lavorato, e cercar altrove con una Compagnia sociale, un qual-
che miglioramento alla sua condizione, divenuta omai delle
più misere. Di lui scrisse Francesco Bartoli:
É stato il Medebach nn esperto conduttore della saa Truppa, un eccellente reci-
tante in que' suoi particolari caratteri; ed ha saputo acquistarsi il concetto d'uomo di
probità. Egli ha tollerato con pace la sua non cercata, e non meritata espulsione dal Teatro
di San Gio. Crisostomo procuratagli ingratamente da chi mai noi dovea. Egli, urbano con
tatti, egli prudente e saggio, egli pietoso soccorritore delle miserie altrui, merita bene il
nome d'uomo onorato, e rendesi degno della stima d'ognuno. Essendo egli poi stato l'unico
movente, per cui l' Italia possa pregiarsi d' aver sortito anch' essa un Eccellente Poeta comico
nel celebratissimo Goldoni, non avendo perciò da invidiare alla Francia il suo Molière, si
viene per lui a stabilire un' epoca considerabile nella storia del nostro Teatro.
Medebach Raffi Teodora. Moglie del precedente, e figlia
di Gasparo e Lucia Rafifi, conduttori di una Compagnia di bal-
lerini da corda, nacque il 1723 circa a Lucca, di dove fu por-
Ii8 MEDEBACH
tata via a tredici giorni. Ecco come il Goldoni descrive la
Compagnia Rafifi nel XVII volume delle sue Commedie, edi-
zione del Pasquali:
Erano già tre anni, che portavasi in Venezia regolarmente in tempo di carnovale
Gasparo Raffi Romano, Capo de' ballerini di corda colla saa Compagnia, eh' era una delle
più famose in tal genere. Eravi la bravissima Rosalia^ sua cognata, moglie in allora di
nn saltatore tedesco, e passata ad esserlo in secondi voti, di Cesare Darbes, celebre pan-
talone (V.). La Teodora^ figliuola del Raffio moglie in appresso del Medebach, ballava
sulla corda passabilmente, ma danzava a terra con somma grazia; la Maddalena ^ che fu
moglie in seguito di Giuseppe Marlianìy era una copia fedele della Teodora, e il Marliani
suddetto, che faceva il Pagliaccio, era un saltatore e danzatore di corda, il più bravo, il
più comico, il più delizioso del mondo. Questa compagnia di quasi tutti congiunti era
amata ed apprezzata in Venezia, non solo per la bravura, ed abilità in tal mestiere; ma
per r onesta e saggia maniera di vivere sotto la buona direzione dell' onestissimo Raffi,
e l' ottima condotta della prudente, devota, e caritatevole signora Lucia sua consorte. D
Marliani, non so, se stanco di quel pericoloso mestiere, o eccitato dal genio comico, avea
gran voglia di recitare delle Commedie. Capitò il secondo anno in Venezia il Medebach
accennato ; e unitosi co' Ballatori suddetti, avendo egli cognizione bastante dell' arte co-
mica, gì' instrui, forni loro i soggetti, e preso il picciolo Teatro di S. Moisè, colà, termi-
nato il Casotto^ recitavano delle Commedie, le quali sostenute principalmente dalle appa-
renze, dai giuochi, e dalle grazie del Marliani, che facea V Arlecchino^ non lasciarono di
attirare buon numero di spettatori. La Teodora faceva la prima donna, e la Maddalena
facea la servetta; il Medebach era il primo amoroso, e qualche altro personaggio avean
preso per eseguir le loro Commedie. Cosi principiò quella Compagnia, che poi si è resa
famosa, e che trovai ben formata, ed in credito quattr'anni dopo a Livorno.
Alle attitudini per la scena congiungeva la Medebach -
dice il Bartoli - una figura leggiadra, un volto tutto spirante
grazia, e una voce dolcissima e chiara. Pare che il genere suo
fosse più specialmente il patetico, dacché il Goldoni scrisse
per lei La figlia ubbidiente e La moglie saggia, e il Chiari Ljtpor
storell a fedele, nella quale più specialmente si mostrò somma.
Riferisco dal Bartoli:
Ella esprìmeva assai bene il carattere di quella Pastorella innocente, innamorata del
suo agnellino più che d' Ergasto ; umile e rispettosa col vecchio suo genitore ; fiera e riso-
luta col Castellano suo tentator disonesto; e vivamente spiccava il salto lanciandosi nel
fiume per sottrarsi all' insidie del di lei seduttore. Moltissime sere fu replicata in Venezia
nel 1754, ed infinite lodi furon date alla tenerissima Irene, Questa brava attrice, che molto
lustro avrebbe recato a' Teatri italiani, divenne cagionevole nella salute affliggendola con-
tinuamente alcuni effetti convulsivi. Stava quasi sempre guardata in letto, e quando talvolta
sentivasi un po' sollevata, lasciavasi vedere in Teatro. Ma crebbero in lei a dismisura i
suoi incomodi, e gli oppiati rimedj che i medici le apprestavano, non fecero che abbre-
viarle la vita, onde rese l'anima al suo Creatore in età di anni quaranta nel 1761.
MEDEBACH 119
La riputazione artistica della Medebach si stabilì con la
Donna di garbo del Goldoni, recitata qualche sera dopo della
Griselda, nella quale il pubblico avea già avuto modo di notar
le qualità dell'attrice. Da quella sera fu un successo ognor
crescente. Dallo spoglio delle memorie goldoniane abbiamo che
Madama Medebach era un* attrice eccellente ed attaccatissima alla sua professione, ma una
donna soggetta a vapori. Era sovente ammalata, sovente credeva d'esserlo, e qualche volta
non aveva che vapori di soio comando.
In questi ultimi casi bastava a propor di dare una bella parte da rappresentarsi ad
un attrice subalterna, che l' ammalata tosto guariva.
Mi presi la libertà di farla rappresentar sulla scena da sé medesima. Se ne accorse
alcun poco; ma trovando bellissima la sua parte, se ne incaricò volentieri, e rappresen-
tolla a perfezione.
A questi vapori che il Goldoni crede più immaginari che
sinceri e che come tali dipinge Paolo Ferrari nella sua incom-
parabile commedia, la Medebach univa la gelosia di mestiere.
I successi della Marliani, Corallina, specialmente nella Serva
amorosa, furono un gran pruno nell' occhio della direttrice, per
la quale, a guarirla radicalmente, dovè il Goldoni scrivere La
moglie saggia.
Ma egli errava certo nel suo giudizio. La Medebach, ge-
losa de' successi di Corallina, faceva un grande sforzo per vin-
cere quel male che realmente l'opprimeva, e che la condusse
immaturamente al sepolcro. E la prova abbiamo in quest' ul-
tima citazione, la quale ci mostra chiaro come la povera donna
non trovasse come prima nel suo coraggio la forza di lottare
col male, e nella quale a me par di vedere un pizzico di cru-
deltà nell'animo del Goldoni.
Madama Medebach era sempre ammalata. I suoi vapori divenivano sempre più
nojosi e ridicoli: rideva e piangeva in una volta, mandava grida, faceva mille smorfie e
mille contorsioni. La buona gente di sua famiglia, credendola affascinata, fece venir Esor-
cisti, e carica di reliquie, giuocava e scherzava con quei monumenti pii come una fanciulla
di tre o quattro anni.
Vedendo la prima attrice fuor di stato d' esporsi sopra la scena, all'apertura del
carnevale feci una Commedia per la cameriera o servetta. Madama Medebach si fece veder
in piedi ed in buon essere il di di Natale ; ma quando seppe che si era affissata pel giorno
appresso La Locandiera^ commedia nuova fatta per Corallina, andò a rimettersi in letto
con convulsioni di nuova invenzione, che facevano impazzire sua Madre, suo marito, i
suoi parenti ed i suoi domestici.
I20 MEDEBACH - MEDONI
Medebach Gìovan Battista. Figlio dei precedenti, vene-
ziano, fu attore e capocomico; e fu la sua, la prima compagnia
venale che, nel novembre del 1798, Tolentino ascoltasse a me-
moria d'uomo. Pare anche fosse Tolentino, con questa compa-
gnia, una delle prime città delle Marche a veder le donne sulla
scena.
Sposò, il 6 dicembre 1786, Clemente Giovanna, figlia di
Bartolommeo Paltrinieri del Finale di Modena, di cui si con-
serva nell'Archivio di Stato di Modena l' elenco de' mobili e
oggetti da lei recati in dote. Il 6 di ottobre del 1790 gli furon
sequestrati in Modena, mentre recitava al Teatro Rangoni, a
istanza di Domenico Torricelli, oste, creditore, per cibarie
somministrategli, di lire 104.15, i cassoni contenenti gli og-
getti costituiti in dote dalla moglie, la quale con istanza del
13 ottobre, richiedeva la restituzione delle robe sequestrate,
contro pagamento del debito: restituzione che non fu accor-
data, né anche dopo rifatte le spese contumaciali se non, par-
zialmente, per il solo vestiario femminile. Infatti, la mattina
del 13 dicembre 1790, tutti gli oggetti sequestrati, di lui, Me-
debach, furon messi all'incanto, e venduti per lire 175.29.
E a questa risoluzione fu spinto il dottor Bellagi, procuratore
del Torricelli, stante — dice il testo — la notoria condotta del
Medebach di aver praticato lo stesso con altri Locandieri, e sommi-
nistranti vitto in altre città, senza che in quelle sia stato appurato
anzi costretto non ostante a pagare, ecc. ecc.
Lo vediamo, assieme alla matrigna, la Scalabrini, ma non
sappiam dire in quale anno, in Compagnia di Pietro Rosa.
Medoni Nicola, nato in Genova nel 1 803 da onesta fami-
glia, e fatto un corso regolare di studi, si diede all'arte comica,
nella quale, mercè l'ingegno svegliato, la bella figura, e la
voce magnifica, riuscì egregio, occupando in breve il ruolo di
primo attore assoluto nella Compagnia del suo concittadino Luigi
Favre. Sposò in essa la giovinetta Elena di Paolo Bacci (V.),
esimia attrice, che gli morì a soli trentacinque anni. I pregi
MEDONI - MENGHINI
artistici del Medonì erano alquanto scemati dalla cattiva pro-
nunzia dialettale, ma compensava tal difetto con la coltura e
l'ingegno non ordinari in un comico (è stato autore di molte
tragedie applaudite, tra le qua-
li, applauditissìma, la Dircé) e
con la eloquenza, che, tra' co-
mìci del suo tempo, oserei
dire, unica. Egli soleva tra Ìl
penultimo e l' ultimo atto del-
la rappresentazione invitare il
pubblico, secondo il costume,
alla recita del domani : e tale
e tanta era la grazia delle sue
parole, tanta la varietà ed ele-
vatezza dei concetti, e tale an-
cora la dovizia delle trovate, che molti degli abbonati reca-
vansi a teatro in quell' ora solamente.
Il Medoni fu il 1829 a 6anco del gran Vestri, della Mar-
chionni, del Boccomini, del Righetti nella Compagnia Reale
Sarda; ma condusse quasi sempre compagnia propria. Abban-
donato il teatro, si ritirò in patria, ove morì nel 1882.
Menghini Gìovan Battista, bolognese. Recitò con molto
spirito sotto la maschera di Tabarrino. prima con accademici
nel Teatro Malvezzi, poi con comici in altri teatri della sua
patria ed in quello del marchese Rangoni di Modena. France-
sco BartoH che lo vide, quando nel carnovale del 1 764 recitava
a Bologna con la Compagnia di Onofrio Paganini, ci dà il se-
guente ritratto dell' uomo e della mzischera :
Era egli d' niu itatnra alquanto piccola, pingue oltr« ìl dovere, con faccia rotonda
di lembianse geniali, con nn gran ventre, e due gambe giotsiiiiine, ma tntte egnali, a
coi i' ^iplCcavano piccioliwìini piedi. Rappresentava per lo più nn nomo del ceto mercantile
Twtìlo dì nero in abito da collare, detto oltrinienti da cittì, con calze bianche, e due liste
di color TOSSO nelle estremiti laterali del sno tabarro. Aveva la chioma divisa in dne parti,
che pendevaglì per le spalle, e sopra il petto, e portava in testa nn nero cappello tiralo
an a dne ali con alta cnba nel mezzo, qnasi simile a qnella del Gìangnrgolo calabrese.
Parlava egli nn groMoUoo Uognaggio di Bologna, meachiandovi delle parole toscane dì
16. — / Comici iialiani. Voi. IL
123 MENGHINI - MENICHELLI
tempo in tempo, che davano grazia a' suoi ragionamenti. Era egli lepido nel sno discorso,
accorto, e pronto nelle risposte, ed i lazzi snoi pantomimici dilettavano per la loro varietà
e per essere fatti nella debita situazione del teatro, che da' Comici a tempo si appella.
E venendo a parlar delle Torri, due commedie di sua
particolare fatica e di sua invenzione, il Bartoli assicura aver
egli toccato il sommo dell'arte, in una scena specialmente, per
la quale ci dice che bisognava vederla per giudicare s ella meritava
ogni lode di chi sa intendere la forza di quelT arte, che è tutta prò-
pria d' un bravo Comico e che non è permesso alla penna d' uno
scrittore d* estenderla al Tavolino in pari modo. E aggiunge che
fu stimato dal Duca di Modena Rinaldo I, che volle sentirlo.
Il Menghini faceva V indoratore, ed ebbe un figliuolo che gli
diede molti dolori. Tornato di Modena, ove fu, come dicemmo,
a recitare a quel Teatro Rangoni, non si levò mai più dalla
sua Bologna, dove morì nel 1767.
Menichelli Nicola. Buon comico per le parti improvvise
sotto la maschera à^W Arlecchino. Recitava - dice il Bartoli -
una commedia, intitolata Arlecchino finto scimmiotto, in cui ve-
devasi eseguire diverse forze sopra una cordicella volante. Fu
con Pietro Rossi, con Onofrio Paganini, con Domenico Bassi e
con altri. Passò con Giovanni Simoni e Angiola Dotti nel 1768
a Vienna, ove fu molto applaudito, e formò poi società per
lungo tempo con Pietro Ferrari, sino al 1780, nel quale anno
cominciò a condurre compagnia da sé con buona fortuna. Vi-
veva ancora il 1781 insieme alla moglie Teresa, la quale, non
ostante l' avanzar dell'età, dotata di svelta ed elegante persona,
di spirito pronto e vivace, recitava ancora egregiamente le
parti di serva, specialmente in scene improvvise.
Menichelli Francesco. Figlio del precedente. Recitava le
parti d! innamorato, e il Bartoli lo dice nel 1781 di freschissima
età. Lo vediamo capocomico nell'autunno del 1795-96 al San
Cassiano di Venezia. Y^r^^ prima donna della compagnia Gaetana
Menichelli, moglie probabilmente di Francesco; e Arlecchino,
MENICHELLI - MERLI 123
il famoso Giovanni Fortunati. De' pregi del Menichelli come
attore abbiamo un cenno nel Teatro mod. app. il quale dopo aver
detto, che seppe acquistarsi una gloria non disgiunta dall' utilità,
venendo a parlar Ò!^ Amleto di Ducis, applauditissimo a Bo-
logna col Menichelli, protagonista, nell'estate del 1795, ^^^^
eh' egli esprimendo con tragica energia il sopraeminente carattere
del protagonista, seppe ricordare il gran Mole a tutti quelli che udito
r avevano a Parigi.
Menicucci Angela. Figlia di Pietro Rosa, e moglie del
ballerino Menicucci, che, fattosi poi comico, lasciolla vedova
nel 1780. Il Bartoli non accenna punto alla di lei abilità. Sap-
piamo solo che recitava le parti di donna seria, e che fu con la
Battaglia, col Camerani, col Sacco ; da cui passò in una Com-
pagnia vagante, ove trova vasi ancora nel 1781.
Meraviglia Ferdinando, nato da onesti parenti a Brescia
nel 1786, si diede il 1808 alle scene, esordendo quale amoroso
generico in Compagnia di Antonio Goldoni, dal quale fu poi
riconfermato ma col ruolo di primo attore assoluto. Fece parte
della società formata il 1 8 1 1 da Belloni, Calamari, Domeniconi,
con Carlotta Marchionni prima donna, e ne fu per tutto il tempo
applaudito primo amoroso e primo attore. Scioltasi quella, altra
ne formò la quaresima del '23 con Antonio Belloni, passando
per la prima volta al ruolo di caratterista. Una nuova società
formò il '27 con l'amoroso Carlo Gnudi; e altre poi con altri,
cessando di vivere a Brescia nel 1 834. Il Meraviglia fu attore di
grandissimo pregio, specialmente per le commedie Goldoniane,
nelle quali, passando al ruolo di caratterista, serbò col Don Mar-
zio, con la Locandiera, col Ventaglio, la stessa grandezza, alla
quale era salito in gioventù con gV Innamorati, le Zelinde, le Pa-
mele, il Tasso, il Cavalier di spirito, il Cavalier di buon gusto, ecc.
Merli Cristoforo, nato a Bologna verso il 1741, fece le
prime donne cogli accademici fortunati della sua patria, comin-
124 MERLI - MIANI
ciando poi a recitare da innamorafo in compagnie di giro verso
il 1768. Fu un anno a Venezia con Girolamo Medebach, poi,
il '70, in Portogallo con Onofrio Paganini, col quale tornò in
Italia. Entrata Faustina Tesi in compagnia, egli visse con lei
maritalmente. Furono scritturati il '76 con Pietro Rossi, e
nel '77 formaron essi stessi compagnia, che scorreva ancora
nel 1781, mediocremente accreditata, le varie città di Lombar-
dia. Come attore fu il Merli amoroso assai reputato; come
uomo, dice il Bartoli eh' ebbe indole tanto mite, quanto l'ebbe
stravagante la sua compagna.
Merli Giovanni. Minor fratello del precedente, recitò con
lui neir accademia do' /or lunati, sostenendo le parti di serva.
Entrato in arte, si diede anch' egli al ruolo àéiV innamorafo, nel
quale fu molto apprezzato, specialmente per le parti spigliate.
Fu a Napoli più anni; poi entrò nella Compagnia della Tesi
col fratello, con cui era sempre nel 1781. Lo vediamo l'au-
tunno del 1795 caratlcrista nella Compagnia di Marta Cole oni
al San Cassiano di Venezia.
Messieri Camillo. Bolognese. Sosteneva coi Merli nell'ac-
cademia ^^^ fortu7iati le parti di seconda donna. Entrò innamo-
rato con Pietro Rossi, col quale stette quattr' anni. Sposò
Brigida Sgarri, ballerina, divenuta poi comica anch' essa, e
dalla Compagnia del Rossi passò nel '70 in altre di giro, ab-
bandonando le parti d'amoroso e sostituendo, alla sua morte,
il suocero Francesco Sgarri (V,), nella maschera ^€^ arlecchino.
Miani Rinaldo. Veneziano. Dall' arsenale della sua patria,
dov' era impiegato, passò a recitar le parti di Pantalone, sosti-
tuendo con onore, l'autunno del 1780 e il carnovale del 1781,
il rinomato Gio. Battista Roti, mancato ai vivi nel precedente
settembre. Al San Cassiano di Venezia fece rappresentare, il
26 dicembre del '97, una sua azione spettacolosa, intitolata il
Gran Torneo della Grecia, eh' ebbe una replica.
MIANI - MILANTA
Mìani Anna. Nacque a Udine da Pietro Mìani ed Anna
Sella il 26 aprile del 18 17. Giovinetta entrò in un laboratorio
di sarta per impararvi il mestiere, ma.^ducata alle scene, nella
filodrammatica della città, dall'ex-artista drammatico Zuccate,
fuggì di casa, dopo la morte del padre {1836), per sottrarsi
alla risoluzione della madre che volea far di lei una istitutrice,
e si recò a Venezia, ove fu scritturata . .
amorosa, in Compagnia di Corrado Ver- / ~ x
gnano, dalla quale passò in quella di GÌo-
vannina Rosa, a farvi le parti di seconda
donna che meglio si attagliavano alla sua
bella e slanciata figura. Fu poi, nello stes-
so ruolo, con Carolina Internari,poi,/W-
ma attrice assoluta, col Meneghino Mon-
calvo, col quale recitò, dopo la Carolina
Santoni che l'aveva creata, la parte della
protagonista nella Maria Giovanna. Ab-
bandonò dopo qualche anno il ruolo di prima attrice per darsi a
quello di madre e caratteristica ; e tale fu scritturata da Giorgio
Duse, da Gaspare Pieri, da Tommaso Salvini, ammiratissima, in
ogni tempo, e nelle parti comiche, fra cui la goldoniana Cale.
e nelle tragiche, fra cui l'alfieriana Cittcnncstra. Fu poi con la
società Ciotti, Marchi, Lavaggi; e con Achille Dondini; poi,
seconda madre e caratteristica, con Alamanno Morelli e con
Bellotti-Bon, in Compagnia n_." 2, nella quale recitò la prima
volta a fianco del figlio Belli-Blanes (V.). Questi, nel 1878, for-
mala società con Ciotti e Bozzo, la tolse dalle scene, e nel 1 883
la fermò a Castel San Pietro, ove tranquillamente visse fino
al 18 dicembre del r888, giorno della sua morte.
MUanta Giuseppe. Comico, fiorito nella seconda metà del
secolo XVII, con la maschera del dottore, e famoso col nome di
Dottor Lanternone. In una lettera al Duca di Modena da Parma
in data 4 giugno 1655, si accenna al Milanta, richiesto per la
Compagnia di Parigi, e dal Principe Alessandro negato. Nel '64
126 MILANTA - MILLITA
era ancora fra' comici che Fabrizio (V.) desiderava mettere as-
sieme per l'Altezze di Parma. Era nel 1687 ^1 servizio del
Duca di Modena, nella#Compagnia di Giuseppe Fiala il Capi-
tano Sbranaleoni (V.).
Millita Anna Maria. Comica del Serenissimo di Modena,
sotto il nome di Cintia. Abbiam di lei la lettera seguente, tolta
a quell'Archivio di Stato, l' eroe della quale è certo quel Do-
menico Antonio Parrino (V.), comico e istoriografo napoletano,
che in quel tempo appunto era al servizio del Duca di Modena.
E chi era il Padre Francesco? Forse il buon Dottore Materazzi?
Ma ecco la lettera :
Alt. «a Ser.»"a
La supplico a condonarmi dell'ardire che io ho preso di scriuere a V. A. S. La
causa è la prigionia del Sig.!" Antonio è si troua in secreta con molto pericolo della sua
uita. Se l'A. V. non lo soccorre di quanto accena nella sua. Io in tempo della sua roalatia
ho impegnato ogni cosa dell mio, et adesso per la prigionia l'ho uenduto è non so più
come mi fare, à mantenerlo la dentro, onde lascio considerare alla prudenza di V. A. S. in
che labirinto stiamo tutti dui. Io ho procurato di dare la sigurtà all' Hoste d'un Caualiero
quale è l'IU.i^o Sig.i" Co. Claudio Canossa et il detto hoste non l'ha uoluto, ho procurato
medesimamente di farlo uenire alla larga è fu risposto dal Sig.^ Cap.°o di Giustitia che
è ordine espresso del Sig.i* duca di Mantova f>erche quest' hoste li è andato a dire al istesso
Sig.r Duca che il Sig.!" Antonio erra una spia di V. A. S. et f>er queste parole fu datto
ordine espresso che fosse carcerato. Io ho saputo che si uogliono dare li tormenti per farli
dire quello che non è la uerità la causa è il Sig.f Co. Violardi onde che aforza di denaro
in testa al Sig.i* Antonio che io farò il resto. La suplico f>er l'Amor di Dio et f>er la
fedeltà del Sig.^* Antonio appresso di V. A. S. ad aiutarlo in questa necessità che subito
sortito delle Carceri sarà a baciare le mani di V. A.
Circa il Padre Francesco non occorre che uenghi a Mantoua perchè lo fariano pri<
gione è se l' esaminarano li essami non si confrontarìano dell'uno e dell'altro è potrebbe
succedere del danno tanto al Sig.^ Antonio: è se V. A. S. uole honorare il Sig.i* Antonio
del denaro è non lo uoglia rimettere puole sf>edire il Padre Francesco doue io li ho scritto
che non ui sarà pericolo, è questo sarà all' hosteria di Cerese et l' istesso Padre mi puoi
mandare auisare che anderò io in persona acciò sia sicuro à leuare il denaro che f>er uia
denaro si cauerà fuori, La suplico f>er l'Amor di dio a far questa gratia acciò che possi
fare le sante feste costi in Modena mentre per fine resto facendoli profondissima riue-
renza.
Di V. A. S.
Humiliss.»* devot™» obb."* Serua
Anna M.* Millita Comica detta Cintia.
Mantoua li 16 Dicembre 1678.
MINELLI 137
Minelli Giulio. Veneziano. Ebbe, dice il Bartoli, tutte le
doti necessarie per riuscire un ottimo Pantalone; alle quali però
non seppe né volle accoppiar mai la fatica dello studio. Grande
lazzista e pantomimo grazioso, fu in molte compagnie applau-
ditissimo. Nel 1780-81 trovavasi in quella di Antonio Sacco, e
nel '95-*96 in quella di Pellandi al Sant'Angelo di Venezia, as-
sieme a un Agostino Minelli, probabilmente suo figliuolo. Col-
r avanzar dell* età, s'andò sempre in lui allontanando l'amore
allo studio; onde pervenne a vecchiezza guitto e mìsero. Nei
momenti suoi più calamitosi ebbe la sorte di vincere un terno
al lotto di 400 bavare (quasi 2000 lire), che avrebbe dovuto
sanargli molte piaghe. Né men per sogno ! Egli si fé' portare
il letto a una osteria, e di là non si partì che dopo speso fin
l'ultimo quattrino in pranzi e cene da pazzo. Ridotto al men-
dicare, ricorse a uno strattagemma che l'arte gli suggerì. Egli
recitava solo, per via, intere commedie.... ma lasciam la parola
all'attore Colomberti che di quelle recite singolari ci lasciò la
seguente descrizione:
Nella primavera del 1824 io mi trovavo a recitare al Teatro San Benedetto di Ve-
nezia colla Compagnia di Luigi Fini; e una mattina, trovandomi a passeggiare sulla riva
degli Schiavoni, vidi giungere un vecchio, seguito da un ragazzo che gli portava una sedia,
che pose in mezzo al vacuo fra le colonne di Marco e Todero, ed il vicino canale che
dalla Laguna va al Ponte dei Sospiri. Giunto in quel largo, il vecchio si fermò ; prese il
suo cappello, lo pose sul suolo, ed aspettò. A poco, a poco, e dalle vicine gondole, e da
quegli che passavano si formò un semicircolo intomo alla sedia, sulla quale era seduto il
suddetto, che tutti salutava, e sorrìdeva a tutti. Quando il concorso gli sembrò al com-
pleto, si alzò dalla sedia, e rivolto agli accorsi, disse loro in dialetto alcune parole di
ringraziamento, e terminò coli' annunziare che avrebbe recitato un lavoro tragi-comico, in
tre atti, intitolato : la Maga Morgana e Arlecchino vittima delle sue vendette. Grande at-
tenzione neir uditorio ; e io guardavo attorno, per vedere se alcun altro artista compariva,
quando egli incominciò, gridando: aito primo, scena prima; e dopo di aver detto che il
fatto aveva luogo in una grotta, prosegui notando il nome dei personaggi dei due sessi,
che egli avrebbe rappresentato, e cosi di tutti gli altri sol nominati. Potei ascoltare le prime
scene dell'atto, e confesso che per l'esecuzione, ammesso che l'artista potesse fare più
personaggi senza travestimenti, la protasi fu abbastanza ben descritta. Ma, benché di maggio,
il sole scottava bastantemente, e pensai bene di andarmene, riserbandomi di domandare
informazioni sul passato di quel disgraziato. Né mi trovai deluso, perchè il vecchio caf-
fettiere del Teatro mi disse che quell' uomo chiamavasi Giulio Minelli, che alla sua epoca
era stato un bravo Pantalone ; ma che, in vecchiaja, datosi al vino, si era ridotto in mi-
seria. Allora inventò di dar quel nuovo spettacolo sulla riva dei Schiavoni, che bastava
a farlo vivere, se non bene, mediocremente.
128 MINUTI - MIUTTI
Minuti Barbara, detta in Teatro Florinda. (V. Biancolelli
Orsola).
Miti Pompilio. Bolognese. Fu un buon innamorato, e fece
parte della Compagnia del San Luca a Venezia. Scrisse il 1735
Ottaviano Trionfante di Marc Antonio, dramma-parodia, che
fece rappresentare da* suoi compagni con la musica del Mae-
stro Maccari. Nel '36 sostenne con molto successo la parte di
Uranio, maggior sacerdote di Apollo nella tragicommedia:
La clemenza nella vendetta. Rimasto vedovo, abbandonò l'arte,
e vestì l'abito talare, lascia?uio - dice il Bartoli - delle azioni sue
una fama onorata, e morendo in quella città (Venezia) per lui
tanto benefica nel decorso dell anno 1^66.
Miti Vittoria. Moglie del precedente, attrice bravissima
per le commedie improvvise, sotto 'il nome di Eularia. Né
men brava si mostrò nelle opere studiate che richiedevano
slanci di passione. Nella parte di Eularia, Principessa de Fog-
giani, parte seria in mezzo alla faceta rappresentazione JLa
clemenza nella vendetta, la Miti fu ottima e lodatissima. Ebbe a
seconda donna la rinomata Marta Bastona. Gianvito Manfredi
nel suo Attore in scena dice di lei : si distinse la celebre non meno
che saggia ed onesta Vittoria Miti, detta Eularia, passata all'altra
vita pochi anni sono, da me più volte con non poco stupore ascoltata.
Morì in Venezia nel 1740, non tocchi ancora i 35 anni.
Miutti Francesco. Figlio di un ciabattino di Udine, dove
nacque verso il 1780, fu allevato nel mestiere del padre, morto
il quale, vagando di paese in paese, or questo or quello frec-
ciando, s' imbattè in una piccola compagnia di comici che lo
accolsero in qualità di socio, e da cui fu licenziato, dopo la
prima sua comparsa in pubblico. Lo vediamo in capo a tre
anni amoroso generico in Compagnia Rossi, poi cinque con Pe-
rotti, secondo e primo amoroso. Dalla Compagnia del Perotti,
passò in quella di Antonio Raftopulo col ruolo di secondo ca-
ratterista, poi in altra secondaria con quello di prima assohUo;
MIUTTI - MODENA 129
e tanto crebbe in rinomanza collo studio indefesso, col ferreo
volere, e colle chiarissime attitudini, che il Perotti lo richiamò
e lo tenne con sé fino alla sua mòrte, accaduta nel 1820. Fu
poi in Compagnia di Goldoni e Riva, poi di Bon, Romagnoli e
Berlaffa, coi quali stette più anni, applauditissimo ed amatis-
simo sempre. Percorse dal '45 al '50 il napoletano e la Sicilia
con una società, di cui egli era capo. Tornato a Napoli vi morì,
non ancora compiuto il suo settantesimo anno, lasciando la mo-
glie Enrichetta, mediocre seconda donna e madre, poi caratte-
ristica, e due figliuole, una delle quali, la Claudia, che sostenne
per alcun tempo il ruolo di prima donna, ma con poca fortuna,
a cagione specialmente del fisico né bello, né simpatico....
Fu il Miutti un capo ameno, trascurato piuttosto, e ga-
stronomo per eccellenza. Non vi fu Piazza, nella quale, al
momento della partenza, non trovasse che dire pei debiti fatti
con questo e con quell'oste. A Livorno (in quaresima del '22),
la signora Perotti dovè pagare, all' oste della Pera, quaranta
francesconi per tanti tordi mangiati dal Miutti, il quale era
tenuto in ostaggio.... A Napoli, avuto dal capocomico un ma-
gnifico soprabitone, e non avendo un soldo in tasca, per certa
merenda che s'era proposto di fare coi compagni Bon e Ro-
magnoli, corse alla Villa e ne vendè le lunghe falde a un rigat-
tiere per quindici carlini, coi quali potè allo Scoglio di Frisi
far la sospirata merenda. Come artista ebbe valore incontesta-
bile, e Francesco Augusto Bon scrisse apposta per lui parec-
chie delle sue commedie.
Modena Giacomo. Attore insigne in ogni genere di parti,
ma più specialmente in quelle di padre nobile e tiranno tragico
per le quali si aggiungevano all'intelligenza superiore la im-
ponente e proporzionata persona, la robusta e pieghevole voce,
nacque a Mori nelTirolo italiano da poveri montanari il 1773.
Si recò a quindici anni a Verona, per impararvi il mestiere
di sartore; ma innamoratosi del teatro, entrò in una piccola
compagnia, in cui dalle ultime parti potè salir ben presto a
17. — / Comici italiani. Voi. IL
MODENA
quelle di prima importanza, quali di padre e di tiranno; e con
tal successo, che in capo a pochi anni Io vediam già nello stesso
ruolo in Compagnia del vecchio Zanerini, di cui potè seguire,
senza servilità, la vecchia scuola, e di Maddalena Battaglia
(1795-96), destando a Venezia, al San Gio. Grisostomo, col-
V Ubaldo nel Galeotto Manfredi dì Vincenzo Monti, specie nella
scena del quarto atto con Zambrìno e Manfredi, siffatto entu-
siasmo, che se ne volle la stessa sera la replica. E « il Carlo XII
nel Carlo XII a Bender del Federici, e X Enrico Traslow nel
Federico II. mostrarono - dice il Teatro mod. app. (voi. Ili, XXI) —
quanto egli fosse capace di sostenere i più sublimi caratteri e
MODENA 131
di esprimere le più veementi passioni. > Grande nella parte di
Macmut nella trilogia Goldoniana La sposa persiana, Ircana in
luì/a e Ircana in Ispaan, fu grandissimo in quelle del Sacerdote
n^ Baccanali e del Padre n^ Elena e Gerardo di Pindemonte.
Né le tragedie di Alfieri, Saul, Agamennone, Oreste, Virginia,
Polinice, Antigone, Ottavia, né i drammi del Metastasio, Attilio
Regolo, Temistocle, Catone in Utica, ebbero più forti interpreti
di lui. A questi si univan V Abate de l'Epée, il Cugino di Lisbona,
il Ministro d'onore, il Medico olandese, che accrebber nuova
fama all'artista già famoso. La robustezza del suo petto era
tale, ch'egli potè a sessantacinque anni replicar più sere il
Saul e V Aristodemo; quel Saul, nel quale egli fu sommo, e pel
quale vuol la leggenda di palcoscenico ch'egli si mostrasse
geloso del figlio Gustavo. Ma è da credersi, che la frase a lui
detta, se pure fu detta, quando salì sul palco, dopo ascoltato
il Saul: € no g' ave rispeto gnanca de vostro pare > ebbe più
un tuono di amorosa compiacenza, che di sciocco risentimento ;
dacché pare irrefragabilmente provato da chi lo avvicinò, che
egli fosse d'indole buona e avesse un amore sviscerato per la
famiglia (sposò il 1 801 la valorosa attrice Luigia Bernaroli (V.),
vedova Lancetti, da cui ebbe due figliuoli) ; e che la serenità
dell'uomo e la coscienza dell'artista non mai venissero meno
in lui, mostrandosi in ognun de' casi (o attore stipendiato, o
socio, o capocomico solo), direttore eccellente e galantuomo
rarissimo. Nei sette anni di esilio di Gustavo, egli, con sacrifici
di ogni maniera, privandosi quasi del pane per sé e i suoi, gli
fu largo dì soccorsi in Francia e in Isvizzera, sopportando sem-
pre con rassegnazione i molti dolori che per tristizia di tempi
ebbe a patire nel corso non breve della sua vita. Sazio d'en-
comi, e ben fornito di danaro, pensò di lasciar le scene per
darsi alla vita tranquilla della famiglia. Ma il suo riposo non
durò che sei anni. Costretto dalla sorte a riprender la via del-
l'arte, entrò nella Compagnia Internari (1823), ove stette più
anni, festeggiato e acclamato. Morì a Treviso fra le braccia del
figlio e della moglie, in tardissima età.
MODENA
Lauro Corniani d'Algarotti gli dedicò il seguente
SONETTO
Ai prischi di della Superba Roma
Roscio dal palco gli animi volgea,
e dai signori della terra doma
alta mèsse di plausi allor cogliea.
De' più gravi pensier posta la soma
l'Anglo al teatro cupido movea,
e or lieto, or irto per terror la chioma,
dal multiforme Carrico pendea.
Modena, e tu cosi se il sire argìvo
micidìal del proprio sangue additi
agli atti, al viso d'ogni pace schivo.
E pur cosi quando del Norte ai liti
in te lo Sveco eroe par redivivo,
e le sue gesta e sua fierezza imiti.
Modena Gustavo. Figlio del precedente; il più
grande, ÌI più completo, per comune consenti-
mento, degli attori del nostro secolo, nacque a
Venezia il 1 3 febbraio del 1 803. Iniziato alle let-
tere nel liceo di Verona sotto le discipline di
. -'Ilario Casarotti, passò poi a studiar legge nel-
' l'Università di Padova. Apertosi il 1820, quel
teatro, restaurato, colla Fedra dell'Orlando; di
cui eran parti principali la celebre Grassini, la Pasta e De-
begnis basso, egli fu dopo reciproche provocazioni generate
dal divieto agli studenti di partecipare alle prove degli spet-
tacoli, ferito a un braccio la notte del 25 giugno così gra-
vemente, che i dottori Fabris e Ruggeri nel lor rapporto lo
dichiararono in pericolo di vita. Dopo un mese di malattia,
< espulso, — dice il Leoni (DeìtArte e del Teatro di Padova.
Ivi '73) - per la colpa d'essere stato ferito dai manigoldi au-
striaci, » riparò a Bologna, ove si laureò avvocato, recitando
talvolta co' filodrammatici le parti ^\ primo attore, nelle quali
MODENA 133
mostrava di riuscir sommo. Morto Alessandro Lombardi, Sal-
vator Fabbrichesi pensò di sostituirlo col giovane Gustavo, il
quale, chiamato a Venezia (1824), esordì colla parte di David
nel Saul di Alfieri; e s'andò man mano acquistando tal fama,
che poco dopo entrò nella Compagnia di Antonio Raftopulo
come primo attore.
Formò dopo un anno, e per un triennio, una fortunata
società col padre e la celebre Carlotta Polvaro; e abbiam d'al-
lora, al Giglio di Lucca (i 5 maggio 1830), un programma par-
ticolareggiato di una rappresentazione straordinaria di spet-
tacolo straordinario con colpi di scena e scenari straordinari
del solito pittore della compagnia sig. Pietro Venier, ecc. Si
trattava della Scimia liberatrice ossia II naufragio del capitano
La Peyrotise. Il protagonista era Gustavo Modena, Comandante
la flotta francese il padre Giacomo, e la Scimia Welenfeldt.
Oltre ad essi, la Compagnia contava allora tra' suoi prin-
cipali artisti: Andrea Vitalliani, Angelo Venier, Angelo
PiSENTi, Carlotta Polvaro, Adetjvide
V1TALT.LANI, Caterina Venier, ecc., ecc.
Le cose procedevano floridamen-
te, quando le agitazioni politiche del's i
nello Stato della Chiesa, e la rivoluzione
di Bologna, ove Modena trovavasi la
quaresima con la Compagnia, lo fecero
risolvere ad abbandonar questa per ^
correre a difender sui campi di Rimini jf
la libertà d'Italia contro gli austriaci.
Vinti i liberali, ei dovè riparare in Fran-
cia. Tornò il '32 a Bologna, ma i fatti **
di Cesena lo ricacciarono in esilio: e fu a Brusselle correttore
di stampe, maestro di scuola e commerciante di maccheroni
e di cacio lodigiano ; poi in Isvizzera, poi di nuovo in Francia,
d'onde tornò, dopo sette anni di esilio, a riveder la patria e
i parenti, per amnistia del nuovo imperatore austriaco Ferdi-
nando L Comparve allora sulle scene del Teatro Carcano di Mi-
134 MODENA
lano sotto le spoglie del divino Alighieri, declamandone, svi-
scerandone alcuni canti, fra cui di Ugolino e di Francesca, che
suscitaron l'entusiasmo. SÌ unì poi a varie compagnie, colle
quali dava or qui or là poche recite, maturando il disegno di
formare e condurre una Compagnia propria di giovani forze
da avviare, da ammaestrare, da guidare: e la
Compagnia fu fatta, e alcuno de' nuovi accolti
riuscirono attori splendidi. Ammirato e amato
come artista e come patriota, percorse il Ve-
neto e la Lombardia, ove potè mettere assieme
una mediocre fortuna ; ma quando la rivolu-
zione di Milano preluse a quella del '48, egli,
chiamato a soccorrer la patria del suo braccio
e del suo nome, tutto abbandonò e sacrificò,
come nel '31 ; e fu il primo a entrare in Pal-
manova con in mano spiegata la bandiera
d' Italia. Ma rientrati gli austrìaci vittoriosi e trionfanti nel Ve-
neto, si vendicaron tristamente di lui, atterrando e distrug-
gendo la cìisa e la terra ch'egli aveva in Treviso, frutto del
suo ingegno e delle sue fatiche. Esiliato dalla Lombardia, dal
Veneto, dalla Toscana, dallo Stato Pontificio, dal Napoletano
e dalla Sicilia, dovè rifugiarsi nel Piemonte, ove fino al '61
restò, percorrendone le varie città or con compagnie rilevate,
or con formate di nuovo. Lo vediamo alla fine del '58 all'Apollo
di Genova, ove diede ìl mercoledì 22 dicembre un'ultima rap-
presentazione compresa nell'abbonamento del carnevale col
dramma dì Delavigne, Luigi XL Cacciati ì borboni da Napoli,
deliberò dì presentarsi colà come artista; ma cólto da un males-
sere generale dovè tornare a Torino, ove, sviluppatosi il male,
cessò dì vivere a soli cìnquantott' anni, il 2 1 febbraio del 1 86 1 .
Molte cose abbiamo a stampa di luì, o che discorron di
lui, uomo politico ed artista; e principali fra esse:
I. U Istruzione al popolo italiano e V Insegnamento popolare
di Gustavo Modena « scrittura — dice il Martini (Giusti studente
in Simpatie. Firenze, Bemporad, igoo) - a cui l'enfMÌ dello
MODENA 135
Stile guerrazzeggiante non scema vigore e non toglie effica-
cia.» Vì€^ Insegnamento popolare egli riferisce il sunto che ne
fece il Lami al Presidente del Buon Governo e ch'egli dice
fedele; e quella parte del dialogo riguardante il Canosa, a
proposito della quale egli sarebbe incline a credere che Io
spiedo immaginato dal Modena gene-
rasse la Ghigliottina descritta dal Giu-
sti {Ivi, 112, 113).
II. Tutta l'opera sua nella stampa
della Giovine Italia.
III. V Epistolario, che doveva es-
sere raccolto da Mauro Macchi, se-
condo afferma il Ricciardi, e pubblicato
con prefazione di Giuseppe Mazzini,
ma che vide soltanto la luce nel 1888
per opera della Commissione editrice
degli scritti di G. Mazzini, col quale egli eresse a sé l'oraziano
monumento più durevole del bronzo, e nel quale è un'ampia
e bella biografia dettata amorosamente da Ettore Socci, rile-
vante in ogni sua parte la grandezza dell'affetto che a lui le-
gava la incomparabile compagna Giulia Calarne di Berna, che
lo aveva sposato fuggisco, e che fu — dice il Mazzini - donna
mirabile, come per bellezza, per sentir profondo, per devozione e
costanza d'affetti e per amore alla sua seconda patria; corse più
tardi ogni pericolo di guerra accanto al marito nel Veneto
IV. Una lettera al celebre attor dialettale Giuseppe Mon-
calvo, meneghino, nella quale sono espressi i suoi intendimenti
d'arte, e le vie da seguirsi ad arrestarne il precipitoso decadi-
mento, riprodotta poi dal Bertolotti nel suo studio sul Moncalvo.
V. Gustavo Modena e l'arte sua di Luigi Bonazzi, che ha
data un'idea abbastanza chiara, a noi che non avemmo la sorte
di sentirlo, della sua artistica grandezza.
VI. Un capitolo nelle memorie dì Tommaso Salvini, inti-
tolato : Come G. Modena istruiva.
VII. Una conferenza di Adriano Palombi (Roma, '99).
136
MODENA
Vili. Una conferenza di Edmondo De Amids {Speranze e
Glorie. Milano, Treves, 1900), alta, appassionata, piena di fer-
vore patrioti co.
IX. Una conferenza di Carlo Zangarini (Bologna, Zani-
chelli, igoo), ov'è tutto l'entusiasmo della sua gagliarda gio-
vinezza.
E alle cose già edite e citate aggiungo oggi due lettere
inedite che riferisco intere: la prima del 15 aprile 1845 da Ber-
gamo a Mariano Somigli impresario del Cocomero, oggi Teatro
Niccolini, a Firenze; la seconda del 1° febbraio 1848 da Ve-
nezia all'abate Iacopo Terrazzi a Bassano.
Caio Mariano,
Mascherpa ha ragione di mettersi ia collera con Montazio. Qaando an giornalista
vaol gridare contro la meschinità della mise m scine, deve anche dire al pobblico: < tu
pubblico asino e spilorcio, che dai tanti paoli all'opera; e voi accademie orecchìnte che
per l'opera date migliaja di scudi, date anche alla commedia i mezzi di decorare la scena. >
Ma egli, il giomatitla, comincia dall' abonarsi con due crazie per recita, tante quante ne
dà al decrotteuT per polirgli gli stivali; e poi grida: arte, arte! - aite un cazzo: poveri
saltimbanchi che vi facciamo i baffoni per strappar la vita; ecco cosa sono i comici. - Mi
Ta da ridere quando parla dei Faigny e dei Doligny, e altri francesi: quei poveri infelici,
dopo d'aver divertito il colto pubblico italiano, han dovuto far delle collette per tornare
MODENA 137
in Francia; e qui si son mangiati gli abiti, i bijoux, le camicie, e. fin le unghie. Io ho
seguitato fino a pochi mesi addietro a spendere e spandere per decorare le produzioni con
una esattezza di costumi e con uno sfarzo ignoto fino ai nostri giorni ; e qual è la città
che me ne ha tenuto conto ? La sola Milano : senza Milano, io fallivo. Qui, a Bergamo,
perchè ho messo il biglietto a una lira, m' avean minacciato di fischiarmi nei pubblici caffè.
£ a questo proposito il pubblico di Firenze è forse più indietro di quel di Bergamo. Itnparo
da te che Taddei è vivo: non ne sapevo nulla da lui. Che non piaccia a Civitavecchia è
possibile : perchè il pubblico di Civitavecchia non avrebbe da esser asino ? Lo son tutti.
Il Battaglia vuol fare una compagnia per il suo teatro Re; ma in questa io non
entro per nulla. M' ero obbligato a far tre recite per settimana in Milano colla detta sua
compagnia, se egli avesse trovato i duecento sovventori che chiedeva nel suo prospetto
stampato; non li ha trovati; ed io mi son chiamato sciolto. - Ho già licenziata la mia
compagnia, ed ho messa in libertà la quaresima di Padova, e colPultimo di camovalone 4$
in 46 finisce il mio capocomicato. Probabilmente verrò a passar Tanno venturo in un
villaggio di Toscana, alla campagna. Battaglia è in trattato con alcuni de' miei artisti : colle
Botteghini madre e figlia, colla Sadowski, con Bellotti-Bon, col ragazzo Vestrì Angelo,
e con Lancetti. So che ha scrìtto alla Santoni, alla Fusarìni, perchè vorrebbe riunire molte
brave donne e farle lavorare a vicenda, ma a questo non riuscirà : le convenienze!! - In
fin dei conti io credo che la Compagnia del Battaglia finirà prima di cominciare come quella
di Ali impresario per le Smime. Addio. Saluta tutti. H tuo Modena
Dammi notizie della Intemari.
II.
Pregmo. Sig.»" Professore,
Mi ascrivo ad obbligo il dare pronto riscontro al gradito di Lei foglio 28 spirato
gennaio. E dopo di averle resi i più vivi ringraziamenti per le gentili espressioni che in
quello Ella si compiace dirigermi. La prego di voler manifestare a cotesto illustre Ateneo
i sensi della mia riconoscenza per l' onore che mi ha fatto di nominarmi suo Socio corri-
spondente. Mi è poi di grandissima compiacenza l'entrare seco Lei in tali rapporti, che
mi procureranno il piacere di conoscerLa personalmente, e di riconoscere in pari tempo il
di Lei merito anche in fatto di pubblico insegnamento. Frattanto ho il vantaggio di potermeLe
dichiarare Obblmo. Dcvmo. Servitore
G. Modena.
Grande e bella figura questa del Modena, di cui non sap-
piam bene se più e meglio valesse la modestia sincera, l'arte
potente, o il patriottismo caldissimo. Leone Fortis delineò
l'uomo politico nel Capitan cortese del 12 aprile '96 con queste
parole :
Fu tutto di un pezzo : repubblicano sin dalla prima giovinezza, fiero nemico cosi
dell' oppressione straniera, come di qualunque arroganza anche tribunizia che mirasse ad
imporsi, sia con la dittatura della piazza, sia con quella della Reggia.
Mi ricordo di averlo veduto nell'Assemblea Toscana in cui era deputato, capitanare
un giorno un tentativo di rivolta dell'Assemblea contro la dittatura di Guerrazzi - dittatura
18. — / Comici italiani. Voi. II.
IJB
MODENA
a U Rappre-
acre, aipni, igarbaU, che non sdvava nemmeno le Bpparenxe, e e
■estanu del popolo a fcndisciate. - Il tentativo falli, • L'Assemble
per reggervi. - Il dittatore inipote il roto di fiducia e l' ottenne, - Ma l' nrto fra i doe
nomini, entrambi di ferro, fra 1 dne caratteri irti di ponte e di angoli, fn terribile. - Gtter-
raxzi rispoic alla interpellanza di Modeiu, «ecco, sdegnoso, incondo, e cUnie diceodo ;
E eoli Tiipvnd« al ditcora recitato (e marcA ipreuante la fìraae) dal DeftÈtaio M«dtna,
Modena scatta in piedi, rouo in viso contro il no «olito, tremante, schÌE»ndo fuoco dagli
occhi: Con^rmde taUutieitt àaeltnU e la
raecolgQ. Soffia il sipar Guerra^ cht io
mi itnt« tanto altero di rtcilart la tragedia
al Teatro di Borgognissattti, guanto tunilialo
nel prender farle a questa indigna comme-
dia di Palaste Vecchio.
Gnerraizi, dal ino banco ministe-
riale, pallido, terreo, mandando lam^ di
collera dai cristalli del suoi occhiali d'oro,
irmppe con brotca impazienza: Non feci
allutieni; - non si accalori coti. È tulio
E Modena di rimando : • Risponderò
a lei come fu gii risposto da un nomo li-
bero come me ad on grande tiranno - ma
ad nn tiranno da tragedia, non da comme-
dia, a Napoleone I : È il nostro destino
quando si parla di libertà - per me dì ar-
rossire, per voi dì impallidire. >
L'Assemblea andò sossopra - Il pub-
blico batteva fteneticamenle le mani.
li sentimento dell' onesti e della rettitudine prevaleva
e ai rancori personali.
ra uomo di passione, ma
1 lui alla passione politit
Nessuno certo potè mai più di lui né come lui suscitar
l'entusiasmo nel popolo affollato, sia si mostrasse sotto le
spoglie di Paolo, sìa dì Luigi XI. sia di Saul, sia di David; o
di Adelchi, o di Waìenstein. o del Cittadino di Gand, o dì Mao-
metto, o A'Icilio, o di Remy. o dì Raimondo, o di Dante, del
quale interpretava (come abbiamo da un programma di sua
beneficiata al Teatro del Giglio di Lucca, la domenica 7 giu-
gno 1840, in Compagnia Dorati), Mino — Francesca da Rimini
- Cerbero (Canti V e VI), Ladri tramutati in scrfii (Canto XXV),
Curio ~ Il Mosca - Bertram del Bornio (Canto XXVIII). Fal-
satori — Maestro Adamo (Canti XXIX e XXX). Luci/ero — Bocca
- Ugolino (Canti XXXIl, XXXIII, XXXIV).
Né minore entusiasmo egli suscitava in assurdità incre-
dibili come quella famosa del pugnale infisso con gran violenza
sul piano della tavola, che.... doveva essere di marmo. Ma....
altri tempi, allora. La missione del teatro non era, allora, di
mostrare al vivo malattie del nostro spirito e del nostro corpo,
senza ragione, senza concetto,
senza ideali; o di intrecciar paz-
zìe e bizzarrie per ridar vita alla
nostra fibra addormentata. C'era
allora una patria da liberare;
e' era un popolo da educare, da
ingagliardire.... E l'artista e il
patriotto insieme si servìvan di
ogni mezzo per riuscir nell'in-
tento. Non occupiamoci ora di
stabilire se antiartistica, o poco
logica, o addirittura grottesca
potesse essere l'apparizione di
Modena sotto le spoglie di Dan-
te, che i canti ^^VC Inferno decla-
mava, immaginando dì improv-
visarli e dettEU-li inspirato a un giovinetto seduto a un lato della
scena.... Quel che più cercasse il Modena con tali declama-
zioni, se, cioè, di ravvivar nelle genti l' amore pel grande vo-
lume, o non piuttosto di mostrar loro i più riposti sentimenti
politici del fiero ghibellino, non sappiam precisamente. Ma sta
in fatto che l'uno e l'altro scopo non ottenner dalla cattedra
tutti insieme gli eruditi espositori, com' egli dalla scena al po-
polo infiammato.
Dice il Leoni eh' « egli tutto possedeva tranne la perfetta
voce. Studente ancora, il brutto morbo, figliastro dell'amore,
corrodendogli le cartilagini nasali deformò il suo volto, ch'era
nobilissimo, e alquanto fessa rese la voce che avea potente e
bella, ond' era necessario abìtuarvisi. Le forme del corpo atle-
tiche e ferrea tempra. »
I40 MODENA
Di tutte le parole stampate in prosa e in verso a onore
del sommo italiano, scelgo la seguente ode, d'altre forse men
peggiore, che il Dall' Ongaro dettava nel giorno che Gustavo
Modena chiuse le sue rappresentazioni nel Teatro di Palma,
intitolato poi dal suo nome.
No - non è roro T idolo,
a cui sacra gl'incensi, e innalza un'ara
la mia terra materna all'arte cara.
No, della gloria il palpito
non è figlio dell'or, né quel desio
ch'erge al Genio teatri e templi a Dio.
Ferve nel petto agl'Itali
più nobil foco, e ad alte opre gli appella
l'amore e il culto d'ogni cosa bella.
Questo t'accende, o Modena,
quando rendi a Talia l'antico impero,
e mostri come il bel s'accoppi al vero.
Questo dettò le semplici
norme a Colui che, del tuo plauso degno,
architettò questo gentil disegno.
E già sacro l'invidia
de' pedanti lo fece, e lo consola
l'eco possente della tua parola.
Forse l' industre arteBce
di questa nova gloria era presago,
quando il suo circo immaginò si vago.
Or nobil premio all'opera
Sien del tuo labbro i non mentiti encomj,
e il Teatro gentil da Te si nomi.
Invano si reclamava dalle gazzette più autorevoli un mo-
numento al grande artista e al gran cittadino,... Invano si det-
tavano iscrizioni da incidere in un sasso che ne ricordasse ai
posteri il nome e le virtù. Il 29 aprile del '900, Torino, rifugio
dell'esule, che gli fu seconda patria, inaugurò, per l'opera co-
MODENA -
st^lnte e amorosa di Giu-
seppe Cauda, un giorna-
lista, che dell'arte del
teatro s'è fatto un culto,
il sospirato monumento,
degno lavoro di A. Bi
stolfi, al quale porse il
saluto della patria Enri-
co Panzacchi, e sul qua-
le sono incise queste de-
gne parole di A. Graf :
mOEGNO I PER CARITÀ DI
A I PER INTEGRITÀ. DI VITA |
A MAGISTERO
RITA DI VIRTÙ
uoai. I tS03-iS6i.
Moncalvo Giusep- .
pe. Artista celebre nella
maschera milanese del
Meneghino, giudicato
dal Vestri la verità per-
sonificata; ammirato e
stimato da Gustavo Mo-
dena (V.) che gli dires-
se lettere su argomenti
d' arte, capocomico fa-
moso, a cui fecer capo
nel loro inizio artisti sommi ed egregi, quali la Ristori, la
Sadowski, la Robotti, la Lipparini, Bellotti-Bon, Gaspare Pieri,
Ernesto Rossi, Carlo Lollio ed altri, nacque a Reggio d'Emi-
lia il 4 luglio del 1781 da Carlo, dentista chirurgo milanese.
142 MONCALVO
e da Antonia Cianici. Fuggì a diciotto anni dalla casa paterna,
ed esordì ad Abbiategrasso. Nel 1804 recitò al Teatro Got-
tardi di Vercelli, poi, l'autunno, a Magenta, formando Tanno
dopo una compagnia regolare in società con G. B. Pucci e Carlo
Dondini, della quale era anche primo attore. Richiamato dal
padre a Milano, ove gli fu permesso di alternar V arte della
scena con la professione paterna, istituì filodrammatiche so-
cietà, di cui egli era esperto direttore, recitandovi con successo
parti di tragedie alfieriane, quali di Filippo, di Agamennone, di
Egisto, ecc. Fattosi capocomico nel '19, trovò la maschera del
Meneghino, resa popolare da Gaetano Piomarta, che il Mon-
calvo in breve emulò e superò, più commerciale della tragedia;
e se ne servì, nobilitandola a segno da sostituirla alle parti ca-
ratteristiche delle opere classiche, come ad esempio del Curioso
accidente, del Burbero benefico, del Filosofo celibe, de^VInnamo-
raii, ecc. Diventò direttore della Compagnia Guarna, poi di
quella Ciarli, passando dal Carcano al Lentasio, e da questo
alla Stadera, per metter finalmente il piede sulle scene delTari-
stocratico Teatro Re, ove fu, come dovunque, acclamatissimo.
Quindi i trionfi del Moncalvo non ebber più tregua. Fu in Pie-
monte, nel Genovesato, negli Stati Estensi, nelle Romagne, e
la stampa d'allora lo chiamava la delizia universcde. Natural-
mente egli ebbe comuni coi grandi stenterelli le scurrilità, le
bottate al governo, e le prigionìe. Ma queste diventavan quasi
una celia, confortate dall'ammirazione sconfinata per l'incom-
parabile artista, la quale su tutti gli profuse in privato episto-
lario e su per le gazzette Angelo Brofferio, di cui, metto qui
il brano seguente :
Ti ringrazio, o mio buon Moncalvo, lume e splendore dei Meneghini^ ti ringrazio
dell'oblio che spargi sulle mie pene, del sorriso che chiami sulle mie labbra, della sere-
nità che trasfondi nel mio cuore. O sia che servitore in Venezia tn ti accinga al servizio
di due padroni^ o sia che barbiere in Gheldria^ tn abbia la lingoa più affilata del rasoio,
o sia che scudiere in Benevento ta t' involga nel concistoro delle streghe^ sempre spon-
taneo, sempre spiritoso, sempre giocondo, tn semini la gioia, tu ecciti gli applausi, tu
desti 1' ammirazione. O quanti attori che calzan coturno e veston manto, debbono umi-
liarsi dinanzi alla tua modesta livrea! O quanti Edipi, quanti Eteodi, quanti Filippi,
quanti Agamennoni si terrebbero fortunati di essere Meneghini! Né fu colpa del destino.
MONCALVO
>43
Tebe, e
■ Keltk, (e tn ti aggiri nri trivii di Milano,
lotto le mank di Troi*. Tu potevi *Tete na ti
inninzi, o filosofia, ed ammirate i Ma le la tua parte
o Moncalvo, peuando «I Itia degli Eroi. Eteocle fa
uccisa dalla coiuorte, Edipo ha ucciso il padre,
Filippo ha Dcciao il figlio, e Menegliiiio non
ebbe mai kllro nemico che U mestizia de' snoi
uditori. Ah 1 ta eri il mio Eroe ; tu sri la
gemma degli Eroi.
Prosegui sniinosamente nella lieta pale-
stra. Ti sorrida costante la fortuna, come lai
costantemente sorridere la platea; e le avvertii
(aht mai non avvenga!) che l'oro ti dichiari la
gaerra, tn allora, novello stoico, appagati degli
applaoii.... ma tn aogghigni, e mi dici che gli
appianai sono una moneta in commercio non ri-
cevala.... ebbene recita allora le trmtatri di-
sgrtait di Maugkine..,. e non aia il mìo arti-
colo la trentesima qnarta.
ti che aggirarti nelU Reggia di
I e scegliesti nn pagliaio. Fatevi
1 k qaella d'nneroe, consolati,
iso dal fratello, A^mi
"^^ ^9n.e^^'
E mi par dovrebbero ba-
stare queste parole a dar l'idea
esatta dell'arte del Moncalvo e
del fascino eh' egli esercitava sul
pubblico. Quanto al Meneghino,
egli s'adontava ogni qualvolta gli
si desse il nome di maschera.... e
lo si mettesse in mazzo con Ar-
lecchino, Brighella e Pantalone.
«Meneghino -egli diceva- è ca-
rattere e non maschera,» e Am-
brogio Curti, da cui tolgo le presenti parole, aggiunge: «ed io
credo fosse proprio nel vero, perocché egli fosse la sintesi fe-
dele del carattere milanese o piuttosto ambrosiano, che, per il
confluire nella mia città di tanti diversi elementi d' ogni popo-
lazione d'Italia, si va ogni dì piìl perdendo.»
Alcuni fecer derivare Ìl nome di Meneghino da Dome-
nico, altri da omeneghino, piccolo uomo: altri ancora da Me-
nechino, come s'usò per erronea lettura chiamare I Menechinì.
facendo risalire il nostro tipo, non so con quali argomenti, alla
Commedia plautina.
144 MONCALVO
Nel Mattino di Napoli dell' 1 1 agosto '97 un abbonato mi-
lanese dice che
Meneghino trae la sua orìgine da Domenica, essendoché era uso in Milano, nei
secoli passati, di chiamare in servizio, per tutta la giornata di Domenica, nn nomo del
popolo, il quale si prestava al disimpegno di molteplici faccende, acconciandosi anche a
fungere da servo straordinario. E poiché quell' uomo del popolo era di solito sollazzevole
e burlone, ed era al fatto di tutti gl'intrighi e degli avvenimenti del quartiere, intorno
ai quali emetteva giudizi pieni di acume e di sale; cosi si affibbiò il nomignolo di Me-
neghino alla maschera del popolo milanese, nella stessa guisa che si battezzò col nome
di Pulcinella, la maschera del popolo napoletano.
Comunque sia, il Meneghino personaggio comico, ed esclu-
sivamente milanese, apparve la prima volta su le scene in com-
pagnia di Donna Quinzia, Beltramina e Taresca, per opera di
Carlo Maria Maggi, al cader del secolo xviii.
Giuseppe Moncalvo ebbe due mogli: Maria Bonetti, la
prima, figlia di Francesco e di Teresa Proverbio, nata a Mi-
lano nel 1785, e quivi morta nel 1843, con cui condusse vita
tormentosa; e Giovanna Roveda di Carlo e Maddalena Ros-
setti, nata a Torino nel 1805, con cui visse amorosamente, e
che a lui sopravvisse.
Troppo ci vorrebbe a metter qui le testimonianze della
grandezza e bontà del Moncalvo. Scrisser di lui distesamente
il Ghislanzoni, il Regli, il Brofferio abbiam lettere di Ade-
laide Ristori, di Ernesto Rossi, di Alamanno Morelli e
poesie di ogni specie, fra di cui una Cantata di addio del '33
a Torino, dalla quale apprendiamo com'egli recitasse in ita-
liano il D. Ippolito nel Filosofo celibe del Nota, riscuotendovi gli
universali applausi. Ma, pur troppo. Toro, come accennava il
Brofferio, gli mosse la guerra. Aveva preso in affitto il Teatro
della Commenda, e restauratolo ed abbellitolo, lo andava ce-
dendo alle varie compagnie, mettendo per condizione di con-
tratto una recita a suo beneficio, alla quale egli avesse preso
parte. Per tal modo egli vide la luce della ribalta a poco men
che ottant'anni; e, se non miseramente per merito della seconda
moglie che mise un freno alle inconsulte dissipazioni, non certo
quale avrebbe potuto, morì in Milano il 29 di agosto 1859.
MONCALVO - MONTI 145
Di lui si hanno alcune notiziole biografiche, pubblicate
nel '58, delle quali principalmente si servì il Bertolotti nel di-
stender la vita deir artista (Milano, Ricordi).
Monti Giuseppe. Bolognese. Era il secondo vecchio, cioè
Dottore, della Compagnia di Giuseppe Imer, che poi abban-
donò per recarsi a Napoli col figlio Tommaso; e di lui scrisse
Carlo Goldoni nel volume XIII dell' ediz. Pasquali:
Sosteneva egli mirabilmente nn tal personaggio, ma riusciva ancor meglio nel ca>
rattere di Petronio, San Petronio è il santo protettore de' Bolognesi, e moltissimi di loro si
chiamano con tal nome ; onde il celebre Alessandro Tassoni nella Secchia Rapita volendo
parlare de' Bolognesi, li chiama i Petronj. Questo personaggio rappresenta ordinariamente
nn buon bottegajo, e per lo più un maestro lavoratore di canapa, di che abbonda, più che
d'altro, quel Territorio. Figurasi un Uomo di buona fede, facile a lasciarsi ingannare,
ed è quasi sempre nelle Commedie dell' arte lo scopo delle furberie del Brighella, delle im-
pertinenze dell'Arlecchino, e della derisione degli amorosi.
Monti Tommaso. Bolognese, figlio del precedente. Lo
v^dSzxviJerzo amoroso nella Compagnia di Giuseppe Imer; e dice
il Goldoni eh' egliyi^ cattivo comico finché fece la parte dell'amo-
roso, e che poi divenne eccellente, quando dopo la morte di suo
padre prese la maschera del Dottore, nel guai Personaggio la sua
grassa e goffa figura non disdiceva, ami lo rendeva di piacevole
caricatura. Anche il Bartoli dice che travagliò con molto spirito
nella maschera del Dottore e fu conosciuto per un ottimo comme-
diante. Sposò la figliuola Angela all'arlecchino Gabriele Co-
stantini (V.), col quale, uscito dall' Imer, fu a Napoli al servizio
di Don Carlo. Passò poi a Venezia nella Compagnia di Giro-
lamo Medebach, e in essa, passando a Milano, morì la prima-
vera del 1757.
Monti Carlo. Bolognese, figliuolo del precedente, recitava
le parti d^ innamorato, alternando l'arte del comico con quella
della pittura, nella quale riuscì ritrattista mediocre. Fu con la
Compagnia di Gaetano Romagnoli, al posto di Nicola Petrioli
che n' era fuggito, poi con quella di Domenico Bassi. Mortagli
la prima moglie, s'abbattè il 1 765 in una fanciulla di Cremona,
19. — / Comici italiani. Voi. II.
146 MONTI
per nome Teresa (V. Avelloni-Monti Teresa), la quale, sposa-
tala, educò alla scena con molto profitto. Ma la sciagurata
compensò T appassionato marito coU'abbandonarlo; sì che, non
potendo egli farsi una ragione del perduto amore, si uccise a
Sarzana Tanno 1778, gettandosi in un pozzo. Né men celebre
divenne la moglie per essersi gettata in mare a Livorno, come
racconta il Piazza nel suo Teatro:
Bravi un'altra donna in quella Compagnia, che si rese poi celebre nella Comica
storia, per un salto da grottesca che fece dal molo di Livorno, con intenzione di non
fame altri mai più. La serbò in vita un marinaio, che trovavasi in uno schifo, vicino al
sito dove gettossi, afferrandola alla gonnella. Chi dice che fu Amore cagione di quello
sproposito; chi una disperazione per mancanza di soldi; e chi per essersi offesa di una
imputazione non meritata. Ella è una comica da poter farsi onore, e se nelle Tragedie
imparasse meglio a gestire, assai più sarebbe stimabile.
Monti Pietro. Fratello di Carlo, artista di qualche pregio
per le parti d' innamorato, recitò in varie compagnie vaganti, e
fu diversi anni con Giuseppe Lapy al Sant'Angelo di Venezia,
che poi lasciò, per andare a recitare in compagnie di minor
conto. Viveva ancora fuor dell'arte a Venezia nel 1781.
Monti Pietro. Nato a Roma il 1 799, vi perde, bambino, la
madre, e dovè, giovinetto appena, seguire il padre in Sicilia, che
era maestro di caisa di una famiglia d'inglesi. Nei moti popolari
di Palermo, gli fu assassinato il padre, e la famiglia inglese prese
la fuga su di una nave mercantile. Solo, caduto nella più squal-
lida miseria, il giovinetto Pietro si offerì ai trionfatori in qualità
di tamburino, per fuggir poi anch' egli alla prima occasione su
di una nave che lo portò a Civitavecchia, d'onde recossi pede-
stre a Roma. Si conta, che privo di mezzi per pagarsi il più
misero alloggio, dormisse il più delle volte accovacciato in
qualche nicchia di chiesa, mancante della statua. Venuta in
Torino la Real Compagnia Sarda, il giovinetto, che alla man-
canza assoluta dell'istruzione sopperiva colla svegliatezza della
mente e colla fierezza dei propositi, si presentò al primo attore,
Camillo Ferri, ofifrendosegli come servitore. Fu accettato; e
tanta misericordia destò in lui coi racconti delle sue avventure,
e tanta stima si procacciò coU' obbedienza e col lavoro, che il
Ferri lo condusse nell'altre città, avendoselo più amico, che
servo. L'amore pe'l teatro gli si andò sviluppando a grado a
grado, e, quando il suo
ufficio gliel comportava,
stavainchiodato alle quin-
te, pendendo dalle labbra
degli artisti,especialmen-
te del suo padrone. Ora
accadde che una sera il
Ferri, a ora tarda, scrisse
non potere in alcun modo
recitare per sopravvenu-
ta indisposizione: la qual
cosa mise in impìccio non
lieve il capocomico Bazzi
che non avrebbe voluto
mutar lo spettacolo, né sa-
peva a quell'ora in qual
modo rimediare. S' offrì il Monti di sostituire il Ferri : e alle
meraviglie e obbiezioni degli artisti rispose con tal sicurezza,
che ne fu fatto l'ardimentoso esperimento, con riuscita ab-
bastanza buona. La commedia recitata fu Paolo e Virginia, e
dice la cronaca che il servo si mostrasse assai più in carat-
tere del suo padrone. Da quella sera cominciò la vita artistica
di Pietro Monti. Gli sì afìidaron partì di generico e di secondo
amoroso: e si notaron subito le sue attitudini spiccate alla
scena. XÌ2I secondi amorosi passò si primi, finché, nel 1835, spo-
sata Giulietta Alberti, sorella del brillante Adamo (V.), entrò
con lei e col cognato nella Compagnia dei Fiorentini, per so-
stituirvi r egregio amoroso Giovan Battista Gottardi (V.), di
cui non potè sì facilmente cancellar la memoria, a cagione, in
ispecie, della voce aspra e nasale. E si narra che una sera, non
dandogli più l' animo di sopportare la manifesta avversione del
148 MONTI
pubblico, fattosi alla ribalta, invocò pietà e misericordia ; e lo
fece con tal garbo e con tal commozione, che l'avversione si
mutò di subito in indulgenza, e d' allora Pietro Monti diventò
il beniamino del pubblico. Toltosi dalla società il Tessari, col-
pito d' apoplessia il Visetti, V impresa venne assunta da Pre-
piani, Monti e Alberti, assumendo il nostro artista per la
prima volta il ruolo di primo attore assoluto, che sostenne
con clamorosi successi fino al '49, nel quale anno fu colto da
alienazione mentale, che lo condusse in breve tempo a morte.
Di lui scrisse Michele Cuciniello, uno de' fortunati autori che
Tebber felice interprete delle loro opere.
Pietro Monti, completamente illetterato, che l'avventurosa sna adolescenza gli aveva
chiasa ogni via da istruirsi, fu nondimeno un artista drammatico più ancora prodigioso
che egregio. Egli non era stato fatto artista dallo studio, ma creato tale da Dio ; e però
di quanto il genio soprasta gì' insegnamenti delle scuole, di tanto il Monti, nel signoreggiar
gli animi dei suoi spettatori, superò gli altri artisti. Regolari ed espressivi furono i linea-
menti del suo volto, vivi gli occhi e nerissimi, proporzionate ed armoniche le forme della
persona, e la sua voce, la quale nella conversazione comune era d'un metallo piuttosto
spiacevole, nei momenti poi di passione e di concitamento di affetti acquistava tanta dram-
matica energia, metteva tali suoni, da scuotere prepotentemente le fibre dei suoi uditori.
- Quando un carattere, un personaggio, lo avevano commosso ed interessato. Monti non
temeva rivali nell' immaginarselo col pensiero e nel dargli una forma sulla scena. Egli allora
non fingeva più; ma per uno sforzo di fantasia, di cui solo conosceva il segreto, s'im-
medesimava, si trasfigurava nel personaggio, che aveva preso a ritrarre, illudeva in somma
sé stesso prima d' illudere gli altri ; e quindi, piangendo, tremando, rallegrandosi davvero,
senza obliar mai quel bello ideale, che la mano stessa del Bello eterno gli aveva stampato
nell'anima, costringeva gli spettatori a piangere, a tremare, ad allegrarsi con lui. - Era
tanta la potenza del Monti nel trasfondere, dirò cosi, in sé stesso il soggetto da lui rap-
presentato, che spessissime volte, calato il sipario, egli rimaneva come stupito e fuori di
sé, e visibile era il suo sforzo per passar da quella esistenza creatasi con la fantasia, nel-
l'esistenza sua propria.
A queste parole vanno unite alcune sestine pur -del Cuci-
niello, di cui riferisco le due ultime :
Addio, bell'alma, addio, prodigio, a cui
Volle il del rivelare e donar tutto
Queir incanto e queir arte, che in altrui
Sol di vigilie e di sudor son fruttò;
Dono fatai però^ che consumava
Come fiamma quel petto, che animava:
MONTI 149
La farfalla così, l'ala agitando,
Spezza r invoglio, in cui prigion giacca;
Cosi af&lato adamantino brando
Logora la guaina^ che il chiudea;
E la perla, che al genio s' assomiglia,
Rode cosi la povera conchiglia.
E neir Omnibus di Napoli del 1 4 gennaio 1 84 1 a proposito
deir interpretazione dello Chatterton di M. Cuciniello, P. Vac-
caro Matonti scriveva:
all' effetto ed al saccesso gran parte vi ha tenuta Monti, del quale artista sa-
rebbe ingiustizia non promulgare soprattutto il suo ardente zelo nelle parti che esprimono
affetti e sentimenti di forte esaltamento ; egli non simula per arte il carattere che sostiene,
ma se ne infiamma tanto che va a discapito della propria salute : bel sacrifizio in vero che
egli tributa all' arte suél, e per la quale si fa tanto pregiare ed amare da tutti.
Un degli ultimi tratti di follia che determinaron la sua en-
trata neir ospedale de' pazzi d%^ Ponti Rossi, ci è raccontato dal-
l'artista Luigi Aliprandi che del Monti fu lungo tempo collega:
Cominciò a dire e sostenere che il Re Ferdinando II lo aveva nominato Diret-
tore dei due R. Teatri, San Carlo e Fondo; e che nessun Cantante, Ballerino o Suonatore
vi sarebbe scritturato senza il di lui consenso. In tale illusione si presentò una mattina al
Palazzo Reale per voler parlare a Sua Maestà. H portinajo ignorava lo stato della sua
mente, e gli disse che il Re era in colloquio col ministro. Egli rispose : ebbène, lo aspet-
terò. Accostatosi al letto del portinajo, si tolse in un lampo le scarpe ed il vestito e si
cacciò fra le lenzuola. Di tal fatto si mandò avviso al cognato Alberti, il quale si recò
colà in compagnia di un medico amico, e lo fece subifo rivestire dicendogli che il Re lo
attendeva al R. Palazzo di Capodimonte. Lo posero in una carrozza, avviandosi per quella
via, ma poi lo condussero all'ospedale dei pazzi, detto de' Ponti Rossi, mentre lo scia-
gurato andava ognor ripetendo di voler discorrere al Re.
Monti Ltiigi. Figlio del precedente e di Giulia Alberti,
nacque a Napoli del 1836. Esordì generico giovine in Compa-
gnia di Alberti e Colomberti dJ Fiorentini, e fu sì rapido il suo
progredir nell'arte, mercè una naturale attitudine, ma più an-
cora lo studio indefesso, che nel '61 si recò a Brescia a rag-
giungervi la Compagnia Morelli, della quale era il tìmovo primo
attor giovine assoluto. Non andò lungo tempo eh' egli al fianco
di Pia Marchi, fu proclamato il più grande de' nostri amorosi:
che se, forse^ a lui mancarono gli slanci potenti della passione,
di cui tanto ricco era il Lavaggi, nessuno mai potè aggua-
gliarlo né accostarglisì per la delicatezza del sentimento, la
soavità della dizione, l'aristocrazia de'modì. La Fragilità e la
Verità del Torelli, il Romanzo di un giovane povero del Feuillet,
il Giovanni Baudry del Vacquerìe, i Sogni £ amore dello Scribe,
il Figlio di Giboyer di Augier, il
Figlio naturale, il Demimonde e
V Amico delle donne di Dumas fi-
glio, e altri molti lavori d' indole
più disparata, uscivan dall'arte di
Luigi Monti, di Pia Marchi, di Ala-
manno Morelli, trasfigurati. Stette
Luigi Monti nove anni in quella
compagnia, per assumere il ruolo
ài primo attore assoluto nella nuova
società Pezzana, Romagnoli e Pri-
vato.... e, dopo un triennio, di/rt-
mo attore e direttore nella Compa-
gnia n. 2 di Fanny Sadowski. Fu
a codest' epoca che Luigi Monti
mise in iscena V Amleto, nel quale si rivelò Ìl più intelligente
de' nostri artisti. Nell'interpretazione del Nerone di Pietro
Cossa toccò le più alfe cime, non ostante la esiguità della
figura e della voce. Io, allora in sua compagnia, ricordo le ma-
gistrali interpretazioni de' Vassalli di Castelvecchio, del Duello
di Muratori, dello Chatterton di De Vigny, allor vivi nel reper-
torio italiano per opera sua soltanto, e la Satira e Parini di
L, Ferrari, ìn cui si mostrò fino agli ultimi anni protagonista
insuperato. I nuovi lavori che accrebber nuove fronde alla sua
ghirlanda, fiirono i Fourckambauli di Augier, il Povero Piero
di Cavallotti, e il Lantenac d' Interdonato. Fu poi capocomico
con varia fortuna; e, or è qualche anno, fu nominato direttore
dell'Accademia de' filodrammatici di Milano, non lasciando
ogni tanto, di mostrarsi al pubblico sotto le spoglie di quei
personaggi che più gli acquistaron fama di eletto artista.
Monti Alessandro. Figlio di comici, cominciò a farsi no-
tare in Compagnia Alberti a Napoli l'anno 1848. Fu il '49
colla società Colomberti-lnternari, nella quale si unì in matri-
monio colla prima amorosa Cesira Longhi.
■ ^_ Scioltasi la compagnia in Livorno per ragione
I ^^^ di guerra nella primavera di quell'anno, il
fi ì-^^V Monti si scritturò assieme alla moglie con
H^^S^^ Luigi Pezzana, recandosi in Grecia. Sì unì poi
EH^^^^H in società col Meneghino Preda; poi, abban-
|H2^^^^Hf donato questi le scene, si fece capocomico
l*' J^^Kf solo, conducendo una compagnia, non pri-
* T^r maria, ma che salì in grande rinomanza, per
l'armonia artistica, l'allestimento scenico, la
cura minuziosa con cui eran presentati certi drammi popo-
lari, fra i quali // goééo mislerioso. che procacciò al Monti
guadagni non isperati. Non vecchio, si ritirò in Bologna go-
dendosi tranquillamente il frutto del suo lavoro, insieme al
figliuolo, divenuto medico de' più stimati. Quivi morì, assistito
da' suoi, dopo lunga e penosa malattia di cuore, il 29 maggio
del '94.
Monti'Longhi Cesira. Moglie del precedente, nacque a
Bologna il 1829 da un medico reputatissimo. Perduta questi
la vista, tentò la Cesira la via dell'arte, scrit-
turandosi amorosa in una compagnia di poco
conto, e tanto vi riuscì, che il 1 847 entrò prima
attrice giovane in quella di Colomberti, Inter-
nar! e Fumagalli. Fu l'anno seguente con
Romualdo Mascherpa, poi di nuovo colla so-
cietà Colomberti, nella quale, come abbiam
detto, sposò Alessandro Monti. Compagna
esemplare non abbandonò mai il marito, so-
stenendo con decoro il ruolo di prima attrice
nella propria compagnia, e passando poi a quello di madre e
seconda donna.
152 MONTINI
Montini Ippolito. < Comico mirandolese, detto CorteUaccio.
Diede egli alla luce un libretto di due fogli e mezzo in forma
di quarto che porta per titolo: Contesa di precedenza. È questo
un Prologo fatto da lui in occasione d'incominciare le sue re-
cite in Bologna Testate dell'anno 1624. Introduce in questa
Contesa la Pastorale, la Commedia, la Tragicommedia, e la
Tragedia. A sciogliere la lite di precedenza fra esse, appa-
riscono Apollo nel suo Parnasso coi Poeti ed Aristotele, il
quale le affida a Felsina sovraggiunta sopra un carro trionfale,
acciocché essa decida del merito di ciascuna; la quale dando
termine a questa introduzione, così favella :
Pregiate Donne, se alla vostra lite
Sorta sol per aver la precedenza
Delle vostre virtù rare, infinite,
Bramate fine impor con gran prudenza:
Meco ornai, che son Felsina, venite
Che m'oflfero condurvi alla presenza
De' saggi figli miei, da' quali avrete
Giudizio, onde contente alfin sarete.
Il libretto è stampato in quella città presso Teodoro Ma-
scheroni e Clemente Ferroni, ed è dall' autore dedicato agi' Il-
lustrissimi Signori Gonfaloniere ed Anziani. Oltre la lettera
dedicatoria, il Montini diresse ad essi il seguente
SONETTO
Del Felsineo Leon regger il freno,
Librar con giusta lance e premj e pene,
Donar a' Patrj Figli ore serene,
Renderli in pace fortunati appieno:
Nudrir quasi in bel Ciel sul picciol Reno
Lucide stelle di saver ripiene.
Fra' magnanimi Eroi fruir quel bene,
Premio della virtù, che non vien meno :
Poggiar di gloria all'ultimo confine,
Opre son vostre, il cui alato suono,
Vola alle regioni alte, e divine.
Monti Alessandro. Figlio di comici, cominciò a farsi no-
tare in Compagnia Alberti a Napoli l'anno 1848. Fu il '49
colla società Colomberti-lnternari, nella quale sì unì in matri-
monio colla prima amorosa Cesira Longhi.
Scioltasi la compagnia in Livorno per ragione
di guerra nella primavera di quell'anno, il
Monti si scritturò assieme alla moglie con
Luigi Pezzana, recandosi in Grecia. Si unì poi
in società col Meneghino Preda; poi, abban-
donato questi le scene, sì fece capocomico
solo, conducendo una compagnia, non pri-
maria, ma che sali in grande rinomanza, per
l'armonia artistica, l'allestimento scenico, la
cura minuziosa con cui eran presentati certi drammi popo-
lari, fra i quali // gobbo misterioso, che procacciò al Monti
guadagni non ìsperati. Non vecchio, si ritirò in Bologna go-
dendosi tranquillamente il frutto del suo lavoro, insieme al
figliuolo, divenuto medico de' più stimati. Quivi morì, assistito
da'suoi, dopo lunga e penosa malattia di cuore, Ìl 29 maggio
del '94.
Monti'Longhi Cesira. Moglie del precedente, nacque a
Bologna il 1829 da un medico reputatissimo. Perduta questi
la vista, tentò la Cesira la via dell' arte, scrit-
turandosi amorosa in una compagnia di poco
conto, e tanto vi riuscì, che il 1847 entrbprima
ai/rice giovane in quella di Colomberti, Inter-
nari e Fumagalli. Fu l'anno seguente con
Romualdo Mascherpa, poi di nuovo colla so-
cietà Colomberti, nella quale, come abbiam
detto, sposò Alessandro Monti. Compagna
esemplare non abbandonò mai il marito, so-
stenendo con decoro il ruolo di prima attrice
nella propria compagnia, e passando poi a quello di madre e
seconda donna.
154 MORELLI
r importanza di una dizione drammatica, accentuata e vibrata
nel canto, e rivelandole poi i misteri della Commedia improv-
visa, nella quale essa fece in breve sorprendenti progressi. Il
Kurz rimasto vedovo, ella ne diventò la seconda moglie, e dopo
tre anni di studio indefesso, il 15 aprile del 1758, esordì al-
l'I. R. Teatro della Città nella nuova commedia a trasforma-
zioni di suo marito, intitolata: La felice unione di Bernardone,
in cui fu accolta dall'applauso universale sì per la grazia del
canto, sì per la eloquenza dell'azione, e ancora per la sicurezza
della lingua tedesca. Così il Kurz nel preavviso di tal comme-
dia raccomandò la moglie all' indulgenza del pubblico : < La si-
gnora Teresa Kurzin si mostrerà maestrevolmente in tutti quei
caratteri che una perfetta attrice è capace di rendere. Ed es-
sendo essa italiana, e però non padrona della lingua tedesca,
tanto più ne sarà maravigliosa l'azione. Mi hanno gli Dei con-
cessa tanta grazia; e spero che anche il pubblico che die con-
tinue prove di benevolenza verso di me, vorrà oggi partecipare
alla mia gioja. > (V. il lavoro sul Kurz di Ferdinando Raab, pub-
blicato a Franco/or te da Riltten e Loening il i8gg). Anche il Vei-
len nella sua Storia dei Teatri di Vienna (Cap. Ili, pag. 144),
accenna a Teresina Morelli, che chiama bella e fiorente; e dice
che il Kurz diede una splendida prova del suo magistero, tra-
sformando in soli tre anni una inesperta ballerina in una delle
più grandi Colombine tedesche. Il Kurz rimasto vedovo il 1 5 giu-
gno del 1755, sposò la Morelli nel 1758, poco avanti all'esor-
dire di lei.
Morelli Antonio. Nacque da onesti parenti in Venezia.
Giovinetto, entrò in una filodrammatica della città, e vi si fece
notare pe' 1 modo garbato e spontaneo con cui recitava talvolta
parti di ingenua e ài prima donna. Entrò poi in arte; e non tardò
ad acquistarsi le lodi di tutti i pubblici nel ruolo di amoroso e
nelle Compagnie di Goldoni, Perotti e Dorati. Sposò Adelaide
Salsilli, giovine artista, figlia di artisti, che bene prometteva di
sé; e venuto egli poi al grado dì primo attore, e non degli ultimi,
MORELLI 155
formò compagnia con la moglie, ch'era salita e con molto
onore a quello di prima donna, resuscitando le commedie di
Goldoni, e facendone base del lor repertorio. Il 1 82 2 li troviamo
applauditissimi a Tolentino con Benvenuti e il Giandolini. An-
tonio Morelli morì a Venezia del '27, non ancor giunto a vec-
chiezza; e Adelaide sposò in seconde nozze l'artista Majeroni
che continuò a condur compagnia.
Morelli Alamanno. Figlio del precedente, uno dei più
forti e gloriosi artisti del nostro tempo, che regnò sessant'anni
sulla scena italiana fra gli astri di maggiore grandezza, nacque
a Brescia il 1 2 giugno 1 8 1 2. Fece per volontà del padre i primi
studj classici, e si dedicò alcun tempo al violino, pel quale mo-
strava singolari attitudini ; ma poi, chiamato alla scena, abban-
donò tutto, dopo la morte del padre, per entrare in una di
quelle meschine compagnie che andavan guitteggiando di bor-
gata in borgata. Dopo una non breve stagione in Arzignano
nel Vicentino, la compagnia, impegnata la misera condotta, si
sciolse ; e Morelli, che non avea da pagar V oste che gli avea
dato il vitto e V alloggio a credito, se gli offerse, e fu accettato
in qualità di cameriere, pagando così coli' opera sua di uomo
onesto, il debito del primo attor giovine. Entrò a diciotto anni
in Compagnia di Giacomo Modena, di cui faceva parte anche
il figliuolo Gustavo, facendosi notar subito per la recitazione
spontanea di alcune particine in commedie di Goldoni, Zelinda
e Lindoro, Il Medico olandese, I quattro Rusteghi, della quale
specialmente il personaggio di Sior Filipetto s'ebbe in lui uno
de' più ingegnosi e brillanti interpreti, e per la quale la prima
attrice Carlotta Polvaro gli preconizzò splendido avvenire. Fu
scritturato il '40 in Compagnia Florio, come brillante e tiranno:
recitava maravigliosamente nella stessa sera il tiranno Filippo
in Bianca e Fernando e il brillante nel Ctioco e il Segretario ; sì
che Maria Luisa, la Duchessa di Parma, ebbe per lui speciale
ammirazione, e, nelle sere di suo beneficio, speciali elargi-
zioni.
156 MORELLI
Entrò il '42 amoroso nella Compagnia Favre, passando
Tanno dopo primo attore in quella Bergamaschi e Cappelli,
nella quale restò sino al '45 e recitò per la prima volta, primo
in Italia, il Kean, la Signora di S. Tropez, La Catena e il Giovan
Maria Visconti di Porta e Grossi. Fu il primo attore della Com-
pagnia di Giacinto Battaglia, che andò in iscena il 7 marzo '46
a Padova, e in cui egli dovette lottare coi successi della Sa-
dowski e di Bellotti-Bon ; ma dopo la Clotilde Valéry e il Chat-
ter ton, il trionfatore fu lui. Ritiratosi Battaglia, Morelli continuò
la compagnia sino al '53, recitando nel '50, primo de' viventi
attori italiani, V Amleto, ch'egli stesso adattò alle scene sulla
traduzione del Rusconi. Chiamato il '54 a diriger l'Accademia
de' filodrammatici di Milano, vi recitò fino al '58, tornando in
arte il '59, direttore della Compagnia Cazzola-Dominici, e ri-
fondando il '60 la Lombarda che visse quindici anni di vita
gloriosa, e in cui militaron gli artisti di maggior fama, quali
Pia Marchi, Luigi Monti, Guglielmo Privato, Virginia Marini,
Francesco Ciotti, Giulio Rasi, Sante Pietrotti, Anna Job. Il '76
formò società con Adelaide Tessero che sciolse l"8i, al suo
ritorno dall'America, per farsi di bel nuovo capocomico solo,
scritturando 1' '82 la coppia Lavaggi, 1' '83 Cesarina Ruta, V '84
Emilia Aliprandi-Pieri. Poi divenuto capocomico il Pieri nel-
r'85. Morelli ne divenne lo scritturato. Stette un anno in ri-
poso a Scandicci, e tornò 1' '88-'89 alle scene, direttore della
Compagnia Marazzi-Diligenti e Zerri.
Fu poi con altre compagnie di minor conto, e terminò la
sua lunga e gloriosa carriera del '91 con Calamai. Dopo lo
accolse il paesello di Scandicci, ove s' era fatto dono in tanti
anni di lavoro, di una romita e modesta casetta,- e quivi morì
fra le braccia della moglie e dei figli il io gennaio 1893.
Fu banditore il '74 del primo congresso drammatico in
Firenze, e pubblicò nel '77 un Manuale dell'artista drammatico
in cinque dialoghi, col Prontuario delle pose sceniche, già edito
nel '54, che si può dire, senza offendere la memoria del grande
attore, l' antitesi dell' arte sua, fatta tutta di verità e di spon-
MORELLI
taneità. Né gli anni valsero a piegare o iniiacchire la sua
tempra gagliarda : a poco men che ottant' anni rappresentava
ancora con efficacia incredibile la Riabilitazione del Montecor-
,'V;
¥}
boli e la Signora di San Tropez. Noverar qui l'opere dramma-
tiche che gli furon argomento di trionfo, troppo sarebbe; citia-
mone le principali : // Ditello. Il Figlio di Giboyer, Zji Straniera,
U Importuno e il Distratto. Amleto, Fausto. Guglielmo Teli. Il
Giuocatore. Fieschi. Giovanni Baudry, La Signora Caverkt, La
calunnia. Il Vetturale del Moncenisio. Macbeik. La Riabilitazione.
Kean, La Sonora di San Tropez. Chaiterton. Sti/ellius, Dalle
quali si può capire a che grado di pieghevolezza egli era per-
158 MORELLI - MORETTI
venuto collo studio, colla riflessione, coir arte, nonostante
r aspetto non bello, e la voce asprissima.
Di lui scrissero il Piazza, il Bonazzi, il Regli, il Piccini,
il Polese, il Pavan ; di lui parlaron sul feretro Tommaso Sal-
vini e Gattesco Gatteschi.
Moretti Pietro. Fu tra' comici della Compagnia italiana a
Dresda (1749....), ^ recitava le parti di Brighella (V. Arbes (D')
Cesare e Bastona Marta).
Secondo il giudizio del tempo, egli era
nn cattivo attore, dalla voce insopportabile. Gridava e s' affannava. La sua azione
consisteva in nn esagerato agitar delle mani, con assolata mancanza di spontaneità. In
breve: non piaceva.
Moretti Anna^ veneziana. Ebbe a maestro l'artista Pietro
Ferrari (V.), e riuscì un'attrice di gran pregio. Dopo di aver
fatto parte di molte Compagnie di giro, si fermò il 1774 con
quella di Lapy al Sant'Angelo di Venezia, ove recitò Lapazza
per amore, sua particolar fatica, in cui oltre al rappresentar
vari personaggi, cantava ariette musicali non senza grazia.
Pare, a detta del Bartoli, eh' ella non fosse artisticamente
grande ; ma un cotal grado di altezza raggiungesse con suffi-
ciente valore, a cui s'univano tal prestanza della persona e
leggiadria del volto, e tal gaiezza e vivacità di espressione e
saettar d'occhi neri, che la reser, se non attrice perfetta, at-
trice, per fermo, ammìratissima; aggiunge il Bartoli che vestita
da uomo mostravasi di membra tondeggianti e formose. Fu un
anno solo col Lapy; dal quale tornò in Compagnie vaganti,
trovandosi il 1781 in quella di Antonio Camerani.
Fra ì tanti versi eh' ella ispirò, metto qui il seguente
SONETTO
Si, che maggior d'ogni Apollineo canto
Sono, egregia Moretti, i pregi tuoi;
Per te non arte, ma natura i suoi
Vivi affetti spiegar par ch'abbia vanto:
MORETTI - MORO-LIN
Ben sanno quale a i cor formasti incanto
Di Terme II Conte, e i Veronesi Eroi;
Corrado e Clarendon san quel che puoi
Se sciogli il freno a l'ira, a i vezzi, al pianto.
Né cred' io già che d' altri sensi impresso
Sia il tuo bel cor; essi (non l'abbi a sdegno)
Fan testimon di tua bell'alma espresso;
Cosi quest'opra tua recando al segno.
Gli atti, gli accenti che t'è usar concesso
Fan testimon del tuo felice ingegno.
MorO'Lin Angelo. Veneziano, attore dialettale di moltis-
simo pregio fu, insieme alla moglie Marianna, uno de' più
grandi se non il più grande il-
lustratore del teatro dì Giacinto
Gallina. Iniziato agli studi eccle-
siastici, buttò via un bel giorno
r abito talare per indossar la di-
visa di ufficiale della guardia na-
zionale, che dovè smettere al ri-
tomo delle truppe austriache Fu
garzone d'un sensale di grana
glie, fu impiegato doganale, poi
filodrammatico, poi suggeritore
con Copellotti e compagnia, poi
attore, suggeritore, segretario,
trovarobe, omnibus insomma del
la Compagnia Lombarda, poi am
ministratore di Aliprandi, poi se-
gretario di Ernesto Rossi.
Sposatosi a Marianna Torta,
attrice della Compagnia Alipran
di, fu con lei scritturato da Alessandro Salvini; e, sciolta poi la
Compagnia, egli risolse, mosso a pietà di tanti sciagurati, di
rilevarla, correndo da una città all'altra, in lotta aperta con la
fame. Abbandonato allora il capocomicato, diventò segretario
i6o MORO-LIN
del Toselli; poi, tornato capocomico, tentò riduzioni di com-
medie piemontesi nel dialetto veneziano, quali Maridemo la
putela, e La fia de Sior Piero air asta; e vistone il successo,
formò una vera e propria compagnia dialettale, e andò a ria-
prire a Venezia quel Teatro Comploy, dove appunto la com-
media veneziana era morta.
E da quel momento fu un trionfo, un vero e grande trionfo,
né solamente veneziano, ma italiano. Selvatico e Gallina. Questi
due nomi apparver sui cartelloni inattesi, e non ne furon più ban-
diti. Le commedie La bozzetta dell'odio. Le barufe in famegia,
El moroso della nona, I recini da festa, La/amegia in rovina. Mia
fia, loci del cuor furon la fortuna di Moro-Lin ; ma quest' ultima
segnò anche la sua nuova e non più mutabile sciagura. Dopo
dieci giorni dalla rappresentazione del capolavoro galliniano,
la povera Marianna, che vi aveva profuso tanta arte, tanta
grandezza, gli venne a morire, e, lei dileguata, dileguò anche
il bene che con la sua attività, con la sua onestà, con la sua
mente egli s' era procacciato. Senza più attori di grido, senza
repertorio, egli dovè piegare fatalmente, privo del più tenue
fil di speranza per una prossima o lontana resurrezione, e dalle
gloriose battaglie del capocomicato passò alla snervante mo-
notonia dell'impiego per dar pane a' figliuoli.... Tornò dopo
dieci anni alla scena, prima con Micheluzzi, poi con Corazza;
ma il suo ritorno fu una delusione di più. Ricoveratosi a Ve-
nezia, si fece maestro di recitazione, finché, vinto dagli anni
e dai fastidi, abbandonò il mondo la mattina del 9 febbraio 1 898.
A dare un' idea di quel che fosse V attore, basti dire che
r attore Colomberti, dopo la recitazione del Prima el Sindaco
e pò el Pievan, lasciò scritto che rivedeva nel Moro-Lin il bra-
vissimo Augusto Bon, di cui ricordava la stessa prontezza e
naturalezza, la stessa grazia e spontaneità.
Moro-Lin Marianna. Moglie del precedente, nata in Alba
il 30 giugno 1840, mosse i primi passi nell'arte in Compagnia
Robotti-Vestri nel '54 come amorosa. Esordì nel Sior Todero
MORO-LIN
brontohn. Fu poi prima attrice col famoso Toselli col quale era
a Venezia il '67, dov'ebbe un successo dì lagrime nel Ciochi
del vilage, quando con affetto
profondo esprìmeva il dolore
della povera derelitta nella fe-
sta dì tutto il villaggio.
Maritatasi al Moro-Lin,
con tanta facilità si diede a re-
citare in veneziano, e con tal
nitidezza di pronunzia,che tutti
la credean figlia della Laguna.
Nei Ciasscti e spasse/i. nel Mo-
roso de la nona, ecc., ecc., e più
ancora nei Od del cuor, la sua ul-
tima creazione, fu artista unica.
Il Covi, che le fu compagno e
consigliero al suo esordire, as-
sistè anche all'ultima sua recita.
Il 23 dicembre del 1880 fu inaugurata al Goldoni di Ve-
nezia una lapide in ricordo di lei colla seguente iscrizione:
marianna moro-lin
chb del veneto dialetto
quantunque non suo
skntI i.e grazie
e sulle scene col cuore e coll'arte
' inimitabilmente lo espresse
la società piloprammatica carlo goldoni
in segno di affettuoso ricordo
POSE
Ella morì a Verona la notte del ig giugno '79, quasi im-
provvisamente.
A. Grentile, che della Moro-Lin è illustratore amoroso,
osserva che essa fu in certo modo la protagonista di una
commedia del Gallina, anche dopo morta. Nella commedia La
marna non mor mai. rappresentata la prima volta a Trieste il
i6a MORO-LIN - MORROCCHESI
12 febbraio 1880, la vera protagonista, come Io dice Ìl titolo
stesso, è la madre morta; e questa ci vìen descritta simile alle
altre donne che Ìl Gallina creò per laMoro-Lin: 1875, Rosa-
El moroso de la nona; 1877, Marina- Telèri vcchi; 1878, Ma-
riamola - Miafia; 1879, Teresa ~ I oci del cor.
MoiTOCChesi Antonio. Nato a San Casciano in Val di Pesa
il 15 maggio del 1768 da agiati parenti, Francesco Morroc-
chesi e Marianna Zaccagnini, fu con-
dotto dal natio paesello a Firenze, e
raccomandato per l'educazione ai Pa-
dri Scolopi. Di mente svegliatissima,
egli fece ottime prove non solamente
nella lettura di classici greci e latini,
ma anche nell'arte del disegno. Nul-
lameno l'amore della drammatica pre-
valse in lui; e i primi applausi tribu-
tatigli nelle sale dell'aristocrazia e
dalle platee di teatrini privati, gli fe-
cer prendere la risoluzione di darsi
tutto alla scena, ove in breve conseguì, collo studio in ispecie
delle tragedie di Alfieri, fama di attore insuperato e insu-
perabile.
Lasciò scritto un enorme volume di ricordi, dei quali
Jarro pubblicò in appendici della gazzetta fiorentina La Na-
zione, poi in volume (Firenze, Bemporad, 1896) i punti pili
salienti; e di lui dettò una breve memoria il noto scrittore
Melchior Missirlni,
Il Morrocchesi cominciò col recitare al pubblico nel Tea-
tro di Borgognissanti a Firenze, rappresentandovi, primo in
Italia e sotto il nome di Alessio Zuccagnini, V Amleto di Shak-
speare.
Fu in vario tempo nelle Compagnie di Luigi Del Buono{V.),
di Luigi Rossi, di Vernier, Asprucci e Prepiani, ma il più so-
vente conduttor di compagnie egli stesso.
^(ORRnccHl-:SI
Da lui le grandi protagoniste venivano oscurate : nella
Semiramide, a Milano, mandò in visibilio il pubblico, recitan-
dovi VAssur, e facendo fremer di gelosia la prima attrice
Qieccati, artista valentissima; a 7 ìrGnze,né[\' Ottavia, destava
non minore entusiasmo recitandovi il Nerone, e facendo fremer
di gelosia la prima attrice Perotti, artista famosissima. Fu, si
può dire, il Morrocchesi che rivelò a' pubblici d'Italia le riposte
bellezze delle tragedie alfieriane. I successi 6.é[\'0resle e delia
Virginia, ma più ancora del Saul, che tenner con altre pochis-
sime opere per un intiero carnovale i cartelloni del teatro di
MORROCCHESI
Santa Maria a Firenze, furon
tali ch'esso d'allora innanzi
s'intitolò dal nome di Alfieri.
Io mando lo studioso alla let-
tura di quel saporitissimo li-
bretto di Jarro.ove della prima
recita del Saul, e della quinta
alla presenza dell'autore, è ri-
ferita la cronaca del Morroc-
chesi: qui basterà dire che il
nostro attore dovè ripetere al-
cun brano subito la prima sera
fra le acclamazioni del pubbli-
co, e che la quinta, al cospetto
di Alfieri, si abbandonò con tal
violenza su la spada nel pro-
ferir l'ultimo verso
Me troverai, ma almen da re
[qui.... morto....
che, feritosi gravemente, cadde
alienato di sensi, e quando rin-
venne, si trovò nel suo letto,
circondato dagli amici, tra i
quali si potè contar da quel
punto il grande astigiano.
Né solamente a Firenze
gli accadde di dover cedere
alle insistenze del pubblico, e
replicar sul momento or que-
sto, ora quel brano, che anche
la narrazione di Piìade dovè re-
plicare immediatamente « sic-
come un pezzo applauditìssìmo
di scelta musica -com'egli ci
i66 MORROCCHESI
avverte - nelle scene illustri di Ferrara, di Siena, di Pavia,
di Torino, di Bologna. >
Fu il 1811 nominato Professore di declamazione e d'arte
teatrale nella Accademia di belle arti a Firenze, e vi stampò
nel 1 83 2 un corso di lezioni, corredando la duodecima, dei gesti,
di quaranta tipi che rappresentano l'attore ne' momenti più im-
portanti della sua arte, e di cui do qui dietro un piccol saggio.
Tipi, che, siccome è accaduto e accade, non danno, io son certo,
che assai miserevolmente e, diciam pure, grottescamente, l'idea
dell'autore. Scrisse anche non poche opere teatrali, che si veg-
gono a stampa in quattro volumi in-8 (Firenze, Ciardetti, 1 822).
Morì d' idrope pettorale a Firenze ; e sulla pietra che si-
gillava il suo sepolcro nel chiostro di Santa Croce, a destra e
in prossimità della cappella Pazzi, toltane alcun tempo pei la-
vori di restauro, e ricollocata poi, ma sebben sempre a destra
di chi entra, non più allo stesso luogo, fu incisa la seguente
iscrizione che dettò Giovanni Battista Niccolini, il quale non
l'ebbe in vita troppo nel suo libro:
QUI RIPOSA
ANTONIO MORROCCHESI DI SAN CASCIANO
NELL' I. E R. FIORENTINA ACCADEMIA DI BELLE ARTI
PROFESSORE DI DECLAMAZIONE
FRA I TRAGICI ATTORI DEL SUO TEMPO
PER CONSENTIMENTO D'ITALIA
A NESSUNO SECONDO
E LUOGO GLI TENGA DI MAGGIOR ELOGIO
L'ESSERE NELL'ARTE SUA PIACIUTO
A VITTORIO ALFIERI
MADDALENA MORROCCHESI
AL CONSORTE DESIDERATISSIMO
NON SENZA LACRIME
Q. M. P.
NACQUE AI XV MAGGIO MDCCLXVIII
MANCÒ AI XXVI NOVEMBRE MDCCCXXXVIII
Fu amico de' più ragguardevoli italiani del suo tempo,
fra' quali, oltre all'Alfieri, i Pindemonte, i Perticari, Pellico,
Albergati, Vannetti, Caluso.
Sfogliando le sue lezioni di declamazione, guardando a
quelle odiose figurine che le illustrano, pensando a quelle re-
MORROCCHESl 167
pliche immediate di narrazioni, e il tutto comparando al giu-
dizio che ne dà il Righetti nel secondo volume del suo Teatro
Italiano, e che qui riferisco, e' è da credere che il Morrocchesi
fosse un grandissimo artista di maniera.
Fra tutti gli attori italiani da me veduti, e che meritarono una particolare consi-
derazione, nessuno ha presentato alla mia mente un contrasto più bizzarro quanto il nostro
Morrocchesi, celebre attore tragico. Ben fatto della persona, braccia, coscie, gambe cor-
rispondenti ad un corpo né magro né pingue. Un occhio vivo, una fronte spaziosa, bel-
lissimi denti, in somma un bell'uomo. La sua voce era rauca, e mal atta a colorire tenere
espressioni, imponente, terribile nell'espansione di violenti affetti; il suo portamento, il
suo gesto erano nobili, e dignitosi, né perdevano della loro dignità, e della loro nobiltà,
che quando voleva dipingere gli oggetti fisici con gesti di contraffazione. La sua dizione
ora lenta, ora precipitata, non era sempre quadrante colla qualità dei pensieri che doveva
esprimere, quasi sempre sublime nella pittura di vive immagini, e nell'entusiasmo si tra-
sportava talvolta al di là di quel confine stabilito fra la sublimità, e la stravaganza: infine
nessun attore ha presentato all' occhio dell' intelligente osservatore maggior riunione di
bellezze tragiche miste a difetti del tutto particolari. Quest'attore si applicò quasi esclu-
sivamente alle tragedie del grande Alfieri, e fu dei primi che le fece assaporare sui pubblici
teatri, ed in queste sviluppava tutte le sue qualità fisiche e morali. Nessuno potrà con-
trastare al nostro Morrocchesi esser egli stato il primo fra' comici a penetrare ben addentro
ne' reconditi pensieri di quel gran tragico, a colpirne i caratteri, a regolare la declamazione
de' suoi versi meno pomposi, che ricchi di pensieri, ed indigesti alla più gran parte de' co-
mici d'allora. Fu acclamato nelle principali, e più colte città d'Italia, e stette gigante in
mezzo a' suoi rivali che pur volevano atterrarlo, assalendolo da ogni lato. Questi é il solo
valente artista con cui, nella mia carriera teatrale, mi sia trovato in contatto fino che non
fui aggregato alla drammatica compagnia al servizio di S. S. R. M. il re di Sardegna, e
non temo d'errare se dico, che questo tragico attore era l'attore di genio; il suo difetto
nell'analisi dei caratteri traspariva nelle particolarità, non nel tutto; e se talvolta deviava
dalla retta declamazione, e si abbandonava a conati troppo più violenti del bisognevole,
era meno per mancanza d'intelligenza, e d'arte, che per la foga di strappare al pubblico
que' clamorosi applausi, che lo inebriavano, e di che era quasi sempre padrone.
Non m' uscirà mai dalla memoria il modo straordinario con che rappresentava l'ul-
timo atto del SaulU d'Alfieri. Eccellente in tutta la tragedia, tranne alcuni abbagli di
situazione, e di minute particolarità, in quell' atto era perfetto. Io lo presi a modello in
tutta quella difficilissima scena perché, per quanto studio avessi posto onde variare modi,
ed atteggiamenti, m' avvedeva che tutto sarebbe rimasto al disotto d' una felice imitazione.
Chiudo il breve cenno col sonetto che è in fine alla me
moria di Melchior Missirini :
SONETTO
Giacca il Coturno Ausonio, e bassi e inetti
Carmi rendeano suon sterile e vano,
e fu de' Roscj lo atteggiar sovrano
scena scurril di turpi Mimi abbietti.
l68 MORROCCHESI - MOZZANA
Di fieri Àgitator tragici affetti
e di franchi pensieri, aito, ed umano
Tu, r ira del terribile Astigiano
Infondesti primier nei nostri petti.
Ei ti udì, e sen compiacque, e ai forti e nuovi
modi. Te scelse adatto all'onorato
ufficio di rifar l'itale menti!
Ei gì' ingegni già adulti, e tu i nascenti
coltivi, in ciò di Lui più avventurato,
ch'egli un corrotto, e un vergin suol tu trovi!
Mezzana Francesco. Attore fiorito nella metà del se-
colo XVII. Recitava sotto la maschera di Truffaldino, e abbiamo
di lui un Curioso capriccio di bellissimi giuochi non più veduti,
edito dal Malatesta a Milano, senza data. È un libriccino di
dieci pagine in 1 2^, compreso il frontespizio, e contiene ven-
titré scipitaggini, di cui ecco un esempio :
A far parere molte persone senta testa
Piglia sale armoniaco, sale gemma, e sale di canfora tanto dell'uno, quanto del-
l' altro, & acqua vita di sette cotte ; fa fondere tutto insieme, & ongi con quello la can-
dela di sevo, o di cera; col chiaro di detta candela pareranno senza testa.
Probabilmente in simili giuochi era celato il chiapperello,
e apparivano senza testa chi facevan la prova.
Di questo Mozzana non abbiam notizie; ma due lettere
di Anton Maria Goccino da Venezia del 18 febbraio 1650 e del
4 marzo 165 1 al Duca di Modena che lo richiedeva di alcuni
artisti, accennano a un Truffaldino, che non s' è potuto iden-
tificare, ma che potrebb' essere il nostro attore.
Ecco i passi che lo riguardano :
Truffaldino m' ha detto che quando parti da Mantova fu honorato da quella Al-
tezza d'una medaglia d'oro, e lo impegnò per Tanno uenturo, et che desobbligato da
questo ambise de seruir a V. A. pur che unita con lui habbia la moglie al recitare.
Auisai con altra mia humilissima lettera all'A. V. Sere.™^ come in ubidienza de
suoi sourani commandi procurai d'obbligar li comici nominati nella lettera sua di 2 spi-
rato, a seruir per questo prossimo carnevale V. A. ma che la bizzarìa di questa gente non
mi prometteua quella consolatione che tanto ambisco in pontoalmente seruire a suoi cenni,
MOZZANA - MUZIO 169
escQsandosi chi con uno chi con altro pretesto ; dopo di che insistendo nel mio debito
ho condotto da M.^ Residente suo Fabritio e Truialdino, pur sperando d' auttorizare
gì' impulsi colla presenza di quel Ill.^o suo Ministro, ad ogni modo delle lettere di detto
Sig.'c l'Altezza Vostra sentirà la continuatione de loro iscuse, et insieme la premura de
miei ufitij tributati all'adempimento de suoi commandi.
Mozzi Giustiniano. Attore e capocomico non ispregiato.
Fu '"A. primo amoroso, nel 1850, della Compagnia che Antonio
Colomberti formò in società con Eugenia Baraccani, sposata
la quale, si fece capocomico egli stesso, separandosi poi ami-
chevolmente dalla moglie, e ritirandosi dopo alcun tempo dal-
l'arte per andare a seguire il figliuolo, divenuto tenore de' più
ammirati.
1 Maria Maddalena. Di lei non abbiamo che la se-
guente lettera, comunicatami dall'egregio Davari dell'Archi-
vio di Mantova:
1690. 31. mag.** - Bologna (ad un ministro del Duca)
lU.mo et EcC.»no S.'« Pad.ne col.»no
La venuta del S.^ G. B. Celini a Bologna con ordine del S.' Padrone d' aquistarmi
per la recita nel teatro di S. Lucca di Venezia nel venturo carnevale in precio di mille
ducati effettivi e casa finita, ha fatto eh' io mi impegni a servirli mentre m' hano in tutto
sodisfatta di quanto richiedevo ; onde mi dispiace n' poter sortir fortuna di riceyere le sue
gracie con Sig.^** Grimani, m' honarì riserbarmi il desiderio che con tanta bontà si da a
conoscere per favorirmi, eh' io n' mancherò di procaciarmi occasione di conservarmeli per
quella che senza fine mi confesso di V. S. 111.
Devot et Oblig.""» Serva
Bologna 31 mar.» 1690. MARIA MaDALENA MUSI.
Muzio Angelo Antonio. Recitava le parti di Dottore nella
Compagnia che il Duca di Modena aveva formata pel 1688.
(V. Torri Antonia). Abbiamo per lui la seguente raccomanda-
zione al Duca della Boncompagni, che traggo dall'Archivio di
Modena :
Alt.*» Sereniss.»"*
Con quella humiltà douuta al Alto Merito, di V. Serenità humilissima supplico la
di lei Clemenza in socorerre Angelo Antonio Muzzio, il quale per auer moglie e cinque
figlioli et al presente maggiormente sfortunato per quello che sono certa cioè della moglie
32. ~~ I Comici italiani. Voi. IL
ITO
MUZIO
che mesi tono iiìq« inferm» et essendo suddetto fori dell» Comptgnia de' Comki di V. Se-
lenita non pno più aggiatare la sna Tamiglia, la quale i in necerìta grandissima, io mi
ipiace Doo patere solo cbe in cosa minima toleasrli: V. Serenitli dispensi l'ardire di
qnesta racomandasione; le prerogative di V. Sereniti che nolano per tatto il mondo, anno
animata la mia hnmiliisima oseroania di venire a' snoi pedi snpplicaiile della et>tia- Nostro
Signore consemì la Persona di V. Sereniti per gloria del secolo; me
li iacio nn profondissimo inchino.
Di V. Alt.«i
ero S. Mieti
iliss."» DeuotiH."" ci ObUg.»» Sema
Catekina Boncoupaohi.
I COMICI ITALIANI
Nadasti Lucinda. Non sappiam se il nome di Luclnda col
quale solamente fu chiamata nell' elenco de' Comici di Parma
del 1664 (V. Fabrizio Napolitano), fosse anche Ìl suo nome di
battesimo. Lucinda è \z. prima donna, quasi sempre amante di
Valerio, tal volta di Orazio, tal volta di Ubaldo, de'Scenarj
pubblicati da A. Bartoli, un de' quali, di P. C, ha per titolo:
L' onorata fuga di Lucinda.
Troviam Lucinda col suo casato di Nadasti nell' elenco
de' Comici del Duca di Modena pel 1688, in cui ella sosteneva
le partì di seconda donna. (V. Torri Antonia).
Nanini Giovanni. Attore e capocomico fiorito nella se-
conda metà del secolo xvii, di cui abbiam notizia soltanto
nella citata opera di Paolo Trautmann sui comici italiani in
174 NANINI - NAPOLIONI
Baviera. Stanchi i bavaresi della Compagnia tedesca capitanata
dal Treu, e desiderosa forse la stessa Adelaide di Savoia,
riandando la sua giovinezza e i godimenti provati alla rappre-
sentazione del Cid di Corneille, di riviver queir ore di esalta-
zione dello spirito, risolse di chiamare a sé una buona Compa-
gnia francese, che si recò a Monaco Testate del 1671, condotta
da Filippo Millots, e vi rimase fino alla morte della principessa
elettorale. Congedati i Francesi, i comici di Treu signoreggia-
rono ancora una volta alla Corte, con un repertorio de' più
svariati ricco di drammi, farse, pastorali, ecc. Ma la lor si-
gnoria durò ben poco. La fine e pur frivola società di Corte
bavarese, e soprattutti il giovine Max Emanuel, si stancò
presto di quelle rozze rappresentazioni: la riapparizione di
Treu e compagni sul teatro di Corte a Monaco ebbe per re-
sultato la chiamata di comici stranieri : e questa volta furono
italiani, venuti da Venezia sullo scorcio del 1689, e capitanati
da Giovanni Nanini, che rappresentava in commedia la ma-
schera del Dottore.
Nanini Giuseppe. Bolognese. Fu prima ballerino, poi Ar-
lecch'mo di pregio. Ebbe da un colpo di pistola sì malconcia
una mano, che si dovette amputargliela; e però fu cognomi-
nato il monco. NuUameno egli continuò a recitar con favore, e
il 1781 si trovava con Antonio Camerani, applauditissimo.
Napolioni Marco. Napoletano, fiorito alla metà del se-
colo XVII, recitava nella Compagnia del Principe di Parma le
parti ài Innamorato col nome di Flaminio. Oltre all'essere at-
tore pregiato e pregiato capocomico, era ancor traduttore di
opere drammatiche, delle quali TAUacci nella prima edizione
della sua drammaturgia dà V elenco che qui riferisco :
Il Re rivale del suo favorito, da D. Geronimo di Villa Assan.
Il Purgatorio di San Patrizio, opera, da D, Pietro Calderon.
La gran Zenobia, opera.
La vita è sogno, opera.
La casa con due porte, commedia, da Ivan Perez de Montalban.
NAPOLIONI 175
IL Sansone, opera.
Il gran Seneca di Spagna Filippo II, opera, da Lopez de Vega.
Il Nigno diabolo, opera.
L'armata navale vittoriosa sotto D. Giovanni d'Austria.
Il cane dell' ortolano, tragicommedia, da Mora de Mesqua.
Lo SCHIAVO del demonio, ovvero il D. Giliz, opera.
La fortuna di D. Bernardo di Cabrerà, e D. Lopez de Luna, opera, da
Ivan de VigUega.
La verità bugiarda, opera, da tre autori.
Il gran Catà an Sacralonga, tragicommedia, da D. Francesco de Roxa.
Il Macometto, opera.
Theagene e Cariclea, opera.
Il pericolo ne* rimedj, opera.
Il maritarsi per vendetta, opera.
Persile e Sigismondo, opera.
Il generoso nemico, commedia.
Gli aggravj trionfanti della gelosla, commedia, da D. Ivan d'Allarion.
L'Anticristo, opera, da D. Gabriel del Dovei.
Lo troviamo il 1647 a Roma, al servizio di Donna Olimpia
Panfili, conduttor della Compagnia, insieme al Buffetto, Carlo
Cantù (V.), nelle di cui lettere è riferita la storia dei subbugli,
avvenuti in pubblico teatro, e la partenza per Napoli del Na-
polioni, che seco trasse buona parte di quei comici, da lui, come
dice il Cantù, subornati. E lagnanze gli mosse contro anche la
Fiorillo {Beatrice), come si vede dalla lettera del '51 pubblicata
al suo nome (voi. I, pag. 929), per le solite gelosie di mestiere,
e convenienze, e invidie suscitate non sappiam bene se dalla
stessa Fiorillo, o dalla moglie del Napolioni, che ci sembra
poter identificare per Argentina, come quella che insieme a
lui assalse Beatrice con dispetti di ogni maniera (V. anche Fio-
rillo Giovan Battista).
< Nel Diario del Capecelatro, riferisce Benedetto Croce
{pp. cit.y i2b, nota), si parla di un Flaminio Napoleone o Nobi-
liane, che nel 1648 era a Roma coli' ambasciatore di Francia e
aveva intelligenze coi ribelli napoletani. Era il nostro comico
Flaminio. »
Una sua lettera del 30 agosto del '57 da Bologna a un
Ministro del Duca, ci fa sapere come il settembre e T ottobre
la Compagnia si recasse a Firenze e l'autunno a Venezia al
176 NAPOLIONI
San Samuele, chiamatavi da S. E. Grimani (V. pel 58 le lettere
di Orsola Coris).
Il luglio del '59 si trovava a Siena, come abbiamo da una
sua lettera a Francesco Toschi, colla quale accettava di far
parte della Compagnia del Duca di Modena sì per l'autunno,
sì fino a tutto il carnovale. La Compagnia di Flaminio era stata
rotta dal signor Podestà di Galicano, e il Toschi dandone l'an-
nunzio al Duca, e proponendogli il Napolioni, lo dice il Melio
che calchi sena..., e aggiunge: se V. S. IlLma volesse scriuere,
certo veriano, e si farla una Compagnia di tutto Paragone ; li do
questo motivo acciò S. A. resti ben seruito come merita.
Il Croce, nel quarto punto dell' appendice, oltre a' titoli
delle parti, ond' è composto, riferisce alcuni brani di un codice
dal titolo : La pazzia di Fla^ninio nel presupposto tradimento di
Cintia — a 15 maggio 1680, ove sono soliloqui, parlate e dialo-
ghi, relativi tutti alla parte di Flaminio. Il D'Ambra di Napoli
ha ristampato (1884) ^^^ commediola, \vì\aXxAòX.2ì\ Flaminio pazzo
per amore, con Pulcinella studente spropositato. Commedia nuo^
vissima, secondo il buon gusto moderno, che è certo — aggiunge
il Croce - una manipolazione dello Scenario, del quale dovea
far parte la scena di spropositi ch'egli riferisce tra Flaminio
matto e Polcinella.
Trovo in una nota inedita del GueuUette che
Marco Napolioni detto Flaminio era conosciuto in teatro col nome di Flaminione
per distingaerlo dagli altri Flaminj della Comedia italiana. Egli era nonno di Agata Vita-
lianì, che sotto il nome di Flaminia recitava in Italia le amorose, moglie di Francesco Bal-
letti, primo del nom'b, che recitava gli amorosi.
Flaminione fu illustre nella sua professione e amato da'più grandi d'Italia, specie da Co-
simo III granduca di Toscana. Egli era a Napoli il 1647 al tempo della rivolta di Masaniello,
che lo conosceva assai bene. Incontratolo per via, sapendo com'egli era amato dai grandi e dal
popolo, gli ordinò di seguirlo. Il Napolioni dovette obbedire, e lo sciagurato lo nominò amba-
sciatore per aggiustar le differenze tra il popolo e la Corte di Spagna. Flaminione accettò ; ma
l'ambasciata non ebbe luogo, perchè in capo a quindici giorni Masaniello fu destituito dalla
sua pretesa regalità, e Flaminione di cui fu riconosciuta la probità, potè restituirsi a sé stesso.
Il padre di Flaminione era nipote del Cardinale. La sua casa era presso al Con-
vento delle Fanciulle. Egli s' innamorò di una religiosa, e scavalcato il muro di cinta, la
rapi. Gli fu fatto processo in contumacia. Egli si ritirò in questo tempo a Napoli, e vi si
fece mercante sotto il nome di Napolioni. Fu là che divenne padre di Marco, il quale,
montato sul teatro, mutò il nome di Napolioni in quello di Flaminio.
NARDELLI 177
Nardelli Gaetano, nacque il 1786 da onesti parenti a Ve-
rona. Entrò il 1807 coscritto nei veliti italiani, e prese parte
alla battaglia della Favorita presso Mantova. Poi, scioltasi Tar-
mata italiana per V entrata degli Austriaci in Milano, e rifiuta-
tosi il Nardelli di continuar nel servizio, se ne tornò alla natia
Verona. Morti i genitori, egli, che avea già tal volta recitato
nella filodrammatica della città, non avendo più legami di sorta
in patria, si diede alle scene in cui riuscì valente caratterista
e valentissimo capocomico. Formò il 1830 società con Luigi
Ghirlanda, che fu poi sostituito da Giovanni Boccomini fino
ar35. Ne fu per tutto quel tempo prima attrice l'Amalia Bettini,
che, cominciando allora a destar fanatismo, procacciò al Nardelli
denaro e riputazione. Facean parte della Compagnia gli artisti
Tessero, Rossi, Pelizza, come si vede nella poesia pubblicata al
nome della Bettini (voi. I, pag. 390). Andata lei con Romualdo
Mascherpa, e andato il Boccomini con Angelo Rosa, Nardelli
si ritirò a Verona, ove comprò il teatrino dell'Accademia, e
de' vigneti in Valpolesella ; non tardando poi a formare una
società per un triennio con Carlo Re, proprietario dell' antico
teatro di questo nome in Milano, e con un caffettiere presso
San Carlo, per nome Gottardi, i quali, saputa la provata espe-
rienza di lui, gli affidaron la direzione dell'azienda. La Com-
pagnia doveva rimanere al Teatro Re ogni anno dal i^ set-
tembre al 1 5 dicembre, e ne eran principale ornamento, oltre
a un buon numero di generici e generiche, Amalia Bettini,
prima attrice; Carolina Fabretti, poi Giardini, prima attrice
giovane; Adelaide Zannoni, madre e seconda donna; Amalia
Colomberti, servetta; Lucrezia Bettini, caratteristica; Antonio
Colomberti, primo attore; Giovanni Boccomini, padre nobile e
promiscuo; Gaetano Coltellini, caratterista; Pietro Boccomini,
primo amoroso; Antonio Giardini, brillante e secondo amoroso;
Giuseppe Zannoni, generico primario.
L'entrata, un anno per l'altro, fu dalle 80,000 alle
90,000 lire, e l'uscita dalle 50,000 alle 55,000; e il biglietto
serale allora era normalmente di centesimi 60, non mai più
23. — / Comici italiani. Voi. II.
178 NARDELLI - NARDO
di 80. Non v'eran poltrone, posti chiusi o riservati.... Niente
altro che incasso di Platea e Palchi che non eran di proprie-
tarj. Il primo autunno fruttò lire 47,000, il secondo 27,000, il
terzo, che si mutò poi in carnovale, 22,000: e alla fine del
triennio, prelevata largamente ogni spesa, i soci ebber di loro
parte 20,000 lire austriache nette. Ritiratasi la Marchionni
dalla R. Compagnia Sarda, andò la Bettini a sostituirla, e il
Nardelli si ritirò per sempre in Verona, ove si diede al com-
mercio de' vini forestieri.
Passò a seconde nozze (la prima moglie, una mediocre
servetta figlia di comici, gli morì nel '39) con certa Barbato,
figlia d'un suggeritore, e morì non ancor settantenne.
Nardi Antonio. Francesco Bartoli dedica una mezza pa-
gina di lodi a questo comico, per aver potuto, dopo uno studio
indefesso, accurato e minuzioso, sostituire Agostino Fiorilli
nella maschera del Tartaglia, quando questi si tolse dalla Com-
pagnia d'Antonio Sacco per recarsi in quella di Maddalena
Battaglia, riproducendone fedelmente i soggetti ed i lazzi.
Nardo. Sotto questo nome è citato dal Bartoli un certo
Ferrasani, fiorito a Palermo il 1750 circa, secondo Zanni rino-
matissimo, vestito di bianco alla foggia de' Piero. Secondo i
varj sentimenti che lo moveano, egli sapeva a suo talento di-
ventar pallido come un cadavere, o rosso infiammato ; nascon-
der la testa fra le spalle, apparendo senza collo, o risollevarla
d' un tratto, il collo allungando per modo da farlo parer quello
d' una gru. Toltosi dalla professione, correva le strade di Pa-
lermo chiedendo del suo fallo perdono con queste parole: Vi
chiedo scusa del cattivo esempio che v'ho dato, e in accuso d' essere
stato un furfante; ma più furfanti siete stati voi altri portandovi
cosi vogliosi ad ascoltarmi. E il popolo segui vaio ridendo e ap-
plaudendo. Venuto a morte, fu il suo corpo disseccato a guisa
di mummia, e collocato in un pubblico cimitero, d'onde però,
vista la poca devozione de' visitatori, fu tolto per esser messo
NARDO - NARICI 179
sotto terra; e aggiunge il Bartoli, che la memoria di lui, viveva
ancora al suo tempo (1781).
In tuttociò è probabilmente una grande fantasticheria del
Bartoli, dacché un tal Nardo Ferrasani esistesse davvero sem-
plice servitore, il quale per la sua balordaggine passò in prover-
bio; e solevasi dire in Palermo: Stupido come Nardo Ferrasano !
Narici Bernardo, genovese, recitava le parti ^innamorato
sotto il nome di Orazio. Lo vediam sempre nella Compagnia
del Duca di Modena, insieme al Capitan Fiala (V.), e a sua
moglie Marzia, della quale il Narici era parente; probabil-
mente fratello (V. Areliari, al cui nome è V elenco della Com-
pagnia pe '1 1675). Abbiam di lui una ricevuta di prestito del
28 aprile 1677 da Alfonso D'Este per doppie sette d'Italia,
e una lettera dell' '84 che riferisco intera:
Seren.wa Altezza,
Bernardo Narice detto Orazio, Comico, e semo hamilissimo di V. A. S. riverente-
mente gì' espone ritronarsi la Compagnia in stato da non poter cosi tosto andar fuori a proc-
cacciarsi il oinere, anzi douer star mesi, essendo, come è noto, inferma malamente la Corallina
in Verona, e la figlia non poter lasciar la madre pericolante; al che prima pendena e pende
il non nedersi comparire la Diana, ne sapersi, quando mai sia per uenire, perilche Cintio il
Marito si protesta non nolere uscire fuori senza la moglie, essendosi giii portato a Verona,
doue è la Madre inferma; oltre che partendo anche questa senza gl'anzidetti per le piazze
prescrìtte, gli riuscirebbe di poco proffitto, essendo sempre auuezze a uedere, e sentire le più
fiorite, e sdelte Compagnie di Principi. Stante dunque le presenti emergenze il pouero oratore
prostrato à piedi dell'A. V. S. sogiunge, esser egli in un stato più che miserabile, hauendo,
doue di certo haurebbe guadagnato nella Compagnia, ou' era stato ammesso prima di rice-
uere la lettera dal S. D. Alfonso da parte di V. A. dieci doppie, le quali nel tempo, che qui
si tratiene ha fatto di debito e non potendosi più sostenere supplica V. A. S. a degnarsi di
porgerli qualche soccorso o pure darli licenza di andare a proccacciarsi il nitto, sino a tanto
che la Compagnia dell'A. V. S. sia in stato di andar fuori. Che della grazia Quam Deus etc.
Di fuori: AU* Altezza Seren.™» del Sig.r Duca di Modona
Per Bernardo Narice detto Orazio Comico.
(Rescritto delia Cancelleria)'. (1684) - Si riporti.
Corallina era Domenica Costantini, moglie di Gradelinio.
Diana era Teresa Corona Sabolini.
Cintio era Giovanni Battista Costantini, fratello di Mez-
zettino e figlio di Domenica.
i8o NARINI - NEGRINI
Nanni Domenico. È citato dal BartoH, come attore del suo
tempo (1781) di sufficiente abilità per la maschera del Bri-
ghella, e più ancora per le parti serie. Di voce robusta ma gra-
devole, gli si afildavan volentieri parti imperiose e risentite
corrispondenti forse piCi tardi a quelle di padre e tiranno.
Sua moglie recitava con lui le ultime parti.
Nazzari Eugenia. Veneziana. Dopo di essere stata il 1 778
seconda donna nella Compagnia di Faustina Tesi, attrice lode-
vole nelle parti serie e appeissionate, passò prima donna asso-
luta non ispregiata di una compagnia di giro.
Negri Luigi. Fiorentino, nato di civile famiglia verso ìl 1 790,
si diede all'arte, dopo compiuti gli studi all'Università dì Pisa.
Fu ottimo amoroso, e fece parte delle Compagnie di Lorenzo
Pani, del vecchio Andolfati e di Gaetano Pazzi. - Venuto a
maturità, prese il ruolo del pa-ire nobile, nel quale riuscì at-
tore non meno pregiato.
Sposò la vedova di Gio-
vanni Pazzi, la celebre
Maria Anna, e con essa
andò a stabilirsi nel 1 849
a Firenze, ove, pochi an-
ni dopo, morì.
Negrini Anna. Fi-
glia o moglie di un Gio-
vanni Negrini, di cui non
so altro che era capoco-
mico nel 1803. Ella re-
citava le parti di prima
donna con molto succes-
so, e al Teatro Valle di
Roma le fu dedicato il
seguente sonetto con in fronte il ritratto qui riprodotto. Opera
NEGRINI - NELLI i8i
l'uno e l'altro, a quanto sembra, dello stesso autore, nascosto
sotto le iniziali C. C. :
Qual comparve il tuo volto al mio pensiero,
tal r incise la man : guancia di rosa,
vago ciglio, ora mite, ed or severo,
labro gentile, e fronte maestosa.
Ma l'arte, che su i cuor ti dà l'impero,
e quei modi, con cui tratti animosa
il Socco umile, ed il Coturno altero,
mano incider non puole, oppur non osa.
« Melpomene, che grave il cuor conquide »
sembri, e poi colle tue spoglie cangiate
sei Talia, che Terror percuote, e ride.
Del tuo volto le forme ho lineate,
ma i varj moti tuoi qual mano incide?
Ceda l'Artista tanta gloria al Vate.
Nelli Ercole. Recitò le parti di primo Zanni, che vediam
sostenere il 1650 nella Compagnia del Duca di Modena (V. Za-
notti Andrea). In una lettera del Goccino al Duca del 1 8 feb-
braio '50 da Venezia, e nella sottoscrizione della Compagnia,
in data 15 aprile 1651 da Bologna (V. LoUi Eustachio), egli è
chiamato il Dottor Nelli. Il io di agosto era colla compagnia
a Verona, come si vede dalla supplica di cui si è parlato al
nome di Fiala Giuseppe Antonio (V.) ; e vi era ancora V 8 di
settembre, sotto la qual data riferisce a un famigliare del Duca,
come non essendosi negoziata a dovere T andata a Venezia,
probabilmente la compagnia non avendo T autunno, dovrà
sciogliersi, per riunirsi poi nel carnovale ; annunzia che Colom-
bina (la Franchini) vuol andarsene a Bologna, e eh' egli è co-
stretto, secondo l'ordinazione de' medici, a condur l'Angiola
sua moglie a Venezia /^r una tosse di cattiva conseguenza; e con-
chiude con l'annuncio di due lettere (non potute trovare), le
quali avrebber fatto conoscere le dopliccUe malignità de' comici
parmiggiani, capo de' quali è Brighella (V. Cantù Carlo) e Mario
(V. Grisanti Agostino) ; che non contenti d'haverci stancato le città
i82 NELLI
(la Compagnia del Duca di Parma aveva prima d'essi recitato
a Verona trenta commedie) dove dovevamo andarci noi, cercono
ancora di non lasciarci fare le nostre opere, che sono mie, in Venetia,
Anche nel '54 pare vi fosse timore di smembramento
della compagnia, e il Nelli avendo saputo che le carrozze eran
già state licenziate, si rivolge il 3 di aprile a un famigliare del
Duca per sapere se la compagnia debba andare a guadagnare,
0 pure aspettare in Bologna, a ciò possano tutti i compagni dipen-
dere dai commandi dell' A. Sua.
Nelli Angiola. Moglie del precedente. Recitò le parti di
prima donila al fianco sempre di suo marito. Non volendosi
recare il '51 a Padova, allegando in iscusa ch'ella era impe-
gnata per Milano, ma temendo in realtà qualche dispiacere
nella concorrenza di Armellina (V. Lolli Eustacchio), indirizzò
una lettera a un Segretario del Duca, sottoscritta Angiola
lig.^^ Nelli ; ma per quanti raffronti fatti, non m' è riuscito di
trovar con quell'abbreviatura il nome di famiglia. Paolo Abriani
nella prima parte delle sue rime, recitando essa Lo Spirito Fol-
letto, dettò il seguente
SONETTO
Spirto sei finto, e con veraci incanti
stilli ne' sensi altrui gioje e dolori.
Tratti fiamme da scherzo, e vivi ardori
spiran dal volto tuo gli occhi stellanti.
Cangi, Proteo novel, forme e sembianti,
e in te trasformi immobilmente i cori;
varie lingue e costumi, e industri amori
rendono a' cenni tuoi l'anime amanti.
Spettro ti fingi, eppur chi t'ode e mira
ti giura Angel Celeste ai gesti e al viso,
e all'alte grazie tue fervido aspira.
E in un rogo d'amor da sé diviso,
reco brama cader, eh' Angel ammira,
che può dar fra gl'incendj un Paradiso.
NELLI - NETTUNI 183
Di tutte le scenate dei coniugi Nelli e dei coniugi Buf-
fetto e Colombina, vedi al nome di Cantù Carlo, il quale ha
lettere interessantissime su tal proposito.
Nelvi Andrea. Bolognese. Attore reputatissimo, recitasse
egli a viso scoperto, o con la maschera del Dottore o del Bri-
ghella. Fu con Gabriele Costantini a Napoli al servizio del Re
Carlo, poi, tornato in Lombardia, con Pietro Rossi.
Divenuta celebre una certa canzonetta, che cominciava
gnor a luna, compose una commedia intitolata Lo sposalizio della
sonora Luna, alla quale accorreva il pubblico in folla, e nella
quale egli rappresentava una parte di ebreo a meraviglia.
Avanzato in età e trascurato dalle buone compagnie, dovè ri-
correre alle più meschine, cessando di vivere in Romagna
nel 1768, < attorniato - come dice il Bartoli - dalla miseria e
di sozzure ripieno. >
Nettuni Lorenzo, bolognese, rappresentante le parti di
secoìido Zanni con molto valore, apparteneva il 1610 alla Com-
pagnia dei Comici Confidenti, con cui lo vediam recitare in
Reggio, Modena e Carpi. Passò poi nella Compagnia del Duca
di Mantova, e il '20 era fra gli artisti che si recarono in Fran-
cia, di cui è r elenco al nome di Martinelli Tristano. Firmò
anch' egli la lettera al Duca di Mantova in data 1 2 maggio 1 62 1 ,
in cui protestava pei mali disegni dell'arlecchino Martinelli di
smembrar la compagnia, privandola del Capitano (Garavini), a
cui avrebbe sostituito Matamoros e suo figlio (S. e G. B. Fiorillo),
e soprattutto di volersene fuggire, come fece poi, ora che avea
fatto bottino; e faceva istanza, conforme i desiderj di Sua
Maestà, di restare a Parigi un anno ancora.... istanza, che fu
accolta favorevolmente, rimanendo allora alla testa della com-
pagnia Giovanni Battista Andreini. Né la collera dei compagni
contro il fuggitivo si spense sì facilmente: essi obbligarono
TAndreini a redigere una lunga requisitoria, che firmarono
tutti, compreso il Nettuni.
i84 NICOLI - NOBILI
Nicoli Lodovico. Recitava nella maschera del Dottore, e
il 1736 trovavasi in Compagnia di Argante (V. Franceschini
Antonio) al San Luca di Venezia, ove sostenne la parte del
Dottore Marchese de' Merlotti nella tragicommedia intitolata:
La clemenza nella vendetta.
Nicolini Filippo. Recitò le parti à^ innamorato con molta
lode. Fu con Nicola Petrioli e con Alessandro Gnochis (1760)
insieme alla sorella Barbara, e al cognato Gaetano Romagnoli:
morti i quali, s' unì alla Compagnia della Faustina Tesi, reci-
tandovi da Brighella. Fu artista il Nicolini di non comune
versatilità, uno degli ultimi e fortunati campioni della comme-
dia improvvisa, la quale, mercè la pratica eh' egli avea cogli
scenarj dell'arte, e la sua prontezza di spirito, sapeva ancor
concertare con rara intelligenza.
Nobili Orazio. Era il primo innamorato di quella famosa
Compagnia dei Comici Gelosi, che pose termifie alla drammatica
arte, oltre del quale non può varcare niuna moderna compagnia
di comici (V. Andreini Francesco). Di lui abbiamo anche la te-
stimonianza del comico G. Bruni (V.), il quale dice nella intro-
duzione alle Fatiche comiche (pag. 11- 12), che il Valerini (V.)
non ispaventava Orazio Nobili che solamente grazioso, con due 0
tre Sonetti (che si potevano adimandar Protei poiché in mille guise
ad altre tante occasioni li trasformava), ha tenuto il luogo di buono
tra i primi (V. Pasquati).
Nobili (De) Nobile. Citato dal Bertolotti fra' comici che
furon di passaggio a Mantova nel 1590. Egli era bolognese, e
il 1 2 settembre giunse in casa di Cesare Gonzaga assieme a
Lodovico Albergina da Venezia.
Nobili Sante. Comico egregio, che recitava nella Compa-
gnia del Duca di Modena sui primi del '700 le parti ^inna-
morato col nome di Lelio. Pubblicò il '14 da Giulio Rossi a
NOBILI - NOVELLI 185
Bologna una traduzione in prosa à&^ Irene Imperatrice del-
l'Oriente, dramma in versi per musica dell'abate Silvani, e
dedicolla al Marchese Antonio Ghisilieri, col titolo : La Virtù
trionfaìite del Tradimento negli accidenti d' Irene augusta vedova
di Leone Imperatore de' Greci. Ristampolla il '15, dovendosi
recitare al Teatro Rangoni di Modena, da quello stampatore
Bartolommeo Soliani, intitolandola solo La Virtù trionfante del
Tradimento, e dedicandola Al Merito sempre grande dell' IlLmo
SigS Conte Cristoforo Tardini Fattore Generale e Commissario
delle Battaglie di tutto lo Stato di S. A. SerJ'*^ il Sig/ Duca di
Modena. La lettera con cui il Nobili chiede la licenza di dedica,
trovasi nell'Archivio di Modena e ha in calce : Imprimatur —
Inquisitor Mutince Carolus Barberius.
Nolfi Guido, di Fano, è citato dal Bertolotti {pp. cit.) tra' co-
mici che l'i I dicembre 1590, di passaggio a Mantova, presero
alloggio presso M. Cesare Calassi pure di Fano.
Novelli Ermete. L'artista più generico del nostro tempo,
che fa pensare nella spontaneità maravigliosa, e nella prodi-
giosa multiformità, a' più grandi attori della Commedia del-
l'arte, i quali, recitando e le buffonate e la tragedia, eran
capaci di rendere le idee più alte de' poeti drammatici, e d'imi-
tar le più straordinariamente ridicole della natura (V. Ber-
tinazzi): pregio, avverte il Riccoboni, che è una particolarità
de' comici italiani. Tuttavia nessuno, come il Novelli, anche
tra italiani, dalle altissime cime della tragedia potè scendere
alle più basse della pochade, passando pel dramma moderno in
tutte le sue svariatissime forme esprimenti le più calde pas-
sioni, e destando le più disparate commozioni in chi lo vede e
ascolta. Il repertorio di Ermete Novelli si direbbe un reper-
torio acrobatico:.... Otello, Papà Lebonnard, Mia moglie non ha
chic — Shylock, Morte Civile, Distrazioni del signor Antenore —
Amleto, Bisbetica domata. Barbiere di Gheldria — Dramma nuovo.
Burbero benefico. Tre mogli per un marito — Luigi XI, Kean,
24. — / Comici italiani. Voi. II.
i86 NOVELLI
Michele Perrin — Nerone, Gerla di Papà Martin, la Zia di
Carlo..,. Poi una infinità di monologhi drammatici, comici,
grotteschi, coi quali egli può far valere tutte le sue qualità di
trasformista, dirò così, naturale, poiché la mobilità di fisiono-
mia di Ermete Novelli è un miracolo vivente. Egli ha il fascino.
Una larghissima vena di comicità, che gli zampilla su dal
cuore, è entrata per modo nelle sue consuetudini, che non
sappiam più se in iscena reciti, o se fuor della scena discorra,
tanto si fondono e confondon l'uomo e l'artista. E codesta
fusione e confusione, a volte, gli permette famigliarità col pub-
blico, le quali niun altro artista si permetterebbe.... Ma se il
pubblico va 'sta sera in visibilio dinanzi alle prodezze del suo
beniamino improvvisate in Mia moglie non ha chic, o in Tre mogli
per un marito, domani resta soggiogato dall'arte grandiosa
eh' egli profonde in Papà Lebonnard, o in Un dramma nuovo.
Un'altra qualità, non so più se buona o cattiva, di Novelli,
è quella di rimaneggiar tal volta le opere che rappresenta, di
guisa che non rimanga più traccia della forma primitiva. Tagli,
aggiunte, riduzioni, scene d'una tal commedia incastrate in tal
altra, soppressioni o creazioni di personaggi.... tutto egli si
permette.... Ma coglie giusto sempre; e il lavoro da lui così
trasformato, non a caso, ma perchè così veduto e sentito, si
rinsangua, ripiglia vigore, e sfida glorioso a' lumi della ribalta
l'edacità del tempo. Come si è rivelato il genio dall'artista?
Col mezzo di quali profondi studj è salito a tanta altezza?
A quali torture del cervello ha dovuto soggiacere per ottener
certe maraviglie di bulino ? Fino a qual grado ha egli esercitata
la pazienza nelle discipline degli studj per fondere il comico e
il drammatico in modo da far piangere e ridere il pubblico in
su lo stesso punto, con ima perfetta musicalità d' inflessione,
con un atto, con uno sguardo? Nessuna risposta. Nell'arte di
Novelli non saprei determinare né modo e tempo di rivela-
zione, né profondità di studj, né torture di cervello, né esercizj
di pazienza!... Le profondità degli studj sono il più spesso,
rispetto agli artisti di teatro, nella immaginazione dello spet-
i88 NOVELLI
tatore; e gli attori, in genere, che ne senton solleticata la
propria vanità, a coltivarla, e ad afìforzar quella immaginazione,
discuton volentieri di malattie e di ospedali che non han mai
visto, di notti vegliate su libri, di cui non sanno né meno il
frontespizio, di pensieri riposti dell'autore in una parola della
lingua originale, di cui non conoscono l'alfabeto. Novelli è
venuto su.... da sé, come a un dipresso vengon su tutti i
genj. Nato a Lucca il 5 maggio del 1851 da Alessandro e
Teresa Novelli, comici non primarj (il padre era un modesto
suggeritore), cominciò a birichineggiare tra le quinte di un
teatro molto uccio, dando noia al trovarobe, e aiutandolo a
fabbricar gli oggetti; contraffacendo i compagni, tormentando
le ragazze, facendo le comparse, recitando parti di ogni ge-
nere, e recitando bene senza saperlo. Col crescere degli anni,
gli si andò sviluppando, naturalmente, il cervello e la forza : e
allora, invece di aiutare il trovarobe nella fabbricazione degli
oggetti, aiutò il macchinista a rabberciare e ridipinger le scene,
recitando sempre bene. Uomo, invece di aggiustare e ridipin-
ger le scene, fece parrucche e vestiti all'antica, e fabbricò
acque odorose, recitando sempre bene. Oggi, a cinquant'anni,
fa il negoziante di oggetti antichi, e recita sempre bene. Il
teatro, non occupandolo intero, non basta alla sua attività;
poiché Novelli é sempre stato ed é sopr' a tutto un grande
lavoratore : né oggi, che pur avrebbe il diritto e il comodo a
un po' di riposo, può starsi in ozio un momento. E però, imi-
tando alcuni de' suoi grandi predecessori, fra cui primo il Col-
tellini famoso, egli ha aperto nella sua casa di Venezia un
ricchissimo negozio di oggetti antichi, ai quali è già tanto
affezionato, che tra' più gustosi aneddoti della sua vita é questo,
che, venduto un orologio antico a un forestiero, tanto se ne
accorò, che non potè riacquistar l' antica pace, se non quando
con perdita non lieve ebbe recuperato l' oggetto. Figuriamoci
i lauti guadagni dell'artista mercante!
E nell'acquisto di un'alabarda egli mette lo stesso entu-
siasmo che in una recita àeW Otello. E, naturalmente, essendo
NOVELLI 189
la tragedia e le antichità quelle cose eh' ei predilige, son quelle
ancora che gli danno il maggior dei dolori. I più tra noi che di
arte antica non capiscon jota, ridon delle compere del Novelli,
che dicon vittima della propria ignoranza; i più, tra noi, che
dell'arte tragica del Novelli non han pur l'ombra d'idea, ridon
d' una sua interpretazione di tragedia, dicendolo vittima della
sua presunzione. I successi clamorosi avuti nel vecchio e nuovo
mondo, attenuaron la crudeltà del giudizio de' suoi connazio-
nali ; ma il grande, unico premio, a cui egli ambisse, di veder
le platee tra noi riboccanti di popolo sì 2!^ Otello, come alle
Tre mogli per un fnarito, gli fu lungo tempo conteso. Le lotte
per ciò sostenute, i rammarichi senza fine, i propositi nuovi
son descritti in articoli di lui stesso, di Vamba, di Boutet, di
Gandolin, di Panzacchi, di Yambo il figliuolo di Novelli, che li
raccolse in un album dedicato interamente a papà, arricchen-
dolo di un centinaio di pupazzetti che ritraggon l' uomo e l' ar-
tista in ciascun momento della sua vita (Roma, 1899). Ma di
tal reluttanza al pubblico non va dato il torto. La colpa è più
tosto delle circostanze. La interpretazione dell' alto dramma e
della tragedia fu buttata dall'artista al pubblico, quando questi
era più imbevuto di tutta l'arte comica di lui.... La pretesa che
di punto in bianco il pubblico corresse a giudicar n^ Otello il
grottesco protagonista delle Distrazioni del signor Antenore,
era soverchia forse.... Il pubblico ha delle crudeltà, delle pre-
potenze, delle vanità, e delle sicumere tutte sue.... L'assenza
dal teatro gli sembrò la più giusta delle lezioni all'audace....
diciamo la sua parola, allo sfacciato invasore, di cui la comicità
fisica si congiungeva alla comicità del personaggio, di maniera
che niuno, per quanto amico di buona volontà, voleva o sapeva
vedere in lui un eroe da tragedia. Ricordo il Novelli Generico
primario di quella Compagnia di Giuseppe Pietriboni, che si
acquistò gran rinomanza per l' insieme omogeneo, per l' armo-
nia delle voci, per la ricchezza dell' allestimento scenico, per la
fedeltà storica dei costumi, per la sobrietà della dizione. Ne
éran parti principali, oltre ai Pietriboni, la Glech, la Peracchi,
I90 NOVELLI
Bassi, Barsi, Novelli e io. Vi entrai di punto in bianco primo
attor giovine; e ricordo che in una recita di prova al Valle di
Roma, del Suicidio di Ferrari, Novelli, col quale ci legammo
da bel principio di forte amicizia sin qui immutata, mi dettava,
dirò così, di tra le quinte, la controscena dell'ultimo atto avanti
il riconoscimento del padre. Una commozione viva lo agitava
tutto.... le braccia, li occhi, le labbra si movevano.... e ogni
tanto afforzava l'espressione del gesto colle parole su/... così!
anima!,.. Adesso!.., Forza!,.. Bravo!... Coraggio!... Sinché, git-
tatomi al finir della scena tra le braccia del padre, uno scroscio
di applausi coronò l'opera del maestro sapiente e dello scolaro
divoto. Il Novelli d' allora era ben altro dal Novelli d' adesso.
La celebrità e l'agiatezza gli erano sconosciute. In quella com-
pagnia disciplinata, egli, se bene spirito indipendente, sapeva
essere disciplinato, perchè la disciplina era fatta tutta d'amore.
Mostrava già allora la grandezza della sua duttilità artistica;
e il pubblico se ne compiaceva, poiché non era stato avvezzo
a vedersi d' innanzi più specialmente un carattere ; ma sì i ca-
ratteri più vaij del repertorio. Marecat ^^^ Intimi, Francesco I
àe^^ Racconti della Regina di Navarra, Vouillard del Rabagas,
Mario Amari del Duello.... Stasera caratterista, domani primo
attore.... Un artista indisposto era surrogato da lui sul mo-
mento: e quando ei non sapeva che dire, infilava un discorso
a modo suo, magari estraneo alla commedia, e aveva sempre
ragione lui. Gli amorosi diventavan brillanti, le situazioni più
scabrose, momenti di grandissimo effetto, ogni particina un
partone. Sgambettava, capriolava, rideva, piangeva, e si faceva
batter le mani. Un aneddoto: egli si seccava mortalmente a
recitar nelle farse. Da quelle del primo brillante, Bassi, era
stato generosamente liberato, ma da quelle del secondo, Ca-
nevari, no. O meglio: non vi recitava; ma era una continua
lamentazione del giovine attore col capocomico, perchè per-
suadesse Novelli a prender parte al meno a una farsa. E il
capocomico pregò, e Novelli, tediato dall' insistenza, accondi-
scese. La sera della farsa venne, e a un dato punto Novelli
^ Pi
1 -^
If^
§^^-
192 NOVELLI
entrò in iscena. Che cosa facesse, o dicesse non so ; e nessuno
seppe, e forse non seppe mai né anch' egli : improvvisa un di-
scorso pazzo, con alzate e abbassamenti di tono di una comi-
cità irresistibile, poi a piccoli salti, a gemiti interrotti, a grida
soffocate, fugge, inciampa, va a gambe alF aria, si alza, esce
zoppicando, e il pubblico frenetico lo vuole alla ribalta. Termi-
nata la farsa, Canevari si recò nel camerino d^l capocomico,
rammaricandosi del successo; e Pietriboni, chiamato a nome
il Novelli, dal suo camerino ammonì : < ti proibisco d' ora in
avanti di farti applaudire. Vergogna ! > Canevari capì la lezione,
e se ne andò livido di rabbia; e Novelli ottenne il suo intento:
da quella sera non ebbe più parte nelle farse del secondo
brillante.
Una grande qualità del Novelli di allora, attenuatasi poi
col sopravvenir della gloria, fu l'arte del trasformarsi. La ca-
muffazione, o truccatura, toccava tal volta la perfezione. Chi
non ricorda, per esempio, il Marecat àé* Nostri intimi con quella
enorme pancia, con quella faccia rosea, ridente, piena, fatta di
bambagia, né già grottesca come quella di un siur Càmola, ma
ritraente un de' più belli e simpatici tipi di grasso borghese?
E chi nel Vouillard del Rabagas, una indovinata e non voluta
caricatura carducciana, avrebbe riconosciuto a prima vista il
Novelli? Quando la poca o niuna responsabilità della parola
gli lasciava una piena libertà di azione, egli soleva allora dedi-
care al suo personaggio insignificante, un minuzioso studio di
trasformazione e di ingrandimento. Per tal guisa il pubblico
era sempre alle prese con un forte e geniale artista, dicesse
quattro parole, o recitasse i primi attori. E se egli avesse con-
tinuato in quella via, il pubblico avrebbe visto, come la cosa
più naturale di questo mondo, la parabola ascendente dell'ar-
tista generico per eccellenza, assistendo con soddisfazione al
tramutarsi di Marecat in Shylock, di Francesco I in Amleto, di
Mario Amari in Otello. Invece egli passò caratterista con Bel-
lotti-Bon, soggetto a Bellotti-Bon, poi caratterista nella Com-
pagnia Nazionale, a vicenda col Vestri, e vincolato da un mondo
NOVELLI 193
di convenienze e sconvenienze, che impediva» T esplicazione
della sua forza e della sua volontà. Fu in quei vincoli troppo
stretti ch'egli avvertì il peso del giogo, e sentì il bisogno di
scuoterlo : fu allora eh' egli risolse di formare una compagnia
modesta da avviare, da manipolare, da rendere primaria, mercè
la sua forza direttiva, mercè il suo ingegno artistico, mercè la
sua tenacità di propositi. Una compagnia comica.... Non aveva
un soldo. Battè a tutti gli usci; non gli fu aperto:.... né men
risposto: ma non si perde di coraggio. Lottò con una pertinacia
degna di chi ha la coscienza della propria forza, e vinse : chi
gli rispose fu il pubblico.... Dalla prima sera fu tutto un trionfo
di ilarità: il nome di Novelli sui cartelloni era già fonte di
gaudio: si andava a teatro a rifarsi il sangue.... a ridere.... a
ridere.... a ridere. E quando dopo tanti anni di buon umore,
l'artista si presentò al pubblico, dicendogli bruscamente: < do-
mani a sera venite a piangere : — Morte àvile / - > il pubblico
sconoscente sì, ma perdonabile nella sorpresa, saltò su a dire:
<Tu farci piangere? Tu? Ammattisci, figliuolo? Che! Che!
De' miei non ne buschi ! > E disertò il teatro ! E ci volle la
Francia, ci volle l'America, ci volle la Russia, ci volle la Ger-
mania, l'Austria, l'Ungheria, la Spagna, ci volle il mondo in-
tero per piegar l' Italia a ricredersi dal suo primo giudizio.
Oggi Novelli è tutto vòlto alla erezione in Roma della
Casa di Goldoni, di cui mise la prima pietra al Teatro Valle il
I® novembre del 1900 con pompa solenne e con accoglienze en-
tusiastiche; pensiero alto e generoso di cui gli deve saper grado
ogni italiano. Di mezzo alle parole di gran lode, altre, natural-
mente, se ne levan di incredulità e di scherno da coloro, e per
buona sorte sono i pochi, che a questa del Goldoni voglion con-
trapporre (che c'entra ?) la casa di Molière. I più continueranno a
dare al Novelli il loro aiuto morale e materiale ; e dagli esempi
di pertinacia ch'egli ci ha dato più volte, si può concludere che
egli dal modesto principio saprà pervenire a una magnifica fine.
Oltre all'album di Yambo, abbiamo sul nostro artista un
saporitissimo studio umoristico ài farro (Fir.,Bemporad, 1897),
25. — / Comici italiani Voi. H.
NOVELLI -OLIVETTA
un numero unico illustrato (Pisa, 1886), con una cocente epi-
grafe di Cavallotti, uno studio novissimo di Antonio Cervi (Bo-
logtia, Beltrami, 1900), e finalmente un novissimo scherzo di
farro (Firenze, igoi) intitolato // naso di Ermete Novelli,
Olivetta. Non sappiamo chi si nascondesse sotto questo
nome, che era un po' della serva e un po' dell' amorosa ingenua,
a vicenda con Franceschìna, nella Compagnia di Flaminio
Scala. Nello spoglio del suo Teatro delle favole rappresentative,
ella entra tre volte. Nel Vecchio geloso è figliuola di Pasquella,
e amante di Pedrolino; nel Marito è serva; nei Tappeti alessan-
drini è serva. E la troviam serva nella tragedia de' Quattro
pazzi, un de' nuovi Scenarj pubblicati da A. Bartoli.
Francesco Bartoli riferisce il seguente madrigale del Conte
Gio. Battista Mamiano, che è tra le sue rime edite in vecchiezza
nel 1620:
Per la Signora Olivetta Comica
Pace promette il nome
d' Olivetta gentile,
ma le parole, il volto, e quei lucenti
occhi crudi omicidi
minacciano al mio cor guerre e tormenti.
O che vezzoso stile
di Comica Sirena
col nome gioia dar, cogli occhi pena.
OLIVETTA
195
Se di perir non brami in fiero ardore
fuggi, fuggi mio core,
né ti fidar del finto nome, o stolto;
ma credi agli occhi, alle parole, al volto.
Il Bocchini (V.) ha nella seconda parte della Corona Ma-
cheronica il seguente
Prologo tra Olivetta e Bagolino
Bagolino
Ahimè, che più no posso
spinto dal gran dolor,
portar sto peso adosso,
soffrir sto batticor,
perch' ho el mio ben za perso,
vado desperso
criando adess :
Olivetta mi son zo de gargam,
appassiona d' amor, morto de fam.
La zelosia m' accora
crescendome el martell,
el gargozzo d' ogn' ora
pianze con le budell,
che trovandose senza
la to presenza,
ogn' nn langniss,
e bocca, e gola no se puoi dar pas,
priva chi de baz offia, e chi d' un bas.
Olivetta mariola
deh, no m' abbandonar,
che una menestra sola
me puoi resuscitar;
e xm baso de to bocca
mentre, che '1 scocca
da quei laurin,
puoi dar la vita a xm servo de' più car,
ne r amor si costante, e nel magnar.
Ma gramo in van me sbatto,
ma con rabbia, e desgust,
e fin che no te catto
no posso aver più gust,
che V appetito adesso
in far progresso
me vuol per mort ;
e sbolzonado da Cupido ogn' or,
ho la fame in la gola, amor nel cor.
Olivetta
Se podesse za mai
con Bagolin mio beli.
raffrenar tanti guai,
e bandir sto martell :
vorave governarlo,
e restorarlo con un regal
de sbrufadei, lasagne, e macaron,
e vorria de formai darghe un gratton.
Bagolino
No sastu donca, cruda,
se cotto son per ti,
e za mai noi se muda
pensier notte, né di,
anzi a quei che noi crede,
ghe ne fa fede
i miei sospir,
che tanti per dessotto va scappand,
che i me rompe i calzon de quando in quand.
Olivetta
E mi grama meschina
priva del mio ben car,
tutto el di in la cosina
me posso smanizar,
che niente mai concludo,
e tutta sudo
quando me mett
a far l' ajada, e co son in tei bon,
da debolezza me casca il piston.
Bagolino
Vien pur donca speranza
presto a la conclusion ;
confortarne la panza
con qualche bon boccon;
che dospuò te prometto
con un balletto
farte veder
robba, che ti dirà dal gran stupor,
viva el mio Bagolin, viva el mio cor.
Olivetta
Orsù via me contento,
però vogio anca mi
196
OLIVETTA - ORLANDINI
ballar, tirarghe dentro,
provandome con ti;
e per compir el ballo
vogio sul (allo
far comparir,
la sguattara col cogo i qnai tutt' unt
interzeran cor bette, e contrapont.
Tutti insieme
Su donca balludori
ciaschedun salta in su,
per confermar 1 humori
de tanta servitù,
deve la man adesso,
e volzé spesso
le spalle, e '1 bust;
e toméve co i petti a rincontrar,
mostrando eh' anca i Zagni sa ballar.
Viva V amor Zagnesco,
e viva Bagolin,
con la cucina e '1 desco,
e viva Frittellin ;
viva pò Zan Padella,
con Zan Gradella,
e Candellot;
viva de le Vallade a ogni confin,
Mezettin, e Fenocchio, e Zan Scappin.
£ viva Zan Buffetto,
Brighella e Bagattin,
Zan Polpetta e Guazzetto,
Cappella e Trappolin :
e viva sempre intera
tutta la schiera
de i Zagni al Mond,
pur, che nel celebrar le nostre nozz,
ciaschedun vegna a empir el so gargozz.
Olivo. È Citato nel dialogo di Leone De Somi fra gli egregi
recitatori del suo tempo (V. pag. 109). Si chiamava Pietro;
era mantovano, e famigliare del Principe ; figlio di Giovan
Matteo e padre di Volpino, prete, poi canonico della cattedrale
di Mantova (V. D'A., 440). Olivo prese parte alla rappresen-
tazione de^ Supposti deir Ariosto datasi il 12 giugno del 1553.
Onorati Ottavio. Recitava le parti di Mezze/fino nella ce-
lebre Compagnia dei Confidenti, sotto il patronato di Don Gio-
vanni De Medici, a fianco di Marina Antonazzoni, la rinomata
Lavinia, al nome della quale sono particolari curiosi della di-
scordia regnante allora in compagnia (161 5).
Orlandi Giuseppe. Sappiam solo di lui che era ferrarese»
e sosteneva la parte del Dottore nella Compagnia che il Duca
di Modena avea formata pel 1675, della quale è riferito l'elenco
al nome di Areliari.
Orlandini Leo. Nacque a Perugia il 1865 da Carlo, artista
comico egregio per le parti amorose che sostenne nelle Com-
pagnie della Robotti, della Ristori, e più tardi di Ernesto Rossi,
dal quale fu avuto in conto di attore elegantissimo e di Pilade
eccellente. Morì giovanissimo nel manicomio di Bologna.
ORLANDINI - PACI 197
Il figlio Leo, nonostante l'avversìon de' parenti, che lo
tennero in collegio fino a quindici anni, sì diede all'arte loro,
scritturandosi 1"82 secondo amoroso con Luigi Monti,
e serbandosi :n tale ruolo con le Compagnie Bei-
lotti, Pezzana.Emanuel, Marini, fino all"89. In quel-
l'anno passò primo attor giovine con Novelli, poi
('gi-'92) con Favi-Colonnello e Bertini, poi ('g2-'g3,
*93-'94) con E. Duse; salendo finalmente il '94-'95
con Pasta- Di Lorenzo al ruolo di primo aitare, che
non abbandonò più; e in cui, dopo alcuni anni di traversie in
compagnie sfortunate, fu scritturato (1900) dal Novelli per la
Compagnia della Casa di Goldoni. E mercè la direzione di tanto
maestro e la volontà e l'intelligenza sua, egli salirà certo in
maggior fama, avendo già dato prova di un prospero avvenire
con le felici rappresentazioni di alcuni personaggi, tra cui primo
quello del protagonista in La satira e Parini di Paolo Ferrari.
-^^
Paci Luigi. Toscano, nato intorno al 1785 da civili parenti,
si sentì, compiuti gli studi, attratto alla scena, ove riuscì in
breve tempo un primo amoroso di grido. Sposata l' egregia ar-
tista Laura Civili, si fece capocomico; ma dovè, poco dopo,
lasciarle scene, per condursi a Pisa, ove sperava trovar sollievo
all'etisia invadente, e ove pur troppo morì consunto nel 1820.
198 BADERNA - PAGANINI
Padema Giovanni. Bolognese. Dopo studiata la pittura
con Matteo Borbone, partì da Bologna, ancor giovinetto, col-
locandosi in qualità di paggio presso uh capitano di vascello;
il quale prese molto ad amarlo per averlo sentito improvvisar
bizzarrie poetiche, e recitar maestrevolmente sotto la maschera
del Dottore. Abbandonato il padrone, il Paderna si diede a girar
r Italia or con Tuna, or con T altra compagnia di comici, rap-
presentando sempre la sua parte dialettale di secondo vecchio.
Per certa malattia, dovè poi lasciar la professione, e restituirsi
a Bologna, ove ripigliò i suoi studi sotto il Dantone e il Mitelli,
eh' era — dice il Bartoli - geloso dello scolaro. Chiamato a Mo-
dena da quel Serenissimo, in piena estate, riscaldato dal viag-
gio, si die a bere vino ghiaccio per modo, che in capo a pochi
giorni dovè soccombere (1660 circa), toccati a pena i quaran-
ta anni.
Paganini Onofrio. Milanese. Compiuti gli studi di lettere
umane, si diede alle scene, recitandovi ^^ innamorati col nome
di Odoardo, e restando lungo tempo nella Compagnia di Antonio
Marchesini. Essendo a Torino il 1748, dedicò a Madama di
S. Gili nata Carpane V Esopo in Corte del Boursauli, tradotto da
Gaspare Gozzi. Si fece poi capocomico e fu al San Gio. Griso-
stomo di Venezia al servizio di S. E. Grimani. Nel 1753, andato
Antonio Sacco in Portogallo, il Paganini lo sostituì con nuova
compagnia per quel teatro, che però non piacque. Costretto a
rifornirsi di nuovi elementi, scritturò tra gli altri Giuseppe Za-
narini e la moglie Rosa Brunelli (V.), mantenendo così la pro-
messa fatta n^XC Addio, recitato l'ultimo giorno del precedente
carnevale dalla prima attrice Francesca Torri, di cui ecco al-
cune strofe:
Chi di Sorte il cieco dono
amò più del suo decoro
loro infuse T abbandono
per saziar sua fame d'oro.
E noi pochi e senza lena,
travagliammo con gran pena.
PAGANINI 199
Senza forze e senza Attori,
o almen pochi ed ignoranti,
privi affatto degli Autori
che i lor parti dieno e tanti,
come mai darvi piacere
nel diflScile mestiere?
Come mai.... Ma verrà un giorno
ch'io tornando a queste scene
avrò nuove genti intorno
di bel spirito ripiene,
che le cose altrui ben chiare
sapran meglio recitare.
Tornato Sacco, Paganini condusse la sua compagnia in
Toscana, nel Genovesato e in Lombardia, né mai più pose piede
a Venezia. Nel '63, recandosi per mare da Genova a Livorno,
fu sorpreso da tal burrasca, che si dovette gettar in mare tutto
il carico della compagnia, lasciando nella nave la sola mercanzia
di un ricco negoziante il quale, giunti in salvo nel porto di Li-
vorno, risarcì pienamente il Paganini del danno sofferto. L'au-
tunno di quell'anno andò al teatro della Sala in Bologna, con
una Compagnia di cui eran parte principale la Brunelli e il se-
condo innamorato Carlo Magni. Passò il carnovale dalla Sala
al nuovo teatro pubblico, accordato per la prima volta a' com-
medianti, e tornò a Bologna al teatro Formagliari il carnovale
del '65 ; ma la compagnia, privata della Brunelli, non vi fece
incontro. Fu in Portogallo e in Ispagna, con poca fortuna: e,
tornato in Italia, pensò di riformar la compagnia, scritturan-
dovi per un anno la Faustina Tesi. Morì improvvisamente a Ve-
nezia la quaresima del 1776. Dice Fr. Bartoli ch'egli parlava
egregiamente all'improvviso, che giocava il secondo Zanni a
meraviglia, e scriveva in poesia con molta grazia ; la sua figura
teatrale non era delle più adatte al personaggio deW innamo-
ralo, perchè piccola e pingue oltre misura. Il Bartoli, secondo
il solito, si scaglia, in difesa del Paganini, contro il Romanzier
del Teatro che a pagine 45 e 64 del primo volume, così lasciò
scritto :
200 PAGANINI
Trovai 1 Impresario. Era questi un nomo picciolo e grosso, con una (accia rotonda,
e sanguigna. Aveva una voce imbrogliata ed oscura, e pareva che le sue parole uscissero
dall'esofago d'uno che mangiasse. L'ho trovato in veste da camera, con una berretta
bianca in testa, fatta a pane di zucchero. Apriva la cassetta de' denari, e pria di cavarne,
baciava certa immagine stampata che là dentro teneva. Ogni volta, mi disse, che incomodo
il mio scrignetto, dò questo bacio, e finora tanti ne diedi, che più non c'è numero. Cominciai
a sospettare che fosse un Ipocrita. Sbrigati ch'ebbe alcuni operaj che attendevano soldi,
mi chiese, con un' eloquenza da scena, in che potesse avere la bella sorte e l' onor di ser-
virmi. Gli dissi che un qualunque posto io bramava nella sua Compagnia. Mi oppose
subito cento difficoltà, e quando seppe eh' io non aveva mai recitato, quasi quasi mi tolse
d'ogni speranza. Dissemi essere necessario ch'io parlassi colla prima Donna per racco-
mandarmi a lei. Sono Impresario, soggiunse, ma deggio, in molte cose, da essa dipendere.
Ella è brava, ma per dirvela in confidenza, il Diavolo è qualche cosa più buono di lei.
Se le dò il menomo disgusto non si contenta d'onorarmi col titolo di giumento, ma mi
balza agli occhi come una furia, e se non usassi prudenza menerebbe le mani. Finito
l' anno corrente, la lascio per chi la vuole, e gramo quel misero che se la piglierà. Intanto,
Figlia mia, tenetevela pure con essa; se volete ottenere quanto bramate, e col tempo....
chi sa?... siete Ragazza, bella, spiritosa, d'una nazione che piace, e forse forse diverrete
la più famosa delle Commedianti. Ciò detto mi toccò una guancia con una compiacenza
più che paterna, s' ingalluzzò, e mi fece avvertita che al Vecchio volpone ancora piace-
vano i pomi, benché non avesse più denti.
Quel botticino, recitava sul gusto del passato secolo, e aveva la smania di (ar an-
cora quelle parti, che gli stavano bene quarant'anni avanti. Nel mondo comico gli uomini
sono soggetti ai pregiudizj del sesso Donnesco, quando si tratta di età. Non vogliono per-
suadersi mai d'esser vecchi, e senza denti in bocca balbettano cose amorose. Negli inviti
al Pubblico ci entrava sempre il procureremo di superar noi medesimi; e quando invi-
tava per qualche Commedia del Goldoni, qualunque fosse, la chiamava la più bella che
avesse fatta quel celebre Autore. Recitando all' improvviso diceva sempre le stesse cose,
colle stesse parole ; eppure da' Commedianti che stavano tra le ventitré e le ventiquattro,
era riputato uno degli ultimi grandi uomini dell' arte. Chiamava ognuno suo Monarca
volesse, o non volesse, e adulava perfettamente.
Riferisco anch' io volentieri i sonetti pubblicati dal Bartoli,
come saggio dello stile poetico del Paganini, e come prova
della stima in cui lo tennero uomini egregi.
Per l'acclamata memoria della perfetta arte Comica prof es saia dalla
Società dipendente dal governo del Signore Onofrio Paganini,
avendone dato un cospicuo saggio nel pubblico Teatro della Città
di Pisa nelle sue recite di varie commedie l'estate deltanno i'/62.
Qual mormorio di voci si festive
oggi qua s' ode a rallegrarne i Cori ?
fors' è che Apollo coll'Aonie Dive
Sparga delle sue glorie Inni Canori ?
PAGANINI aoi
Di pace amico stuol qua dalle rive
dell'Adria, cinto il crin di rose e allori
vantando il suo valor tra Fole argive
sen venne a sollazzar gli alfei Pastori.
Il genio teatral candide piume
spiegando, va tra l'aure più serene
sull'Arno, ove n'appar suo chiaro lume.
Del Paganini il nome alle Tirrene
sponde vivrà, che per nuovo costume
senno e onestà trionfa in dotte scene.
In segno di vero applauso l'avvocato Ranieri
Bernardino Fabbri Pisano fra gli Arcadi
Odisio Licurio Vice Custode perpetuo della
Colonia Alfea,
Risposta d' Onofrio Paganini al suddetto
Le tue dotte. Signor, rime festive
sanno incantare ed obbligarsi i cori,
tal che superbe le Castalie Dive
vanno, a ragion, de' versi tuoi canori.
Aman tuo vago stil d'Arno le rive,
che altro non fa, che meritarsi allori,
quai meritò là sulle arene argive
Pindaro eccelso in fra gli achei Pastori.
Per l'aereo sentier candide piume
spiega Cigno sublime, e le serene
aure sormonta ov'è più chiaro il lume.
E il tuo nome, o Signor, l'onde Tirrene
rendan sempre immortai, qual per costume
rend'io gli Eroi sull'erudite Scene.
Per le rime antecedenti. Sonetto a Odisio e ad Onofrio dell'avvo-
cato Gio. Francesco Lami.
Mentre voci sciogliete alte e festive,
Odisio e Onofrio, a sollevare i cori,
fanno nascer d'onor le Aonie Dive
bella gara tra voi. Cigni Canori.
36. ~ / Comici italiani. Voi. IL
202 PAGANINI
Vedo già risuonar d'Arno alle rive
i nomi vostri, e a coronar d'allori
il vostro crin, dalle contrade argive
corre Apollo tra Ninfe e tra Pastori.
Spiegaste entrambi l'onorate piume
di gloria a replicar l'aure serene,
ond' io resto abbagliato a tanto lume.
Veggan pur con stupor l'onde Tirrene,
che di calcar seguite il bel costume
uno i dotti Licei, l'altro le Scene.
Paganini Francesco. Figlio del precedente, dal quale
s' ebbe i primi ammaestramenti nell' arte comica, e col quale
stette alcun tempo, entrando poi come innamorato nella Com-
pagnia di Giovanni Simoni. Tornò col padre, e fu con lui in
Portogallo ove sposò la Corona, assunta la quale al grado di
prima donna, al suo ritorno in Italia, si distaccò dal padre per
farsi a sua volta capocomico non troppo - a detta del Bartoli -
fortunato, negli ultimi anni almeno, nonostante i grandi meriti
della moglie.
Il Colomberti lo cita come buon capocomico dal 1790
al 1810.
Paganini-Corona Anna. Francesco Bartoli ci lasciò di lei
il seguente ritratto :
Sortì dalla natura i più bei doni, che mai potesse avere una giovane
attrice. Una bella e graziosa figura, una voce flessibile e dolce, una pro-
nunzia assai retta, un gesto nobilmente naturale, e un portamento spirante
tutto brio, sono i bei vanti suoi. Ciò che poi fornisce i di lei meriti è
un'intelligenza piena d'acume, l'investirsi al vero delle passioni, e l'espri-
mere con grazia e nobiltà vivamente tutte le cose, che rappresenta. Nelle
Commedie fa valere il suo spirito e parla con eleganza e con facondia; e
la sua rettorica potrebbe riputarsi studiata, quando non si sapesse che ella
crea i suoi concetti in quel momento appunto che gli escono dalla bocca.
Andò in Lisbona con sua madre Chiara, comica anch'essa,
nella Compagnia di Onofrio Paganini, del quale sposò il figliuolo
PAGANINI - PAGHETTI 203
Francesco, restando sempre con lui, principale ornamento della
propria compagnia.
Ecco un sonetto che riferisce il Bartoli a lode di lei, senza
nome di autore, ma suo probabilmente.
Al merito impareggiabile della Signo^'^a Anna Corona Paganini,
che nel Carnovale dell'anno l'/'/y, recita in Carattere di prima
comica in Genova nel Teatro delle Vigne con universale ap-
plauso,
Qual altra mai sulle notturne Scene
potea cangiar cosi diversi aspetti,
pinger dell'Alma i violenti affetti,
quale un tempo già feo la saggia Atene?
Tu fra le genti di stupor ripiene,
muovi cosi gli sguardi, i gesti e i detti,
che svegli a tuo piacer ne' nostri petti
sdegno, amor, duol, pietà, timore e spene.
Quindi il tuo nome dell'invidia a scorno
fa la sincera fama a te rivolta,
nel pien Teatro risuonar d'intorno.
E l'attonita Udienza ognor più folta
pende dalle tue labbra; e al chiaro giorno
preferisce la notte, in cui t'ascolta.
Paghetti Giovai! Battista. Comico reputatissimo per la
maschera del Dottora, fiorito nella seconda metà del secolo xvii,
di cui scrive Luigi Riccoboni {op. cit.y VII): < quasi tutti i co-
mici erano a quel tempo ignoranti, ed eccettuati Gio. Battista
Paghetti, che recitava la parte di Dottore, e Galeazzo Savorini
che gli successe nella maschera, non potrei citarne uno che
avesse compiuto un corso di studi. > Lo vediamo il 1 686 nella
Compagnia del Duca di Modena, di cui si è dato V elenco al
nome di Marzia Fiali.
Paghetti Pietro. Figlio, probabilmente, del precedente,
nato a Brescia il 1674, si recò in Francia giovanissimo reci-
PAGHETTI - PALADINI
tando parti generiche in compagnie dì provincia. Andò il 1710
a Parigi e fu scritturato nella Compagnia di Pier Francesco
Biancolelli, figlio del celebre arlecchino Ifomin/^ue. di cui ser-
bava il nome, che agiva alla fiera Saint- Gè rmain, impresari
Laury e la signora Baron. Passò dal 171 2 al 17 14 a recitar le
parti di Dottore in Compagnia di Gio. Battista Costantini {Ot-
tavio) alla fiera Saint- Laurent, sotto l' impresario Saint-Edme,
e il 9 aprile del 1720 esordì nella Compagnia del Reggente,
colla parte di Prutient nella Fausse Coqueite. commedia francese
dell'antico teatro italiano, riportandovi un grande successo.
Di lui disse il Mercurio del tempo : « Egli parlava assai bene il
francese e l'italiano. Non sì son visti facilmente attori acco-
gliere tante buone qualità pel teatro, e per ogni specie di ca-
ratteri. E se bene egli non avesse troppo bella persona (era
gobbo), ei li rappresentava con tal giustezza e precisione che
niente lasciava a desiderare. » Aveva sposato Angelica Cate-
rinaTortoriti, figlia del celebre
Pascariello, poi Scaramuccia,
e morì il 14 novembre 1732,
munito dei SS. Sagramenti, e
pubblicamente lodato dal cu-
rato di S. Salvatore sua par-
rocchia, ove fu sepolto Ìl dì se-
guente, per la cristiana, dav-
vero esemplare, rassegnazione
colla quale sopportò il male e
passò alla nuova vita.
Paladini Francesco. Nato
a Capo d' Istria negli ultimi del
secolo scorso, fu ammaestrato
nelle belle arti dal padre pit-
tore ; ma a diciotto anni si fe-
ce comico, riuscendo in poco
tempo un egregio amoroso nella Compagnia di Carlotta Mar-
PALADINI
chionni. Passò poi Ìl '24 a Napoli col Fabbrichesi, che lo con-
dusse con sé a Trieste, poi, avanti la fine dell'anno lo rimandò
a Napoli primo amoroso e primo uomo a sostituire con Mario In-
ternari, stipendiato dal Fabbrichesi, l'attore insufificiente che
copriva quel ruolo. Dopo un anno, scritturato dallo stesso
Internar!, passò nell'Italia centrale, poi, morto nel '25 l'Inter-
nari, entrò nella Compagnia di Luigi Vestri. Passò, da que-
sta, in quella di Antonio Raftopulo pel triennio '27-28-29,
indi, il 1830, formò società per un nuovo triennio colla cele-
bre Carolina Internari, con cui si recò a Parigi. Fu, ancora
per un triennio, scritturato dai soci Fabbrici e Petrellì; poi,
sposata l'egregia servetta Qotilde Sacchi, si fece nuova-
mente capocomico per vari anni (il '56 aveva società con
Stefano Riolo), finché, avanzato in età, abbandonò l'arte. -
Il Colomberti lo dice attore di molta intelligenza e di pre-
stante figura, applauditis-
simo sempre, nonostante il
difetto di una voce alquan-
to nasale.
Paladini- Sacchi Clo>
tilde. Moglie del prece-
dente, e figlia di un bravo
Arlecchino, nipote proba-
bilmente di Felice Sacchi,
detto Sacchetto, nata nel-
l'anno 1814, si scritturò,
rimasta orfana del padre,
come servetta. Ìl 1 830 nella
Compagnia Bon, Roma-
gnoli e Berlaffa, nella qua-
le, sotto gì' insegnamenti
del Bon, celebre attore e
autore, divenne ben presto
ottima nel suo ruolo, rappresentando per ben ventidue sere
PALADINI
al teatro di S. Luca, sotto le spoglie della cameriera, la com-
media dello stesso Boti, Nienlc di male. Passò il '32 prima donna
giovine con Romualdo Mascherpa, tornando poi subito servetta
in Compagnia di Luigia Petrelli in cui stette sei anni dal '33
al '38, e in cui sposò l'attore Paladini, col quale si fece poi ca-
pocomica, dovunque ammiratissima.
Paladini Ettore. Figlio dei precedenti, nacque a Firenze
il 1849. Determinare con esattezza cronologica il suo stato di
servizio non è certo agevol cosa, tante sono le compagnie di
vario genere, in cui militò, e per tanti anni si trovò a essere
conduttor di compagnie egli
stesso! Figlio d'artisti, dovè
naturalmente, come ogni altro,
esordire quando gli fu dato a
pena d'infìlar quattro parole:
a soli cinque anni. Nondimeno
la famiglia tentò distorlo dal
teatro, destinandolo alla vita
del mare. Ma Ì babbi propon-
gono e i figliuoli dispongono.
Un bel giorno non volle saper
più né di burrasche, né di ba-
stimenti, né di eliche, né di trin-
chetti, e a quattordici anni Ìl
piccolo ribelle entrò in una del-
le infime compagnie. E come il
sangue non è acqua, così egli potè in breve, a motivo di una
dizione purissima, che ha tuttavia serbato il primo nitore,
salire ai maggiori gradi di primo attor giovine e di primo air
lare, diventando poi con la intelligenza non comune e la non
comune gagliardia di fibra, un de' più pregiati direttori di
compagnie, fra cui quella dì Teresa Mariani -Zampi eri, nella
quale stette assai gran tempo, ammiratissimo. - Fu il 1900
in quella di Bianca Iggius, scritturandosi poi pel '901 con
PALADINI
Qara Della Guardia, con la quale si recherà nell'America me-
ridionale.
Paladini (De')'Andò Celestina. Fu attrice di grandissimo
slancio, benché non di imponente figura, nelle parti tragiche,
acclamatissima specialmente in America, ov' ebbe onori di rime
non ispregievoli. Nacque a Lucca il 13
luglio 1 8...., ed esordì a diciassette anni
in Alba di Piemonte, salutata come una
gentile promessa. Nel '63 era g\k prima
attrice egregia sì nelle partì drammati-
che, sì nelle tragiche, ma più in queste
che in quelle, e nel 'óg-'yo, conduttrice
ella stessa d'una compagnia comica, sol-
levò quasi all'entusiasmo i pubblici più
varj d'Italia. Sonetti, ed epigrafi e artì-
coli dì ogni specie s'ebbe dovunque; e
non sarà discaro a' lettori ch'io trascri-
va qui un epodo, offertole a Ravenna il
7 febbraio del 1877, mentre dilettava quel pubblico del Teatro
Alighieri : epodo, il quale, se bene anonimo, sembra a me si
levi, con altre poche, dalla schiera infinita dì quelle poesìe
volgari dì circostanza che sono la vergogna dì chi le scrive
e di chi le riceve.
Gli ammiratori di Celestina Andò naia De' Paladini, prima
donna drammatica applaudittssima sempre nel Teatro Ali-
ghieri, D. D.
EPODO
È '1 dolce riso dell' amor che brilla
nell'ardente pupilla?
È '1 gran cor, che di furia empin si accende
se gelosia lo prende?
208 PALADINI
È l'orgoglio d'un anima regale
che a vanità si aggiunge;
e, com' assillo tormentoso, il punge
d'avvelenato strale?
È profonda pietà, che 1' uman frale
d' alti rimorsi grave
tra gli spettri e le rughe tutto solve;
e lo gran giorno pavé
che Iddio '1 ritorni in poca e muta polve ?
È la ragion che lascia
il pover capo e tra' dolor lo sfascia;
oppur vi fa ritorno
con r alma, giovin sempre e innamorata ?
Ond' è che a noi d' intorno
tanta pietà veggiam si tosto nata?
Che mai da' nostri cigli
a spremer vale così larga vena,
nella ognor varia scena
o dell' antiqua, o dell' età presente ?
Voi !... siete voi !... voi, piena
di grazia e di saver, che tutta conta
d' ogni fè, d' ogni gente
r istoria avete, e su verace impronta
gittar sapete accento»
incesso, sguardo, tratto, atteggiamento;
e divinar quai moti
nella foggia miglior rendano i noti
casi, e adeguarli al lento
o crebro moto d' uman cor. Attèa,
Stuarda, Elisabetta^
Messalina.... or gentile, or aspra; or saggia
or folle; or giusta, or rea;
ma sempre grande, e a tutti sempre accetta,
bella attrice e perfetta.
PALADINI - PALAMIDESSI J09
Celestina De Paladini, sposa a Flavio Andò, primo at-
tore e direttore della Compagnia da lui formata in Società
con Tina Di Lorenzo, è oggi di essa compagnia pregiato or-
namento nelle parti di madre, ch'ella sostiene con quella innata
signorilità, che non è facile di ritrovare nelle sue compagne
di ruolo.
Palamìdessì Giuseppe. Da padre filodrammatico e av-
vocato, nacque a Pisa il 1840 circa; e datosi con l'esempio
paterno agli studi legali e del teatro, diventò in breve alla
sua volta avvocato e filodrammatico. Ma le scene del teatrino
privato eran troppo anguste a
soddisfar le vanità e mostrar
le qualità del Roscio futuro, il
quale, scritturatosi in Compa-
gnia Dreoni per le parti co-
miche che non abbandonò più,
passò poi in quelle dì Sterni,
e, nel 1874, di Emanuel e la
PasquaH, dove colla farsa // Ca-
sino di campagna, da lui raffaz-
zonata, toccò addirittura la ce-
lebrità.
Il Palamidessi non fu ar-
tista di grande levatura, ma at-
tore castigatissimo, anche nelle
bizzarrie comico-musicali, e in quella stessa farsa in cui rap-
presentava mirabilmente una marionetta, un cantastorie e un
poeta, e che replicava sino a venti sere di fila; e però fu sem-
pre desideratissimo da' capocomici, tra' quali il Morelli. Ma
con la fama crebbero in luì le pretese e la baldanza, sì che
l'artista celebre, creando ad essi ognor nuovi fastidi, fu da
essi abbandonato. Si fece allora conduttor di compagnia, ma
con ninna fortuna; e in breve, consumato ogni suo avere, si
trovò costretto a ramingar con piccole compagnie in pìccole
2IO PALAMIDESSI - PALMA
città, fino a' dì d'oggi, in cui ha la triste ventura di sollazzar
la gente con qualche buffonata dalla minuscola scena di un
caffè concerto.
Paliotti Carlo e Francesca. Fu la vita di Francesca Pa-
liotti alquanto romanzesca. Nata il 1764 in Ancona da un gar-
zone di sarto e da una rivendugliola di abiti vecchi, s'innamorò
a vent'anni di un giovane della sua condizione, dal quale, abban-
donata, fu per morirne. Condotta, a sollievo de' suoi mali, a sen-
tire una piccola compagnia di comici che recitava in un'arena
modesta di legno, destinata anche alla caccia del toro, tanto
s'invaghì dell'arte, che risolse di consacrarsi ad essa. Sposa-
tasi il 1 785 a un giovane attore della compagnia, Carlo Paliotti,
divenne ben presto, essendo anche di rara avvenenza, un'ot-
tima amorosa, e la vediamo il 1 790 in Compagnia di Luigi Rossi
prima donna giovine applauditissima. Nel 1 800 formò col marito,
lei prima attrice, e lui primo attore, una fortunata compagnia; e
morirono entrambi nel 1825 circa, all'età di poco più che ses-
sant' anni.
Palma Carlo. Romano, fiorito nella seconda metà del se-
colo XVII, sosteneva in commedia la parte di secondo Zanni
col nome di Truffaldino. Lo vediamo nel '58 a Roma, abitante
nel distretto della parrocchia di S. Pietro, assieme al Dottor
Lolli, al Silvio Coris, al Pantalone Malossi, ecc. Nel '75, assieme
al Turri Pantalone e all'Allori Valerio, fa istanza al Serenis-
simo di Mantova di appartenere alla sua compagnia: istanza
che vediam poi accettata, dacché in data 30 marzo scriveva
da Venezia a un famigliare del Duca, avvertendolo di essersi
abboccato con Valerio e di esser pronto a partire, secondo
i comandi di S. A., la settimana prossima. Altra lettera ab-
biamo di tre giorni dopo, in cui ringrazia de' passaporti, e
raccomanda con molto belle parole Federico Beretta che fa
le parti di Capitano Spagnuolo, pubblicata al nome di questo
comico (V.).
PALOMDERA - PANAZZI
Palombera Luisa De Vertamani. Di questa comica celebre
e caTttatrice insigne non mi è riuscito di trovar notizie in alcun
diario napoletano. Forse l'Ortensia del comico Giuseppe An-
tonio Laurentiis (V.)?
Panazzi Francesco. Dopo di essere stato in varie compa-
gnie di giro, si trovava il 1781 a Venezia in quella di Nicola
Menichelli. Fu attore pregiato nelle commedie improvvise,
sotto la maschera di Brighella, e nelle premeditate senza ma-
311 PANAZZI - PANZANINI
schera. Par nuUameno ch'egli fosse assai più reputato violinista
che attore, e dice il Bartoli ch'ei poteva comparire con lode in
mezzo ai più esperti professori di musica.
Fani Lorenzo. Nato a Firenze il 1750, fu un egregio ti-
ranno, e uno de' principali capocomici dal 1785 al 1815. Morì
a Firenze il 1825.
Fanzaninì Gabriele. È questi il famoso Gabriele da Bolo-
gna, che sosteneva le parti di Zanni nella Compagnia A€ Comici
Gelosi sotto il nome di Francatrippe. lodato da Francesco An-
PANZANINI - PAPÀ
dreini (V.) nel Ragionamento XIV delle sue
citate Bravure. Era il 1593, come abbiam
visto al nome di Balestri (V.), nella Com-
pagnia de'Comici Uniti, e in quella de' Co-
stanti, come abbiamo in una lettera senza
data citata al nome di Degli Amorevoli Vit-
toria (V.). Vedi anche (pag. 626) pe '1 co-
stume il Francairippa di Callot, danzante
con Fritellino (Pier Maria Cecchini). Di quel
che gli occorse a Mantova recitando la fa-
vola A^ tre gobbi, vedi Pasquati Giulio.
Francatrippe.
(Da una rsccolla inoi
d< dodici tipi grotti
Panzierì Pietro. È citato da Francesco
Bartoli come giovane di buone attitudini
all'arte. Recitava le parti di innamoralo, e "<>. .««-. ««.o™.,.
dopo di esser stato nella Compagnia di Luigi Perelli, passò
il 1781 in quella di Antonio Camerani.
Paolo di Padova. Conduttore della Compagnia comica ita-
liana che recitò a Nevac il 1 5 79, durante il soggiorno di Cate-
rina de' Medici. Il Baschet {pp. cit., 87) riferisce un documento
ove sono il rimborso delle spese di viaggio, e una somma di
trenta scudi (novanta lire tornesi) per aver recitato più com-
medie dinanzi a Sua Maestà.
Papà Leontina. Nata a Mogliano (Veneto) l'ottobre del-
l'anno 1842 da Leone, maggiore, e da Luisa BOchmann, esordì
sul finire del '59 in Compagnia Moro-Lin, dì cui era prima at-
trice la Fumagalli e primo attore Alessandro Salvini. Mostrò
subito speciali attitudini alla tragedia, della quale fu più tardi
cultrice amantissima e ammiratissima; e, scritturata il '66 al
Fondo diNapoli nella CompagniaMajeroni, vi sostituì con molto
onore la celebre Sadowski. Passò Ìl '69 con LoUio, poi, il '71,
con Coltellini. In quel tomo, a Roma, si ammogliò a Raffaello
Giovagnoli, e restò fuor del teatro due anni. Fu il '73-74 con
Vitaliani e Cuniberti, e andò il '75 a Londra con Tommaso Sal-
vini, Sostituì il '76 in Compagnia Ciotti Virginia Marini, e andò
r'82 con Emanuel, poi, in Rus-
sia, con Ernesto Rossi. Il '92-'q3
fu scritturata da Giacinto Galli-
na, il '95-'9ò da Ferrati, poi dal-
l'Impresa del Teatro Manzoni di
Roma, ove trovasi tuttavia. Leon-
tina Papà nella sua vita non bre-
ve di teatro ebbe momenti d'arte
felicissimi, e molte lodi sincere,
a volte entusiastiche. Creò con
assai plauso non poche partì, fra
cui, quattr'anni or sono a Firenze
quella di Baronessa nella Mar-
cella di Sardou.
Fra le pubbliche testimonianze di ammirazione eh' ella
s'ebbe, merita qui un posto la dedica di un opuscolo di versi,
che vuoisi dettata da F. D. Guerrazzi.
A Leontika Papà - attrice drammatica - che con la
voce ricca d'affeiti - e con l'eloquente atteggiar della
persona - richiamò sulle scene labroniche - le glorie
della Marchìonni e della Pasta - i livornesi - augu-
rando alla giovane artista - trionfi maggiori - porgono
tributo d'ammirazione.
E questo stornello segnato col nome di Tito Vespasiano,
sotto il quale si nascondeva il caldo poeta livornese Braccio
Bracci.
O bella fata dagli occhi d'amore,
chi v'ha insegnato a piangere e pregare?
La vostra bocca è il calice d'un fiore,
e con la voce fate innamorare.
Chi v'ha sentito per gentile usanza,
vi paragona al fior delta speranza;
chi v'ha sentito per desìo di gloria,
vi paragona al fior della memoria.
PAPA - PAPADOPOLI
Voi siete brava e non ve n'avvedete,
perchè è natura dell' augel che vola,
canto e passione, e se non Io credete
guardate quella mammola ^'ola ;
benché chiusa nell'orto in tra le foglie,
l'odor la scopre e il passegger la coglie;
così la vostra luce, o fata bella,
vi scopre a tutti che siete una stella.
Papadopoli Antonio. Nato a Zara il 1 7 aprile 1 8 1 5 da Co-
stantino Papadopolo, mannaro, poi caffetiiere, e da Giovanna
Foscari, si diede al teatro
dopo due anni di ginnasio, e
due d'impiegato all'Uffizio
di Sanità della Dogana, esor-
dendo il '32 in Compagnia
Bon Martini, prima come se-
gretario, poi come attore nel
Naufragio felice dello stesso
Bon Martini, pel quale s'eb-
be dal capocomico non po-
chi incoraggiamenti. Restò
con lui sette anni, interrotti
nel '36 per pochi mesi, du-
rante i quali si unì alla Com-
pagnia Colli, delle infime
d'allora, in qualità dì primo
amoroso, riuscendo il più ca-
ne di tutti gli attori. Sulla
fine di ottobre entrò in Com-
pagnia Cavicchi e Bertotti diretta da Domenico Verzura, pa-
dre nobile, dal quale il Papadopoli si ebbe la sua prima e
salda educazione artistica. Si scritturò il '40 col celebre Ve-
stri, che divinò in lui l'attore caraiterista. In fatti in questo
ruolo esordì il '47 colla Fusarini, passando poi socio con Let-
tini il '48 e '49, a fianco della Nardi prima attrice e della
216 PAPADOPOLI
Cazzola amorosa, con cui si trovò, sciolta la società, nella Com-
pagnia di Antonio Giardini. Prese, nel '54, il posto di Luigi
Bonazzi nella Compagnia Lombarda, ammiratissimo dovun-
que, specialmente per la spontaneità e la verità della dizione
che furon sempre le principali qualità dell'arte sua. Fu poi
dal '60 air '80 in quasi tutte le compagnie d'Italia, vuoi di
primo, vuoi d' infimo ordine. Tentò a Firenze la maschera di
Stenterello, ma fu accolto a fischi; nella Suor Teresa del Ca-
moletti, per mancanza d'un' attrice, sostenne la parte di Suor
Giuseppa. Non troppo di notevole abbiam nella vita artistica
del Papadopoli. Anche vi ebbe chi non riconobbe la grandezza
dell'arte in lui, come quegli che non lasciò alcuna di quelle
creazioni che eternan la rinomanza di un artista. Ma se crea-
zioni tipiche nello stretto senso della parola non vi furono (nella
recitazione del Papadopoli non era celato lo studio, ma, al dire
di più contemporanei non era studio affatto), tutti i suoi perso-
naggi acquistaron tale apparenza di realtà, che non era possi-
bile il desiderar di più. Né si fermò egli a un tipo unico : il suo
repertorio fu de' più vasti e de' più svariati: ne furono il fonda-
mento Michele Perrin, Il Sindaco Babbeo, Il Bugiardo, Il Burbero
benefico. La Locandiera, Il Ludro, Laveria di Papà Martin, L'in-
quisizione di Spagna, L' Ajo neW imbarazzo. Il Barbiere di Ghel-
dria e altro; e il Tommaseo disse di Papadopoli che con un cenno
rendeva un carattere, con una modulaziane di voce avviava una
scena. Alle severità della critica odierna, Antonio Cervi, dal cui
opuscolo (Bologna '96) ho tratto in parte questi cenni, contrap-
poneva queste parole di Alamanno Morelli : < Io che ho saputo
contraffare le varie interpretazioni di tutti i più grandi artisti,
non sono riuscito mai a contraffare quelle del Papadopoli, tanto
esse erano naturali e semplici, e di una meravigliosa efficacia. >
Come uomo, egli si formò una travagliosa vecchiaja, confortata
a pena da qualche sussidio strappato ai colleghi doviziosi, o che
gli eran stati compagni, o che sentivan pietà della miseria sua.
Se molto bene egli fece altrui (il beneficio è più presto
scordato) molto male egli fece a sé; e questo il mondo del-
PAPADOPOLI - PARISI 217
Tarte non gli ha perdonato. Simile al suo predecessore della
Commedia italiana a Parigi, Antonio Camerani, egli mangiò
tutto quanto guadagnò, e più volte anche, non pago, man-
giò a credenza. Con la propria coscienza egli potè transigere
attenuando le decadi, e tal volta anche impegnando i cas-
soni de' comici inconsapevoli ; ma non mai con la tavola e con
la gola: e si racconta che dopo una recita all'Argentina di
Roma, una delle tante di addio, ch'egli era costretto a fare,
dicean le gazzette, per trascinar meno peggio la vita trava-
gliatissima, convitò tutti coloro che preser parte alla recita,
dando fondo, in una gustosa cenetta, alle duecento lire che
avea guadagnate nette per sé. Altra volta mise in tavola, come
antipasto, ottanta lire di affettato; altra ancora, de' petti di
tordo per sessanta persone. Di lui si ha un libretto, e qui anche
torna a mente il Camerani, intitolato Gastronomia Sperimentale
(Zara, 1886), in cui sono le norme particolareggiate per alle-
stire una buona serie di piatti dolci e di piatti di famiglia. Lo
sciagurato vecchio è morto a Verona la mattina del 2 1 otto-
bre 1899. Avea sposato una Giuditta Girometti, mortagli il
2 novembre 1 872 a Milano, mentr' era con Alessandro Salvini e
Cesare Vi taliani. Di lui lasciò scritto Ernesto Rossi {pp. cit.y 1 64),
come contrapposto alle tante accuse : < In questo lasso di tempo
furono aggregati alla mia Compagnia la signora Santoni, la si-
gnora Baracani e Papadopoli, da tutti proclamato irrequieto,
stravagante di carattere, sregolato negli interessi, e da me
rinvenuto buono, compiacente, e persino economo e parco nel
cibo, che è tutto dire....>
i Luigi. Comico rinomato dei tempi di Francesco Bar-
toli(i78i), che sosteneva il ridicolo personaggio dS. Don Fastidio
De Fastidiis con grande successo, specialmente nelle Avventure
di Donna Irene o La sepolta viva, di Francesco Cerlone. Reci-
tava anche in parti serie, ma con poco buon successo, essendo
egli troppo noto come buffone. Lo dice il Bartoli uomo ono-
rato, e ottimo marito.
28. — / Comici italiani. Voi. II.
218 PARISI
Parisi Alessandra. Moglie del precedente, nota in arte col
diminutivo di Sandrina, nacque a Torino da parenti napoletani,
e fu accolta giovanissima, insieme al marito, in Compagnia di
Pietro Ferrari. < Ella è - scrive Fr. Bartoli - d'una figura assai
gentile, di sembianze geniali, e gli occhi suoi sono due vivi
specchi in cui sulla scena conosconsi chiaramente gli affetti in-
terni dell'animo, spiegando con essi valorosamente a meravi-
glia e il duolo e il gaudio e V amore e lo sdegno. Ella è molto
vivace, ed è inclinata a que' caratteri dimostranti tenerezza ed
umiliazione, o abbattimento di forze con rammarico, ed afflit-
tivi, appassionati contrasti. > E più oltre : « Merita questa at-
trice le più sincere lodi pel suo valor teatrale, e più per i di
lei irreprensibili costumi, spiegando a sua gloria il candido
vessillo d' una incorrotta onestà. > La brutta commedia del
Cerlone, Le avventure di Donna Irene, sollevava, rappresen-
tata da lei, all'entusiasmo. Nel carnovale del 1781 recitando
a Bologna in Compagnia Menichelli, ebbe la destra grave-
mente ferita nell'atto di dividere i duellanti, e ne restò imper-
fetta nell'articolazione. Il triste caso fu celebrato dal Bartoli
col seguente
SONETTO
Deh, se a turbar di bella donna il core
impugnaste T acciaro arditi amanti,
e perchè fia che uno di voi si vanti
di ferirla, e recarle aspro dolore?
Beir impresa eli' è questa, e bel valore
egli è oltraggiar chi sol si strugge in pianti?
Scorni saran per voi, non saran vanti,
e puniravvi il tribunal d'Amore.
Donna di si gentili illustri pregi
da voi s'oltraggia, e dite poi d'amarla,
se a una man le imprimete e doglie e sfregi?
Itene; in biasmo vostro il Mondo parla;
ma di lei, e de* suoi costumi egregi
lode risuona, e ognun brama onorarla.
PARRINI - PARRINO 219
Panini Luigi. Pisano, fii attore assai reputato nei primi
del secolo, per le parti della tragedia alfieriana, tra cui va par-
ticolarmente citata quella del Filippo, nella quale fu ottimo.
Passò in seguito al ruolo di caratterista, e si fece sempre notare
per una singolare nobiltà, anche ne' personaggi più ridicoli.
Ebbe il '25 compagnia in società con Filippo Zinelli, padre
nobile, la di cui moglie Sofia Eloisa n' era la prima attrice, e
certo Pietro Simoni il primo attore. Ad avere un' idea del re-
pertorio della compagnia, a codest' epoca, basti sapere che il
caratterista fece a S. Sepolcro la sera del 1 2 agosto la sua Be-
nefiziata col Viaggio dei Pianeti, ossia Giove e Mercurio in Tianèa,
azione allegorica spettacolosa, con promessa in un manifesto
reboante, di mutamenti di scena a vista prodigiosi, di macchi-
nismi non più veduti, ecc. Ma lo spettacolo, che fruttò venti-
quattro colonnati, fu giudicato dal cronistorico anonimo di
quella stagione, infame.
Il Parrini morì nel '32.
Parrini Clementina. Moglie del precedente, nata Lenzi,
recitava con molto brio le parti di servetta. La troviamo il '24
in Compagnia di Luigi Fini, di cui ci ha lasciato un curioso
notiziario un attore della compagnia: forse Vincenzo Bellagambi
(V. Rasi, // Libro degli aneddoti. Firenze, Bemporad, 1898), il
quale ci fa anche sapere che la Parrini era divisa dal marito e
conviveva con Ercole Gallina, il primo attore, da cui ebbe il
3 gennaio del '26 una bambina che le morì il 7 successivo.
Panino Domenico Antonio, napolitano. È ben poco ciò
che lasciò scritto Fr. Bartoli di questo comico egregio per le
parti ùHnnamorato, sotto nome di Fior indo, e non meno egre-
gio istoriografo della sua patria. L'opera: Teatro eroico e politico
del governo de' Viceré del Regno di Napoli dal Tempo del Re Fer-
dinando il Cattolico fino al presente, pubblicata a Napoli il 1692,
ebbe V onore di due ristampe, eh* io sappia, V una del Gravier
nel 1770, l'altra del Lombardi nel 1 875. A questa aggiungiamo
220 PARKING
le Memorie delle notìzie più vere, e cose più notabili e degne da
sapersi, accadute nella feliciss, entrata delle sempre gloriose Truppe
Cesaree nel Regno, ed in questa Città di Napoli, pubblicata dal-
l' autore il 1 708, in 1 2°; e la Guida de' Forestieri per la Città di
Napoli, stampata il 1725. Il 1675 aveva stampata a Napoli con
la data di Venezia una commedia tradotta dallo spagnuolo da
altro comico: Amare e fingere, che fu poi ristampata davvero
a Venezia, e più tardi a Bologna. Il Bartoli lo dice Comico al
servizio di S. M. la Regina di Svezia, e chiude il suo breve
cenno facendolo morire intorno all'anno 1730.
Nell'Archivio di Modena giacciono, tra T altre, inedite al-
cune lettere di lui, o lui concernenti, dalle quali possiamo avere
qualche notizia sicura sull'arte sua e sulla sua vita di comico.
Il 1675 arrivò a Mantova da Napoli, comico del Duca di Mo-
dena, come abbiamo da una lettera di Alfonso d' Este, il quale
chiamandolo principal parte della Compagnia e che si è strecto con
promesse di Regalarlo bene, propone a quel Duca non gli si dien
Tneno di 2^ dopie, essendo questo un huomo che à testa. L' elenco
della compagnia del 1675, in cui Parrino è detto Pannini per
errore, è dato al nome di Areliari Teodora. Anche il 9 aprile
del '76, il Duca di Mantova ringraziava quello di Modena del-
l'avergli ceduto Florindo pel futuro carnevale; e promette di
proteggerlo in riguardo deirefiicaci rcu:comandcUioni che Sua Al-
tezza à di lui prò gV ingiungeva: e il 29 marzo *77 lo rimanda a
Modena, con grandi elogi all' artista per le recite di Venezia e
per quelle di Mantova.
Il 7 giugno '77 da Genova scrive distesamente al Duca di
una aggressione a mano armata per opera di certo Filippo Ca-
stellano di Napoli, che n' ebbe mandato da cotal feudatario di
Monferrato, il quale a sua volta avrebbe agito d'ordine del
Duca di Mantova in persona, indignato contro Florindo che
ricusò di servirlo, allegando in iscusa il suo prossimo ritorno
in patria, e passando invece al servizio del Duca di Modena.
Del 15 agosto 1677 abbiamo una lettera del Dottore Gio. An-
tonio LoUi, nella quale si accenna ad un inganno di Florindo,
PARKING 221
che. non lo mostrerebbe, a dir vero, uno stinco di santo. Egli
mandava a richiedere col mezzo d' un cavaliere e d' una lettera
le sue cinque casse già pervenute a Verona, ove doveva reci-
tare nella compagnia del Duca di Mantova, e dal Lolli ritirate.
Il cavaliere, avute le casse, richiese il Lolli della lettera per
vedere, diceva, se il numero e la specie di esse corrisponde-
vano alla descrizione fattane da Florindo; e datagliela il Lolli
in buona fede, quegli se la ritenne, e non volle a niun patto
restituirla. Sembra poi da una lettera di certo Capello dell' 8 di-
cembre al Duca di Modena, che fra le casse di Florindo ne
fosse una di Finocchio, data in errore, e che non gli era possi-
bile recuperare, perchè andata in mano d' altri. Ma Florindo
scrive da Mantova il 23 agosto: < le mie Robbe consistenti in
cinque casse, per un ordine fattomi fare ad un de' miei com-
pagni a Verona, sono state consegnate non so a chi, mentre
nell'ordine s'esprimeva che si dassero al Cav/® che lo hauesse
presentato. Mi persuado però che siano ancora in quella città,
mentre non ne tengo altra notizia. > E si raccomanda vivamente
al Duca, perchè componga la faccenda. Ma pare che il Duca
di Mantova l' avesse davvero a morte col pover' uomo, il quale
per non commessi delitti fece rinchiudere in una prigione, riu-
scendo vane per liberamelo le intercessioni di Altezze e Po-
tentati. Privo della libertà, fatto inabile al lavoro, privo fin
anche delle r0bbe, frutto di tant'anni di fatiche, non ha più
scampo ormai che nella morte. Ma neanch' essa lo soccorre.
Ultima delle lettere in cui son descritti gli sciagurati accidenti,
è quella del 21 ottobre 1678, interessantissima, che riferisco
intera :
Molto Reu.Jo Sig.' mio Sig.' Padrone Coli.»"©
Il mio fiero destino mi riduce agl'estremi, mentre doppo una si lunga serie di
disgrazie, e miserie, più fiero, et implacabile, che mai si fa conoscere.
Mercordi dunque di notte, accompagnato da 5 huomini armati, tré delle guardie,
e due della Casa del mio hospite, fui d'improuiso condotto fuori di Mantoua, doue fui
costretto lasciare il resto delle mie poche Robbe (mentre degl'Abiti è un pezzo che sono
priuo) et un mio Nipote febricitante, quale della Patria fortiuamente uenne à ritrouarmi
per darmi parte dell'ultimo esterminio di mia Casa; e li detti huomeni mi conducono per
222 PARKING
certo nel Castello di Casale; se bene nel partire mio da Mantooa mi fecero credere di
incaminarmi alla Patria con intiera libertà.
Par consideri pietosamente la Paternità Sua Molto Reo.*, qnal sia il mio stato
infelice. Il Gionine, eh' assisteaa al mio negozio di libri ; doppo hauere pagato di mano
propria molti mesi del suo salario ; se n' è d' improaiso fuggito in Messina in una Nane
Inglese, portandosi aia tatto il baon della Bottega. Due fancialle mie Nipoti da marito,
se ne stanno in Casa de miei Padregni, con poca pace, et è facile, eh' on giorno ne siano
scacciate per la mia absenza. Appresso di me non ho nolla; ne mai ho uedato in tanti
mesi, toltone il Vitto, an soldo solo per riparare all'altre cotidiane mie necessità; onde
non mi aaanza altro, che nna misera, e mal condotta aita, essendo per tanti gnai, peggio,
che morte; e Dio sa qaello sarà di me, doppo, che mi haaeranno posto nel sadetto Castello.
Eccomi pertanto tutto lacrime à piedi della Paternità Sua Molto Reverenda à supplicarla
per amor di Dio à uoler fare quelle parti di pietà, che le pareranno più proprie, appresso
cotesto clementissimo Padrone, perche dall' abisso di tante miserie, e calamità mi aiuti à
sottrame. Sono ridotto in mendicità estrema, e senza quel poco, che haueuo riseruato per
la mìa Vecchiaia alla Patria, per causa, non dico già della prontezza del mio obedire gì' altrui
sourani comandi ; ma per i miei peccati chiedo pietà, e sollieuo, quale spero dalla generosa
benignità di un tanto Principe, per mezzo dell' efficacissimi offizii della Paternità Sua molto
Reuerenda. Non fò poco à scriuere queste due righe di fretta qui in Cremona, in doue
passo costandomi più oro, che inchiostro; si compiaccia far le mie parti con il S.>^ £cc."^o e
con il S.^ C. Ronchi; e per mezzo di qualche Religioso, mi facci penetrare à Casale sadetto
qualche speranza e conforto, per non (armi morir disperato; che se non fusse per la salute
dell'anima; à quest'ora mi sarei tratto fuori di tutti gl'affanni.
Mi è fuggito il poco di tempo che haueuo: me le raccomando per le uiscere di
Maria Vergine, e le (accio profondissima riuerenza restandole pieno
Adi 21 8bre 167S suo schiauo
D. A. P. detto Floìondo.
Il giugno dell' '80 partì da Modena, e giunse dopo ventidue
giorni a Napoli, d'onde scrisse al Duca mandandogli una de-
scrizione in versi del suo viaggio, non rinvenuta nel carteggio.
Annuncia il gran disordine trovato ne' suoi interessi, che muove
alle lagrime gli stessi nemici; ci vorran parecchi anni per saldar
tutte le piaghe; ma intanto, promettendo di essere l'ottobre a
Modena, come da contratto, si raccomanda alla munificenza di
S. A. perchè voglia soccorrerlo nel prossimo viaggio. Finito il
carnovale a Modena, Plorindo si restituì in patria, e il Duca lo
raccomandò con ogni larghezza, il 3 marzo 1681, a Francesco
Magnacavallo suo Agente a Napoli e al fratello di lui Ortensio,
dei quali Florindo ebbe sempre a lodarsi. L"83 egli chiedeva
al Duca una lettera di raccomandazione diretta al Viceré di
Napoli, che subito ottenne. Il 28 di dicembre deU"86, augura
PARKING 223
da Napoli al Duca il buon capodanno, e ci apprende che ha
già abbandonata Tarte comica: io, che a piedi dell' Altezza Vostra
sacrificai gli ultimi sudori de' Teatri, spogliandomi affatto del la-
borioso coturno: mi/o lecito hora comparirle colla douuta deuozione
auanti ricouerto solo della liurea d' un ossequiosissima osservanza
per presentare a V. A. i Voti, ecc., ecc. Il 25 febbraio dell' '87
manda al Duca i suoi devoti mirallegri per la favorevole im-
pressione da lui lasciata alla Corte e in tutta Napoli, e il primo
di marzo il ben tornato a Modena, raccomandandoglisi viva-
mente per ottenere a un congiunto dottore la provvista d' un
governo, per la quale ebbe a scrivere parecchie lettere. Altre
molte ne abbiamo insignificanti di augurio, o di congratula-
zione, o di raccomandazione, o d'invio di doni: talvolta di una
cartella miniata superbamente da grande artista di passaggio
in Napoli, tal altra della pianta e relazione di feste, tal altra
ancora del Teatro Eroico de' Viceré. Di più, l'Archivio di Mo-
dena conserva un sonetto, che qui riferisco, e che ci dà un
saggio dello scrivere di questo artista letterato.
La lode degnissima \ Ossequioso Tributo all'Eccelsa Grandezza
dell'Altezza Ser/^^ di Francesco d'Este Duca \ di Modona
Reggio e te. I Cesare Augusto del nostro secolo.
SONETTO
Trattò Cesare il brando, à cui soggiacque
D' Ibero il Rio, co' gli erti Sassi Alpini :
E de r Ibernia, à cui fan mura V acque,
Pur tributarij, e riuerenti i Pini.
Trattò penna erudita, e sol gli piacque
Vsar tratti magnanimi e diuini.
Quindi al facondo dir Roma si tacque,
E gli fregiò di uerde alloro i crini.
Cosi fece ammirar nel Ciel la Luna,
Cosi fece stupire il Gang e' il Tago,
E la Ruota spezzare à la Portuna.
PARRINO - PASQUALI
Ma s'oggi di mirare il Mondo è uago
L'Opre d'Augusto, e le Vinudi in una:
Di Francesco à mirar uenga l' Immago.
Paniti Gìovan Battista e Maddalena Francesca. Fu-
rono scritturati nella Compagnia del Duca di Modena, a co-
minciare dal 15 di luglio 1686. Egli sostituì nelle parti àxprimo
Zanni, collo stesso nome di Finocchio, il Cimadori, e lei recitava
le serve col nome dì Pimpinella, tìtolo, già nel 1588, di una
commedia del signor Cavalìer Cornelio Lanci, pubblicata in
Urbino da Bartolomeo Ragusij.
Pasetti Lodovico. Nato a Venezia al principio del se-
colo XVIII, passò dall'impiego di fattore all'arte del comico,
nella quale riuscì felicemente sotto la maschera del Pantalone.
Fu anche buon musicista, e cantò più volte v^fi^* Intermezzi. Dopo
di essere stato in varie compagnie si
recò in Germania, ov' ebbe qualche
fortuna; ma venuto vecchio, e tornato
in Italia, morì nell'indigenza a Vene-
zia il 1781.
Pasquali Elvira. Figlia di un oste-
trico,nata a Roma il 1845, e cresciuta
a Milano, dove il padre, mazziniano,
dovè rifugiarsi, entrò seconda amorosa
nella Compagnia Monti e Preda, in
cui ebbe compagna Virgìnia Marini.
Fu il '61 amorosa e prima attrice gio-
vine con Ernesto Rossi, e il '62-'63
con Amilcare Belletti e Calloud, coi quali stette più anni al
fianco di Anna Pedretti. Fu in Ispagna con Achille Majeronì,
e vi tornò poi capocomica, ma con poca fortuna. Ritiratasi
PASQUALI - PASQUALINI 1*5
alcun tempo dal teatro, vi ricomparve il '74 in Società con
Emanuel, poi, finalmente, sposatasi a un giovane egregio, se
ne allontanò per sempre, e andò a stabilirsi con suo marito
a Londra, ove conduce tuttavia una vita agiatissima. Fu at-
trice di molto pregio, e si deve forse alla sua mente scom-
posta, se non potè esser noverata fra le primissime del suo
tempo, com' avrebbe meritato.
PaSQualini Albina. Attrice rinomatissima per le parti co-
miche, fu unica nel rappresentare / viaggi di una donna di spi-
rito, dell'artista conte Bonfìo. Nac-
que presso Urbino l'anno 1801 ; e
la vedìam dilettante ammiratissima
il 1817 nel Teatro de'PascoIini rap-
presentare La /amiglia proscritta.
Il quadro delia moderna filosofia, e
soprattutto La Locandiera, che dovè
ripeter più sere tra le acclamazioni
de' suoi concittadini. Esordì d^X Are-
na del Sole di Bologna in Compa-
gnia Pisenti e Solmi, di cui, dal 1823,
fu per più anni la prima attrice asso-
luta. Passò poi a far parte di quella
Romagnoli e Berlaffa, e nel 1837 ne formò una essa stessa, che
comprendeva attori di grido, quali ÌI Fabbri, Ìl Weltenfelt, il
Modena padre. Scese coli' avanzar dell'età a sostener parti se-
condarie, e morì a Trieste in una piccola compagnia Ìl 1854.
Diam qui a titolo di curiosità Y Addio e Ringraziamento
eh' ella soleva recitare al pubblico 1' ultima sera della sta-
gione :
Cile è mai la gioja de' Mortali?... Un'aura,
Che lievissima passa, un fior che spande
Le vergini dal sen grazie odorose;
Ma un lìor che cade coli' olezzo e muore.
Se cosi libra il Fato, a che dolente
226 PASQUALINI - PASQUATI
Piegar la voce alle querele, e '1 cupo
Mesto sospiro risvegliar dell'Eco?
Ma vinse il duol, ma suU' incerto ciglio
Luce stilla di pianto; un brividio
Mi ricerca le membra, e l'alma anch'essa.
L'alma rifugge sbigottita e muta,
E ad altra sponda.... Ah non v'approdi, e in pria,
Fatta signora di sé stessa, un detto,
Un sospiro, un addio sciolga, e rimbombi
Di nostre voci al suono alterno, e giunga
Alle Valli del Serchio, e lo ripeta
Del bel Tirreno ancor la riva e l'onda.
Or che dirovvi io mai ? Come poss' io
I favori narrar, que' dolci modi,
L'accoglienza gentil che a noi porgeste?
Li sente il cor, ma non sa dirli il labbro.
Perchè tanto affrettò l' invido Fato
Questo triste momento, perchè volle?...
Dunque dovrò, fra mesti lai partendo,
Cosi lasciarvi?... Ah non fìa mai; l'affanno
• Ceda a ragione: il sospirar che giova.
Quando di rivedervi alta speranza
Profondamente ho nel mio cor scolpita?
Pur questa speme che avverar si debbe
Può alla perdita mia recar sollievo.
Allettata da questa, in me rinasce
Vigor novello a scior la voce estrema.
Che spiega a Voi d'un grato core i sensi:
Parte di questo cor con Voi qui lascio;
E parte meco traggo, in cui scolpita
Sta l'immagine vostra, che giammai
Cancellar potrà '1 tempo, che giammai
Sparger d' oblio, che mai.... ma tronca i detti
Un doloroso, e fra i sospiri espresso,
Non dal labbro, dal cor ultimo addio.
Pasquati Giulio. Padovano, fiorito nella seconda metà del
secolo XVI, appartenne in qualità di Magnifico alla gran Com-
pagnia de' comici Gelosi, e proprio quando la lor rinomanza
era al colmo. Anzi in essa buona parte ebbe il Pasquati, che,
non solo, a dire del Porcacchì, s era in dubbio qucU fosse mag-
giore in lui 0 la grazia, o f acutezza dei capricci spiegati a tempo
e sentenziosamente nella rappresentazione data in onore di En-
rico III al Fondaco de' Turchi a Venezia la sera delli 1 8 lu-
glio 1574; ma Io stesso Re, che desiderò poi di avere la Com-
pagnia in Francia, scrivendone al suo ambasciatore a Venezia,
Du Ferrier, il 25 maggio '76, gli chiedeva e raccomandava
sopra tutto il Magnifico che aveva recitalo a Venezia davanti a lui.
Prima di andare a Venezia, Giulio P^lsquati si trovava a
Milano con la Compagnia al servizio dì Giovanni d'Austria, e,
richiesta di ufficio la necessaria licenza, e ottenutala, pregò
anche il Residente « di rilasciare un certificato, nel quale si
228 PASQUATI
dichiarasse la ragione del viaggio, temendo che nel passare
per Mantova, quel Duca Guglielmo Gonzaga, o, forse meglio,
il Principe Vincenzo, non li trattenesse, conoscendo assai bene
qual fosse la passione di quei principi per il teatro, con inten-
zione fors' anco di giovarsene per stabilir patti migliori a una
prossima occasione. > (Solerti e De Nolhac, // viaggio in Italia
di Enrico III. Roux, '90). Una parentesi: Che i Gonzaga fossero
appassionatissimi pel teatro è fuor di dubbio; ma è anche certo
che la loro grande passione non andava discompagnata dal-
l'ambizione di avere in tal materia la supremazia; né da questa
lettera, giacente nell'Archivio di Modena, della quale non è
riuscito ad alcuno finora trovar conferma nelle carte dell'Ar-
chivio Mantovano, né dalle prigionie patite dal Parrino e da
tanti, alla liberazion de' quali s'occuparon patrizj e potentati
in vano, né dalla cacciata da Mantova degli stessi Gelosi il '79,
ci sarebbe certo da dirli stinchi di santo. Pubblico la lettera
intera, perché mi pare uno de' più strani e interessanti docu-
menti del nostro teatro.
A 28.
Anchora che da Mantoua non habbìa hannto tal auiso nondimeno qua si dice
ch'essendo nennto caprìccio al Daca di nedere una Comedia dai Gelosi che fosse tutta
redìcolosa et faceta, i recitanti lo semimo con fame una ingieniosissima et rìdicolosissima
solo che tutti i recitanti erano gobbi della qual cosa Sua Altezza rise tanto, et tanto piacere
se ne prese che niente più, finito il spasso, chiamo quei Principali comedianti et disse
qual di loro era stato l' innentore. Il Zani, diceua mi mi. Il Magnifico diceua esser stato
lui, et Gratiano uoleua la palma, pensando ogn' uno d' hauerne un grasso premio. Il Duca
li fece pigliar tutti 3 et fumo condannati alla forca, le gentildonne radunate insiemme tutte
di Mantoua suplicaro per la gratia, et non iii possibile mai d' hauerli, solo che ottenero di
farli i lacci, a lor modo i quali fumo di fune cosi fragida che tutti 3 cadero in terra, et
la città gridò gracia gracia, et benché i meschini fossero condotti alle prigioni semiuiui et
che fossero tosati et salassati nondimeno il Duca stana anchor risoluto di uolere che fossero
impiccati di nono, et cosi, ni e, stata detta da bon autore, ma non già scritta da quelle bande.
Di fuori: Auìsì di Roma di 28 di luglio 1582.
E scusate se é poco. I tre eran dunque il Panzanini, il
De Bianchi e il nostro Pasquati: e la favola in discorso era
forse l'antichissima delH tre gobbi, ridotta da' Gelosi a scenario,
e passata poi tra le opere del Tabarrino. Tornando al Pasquati,
egli recitò di nuovo a Venezia con la compagnia alla presenza
di Re Enrico il 21 al Palazzo Ducale una tragedia di Cornelio
Frangipani, musicata dal Merulo, e il 24 al Palazzo Giustinian
una pastorale. Della tragedia del Frangipani è detto nell'av-
vertimento premesso alla seconda edizione (Ven., Farsi, 1 574).
che tulli li recUanH hanno cantalo in suavissimt concenti, quando
soli, quando accompagnali.,.. Non potè, il '76, recarsi in Francia,
poiché, secondo la risposta del Du Ferrier al Re (2 2 giugno)
egli trovavasi- momentaneamente alla Corte dell'Imperatore
(Rodolfo II). Vi si recò però il '77, recitando prima a Blois, poi
a Parigi con immenso diletto di Enrico.
330 PASQUATI
Ora vediam di tracciar qui cronologicamente V itinerario
dei Gelosi (coi quali però non si può affermare se fosse sempre
il Pasquati, mutando egli, come tutte le celebrità, di compa-
gnia anche per una sola stagione), riassunto sui varj studj ap-
parsi in giornali e riviste e volumi dal D'Ancona, e arricchito
poi di aggiunte dal Solerti nel suo studio in collaborazione col
Lanza sul Teatro ferrarese nella seconda metà del secolo xvu Si
trovavan nel 1569 a Milano; e nel '71,0 forse prima, pare an-
dassero a Parigi. Del '72 passaron la primavera a Milano e
l'autunno a Genova. Del '73 l'estate a Ferrara e l'inverno a
Venezia. Del '74 furon, come s'è visto, a Milano e a Venezia,
e del '75 a Milano e a Firenze; e forse a Vienna, riferendo il
Trautmann, che in quell'anno fu largita la somma di cento
fiorini a Franceschina Commediante, che era la serva de' Gelosi
(V. Roncagli), e a' suoi compagni per aver recitato una com-
media davanti a S. M. Imperiale. Son di nuovo a Ferrara nel
carnovale del '76, e passan di nuovo in Francia nel '77. Sono
nel '78 a Firenze e al principio del '79 a Venezia. Parte dello
stesso anno pare fossero a Ferrara; certo il maggio erano a
Mantova, dove alloggiavan precisamente al Biscione, e d'onde
furono scacciati il 5 di maggio con ordine reciso e immediato
del Duca. Forse il brutto fatto si collega a quello bruttissimo
dell' '82, in cui, graziati, voller per rappresaglia far colla com-
media à,%\ gobbi allusioni men che rispettose? Dal maggio in
poi si recarono a Venezia, Genova e Milano. Furon 1' '80 a Ber-
gamo, ove si vuole, desumendolo dal madrigale di Cristoforo
Corbelli (V. Alberghini) che i Gelosi si con giungessero mo-
mentaneamente alla Compagnia de' Comici Uniti; poi a Milano,
d'onde ancora ebberminaccie di sfratto; poi a Pisa e a Venezia.
L' '82, come abbiam visto dal riferito documento romano, eran
di nuovo a Mantova; r'83 a Milano, r'85 a Firenze e 1"86 a
Bologna, d'onde chiedevan licenza al Duca di Mantova di re-
carsi colà a recitare. Vi si recavan certo 1' '88, passando poi con
raccomandazioni del Duca, per essersi dif>ortati bene, a Milano.
Furono il maggio deir'89 a Firenze, e il settembre a Milano,
ove tornaron poi il novembre del 'go. Li vediamo il '91 e il '94
a Firenze, il '96 a Genova e a Bologna, e dal '99 al 1604 in
Francia, quando nel ritorno, morta in Lione la prima attrice
Isabella Andreini, la Compagnia si sciolse.
S' è detto che non si potrebbe affermare se il Pasquati
fosse rimasto sempre coi Gelosi. Io credo, per esempio, si
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debba senz'altro riconoscere il Pasquati nel Pantalone del
documento Romano riferito dall'AdemoUo ne* suoi Teatri di
Roma, che è un Processo dell'archivio del Governatore pel 1 565,
nel quale, accanto a cotesto Pantalone, figura Soldino : quel
Soldino che noi vediamo del 1570 a Vienna congiunto a un
JuBo. a cui furon pagati 1' 8 aprile dodici talleri, e che molto
probabilmente è Ìl nostro Pasquati. Del 1585 poi abbiamo un
invito del Duca Vincenzo di Mantova a Ludovico da Bologna,
fatto col mezzo del Pomponazzi a Milano, perchè si rechi a
recitarvi nella Compagnia della Diana ; al quale invito si ri-
sponde non potere il Gratiano accettare, ove non abbia insieme
il Pasquati. E nello stesso anno a Vienna sì accordaron per
grazia speciale cinquantotto fiorini al Magnifico che recitò a
232 PASQUATI
un pranzo di Corte ; nel quale il Trautmann non è alieno dal
riconoscere il Pasquali.
Oltre alle testimonianze del Porcacchi su V arte del Pa-
squali, ne abbiam del Garzoni nella Piazza Universale, e del-
TAndreini (V.) nelle Bravure. Pantalone (l'etimologia non sap-
piam dire con sicurezza se si trovi nella frenesia dei mercanti
veneziani di acquistar terre nel nome della Repubblica, pian-
tando il lion di S. Marco su l'Isole mediterranee, ciò che li
faceva derisi dal popolo, che li chiamava //a/^/tì:/^^;^^.,.., o pure
neir antico patrono di Venezia, San Pantaleone), riproduce il
vecchio borghese veneziano. Fu ne' primi tempi semplice, di
buona fede, talora amante, talora marito, poi, un secolo più
tardi, padre di famiglia, economo più che avaro, moralista,
predicatore, nojoso. Dalle speciali attitudini de'varj artisti si
diedero al Pantalone altri caratteri, che altri poi ne generarono
di ogni specie.
Nelle commedie a soggetto egli appare in tutte le salse....
E in uno degli Scenarj corsiniani, Terza del Tempo, lo vediam
tenuto sulle spalle a braghe calate dallo Zanni, e frustato a
nudo.... da Lidia sua moglie.
Il Bruni (V.), fra i suoi prologhi ne ha uno anche pel Pan-
talone, che metto qui a dare una chiara idea di quel che fosse
la maschera a' primi del '600.
PROLOGO DA PANTALONE
Se l' homo animai da do man (Magnìfici, e Zenerosi Signori) è solo in questo mondo
che vuol tegnir el mondo sotto de lù, e tutti i altri viuenti pi che sotto i pie, non desse
alle volte in tei bestiai noo ghe xe dubbio nigun chi el pareraue el padron de sta casa, el
Principe de sta Republica, el Peota da sta Nane, el Monarca de sto Impero e l' anema
de sto corpo: daspnò che el mondo xe vna Nane che altre volte se affondete in t'vn
deluvio salvandose solo nn battello. Una casa dove la natura vivi fa che habitemo in
sofifìta, e morti la ne manda in magazen sotto terra. Vna republica che el primo fondador
ordenò che fina le bestie vivesse in libertà. Un imperio dove 1' huomo per la rason vien
cognosuo della razza real ; e un corpo che per le sue alterazion o vidsitudini ne (a vegnir
in cognizion delle sue infirmitae. Ma per che co diseva l' huomo non cognosendo el so
ben, contrastando alla so felidtae da si medemo se fabrica mille desgusti per viver in con-
tinue borasche. Considerè no ghe manca chi crede eh' el non haver robba sia una gran
felicità, vordè quel balordo de Crate che buttò via i so bezi, e Antippo che venduo tutta
la so facultae la butete in mar per che sti balordi diseva che i ghe impediva i studij e
FASQUAXr
'ìi
nu altri per haaer ocotion de stodiaT con tanta industria cerchemo de cavar soldi da vn
altri; e molti d« vu cognosando che i soldi lon de comodo e non desconiodo, cosi mat
Tolontiera i ne i da e cosi (acilnienle i ne atronza la paga. Altri dise che l'esser orbo i
un gran contento; opeaion de quel filosofastro di Asclepiade. che vegnno orbo rìngiaiiette
el cielo che per l'anegnir el faraue andì accompagnao dove prima l'andava solo, e non
havevane abno tanti impedimenti a ì so studij. E vu, signori, chi non vorave haver cent
occhi per veder in questa cittae doane coil belle, £abriche cosi pellegrine, t
celienti, gentili' nuomeai cosi illastri. Pol-
troni recever pugni cosi eccelli, e bravi
correr cosi forte? Altri se daol perchè so
mojer se troga spasso con un so vesin
manlegnando una opinion cosi diabolica
che le come nassano all' homo quando se
seroena in te le vaneze della donna ; senti
cari Signori a consolazion de sti poveri
homini. Se l' honor è nn premio della
virtiì, perchè un homo che viva vìrluo-
«omente benché so mojer sia poco manco
che puttana non baio da esser premii de
honoi? E se t' honor xe nn abito del-
l' anima di chi opera ben : com nodo le
•£gion d'on altro el pon far vituperoso?
E se tutte le virtuose azzion d'una donna
non puoi far honorao nn huomo infame
per che la iniamia d' una donna può de-
lonorar nn hnomo da ben } Altri han
opinion eh' et non pagar i coroedisDEi sia
opera de cariti, e nù havemo o^nnion che
chi no paga.... l'opinion xe brutta, non
lo vogio dir ; però paghi che lari l>en. Ma se anderave troppo in longo se de tutte le opinion
eronee de l' huomo volesse trattar. Vegnemo solo alla considerazion che costu animai
rasonevole se serva cosi mal della rason. L' hnomo t nn animai prodizioso composto de
peizi cootrarij, t' anema xe come un principe, el corpo come una bestia, con tutto zò queste
do parte se abbrazza cosi ben tra loro, che i non puoi vivere ìnseme senza verrà, ne
lepararae senta dolor; podendosi con raaon buttar in occhio l'un all'altra de non poder
con ella ne seiu'ella vivere. L' huomo se può dìitìnguer in tre parti: anima e spirito e
carne: el spirilo e la carne han tiolto in mezzo I' anema; el spirito per farme intendere
xe come el Principe nella republica : non spira e non respira che beni del ciel al qual
sempre Tarda, la carne per contrario le come la lega d' un popolo tumultuario e fnrfitnte,
la scovazera e sentina dell' huomo, parte che cala sempre al mal. E l' anima nel mezzo xe
come 1 principali del popular: i diferente tra '1 ben el mal, trai merito e demerito; vien
solecità dal spirito e dalla carne, e secondo da qnal parte se butta la si fa spirituale e
bnona, o carnale e cattiva, come sarave a dir el nostro Portonier xe l'anemo, la cassetta
el spirito, e le so scarsele la carne. Questa anima ha quei bezi in man, la cassetta el tolicila
a melerghei drento, le scarsele mostrandogbe l'ntit proprio prega per elle: segondo a quel
che el te reiolve el doventa, huomo da ben o laro. Da queste resolnzion dell' anema ne
sncciede i varij pensieri e stravagante opinion dell' hnomo parte delle quali ne ho IratU
cosi in compendio. Concludo dunque che l' huomo xe felice o misero, bon o cattivo segoudo
cbe la medesmo vuol. Però se in potesti dell' homo xe d'operar ben e mal, che pori sforzar
234 PASQUATI
Tn, signori, a criar adesso che xe tempo de star zitti ? chi porà sforzar la vostra modestia
a non sopportar i nostri mancamenti? Nignn; ste dunque ziti, che nn parleremo cercando
con una bella comedia reoompensar el premio abao da vn Signori alla porta, e la grazia
che receveremo del vostro silenzio.
A ben sostenere la parte dì Pantalone nella commedia a
soggetto, il Perucci dà questo insegnamento :
Chi rappresenta questa parte ha da avere perfetta la lingua veneziana, con i suoi
dialetti, proverbi e vocaboli, facendo la parte d' un vecchio cadente, ma che voglia affettare
la gioventù; può premeditarsi qualche cosa per dirla nell'occasioni; cioè, persuasioni al
figlio, consigli a' Regnanti o Principi, maledizioni, saluti alla donna che ama, ed altre
cosucde a suo arbitrio, avvertendo che cavi la risata a suo tempo con la sodezza e graviti,
rappresentando una persona matura, che tanto si fa ridicola, in quanto dovendo esser
persona d'autorità e d'esempio e di avvertimento agli altri, colto dall'amore, fa cose da
fanciullo, potendo dirsi : ptier centum annorum, e la sua avarizia propria de' vecchi, viene
superata da un vizio maggiore, eh* è l'Amore, a persona attempata tanto sccmvenevole ;
onde ben disse colui :
A chi in Amor s' invecchia, olire ogni pena
si convengono i Ceppi e la catena.
Dopo di che l'autore deìVAr/e rappresentativa dà alcuni
esempi di Consiglio, di Persuasiva al figlio, di Maledizione ed
figlio....
Quanto al costume, si posson col soccorso dell' icono-
grafia notare alcune contraddizioni in cui sarebber caduti gli
istoriografi del nostro teatro. Tutti son d'accordo nel dare in
sul principio alla maschera di Pantalone il calzone intero a
coscia, o maglione, mutatosi poi in calzone alla spagnuola a
mezza gamba con le calze.... Ma il Pantalone di Martinelli
(pag. 229) antecedente al callottiano (pag. 227) ha senza dub-
bio il calzone corto.
Il colore restò invariato: giustacuore, calzoni e calze rossi,
e zimarra nera. Il Sand, riferendosi forse al costume degli an-
tichi veneziani del Gran Consiglio, dice che il Pantalone da
principio aveva la zimarra rossa, ma a me non fu dato rintrac-
ciarne esempio. Una nuova specie di maschera di Pantalone
o Magnifico ci ha dato il Bertelli (V. voi. I, pag. 180) con la
coccia intera di cuojo raffigurante un cranio spelacchiato, e
lasciante gli occhi scoperti, come quella del Dottore, e una più
nuova ancora un anonimo miniaturista in un piccolo interes-
PASQUATI - PASTA
santissimo album fiorentino di ricordi, del secolo xvi, rappre-
sentante, a quanto pare, una serenata di maschere, e che traggo
dal Museo civico di Basilea (V. pag. 233); ma qui trattasi forse
di una semplice chiassata carnevalesca, come nel frontespizio
al Triompho e Comedia fatta velie nozze di Lipotoppo, con Madonna
Lasagna, che trovo nell'Università di Bologna (V. pag. 231),
nella quale il costume non è osservato a tutto rigore.
Anticamente il Pantalone o Magnifico ebbe anche tal volta
barba intera e lunghi capelli bianchì, come si vede nello stesso
Pantalone di Martinelli, e in quelli di Trausnitz (V. Gio. Maria) ;
e oggi, in Francia, esso appare coi capelli e la barba incipriati
e in costume alla Luigi XV.
Talora fu veduto a viso scoperto, ma generalmente con
una mezza mascheretta
scura dal lungo naso
aquilino, a cui fa contra-
sto una barbetta a punta
arricciata all'insii.
Pasta Francesco.
Nato il 4 ottobre 1839
a Roma, da parenti non
comici, si diede al teatro
giovanissimo, ove non
fece i soliti progressi con
la solita rapidità, forse
per la tempra sua di uo-
mo freddo, calmo, che si
rispecchiava su la scena.
A lui mancavano, se ben
ricordi, gli scatti della
grande passione, e so-
prattutto le sdolcinature
dell'innamorato roman-
tico. Per questo forse la sua carriera, che fu lenta fino all'entrata
236 PASTA - PATELLA
in Compagnia di Calloud e Diligenti nel 1872 come primo at-
tore a vicenda col Diligenti (era stato quattr'anni primo attor
giovine in quella di Peracchi), diventò poi rapidissima, afferman-
dosi egli, un anno dopo, primo cUtore assoluto nella Compagnia
N. I di Bellotti-Bon, l'aspirazione suprema dei giovani artisti,
al fianco di Adelaide Tessero. Francesco Pasta era nato, si può
dire, primo attore, sì pel fisico, era di figura più tosto forte e
di fisionomia marcatissima, sì pe '1 carattere, come s'è detto,
freddo, talvolta serio, talvolta anche accigliato. Aggiungerei an-
che che il Pasta fosse l'ultimo tipo di primo attore, come s'inten-
devan una volta, e come dovevan essere : che cominciavan per
noi giovani da Alamanno Morelli, e finivan con Giovanni Ceresa.
Resta un triennio nella Compagnia N . i , poi passa il ' 76 fino al' 7 8
in quella N. 2, al fianco di Pia Marchi-Maggi, da cui si allontana
per entrar nella Compagnia di Alaméuino Morelli, con Adelaide
Tessero prima donna. NeU"8i eccolo primo attore e direttore
della Compagnia Casilini e Meschini. Un anno di tréuisizione. Pa-
sta, nella sua austerità, nella sua perspicacia, nella sua freddezza,
presentiva tutti i requisiti del capocomico.... E non ebbe da
aspettar troppo.... E formò l'anno dopo società con Annetta
Campi, e mostrò subito le più chiare attitudini agli affari. La so-
cietà fu delle più fortunate per cinque anni, dopo i quali suben-
trò alla Campi la Boetti-Valvassura, ma per brevissimo tempo;
che il Pasta formò da solo una Compagnia di cui eran parti prin-
cipali Adelaide Tessero e Pierina Giagnoni, e con cui si recò per
la prima volta in America, raccogliendovi onori e danaro. Tor-
nato in Italia, riposò un anno per crear poi la società Pasta-
Garzes-Reinach, nella quale fu assunta al grado di prima attrice
assoluta, e con fortuna inattesa, Tina Di Lorenzo. Terminato il
triennio, ne seguì un altro < Pasta-Di Lorenzo, > fortunatissimo^
dopo il quale il Pasta (quaresima 'goo-'goi) si unì con Virginia
Reiter, con cui si trova tuttavia in qualità di socio e di direttore.
Patella Ettore. Nato a Padova il 1750 da civile famiglia,
avea compiuti gli studj per darsi alla chirurgia, secondo il vo-
PATELLA - PATTI 237
lere de' suoi. Ma in lui crebbe a segno la passione del teatro,
che, un giorno, fuggito dalla casa paterna, si unì a una com-
pagnia delle più mediocri, di cui divenne ben presto il sostegno,
recitando con singolare perizia, e con meraviglia dei suoi
compagni, i disparati caratteri di amoroso^ primo attore, padre e
tiranno. Morto improvvisamente il primo attore della Compa-
gnia Battaglia (annegò nel Po con altri comici, mentre si recava
da Pavia a Piacenza), il Patella andò a sostituirlo; e, trovatosi
in un campo adatto alle sue eccellenti qualità artistiche, potè
ne' primi teatri d'Italia ottener successi clamorosi, confermati
poi nel San Giovan Grisostomo di Venezia, dove, esordito col
dramma di Monvel Clementina e Dorigfiy, tanto vi piacque, che
la veneta aristocrazia disertò gli altri teatri per recarsi ogni
sera a sentir lui, il quale, dopo alcune sere, nella creazione
deW Aristodemo di Monti e di Nerone néiV Agrippina di Pinde-
monte raggiunse il sommo del trionfo. Passò, acclamatissimo
sempre, a Roma e a Napoli : ma quivi infermato, morì da tutti
rimpianto il 1786, nell' ancor fresca età di trentasei anni.
Patriarchi Andrea, fiorentino. Buon legale, e accanito di-
lettante di cose drammatiche, formò una compagnia di acca-
demici, che recitava al teatro della Piazza Vecchia, e che in breve
gli fé' dar fondo al modesto patrimonio. Non dandogli l'animo
che l'arte comica cedesse il campo alla forense, pien di corag-
gio condusse i suoi comici fuor di Firenze, per tutta la To-
scana, in Lombardia e a Malta. Ebbe momenti di buona for-
tuna, ma assai fuggevole. Viveva ancora il 1781 perseguitato
dalla sorte. Pubblicò a Bologna il 1764 pei tipi 2}^! insegna di
S. Tommaso d' Aquino una commedia in versi martelliani, inti-
tolata: La Dama di spirito: e altra in prosa e manoscritta, in-
titolata : I gelosi, viveva nel repertorio delle varie Compagnie,
;i Elettra. Nata in Roma il 1839 da onesti negozianti,
fu ammessa nell'agosto del '53 nella Filodrammatica Romana
qual socia esercente, ed il 4 marzo del '59 vi dava la serata
23« PATTI - PAVONI
d'addio, scritturata prima attrice giovine in Compagnia Do-
meniconi, ove stette un anno con Virginia Marini servetta e
Silvia Fantechi generica giovane. Passò poi in quella di Ales-
sandro Monti, ove stette l'intero triennio '60, '61, 62, poi in
quella de' Fiorentini di Napoli a sostituirvi la Virginia Marini,
con Tommaso Salvini primo attore, e Qementina Cazzola prima
attrice. Il '66 si ritirò dalle scene per unirsi in matrimonio con
certo Enrico Finizio, negoziante in seta, il quale, dopo pochi
anni, dovè per infortunj commerciali abbandonar Napoli, e re-
carsi con la moglie a Roma, ove vivon tuttora agiatamente,
lontano dal teatro. La Patti ebbe momenti di buon successo,
ma più, dicon taluni che la conobber da vicino, al cospetto dei
pubblici dozzinali che degl' intelligenti, abbandonandosi essa
a ogni sorta di artifizio pur di aver quegli applausi, che, per
vero dire, non le mancarono mai.
Pavoni Ginevra, romana, figlia di un medico, nata, si può
dire, con la passione per la scena, che fu divisa dalle sue sorelle,
esordì a quattordici anni nella Com-
pagnia di Bellotti-Bon, rivelandosi
attrice di assai liete promesse con la
parte di Margherita nelle DueDame
di Ferrari, di cui era protagonista
Virginia .Marini. L"8i a.r\àb prima
attrice giovine con Pasta-Casilini-Me-
schini, poi di nuovo con la Marini,
allora capocomica. Fu col Monti, col
Maggi, col Pietriboni; e finalmente,
nel '92, volle essere prima attrice as-
soiula, e conduttrice di una compa-
gnia, alla cui direzione fu preposto
il Belli-Blanes. Ai successi di Mar-
gherita nelle Due Dame, di Susanna nel Mondo della Noja, di
Pia nel Cantico de' Cantici, successer quelli di Dora nella com-
media omonima di Sardou, di Cipriana nel Divorziamo, di Fé-
PAVONI - PEDRETTI 239
dora^ ecc. Poi, più nulla. La morte della madre che T aveva ac-
compagnata sempre nelle sue peregrinazioni artistiche, le die
tale intensità di dolore, che la poveretta fu per morirne. Si al-
lontanò dalle scene, col proposito di ritornarvi, ma, pur troppo,
non vi fece che fuggevoli apparizioni or con Salvini, or con la
Compagnia Squillace. Ginevra Pavoni fu wn^ prima attrice giovine
nata.... La voce tremola, direi quasi, timida, la figura svelta ed
elegante, e la fisionomia infantile, non eran facilmente alterabili
dair incalzar dell* età: ella avrebbe potuto restar prima attrice
giovine fino ad oggi, desiderata e amata da'primarj capocomici.
Pedretti Carlo^ veneziano, e perlaro, si sentì attratto alla
scena per modo, che, abbandonata un bel giorno Tarte sua
per quella drammatica, si scritturò in una modesta compagnia,
in cui riuscì egregio Tartaglia, maschera ormai abbandonata
dopo la morte di Agostino Fiorilli. Avea sposata Marianna
Leonardi, giovine veronese, che seguì V arte del marito, otte-
nendovi buon successo nel ruolo di madre nobile e seconda
donna; ed entrambi fecer parte sempre di compagnie prima-
rie, tra cui quelle di Dorati e di Raftopulo. Morì egli in Cre-
mona il 1833, precedendo di poco la moglie, che morì a cin-
quantotto anni in Milano.
Pedretti Valerìano. Figliuolo del precedente, fu un artista
egregio per le parti di Amoroso e di Brillante. Sposò, ancor
giovane, Carlotta Castelli, dilettante milanese, che sostenne
alcun tempo e meritamente il ruolo 6\ prima donna giovine, poi
di madre nobile. Fu con essa più anni nella Compagnia di Cor-
rado Verniano, passando il 1853-54 in quella di Luigi Dome-
niconi, condotta da Gaetano Coltellini, e diretta da Antonio
Colomberti. Fu in Egitto, ad Alessandria e al Cairo, con una
compagnia sociale, e, tornato in Italia, si scritturò con la mo-
glie e una figliuola, l'Annetta, in Compagnia di Cesare Don-
dini. Valeriano Pedretti morì a Torino del 1 866, già lontano
dall'arte; e la moglie Carlotta, a Genova.
PEDRETTI
Pedrettì'Dìligenti Anna. Figlia del precedente, attrice
rinomatissima per le partì tragiche, nata a Genova del 1837,
esordì prima donna all'età di sedici anni,
come una delle più liete promesse del-
l'arte. Divenuta in poco tempo artista
delle migliori, nonostante il metodo ma-
nierato, fu scritturata il '6 r in Compagnia
di Cesare Dondini, in cui sposò il pri-
mo amoroso Angiolo Diligenti, col quale
formò subito una buona compagnia, che
durò parecchi anni con buona fortuna.
Ma sì per voluto sbilancio nelle finanze,
sì per la niuna compatibilità dei carat-
teri, ella domandò e ottenne giuridica-
mente una separazione di corpo e di beni. Si unì poi all'attore
Artale, mantenendo alto lungo tempo ancora, colla prestanza
della persona, coli' intelligenza non comune e la voce armo-
niosa il prestigio della tragedia. Recitò più tardi in compa-
gnie veneziane, e oggi si trova a Napoli, attrice tuttavia en-
comiata.
Pelandì Giuseppe. Cominciò ad acquistar fama dì buon
Arlecchmo in Compagnia Bazzigotti, e passò col Medebach al
S. Cassiano di Venezia, ove con commedie di particolar fatica
si fece buon nome, diventando poi socio dello stesso Mede-
bach, col quale stette lungo tempo. Il lygs-'gó fu capocomico
e impresario del S. Angelo a Venezia, continuando a recitar gli
ArUechini o Truffaldini. Era parte principale della Compagnia,
a vicenda con un Domenico Camagna, suo tiglio Antonio, che
sposò poi al terminar di quell'anno la celebre Anna Fiorillì (V.).
Pelizza Ettore-Ferdinando. Egregio caratterista ai primi
di questo secolo, era nel triennio 1810-11-12 in società con
Bartolommeo Zuccato e Teresa Consoli. Fu sempre in com-
pagnie di prim' ordine, e ÌI '36 faceva parte di quella del Nar-
PELIZZA - PELLESINI 341
delH, di cui è riprodotta una poesia a pag. 390, che ha questa
orribile quartina :
Se poi a caso ci preme la stizza,
e svogliata noi abbiamo la mente,
il veder sulla scena Pelizza,
tutto quanto obliare ci fa.
Pellesìni Giovanni. Fiorito dalla seconda metà del se-
colo XVI a oltre il primo decennio del secolo xvii (il Malherbe
— cf. Baschet 244 - a proposito dei Due
Simili recitati al Louvre dai Fedeli la
sera del 14 settembre 1613, dice che il
Pellesini aveva allora ottantasette anni:
sarebbe nato dunque il 1526), fu uno dei
piò grandi Zanni del suo tempo, più noto
col nome di PedroUno. Antonio Valeri
nella Rassegna bibliografica del D'Ancona
(Anno IV, 1 896, fascic. 1 1 ) pubblicò un
articolo Chi era Pedrolino? in cui con
uno studio ingegnoso di eliminazione ,
venne a riconoscere nel Pedrolino Gio-
vanni Pellesini : studio che servì a porre
in evidenza l'acume di argomentazione
del signor Valeri, avendo io rinvenuta
nell'Archivio di Stato di Modena, la se-
guente lettera di Don Giovanni Me-
dici, che toglie ogni dubbio sul pro-
posito ;
Ser.'i
Sig.'
3 et Pron. Osj.n'o
Gioauni FelIeiÌDÌ detto Petrolino Comico ba nel
dominio di V. A. S. certo campo et pezzo di (erra qaale
certo ano confJDiDte lòndato sopra cotesto statuto, ialende
di potere et uolere comperare, il che toroando in molto
disconcio di detto FetrolÌDO mi lia pregato ch'io uoglia
raccomandarli questa saa differenza si come To con tutto l' affetto dell'
a compiacersi per amor mìo et per compiacerne me et oblìgame singolai
31. — / Corniti ilBliaHL Voi. II.
242 PELLESINI
gare a detto statuto non comportando che contra soa nolontà nenga nendnto detto campo.
Di che ne resterò obbligatissimo all' A. V. alla qoale bado di cuore le mani. Di fiorenza
li 7 Nouembre 1610.
Di V. A. S. AÉL-o Ser.»* et Zio
Don GiouANin Medici.
Tracciare con esattezza cronologica V itinerario artistico
del Pellesini, e i suoi passaggi da una in altra compagnia, è
opera assai difficile. Io son pur sempre d'avviso che come s'è
detto pel Pasquati e per altri, le grandi personalità artistiche
potessero essere sballottate da una compagnia all'altra, se-
condo il volere, o, almeno, il desiderio delle Loro Altezze ca-
pocomiche. Infatti noi vediamo il marzo 1 581 la Vittoria, prima
donna di Pedrolino, supplicare con le più dimesse parole il
Duca Alfonso di Ferrara, di ridonar a entrambi la sua prote-
zione, che sembrò loro tolta, quando Pedrolino, trovandosi al
soldo di certo Ettore Tron, non potè recarsi a Ferrara a reci-
tarvi il carnevale secondo le richieste del Duca. Di alcimi anni
e alcune stagioni possiamo aver date precise ; per altri le nuove
costituzioni e frequenti sostituzioni generan tal confusione da
non permetterci di d^re affermazioni recise.
Gran parte dell'invernata del 1576 il Pellesini passò a Fi-
renze, e questo sappiamo da una lettera del Commissario Cap-
poni al Granduca, riferita dal D'Ancona : poi fu a Pisa, poi a
Lucca, poi di nuovo a Pisa, dove però non gli fu concesso di
recitare per certi scandali amorosi eh' eran tra le donne della
Compagnia.
L' aprile del 1 5 80 come da Relazione di Leonardo Cono-
sciuti al Card. Luigi D'Este (Solerti T. F.) egli era a Ferrara;
e nel medesimo anno la sua Compagnia si fuse con quella dei
Confidenti che aveva a capo la Vittoria (Piissimi). Forse fu in
quell'anno 1580, al momento della riforma della Compagnia,
che il Pellesini prese parte al banchetto descritto dal Rossetti
nel suo Scalco (Venetia, MDLXXXII), e già riferito in parte
dal D'Ancona e dal Solerti, nel quale egli appariva colla sola
testa fuor della tavola, accomodata al bisogno, coperta da un
PELLESINI 243
pasticcio, d'entro il quale poi cercato invano da Pantalone, fa-
ceva scena con lui, destando le più matte risate.
Il Solerti ritiene che tal compagnia restasse così co-
stituita fino al 1584.... Ma 1*83, Pellesini era a Milano col
Pantalone Braga, capocomico il Valerini (V.); con la stessa
compagnia? Il D'Ancona la dice dei Gelosi: ma non eran gli
U71UÌ ?
A codesta epoca a un dipresso io credo si riferiscano le
altre due lettere senza data, che qui riferisco dall'Archivio di
Modena :
Ser.n^o Signore,
Pedrolino, lacomo Braga, e Compagni Comici Vniti hnmilissimi senii di Vostra
Altezza Ser.<n& con ogni debito di riaerenza la sapplicano à far loro grazia di una lettera
di fanore al S.i" Conte de Fnentes, che nogUa dar loro licenza di poter recitar Comedie
in Milano, finito e' haueran di serair qui à Modona, e pregandole da Nostro Signore felice
fine d* ogni suo desiderio aspettano quanto prima la grazia, acciocché altra Compagnia non
gli preaenga.
Di fuori : ai Ser.^o Signor Duca di Modona etc.
Per Pedrolino e Compagni.
PedroUno, et Compagni comici vniti, li quali con mia grandissima sodisfattione, e
gusto m' hanno seruito doi mesi continoui con le comedie, e forse con speranza di tornare
questo Carnovale al mio seruitio desiderano per esser più vicini, et commodi al viaggio
di venir per l'Autunno à recitar in Bologna nella stanza solita; pero prego V. S. Ill.ma
di conceder la licenza a detta Compagnia che possa in quel tempo recitar sola che l' a scri-
nerò à mio singolariss.">o fauore.
L'89 sappiamo ch'era a Firenze coi Gelosi ^^x le nozze
di Ferdinando Medici con Cristina di Lorena. Nella Pazzia
d'Isabella, recitatasi il 13 di maggio, TAndreini si mise
poi ad imitare li linguaggi di tutti li suoi comici, come del Pan-
talone, del Gratiano, del Zanni, del Pedrolino, del Franca-
trippe, del Bur aitino, del Capitan Cardone, e della Franceschina.
Proprio tutta la Compagnia, composta, coir Isabella e con la
Piissimi, l'altra prima donna che aveva recitato il 6 La Cin-
gana, delle solite dieci persone, {Diario del Pavoni, Bologna,
Rossi, 1589).
244 PELLESINI - PELZET
Del 1601 abbiamo la seguente lettera dei Comici Uniti,
che ritengo inedita e che traggo dall'Archivio di Stato di Mi-
lano:
Archtrio <fi Stato in MOano. Foglio H.
Comia Uniti
MfHiolani 20 lami 1601.
et Eoe. Signore,
Ttabdla Pedrotini, e gjd stessi Compagni, che fiiroBo £&Yorìti da V. E. ilL scado
rhiamati da Mantova a Idano, e da Milano a Pavia per l'occasione dell'abboccamento
di Mons. m. Aldobrandino ed S. Altezxa di Savoia con ogni debito di riverenza la sap-
plicano a (ar loro gratia, che possano in Milano nella stanza solita del soo Palazzo recitar
le loro honeste Comedie; hanno già sapplicato, et bora di nuovo sapplicano mandando
messo à posta ; confidano nella sua benigniti ed olendosi prontissimi ad ogni soo cenno
le pregano da N. S. felice fine d'ogni sno desiderio.
1601 a' 12 di giagno.
Facciasi la patente nella forma solita.
A tergo : ni. et Ecc. Sig.
Gli Comici Uniti etc.
Pelzet Maddalena* Nacque a Firenze da uno scorticatore
di agnelli, Gaetano Signorini, e da Porzia Piccardi, il 2 1 feb-
braio del 1801. A dodici anni entrò neir Accademia di Belle
Arti, sotto gì* insegnamenti del rinomato attore Morrocchesi, e
a quindici a pena si recò a Palermo prima attrice giovine della
Compagnia Zannoni e Pinotti, ove sposò il suo condiscepolo e
concittadino Ferdinando Pelzet, giovane di eletti studi e di forte
intelligenza, salito poi a bella rinomanza più tosto come istrut-
tore drammatico, che come attore. Franato il 1 79 1 , morì il 1 88 1 .
Dopo essere stata alcun tempo prima attrice a Roma con
Vestri e Belli-Blanes, tornò, iPi 8, a Firenze, ove diventò primo
ornamento della nuova Compagnia Nazionale Toscana. La ve-
diamo il '22-'23 con Assunta Perotti e Luigi Fini; poi, per
un triennio, nella ducale di Parma, capocomico il Mascherpa.
Fu con Raftopulo il '27, e con Rizzo il '28, per tornar poi col
Mascherpa sino a tutto il *3i.
Formò società il triennio seguente con Luigi Domeni-
coni, poi andò a riposare un anno a Firenze, per non abbaji-
donar lo sposo, colpito da fiera malattia. Tornò un nuovo trien-
nio col Da Rizzo; e si scritturò il '40-'4i-'42 a' Fiorentini di
Napoli nella Compagnia Alberti, Visetti e Prepiani ; ma non vi
restò che il primo anno, per malaugurato e preparato insuc-
cesso. Fu infine, per due anni, nella seconda del Domeniconi,
condotta da Gaetano Coltellini, e diretta da Antonio Colom-
berti, in qualità di Prima attrice tragica, e Madre nobile, dalla
quale passò a Firenze, ove stette, fuor dell'arte, sino alla morte,
che avvenne per idropisia l'S novembre del 1854.
Di lei dissero Cesare Scartabelli nella Polimazia. e Fran-
cesco Regli nel suo dizionario. Molti eletti ingegni dettarono
poesie ed epigrafi di alta ammirazione, dì cui metto un piccol
saggio alla fine. Ma quel che fu la Pelzet sì vede più chiara-
240 PELZET
mente dalle lettere sue al Niccolini e del Niccolini a lei. Queste
pubblicate, parte da Atto Vannucci nel secondo volume dei
Ricordi di G. B. Niccolini e parte da Giulio Piccini {farro) in
un opuscoletto di soli quarantacinque esemplari, nell'occasione
delle Nozze Ridolfi-Borgnini: quelle da Filippo Orlando nella
prima serie de' Carteggi italiani inediti o rari.
In un momento di stizza, il Niccolini (la Pelzet, di passag-
gio a Firenze, vi s'era fermata da tutta una mattina fin verso
le tre pomeridiane, facendogli credere invece, che avrebbe pro-
seguito il viaggio) le scrive :
Voi conoscete troppo la mia onestà e la mia sincera ed altissima stima pei vostri
rari talenti nell' arte per temere che in me venga meno 1* ammirazione che rìscotete da tntta
l'Italia. Io dirò sempre che siete una moglie virtuosa e nna grande attrice.
E chiude così la stessa lettera :
Non temete eh' io venga ad annoiarvi quando passerete per Firenze : ma per la rara
abilità della signora Maddalena Pelzet attrice sarà sempre pieno di ammirazione ti sue
d€V,mo servo G, B, Niccolini,
E in altre ancora:
Io godo della vostra riputazione più che della mia : avete il suffiragio del-
l' Italia, e voi non avete bisogno di me per avere un gran nome nell'arte vostra, pure non
ho desiderato essere un buon tragico quanto adesso che conosco andare in voi le doti del-
l'animo del pari con quelle dell'ingegno.
in voi è tanta l'abilità e l'eccellenza nell'arte, che non avete bisogno d'esser
protetta :
state dunque certa che io godo della vostra gloria come se fosse cosa mia,
•e mi piace che abbiate nell'arte quel primo seggio che tenete nel mio core, e nei miei
pensieri. Quanto a me che, come sapete, vi amo d'un purbsimo affetto, io sento che, per
giungere dove io vorrei, mi mancano le forze : e sinceramente vi dico che siete più innanzi
nella vostra arte di quello eh' io sia e possa esserlo nella mia.
Voi avete per voi il suffragio d' Italia : io che sono l' ultimo dei suoi scrit-
tori, riconosco intieramente da voi la fortuna delle mìe tragedie, ed è impossibile far meglio
la parte di Teresa.
Un po' di tara dobbiamo fare alle lodi del Niccolini, il
quale, con la debolezza di quasi tutti gli autori di teatro, ha
lodi per gli artisti che han fatto piacere l'opera sua. A pochi
anni di distanza, dopo di avere scritto a essa Pelzet : < non vi
PELZET 247
faccia specie se (l' Internar!) avrà qui quelt applauso che giusta-
mente le nega Bologna. Non è fiorentina e ne diranno bene per far
male a voi.... >, scriveva all' Internar!: < siete senza contrasto la
prima attrice tragica d' Italia ;> e per lo contrario dichiara la
Santoni, che non ebbe un applauso nel Foscarini, incapace di
recitar tragedie e commedie, e le scaglia contro la più vol-
gare delle offese. Ma giudizi abbiamo di attori, i quali, nelle
condizioni in cui furon dettati, paiono a me assai meno sospetti.
Il Colomberti, per un esempio, suo direttore, di cui la Pelzet
in una lettera al Niccolini del 27 luglio '43 da Bologna, dice
ogni male possibile, perchè, essendo inabile a recitar la trage-
dia, la vuol bandita dal repertorio, e lascia lei, scritturata prima
attrice tragica, inoperosa, lasciò scritto ch'ella <fu una delle
migliori attrici della sua epoca, abilissima in ogni genere di rappre-
sentazioni tragiche, drammatiche e comiche. >
S' è detto, più a dietro, che la Pelzet non restò a' Fioren-
tini di Napoli che uno de' tre anni, pei quali fu scritturata.
Adamo Alberti così ci racconta ne' suoi Quarant anni di Storia
del Teatro de' Fiorentini di Napoli, V esordire di lei :
L'altima a presentarsi fu la signora Pelzet. EUa esordi il giorno 14 maggio (1840)
col dramma tradotto dal francese intitolato Sedici anni or sono. Il dramma era stato da
poco rappresentato dalla signora Tessarì con esito felicissimo. La signora Pelzet era ve-
nuta a Napoli con molte lettere di raccomandazione dirette a persone stimabili ed influenti.
La sera del debutto erano tutti in teatro, per cui la produzione fu molto applaudita, ma la
signora Pelzet non persuase la maggioranza degli appaltati. Si trovò prima di tutto che
era vecchia (non ancor quarant' anni ?), poi che era manierata, ed in ultimo che faceva
pompa di una pronunzia eccessivamente fiorentina, lochè diveniva stucchevole e nojoso.
Infine non fu né un successo, né un fiasco, si sostenne ma nulla di più.
E più innanzi:
La Pelzet andava ogni giorno decadendo dal favore ricevuto nel suo debutto. L* Im-
presa per sostenerla le fece rappresentare alcune tragedie da lei scelte, come la Rosmunda,
la Medea; ma il confronto colla signora Tessari era troppo fresco e la signora Pelzet cadde
senza potersi alzare mai più ; tanto che ella stessa domandò di esser sciolta per l'anno venturo.
Alla quale proposta l'Impresa aderì vedendo che questa attrice non poteva più esser di
alcun utile per il teatro de' Fiorentini.
Ma un attore di quella Compagnia, Luigi Aliprandi, così
annotò le parole dell'Alberti :
248 PELZET
In proposito della signora Maddalena Pelzet, si potrebbe aggiungere qualche rifles-
sione. Che non valesse la Carolina Tessarì è innegabile; ma come fu trattata dall' Impresa ? -
La si fece esordire dopo tutti gli altri artisti nuovi, come una generica, per lasciare che
il pubblico accettasse qual vera prima attrice la Pieri- Alberti; la si tenne inoperosa per
molte sere ; le si fecero rappresentare varie parti nuove per lei e vecchie per il pubblico,
non la si circondava dei migliori attori; si trascuravano alcuni accessori della scena; le
si faceva calare il sipario prima del tempo ; gli amici dell' Impresa non l' applaudivano per
non perdere l'ingresso di favore.... Tutto ciò poteva forse contribuire a farla piacere?-
La Pelzet comprendeva, e molto nobilmente sopportava!
Povera donna! Nobilmente sopportava; e s'andava poi
sfogando con gli amici, fuor della scena, scrivendo lettere di
fuoco, dalle quali però mi pare salti sempre fuori la correttezza
del suo costume, e la bontà della sua indole. Nella medesima
del '43, discorrendo del capocomico Domeniconi, dice:
n prossimo carnevale torniamo in questa città, e voi dovreste parlare a Domeni-
coni, pregandolo, a nome mio, che faccia mettere in iscena questa tragedia {Antonio Fo-
scarini) per la prima attrice tragica. Non entrate in altri gineprai con costui, il quale è
troppo amico di questa genia, che egli si è affezionata a forza d' ipocrisia e da cui è con-
tento di farsi mangiare il suo. Io ho fatto il contrario, e mio marito non ha potuto se-
condare i vizi dei comici e le loro abitudini, ed ecco il motivo per cui non abbiamo amici
in quest' arte. Aggiungete i miei successi e l' invìdia che hanno prodotto, e giudicate poi
come posso vivere allegra con si cara compagnia. Non vedo l'ora di finirla, e voglio venire
a mangiare pane e fagioli, ma lontana dalla scena e dai suoi indegni cultori. Vi giuro
avanti a Iddio, che non ha rimproveri la mia coscienza; e se ho potuto far del bene anche
ai miei nemici l'ho fatto. Sono stata docile e conveniente, non sono stata attaccata al con-
tratto ed ho fatto le più gran concessioni. Non ha servito nulla, e mi sono convinta che
l'invidia non si placa.
E ha ragione veramente ! Ma ancora due anni di pazienza,
e avrà lasciato per sempre la galera comica, com'ella dice in
altra sua da Roma del 20 luglio '44 allo stesso Niccolini, al
quale si raccomanda perchè sia dato un impiego a suo figlio,
alla cui sussistenza non può pensare, avendo appena il pane
per sé. E conchiude :
Ecco i frutti di ventisette anni di fatiche, di studi, di tribolazioni ! Ecco la ricom-
pensa che hanno le attrici italiane ! Un poco di pane ! E sono tra le fortunate, perchè,
come l'Andolfati e la Perottì, non morrò allo spedale.
La Rachel è andata a Marsilia per dodici rappresentazioni, ed ha avuto duemila
franchi per sera. Farà tre cose : la Fedra ^ gli Orazj e la Stuarda che replicherà più volte !
Qua bisogna far di tutto, da Marta e da Maddalena, e questo nostro pubblico impastato
di fango non è contento se non ci vede vomitare i polmoni !
PELZET 249
Da un omaggio agli attori della Compagnia Pelzet e Do-
meniconi, per le recite dell'estate 1833 a Pistoja, tolgo la se-
guente epigrafe :
A
Piti SPLENDIDA ONORANZA
DI
MADDALENA PELZET
TRAGICA MARAVIGLIOSA COMICA INARRIVABILE
SINGOLARE COMMOVITRICE D'AFFETTI
l*ER PORTAMENTO E NOBILE GESTO COMMENDEVOLE;
IN MATILDE BENTIVOGLIO
GELOSA AMANTE;
NELLA GISMONDA
DI CONTRARIE PASSIONI PITTRICE:
NELL'ESTER D'ENGADDI
FEDELE E MAGNANIMA
CON BELLO ESEMPIO INSEGNÒ ALLE SPOSE
ANTEPORRE L'ONORE ALLA VITA
UN AMMIRATORE DI TANTO MERITO
PUBBLICHE GRATULAZIONI
B
FESTIVI APPLAUSI
AFFETTUOSISSIMO
PORGE
DI GIUSEPPE MATTEI
Quand'io pendo dal luo labbro gentile,
e il suon de' detti tuoi mi scende al core,
sia che del vizio alla licenza vile
ti faccian scudo la virtù, Tenore,
sia che di fìda sposa e figlia umile,
o di tenera madre immenso amore
t'infiammi il petto, o che cangiando stile
arda tu d'ira e di crudel furore;
in estasi dolcissima rapito
oltre l'usato il mio pensier veloce
al Ciel s'estolle, e dopo averti udito
muto io resto, né so dir se potria
bearmi il cor, più della tua, la voce
di Melpomene stessa e di Talia.
32. — / Comici italiani. Voi. II.
25©
PELZET - PERACCHI
LA ROSA DELL'AMICIZIA
DI Antonio Guadagnou
A lei, che Italia
orna ed onora,
eh' è la delizia,
l'amor di Flora,
Cara a Melpomene,
cara a Talia,
l'amistà candida
oggi m'invia.
La vidi nascere,
e a la fanciulla
d'odori eterei
sparsi la culla;
e da' miei petali
volli poi tocca
la guancia tenera,
e quella bocca.
che a tante grazie
poscia s'aprìa,
sacra a Melpomene,
sacra a Talia.
La vidi crescere,
e a lei gradita
di liete imagini
spargo la vita;
per lei sì veggano
figlie d'amore
mille risorgere
ridenti aurore,
ed io precedere
possa quel di,
nunzio di gioje
sempre cosi.
DI LUIGI FORTI, COMICO
Di fresche rose e gigli
è il tuo bel viso ornato,
t'ha la madre d'amore
il crine inanellato;
son d'alabastro i denti,
candido il sen qual neve;
son di rubin le labbra,
il piede in danza lieve.
Beltà si peregrina non invidia
le più bell'opre di Canova e Fidia.
Peracchi Giuseppe. Nacque a Piacenza il 7 aprile del 1 8 1 8,
e si laureò medico allo Studio di Parma il 1 84 1 . Preso d'amore
per Antonietta Robotti, formosissima donna e valentissima at-
trice della Compagnia Reale Sarda, si die a seguirla per quasi
due anni, finché ammalatosi quel primo amoroso, Pietro Bocco-
mini, egli, che s'era già acquistata fama tra' filodrammatici di
artista promettentissimo, fu scritturato qual primo amarono a vi-
cenda col Boccomini, pas-
sando poi per la morte dì
' Giovanni Battista Gottar-
di, al posto di primo attore
che sostenne con molto
onore al fianco di artisti
egregi, quali la Robotti e
la Romagnoli, il Gattinelli,
il Domeniconi, il Dondinì.
Il '5i-'52 fu aggre-
gato alla Compagnia al-
tro primo attore — Ernesto
Rossi - pel quale il povero
Peracchi, dapprima legato
a lui d'amicizia saldissima, ebbe a patire gran pena, come si
vede in una lettera a Francesco Righetti, Capo della Compa-
gnia Reale, in cui è il seguente brano:
Voci di poco gslantnomiimo co' iqoi attori in Rossi, l' aver egli cessato affatto di scrì-
vermi dopo mìe ripetate lettere, e tante e tante altre cote m'hanno Boalmente convitilo che
tutte le me dìmostraiioni d' amicizia per me io Torino erano interessate, e dirette al solo icopo
d'abindolarmi, e far si clie io sopportassi la sdb concorrenza in Compagnia Reale; per cui gii
garantitco fin d'ora, che fra me e Ini non vi sari più accordo, ami urto contìnno, diiprei-
lando io per principio, cbi sì serre dì gesuitico artilicio per sorprendere l' attrai buona fede.
E si raccomanda a mani giunte alla carità dell'amico per-
chè lo sciolga, sia pur con penale.... Scioglimento che, sappiamo
poi, non gli fu accordato, che dopo un anno di prova, trascorso
il quale, egli si scritturò con la Compagnia Astolfi e Sadowskì,
per un anno. Passò nuovamente, e per un triennio, con Anto-
nietta Robotti, uscita dalla Reale Sarda, poi con Giuseppe Tri-
velli, conduttore di una Compagnia, famosa allora per ricchezza
di arredo scenico, di cui era prima attrice Elena Pieri Tiozzo.
252 FERACCHI
Rappresentò al Teatro Re di Milano il marzo del 1854 la
parte di (z(?iiafo/// nella commedia di Ferrari, coi grossi mustacchi
incipriati, e n'ebbe dalla critica acerbo biasimo. E il Costetti
ne' suoi Dimenticati vivi aggiunge : < O era la vanità che lo do-
minava, o la voglia d^ imitare F artista Majeroni che non toglieva
per niun conto f enor?fie pizzo, serbandolo fin anco nf\ Luigi XI. >
Ma qui erra lo scrittore, poiché, proprio nel Goldoni, il Maje-
roni sacrificò e pizzo e mustacchi.
Al '59, noi vediamo il Peracchi capocomico, e assistiamo,
come ci avverte esso Costetti, al cominciamento della sua pa-
rabola discendente.
Fu dal '60 al '65 primo attore di Bellotti-Bon (il '61 aveva
sposato Celestina De Martini) poi di nuovo capocomico, poi diret-
tore ('75-'76-'77)di una delle tre compagnie del Bellotti-Bon.
Non posso ricordare il Peracchi nel primo tempo della sua
vita artistica, il quale fu, a detta del Costetti, glorioso. Lo ricordo
nel secondo, in cui, nonostante certi difetti di recitazione, emer-
geva l'antico pregio dell'originalità per alcune parti special-
mente, come Aé[V Oliviero di Jalin nel Demi monde, in cui non
ho mai trovato chi per la eleganza e la verità, lo facesse dimen-
ticare, o del Cavaliere tf Industria, a proposito del quale, VArte
del 28 sfennaio '«^s» in una lettera a Fannv Sadowski, dice:
Vi ricorcUtc dì Peracchi nel Ccn>zlzcr JTIndusiriaf E impossibile di trovare qualcosa
di più perielio ; la p^ru era tagliata per Ixii me^Uo àt\ soo abiio nero — è tvtto dire ! e V abito
ticeva sparire i difetti deiruonx); o meglio, i duetti dell* artista, per on epigramma del caso,
come è stato già detto, in questa pssrU si caii:b:A>aao in belle qTudità. Io disa solamente che
egli era stato degno della soa Csiru - se losse raiso meno, ne avrei parlato di più.
n Peracchi fu lungo tempo maestro della moda: signoril-
mente austero dapprima, poi i:;:rot:esco a sejrno da mostrarsi in
abito nero con le falde foderate dì raso bianco. Alla quale stra-
^*ag^anza si accoppiò quella di una dirione lenta e nasale, ori-
ginalissima, a base, tal volta, di improv\-ÌN^\jionì curiose.
A luì si attribuiscono il ramoso .;V':>j;,'.:.jf.w.V morta sil-
labato sul corpo del'a povera J/.j»^- :^f ::,:, e il non men famoso
PERACCHI - PERELLI 253
Egli ebbe aspetto funerale... Tocchio aperto, semispento;...
i capelli e i bafifi di un nero corvino artificiale.... la faccia Incar-
tapccorita. Andava poi così diritto e impettito, che si volle dai
più portasse il busto. Fu incline alla melanconia e alla solitu-
dine, e passò talvolta serate intere in compagnia di amici senza
aprir bocca. Abbandonata l'arte, si ritirò a Milano, dove morì
il 14 settembre del 1887.
Perelli Luig^. Oriundo Monferrino. Nato da civili parenti,
e rimasto, giovanetto, orfano del padre, si diede alla scena, in
cui sognava di diventare egregio artista sotto la maschera di
Tfuffaldino, per la quale avea potuto ispirarsi all'arte di Felice
Sacchi (Sacchetto) prima, poi di Ferdinando Colombo, in Com-
pagnia di Pietro Rossi. Uscitone il 1 7 70, e pervenuto dopo varie
vicende a Venezia, contrasse amicizia con Luigi Fabbri, capo-
comico e artista sotto la maschera del Dottore ^ e con lui unitosi,
potè finalmente realizzare il suo sogno, presentandosi col so-
spirato vestito del Secondo Zanni, Fu poi, come Innamorato, in
Compagnia di Pietro Rosa; ma ammalatosi V Arlecchino Bugani,
lo sostituì egli più volte. Passò il' 7 3 con Giuseppe Lapy al San-
t'Angelo di Venezia, e il '74 formò società con Francesco Ma-
jani, che mise allora la maschera del Brighella, e con Antonio
Camera ni. Entrò il' 7 6 nella Compagnia di Antonio Sacco, e andò
lui nelle veci del celebre Truffaldino, a cominciar le recite di pri-
mavera a Mantova, ottenendovi il pieno favore del pubblico.
L'aver avuto dinanzi agli occhi, per tutto un anno, esem-
plare sì egregio, fu gran bene pel Perelli, che potè davvero per-
fezionarsi nell'arte sua, gloriandosi di potersi dire discepolo
del Sacco. In questo frattempo, il capocomico Pietro Rossi offrì
la propria figliuola in moglie al Perelli, che andò a sposarla a
Gorizia sul finir del carnovale '77, restando poi col suocero
tutto il '78, e assumendo l'impresa e la direzione della Compa-
gnia l'anno successivo, in cui il Rossi avea abbandonato l'arte.
Fu a Livorno, a Pisa, a Lucca, e, il carnovale, al teatro
pubblico di Bologna. Divenuto un capocomico assai pregiato.
254 PERELLI - PEROTTI
gli venner da ogni parte contratti di grande importanza, po-
tendo egli ornai frequentare le principali Piazze del Regno. Con-
dusse la Compagnia sino ad Innsbruck, ove le cose volsero alla
peggio per la morte di Maria Teresa d' Ungheria. Nonostante,
affrontando i disagi d'un lungo viaggio di terra e di mare, andò
a far il carnovale a Pesaro, ov' ebbe le più festose accoglienze.
Fece poi ritorno a Bologna; e fu a Piacenza, a Trieste e a Pa-
dova. Firmò alla fine dell' '8i un contratto con cui gli si accor-
dava di poter occupare con la sua Comica Compagnia un Teatro
della Dominante per dieci anni di seguito e nelle stagioni di
autunno e carnovale. Francesco Bartoli che fu con lui cinque
anni, e da lui si distaccò abbandonando le scene, lasciò, oltre
alle molte parole di gratitudine, di lode e di augurio, il seguente
ritratto, che ci dà chiara l'idea dell'artista e dell'uomo:
È il Perelli un comico pronto nelle risposte, lepido ne' sali, arguto
assieme e frizzante. È ben veduto in sulle scene, ed applaudito; e da par-
ticolari nobili Personaggi favorito e protetto. È uomo d'onore, integerrimo
e zelante. Provvede a' suoi interessi, ed a quelli de* suoi compagni con molta
premura. Ha poste in Teatro alcune Rappresentazioni favolose del signor
Co: Gozzi, che furono per T addietro un solo pregio della Compagnia d'An-
tonio Sacco; ed egli medesimo n'ha inventate, e dirette le tanto difficili tra-
sformazioni.
L'autunno del '95 e il carnovale '95-^96 dirigeva la Com-
pagnia al San Luca di Venezia, e vi recitava le parti di Truf-
faldino.
Perelli Anna, moglie del precedente, e figlia di Pietro Rossi,
nacque il 1756. Dalle parole del Bartoli non risulterebbe esser
lei stata un'attrice di pregi singolari. Recitava le parti di Donna
seria, e piacque maggiormente nelle parti in cui dominavan
l'impero e il disprezzo. Recitò anche da Serva con sufficiente
successo, e fu sempre al fianco del marito, sposa esemplare.
Perotti Gaetano. Piemontese, un de' migliori capocomici,
fiorito dal 1790 al 1820, anno della sua morte, si diede alla
P E R O T T I
255
scena giovanissimo, cova^ primo amoroso, ma con poca riuscita.
Scontratosi, dopo alcun tempo, in una giovinetta, figlia dell'at-
tore Santo Nazzari, la quale recitava allora con molto plauso
le parti di prima donna giovine, se ne innamorò e la sposò in
capo ad alcuni mesi. Crebbe la giovine artista in bravura a tal
segno da decidere il marito a farsi conduttore egli stesso di una
buona Compagnia, innalzando lei al grado di prima attrice asso-
luta. Indi la fama del Perotti, conduttore di una Compagnia, la
quale potè sempre competere colle più grandi d'allora, come
Pellandi, Fabbrichesi, Dorati, Bazzi, e Goldoni. Arriso dalla
sorte s' andò formando una conveniente fortuna, che permise a
lui e a' suoi di viver nell' agiatezza. Fu bizzarro e stravagante,
e negli ultimi anni anche avaro. Di lui si contan parecchi aned-
doti, tra' quali questo che dà un'idea ben chiara del suo cer-
vello. Egli assegnò alla moglie con regolare contratto la paga
di quattrocento zecchini veneti all'anno, e una mezza serata per
ogni piazza, ove le recite non fosser minori di venti; e stabilì
sul contratto eh' ella dovesse fornirgli un panciotto della stoffa
di ogni nuovo abito ch'ella facesse, o per la scena o per fuori,
o in costume o in borghese ; tal che alla sua morte si trovò una
gran quantità di panciotti di ogni specie e di ogni colore, na-
turalmente, non mai indossati. Negli ultimi sette od otto anni
di vita, fu colpito da insonnia, a vincer la quale si diede all'uso
dell'oppio, che lo condusse lentamente al sepolcro.
Morì il 1820 a Brescia, lasciando alla vedova circa cento-
mila lire.
Ecco l'elenco della Compagnia con balli che agiva al Tea-
tro della Canobbiana in Milano il carnovale 'i'g-'20:
UOMINI
Luigi Romagnoli, primo attore
Francesco Augusto Bon )
. . [ amorosi
Alessandro Angiolini ;
Paolo Baldigara
Domenico Verzura, padre nobile
Filippo Conti, tecondo padre
Santo Romiti, tiranno
Giovanni Boboli, caratterista
Gaetano Perotti >
Santo Nazzari / . .
Cipriano Cardosi (
Giovanni Cardosi /
Assunta Perotti, prima aiirice
Teresa Baldigara, iuppUinenio
Carlotta Poi, varo ANGioLib;i,i7mo-
rosa
Rosa Pasini Roh\c,ììoli, seconda
donm
Teresa Corona, ler^a danna
Elisabetta Gaidoni, madre
Eugenia Zocca, caraneristica
Ginevra Guglierini, serva
Caterina Zelmi « . ,
Ros» Novo i l""'"'"
Perotti-Nazzarì Assunta. Moglie del precedente, artista
di gran valore per ogni specie di parte, o tragica o dramma-
tica o comica, divise
con la Baz2Ì e la Gol-
doni l'eredità artistica
della Pellandi, ritira-
tasi dalle scene.
Rosmunda. Anti-
gone. So/oMÌsba. Mero-
pe. Ottavia di Alfieri,
alcuni drammi del Me-
tastasio e del Federici,
e molte commedie del
Goldoni, del Nota, del
Giraud ebbero in lei
un'interprete valoro-
sa : e Vittorio Alfieri,
uditala a Firenze nel-
VOtlavia. volle cono-
scerla davvicino,- e le scrisse una lettera di lode, congratu-
landosi con lei del modo stupendo con che declamava i suoi
versi, e della sovrana intelligenza ch'ella spiegava nell' inter-
pretare con mirabile verità i diversi caratteri. Con grandis-
simo successo recitò a Roma l'autunno del 1807 la parte di
GiUa néìVAio nel!' imbarazzo di Giraud, e il 3 febbraio 1808
quella della protagonista nella Frenetica compassionevole pur di
Giraud.
PEROTTI 257
Il ritratto che do qui, alcun po' ridotto, fu pubblicato a
Roma del 1806 da Luigi Perego Salvioni, con in fronte il se-
guente sonetto :
AI. MERITO SUBLIME
DELLA SIGNORA
ASSUNTA PEROTTI
CHE CON PLAUSO UNIVERSALE
HA SOSTENUTO IN ROMA NEL TEATRO VALLE
E NELL'ALTRO DI APOLLO
PER PIÙ STAGIONI
IL CARATTERE DI PRIMA ATTRICE
TANTO NELLE COMICHE
QUANTO NELLE TRAGICHE RAPPRESENTAZIONI
SONETTO
Là su le piaggie apriche d'Elicóna
avea Talia di propria man contesta
nobil ghirlanda, e dicea lieta: or questa
della PEROTTI io reco al crin corona;
Ma Melpomene allor: men chiaro suona
forse il nome di Lei, se in regal vesta
calza il coturno, e se feroce, o mesta,
a terrore o a pietà gli animi sprona?
Ciò detto, intreccia le sue frondi anch' ella.
Sorge aspra gara: il biondo Nume incerto
or di questa in favor pende, or di quella.
Ad ambe alfin toglie di mano il serto;
ne forma un solo, e dell' attrice bella
scende egli stesso a coronare il merto.
Mortole il marito, rimase fuor del teatro un anno in segno
di lutto, poi formò con Luigi Fossi e per un triennio, una so-
cietà, in cui ella passò al ruolo di madre nobile, lasciando quello
di prima attrice a Maddalena Pelzet.
La società, poco fortunata, non durò che due anni, e la
Perotti potè scritturarsi il 1824 con Mario Internari, poi con
3J. — / Comici italiani. Voi. U.
258 PEROTTI - PERTICA
altri fino al suo settantesimo anno di età, nel quale risolse di
abbandonar l'arte. Le traversìe ch'ella patì dopo la morte del
marito furon terribili. Prima, un amico di lui, tornato d'Egitto,
tanto seppe avvilupparla con parole lusinghevoli, descrivendole
gì' ingenti guadagni che si potevan fare colà, eh' ella gli affidò
due terzi della sua fortuna. Ma il furfante non die più segno di
vita, e la povera artista col poco rimastole comprò una villetta
con podere tra Roma e Frascati, la quale intestò al nome di
una amica fedele, e in cui viveva con essa tranquillamente. Ma,
ahimè, V amica la precede nel sepolcro, e i parenti, imposses-
satisi per legge di tutto, cacciaron di casa la padrona vera, la
quale andò da prima limosinando, poi fu ricoverata all' Ospizio
di mendicità, d' onde usciva una volta la settimana per andare
a pranzo dalla poetessa improvvisatrice Rosa Taddei, sorella
del celebre caratterista. Povera Perotti ! E che animo buono
ella seppe serbare in mezzo a tante amarezze e a tanti inganni !
Nell'album della Internari, che è nella Biblioteca Nazionale di
Firenze, si trova una sua lettera a questa, in cui la ringrazia di
certe medaglie e reliquie mandatele.... Ella trovò nella fede una
gran forza a sopportar con rassegnazione la miseria squallida
de' suoi ultimi giorni ! !
Pertica Nicola, nato a Roma nel 1 769 da Antonio e da Rosa
Rossi, onesti e laboriosi cittadini, e iniziato al mestiere di stam-
patore, si diede giovinetto al teatro, riuscendo in poco tempo
il grande emulo di Luigi Vestri, a lui forse inferiore nelle parti
promiscue, ma di gran lunga superiore in quelle di caratterista.
Noi lo vediamo il 1 796 nell'elenco dei componenti la gran Com-
pagnia del San Carlino di Napoli al fianco dei Cammarano e dei
Fracanzano, dalla quale uscì il 1803, già ottimo caratterista, a
niuno secondo per la grande spontaneità, acquistata su quelle
scene, ricercato dai migliori capocomici.
Fu parte integrante della Compagnia reale italiana del Vi-
ceré condotta da Salvator Fabbrichesi, dalla sua instituzione
(1807), fino all'anno della sua fine, che fu il 181 5. Passato con
Fabbrichesi, De Marini, la Tessari alla Corte di Napoli, divenne
in breve l' idolo del pubblico, e dello stesso Ferdinando IV, al
quale dovette forse la sua morte.
Sia per doverosa gratitudine al suo Grande estimatore,
sia per Ìntima convinzione, sia per istinto di ribellione a ogni
oltraggio inconsulto alla Re-
gia Dominazione.egli si sentì
trascinato a mostrarsi pub-
blicamente avverso alla sètta
dei Carbonari, gli affigliati
alla quale viveano in Napoli,
facendo temer prossima una
sollevazione. Una sera del
1820, terminato lo spetta-
colo, il Pertica, traversando
una strada, secondo il co-
stume, per recarsi a casa, fu
arrestato dà quattro uomini
mascherati, che, puntatigli al
petto i lor pugnali, lo minacciaron di morte, se avesse osato
non pur di mostrarsi avverso, ma di accennare in qualsiasi
modo alla lotta de' Carbonari. E tale fu lo spavento ch'egli
ebbe dall'inattesa aggressione, che preso da febbre violenta,
ne morì in capo a quattro giorni, compianto da tutta l'arte. Fu
il Pertica ricco di grazie comiche ed argutissìmo, sempre no-
bile e castigato ne'lazzi, di una verità prodigiosa. Interpretò
magistralmente i varj caratteri delle commedie goldoniane,
del Nota, di Giraud; ma dove apparve davvero gigante fu
nelle parti di seconda importanza, come, a esempio, in quella
del Maggiordomo Longman di Pamela Nubile, in cui non ebbe
mai chi gli si accostasse.
Pertìci Pietro. Sappiamo dalla Gorilla Olimpica dell' Ade-
moUo, ch'egli aveva cantato nel 1731 e 1742. Faceva e reci-
tava le commedie in musica con sua moglie, la Tincanera.
26o P E R T I e I
Datosi più tardi alla scena di prosa, vi riuscì attore ec-
cellente, e il '49 lo vediam con la moglie recitar commedie ita-
liane a Londra. Passò poi per due anni al servizio della Corte
di Parma con T annuo stipendio di 350 zecchini, e il carnovale
del '51 il Conte di Ricecourt, volendo formare una Compagnia
stabile al Cocomero di Firenze, gli offrì, intermediario l'abate
Antonino Uguccioni, il posto di maestro o direttore, con l'an-
nua pensione di 100 scudi vita durante sua e della moglie, e
d'impresario del detto teatro.... Il Pertici accettò; e licenzia-
tosi dalla Corte di Parma, formò tal compagnia, che fu poi
famosa.
Il Goldoni assistè più volte a rappresentazioni di sue com-
medie, e alla prefazione del Cavaliere e la Dama, dice :
Penetrai altresì che in Firenze vi erano le commedie mie rappresentate senza le ma-
schere, cambiate in altri caratteri da persone di abilità e di talento, e mi consolai che colà si
facessero le mÌQ commedie, trovandomi onorato moltissimo che da si dotta e cólta Nazione si
soffrano e si coltivino le imperfette opere mie. Quando poi le ho vedute in Firenze io stesso
rappresentare, non posso bastantemente esprimere quanto siasi accresciuto il mio giubbilo, e
quanta compiacenza mi abbia recato il vederle con tanta esattezza, con tanta verità e spirito
rappresentate. Io le ho trovate si ben dirette, che nulla mi resta da suggerire. Il Direttore di
esse è il più bravo attore del Mondo, Io ne sono contento e deggio rendergli pubblicamente
giustizia.
E a quel più bravo attore del Mondo, è la seguente nota :
Pietro Pertici, assai noto al Mondo per 1* eccellente sua abilità nelle parti buffe per
musica, e presentemente bravissimo attore nelle Commedie in prosa in Firenze.
E dedicando Le Donne curiose all'abate Antonino Uguc-
cioni :
Ella ha preso a proteggere una Compagnia di valorosi comici suoi nazionali, dei
quali ho fatto altra fiata menzione, e sono, a dir vero, ornamento del teatro italiano.
Il Casanova, trovatolo del '60 mutato in commediante, così
ne scrisse:
Vidi Pertici con piacere : essendo vecchio e non potendo più cantare, recitava la com-
media e da buon comico, il che è raro, dacché i cantanti, maschi e femmine, confidando nella
durata della lor voce, trascuran V arte della scena.
Fu maestro di recitazione del Somigli (\^), detto Beco
Sudicio.
PESCATORI
Pescatori-Biagìni-Vanni Giuseppina. Nata a Spoleto
il 1835 da Giuseppe Vanni, impiegato governativo, e Giuditta
Nalli, rinomata pittrice, fu, ancora in fasce, portata a Roma, pa-
tria dei genitori. Ivi educata più specialmente alle belle iirti,
mostrò particolari attitudini alla musica, al recitare, e all'arte
del bulino, che essa prediligeva. En-
trata nella Società filodrammatica ro-
mana, fu subito assunta al grado di
prima attrice, e ammirata e domandata
dalla stessa Ristori. Ma la giovinetta
non osava abbandonar per la scena l'In-
cisione e il disegno. Propostole il Pez-
zana, dietro suggerimento del Morelli,
che avevala sentita nella Suonatrice
d' Arpa, di andar nella sua Compa-
gnia a prendervi il posto di Amalia
Fumagalli, vinta dalle lusinghe di lui
e dalle preghiere della madre, risolse
finalmente di abbandonar l'arte sua di-
letta, ed esordì a Livorno con gran-
dissimo successo, col nome di Giusep-
pina Biagini, che fu quello del secondo marito di sua madre.
Passò da Livorno a Firenze, nel Teatro Nìccolini, accla-
matissìma sempre, specie nella Medea, e dopo un anno tornò
a Roma al Mausoleo <f Augusto sollevando in una lunga stagione
il pubblico all'entusiasmo. Dalla Compagnia Pezzana passò a
quella del Bosio, poi tornò col Pezzana, che lasciò ancora per
Luigi Santocchi. Invitata da Adelaide Ristori, fece con lei un
giro in Europa, festeggiatissima al fianco della gloriosa artista.
Era nella Compagnia il giovane Erminio Pescatori, che
aveva lasciato Parma, sua patria, nel '58, per darsi all'arte. In-
namoratosi della Biagini, la tolse in moglie il 21 agosto del '60.
Passarono dalla Compagnia Ristori in quella Trivelli, ove
la giovane e già forte artista rinnovò, o meglio, continuò i trionfi
in ogni città. Si fecer conduttori di Compagnia essi stessi, che
262 PESCATORI - PETITO
dovetter poi sciogliere per vicende politiche, deliberando di ri-
tirarsi dair arte e fermarsi a Genova, tutt' intesi all' educazione
dei figli.
Ammalatasi la Pedretti, in Compagnia di Amilcare Bei-
lotti, la Biagini andò per breve tempo a sostituirla con molta
fortuna; e ritiratasi poi definitivamente dall'arte, si recò a
Trieste col marito, ove stette diciotto anni ammirata maestra
di recitazione, e d'onde si restituì in Italia, a Milano, ove è tut-
tavia col marito in ottima salute.
Petite Antonio. Figlio di Salvatore e di Giuseppina Errico,
più conosciuta col nome di Donna Pappa, nacque a Napoli il
2 2 giugno del 1 822. Fu il più grande Pulcinella del secolo xix,
e il Signore del Teatro San Carlino per ventiquattro anni.
(Vi era entrato il 1852 e vi morì il 26 marzo 1876, d'aneu-
risma).
A chi voglia avere un'idea chiara di quel che fosse Anto-
nio Fetito, raccomando la Cronaca del Teatro di San Carlino,
di S. Di Giacomo, nella quale è la storia documentata, animata
pur sempre da un soffio di poesia, che or vi solleva tutto, e or
vi stringe l' anima.
La sera memorabile in cui Antonio V^\a\.o prese la maschera
al San Carlino, fu presentato al pubblico dal padre Salvatore,
come il Pantalone Rubini dal suo predecessore Gio. Batta
Garelli. Toltasi il vecchio Salvatore la maschera di sul volto,
e adattatala su quella del figliuolo, gli augurò piangendo: ^Pe
cienf anncf >
Antonio Petito morì sul palcoscenico, come a un dipresso
l'Angeleri, il Caccamesi, il Massari, il Pieri padre. Caduto ap-
pena il sipario sul terz'atto della Dama bia?ica^ egli era andato
a seder, come al solito, nel corridojo sul quale dava il suo ca-
merino. Colpito d'apoplessia fulminante, cadde a terra, e morì
dopo cinque minuti.
Il Di Giacomo così descrive con sintesi felice l'attore ge-
niale :
Buon mirilo, operajo onesto, generoto, talvolta pur cora^ioso, ■pirìio^o, noa servo,
DOO mitìgno. Don egoista, arguto, non goffo in amore, fine osservatore, intelligente popolano ;
ecco il Pulcinella in Antonio Fetilo. La dichiarazione dei diritti dell' uomo rianimava, tardi
ma in tempo, fin la maichera acerrana; il Palcoscenico del San Carlino aveva in Piilcinilla
OS nomo accessibile alle passioni più varie e contrarie, an attore che, dì volta in volta, sa-
peva pi^ar cosi dirittamente la via del cnore da commuovere lin alle lagrime gli spettatori.
E dopo di aver accennato alla buffoneria stereotipata del
pulcinella cerloniano, e all'opera riformatrice di Pasquale Al-
tavilla, dice :
Antonio Petito, a cui la riforma sorrìdeva, raccolse la maschera, ma se ne coperse la fac-
d* non per nasconderla sotto una stupida e goffa sembianza. Quando gli parve che non lasciasse
trapelare la passione la smise, rimoveudo nn ostacolo, e diventò Pascaj(iello, tipo popolare
ch'egli rappresentò mìrabilmeute, assorgendo ad arte singolare e penetrante, da vero attore.
204 PETITO
E il Petite non fii che attore. Cominciò, è vero, a pubblicar
nel '67 le sue commedie, intitolando la raccolta: Selva Comica
Nazionale, ma egli sapeva appena leggere e scrivere (imparò
a scrivere poco dopo di esser entrato al San Carlino)^ e i suoi
sgorbi drammatici eran corretti da MaruUi e Altavilla, i quali,
il primo specialmente, concedevan ch'ei desse commedie loro
sotto il suo nome. L'opera del Petito non regge d'avanti alla
critica; e a chi tuttavia volesse chiedere la ragione del successo
clamoroso di alcuna delle sue commedie, il Di Giacomo rispon-
derebbe che
esso non fu se non il successo personale, comico di Antonio Petito. L' attore era veramente
grande, la sua figura illuminava tutta la scena, riempiva tutti i vuoti, raccoglieva tutte le emo-
zioni e gì' interessamenti ; cosi le volgari stupidaggini deUa commedia, il suo difetto d' uma-
nità, di nesso logico, di spirito, eran dimenticati in un godimento che pervadeva tutto il pub-
blico e durava ancor fuori del teatro : una felicità che accompagnava fin a casa gli spettatori^
e lasciava ancor sorridere, nel sonno, le loro labbra dischiuse.
Quanto al costume, la maschera del pulcinella è nata con
la camicia e i calzoni bianchi larghissimi, cappello di feltro
bianco a cono, talvolta ripiegato in avanti, scarpe basse, e
mezza maschera nera con enorme naso aquilino. Le modifica-
zioni ch'essa andò subendo coli' andar degli anni furon soltanto
nella maggiore o minor lunghezza della camicia, la quale ve-
diam lunga al ginocchio negli ultimi anni (V. il Ghezzi), e più
corta ne' primi (V. Callot). Quanto al carattere, il pulcinella,
dapprima stragoffissima maschera (V. Fiorillo Silvio), andò poi
come le altre tutte rappresentando moltissimi e svariatissimi
tipi, mostrandosi tal volta sciocco, tal volta furbo, tal volta po-
polano, tal volta principe, tal volta pusillanime, tal volta eroe.
Gran numero di scrittori e nostri e forestieri si occupò della
origine della sua persona e del suo nome : in taluni prevalse
l'idea che la maschera fosse invenzione moderna; in altri, spe-
cie dopo la scoperta del famoso Macco dell' Esquilino, ma non
ho ancora capito bene con qual fondamento, che fosse discen-
dente in linea retta dal Mimus albus della farsa atellana, come
l'arlecchino dal Mimus ccntunculus ; quelli fecer derivare il nome
or da Puccio d' Aniello, or da Paolo Cinelli, or da pulcino, pule-
PETITO - PETRIOLI 265
cino, puleciniello ; questi, or da IIoXXt^ xtvTjotg (molto movimento),
or da nóXc^ città, e xSvó^ o in forma jonica xetvó^, vuoto, sciocco,
come se si dicesse buffone della città.
Petrelli Luigpia. Figlia dell'arte, e moglie del capocomico
Gioacchino Petrelli, il quale vediam già nel 1 800, a dar qua-
ranta recite con la sua Compagnia a Tolentino, riuscì una egre-
gia/rrV^a donna per compagnie di second' ordine. Era il 1820
al San Gio. Grisostomo di Venezia in una Compagnia Sociale di-
retta da Ermeneghildo Maldotti, aggregata a una Compagnia
di balli. Recitava poi senza ballo alla nuova arena Gallo. Lasciò
il 25 il ruolo 6\ prima attrice, per darsi a quello di madre nobile
e caratterista. Formò nel '30 in società con l'artista Natale Fab-
brici una Compagnia primaria, che condusse per varj anni, fin-
ché non ebbe abbandonate col marito le scene. - Si ritirarono
entrambi a Venezia, ove morirono tra il '40 e il '50.
Petrìoli Nicola, abruzzese, nato ad Aquila il 1 7 io circa, fu
uno de' più noti capocomici del secolo xviii. Recitava \^ parti
di secondo innamorato, riserbandosi di primo soltanto quelle di
Attila, Sansone, e Don Giovanni Tenario. Di sera, affrettava l'al-
zata del sipario con ripetuti rulli di tamburo, e soleva talvolta
partirsi da una Piazza con la condotta e i suoi scritturati, senza
un soldo in tasca, e senza sapere ove si sarebbe posato. Una
volta, giunto a Firenze in tal contingenza, ottenne dal general
Botta, governatore, il permesso di recitare in Livorno, trovando
chi gli sborsò il danaro occorrente. Questa e altre bizzarrie lo
fecer sinistramente celebre.
Era l'estate del 1740 al Teatro Ducale di Milano, in cui
dette un regolare corso di recite, con una Compagnia più che
sufficiente, di cui erano parte principale i seguenti artisti :
DONNE
Angiola Costantini, prima donna
Elisabetta Gnudi, servetta
/
34. — / Comici H aliami. Voi. IL
Caterina Silani, per le parti a tra-
sforma:(ione
CETRIOLI - PETRUCCI
Giovanni Ant. Foresti, Brighella
NiccoLA Petrioli, primo innamorato
Francesco Lombardi, secondo inno-
tnorijto
Giovanni Battista Gozzi, Pavta-
lone
UOMINI
Giovanni Valentini, Dottore bolo-
gnese
Silani, Arlecchino
Filippo NiccoLmi 1
Anselmo Porta
Agostino Zurlini
generici
A Ravenna, trovandosi il 1 765 in uno de' momenti più cri-
tici, fuggì dalla Compagnia, di cui prese le redini la famiglia
Romagnoli.
Trasferitosi in Ascoli, ottenne un posto di Maestro di Casa
presso un Cavaliere di quella città, ove cincor viveva il 1781.
Petnicci Luigi. Nato, e impiegato governativo in Ancona,
entrò, appassionato dell'arte, nella Filodrammatica della Città,
e vi riuscì in breve egregfio per le parti di caratterista. Carico di
famiglia, e ormai non più gio-
vane, determinò di darsi alla
scena, esordendo qual caratte-
rista nella Compagnia ch'egli
stesso formò in società con
Gaetano Colomberti e Luigi
Bergamaschi, e diventando in
pochissimi tmni de'piii valenti.
Fu con Goldoni, e con Perotti;
e il 1819 si fece capocomico.
Prediletto da Maria Luigia In-
fante di Spagna e Duchessa di
Lucca, occupò per lungo tempo quel R. Teatro del Giglio; e
benché, tormentato dalla podagra, non potesse più volte che
recitar tutta la s\x^parle seduto, Ella non mancava mai alle rap-
presentazioni di lui. Fu specialmente egregio nelle commedie
del Goldoni, del Nota, del Giraud. Ritrovavasi nel Teatro Obizo
di Padova, quando, salitogli il male al petto, cessò di vivere.
PETRUCCI - l^HZZANA 267
Petrucci Giuseppe ed Elena. Figlio, il primo, del prece-
dente, e buon caratterista anch'esso, fu scritturato dai migliori
capocomici, insieme a sua figlia Elena, egregia amorosa. Gustavo
Modena, richiesto d'informazioni dall'attore Giovan Paolo Cai-
loud su l'arte di entrambi, così gli scrisse il 1 7 agosto del 1 85 1 :
La Petrucci è un buon acquisto ; recita naturalmente, ha forza, ha intelligenza, è un
pastone di bontà, e farà progressi : è giovanissima, un po' tozza di persona, ma belloccia di
viso, e non sconcia: non ha sentito eroi né eroine a recitare, quindi non è ancor guasta, - ma
venga con voi o con altri si guasterà, grazie al colto pubblico e all'esempio dei compagni. Non
lo dire a Marchi, che non mi perdonerebbe la bestemmia. Ma la Petrucci ha il padre che è
caraitertsia, niente cattivo attore, anzi, a parer mio, buon attore; e se non sta col padre,
passa in podestà del marito, sposa cioè Germoglia che fa \\ primo attore; nell' un caso o nel-
l' altro non vedo come possa fare al caso vostro.
Doventò infatti la moglie di Germoglia, e una artista di
buon nome.
Pezzana Luigpi. Fu attore de' più egregi in ogni genere di
recitazione tragica, drammatica, o comica. Mise il primo in
iscena a Firenze, dopo la rappresentazione dei filodrammatici
Concordi, il Goldoni di Ferrari con grandissimo plauso, e andò
famoso per alcune parti di genere opposto, come Luigi XI, e
Il Cavalier di spirito. Io ho sentito il Pezzana, capocomico, negli
ultimi anni della sua vita artistica, rappresentar tra l'altre con
molta verità e molta efficacia Xò. parte di Vincenzo Monti n€CC Ugo
Foscolo di Castelvecchio (il Foscolo era Giovanni Ceresa, un ar-
tista di gran pregio, formatosi sotto i savj ammaestramenti di
lui). Luigi Pezzana era nato il 1 8 1 4 a Verona da Giuseppe Pez-
zana, ultimo rampollo d'una nobile famiglia di Venezia, che per
rovesci di fortuna aveva ottenuto un impiego giudiziario a Ve-
rona. Quivi fece gli studi ginnasiali e liceali, poi si recò all'Uni-
versità di Padova, inscritto nella Facoltà di Legge. Non ancora
spirato il secondo anno di studj, s'era nel 1833, il futuro avvo-
cato, appassionatissimo dell'arte, in cui ebbe lezioni, dicono,
dalla celebre Pellandi, e in cui fece prova eccellente nella filo-
drammatica della sua patria, si scritturò primo attore nella
Compagnia di Marco Fiorio, di cui era prima attrice Carlotta
PEZZANA
Polvaro, vedova del brillante Angiolinì, la quale egli sposò dopo
alcun tempo.
Passò con lei dalla Compagnia Fiorio in quelle di Ghir-
landa, di Asti, e Domeniconi (1842).
Si fece poi capocomico, ora solo, ora in società col bril-
lante Cesare Marchi, col quale stette sino al 1859 (la moglie
era morta nel '51).
Fu il '60 con Adelaide Ristori a Parigi, a Londra, in Ame-
rica (\\idX promiscuo e caratterista, poi di nuovo capocomico, poi,
finalmente, direttore di una delle tre Compagnie di Luigi Bel-
lotti-Bon.Ma ormai, gii anni incalzando, si ritirò a Firenze, ove
morì il 12 gennaio del 1894.
Il Colomberti dice che mentr'era nella Compagnia di lui
il 1859 com.^ generico primario, lo vide eseguir molto bene Saul,
PEZZANA 269
Egisto Vi^ Agamennone, Zambrino nel Galeotto Manfredi (questa
dello Zambrino era rimasta, ricordo, un suo cavai di battaglia
degli ultimi anni), e i drammi Luigi XI, Il Cittadino di Gand^ e
La colpa vendica la colpa. E aggiunge che, dotato di buonissima
voce e di simpatica figura, sapeva, specialmente nelle Arene,
destar fanatismo : e al Mausoleo d' Augusto (Corea) di Roma, fu
posta una lapide che ricordasse ai frequentatori i favolosi in-
cassi dell'estate del 1859.
Pare ch'egli, attore popolare per eccellenza, non avesse
gran cura dell'allestimento scenico. Costetti n€ Dimenticati vivi
ci fa sapere che nel palazzo del Conte di Montecristo (il Fezzsins,
ricorreva, costretto, alla risorsa della famosa quadrilogia), tutto
il lusso orientale di lui consisteva in due moretti di stucco, che
reggevano ciascuno un candelabro, e in un braciere di coccio
dorato da cui usciva un fumo, poco voluttuoso, di mirra e di
incenso, tal quale nelle chiese al momento della benedizione del
Santissimo. Del che il pubblico non sapea muovergli rimpro-
vero : ma glie ne moveva la critica e acerbissimo.
Enrico Montazio {Il Proscenio e La Platea, Firenze, 1845)
fu de' suoi più acri censori nella condanna aperta, senza mezzi
termini, or de' controsensi di messa in scena, or di quel volere
l'applauso a ogni scena, a ogni parlata, a detrimento della ve-
rità, della castigatezza, del pudore: e tanto una volta invei
contro l'artista celebrato, che il Niccolini ebbe a scrivere a
Maddalena Pelzet, che il Pezzana, montato in furore per le
critiche del Montazio, aveva minacciato per la strada di basto-
narlo.
Pezzana-Gualtieri Giacinta. Trascrivo una nota autografa
dell'illustre artista:
< Nata a Torino il 28 gennaio 1841 da Giovanni Pezzana,
ricco negoziante di mobili, e Carlotta Tubi. Entrata nell'Acca-
demia Filodrammatica di Torino il '57, e cacciata per mancanza
di disposizioni per l'arte, e ciò per opera del famigerato Gar-
beroglio. Esordito nel '60 con Toselli in dialetto, dal '62 al '64
170 PEZZANA
con Dondini Cesare ed Ernesto Rossi, poi fino al '6 7 con Bellotti-
Bon. '68-'6g ai Fiorentini di Napoli con l'Alberti. '7o-*7r-'72,
Compagnia con Monti-Privato, poi Spagna e America. >
Fin qui la nota, che cercherò io di completare. Alla Spa-
gna e all'America vanno uniti la Rumenia, la Russia, l'Egitto.
Torna in Italia, e solleva il pubblico all'entusiasmo al Dal Venne
di Milano con la Messalina di Pietro Cossa. Il '78 riprende il
largo per l'America, ove per la prima volta ha l'audacia di
cimentarsi nella parte di Amleto.
Di nuovo in Italia, si scrittura aì Fiorentini dì Napoli, ove
interpreta colossalmente la Teresa Raguin di E. Zola. Entra
l"8o con Cesare Rossi nella Compagnia della Città di Torino,
che abbandona dopo un anno per rivedere la Rumenia, la Rus-
sia, l'America.
Poi in Italia ancora scritturata, o capocomica, fino al '98,
anno in cui fa parte come prima attrice tragica e prima attrice
madre della Compagnia del Teatro d^ Arte. Oggi la Pezzana dà
or qui or là rappresentazioni straordinarie, che sono pur sempre
feste dell'arte, dacché i suoi sessant'anni non han saputo infiac-
chirle la eccezionale fibra di acciaio.
Giacinta Pezzana Gualtieri (sposò Luigi Gualtieri, scrit-
tore di romanzi e di drammi assai noti quali L' Innominato e
La voce della coscienza, menlr'era in Compagnia Rossi e Don-
dini) formò con Virginia Marini e Adelaide Tessero quella glo-
riosa trinità, che per circa un trentennio tenne lo scettro dell'arte
in Italia. Grande nella Zelinda di Goldoni, non fu meno grande
nella Medea di Legouvé. La sua voce maschia e vigorosa nella
tragedia, trovava nel dramma moderno note di dolcezza ineffa-
bile. Nessuna attrice del suo tempo, compresa la Ristori, potè
vantare tal vastità di repertorio. Tornata dalle Americhe non
si atrofizzò ne' pochi lavori ch'ella ammannì a quei popoli lon-
tani, ma, come se allora allora ella entrasse nell'arte, si diede
col fervore della prima giovinezza a interpretar l'opera dram-
matica piii recente, mostrando sempre e dovunque il lampo del-
l'antico valore. Chi non ricorda la Pezzana al glorioso tempo
PEZZANA
della Compagnia di Bellottì-Bon, della qaale ella fu principale
ornamento? Quella Signora dalle Camelie, vissuta con Lei e con
Gaspare Lavaggi di una vita nuova al pubblico, tutta anima,
tutta passione, quella Baronessa <f Isola nei Mariti di Torelli!...
Oh ! se tutti volessimo enumerare i lavori, in cui la Pezzana eser-
citò il suo fascino di grande artista ci bisognerebbe scrivere un
libro. Basti che intanto se ne citino alcuni, i quali, nella lor va-
rietà danno un'idea ben chiara della morbidezza e vigorìa del
suo talento : Stuarda di Schiller - Medea di Legouvé - Norma
di D' Ormeville - Messalina di Cossa - Amleto di Shakspeare -
Maria Antonietta di Giacometti - Suor Teresa di Camoletti - Te-
resa Raquin di Zola — La Signora dalle Camelie di Dumas figlio —
ija PEZZANA
Fernanda di Sardou — Adriana Lecòuvreur di Scribe — Il Signor
Alfonso di Dumas figlio - Le Gelosie di Lindoro di Goldoni - La
Casa Nuova di Sardou - La Donna e lo Scettico di Ferrari - Im
Giorgina di Sardou - // Cosine di Campagna di Kotzebue - An-
tony di Dumas - La Vecchia e la Nttova Società dì Feuillet - //
Codicillo dello Zio Venanzio di Ferrari - Giuditta di Gìacomet-
ti.... ecc., ecc., ecc.
Al fianco di Ernesto Rossi pare ella rivelasse in uno scatto
improvviso, inatteso, l'arte suprema che avrebbe poi fatto di
lei una delle più geniali attrici del nostro teatro di prosa. SÌ re-
citava V Otello di Shakspeare. Ernesto Rossi nella sua foga fu-
ribonda sfiorò, senza volerlo, la guancia della giovane artista.
La Pezzana scossa, come se fosse stata realmente colpita, ebbe
una esplosione di collera, di passione e di lacrime vere, che tra-
scinò il pubblico all'entusiasmo. Il vecchio Dumas, che era fra
gli spettatori, si affrettò a salir la scena per congrat^l^^■si col
novissimo astro,
E a proposito di queste sorprese di effetti, Roberto Bracco
racconta di lei che la Duse.... ma no: io voglio metter qui come
chiusa le parole dell' egregio commediografo napoletano, come
quelle che ci danno in bella sintesi il ritratto dell'artista e della
donna, mostrandone le qualità meravigliose, non senza toccare
quel tanto di male che potè nuocere in parte alla sua gloriosa
carriera.
Giadnta Feizuia - alta coi gloria è nutnckla qaelU continuila di fulgore la quite doq
si pDÒ ottenere sema che al valore immenso sia accoppiata l'agilità degli espedienti che man-
tiene tìvb la comunione col pubblico irrequieto e variabile - rota, comunque, nell» dramma-
tica italiana nn sole inotfuscato. E per queita insigne donna, che non ha mai troppo amato
l'eleganza, che ha Mmpre eliminato stranamente dalla sua personaliti qTiella forza muliebre
che dai palcoscemci ha tanta vìrtiì sog^ogatrice, per questa donna che non s' è mai riscaldata
alla 5amma d' una grande ambizione, per questa donna che ba facilmente rinunziato alle lotte
contemplando senza rancore i fulgidi astri cbe I' hanno legnita e indicandoli con fiducia ai
diffidenti, io ho una speciale predilezione fatta di convincimenti e di reminiscenze .
Id arte, niente mi sembra più meraviglioso e più bello di ciò che pare scaturitca dalla
natura atessa d' un artista come un' acqua limpida e fresca da una roccia vergine. E la recita-
zione di Giacinta Pezzana, con tutte le armonie di quella voce dolcisnima, con tutta 1' eccel-
lenza dei suoi eSetli immediati, con tutte le profonditi del sentimento che sa destare, con tutte
le sue gradazioni di comicità e di drammaticitì, con tatto eia che in altri artisti della scena pnò
essere il risaltato di magistero magnifico, ha avuto sempre, per me, quel ci
PEZZANA
»7Ì
ceritt e di coneeoila belleiza che eadnde c^i snppotuioae di afono, di ricerche, dì lavorio
cerebrile e di attiviUi volitiva.
E qncite minifeitazioiii genniae di arte lonima paiono (pecchi che ri Aetlano tatto quanto
accade dinanzi ad esii. Nella recitazione di Giacinta Pezzana >i sono potati ritrovare gli attef-
gianieati Mtetid più diversi. La tua recita-
zione è stata lempre la medeiima ; e non-
dimeno non i improbabile che esia lia
apparsa, a volte a volte, romanttca, cla>-
sica, verista, simbolica. Eleonora Dose,
ricordando le sue primissime armi fatte
accanto a Giacinta Peitana - l'unica at-
trice da cni traesse qualche alimento la me-
ravigliosa genialiti lùuiatia, - mi raccontava
come in una scena dolorosa d'uà dramma
del quale le afn^jiva il titolo, Giacinta Pez-
zana, nna sera, all' improvviso, prendesse
a ripetere una parola camminando conci-
tatamente e mettendo in ogni ripetizione
un snono di voce strano, intenso, irresi-
stìbile. Eleonora Duse, giovinetta, ne ebbe
Dna impressione nuova. Ne fu scossa, ne
fa meravigliata. E più lardi - cosi ella mi
raccontava - provò ancora quella impres-
sione ascoltando certe prodigiose e sublimi
vagneriane.
iCorruri di Napoli, 19 hbbralo 1849).
A complemento delle
quali parole, dirò che Gia-
cinta Pezzana Gualtieri pre-
stò l'opera sua sovente al-
l'altrui beneficio. Diede rap-
presentazioni a Madrid per
fondare un ospedale italiano;
altre ne diede a Buenos Ay-
res per quegli istituti di be-
neficenza, ed altre ancora a Rosario per la Società patriottica
italiana.
Di mente aperta, d' Ìndole sdegnosa, ribellante a tutto ciò
ch'è impunemente e coscientemente iniquo, fu attratta un tempo
dalla politica, che, in lei, soverchiò quasi l'arte. Scrisse in prosa
con chiarezza e semplicità:... mediocremente in versi.
«74 PEZZANA - PIAMONTI
Un chiaro e gentile esempio di gratitudine ci diede colla
pubblicazione di un libricciuolo in memoria di Carolina Malfatti,
di cui fu la principale allieva, non solo per attitudine di arte, ma
per affezione e devozione profonde alla modesta maestra.
Piamonti Isolìna, nata a Firenze il 1 84 1 di famiglia senese
(Travaglini), studiò recitazione nel Ginnasio drammatico del
prof. Filippo Berti, e nel '58 esordì al Teatro Paganini di Ge-
nova, quale afrorosa nella
Compagnia di Luigi Do-
meniconi. Fu con Gaspare
Pieri; poi, qual prima at-
trice giovane, con Cesare
Dondini, passando il '61
nella gran Compagnia di
Tommaso Salvini. Passò
da questa a Napoli nella
Compagnia di Achille Ma-
jeroni, fino al '65, anno in
cui assunse il ruolo di pri-
ma attrice assoluta in Com-
pagnia dì Achille Dondini.
Attrice coscienziosa, ricca di sentimento e d'intelligenza, ot-
time doti non mai discompagnate da una gentile modestia, per-
corse i principali teatri d'Italia e dell'estero, al fianco de' più
famosi artisti, quali la Fumagalli, la Cazzola, la Sadowski, i
fratelli Salvini, Taddei, i due Rossi, ecc. Interpretò con molto
plauso caratteri opposti, come Ofelia. Desdemona. Partenia,
Norma, Messalina, Marcellina e Pamela; e Tommaso Salvtni
che l'ebbe lungo tempo a compagna, fa bella menzione di lei
ne' suoi Ricordi artistici.
Sposò Alfredo Piamonti, attore generico e amministratore,
col quale si trova anche oggi, e dal quale ebbe un figliuolo,
che, seguita l'arte de' parenti, promette di diventare un carat-
terista egregio.
FIANCA - PICCININI 275
Fianca Pietro, milanese. Dopo di aver recitato co' dilettanti
della città, si diede al teatro, esordendo primo innamorato con
Fedele Venini, e passando poi con Francesco Paganini, col quale
ebbe campo di mostrare le sue ottime qualità di artista, spe-
cialmente per le parti di genere serio.
Pianizza Giuseppe, bolognese. Dopo di avere recitato fra
gli accademici le parti di prima donna, sollevando all'entusia-
smo nella Zaira di Voltaire e nella Perselide del Martelli, risolse
con un fido compagno, Orazio Zecchi, di formare una Compa-
gnia tutta di giovani, colla quale si recò nella Marca anconitana,
ov'era vietato alle donne di presentarsi in Teatro, e ove s'ebbe
i più completi trionfi. Recitò poi le parti à.^ innamorato ; e fu col
medesimo Zecchi a Napoli, ove molto piacque, specialmente
nel personaggio di Signor Pasquino, uomo ridicolo, schizzinoso
e affettato, e in quello di ubbriaco.
Giuocatore espertissimo di bigliardo e di pallone, fu anche
dedito a disordini non fatti per la sua complessione gracilissima;
talché, prostrato dal male, si recò da Napoli a Bologna colla
speranza di recuperar le antiche forze nella città natale : ma, le
cure de' medici riuscite vane, dovè soccombere, ancor giov^e,
nel 1775.
Piccinini Lorenzo. Nato a Lucca il 1807 da Domenico e
da Angela Rosignoli, entrò in arte la quaresima del '26 nella
Compagnia di Carlo Spinola. Salito al grado di generico prima-
rio, si mantenne in quel posto, ammirato e acclamato, al fianco
de' migliori artisti del suo tempo, e scritturato da' migliori ca-
pocomici, quali Vergnano, Bon, Mascherpa, Bazzi, Presciani,
Alberti, Monti, Domeniconi, Coltellini, Dondini, Salvini, sino
al 1879, anno in cui si ritirò dalle scene, poverissimo, soccorso
da' suoi concittadini, e da qualche compagno d' arte.
Fu direttore di una Scuola di declamazione, creata a po-
sta per lui nella sua terra natale, ove morì il 17 di novem-
bre del '91, compianto da tutti. Aveva preso parte attiva
276 PICCININI - PIERI
il '31 ai moti insurrezionali italiani con la legione del mar-
chese Guidotti.
Ernesto Rossi lasciò scritto di lui:
PiccinÌDi, quantunque non levasse le ali a eccelsa mèta fu artista coscenzioso e distinto
e interprete felice delle opere dell'Alfieri, del Niccolini, di Pellico e del Marenco, opere ormai
sconosciute alla presente generazione. La modestia, più che il suo intrìnseco talento artistico,
lo arrestò nel suo cammino, il quale avrebbe potuto essere più glorioso, ma però quella mo-
destia, che io chiamerei temenza di sé medesimo, gli valse maggiormente la stima dei suoi com-
pagni e della crìtica, perchè ebbe il piacere e la soddisfazione di recitare sempre a fianco dei
più bravi artisti italiani. Come uomo, di una onestà e di una probità veramente esemplare,
per cui mai gli mancò la stretta di mano e l' amicizia vera di quanti lo conobbero.
Pieri Francesco^ romano, figlio di onesti parenti, fu, nella
prima giovinezza proto di stamperia. Stanco dell'arte sua, ab-
bandonò la terra natale, e dopo alcune vicende si aggregò a
una Compagnia comica di secondo ordine, recitandovi le partì
di tìranno. Fu con tale ruolo socio di varj nelle imprese, finché,
impinguatosi alquanto, passò a quello di caratterista, scritturato
nella Compagnia Bianchi e Paganini. Fu in processo di tempo
socio della Belloni e del Previtali; poi di nuovo scritturato dal
Pani e dal Raftopulo. Tornò col Pani il '23, fece società il '24
con Nicola Vedova, e divenne poi conduttore di Compagnia egli
stesso, che tenne •fino alla sua morte.
Il Pieri fu coetaneo del Pertica e del Vestri : nonostante,
mercè T ingegno svegliato, la voce armoniosa, la fisionomia
aperta, la figura adatta al suo ruolo, fu uno de' più reputati ca-
ratteristì del suo tempo.
Le commedie : La Riconciliazione fraterna (dal tedesco). La
Bottega del Caffè, Il Burbero benefico. Il Poeta fanatico. Il Barbiere
di Gheldria, e altre molte ebbero in lui un interprete valoroso.
Al Teatro Nuovo di Firenze, nel carnovale del 1834, ^^"
trato appena fra le quinte dopo una scena delle Donne Curiose
del Goldoni, fu colto da apoplessia fulminante, che in poche ore
lo condusse al sepolcro.
Pieri Anna. Moglie del precedente, figliuola di saltimban-
chi, che recitavano e ballavano sulla corda in baracche mobili
PIERI 277
di legno, preceduti e accompagnati da un suonatore di tromba,
di gran cassa e di chitarra, fu con essi in Portogallo; d'onde,
restituita in patria, fu veduta e amata dal Pieri, il quale, avu-
tala in moglie, la separò per sempre da' suoi congiunti. Diventò
l'Anna in poco tempo un'attrice di liete promesse, e con l'orna-
mento della persona bellissima, del volto simpatico, degli occhi
splendidi, dello spirito singolare, salì in breve al grado di se-
conda donna, poi 6ì prima assoluta, nel qual ruolo stette sei anni,
nella Compagnia Raftopulo, assieme al marito caratterista, poi
in quelle di Pani e di Vedova.
Cede, il 1826, il ruolo ^\ primadonna a sua figlia Amalia,
passando essa a quello di madre nobile, sino al '34, anno della
morte di Pieri, dopo il quale scritturò le figliuole Amalia e Lui-
gia ^Fiorentini di Napoli, e ir35 ^i^dò a viver con esse fuor dal
teatro.
Pieri-Cristiani Amalia, figlia dei precedenti, cominciò a
recitar quindicenne nella Compagnia che suo padre aveva in
società con Vedova. Col padre capocomico, assunse il ruolo di
primadonna giovine, ^ prima donna, nel quale fu scritturata 2! Fio-
rentini di Napoli, a vicenda con Carolina Colomberti, sotto la
celebre Tessari. Sposatasi a Demetrio Cristiani, vedovo, che le
morì dopo due anni, si recò prima attrice assoluta nella Compa-
gnia Pisenti e Solmi, in cui stette più anni,applauditissima. Passò
poi in varie Compagnie, ora socia, ora scritturata, e morì a Roma.
i-Tiozzo Elena. Veramente ella non ha che vedere col
nome di Pieri, essendo nata a Napoli il 1 840 da Demetrio Cri-
stiani e da Angiola Cavalli. Mortagli la moglie, il Cristiani passò
a seconde nozze con Amalia Pieri, che s'ebbe la piccola figlia-
stra, come vera figliuola: e questa, entrando in arte, adottò
forse, invece del paterno, il nome della matrigna, a cui tanto
lustro aveva cresciuto il fratello Gaspare.
A tredici anni Elena Pieri esordì /^r le parti amorose in una
compagnia formata dall'Amalia, e a poco più di quattordici si
278 PIERI
sposò a Giuseppe Tiozzo, pizzicagnolo di Chioggia. Ma l'amore
deirarte la ricondusse dopo un solo anno di matrimonio su la
scena, prima donna della Compagnia Mazzola, poi della Lom-
barda ('56) diretta da Luigi Aliprandi, di quelle di Peracchi ('57)
(l'elenco l'annunziava come socia onoraria dell' Accademia Rozzo-
Senese)y di Gattinelli, di Bellotti-Bon, di Alessandro Salvini.
Formò poscia ('61) compagnia ella stessa per un triennio,
dopo il quale ('65) fu con la Compagnia Dante Alighieri, diretta
da Riccardo Castelvecchio. Recatasi a Tunisi, vi dimorò parec-
chio tempo, maestra di filodrammatici; indi, fatta compagnia
la figlia Zaira (un' artista mediocre per le parti di prima attrice^
che pervenne a un certo grado di rinomanza per la rappresen-
tazione della Frine di Castelvecchio, in cui mostrava all'ultima
scena tutta la opulenza delle sue forme ; e che oggi trovasi a
San Paulo di Brasile), essa andò a farne parte qual madre no-
bile, e tale passò l'anno dopo con Novelli, con cui stette sette
anni ammiratissima.
Fu quindi con la Compagnia Cocconato, poi con quella di
Cesare Rossi, dalla quale uscì per recarsi a Livorno, aggre-
gata alla Filodrammatica àé^ Nascenti. Oggi (1901) eli' è con
Micheluzzi a Napoli. Attrice modesta e amantissima dell'arte
sua, fu sempre decoro delle compagnie in cui militò.
Pieri-Alberti Luig^ia^ sorella minore della precedente, so-
stenne il ruolo di servetta fino alla morte di suo padre, poi di
amorosa nella Società Tessari, Prepiani e Visetti di^^ Fiorentini
di Napoli, della quale, in breve, diventò la prima attrice giovine
applauditissima. Uscitane la Colomberti per darsi al canto, e
non essendo la celebre Tessari più giovine, la Pieri la sostituì
in tutte quelle parti convenienti alla sua età. Succedette alla
Tessari Maddalena Pelzet, la quale dopo un solo anno dovette
andarsene; e la Pieri tra pel merito reale, e per l'intrigo del
marito. Adamo Alberti, capo socio della Compagnia, diventò
\à prima donna assoluta dei Fiorentini, fino al '54, in cui fu so-
stituita da Fanny Sadowski, assumendo essa il ruolo di madre
nobile, che sostenne per varj anni, finché, stanca dell'arte, il
IO ottobre del 1885 sì ritirò dalla scena. Morì a settìintaquat-
tr'anni a Napoli d'idropisia.
Pieri Gaspare, fratello minore delle precedenti, nato a Roma
il 1 827, fu il più forte artista brillante del suo tempo. Cominciò
giovanissimo a recitar nella Compagnia Aé* Fiorentini di Napoli,
poi si scritturò ÌI '51 come amoroso nella Compagnia di Luigi
Domeniconi. Ma dopo alcuni anni dì prova infelice, si diede alle
28o PIERI
parti comiche, nelle quali riuscì in breve grandissimo. Trovan-
dosi ir 5 5 nella Compagnia di Astolfi, morto questi di colera a Pi-
stoia, ne assunse egli la condotta e la direzione, fortunatissimo
sempre come capocomico, l'idolo del pubblico e delle imprese
come attore. La rinomanza sua era giunta a tale, che non gli
occorreva più spedir T elenco della Compagnia a' vari teatri: il
suo nome era più che sufficiente. A un colpo di tosse, a una
frase, a un saluto da lui appena accennato di tra le quinte, avanti
d' entrare in scena, si propagava in un attimo per tutto il teatro
la più festosa allegria. Grazioso, pieno di anima e di vita, elo-
quente e alquanto istruito (il suggeritore non esisteva per lui),
riempieva egli solo tutta la scena. Dire delle commedie ov' egli
maggiormente eccelse non è possibile, poiché in tutte egli fu
eccellente. Talvolta anche uscì dal suo ruolo, come ad esempio,
nella Salirà e Pariìii del Ferrari, in cui passò a quello di carat-
terista, recitando il Marchese Colombi, e nel Goldoni e le sue se-
dici commedie pur di Ferrari, in cui passò a quello di primo at-
tore, recitando il protagonista.
A detta de' contemporanei nessuno toccò nel Colombi la
perfezione di lui, e quanto al Goldoni egli scriveva a Francesco
Righetti il i8 agosto '54 da Venezia:
Qui la mia Compagnia piace immensamente, qualunque altra in vece della mia non fa-
rebbe le spese serali, tanti sono i passatempi gratis, che ofire in questo mese Venezia ; pure
ò 116 abbonati e nove palchi a stagione. Colla mia destrezza sostengo persino la Dreoni, che
viene salutata al suo comparire; Salvini furoreggia; ma con la debita modestia io sono il più
festeggiato, e ne ho potenti prove pecuniarie. Per mia beneficiata feci il Goldoni e U sue se-
dici commedie t in cui sostenevo la parte del protagonista ; ebbene, quantunque stravecchia la
commedia, pure il teatro era quasi pieno, e rimasero nette 314 lire, senza alcuni regali che mi
vennero fatti, mentre in festa con Dramma nuovo, non abbiamo mai incassato più di 160 lire.
Ne feci due repliche con bel teatro, e piacqui immensamente, come pure il Raimondi nella
parte del Suggeritore, Bellissimi articoli mi scrissero tanto sulla Gazzetta officiale^ come negli
altri fogli di Venezia. Mi dichiararono superiore a molti e inferiore a nessuno dei primi at-
tori che sin oggi hanno rappresentato Goldoni, Lo stesso Paolo Ferrari che me la pose in scena»
mi fa i più lusinghieri complimenti. La feci studiare e provare per 14 giorni, per cui t' assi-
curo che è affiatata in modo da farsi a memoria ; infatti la prima parte del terzo atto la reci-
tiamo senza rammentatore, lo che fa un bellissimo effetto.
Era stato il '54 nella Compagnia Reale Sarda (obbligato di
recitare tutte le parti di brillante e non meno quelle di primo
GENERICO AMOROSO che gli Verranno assegnate sema ulteriore pre-
tesa, 0 contraddìsione alcuna, con lo stipendio annuo di lire nuove
di Piemonte ^OO, e due mezze serate), poi diventò per un anno
capocomico, anno malauguratissimo, in cui s'ebbe malanni di
"ogni sorta un po': Colera, Leve, Carestia, Imprestiti e altro.
Tornava scritturato pel '56, attore e direttore, con Astolfi,e nella
lettera al Righetti dianzi accennata, scriveva : < non voglio pììl
dolori di testa, nei più begli anni della mia carriera: questo è il
momento di farmi pagar bene, ed infatti me ne sono prevalso : se
Astolfi mi ha voluto pel '56, ha dovuto darmi lire settemila,
e cinque mezze serate. » Ma l' Astolfi morì, e il Pieri fu d'allora
in poi capocomico fino alla morte (a Genova, il 3 marzo 1866),
e per di più senza dolori di testa.
Pieri-Casali Giuseppina. (V. Casali-Pieri).
Pieri Vittorio, figlio dei precedenti. La sua prima appari-
zione mi pare facesse il 1865 nell'elenco della compagnia pa-
terna, per le parti ingenue.
Lo vediamo il '75 se-
condo brillante, prima con
Bozzo e Checchi, poi con
De Ogna e Schiavoni.
L' '80 era nello stesso
ruolo con Morelli e la Tes-
sero.coi quali passò /«'wo
assoluto r'83 colla moglie
{V, Aliprandi- Pieri) prima
attrice. Diventò 1' '84, e
per un triennio, capoco-
mico solo, poi in società
con Cesare Vitaliani e An-
gelo Vestri. Tornò scritturato in vario tempo poi capocomico,
or solo ora in società, passando dal ruolo dì brillante a quello di
generico primario.
282 PIERI-PIE TRIBONI
Vittorio Pieri non ereditò la forza comica del padre ; ma
sì la sua semplicità e correttezza.... e però ebbe assai più atti-
tudini alle parti dignitose che a quelle di vero e proprio bril-
lante. Oggi, se ben sempre artista, attende all'amministrazione
della compagnia, di cui egli è capo assieme all'attore Enrico
Reinach.
Pietriboni Giuseppe. Un de' più forti capocomici e diret-
tori del nostro tempo, nacque a Venezia il 21 dicembre del 1846
dal ragioniere Domenico e da Angela Demartini. Studiò legge,
e senza aver appartenuto ad alcuna società filodrammatica,
mostrò sin da piccolo amore grandissimo al teatro di prosa,
nel quale esordì come autore, facendo rappresentar di giorno
al Malibran per beneficiata del primo amoroso della Compagnia
Zocchi e Bonivento un suo lavoro in cinque atti, intitolato -^///^
nio DalPonlCy fondatore del Poìite di Rialto, sotto il Doge Pasquale
Cicogna, ch'ebbe l'onore di due repliche. L'arte lo affascinava
ognor più. A Padova, innamoratosi di un'attrice della Compa-
gnia Boldrini-Peracchi, si scritturò a prova secondo amoroso con-
tro il volere del padre, e aiutato segretamente dalla madre ; ed
esordì con la parte di Egidio nelle Scintie di Gherardi del Te-
sta. Dopo tre mesi di prova fu accettato attore stipendiato a lire
una e cinquanta centesimi al giorno e viaggi pagati. Ma alla ma-
dre fu proibito di mandargli il più piccolo soccorso di danaro,
di guisa che egli fu costretto a sciogliersi, aspettando il danaro
dal padre per tornarsene in patria. Nel frattempo si ammalò
improvvisamente il primo attor giovine Giustino Pesaro. Gli
affari della Compagnia volgevano alla peggio. Si doveva rap-
presentar la sera una commedia nuova, in cui tutti prendevan
parte. Come rimediare? Pietriboni si offrì di sostituir l'amma-
lato la sera stessa. E il successo fu pieno : e anziché tornarsene
a casa, il giovine artista fu confermato con una paga che gli
desse da vivere ; e indi a poco egli fu primo attor giovine. Passò in
due o tre anni nelle Compagnie di Prosperi, Peracchi e Sterni,
finché raccomandato ad Adamo Alberti dal Comm. Frascani,
PIETRIBONI
direttore delle Poste a Milano, potè entrare il '68, qual primo
attor giovine, ai ^wr^ntì»/ di Napoli dove stette sino al '73, anno
in cui egli si creò primo aliare, direttore. Capocomico e.... marito
di Silvia Fantechi, ch'egli aveva conosciuta seconda donna nella
Compagnia di Cesare Rossi. Il primo anno fece società con
Francesco Coltellini, da cui essendogli pervenute alla resa dei
conti cinque o seimila lire di guadagno, oltre a quel tanto da
vivere che s'era assegnato giornalmente per sé e la moglie, sì
sciolse amichevolmente, e
diventò capocomico solo,
mettendo subito piede al
primo teatro di prosa di
Milano (ora Manzoni) il set-
tembre, e all'Arena Nazio-
nale dì Firenze la prima-
vera. E qui comincia la
grandezza vera di Giusep-
pe Pietriboni, della quale io
posso dire qualcosa, aven-
dolo avuto direttore e fra-
tello per quattro anni: dal
'77 all' 81. Prima di tutto
egli seppe accoppiare una grande intelligenza a una grande
modestia; e in ciò stette la sua forza. Incoraggiato dai più, ac-
carezzato come una energìa saliente, non fu offuscato dal de-
mone della vanità e della superbia.... Egli andava assiduamente
a frugar nelle vecchie commedie per rinsanguare il suo reper-
torio; e quelle, cito ad esempio la Famiglia Be/ioìton di Sardou,
metteva in iscena con la importanza di una novità;... alla prima
rappresentazione dì esse, accortamente preparati, la stampa e
il pubblico accorrevan in folla a dare il lor giudizio come si
trattasse dì grande avvenimento.
Dì taluna di esse (del Padre Prodigo di Dumas figlio) af-
fidò la direzione a Paolo Ferrari, il quale, traeva tale gagliardìa
dalla disciplinatezza, dalla sommissione, dal volere di noi gio-
284 PIETRIBONI
vani, che a volte restava in teatro a dirigere dalle dieci di mat-
tina alle quattro di sera. E vi fu chi l'accusò, tanto per fare,
di non saper mettere in iscena che opere proprie. Oh ! se lo
avesser visto nel Padre Prodiero, nei Fourchambault, nel Tor-
guato Tasso di Goldoni, lavori d' indole così disparata ! E quali
effetti di commozione o di comicità non sapeva trarre da situa-
zioni o da intonazioni nuove, imprevedute ! ! !
Pietriboni, ricorrendo a Ferrari, ebbe un di quei lampi
che non possono avere, ripeto, che gì' intelligenti e in un mo-
desti! Egli ebbe aperto da lui un nuovo orizzonte.... il metodo
suo seguì, si assimilò; grande interprete del concetto, non lo
era meno della parola. Non gli sfuggiva un monosillabo ! Lo
ricordo nei Borghesi di Pontarcy di Sardou! Distribuite \e parti
e letta la Commedia, venne alla prima prova con un foglio, ove
eran segnati meccanicamente nelle scene più confuse i movi-
menti de' singoli attori!... Mostrava egli le scene, recitava da
donna, da vecchio, da giovine!... Certo non era ingiusta la pecca
che trovaron nella sua dizione, saltellata e martellata talvolta
in una pronunzia dialettale che non l'abbondonò più.... Ma il
concetto della parte era sempre qual si doveva, e si mostrasse
egli come Esopo, o Padre Prodigo, o Bernard, o Cavalier di Spi-
rito, o Fabrizio, o Bolingbrocke, o Carlo V o Camillo Blatta, o
altro.... se non potè essere per l'orecchio del pubblico attore
eccellente, fu certo e sempre pel suo cervello eccellente artista.
Giuseppe Pietriboni fu anche uno de' più coraggiosi capo-
comici. Per rappresentare al Valle di Roma in una sola stagione
di Carnevale il Mondo della Noia, sborsò a Giovanni Emanuel
cinquemila lire in oro. Acquistò \ Fourchambault dS. Augier per
dodicimila lire in oro.... Commise a Cavallotti un lavoro, che
fu poi il fortunato Cantico dei Cantici..., Ma quando ancora tutto
arrideva, ahimè, il destino inesorabile venne a prostrare quella
forza giovine....
L' '85, a Nizza, Giuseppe Pietriboni, quando si facevan
sulla scena lavori di riadattamento nel teatro incendiato, visto
nella penombra socchiuso un uscio, e credutolo quello di un
PIETRIBONI 385
camerino, lo aperse e vi entrò. Era quello dell'ascensore!...
Il poveretto precipitò dall'altezza di tre piani.... e n'ebbe tal
commozione, che più non riacquistò l'antico vigore del corpo
e dello spirito. Sette anni più tardi la sua Silvia gli morì dopo
un anno e mezzo di malattia da lei ignorata, e che fu per lui
la più atroce agonìa.... Oggi egli è stato chiamato, dicono, ad
aiutar nella direzione pel triennio '903-6 la signora Virginia
Reiter. Bene ! Dio lo guardi sempre.
Pietrìboni Silvia. Moglie del precedente, nacque a Firenze
il I 845 da Stefano e Maddalena Fantechi. Alunna della Scuola
fiorentina dì recitazione, diretta da Filippo Berti, esordì a di-
ciassette anni nella Com-
pagnia di Cesare Mazzola,
passando poi in quelle di
Luigi Domeniconi, di Pa-
padopolie Bergonzoni,ein
altre. Creò allora (novem-
bre del '69) al Teatro Re
Nuovoó\ Milano Froti-J^rou
di Meilhac. Fuir7i-'72 se-
conda donna della Compa-
gnia Sadowski, diretta da
Cesare Rossi, al He Vecchio
di Milano e il 3 dicembre ' 7 1
vi creò per sua beneficiata
la parte di Lidia nella Vìsiia dì Nozze di Dumas figlio. Sposa-
tasi il '73 a Giuseppe Pietrìboni, ne fu anche la prima attrice
assoluta, sino al dì della sua morte, avvenuta a Torino per car-
cinoma il 21 febbraio del '92; e in codesti diciannove anni fu
l'anima della Compagnia, nella quale recò tanto di bontà, di
grazia, di gentilezza, che non vi fu, credo, compagno d'arte
che a lei non fosse come me affezionato e devoto, e come me
non piangesse la sua morte sì come quella di una buona amica,
di una sorella. Povera Silvia! Non grande artista, era vera-
286 PIETRIBONI - PIETRO PAOLO
mente una grandissima attrice: alla mancanza del tempera-
mento che non le concedeva lo scatto inatteso, geniale che su-
scita gli entusiasmi, suppliva con una forza di volontà singolare,
accogliendo sommessa i consigli, gl'insegnamenti assimilan-
dosi, e le parti più disparate analizzando, sminuzzando con tal
cura affettuosa, da acquistarsi la benevolenza e l'ammirazione
de' pubblici più severi. Creò, prima attrice e capocomica, una
infinità di parti, fra le quali primeggiavan la Pia del Cantico
de Cantici, la Maja de' FourchambauU , la Madre de' Borghesi
di Pontarcy, la Beatrice del Marito amante della moorlie. Se bene
a ogni genere di lavori ella fosse esercitata, non esclusi -^tì?r/a«<z
Lccouvreur, La Signora dalle Camelie, Due Dame ed altro, assai
meglio riuscì, per l'indole sua, in quelli, ove fosser primo ele-
mento il sorriso e la grazia, l'ingenuità e la monellerìa. Così
furon commedie predilette e da lei e dal suo pubblico Le prime
armi di Richelieu, Il Positivo, Il Cantico, Il Bicchier d'acqua, I no-
stri buoni villici. La Sposa sagace, ecc. — Nel primo anniversario
della sua morte (2 1 febbraio '93) il marito raccolse con pietoso
pensiero in un volume, che pubblicò a Palermo pei tipi del Bar-
ravecchia col titolo /// Memoriam, quanto fu scritto e stampato
nelle sue esequie dagli amici, dalla critica, dall'arte tutta.
Pietro Paolo....? Per quante ricerche fatte, non mi è riu-
scito di aver notizia su questo comico, tranne la lettera se-
guente, che traggo dall'Archivio di Modena:
Ser.»"o Sig.»" mio os8.'"o
Hauendo Pietro Paulo comico vna lite in Reggio, per la cui spedizione egli preme,
come importante molto a suoi interessi, ha hauto ricorso da me, acciò che lo raccomandi
a V. A. e la prieghi ad ordinare a que' suoi ministri che vogliano troncate tutte le dila-
zioni spedirgliela per giustizia. Io lo faccio con la presente, e m' assicuro che l'A. V. si
compiacerà di far conoscere al suddetto quanto gli sia stata fruttuosa la mia intercessione,
e qui raccordando a V. A. il mio solito desiderio di sempre seruirla, le bacio con par-
zialissimo affetto le mani
Di V. A. Aff «0 Ser." e Cognato
Piacenza li 4 marzo 1640. OdOARDO FARNESE.
S.>^ Duca di Modena
•pvj f,,^.-: . (RescriUo della Cancelleria) s*è scritto al S.' Tenente Borghi che
spedischi la sua causa con somma giustizia rimosse, ecc.
PIETROTTI - PIISSIMI «87
Pietrotti Santi. Nacque a Firenze il 24 marzo 1830 da
Vincenzo Petrotti (e non Pietrotti come fu chiamato in arte il
figlio Santi) e da Rosa Gentilini. Rimasto orfano del padre, si
trovò conduttore a sedici anni dì una bottega di parrucchiere,
la sola rimasta di tante possedute dal padre, colla quale era di
sostentamento alla madre e a due fratelli minori. A diciotto
anni, in compagnia di Ciotti, Barsi e altri, comìncio a recitare
in un teatrino improvvisato, e dai '53 al '62 si scritturò con lo
Stenterello Landìni al Teatro della Piazza Vecchia, per le sole
stagioni di Carnevale e di Quare-
sima, e con Laura Bon (V.) per le
domeniche dell'estate al Politeama.
Il '6 2 fu col Landini, regolarmente,
per l'anno intero. Passò il'ós^f^wc-
rico nella Compagnia di Gaspare
Pieri, e l'anno seguente, per un
triennio, in quella di Bellotti-Bon.
Scritturato il '67 con Alamanno
Morelli, fu con lui Caratterista fino
al '79, per passare poi nella nuova
Compagnia Marini e Ciotti, dalla
quale uscì per recarsi con Emanuel
a' Fiorentini di Napoli. Fu poi con Giacinta Pezzana, col Bel-
lottì (Compagnia n. 2), e finalmente ancora con Virginia Marini,
per un triennio, dopo il quale (carnevale deir'83) si recò a Fi-
renze, dove morì il 23 giugno dello stesso anno.
Fu il Pietrotti attore assai pregiato per la verità e spon-
taneità della dizione. Diceva il verso con molta efficacia non
mai discompagnata da una grande sobrietà. A] tempo in cui
fioriron l'opere di Pietro Cossa, egli fu nella Compagnia di
Alamanno Morelli, degno compagno di Virgìnia Marini, Fran-
cesco Ciotti, Giulio Rasi.
Pìissimì Vittoria, < celebre comica ferrarese, fioriva del
1579. nel qual anno fu ad essa dedicata da Bernardino Lem-
288 PIISSIMI
bardi la Fillide, favola pastorale dell' acceso accademico Ri-
novato. > Così il Quadrio. E il Garzoni, dopo di aver parlato
A^Andreini, dell' Armani, e della Lidia :
Ma soprattutto parmi degna d'eccelsi honori quella divina Vittoria, che fa meta-
morfosi di sé stessa in scena, quella bella maga d'amore, che alletta i cori di mille amanti
con le sue parole, quella dolce sirena, eh' ammalia con soavi incanti l' alme de' suoi di-
voti spettatori: e senza dubbio merita di esser posta come un compendio dell'arte, havendo
i gesti proporzionati, i moti armonici e concordi, gli atti maestrevoli e grati, le parole
affabili e dolci, i sospiri ladri e accorti, i risi saporiti e soavi, il portamento altiero e ge-
neroso, e in tutta la persona un perfetto decoro, qual spetta e s' appartiene a una per-
fetta comedian te.
E Giuseppe Pavoni nel suo diario delle feste per le nozze
di Ferdinando Medici con Cristina di Lorena :
Sabbato, che fu alli sei (di maggio del 1589), ritrovandosi in Fiorenza li Comici
gelosi con quelle due famosissime donne la Vittoria e l'Isabella, parve al Gran Duca che
per trattenimento fosse buono far, che recitassero una Comedia a gusto loro. Cosi ven-
nero quasi, che a contesa le dette donne fra di loro, perchè la Vittoria voleva si reci-
tasse la Cingana, et l' altra voleva si facesse la sua Pazzia, titolata la Pazzia d' Isabella,
sendo che la favorita della Vittoria è la Cingana, et la Pazzia, la favorita d'Isabella. Però
s'accordarono in questo, che la prima a recitarsi fusse la Cingana, et che un'altra volta
si recitasse la Pazzia. Et cosi recitarono detta Cingana con gli Intermedi] istessi, che fu-
rono fatti alla Comedia grande : ma chi non ha sentito la Vittoria contraiar la Cingana,
non ha visto, né sentito cosa rara, et maravigliosa, che certo di questa comedia sono re-
stati tutti soddisfattissimi.
L'itinerario della Piissimi troviam quasi interamente trac-
ciato al nome di Pasquati e di Pellesini. Quando i Gelosi eran
l'inverno 1575 a Firenze, Ercole Cortile scriveva al Duca di
Ferrara in data del 3 di dicembre :
La sera fu trattenuto (il Card. le di Gambara) dalla signora Duchessa a una
Comedia di 2Uuii della Compagnia della Vittoria la quale si ritrova qui molti giorni sono, dove
era anche il detto Card.l^ de Medici, il Rondo et Io suso un palco fatto a posta per S. A.
sopra una salla grande di Palazzo dove fanno ordinariamente le comedie in pubblico.
Aggiungiamo qui alcuni particolari che traggo da lettere
inedite dell' archivio di Modena, non accennati a' nomi degli
attori suddetti.
Il 27 di agosto del 1580 il Principe di Mantova scriveva
da Gonzaga al Cardinal d'Este, raccomandandogli la Vittoria,
la quale desiderava recitar le sue comedie a Padova.
BUSSIMI 289
E al Cardinal d'Este, scriveva da Ferrara il prevosto
Trotti, il 2 5 di ottobre dello stesso anno :
Tatti stanno benissimo et beri sera cbe fa giobbia in camera della S.<^ Do-
cbessa Ser.<n« bavimo una Comedia della Compagnia della Vittoria con gran gnsto di
qnelle S."
E ora, ecco integralmente le lettere della Vittoria, di cui
è cenno al nome di Pellesini :
Serenissimo Signor,
Ho nedato quanto Vostra Altezza Ser.™« ba iato scriuer a petroUino et ben cbe
come sua bnmil sema mi donessi aquetare à quanto conosco esser di sua sodisfacione non
dimeno astreta da quella pietà cbe ognuno bA di sé stesso uedendomi una tanta mina
cosi uidna et credendo pur cbe Vostra Altezza perseueri percbe non conosca tanto mio
danno et dissonore però di nono la suplico per le Vissere di Gesù Cbristo a non esser
causa de la mina mia et creda cbe se cosi non fosse uorei prima perdere la ulta cbe
restar di obedirla la mi faccia gratia di farsi dar informadone da cbi ba cog^don di questo
fato senza cbe io sapia da cbi et non siano persone interessate cbe la conosserà cb'io
dico il nero et da quelli la intenderà quello cbe per non infastidir taccio cbiedendoli per-
dono de la molestia et mia sforzata importunità, con cbe gli resto bumilissima sema su-
plicandola di nono concedermi con pedrolino la Vita del mio bonore et del Corpo cbe
nel restar di pedrolUno consiste però gratia Ser.°>o mio Signor gratia per l'amor de Dio
cbe quale la cbiesto con le ginocbia a tera et con le lacrime del Cuore nostro Signor la
Consemi et a me dia gratia di poterla seruire di Venetia a di 4. genaro 1581.
Di Vostra Altezza Ser.™» Humili«iima Ser.««
Vittoria Pijssimi.
Di fuori : ai Ser.*»© Sig.J* Duca di Ferrara mio sig.»^» colendissimo.
Ser.nio Sig.rc
Da molti mi uiene referto, cbe petroUino et io babbiamo persa la gratia di Vostra
Altezza Ser.™> per non bauerla potuto seruire questo Cameuale, et percbe la riuerenza
con la quale 1' osseruo da tanti ani in qua supera ognaltra uedendomi cosi à uiua forza
bauer mancato a cbi tanto son tenuta, et bò desiderato sempre semire, nino la più scon-
tenta donna cbe mai nassesse, et però à suoi piedi ricorro suplicandola ritornarmi nella
sua gratia, et l' istesso dico di petrolUno^ poi cbe per mia causa è incorso in errore, il
quale per l'affiuio cbe sente si può dir cbe facia la penitenza de l'errore, et accresse la
mia col suo cordoglio : ma percbe una sintilla de quella benignità, con la quale la mi ba
sempre fauorita può render noi felicissimi io di nono caldamente la suplico et bumilissi-
mamente me et questo suo denoto bencbe basso seruo raccomando, oferendo me et la
mia Compagnia suplire al mancamento et pregar Dio per la sua conseruatione, cbe nostro
Signore la felidti. di Venetia a di. 5. Marzo 1581.
Di Vostra Altezza Ser.m» HumiliBsima serua
Vittoria Pijssimi.
Di fuori : ai Ser.«no S.' Duca di Ferrara mio sig." colend.«»o
37. — / Comici italiani. Voi. IL
Del 1 590 abbiamo questa lettera da Roma comunicatami
da Angelo Solerti, autore con Domenico Lanza del Teatro Fer-
rarese nella seconda metà del secolo xvi :
S«r.'"o mio Sig." Om."io
Per l'iottams che me Tien btU per parte di Vittoria Piiisima comica, la quale
i&at ^k aver avuto una leatenza a favor suo sopra nn sao credito di denari prestati, ho
volato prq^r V. A. che aia lervita d'ordinare i consiglieri di cotesta Citti li qnali tono
gindici di qnesta canta che venghino all'eMcnzioQe della sentenza, tfsatt che sia saliilatt»,
e non sìa più straziata dalla parte avversa. La domanda mi par tanto ginstt, magpor-
nente essendovi istnmento in forma camerale, che mi strìnge a sapplicare V. A. con la
presente con molta caldezza. E con qneito tine nella soa bnona grazia mi raccomando e
le iMdo la mano.
Il Cakd." Aliss.ho
(R. Arch. di Stato in Firenze; Carteggio Cardinali; f.'
3775). - Una compagnia della Vittoria torna in campo solo
nel 1593 (D'Ancona, p. 330).
Grandissima artista dovett' essere in vero questa Vitto-
ria, se si disputò il primato con la famosa Andreini. Né sol-
tanto si mostrò valorosa nelle parti serie, ma anche in quelle
di serva, ch'ella sostenne sotto il nome di Fioretta, e nella
danza, esercitate con rara maestria, a testimonianza del conte
Gio. Batista Mamiano, che le dedicò, ancor giovine, i due se-
guenti madrig2ili, pubblicati poi tra le sue rime a Venezia
il 1620.
Per la Signora Vittoria Comica
Con soavi catene
di grazie e di bellezza,
di crudele pietà, di molle asprezza,
l'alma m'avvince, ed incatena il core
questa maga d' amore,
de' Socchi, de' Coturni e delle Scene
Vivo splendore e gloria.
Vincitrice dei cor dolce Vittoria.
PIJSSIMI 291
Né già mi dolgo e pento
di servitù si cara e si gradita,
dove stimo piacer perder la vita.
Ma sol temo e pavento,
che si nasconda poi
sotto il ricco tesor di tal beltate
fìnto amor, finto cor, finta pietate.
Per r istessa, nelle Scene detta Fioretta
Col nome di Fioretta
lusingando m'alletta
questo tiranno amore;
ma quando ardito il core
s'accosta al vago viso,
incautamente, ohimè, rimane ucciso.
Così mano bramosa
di vermigliuzza rosa,
se troppo s'avvicina
la punge acuta spina,
e prova in un momento
con dilettoso mal gioja e tormento.
O spietata pietate,
o cara feritate,
dal vostro dolce amaro
con mio diletto imparo
come amante gioisce
quando in mezzo ai martir manca e languisce.
che poi dirò se in scena
amorosa sirena
co' lusinghieri detti
l'alme trafiggi e i petti,
e lascivetta ancella
avanzi tutte l'altre in esser bella?
Se danzatrice altera
con leggiadra maniera
in variati giri
il piede muovi e giri,
ed ora radi il suolo,
e t' ergi poi con cento salti a volo ?
292 BUSSIMI - PILASTRI
Ardita musa, taci,
frena i pensieri audaci:
chi si distilla in pianti
ragion non è che canti:
e'I suon d'umana lira
lodar beltà celeste indarno aspira
Accolse questi accenti
la fama, e per sua gloria
intorno fece risuonar Vittoria.
Pilastri Francesco, fiorito nella seconda metà del sec. xvi,
sostenne con gran plauso le parti ^ hinamorato sotto il nome
di Leandro. Lo vediamo il 1593 nella Compagnia degli Uniti,
al fianco della Piissimi, la celebre Vittoria, e di Pellesini, il
non men celebre Pedrolino, quando chiesero e ottennero li-
cenza di recitare a Genova le loro honeste Comedie (V. Ba-
lestri).
Il D'Ancona ci fa sapere che cai 4 luglio del 1593 si rim-
borsavano a Leandro commediante le spese occorsegli per
mandare ad avvisare i Commedianti di 5. -^. di tornarsene, di
Ferrara e Reggio, ove si trovavano, a Mantova. > Dall' amba-
sciator ducale a Milano, Ludovico Felletti, si sa, come per
conto della Comunità di Milano, e per onorare le Nozze del
Conte di Haro, si desse una Comedia dagli Uniti il 1 3 ottobre
del 1594, e si sa dal Pagani come si costruisse in tale occa-
sione un teatro, la cui direzione scenica fu affidata all'attore
Leandro. Il Salveraglio pubblicò per le nozze Pupilli-Kruch
(Milano, Bortolotti, 1890) la descrizione contemporanea dello
spettacolo; in cui, oltre alla nota particolareggiata e interes-
santissima delle spese per V allestimento scenico e il vestiario
degli attori, è anche l'elenco di essi e de' personaggi che figu-
ravano n^ Intermedio del precipìzio di Fetonte. Leandro soste-
neva le parti di Tempo nel Primo Intermezzo, di Po e di Giove
nel Secondo, di Giove nel Terzo.
Alle qualità artistiche del Pilastri che lo fecer uno de' più
pregiati comici del suo tempo andò congiunta una memoria
PILASTRI - PILLA
prodigiosa: e Domenico Brunì nell'introduzione alle sue Fa-
tiche Comiche dice dì luì :
Vi è stato un Leandro Pilastri, e dotto e graxioao, che della profonditi della sna
rcemoria ha latto itnpire ogn'ano, poichi in molti Inoghi, ma particolarmente in Milano
ha di tolte le famiglie ìllastrì, in nna occasione narrato l'armi, deicrilto i colori, detto
ì nomi e la origine col nominare quanti Castelli sono sotto quel Dominio, e le cose nota-
tHH che in quelle parti nascono ; ha fatto raccolta di sei e settecento nomi, e con epiloghi
diSerenti di quelli mostrato la licorezza della r
Pilla Cesare. Meglio non saprei fare che trascriver fedel-
mente le notizie dì lui, comunicatemi dall'egregio quanto mo-
desto scrittore di cose no-
stre teatrali, Antonio Fiac-
chi, Xzxi'ùzoPiccolet del noto
giornale Piccolo Faust:
Pilla Cbsake nacque a Bolo-
gna nel 1807. Prima di dire di lai come
artista, merita la pena di accennare alla
(uniglia dalla quale osci, assai nota per
una specie di eccentridti rivelantesi in
per la generositi dell'animo, assai am-
mirata per il patriottismo 1 assai temuta
per il cor^gio e l'eccezionale gagliirdia
dei muscoli.
Il padre, integerrimo magistrato,
allevò quattro figli, forti di tempra e
Appena adolescenti, prendevano per passatempo il passeggiare sul ciirnìcione della
loro casa, portando sulle spalle enormi pesi, a rischio di cascare nella strada, sfidandosi
a vicenda suU'entilJi del peso da sollevare o ini maggior tragitto da percorrere tanto più
preferito quanto più irto di pericoli, specie allorché lasciando il passeggio usuale salivano
addiritlnra sol letto paterno e in quelli delle case vicine.
n padre soleva dite che quando aveva attorno i suoi figli si sentiva in meno ad
scelli, un esercito.
Essendosi incendialo presso la loro casa on fondaco di legname, tre dei quattro
fratelli, ancora ragazzi, accorsero fra i primi; e cacciandoti in mezzo alle Gamme, riusci-
rono a trasportare parecchie travi non ancora divampanti portandosele come fossero fu-
sicchè togliendogli esca, il fnoco poti essere più facilmente domato.
Il padrone del fondaco, grato a codesti piccoli eroi, volle regalarli dì $0 scudi, ma
il padre inibì loro d' accettare ed essi non opposero verbo, ossequenti alla patria potesti.
Cesare intanto li senti trascinato per l'arte drammatica, nella quale entrò giovanissimo.
Nel 4S [o troviamo con non si sa quale compagnia in Grecia. Scoppiata da noi
la rivoluzione egli pianta lutto, compresi i cassoni, e corre a Bologna a prender parte
294 PILLA
alla famosa giornata dell! 8 agosto alla Montagnola, rimanendo non lievemente ferito al-
l'ingoine. Al suo fianco combattevano anche i fratelli Antonio e Carlo; il primo, com-
volto nei moti del 3 1 aveva dovuto emigrare a Parigi dove si guadagnò un nome quale
maestro di scherma. Tornato in patria, prese parte a tutte le campagne nell' esercito re-
golare e morì nel 1891 col grado di colonnello, a 90 anni.
Pagato il suo tributo alla causa della libertà, il Pilla tornò all' arte e fu con Sal-
vini, colla Carolina Intemarì, colla Ristori, per dire dei principali con cui militò.
Onde seguire l'irresistibile inclinazione per il teatro, non si curò di conseguire,
come gli altri fratelli, un grado accademico, ma seppe però corredarsi di buona coltura,
cosi che se la sua recitazione fu enfatica, colla cadenza dovuta al sistema di battere il so-
stantivo, come sì dice in gergo comico, seppe però farsi apprezzare ed ascoltare con atten-
zione dal pubblico per la intelligente chiarezza con cui rese sempre il giusto significato
di quanto esponeva.
Dotato d' una memoria fenomenale e prediligendo la tragedia, d' altronde allora in
voga, sapeva intero V Oreste, pur sostenendovi la sola parte d'Egisto, e cosi V Aristodemo
ed il Saul.
In una escursione all' estero ed anche in Italia (tra il 50 ed il 59) diede accademie
di declamazione distribuendo agli intervenuti un elenco di titoli di un migliaio di poesie :
da alcuni canti della Divina Commedia al Deìenda Cartago ; da dei brani dell'Ariosto
alla Secchia rapita; da un brano della Gerusalemme liberata, a certi sonetti metà in ita-
liano, metà in dialetto, che diceva con una comicità ed una naturalezza incantevoli, non
trascurando poesie patriottiche assai compromettenti in quell'epoca; e dal 59 al 66 fu
sempre fra i primi a declamare in pubblico le cose del Dall' Ongaro, del Mercanttni, del
Prati, ecc., ottenendo ovunque successi invidiabili per il vivo sentimento patriottico che
in esse sapeva trasfondere mercè i palpiti veri che gli venivano dal cuore.
Di animo generoso, quanto aveva era degli altri, e se nel momento del bisogno gli
si ricordavano crediti che aveva per prestiti fatti, andava su tutte le furie, esclamando :
e Debbo angariare chi non può dare ? Se non danno è segno che non hanno ; » e di queste
candide teorie, molti seppero far tesoro.
Con gli averi, anche la sua forza ed il suo coraggio mise al servizio degli infelici
e dei deboli, sicché di molti e non dimenticati pugni seminò la via percorsa, sempre però
per giustificati motivi e non per brutale prepotenza o per vana spavalderia. Per tale sua
qualità fu detto il più forte catzottatore dell'arte. •
Se il solito spazio tiranno non mi impedisse di volgere al fine, molti ed interes-
santi aneddoti potrei narrare ; mi limiterò al seguente, che fa comico contrasto a' molti atti
veramente eroici, ai quali si lasciò non di rado:
Si provava un dramma in cui il Pilla doveva lottare con uno degli interlocutori
e soccombere.
Tenutosi per un po', si capisce con quale sforzo, nell'attitudine del vinto, ad un
tratto si slancia sul vincitore, lo afferra, lo rovescia al suolo gridando nel natio idioma :
An'srà mai dètt che Pilla stoga dsòtta/i^)
Afflitto da un male terribile, conseguenza forse della riportata ferita, morì nella
sua Bologna, il febbraio del 1885.
£d il tempo ed il malanno rìuscirono ad infrangere questa fibra d'acciaio, come
Luigi, il più giovine di quei quattro fratelli, riusciva a spezzare con due dita una moneta
da cinque lire.
(1) Non sarà mai detto che Pilla abbia la peggio !
PILLA - PILOTTI ags
Fu anche scritturato il '58 nella Compagnia Reale Sarda
per fare tutte quelle parti à\ generico, di eia avanzata, come parti
di padre, tiranni generici in parrucca e senza, sia in tragedia che
in commedia, ed altre simili che daJC Impresa 0 dal Direttore gli
verranno affidate
attenendosi alla direzione del signor Gustavo Modena, o di chi
sarà destinato: ed ebbe di stipendio 2400 lire.
Pillotti Emma. Nata il 7 febbraio 1876 a Pistoia da Mi-
chelangiolo e da Elena Bargiacchi, entrò alla R. Scuola fioren-
tina di recitazione diretta da
Luigfi Rasi, il dicembre '9 1 , ove
stette due anni, promessa certa
<ii un avvenire artistico de'piìl
lieti. Per l'indole sua e per la
sua figura non molto slanciata,
poco le si attagliavan parti di
sentimento; ma in quelle comi-
che profondeva una sì misurata
e signorile e spontanea gaiezza,
con una dizione delle più nitide
da farcì sperare che in un tempo
non lontano avrebber rivissuto su la nostra scena di prosa le
glorie della Romagnoli, della Lipparini, della Cutini. Fu con
Maggi, con la Iggius e con altri, amorosa e prima attrice gio-
vine. Fermatasi a Palermo per malattia, il 1896, vi recitò am-
miratissiraa fra i dilettanti,... nell'attesa di raggiunger la Com-
pagnia;... ma colpita dal morbillo, ella si spense in capo a soli
due o tre giorni
come in su '1 prato,
poiché l'aratro in suo passar l'ha tocco,
spegnesi il fiore.
Pilotti. Carlo Gozzi nel suo ragionamento ingenuo, lo cita
«assieme a Garelli, Cattoli, Campioni e Lombardi, come egre-
296 PILOTTI - PILOTTO
gio predecessore nella Comedia improvisa di Darbes, CoUalto,
Zannoni, Fiorilli, Sacchi, ecc. > Ma di lui non ho trovato no-
tizie.
Pilotto Libero. Nato a Feltre il 27 marzo del 1854 da Gio-
vanni e Rosa Milliacci, non comici, dopo di aver recitato fra i
dilettanti, con buona riuscita, fu mandato alla scuola di decla-
mazione di Firenze, d'onde uscì dopo due anni, per entrar poi
ne\Var/e, per modo di dire, in una modesta compagnia, con-
dotta, se ben ricordo, da un cotal Silvano.
Dopo molte peregrinazioni artistiche, in cui, talvolta, sod-
disfare alla fame era problema di assai difficile soluzione, riuscì
attore egregio per le parti generiche, e fu nelle migliori nostre
compagnie, amato dai compagni per la innata bontà, e ammi-
rato dal pubblico per la sobrietà e verità di recitazione, e per
quella specie di bonomia eh' ei sapeva trasfondere ne' perso-
naggi. Fu anche direttore della Compagnia Nazionale, e socio
di Ermete Zacconi, ma il suo nome più che all'arte del reci-
tare egli legò all' opere sue drammatiche, nelle quali è sempre
un sapore italianissimo di sana commedia, e delle quali alcuna
vive tuttora ne' repertorj delle compagnie sì dialettali che ita-
liane, come VAmoreto de Goldoni a Feltre, il Tiranno di San Giu-
sto, V Onorevole Campodarsego, Dall' ombra al Sole.
Ecco l'elenco delle produzioni da lui scritte, che traggo
da una nota biografica di L. Zasio, inserita in un volume dedi-
cato alla memoria del compianto artista dal fratello Vittorio, e
edito il 1901 a Feltre {Castaldi) nel primo anniversario della
morte.
Il Seminario - L'amerete de Goldoni a Feltre - Dall'ombra al
Sole - Il Tiranno di San Giusto - Col ferro in pugno - La bugia del
secolo - Macchie di sole - Padre e figli - Scuola professional - Il Re
di Molinella - Cesarina - L'onorevole Campodarsego - I Pellegrini de
Marostega - Maestro Zaccaria - El suicidio de sior Prosdocimo - La
bicicletta - I figli d' Ercole - Tenente dei Lancieri - La bella vita - Il
banchetto di Montebelluna - La famegia d'un canonico - Storia de geri
- Alcuni bozzetti e vari scherzi comici.
Fra questi cito una parodia del Cantico de Cantici di Ca-
vallotti recitata l'autunno deH"8i, al Teatro Manzoni di Mi-
lano, dalla Compagnia Pietriboni,
appunto dopo il Cantico.
Ammalato di diabete, morì
a Feltre ìl 6 maggio del rgoo,
lasciando nel lutto la famiglia
comica, e nella desolazione una
moglie affettuosa (Antonietta
Moro,' figlia dell'arte, egregia se-
conda donna), e quattro figliuoli.
Per lui, attore, autore, uo-
mo, ebbero tutti parole di lode
sincera.
Edmondo De Amìcis così degnamente preludeva alle me-
morie raccolte nel volume citato.
BaitaTA gaard>rlo in viso per dire: - è an silantnomo: - sdirlo DomiuBre i inoi
figliuoli per dire: - è hd ottimo padre : - vederlo comparire inlU iceiui per dire; - t on
intigne srtiitm. -
Mm, qaalnnqae parte egli facesM, noooitante l' arte fìnUiima, non poteva ditrima-
Ure aSttto la boati affeitnota e la gentilezza «qnìtita dell'animo ano. Lo ammirai prima
come autore che come attore: dopo averlo intcfo recitare, lo cercai; non appena lo co-
nobbi, gli volli bene. Ogni volta che venne a caia mia vi portò il sonilo e vi lasciò la
tereniti. Non Io conoscevamo che da pochi mesi e ci pareva un vecchio amico. In fami-
glia ci annunciavamo a vicenda l'arrivo della bob compagnia, dicendo: - Viene Pilotto; -
il che significava ; - avremo il grande piacere di riveder qnel vi<o buono, di rindire quella
cara voce, e di applaudirlo, e di sentirlo applaudire. - Non lo rivedremo più, non po-
tremo più applandire che le ine commedie. Ci i tolto anche il conlbrto di quest' amico
al grande dolore che ci ha colpiti. Ma io porterò vivo nel caore la sua memoria fin che
avrò lentimento dell'amicizia e dell'arte. Coraggio, bnoni liuiciuUil Vi porterà rortuna ìl
nome onorato e caro, vanta dell'arte italiana e simpatia d'ogni cuore gentile.
E degnamente ancora scrisse del comico, amante dell'arte
e della famiglia comica, Edoardo Boutet, il maggio del 1 900,
pochi d! dopo la morte di lui.
Qaesta morte si rende anche più pungente di commozione per [a famìglia dell'arte,
poiché Libero Pilotto apparteneva alla breve e egregia ichìera di quelli attori che alla for-
tuna e alla dignità della comica cosa pigliano particolare interesse; egli, con la fede e l'en-
tuaiaimo degU ottimi. Infatti tutto quanto il miglioramento della classe interessava non
lo trovava indifferente; e diicnteva, scrìveva, sempre con quel cuor di galantuomo snlle
labbra, e con una visione alla e nobile per U bene e per la gloria del palcoscenico.
3Ì. — I Corniti ÙaliauL Voi. IL
298 PINOTTI - PIOVANI
Pinotti Francesco. Nato il 1736 a Mantova, è citato dal
Bartoli come attore diligente, che all'arte del dire sapeva unir
quella del canto. Recitava le parti d^ Innamorato, e trovavasi
il 1 781 a Napoli nella Compagnia de' Lombardi, diretta da Tom-
maso Grandi, detto il Pettinaro.
Era r'87 al Valle di Roma con Petronio Zanerini, e creò
il 16 gennajo la parte di Eumeo n^ Aristodemo, e il carnovale
dell' '88 quella di Zambrino nel Galeotto Manfredi di Vincenzo
Monti (V. Zanerini Petronio).
Augusto di Kotzebue nelle sue Osservazioni intorno a un
viaggio da Liefland a Roma e Napoli (Colonia, Peter Hammer,
1805), dic^ d^l Pinotti, a pagina 63 della seconda parte (Tea-
tro a Napoli):
La drammatica compagnia dei Fiorentini non è, a dir yero, eccellente, ma buona.
Il vscchio Pinotti si distingue particolarmente nelle parti comiche e ingenue, e
potrebbe misurarsi coi migliori de' nostri artisti tedeschi (Iffland e Wiedmann eccettuati) :
egli è anche il beniamino del pubblico, al quale sfugge un mormorio di contentezza, ogni
qualvolta egli appar su la scena.
E a pagina 96 :
Il vecchio Pinotti ha in tutte le parti che gli ho visto recitare, e non son poche,
pienamente confermato il mio primo giudicio. È un eccellente artista che io vorrei com-
parar talvolta ad Iffland e talvolta anche ad Eckhof.
Fu il predecessore, ai Fiorentini, del celebre Pertica, il
quale ebbe molto a lottare col pubblico per cancellar la grande
impressione lasciatagli dal Pinotti.
Anche sua moglie fu attrice valentissima per le parti ca-
ratteristiche, che sostenne al fianco del marito, a cui talvolta
riuscì superiore. Nacquer dalla loro unione tre figliuole, edu-
cate all' arte del canto, due delle quali riuscirono egregie, e
una, la terza, perde la voce e divenne poi moglie del rinomato
La Blache* Francesco Pinotti morì nel 1820.
Piovani Antonio. Recitò da Pantalone in varie compagnie
di giro colla moglie Margherita, Prima donna di qualche me-
rito. Abbandonata l' arte, aprirono a Ferrara bottega di caflfè
all' insegna di Caffè di Pantalone.
PISENTI - PIVA 299
Pisenti Antonio, soprannominato Margouclno (?), figlio di
Giovanni, artista drammatico, fu così grande promessa artistica
nella sua infanzia, che lo stesso De Marini si vuole ne avesse
invidia. Ahimè! Il pochissimo sviluppo della persona e della
voce, non solo non gli concesse di toccar la mèta sognata, ma
lo condannò alle parti di servo. Tuttavia, alla deficienza fisica
sopperì largamente con la intelligenza, mercè la quale, toltosi
dal recitare, diventò uno de' più abili capocomici e direttori.
Formò una società con l'artista Solmi, che durò con raro ac-
cordo ventidue anni, e in cui acquistaron fama Luigi Gattinelli,
Amalia Pieri, Albina Pasqualini, Vincenzo Gandolfi e Cesare
Dondini.
Era il 1828 al Giglio di Lucca, col ^dAx^ primo amoroso, e
il '35 a Milano col padre, passato al ruolo di secondo caratterista
sotto il Gandolfi. Antonio Pisenti morì nel 1840.
Piva Antonio Maria, padovano. Dopo di aver recitato
cogli Accademici Uniti della città, si diede all' arte, sostenen-
dovi il ruolo 6! Innamorato, e mettendo poi la maschera di Pan-
talone, nella quale riuscì artista egregio. Fu lungo tempo al
servizio dell' Elettor di Sassonia, e, tornato in Lombardia, en-
trò al San Luca di Venezia. Passò poi con Onofrio Paganini, e
recitava il 1748 al Teatro degli Obizzi in Padova, ove s'acqui-
stò molta lode, specialmente per una sua commedia intitolata
n Par ornino, in cui produsse una difesa dell' arte comica det-
tatagli dal Paganini, che terminava col seguente
SONETTO
Aver in finto oprar pompe d'onore,
mostrar ne' scherzi sollevati ingegni,
mover tutti gli affetti in un sol core,
passar dal genio a provocar gli sdegni:
Eccitar in un punto odio ed amore,
di politica idea mostrar gl'impegni,
esser scuola di speme, e di timore,
aprir ad ogni mente alti disegni:
300 PIVA - PIZZAMIGLIO
Sollevar con virtù gli spini oppressi,
rinovar con piacer le altrui memorie,
i fasti rammentar de' Numi istessi:
I giorni degli Eroi colle vittorie
in un fascio di scene avere annessi
della comica azion tutte son glorie.
Da quella di Francesco Berti, passò, dopo la morte di lui
nella Compagnia del cognato Pietro Rossi. Morì a Padova la
quaresima del 1764, dopo di avervi recitato l'antecedente car-
nevale. Fu - dice il Bartoli - attore nella sua maschera molto
esperto; e accenna a un amore per una donna di elevata condi-
zione che gli fé' dar di volta al cervello, non tanto però da vie-
targli di fare al cospetto del pubblico il più scrupoloso dei
doveri.
Pizzamiglio Costanzo, cremonese. Entrò nella Compa-
gnia di Domenico Bassi più come cantante, che come comico;
e vi piacque moltissimo per la bella voce di baritono che pos-
sedeva, specialmente poi nel personaggio di Simon che so-
stenne con gran plauso al San Cassiano di Venezia. Passò
il 1770 con la moglie e il suocero Gritti nella Compagnia di
Pietro Rossi, in cui cominciò a recitar parti in commedia e in
tragedia. Lasciato il Rossi, fu scritturato pel 1775 con la fa-
miglia a Barcellona, d'onde tornò in Italia dopo un anno, pren-
dendo egli le redini della Compagnia, per la morte del suocero
avvenuta in Nizza di Provenza, la primavera del '71. Si diede
a sostener la maschera del Brighella, e dice il Bartoli (1781),
che egli era comico sufficiente, e musico di molta abilità, e che,
data la sua ancor fresca virilità, poteva sperare de' migliori prò-
gressi alla sua mediocre fortuna.
Pizzamiglio Giulia. Moglie del precedente e figlia di Luigi
Gritti, fu istruita da una zia paterna nell' arte del canto, in cui
riuscì tanto da poter prender parte con successo n^^ Inter-
mezzi lirici, che soleansi fare nella Compagnia di suo padre che
PIZZAMIGLIO 301
ella non abbandonò mai. Recitò alcun tempo da amorosa, ap-
plauditissima, specie nelle parti d'affetto, poi fu assunta al
grado di prima donna assoluta. Riferisco da Fr. Bartoli il se-
guente :
^Applauso meritato dalla signora Giulia Gritti'Pi:(;(amigliOy e dal si-
gnor Costan:(o Pi:(;(amiglio nella Comica T(appresenta:(ioney intitolata : La
VILLEGGIATURA DI Mestre, nel Teatro di San Cassiano il carnovale del-
l' anno 1770.
SONETTO IN LINGUA VENEZIANA
Zitto, no fé rumor, stè ben attenti,
Mentre canta Costanzo, e Giulia Gritti;
Oh che trilli ! oh che osette ! oh che portenti !
Per carità godeveli e stè zitti.
Se xe belli, e gustosi i sentimenti
che xè sul libro, e in egual note scritti,
per tali i comparisce a chi è presenti
dalla grazia e dal brio de chi i vien 'ditti.
Gode tutti in sentirli, e sulle sponde
dell'adriatico Mar zira la fama
che gnente tien segreto, e gnente sconde.
E come ha sempre de lodar gran brama,
sentila pur che con parole tonde
Bravi Costanzo e Giulia ancuo la chiama.
Se la mia Musa grama
dopo feni i bagordi in sta Città
seguitar li podesse in dove i va,
Gran versi in quantità
farghe vorave a questi do soggetti
o canzon, o capitoli, o sonetti.
Ma spero che più eletti
e chiari inchiostri de ste zogie scriva
dell' Eridano fiume in su la riva. <*>
(U Ali adesi al passaggio, che (ar dovevano la seguente primavera in Torino, tra-
sferendosi dalla Compagnia di Domenico Bassi in quella di Pietro Rossi.
30J PIZZAMIGLIO - POLVARO
Figlia esemplare, fu anche la Pìzzamiglio il modello delle
spose; e forse la riserbatezza e onestà de' costumi le acquistò
la taccia di Pinzocchera.
Plazzani Nicola, romano. È l'attore che partì da Roma
per Venezia il 1738 con Girolamo Medebach, e recitò per al-
cun tempo applauditissimo nella maschera di PukineUa.
Poli Giuseppe, nato il 1836 a Firenze, entrò ì! '58, dopo
varie prove coi filodrammatici, nella Compagnia Mazzoli Milani
come secondo brU/emie e amoroso. Fu
poi primo attor giovine e brillante con
Muzzi, poi con Vitaliani e Aliprandi
primo brillante assoluto, nel qual
ruolo si mantenne lungamente, pas-
sando in vario tempo nelle Compa-
gnie di Coltellini e Vernier, di Ster-
ni, Diligenti, Pietriboni. Tornato in
quella Diligenti, di cui era parte
Tommaso Salvini, vi assunse il ruolo
di caratterista, nel quale fu con Se-
rafini e Buzzi, con Angeloni e con
Tina di Lorenzo e Paladini. La qua-
resima del 1 89 2 , fu nominato Direttore scenotecnico dell'Accade-
mia filodrommatica italiana al Teatro Nazionale di Genova, in
cui trovasi tuttavia.
Il Poli, brillante, ebbe tutte le risorse del buono spirito
fiorentino. Attore, forse di non grandi finezze, ebbe tal vena dì
spontaneità e dì comicità da tener degnamente il suo posto, ac-
clamatissimo, davanti ai pubblici pììl rigorosi, compreso quello
del Manzoni di Milano.
Polvaro Carlotta. Nacque a Gorizia da genitori non comici,
nel 1801. Occorrendo a una Compagnia di comici di passaggio
a Gorizia una ragazzina per non so piìt qual parte, e fattasi già
POLVARO
notare la piccola Polvaro per la grande svegliatezza della mente
e la scioltezza nel recitare, fu in essa accolta, e in breve tempo
tanto progredì, che a dodici anni vi sostenne parti di prima at-
trice. Entrò il 1816 qual prima amorosa nella Compagnia del
rinomato Pellegrino Blanes, e il 'i 7 in quella dì Domenico Ri-
ghetti, in cui sposò il pri-
mo amoroso Alessandro
Angiolini (V.), dal quale
era già separata per in-
compatibilità di caratteri
il '22, quand'ella era pri-
ma attrice della Compa-
gnia Rafstopulo. Fece il
carnevale '22-'23 al Gol-
doni di Firenze, e il Co-
lomberti, descrivendo la
Polvaro nella Giovanna
t^Arco, uno dei tanti spet-
tacoli della Compagnia,
dice: «nel vederla vestita
in armatura, quale ci vien
rappresentata quella martire nelle sue statue, con i suoi lunghi
e bellissimi capelli biondi sparsi sulle spalle ; con il più vezzoso
volto che immaginar si possa, con quegli occhi grandi e cerulei,
io rimasi sorpreso. La voce pubblica l'acclamava la più bella
attrice della sua epoca, e per certo non s'ingannava.» Il 1826
recitò a Padova la Francesca da Rimini. Passò il '28 in società
con Giacomo e Gustavo Modena fino al '31, poi col solo Gia-
como, quando Gustavo partì da Bologna coi volontari per Ri-
mini, fino a tutto il '32. Fu poi, alcun tempo, capocomìca in
Sicilia. II '42 passò col ruolo di Madre tragica nella Compagnia
di Luigi Domeniconi, e morì a Brescia il 185 1 d'apoplessia fi-a
le braccia del secondo marito. Luigi Pezzana, compianta da
tutti i fratelli d'arte. Di lei scrisse Paolo Fola nella Galleria
de' più rinomati attori italiani (Venezia, Picottì, 1825):
304 POLVARO - PONTI
Le belle sue forme assistite dalle grazie le più seducenti cara la rendono agli occhi
del pubblico al primo suo apparir sulla scena. Molte potranno correre a gara con lei nella
difficile palestra dell'arte, ninna potrà però superarla nel prezioso dono della retentiva.
Grande nella tragedia, più grande si mostra nella yariabilità della famigliare Commedia.
Applaudita con poesie, con articoli di gazzetta e per la Mirra d'Alfieri, e per la Saffo
di Beltrame, fu laudata moltissimo in varie eulte città d'Italia per la parte di Chiara
di Rosembergf per quella di Herfort xktW AtrabiUare di Nota, e ntgV Innamorati di Goldoni.
A proposito della Sa/^o, le fu indirizzato il seguente so-
netto di anonimo, inserito nella citata Galleria:
Tragico, puro spirto in te sfavilla,
qualora sciogli il ben vibrato accento :
Tien, chi t'ascolta, immota la pupilla,
teco divide T aspro tuo tormento.
Di pianto scorre la perenne stilla,
se mai ti cruccia il sen crudo lamento
l'alma d' ognun ilarizzata brilla,
quando prova il tuo cor gioja e contento.
La Cantrice di Grecia ora ti vedo
pinger con retta veritade tanto,
che d'essere in Leucadia ormai mi credo;
e libero disciolgo mia favella,
gridando, fra il terror, la gioja, il pianto:
Non la Polvaro, ma la Sa£fo è quella.
Ponti Diana, < Comica desiosa - dice il Quadrio - detta in
commedia Lavinia, fiorì con Agata Calderoni, della quale fu
molto amica. Fu donna assai valorosa, ed ha rime avanti il Po-
stumio, commedia di I. S. » Ma che c'entra la Ponti con la Cal-
deroni? La Lavinia della Calderoni non era l'Antonia Isola (V.)?
E il Sand riferisce dal Quadrio, e continua Terrore, afforzan-
dolo. I Desiosi (V. Fargnoccola) erano il 1581 a Pisa, r'88 a
Roma ove fu lor concesso di far comedie di giorno, però senza
donne; e il D'Ancona giustamente si domanda se quel senza
donne voglia dire senza che le attrici recitassero, o senza pre-
senza di donne; e con ragioni che mi pajon irrefragabili trova
più accettabile la prima spiegazione. Erano il novembre del '93
a Mantova, e il carnevale molto probabilmente a Ferrara, in-
PONTI 305
sieme a' Gelosi, come si ha da una lettera di Alessandro Botto
al segretario ducale Laderchi, pubblicata dal Solerti {pp^ cit.).
L'aprile del '95 domandaron di recitare a Milano (V. Pagani
T. di Mil.) con modestia et honestà et con esempj boni: ed erano il
dicembre dello stesso anno a Cremona, come si rileva da una
lettera dell' arlecchino Tristano Martinelli a un famigliare del
Duca (D'Ancona, op. cit). Li vediamo il '96 a Mantova e a Bo-
logna, secondo una lettera del Duca alla Duchessa di Ferrara,
e una degli stessi Desiosi a Ottavio Cavriani tesoriere del Duca,
pubblicate pur dal D'Ancona. Ma talvolta nei documenti che
ci danno indicazioni dell' itinerario, abbiam soltanto / Desiosi,
tal' altra soltanto la Diana. Nel primo caso, fu sempre con essi
la Diana? Nel secondo caso furon sempre con essa i Desiosi?
L"82 noi troviamo che i Confidenti, a Bologna, non aspettavan
che la Diana e Gratiano per recarsi a recitare a Mantova per
le nozze della figliuola di Guglielmo, Anna Caterina, con Fer-
dinando d'Austria. E come mai si trovava la Ponti a Firenze?
Forse essa aveva abbandonato un anno i Desiosi ed era entrata
coi Confidenti, e si trovava a Firenze in riposo? O forse Desiosi
e Confidenti avean comuni gl'interessi, e la Stella passava da
una compagnia all'altra? O forse, e questo è il più probabile,
ella, sciolta da ogni vincolo, si andava scritturando a brevi sca-
denze or con questo or con quello? Secondo un documento
del Belgrano, ad esempio {Caffaro, 29 dicembre 1882), noi la
vediamo a Genova nell' estate dell' 86 con Cesare de' Nobili,
fiorentino e altri comici : e probabilmente (V. Baschet, op, cit.)
ell'era il 1 601 a Parigi con Martinelli, Cecchini e Flaminio Scala.
Quando nascesse e quando morisse la Ponti non mi fu
dato rintracciare. Forse continuò a recitare in età avanzata,
e forse in compagnie non più di gran fama. Se dell' '82 eli' era
già la celebre Diana, del 1605, epoca in cui la troviamo al ser-
vizio del Principe della Mirandola, come dalle seguenti lettere,
ella doveva correr verso la cinquantina: e assai probabilmente,
avendo perduto il fascino della giovinezza, e il vigore dell'ar-
tista, non trovò più chi la volesse nel ruolo assoluto di prima
39. - / Comici italiani. Voi. II.
306 PONTI - POXTREMOLI
donna, e fu costretta a farsi ella stessa conduttrice di compa-
gnie. Ma eccp le due lettere :
Scrcn.«no s.' mio et padrone oss."»o
Hanendo la Diana Comica unita in Ferrara ad' istanza mia una buona, et nnme-
rota compagnia, con obligo di uenir à semirmi ad' ogni mia richiesta, desiderare!, che
potesse per qualche tempo trattenersi in Modena ad' esserdtar l' arte sua, assicurandomi,
che sia per dar molto gusto, et ricorro alla benignità dell'Altezza Serenissima supplican-
dola à degnarsi di concedergliele in gratia mia, ch'io le ne restarò singolarissimamente
obligato, et £eicendole humilissima riuerenza, le auguro da Dio ogni felicità. Della Miran-
dola adi 26 di marzo lóos-
Di V. A. Ser.ma
Genero, et Dea."»» et oblig.»o »er.'«
Il Principe della Mirandola.
(al duca di Modena).
Seren.nio Signor mio et padrone oss.^o
Partendo di qui la compagnia di Diana di cui ho scritto ultimamente à Vostra
Altezza Ser."ia, per andar aspettando in diuersi luoghi il tempo del Cameuale, al quale
dourà tornar poi alla Mirandola, et hauendo risoluto di passar principalmente per Mo-
dena, per ueder se fia di gusto à Vostra Altezza, che per tre o quattro giorni ni si trat-
tenga recitando, ho uoluto accompagnarla di questa mia, per assicurar l'Altezza Vostra
Ser.™<^ che d' ogni fauore, eh' in gratia mia ella degnarà di (ar à detta Compagnia, io re-
starò lei singolarissimamente obtigato; Et ricordandole la continnuata mia deuotione uerso
di lei, et il desiderio in eh' io uiuo tuttauia d'hauer in che mostrarlene segni co '1 ser-
uirla, le faccio riuerenza homilissima. Della Mirandola a di viij di Maggio 1605.
Di V. A. Ser.ma
Genero, et Den."'<^ et oblig.mo set.*
Il P.* DELLA Mirandola.
(al Duca di Modena).
La Ponti fu anche scrittrice di versi, e si ha di lei un so-
netto che precede il Postumio, Comedia del Signor L S„ posta
in luce da Flaminio Scala, Comico acceso (Lione, Giacomo
Roussin, MDCI), che non mi fu dato ancor di trovare.
PontremolL La servetta della Compagnia Imer al San Sa-
muele. Il Goldoni la dice brava, eccellente comica, e molto si
duole, quando nel 1735 abbandona la compagnia per recarsi
a Dresda alla Corte Sassone-Polacca. Peccato che il citato stu-
dio del Barone O. Byrn cominci dall' arrivo a Dresda di Gio-
vanna Casanova, avvenuto due anni più tardi.
PORTA 307
Porta AnselmOy mantovano. Già coi dilettanti della città
potè mostrare le sue chiare attitudini alla scena, esordendo poi
attore stipendiato in Compagnia di Niccola Petrioli, nella quale
fu a Genova il 1758. Ebbe allora un'avventura di amore con
una gran dama, che colmavalo di favori e doni. Lasciata Ge-
nova per condursi a Pisa, ella, vinta dalla passione, volle ac-
compagnarlo: ma, creduta fuggiasca, fu inseguita dai parenti,
e, raggiunta a Sarzana, ricondotta a Genova, mentr'egli fu
messo in carcere. Essendo lontano il marito, a lei poco costò
la liberazione dell'amante, che finì l'anno in compagnia Pe-
trioli, scritturandosi il seguente in quella di Antonio Sacco.
In essa, una sera, uscendo di teatro a Milano, gli fu, per ordin
certo del tradito, ch'era tornato in Italia, tirato un colpo di
pistola che lo ferì in un fianco. Recuperata la salute, mercè i
soccorsi de' medici e della Marchesa Litta, risolse di farsi frate ;
ma r austerità di quella vita lo fé' abbandonare il convento per
recarsi a Vienna, ove colle raccomandazioni della medesima
Litta ottenne un posto nell'Ambasciata d'Italia. Salì poi, col-
l'aiuto del suo ingegno, ad alte cariche, e fu più volte in Italia
a sbrigar pubblici negozj. Ma non perfettamente guarito della
ferita, che gli facea risentire di quando in quando dolori spa-
smodici, ne morì ancor giovane l'anno 1 779. Si ha di lui un Sci-
pione in Africa, tragedia stampata, e due commedie manoscritte :
Le metamorfosi d'amore e La Regina Ester, scritta — dice il Bar-
toli - a requisizione d'una ricca famiglia ebrea mantovana.
Dettò egli la parte studiata nel Convitato di Pietra per laPesca-
trice, recitata dalla figliuola del suo capocomico, Angiola Sacco
Vitalba, che dallo stesso Bartoli riferisco in parte, come saggio :
SORTITA
Libertà, libertà, ricco tesoro,
dolce quiete del cor, gridano a gara
tra fronda e fronda gli augellettì, e tutte
fan eco al canto lor l'aure soavi.
Libertà, libertà; di questa in fine
voce soave ognor rimbomba, e suona
308 PORTA
la bassa valle, il folto bosco, il cupo
remoto sen d' ogn' antro opaco, ed io
dalla stessa rapita amica voce
pieno di pace il cor, l'amena spiaggia
torno a veder su' mattutini albori,
e grido libertà. La fragil canna
colla maestra man stringo, e vi adatto
amo ed esca in un punto, e poi su queste
che spuntano dal suolo erbe novelle.
Lieta m'affido, e ricca preda io faccio,
pria che il raggio del Sol l'onda riscaldi,
de* muti pesci al nostro cibo eletti.
Ognun qui vive a suo talento, ognuno
arbitro di sé stesso, e di sé pago
trae con semplice vita ore gioconde.
Libertà, libertà, ricco tesoro,
dolce quiete del cor, lo grido io pure,
né giammai tacerò finché avrò vita,
DISPERAZIONE
Ohimè! parte l'infido, e me qui lascia
tradita, e sola al mio dolore in preda.
Perfido ! Arresta i passi, e riedi a questa
che al tuo desire, al tuo costume abbietto
ardisti d'immolar semplice Donna.
Torna, torna crudel.... Ma ohinié! qual dardo
che dall'arco sorti, corre, e s'invola,
e porta omai senza sentirne orrore
tutta con sé di questo cor la pace.
Oh pace, oh core, oh libertà perduta !
Ma invan mi lagno, e di mie voci al suono
sordo è il mar, sordo é il ciel. Io son tradita,
soa disperata, e il mio dolor soltanto
che mi„ lacera il cor, può con un colpo
la morte annichilar. Dov'è una fiera
che mi disbrani?... Ah, ch'io la cerco invano.
PORTA - PREDA 309
E morir vuo\ Dunque si mora, e sia
la mone a cui m'affretto orrida a segno,
che riparo non v'abbia onde salvarmi.
Pozzi Girolamo, bolognese, recitava egregiamente sotto la
maschera del Dottore, e fu lungo tempo scritturato ne' teatri di
Venezia. Fu anche nelle compagnie di Pietro Rossi e di Onofrio
Paganini; poi, protetto da un veneto gentiluomo, visse alquanto
con lui, lontano dall'arte. Ma desideroso della patria, si restituì
alla sua Bologna, dove, fatto vecchio, morì verso il 1780.
;i Francesco, milanese, più noto col diminutivo di Poz-
zetto, fu comico egregio per le parti ^innamorato. Entrò gio-
vanissimo nella Compagnia di Antonio Sacco e creò la parte
di Farruscad nella Donna serpente di Carlo Gozzi. Passò poi
in altre compagnie di giro, e finalmente in quella di Onofrio
Paganini, nella quale, a Vicenza, fu colto da siffatta emorragia
di sangue, che, non potutasi arrestare, lo condusse al sepolcro
il 3 giugno del 1764, all'età di venticinque anni.
Preda Luigi. L'ultimo dei Meneghini, nato a Milano il 1 81 1,
fu prima compositore nella tipografia teatrale Brambilla; poi,
accarezzato il sogno di eccellere in arte come attore tragico, si
scritturò, dopo alcune prove con dilettanti, al Teatro Lentasio,
come generico nella Compagnia di Antonio Giardini, della quale
sposò \di prima attrice giovine Am3lÌ3,FdiSqu^li. Formò il 1 847 con
suo cognato Valentino Bassi una società, in cui la moglie fu as-
sunta al grado di prima donna assoluta, ed egli, infelicemente, a
quello ài generico primario. La rivoluzione delle Cinque Giornate
dissestò la compagnia, che, scacciati gli austriaci, in un reper-
torio improvvisato di attualità trovò inattese risorse al Teatro
della Stadera. In esso il Preda rappresentò la sua parte in dia-
letto, al fine di riuscir più efficace e acquistar popolarità; e
tale n' ebbe successo, che, abbandonate le fisime del coturno,
si diede alla maschera del Meneghino, ammodernizzandone co-
310 PREDA - PREVITALI
stume e repertorio, e diventando in breve non indegno suc-
cessore del celebre Moncalvo. Fu undici anni socio del Bassi,
poi, altri undici di Alessandro Monti. Morì a Milano il 9 aprile
deir'84.
Prepiani Giovan Battista, veneziano, attore tragico di
sommo valore. Assunse nel 1838 la direzione dell'Impresa dei
Fiorentini, lasciata dal Fabbrichesi, quando la R. Soprainten-
denza de' teatri ridusse di metà la dote di ottomila ducati annui.
E l'Impresa (Prepiani, Tessari e Visetti) andò con prospere
sorti fino alla quaresima del '51, nel qual anno il Prepiani morì
per infiammazione viscerale. Molto istruito, di nobile porta-
mento, d'intelligenza acuta, rappresentava La clemenza di Tito,
il Padre in Giulietta e Romeo, il Generale nei Due Sergenti e
V Aristodemo con dignità singolarissima. Recitava di rado ; ma
nelle sere in cui recitava, era un avvenimento artistico. Ebbe mo-
glie e un figliuolo; ma la moglie lo abbandonò, prima ch'ei si
recasse a Napoli col Fabbrichesi, fuggendo con un inglese do-
vizioso. Pare non fosse attrice : egli certo non ne parlò mai.
L' attore Francesco Righetti nel citato Teatro Italiano,
tesse di lui, tragico, l'elogio seguente:
Oh I Come trovai sublime Prepiani nel Catone di Metastasio in cni sosteneva la
parte del protagonista. Come scomparirono a* miei occhi qne' difetti di pronunzia che qual-
che volta mi ferivano l' orecchio nella Commedia ! Come era egli nobile, e maestoso ! Tutta
la dignità del Senato latino sedeva sulla sua fronte, e come ne' suoi atteggiamenti, e partico-
larmente nella morte, tutta la forza, e la fermezza d*un cittadino romano. Ma dove ancor più
fui colpito dall'espressione, dal calore, dalla mimica di questo attore, si fu nella parte di Giuda
nel Gitiseppe riconosciuto, mediocrissimo dramma tradotto dal francese. Il nostro Prepiani,
buon attore nella tragedia, non è degli ultimi nella commedia, avvegnaché in questa renda più
sensibili que' difetti d'articolazione che quasi sempre sa nascondere con arte nella tragedia.
Previtali Antonio. Artista e capocomico de' più pregiati
al principio del secolo decimonono. Dotato di bella persona, di
voce soavissima, di maniere nobili, s' acquistò gran fama colla
parte del Bugiardo, anche perchè, fuor della scena, l'indole
sua rispondeva a meraviglia a quella del suo personaggio. Ai
primi tempi della sua vita artistica, egli recitò nelle commedie
PREVITALI - PRIVATO 311
all'improvviso con le maschere, riuscendo attore di gran pre-
gio: e ciò gli fu di gran soccorso più tardi nella recitazione
del Bugiardo, il quale rappresentava in modo vario, ogni sera,
sì da esser reputato in quella /ar/e superiore al gran De Marini.
Le sue irrequietezze, le bugie che, per una consuetudine
de* suoi primi, anni, andava dicendo a ogni aperta di bocca, gli
scemarono Ìl credito, sì che si ridusse in Sicilia conduttore di
compagnie di poco conto. L'idtima notizia sua si ha in una let-
tera del 16 gennaio 1832, ch'egli scrive da Messina all'attore
Stefano Riolo, incaricandolo di formargli una compagnia per
l'Arena ch'egli ebbe il superiore permesso d' innalzare in quella
città, alla Marina.
Privato Guglielmo. Figlio di Luigi, impiegato postale,
nacque a Venezia il 27 settembre del 1826: e ner48 fu soldato
sotto il Governo provviso-
rio, assieme a Paulo Fam-
bri, e al tiglio di Daniele
Manin. Recitò la prima
volta a Chìoggia, nel '49,
in una brevissima parte, a
beneficio di unacompagnia
d'infimo grado, ed esordì,
comico. Io stesso anno a
Mestre nella Compagnia di
Giovanni Battista Zoppetti,
in cui stette due mesi per
passare in quella di certo
Bosello. Fu 11*50 con Luigi
Duse; e Ìl '51 fu accolto nella grande arte, nella Compagfnia
lombarda, condotta da Alamanno Morelli, dalla quale, dopo un
triennio, passò primo attor giovine in quella di Cesare Dondini,
a fianco della Cazzola, e di Romagnoli, poi di Tommaso Siilvini.
Dopo ancora un triennio, il '57-'58, fu con Gaspare Pieri, qual
generico d'importanza, e il '59, brillante assoluto con Peracchi
312 PRIVATO - PRUDENZA
prima, poi con Bellotti-Bon. Nel medesimo ruolo, applaudito
e stimato come un de* più egregi artisti del suo tempo, si scrit-
turò il '60 con la Società Stacchini, Civili eWoUer, il *6i-'62
con Tommaso Salvini, il ^63 con Domeniconi, il '64-'65-*66 con
Morelli, il '67 con Alessandro Salvini, il 'óS-'óg al Fondo di
Napoli con Fanny Sadowsky, il ^jo^ji-^ji con Giacinta Pez-
zana in società, dal ^73 all' '81 ancora con Morelli, prima a
fianco di Virginia Marini, poi di Adelaide Tessero, e fu con esso
due volte neir America del Sud. Divenne socio r'82 di Gio-
vanni Aliprandi, e il triennio '83-'84-'85, si scritturò per l'ultima
volta come brillanie nella Compagnia di Giuseppe Pietriboni.
Morto il Vestri in Compagnia Nazionale, e uscitone il Novelli,
furon sostituiti dal Privato, che vi restò sino all'anno '88, in
cui si unì con Emilio Zago, il celebre comico veneziano, col
quale trovasi tuttavia assieme alla sua seconda moglie Elettra
Brunini. Aveva sposato nel '61 la diciottenne Emilia Cavallini,
padovana, attrice egregia per le parti di seconda donna, e
adornata di bellezza singolare, che gli morì nel settembre
del '78 a Catanzaro. Ella non era figlia di comici, ma ebbe un
fratello, Antonio, secondo brillante mediocre, morto a Pisa di
etisia.
Prudenza, veronese. Era la seconda donna dei Comici Gelosi,
citata da Francesco Andreini nelle sue Bravure del Capitano
Spavento. Il Cinelli racconta « che una volta (Curzio MarignoUi,
poeta, nato a Firenze il 1563 e morto a Parigi il 1606) sgri-
dato dal padre, perchè i suoi averi licenziosamente spendesse,
arditamente rispose : Anzi, tutto il mio spendo con prudenza,
intendendo dire con una donna sua amica che Prudenza chia-
mavasi. » E l'Arlia che varie rime di Curzio raccolse e pubblicò
nelle Curiosità letterarie del Romagnoli (Bologna, 1885) ag-
giunge : era costei una comica, alla quale poi impazzata, o dav-
vero, o per meglio accalappiare i merlotti, quell'altro capo
ameno di Francesco Rovai scrisse il seguente sonetto, che piz-
zica di secentismo un buon poco :
PRUDENZA 313
Folle è Prudenza: oh che follie soavi
folli fan per dolcezza i saggi amanti !
oh, che grazie amorose e vaneggianti
stillan da' labbri suoi dell' Ibla i favi !
Sparge ella i sali or lascivetti e gravi;
a tempo i risi alterna, e tempra i pianti,
e d'illustre Pazzia portando i vanti,
tien del senno d'ogn'altra in man le chiavi.
Da famoso delirio un pregio eterno
traggon le scene, e in sì mirabil mole
coronato di lode or va lo Scherno.
Or chi tenersi e vaneggiar non vuole,
se nel Leon di Flora in mezzo al verno
della Prudenza è forsennato il Sole?
Ma par mi un errore V attribuir la dedica del sonetto a
questa Prudenza, seconda donna dei Gelosi, piuttostochè alla
seguente, prima donna àegXi Affezionati, che nel 1634 recitò
appunto una Pazzia, Il Rovai (V. Quadrio) morì nel 1646 in età
di quarantadue anni; aveva dunque due anni alla morte del
MarignoUi.
Prudenza. Prima attrice della Compagnia dei Comici Affe-
zionati. Sono le sue lodi, come quelle de' suoi compagni, nel-
r introvato libretto della Scena illustrata, che ho trascritto al
nome dei singoli artisti da Fr. Bartoli, La vediamo molto ap-
plaudita a Bologna nel 1634, specialmente in una sua fatica,
La Pazzia, forse la stessa à^ Isabella, rimaneggiata e ammoder-
nata. All'arte del recitare accoppiò ancora quella del canto, nella
quale fu encomiatissima. Natole a quel tempo un bambino, Cri-
stofano Razzani dettò il seguente
MADRIGALE
Pargoletto bambino, i tuoi vagiti
sono canti graditi,
quasi armonia di Cigni e di Sirene:
or che sarà poi, quando
40. — / Comici italiani. Voi. IL
314 PRUDENZA
per l'Italiche scene
andrai d'intorno errando
fiume che ha d'or l'arene
fiume d'alta eloquenza?
Basta dir che tu se' figlio a Prudenza.
Partendo la seguente quaresima per Venezia, un Marco
Florio r accompagnò col seguente
SONETTO
Or che volgi, o Prudenza, il pie vagante
a bear co' tuoi detti un ciel straniero,
tu m'insegni cosi, che in un pensiero
non è sempre 7ruden:(a esser costante.
ImpruderiT^a è però del mar sonante
fidar un sì bel volto al dubio impero :
forse non temi il mar benché sia fiero,
perchè stelle propizie hai nel sembiante?
Deh ferma quelle stelle un sol momento,
che se son belle, erranti, ancor non meno
belle tu le vedrai nel firmamento.
Ma son Soli e non Stelle, e mai non suole
il Sol fermarsi, e sempre al Mare in seno,
va mentre parte a riposarsi il Sole.
Il Richiedei ne' suoi Fiati d' Euterpe (Venezia, Sarzina, 1635)
ha in lode di lei, rappresentante Arlanda condotta in trionfo
da Papiro, questo
SONETTO
Spiega sul gran Teatro i suoi martiri
questa del mio martir ministra atroce,
né spira accento pur, né forma voce
che amor non formi, e crudeltà non spiri.
Desta con un sospir mille sospiri,
e con mentito ardore infiamma e coce.
Corre legata a' danni altrui veloce,
e dà co' suoi legami ali ai desiri.
PRUDENZA - PUPPO
E tra finte catene e crude voghe,
mentre schiava si mostra, e cerca amore,
amor mi nega, e libertà mi toglie.
E con nuovo amoroso alto stupore
e lega l'alme, e le sue note scioglie,
slega la voce, e fa prigione il core.
Puppo (Del) Fracanzanì Orsola. (V. Fracanzaki).
I COMICI ITALIANI
Qu^lia Corinna. Nata
a Chieti il 28 dicembre del-
l'anno 1874, entrò quattor-
dicenne alla Scuola Maria
Latitia di Torino, diretta da
Domenico Bassi, e vi stette
un anno e mezzo, scritturan-
dosi poi prima attrice giovine,
dal '91 a tutto il '92, con
Giovanni Emanuel. Riposò
il '93 per desiderio del suo
futuro capocomico Cesare
Rossi, che l' aveva scritturata qual prima attrice assoluta per
l'anno comico '94, dopo il quale ella diventò, il io ottobre
del '95, la signora Zoppis.
330 QUAGLIA - RAFSTOPULO
Esuberante di vita, ricca d' intelligenza, benevolmente ac-
colta dai pubblici come una gentile promessa, ella avrebbe
potuto con perseveranza di studi, toccar la meta desiderata,
ma alla vita turbinosa della scena preferì la serenità degli af-
fetti domestici.
Rafòtopuio Antonio. Nato a Zante, fu uno de'pift rino-
mati capocomici nel primo trentennio del secolo xix. Nessuno
del suo tempo, né dì poi, curò come lui per lo sfarzo e la fe-
deltà storica l'allestimento della scena. Sì vuole che per alcune
rappresentazioni della sua Compagnia paresse di assistere a un
gran ballo di Vigano. Nella Giovanna ifArco. nel Ratto delle
Sabine, nella Vita di Carlo XII in dieci sere, o in altro di simil
genere si vedevano (allora i Governi concedevano i soldati per
le comparse) centìnaja di soldati a piedi, trenta a cavallo, com-
battimenti ad arma bianca o a fuoco vivo, cannoni di legno cer-
chiati in ferro, armature vere, bandiere, musiche militari, ecc.
Né é da credere che a questi soli spettacoli egli fosse dedito :
RAFSTOPULO
321
nel suo repertorio avean posto d'onore Goldoni, Alfieri, Nota,
Pindemonte, Giraud, e la sua Compagnia era composta dei
migliori elementi. Eccone l'elenco pel carnovale del 1820 al
Teatro Apollo di Roma :
UOMINI
Nicola Vedova, padrt e tiranno
Francesco Pieri, caratterista nobile
Giuseppe Zannoni ) . . .
r. r> \ amorosi primi
Carlo Coltellini ) ^
Agapito Angiolini, 2° caratterista
FiLU'PO Fontana, generico dignitoso
Pietro Pezzi, generico dignitoso
Carlo Camisani, secondo amoroso
Domenico Liparini \
Giuseppe Mazzotti ( generici
Lorenzo Pellegrini )
Ant. Rafstopulo, parti d'aspetto
DONNE
Amalia Pieri
Amalia Fieri ) ^ . .
. T^ > parti ingenue
Luisa Bologna ) ^ ^
Anna Pieri, prima attrice
Teresa Angiolini, madre nobile
Adelaide Angiolini, prima amorosa
Margherita Mazzotti, caratteristica
Teresa Dal Pino, servetta
Annunziata Fontana \
Marietta Rizzato > generiche
Adelaide Mazzocchi )
Nel 1825 (Archivio di Stato di Firenze) Rafstopulo do-
mandò per la sua Compagnia, e per cinque anni, il titolo di
Reale Toscana, col sussidio di Duemila Zecchini. L' istanza fu
respinta con data del 25 marzo, stesso anno, dietro informa-
zioni del Presidente del Buon Governo, il quale oltre ad aver
trovato che i comici del Rafstopulo erano scarsi di merito, mo-
strava come, aderendo a tal domanda, si sarebbe danneggiato
un disegno emesso da tre o quattro anni di una vera e propria
Compagnia Toscana, autorizzata e sovvenzionata dallo Stato,
quantunque tal disegno avesse poca probabilità di essere non-
ché approvato, solamente discusso.
Innamoratosi, dopo un continuo alternarsi di guadagni e
di perdite, della figlia del custode al fanale di Livorno, si tolse
dal teatro per condurla in moglie, e pochi anni dopo mori,
compiuto appena il suo cinquantesimo anno.
Nell'elenco della Compagnia pel 1843 di Francesco Pa-
ladini erano Leonardo, Caterina e Amalia Rafstopulo, generici,
non so in che grado di parentela legati ad Antonio.
41. — / Comici it<tliani. Voi. II.
322 RAGGI RAIMONDI
Raggi Giovanni, fu - dice il Bartoli - figliuolo del trova-
robe della Compagnia Medebach. Addestratosi da fanciullo
nell'arte, riuscì egregio /;7;^a»^t?ra/(? per le commedie scritte e
all'improvviso. Fu anche inventore di fuochi artificiali, che fece
più volte per uso della Compagnia. Di salute assai cagionevole,
fii costretto, a venticinque anni, abbandonar le scene e recarsi
in cura a Padova; ma poco tempo dopo, la primavera del 1 769,
vi morì.
Ragazzino o Rauzzini Giacomo. Attore napoletano che
recitò in patria le parti di Coviello. Fr, Bartoli lo dice un ec-
cellente comico, e aggiunge ch'egli aveva una presenza vera-
mente marziale, e che i suoi discorsi erano tutti sostenuti da
frasi alte ed ampollose, dimostranti un coraggio d'invincibile
guerriero.
Ma non eccellente apparve sulle scene della Comedia ita-
liana a Parigi, quando vi si recò il 17 16 nella Compagnia del
Reggente. Tutti gli scrittori contemporanei (V, D'Origny, De
Boulmiers, etc), concordano in questo: ch'egli corruppe con
cento pistole l'incaricato di Luigi Riccoboni di trovare a Na-
poli un buono Scaramuccia; ch'egli era usciere del Vicariato
di Napoli, e che, recatosi a Parigi, né piacque, né dispiacque.
Amante delle grandezze e dedito alle dissipazioni, egli mise
carrozza, ed ebbe ognor tavola imbandita. Ma venne il mo-
mento, in cui si trovò assediato da creditori di ogni specie.
Allora Francesco Riccoboni riuscì a ottener dalla Corte un
ordine, mercé il quale fu trattenuto pei creditori un terzo della
sua paga sino al dì della sua morte, che fu per apoplessia il
24 ottobre del 1731.
Raimondi Giuseppe. Nacque a Mantova il 1 8 1 1 da Teo-
doro e da Maria Cappello. Tiranno il 1843 nella Compagnia di
Alberto Tessari, colla moglie Angiola seconda donna e il figlio
Teodoro generico, era con la famiglia e negli stessi ruoli il '5 1
con Giuseppe Astolfi. Il '53 fu riconfermato dall'Astolfi per la
RAIMONDI - RANIERI 323
_ _ j ■ _
nuova Compagnia in società colla Sadowski. Amministratore,
il'SS, della Compagnia di Ernesto Rossi, col figlio primo attor
giovine. Morì a Genova il i° luglio del 1879.
Raimondi Teodoro. Figlio del precedente, egli fu, come
abbiam visto, sempre al fianco di suo padre, crescendo a poco
a poco di valore e di ruolo. Era il '53 primo amoroso della Com-
pagnia Sadowski-Astolfi, ^ primo attor giovine, il '55, di quella
di Ernesto Rossi, il quale di lui lasciò scritto nel primo volume
delle sue memorie :
Il vero sesso forte sì componeva di un certo Raimondi, il quale disimpegnava le
parti di primo attore giovine e primo amoroso : e ti posso assicurare che era un bravo
giovinotto, pieno di zelo, ricco di talento, abbondante dì sentimento. Fu presto tolto al-
l' arte ed alle speranze ed agli affetti della sua famiglia e di tutti coloro che lo conobbero,
quando per mezzo delle mie assidue cure e della sua buona volontà ne aveva fatto un
eccellente amoroso, tale, che invano si cerca e si trova 1* uguale (?).
Entrato in Compagnia di quel bravo attore Gaspare Pieri, dopo poco tempo mori,
vittima forse della sua troppo sensibile anima, che non seppe mai rinvigorire o tempe-
rare coU'arte.
Sappiamo infatti da una lettera di Gaspare Pieri a Fran-
cesco Bigliotti, che Raimondi, toccatogli il '56 alcun tempo
di servizio militare, dovette abbandonar la Compagnia. Torna-
tovi, in permesso, cominciarono in lui i segni della tisi, alla
quale dovette poco dopo soccombere.
Fra le parti ch'egli sosteneva egregiamente v'era, a detta
del Pieri, quella comica di Suggeritore nel Goldoni e le sue Se-
dici Commedie Nuove di Paolo Ferrari.
Ranieri Bartolomeo. Piemontese, del Moncenisio, nato
il 1Ò40 circa, fu comico al servizio di Ferdinando Carlo per
diciassette anni, e richiesto il 1685 dalla Maestà Cristianissima
di Francia, Le fu concesso con lettera dello stesso Principe da-
tata di Mantova il 14 marzo, nella quale era il più ampio ben
servito che dir si potesse. Forse nei diciassette anni ch'egli fu
al servizio di Ferdinando, si trovò a essere ceduto, come spesso
accadeva, a qualche altro principe: e mi pare si debba identi-
ficare pel Ranieri questo Aurelio che dal Duca di Mantova è
324 RANIERI - RAPARELLI
dato al Duca di Modena, in cambio del Parrino (V.), che Que-
sti cedeva a Quello.
Ser.»no Sig.»" mio Oss.'"o
Spedisco Aurelio, perchè serua a Vostra Altezza con ogni puntualità maggiore nella
Compagnia dei Suoi Comici, e già che uengo auuisato, eh' ella mi habbia fauorito della
persona di Florindo, io non lascio di rìngratiarnela di cuore, assicurando l'Altezza Vostra,
che perfettionato il futuro Carneuale resterà à di lei disposinone lo stesso Florindo, con-
fidando, che il simile seguirà d'Aurelio. Si compiaccia Vostra Altezza di frequentarmi le
occasioni di poter servirla, come desidero, e le bacio affettuosamente le mani.
Di Vostra Altezza
Mantoua, 9 Aprile 1676. A£fet"o Seruitore
S.r Duca di Modona. ^^ ^^^^ ^^ Mantoua.
Recatosi 1*85 a Parigi, Bartolomeo Ranieri vi esordì nel-
l'aprile, assieme al Pulcinella Fracanzano, quale secondo Inna-
morato, al posto delV 0/favio Zanotti. Il successo se non stre-
pitoso fu buono, ed egli avrebbe potuto rimanere in Francia
amato e stimato, se non avesse, con assai poca prudenza, av-
venturate opinioni sulle vicende del tempo. Il che saputosi alla
Corte, egli ebbe tosto decreto di espulsione.
Restituitosi in Piemonte, si diede a continuar gli studi,
lasciati a mezzo per imprender la via dell' arte ; e compiuto il
corso di teologia, prese gli ordini sacri. Dicono i fratelli Par-
faict che il Padre di Riccoboni lo conobbe, e più volte sentì la
sua messa.
Ranuzzi Francesco. Recitava, applaudito, sotto la ma-
schera di Brighella. Il maggio del 1777 era a Modena, con la
Compagnia di Francesco Panazzi, insieme ai Falchi, agli An-
dolfati, ecc.
Raparelli Giovanni, di Viterbo, fu cancellier criminale
per molti anni in Perugia sotto il Governo di Monsignor Galli,
in Ferrara dei Cardinali Cibo e Spada, in Imola degli Eminen-
tissimi Acquania e Borromeo, e altrove. Ma, avviluppato dalle
lusinghe di Angiola comica, per opera specialmente di sua ma-
RAPARELLI
dre, Isabella., la sposò, ed entrò con esse nella Compagnia del
Serenissimo dì Modena, recitandovi gl'Innamorati sotto il nome
di Orazio, Ma in Carpi, e precisamente l'aprile del 1658, quat-
tro soli mesi dopo il matrimonio, il Rapa-
relli potè constatar la mancata fede della
moglie, e la complicità della suocera.
Ribellatosi fieramente, e minacciatele
entrambe, esse deliberaron di sbaraz-
zarsene, e ricorsero allo strattagemma
di proporre la rappresentazione degli
«infelici amorì della Regina d'Inghil-
terra > , pei quali occorreva l'uso d'armi
da fuoco: e far sì che il Raparelli por-
tasse dette armi, e, avvisatone poi il
Bargello, fosse da esso e dagli sbirri
sorpreso e carcerato. Ascoltate il Duca
di Modena le dichiarazioni di lui, parve
piegare all' indulgenza, e risolversi forse
per la liberazione; ma le due donne gli
inviarono una supplica, in cui raccoman-
davan fosse fatta giustìzia, poiché il Ra-
parelli aveva in dosso le pistole al solo
intento di ucciderle, il che a ogni modo
avrebbe fatto, secondo le sue dichiarazioni, non appena uscito
dì prigione. A questo punto ci lasciano i documenti, e niun'al-
tra notizia mi fii dato rintracciarne.
Rasi Giulio, Gaspare {il secondo nome assunto all'entrar
nell'arte per ammirazione grande verso l'attore Lavaggi), figlio
di Antonio e di Maria Berghinzoni, nacque a Ravenna il 29 ot-
tobre 1845. Fatti gli studi liceali in patria, fu prima soldato
nelle truppe regolari, poi garibaldino, e prese parte alla cam-
pagna del '66. Instituitasi nella sua Ravenna una Società filo-
drammatica, egli vi mostrò subito attitudini chiare alla scena:
e trasferitosi Ìl '67 con la famiglia, a Firenze, dopo la morte
3i6 RASI
del padre, entrò nell'Accademia é^' Fidenti, di dove uscì dopo
breve tempo (1871), per entrar quale amoroso nella Compa-
gnia della Sadowski, diretta da Cesare Rossi. Abbandonata
il primo attor giovine D' Ippolito la Compagnia, nel carno-
vale dello stesso anno, il
Rasi ne prese il posto, che
tenne fino a tutto l'anno
veniente, dopo il quale
passò primo attor giovine
sotto Francesco Ciotti, al
fianco di Virginia Marini,
in Compagnia dì Alaman-
' ^■._ 'f "° Morelli facendosi no-
^^^^^^^I^Ly^H^^^kj^ tare dai compagni e dal
^^^^^^^^2^^^^^^^Hr per la elettezza
^Ij^^^^^^^^^^^^^^^^ e la correttezza
^^^^^^^^^^H^^^ della dizione. Còlto da feb-
^^^^^^^^^ bre tifoidea in Ferrara,
vi morì, pianto da tutta l'arte, il 13 giugno 1878. Su di lui,
come attore e come uomo, mi piace riferir le parole dì Virgìnia
Marini che gli fu compagna delle più care:
Suo fratello, col qaa)e ebbi il piacere di >tare qualche anno, era an gentiluoino
perfetto, ud bravissimo artista ed un compagno buono ed amoroto. Egli interpretava eoo
abilità ed intelligenza tanto il Goldoni, come Dumas, Ferrari, Giacosa. Ha divìso con
me gli applausi del pubblico nella Signora dalle CamiUt, nella Serva amoroia, nella Par-
lila a scacchi Aveva un avvenire aplendìdo : la morte l' ha rubato giovanissimo
all' arte ed alla gloria ! ! Povero Giulio ! Lo ramniento sempre con affetto di sorella e con
E di compagna.
Ebbe, giovinetto, molta facilità nello scrìvere, e serbo di
luì manoscritto un buon volgarizzamento della Lelia di Gior-
gio Sand.
Rasi Luigi. Fratello del precedente.
Singolare figura d'artista quella di Luigi Rasi poeta, scrittore, at-
lore e professore di recitazione, che ci ricorda, per certi rispetti, il Cin-
quecento, quando i comici italiani contendevano la palma agli scrittori di
maggior fama e, più che interpreti, erano, sulle scene, inventori.
RASI 327
Il Rasi, nato a Ravenna il 20 giugno 1852, si recò il '67 a Fi-
renze, ove fece la quinta ginnasiale al Liceo Dante, e gli studi liceali
agli Scolopj.
Entrò ventenne appena come secondo amoroso e secondo brillatite nella
Compagnia Sadowski diretta da Cesare Rossi. Di li, un anno appresso,
nel 1873, passò in quella di Luigi Monti, che dovè lasciare poco dopo
per soddisfare ai suoi obblighi di leva. E tre anni stette confinato a Lecce
a fare il caporal foriere e il caporal maggiore di maggiorità, riconfortan-
dosi negli studi e nel suo Catullo !
Licenziato di sotto le armi, nel settembre del 1877, eccotelo pr/mo
attor giovine nella Compagnia Pietriboni, dove rimase fino air anno
scorso (1882), quando fu nominato direttore *della R. Scuola di Recita-
zione in Firenze.
Attore studioso, elegante, accuratissimo, si cattivò di colpo le sim-
patie del pubblico per le sue intelligenti interpretazioni, per una rara natu-
ralezza e limpidità di dizione, per il suo amore alla verità. Non gridava,
diceva: otteneva mirabili effetti senza i soliti mezzucci: cercava che il
pensiero dell'autore, non la voce dell'artista, facesse immediata impres-
sione sull'animo del pubblico. Metteva grande studio nel penetrare il ca-
rattere, la psicologia del suo personaggio: gli guardava dentro e poi cer-
cava d'entrar quasi ne' suoi panni. Non era la solita sovrapposizione
dell'artista sul personaggio; era un vero e proprio lavoro di transustan-
ziazione, da cui l'attore usciva trasformato. Nel Violino jo di Cremona, nei
Fonrchambault, nel Cantico dei Cantici, nella Libertas di Costetti e in tante
altre parti, dimostrò col fatto la bontà del suo metodo : del quale ve-
demmo, di recente, gli ottimi risultati in una prova di studio degli alunni
nella R. Scuola di recitazione da lui diretta.
Perchè il Rasi è ormai un transfuga della scena. Rinunziò un bel
giorno agli applausi sonori, alle commozioni, ai trionfi della vita d'artista,
contento di poter darsi agli studi, di poter avere un po' di quiete per stil-
larsi il cervello traducendo Catullo e lottando a corpo a corpo con le
difficoltà dell'originale e dei metri, con la rigidità della nostra terribi-
lissima lingua.
Una delle sue passioni è il latino che conosce assai bene: un'altra
è l'arte della lettura, intorno alla quale fa quotidianamente studi ed espe-
rienze nella sua scuola.
Fra noi su questo argomento, non s' è fatto il bel nulla. E al Rasi
tocca il merito d'avere compresa e misurata tutta l'importanza e d'avere
accennato al da farsi. Una sua conferenza tenuta al nostro Circolo filo-
logico e ripetuta costi a Roma, fece rumore : un suo trattatalo sul-
l'arte del leggere, meritò gli elogi credibili del Carducci. All'esperimento
328 RASI
che dette il mese scorso nella sua scuola, un alunno alto tre o quattro
palmi lesse un discorso - per esercizio - con una disinvoltura, con un
garbo da sbalordire. So di un medico nominato a un tratto professore
d'università, che tremava all'idea di leggere la prolusione. Andò dal Rasi
che gliela fece studiare, e lessi poi nei giornali che a Parma avevano
ammirato nel giovane professore il facile eloquio. Tornata parola.
Un'altra passione del Rasi è l'erudizione. Quasi quasi vorrebbe pi-
gliarne un tal bagno freddo da spegnerci i suoi ardori d'artista. Ma poi
quell'altra parte di lui, quella sensiliva^ si ridesta, e il fuoco sacro lo riac-
cende di nuovo.
E forse allora sogna i trionfi della scena, una filarata di teste che pen-
dono commosse dalle sue* labbra, un'eletta d'anime gentili che la parola
alata dell* artista e del poeta agitano soavemente, e il plauso che giunge
caro, aspettato, desiderato, e l'effetto studiato e conseguito in quel dato
momento, in quel punto preciso in cui si voleva e si attendeva, e il mor-
morio approvatore, e quella calda e vivace corrente di simpatia che lega
il pubblico agli interpreti sapienti.... adimaro.
P. S. — Rileggo quanto ebbi a scrivere diciannove anni
fa nel Capitan Fracassa^ in occasione d* una memorabile recita
al Quirinale, dove in conspetto dei Sovrani, della Principessa
Isabella e del Duca di Genova allora sposi, Cesare Rossi, Eleo-
nora Duse e Luigi Rasi, aggiunsero nova grazia e vivezza al
proverbio di Francesco De Renzis Un bacio dato non è mai per-
duto. Allora la Duse cominciava ad esser nota e pregiata come
prima attrice) Cesare Rossi aveva già asceso il culmine del ca-
pocomicato ed aspirava, con tutta la forza della sua tromba na-
sale, a quella commenda che è il sogno d'oro d'ogni artista
provetto; e Luigi Rasi si era nobilmente affermato come scrit-
tore, come dicitore squisito, come maestro acni son noti e fami-
liari tutti i segreti dell'arte scenica. — A distanza di diciannove
anni, mi è grato oggi ristampare ciò che scrivevo, e aggiungere
che le promesse di quei giorni non furon fallaci. Luigi Rasi le
ha mantenute, dirò anzi che le ha sorpassate. Di lui allora si
conosceva il poeta traduttor di Catullo, l'attore, l'artista colto
e coscienzioso ; ma non ancora egli si era rivelato autore di quei
monologhi che trovarono sulle scene maggiori e su quelle dei
filodrammatici tanta e così invidiata fortuna; non ancoragli si
RASI 329
era sviluppato così nocchiuto il bernoccolo dell'erudito e del
feroce raccoglitore di qualunque cosa avesse attinenza con la
storia del nostro Teatro. Questo Dizionario dei Comici italiani,
concepito con tanta genialità e condotto innanzi con tanta dot-
trina e cosi ordinata serietà d'indagini e d'intendimenti, ch'egli
volle dedicato a Teresa Sormanni, la fedele compagna della'
sua vita, la collaboratrice intelligente e amorosa de' suoi studi,
tolta in moglie il 15 luglio 1881, è un bel titolo e degno alla
riconoscenza di quanti pregiano le nostre glorie teatrali, è so-
pra tutto un' opera utile e buona che colma una vergognosa e
dolorosa lacuna della nostra storia dell'arte, fin qui così tra-
scurata. Per compierla occorreva un erudito che fosse al tempo
stesso un artista e un attore, e che le notizie, pazientemente
raccolte con zelo e industria di bibliofilo, sapesse poi ordi-
nare e comporre, dando al lavoro l'attraenza che han queste
pagine. Paragonate, di grazia, il Dizionario del Regli con que-
sto, e vedrete quanto ci corra, e come manchi per gli artisti
lirici, il geniale compilatore che hanno trovato nella loro stessa
schiera gli artisti drammatici. Ma quest' opera, così bene e so-
lidamente piantata, richiedeva a fondamento una raccolta tea-
trale, quale il Rasi ha saputo raccogliere per formare un vero
museo del Teatro Italiano, che dovrebbe diventar cosa pub-
blica, a documento delle nostre glorie passate, se si trovasse
chi fosse disposto a compensare delle sue spese e delle sue
fatiche il provvido collettore.
Il Rasi è sempre Direttore della nostra R. Scuola di Reci-
tazione, la quale vanta ormai molti alunni che son divenuti ar-
tisti acclamati. Ma le cure della Scuola, cui egli si è consacrato
con grande abnegazione, non lo hanno né fisicamente né moral-
mente abbattuto. Gigi Rasi è ancora il biondo Rasetto di venti
anni fa e par quasi che il tempo non l' abbia toccato con la sua
cipria fatale. - La voce di lui ha acquistato in potenza e in vi-
gorìa ; la dizione in perspicuità e sicurezza. Dicitore preciso e
vibrato, il Rasi ha tentato per primo un arduo esperimento,
quello di accompagnare col commento della calda e passionata
42. — / Comici italiani. Voi. II.
330 RASI
parola le melodie della musica, anche quelle sonore d'una or-
chestra intera. Le sue recitazioni del Manfredo di Byron, illu-
strato con grande orchestra da Schumann; di monologhi suoi
e ballate di BUrger, di Schiller, di Marradi con musica per pia-
noforte di Belilo, di Liszt e di Ricci; ài€^ Egmoni di Goethe,
testé compendiato in bei versi italiani a commentare le armonie
di Beethoven, hanno fatto comprendere come l'arte della pa-
rola possa utilmente e piacevolmente sposarsi al canto indefi-
nito della musica strumentale. Né basta : il Rasi ha voluto e sa-
puto altresì dimostrare come una sapiente recitazione possa da
sola servir di commento alla poesia, mettendone in rilievo le
più riposte bellezze. La lettura ad alta voce, di cui egli è un
apostolo convinto, diventa così un mezzo d'istruzione e di edu-
cazione, facile e aperto a tutti: esso dovrebbe sostituirsi anche
nelle scuole a quel tedioso e forzato esercizio della memoria,
che avvezza i ragazzi a non capire quello che recitano, e che
riesce, certamente, a renderlo a tutti noioso, anche a chi è co-
stretto ad ascoltarli.
Ma il poscritto è ormai più lungo dell' articolo. Colpa del
Rasi, che in questi diciannove anni ha voluto dar da fare al suo
biografo e che gli darà dell' altro filo da torcere ad una nuova
edizione di questo genialissimo libro.
2 giugno 1902. Guido Biagi.
ELENCO DELLE OPERE A STAMPA
Clodia. Memorie di C. V, Catullo, (Lecce, 1876). Comprende la versione del
poema Le Nozze di Peleo e Teli, e di altro. - Se ne fecero altre due edi-
zioni a Milano nel 1878 e 1879.
Torva Prcelia. Versi originali e volgarizzamenti catulliani, (Napoli, De Angelis,
1879).
Eraclio Florenzano galatonese. Monografia, (Ravenna, David, 1879).
Jacchus. Canto antico, (Bologna, Zanichelli, 1880).
La Verità nell'Arte Rappresentativa. Discorso inaugurale alla Cattedra
fiorentina di recitazione, (Firenze, Galletti, 1882).
La Lettura ad alta voce. (Firenze, Paravia, 1883).
Il Libro dei Monologhi. (Milano, Hoepli, 1888). - Se ne fecero tre edizioni.
RASI
Saggio di una traduzione integra del libro di Catullo. (Londra,
Hall, 18S9).
Armanda ritorna. Commedia in un allo. (Milano, Barbini, 1889),
L'Arte del Comico, (Milano, Paganini, 1890).
Il Libro degli Aneddoti. (Modena, Sarasìno, 1891). - Ne ha fatto l'editore
Bemporad di Firenze una seconda edizione, nuovamente illustr., nel 1898.
Pluto. Commedia di Aristofane, volgarizzata in prosa, con prologo in versi e
lettera di A. Franchetti. (Modena, Sarasino, 1891).
Il Secondo Libro dei Monologhi. (Milano, Hoepli, 1803).
La Recitazione nelle Scuole e nelle Famiglie. Antologia poetica. (Firenze,
Civelli, 1895).
La Duse. (Firenze, Bemporad, 1901).
I Comici Italiani. Biografia, bibliografia, iconografia. (Firenze, Bocca-Luma-
chi, 1897-190,..
TESTIMONI
Caro Raii,
i] giuKno 76.
Ebbi il tuo libro poche ore avanti ch'io partiisi da Catuiia: lo portai eoo me e
mi fece buona compagnia lungo il via^o. L« mttnarit %\ leggono d' ou listo e l'elemento
fantMtico i cosi bene intreccialo allo storico, che pnr «sendo esio nn romanzetto, laiciano
poco o nulla a deiìderare dal lato dell' eiattezia. Se fosse a qnesti pregi accoppiato un
maggior colorito locale, il tao lavoro farebbe commendevole da tnttì i lati....
Prendi intanto una cordiale itretta di mano od lao
Rapisaidi.
333 RASI
Caro Rasi, Catania. 16 marzo 79.
UAti è un giojello ; 1* epistola ad Orlalo e la Chioma di Berenice più spigliata,
non più bella dì quella di Foscolo ; il carme a sé stesso cosi cosi : il mio è forse mi-
gliore.
Perdona alla scorbellata franchezza di chi ti vnol bene davvero.
Del tuo
Rapisardi.
Egregio Rasi. P"»'*""' ^1 »"kHo 1880.
Ella conosce profondamente Catullo, e ciò eh' è più mirabile sa riprodurlo nell'atte.
La traduzione che ci ha data dell'Epitalamio per le Nozze di Peleo e Teti, mi sembra
veramente degna di Catullo, e, s'io non erro, la migliore di quante ne abbiamo avute. C'è
nn sentimento fino di poeta congiunto ad una intelligenza non comune del latino da farmi
sperare ch'Ella, se si mettesse all'opera, tradurrebbe Catullo meglio degli altri.
Io consento nella sua spiegazione di (^<^ extenuata gerens veteris vestigia pcenoe ;
e se non fosse il gerens che mi mette ancora un po' di dubbio, oserei chiamarla certa.
Quello stupendo mollescunt colla non è da Lei reso pienamente. Il poeta, com' Ella
ben sa, v'intende V ammollirsi del collo riposato. Perchè non si potrebbe adoperare anche
in italiano la stessa parola?
Mi perdoni questo mio giudizio schietto e senza ipocrisie. Ella comprenderà quanto
io La stimi dal modo stesso col quale io La giudico.
Mi creda con verace stima Suo dev.
G. Trezza.
Caro Rasi, '^'°""°' ^0 febbraio '80.
Sono veramente ammirato della splendida forma del tuo Bacco, e specialmente della
poesia per la grotta di Pozzuoli, piena di sentimento e di grazia. Un omino che fa dei
versi come questi
e prego e prego e prego, e nella torbida niente
gtme il desìo dilli dolcezze antiche
è un omino col pepe e col sale. Non posso levarmi dalla testa quel secondo verso che
mi pare la più bella delle moltissime perle del tuo volumetto....
I miei saluti alla Signora e al Signor Pietriboni e al Bassi. A te un abbraccio e
un bacio in cui
geme il desìo delle dolcezze antiche
della meridiana. Addio, addio. Tuo
Edmondo (De Amicis).
Caro Big. Rasi, Bologna, 3 marzo 1883.
La ringrazio del suo libro, che mi pare utilissimo, e dal quale mi pare che impa-
rerò anch' io a leggere meno male i versi. Nella Esposizione che Ella ha fatto della mia
Mors io piaccio a me stesso e meco stesso m' esalto di esser cosi bello. Ma poi ripenso
RASI - REBECCHI 333
che tutte coleste mie nuove bellezze sono trovate d'un poeta di fantasia, di sentimento
« di molta coltura, che dell'arte del declamare fa un'estetica pensata e imaginosa.
Alla Sua Signora tanti rispetti e ricordi da parte mia e delle mie donne. A Lei
on saluto affettuoso, non senza il desiderio di rivedere di quando in quando di quei versi
antichi che Ella sa fare cosi bene.
Suo
Giosuè Carducci.
Astichello, presso Vicenza, 30 ottobre 1887.
Ottimo professore e carissimo amico.
Non tardo un minuto a ringraziarla del volume « I Monologhi » che, domani co-
mincierò a leggere, e della notizia che mi dà del superbo lavoro, a cui ha già posto mano.
Le giuro, che que' versi miei sulla Madonna mi parvero altra cosa, cioè meno infelice,
quando procurai di recitarli secondo le sue norme. O carissimo Rasi ! Non ci voleva che
un pari suo, egregio tanto nel comporre, che nel recitare, il quale potesse donare ali* Italia
un libro tanto utile e dirò, necessario....
Mi voglia sempre bene : mi ricordi alla sua egregia Signora : perdoni alla fretta,
e mi tenga
* Suo aff^o
Giacomo Zanella.
Re (Di) Pietro. Fa cenno di lui il Padre Gio. Domenico
Ottonelli nella sua Cristiana moderazione del Teatro,
Pietro Di Re, detto tra' comici Mescolino fu molto stimato, era modestissimo ; ma
di lui si divulgò questa taccia, che era troppo freddo, perchè mai diceva oscenità. Io ri-
spondo che l'esser troppo freddo non è errore contro la cristiana moralità; ove difetto
si è troppo grave l'essere troppo licenzioso di lingua. E se Mescolino era tacciato di fred-
dezza perchè si asteneva dalle sboccataggini, quella taccia era ingiusta, e doveva essergli
data da persone poco amiche all'onestà; ove all'incontro era degno dì lode, perchè nel mo-
derno Teatro serbava le regole della convenevole moderazione ; e sapeva recitare, e dilet-
tare senza offesa dell'arte, e senza oltraggio della virtù.
Fr. Bartoli aggiunge che « fioriva questo comico onesto
e rinomato intorno all'anno 1625. >
Il Callot ci ha dato una scenetta nei Balli di Sfessania tra
Guazzetto e Mestolino (V. Bocchini).
Rebecchi Margherita. < Comica assai giovane, che fiorisce
in questi giorni (i 782), e che può occupare un degno posto in
mezzo alle buone attrici. Ha recitato in Verona coli' accade-
mica Compagnia di Marco Florio il carnovale del 1 780. È stata
l'anno appresso con la truppa d'Antonio Camerani; ed oggi
334 REBECCHI - RECHIARI
trovasi con una vagante compagnia, esercitandosi con impe-
gno, e procurando d'acquistarsi qualche concetto nella sua
Professione. > Così Fr. Bartoli.
Rechiarì Luca. Attore e capocomico, fiorito nella seconda
metà del secolo xvii, recitava le parti ^Innamorato sotto il
nome di Mario, al servizio, dall' '86 al '93, del Serenissimo
Francesco di Modena, a vicenda con Gaetano Caccia (V. SuppL).
L'autunno dell' '86 era a Torino, raccomandato da Sua Altezza
al signor Marchese di Drenerò; e r'88 a Milano, ove gli furon
pagate lire 740 dal tesoriere Zerbini (V. l'elenco di quest'anno
al nome di Torri Antonia). Il 25 febbrajo '90, trovandosi a
Roma, e avuta notizia che il Duca privava la Compagnia del
Dottore e del secondo Zanni, si volge con lettera a un se-
gretario del Duca, per ottenere o lo scioglimento da ogni ob-
bligo di servizio, o la sostituzione dei due personaggi. Il Fon-
tanelli poi con lettera del 20 luglio 1691, impetrando soccorsi
dal Duca pel pantalone Girolamo Gabrielli e la prima donna
Antonia Torri, dice di questa: < La Lavinia anch'essa sta at-
tendendo dalla solita benignità di V. A. qualche soccorso, tanto
più il Rechiari non l'ha voluta in Compagnia, non sa come
sostentarsi. > Il 5 dicembre del '91 scrive da Arezzo di Toscana
a un segretario del Duca, perchè gli ottenga raccomandazioni
per Roma, ove i comici di Silvio, con lor mene, gli farebber
guerra. Il dì seguente rinnova la supplica al Duca in persona,
nella quale si firma non più Luca Rechiari detto Mario, ma
Luca Rechiari detto JLeantiro. Forse dalla Compagnia era uscita
il Caccia, primo nell' elenco, ed egli ne aveva assunto il nome e
l'importanza. A Roma poi andò; e il 2 aprile del '92 l'abate
Ercole Fanziroli scriveva in suo nome al Marchese Pio di Sa-
voja, perchè gli ottenesse dal Duca raccomandazioni per Na-
poli. Il giugno del '93 lo vediamo a Perugia, al termine di un
corso di recite, poi per un mese, a Gubbio, di dove il Rechiari
scrive direttamente al Marchese Pio, perchè gli ottenga dal
Duca una commendatizia pel Cardinal Rubini, Legato di Ur-
RECHIARI - REINACH 335
bino e Pesaro, acciò si possa recar in quelle due piazze a gua-
dagnarsi il vivere. L'ottobre del '93 era a Fermo, il dicembre
a Chieti, il carnovale a Roma.
Egli aveva in compagnia la moglie, che recitava le prime
donne a vicenda con la Torri, prima nell'elenco (e forse per ciò
il Rechiari o spontaneamente o stimolato dalla moglie pensò
bene di liberarsi di questa), e un figliuolo, Giorgio, che reci-
tava i terzi amorosi, sotto nome di Ottavio.
Reinach Enrico. Nato il 3 agosto 1851 a Torino, mostrò
sin da ragazzo un amor singolare al teatro; ma il padre lo
mandò, per distornelo, presso alcuni parenti a Vienna, ove stette
tre anni. Morto il padre, sì restituì in
Italia, e frequentò a Milano la Scuola
dei filodrammatici, sotto gl'insegna-
menti di Amilcare Bellotti, detto Bel-
loitino (V.). 'Esor<ì\, generico giovine, al
fianco di Ermete Novelli, a Udine in
Compagnia Diligenti e Calloud. Fu
l'anno dopo secondo amoroso con Vir-
ginia Marini, che lasciò dopo la metà
del secondo anno, perchè chiamato
sotto le armi. Finito il servizio mili
tare, era di seconda categoria, passò
primo attore giovine in Compagnia di
Luigi Pezzana con Ceresa primo attores Adele Marchi prima
attrice, e la Duse prima attrice giovine; poi, nello stesso ruolo,
in quelle di Bellotti-Bon, di Pasta, Nazionale, della Marini, di
Marchetti e la Giagnoni, passando finalmente primo attore e ca-
pocomico in società, prima con Pasta e Garzes, poi con Talli.
Fu scritturato dalla Duse per la sola parte di Armando
nella Signora dalU Camelie nel suo giro dì Germania e Russia ;
quindi, per un triennio, da Irma Gramatìca e Raspantini. Oggi
è tornato capocomico in società con Pieri, slanciando qual prima
attrice sua moglie Edwige.
Enr.'.o Kfnn^ich si acc-jistò in arte, e a buon diritto, 3
Vi\ftVj'V\€lernó primo ailor gioi-ine. che l'avanzar degU anni ooo
^li to's^ mai un'aura singolare di gio^-inezza, cuasi direi di
infantiliti. Veramente la nuova dÌ\-Ìsione deVi«/// e de'Je parti
ha fatto di lui un primo attore, ma, secondo le considerazioni
antiche, oggi egli è sempre primo attor gio\Tne; come, secondo
le moderne, si dee dire che primo attore egli è da no pezzo,
alrn'rno da ouan'lo, ammalatosi il Salvadori, egli lo sostituì
ni:YÌ Armatuitì crm laMarini. IIReinach.di elegantissimo vestire
e di m'Kli »'"]uisiti, fu lungo tempo l'ammirazione, direi quasi,
lo spasimo delle signore. Se nella sua recitazione si potè no-
tare talvolta una coiai mancanza di sincerità, essa fii compen-
sata a esuberanza da scatti di passione, calda, violenta, ch'ai
Kf:rba tuttavia, nei quali è Ìl segreto di tutta la sua forza.
^^^^. Reinach-Guglielmetti Edwige.
^^^^^^&% Mogh'e del precedente, cominciò a re-
^^^^^^^P^ citar quindicenne, seconda amorosa, con
^^^^^^T^ Virginia Marini, con la quale stette un
^^^^H< triennio. Fu poi scritturata prima attrice
'^^^^^ giovine da Andrea Maggi; ma Ìl Reì-
^^^^^P^«^^ nach ne sciolse il contratto per faria sua
^^^^^fS^nt^^^ sposa. Adorna di fisico elegante, di fìsio-
^^^^^^^^HJI^^^L nomìa aperta, di voce armoniosa, di suf-
^^^^^^^^HH!*^ fìciente sentire, e di una grande pas-
^^^B^^^^ sione per l'arte, è passata al ruolo di
prima attrice assoluta, nel quale va oggi
affrontando, con onore, i pubblici più severi, e le partì piii
scabrose.
Reiter Virginia. Modenese, figlia di Carlo Reiterer e di
Ternsa Deodati nata Formìggini. Forse per brevità questi
aveva mutato in quel di Reiter il nome di Reiterer, lascia-
togli dal padre, tedesco, uno de' più fidati del Duca di Modena,
dal ([iialu anche fu mandato a Vienna con missioni segrete e
si dice vi accompagnasse Ìl Conte Tarrabini, Ministro delle
Finanze Estensi, in qualità d'interprete: nel 1859, fedele al
Padrone nella prospera e nell' avversa fortuna, seguì a Vienna
il Duca, ed ivi morì nel 1880, d'anni 78, lasciando tra altri il
figliuoIoCarlo.padredellapiccolaVirginia, che ed UGO alla Scuola
di Carità dalle monache figlie di Gesìl. La prima apparita sulla
Fai. Bnvnmii - Firnu.
scena ella fece in convento. Entrata nella Società Cuore ed Arie.
al momento della sua formazione, vi emerse in poco tempo,
mostrando assai chiare attitudini alla scena: e fu gran ventura
pei parenti ai quali non volgevan troppo al bene le cose, che
Virginia potesse abbracciar l'arte drammatica: ciò fu il mag-
gio dell' '8 2 con Giovanni Emanuel, che le fu poi maestro, com-
pagno, amico fino all'anno 1894. La Reiter, naturalmente, fu
scritturata per parti di non grande importanza, ma con la spe-
ranza che potesse taluna volta ripiegar la prima attrice giovine
Bianca Ferrari, ammalata. E alcuna volta, infatti, la sostituì, e,
lei morta il marzo dell' '83, ne prese il posto. Ebbe a prime at-
338 REITER
trici Adelina Marchi, la Papà, la Ruta, la Glech, la Marini: con
questa trovò subito modo di uscire dallo stato di lieta pro-
messa ; che la rappresentazione di La figlia di Jefie di Caval-
lotti al Filodrammatico di Milano (7 aprile '86) consacrò l'ar-
tista valorosa, che, l'anno dopo, uscitane la Marini, diventò la
prima attrice assoluta della Compagnia, alternando, e sempre
con buon successo, Santarellina, Il Matrimonio di Figaro, La
figlia di Jefte, con Frou-Frou, Demi-monde, Fedora, Signora
dalle Camelie, Fernanda,
Staccatasi finalmente dall'Emanuel, diventò pel '94 la
prima attrice assoluta della Compagnia Talli e Reinach, pel '95-
96 di quella Andò e Leigheb ; poi formò Società con Pasta,
per passar da ultimo capocomica assoluta: questa la cronaca
artistica di Virginia Reiter. L'angusto spazio e l'indole di
quest'opera non consentono che un breve e rapido giudizio
dell'artista. Ma basti affermare ch'Ella per sue doti fisiche e
intellettuali è noverata oggi fra le rare attrici di pregio intrin-
seco della nostra scena di prosa; e di esse prima senza dubbio
per la spontaneità doviziosa, direi quasi per la improvvisazione,
specie negli scatti della passione caldissima, in cui forse la
moltitudine non avverte alcune scorrettezze di forma lamen-
tate dall'acume della critica. La sua voce metallica, estesa, ca-
pace delle melodie più soavi e più aspre e forti, afferra l'anima
di chi ascolta. Nel suo riso squillante è una giocondità viva e
sincera, nel suo pianto sono solchi profondi di dolore, strazi
di anime, a cui si avvince la folla dominata. In quella bellissima
faccia ebraica (sua madre era figlia del custode della Sinagoga
di Modena, fatta cristiana quando si sposò) sfolgoran due occhi
a mandorla, ricchi di fascino ineffabile; tra le labbra tumide e
procaci affaccian due file di perle grandi ed uguali che attrag-
gono: se la parte inferiore della sua persona rispondesse ar-
monicamente a quella di sopra, Ella sarebbe in ogni rispetto
magnifica. Ho detto più sopra scorrettezze di forma. Avrei do-
vuto aggiungere: inevitabili in chi si abbandona con tutte le
esuberanti doti dell'anima sua d'artista, senza lasciar tempo
né modo alla mente d'infrenarla e guidarla con lo studio pa-
ziente, profondo dell'analisi psicologica in ogni minima parte :
a quell'abbandono di anima si accoppia naturalmente, nell'im-
prowisazione, quell'abbandono di persona che non può tenere
l'artista inconsapevole dal mostrare alcuna volta quelle siffatte
scorrettezze. Ma in ogni modo: com'Ella riempie la scena!
340 REITER
Che anima ! Che vita ! Il pubblico, il quale, più del godimento
intellettuale, si appaga di un godimento immediato che lo scuota
là per là, è assai più soddisfatto davanti a codesta attrice, che
ad altre, forse intellettualmente o artisticamente più.... come
dire?... elaborate. Oggi abbiamo il ** temperamento artistico":
con queste due parole si scusan molte stramberie sulla scena.
Se v'è temperamento artistico, non si può. aver sempre lo spi-
rito rispondente a ogni chiamata. Così: la tale attrice, che è
un gran temperamento artistico, 'sta sera è stata fredda, per-
chè non ne aveva voglia; ier sera fu arruffata, perchè era ner-
vosa, e via di questo passo ; e beati coloro cui tocca ventura
di assistere a una di quelle rappresentazioni, il cui tempera-
mento artistico si esplichi in tutta la sua pienezza. In Virginia
Reiter forse il temperamento artistico, propriamente detto, non
c'è: le analisi nevrotiche non son forse quel che più le si at-
taglia.... Se non avessi paura di essere frainteso, direi che Vir-
ginia Reiter non ha voluto abbandonar compiutamente la scuola
di taluna che la precedette, né accettar a occhi chiusi tutti i
canoni, tal volta a base di oppio, dell'arte moderna.... Insomma:
nella sua modernità e' è sempre della Virginia Marini. Ma la
Reiter è la Reiter....; e, grazie a Dio (anche in ciò somiglia alla
sua egregia antenata), non bisogna al povero pubblico di an-
darle a chiedere, prima di comperare il biglietto : < Scusi : 'sta
sera, ne ha voglia?... > Tra le produzioni nuove, o rinnovate,
la cara artista ha dato l'anima a due: a Madame Sans-Géne di
Vittoriano Sardou, e a Messalina di Pietro Cossa.
Così, e assai bene, il mio Ugo De Amicis comincia uno
studio sull'arte della Reiter nell'interpretazione della prima:
Credo che se Sardou fosse un autore italiano 11 pubblico direbbe eh' egli ha scritto
la Madame Sans-Géne per la signora Reiter, eh' egli ha svolto cosi largamente il carattere
di Caterina perchè l' illustre attrice, presentandosi nei diversi aspetti di questo personaggio
storico, potesse in una sola parte spiegare tutte le sue doti; e credo che chiunque avesse
letta la commedia prima di vederla rappresentata e avesse voluto distribuire idealmente
i ruoli, avrebbe scritto a fianco del nome della protagonista: Virginia Reiter, La parte
è varia, complessa, multicolore come l' arte di chi la interpreta ; la parte non limita il
vigore artistico dell'attrice, lascia che questa domini con tutta la sua originalità, con tutta
la sua valentia.
Quanto alla seconda, a una mia dimanda Ella rispondeva :
Come studio? A lango e non poco.... qualunque sia il reinlCato dei miei studi.
Iji Missalmaì... Dopo letto il lavoro ho voluto studiare il perioniggio. L'ho ri-
cercato nei testi claisici e nei semi-itorìci o romanzeschi ; e cosi, a poco a poco, prima
delle parole della parte, ho imparato a me-
morìs, dirà cosi, ana iigara che mi pareva
aisomigliare alla Imperatrice romana.
Con questo corredo di preparazione ho
ripreso, per poco, lo stadio dei versi e poi le
prmt lentamente, tentando di dar vita a quella
figura che sapevo e che.... il pubblico solo ora
può dire in quanta parte di iwro abbia Teso.
Veramente, oggi che l'arte
drammatica mostra di tendere
alla radicale rinnovazione del
dramma storico, mirando in
ispecial modo alla ricostruzione
fedele dell'ambiente, la Messa-
lina di Pietro Cossa, che pur se-
gnò al suo apparire un sì gran
passo nel progresso della scena,
non mi pareva tale da invogliare "^' ^"""""^ ~ ^•>"'°-
un'artista a infonderle nova vita. Né tale mi pareva, anche,
perchè trattavasì di dramma storico, del quale abbiamo ancor
nella mente e nel cuore il ricordo della interpretazione ma-
gnifica che ne diede la geniale trinità Marini-Tessero-Pezzana.
Comunque sìa, pare che la interprete moderna sia uscita de-
gnamente dalla nuova battaglia.
'.il 1
Rìcci Federigo. Recitava le partì di Pantalone e lo vediamo
in Francia il 1613 e 1620, con la Compagnia di Tristano Mar-
tinelli (V.).
Ricci Benedetto, nipote del precedente, nato il 9 maggio
del 1 592, recitava gl'^naOTora// sotto il nome diZ^aKf^rtj. Pare
fosse il 1 6 1 8 a Napoli, d'onde fu richiamato dall' Antonazzoni (V.),
per essere aggregato alla Compagnia dei Confidenti. Partì il '20
342
RICCI
per Parigi con lo zio ; ma, arrivati a Chambéry, sorpreso da ma-
lore, vi dovette soccombere. La fede del guardiano di Cham-
béry della morte di
f)/^ /. //
Leandro fu spedita a
Venezia, senza dub-
bio sua patria.
Secondo Tinde-
cifrabile oroscopo
che tolgo, come gli
altri, dalla Biblioteca
Nazionale di Firen-
ze, egli avrebbe pre-
so moglie il 1614 e
commesso un omici-
dio il '16.
Ricci -Teodora
(V. Bartot.1- Ricci).
^4
^ Ricci Anna, bo-
lognese « figliuola - dice il Bartoli, di Paolo Ricci, accade-
mico recitante, - che ne' privati teatri di Bologna fece per
alcuni anni un'ottima comparsa. > Entrò con lui in arte, soste-
nendovi le parti à!" ingenua; e di lei dice ancora il Bartoli che
< nelle cose dove la tenerezza affettuosamente campeggi, a
meraviglia riuscì.» Si recò dopo di aver vagato in compagnie
di giro, in Napoli, ov'era nel 1782; passò poi al ruolo di Donna
seriay ammiratissima.
Ricci Orsola, sorella della precedente, entrò in arte e seguì
sempre il padre e la sorella, recitando da Serva. Di questa dice
il Bartoli: < il gentil personale adattato al carattere che sostiene,
una prontezza vivace, ed i modi suoi graziosissimi fanno distin-
guerla per un'attrice pregevole, e degna di quelle lodi, che li-
beralmente le vengono dagli spettatori concesse. >
RICCI 343
Ricci Emilia, pisana, nata dalla civile famiglia Gambacciani,
venuta a povertà, ancor fanciulla, dopo la morte del padre,
sposò Antonio Ricci, padovano, ballerino da corda, assai mag-
giore di lei. Andò con la madre Clarice e col marito a Venezia,
ove recitò nella Compagnia di Antonio Sacco al Teatro Gri-
mani a S. Gio. Grisostomo. Le grazie del volto, la pronunzia
dolcissima, lo spirito non comune fecer di lei un'artista di pre-
gio; sì che, passata con Girolamo Medebach, il Chiari ebbe
a scriver per lei alcune parti, quali la Melania nella Pastorella
fedele, Ipparchia nel Diogene, e altre. Restò sul teatro fino al-
l'anno 1767, dopo il quale, prostrata dalle fatiche che le ave-
van date l'allevamento e l'educazione di cinque figliuole, si ri-
dusse a Venezia, ov'era ancora r82, < ben conservata — dice
il Bartoli - e in buona salute, presso una doviziosa e onorata
famiglia. > Suo marito, per non esser d'aggravio alla famiglia
si recò maestro di ballo nel Collegio di Senigallia, e quivi morì
il 1780. L'anno dopo le morì la madre. Delle cinque figliuole,
Angiola recitò da bimba alcuni prologhi del Chiarì, poi divenne
ballerina egregia e sposò Gaetano Cesari, rinomatissimo grot-
tesco: la seconda, Marianna, fu attrice e ballerina anch' essa col
Medebach e sposò nel '79 Giovanbattista Rotti, Pantalone (V.);
la terza, Teodora, fu moglie di Francesco Bartoli, e notissima
attrice (V. Bartoli-Ricci) ; la quarta, graziosa ballerina, morì
nel '73, appena ventenne; e la quinta, Maddalena, fu egregia
cantante, sposa al bolognese Vincenzo Conti, scenografo di
grido.
Ricci Amato, fiorentino, fu il più forte seguace di Luigi
Del Buono, sotto la maschera di Stenterello. Figlio di Giovan
Batista, pettinalo, la cui bottega esiste tuttora in Via de' Servi,
presso la Chiesa di S. Michelino, si mostrò, da giovinetto, di
spirito più che bizzarro, e fu eccitato a recitare da un Antonio
Palagi, ciabattino, popolarissimo per singolarità di arguzia. La
voce armoniosa, la correttezza della dizione, la spontaneità
de' sali, lo fecer subito amato e ammirato dal pubblico della
Piazza Vecchia, Teatro degli
Arrischiati, sì che vi fu per-
fino chi lo paragonò a Vestri
nella facoltà di trascinare il
pubblico al pianto ed al riso.
Da alcuni manifesti di sua se-
rata, rilevo che Stenterello non
era la sola maschera che figu-
rasse nella Compagnia.
La beneficiata del Ricci
del 31 gennaio 1837 si aprì
con // Matrimonio con la benda
agli occhi con Pulcinella cior-
battino, segretario ignorante e
servitore in casa della miseria ;
e quella del 1 7 febbraio del
1840, si chiuse con una pan-
tomima, adorna di voli e tra-
sformazioni, intitolata: Arlec-
chino bombardato ossia II Gi-
gante Para-Faragaramus.
Forse invece di una vera
e propria compagnia del Ricci,
si trattava di compagnie scrit-
turate, nelle quali poi egli
aveva libertà di azione? Infatti,
al proposito della pantomima,
era detto ; < verrà questa rap-
presentata davarj componenti
la Comica Compagnia, che gra-
ziosamente si prestano. > I ma-
nifesti di beneficiata avevan,
come per tutti gli Stenterelli, W
solito invito al pubblico, ordi-
nariamente in brutti versi mar-
RICCI - RICCIONI 345
telliani. In quello del' 37, invece, figuravano due sonetti, de' più
spontanei e garbati. Il Ricci, poi agente teatrale, entrò in una
certa agiatezza, sì che potè comprarsi al Ponte alla Badia una
villa, detta delle Pagliole, ove morì di cholera, dicono per paura.
Il numero delV Arie di Mercoldì 9 agosto 1855 recava in
terza pagina queste poche parole listate a nero e sormontate
da una croce :
L* artista comico per eccellenza, il conscienzioso ed esperto agente teatrale, attaccato
jeri dal cholera, spirava questa mattina a ore 4 antimeridiane, fra il pianto dei suoi più cari
e il lamento di tutti quelli che apprezzavano il di lui talento e le sue rare virtù.
Ricciolina o Rizzolina. Dal libretto della Scena Illustrata
Francesco Bartoli riferisce : < Comica che recitava la parte della
serva in età avanzata in un carattere grave e prudente, all'op-
posto di Fiammetta sua compagna, nella unione de' Comici affe-
zionati. Viveva ancora l'anno 1 634. > Ma né di questa, né di altri
personaggi degli Affezionati ci fu possibile dar notizie. Il D'An-
cona (II, 5 34) riferisce alcune parole di Federico Zuccaro nel suo
Passaggio per Italia con la dimora in Parma, pag. 28, riguar-
danti il 1605, nelle quali é detta la Compagnia di Frittellino, <la
migliore forse che sia oggidì, guidata dal Capitano Rinoceronte
e Frittellino, con le lor donne meravigliose, la Flavia, la Flaminia
e la Rizzolina, con Arlichino e altri due, etc. etc. > Questa Riz-
zolina potrebbe anch' essere la Marina Antonazzoni, la quale,
secondo l' articolo del Neri, avrebbe recitato ne' Gelosi le parti
di serva sotto nome di Ricciolina, prima di salire al grado di
prima donna sotto quello di Lavinia, a vicenda con la Roncagli.
Ma mi tengono anche in dubbio le date lasciateci dall'oroscopo,
secondo le quali ella avrebbe avuto il 1605 dodici anni (V. An-
tonazzoni, al cui nome é anche l'illustrazione di G. Callot).
Riccioni Barbara. È citata dal Bertolotti, per l'anno 1693
a Mantova, come cortonese, comica al servizio di S. A. insieme
a un Domenico Cecchi, pur di Cortona. Ma era cantatrice, ed
ebbe parte principale il 1694 al Teatro Malvezzi di Bologna
nella Forza della Virtù, assieme alla celebre Mignatta, Maria
44. — / Comici italiani. Voi. II.
346 RICCIONI - KICCOBONI
Maddalena Musi (V.) citata erroneamente fra le attrici del teatro
di prosa.
RiccoboniAntonio, veneziano, comico egregio per le parti
di Pantalone nella Compagnia al Servizio del Duca di Modena.
Luigi XIV richiese al Duca di Modena il Riccoboni, il quale,
colpito dalle parole cortesi di rammarico che il Duca gli volse
nel licenziarlo per la Francia, rifiutò di recarvisi, qualunque fos-
sero i patti offertigli. Secondo i Fratelli Parfait, seguiti poi dagli
altri, la richiesta del Re fu causata forse dal fatto che poco
piacque a Parigi il Pantaloncini cui s'ignora il nome), il quale
andò a sostituir Turi, egregio artista (V.), morto il 1670.... Ma
questa non è che un'ipotesi; e anzi, il Robinet, citando il nuovo
Pantalone, nella sua lettera in versi dell' 8 marzo 1670, dice:
tous les acteurs de cette troupe,
qui maintenant ont vent en poupe,
compris leur nouveau Pantalon^
rouge, ma foi, jusqu'au talon,
y font a Tenvi des merveiiles.
Questo Pantalone ignorato essendo stato V ultimo Panta-
lone andato a Parigi, e non trovandosi poi citato più da alcuno,
è probabile che la richiesta del Re di Francia avvenisse poco
dopo il '70.
Avanti di esser Comico al Servizio del Duca di Modena
(ma non sappiam quando), Riccoboni era a Napoli ; e ciò sap-
piam da una supplica del '74 al Duca, in cui egli espone: che
certo Bartolomeo Pavia modenese, suo servo, partitosi con lui
da Napoli, per recarsi a Modena al servizio di quell'Altezza
Serenissima, a Gaeta se ne fuggì con danaro parte prestatogli,
e parte affidatogli. E trovandosi ora detto servo a Modena, in
casa del conte Sertorio, e potendolo pagare, Riccoboni supplica
il Duca perchè vi si adoperi....
Il Riccoboni doventò il conduttore della Compagnia du-
cale, invece di Costantini, e il luglio del '77 Alfonso d'Este ne
sollecitava il passaporto per tale ufficio.
RICCOBONI 347
Lo vediamo il '79, Pantalone a Londra, non sappiam se
solo o con la Compagnia, ma certo al servizio sempre di Don Al-
fonso,... come ci fa sapere la moglie Anastasia (probabilmente
non comica), la qucde, lontana dcd marito, senza mezzi di sus-
sistenza, e più con cinque creature da allevare, si raccomanda
alla solita pietà e munificenza del Duca.... Delle cinque crea-
ture non abbiam notizia che di due: Luigi, Lelio, del quale
s'avrà da discorrer lungamente, e Bartolomeo, soldato di for-
tezza di Modena, che il giugno dell* '83, provocato da altro
soldato di fortezza, figlio di Carlo Curti della guardia del Duca,
e seco lui costretto a battersi con la spada, lo distese morto,
passandogli il fianco.
Fra i documenti che concernon la Compagnia del Duca,
ov'era Pantalone, ve n'ha uno del 1681, che comprende la nota
della paga per ognun de' comici in sessanta ducatoni d'argento,
e queste parole aggiunte: l'anno 1682 gli donò Sua Altezza
vinti doble per ciascheduno Comico, et erano in dodici sì che
l'ordine fu di doble 240 in tutto, e poi l'Altezza Sua si disfece
della Compagnia. E ancora più sotto: in quest'anno a dì 20 gen-
naio si attaccò di notte il fuoco al Teatro Valentino ; e in poche
ore restò affatto incenerito. Si proseguirono però le Comedie
nella Sala detta della Biada, ove d'ordine di Sua Altezza si fe-
cero la scena, e qualche palchi per modo di provisione.
Fra le carte di Don Alfonso furon rinvenute parecchie cam-
biali di comici fra cui di Riccoboni, in data del 28 aprile 1677,
che riferisco testualmente:
Ricevo Io Antonio Rico Bon per puro imprestido dal E.s'» Sig.' don Alfonzo deste
dopie di italia dieci per restntirle a piacimento di Sua Sele.^^ a chi comanderà e presenterà
la presente riceuta. j^ Antonio Rico Bon mi confermo nero e legitimo
Debitore et obliga ogni mio Avere.
Altro documento ci fa sapere che S. A. diede la sussistenza
in ragione di due doppie al mese per ciascheduno dei comici
dal 1° maggio 1686. L'agosto del 1687 Riccoboni lasciava ri-
cevuta al tesoriere Zerbini del prestito di dieci doppie, ossia
lire 330, obbligandosi di rilasciarle a due al mese.
348 RICCOBONI
Al nome di Torri Antonia, è T elenco della Compagnia
pel 1688. Pel carnovale di quell'anno furon distribuite con or-
dine del 7 marzo '89 doble centocinquanta d' Italia, ai. dodici
comici, fra* quali il Riccoboni, ritenendo doble venticinque pre-
state il maggio.
Il 9 d'agosto deir '89 gli furon rimborsate lire 83, spese
nel trasporto della condotta per barca dal Finale a Modena.
Il '95 egli si rivolge al Marchese Pio perchè voglia con-
fermargli e continuargli < la gloria già goduta da lui con tanta
venerazione, ordinando che gli sia rinnovato il Passaporto, e
repplicata la segnalata dichiarazione d'attuale servitore etc. >
Con altra supplica dello stesso anno implora un sussidio, che
gli è accordato.
A questo punto cessano le notizie di Antonio Riccoboni.
Riccoboni Luig^. Figlio del precedente, nato a Modena
verso il 1675, esordì quale Innamorato nella Compagnia della
Diana, moglie di Giovanni Battista Costantini, al servizio di
quel Duca, diretta sotto il nome di Federico, che mutò poi in
quello di Lclio^ sembrato alla direttrice più teatrale; e diede
subito prova di gran valore. Traggo dall'Archivio di Modena
la lettera seguente ricca d' interesse per gli scrupoli religiosi
da cui fu preso, poco più che ventenne :
Ser.»n» Altezza,
Luigi Riccoboni seruo, e sudito hum.^o del A. V. humilmente li narra, come ha
esercitato l' arte comica per il spatio d* anni quatro, e ciò ha fatto per esser figlio d' An-
tonio che ha seruito tant'anni la Ser.ina Casa per Pantalone nel qual tempo ha conosciuto
apertamente, et indubitatamente esser impossibile, esercitandola, il poter saluar l'anima
sua, e su questa certezza l* anno scorso haueua determinato di lasciar tal arte, e ritirarsi
in un Monastero, e che sij il nero col Padre Guardiano de Zocolanti di Cento trattaua
tal interesse; ma perchè quelli che esercitano tal arte sono senz'anima, e pieni d'iniquità
fecero che fu chiamato a recitare dal Ser.^o di Mantova, dal quale non si potè difendere
con tutto li rapresentasse l' impegno che haueua con tal Padre, le lettere che fra essi cor-
reuano, e l' inclinatione e genio che haueua di farsi Religioso ; si conuenne adunque con>
tinuare il recitare con mille inquietezze d'animo, pretendendo li Compagni farli sposare
l'Argentina Comica, del che se ne diffese. Finito l' anno prima che fosse impiegato notifico
al Sig.*'^ Co. Cesare Rangoni protettore de Comici del A. V. S. che non l'impiegasse,
che non uoleua più far tal arte, ma guadagnarsi il pane in gratia di Dio, e più honora-
RICCOBONI
tMnente, e perchÈ hor& li pernicDe al orechio che Leuidro primo Motoio l' babbi deitliutto
prr suo secoDdo, e che ni lij l'uienio del snil.o Sig.'= Conte, contro sua nolonta, ricorre
al Innata bonti del A. V, S. • gratiarlo che non «ij sroriato a far arte dì Unto ano pre-
giaditio, e non dubita d'ottener dò, upendo quanto l'A. Sna sia Christiana, che non per-
mettere che offenda dio eiercitandola, e non icorra pericolo di iposare la già nominata
Argentina che pure è in detta Compagnia, certo alhora di non lasciar mai [ùù tal me-
stiere, e piombare al Inrerno. Che della gratta, etc.
Di fuori :
A S.
. Ser.™>
- Per Lnigi Riccoboni (1696).
Ma la difesa pare non fosse che del momento, però ch'egli
sposò difatti VArgenlina, Gabriella Gardelini (V.), sorellastra
di Francesco Materazzi, Ìl dottore della Com-
pagnia (V.), che gli morì giovanissima, e da
cui non ebbe figliuoli.
Rimasto vedovo, passò a seconde nozze
con Elena Virginia Balletti (V.), famosissima
attrice, e più nota col nome di Flaminia; e
li vediamo con la lor Compagnia al Vecchio
Teatro Comunale di Modena in Via Emilia
il dicembre del 1709, il carnovale del 17 io,
l'aprile del 1 7 1 2'. Alessandro Gandini {op. cii.)
riferisce il seguente racconto tratto dalle me-
morie manoscritte del Ronchi :
Si dice che il Riccoboni, sulle scene il Lelia, fn fatto arre-
stare per istanza a S. A. S. di alcnni Cavalieri, i quali nella aera
delli 1 1 gennajo del 1 7to avendo recitato, e sperando di avere la
Corte, questa invece andò al Teatro ove recitava il Lelia. Questi
si permise alla fine della sna produzione di ringraziare ì Sere-
nissimi dicendo che le grotte delle ZL. AUeue erano slimatiisime,
t maitime più guaiido erano conferite con fire/erenta, alludendo
alla venuta delle Serenissime piottosto da lui che dai Cavalieri,
i quali adontati, ottennero che il Marchese Lodovico Raagom
lo coiuigliasie a costituirai in prigione, al che aderendo il Lelio, venne nelli
per mezio delle Serenissime latto porre iu libertà all'ora della redta.
E questo mi par provi in quale stima fosse tenuto da S. A.
il Riccoboni, che aveva già cominciato a far tanto parlar di sé
pe' suoi tentativi dì Riforma del Teatro Italiano, sostituendo
alla Comedia delF arte, buone opere scritte, tolte dall'antico re-
pertorio, quali So/onisba del Trissino, Semiramide di Muzio Man-
RICCOBONI
fredi, Edipo di Sofocle, Torrismondo del Tasso, e altre, e altre,
che troppo sarebbe voler qm enumerare, le quali allestì al pub-
blico con molto decoro, e recitò con molto valore. -Aproposito
^^^^ della recitazione tra-
it^" fi gica, è opportuno ri-
ferire quel che dice
Pier Jacopo Martel-
lo nel volume I delle
sue opere (Bologna,
Lelio dalla Volpe,
MDCCXXXV):
ti vo'dargiuto
con aenteazìsre, che t' Italia-
no va a piacere con più ra-
gione degli altri, ae più com-
mozione dogli Franiesi, e più
gravità dagli Spagnuoli pren-
decì in prestito nelle Scene.
Di questo mescolamento mi
dA grande speranza LwgiRie-
cobuoni detto Lelio Comico,
che con la lua brava Flaminia
si è dato non solo ad ingenti-
lire il costume pur troppo ril-
[ano de' vostri Istrioni, col
rendere V antico decoro alla
comica professione, ma reci-
tando insieme co' anoi com-
pagni regolate e sode tragedie,
le rappreienta con TÌvaciti, e
con fermeiia conveniente ai
soletti, che tratta, dimodo-
ché potete voi dargli il giu-
sto titolo di vero Riformatore
de' recitamenti Italiani.
Ma la vittoria
del Riccobonì non
poteva dirsi compiuta, ove fosse mancato il successo a Vene-
zia, la Capitale d'Italia pel teatro di prosa. E pur troppo vi
mancò: la commedia improvvisa coi suoi arlecchini, co' suoi
brighella, co' s\ì.q\ pantaloni, imperava sovrana, e Riccoboni, che
RICCOBONI 351
non aveva avuto dalla natura il genio di opporre a quella una pro-
duzione nuova, destinata a migliorare gradatamente il corrotto
gusto del pubblico, dovette soccombere. Scoraggiato, avvilito,
deliberò di accettar l'invito che gli venne di Francia di formare
una Compagnia italiana per Parigi, al servizio del Duca d'Or-
léans, il Reggente, sperando di realizzare colà il sogno che
aveva tentato invano di realizzare in patria. Ma, ahimè! Avevano
i letterati un bel chiamarlo riformatore ! Neanche Parigi volle
sapere delle commedie di òuongusio; epriniB. ancora di aprire il
teatro, egli dovette obbedire, e cedere alle voglie del pubblico,
che non si aspettava dagl' italiani se non uno sregolato riso.
Essendo V Hotel de Bourgocrpie in riparazione, la compagnia
recitò al Palais Royal, alternativamente con l'opera, comin-
ciando la sera del 1 8 maggio, nel nome di Dio, della Vergine
Maria, di San Francesco di Paola e delle Anime del Purgatorio,
con La Felice Sorpresa, che ebbe un grande successo davanti
a un pubblico affollatissimo : l' introito, e i posti costavano un
terzo meno che un secolo più tardi, fu di lire 4068.
Il 20, fu pubblicato un ordine del Re, col quale la Com-
pagnia Itcdiana era ufficialmente stabilita; e lo stesso giorno
si recitò la commedia a soggetto Arlecchino buffone di Corte,
che destò vero fanatismo, a segno che le Dame si credettero
in dovere di studiar l' italiano ; coloro che l' insegnavano, diven-
taron di moda, ed era di somma eleganza averne la sera uno
in palco, il quale spiegasse il lavoro.
Or ecco l'elenco della Compagnia:
UOMINI
Pietro Alborghetti di Vtnt:^a Pantalone
Francesco Materassi di Milano Dottore
Luigi Riccoboni detto Lelio di Modena ... 1° Amoroso
Giuseppe Baletti detto Mario di Monaco . . 2° Amoroso
Jacomo Rauzini di Napoli Scaramuccia
Giovanni Dissoni di Bologna Scapino (i° Zanni)
Tomaso Antonio Visentini di Fene^ia. . . . Arlecchino (2° Zanni)
Fabio Sticotti Cantante e Generico
352 RICCOBONI
DONNE
Elena Baletti detta Flaminia di Ferrara . . i* Amorosa
Zanetta Rosa Benozzi detta Silvia di Tolosa . 2* Amorosa
Margherita Rusca detta Violetta di VeneT^ia . Servetta
Orsola Astori di VeneT^ia Cantatrice o Chanteuse
Fu lor concesso il titolo di Comici di S.A.R. il Signor Duca
d' Orléans, Reggente; e sappiamo che Riccoboni, prima di partir
dall'Italia e di stringere il patto, aveva indirizzato al Duca di
Parma il seguente memoriale :
i^ La Compagnia latta supplica umilmente Vostra Altezza Serenissima di farle accor-
dar la grazia di cui godettero i suoi predecessori, che ninna Compagnia italiana sia rice-
vuta a Parigi sotto alcun pretesto, quand' anche tutti i Comici parlassero francese ; e sia
generalmente vietato a qualsiasi altro di servirsi de' costumi éUlU Maschere del Teatro
Italiano, quali deU* Arlecchino, dello Scaramuccia, del Pantalone, del Dottore e dello Sca-
pino; et anche del Pierrot, che, se ben francese, è nato dal teatro italiano.
2^ I Comici, augurandosi di servir Sua Maestà in pace e con buona fieuna, diman-
dano che in nessun tempo sien ricevuti nella Compagnia della famiglia dei Costantini, per
la quale, tutti sanno che i Comici italiani lor predecessori, vennero in disgrazia della Corte.
3<^ Essi domandano umilmente sien lor concesse le danze e la musica negl'inter-
mezzi, come furon concesse a' predecessori.
4<^ Se alcuno de' Comici avesse la sciagura di non incontrare il favor della Corte
e della Città, sta data alla Compagnia facoltà di rimandarlo con un regalo, e di fame venire
altro al suo posto.
5<^ I Comici supplicano Sua Altezza Serenissima di far vive istanze alla Corte, perchè
sia loro concesso, come in Italia, il libero uso dei Santi Sacramenti ; molto più che essi
non reciteranno mai nulla di scandaloso, e Riccoboni s' impegna sottopor gli scenarj delle
comedie all' esame del Ministero, e anche di un Ecclesiastico, per la loro approvazione.
Il Principe Antonio di Parma inviò al Duca Reggente il
Regolamento della Compagnia già approvato, senza che né
in esso, né in quello del Duca d' Orléans fosse più fatta men-
zione della Compagnia Costantini, alla quale il Riccoboni, es-
sendo la sua scrittura una semplice aggiunta a quella della
moglie, aveva accennato: e forse la ragione di quell'accenno,
sta in ciò, che trovandosi il Costantini a Parigi, ove s'era fatto
impresario nel 1 7 1 2 di spettacoli alle fiere di San Germano e
di San Lorenzo, il Riccoboni ne temeva l'ingerenza nella nuova
compagnia. Ingerenza, che con sollecitazioni e raccomanda-
zioni non mancò, poiché gli fu affidato un ufficio amministra-
RICCOBONI 353
tivo; ma, fortunatamente egli lo disimpegnò sì male, che poco
tempo dopo fu congedato.
I Comici tutti, senza distinzione, compreso Riccoboni,
ebber nell'azienda parti uguali. La cassa fu tenuta dal Dis-
soni (V.); e preposti alle spese furono Alborghetti (V,), e Ma-
terazzi. Ognuno doveva pensare al proprio vestiario, eccet-
tuato Fabio Sticotti, marito di Orsola Astori, la cantatrice, al
quale eran forniti gli abiti dalla Compagnia, e da essa poi con-
servati insieme agli altri che le appartenevano, come di com-
parse, ecc.
Luigi Riccoboni fu naturalizzato francese con lettera del
giugno 1723, insieme alla moglie, e al figliuolo Antonio Fran-
cesco Valentino; il 5 aprile '27 ottenne il permesso per due
mesi di recarsi a recitare in Inghilterra, e il 25 aprile '29 l'au-
torizzazione di ritirarsi dalle scene insieme alla moglie e al
figlio con l'annua pensione di lire idoo per sé e per la moglie.
Tal fatto fu annunziato nel Mercurio di Francia del maggio
seguente, con molte parole di lode.
Stette il Riccoboni con la famiglia due anni a Parma ; po-
scia, il novembre del '31, fé' ritorno a Parigi, dove, fuor della
scena, morì a settantotto anni il 6 dicembre del '53, e fu se-
polto l'indomani al San Salvatore. L'atto di morte lo dice
Antico Ufficiale del Re.
Pare che a Modena si fosse sparsa, molti anni prima, la
notizia della sua morte, poiché abbiamo un brano di lettera
del 1° gennaio 1735 ì" quell'Archivio di Stato, così concepito:
< Il povero Riccoboni, che avevamo mandato all'altro mondo,
vive sempre, e sempre bravo modenese. >
Molte sono le opere di teatro ch'egli scrisse, ma tutte
ohimè giacenti nell'oblìo. Vivono invece quelle sul teatro, con-
sultate da chiunque si dia a tal genere di studj, e specialmente
La storia del Teatro italiano^ opera più che altro di polemica,
per quella benedetta quistione della derivazione della comme-
dia dell' arte dall' antica Atellana, e dello Zanni arlecchino dal-
l'antico Sannio, che aveva sotto certo rispetto le stesse carat-
45. — I Comici italiani. Voi. II.
354 RICCOBONI
teristiche del costume : quistione non ben risolta tuttavia. Tale
opera comprende anche un catalogo di tragedie e commedie
pubblicate per le stampe dal 1500 al 1600; e per comporta
egli dovè far capo sempre al famoso raccoglitore e amico dei
comici Gueullette, come si rileva dalle sue lettere, nelle quali
ora domanda, per dar l'ultima mano al suo lavoro, Le livre sans
nom, ora V Arliquiniana, ora la Bibliothèque des théatres. Uomo
di gran cuore, benché d'umore atrabiliare, si raccomandava a
Gueullette in una lettera del settembre 1739 (lunedi), perchè
andasse con lui ad assistere il povero Thomassin, Visentini, mo-
rente ; e soprattutto per indurlo, prima della morte, a pensare
alla sua famiglia. Ma ecco, senz'altro, l'elenco de' suoi scritti
per ordine cronologico di pubblicazione :
Dell'Arte Rappresentativa. Cap.^sei (3» rima). Londra, MDCCXXVIII.
HiSTOiRE DU Théatre Italien, etc. etc. A Paris, Chez André Cailleau,...
MDCCXXXI. Due grossi volumi in-S"*, adorni di 18 illustrazioni in
rame di maschere incise da Joulain.
Nuovo Teatro Italiano, che contiene le commedie stampate e recitate dal si^
gnor Luigi Riccoboni detto Lelio. In Parigi, appresso Briasson,
MDCC XXXIII. Tre volumi in-i2°, con testo francese a fronte.
Observations sur la comédie, et sur le genie de Molière. Paris, Pis-
sot, MDCC XXXVI. Un volume in-I2^
RÉFLEXIONS HISTORIQUES ET CRITIQUES SUR LES DIFFÉRENTS ThÉATRES DE
l'Europe, avec les pensées sur la Déclamation. A Paris, Jacques
Guerin,. MDCC XXXVIII. Un grosso volume in-8°.
De la Réformation du Théatre. Paris, Debure Pere, MDCCLXVII.
Un volume in-i2°.
Una curiosa lettera a Pier Iacopo Martello, da Verona 6 settem-
bre 17 14 {Lettere inedite d'illustri italiani, Milano, Classici, MDCCC XXX),
in cui dà ragguaglio della Fuhia, pastorale dell'abate Giovanni Bravi,
della quale tutti i letterati dicevan mirabilia, giudicandola superiore
diW Aminta nello stile, al Pastor Fido nello spirito, e impeditane la
stampa dai Revisori « per certi baci ed amplessi forse un po' troppo
teneri. y>
Fra le tante curiosità bibliografiche del teatro italiano, è
da notare un rarissimo libretto di M. Musard (Parigi, 18 io),
in cui sono aggiunti alle Parades des Boulevarts, alcuni Lazzis
RICCOBONI 355
d'ArLEQUIN, CONxés JADIS À LELIO PAR LE CÉLÈBRE CaRLIN
SUR LE THÉATRE DE LA CoMÉDIE ITALIENNE (CoU. Rasi).
Riccoboni Francesco. Figlio del precedente, nacque a
Mantova il 17.07 e andò coi parenti a Parigi il 17 16. Esordì
alla Comedia italiana il io gennajo '26 con la parte di amoroso
in La Surprise de l'Amour^ commedia di Marivaux, presentato
al pubblico dal padre Lelio con un fervorino, che ispirò a un
anonimo i seguenti versi :
Pour ton fils, Lelio, ne sois pas alarmé,
Il n'a pas besoin d'indulgence ;
D'un heureux coup d'essai le parterre charme
N'a pu lui reiuser toute sa bienveillance.
Pour ses succès futurs cesse donc de trembler,
Que nulle crainte ne t'agite,
Si ce n'est d'avoir dans la suite
Un généreux rivai qui pourra t'égaler.
Uscì Francesco dalla Comedia italiana il 25 aprile '29
coi genitori, per rientrarvi nel '31 con tre quarti di parte; e
si presentò sotto le spoglie di Valerio negli Amants réunis,
commedia di tre atti in prosa di Beauchamps. Ne uscì di nuovo
il '36, e recitò un anno in provincia, dopo il quale riapparve
alla Comedia italiana il 21 marzo '37 in una parodia di Alzira,
intitolata Les Sauvages, di Giovan Antonio Romagnesi.
Il 14 dicembre del '49 domandò e ottenne il riposo; ma
eccolo di nuovo alla Comedia italiana il 2 1 aprile '59 con 500 lire
mensili di stipendio. Aveva sposato il 7 luglio 1 7 34 Marie Jeanne
de Heurles de Laborras de Mèzières, nata a Parigi il 17 13,
entrata alla Comedia italiana il 23 agosto '34 col ruolo di amo-
rosa, che mutò per insufficienza con quello di madre, e assai
nota per una quantità di romanzi, che furono in voga al suo
tempo. Lasciò il teatro nel *6o, e morì a Parigi il 7 dicembre '92.
Francesco Riccoboni, che il Grimm assicura essere stato
attore freddo e pretenzioso, compose un trattato : L'Art du
THÉATRE (Paris, MDCCL), pubblicato poi in italiano a Venezia
356 RICCOBONI - RIGETTO
da Bartolommeo Occhi nel MDCCLXII, e molte commedie sia
da solo, sia in collaborazione con Dominique e Romagnesi.
Fra le prime il Des Boulmiers cita Les Caqtcets; ma si sa dallo
stesso autore che i primi due atti sono opera di sua moglie.
Ciò suggerì a Geoffroy (Appendice del 1 2 vendemmiale anno 1 1)
queste parole :
L'aatear, en mari galant, mit sar le comte de sa femme les deax premiere actes
des Caquets^ lorsqu'il les fit imprimer; ce n*ètaii pas un mediocre cadeau, qn'il lai faisait,
car le premier acte est le meilleur. Il est possible qn'il y ait plns de jnstice qne de galan-
terie dans le procède dn mari, car Madame Riccoboni a fait des romans qui valent mienx
qne la comédie des Caqueis.
Una delle opere da citarsi del Riccoboni è la parodia
della Semiramide di Voltaire, della quale Crebillon diede un
giudizio assai favorevole, sebbene il Colle, accanito contro gli
italiani, lo ritenesse sospetto di parzialità.
A proposito della loro recitazione nel maggio 1765, lo
stesso Colle {Journal historiqué)^ dice :
GÌ' introiti degl' italiani diminuiscono a vista d' occhio. Io desidero cordialmente che
questo teatro di cattivo gusto, e che non serve se non a corrompere il buono ed il vero,
fìnisca una buona volta, e sien rinviati tutti codesti istrioni in Italia. Il teatro francese
ci guadagnerebbe qualche lavoro di Marivaux, ben recitato dai nostri artisti, e massacrato
oggi da codesti buffoni d'italiani.
La freddezza del nostro artista accennata dal Grimm, pare
non fosse che su la scena; poiché il Campardon riferisce una
querela di Giacomo Lavaux, macchinista della Comedia italiana,
per esser stato insultato e aver ricevuto da lui un calcio nel
ventre e uno schiaffo.
Francesco Antonio Valentino Riccoboni, noto in teatro
col nome di \j^iao figlio, morì a Parigi il 14 maggio 1772, e
fu sepolto due giorni dopo nella chiesa di San Lorenzo.
Rigetto Gian Paolo. Nel movimento della popolazione man-
tovana per gli anni 1 590-1 591, riferito dal Bertolotti {pp. ciL)^
trovo: al IO dicembre '90 Gio. Paullo Rigetti, bolognese, che
abitò con la Camia, la de Msissi, l'Anelli da Domenico Torni ;
RIGETTO - RIGHETTI 357
e al 5 maggio 'gì Gio. Paolo de Rigetti, del Friuli, con un
ragazzo, che si fermò due giorni soltanto, e alloggiò all'Al-
bergo della Fortuna.
Righetti Francesco. (Detto, in arte, Righett<me. per la forte
e alta persona, e per distinguerlo da Domenico), nacque il 1 770
a Milano, di civile famiglia, e fu sotto il Governo napoleonico
Sotto- Prefetto. Perduto l'impiego, tornò all'amor della scena,
in cui aveva fatto da giovine buone prove coi filodrammatici,
e si scritturò con Rossi, colla Goldoni, colla quale lo vediamo
il 14 giugno 1 8 1 5 rappresentar la parte di Sole nella Caduta di
Fetonte dell' Avelloni, poi con Dorati, prima padre nobile, poi
caratterista, nel qual ruolo entrò il '22 nella Compagnia Reale
Sarda, e vi fu accl9.matissimo, fino al '28, anno della sua morte.
Recitò per l'ultima volta neirC?(^w ereditario del Cosenza, e la-
sciò nella Compagnia un grande vuoto che non potè essere col-
358 RIGHETTI
mato se non Tanno dopo da Luigi Vestri, il quale, vedi bizzarria
del caso, recitò per V ultima volta in quel medesimo dramma
tredici anni più tardi.
Fu autore di un Teatro italiano, edito a Torino da AUiana
e Paravia, in tre volumi, il primo dei quali comprende la Storia
del Teatro italiano di Luigi Riccoboni, tradotta e ridotta, pre-
ceduta da alcuni cenni biografici di lui, il secondo lo Stato at-
ttuile del Teatro italiano, in cui sono notizie preziosissime di
attori e attrici del suo tempo, e il terzo uno Studio sull' arte
della Declamazione teatrale.
Nella Compagnia Reale Sarda, almeno per Tanno 1825-26,
aveva lo stipendio annuo di lire 6000 con tre serate a mezzo,
secondo Tuso comico. Di lui la Gazzetta dì Genova del 18 set-
tembre 1822, delTanno, cioè, in cui egli entrò a far parte della
Compagnia, scriveva: « Il signor Righetti, nemico dei lazzi
volgari, conosce la difficile arte di saper cogliere dagli spetta-
tori sensati il desiderato sorriso di compiacenza. >
Righetti Domenico. Nato di famiglia patrizia in Verona
il 1786, fu educato a Venezia nel Collegio dei Nobili. Appas-
sionatissimo pel teatro, entrò nella Compagnia Fabbrichesi,
passando poi in quella di Paolo Blanes e dei Fiorentini di Na-
poli, ove condusse in moglie Vincenza Pinotti, figliuola di
Francesco, vezzosissima giovinetta, ed artista valente, che so-
stenne con molto plauso le parti di prima attrice giovine e prima
attrice, in Compagnia Reale Sarda sotto la Bazzi. Il Righetti,
entrato il 1821 con la moglie in detta Compagnia, al momento
della sua formazione, vi sostenne ammiratissimo le parti di
primo attore, a vicenda con Luigi Romagnoli.
Passò poi a quelle di padre nobile, a vicenda col Bocco-
mini, per diventare dal '43 al '49, anno della sua morte, am-
ministratore e direttore della Compagnia, nel qual ufficio fu
poi sostituito dal figlio avvocato Francesco.
Aveva con la moglie Vincenza, il *2 5-'26, lire annue 7500,
e una serata a mezzo.
RIGHETTI - RIOLO 359
Fu traduttore e riduttore di molte commedie, e autore di
un Carlo Goldoni a Parigi e di un Matrimonio di Goldoni, che
ebber liete accoglienze.
A lui dedicò il Bazzi i suoi Primi rudimenti de It arte
drammatica.
Rinaldi Pietro. Di nobile famiglia veronese, dovette per
dissesti finanziari darsi all'arte comica, esordendo nella Com-
pagnia della Battaglia, e passando poi in quelle di Giuseppe
Lapy, e di Luigi Perelli, nella quale ultima era al tempo di
Fr. Bartoli (1782), Innamorato ammiratissimo. Fu anche scrit-
tore di versi, e lo stesso Bartoli riferisce un prologo, né dei
migliori, né dei peggiori, ch'egli dettò per Luigia Lapy, quando
assunse in Cremona il ruolo 6ì prima donna, e ch'ella recitò,
applauditissima, spettatrice Maddalena Battaglia, alla quale
eran rivolte assai parole di lode, e la quale terminava allora
di recitare su le medesime scene.
Ringhierì Francesco. Ottimo artista, per le parti di tiranno
in tragedia, nato verso il 1790 a Verona, figurò negli elenchi
delle migliori compagnie sino al 1 840.
Riolo Stefano, palermitano, figlio di Vincenzo, pittore di
bella fama, nacque il 4 ottobre del 181 1. Trascinato all'arte da
una forza invincibile, fu affidato agi' insegnamenti di Angelo
Canova, artista di alta riputazione, e con lui stette parecchi anni.
Passò poi nella Compagnia Tessari ai Fiorentini di Napoli qual
primo amoroso, e vi esordì applauditissimo la quaresima del 1 836
col Polinice n^Eteocle e Polinice di Alfieri. Fu il' 3 8 nella Com-
pagnia Goldoni diretta da F. A. Bon, poi primo amoroso ^primo
attore tragico nella nuova Compagnia Alfieri, a fianco di Madda-
lena Pelzet. Lo vediamo il '43 con Carolina Internari, e dopo
con Luigi Taddei, per darsi finalmente al capocomicato con la
moglie Adelaide, figlia dell' attore e scrittore Luigi Forti, che
aveva già levato bel grido di sé come prima donna. Ma toltosi
RIOLO - RISTORI
dalle principali compagnie, la sua rinomanza si arrestò come
d'un tratto, ed egli dovette contentarsi di percorrere con com-
pagnie modeste, per quanto decorose, i teatri di minor conto.
Lo vediamo il settembre del '46, momenti di fanatismo pel
nuovo Pontefice Pio IX, a Tolentino; e il cronista ci dice che
ogni sera si facevan dimostrazioni di giubilo, si sventolavano
dai palchi banderuole, s'intrecciavano pezzuole bianche-gialle
tra palco e palco, intanto che uno scelto coro di cantori venuto
per le musiche sacre intuonava l'inno a Pio IX di Rossini.
Stefano Riolo morì il 13 ottobre dell' 87. Ebbe una figliuola,
Teresina, da lui iniziata all'arte, che fu al suo fianco applau-
dita prima attrice, e si va oggi esercitando, direttrice di filo-
drammatici a Milano.
Ristori Tommaso. Attore pregiato nelle parti di Coviello.
e più pregiato Impresario del Principe elettorale di Sassonia
Giovanni Giorgio III, eh' egli aveva accompagnato nel suo
viaggio in Olanda, nacque il 1 600. Federigo Augusto, l'amante
RISTORI 361
deirarte, che dopo la riconquista della Polonia aveva con-
dotto a fine il disegno di una Corte splendida a Varsavia con
opera e commedia italiana, volle anche a Dresda procurare
un tal godimento; e il 2 settembre del 17 14 furono antici-
pati 4000 fiorini imperiali al Ristori, comico di S. M. il Re
di Polonia, allora a Venezia, pel viaggio in Sassonia pas-
sando per Vienna e Praga, della Compagnia di cui faceva
parte sua moglie Caterina, di cinquantotto anni, sua figlia
Maria di diciotto, e suo figlio Giovanni che tanta importanza
s'acquistò più tardi all'Opera di Dresda, ove morì del 1753,
di ventidue.
Tommaso Ristori aveva - dice il suo passaporto d'allora,
tuttavia esistente - i capelli castano-chiari, e vestiva un abito
conveniente rosso, orlato d'oro. Tornò il' 1 7 in Italia per iscrit-
turar nuovi attori da sostituire agi' insufficienti, e sotto la di-
rezione del figlio Giovanni furon rappresentati Intermezzi e
Pastorali : e sebbene il Re Augusto prediligesse la Compagnia
francese, ch'egli manteneva alla Corte insieme alla italiana,
questa non ebbe mai a patirne; e Tommaso Ristori, special-
mente, s'ebbe per grazia del Re con decreto del 20 marzo 1 7 1 7,
un regalo di 269 scudi, come « chef de la Troupe italienne, tant
pour faux frais dans son voyage, que pour autres pertes et
dépenses extraordinaires. > Licenziata la compagnia del 1732,
anche il vecchio Ristori con la moglie se ne tornò in Italia, ove
morì poco tempo dopo.
Ristori Griacomo. « Napolitano Capo Comico rinomatis-
simo, che condusse per molto tempo una Truppa di esperti
Commedianti, recitando egli medesimo da Primo Innamorato.
Fu uomo di somma riputazione in riguardo a' meriti suoi tea-
trali, per essere stato un modello del Comico eccellente. Si fece
gran concetto nella Città di Napoli, e per il Regno. Lasciò di
vivere intorno al 1730 Così Fr. Bartoli.
Forse il precedente, di cui Bartoli ci diede il nome errato?
Dopo la prima gioventù potrebbe avere abbandonato le parti
46. — / Comici italiani. Voi. IF.
362 RISTORI
amorose per quelle di Capitan Coviello^ che è appunto maschera
napoletana.
i-Canossa Teresa. Nata il 1777, e sposa a un Ri-
stori comico, legato forse in parentela col precedente, fu artista
drammatica di grande valore per le parti di prima donna così
nella tragedia, come nel dramma e nella commedia, e il piccolo
Giornale de teatri (Venezia, 1820) ha per lei parole di moltis-
sima lode.
Pare non fosse di riserbatezze spartane, che il primoge-
nito Antonio si volle figlio di un Console spagnuolo, e Luigia,
moglie di Bellotti prima (V.), poi di F. A. Bon, di un banchiere
per nome Sacerdote: un epigramma del tempo e di un compagno
d'arte (Miscellanea poetica di Luigi Forti, artista drammatico
[^Manoscritto della Raccolta Rasi]) accenna con poco rispetto
alla prodigalità di lei. Sposò in seconde nozze certo Bona-
gamba, e abbandonate le scene si ritirò a Venezia in casa della
vedova Tommasini, sorella del genero Bon, abitante in S. Bor-
tolamio, e quivi morì quasi improvvisamente per bronco-emor-
ragia nel 1842.
Ebbe una terza figliuola, Amalia, maritata all' artista
Zerri (V.).
Ristori Antonio. Figlio della precedente, nacque a Capo
d'Istria il 1796, e crebbe con un suo padrino a Fiume, ove
stette alcun tempo, impiegato nella di lui casa commerciale.
Si diede poi all' arte del comico in cui riuscì mediocremente ;
sposò Maddalena, figlia di Ricci-Pomatelli, capitano sotto Na-
poleone I, nata a Ferrara del 1 795, e morta del 1 874 a Firenze; e
fu con lei in molte compagnie di secondo e di terz' ordine. Sa-
lita in rinomanza la figlia Adelaide, la seguirono nella Compa-
gnia Reale Sarda, e in altre di poi.
Morto il Ristori a Firenze il 3 settembre 1861, fu tumu-
lato nel Cimitero del Monte alle Croci, ove la figliuola desolata
fé' erigere, alla morte della madre, una cappella, co' meda-
glioni degli estinti, opera dello scultore Cambi, e con le se-
guenti epigrafi;
AD ANTONIO RISTORI nato
IL 5 MARZO DEL I796 | MANCATO AI
VIVI IL 3 SETTEMBRE DEL I861 1 1 O MIO
DILETTISSIMO PADRE | A TE CHE MI FO-
STI ESEMPIO I DELLE PIÙ BELLE VIRTÙ |
CHE PER GENEROSITÀ DI CUORE | E SPI-
RITO DI SANTA CARITÀ VERSO I MI-
SERI I FOSTI SEMPRE BENEDETTO DALLA
SVENTURA I CHE FRA GLI STENTI AL
LAVORO I CONSACRASTI TUTTA LA TUA
VITA I LA TUA FIGLIA ADELAIDE | CHE
AMAVI TANTO E CHE St PRESTO TI HA
PERDUTO I QUESTO MONUMENTO { DE-
BOLE SEGNO D' INCANCELLABILE AF-
FETTO I TUTTORA IN PIANTO PONEVA.
A MADDALENA RISTORI |
MODELLO DELLE MADRI \ NATA IL 20
OTTOBRE DEL 1795, MANCATA AI VIVI
IL 26 MAGGIO 1874 I I SUOI DESOLA-
TISSIMI FIGLI I INALZAVANO QUESTO
MONUMENTO | TRIBUTO DI LAGRIME E
DI DOLORE.
La sua frimogenila Adelaidt Risieri
Del Grillo con diiperata accenlo esclama :
Oh Madre mìa tu sai
Dal luogo ove tu sei
or tu redi il mio duol, gli ailiuuiì miei ;
benedici i miei figli, il mio consorte
nel cammin della vita ed anche in morte ;
io con lagrime e iior vuo' darli addio
tino a quel di che ti riv^^ in Dio.
Ristori Adelaide. Nata dai precedenti a Cividale del Friuli
il 29 gennajo del 1822 quand'erano in Compagnia Cavicchi,
fu per universale consentimento la più grande artista del suo
tempo. Ancor bambina s'era già fatta un nome, recitando, prò-
3^4
RISTORI
tagonista, in farse o in commediole, e riuscendo di non poco
utile al capocomico.
Ora ecco l'elenco della Compag^nia di Luigi Rosa e Pa-
squale Tranquilli, che agiva assieme a un corpo di ballo, per
la stagione di carnovale dell'anno 1832 al R. Teatro Pantera
di Lucca:
DONNE
Fabbretti Carolina (V.), prima
attrice
GuLLOTTi Gaetana, tnadre e carat-
teristica
Beseghi Antonia (V.), servetta
Ristori Maddalena, altra madre
e seconda dorma
Rosa Rachele
Pellegrini Assunta \ generiche
Paladini Giuditta
RISTORI ADELAIDE
Rosa Virginia \ ?
Di- 1 tngenue
Ristori Carolina ' ^
UOMINI
Tranquilli Pasquale, primo attore
Rosa Luigi, padre e tiranno
Massini Antonio, caratterista
BosELLO Giovanni, primo amoroso
Bertucci Vincenzo, secondo amo-
roso
Fabbretti Fortunato, secondo ca-
ratterista
Ristori Antonio
Guarnì Giovanni /
Mariotti Giuseppe \ *
Pescatori Nicola
MENEGHINO
ARLECCHINO
BosELLo Giacomo, pittore
Mechetti Domenico, macchinista
La prima rappresentazione, da darsi il lunedì 26 dicem-
bre 183 1, fu annunziata così:
Non v'ha dubbio che il Drammatico trattenimento sia divenuto ai nostri giorni
la scuola del costume, e lo specchio delle umane passioni.
Tale verità fu conosciuta, ed apprezzata mai sempre dai popoli più illuminati. Que-
sta saggia e colta popolazione lucchese tanto conoscitrice dei vantaggi che dalle sce-
niche Produzioni ne derivano, quanto magnanima per incoraggiare nei loro tentativi gli
attori che si accingono ad eseguirle, anima V umile Compagnia, condotta e diretta da Luioi
Rosa e Pasquale Tranquilli, ad intraprendere un corso ben regolato di Recite nel
corrente Carnevale. I più scelti autori, la novità, il genere, la debita decenza, l' analogia
delle decorazioni agli spettacoli daranno prova del rispetto che tutta la Compagnia nutre
e professa a questo colto Pubblico, e si lusinga che gli intelligenti e benigni amatori della
drammatica, una non dubbia prova accordare vorranno di loro bontà con dare contras-
segni di aggradimento alle fatiche degli umili attori, non ad altro tutti aspirando che ad
essere coperti col prezioso manto di un si valevole patrocinio.
RISTORI
365
Onde rendere vieppiù completo e dilettevole il leiale trattenimeato Tenanno etpottì
tre Balli; nno di meno Carattere, e dne Buffi diretti, o compMti dal ugaor Domenico
TtiTchi: il i»imo di qverti è iBtitolat9: Il Pkoscbitto Scozzese, il secondo II Feuda-
tario OSSLA, LE EKCLUTE, l'altro di deitinani.
Il repertorio, come tutti quelli a un dipresso delle altre
compagnie, si componeva in gran parte di drammi lagrimosi,
alternati con qualche tragedia di Alfieri e qualche commedia
dì Goldoni.
Allora alla piccola Ristori si afiìdavan piìì specialmente
parti insignificanti di piccoli servi.
Il '34 fu scritturata con la famiglia dal Meneghino Mon-
calvo, il quale, dopo di averla per due anni esercitata in parti
di bambina, credette, mercè la figura di lei slanciata, di affi-
darle quella di Francesca da Rimìni. eh' ella recitò per la prima
volta a Novara nel '36, con tale successo, che le furon poco
dopo offerte scritture
di prima donna asso-
luta. Ma per fortuna il
padre, uomo di buon
senso, la scritturò in-
vece (1837-38) nella
Real Compagnia Sar-
da, come amorosa inge-
nua, poi prima attrice
Rovine sotto Carlotta
Marchionni, che le fu
amica, madre, maestra
amorosissima; ai sa-
cri precetti della quale,
affermava ne'suoi ri-
cordi con raro, e direi
quasi unico esempio di
gratitudine nell'arte
nostra, di non essere
mai, giovine e adulta,
venuta meno.
Lasciate la Marchionni le scene nel 1840, la Ristori ne
prese il posto, accanto ad Amalia Bettini, passando l'anno dopo
con Romualdo Mascherpa, con cui stette fino al '45.
Frattanto il Righetti, direttore della Real Compagnia,
facevale vive istanze perchè vi tornasse ; ma, prima per le con-
dizioni da lei fatte della scrittura, poi per la speranza del suo
matrimonio, non approdarono a buon fine. Ella fii dal '46
al '50 con Domeniconi e Coltellini, e dal '51 alla quaresima
del '52, divenuta da un anno e dopo una serie di roman-
368 RISTORI
tiche vicende la marchesa Capranica Del Grillo, fuor della
scena.
In quel tempo T attore e capocomico Pisenti fu messo in
prigione per debiti ; e la Ristori, che fu sempre delle miserie
de' compagni soccorritrice pietosa, architettò tre rappresenta-
zioni straordinarie, che furono avvenimento di vera gloria, e
la salvazione del povero carcerato. Allora il Righetti, che in
lei sola omai vedeva T àncora di salvezza della naufragante
Compagnia Reale, tornò all'assalto; ma ella da Castel Gandolfo
rispondeva il 12 settembre del '47:
La ringrazio delle di Lei esibizioni; ma avendo preso marito da qualche tempo,
ed essendo ciò a cognizione di tatti, doveva bene immaginarsi che se rimanevo ancora
sulle scene, lo facevo in riguardo di non rovinare ì miei Capo-Comici con nn repentino allon-
tanamento dal Teatro. Col termine del carnovale 50 in 51 termino il mio contratto e la
carriera drammatica per cambiare di condizione. Eccole parlato francamente.
Non si perdette d'animo l'egregio direttore, e si alleò a
riuscir nell' impresa Pasquale Tessero, cognato di lei, E vera-
mente quella scena che aveva date tante e così grandi gioje
all'artista, non poteva esser guardata da lungi senza rimpianto.
La larghezza delle offerte aveva solleticato non poco V amor
proprio della Ristori, nella quale si risvegliò d' un tratto po-
tentissimo r antico amore dell' arte, che quello di sposa e di
madre aveva per alcun po' assopito. Ma ad attuare il nuovo
disegno s'interponeva un ostacolo non facilmente sormonta-
bile : suo marito, da cui non si sarebbe mai separata, era sul
punto di ottenere .un appalto governativo, in società con amici,
che gli assicurava un ottimo resultato: forse, dopo un triennio,
r utile di dieci mila scudi.
Ancora: le condizioni dell'arte in Italia non eran tali da re-
munerar IsifirimaaUrice di una compagnia sì lautamente, da col-
mar, sia pure in parte, il vuoto lasciato da quell' affare inconcluso.
E d'altronde: la Ristori si era disfatta, coli' allontanarsi dal
teatro, di ogni suo corredo.... Bisognava ricominciare, e su lar-
ghissima scala, rimanendo la Compagnia ferma a Torino per due
stagioni almeno. Come fare? Ci volevan per lo meno 30,000 fran-
chi all'anno. E poi: Righetti dovrebbe obbligarsi a firmare un
contratto annuo per una stagione a Roma, e per l'autunno nel
primo anno '53. Di più: in caso di pericolo di vita di un dei
é. . _.
suoceri, ella dovrebbe aver subito venti giorni di permesso,
rimettendo, nell'anno, le recite ch'ella non avrebbe potuto
fare. La morte del suo Giuliano dovrebbe riguardarsi come
morte sua, e però il contratto sarebbe da quel punto sciolto.
Il pagamento dell'onorario dovrebbe farsi in tanti napoleoni
d'oro, valutati 20 franchi cadauno, ovunque, esclusa qualunque
moneta o carta. E finalmente: Ella reciterebbe solo cinque volte
alla settimana, in una sola prodyzione per sera in principio
della serata con diritto dì rifiutare quelle parti immorali sulle
quali molte revisioni passano sopra, come II Fallo, Dopo sedici
anni. Dieci anni di vita di una donna, SH/elius, Clarissa Har-
lowe, ecc.: quelle parti insomma con le quali, per quanto sieno
eseguite con dignità, è d'uopo sostenere una posizione imba-
razzante verso il pubblico, e le quali il signor Righetti potrebbe
far eseguire da chi meglio credesse. Rimarrebber pure escluse
RISTORI
tutte quelle partì nelle quali fosse obbligata a vestirsi da uomo ;
le benefìciate farebbe a sua scelta in principio, o fine delle
Piazze, come credesse meglio pel suo interesse; dovrebbe co-
noscer r elenco degli attori che componessero la Compagnia,
prima di sottoscrivere il contratto; e prima della riconferma,
non dovrebber in esso farsi innovazioni, a sua insaputa. Il
Direttore, qualunque fosse, non
dovrebbe aver diritto d'imporle
l'esecuzione della sua parte;
volendo ella eseguirla secondo
gliela dettasse il suo modo di
sentire. Ora : le pretese eran
senza dubbio fortissime, specie
a quel tempo ; ma la Ristori era
la Ristori; e Righetti, uomo
equo e intelligente. Io capiva, e
voleva conciliar quelle col bi-
lancio non pingue della Compa-
gnia. E cercandole con lusin-
ghevoli parole la via del cuore,
tentò diminuir di metà lo sti-
pendio, e accordarle in quella
vece un terzo degli utili. E la
via del cuore la trovò infatti ;
che il 28 del '52 la Ristori gli scriveva da Roma: «Nei nostri
cuori fece gran senso la Sua lettera, ed in modo speciale nel
mio, che cresciuta, allevata, ed iniziata nell'arte da cotesta
Regia Compagnia, me la figuravo un'istituzione ìmperìbile, ed
andrei superba di contribuire all'esistenza di questa, come una
figlia riconoscente a quella della propria madre. » Ma l'ono-
rario annuo portò, ultima concessione, a 20,000 franchi, che te
furon dal Righetti accordati assieme a quanto d'altro chiedeva,
in alcun punto solamente e lievemente modificato.
Ella aveva attinto da noi il culmine sommo della rinomanza.
GÌ' inni della stampa, e gh entusiasmi del pubblico non ebber
confini. Fu allora che < come un baleno - è lei che lo dice -
da un cantuccio della sua mente scaturì l'ardito progetto di
andare in Francia. » Ma il Righetti, nella gran prudenza poco
intraprendente, sì oppose al proposito nuovo : troppi i rischi,
possibile r insuccesso artìstico, possibilissimo il finanziario.
Il ricordo della Compagnia che v'era andata il '30 con la
Internarì e il Taddei, non era tale da invogliare a ritentar la
prova. Ma la Ristori tenne fronte gagliardamente, e vinse.
con nuovi e più forti argomenti, primo dei quali la divisione
con lui, nel caso di perdita, della sua parte di utili toccata
in Italia.
E la risoluzione, infatti, fu presa irrevocabilmente, e la
Ristori si diede attorno con tutti i mezzi che le offrivan la
sua grandezza artistica e il suo nuovo stato per « rivendi-
care all'estero - com'ella dice - il nostro valore artistico, mo-
strando che anche in ciò la nostra non era lérra dei morii. >
RISTORI 375
L' 1 1 gennajo '55 scriveva da Torino alla Principessa Herco-
lani a Bologna :
le ingenti *peie, e le molte etigeme d«l popolo frBnc«*«, rendono molto pe-
■icoloio qnell' eiperìmento, «i> d»l lato Ìnleret«e, che da quello di nn lavorCToIe laccctto.
A render tatto ciò meno difficile, mio muito perni partire per Parigi il lo o IJ cat-
rente, e, corredato di lettere commendatiiie, iatereiMre l' atta tocietà a freqaentare le rag-
preaentaiioni italiane, e proteggere qaeito eiperiniento. Ella più che ogni altro pnA In
eia glo*ard, e mandarci qualche letter* che preaenti mio marito, per ora, e quindi mn,
•Ile dittiiite e taaii«rde*oU bmiglie tue conoicenti, raccomandandi) onorare di loro ap-
poggio qneit' eiperimento drammatico italiano, pel quale colà li porta mio marito (Giu-
liano dei Uarcheri Capraalca, MVKbcM Del Grillo}....
376 RISTORI
E il Marchese Giuliano, di fatti, si recò a Parigi prima
della Compagnia ; e di là mandò al Righetti una nota dei per-
sonaggi, che avrebber preso il palco, primi dei quali l'Impe-
ratore e l'Imperatrice, S. A. Girolamo, S. A. la Principessa
Matilde, S. A, Murat, S. A. il Principe Carlo Bonaparte, S. A.
il Duca di Brunswick, S. E, il Marchese di Villa Marina, S. E.
Fould, Ministro di Stato, S. E. il Barone HUbner, Ambascia-
tore d'Austria, S. E. il Duca di Galliera, ecc., accompagnata
da queste parole :
La stampi ha già cominciato a lavorare, e la cosa è sparsa per tutta Parigi.
Per i 14,000 franchi contateci, come sono sicuro che l' esito sia di tntta soddisiasione per
voi, per me e per gli artisti. Di questo sono moralmente cantnnto. Sai prezzi dei palchi
si regolano qneUi degli altri biglietti. Presto ci rivedremo. Abbiate fiducia in me : ricor-
datevi che, oltre al dividere con voi interessi e rischi, ho a cuore, più di qualunque altro,
la riuscita buona della cosa per la mia Adelaide....
E la sera della prima rappresentazione, il 22 di maggio,
venne, e il successo della Ristori fu ottimo, se non stupefa-
cente. La stessa tragedia - Francesca da Rimini del Pellico —
non offriva, tranne che nella scena del quarto atto, grandi
risorse, e taluni tra i devoti della Rachel, negaron tra l'altro
all' artista nostra < la forza, il vigore necessario a bene inter-
pretare le passioni violenti più proprie del poema tragico. >
Forza e vigore che anco i più restii trovaron a esuberanza in
lei dopo la rappresentazione di Mirra di Vittorio Alfieri, che
fu tutta un trionfo de' più solenni.
Ma la Ristori non era il solo ornamento della Compagnia,
Altri artisti di valore, come Ernesto Rossi, Luigi Bellotti-Bon
e Gaetano Gattinelli, avevan diritti da far valere. Si dovette
recitare II Burbero benefico di Carlo Goldoni, Niente di male di
Augusto Bon, La Suonairice cfArpa di David Chiossone. E le
lodi non mancarono, non mancarono gli applausi;... ma chi
mancava era il pubblico. Come porre riparo alla disfatta ? Il
5 di giugno si replicò la Mirra; e il pubblico, attratto dall'en-
tusiasmo della stampa, vi accorse in gran folla, e il successo
fu clamoroso. La tragedia si replicò fino all'andata in iscena
di Maria Stuarda, e la buona riuscita dell'impresa fu artisti-
camente e finanziariamente assicurata: ornai la Rachel fu sog-
giogata dalla grande arte della Ristori, fatta tutta di sponta-
taneità, e quel battesimo della sua fama le aprì le vie dì tutto
il mondo.
378 RISTORI
Ecco, a titolo di curiosità, il borderò di una di quelle recite
(13 agosto 1855):
Recette brutte 8,339.50
Loyer et fraU de soirée 800.00
^ . , , i Sur la recette 560.05
Droits det hospices ^ . ,
^ { Concession 46.55
[ Sapears >3«35
Sapplément Passe minait | Gardes I9*50
f Police 9.00
Afiìches, et buletins extraordinaires 327*35
Droits d'anteurs 60.00
Ensemble à déduire '1835.70
Reste net 6,503.80
À déduire, pour la Direction 3,251.90
Reste net, pour M.n»« Ristori 3,151.90
Visto e riconosduto, etc. etc. Firmato, con data di Parigi 21 agosto 1855, Giu-
liano del Grillo.
Reynaud,il Colline A^2, Bohème, scrive della Ristori nella
nuova serie de' suoi Portraits contemporains (Paris, Amyot, 1 864):
Col successo di Parigi, eli' è giunta omai in prima linea, ha conquistato un posto,
che non le sarà più tolto, e che ninna adesso può disputarle. Prima fra le regine, ha ricevuto
dalla natura tutti i doni necessari all'arte sua. Grande, nobile, di bellezza commovente
e appassionata, con due occhi che parlano, un sorrìso di ]>erle, un gesto d'imperatrice,
incede come potrebber Pallade o Giunone, e la sua voce è una musica piena di soavità,
o di forza, secondo il sentimento che la domina. Mai attrice tragica fu più maravigliosa-
mente dotata. Ella possiede tutte le corde, il furore, la rabbia, l'amore, l'ironia, la tri-
stezza, la tenerezza, la grazia. Ella muove al pianto, anche quando non la si comprende, con
l'espressione della sua faccia, e la melodia del suo organo di fisarmonica....
Questo per le doti fisiche. E per le intellettuali :
Le sue ispirazioni sono sublimi, ella trova nelle v^'t parti ciò che l'autore stesso
non aveva indovinato, e le sviscera in ogni più tenue gradazione di tinte: con un sol
gesto, con una occhiata ella dice assai più di un' altra con cento parole. Chi non ricorda
il modo con cui s* avvolgeva nel suo manto alla fine del secondo atto di Mirra t Chi non
senti bagnarsi gli occhi di lacrime vedendola inginocchiarsi davanti al Crocifìsso in Maria
Stuarda?,,, Ella si volge direttamente al cuore e vi ]>enetra nel profondo; ha tali accenti
che straziano e trascinano....
E per la donna :
Non é difficile indovinare che la Ristori ha molto cuore: è il distintivo del suo
talento. Ella non vive come una commediante, ma come la più onorata madre di famiglia,
compiendo ogni suo dovere, che è per lei la felicità. Nelle parti odiose si trovan per lei
380 RISTORI
delle scuse, e pare che il suo personaggio non possa agire altramente sia che la fatalità
lo spinga, o la passione lo trascini, o le circostanze lo dominino. Vi han delle parti che
non accetta, perchè le ripugnano; ed ella vuol sempre identificarsi con le sue eroine....
Il d'HeylH nel suo Journal intime de la Comédie Franfaise
(Paris, Dentu, 1873), dice di lei:
L' ornamento principale della Compagnia, Adelaide Ristori, si ebbe nella interpre-
tazione di tragedie di Alfieri e di Schiller, un successo colossale, che aveva davvero del
fisnatìsmo e del delirio, e che fu, si potè dirlo con ragione, il trionfo più grande e incon-
testato dell'Esposizione. Bisogna leggere i giornali dell'epoca, per rendersi ben conto di
codesto delirio, e di cotesto fanatismo. Lamartine stesso usci dal silenzio poetico, in cui
sembrò essersi condannato, dettò per lei un' ode, che la folla acclamò per due sere, riem-
piendo al colmo la sala Ventadour, Dumas padre, proprietario allora del giornale H Mo'
schet fiere, prese le parti dell'attrice italiana, facendo uno strano parallelo tra lei e la Rachel,
nel quale si sforzava di mostrare quanto più grande fosse la tragica straniera della tragica
francese.... £ tutti i giornali comparavan ne' loro articoli i talenti delle due artiste, in
verità si diversi, e le lor conclusioni non apparivan sempre favorevoli alla Rachel....
E finalmente Vittoriano Sardou, venti anni dopo, ricor-
dando l'antico entusiasmo, scriveva a un amico:
Sono stato un de' più grandi ammiratori della Ristori. L' ho veduta in tutte le
sue parti, e non ho lasciato alcuna delle sue rappresentazioni. Posso dire di doverle molto,
poiché, soccorso dal ricordo di quanto le vidi fare, mi son servito bene spesso de' suoi
giuochi di scena e di fisionomia. Assai sovente ho modellato attrici su questa ammira-
bile artista, e tra l'altre la Fargueil, che è tutta piena di imitazioni ristoriane, e che le
deve, senza saperlo, gran parte del suo presente successo all'Ambigu nella Rosa Michel
del Blum. Tutta la scena della denunzia in Patria era del Ristorismo più puro. Per conto
mio non ho mai veduto niente di più bello al teatro, che l' azione di questa maravigliosa
donna ; e le serate di /V^, di Medea, di Giuditta, di Maria Stuarda, son rimaste le più
belle di tutta la mia vita di teatro.
Naturalmente i grandi entusiasmi ebbero anche il loro
rovescio, e Lemercier De Neuville nelle sue Figures du temps
(Paris, Bourdilliat, 1861), non ebbe, specie per la recitazione
in francese della Beatrice di Legouvé, parole di soverchia tene-
rezza per la nostra eroina : ma l'entusiasmo si mantenne alto,
nonostante i tentativi di reazione dell'anno dopo, e quel primo
battesimo di Parigi fu anche, s'è già detto, il primo passo del
lungo e glorioso cammino della Ristori, che di là il suo nome
echeggiò in ogni parte più riposta del mondo. Percorse l'Ame-
rica del Nord nel '66, e vi tornò l'anno di poi, il '75 e r'84.
RISTORI 381
Fu il '68 ne! Messico; il '6g in tutta l'America del Sud, ove
tornò del '74. Recitò la commedia e la farsa, il dramma e la
tragedia in italiano, in francese e in inglese con attori italiani,
francesi, inglesi e tedeschi; e dovunque ammirata, festeggiata,
acclamata dal pubblico, dalla stampa, dai poeti. Ebbe amicizie
di Sovrani; ridonò alla società e alla patria un povero soldato
condannato a morte ; visse, nei momenti più burrascosi della pa-
tria nostra, gagliardamente italiana. Fu sposa e madre adorata;
e, lasciate le scene, diventò dama d'onore della Regina d'Italia.
Al suo ottantesimo anno, tutto il mondo si preparò a festeg-
giarla, richiamandole alla memoria, nella solennità dell'omaggio,
gli entusiasmi che ella seppe destare per oltre sessant'anni.
Il nostro giovine Re Vittorio Emanuele ITI andò in per-
sona a ossequiarla, recandole un dono e gli auguri della Re-
gina; il Ministro dell'Istruzione le co;iÌÒ una medaglia d'oro;
RISTORI - RIVA
e un'altra d'oro gliene coniò la R. Scuoladi Recitazione di
Firenze che ho l'onore di dirigere; e sono orgoglioso dì poter
qui legare in qualche modo il mio piccolo nome a quello di
lei grandissimo e venerato.
Ebbe tre fratelli che seguiron l'arte sua: Carolina, moglie
di Pasquale Tessero (V.), nata il 4 novembre 1823 a Brescia e
morta a Genova il 1890; Enrico, artista egregio alcun tempo
per le parti amorose al fianco di sua sorella, poi impiegato
ferroviario, nato a Voltri nel 1826, e morto capo-stazione a
Foggia nel 1894; e Cesare ora al fianco della sorella per le
parti di carattere, ora cantante buffo, nato a Soresina il 21 di
marzo 1835, e morto aTorìno, maestro di recitazione, il 26 feb-
brajo 1891.
Riva Carlo. Nella cronistoria de'teatri di Modena, di A. Gan-
dini (1,94-95) è citato questo Riva detto Naiini. conduttore di
una compagnia che recitò a quel vecchio teatro comunale i car-
nevali del 1717 e 1718. Pel 16 marzo è fatto cenno dell'inter-
vento al teatro del Principe di Charlerois.
Riva Alessandro, cognato della celebre Gaetana Goldoni
(ne aveva sposato la sorella Anna Andolfati), fu un egregio pa^
dre nobile e tiranno, fiorito nell'ultimo ventennio del secolo xviii.
Fu con la Coleoni, la Battaglia, Zuccato, e il cognato Goldoni^
RIVA - RIZZOTTO 383
Sappiamo che il 1821 viveva a Padova fuor dell'arte, in cui
aveva lasciato di sé fama di un de' più integerrimi uomini e va-
lenti artisti.
Riva Ltiigi, figlio del precedente, nato a Verona il 1 790, si
esercitò giovinetto nell'arte comica ; e Io vediamo il 1 8 1 5 primo
amoroso al fianco della zia Gaetana. Morto Antonio Goldoni, il
181 7, egli lo sostituì nella direzione dell'azienda, riducendo al
nulla in soli cinque anni di sregolatezze ogni avere della po-
vera vedova. Consunto dai vizj, morì improvvisamente a Trieste
la primavera del '23.
Rivani Giovanni. Faceva parte della Compagnia Marti-
nelli (V.), che andò a Parigi il 1621.
Rizzotto Giuseppe. Nacque a Palermo l'ottobre del 1828,
e fu da suo padre, impiegato governativo, avviato all'avvoca-
tura; ma, appassionato filodram-
matico, preferì la scena alla leg-
ge, e dopo di aver preso parte ai
moti della Sicilia del '48, si scrit-
turò a ventidue anni in una com-
pagnia d'infimo ordine, poi in
quella di Robotti, poi fu in Ame-
rica colla Pezzana, e mercè un
suo lavoro dialettale, in cui di-
pinse al vivo la mafia dì Palermo,
quest'uomo singolarissimo, cele-
bre in Sicilia, conosciuto a Na-
poli, sconosciuto a noi, potè girar
trionfalmente i più riposti angoli
■ d*Italia,ammÌratoestimatocome
attore, come autore, e come uomo. Morì a Trapani il 4 luglio
del 1895. Ebbe variì figliuoli dalle tre mogli, migliori de' quali
i due della terza Salvatore e Giulia: quello primo attor gio-
384 RIZZOTTO - ROBOTTI
vane e primo attore di assai buone qualità con Italia Vitaliani ;
questa egregia seconda donna con la Società Gramatìca-Talli-
Calabresi.
Robetti Antonietta, nata a Como il 1 8 1 7 dai conjugi Roc-
chi, fu raccolta, educata e amata qual figlia dalla famiglia comica
TorandelU, che l'ebbe sostegno prodigioso delle sue travagliate
peregrinazioni, in. cui si mescolava la recitazione alle farse in
musica e ai balletti giocosi. SÌ narra che la giovane Toran-
delli, così la chiamavano, fosse un vero miracolo di arte sana
in mezzo a un guittume della peggiore specie. Volle ventura che ■
V attore Luigi Robotti, uditala appena, la togliesse dall' am-
biente pernicioso per farla sua moglie, e condurla per vie mi-
gliori. La vediam difatd il ' 36 prima aiirice giovitte sotto la Mar-
ROBOTTI 385
chionni nella Compagnia Reale di Torino col marito amoroso,
fino ar39, sostituita da Adelaide Ristori. Passò per un triennio
nella Compagnia Mascherpa al servizio dell' Arciduchessa Ma-
ria Luigia, per rientrar nella Reale di Torino, prima attrice
assoluta, al fianco sempre del marito, amoroso, a vicenda con
Carlo Romagnoli, fino a tutto Tanno '52, dopo il quale fé* com-
pagnia col maggior figlio di Luigi Vestri, Gaetano, lanciando
prima attrice giovine la figlia Luigia, che del Vestri doventò
poscia la moglie. Staccatisi questi dopo alcuni anni, scrittu-
rati da Bellotti-Bon, i coniugi Robotti formaron nuova com-
pagnia ('59), che intitolaron Nazionale subalpina, e di cui eran
parte la magnifica Ferroni, Enrico Capelli e Salvator Rosa. Ma
gli affari non volgevano a bene, specie per una fiera malattia
di artrite dell'Antonietta, che la tormentò lungo tempo. L'aprile
del '62 il marito Luigi scriveva da Ferrara all'amico Francesco
Righetti : < Antonietta è sempre stata in condizione da non
poterle parlare d'affari; oggi che grazie a Dio, dopo io J giorni
et infermità va meglio,... > e nel '64, ella moriva in Bologna.
Quivi, alla Certosa, in memoria di lei, si legge :
ANTONIETTA ROCCHI, moglie a L. ROBOTTI
SALUTATA NSLL*ARTS DI ROSCIO MAESTRA
NON SUPERBA
NEI TRIONFI, NELLE DOVIZIE, NEI PLAUSI
NON PAVIDA
IN CASI AVVERSI E MALATTIE DOLOROSE
PRONTA
A SOCCORRERE I MISERI, A GIOVARE I CONGIUNTI
IN DIO FIDATA
LO INVOCANDO SPIRt)
LA SOLA AMICIZIA FEDELE
IN VITA ED IN MORTE
MURÒ IL SEPOLCRO A CUSTODIRE LE CENERI
DI
ANTONIETTA
ED AL SUO NOME IL MARMO INCIDEVA
N. in Como a. ìidccc xvii. M. ìd Bologna A. mdccc lxiv
Robetti -Vestri Luigia (V. Vestri).
49. — / Comici ùaliaui. Voi. II.
386 ROCCA
Rocca-Nobili Camilla. Prima attrice dei Confidenti, fu una
delle più forti artiste del suo tempo, lodata in vita e pianta dopo
morta da' più eletti ingegni. 11 Belgrano propenderebbe a cre-
dere ch'ella, figlia o altrimenti parente di Cesare Nobili, esor-
disse col padre nella Compagnia dei Desiosi.
Il Quadrio si confonde tra la Delia e la Celia, la Malloni,
attribuendo a quella le lodi di questa, e citando persino come
errore di stampa il nome di Delia nel libretto di poesie in lode
di lei che andremo scorrendo, e che ha per titolo :
LE FUNEBRI | RIME, | di diversi eccell. | autori, in morte della
SIGNORA I CAMILLA ROCHA NOBILI | comica confidente detta
I DELIA. I raccolte da Francesco antonaz | zoni, comico confi-
dente DETTO I ORTENSIO. | DEDICATE ALL' ILLUSTRISS. & | ECCELLEN-
Tiss. SIC. IL siG. I ANNIBALE TORCHI | marchese d'ariano.
In venetia I appresso Ambrogio dei I M.D.C.XIII.
Il libretto, rarissimo, consta di 143 pagine in- 12°, e ha un
grazioso fregio in rame che incornicia il titolo. Precede una
lettera dedicatoria dell'Antonazzoni, e un indice degli autori,
tra' quali si notano il famoso Cintio Fidenzi, Comico Acceso, e
il non men famoso Capitano Spaventa Francesco Andreini, dei
Gelosi.
Non sappiamo di qual terra fosse nativa la Rocca, e que-
sti versi del Fidenzi (pag. 36)
Delia qui giace, il cui almo sembiante
ornò le Tosche Scene,
ci dicon troppo poco ; ma certo morì quasi improvvisamente e
fu sepolta a Padova (V. il sonetto di Matteo Bembo, pag. 44,
e quello di Verdizzotti, pag. 1 6) dopo una ricaduta fatale della
malattia, quando tutti eran certi omai della guarigione. Per la
convalescenza di lei dettò Fidenzi il sonetto seguente :
Post'avea già sul formidabil arco
r invida morte il suo funereo strale,
e volea aprir de la prigion mortale
de la famosa Delia a l'alma il varco.
ROCCA 387
Ma '1 Dio d'amore a Tuopo suo non parco
di favor, disse a lei rivolto; or quale
• sconsigliato furor, morte, t'assale
di fare al regno mio si grave incarco?
Ella ben mille a me alme rubelle
mi darà col suo dir, allor che ornato
sarà il teatro di sue fiamme belle.
Morte ritenne allora il colpo irato.
Cosi rara virtù sforza le stelle,
e può sol quella superar il fato.
E un madrigale sul medesimo soggetto dettò Giovanni
Lazzaroni.
Da un sonetto di Girolamo Friuli (pag. 49) sappiamo
com' Ella fosse bionda:
Di questa cosi saggia in biondo pelo,
di questa, che di rai la chioma cinta
fu Delia in terra, ed ora è Sole in cielo.
Giovanni Zignoli (pag. 67) ci parla della sua bellezza e
dell' età sua giovanile :
Discolorato hai morte il più bel volto
nell' età sua più bella e più fiorita
e ce ne parla Niccolò Boldri in un sonetto (pag. 1 24) al rac-
coglitore Antonazzoni :
« Amico, i' godo il cielo,
non dir eh' in verde età sia al mio fin giunta,
che grave è sempre all'alma il mortai velo. »
Al quale rispondeva Antonazzoni (pag. seg.) :
Maggior beltà di Delia, io non scorgen,
né di lei rimirai cosa più eletta,
m'era dolce il penar, cara e diletta
l'amorosa prigion la pania avea.
388 ROCCA
L'ammirai come Nume, e come Dea
mi fu strale d*amor, face e saetta,
mèta de' miei pensier giusta e perfetta *
Lei, non febo, per me luce spargea.
Ond'or che vive in ciel da me disgiunta
provo il gel nell'ardor, l'ardor nel gelo;
e mia vita direi fosse al fin giunta.
Se non avessi a vói con puro zelo
Talma, Signor, donata, che congiunta
gode felice in Voi, come in suo cielo.
Dal qual sonetto si potrebbe anche inferire eh* ella fosse
qualcosa più che amica del compagno d'arte. Ma come ciò
concorderebbe col bel candore decantato da Francesco Andreini
in questo suo sonetto:
Or che Delia è sparita, e '1 suo splendore
inargenta altre selve ed altri colli,
che fia di noi ? Rugiadosi e molli
gli occhi trarremo in sempiterno orrore.
Delia talor, mentre che nasce e more
l'argento tuo, fin là dove t'estolli,
le caduche speranze, e i pensier folli
nostri rimira col tuo bel candore.
Cosi vedrai, che quanto in terra giace,
è fumo ed ombra: e scorgerai che '1 mondo
d'insidie è pieno, e lusinghier fallace.
Specchiati in Ciel nel sommo ben verace,
poi ch'hai vinto Satan Angelo immondo,
e con li giusti godi eterna pace.
E sopratutto come concorderebbe con questa terzina del
Fidenzi (pag. 36)?
Fu Delia de le donne onore e lume,
GLORIA DEL SPOSO SUO, pompa del mondo,
e dei teatri luminosa Aurora.
ROCCA - RODOLFI 389
Quanto a* suoi pregi artistici, par eh' Ella ne avesse pa-
recchi, e in ogni sorta di composizione, come accenna il Bol-
dri in una sua canzone a pag. 80 :
Ancor le menti a volo
trarrai nell'altro polo,
e formando la voce
or benigna, or feroce
e mutando te stessa in Cavaliere,
in amante, in guerriero,
in Pastorella, in Dama,
in Serva, ed in Regina,
farai degli altrui cor dolce rapina.
Ch' Ella fosse congiunta a Cesare Nobili, come incline-
rebbe a credere il Belgrano, non si può dire : tuttavia non è
assai fuor del probabile, potendosi forse ritenere eh' ella fosse
davvero Nobili di nascita da un sonetto di Enrigo Sottovello
(pag. 68), là dove dice :
mentre Camilla Rocca, onor, conlento
del secol nostro
Ma né anche questa è prova sicura del suo cognome di
sposa, serbando le attrici in arte il nome con cui salirono in
rinomanza.
Rodolfi Giuseppe. Nato a Bologna il 1827 da Gioachino
e da Colomba Brighenti, fu artista brillante rinomato per la co-
micità spontanea e originale. Esordì nella Compagnia Bottazzi
e Berlafifei del 1845; e fu per alcuni mesi del '48 in quella di
Micheloni e Dondini, scioltasi a mezz*anno a cagion della guerra.
Entrò il \50 in quella di Edoardo Majeroni diretta da Gaetana
Rosa. Sposò in quell'anno Amalia Vannucci bolognese e at-
trice, che gli morì a Padova di colèra il '55, e dalla quale ebbe
un figliuolo, Rodolfo. Fu il triennio '5 6-' 5 7-' 5 8 con Robetti e
Vestri. Lo vetjiam poi con Giuseppe Peracchi, col quale stette
lungo tempo, poi, del '73, con la compagnia n. 2 di F.Sadowski»
diretta da Luigi Monti. Passò del '74 in seconde nozze con
Sofia Cerretelli, dalla quale ebbe due anni dopo il figliuolo
Eleuterio. Entrò il '78 nella Compagnia lucchi, diretta da Gio-
vanni Emanuel, e il '79, dato un ad-
dio alle scene, si ritirò nella sua
Bologna, dove morì il 19 febbrajo
deir'85.
Che cosa fosse Giuseppe Ro-
dolfi come artista, niuno ha mai sa-
puto dire. Forse volgare, forse su-
perficiale, forse buffone, forse grot-
tesco.... Ma s'andava a teatro e si
rideva a crepapelle del riso il più
sano e il più schietto. La sua stessa
figura era di una comicità irresisti-
bile. Il busto bene formato e svi-
luppato era sorretto da un pajo di gambette ad arco, che si
movev^ln a salti, a guizzi su la scena nel più buffo modo del
mondo. Aveva una dizione vera, corretta, spontanea, e una
pronunzia del più aperto bolognese : il che accresceva comicità
all'esser suo. Chi noi ricorda nel Pugno incognito e t\G\\^ Bolla
di Sapone di Vittorio Bersezio? Nei Naufraghi del m,ar Pacìfico.
nel Casto Giuseppe e la moglie di Putifarre? In Mamma Agata
bolognese? Nelle Nozze del signor Camillof Chi può ripensar quei
famosi or ora glie lo dico, senza riderne? E quella famosa di-
chiarazione d'amore ch'egli, non eccezionalmente, ma ormai
per consuetudine doveva ripeter lì per lì, in mezzo alle più
matte risate dì un pubblico stipato ? Se a Giuseppe Rodolfi
mancaron, come s'è dianzi accennato, talune qualità d'arte,
egli fu per certi rispetti attore brillante veramente unico.
Il figliuolo Eleuterio esordì generico giovine nella Compa-
gnia di F. Garzes, morto il quale, entrò subito secondo brillante
con Pieri e Ferrati. Fu il '95 con Talli-Sichel-Tovagliari, Ìl '96
RODOLFI - ROFFI 391
con la Vitaliani, il '97 con la Della Guardia, il 'gS-'gg con No-
velli, il *900 con Talli-Gramatica-Calabresi, il ^901 -'90 2 con
Leigheb; e finalmente il '903, per un triennio, con la Della
Guardia, primo brillante assoluto, assieme a sua moglie, Adele
Mosso, attrice egregia per le parti di seconda donna.
L'esempio dei maestri, sotto i quali militò, e sui quali si
modellò, la sua attitudine e il suo buon volere fanno sperare
assai bene del suo artistico avvenire.
Roffi Giovanni, toscano. Valoroso attore per le parti di
Arlecchino, e non men valoroso capocomico, fu nella Compa-
gnia di Francesco Berti, di cui sposò la cognata. Stabilitosi a
Firenze, vi aprì una hoXX^^'à. di varie merci -come dice Fr. Bar-
toli — e prese in affitto il Teatro del Cocomero^ ove mantenne
alternativamente compagnia di prosa e di musica.
Nel 1780 cominciò a uscir di Firenze, sotto la protezione
di Pietro Leopoldo, con privilegio di occupar egli solo con la
sua comica compagnia i teatri varj della Toscana; e lo vediamo
r autunno di quell'anno a Livorno, ove per l'apertura del Tea-
tro di San Sebastiano fu composto un prologo (Livorno, Fa-
lorni), che finisce con queste parole di Minerva volta alla Com-
pagnia schierata in sulla scena :
scendete
O miei figli scendete; eccovi aperto
Vasto campo al valor; dell'arti mie
Fate qui prova; Io non vi guido al varco
D'incognita region; del patrio Mare
Rivedete le sponde; in ogni volto
Distinguete la gioia; in voi si scorga
Un'umiltà non vile; assai decente
Abbia lo scherzo il suo confin; il gesto
Non si avanzi di troppo, il fasto improprio
Nel vestir non deformi
II carattere altrui; fate che sia
Esatta ognor l'esecuzion, ma prima.
Lungi dair adularvi
393 ROFFI
Fate che ognor risulti
Ad eterna memoria,
Dall'altrui perdonar la vostra Gloria;
Solo pregio del terreno
Non è il darne il frutto, o il fiore
Pregio è pure del calore
Dell'umore
È pur mercè.
Deh sperar ci fate almeno
Chiaro il Sol, copiosa l'onda.
Che allor si la pianta abonda
Più feconda
Che non è.
Facevan parte della compagnia quasi tutti attori fioren-
tini, tranne Pietro Andolfati, primo attore (V.) e Giuseppa Fi-
neschi prima donna (V.), artisti di molto pregio. Aggiunge il
Bartoli che non contento di rimaner ristretto nei confini della
Toscana, il Roffi percorse con grande fortuna la Lombardia, il
Piemonte e il Genovesato.
Forse, quando abbandonò la Compagnia Berti per recarsi
a Firenze, abbandonò anche le scene per diventare esclusiva-
mente impresario. Infatti un elenco della sua compagnia, senza
data, ma certo prima assai deir'80, ci dà i seguenti attori:
SIGNORE
Anna Roffi
Maria Zocchi
Anna Cesari
Amalia Gattolini-Brunacci, serva
SIGNORI
Gaetano Brunacci
Giuseppe Mancini
Angiolo Marchioni
Luigi Lensi
MASCHERE
Gaetano Cipriani, Pantalovr
Baldassarre Bosi, Trastullo
Nicola Bertoni, tArUcchino e subalterni.
Roffi Anna. Moglie del precedente, e sorella di Caterina
Berti (V.), fu attrice egregia per le parti di serva, e talvolta
ROFFI - ROMAGNESI 393
anche per quelle di donna seria. Recitò sempre nella compa-
gnia del marito, ma, a Firenze, neir autunno del 1771, rappre-
sentando La Vedova Scaltra del Goldoni, nell' atto di porsi il
zendado alla veneziana, fu colpita d'apoplessia, che la con-
dusse a morte in capo a poche ore, compianta da tutti e pei
suoi pregi e per la sua sciagura.
Rolenzino. È citato dal Marchese Decio Fontanelli in una
sua lettera del 14 agosto 1691 al Duca di Modena. La Com-
pagnia del Duca aveva domandato di poter recitare a Verona,
ove andò poi quella del Duca di Mantova, rifiutata a Milano.
La Compagnia di Modena allora, profittando del teatro libero,
si recò a Milano, e vi fece grande incontro. In quello stesso
anno V Elettore di Baviera aveva licenziato la Compagnia ita-
liana, e il Fontanelli esorta in questa lettera il Duca a servirsi
di alcuno di quei soggetti per migliorar la sua compagnia; e ag-
giunge : < giunto hieri sera da Sassuolo in Modena vi trovai Ro-
lenzino famoso primo Zane, ho stimato perciò bene di fermarlo à
disposinone di V. A. 5'^r.'*^...> È la prima volta che ci occorre
questo nome in tanti documenti veduti. Forse era nome di ma-
schera? Forse metatesi di Lorenzino?
Romagnesi Marc' Antonio, ferrarese, era salito in gran
fama qual Pantalone e capocomico. Pier Maria Cecchini aveva
proposto con lettera del 1 6 1 2 da Venezia al Duca di Mantova
di mandarlo a Parigi, ove poi non andò, pei raggiri di Tri-
stano Martinelli chg vi andò in sua vece il 16 13. Vediam più
tardi il Romagnesi, il 1616, nella Compagnia de' Confidenti,
diretta dallo Scala e protetta da Giovanni De Medici, nella
quale ebbe a Genova un alterco con Battista Austoni, V am-
ministratore della Compagnia. (V. Neri, Gazzetta letteraria,
18 maggio '89).
E sua senza dubbio la traduzione dell' opuscoletto, intito-
lato : DichiarcUione \ del Re Chr istianissimo \ pubblicata nel Par-
lamento I nel qual S.M. si ritrovò il giorno \ 18 di gennajo 16J4 \
50. — / Comici italiani. Voi. II.
394 ROMAGNESI
richiamando il Duca cT Orléans \ Suo fratello \ tradotta dal fran-
cese I da Marcantonio Romagnesi. - Venetia, 1634.
Romagnesi . • • • ? Recitava le parti ^Innamorato sotto il
nome di Orazio; e fu probabilmente figliuolo del precedente.
Il Moland, non sappiamo con qual fondamento, gli dà il nome
di Marco. Egli, marito à^^ Aurelia, Brigida Bianchi, si era
recato con la Compagnia Locatelli a Parigi, ove morì il 1660. Di
lui fa menzione il Loret nella Muse historique del 3 1 marzo 1659
col distico seguente :
Horace, en beau discours fréquent,
faisoit l'amoureux éloquent.
Romagnesi Marc' Antonio. Figlio del precedente e di
Brigida Bianchi, nacque a Roma (o a Venezia : non è ben ac-
certato) intorno all'anno 1633. Fu educato nel Collegio de-
mentino di Roma, indi, come sovente s' è visto, trascinato alla
scena dall'esempio dei parenti, salì subito in alto grido per
le parti d! Innamorato, sotto nome di Cintio. Non si recò a
Parigi che del 1660. Aveva sposato a Bologna il 31 marzo
1653 Elisabetta Giulia Della Chiesa, non comica (in francese
si firmava De tEglise e in italiano La Gieza)y che gli morì a
Londra il 1675 ^" ^^^ ^^^ ^^^ viaggi che la Compagnia fece in
Inghilterra col permesso della Corte di Francia. Il Neri pro-
penderebbe a crederla figliuola del celebre Dottor Violone,
Girolamo Chiesa, ma non saprei perchè, non essendosi mai
trovato il suo nome preceduto da quel Della, che fa, pare a me,
un diverso casato.
Troviamo il Romagnesi a Mantova V aprile del '55, come
da una sua lettera al Duca di Modena del 5, con la quale lo rin-
grazia dell'invito di recarsi colà a recitare : poi nulla sappiamo
più fino all'anno 1667, in cui egli apparve sulle scene del Tea-
tro italiano, sostituendovi il secondo amoroso Valerio Bendi-
nelli ; indi, abbandonato il primo amoroso Ottavio Costantini
il teatro nel 1688, e partito per l'Italia, predendone egli il
ROMAGNESI
posto. Verso r'8g fu incaricato da Colbert di recarsi in Italia
a scritturarvi nuovi attori per colmare i vuoti lasciati nella
Compagnia. A tal proposito scrisse una lettera a Carlo Pevrault,
controllore della Casa Colbert, chiedendo un passaporto per
Roma, Venezia, Genova, Ferrara, Bologna, Padova, e una sov-
venzione in danaro, per
far fronte alle spese, fa-
cendo osservare che pel
viaggio in due sole città,
Bologna e Venezia, Ot-
tavio avea sempre avuto
200 scudi.
Invecchiato il Lolli,
Romagnesi, che non era
più giovine, e a cui non
più si addicevan le parti
à! Innamorato (1694), lo
sostituì nella maschera
del Dottor Baluardo, nel-
la quale ci lu tramanda-
to in effigie dal bulino
del Manette, un de* più
benemeriti della storia
iconografica del nostro
teatro.
Soppresso il Teatro
italiano nel 1697, Roma-
gnesi naturalizzato francese dal 1685, ufficiale del Re, e am-
ministratore della Compagnia italiana insieme ad Angelo Lolli,
abbandonò le scene, e morì a Parigi in via S. Dionigi il 29 ot-
tobre 1706. Fu sepolto nella chiesa di S. Lorenzo alla presenza
dei figli Carlo e Augusto Alessandro.
Marc' Antonio Romagnesi fu poeta e non de' peggiori, e
pubblicò pei torchi di Langlois a Parigi il 1673 le sue rime,
eh' ei volle consecraie alt immortai nome di Luigi XIV Re di Fran-
Mr le X>octezrr3aioiiard.
396 ROMAGNESI
eia e di Navarro. Esse si dividono in Eroiche. Amorose. Morali
e Varie. II Bartoli riferisce l'ode indirizzata a sua madre, e la
risposta di questa. Ma come saggio del suo stile ve n' ha ben
altre che mi pajon di gran lunga migliori.
Oltre a queste una ne pubblicò il Cotolendì nel suo Livre
sans nom (Paris, Brunet, M. DC. XCV), Al proprio Genio, pre-
mettendole alcune parole d'iperbolica lode per tutta l'opera
poetica di Cintio.
L'ode comincia:
Fiamma de l'intelletto,
mobil del mìo voler, moto dell'alma,
colmo d'estro, e dispetto,
a te periurbator della mìa calma,
parlo, o mio Genio insano : a te che sei,
forsennata cagion de' torti miei.
La notizia, citata dal Bartoli, che il Romagnesi, andato a
Mantova, trovasse una sua casa sequestrata, e supplicasse Ìl
Duca della liberazione, che poi ottenne, troviamo nel seguente
sonetto che non mi par de' peggiori:
Signor, giacché più tetto non m'avanza,
e più casa non ho su 't mantovano,
non vi sdegnate che col scettro in mano,
mentre casa non ho, faccia una stanza.
Molte n'ho fatte, è vero, in varia istanza
a Vostra Ahezza, mio Padron sovrano;
e pur con tante stanze essendo al piano,
di star allo scoperto ho per usanza.
La Camera ducal se l'ha investita;
e pur ell'è come campagna rasa,
o nuda più che cella d'eremita.
Ma s'a la vostra Camera è rimasa,
date ordine mi sia restituita;
che non può entrare in Camera una casa.
Degne di certo interesse a chi fosse dotato di molta pa-
zienza, sono alcune poesie nelle quali egli dà la spiegazione
ROMAGNESI
De la Ctrtnedie Jtalienne ^ d^n^ san
dell'oroscopo. Analizzando e raffrontando, si potrebbe forse
venire alla soluzione di altri, sparsi in quest'opera. Limitiamoci
398 ROMAGNESI
a dar qui, come saggio, la interpretazione di quello concernente
il natale di Angelo LoUi :
A te Febo dà vita: e mortai fine
nell' undecimo lustro indi t'offende;
e di Mercurio in dignità t'intende
de la Terra a tracciar vario confine.
Giove in Terza l'amor par che t'indine
De i Sacri; e col Sestile a Cintia apprende
favor donnesco: e Citerea difende
di morte ria da subite ruine.
Empi Amici additar Marte qui vuole,
Sterilità Saturno, e prigionia,
Benché Delia feminea unica prole.
Gli Angoli Orizzontali han Stella ria,
turban la prima età, poi Giove suole
cadente tranquillar l'aura natia.
E il sonetto mi pare ancor più sibillino dell'oroscopo, il
quale, nondimeno, ci dice, e qui non corron dubbi, la data della
nascita di A. LoUi, che è il 28 agosto del 1630 (non 1622, come
s'è ritenuto fin qui erroneamente), a ore 18 e 24 minuti.
Il Romagnesi fu veramente lodato da chiari ingegni del
suo tempo, e ha versi diretti all'Abati e a Salvator Rosa. Ai
nomi di Costantini Giovan Battista e Gherardi Evaristo sono
accennate alcune querele e dispute ch'egli ebbe, per le quali
si ricorse perfino alle vie di fatto con la spada alla mano.
Dei cinque figliuoli, Agostino Alessandro, Ippolito, Gae-
tano, Girolamo Alessandro, Carlo Virgilio, due soli si fecero
comici: Gaetano e Carlo Virgilio.
Agostino fu educato alle armi, e sappiamo da un sonetto
del padre eh' egli militò ancor giovine contro i turchi in Polo-
nia. Era cavaliere dello speron d' oro, e fu nominato dal Duca
di Mantova conte Boba.
Ippolito studiò pittura sotto la scuola del famosissimo Do-
menico Maria Canuti, e finì Provinciale dei domenicani a Roma.
Girolamo, interdetto per demenza, morì a Charenton.
ROMAGNESI 399
Romag^esi Gaetano. Figlio del precedente. Dì lui sap-
piamo soltanto che fu comico, e che uscito di Francia nel 1 697,
al tempo della soppressione della Comedìa italiana, dopo di
aver recitato in Fiandra e nei Paesi Bassi, morì a Bruxelles
il 26 ottobre del 1 700. Aveva sposato, morta sua madre. Maria
Anna Richard (da cui ebbe un unico figlio, Gìovan Antonio) la
quale, rimasta vedova, passò a seconde nozze col signor Duret
Hreur d'ordì Lione, che poi si fece comico. Nella divisione dei
beni di Marc'Antonio Romagnesi, il Duret prende la qualità
di avvocato in Parlamento.
Romagnesi di Belmont Carlo Virgilio, fratello del pre-
cedente. Ufficiale del Re, nato a Parigi il 7 maggio del 1670, fu
inviato in educazione a Roma, d'onde
si restituì in patria dopo tre anni di
dissipazioni, col fermo proposito di
calcar le scene. Esordì all'antico tea-
tro italiano sotto il nome di Leandro.
il 24 agosto 1694, nella Comedìa Le
depart des Comediens. e fu applauditis-
simo. « Aveva - dicono i fratelli Par-
fait - una bellissima figura, e delle at-
titudini singolarissime per la scena. »
Dopo un anno fu ricevuto a parte
intiera, insieme al fratello Gaetano.
Chiusa la Comedia italiana nel '97,
Leandro si scritturò col Pascariello
Tortoriti, e scorse parte della Fran-
cia, recandosi poi in Lorena. Tornò
a Parigi al finire del 1707, e vi sposò
il 6 gennajo i 708 Elisabetta Costan-
tini figlia di Giovan Battista, Ottavio, Tornò a recitare in Pro-
vincia; e finalmente, accasciato dai malanni, fé' l'ultimo ritorno
a Parigi verso il 1725, trascinandovi una vita di languore e di
stento, fino al 9 marzo 1731, giorno della sua morte. Nominò
400 ROMAGNE5I
con testamento del precedente 24 febbrajo legatario univer-
sale il nipote Giovanni Antonio, ed esecutrice testamentaria la
moglie Elisabetta. Ebbe due figliuoli gemelli, morti lo stesso
giorno della nascita, e sepolti insieme il 13 luglio del 1708.
Romagnesi Giovanni Antonio. Figlio di Gaetano e di
Anna Richard, nacque a Namur Ìl 1690. Mortogli Ìl padre
nel '700, e rimaritatasi la madre coU'avvocato Duret, egli ebbe
da entrambi tali maltrattamenti, che, sebbene avesse g^à esor-
dito a quindici anni con buon successo nella compagnia ma-
terna, si trovò costretto a prendere il servizio militare, arruo-
landosi con un tal Capitano, dal quale non ebbe trattamento
migliore, nonostante Ìl dono che gli fece d'un piccolo orologio,
che era tutto quanto ei possedeva. Venuto alla disperazione,
risolse di disertare; ed essendo il suo reggimento non lungi
dalla Savoja, si rifugiò sulle terre del Re di Sardegna. Ma non
andò molto ch'egli ebbe a pentirsi di tal passo; e avvicinatosi
alla Francia per le montagne della Svizzera, scrisse al celebre
attore Quinault, che allora recitava a Strasburgo, esponen-
dogli il suo triste stato, e chiedendogli soccorso. Quinault ri-
spose, dandogli convegno a Basilea, dove sarebbe andato fra
giorni. Alle porte della città, ÌI povero ramingo dovette fer-
marsi, che non era permesso l' entrata a chi veniva dalla Sa-
voja, senza un chiaro esame sul suo nome, sul suo stato, sui
suoi disegni. Come fare? Visto un ragazzetto che guardava un
branco di porci, mediante qualche po' dì danaro e qualche pa-
rola minacciosa, ottenne di sostituirlo: e trovandosi assai male
in arnese, gli fu agevole ingannare le guardie, ed entrare in
città, dove avrebbe trovato il suo liberatore. Ma il corriere dì
Strasburgo non sarebbe giunto che il dì dopo. Come fare? Lo
sciagurato giovane si rivolse a un piccolo albergo presso la
Posta, e domandò da mangiare e da dormire : ma la pallidezza
del volto e la povertà del vestire fecer pretendere alla padrona
il pagamento anticipato. Fortunatamente un fornajo presente
alla scena si fece mallevadore, e Romagnesi potè riaversi del
ROMAGNESI 401
lungo cammino, e dei disagi patiti. Il domani una lettera di
Quinault gli annunziò il suo arrivo, e infatti alle quattro del
giorno stesso egli fu in Basilea, e rivolse le sue prime cure
all'abbigliamento del suo nuovo compagno d'arte, che, con-
dotto subito a Strasburgo, vi esordì in capo a qualche giorno
con molto successo.
Pubblicata V amnistia, e cessata ogni inquietudine per la
diserzione, il Romagnesi restò due anni con Quinault, poi si
scritturò con Giovan Battista Costantini, Ottavio, che aveva
compagnia a Parigi nelle fiere di San Germano e di San Lo-
renzo, col titolo di Opera Comica, ed esordì a quel tempo come
autore con la Comedia in prosa e musica in tre atti : Arlequin
au Sabat, rappresentata alla fiera di San Lorenzo del 1716 con
grandissimo successo. Alla fine dello stesso anno, Costantini
abbandonò la impresa, e Romagnesi passò in una Compagnia
di Marsiglia fino al 17 18, anno in cui fu di ritorno a Parigi,
esordendo il 4 di luglio al Teatro francese con la parte di Ra-
damisto nel Radamisto e Zenobia. Ma il successo non essendo
stato qual era da sperare, dopo non molte recite, egli fu ancora
in Provincia, a Bordeaux, a Bruxelles, a Cambrai, donde resti-
tuitosi a Parigi, fu accolto nella Compagnia dei Nuovi Comici
italiani. Il Mercurio di Francia così annunziava il suo esordire :
Il (venerdì) 13 aprile (1725) il signor Romagnesi, nuovo attore e
nipote di Cintio, comico famoso dell'antica Compagnia italiana, si pre-
sentò per la prima volta nella Comedia La Surprise de l'Amour (di Ma-
rivaux), e vi recitò la parte di Lelio con molta intelligenza. Fu ancor più
ammirato nelle altre parti che recitò di poi.
Poco tempo dopo, fu ricevuto in compagnia con tre quarti
di parte.
Il maggio del 1742, si recò a recitare a Fontainebleau
davanti alla Corte, nonostante alcuna indisposizione, ch'egli
aveva avuta, e ritenuta passeggiera, sul finire dell'aprile; ma l'ii
di maggio, cólto da male improvviso, mentre passeggiava nelle
foreste, potè appena metter piede in casa, ove, caduto a terra
privo di sensi, morì in poche ore tra le braccia della zia Belmont.
51. — / Comici Haliani. Voi. II.
402 ROMAGNESI
Negatagli il Curato di Fontainebleau la sepoltura, si de-
liberò d'inviare il suo corpo, chiuso in un cassone, a Parigi,
ove fu sepolto nella chiesa del Salvatore il 1 3 maggio.
€ Alto e ben fatto, - dice il Dizionario dei teatri, — egli
aveva la voce un po' sorda, e sembrava patir gran pena, allor-
ché aveva da dire un brano un po' lungo. Fuori di ciò egli era
attore egregio in ogni genere di parti, eccellente in quelle di
ubbriaco e di svizzero. >
Molte sono le opere eh' egli diede al teatro, vuoi solo vuoi
in società con Davesnes, Niveau, Laffichard, Dominique, Ric-
coboni figlio, ecc. ; ma quella che par gli desse maggior grido
fu una traduzione, o meglio, una trascrizione in versi francesi
del Sansone, tragedia italiana in prosa di Luigi Riccoboni, che
l'aveva recitata con grande successo la prima volta il 28 feb-
brajo 17 17, sostenendovi la parte principale.
La prima rappresentazione del Sansone francese ebbe
luogo il 18 febbrajo 1730, e Romagnesi vi ottenne un successo
enorme, secondo che attesta Matteo Marais nel suo diario, alla
data del 5 marzo 1730, che dice:
« Agl'italiani hanno un lavoro che fa gran chiasso. È una
traduzione fatta da Romagnesi in versi francesi del Sansone ita-
liano. Egli lo declama meravigliosamente, magli altri fan pena.>
Molte delle sue opere si trovano sparse nelle varie rac-
colte del Thédtre italien e delle Parodies du Théàtre italien. Ma
di quelle eh' ebber maggiore successo fu fatta dalla Vedova
Duchesne (M.DCC.LXXII) una bellissima edizione in due vo-
lumi in-8°, che comprende Sanson, Le petit Maistre amour eux.
Le Frère ingrat. La Feinte inutile, Les Gaulois, La Fille arbitre,
L'Amant Prothée, Le Superstiti eux, Pigmalion.
I molti pregi di alcune sue parodie dettarono i seguenti
versi :
Comédien sensé, parodiste plaisant,
en traits fìns et légers Romagnesi fertile
couvrit les plais auteurs d'un ridicule utile;
qu'on doit le regrettcr dans le siècle présent.
ROMAGNOLI 403
Romagnoli Gaetano. Buon Arlecchino e capocomico me-
diocre, fu molti anni colla moglie e il cognato Filippo Nicolini
nella Compagnia di Nicola Petrioli, fuggito il quale egli ne
prese le redini per alcun tempo. Ma pare che questa nel 1776
si sciogliesse avanti la fine dell'anno, ed egli si scritturasse
assieme alla famiglia con Alessandro Gnochis pel carnovale di
quell'anno a Genova, dove morì ai primi di gennajo. Di lui dice
Fr. Bartoli che < piacque la sua maniera di recitare lepida ed
arguta, e per sapere a tempo cogliere l'occasione di motteg-
giare co' frizzi spiritosi e faceti. >
Romagnoli Barbara. Moglie del precedente, e sorella di
Filippo Nicolini, fu da prima nella Compagnia del rinomato
Carlo Veronesi, sotto gl'insegnamenti del quale potè divenir
comica egregia. Sposatasi al Romagnoli diventò la prima donna
della ^ua compagnia; e rimaista vedova in quella di A. Gno-
chis, si scritturò con altra, e morì nell'estate del '76 nella Val-
tellina a circa cinquant'anni.
Romagnoli Antonio. Figlio dei precedenti, nato il 1750,
fu ottimo artista sotto la maschera di Brighella. Trovavasi
nel '76 in Compagnia Veronesi, quando gli morirono i geni-
tori. Sposò l"8o una figlia di artieri di Lodi, per nome Anna,
la quale cominciò a recitar da serva (e tale la vediamo il 1781,
col marito Brighella nella Compagnia di un Carlo Rebecchi,
forse fratello di Margherita (V.)), e in soli due anni diventò
un' egregia /W;«a donna giovine . Scritturati entrambi in compa-
gnia Battaglia, vi ebbero, specialmente a Venezia, le più fe-
stose accoglienze. Furon poi con Petronio Zanerini, alla cui
scuòla ella salì al grado di prima donna assoluta, e finalmente
formaron essi compagnia, che durò fino al 1802, anno della
morte della moglie. Continuò egli a recitare scritturato in com-
pagnie di ordine vario, finché, divenuto il figlio Luigi primo
amoroso della Compagnia Perotti, carico d'anni, si ritirò dalla
scena.
404 ROMAGNOLI
Romagnoli Luigi. Figlio del precedente, cominciò a reci-
tar gli amorosi nella compagnia di suo padre, passando poscia
in quella di Francesco Perotti, nella quale salì, dopo un anno,
al grado di primo amoroso assoluto, dopo la scelta di Armando
Subbotici. Innamoratosi della seconda amorosa della Compa-
gnia, Rosa Pasini, la tolse in moglie, e con essa vi restò alcuni
anni, per passar poi il 182 1 in quella Reale Sarda, al momento
della sua formazione, primo attore a vicenda con Domenico Ri-
ghetti. Ne uscì il 23 per andar con Goldoni e Riva, e formar
poscia una società con Augusto Bon e Francesco Berlaffa, sov-
venuta per due stagioni dal Duca di Modena, che durò fino
ar32. Passò poi primo attore ^ padre con Romualdo Mascherpa,
e ridiventò in vario tempo e con varia fortuna capocomico, ora
solo, ora in società. Morì a Milano il 23 dicembre del'ss ^^1"
Tetà di sessantasei anni. Molte furon le lodi a lui tributate come
uomo e come artista, e Augusto Bon Tebbe in tal considera-
zione che scrisse per lui // Sospettoso^ il Conte nel Niente di male,
V Importuno n^ Importuno e il distratto. Recitò assai bene il re-
pertorio goldoniano sì in dialetto, sì in italiano; e specialmente
L! uomo di mondo.
Romagnoli Rosa, nata Pasini, è stata una delle più celebri
servette del nostro teatro di prosa. Nata il 1800, esordì gio-
vinetta in Compagnia Perotti, ove sposò il Romagnoli. In essa,
staccatasi dal marito, tornò il '30; e vi restò, attrice incompa-
rabile, fino al '53, anno in cui ella abbandonò il teatro.
Nella interpretazione del repertorio goldoniano non ebbe
rivali, e ogni più piccola parte acquistava con lei grande im-
portanza.
Bella di volto e di persona, dalla voce metallica, dagli
occhi espressivi, attraeva a sé ogni specie di spettatori al suo
primo apparir su la scena.
Degl' inni di lode alzati alla diletta artista scelgo le parole
di Francesco Righetti, attore egregio, critico acuto, e già com-
pagno d'arte della Romagnoli {Teatro ital., II, 153):
ROMAGNOLI
405
Il personaggio di servetta era semispento nelle Compagnie comiche,
e colla morte della celebre Maddalena Gallina, che mirabilmente lo rap-
presentava, e per il nuovo
genere introdottosi in Italia
di commedie, in cui il rìdi-
colo entra appena di furto, e
per l'abbandono della Com-
media goldoniana.
Riapene le porte della
scena al nostro Goldoni an-
che alcuni moderni scrittori
presero ad imitarlo, ed il per-
sonaggio della servetta tornò
ad essere imponante, e ne-
cessario ; ma non si trovava
più chi sapesse con disinvol-
tura, con brio, con grazia, e
colla necessaria finezza rap-
presentarlo. Finalmente la si-
gnora Rosina Ronnagnolì, già
in questo carattere iniziala
nella Compagnia Perotti,
spiegò tutro il suo valore
nella Compagnia drammatica
di SS. R. M. Sarda, ed invero
fu non lieve perdita per la
suddetta Compagnia l'allon-
tanamento di sì graziosa at-
trice, che ben a ragione è
cotanto acclamata, ed amata
dal pubblico. Snella delia per-
sona, non grande, non pic-
cola, occhio vivo e malizio-
setto, volto pieno d'anima,
voce sonora, un abbandono spontaneo di espressione, e di movimento, for-
mavano in lei un insieme, che non poteva a meno di alleture gli spettatori.
E più oltre:
Il primo merito d' una servetta è aver brio, vivacità, e soprattutto
buona grazia. La grazia sta nel contegno, negli atteggiamenti, nella na-
turalezza, nella disinvoltura, nella semplicità, nella perfetta armonia, e nel-
4o6 ROMAGNOLI
r intero sgombramcnto di tutto ciò che è superfluo, od incomodo : il
linguaggio della servetta deve essere franco, e talvolu ardito; ma in ge-
nerale il modo di dire delle nostre servette è tutto pieno di tanti fìori
già appassiti nel loro nascere, come quelli che hanno sulla loro gonnella.
Tutte le suaccennate qualità le scorgiamo noi nelle nostre servette?
Ove si eccettui la commendata signora Rosina Romagnoli, che se non
di tutte, almeno di una buona porzione n' ha fetto tesoro, dubito che
altre si possano ritrovare.
Recitò la prima in Italia Le prime armi di Ric/ielieu. ed
// Birichino di Parigi. Morì a Torino il 14 novembre 1 886, la-
sciando una figlia, Enrichetta, sposa a Eugenio Casilini.
Romagnoli Carlo. Figlio dei precedenti, esordì secondo
amoroso nella Compagnia Mascherpa, passando poi primo attor
giovine in quella De-Rossi, col qual ruolo formò prima società
con Achille Dondini, poi fu scrittu-
rato dal fratello di lui Cesare, da
Adamo Alberti pei FioreniìfU di Na-
poli {1858-59-60), da Luigi Dome-
niconi pel seguente triennio ; ma,
sciolta il Domeniconi la Compa-
gnia nell'agosto dell' ultìm' anno a
Viterbo, egli formò società per con-
durla al termine dell'anno comico;
continuandola poi col Colombertì
fino a tutto il carnovale '65. Fu di
nuovo a Napoli con l'Alberti, e di
nuovo capocomico in società con la
Pezzana e Privato pel triennio '68-'6g'-7o. Passato al ruolo di
generico primario, fu prima in società con altri per vani anni,
poi, scritturato da Tommaso Salvini, andò in Inghilterra con
la figlia Amelia prima attrice giovine.
Mori dell' 8 2 a Torino in una casa di salute.
Così scrisse di lui il Tirascene (G. Costetti) nel Bersagliere
di Roma :
ROMAGNOLI - RONCORONI 407
Carlo Romagnoli tenne meritamente uno dei primi posti fra i nostri
attori. Aveva bella voce, prestante la persona; mani e piedi aristocrati-
camente piccini, del che si teneva moltissimo. Recitò vero, e sdegnò l'ap-
plauso del volgo, se bene sapesse tutte le malizie e avesse tutti i mezzi
per procacciarselo a suo talento.
Roncagli Silvia, bergamasca, recitava nella famosa Com-
pagnia dei Gelosi, magnificata da Francesco Andreini (V.) nel
Rag. XIV delle Bravure, le parti di serva col nome di Frati-
cischina, e quelle — aggiunge il Sand (pp. cit.) — di travestimento
col nome di Lesbino. Nel Finto Negromante dello Scala (V. op. cit.)
ella si traveste adi Mercurio; nel Ritratto fra i personaggi è
Lessino paggio, poi Silvia milanese; nel resto ella è quasi sem-
«
pre serva, talvolta ostessa, o moglie di burattino, Fr. Bartoli, non
so la fonte di tal notizia, dice che del 1580 la Roncagli era
nel fiore della sua giovinezza.
Roncoroni Luigi, nato il 1856 a Milano, fu avviato dal
padre alla carriera militare. Fuggito a diciott' anni dall'Acca-
demia di San Luca, entrò in una Compagnia d'infimo ordine,
qual suggeritore, cominciando a recitare in quella italiana, for-
mata dal celebre attor dialettale Toselli (V.). Scritturato da
Bellotti-Bon (V.), quando questi si suicidò, formò compagnia
con alcuni superstiti della catastrofe. Si recò all'Argentina
con Emanuel (V.), e di qui cominciò la sua fortuna ; che, avuto
un grande e schietto successo, trovò modo di formar da solo
una compagnia che condusse poi in ogni parte dell'America
del Sud con ottima riuscita artistica e finanziaria. Un disastro
bancario gli tolse tutto, ed egli dovette ricorrere a ogni mezzo
per campar la vita, passando dal maestro di scuola al pittore,
dall'impiegato al cantante di operette. Impadronitosi della
lingua, si scritturò primo attore in una Compagnia spagnuola,
e n'ebbe onori e denaro. Oggi percorre, capocomico festeggia-
tissimo, l'Avana e il Messico ove rimarrà fino al gennaio 1 903 ;
per tornarsene dipoi in Italia, col proposito di riprender nella
lingua patria l' antico ruolo di brillante.
408 RONZONI - ROSA
Ronzoni Antonia. Figlia di Luigi, detto il Gobbo, rammen-
tatore, fu prima attrice di buon nome, poi capocomica sul finire
del secolo xviii e nel primo ventennio del secolo xix. La ve-
diamo r autunno del 1 795 al San Cassiano di Venezia, impresa-
ria Marta Coleoni, e il 181 3 nella Compagnia di Luigi Parrini,
nella quale, il 1° maggio, invitò con versi sdruccioli il pubblico
lucchese alla rappresentazione di suo beneficio, che fu Ferdi-
nando II Granduca di Toscana alla Villeggiatura di Pratolino
con Francesco Fagiuoli buffone di Corte. Coir avanzar degli anni
si diede al ruolo di madre.
Rosa Rinaldo. Sosteneva le parti di Pantalone nella Compa-
gnia del Duca di Modena. Al governatore Gaudio Ricci fu dato
Taprile del 1697 l'ordine ducale di arrestarlo, non è detto per
qual motivo, in un con Giuseppe Sontra, Flaminio, quando fos-
sero passati pel Po, diretti da Ferrara a Cremona; ordine che il
Ricci annunzia da Brescello in data del 2 1 , di avere passato al
Capitano del Brigantino.
Rosa Pietro. Veneziano, fu prima fattore di nobile fami-
glia di Venezia, poi mostrate chiare attitudini a sostener la Ma-
schera del Pantalone^ si scritturò a quel Teatro di San Ltua,
per sostituirvi il Rubini (V.). Fu artista di molto pregio, e Gol-
doni scrisse per lui il Tomio nel Torquato Tasso. Mise in iscena
il 1765 una sua commedia, parte scritta, parte a soggetto, in-
titolata: Chi la fa t aspetta, ossia I due fratelli veneziani perse-
guitati dalla calunnia e resi felici dalla magia, che « travagliata —
dice Fr. Bartoli - con molto spirito, apportò del profitto alla
comica Compagnia. > Uscito dal San Luca, si fece capocomico
e passò in Terra ferma con Giustina Cavalieri e Vincenzo Bu-
gani, percorrendo poi, quand'essi tornarono a Venezia con
la Battaglia, il Tirolo e la Dalmazia. Diventò poi conduttore
d'opere in musica, ma con poca fortuna; che il '79, s'incendiò il
Teatro di Gorizia, del quale egli aveva l'impresa. Passò quindi
nella Compagnia Pizzamiglio, recitandovi di nuovo sotto la
maschera del Pantalone coli' antico successo.
ROSA 409
Rosa Caterina. Figlia del precedente e moglie di Carlo
Serramondi, Innamorato di buon nome, che dopo due mesi di
vedovanza passò a seconde nozze con una figlia di Marco Fiorio
veronese, fu educata dal padre nell'arte scenica, in cui divenne
pregiata artista per le parti di serva. Dopo di aver recitato la
primavera del 1779 in Genova, recavasi col marito a Verona,
scritturati da Maddalena Battaglia, quando, presso Voghera,
datisi i cavalli del legno alla fuga, ella vinta dalla paura, balzò
a terra, fratturandosi una gamba, e lasciando quivi dopo alcuni
giorni la vita. Il pietoso accidente ispirò a Fr. Bartoli, allora
a Verona, un sonetto, andato perduto, e altro, abbastanza in-
sulso, a certo Carlo Fidanza romano, rammentatore della Com-
pagnia Battaglia, che il Bartoli riferisce.
In una lettera del 1764 da Parigi a Stefano Sciugliaga, il
Goldoni, alludendo alla distribuzione delle tre Zelinde, e pre-
cisamente a Tonnina, la cameriera di Barbara, dice che se la
CatroUi non volesse fare la seconda serva che è nella seconda
e nella terza commedia, < si potrebbe far supplire ad una bal-
lerina, o alla figlia della signora Rosa. >
Rosa Angelo, veneziano, fu un egregio artista per le parti
di primo amoroso, e un egregio capocomico, ora solo, ora in
società. Lo vediamo il 1820 con Daniele Alberti, e il '21 con
Belloni, prima attrice la moglie Gaetana. Di lui, allora, in en-
trambe le compagnie le Varietà teatrali inserirono poche parole
di lode, dicendo < ch'ebbe il vantaggio di crearsi un metodo
di recitare suo proprio, che piace e lo rende ben accetto presso
il pubblico. >
Fu con la famiglia nella Compagnia Reale Sarda, dal '24
a tutto il '31.
Rosa Gaetana. Moglie del precedente, figlia di Innocente
e Giovanna De Cesari, comici, e nipote della celebre Bazzi, fu
egregia prima attrice, poi madre e caratteristica. Di lei, quan-
di era in Compagnia Belloni, le Varietà teatrali disser parole di
52. - / Comici italiani. Voi. II.
lode. Fu anche traduttrice delle migliori produzioni francesi
del suo tempo, e di esse si valse pel suo repertorio la Compa-
gnia Reale Sarda. Del '46 la vediamo madre e direttrice della
Compagnia dì Balduini, suo nipote, assieme ai figli Gìovannina
e Salvatore; del '47 madre della Compagnia dalmata, diretta
da Luigi Capodaglio, con la figlia ed il genero; e del '57, vec-
chia, a Ivrea con la Santoni. Del '59 ella scriveva da Ancona
a Righetti a Torino, di aver trovato un onorato asilo in Ascoli,
direttrice d'una Società filodrammatica, ma che sarebbe stata
troppa fortuna per lei: e infatti la Società si sciolse....
Rosa Gìovannina. Figlia dei precedenti, fu una ottima
prima attrice per le commedie goldoniane e le sentimentali del
teatro francese, che al suo tempo inondavan le scene, tradotte
dalla madre Gaetana.
Anche sostenne con
molto plauso la trage-
dia e l'alto dramma; e
una bella litografia in
foglio del Doyen di To-
rino (i 840) la raffigura
in costume di Pia; ma
per la piccolezza della
statura, a lei certe parti
eroiche non si conveni-
vano. L'anno comico
'57-'58 fu scritturata
col marito Federico
Bianchi, caratterista e
promiscuo, nella Com-
pagnia torinese, appen-
dice della Reale Sarda,
sotto la direzione di Gustavo Modena, per parti di seconda donna,
madri serie e comiche, ed altre di generica primaria, con l'annuo
stipendio (in coppia) di lire 5400, più due mezze serate. Datasi
giovinetta alle fatiche di un ruolo primario, morì nel '583 To-
rino, logorata dàlia tisi, non ancor cinquantenne.
Rosa Salvatore. Fratello della precedente, fu brillante
egregio ed egregio caratlerista. Comìncio a recitar bambino
colla famiglia, e giovinetto so-
steneva già parti d' importan-
za, promettendo assai bene del
suo avvenire artistico. Col soc-
corso degli elenchi, ho potuto
ricostruire almeno in parte il
suo stato di servizio. Brillante
e capocomico il 1845-46 in So-
cietà con Balduini; id. il '48
con Lipparini; brillante il '53
con la Sadowski e Astolfi; id.
il '56 con Zamarini e soci; id.
il '58 con Robotti; id. il '69
con Ernesto Rossi ; caratteri-
sta il '71 con Peracchi; id. e
copocomico il '72 in Società
con Casilini e Biagi; caratte-
rista il '76-'77-'78 con Ali-
prandi; id. r'83 con Cremonesi, quand'egli recitava al Coco-
mero di Firenze.
Del '46, Enrico Montazio, non sospetto certo di tenerezza
verso i comici, così scrisse di lui nella Rivista:
S*lv>lor Rou ha lopra il Vergiuno (recilav* questi >1 Nuova io Compagnia Pez-
zuu) il vanUegio della voce, della pertona, della eU; ambedae amano l'arie non da
iitrìom, ma da artitti ; ambedae pongono pari amore alle piccole parti, che a quella prin-
cipale e di protagoniita; e da ciò, ■ parer mio, ri diitiogue topratutto l'artiita ragione-
vole e tenero, più che d'un trionfo a carico de' tuoi compagni, della totale nascita di
tin'aiione drammatica. Sennonchi il Rosa gettasi pel campo dell'arte con tutto l'impelo
giovanile, e talvolta per troppo amore di &re, itrafli; mentre Vergnano (V.).
L'incalzar degli anni accennava pur troppo a privarlo
della vista, sì che dovette abbandonar l'arte, povero: e anche
ROSA - ROSASPINA
Oggi vive, cieco e vecchio, a Forlì, soccorso di quajido in quando
dai pietosi compagni d'arte.
Rosaspina Carlo. Figlio di Cesare, che fu buon patriotto.
mediocre attore e nipote del celebre incisore omonimo, nacque
a Vercelli il 1854.
Recitava col padre nella Compagnia del Meneghino De
Velo, a Pisa, quando, sentito dall'artista Gaspare Lavaggi, fu
Cesare RosaEpina.
Catlo Rosaspina.
da lui scritturato primo attor Rovine. Dopo un triennio passò
nella Compagnia di Adelaide Tessero, in cui stette cinque anni,
poi in quelle di Anna Pedretti e di Alamanno Morelli. Salì al
grado di primo attore assoluto in Compagnia Favi, intitolata
al nome di Bellotti-Bon, e tale si mantenne fino a oggi or con
Cesare Rossi, or con la Duse, or con Luigi Rasi. Fu anche,
un anno, capocomico, ma con poca fortuna. Carlo Rosaspina
è artista dì singolare intuizione; e, quando voglia, sa dar
vita a caratteri vari con giustezza di colorito, e con misura.
Fu lungo tempo, ed è tuttavia, buon compagno dì Eleonora
Duse, a fìanco della quale si fa specialmente apprezzare dai
ROSASPINA - ROSSI 413
vari pubblici nostri e forastieri, sì neW Armando della Signora
dcUle Camelie, sì nel Claudio della Moglie di Claudio, e nelF Obrey
della Seconda Signora Tanqueray, e in altro. Nel ^99, in Com-
pagnia Rasi, creò fra tante al Filodrammatico di Milano, la
parte di Henschel nel Vetturale Henschel di Gherardo Haupt-
mann, ottenendovi uno schietto e clamoroso trionfo per la
grande vigoria, non discompagnata dalla più grande sem-
plicità.
Al punto in cui scrivo, egli è additato come uno de' più
forti sostenitori, se non il più forte dopo la Duse, della nuova
tragedia d'annunziana Francesca da Rimini, nella quale incarna
con molta efficacia e molta sobrietà il carattere di Gianciotto.
Rossi Bartolomeo. Comico veronese del secolo xvi, reci-
tava gV Innamorati sotto nome di Orazio, e trovavasi a Parigi
il 1 584, nel quale anno pubblicò pei tipi di AbelFAngelliero, una
pastorale. Fiammella, che dedicò alt illustrissimo et eccellentissimo
Principe, il signor Duca di Giojosa. Dall' avvertimento ai lettori
si sa che, stampati i primi due o tre fogli, l'autore cadde gra-
vemente infermo, e non potè curar l'edizione, riuscita da molte
parti lacerata da grandissimi errori, che l' autore indica nell' ul-
tima pagina. S'apre l'operetta con un sonetto francese di Fran-
<;ois de Beroalde au Seigneur Bartelemi Rossi Veronois sur sa
Pastorale, e si chiude coi due seguenti d'incerto autore:
AL SIGNOR BARTOLOMEO ROSSI
COMICO DIGNISSIMO
Rosso, vero Theatro e Tempio e Choro,
doue canta, risplende, et doue siede
quella virtù, quel valor, quella fede,
con che andate facendo il secol d'oro.
Humili inchinai! voi tutti coloro,
nei quali spirto di ragion si vede;
et chi più v'alza al Ciel, chi più vi cede,
più di ciò che far dee sema il decoro.
414 ROSSI
Perchè non sol di Tullio organo sete,
d'Homero cetra, et di Parnaso ingegno,
fiato alla Fama, e ricordanza a Lethe;
ma d'hoggi il di non tien più egregio ingegno
di voi; che al Ciel e agl'hoomini vivete
non men d'honor, che di salute degno.
AL MEDESMO
Oratio, grazia di quel certo ingegno
che torre il Cielo a sé medesmo sole,
per darlo in sorte a chi più potè, e vole
dei miracoli suoi mostrar gran segno.
Fra i primi del poetico disegno
sapete accomodar le linee sole,
et col venusto stil de le parole,
colorir vivo ogni concetto degno.
La Maestà del compor vostro altero,
lodando il mondo, in suon chiaro, et profondo,
acquista fede al mio giuditio intero.
Primo a sé stesso, a nuli' altro secondo,
fia '1 vostro spirto, et ciò tener per vero,
è uffitio et degl'huomini, et del mondo.
Da questi quattro personaggi, così descritti :
Fiammella, ninfa^ innamorata di Montano,
Ardelia, ninfa^ compagna di Fiammella^ innamorata di Titiro,
TiTiRO, pastore^ innamorato di Fiammella,
Montano, pastore, compagno di Titiro, innamorato d'^Àrdelia,
si capisce subito l'intreccio della favola. A queste persone
principali s'aggiungono un Famelico parasito e un Salva-
Tico, e le maschere Bergamino, Pantalone, Graziano, che
fan le maggiori buffonate del mondo ; poi figure allegoriche e
soprannaturali: Eco, Tempo, Pazienza, Speranza, Aletto,
TisiFONE, Megera, Mercurio, Proteo, Giove, Plutone,
ROSSI 415
" — ' ■-■■I .. ,1 I ■■ y -■■— Il ■■■■M
Nettuno, che servono a empir di fantastico il quadro. • Gran
parte vi ha VJScOy il quale comincia a farsi sentire in un lungo
monologo di Pantalone al primo atto, tutto a bisticci :
La sorte s'urta, e fa che morte m'urta
se vago vuogo, e se sto fermo formo
affanni, e fanno che me liga e laga
la fina funa, che me strinze e stronza
e moro, e miro se con passi posso
far scherno e scorno, a chi mi tira in tara
le parche porche se le fila il filo
della mia vita, vota d'ogni degni
contenti
e via di seguito per trentacinque versi, dopo i quali comincia
una comica lotta di parole con VEco, che torna poi in scena,
per dir così, con Titiro al secondo atto, e con Montano, poi con
Graziano e Bergamino, e con Fiammella e Ardelia, al quarto.
Non ispregevole pastorale, non certo delle peggiori, è
codesta Fiammella, in cui, oltre alla felicità dell'orditura, alla
maestria della condotta, al fantastico di certe scene, sono versi
abbastanza garbati come i seguenti che tolgo dalla scena unde-
cima dell'atto quarto.
Dopo che Fiammella ha promesso a Titiro^ se cessi dalla
sua crudeltà, un vaso per attinger acqua, fatto
d'un teschio d'un uccello,
ch'in aria si nutrisce di rapina,
e n'è intagliato con sottil lavoro
tutt' all' intorno d'ogni sorte uccelli.
Ardelia dice :
E tu, Titiro mio, se mi compiaci,
ti vo' donar una bella ghirlanda
da verginelle mani ben contesta
di Rose, di Ligustri, e d'Amaranti,
con molte foglie d'Ellera e d'alloro,
4i6 ROSSI
nelle quali son scritte le mie pene,
e come fui per te d'amor trafitta,
con fregi che circondano le foglie
ch'in tsst Sì comprendono il trionfo
del faretrato Dio, e di sua madre.
Quivi s'un carro, che di mille fiamme
è cinto, giace il perfido fanciullo
tirato da destrier candidi e forti,
e Citerea lo segue, ed è condotta
da l'amorose e lascive colombe,
co i pargoletti e le Grazie che vanno
scherzandoli d'intorno, dolcemente;
e son cosi lascivamente fatti
ch'avrian forza spezzare ogni aspro core.
Accetta un dono tale e queste membra.
Tiiiro e Montano cedon finalmente a' preghi delle ninfe,
e quello diviene sposo di Ar delia e questo di Fiammella, e le
due coppie abbracciate si riducono alle lor capanne.
La licenza agli uditori, detta da Mercurio, è un* esalta-
zione di Parigi,
dove soggiorna santa Religione,
candida Astrea, intatta e bianca fede,
d'^un governo divin, d'un Rege santo,
circondato da Principi famosi,
che, per servizio fargli, al quinto Cielo,
andriano per levar il ferro a Marte,
pur che ciò fiisse grato al suo Signore.
Interessante è il prologo della Pastorale, in cui favellano
Prologo, Comedia, Virtù, Onore, Ignoranza. La Comedia
non osa più mostrarsi in scena, perchè aborrita da gente ne-
ghittosa a cagion d'ignoranze, e chiamata dai più dotti infame.
Ma la Virtù con una buona difesa de' comici, scaccia T Igno-
ranza; e la Comedia promettendo di rimanere alla Virtù e
air Onore divotissima serva, si mostra sotto il nuovo Poema
pastorale.
ROSSI 417
Ma d'assai più interessante per noi è il racconto che fa
Bergamino di aver veduto una frotta di commedianti, di cui
non tutti pur troppo fu sin qui possibile identificare (V. Ar-
mani, Zuccati, Lidia).
Róssi Pietro, veneziano, nato il 17 19, cominciò a poco
men che trentanni a farsi conoscere nelle parti ^Innamorato
in Compagnia di Francesco Berti, con cui stette alcun tempo,
e di cui tolse in moglie la cognata Maddalena. Morto il Berti,
egli lo sostituì nell'azienda della Compagnia, e s'acquistò in
breve rinomanza di capocomico egregio. Fu il carnovale, per
molti anni e fino al 1768, nel Teatro Obizzi di Padova.
Ebbe tre figliuoli addestrati alla scena, ma che gli mori-
ron giovanissimi : una figlia, Anna, maritò a Luigi Perelli (V.).
Il Rossi - a detta di Fr. Bartoli che appartenne alla sua Com-
pagnia - era buon direttore, e buon attore; e recitava assai
bene le parti serio-facete, specie quella di negoziante Friport
nella Scozzese di Goldoni. Egli ebbe certo in esso Bartoli un
valido difensore dalle accuse del Fisizza,^ che nel romanzo //
Teatro aveva dato di lui il seguente ritratto :
Era questi (il Capo) nn veneziano grasso e bassotto, rosso di faccia, ma goffo e
pesante, e d'nn'arìa da spazzacammino pincchè da comico. Vantavasi di ben pronunziare
11 toscano, e convertiva la CT in 5, e diceva giogia per gioja, senz' accorgersi di fallare,
cossa per cosa. Regasse per ragazze. Triviale qaanto nn facchino, aveva nn' ambizione
invincibile per far da Eroe, e recitare nelle tragedie. Si metteva sull'elmo certe piume
lunghe un braccio, tutte ritte e ammucchiate l'una sull'altra, che conoscer facevano la
goffaggine del suo gusto. Carico di brillanti da Murano, una bottega parea da vetrajo, e
dal mezzo in giù la figura faceva d' una piramide per i lunghi e mal ]x>sti fianchetti, che
lo ristringevano in alto e dilatavansi in linea obliqua quasi sino alle calcagna. Quel guat-
tero vestito alla eroica, recitava male com'era vestito. Non sapeva camminare, né dove
tener le mani, né (are un gesto a dovere. Urlava quand' era minaccioso, e parlava sber-
leffando con una voce crepata, quando pretendeva d' intenerire. Ostinato come un mulo
nell' errore de' comici vecchi, voleva ancora fare le parti da giovine, e riputavasi il più
necessario di quella Truppa, quando bastava che lo vedesse in iscena la Udienza, per
replicare un oh! derisorio, che persuaderlo dovea a non recitare mai più. Faceva il Scm^
sane, e ultimamente nella Rossana so che fé' il BajaneU Da una testa di questo calibro
si può immaginare com'erano regolati bene gli affari....
Dopo il carnovale del '78, fatto prima al Comunale di Bo-
logna, poi a Firenze, egli cede la compagnia a suo genero (ne
53. — / CxmUi italiani. VoL II.
4i8 ROSSI
era prima donna Anna Lampredi (V.), e andò a ritirarsi con
la moglie e due figlie a Cento, ove aprì una bottega di comme-
stibili ed altro. Fr. Bartoli, che aveva la fregola del sonetto,
ne dedicò uno anche a lui, quando si ritirò dalle scene.
Eccolo :
Rossi, sei lustri di Talia seguace
al teatro vivesti, e Duce esperto
di comici faceti, e d'alto merto
le vie d'Italia trascorresti audace!
Sorte t'arrise; ed oggi brami in pace
finir tuoi di sotto Destin più certo,
lasciando un'arte, il di cui fi'utto incerto
potrìa fortuna a te render fiigace.
Saggio Consiglio. Alle tue mire ardenti
sacro nume immortale appresti aita
e i tuoi desiri alfin fausto contenti.
Nell'imminente tua fatai partita
pianga la Bglia, il genero sgomenti,
non dei restar, s' altrove il Ciel t'invita.
Rossi Maddalena. Moglie del precedente, e sorella mag-
giore di Anna Roffi e Caterina Berti, nacque a Vicenza il 1727.
Fu sempre, moglie esemplare, nella Compagnia del marito,
col quale si allontanò dall'arte. Stabilitasi a Cento, vi fu, dopo
un anno, colpita d'apoplessia, e morì a' primi di giugno del '79.
Ebbe figliuoli che < allevò - dice il Bartoli - con amore, ed ai
quali diede un' onesta educazione, essendo ella molto religiosa
e buonissima cristiana. > Fu, come artista, egregia nel ruolo
della serva, e specialmente nelle comedie all'improvviso, in cui
recitava con molto spirito e molta prontezza.
Né essa fu risparmiata dalla freccia velenosa del Piazza
che la chiamò vecchia sdentata, che fischiava in luogo di parlare,
buona forse trent* anni prima, ma che allora, non si poteva soffrire.
Rossi Felicita, livornese. < Fu impiegata nel carattere
della serva per molti anni nel Teatro a San Luca. Travagliò
con dello spirito, della grazia, e fa nelle cose dell'arte molto
bene instrutta. Fece degli avanzi col guadagno della prc j-
sione. Alienossi poi dall'arte, e visse comodamente in Venezia
senza più recitare ; ed in età avanzata morì in quella Domi-
nante l'anno 1755, lasciando a'suoi parenti qualche conside-
rabile facoltà.» Così Fr. Bartoli.
Rossi Andrea. Uno dei tanti Arkcckini del secolo xviii.
Fu nelle Compagnie minori di Maria Grandi, di Vincenzo Baz-
zigotti, di Costanzo Pizzamiglio, ecc., e viveva ancora del 1 782.
Scrisse anche in versi martelliani, e pubblicò a Reggio.... una
rappresentazione intitolata La Giuditta, che dedicò alle Dame
e ai Cavalieri di quella città; e una commedia in prosa di due
atti, a Gorizia ÌI 1780, intitolata La Costanza in Cimento, che
dedicò con lettera in versi sciolti alla Contessa Teresa Della
Pace. Dice il Bartoli ch'egli aveva perduto la vista; ma che
poi, ricuperatala completamente, riapparve sulla scena, ove si
ebbe il maggior favore del pubblico, sebbene di avanzata età.
Rossi Mario Eugenio. N ato
il 22 maggio 1826 a Vercelli da
Bernardo Rossi, ex-tenente d'ar-
tiglierìa e da Teresa Monticelli,
fu, morto il padre nel '34, con-
dotto a Torino, dove conobbe
il Goliardi, primo attore della
R. Compagnia Sarda, stretto pa-
rente di sua madre. Conosciuti
col suo mezzo la Robotti, Tes-
sero, Bucciotti, doventò in poco
tempo creatura del palcosceni-
co ; e tanto lo prese amor del-
l'arte, che una bella notte, di
nascosto della madre e del fratello maggiore, fuggì di casa
per andare ad aggregarsi a una compagnia, che recitava a
420 ROSSI
Drenerò in una sala dell'ospedale; e colla quale frequentò
per oltre un anno teatri talvolta di quello assai peggiori. Vol-
tasi la madre alla polizia, egli dovette un po' colle buone,
un po' colle minaccie, tornarsene a Torino, ove, stretta ami-
cizia dopo molto tempo con Giacomo Brizzi, tornò più acceso
di prima agli antichi amori; e nel '52 fu iscritto fra i gio-
vani volenterosi che Gustavo Modena riunì a Savigliano per
un giro artistico nel Piemonte. Passò da Savigliano a Nizza, poi
ad Alba, poi, per mancanza di pubblico, la Compagnia si sciolse.
Formò allora Società conToselli per assai breve tempo; indi si
scritturò con Lorenzo Marazzi, di cui sposò la figlia. Fu socio,
in vario tempo, di Pascali, Cardarelli, Bovi, Papadopoli, Picci-
nini, Ferrante, Andreani: poi pensò di fare da sé; e scioltasi
la Compagnia Monti e Preda, egli subentrò al Santa Rade-
gonda con un contratto che durò otto anni, e fii la sua risorsa.
Mise, primo, in iscena i Vaudevilles col soccorso del mae-
stro Casiraghi, si unì allo Scalvini per la Rivista Se sa minga,
e spese diciotto mila lire per l'allestimento scenico a Milano
della Creazione d'Eva di Castelvecchio, la quale cadde per non
rialzarsi mai più. S' unì allora a Pratesi e formò compagnia di
Prosa e Ballo per un quadriennio. L'operosità, oserei dir
mostruosa, di Rossi Mario arrivò a questo : egli ebbe in
un'epoca a Genova quattro teatri: Le Peschiere, il Politeama,
l'Apollo, e il Teatro di Sestri Ponente. Bene : con lo stesso
PERSONALE, seuza segretarj, né amministratori, faceva quat-
tro recite al giorno. S'unì poi a una Eccentricità FenonienaJe
per desiderio di veder l'Europa; e fu in Francia, nel Bel-
gio, in Olanda, in Austria, in Germania, in Inghilterra, in Rus-
sia. Ritiratosi finalmente a Genova, per godervi in pace il
frutto de' suoi guadagni, fu vittima della sua buona fede, e
dovette recarsi in Grecia, dov'egli aveva una figlia mari-
tata, e dove sperò inutilmente scovare colui che l' aveva rovi-
nato. Da dodici anni egli vive a Zante, mantenuto da' suoi figli,
alimentato dalla speranza di venire a morir nella terra, che lo
vide nascere.
Rossi Emesto. Non so se a me, che non ebbi la sorte di
sentirlo nella sua grande opera d'interpretazione e di ripro-
duzione al culmine della gloria, sarà dato tracciar la figura
grande, geniale, e nella genialità disordinata, dell'artista, che
nell'ultimo cinquantennio, con Adelaide Ristori e Tommaso
422 ROSSI .
Salvini, tenne lo scettro deirarte in Italia e a traverso il mondo
intero. E per noi, e per gli ascoltatori di tutto il mondo, fu gran
ventura ch'egli tanto si staccasse nel sistema e nell'indole dal
suo gloriosissimo collega, da formare un tutto a sé. Non molto
puro di linee, fu molto vario e spontaneo ; ma nella spontaneità
talvolta esuberante con islanci geniali e inattesi, che, presi fuor
di misura, oltrepassavano il confine. Se mi fosse lecita una com-
parazione, direi che Ernesto Rossi, romantico per eccellenza,
fu nell'arte dell'attore quel che fu Vittore Hugo nell'arte dello
scrittore : ebbe forza e bellezza grandissime, ma, più volte, di
seicento.
Anima ribelle se ce ne fu mai, aveva la ribellione acqui-
stata in una sicurezza piena e recisa di sé. Amava sviscerata-
mente l'arte e sé stesso.... E non sappiamo quale dei due più:
forse sé stesso! Certo egli credette che l'arte dovesse molto
a lui, non ch'egli dovesse molto all'arte.... Di tal guisa egli si
mostrò nella vita un po' sempre personaggio di commedia, e
nelle sue grandi interpretazioni un po' sempre Ernesto Rossi.
Qualunque opera da lui architettata doveva essere legge per
tutti. Da niuno avversata era forse lasciata a mezzo; ma se ta-
luno avesse osato esser pietra d'inciampo al suo cammino, egli,
solennemente e paternamente mite coi devoti, sarebbe stato
per quello capace di odio vatiniano.
Né cotal senso di sovranità baldanzosa era difficile perdo-
nargli, siccome quello derivato in lui dal piedistallo di gloria,
in cui lo avevan posto per trenta e più anni monarchi e principi
e uomini prestantissimi nelle arti, nelle scienze, nelle lettere,
di ogni paese. E ne parlava sovente: troppo forse; ma ne' suoi
racconti di confidenze sovrane, di accoglienze incredibili, che
gli piaceva tenere con tuono magniloquente, erala vera verità....
E i piccoli che mal patiscono l'altrui grandezza, se ne vendi-
cavan chiamandola millanteria. Talvolta il fumo dell'incenso
Tacciecò, e allora egli pensò di essere un po' di tutto: maestro
di musica, scrittore drammatico, letterato, scienziato, riforma-
tore di scuole, politico sopr' a tutto : sedere in Parlamento fu un
de' sogni più grandi che non potè tradurre in fatto. Serbò fin
all'ultimo forza ferrea di volontà e fibra giovanissima. Vagheg-
giò la morte su la scena fra lo splendore dei lumi,- il fragor
degli applausi, come quella d'un generale sul campo di batta-
glia: il fato che gli fu prodigo di tante dolcezze, gli serbò
la più amara delle delusioni : su la
grande arte sua, in mezzo agli urli
della folla esaltata, al teatro di Odes-
sa, calò il sipario per sempre; e ab-
bandonato, forse già dimenticato, il
grand' uomo nella piccola Pescara
esalò l'ultimo respiro alle 1 1,45 del
4 giugno 1896.
Era nato a Livorno il 27 mar-
zo del 1827 da Giuseppe Rossi,
già ufficiale di Napoleone, poi ne-
goziante in legname, e da Teresa
Tellini.
Il padre voleva farne un avvocato, ma egli, che già da
bimbo aveva mostrato un amor grande al teatro, a una recita
deìì'Oresie di V. Alfieri data da G. Modena tanto s'infiammò,
che risolse di abbracciar l'arte del comico. In una assenza del
padre da Livorno, potè sostituir senza infamia nel Venlaglio di
Goldoni {Barone) e nella Francesca da Rimini di Silvio Pellico
{Paolo) un attore della Compagnia Calloud.... Ma il padre, sa-
puta la cosa, per poco non maledì il figliuolo, che vinto dal-
l'autorità paterna, piegò il capo^con promessa di riprender
gli studj. Ohimè! L'amor della scena fu più forte di ogni con-
trario proponimento; e un bel giorno, poco avanti il carnovale
del 1846, di nascosto del babbo, ma col tacito consenso del
nonno e della mamma, partì da Livorno per andare a raggiun-
gere a Foiano una compagnietta delle infime, alle cui recite
si soleva dare come biglietto d'ingresso frutta, salsiccie, e vino ;
e in cui la paga degli attori variava dalle due alle quattro crazie
al giorno. Per fortuna la quaresima veniente, egli entrò in Com-
424
ROSSI
pagnia Calloud, Fusarini e Marchi ed esordì dX Pantera di Lucca
con la Fedeltà alla prova, facendosi notare subito per la dizione
garbata e spontanea, non che per una papera colossale. Il settem-
bre di quell'anno s*unì alla Compagnia nel Teatro Sant'Agostino
di Genova G. Modena, che fu pel Rossi una grande rivelazione
d'arte. Passò a mezzo il '48 col Meneghino Moncalvo, e il '49
formò Compagnia con Giovanni Leigheb. 11*52 sposò la signorina
Pellegrini di Mantova, ed entrò nella Compagnia Reale Sarda.
Qui bisogna io mi fermi alquanto per l' importanza della
scrittura e degli avvenimenti.
Egli fu scritturato per un anno, primo attore a vicenda con
Giuseppe Peracchi (V.), con l'annua paga di lire 5500, più tre
mezze serate. A evitare conflitti o semplici malumori fra' due
artisti, fu convenuta la seguente divisione di repertorio, da loro
e dal direttore Domenico Righetti accettata e sottoscritta:
Farti di spettanza del signor Rossi
Caterina Howard
Cittadino di Gand
Cola di T(ien:(p
Calunnia
Conte Hermann
Clotilde di Valéry
Tonello al tempo di %ichelieu
È pa:(^a
Francesca da T(imini (Lanciotto)
Fornaretto
Foscari
Luisa StroT^T^i
Oraria Stuarda
Marchese Ciabattino
Proscritto
Riccardo UHarlington
Segreto
Signora di SJ Trope^^
Stifelius
Sorella del Cieco
Tre passioni
Parti di spettanza del signor Peracchi
^Avviso alle mogli
Arturo
'Bruno filatore
bastardo di Carlo V
battaglia di donne
Don Cesare di ^a:(an
Duchessa e Taggio
Dramma in famiglia
Elemosina d'un napoleon i oro
Guanto e Ventaglio
Innamorati^
Mac Allan
Maria Giovanna
Presto 0 lardi
Ricco e povero
Ruy Blas
Fortuna in prigione
Tutrice
Mentre il Peracchi, come s'è visto al suo nome, scongiu-
rava il Righetti perchè lo sciogliesse dal contratto, per non
trovarsi con Ernesto Rossi che gli aveva mancato di fede, Ìl
Rossi in data 17 settembre 1851, scongiurava il Righetti allo
stesso intento :
io ora vengo quasi ginocchioni a pr^arti, a aupplicarti psr quanto hai di
più Mero e caro sa qaesta Terra, Unto pel mio intereue e per la mia qniete, quanto pel
tuo rìpo*o, a volere jneaentare qaeita lettera alla nobile Direzione, fare conoicere l'im-
mensi danni che potrebbero avvenire tenendo dae primi allorì, non più amici fra loro,
HA BENsl ACCANITI NEUiCi, U poco itadìo delle parti, le continae dìspnte, l'odio impla-
cabile nel piacere più l' ano che l' altro, e forse, forse tante e tante altre dimoatruioui,
che arrecherebbero anche l'intiero ditgailo del Pubblico....
Dopo le quali ragioni, egli si crede in diritto o meglio
in dovere, di passare alle minaccia, in caso dì risposta ne-
gativa :
ne sarei cod col-
Se p(H tn mi aveitsi a rispondere
^to ed irritato, che adesso non so spiegarti a che potrei ginngere per
piere il mio contratto; e ne avverrebbe allora, che
tD mageìomiente irritato mi obbligheresti con forza
armata a venire a Torino, e U incomindare Dna
guerra, nna guerra implacabile!...
Ma pare che il Righetti gli scri-
vesse al proposito di tali minacele
una lettera di buon inchiostro, per-
chè Rossi, il 1 2 ottobre '5 1 , da Man-
tova, venuto a più miti consigli, gli
dichiara che la loro amicizia non
deve venir meno per sì piccoiji
BAZZECor^, e, naturalmente, non si
parla mai più di scioglimento. Ma Ìl
Righetti non se ne contenta troppo,
e torna all'assalto con una fiera lettera, che suggerisce al Rossi
uno squarcio da personaggio di dramma lagrimoso:
Io larA intrepido, sarò forte contro all' invidia e «Uà tna inimicizia, e mi
lagnerò sol qnando mi farai vedere che questa sia cessata ; sono avvezzo a vedermi trattar
male, e sconoscere gli affètti del mio cnore, ma ho tanta superbia, tanto orgoglio, e forza
per calpestare la serpe che ni morde.
54. — / Comici italiani. Voi. U. •
E più giù :
S*rd docile, numsoelo, e pinttoito che vetur teco nn'iltr* toIu in puole mi uiog-
getterò anche quando In il credeMi a lare il Trovarobe ; non potso più conti nnare, loiio
talmente arrabbiato, che mi trema la mano, la bile ti converte in pianto, in pianto perchè
rum po«>o ora irogarmi qtunto detidera lo sdegno. Addio, che it Cielo non ti dia mai
nna pontata limile a questa che mi fai passare. Ancora una cosa io voleva dirti: Se credi
che la mia abilità non sia tale da roeritamiì la paga che tu mi hai accordata, fai pnre quelle
reitriiioui che vnoi : Tidncila a quella del Ino Macchinista : mi sari più di contento che
U sentirmela a rimproverare..,.
E il Rossi andò in compagnia, e mali umori certo ce ne
furono, e invidie, e armeggìi nascosti, come si può vedere da
questo bigliettino anonimo del 5 maggio 1852 :
Si esorta il signor Direttore della Real Compagnia a non voler più oltre deA'Btldar le
parti dovute all' Esimio attore Giuseppe Feracchi col sostituirle all'attore Emesto Rossi ; onde
evitare qualsiasi disordine che in Teatro ne potrebbe nascere. p^^sccHI abbonati.
Da qual parte fosse maggior lealtà di combattimento non
saprei dire; forse uguale in entrambi; ma il Feracchi uscì di
compagnia l'anno veniente, e il Rossi vi fu riconfermato per
un triennio, assoluto e solo, con cento lire di aumento pel primo
anno, e 1400 e una mezza serata per ciascheduno degli altri
due, più un regalo di lire mille per una sol volta.
Ammalatosi il Pieri nel '53, egli dovette sostituirlo per
tre mesi, recitando tragedie, drammi, commedie, e farse al
fianco della Cutini, acquistando nella gran varietà de' perso-
naggi, quella elasticità di dizione e d' interpretazione che do-
veva condurlo a gran passi alla celebrità. Fu a Parigi a fianco
della Ristori e di Bellotti-Bon, e il '55 vi ebbe ottimo successo.
Tornata la Compagnia in Italia, non ostante gli entusiasmi sol-
levati, non riuscì a revocar l' abolizione del regalo governativo
di 25000 lire, e si sciolse ; e Rossi, dopo di aver fatto parte con
alcune recite straordinarie della Compagnia Asti, pensò bene
di tornare al Capocomicato, e scritturò Laura Bon, Celestina
De-Martini, le Ferronì, madre e figlia, la Job, la figlia di Gae-
tano Gattinelli; poi Raimondi, Benedetti, De-Martini, Cesare
Rossi ; e la Compagnia, tranne pochi mutamenti d'anno in anno,
andò avanti per quattro anni, recitando anche a Vienna, ove
Rossi ebbe il più grande de' successi.
428 ROSSI
Tornò in Italia, festeggiatissimo ; riposò un anno, poi si
scritturò attore -direttore per un biennio con Cesare Don-
dini (*62-'63), al fianco, prima di Anna Pedretti, poi ('63-'64)
di Giacinta Pezzana; poi formò società con Giuseppe Tri-
velli, nella quale percepiva una paga annua fissa, e la metà
degli utili.
Le donne eran rappresentate dalle signore Matilde Pom-
pili-Tri velli, Elvira Pasquali, Augusta Giansana, Angela Bot-
teghini, Luigia Vestri, ecc., ecc., e gli uomini dai signori Leo-
poldo Orlandini, Luciano Cuniberti, Giacomo Brizzi, Giuseppe
Trivelli, Leopoldo Vestri, Filippo Parducci, Carlo Perruc-
chetti, ecc., ecc. Morto il Trivelli, Rossi lo sostituì con Sal-
vator Rosa; se ne accollò i debiti, continuò l'azienda, assoluto
e solo padrone.
Segretario della Compagnia fu il Brizzi che restò con
Ernesto Rossi ventitré anni, cassiere il Perrucchetti, che re-
stò venti.
Fu il '66 in Francia e in Ispagna; si stabilì il '67 a Na-
poli, ove gli affari andarono alla peggio ; e avrebbe certo dato
fondo a ogni avere messo assieme con tanti sudori, se il buon
genio della cassetta non gli avesse suggerito di comporre una
specie di satira in tre atti con musica - Colpe e Speranze — che
andò in iscena il 25 dicembre, e piacque a segno da non la-
sciare un sol giorno il cartellone per tutto quel carnovale. Tornò
il '68 in Francia e in Ispagna, e toccò il Portogallo. Fu il '71
e '72 nell'America del Sud, il '73 e '74 in Austria, Ungheria e
Germania, il '75 di bel nuovo a Parigi, poi nel Belgio e nel-
l'Olanda, il '78-'79-'8i in Russia, in Romania, in Austria e in
Egitto, quindi ancora nell'America del Sud, dove ottenne un
clamoroso successo co\ Nerone di Pietro Cossa; r'83 nell'Ame-
rica del Nord sino a San Francisco di California, e poi qui, e
poi là, un po' dappertutto all'estero e in patria, ove dava di
quando in quando recite straordinarie. Ma se il sopravvenir
degli anni gli andava scemando, naturalmente, il vigore fisico
(un' affezione cardiaca lo tormentava da tempo), gli accresceva
ROSSI 429
direi quasi quello morale.... sicché a quasi settant'anni, capo-
comico e direttore, si mise in viaggio per la Russia, ove trovò
le stesse accoglienze del tempo addietro ; e donde, nel ritorno,
a Pescara, lasciò miseramente la vita, quasi d'improvviso. Tra-
sportata la salma a Firenze, ebbe quivi funerali sovrani, e si
fecer ne' principali teatri d'Italia solenni commemorazioni. A
Roma, al Costanzi, a iniziativa e profitto della Società di Pre-
videnza degli artisti drammatici, fu data una grande rappre-
sentazione, in cui preser parte la Ristori, Salvini, la Marini,
la Marchi : Enrico Panzaccfii vi tenne la conferenza comme-
morativa.
Dire degli onori toccati a Ernesto Rossi nel corso della sua
vita artistica non è possibile : basti, ad averne una pallida idea,
guardare al museo magnifico dei regali, venutigli da sovrani,
da artisti, da poeti.
I più grandi pittori e scultori francesi di oggidì hanno
schizzi e firme e indirizzi in un album donatogli quand'eran
scolari dell'Accademia di Belle Arti.... Dettaron biografie fra
gli altri Enrico Brizio e Pier Ambrogio Curti.... Edmondo
De Amicis gli dedicò un magnifico studio per la recitazione
del Canto de Serpenti di Dante, e SuUy Prudhomme gli dedicò
il seguente sonetto :
A ERNESTO ROSSI
Quand le monde réel m'est un trop lourd fardeau,
Je voudrais bien m'en faire un autre à mon usage;
Et, comme tei, muant mon àme et mon visage,
Devenir un autre homme au lever du rideau;
Àgiter, tout un soir, plus fort, plus grand, plus beau.
Le fantóme évoqué d'un héros et d'un àge,
Dussé-je, aveuglement fidèle au personnage,
Le rideau descendu, le suivre en son tombeau.
Je ne le puis. Jamais le róle que je rève,
Dans Tespace où Ton marche et parie, ne s'achève,
Et Tespace où l'on rève est si près du néant !
430 ROSSI
Par tes créations, tu vis plus d*une vie,
Mais moi je n'en ai qu'une et Tepuise en créant.
C'est pourquoi le poète, en t*admirant, t'envie.
SULLY PrUDHOMME.
Non ho, come ho detto da principio, avuto la sorte di sen-
tire Ernesto Rossi al culmine della sua gloria: Tho sentito
qucindo io era troppo giovine per poter giudicare dell' opera
sua, e quando egli era troppo vecchio, perchè potessi farmi
un'idea chiara della grandezza passata: certo l'una volta e
l'altra ebbi nell'animo impressione profonda. Allora, al Comu-
nale di Ravenna (primavera del '64), recitava Le gelosie di Lin-
doro; e mi par di vederlo ancora lasciarsi mettere un gran
mantellone dalla moglie, prima di partire, e minacciarla dietro
le spalle col pugno serrato, mentre in faccia si sforzava di sor-
riderle. Che vena di comicità!...
L'udii vecchio, a Firenze, n^XV Amleto: un colosso! Shaks-
peare mi apparve in tutta la sua grandezza : Amleto con Ernesto
Rossi era un poema vasto, smisurato, quale non aveva mai
visto, né vidi poi.
L'analisi eh' egli fa in un suo studio della tragedia shaks-
peariana, è minuta e acuta, e dà prove non dubbie dell' amore
e della tenacia con cui s'era venuto facendo il suo personaggio,
carne della sua carne, anima dell'anima sua. Ma non poteva tale
studio bastare a far di lui un grande e celebrato artista. Il buon
predicatore, com' è avvenuto in ogni epoca d' arte, avrebbe
potuto razzolar male. Invece egli la profondità dell'analisi a
tavolino, teorica, sposò con una siffatta grandezza pratica di
commediante, da riuscire artista gigantesco nel vero senso
della parola.
Una delle scene che più mi ferì fu quella del teatro,
quando il Re, veduto versar nell'orecchio del Re del dramma
il veleno, alle parole di Amleto : Lo avvelena per carpirgli lo
Staio. Vedremo come V assassino si cattiva l' amore della moglie
dell' ucciso, si alza turbatissimo e si avvia frettoloso alla porta
d'uscita. Mi par di vederlo, Ernesto Rossi, come inchiodato
davanti al Re, indietreggiare, man mano ch'egli avanza, fissan-
dolo negli occhi, scrutando quel suo turbamento.... Grande,
colossale, geniale trovata, resa dall'artista in maniera ineffa-
bile !...
Anche ebbi campo di ammirare profondamente la gran-
dezza di Rossi come direttore sia nel Giulio Cesare, pur di
Shakspeare, da lui novamen-
te tradotto, in cui una sera fu
Antonio, un'altra Bruto, sia
nella Mandragola del Machia-
velli, nella quale trovò effet-
ti inattesi, meravigliosi, pre-
sentando in modo più che
degno, attori men che me-
diocri,
Ernesto Rossi, come al-
tri grandi artisti, fu solleticato
dalla vanità di scrittore, e ol-
tre alla traduzione del Giulio
Cesare e agli studi shakspea-
riani (Firenze, Le Monnier,
1 885), e a varie commedie, tra
cui, non delle peggio, Adele.
pubblicò un'operonedi ricordi in tre volumi: Quarant' anni di
Vita Artistica (Firenze, Niccolai, 1887), che la critica in genere
condannò, e Ìl pubblico dimenticò per le troppe inutili cose di-
scorse concernenti più l'autore che l'arte. Io, schiettamente,
passato sopra alla sciattezza della lingua e dello stile, e alla pic-
cola vanagloria che emergon da tutta l'opera, ho trovato e trovo
codeste pagine (del primo volume specialmente) un preziosis-
simo contributo alla storia del nostro teatro del secolo xix,
specie per la dovizia degli aneddoti di ogni genere e pei giu-
dizi chiari e precisi di tutti gli artisti, e non furon pochi, i quali
militaron con lui.
ossi Cesare. Da una memoria, scritta a posta
pfjr me, del figliuolo avvocato Alessandro, ri-
ferisco le notizie dei primi anni di sua vita:
n povero papà è nato ■ Fano lUi 19 novembre 1819 da
Xioola Rosli e Caterina Lombardi, loro dedmo figlio. Fece ^
sLudi elementari e di rettorica nel Collegio dei Gesnitì, che allora
tenevano il monopolio della istroiione pubblica e privata in qoeile
Qojrtre Provincie, e fino da fancinllo, cosi raccontano i fiatelU,
disile prova di ingegno pronto ed aperto.
Nelle ore libere dalla tcnola, poicliè il padre Nicola era
□ appaisionato filodrammatico, e in caaa vi era nn teatrino per
i divertimenti di carnevale. Celare coi fratelli e le sorelle, tntlì
filodrammatici impenitenti, metteva in itcena le commediole ono'
e daìV admitlilur della Cnria, e nella Stagione migliore con
i fratelli Vincenzo e Giovanni teneva le sfide al pallone col so-
prannome di 1 / frcatUi Orati. Ma benché Domo Nicola non d credesse, i tempi comin-
davano a matar«i, e gli Grazi nn bel giorno capirono che vi era di m^ìo a fare che
storpiare Cicerone e gioocare alla palla.
Giansero a Fano le prime voci dei moti di Lombardia e del Veneto, si forma segre-
tamente nna compagnia di volontari o^aniziata dal conte Annibale di Honlev«c«hio, 6glio
di qnel Gìnlio che Tn amico del Foscolo, e i fratelli Rosai, fra i quali era mio padre, scap-
parono da Fano per recarsi a Vicenza.
Mio padre prese parte alla difesa di Vicenza; e dopo l'eroico e iventarato assedio,
&tta l'onorevole capitolazione, ritornò coi suoi compagni in patria. Qni questi giovani non
■oSrirono di stare colle mani in mono mentre altrove si levavano ancora le armi; nn groppo
si recò in Ancona a pettinare gli Anstiiaci, ed nn altro andò a Roma ove Garibaldi e
Rosselli inonavano a martello. Mio padre fu incorporalo nella legione Masi e prese parte
alla pngna del Catino dei Quattro Venti ed a quella dì Porta San Pancrazio. Al Cosino
dei Quattro Venti gli cadde a lato il fratello Giovanni colpito da una palla che gli tra-
paasò la gola.
Caduta nel sangue la Repubblica Romana, mio padre ritornò a casa, ma ormai non
era più tempo dì riprendere in mano il Dt Amicitia. e la vita a Fano era diventata per
Ini impossibile, essendo spiato notte e giorno dai Sarbacani e CaeciaUpre, chioso l'adito
ad ogni impiego, sospettato di eresia e scomunicato.
Che fare?
Era di passaggio una Compagnia di comici, ta Compagnia comico-mimo-acrobatica
del Paladini, padre dell'attuale Celeste Paladini- Andò.
Mio padre aveva fatto conoscenza con quei comici, palesò i propri guai al capo-
comico. Breve : con nn vecchio soprabito color Nanchino regalatigli dal fratello Sergio,
tina giacca marrone del babbo, e qualche fazzoletto della mamma, uno di questi fazzoletti
fu sempre portalo nell' ultimo atto della Gerla di papà Marlin, mio padre scappò ancora
di casa e cominciò la sua peregrinazione artìstica per l'Italia.
La Compagnia era divisa in due parti: una di mimi- acrobati ci, l'altra ài comìd.
Questi rappresentavano le commediole prima e dopo la pautomina. II Paladini era un agile
Arlecchino, e la Celestina, me lo ricordò sovente il povero papi, essendo allora una barn-
Unella molto carina, faceva VAngùlo nitratore. Papà si rammentava dello spavento avnto
una aera quando si ruppe il congegno, e l'Angiolo restò a mezz'aria. Cosi accadde anche
43J
■ me, molli uini dopo, quando facevo il bamlNDO nella Preghitra dà naufraghi, e mi
p*r« di vedere ancora il povero Bellotti, che doveva euere affogalo lotto ana tela in tem-
pesta, icappar fuori e gridarmi a braccia aperte ; Sandrino bultaii giù .' mentre mio padre
fìgttraadosi che io corresii no gran pericolo si stniggeva. Giù mi ricorda un altro aned-
doto mio. Ta lai che il povero papà piangeva davvero sulla scena, e faceva dei gocdo-
loni *tr*ti«nti. Una *en n^li Sfiattacamtm della Valle d'Aosta del Sabatini, al Gertùno
di Torino, io ero Gino e papà il nanna. Nella fiimosa scena del ritrovamento, mio padre
mi prese in braccio con tale commozione, che io vedendo mio padre piangere tanto farìo-
tamente mi misi a urlare e a piangere anch' io in modo cosi inconsolabile, che per farmi
capire la r^one, non valse che mio padre si ricomponesse, si mettesse a ridere, fra le
risate del colto e dell'indila, ma ti dovette calare la tela, e non penaarci più.
Neil' anno 1853 mio padre, dopo essere stalo con le Compagaie Calamai e con quella
del Tassoni ti trovava in Corsica io Compagnia Collellini (la De Medici prima attrice, Pe-
scalori, sno marito, primo attore). In quell'anno ti uni in matrimonio con Carolina De Me-
dia nipote della Pescatori attrice della Compagnia, la quale poverina mori dando alla luce
mio fratello.
S5. - / Comici italiimi. VoL U.
434 ROSSI
Ma qaegli anni erano stati troppo tristi e dolorosi per il giovane comico. Egli soste-
neva il molo di amoroso, che con quella voce e con qael naso, non era proprio fatto per
conciliargli la benevolenza del pubblico. I fischi erano stati più assai degli applausi, e questi
per quanto scarsi erano stati più assai dei guadagni.
Alla fine di quell'anno, stanco, sfiduciato, povero, ammalato, desolato per la morte
della moglie, mio padre decise di dare un addio alle scene, e col figliuolo in braccio, ritornò
a Fano, ove la madre Caterina aveva già ottenuto il perdono del marito per quel figlio
che ritornava da lontano, avendo fatto il viaggio più a piedi che in diligenza, e portando
tutto il suo bagaglio, dentro una caUetta,
A Fano lo colse una febbre violenta, causata dai disagi patiti, e la convalescenza
fu lunga. Guarito, pareva che egli avesse perduto la gioventù ed il buon umore. I tempi
erano tristi. A motivo dei figliuoli liberali, il padre Nicola era stato allontanato dall' xxxk'
pi^o, gli amici erano stati parte esiliati, parte arruolati in Piemonte, qualcuno anche nelle
carceri di Sua Santità, come il cugino Getulio Lombardi, che scontava nell'ergastolo, e
ci stette dieci anni, una ribellione contro una pattuglia di papalini. La malinconia prese
il mio povero papà, ed il dottor Claudio Tommasoni, quello stesso che tenne a battesimo
Claudio Leigheb, lo consigliò di ritornare al teatro, se non voleva languire di nostalgia.
Neil* inverno di quell'anno 1855 ^^'^ padre lasciò per la terza volta la propria casa,
e fu scritturato in Compagnia del Calamai ; però siccome i precedenti insuccessi lo ave-
vano persuaso, cosi lasciò le parti di amoroso e prese il ruolo di brillante.
Anche quell'anno 1855 non fu lieto. Lo stipendio era meschino e l'impegno di
vestiario assai costoso. A Firenze mio padre, me lo ricordano spesso, dovette fare un
debito di 300 svanziche con un sarto, e per pagare quel debito, avendo avuto dal fra-
tello Sergio un sussidio di sessanta papetti, dovette vivere un mese mangiando pane e
mele sotto la loggia degli Uffizi, e bevendo il vino del Biancone in piazza della Signoria.
Non è a dire però che la volontà di studiare, di fare, di togliersi col proprio ingegno da
quelle angustie venisse meno in lui. Dotato di una fibra d' acciaio, sempre di buon umore,
gioviale, ardito, coraggioso, sentiva in sé l'avvenire, vedeva la mèta e lottava per raggiungerla.
Già cominciava il suo nome ad essere conosciuto nella cerchia limitata dei comici,
già qualche successo aveva sorriso. In una farsa : Le disgrazie di un bel giovane, egli era
applauditissimo.
Nell'anno successivo il 1856, mio padre passò, sempre come brillante in Compa-
gnia Asti, prima attrice Alfonsina Aliprandi, primo attore Giovanni Aliprandi, generico
primario Salvatore Benedetti, la Vergani madre nobile, Vergani mezzo carattere, Bordiga
amoroso. In quell' anno sposò mia madre Giuseppina Rocchi, nipote di quella Antonietta
Rocchi, milanese, che era stata guidata sulle scene dalla Tarandelli antica prima attrice,
e fii moglie del Robotti ; ed era allora prima attrice della Compagnia Reale-Sarda, attrice
di merito non comune.
A Torino la Compagnia Asti si aggregò Emesto Rossi, che poi la segui a Ver-
celli e, il carnevale, a Milano al Teatro Re.
Per mio padre quella stagione del Teatro Re era la prova del fuoco, e puoi im-
maginare con quanto zelo egli si mettesse all'opera. Ma pur troppo anche allora i suoi
sforzi non furono fortunati, ed il pubblico rimaneva indifferente ai suoi lazzi ed alla sua
parlantina. Il Coltellini per incoraggiarlo dopo poche recite mise sui cartellone : Le disgroMie
di un bel giovane, e mio padre si tenne sicuro di scuotere finalmente l' indifierenza del
pubblico. Quale delusione!
Nella scena culminante, quella dell'andata via colla giacchetta rovesciata, la platea
scoppiò in una fischiata cosi unanime e clamorosa da farla credere tramutata in un can-
tiere di locomotive.
435
Papi le ne unnulò e per più giorni non e(d di oM, egli credeva di euere rovi-
nato, aveva perduto ogni fidoda in li itetso e già pentava ad nu KCondo addio, qnando
nui nattiiut Emetto Rotti aodd a trovarlo a caia, lo incoraggiò, lo rianimò e
di ritornare al Teatro. Ritornare al Teatro Re ì
Ripreteutani innanzi a qoel pubblico feroce ? Era presto detto, ma come averne
11 tnpè dopo qnel ciclone, e ipectalmente dopo avere eianrito tetti i propri cavalli di bat-
L' eloquenza di Emetto Rotti e la tua anioriti furono fortuutamente più Torti
delie paure del giovane deluto, e fu dedio che la aera dopo egli tarebbe riprettfitato nella
futa : A tamburo battmlt. Una (arsa che mio padre non aveva ttudialo, che non aveva
vitto lare da nessnno, nella qoale non aveva tgBml>etto, nessan lazzo, nelinn trucco. Mio
padre andò in teatro licnro di non uscire vivo dalle mani del pubblico. Mtttamente a villa?
Sta che il pubblico fotte pentito della propria ferocia, lia che lapeise l'affare della
nialattia, lia che mio padre non tapeado quella tera le norme altrui recitaste a modo tuo
436 ROSSI
e apparisse un attore diverso, fatto è che dopo la prima scena cominciarono gli applausi,
gli applausi continuarono, e calata la tela mio padre si trovò fra le braccia di Emesto,
che era felice quanto lui, perchè Emesto Rossi era buono.
Per la primavera di quell'anno 1857 Emesto Rossi doveva formare una Compa-
gnia drammatica di primo ordine per incarico di alcuni capitalisti triestini. Mio padre fu
scritturato da lui, ma per di lui consiglio abbandonò il molo di brillante per prendere quello
di promiscuo, ed accettò il posto di secondo promiscuo, dopo la scelta di Gattinelli.
Da questo punto comincia la fortuna di Cesare Rossi, e la sua vita artistica
gloriosa.
La Compagnia di Emesto era formata pel triennio 1857-1860.
Come ti ho detto mio padre aveva un molo secondario, inferiore, cioè quello del
Gattinelli, come era inevitabile, cominciarono presto le emulazioni fra il giovane attore
e l'artista, che godeva giÀ meritamente molta fama.
In questa rivalità certo mio padre in quel tempo avrebbe trovato molti ostacoli se
tra Emesto Rossi e Gattinelli non si fosse manifestata una incompatibilità di carattere molto
favorevole per il giovane attore. A lui giovò molto anche l' amicizia fraterna di quel gran
galantuomo e buon attore, faceva il generico primario, che fu Salvatore Benedetti, il quale
caso raro, era lietissimo di cedere all'amico Cesare le sue parti e di vederlo a lui pre-
ferito.
Un giorno a Trieste nel carnevale del 1858 scoppiò aperto il dissidio fra mio padre
e Gattinelli, a proposito di una parte. Erano alle prove, e poiché pareva che Emesto Rossi
desse ragione quella volta al Gattinelli, mio padre se la prese anche con lui, fece baruiia,
protestò il contratto, e andò a casa infuriato dicendo a mia madre, servetta nella Com-
pagnia, che fcuesse su la poca roba, perchè voleva andar via.
Puoi immaginare lo scompiglio, tutta la casa per aria, agitazione, trambusto, ma....
c'era Benedetti. Egli nel frattempo aveva calmato gli animi, aveva parlato con Emesto
e con lui andò a casa del papà per dirgli di non fare sciocchezze, che nel nuovo triennio
egli sarebbe succeduto in omne et gualtòet parte al Gattinelli, e tanto fu fatto che la tiara
di Achimelek rientrò nei cassoni, insieme alla cotta di Lanciotto.
Nel 1859, allo scoppiare della guerra, la Compagnia di Emesto Rossi si trovava
in Austria, e si sciolse. Ernesto, con la famiglia Job e mio padre noleggiarono a Trieste
un barigozzo e sciolsero le vele per Fano. Ohimè ! la bonaccia tenne la barca circa un
mese sul piano dell'Adriatico, e quando i naviganti giunsero a Fano, la guerra volgeva
già al suo termine. Nel settembre di quell' anno liberate le Marche, Emesto Rossi rac-
colse la propria Compagnia per riprendere i propri viaggi, e senza maggiori avvenimenti
le cose procedettero cosi sino al 1 860, quando essendosi ammalato improvvisamente Grae-
tano Vestri, che sosteneva il molo di promiscuo nella Compagnia di Bellotti-Bon, a mezzo
anno il Bellotti si rivolse ad Emesto Rossi pregandolo di cedergli l'attore Cesare Rossi.
Anche in quella occasione Ernesto Rossi si mostrò buon amico di mio padre, e
senza farsi troppo pregare accettò di sciogliere il contratto con lui e di permettergli di
entrare nella Compagnia Bellotti nel molo importante lasciato dal Vestri.
Anche quello fu un gran passo pel mio povero papà, che non solo andava ad affron-
tare un molo di grande responsabilità, ma raccogliere 1' eredità pericolosa e quindi il con-
fronto di un grande artista.
L'andata in scena nel nuovo ruolo e nella nuova Compagnia doveva aver luogo
a Milano al Teatro Re. Dopo lunga discussione, alla quale presero parte il Bellotti ed
il compianto Tebaldo Ciconi, fu scelta per prima recita : Il papà Goriot di Balzac,
Anche questa scelta era ardita perchè Papà Goriot aveva ormai una tradizione sulla
scena, una tradizione formata da Gattinelli, Vestri, Taddei, ma il confronto non fu dannoso.
Ernesto Rossi nel primo volume de' suoi Quarantanni
eli Vita Artistica, dopo di avere parlato degli attori che com-
ponevan la sua nuova Compagnia, così ci descrive il passaggio
di Cesare Rossi dal ruolo di brillante a quello di caratterista
e promiscuo, che doveva farlo salire in breve a tanta altezza :
Si potevo uiardare di recitare la cominedìa, it dramma, e la tragedia ! e che
tragedia! quella di Sbokeapeare, che in quei tèmpi era come ud tema di algebra dato per
eune dal mlDlstro Bonghi r e credo che anche in o^Ì vi lieno molti acolari, che torcono
il mnio a certi temi del tignar Shakespeare. Cola originale ! erano appanto qnei temi li,
che i miei attori risolvevano meglio ; Celare Roist specialmente : di modo che, un giamo
lo chiamai a caia mia e gli dissi : — Scasi, ma lei crede proprio di averi
43» ROSSI
per fare il brillante ? — Sicuro ! - mi rispose di botto, senza lasciar tempo a riflettere sulla
mia domanda. — Mi permette, che le parli chiaro e tondo? come la penso? — Facda
pure ! - mi rispose con un accento fra il toscano ed il marchigiano. — Ella - ripresi io - può
essere chiamato a (are di tutto, fuori che il brillante : ella non ha né la figura, né l' ele-
ganza adatta per disimpegnare quella parte : guardi là I e' è uno specchio : si guardi ! QueUa
testa avrebbe bisogno di essere posta sopra un altro paio di spalle ; e allora lei sarebbe
un gigante proporzionato : vede ? come le sue spalle sono strette ? e le sue braccia lunghe ?
eppoi osservi bene una cosa che è rispettabilissima, e che caratterizza tutti gli uomini che
sanno il conto loro : guardi il suo naso : le pare un naso ragionevole ? ammissibile per
un giovinotto, che vuole interessare la sua bella? Venga qua : si lasci fare: le metto questa
parrucca grigia: poi questo giubbone; poi prenda: metta questo cravattone: pftnda questa
canna nella destra : questo cappellone nella sinistra : si guardi di nuovo allo specchio : e
veda che bel caratterista promiscuo che è lei ! eh ? che gliene pare ? e poi, vuole e pre-
tende recitare le parti serie e tragiche? a lei! studi Lanciotto nella Francesca; lo prove-
remo insieme, e vedrà che lei sarà quel tipo per cui Francesca può scusarsi colpevole. — Io
avevo toccato proprio nel suo debole : le parti tragiche. — Io tragico ? - disse a sé stesso —
convengo di tutto, signor Rossi, lascerò le parti brillanti, farò il generico, il caratterista, il pro-
miscuo e il tragico, ma non mi dica che io sono sproporzionato. Farò tutto quello che iruole,
purché mi faccia recitare. — Non dubiti, non avrà mai un riposo. — E cosi fu. Cesare Rossi,
disimpegnò benissimo le parti tutte, che io lo preferii sempre più nel serio che nel ridicolo :
perchè nel comico ebbe la disgrazia dì imitare Gattinelli : e le copie sono sempre peggiori dogli
originali : nel serio.... lo guidai io, e non volli che mi imitasse, ma che mi studiasse . . . • ,
Cesare Rossi perchè era studioso, zelante e infaticabile, si è formata una posizione
che non a tutti nell'arte è dato conseguire.
Se col SUO glorioso omonimo, Cesare Rossi vide chiara a
sé davanti una mèta da toccare, immediatamente dopo con
Bellotti-Bon la toccò, e altissima, in quella indimenticabile com-
pagnia, della quale eran prime parti il Bellotti stesso, Ciotti,
Lavaggi, la Pezzana, la Campi, la Fumagalli.... Il primo ricordo
ch'io serbo intatto del glorioso artista, è della primavera del '65
al Teatro Comunale di Ravenna, nel Vero Blasone di Gherardi
Del Testa, e nel Figlio di Giboyer di E. Augier. Oh ! quel Ma--
rechal! Quel monologo in cui egli si esercita alla improvvisa-
zione e recitazione del discorso.... Il fumo.... Il fumo!!... Il
secondo è del '68 al Niccolini di Firenze, in quel carnevale
magnifico, in cui si rappresentaron diciotto volte / Mariti di
Torelli. Quel Duca D'Her re ra, che noi giovani di Liceo, ricordo
come fosse ora, somigliavamo nella truccatura del Rossi al
Duca di Sermoneta! Che nobiltà, che grandezza, nelle scene
aspre col figliuolo! Che arte somma in quella finale col servo,
poi colla Duchessa!...
Quattro anni dopo Cesare Rossi era il Direttore, Primo
attore da parrucca. Caratterista, Promiscuo, della Compagnia
di Fanny Sadowski, nella quale anch'io stetti un anno, lieto
'^ii
Nb
' ^^^0
oggi di poter discorrere di tutte le grandi qualità del mio primo
maestro.
Si è detto che Cesare Rossi era attore di maniera, attore
barocco. E vero. Ma quando? Quando al suo metodo di reci-
tazione la giovane critica ebbe da contrapporre giovani forze,,
il cui metodo, fatto tutto di verità, era dal suo tanto discosto.
Verità ! Verità ! Verità assoluta o verità relativa ? Assoluta no,
perchè la verità senza il soccorso dell'arte sì muta in isciatteria,
in volgarità e peggio. Dunque relativa: ma allora tanto è verità
quella d'oggi, quanto fu quella d'jeri e dell'altr'jeri, e magari
di tre secoli fa a' bei tempi degl' incomparabili Gelosi, \ quali
apparivan veri allora oltre il confine, e a' quali, probabilmente,
i giovani tirerebber oggi con poca riverenza le panche. Ba-
rocco ! Sicuro : Cesare Rossi fu barocco ! Un barocco, che pro-
dusse figure non mai superate, né uguagliate, di cui la parte
superficiale, esteriore, mutabile, era già, nel languor dell'età
e mutar de' tempi, tramontata, ma di cui l'arte animatrice per-
mane nella nostra memoria immortale.
Giudicar Cesare Rossi nel periodo estremo dell'arte sua,
quando le poche figure che ancor presentava, tra le tante che
lo poser sì alto, eran già sbiadite, alternate con le figure nuove,
a mostrar le quali il vecchio metodo e il vecchio spirito non
eran capaci, è, per Io meno, ingiusto. Io vorrei che i giovani
potessero, per forza di miracolo, tornare a dietro di qua-
rant'anni, e seguir sera per sera, anno per anno, l'opera
varia, forte, grandiosa di Cesare Rossi! Maestro Andrea del
Ghiacciaio del Monte Bianco, Don Ambrogio della Celesie, Conte
Sirchi del Duello, Marechal del Figlio di Giòoyer, Papà Martin
della Gerla di Papà Martin, Filiberto del Curioso Accidente.
Geronte del Burbero benefico, Risoor di Patria, Palchetti della
Vita Nuova, Gaspero di Moglie e buoi de' Paesi tuoi. Papà
Remigio di Claudia. Bernardino di Oro e Orpello. Croci del Ge-
rente responsabile, Lamberto della Famiglia, Pietro Branca dì
Spiritismo. Don Marzio della Bottega del Caffè, Simonaza di Con-
vincere, Commttovere, Persuadere. L'Abate Costantino e Raba-
gas.... Oh! Quel Rabagas al Fondo dì Nàpoli con Cesare Rossi
a soli quarantatre anni! Quale maniera! E quale barocco!
Bernini puro sangue!!!... Gran peccato davvero che codesti
astri di prima grandezza non abbian la forza dì togliersi dalla
loro sfera, non appena veggano attenuarsi la vivezza della lor
luce I Dopo quello della Sadowskì, egli ebbe ancora un grande
periodo: del Teatro Carignano, della Duse con Andò. Se la
Duse, con la sua recitazione singolare arrecò più tosto danno
all'attore, grandi vantaggi arrecò al capocomico, che finì poi
col diventar socio della nuova stella. Dalla quale staccatosi, ri-
formò compagnia con la Mariani prima attrice, ch'egli rivelò
e sviluppò. Ebbe di poi la Glech, la Quaglia, la Riccardini,
rUdina, la Violante....
E volgeva lento, lento alla sua fine.
Lunedì i" novembre i8g8, egli doveva recitare a Bari
// Curioso Accidentt del suo Goldoni, e alle 2,45 dì quel giorno
si spense quasi d'improvviso per congestione. I funerali furono
441 ROSSI - ROTI
una imponente testimonianza di affetto e di ammirazione sì a
Bari, come a Fano, dove fu traslata la salma. < Non dimenti-
care che amò i giovani attori e li protesse, che fu buono, onesto
e glorioso, e che a punto per la sua rettitudine preferì sempre
l'arte sana, le persone buone, pochi ma sinceri amici.» Con
queste parole il figliuolo chiude la sua memoria, ed io le metto
qui come chiusa dell'articolo, che non saprei trovarne di mi-
gliori.
Rotali Virgìnia {V. Andreini Lidia).
Roti Giovanni Battista. Nato di famiglia civile a Vene-
zia il 1734, si diede, morti i genitori, all'arte comica, in cui
riuscì egregio Pantalone.
Fu a Vienna, e vi recitò
in tedesco, specialmente
le commedie tradotte di
Goldoni. Fu copista del-
l'abate Metastasi©, e an-
che direttore artistico di
alcuni suoi melodrammi.
Entrò del '69 nella Com-
pagnia di Antonio Sacco,
a Venezia, sostituendovi
il D'Arbes, scritturato
dal Lapy, ed ebbe, al
San Luca, le migliori ac-
coglienze. Tradusse per
il primo I due amici del
Beaumarchais, e li rap-
presentò l'estate del'yi
al Filarmonico di Verona,
recitandovi la parte di
Aurelio in veneziano. Scrisse anche una commedia in versi
sciolti di argomento spagnuolo per commissione del Sacco, ma
ROTI - RUBINI 443
con poca fortuna. Il carnovale del '79 sposò Marianna Ricci,
sorella di Teodora Bartoli; ma, cagionevole di salute, potè
a stento ricondursi da Verona a Venezia, ove assistito dalla
consorte, moglie saggia e amorosa, morì il 26 settembre
del 1780.
Il Roti - dice F. Bartoli - era un uomo d'ingegno, pra-
tico della lingua latina, della francese e della tedesca; e molto
adoprò la penna in servizio del mentovato Sacco.
Rotti Carlo, veneto, entrò nell'arte poco avanti il 1 800, e re-
citò alcun tempo le parti ^amoroso. A trent'anni ebbe un vivo
alterco a Trieste con un tale che lo percosse pubblicamente.
Il Rotti pensò di vendicar vilmente l'offesa; e appostatosi di
notte sotto un ponte della città, sulla strada che conduceva
all'anfiteatro Mauroner, al momento in cui l'offensore passava,
gli scaricò in pieno petto un'archibugiata, che lo ferì ma non
uccise: e fu gran ventura per l'assassino, che fu condannato a
soli sei anni di lavori forzati. Scontata la pena, rientrò nell'arte;
ma non vi fece più che le ultime parti, anche perchè obbligato
dalla lunga consuetudine della catena a trascinarsi dietro la
gamba sinistra. Nel 1820, eccolo palesarsi autore drammatico
col noto lavoro Bianca e Fernando, ch'ebbe successo clamo-
roso, e al quale tenner dietro / due sergenti, tuttora vivi nel
repertorio popolare, // carcere d'I/degonda, Boemondo d'Altem-
burgo, e altri. Ma non mostrando egli nella vita alcuna traccia
d'ingegno, e non essendo al Domeniconi riuscito di fargli cam-
biare un finale d'atto, molti ne inferirono che non foss'egli
autore di que' drammi, ma sì un suo defunto compagno di ca-
tena. Il Rotti morì a Venezia del 1 840.
Rubini Ferdinando, di Roma, attore mediocre per le parti
^Innamorato, soprannominato Rubinazzo, fu chiamato da Giu-
seppe Imer al Teatro San Samuele di Venezia, per sostituirvi
Antonio Argante, allora defunto. Fu anche al San Luca, e cantò
con successo in alcuni Intermezzi musicali. Era a Palermo con
444
RUBINI
la Passalacqua (V. Afiflisio (D') Moreri Elisabetta), quand' ella
cadde dall'alto nel far il volo. Tornò con essa in Lombardia,
poi restituitosi a Roma, vi morì nel 1773.
Rubini Federico. Non mi è riuscito di veder traccia di
questo Rubini in Italia. Sappiamo che esordì alla Comedia ita-
liana di Parigi il 9 dicembre 1 760 colla parte del Dottore in
una commedia intitolata II Pedante: e lo troviamo fra gli attori
di^^ Amore paterno, secondo il documento parigino : « Extrait
de t Amour paterne l, commedia in tre atti di Goldoni, data a Pa-
rigi nel 1763, 4 febbrajo (Paris, Duchesne, 1762). >
Agivano :
CoLLALTO da Tantalom
Mad. Savi da Clarice
M.LLE PicciNELLi da AngtUca
Z ANN UZZI da Lelio
Balletti da Silvio
Rubini da Florindo
Savi da Petronio
M.LLE Veronese da Camilla
Chiavarelli da Scapino
Carlin Bertinazzi da Arlecchino
Ma pare ch'egli vi facesse un fiasco solenne, dacché a
Corte si venne lo stesso anno nel proposito di licenziarlo. I
compagni si volsero allora al Duca di Duras, primo gentiluomo
di camera, con questa supplica : < I^s comédiens italiens deman-
dent quii vous plaise de leur conserver encore le steur Rubiny dont
ils disent avoir besoin pour lui donner le temps de trouver à se
piacer en Italie. >
Alla quale il Duca rispose : < Les comédiens italiens auraient
du remercier le sieur Rubini dès l'année passée; vous avez eu grand
tori de souffrir quii continuai à jouer cette année. Je vous prie
de ne men plus parler, >
Ma il Rubini restò ancora il '64 a Parigi.
In due lettere del Goldoni all'Albergati del gennajo '63
e del febbrajo '64 da Parigi, si accenna alla moglie di que-
sto Federico, Anna, rimasta a Bologna, poverissima, e pre-
gante l'Albergati col mezzo del Goldoni di farle avere una
limosina.
RUBINI 445
Ma come mai cotesto Rubini, che esercitava V impiego di
Dottore, sostenne poi la parte di Florindo n^ Amore paterno?
Forse nei Dottori non piacque, e tentò gV Itifiamorati f Forse,
dopo lo smacco di Parigi, se ne tornò in Italia, e, concordando
le date, è lo stesso che il precedente, di cui fu citato erronea-
mente il nome da Francesco Bartoli?
Rubini Francesco^ mantovano. Recitava con gran merito
sotto la maschera di Pantalone. Fu il 1 733 a Milano nella Com-
pagnia del ciarlatano Bonafede Vitali (V.), detto V anonimo; e al
Teatro di San Luca a Venezia il '35 a sostituirvi il Garelli (V.),
che gli pose in volto di sua mano la maschera, presentandolo
al pubblico. Fr. Bartoli ci narra che la somiglianza de' due ar-
tisti era tale, specialmente nella voce, che molti credettero, e
ne fecero scommessa, non esser altro il Rubini che lo stesso
Garelli. In La Clemenza nella Vendetta egli sostenne, il '36, con
grandissimo onore la parte di Pantalone Re dei Cuchi, cantan-
dovi ariette musicali, ed eseguendovi diversi combattimenti.
Quando Goldoni cominciò a scrivere pel San Luca, scrisse per
lui varie parti in dialetto, fra le quali il signor Alberto nel-
V Amante di sé stesso, ch'egli rappresentò egregiamente. Nella
introduzione al Geloso avaro {Nuovo Teatro Comico, T. I, Vene-
zia, Pitteri, M.DCC.Lvii), Goldoni dice:
Non ebbe, per dir il vero, molto felice incontro, e il personaggio, che rappresentava
il geloso avaro, quantunque abilissimo in altre parti giocose, in questa non riusd bene.
Ciò mi fece risolvere appoggiar tal carattere al Panialoru, eh' era in allora il graziosis-
simo Francesco Rubini, e non m'ingannai, poiché alle di lui mani comparve mirabil-
mente, e la commedia fece in Genova un buon effetto. Mori poco dopo il valoroso
Rubini, e la mancanza dell' incomparabile attore fé' si, che di tal commedia non si è
parlato più oltre.
E nella Introduzione per la prima recita dell' auiufino del-
tanno 1^54 (T. Ili, ivi) :
Clarice. Non vuol vedere la nostra prima commedia?
SiOR Zamaria. Mi no; co me recordo quel povero Pantalone, me vien da pianzer.
Florindo. Caro signore, poteva ella far a meno di venirci a rattristare. Abbiamo bastan-
temente compianto la perdita di un nostro amoroso compagno pieno di merito, di grazia,
di brio, e di ottimi illibati costumi....
446 RUBINI - RUGGERI
E Goldoni mette in nota:
Elogio ben dovuto alla memprìa di Francesco Rubini, il quale quantunque di na-
scita mantovano, e non del tutto in possesso della lingua veneziana, ha saputo tanto pia-
cere in virtù del suo talento, e della sua buona grazia.
Francesco Rubini morì a Genova nel 1754.
Rubini Antonio. Figlio del precedente, fu un egregio Ar-
lecchino, e recitò in diverse compagnie. Uscito Francesco Cat-
toli (V.) da quella del San Luca (carnovale del 1763), andò il
Rubini a sostituirlo. Ma recatasi la Compagnia a Vicenza in
primavera, egli ammalò dopo alcune recite, e in capo a pochi
giorni morì. Fr. Bartoli lo dice < grazioso nella Pantomima,
arguto nelle risposte, spiritoso, e faceto. >
Ruffino Antonio^ romano, nato il 1780 circa, fece gli studi
universitari; e, mortogli il padre, Giudice della Sacra Ruota,
si diede all'arte drammatica, facendosi di punto in bianco con-
duttore di una compagnia d' infimo ordine. Comincian notizie
precise di lui dal 1 8 1 7 , in cui Io vediamo secondo caratterista
applaudito della Compagnia Rafstopulo, nella quale egli stette
quattr'anni, e della quale era primo Francesco Pieri, ch'egli
imitava nel gesto e nella voce. Passò 'A^ 21-^ 22^ primo assoluto,
in quella di Tommaso Zocchi a Firenze, e vi piacque moltis-
simo, specialmente in Contraddizione e puntiglio. Il Barbiere di
Gheldria, Don Marzio, Il Burbero benefico, Rosella, ecc. Morì
verso il 1 840.
Ruggeri Ruggero. Nacque a Fano il 14 novembre 1871
dall'avv. prof. Augusto Ruggeri, insegnante letteratura ita-
liana nei Licei e nelle Scuole Normali del Regno, e da Corinna
Casazza. L' '86 gli morì il padre, ed egli, interrotti dell' '88 gli
studi liceali dopo il secondo corso, entrò in arte come prim.o
attore giovine della Compagnia Benincasa, poi, nello stesso anno,
di quella delle sorelle Marchetti. Fu amoroso 1' '89 con Fante-
chi, poi di nuovo primo attor giovine il '90 con Tessero-Giozza»
RUGGERI
al fianco di Luigi Monti ed Enrico Belli-Blanes. Entrò il 'gì
collo stesso ruolo in Compagnia Novelli-Leigheb, poi Novelli
solo, con cui stette sino a tutto il '97, sostituendo nell'ultimo
triennio il Cohnnello per le parti di primo attore. Fu il '98 primo
attore con Brignone-Montrezza, e il '99 con la Iggius. Il '900,
finalmente, prese posto qual primo attore assoluto in Compa-
gnia Talli-Gramatica-Calabresi, nella quale è tuttavia {1903),
riconfermatovi pel venturo triennio.
Fino al momento dell'ultima scrittura, non aveva mostrato
a qual grado sarebbe salito. Oggi egli è uno de' più forti arti-
sti giovani, mercè una grande volontà e una grande perseve-
ranza negli studi, accoppiate all'intelligenza svegliata. Di que-
44» RUGGERI-RUTA
Sta e di quelli egli va dando non dubbie prove, specie con la
interpretazione del Parini e la recitazione della Canzone di Ga-
ribaldi e ^^VCOde a Verdi di Gabriele D'Annunzio. Aitante
della persona, piacente del volto, elettissimo de' modi, egli po-
trà salir ancora molto alto, quando abbia saputo misurar più
la dizione, talvolta confusa, e meglio usar della voce talvolta
velata.
Al pari del suo collega Ciro Galvani, benché in altro modo,
egli unisce a questa del comico V arte del disegnatore. Il ge-
nere suo preferito è la caricatura, e in moltissime, specialmente
del Novelli, egli ha mostrato tutta la pieghevolezza del suo
ingegno.
Rtlino Francesco. Ercole di Ferrara, rispondendo con let-
tera del 5 febbrajo 1496 al Marchese di Mantova Francesco
Gonzaga, che gli aveva domandato le commedie volgari già
rappresentate a quella Corte, dice che non può favorirlo, per
essersi fatte soltanto le parti de* singoli attori, le quali, reci-
tate le commedie, non furono serbate né messe insieme, e per
essere alcuni degli attori in Francia, a Napoli, a Modena, a
Reggio. E dove dice (nella lettera autografa, che è nel ducale
Archivio di Modena) in Francia, a Napoli, è scritto in margine :
Francesco Ruino, Pignatta.
In Francia dunque era allora, molto probabilmente, il
Ruino (V. Gir. Tiraboschi, Storia della leti. itaL, Roma, 1784,
T.VI, P. II, 215, N.).
Rusca Margherita (V. Visentini ).
Ruta Cesarina. Nacque a Milano il 26 settembre del 1854
da Filippo Scalzi, impiegato di Prefettura, e Luisa Watter.
Traslocato il padre a Genova, ella entrò nella Filodrammatica
del Falcone, e a soli quindici anni si scritturò con una piccola
compagnia, diventando in breve mxC amorosa egregia. Sposò
il '79 Pasquale Ruta, attore brillante, e fu con lui in Compa-
gnia di Ernesto Rossi, prima attrice giovine, peregrinando per
le varie città d'Europa, ammiratissima. Salì nell' '82 al g^ado
di prima attrice assoluta in Compagnia Morelli, in cui la rap-
presentazione dì Maria di Mandala di Pietro Calvi fu il suo
maggior trionfo, dovuto all'arte sua e alla sua bellezza, ch'era
meravigliosa. Andò r'83 con Emanuel, poi formò Compagnia
con Ettore Mozzanti per un solo anno, dopo il quale si scrit-
turò con Carlo Lollio, poi con Amato Lazzerì. Fu 1' '89 al Teatro
Rossini di Napoli, poi, ammalatasi la Duse, fu la prima donna
de' suoi comici, coi quali fece il giro della Sicilia. Passò quindi,
sotto la direzione del Morelli, in Compagnia Marazzì-Dilìgenti
e in quella di Lorenzo Calamai, finché, ammalatasi d'influenza,
che si mutò in polmonite, si spense in Asti il 1 5 gennajo del '92,
lasciando il povero marito e due figliuoHni nella desolazione.
17. — / Comià ilaliami. VoL li.
4JO RUTA - RUZANTE
Cesarina Ruta fu, coni' ho detto, di bellezza raaravigliosa, che
accrebbe in lei i pregi artistici. Rappresentò la prima al Valle
di Roma e al Manzoni di Milano la Fedora. e n'ebbe assai lodi
dai critici maggiori quali D'Arcais e Ferrigni {Yorick).
Rutti Cecilia (V. Diana).
Ruzante (V. Beolco Angelo nell'Opera, e nel Supple-
mento).
I COMICI ITALIANI
Sacchi Felice. Lo chiamarono comunemente Felicino Sac-
chefto per distinguerlo da Antonio Sacchi, il celebre Truffaldino,
da cui derivò atteggiamenti e arguzie e prontezza nella ma-
schera A^^ arlecchino, che sostenne con buon successo e per
molti anni in Compagnia Medebach a fianco del brighella Giu-
seppe Marliani (V.), che gli fu largo di utili ammaestramenti.
Si recò del 1717 a Parigi a sostituir di quando in quando
nella Commedia italiana Ìl vecchio Bertinazzì, ed esordì col Ca-
merani 1*8 di maggio nel Maitre suppose, nuova comedia ita-
liana, che non piacque. Sacchetti, così è citato nel D'Origny,
non parlò francese, con assai poco diletto degli spettatori ; ma
egli volle, fermamente volle, dopo soli quattro giorni, unifor-
marsi al gusto del Paese, e vi riuscì. E a chi gli domandava,
meravigliato, quanto gli fosser costati progressi così rapidi,- A?
molto pianto, - rispondeva con una soavità commovente e una
modestia degna d'incoraggiamento.
454 SACCHI
Ritornò la quaresima in Italia, e fu per un anno in Com-
pagnia Rossi, passando poi nella sua prima del Medebach. Ma,
cagionevole di salute, morì la primavera del 1771 a Milano, a
soli trentasei anni, lasciando all'arte alcuni scenarj, tra' quali
Fr. Bartoli cita II Mago dalla barba verde ed // turbante di
Asmodeo.
Sacchi Brigida^ moglie del precedente, e figlia di Antonio
e Lucrezia Marchesini, fu buona innamorata nella Compagnia
Medebach al fianco di suo marito. Recatosi questi a Parigi
del 1767, ella si fermò per alcun tempo a Bologna col propo-
sito di andarlo presto a raggiungere. Ma stabilito il di lui ri-
torno, e passata di Bologna la Compagnia di Pietro Rossi, ella
vi si scritturò per l'autunno e carnovale, recandosi a recitare
a Livorno.
Tornato il marito, e scritturatosi anch' egli col Rossi, ella
ebbe occasione di assumere il grado di prima donna^ che so-
stenne con molto buon successo, meritandosi la primavera a
Piacenza il seguente sonetto che il padre Francesco Ringhieri
pubblicò nella seconda edizione della sua tragedia Ortoguna,
di cui la Sacchi fu prima e fortunata interprete.
Tiappresentando il personaggio di Ortoguna la prima volta in Piacenza con
applauso universale e singoiar maestria la signora frigida Sacchi.
Mano air opra, o pittor. Quest'è Ortoguna,
che Arabia ornò, ch'orna T Ausonie Arene;
pingi virtù, pingi arte, e quanto aduna
Melpomene di grande in auree Scene.
Spiri odio, e amor, ma senza macchia alcuna,
senza alcun neo mostri furori e pene;
e quando è vinta dalla rea fortuna,
vinca il maschio valor d'Argo, e d'Atene.
Con ciglia immote il Grande e il Vii l'ammiri,
e rapito dall'arte pellegrina,
frema a' suoi sdegni, e a' suoi sospir sospiri.
SACCHI - SACCO 455
Giaccia invidia sul suol; l'alta Eroina
fama preceda, e scritto al pie si miri:
degli Eroi coturnati io son regina.
Entrò di nuovo il '69 col marito nella Compagnia Mede-
bach, e vi stette sino alla morte di lui. Vedova con due figli,
passò a seconde nozze fuor del teatro, ma non potè godersi a
lungo la quiete del suo nuovo stato, che, obbligata non poco
tempo al letto da una cronica malattia d' utero, lasciò la vita
il 1775 col compianto de' buoni, e fu sepolta nella chiesa di
San Gio. Crisostomo a Venezia.
Sacchi Giovanni. Figlio dei precedenti, fu come il padre
un egregio arlecchino, e come lui conosciuto col nome di Sac-
chetto. Ma venuti in decadenza V uso delle maschere e la com-
media air improvviso, si diede a recitar le cose scritte, riuscendo
attore stimato. Condusse alcuni anni ai primi del xix secolo
una Compagnia secondaria, della quale egli era applaudito ca-
ratterista, e con la quale s'ebbe la più varia fortuna. Morì a
soli quarantasette anni in Casal Maggiore verso il 181 2.
Sacco Gennaro e Maddalena. Gennaro Sacco, napole-
tano, fu attore reputatissimo nel personaggio ridicolo di Coviello,
eh' ei sosteneva nel dialetto del suo paese. Passato in vario pe-
riodo di tempo in Lombardia, nel Veneto, a Genova, vi ebbe
onori grandissimi, e fu al servizio del Principe Alessandro Far-
nese di Parma, del Duca di Modena e del Duca di Brunswick
a Varsavia. L'Archivio di Stato di Modena conserva alcune let-
tere di Coviello, il quale, per non essere da meno dei suoi com-
pagni, batte cassa con supplicazioni di ogni specie; ora (Bre-
scia, 4 agosto 1 690) allegando in ragione che il suo esercito è in
rovina per non aver potuto fare in diciassette giorni che sei
comedie, che fruttarono di parte lire dieci e soldi otto; ora
(Reggio, 20 novembre 1690) che li Massari del ghetto vogliono
semignare t elettione, per la carica dei letti nel Cestello, e sospira
una grafia che può liberarlo dalle mani del Ebraismo.
456 SACCO
Deir'89 si recò dal Finale a Sassuolo a recitarvi durante
la permanenza del Duca, e avea seco la moglie Maddalena, che
sosteneva le parti di serva col nome di Armellina. E da allora
pare eh' egli entrasse in compagnia e nelle grazie del Duca,
poiché in un documento sincrono dell'Archivio di Stato di Mo-
dena abbiamo T elenco della Compagnia, in cui non figurano
i nomi dei coniugi Sacco, bensì quelli di Gaetano Caccia, Lean-
dro (V. Suppl.) e Galeazzo Savorini, Dottore (V.), con questa
annotazione in calce:
S. A. S. ha ordinato che invece di Gaetano Caccia cioè Leandro, e di Galeazzo
Savorìni Dottore si paghino le lire 45 il mese a Gennaro Sacco detto Coviello, et alla
Maddalena Sacco detta Armellina.
Per r elenco della Compagnia V. Torri Antonia.
Richiesto dal Ser.™"* di Celi, pare, secondo lettera da Han-
nover del 5 gennajo 1693, che il Sacco si togliesse dal servizio
del Duca di Modena senza dargliene alcun avviso ; per la qual
cosa e' s' ebbe dal Marchese Decio Fontanelli sequestrate tutte
le robbe. Ma egli si giustificò, dicendo a Celi e scrivendo al
signor Franchi segretario di Celi :
D'haveme più volte parlato al sig. Co. Decio Fontanella, al quale l'haveva
rimesso il Comando del Ser.mo facendoli dire che non teneva servitori per forza, e che
s'intendesse col S.i* Marchese sodetto: non havendone speditione, di nnovo ricorse al Ser.>"o
e da nuovo il Ser. n>o lo rimise al S.i* M.se Decio, il quale lungamente lo fece languire,
e li disse più volte che non sapea cosa dirli, alfine che li darebbe una lettera per Bolo-
gna, e che gli augurava buon viaggio, che non si potè mai ha ver la lettera, e che parti
doppo aver di ciò parlato in Modena, e sino à Cavalieri, c'erano nell'anticamera di S. A.
Ser.mft dolendosi della poca fortuna e' haveva havuta col detto S.' Marchese.
E pare che il Marchese Decio fosse lo spauracchio de* Co-
mici, se dobbiam credere a una nuova raccomandazione in
nome del serenissimo senza nome del raccomandato né dello
scrivente, ma che concerne certo la faccenda Sacco, al Conte
Francesco Dragoni Govemator di Bersello à Modena, intestata
A Lei Sola, e che comincia : Ella havrà riguardo a non lasciar
cculer il negotio, né la confidenza sul Sig/ Co. Fontanella sospetto
per esser f arbitro del Theatro, e poco favorevole al Comico.
SACCO 457
Al qual Dragoni, anche quindici giorni dopo, il Mauro,
pur da Hannover, scrive in nome del Ser.™° di Celi per ottenere
dal Ser.*"*" di Modena il rilascio delle robbe sequestrate al Co-
viello, e conoscere le sue intentioni, poiché se occorressero alSer!^^
non solo Cornelio, ma altri de suoi Comici ancora, ne sarebbe il
SerJ^^ di Modena padrone^
Altra viva raccomandazione vi è del 5 marzo 1 69 1 al si-
gnor Quaranta Caprara, perchè fosse di ajuto al Sacco nella
riscossione di certo suo credito.
< Finì di vivere - secondo Fr. Bartoli - intorno al 171 5,
lasciando di sé pei meriti suoi, una rinomanza la più ricorde-
vole ed onorata, > I quali meriti suoi non si limitarono a quei
dell'attore, ma altresì dello scrittore, che molte opere in verso
e in prosa egli pubblicò non senza alcun pregio scenico e let-
terario di cui ecco l' elenco :
Il Trionfo del merito. Poema. Venezia, 1686.
Sempre vince la Ragione. Opera eroitragisatiricomica. Ge-
nova, per Antonio Casamara, 1686, in- 1 2**.
La luna ecclissata dalla fede trionfante di Duba, regina
dell' Ungheria. Opera anagrammaticomica. Verona, per
Domenico Rossi, i68y, in- 12°.
La Commedia smascherata, ovvero I Comici esaminati. Co-
media dedicata alla Maestà di Augusto secondo. In Var-
savia, alla Stampa del Collegio delle Scuole Pie, i6gg, in-4°.
Questa commedia, eh' egli pubblicò mentre era da nove
anni comico del Ser.""® di Celi, < eh' è un Principe così grande
- dice il Sacco nella prefazione - così giusto, e così pio, e ci
grazia non solo dell' alta sua protettone, ma ci comparte una
mercede così copiosa, che può far la fortuna, anche a chi pre-
tende distintione assai superiore a quella di Comico >, è forse
la più importante opera del Sacco, sì per la varietà imaginosa
delle scene, sì per la comicità ond' è piena, e anche per lo stile
men reboante del solito. Il soggetto è la solita difesa delle Co-
sa. — / Comici italiani. Voi. II.
458 SACCO
medie e dei Comici contro le accuse di immoralità, di disone-
stà, di perdizione: una specie di Supplica del Beltrame in azione.
Il Sacco, ossia Gennaro, detto il Capitan Coviello, vi era terzo
innamorato. Recitava come sempre nel dialetto napoletano, e
alla scena XVI del primo atto, in cui tutti i Comici fanno <un
paragone della Comedia ad altra cosa > egli, dopo il discorso
del primo innamorato Ottavio, e del Pantalone Girolamo, dice :
Platone nel settimo della sua Repubblica, obliga i Capitani d'eserciti ad essere
buoni aritmetici, però io che rappresento la parte del Capitano, sosterrò che la Comedia
costa di questa scienza matematica, e che sia il nero : l' aritmetica si diuide in prattica, e
specutatiua; la Comedia e composta di numero semplice non douendo uscire da i termini
assegnati da Aristotile, di ventiquattr' hore ; e di numero diuerso, partito in tre parti che
sono gl'Atti, ne quali si racchiude. Nella Comedia è necessaria la proportione del luogo,
e la proportionalità del Caso ; la egualità delle persone, maggiore, o minore ; e l' inegna-
liti delle cose; ella è formata di regole, di quella del tré nel Comico che deue hauere,
bella presenza, Toce soaue, e buona memoria. Di quella del Cinque nel prologo, nell'epi-
sodio, nel esito, nel Corico, e nel Como ; di quella del sette nelle sue varie specie, espresse
dal Donato, cioè: Palliata, Togata, Atellana, Tabematia, Mimo, Rhintonica, e Planipedìa.
Ha la positione semplice, ne i personaggi sciocchi ; la positione doppia ne i semi astuti ;
con la prattica d'algebra, e di almucabatà, si espongono i moltinomij de soggetti; Con
l' aritmetica attiua poi numera il tempo, somma gì' accidenti, sottrae l' improprio, e mol-
tiplica gì' abbellimenti ; vsa le prone per riuscire, tiene libro semplice per le rappresenta-
tioni, e doppio per il guadagno; in fine se Pittagora sostiene che la natura de numeri,
trascorre per tutte le cose, anche la Comedia di tutte le cose è specchio ; però moltipli-
cando il suo merito per ogni regola, trono che innumerabili, come innumerabili sono le
diuisioni aritmetiche, sono ancora le sue glorie.
Coviello appartiene alla categoria dei capitani. Seguendo
il Callot, Maurizio Sand ci ha rappresentato il tipo in atteggia-
mento di danzatore e suonatore di mandolino ; ma a me pare
non si debba con troppa sicurezza attenersi pel costume a co-
teste incomparabili figurine, nelle quali, a osservar bene, domi-
nan solamente due tipi: del Capitano e dello Zanni; e talvolta
l'uno invade il campo dell'altro, come, a esempio, il Fracassa
che ha V abito zannesco di Pulcinella, o di Scapino, o di Frit-
tellino (V. Andreini Francesco, pag. 75). II Coviello, tranne
alcuna eccezione, è uno stupido che fa il bravaccio, come il
Capitano; e di Capitano ha il costume con grandi piume al cap-
pello, grandi stivali, e grande spada. Il Valentini ce lo dà in
abito spagnuolo, e tale a un dipresso lo vediamo in una delle
SACCO 459
sue apparizioni nella illustrazione della Cameriera brillanie di
Goldoni (Ediz. Zatta), in cui Traccagnino vien travestito nella
scena V dell'atto III da Capitan Coviello, e parla napolitano.
Sacco Gaetano. Fratello del precedente. Secondo che
scrive il Piazza nel Teatro, egli era ancora quarant'anni dopo
la sua morte nella memoria de' comici, come valentissimo ar-
lecchino, sotto il nome di Truffaldino, e autore di scenaij, pei
quali esso Piazza lo qualifica autore di commediacce. Nella fede
di nascita del figliuolo non abbiamo le notizie personali del pa-
dre, e però non sappiamo né dove, né quando sia nato: sappiam
soltanto ch'egli era a Vienna comico al servizio di quella Corte,
quando nacque il celebre figlio Antonio (i 708), e che « fu - dice
Fr. Bartoli - in Moscovia al servizio della gran Zara, ove pose
fine a' suoi giorni nel i735.>
Sacco Adriana. Figlia del precedente e di Libera Sacco,
fu sempre nella compagnia del padre. Recitò da giovine le
parti di donna seria sotto il nome di Beatrice. Fr. Bartoli ac-
cenna a un errore in cui ella incorse, ritenendo opera di Giro-
lamo Barufifaldi la tragedia Diosebe, ch'ella recitò ancor nubile
in Pavia il 1727, e dedicò alle dame di quella città. Passò da
quello di donna seria al carattere della serva sotto il nome di
Smeraldina, nel quale successe alla Passalacqua, e riuscì at-
trice pregiatissima per l'acutezza dello spirito, la grazia del
gesto e la vivezza dei lazzi.
Il Goldoni, a proposito dell' arte sua, dice che eccettuata
fucUche caricatura sosteneva benissimo l' impiego di Cameriera ;
ma, avverte saviamente il Lfthner, egli la < giudica un po' se-
veramente, forse perché era cresciuta nelle tradizioni un poco
sgangherate delle farse " à Canevas" d'allora. >
Sposò il 9 gennajo 1739 in prime nozze il bravo dottore
Rodrigo Lombardi (V.), dal quale s'ebbe più figli, tra cui Be-
nedetto e Rosa, di cui é parola al nome di Lombardi ; e dieci
anni dopo Atanasio Zanoni, celebratissimo brighella, da cui si
46o SACCO
ebbe due figli, Teresa e Idelfonso (V.). Recitò ancor vecchia,
e mirabilmente ; finché, afflitta da malattia cronica, obbligata
non poco tempo al letto, cessò di vivere a Venezia il i° feb-
brajo del 1776 a oltre settant'anni.
Sacco Giovanni Antonio. Altro figlio del precedente,
nacque a Vienna il 3 di luglio del 1 708. Testimoniaron V atto
di nascita Giovanni e Margherita Bononcini (V.), Barbara Za-
nardi (V.), ed Eva Maria Solbachin, levatrice. Cominciò contes-
sere ballerino esperto, e Fr. Bartoli ci dà così le prime notizie
artistiche di lui :
Danzando in Firenze sotto la maschera di secondo Zanni nel Teatro della Pergola,
fa veduto dal Gran Duca Gio. Gastone, che chiamandolo alla sua presenza, e ravrisatolo
di pronto spirito, volle obbligarlo a recitare la sera appresso in quel ridicolo Personaggio
nell'altro Teatro del Cocomero, in cai vi travagliava Graetano suo padre. Esegui il comando
di quel Sovrano, mostrossi dispostissimo a tale esercizio, e veramente trasportato poi dal
genio alla Comica professione, pose la maschera del Truffaldino con sicurezza, e di grado
in grado collo studio s* andò perfezionando, divenendo finalmente un inimitabile, e famoso
Comediante. Insieme con Gaetano Casali servi il Teatro S. Samuele de' nobili Patrizj Grì-
mani; e poi passò nell'altro degli stessi Padroni detto di S. Gio. Grisostomo, e ne tolse
la direzione egli solo. In tutti due questi Teatri fece valere Antonio Sacco la di lui abi-
lità, mostrandosi un comico fondatissimo nelle cose dell' arte, e comparendo grazioso, ar-
guto, e nelle facezie e nei sali spiritoso e bizzarro.
Il Sacco si recò a Venezia con tutta la famiglia V autunno
del 1738, un anno dopo la morte dell'ultimo Medici; e, salito
poi in gran rinomanza, partì per la Russia Testate del 1742,
nonostante i suoi impegni con S. E. Grimani, imperante da un
anno Elisabetta Petrovna, figlia di Pietro il grande ; seguito
da metà della Compagnia di S. Samuele, ossia da tutta la fa-
miglia, composta di moglie, suocera, sorelle, cognati. Rimpa-
triò il 1 745, e, perdonato dal Grimani, riapparve al S. Samuele
a Venezia, d'onde inviò al Goldoni la commissione del Servi-
dore di due padroni. Fu molti anni a Venezia e in Italia, finché,
chiamato alla Corte di Portogallo, non curandosi né men questa
volta del contratto ch'egli aveva con S. E. Grimani, piantò im-
provvisamente il S. Samuele, e recatosi a Milano la primavera
del 1753, poi a Genova per alcune recite in attesa dell'imbarco.
SACCO 461
fé' vela con la miglior parte della Compagnia per Lisbona, ove
giunse al cadere di quell'anno, e ove s'ebbe la più festosa delle
accoglienze. Sappiamo da Fr. Bartoli che
non contento il Sacco di produrre il suo proprio divertimento, altro cerconne per mag-
giormente rendere gradita la di lui servitù. £ ciò esegui col fare apprendere a' piccoli fan-
ciulli figliuoli de' Comici suoi alcune Commedie del Goldoni, le quali erano da essi, benché
di tenera età, meravigliosamente eseguite. L' attenzione del Sacco fu in buon grado accolta,
e generosamente premiata da Sua Maestà. Passavano intanto i Comici tranquillamente i
suoi giorni in Lisbona, accumulando ricchezze, e facendo una vita comoda e doviziosa.
Ma, ahimè, il fatalissimo terremoto del 1755 obbligò il
Sacco a tornarsene in Italia, a Venezia, ove riprese il S. Sa-
muele, e continuò per alcuni anni a condur la Compagnia con
buona fortuna, recandosi in vario tempo a Milano, Torino, Ge-
nova, Bologna.
Quivi fu l'estate del '59, e fece una delle solite recite, per-
chè fosse continuata la grande opera del Portico di S. Luca.
A lui è dovuta la costruzione dell'arco 627, sotto il quale è
scritto :
ANTONIO SACCO | E COMPAGNI COMICI | CON
LA RECITA FATTA | NEL TEATRO FORMA-
LIARI I LI X LUGLIO MDCCLIX.
Tornato a Venezia, e sentito come a divertimento del nuovo
piccolo Sovrano Ferdinando IV si dovesse scegliere una Com-
pagnia comica Lombarda, si affrettò ad offrire con una supplica
del 20 ottobre (V. Croce I. T. di N., 490-9 1) la sua comica Com-
pagnia € in quel grado medesimo che ella ebbe l' onore di ser-
vire per più di due anni la Maestà Fedelis.* del Re di Porto-
gallo e sua Reale Famiglia > , assicurando € ch'essa compagnia
era molto migliorata, e che i soggetti comici ridicoli che la
componevano, capaci eran di divertire qualunque Principe Cat-
tolico, anche severamente educato. >
Ma la voce della Compagnia Lombarda a Napoli era in-
fondata, e Sacco rimase a Venezia.
Intanto le opere del Goldoni e del Chiari andavan acqui-
stando sempre maggior grido, e il pubblico s' era diviso in due
402 SACCO
parti, disertando il teatro del povero Sacco. Fu allora che il
Conte Carlo Gozzi, già forte estimatore dell'ingegno di lui, pensò
di venirgli in ajuto, esordendo come autore la sera del 25 gen-
najo 1761 con la fiaba U amore deUe tre Melarance, < caricata
parodia buffonesca sull'opere dei signori Chiari e Goldoni, che
correvano in quel tempo ch'ella comparvo Fu preceduta da
un prologo in versi < Satiretta contro a' Poeti, che opprimevamo
la Truppa Comica all'improvviso del Sacco > , e * nella bassezza
de' dialoghi e della condotta e de' caratteri, palesemente con
artifizio avviliti, l'autore pretese porre scherzevolmente in ri-
dicolo // Campiello, Le massere. Le baruffe Chiozzotte, e molte
plebee e trivialissime opere del signor Goldoni. > Che Dio l'ab-
bia in gloria!... Il successo della novità fu enorme, e n'ebbe
il Sacco gran vantaggio con danno degli altri teatri, sì che il
Gozzi continuò nell'impresa felicemente.
Affaticato il Sacco dal continuo recitare, e annojato di
sentirsi criticare la compagnia per le parti serie, pregò l'autor
protettore di scrivergli alcun lavoro senza maschere : per tal
guisa egli avrebbe riposato, e i detrattori si sarebber ricre-
duti. Gozzi scrisse infatti le due trag^cocommedie : Il Cavaliere
amico e Doride, recitate la prima volta, quella a Mantova il
28 aprile del 1762, questa, pure a Mantova, il 21 di giugno
dello stesso anno; ma non v'eran cagioni di rivolta, non vi re-
citava il Sacco, e la compagnia era.... quello che era: il suc-
cesso ne fu meschino. L'autore si limitò solo a dire: «Un
poeta, che voglia ajutare una Truppa Comica sola, la quale
sia in credito per un genere, e in discredito per un altro
nell'universale, non farà certamente grand' onore a sé stesso,
né darà grand' utile alla Truppa soccorsa, se la vorrà occu-
pata in quel genere, di cui non é creduta dall'universale
capace. >
E dietro lo smacco dell'insuccesso, il Sacco pensò di andar
migliorando la Compagnia, facendo scrivere allo stesso Gozzi
nel 1772 (prefazione alla traduzione del Fajel di D'Arnaud [Ve-
nezia, Colombani]):
464 SACCO
Egli tiene la Compagnia esercitata nella Commedia improvvisa, e ben provveduta
de' più atti personaggi a una tale rappresentazione ; ma ben fornita la tiene ancora di
abilissimi personaggi a recitare qualunque buona Tragedia, Tragicommedia, 0 Comme-
dia, composta o tradotta che gli venisse da qualche leggiadro spirito recata.
Infatti ecco l'elenco della Compagnia per Tanno 1775 la-
sciatoci dal Lessing nel suo Tagebuch der italienischen Reise, che
è nel XVI volume dei Sàmtliche Schriften herausgegeben von Karl
Lachmann (Leipzig, GOschen, 1902):
DONNE
Teodora Ricci
Chiara Simonetti
Angiola Sacchi
Maddalena Ricci
Teresa Zanoni
MOROSI
Petronio Cenerino (Zanerini)
Luigi Benedetti
Domenico Menghini
Giovanni Vitalba
Francesco Bartoli
MASCHERE
Antonio Sacchi, ^Arlecchino
Atanasio Zanoni, brighella
Gio. Battista Rotti, Pantalone
Agostino Fiorilli, Tartaglia.
Compagnia ritenuta la migliore, e colla Ricci, collo Zane-
rini, col Vitalba, colla Sacco, colla Simonetti, col Bartoli, atta
davvero a poter rappresentare qualunque opera seria.
Il 1762 il Sacco passò al Sant'Angelo, e un anno dopo fu
trattato dal Duca di Duras per la Comedia italiana di Parigi ;
ma non vi si recò altrimenti, forse, a parer del Goldoni, per
ragióne d' interesse, volendo egli essere di punto in bianco
ricevuto a parte (V. lettera di Goldoni al Marchese Albergati
\n fogli sparsi raccolti dallo Spinelli, pag. 119). Era a Milano il
il carnovale 1762-63 e l'aprile 1764. Il maggio del '65 fu nuo-
vamente ventilato il disegno di farlo andare a Parigi col mezzo
del Goldoni, per incarico dell' intendente primario degli spet-
tacoli M. de la Ferté (V. lettela s. e), ma egli né anche 'sta
volta vi andò. Andò invece a Innsbruck, chiamatovi dalla Corte
Imperiale, dove, uscendo dall'avere assistito alla sua rappre-
SACCO 465
sentazione del 1 8 agosto, morì istantaneamente V Imperatore
Francesco I. Lo vediamo la primavera del '69 nel Nuovo Tea-
tro di Corte di Modena (V. Spinelli - Una recita di A. Sacco a
Modena in JLa Promncia di Modena del 3 1 ottobre e 1° novem-
bre 1901), ove apparve la sera del 30 maggio l'Imperatore
Giuseppe II proveniente da Firenze. La sera dopo egli era al
teatro in Mantova ; e lo Spinelli riferisce questo brano di let-
tera di Luigi Galafassi a suo padre Consigliere ducale :
L' Imperatore disse che a Modena la Commedia era ottima, e qaell* arlecchino molto
vivace e bravo, e che una soa facezia gli sarebbe sempre stata impressa, ma che non vo-
lena dirla. D vecchio marchese 2^etti disse che la Compagnia Sacco era veramente buona,
che si era sentita in Mantova, e che quell' arlecchino era stato applaudito. S. M. ripigliò :
e Intendo, vorrebbe sapere che cosa ha detto, ma.... oh! via, diciamolo. Si trattava di
un ammalato, a cui il medico aveva ordinato che si cibasse di cibi leggieri. Tutti propo-
nevano chi una cosa chi l' altra. Arlecchino disapprovava tutto : se volete cibar bene il vo-
stro ammalato dategli quattro cervelline di donna, che non vi è cosa più leggiera al mondo.
La cosa mi arrivò cosi improvvisa e frizzante, che non so risovvenirmene senza ridere. »
E trovata la commedia di Mantova poco buona, S. M. disse :
< A Modena la commedia mi ha assai divertito, e vi è un Tar-
taglia (A. Fiorini, V.), che è il miglior comico che io mi abbia
mai sentito. >
E così, di trionfo in trionfo andò innanzi il fortunato ca-
pocomico artista, ultimo grande avanzo della commedia im-
provvisa, fino all'anno 1 782, in cui la Compagnia, descritta dal
Gozzi al principio de' suoi servizi, come quella che < aveva un
credito universale, quanto a' costumi famigliari, differentissimo
da quello che in generale hanno quasi tutte le nostre Comiche
Compagpiie >, e di cui {Mem., T. II, 17)
la unione, la buona armonia, le occupazioni domestiche. Io studio, la subordinazione, il
vigore, la proibizione alle femmine di ricever visite, 1* abborrimento che queste dimostra-
vano di accettar doni da' seduttori, 1* ore regolarmente divise ne' lavori casalinghi, nelle
preci, e l' opere di pietà co' miserabili eh' ei vide nel suo drappelletto, gli piacquero,
dopo venticinque anni di eroicomica assistenza dovè sciogliersi
per la vecchiaja e il rimbecillimento del Sacco ; e più ancora
pe' suoi ridicoli amori a oltre óttant'anni, pei quali, vedendo
compromessa l'eredità, la figlia comica si ribellava audace-
59. — / Comici italiani. Voi. IL
466 SACCO
mente. Alla sua s'unì poi la ribellione di tutta la Compagnia;
e a questa le invettive del Sacco, doventato un demonio, che
eran morsi canini. Si corse persino alle spade e ai coltelli. Pe-
tronio Zanerini, Domenico Barsanti, Luig^ Benedetti, Agostino
Fiorini si levaron di compagnia nauseati ; anche Atanasio Za-
noni risolse di abbandonare il cognato; ma con la intromissione
del Gozzi, rimase.... ancor per due anni, in mezzo alle grida,
ai lamenti, alle ingiurie, alle minacele. Si passò dal S. Salvatore
al Sant'Angelo invano. Mancavano i mezzi per allestir degna-
mente nuovi lavori ; mancavano i mezzi per pagare i comici ;
si andò pe' tribunali, si ricorse a' sequestri; e finalmente la
Compagnia, < che per lungo corso di anni era stata il terrore
di tutte le altre Comiche Truppe, e la delizia de' teatri, si sciolse
miseramente > , e il vecchio Truffaldino, avanti di partire per
Genova, andò a salutare il Conte Gozzi, e a chiedergli con un
bacio perdono e compassione.
Sul cadere dell' 88 egli morì sopra una nave nel tragitto
da Genova a Marsiglia; ed ecco come la Gazzetta Urbana Ve-
neta del 19 novembre 1788, n. 93 dà l'annunzio del triste caso:
Qnest' nomo &mo8o che ammirare si fece sino a* confini d' Europa : che fa chia-
mato fuori d'Italia, dove non intendesi la nostra lingua: che volar fece il suo nome ap-
presso tutte le nazioni dove conoscesi e pregiasi la comic' arte : che nelle nostre parti rese
col suo valore angusti al concorso i maggiori teatri, è morto indigente nel suo tragitto
da Crenova a Marsiglia e il suo cadavere soggiacque al comune destino de' passeggieri ma-
rittimi, d' essere gettato in mare. Sarà vero che molto in sua vita egli abbia guadagnato
e molto speso : ma è vero non meno che l' arte comica in Italia non arricchisce nemmeno
chi l'esercita colla più grande fortuna.
Non mi par qui il caso di dover rilevare la stupida osser-
vazione del giornalista, come se l'arte comica in Italia fosse
responsabile dello sperpero dei danari, degli ori, degli argenti,
e delle gemme, che un attore, favorito dalla sorte fino agli ot-
tant'anni, fa in amori senili degni di ogni dileggio....
Tocchiamo più tosto dell'arte sua come attore e capo-
comico.
Nella Tartana degl' influssi e nelle varie Composizioni
facete satiriche del Conte Gozzi {Opere, Firenze -Venezia, 1774,
SACCO 467
Colombani, T. Vili), molto si discorre contro il Goldoni e il
Chiari in favore di Antonio Sacco.
Il Burchielb, profetando il ritorno di esso da Lisbona per
il mese di dicembre (carnovale 1755-56), cantava:
Anderan le formiche a processione,
perocché carnovale era sbandito;
e' dice ancora, tutte le persone
andranno al Sacco, come ad un convito;
e rideranno, e dirangU: Ghiottone;
perchè si t'eri, traditor, fuggito?
Questi dottor ci opprimeano i cardiaci;
eravam fatti tutti ipocondriaci.
Chi poi voglia avere un' idea de' pregi del Sacco e della
sua Compagnia, secondo il giudizio di esso Gozzi, non ha che
a leggere il secondo volume delle Memorie inutili, e tutto il
Canto ditirambico de' partigiani del Sacchi Truffaldino (opere e. s.),
in cui fra V altro è detto :
Sacchi innocente,
di nostra mente
consolazione,
tato e mignone,
tu con le pure
caricature,
e con gl'imbrogli,
quando tu il vuogli,
e con gli amori,
e co' furori,
le gelosie,
le braverie,
senza osceni allettamenti,
imposture, adulazioni,
vinci tutte le invenzioni
de' Poeti prepotenti ;
e ci sollucheri,
e i cori inzuccheri;
a' tuoi detti giriam gli occhi,
tanto il mei par che trabocchi,
468 SACCO
e ci urtiamo e pizzichiamo,
ci abbracciami ridiam, gridiamo:
O poeti da cucina,
Viva il Sacchi, e Smeraldina.
Ma se tutto s'avesse a riferire di quanto fu pubblicato in
favore del Sacco, occorrerebbe un grosso volume. Né dal
tempo delle ficAe scritte, dopo tornato egli da Lisbona, datan
le offese e difese dei due campi.
V*ha un manoscritto nella Biblioteca Estense di Modena,
comunicatomi dalla cortesia dell'amico G. A. Spinelli, intito-
lato : La I Chiareide | Poema \ criHcosatiricogiocoso \ raccolto
da I Episarco Laprisio \ Pastor Lapponio, il quale contiene oltre
a sonetti dell' ab. Pietro Chiari contro i Conti Gozzi e l'Accade-
mia de' Granelleschi, tre sonetti dello stesso Chiari per la par-
tema della Compagnia Sacco, i quali dieder motivo alla Raccolta,
con le risposte a ognuno, e de' quali ecco il primo, come saggio :
In occasione \ Della partenza da Venezia per Lisbona \ della Com--
pagnia Comica di | Antonio Sacco:
Anime ree. più nere de T inchiostro,
Amiche a l'Alcoran, più che al Vangelo;
Obbrobrio, e disonor del secol nostro,
Pesti de la Natura, odio del Cielo;
Respiri Italia in voi perdendo un Mostro,
C'ha il fiel negli occhi, e fin sul core il pelo:
Andate pur, seguite il destin vostro.
Più a voi contrario, che le fiamme al gelo.
Le sirti Gaditane e le procelle.
D'avervi ad ingojar speran fra poco.
Alme bestemmiatrici, a Dio rubelle.
Spera chi tien fra Lusitani il loco.
Per vendicar le bestemmiate stelle,
Se sfuggirete il mar, di darvi al fuoco.
Che il Sacco fosse attore di grandissimo grido sì per le
argute improvvisazioni, sì per la eleganza e rapidità dell'azione.
SACCO 469
è fuor di dubbio, che troppi sono i testimonj e non sospetti
come il Goldoni, che al Capitolo IV, T. Ili, delle Memorie sen-
tenzia : « Il nostro secolo ha prodotto tre gran comici quasi
nel tempo istesso. Garrik in Inghilterra, Preville in Francia,
e Sacchi in Italia : e nella Prefazione al Servitore di due padroni.
Scenario, ossia Commedia a Soggetto, composta il 1745, mentre
era a Pisa fra le cure Legali, dice di lui :
I sali del Truffaldino, le facezie, le vivezze sono cose che riescono più saporite,
quando prodotte sono snl latto dalla prontezza di spirito, dell'occasione, del brio. Quel
celebre eccellente comico, noto all' Italia tntta pel nome appunto di Truffaldino, ha una
prontezza tale di spirito, una tale abbondanza di sali e naturalezza di termini, che sor-
prende: e volendo io provvedermi per le parti buffe de le mie Commedie, non saprei
meglio farlo, che studiando sopra di lui. Questa Commedia l' ho disegnata espressa-
mente per lui, anzi mi ha egli medesimo l' argomento proposto, argomento un po' dif-
ficile in vero, che ha posto in cimento tutto il genio mio per la Comica artificiosa, e
tutto il talento suo per l'esecuzione (V. anche nelle Memorie il Cap. XLIX del
Tom. I).
Visto poi che recitata da altri la Commedia non sortiva
il medesimo successo, s'indusse a scriverla tutta, «non già, -
aggiunge con gentile riserbo, - per obbligar quelli che soster-
ranno il carattere di Truffaldino a dir per V appunto le parole
sue quando di meglio ne sappian dire, ma per dichiarare la
sua intenzione, e per una strada assai dritta condurli al fine. >
E conchiude pregando chi reciterà quella parte, di volere in
caso di aggiunte astenersi < dalle parole sconcie, da' lazzi spor-
chi....» E qui forse intende di muover velatamente rimprovero
al Sacco stesso, che in materia di sconcezze su la scena pare
non avesse troppi scrupoli.
Ne fa fede Pietro Antonio Gratarol al Capo XII della sua
Narrazione apologetica, quando dice :
Non altronde che a Venezia ti verrebbe &tto, manigoldo, di ottenere da ogni ge-
nere di persone quanto ivi ottieni. Li commedianti d' altra nazione sanno anzi rigentilire
la comica professione con modi li più costumati e sulle scene e nelle case; ma tu, più
ch'ogni altro, ben sai renderla infame con un'intollerabile licenza di continui atteggi e
sali, o repugnanti alla decenza, o temerari nella censura. Infatti questo idolatrato eroe,
non so se per superbia di vedersi arricchito, ovvero per timor di spacciare le sue buffo-
nerie senza il costumato prezzo delli dieci quattrini, & moltissimo il prezioso nella società,
e ne riesce alquanto sciapito.
470 SACCO
E al Capo XVIII, parlando della censura per la bestemmia:
Perchè non si rivedono e non si licenziano anche tante scandalose ribalderìe, che
impunemente escono tntto giorno dal Truffaldino e da altri?
Ma più ancor ne fa fede Giuseppe Baretti, non veramente
sospetto di poca sincerità come potrebbe essere creduto il
Gratarol per le sue relazioni con la Compagnia Sacco e il Conte
Gozzi, in una sua lettera da Venezia del 14 aprile 1764 a Don
Francesco Carcano, al quale raccomanda vivamente il Sacco
che doveva recarsi giusto allora a Milano. Egli scrive :
Benché in teatro, per compiacere il grosso dell' udienza, egli si lasci scappare qual-
che cosetta un po' grassetta, pure nel suo conversare familiare egli è tale che le vostre
intemerate Marianne e Carlotte non hanno che temere.. ••
Fr. Bartoli che fu nella sua Compagnia sei anni, senza
buona fortuna, tesse di lui le più ampie lodi; lo dice istruito,
specialmente intorno alla Storia Universale, direttore egregio
per le opere serie come le comiche, gran comico, ritrovatore
di molte scene, di cui lardellava i vecchi soggetti dell'arte, che
ne venivan così risanguati, autore di scenarj, fra cui del fortu-
natissimo Truffaldino molinaro innocente.
Truffaldino non è che uno dei tanti nomi di Arlecchino,
senza mutamento né di abiti, né di essenza. Il Rapparini a
pag. 184 del suo Arlichino (Heidelberga, Miiller, 17 18) ce ne
dà una lista, più lunga a dir vero del bisogno; che alcuni ebber
vario il costume, e varia T essenza :
Arlichino, Trufaldino,
Sia Pasquino, Tabarrino,
tortellino, naccherino,
Gradellino, Mezzettino,
POLPETTINO, NeSPOLINO,
Bertolino, Fagiuolino,
Trappolino, Zaccagnino,
Trivellino, Trac agnino,
Passerino, Bagatino,
Bagolino, Temellino,
Fagottino, Pedrolino,
Fritellino, Tabacchino.
SACCO 471
E autentico il ritratto che qui riproduco ? Chi sa ! Appar-
tiene alla splendida raccolta di Hugo Thimig, T eccellente co-
mico, direttore del Teatro Imperiale di Vienna, che volle gen-
tilmente concederne la riproduzione per l'opera mia. Al Thimig
fu dato da un erudito di Dresda, che ci scrisse sotto : Arlequin
bei den Sdcksischen Kómedianten im Jahr iy2j, e disse a voce
a esso Thimig trattarsi assai probabilmente del famoso Sacchi.
1723? Dunque del Sacchi a quindici anni? Non mi pare pos-
sibile. L'arlecchino di Dresda del 1723 non era Natalino Bei-
lotti (V.), uno dei Beniamini della Corte? Potrebbe adunque
esser questo il ritratto suo, giacché quel che parmi certo si
è non trattarsi qui di una semplice imagine della maschera di
arlecchino, ma di un vero e proprio ritratto.
Quanto al cognome del nostro artista non saprei che de-
cisione prendere. Sacco egli è detto nell'Arco del Portico di
S. Luca; e Fr. Bartoli che pur fu sei anni con lui lo chiama
Sacco; Goldoni Sacco e Sacchi, Gratarol Sacchi, Sacchi il Gozzi
che fu con lui venticinque anni, Sacchi il Baretti, Shagy il Re-
gistro parrocchiale di Santo Stefano di Vienna, e finalmente
Sacchi si firma in tutte le sue lettere lo zio Gennaro, Ca-
pitan Coviello. Io l'ho chiamato Sacco, attenendomi alla let-
tera che il Croce riferisce, sottoscritta Antonio Sacco capo
comico.
Sacco Antonia, moglie del precedente, e figlia di Elisa-
betta Franchi, fu assai pregiata artista per le parti di donna
seria col nome di Beatrice, sì nelle commedie a soggetto, sì
nelle scritte. Fu sempre nella Compagnia del marito, e vi-
veva ancora il 1782 fiior della scena per la soverchia età.
Anche di lei Carlo Gozzi fa menzione nel citato canto diti-
rambico :
Sieda ancor la Beatrice,
che de' Sacchi accresce il novero,
perchè il mondo mai sia povero,
frutta di cotal radice.
472 SACCO
Sacco Vitalba Angela. Figlia dei precedenti e moglie
di Giovanni Vitalba,' fu egregia nelle parti di prima donna, che
sostenne sempre nella Compagnia di suo padre che le fu ottimo
maestro. Molte delle parti nelle Fiabe del Gozzi e nelle sue
Commedie tratte dallo spagnuolo furono scritte per lei. F. Bar-
toli ci fa sapere come < al suo valore non corrispondesse an-
cora il di lei personale, che per essere basso, e pingue di so-
verchio le fu di molto discapito neir arte sua. > Di ciò fa cenno
anche il Gozzi nel canto ditirambico:
L'Angelina il monte assaglia,
ma s'ingrassi un po' più adagio.
La primavera del 1766 si trovava a Bologna, e le fu di-
retto da Ignazio Casanova il seguente sonetto, comunicatomi
gentilmente da G. A. Spinelli, stampato poi nel giugno a Mo-
dena in foglio volante dagli eredi B. Soliani.
Al merito della valorosa signora | Angiola Sacco | Vitalba | prima
donna della Compagnia de' Comici \ al Teatro Formagliari [ la
primavera dell'anno 1^66.
KÀlludesi alla bellissima Commedia
** Che anche una Donna sa custodir un segreto''
Pensieri ingiusti nella mente accoglie
Contro il Sesso gentil il Volgo insano;
Lo crede infido a custodir l'Arcano,
Che facile riceve, e presto scioglie.
Lo dice avvezzo a tramutar le voglie,
Capace di tradir al par di Gano,
Chi in lui s' affida il seme butta invano;
E sol miete per fin affanni e doglie.
Qui venga il folle, e nel sentir la forte
Faconda Donna sostener l'impresa
Con cor virile, e con maniere accorte:
Vedrà la Donna della Fé custode,
Costante all'uopo, e di valore accesa,
Che il bel Sesso gentil merita lode.
SACCO - SADOWSKY 473
Il 1782 era ancora col padre al triste momento in cui la
Compagnia stava per isfasciarsi. Le scene violente ch'ella ebbe
di continuo con lui per vedere la eredità paterna insidiata da
ridicoli amori, resero incompatibile la sua dimora in Compa-
gnia, sicché, avanzando negli anni, determinò di togliersi col
marito dalla professione.
Sacco Giovanna. Sorella minore della precedente, recitò
sempre nella Compagnia del padre, ammiratissima nelle parti
di amorosa ingenua, e in quella specialmente di Barberina nel-
VAugeUin Belverde del Conte Gozzi. Sposatasi al fabbricator
di navi, Paris, che al tempo delle Notizie di Fr. Bartoli (1782)
era primo Ammiraglio dell'arsenale, si ritirò dall'arte, in cui
prometteva di riuscir valentissima.
Sadowsky Fanny. Nata a Mantova il 1827 da un Capitano
polacco al servizio dell'Austria, fu una delle maggiori attrici
italiane, fiorita dal '45 al '65, entrata in arte in quella famosa
Compagnia di Gustavo Modena, fatta di elementi giovani, non
viziati da eroi o eroine della scena. Giuseppe Costetti ne trac-
cia il seguente ritratto :
Sedicenne appena, Fanny Sadowski avea alta e flessuosa la persona, dolcissima
eppure assai squillante la voce. Un pò* magrolina, coi capegli fini e naturalmente ricciuti,
nerìssimi al pari degli occhi, e con quella pelle bianca che è particolare alle bionde, ac-
coglieva in sé i tipi della bellezza nordica e della meridionale. La bocca piccina e le labbra
di quel cinabro che non si comprerà mai neppure a Parigi, carnose e mollemente curve, s'aprì*
vano appena anche nell'impeto dell* esclamazione, quasi gelose custodi dello smalto, me-
ravigliosamente bianco, della dentatura.
Non ho, naturalmente, conosciuta giovane la Sadowsky;
ma l'ho avuta capocomica del '72 e del '73; e, sebben trascu-
rata negli abbigliamenti e curva della persona, serbava ancor
quasi intatte alcune delle doti sopra descritte.
Esordì a Milano con la parte di Micol nel Saul di Alfieri :
Saul era Modena, David Salvini.
Ceduta la Compagnia Modena al Battaglia, ella vi passò
prima attrice, sotto la direzione di Francesco Augusto Bon, con
W. — / Comici italiani. Voi. II.
SADOWSKY
Alamanno Morelli primo attore, e Luigi Bellotti-Bon brillante.
Dopo un triennio, formò Compagnia col caratterista Astolfi,
della quale eran primo attore Giuseppe Peracchi, e brillante
Salvator Rosa. Passò del '51 nella Reale di Napoli ai Fioren-
tini, direttore Adamo Alberti, attori principali Achille Maje-
roni, Michele Bozzo, Luigi Taddei, Angelo Vestri, Luigi Monti,
Antonio Zerri. Col Majeroni e il Taddei formò poscia una
Compagnia, colla quale girò l' Italia, acclamati ssi ma sempre.
Leone Fortis scrisse per lei Cuore ed Arte, e ìo stesso l'Ho
sentita nell' ultimo tempo della sua vita artistica, recitare
SADOWSK V
con passione fervida la figura alta e poetica della Gabbriella
dì Teschen.
A proposito del suo dare intera l'anima viva ed accesa
in ogni parte dì passione, il Costetti racconta che avendo ella
baciato veramente Paolo nella famosa scena d'amore della
Francesca di Pellico Sl' Fiorentini di Napoli, intervenne il fisco,
il quale inflisse all' artista scandalosa la multa di dodici ducati.
Ora accadde che, dati da lei allo stesso punto due baci la sera
di poi, un bell'umore dalla platea si diede a sclamare: < Donna
Fanny, so' ventiquattro ducati * , con che successo di risa e di
476 SADOWSKY - SALIMBENI
applausi ognuno può immaginare. Quando nella Signora dalle
Camelie il numero de' baci non potè più contarsi, si tentò di
proibirli con la minaccia di proibir la recitazione del dramma;
ma fu invano : la Sadowsky continuò a baciare, e il pubblico
ad applaudire.
Fermatasi a Napoli, ove ancor vive (1903), e divenuta
sposa del Cav. Santorelli, formò due Compagnie, in una delle
quali, diretta da Cesare Rossi, figura van Ceresa, Leigheb, Giulio
Rasi, la Campi, la Zerri, la Fumagalli; nell'altra, diretta da Luigi
Monti, Lollio, Bertini, Rodolfi, Adelina Marchi, la Boetti.
Salimbeni Girolamo, di Firenze. Rinomatissimo per le
parti di vecchio fiorentino sotto il nome di Zanobio e di Piom-
bino, appartenne alla famosa Compagnia de' Comici Gelosi ci-
tata dall'Andreini (Rag. XIV), e lo vediamo il 1593 a Genova.
(V. Balestri), e il 1594 a Firenze, come da una sua lettera in
data dell' 8 dicembre al cav. Biagio Pignatta, pubblicata dal
Neri nel F. d. D. del 4 aprile 1886, nella quale discorre di
certa porta del teatro che dava sulla strada, e che non ostante
la promessa di esso Pignatta di farla murare per evitar danni
alla Compagnia, gli fu ordinato dal signor Alessandro Barbe-
rino di tenerla aperta. Sì dalla istanza del 1593, scritta di pu-
gno del Fabbri (V.), ma oltre che dagli altri sottoscritta dal
Salimbeni per sé e per gli assenti, sì dal tenore di questa let-
tera dettata a nome della Compagnia, il Neri ne lo ritiene (e
io con lui) in conto di Capo.
Nella supplica del 1593 al Senato di Genova egli si firma
Salimbeni detto piombino :' qui, Salimbeni detto piombo.
Andreini dice di lui nel citato Ragionamento : « Girolamo
Salimbeni da Fiorenza, che faceva da vecchio fiorentino detto
Zanobio, e da Piombino. > Fr. BartoH, che aveva letto male,
commentò: « Zanobio nativo di Piombino luogo della Toscana. >
E molti lo seguirono; ma io credo sia evidente trattarsi del-
l'appellativo di un tipo speciale di vecchio servo, derivato forse
dal modo pesante di muoversi e discorrere, come il Succiane-
SALIMBENI - SALSILLI 477
Spole Xi^^ Innamorati di Goldoni, il Pizzuga nella Villana di
Lamporecchio di Del Buono, e altri moltissimi di simil genere.
Il Salimbeni dovè certo acquistarsi buona rinomanza in questa
parte: e vediam del 1608 a Fontainebleau il Delfino dar per
parola d' ordine agli esenti dalla guardia il nome de* migliori
personaggi della Compagnia italiana ; oggi Frittellino, domani
Pantalone, posdomani Cola, e tre giorni dopo Piombifio, e dopo
ancora Ste/anello (V. Baschet, op. cit.).
Salsilli-Morelli Adelaide (V. Morelli Antonio e Maje-
RONi Achille). Dal suo secondo matrimonio con Edoardo
Majeroni ebbe un figlio, chiamato anch'esso Edoardo, che fu
marito di Giulia Tessero, la sorella di Adelaide, morto in Au-
stralia il 1 8g i .
Salsilli Luigi. Fratello minore della precedente, nacque
il 1788, e rimasto orfano si arruolò giovinetto, in qualità di
tamburino, nell'esercito napoleonico. Terminata la ferma fu
scritturato dal Capocomico Goldoni, amico di suo padre. Con-
dusse anche piccole compagnie, e morì neli8i4. Oltre all'Ade-
laide ebbe tre fratelli, Francesco, Pietro e Carlo, tutti comici.
Sposatosi a Cherubina Coppetti senese, divenuta comica an-
ch'essa, n'ebbe quattro figliuoli:
Elena fu moglie dell'attore, pure di Siena, Silvio Mozzi-
dolfi, e madre dell'attore Napoleone tuttora vivente a Brescia,
e di Teresa, prima moglie di Paolo Giacometti.
Adelaide, attrice promettentissima, morta a soli ventisei
anni, fu la prima moglie dell'attore Francesco Sterni.
Alessandro, buon generico per molti anni in ottime com-
pagnie, sposò Aurora Bettinelli di Asola, e quivi ritiratosi in
vecchiaja morì.
Salsilli Napoleone. Figlio del precedente, nato il 1 808, fu
attore efficace e intelligente per le parti di caratterista e pro-
miscuo. Recitò ammirato, in gioventù, nella Compagnia delle
478 SALSILLI
tre famiglie riunite Morelli-Mozzidolfi-Salsilli, e fu sempre assai
stimato dal celebre cugino Alamanno. Nel *3 1 , a soli ventisei
anni, fu tra' partigiani del Menotti, e a Correggio fu minacciato
di morte dai contadini reazionarj,dopo che Francesco IV d'Este
ebbe consegnato all'Austria il povero Ciro ; ma salvato dagli
amici, egli potè darsi alla fuga. Fu poi per le condizioni della
famiglia sua, della quale era unico sostegno, in compagnie mo-
deste, e mprì del '74.
Salsilli Antonio. Figlio del precedente e di Marianna Cor-
dini di Bazzano, non mai comica, nacque V 8 di ottobre 1 840
a Belgiojoso, presso Pavia. Cominciò a recitar giovinetto, e
talvolta anche in parti di brillante, ma veramente egli salì in
rinomanza come suggeritore, che dovente casualmente a soli
dieci anni, quando, una sera venuto a mancare il suggeritore
della Compagnia, dovette sostituirlo lì per lì nella farsa Z^ -M^/^z
per necessità.
Fu, dal '63 a oggi, nelle migliori compagnie, quali : Pieri
Peracchi e A. Salvini, A. Monti e Marini, Majeroni e Sadowsky,
Morelli, Morelli Marini e Ciotti, Morelli e Tessero, Pietriboni,
Bellatti e Marini, Marini solo. La Nazionale, Vitaliani, Novelli.
Fu anche capocomico, e condusse e diresse la Società ('92-'93)
con Italia Vitaliani. Amministrò la Società Ferrati-Riccardini,
e quella Biagi-Iggius. Quando era con Morelli (del '70) sposò
Enrichetta Pirocca di Este, maestra del Collegio ov' era stata
educata, e appassionata filodrammatica, che fu poi buona ge-
nerica e seconda madre. Fra i tanti miracoli compiuti dal Sal-
silli nell'arte sua, va segnalato questo: di aver suggerito deir'84
in Compagnia Nazionale, un po' a memoria e un po' improv-
visando, con poche parti principali in mano, il Cuore ed Arte
di Leone Fortis, al Teatro Gerbino di Torino, essendo stato
involato il manoscritto, nuova riduzione dell'autore, sul punto
di alzarsi il sipario ; e Paolo Ferrari, direttore della Compa-
gnia, ignaro della cosa, si meravigliò, venuto più tardi in tea-
tro, della esattezza e rapidità di esecuzione.
SALSILLI - SALVADORI 479
Non dee far maraviglia che in queste pagine figuri un
semplice suggeritore. Ma io non saprei immaginare un'opera
che discorra di comici italiani, discompagnata dal nome di An-
tonio Salsilli, che fu sempre e tuttavia si serba di essi amico
fortissimo e strenuo difensore; che vagheggiò per essi radicali
riforme atte a levarne alto lo spirito, a rialzarne il senso morale,
a farne comprendere coi sacri doveri i non men sacri diritti. Ed
egli cominciò col pagare di tasca, poiché al suo nuovo modo
di amministrare e condurre una Compagnia sua, modo, che,
se da' più fu giudicato una fisima, gli acquistò e afforzò l'amore
delle imprese e degli scritturati, dovette forse in gran parte
la sua rovina come capocomico. Né questa dell' artista umani-
tario fu sua sola dote. Antonio Salsilli fu anche scrittore egre-
gio di articoli e bozzetti di teatro, spesso col pseudonimo di
Paron Toni, nella Gazzetta di Napoli, nella Rivista Subalpina,
nel Corriere di Roma, nel Carro di Tespi; autore di commedie,
tra cui accolta con molto favore quella in un atto Cicero prò
domo sua, e di monologhi, tra cui 1/ punto interrogativo, fatto
celebre dall'arte meravigliosa di Claudio Leigheb, e divenuto
poi la delizia di tutti i dilettanti maggiori e minori. Tradusse,
ridusse, ammodernò una infinità di commedie dal francese, dal-
l'inglese, dallo spagnolo, dal tedesco, fra cui Rabagas, Bebé,
Le sorprese del divorzio. Fu Toupinel, U ostacolo. Il docente a
prova, ecc. Ora egli sta preparando la Storia del teatro con-
temporaneo, di cui é già a stampa la prefazione, e un Libro di
memorie; e io e quanti aman l'arte con me auguriamo al-
l'egregio uomo di condurre a fine le due opere che saran
certo dei più preziosi contributi alla storia della nostra scena
di prosa.
Salvadoii Enrico, nato a Pisa il i6 luglio 1848 da Fran-
cesco e da Enrichetta Donati, fu uno dei più forti primi attori
giovani del nostro tempo. Messo a sette anni nell'Istituto privato
del sacerdote prof. Bettini, v'insegnò, a soli diciassette anni,
italiano e francese. Fece parte con onore della nuova Filodram-
48o SALVADORI
matica pisana, indi si aggregò nella Compagnia Capodaglio,
per un breve corso di recite a Mjissa-Carrara. Andò poi a so-
stituir ramoroso Tello in Compagnia Peracchì, esordendo colla
parte di Maurizio n€X Adriana Lecouvreur. e di qui ebbe prin-
cipio la sua vita di artista, nella quale s' ebbe comuni gli onori.
e ahimè comune la sorte ultima con Giovanni Ceresa. Il 2 gen-
najo del '79 sì manifestarono i primi sintomi del male, poco
avvertiti, che doveva poi condurlo al sepolcro. S'era al Man-
zoni di Milano. Il Reinach lo sostituì nel Fabrizio Ag' Borghesi
di Pontarcy. Il 25 la malattia sì mostrò apertamente, e il 7 feb-
brajo era già ritirato dalle scene per paraHsi progressiva, della
quale morì il 4 febbrajo 1886 nel manicomio di Fregionara, e
fii sepolto il 6 nel cimitero di Lucca.
SALVADORI - SALVINI 481
Enrico Salvador! fu amoroso nel vero senso della parola.
Il periodo migliore della sua vita artistica è quello, in cui egli
si trovò sotto l'occhio e la mente di Bellotti-Bon a fianco di
Adelaide Tessero. Egli era veramente il primo attore della
Compagnia, ma primo attore che recitava il Fernando della
Partita a Scacchi, Di aspetto piacevolissimo, di persona elegan-
tissimo, di voce carezzevole, ricco d'intelligenza, studioso, era
il diletto di ogni pubblico. Forse i disordini, forse le fatiche
dovevano spegnere lentamente, lentamente queir anima piena
d'ardore e di passione, distruggere quel cervello sì forte a
briciolo a briciolo ! Salvador! e Ceresa. Due giovani forze pos-
senti, le più possenti forse del lor tempo, grandi nell'inter-
pretazione di medesimi tipi, come, a esempio, del Raffaello
di Marenco, del Signor Alfonso di Dumas, e prostrate a un
tratto nel più terribile modo, con la ironia della serbata vita
bestiale, col dono maledetto di un'agonia crescente di anni
e anni !!!!...
Salvestii Giovanni^ livornese, figlio di un rinomato no-
tajo, nacque il 1847; e, non ancor compiuti gli studj, si recò
ad Alessandria d'Egitto, impiegato in una buona Casa di com-
mercio. Fu il '66 con Garibaldi, poi attore di qualche pregio
fino al '73, nel quale anno si stabilì a Milano, dedicandosi allo
scrivere pel teatro. Molti lavori d'indole varia ottennero il fa-
vore del pubblico; ma, nato il Salvestri in Toscana, e ammi-
ratore profondo di Gherardi del Testa, dovè trionfare sopr'a
tutto nella commedia brillante. Fatemi la corte, commedia in
tre atti, è quella forse che gli die' maggior nome, rimasta viva
tuttavia nel repertorio di qualche Compagnia. Restituitosi a
Livorno il luglio del 1890 per l'aggravarsi della sua ma-
lattia di cuore, vi morì l' 1 1 di ottobre, compianto da tutta
r arte.
Salvini Giuseppe, nato da onesti parenti a Livorno sul ca-
dere del secolo decimottavo, fu maestro di calligrafia egregio.
61. — / Comici italiani. Voi. II.
482 SALVINI
Dotato di prestante figura, di bella voce, e di molta attitudine
all'arte ch'egli spiegò tra' Filodrammatici, diventò presto co-
mico, e presto s' acquistò buon nome in ogni genere di recita-
zione, ma più specialmente nella rappresentazione di alcune parti
di tragedia quali Filippo, i Creonti, Virginio, gli Egisti di Alfieri.
Non potè far parte delle primarie Compagnie che al suo tempo
correvano l'Italia, perchè, innamoratosi della giovinetta Gu-
glielma, figlia del capocomico Tommaso Zocchi (V.), fu tratte-
nuto ad arte nella Compagnia del futuro suoceto, della quale
il Salvini era un de' primi sostegni nel ruolo di padre nobile.
Sposatosi finalmente, fece parte della Società Internari-Pala-
dini, e si recò del '30 a Parigi, lasciando la moglie malata in
Italia presso la sua famiglia, sostituita per favore nel suo ca-
rattere di serva dalla moglie del caratterista Taddei. Dopo due
mesi e mezzo di soggiorno a Parigi, ricevette notizie dal suo-
cero del rapido aggravarsi della malattia di lei, e dovè, sciol-
tosi amichevolmente dai compagni, tornare in patria. Mortagli
poco dopo la moglie (1831), passò a seconde nozze con Fanny
Donatelli, divenuta poi buona artista di canto, dalla quale in
breve fu per infedeltà separato. Lasciato il maggior figlio
Alessandro a studiar belle arti all'Accademia di Firenze, si
scritturò nella Compagnia di Bon e Berlafifa, conducendo
seco il figlio minore Tommaso; poi, sempre con lui, in quella
di Gustavo Modena ('43 -'44), a fianco del quale egli soste-
neva Achimelech nel Saul, Lusignano nella Zaira, Andrea nella
Pamela nubile, ecc., oltre a tutte le parti dì primo attore asso-
luto in quelle opere di varia indole, in cui Modena non avesse
parte.
Il figlio non aveva alcun ruolo speciale, e lo stipendio an-
nuo era di lire austriache 3000, coi viaggi pagati a entrambi,
e 400 lire in più all'arrivo sulla piazza. Il quale onorario, con-
siderati i tempi, fa fede, mi pare, del gran conto in che Giuseppe
Salvini era tenuto dal sommo artista. Pur troppo, recitando la
compagnia a Palmanova, fu còlto da malattia mortale ; e quivi
morì nel 1844.
SALVINI 483
Avanti di entrare in Compagnia Modena, trovavasi a Forlì,
ove per la sua beneficiata si pubblicò, in foglio volante, la se-
guente epigrafe :
A GIVSEPPE SALVINI
LIVORNESE
PER FELICE NATURA POTENTE INGEGNO ACCURATA INDUSTRIA
FATTO ESEMPIO SINGOLARE
DEL DECORO DELLA PROPRIETÀ DELLA GRAZLA
ONDE LA DRAMMATICA RECITAZIONE
DILETTANDO
GOVERNA LE MENTI E INCUORI
A FIGURARE GLI UMANI AFFETTI
UNA COSA COL VERO
FRA L'UNANIME APPLAUSO DEI FORLIVESI
CHE NEL TEATRO DEL COMUNE
IL CARNOVALE DEL MDCCCXLUI
AMMIRAVANO TANTA ECCELLENZA
I soci DELLE BARCACCE
GHINASSI VERSARI E MINARDI
VOLLERO RENDERE ONORE CON QUESTA MBMORLA
ED AUGURARE
ALL'ARTE LODATISSIMA PERFETTA
GIUSTA MERCEDE
E CHE ITALIA
SCHIVA UNA VOLTA D[ USANZE FORESTIERE
LE LIBERALITÀ RIMUNERATRICI DELLA DANZA E DEL CANTO
SERBI A PIÙ UTILI STUDJ
E NON TORNI IN BASTARDA
Salvinì Alessandro. Figlio del precedente, nato a Padova
il luglio del 1827, fu iniziato allo studio del disegno, diventando
in breve una lieta promessa nell' arte del pennello, nella quale
si addestrò presso TAccademia di Firenze. Ma morto il padre,
il desiderio di calcar le scene lo vinse, e a sedici anni fece le
sue prime prove col celebre Taddei, scritturandosi poi col Pel-
lizza, secondo amoroso, poi, nello stesso ruolo col Domeniconi,
sotto il ix^X.€AoTomvi\2i^o primo attor giovine. Diventò in breve
artista fortissimo per le parti promiscue, quali Papà Martin,
Amico Francesco, Laroque, Giosuè il Gtcardacoste, Luigi XI, e
484 SALVtNI
lo abbiam più volte ammirato Jago perfetto in compagnia del
fratello Tommaso. DÌ faccia espressiva, di voce bellissima, Ìx\
anche attore egregio nelle parti dì tragedia, sebbene pel fisico
alcun po' deficiente, era piccolo di statura, non gli si attaglias-
sero troppo. Divenuto in vario tempo capocomico, n'ebbe va-
ria fortuna; ma più spesso non buona per cattiva amministra-
zione. Scrisse molte opere teatrali, in cui la sciattezza della
forma era compensata da una cotal vivacità di dialogo e fe-
condità d'intreccio. Non poche sortirono buon successo, come
La Spia. U unico figlio, I^ ragazze scherzano, ecc.
Aveva sposato Margherita Villa di Milano, non comica, e
morì a Firenze il 2 febbrajo 1886 per aneurisma, e fu sepolto
al Monte alle Croci.
Icilio Polese neìVArie drammatica del 1 8 gennajo '73 nar-
rava di luì il seguente aneddoto :
« Sandro rappresentava non so dove, né quando, né con chi Filippo
di Alfieri. Faceva Carlo. A un tratto gli si piegano le gambe, e cade privo
di sentimento. " Un medico, un medico, "-grìdan tutti.- Accorre un me-
dico qualunque, il quale tasta il polso all'Infante, e constala che con un
brodo ristretto e una bistecca tutto può passare. Povero Infante ! Non aveva
da giorni avuto lo spesato dal suo capocomico. »
alvini Tommaso. Fratello del precedente,
nacque a Milano il 1° gennaio del 1829. Se
l io mi facessi a scrivere la storia teatrale del-
l'ultimo cinquantennio, dovrei cominciare da
Tommaso Salvini, artista possente, formida-
bile, colossale, classico nel significato puro
della parola.
Ab love principiumì
Come seguir codesto genio nella meta-
.morfosi rapida dell'arte, senza provare un
senso di stupefazione, direi quasi, d'incredu-
lità? Nel '43 in Compagnia Ben e Berlaffa appare su la scena con
la veste e il dialetto di Pasquino nelle Donne curiose di Goldoni;
dopo pochi mesi vince la prova con Gustavo Modena, recitando
il racconto di Egisio nella Metvpe di Alfieri; e gli sono affidate
tutte te parti di primo attore giovine. Il '45 è, in quel ruolo, ai
Fiorentini di Napoli, e il '46 con Domeniconi e Coltellini. Il '47
è collo stesso Domeniconi, al fianco della Ristori, già forte pro-
messa nel Paolo della Francesca da Rimini, nel Romeo di Giu-
lietta e Romeo, nel Carlo del Filippo. neWEgis/o della Merope;
il '48 a Roma è consacrato attore tragico, suscitando nel pub-
blico l'entusiasmo zoW Oreste dì Alfieri. A diciannove anni!
Prende parte il '49 strenuamente all'assedio di Roma, ed è
carcerato prima a Genova col Saffi, poi a Firenze, alle v^fura/e....
col Guerrazzi. Uscito la quaresima del '53 dalla Compagnia
Domeniconi, si riposa a Firenze, ove sì dà allo studio di nuove
SALVIMI
parti; e il '54 entra in quella di Astolfi con la Santoni e il Pieri.
Ma eccolo dal '56 al '60, i quattro anni che accrebbero e ce-
mentarono la sua riputazione di artista, con Cesare Dondini,
di cui diventa socio più tardi, a fianco di Clementina Cazzola,
che doveva poi essere la donna del suo cuore e la madre dei
suoi figli. Il '57 va a Parigi e vi ottiene, specie con X Otello.
un clamoroso successo. Il '60 è scritturato primo attore e diret-
tore della Compagnia Reale de' Fiorentini in Napoli; il '61 è
capo di una Compagnia elettissima, di cui son parti principali
la Cazzola e la Piamonti, Alessandro Salvìni suo fratello, Pri-
vato, Woller, Coltellini, Biagi ; si unisce il '62 ad Antonio Stac-
chini, e il '65 ritorna ai Fiorentini dì Napoli, e questa volta
insieme alla Cazzola; e prende parte a Firenze alle feste dante-
sche, recitando al Pagliano alcuni canti del poema divino, al
Niccolini per la prima volta la parte di Lanciotto nella Fran-
cesca di Pellico. Torna capocomico il '67, e scrittura il '68 Vir-
SALVINI
ginìa Marini (ammalatasi la Cazzola, mori consunta dalla tisi il
luglio di quell'anno, e Salvini sposò pochi anni appresso una
giovanetta inglese, mortagli a ventiquattr' anni il dicembre
del '78). Va il '69 in Ispagna e in Portogallo, il '71 nell'Ame-
rica del Sud, il '73 nell'America del Nord, e il '74, di nuovo....
in quella del Sud; il '75 a Londra, al Drury-Lane ; il '76 di
nuovo a Londra; il '77 in Austria e Germania, poi a Parigi;
il '79 in Italia, e nuovamente a Vienna; l'So in Ungheria, in
Russia, in Rumenia; e, ÌI novembre, nell'America del Nord
per recitar prima, il 2q, a Filadelfia, poi a New- York, egli solo,
in italiano, con una compagnia di attori americani. Il dicem-
SALVIMI 4S9
bre '81 e gennajo '82 in Egitto, il marzo e l'aprile in Russia,
r ottobre nell'America del Nord ; poi in Italia, a Roma, Firenze
e Trieste. Alla fine del febbrajo '83 in Inghilterra e in Iscozia;
l'inverno in Sicilia. La primavera deir'85 in Ukrania; alla fine
dell'anno, per la quarta volta, nell'America del Nord con una
compagnia inglese, prima a New-York, poi a San Francisco di
California, poi di nuovo a New- York, Filadelfia, Boston, recitan-
dovi V Otello con l'illustre Edwin Booth,/(Zg-(j. Tutto 1*87 riposo;
1*88 recita in Italia e torna l'Sg nell'America del Nord. Nel
carnovale 'go-'gi interpreta per la prima volta la parte di Jago
al Niccolini di Firenze con Andrea Maggi, Otello: poi torna in
Russia, acclamatissimo come a' primi tempi, poi si aggrega a
questa o a quella Compagnia per dar di quando ìn quando al-
cuna rappresentazione in prò della Cassa di previdenza per gli
62. — / Corniti italiani. Voi. 11.
490 SALVINI
artisti drammatici, di cui egli è Presidente ; poi, finalmente,
nell'anno di grazia in cui scrivo (1903), egli crede di dare un
addio alle scene a fianco di suo figlio Gustavo, recitando V Otello,
la Morte Civile, e V Oreste (Pilade), e mostrando ancora, (tranne
forse ne' rari momenti, in cui ricordavano i suoi ammiratori di
altri tempi il cannoneggiar d' una frase), tutta la freschezza e
la musicalità della recitazione, tutto V impeto della passione,
tutta la profondità dell'interpretazione. E ho detto crede di
dare, poiché oggi, a quattro mesi di distanza da quelle recite
di addio, egli sta trattando per recarsi l'aprile e il maggio
del 1904 nell'America del Nord. A settantacinque anni!
Di tra i giudizi dati all'illustre Uomo, scelgo il seguente
di Ernesto Rossi :
Vidi Tommaso Salvini rappresentare la parte di Egisto nella tragedia classica, Merope
di Ma£fei : e come lo vidi allora, lo tengo sempre scolpito in mente. Le creazioni indovi-
nate lasciano lunga ed incancellabile memoria. A facilitare l'interpretazione di quel carattere
concorrevano ad esuberanza le sue iÌEicoltà fisiche : imperocché, giovane, bello del volto e della
persona, con una voce fresca, limpida, armoniosa, tonante, pareva fatto e tagliato a posta
per aUettare e sedurre la sensuale madre di Oreste. A me parve che in quella parte egli raggiun-
gesse la perfezione. Una sfiimatura di meno sarebbe stata freddezza, una di più esagerazione.
Giudicai Tommaso allora classico per eccellenza. Dubitando di poterlo seguire in quella ec-
cellenza classica, anche richiesto non volli mai rappresentare quella parte, né quella tragedia.
E di tra le tante testimonianze di ammirazione e di gra-
titudine ch'egli ebbe da tutti i pubblici nostri e di fuori, scelgo
il bel sonetto di Paolo Costa che la Direzione degli Spettacoli
di Faenza gli offriva il 20 luglio 1861 :
A
TOMMASO SALVINI
INSIGNE ATTORE ITALIANO
NEL DUPLICE ARINGO
DI MELPOMENE E DI TALÌA
A NIUNO SECONDO
LA DIREZIONE DEGLI SPETTACOLI
IN SEGNO DI ALTISSIMA AMMIRAZIONE
Se avvien che Tuom per questa selva oscura
de la vita mortale il guardo giri,
e vegga con che legge iniqua e dura
amore i servi suoi freda e martiri ;
SALVINI 491
e quale avara ambiziosa cura
faccia grame le genti, e i Re deliri,
esser non può, se umana abbia natura,,
che al destin non si dolga e non s'adiri.
Ma se poi l'arte orrendi casi e fieri
dinanzi alla pietà di gentil core
rechi, e gì' inciti si, che pajan veri:
a gli occhi manda l'anima dolente
lagrime dolci nel suo dolce errore,
e chi t'ode e ti mira, o Prode, il sente.
•
Oli mi suggerisce ora le parole e le imagini per dare non
già un ritratto al vero, ma una pallidissima idea di questa gi-
gantesca figura di Giove tonante ? Vi hanno frasi di tragedie
e di drammi passate nella illustrazione sua in proverbio.
Questa per esempio di Giosuè il Gtcardacoste :
Ma che Ammiraglio ! Non e' è Ammiraglio che tenga 1 Fatemi arrestare, bastonare,
voi ne avete il diritto ! Ma colai che verrà a dirmi : « Ohe, Van Bronst, - cosa e' è ! ? -
Eh, nientemeno.... tno figlio ha rubato.... > Sia Ammiraglio, sia Principe, sia Re, sia
Dio.... in terra, io gli dirò: non è vero!!!!!
T>diM Ammiraglio a Dio era una parabola ascendente, ma-
ravigliosa: ah! quel Dio/ che volata! che cannonata! Non si
sarebbe potuto comparare che ai famosi do di petto de' più
gagliardi tenori, e ancor con discapito di questi.
E r altra frase di Otello :
Or non ha dnnqne
più foco il ciel.... la folgore a che giova?...
Con una intonazione altissima, disperata, proferiva sul
fondo della scena la prima parte della frase, e correva poi con
magnifica armonia di movimenti alla ribalta, proferendo l'ul-
tima parte con una voce di basso, rauca, sorda, terribile, che
metteva un fremito nella folla.
E quest' altra di Arduino d^ Ivrea :
£i venga, e in vetta troverà dell'Alpi
d'Italia il serto d'Ardain sull'elmo,
ma noi vedrà, che di mia spada il lampo
vince il riflesso della mia corona.
492 SALVINI
Che quantità e varietà di note in questi quattro versi!
Strana, e pur tanto efficace! quell'alzata rapida, acuta di voce
air ultimo mia, con rapido abbassarsi a corona.
E la chiusa della scena con Arnolfo, pur à^ Arduino:
Ard. Prete !
Il prestigio volgar che vi circonda,
me non accieca.... e in mio poter ta sei!
Guardati I
Arn. Insano, eh' osi ta ?
Ard. Prostrarti
del tuo Signore al pie.
Arn. ' Me? Tu vaneggi!
La sacrilega man ritraggi, o Iddìo....
Ard. É Dio dei forti e sta con me, ti prostra.
Arn. Sacrilegio 1 Empietà 1
Ard. Gracchia, ma piega,
giù nella polve!
Arn. Empio mi lascia!... Aita!...
Ard. Indietro !
Nella polve lasciatelo : dinnanzi
ad Arduino Re, quello è il suo trono.
E il famoso :
spavento
m*è la tromba di guerra; alto spavento
è la tromba a Saul
e il non men famoso :
Ma è poco a mia vendetta ei solo.
Manda in Nob l*ira mia, che armenti e servi
madri, case, fanciulli uccida, incenda,
distrugga, e tutta l' empia stirpe al vento
disperda
di Saul?
E la descrizione della lotta col leone in Sansone? E II f gito
delle selve? E II gladiatore? E Spartaco? Vi furon opere, scritte
a posta per lui, che niun altro per la mancanza di quei mezzi
fisici onde naturagli fu prodiga, avrebbe potuto rappresentare.
Né si creda ch'egli sia stato artista colossale soltanto per quelle
parti in cui specialmente occorrevano la colossale persona e la
voce poderosa; che accanto alle frasi in cui si richiedevan quella
personaequellavoce, altrevene avean di sommesse consacrate
dal pubblico e dalla critica. Salvini ha potuto della sua voce
far tutto ciò che ha voluto. Dal ruggito della tigre passava con
incredibile facilità al belato dell'agnello. Niun meglio di lui
seppe sospirar la parte di Bonfil; niuno, meglio di luì, Ì versi
di Orosmane.,..: il racconto dell'evasione nella Morte Civile era
tutto un poema di sordine. Nessuno della presente generazione
può farsi un'idea del come egli sapesse trar partito da una
parola, da un monosillabo, da una esclamazione, da un sospiro
per suscitar l'entusiasmo della moltitudine. Chi ricorda il non
è vero di Giosuè il Guardacoste f E il prete di Arduino tf Ivrea?
E il Non intesi ài Piladef e V Ah fratello di Lanciotto f E il Chi
mi traitien di Orosmanef E il Dannata la cortigiana vii di Otello?
E i sospiri del Figlio deUe Selve alla rivelazione dell'amore?
Egli aveva la consapevolezza piena della sua forza, si piaceva
giocar con le difficoltà dell'arte. Quando gli accadde dì dover
recitare con Ernesto Rossi, altro colosso di ben .altra specie,
che il pubblico riguardava .assai più come suo antagonista, che
come suo emulo, lasciava a lui con generosa sommessione la
scelta della parte. In Francesca da Rimini l'insuperato Paolo
restò Paolo, Salvini si mutò rassegnatamente in Lanciotto : in
Oreste l'insuperato Oreste restò protagonista. Salvini si mutò
inPilade. Ma nella gran metamorfosi artistica, Paolo ed Oreste
ebber, si può dire, la peggio: Lanciotto, entrato fin allora nel
criterio del pubblico con veste di odioso tiranno, fu, da allora, il
più amabile e commiserabile de' personaggi della Francesca,' e
SALVINI 495
il piccolo Pilade doventò un colosso di parte. Ho detto più su
che Tommaso Salvini fu classico nel significato puro della pa-
rola, che non mai s'ebbe da notare nella sua espo-
sizione la esuberanza spontanea, e pur tal volta
nella spontaneità grottesca de' romantici: ne'suoi
scatti di passione, ne'suoi scoppi di furore era
sempre la misura contegnosa, direi quasi plastica
della forma: plasticità che non tradiva mai la fa-
tica dello studio, ma usciva
elegantissima e varia sempre
e rapida in una spontaneità
apparente. Se mi fosse lecito
un paragone, direi che l'ani-
ma del sommo artista era un
superbo corridore, passante di vittoria in
vittoria, sorretto dalla man forte di un sa-
vio condottiero ; la mente.
Con la imponenza de' mezzi fisici, la
commedia del salotto oggi gli si attaglie-
rebbe meno che la vasta ope-
ra tragica: oggi, mentre non
si comprenderebbe un Saul
o un Sansone diverso da lui,
mal si comprenderebbe nella gigantesca persona
figurato il tipo, a esempio, ^\ Armando. Ma quando
Salvini era Salvini, sia che. Sansone, si pigUasse
. di un tratto su le spalle il padre, e con quel far-
dello non lieve (il padre era Giustino Pesaro) sa-
lisse a corsa l'erta non facile, sia che, Armando,
gemesse infantilmente a' piedi di Margherita, il
pubblico era afferrato, soggiogato : io lo ricordo
in una intera stagione (agosto 1868 al Politeama
fiorentino); e ricordo la sua grandezza inalterata nel Sansone.
nella Suonatrice <farpa, nella Francesca da Rimini, nel Torquato
Tasso, nel Giosuè il Guanlacosfe, nella Zaira, neW Amlelo, nel
Sofocle, nella Pamela nubile, nel Gladiatore, nell' Oreste, nella Mis-
sione di donna, nella Virginia, nella VOa color di rosa, nella Morte
Civile, nel Sullivan, neW Otello, nello Scacco matto, nel ^« Z«ar,
in Giulietta e Romeo (del Ventignano), nel Milton, nella C(7i5*a
vendica la colpa/
Quanto all'indole dell'uomo, sì direbbe ch'egli volle cader
di proposito nell'opposta esagerazione del suo grande Compa-
gno d'arte. Come sul suo petto non brillò quasi mai una delle
tante decorazioni, pur da lui possedute, che ■
coprivano nelle ofificialità il petto dell'altro,
cosi, all'opposto dell'altro, egli fu in ogni
tempo e in ogni dove sprezzatore del più
piccol mezzo che procacciandogli successo,
gliel venisse intimamente attenuando. Ei si
guadagnava il terreno a palmo a palmo,
senza strombazzature, quasi direi senza
preavvisi. Salvini ? Chi è Salvini ? Si doman-
daron la prima volta a Parigi ; e andaron la
prima sera a teatro in pochi: vi andarono
più la seconda, e si rimandò la gente alla
terza. Sempre così egli vinse: con la sola
potenza dell'arte.
In riviste inglesi e italiane pubblicò alcuni studj delle sue
interpretazioni, e in un volume del Dumolard (Milano, 1895} ^
suoi Ricordi: iniziò a Or San Michele di Firenze le letture dan-
tesche, e a Palazzo Riccardi, pur di Firenze, lesse intorno al
teatro de! '500. L'ultimo e nuovo suo trionfo può dirsi ogg^ la .
lettura della miglior parte di una tragedia inedita di Cimino,
Abelardo ed Eloisa, nella quale egli sa risvegliare tutta l'antica
forza. Oggi il Ministro della Pubblica Istruzione gli ha fatto
coniare una medaglia d'oro per solennizzare Ìl suo sessante-
simo anno di vita artistica. Quando un artista a quasi ses-
sant' anni affronta per la prima volta il personaggio di Corio-
lano. e a oltre sessanta quello dì Jago, e a settanta infonde lo
spirito a nuovi personaggi con la sua bocca forte, e a settan-
/ CemUi ilalieni. Voi. 11.
tacinque pensa attraversar l'oceano per sostener le fatiche
dell'artista in ben trenta rappresentazioni e nelle più impor-
tanti opere del suo repertorio, noi siamo certi di poter chiedere
alla sua fìbra titanica una nuova e gagliarda manifestazione
del genio nel giorno primo di gennajo del 1909: solennìssimo
giorno, nel quale Ìl vecchio e il nuovo mondo sì uniranno in
un amplesso fraterno di arte a dargli gloria.
Salvini Gustavo. Figlio del precedente e di Qementina
Cazzòla, nacque il 1859 a Civitavecchia, donde, poche ore dopo,
fu condotto per mare a Livorno, acciocché non fosse suddito del
Papa. Studiò fino a sedici anni, poi, per la salute cagionevole, la-
sciò le scuole e andò col babbo a Londra, ove sostituì nélVAm/e/o
l'attore che sosteneva la parte di Rosencrantz. L'arte dramma-
tica lo adescava fatalmente. Io lo ricordo giovinetto a Torino,
quando a notte alta per le vie ci ripeteva i brani più salienti delle
interpretazioni paterne: nelle modulazioni musicali della voce la
imitazione era tal volta perfetta. Un po' appunto per questo, e
molto per la fibra che appariva più tosto debole a sostener le
lotte e le fatiche della scena, il padre gli fia sempre avverso a
che si facesse comico ; ma egli, malgrado tutto, complice Io zio
Alessandro, entrò il '78 nella Compagnia di Achille Dondini
come generico, e il '79 in quella di Marazzi-Diligenti come^^-
nerico primario. Fu I"8i con Ferrante, poi, per un triennio e
per sua fortuna, con Vittorio Pieri, direttore Alamanno Morelli.
Formò società fino aH"88 con Raspantini, facendosi poi da solo
capocomico con avversa fortuna; tanto che il padre dovè cor-
rergli in ajuto; ma col patto ch'egli avrebbe lasciato l'arte per
sempre. E il patto fu m^mtenuto.... per cinque anni; dopo
i quali (1894) risolse di bel nuovo di cedere all'invito della
grande sirena, e lasciati moglie e figliuoli in Italia, si recò nel-
l'America del Sud, ove, prima a Buenos- Ayres, poi a Rosario
di Santa Fé e a Montevideo, s'ebbe il più vivo dei successi.
Tornato in patria si unì ad Angelo Saltarelli (già conduttore
per quattordici anni della Compagnia di Ernesto Rossi), uomo
SALVINI
dì molta esperienza e di molta onestà, che gli fu sin ad oggi, e
gli sarà lungo tempo ancora, amico, fratello, padre; e con esso
vide la Russia, l'Austria, la Serbia, la Croìizia acclamatÌssÌmo,
a fianco d'Ida Bertini, una filodrammatica pisana, che, divenuta
sua moglie, sostenne prima Ì ruoli di amorosa, poi di prima
donna assoluta. Ma or-
mai egli aveva una spina
ne! cuore, che gli dava
spasimo forte e conti-
nuo: all'applauso del
pubblico mancava quel-
lo di suo padre, il quale
risentitolo a Roma e a
Firenze (non ne aveva
più r idea dall' '89 a Fer-
rara), non solamente gli
die' col bacio del per-
dono il suo assenso a
continuare, ma si mo-
strò con lui nel Saul e
neir Otello, lasciandogli
in quello la parte del
Protagonista, e in que-
sto la parte di Jago. In-
citato a nuovi e severi studj s'ebbe ognor nuovi trionfi. Tra le
maggiori e migliori sue interpretazioni van notate in campo
sì disparato quella di Petruzzo nella Bisbetica domata di Shak-
speare, di Edipo Re dì Sofocle, e di Jago in Otello di Shakspeare :
quest'ultimo recitato maestrevolmente a fianco del padre nel
suo giro di addio.
Anche lo volle Eleonora Duse compagno nella Francesca
da Rimini di G. D'Annunzio. Ma alla forma antica e pura del-
l'opera, e alla recitazione musicalmente languida di Eleonora
Duse, il modo esuberante di Gustavo Salvini venutogli col re-
pertorio forte, mal si attagliò taluna volta e formò dissonanza.
500 SALVINI
Egli è ricco di attitudini chiare e rare, congiunte a una più rara
volontà. Gli ostacoli non lo impacciano, lo studio non lo pro-
stra, purché quelli affronti, si dia a questo per V arte sua, nella
quale, e ciò forse gli nocque veramente a conseguir la purezza
classica delle linee, si gittò a capo fitto, troppo presto liberato
dalla man forte del guidatore. Egli stesso con amorevole mo- ^
destia scriveva, a' primi del '900, di sé : < .... lo studio mi aveva
reso più forte nelle interpretazioni, ma io adesso posso confes-
sare candidamente che come ho recitato gli ultimi anni in Com-
pagnia Morelli-Pieri non reciterò mai più. Sarò e potrò di-
ventare ancora più profondo nelle concezioni, ma recitare più
vero, più spigliato, più spontaneo di quell'epoca, JVo.> Proprio
così: la verità, la spigliatezza, la spontaneità gli mancano tal
volta; e come gli sarebbe agevole riacquistarle potè far fede
la parte di /ago, recitata sotto la guida del padre con tal chia-
rezza e vivacità e sobrietà insieme, che la magnifica figura
shakspeariana, troppo sovente fatta consistere in un artifizioso,
leccato strisciar delle parole a viemmeglio insinuar la gelosia
per vendicarsi o dell' oltraggio maritale di Otello, o della su-
periorità di Michel Cassio, balza viva e saltante, quale essa è
veramente : figura di cinico, egoista, maligno, calcolatore, sot-
tile, feroce, che va diritto al suo scopo, serbando in quella sua
servilità tutta la libertà del pensiero e dell'azione; e, come al
bel tempo, in cui la prima volta la incarnò il padre al Nicco-
lini, è rivissuto nell' arte del forte scolaro tutto il genio sel-
vaggio di Shakspeare.
Salvini Alessandro. Fratello del precedente, nacque a
Firenze il 21 dicembre del 1861. Fu educato in un Istituto
della Svizzera tedesca, ed ebbe famigliare su l'altre la lingua
inglese. Si recò in America dell' '82 con Ernesto Rossi, in-
terprete fra lui e gli artisti inglesi. Quando il Rossi tornò,
egli restò colà, dove, perfezionatosi nella lingua, si fé' sen-
tire, invitato dal signor Palmer, già impresario di suo padre,
nel monologo di Amleto. Il fiore della giovinezza, la freschezza
della azione, la svegliatezza della mente, la bellezza del volto
e della persona, il nome glorioso di Salvini invogliaron l'esperto
impresario a fornirgli modo di doventare attore. Si presentò
in una parte di amoroso a fianco della celebre attrice Clara
Mowis, e vinse la prova. Scritturato da principio, si fece poi
capocomico, interpretando acclamatissimo, in vario tempo, Don
Cesare dìBazan. I Moschettieri, Cavallerìa rusticana, AmJelo. Romeo
e Giulietta. Stormbeaten, La Causa
celebre. Fromont e Risler, ecc. ecc.
Di lui scrive suo padre :
I careltcTi che, a mio credere, più gli
ti addicano lODO i *ÌrìU, gli energici : ai lan-
Catdi, «noroli, (entinienUli doti sembrami in-
clinato. Lama fìgiiTa atletica non li accorda con
le espreiiioni tenere e mellifine, che diadicoDO
anche alla ina voce robusta, altisonante; come
pare i suoi gesti imperiosi e decisivi si mostrano
soggiogati da ana volenti che si ribella al-
l'iitjnlo.... Ho ferma iidncia che Tra poco ri-
valeggerà con i migliori caminoni della lizza
artistica, e sarà tntto merito suo.
Ammalatosi di tifo in Cali-
fornia, e non curato a dovere,
strascicò una esistenza penosa
tra i fastìdj del capocomicato e del male latente. Lasciata
l'America per tornarsene in Italia, dovè fermarsi in Inghil-
terra còlto da febbri intermittenti. Rimpatriò finalmente ; ma,
distrutto da tisi intestinale, cessò di vivere a Firenze il 1 5 di-
cembre del 1896. Avea sposato in America Maud-Wilson,
divenuta poi artista con lui. Molto saviamente di lui scrisse
Piccini {/arra) nella prima serie dell'opera Sul palcoscenico e
Andare in un paese forestiero: andare in città come Nuova York, Boston, Washing-
ton, Filadelfia, Nnova Orléans : riuscir a parlar in ana lingna straniera, e non por a par-
lare, ma a recitare in essa : larsi ascoltare, non da migliaja, ma da milioni di nomini :
riuscire ad essere celebrato fra tnlti gli attori paesani, essere ascoltato con affètto e con
deferenza da alcuni fra essi, può davvero sembrar un prodigio, che sapeva efTettnare nn
giovane italiano, innanzi di toccar i trent'auni.
SOI SANGIORGI - SANSÒ
Sangioi^ Carlo. Fiorito nella seconda metà del secolo x vii,
recitò le parti di secondo Zanni col nome di Trivellino. Lo tro-
viamo il 1681 a Venezia, donde a un segretario del Duca, che
voleva la Compagnia a Ferrara, manda la lettera seguente, che
traggo inedita dalla mìa raccolta :
DI.™'" et Ecc.-no Sig. Sig. e Pr.on col. no
Giunto in Veneda non niumi di unirmi sili miei compagni cod il conTeriTe la
gent.™'- di V,> Ecc.' e gli ho trovati circa U loro volontà dìspostìssimj d'incontrare li
■noi commandi; ma ritrovo delle difficolti grandi «ni Padrone del teatro, che pretende
di trattenere la Compagnia per ino servigio, e >i adopra quanto pnole per vìa di Genti-
Umomini \ ma spero p. quanto sarà possibile di condurre la Compagnia à Ferrara ; metto
però in consideratione a V. Ecc.* il gran dispendio della Compagnia, oltre la difficoltà
del Donativo scarso et il cresciroento di un'altra parte, hauendo gii due terue la Com-
pagnia. Però se V. Ecc.* non «i vede per tutto lunedi, hanri mie lettere di quello la
Compagnia risolverà : e mi dedico
di V. Ecc.»
Venctla Ji li ibre ItBl. Hnm.» e dcuoL'" •«.'*
CaKLO SANOlOBCt
detta TtintUime.
Dal che apparirebbe avere il Sangiorgi voce in capitolo
in compagnia presso S. A.
L' '86 il Duca ordinava in data 28 giugno al tesoriere
Zerbini di pagare a' seguenti comici due doppie il mese, prin-
cipiando dal primo di maggio scorso :
Maktia Fiala, detta Flamminia.
Giuseppe Fiala, detto il Capii."" Sfagnuolo.
Gaetano Caccia, detto Leandro (V, Suppl.).
Bernardo Narici, detto Oraiio.
Antonio Riccobuont, detto Pantalone.
Carlo Sanoiorgi, detto Trivellino.
Domenico Bononcini, detto Campana.
Gio. Antonio Lolu, d«tto il Dottor Brenlino.
Anna Marcucci, detta Angiola.
Sansò Giuseppe. « Napolitano. Recitò da innamorato spi-
ritosamente ne' Teatri della sua Patria, e riuscì un ottimo Com-
mediante. Fu nella Compagnia diretta da Antonio Fiorilli, in
cui ebbe campo di far spiccare la sua abilità, specialmente nelle
Commedie all'improvviso. Una sera dopo d'aver recitato, perde
SANSÓ - SANTONI 503
con sua gran meraviglia la vista, senza avervi avuto alcun pre-
ventivo malore. Appassionato ed afflitto per tale disgrazia, am-
malossi, e si ridusse a morire in un ospitale correndo Tanno
del 1750 Così Fr. Bartoli.
Santi Virginia. Nacque il 1836 a Senigallia dai coniugi
Sassoli, poverissimi. Carlo e Margherita Santi, comici, che la
vider bambina, sì n' ebber pietà che ottennero da' parenti di
poterla adottare qual figlia. Venuta grandicella fu condotta se-
rcdmente in teatro, e cominciò subito a sostener mirabilmente
le parti di bimba. A quindici anni era una egregia /r/w^ attrice
giovine, e a venti prima attrice assoluta di molti pregi nella Com-
pagnia di Luigi Pezz3.na, e Cesare Marchi. Ma dopo un triennio
abbandonò le scene per isposare un ricco signore di Bologna,
e morì dell' 80.
Santoni Carolina. Attrice tragica di assai buon nome,
nacque il 1 808 in Livorno da agiata famiglia, e precisamente
in quel quartiere detto Crimea, oggi Via S. Carlo - presso la
FidizzB. Mazzini -già Piazza, di Morte. Vuoisi ch'ella avesse una
voce magnifica di soprano, e che una sera di agosto del 1825,
mentre ella cantava un notturno, accompagnata al piano dal
maestro Vignozzi, passando di là il Guerrazzi e il Bini, il primo,
colpito da tanto accento drammatico, sclamasse : < Per Iddio,
quella ragazza dovrebbe far l' attrice. > Fu profeta, perchè
pochi anni dopo. Carolina Santoni fu una illustrazione dell'arte
drammatica. Recatasi giovinetta alla Scuola fiorentina di de-
clamazione diretta dal Morrocchesi, spiegò subito le più chiare
attitudini alla scena, sì che a vent'anni fu scritturata /r/w^z at-
trice assoluta da Tommaso Zocchi, esordendo felicemente a Fi-
renze. Dopo tre anni passò nella Compagnia Lipparini, poi,
il '43, in quella primaria di Luigi Domeniconi. Ammogliatasi
al marchese Zambeccari di Bologna, si ritirò dal teatro; ma
mortogli improvvisamente il marito a6 intestato, ella dovè su-
bito ritornarvi. Fu il '50 con Coltellini, e la vediamo al Teatro
SANTONI
Re di Milano, festeggiatissima; il '51 passò con Domeniconi a
fianco di Tommaso Salvini, di Gaetano Vestri, di Amilcare Be-
lotti; e il '57, per un triennio, con la Compagnia Righetti, ap-
pendice alla Compagnia Reale Sarda, sotto la direzione di Gu-
stavo Modena, « in qualità dì prima attrice per quel genere di
parti, che i francesi chiamano fori premier ròte, e per quella
di madre tragica, con l'annuo stipendio di lire nuove di Pie-
monte 6300, e tre mezze serate a suo benefizio, di cui una, la
quaresima, a Torino.» Il triennio '61 -'63 fu nella Compagnia di
Filippo Prosperi, e andò l'ultimo anno in Ispagna, ove s'ebbe
i maggiori onori. Tornata in Italia, fu a più riprese con Ernesto
SANTONI 505
Rossi, poi direttrice della Filodrammatica di Terni, poi a Roma,
prima attrice al Teatro Capranica, ov' ebbe a rialzar le sorti
della povera Compagnia che non faceva le spese dell'illumi-
nazione.
Tornò in Ispagna, chiamatavi dalla nipote Carolina Civili,
e quivi morì, presso Madrid, il febbrajo del 1878.
Carolina Santoni ebbe figura meravigliosa. I suoi capelli
corvini adornavano un' alta fronte illuminata da due occhi ne-
rissimi, esprimenti tutti i moti del cuore umano. Non bella ve-
ramente, esercitava sugli spettatori colla espressione della fac-
cia un fascino irresistibile.
Il collo, le spalle, le braccia di marmo parean modellati
da Fidia.
Nata per la tragedia e l'alto dramma, fu eccelsa nella
Medea, nella Pia, nella Stuarda, in tutta la vasta opera alfie-
riana, nella Suonatrice d' arpa, nella Maria Giovanna, nella
Diana di Chivry. Né la coltura, e si potrebbe dir la gram-
matica, era il suo forte, come può vedersi da questo bigliettino
ch'ella mandava il '37 al sig. Ferdinando Pelzette S. R. M. a
Firenze :
Sti;n*o Signior Ferdinando
Eccomi di nuovo
ad' incomodarlo con la presente, per pregarlo di mandarmi tre monete dovendo comperare
della roba, che mi sarà necessarissima. Lo prego di scusare l'incomodo; Mille è mille
salati alla gengissima Sig.^ Madalena e resto, piena di stima,
Carolina Santoni.
P. S.
La presente li servirà di ricevuta.
Gio. Batta Niccolini ha parole atroci per lei in una lettera
a Maddalena Pelzet, forse più da considerarsi come sfoghi di
autore contro la Compagnia Domeniconi che gli preferiva il
Giacometti, e sfoghi d'autore che voleva ingrazionirsi ognor
più r interpetre e l' amica.
Di mezzo alle poesie dettate per Carolina Santoni scelgo
il seguente sonetto di T. Z. S. dispensato in foglio volante
64. — / Comici italiani. Voi. II.
5o6 SANTONI - SAVI
al Cocomero di Firenze la sera del suo benefizio 20 feb-
brajo 1851 :
De' tuoi grand' occhi nell'alta pupilla,
rapito al Cielo e di sé stesso altero,
è un lume dentro cui puro sfavilla
il redento da te Genio del vero:
quindi affetti non ha, non ha parola
questo misero sogno della vita,
che non prenda alla tua perfetta scuola
bellezza insuperabile, infinita.
E quando più nel suo fulgor divina
l'arte trasfonde T immortai suo spiro
al guardo e all'atto che ti fan regina;
negli arcani del tuo vivo sospiro
ogni cor sente la superna idea
che in un volger di ciglio anima e crea.
Sarti Girolamo. Veneziano, nipote del suo omonimo, detto
Str inghetto (V. Bartoli Francesco) recitò con molto plauso
le parti di Tartaglia. Lo vediamo il 1782 nella Compagnia di
Giovanni Roffi.
Savi Bartolommeo di Bergamo. Istruito da Lorenzo Bal-
lotto, detto Tiziano, doventò buon Arlecchino, e fu a Venezia
applaudito in Compagnia di Girolamo Medebach. Si recò poi
a Parigi al Teatro italiano e vi esordì il 15 ottobre del 1760
nella Dame invisible, senza alcun successo : ma vi piacque il dì
dopo in Arlequin Sénateur Romain, Tuttavia abbandonò il ruolo
di Arlecchino, e prese quello di Dottore e di parti staccate, che
sostenne fino alla chiusura del teatro nel 1767, dal quale si
ritirò, essendogli morta l'aprile dell'anno prima in ancor gio-
vine età la moglie Elena Savi, che aveva esordito come amorosa
il 28 maggio 1 760 con molta intelligenza e con molto brio nel-
VHomme à bonne fortune, ed era stata accolta poco tempo dopo
a mezza parte.
SAVI - SAVORINI 507
Sappiamo dal Goldoni {Mem., T. Ili) che la signora Savi
era la prima attrice della Commedia italiana, e abitava con Za-
nuzzi al sobborgo di S. Dionigi, come pure (ivi, 19) che non
aveva disposizioni felici per la commedia, ma che era giovane
e di assai buona volontà.
Uscito dal teatro, Bartolommeo Savi si diede prima a fab-
bricare fuochi d' artificio, coi quali si recò in parecchie città
della Francia. Lo vediamo in tale ufficio a Modena il 1 758, dove
immaginò
I FUOCHI TEATRAXI, cioè : Due fontane versanti nella platea le composizioni pre-
senti allusive alle suddette fonti, e ai componimenti suddetti, che pure alludono alle Me-
desime, siccome all'arme de la serenissima Casa d'Este alle stelle che la circondano,
all'ecclissi del sole, ed ai seg^i del zodiaco, rappresentati dai fuochi sopraddetti, spieganti
in generale le glorie della suddetta serenissima casa, alla quale umilmente li dona, dedica
e con««». l'osseqaiosi»rimo .ervidore. Ji^^.-^ovo Savi d.» Truffaldino.
Detti fuochi teatrali furono illustrati con un carme apolo-
getico dell'abate Gio. Battista Vicini, poeta primario di S. A.
Serenissima (Mod., Eredi di Bart. Soliani), che comincia :
Abbia Marte i suoi fuochi, e da tonanti
guerrieri bronzi, e da le ferree canne
vomiti incendi strepitoso, e morti
sotto del Cielo Artoo col Prusso in lega
pur anco resistente e col feroce
non cedente German col Gallo invitto
col numeroso Mosco e il prode Sveco
abbia i suoi fuochi anco Talia:
Si costruì poi il Savi un teatrino di marionette, con cui tor-
nato in Italia e. stabilitosi a Torino, ov*era ancora il 1781, ag-
giunse nuove fortune alle già acquistate. Passò a seconde, poi,
nuovamente vedovo, a terze nozze.
Galeazzo, di Bologna. Comico rinomatissimo
per le parti di Dottore, fiorito sul finire del secolo xvii, fu al
servizio del Duca di Modena con Anna Arcagnati sua moglie,
detta in commedia Rosaura. Abbiamo di lui un passaporto dei
5o8 SAVORINI
più ampii, rilasciato il 15 febbrajo 1689, quando i Savorini
dovevano recarsi da Bologna in varie città d'Italia, e firmato
Francesco-Carlo Pio di Savoja. Nell'elenco però della Compa-
gnia (V. Torri) non figura che il marito, al quale sono asse-
gnate di paga venti doble al mese. Una lettera del 18 feb-
brajo 1690 al Duca, firmata dal Savorini e da Marco Antonio
Zanetti detto Truffaldino (V.), ci apprende come la Compagnia
fosse stata costretta a scorrere la primavera in Pescia e Camajore,
r estate in Lucca e Livorno, e P autunno in Firenze senza recite
con avversa fortuita, e con tante traversie, malattie, e dispendi,
che oltre ai gravi incomodi e patimenti, era rimasta impegnata con
un debito di 1^0 doppie, oltre li debiti particolari di ciascuno, ai
quali Dio sa quando si sarebbe potuto provvedere.
Il Duca di Modena aveva loro ordinato di andare per pro-
prio conto a Modena, e di là a Genova, dopo il carnovale di
Roma, Ma gli scriventi, dopo di avere annunziato essere in
trattative con certo Don Ferdinando Baldese per la stagione
di Pasqua a Napoli, ove sarebbero andati a tutte sue spese
con teatro e abitazione per la Compagnia, pagati, e con altre
condizioni molto vantaggiose, si dichiarano pronti a eseguire
gli ordini di Sua Altezza, raccomandandosi in ogni modo, ac-
ciocché voglia somministrar loro il bisognevole per fare un
viaggio tanto dispendioso. Il Duca Francesco ordinò al Teso-
riere Zerbini di pagare in Roma a vista all' abate Ercole Pan-
ziroli doppie dieci d'Italia, da darsi al Truffaldino e al Dottore
per valersene nel viaggio da Roma a Modena a conto delle
loro provvisioni : una miseria codesta, se vogliam credere che
il bisogno fosse reale. Infatti i comici tornarono all' assalto
l'i I marzo, e questa volta ricevettero dalla Munificenza di Sua
Altezza per mezzo del medesimo abate quarantacinque scudi
d'argento con l'ordine reciso di partir subito da Roma.
Rosaura, la moglie di Savorini, non era con lui a Roma,
e abbiamo un nuovo ordine del Duca allo stesso tesoriere, di
pagare degli effetti di cassa segreta al Marchese Decio Fon-
tanelli lire 360, per darle alla Rosaura in conto di sue provvi-
SAVORINI 509
sioni, che dovevan principiare a decorrere dal giorno di arrivo
a Modena, per unirsi al resto della Compagnia.
Altra supplica dei Savorini abbiamo al nuovo Duca, morto
Francesco, con la quale espongono la loro critica posizione e
domandano un ajuto. La istanza fu passata pei provvedimenti
al Conte Cesare Rangoni (1695).
E altra finalmente da Bologna in data 1° ottobre 1699, ^^
cui si discorre delle solite miserie, e s'implorano i soliti soc-
corsi, fatti a ciò arditi gli umilissimi serventi dalla Munificenza
di tutti gli eroi della Serenissima Ca^a Estense, Epilogata nella
persona di Sua Altezza Serenissima,
Alla coltura del Savorini accenna Luigi Riccoboni nel
capitolo settimo della Storia del Teatro Italiano, là dove dice :
« Neir anno 1 690, all'età di tredici anni, io cominciava a fre-
quentare il teatro: tutti i comici di quel tempo erano igno-
ranti. Tranne Giovanni Battista Paglietti, che rappresentava
la parte di Dottore, e Galeazzo Savorini, che dopo lui soste-
neva le medesime parti, non potrei nominare uno, ch'avesse
fatto i suoi studi. >
In data dell' '88 abbiamo una lettera al Duca di Modena,
in cui si lamenta di non aver ricevuto la sua parte del donativo
passato ai comici, e dice di aver lavorato per nulla, carico di
famiglia. Domanda soccorso. Dice che quando il Duca fu am-
malato corse per tutti i monasteri di Bologna a far pregare, e
massime in quello di Santa Caterina. Altrettanto fece a Corte
Maggiore per altra malattia.
Giuro avanti Dio che se V. A. mi dà una carità convenevole, volere andare a tro-
vare la sacra M. della Regina sua sorella, e portarli un santo Ritratto qnal dovevo por-
tare alla felice memoria dell' Imper. Leonora, come da una sua lettera che tengo può vedere,
e l' assicuro che gli sarà di gran sollievo nelli presenti bisogni, contento all' anima, se si
degnerà lasciarmi comparire davanti la di lei serenissima persona sentirà l' historia, dirò solo
che sono stato dall"83 sino all' '88 in Livorno nascosto.
Ma è questa lettera sibillina veramente del Savorini, o
forse del Muzio, dottore anch'esso il 1688 al servizio del
Duca?
Sbodìo Gaetano. Nato a Milano il io novembre 1844, è
stato uno de' più forti sostegni, dopo Ferravilla, della Compa-
gnia dialettale creata da Getto Arrighi. A quindici anni, abitava
allora a Roma con la famiglia e faceva il mestiere dell'orefice,
si arruolò volontario nella legione Cacciatori del Tevere.
Emigrato a Torino, pensò poi di andarsene a Milano, de-
sideroso com'era di rivedere la cara patria. Quivi tornò a
far l'orefice per campar la vita, esercitandosi la sera in una
società di dilettanti a recitar le partì di amoroso in italiano. Col
Meneghino Caironi sostenne una sera del carnovale '64 o '65,
la parte di Fornaretto con grande successo, e da allora deli-
berò di farsi attore. Entrato in Compagnia Codognola, esordi
al Teatro Chiaòrera di Savona con tale successo dì fischi e di
risa, che dovette cambiar aria, e andò ad aggregarsi a una
Compagnia miserissima, che recitava in un granajo di Final-
marina. I fischi non ci furon più, ma non ci fùron più né anche
i mezzi per isfamarsì. Deciso di tornarsene a Milano, si recò
a piedi sino a Finalborgo, dove potè ri-
cavare il bisognevole per giungere a
Milano, recitando poesie giocose e can-
tando canzonette nel caffè. Il '69 final-
mente fu scritturato, dopo altri due anni
di pene, da Cletto Arrighi, facendosi am-
mirar subito nelle scene dialettali, e in
ispecie nel famoso Barchett de Bitffaiora.
per una grande intelligenza nel conce-
pire i caratteri, e una grande spontaneità
e verità nel rappresentarH : ammirazione
che si mutò nel più schietto entusiasmo
alla recita del Saòet gras e del Milanes
in mar, e alle canzonette popolari.
Da quel momento Gaetano Sbodio,
« ambrosiano del vecchio stampo, dal
cuor largo, dal buon senso caratteristico,
dall'amore tradizionale per la rettitudine
e per la giustizi^l, condita con quel piz-
zico di umorismo onestamente mordace, che rende Ì Lombardi
formidabih negli incruenti duelli della parola e nell'espres-
sione dei loro gìudìzj {FerraviUa e Compagni. Milano, Aliprandi,
1 890) > , potè anche dirsi il più popolare degli artisti milanesi.
Toltosi dal FerraviUa, pensò di mettere su una Compagnia
milanese in società con Davide Carnaghi, la quale avrebbe do-
vuto camminar su le orme della famosa del Toselli e di quella
veneziana del Benini : una Compagnia insomma, che ai Massi-
nelli. Panerà. Incioda contrapponesse la vera e sana commedia,
originale o tradotta, con dialetto e ambiente milanesi. II suc-
cesso artistico fu assai buono, ma quello finanziario mediocre.
■W;4i
512 SBODIO - SCALA
Oggi Gaetano Sbodio recita ancora, ma collo scemargli della
vista gli è venuto scemando T antico vigore. Fu anche autore
di più opere or con buona or con cattiva fortuna, tra cui mi-
gliore di tutte La mamma di gatt.
Scala Flaminio. Nato di nobili parenti, non si sa dove, né
quando, ma fiorito tra la seconda metà del secolo xvi e la
prima del xvii, fu artista sommo per le parti di Innamoraio.
Francesco Bartoli, seguito poi dal Sand e dagli altri, dice
che lo Scala si pose alla testa de' Comici Gelosi che andarono
a Parigi per privilegio ottenuto da Arrigo III nel 1577 ; ma il
Baschet si domanda {op. ciL) se davvero figurasse in quella
Compagnia più tosto questo che quel comico, e se davvero ne
fosse capo lo Scala, non essendovi di ciò prove di sorta. È vero.
Né solamente pel '77 non abbiam prove della sua presenza
nella Compagnia de' Gelosi; ma né anche per gli anni succes-
sivi. Per questi anzi se n' avrebbe tale da escluderlo assoluta-
mente dai Gelosi. Come mai TAndreini che nelle Bravure del
Capitano Spavento enumera tutti i componenti quella gran Com-
pagnia, non fa cenno di lui? Di lui, ch'egli ebbe in tal conside-
razione da dettare egli stesso la prefazione alle favole rappre-
sentative, facendo dell'artista il più largo elogio? E infatti: che
ci sarebbe stato a fare quell'Innamorato accanto a due sì grandi
nello stesso ruolo: Orazio Padovano e Adriano Valerini? Ma
d'altronde: come dubitare ch'ei fosse coi Gelosi al fianco d'Isa-
bella Andreini, per la quale avea composto gli Scenar j che la
misero più in voga, come La fortunata Isabella, La gelosa Isa-
bella, La pazzia di Isabella, di cui era una parte principale egli
medesimo ?
Comunque sia, se le lacune nello stato di servizio artistico
dello Scala sono troppe, é certo ch'egli così in Italia come
fuori fu artista reputa tissimo per lungo volgere d'anni, e gen-
tiluomo de' più diletti a principi e a letterati.
Le prove certe di lui cominciano dall'estate del 1600, in
cui lo vediamo col Frittellino Cecchini a Lione, dove si pub-
SCALA 513
blica, a sua istanza, // Postumio, comedia del signor I. S. (Rous-
sin, 1601). L'inverno del 1601 va a Parigi, poi forse, richie-
stane la Compagnia (degli Accesi) al Duca di Mantova da Maria
di Boussu, dama della Corte di Bruxelles, nelle Fiandre e in
Brabante.
<( Fra i comici, che divertivano la Corte di Mantova nel
gennajo 1606 - avverte il Bertolotti - è nominato Flavio Scala,
il quale era ricercato da G. B. Spinola. >
Del 1 6 1 o abbiamo una lettera da Ravenna in data 24 marzo,
che il Cardinale Caetani scrive al Duca di Modena, pregandolo
di dar ordine che capitando Flaminio Scala nel suo Stato con Com-
pagnia di comici li sia prohibito per questo anno il reàtar comedie,
e ciò perchè gli era stato dato da lui // maggior disgusto che
potesse dargli kuomo della sua conditione. E nel Rescritto della
Cancelleria è detto : Scrivere a Reggio e a Carpi.
Il 1 6 1 1 , anno della pubblicazione della sua grande opera
degli Scenarj, passò da quello del Duca di Mantova al servizio
di Don Giovanni de' Medici nella Compagnia de' Confidenti,
di cui fu attor principale e direttore. Le notizie certe di lui
terminano col marzo del 1620. Egli assunse in teatro il nome
di Flavio (lasciatoci dal Ruzzante), specchio degli Innamorati,
che, bello, galante, poeta, musicista, gentile come un corti-
giano, attillato come uno spagnuolo, la vince nel cuore di Fio-
rinetta su tutti gli altri, per quanto sfoggio essi facciano delle
loro ricchezze; e tra' suoi Scenarj cinque ve n'ha intitolati dal
suo nome di teatro, e in cui egli è protagonista : La fortuna
di Flavio^ Flavio tradito» Flavio finto negoziante. Le disgrazie di
Flavio.
Curiosa e interessante opera cotesta degli Scenarj (Vene-
zia, Pulciani, 161 1), ch'egli chiamò II Teatro delle Favole rap-
presentative, ovvero La Ricreazione comica, boschereccia, e tragica,
divisa in cinquanta giornate, e volle dedicata al Conte Ferdinando
Riario.
A essa, come ho già detto, preluse con parole di molta
lode Francesco Andreini, tra cui queste:
65. — / Comici iialiaui. Voi. II.
514 SCALA
Che il signor Flaminio Scala detto Flavio in Comedia, per non far torto all'or-
dine suddetto, e tanto da buoni filosofi lodato, nella soa gioventù si diede all'esercizio
nobile della commedia (non ponto oscurando il suo nobile nascimento) e in quello fece
tanto e tale profitto eh' egli meritò d' esser posto nel numero de' buoni comici, e f ra i mi-
gliori della comica professione.
Luigi Riccoboni nel capitolo quinto della sua Istoria del
Teatro italiano, parla a lungo di queste favole dello Scala.
Egli dice:
n suo teatro non è scrìtto in dialogo, ma solamente esposto in semplici scenarj,
che non sono cosi concisi come quelli di cui facciamo noi uso, e che esponiamo attaccati
al muri del teatro dietro le quinte, ma che pure non sono tanto prolissi da poterne trarre
la minima idea del dialogo: essi spiegano soltanto ciò che l'attore deve fare in scena, e
l'azione di che si tratta, e nulla più.
E li dice cattivi e scandalosissimi, e lodati da tanti illustri
uomini non già pel merito loro, ma per la loro invenzione. An-
dreini poi spiega il perchè della pubblicazion delle Favole in
Scenaij piuttostochè in disteso, nella prefazione di esse :
Avrebbe potuto il detto signor Flavio (perchè a ciò fare era idoneo) distender le
opere sue, e scrìverle da verbo a verbo come s' usa di fare ; ma perchè oggidì non si vede
altro che comedie stampate con modi diversi di dire, e molto strepitosi nelle buone regole,
ha voluto con questa sua nuova invenzione metter fuora le sue comedie solamente con lo
Soenarìo, lasciando ai bellissimi ingegni (nati solo all' eccellenza del dire) il farvi sopra le
parole, quando però non sdegnino d' onorar le sue fatiche da lui composte non ad altro
fine che per dilettare solamente, lasciando il dilettare e il giovare insieme, come ricerca
la poesia, a spirìti rari e pellegrini.
Vedasi ciò che dice Evaristo Gherardi, ottant'anni più
tardi, di coloro che recitan le commedie a soggetto. Andrea
Perucci più volte ricordato dà in modo particolareggiato tutte
le regole del recitare all'improvviso, molte delle quali sparse
in quest' opera a* nomi de' più famosi recitanti.
Nella XIV*, quella cioè del modo di concertare il soggetto,
ufficio esclusivo del Direttore di Compagnia, egli dice :
n Corago, Guida-Maestro, o più pratico della conversazione deve concertare il sog-
getto prìma di farsi, acciocché si sappia il contenuto della comedìa, s' intenda dove hanno
da terminare i discorsi e si possa indagare concertando qualche arguzia, o lazzo nuovo.
L' ufficio dunque di chi concerta non è di leggere il soggetto solo ; ma di esplicare i per-
sonaggi coi nomi e qualità loro, l' argomento della favola, il luogo ove si recita, le case,
decifrare i lazzi e tutte le minuzie necessarìe, con aver cura deUe cose che fanno di bisogno
per la comedia.
SCALA 515
Il Perucci prende per esempio La Trapolaria, Scenario
di G. B. Porta, e su di esso distende minutamente le sue re-
gole, enumerandone prima i personaggi, assegnando a cia-
scuno di essi le case, prima o seconda, di destra o sinistra,
dicendo l'argomento, spiegando i lazzi e assegnandoli a'vaij
punti della Commedia. Certo, com' egli avverte nel Proeniio al
rappresentare all' improvviso,
bellissima quanto difficile e pericolosa è l' impresa, né vi si devono porre se non persone
idonee ed intendenti, e che sappiano che vnol dire regola di lingua, figure Rettoriche,
tropi, e tutta P arte rettorica, avendo da fare all' improvviso ciò che premeditato la il
ma quando esse abbiano le qualità volute, e specialmente una
pratica singolarissima del teatro, certi inconvenienti lamenta-
bili nella recitazione premeditata, sarebber più facilmente eli-
minati in quella improvvisa. Per esempio: recitando all'im-
provviso è più facile impedire che il personaggio che entra in
iscena s' incontri con quello che esce,
perchè parlando, ed aggiungendo parole sopra la materia, si può vedere quale scena sia
occupata dal Personaggio, che sarà jper uscire, e non entrare per quella; ma per dove
sarà vota. Benché l'uscire per le scene di sopra, ed entrare per quelle di sotto é una
Regola infallibile, quando la necessità altro non ricercasse.
Rimediare alle scene vuote e mute si può altresì più all'improvviso, che al pre-
meditato, potendo ciascuno uscire sopra il tenore della scena antecedente, e parlare fin a
tanto che venga a chi toccherà d'uscire.
Noi, grazie a Dio, non ci troviamo più a tanta libertà;
ma artisti capaci di rimediare alle così dette scene vuote, e di
tenere a bada il pubblico o con un monologo o con una scena,
finché non entri il personaggio che deve entrare, ne abbiamo
ancora.
Della eccellenza di Flaminio Scala nel recitare e nel diri-
gere abbiam testimonianza amplissima in alcune lettere del-
l'Archivio di Mantova, ch'ebbi per gentile comunicazione di
Stef. Davari, nelle quali Don Giovanni De' Medici si oppone
strenuamente a che alcuni de' suoi comici Confidenti (Mezzet-
tino Onorati e Scapino Gabbrielli, e primo lo Scala), passino
a richiesta di Lelio e di Florinda, a far parte della Compagnia
5i6 SCALA
che il Duca di Mantova vorrebbe inviare in Francia. La Com-
pagnia intera è pronto a inviarla quando piaccia a S, A., dopo
gV impegni assunti col Gran Duca, ma comici isolati no ; che
sarebbe un distruggere la Compagnia eh' egli con tanta pa-
zienza e con tanto amore tiene insieme da circa sei anni (le let-
tere han la data del ' 1 8). Infatti, richiesta la Compagnia dal Duca,
Don Giovanni scrive alla Duchessa (Venezia, 2 aprile 1 6 1 8) che
pensando potesse essere la venuta della sua Compagnia anche
di suo gusto, le ha spedito ordine di voltar subito strada (era
diretta a Genova), e recarsi a Mantova.
E il successo, confermato dal Duca stesso e dal Segreta-
rio Marliani, ne fu de' migliori ; e i comici tutti, lo Scala spe-
cialmente, s' ebber donativi e onori.
A nuove e più vive richieste del Duca, Don Giovanni ri-
spose schermendosi ancora, finché, insistendo quello, dovè
(6 aprile 1 6 1 9) mettersi devotamente a' suoi ordini e promet-
tergli Scapino e Mezzettino (V. Gabbrielt.i Francesco e Ono-
rati Ottavio) non che lo Scala, rassegnandosi a vedere lo
sfascio della Compagnia; che senza tali personaggi essa sa-
rebbe stata priva dell' anima e dello spirito.
E dice inoltre:
Non negherò ancora Ser.™o Sig.<^« che amando io Flaminio Scala et desiderandogli
ogni bene, né potendo io come povero Cav.re farli di quei benefizij che i Principi grandi
sanno et possono fare a loro cari servi." , ho cercato col tener qnesta compagnia insieme
che egli possa sostentarsi cavandone utile che veramente mi rincresce che resti tolto a
questo povero galanthuomo che sempre è vissuto in maniera da capir per tutto. Tuttavia
può tanto in me il desiderio di servire et gustare V. A. che senza far reflessione sopra
cosa alcuna accomoderò il mio desiderio al suo gusto, uè penserò più a' commedianti, et
lo Scala è tanto galanthuomo che egli medesimo instantemente mi ha pregato eh' io operi
in questo affare in guisa che V. A. resti servita di conoscere eh' egli serve volontieris.o a
gran Principi suoi pari senz' altro interesse che di buon ser.r^, che è debito suo, rimet-
tendo ogni altra cosa nell'arbitrio et volontà de' suoi Padroni.
Ma ahimè ! quel povero Don Giovanni non seppe più da
che canto rifarsi per avere un po' di pace. I comici si raccoman-
davano e piagnucolavano per non essere divisi, il Duca insisteva
per avere quei tre. Nell'animo del Capocomico di buon cuore
prevalse la ragione de' comici, tanto più che i personaggi ri-
SCALA 517
chiesti dal Duca non lo eran per suo particolare servizio, ma
per essere inviati in Francia assieme a Lelio e Florinda.
Vale la pena eh' io dia qui intera la lettera che Don Gio-
vanni scrisse da Venezia il 21 marzo 1620 a Ercole Marliani,
nella quale son notizie di grande interesse intorno alla Com-
pagnia de' Confidenti :
ni.re Sig.re,
È vennto da me per licenziarsi per costà il nostro Sig.i* Flaminio Scala, et io quasi
quasi gli avevo consìgniato non so che ostriche per Mad.*^ Ser.°iA, ma domandandogli poi,
che buon vento lo spingeva in costà, mentre si assettavano i bariletti, mi mostrò una let-
tera di V. S. degli 1 1 marzo scritta su le 6 hore, la quale letta da me mi indusse subito
a dirgli che non occorreva ne per acqua ne per terra che egli venissi in costà, se non
haveva altro negozio in che servire S. A. che di far la compagnia per mandare in Francia,
poiché il concerto fatto con esso, io sapevo che non poteva in modo alcuno bavere effetto.
In quanto però appartiene alla compagnia de Confidenti, cKe sta ancora sotto la mia pro-
tezione, essendosi mitissimamente ristabilita, nella quale ancor' egli si ritrova et che quanto
a altri comici che S. A. fa trattenere costi, soggìunsegli che non vedevo quello che egli
vi havesse che fare, et dissigli di più, che mi maravigliavo che essendo egli informatis-
«imo della rissolutissima volontà et stabilimento de compagni, pensasse a venir costà con
le mani piene di vento, et soggiungendomi egli che si moveva per ubbidire, io gli sup-
plicai, che già che egli sapeva non poter servire a cosa alcuna nel concertato suo con S. A.
che mi pareva prima di dovere io scrivere a V. S. quanto passava acciò egli non facesse
un viaggio a sproposito ; et cosi lo fermai di testa. Dico adunque a V. S. che al ritomo
di Monferrato del detto Scala, con la lettera di S. A. io risposi all'A. S. come ella può
sapere, che all' bora haverebbe la compagnia satisfatto ali* obbligo che haveva qui in Ve-
nezia, e poi a quaresima harei procurato per quanto potevo di servire all'A. S., et in
vero credetti poterlo fare, perchè vedevo quasi tutti alborottati et con molte difiìcultà nel
mantenersi uniti, come è solito de Comedianti. Et io gli lasciavo (come si dice) cuocere
nel loro grasso, ma venuta la quaresima, che le minestre son più magre, quando l'uno
e quando l'altro comindomo a venirmi a rompere gli orecchi, ma tutti a una non doman-
davano se non, unione, unione. Et poi tutti insieme, non una volta, ma ben quattro, mi
son venuti a dire et protestare che assolutissima.te non si volevan disunire di sieme, et
havendogli io più volte detto et ridetto che non mi volevo impacciare di questo affare
ma che gli farei sapere quanto mi pareva bene per utile loro et il mio desiderio, mi tor-
nomo tutti a dire, con humiliss.e preghiere di non gli abbandonare, che erono rissolutiss.* di
non si voler disunire, ne separare in modo alcuno, et che però in tal modo io gli coman-
dasse che erano prontiss.mì ad ubbidire, ma altrimenti più tosto harebbono eletto di andare
dispersi, perchè vedevono la loro manifesta rovina, mentre si disunissero et dovendo rovi-
nare col dividersi, più tosto harebbono eletto di fare ogni vii mestiero che più recitare,
e tutto hanno fondato, secondo me, sul vedere il buon guadagno che hanno fatto que-
st' anno. Io Sìg.** Hercole mio per parlar con V. S. alla libera vedendo in quel che consiste
e da quel che depende la loro risoluzione, non ho saputo, ne anche voluto (per dire il
vero) fargli forza, perchè come povero Cav.re di spada et cappa non ho il modo a dare
a ciascun di loro 500 scudi per ciascuno, il vitto e'I vestire per loro e per le loro fami-
glie per tutto l' anno, come ogni uno di loro quest' anno s' è guadagnato, che prima che
SI8 SCALA
icrìverlo, creda pnt V. S. che l' ho volalo molto bea vedere e toccu con mano. Et per
vita ma la prego a dirmi, come potevo io dire, ta hai da andare, ta hai da reitate, tn
che tei primo diventar lecondo, et fra haominì dove i liberti et compagnia penoadere
per accettabile la inperiorìti et U «nggeziione ì Che cariti chriitiana harei havnta veno
qneitì poveri hnomini et loro famiglie ì Che atto di corteiia o di gratitudine harei io diroo-
ttrato a costoro che per 7 anni continui mi hanno obbedito al cenno, se io gli havetsì
rovinati et «profondali, come loro tengono d' esaere quando saranno dininitiP Sig.r mio,
■on povero si, ma soq generoso, et confesso il vero, lon persona dolce, ne so far male
a chi mi riverisce. V. S. sa che 'I mondo si governa con l'opinione; questi poveri hnomini
pensano col disunirsi di rovinarsi, ond' io per le ragioni dette, non ho sapnto trovar parole
da principiare non che da persnaderglìelo. Però gli ho risposto che faccin bene che io gif
aiaterò sempre, e cosi li ho liremiati. Mi «oso ben fatto promettere da dascnno in par-
ticolare, che sempre, che per qual li voglia accidente si disnnischino, ogni uno di loro
lari qoel eh' io vorrò. V. S. vede eh' io non ho laiciato di fare quel che potevo ma »Ì»to
che non bastava per complice a qael che barebbe vointo S. A. ho fatto alla cortigiana;
et più tosto volevo tacermi che scriver cosa di poco gnsto, nondimeno perchè la lettera
di V. S. presupponeva le cose in altro stato, ho giudicato bene dargliene parte acdd S. A.
ne resti informata,, confidando che la distrezza di V. 5. gliene porgeri io quella maniera
che è proporzionata al sommo desiderio che ho sempre di servire a 5. A. in ogni cosa.
Io cbe conosco i nobìlias.' concetti dell'A. 5. et la soa molta prudenza, non ho credalo
veramente eh' egli habbia a voler premere tanto in questo negozio, eh' egli hsbbla a voler
mandare spersi questi poveri buominì senza suo servizio particolare, perchè credami V. S.,
che questi aepaiBti, non darebbono ne in del ne in terra, anzi che S. A. manderebbe in
Francia 1» torre di Babel e non una compagnia de comici, se disunendo questi gli me-
scolassi con altri. Troppo dolce suona negli orecchi il nome della liberti, et etiam gli
animali vivuU qualche poco in sieme non si fanno dividere quando ai viene all'atto et
al latto. Sono Sig.r mio notissimi et conosciuti i Lelij, le Florìnde, le Flamminie, i Frit-
telini et gli Arlichinì tutti huomini desidetosiss.l et ambiziosi di dominio et d' impero,
talché questi poveri hnomini uii a una fratellBnia fra di loro, mai si ridurrebbou con eiaì
in una servitù pacifica et quieta, et qnesli altri mai si diveizerebono dal voler dominare
et comandare, perchè si san troppo usi, et hanno rotte troppe scarpe in quel mestiero,
et io gli ho per sensati, perchè ancor' io più volentieri ho comandalo che ubbedito, et
questo è desiderio innato in ciascun' buomo, et però ardisco di dire immutabile, anzi che
cresce cogli anni. Però creda V. S. eh' io stimo che sia servitio di S. A. che di questo
negozio non se ne tratti, perchè non è proporzionato alla ina Grandezza, che quattro
commedianti si allontanino dal suo gusto, et che lasciando in parte il dovuto rispetto non
stiano mai d' accordo in sieme, come al certo non itarebbon questi, et tanto meno in
Francia nel Teatro di si gran Corte; e V. S. tenga per certo ch'io non mi inganno,
perchè mi ricordo degli esempj de casi seguiti al tempo della fel. mem. dell'A." del
S.' Duca Vincenzo, padre dell'A. S.
Io somma Sig.'' Mailiani il dominio delle volouli non è cosa terrena, ne da lontano
si posBoo rimediare gli inconvenienti. Non voglio anche tacere a V. S. un mio pensiero
che io tengo per sicurìss." che la prudenza di S. A. conosca tutte queste cose mollo meglio
di me, ma che l' importuniti di tutti cotesti comici di cotesta compag.'a trattenuti costi
gli faccia per strano dare orecchie, et dare qualche ordine in queste materie, nel qual caso
poi, per dirgliela confidentemente, io non mi curo punto di rompere una Compag.'^ che
dipende da me per dar gusto a commedianti che per invidia hanno concertato et vorreb-
boDo urtarla, cozzarla et disfarla. La Compagnia de Confidenti invero (se ben cotesti et
altri la disprezzano) ha gran lama, et per tutto hoggi è stimala più d'ogni altra, onde il
^>l
SCALA 519
romperla sarebbe proprio (come si suol dire) quasi peccato, e tanto più senza cavarne il
profitto che forse si spera. Sono stato lungo, ma era necessario parlar chiaro et senza
maschera, se ben si tratti de commedianti, perchè non siamo in commedia, et io dico da
baon senno. Se adunque lo Scala non viene, V. S. scasi me, et non lui, perchè egli,
come buona persona, veniva a toccare una nasata, et io che hoggi mai ho la barba più
bianca che nera, ho stimato sia meglio cosi et rimettere il tutto nella prudenza di V. S.
che saprà con la conveniente circuspezione et riverenza ritenere alquanto con dolcezza,
certi impeti vivaci, soliti a regnare nelle menti de gran Principi, che dai buoni ser.'i de-
von' essere desiderati quieti et conforme all'honesto.
Di Venezia. 21 marzo 1620. j^^^^ ^^^^ MEDICI.
A questo punto cessano le notizie della vita artistica di
Flaminio Scala, di colui che, se non migliorò la commedia del-
Tarte, la sviluppò certo, dandole nuovi e più varj atteggiamenti.
Da questa lettera di ringraziamento, che esso Scala inviò
al Duca non appena giunto a Venezia, vien fuori un nuovo per-
sonaggio, la Livia, che parrebbe, all'ascendente che esercita
su lui, una moglie in calzoni.
Ser.«no Sig.«"c
Subito giunto a Venetia andai in Villa a dare le lett.» di V. A. airEcc.nio S.»* D.n
Giovanni mio Sig.*"*^, al quale feci relatione del regalo fatto a ciascuno della sua compa-
gnia, ma in particolare poi dell'honore fattomi da V. A. La Sig.>** Livia curiosa di veder
i'habito negro a pena mi diede tempo di mandarlo a pigliare et perchè à giudicato che
non sia per me pover huomo, me ne ha dette tante che m'ha havuto a far perdere la
patienza, ond' in vece di far una grossa spesa per acconciarlo a mio dosso, mi converrà
tenerlo per reliquia cara del mio Ser.^^o Sig.^^. Starò attendendo i comandamenti de V. A.
et sia certa che la servirò conforme la mia obligatione et in quanto potrò.
Venezia. 16 di giugno 1618. Dev ■• et obUg»o .er."
Flaminio Scala d.o Flavio.
Farmi ozioso il fermarsi sul granchio preso dal Quadrio,
che fa moglie dello Scala Orsola, detta in commedia Flaminia,
eh* era la moglie del Frittellino Cecchini. Il Valeri ( Un Palco-
scenico del seicento, Roma, 1893) dall'errore del Quadrio e dal-
l'essere stato il Cecchini valentissimo allievo dello Scala, trae
la probabile ipotesi che la Cecchini fosse una figlia del maestro
maritata allo scolare.
Delle tante poesie dettate in onor dello Scala dall' Achil-
lini, dal Campeggi, dall'Orsino, dal Lazzari, dal Petracci, dal
520 SCALA - SCALABRINI
Marliaiii, dairAndreini, pubblicate in fronte all'opera delle Fa-
vole, metterò qui un madrigale del Petracci, e il sonetto del-
l'Andreini, che dicon chiaro le lodi dell'autore e dell'opera:
Detta Flaminio, e poi
ciò sì ben rappresenta
Flavio gentile a noi,
ch'ogni alma trasse ad ascoltarlo intenta.
O d' arte e di Natura eccelso dono !
Questi e Quegli uno sono;
ma qual s'avanzi stai dubbioso intanto,
di Flavio il pregio, o di Flaminio il vanto.
Giacean sepolte in un profondo oblio
le Muse, quando tu Flavio gentile
le richiamasti, e con leggiadro stile
principio desti al nobil tuo desio:
per te godon le scene il lor natio
honor ; e già se 'n vola a Battro a Thile
glorioso il tuo nome, e V empia e vile
invidia paga il doloroso fio:
Godi dunque felice un tanto honore,
che '1 mondo in premio delle tue fatiche
lieto ti porge, e ne ringrazia il Cielo:
Quindi avverrà eh* ogni or le Muse amiche
avrai, e colmo d'amoroso zelo
a le scene darai gloria e splendore.
Scalabrìni-Medebach Rosa. Figlia di un egregio legcde
bolognese, e seconda moglie di Girolamo Medebach (V.), che
sposò il 1766, fu prima un'ottima dilettante, applauditissima
specialmente qual prima attrice della tragedia Giovanni di
Giscala, poi, maestro Ignazio Casanova, un'eletta artista per
ogni genere di parti, grandi o piccole, ch'ella sosteneva vo-
lenterosa pel buon andamento della Compagnia del marito. Lui
morto, la vediamo continuar l'arte assieme al figliastro Giovan
SCALABRINI - SCARPETTA 521
Battista (V.), col quale fu, dopo il 1 790, in Compagnia di Pietro
Rosa. Fr. Bartoli la disse madre di più figliuoli, moglie amo-
rosa e prudente.
A testimoniar dell'arte sua metto qui il seguente sonetto,
stampato in foglio volante a Modena dagli eredi di B. Soliani.
Al merito singolare \ della Signora Rosa Scalabrini | Medebach
che recita con universale applauso \ in Bologna \ V estate
MDCCLXXX.
Certo queir occhio che sfavilla in viso
A te compose dì sua mano Amore;
Onde a chi '1 mira dolcemente al core
Un dardo giunge da cui vien conquiso.
Ma e che poscia qualor intento e fiso
Ascolta il Reno i tuoi sensi d'onore?
Qual non ammira in Te senno e valore
A l'ire, a i preghi, a gli atti, al pianto, al riso?
So ben che a i rari portentosi accenti
Tiensi la Notte assai più bella, e parmi
Che stian su l'ale taciturni i Venti;
E so che Febo a l' immortai tua laude
Vili tenendo al paragon suoi carmi
Lascia la Cetra^ e col tacer l'applaude.
Scarlatino Zoan Maria. É citato assieme a uno Zacca-
gnino, a Francesco Ruino e a Pignatta (V. Ruino), nella lettera
di Ercole Ferrara al Marchese di Mantova Francesco Gonzaga
(5 febbrajo 1496).
ia. È accennato dal Gandini {Cronist. dei T. di
Modena, P. I) insieme a Fidelin Romano, fra gli attori che re-
citarono il 1673 21 Modena, nel Teatro Comunale Vecchio di
Via Emilia.
Scarpetta Giuseppe. Di lui Corrado Ricci ( Teatri di Bo-
logna) riferisce una lettera del 161 3, con la quale domanda pri-
66. — / Comici italiani, VoL IL
SCARPETTA
vilegio particolare che nìssun possa dispensare un secreto di
un olio da lui chiamato il suo Balsamo.
Tal segreto egli ha avuto da un dotto a Parigi, mentre
forse vi esercitava l'arte comica. La lettera comincia:
HivcDdo il dÌvot.""> aet." delle Sig.*^' loro loiepho SorpeU già comico, il quale
fu ìnTenlore di dare Is elemosina a' lochi pii dell! denari della Comedia %ato il Governo
della felice memoria dell' Ill.nio et R.mo sig. Cardinal Cesia; et S.' Cardinal Paleoto Ar-
civescovo al'liora di questa Inclita Cittì, habit&nte da trentaqostro anni in qua in eisa
Scarpetta Edoardo. Nato a Napoli in Via Santa Brigida
il 13 marzo 1854 da Domenico Scarpetta, ufficiale di prima
classe agii affari ecclesiastici al ministero, e da Giulia Rendina,
è il principe degli attori
napoletani viventi, sotto
il nome di Don Felice Scio-
sàamocca di cui ha creato
il tipo, erede dell'alta fa-
ma di Antonio Petite, a
niuno secondo degli arti-
sti sì dialettali, sì italiani
per la fecondità dell' inge-
gno, per l'abbondanza e
spontaneità della vis co-
mica. Fanciullo, non ebbe
alcun amore agli studj, ma
n'ebbe uno grandissimo
al teatro, ch'egli si fab-
bricava da sé, e in cui fa-
ceva agire i pupi con com-
medie da lui stesso im-
provvisate. Destinato dai
parenti alla musica, un bel
giorno gettò in un fosso i documenti coi quali avrebbe dovuto
presentarsi al Conservatorio dì San Pietro a Majella, e confessò
a' parenti il suo singolare trasporto per l' arte drammatica.
Entrò il 1 869 al Teatro di San Carlino, impresario il Mormone,
w'-r"
524 SCARPETTA
con diciassette lire al mese di paga ; passò dal San Carlino alla
Partenope, e quindi in Compagnia di Michele Bozzo, allora in
giro per la Calabria, ultimo generico, disprezzato, vilipeso,
deriso. Ma rieccolo a Napoli alla Partenope, ove recitò una
sera, davanti all'impresario Luzi e all'attore Di Napoli del
San Carlino, la vecchia farsa napoletana Feliciello Sciosciamocca,
mariuolo de na pizza, ed eccolo il dì dopo scritturato al teatro
famoso, in cui mostra subito le sue doti chiarissime a fianco di
celebri artisti quali Petito e De Angelis.
Morto il Petito nel '76, e l'impresario Luzi nel '77, Edoardo
Scarpetta, dopo alcun tempo trascorso al Teatrino delle Va-
rietà pur di Napoli, e al Metastasip e Quirino di Roma con
Raffaele Vitale, riuscì finalmente a prendere in affitto il Teatro
San Carlino, ripulendolo, ammodernandolo, rinnovandolo così
materialmente come intellettualmente : alle bizzarrie a trasfor-
mazioni, ai lazzi improvvisi, alle maschere, alle vecchie e grot-
tesche tradizioni del celebre teatro napoletano, fé' seguire la
commedia scritta, moderna, elegante, brillantissima, vera. Aveva
già scritto a diciott' anni quattro commedie : altre ne scrisse
di poi, e moltissime ne derivò e tradusse e ridusse dal mo-
derno teatro nostro e forestiero. Non v'era novità comica di
importanza che non facesse dopo brevissimo tempo la sua ap-
parizione, foggiata alla napoletana, nel leggendario teatrino,
in cui, di conseguenza, alle sghignazzate della popolaglia era
subito succeduta la risata schietta e misurata del fiore dell'ari-
stocrazia. Sciosciamocca (letteralmente: soffia in bocca) è non
solamente un tipo e un carattere, non altro, nel suo complesso,
che il mammo di un secolo fa : il Filippetto del Goldoni, il Mar-
chese/^/)^^//^ del Giraud, rinsanguati, ravvivati dalla recitazione
scintillante di Edoardo Scarpetta; ma anche, un insieme di
tipi variatissimi, aggirantisi attorno al tipo fondamentale. Il
tipo di Miseria e Nobiltà non è certo il medesimo di Tettilo ;
quello di mettiteve a/aTammore co me è ben diverso dall'altro
di Duje marite imbrugliufie, e così di seguito. A questa conti-
nuata modificazione del principal tipo, Sciosciamocca deve forse
SCARPETTA - SCHERLI 525
la continuata ammirazione del pubblico, che sin dalla prima
apparita al San Carlino rinnovato, lo compensò di tante mise-
rie, di tante lagrinie versate, sì da fargli scrivere nelle sue
nuove Memorie (Napoli, 1899): < Dopo tutto, Tessere riuscito
a far tanto ridere.... gli altri, dava anche a me il diritto di ri-
dere un poco. >
E di qual riso! Il povero ^tìfoa..., entrato nel campo del-
l'arte per un usciolino sgangherato, con un vestito che gli ca-
scava di dosso a brindelli, colla faccia macilenta per fame ; che
ad ogni passo verso l'agiatezza e la gloria, uno vedea farne con-
tro di lui dalla maldicenza e dall'invidia, trionfando finalmente
di tutto e di tutti, autore ammirato, attore idolatrato, il triste
suono del piccone distruttore del San Carlino coprì con quello
del martello costruttore di un vasto palazzo al rione Amedeo :
2il battesimo di gloria del San Carlino è succeduta la conferma
non mai alterata sin qui de' Fiorentini di Napoli e del Valle di
Roma, ove si reca ogni anno a deliziare della sua inesauribile
giocondità il gran pubblico della capitale.
Scattolone. Sotto questo nome sosteneva le parti di Gra-
ziano un M. Francesco..., fiorito nella prima metà delsec. xvii.
Il 15 novembre 1622 furon pagati a M. Sante Morandi
venti scudi per andarlo a prendere a Padova, e condurlo a Man-
tova ove l'attendeva la Compagnia del Duca.
Scevola. Comico senese, il cui nome si trova citato in un
processo romano del 1565 (V. Ademollo, T.diRo?na,'pdLg. 35).
Scherli Leopoldo Maria. Nacque a Verona verso il 1720;
e compiuto un corso regolare di studi, si diede a recitare tra i
filodrammatici della città, riuscendo artista ammiratissimo, se-
condo afferma Gianvito Manfredi nel suo Attore in scena; tanto
che una sera dovette ripeter lì per lì nell' Orlando furioso la
scena della pa,zzia, tra gli applausi entusiastici della folla. Si
fece poi comico di professione, e fu alcuni anni a Venezia
526 SCHERLI
(San Gio. Grisostomo), dove s'aquistò come attore e come scrit-
tore la stima di tutti e l'amicizia di Gaspare Gozzi.
Lo vediamo il '55 alla Comedia italiana di Parigi, nella
quale esordisce il 1° di gennajo, come amoroso, insieme alla
moglie amorosa, nel Doublé mariage cTArlequin; ma recitaron
così freddamente, che dovetter tornarsene in Italia. A tal pro-
posito il D'Origny dice :
A l'égard de ceux-ci, quand on se rappelle que des personnages de ce genre ne
sont jamais si bien remplis qae par des Acteurs qai ont de rinclination l'un poar l'antre,
on est tenté d'attrìbuer leur malhearenx succès, moins à leur inaptitnde, qa'à une situa-
tion qui ne permet gnère qae le coear ressente les feux de l'amour.
Il signor D'Origny (non voglio discuter qui Terrore del-
Tafifermazione sua sulla maggiore o minor riuscita di una scena
d'amore recitata da due amanti), ha voluto alludere alla special
condizione degli Schedi, i quali, non sappiam bene per colpa
di chi, ma forse di entrambi, essendo Tuno tutto dedito agli
studi e taciturno, e Taltra incline alle esaltazioni.... e ad altro,
visser quasi sempre separati. Tornato di Francia, Leopoldo,
che aveva mostrato in varie circostanze un cotal ingegno poe-
tico, si die ad allestire un volume delle sue rime, che pubblicò
in-i 2° a Lucca il 1 760 per Filippo Maria Benedini.Lo vediamo
il *66 in Compagnia di Pietro Rossi ; poi, allontanatosi per al-
cun tempo dal teatro, bibliotecario del Senatore Davia a Bo-
logna, poi di nuovo attore, recitando in varie compagnie, ma
con poca fortuna, a cagione della sua austerità e taciturnità,
a proposito della quale il Bartoli racconta che < andando un
giorno a desinare con Andrea Patriarchi, non fu mai sentito
pronunziare una parola durante tutto il tempo della tavola,
e col solo saluto da quella casa partì. > Fu anche a Palermo,
e quivi stette alcun tempo col Nobile Spaccaforni, qual segre-
tario. Toltosi da queir Ufficio, fu da altri incaricato di formar
una compagnia per quella città; e recatosi a Venezia, la formò
difatti, e la condusse a Palermo; ma essa era di sì mediocri
elementi, che subito cadde, procurando allo Scherli rimproveri
senza fine, e così fatti da essere forse principal causa della sua
SCHERLI 527
morte. Il Bartoli ne fissò la data neir autunno del 1776: ma è
certo erronea, dacché lo Scherli pubblicò la sua scelta di rime
nel '77 a Psilermo. Fu egli senza dubbio uomo di pregi singo-
lari, e come tale considerato dai più. Le rime edite a Lucca
furon precedute dalla pubblicazione di :
Osservazioni sopra le statiT^t del signor Giulio Cesare Veccelliy nelle quali
sostiene, che la Poesia possa pia della Pittura. Pubblicate a Verona
nella Stamperìa del Seminario, [senz'anno], in-8°.
Traduzione in versi sciolti di alcuni esametri latini di Marco Antonio
Rosa Morando a Vincenzio Bar:(i:(a. Pubblicata a Verona il 1745, in-8°.
Alcune poesie in lode del Ban^tTia, inserite in una raccolta di componimenti
in lode dello stesso ^arT^i^^a, Verona, e. s.,
e ad esse tenner dietro in vario tempo un brindisi in versi
martelliani nel Convitato di Pietra, pubblicato in foglio volante
a Livorno Tautunno del 1766; un piccolo libretto in- 8° conte-
nente alcune considerazioni sopra un parere del dottor Carlo
Goldoni, pubblicato il 1767 non so dove, ma forse a Bologna,
mentre lo Scherli era col Davia ; Sette Notti di Edoardo Young
tradotte in versi, pubblicate in-4° a Palermo il 1774 nella Stam-
peria de' Santi Apostoli ; e una scelta delle Rime con aggiunta
di poesie siciliane e di lettere varie, edita in Palermo il 1777
in- 12°. Fu lo Scherli, dopo la pubblicazione delle rime nel-
Tanno 1760, acclamato pastore arcade di Roma col nome di
AncLssandeide Caristio, e dopo quella delle Notti, Pastore Ereino
di Palermo col nome di Dendrio Ipsisto.
Riferisco dal Bartoli la seguente
Licenza recUaia dalla prima Donna della Compagnia de' Comici
nel Teatro S. Già. Grisostomo di Venezia
l'ultima sera del Carnevale MDCCLIX
Della guerriera tromba ascolta il fuoco appena,
E va il Guerriero in Campo dove la gloria il mena:
Spirano appena i Zefiri, ed ecco in un momento
Salpa il nocchiero, e scioglie tutte le vele al vento;
Ma se volando al Campo, se abbandonando il Lido,
La Sposa, o il Genitore lascia nel patrio nido,
528 SCHERLI
Lascia su quelle sponde parte di sé il nocchiero,
Parte di sé pur lascia nella Città il guerriero;
E nel partir da loro sente staccarsi il core,
Sente passarsi l'anima dal più crudel dolore.
Inclite genti Adriache, splendor d'Italia, e lume,
Condonate all'affetto, se troppo ora presume.
Noi siam quel navigante, e quel guerrier siam noi;
Questa é la Patria, e il Lido, Padri ci foste voi.
Voi ci reggeste ognora; voi placidi, e clementi
Tolleraste i diffetti ad ascoltarci intenti.
E come il Sol benefico oscura nube indora
Si, che del non suo lume splende nel Ciel tal ora;
Se di valore in noi spuntò qualche scintilla.
Fu da quel lume accesa, che intorno a voi sfavilla.
E noi dobbiam lasciarvi? E per fatai destino.
Siamo costretti a scegliere cosi lungo cammino?
Ah di si ria partenza quanto il dolor sia atroce
Dicalo il nostro pianto, che noi sa dir la voce.
Dentro il mio core intanto sento pugnar insieme
A gara col dolore anco il timor, la speme.
Penso che il nostro ingegno che coltivaste tutti.
Quasi terreno ingrato scarsi produsse i frutti.
Ma fra i timori suoi par che mi dica il core:
Non si stancò per questo il provvido cultore.
Anzi veder attende alla stagion novella
Nel suo terren la messe più verdeggiante, e bella.
Compagni miei, coraggio. Mentre sarem lontani,
Non sieno i sudor nostri infruttuosi, e vani,
E ritornar ci veggano questi bei lidi amati
A ricalcar le Scene di novi fregi ornati.
Si, che il faremo. Intanto, come sicuro segno
Delle nostre promesse, vi resti il core in pegno.
Alme eccelse, graditelo, che vostri servi siamo,
E con tal nome in fronte, di noi superbi andiamo:
Che se sarem sicuri del perdon vostro almeno.
Nelle fatiche istesse lieti saremo appieno.
Come di sudor molle quel povero bifolco
Sparge cantando i semi, segna cantando il solco;
Come quel gondoliero suda col remo in mano,
E va cantando VArmi pietose e il Capitano,
SCHERLI 529
Cosi del favor vostro spirando aure feconde,
Lieti ritorneremo d'Adria a baciar le sponde;
Così l'anima nostra nel gran piacer giuliva
Ripeterà costante: Viva Vinegia, e viva.
A questa faccio seguire il sonetto in morte di un suo figlio,
il quale ci dà ancor più chiara Tidea delle sue qualità poetiche,
e del suo amore a' classici :
Come candido fior, che nato appena,
del vomere al passar cade reciso,
Carlo, moristi, onde perpetua vena
di pianto a me bagna le gote e il viso:
C'ho sempre avante i tuoi dolci atti, e il riso,
e i cari vezzi; e per maggior mia pena,
la Suora tua, ch'or vedi in Paradiso,
la tua partita a ricordar mi mena.
Figlio, io già non t'invidio i gaudi immensi,
che in Ciel tu godi, ora che sei si presso
al Sol, che alluma il benedetto chiostro;
ma quando awien che a le tue grazie io pensi,
piango me, di te privo, e il mortai nostro
vorrei già chiuso in un sepolcro istesso.
*
Scherli Carolina. Moglie del precedente. Fu, ci dice
il Bartoli, bellissima, egregia attrice per le parti di donna
seria, e.... oggetto di piacere negli anni suoi giovanili. Ebbe
una figlia ballerina, e andò con lei a Palermo, dove le fu
rapita da un Personaggio di qualità. Tornatasene sola, fu così
turbata dall' accaduto, che die' segni non dubbi di pazzìa,
e fu vista a Bologna passeggiar per le vie coronata d'al-
loro, o recarsi a San Michele, declamando poesie sconclu-
sionate. - Fortunatamente non restò lungo tempo in quello
stato di alterazione, e viveva ancora tranquillamente in Bo-
logna nell'anno 1782 al tempo del Bartoli, il quale, alludendo
alla sua separazione dal marito, di cui ella apprese con do-
67. — / Comici italiani. Voi. II.
530 SCHERLI - SCHIAVONI
lore la morte, le dedicò colla solita vena dozzinale il se-
guente epitaffio:
Moglie fui per virtù dì quel gran si,
che detto retroceder non si può.
Mio marito da me poco gustò,
ch'io sola vissi, ed ei lontan morì.
Schiavi Carlo detto Cintìo. Comico di buon nome per le
parti ^Innamorato, fiorito nella seconda metà del secolo xvii.
A richiesta del Duca di Modena, rispose accettando di far parte
della di lui Compagnia, di cui eran principale ornamento i Calde-
roni Silvio e Flaminia, con lettera da Roma del 19 aprile 1679,
nella quale si lagna acerbamente del malo trattamento de' ca-
pocomici verso di lui, che non sa né dove spedire la condotta,
né chi la riceverà, né in che piazze andrà, né come sia composta
la Compagnia, e che soprattutto s* é visto, con suo danno e
rossore, metter fuori una seconda donna già scritturata d'ac-
cordo con lui, certa Angiola Paffi : < danno, hauendo seco un
antico, e non poco concerto (cosa mendicata, e ricercata da
ogni Moroso), e rossore per esser tenuto un parabolano, et
un falso ; e dopo essermi consumato in Venetia ad aspettare la
certezza et unione di questa donna, si ritratta al presente ciò
che si deve per debito, essendo stata accettata e corrisposta
da tutti. > E si raccomanda al Duca di ordinare che i comici
gli scrivano, perchè egli possa con loro più apertamente discor-
rere. « Alla Paffi — conclude - in cuscienza et appresso Dio et
al mondo non si deve mancare. >
Schiavoni Antonio, nato a Roma il 1846 e suicidatosi a
Rosario di Santa Fé il novembre del 1889, fu attore di grande
impulso, se non di grande finezza, illustratore non ispregevole
delle opere più conosciute di Shakspeare ne' teatri di secondo
ordine. Patriotto caldissimo, fece le campagne del '59, del'óo
e del '66, e s' ebbe la medaglia al valor militare. Un amore fa-
talissimo lo condusse al sepolcro.
SCHIAVONI - SCOTIVELLI
Una lettera dell' attore Beltramo a Icilio Polese così de-
scrive la morte eroica del povero amico, noto in tutta l'arte
per la soavità dell'indole:
H nuttÌDo che precedelte Ib «ui morte li ritìiò ht c*w, accomodA U ina ouneretla
cambUndo poiìxione il letto ed al comodino, il veitl da garibaldino, miie le aae deco-
razioni Bill gnandale accanto al revolvei, ifoderò la tpada e la miae in croce col fodero
ai piedi del letto, si coricò, e si sparò un colpo al cuore con una rivoltella a dae colpi
con tanta ticnreiza e pTemione die restò (iilminato.
Scotivelli Marcantonio. Apparteneva il 1578 alla Com-
pagnia del Re di Napoli, condotta da un Massimiano Milanino.
Forse, congettura il Baschet, si trattava di una piccola compa-
gnia secondaria, adattata al piccolo Stato, che aveva traversato
i monti in cerca di fortuna, o forse anche, concordando le date,
alcun componente la Compagnia de' Gelosi sì era sciolto da
53» SCOTIVELLI - SERVILLI
essa per rispondere a un invito del Bearnese. Comunque fosse,
né di questi, né di Paolo di Padova (V.) capo di altra compagnia
del Piccolo Principe nel 1579, si è trovata più traccia.
Sereiffinì Giovanni. Noto attore per le parti di brillante,
figlio di Pietro, comico, e di Rosa Francesconi, nacque a Milano
il 1 840. Lo vediam coi parenti Ìl 1 846 in Compagnia Balduìni e
Rosa, e il 1847 in quella Capoda-
glio, nei cui elenchi figura come
parte ingenua: il '61 col padre ge-
nerico era brillante della Com-
pagnia Bonazzi. Fu lungo tempo
brillante, e beniamino de'^w*r«-
&'»(dÌNapoli, capocomico Adamo
Alberti, e tolse in moglie in quel
torno l'attrice Pia Fabbri figlia
dell'attore, poi professor di reci-
tazione, Paolo; morta la quale,
passò a seconde nozze con Vìtto-
rina Checchi. Lo vediamo il '76
e '77, brillante della Compagnia
Zer ri- Lavaggi, e ÌI '79 e '80 in
Compagnia di Alamanno Morelli
sotto Guglielmo Privato. Fu poi
colla moglie in altre compagnie, e finalmente in quella di Ro-
molo Lotti, colla quale si recò in America ove perde la moglie,
e d'onde non rimpatriò più. - Una sua sorella, Giulia, moglie
di Leopoldo Orlandìni, prima, poi dì Giacomo Brizzi, ebbe dal
suo primo marito i figliuoli Leo e Giulio, e fu con Ernesto Rossi
dal 1863 al 1884 in qualità di seconda donna pr e gioia.
Serramondì Carlo. (V. Rosa Caterina).
Servilli Isabella. Comica del Duca dì Mantova detta sulle
scene, Bularia; fiorì nella seconda metà del secolo xvii e nella
SERVILLI 533
prima del xviii. Attrice, cantante, danzatrice, schermitrice
esimia, e conoscitrice perfetta di più lingue, ispirò non po-
che poesie, che metto qui testimoni del valor suo e della sua
virtù, e che mi furon gentilmente comunicate dal chiaro amico
A. G. Spinelli della Biblioteca Estense di Modena.
Alla Signora Isabella Servili \ Comica virtuosissima del Ser.mo
di Mantova | in rappresentare in Bologna le Metamorfosi d'Eu-
laria \ finta Lachè Francese, Dama Spagntiola, Soldato Te-
desco, I e Cingara Egittiaca, con giochi di Spadone, Alabardino,
due Spade, scherma neW Academia degli eserciti] militari, e con
quattro suoi Balletti diversi.
Questa è la saggia Eularia^ e questa è quella
Che gli affetti del Ren, faconda impera,
Che gli Oracoli espon, quaihor favella,
Franca, Egittia^ Germana, Itala^ Ibera,
Se tratta Armi e Bandiere, agile e snella,
Con gratia ardita, e leggiadria guerriera.
Scerner non sai se sia Folgore o Stella,
E non sai se più alletti, o se più fera.
Ma a la sua lingua, a la sua Man non cede.
Nodi intrecciando e Laberinti e Ruote,
Precorridor de le Pupille, il Piede.
Chi a tzm'Arnti, a tzni' Arti oppor si potè?
Rendonsi Talrae a Lei spontanee prede,
E al bel Giogo Servii s'offrono immote. n. n. n.
Al merito e virtù grande \ della Sig/" Isabella Servilli detta Eularia
Comica I Eruditissima del Ser.*^° di Mantova \ mentre recita
in Venezia l'anno i6gy.
V essersi veduta in Bologna la suddetta Virtuosa
in habito di spirito famigliare giocar d'armiy danT^are e sonare perfettamente
dà motivo al presente sonetto:
Qualor spirto ti fìngi in vari manti
Mostri in più forme Eularia il tuo valore
Poiché Proteo gentil con tuo' sembianti
De' Teatri ti fai gloria maggiore.
534 SERVILLI
Prode fra l'armi allor ogn'un incanti
Né movi pie che non inceppi in core;
Voce non dai che non risvegli amanti
Suono non fai che non ne danzi amore.
Tai prodigi sul Ren mirò felice
Delfina de la scienza alta Eroina
Onde vie più a lei bramar non lice.
A te dell'Adria sol nobil reina
M'avanza l' amirar da tal Fenice
L'arte con la virtù sorger....
Per contrasegno di stìnta partìcolare A, M. G»
bolognese devotamente dedica.
La Stessa Signora s* introduce a maneggiare legiadramente la spada:
Eularia di beltà e valor munita
Cangia la notte in di lucente e chiaro
Allor che al Campo di forbito acciaro
Splende invitta la sua virtù....
Che bel veder le delicate dita,
Quando per fulminar pronte l'armarol
Ah che a quel fulminar si dolce e caro
Soffrirebbe ogni core ogni ferita.
Cosi con vaghe sue sembianze e sole
Mentre si aggira il ferro in varie rote
Di Marte e Citerea rassembra prole;
Poiché tiene ne gli occhi, e su le gote
Con le rose dell'alba i rai del sole,
Ond'é che intorno Amor l'ale vi scote, peiio steaso].
A/la sempre ammirabile virtù della Sig.** Isabella Servili detta
Eularia Comica modestissima mentre recita in Bologna il Car-
nevale dell' anno lyoo.
^flessioni ad alcune delle molte prerogative
che rendono grata a tutti la medesima Virtuosa
Alla modestia unir spirto e bellezza,
Formar più vezzi, e non macchiar il core;
Con laude oprar, e disprezzar l'honore;
Di più lingue (i) erudite haver vaghezza.
SERVILLI 535
Chiuder nel molle sen viril fortezza,
A Maestà (2) accoppiar tenero Amore.
Usar in lui pietà, in lei rigore
Affetto simulando, e in un grandezza.
Impugnar Brandi (3), maneggiar Bandiere
Qual' altra nuova Amazone gentile,
Sono d'EuIaria sol care maniere.
Quindi è che '1 saggio, prode, grande, e vile
Ne piega per toni* Arti e finte e vere,
A si bella virtù l'alma servile.
Leonardo Sebastiani d. d. d.
(i) Parla perf.tc diversi linguaggi.
(2) Tatto ciò esprime naturalmente nelle opere serie ma spec.te in quella di Elisa-
betta Regina d'Inghilterra.
(3) Di tutto ciò ne dà compito saggio.
A/la Virtù sempre più ammirabile | della Signora Isabella Servili
detta Eularia | Comica Eruditissima del Ser.mo di Mantoa
Mentre in Bologna nelV Opera famosa del ''Gran Cide delle
Spagne" | comparisce nobilmente vestita a duolo.
Qual portento vegg'io? L* ombra e il splendore
Son pur nemici ancor sin da le fasce?
L'una succede in terra al di che muore,
Precorre l'altra in Ciel l'alba che nasce.
Pur si gli accoppia in sen à'Eularia Amore
Che in faccia de l'un l'altra rinasce.
Se sotto amanto di lugubre orrore
De begli Occhi il splendor vie più si pasce.
Or s' adunque un Contrario a l'altra è accolto
In Lei con stupor d'Arte di Natura
Nel Nero Manto e nel Splendor del Folto,
Ben dir si può d'Amor alta fattura.
Se nel ben di Costei in bruno accolto
Sembra più Creator che Creatura.
Mosso dalla sola mrtù della medesima
il gentile Ergasto ne dedica e dona
il presente alla stessa.
536 SERVILLO - SEVERI
Servillo Francesco, detto OdoarJo. In una lettera a un
Segretario, non so bene dì qual Dnca, se di Mantova o di Mo-
dena, inviata dì suo pugno da Livorno il 26 giugno 1660, e
sottoscritta anche dal PanfaJom Giovanni Gaggi (V. Scpple-
meXto), dice che a Pistoja, la Piazza precedente, non divisero
un soldo e rimisero del loro, e a Livorno son con due paoli al
giorno, e eoo la prospettiva di una nuova rimessa, nonostante
la gran quantità de* forastieri e ti buon successo della Compa-
gnia; e domanda per luì ed esso Gaggi dieci doppie pel sosten-
tamento, che avrebber rilasciate dal donativo di carnovale.
Severi EHìsa, di Ravenna, fu trasportata dalla famiglia a
Roma, ancor bambina, e là cresciuta ed educata. La magnifica
Fot. Vmrùcii, Artico - Milano.
persona e il volto pieno di attrattive la fecero accogliere il 1 894
nella Compagnia Paladini-Talli, senza bisogno del lasciapassare
di una scuola o di una filodrammatica. Recitò poi a sbalzi, con
SEVERI - SGARRI 537
intervalli più o meno lunghi, per malattia o per altro, nelle Com-
pagnie Reinach-Talli,Gramatica-Raspantini, Pia Marchi-Maggi,
Severi-Garzes-Raspantini, e finalmente Pieri-Severi, in cui si
trova anche oggi (1904), per andar poi nel futuro triennio con
Oreste Calabresi. Finché la Severi fu seconda donna, il pubblico
e la stampa si occuparon solamente dello splendore fisico : ma
dacché, assunto il ruolo di prima donna assoluta, si é slanciata
nel gran repertorio, allo splendore fisico pubblico e stampa
trovaron di potere aggiungere una grande promessa artistica.
Naturalmente i pregi della donna soverchiano ancora quelli
dell'artista; ma la promessa c'è davvero, e chiara; e perse-
verando nello studio, nella tenacità di propositi, nell'amore al-
l'arte, poiché ella é una delle più innamorate dell'arte sua, la
signorina Severi arriverà certo ad attenuare una cotale ine-
guaglianza di recitazione, prodotta forse da mancanza assoluta
di guida artistica.
Sgarri Francesco. Piglio di Brigida Sgarri, recitò la parte
di Arlecchino nella Compagnia del patrigno Antonio Marche-
sini (V.), col quale era l'estate del 1738 a Milano, (riconferma-
tovi per la seguente del '39), e in altre. Cangiata la maschera
di Arlecchino in quella di Brighella, ottenne applausi quanti
volle. Fu con Onofrio Paganini e con Pietro Rossi, dal quale
si allontanò il 1770 per entrar con il genero Messieri e la figlia
in compagnie di minor conto. S'ammalò in Morbegno di Valtel-
lina, e quivi ihorì il 1 776. Più che attore lo Sgarri potè dirsi un
mimo, un acrobata, un buffone. Facea mirabilmente le forze,
suonava la tromba e altri strumenti, e cantava graziose e facili
canzonette. La natura non lo dotò di sciolta loquela, e il Bar-
toli ci racconta:
Egli aveva un' arte di fare frettolosamente un ragionamento (non inteso né da lui,
né dall'uditorio) promettendo assistenza al Padrone o ad altri; e questo con parole spes-
sissime, e vibrate con forza fra le labbra in si fatto modo, che il popolo movevasi a fargli
un grande applauso, battendo palma a palma, ond* egli restava soddisfatto, e l' udienza
godendo moveva a più potere le risa, benché nulla avesse capito da tal discorso, che lo
Sgarri chiamava battuta, forse per la battuta di mani, eh' egli ne riscuoteva.
b8. — / Comici italiani. Voi. II.
SGARRI - SICHEL
Oggi, per baituta. in arte, s'intende ogni entrata di attore
nel dialogo. Così la battuta può constar di più pagine, o anche
di un sol monosillabo.
Sichel Giuseppe. Attore brillante di pregio per una sua
singoiar vena di comicità, nacque a Casaltone di Sorbolo,
provincia di Parma i! 4 ottobre del 1849 da Gaetano, e Ma-
ria Grimaldi, non comici,
ed ebbe domicilio a Gua-
stalla. Recatosi a Geno-
va, appartenne alla Filo-
drammatica del Falcone, e
del '76 esordì, brillante,
con Carlo LoUio. Fu 11*77
con Michele Ferrante, il
'78 con Galletti-Dondini,
r'8o ancora con L0IIÌ0;
l"8i, in società, con Fa-
giuoH, Udina, Tellini e
Aliprandi Giovannina,
ecc. ecc. , r'8 2 con Drago.
Fu 1"83 con Zoppetti, se-
condo brillante e primo
dopo la scelta di lui, r'84
con Emanuel, 1*85 con
Novelli, dall' '86 al '90
con Maggi, dal '91 al '93
con Marini, e il '94 con Emanuel. Dal '95 cominciò le sue for-
tunate società, con Compagnie essenzialmente comiche, e con
artisti egregi nel genere, quali : Talli, Tovagliari, Zoppetti,
Guasti, Falconi, Ciarli.
La recitazione del Sichel a sbalzi, a strappi, con intona-
zioni aspre, rotte da una infinità di interiezioni, di eh interro-
gativi di distrazione, è inqualificabile e inimitabile ; non certo,
come si può credere, impeccabile, ma di irresistibile comicità.
SICHEL - SIMONE
Sichel • Saporetti
Emitia. Moglie del pre-
cedente, nacque a Raven-
na nel 1865. Fu buona
prima attrice giovane al
fianco di suo marito, poi,
con lui capocomico, buo-
na prima attrice, specie
nelle più strampalate po-
ckades, che sono Ìl fonda-
mento del suo repiertorio.
Colpita da grave anemia,
dovè per alcun tempo al-
lontanarsi dalle scene,alle
quali è tornata l'autunno
del '903.
Silanì Caterina, at-
trice dì molto pregio per
le commedie airimprovviso, fu col marito, mediocre arlec-
chino, in Compagnia di Niccola Petrioli, poi in quella di Do-
menico Bassi, poi, coli' avanzar degli anni, in altre di minor
grido. Si fé' molto notare in una vecchia commedia, U Oggetto
odiato, pei personaggi ch'ella rappresentava d'ambo i sessi e
di più nazioni, parlando nelle lingue diverse. Viveva ancora al
tempo di Francesco Bartoli {1781), e sebbene in tarda età reci-
tava in una vagante Compagnia « procacciandosi— egli scrive —
ad onta degli anni la pubblica approvazione, e qualche ap-
plauso sincero. >
Simone da Bologna. Il famoso Zanne de' Comici Gelosi
(V. Pasquati). Di lui dice il Porcacchi (Le attioni it Arrigo III
Re di Francia e di Polonia, ecc.), che era < rarissimo in rappre-
sentare la persona di un facchino bergamasco, ma più raro
nelle argutie e nelle inventioni spiritose : » Ìl Rossi, nella T^mw-
540 SIMONE - SIMONI
mella, lo loda insieme a Battista da Rimino, perchè « osservano
il vero dicoro de la Bergamasca lingua; > e Francesco Andreini
{Bravure, XIV) lo cita insieme a' comici di quella famosa Com-
pagnia, < che pose termine alla dramatica arte, oltre del quale
non può varcare niuna moderna Compagnia di Comici. >
Simonetti Giuseppe. Nato a Lucca del 1703, fu buon co-
mico z}^ improvviso per le parti ài Innamorato che sostenne in
Compagnia di Antonio Sacco, del quale sposò la sorella Anna,
e col quale fu in Portogallo, non solo recitando, ma facendo
anche fuochi artificiali. Aveva sostituito nel 1736 l'amoroso
Vitalba nei Comici di Carlo Goldoni, il quale dice di lui che se
fu meno brillante del suo predecessore, ne fu più decente, più
colto, più docile. Forse lo stesso, capocomico nel teatro ducale
di Milano il 1743, e che Paglicci-Brozzi chiama Giovanni?
Giuseppe Simonetti si fece notare nella rappresentazione
del carattere buffo di Don Gelsomino nella commedia II Re dor-
mendo (?), e morì a Venezia il 27 aprile dell'anno 1773.
Simoni Barbara. « Brava attrice, che recitò con gran fran-
chezza nel carattere della serva, e che fu nelle Compagnie di
Venezia molto applaudita. Il di lei spirito fu veramente inimi-
tabile, e prevalse a qualunque altra che recitasse nel suo ca-
rattere a' tempi suoi. Fioriva questa comica intorno alla metà
del secolo presente. > Così Fr. Bartoli.
Simoni Giovanni. Fu detto Goldoncino per essere stato
alcun tempo copista di Carlo Goldoni il quale con lettera del
17 marzo 1759 da Roma (V. Carteggio) lo raccomandava viva-
mente a S. E. Vendramin, per le parti di terzo amoroso. Di
lui non fu detto troppo bene allo stesso Vendramin, che alle
preghiere del Goldoni faceva orecchi da mercante. < Questo
giovane - insisteva Goldoni - non è mio parente, ma ho preso
impegno di assicurarlo, e deggio farlo.» E più innanzi: « Per
cattivo eh' ei fosse, avrebbe mai rovinata la compagnia in un
i
\
SIMONI - SOLDINO 541
posto di terzo amoroso? Io sono di lui contento, Roma lo ha
stimato e lodato.... > Non sappiamo s'ei fosse accolto nella Com-
pagnia di Venezia, ma sappiamo che, datosi poi all'arte co-
mica, riuscì attore, egregio per le parti bufife. Fu molti anni
capocomico, con Angiola Dotti, e recossi con lei a Vienna. Si
trovava il 1781 sempre con la Dotti a Ragusa, dove -dice il
Bartoli - facea valere il suo spirito procacciandosi degli ap-
plausi, e facendo qualche mediocre fortuna.
Soardi Carlotta. Nata a Bassano del 1 782, fu una egregia
comica per le parti di serva, che cominciò a sostenere all'im-
provviso, sì in dialetto che in italiano, con tal grazia ed elo-
quenza, che i più provetti dell'arte si dice non potessero starle
a fronte. Uscita la celebre Gallina dalla Compagnia Reale, andò
a sostituirla, e n' ebbe moltissimi onori. Venuta in vecchiezza,
passò al ruolo di caratteristica in compagnie secondarie, finché,
ritiratasi coi pochi avanzi in un piccolo villaggio del Veneto
presso Badia, vi morì quasi ottuagenaria. Le Varietà teatrali
di Venezia del 1821 dicon di lei, quand' era al San Luca in Com-
pagnia Toffoloni :
Nel personaggio di servetta è spoglia di ogni affettazione, vivace, intelligente, gra-
ziosa. Se per avventura trovasi costretta alcuna volta a coprire qualche parte di altro ge-
nere, abbiamo la compiacenza di assicurare che viene da essa sostenuta con maestrìa comica
e senza mai scordarsi il nuovo carattere ch'ella assume e ricadere nel consueto.
Soldino, comico fiorentino del secolo xvi. E citato insieme
a Scevola, senese, a Tarasso, vicentino, e a Pantalone (Pasquati)
in un processo romano del 1565 (V. Ademollo, T. di R., 35).
E Trautmann lo cita nel suo prezioso studio de' comici italiani
alla (forte bavarese, fra gli attori che recitarono a Monaco
il 1570, al quale furon pagati 40 fiorini. Il 1572 era capo di una
Compagnia italiana in Francia, e Carlo IX, messosi a un regime
per venti giorni, ordinò a' comici italiani di recarsi da Parigi
a Blois ov'era la Corte, per divertire Sua Maestà durante il suo
periodo di dieta ; e per rimborso di spese di viaggio e per ono-
rario delle rappresentazioni {Comédies et plaisants jeux) ordinò
S42 SOLDINO - SOMIGLI
in data 2 marzo. 1572 a Claudio Marcello, proposto de' mer-
canti della città di Parigi, di pagare a esso Soldino e agli altri
comici italiani lire tornesi 135, da dividersi tra loro in parti
eguali, e di cui non doveva esser fatto cenno ne' registri delle
spese (V. Baschet, Les Comédiens italiens, etc).
Solmi Pietro. Mediocre artista per le parti di primo attore,
e capocomico egregio in società con Antonio Pisenti detto il
Margoncino: società che durò ben ventidue anni. Egli si ri-
serbava alcune parti soltanto, e nell'elenco, di solito, figurava
come altro primario attore. Non sappiam l'epoca né della na-
scita, né della morte ; ma sappiam dagli elenchi, che la società
col Pisenti durò dal '26 al '46 circa. Il raccoglitore di Lucca lo
dice in una nota ms. attore passabile; e ci dà il repertorio della
Compagnia, il quale era a fortissime tinte, e del quale facean
più spesso le spese La figlia carceriera del padre. Il processo
Ftuildes, Bianca e Fernando, Le avventure di Mastrilli, ecc.
Somigli Domenico, detto Beco Sudicio. Nacque a Firenze
l'agosto del 1756, e fu barbiere, comico, e poeta. Nella pre-
fazione alle sue Rime, scritta da Arpcdo Argivo (Firenze,
Pietro Allegrini alla Croce Rossa, 1782, in-8°, voi. II), da cui
tolgo il presente ritratto, é detto che < anche il palcoscenico
servì al medesimo (Somigli) per isyiluppare e render palesi i
suoi naturali talenti. Egli incominciò a esercitar l'arte comica
sotto il nostro celebre Pertici, e sostenne sempre con qualche
decoro quei caratteri, che gli venivano destinati dal sopraffino
discernimento del suo direttore. > A ventidue anni perde im-
provvisamente la vista, e si die allora a scrivere poesie, spe-
cialmente bernesche, in cui riuscì egregio. Fu pastore arcade
sotto il nome di Lisindo Tir esiano: appartenne anche agli Abo-
rigeni della Colonia Amiatense, agli Incamminati di Modigliana,
e agli Apatisti di Firenze. Dettò versi in morte di Teresa Ca-
lamai, la famosa innamorata del Gamerra, il quale nella Corneide
ha un cenno di lode sul Somigli.
SOMIGLI
L'opera sua poetica è
composta di sonetti, eglo-
ghe e cantate, fra cui una.
La fuga in Egitto, curiosa,
che ha per interlocutori
Maria Vergine e San Giu-
seppe. Chi voglia avere no-
tizie particolareggiate e
dell' indole sua e del suo
poetare, specialmente im-
provviso, veda il forbitissi-
mo articolo di Cece nel Pio-
vano Arlotto del febbrajo
1859. pag- 97-
Intanto, a dare un sag-
gio delle sue rime, ecco i
due sonetti che trattan della
sua nascita e della sua vita,
foggiati alla maniera berne-
sca, nella quale egli rifulse meglio assai che nella eroica e
sacra :
Nella stagion che il Sol sta tra le branche
del fier Leone, e si avvicina al Cane,
e che le brine colle mosche bianche
dal nostro clima son' molto lontane....
Allorché le cicale non son stanche
di sciattare i bimmolli in fogge strane,
quando del Diacciatina sulle panche
si ganzan di sorbetti le sottane;
il giorno, in cui tra loro uniti stanno
dì Cecco e Beco i venerandi figli,
cosa, che segue un par di volte l'anno:
nel seco) d'ora, in la Città de' Gigli,
gli anni, che con più sei cinquanta fanno,
nacque al mondo Domenico Somigli.
544 SOMIGLI - SONDRA
Nacqui, e poscia alle Scuole fui mandato
in quell'età che facile si piega,
ed il Pedante a cui fui consegnato
m'insegnò compitar Valfa e V omega.
Qui, credendo aver' io molto imparato,
il genitore posemi a bottega,
feci il barbier, fui comico, e sveglialo
l'estro sentii, che Apollo or non mi nega.
Perdei la luce al fin di Carnevale,
e volendo alla meglio avanti gire,
l'arte mi posi a far delle cicale.
Canto, e compongo ancor per poche lire,
e le cose fin qui non vanno male;
poi si vedrà come l'andrà a finire.
Sondra Giuseppe (o Sontra?). Comico del Duca di Mo-
dena, noto col nome di Flaminio, fiorì nella seconda metà
del secolo xvii. Fu arrestato insieme al Pantalone Rinaldo
Rosa (V.), d'ordine del Duca stesso, nel suo passaggio pel
Po da Ferrara a Cremona; e non ne è detto il motivo; ma pro-
babilmente per le solite defezioni di compagnia, o semplici di-
sobbedienze agli ordini del Duca capocomico.
Il Principe di Toscana con lettera ig agosto 1698 da Pra-
tolinOj prega il Duca di Modena di rilasciarli il commediante
Sondra; il che starebbe ad attestare del valore artistico di lui.
Il 5 maggio del '99 il Principe cugino annunzia al Duca da Fi-
renze l'arrivo di Flaminio, e lo ringrazia di una lettera piena
di cortesie ch'ei gli mandò per suo mezzo.
Ademollo (ZI di R., 143) riferisce i particolari della ucci-
sione del famoso musico Si/ace, dallo Zibaldone di Anton Fran-
cesco Marini, il quale alla data io luglio 1704, dice: «Discor-
rendosi questo dì 21 luglio 1704 di Siface musico celebre; mi
disse Giuseppe Sondra detto Flaminio, comico del Principe di To-
scana, che il Quaranta Marsilio lo facesse egli ammazzare tra
il Ferrarese e il Bolognese, ecc. »
SPERANDIO - SPERINDI 545
Sperandio Bartolommeo, mantovano, sostenne con molto
successo, e in varie compagnie di giro, la maschera di Arlec-
chino, nella seconda metà del secolo xviii. Fu lungo tempo coi
comici Lombardi, sciolti i quali, passò in Compagnia di Giu-
seppe Lapy, di dove uscì per diventar conduttore di una pic-
cola compagnia. Morì di apoplessia a Venezia la quaresima
del 1778.
Sperìndiy di Venezia. Era in Baviera con un Alessandro di
Polonia il 1 567, e il IO agosto fecero assieme istanza al Consiglio
di potere per quattro giorni mostrar dovunque le loro doti arti-
stiche con salti e commedie, e prendere in compenso del danaro,
poiché mancando il nutrimento, troppo con tali fatiche ne ve-
niva r indebolimento del corpo. Noi sappiam già che i comici
d'allora, abbracciando le varie arti, eran detti or suonatori, or
commedianti; e scorrendo il bello studio del Trautmann, tro-
viamo in un libro di spese (i 549) del Contabile di Ncerdlingen,
antica città libera, che a cinque commedianti veneziani, i quali
si fecer rappresentare a S. M. Imperiale da Antonio di Bolzano,
loro interprete, fu pagato un fiorino perchè potessero partire.
Da Ncerdlingen passarono a Norimberga, e dal Protocollo del
Comune si apprende com'essi dimandassero di poter dare una
rappresentazione di una vecchia storia di Ercole, e di essere
confortati di buone parole (forse un attestato?) e favoriti di
quattro fiorini per continuare il loro viaggio.
Con data del io gennajo del 1551 si permise ai comme-
dianti italiani di dare il domani la loro rappresentazione coi
ragazzi saltatori e con altri giuochi. Nel 1559 Bartolommeo
di Venezia si trovava con cinque suoi compagni in Ncerd-
lingen, e fu pagato a ciascuno un fioriìw di onorario. E altri
commedianti italiani apparvero a intervalli dal 1556 al 1586
in Strassburg; ma pur troppo, afferma il Trautmann, in que-
sta nota dello Sperindi è la prima volta che si rileva chia-
ramente non essersi trattato solo di salti, ma anche di com-
medie.
69. — / Comici italiani. Voi. II.
546 SPOLVERINI - STACCHINI
Spolverini Pietro. < Eccellente comico nella maschera da
Pantalone, il quale fu impiegato per molti anni ne' Teatri di
Napoli. Tornò in Lombardia da dove era partito, e ivi fece con
molta lode nuovamente conoscere i suoi talenti. Passò a reci-
tare in Sicilia, dove fu ben accolto, e dopo d'avere colà incon-
trata una sorte propizia, a morir venne circa il 1733. > Così
Fr. Bartoli.
Spolverini Anna. < Moglie del precedente, detta la Cardel-
Una. Brava comica napolitana, che recitò nel carattere di prima
donna con assiduo impegno, divenendo un oggetto di piacere
sui teatri del Regno e d'altre Provincie. Dopo d'esser dive-
nuta moglie di Pietro Spolverini, diede le più chiare prove
della sua somma abilità, e passò agli eterni riposi intorno al-
l'anno 1735 nella città di Napoli. > Così Fr. Bartoli.
Stacchini Antonio, livornese, nacque il 1824 da Giuseppe,
avvocato, e da Maria Costanza De-Ricci. Fece i primi studj a
Livorno, poi, quindicenne, fu ammesso per eccezione all'Uni-
versità di Pisa, Si laureò in farmacia, e continuò gli studj per
uscirne dottore, quando nel '42 (egli aveva già mostrato chiare
attitudini alla scena, recitando coi filodrammatici nel dramma
e nella tragedia), invitato da un tal Pietrucci (forse il caratte-
rista Petrucci (V.)?) attore della Compagnia Della Seta che fa-
ceva magrissimi affari agli Avvalorati di Livorno, accettò di
sostener la parte principale nei Due Sergenti. E l'audacia del
giovine ebbe tal riuscita, eh* egli risolse di abbandonar la me-
dicina per darsi intero all'arte; ma parenti ed amici lo distol-
sero dal proposito, e lo costrinsero ad accettare invece un po-
sto di farmacista nell'ospedal militare di Alessandria d'Egitto.
Appena mortogli il padre, tornò in patria, e, dopo aver fatto il
carnovale del '43 a Carrara con una miserrima compagnia, si
scritturò pel '44 a Firenze in Compagnia Viti e Baroncini. Il '46
si scritturò con l'Impresa Jacovacci pel teatro Argentina di
Roma, e il '48 con Gandolfi e Landozzi in qualità di primo attor
STACCHINI
giovine. Fu dal '48 al '54 con Domenìconì, generico per partì
di prima importanza, e direttore il '55 di una delle compagnie
di luì, della quale era prima attrice Laura Ben. Il '56 diventò
capocomico egli stesso, e continuò a esserlo fino alla fine
della sua vita artistica che si chiuse il '69; anno in cui si recò
definitivamente a Firenze (vi si
era già recato nel '64 col fermo
proposito di lasciar l'arte, alla
quale tornò poco di poi, solle-
citato da Riccardo Castelvec-
chio ad assumere la direzione
della sua Compagnia Dante
Alighieri), affine — dice un suo
. biografo. Cesare Calvi - « di
proseguire alcuni studj sul-
l'arte e sul teatro che durante
il suo artistico peregrinaggìo
non poteva condurre a fine, >
ma in realtà - dice un annota-
tore - per darsi a non so che
lucroso commercio.
Antonio Stacchini non eb-
be, in arte, fama di buon diret-
tore ; piuttosto di buon artista
per le grandi parti di primo attore padre, e tiranno, fra le quali
primeggiava sempre quella di Aristodemo di V. Monti, che io
stesso gli sentii fare, quand'egli era fuor dell'arte a Firenze, ■
di cui serbo ancora il ricordo di un insieme ampolloso di espo-
sizione. - Vittorio Cavalieri (Trieste, 1864) e Cesare Calvi (Fi-
renze, 1872) dettarono di lui alcuni cenni biografici; ma a
quelli del Calvi non troppo, secondo il solito annotatore (Bru-
none Lanata) sarebbe da prestar fede, essendo essi una iper-
bolica apologia dell'artista e dell'uomo.
Antonio Stacchini ebbe, fra altri, un figlio. Paolo, stato
artista alcun tempo; e morì a Firenze il 19 marzo 1893.
Sterni Francesco. Attore generico ài molto pregio, fattosi
celebre con la parte di Rodin, in cui per
la interpretazione e la truccatura mera-
vigliosa non ebbe rivali, nacque a Cas-
soladiBassanoil 2 2 maggio del 1822. Fu
accolto nelle migliori Compagnie, e mol-
tissimi elogi gli tributarono il pubblico e
la stampa per le lodevoli interpret^l^ioni
di opere di vario genere quali Kean, Conte
Hermann, Edipo Re. Avvocato Veneziano,
Tasso, ecc. ecc. Il '59 si fece conduttore
di una Compagnia che intitolò Alessandro
Manzoni, composta di una buona accolta
di artisti, fra cui la Raspini, la Chiari, la Bianchi, la Miani, Ven-
turoli, Giardini, Sobrio, Maz-
zocca. Fu anche lo Sterni pa-
triolto caldissimo. Il 23 marzo
del 1848 un avviso di Ales-
sandria, col quale invitava il
pubblico a una accademia di
declamazione e di canto a be-
neficio dell'attore Francesco
Sterni, cominciava così :
T^ sera di giovedì ij marto i
ter* per doÌ di bcneficeDza ciKadÌDa, e
qaesto, piattosto che od ricordo teatrale,
è un ricordo comune delta tacita e re-
ciproca promeiia che ci liam blta di ri-
trovarli (ulti come ad no convegno de-
L'atlore Francejco Sterni è rimasto
in qaesia quaresima scoia compagnia. E
perchè? Gli vietavano i contini del Regno
Lombardo- Veneto il coraggio civile e la
bella fiamma d'aRétto ed intetligeDu con
cai egli aliava la ana voce a far più bello
il grido della liberti e della indipendenzm
nazionali che naciva dai nostri Poeti, e che il di 8 dello scorso febbrajo metteva all'ordine
del giorno.
STERNI - STICOTTI 549
In quella sera egli declamò / due sogni di Matilde del
Berchet e del Damasio, 1^ battaglia di lagnano e £ji pace
di Costanza di Berchet; L'ultimo cantico lirico di Gabriele
Rossetti.
Nel '59, anno primo del suo capocomicato, fu a un punto
di essere fucilato con tutti ì suoi per ordine di Urban, gover-
natore di Verona.
Gli appunti sconnessi, telegrafici dettati a me dallo Sterni,
son confermati e bene esposti da Giuseppe Mazzocca{V. Suppl.),
amoroso della Compagnia, nelle sue appetitose « Memorie di un
attore-» (Milano, 1904).
Francesco Sterni condusse onoratamente Compagnia per
molti anni, finché, stanco della vita nomade, sebben sempre
vigoroso, si stabilì in Bologna, ove fu chiamato insegnante re-
citazione nel Collegio di San Luigi.
Sticotti Fabio, attore della Compagnia del Reggente,
dotta in Francia il 1 7 1 6 da Luigi Riccoboni, nacque il
nel Friuli, dicono, e dalla Sticotti, canta-
rina di una compagnia. Fu, come sua moglie
Orsola Astori (V.), scritturato per cantar
negl'intermezzi, ma poi cominciò col so-
stenere in commedia partì di poca impor-
tanza. Succedendo a Giuseppe Giaratoni
il 1729, fu egregio sotto la maschera di
Pierrot. se s'ha a credere alla seguente
quartina :
Cher Sticotti, je crois sans peine
quand je te vois jouer Pierrot,
que si tu fais si bien le sot,
tu ne le tais que sur la scène.
Infatti un contemporaneo, il Gueul-
lette, dice che Sticotti era un grand'uomo
assai ben fatto, di viso tondo e piatto, e di
550 STICOTTI - STRINI
fisonomia piacevole; di umore gajo al sommo, e amabilissimo
in società. E aggiunge: <egli era di buona famiglia veneziana;
s'innamorò della figlia d*un orologiajo, e la sposò. Venne con
lei in Francia, e non aveva mai recitato. Morto Alborghetti, lo
sostituì con assai onore il 1733 nella maschera del Pantalone,
e fu ricevuto in compagnia con decreto dell'i i febbrajo a un
quarto di parte, e con -decreto del 4 maggio, a metà. Morì il
5 dicembre 1 741, e fu sepolto sotto la Cappella della Madonna
di S. Salvatore. >
IlCampardon riferisce una citazione di lui contro S.'Marc,
il quale non voleva rendergli un pappagallo, scappatogli di gab-
bia, che aveva comprato dall'Albo rghetti.
Sticotti Anton Giovanni, detto KolU, secondo figlio del
precedente, col nome di Fabio, fu buon Innamorato, e, dopo la
morte del padre, buon Pierrot col nome di Toni e buon Pan-
talone. Esordì nella Surprise de l'amour di Marivaux il 1 5 giu-
gno 1739, si sposò al S. Salvatore il 13 agosto 1739 con Maria
Claudia Duflos, dalla quale ebbe più figli, e dal 1754 in poi
recitò anche i servi e i contadini. Scrisse alcune comme-
die con buon successo ora solo, ora in società con Panard.
Ebbe al Teatro italiano mezza parte e si ritirò il 1759 per
passare poi in Prussia, alla Corte di Federico II, ove morì
nel 1772.
Di lui si pubblicarono anonime alcune parodie di Atys,
Roland, Mérope, Amadis ; le commedie Les Ennuis de ThaUe,
Les noms changés, Les Faux devins ; e la tragedia Alzatde; poi :
L'Art du théàtre (Berlino, 1760, in-8°), OEuvres d'un paresseux
bel esprit (Berlino, 1760, in-8°), il Dictionnaire des passions, des
vertus et des vices (Paris, 1769), la traduzione dall'inglese di
Garrich cu les acteurs anglois (Paris, 1 769) e il Dictionnaire des
gens du monde (Paris, 1770, 5 voi., in-8°).
Strini Giuseppe. Nato a Napoli il 21 dicembre 1846 da
famiglia di commercianti, entrò nel '64, come allievo nella Co m-
STRINI - SUBBOTICI 551
pagnia stabile di Achille Majeroni al Teatro del Fondo. Passò
il '67 secondo amoroso con Fanny Sadowski, e il '70, fuor di Na-
poli, primo attore giovine con Giacinta Pezzana, sotto Luigi
Monti, per tornar poi, sempre sotto Monti, con la Sadowsky
il '73. Sposò il '77 la figlia di Carlo Lollio (V.), ed entrò, con
lei seconda donna, nelle Compagnie di Luigi Pezzana, di Ales-
sandro Salvini; poi (lontano dalla moglie, rimasta in Italia), di
Adelaide Ristori per un giro all'estero. Fu in seguito con Bei-
lotti, poi formò società, e neir '84-'85 assunse il posto dì primo
attore, che lasciò T'Só per quello òì generico primario, soste-
nuto sempre con assai decoro in varie compagnie delle più
accreditate.
Sono lieto di mettere qui il nome di Giuseppe Strini, mio
caro compagno del tempo della Sadowsky (1873), il quale
ebbe a sostenere dure lotte in arte, per la figura e soprat-
tutto per il volto, poco in armonia col suo ruolo di amoroso ;
dalle quali uscì vittorioso con la rara correttezza della sua
dizione.
Ebbe una sorella, Eleonora, nata a Napoli il 1842, che
esordì al Teatrino JLa Fenice come prima attrice giovine.
Passata amorosa ai Fiorentini con Adamo Alberti, vi recitò
sei anni come prima attrice giovine e seconda donna, applau-
ditissima a fianco della Sadowsky, della Cazzola, di Salvini,
di Majeroni, di Bozzo. Morì di malattia di petto a soli venti-
quattr*anni.
Subbotici Armando. Nacque a Spalato in Dalmazia il 1 778
(il suo nome vero fu Subbotic). D' intelligenza svegliatissimo, e
dotato dalla natura di un fisico meraviglioso, non disgiunto
da una voce magnifica, che esercitava un fascino irresistibile
sugli spettatori, ebbe per un ventennio rinomanza di artista
egregio ; e il Colomberti lo chiama V ideale dei primi amorosi
e dei primi attori. Ricorreva spesso nelle uscite di scena a im-
provvisazioni convenzionali, che gli fruttavan dai pubblici poco
educati al bello frenetici applausi. Ma i non educati al bello
5sa SUBBOTICI
pare fossero molti ; poiché, in forza appunto di quegli applausi,
egli trovò posto nelle più reputate compagnie del suo tempo.
Col volger degli anni, fievolita la voce, impinguato il ventre,
raggrinzita la faccia, egli non trovò più posto che in compa-
gnie di secondo, e giù g^ù di infimo ordine, terminando- a Ve-
nezia miseramente la vita verso il 1830.
I COMICI ITALIANI
Tabarin Giovanni, veneziano. Dai documenti appare il
primo conduttore di Compagnie italiane all'estero. Egli recitò
a Linz il 1568 e '69, e a Vienna il '70, '71, '74; ed ebbe titolo
di Attore di Sua Romana Imperiai Maestà (V. K. Trautmann,
/ Comici it. in Baviera, e Albert Cohn, Shakespeare in Germa-
nia) ; e nel Registro di spese del Cardinal Luigi D' Este, si
trova una partita per donativo di sei ducati pistoiesi a Taba-
rin comediante italian, che secondo il D'Ancona apparterrebbe
al febbrajo del '71. Secondo poi il Sand, Taòarìno sarebbe stato
lo Zanni della Compagnia che si recò in Francia il '70, condotta
556
TABARIN
da Alberto Ganassa; ma non ci dice, ai solito, a qual fonte
abbia attinta la notizia. Si sa ancora di lui ch'ebbe un figliuolo
dalla Polonia di Vicenza, sua moglie (e moglie poi di Valerio
Zuccato? O Zuccato fu il primo marito? O divisa dal marito
si unì a Tabarin, e si fece piissare all'estero per sua moglie?).
il giovedì 25 settembre 1572, a cui fu posto il nome di Massi-
miliano. Riferisco dallo Jal testualmente l'atto di battesimo :
Le jeadf xxv septembre 1571, fut baptisé Maiìmilicn filt de Jehu) Thibarìit,
jtalien de VeDìse, et de dam."< Polon;^ de Vìnceace (sic), n remme; le pirrin (aie) boinme
lehsD de Beome, ponT le Roy, lei marriaes noblei damoiielles lehaune de Muinoiiin
tenant poar Uad. de Gaiie, et damoUelle Franfaiae Cler« tenant pour Uadame de Ne-
vers. • Eo marge est ècrit. > M.'' Cnis a receu unz eicu.
Ora; Fu attore Massimiliano? Ed ebbe un figlio che re-
citasse: quello che vediamo il 1659 con una compagnia a Vienna,
in cui era il famoso Dominique? E apparteneva a questa fa-
miglia, o era lo stesso del '59, quel Tamòorino o Taharrino
ciarlatano savojardo nel giornale manoscritto del Fuidoro, ri-
ferito da Croce, che il dicembre del '69 pubblicamente nel largo
TABARIN
della Piazza di Castello a Napoli, fatta nel suo banco una scena,
vi faceva recitar da dieci persone e a tutte sue spese comedie;
e pel concorso grande che vi era sema pagare, vendeva una con-
seriìa di ginepro, che era contravveleno? E Giovanni Tabarìnì di
Venezia diede col suo casato il nome alla famosa maschera del
Ponte Nuovo di Parigi, figurante un quarant'anni più tardi,
come servo del Ciarlatano Mondor, sotto la quale si celava
Giovanni Salomon suo socio? O essa, ignara pur anco dell'esi-
stenza dell'attor Tabarini, fu la caricatura di Francesco Ta-
barin, contemporaneo di Salomon, parigino,
e marito di una Francesca Coulignard (per
l'appunto anche la moglie diTabarino, ma-
schera, si chiamava Franceschìna)? Tutte
domande a cui non si potrebbe, credo, con
sicurezza rispondere. Su che si basano le
notizie romanzesche del Marmontel su la
nascita e la morte del Tabarino del Ponte
Nuovo? Secondo lui, riferito dal Petrai nel
suo Spirito delle maschere, egU
era il bastardo di i
riatcl » tenergli aoicosb
DD giorno il ragBizo v
n cardinale romano ; co«a che sua madre
>sta lino a eh' ci non ebbe v«nt' anni. Ma
so pet quale circostanza, a
e seppe come sua madre vivesse esclusi-
vamente di una pensione che il prelato le faceva corrispondere
dal Vescovado di Milano. Andò al Vescovado, allora, chiese
il registro su cui era iscritta la partita e ne stracciò la pagina.
Saa madre non Io rivide pù. Da Milano andò a Veaeiia, da
Venezia a Napoli, da Napoli a Roma, a Firenze, «Torino, cam-
pando la vita col fare il comico e il saltimbanco. Nel 1618, alla
fine, capitò a Parigi. Quello era il centro dove andavano a cascar
tutti. Aisodatosi con l' empirico italiano Mondor, misero su, ad
imiUxione dì tatti gli empirici del secolo decimosettimo, un pale
Tabarrino fini in modo tragico. Il suo palcosceni
per dieci anni egli aveva gettati alle folla, gli erano rimbalzati nella scarsella
dopfU. L'orgoglio lo tentò; comperò nna terra Teudale,
signore. I gentiluomini dei dintorni s' irritarono per qaella vicinanza, ed
una caccia uccisero il bnfibne, come ana lepre, in un angolo del bosco.
Ma chi voglia più e meglio addentrarsi in questo laberinto
dì notizie e di genealogie io rimando allo Jal, che al nome di
TABARIN
Tabarin, inette ìl resultato delle sue lunghe ricerche, colle
quali, per lo meno, ha potuto accertare chiamarsi il Tabarin
di Parigi Giovanni Salomon, e non aver niun vìncolo di paren-
tela con quello di Venezia. Quanto al costume ho riprodotto
la maschera del Sand,
che non è che una va-
riante dei tanti Zanni di
Callot, e non ha che ve-
dere né con quella del-
la stampa attribuita ad
Abraham Bosse, con-
temporaneo di Mondor,
fatta nella prima giovi-
nezza, poco dopo la sua
andata da Tours a Pa-
rigi-, né con quella della
stampa che sta in fronte
aW Inventaire universe!
des ceuvres de Tabarin
(Parigi, 1623), molto so-
migliante del resto, se
ben più piccola, all' al-
tra: se non che Taba-
rino là è senza barba e
coir enorme tesa del
cappello, base del costu-
me tabarinesco, calata
sull'occhio manco (pa-
gina 556), mentre qui ha
la lunga barba a punta e la tesa rilevata ai due lati, come in
questa riproduzione ammodernata che precede le opere ta-
barinesche nell'edizione del 1858.
Il Salomon soleva intrammezzare con chiacchierate ric-
che di spirito e di.... salacità la vendita degli specifici di
Mondor, talvolta in dialogo, sia col padrone, sia colla moglie
DELAHAYS,
TABARIN 559
Francischina, e talvolta solo; facendo sopr'a tutto sbellicar
dalle risa colle trasformazioni del suo cappello di feltro bigio
a punta, al quale, nelle opere son dedicati due discorsi : De
tantiquité du chappeau de Tabarin, des tenans, abouiissans et de-
spendances, e Les fantaisies plaisantes et facetieuses du chappeau
à Tabarin.
Il colore di tutto il vestito era bianco, di tela greggia ;
come si rileva da una delle tante fantasie tabarinesche, in
cui gli si rimprovera di aver voluto rubare la tela per ve-
stirsi all'ala di un mulino a vento del sobborgo di San-
t'Antonio.
Qual personaggio rappresentava il primo Tabarini? E,
fosse pur di Zanni, com'è a supporre, lo rappresentava col
suo nome di casa o con un nome di teatro? Né anche a
ciò si potrebbe rispondere. Più volte abbiam visto attori e
attrici salire in rinomanza col lor nome di battesimo o di
famiglia, e più altre sol con quello di teatro: e forse il ce-
lebre Tabarini si nascondeva sulla scena sotto uno dei
tanti nomi di Zanni o di altro tipo, non potuti sin qui iden-
tificare.
Il Sand discorre di un tipo, esistito a Bologna fin oltre
il 1850 e passato poi nel dominio delle marionette, che rappre-
sentava un vecchio mercante di circa sessant'anni, ignorante
e orso, col nome di Tabarino, il quale soleva cominciar le frasi
in italiano e finirle in dialetto bolognese. < Padre quasi sempre
di Colombina e alleato del Dottore, egli era - dice - il Cassan-
dro o il Pantalone bolognese. Aveva la parrucca goldoniana
incipriata, veste, panciotto e calzoni corti color marrone, calze
rosse al di sopra de' calzoni, scarpe con fibbia e cappello ro-
tondo. >
Un opuscoletto edito dal Cairo a Codogno (s. a.) sulle cin-
quanta maschere italiane, poco attendibile per quanto riguarda
la esattezza de' costumi, benché graziosamente disegnati, e dei
caratteri, non saprei dire su che basati, benché descritti in versi
abbastanza garbati, ci mostra Tabarrino in perfetto costume
56o TABARIN - TADDEI
di gentiluomo spagnuolo del secolo xvii con sotto questa se-
stina:
Tabarrino dal palco satireggia
contro i nobili finti e cortigiani.
£ l'idolo di tutti i popolani.
Ma la Satira giunge nella Reggia,
e se il comico va fiior di misura,
su la schiena gli fanno la ottura.
Tabò Francesca. Comica fiorita nella seconda metà del
secolo XVI. La vediamo coi Contici Costanti tra gli attori che
firmaron la lettera da Ferrara al Duca di Modena per re-
clamo contro il Pantalone Scarpetta (V. e Degli Amorevoli
Vittoria).
Taddei Francesco. Nato a Napoli il 1 7 70, più noto col
diminutivo di Ciccio, fu uno de' più chiari del suo tempo nelle
parti di caratterista e promiscuo. Aveva esordito come amoroso,
riuscendo egregio nelle scene all'improvviso. Di volto piacente,
di fisonomia mobilissima, sapeva in modo mirabile dare al suo
personaggio l'espressione voluta, senza il soccorso della truc-
catura, fosse esso V Avaro o Ìl Burbero benefico, o il Maldicente,
o altro. Condusse compagnia per trent'anni, e ne fu la colonna a
fianco della moglie Marianna, che da lui educata all'arte riuscì
a farsi molto apprezzare dai vari pubblici sì nelle commedie e
nei drammi, sì nelle tragedie. Morirono entrambi a Roma, egli
nel 1830, ed ella nel 1842.
Taddei Luìg^. Figlio del precedente, nato a Forlì il 1802,
esordì a quindici anni come brillante, riuscendo dopo un sol
lustro d'arte a replicar festeggiatìssimo al Teatro Nuovo di
Firenze il Bugiardo dì Goldoni, e il Poeta Stracciapane, una stu-
pida farsa ch'ei recitò in mezzo all'entusiasmo per ventidue
sere. Tentò la tragedia, alla quale sentivasi irresistibilmente
trascinato; e recitò V Aristodemo del Monti, o meglio, secondo
il giudizio del padre, ne fece la parodia. Tornò subito a' ruoli
comici, passando, ancor giovine, dal brillante al caratterista, nel
quale, coli' esempio del padre, riuscì eccellente.
// Maldicente. Il Burbero benefico. Il Sindaco babbeo. Il Bar-
biere di Gheldria. VAjo nell imbarazzo. Don Desiderio, il Mar-
chese della Locandiera, il Conte del Ventaglio, il Fabrizio degli
Innamorati, e altri, e altri moltissimi, ebbero da lui una inter-
pretazione magnifica. Né men sommo fu nelle parti promiscue
come nel Bene/attore e l' Orfana, nel Chirurgo e il Viceré, nel
Filippo, nella Malvina, nella Leggitrice. e soprattutto nel Papà
Gorioi. lottando col difetto delia voce aspra e chioccia, e vin-
cendo gloriosamente, sì da farsi dire l'emulo e il successore
II. — / Comici ileliam. \
562 TADDEI
degno del grande Vestri. A* primi del '30 fu con la Internari
a Parigi, e vi suscitò entusiasmo, recitando dopo la Rosmunda,
Euticchio della Castagna. Rimase con la Internari due anni an-
cora, poi passò il '33-'34 nella società Domeniconi e Pelzet,
pella quale fu pubblicato a Pistoja un opuscolo di versi, tra cui
scelgo il seguente
SONETTO
AL MERITO SINGOLARE DEL CARATTERISTA
Signor LUIGI TADDEI
Or che nube di duci par che si stenda
di giovinezza sul celeste fiore,
né più il sorriso d'innocente amore
né più lieta l'avvivi altra vicenda;
bello di gloria e amor dritto é che splenda
il raro ingegno che fa scorrer l'ore
inavvedute e care anche al dolore
con semplice e gentile arte stupenda.
Ei sempre nuovo si trasforma e piace,
sia vecchio amante, ossia marito austero,
o sindaco imbecille, od uom loquace.
Segui, segui animoso il bel sentiero,
già porgi ai sommi emulatore, e in breve
primo di tutti salutarti spero.
Fu il '35-'36-'37 con Gattinelli e Costantini, il '38-'39-'40
con Francesco Coltellini, e il '41 a Torino nella Compagnia
Reale Sarda a sostituirvi il Vestri per un triennio. Cancellare
l'impressione dell'incomparabile artista, non era facil cosa; e
il Taddei su le prime andò poco a verso a' Torinesi, tanto che il
Vestri, senza il rapido avanzar del male, avrebbe ripreso il suo
posto. Ma la diffidenza e indifferenza del pubblico non tardaron
molto a dissiparsi, che neW Euticchio della Castagna prima, poi
negli Osti o non Osti, il Taddei ebbe tale successo da lasciarsi
a dietro il gran predecessore. Uscito dalla Reale, tornò a vagar
di compagnia in compagnia, passando poi nel '52 a* Fiorentini
TADDEI
563
di Napoli, ove stette dodici anni, divenuto ornai creatura del
suo pubblico. L'ultima sua scrittura fu pel triennio '65-'66-*67
con Achille . Majeroni al Fondo pur di Napoli ; ma non potè
compierla; che colpito d'apoplessia, dopo diciotto mesi di in-
fermità patita con cristiana rassegnazione, passò a miglior vita
il 29 agosto del 1866.
Fu il Taddei, come il padre, di volto piacente, di occhio
sfavillante, di persona ben proporzionata. Bilioso e sanguigno;
era a volte allegrissimo, a volte insopportabile. Allorquando
appariva in teatro col cappello calato sugli occhi, né pur gl'in-
timi ardivano accostarglisi. Alla mancanza degli studj supplì
con la prontezza singolare dell'ingegno. In un mio manoscritto
di notiziole, raccolte dalla bocca de' vecchi artisti, trovo questa
curiosa, e interessante : < Luigi Taddei buttava al pubblico
ogni fine di frase, e camminava come un ballerino. >
Dettò poesie, non prive di spontaneità e di acume, tra cui
una satirica intitolata Artisti e giornalisti, che ha, tra l' altre,
strofe come queste:
È un foglio inutile,
ma molta gente
va a sottoscrìversi
immantinente:
gli artisti corrono
per la paura
come le pecore
alla pastura.
Molti son miseri
vivono a stento,
ma tutti pagano
l'abbonamento;
e raziocinano
che l'associato
non potrà essere
mai maltrattato.
Se sai conoscere
il bel momento
di saper porgere
un complimento (*).
impareggiabile ! I
non hai peccato ! !
In fra i primissimi
merti il primato:
e tu medesimo
a tuo piacere
di te puoi scrivere
pagine intere.
(*) Ossia dare un regalo.
•>
5^4
TADDEI
Anche si dilettò di pittura; e io posseggo un album di
figurini acquarellati, che Luigi Marchionni cominciò, e Luigi
Taddei completò.
Oltre al sonetto dell'opuscolo (pagina 562) e al brano della
poesia che la sorella dettò per la malattia di lui, metto qui una
odicina del Guadagnoli dettata (1832) pel medesimo soggetto.
Gigi mio, Gigi mio,
se sapessi tu quant'io
ho penato, tribolato,
nel sentir ch'eri malato!
Ma or succede al dispiacere
il conforto di vedere
che il fucile della secca
questa volta ha fatto cecca.
Già Livorno si fa lieto
perchè a lei rivolgi il pie,
ed il povero poeta
che non può venir con te,
t'offre i parti della mente,
onde l'abbi ognor presente.
Su correte, o versi miei,
dall'amabile Taddei
a tenergli compagnia
in mia vece, or che va via.
Se con lui sempre starete
nuovi scherzi apprenderete,
nuove grazie, nuovi sali,
e facezie naturali,
ch'ei succhiato ha dalla balia
per conforto dell'Italia,
che se l'ode su la scena
la dolente isi serena,
e dimentica gli affanni
ch'ella soffre da tanti anni !
TaddeiRosa. Sorella del precedente, nata aTrento il 3oago-
sto 1799, si diede come lui all'arte dei parenti, giovanissima, e
riuscì a soli diciassette anni egregia nelle parti amorose di prima
donna, mutandosi poi in egr^gidi prima donna tragica. Mostrò da
bambina un particolare amore agli studj, che potè coltivare al
fianco dello zio Emanuele Taddei, uomo per dottrina chiarissimo ;
e, dotata di una memoria prodigiosa e di una mente eletta, si
trovò, ancor giovine, ricca di una vastissima coltura storica
e letteraria. Non mai lasciò i classici greci e latini, né lasciò
mai di esercitarsi in dettar poesie di ogni genere e di ogni me-
tro. Recatosi il poeta improvvisatore Pistrucci a Viterbo, a
darvi accademie alternate con le rappresentazioni della Com-
pagnia Taddei, invitò una sera la Rosa a svolger con lui di su
la scena l'ultimo tema datogli. Parve a' più una celia; ma la
giovane artista, che assisteva da un palco di proscenio, si levò
\
incontanente; e recatasi alla ribalta, improvvisò una sestina-
fervorino, che le acquistò subito la benevolenza del pubblico,
andatasi poi grado a grado mutando in entusiasmo, onde, a
tenzone finita, ella fu accompagnata a casa con torce, in mezzo
alle più pazze acclamazioni.
Da quella sera fu improvvisatrice famosa, e giunta a Roma,
accolta e festeggiata da Iacopo Ferretti, tal fanatismo vi su-
scitò con le frequenti accademie, che fu ascritta col nome di
Licori Partenopea tra gli Arcadi di Roma.
Raccomandandola il Perticar! al Conte Gabrielli dì Fano,
scriveva: « Fa ragione che le nove muse vengano di persona
a salutarti, perchè elle ti mandano la Rosina Taddeì loro amica
e compagna. Non vado più in parole, perchè so a che anima
566 TADDEI
cortese io scriva, e perchè una bella giovanetta, che canta versi
soavissimi, non ha bisogno di commendazione. > Francesco Re
di Napoli la pensionò. Dopo dodici anni di casto amore, s*unì
in matrimonio col comico Mozzidolfi, colto e integerrimo uomo,
e morì in Roma il 3 marzo del 1 869.
A dare un saggio dell'arte sua poetica, metto qui il prin-
cipio e la fine dell'ode ch'ella dettò nel '64 per la malattia del
fratello Luigi :
Sorgi, suonò di Naim in su le porte
l'Eterna voce onde T inferno è vinto;
e tosto dal feral ^sonno di morte
surse r estinto.
Ed or la stessa sua voce sovrana,
air orecchio de* fisici eccellenti,
Destatelo, suonò con legge arcana
d' alti portenti :
e ispirati di Cristo alla parola,
sommessi a Lui che V Universo ha in pugno,
obbedian gli educati all'alta scuola
del gran Cotugno.
E sorgi, al fratel mio dicean concordi;
Dio nella nostra la sua man ti porge;
e i sensi, che all'udir pareano sordi,
scuote, e risorge.
Fratel, che tante lagrime mi costi,
solo un conforto hai tu nel tuo malore;
che almen felice nel dolor tu fosti
fra tanto amore.
Deh ! Non sparger d'oblio si dolce idea,
fin che ti basti la novella vita:
Dal giusto Dio che suscita e ricrea,
venne l'aita.
Ei fé' di tutti sperimento : e tutti
trovi degni di premio all'oprar loro;
e lor darà centuplicati i frutti
dall'arche d'oro.
TADDEI - TALLI 567
E poiché immenso don di sua pietade
ti pose il fido Beniamin d'appresso,
che, conforto a' tuoi mali, or la metade
è di te stesso;
appena il potrai tu, fa ch'ei ti guidi
al tempio di Maria, madre di Cristo,
se delle offese membra ti confidi
riaver l'acquisto;
e udrem, nuovo miracolo di Cielo,
la stessa di Gesù voce divina,
ripeterti col suon dell'Evangelo:
Sorgi e Cammina.
Talli Virgilio. Nato a Firenze il i° agosto del 1857, ed
educato al Collegio Cicognini di Prato, cominciò a recitar tra i
dilettanti nelF Accademia Filodrammatica Fiorentina che aveva
sede al Palazzo Rinuccini e contava recitanti egregi, tra cui
primo per verità e spontaneità e finezza il porta-lettere Fan-
toni. Dall'Accademia Fiorentina passò a quella de' Fidenti, dalla
quale uscì T'Si per andare scritturato con Adeleide Tessero,
che lo alzò subito al ruolo assoluto di brillante. Restò con lei
fino air '85, e fu i primi due anni e mezzo nell'America del Sud
e nella Centrale, ove si formò il repertorio, e ove mostrò
subito una singolare signorilità di recitazione e di modi, da
ogni pubblico ammirato e festeggiato. Fu V '86 con Novelli,
e r '87-^89 con Pietriboni, per diventar poi capocomico assieme
a Paladini, colla moglie Ida Carloni(V.) prima attrice; nel qual
tempo fé* conoscere agritaliani i lavori del Becque, di cui primo
La Parigina. Dopo la società con Paladini, ne formò una con
Reinach, della quale era prima attrice Virginia Reiter, creando
poi la famosa Compagnia comica Talli-Sichel-Tovagliari, una
delle più fortunate del nostro tempo, sì per la novità e origi-
nalità del repertorio, sì per la spigliatezza e T affiatamento.
Stette poscia con Teresa Mariani un anno, e un triennio
con Di Lorenzo- Andò ; dopo il quale formò società con Irma
Gramatica e Oreste Calabresi; società che dura da quattro
S68 TALLI
anni, e in cui s'andò egli acquistando la fama di direttore forte
e intelligente: accresciuta oggi {1904) coli' allestimento della
tragedia La figlia di Jorio dì Gabriele D'Annunzio, che va scor-
rendo trionfalmente i teatri d'Italia. Ancora due anni, e questa
Compagnia che s'è conquistato il posto primo tra le prime,
non solo per le parti che la compongono, ma anche, e più,
per la bella armonia dell'assieme, si sfascierà tutta per dare
nuove missioni da compiere, nuovi ideali da tradurre in fatto,
o nuove speranze di lucro. Oreste Calabresi diverrà capoco-
mico solo, e avventurerà al gran pubblico una giovine pro-
messa: Elisa Severi; la Gramatica diverrà capocoraica sola, e
scritturerà primo attore e direttore Flavio Andò; Virgilio Talli
farà una compagnia col proposito fermo di toglier dì mezzo
tutte quelle piccole convenzioni di palcoscenico, che tendono
TALLI - TASSANI 569
ad infrenare il libero corso dell'arte, e principale quella dei
ruoli.
Il male ormai è radicato da secoli, ed estirparlo non è im-
presa agevole; ma se uno v'ha che possa riuscirvi, egli è certo
Virgilio Talli, che per la fierezza dell'indole e la pervicacia
nella lotta non ha chi gli stia a paro.
Tarasse (V. Soldino).
i Lorenzo. Attore caratterista e promiscuo, e capo-
comico, ch'ebbe scritturata nel 1826 tutta la famiglia Don-
dini. Recitava anche sotto la maschera à! Arlecchino, festeg-
giatissimo. Era forse figlio di un Giuseppe Tassani, che trovo
Brighella, sul finire del secolo xviii in Compagnia di Giovanni
Fabbri.
Passò poi da capocomico ad attore generico e direttore
delle rappresentazioni nella compagnia di suo figlio, e morì a
Taranto a 82 anni il 16 marzo del '72. Fu prima attrice asso-
luta della sua compagnia la moglie Giuditta.
li Napoleone ed Elena. Figlio il primo del prece-
dente, fu attore e capocomico, e abbiamo l'elenco della sua
compagnia pel 1857: anzi due elenchi, uno dello Scaramuccia
(n.° 40), l'altro di G. Cosentino {L'Arena del Sole). In quello
figuran come prima attrice e primo attore i coniugi Elena Pe-
trucci-Germoglia e Giuseppe Germoglia; in questo. Elena Ger-
moglia-Tassani, e Vincenzo Andreani. Forse lo Scaramuccia
ebbe l'elenco in quaresima e noi pubblicò che in agosto, quando
la Germoglia, morto il marito, passò a seconde nozze col Tas-
sani? Dopo sei mesi di vedovanza? O lo Scaramuccia ripub-
blicò un elenco degli anni scorsi? Non pare possibile. Certo
r elenco del Cosentino è stato pubblicato colla scorta del docu-
mento che ci dà il Tassani marito di Elena Germoglia, figliuola
del caratterista Giuseppe Fetrucci (V.), < giovane e bellissima
attrice - scrive Cosentino - che lo ajutava a portare il fardello
72. — / Comici italiani. Voi. II.
del capocomicato irto di difficoltà pecuniarie, > e che si meritò
dal pubblico veronese l'onore della presente effigie nel IV atto
di Medea.
Napoleone Tassani rappresentava di preferenza i dram-
moni da popolino, ai quali faceva seguire la declamazione dei
libretti di opera Trovatore, Norma, Emani, ecc., con cori e or-
TASSANI - TELDI 571
chestra. Dio sa quali! In quell'estate deiranno '57 a Bologna,
la Compagnia, essendo inoltrata la stagione, passò dall'Arena
al Teatro del Corso.
Figurava nella stessa Compagnia una Maria Tassani, e il
Tardini {Teatri di Modena) annovera una Amalia Tassani-Maje-
roni, amorosa il '57 con Luigi Aliprandi, il '58 con Luigi Ro-
botti, e il *62 con Francesco Sterni ; poi prima attrice assoluta
il '68 con Gaetano Benini, moglie di Emilio Tassani, e madre
di Enrichetta, generici.
Tassi Lodovico. Modenese. Fu attore di pregio per le
parti di Dottore, e recitò alcun tempo in Compagnia Medebach.
Passò poi in compagnie vaganti, sempre ammirato, e finì, a
motivo della sua condotta disordinata, in piccole accolte di
Comici Castelleggianti, cessando di vivere miseramente in Vi-
gevano Tanno. 1769.
Tatarone, ossia, vecchio che vuol fare il tata, il mimmo,
parlando con favella mozza, infantile; fu soprannome d'un
comico bolognese, che recitò nelle migliori Compagnie con
la maschera del Dottore, < e si mostrò — dice Francesco Bar-
toli — grazioso insieme ed erudito nel sostenere il carattere
del suo secondo vecchio, parlando con assiomi latini, e fa-
cendosi distinguere per ottimo commediante. Morì nel 1750
circa. >
Teldi Tilde. Nome di teatro di Matilde Tescher, figlia
della nota artista lirica tedesca. Nacque a Milano il 14 aprile
del 1878, ed entrò giovinetta nell'Accademia de' Filodram-
matici diretta da Luigi Monti, dalla quale passò scritturata
il 1895 p^^^^^ attrice giovine e amorosa nella nuova Compagnia
Garrin di Cocconato, di poca fortuna. Toltasi alcun tempo dal-
l'arte per malattia, vi tornò l'autunno del '96, scritturata collo
stesso ruolo da Eleonora Duse ; e fu con lei in Russia, in Ger-
mania, in Francia. Il '98 fu chiamata a far parte della nuova
Compagnia del Teatro d'Arie di Torino, al fianco dì Giacinta
Pezzana, e il '99 dì quella da me formata, nella quale ebbi
campo di studiare e ammirare il temperamento artistico della
giovine attrice. Tilde Teldi è stata, direi, l' ideale della prima
attrice giovine del suo tempo. Mentre tutte le sue colleghe di
ruolo si tuffavano a capo fitto come prime donne assolute nel
gran repertorio, ella, per una cotal deficienza di mezzi vocali,
rimaneva nella sua modesta cerchia amorosa, facendosi ovun-
que notare per le grazie del volto, la forza del sentimento e la
soavità del dire. Oggi, andata a marito, vive a Torino fuor
dalle scene.
1#
TELLINI - TESI 573
Tellini Achille» livornese, è stato un egregio primo attor
giovine, scritturato da buone Compagnie, quali di Achille Don-
dini (1873), di Luigi Monti ('78),
di Vincenzo Udina ('81), ecc. Né
sol delle doti di attore egli andava
ornato, ma anche di disegnatore,
che egli precedette i comici Gal-
vani, Ruggerì e Farulli nel ripro-
durre i maggiori coUeghì - la
Duse, Cesare Rossi, Andò, Zac-
coni, ecc., - in geniali caricature ;
dove, se difetta la correttezza del
disegno, è pur sempre un senti-
mento e uno spirito de' più vivi,
non raggiunti fin qui. È passato
il Tellini dagli amorosi ai primi
attori e da questi a partì di minore importanza; e anc'oggi,
di compagnia in compagnia mediocre, va esercitando l'arte
comica con varia fortuna.
Tesi Faustina, di Crema, moglie di Domenico Tesi comico
bresciano, « ÌI quale - dice Fr. Bartoli - sarebbe stato un abile
commediante se non avesse trascurato Ìl mestiere a segno di
ridursi a recitare tra' Comici Castelleggianti, e a suggerire tra
vaganti compagnie, » fu attrice valorosa specie nelle parti tra-
giche. Recitò nella prima giovinezza le parti di serva, e vi fu
ammiratissìma; in una particolarmente, nella quale eseguiva
un volo pericoloso : tal che una sera al S. Samuele di Venezia
cadde a terra dall'alto, levandosela con pochissimo danno. Co-
minciò a recitar da prima donna il 1756 nel Teatro della Sala
di Bologna, e vi piacque assai sì nelle commedie improvvise,
come nelle scritte.
Separatasi dal marito, si diede allo studio della musica,
e calcò alcun tempo le scene liriche, tornando poi, pel mediocre
successo, alle drammatiche, scritturata il 1770 al S. Gio. Gri-
574 TESI
sostomo di Venezia con Girolamo Medebach. Si tolse da esso
Tanno dopo, fuor di tempo, « e dall'amicizia - dice Bartoli —
di nobile cavaliere letterato ricavar seppe a vantaggio suo delle
favorevoli disposizioni > (?).
PcLSSÒ poi con Onofrio Paganini, tornato allora di Spagna,
ma gelosa degli applausi della nuora, se ne staccò subito, e
andò con Pietro Rossi, col quale stette un anno. Unitasi a Cri-
stoforo Merli, primo innamorato (V.), formò il 1776 una Com-
pagnia di buoni artisti, colla quale percorse decorosamente le
migliori piazze, quali Bologna, Parma, Trieste, Milano, Brescia,
Mantova, ecc., e della quale un foglio volante di Sassuolo ci
dà r elenco : Faustina Tesi, Cristoforo Merli, Giovanni
Valentini, Vittorio Mattagliani, Antonio Fiorilli, Gio.
Batta Gozzi, Ferdinando Colombo, Francesco Panazzi, Do-
menico Conti, Luigi Delicati, Maria Nasi.
Andò il 1777 con esso Merli e con Giovanni Valentini a
Napoli, d'onde rimpatriò dopo un solo anno, continuando a
condur Compagnia con favorevole successo ad onta dell'età
non più giovine e di alcuni incomodi ; ma sopr'a tutto della sua
indole collerica e sdegnosa, che la faceva intrattabile. E questo
prova, mi pare, quanti e quanto grandi fossero i pregi suoi di
artista. Magnifica di figura e di voce, ricca d* intelligenza, par-
latrice elegante, piena di cuore verso i suoi compagni, era una
specie di Ristori d'allora. Ma la pienezza di sé attenuava di
molto e talvolta distruggeva agli occhi di chi l'accostava i
pregi suddetti.
A mezzo anno pianta Medebach, poi Paganini, poi si se-
para dal marito, poi sbraita contro le sconvenienze del pub-
blico, poi si ribella ai compagni, poi.... diventa odiosa a tutti.
Il Bartoli si prova, naturalmente, di dare un colpo al cerchio
e uno alla botte, dedicandole un de' soliti sonetti, e condan-
nando il Piazza di aver avuto per lei < parole puntate che dalla
penna di pulito scrittore non devono uscire giammai; > ma per
la Tesi, almeno, non osa, come per altre, accusarlo di calun-
niatore.
.ÉÉà
TESI - TESSARI 575
Vale la pena che io le metta qui per intero (// Teatro,
tomo I, art. VI-VII).
passai alla camera della prima donna, eh' era poco lontana. Trovai una
persona di vantaggiosa statura, ma un po' avanzata negli anni. Me le presentai con un'aria
di sommissione, che gonfiò la sua vanità. Fui accolta a braccia aperte da lei, che nelle
parole e negli atti, non poteva essere più cortese e obbligante. Mi regalò un bacio che
mi sconvolse lo stomaco per il fetor del suo fiato. Glielo restituii su una guancia, con
tutti i riguardi di sanità. Palesandole il bisogno eh' io aveva della sua protezione, la trovai
si disposta a farmi del bene, che rimasi stupita. Cominciò a parlarmi de' suoi compagni
e loro fece una raccomandazione, che non mancava di alcun requisito.
Seppi la storia della prima donna, che da qui innanzi io chiamerò col nome di
Megera, Trasecolai nell' udirla, e qui non la inserisco, perchè scrivo la mia, non quella
delle altre; ma dirò alcuni tratti particolari, che divertir potranno chi legge.
In un mese di tempo aveva ella cangiate ventisei serve. Ognuna, che se le presen-
tava, le accomodava, pareva fatta per lei, e non passava un giorno che la buona diven-
tava cattiva, ed era licenziata, o andava a sua posta. Per mangiare s' era servita a tutte
le osterìe di Milano, e per necessità facevasi cuocere in casa; perocché nessuno voleva
più aver a fare con lei. Acconciavasi da sé non trovando un parrucchiere tanto paziente
che potesse reggere alle sue stravaganze. Brava per bestemmiare, non la cedeva a un vet-
turino napoletano ; ardita nelle risse, pareva un granatiere infuriato che minacciasse rovine
e morte, ma se trovava una faccia dura, che agli urli suoi non si sgomentasse, quella
Tigre diveniva una pecora che si cacciava tra le gambe la coda, e cedeva vergognosamente
il campo della battaglia. Un giorno, dopo aver strapazzato ingiustamente il garzone d' un
caffettiere, che la serviva ed era uno svizzero, gli diede uno schiaffo. Il ragazzo soflH le
parole, ma non i fatti, e le scagliò in faccia tutta la roba di bottega che seco aveva, segnan-
dola in fronte, e scottandola col caffè. In luogo di continuare la zuffa, misesi a gridar :
ajuto, misericordia, son morta. Pianse, urlò, mise la contrada sossopra, e fece entrare
una sentinella nel casino, come se trattato si fosse d'un omicidio. Una lavandaja, accu-
sata da lei d' averle rubata una camicia, e certe altre pezze, e venendo chiamata una
ladra, una brutta B.... le diede due guanciate pesanti, al cui suono echeggiò la camera.
Ella se le prese, pianse, e si fece venire le convulsioni. Che più ? Lo stesso suo amante,
il nido della tolleranza umana, la bontà personificata, un uomo di miele, fu costretto più
volte a batterla come un tappeto, ed erano poche sere che prendendo seco il fresco di
notte vicino alla Porta orientale, le aveva scossa la polvere dell' andrienne co' colpi della
sua canna. Questo poco serva a far meglio conoscere quella donna ; il molto che io taccio,
empir potrebbe un volume.
Accasciata dal male, stette alcun tempo lontana dal teatro ;
e morì in Brescia il 14 novembre del 1781.
Tessari Alberto, Pietro, Marc' Antonio. Nato a Verona
il 21 giugno del 1780 da Epifanio del fu Marco Tessari e da
Rosa Turella, si diede, appena compiuto un regolare corso di
studj, a recitare nella Filodrammatica della città, scritturandosi
poco di pfbi col Paganini, dal quale passò in processo di tempo
57.6
TESSARI
col Bianchi, con la Consoli e Zuccate, e finalmente col Fabbri-
chesi, Direttore della Real Compagnia Italiana. Quando questi
condusse nel 1 824 la Compagnia nell'Italia Centrale, il Tessari
ne uscì, per rientrarvi poi l'anno dopo, diventandone a'Fioren-
tini, il proprietario fino all'anno 1839, in società con Prepiani
e Visetti (V)., stipen-
diato dalla Corte. Pas-
sò poi, colla moglie, la
celebre Cavalletti (V.),
in Compagnia di Cor-
rado Verniano (o forse
più esattamente Ver-
GNANo)perun triennio,
per doventar di nuo-
vo capocomico di una
compagnia di giro, che
lasciò dopo alcuni anni,
ritirandosi dalle scene
per la morte di un unico
fratello che lo lasciò tu-
tore de' figli e ammini-
stratore del loro ricco
patrimonio.
Abbiamo molte testimonianze della sua arte e della sua
bontà. Colomberli, contemporaneo, lo chiama un « ottimo Pa-
dre Nobile, riuscito ugualmente bravo nei tre generi di recita-
zione, » e Luigi Aliprandi, contemporaneo e scritturato, dice
di lui largamente ch'ebbe figura possente, ma voce alquanto
aspra, e modi risoluti e austeri, da farlo credere di una seve-
rità grandissima; mentre, in realtà, era l'uomo piii mite e in-
dulgente del mondo, E narra l'aneddoto che scontrato per via
da un meschino attor di provincia, che gli si raccomandò per
un abito vecchio, squadratolo da capo a piedi con atto di stu-
pore, « ma come! — gli disse; — per ridurre un abito mio al
vostro dosso, ci avreste da dare al sarto una somma..* Mi pare
TESSARI - TESSERO 577
sarebbe molto meglio ve ne faceste uno nuovo.... > L'attore lo
guardò umilmente, e balbettò: <Si fa presto a dirlo.... ma....>
E Tessari di rimando: ^ Ho capito. > E senza perdere un istante
lo condusse da un mercante di panni. Staccò quel tanto che
occorreva per un vestito, e pagato il prezzo, senza che T altro
avesse il tempo di dirgli un « grazie > uscì precipitoso di ne-
gozio. E Aliprandi aggiuge che ben considerata l'indole di
lui, non si penerà a credere com'egli recitasse a meraviglia
// Burbero benefico, L' Abate de L'Épée, I due /rateili alla prova.
La restituzione del portafogli, e altro di simil genere. Il Regli,
a proposito della recitazione tragica del Tessari, dice che « si
parlava ancora (1860) del modo stupendo con che rappresen-
tava il Filippo d'Alfieri, Creonte, ecc.; > e F. Righetti, nel volume
secondo del suo Teatro Italiano, < Ho riconosciuto — scrive —
pochi attori, che più del signor Tessari studiassero di penetrare
nel carattere del personaggio che dovevano rappresentare.
Uomo colto come egli è, sapeva benissimo che un attore assen-
nato non deve nella pittura d' un personaggio, principalmente
storico, abbandonarsi al caso.... Io amo più un attore che abbia
sbagliato il carattere d'un personaggio per averlo mal interpre-
tato, che quegli che l'abbia indovinato per caso, e senza riflessio-
ne.... Il nostro Tessari convinto di questa verità, rifletteva, e sen-
tiva; e colse il premio del suo studio nell'estimazione dei saggi. »
Da un volume ms., intitolato Coscrizione prima - Registro
de' Volontari, si ricava che Alberto Tessari era alto 5 piedi,
4 pollici e 5 linee, ed aveva i seguenti connotati : < capelli ca-
stagna, fronte spaziosa, ciglia castagna, occhi cerulei, naso
lungo, bocca regolare, mento rotondo, viso largo. >
Tessali Carolina (V. Cavalletti-Tessari).
Tessero Giovanni. Primo attore assoluto il 1826 nella
Compagnia di Tommaso Zocchi, poi nella stessa il '38, a vi-
cenda con Giovanni Trenti, che il raccoglitore lucchese chiama
mediocre, poi, sempre nella stessa e di nuovo assoluto il '43.
73. — / Comici italiani. Voi. IL
578 TESSERO
Tessero Pasquale. Fratello del precedente, nacque in
Aquila da Antonio Tessero Ìl 1797. In un artìcolo del Fan/ulla
delia Domenica del 1° gennajo 1888, Giuseppe Costetti Io dice
non figlio d'arte, mentre Ìl Colomberti lo fa nascer da genitori
oriundi napoletani che esercitavan l'arte drammatica. Cominciò
a recitar giovinetto, e abbandonata la famiglia, percorse l'Italia
in compagnie secondarie ora scritturato, ora socio, cominciando
la sua vita artistica propriamente detta, nella Reale Compagnia
Sarda, in cui apparve il 1836 in qualità di tiranno tragico & /ami-
gliare, e in cui restò fino al disciogliersi di essa. Lo vediamo poi
il '60 e il '62 in tournée con la grande cognata Adelaide Ristori.
Pasquale Tessero, di corporatura tarchiata, di folta capigliatura,
di voce imponente, fu un tiranno modello, e s'ebbe da' suoi
compagni d'arte il nomignolo di magna puièi (mangia fanciulli).
Tuttavia ne' primi tempi il tiranno non fu considerato,
come più tardi, un ruolo a tinte fosche obbligate : poteva essere
primo attore, e anche amoroso : tant' è vero che la parte di
Ugo, oggi primo attor giovine, nella Pia de' Tolomei del Ma-
renco, fu affidata al tiranno {Costetti, C. R. S.).
Il Tessero mori a Bologna il 24 dicembre 1887, assistito
amorosamente dalla moglie Carolina, che fu sorella minore di
TESSERO
Adelaide Ristori, e artista non ìspregievole, nata a Brescia
il 4 novembre 1823, e morta a Genova il 1890.
Tessero Adelaide. Figlia del precedente, nata a Firenze
1*8 dicembre 1842, nel popolo di S. Simone, fu per comune
consentimento la maggiore della gran triade che regnò sulle
nostre scene dal '60 all' '80 incirca,
per la spontaneità e il sentimento pro-
digiosi. Nata da artisti di pregio, cre-
sciuta sulle tavole del palcoscenico,
all'ombra, direm quasi, della grande
zia, non è a stupire ch'ella divenisse
grande a sua volta, dando i primi se-
gni di una eccezionale intuizione a soli
nove anni, quando al Teatro Re di Mi-
lano si presentò a recitare nella Gio-
vannina dei bei caveUli. A tredici anni
appena era già l'amorosa della Com-
pagnia italiana di Giovanni Toselli,
che andava maturando il disegno di una Compagnia piemon-
tese. A quindici si unisce alla zia e percorre con lei le grandi
capitali di Europa, e dopo un anno eccola in Italia ed eccola di
nuovo con Toselli per alcune rappresentazioni, prima donna/
e questa volta, della Compagnia dialettale da lui formata, re-
citando la Prancesca da Rimini del Pellico, parodiata dal To-
selli stesso, col titolo: Cichina if Mofuale {\%<^<^. Riparte con la
zia, e dà segni non dubbi di futura grandezza.... Ma non monta
in superbia per ciò: tornata in Italia, memore di quel che fu
il maestro per lei, si unisce ancora a Toselli, interpretando
'sta volta i capolavori del Teatro piemontese, quali Sablin a
baia, Gigin a baia nen, Margritin die violette, e suscitando nel
pubblico accalcato nel piccolo teatro Rossini il piii schietto e
più vivo degli entusiasmi. A questo punto lascio la parola a
Luigi Pietracqua, che da proto della Gazzetta del Popolo, passò
ad essere il più forte autore del Teatro piemontese, per senti-
mento di modernità, accoppiato alla più ardente passione (tra-
duco dalla gazzetta dialettale 'Ibirichin del 5 settembre 1896):
Udì figurili* sUnciaU, sottile e drilU, e coti nfttntalmaite elesanle, ch« i\ larebbe
detta nodellat£ Aa, Fidia o da Fratdtek. Avea lo sguardo profondo, esprcuiro, sereno
e ioave a dd tempo, inteUigùitiiiimo; nu compleaio di fitìonoinìa che ave* qualcosa delle
Madonne del Mnrillo e del Dolce, che facea ricordare le più belle incamaiioDi dell'arte
bizantina, e che, tatto ben considerato, lomi-
(■liava nn'edncanda ascila fresca fresca dai no-
stri Col le^-Conv itti delle monache. Io ebbi la
fortuna di conoscerla quando non aveva che qoìo-
:, dove la Tessero die prova di tutti ì suoi
D* la Gufìa o pai Hi Garelli, k passata
sempre trionfalmente a Gigìn a baia nen, a Giors
'l Santuari, a Le spondt dtl Pi, Debbo dirlo
a onor del vero : qnest' ultimo lavoro, nella sua
semphcità originale e poetica, fu una vera rive-
lazione artistica per la noalra Adelaide.... Totti
dicevano non più trattarsi di una bimb* qua-
lunque, ma di una vera artista fatta e provala.
E infatti, era tanta e cost evidente la precocità
■rtittica in queir ■dor*bile fanciulla, che io stesso
udii ripeter le mille volte in platea: «Ecco una
vera prima donna ideale, • A quello delle Sponde
del Po, segui il successo di Sablin a baia: ma
dove la splendida larlalla si levò sulle ali pode-
arlìstici, sì fa in Margrilin die vio-
lette, una felice riproduzione, o riduzione, del dramma tipico di Dumas.
Dal Teatro piemontese passò poco di poi al Teatro ita-
liano, primeggiando nella Compagnia Bonazzì a fianco di Vir-
ginia Santi e di Enrico Cappelli, prima ; indi in quella di Ala-
manno Morelli, con cui stette acclamatissima un triennio. Uni-
tasi in matrimonio con Giovanni Guidone, si allontanò per due
anni dalle scene, alle quali tornò più entusiasta che mai, scrit-
turata da Bellotti-Bon (Compagnia n." i, 1873), dopo il clamo-
roso successo avuto nella Marce/lina di Marenco al D'Angennes
di Torino, in unione a Giacinta Pezzana, quella che raccolse
degnamente la sua eredità artistica in Compagnia Toselli.
Fu poi gran tempo con Alamanno Morelli, del quale di-
ventò socia, poi si diede al capocomicato con varia fortuna,
percorrendo le grandi città di Europa e di America ; poi..,, per
582 TESSERO
una malattia cancerosa al petto, che la rose lentamente, do-
vette, in mezzo agli spasimi, soccombere a Torino il 24 gen-
najo del 1892.
Adelaide Tessero!... Chi volesse chiamarla con nome anto-
nomastico, dovrebbe dire: La grande lottatrice! Mai artista di
teatro si è sentita così gagliarda e possente in faccia alle bufere
della platea.... Pareva ch'ella godesse di trovarsi alle prese col
mostro dalle cento teste, e assaporasse nel conflitto l'ebbrezza
della vittoria.... Che lanci di leonessa! che ruggiti di tigre! che
gridi di angoscia, di terrore ! chi ricorda, chi ricorda i tre gridi
famosi del Suicidio di Paolo Ferrari, e il famoso Vedova di Donna
0 Angelo di Teresa Sormanni, senza fremere ! che vita vissuta
fu quella di Adelaide Tessero sulla scena ! Con quale sponta-
neità si movevan que' personaggi ! Che lagrime sgorgavano
da quegli occhi infiammati! Come ci si sentiva commossi da-
vanti a quelle possenti creazioni, ch'erano: Patria, L'Odio,
Fernanda di Sardou, Messalina, Cleopatra di Cossa, Le famiglie
illegali di Pailleron, Il Ridicolo di Ferrari, e più tardi Odètte di
Sardou, Maria Antonietta ed Elisabetta Regina d' Inghilterra di
Giacometti, Maria Stuarda di Schiller, e tutto infine il reper-
torio della gloriosa zia Adelaide. Ristori ! !
Ermete Novelli, uno dei pochi, il solo forse, veramente ca-
pace d'intendere quella recitazione tutta impulsi, senza un fil
di meccanica, dettò nel Fanful la domenicale del 31 gennaio '92,
poco dopo la morte di lei, un articolo ricco di commovente en-
tusiasmo, da cui mi piace, per chiuder degnamente questo mio,
stralciare un brano, che si riferisce a una recita di Fernanda al
Margherita di Genova per la famiglia di Carlo D'Antoni.
Tutto, come dissi, andò.... come doveva, splendidamente; ma dove l'entusiasmo
del pubblico non ebbe più limiti, senza contare la commozione dei fratelli d' arte, fu al
terzo atto, alla famosa scena fra Clotilde e Pomerol I Non fu più la rappresentazione,
no : fu tutto un dramma rubato alla vita ! Lei più nulla aveva di donna ; era diventata
una belva: il suo viso, cosi dolce di solito, non era riconoscibile.... Pallida come un ca-
davere.... le labbra più pallide ancora, contratte, umide di bava.... Ne fui talmente spa-
ventato per quelli che diceva di odiare, e ai quali voleva fare tanto male, che non com-
presi nuli' altro, se non il dovere di difendere da quella Jena quei disgraziati ! Me le
avventai addosso furibondo, la presi alla vita, strappandole con le unghie la stoffa del
TESSERO - TESTA 583
corsagt, tentando trucinarU verso U quinta, senza TÌnscirTi, tanta era la forza, l'agilili
con cai mi «fuggiva di mano orlando, sibilando t Finalmente, mi rinsd di moltiplicare
le forze ; la sollevM. Il teatro sembrava deserto, tanto era profondo, spaventoso il silenzio
che vi regnava. Si sarebbe detto che quei mille spettatori fossero compresi dalla veriti di
quel dramma ; non si sentivano che t miei rantoli rabbiosi e le grida soffocate della pò-
. vera Adelaide. Come siamo entrati dentro le quinte, come non siamo caduti, non laprri
dire; so lolamente che il pubblico la chiamò alla ribalta per ben undici volte, dico nndid,
sventolando i fazzoletti, in piedi e che, alla fine, ci trovammo abbracciali e piangenti,
bBciaadoci come due innamorati! Lei gridava: • Ecco, ecco la mia atte.... ritomo giovine!...*
E io non aapevo che ripeterle: < come sei grande, come sià grande! >
E dopo quella memorabile recita, ella tornò a Sampierda-
rena, ove faceva il carnevale con una compagnia..., non sua.
Adelaide Tessero!!!
Tessero Laura. Sorella mi-
nore della precedente, fu prima
attrice giovine di qualche pregio, e
la vediam la prima volta insieme
all'Adelaide del 1861 in Compa-
gnia Morelli, dove la troviamo
ancora il '79, e 1' 80 quando ne
fu socia la sorella, con cui tra-
scorse gran parte della sua vita
artistica. Fu moglie di Olinto Ma-
riotti (V.), morto ÌI quale passò a
seconde nozze con Antonio Boz-
zo (V.), vedovo di Amalia Checchi.
Oggi Laura Tessero, passata ai
ruoli di madre, vive la vita di
compagnia in compagnia di secondo ordine, con una figlia,
avviata anch'essa all'arte de' parenti.
Testa Detto in Comedia Aurelio, fu comico insigne
a Napoli (V. Bucca, e note del Fuidoro sub ottobre 1630 cit.
B. Croce, Teatri di Napoli. 781) fatto uccidere da Vincenzo
Capece, un de' primi proprietarj insieme a Ottavio Sgambalo
del Teatro de' Fiorentini, Aurelio!... Comico insigne!... i6jo/...
584 TESTA - TOFANO
Che finalmente si possa identificare in questo Testa V Aurelio
conosciuto fin qui col solo nome di teatro, che il Bartoli dice
fiorito verso il 1630, che il Belgrano trova il 16 io a Genova
direttore di una accolta di nobili dilettanti, che il Martinelli
cita in una sua lettera da Milano del 1620, e di cui il Berto-
lotti riferisce una lettera del 7 luglio 1 621 da Napoli al Duca
di Mantova, firmata « Aurelio fedele comico > (V. D'Ancona,
op. cit)} A ogni modo però non potrebbe essere questo lo stesso
che il Padre Ottonelli asserisce di aver veduto a Firenze il 1 640,
e chiama ripetutamente < Capocomico degli Uniti. >
Tizone. È ricordato da Molmenti {Venezia nella vita privala)
insieme a Giampaolo, Trapolino, e Cimador fra' Comici che fio-
rirono a Venezia ai primi del secolo xvi : Cimador (V.) e Ti-
zone sono menzionati dal Sanuto.
Todeschini Battista. Nato a Genova il 1771 fu pittore
egregio paesaggista, e artista comico non ispregievole per le
parti di caratterista. Ma il teatro non fu che un mezzo per ven-
dere i suoi quadri che andava dipingendo dal vero in ogni
piazza. Abbandonate poi le scene, si restituì in patria, ove morì
nel 1831.
Tofano Nicola. Nato ad Airola (Regno di Napoli) il giu-
gno del 1 806 da parenti facoltosi, fu messo, giovinetto, nel ce-
lebre Istituto Truglio, dal quale dovette uscire anzi tempo per
rovesci di fortuna. Si scritturò il '23, e per un quinquennio, con
Salvatore Fabbrichesi; e con l'esempio del gran Demarini do-
vente in breve attore de' più egregi sì pel dramma come per
la tragedia. Dopo alcuni mesi di alienazione mentale, un suo
fratello lo consigliò, a meglio distrarsi, di darsi alla pittura
per la quale aveva mostrato da giovine chiara inclinazione; ma
l'amore per l'arte drammatica prevalse in lui, sì che, tornato
alle scene, s'ebbe le più entusiastiche accoglienze, specie a Pa-
lermo ove mancava da venti anni. Morì il 27 dicembre del 1855.
TOFFOLONI 585
Tofifoloni Francesco. Figlio di parenti facoltosi, che vede-
vano in lui un futuro letterato, dovè interrompere gli studj,
giunto a filosofia, còlto da una passione, per la quale fu costretto
a fuggire, lasciando la sua in lite con la famiglia della.... fan-
ciulla: lite che cessò coll'isborso da parte di quella, di alcun
migliajo di scudi. Per siffatto motivo, fu costretto il Toffoloni
a darsi all'arte comica, nella quale riuscì mediocremente. Sposò
la cognata di Fabbrichesi, Gaetana Fontevichi, vedova Caval-
letti, e madre della celebre Cavalletti-Tessari (V.); morta la
quale, passò a seconde nozze con Giovanna Stefani, che diventò
il fortunato sostegno della Compagnia del marito, omai capo-
comico di grido ora solo, ora in società con Caterina Venier
e con altri.
ToflFoloni Giovanna. Moglie del precedente, e figlia di
comici, fu un* egregia, prima aUr ice giovine, poi, divenuta sposa
a Francesco, passò alle parti di prima donna assoluta, che so-
stenne con molto successo, più specialmente nelle commedie
goldoniane, e in dialetto. Accoppiò alla vivacità e all'ingegno
naturali una bellezza non comune. Lasciato col sopravvenir
degli anni il ruolo di prima donna, passò con egual merito a
quello di madre nobile. La vediamo il carnovale del 1 820 al S. Sal-
vatore di Venezia, rappresentare col Gallina, Gatteschi, Toto
e Menichelli il repertorio di Francesco Avelloni intermezzato
di drammi spettacolosi, quale V Innegunda di Scandinavia, o //
gran combattimento all'ultimo sangue per generosità di cuore, di
M. Zegler, ridotto da Filippo Casari, che s'ebbe l'onore di sei
repliche non interrotte. La Toffoloni si trovava l'aprile del '23
al Giglio di Lucca, in società colla Venier, a fianco del primo
attore Giacomo Bon Martini, acclamatissima. Fra le lodi pro-
digate al valor suo, ve n'ha una anche all'artista lirica, la
quale si mostrava, accompagnata da piena orchestra, special-
mente nella farsa La Commediante, in cui sosteneva sette di-
versi personaggi, e cantava sette pezzi scelti tra i più riputati
maestri.
74. — / Comict italianu Voi. II.
586 TOMASI - TORCHI
Tornasi Bartolommeo. Di civil famiglia, ferrarese. Adde-
stratosi co' Filodrammatici della sua città natale nelle parti di
Paìitalone, riuscì comico egregio, e fu più anni sotto quella ma-
schera, con Antonio Sacco, col quale anche si recò in Porto-
gallo. Restituitosi in patria, risolse di abbandonare la scena,
stabilendosi nella sua Ferrara, ove ottenne, dice Fr. Bartoli,
< impieghi onorati, ne' quali anch'oggi - (1781) - vi esercita
di continuo il suo talento e la sua penna. >
Tornasoli Antonio. Bolognese, artista egregio per le parti
di Dottore che sostenne prima in Compagnia di Girolamo Me-
debach, poi a Napoli per alcuni anni, dopo di avere sposato
la vedova di certo comico detto Bacciccia, che si chiamava
Livia ; morta la quale, passò poi a seconde nozze con una gio-
vane bolognese, non comica. Rubatogli di notte quanto s' era
venuto accumulando co' suoi risparmi, risolse di tornarsene in
Lombardia; e si unì alla Compagnia di Nicola Menichelli, col
quale si recò a Vienna. Tornato in Italia si scritturò con Pietro
Rossi, poi con Antonio Sacco, con Pietro Rosa, con Maddalena
Battaglia, a Venezia, con Luigi Perelli, e con Antonio Came-
rani, col quale era ancora il 1781. Recitava il Tomasoli anche
senza la maschera parti di vario carattere, e fu, dice Fr. Bar-
toli, inventore di un ridicolo personaggio di nome Lattanzio
Mescolottì, nel quale riuscì graziosamente.
Tommasino (V. Visentini Tommaso Antonio).
Tonti Antonio. Comico eccellente per le parti di Pulcinella,
fiorito nella seconda metà del secolo xvii. Morì alla fine di
giugno del 1 694 a Roma. (Da un Diario inedito, menzionato
da A. AdemoUo, T, di R),
Torchi Giovanni. Comico egregio per le parti di brillante,
fece sulle scene una fuggevole apparizione. Nato a Bologna da
civili parenti, compiè il corso degli studj e si laureò in legge:
TORCHI - TORRI 587
ma vinto dall' amor pel teatro, nel quale aveva già fatto egre-
gie prove co' filodrammatici, si scritturò il 1829 con la Società
Vedova-Colomberti, riuscendo in breve sì per la svegliatezza
di mente, sì per la correttezza dei modi e la spontaneità, un
de' migliori attori comici del suo tempo. Ma dopo soli quattro
o cinque anni, dovè per necessità di famiglia, abbandonare
l'arte, e restituirsi a Bologna.
Toni Giulio Cesare. Attore per le parti di Zanni col nome
di Zaccagnino, al servizio del Duca di Modena, a cui scrive la
curiosa lettera seguente per ottenere la grazia di poter mutare
il portinajo del teatro.
Serenissimo Principe,
Io ho inteso i comandi di Vostra Altezza Ser.n>a circa della Compagnia la qnalle
deba star in cori io son a ubidire li suoi comandi si come ò latto per lo pasato ma suplico
ben Sua Altezza Ser.^n^ a darme licenza che piccone non stia alla porta poi che questo
cameuaile ma sasinato e se bufetto non parla e flaminio perche afato camerata con loro,
ma questo non lo dico per la camerata, ma perche son stato a robato et de laltri com-
pagni sono del mio umore pero scrino la mia uolunta el dotore non parla perche a meso
el pitore in compagnia bufeto non parla per la camerata e perche noie il bologna suo
compare il Cap.o non dice niente per amor di Girolomo suo seruo non ce altro che me
otanio et pantalone che se lamentano poi che non siamo ariuati mai alla prima sera et
tante e tante sere ni è stato magior popolo et paga alterata Consideri Vostra Altezza el
tutto oltre che so da bona mano che e un ladro et molti compagni dicono che Vostra
Altezza Ser.i^^^ gii meso della qnal cosa non e nero poi che Vostra Altezza Ser.^^ a sempe
detto che del portinaro non uolete fastidio che serìamo rubati sarà nostro dano adunque
suplico di nino core Vostra Altezza Ser.n>A a dame tal licenza poi che non lo fo per me-
terli un altro portinaro ma solo quello che la Compagnia comanda poi che nengo per ser-
uire e non per comandare la suplico di subita risposta e con tal fine li bacio vmilmente
la sacra Veste di roma el di i6 genaro M^7.
Sernitor di core di Vostra Altezza Ser.ma .
/Al T^ j- »* j V Giulio Cesare Tori
(Al Duca di Modena). j .. ^ i /^ •
^ ' detto Zacagnino Comtco
Era a Napoli il 1662 (V. Fuidoro, riferito dal Croce,
op. cit., 784), con
Lavinia, similmente comediante, e si stimava che fusse e che non fusse sua moglie,
et haveva acquistato con la scena e con gli amanti qualche commodità di considerazione ;
questa, com'è solito dell'oziosa nobiltà napoletana, che oggi si è avanzata assai nel bor-
dello, lussi, ignoranza e povertà, fu posta in conditione dalli donativi del Principe d'Avel-
lino, dal Principe di Belmonte, ed altri nobili et ignobili, che con pochissima moneta la
588 TORRI
goderono. Venato frescamente Don Vincenzo Spinelli, Principe di Tarsia a Napoli dal
suo Stato, cominciò ancor lui a vagheggiar la Lavinia, che volle mascherarsi da Zacca-
gnino, non bastandolo quello che aveva speso in Calabria a baffoni, comedie, cacciatori,
conviti, mnsica continua, cavalcatori, maestri di scrima, ecc..
A lui certo allude Luigi Riccoboni {op. cit., cap. VII),
quando dice che Zaccagnino e Truffaldino chiusero la porta in
Italia ai buoni Arlecchini,
Toni Antonia, amante o moglie del precedente (V. Isot-a
Antonia e Angiola), fiorita nella seconda metà del secolo xvii,
fu attrice pregiatissima per le parti di prima donna assoluta,
che sostenne col nome di Lavinia nella Compagnia del Duca
di Modena, di cui ecco l'elenco per l'anno 1688:
DONNE
Antonia Torri detta Lavinia ) . , . ,
•. „ \ prime donne a vicenda
Vittoria Rechiari ) ^
LuciNDA Nadasti, seconda donna
Gabriella Cardellini, Argentina, serva.
MOROSI
Caetano Caccia, Leandro ì . . . . j
r n i primi morosi a vicenda
Luca Rechiari ) '^
Antonio Torri, LeliOy secondo moroso
Giorgio Rechiari, terzo moroso.
MASCARE
Antonio Riccoboni detto Pantalone
Angelo Antonio Muzio, Dottore
? Gua:(^ettOy primo Zanni
Marco Antonio Zanetti, Truffaldino^ secondo Zanni.
Pel 1689 ci furon le seguenti variazioni:
Invece della Rechiari, Angiola Isola detta Leonora
Invece della Nadasti, Colomba Coppa detta Aurelia
MOROSI
Invece del Rechiari, Giuseppe Coppa detto Virginio
Giorgio Rechiari non è sostituito.
TORRI 589
MASCHERE
Invece del Muzio, Francesco Materazzi detto Dottore
Invece di Guazzetto, Carlo Zagnoli detto Finocchio
Invece di Zanetti, Giovan Battista Trezzi detto Pasquino
Altro Dottore^ Galeazzo Savorini.
Ma non possiam dire a quante altre variazioni potesse
andar soggetta la Compagnia nel corso dello stesso anno. In
questo elenco dell' '89 non figura più lo Zanetti (V.), mentre
sappiam dalla lettera scritta da lui insieme al dottore Savorini
essere stato nella Compagnia almeno dalla primavera.
Toni Anna Maria. Forse figlia dei precedenti e sorella
di Antonio Torri detto Lelio, fu attrice al servizio del Duca di
Modena per la parte musicale, come si rileva da una sua curio-
sissima lettera al Duca stesso da Bologna, in data 2 giugno 1 683
in cui si lagnava che certo signor Francesco Desideri] suo fa-
migliare facesse da padrone assoluto con lei e la madre (il
padre era già morto) senza aver riguardo alcuno alla lor po-
vertà, vantandone autorità da Sua Altezza. Senza un permesso
di lui, che talvolta si faceva molto aspettare, talvolta non ve-
niva affatto, la Torri né poteva ricever in casa Cavalieri o altre
persone da cui farsi sentir cantare, né recarsi ad accademie,
o altre funzioni musicali, proprie, e solite di sua professione, alle
quali era invitata dalle Dame protettrici, né accettare scrit-
ture, come accadde per la recita di Reggio, della quale era
restata priva.
La protezione del fratello del Marchese Palmieri, che più
d'ogni altro cavaliere frequentava la sua casa, ajutando lei e
la madre senza interesse alcuno, nelle necessità in cui le trovò in-
volte, per la mancanza delti alimenti, inasprì a segno il Desideri],
da farlo sparlar della Torri con moltissimo danno alla sua ri-
putazione. E per tutto ciò ella si raccomandava al Duca, ac-
ciocché volesse degnarsi rnoderare a questo Signor Desiderij,
quando pure già le fosse stata concessa, quclT autorità cosi grande
che pretendeva hauere sopra di lei,,..
590 TORRI
Il settembre dello stesso anno, entrata in trattative di
scrittura, chiede da Roma a Sua Altezza la licenza di accet-
«
tare il contratto per il prossimo carnevale al S. Angelo di Ve-
nezia; e il settembre dell' '87 le è ordinato di andar a recitare
a Crema in occasione della fiera.
Toni Giacomo, di Milano. Benché non possedesse il dia-
letto bolognese recitò sufficientemente sotto la maschera di
Dottore. Stette più anni nella Compagnia di Girolamo Mede-
bach assieme alla moglie ; e, quando questa abbandonò le scene,
passò in quella di Pietro Róssi, per poi tornare il 1770 col Me-
debach dopo soli sei mesi, alla morte del dottore della Com-
pagnia, Sante Vitali. Fu poscia in varie compagnie vaganti di
second' ordine e morì a Bergamo la primavera del 1778.
Torri Francesca. Moglie del precedente, nata Sora, fu at-
trice di gran merito sì nelle commedie improvvise, sì nelle
scritte, sotto il nome di Clarice. Fu prima donna lodatissima
al S. Gio. Crisostomo di Venezia con Onofrio Paganini il 1 753,
Tanno in cui Antonio Sacco abbandonò la Compagnia per re-
carsi in Portogallo. L'ultima sera del carnovale 1 754, la Torri
recitò un addio, di cui ecco alcune strofe allusive all' abbandono
del Sacco e al suo mancato impegno :
Chi di sorte il cieco dono
amò più del suo decoro
loro infuse l'abbandono
per saziar sua fame d'oro,
e noi pochi, e senza lena,
travagliammo con gran pena.
Senza forze e senza attori,
o almen pochi ed ignoranti,
privi affatto degli autori
che i lor parti dieno e tanti,
come mai darvi piacere
nel difficile mestiere?
^
TORRI - TORTORITI 591
*
Come mai.... Ma verrà un giorno
ch'io tornando a queste scene
avrò nuove genti intorno
di bel spirito ripiene,
che le cose altrui ben chiare
sapran meglio recitare....
Passò da quella del Paganini nella Compagnia di Girolamo
Medebach, in cui stette più anni, facendo mostra del suo gran
valore artistico nelle commedie dell'abate Chiari, e special-
mente in quella intitolata La Madre tradita. Il 1 770 abbandonò
Parte per seguire a Vienna una figlia, ballerina egregia, di
nome Antonia (forse il nome della bisavola, o semplicemente
il nome della celebrità?) colla quale tornò poi in Italia, ov'era
ancora del 1781. Il 1778 le morì il marito; e dice Fr. Bartoli,
che quando al valor suo avesse unito un personale più vantaggioso,
poteva ancora proseguire alcuni anni nella comica carriera.
Tortoriti Giuseppe. Attore de' più pregiati alla Comedia
italiana di Parigi, nella quale apparve la prima volta il marzo
del 1685 col ruolo di Capitano ch'ei recitava in italiano e in
francese, nacque a Messina e fu noto prima col nome di Pa-
scariello, poi con quello di Scaramuccia, che aveva già prima
di recarsi in Francia, quand' era al servizio del Duca di Mo-
dena (1680-82).
Dalle memorie di Dangeau sappiamo eh' egli fu ammira-
tissimo anche al Teatro di Corte di Versailles ove recitò il 1 5 e
il 21 marzo 1685 con la maschera àx Pascariello Tuono.
\\ Mercurio di Francia dice ch'egli eradi una sorprendente
agilità, e secondava a meraviglia V incomparabile Arlecchino
Biancolelli {Dommique). Il maggio del 1 694 abbandonò il ruolo
di Capitano per quello di Scaramuccia, e il 1697, dopo la sop-
pressione della Comedia italiana, formò una Compagnia colla
quale fu autorizzato a recitare in Francia purché a trenta leghe
dalla Capitale. Vuoisi che il tentativo fallisse, e il povero Tor-
toriti morisse povero qualche anno dopo.
59» TORTORITI
Di quando fu comico al servizio del Duca di Modena
abbiamo un larghissimo passaporto in data 3 novembre 1681 ; e
il Campardon riferisce una querela di lui del 7 dicembre 1691,
contro certa Maria Lemaine che aveva tentato involargli i pegni
di un credito per la perdita di un pajo di maniche di merletto.
In detta querela il Tortoriti ha il titolo di Uffuiale del Re,
Anche Cola, Cassandro Aretusi, che non son maschere
propriamente dette ma solo tipi, Pasquariello e Coviello mette
il Ferrucci tra' vecchi. Ma Pasquariello (non so bene da chi
^ inventato; probabilmente da Salvator Rosa, e
\^^ incarnato poi da Giuseppe Tortoriti) non è né
^^^^^ padre, né vecchio, né parte nobile di alcuna spe-
'^-^^^^■^K eie ; ma sempre servo : e caratteristica sua è più
^^^^^^^0 che la parola la mimica, apparendo prima balle-
^^B|^^p rino da corda, come lo ritrasse Ìl Callot insieme
^^H^^V a Meo Squacquera, poi un de' più agili saltatori
^^^t^F della Compagnia italiana di Parigi nella seconda
^ ^^r metà del secolo xvii.
^^^ ^^_ Nel teatro del Gherardi sì delinea chiaris-
^•^ simo il tipo, che può dirsi fratello minore dì Sca-
^ ramuccia: e immagino a quali acrobatiche buffo-
nate si dovea lasciar andare il Tortoriti, se il Mercurio Galante
del marzo 1685 gli dedicò parole di tanta lode; e più ancora,
se ci facciamo a considerar lo scenario della Precauzione inuiiie.
in cui avuto l'ordine, egli e Pierrot, di non far entrar messaggi
d'amore, e vista una farfalla svolazzar davanti all'uscio dell' ap-
partamento d'Isabella, immaginando che essa potesse essere
una messaggera d'amore, le davan la caccia, abbandonandosi
a ogni specie di salti e capriole pazze, or cadendo lunghi distesi
a terra, or montandosi l'un l'altro sulle spalle.
Assomiglia allo Scaramuccia anche un po'il costume datoci
dal Sand, di cui giacca e calzoni corti son neri, senza guarnizione
di sorta ; la baverina è di tela bianca pieghettata, e il viso infa-
rinato: ha calze rosse e piccola berretta tonda e nera sul capo
raso. Ma è da credersi che gran parte de'costumi del Sand.e spe-
TORTORITI
cialmente de' colori di essi, sìeno immaginari, non essendo deter-
minati da alcun documento. Il Pasquariello del Bertelli (1594)
avrebbe un semplice abito di Zanni con maschera dal naso
grande e aguzzo, simile a quella di Pulcinella; e un altro ne ab-
biamo nella riproduzione di antica incisione in legno (pag. 592),
che adorna il frontespizio di una delle solite canzonette di Zanni.
TORTURITI
De' moderni scrittori Michele Carré fece rappresentare
nel 1847 al Teatro Francese una commedia in un atto in versi, in-
titolata: Scaramoucke et Pascariel, che ebbe ottimo successo. La
parte di Pascariel, protagonista, fu sostenuta dal celebre Samson.
Tortoritì-Toscano Angelica. Moglie del precedente, e
discendente forse dal capocomico Toscano (V.), esordì alla
Commedia Italiana di Parigi, poco tempo appresso l'esordir
TORTORITI - TOSCANI 595
di SUO marito, in qualità di seconda serva col nome di Ma-
rinetta. Ella era alta, magra, bellissima; e attrice mediocre.
Ebbe dal suo matrimonio due maschi e due femmine, le quali
si sposaron, la prima, per nome Angelica Caterina, nata a Pa-
rigi il 26 giugno 1692, a Pietro Paglietti, Dottore (V.), e la se-
conda per nome Maria Angelica, nata a Parigi il 1 8 agosto 1 696,
a Pier Francesco Biancolelli (V.), figlio del celebre Dominiqtce,
di cui serbava il nome.
Toscani Giovan Battista. Apparteneva alla Compagnia
dell'Elettore di Sassonia che cambiò continuamente dimora
fino alla sua durata tra Dresda e Varsavia. Lo vediamo reci-
tare il 1752 la doppia parte di Abeì^ide, giovine selvaggio in-
diano, e di Un silfo nel Zoroastro di Rameau, tradotto da Gia-
como Casanova, e messo in scena da Pietro Algeri (V. Af bes (D*)
Cesare).
Nel mutamento frequente di comici, egli restò sempre con
sua moglie Isabella, come base della Compagnia italiana as-
sieme alla coppia Vulcani, a Foscari, alla Casanova e a Moretti,
a cui si aggiunse per parti giovanili, Luisa Toscani, figliuola
forse di Gio. Battista e Isabella.
* •
Il Barone O Byrn nel suo pregevole studio più volte ci-
tato, riferisce la cronaca del tempo, che dice del Toscani : < È
giovine di bella figura, di carnagione scura e d'occhi e capelli
neri. Parla e si muove nobilmente; e recita le parti di amoroso
con molta naturalezza e molta correttezza. »
Toscani Isabella. Moglie del precedente, recitò nella Com-
pagnia di Dresda a fianco del marito, e sostenne nel Zoroastro
di Rameau la parte di Cenide, giovine selvaggia indiana; ma il
suo ruolo ordinario era quello di Colombina, pel quale non parve
secondo il cronista del tempo, molto tagliata.
< La Toscani - egli dice - sa chiacchierare; ma ciò non
basta: bisogna nascere Colombina. È alta e forte, e però non
così flessibile e agile, come il tipo richiederebbe. È giovine ed
596 TOSCANI - TOSCHI
ha volto piacevole sopr' a tutto sul teatro. Forse ella piacerebbe
assai più come amorosa. Colombina non è per lei; starebbe
meglio, io penso, alla Vulcani (V.). La vecchia Colombina nata,
è morta (probabilmente allude a Rosa Grassi (V.)); e cagione
della sua morte fu appunto il saper sempre entrare profonda-
mente in ogni parte ella rappresentasse. La Toscani non è Co-
lombina. >
Toscano E così menzionato sulla fede di Gio. Marciano
da Giambatista Castiglione al carnovale del 1579 {Sentimenti
di S. Carlo Borromeo intomo agli spettacoli. Bergamo, Lancel-
lotti, M. Dcc Lix) :
Dimorava in qnel tempo in Fossano una Compagnia di Comid assai faceti, capo
de' quali era uno chiamato Toscano, che si tirava dietro un gran numero di sfaccendati,
pure sonando un giorno, giusta l'ordine di Giovenale (Santo Prelato Griovenale Areina),
la campanella, che dava il segno, che si principiavano gli esercizi dell'oratorio, restò solo
co' suoi compagni abbandonandolo tutta l' udienza, con sua gran confusione e scorno, per
andare ad udir Giovenale, che ragionava; ciò che essendogli poi più d'una fiata succe-
duto, stimò meglio il ciarlone di mutar paese, e nel partirsi ebbe a dire : < In Fossano
non vi è guadagno per esservi un altro Saltinpergamo. »
Toschi Francesco. L'Archivio di Stato di Modena ha di
lui questa lettera senza data, ma della seconda metà del se-
colo XVII, che riferisco intera, e dalla quale mi sembra egli
apparisca assai più impresario che attore.
Se le Signorìe loro 111.^^ uolessero acquistar nella forma qui sotto, per non pigliarsi
tanto fastidio, farò nuoua Compagnia, e farò in questo modo :
Prima entrarò à nuova Compagnia, e fatti li Conti del mio debito sodisfarò con
quella porccione, che mi tocarà de Guadagni, e li anni che non si faranno Comedie li pagarò
il cinque per cento:
Che le spese si farrano nel teatro per benifìcio de Comici siano comune come anche
del Teatro:
£ perche li ho dato ogn' anno cento scudi di fitto del Teatro, m' obbligo in questo
caso, di far quello comandarano le Signorie loro lU.nie auertendo m' intendo di non darli
cosa alcuna, se non quando si farrano Comedie e che per sua sicureza della sodisfaccione,
tutto il danaro, che si esigierà uada nelle sue mani:
La Compagnia, che faremo sij durante la mia uita, o uinti anni che in questo mi
rimetto nella benignità delle Signorie loro Ill.t"^ facendo tutto questo per conseruar l' ami-
cida, e che le cose del Teatro Pasino melio del Pasato.
Io Francesco Toschj prometto.
TOSCHI - TOSELLI 597
Una lettera airAndremi pur dell'Archivio di Modena del
2 giugno 1670, comincia così:
Non ho rùpotlo prìnu a V. S. perch' era neceisario, eh' io parlaill prima »] li-
gnoT Totchi. Egli mi ha detto di bavere icrilto ■ lei dò che le occorre, ed ella potià
intendersene leco, perch'elio i quel che ha in mano tatto questo negotio.
Anche di un Torquato Toschi l'Archivio di Stato conserva
una lettera, nella quale egli appare direttor di attori accade-
mici, e chiede la protezione di qualche Principe, « acciò pos-
sano questi giovini operare con maggior vigore, et esimersi
da ciò che potesse di sinistro apportarle qualche emolo invi-
dioso come altre volte ben notto è all'altezza Vostra Ser.""
essere auvenuto, » E si firma « Torquato Toschi et i Giovini
dell'Accademia. »
Toselli Giovanni. Nato a Cuneo il 6 gennajo del 1819 da
Giacomo e da Anna Clara
Pignatta, fu avviato dal pa-
dre agli studi forensi, ed
esercitò giovanissimo la pro-
fessione di sostituto procu-
ratore; ma, artista per ma-
nìa, come scrive Milone, si
recò a Milano sperando di
trovar colà una scrittura di
tenore, che non ebbe mai.
Non volendo tornare in pa-
tria si aggregò a una com-
pagnia di niun conto, e da
questa passò in altre della
stessa specie, recitando ogni
parte dall'amoroso al bril-
lante, e terminando poi con
quelle di generico. Scrittu-
rato da Napoleone Colom-
bino prima (1854) al Teatro Cittadella, e da Napoleone Tas-
598 TOSELLI
soni poi, capocomico di buon nome al Circo Sales, potè rea-
lizzare un vecchio sogno di recitare in dialetto piemontese,
e si diede a mostrarsi sotto le spoglie del Gianduja, special-
mente negl'inviti ch'egli faceva ogni sera in fin di spettacolo
alla rappresentazione dell'indomani. Conosciuto dal Modena,
e divenuto suo segretario, accettò il suo consiglio di conti-
nuar nell'impresa del recitare in dialetto; e tanto allora ebbe
a palesarsi attore sincero, che il Modena stesso ne stupì.
Io credo che niuno abbia capito e rivelato ai posteri Tarte
somma di Giovanni Toselli, meglio di quanto facesse il com-
pianto Luigi Pietracqua, del quale mi piace riferir qui tradotte
le belle parole :
I posteri riconoscenti, artisti e ammiratori, gli dedicaron monumenti marmorei cosi
a Cuneo sua terra natale, come al Teatro Rossini di Torino, dove si ammira un suo basto
assai rassomigliante ; ma il più bel monumento se lo eresse da sé, creando un teatro po-
polare, che prima non. esisteva ; inventando, per dir cosi, un nuovo genere d' arte cosi
viva e possente, che per bestemmiar che facciano certi ipercritici della moderna tuberco-
losi artistica (leggi : teorica nova) non morrà più mai né nella memoria né nel cuore del
nostro popolo che pensa colla sua testa e giudica col suo buon senso, infinitamente su-
periore a tutte le fisime più o meno isteriche di certi scrittorelli, più o men camuffati da
Aristarchi Scannabue.
Giovanni Toselli, colla sua invenzion fortunata della commedia in dialetto gìan-
dujesco, può dirsi abbia rinnovata per noi la classica tradizione greca dell'antichissimo
Carro di Tespi ; perchè, quando cominciò a far le sue prime prove, la modestissima com-
pagnia, di cui s' era messo in testa, compagnia composta di elementi affatto primitivi, for-
mava nella sua piccola compagine un quadretto cosi caratteristico e pittoresco da far pro-
prio ricordare il genial Carro di Tespi, che sentimmo descriver nelle scuole, e che Teofilo
Gauthier ha cosi ben modernamente illustrato nel suo immortale Capitan Fracassa,
L'artista per me è stato a un tempo rivelazione e ispirazione: egli è stato causa
di studi profondissimi sul teatro vecchio e moderno, e nobilissimo incitamento a coltivar
quell' arte, che mi die tanti piaceri e trionfi, e pur tanti dolori nella mia povera vita arti-
stica e avventurosa.
Ma non di me io voglio parlare - per carità ! Giovanni Toselli aveva un ideale,...
e questo ideale aveva un nome semplice, ma profondamente significativo; si chiamava:
naturalezza ! che vengon mai a dirmi i veristi moderni ? Chi ha mai saputa concepire, chi
l' ha mai neanche sognata, l' aurea, serena, magistrale naturalezza del nostro povero To-
selli ? Chi può ricordar senza rimpianto le sue incomparabili creazioni del Ferver paroco,
del Tonio in Gigin a baia nen, del Medeo in Sablin a baia» del Travet, del Ciochè d^l
vilage, del Papà grand, e di tante altre sue glorie imperiture ? Nemico di ogni convenzio-
nalismo anche sul palcoscenico, egli ha saputo trasformare il trovarobe, i macchinisti, gli
scenografi, portandoli tutti al suo grande concetto costitutivo della grande arte : verità,
sempre verità in tutto e per tutto. Quindi giustizia vuole che Toselli sia considerato nel
TOSELLI - TOVAGLIARI 599
camfK) dell' arte nostra come nn vero innovatore e rigeneratore del Teatro moderno. Ed
è per questo che il suo nome glorioso non sarà più obliato dai veri cultori dell'arte dram-
matica.
A lui dovetter la lor gloria artistica Bersezio, Pietracqua,
Garelli : da lui furon guidati i primi passi di due artiste pos-
senti : la Tessero e la Pezzana.
Nel 1864 egli fece erigere in Cuneo un teatro a proprie
spese, e i trionfi durarono splendidi sino al '69. Poi per un cu-
mulo di circostanze disgraziate, la speculazione volse a male
tanto che il Toselli dovè perder la proprietà del teatro; e privo
di mezzi, cessar di recitare in dialetto, diventando il direttore
della Compagnia italiana ZampoUa. Formò pQScia a Torino il
Teatro di famiglia con animo di rappresentar le vecchie comme-
die morali del Teatro dialettale ai Teatri d! Angennes e Scribe;
ma r'8o ritornò nella Compagnia piemontese diretta da' suoi
due allievi Gemelli e Milone, e dopo il carnovale dell' '82 abban-
donò il teatro seguendo le sue figliuole Clara e Carlotta, attrici
della Compagnia Pedretti (aveva preso in moglie da giovine
una Anna Dogliotti), e vivendo di una piccola pensione che gli
accordava il Consiglio dell'ordine dei Cavalieri dei SS. Mauri-
zio e Lazzaro, di cui egli, primo tra gli artisti comici d'Italia,
era insignito. .
Morì a Genova il 12 di gennajo del 1886, e il 9 di aprile
dello stesso anno, la sua salma, reclamata dall'autorità muni-
cipale di Cuneo, fu trasportata con gran pompa in quel cimi-
tero, dove si ammira il busto che abbiamo detto, opera dello
scultore Alessandro Cafetti, sulla cui base è la seguente epi-
grafe dettata da Desiderato Chiaves :
A I GIOVANNI TOSELLI | che su queste scene |
IL TEATRO PIEMONTESE | INSTAURÒ | PERCHÈ RICREANDO
EDUCASSE I TESTIMONIANZA | DI MEMORE AFFETTO
I TORINESI POSERO IL XII GENNAIO M LlCCC LXXXVII.
0
Tovagliari Pier Camillo. Nato a Parma il 14 gennajo
del 1847 da Luigi Tovagliari e Carolina Panighi, se ne allon-
TOVAGLIARI - TRAPPOLINO
tanò, dopo la morte del padre, in cerca di fortuna. Capitato
a Livorno nel 1872, si presentò al capocomico Papadopoli per
essere scritturato, senza saper che sì fosse arte drammatica.
Fatta discreta prova, .entrò in
Compagnia con quattro lire al
giorno, e vi stette, generico,
due anni, un de' quali passò al
Quirino di Roma, recitando, can-
tando, ballando. Passò poi (il '76)
con Ciotti, poi di nuovo (il '78)
con Romagnoli. Cominciò 1' '80
con Drago a recitare il Caratte-
rista, e in quel ruolo assoluto,
fu r'84 con Calamai, r'85 con
Vitaliani, T '86 con la Pezzana,
poi tre anni con Novelli, e due
con Brunorini. Nel '94 entrò a
far parte della Compagnia co-
mica Ta Ili-Siche I-To vagì iari, che durò due anni, poi passò colla
Mariani, con Paladini, con Talli, colla Marchi, e finalmente socio
con Claudio Leigheb. È questo, senza dubbio, il piil gran mo-
mento della sua vita artistica: momento fuggevole, pur troppo,
che, ammalatosi il Leigheb, la Compagnia si sciolse, e Tova-
gliati formò società con Enrico Reinach e con poca fortuna.
Pier Camillo TovagHari non era privo di egregie doti ar-
tistiche ; prime e non comuni quelle della spontaneità e della
verità; ma coll'andar del tempo un cotal trasandamento lo fece
attore scolorito e monotono.
Trappolino. Fra' comici più antichi veneziani il Molmenti
( Venezia nella vita privata) ricorda ancora un Giampaolo (Zan
Polo) un Trapolino, ecc. ; ma secondo il Quadrio sarebber essi
una stessa persona. Egli dice :
Giovan Paolo Trapoli n<
Ma poi lasciata la comici arie
fu le delizie de' suoi giorai in
e distribuito a* poveri tutto il s
i fu anche poeta.
e, ritiroMl a Me-
TRAPPOLINO - TREMORI 6oi
sire, luogo da Venezia non più distante, che sette miglia : dove in un romitaggio, mace-
randosi continuamente con asprìssime penitenze, passò molti anni; finché divotissimo e
vecchissimo chiuse con morte felice i suoi giorni drca il 1630.
Egli era - scrive Barbieri nella Supplica - a Palermo,
trent'anni dopo il decreto di S. Carlo che determinava la re-
visione degli scenarj ; ossia nel i6 13, e morì pochi mesi avanti
la pubblicazione dell' opera di esso Barbieri, ossia nel 1634. Un
secondo Trapolino assai noto ebbe il Teatro italiano in Giovan
Battista Fiorillo (V.).
i Paolo. Pantalone di buon nome, nato in Udine di
famiglia veneziana, fu prima nella Compagnia de* Lombardi,
poi (1776) in quella di Pietro Rossi, assieme a Vincenza sua
moglie. Passò poi con Antonio Camerani, poi con Luigi Pe-
relli, ove trovavasi ancora il 1781, scritturato per r'82 con
Francesco Paganini. Recitava anche bene parti senza la ma-
schera, e avrebbe meritata - disse Fr. Bartoli - migliore for-
tuna di quella ch'egli ebbe.
Tremori Vincenza. Moglie del precedente, figlia di Ga-
briello ed Angela Costantini, fu prima attrice di qualche pregio;
ma per la figura piuttosto piccola, benché gentile, la persuasero
a passare al ruolo di serva, nel quale riuscì egregia per lo spi-
rito e la spontaneità. Fra le tante poesie che le furon dedicate,
il Bartoli trasceglie il seguente sonetto, parto felice (dice lui)
d'un dottissimo Cavaliere Urbinate:
Recitando con applauso universale nel Teatro de' Nobili Sig, Pascolini £ Ur-
bino il Carnevale dell'anno ryyS, la virtuosa Donna Signora Vincenza
Tremori; si offre all' impareggiabil nterito della medesima il presente So-
netto, allusivo alla descrÌT^ione del nodo Gordiano vivamente da lei espressa
per due volte nella rappresenta:(ione del Diogene, sostenendovi la parte
della Poetessa Corina.
Al Balenar vid'io di ferro audace
Retto dal braccio d'Alessandro istesso
L'aggruppato Gordian nodo tenace
Due volte suU' aitar sciolto, e dimesso.
76. — / Comici Ualianù Voi. H.
6o2 TREMORI - TRENTA
Il moto, il gesto, e l'espression vivace
Fer si di Donna (cui dal Ciel concesso
Fu gli estinti avvivar qual più le piace)
Ch'io mirassi Alessandro in essa espresso.
Quindi Tudj gridar, chi sei, che intorno
Si ben ravvivi, e mia virtù propaghi,
Attrice esperta, e la rimetti al giorno?
E l'ombra intanto io vidi i stigj laghi
Varcar più lieta, e girne al bel soggiorno
Quasi sull'opre sue tutta s'appaghi.
i Eustachio. Figlio forse dei precedenti, insupera-
bile nella parte dello Sguizzerò mbriaco dinfa lo vascio de la siè
stella, fu generico primario e caratterista valorosissimo. Il suo
nome è tra quelli più ricordati de' comici del San Carlino, i
quali ancora vivono (V. Di Giacomo, op. cit.). Vi apparve il 1 8 1 6
e vel troviamo ancora all'ultima rappresentazione della Com-
pagnia nazionale T 8 aprile 1 849, assieme alla moglie, o figliuola,
Vincenza, attrice egregia che vediamo ancora nella Compagnia
di Giuseppe Maria Luzi succeduto al padre Silvio Maria, che
era morto intorno al '60.
Trenta Lucilla. Attrice magnifica di bellezza, fiorì la prima
metà del secolo xvii col nome di Rosalba, e abbiamo su di lei
il seguente aneddoto, che riferisco intero dal Paglicci (// Tea-
tro a Milano nel secolo xviì) :
Nella primavera del 1636, nn certo Niccolò Ala, sergente maggiore della milizia di
Cremona, e che era perciò incaricato di custodire l' ordine morale e difendere la città da
ogni inconveniente, fu preso in siffatto modo dall' amore di lei, che in un eccesso di ge-
losìa le sparò contro una terzetta da ruota.
Era Lucilla, conosciuta anche sotto il nome di Rosalba, restata lungi dal marito,
che seguiva la sua compagnia ; e sotto pretesto di penitenza erasi ritirata in una casa presso
le MaddciUne, ove però di nascosto riceveva visite, doni e cibi dal bel sergente, che la
stimolava a lasciar per lui il buon comico marito. Appena infatti fu questi lungi dalla città,
Lucilla, partitasi dalle Maddalene, si uni a far vita comune col Niccolò, ma non mante-
nendosi del tutto fedele neppure a costui, provocò la scena di gelosia della quale abbiam
fatto parola, e che fini con un colpo d' arme da fuoco, senza però grave suo danno.
E qui incomincia lo strano, anzi il vero caratteristico segno del tempo.
Il Podestà di Cremona, fattone regolare processo, lo condannò, ma quando volle
applicare la pena dovuta, la scena si cangiò ad un tratto.
TRENTA - TRENTI
603
n lergente in foro delU propria patente militare e perchè cosi rìcliiedeTa il btn*-
fitio e il servigio di Sua Sfatila. %i Credette aatoriiutto a portar le terzelEe e riduete in
grazia al Govenutore che il FodeitJi di Ciemona desiitesse durando il lervitia di dori
aleuna molttlia al ittpplicantt il quale con ogni aceurata diliginta invigila alla cura e
di/tta della alla. Che razza di vigilanza e di cura avetie delle cittadine qneito itraiio
funzionario, lo abbiamo vitto; ma qnello che ci ha latto vera sorpreia, li è che il Go-
vernatore gli dette ragione, e ne aerine al Podeiti in questi termini:
1636, al 9 di giugno.
• Stando l' occupazione peraonale del lopplicante, il Fodeità di Cremona li proceda
nella canta Ira tre meii. ' Pi^tomus. *
Né essendo battala qaetta dilazione a NiccolA Ala, il termine ne fn ancora prorogalo per
altri due mesi. Se qni finissero le proroghe non saprei, so però che dell' abre non ai parlò più;
e fone tnlto lini colla vittoria finale del bravo sergente, difensore della città di Cremona.
Il Paglicci propenderebbe a credere che X^LucilU costante
di Silvio Fiorillo, rappresentata a Milano il 1632 dai Comici
Accesi, fosse scrìtta per la Trenta, e da lei rappresentata.
Trenti Manetta. Prima attrice tragica. Non ho trovate
notizie di lei, tranne in questo ritratto, che ce la presenta in
Giulietta e Romeo, tragedia di Della Valle. Sotto ad esso è in-
6o4 TRENTI - TROJANO
ciso: « Al merito della valorosa attrice Marietta Trenti — R. C.
offeriva > e subito dopo un verso e mezzo :
Deh tolga il Ciel, che questa rosa insieme
Pur r Imeneo finisca....
{Atto IO - Scena /«).
Poi, a sinistra: litografia Rosi 1836.... Dove? Ella era
moglie, probabilmente, di quel Giovanni Trenti, che abbiamo
visto primo attore il '38 in Compagnia Zocchi a vicenda con
Giovanni Tessero (V.).
i Giovan Battista. Recitava le parti di secondo
Zanni, sotto il nome di Pasquino, e apparteneva il 1 689 alla
Compagnia del Duca di Modena, della quale vedi l'elenco al
nome di Torri Antonia.
Trivelli Giuseppe. Torinese, nato di agiata famiglia, fu
talmente acceso del teatro, che ad esso die tutta la sua vita,
recitando prima, poi diventando subito un capocomico de' più
pregiati. Morì in un ospedale di alienati a Torino il 1865. Er-
nesto Rossi che lo ebbe socio il 1863, Tanno in cui si cominciò
a manifestare T indebolimento cerebrale, lasciò scritto di lui:
< Il Trivelli nacque da una agiata famiglia torinese : era uomo
abbastanza istruito : rappresentò le parti di brillante, e se non
lo si potè dire un beli' originale di artista, fu una buona copia
di Bellotti-Bon. Sacrificò quasi tutto il suo patrimonio in spe-
culazioni drammatiche, facendo sempre il capocomico. La sua
fine giustificò la causa del cattivo esito delle sue speculazioni.
Aveva sposato la signora Pompili - che restò poi quattr' anni
con Ernesto Rossi prima attrice di qualche pregio - figlia del
secondo marito della signora Botteghini sunnominata. Fu ma-
rito esemplare, amoroso in famiglia, onesto con tutti : — Sentii
vivo dolore per il suo abbandono e più tardi per la sua morte. >
Trojano Massimo (V. Giovan Maria).
TURRI 605
Tiini Giovan Battista. Di lui dicono i fratelli Parfait:
€ Turi di Modena, eccellente attore per le parti di Pantalone,
recitò sotto le spoglie di tal personaggio sino alla sua morte,
avvenuta il 1670, come s'ha ragion di credere dall'annunzio
che Robinet fa dell'arrivo di un nuovo Pantalone, il marzo dello
stesso anno. > Andò a Parigi colla nuova Compagnia che vi
esordì il io agosto del 1653; ma erronea è la data della sua
morte.
L'annunzio di Robinet si riferisce certo al ritorno del
Turri in Italia, come si ha dalla seguente lettera di Venezia,
che toglie ogni dubbio in proposito :
IU.»»o mio S.re et Pad.ne Col.»»®,
Già venti giorni in circa scrissi una lettera a V. S. Ill.™<^ nel proposito di un
accademico desideroso di uscir fuori in alcuna compagnia da secondo Zane, et io l' esortai
di mettersi sotto la protetione di S. A. S.f°a^ come cosi si obliga servire, mentre però
quest'anno babbi compagnia, e perchè da questo vengo stimolato ogni giorno di risposta,
per ciò mi conviene essere importuno a V. S. 111."»^, pregandola significarmi la sua vo-
lontà, acciò possi risolverlo, dicendomi questo haver altre occasioni. Non manco ancora
di pregar V. S. Ill.™a di benigna protetione per mio figliolo Virginio, che desidera abban-
donare il posto di terzo moroso, et esercitare quello del secondo, e tanto più quanto che
dovendovi essere (come si dice un capitano spagnolo) non sa come possino accordarsi le cose.
Ha anche significato questo nostro sentimento al S.' Valerio (Francesco Allori (V.)),
quale ha mostrato non curarsi di questa giusta dimanda, per causa della quale non vorrei
che al tempo di partire ci fossero contrasti, come ne furono a Padova l'anno scorso, che
non voleva la compagnia darli tre quarti e doverà l'anno a venire guadagnare la parte
che la merita quanto ogni principiante della sua conditione, supp.co la sua gentilezza di
risposta mentre mi sottoscrivo
Di V. S. III. Hum.rao e devot.mo ser.'e
Gio. Batt.a Turri, comico
Venetia, li 30 marzo 1671. detto Pantalone»
In un brano di notiziario del 1652, ove son le nuove di
Castelnovo (Garfagnana) è così menzionato un don Domenico
Turi, parente forse di Gio. Battista, ma certo recitante acca-
demico :
€ Sono andati poi il Sig/ Cap.° Ranpalla, il Sig/ Dotor
Sigismondo, il Barozzi et il Sig.' Giuseppe Cantelli e don Do-
menico Turi à Mod.*' chiamati da S. A. per recitare co-
medie... . >
Turri Virginio. Figlio del precedente. Era anch' egli a Pa-
rigi nella Compagnia del 1653, in qualità di secondo amoroso,
sotto il nome di Virginio; e, morto il padre, tornò a Modena,
ove si iece: Carmelitano scalzo. Ma poco avanti la consacrazione
dell'abito, a soli quarant' anni, fu spento da fiero male, e se-
polto in quel Convento vestito da frate.
■^^v.^'^JV^^^
I COMICI ITALIANI
Udina Vincenzo. Nato a Roma il i" aprile del 1851 da
Tommaso Udina di CiUy nella Stiria e da Marianna Lucidi,
sì diede, rimasto orfano del padre, all'arte drammatica, en-
trando nella Compagnia romana di Amilcare Belletti a fìanco
della Pedretti, di Calloud, Diligenti, Piccinini; e Ìl suo esor-
dire fu coronato da tal successo, che al terzo anno, ammalatosi
il primo attore a Milano, egli Io sostituì, interpetrando degna-
mente Goldoni, Parini e altre parti dì non minore importanza.
Sposò il '69 Ada Lucidi, figlia di un suo zio materno, e il '71
andò in America scritturato da Tommaso Salvini. Passò poi
nelle Compagnie Dondini, Romagnoli, Sorelle Vestri, Cuniberti,
Coltellini, fino all'anno '78, in cui diventò il primo attore asso-
luto di Adelaide Ristori, colla quale fu in Ispagna e in Porto-
gallo. Passò il '79 a' Fiorentini di Napoli con la Pezzana, la
77. -- 1 Comici itaUMni. VoL II.
Duse, Emanuel, per tornar poi I"8o con Adelaide Ristori, che
si recava in Danimarca, nella Svezia e Norvegia. Sostituì 1' '8 1
Gaspare Lavaggi, ammalato, e ne condusse l'anno dopo la
Compagnia in suo nome. Fu dì nuovo e per un triennio con
Salvini, poi di nuovo capocomico con varia fortuna; poi, ve-
nuta in nome di attrice assai promettente sua figlia Giannina,
si adattò a' ruoli secondari pur di non separarsi da lei ; e dopo
alcune buone scritture, tornò a condur Compagnia, lei prima
attrice assoluta, ora solo, ed ora in società. Ma, sposatasi la
figlia, tornò a scritturarsi, ed oggi (1904) si trova con Mauri
nella Compagnia permanente del Manzoni di Roma.
Udina Giannina. Figlia del precedente, nata a Bassano
veneto il 1875, fu prima educata nel Collegio di Oneglia, poi,
giovinetta ancora, ne uscì per seguire il padre nelle sue pe-
regrinazioni artistiche. Mostrate subito chiare attitudini alla
UDINA - UGHI 6ii
scena colle parti di adolescente nel Povero Piero e nella Morte
Civile, potè a quìndici anni affrontare il gran pubblico quale
amorosa della Compagnia di Teresa Mariani. Fu il '93 prima
attrice giovine con Andrea Maggi, poi con Leigheb- Andò ; passò
quindi, prima attrice, con Ermete Zacconi, e con Cesare Rossi,
dal quale ultimo si allontanò per
diventar la prima attrice assoluta
della Compagnia formata da suo
padre in società prima con Achille
Vitti (iSgg), poscia con altri sotto
la direzione delGaravaglia(i90i).
A mezz'anno ella si ritirò dal-
l'arte, per andare sposa al marche-
se Giulio Ricci-Riccardi, morto or
son tre mesi (1904) a soli venti-
cinque anni ; e v' è da credere, che
spirato il termine del lutto, ella si
riaccinga a calcar le seduttrici ta-
vole del palcoscenico.
La sua figurina slanciata, il
volto piacevole, la giovinezza fio-
rente, la disinvoltura acquistata
col lungo esercizio, la fecero guar-
dar benevolmente dal pubblico, il
quale nella gentile prima attrice giovine vide, o gli parve, una
futura pregevole prima donna.
Ughi Elisabetta, veneziana. Cominciò a recitare nella Com-
pagnia di Pietro Ferrari, e tanto vi progredì che poco tempo
dopo fu una egregia /W»»a rf(?««a. lIBartolì, al cui tempo(i78i)
ella fioriva, dice che * un nobile aspetto, un volto ornato di
grazie, ed una rara biondissima chioma erano ì pregevoli na-
turali suoi doni. Uno spirito lodevole, un'espressiva aggiustata,
ed una sufificientissima intelligenza formavano i suoi meriti nel-
l'arte del recitare. >■
6i2 UGHI - UGOLINI
Applaudita dovunque, fu più volte lodata con poesie, tra
cui il Bartoli riferisce il seguente sonetto :
Al merito impareggiabile della signora Elisabetta Ughi, prima
donna, che nel Teatro delle Vigne si distingue nelle commedie
e tragedie mirabilmente il carnovcUe lySi.
Vaga donna io vedea stretta in catene
i bei lumi girar pietosi e lenti,
e di tragico pianto e di lamenti
udìa d'intorno risonar le scene.
Poi sue luci tornar chiare e serene,
ed al comico riso e ai dolci accenti
tutte starsi vedea le accolte genti
di maraviglia e di piacer ripiene.
Con la Madre d'Amor dal Ciel discese
applaudendo le grazie in lieto tuono,
stavano l'aure ad ascoltarle intese.
Davale Apollo il sacro lauro in dono,
e le nostr'alme.... ah! le nostr'alme accese
seguiano a voi de' nostri plausi il suono.
Ugolini Alberto. Dopo di aver recitato tra' filodrammatici
di Bologna, sua patria, si scritturò con Gabriele Costantini ;
poi con Girolamo Medebach a Venezia per le parti di Dottore.
Ma la sua inclinazione e le sue attitudini erano più per quelle
à.^ Innamorato, in cui riuscì per ogni rispetto egregio. Fu con
Pietro Rossi, con Onofrio Paganini, con Vincenzo Bazzigotti ;
tornò a Venezia il 1775 ^^^ Giuseppe Lapy, e molto vi piacque,
specie rappresentando la parte di Te?iero nella tragedia di Vol-
taire: Le lepidi Minosse. Tornò il '76 col Rossi, e restò il '77
col di lui genero Perelli; passò il' 7 9 con Francesco Paganini, e
fu di nuovo r '8 1 con Girolamo Medebach, per le parti di padre,
A questo punto cessano le notizie del Bartoli, il quale aggiunge
che Alberto Ugolini < ne' suoi primi anni di comico esercizio fu
un brillante Innamorato, e si distinse sostenendo tutte le parti
UGOLINI - VALENTI 613
principali nelle migliori commedie del Dottor Goldoni, reci-
tando con grido // Medico olandese^ Il Filoso/o inglese. Il Cava-
liere di spirito, Torquato Tasso, ed altre rappresentazioni. Avan-
zandosi in età, e lasciando addietro la più fresca gioventù, si
mostrò nelle parti sostenute delle tragedie un attore applaudi-
tissimo ; e Verona, Bologna, Parma ed altre città furono del di
lui merito bramose spettatrici. >
^
Vacantiello Francesco. È citato da Trajano Boccalini nei
suoi Ragguagli di Parnaso, là dove dice (I, 242) : < ed in par-
ticolare tanta dilettatione ha dato a Sua Maestà il signor Cola
Francesco Vacantiello, personaggio napolitano, che ha detto che
anche nell' introdurre il napolitano nelle comedie per rappre-
sentar la fina vacanteria, havevano gl'Italiani mostrato il loro
altissimo ingegno.... >
Concordando le date, io credo potersi identificare in que-
sto il Cola che fu mandato dal Duca di Mantova a Parigi il 1 608
in sostituzione dell'arlecchino Martinelli, ornai troppo vecchio.
Cola (Nicola) sarebbe stato dunque anche allora nome di per-
sona e maschera? Vacantiello, diminutivo di vacante, vuoto, era
forse il precursore del nostro marno, sciocco?
Valenti Gaspare, fiorentino. Cominciò a recitare il carat-
terista, in cui riuscì egregiamente, cogli accademici della città,
poi collo stesso ruolo in Compagnia di Nicodemo Manni, fe-
steggiatissimo da ogni pubblico d' Italia. Passò da quella del
Manni in altre compagnie vaganti, colle quali ebbe campo di
farsi ammirare anche a Napoli, sapendo unire a sufficienza
l'arte del canto a quella della commedia. Trovavasi il 1 78 1 nella
Compagnia di Antonio Camerani.
6i4 VALENTI - VALENTIN!
Valenti Francesco. Nato a Roma il 4 febbraio 1859 da
parenti non comici, e datosi, giovanetto, al recitare in società
filodrammatiche, si scritturò r'83 con Bellotti-Bon, per la cui
morte non ebbe luogo il contratto, esordendo invece quello
stesso anno come generuo con Alessandro Salvini ed Ettore
Paladini, e piissando subito 1' '84 al ruolo di secotuio e primo ca-
roMerista sotto il Salvini: ruolo che non abbandonò mai piì», e
che sostenne lodevolmente in compagnie egregie, quali del-
l'Emanuel, del Morelli, Maggi, Rossi,
3 De Sanctis, Teatro d'Arte, Rasi, Della
Guardia, Pieri-Severi, nella quale ul-
tima si trova oggi (1904).
Francesco Valenti, semplice dì
modi e di costumi, può dirsi un vero
solitario. Il teatro e la casa sono
V le sue sole occupazioni; e nella casa
l'artista spesso e volentieri diventa
lo scienziato: fotografo, proiezionista,
meccanico, elettricista, e anche inven-
tore. Sicuro: Francesco Valenti è in-
ventore di una macchina ottica per proiezioni, brevettata, che si
chiama Foioautomotografo Valenti. Né gli studi scientifici gì' im-
pedirono mai, nonostante la sua piccola statura poco teatrale,
di farsi applaudire come caratterista e promiscuo, sia per la dili-
genza scrupolosa nello studio de' caratteri, sia per l' ingegno
pronto nella loro interpretazione, sia per una certa vivacità,
soverchia forse tal volta, di recitazione. Fu anche il Valenti
direttore artistico della Compagnia di Giovanni Emanuel e
Gio. Batta Marini, e in tale ufficio die prova di avvedutezza e
di molto occhio pratico.
Valentini Giovanni, bolognese. Comico universale, come
lo chiama Fr. Bartoli, per una particolare sua versatilità che
gli permetteva di rappresentar degnamente caratteri dispara-
tissimi. Fu in più compagnie, quali di Antonio Sacco, Nicola
VALENTINI - VALERIANI 615
Petrioli, Pietro Rossi, Onofrio e Francesco Paganini e Fau-
stina Tesi, in cui trovavasi il 1 781. Mise da giovine la maschera
del Pantalone, poi quella del Dottore; e, dice il Bartoli, che so-
steneva or l'una or T altra con egual maestria. Recitò ne' suoi
primi anni d'arte una commedia, nella quale, sotto nome di
Zanetto» rappresentava ammiratissimo diversi personaggi. Si
die poi a sostenere le parti caratteristiche, scritte dal Goldoni
per Antonio Martelli, come il Todaro brontobn, il Policarpio
della Sposa sagace, il Fabrizio degli Innamorati, e vi riuscì ot-
timo. Il Bartoli lo disse egregio anche nelle parti di tragedia,
e mediocremente addestrato nell'arte del canto.
Valentini Rosa, detta la Diana, fu moglie del precedente,
e nacque - dice il Bartoli - in Polonia, < mentre la madre sua
trattenevasi al servizio di quel monarca, da lui cotanto favorita,
che donoUe il suo proprio ritratto tempestato di gemme d'ine-
stimabil valore. >
Cresciuta in bellezza (vuoisi che dalla maestà di tutta la
persona, e dalla ricchezza dei biondi capegli trasparisse la no-
biltà del seme di cui dicevasi frutto), e divenuta artista pre-
clara, si sposò a Giovanni Valentini, percorrendo con lui l'Ita-
lia, ammiratissima e per le doti fisiche, e per le artistiche. Morì
a Bologna il 1 760 circa, a soli trentasei anni. (V. Diana (della)
Silvio).
Valentini Margherita. Lodigiana, seconda moglie del pre-
cedente, fu da lui educata all'arte del canto, in cui riuscì egre-
gia, cantando con molta grazia in vari intermezzi. Recitò anche
le parti di serva ed altre, ma assai più valse, e fu generalmente
assai più apprezzata, nella musica.
Valeriani Serafino^ bolognese. Fu ^rìmdi Innamorato negli
accademici della città, poi Dottore in arte, cominciando con
compagnie secondarie, e passando poi con quelle di Pietro Fer-
rari e del Menichelli. Fr. Bartoli lo dice « comico abile ancora
6l6 VALERIANI - VALERINI
(1781) per recitare qualche parte seria, e può essere fatto de-
gno di qualche applauso. > Ma lo rivediam Dottore con la Co-
leoni l'autunno del 1795 al S. Cassiano di Venezia.
Valermi Adriano. Gentiluomo e dottore veronese. Comico,
istoriografo e poeta egregio, del quale si discorre distesamente
al nome di Vincenza Armani, fiorì nella seconda metà del se-
colo XVI, recitando le parti di Innamorato sotto il nome di Au-
relio. Domenico Bruni dice di lui, che fu peritissimo nelle let-
tere greche e latine; e con tuttociò in iscena non avendo quella
grazia che si aspettava, benché di bellissima presenza fosse, non
ispaventava Orazio Nobili (V.), l'altro innamorato della Compa-
gnia de' Gelosi. Dell'arte sua e del suo valor letterario testi-
moniaron l'Andreini, Francesco Bartoli, il Quadrio, e più tardi
Adolfo Bartoli che lo chiama uomo colto e di gusto non inferiore
a molti scrittori del tempo suo. Fu amante appassionato di Lidia
da Bagnacavallo, poi dell' Armani, morta avvelenata in Cre-
mona. Dopo di essere stato co' Gelosi (V. Andreini Francesco)
lo troviamo conduttore di una Compagnia a Milano il 1583,
della quale eran parte il pantalone Braga e lo Zanni Pedrolino
(Felesini). Di quella stagione il Beltrame Barbieri nel Capi-
tolo XXXVI della sua Supplica ci dà la seguente notizia :
Si trovava in Verona la Compagnia del Signor Adriano Vallerini Comico genti-
Ihuomo di qnella Città, Dottore et assai buon Poeta Latino, e volgare: e l'Eccellentis-
simo Signor Gonematore di Milano innitò quella Compagnia à dar trattenimento à quella
Città ; i Comici accettarono l' innito, et arrìnati che furono, e fatto la prima Coraedia, fu
loro leuata la licenza dall' istesso Sig. Gouematore, e mandato danari perchè tornassero
à Verona ; i Comici per ciò attoniti ricorsero dal Sig. Gouernatore chiedendoli la cagione,
non sapendo in che haueuano errato d'haver vn tal affronto: rispose quello, che certi
gli haueuano detto esser la Comedia azzione di peccato mortale, e che gli aueuano mo-
strato quello, che ne scriueua il loro Arciuescouo : i Comici cominciarono à dire le loro
ragioni, ma il Sig. Gouematore disse, andate dal Sig. Cardinale, et aggiustateui seco, che
per me hauerò gusto d' vdir .qualche volta questa Compagnia, che mi piace ; ma non voglio
commetter peccato mortale ; e cosi i Comici ricorsero dal buon Pastore, e furono sabito
introdotti, atteso che quelli istessi, che haueuano parlato, erano in quell'hora all'udienza
dando parte al Superiore di quanto haueuano fatto col Sig. Gouematore. H buon Prelato
ascoltò le ragioni de' Comici: non mancauano li dua di portar Testi contro le Comedie,
e non voleuano, che i Comici altercassero ragioni; quasi volendo che l'autorità dell' habito
potesse far autentica legge alle loro opinioni : ma 1* amoreuole Superiore diceua, lasciateli
VALERINI
617
dire, il donere è, cb'ogn'vno die* U loa ragione; ma perchi U com andatu in Inngo,
si trasportò Ìl Tseionaroe all'altro giorno; e cod il gìonio seguente all'hora depatata com-
pamero i Comici cod 1' aatorìtl legnata ne' libri, e cosi fecero gl'altri che li tronarono
innitati, chi da vn* parte, e chi dall'altra, oae che li contralto vn peno, io vltimo il
benedetto Cardinale decretò, che si potesse recitar Comedie nella sua diocesi, oneruando
però ìl modo che aerine San Tomaio d'Aquino; et impoie à Comici che mostrauero i
Scenari] delle loro comedie giorno per giorno al ino foro, e cosi ne fnrono dal detto Santo,
e dal nio Reoerendissimo Signor Vicario molti sotlo*crittÌ, ma in breue i molti ■ffarì di
qoell' Vffizio, fece tralasciar l'ordine, giurando i Comici, che non sarebbero slati gli altri
■nggetti meno honestì dei rinednti : il Braga (cod chJanuuia il Pantalone di quella Compa-
gnia) et il Fedrolino hanenano ancora (e non è molto) di qnei «aggetti, ò siano Scenarìj
di Comedie sottoscritti, e qnelli segnati da San Carlo, si tengono custoditi, e nella Com-
pagnia, oue bora sono vi è chi ne ha due, e li tiene i casa per non lì smarrire. H De-
creto i nell'AicìnescotiBto di Milano, chi baneue curiositi di vederlo, tu fatto tre anni
in circa ananti 1» motte del Glorioso Santo, e presto li potr& tronare.
ÌS.— !Ccm,
I. Voi. I
6i8 VALERINI
Secondo Adolfo Bartoli sarebbe stata quella la Compagnia
degli Uniti, che si erano formati, — egli dice — sotto la direzione
di Adriano Valerini nel 1580 circa. Può essere. È certo però
che il Valerini non ne faceva più parte nell'aprile dell' '84, se-
condo r elenco che abbiam dato al nome di Pelesini.
Il Valerini pubblicò :
Afrodite. Nova tragedia, dedicata ali* Illustrissimo Signore il Conte Paolo Ca-
nossa. Verona, Sebastiano e Giovanni dalle Donne fratelli, 1578, da
cui è tolto il presente ritratto.
Cento Madrigali, dedicati al M. Illustre Sig. il Sig, Conte Marco Verità, con
alcune annotazioni del signor Fulvio Vicomani da Camerino in alquanti
dei Madrigali. Verona, M.D.XCII. Nella Stamperia di Girolamo di-
scepolo.
Oratione in morte della Divina Signora Vincenza Armani (V.), Comica eccel-
lentissima. Verona, per Bastian dalle Donne, et Giovanni fratelli, 1570?
Le bellezze di Verona. Ivi 1586, dov'egli - dice Adolfo Bartoli - cita scrit-
tori greci e latini e dove dà prova di una erudizione storica non comune.
Della sua prosa s' è dato largo esempio al nome delPAr-
mani, ove il lettore troverà gran parte dell'orazione funebre in
morte di lei. Della poesia diam come saggio un sonetto alla
stessa, alcuni madrigali amorosi, e il coro dell'Imeneo che
chiude il primo atto di Afrodite.
Da quella conca avventurosa e bella
che fuor deironde Tairna Dea di Gnido
allor portò, che dal Mar nacque, al Lido,
degna d'esser nel Ciel fatta una stella:
tolse le perle rilucenti, e in quella
bocca le pose di sua man Cupido,
cagion che da me stesso io mi divido,
qualor si dolce ride ovver favella.
Quinci deir armonia s'ode dal cielo
vera imagine uscir, esempio vero,
ch'unqua all'orecchie dei mortai non venne.
Quindi pon dell' obho squarciar il velo
l'alme, e membrando il nido lor primiero
per voi Vincenza al Ciel spiegar le penne.
VALERINI 619
MADRIGALI
Or ch'altro scampo al mio martir non trono,
Spero che il Tempo mi darà salute,
Voi della giouentute
Priuando e me d'affanni,
E spiegarà l'insegne fra poch'anni
Nel vostro vago volto,
Al qual tosto che tolto
Haurà le rose fresche, e matutine,
Torrà fors'anco a me del cor le spine.
vn
Vanne picciol mio parto
Se ben pochi ornamenti hai dentro, e fuore,
In mano a lei, eh' è de l'Italia honore;
Cosi t'auesse, acciò le fossi grato,
Orfeo composto, e Dedalo legato,
0 almen fosse a l'Autore
D'esser il libro suo dal Ciel concesso,
Per viuer sempre a si gran Donna appresso.
Annotazione
Mandò il Valerìni a donar alla sua Donna la Galena di Minerua, libro da Ini com-
posto e dedicato al Serenissimo Sig. Duca di Mantoa, et di sua mano scrisse questo Ma-
drigale in fronte dell'opera.
LV
Sono il Tempio di Giano
1 bei vostr* occhi, i quali chiusi essendo
M'apportan pace; ma se questi aprendo
Folgorate gli sguardi in me turbati.
D'ira e di foco armati.
Marte l'empio Furor scatena, e sferra,
E la mia pace si rivolge in guerra.
LXVI
Rubò Prometeo il foco
À le ruote del Sole,
Per farne parte a la mondana prole;
620 VALERINI
Rapì Tantalo a Gioue
Il Nettare, e l'Ambrosia; ma toglieste
Gli alti concenti, e l'armonia celeste
Voi Madonna a le Stelle, et a le none
Sfere superne; e'I furto riteneste
Dentro le labra: né per questo sete
Con fame eterna, e con perpetua sete
Punita ne l'inferno, o nel Caucaso,
^la fatta habitatrice di Parnaso.
A DONNA MARITATA
xcv
L'altra notte io sognai^ quando le stelle
Dan loco al vicin giorno, di tenerti
Stretta ne le mie braccia, e di goderti;
Fa che non passi il sogno
Per l'Auorio ben mio de i denti tuoi.
Perchè saria fallace;
Se vuoi ch'eì sia verace.
Soccorri al mio bisogno,
E passi il Sonno per la fronte poi
Del tuo marito adorno.
Ch'ini la porta trouerà di Corno.
Annotazione
Narra Homero nel fine del dedmo nono dell'Odissea il sonno haner dne porte,
r vna d'Auorio, l' altra di Como, per la porta d'Auorio passano i sogni falsi, per quella
di Como i veri.
CORO
Sacrosanto Himeneo,
Che alberghi in Helicona
Con la tua casta madre,
Là doue il Pegaseo
Fonte, le dotte squadre
VALERINI 621
De i Cigni a bere inuita,
Per c'habbin la corona
Dal figlio di Latona,
Di quella fronde, ch'ha perpetua uita,
E d'essa ornati poi,
Cantin la gloria de gli eccelsi Heroi.
Vago Himeneo gentile
À l'honestade amico,
Che il bel uirgineo nodo
Al sesso feminile
Sciogliendo, in dolce modo
Diverso il leghi, e serbi
Il nome suo pudico,
E col tuo giogo antico
Vinci gli animi indomiti, e superbi..
Che in bella coppia vniti
Quai diuengono mogli, e quai mariti.
Tu di duo cori un core,
E un'Alma fai di due,
Di due voglie vna voglia.
Mentre per far minore
L'aspra eccessiua doglia
De la ulta mortale.
Le noie e pene sue
Comparti in amendue,
Ond'è più lieue a sofFerirsi il male.
Né men le gioie, e i risi
Hanno in commun ne i tuoi beati Elisi.
Questa è la Coppia uera,
Che quale Hermafrodito
Non pur duo Corpi insieme
Ma l'Alme vnisce, e intiera
Fa vna sostanza, e un seme.
O dolce, e bel legame,
Che fosti in Cielo ordito
Per man de l'infinito
E sempiterno Amor, di quello stame,
Che il viuer volge ancora,
Tal che a scioglierti un huom, conuien che mora.
622 VALERINI - VANNINI
Tu Dio lieto, e benigno,
Polinnio, & Afrodite
Talmente insieme annoda,
Che influsso empio e maligno,
O rio voler non goda
Vederli vnqua disciolti.
Né mai Discordia, o lite,
De le lor dolci vite
Turbi il tranquillo; o*l bel seren de i volti;
Ma amor e pace scorte
Sian del vital lor corso in fin a morte.
Valsecchi Angelo, caffettiere veneziano, cominciò col farsi
ammirare da' clienti di bottega come imitatore perfetto del ce-
lebre Petronio Zanerini, indi si scritturò come Innamorato in
Compagnia di Giuseppe Lapy, al posto di Tommaso Grandi,
riuscendo attore gradito non solo a* pubblici di terraferma, ma
ancora di Venezia, ove fu, al S. Angelo, l'autunno del 1775.
Fu poi con la Battaglia, e sostituì egregiamente il D'Arbes
nella maschera del Pantalone. Di bella persona e di bella voce,
d'ingegno svegliato, e perseverante nello studio, fu attore am-
miratissimo nel tragico e nel comico, nelle parti di giovine e
in quelle di vecchio, nelle quali - scrive Fr. Bartoli - < mostra-
vasi tanto d'esser investito, che non poteasi desiderare in lui
una miglior perfezione. >
Il Bartoli cita anche una sua < Rappresentazione d' argo-
mento spagnolo scritta in versi sciolti, intitolata: HUsurpator
d' Aragona; che fu recitata replicatamente nel Teatro di San
Gio. Grisostomo. >
Vannini Gio. Battista. È questi senza dubbio quel Bat-
. tista da Rimino (V), Zanne dei Confidenti, citato dal Rossi nel
discorso a' lettori che precede \diFiam?nella, Il dottor Paglicci-
Brozzi pubblicò {Scena ili" del 15 ottobre 1890) una Supplica-
tione di lui al marchese d'Ayamonte don Antonio de Guzman
governatore per Sua Maestà Cattolica in Italia, in data 25 di
VANNINI - VARINI 623
giugno 1574, la quale comincia: « AUi giorni passati essendo
a Cremona la Compagnia dei Comici Confidenti, et fra loro il
fidelissimo servo di V. E. Battista Vanino da Rimino, qual fa
la persona del Zanni, qual' è principalissima et necessaria nella
comedia.... > Essa ci avverte essere stati i Confidenti (V. Scala),
in quell'anno 1574, a Cremona, a Pavia, a Milano; nella qual
magnifica città, supplica il Vannini sia transferito il suo pro-
cesso; generato dall'avere egli ajutato un ragazzo di XII anni
a discendere da un solajo ov' erasi rifugiato alla vista degli
sbirri, andati < al luoco di la comedia, per prendere alchuni
sospecti d'eàser latri, etc. > La supplica ha in calce: < Il Po-
destà di Cremona faccia giustizia. > Firmato Neyra.
Vanni Emilia, di Pallanza, figlia di Pietro Varini e Leo-
polda Bemacchi, formatosi un buon corredo di studi ora in
collegio, ora colle istitutrici in casa, fu condotta giovinetta a
Milano, ove mostrò casualmente molte attitudini alla scena,
recitando in privato una commediola in francese. Sentite a Mi-
lano la Duse e Sarah Bernardt, ella, che non avea mai pensato
al teatro, vi fu ad un tratto sospinta, e si diede a studiar con
Giacosa prima, poi con Monti, esordendo dopo un anno di pre-
parazione in Compagnia Zacconi-Pilotto a Verona colla parte
di Elena in Resa a discrezione. Passò prima attrice giovine con
Maggi, poi con Emanuel, poi con Ferrati, per tornar nel '97
con Ermete Zacconi, con cui stette circa due anni, dopo i quali
restò alcun tempo in riposo. Il settembre del '99 andò a sup-
plire Irma Gramatica in Compagnia Raspantini, poi (1900),
tentò il capocomicato con poca fortuna. Fu a tutto il '902 con
Eleonora Duse, per passar l'anno veniente in Compagnia Berti-
Masi, poi di Ettore Berti, nella quale si trova anche oggi (i 904),
col suo ruolo di prima attrice assoluta, Emilia Varini è donna di
fine intelligenza artistica; alla quale forse non sempre rispon-
dono le qualità esteriori.
Non poche parti, nullameno, le diedero buon nome, co-
minciando da quelle dei Diritti dell'anima e di Anime solitarie
6*4
VARINI - VEDOVA
ch'ella interpetrò lodevolmente all'inizio della sua vita arti-
stica, e terminando col Malaiestino in Francesca da Rimini di
D'Annunzio, che seppe esprimere con colorito vigoroso. Oggi
s*è data quasi esclusivamente al repertorio d'annunziano, e sì
fa molto ammirare così in Francesca (protagonista), come in
Gioconda (Silvia Settala).
Una sua sorella minore, Olga, s'è pur data all'arte dram-
matica, e oggi è gentile ornamento della Compagnia Caimmi-
Zoncada.
Vedova Nicola» di Venezia, figlio di Pietro (V. Botteghini),
fu prima ufficiai dì marina al servizio di quella repubblica, ca-
VEDOVA 625
duta la quale si diede all' arte della scena, in cui, mercè di una
figura maestosa, di una voce possente, di una memoria di ferro,
riuscì in breve il più rinomato de' tiranni da teatro diurno. AU
tila Flagello di Dio, Ezzelino da Romano, Fazio nel Ratto delle
Sabine, Talbot nella Giovanna et Arco, e moltissime altre parti
furon da lui interpetrate alla perfezione, e nessun attore potè
vantarsi mai di avere nella sua beneficiata un incasso maggiore
di quello che nella sua beneficiata aveva il Vedova; il quale se
sollevava all'entusiasmo il popolino delle recite diurne, era an-
che molto apprezzato in quelle serali, dal pubblico eletto, come
padre nobile, non che come attor di tragedia. Fu con le mi-
gliori Compagnie d'Italia scritturato, poi socio del Dorati e del
vecchio Pieri, poi di nuovo scritturato con Francesco Taddei,
e di nuovo socio (1829) con Gaetano e Antonio Colomberti,
artista anche allora di gran pregio, sebben già in età avanzata.
Morì a Bologna verso il 1 840. Mentr' era col Ràftopulo a Ve-
nezia il 1821, il Giornale de* teairi scrisse di lui che non avea
voce adattata al rango che sosteneva; che mancava di gesto
tragico, e si dimostrava sempre truce ne' suoi atti, quand'anche
l'uopo noi richiedesse....
Secondo la leggenda del palcoscenico, il Vedova fu il
più ignorante uomo del mondo; e si vuole che un giorno
(già da tempo era impensierito per la scelta della beneficiata)
si recasse alla prova con un libro sotto al braccio, scla-
mando: r ho trovada, l'ho trovada, un po' lungheta, ma tagia-
remo. Piena sicura/ Era la Divina Commedia. E vuoisi an-
che fosse lui, che solea dire di sé: mi son el primo tirano
dopo Cristo.
Ma tali aneddoti e la critica del giornaletto veneziano sono
in aperta contraddizione col giudizio che ne dà il Colomberti,
attore provetto, e del Vedova conoscitore esperto. Egli non
solamente lo ammira come tiranno, padre nobile e attore tra-
gico, ma lo dice rispettoso del pubblico e di sé; abbigliato
sempre irreprensibilmente, e disputato da' più accreditati ca-
pocomici.
79. — / Comici italiani. VoL IL
VEDOVA - VELLI
Vedova-Ristori Giulia* sorella del precedente e moglie
di Enrico Ristori, fratello della cele-
bre Adelaide, nacque in Alessandria
di Piemonte il 24 giugno 1826, e fu
artista di qualità egregie. La vediam
^^^^^^^^^ prima attrùe il 1854-55 della Compa-
^^^^^^^^^^H^ gnia di Cesare Asti, e i giornali del
^^^^^^^^^^^^B tempo hanno molte parole di lode pel
^^^^^^^^^^^^H suo metodo squisito sì nella comme-
^^^Bbmmj^^^^^^^ dia, sì nel dramma, per la voce insi-
!pi^^^^^B|a^^^^ nuante, per la verità, l'intelligenza, la
^'Tw^r^n ^r passione. II suo accento - dicono —
' commoveva anche nelle mezze tinte,
anche in quelle piccole nuances d' un
carattere, sulle quali molte altre sorvolano, e che ella affer-
rava e coloriva a meraviglia. Morì a Firenze ÌI 31 marzo
del igoo.
Velli Luigi, veronese, ebbe da' suoi parenti una educazione
compiuta; e laureatosi in legge, sorpassò per sapere e intelli-
genza tutti i giovani praticanti nello studio di un celebre av-
vocato della città. Ma l'amor della poesia in genere e della
rappresentativa in ispecie. Io fece abbandonar per questa foro
e pandette. « I suoi naturali talenti — si scriveva il 1821 nelle
Varietà featrali di Venezia -r la sua coltura, e la prontezza del
suo spirito, giunti che sìeno a farsi conoscere dal pubblico, mi-
rabilmente coprono lo svantaggio in lui di una voce monotona
e non insinuante, e di uno sceneggio sovente, se naturale, troppo
confidenziale, se nobile, troppo ricercato. >
Velli Carolina. Moglie del precedente, romana, fu ottima
attrice per le parti di madre e caratteristica, che - dicon le Va-
rietà teatrali del 1 82 1 - se nelle parti di madre può dirsi abile,
nelle caratteristiche non si esagera nel dirla a niun'altra se-
conda.
VENIER 627
Venier Angiolo, di Verona, fu un ottimo primo attor gio-
vine, e rappresentò pel primo a Venezia al S. Gio. Grisostomo,
quand' era in Compagnia Battaglia primo attore a vicenda con
Bellini, dodici sere V Elena e Gerardo, e venti la Ginevra di Sco-
zia di Pindemonti, nella quale ultima sosteneva mirabilmente
la parte di Ariodante. Sposò dopo alcuni anni Caterina, e fu
assieme a lei prima con Gaetano Asprucci, poi in società con
Luigi Vestri per gli anni 181 7-1 8-19-20, ove passò al ruolo di
padre. Scritturato il Vestri con Fabbrichesi a Napoli, Angiolo
Venier entrò nella Compagnia Blanes, con cui stette fin a tutto
il '24; poi, solo, in quella di Mario Internari pel ^25. Dopo si
ritirò colla moglie a Verona presso il figliuolo Pietro, già
grande, pittore e scenografo reputato, abbandonando il teatro.
Ma, lei morta, egli vi tornò, e lo troviam padre nobile il '33-
'34-'35 nella Compagnia Romagnoli-Berlaffa, insieme alla figlia
Maria Berlaffa e a un figlio, Eugenio, che era prima al Teatro
Nota di Lucca, generico, poi al Teatro del Giglio della stessa
città, amoroso.
Venier Caterina, moglie del precedente, figlia di comici,
fu dapprima un' egregia servetta, poi una egregia prima attrice
giovine, doventando poi di sbalzo non meno egregia prima at-
trice, in sostituzione della rinomata Cesari-Asprucci, venuta a
morte quand' era col marito nella stessa Compagnia. Fu sem-
. pre con lui a tutto il '24, cominciando a recitare le parti di
madre in Compagnia Vestri. Il '25, scritturato il Venier col-
rinternari, ella si scritturò con Tommaso Zocchi; poi si riuniron
di nuovo, fuor delle scene in Verona, città natale del marito,
dov'ella morì verso il 1830.
Venier-BeriaflFa Maria, sorella del precedente. Nella prima
parte del primo tomo dei Teatri (1827), G. Ferrano ha parole
di molto encomio per questa artista, che se fu egregia nelle
parti di prima attrice giovine e di seconda donna, che sostenne
in Compagnia Goldoni-Riva, poi nella società Bon-Romagnoli-
6a8 VENIER - VENTURA
Berlaffa, non la fu meno in quelle di madre, che assunse in
età ancor giovanile. Dopo molti anni di professione, si ritirò
presso il fratello Pietro a Napoli, dove morì, non si sa quando
precisamente.
Venini Fedele. E citato da Fr. Bartoli come capocomico
e attore sotto la maschera di Arlecchino, in cui si mostrò va-
lente, e in caratteri caricati nelle studiate rappresentazioni.
Condusse molti anni compagnia, e morì del 1781 in Piemonte.
Ventura Battista, detto il Beccaro, recitava le parti di
Pantalone sulla metà del secolo xvii ; e un famigliare del Prin-
cipe di Modena, D. Giovanni Parenti, gli scrive in data 6 marzo
del 1655 da Venetia, che ha < trattato col medesimo (Ventura)
facendoli conoscere la gratia che vuol farli S. A. col agregarlo
nella Compagnia delli di lei Comici, e veramente da questo con
ogni prontezza ne ha riportata la parola, et assenso. Reveren-
temente solo supplica S. A. Ser.™*, di due parole in iscritto,
acciò queste gl'habbino à servir per riparo in caso che qual-
ch'uno lo volesse violentare ad altro impegno....»
Ventura Giovanni, milanese, nato il 6 luglio del 1 800, fu
tra' più colti e popolari attori drammatici del suo tempo, e forse
il più colto e popolare dopo Modena. Dettò versi in dialetto mi-
lanese, e in lingua (Milano, Fr. Vallardi, 1859; Bologna, Gavazzi,
s. d.), che per la molta soavità lo alzarono al grado di degno
successore di Tommaso Grossi. Nato di padre orologiajo, non
volle continuar l'arte paterna, e si diede al teatro, scritturandosi
amoroso nella Compagnia Reale Sarda il 1827, al posto di Vin-
cenzo Monti, nella quale stette fin oltre il '40. Il Costetti ne lo
fa uscire il '43, sostituito da Pietro Boccomini, ma è questo er-
rore evidente, giacché lo vediamo per Tanno '41 -'4 2 primo at-
tore assoluto della Compagnia Giardini, WoUer e Belatti, dalla
quale passò poi nello stesso ruolo in quelle di Corrado Ver-
gnano, e di Angelo Rosa con cui stette lungo tempo. Dopo il
VENTURA
movimento politico del 1848 aveva emigrato a Torino, dove
trasse la vita colla più modesta laboriosità, amato e stimato
da quanti ebbero la fortuna di conoscerlo personalmente, e
à.oy^ finalmente, il 1852, dopo di aver anche provato le noje
del capocomicato, si ritirò dalle scene. Morto l' attore Ca-
nova, gli successe nella cattedra dì declamazione alla Filo-
drammatica di Torino, sciolta la quale, passò maestro di
declamazione alla Filarmonica Subalpina della stessa città,
630 VENTURA - VENTUROLI
dov' ebbe pur parte nella Commissione pei premi agli autori
drammatici.
Dopo la liberazione di Milano rimpatriò, e diventò diret-
tore di quella Filodrammatica, degno successore di Pietro An-
dolfati e di Augusto Bon. Io ho qui sott' occhio la prolusione
alle sue lezioni di arte drammatica recitata nella solenne aper-
tura della scuola la sera del 9 novembre 1859; e molto mi ma-
raviglio che nulla vi apparisca di quel pedante, che in un maestro
di oltre mezzo secolo a dietro parrebbe doversi inevitabilmente
trovare.
Giovanni Ventura (il Colomberti lo dice piccolo di statura,
ma di volto assai espressivo) morì a Milano il 19 gennajo 1869.
Venturino. (V. Giovan Marta Romano).
Venturoli Costantino, di Pontelagoscuro, nato a' primi del
secolo XIX, si aggregò giovinetto, per non esser più a carico
della famiglia povera, a una piccola compagnia comica, in qua-
lità di porta-ceste, di smoccolatore di lumi a olio, e, al bisogno,
anche di attore. Sentito una volta recitare in una stamberga
dal celebre Mascherpa, fu subito scritturato pel venturo anno
in qualità di amoroso, e le sue prime prove furono disastrose ;
ma il Mascherpa, che fu per lui più padre che capocomico, lo
incitò a perseverar nello studio, e lo riconfermò per altri due
anni, ne' quali vide avverarsi le previsioni che aveva fatte sul-
r avvenire artistico di lui. Dopo il triennio, passò il Venturoli
nella Compagnia Domeniconi; e anche qui, al Valle di Roma, le
prime prove furon di fischi e corbellature; ma poi, fatto il pub-
blico l'orecchio a certe sue stridule intonazioni, ne divenne
in breve il beniamino, soprattutto per la sua grande versatilità,
mostrandosi ugualmente egregio nella prosa e nel verso, nella
tragedia e nella farsa. Infatti egli fu de' più valorosi primi at-
tori e de' più valorosi brillanti del suo tempo; e già le Varietà
teatrali di Venezia del 1 821, quand'egli era semplice generico
in Compagnia lob, accennano alle sue larghe promesse. Lo ve-
VENTOROLI- VERATO
dìam primo attore Ìl '47 con Torello Chiari, e caralterisla, Ìl '57,
con Giovanni Leigheb, e dal '59 al '64 con Francesco Sterni.
Morì il '70 a Pisa.
Verato Battista, ferrarese. Di lui dice il Quadrio (voi. V,
pag. 237): « Datosi alla professione comica, riuscì eccellente
632 VERATO
e famoso per modo, ch'egli fu senza dubbio il primo che al
suo tempo praticasse le scene. La naturale facondia, il mae-
stoso e vago sembiante, la chiara e sonora voce e la rara gra-
zia nel porgere, tutto in lui concorreva; onde, qualunque per-
sonaggio ei facesse in scena, o ridicolo o grave, tutto faceva
a meraviglia. Scorse tutta l'Italia e gran parte della Francia,
e ne' più famosi teatri fece chiarissime prove del suo valore.
Ritornato poi a Ferrara venne a morte, e fu sepolto nella chiesa
di Santo Spirito, e onorato di un nobile epitaffio fattogli da
Torquato Tasso. Scrisse questo comico alcune regole per ac-
conciamente rappresentare in teatro le azioni umane e le per-
sone d'ogni sorta. >
Dei viaggi del Verato in Francia non si hanno, ch'io sap-
pia, non che prove, traccie di sorta. Sappiamo che prese parte
alla recitazione dello Sfortunato, pastorale di Agostino Argenti,
data il maggio del 1567 a Ferrara; alle rappresentazioni che
si fecero in Ferrara il 1 570 per le nozze di Lucrezia d'Este con
Francesco Maria della Rovere, Principe d' Urbino, per le quali
furon pagate lire marchesane 19. o. io (V. Solerti, // Teatro
ferrarese) ; e alla recitazione del Sagrificio del Beccari, data in
Sassuolo nel 1587 con prologo del Guarini, pel matrimonio di
Pio di Savoja, Signor di Sassuolo, Modena, Vicenza, 1871; e
che, morto il 1589, fu sepolto in Santa Monica di Ferrara.
Ecco l'epitaffio del Tasso, non scritto dopo la morte del
Verato (il Tasso avea già lasciato Ferrara dell' '86), ma men-
tr' era in vita, e a istanza sua, come si legge nella didascalia di
un codice estense: Fatto ad instanza del Verato eccellente istrione:
Giace il Verato qui, che 'n real veste
superbo, od in servii abito accolto,
nel proprio aspetto, o sotto finto volto,
come volle, sembrò Davo o Tieste.
Se pianse, e risonò funebri e meste
voci, lagrimò seco il popol folto:
la dura cena e 'ndietro il sol rivoho
parve, ed in nubi ascoso atre e funeste.
VERATO - VERGNANO 633
Se rise, riser seco i bei notturni
teatri degli scherzi e delle frodi,
ed insieme ammiraro il mastro e l'arte:
or le scene bramar, bramar le carte
sembran l'alta sua voce e i dolci modi,
e sdegnar altri pie socchi e coturni.
Giovan Battista Guarini intitolò dal nome del Verato le
sue difese del Postar Fido contro Giason de Nores.
Verder Giovanni, veronese. Si esercitò prima co' dilettanti
della città, poi passò a fare il comico intorno al 1722. Lo ve-
diamo al S. Luca di Venezia insieme ad Argante e a Pompilio
Miti, rappresentare il 1736 la parte di Florindo nell'opera: La
Clemenza nella Vendetta. Adattò pel teatro un Orlando Furioso,
metà in verso sciolto, metà in istanze, tolte qua e là dal poema
ariosteo,che non fu mai stampato; e ritiratosi dalle scene, visse
alcun tempo, col frutto de* suoi risparmj a Venezia, ove morì
circa il 1757. Fr. Bartoli dice di lui che <fu comico di molta
abilità, e piacque sulle venete scene. >
Una sua figliuola, ballerina, si ritirò dal teatro per vestir
l'abito religioso.
Verg^ano Corrado, torinese, fu uno de' più egregi artisti
brillanti nella prima metà del secolo xix, per la correttezza e
la nobiltà de' modi. Il Diplomatico senza saperlo e il Ballandar
nella Catena di Scribe, il Bugiardo e altre parti di simil fatta
ebbero in lui un interpetre unico. Colto e gentile, s'ebbe la
stima di quanti lo accostarono, e la sua morte fu seguita dal
generale compianto. Fu quasi sempre capocomico e de' più
pregiati, e militaron con lui.i migliori attori e le migliori
attrici del suo tempo. Tuttavia anche a lui toccò talvolta la
sorte più avversa. Gustavo Modena che s' era aggregato alla
sua Compagnia, scrive a Calloud da Parma il 20 novembre
del '42: < La Compagnia Vergnano non piacque; e con essa,
te lo dico schietto, i Parmigiani sono ingiusti. Questa Compa-
so. — / Comici italioMÙ VoL II.
634 VERGNANO - VERONESE
gnia ha un'ottima qualità complessiva, dì tutti, cioè : quella di
recitar la commedia naturalmente, parlando, e nessuno glie ne
tien conto. » E il Sossaj, nella sua cronaca (Teatro Comunale
di Modena, autunno del 1844), della Compagnia Vergnano dice:
« Tutto che composta di soggetti di merito discreto, pure fu
assai mal corrisposta dal pubblico. I molti impegni lasciati in
altre piazze e quelli incontrati in Modena hanno prodotta la
conseguenza della totale disunione della Compagnia, per non
aver mezzi di intraprendere un viaggio e caricarsi di ulteriori
spese. Malgrado l'equipaggio sequestrato, i soggetti sono tutti
qui requisiti, meno il capocomico Vergnano, il quale seppe de-
stramente sottrarsi colla fiiga, terminata che ebbe la parte che
aveva nella comedia. > - Si recitava quella sera il 4" atto di
Misantropia e Pentimento, poi il 2° ^^ Due Sergenti. La Pelzet
in una lettera a NiccolÌnÌ del 27 luglio 1843 da Bologna ac-
cenna alla rovina di Verniano (sic), per opera della prosopopea
della lob, la sua prima attrice.
Sua moglie, Francesca, fu una egregia artista per le parti
di servetta, e passò, dopo la morte del marito a seconde nozze
col primo attore Cesare Fabbri che, per la età, poteva esserle
figliuolo.
Veronese Carlo Antonio, nato il 1702
non sappiam precisamente dove (il Campar-
don dice a Venezia, Fr. Bartoli a Verona, e lo
Jal forse a Firenze), cominciò coU'essere nelle
Compagnie italiane primo amoroso, e tale lo ri-
trova Carlo Goldoni a Feltre, attore e direttore
della Compagnia, di cui faceva parte Florindo
de' Maccheroni. Sappiamo da esso.Goldoni che
il Veronese aveva un occhio di vetro. Dopo
alcuni anni di capocomicato si scritturò nella
Compagnia di Antonio Sacco a Venezia, recitando sotto la ma-
schera di Pantalone. G. G. Rousseau racconta, nelle sue Con-
fessioni, come, essendo segretario dell'ambasciatore di Francia,
VERONESE 63S
il carnovale 1743-44, con un audace colpo di mano costrinse
a recarsi a Parigi per il Teatro Reale il Veronese, Ìl quale non
voleva tenere il contratto, e s'era invece impegnato col Tea-
tro Giustinian a S. Moisè di Venezia. Il Loehner per altro non
guarentirebbe l'esattezza di tale aneddoto. Comunque sia, il
¥(t
Veronese esordì in prova di fatto alla Comedia italiana come
pantalone nel Dotale mariage d' Arlequin. il 6 maggio 1744;
vi fu ricevuto stabilmente l'anno dopo, e v'ebbe promessa di
parte intiera il 4 novembre 1746. Fu attore mediocre, e sì ha
sopra di lui la seguente quartina:
Depuis le front jusqu'au talon,
tout s'exprime dans Veronése,
et le spectateur est fon aise
quand il voit venir Pantalon.
VERONESE
Scrisse molte commedie pel teatro italiano, fra cui alcune
diventate di moda, come Coralità magicienne in 5 atti, Le Prince
de Solerne in 5 atti, Les folies de Caroline in 5 atti, Les Deux
saurs rivales in 5 atti, etc, etc... Nel Principe di Salerno, com-
media tutta a macchinismi, data il 1746, era un volo pericoloso
che si fu obbligati a sopprimere a scanso di sciagure : Arlec-
chino rapiva il Dottore dal teatro, e spariva con lui da un fóro
nel soffitto della platea, fatto per dar aria alla sala.
Carlo Veronese, uomo facoltoso - dice Fr. BartoU — che
accrebbe, andando in Francia, le di lui fortune, senza pagare
- aggiunge il Loehner - i suoi debiti di Venezia, ebbe dal suo
matrimonio con Lucia Pierina Sperotti cinque figliuoli, di cui
tre, Pier Antonio, Cammilla e Anna seguiron l'arte del padre;
VERONESE 637
e morì a Parigi il 26 gennajo 1 762 Officier du Roy et bourgeais
de Paris, sostituito alla Comedia nel suo ruolo di Pantalone già
dal 1 760 da Antonio Matteucci detto CoUalto (V.).
Oltre al ritrattino a mezzo busto che tolgo da L'Opera
Comique, metto qui la riproduzione di due disegni a matita
rossa, segnati nel catalogo Bouchot della Biblioteca Nazionale
di Parigi coi numeri 527 e 535, e così descritti: < Scène de la
Comédie itali enne vers 1730, où Tacteur Alborgheti dit Vero-
nese est représenté jouant du violon devant des enfants. - Por-
trait en pied d'un acteur de la Comédie italienne, Alborgheti
dit Veronese, en costume de soldat. > Alborghetti Veronese ?
Errore evidente, poiché Veronese esordì a Parigi -quattor-
dici anni dopo la morte dell'eccellente Pantalone. Il Bouchot
dice: < vers 1730. > Ma io credo debba assegnarsi una data
posteriore ai due disegni, uguali di maniera all' altro messo al
nome di Cammilla (V. Veronese Cammilla) e concernenti certo
il Veronese.
Veronese Pietro Antonio Francesco. Figlio del prece-
dente, nato a Venezia il 25 marzo del 1732, esordì alla Comedia
italiana il 17 luglio 1754 colla maschera di Dottore nel Doublé
mariage et Ariequin. Sebbene favorevolmente accolto dal pub-
blico, credette opportuno interromper le sue recite che riprese
poi il 30 marzo del 1756. Fu ricevuto allora collo stipendio
di cento lire mensili, portate poi il 21 agosto 1759 a duemila
annue. Ma l'anno veniente, per una infrazione al regolamento
del Teatro, dovette lasciar la Comedia, e scritturarsi in una
Compagnia di provincia. Richiamato il 1763, gli furon pagate
quattrocento lire per spese di viaggio, e assegnate duemila
quattrocento lire annue, con la promessa di mezza parte, per
recitare anzi tutto sotto le vesti di Dottore, poi sotto quelle di
Scapino. Ottenne il 1767 tre quarti di parte, e fii incaricato as-
sieme a Giambattista Dehesse, della sorveglianza dei macchi-
nismi e degli scenari delle rappresentazioni a spettacolo del
genere italiano.
638 VERONESE
Ebbe in arte i suoi detrattori e i suoi ammiratori ; ma
effettivamente, senza levar troppo alto grido di sé, sostenne il
ruolo di Dottore con molta coscienza.
Fu due volte ammogliato. Prima con Giovanna Mestre,
mortagli il 6 agosto dell'anno 1766, poi con Giovanna Mau-
gras, o Naugras, ch'egli amava, vivente la prima moglie, e
che sposò dopo di avere promesso con atto formale di ab-
bandonare per sempre il teatro. Al momento del matrimo-
nio, gli sposi riconobbero un loro figliuolo, per nome Pietro
Lorenzo.
Pietro Antonio Veronese morì a Parigi il 6 aprile del-
l'anno 1776.
Dal suo secondo matrimonio ebbe un figlio, il quale com-
parve nella Féte du village alla Comedia italiana, ancora bimbo,
destando la stupefazione di tutti. Di lui è detto nelle Métnoires
secrcts: il piccolo Veronese, figlio d'un attore italiano noto col
nome di Dottore di cui ha sempre sostenuto il ruolo, ci ha dato
uno spettacolo de' più curiosi. Questo ragazzo di sei o sette anni,
ha ballato con una forza e una grazia maravigliose per la sua
età. La sua sicurezza e il suo garbo hanno incantato tutti gli
spettatori.
Veronese Anna» detta Corallina. Sorella del precedente,
nacque a Bassano verso il 1730 ed esordì alla Comedia itor
liana il 6 maggio 1 744 insieme a suo padre colla parte di Co-
lombina nel Doublé mariage d'Arlequin, dopo il quale eseguiva
un passo a due assieme ad Anton Stefano Balletti. Sostenne
poi la protagonista in Cor aline jardinière ovvero La Cotntesse
par hasard, commedia in tre atti di suo padre, e in Corcdine
esprit follet, scenario in tre atti rimesso in scena dallo stesso.
Dell'arte e del successo di Anna Veronese dicono i fratelli
Parfaict: < Una figura graziosa, molta vivacità, molto spirito
e molta gaiezza, qualità essenziali nella parte di servetta, le
acquistarono gran rinomanza non mai attenuata in tutto il
tempo che recitò.» D'Origny dice che < non si sapeva se am-
VERONESE 639
mirar più il suo ingegno o la sua bellezza, » e Panard dettò per
lei i seguenti versi :
Cet objet enchanteur qu'on doit à l'Italie
de trois divinités réunit les attraits;
Coraline offre sous ses traits
Hébé, Terpsichore et Thalie.
Fu dal suo esordire ricevuta alla Comedia italiana con sti-
pendio fisso, e nel 1 746 vi ottenne un pò* di parte. Ammessa
più tardi a parte intiera, abbandonò il teatro alla chiusura
del 1759 con mille lire di pensione.
Un poeta anonimo ha detto :
Coraline, toujours nouvelle
dans chaque róle où je la vois,
fait que je suis tout à la fois
amant inconstant et fidèle.
Il suo ingegno e la sua bellezza inspirarono anche una
lunga poesia al Marmontel, in cui è la seguente descrizione
appetitosa delle sue doti fisiche. Dopo di aver toccato del-
l'Italia, la terra diagli eroi, delle grazie, della poesia, che pro-
dusse Cintia, Delia e Corinna, si volge a Lucinda (Personaggio
di Voltaire) e dice :
Mais crois mei, ma Lucinde, en ces tems si vantés,
si Ton t'eùt vu paraitre auprès de ces Beautés,
avec cette fraicheur, cet éclat, ce scurire,
cette bouche appellant le plaisir qu*elle inspire,
ce corsage arrendi, tei que l'avait Psiche
quand l'amour comme un lierre y semblait attaché,
ce sein ferme et poli qui repoussant la toile,
de son bouton de rose enfle et rougit le voile;
cette main que l'amour baisait en la formant,
et qui ranimerait la cendre d'un Amant;
crois-moi, dis-je, Properce, Ovide, ni TibuUe,
n'auraient brulé jamais que des feux dont je brfile,
et le nom des beautés célèbres dans leurs vers,
n'auraient jamais re9u l'encens de l'Univers.
640 VERONESE
Ma i versi migliori le vennero da F. Gand...., che le de-
dicò Les Cot.ifichets (A Amsterdam M DCC XLVI) colla se-
guente epistola:
Fille de Terpsicorc, ornement du Théatrc,
Tei que le public idolatre,
et qui dans le coeur des mortels
S9ais t'élever de solides Autels:
Aimable esprit follet, charmante Coraline,
dont les rares talens & la beauté divine,
sur tes pas ravissans enchainant les Plaisirs,
font aussi par essains voltiger les desirs:
Tristes enfans de ma tendresse,
mes malheureux soupirs étouffes dans la presse,
n'ayant jamais pénétré jusqu'à toi:
de ma muse en ce jour j'emprunte le langage,
quel destin enchanteur si son naif hommage
attiroit tes regards & les fixoit sur moi !
De ma timide verve accepte les prémices,
l'esprit n'a point de part au don que je t'en fais ;
en te consacrant ces esquisses
mon coeur seul en fait tous les frais:
oui, du tendre Empire
le Tróne t'est dù:
qui te voit, t'admire....
qui te voit, soupire...,
Hélas! Je t'ai vfl.
Secondo il Grimm, dispregiatore per sistema delle com-
medie italiane, il chiasso fattosi attorno a Corallina era una
esagerazione, dacché egli non seppe vedere in lei che de' bel-
lissimi occhi, delle belle carni, e un magnifico petto accoppiati
a un talento d'attrice mediocrissimo.
Le grazie di Corallina le acquistarono un numero consi-
derevole di adoratori, tra cui Carlo Bertinazzi il celebre arlec-
chino, il Principe di Monaco, che le assegnò come semplice do-
nativo, prima 1 200 lire, poi altre 3000 all' anno, Létorière e
Di Saint-Crix, ufficiali al Reggimento delle Guardie, e il Conte
di La Marche, più tardi Principe di Conti.
VERONESE 641
Questi, che donò air attrice il marchesato di Silly, di cui
dicesi ch'ella portasse talvolta il titolo, s'ebbe da lei un figliuolo
diventato cavaliere di Malta, e noto sotto il nome di Vauréal.
Corallina, morta nell'aprile del 1782, istituì per testamento suo
legatario universale il Principe di Conti, il quale accettò l'ere-
dità, portando da 600 a 1000 lire annue la pensione che Co-
rallina passava dal 1 763 a sua madre Lucia Pierina Sperotti.
Veronese Cammilla, Giacomina, Antonietta. Sorella
della precedente, nata a Venezia verso il 1 735, nota in arte col
nome di Camilla, esordì alla Comedia italiana il 16 maggio 1 744,
assieme a sua sorella in Corallina esprit foUet, destando la co-
mune ammirazione come danzatrice perfetta. Acclamatissima
fu il 1 746 nel nuovo passo a due ch'ella e il piccolo Dubois ese-
guivano dopo il Principe di Salerno, in costume di vendemmia-
tori, dei quali esiste una incisione con in calce i seguenti versi :
Ces deux danseurs presque en naissant
par leur danse ingènue embellissent la scène,
et daDS l'àge où Ton sent à peine,
ils expriment tout ce qu'on sent.
Il 1° luglio 1747 la giovane ballerina esordì come attrice
nella commedia, scritta a posta per lei da suo padre, intitolata
Le due sorelle rivali, trascinando poi il 18 settembre il pub-
blico all'entusiasmo come attrice e come ballerina nella com-
media francese in un atto e in versi. Le tabUaux, di Panard, il
quale dettò allora questo grazioso madrigale :
Objet de nos dèsirs dans l'àge le plus tendre,
Camille, ne peut-on vous voir cu vous entendre
sans èprouver les maux que l'amour fait souffrir?
Trop jeune à la fois et trop belle,
en nous charmant sitót que vous ètes cruelle !
Attendez pour blesser que vous puissiez guèrir !
Poco dopo Cammilla fu accettata nella Compagnia con uno
stipendio fisso, e con la promessa di mezza parte, pei ruoli di
81. ~ / Comici UaUani. Voi. U.
642 VERONESE
amorosa e ballerina, a cui aggiunse nel 1759, dopo T allontana-
mento di Corallina, quello di servetta.
Esegui r agosto del 1760 con una verità maravigliosa, la
parte della Statua nel Pigmalione di Billioni; e Favart, giudice
competente in materia, così parla di siffatta creazione :
Nulla uguaglia la finezza dell' arte sua f>antomimica, specie quando la statua si va
gradualmente animando. La sorpresa, la curiositi, l'amor nascente, tutti i moti improv-
▼isi o progressivi dell' anima son dipinti sul suo volto con tale espressione non ancor tro-
vata sin qui. Si può dir eh' ella danzi col pensiero, e credo che l'arte degli antichi greci
nella pantomima non potesse andare più oltre.
Allegra e vivace nelle scenette, sapeva rendere con molto
sentimento le situazioni patetiche. Nel 1761, creò la parte di
madre nel Figlio d' Arlecchino perduto e ritrovato di Goldoni, strap-
pando le lacrime dell'uditorio; e il Grimm, nonostante i rim-
proveri che le move d* introdur troppi gallicismi nella lingxia
italiana, e italianismi nella francese, assicura che il suo volto
e il suo gesto eran sovente sublimi d'espressione.
Su di lei si ha la seguente quartina :
Digne élève de Terpsichore,
digne rivale de ta sa'ur,
Camille, est il un spectateur
qui ne t'admire et ne t'adore?
Cammilla Veronese morì il 20 luglio 1 768 tra le braccia
di Cromot, che amava da più anni la cara artista, per la quale
ordinò magnifici funerali. Cinquanta carrozze borghesi seg-ui-
vano il feretro, dietro a cui eran tutti i comici del Re della
Compagnia italiana, presieduti dal loro decano Giovan Battista
Dehesse; e nel Necrologio del 1769 si legge:
Si è detto con ragione che l'indole di Camilla era scolpita sulla sua faccia. Una
fisionomia nobile, aperta, e ana ingenuità viva dicevan chiaro le qualità dell'anima. Sn-.
periore a tutte le piccole querele e alle basse gelosie di mestiere, fu ne' suoi successi di
una modestia rara che ne la rendea più degna.
Lasciò morendo ogni suo avere alla sua famiglia, il che
fece onore alla sua mente e al suo cuore.
VERONESE
Camille .
Nonostante le piacevoli commedie di Collalto e il merito
vero di Carlino, il teatro italiano, dopo gli ultimi sprazzi di
luce gagliarda, avuti dall'arte delle sorelle Veronese, andò di
VERONESE
giorno in giorno passando di moda, e da! 1 780, la Comedia ita-
liana, pur conservando tal titolo, ingiustificato ornai, non rap-
presentò più che commedie scritte in francese.
Fra le testimonianze del valore artistico di Cammilla mi
piace di riferir quello di Carlo Goldoni. Nel Capitolo II del
voi. Ili delle sue Memorie, dice :
FreDdcniino niu ottdezs, ed aDdammo da Madamigella Camilla VcTonese, ore
eraTamo aipettatì a pranzo. Non è poisibile di trovar persona più allegra e più amabile
di Madamigella Camilla. Qoe*ta rappretenUia le aerre nelle commedie italiane; faceva le
delixie di Parigi sopra la scena, e quelle della Società doTe avevaii la fortuna d'incontrarla.
E nel Capitolo III:
Uadaroigella Camilla era un' eccellenl* camerìem, ben accomp^Data all' arleccliino
del qtiale ho parlato (Bertinaiii), piena di ipirito e di lentìmento, che toateneva il comico
con ' nna vezzosa vivacitl, e che rappresentava le sitnazioni commoventi con aninu e con
intellii^nza. Ella compariva in pubblico tal quale era in privato, sempre gaja, sempre eguale,
sempre interessante, avendo lo spirito ornato, e le qnaltti. del cnore eccellenti.
VERONESE - VESTRI 645
Si fece di Cammilla Veronese V anagpramma L'Amore se
là vince.
Oltre al bel ritratto di De L'Orme, metto la riproduzione
di un disegno a matita rossa, segnato nel catalogo Bouchot
col numero 530, e così descritto: « Portrait en pied d'une actrice
de la Comédie italienne, M."*Dehesse (róle de Camille) dansant
et jouant du tamboùr de basque (1730). > M."* Dehesse, róle
de Camille ? Anche qui è evidente una confusione di nomi. La
Dehesse (V. Visentini Caterina Antonietta) non fu mai Cammilla,
e Camilla non nacque che verso il '35 : ma la Dehesse fu prima
amorosa poi servetta, mentre Cammilla fu più specialmente bal-
lerina. È dunque assai più probabile che la data assegnata dal
Bouchot o dal suo predecessore al disegno, sia di alquanto
posteriore, e che esso debba ritrarre veramente la Veronese.
Verzura Domenico. Artista rinomatissimo per le parti di
padre nobile e caratterista, a cui si dedicò giovanissimo, nacque
a Genova l' ultimo ventennio del secolo xviii, e lo vediam già
capocomico stimato nel 1 800. Dotato di una voce magnifica e
di un portamento oltre ogni dir maestoso, nonostante la pro-
nunzia alcun po' dialettale, s'ebbe i maggiori encomi da' più
eletti pubblici d'Italia. Fu nelle principali Compagnie di Marta
Coleoni, Dorati, Goldoni, Perotti e Fini, e il critico delle Va-
rietà teatrali di Venezia per l'anno 182 1, quando il Verzura era
in Compagnia Perotti, lasciò scritto eh' egli era eccellente attore,
se non maggiore, non certo ad alcun altro secondo.
Morì a Genova del 1851 a oltre settant' anni.
i Luig^. Nacque a Firenze nel popolo di S. Pier Mag-
giore la mattina del 23 aprile 1781 da Gaetano di Luigi Maria
Vestri, primo cancelliere del tribunale esecutivo, e da Apol-
■
Ionia di Andrea Soldelli ; e fu battezzato il 24 detto coi nomi
di Luigi, Andrea, Giorgio, Giuseppe, Maria. Compiuti gli studi
agli Scolopi, fu iniziato al Foro, e ammesso poi nel tribunale
con rescritto del granduca Ferdinando, come ajutó di suo pa-
646 VESTRI
dre. Ma la Legge non aveva per lui alcuna attrattiva, sicché
un giorno, datole un addio, passò air ospedale di Santa Maria
Nuova per darsi agli studi di anatomia e fisiologia con T intento
di diventar chirurgo. Né questa ancora, benché dopo due anni
desse di sé le più liete speranze, egli sentiva essere la sua via.
Le recite con dilettanti della città, tra' quali ei fu non ultimo
mai e tal volta primo, lo esaltarono, specie quella del Filippo,
che Alfieri fece in sua casa, rappresentando egli stesso il pro-
tagonista, e affidando a lui il Gomez, Ma si venne al 1 799, e al
Vestri toccò la sorte di tanti giovani, forse, nella fiamma di
amor della patria, un po' troppo audaci: di essere cioè insul-
tato e percosso dalla popolaglia, e chiuso nelle carceri del Bar-
gello, dalle quali uscito dopo breve tempo, nauseato di siffatte
inique persecuzioni, abbandonò Firenze e la Toscana, senza
sapere ove il suo buon genio lo guidasse. E andò a Milano.
Quivi r incalzar della miseria e della fame lo indussero a ten-
tare, indarno, di trarre qualche profitto da' suoi studi di chi-
rurgia; e, per sollecitudine di un amico fiorentino, tornò in
patria, trattato col maggior de' rigori dal padre, che mal pa-
tiva l'animo ribelle di lui, e sopr'a tutto le sue inclinazioni al-
l'arte del teatro, la quale soleva essere guardata allora dalla
gente austera, come quasi disonorante. Quanto più dunque
essa attraeva il giovine, tanto meno egli sperava di potersi dare
a lei col consenso paterno. Che fare? Turbato, contrariato,
disperato, senza una guida, senza un piano determinato, senza
l'ombra de' mezzi, il 1804 ricorse di nuovo all'espediente della
fuga, in cerca di una compagnia che lo accogliesse nel suo
seno a qualunque costo ; e la trovò a Perugia. Le cronache
non ci dicono quale essa si fosse, ma non é dubbio che la prova
riuscisse eccellente, se l'anno dopo lo vediam generico della
rinomata Compagnia Consoli e Zuccato, di cui era primo attore
Gio. Angiolo Canova, l'artista pregiato, il maestro solertissimo,
che lo addestrò nelle parti di tiranno e di padre. Passò il 1806
in Compagnia del caratterista Andrea Bianchi, della quale era
primo attore il gran De Marini, che, udito il giovine artista, e
capite subito le sue chiare attitudini alla scena, lo consigliò ad
assumer le parti del capocomico, il quale annuì dì buon grado
a esser da lui sostituito, facendolo esordire Ìl carnovale del 1807
al San Benedetto di Venezia, dove Ìl Vestri, nel nuovo ruolo si
acquistò la stima e la benevolenza è l'amore di ogni classe di
pubblico. Da quella del Bianchi passò il 1 8og, socio, nella Com-
pagnia del Dorati, e da questa il 181 2, scritturato, in quella
del Blanes, per formar poscia Ìl i8i6 un'ottima Compagnia
assieme ad Angelo Venier, della quale era prima attrice Caro-
lina Internari, fiorente di giovinezza e di gloria, e colla quale
andò il ' 1 8 al Teatro Valle di Roma, scritturato per un triennio
e per tre stagioni (primavera, autunno e carnovale) dal Duca
Torlonia con 1 2,000 scudi romani ogni anno, destandovi il più
schietto e vivo entusiasmo, giacché allora, ad allargar la cer-
648 VESTRI
chia del suo repertorio, e ad acquistar nova gloria al suo nome,
si diede alla interpetrazione e rappresentazione di quei carat-
teri così detti promiscui, che lo fecero in breve il signore asso-
luto della scena. Ma, ahimè, il carnovale del 1822 volle forse
abbracciar troppo, abusando della idolatria che i romani avevan
per lui ; e, proprietario di due Compagnie nella stessa Roma,
impresario del Teatro Apollo per la messa in iscena di due
opere e quattro balli, vide in un attimo, gli affari volti al male,
perduto ogni suo risparmio, perduta per molti anni, volendo a
ogni costo far fronte sino air ultimo centesimo agli assunti im-
pegni,*la maggior parte del suo stipendio, eh* era di 1 6,000 lire.
La morte del celebre artista Pertica fu la vita nuova del
Vestri, il quale, chiamato dal Fabbrichesi a sostituirlo nella
Compagnia Reale ai Fiorentini, ov'era ancora il celebre De
Marini, benché sulle prime vi trovasse il pubblico arcigno oltre
misura, andò gradualmente trascinandolo al delirio, specie con
L' odio ereditario del Cosenza, fino a essere condotto dopo una
recita a casa in trionfo, cosà rara se non unica - accenna il
biografo Scifoni - per un artista drammatico,
Da quella di Napoli, passò il ^29 dopo la morte del Ri-
ghetti alla Real Compagnia di Torino, nella quale stette fino
al '41, per andare come attore e direttore di una nuova Com-
pagnia formata da Carlo Re, proprietario del vecchio Teatro
di tal nome in Milano, che esordì la quaresima al Teatro Obizi
di Padova, dove si manifestarono i primi sintomi del tumor ma-
ligno da cui fu condotto al sepolcro in Bologna la mattina del
19 agosto di quell'anno medesimo, in così misero stato finan-
ziario, da non lasciare il danaro sufficiente alla spesa dei funerali,
fatti solennemente mercè pubbliche offerte, e così descritti nel
giornale II Felsineo dall'attore bolognese Augusto Aglebert:
n giorno 21 agosto la campana della chiesa di S. Benedetto suonava il tocco dei
morti, e quiri radnnavasi il popolo che vivo l'ammirò, a impetrar requie all'anima di
Luigi Vestri. — Pregava con tetra melodia l' ultime voci di pace la musica solenne del
valentissimo maestro Marchesi, il quale ne dirigeva la esecuzione, ed egli e tutti i pro-
fessori filarmonici e cantanti, artisti ed amatori che trovavansi in Bologna, prestavano gra-
tuitamente questo doloroso tributo. Parevano più onnipossenti quelle armonie, più pene-
650 VESTRI
Il Bartolini a Firenze aveva scolpito un busto del celebre
artista, ridente da un lato, piangente dair altro, che offerse a
Bologna, e che fu collocato nella Galleria degli Angeli. Sul
cippo è la seguente iscrizione di M/ Arcangelo Gamberini :
ALOISIO ' VESTRIO
DOMO • FLORBNTIA
QUI • ROSCIANAM - LAUDBM • BBfULATUS
COMICORUM • SUI • TEMPORIS • PRINCBPS
HABITUS • BST
VIXIT • A. LX. DBa XIIIL K, SBPT. MDCCCXXXXI
SODAL • CONCORDBS
IN • SCBNA • PER • OTIUM • AGBNTBS
PBC • CONL • POS
GB • OFFERITA
La bontà dell'animo suo fu quasi proverbiale. Certo a
quella non corrispose T ordine, l'equilibrio nella condotta; che,
incurante del danaro e del domani, scialacquava a tal seg-no
da trovarsi il più spesso, al momento di lasciare una piazza, in
angustie tormentose : e si vuole che, senza tener conto della
sua paga annuale, avesse potuto colle sole beneficiate lasciare ai
figliuoli non men di 200,000 lire. Quando una misera compa-
gnia si trovava vicina alla sua, si volgeva a lui per soccorso ;
ed egli, se il suo dovere glie lo consentiva, accorreva subito,
e con una recita la sollevava lì per lì dalle abituali ristrettezze.
Mentre si trovava al San Benedetto di Venezia, con un'ac-
colta de' più egregi artisti, quali la Internari, Lombardi, i Ve-
nier, Berlaffa, e vedeva ogni sera il teatro rigurgitare di spet-
tatori, andò al San Gio. Crisostomo la Compagnia ToflToloni
composta di mediocri artisti, e vi ebbe, naturalmente, la più
meschina fortuna. Ma ricorsa all'allestimento di un nuovo la-
voro spettacoloso : Vita, delitti e morte del celebre assassino Giu-
seppe Mastrilli, vinse la curiosità del pubblico, il quale fu tanto
colpito dalla novità dell' opera, e sopr' a tutto dal valore arti-
stico del Gallina, che ne sosteneva il protagonista, che per ben
venti sere affollò il teatro, lasciando deserto il San Benedetto.
Immagini ognuno la sorpresa e la bile del grande artista!
Come fare? Egli annunziò subito la goldoniana Bottega del Caffi,
VESTRI 651
commedia di sicura attrattiva, specialmente a Venezia e reci-
tata dal Vestri, sperando di scuoter di nuovo V apatia del pub-
blico per la sana commedia e V arte sana : triste delusione ! Il
teatro non contò quella sera oltre cinquanta spettatori. Egli
allora si tolse la parrucca, si mise il cappello, si buttò sulle
spalle un mantello, e si recò in platea, dove, ordinato all'or-
chestra di cessare dai suoni, cominciò a dire : « Grazie anzi-
tutto, o Signori, della vostra fedeltà; ma io desidero che non
restiate qui ad annojarvi in questa specie di deserto; e in cam-
bio della Bottega elei Caffè, vi do una sala della Trattoria del
Selvatico, dove dividerete con me una modesta cena che ardisco
di offerirvi. Naturalmente, io e i miei siam pronti a recitare; e
non avete che a fare un cenno, secondo il vostro diritto, perchè
io corra a dare gli ordini. > Prima un silenzio glaciale, poi uno
scoppio di risa accolse lo strano invito ; ancora qualche parola
del Vestri, ancora qualche titubanza del pubblico ad accettare.
Ma, in conclusione, la recita non ebbe luogo, e di lì a due ore,
parte degli spettatori si recò davvero al Selvatico, ove trovò
imbandita una sontuosa mensa con gran dovizia di cibi e di
bevande, rallegrati dai motti di spirito e dall'umor gajo e gio-
condo dell'anfitrione.
Anche dell'arte sua incomparabile abbiam testimonianze
grandissime, di cui metterò qui alcune delle più chiare e men
sospette di poca sincerità.
Di Niccolò Tommaseo :
Luigi Vestii ritaceTa ripetendo, eseguendo creava. Dolce e chiara favella, viso trasmu-
tabile per ogni guisa d'affetto, l'ingegno non digiuno di lettere, onesto il sentimento.
Volgeva le chiavi del rìso e del pianto ; della vita sentiva il duplice aspetto, e lo ritraeva
con libera agevolezza, per quasi innata facoltà. Erano in quella persona 4' arte consumata
e la schietta natura in mirabile modo più che unite, miste. All'udirlo, la moltitudine si
commoveva di allegrìa e di pietà, l' artista rìmaneva pensoso ammirando. Con un cenno
ei rendeva un carattere; con una modulazione di voce avvivava una scena.
Di Felice Scifoni :
A vederlo, pareva che la natura lo avesse creato non ad altro che al genere co-
mico : era pingue della persona, aveva il ventre, sporgente innanzi ; alto però quanto si
conveniva, non notavi nelle sue membra alcuna increscevole sproporzione. Piacevole fiso-
nomia ; negli occhi, nelle labbra e nella fronte, potenza di esprìmere le più inteme com-
652 VESTRI
mozioni dell'animo, senza stento nella severità o nella tenerezza, senza sconcezze nel ridi-
colo; si che più volte non proferendo parola, non movendo mano, seppe con nn solo
sguardo scuoter la moltitudine attonita, atterrirla o rallegrarla secondo che dimandassero
le trattate passioni. Da quel punto ch'egli entrava sulla scena fino a che non ne fosse
uscito, era tutto immedesimato nel personaggio che prendeva a rappresentare : né v' era
imprevista circostanza che mai potesse larlo uscire dalla qualità eh' ei vestiva : non lo
vedevi dardeggiare gH sguardi nei palchi o nella platea, mentre l' altro attore eh' era in
scena con lui favellava ; non ammiccare al suggeritore ; non mendicar le parole ; non di-
strarsi insomma in quelle cose, da cui anche gì' infimi tra' nostri comici sarebbe ormai
tempo cessassero, perchè non addimandano sublimità d' ingegno, ma solo diligenza nei
propij doveri, amore dell' arte che professano, rispetto verso quel tremendissimo giudice
innanzi a cui stanno.
La sua voce era chiara, aggradevole, risonante; se non che nelle più alte commo-
zioni degli affetti forse con troppa forza tuonava ; ma altri che il Vestri avria potnto in
quel punto rattenere la foga delle fissioni, egli non già, che troppo sentiva altamente.
Nel pronunziar delle sue parole udivi tutta la gentilezza del favellare toscano, ma vi tro-
vavi, dallo studio e dal continuo correre per l'Italia, rimosso ogni senso di aspirazione.
Ogni personaggio, per quanto fosse di poca importanza nel dramma, diventava nelle sue
mani importantissimo, ed ebbe in ciò una rara potenza creatrice, perchè appunto il sno
recitare non era di sole parole, ma scrutando con sottilissimo accorgimento e filosofia nel
costume che l' autore aveva espresso nel personaggio eh' ei prendeva a rappresentare, ogni
volger di occhio, ogni movenza della persona informavasi da quello....
Di Luigi Carrer :
Potrebbe chiamarsi quasi la mostra del gusto predominante in un popolo, secondo
eh' egli si studia maggiormente piacere per via della serietà, o dello scherzo, potentissimo
com'egli è in doppia prova. Biirabilmente attemprandosi ai diversi caratteri che rappre-
senta, non mai sveste certa aria sua naturale che può dirsi il tuono fondamentale d'ogni
sua musica. A molti parrà questo difetto ; a me sembra l' indizio più sicuro e palese del
genio, che modifica una parte di sé, giusta i diversi soggetti che tratta, ma serba intatta
una parte per farsi conoscere nella sua essenza, che mai non muta. Però non manca chi
il dice monotono in alcuni suoi lazzi e movenze : pur v' è chi risponde esservi in Ini la
stessa monotonia che nella natura. Se in generale fosse men nobile ne' suoi portamenti,
le genti, avvezzate al peggio, mal saprebbero rimproverargli le alcune volte eh' ei rinnega
sé stesso per seguire il mal vezzo degl' istrioni dozzinali : e dò, perchè non si dica so-
verchiamente sfoggiato il mio panegirico.
Ma il Carrer dettava queste parole, quando il Vestri era
ancora a Napoli col Fabbrichesi : e lo Scifoni, accennando al
difetto, quando T artista era in Compagnia Reale Sarda, così
conclude :
Notavano in esso gli intelligenti che alcuna volta, troppo compiacente all' uditorio,
nel rappresentare le parti comiche scendeva alquanto dalla sua dignità, abbandonandosi
a certe iÌBu:ezie che poco si convenivano. Erano queste a dir vero come lampi che rom-
pono il tranquillo sereno di una notte estiva, ma pure spiacevano in un artista che aveva
ingegno e forza da correggere in questa parte il mal gusto popolare. Or dunque il Vestri
VESTRI 653
av€va anche tolto da sé gueUa menda, facendo come Goldoni, che prima blandi P univer-
sale per farsene signore, e poi, quando lo poti trarre a voglia sua, lo indirizzò pel retto
cammino,
A cotesto difetto, per altro, dello strafare accenna anche
Francesco Righetti (op. cit.), proprio al tempo in cui il Vestri
era nella Compagnia Reale Sarda, accusandone piuttosto il
pubblico che Tartista; ma poi, dopo di aver detto che Vestri sa
commovere il cuore gtcando la circostanza et una scena patetica lo
esige, conclude: nessun altro attore in Italia, al pari di lui ha saputo
destare tanto diletto nelle parti ridicole, e caitivarsi Paura popolar e.
Né men larghi di lode al genio dell' artista furono gli stra-
nieri. Il Byron nel suo diario, alla data del 6 gennaio 182 1, a
Ravenna, scrive:
Parlato col conte Pietro Guiccioli del comico italiano Vestri, che è ora a Roma.
L' ho veduto spesso recitare a Venezia. Un assai buon attore : un po' manierato, ma eccel-
lente nell'alta commedia, come nel sentimentale patetico. Egli mi ha fatto spesso ridere e
piangere : effetti non facili entrambi da prodursi ora sul mio animo, almeno da un com-
mediante.
Il Platen, alla data del 15 ottobre 1824, a Venezia {Viag-
gio in Italia)^ scrive :
In S. Benedetto oggi si è data una commedia di Goldoni : H Burbero benefico;
degna almeno di essere ascoltata. Vestri che faceva il Burbero è un attore che non ha
il suo simile. Egli non può mostrarsi senza essere subito applaudito. Oggi egli fu chia-
mato fuori al secondo atto. Venne, si allontanò di nuovo, ma il pubblico non era ancora
contento, ed egU dovette venir fuori un'altra volta.
Al degna almeno di essere ascoltata del Platen, va attribuito
un significato in contrapposto alle produzioni straniere e ita-
liane inascoltabili, ond*eran invasi i nostri teatri. Al principio
del diario di Venezia (24 settembre) egli dice infatti:
Abbiamo finalmente da otto giorni qui una Compagnia che recita al teatro S. Be-
nedetto di proprietà della famiglia Gallo. La Compagnia Fabbrichesi è reputata la migUore
in Italia, e infatti essa ha un pajo di artisti - De Marini e Vestri - che nel loro genere
non lascian nulla a desiderare; ma delle commedie che furon date finora una fu sempre
peggio dell'altra.... Sempre gli stessi intrighi : è in tutte una scena di riconoscimento, un
figlio perduto, ecc. Sarebbe una fortuna straordinaria vedere almeno una commedia di Gol-
doni e ne' costumi del paese ; poiché i lavori dati finora eran tedeschi, olandesi o inglesi.
Nella vastità e varietà del suo repertorio eran da notarsi,
come quelle che gli avevan data maggior fama, le opere se-
::ì
654 VESTRI
guenti : La Restituzione, commedia in 5 atti di ignoto tedesco,
tradotta liberamente da Filippo Casari, e rappresentata al Giglio
di Lucca il 1 2 giugno del *26 per beneficiata della caratteristica
Francesca Fabbrichesi; Il Berretto nero del barone Gio. Carlo
Cosenza; L! Odio ereditario pur di Cosenza; Dev'esser uno e sono
quattro, traduzione di Filippo Casari ; Gli Eredi della Waisen-
Thurn del Teatro Imperiale di Vienna; Il Benefattore e I Orfana
di Nota; Il Medico e la Morte; La Bottega del Caffè di Goldoni ;
La Serva amorosa di Goldoni ; Filippo di Scribe ; Malvina di
Scribe ; La famiglia Riquebourg di Scribe ; La Leggitrice e il
Cieco: Don Desiderio del Giraud; // Poeta fanatico di Goldoni.
Fra le tante carte del Vestri che io posseggo è anche
l'inventario dei mobili esistenti neir alloggio ch'egli occupava
a Torino, e che vendè a Samuel Levi e C. per 1 500 franchi,
quando abbandonò la Compagnia Reale Sarda. I mobili dove-
vano essere consegnati entro i primi di marzo del 1 84 1 , e la
nota in cima all'inventario porta colla firma di Luigi Vestri, la
data de' io agosto 1840: un anno prima della sua morte.
Curiose erano anche le sue più vecchie scritture teatrali.
Io ho quella di Luigi Forti colla data del 22 gennajo 1822, tutta
riempita di mano del Vestri e da lui firmata. Consta di quattro
articoli brevissimi, e comprende una paginetta e mezzo di
stampa a grossi caratteri.
Delle sue tsmte lettere riferisco in fac-simile, ma un po' rim-
picciolita, questa, indirizzata all'impresario Pietro Somigli, in
cui è accennato al come si trovasse male nella Real Compagnia
di Torino: alla quale si riferisce un'altra a Domenico Righetti
da Torino, senza data, in cui risponde negativamente alla do-
manda di lui di voler conoscere il motivo della sua partenza
dalla Compagnia, e conclude : « Ciò che ora mi ha determinato
si è di tal peso che niuna cosa potrebbe rimuovermi, ed il mag-
gior dispiacere lo forma il non potertene ora manifestare il
motivo. >
Recitando egli nel R. Teatro del Giglio in Lucca nella
primavera dell'anno 1826, gli ammiratori del suo merito gli
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656 VESTRI
offerirono il seguente sonetto, la sera di sua beneficiata, che
fu il IO di giugno :
Grecia favoleggiò che in forme cento
Proteo cangiasse ognor modi e sembiante;
ma sol oggi Tu avveri un tal portento
vantato a lungo, e non mai visto innante.
Che se destar vuoi '1 riso, e s' hai talento
che in pianto sciolga il popol circostante,
il clamor cessa, ed il represso a stento
singulto a contener non è bastante.
Ebbe i suoi ludi, è ver, Roma ed Atene,
ma di motti scurrili, ed immodesti
lazzi contaminar le patrie scene.
Non cosi Tu, che a senno tuo sapesti
ciò che lice imitar, ciò che sconviene
a' detti arguti, ed a' giocosi gesti.
Vestii Gaetano. Figlio del precedente, nacque a Milano
il 25 dicembre 1825, nella Locanda della Commenda, la sera
in cui la Compagnia Fabbrichesi recitava al Carcano UAjo
neir imbarazzo, di cui era protagonista il padre Luigi. Alzatosi,
dopo l'intermezzo del secondo atto il sipario, i comici s*a;ccor-
sero che mancava VAJo. Di qui nacquero mormorii vieppiù cre-
scenti, che il pubblico non sapeva rendersi conto di quello
sconcio di scene vuote, mai accaduto, UAjo era fuggito alla
Commenda ad abbracciare il primogenito maschio, e quando
ricomparve sulla scena, il pubblico, messo a parte ornai del-
l'avvenimento, lo accolse con tale scoppio di applausi che fece
piangere di consolazione il fortunato padre. Gaetano fu allevato
a Desio vicino a Milano, poi nel Collegio Boselli, il miglior
convitto di Lombardia, d'onde a dieci anni uscì, compiuti i suoi
primi studi d'italiano e tedesco, per entrare, dopo un anno di
preparazione al latino nella Scuola privata Gay, nel Collegio
vescovile di Castiglion Fiorentino, all'intento di farvi il corso di
filosofia. Il padre lo aveva destinato all'avvocatura, sebbene egli
'jt.i.
inclinasse più alla medicina : ma ossequente all' autorità paterna,
era già per recarsi all'Università di Firenze, quando quegli
morì. Abbandonati allora gli studj SÌ di medicina, sì legali, Gae-
tano, padrone ornai di sé, vinto dal fascina che avevan sempre
esercitato su dì luì le glorie teatrali del padre, si fece comico,
esordendo con Luigi Domeniconi al Teatro Rossini di Livorno,
e mostrando subito le più chiare attitudini alla scena, le quali
poi sviluppò con gran successo al fianco di Gustavo Modena,
che gli fu capocomico e maestro affezionato. ■
Acquistatosi una bella rinomanza, si unì in società con
Luigi e Antonietta Robotti, di cui sposò nel 1851 la figlia Luigia,
658 VESTRI
prima attrice giovine. Ma ragioni d'interesse lo tolsero dopo varj
anni dai suoceri per fare una società con Antonio Feoli, che sorti
esito disastroso, sì ch'egli ritornò attore scritturato nella nuova
Compagnia di Luigi Bellotti-Bon, dove, ahimè ! poco di poi co-
minciò a dar segni manifesti di alienazione mentale. Bello della
persona, di fisonomia espressiva, di conversare piacevolissimo,
di coltura non comune, di mente svegliata, egli andò perdendo
a gradi ogni conoscenza : e in volger di pochi anni, ridotto dal
male al completo ebetismo, cessò di vivere in Torino il 1862.
Racconta T attore Mazzocca nelle sue Memorie (Milano, Pul-
zato, 1904), che < solo negli ultimi mesi del 1858, agli indubbi
segni di dissoluzione che in lui si manifestavano, si prevedeva
la sventura. Tetro, taciturno, irrequieto, talvolta irascibile, se-
duto presso la buca del suggeritore, posto riservato al diret-
tore, non dirigeva più perchè non poteva. Spesso era preso
da una cattiva sonnolenza e appariva come ebete. Un g-iorno
egli stesso confessò che si sentiva quasi un vuoto nel cervello
e non gli riusciva d'imparare una parte nuova. > La testa di
Gaetano Vestri era enorme. Sin dall'infanzia gli amici di Luigi
solevano dire che suo figlio sarebbe divenuto o un grande in-
gegno, o un grande zuccone: frase ch'egli andava poi spesso
ripetendo, ma pare che da giovine Gaetano desse molto filo
da torcere al povero padre che non sapeva come porre un ri-
medio alle scelleratezze di lui (vedi al nome di Luigi la lettera
autografa), nelle quali forse era il germe dell' esquilibrio men-
tale. A proposito della testa smisurata di Vestri, lo stesso Maz-
zocca racconta che egli < si divertiva talvolta a entrare in un
negozio di cappelli, e provarne un gran numero, senza mai
trovare quello che facesse al caso suo. >
Pochi particolari si hanno del valor suo artistico, ma per
comune consentimento egli fu ritenuto come quello de* figli che
più si accostasse all'arte prodigiosa e spontanea del padre.
Enrico De Amici annovera, fra le opere da lui meglio inter-
petrate: La Bottega del Caffè e Michele Ferriti ; Giuseppe Maz-
zocca vi aggiunge Filippo Maria Visconti, Carlo Magno nei
Poveri di Parigi. Zaccar, Il povero Giacomo, Papà Martin, Sior
Todero Brontolon, il Padre nella Prosa, Carnioli nella Dalila.
Vestri Luigia. Moglie del precedente, e figlia dì Luigi e
Antonietta Robetti, cominciò a recitare nella Compagnia reale
sarda coi parenti, poi in quella eh' egli avea formata in società
con suo padre. Da questa passò poi, sempre col marito, in
Compagnia Feolì e in quella di BellottÌ-Bon, nella quale co-
minciarono i primi sintomi del male che dovean condurlo alla
tomba. Morto il Vestri, ella fu qualche mese in Compagnia di
Luigi Bonazzi, poi sette anni in quella Trivelli. Fu il '66 a Na-
poli con la Sadowskì e Majeroni, e il '68 con Zoppetti e Vitaliani,
dai quali sì sciolse per passare a seconde nozze col dottor Icilio
Polese-Santarnecchi, direttore del giornale L'Arte Dramma-
tica di Milano.
Il '70, sollecitata dall'agente Eugenio Lombardi, andò a
sostituir la moglie di Alamanno Morelli, e con quell'anno chiuse
per sempre la sua carriera artistica.
Vestri •Marsoni Laura. Figlia dei precedenti, cresciuta
sulle tavole del palcoscenico, entrò a far parte della prima
Compagnia di Novelli dopo uscito dal-
la Compagnia Nazionale, per parti di
giovine: ma da lui consigliata, poco
oltre i vent'anni mise la parrucca della
madre, per seguire la tradizione di fa-
miglia, in cui nonno e padre s'eran
fatti celebri colle parti caratteristiche.
Recitò in dialetto veneziano sotto la
direzione di Giacinto Gallina; poscia
in milanese; e oggi (1904) trovasi da
cinque anni con la Compagnia Gra-
matica. Talli e Calabresi, - La Vestri,
vera faccia di caratterista, è un attrice modesta, la quale, per la
serena semplicità del suo dire, meriterebbe maggior attenzione.
^
P^^
Vestri Pietro. Fratello di Gaetano, nato aPadova il 12 ago-
sto 1827, fu condotto a cinque anni a Torino, ove stette fino
al '40. A Parma Ìl padre gli ottenne Ìl posto di allievo nel Col-
legiomilitare.chegli fii serbato gratuito dall'Arciduchessa Ma-
ria Luigia dopo la morte del padre. Del'45
4 fu soldato nel secondo Cacciatori, e com-
piuto il biennio d'obbligo, si unì a sua ma-
dre e a sua sorella Anna, venute a Parma
a recitare in quel teatro ducale. Entrò poi
per intercessione del fratello Gaetano nella
Compagnia lombarda di Alamanno Mo-
, relli, in cui restò fino al'ss. Il 30 settem-
bre '54 sposò a Milano la signorina Luisa
Biagini, e passò in Compagnia Robotti, da
cui si tolse, quando ne uscì la celebrata
Antonietta. A voler mettere qui tutte fino a oggi le compagnie,
in cui pellegrinò con varia fortuna e con vario ufficio, troppo
ci vorrebbe. Basti ch'egli pervenne, onestamente modesto e
rassegnato, ai settantadue anni, dopo i quali, soccorso con
amore dalle figliuole Gilda e Anna, andò a stabilirsi a Bologna,
ov" è tuttavia (1904).
Vestii Angelo. Fratello del precedente, nacque a Firenze
il 30 settembre del 1828. A soli quindici anni si trovò con
Gustavo Modena, poi con Augusto Bon in Compagnia Lom-
barda, poi brillante ai Fiorentini di Napoli al fianco dì Alberti,
Taddei, Majeroni, Salvini, la Sadowski, la Cazzola, in mezzo
ai quali cominciò ad acquistarsi la più bella rinomanza artistica :
e si noti che Angelo Vestri, entrato in quella Compagnia il '47,
obbligandosi « di agirvi in carattere di generico e in tutte quelle
parti di primo e secondo carattere, brillante, amoroso che gli ver-
ranno dal direttore della Impresa assegnate, con l'annuo com-
penso di lire austriache duemilaseicento, pari a ducati del Regno
cinquecentoventi, e di una mezza serata in appalto come d'uso
in Napoli, > arrivò a pena, dopo quattordici anni, nei quali era
diventato il beniamino del pubblico, a ricevere uno stipendio
di settanta ducati al mese, che è oggi a un dipresso quello
di un generico. Uscito dai Fiorentini il '6i, si scritturò con
Alamanno Morelli, tornando poi a Napoli il '64 al Teatro del
Fondo con Achille Majeroni con cui stette sino al '67. Dal '67
al '70 fu capocomico, e il '71 tornò con l'Alberti ai Fiorentini
in qualità, 'sta volta, dì caratterista.
Passò ancora per alcuni anni dì com*-
pagnia in compagnia, finché fu scrit-
turato assieme al Novelli nella Com-
pagnia Nazionale, dove stette un
triennio, per passar poscia in quella
di Giovanni Battista Marini. La sera
del 1 2 di gennajo 1 88g si doveva
rappresentare al Manzoni di Milano
LaLocandiera di Goldoni, in cui egli
era sommo sotto le spoglie del Mar-
chese di Forlimpopoli. continuando la
tradizione gloriosa de' suoi grandi
predecessori. Al momento di alzar
la tela, uscì di camerino per entrar sul palcoscenico, quando,
tutt'a un tratto, mandò un grido, e stramazzò a terra, come
fulminato.
Trasportato a braccia su di una poltrona a casa sua, non
discosta dal teatro, in quell'abito goldoniano, con quel viso
truccato, angoscioso contrasto con la inerzia mortale del po-
vero corpo, visse ancora per una settimana una vita di morte,
e circondato dall'affettuosa moglie e da tutti i compagni, si
spense la domenica sera 20 gennajo alle 11,25.
I funerali civili ne furono solenni : ogni compagnia mandò
fiori e rappresentanti ; e al cimitero Antonio Salsilli die l'estremo
saluto al povero estinto.
Angelo Vestri fu il solo destinato dal padre alla scena. E
infatti egli ebbe le più chiare qualità per ben riuscirvi : ingfe-
gno pronto, recitazione spontanea, vera, misurata; fisionomia
mobile ed espressiva: amore e propositi seri per l'arte altis-
sima, profonda.
Yestrì-Mìchelli Annetta, moglie del precedente, nata nel
villaggio di Ajello presso Palmanova l'8 marzo 1840 da Nicolò
Michelli e Anna Laraerz, e cresciuta, si può dire, in un am-
biente drammatico (il patrigno nobile Carlo del Torso .udinese
era presidente del Teatro di Palmanova), ebbe fin da giovi-
netta il più grande trasporto alla scena, in cui fece non dubbie
prove dì buona riuscita coi dilettanti del paese. Recatasi col
patrigno a Milano, all'insaputa
della madre, che pei soliti vec-
chi pregiudìzj era avversa alle
inclinazioni della figlia, entrò
nell'Accademia de' Filodram-
matici, diretta allora dal Mo-
relli, ed esordì il '55-'56 nella
Compag^nia di Adelaide Ri-
stori, in cui stette oltre due
anni, come generica, amorosa,
seconda donna, servetta, e tal-
volta anche, nonostante la te-
nera età., madre o nutrice. Andò
poi il '59 e '60 seconda donna
in Compagnia Domeniconi a
fianco della Cazzola, sposando
al principio del'òi Angelo Ve-
stri e passando ai Fiorentini
di Napoli nella Compagnia di
A. Alberti. Fu il '62 e '63 pri-
ma aiirice in quella di Ala-
manno Morelli con l'Adelaide
Tessero prima attrice giovine, il '64-'66 al Fondo di Napoli con
Majeroni, il 'bj-'àg nella Compagnia di suo marito in società
con Pezzana, ÌI '70 in altra in società con Majeroni Edoardo
e Rescalli, il '7 1 di nuovo a Napoli, passata al ruolo dì prima
donna di spalla, seconda donna e madre, il '74 ancora prima at-
trice con Bozzo, il '76 con Giovagnoli, e il '77 a Parigi con
Salvini al posto di Amalia Checchi ivi morta. Passò a far le
madri, il '78, con Paladini, Andò e Vestri; ìl '79 con Pietriboni,
ov* io r ebbi ottima compagna, 1' '80 in Compagnia sociale di
suo marito, e l"8i e r'82 con Emanuel. Entrato poi il Vestri
nella Compagnia Nazionale, dove non era alcun posto per lei,
non volendo ella creare ostacoli alla scrittura del marito, sì
ritirò dalle scene, e, dopo la morte dì lui, a Bologna, traendo
meschinamente la vita. Ma vinto il concorso alla cattedra di
declamazione nel Liceo musicale dì Pesaro, quivi ormai si è
stabilita, paga della vita di pace che s'è venuta creando col suo
ingegno e colla sua bontà.
Vestii Leopoldo. Ultimo dei fratelli Vestri, nacque a Bre-
scia il 1832. Fu col fratello Pietro a Parma nel Collegio dì
Maria Luigia, d'onde levato ancor gio-
vine, visse alcun tempo colla madre,
recitando piccole parti di paggio, di
amorino, di ragazzo, con Pisenti e Sol-
mi, la Ristori, ecc. Trovandosi fermo
a Firenze con la madre, a spasso, gli
venne fatto dì conoscere Giovanni
Chiarini celebre conduttore di una
compagnia dì pantomimi, e fu da lui
scritturato con due svanziche alla set-
timana per ogni specie di parti, dopo
di avere esordito con ottimo successo
in quella di vecchia mugnaia nei Muli-
nari. In breve doventò uno de' capi-
saldi della Compagnia, alternando le partì mimiche con le forze
alla colonna d'Alcide, ì balletti di carattere, le maschere di
Pierrot e Arlecchino. Dopo due anni di quella vita travagliosa,
il fratello Gaetano lo volle con sé, e gli affidò le parti di amo-
664 VESTRI - VIDARI
roso, da cui per decisa inettitudine lo tolse subito per passarlo
alle comiche marno ^ secóndo brillante: e tanto Leopoldo in
quelle si distinse, che dopo sei anni fu elevato al grado di
primo brillante assoluto nella Compagnia di Zamarini e Carlo
Romagnòli, in cui esordì con molto successo il 1 860 ài Pa-
ganini di Genova. Fu poi con Elena Tiozzo, con Trivelli, con
Ernesto Rossi, col quale fu in America, e salì in bella rino-
manza, che non si attenuò mai per là sua gran dovizia di comi-
cità schietta e spontanea. Fu primo a rappresentar le parodie
musicali di Roberto il diavolo, Ruy -Bios, Aida, Ballo in Afa-
schera, ecc., nelle quali, io ben ricordo, faceva smascellar dalle
risa. Troppo sarebbe noverar le compagnie in cui egli mi-
litò : basti citar quelle di Andò, delle sorelle Vestri, della Pez-
zana, di Morelli, di Achille Dondini, di Bonazzi, di Dominici,
di Diligenti. Sposò a Piacenza nel 1 863 la figlia di un avvocato.
Ameli, da cui non ebbe figliuoli, ma, in compenso, grandissimo
amore. Oggi egli è passato al ruolo de* caratteristi, senza che,
a oltre settant' anni, si senta fievolite le forze fisiche e dell'in-
telletto.
Con Leopoldo Vestri, attore pregiato quanto modesto,
appartenente a quella schiera omai perduta di brillanti, che
suscitando le più schiette risate rifaceva il sangue, finisce de-
gnamente la storia dell' antiga famiglia.
Vestri Anna. (V. Antinori Amilcare).
Vidari-Griffoni Amalia. Il Pezzoli e il Colomberti la dicono
napolitana; il Regli nata a Vicenza: certo ella nacque figlia
dell'arte (forse a Vicenza da parenti napolitani), e dopo di aver
recitato in compagnie d'ultimo ordine, fu sposata ancor giovi-
netta a Giuseppe Vidari, attore della primaria Compagnia. Gol-
doni, in cui fu diccoìtdi generica giovine, e restò dodici anni, as-
surgendo, mercè gl'insegnamenti di Gaetana Goldoni, al grado
di prima donna, dopo la scelta di lei, e di prima attrice giovine
assoluta. Passò il 1 8 1 5 col Granara prima attrice assoluta, poi
con Giacomo Modena, poi con Francesco Lombardi, e final-
mente si mise col marito alla testa di una buona Compagnia
che durò molti anni con gran favore. Ella rivaleggiò con le
maggiori artiste del suo tempo: a niuna seconda in nessun ge-
nere di parte, le superò tutte nella commedia, in cui, dice il
Regli, era una potenza ; e aggiunge che : « Pamela nubile. 2^-
linda e Lindoro non ebbero più mai un' interpetre così fedele
e così perfetta. »
Ritiratasi dall'arte, andò a recitar co' filodrammatici a Vi-
cenza, dove, a soli cinquantun' anni trovò la più tragica fine.
« Afflitta da molte sventure di famiglia, angosciata di cuore e
alterata di mente, uscì di casa una mattina senza dire ove an-
666 VIDARI - VIDINI
dasse, né mai più fu veduta.... Si suppone eh* ella siasi gettata
nelle onde del Bacchiglione, fiume che bagna Vicenza. » (Così
il Regli).
Iacopo Crescini le dedicò nella Galleria de più rinomati
attori drammatici italiani questo
SONETTO
Ti udiva, o Donna, e si pendeva attento,
e mi stemprava di dolcezza tanto,
de' tuoi labri amorosi al caro accento
nell'arte di cui tieni il primo vanto,
che ancor rapita in estasi mi sento
l'alma non sazia del gradito incanto,
ancor dagli occhi, se '1 tuo duol rammento,
involontario mi discorre il pianto.
Dammi, o Amalia, una lagrima di quelle
che dal ciglio ti piovono qualora
accusi a' mali tuoi sorde le stelle !
Che per tal dono, onde in pensier mi beo,
i' sarei pago, aver dovessi ancora
la sorte di Comingio e di Romeo.
Il marito della Vidari era un impenitente beone, e Fran-
cesco Regli riferisce V aneddoto che una sera a Milano, scor-
datosi dopo una buona bevuta di dover recitare, andò a teatro
assai tardi ; ed entrato in camerino, cominciò a svestirsi. E
quando un compagno gli disse che la recita era sul finire, e
eh' egli aveva ripiegata la sua parte, il Vidari trasse di tasca il
borsello, vi die dentro' un' occhiata, e tornò pacifico all'osteria.
Vidini Pietro. (V. Marchesini Antonio).
Vidini Maddalena. Moglie, forse, del precedente, fu arti-
sta di grandissimo pregio : e la vediamo onorata di applausi a
Padova il carnovale 1747 quand'era con Onofrio Paganini, il
quale per la bella interpetrazione del personaggio di Artnel-
linda nel Rinaldo di Carlo Goldoni, le dedicò il seguente
VIDINI - VIGLIANI 667
SONETTO
Benché a lui che la Gallia e il mondo onora
svelar non osi il concepito affetto
per il zelo d'onor, che nutre in petto,
tacita amante il gran Rinaldo adora;
pur nel silenzio istesso è bella ancora,
e dimostra Tardor nel cor ristretto.
Pietà desta in altrui, gioja e diletto,
e quanto tace più tanto innamora.
Tenti Fiorante ogni lusinga e frode,
per oscurar della gran Donna il nome,
che ancor cattiva ha la sua gloria a core.
L'Eroe difende, e con vergogna e orrore
de' perfidi German trionfa, e gode
aver lor forze indebolite e dome.
Andò poi a recitar nelle Compagnie di Venezia, acclama-
tissima, e morì a Genova la primavera del 1761.
Vieri Marcello^ senese. Fu prima nella Compagnia di Ni-
codemo Manni in Lombardia e in altre provincie d'Italia, ap-
plauditissimo nel carattere brillante ^\ francese itaJianato, di cui
fu inventore il Canzàchi (V.), ma che il Vieri, fiorito assai tempo
dopo, rinnovò senza l' esempio di alcuno. Recitò anche applau-
dito in parti di innamorato, e fu abbastanza noto come ritrat-
tista. Viveva ancora fuor dell' arte nel 1 7 8 1 .
Vigliani Oretta. Benedetto Croce ( Teatri di Napoli, pag. 141)
riferisce dalle Poesie del signor Bartolo Partivalla (Napoli, per
Honofrio Savio MDCLI) il seguente sonetto :
Alla Signora Moretta Vigliani
comica famosissima
Mille avvien che in te vegga e ch'in te miri
e prede e furti, ond'ogni cor ti cole,
qualora in me tra lascivette fole,
i lumi soavissimi tu giri.
668 VIGLIANI - VINACESI
Non bastavano i lucidi zaffiri,
eh' anco volasti in su l'eterea mole
l'oro d'un crine ad usurpar del sole,
l'arco d'un ciglio ad involar de l'In.
Era a te poco impoverir gradita
un vastissimo mar, che il nome ancora
da r Hore stesse a depredar se' gita.
Felice, o me, se pria che in tutto io mora,
mi sarà dato, anzi il partir di vita,
un momento goder di si belI'Hora !
Vilfranchi Barbara. Figlia di Antonio Romagnoli (V.), fu
artista di grandissimo pregio, e le Varietà teatrali la citano,
quand'era il 182 1 madre nobile e caratteristica in Compagnia
Job, come la più brava attrice della Compagnia. Forse la moglie
di Velfranch Luigi, che il Colomberti cita come buon primo
attore e capocomico secondario, fiorito verso il 1 800 ?
Villani Felice. < Bolognese. Recita (1781) nella maschera
^^ arlecchino con qualche spirito; travagliando altresì ne' ca-
ratteri caricati con buona grazia. Fu in alcune vaganti com-
pagnie, ed oggi ha fermata la sua dimora in quella, che scorre
r Italia sotto la direzione di Pietro Ferrari.» Così Fr. Bartoli.
Lo vediamo arlecchino il 1795-96 nella Compagnia sociale di
Carlo Battaglia, che recitava T autunno e il carnovale al ^. Già-
vanni Crisostomo di Venezia.
•
Vinacesi Elisabetta. Quando il comico Zanuzzi fu man-
dato dalla Compagnia di Parigi in Italia (1775) a provvedere
una prima attrice, egli trovò che la più a proposito era la Eli-
sabetta Vinacesi. Il Gozzi si affaticò a provare allo Zanuzzi che
la Vinacesi era poca cosa al confronto della Ricci (V.), che era
stata con altre in predicato per andare a Parigi; ma pare invece
eh' ella fosse di gran pregio, che sappiam troppo bene come
il Gozzi profondesse lodi alla Ricci in danng di qualsiasi altra.
VINACESI - VISENTINI 669
nella speranza di togliersela di torno. Infatti, assicurato che
la Ricci non sarebbe in alcun modo partita, dice aver saputo
dopo € che la Vinacesi da lui conosciuta giovine di molta abilità,
ma di costume riservato, contenta di ciò che guadagnava in
Italia, aveva rifiutato a' tumulti di Parigi, e a quelle fortune
irregolari che alcune femmine teatrali si promettono in quella
metropoli. » In una mia raccolta di elenchi della fine del se-
colo XVIII un Giovanni Vinacesi figura come Pantalone nella
Compagnia di Gregorio Cicucci.
Violone. A compimento dell' articolo sul Chiesa (V.), metto
qui l'aneddoto, che l'Ottonelli riferisce nel libro primo, pa-
gina IDI, della sua Cristiana Moderazione del Teatro, inteso da
Violone stesso, come testimonio oculare, e già riferito dal Bel-
trame nella sua supplica. Il caso
occorse a Capo d' Orlando, ove da una fortuna di mare sequestrata una Compagnia, trovò
che l'albergo era occupato per rispetto dell'arrivo di Monsig. in visita, col quale erano
quattro venerabili Religiosi. Il buon Prelato fece stringere la sua Corte e dar luogo ai
Comici ; e con parte de' regali presentati a lui sovvenne alla lor poca provvisione. Il tempo
con l'asprezza e il mare con la tempesta tolse la facoltà di viaggiare a tutti. I Comici
ofierirono un poco di ricreazione al Prelato lor benefattore; egli si compiacque d'accet-
tarla : il primo giorno si fece la comedia cosi : n Monsig. sedeva avanti la porta d' una
camera : i Religiosi venerandi sedevano dentro con la porta non affiitto chiusa ; ma che ?
A mezzo dell'azione la camera risonava per l'applauso, e la porta era spalancata. Il giorno
seguente quei venerandi sedettero fuori; e il terzo sollecitarono i comici a dar tosto comin-
damento. Non v'aggiungo, scrive Beltrame, e non dico il tutto, per esser creduto; ma certo
che molte foron le lodi, che per l'onesto recitare a' Comici diedero quelle saggie Persone: e
benedicevano il mal tempo, che aveva loro dato occasione di goder si virtuoso tratte-
nimento. «
Visentini Tommaso Antonio. Nato a Vicenza il 1682, fu
il più grande Arlecchino dell'età sua, più noto col nome di
Thomassin, che non sappiamo s' egli avesse già prima di re-
carsi in Francia. Scelto dal Riccoboni per la Compagnia del
Reggente, si recò il 1 716 a Parigi, ed esordì alla < nuova Com-
media italiana » nel teatro del Palais Royal (le riparazioni del-
V Hotel de Bourgogne non erano ancora compiute) il 18 maggio
neW Inganno Jortunato (ykeureuse surprise\ commedia a sog-
670 VISENTINI
getto in tre atti, che il pubblico trovò assai buona, e in cui
erano intercalate alcune scene tratte da altra commedia spa-
gnuola: Visentini vi fu magnìfico in quelle del Pittore.
Il vecchio GueuUette in una nota curiosa allo Scenario di
Biancolelli, parlando dell' esordire di Tommasino, racconta come
i successori del celebre Dominique, il quale aveva una voce in-
goiata, e somigliante quella di un pappagallo, avessero dovuto
imitarlo, che i francesi mal si sarebbero piegati a sentirne una
diversa. E però, non volendo Visentini uscire dal suo metodo
di recitazione naturale, pensò Riccoboni di mettere al princi-
pio ài^heureuse surprise una delle tante scene di notte che vi
sono, in cui Arlecchino, chiamato da Lelio, si finge talmente
preso dal sonno che, senza profferir verbo, or scivola a terra,
or gli cade fra le braccia. Tommasino suscitò le più schiette ila-
rità e i più vivi applausi nell' uditorio ; il quale, sentitolo poi, non
ebbe più il coraggio di burlarlo, e gli permise di continuar nel
suo tuono naturale di voce. Ma il successo della Compagnia fu
effimero, sia per le commedie tutte in italiano, che i francesi
non arrivavano a comprendere, sia per la ripresa di quelle fran-
cesi d*una volgarità rivoltante, scavate dal repertorio dell'an-
tica Comedia italiana; e dopo un solo anno, vedendo i comici
deserta ogni sera la sala, incaricaron Visentini di presentarsi
al pubblico, e riottenere con un bel discorso l'antica bene-
volenza.
Il Campardon riferisce le parole di lui, tra le quali furono
queste :
Doe cose vi dispiacciono : i nostri difetti e quelli delle nostre commedie. Per quanto
ci concerne, io vi prego di ranimentare che noi siamo degli stranieri, ridotti per piacervi
a dimenticar noi medesimi. Nuova lingua, nuovo genere di spettacoli, nuovi costumi ! Le
nostre commedie originali piacciono ai conoscitori, ma essi non vengono a sentirle. JLe si-
gnore, senza le quali tutto langue, contente di piacere nel lor linguaggio naturale, né par-
lano il nostro, né lo intendono : come ci amerebbero esse ? E per difficile che sia il libe-
rarsi dell'abito d' infanzia e dell'educazione, il nostro zelo ci sprona, e per poco voi ci
mettiate in istato di perseverare, noi diverremo, lo spero, se non attori eccellenti, men
ridicoli certo ai vostri occhi, fors' anco sopportabili. Quanto alle nostre commedie, io non
ho troppo da invidiare la felicità de' nostri predecessori, che vi han pure attratto e diver-
tito con le scene stesse, che oggi vi tediano, e di cui non potete né meno sopportar la
lettura. Il gusto del pubblico è mutato e perfezionato : perchè non lo è quel degli autori ?
VISENTIN!
M^o K compungere d^ll antort, noi «lac» tapondabiH è di dò di'««n à un dire, e
d«l ceraie noi lo didamo. Siateci indulgenti p« noitrì sforai, e li laddoppieremo di niomo
/io...' ir Aj ™bi,„. ^n<tf L,
Il .raìc i-hiimia Irj Jf.aJair...
in giorno. Proteggendoci, voi
nati tra voi, formati al vostro
itro appUnso. A ogni modo,
vi venite allevando pei nostri figli de' giovini attori, che,
gntto, aVran forse Da giorno il contento di meritare il vo-
essi non avrao mai per voi m^^or zelo e rispetto de' loro
672 VISENTINI
Parole che, dette da un attore amato e stimato s'ebbero
il loro effetto, poiché a poco a poco il teatro italiano ripigliò
l'antico vigore.
La sua vita artistica fu delle più brillanti. Agile, di vena
comica inesauribile, di verità sorprendente, originale, passava
in un attimo ai sentimenti più disparati. Sotto la maschera del-
V Arlecchino egli sapeva strappare le lagrime, glorioso prede-
cessore in questo del non men glorioso Petito (V.).
I fratelli Parfait nel lor Dizionario de Teatri gli dedican
parole di molta lode, riguardandolo come compatriotta, e di-
cendo ch'egli ha fatto un uguale onore alla Francia e all'Italia,
degno veramente di occupar la scena con Silvia (V. Bat.letti-
Benozzi Rosa Giovanna), la sua celebre compagna d'arte.
Ammalatosi di tisi il martedì grasso del 1739, comparve
raramente a teatro nell'ultimo tempo di sua vita, coni e si ha
da questa quartina :
Cher Visentini, le parterre
ne te reproche qu'un défaut.
J'ose le dire tout haut,
c'est que tu ne te montres guère.
Fra le lettere del Riccoboni alla Biblioteca dell'Opera di
Parigi, ve n'ha una dell'agosto 1739, colla quale prega il Gueul-
lette di andare con lui ad assistere il povero Thomassin Visen-
tini, morente, e soprattutto per indurlo prima della morte a
pensare alla sua famiglia.
Avuti r 1 1 di agosto dello stesso anno i Sacramenti, morì
mercoledì 19 in via Nuova San Dionigi, e fu sepolto il domani
a San Lorenzo, sua Parrocchia, assistito da trenta preti, e alla
presenza di Vincenzo e Gioacchino Visentini suoi figli, di Giu-
seppe Balletti e di Bonaventura Benozzi. L'atto di morte lo
dice Ufficiale del Re.
Lo Jal all'articolo Visentini dice: €tlavaitètè appelé d'Ita-
lie pour doubler et remplacer Evaristo Gherardi, successeur du
second Dominique Biancolelli, fils du célèbre Arlequin aimé
J3e ce /e ne .rcai. qu^ iftte l'art nt peiU ait<ùicirt .
Qui pi^urvil rendrv aiaryaix iear Jtu pleùt dìjyrt — ■" '
JrfviCiTÙr de Ì< fftruire .
ti.— I Comici ilatiani. Voi, IL
674 VISENTINI
et éstimé de Louis XIV. Tommaso Vìsentini vint en France
avec sa femme, Dominica Rusca, qui ne joua point la comédie
à Paris, soit parce qu'elle ne s'était point destinée au théatre,
soit parca que dans !a troupe toutes les places etaient prises. »
Confesso di non aver capito nulla. Pour doubler Gherardi, morto
nel '700? Ma che c'entra Gherardi colla nuova Compagnia del
Reggente? E perchè Dominica Rusca, e non Margherita? E
perchè quei due soit a proposito della sua non apparita sulla
scena italiana di Parigi, mentre si sa eh' ella vi recitò le parti
di serva sotto il nome di Violetta?
Visentini'Rusca Margherita. Figlia di un muratore di
Venezia - dice Gueullette. - Nata a Bologna - dice la prefa-
zione ^e\Nuovo Teatro italiano (Parigi, f 753).- Moglie del pre-
cedente, recitava le serve sotto ÌI nome di Violetta, e andò col
marito, e collo stesso ruolo, alla Comedia italiana di Parigi
il 1 7 1 6. Essa era, quel che si dice, una gran buona donna : non
forte attrice, ma non mai spiacente al pubblico. Morì a qua-
VISENTINI 675
rant'anni il 28 febbrajo del 1 73 1, dopo dì aver lasciato il teatro;
e fu sepolta l'indomani a San Lorenzo, sua Parrocchia. L'ico-
nografia del teatro italiano non ci ha dato che questa imma-
gine di Violetta, che tolgo dalla mia raccolta. {Suite Herisset).
Visentini Caterina Antonietta. Figlia dei precedenti,
nata a Venezia e battezzata il i ° dicembre 1 7 1 1 nella Chiesa
di San Moisè, non lungi dalla Piazza di San Marco, esordì bam-
bina il 1 7 1 9 come il fratello Francesco nella scena aggiunta
Aéìl^Arleguin Pluton di Gueullette sotto le vesti di piccola Ar-
lecchiti a. Apparve poi veramente come attrice il '26, in qualità
di amorosa a vicenda colla Balletti Silvia, passando poscia al
ruolo ài servetta nelle commedie francesi. Sposò il 30 luglio '42
l'attore della Comedia italiana, Dehesse (il suo vero nome, dice
una nota manoscritta del Gueullette, era Hesse), olandese, figlio
di francesi, dopo cinque anni almeno di contrasti penosi, cagio-
nati da certa Maria Maddalena Hamon, la quale, vissuta lungo
tempo con lui, e presentata a più persone come sua moglie,
pretendendone i diritti legali, si opponeva al matrimonio.
Sul valore artistico di Caterina Dehesse, morta il 5 ago-
sto del 1774, abbiamo la seguente quartina di un anonimo :
Fille et femme de grands acteurs,
Dehesse, qui dès son bas àge
du public obtint le suffrage,
charme toujours les spectateurs.
(V. Veronese Cammilla).
Visentini Francesco. Fratello della precedente, aveva poco
più di un anno, quando fu condotto il 1 7 1 6 a Parigi, e com-
parve alla Comedia italiana il 19 gennajo 17 19 con l'abito di
Arlecchino in una scena aggiunta alla commedia di Gueullette,
Arlequin Pluton, pubblicata soltanto il 1879 dallo Jouaust a
Parigi.
Morì il 19 aprile 1729 (rue du Renard), e fu sepolto l'in-
domani al San Salvatore.
676 VISENTINI
Visentini Giovati Vincenzo. Fratello del precedente, nato
il 171 7 a Parigi (Campardon mette erroneamente 1707). Si
chiamò in teatro Tkomassin come suo padre, ed esordì merco-
ledì 19 novembre 1732 alla Comedia italiana colla parte prin-
cipale di Bajocco nella parodia del Joueur, intermezzo italiano.
Il 5 dicembre dello stesso anno apparve una seconda volta colla
parte di Maitre à chanter nella commedia di Boissy, intitolata
Je ne sais quoi, e tutt' e due le sere mostrò una finezza, d'inter-
petrazione superiore alla sua età. Fu ricevuto poco dopo attore
effettivo della Compagnia, per la vicenda col padre ; ma non vi
son traccie della sua compa^rsa. come Ar/eccAino/ bensì di quella
come Pulcinella, la quale fu delle più fortunate ; e il Mercurio
di Francia del dicembre 1732 trova in lui molto talento pel
teatro, e, a perfezionarsi, lo consiglia di studiare e imitar suo
padre che ha il potere di afferrare il pubblico al suo primo
apparir su la scena.
Sposò Maria Agnese Siméon, che esordì alla Comedia
italiana il 31 agosto 1752, e si ritirò dal teatro, alla chiusura
3 aprile del '55. Il 4 settembre seguente fu data a suo beneficio
una rappresentazione, che ebbe grande successo, con La Ser-
vante maitresse di Baurans, musica di Pergolese, La Féie eie
r amour di M.""* Favart, e tre intermedi, l'ultimo dei quali,
Les Vil/ageois, era stato composto dal Dehesse.
Gian Vincenzo Visentini non fu, pare, di una condotta
specchiata. Un documento del 3 luglio 1 749 reca l'accusa della
sua domestica Elisabetta Deniset di averla con ogni specie di
carezze e promesse e tentazioni violata e incinta, e la domanda
di un rifacimento di danni e interessi; con un altro del 22 giu-
gno 1 74 1 , il Duca di Gesvres, Governatore di Francia, gli or-
dina di costituirsi immediatamente prigioniero a For-l'Evéque
per aver liticato colla moglie tra le quinte, cagionando un certo
scandalo. Un terzo infine ci apprende come egli usasse alzare
il gomito, entrando in tale stato di aberrazione da compiere
inconsciente anche un delitto. Infatti il 20 maggio del '52, alle
nove di sera, ei si slanciò per di dietro su di un soldato della
VISENTINI J677
guardia che andava a braccietto di un amico : lo separò con
violenza, lo percosse con pugni nello stomaco, e tratta la spada,
glie l'appuntò al petto, provocandolo e sfidandolo. L'amico
intanto era corso in cerca della prima squadra della guardia,
la quale arrivata, lo trasse in arresto. Altra volta, il 29 giu-
gno 1754, certo Regley ricorse allo strattagemma di farlo
bere per ridurlo a perdere ogni conoscenza e fargli firmare
carte compromettenti.
Non si sa la data precisa della sua morte, che il Campardon
mette verso il 1 769.
Visentini Adriano Guglielmo. Figlio del precedente,
nato a Parigi il 1744; studiò sotto lo zio Dehesse, apparve
il 22 febbrajo '49 nel ballo degli Enfants vendangeurs, ese-
guito dopo Le Retour de la paix di Boissy; poi negli altri
due balli Les Enfants sabotiers e Les Vendanges, suscitandovi
entusiasmo.
Non si sa quando egli esordisse veramente a la Comedia
italiana, in cui assunse come suo padre e suo nonno il nome
di Thomassin. Si sa eh' egli recitò il caratterista a vicenda col
Larouette, e talvolta V arlecchino, specie 1' '84, nei Due gemelli
bergamaschi di Florian, in cui apparve l'ultima volta il celebre
Carlino (V. Bertinazzi) all'età di settantadue anni. Del suc-
cesso di Visentini si han pareri disparati : un contemporaneo
stampò ch'ei non riuscì indegno del famoso nonno Thomassin:
e una nota manoscritta deir'87, che rispecchiava l'opinione del
Comitato del Teatro italiano dice semplicemente: Thomassin,
aòsolument inutile*
Egli aveva sposato verso il '72 M.""" Giovanna Nicoletta
Tisserand, che esprdì alla Comedia italiana il 2 ottobre '76 ; fu
ricevuto a un quarto di parte il 12 aprile '75; si ritirò dal tea-
tro il maggio dell' '89, e morì nel 1807. Il Campardon reca una
citazione di lui contro certo Fontaine che gli aveva rapita la
moglie appena diciannovenne (gennajo 1776), mentre egli era
a recitare a Versailles.
678 VISENTINI
Vìsentini Luigia, Elisabetta, Carlotta. Seconda figlia
di Thomassin, nota al teatro, ove esordì il luglio del 1733, col
nome di BabeL
Morì il 1 8 febbrajo 1 740, dopo di aver già lasciato le scene
senza nemmeno dar tempo agli spettatori di accorgersi della
sua bellezza.
Visentini Francesca Sidonia. Sorella della precedente,
conosciuta in teatro col nome di Sidonia, nata in Francia come
Babet, esordì alla Comedia italiana con la parte di protagonista
in La Folle raisonnable di Pier Francesco Biancolelli, lunedì
15 ottobre 1736; e vi fu ricevuta al posto della sorella defunta
poco innanzi, il maggio del 1740. Di fisonomia men regolare
forse di quella di sua sorella, ma più viva e animata, fornita
delle più chiare attitudini all'arte scenica, fu al suo esordire
applauditissima, né solo come attrice, sì ancora come danza-
trice; che nel balletto d'uso dopo la commedia, ella eseguì
egregiamente un passo a due insieme al signor Dehesse. Ma la
maggpior fama ella s' acquistò nelle parodie a Vaudeville, ove
spiegava con una voce passabile tutte le grazie ond'era piena,
specie in quella di Fedra, che fu come suggello alla sua cele-
brità. Poco sopravvisse a Babet, morendo a Parigi, fuor dalle
scene, la domenica 5 settembre del 1745.
Visentini Gioacchino. Fratello della precedente, nacque
a Parigi il 2 maggio del 1728, e fu tenuto al fonte battesimale
rs dello stesso mese da Francesco Gioacchino Potier, Duca di
Gesvres, Pari di Francia e Primo Gentiluomo di Camera del Re,
e da Renata di Romilly, Duchessa di Cheures ; rappresentati
r uno da Michele La Caille de La Tour, suo scudiere, V altra
da una sua damigella Anna Cordier. La notizia è data dallo
Jal che ne reca il documento. Di rincontro i fratelli Parfait
con la scorta del Mercurio di Francia dicono che Gioacchino
Visentini esordì alla Comedia italiana col ruolo di Arlecchino
in Timon le Misaìitrope, il sabato 26 agosto 1741 all'età di soli
VISENTINI - VISETTI 679
diciotto diVim. La notizia è seguita poi dal D'Origny e dal Cam-
pardon. Certamente erronea è la data dello Jal il quale dà un
figììo^ jLuigi Renato, a Thomassin il 17 dicembre 1727, e un
altro, questo Gioacchino, il 2 maggio del 1728 (cioè a dire
dopo quattro mesi e mezzo), anziché del 1723.
Anche sul valore artistico del Visentini ci troviam davanti
a contraddizioni. Il Mercurio di Francia dell'agosto 1741, se-
guito poi dai fratelli Parfait, dice ch'egli fu molto applaudito
nella parte di arlecchino, che recitò con conveniente intelligenza,
dando prova di molto talento; mentre il D'Origny afferma che
l'esordire di lui come arlecchino servi a provare che il talento è
di rado ereditario. Comunque sia, egli certo non fu ricevuto in
Compagnia, e andò a recitar gli arlecchini in provincia.
Visetti Giovali Battista, veronese, nacque il 1 780 da civili
parenti, e mostrò giovanissimo tra' filodrammatici una grande
attitudine alla scena. Di bella persona, di volto piacente, di voce
magnifica, d'ingegno non comune, riuscì in breve un egregio
primo attor giovine; e dopo di essere stato alcun tempo nelle
Compagnie Dorati e Righetti passò in quella di Fabbrichesi,
allo stipendio della Corte di Napoli, diventandone \\i%2^ primo
attore assoluto e capocomico in società con Prepiani e Tessari,
fino al 1838, in cui, condotta nella novena di settembre la mo-
glie a Macerata, sua patria, fuor dal clima di Napoli, e da una
vita ordinata, fu colpito prima da febbre, poi da paralisi ner-
vosa, che lo impedi nella parola. Ristabilitosi alquanto, ritornò
a Napoli, e ricominciò a recitare, ma egli non era più il celebre
Visetti: più che l'ammirazione s'ebbe il compianto del pub-
blico; e in capo a due anni, tocco da un secondo colpo, rese
l'anima a Dio. Vuoisi ch'egli dovesse la sua rovina a una per-
dita di 4000 ducati, cagionatagli da false speculazioni di suo
figlio.
Tutti ebbero del suo valore artistico un grande concetto,
e più specialmente il Colomberti e l'Aliprandi, i quali lasciarono
scritto ne' lor ricordi che egli era fortissimo attore in ogni ge-
^
nere di lavori, ma sopr' a tutto in quelli del Metastasio. Di lui
dice il Regli :
Fn attore di grande ilmocio ; 1k sa* voce aveva il in odo d'un campanello d'»Tge»to.
Di fignra alquanto tozza, gestiva pochi ! simo ; pronimiiava eMtUmeate; alle volte pareva
un po' freddo, ma nel fuoco delle paiiioni, nell'ardore degli affetti li riicaldava, giovan-
dogli mollo in <iue' momenti la polenta «iTaordinarìa della ina voce. Di nobili penumenli
e cosdeniiosiisimo, ipreziava quegli artisli, che per &rii dei partigiani, ledtano la com-
media al Caffi, amichi in Teatro (parole sue).
VISETTI - VITALBA 68l
E Adamo Alberti :
Visetti era un pregiatissimo Attore. Possedeva una voce armonica e robusta, per coi
nelle parti di forza affascinava il pubblico, e si faceva strepitosamente applaodire, ma egli
studiava poco, non sapeva le parti, e però mancava al suo compito.
Vitalba Antonio^ detto Ottavio, padovano, primo amoroso
della Compagnia dell* Imer, per la quale cominciò a scrivere
il Goldoni, fu comico eccellente, e bastano, credo, queste pa-
role dello stesso Goldoni a dare un' idea chiara dell' artista e
deir uomo :
Antonio Vitalba Padovano, comico il più brillante, il più vivo che siasi
veduto sopra le scene. Parlava bene, e con una prontezza ammirabile, e ninno meglio di
lui ha saputo, come dicono i commedianti, giocar le Maschere; cioè sostenere le scene
giocose colle quattro Maschere della Commedia italiana, e farle risaltare e brillare. Qualche
volta però gli arlecchini si dolevan di lui, perchè scordandosi il carattere dell'amoroso,
faceva egli l'arlecchino. Mi sovviene, che rappresentandosi il mio Bellisario (in cui so-
steneva egli un tal personaggio), nella scena tenera e dolente, in cui comparisce senz' oc-
chi, con un bastone alla mano, moralizzando sulle vicende umane, diede un colpo di bastone
a una guardia per far ridere l' uditorio.
Nelle scene più serie, e più interessanti cercava di caa>ar la risata; e non esitava
a rovinar la Commedia, quando gli potea riuscir di far ridere. Eppure piaceva al pub-
blico ; ed era l' idolo di Venezia ; e licenziato qualche anno dopo dalla Compagnia di San
Samuele, fu preso con avidità dalla Compagnia di San Luca (Gold. Pasquali, T. XIU).
Vitalba che aveva così ben sostenuta la parte di Belisario,
in quella di Gtuiliiero (della Griselda) si sorpassò {Mem., T. I,
XXXVIII). Vitalba era un bell'uomo, un eccellente comico, un
gran donnajuolo ed un gran libertino. Era invaghito della Pas-
salacgua..,. (Ivi).
Per questo drammetto, o pettegolezzo amoroso in tre,
Goldoni, la Passalacqua, Vitalba, nel quale il povero Goldoni
non fa la più bella figura al mondo, vedi il mio monologo La
Spigliatezza (Mil., 1888).
Del resto, Antonio Vitalba, che uscì vittorioso dall'intrigo,
fino a burlarsi di Goldoni, pranzando e cenando colla Passa-
lacqua, proprio dopo ch'ella aveva giurato di averlo lasciato
per sempre, era ammogliato ; e il Loehner riferisce dai registri
di San Samuele Tatto di morte della moglie Costanza in età
di circa 35 anni, avvenuta il 1 7 ottobre 1736, cioè quasi un anno
dopo l'intrigo.
86. — / Comici italiani. Voi. II.
^
682 VITALBA
Della sua vita artistica sappiamo che Testate del 1724 si
trovava a Padova, poi a Treviso, d'onde scrive a un medico
due lettere : per ottenere alcuna commendatizia, e per dargli
avviso di avere sputato un pò* di sangue, il che V aveva messo
in grande apprensione. Con altra lettera in risposta alle ordi-
nazioni del medico, avverte non poter prendere il latte sino a
Bologna, per dqve sarebbe partito pochi giorni dopo; e do-
manda se debba prenderlo cotto o naturale, e s'abbia da me-
scolargli altro, e quanto n'avrà da prendere e per quanti giorni;
e quanto sangue stimerà bene si faccia levare, e cosa debba
prendere prima della cavata di sangue.
Tornò a Treviso il settembre dello stesso anno per andar
poi a passar tutto l'autunno a Bologna; e rinnova istanza per
avere una lettera di raccomandazione, e neanche a farlo a posta
rida notizia di nuovo sputo di sangue.... Ma si vede bene che
Vitalba era pauroso all'estremo. Curioso il metodo di cura se-
guìto scrupolosamente. < Io prendo - scrive - l'acqua col litro
la mattina, sugo di portuUona e piantagine, e li protesto che
la fame la patischo, voglio un poco vedere cosa è per essere. >
Il marzo del '25 era novamente in Bologna, d'onde prega
il solito medico di disimpegnargli un abito scarlatto, ricamato
d'argènto, senza il quale non può cominciar le recite, promet-
tendogli di restituirgli il denaro che dovrà sborsare, non ap-
pena sarà a recitare a Ravenna ov'è un regalo di cento Filippi.
E prega di spedir l'abito a Francesco Cattolì detto Tracca-
gnino (V.), a Venezia, il quale ha incarico di farglielo avere a
Bologna.
Dal '25 si passa a una lettera del '35, in cui dopo di avere
accennato a un nuovo sputo di sangue avuto il '29 a Padova,
racconta come la passata quaresima (1734) tornando da Roma
fosse caduto con tutto il calesse in mezzo a un fiume, e avesse
dovuto restar due giorni in una casa di contadini per asciu-
garsi, dalla quale partì a cavallo, essendo il calesse infranto,
con vento e neve così terribili, che credette morirsi per via.
Arrivato a Bologna stette bene due mesi, ma poi fu preso da
VITALBA 683
vertigini e febbri acutissime, per le quali fu ordinata nuova
emissione di sangue. Da Bologna potè recarsi a Genova, ma
non cessandogli la febbre, si volse tosto a un medico che gli
ordinò cascia con entro gialapa (sciarappa), quale gli mosse di-
molto e operò assai. Gli ordinò anche la china ; ma Vitalba, dub-
bioso del merito reale del medico, giovanissimo, ricorse a uno
rinomato, il quale trovatagli una ostruzione al ventre, gli or-
dinò sei pillole ogni mattina per dieci giorni. La febbre non
gli venne più così gagliarda, ma egli si trovava in tale stato di
affiacchimento, da non potersi reggere in piedi, specie la sera,
quando doveva recitare: e di ciò si duole col solito medico, al
quale chiede ajuto di nuovi consigli.
Il '38 dedicò una traduzione in prosa di€X Alzira, tragedia
di Voltaire, all'ambasciatore di S. M. Cattolica in Venezia Don
Luigi Regio Principe di Campo Fiorito, ecc. (Ven. Alvise Val-
vasense.
Fr. Bartoli dice che Vitalba recitò sempre sotto il nome
di Fhrindo, e fu comico al servizio di S. A. S. il Sig.' Duca di
Modena Francesco I ; ma è un errore, che egli stesso si firma :
Antonio Vitalba detto Ottavio Comico. Anche lo fa nascere
a Bologna, mentre Goldoni lo dice padovano. Fra le produ-
zioni, in cui più specialmente emerse, lo stesso Bartoli cita //
Vagabondo, U Amante /ra le due obbligazioni e il Don Giovanni
Tenorio nel Convitato di Pietra, per le quali ogni spettatore
bisognava che confessasse esser egli un comico perfetto, a cui nulla
mancava per dirlo un Roscio de' suoi tempi. Entrato nella Com-
pagnia di Antonio Sacco, si recò in Portogallo con lui, e di là
tornò a Venezia, applauditissimo sempre. Antonio Vitalba morì
a Bologna in età non avanzata, la primavera del 1758.
Vitalba Giovanni. Figlio del precedente, studiò da prima
chirurgia in Firenze, poi si diede all'arte comica, nella quale
riuscì di qualche pregio per quelle parti ^innamorato, ove non
dominasse il sentimento. Fu con la Compagnia di Antonio
Sacco (V.), di cui sposò la figliuola (V. Sacco- Vitalba Angetj\.),
684 VITALBA
e recitò ammirato nelle favole di Carlo Gozzi, dalle cui Memorie
inutili riferisco il brano che riguarda la parte eh' ebbe Vitalba
nello scandalo Gratarol, riproducendolo al vivo in JLe Droghe
d'amore, dal quale si ha un chiaro cenno delle sue qualità fisiche
e morali.
Il Gozzi aveva assegnata la parte di Don Adone cugino
del Duca al comico Benedetti, romano: quella di Alessandro
Gran Cancelliere del Duca amante di Ardenia Marchesa di Ta-
ranto, al comico Vitalba. Invitato dopo tante peripezie alla
prova della favola, trovò invertite le due parti. Perchè ? Il Sac-
chi diede ragioni d'indole artistica; mentre invece.... Ma la-
sciam discorrere il Gozzi :
Alla sedicesima scena dell' atto primo, eh' è la penultima di qnell' atto, nsd
il Don Adone cugino del Duca.
Al presentarsi di quel personaggio, la parte di cui era stata appoggiata al comico
Vitalba col baratto sopraddetto, m'avvidi tosto della serpe che mi s'era tenuta occulta
con una malizia impenetrabile, e eh' io non averci mai potuto né sospettare, né imma-
ginare.
Ecco il fondamento d' un diabolico manupolio concertato, di cui non posso accusare
che la comica abborribile venalità favorita; manupolio che legato alle anteriori dissemi-
nazioni, e con un'illusione anticipatamente fissata da' passi sconsigliati del Gratarol, ha
dato corpo solido a ciò che non era nemmeno un'ombra.
Il comico Vitalba, buon uomo, ma cattivo attore, per sua sciagura aveva i capelli
tendenti al biondo come quelli del Gratarol, e la sua statura era poco più poco meno,
consimile. Da ciò nacque il traditore artifizio del baratto di parte. Ma più. La pettina-
tura di quell'attore, era a£Fettatamente imitata da quella del detto signore. U colore dei
vestiti, il taglio, i ricami, e l'attillatura erano pure imitati. E peggio. Quel comico, per
sé stesso persona dabbene ed onesta, era stato àmmestrato non so da chi (forse con di
lui cecità), ne' gesti, ne' passi marcati del Gratarol per modo, che quantunque io non abbia
giammai avuta la menoma inurbana mira di porre il Gratarol in sulla scena, devo dire
con mio dolore : il Gratarol si è posto, e fu posto in iscena nella mia commedia : Le Droghe
d'amare.
Presentatosi appena in sul palco quel personaggio, un enorme applauso
Immaginare le scene che accaddero di poi! Il Sacchi visto
il risultato delle Droghe d'amore a Venezia, volle al suo andare
a Milano in quello stesso anno, ritentarla in quella città. Ahimè!
Il Vitalba, andando o ritornando di notte dal teatro si era incon-
trato in un sicario, il quale gli aveva scagliato con una forza da
atleta un ben grosso bottiglione pieno cf inchiostro per diffortnargli
la faccia.
VITALBA - VITALI 685
Fortunatamente il bottiglione, che avrebbe potuto non
che difformarlo, accopparlo^ lo aveva colpito al collo difeso da
un colletto a più doppi, sottraendolo alla morte. La notizia
giunse a Venezia, e il carattere pacifico di quel pover uomo, riti-
rato', economo, che faceva il comico per guadagnarsi il pane, che
obbediva ciecamente il capocomico, che non aveva nimici da dover
temere d' essere accoppcUo, o diff ormato, suscitò in Venezia de di-
scorsi, e de sospetti unanimi sopra il GrataroL
Fr. Bartoli dice che il Vitalba accumulò del danaro col
frutto delle sue fatiche. Viveva ancora alla pubblicazione delle
sue Notizie istoriche e aveva un solo figlio per nome Costanzo
(il nome della madre?)- stabilito in Francia, ove esercitava l'arte
del giojelliere.
Il Gozzi nel Canto Ditirambico de' Partigiani del Sacchi Truf-
faldino, dice a pag. 174:
L'Angelina il monte assaglia;
ma s' ingrassi un po' più adagio.
Siedi, e fa per lo contrario,
del Vitalba o Vedovella,
perchè il popolo t'appella
una fune del sipario.
E a questa vedovella è scritto in nota: la Sig/*" Calterina
Vitalba. Qual Catterina? E vedova di chi? La moglie di Vitalba
non era V Angelina, figlia del Sacchi ? La madre del Vitalba ?
Ma quella si chiamava Costanza ed era morta il *36. E nel-
r elenco del '75 lasciatoci dal Lessing (V. Sacco Antonio) non
figuran altri Vitalba che i soliti coniugi Angela e Giovanni,
Vitalbino. (V. Zanuzzi Francesco)*
Vitali Buonafede, Bonaventura, Ignazio. Ciarlatano e
capocomico, più noto sotto il nome dsXV Anonimo, che assunse
la prima volta in Genova il 1 7 1 4, nacque a Busse to nel Ducato
686 VITALI
di Parma, il 1 3 luglio 1686 (secondo Tipaldo, il 5 luglio) da Giu-
seppe, militare, e da Maria Carpi, cittadina di Parma; e abbiam
da Goldoni notizie particolareggiate dell'esser suo. Mentre
questi era a Milano, gentiluomo di Camera del Residente ve-
neto (1733), arrivò, nel principio di quaresima, il Vitali. Di
buona famiglia, aveva avuto un'educazione eccellente, ed era
stato prima gesuita, poi medico di Reggimento, poi professore
di medicina all'Università di Palermo, poi ciarlatano. Vendeva
specifici, rispondeva a ogni quesito scientifico-letterario, e salì
in breve in alta rinomanza. La piazza ov'egli agiva era piena
sempre di gente a piedi e in carrozza ; ma, naturalmente, di-
fettandovi i dotti, egli, all'intento di allettare la folla ignorante,
ebbe l'idea peregrina e geniale delle quattro maschere italiane,
che lo ajutavan co' lor lazzi nello smercio de' suoi specifici.
Alle maschere italiane seguì una vera e propria Compa-
gnia di comici, che dopo aver ajutato il loro padrone a ricevere il
denaro che veniva loro buttato in fazzoletti annodati, ed a riman-
dare i fazzoletti medesimi con iscatolette 0 vasetti, davano poscia la
rappresentazione di commedie in tre cUti a lume di torcie di cera
bianca con una specie di magnificenza. Dopo alcuni anni passò a
Venezia, poi a Verona, chiamatovi per una malattia epidemica
mortale, ch'egli infallantemente guariva con mele appiole e
vin di Cipro, dove morì di peripneumonia nello stesso anno
(2 ottobre 1 745) col titolo di Primo medico di Verona, compianto
da tutti, fuorché dai medici.
Il Vitali aveva in Compagnia un Casali e un Rubini (V.),
che furon poi chiamati a Venezia, l'uno al San Samuele, l'altro
al San Luca ; e Goldoni scrisse per lui // Gondolier veneto, la
prima commedia alla sua maniera, comparsa in pubblico (au-
tunno 1833) e stampata poi successivamente (Milano, R. Mala-
testa, 1733, pag. i4,in-?4°[Sch. Silvestri]). Il Goldoni aggiunge
che trovasi nel quarto volume delle sue commedie (ediz. veneta
del Pasquali): errore questo, sul quale non ricordo di aver letto
correzioni. Io non conosco altra stampa fuor quella dello Zatta
(T. I, dei drammi giocosi per musica, XXXV delle opere tea-
VITALI - VITALIANI 687
trali), in fronte alla quale è detto con nuovo errore : rappre-
sentato per la prima volta in Milano ne If anno 1732.
Molte opere scrisse il Vitali più o meno scientifiche, tra
cui la Lettera scritta ad un Cavaliere suo padrone (forse il Mar-
chese Scipione Maffei?), dall' Aì^omuo in difesa della professione
del Saltimbanco coli' aggiunta infine d'un Tesoro di segreti utili,
e dilettevoli a qualsivoglia stato di persone. (In Verona, fratelli
Merli, s. a.), che ricordan molto quelli del Cortellaccio Ippolito
Montini (V.). Scrisse altresì La Bella Negromantessa, commedia
breve, onesta e piacevole, composta e data in luce dalV K^o^iuo per
divertimento de' curiosi, dove si mostra il pericoloso stato degli
amanti per tollerare la concorrenza in amore. (Bologna, Lon-
ghi, 1735); e una tragedia 0>(f^, donata alla zomxc^ Argentina
(forse un'ava della Zanerini?) rimasta inedita.
Rimando chi volesse maggiori notizie del Vitali alla bio-
grafia che ne dà il Tipaldo, e allo studio di A. D'Ancona:
Una macchietta goldoniana {Strenna de' rachitici, anno VII), con-
dotto maestrevolmente su quella e sullo schizzo lasciatoci dal
Goldoni.
Vitali Sante. < Bolognese. Recitò da innamorato in diverse
vaganti Compagnie, e specialmente in quella di Onofrio Paga-
nini. Riuscì grazioso in alcuni caratteri affettati, e cantò di buon
gusto ne' musicali intermezzi unitamente ad altri comici. Fu
impiegato nella Compagnia d'Antonio Sacco più anni, e nel 1 770
passò con quella di Girolamo Medebach per recitarvi nella
maschera del Dottore, ma poco ivi potè far valere il suo spirito
e la sua lodevole abilità, poiché giunto a Modena, tocco da
apoplessia, vi morì in quell'estate in età d'anni 38. > Così Fr.
Bartoli. Era dunque nato il 1732.
Vitaliani Agata. Una nota manoscritta del vecchio Gueul-
lette ci apprende com'ella fosse moglie di Francesco Balletti,
primo del nome, innamorato; recitasse in Italia le amorose
col nome di Flaminia, e avesse per nonno Marco Napolioni
688 VITALIANI
detto Flaminio. Ho perso quasi la testa per trovare il bandolo
di questa intricata matassa, e non vi sarei riuscito, a dir vero,
che dando due mariti ad Agata Vitaliani. Luigi Riccoboni dice
(V. Calderoni Francesco, pag. 543) : < A capi della Compa-
gnia erano Francesco Calderoni detto Silvio e Agata Calderoni
detta Flaminia sua moglie, nonna della mia. > E perchè non :
Francesco Calderoni e Agata Calderoni sua moglie, nonni della
mia? Dunque Elena era nipote per parte soltanto della donna;
dunque di una Balletti. E concordando il nome di battesimo e
quel di teatro della Vitaliani, con quelli della Calderoni, ed esa-
minate le date da Marco Napolioni alla moglie di Riccoboni,
sarei portato a inferire che Agata Vitaliani, figlia di un Vita-
liani e di una Napolioni, moglie di Francesco Balletti, e suo-
cera della Fravoletta (V. Balletti,... ?), rimasta vedova, fosse
nel 1766 circa passata a seconde nozze con Francesco Cal-
deroni.
Vitaliani-Parpagiola Andrea. Padovano e non figlio d*arte
(il nome di Parpagiola gli venne da una prossima parente. Dama
di Corte di Maria Luisa di Parma, che gli aveva lasciato parte
delle sue fortune) era il 1 824 primo amoroso in Compagnia Duse;
e il n.° 4 di quell'anno delle Varietà teatrali di Venezia gli tri-
buta parole di moltissima lode. Con lettera del 12 agosto '37
domandava a Ferdinando Pelzet, scadendogli una cambiale, il
prestito di otto scudi. < Gli affari - scriveva - poco favorevoli
del mio Capocomico, mi pongono nel caso di non poter soddi-
sfare al contratto impegno. > Ma non ho potuto sapere il nome
di quel capocomico.
Era il '48 in Compagnia di Angelo Lipparini colla moglie
Marianna e i figli Cesare e Vitaliano. Della sua vita privata un
piccol cenno si ha in un epigramma del tempo, che ho in una
raccolta manoscritta, diretto alla moglie di lui, chiedendole
come mai egli divenisse tanto birba da consumar la sovven-
zione teatrale con la Ciabetti, e fare poi scandali con la moglie
di parole e percosse.
VITALIANI
Vitaliani Cesare. Figlio del precedente, nato il 1824, co-
minciò a recitar giovinetto, come ogni figlio d'arte, insieme al
padre e alla madre, coi quali trovavasi ancora, amoroso il 1848
in Compagnia Lipparini. Fu poi in vario tempo e in varie com-
pagnie, primo attore pre-
giato e non men pregiato
Direttore. Mercè la sua
cultura e la sua intelligen-
zanon comuni fu chiamato
AzHy Italia ar^^a di Tori-
no, iniziatrice, a dirigere
alcune rappresentazioni
di commedie classiche ita-
liane, tra cui QTdL La Man-
dragola di Macchiavelli.
All'arte sua di attore
e direttore egli accop-
piò quella di scrittore a
cui legò favorevolmente
e per alcun tempo il suo
nome. Fra le molte sue
opere vanno annoverate
come le migliori, V Amore.
e Lord Byron a Venezia, le quali, ricche di tutto Ìl convenziona-
lismo teatrale, e di reminiscenze delle più belle opere altrui,
brillarono come fuochi d'artificio, di luce efifimera e smagliante.
Non fu il Vitaliani uomo di specchiata moralità, e un senile
pervertimento gli procacciò processi, e pur troppo anche la
carcere, dove morì presso Trieste, il 26 luglio 1893.
Vitaliani Clotilde. Moglie del precedente, nata Trabalza
a Roma il 1836, apparve sulle pubbliche scene come una me-
teora, dopo di avere appartenuto, acclamatissima, alle più chiare
e signorili filodrammatiche della città, fra cui quella presieduta
dal Duca Grazioli, nella quale si meritò l'onore dell'effigie, e
S7. — / Camici ìlaliaHi. VcL IL
VITALIANI
busti e poesie. In arte non recitò che un anno, dopo il quale,
benché favorevolmente accolta, sì re-
stituì a Roma, abbandonata dal ma-
rito, dove continuò a recitare in So-
cietà private, alternando le sceniche
rappresentazioni con declamazioni
dantesche a cui dedicò studi speciali,
e dov'è anche oggi, maestra di reci-
tazione. Io l'ebbi compagna tra' filo-
drammatici il '75, e la ricordo, bel-
lissima, nell'ultimo atto della Pia
declamato con molta passione.
Vìtalianì Vitaliano. Altro figlio
di Andrea, marito di Elisa Duse, ar-
tista mediocre, era il 1 848 con la famiglia in Compagnia Lippa-
rini, col ruolo di generico. Lo vediamo il '64 in quella dì Zecchi, e
il '65 nella Dante Alighieri, diretta da Riccardo Castel vecchio,
anno in cui si sposò. Il '69 era con la moglie prima donna in
Compagnia Carbonin, diretta da Antonio Giardini, e il '76 in
quella di Luciano CunibertJ.
Morì nel '95 di affezione cardiaca.
Vitaliani Italia. Figlia del precedente e di Elisa Duse,
nacque a Torino (tolgo la seguente cronologia artistica da un
album in onore di lei - Roma, Vogherà, 1900) il 20 agosto
del i866. Era il '76 col padre in Compagnia di Luciano Cuni-
berti, ma si può dire che cominciasse a recitare nel '79 — tredi-
cenne appena - con Annetta Pedretti. Passò quindi nella Com-
pagnia Bellotti-Bon e Marini, diretta da suo zio Cesare, in
qualità di seconda amorosa; fu successivamente nella stessa
compagnia ;iW«fl aUrice giovine, in sostituzione di Linda Belli-
Blanes ammalatasi. Nel 1883 - per un solo anno - fece parte
della Compagnia Nazionale sotto Pierina Giagnoni. Nel 1884
passò, con il ruolo assòluto di prima attrice giovine, nella Com-
VITALIANI
pagnia di Cesare Rossi, della quale era prima attrice sua cu-
gina Eleonora Duse. In seguito rimase per tre anni con Fran-
cesco Pasta, a fianco di Annetta Campi, per ritornare, dopo
un triennio, con G. B. Marini, ed essere prima attrice a vicenda
con Virginia Marini, e cioè nelle parti che più non si adatta-
VITALIANI
ch'egli dice senza lirico sbhAtiAono-.prodigiosaTuUasuasempiiciid.
<Non mi chiedete - ella disse una volta - se io preferisca l'arte
antica o l'arte moderna. Per me questa distinzione non sussìste.
Amo Vatie ovunque si trovi, e anche se il romantico e il conven-
zionale sanno persuadermi e far vibrare la mia anima per modo
che io possa trasfondere nel pubblico la commozione mia, li
accetto. > Di qui la grande varietà del suo repertorio : accanto
a Hedda Gabler. Suor Teresa; a Casa paterna, Zaza; a Maria
Stuarda, La Locandiera; a Debora, Fedora; a Tosca, Adriana
Lecouvreur; a Seconda moglie. Frou Frou; a Casa di bambola.
La serva amorosa. E in tutte queste opere, quando il tempe-
ramento gliel consenta, sa mostrar l'arte sua poderosa « fatta
— scrive Angiolo Morì — di intendimenti dì una accuratezza sot-
tile, umanamente Ìntima, di cui è profondo il concetto; con una
recitazione tutta moderna, di .una rispondenza assoluta del-
l'anima con lo stato della coscienza femminile nella triste e tor-
mentosa ora che passa. >
Fin qui della artista. Come
donna, Italia Vìtalianì è avuta in
conto di una solitaria, superba,
intollerante, rude : la sua tacitur-
nità le acquistò il nome di Prin*
cìpessa d'Orange. QarìceTartu-
fari in un opuscoletto del Biondo
di Palermo così la difende :
Ule origine rimine coti avvUap-
pitB nel Telo dell' eMgeraiione e cosi contorti
dalle molteplici iggiunte della fantaaim, che ena
finiice per confondeni con la meniogna. Certo;
Italia Vitaliani non è melliflna. EUla, consape-
vole del ano valore, irrigidita nello storio co-
stante di una meta preG»*, e di coi, per molti
anni, ha forie credalo di avere smarrito la lim-
pida vìiione, assorta perennemente nella ricerca
di una periettibilitft, che è il tormento e la forca dei grandi artisti, Italia Vitalìaid non sa
trovare quelle parole imbigne che dicono e non dicono, quelle frasi rivolute entro coi il
pensiero guizza e si smarrisce con agUiti serpentina: no, quando una persona, ria pare
un personaggio, la secca, essa lo dimostra; quando on lavoro, sottoposto al mo giodiiìo.
VITALIANI 69S
le ipUce, san lo dice, fciua perjlrmii né pietoM tertiTeTMxioni; quando t di c&ttivo amore
non la trovare nna maschera di poconditl da collocarai ini tìio; che le poi ella, o per
la naturale bontà dell' mimo o per altre coonderaiioni, cerca di naicondere il mo penslerD
o velare le ma impreuionl, eslate allora una tale antiten b» il (nono della paroU forzata-
mente benìga* e l'impafiente lampe^are d^I'immenii occhi grìgi, che il comprende an-
bitó come la più lieve Biuione le rìeica faitidioia,
E qui la gentile autrice riferisce l'aneddoto di un giovine
autore, spigliato nell'andatura, baldanzoso nell'atteggiamento
del capo eretto e leggermente gittate all'ìndietro, il quale, pre-
sentatosi alla Vitaliani, e prò- _ . .-
ferito il nome di uno de' più
noti e ricchi negozianti di To-
rino, le porgeva un copione di
commedia, ch'ella respinse con
lieve moto della mano diafa-
na, dicendo poscia lentamente:
« Ah I Lei è il signor tale ? sta
bene: non dimenticherò l'in-
dirizzo della sua ditta, quan-
do avrò bisogno de' suoi pro-
dotti. » E di un altro giovine
autore, pallido, mingherlino, dal volto triste e spaurito, semi-
nascosto dietro una quinta, a cui la Vitaliani spontaneamente
si volse, incoraggiandolo con dolci parole; e promettendogli dì
leggere la commedia, che prese con gentile violenza, pose con
grazia squisitamente signorile la sua piccola mano nella mano
tremante dell'incognito drammaturgo; e, accomiatatolo, si
volse alla Tartufar! dicendo: < Umile con gli umili, superba
coi superbi : tale è il mìo motto. » E di questa sua bontà an-
che fa fede sua madre, in una lettera a me diretta del '900, in
cui dice : < L' Italia è una buona figlia, amorosa ; essa viene
spesso a trovarci, e si trova beata e felice quando rimane qual-
che giorno fra le braccia di sua madre che adora, e dei suoi
fratelli e sorelle. »
E parlando poi la Tartufari della vasta e solida coltura, di
cui la egregia attrice non fa alcuna pompa, intesala un mattino
694
VITALIANI
ch'egli dice senza.\irico abbandono -.prod^iosane^ sua semp/iciùi.
€ Non mi chiedete - ella disse una volta - se io preferisca l' arte
antica o l'arte moderna. Per me questa distinzione non sussìste.
Amo Varie ovunque si trovi, e anche se il romantico e il conven-
zionale sanno persuadermi e far vibrare la mia anima per modo
che io possa trasfondere nel pubblico la commozione mìa, li
accetto. » Di qui la grande varietà del suo repertorio : accanto
a Hedda Gaòler, Suor Teresa; a Casa paterna. Zaza; a Afaria
Stuarda. La Locandiera; a Debora. Fedora; a Tosca, Adriana
Z^couvreur; a Seconda moglie, Frou Frou; a Casa di òamóo/a.
La serva amorosa. E in tutte queste opere, quando il tempe-
ramento gliel consenta, sa mostrar l'arte sua poderosa < fatta
- scrive Angiolo Mori - di intendimenti di una accuratezza sot-
tile, umanamente intima, di cui è profondo il concetto ; con una
recitazione tutta moderna, di una rispondenza assoluta del-
l'anima con lo stato della coscienza femminile nella triste e tor-
mentosa ora che passa. >
Fin qui della artista. Come
donna, Italia Vitahani è avuta in
conto di una solitaria, superba,
intollerante, rude : la sua tacitur-
nità le acquistò il nome di Prin-
cipessa d' Grange. aariceTartu-
fari in un opuscoletto del Biondo
di Palermo così la difende :
tale origlDe rimane cori avvilnp-
paU n«l velo dell' ewgeruione e ood contorla
dalle molteplici aggiunte della bntasia, che ena
finiice per confondeni con la mentoEoa. Certo:
Italia Vitalìani non è melliflas. ^la, coQ(t^>e-
vole del mo valore, irrigidita nello tforao co-
itante di nna meta prefiua, e di coi, per molti
anni, ha Tone creduto di avere smarrito la lim-
pida visione, assorta perenDcmente nella ricerca
di nna perfettibilità, che è il tormento e la fona dei pandi artisti, Italia Vitalianl non sa
trovare qnelle parole ambila che dicono e non dicono, quelle frasi rivolute entro coi il
pensiero gnizia e si smarrisce con a^lità serpeotina: do, quando nna persona, sia pure
a lo dimostra; quando nn lavoro, sottoposto al no gindìiìo.
VITALIANI 695
le iiùace, e»a lo dice, «eiua perìfrui uè j^etote ter^rerMsioni; qaando è dì cattivo nmoTe
non u trovare nna maMhera di giocondità da coUocani mi viio ; che te poi ella, o per
la naturale booti dell' mimo o per altre coiuiderarioni, cerca di naicondere il no peniiero
o velare le me inpteiiioni, eiiite allora nna tale antiteti fra il mono della parola forzata-
mente benigna e l'impadente lampeggiare degl'inunenai occhi grigi, che li comprende su-
bito come la più lieve fioiìone le rietca fajtidioaa.
E qui la gentile autrice riferisce l'aneddoto di un giovine
autore, spigliato nell'andatura, baldanzoso nell'atteggiamento
del capo eretto e leggermente gittato all' indietro, Ìl quale, pre-
sentatosi alla Vitaliani, e pro-
ferito il nome di uno de' più
noti e ricchi negozianti di To-
rino, le porgeva un copione di
commedia, ch'ella respinse con
lieve moto della mano diafa-
na, dicendo poscia lentamente :
« Ah I Lei è il signor tale ? sta
bene: non dimenticherò l'in-
dirizzo della sua ditta, quan-
do avrò bisogno de' suoi pro-
dotti.» E di un altro giovine
autore, pallido, mingherlino, dal volto triste e spaurito, semi-
nascosto dietro una quinta, a cui la Vitaliani spontaneamente
si volse, incoraggiandolo con dolci parole; e promettendogli dì
leggere la commedia, che prese con gentile violenza, pose con
grazia squisitamente signorile la sua piccola mano nella mano
tremante dell'incognito drammaturgo; e, accomiatatolo, si
volse alla Tartufar! dicendo: « Umile con gli umili, superba
coi superbi : tale è il mio motto. » E di questa sua bontà an-
che fa fede sua madre, in una lettera a me diretta del '900, in
cui dice : « L' Italia è una buona 6glia, amorosa ; essa viene
spesso a trovarci, e si trova beata e felice quando rimane qual-
che giorno fra le braccia di sua madre che adora, e dei suoi
fratelli e sorelle. >
E parlando poi la Tartufari della vasta e solida coltura, di
cui la egregia attrice non fa alcuna pompa, intesala un mattino
696 VITALIANI - VITTI
discorrere nel Duomo di Siena dei tempi torbidi e poetici dei
comuni con parola sobria, ma colorita e precisa, < Dove trova
il tempo lei dMmparare tante cose ? > le domandò stupita. < Io
studio in ferrovia - le rispose con semplicità la Vitaliani. -
Nella mia esistenza affannosa e turbinosa, le ore che io passo
in treno sono le mie migliori. Mentre la macchina vola attra-
verso i campi o in riva al mare, io dimentico il palcoscenico,
dimentico le piccole e grandi miserie della notorietà, e vivo
di me e per me, o meditando o ritemprandomi lo spirito con
sane e forti letture, > Nella sua esistenza affannosa e turbinosa....
pur troppo deve essere così.... Italia Vitaliani non ha avuto
prima d'ora la fortuna che meritava. < Se Italia Vitaliani vo-
lesse, - scriveva alcun tempo fa Alberto Manzi - vedrebbe i
pubblici entusiasti di lei, come sempre, quando ha voluto, li ha
veduti: se sinceramente volesse, tornerebbe ad essere, come
anni or sono, la Vitalianina adorata.... > E oggi pare abbia vo-
luto e voglia davvero, dacché i pubblici nostri e quelli di Spa-
gna e d'America s'inchinano ammirati all'astro di prima gran-
dezza.
Vitti Achille. Nato a Zante il 22 novembre 1866 da parenti
non comici, fu cresciuto a Milano, dove, fatti gli studi tecnici,
ed esercitatosi tra quei filodrammatici, si scritturò con Ema-
nuel; passando poi, in vario tempo, con Tibaldi (Compagnia
Nazionale), la Duse, Cesare Rossi, Pietriboni, Falconi, Bertini,
Paladini. Dopo una società con Beltramo e Della Guardia, formò
Compagnia da solo, recitandovi le parti di primo attore, e pas-
sando a quelle di prima attrice la moglie Gemma Braconey,
sposata il I ° marzo 1 89 1 , una dilettante essa pure, che aveva
esordito in arte con Ermete Novelli.
Achille Vitti era primo attore giovine a ventidue anni e
primo attore a ventisei ; e divenuto capocomico si diede a un
rinnovamento del nostro repertorio, rappresentando primo in
Italia opere del teatro nordico, quali : La Potenza delle tenebre.
Gli Spettri, Delitto e Castigo, Il pane altrui, il tedesco Arlec-
VITTI - VULCANO 697
chino Re; i lavori di Shakspeare: La bisbetica domata e Molto
rumore per nulla, ecc., ecc. Il ^904 si unì con la Compagnia al-
l'artista lirico Scarneo, che passava di punto in bianco alla
scena di prosa; ma, da esso distaccatosi prima dell'anno e
solo, tornò a formare e a condur Compagnia con mediocre
fortuna.
Vittoria. (V. PnssiMi Vittoria).
Vulcano Bernardo. Appartenne alla Compagnia, che ar-
rivò a Dresda sul principio del 1738, scritturata da Andrea
Bertoldi (V. e richiami) per la Corte Sassone. Nello schizzo su
gli attori della commedia italiana, apparso a Stuttgart il 1750,
è detto di lui :
< Un uomo nella pienezza del vigore ; circa quarant'anni.
Ha bell'aspetto, ed è ben in carne. Di mezzana statura, di colo-
rito più tosto bruno, e pieno di fuoco. Pronuncia perfettamente,
e recita gli amorosi o i vecchi pacati. Occhi, fisionomia, mani,
piedi, tutto parla nella sua persona. >
Pare fosse qualcosa più di un semplice attore, dacché
aveva a Varsavia, per lui la moglie e il ballerino Vulcani, tre
camere, fra le qtcali una grande per le prove. (V. Articchio
NlCOLETTO).
Vulcano Isabella. Moglie del precedente, fu con lui a Dre-
sda il 1738. Recitava le amorose sotto il nome di Eleonora, ma
forse le sarebber convenute meglio le parti di tenera madre, e
magari quelle di Colombina, che sosteneva malamente la To-
scani (V.). Recitava bene veramente, ma non in tutte la parti.
Era piccola e magra, e in apparenza non più giovine, ma di
volto pur sempre piacente.
88. — / Comici italiani. Voi. ir.
698 WELENFELDT - WOLLER
^
Welenfeldt Bonifazio. Parmigiano. Cominciò a recitar con
successo le parti ^Innamorato in Compagnia di Girolamo Brandi
e quella di Francese italianaio, in cui, dice il Bartoli, imitò assai
bene il Vieri (V,), Fu con Pietro Ferrari, con Girolamo Mede-
bach, con Nicola Menichelli, col quale trovavasi il lySi,
Un libretto stampato del PigmaUone di Rousseau, reca il
seguente frontispizio che trascrivo co' suoi errori:
« PIGMALION I de monsieur \ Jean Jaques
Rousseau [ Scene Lyrique \ representé dan set Il-
lustre Théatre \ par | Boniface Weltjenfeldt
et I Annette Paganini | Comediens Italiens. ì»
U illustre teatro era certo il San Samuele di Venezia, ove
il Pigmalione fu rappresentato il 1773. Ciò si rileva dalla tra-
duzione italiana pubblicata a Venezia in queir anno col testo
a fronte e colla dicitura: < Da rappresentarsi in lingua francese
nel Teatro San Samuele > .
Welenfeldt Lodovico. Figlio forse del precedente, fu ca-
ratterista di buon nome nella prima metà di questo secolo. Era
il *33-'34-'35 nella Compagnia Romagnoli-Berlaffa, il '36 in
quella di Gioacchino Andreani.
Woller Gaetano. Nativo di Roma, fu uno de' più egregi
artisti italiani pel ruolo di generico primario. Nelle parti digni-
tose non ebbe rivali, sì per la maestà della persona, sì per Palti-
sonanza della voce. Fu avuto in gran pregio da pubblico e da
colleghi, e militò nelle compagnie di primissimo ordine.
WOLLER 649
Lo trovo per la prima volta il 1 839 in Compagnia di Tom-
maso Zocchi. Il '4 1 e '42 ebbe Compagnia in società con Giar-
dini e Belatti, e vi recitò le partì di Tiranno e Padre. Lo ve-
diam poi generico primario colla Reale Sarda di Torino dal '47
al '55, ultimo anno della Compagnia, in cui senza più appan-
naggio, ma pur serbando il titolo Al servizio di S. M. il Re di
Sardegna, si recò a Parigi. Appare il '62 con Tommaso Salvini,
e il '63 con Gaetano Gattinelli.
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1 COMICI ITALIANI
Zaccagnino. Chi si nascondesse il 1496 sotto questo nome
di maschera non si sa. Egli è citato nella lettera di Ercole di
Ferrara del 5 febbrajo a Francesco Gonzaga dì Mantova, a
proposito di copioni di commedie. Zaccagnino allora trovavasi
a Modena (V. Rxjino Francesco. E pel secolo xvii V. Torri
Giulio Cesare).
Zacconi Giuseppe e Lucìa. Figlio il primo di un direttore
delle Gabelle di Bologna, la seconda del rinomatissimo buffo
Lipparini, s'incontrarono, recitando, nelle filodrammatiche bo-
lognesi, si sposarono ed entrarono in arte. Tempre entrambi
di valenti artisti, avrebbero avuto miglior fortuna e maggior
rinomanza, se una turba di figliuoli non fosse venuta a porre
un ostacolo alla loro carriera. Benché un tantino enfatici nella
tragedia, erano umani e valentissimi nel dramma e nella com-
media. Egli, soprattutto, accoppiava a una dizione semplice e
naturale una gran forza di espressione e un senso profondo di
verità umana: fu direttore eccellente, e s'ebbero da* suoi am-
maestramenti artisti di pregio, tra cui Giuseppe Bracci e il
rinomato primo attor giovine Gaspare Lavaggi.
Morì a Bologna il 25 agosto 1903.
La moglie era morta ad Ascoli Piceno il io maggio 1875.
Nacquero dal loro matrimonio tre maschi e tre femmine
tutti comici :
Romeo, Ildobaldo (morto), ed Ermete; Giulia maritata
Bonfigli ex comico, Imelda maritata Bouchard, ed Argia ma-
ritata Tovagliari, che ho veduta e ammirata nella Compagnia
dialettale siciliana dì Giovanni Grasso.
Zacconi Ermete. Figlio dei precedenti, nato a Montecchio
di Reggio d'Emilia il 14 settembre dell'anno 185J, è quegli
che assieme con Ermete Novelli divìde il primato artistico del-
l'età presente.
Niun attore io credo abbia avuto come luì una vita di pal-
coscenico piena di movimento, passando dall'amoroso al bril-
ZACCONI
lante, dal brillante al primo attore, alternando tal volta l'officio
di comico e anche di capocomico, con quello di pittore sceno-
grafo, magari dì macchinista; tal volta escogitando con allegri
compagni di sventura nuovi mezzi di difesa dalla miseria, come
fiere o altro, recandosi da questo a quel posto oggi in barroc-
cino, domani a piedi. Dopo di aver passato gli anni della fanciul-
lezza col padre (il 1 865
era con lui, il quale fa-
ceva il primo attore a vi-
cenda col Germani, nella
Compagnia del Teatro
Valletto di Roma, capi-
tanata dal brillante Cri-
stofari), fu con Tommaso
Massa, un attore bril-
lante, ricco d'intelligen-
za, dicitore vero ed effi-
cace, poco fortunato in
arte, a cagione special-
mente della sua meschi-
na figura, con cui comin-
ciò a recitar partìcine di
generico, secondo briilante
e amoroso. Passò poi ge-
nerico primario, amoroso
e brillante, a vicenda con Nicola Della Guardia, nella Com-
pagnia di un certo Calìa napolitano, in cui recitava anche
gli amorosi nelle farse col pulcinella (non mai il pulcinella,
come altri affermò); ^o\, secondo amoroso, in quella di Lamber-
tini e Majeroni, in cui stette anche l'anno dopo come secondo
brillante sotto Leopoldo Vestri. Fu scritturato brillante il '78 in
Compagnia Dominici, passando in quaresima al ruolo àiprimo
attor giovine, poi, per l'improvvisa partenza del Dominici, a
quello di primo attore, ch'egli sostenne per alcuni anni in pic-
cole compagnie, come ad esempio, del Battistoni. Entrò l"8i
7o6 ZACCONI
primo attor giovine con Dondini-Dominici, e T *82, ahimè,
tentò il capocomicato (sfogando - come si dice in gergo —
tutte le sue passionacce, fra cui quella del Figlio delle Selve di
Halm), che lasciò subito Tanno di poi, per andar primo attore
in Compagnia Palamidessi che (altro ahimè) si sciolse a metà
d' anno. Tornò primo attor giovine con . Salvinetto e Pietro
Rossi, poi primo attore e direttore d'una Compagnia italiana
a Cannes, d'onde scacciato dal colera, si scritturò primo attor
giovine il carnovale dello stesso anno con Artale-Pedretti.
Fu r'85 primo attore con Verardini, e il carnovale dello stesso
anno con Emanuel, con cui stette oltre un biennio, e da cui
passò primo attore e direttore con Casilini per un solo anno;
dopo il quale, eccotelo un triennio primo attore con Cesare
Rossi, e uno con Virginia Marini, fino al 1894; anno in cui si
associa con Libero Pilotto, per condur finalmente compagnia
da solo dopo la morte di questo ; compagnia che va innanzi
trionfalmente da sette anni.
Tutto questo passare per quasi quarant'anni da un ruolo
all'altro, da una compagnia all'altra con vertiginosa rapidità,
specie ne' primi tempi, dice chiaro quanta fosse la duttilità del
suo ingegno, la sua dedizione intera, incondizionata all'arte,
pur di fare; e senza aspirazioni, pur di far bene, a toccar cime
elevate, alle quali egli si trovò direi quasi senza saperlo, per
una conseguenza logica del suo gran merito.
E la duttilità dell'ingegno egli ha mostrato fino a qui, e
mostrerà pur sempre, passando maestrevolmente dalla vasta
tragedia shakspeariana alla inguantata commedia di Dumas
figlio; dal fosco dramma nordico dell' Ibsen, dello Strindberg,
delHauptmann alla saltellante comicità del Goldoni; dall'aurea
scoltura della terzina dantesca alle mute contrazioni spasmo-
diche di Al Telefono; imperocché non una parte lo alletti più di
un'altra; e, purché l'opera sia elevata e umana, egli abbia pro-
vato e provi egual godimento intellettuale recitando la tra-
gedia o la commedia: Shakspeare o Beaumarchais. Senza una
buona dizione non credo possibile grandezza di attore : e soli-
7o8 ZACCONI
dissima base della grande arte di Ermete Zacconi è stata dal
suo cominciamento la dizione. Egli stesso era inconsapevole
del raro tesoro che possedeva: se ne avvide una sera, in cui
dovè ripiegar la parte lì per lì, di Cesare Amici nella I^gge
del Cuore di E. Dominici. A un dato momento egli sentì che
il suo dire caldo, sincero, impulsivo aveva determinato tra lui
e l'ascoltatore una specie di corrente elettrica, tal che alla fine
della gran scena con Leonardo, il pubblico, rimasto fino a quel-
l'ora immobile e muto in una religiosa attenzione, scoppiò in
un grande e lungo applauso, a cui si congiunse il bravo alto e
vivo dell'artista Papadopoli, il suo egregio compagno di scena.
Da quella sera lo Zacconi ebbe coscienza della sua forza, e la
visione chiara e precisa di quella specie di fascino che la sin-
cerità e la verità possono operare sul pubblico. In Demùfnonde,
Amico delle Donne, Resa a discrezione. Tristi amori, sono scene
e descrizioni e squarci che, detti da lui possono esser sempre
citati come modelli di perfetta recitazione, benché più volte la
dizione si vada offuscando in un ingrassamento di note, che
voglion taluni attribuire alla cupezza dei tipi nordici ch'egli
da più anni interpreta con tanto fervore, e si potrebbe anche
dire con gran preferenza sugli altri tipi. E qui vorrei aprire
una parentesi. Che il pensiero di quei taluni sia esatto non ose-
rei affermare, sebbene si possa concedere che l'elemento nor-
dico entri per qualche cosa nella presente modulazion della
voce con predominio di note cavernose, e nella presente inter-
pretazione de' vari tipi con predominio di sfiaccolamento fisico.
Altre e molte possono essere le cause che concorrono a tale
alterazione: forse celate, forse anche opposte in tutto e per
tutto a quelle che noi colla nostra gran presunzione di critici
indagatori crediamo di conoscere. E prima di tutto: questa
gran preferenza sugli altri tipi gli è venuta, come vorrebbero
i più, dal dominio esercitato sul suo sistema nervoso dal per-
sonaggio di Osvaldo negli Spettri di Ibsen, il primo della spe-
cie? O non piuttosto da una particolare attitudine, sviluppatasi
a grado a grado, all'interpretazione del dramma interiore, an-
ZACCONI 709
zichè del dramma di passione? E l'alterazione non potrebbe
attribuirsi meglio a una semplice cagione fisica, a un eccesso
di fatica nell'uso quasi costante per lungo tempo di voci aspre
e cupe a ritrar certi tipi di Pane altrui. La Potenza delle tenebre.
Don Pietro Caruso, Padre, che agirono e agiscono come una
lima sugli organi vocali ? O si dovrebbe attribuir forse al fatto
che, quanto maggiormente egli si dà con l'andar degli anni e il
crescer della rinomanza alla disanima profonda di un personag-
gio, tanto meno egli pensa al modo di esprimerla col cesello della
parola? Qiiedete un po' a Ermete Zacconi qual metodo segua
nello studio di una parte, e vi risponderà a un di presso così:
< letto un lavoro che mi piaccia, esso resta nella mia mente, e
mi segue costante come la larva del sole nella pupilla; e, pur
continuando l'opera mia consueta, provando altri lavori già
vecchi, ragionando di cose estranee, passeggiando, mangiando,
l'imagine della nuova commedia letta, e ch'io desidero di rap-
presentare, non esce mai dalla mia mente, e a poco a poco si
disegna più chiara e decisa. Quando credo di averne afferrato
l'idea fondamentale, vedo anche disegnarsi nettamente i singoli
quadri che la compongono, agitarsi e vivere i personaggi.
Quando sento di possedere il quadro e le singole parti, allora
comincio le prove; e man mano che quéste si svolgono, mi
rendo conto degli errori nei quali posso essere caduto, vedo
con maggior precisione in qual giusta luce debba essere posto
ciascun personaggio. Quando credo di aver tutto compreso,
sospendo le prove e comincio ad imparare la mia parte, man-
dandola a memoria. Non studio mai ad alta voce* Quello che
mi è accaduto prima per l'opera da interpretare, mi accade
dopo per la parte che vi debbo sostenere. Una volta imparata,
l'abbandono, e non la riprendo più; ma mentre continuo ad
occuparmi di altro, vedo sempre il mio personaggio, ne ana-
lizzo l'anima, il carattere, i sentimenti, a traverso le parole che
io già so; e quando credo di possederlo interamente, di sen-
tirlo, di viverlo, riprendo le prove. Allora queste si svolgono
rapide, ed i così detti effetti balzano fuori, non cercati e voluti,
710 ZACCONI
ma naturali e logici per lungo processo di preparazione. Ed è
facile capire come con questo studio del personaggio non sol-
tanto nei fatti che si svolgono, ma ben anco nelle parole con le
quali si esprime, il colorito e l'efficacia della dizione siano una
conseguenza legittima dello studio complessivo e non uno studio
a parte > . Non studio mai ai> alta voce. È dunque possibile
che taluna volta a lui accada per la parola quello che accade
ad altri in genere per la musica, i quali mentalmente credono
di ripetere con esattezza un motivo, e quando si provano di
rifarlo colla voce, non azzeccano più le note? Una piccola con-
cessione oggi ne genera due o tre domani, e via di seguito,
senza che l'artista non più se ne avveda. Così non altrimenti
io mi spiegherei l'alterarsi della dizione in grandissimi ar-
tisti, come a esempio, l'Emanuel, che, coli' andar deg-li anni
andava ognor più accentuando, nell'arte somma di conce-
zione, una dizione affannosa, rantolosa, che i più giudica-
vano invecchiata, e io semplicemente trascurata. Ma, chiusa
finalmente la parentesi, rieccoci al caro artista, che ci torna
oggi (1904) dall'America, ove ha recato il prestigio del-
l'arte italiana.
E quale prestigio ! Di alcuni lavori, o di alcuni momenti
de' varii lavori da lui rivelati, gli americani del sud, per quanto
avesser letto su pei giornali, non avrebbero mai potuto farsi
un' idea. Di quel famoso monologo, per un esempio, di Loren-
zaccio, in cui egli medita e determina e assapora con voluttà
bestiale l'uccisione di Alessandro! Una linea ancora, e forse lo
Zacconi toccherebbe il grottesco; ma la linea non c'è, e invece
del grottesco abbiamo il sublime e per concepimento artistico
e per espressione.... Quelle ondate di respiro mal contenute a
mostrare la gioia interiore; il mal contenuto agitarsi delle brac-
cia e delle gambe con selvaggia infantilità; le sghignazzate
sommesse, arrestate a un tratto da un volgersi guardingo e im-
mediato.^.. Sublime! E come avrebber potuto farsi un'idea
dell'arte sua tutta suggestiva, o terrifica, o spasmodica, negli
Spettri d'Ibsen, nel Putte altrui di Turguenieff, nel Nuovo Idolo
di De Curel, nelle Anime soUtarte di Hauptmann, nei Disonesti di
Rovetta, nel Kean di Dumas, nel Don Pietro Caruso dì Bracco,
nella Morie civile di Giacometti, tìgWAI Telefono dì De Lorde?
Come delle squisitezze di cesellamento nella Resa a discrezione
di Giacosa, néìV Amico delle donne, nel Demi-monde e Padre pro-
digo di Dumas figlio, nel Duello di Ferrari ? Come dell'arte, tutta
verità e modernità n^^ Amleto e Otello e nella Bisbetica domata di
Shakspeare? Ermete Zacconi è soprattutto vero. Anche quando
712 ZACCONI
rappresenta grandi personaggi della Storia, anche quando la
forma del lavoro è elevata, egli trova modo di arrotondare colla
sua naturalezza, non mai volgare, ogni plastica angolosità, mo-
strando di seguire in questo metodo di studio per T interpreta-
zione e l'espressione Giovanni Emanuel, che, primo, recò sulla
scena la tragedia shakspeariana, spoglia di tutti gli arredamenti
decorativi con cui l'avevano data, con arte pur grandissima del
resto, i suoi più celebrati predecessori. E però il pubblico che
ben ricorda l'arte magistrale e novatrice dell'Emanuel, chiama
questo volentieri maestro dello Zacconi, tanto più che, come
accade il più spesso, per ogni attor subalterno, egli, vivendo
al fianco del grande artista, ne ritrasse, certo inconsapevol-
mente, alcune maniere e inflessioni. Se per maestro s'intenda
solo, come deve intendersi, colui che, colla dedizione incondi-
zionata all'arte, coli' alto rispetto del pubblico e di sé, collo
studio profondissimo di sintesi e di analisi, trasfonde nell'animo
altrui la fiamma sacra, certo l'Emanuel fu maestro dello Zac-
coni. Che se poi per maestro si volesse intendere colui dal
quale si succhia e il metodo dello studio, e il fondo dell'inter-
pretazione, e le originalità della dizione, allora certo lo Zac-
coni rigetterebbe il giudizio, come de' più erronei. Egli aveva
già 27 anni, quando entrò nella Compagnia dell'Emanuel, e lo
intese per la prima volta. La sua tempra d'artista e il modo di
comprendere e di estrinsecare l'obbiettivo e l'ideale artistico,
erano in lui già così nettamente fissati, che non avrebber potuto
mutare a un tratto, e a quella età, sotto l'influenza d'un'altra
arte, per grande ch'ella si fosse. Anzi: ammiratore convinto
dell'intelligenza grandissima e del genio dell'Emanuel, spesse
volte egli avrà dovuto dissentire da lui, metodico per eccel-
lenza, sui diversi modi di estrinsecazione. Che vuol dire mai
questo circoscrivere l'arte a un tale o tal altro sacerdote? Che
in arte vi sia chi impotente a far del suo, cammina servil-
mente sull'orme altrui, è indiscutibile: ma quegli non è più
artista; è semplicemente attore. Come avrebbe potuto diven-
tar lo Zacconi scolaro dell' Emanuel, se uguale ammirazione
ZACCONI 713
aveva per la forza comprensiva e Tarte profonda e cosciente di
questo, per gli scatti passionali del Majeroni, per la sincerità
quasi dialettale di Papadopoli, pel dire intelligente e affasci-
nante del Cappelli, per altro di altri? Come avrebbe potuto,
egli, così ricco d' intuito artistico, riproduttor della vita sulla
scena fin da giovinetto, staccarsi per sentimento d'imitazione
da quella sua espressione d'arte, che amava profondamente,
perchè espressione del suo cuore e del suo pensiero ?
Dunque niente maestri né teorici né pratici. I maestri, nel
senso di fabbricatori di artisti, non sono mai stati e non sa-
ranno mai, perché l'ingegno e il sentimento non li dà l'uomo.
In arte non possono essere che delle guide, le quali con l'esem-
pio e la parola additino all'attore la via diritta dello studio.
Sarebbe lo stesso come dire lo Zacconi scolaro di tutti gli
ammalati e i moribondi che osservò negli ospedali per racco-
gliere sinteticamente in una semplice linea tutta l'anàlisi fatta su
quelle contraizioni facciali lente e spasmodiche, che generaron
poi una polemica su pei giornali a proposito dello spegnersi di
Corrado nella Morte civile di Giacometti : polemica di cui forse
una parte del pubblico avrebbe fatto a meno volentieri, tanto
più ch'essa era aperta fra il glorioso decano de* nostri artisti,
Tommaso Salvini, che fu per quarant'anni il rappresentante del
classicismo a teatro, e lui, rappresentante da un decennio del
verismo: l'arte vecchia, non mai interamente scomparsa, e che
va rifacendo capolino oggi nel rinnovamento del dramma sto-
rico, e l'arte nuova, che va già cennando a modificarsi. Niente
vi deve essere di più sintetico, di più artisticamente teatrale dello
spasimo dell'agonia, e delle malattie in genere, sul teatro. Se
lo Zacconi, studioso e scrupoloso all'eccesso (anche per ciò
l'Emanuel aveva già dato un esempio colla riproduzione ma-
ravigliosa di una morte di delirium tremens nelV Assommoir di
Zola), afferma di avere frequentato giovanissimo a scopo di
studio manicomi, ospedali, cliniche e reclusori, perché non do-
vremmo noi credergli? E perché non credergli quand'egli af-
ferma di avere letto Descuret, Charcot, Lombroso, Ferri ed
90. — / Comt'ci ìtalianL Voi. II.
714 ZACCONI
altri? E perchè non, ancora, quand'egli afferma di sapere le
ragioni scientifiche di quanto ha osservato, e, nella riprodu-
zione dell'essere normale e anormale, di non compiere un mo-
vimento muscolare e nervoso, senza conoscerne le orig-ini ge-
neratrici ?
Se lo Zacconi affermasse che oggi, tempo di troppo sa-
pere, un artista coscienzioso non può permettersi il lusso di
morire a soggetto, di spasimare genialmente, avrebbe, nel
fondo, tutte le ragioni. D'altra parte, capisco, ecco subito riaf-
facciarsi quella benedetta faccenda della teatralità, che si vor-
rebbe, non so con quanto criterio, sbandire dal teatro, fatto
tutto di convenzioni: chi dovrebbe giudicare della genialità o
realità di quegli spasimi? Il pubblico, o gli scienziati facenti
parte, per un caso, del pubblico ? Io credo il pubblico ; il quale,
o genialità o realità, dee volere soprattutto dell'arte pura. Tut-
tavia (e qui non voglio toccar la quistione della logica nel ge-
nere di morte di Corrado), se artista sommo ci è apparso fino
a ieri Tommaso Salvini, e artista sommo ci appare oggi il
siciliano Giovanni Grasso, il quale sa di ospedali e di morti,
quant'io di meccanica, grandissima lode va data allo Zacconi,
se all'entusiasmo della moltitudine vuole anche congiunta la
sapiente ammirazione dello scienziato.
A voler dare in luce i giudizi dell'Italia e di fuori su Er-
mete Zacconi ci sarebbe da fare un grosso volume. A lui sono
stati decretati a ogni nuova interpretazione gli onori del trionfo;
e il pubblico ricorda ancora, fra tanti, il godimento intellettuale
provato, quando egli, al fianco di Eleonora Duse, apparve sotto
le spoglie di Lucio Settata nella Gioconda e di Leonardo nella
Città morta di Gabriele D'Annunzio. Non vi fu città, si può
dire, nostra o forestiera, in cui l'estro poetico, non si risve-
gliasse a dir le sue lodi: tra i tanti versi (ve n'han già dell' 83,
quand'egli era al Pantera di Lucca, presagenti la gloria fu-
tura) scelgo questi di Achille Testoni, dettati l'ottobre del '95
quando al grande attore dram?natico \ vanto dell* arte italiana |
il ptcbblico modenese \ l'entusiasmo più alto e sincero \ addimostrava.
ZACCONI 715
O DIVA ARTE....
Tu, che deiralma il bujo nembo sperdi,
O bellissima Iddia,
A noi torna benigna e l'arsa via
Al tuo sole rinverdii
Ecco, tu appari con le scinte chiome
Tra un velo luminoso.
Ed è a te volto l'occhio desioso,
È sul labbro il tuo nome.
Ecco, a te intorno un dolce alito spira
Che il bel volto accarezza,
E l'alma nostra in fremiti d'ebbrezza
Te, o divina, sospira!
O divina Arte, al vivere fecondo
Noi, sfiduciata gente,
Infiamma. Solo al bacio tuo possente
Si rinnovella il mondo!
Modena, 9 ottobre 1895.
E nullameno, davanti la grandezza dell'arte sua, Tentusia-
smo eh' egli suscita nelle platee, le acclamazioni più vive, quasi
forsennate che riceve ogni sera, e diciam pur anche davanti i
suoi guadagni che gli concedon oggi più che l'agiatezza, egli
ha serbato intatta una famigliarità di modi particolare. Nulla
mai in lui che riveli l'artista, e soprattutto il grande artista,
fuorché il segno naturale della modestia, dell'affabilità, della
bontà.
Quando in estate, nei mesi di riposo, può con una ma-
glietta nera, coi calzoni rimboccati, colle braccia nude e un
berrettuccio in testa, infilare il bracciale da pallone, o inforcar
la bicicletta, o guidar l'automobile fuor delle mura di Bologna,
presso la sua cara villetta, o in riva al gran mare, egli è a nozze;
e un bel sorriso sano gli risiede sulla bocca, spianando tutte le
rughe degli Osvaldi, dei Corradi, degli Otelli....
X
7i6 ZAGNOLI - ZAGO
Zagnoli Carlo. Fiorito sul finire del secolo xvii, fu attore
al servizio del Duca di Modena per le parti di Primo Zanni,
sotto il nome di Finocchio (V. a Torri Antonia l'elenco della
Compagnia pel 1689); nia non aveva la parte, ossia era attore
pagato a un tanto fisso.
Il nome di Finocchio fu tenuto prima dal ferrarese Cima-
dori (V.), e forse fu maschera (in una lieve variazion di bri-
ghella, capostipite della famiglia de' primi Zanni) con atti e
parlare leziosi; ma non saprei dire se il significato di < alletta-
mento, attrattiva prodotta dal sapere usare le piacevolezze, i
motti, sali, ecc., » poi di effeminatezza e peggio, derivi dalla
maschera, o questa da esso.
ZagO Emilio. Il solo scrivere questo nome mi mette il buon
umore e mi rifa il sangue. Quel riso della bocca e degli occhi,
quella voce squillante, quei ciao e complimenti, e ostregheta tutti
suoi, quella pancia, quelle gambette, che ricordano un pò* il
delizioso buffo barilotto del San Carlino, formano un tale in-
sieme di giocondità, che non è possibile vederlo e udirlo, senza
lasciarsi andare alla più matta risata. Perchè.... egli è piccolo,
molto piccolo, inverosimilmente piccolo, tanto che la sua sta-
tura fu nell'inizio della sua vita artistica un grande ostacolo a
farlo entrare in una Compagnia rispettabile come quella di
Moro-Lin, che fu la sua prima e grande e ben giustificata aspi-
razione.
Nacque a Venezia il 19 marzo 1852 da Giuseppe Zago e
da Maria Vianello, e mostrò fin da giovanetto inclinazioni e
attitudini al teatro. Entrato nella Filodrammatica Gustavo Mo-
dena, potè subito, sotto gl'insegnamenti dell'artista Carlo Hu-
rard, farsi notare per una innata, irresistibile comicità ch'ei pro-
fondeva ne' limiti di una correttezza artistica, assai rara in un
dilettante. Gli applausi della folla, le lodi della critica gli fecero
lasciare di punto in bianco l'impiego ch'egli aveva di commesso
nella Casa Commerciale del Senatore Reali, e lo fecero partire
a insaputa de' suoi per Loreo, dove era ad attenderlo la Com-
ili
e». '
i
7i8 ZAGO
pagnia dì Francesco Zecchi, che recitava all'aperto, e da cui,
dopo alcun tempo, felice di potersi liberare da queir ambiente
di guitti, passò a Voltri in Liguria, in quella Ilardi-Cardin, la
quale, purtroppo, era più guitta dell'altra. Finalmente, dopo
cinque anni d'incredibili peripezie, in cui la fame aveva pur
sempre la più gran parte, a traverso plaghe inospitali, in bar-
roccio, in carretta, a piedi, or cogli Stenterelli Serrandrei e
Miniati, or con Benini e Gelich e De Carbonin e cJtri, recitando
da vecchio e da giovine, da promiscuo e da marno, e fin sotto
le spoglie della maschera Faccanapa, contrapposto vivente e
poco fortunato del Faccanapa di legno inventato dal Reccar-
dini, che formava le delizie del popolo triestino, mentr* egli,
Zago, era con Gelich, Tollo e Papadopoli al Teatro Mauroner,
pur di Trieste, eccotelo - dico - finalmente di sbalzo (agosto ' 76)
a Napoli con 5 lire al giorno, generico della Compagnia Vene-
ziana di Angelo Moro-Lin, salutato da un fragoroso, unanime
applauso al suo primo apparir sulla scena, dopo appena tre
sere dal suo debutto.
Restò con Moro-Lin fino a che (giugno dell' '83) per la
morte della celebrata attrice Marianna Moro-Lin, la Compa-
gnia si sciolse, e ne formò subito una egli stesso in società con
Borisi diretta da Giacinto Gallina, e amministrata dal fratello
Enrico, della quale eran bell'ornamento, oltre che Zago e Bo-
risi, la Zanon-Paladini, la Fabbri-Gallina, la Foscari ; e la quale
esordì con clamoroso successo il 2 settembre a Feltre, e andò
trionfalmente fino al febbrajo dell' '87 ; in cui, nella sera di
congedo, dopo gran numero di chiamate alla Compagnia, egli
dovette andar solo a ricever le acclamazioni della folla al colmo
dell'entusiasmo. Si unì per alcun mese alla Compagnia Benini-
Sambo, e formò poi per la quaresima deH"88 una nuova so-
cietà con Guglielmo Privato, che procede come l'altra di trionfo
in trionfo sino allo spegnersi di questo, diventanfio alla fine
capocomico solo, rallegrato seralmente dalla gioja ormai abi-
tuale del successo, e dalla speranza nuova e pur grande di ve-
dere i maggiori progressi del figliuolo Giuseppe (uno dei quat-
ZAGO 7»9
tro eh* egli ebbe dal suo matrimonio [carnovale 1882] con la si-
gnorina Cesira Borghini di Ancona, il quale, a fianco del babbo,
con tanto esempio e con tali ammaestramenti, comincia a far
già buona prova nelle parti comiche [V. la prima fotografia del
quadro]), addolorato soltanto, egli, artista neir anima, di non
aver più potuto, e non potere, non so bene se per ragioni arti-
stiche o finanziarie, congiungersi al suo confratello dialettale
Francesco Benini, e rinnovar le vecchie, e interpretare alcune
parti nuove del repertorio di Gallina.
< L'avvenire del teatro veneziano - egli disse una sera
dell'ottobre '98 al Rossini di Venezia in una intervista con Re-
nato Simoni - sarebbe splendido, ove, tolti di mezzo gli osta-
coli, non creati da me, che dividono la nostra Compagnia da
quella di Gallina, ci trovassimo uniti tra i migliori: Gallina,
Benini, Privato, la Zanon, io, e i più buoni elementi delle due
Compagnie. Si entrerebbe in un periodo glorioso, che ricorde-
rebbe i tempi di Marianna Moro-Lin. Non occorrerebbero nep-
pure commedie nuove ; basterebbero le ultime di Gallina, qual-
che po' di Goldoni, il buono del repertorio veneto, e il pubblico
dovrebbe venire per forza a teatro. Purtroppo questa combi-
nazione non è per ora che un sogno. Io aspetto e spero. > E
l'aspettazione e la speranza, quasi vane ormai, non gì' impe-
discono di portar sempre e dovunque il magistero dell'arte
sua, con predominio di note schiettamente gaje, sia che il
buon gusto del pubblico gli conceda di spiegar le sue doti
ne' capolavori goldoniani (oggi [1905] ne ha oltre venti in re-
pertorio), sia che dal palato avvezzo agli eccitanti, o dal biso-
gno nel pubblico lavoratore di una distrazione spensierata,
egli debba mostrarsi nelle innocue e pur vilipese aberrazioni
chiassone à.^?i pochade. Perchè.... pochi artisti hanno come lui
il privilegio di riempiere la scena. Io lo metterei subito, nella
scena dialettale, accanto a Ferravilla e alla Zanon : due artisti
che per la loro vita vissuta dinanzi alla ribalta, assorbono dal
lor primo apparirvi i sensi tutti dello spettatore. Emilio Zago,
dicono, alcuna volta va oltre i confini dell'arte. Voglio conce-
720 ZAGO
derlo. Chi non e' è andato, e chi non ci va, anche de* sommi,
specialmente comici ? Il rimprovero dello strafare fu mosso
dalla critica inguantata, come s' è visto, anche a Luigi Vestri,
il quale, artista eminentissimo, di una verità, e soprattutto di
una semplicità sbalorditiva, pare fosse tuttavia conoscitore pro-
fondo di tutte le risorse del mestiere, alle quali, per acconciarsi
alle esigenze di certi pubblici, ricorreva talora, non saprei dire
se volentieri o a malincuore. E poi : in che lavori avrà strafatto
il Vestri, in quali strafa lo Zago? Chi vorrebbe adoperar la
brutta parola per / Recini da festa. La Casa nova. Star Todero
brontolon, I Rusteghi, Oci del cor, e quel Fator oralantomo, in cui
egli, incredibile dictu, muore in iscena, e commuove il pubblico,
tanto da sclamar la prima sera a Trieste (gennajo ^96) a recita
finita: « In malorsega che li go fati pianzer?... > E di che deve il
pubblico dolersi, ove l'artista egregio alle chiassate nell'-^w^r
sui copi, o nel Campagnol ai Bagni al Lido, o n€CC Albergo del
Libero scambio aggiunga alcuna delle sue strampalerie, qualche
suo granellin di pepe ? A lui deve già tanto il pubblico e tanto
ancora dovrà! Emilio Zago, che ha in sé tutta la spigliatezza
arguta, tutta la bonarietà del suo popolo veneziano, è forse
il più atto a sentire e a riprodurre l'opera di Carlo Goldoni
fatta dallo stesso vero; e al teatro di Goldoni infatti eg-H volge
oggi ogni pensiero, ogni studio, ogni aspirazione. Bisogna co-
noscerlo personalmente, battere, dirò così, al suo cuore, e far-
glielo aprire, senza soggezione: su cento parole ottanta sono
per Goldoni. Bisogna vederlo fra un atto e l'altro, e magari
fra una scena e l'altra, in quel suo camerino, ingombro di
giubbe di ogni specie, di spadini lucenti, di parrucche, vicino
alla sua tavola di truccatura, sulla quale, accanto ai barattoli
del minio, del bianco, della terra d'ombra scintillano anelli an-
tichi enormi, e orologi istoriati e tabacchiere e ciondoli sva-
riati, e al disopra della quale alla parete di fronte, accanto a un
grande specchio vigila in bella e nitida incisione il ritratto di
Lui, di Goldoni, in compagnia d'incisioni minori di suoi perso-
naggi, di maschere, di mode del suo tempo ; bisogna vederlo,
ZAGO - ZAMARINI 721
dico, col SUO libricciuolo in mano di una commedia del Mae-
stro, non mai tentata a' nostri tempi, per esempio, L' uomo pru-
dente, o L'uomo di mondo, che studia, analizza, notomizza per
la riduzione, pei tagli sapienti, per le trasposizioni di scene, di
frasi, di parole !...
E così a ogni commedia goldoniana che risorge, è una
buffonata nostra o forastiera che tramonta.... E così, mercè
sua, Goldoni rivive sulla scena, di vita, se non anche gagliarda,
non più tisica certo, come pochi anni a dietro.... Cosi, mercè
sua, il vecchio teatro deW Armonia di Trieste riceve il 30 no-
vembre 1902 il nuovo battesimo di Teatro Goldoni;... E così,
finalmente, nel costante favore di popolo e di critica, un suo
pallido e debole sogno di creare la casa di Goldoni a Venezia con
artisti veneziani e repertorio goldoniano, va acquistando nella sua
mente e nel suo cuore luce e vita per modo da occuparlo tutto
omai come una, più o men lontana, realtà luminosa.... Ed è con
l'accenno a sì grande idea, e con due parole di lieto augurio,
ch'io metto fine al mio piccolo dire: Dio voglia!...
Zamarini Carlo. Nacque ai primi del secolo xix a Trieste,
dove, fatto un corso regolare di studj, si impiegò presso una
Casa di Commercio. Ma la passione per l'arte drammatica lo
vinse a segno, che, dato un addio ai libri mastri, si scritturò
in una Compagnia comica in qualità di amoroso, diventando in
breve attore di qualche pregio. Ma forse egli s'avvide più tardi,
e i suoi compagni con lui, che per gli studj a' quali s' era dato
prima di calcar le scene aveva assai più inclinazione che per
l'arte. Sposatosi ad una egregia attrice pur triestina, Giovanna,
che fu buona madre e carcUteristica, determinò di lasciar l'uffi-
cio di attore per quello di amministratore, nel quale riuscì egre-
gio. Amoroso il '43 con Angelo Lipparini, diventò socio e cas-
siere ir46 della Compagnia di Ernesto Rossi, poi conduttore
e amministratore della famosa Lombarda che fu prima diretta
da Alamanno Morelli, e ch'egli tenne più anni or sotto la dire-
zione di Luigi Aliprandi, ora di Carlo LoUio, ed ora di Carlo
91. — / Comici italiani. Voi. II.
7»» ZAMARINI - ZAMPIERI
Romagnoli. II '64 lo vediam direttore di una Compagriia. di
cui faceva parte il Meneghino Luigi Preda, e di cui erano prima
attrice sua figlia Antonietta, distinta artista, e primo attore suo
genero Achille Cottinrpoi, finalmente, amministratore di quella
di Luigi Bellotti-Bon, di cui fu più che scritturato, amico, e da
cui si tolse sol quando per la vecchiezza e gli acciacchi fu co-
stretto a ritirarsi a Firenze. Ma dopo varj anni, colpito da pa-
ralisi, fu per consiglio di medici trasportato a Barbanìa di Pie-
monte, in una villa dei Cottin, dove morì V 8 novembre 1 886.
Zampierì Vittorio. Nato a Verona il 21 aprile del 1862, e
destinato dalla madre all' ingegneria, dovè, per rovesci di for-
tuna, abbandonare con grande rammarico gli studi, dopo il
terzo anno d'Istituto (sezione
matematiche), e andarsene impie-
gato nell'Amministrazione fer-
roviaria aTorìno, dove g-li sì svi-
luppò la passione dell' arte, e
dove stette cinque anni, filodram-
matico acclamato. Esordì al San-
nazzaro di Napoli in Compagnia
Pietriboni, la quaresima deir'83
come amoroso, salendo dopo un
triennio al grado dì pri-mo attor
giovine con Lorenzo Calamai, per
passar poi con Andò, nella nuo-
va Compagnia dì Eleonora Duse,
dov' ebbe campo di farsi notare,
per la eleganza e la correttezza della dizione, specialmente nella
parte di Pinquet in FrattciUon di Dumas figlio, che creò con
molto successo al fianco dell'illustre attrice, colla quale restò
cinque anni. Fu poi due anni con Cesare Rossi (prima donna
Teresina Mariani, ch'egli sposò, quando entrambi andarono a
far parte della Compagnia Garzes), poi si diede al capocomicato
in Società con Paladini, Calabresi e Biagi per un anno; con
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ZAMPIERI - ZANARINI 723
Paladini per sei anni, e finalmente solo da cinque, amministra-
tore egli stesso e primo attore assoluto. Questo il breve e fortu-
nato stato di servizio di Vittorio Zampieri, il quale, recando
sulla scena, oltre allo studio e alle chiare attitudini, tutta la
gentilezza, tutta la dolcezza dell* indole sua, sa farsi ammirare
e applaudire dai pubblici di ogni specie, al fianco della sua
egregia compagna.
Zanardi.... È citato da Fr. Bartoli come valoroso brighella
del secolo xviii, noto per una commedia di sua invenzione, in-
titolata: Arme e bagaglio, € in cui intorno alla sua propria per-
sona aveva tutto il bisogno onde apprestare una mensa lauta-
mente imbandita > . NeìVArkccAino perseguitato dai quattro ele-
menti Giovanni Roffi rinnovò la comica trovata, seguito ancora
dal Rossi suo cognato e da altri.
Zanarini Agostino. < Bolognese. Recitò nel carattere da
Innamorato con buonissima disposizione. Fu nella Compagnia
d'Antonio Marchesini, e poi passò in Venezia in quella de' no-
bili Vendramini al Teatro S. Luca. Sufficientemente fece cono-
scere i suoi talenti per la comica professione, e morì in fresca
età lasciando molti figli alla vedova sua moglie. » Così Fran-
cesco Bartoli.
Zanarini Giuseppe. Figlio del precedente e marito di Rosa
Brunelli (V.), che sposò poi in seconde nozze un Bacelli musi-
cista (V. Bacelli-Zanerini), fu abile attore per le parti à^ In-
namorato. Passò il 1754 colla moglie al S. Crisostomo di Vene-
zia, sotto la direzione di Onofrio Paganini, col quale restò fino
al dì della sua morte, avvenuta intorno al 1760.
i-Bianchi Antonia. Figlia del precedente, fu dal
patrigno Bacelli ammaestrata nella musica, e cantò, fanciulla,
l'ultima parte in comici intermezzi a Bologna e altrove. Pas-
sata colla madre a Parigi, esordì il 21 luglio 1766 come amo-
724 ZANARINI
rosa alla Comedia Italiana negli Amori (T Arlecchino e di Ca-
milla di Goldoni. Morta la servetta Veronesi (V.), ella ne prese
il posto nel 1768, e si fece chiamare in teatro Argentina. Fu
ricevuta il '69 per una piccola parte, il io aprile '72 a tre quarti,
e poco dopo a parte intera. Nel '79, quando alla Comedia Ita-
liana si cominciò a modificare il repertorio, e a rappresentare
il più spesso opere francesi, ella die gran prova di zelo e di
intelligenza, recitando egregiamente le parti di servetta nelle
commedie di Marivaux. Soppresso poi totalmente Tanno dopo
il genere italiano, ella fu congedata con una pensione di mille
lire annue e un indennizzo di cinquemila lire da pag-arsi in due
anni e in due volte, e se ne tornò in Italia con la madre e un
bambino, frutto del suo matrimonio con un Bianchi, dal quale
viveva separata. « I suoi meriti personali - dice Fr. Bartoli — i
suoi modi graziosi e la di lei teatrale abilità forse non del tutto
al teatro saranno tolti, essendo sparse alcune voci, che ci fanno
sperare di rivederla ben presto sulle scene d'Italia. >
Ma dal 1781 in poi non mi fu dato rivederne il nome in
alcun elenco. Quanto ai meriti personali e ai modi graziosi, il
Campardon riferisce, colla scorta del Grimm, come Ting-Iese
Tommaso Hales, chiamato comunemente d'Hèle in Francia,
ove si fece conoscere come autore drammatico e fece rappre-
sentare alla Comedia Italiana Le jugement de Midas, UAmant
jaloux, e Les événements imprevus, opere tutt'e tre musicate dal
Grétry, si fosse pazzamente invaghito della Bianchi, a segno
da morirne il 27 dicembre 1780, non avendo potuto indurla a
rimanere a Parigi.
D'una magrezza eccessiva, stordita e senza cuore, ispirò
il seguente ritratto pubblicato in un libello verso il '79 : < Si
può vedere presso la signora Bianchi, detta Argentina, via del-
l'Amante geloso (titolo d'una delle commedie del d'Hèle), uno
scheletro che cammina, mangia, digerisce e dorme come una
persona naturale. Non v'ha che la testa e il cuore che non fun-
zionano. Parla italiano, balbetta il francese, mastica l' inglese
e non scortica alcuno » .
ZANARINI 725
Zanarini Petronio. Fratello minore di Giuseppe e di Carlo
(di cui non ho trovato notizie, ma già comico, e al tempo del*
Bartoli (1781) maestro di ballo in una città della Lombardia),
nacque a Bologna; e dopo di avere fatto qualche studio, si diede
air arte dell' intagliare in legno, nella quale riuscì un fine lavo-
ratore. Appassionato del teatro, recitò commedie tra' dilettanti
della città, mostrando subito le più chiare attitudini alla scena,
tanto che, occorrendo ad Antonio Sacco un Innamorato, egli
ne assunse il ruolo col mezzo del soprintendente i teatri di Bo-
logna, la primavera del 1 767. Esordì a Torino e subito fu rico-
nosciuto attore di rari pregi; talché, addentratosi ognor più
nello studio, riuscì in breve il più valoroso artista del suo tempo
a giudizio d'uomini competenti, quali Francesco Gritti, che
afferma « nelle parti dignitose e gravi, e ne' caratteri spiranti
grandezza e pieni di fuoco, lui rendersi certamente impareg-
giabile > e Carlo Gozzi che lo chiama < il miglior comico che
abbia oggi l'Italia, > e Francesco Bartoli che gli dedica nelle
sue Notizie più pagine dell' usata iperbolica magniloquenza.
< Una magistrale intelligenza - dice - una bella voce sonora,
un personale nobile e grandioso, un' anima sensibile ed una
espressiva naturale ma sostenuta, formano in lui que' tratti ar-
monici e varj, co' quali sa egli così ben piacere e dilettare a
segno di strappare dalle mani e dalle labbra degli uditori i più
sonori applausi. > Nel Padre di famiglia di Diderot, nel Gustavo
Wasa di Piron, nella Principessa filosofa e nel Moro dal corpo
bianco di Carlo Gozzi, nel Radamisto di Crebillon, nel FUottete
(di De la Harpe ?) e in altre moltissime opere di ogni genere
egli spiegava tutta la forza della sua intelligenza sia per altezza
d'interpretazione, sia per forbitezza di dizione, e sia anche per
esattezza scrupolosa di costumi ; al cui proposito ci avverte il
Bartoli ch'egli stesso ne inventava, disegnava e coloriva i mo-
delli, facendo poi ad altri colla sua assistenza ultimarne l'ese-
cuzione. Né solo del recitare si occupò, che la musica e il ballo
conobbe a segno da poter cantare e danzare in commedia con
garbo, quando il bisogno lo richiedeva. Amantissimo di scienze
726 ZANARINI
naturali, si diede alF esame del microscopio; fu gran conosci-
*tore di Storia civile, e si dilettò di poesia, nella quale, specie
in quella del dialetto bolognese riuscì con lode. Il Bartoli an-
nunzia il suo futuro ufficio di conduttore e direttore di una
compagnia, « atta forse ad emulare le andate glorie de* prelo-
dati Gelosi e Confidenti i^ , ed augura possa con lui rifiorire < sulle
italiche scene V antica virtù della famiglia Andreini » .
Fu infatti lo Zanarini capocomico dal 1782, cioè dairuscita
dalla Compagnia Sacco, del cui tempo il Gozzi ci ha lasciato
la seguente notizia, n^WAmore assottiglia il cervello, al 1790.
Adunque egli racconta che Amore assottiglia il cervello,
commedia in verso sciolto, doveva essere, contro ogni sua
volontà, recitata Testate del 1781 a Verona. Petronio Zana-
rini, il migliore de* comici serj, s'era scelta la parte del prota-
gonista, che necessariamente doveva pendere alle g'offag-gini
facete. Egli non bilanciò né la sproporzione dell'età sua con
quella del personaggio, il giovane scimunito Don Berto, < né
la immagine, che il pubblico s'era formata del suo carat-
tere, da cui attendeva soltanto un comico serio naturale, o
un tragico maestoso declamatore di sentenziosa armonica gra-
vità, né la dissuasione del Gozzi stesso > . L' autore insistè
su l'opinione che la parte del protagonista non conveniva
al comico Zanarini, mostrando ogni timore sulla buona riu-
scita dell' opera, anche per la mancanza d' intreccio, e la lun-
ghezza soverchia; ma, per questo, i comici a cui premeva di
fare un bel teatro, rispondevano col dargli del modesto e del-
l'umile affettato. La commedia non fu più data a Verona, né
Gozzi potè saper mai con precisione il perché, sibbene a Vene-
zia al teatro di San Luca la sera dell'i i dicembre 1781, dove,
dopo i primi tre atti, fu accolta, secondo le previsioni dell'au-
tore, a rumori di fischi e di urla.
Creò lo Zanarini al Valle di Roma la parte di Aristodemo
nella tragedia di tal nome di Vincenzo Monti il lógennajo 1787;
e pochi giorni appresso Volfango Goethe ne' Ricordi deltItcUia
scriveva: < L'attore principale in cui si concentra tutta la tra-
ZANARINI 737
gedia, si rivelò nella parola e nell'azione artista egregio. Parea
di veder su la scena uno degli antichi Imperatori romani. Ve-
stiva il costume imponente che ammiriamo nelle antiche scol-
ture, ridotto con arte alle esigenze della scena: insomma si
vedeva che aveva studiato gli antichi > . Vincenzo Monti nel-
l'esame critico dell'Aristodemo chiama Zanarini incomparabile
comico, che gli stessi francesi paragonano e molti antepongono
ai più famosi della loro nazione.
E nove anni più tardi, nel 5° volume del Teatro applaudito,
ove sono le Notizie storico-critiche sult Aristodemo, si conferma
il giudizio con queste parole : « Ivi il valore del celebre Petro-
nio Zanarini si manifestò eminentemente, sostenendo con tra-
gica dignità il carattere di Aristodemo^.
Il carnovale dell'anno dopo allo stesso Valle, andò in iscena
colla stessa compagnia la seconda tragedia di Vincenzo Monti
Galeotto Manfredi, nella quale col solito grande successo lo
Zanarini sostenne la parte di Ubaldo degli Accarisi {Galeotto era
Giuseppe Orsetti).
Cessato di essere capocomico, si scritturò con Antonio
Goldoni, primo attore con scelta di parti e direttore; e con lui
stette fino al '95, anno in cui passò con Luigi Perelli, col quale
lo vediamo quell' autunno al San Luca di Venezia sostenere
per la prima volta le parti di padre. Nel 3° volume del Teatro
applaudito sono per quella stagione e su quell'attore le seguenti
parole : < Fu sempre eguale a sé stesso, e sempre grande tanto
nel tragico, quanto nel comico, specialmente colla parte del
Re neìVAdelasia in Italia, con quella di Benetto nello Sposo ve-
neziano rapito, e coli' altra di protagonista nel Ladislao >.
Dopo quell'anno, desideroso di abbandonare le scene, si
ritirò nella sua Bologna ov'era ancora la madre più che set-
tantenne, vivente con un figlio, maggiore di Petronio, parroco
di un villaggio non molto lungi da Bologna. Il Colomberti (le
notizie gli furon date da vecchi attori, alcuni de' quali compa-
gni d'arte dello Zanarini, come Nicola Vedova, Federico Lom-
bardi e Lorenzo Pani) ci fa sapere la tragica fine di Don Pie-
^
V
728 ZANARINI
tro, prete intransigente, e della povera madre. Correva il 1 797,
e l'Armata Repubblicana, impadronitasi delle Legazioni, aveva
fatto, pur ne' più piccoli e remoti paeselli, innalzare V albero
della libertà con in cima il simbolico berretto. Anche Don Pie-
tro, avutone ordine, V innalzò nella piazzetta del villaggio ; ma
nel cuor della notte. Levato poi di buon mattino, lo fé' tosto at-
terrare da contadini al par di lui intolleranti, e lieto dell'opera
sua se n'andò nella vicina chiesetta a celebrar la messa. Ahimè !
Compiuto il sacro ufficio, non avea messo ancora il piede nella
piazza, che fu arrestato, e lì per lì, alzata accanto all'albero
della libertà una forca, impiccato. Poche ore dopo, colpita da
sincope, anche la vecchia madre mori; e Petronio, avutane
l'orribile nuova in Bologna, fuggì tosto al colmo della dispe-
razione a Venezia, dov'era la Compagnia Goldoni, che gli fece,
ma sempre indarno, le più vive premure perchè trovasse nel
ritorno alle scene la distrazione indispensabile al suo dolore.
Egli si ricoverò in un' isola della laguna, confortato dalla mo-
glie, dai figli e dagli amici di Venezia; e dopo un anno, ceduto
finalmente alle nuove istanze di Goldoni, si unì con lui pel
triennio 1800-01-02, trascorso il quale si ritirò per sempre
dalle scene, passati appena i sessantacinque anni di età.
Come saggio dello stile poetico dello Zanarini, metto qui
un sonetto riferito dal Bartoli, diretto alla madre di un novello
celebrante :
Donna, deh! perchè piangi? Il tuo dolore
da qual sorgente mai, dimmi, sen viene?
Qual è l'affanno che ti stringe il core,
qual sventura a te fia cagion di pene?
Non è affanno o dolor. È un mar di bene,
è una gioja, un piacere, un dolce ardore,
prodotto non da frali aure terrene,
ma dall'Eterno Iddio, dal mìo Signore.
Non vedi tu colui curvato all'Ara,
che col suon de' suoi carmi il ciel disserra?
Mia prole egli è, prole diletta e cara.
ZANARINI - ZANDONATI 729
Disse: ed il volto suo tergendo alquanto,
tregua con lei formò la dolce guerra,
mentrMo piansi di gioja al suo bel pianto.
E chiudo con quest'altro, pur riferito dal Bartoli, « parto
elegante - egli dice - di dottissima penna genovese, » dedicato
Al merito singolare del signor Petronio Zanarini attore impa-
reggiabile al Teatro di Sant' Agostino, nella Primavera del-
r anno 177 S:
Cingati ornai de' suoi più verdi allori
Apollo il crin, e con dorate piume
spieghi la fama i tuoi veraci onori,
della comica scena inclito lume.
Col nobil gesto e colla lingua i cuori
di lusingar ognor hai per costume;
se pianti adombri, ire, sospiri, amori,
il ver nel finto espresso ognun presume.
Pien di leggiadre doti e vivi aflfetti,
offri, Petronio, col variar l'imago
come Proteo novel, nuovi diletti;
quindi nell'ammirarti in varj aspetti,
e saggio e amante, ed or &ceto e vago,
tu insegni, infiammi e dolcemente alletti.
Zanarini Teresa. Fu prima attrice di assai pregio al prin-
cipio del secolo xix in Compagnia Consoli-Zuccato e Pellizza.
Zanarini Marianna. La troviamo in Tolentino nel 1819
applauditissima con la Pani e con lo Zuccate.
Zandonati Faustina. Cagliaritana, nata il 1770 da Enrico
Malgomieri e Teresa Alfani, moglie, poi vedova di Domenico
Zandonati, fu l'amante e idi prima attrice dello Stenterello Luigi
Del Buono (V.). Dell'arte sua dice la Gazzetta Universale di Fi-
92.— / Comici italiam. Voi. IL
■w
730 ZANDONATI - ZANETTI
renze (io geixnajo 1800) che ella rappreseritòla parte à,^ Andro-
maca con quella vivacità e maestria, con la quale s' era fatta
sempre distinguere sopra le scene del R. Teatro di Via del Co-
comero per il corso di molti anni. Il Morrocchesi nelle sue Me-
morie inedite la dice invece: instabile e pfosuntuosà; robusta e
di gran voce, sì, ma non brava : piuttosto giovine, fresca e fat-
ticcia, ma non bella. Descrizione un po' forse esagerata, se
vogliamo pensare che il Morrocchesi ne fu geloso e invidioso.
■Nell'opera di Jarro: L' origine della maschera di Stenterello (Fi-
renze, Bemporad, 1898), sono riferiti alcuni saporitissimi aned-
doti concernenti la Zandonati : e tra gli altri quello di una
potente bastonatura, di notte, concertata tra/1 Morrocchesi
stesso, il fratello di Del Buono e il servitore. La indemoniata
donna morì alle 2 Va del mattino del 1° maggio 1821, e si ha
dai conti del Del Buono, il quale omai viveva con lei nella sua
casa di via Borgognissanti, che spese pel mortorio (le fece dire
ottanta messe) Jn tutto lire 328.6.8.
Zanetti Girolamo. Fu tra* compagni del Ruzzante (Vedi
Beotxo Angelo nell'opera e nel Supplemento), e dice lo Scar-
deone, che era chiamato Vezzo in commedia; nome di servo, che
vediam comparire tra le opere del Ruzzante una sola volta
nella Vcu:caria,
Zanetti (o Gianetti?) Marc' Antonio. Fiorito sul finire del
secolo XVII, fu comico al servizio del Duca di Modena per le
parti di secondo Zanni sotto il nome di Truffaldino.
Da una supplica al Duca di Modena del 1686 per ottenere
che gli fosse mantenuta la parte intera, non volendo i comici
dargliene che metà, sappiamo ch'egli aveva moglie e cinque
figliuoli.
Il carnovale del i6go si trovava a Roma, d'onde scrisse
una lunga lettera al Duca, perchè richiesto di andare a Bolo-
gna con la compagnia, gir fosse mandato il danaro bisognevole
pel viaggio dispendioso (V. Savorini Galeazzo).
ZANETTI - ZANNONI 7Si
B ■ I _ II- — ■■
Il 9 aprile 1691, avendo Leandro (Recliiari) e Coviello
(Sacchi) già ricevuto ordine di recarsi dopo Pasqua a recitare
a Vicenza, poi a Verona, lo Zanetti, nulla sapendo di sè,-da
Bologna si raccomandava alla clemenza e generosità di S. A.,
afìfinchè non lo abbandonasse, è lasciasse senza occasione di
recita, vale a dire sen:^a // menstcaJe^ sussidio della Ser."^*" Casa
d'Este, che era V unico sostegno della sua povera famiglia.
A un famigliare del Duca, il conte Maresciano, scrisse da
Orvieto il 2 ottobre 1694 al fine di ottenere il passaporto per
sé e uno per tutta la sua Compagnia: il che fa credere esserne
stato lui il conduttore.
Allo Zanetti certo allude Luigi Riccoboni, quando dice
(pp. cit., cap. VII) : Zaccagnino e Truffaldino chiusero la porta
in Italia ai buoni arlecchini.
;i Gio. Battista, di Verona. Era il 182 1 in Compa-
gnia Alberti e Rosa, e le Varietà teatrali (n.° 1 3) di Venezia,
dando conto della Compagnia, al Teatro grande di Brescia,
dicon di lui: «Merita lode la premura che ha d'imparar bene a
memoria tuttociò che deve dire dal proscenio. In pieno il pub-
blico si mostrò di lui appagato, e donò alla sua buona volontà
ed indefessa applicazione quei difetti, in cui cade per colpa in
parte di una pronuncia non troppo invidiabile e di un limitato
talento >. Il n.° 36 dello stesso giornale per la stagione di pri-
mavera al Fu Obizzi di Padova, lo dice applaudito nelle parti dob
tiranno, e lo esorta < a raddoppiare il suo zelo, onde coprire
qualche naturale svantaggio > .
Zannoni Atanasio. Ferrarese, figlio di Zanone Zanoni
(nell'ediz. A€ Motti brighelleschi, pubblicata a Torino nel 1807
dai figliuolo Alfonso è Zannoni coU'^^ doppia), dopo di avere
con buona riuscita recitato tra' dilettanti della città natale, si
diede per le non floride condizioni di famiglia all'arte dram-
matica, scritturandosi subito con Gerolamo Medebach, e pas-
sando poi con Antonio Sacco, del quale sposò nel 1750 la so-
732 ZANNONI
rella maggiore Adriana, vedova di Rodrigo Lombardi (V.), e
col quale andò 11*53 in Portogallo. Forse egli, buono, sarebbe
rimasto col cognato sino alla morte; ma l'umor bestiale di lui,
fattosi ancor più intrattabile pel ridicolo sopravvenir di una
senile passione amorosa, lo spinsero a partirsene per congiun-
gersi coi figli : lo vediam poi più tardi con la Battag-lia insieme
a Giacomo Modena.
L'arte sua somma nel rappresentare il suo personaggio,
la facondia del suo dire, la lepidezza dei sali, cong-iunte a una
probità perfetta e a una perfetta bontà fecero di lui un dei
grandi sostegni della Compagnia Sacco pel corso di più che
trentadue anni. Carlo Gozzi, sostenitore per cinque lustri di
quella Compagnia, parlando dell'imminente suo sfasciarsi, dopo
di avere citato i nomi di coloro che se ne allontanarono, dice:
< Atanasio Zannoni di lui cognato, valentissimo comico, one-
st'uomo, e d'indole dolcissima, ferito dalle stravag-anze del
vecchio inviperito, trattava di sottrarsi dalla Compagnia, eco
Il Gozzi, pregato dal Sacco d'interporsi perchè eg-li non
se n'andasse, lo pregò a sua volta, promettendogli di far fir-
mare al Sacco quella famosa scrittura che lo spogliava di ogni
despotismo, e il buon uomo Atanagio..,. die la parola di rimanere,
ridendo però sulla scrittura diseo^nata, perocché (diss' egli) lei ve-
drà che con mio cognato le scritture non vàgliono un /il di paglia.
Anche nel noto ditirambo de' partigiani di Truffaldino lo Zan-
noni è favorevolmente ricordato assieme agli altri comici,
E più che ricordato è nella prefazione del Re Cervo, in
cui, oltre alla sua parte di credenziere del Re, rappresenta il
vecchio Cigolotti del prologo. Il Gozzi dice :
Atanagio Zannoni, che sostiene con rara abilità il personaggio del Brighella tra
le maschere nella Truppa Sacchi, rappresentava cotesto vecchio con qnella perfetta imi-
tazione nel vestito, nella voce, negl'intercalari, nel gesto, e nella positura, che suol far
sempre ne' Teatri un grand' effetto con indicibile applauso.
Ma la notizia chiara del suo valore, e soprattutto di ciò
che tal valore formava, noi abbiamo da Fr. Bartoli, là dove
dice che
ZANNONI
?33
AUnulo Zannoni per renderti particoUre nell' etegiiire k parte di qneito perio*
niggio, tu Tolnto allonUnarti (UlI'adotUto ino trìvial coftome, e l'h* ie*o tu nomo illn-
minato e iplritoio ; che parla con eleganza, che raiìociniji con bnon criterio, che ba qualche
cognizione delle idenze, e eh' è naturalmente per *è «te»o nn poco filotoRi. Colla lettura
di molti libri Franceti e Spalinoli, non che Italiani [òello qutl non che], ba lapnto ^1Ì
trovare una tonte di gnatoti concetti, di nuuiine dilettevoli ed iatmttive, <
l'nnivemle approvate, e d'apolo|[hi wmi-
Efopiani argntiiiiini e (aceti. Ne* Contratti
rotti, at^VlHflutii di Saturno, nella F^ir^^i'a
Indiana, ed in altre commedie dell'arte,
dove egli abbia nn ataolato maneggio ve-
deii pare il Zannoiu porre in opera tutto
il 900 ingegno, ed inlaticabilmente ado-
prarii coQ lode nell' eaecoiioQe dello atn-
diato ino personaggio..,, ecc.
E va avanti di questo
stile per una buona pagina
ancora, in cui, dopo avere ac-
cennato alla sua probità, alla
sua amorevolezza, alla sua ca-
rità e alla sua religione, parla
della sua erudizione nella sto-
ria antica e moderna, e delle
sue attitudini allo scrivere in
verso. Le parole trascritte
starebber dunque a provare
ch'egli snaturò la maschera
del Brighella. Naturalmente
i giudìzi su di un attore van
dati in considerazione dei
tempi in cui egli fiorì; che se s'avesse a giudicar lo Zannoni
col criterio che s'ha oggi dell'arte, tutti quei lardellamenti
storico-scientifico-filosofici cel mostrerebbero artista enorme-
mente peso.
E tale pesantezza ci vien fuori più volte scorrendo la rac-
colta de' MoUi brighelUschi. editi più volte, ora in ristretto, ora
aumentati dal figliuolo Alfonso. Ne traggo alcuni per dar l'idea
di che cosa fosse diventata la maschera di Brighella Cavicchio
734 ZANNONI
di Val Brembana, disceso dalla parte alta di Berg-amo, furbo,
ladro, raggiratore, rivale in amore di Arlecchino, intrigante,
mezzano di matrimonj. ,
Buon augurio,
El del ve daga le tre cose, che non gh' ave unite ' alle cinque, che gh' mvè : le
cinque ton queste: bellezza d'ammirar, grazia da incantar, salude da invidiar, zoventù
da diletar, e modestia da insegnar. £ le tre che gh' ave ancora : un bel marido per non
star sola, boni fioi che ve consola, e bona borsa per star molto a tela.
Dovere del Padre
El Padre, che vive spensieratamente, senza provveder ai so fioi, asnrpa indebi-
tamente vivendo el nome de padre, e acquista giustamente morendo quel de tiranno : do
cose deve lasciar el padre, podendo, ai proprj fioi, una necessaria; é l'altra ntile; la' ne-
cessaria l' è la morigeratezza ; e l' utile l' è el ben star : la prima poi star senza la seconda,
ma la seconda senza la prima l'è un vetro che traluse, ma che ghe manca la fogìa per
esser specchio ; chi di tutti do le provede, vive contento, e mor felice, contento in vita,
perchè l'ha fatto quel che el doveva: felice in morte, perchè el lassa qaei,. che da In
derìvan, nei boni costumi, e nel ben star tutto el pagamento di quei debiti , che l'aveva
contratti, quando ghe diede el ciel el rispettabile nome de padre.
E di questa sorta ve n*ha centinaja, mescolati, s'intende,
delle solite baggianate ampollose, comuni un po' a tutte le ma-
schere, che pajono, e sono, il sugo spremuto dalle similitudini
strampalate di tutto il '600. Per esempio :
Battendo alla porta della donna
Dorma dice: Chi batte? L'è un corrier d'amor a cavai dell' ubbidienza, coi spe-
roni del comando, che porta un plico de suppliche alla monarchessa delle bellezze.
Segue per la serva
L'è un gallo spasemado, che vorria far do chichirìchi nel pollare amoroso della
vostra grazia.
Circa furberia -
La lassa far a mi, che per servirla, metterò in ordine la balestra delle furberìe;
tirerò la corda dell'inganno; piegherò l'arco dell'astuzia; metterò la balla deUe inven-
zion, la scaricherò colla violenza dei raggiri ; la raccomanderò al vento dei strattagemmi,
per far che la colga nel segno dell'ardente suo desiderio.
E via di questo passo. Nella raccolta di Torino 1807, 21^-
mentata dal figlio, figura fin anco il sonetto per la Malloni (V.)
di Fra Ciro di Pers
Celia e Marìa^ voi siete mare e cielo,
ZANNONI 735
un de' più begli esempj di achillinismo» che in bocca di Bri-
ghella avrà destato il risolino di compiacenza, Dio sa di quante
svenevoli ascoltatrici.
Oltre a codesti Motti brighelUschi, il Diario del Riminaldi
(Ms. 556. Classe I della Biblioteca Comunale di Ferrarsi, Co-
municazione del chiarissimo prof. Agnelli) contiene una Let-
tera di ragguaglio delT arrivo in Torino da Madrid di S. A. R.
la Sig." Duchessa di Savoja Maria Antonia Ferdinanda di Spa-
gna, e delle feste fattesi per tale avvenimento seguito in Torino il
77 giugno 1750.
Nel Codice Faustini N. 362 del Fondo Antonelli, conser-
vato alla stessa Biblioteca, è ricordata dallo Zanlioni anche una
commedia: La Patria, recitata in Ferrar a nel carnovale deli'/4y
dalla Compagnia Medebach, nella quale, l'autore era attore cUl ca-
ratiere di Brighella. Dove sia andata a finire la commedia non
si sai Certo, m'avverte il prof. Agnelli, la data di rappresen-
tazione del Codice Faustini ne è erronea; avendo egli rilevato
dal Diario Riminaldi che la Compagnia di San Samuele tenne
un corso di quaranta recite tra il 22 e il 6 giugno 1747.
Tra< le varie commedie ricordate nel Diario, di codesta
Patria non è traccia alcuna.
Quando nacque Atanasio Zannoni? Nella lettera al conte
Giuseppe Alcaini che prelude ai Motti della prima edizione
(Venezia, 1787) egli dice: < Nella mia vecchiezza, fatta più
GRAVE DALLE DISGRAZIE CHE l/ ACCOMPAGNA NO, ho il COnforto di
sentirmi per le vie commiserato, e di udire universalmente esagerato
il dispiacere dello scioglimento della nostra Compagnia comica (quella
del Sacco) un tempo tanto favorita da guest' inclita Metropoli di
concorso alla nostra Commedia improvvisa delT Arte > . Dovè na-
scere dunque verso il *20.
La sua fine fii delle più misere. Pare che la maschera di
brighella venisse al mondo sotto brutto auspicio. Il primo bri-
ghella apparso a Parigi nel iòti, faceva rabbia, tanto era dete-
stabile; lui morto, si chiamò a sostituirlo C\mdAor\ Finocchio,
il quale, poveretto, sorpreso dal male, morì per via a Lione.
736 ZANNONI
Giuseppe Angeleri, il più celebre di tutti, morì sulla scena,
appena entrato fra le quinte, d' un colpo a Milano, V estate
del 1754; e il nostro Zannoni uscendo da una cena sontuosa
a Venezia il 22 febbrajo del 1792, cadde in un canale profondo,
e poco tempo dopo morì.
Zannoni Adriana. (V. Sacco Adriana e Lombardi Ro-
drigo).
Zannoni Teresa. Figlia dei precedenti, si diede principal-
mente allo studio della danza, e recitò anche parti di fanciulla
nelle J^taòe di Carlo Gozzi. Ammalatasi la madre, ella si provò
di sostituirla nel carattere della serva, e vi riuscì egregia-
mente. Il continuo studio, e la lunga pratica la miglioraron poi
tanto, che diventò per le commedie all'improvviso una delle
migliori serve del suo tempo. Nubile ancora nel 1781 viveva
< lietamente - dice il Bartoli - presso il suo genitore, e diri-
gendo più che con femminile ingegno i domestici affari della
propria famiglia > .
La vediamo poi, uscita dalla Compagnia Sacco, serva in
quella di Luigi Perelli. L'elenco non ha data; ma è dell' '85
circa. Un mio fascicele tto manoscritto di epigrammi reca il
seguente :
ALL' ANGIOLINI-ZANONI
Imita nel mestier la fu tua madre.
Abborrisci la lingua di tuo padre.
Certo è questa stessa, moglie di Agapito Angiolini (V.).
Zannoni Alfonso o Idelfonso, come lo chiama Fr, Bar-
toli, fratello della precedente, recitò sotto una maschera che
pare da lui inventata, non avendone trovato indizio né prima,
né dopo lui, chiamata Agonìa, forse dalla magrezza del volto,
dalla fatica del parlare, dalla lentezza del muoversi, dall' ansa-
mento del respiro.
ZANNONI - ZANON 737
Lo vediamo per molti anni con Giuseppe Pellandi, col
quale era al Sant'Angelo di Venezia il 1795-96.
Zannoni Giuseppe, bolognese, fu attore di molto pregio
per le parti di primo amoroso e di primo attore e promiscuo» fio-
rito nella prima metà del secolo xix. Cominciò ad acquistarsi
nome di artista egregio nella Compagnia di Antonio Rafsto-
pulo, col quale stette più anni. Lo vediamo il triennio 1 834-35-36
generico primario con Gaetano Bazzi, poi con Gaetano Nardelli,
col quale assunse per la morte di Giovanni Boccomini il ruolo
di Padre nobile ^promiscuo. Di bellissima figura, di ottima voce,
di intelligenza pronta e svegliata, fu egualmente ammirato nella
commedia, nel dramma e nella tragedia ; ma principalmente in
questa. Passò poi nella Compagnia di Carlo Re, della quale
doveva essere primo sostegno Luigi Vestri, che morì nel suo
cominciamento, poi in quella Alberti ai Fiorentini di Napoli,
per un triennio, spirato il quale, tornò nell'Italia Centrale, for-
mando una Compagnia che condusse per anni con varia fortuna.
Da capocomico solo passò a essere conduttore in società, con
non so quale attore, ma di Compagnia secondaria : finché, tra-
vagliato dalla sorte contraria e dagli anni, si ridusse a Sassuolo,
ove morì verso il 1 860. - In Compagnia Rafstopulo egli aveva
sposato Adelaide, figlia della celebre Teresa Angelini (V.), che
gli sopravvisse. Dagli elenchi della Compagnia si rileva che
il 1820 egli era ancor celibe.
Zanon-Paladini Latira. Da Giovanni Zanon, veneziano, e
da Giovanna Bava, bresciana e comica, figlia di Paolo, geno-
vese, nacque la nostra Laura.... Ma farei peccato veramente se
osassi defraudare i lettori di questo gioiello di lettera ch'ella
mi scrisse or son pochi mesi, la quale rispecchia tutta la beni-
gnità della sua natura, e con essa tutta la geniale semplicità
dell'arte sua :
Nata.... ner52.... brrrrl Papà mio, Giovanni Zanon, era di famiglia
benestante, e pei moti politici (mi pare del '21) fuggi da Venezia, e si
93. — / Ornici itaìimU. VoL IL
^
73» ZANON
rifugiò in una compagnia drammatica - Kefugium peccatorum — (che la-
tesin !). Nell'arte conobbe mia madre, buona creatura, donna dei tempi
primitivi ! Quando io fui grande mi sembrava che lei fosse mia figlia,
ed è perciò che credo d'averla amata il doppio. Suo padre era avvocato,
ma alla discesa in Italia di Napoleone e al saccheggio di Genova, fuggi
con la famiglia, e si mise a fare il suggeritore: viaggiava con otto figliuoU.
Come farielo adesso? Povero nono! Altro che el Conte Ugolino !!! La
mamma mia nacque a Brescia: « che Dio la benedissa », ave scritto? Oh,
si, ch'EI la benedissa dassèno, come che lo fasso mi dal profondo del
cuor, povera vecchietta santa!... Quel poco di buono che ho moralmente
e artisticamente lo devo a lei!...
Qui io apro una parentesi : tra gli otto figli di Paolo Bava,
trovo, oltre a Giovanna, una Teresa, di cui non ho notizie, e una
Giuseppina, andata sposa a Giuseppe Ruggeri, veronese (V. nel
SuppL), primi amorosi entrambi il '21 della Compagnia Mo-
dena-Bellotti.
Da questo matrimonio nacquero due maschi, Vincenzo e Leo-
poldo, e una femmina. Teresa, che stette sempre a Venezia. « Sembrava
- dise neìV Avocato VencT^ian - che i gavese sera bottega.... » co' rispetto
parlando: Signor no! Dopo dodici anni nacque questo po' pò* di perso-
naggio (La storia non dice se vi fu luminaria !). Dunque, quando venni
al mondo, mio padre s'era già ritirato dall'arte, e impiegato nell'Am-
ministrazione dell'Ospedale Civile di Venezia. Notate questa originalità:
era veneziano puro sangue, fanatico della sua città, e non era buono di
dire una parola in veneziano: a Venezia i vicini lo chiamavano El Fo-
resto. Mancò eh' io era giovinetta, e venni affidata a mio fratello mag-
giore che era in arte (fu per molt'anni brillante^ discreto, con Zoppetti,
poi caratterista con Ernesto Rossi e con la Ristori). Quando andai con
lui era maritato, e aveva una figlia; per dire la verità, le prime parti-
cine andarono bene, ma mio fratello scrisse a mia madre di non calco-
lare su di me, perchè in arte non potevo far nulla, priva affatto di av-
venenza, e troppo piccina.... (però ero simpatica, e questo ve lo dico io !).
Che dolore per la povera vecchia ! Era su me sola che lei poteva &re
assegnamento : si trovava presso una sua sorella, aspettando che mio fì^-
tello avesse trovato per me una scrittura. Un bel giorno, eravamo a San-
pierdarena, ella venne e dichiarò che mi voleva seco, non potendo più vivere
senza di me. Mio fratello, indignato, ci pagò un mese (^affitto, e noi....
rimanemmo a spasso (prima d' incominciar la carriera !), fidando di trovar
del lavoro.... aspettando gli eventi ! Venne la compagnia dello stenterello
Miniati, ti quale capitò proprio nella nostra casa. Aveva una figlia di otto
o nove anni, e occorrendogli un' amoroseita, la bimba, che m'aveva preso
in gran simpatia, tanto pianse e si disperò, che il Mintati, benché in tratta-
tive con altra famiglia, scritturò me con la paga di tre franchi al giorno
e viaggi pagati. Quanti digiuni I... Tre anni senza bere vino!...
Dovevo &rmi il vestiario?!... Che lusso!... «Ah, povera macia Iv di-
rete voi. Ma che! Ridevo....ridevo.... Avevo quindici anni! Rimasi tra quella
del Miniati e la Compagnia Fanelli quasi tre anni, e imparai a parlar to-
scano al punto, che mio fratello disse che non sarci più entrata in nessuna
compagnia buona, perchè sembravo uno stenterello (a quell'epoca non
v' era molta simpatia per l' accento toscano). Trovai, invece, da scrittu-
rarmi con Ferrante e la Paladini (ora Andò), sostituita poi dalla Sivori, come
prima attrice giovine; e le parti, in cui più mi distinsi, a giudizio della
stampa, furon le tragiche : Norma, Medea, Giuditta, Saffo, ecc. Chi l'avesse
detto I... Saltiamo. Andai con Moro Lin (allora egh aveva compagnia ita-
liana), scritturata per parti di amorosa, seconda donna, servetta, ecc. Sì
740 ZANON
fece il carnevale a Trieste, e gli venne in mente di tradurre un lavoro
piemontese in veneziano : ce Maritemo la putela » (Mariuma Clarin), e di
affidare a me la servetta. La fatica che feci a dire quelle poche parole ! ...
Ma r esito fu splendido, le repliche seguirono le repliche, e invogliarono
Moro Lin a tradurre un altro lavoro : Rovereti ma onesti. C era la parte
d'una vecchia, una specie di « batti.... Canappia.... me màgnela? x> .... Moro Lin
mi prega di farla; io ricuso, un pò* per il genere, un po' perchè non sapevo
come avrei potuto fare una vecchia : mi prega la Marianna (la Moro Lin)....
Moro Lin mi supplica...., e.... mi lascio convincere. Notate bene che si
recitava allora Miss MuUon^ e io ci facevo la bambina: si replicava da
molte sere, e mi trovai a fare nella stessa sera la bambina nella commedia,
e quella vecchiaccia nella farsa.... Ma che fanatismi !... e adesso che cal-
colo freddamente, posso dire che la facevo proprio bene (modestia a
parte !). Finito il carnevale, andai come servetta assoluta con Peracchi,
che aveva allora in compagnia Cesare Dondini, Pasta, Rodolfi, ecc. Moro
Lin seguitò a scrivermi, facendomi buone proposte. Metteva su una com-
pagnia veneta. Io non volli accettare altro che col patto di fare almeno
le farse in italiano; e andai« ma.... non sapevo parlare veneziano ! al
punto che volevo chiedere lo scioglimento; tuttavia siccome ero a Ve-
nezia, ov'era anche mia sorella, che parlava vene:(ianissimo, fui aiutata, e
seguitai. Venne il Gallina e le parti m'aiutarono a vincere l'antipatia del
dialetto ereditata da mio padre.... Ah ! dimenticavo di dirvi che il se-
condo anno che ero con Moro Lin, mi sposai con Francesco Paladini,
che faceva il brillante e piaceva molto. Ma.... avevamo fatto un sogno:
stabilirci.... lasciar l'arte. Egli diffatti aprì uno studio fotografico in Pa-
dova; ma lo colpì una grave malattia d'occhi, e tutto andò per aria....
Ritornai frattanto in arte con la Compagnia Benini (compagnia mista
allora e di secondo ordine); poi con Gallina, poi con Zago-Gallina, e
finalmente del '91, Gallina autore, col fi'atello Enrico.... a cui, come sa-
pete, subentrò proprietario il Benini, e.... eccomi ancora qui. Auff!!!
Credo ne avrete abbastanza !
< Non abbastanza, cara moda > dirà certo con me il let-
tore, che al finir della lettera s'è vista sparire Timagine viva
di lei, saltellante, birichina, arguta, senza fronzoli, e senza af-
fettazione. Al nome di Emilio Zago (V. pag. 719) io scrissi del
Ferravilla e della Zanon : < due artisti, che per la loro vita vis-
suta dinanzi alla ribalta, assorbono dal lor primo apparirvi i
sensi tutti dello spettatore. » Oggi potrei aggiungere Giovanni
Grasso. Qual migliore elogio si potrebbe farne?
ZANON 741
I sensi tutti: sì. Qualunque sia V artista che reciti con la
Zanon, o per piena che sia la scena, i sensi dello spettatore son
vòlti su di lei. Egli la cerca, e, trovatala, non V abbandona più,
anche quando il protagonista, o la protagonista si trovi presso
la ribalta, ed ella, semplice servetta o parte di contorno, in un
angolo della stanza, o alla finestra. Mai distratta, mai coli' oc-
chio al pubblico, mai immota. Le frasi degl'interlocutori sono
accompagnate sempre da una sua occhiata, da un suo sog-
ghigno, da una sua interiezione, da un suo atto qualsiasi di
protesta, di assenso, di dubbio; e quei rapidi cenni si sovrap-
pongono a tutte le parole di quegl* interlocutori. Così ogni par-
ticina piglia nelle sue mani importanza di una gran parte ; e il
personaggio è rappresentato con tale verità e con tale spon-
taneità, che par sempre ch'ella improvvisi. Eppure nulla di
più studiato e di più finamente studiato : eppure ella è forse
una delle più rispettose osservatrici del testo : me n' ebbi ad
accorgere, vedendola più sere in uno stesso lavoro. La vivacità
della sua dizione, la snellezza della sua figurina, V agilità dei
suoi movimenti, l'eloquenza della sua espressione la fan parere
ancor giovinetta; specie quando rappresentala Cameriera astuta
del Castelvecchio, in cui ella profonde tutto il tesoro delle sue
grazie, richiamando alla memoria le monellerie della Cutini
(V.), che, appunto in quella commedia, sentii a oltre cinquan-
ta anni, e pur sempre maravigliosa d'arte e di freschezza. In
un momento di malinconia, o piuttosto, spero, di modestia, ac-
cennando ai giornali che le predicevano uno splendido avve-
nire nelle parti di forza e di sentimento, la Zanon mi scriveva:
< ghe ne vorlo de più ? Chissà, prima de morir, quanti cambia-
menti che farò ancora!... Basta: adesso go una consolazion in
vista -la Casa de riposo!... E sarìa ora dassèno che me ripo-
sasse!... > No, cara artista; il pubblico reclama ancora più di
un godimento da Lei ! Ella rimarrà sulla breccia, a edificazione
nostra, rinnovellando i trionfi di Virginia Déjazet, la più biri-
china e più francese di tutte le artiste francesi che a più che
sessanfanni creò la parte di Figaro nelle Prime armi di Figaro,
k
742 ZANON - ZANOTTI
e a settantasette rappresentò ancora al Vaudeville di Parigi, La
Vedova di Brienne e J// Garat.
Zanotti-Cavazzoni Giovan Andrea. Nato il 1 6 2 2 alle Ca-
selle, terricciuola del Comune di San Lazzaro di Savana presso
Bologna, fu comico de' più egregi per le parti à^ Innamorato,
sotto nome di Ottavio. Mortogli nel '40 lo zio materno Vincenzo
Zanotti, ne restò erede per testamento, coU'obbligo di assumere
la sua arma e il suo cognome. Fu comico al servizio del Duca
di Modena, e le notizie cominciano in quell'Archivio dal '47.
Il carnovale la Compagnia era in Parma, dove si fecero i
più magri affari ; e da Parma passò a Roma, d'onde fu inviata
una lettera al Duca il 27 febbrajo, sottoscritta dallo Zanotti,
da Marco Napolioni e da Carlo Cantù (V.), perchè interponesse
i suoi buoni offici presso certo Messer Gio. Maria di Parma,
che pretendeva il pagamento di un debito di lire trecento che
essi non riconoscevano, sapendo di dovergli solo il fitto del
palco, il quale anche speravano fosse loro condonato in ragione
delle scarse faccende.
Da Roma la Compagnia doveva andar subito dopo Pasqua
a Napoli co' viaggi pagati : e Napolioni (Flaminio) si affannava
a raccoglier firme tra' compagni perchè la gita si effettuasse,
ma altri, e specialmente il Pantalone Bindoni (V. Suppl.) e Za-
notti, si opponevano, allegando la niuna solvibilità deg-r impre-
sari a Napoli, dove i comici più insigni di Lombardia han do-
vuto lasciare in pegno i bauli per potersene partire. E tali
ragioni furono scritte dallo Zanotti stesso al Duca, esag-erando
il male con tal conchiusione : « Sì che unito con tutta la mia pò-
vera famiglia supplico per l'amor di Dio l'Altezza Vostra a non
comandarmi tal cosa se desidera il mantenimento di mia casa» .
Ma dell'andata a Napoli non si ha più traccia, e si passa al '5 1,
anno in cui Zanotti scrive il 16 e il 23 marzo da Bolog-na a
Gir. Oraziani per la nuova Compagnia del Duca, che avrebbe
dovuto recarsi a Milano, se fosse riuscita a sciogliersi da un
preventivo impegno di Padova.
ZANOTTI • 743
E furono citate lettere di cavalieri (di quanta autenticità
non saprei dire) che pare avessero scritto al Fichetto Lolli (V.)
pregando di desistere dall' andata a Padova per non incorrere
nella fuina della Compagnia. La quale infatti si recò a Milano,
di dove il 3 di maggio Zanotti scrive al Oraziani che non sa
ancora se e quando dopo Pasqua si recherà a Brescia o a Ve-
rona, poiché
non sono mai frequentate dalle Compagnie de' comici per qualche poco di tempo doppo
Pàsqua quelle Città, che dano il luogo scoperto per rappresentar comedie, come Brescia
e Verona, perchè sarebbe un volontariamente perdersi col esporsi alle stravaganze de tempi,
che per lo più riescono in simile stagione piovosi.
Fu poi scelta Verona, d'onde il io agosto si raccomanda
al Oraziani perchè, dovendo la Compagnia andare a Venezia
il novembre, il signor Marchese BentivogHo le ottenga per
l'ottobre il teatro di Ferrara
con qualche Emolumento dal'affittatore del detto Teatro, che sia almeno per le case franche
per tutti : e che anche siano fatto franchi dal dare bolettini a sia chisisia, e quelli ordinari
della Dogana siano ridotti ad un numero ragionevole ; e perchè non è ordinario l'essere
Comici in tal tempo in quella Città, è necessario che il detto sig. Marchese ci fiEu:cia grazia
d' introdurvi le Dame ad udirci, che noi dall'altra parte ci oblighiamo d' affiiticard in modo,
che resteranno gustati.
Il febbrajo del '52 la Compagnia era a Modena, e la sera
del primo, Ottavio, venuto a parole, s' ebbe un pugno da Tri-
vellino, il quale per ciò fu attaccato alla corda in piazza (V. Lo-
CATELLI Domenico). L'agosto del '55 egli era a Genova, come
si rileva dalla lettera inviata a Modena al Conte Cimicelli (V.
Fortunati Tiberio); e qui cessano le notizie d'Italia avanti
la sua andata a Parigi, ove esordì all'antica Commedia Italiana
nel 1660 per le parti di secondo amoroso, passando poi il '67 a
quelle di primo, in sostituzione di Giacinto Bendinelli detto
Valerio (V.). L'i i di gennajo del '68 gli morì la moglie, Teo-
dora Blaise (forse Blasi), che era, dice Corrado Ricci in Ottavio
dalle Caselle, bolognese: e l'atto d'inumazione chiama lo Za-
notti < Capitano del Ponte della Samose > . Forse, si domanda
lo Jal, è il villaggio di Samosia a tre miglia da Bologna sulla
strada di Modena? Probabilmente. Per insignificante potesse
^
744 ZANOTTI
essere quel villaggio, non meno doveva riuscir reboante quel
titolo, specie a quel tempo di non facili comunicazioni e in Ca-
pitale straniera.
Prima del '74 passò a seconde nozze con Margherita En-
guerant di Abville, donna gagliarda, che gli diede sette fig-liuoli:
i primi cinque battezzati a S. Germano e gli altri due a S. Sal-
vatore.
Poco si sa dell' arte di Gio. Andrea Zanotti. Certo egli
dovette essere avuto in conto di artista egregio e dì egregia
persona, se uomini ragguardevoli come il Principe di Parma,
Alessandro Farnese, Carlo Gondi, inviato straordinario del
Granduca di Toscana, indi Pietro di Nyert, primo Cameriere
segreto del Re, e Boileau Puymorin, Intendente generale delle
feste e degli affari privati del Re, tennero al fonte del batte-
simo i suoi figli. E il Fantuzzi {Notizie degli Scritìori bolognesi)
scrive :
L' ixicontro colà (a Parigi) non fa minore che in Italia, e li fece distìngaere ancora
pel ano carattere civilissimo ed onesto, e pel genio .di coltivare 1' amicizia de' principali
drammatici di Parigi, e fra quelli, che frequentò con maggiore premnra, e di coi captivò
l' animo in singoiar modo, fn il famoso Pietro Cornelio.
Ma v'ha qualcosa più. Nel Viaggio di Francia {i6ò^ e 1 665)
costumi e qualità di qtcei paesi — relazione di Sebastiano Loca-
telli; prete bolognese, tradotto sui manoscritti originali del-
l'Università di Bologna e della Biblioteca Comunale di Peru-
gia, e arricchito di una introduzione e di note storico-critiche
per opera di Adolfo Vautier, archivista paleografo di Parigi,
sono alcuni passi interessantissimi che concernono l'attrice
Eularia (V. in Supplemento) e il nostro Zanotti. In un d'essi Eu-
laria è chiamata gloria della Compagnia del Zanotti, la più sti-
mata che vadi a torno: ma si trova fermata in Parigi da S. Mae-
stà (senza speranza di riveder più l' Italia) « con provvigione di
sedici mila franchi annui, oltre a quello si guadagnano in far
l'opre e le commedie, che tolto l'Aduento e la Quaresima sem-
pre si fanno ; né vi entra, senza pagare, se non la famiglia tutta
del Palazzo del Re > . E in un altro, a proposito del recitare in
/ Omiki' il^Jiami. VoL IL
746 ZANOTTI
italiano a persone, che per lo più non intendevano, e del bisogno
di far delle azioni assai, di trovar dell'invenzioni, mutazioni di
scene, e cose simili per contentar V uditorio, è detto : < Il bra-
vissimo Zanotti non più con la sua Eularia poteva dialogando
mostrar la finezza del bel dire, l'argutezza delle risposte, le
sentenze, e gli equivochi frizzanti per guadagnar i cuori.-. >
Ottavio era dunque il capocomico, e dallo stesso Locatelli sap-
piamo che la Compagnia era composta di nove persone, < cioè
due Innamorati, due Donne, la Rufiana, un Cornelio, un Franta-
Ione et \xn Dottor (9ra2riiz«é?>.Notizie queste esattissime di certo,
perchè riferite al Locatelli da Eularia, come tutte le altre con-
cernenti lei stessa.
L' 84 tornò in Italia con la moglie e i figli, ai quali, assai
provvisto di danaro, potè far dare in Bologna una buona educa-
zione. Non credo abbandonasse il teatro : o almeno egli non lo
abbandonò definitivamente; poiché lo vediamo il 1688-89 ^ì
nuovo al servizio del Duca di Modena, proprio quando Giovan
Battista Costantini, lasciata la Compagnia e il nome di Ctnlio,
si recò alla Commedia Italiana di Parigi per sostenervi gli amo-
rosi sotto il nome dìOttavio. Anzi I Fratelli Par/ai et e, per con-
seguenza, il Campardon dicono eh* egli fu poscia chiamato Vec-
chio Ottavio'p^r essere distinto dal Costantini. Dove? in Francia?
Ma se non v'era più. In Italia? Che confusione poteva nascere
tra due attori, di cui uno recitava in Italia e l'altro in Francia?
Non era forse ragione bastevole per farsi chiamare Vecchio
Ottavio il recitar gli amorosi a quasi settant'anni ?
E in casa Volta, infatti, a Bologna, nel carnovale del 1693
(a settantun' anno) 4^ recitò una bella' commedia, > secondo la
notizia che il Ricci ha tratto dai Diarj legatizi (voi. IV, pag. 390);
e morì il 13 settembre del 1695.
Nelle Memorie manoscritte di Bologna antica scriveva il
canonico Ghiselli :
A di 17 settembre fu data sepoltura a G. A. Zanotti detto Ottavio, celebre com-
mediante nella sua parte di Primo Innamorato eh' haveva essercitato ne* primi teatri di
Europa, e particolarmente in Francia ove quel Re lo haveva graziato d' an' annua pro-
visione di ducento doppie sua vita durante, che li furono sempre puntualmente sborsate.
ZANOTTI 747
Lasciò la professione molt' anni sono con buona grazia del Re^ disse, pe)r poter saltare
l'anima sua, che teneva in dubbio se fosse mòrto in qnell'Esercitio ; e venne a stare in
Bologna, nel contado della quale era nato, nel Comune delle Caselle, e mori in età di
circa ottant'anni (dtUa, conte s* è visto , erronea), e fu sepolto nella c^esa dx^ Corpus, Do-
mini. Lasciò tre figlinoli, tutti e tre soggetti di beli' ingenio, duoi dottoHi nno di legge,
l'altro di medicina, et un prete, ma ornati tutti di belle lettere si in prosa che in versi !
Fr. Bartoli dice che gli sopravvisse mólti anni la moglie.
A proposito della quale mi sia lecito por qui una quistione.
€ Rimasto vedovo - scrive il Ricci - e sposata Maria Mar-
gherita Enguerant di Abville, potè aver da lei dicìotto figliuoli !
Lo afferma lo stesso Francesco Maria, che fu Tultimo d'essi. >
Diciotto figliuoli!... Quando?
L' 84 lascia Parigi con sette figliuoli, secóndo la notizia
sui documenti data dallo Jal, e torna in Italia ; ha già sessan-
tadue anni ! Quando avrebbe avuto gli altri undici figliuoli ? E
dalla prima moglie non ne ebbe alcuno ? A chi volle alludere
in quel passo al Duca : con tutta la mia povera famiglia ? Alla
moglie, al padre, alla madre ? O vi furon figliuoli morti, o persi
»
dì vista ? O quel diciotto del figliuolo Francesco Maria è un er-
rore grafico?... Questo io ritengo assai probabile.
Gio. Andrea Zanotti pubblicò due traduzioni a stampa:
^^ Eraclio e del Cid di Corneille.
L'Eraci-io Imperatore d'Oriente. Bologna, Pietro Ma-
ria Monti, lógi.
HoNORE contro Amore, tragedia ricavata da soggetto spa-
gnuolo vestita alla francese e tradotta, in italiano per G,A,Z, D. O.
(cioè: Giovan Andrea Zanotti detto OxX'ò.vio) ydediccUo all' Altezza
Serenissima di Ferdinando Carlo secondo duca di Mantova, Mon-
ferrato, Carlovilla, Guastalla, ecc. In Bologna, M, DC. XCI. Per
Gioseffo Longhi, in- 12''. Nella dedicatoria dice che tradusse
doperà del Cid mentre aveva le sue dimore in Francia, trattenuto
al soldo di quel monarca.
Tre dei figliuoli di Zanotti ebber fama di egregi uomini :
Ercole, che fu storico e poeta ; Francesco Maria, filosofo e
scienziato celebratissinio ; e Gian Pietro, pittore e storico del-
l'Accademia Qementina.
748 ZANOTTI - ZAN
Zanetti Marìanna. Bolognese» fu, prima, ballerina; poi,
sposatasi all'attore Giuseppe Barilli, che faceva ^ InnatnoraU,
e, meglio, i servi brillanti, si diede all' arte comica recitando le
parti di donna seria, prima in Compagnia di Andrea Patriarchi,
poi d'Alessandro Gnochis, e di Luigi Perelli (1781). A Rimini
le fu dedicato da Panginefilo (?) il seguente sonetto che riferisco
dal Bartoli :
No, che non sa qual su gli umani affetti
abbia possanza amor, chi te non vede
co i vezzi a lato, e i teneri amoretti
mover d'Alcide in sulle scene il piede.
Né sa come tu dolce il cor saetti
coi due begli occhi, dove in propria sede
regnan le grazie, e i cari genj eletti
a cento belle e gloriose prede.
Parlan, che il sanno TAriminee genti,
né perciò il corso a' tuoi trionfi arresti,
anzi mediti ognor nuovi portenti;
che se puoi tanto co' bei modi onesti,
co' lieti scherzi e coi leggiadri accenti,
l'arte di farti amar d'onde apprendesti?
Zan Polo, veneziano. Abbiamo dal Sanuto (V. D'A., op. di)
come si presentasse a San Beneto in ca da Pesaro tra un atto e
l'altro del Miles gloriosus di Plauto (16 febbrajo 1 5 1 5), recitato
dagli Accademici Immortali, con una < comedia nova, fenzando
esser negromante, et stato all'Inferno, e fé' venir un Inferno
con fogi e diavoli : fense pur farsi Dio d'Amor : e fo porta a
r inferno: trovò Domenico tajacalze cazava castroni, el qual
con li castroni vene fora ; fé' un ballo essi castroni ; poi venne
una musica di Nimphe, in un carro trionfai, quali cantavano
una canzon, batendo marteli, cadauna sopra una incudine a
tempo, et fenzando bater un cuor > .
Il 9 febbrajo del 1522 fece a Venezia ai Crocicchieri gli
intermezzi nella commedia di Philante inamorato in Caritea, re-
citata dal De Nobili (V. Cherea, Trappolino e Cimador).
ZANUZZI 749
Zanuzzi Francesco Antonio. Fratello di Elisabetta Ca-
troli, nato verso il 1728, recitò ne' teatri di Venezia le parti di
Innamorato, e fu cognominato Vitalbino»'^^r la gran somiglianza
ch'egli aveva nella recitazione con Antonio Vitalba. Chiamato
a far parte della Commedia Italiana di Parigi, vi esordì il 25 lu-
glio del '59 nel Cavalier (f industria, scenario italiano in tre
atti : r anno dopo fu ricevuto a tre quarti di parte, e il 1 4 gen-
najo '66 a parte intera. Alla chiusura del teatro nell' '80, Za-
nuzzi, che ad ogni modo aveva compiuto i suoi anni di servi-
zio, fu congedato con una pensione di 1000 lire annue, e un
indennizzo di 5000 lire, pagabili in due volte e in due anni. Tor-
nato in Italia, pare lasciasse definitivamente il teatro, dacché il
Bartoli, un anno dopo, ci avverte com' egli colle ricchezze,
fatte in Francia, avesse acquistato un palazzo e de' poderi nel
trevigiano, e quivi stabilita la sua dimora < lungi dal pensier
del teatro > . Non si conosce la data della sua morte ; ma egli
viveva ancora il 1 790, del qual anno il Museo della città di Bas-
sano, terra natale dello Zanuzzi, io credo, serba di lui una let-
tera del 18 xbre a Giacomo Vittorelli (il poeta anacreontico?),
che ringrazia per la restituzione di lire duecentosei prestategli.
Francesco Antonio Zanuzzi fu avuto in gran pregio non
solo come attore, ma altresì come uomo. Fu sua l'idea di far
andare il Goldoni a Parigi, dopo il successo del Figlio d'Arlec-
chino perduto e ritrovato, per rinsanguare la povera commedia
italiana che dava i segni manifesti della sua prossima fine di
anemia ; e n' ebbe infatti incarico ufficiale da' Gentiluomini di
Corte, e trattò la cosa in tal modo, che il poeta veneziano già
ammiratore e conoscitore dei di lui pregi, lasciata la sua cara
patria, ov era cuccar ezzcUo, festeggiaio, applaudito, se n'andò il '62
alla gran capitale. Altro incarico ebbe lo Zanuzzi nel '74: di
venire in Italia a provvedersi di una nuova prima attrice. E ci
venne di fatti, e la sua scelta cadde su Teodora Ricci (V.), la
moglie dell' istoriografo dei comici italiani. Interessantissima a
tale proposito è la spropositata lettera di lei al suo compare
Carlo Gozzi scritta da Verona il 22 luglio di quell'anno, e pub-
750 ZANUZZI - ZBRAZIN
blicata da Cesare Musatti col titolo : Una lettera cT una comica
ignorante (Feltre, 1900).
Il Campardon, a mostrare F eccellenza del suo. cuore, cita
il fatto ch'egli allevò a sue spese una bimba, e la mise in grado
di entrare nell'Accademia Reale di Musica, ov' esordì come
bàllerìna il 16 novembre '79, nel ballo del IV atto ^Ifigenia in
Tauride di Gluck. Avendo il Giornale di Parigi, nel dar conto
della rappresentazione, chiamata la fanciulla figlia di Zaxiuzzi,
questi pubblicò una lettera, firmata Zanuzzt, Comico italiano
ordinario del Re, nella quale dichiarava ch'ella non aveva con
lui alcun vincolo di parentela, e si chiamava Maria, figlia dei
coniugi Lescousier borghesi di Parigi. Appresa la triste lor
condizione, egli si prese, nient'altro che per venire in loro ajuto,
cura della bimba, che fu allevata, ancora in culla, sotto i suoi
occhi; e accortosi, coli' andar degli anni, delle attitudini chiare
alla danza, la fé' istruire dalla maggior celebrità di quell'arte.
Oltre ai documenti che riguardano l'accettazione di Za-
nuzzi in Compagnia a tre quarti di parte e a parte intiera,
Campardon pubblica in data 2 febbrajo 1767 la querela di una
portinaja contro di lui, certa Anna Angelica Guerrier, perchè,
avendo risposto allo Zanuzzi che certa Joinville avea dormito
in casa la sera precedente, mentre non era vero, s'ebbe da lui
una sequèla d'ingiurie le più atroci e volgari, e l' iterata minac-
cia di uno schiaffo, al cospetto della gente che s' era andata
adunando.
Zavalloni Sebastiano. Era il 1830 primo attore assoluto
della Compagnia Botteghini-Vedova.
Zbrazin (?) Francesco. Comico del Duca di Mantova, del
quale trovo notizie in una sua lettera da Fiorenza del i *^ dicem-
bre 1648 al *Si^. Nicolo Zecca, d^ Bertolino comico faniJ^^ , a Pia-
cenza, in cui si firma Francesco Zbrazin comico d.° Gabinetto.
Ringrazia delle nuove avute della recuperata salute del
Duca, e crede sia sfumata l' andata a Roma, perchè Donna
ZBRAZIN - ZECCA 751
Olimpia Panfili e non vuole domandar la compagnia senza si-
cura certezza di hàuerla, onde questi napolitani facilmente
haurajinjo disfatta la congiura >^ Dalla stessa lettera si apprende
che Gabinetto era ammogliato.
Zecca Niccolò. Comico egregio, che recitava nella prima
metà del secolo xvii le parti di secondo Zanni sotto il nome
di Bertolino, e di cui Niccolò Barbieri, detto Beltrame, nel Ca-
pitolo VII della sua Supplica, dice :
n Signor Nicolò Zeccha detto in Comèdia Bertolino gìouane di gran coraggio, e
di qualche eccellenza nel gitiocar d' armi, e nel danzare, ha rìcennto honore di temir molte
volte nella Caccia la Sereniss. Altezza di Vittorio Amedeo Duca di Savoja, e per tirar
asseti bfne a gli uccelli in aria, e correr con qualche grazia e velocità a* cervi, et averne
ucciso alcuno, è stato honorato oltre alli molti regali d'un singoiar appetente di poter levar
cavalli dalla Ducale Scuderìa a slio beneplacito, e cacciar in ogni luogo risérbato a Sua Al-
tezza Sereniss. con prìuilegio, che per qual si uoglia bando, che potesse sospender la per-
missione a prìuilegiati da S. A. S., che già mai s'intenda esclusa la gratia fatta a Bertolino.
Mi sono servito della prima edizione di Venezia 1634:
nella seconda di Bologna del 1636, le parole trascritte in cor-
sivo sono state soppriesse. Il Quadrio {pp. cit.,V, 239) riferisce
le parole del Barbieri, aggiungendo : < i quai privilegi gli fece
pure il Duca di Mantova per li proprj suoi Stati >. Se non della
grandezza del valor comico, abbiam certo una prova della ver-
satilità deiringegno artistico dello Zecca in una sua lettera da
Parma del 29 aprile 1646 al Duca di Mantova, a cui manda
un libretto della prima opera cantata a Piacenza, ed altro ne
manderà presto del compositore Marcili. < E mi dispiace -
dice — non poter essere a Piacenza a sentirle, convenendomi
recitar per interim in Parma da primo Zanni nella Compagnia
deirE."*° Sig. Card.* Farnese sino all'arrivo di Buffetto (V.Cantù
Carlo), che in breve sarà di ritorno di Francia, come sin'hora
ho anco recitato da-Pa«/'^z/(?;^^ in dififetto della malatiachesin'hora
ha trattenuto in Venetia il proprio Pantalone. > Da Parma pas-
serà poi a Brescia.
Il dicèmbre del '48 era a Piacenza,, e il dì 8 (la lettera è
pubblicata dal D'Ancona iielle nozze Martini-rBenzoili), cohr
\
752 ZECCA - ZECCHI
gratulandosi col Duca di Mantova che sia risanato delle varale,
gli dà notizia che a Piacenza ov' è la miglior Compag-nia di
commedie, recitò per tre sere nella parte di Bertolino. Dal '48
si salta all'autunno del '59, e 1*8 novembre annunzia a un Se-
gretario del Duca, che era per recarsi a Reggio ; ma gli era
stato detto < che vi erano alcuni che recitavano mezzi comici
principianti e mezzi ciarlatani, che camminavano sotto nome
di due donne, dette le Marchette i^ quando gli capitò l'avviso
che erano andati a recitar fino a Natale a Bologna, e sarebber
andati a Modena, a servir S. A. pel carnovale.
Una lettera v'ha ancora del 21 aprile 1660 da Parma, la
quale mostra la grande famigliarità eh' era fra lui e le varie
Corti, annunciando a un Segretario del Duca di Mantova la
scelta degli appartamenti pel suo prossimo arrivo a Parma ove
doveva recarsi anche il Ser."'° di Modena coli' Arciduchessa
Consorte in incognito, mercè la qual scelta le LL. AA. avreb-
ber goduto di tutta la miglior libertà.
E chiede in poscritto: < Se vi fossero in questa Ser.'"** Corte
penne di code di Pavoni bianchi, ardirei suplicando chiederle
in prestito, mancandomene di molte per il bisogno che io ne
ho per tanti cimieri che faccio fabricare et mi raccomanderei
a V. E....>
L'ultima notizia riguardante Nicolò Zecca è dell'aprile '70,
quando Ranuccino Farnese per compiacere alla Corte di Man-
tova, lasciavale il Capitano Fiala (V.) con tutta la famiglia, af-
finchè si unissero in Mantova con lo Zecca, e formassero una
buona Compagnia (V. Bertolotti, op. cit.).
Di altri due Bertolini è ricordo nella Storia del teatro: di
quello degli Uniti del 1584 (V. Batista da Treviso), e del Bro-
glia (V,) che recitava il 1672 a Bologna, e r'87 a Monaco di
Baviera in Compagnia Calderoni.
Zecchi Orazio, bolognese. Dopo di aver recitato ne' teatri
accademici, ne' quali si mostrò artista di gran pregio per qual
si voglia genere di parti, risolse di farsi comico, e unitosi al
ZECCHI - ZERRI 753
fido compagno Giuseppe PianÌ2za (V.), che recitava a meravi-
glia le parti di prima donna, formò una compagnia di giovani,
e si recò nella Marca Anconitana ov'era proibito alle donne
di apparir sulla scena, e ove s' ebbe la migliore accoglienza
specie sotto la maschera del Dottore, in cui si mostrò molto
esperto per la elegante facondia, e la naturai comicità. Passò
poi col Pianizza a Napoli, < e in uno di que' teatri - dice Fr.
Bartoli - si fece conoscere per buono attore, e sì guadagnò
degli applausi > .
Invitato un giorno a lauto banchetto da nobile personag-
gio, insieme ad altri comici, disordinò alquanto; e recatosi in
fretta al teatro per la rappresentazione, fu còlto, pel grande
riscaldo, da febbre sì violenta che in capo a pochi giorni lo
condusse a morte a soli cinquant' anni nel 1774.
Zenari Andrea. Apparteneva alla Compagnia dei Comici
Uniti nel 1593, nella qualità di Graziano (V. Bai^stri Gio-
vanni).
Zerri-Grassi Enrichetta. Nacque il 1843 da Luigi e da
Elisa Danieli, comici, figli anch'essi
di comici (nonna di Enrichetta era
la moglie dì Giacomo Dorati), attori
tutti di buon nome; e vediamo gli
zìi Antonio e Amalia apparir negli
elenchi dal '34 in Compagnia Gol-
doni, diretta da Augusto Ben. Enri-
chetta era il '60 insieme al padre e
al fratello Antonio amorosa con Gio.
Battista Zoppetti, il '61 in Compa-
gniaLombardadirettadaAlamanno
Morelli, col quale stette poi gran
tempo. Il '71 passò colla Sadowski,
prima nella Compagnia diretta da Cesare Rossi, poi in quella
diretta da Luigi Monti, col quale, capocomico, tornò il '77.
95. — / Comici itaiimm. Voi. IL
754 ZERRI
Il '90 era con Maggi, che la condusse in America, dove, in quel
luttuoso Rio Janeiro lasciò la vita per febbre gialla il 14 maggio
del *9i, precedendo di tre ore il povero marito. Vespasiano
Grassi, colpito assieme a lei dal morbo inesorabile. Poveri ar-
tisti! Lontani dai parenti vecchi, da' figli adorati, spinti quasi
nelle braccia della morte, in quella terra fatale che avea già
tolto brutalmente all'arte Arturo Diotti, fiorente di giovinezza!
E se acerbissimo fu il colpo, ripensando alla simultaneità della
sciagura, oltre ogni modo acerbo fu, ripensando alle anime
buone che si perdevano.
Enrichetta Zerri-Grassi, attrice di molta intellig^enza, se
non di molti mezzi, fiancheggiò sempre col maggior decoro le
prime attrici, che per la lor giovinezza e la loro figura (che
un tempo si badava anche a questo) non potean abbracciare
tutto il repertorio, quali : Pia Marchi e Annetta Campi. Allora
quella prima donna, che chiameremo in gergo comico di spalla,
recitava Clotilde in Fernanda, Livia in Amore senza stima, e JLady
Tartuffo.,.. Oh ! Quella Lady Tartuffo !.,. Chi può farsi una ra-
gione del come potevan quell'anima soavissima e quella mente
serena riprodurre al vivo tutte le simulazioni, tutta la perfidia
di quella donna !? E la scena di Clotilde con Pomerol della Fer-
nanda {Pomerol era Cesare Rossi) ?
Passò col tempo, se bene ancor giovine, alle parti di se-
conda donna e di madre, colle quali trovò in ogni pubblico le
stesse simpatie di quando era Prima Attrice,
i Antonio. 'Fratello della precedente, nato a Corfù il
20 ottobre 1837, fu attore assai pregiato nelle parti di carat-
terista promiscuo, sia per la interpetrazione sapiente dei perso-
naggi, e per la verità della dizione, non impeccabile pur troppo
per un naturale difetto di pronunzia, che lo fece parer vecchio
assai prima del tempo. Sposò nel '58 Gioconda Zanoni di Roma,
che gli morì nel '65, quand'egli era ai Fiorentini di Napoli in
Compagnia di Adamo Alberti, al fianco di Tommaso Salvini e
di Clementina Cazzola. Passò a seconde nozze in Venezia il 1 881
750 ZERRI - ZOCCA
con Elvira Gorga, pur di Roma, e morì a Napoli, consumato
da lentissima tabe intestinale, il 15 aprile del 1903.
La illustrazione che riproduco qui retro dice chiaro quanta
fosse la varietà del suo repertorio. Uauge della sua vita artistica
fu quand'egli ebbe Compagnia in società con Gaspare Lavaggi,
nella quale potè mostrar liberamente tutte le sue qualità di
artista, interpretrando con molta intelligenza e con molto suc-
cesso Luigi XI, La Gerla di Papà Martin, Don Marzio, e spe-
cialmente L'Aulularia di Plauto, in cui fu riconosciuto, anche
dai più severi, artista sommo.
A proposito dell'interpretazione di Luigi XI, Parmenio
Bettoli dettò un lungo articolo, da cui traggo il brano se-
guente :
Nella grande scena del quarto atto col Solitario, ebbe moti, accenti e ima
espressione della maschera del volto da far correre brividi tra gli spettatori. £gli mi ri-
cordò, quasi alla testualità, il sommo Gustavo Modena, ed è tutto dire.
Ma per Ceutsì un esatto concetto della valentia di lui, bisognava averlo ammirato,
la sera prima, nella parte di Fiorenzo nei RantMou,
Quale distacco I Allora con la sua bella faccia aperta, onesta, leale, tutto sorrisi,
dolcezza, angiolesca bontà : adesso scarno, emaciato, terreo, con la voce rantolosa, le smorfie
nevralgiche, tutto ghigni satanici, ferocia, scatti improvvisi di belva.
Ed è in codesta versatilità sbalorditiva, che risiede principalmente 1' arte vera, la
grande arte.
Zocca Eugenia, piacentina. Si sposò giovinetta a un sug-
geritore Zocca, del quale restò vedova nei primi anni di ma-
trimonio. Recitò mediocremente nelle parti di dramma e di
tragedia, ma venuta in età matura, si diede al ruo/o di Carat-
teristica, nel quale riuscì attrice pregiatissima, acquistandosi
sino al primo ventennio del secolo xix una bella rinomanza.
Fu parte eletta delle Compagnie Paganini, Pelandi, Goldoni
e Perotti, col quale la vediamo al Teatro Canobiana di Milano
il carnovale 1819-20 col medesimo ruolo, e T aprile seguente
al Carignano di Torino.
Altre due sorelle si diedero air arte comica, una delle
quali, andata sposa al Marchese Castiglione di Mantova, si ri-
tirò dalle scene, e T altra, mediocrissima attrice, fu moglie del-
l'artista e capocomico Francesco Menichelli.
ZOCCHI 757
Zocchi Anna Maria» fiorentina. Recitò molti anni applau-
ditissima nelle parti tragiche e nelle comiche, in Compagnia
di Giovanni Roffi (V.) al Cocomero di Firenze. < Una tenera
espressione - dice Fr. Bartoli - un gestire bene adatto ed una
intera e puntuale esattezza nel suo dovere la resero gradita, e
le meritarono il nome di rinomata attrice. Oggi si è alienata
dal teatro, e vive felicemente in Firenze in età ancor fresca, e
non sprovvista di meriti e di virtù. > Ella dunque restò in pa-
tria, quando il Roffi (1780) cominciò a uscir di Firenze.
La Zocchi che è seconda nell'elenco, dopo l'Anna Roffi,
pare facesse V amorosa,
Zocchi Tommaso, fiorentino, figlio di un mercante di se-
terie, fu prima soldato, poi comico di buon nome per le grandi
parti, ove non dominasse forza di passioni. D' indole assoluta
e indipendente, non volle più star soggetto, e si fece capoco-
mico. Passò dalla Toscana nel Regno di Napoli che percorse
tutto in pochi anni con buona fortuna. Tornato a Firenze, formò
la quaresima del 1821 un'ottima Compagnia, che condusse
gran tempo, rimanendo poi capocomico in sino a che, fatto vec-
chio, s'unì prima al figlio Guglielmo, col quale era il '46, poi
si ritirò a Firenze del '50, ove morì settuagenario.
Dagli elenchi di compagnie e dalle monografie (V. Cosen-
tino, L'Arena del Sole, Bologna, Zanichelli, 1903) si rileva
come lo Zocchi fosse il '32 all'Arena del Sole di Bologna, ove
per graziosa concessione speciale, generata da speciali inflessi-
bili circostanze potè recitar tutti i giorni dal 2 3 aprile al 30 giu-
gno. Facean parte della Compagnia Grassi, Martinez, Salvini,
Angela Zocchi moglie del capocomico, e lo Stenterello, che
dello spaventoso repertorio, era magna pars. Le rappresenta-
zioni si chiudevan più volte con arie, pantomime e farse in mu-
sica. Tornò all'Arena del Sole l'anno seguente dal settembre
al 7 ottobre.
Formò in seguito compagnie con buoni elementi, e in
quella del '43 eran parti principali Luigia Bon, prima attrice.
758 ZOCCHI-ZOLI
Laura Bon, amorosa, Giovanni Tessero, primo attore, e il figlio
Francesco, brillante.
Zocchi Angela. Moglie del precedente, fu artista di pregio
per le parti di prima donna, che sostenne sempre nella Com-
pagnia del marito. Era dotata di non comune bellezza, ed egual-
mente ammirata ne* tre generi ; comico, drammatico, tragico.
Morì a Firenze nel 1865.
Zocchi Malvina. Figlia dei precedenti e moglie di Giu-
seppe Salvini, fu una egregia servetta, e tale la vediamo col
marito nella Compagnia Paladini-Internari, con la quale doveva
recarsi del 1 830 a Parigi ; ma còlta dal mal di petto, fu obbli-
gata a restarsene in Italia, a Venezia, presso i suoi parenti, so-
stituita nel ruolo dalla moglie di Luigi Taddei. Aggravatosi il
male, fu ormai vana ogni opera della scienza, e l'autunno del '3 1
dovè soccombere in ancor giovane età.
Zecchi Guglielmo. Fratello della precedente, fu artista e
capocomico di qualche merito. Generico primario pel triennio
del 1 843 e '44 con Corrado Vergnano, lo vediamo il '46 Diret-
tore, Primo^ Attore e Conduttore di una Compagnia, della quale
era primo ornamento Adelaide Ristori, e facevan parte la mo-
glie Adelaide Laugier, dilettante bolognese, e i minori fratelli,
Francesco e Alessandro, generici (che vediam trent'anni dopo,
conduttori della Compagnia Alessandro Manzoni), e il vecchio
padre Tommaso.
Avanzato in età, ritornò alle parti di generico, e lo vediam
tale il '68 nella Compagnia del brillante Tommaso Massa, con
una Elisa Zocchi, forse figliuola.
Zoli Pietro. Caratterista e promiscuo de' più sinceri, forse il
più sincero, che non potè avere la fortuna, a cui gli dava diritto
il suo grande ingegno artistico, per la cerchia ristretta in cui
visse, nacque a Forlì il 2 novembre del 1830 da Vincenzo e da
Teresa Strocchi. I moti del '31 gli tolsero il padre; ed egli
crebbe assieme alla madre e ad una sorella, facendo prima le
elementari nel Collegio de' Gesuiti, poi le ginnasiali fino al-
l'anno '48, in cui, fuggito a Bologna con venti bajocchi in ta-
sca, e a piedi, potè arruolarsi nella Legione Romana sotto il co-
lonnello Gallieno, e con
essa combattere a Vi-
cenz£L Passò da quella
al Reggimento Italia
Libera, comandato dal
colonnello Morandi, e,
recatosi a Venezia, pre-
se parte alla sortita di
Mestre, dove s'ebbe fe-
rito il braccio sinistro.
Tornato a Forlì, riprese
il corso degli studj, che
dovè poi troncare per
le condizioni della fa-
miglia, e fu accolto co-
me praticante nella far-
macia militare, prima ;
poi in quella dell'ospe-
dale, dandosi a tutto
potere allo studio della chimica, di cui diede in breve gli
esami, e in cui sì addottorò. Ma, entrato a recitar tra' filodram-
matici, ov'era già sua sorella, mostrò di punto in bianco le
più chiare attitudini al teatro, al quale si sentì irresistibil-
mente attratto. Ammogliatosi fra tanto ad Anna Rizzoli, figlia
di un Giudice al Tribunale di Forlì, ed avutine due bimbi, si
vide nella impossibilità di condur con decoro la famiglia; tal
che buttati in un canto i barattoli di farmacìa, sì scritturò di
sbalzo primo attore in Compagnia Trenti e Venturini per gli
annii856-'57, applaudi tissimo ovunque. Ma \& parti di parrucca
eran le predilette, e subito passò a queste, entrando in Com-
76o ZOLI
pagnia di Napoleone Tassani, come caratterista e promiscuo. So-
stituì dopo un triennio Gaetano Vestri in Compagnia Robetti,
dalla quale passò in quella di Arcelli, diretta da Alessandro
Salvini. Fu dopo due anni, e per un triennio, con Raffaele Lam-
bertini, a fianco di Peppina Bozzo, Carolina Santoni, Leontina
Papà, Enrico Cappelli, ecc.; poi (1866) con Achille Majeroni
al Fondo di Napoli, dove esordì con La gerla di Papà Martin,
che dovette replicar per otto sere davanti ad un pubblico am-
miratore profondo di Luigi Taddei ancor vivo e malato, e che
restò poi fino all'ultimo della sua vita artistica il suo cavai di
battaglia. Recatosi col Majeroni a Firenze, e recitata la Gerla
al Pagliano, Alessandro Dumas, venuto per la recita del suo
Don Giovanni, si recò sul palcoscenico, ed ebbe le maggiori
parole di lode pel giovine artista che paragonò al celebre Le-
mattre. Uscito dopo un anno dal Majeroni, diventò socio di
Alberto Vernier ancor per un anno, poi formò Compagnia da
solo, scritturando Emanuel, la Caracciolo- Ajudi, la Pierina sua
figlia, poi moglie a Giagnoni, Schiavoni ed altri. Si scritturò
di nuovo il '69 e '70 con Federico Boldrini, poi con certo Zat-
tini, col quale girò la Calabria e la Sicilia, poi fu socio di Ca-
lamai, Emanuel e Matilde Arnoud, poi di nuovo collo Zattini
a Costantinopoli, dove, col soccorso di facoltosi ammiratori,
costruì un teatro con l'annesso alloggio, e si stabilì con tutta
la famìglia. Ma poco appresso, un incendio fé' dileguar d'un
subito il bel sogno a mala pena tradotto in fatto, e ridusse il
pover' uomo sul lastrico. Si rifugiò egli allora a Salonicco, e
sempre assieme a quello Zattini, col quale poi tornò in Italia,
pellegrinando per un par d'anni ancora nelle provincie del
mezzogiorno. Si scritturò con l'Emanuel, poi, andate a male
le cose, formò Compagnia coi figliuoli già grandi, poi tornò
ancora scritturato 2! Fiorentini di Napoli dalla Santobono, in-
sieme a Michele Bozzo, la Piamonti, ecc., poi di nuovo capo-
comico in società, or con Pareti, marito della prima donna
Elvira Glech, or con Drago, la Lugo e Sichel, ed ora con Car-
toni e Udina. Ma essendo la paga divenuta un mito (tanto cor-
reva - scrìve lo ZoH - che non e' era modo mai di raggiun-
gerla), determinò ÌI buon uomo dì non più scritturarsi, né
più unirsi ad altri in società, ma condur solo una modesta
azienda, di cui egli e la famiglia, otto o dieci persone, for-
mavan la più gran parte.
Dopo un lungo pellegrinaggio di città in paese, di paese
in borgata, di borgata in città, arrivò l'onesto padre alla fine
W. - / Comici iliJini. Voi. II.
702 ZOLI
del '96, dopo di che, per desiderio del figlio Vincenzo, allora
capitano in Africa, lasciò per sempre il teatro, andando a sta-
bilirsi a Rocca San Casciano, direttore di quella Società filo-
dramatica, a cui diede tutto il suo ingegno e tutto il suo affetto,
e da cui fu amato e venerato fino all' estremo giorno (30 mar-
zo 1899) come un babbo.
€ Egli non potè aver maggiore fortuna - ho detto in prin-
cipio - per la cerchia ristretta in cui visse. > E questa ristrettezza
derivò un poco da tutto un insieme di dizione e di pronunzia
e di atteggiamenti, nella lor grande spontaneità prettamente
romagnoli, da farlo parer talvolta più tosto un attor dialettale ;
e un poco per la numerosa famiglia che gì' impedì, proprio
quando più ce n'era il bisogno, di prendere il largo, e di eman-
ciparsi collo studio speciale da quei difetti d'origine che lo
facevano apparire anima gentile in corpo rozzo. Egli, nella sua
verità e semplicità straordinarie potè sostener parti disparate
serie e comiche di primo attore e di caratterista, ma in quelle
più manifestò la sua grandezza così dette promiscue, quali :
Filippo di Scribe, Michele Perrin, Papà Martin, Malvina, Ori-
gine di un gran banchiere. Papà Loriot, Curioso accidente. Don
Marzio, Barbiere di Gheldria. Degli otto figliuoli avuti dal suo
matrimonio, tre perirono, fra i quali Arturo,, attore prima con
Salvini, poi con Cesare Rossi e con la Duse, con cui stette
quindici anni, morto a Roma l'aprile del '901.
Degli altri un solo non si diede all'arte, Vincenzo, un dei
nostri ufficiali più egregi, capitano d'Affi-ica, insignito di più
croci e medaglie che attestano la grandezza del valor suo e
della sua devozione alla patria. Gli artisti sono :
Enea, primo attor e^ che con la moglie Eugenia PqIzì, prima
attrice, continua la Ditta paterna ;
Enrico, prima attore brillante in Compagnia Tessero e
in altre, assieme alla moglie Virginia Razzoli, poi, ritiratosi
dall'arte, ragioniere a Genova;
Cesare, attore stimato, che fu in Compagnia d'Irma Gra-
matica, e in altre ;
ZOLl - ZONCADA 763
Adele, prima attrice nella Compagnia paterna, si ritirò
dall'arte, per riunirsi a' suoi vecchi.
Caro Zoli! caro padre! Io lo ricordo a Livorno in una
trattoria dì via Grande! Una gran tavolata dì dodici o quat-
tordici persone. Lui capo tavola a far le minestre per tutti :
c'erano i figli, le mogli dei figli, e fors' anche i padri o le madri
delle mogli dei figli; c'eran gli altri comici; pochi. Una sere-
nità, una giocondità regnava per tutta quella mensa, che met-
teva voglia. Problemi ardui da risolvere, bili sepolte da sfo-
gare, invidie, critiche acerbe.... Ma che! Niente!... Un piatto
di meno e una risatona di più. L'onestà, la probità, l'integrità
scrupolosa del semplice uomo raggiava in tutte quelle anime
giovani, che sarebbero state oggi, in tanta convulsione dello
spirito, il pili bello e salutare esempio!
Zoncada Luigi. Nato a Milano il 2 maggio 1867, cominciò
a recitar da ragazzo coi dilettanti, ed entrò in arte ìl 5 ottobre
dell' '87 nella Compagnia
dialettale di Caravatì e Ca-
valli, recitando da vecchio
e da giovine, cantando, bal-
lando, e anche capriolando
sul trapezio voltinte sotto gli
ammaestramenti del vecchio
Ettore Baraccani, primo bal-
lerino e mimo, un tempo, di
gran rinomanza. Passò dopo
due anni secondo brillante con
Cesare Vitaliani; ma poi gli
si afifidaron le parti di primo
attor giovine, essendo rima-
sto scoperto tale ruolo. Fu poi con Diligenti, Monti, Pieri, Pasta,
Zacconi; col quale ultimo cominciò a recitar parti di primo a/-
/(j« (1894), e dal quale passò il '98 nella Compagnia Di Lorenzo-
Ando, in cui stette fino alla quaresima del 1903, per diventar
764
ZONCADA - ZOPPETTI
poi capocomico in società con Gemma Caimmi, e primo cUtore
assoluto: società che dura tuttavia (1905) con molta fortuna.
Tale lo stato di servizio di questo artista, che per la sua
intelligenza, la sua modestia, la bontà della sua indole e la
forza della sua volontà, passò gli ultimi dodici anni in tre sole
Compagnie, ammirato e amato sempre da' compagni e dal
pubblico.
2^ppetti Giovali Battista. Fu attore e capocomico di
assai pregio, e uno de' primi a rappresentare Francesca da Ri-
mini di Silvio Pellico, da cui s'ebbe moltissime lodi. Artisti
rinomatissimi furon da lui
scritturati, quali Alamanno
Morelli che dirigeva la Com-
pagnia del '57, Luigi Gatti-
nelH, Giulia Ristori, Gaetano
Gattinelli, Enrichetta e An-
tonio Zerri, e altri. Del '60
egli si trovava il maggio e
giugno al Teatro Comunale
di Modena, e vi diede la pri-
ma recita con Clelia 0 la Più-
tomanìa del Gattinelli, a to-
tale profitto, dedotte solo le
spese di teatro, dei Siciliani.
€ L'eroico slancio (dice-
va il manifesto) di quei Prodi,
che versando il loro sangue
^ mirano alla libertà e gran-
dezza della Patria Terra, ben
merita essere assecondato da ogni uomo cui batte nel petto
cuore Italiano. > E protrattosi di quattro recite il corso stabi-
lito, metà dell'introito, dedotte le spese serali, fu per tutte
quattro le sere a profitto de' Siciliani. E il nuovo manifesto di-
ceva: < Ora più che mai ferve la lotta ed il bisogno in quel-
ZOPPETTI 765
l'Eroica parte deiritalìa nostra: nessuna occasione noi sfug-
giremo per prestarle il nostro fraterno soccorso >.
Sul valore artìstico di lui Ìl Colomberti l^lsciò scritta que-
sta noterella: « Egli emergeva principalmente nelle parti in
dialetto veneto. Dopo il bravissimo artista e poeta Francesco
Augusto Bon, fu uno dei migliori che rappresentassero le tre
belle commedie del Ludro da quello composte».
Morì a Forlì del 1878.
Sua moglie, Rosa Bresciani, figlia d'arte, e discendente
forse dalla celebre Caterina, recitò sempre con lui, e morì a
Mestre nel 1888.
Zoppetti Angelo. Figlio del precedente, nato a Venezia
il 31 ottobre del 1838 nella parrocchia di S. Luca, fii egregio
attore per le partì di brillante.
un de'miglìori del suo tempo.
Fece le prime armi come se-
condo amoroso e secondo bril-
lante, nella compagnia di suo
padre, e, lui morto, esordì
brillante assoluto nella giovane
Compagnia piena dì attrat-
tive, Ciotti-Lavaggi-Marchì,
nellaquale stette fino a tutto
il '72. Sempre collo stesso
ruolo fu poi dal '73 al '76 in
quella N." 2 di BelIottÌ-Bon,
il '77 e '78 in quella di Luigi
Monti, dar79 all' '81 in quel-
la sociale Marini-Belletti;
poi 1' '82 con Pasta, e 1' '83
dì nuovo con Monti. Riposò
r '84 a Mestre, ov'era sua madre, e andò 1' 85 e '86 con Andrea
Maggi, passando poi d'anno ìn anno in compagnie di minore
conto, declinando coU'avanzar degli anni la comica forza che
76b ZOPPETTI
per naturale intuito possedeva al sommo. Il '94 esordì come
caratterista in Compagnia Maggi, trovando ancora festose acco-
glienze di pubblico, non quelle certo acquistatesi col primo ruolo.
Passando d'una in altra compagnia, e in mezzo a peripezie di
scioglimenti a metà d'anno, ora scritturato, or socio, ed ora
capocomico solo, arrivò sino al 1902, scritturato in Compa-
gnia Renzi-Gabrielli, nel quale anno cessò di vivere a Livorno
il 27 di giugno.
Chi volesse dare un giudizio su Angelo Zoppetti con poche
parole, forse non s' ingannerebbe, qualificandolo : < un gran
brillante senza saper loy^. Quante, vere o no, storielle sulla sua
non troppa coltura andaron per le bocche de' comici ! Ma, per
compenso, qual forza d'intuizione !
Ricorda il lettore la gran scena di Dita d'oro d'una fata,
vecchia commedia di Scribe, in cui il povero Riccardo di Ker-
briand, discorre con Elena del suo amore per Berta e della sua
balbuzie ?
E l'altra, non men forte per novità e comicità irresisti-
bile, in cui in uno scatto violento, lasciandosi andare a parole
e imprecazioni volgari, improvvisa, libero e diritto fin in fondo,
una meravigliosa difesa di Elena accusata, oltraggiata da tutti ?
Ricorda il lettore la parte di Perichol» il giurato ribelle
ài^ Ferréol ^\ Sardou, ch'egli creò con tanta apparente ana-
lisi di particolari ? E quell' avvocato Ballandar della Caténa di
Scribe? E le farse tutte?
Angelo Zoppetti appartenne come brillante al periodo,
non so dir bene se fortunato o sciagurato, in cui i primi attori
spremevan lagrime dagli occhi degli uditori, e i brillanti face-
vano smascellar dalle risa.
L'andatura dello Zoppetti, il suo occhio, la sua dizione,
tutto era comico.... Quando si cominciò a dire d'un brillante:
attore nobile, attore fine, attore distinto, si cominciò anche a
perdere il senso del brillante, che a poco a poco s'è andato
trasformando per modo da non riconoscerlo più. In somma:
la definizione del brillante nobile era in realtà questa : un bril-
ZOPPETTI - ZUANETTI 767
lante che non fa ridere. E Zoppetti fu tutt' altro che nobile, o,
a dir meglio, fu nobile solo a modo suo.
Dal suo matrimonio con Giulia Checchi, egregia seconda
donna e amorosa, passata a seconde nozze, e ancor vivente a
Napoli, ebbe quattro gentili figliuole, esimie artiste, note col
diminutivo affettuoso di Zoppettine» e un unico maschio:
Elvira, vedova di Giuseppe Barsi, brillante, morto in Ame-
rica, e attrice della Compagnia Sichel e Soci ;
Pia, moglie del brillante Arturo Falconi, tuttavia in arte ;
Giannina, uscita dall'arte or sono otto anni, e maritata a
Palermo con Giuseppe Ardizzoni, direttore comproprietario
del Giornale di Sicilia; e
Cesare, già attore in Compagnia Benini, oggi secondo bril-
lante in quella Mariani-Zampieri,
Ebbe anche una sorella, Adelaide, moglie dell'attore Cri-
stiani, attrice di non molta importanza, che recita ancora in com-
pagnie veneziane, e di cui Tunica figlia Giuseppina si trova ora
in Compagnia Di Lorenzo-Ando, moglie di Ferruccio Bianchini.
Zoppino da Mantova. (V. Angeloni Filippo).
Zoppino da Gazzolo. Il De Sommi lo cita col Montefalco,
il Veratto, T Olivo, lo Zoppino da Mantova, tra i molti galanti
homini che di recitare perfettamente si sono diUttcUi a tempi nostri
(poco oltre la metà del secolo xvi).
Zomi Gasparo. Fu sostituito nella Compagnia di Giuseppe
Imer al figlio Monti, terzo amoroso, quando questi se n'andò col
padre, dottore, a Napoli ; e Carlo Goldoni lo dice non superiore
al Monti in abilità. (Ed. Pasquali, XIV).
Zuanetti Antonio. Padovano. Fu attore di molto pregio
al principio del secolo xix. Il 1821 era nella Compagnia Ma-
scherpa e Velli, e le Varietà teatrali di Venezia così ne scrivono:
< Datosi alle parti di tiranno, tanto seppe accoppiare il buon
volere a que' naturali doni che in sé riunisce, che giunse a ren-
768 ZUANETTI - ZUCCATO
dersi ben accetto anche nel!' odioso carattere d'ordinario da
lui sostenuto. Migliori progressi da esso ci aspettiamo, ed anzi
s' egli vi porrà un maggiore studio nel ben pronunziare, noi lo
assicuriamo di una maggiore e più luminosa teatrale fortuna > .
Anche sua moglie Cecilia, veronese, fu comica, ma di me-
riti assai mediocri.
Zuccato Valerio. È ricordato dal Sansovino nel suo libro
sopra Venezia tra i comici più antichi di quella città.
Zuccato Polonia. Moglie del precedente, e, come dice il
Sansovino, notabilissima recitante, che rappresentava commedie
a soggetto con detto Valerio, Frate Armonio e Lodovico Dolce.
Quando Polonia si unì in matrimonio collo Zuccato ? Vedi a
questo proposito Tabarin Giovanni, dal quale ebbe la Polonia
un figliuolo a Parigi il 25 settefmbre del 1572.
Zuccato Bartolommeo. Attore egregio e celebre capo-
comico, nacque a Venezia il 1776, e fin da giovinetto mostrò
la più grande inclinazione al teatro. Osteggiato da* parenti,
dovè, per darsi con tutto T amore, all' arte drammatica, aspet-
tare r età maggiore ; giunta la quale, infatti, e f ealizzato dai
parenti tutori ogni suo avere, si scritturò subito con Marta
Coleoni, passando poi, attore ammiratissimo, con Goldoni, Pe-
rotti, ecc. Fu capocomico de' più rinomati, ora solo, ora in so-
cietà (V. Consoli Teresa), e de' più rinomati direttori.
L'estate del 1800 lo vediamo 2XSan Giovan Grisostomo di
Venezia, dove si salva da un probabile disastro colla nuova
tragedia di A. M. Cuccetti (V.), che replicò per sei sere. Lo ve-
diamo poi a Pavia il giugno del 18 io, dove non avrebbe tro-
vato modo di svincolar la condotta impegnata, se non gli fosse
venuto ia soccorso il proprietario ^^ Arena del Sole di Bolo-
gna che lo Zuccato andò a inaugurare il 5 di luglio con gran
pompa di preavvisi-fervorini. (V. Cosentino, L'Arena del Sole,
Bologna, Zanichelli, 1903).
ZUCCATO - ZUCCHINl
L'autunno del 1807 era a Modena, e il rg a Tolentino,
fatto segno alle più vìve dimostrazioni di simpatia. Morì del'ss
a Venezia quasi ottuagenario.
Zucchini-Majone Ermenegilda. Carissimo e bellissimo
tipo d'artista! Coli' avanzar degli anni ella ha saputo serbare
intatta la giovanile ga-
iezza, e con essa una
modestia senza pari.
«Volete proprio che io
rinnovelli disperato do-
lor.— -prelude alle sue
noterelle biografiche —
rimontando ai tempi di
Noè ? Io che invece vor-
rei tanto e tutto dimen-
ticare! E poi, parlare
di me! Come donnanon
ho che del triste da ri-
cordare; come attrice,
nulla che valga la pena
d'essere ricordato. Fra
la folla dei discreti at-
tori, passai anch'io, rac-
cogliendo qualche loro
bricciola : il che si-
gnifica senza lode e senza infamia: ecco tutto. > Ma che bric-
ciola mi vien ella brìcciolando ! Qui la modestia non è della più
schietta acqua, che la cara artista non può, dinanzi alle festose
accoglienze del pubblico ininterrotte e inalterate, fermarsi, in
un giudizio del proprio valore, alla meschina mediocrità. Erme-
negilda Zucchini è una bella e forte artista, dotata di una rara
pieghevolezza nell' afferrare e rendere i più vari personaggi,
dalla grottesca suocera della /ocAaafc, all'austera signora della
commedia inguantata. Nata a Lugano, fu trasportata subito a
770 ZUCCHINI
Milano dove passò l'infanzia e la giovinezza; considerata da
ognuno milanese, nonostante la nascita e l'origine forastiera,
essendo il padre francese, oriundo svizzero, e svizzera la madre.
Benché non figlia d'artisti, ebbe sin da piccola una passione viva
per l'arte della scena, che coltivò poi alla filodrammatica mila-
nese sotto gli ammaestramenti dell'artista Giovanni Ventura (V.).
Rovesci di fortuna la sbalzarono, il 1869-70, ancor giovinetta,
nella Compagnia Dondini, Ciotti e Lavaggi, quale amorosa, dando
subito prova di non dubbio valore, e io stesso la ricordo al-
l'Arena Nazionale, applauditissima nella fischiatissima comme-
dia I matrimoni del Laurati. Il triennio seguente fu con Alamanno
Morelli prima attrice giovine: sposò il '71 Domenico Majone (V.),
e ne restò vedova il '72. Avrebbe voluto allora, nel momento
della grande sciagura lasciar l'arte, ma l'arte, entrata ormai nel
suo sangue, non la lasciò. Ed ecco la Zucchini nell'autunno
del '73 con la Ristori, con cui fu in Inghilterra, e nel '74**75 ^^^
la Zampolli, direttore il Toselli, assunta al grado di prima donna,
che sostenne assai decorosamente pei molti pregi artistici onde
era dotata, ma non fortunatamente per la costituzione del fisico
forte e sviluppato, in aperta contraddizione colla sentimentalità e
romanticheria dei caratteri che doveva riprodurre. Non ostante
fu degnamente in quel ruolo scritturata con Salvinetto, con Maje-
roni, e in Società con Dondini, Dominici, e Giovanni Arrighi fino
air'84. Neir'85, uscita da una fiera malattia di tifo, andò con
Emanuel per parti principalissime, ma senza ruolo fisso, e fu da
lui iniziata a quello di madre e caratteristica, lasciato poi subito,
per riprendere il suo posto (vanità perdonabile in un'attrice pre-
giata e ancor giovine) prima in Società con la Tessero, poi con
Dominici e Della Guardia. Ma, ohimè! Il padre morto, la madre
da sostentare, gli affari che volgeano sempre più al peggio, la
costrinsero ad abbracciar definitivamente il ruolo di vecchia,
m
scritturandosi con Ermete Novelli, e passando poi con Pasta,
la Tessero e la Giagnoni, con Paladini, con Pasta, Garzes, Rei-
nach, con Pasta e la Tina Di Lorenzo, con Leigheb e la Reiter,
con Pasta e la Reiter, e con la Reiter sola, colla quale è tuttavia
ZUCCHINI - ZURLINI 771
e sarà fino al princìpìodel prossimo triennio '906-07-08, pel quale
è scritturata colla Compagnia Talli, Re Riccardi : questo il lungo
stato di servizio di Ermenegilda Zucchini, o, come la chiamano
con affettuoso accorcimento i compagni tutti, della Gilda, che le
ha procurato per la probità e la fedeltà e lo zelo con cui l' ha
disimpegnato il più ampio certificato del pubblico padrone. « Vi
pare che basti? - Ella conchiude nelle sue noterelle. - Oh, ba-
sterebbe anche a me! ma c'è ^x\c.oxz. del fosforo ne lombi miei....-»
Lo credo io ! E Le auguro, o meglio, auguro a me e a tutti gli
spettatori d'Italia, di provar lungo tempo le gioie ch'ella sa dar
dalla scena con le incomparabili sue riproduzioni artistiche.
Zurlinì Agostino. Artista egregio del secolo xviii per la
maschera del Brighella e per altre parti comiche nelle Compa-
gnie di Antonio Marchesini e dì Nicola Petrioli, aramiratissimo
in tutta Italia. Abbandonò le scene in tarda età, e Fr. Bartoli
dice che s'egli era ancor vivo al suo tempo(i78i), come si cre-
deva, avrebbe avuto non meno di novant'anni.
INDICE
DELLE OPERE E DEGLI AUTORI CITATI
INDICE
DELIRE OPERE E DEGLI AUTORI CITATI
Ademollo Alessandro. - / Teatri di
Roma nel secolo decimosettimo, Roma,
Pasqualucci, 1888.
Voi. II, pag. 525, 541, 544, 586.
— Una famiglia di Comici italiani nel
secolo decimo ttavo. Firenze, Ademollo,
1885.
Pag. 260.
Alberti Adamo. - Quarant* anni di
storia del Teatro dei fiorentini in Na-
poli. Memoria. Napoli, De Angelis,
1878.
Allacci Leone. - Drammaturgia di
Lione Allacci accresciuta e continuata
fino all'anno MDCCLV, Venezia,
- Pasquali, 1755.
Pag. 35, 136, voi. II, pag. 247,
681.
Andrelnl Isabella. - Mirtilla. Pasto-
rale. Nuovamente corretta et ristam-
pata. Venezia, Spineda, 1702.
Pag. 137.
Andrelnl Francesco. - Bravure del
Capitano Spavento Nen^zìdi, appresso
Vincenzo Somasco, 1624.
Pag. 57, voi. II, pag. 213, 232,
540.
Andrelnl Glo. Battista. - La Sul--
tana; La Ferinda; L* amor nello spec-
chio; I due Leti simili; La Centaura,
Commedie. Parigi, Delavigne, 1622.
Pag. 123.
— L'Adamo, Sacra rappresentazione.
Milano, Geronimo Bordoni, 161 7.
Pag. 137.
— La Florinda, Tragedia. In Milano,
Bordone, 1606.
Pag. 132, 139.
— L'Ismenia, Opera teatrale e pastora-
le. Bologna, Nicolò Tebaldini, 1639.
Pag. 124.
— La rosa. Comedia. Pavia, Giovanni
Andrea Magri, 1638.
Aniello Soldano. - Fantastiche et ri-
dicolose etimologie recitate in comme-
dia da Aniello Soldano, Bologna, Vit-
torio Benacci, 16 io.
Pag. 164.
Armano (D') Tiberio. - Il Capitano.
Comedia. Venezia, Giolito, 1545.
Pag. 211.
Arrighi Cletto. - Edoardo Ferravilla.
Milano, Aliprandi, 1888.
Pag. 868.
776
INDICE DELLE OPERE E DEGLI AUTORI CITATI
Bada Giambattista. - Scaramuzza.
Poema in vernacolo familiar vene-
ziano. Venezia, 1791.
Pag. 909.
Bagliani Pietro. - La pazzia. Com-
media. Bologna, Teodoro e Cle-
mente Ferroni, 1624.
Pag. 248.
Baumgarten. - La France qui rit,
Cassel, 1880.
Pag. 438.
Biancolelli ^ìccoXò.-Ilprincipe iragli
infortuni fortunato. Bologna, 1668.
Pag. 446.
— Za Regina statista. Bologna, ....
Pag. 446.
— Il Nerone. Bologna, Giacomo Mon-
ti, 1666.
Pag. 446.
Barbieri Niccolò detto Beltrame. -
U inavvertito, ovvero Scappino distur-
bato, e Mezze ttino travagliato. Torino,
1629 (ristamp. in Venezia nel 1630).
Pag. 266 fino a 270.
— La Supplica, ecc. (V. descrizione
del titolo nel frontespizio inciso).
Venezia, Marco Ginammi, 1634.
Pag. 270, 980, voi. II, pag. 601,
616.
Bartoli Francesco. -Le Pitture, Seul--
ture ed architetture della città di Ro~
vigo, con indici ed illustrazioni. Ve-
nezia, Pietro Savioni, 1793.
Pag. 287.
— Notizie /storiche de* Comici Italiani
che fiorirono intorno all' anno MDL
fino a* giorni presenti.... Padova,
Conzatti, 1781.
Pag. 34, 38, 45, 88, 106, 124, 143,
151, 154, 159, 164, 191, 236, 266,
271, 281, 288, 292, 293, 294, 295,
301, 303, 326, 328, 339, 343, 344,
381, 446, 490, 49^ 503» 504, 516,
530» 547, 583» 590» 602, 608, 613,
652, 655, 656, 665, 674, 679, 686,
695, 696, 698, 707, 720, 733, 739,
760, 771, 792, 796, 837, 856, 857,
867, 880, 884, 88ò, 914, 930, 932,
934, 937, 942, 943, 954, 9^3, 9^8,
1005, IC06, 1008, 1043, 1052, 1059,
1061, voi. II, I, II, 12, 54, 55, 66,
68, 76, 94, 104, 107, 112, 113, 117,
118, 124, 127, 128, 153, 178, 183,
194, 199, 202, 217, 218, 219, 300,
301, 334, 345, 361, 39^, 4i7, 4i9,
443, 454, 459, 4^0, 461, 502, 521,
537, 546, 573, 586, 611, 614, 628,
634, 636, 668, 685.
Bartoli Adolfo. - Scenari inediti della
Commedia dell'arte. Firenze, San-
soni, 1880.
Pag. 118, 121, 124, 294, 312, 348,
359, 519, voi. II, pag. 173, 194,
616, 618.
Baschet Armand. -Z>j comédiens ita-
liens à la cour de France sous Char-
les IX, Henri III, Henri IV et Louis
XIII. Paris, Plon, 1882.
Pag. 118, 844, voi. II, pag. 477,
512, 542.
Bazzl Gaetano. - Primi erudimenti
dell* arte drammatica dedicati all' ar-
tista Domenico Righetti. Torino , 1 845 .
Voi. II, pag. 359.
Belando Vincenzo detto Cataldo. -
Gli amorosi inganni. Parigi, David
Gilio, 1609.
Pag. 75.
BellottI Bon Luigi. - Condizioni del-
l'arte drammatica in Italia. Ancona,
1875.
Pag. 339.
Bertolotti A. - Musici alla Corte dei
Gonzaga in Mantova dal secolo XV
al XVIII. Milano, Ricordi, s. a.
Pag. 16, 29, 158, 237, 251, 342,
362, 483, 503, 544, 569, 627, 796,
858, voi. II, pag. 145, 184.
INDICE DELLE OPERE E DEGLI AUTORI CITATI
m
Bevilacqua Enrico. - Alcune rime,
Venezia, Ambrogio Dei, 1613.
Pag. 54.
Bon F. A. - Principii d'Arte dramma-
tica rappresentativa dettati nell'Istituto
drammatico di Padova, Milano, San-
Vito, 1857.
Pag. 474.
Bonarelll Della Rovere Prospero. -
Lo Spedale, Commedia. Macerata,
Grisei, 1646.
Pag. 78.
Bonazzl Luigi. - Gustavo Modena e
l* arte sua. Con prefazione di Luigi
Morandi. Seconda edizione. Città
di Castello, Lapi, 1884.
Pag. 215, 319, 478, 479, voi. II,
pag. 135-
— Storia di Perugia dalle origini al
1860, Perugia, 1879.
Pag. 479, 482.
Brofferlo Angelo. - Primi erudimenti
dell' arte drammatica, Torino, 1845.
Pag. 310.
Bruni Domenico. - Faiiche comiche,
Parigi, Callemont, 1623.
Pag. Ò36, 840, 884, voi. II, pag.
132, 184, 295.
Calmo Andrea. - Le lettere. Quattro
libri. Venezia, 1547, '48, '52.
Pag. 551.
— Las Spagnolas. Comedia. Venezia,
appr . Stefano e Battista cognati , 1549 .
Pag. 551.
— La Fiorina. Comedia. In Venezia,
Foresto, 1557.
Pag. 521.
— // Saltuzza, Comedia. Venezia,
Alessi, 1551.
Pag. 551-
— La Pozione, Comedia. Venezia,
Alessi, 1552.
Pag. 551.
Calmo Andrea. - La Rodiana, Co-
media. Venezia, Alessi, 1553.
Pag. 551.
— // Travaglia, Comedia. Venezia,
Alessi, 1556.
Pag. 551-
— L'egloghe pastorali, Venezia, Ber-
tacagno, 1553.
Pag. 551.
Campardon Emlle et Congnon Au-
guste. - La Vieillesse de Scaramou-
che, Documents inédits. 16901694.
Pag. 22, 2C), 348, 364, 369, 371,
726, loio, voi. II, p. 634, 670, 676.
Cantù Carlo. -Cicalamento in canzonette
ridicole, ecc. Fiorenza, Massi, 1646.
Pag. 426, 430, 571, 572.
Capuana .Luigi. - // Teatro italiano
contemporaneo. Saggi critici. Palermo,
Lauriel, 1872.
Pag. 562.
Castiglione Giambattista. - Senti--
menti di S. Carlo Boromeo intorno agli
spettacoli. In Bergamo, 1759. -^P"
presso Pietro Lancellotti.
Voi. II, pag. 596.
Cavalieri Bartolommeo. - L'im--
presa d' opera. Dramma giocoso da
rappresentarsi nel Teatro Giusti-
niani di S. Moisè il Carnevale del-
l'anno MDCCLXIX. Venezia, stes-
so anno, appresso Modesto Fenzo.
Pag. 613.
Cecchini Pier Maria. - L' amico tra-
dito, Venezia. Bona, 1633.
Pag. 413, 631, 633.
— La Flaminia schiava. Comedia. Mi-
lano, 1610.
Pag. 631, 633.
— Lettere Facete e Morali et alcuni
brevi Discorsi intorno le Comedie, Co-
mcdianti e spettatori, . . . Venetia, An-
tonio Pinelli, 1622.
Pag. 630, 632, 644.
98. — . / Comici italiani. Vo'. II.
77^
INDICE DELLE OPERE E DEGLI AUTORI CITATI
Cecchini Pier Maria. - Frutti delle
moderne Comedie et avisi a chi le re-
cita. Padova, Guaresco Guareschi,
1628.
Pag. 85, 633, 635, 925.
Cervi Antonio. - Tre artisti. (Ema-
nuel, Novelli, Zacconi). Bologna,
Beltrami, 1900.
Voi. II, pag. 194.
Clnelll. - Biblioteca volante. Modena,
1695.
Pag. 884.
ColombertI Antonio. - Scritti inediti.
Pag. 754, 756, 775, voi. II, pag.
78, 80, 82,127, 268.
Constantlnl Angelo. - La vie de Sca~
ramouche. Paris, Claude Barbin,
1695.
Pag. 718, 909.
Costetti Giuseppe. - Dimenticati vivi
nella scena italiana. Roma, 1886.
Pag. 186, 399, 685.
— La Compagnia reale sarda e il tea^^
tro italiano dal 18 21 al 1855.
Milano, Cantorowicz, 1893.
Pag. 476, 529, 734, looi, voi. II,
pag. 79.
— // Teatro italiano nel 1800. Rocca
S. Casciano, L. Cappelli, 1901.
Pag. II.
— Bozzetti di Teatro. Bologna, Zani-
chelli, 1881.
Pag. 232, 342.
Cotolendi. - Lwre sans noni divise en
cinq dialogues, Paris, Michel Bru-
net, 1695.
Voi. II, pag. 396.
Cotta Pietro. - Le peripezie di Aleramo
e di Adelasia, ovvero la discendenza
degli Eroi del Monferrato . Bologna e
Venezia, 1697.
Pag. 728.
— // Romolo. Bologna, 1679.
Pag. 728.
Croce Giulio Cesare. - Indice uni-
versale della Libraria 0 studio del ce-
lebratiss. Arcidottore Gratian Furbson
de Fraculin, ecc. Bologna, erede dei
Cocchi, s. a.
Pag. 249.
— - Bravure Tremende del Capitano Bele-
rò/onte da Rocca di ferro. Bologna,
Cocchi, 1629.
Pag. 73.
Croce Benedetto. - / teatri di Napoli.
Napoli, Pierro, 1891.
Pag. IO, 42, 162, 237, 461, 504,
531, 533» 665, 742, 862, 863, 867,
922, voi. II, pag. 14, 175, 556, 583,
587, 667.
D'Ancona Alessandro. - Una mac-
chietta goldoniana, Genova, s. d.
Voi. II, pag. 687.
— Origini del Teatro Italiano. Torino,
Loescher, 1891.
Pag. 12, 14, 15, 16, 53, 59, 89,
106, 158, 161, 211, 135, 308, 310,
405, 406, 534, 663, 773, 862, 979,
voi. II, p. 105, 290, 305, 555, 584.
D'Aquino Carlo. - Rugiade di Par-
naso. Cosenza, 1654.
De Amlcls Edmondo. - Conferenza
su Gustavo Modena (Speranze e Glo-
rie). Milano, Treves, 1900.
Voi. II, pag. 136.
De Domlnlcls Bernardo. - Vite de'
Pittori, Scultori et Architetti napole-
tani. Napoli, 1745.
Pag. 938.
Des Boulmlers. - Histoire anecdoti-
que et raisonnée du Thédtre Italien.
Paris, Lacombe, 1769.
Pag. 373» 374, 516.
D'HeylII George. - fournal de la
Comédie Fran^aise. Paris, Dentu,
1873-
Voi. II, pag. 380.
INDICE DELLE OPERE E DEGLI AUTORI CITATI
779
Di Giacomo Salvatore. - Cronaca
del Teatro San Carlino, Seconda edi-
zione. Trani, Vecchi, 1895.
Pag. 36, 161, 239, 2^2, 273, 274,
477, 531, 558» 61B, 647, 678, 888,
voi. II,pag. 106, 112, 113,262,264,
602.
D'Origny. - Annales du Thédtre ita"
lien. Paris, Duchesne, 1788. Tre voi.
in-8°.
Pag. 553, 607, 674.
Ellio Francesco. - Idilli di diversi
generi, Milano, Giov. Battista Bi-
delli, 1618.
Pag. 149.
Pabrl Glo. Paolo. - Quattro Capitoli
alla Carlona, Trento, Gio. Battista
Gelmini, 1608.
Pag. 99.
Pantuzzi. - Degli scrittori bolognesi,
Pag- 453-
Faur.- Z« transformations de VOpéra^
Comique, Paris, Castel, 1865.
Pag. 554.
Favella Glronimo. - Filippica in cui
si discorre della grande religione,
bontà, amicizia e potere de* Re di
Spagna e delle eroiche nazioni de*
Spagnuoli, Napoli, Roncagliolo,
162Ò.
Pag. 864.
Fiorillo Silvio. - L*Amor Giusto,
Egloga Pastorale in Napolitana e
Toscana lingua. Milano, Pandolfo
Malatesta, 1605.
Pag. 922.
— La Cortesia di Leone, e di Ruggiero
con la morte di Rodomonte. Suggetto
cavato dall'Ariosto, e ridotto in
stile rappresentativo. Milano, Pan-
dolfo Malatesta, 1624.
Pag. 922.
Fiorillo Silvio. - La Ghirlanda,
Egloga. Napoli, Tarquinio Longo,
1609.
Pag. 922.
— / tre Capitani vanagloriosi. Come-
dia capricciosa in prosa. Napoli, Do-
menico Ferrante Maccarano, 162 1.
Pag. 922.
— La Lucilla Costante, con le ridico-
lose disfide e prodezze di Policinella.
Comedia curiosa. Milano, Giov.
Battista Malatesta, 1632.
Pag. 923.
— L'Ariodante tradito, e morte di Po-
linesso da Rinaldo Paladino. Pavia,
Giov. Battista de Rossi, 1629.
Pag. 922.
Florio Gaetano. - Trattenimenti tea^
trali, Comedie. Quattro voi. in-8°.
Venezia, 1791.
Galluzzi Riguccio. - Storia del Gran--
ducato di Toscana,
Pag. 895.
Galanti Ferdinando. - C Goldoni e
Venezia nel secolo XVII L Padova,
Fratelli Salmin, 1882.
Pag. 377.
Gonzales Emanuel. - Les Caravanes
de Scaramouche, Paris, Dentu, 1831.
Pag. 909.
Gandini. - Cronistoria dei Teatri di
Modena. Modena, 1873.
Pag. 676, voi. II, pag. 521.
Glierardi Evaristo. - Le thédtre ita--
lien ou le recueil general de toutes les
Comédies et scènes fran^aises, ecc. Pa-
ris, Briasson, 1 741. Sei volumi in-80.
Pag. 434, 439» 440, 709» 718,
1008, lOIO.
Goldoni Carlo. - Commedie. Venezia,
Pasquali, 1761. Diciassette volumi
in-8^
Voi. II, pag. 93, 118, 145.
7 So
INDICE DELLE OPERE E DEGLI AUTORI CITATI
Goldoni Carlo. - Mémoires, ecc. Ri-
stampate suir edizione originale, e
corredate con annotazioni da Er-
manno Von Loehner. Venezia, Vi-
sentini, 1883. Volume I.
Pag. 39, 299, 300, 301, 506, 555,
932, 981, 1052, 1053, voi. II, pag.
93, 465, 469, 507, 644, 681.
— Il Gondolier veneto . Milano, R. Ma-
latesta, 1733.
Voi. II, pag. 686.
— Nuovo teatro comico, Venezia, Pit-
teri, 1758.
Voi. II, pag. 2, 445.
Gozzi Carlo. - Opere, Firenze, Co-
lombani, 1774.
Pag. 507, 740, voi. II, pag. 462,
466.
— Memorie inutili della sua vita scritte
da lui medesimo e pubblicate per
umiltà. Venezia, Palese, 1797. Tre
volumi in-8°.
Pag. 278, 306, 344, 360, 530, 695,
857, voi II, pag. 69, 467, 684.
Gratarol Pietro Antonio. - Narra-
zione apologetica. Seconda edizione.
Con raggiunta delle riflessioni d'un
Imparziale precedute da una Lettera
del medesimo Signor Gratarol. 1 78 1 .
Senza luogo, ma ediz. estera.
Pag. 469.
Guerrini Olindo. - La vita e le opere
di Giulio Cesare Croce, Bologna, Za-
nichelli, 1879.
Pag. 73, 406, 413.
Inventaire universel des oeuvres de
Tabarin, Paris, 1623.
Voi. II, pag. 558.
Jal. - Dictionnaire critique de Biogra^
phie et d'Histoire, Paris, 1872.
Pag. 29, 343, 348, 364, 434, voi.
n, pag. 556, 634.
Jarro (Cr. Piccini). - Sul palcoscenico
e in platea, Firenze, Bemporad.
Voi. II, pag. 501.
— // naso di Ermete Novelli. Firenze,
Bemporad, 1901.
Voi. II, pag. 194.
Kotzebue Augusto. - Osservazioni
intorno a un viaggio da Liefland a
Roma e Napoli, CoXonìdi, Peter, Ham-
mer, 1805.
Voi. II, pag. 298.
Lanza Domenico,- Nozze Soler ti-Sag-
gini. Pinerolo, Tip. Sociale, 1889.
Pag. 56.
Lasca {Anton Francesco Grazzìnt), -
Rime curate dal Verzone, Firenze,
Sansoni, 1882.
Pag. 275.
Lemercier De Neuville. - JLes Figu--
res du temps, {Adelaide Ristori), Pa-
ris, Bourdilliat, 1861.
Voi. II, pag. 380.
Leoni. - Dell'Arte e del Teatro di Pa-
dova, Padova, 1873.
Voi. II, pag. 132.
Le Sage et D' Orneval. - JLe Thédire
de la Foire, ouL'Opéra-Comique, Pa-
ris, Candouin, 1734. Dieci voliuni.
Pag. 418.
Lessi ng. - Tagehuch der italienischen
Reise-Sàmtliche Schriften herausgege-
ben von Karl Lachmann, Leipzig,
Gòschen, 1902.
Pag. 464.
Lunardi Tiberio. - // Servo fedele.
Commedia. Venezia, Altobello Sa-
licato, 1597, in-8**.
Pag. 77.
Mi^a Gio. Francesco. - Rime, Ve-
nezia, Deuchino, 1629.
Pag. 656.
INDICE DELLE OPERE E DEGLI AUTORI CITATI
781
Malamanl Vittorio. - La Satira del
Costume a Venezia nel secolo XVIII.
Torino, Roux e Favale, 1886.
Pag. 377.
— Nuovi appunti e Curiosità goldoniane,
Venezia, 1887.
Pag. 511.
Mantovani Dino. - Carlo Goldoni e
il Teatro di S. Luca a Venezia, Car-
teggio inedito. (1755-1765). Milano,
Treves, 1885.
Pag. 554.
Manzanl Francesco. - A gran danno
gran rimedio. Tragedia. Torino, Za-
pata, 1661.
Pag. 68.
Martini Ferdinando. - Al Teatro,
Firenze, Bemporad, 1895.
Pag. 77.
— Simpatie. Firenze, Bemporad, 1900.
Voi. II, pag. 134.
Martello Pier Jacopo. - Opere, Bo-
logna, Lelio della Volpe, 1735. Sette
volumi.
Voi. II, pag. 350.
Masi Ernesto. - Lettere di C. Gol-
doni, Bologna, Zanichelli, 1880.
Pag. 377.
Mazzocca Giuseppe. - Memorie di un
attore, Con prefaz. di Ferruccio Beni-
ni. Milano, tip. Pulzato e Giani, 1904.
Voi. II, pag. 658.
Meissner Giovanni. - Die englischen
Komodiantem zur zeit Shakespeares in
Osterreich, Wien, 1884.
Pag. 59-
Merula Antonio Siciliano G. C. C.
(Giulio Cesare Croce?). - Capitoli e
Pubblicazione delfaustoso e trionfante
sposalizio dell* invitto capitano Mar--
chione Pettata, Con quattordici ottave
botta, e risposta, sopra la morte di Zer-
bino, Bologna, per il Benacci s. a.
Pag. 73.
Méziéres A. - Prédécésseurs et Con-
temporains de Shakespeare. Paris,
Charpentier, 1863.
Pag. 308.
Mlsslrlnl Pirro. - Piccoli tratti estetici
sul teatro, Milano, Chiantore, 1863.
Pag. 25.
Modena Gustavo. - Epistolario. Ro-
ma, 1888.
Pag. 480.
Molmenti Pompeo. - Venezia nella
vita privata.
Yol. II, pag. 584, 600.
Montazlo Enrico. - // Palcoscenico e
la Platea, Firenze, 1845.
Pag. 269.
Morrochesl Antonio. - Opere teatrali.
Firenze, Ciardel li, 1822. Quattro voi.
Voi. II, pag. 166.
Omaggi Poetici alla incomparabile
Anna Fiorilli Pellandi ed ali* Egregio
attore Paolo Belli -Blanes, Firenze,
Carli, 181 3.
Pag. 323, 920.
Ottonelll Padre Glo. Domenico. -
Della Christiana Moderatone del Thea^
tro. Quattro parti. Firenze, Bonardi,
1655. Quattro volumi.
Voi. II, pag. 333.
— Compendio dell'opera della Christiana
Moderazione del Theatro per via d'in-
terrogatorio colle sue risposte, Firenze,
Onofri, 1661.
Pag. 954, 980, 984.
Pagllccl Brozzl Antonio. - // Tea-
tro a Milano nel Secolo XVII, Mi-
lano, Ricordi, 1891.
Pag. 958, 966, 984, 1006, voi. II,
pag. 602.
— // Teatro a Milano nel secolo X Vili,
Milano, Ricordi.
Pag. 630, 691, voi. II, pag. 72.
98/ — / Comici Italiani. VoL II.
782
INDICE DELLE OPERE E DEGLI AUTORI CITATI
Palazzi Antonio. - La clemenza nella
vendetta, Padova, Conzatti, 1736.
Pag. 942.
Palombi Adriano. - Conferenza su
Gustavo Modena, Roma, 1899.
Pag. 135.
Panzacchl Enrico. - Soliloqui arti--
siici, Roma, Angelo Somtoaruga,
1885.
Pag. 621, 624.
Parfalct Frères. - L'Histoire de l' an-
cien thédtre italien depuis son origine
en France, jusqu'à sa suppression en
rannéeiógy, ecc. Parigi, Rozet, 1767.
Pag. 97, 415,421,425,716, 1021.
voL II, pag. 672.
— Memoires pour servir à Vhistoire des
spectacles de la Foire par un acteur
forain, Paris, Briasson, 1763. Due
volumi.
Pag. 29.
Parti valla ^bltìxAò.- Poesie, Napoli.
Honofrio, Savio, 1651.
Voi. II, pag. 667.
Pavoni Giuseppe. - Diario delle feste
celebrate nelle solennissime nozze delti
Serenissimi Sposi il sig. Don Ferdi--
nando Medici et la sig. Donna Cristi-
na di Lorena, Granduchi di Toscana,
Bologna, Giovanni Rossi, 1589.
Voi. II, pag. 289.
Perruccl Andrea. - Dell'Arte rap-
presentativa premeditata, ed ali* im-
provviso. Parti due. Napoli, Michele
Luigi Mutro, 1699.
Pag. 132, 542.
Petral Giuseppe. - Lo spirito delle
maschere, Roma, Roux, 1903.
Voi. II, pag. 557.
Piazza Antonio. - // Teatro, ovvero
fatti di una Veneziana che lo fanno
conoscere, Venezia Giambattista Co-
stantini, 1777. Due volumi.
Pag. 1004, voi. II, IO, 70, 93, 146.
Plcot Emilio. - Pierre Gringore et les
Comédiens italiens, Paris, Morgand
et Fatout, 1878.
Pag. 51.
PIperno Pietro. - Disperarsi per la
speranza, overo La perfida Fida, Na-
poli, Mollo, 1688.
Pag. 80.
Pola Paolo. - Galleria de* piit rino-
mati attori italiani, Venezia, Picotti,
1825.
Voi. II, pag. 303, 304.
I. S. - Il Postumio, Comedia. Roussin,
1601.
Voi. II, pag. 513.
Quadrio Francesco Saverlo. -Z^^/Az
Storia e della Ragione di ogni Poesia,
Milano, Agnelli, 1739-52. Sette voi.
Pag. 16, 201, 350, 515, 534, 651,
67i»953> voi. II, pag. 288, 304, 313,
600, 631.
{Raccolta di varie rime in lodie della
sig, Orsola Cecchini nella Compagnia
degli Accesi detta Flaminia. Milano,
Gio. Battista Alzato, 1608.
Pag. 639.
Rapparlnl. - Arlichino, Heidelberga,
Mailer, 1718.
Voi. II, pag. 470.
I^asl Luigi. - Clodia, Memorie di
C. V. Catullo. Lecce, 1876.
Voi. II, pag. 330.
— Torva Proelia, Versi originali e vol-
garizzamenti catulliani. Napoli, De
Angelis, 1879.
Voi. II, pag. 330.
— Eraclio Florenzano, galatonese. Mo-
nografia. Ravenna, David, 1879.
Voi. II, pag. 330.
— facchus. Canto antico. Bologna,
Zanichelli, 1880.
Voi. II, pag. 330.
INDICE DELLE OPERE E DEGLI AUTORI CITATI
783
Rasi Luigi. - La verità nell'arte rap^
presentatwa. Discorso inaugurale alla
Cattedra fiorentina di Recitazione.
Firenze, Galletti, 1882.
Voi. II, pag. 330.
— La lettura ad alta voce, Firenze, Pa-
ravia, 1883.
Voi. II, pag. 330.
— // libro dei monologhi, Milano, Hoe-
pli, 1888.
Voi. II, pag. 330.
— ^^gS^<> ^i ^^^ traduzione integra del
libro di Catullo. Londra, Hall, 1889.
Voi. II, pag. 331.
— Armanda ritorna. Commedia in un
atto. Milano, Barbini, 1889.
Voi. II, pag. 331.
— L*arte del Comico, Milano, Paga-
nini, 1890.
Voi. II, pag. 331.
— // libro degli aneddoti, accidenti co^
mici e tragici. Modena, Sarasino,
1891.
Pag. 682.
— Fiuto, Commedia di Aristofane,
volgarizzata in prosa con prologo
in versi di A. Franchetti. Modena,
Sarasino, 1891.
Voi. II, pag. 331.
— // secondo libro dei Monologhi. Mi-
lano, Hoepli, 1893.
Voi. II, pag. 331.
— La Recitazione nelle scuole e nelle fa-^
miglie. Antologia poetica. Firenze,
Civelli, 1895.
Voi. II, pag. 331.
— // Libro degli aneddoti. Firenze,
Bemporad, 1898. Seconda edizione
con aggiunte.
Voi. II, pag. 219, 331.
— La Duse. Firenze, Bemporad, 1901.
Voi. II, pag. 331.
Itegli Francesco. - Dizionario bio-
grafico dei più celebri poeti ed artisti
melodrammatici, tragici e comici, ecc.
Torino, Dalmazzo, 1860.
Pag. 42, 310, 874, voi. II, pag.
665, 680.
Ricci Corrado. - /teatri di Bologna.
Bologna, Monti, 1888.
Pag. 159, 982, voi. II, pag. 521.
Rlccobonl Luigi. - Histoire du Théa-
tre Ltalien depuis'la décadence de la
Comédie latine; avec un Catalogue des
Tragédies et Comédies Ltaliennes im-
primées depuis Van i$oo, jusqu'à Fan
1660 et une dissertation sur la Tra-
gédie moderne. Paris, Cailleau, 1731.
Due volumi in-8°.
Pag. 80, voi. II, pag. 203, 353,
358, 514, 588.
— Reflexions historiques et critiques sur
les differents thédtres de l'Europe avec
les pensées sur la declamation, Paris,
Jacques Guerin, 1738.
Pag. 377,407,408, 727,909,1061.
Riccoboni Francesco. - L'Art du
Thédtre. Paris, Simon, 1750.
Voi. II, pag. 355.
— L'Arte del teatro. Trad. in italiano.
Venezia, Bartolommeo Occhi, 1762.
Voi. II, pag. 356.
J^Q}\\^à^\,- Fiati d' Euterpe. Venezia,
Sarzina, 1635.
Voi. II, pag. 314.
Righetti Francesco. - Teatro ita--
liano. Torino, Alliana e Paravia,
1826. Tre volumi.
Pag. 312, 467, 754, 976, voi. II,
p. 42, 78, 167, 310, 358, 577, 653.
Romagnesl. - CEuvres. Nouvelle édi-
tion, augmentée de la vie de Tau-
teur. Paris, Veuve Duchesne, 1772.
Due volumi.
Voi. II, pag. 402.
Romagnesl Marc' Antonio. - Tra-
duzione dal francese della Dichia-
ratione del Re Chris tianissimo pub-
784
INDICE DELLE OPERE E DEGLI AUTORI CITATI
• hlicaia nel Parlamento nel guai S. M.
si ritrovò il giorno i8 di gennaio 1634
richiamando il Duca d* Orléans Suo
fratello. Venezia, 1634.
VoL II, pag. 394.^
Romagnesi Marc'Antonio. - Poesie
liriche divise in quattro parti, Paris,
Denys Langlois, 1673.
Voi. II, pag. 395.
F^omagnoll. - Curiosità letterarie, Bo-
logna, 1885.
Voi. II, pag. 312.
Rossi Bartolomeo. - Fiammella. Pa-
storale. Parigi, Abeir Angeliero,
1584.
Pag. 307, voi. II, pag. 24.
fiossi Ernesto. - Quarant'anni di
vita artistica. Firenze, Niccolai, 1887.
Tre volumi.
Pag. 625, 734, 778, 875, looi,
1046, voi. II, pag. 276, 431, 437.
Rossi Vittorio. - Prolusione alle let-
tere di Andrea Calmo. Torino, Loe-
scher, 1888.
Pag. 549, 552, 651.
Ruzante. - Tutte Le opere del famo-
sissimo Ruzante di nuovo con somma
diligenza rrvedute e corrette Et ag-
giuntovi un sonetto et una Canzone del-
l' istesso Auttore. Ristampate Tanno
del Signore 1584.
Pag. 37-350.
Salvini Tommaso. - Ricordi. Mi-
lano, Dumolard, 1895.
Pag. 216, 341, 498, 625, 778, vo-
lume II, pag. 135, 496.
Sacco Gennaro. - // trionfo del me-
rito. Poema. Venezia, 1686.
Voi. II, pag. 457.
— Sempre vince la ragione. Opera eroi-
tragisatiricoraica. Genova, Casama-
ra, 1687.
Voi. II, pag. 457.
Sacco Gennaro. - La bina ecclissata
dalla fede trionfante di Dura, regina
dell'Ungheria. Opera anagrammati-
comica. Verona, Rossi, 1687.
Voi. II, pag. 457.
— La commedia mascherata ovvero /
Comici esaminati. Comedia dedicata
alla Maestà di Augusto secondo.
Varsavia, stampa del CoHegio delle
Scuole Pie. 1699.
Voi. II, pag. 457.
Scala Flaminio. - // Teatro delle fa-
vole rappresentative, overo la Ricrea-
tione Comica. Boscareccia e Tragica,
divisa in cinquanta giornate, ecc. Ve-
nezia, Gio. Batt. Pulciani, 161 1.
Voi. II, pag. 194, 512, 513.
Scarpetta Edoardo. - Memorie. Na-
poli, 1899.
Voi. II, pag. 525.
Scherillo Michele. - La Commedia
dell'Arte. Torino, Loescher, 1884.
Pag. 62, 1034.
Scherli Leopoldo Maria. - Alcune
poesie in lode del Barziza inserite in
una raccolta di componimenti in lode
dello stesso Barziza. Verona, 1745.
Voi. II, pag. 527.
— Traduzione in versi sciolti di alcuni
esametri latini di Marco Antonio Rosa
Morando a Vincenzo Barziza. Ve-
rona, 1745.
Voi. II, pag. 527.
— Osservazioni sopra le stanze del
sig. Giulio Cesare Beccelli, nelle
quali sostiene che la Poesia possa
più della Pittura. Verona, Stam-
peria del Seminario (senz'anno).
Voi. II, pag. 527. •
— Brindisi. Livorno, 1766.
Voi. II, pag. 527.
— Alcune considerazioni sopra un parere
deldott. Carlo Goldoni. Bologna, 1 767.
Voi. II, pag. 527.
INDICE DELLE OPERE E DEGLI AUTORI CITATI
785
Scherli Leopoldo Maria. - Sette notti
di Edoardo Young. Tradotte in versi.
Stamperia dei Santi Apostoli, Pa-
lermo, 1774.
Voi. II, pag. 527.
Secchi Nicolò. - // Beffa. Comedia.
Parma, Viotti, 1584.
Pag. 75.
So^afl Antonio. - Le Inconvenienze
teatrali. Commedia. Padova, Bettini,
1816.
Pag. 919.
Soleirol H. A. - Molière et sa Troupe.
Paris, 1858.
Pag. 51,418.
Solerti e De Nolhac. - // viaggio
in Italia di Enrico III. Roux,
1890.
Voi. II, pag. 228, 305.
Somigli Domenico. - Rime; pulh-
hltcate da Arpalo Argrvo, Accade^
Plico aborigene della colonia Amia--
teme. Firenze, 1782. Due volumi
in-80 piccolo, con ritratto dell'au-
tore.
Voi. II, pag. 542.
Spinelli A. G. - Fogli sparsi del Gol--
doni. Milano, Dumolard, 1885.
Pag. 371, 511.
Stlcottl Anton Giovanni. - L'art du
thédtre. Berlino, 1760.
Voi. II, pag. 550.
— Oeuvres d'un paresseux bel esprit.
Berlino, 1760.
Voi. II, pag. 550.
— Garrick ou les auteurs anglois. Pa-
ris, 1769.
Voi. II, pag. 550.
— Dictionnaire des passions, des vertus
et des vices. Paris, 1769.
Voi. II, pag. 550.
— Dictionnaire des gens du monde. Pa-
ris, 1770. Cinque volumi in-8°.
Voi. II, pag. 550.
Stoppato Lorenzo. - La Commedia
popolare in Italia. Padova, Draghi,
1887.
Pag. 78, 184.
Tardlnl V. - La Drammatica nel nuovo
Teatro Comunale di Modena. Modena,
1898.
Pag. 849, voi. II, pag. 571.
Tartufarl Clarice. - Italia Vitaliani.
Palermo, Biondo, 1903.
Voi. II, pag. 693.
Teatro (11) moderno applau-
dito, ossia Raccolta di Commedie,
tragedie, drammi e farse con ag--
giunta di notizie storiche, critiche,
e del giornale dei teatri di Vene--
zia. Venezia, 1796. Sessanta volumi
in-i20.
Pag. 932.
Tomadonl Simon. - Le pazzie del
Dottore. Venezia, Domenico Lovisa,
1689.
Pag. 35.
Trautmann Carlo. - Italienische
Schauspieler am bay rise hen Ho/e.
Mùnchen, 1887.
Pag. 59, 487, 489, 858, voi. II,
pag. 541, 555-
Valeri Antonio {Carletta). - Un pal-^
coscenico del seicento. Roma, 1893.
Pag. 117, 143, 487, 638, voi. II,
pag. 519-
— Di Francese* Antonio Avelloni, detto
il Poetino. Roma, 1894.
Pag. 238.
Valerinl Adriano. - Le Bellezze di
Verona, nuovo ragionamento d'Adriano
Valerini Veronese ; nel quale con bre~
vita si tratta di tutte le cose hotabili
della città. Verona, appresso Giro-
lamo Discepoli, 1586.
Voi. II, pag. 618.
786
INDICE DELLE OPERE E DEGLI ALTORI CITATI
Valerini Adriano. - Cento Madri-
gali dedicati al M. Illustre sig. il
sig. Conte Marco Verità con alcune
Annotazioni del n'g. Fulvio Viromani
da Camerino in alquanti dei Madri-
gali. Verona, Discepoli, 1592.
Voi. II, pag. 618.
— Afrodite. Nova Tragedia di Adriano
Valerini da Verona. Verona, Seba-
stiano e Giovanni dalle Donne fra-
telli, 1578.
Voi. II, pag. 618.
— Oratione in morte della divina Si-
gnora Vincenza Armani - comica ec-
cellentissima. Verona, Bastian dalle
Donne et Giovanni fratelli, 1570?
Voi. II, pag. 618.
Ventura Giovanni. - Versi. Milano,
Vallardi, 1859.
Voi. II, pag. 628.
Vitale Buonafede Bonaventura
Ignazio. - La bella Negromantessa .
Q)media breve, onesta, piacevole,
composta e data in luce dair.
per divertimento de' curiosi, dove
si mostra il jjericoloso stato degli
amanti per tollerare la concorrenza
in amore. Bologna, Longhi, 1735.
Voi. n, pag. 087.
Vltaliani Italia. - Album in suo onore.
Roma, V(jghera, 1900.
Voi. II, pag. 690.
Wenceslao. - Biblioteca teaJralt. Ro-
ma, Puccinelli, 181 5.
Pag. 485.
Zangarini Carlo. - Conferenza su Gu-
stavo Modena. Bologna, Zanichelli,
1900.
Voi. II, pag. 136.
Zannoni Atanasio. - RcucoUa di vari
motti arguii, allegorici, e satirici ad
uso del teatro. (Senza data ne luogo,
ma 17....).
Voi. II, pag. 64.
-^
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BOUNO liilfilli
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