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Full text of "I comici italiani, biografia, bibliografia, iconografia"

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LUIGI    RASI 


DIRETTORE   DELLA   R.  SCUOLA  DI   RECITAZIONE   DI   FIRENZE 


-p^  J. .;--  "f  c-»' 


COMICI  ITALIANI 

BIOGRAFIA 
BIBLIOGRAFIA.  ICONOGRAFIA 


MEDAGLIA  D'ORO 
all'Espoaizione  Nazionale  di  Torino  del  1898 


FIRENZE 

FRANCESCO    LUMACHI 

LIBRAIO-EDITORE 

Successore  dei  FRATELLI  BOCCA 

C.  Klincksieck  PARIGI  rue  de  Lille,  ii 


I   COMICI    ITALIANI 


Volume    II 


LUIGI   RASI 

DIRETTORE  DELLA  R.  SCUOLA  DI  RECITAZIONE  DI  FIRENZE 


1  COMICI  ITALIANI 

BIOGRAFIA  :. 

BIBLIOGRAFIA,   ICONOGRAFIA 


FIRENZE 


FRANCESCO    I.  U  M  A  C  H  I 

LlIlKAlO-EnnORE 
SucGFSsoKK  DKi  FRATELLI   BOCCA 


PROPRIETÀ    LETTERARIA 


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C  J         I  r  i     !         r 


r-  ]5-''j^^ 


FiKUNZK,  Tipografia  di  S.  J^andì,  direttore  ^^WArte  della  Stamptu 


SECONDA   NOTA   DEGLI   ASSOCIATI 


Ascari  Mina  -  Istituto  Stenografico  -  Mi- 
lano. 
Antona-Traversi  Giannino  -  Milano. 

Beltrami  Alfonso  -  Firenze  (2  copie). 
Biblioteca  del  Domioo  Club  -  Bologna. 
Biblioteca  Lucchesi-Palli  -  Napoli. 
Biblioteca  dell'Istituto  Tecnico  -  Reg- 
gio Emilia. 
Biblioteca  del  Senato  -  Roma. 
Biblioteca  di  Sassari. 
Biblioteca  di  S.  Marco  -  Venezia. 
Biblioteca  Comunale  -  Verona. 
Biblioteca  Società  di  lettura  ~  Genova. 
Biblioteca  di  Zara. 
Biblioteca  Nazionale  -  Parigi. 
Biblioteca  dell'Accademia  di  Francia  - 

Parigi. 

Biblioteca  dell'Opera  -  Parigi. 

Biblioteca  del  Museo  Camavalet  -  Pa- 
rigi. 

Biblioteca  Nazionale  -  Torino. 

Benf  Luigi  -  Grenova. 

Bocca  cav.  aw.  (Huseppe  -  Torino. 

Brenti  aw.  Giuseppe  -  Rocca  San  Ca- 
sciano. 

Borgia-Mandolini  conte  Camillo  -  Pe- 
rugia. 

Bruno  dott.  Edoardo  -  Firenze. 

Broglio  conte  Luigi  -  Milano. 


Besso  Salvatore  -  Roma. 
Bracci  Giuseppe,  artista  drammatico. 
Bordeaux  Carlo,  artista  drammatico. 
Corsini  principe  Tommaso. 
Carini  Luigi,  artista  drammatico. 
Cosentino  dott.  Giuseppe  -  Bologna. 
Calvi  Don  Gerolamo  -  Milano. 
Civelli  comm.  Antonio  -  Firenze. 
Cipriani  Don  Laronte  -  Borgo  San  Lo- 
renzo. 
Cesareo  prof.  G.  A.  -  Palermo. 

Duse  Eleonora,  artista  dramm.  (3  copie). 

Ferrari  prof.  Vittorio  -  Milano. 
Ferravilla  cav.  uff.  Edoardo,  artista  dram- 
matico. 
Franchini  Teresa,  artista  drammatica. 

Galliani  Antonio,  artista  drammatico. 
Guasti  Amerigo,  artista  drammatico. 
Gramatica  Emma,  artista  drammatica. 

Istituto  Italiano  d'Arti  Grrafiche  -  Ber- 
gamo. 

Levi  dott.  Cesare  -  Firenze. 
Libreria  Harrassowitz  -  Lipsia. 
Libreria  Drucker  -  Verona. 
Libreria  Moderna  -  Genova. 


424671 


-^ 


Libreria  Spoerri  Enrico  -  Pisa. 
Libreria  Bocca  F.Wi  -  Torino  (14  copie). 
Libreria  Bocca  F.Ui  -  Roma  (9  copie). 
Libreria  Hiersemann  -  Lipsia  (2  copie) . 
Libreria  Clatiseii  di  Hans  Rink  -  To- 
rino (2  copie). 
Libreria  Seeber  -  Firenze  (2  copie) . 
Librerìa  Luzietti  -  Roma. 

Musatti  dott.  Cesare  -  Venezia. 

Nathan  Virginia  -  Roma. 

Pisa  Virgilio  -  Firenze. 

Peratoner  Berto  -  Firenze. 

Ptillé  conte  prof.  Francesco  -  Bologna. 


Reinach   cav.  Enrìco  -  Artista  dramma- 
tico. 
Rivalta  Angelo  -  Firenze. 
Rosellini-Glech  Graziosa  -  Firenze. 
Rosselli  nob.  Del  Torco  -  Firenze. 

Sacerdote  cav.  aw.  Giacomo  -  Torino. 
Sambon  cav.  Ginlio  -  Milano. 
Scotti  rag.  Vittorìo  -  Milano. 

Taurìma  prof.  Giuseppe  -  Salerno. 

Vanbianchi  Carlo  -  Milano. 

Zanazzo  Luigi  -  Roma. 


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1.  —  /  Comici  ilaliani.  Voi.  II. 


I  COMICI    ITALIANI 


Laboranti  Regina.  Genovese,  fu  artista  di  grandissimo 
pregio,  fiorita  nella  metà  di  questo  secolo.  Fu  moglie  dell'at- 
tore Tommaso  Degola  (V.),  e  buona  amica  di  Gustavo  Modena, 
che  nell'album  di  lei  scriveva: 

Io  lucqai  morto,  cao  sigoora,  e  tale  fui  gindicalo  anche  dalla  levatrice.  Fu  il  chi- 
iD^a  Znliani,  celebre  chitargo  di  Venezia,  che  mi  mise  il  sangae.in  circolazione  e  mi  fece 
miagolare  a  forsa  di  tcnlacciate. 

Era  nel  1850  la  prima  attrice  della  Compagnia  Astolfi, 
Capodaglio  e  Venturoli.  \jd.Moda  di  quell'anno  (25  giugno)  par- 
lando della  Compagnia  che  recitava  all'I.  R.  Teatro  alla  Can- 
nobbìana,  dice  : 

Primieramente  lérnieremo  la  nostra  attenzione  sdUb  gentile  prima  donna  Regina 
Laboranti.  Queita  gioTinetta,  dotata  di  natnrali  requisiti  per  riescir  ottima  artista  dram- 
matiCB,  inprete  a  atadiame  i  precetti  dalla   rinomata  Ristori,  la  quale  seppe  fidare  il 


LABORANTI - LANDI 


genio  della  nobilissima  allieva,  ed  infondere  nella  di  lei  azione  gran  parte  di  quella  perìzia 
che  la  elevarono  al  grado  delle  prime  celebrità  drammatiche  dei  nostri  giorni.  Nella  La- 

boranti  tralace  il  dire  ed  il  gesto  della  Ristori 

Nella  sua  serata  di  benefìzio  scelse  nn  nuovo  dramma  francese  dei  signori  Scrìbe 
e  Legreve  (sic),  Legouvé,  tradotto  dall'artista  comico  Gaetano  Vestrì,  col  titolo  Adriana 
Lecottvreur,  Se  in  altre  produzioni  la  Laboranti  è  fedele  all'  indole  della  sua  parte,  e  sa, 
diremo  cosi,  convertire  in  verità  l'illusione  delle  scene,  nella  parte  di  Adriana  superò  sé 
stessa.  Nell'atto  quinto,  dove  la  francese  commediante  rimane  avvelenata  fiutando  un  maz- 
zolino di  fiori  inviatole  dalla  sua  rivale,  il  lento  processo  della  venefica  emanazione  fu 
cosi  bene  dipinto  dalla  Laboranti,  che  a  giudìzio  dei  provetti  frequentatori  della  commedia, 

ELLA  RAGGIUNSE  LA  SUBLIMITÀ  DELLA   RISTORI. 


Lampredi  Anna.  Trascrivo  da  Fr.  Bartoli  : 

Accademica  fiorentina,  che  recitò  nel  Teatro  della  Piazza  Vecchia 
nella  sua  Patria.  Luigi  Perelli  capocomico  la  stabili  per  la  sua  compa- 
gnia Tanno  1778,  ond'ella  potè  incominciare  ad  apprendere  le  buone 
regole  dell'arte,  e  collo  studio  e  collo  spirito  fece  degli  avanzamenti,  e  fu 
lodata  specialmente  in  Bologna  nel  nuovo  Pubblico  Teatro  Tanno  1779. 
Passò  poi  con  la  Faustina  Tesi  Tanno  medesimo  in  qualità  di  seconda 
attrice,  e  poscia  acquistando  maggior  concetto,  Fedele  Venini  la  volle 
nella  sua  Truppa  per  assoluta  prima  donna.  Dopo  la  morte  di  questo 
comico,  ella  è  rimasta  tuttavia  co'  suoi  stessi  compagni,  e  per  il  Piemonte 
fa  presentemente  (1781)  distinguersi  piena  d'abilità  per  la  sua  professione, 
inclinata  alle  cose  della  musica,  e  pronta  a'  più  ardui  impegni  nel  faticoso 
mestier  delle  Scene. 

Lancetti-Modena  Luigia.  (V.  Bernaroli). 

Landi  Orazio.  È  fra  i  Comici  coslanti  che  firmarono  il  re- 
clamo al  Duca  di  Modena,  citato  al  nome  di  Degli  Amorevoli 
Vittoria.  Nella  lettera,  tra  Aurelio  di  Secchi  e  Vittoria  Amore- 
voli è  la  firma:  <  Io  Oratio  landi  Afermo  quanto  in  ciò  si 
contiene,  >  che  fu  omessa  per  errore. 

Landi  Luzio.  Fiorentino,  fu  artista  di  assai  pregio  per  le 
parti  comiche,  fiorito  al  tempo  in  cui  Goldoni  era  al  soldo  di 
Medebach.  Furon  scritte  per  lui  le  parti  di  Leandro  nel  Teatro 
comico,  nella  Gasialda,  e  in  qualche  altra  commedia.  Passò 
n^l  1753  3.1  Teatro  S.  Luca,  e  ci  fa  sapere  il  Bartoli  che  inau- 


LANDI  5 

guTÒ  le  recite  di  quell'autunno  col  rappresentar  bravamente  il 
personaggio  del  signor  Gio.  ^f  aria  della  Bragola-  Sostenne  le 
parti  di  Curcuma,  di  Donna  Rasinufta,  di  Donna  Roscga  e  altre 
ancora,  scritte  a  posta  per  lui  dal  Goldoni.  Poco  prima  del- 
l'autunno del  '55,  fuggì  da  Venezia  colla  moglie,  mettendo  lo 
scompiglio  nella  Compagnia,  che  non  sapeva  come  sostituirli. 
E  tal  fatto  mise  innanzi  al  pubblico  il  Goldoni  nella  introdu- 
zione a  quelle  recite  autunnali,  che  è  nel  tomo  quinto  del  jVucz\'» 
teatro  comico  (Venezia,  Pitteri,  mdcclviii). 

Rimasto  vedovo,  il  Laudi  passò  a  seconde  nozze  con  un'at- 
trice di  merito  per  le  commedie  improvvise,  di  nome  Assunta, 
senese,  con  la  quale  fu  a  Napoli,  d'onde  tornò  poi  in  Lombar- 
dia nel  '68,  scritturato  nella  Compagnia  di  Pietro  Rossi.  L'anno 
seguente,  fattosi  capocomico,  uccise  nel  teatro  di  Reggio  l'ap- 
paratore Spisani,  e  fu  messo  in  carcere,  poi  assolto,  per  con- 
statata provocazione,  come  dai  due  documenti  che  trovo  nel- 
l'Archivio di  Modena. 

Tavola  di  Stato  -  /j  dicembre  1769, 

Siamo  riscontrati  dal  Giudice  di  Reggio,  che  nella  sera  de'  30  dello  scorso  novem> 
bre,  restò  gravemente  ferito  in  rissa  tra  le  scene  di  quel  Teatro  con  colpo  di  Spada  dal 
Comico  Imcìo  Landi  fiorentino  Giuseppe  Spisani  Bolognese  vomo  al  seniigio  della  Com- 
pagnia Comica,  che  attualmente  sta  in  esso  recitando;  e  che  nella  sera  de' 5  corrente  cessò 
di  vivere.  H  feritore  trovasi  in  Carcere,  e  contro  di  Lui  abbiamo  ordipato  allo  stesso  Giu- 
dice di  sollecitamente  proseguire  il  Processo  con  ogni  rigore  di  giustizia,  ed  a  norma  delle 
Istruzioni  dell'aula  Criminale,  per  riferirne  in  seguito  le  risultanze. 

Tavola  di  Stato  -  7  febbraio  1770, 

Con  nostro  ossequiatissimo  Dispaccio  de*  1 3  del  prossimo  passato  Dicembre  fu  ri- 
scontrata Vostra  Altezza  Serenissima  dell'Omicidio  commesso  in  Reggio  dal  Comico  Lucio 
Landi,  stato  colà  sin' ora  carcerato,  in  persona  di  Giuseppe  Spisani  Bolognese  Vomo  al 
servigio  della  Compagnia  Comica,  che  in  allora  recitava  in  quel  Teatro,  e  di  cui  l'Omicida 
n'  è  il  Capo,  viene  in  oggi  d' essere  dal  Consiglio  Criminale  risoluta  la  di  lui  Causa  colla 
decretata  dichiarazione,  che  attese  le  circostanze  concorse  nel  predetto  Omicidio,  e  partico- 
larmente la  qualità  del  medesimo  stato  eseguito  a  propria  necessaria  difesa,  debba  rilasciarsi 
<  ex  quo  satis  »  quindi  secondo  le  provvidenze  portate  da'  Sovrani  regolamenti  abbiamo  ordi- 
nata la  esecuzione  dell' anzidetto  Decreto  nell'atto  stesso,  che  ne  facciamo  il  presente  rispet- 
tabilissimo rapporto  a  Vostra  Altezza  Serenissima  a  disimpegno  de'  propri!  nostri  doveri. 


6  LANDI 

Dice  il  Bartoli  che  la  grazia  gli  venne  dalle  intercessioni 
della  moglie.  Nonostante  l'ottenuta  libertà,  il  Landi,  aggiunge 
il  Bartoli,  non  ebbe  più  buon  successo  negl'  interessi  suoi,  e 
morì  del  '74  a  Grosseto. 

Viveva  ancora  nel  1 782  la  moglie  <  la  quale  -  dice  il  Bar- 
toli -  ad  una  vita  piena  d'inerzia,  decaduta  quasi  interamente 
dair  acquistatosi  concetto,  in  compagnie  di  niun  valore  andava 
passando  con  stento  la  propria  vita.  > 

Landi  Caterina.  Moglie  del  precedente.  Cominciò  a  reci- 
tare in  compagnie  nomadi,  poi  in  quella  di  Medebach  al  S.  An- 
gelo di  Venezia.  Passò  il  1753  col  marito  al  S.  Luca,  dove  creò 
la  parte  di  Fatima  nella  Sposa  persiana,  e  d'onde  uscì  del  '55 
per  voler  del  marito,  per  non  tornarvi  mai  più.  Carlo  Goldoni 
ritrasse  i  suoi  pregi  fisici  e  artistici  nel  seguente  sonetto  che 
\\^\  Poeta  fanatico  recita  Tonino  (scena  X  dell'atto  II)  a  Beatrice, 
sotto  le  cui  spoglie  si  nascondeva  appunto  la  Landi: 

Morbido  e  folto  crin  fra  il  biondo  e  il  nero, 
spaziosa  fronte,  e  bianco  viso  e  pieno, 
occhio  celeste  or  torbido,  or  sereno, 
angusto  labbro,  vigoroso,  austero. 

Tenera  e  breve  man,  degna  d*  impero, 
candido,  bipartito,  amabil  seno, 
d'ogni  proporzion  corpo  ripieno, 
aria  sprezzante,  e  portamento  altero. 

Questa  è  di  voi  visibile  bellezza, 

ma  di  gloria  maggior  degna  vi  rende 
la  velata  beltà  che  più  si  apprezza. 

Spirto  che  tutto  vede  e  tutto  intende, 
arte  ^che  tutto  brama  e  tutto  sprezza, 
cuore  che  manda  fiamme  e  non  s'accende. 

Caterina  Landi  morì  ancor  giovane  a  Venezia  Tanno  1761. 

Landi  Annay  fiorentina,  nata  Sarti,  figliuola  di  un  lavora- 
tore di  seta,  fu  attrice  di  molti  pregi  per  le  parti  dì  prima  donna 


LANDI - LANDINI 


assoluta,  che  sostenne  la  prima  volta  in  Malta  nella  Cofnpagnia 
di  Andrea  Patriarchi.  La  via  dell'arte  le  fu  contesa  dal  padre, 
tanto  che  per  imprenderla,  dovette  sottrarsi  alla  soggezione  di 
lui,  prendendo  marito.  Fioriva  al  tempo  del  Bartoli  (i  781),  che 
di  lei  così  lasciò  scritto  :  <  Anche  in  Palermo  fu  lodato  il  suo 
merito,  e  così  pure  in  molte  città  della  Lombardia  e  della  To- 
scana, come  non  meno  nella  Liguria  e  nel  Piemonte.  È  fornita 
questa  attrice  di  buona  presenza,  la  naturai  favella  molta  gra- 
zia le  dona,  e  co'proprj  studj  non  lascia  di  rendersi  ben  accetta 
universalmente  a'  di  lei  spettatori.  > 

Landi  Giovanni,  nato  a  Bologna  il  1760,  e  rimasto  in  te- 
nera età  orfano  del  padre,  fu  allevato  ed  istruito  da  illustre 
famiglia  bolognese.  Recitò,  giovanissimo,  le  parti  di  amoroso 
in  una  compagnia  di  poco  conto,  poi  nelle  ben  note  di  Bianchi, 
Pellandi,  Goldoni  e  Granara.  Venuto  a  matura  età,  si  diede  al 
ruolo  di  caratterista  col  quale  salì  in  bella  rinomanza.  Creò  con 
molto  successo  la  parte  di  Mamma  Agata  nelle  Convenienze  Tea- 
trali del  Sografi,  e  recitò  anche  talvolta  colla  maschera  di  Ar- 
lecchino. Morì  nel  1835  a  Ferrara. 

Landini  Raffaello.  Di  lui,  il  più  celebre  degli  stenterelli 
moderni,  nato  a  Firenze  nel  1823,  discorre  diffusamente  Jarro 
nella  sua  opera  Origine  della  maschera  di  stenterello,  da  cui  ri- 
ferisco in  ristretto.  Da  compositore  nella  stamperia  Celiai  in 
via  de'  Martelli  passò  allo  studio  della  maschera,  esordendo  in 
un  teatrino  popolare  di  via  delle  Ruote  con  la  Compagnia  di 
Vincenzo  Da  Caprile,  di  cui  sposò  nel  '50  la  figliuola  Anna. 
Piacque  ad  Amato  Ricci,  che  il  Landini,  giovanissimo,  studiava 
dalla  platea  della  Piazza  Vecchia,  e  recitò  con  lui  il  '46.  Nel  '48 
fece  la  quaresima  come  Stenterello  alla  stessa  Fidizzs.  Vecchia, 
mentre  il  Cannelli  spopolava  al  Borgognissanti.  Morto  il  Ricci 
di  colera  nel  '55,  Raffaello  Landini  prese  lo  scettro  della  ma- 
schera di  stenterello,  né  più  ebbe  chi  lo  imitasse  o  gli  si  ac- 
costasse. NélVI/omme  blasé,  nonostante  la  innata  modestia  che 


LANDINI-  LANDOZZr 


lo  faceva  tremar  di  spavento  al  ricordo  del  Ricci,  insuperato  in 
quella  parte,  fu  grandissimo.  Si  ebbe  l'ammirazione  e  la  stima 
di  valenti,  quali  Gherardi  Del  Te- 
sta, Pietro  Fanfani,  Vittorio  Berse- 
zio  e  Valentino  Carrera,  del  quale 
ultimo  recitò  con  molto  plauso  la 
Quaderna  di  Nanni.  Il  1 7  maggio 
dell' 84  recitava  per  sua  beneficia- 
ta all'Arena  Garibaldi  di  Livorno, 
nella  commedia  Stenierello  e  il  suo 
cadavere.  La  sera  del  21  alle  sei 
e  mezzo  era  morto. 

«  Dalla  luce  abbagliante  della 
ribalta  -  conclude  Jarro  con  belle 
parole  -  dal  fragore  degli  applausi 
passar,  quasi  senza  Intervallo,  alla 
oscurità,  al  silenzio  della  tomba!  - 
Stenterello  e  il  suo  cadavere  non  era 
più  una  commedia,  ma  l'epilogo 
tragico  di  un'esistenza:  quasi  ap- 
pena cessato  il  suono  della  sua  ul- 
tima risata,  e  gittati  gli  screziati  abiti  della  Maschera,  dava  l'ul- 
timo sospiro....  era  avvolto  nello  squallido  lenzuolo  funerario.  > 


''A. 


Landozzì  Giacomo.  Artista  egregio  per  le  parti  amorose, 
nacque  a  Siena  il  primo  maggio  del  1812  da  Vincenzo  e  da 
Teresa  Benvenuti.  Recitato  prima  co'  filodrammatici  senesi,  poi 
con  quelli  di  Firenze,  ove  s'era  fissato  dopo  la  morte  del  padre 
al  principio  del  '29,  esordì  in  Compagnia  Villani,  quale  primo 
amoroso  nell'antico  teatrino  della  Carconia.  allora  del  Giglio, 
oggi  Nazionale.  Dalla  Compagnia  meschina  del  Villani,  vo- 
glioso di  levarsi  a  più  spirabil  aere,  il  Landozzi  passò  per 
l'anno  '30-'3i  in  quella  dell'Anna  Pieri,  qual  semplice /««^/-/Vo, 
salendo  poi  a  grado  a  grado,  perseverante  e  studioso,  al  ruolo 
di  primo  attor  pavane,  che  sostenne  degnamente  per  lunghi 


LANDOZZI 


anni.  Passò  il  '31,  dalla  Compagnia  Pieri,  in  quella  di  Dome- 
nico Verzura,  poi,  nel  '33,  primo  attore  in  quella  di  Lorenzo 
Cannelli,  nel  '34  di  Corrado  Vergnano,  e  nel  '35  di  Carlo  Gol- 
doni diretta  da  Augusto  Ben,  in  cui  stette  due  anni.  Fu  poi  dal 
'37  al  '40  con  Romualdo 
Mascherpa,  il  '40-'4 1  con 
Luigi  Vestri,  Ìl  '42-'43  di 
nuovo  col  Mascherpa  si- 
no al  '46,  il  '47  con  Cipro 
e  Soci,  poi  in  società  con 
Vincenzo  Gandolfi.  Entrò 
il  '48  con  Gaetana  Rosa, 
e  il  '49  sino  a  tutto  il  '50 
con  Antonio  Giardini.  An- 
dò il  '51  a'  Fiorentini  di 
Napoli  a  sostituirvi  il  pri- 
mo attore  Pietro  Monti, 
e  vi  rimase  fino  al  '54,  nel 
qual  anno  prese  in  Com- 
pagnia Lombarda  ìl  po- 
sto di  Alamanno  Morelli. 

Dal  '55  al  '75,  anno  della  sua  nomina  a  direttore  artistico  nel- 
l'Accademia de'  Filodrammatici  di  Milano,  fu  con  Santecchi, 
ancora  col  Giardini,  col  Tassoni,  colla  Baraccani,  col  Boldrini, 
coirAliprandi,  coi  Duse,  coll'Ajudi,  colla  Biagini-Pescatori,  col 
Bozzo,  col  Lambertini,  col  Moro-Lin,  col  Mazzola,  col  Pascali, 
con  Tommaso  Salvini,  con  cui  fu  in  America,  generico  primario. 

di  nuovo  coll'Alìprandi,  e  con  Codecasa-Senatori 

Giacomo  Landozzi  si  trovò  al  fianco  di  Clementina  Caz- 
zola,  di  Adelaide  Ristori,  di  Luigi  Vestri  e  di  altri  sommi,  e 
s'acquistò  fama  di  artista  valoroso,  ne' tre  generi  diversi,  rap- 
presentando con  ugual  perizia  il  Fulgenzio  AegV Innamorati,  Ìl 
Guglielmo  A^' Due  Sergenti,  e  il  Rinaldo  della  Pia.  E  se  come 
attore  e  direttor  di  compagnie  s' ebbe  moltissime  lodi,  non  mi- 
nori furon  quelle  tributate  al  direttore  de' filodrammatici,  l'af- 


r/n/ya»/.  Voi.  ti. 


IO  LANDOZZI  -  LAPY 


fetto  e  il  rispetto  dei  quali  T accompagnarono  fino  all'ultimo 
giorno  di  sua  vita  che  fu  il  6  maggio  dell'  '88.  Giovanni  Ema- 
nuel salutò  l'egregio  artista  al  cimitero  con  brevi  e  commo- 
venti parole. 

Aveva  il  1  andozzi  sposata  del  '34,  mentr'era  in  Compa- 
gnia Vergnano,  una  Maria  Chiavistelli,  fiorentina,  attrice  me- 
diocre, ma  siffattamente  pazza  da  avvelenar  gli  ultimi  anni  del 
pover  uomo,  dalla  quale  ebbe  dodici  figliuoli,  e  la  quale  morì 
nel  Pio  Albergo  Trivulzio,  il  20  ottobre  del  '9 1 . 

Fra  le  mie  note  d' arte  ne  trovo  una  di  Enrico  Montazio, 
il  valoroso  aristarco,  che  concerne  la  beneficiata  del  nostro 
attore  al  Cocomero  di  Firenze  il  28  gennaio  del  1847.  E  'sta 
volta  il  fiero  articolista  ha  ragioni  da  vendere,  dacché  rimpro- 
vera al  Landozzi  di  avere  nella  demenza  di  Tito  distesa  una 
sentenza  su  candida  carta  di  Bath,  con  penna  d'oca  intinta  in 
calamajo  di  carta  pesta  dorata;  e  di  avere  assicurato  nell'an- 
nunzio della  rappresentazione  che  *  ììou  ri  sarcbber  mancate  le 
f^ropric  e  dei'olutc  decorazioni,  uè  avreòòer  mancato  di  zelo  li  attori 
nel  ra/'/^resentar/e....^  le  decorazioni?... 

Lapy  Giuseppe.  Così  ci  è  descritto  da  Antonio  Piazza  nel 
suo  Teatro  (\'enezia,  Costantini,  1777): 


Veane  coli,  per  recìtmre  in  Prìmaveffa.  b  Cocoìca  Compagna  dd  L. . . . .  Bolognese, 
nomo  assai  £uno«o  per  la  sordìdexxa  delia  sna  aTarìàa,  e  per  la  sva  temerità  di  metter 
mano  ne^ì  altrui  schtiu  Barbiere  di  pn>lessk>ne^  passò  daQa  bonega  al  Teatro,  mettendosi 
la  maschera  del  TXv.Vrr,  perchè  sapeva  parlar  Bolognese.  Il  celebre  OéZiirmì^  inimitabile 
a  ben  vKiìre^  anobio  i  cv>qM  più  malùtti,  si  Tabe  di  qnella  rema,  per  la  sna  Cmrt-mmt^ 
nella  ^^\<5.fi  /Vr.v.'wcr.c,  e  per  ^^C*,\-r^^nry/*.\V  ne^  Immatm/^n^x\  la  qne'  te<crH,  c^  bastava 
assai  p*xv>  a  tir  risiere,  cv>h2Ì  ebbe  Kvtttaa.  Ma^ro  qnanto  il  dì^:iao>  eoa 
e  inta^ULU,  aitando  nna  vv>ce  svXtile,  e  cammìaando  come  le  anitre  che 
la  cvvla,  nv>a  et  wO  di  j^iù,  pervhè  il  l:\>poio  ^U  battesse  le  tra  ti»  S«abàIi:o  in  nna  delle 
•^ciase  CocttAx^nie  di  V^ratf^ia^  jpuadj^r^^  aK'«^:\>  per  «Citì  aaa\  spese  poco  pochxssxiao,  e 
la  v^•»^^$;v>  kkvìo  arrxvKù  Vecvbk»»  cv^w*è  pcese2:e«ente.  paria  ascerà  il  sno  disgnstoso 
viiaW<:v.\  c\xi  «{^K^IU  stessa  pe^iK-^x^^te  «it  proa;£%£2Jk  che  nsaxm  d&  ^>xine,  Scendo  la  barba. 
F>x^iire  bji  il  cv>rx^v^sv>  di  Tecuxre  n^^Ie^  Tra^pt^ì^»  Oà  Pocvx^  '  FVccio  I  È  beota  la  tna,  o 
<^.<:.^5xa?  Uà  Krv>e  sh  R*>a\*  ti  juHìa  lv<\>"^'3^"5e  xe*t:ro  di  .w  J^  Cj^^^^  e  tn  non  lo 
i$*r4tì?  Ks«  si  p«vS  dir  *5Ùle  sceae  attore  Ì3t5».>errt>ije  pìi  v£i  htt.  Kr-^ore  uetltu  e^  il 
A-^<,~a/  d^l  3K>str\>  55^^<^\  e  a  t.i::i  xìss^je  iati^f^pajLre»  e  dxlla  n>^.  jl  st  $tr«SS^  qnando  trova, 
i  cifi'  s'*^'^==*^^  savv«rv^f.  c^;  ^r.^xhxxia  d* a<;:K*  U  aoasse,  e  ìc  xa.3vìa  a  éir  da 
Ab^i^ji  N^'^^rnvN  v>  BKN  av.s»  rv«5a  saju  ^  «^^c^rre  a  x^«jÙsSì<  rrv^xa  t«ti  s^«ei.  che  sì 


LAPY  II 

scono  per  la  sua  Compagnia.  La  narrativa  di  Egisto  nella  Merope  è  il  suo  pezzo  diletto, 
per  conoscere  l'altmi  abilità.  Sdraiato  magistralmente,  corregge,  applaude,  biasima,  ap> 
prova,  s' alza  dal  suo  tribunale,  tira  le  braccia  al  suo  discepolo,  gli  torce  il  collo,  gli  piega 
la  vita,  e  poi  non  si  conchiude  nulla.  Ogni  giorno  qualche  infelice  va  alla  gran  prova,  e 
sappia  leggere,  o  no,  egli  lo  lusinga,  vantandosi,  per  la  sua  abilità  d*  insegnare,  di  poter 
fare  in  pochi  giorni,  un  gran  Comico,  anco  di  un  guattero  che  non  sa  l' alfabeto.  Pazienza 
se  i  delirìi  della  sua  ignoranza  si  limitassero  all'arte  sola  di  recitare;  ma  in  oltre  vuol 
esser  autore,  e  correttor  degli  autori.  Sicario  da  Originali,  osa  con  quella  roano  vilissima, 
che  la  saponata  faceva  per  i  biricchini  del  suo  Paese,  d'aggiungere,  di  cangiare,  di  de- 
turpare i  sudati  scritti  de*  Poeti,  senza  rispettare  nemmeno  il  Molière  dell'  Italia,  il  famoso 
Goldoni^  a  cui  egli  è  debitore  di  tutto  quello  che  al  mondo  possedè.  Sprezzatore  dell'altrui 
merito,  non  fa  mai  conto  de' Personaggi,  che  recano  decoro  e  vantaggio  alla  sua  Compagnia, 
crede  di  bastar  egli  solo  al  sostentamento  della  medesima,  lascia  andar  chi  vuole  andare, 
mai  non  prega  nessuno,  è  villano  ed  insolente  con  tutti.  Per  queste  sue  pessime  qualità 
egli  ha  privato  il  Teatro  Italiano  del  suo  migliore  ornamento,  disgustando  la  Prima  Donna, 
che  allora  era  seco,  e  sostenendo  un  puntiglio  contro  di  lei. 

Francesco  Bartoli  difende  con  grande  calore  il  Lapy  dalle 
accuse  ingiuriose  del  Piazza....  Forse  l'uno  e  l'altro  esagera- 
rono le  tinte  ;  ma  io  credo  assai  meno  quello  di  questo.  La 
chiusura  dell'  articolo  del  Piazza,  per  esempio,  potrebbe  far 
supporre,  in  quell'accenno  all'allontanamento  dalla  Compagnia 
della  Prima  Donna  (la  Caterina  Manzoni,  a  cui  l'opera  del 
Teatro  è  dedicata),  eh'  ella  avesse  a  veder  qualcosa  in  quelle 
ingiurie;  tanto  più  che  sei  anni  avanti,  nella  Giulietta  (Vene- 
zia, MDCCi-xxi),  non  aveva  il  Piazza  saputo  trovare  in  lei  altra 
dote  fuorché  una  particolare  bellezza,  come  vedremo  all'arti- 
colo di  questa  attrice. 

A  Giuseppe  Lapy  si  deve  più  specialmente  la  importa- 
zione forestiera  dei  drammi  così  detti  lagrimosi  che  sostituì  al 
teatro  di  Goldoni,  non  più  tanto  proficuo  per  lui,  tradotti  a 
posta  da  Elisabetta  Caminer.  Il  repertorio  dunque  della  Com- 
pagnia fu  a  iniziativa  sua  de' più  varj,  sapendo  egli  con  buon 
discernimento  alternar  le  commedie,  coi  citati  drammi,  e  colle 
tragedie:  e  di  tal  discernimento  accoppiato  a  una  operosità 
senza  pari,  egli  potè  godersi  i  frutti  nella  vecchiaja.  <  Vive  il 
Lapy  tuttavia  (1782)  -  scrive  il  Bartoli  -  in  buona  prosperità, 
ed  ha  la  consolazione  di  vedere  la  sua  famiglia  incamminata  ad 
un  auge,  per  cui  anche  dopo  la  di  lui  morte  rimarrà  al  mondo 
una  degnissima  ricordanza  degli  onorati  meriti  suoi.  > 


12  LAPY  -  LAUSTI 

In  una  lettera  che  si  conserva  autografa  nella  biblioteca 
di  Verona,  e  che  trovasi  pubblicata  nel  catalogo  descrittivo 
dei  manoscritti  della  Biblioteca  stessa,  il  Làpy  dà  ragguaglio 
da  Venezia  il  22  ottobre  del  1770  a  Domenico  Rosa-Morando 
del  successo  ottenuto  colla  sua  tragedia  La  Andromaca,  già 
replicatasi  quattro  sere,  e  reclama  aggiunte  e  modificazioni 
per  le  nuove  repliche  da  farsi  quando  la  quantità  delle  genti  che 
presentemente  sono  in  Villeggiatura  si  saranno  restituite  iti  Vene- 
zia. E  anche  a  lui  si  raccomanda  perchè  il  signor  Girolamo 
Pompei  favorisca  i  versi  che  desidera  di  aggiungere  alla  sua 
Calliroe,  avendo  il  bisogno  di  darla  nuova  a  Venezia,  poiché  - 
^SS^^^S^  ~  ^^^  ^?/^^/a  Dominante,  se  non  si  fanno  cose  nuove,  e 
non  vedute,  7ion  si  fa  mai  bene  il  nostro  interesse. 

Lapy-Belloni  Luigia.  (V.  Belloni-Lapy). 

Lapy-Della  Seta  Laura.  (V.  Delta  Seta-Lapy). 

Laurenziis  Giuseppe  Antonio.  Recitava-  dice  il  Bartoli- 
intorno  al  1710  ai  Fiorentini  di  Napoli.  Era  la  prima  donna 
della  Compagnia  di  tal  bellezza  maravigliosa,  che  il  Laurenziis 
se  ne  invaghì,  corrisposto  :  e  provò,  pare,  tutti  i  tormenti  della 
gelosia  pel  pittore  napolitano  Domenico  Brandi,  il  quale,  affa- 
scinato dalle  rare  doti  di  lei,  riusci  a  entrar,  con  donativi  da 
pazzo,  nelle  sue  grazie.  Tormenti  assai  fuggevoli,  che  dopo  di 
averla  il  Brandi  seguita  a  Roma,  in  Ancona,  a  Venezia,  vedu- 
tosi posposto  al  compagno  d'arte,  se  ne  tornò  a  Napoli.  È  ve- 
ramente strano  che  di  tal  meravigliosa  bellezza,  prima  donna 
rinomata,  a  detta  di  Bernardo  de'Dominici  (Vite  de' Pittori  na- 
poletani)^ da  cui  il  Bartoli  riferisce  la  notizia,  non  sia  giunto  al- 
cun cenno  sino  a  noi.  Forse  la  Palombera  (V.)? 

Lausti  Francesco.  Lodigiano,  È  citato  dal  Bartoli  come 
artista  di  prosa  e  di  canto.  Recitava  da  comico  le  parti  ^^- 
V innamorato,  e  fu  nella  Compagnia  di  Pietro  Rossi....  Eraperò 


r.AUSTI  -  LAVAGGI 


più  valente  nell'arte  del  canto  che  esercitava  con  la  moglie, 
alternandola  pur  sempre  con  quella  di  comico,  secondo  gli  tor- 
nava più  il  conto. 


Lavaggi  Gaspare.  Nacque  il  dì  d'Ognissanti  del  1849  a 
Milano,  da  Giuseppe,  cuoco,  e  da  Caterina  Checchi.  Studiò  ben 
poco  agi'  Ignorantelli,  poi, 
giovinetto,  fu  messo  in  uno 
studio  d'avvocato,  che  ab- 
bandonò all'insaputa  dei  pa- 
renti per  recarsi  a  recitare 
in  una  Compagnia  Raspini 
al  Teatro  Stadera.  Vagò  per 
alcun  tempo  in  accozzaglie 
di  commedianti  dell'infima 
specie,  finché,  udito  da  Bel- 
lotti-Bon,  fii  da  lui  scrittu- 
rato, passando  in  breve  al 
ruolo  assoluto  dì  primo  ai- 
tare giovine,  in  cui  per  l'ar- 
dore della  passione  e  per  la 
spontaneità  non  ebbe  mai 
chi  gli  stesse  a  fronte.  Con 
Giacinta  Pezzana,  Cesare  Rossi,  Bellotti-Bon,  Annetta  Campi, 
fu  tra' primi  ornamenti  di  quella  gran  compagnia,  che,  sboc- 
concellata di  poi,  segnò  il  primo  passo  della  rovina  dì  Belletti. 
Da  quello  sbocconcellamento  nacque  la  società  dì  Pia  Marchi, 
Francesco  Ciotti  e  Gaspare  Lavaggi,  che  per  comica  brevità 
solea  chiamarsi  la  Compagnia  Ciotti  Lavamarchi.  Una  compa- 
gnia tutta  freschezza,  tutta  passione,  tutta  vita,  che  fu  per  più 
anni  la  diletta  dal  pubblico.  Lavaggi  fece  poi  società  con  Zerri; 
poi,  sposatosi  a  Giuseppina  Boccomini,  diventò  capocomico 
solo,  con  varia  fortuna.  Scritturatosi  colla  moglie  nella  Com- 
pagnia di  Alamanno  Morelli,  sì  recò  in  America,  dove  (1881), 
un  colpo  d'apoplessia,  prostrò  d'un  tratto  quella  fibra  gagliarda 


14  LAVAGGI  -  LAVINIA 

d'artista,  che,  moribondo,  sorretto  dalla  compagna  sua,  volle 
subito  essere  restituito  in  patria.  Recuperata  una  parte  delle 
perdute  forze,  si  riebbe  così  da  poter  riapparire  con  la  moglie 
alla  luce  della  ribalta;  ma  fu  un  lampo  fuggevole,  fu  l'ultimo 
guizzo  della  lampada  vicina  allo  spegnersi.  Fermatosi  a  Li- 
vorno, non  bastandogli  l'animo  di  restare  estraneo  a  quell'arte 
in  cui  visse  più  anni  acclamato,  acquistò  le  Arene  Alfieri  e  Ga- 
ribaldi, nelle  quali  scritturava  compagnie  di  varia  specie,  con- 
servando con  l'avvedutezza  e  con  la  operosità  a  sé  e  alla  fa- 
miglia quella  vita  di  agiatezze  che  s'era  formata  col  teatro. 

Gaspare  Lavaggi  fu  anche  uno  de' più  eleganti  attori  della 
nostra  scena  di  prosa,  e  se  ne  compiaceva.  Quando  non  era 
ancor  uomo,  né  omai  più  giovinetto,  ebbe  la  brutta  e  perdo- 
nabile vanità  di  ripudiar  suo  padre  al  conspetto  dei  compagni, 
per  l'altro  Lavaggi,  fabbricante  di  fiammiferi,  se  non  erro.  Co- 
nosciuta il  padre  la  bambinata  del  figliuolo,  volle  farsi  un  ri- 
tratto in  perfetto  costume  di  cuoco,  con  la  casseruola  in  una 
mano  e  il  mestolo  nell'altra,  e  glie  ne  mandò  una  copia. 

Del  valor  suo  nell'arte  molti  testimoni  abbiamo  negl'in- 
numerevoli giornali.  A  me  basti  ricordare  qui  che  se  taluno 
dopo  di  lui  potè  avere  maggior  finezza  di  recitazione,  niuno 
mai  lo  superò  nell'ardore  della  passione  e  nella  spontaneità. 
U Armando  della  Sio^nora  dalle  Camelie,  il  Ferdinando  della  Ce- 
leste, lo  Scoronconcolo  della  Notte  a  Firenze,  e  altre  parti  di  varia 
indole  ebbero  in  lui  un  interprete  indimenticabile.  A  Roma 
pe'  '1  centenario  di  Voltaire  gli  fu  coniata  una  medaglia  d'ar- 
gento, ed  ebbe  frequenti  onori  di  rime.  Morì  d'un  cancro  alla 
faccia  a  Livorno,  nel  'g8,  lasciando  un  figliuolo.  Armando,  da- 
tosi da  poco  all'arte,  e  che  promette,  dicono,  di  mostrarsi  de- 
gno erede  della  gloria  paterna. 

Lavinia.  Riferisce  il  Croce  (pp.  cit.)  : 

Nel  1662  era  a  Napoli,  tra  i  comedianli  lombardi,  ano  chiamato  Zaccagnino,  che 
recitava  da  Zanni,  «  qual  godeva  una  donna  chiamata  Lcevinia^  similmente  comediante  e 
si  stimava  che  fusse  e  che  non  fusse  sua  moglie,  et  haveva  acquistato  con  la  scena  e  con 
gli  amanti  qualche  commodità  di  considerazione  ;  questa,  com'  è  solito  dell'oziosa  nobiltà 


LAVINIA  -  LAZZARO  15 


napoletana,  che  oggi  si  è  avanzata  assai  nel  bordello,  lussi,  ignoranza,  e  povertà,  fu  posta 
in  conditione  dalli  donativi  del  Prìncipe  d'Avellino,  dal  Principe  di  Belmonte,  et  altrì  no- 
bili et  ignobili,  che  con  pochissima  moneta  la  goderono.  Venuto  frescamente  Don  Vin- 
cenzo Spinelli,  Principe  di  Tarsia  a  Napoli  dal  suo  stato,  cominciò  ancor  iui  a  vagheg- 
giar la  Lavinia,  che  volle  mascherarsi  da  Zaccagnino,  non  bastandolo  quello  che  aveva 
speso  in  Calabria  a  buffoni,  comedie,  cacciatori,  conviti,  musica  continua,  cavalcatori,  mastrì 
di  scrìma,  ecc.  »  In  quel  carnevale  Don  Vincenzo  Spinelli  fece  una  mascherata,  in  abito 
da  Zanni,  e  distribuiva  cartelli,  fece  la  scritta  :  la  moglie  del  Principe  Zaccagnino.  (V.  Fui- 
doro  ms.  Bibl.  naz.  ad  an.  — ). 

Chi  si  nascondesse  sotto  questo  nome  di  Lavinia  non  sa- 
prei dire.  Antecedenti  le  sono  la  Ponti  (V.)  e  rAntonazzoni(V.), 
e  posteriori  risola  (V.)  e  la  Torri  (V.).  Strana  coincidenza: 
mentre  nel  i6go  l'Anna  Maria  Torri  sosteneva  le  parti  di  La- 
vinia in  Compagnia  del  Duca  di  Modena,  Giulio  Cesare  Torri 
quarant'anni  prima  (1650)  sosteneva  quelle  di  Zaccagnino  nella 
stessa  compagnia. 

Lavinio.  Sosteneva  la  parte  ^innamorato  il  1634  nella  Com- 
pagnia degli  Affezionati. 

Di  lui  è  detto  nella  Scena  illustrata:  Lavinio  che  s  inge- 
gnava di  formarsi  un  Eco,  il  quale  rispondesse  dal  Teatro  voci 
di  faìna  al  desiderio  della  sua  gloria,  udendo  il  rimbombo  delle 
sue  elaborate  fatiche. 

Lazzarìni  Luigi.  Cominciò  a  recitar  nella  Compagnia  di 
Nicodemo  Manni,  dalla  quale  passò  poi  in  quelle  di  Girolamo 
Brandi,  di  Pietro  Rosa,  di  Francesco  Paganini  e  di  Nicola  Me- 
nichelli,  col  quale  trovavasi  del  1782.  Fu  reputato  attore  di 
pregio  così  nella  maschera  di  Brighella,  come  nelle  parti  d'm- 
namorafo,  di  tiranno  e  di  padre. 

Lazzaro  Battista.  E  citato  dal  Baschet  come  capocomico 
in  Francia  del  1583  all'Hotel  de  Bourgogne,  ma  con  poca 
fortuna.  Forse,  concordando  le  date  e  il  luogo,  questo  Lazzaro 
potrebbe  non  essere  altro  da  Battista  Veronese  (V.),  o  da  Bat- 
tista da  Rimino?  E  forse  non  altro  da  Battista  Lazarone,  a  cui 
si  viene  ora  accennando? 


16  LAZARONE  -  LEIGHIÌB 

Lazarone  Giambattista.  Una  lettera  dell'Arlecchino  Mar- 
tinelli a  un  famigliare  del  Duca  di  Mantova,  con  data  dì  Cre- 
mona 4  decembre  1 595,  ci  dà  notizia  di  questo  comico  in  Com- 
pagnia della  Diana,  al  quale  Ìl  Martinelli  fa  indirizzar  le  sue 
lettere  per  maggior  sicurezza. 

Leandro.  (V.  Pilastri  Francesco). 


Leìgheb  Giovanni.  Attore  brillante  rinomatissimo,  nacque 
il  1812  a  Venezia  da  famiglia  non  d'artisti. 

Ernesto  Rossi,  col  quale 
Giovanni  Leigheb  fu  in  società 
dalla  quaresima  del  '49  a  tutto 
il  carnovale  del  '51,  così  ce  lo 
descrive  : 

eiB  QDa  buona  pasta  d'uomo,  giovia- 

lone,  spensierato,  ma  onesto;  era  sempre  stato 
io  primarie  compagnie,  Mascherpa,  Domeni- 
coni,  ecc.,  ecc.  Poco  fortunato  nelle  parti  di 
primo  amoroso,  passò  a  quelle  di  brillante,  e 
fu  cosi  fortunato  il  passaggio,  che  riusei  a 
contendere  il  primato  a  Bellotli  Amilcare, 
Ballotti  Boo,  Giardini  ed  altri  che  non  ri- 
cordo. Se  tu  lo  avessi  veduto  nelle  parti  di 
Balandar,  nella  Cattna  di  Scribe,  nel  Mar- 
chtse  Ciabattina   e  nel  Bruno  fitalori,    nel 
Capitane  Carlotta,  nelle  Damigelle  dìSaml- 
Cyr,  come  l'ho  vedalo  e  udito  io,  compren- 
deresti come  abbia  potuto  trasfondere  il  suo 
brio  e  la  sua  vivacità  al  figlio  Claudio,  che 
3.  Possedeva  una  viscomica  naturale,  una  (acilitA  di  memoria, 
1  castigatezza  di  gesti  e  di  modi,  che  lo  rendevano  atto  alla 
:  di  ogni  carattere  comico  e  semiserio.   Nella  commedia  in  dia- 
chc  cosa  di  geniale,  grazioso,  oserei  dire  inarrivabile.  Chi  mai 
alla  parte  di  Ludrilta  nel  Ludro  e  la  stia  gran  giurnata  di 
ti  gli  altri  che  ho  veduto  dopo,  non  furono  che  pallide  copie. 
lo  potè  arrivare.  Il  brav'  uomo  era  carico  di  famiglia.  Aveva 


.  il  padre 


ioUez 


a  di  Un; 
le  ed  e 


interpretaz 

ba  potuto  come  lui 
F.  A.  Bonf  -  Nessi 
Lo  stesso  Bellolti  £ 
moglie,  quattro  figli  e  nn  quinto  per  via, 

I  rovesci  politici  loavevano  ridotto,  come  me,  a  chiedere  an  rifugio  ed  un  pane  alla  Com- 
pagnia Moncalvo,  nella  quale,  come  già  ti  dissi ,  la  paga  veniva  come  la  febbre  terzana,  se  le  cose 
andavano  per  il  toro  verso;  se  poi  malandavano  un  pochino,  allora  era  nna  quartana,  unaquin- 
restava  che  la  domenica.  -  Miseria  per  miseria,  dicemmo,  lacdamo 
n  solo  pezzo  di  pane  lo  divideremo,  e  rìngrazieremo  messer  Domine  Dio. 


LEIGHEB 


E  qui  contìnua  a  discorrer  della  Compagnia,  e  delle  tra- 
versie patite  pel  colera  a  Trieste,  ove  perderon  la  prima  at- 
trice Ferrari  (V.),  e  d'onde  fuggirono  per  recarsi  a  far  l'au- 
tunno a  Fiume. 

Cessata  la  società  col  Rossi,  Giovanni  Leigheb  passò  con 
lo  stesso  ruolo  in  Compagnia  Colomberti,  poi  in  altre,  ora  socio, 
ora  scritturato.  Morì 
a  Sebenico  il  maggio 
del  '66. 

Le^heb  Claudio. 

Figlio  del  preceden- 
te, nato  il  20  agosto 
del  1848  a  Fano,  è 
l'ultimo  brillante  delia 
vecchia  grande  scuo- 
la, uno  de'  migliori 
allievi,  se  non  Ìl  mi- 
gliore, di  Luigi  Bel- 
lotti-Bon,  del  quale 
prese  e  saviamente  si 
assimilò  suoni  e  at- 
teggiamenti. 

Esordì  bambi- 
no nella  Compagnia 
di  suo  padre,  e  così, 
egli  stesso,  mi  descri- 
.  ve  i  suoi  primi  passi: 
«quella  che  non  mi 
andava  giìl  era  la  par- 
te di  uno  dei  figli  nel- 
V Edipo  Re:  non  pote- 

'  *  Poi.  Bitlini  -  Livorno. 

vo  resistere  allo  stra- 
zio di  vedere  all'ultimo  atto  mìo  padre  senza  occhi;  anzi,  al 
Filodrammatico  di  Trieste,  una  sera,  ho  piantato  tutti  e  me  ne 

3.  -  /  Contici  iUliam.  Voi.  II. 


i8  LEIGHEB 

sono  andato  via  di  scena  piangendo.  Si  vede  che  non  ero  nato 
per  le  parti  tragiche.  Dove  però  mi  son  fatto  onore  fu  nel  figlio 
nei  Due  Sergenti,  e  nel  paggetto  milanese  nei  Parinì.  >  Dopo 
le  peripezie  toccate  al  suo  povero  padre  nel  '59,  si  scritturò 
come  generico  giovine,  secondi  briVanli  e  marni,  in  varie  compa- 
gnie, ultima  quella  di  Sterni,  Rosaspina  e  Bonivento,  in  cui, 
animato  da  suo  padre  che  gli  fu  primo  maestro,  finì  coll'assu- 
mere  ÌI  ruolo  di  primo  brillante,  mantenuto  poi  nella  Compa- 
gnia di  Raffaele  Lambertini,  della  quale  faceva  parte  Enrico 
Capelli  e  Giuseppina  Ferronì,  sua  moglie,  e  nella  quale  stette 
fino  a  tutto  il  carnovale  del  '67.  Dal  '68  al  '70  fu  con  Luigi 
Bellotti-Bon,  che  nella  quaresima  del  '69,  più  padre  che  capo- 
comico, gli  organizzò  una  grande  rappresentazione  per  esone- 
rario dal  servizio  militare,  al  Teatro  delle  Logge  di  Firenze,  ove 
si  recitaron  Le  smanie  per  la  villeggiatura,  col  concorso  del  ce- 
lebrato Cesare  Dondini.  «Ciò  che  fece  Bellotti  per  me  in  quella 
occasione  -  egli  mi  diceva  -  non  posso  descrivertelo  :  un  padre 
non  avrebbe  potuto  fare  di  piìl!...  Rammentalo  e  mollo  nel  tuo 
libro;  ci  tengo  che  lo  si  sappia.»  E  questo  fervore  di  ricono- 
scenza non  genera  meraviglie  nella  bocca  di  Claudio  Leigheb, 
che  con  la  rettitudine  scrupolosa  dell'uomo,  con  il  culto  pro- 
fondo dell'artista  si  acquistò  la  benevolenza  e  la  stima  di  quanti 
lo  conobbero. 

Entrò  il  '71,  brillante  e  primo  attor  comico,  nella  Compa- 
gnia di  Fanny  Sadowski  diretta  da  Cesare  Rossi;  compagnia 

1      nuova,  piena  di  entusiasmi,  di  giovinezza,  di 

y^^  forza.  N'eran. parte  principale,  oltre  al  Rossi, 

'*"J  la  Campi,  la  Zerri-Grassi,  la  Migliotti,  dive- 

^^S^^  ""Jt^  poi  sua  moglie  a  Genova  nella  quaresima 

^^|^^k|^     der73,  la  Bernieri,  Ceresa,  D'Ippolito,  Giulio 

^^^^^H     Rasi,  Pesaro,  Bosio,  Luigi  Rasi,  ecc.  ecc. 

^^^^^^  Fu  dal  '74  al  '76  nella  Compagnia  N.°  3 

— ^^^■«     di  Bellotti-Bon,  diretta  da  Cesare  Rossi;  dal 

'77  air '81  in  quella  della  Città  di  Torino,  r'82  con  la  Marini, 

dall'  '83  all'  '87  con  la  Compagnia  Nazionale  di  Roma,  daH"88 


LEIGHEB 


m  A  é 

■£     M^     ,.^E 


al  '90  con  la  Marini,  dal  '9 1  al  '93  in  Società  con  Novelli,  dal  '94 
al '96  con  Andò,  dal  '97  al  '99  con  la  Reiter. 

Sono  dunque  trent'annì  di  vita  d'arte  vissuta,  in  cui  il 
trionfo  non  s'andò  mai  attenuando,  per  la  modestia  grande  del- 
l'uomo e  dell'artista  accoppiata  a  una  volontà  di  ferro,  e  ad  un 
rispetto  di  sé  e  del  pubblico,  direi  incredibile.  Lo  stesso  fer- 
vore di  una  prima  rappresentazione  noi  troviamo  in  lui  alla 
cinquantesima  replica:  rade  volte,  al  momento  di  andare  in 


20  LEIGHEB 


scena,  egli  non  rilegge  air  uscio  d'entrata  o  non  ripete  a  me- 
moria la  sua  parte  per  addentrarsi  nel  personaggio.  E  che  de- 
liziose macchiette  egli  produsse,  rimaste  incancellate  nella  sto- 
ria del  nostro  teatro  !  Chi  non  ricorda,  per  esempio,  V abate  del 
Nessuno  va  al  Campo  di  Paolo  Ferrari  ?  Che  irresistibili  effetti 
di  riso  in  quella  misurata,  aristocratica  comicità!  E  con  che 
arte,  con  che  sentimento  egli  seppe  a*  suoi  ideali  piegare  i  varj 
generi  che  si  rincorrono,  s'incalzano,  s'intrecciano  con  prodi- 
giosa rapidità  !  Che  nota  elegante,  che  sciccherìa  egli  ha  saputo 
mettere  nel  più  grottesco  delle  moderne  pochades  !  La  zia  di 
Carlo,  Il  marito  di  Babette  !  E  quel  vario,  ricco  repertorio  di 
farse,  dinanzi  a  cui  scaturivan  fresche,  spontanee  le  più  gaje 
risate  ?  Ricordate  L'uomo  d'affari  ?  L'amore  delTarte  ?  //  pa- 
letot} Narciso  il  parrucchiere}  E,  tra' monologhi,  chi  meglio  di 
lui,  o  come  lui,  direbbe  W  punto  interrogativo  di  Salsilli? 

Né  v'ha  chi  abbia  maggiore  il  culto  dell'arte:  a  volte  par- 
rebbe mutarsi  in  esagerazione  o  in  posa,  se  non  si  conoscesse 
pienamente  la  sua  buona  fede.  Nemico  per  principio,  o  per  con- 
suetudine, del  soggettare,  egli  ripete  il  suo  testo  con  una  fedeltà 
scrupolosa.  Non  mai  accolse  l'idea  di  circondarsi  d'astri  mi- 
nori per  emerger  di  tra  essi  come  sole,  ma  volle  sempre  che 
le  altre  figure  del  gran  quadro  fosser  tra  le  migliori.  Avverso 
all'applauso  o  alla  risata  prodotti  da  una  inconsulta  scurrilità, 
egli  sopprime  le  soverchie  arditezze,  a  scapito  non  sol  dell'ef- 
fetto, ma  dell'  interesse. 

Né  Claudio  Leigheb  costringe  le  sue  doti  nei  confini  del 
teatro.  Dotato  di  un  singolare  spirito  di  imitazione  egli  dise- 
gna, dipinge,  pupazzetta  con  correttezza  e  spigliatezza  incre- 
dibili, mettendo  nelle  sue  macchiette  quel  sentimento  che  manca 
assai  volte  negli  artisti  di  professione.  Anche  la  scoltura  delle 
castagne  d'India  entra  ne' suoi  pregi  di  artista;  e  il  Boutet 
nella  Tribuna  della  Domenica  gli  dedicò  a  questo  proposito  un 
grazioso  articolo  illustrato. 

Di  lui  scrisse  anche  Tommaso  Salvini:  e  credo  di  non  poter 
finir  meglio  questo  breve  cenno,  che  riferendo  qui  le  sue  parole: 


LEIGHEB  3t 

ClaDiUo  Leigbeb  i  l'attore  comico  più  casligato  e  più  preciso  ch'io  m'abbia  codd- 
(cinto  !  Egli  possiede  il  segreto  di  esUirarc  con  modi  e  mezxi  sempre  dignitosi,  e  co]  non 
lasciarsi  trasportare  dall'uditorio,  che  spesse  volte,  a  torlo,  pretende  più  di  quello  che  l'arte 
deve  coDcedere.  È  nn  artista  che  non  pone  mai  il  piede  in  Odio,  sia  che  tratti  il  genere 
totalmente  burlesco,  sia  che  a  questo  si  congìunga  aleno  che  di  serio:  coscienzioso  esercita 
la  sna  arte  religiosamente,  e  l'unico  appunto  che  mi  permetto  di  fargli  i  quello  di  mostrarsi 
talvolta,  nella  movenza  della  fisonomia,  nell'intonazione  dì  qualche  frase,  troppo  imitatore 
del  non  mai  abbastaoia  compianto  egregio  artista  Bellotti-Bon.  Non  pertanto  il  Ldgheb 
resterà  indimenticabile  negli  annali  della  storia  dell'arte. 

Due  suoi  fratelli,  Achille  ed  Ugo,  seguìron  l'arte  del  pa- 
dre; il  primo  come  brillante,  artista  mediocre,  fermatosi  poi  a 
Bologna  a  insegnarvi  recitazione  :  il  ^^cox^^o  generico  e  secondo 
carotiere,  coscienzioso,  accurato,  che  recitò  quasi  sempre  al 
fianco  di  Gaudio. 


Leigheb-M^lìotti  Teresa.  Moglie  del  precedente,  seconda 
donna,  magnifica  di  forme,  ha  serbato  nella  fatale  corsa  del 
tempo,  la  espressione  d'infantile  gioìalità,  che  la  fece  sempre 


22  LEIGHEB  -  LEONARDO 

una  delle  più  simpatiche  attrici  del  teatro  italiano  di  prosa. 
Nata  a  Carmagnola,  cominciò  ad  esercitarsi  bambina  coi  filo- 
drammatici della  Malfatti,  recitando  poi  talvolta  in  piemontese 
coir  artista  Gemelli.  Entrò  il  '72,  ancor  giovinetta,  nella  Com- 
pagnia della  Sadowski,  come  prima  attrice  giovane  e  amorosa 
sotto  l'Annetta  Campi,  passando,  dopo  non  molti  anni,  nello 
sviluppo  precoce  della  persona,  alle  parti  di  seconda  donna,  che 
non  abbandonò  più. 

Lelli  N.  Bolognese.  Recitò  con  molto  plauso  le  parti  di  Dottor 
Balanzoni  nelle  Compagnie  della  Battaglia,  del  Paganini,  del  Pe- 
relli  e  della  Colleoni.  Abbandonata  l'arte,  si  restituì  in  patria,  ove 
stette  più  che  trent'anni.  Molte  notizie  di  comici  del  suo  tempo 
furon  da  lui  date  al  Colomberti,  che  le  affidò  in  vario  tempo  alla 
carta,  se  non  con  perfetta  esattezza,  certo  con  moltissima  cura. 

Leonardi  Giacomo.  Veronese,  alternativamente  Brighella 
e  padre  nobile,  fu  artista  egregio  così  nel  premeditato,  come 
air  improvviso.  Fu  lungo  tempo  con  la  Battaglia,  il  Sacco,  e  il 
Lapy.  Scrupolosissimo  ne' suoi  doveri,  non  lo  era  menò  ne' suoi 
diritti.  Un  giorno  di  ritardo  nello  spesato,  provocava  il  suo  im- 
mediato licenziamento  dal  capocomico.  Non  volle  che  la  mo- 
glie recitasse  per  non  esser  distratta  nelle  faccende  di  casa, 
ch'ella  dovea  fare  con  matematica  precisione:  e  guai  se  la 
colazione,  il  pranzo  o  la  cena  subiva  qualche  ritardo.  Alla 
stessa  ora,  per  tempissimo,  s'alzava,  e  studiava  la  parte  se 
premeditata,  o  passeggiava  su  e  giù  per  la  stanza,  se  improv- 
visa, componendo,  ricomponendo  lo  sceneggio  e  i  discorsi. 
Giunto  a  casa  dalle  prove,  solca  far  l'ispezione  alla  casa,  per 
ben  accertarsi  che  tutto  fosse  a  suo  posto.  Questa  specie  di 
orologio  vivente  morì  a  Venezia  sui  primi  di  questo  secolo. 

Leonardo.  Era  secondo  e  terzo  amoroso  a  vicenda  con  Odoardo 
nella  Compagnia  che  desiderava  di  unir  Fabrizio  (V.)  pel  1664 
al  servizio  del  Duca  di  Modena. 


LEONESI  -  LIDIA  23 


Leonesi  Alamanno,  bolognese,  dopo  essere  stato  applau- 
ditissimo  filodrammatico,  andò  nel  1825  con  Fabbrichesi  in 
qualità  di  padre  nobile  a  sostituir  De  Marini  ne' suoi  riposi. 
Morto  il  Fabbrichesi,  passò  con  Angelo  Rosa,  poi  con  altri, 
sinché  affari  di  famiglia  noi  richiamarono  a  Bologna,  ove  cessò 
di  vivere  nel  1 840. 

Libanti  Giovanni,  nato  a  Verona  da  onesti  parenti  nel  1756, 
entrò,  compiuti  gli  studi  di  latino,  nella  Cavalleria  de' Cappe- 
letti  al  servizio  della  Repubblica  Veneta.  Lasciata  poi  la  milizia 
per  l'arte  della  scena,  si  scritturò  quale  amoroso  dando  subito 
prova  di  certa  riuscita,  mercè  le  sue  doti  fisiche  e  intellettuali 
che  mostrava  con  ugual  successo  e  nel  premeditato  e  nell'  im- 
provviso. Fu  acclamatissimo  nella  Compagnia  di  Domenico 
Narini,  poi  al  S.  Luca  di  Venezia  in  quella  di  Luigi  Perelli, 
nella  quale  si  sposò  colla  giovane  attrice  Chiara  Mattordese. 
Passò  da  quella  del  Perelli  nelle  Compagnie  di  Marta  Coleoni 
e  di  Maddalena  Battaglia,  colla  quale,  al  S.  Gio.  Crisostomo  di 
Venezia,  il  carnevale  del  1800,  creò  la  parte  di  protagonista 
r\€^ Abate  della  Spada,  traduzione  dell'Andolfati,  che  replicò 
fra  le  universali  acclamazioni  per  undici  sere.  Fu  due  anni  a 
Napoli  con  Giacomo  Modena,  poi  con  Antonio  Goldoni  col 
quale  creò  il  protagonista  nel  dramma  V Incognito,  che  replicò 
diciotto  sere  a  Torino  e  venti  a  Venezia,  il  carnevale  del  1806, 
traendo  il  pubblico  all'entusiasmo.  Ma  fu  l'ultimo  carnevale 
per  lui,  che  una  fiera  improvvisa  malattia  gli  troncò  la  vita  a 
cinquant'anni. 

Liberati  Urania,  detta  in  commedia  Ber  netta,  recitava  le 
parti  di  serva,  nella  Compagnia  che  l'Arlecchino  Tristano  Mar- 
tinelli (V.)  condusse  a  Parigi  nel  novembre  del  1620. 

Lidia  detta  Da  Bagnacavallo.  Attrice  famosa,  intorno 
alla  quale  e  antichi  e  moderni  hanno  fatto  il  più  fitto  bujo  che 
si  possa  dire.  Trascrivo  le  parole  del  Garzoni  : 


24  LIDIA 

non  lascio  da  parte  quella  Lidia  gentile  della  patria  mia,  che  con  si  politi  discorsi, 

e  con  si  bella  grazia,  piangendo  un  di  per  Adriano,  lasciò  in  un  mar  di  pene  l'affannato 
core  di  quel  poeta,  che  perso  nel  suo  amore,  le  mandò  quel  Sonetto,  che  comincia, 

Lidia  mia,  il  di,  che  d'Adrian  per  sorte 
ti  strinse  amor  con  mille  nodi  Talma, 
io  vidi  il  mar,  che  fu  per  lui  si  in  calma, 
a  me  turbato  minacciar  la  morte. 

Che  dopo  le  ricerche  di  Fr.  Bartoli  col  dato  di  una  intera  quar- 
tina non  si  sia  ancora  trovato  questo  intero  sonetto,  mi  pare 
un  po'  strano  :  e  oserei  supporre  esser  opera  inedita  dello 
stesso  buon  concittadino  Garzoni.  Ma  di  lui,  o  del  Sommi, 
come  suppone  il  D'Ancona,  non  monta.  Che  la  Lidia  fosse  una 
donnina  allegra,  credo  si  possa  affermare,  richiamandoci  alla 
memoria  quei  versi  di  Bartolommeo  Rossi,  veronese,  comico 
confidente,  il  quale  nella  sua  Fiammella  (Parigi,  Abell'  Ange- 
liero,  1584)  fa  dire  nell'atto  III,  scena  VI,  a  Bergamino: 

Ho  vist  la  Lidia,  ma  quel  so  marit 
mai  non  V  ho  vist,  ma  pens  che  '1  sia  andat 
dentr'  el  Zodiaco,  per  formar  quel  segn 
che  scomenza  T  invern 

Intanto  dunque  la  Lidia,  giacché  d' altre  Lidie  di  quell'  epoca 
non  è  pervenuta  a  noi  notizia,  aveva  marito. 

Quanto  all'essere  stata  l'amante  del  Valerini,  prima  o  dopo 
la  Vincenza  Armani,  vediamo:  l'Armani  era  morta  nel  1569,  e 
il  Valerini  pubblicò  l'orazione  funebre  nel  '70.  Nel  '71  i  Gelosi 
andarono  in  Francia  con  Orazio,  Adriano,  e  Lidia;  e  Fr.  Bar- 
toli dice  che  la  Lidia  da  Bagnacavallo  fioriva  nel  '75  circa. 
A  me  parrebbe  dunque  molto  più  logica  la  deduzione  che  il 
Valerini  dopo  la  perdita  dell'Armani,  traesse  conforto  dalle 
grazie  della  Lidia  da  Bagnacavallo. 

Forse  Lidia  era  già  in  Compagnia,  quando  viveva  l'Ar- 
mani ?  Il  Rossi  nella  pastorale  citata  fa  dire  a  Bergamino  che 

La  Signora  Vincenza  i  so  cavai 

de  bianc  son  trasmutad  tutt  in  carbon. 


LIDIA  -  LIPPARINI 


I  SO  cavai?...  I  so  cavei?...  I  capelli  della  Vincenza  tinti?... 
Avea  i  capei  lunghi  di  finissimoro,  dice  il  Valerini.  O  eran  que- 
sti del  Rossi  comici  non  a  noi  pervenuti  ?  Eppure  V  unione  di 
questi  tre  nomi,  Vincenza,  Lidia,  Orazio,  potevan  benissimo 
essere  insieme  a  quell'epoca  :  Orazio  era  il  Rossi  stesso,  autore 
della  Fiammella.  E  se  Lidia  era  nella  Compagnia  con  la  Vin- 
cenza, forse  dovette  ella  entrare  un  po',  per  dispetto,  invidia, 
e  gelosia,  nell' attossicamento  dell'Armani?  Forse  la  Lidia  è 
nome  di  guerra  preso  dopo  la  morte  dell' Armani,  la  quale  sap- 
piamo chiamarsi  così  appunto  nelle  commedie?  Naturalmente 
il  Garzoni  allora  avrebbe  parlato  di  lei,  morta  l'Armani,  poiché, 
rimpiazzatala  nel  ruolo  di  prima  donna  in  commedia,  ebbe  modo 
soltanto  allora,  sotto  il  nome  di  Lidia,  di  spiegare  i  suoi  forti  ta- 
lenti artistici:  assai  diversi,  veramente,  da  quelli  dell'Armani,  se 
stiamo  ai  due  ritratti  di  virilità  e  di  maestà  nell'una,  del  Vale- 
rini, di  gentilezza  e  di  grazia  nell'altra,  del  Garzoni.  Ma  chi  si 
nascondeva  sotto  questo  nome  di  Lidia?...  Nessuna  risposta. 

Limbergher  Gioacchino.  Fu  tra' comici  della  Compagnia 
italiana  in  Dresda,  e  sosteneva  il  ruolo  di  amoroso.  Prese  parte 
il  carnevale  del  1749  alla  rappresentazione  Amor  non  ha  ri- 
guardi (V.  Bastona  Marta),  e  nel  7  febbraio  1752  a  quella  del 
Zoroastro  (V.  Arbes  (D')  Cesare),  in  cui  sosteneva  il  personag- 
gio di  Abramane,  primo  sacerdote  degli  Idoli. 

Gioacchino  Limbergher,  o  Limperger,  fu  de'  peggiori  se 
non  il  peggiore  della  compagnia.  Così  ce  lo  descrive  l'anonimo 
critico  di  Stuttgart  nel  suo  Contributo  alla  storia  e  alla  prospe- 
rità del  Teatro: 

Gioacchino  Limperger  è  giovane  ;  né  arte,  né  natura  lo  innalzano.  È  di  media  sta- 
tura, magro,  e  di  una  fisonomia  molto  stupida.  La  andatura,  V  azione,  la  parola  sono 
forzate  ;  dovrebbe  imparare  a  ballare.  Le  mani  e  i  piedi  gli  sono  d' impaccio  ;  e  a  volte 
non  sa  come  muoverli.  Non  par  fatto  per  il  teatro,  n  suo  ruolo  é  di  un  giovane  amoroso 
che  ha  poca  intelligenza,  ed  é  ciò  che  gli  si  conviene. 

Lipparìni  Angelo,  nato  a  Bologna  il  1 801,  si  diede  giova- 
nissimo all'arte,  esordendo  in  compagnie  secondarie  nel  ruolo 

4.  —  /  Comici  italiani.  VoL  JI. 


LIPPARINI 


di  amoroso:  e  tanto  vi  progredì,  che  nel  biennio  '28-'2g  lo  ve- 
àì\z.mo primo  attore  assoluto  nella  rinomata  Compagnia  di  Lucre- 
zia e  Amalia  Bettini.  Sposata  poi  la  vedova  dell'attore  larcos, 
Marietta  Borgì,  pregiata  servetta,  formò 
compagnia,  mantenendosi  per  quasi  un 
trentennio  uno  de' più  esperti  capoco- 
mici. E  dice  il  Colomberti  nelle  sue  note 
che  la  Compagnia  del  Lipparìni,  fton  mai 
primaria  per  celebri  attori,  non/u  mai  se- 
condaria a  nessun  altra  per  piacere  al.pub- 
I  blico  delle  primarie  città  d'Italia.  In  essa 
nonostante,  al  fianco  della  Manetta,  già 
di  per  sé  un  de'  più  grandi  ornamenti, 
militarono  la  Santoni,  la  Fumagalli,  il 
Coltellini,  il  Marini.  Avanti  Ìl  '60  il  Lipparini,  abbandonato  il 
teatro,  si  restituì  in  patria,  dove  morì  sul  cadere  del  '79. 

Lasciò  molti  figli  dedicati  all'arte  paterna,  tra' quali  uno 
che  sposò  Lucrezia  Bettini,  figlia  della  celebre  Amalia. 


Lipparìnì-Borgi  Marietta,  moglie  del  precedente,  già  ve- 
dova dell'artista  Giovanni  larcos,  nacque  Ìl  1810,  e  morì  a  Bo- 
logna l'ottobre  del  1880. 

Principal  colonna  della  compagnia  di  suo  marito,  fu  con 
lui  dal  '29  al  '60,  sorgente  non  interrotta  di  lauti  guadagni. 
Dice  il  Colomberti  che  <  nulla  potevasi  vedere  sulla  scena  dì 
più  grazioso.  Il  di  lei  spirito,  le  grazie,  la  civetteria  decente  e 
gastigata,  una  profonda  conoscenza  del  carattere  della  sua 
parte,  e  tutto  ciò  unito  ad  una  figura  non  alta  ma  proporzio- 
nata perfettamente,  congiunta  ad  un  bel  volto  adorno  da  due 
occhi  nerissimi  pieni  di  malizia,  e  ad  una  voce,  benché  un  poco 
nasale,  gratissima  all'orecchio:  tutte  queste  belle  doti  la  ren- 
devano la  favorita  del  Pubblico.  Non  si  creda  però  che  il  Lip- 
parini s'illudesse  sul  merito  della  moglie:  egli  se  ne  serviva 
in  caso  di  bisogno  anche  come  Prima  Donna,  ma  non  dimen- 
ticava che  questa  é  il  vero  pernio  di  una  Compagnia » 


LIVINI - LOCATELLI  2 


-/ 


Livini  Ferdinando.  Artista  di  molto  pregio  per  le  parti  di 
primo  attore  così  in  commedia  come  in  tragedia,  poi  di  brUlaìite, 
nacque  a  Pisa  il  1790  da  civili  parenti.  Fatti  gli  studi  in  quella 
Università,  si  diede  all'arte  comica,  la  quale  esercitò  dapprima 
in  compagnie  di  second'  ordine,  poi  in  quelle  primarie  di  Tad- 
dei,  di  Raftopulo,  e  di  Tessari,  Prepiani  e  Visetti  ai  Fiorentini 
di  Napoli  il  1825,  sostituito  poscia  dalGottardi,  nel  qual  tempo 
abbracciò  il  ruolo  del  brillaìite.  Datosi  poi  al  capocomicato, 
percorse  il  Regno  di  Napoli  e  Sicilia,  ma  con  non  troppa  for- 
tuna. Morì  a  Foggia  nel  1845. 

Locatelli  Domenico,  detto  Trivellino  in  teatro,  recitava 
mirabilmente  le  parti  di  spiritoso  intrigante,  in  costume  di  ar- 
lecchino senza  la  maschera.  Dovè  recarsi  a  Parigi  verso  il  1644, 
perchè  il  9  gennaio  dell'  anno  seguente  fé'  battezzare  nella 
chiesa  di  Saint  Germain-l'Auxerrois,  un  figlio  per  nome  Carlo 
Francesco,  eh'  egli  ebbe  dalla  moglie  Luisa  Gabrielli  (comica 
anch'essa,  sotto  nome  di  Lucilla,  che  recitò  molto  applaudita 
nella  Finta  pazza  di  Giulio  Strozzi),  tenutogli  a  battesimo  da 
Francesco  di  Bassompierre,  maresciallo  di  Francia,  e  da  Anna 
Dufay  per  conto  dell'alta  e  potente  principessa  Carlotta-Mar- 
gherita di  Montmorency,  principessa  di  Condè.  Non  c'è  male! 
Domenico  Locatelli  era  amato  e  stimato  alla  Corte,  e  il  padre  di 
GueuUette  che  lo  senti  recitare,  affermava  essere  stato  valen- 
tissimo artista.  Del  '48  compose  in  francese  l'argomento  della 
commedia  italiana,  Rosaura  Imperatrice  di  Costantinopoli,  recitata 
poi  al  Petit  Bourbon  soltanto  nel '58.  Ma  del '51  e '52  lo  vediamo 
in  Italia,  come  appare  dalla  supplica  del  io  agosto  1651  da  Ve- 
rona, di  cui  s'è  parlato  al  nome  di  Fiala  Giuseppe  Antonio; 
e  da  queste  lettere  che  riferisco  inedite  dall'Archivio  di  Mo- 
dena, in  cui  troviamo  anche  notizia  della  moglie  Gabbrielli: 

Ser.rao  Sig.r*  mio  S.^e  e  Prone,  sempre  Coll."»o 

Hieri  mandai  un  piego  per  un  Padre  zoccolante  a  V.  A.  Ser.m*  con  le  lettere  del- 
l'ordinario di  venetia  e  di  milano  sono  anciosissimo  di  sapere  se  V.  A.  S.  le  babbi  hauute 
per  mia  quiete. 


28  LOCATELLI 


Triuellino  hieri  sotto  la  parola  del  S.i*  Co.  Baiardi  fu  attacchato  alla  corda  in  Piazza, 
e  poi  fu  rilasciato  per  il  manchamento  connesso  l'altra  sera,  e  recitò  hiersera.  Oitauio  è 
ritirato  nel  Carmine  e  non  se  lasciato  trouare,  che  ha  timore  di  peggio,  ma  S.  A.  S.  è 
addirato  contro  di  lui,  e  più  d'ogn' altro  un  Nobile  venetìano,  che  si  trouaua  in  modena 
che  haueua  seguito  lucilia  moglie  di  Triuellino  nella  quale  è  fieramente  inamorato,  parti 
la  mattina  subito  da  modena  questo  Nobile  cum  mali  pensieri  uerso  Otlauio,  Che  è  quanto 
e  sucesso  sin'  hora  e  ui  sia  dì  nono,  e  laccio  hum.^^  et  oseq.n^*^  riuerenza  a  V.  A.  Ser.ni^ 
Modena  li  3  febraio  1652, 

Di  V.   A.   Ser.ma  Hum.o  e  «lev  ™o  Scr.«  oseq  «0  sempre 

Alessandro  Superchi. 

Ser.nio  Sig.r«  mio  Sig.»^  e  Pron.  sempre  CoU.nio 

Questa  passata  notte  alle  X  hore  mi  sono  comparse  le  lettere  dì  V.  A.  S.  e  in  con- 
formità de  suoi  da  me  ambiti  comandi  ho  recapitato  subito  la  sua  al  S.  Sassi;  quella 
della  S.  marchese  Constanzo  questa  mattina. 

Hiersera  i  comici  nell'  ultimo  atto  della  comedia  uenerono  un  pocho  alle  mani,  cioè 
Triuelino  e  Ottauio  dentro  pero,  e  dicono  che  fosse  Triuellino  che  dasse  un  pugno  ad 
ottauio.  che  subito  ciò  seguito  Triuellino  uenne  fuori  senza  maschera  e  domandò  perdo- 
nanza  allo  Ser.ino  s.  P.o  che  si  trouaua  alla  comedia,  sin  hora  non  si  è  ueduto  alcuna 
dimostratione  di  castigho,  e  si  spera  anchora  che  S.  A.  li  perdoni. 

Inuio  a  V.  A.  S.  le  annesse  littere  uenute  di  venetia  e  portate  dall'  ordinario  di 
milano,  Che  sarà  il  fine  col  fargli  hum.*  et  osseq.i^A  riuerenza.  Modena  li  2  febraio  i6s2. 

Di   V.    A.    S.  Hum.o  e  deu.»®  Ser.  uero  e  oseq.™» 

Alessandro  Superchi. 

Tornò  poi  nel  '53  a  Parigi  (vedi  il  brano  di  lettera  del 
1 6  agosto  nella  Muse  historìque  di  Loret,  riferita  al  nome  di 
Adami  Beatrice),  sposò  il  9  giugno  del  '65  in  seconde  nozze 
e  alla  presenza  di  Cristoforo  Contugi  detto  l'Orvietano,  di  Giu- 
seppe Giaratoni,  Pierot,  e  di  altri,  Maria  di  Creil  vedova  di 
Francesco  de  Houpy.  Sotto  questa  data  abbiamo  un  ordine  di 
pagamento  dal  tesoro  reale  a  Domenico  Locatelli  di  lire  1 200 
per  la  sua  pensione  dell'anno  stesso.  Morì  a  cinquantotto  anni 
il  26  aprile  del  '71  e  fu  sepolto  il  dì  dopo  nella  chiesa  del  con- 
vento dei  Grands-Augustins.  Era  nato  dunque  il  '13,  e  andò 
in  Francia  la  prima  volta  a  trentadue  anni.  Robinet,  continua- 
tore della  Muse  historìque  di  Loret,  così  annunzia  la  morte  di 
Locatelli  nella  sua  lettera  del  2  maggio  '71  : 


La  Parque  souvent  très-cruelle, 
(o  justes  cieux  !  quelle  nouvelle  !) 
par  un  tour  traitre  Oc  fort  vilain, 


LOCATELLI  -  LOLLI  29 

nous  vient  d'enlever  Trivelin, 

qui  dedans  la  troupe  italique, 

etoii  un  si  charmant  comique: 

elle  a  fait  ce  tour,  par  dépit 

comme  je  crois,  de  maint  repit 

qu'il  falloit  que  la  maricaude, 

qui  ne  veut  pas  que  l'on  la  fraude, 

accordàt,  sans  nul  doute,  à  ceux 

qui  voyoient  ce  facétieux, 

lequel  leur  iiispirant  la  joye, 

lui  ravissoit  ainsi  sa  proye. 

O  vous,  qu'il  a  fait  vivre  ainsi, 

daignez  donc  en  lisant  ceci, 

faire  pour  lui  quelque  prière, 

c'est  le  raoins  que  vous  puissiez  faire. 

Pel  ritratto  e  costume  di  Locatelli,  V.  Cantù  Carlo. 
Lodovico  da  Bologna.  (V.  Bianchi  De  Ludovico). 

LoUi  Eustachio.  Recitava  il  1650-51  nella  Compagnia  del 
Duca  di  Modena  le  parti  di  Zanni  sotto  il  nome  di  Fichetto.  Di 
lui  non  abbiamo  altre  notizie  che  queste  rintracciate  in  alcune 
lettere  dell'Archivio  di  Modena,  fra  cui  la  seguente  allegata  a 
un'altra  del  comico  Nelli,  che  riferisco  intera: 

Al  nome  di  Dio 
adi   15  Aprile   165 1  in  Bologna. 

Noi  sottoscritti  Comici  facciamo  fede  come  sono  uenute  da  Padona  tre  lettere  dirette 
a  jichetto  nostro  compagno,  scritte  da  Cauaglierì  di  colà,  con  le  quali  ci  persuadono  a  non  an- 
dare a  recitare  in  quella  Città,  altrimenti  scoreremo  grani  pericoli  per  essersi  diuisa  la  Città 
nel  prethendere,  chi  la  nostra  Compagnia,  e  chi  quella  della  Sig.^a  Armellina,  che  per  ciò  ci 
consigliano  a  non  andarui  per  non  mettere  a  rischio  la  ulta  d'uno  di  noi  ;  le  quali  tre  lettere 
se  gli  è  ritirato  a  se  un  Cauagliere  Bolognese  hauendoci  imposto  il  non  palesare  ne  lui,  ne  chi 
ha  scritto  le  suddette  tre  lettere.  In  fede  di  che  noi  tutti  habbiamo  sottoscritto  per  far  cono- 
scere, che  è  la  uerìtà,  e  non  inuenzione,  ne  della  Sig.^a  Angiola,  ne  del  Dottore  suo  marito  ecc. 

io  ISABELLA  FRANCHINI  detta  Colofibina  afermo  quanto  di  sopra. 

Io  Bernard.^  Coris  detto  Siluio  comico  affermo  quanto  di  sopra  si  contiene. 

Io  Eustachio  lolli  fichetto  affermo  quanto  di  sopra. 

Io  Gio.  Andrea  Zanotti  detto  Ottauio  affermo  ecc. 

Io  Giuseppe  Albani  detto  Pantalone  affermo. 

Io  Giacinto  Bbndinelli  detto  ValP  affermo  ecc. 


30  LOLLI 

Ma  il  Duca  di  Modena  non  si  lasciò  intimidire  dalle  mi- 
naccie  di  quei  cavalieri,  e  die  ordini,  col  mezzo  dell' Obizzi,  al 
Podestà  di  Padova,  perchè  senz'altro  la  sua  compagnia  si  re- 
casse a  recitar  colà,  com'  era  già  stabilito.  Ai  quali  ordini  seguì 
la  seguente  lettera  dell'  Obizzi  : 

Ser.n»o  mio  Signore 

Ho  presentata  la  lettera  di  V.  A.  al  Sig.r  Luigi  Molino  bora  nostro  Podestà,  col 
quale  non  ho  hauuto  mestieri  d'accompagnamenti  di  parole  per  ìndnrlo  a  seruir  V.  A. 
professandoli  egli,  come  sa,  grandissima  diuozione,  e  credo  non  rispondere  se  non  l' ordi- 
nario che  uiene  in  riguardo  di  douer  mandar  la  lettera  in  Senato  per  le  loro  strette  proi- 
bizioni. Veramente  io  come  quello  che  suol  prouedere  ogni  anno  questa  città  di  comici, 
non  sapendo  la  mente  di  V.  A.  hauea  promesso  il  luogo  coli' assenso  de' Rettori  alla 
compagnia  di  Parma,  ma  subito  riccuuti  i  commandi  di  V.  A.  ho  scritto,  che  si  prone- 
dano,  e  pertanto  la  supplico  deuotamente  a  commandar  a  Fichetto^  e  compagni  che  siano 
qui  per  1'  ottaua  di  Pasqua,  e  m' inchino  a  V.  A.  humilissimamente.  Di  Padoua  l'ultimo 
d'aprile  165 1. 

Di  V.   A.   S.  humiiis8.™o  e  fcdeliss."®  Ser.»* 

Pio   Enea  degli  Obizzi. 
Di  fuori  :  ai  Duca  di  Modena. 

L'avere  scritto  quelle  tre  lettere  accennate  a  Fichetto,  e 
non  ad  altri,  e  l'avere  scritto  T  Obizzi  di  <  comandare  a  Fichetto 
e  compagni,  ecc.  ecc.  »  prova  mi  pare  che  il  Lolli  avesse  in 
quella  compagnia  principalissima  parte. 

Lolli  Giovan  Antonio.  Abbiamo  in  molte  lettere  dell'Ar- 
chivio di  Modena  precise  notizie  di  questo  comico,  il  quale  fu 
rinomatissimo  artista  sotto  la  maschera  del  Dottore,  e  col  nome 
teatrale  di  Dottor  Brent'mo,  a  differenza  del  suo  omonimo  Gio- 
van Angiolo  Lolli  che  sotto  la  stessa  maschera  fu  celebre  in 
Francia  col  nome  di  Dottor  Baloardo.  La  prima  notizia  tro- 
viamo in  una  lettera  del  1 66 1 ,  che  ci  fa  sapere  come  innanzi  a 
quel  tempo  il  Dottor  Brentino  facesse  parte  della  Compagnia 
del  Principe  Alessandro  Farnese.  È  lo  stesso  Duca  di  Modena 
che  si  rivolge  al  Cardinal  Legato  di  Bologna,  pregandolo  di 
chiamare  a  sé  il  Lolli  e  di  persuaderlo  con  belle  promesse  ad 
accettare  l'invito  di  far  parte  della  Compagnia  del  Duca,  al 
che  pare  si  fosse  mostrato  renitente. 


LOLLI  31 

Da  un'altra  lettera  del  30  giugno  '76  di  Don  Alfonso 
d' Este  si  apprende  come  il  Dottor  LoUi  fosse  in  Francia.  Ma 
il  '77  era  a  Verona  al  servizio  del  Duca  di  Modena.  Il  '79  si 
trovò  a  recitar  nientemeno  che  a  Londra....  con  disastrosi  re- 
sultati, ch'egli  stesso  ampollosamente  e  comicamente  ci  ap- 
prende in  una  preziosa  lettera  del  '79  che  pubblico  integral- 
mente : 

ni.mo  et  Ecc.™o  Sig.o'  Sig.or  et  Padron  Col.'"o 

In  fine,  la  Saprema  bontà,  di  Sua  Altezza  Reale  là  Sig.^^  Duchessa  di  lorch,  là 
quale  non  inuidia  punto  la  Generosità  del  nostro  Ser.n*o  Padrone,  ha  ottenuta  là  dà  noi 
tanto  desiderata  licenza;  doppo  esser  stati  per  tre  mesi  Infruttuosi  appresso  questa  Real 
Corte,  è  quello  che  più  importa  anco  à  noi  stessi,  non  hanendo  potuto  rapresentare  che 
solo  u....  sei  Comedie  con  Pochissimo  Applauso,  è  niente  d*  Vtile;  È  be[nsi  vero]  Però 
che  si  hebbe  già  in  due  uolte  per  ricorso  fatto  alla  Nos[tra]  Ser.n^^  Prottetrice  è  Padrona, 
cento  cinquanta  Pezze,  è  si  die[de]  tredici  Pezze  per  uno;  beuanda,  che  semi  non  per 
smorzare  ma  per  accendere  maggiormente  là  sete  à  questo  Idropico  corpo  di  Compagnia  ; 
Potati  che  furono  à  pena  i  Rami  del  Vechio  debito,  ripuluUorno  in  breue  in  tanta  copia 
che  mossa  di  nono  à  Pietà  là  Prodiga  mano  di  Sua  Altezza  Reale  ha  ritrouato  il  modo 
di  sradicare  questa  infruttuosa  Pianta.  Indi  in  quantità  sufficiente  seminando  Argenteo  Sale 
nel  fertile  terreno  della  nostra  Pouertà,  già  sterille  l'ha  reso;  Siamo  dunque  richi,  perchè 
la  Compagnia  [è|  senza  debiti;  Infermità,  che  ci  haueua  ridotti  poco  [più]  che  alli  estremi; 
se  con  Aurei  siroppi  non  ueniua  cu[ra]ta;  Piaga  cosi  Vasta,  che  per  medicarla  Vna  sol 
uol[ta]  è  stato  neccessario  Adoprare  ottocento  Pezze  ;  rissanati  dunque,  senza  altra  licenza 
del  Medico,  Vogliamo  mutar  aria  à  Dio  Piacendo,  è  si  i  disgusti  eh'  io  prono  dà  questa 
turba  di  Compagni  sregolata,  non  mi  fanno  ricadere,  spero  di  ritornare  con  salute  à  riue- 
dere  il  Panaro,  terminato  che  haurò  di  più  mirare  l'Abhorito  Tamiggi;  Attendo  perciò 
un  Ostro  fauoreuole  per  scostarmi  quanto  prima  dà  questi  lidi  ;  Nel'  quali'  tempo  là  prego 
di  nono  à  non  scordarsi  di  me'  è  di  quanto  nel'  ultima  mia  le  scrissi  poiché  là  mia  Flemma 
si  è  resa  in  tutto  è  per  tutto  in  habile  à  poter  più  proseguire  auanti;  ò  mutatione  di 
Compagni,  ò  libertà;  Londra  li  17  febraro  Ì679. 

Di   V.    E..  Huin  ™0  Scr.«>  DeuoL'no 

Gio.  Antonio  Lolli  detto  il  Dottore  Comico, 

Di  fuori  :         ai'  Ill.mo  et  Ecc.nio  Sig.^  et  Padron  Col.mo  U 

Sig.'  Don  Alfonso  D'Este 
Franca  per  Mantoa  Modena. 

A  questo  viaggio  di  Londra  si  riferisce  l'altra  sua  lettera 
da  Lione  al  comico  Francesco  Delli  Angioli  (V.).  Con  lettera 
del  3  marzo  1683,  il  Duca  di  Mantova  scriveva  al  Duca  di 
Modena,  per  chiedergli  insieme  ad  altri  comici  il  Dottor  Bren- 
tino,  da  aggregare  alla  propria  compagnia. 


32  •  LOLLI 

Ma  il  Duca  di  Modena  continuò  a  tener  compagnia,  e  in 
essa  il  Lolli,  di  cui  abbiamo  la  seguente  lettera  curiosissima: 

Altezza  Ser.">a 

Gio.  Antonio  Lolli  Allias  Dottor  Brentino  Comico,  Humil.n»o  Sernitore  di  Vostra 
Altezza  Serenissima  Doppo  di  hauere  per  lo  spatio  di  anni  otto  sernito  con  ogni  Decoro 
et  honorenolezza  al'  Altezza  Vostra  fu  Già  Vn'Anno  fa  fuori  di  tempo,  è  senza  alcun' 
Demerito,  Dal'  Sig.»"«  Don  Alfonso,  licentiato  dal*  Ser."»o  Seruiggio,  à  conditione  però, 
di  non  passare  i  monti  fuori  di  Itallia,  né  di  impegnarsi  con  altri  Prencipi;  onde  non 
hauendo  in  dodici  mesi  potuto  Impiegarsi  nella  Comica  atteso  le  circostanze  Sud. te  fu 
neccessitato  ricorrere  con  lettere  all'  Sud.to  Sig.^  Don  Alfonso  per  qualche  Sollieuo  più 
Volte  Ma  sempre  senza  frutto,  onde  ridotto  in  estrema  Neccessità,  è  Carico  di  Debiti  | 
ricorre  con  Profonda  humilta  à  Piedi  di  Vostra  Altezza  Ser.»"»  Supplicandola  à  Volere 
con  occhio  Pietoso  riflettere  alla  sua  Causa  non  hauendo  doppo  un'Anno  Perduto  ;  modo 
di  sostentarsi,  che  di  tanta  Gratia.  Quam  Deus  &. 

Di  fuori:  Memoriale 

All'Altezza  Ser.n^a  Dell'  Signor 

Duca  di  Modena 

Per  Gio.  Antonio  Lolli  Comico 

detto  il'  Dottore. 

{Rescritto  della  Cancelleria)  prouisto  21  maggio  1686, 

Infatti  nel  maggio  '86  egli  figurava  nella  lista  dei  comici 
del  Duca,  al  fianco  dei  coniugi  Fiala,  di  Antonio  Riccoboni,  di 
Carlo  San  Giorgi,  ecc.  ecc.,  ai  quali  per  sussistenza  furono  as- 
segnate due  doppie  il  mese.  E  lo  troviamo  del  '92  sempre  al 
servizio  del  Duca,  a  cui  scrive  da  Ferrara  Luigi  Bentivoglio, 
pregandolo  di  concedere  la  permissione  al  Dottor  Brentino  di 
trasferirsi  a  recitar  colà  nella  compagnia  da  lui  protetta. 

Altro  non  mi  fu  possibile  rinvenire,  specialmente  per 
quanto  potesse  concernere  un  suo  grado  di  parentela  con  Fi- 
chetto  e  col  Dottor  Baloardo,  dei  quali  era  contemporaneo. 

Lolli  Giovanni-Batista- Angelo -Agostino.  Bolognese, 
nato  circa  il  1628,  fu  reputatissimo  attore  in  Francia  sotto  la 
maschera  del  Dottore,  col  nome  di  Graziati  Baloardo,  Il  Tra- 
lage  in  una  sua  nota  manoscritta  parla  della  eccellenza  de'  co- 
stumi di  Lolli,  il  quale,  un  po'  fors'  anco  per  questo,  e  un  po'  pel 
suo  nome  di  Angelo,  era  noto  più  specialmente  col  nome  di 


l'Ance,  o  Lange,  col  quale  anche  talvolta 
si  firmava.  Fece  rappresentare  nel  '70 
una  commedia  intitolata  Z^  Gentilhomme 
camfiagnard,  ou  les  Débauches  d'Arie- 
quin.  Sposò  Patrizia  Adami  (V.),  ser- 
vetta col  nome  di  Diamant'ina.  insieme 
alla  quale  fu  naturalizzato  francese  il 
16  giugno  del  1683,  e  si  ritirò  dal  tea- 
tro, a  cagione  dell'  età  e  de'  malanni, 
nel  1694,  con  una  pensione  di  mille  lire, 
sostituito  da  Marc'Antonio  Romagnesi, 
che  avea  recitato  sin  allora  gli  amorosi. 
Giov.  Angiolo  Lolli  morì  a  Parigi  nel 
suo  domicilio,  me  du  Croissant.  Ìl  4  no- 
vembre 1702,  e  fu  sepolto  l'indomani 
nella  chiesa  di  Sant' Eustacchio. 

Il  Loret,  nella  Muse  historique  del 
14  febbraio  1654,  così  ci  apprende  una  disputa  sorta  fra  il 
Dottor  Lolli  e  il  Pantalon  Turi: 


Baloardo  Cotnèdien, 
lequel  eocor  qu'Iialien, 

n'est  qu'un  auteur  mélancolique, 

l'autre  jour  en  piace  publique, 

vivement  attaquer  osa 

le  Pantalon  Bisognosa, 

qui  pour  repousser  l'incartade, 

mit  soudain  la  main  à  l'espade, 

et  se  chatoliillèrent  loag-iems, 

devanc  quantité  d'assistans; 

qui  croyant  leur  combat  tragique, 

n'ètre  que  fiction  comique, 

laissérent  leurs  grands  coup  tirer, 

sans  nullement  les  sèparer. 

Si  le  come,  ou  l'histoire  n'erre 

Baloardo  tombant  par  terre, 

s'écria  «  Dieu  !   quelle  pitie! 

«  les  Francois  ont  peu  d'amìtié  ! 


34  LOLLI  -  LOLLIO 

— i 

«  Ayant  commencé  de  combattre, 

«  nous  pensions  qu'on  nous  tint  à  quatre; 

«  sans  cet  espoir  nous  n'eussions  pas; 

«  nul  de  nous  n'étant  sanguinaire; 

«  on  nous  a  pourtant  laissé  faire, 

ce  Donc  pour  m'étre  un  peu  trop  hàté, 

«  je  suis  navré  par  le  coté. 

«  Veramenìc  queste  personnes 

«  ne  sont  ni  courtoises,  ni  bonnes.  » 

Tour  chagrin,  lout  pale  &  transi, 

Baloardo  parloit  ainsi, 

en  regardant  saigner  sa  playe. 

Que  Taventure,  ou  non,  soit  vraye, 

en  la  saison  de  maintenant, 

tout  est  de  caréme  prenant. 

LoUio  Carlo.  Nacque  a  Bergamo  nel  1832,  e,  terminati  a 
pena  gli  studi  ginnasiali,  entrò  aspirante  nel  Tribunale  di  prima 
istanza;  ma,  perseguitato  dal  governo  austriaco  pei  suoi  sen- 
timenti patriottici,  fu  costretto  ad  esulare,  e  consacrarsi  alle 
scene,  esordendo  nell'autunno  1852  con  la  drammatica  com- 
pagnia di  Nicola  Cola.  Venuto  a  mancare  il  primo  attor  gio- 
vane in  Compagnia  Domeniconi,  egli  fu  chiamato  a  sostituirlo, 
facendo  subito  bella  prova  con  la  parte  di  Emanuele  nel  Se- 
greto. Passò,  dopo  un  triennio,  nella  Compagnia  di  Luigi  San- 
tecchi,  ov'era  Enrichetta  Abati,  che  divenne  poi  sua  moglie, 
indi,  assunto  il  ruolo  di  primo  attore  assoluto,  nella  lombarda 
diretta  da  Zamarini.  Tentò  il  capocomicato  in  società  con 
Federigo  Boldrini,  ma  con  poca  fortuna;  e  si  scritturò,  termi- 
nato Tanno,  e  per  un  triennio,  con  Giuseppe  Trivelli,  col  quale 
ebbe  la  fortuna  di  recitare  al  fianco  di  Gustavo  Modena,  soste- 
nendo le  parti  di  David  nel  Saul,  di  Nemours  nel  Luigi  XI,  di 
Loivendegen  e  del  Duca  d' Alba  nel  Cittadino  di  Gand. 

Da  quella  del  Trivelli  passò  nelle  Compagnie  di  Gaspare 
Pieri,  di  Pieri  e  Dondini,  di  Colomberti  e  Casilini,  e  di  Lupi. 
Entrò  poi  in  società  con  Augusto  Bertini  e  Leontina  Papà,  e 
diresse,  a  Napoli,  la  Compagnia  del  Teatro  Nuovo,  impresario 


il  Luzi.  Fu  inoltre  nella  Compagnia  n."  2  di  Fanny  Sadowski,  di- 
retta da  Luigi  Monti,  da  cui  si  sciolse  il  '76  per  la  morte  della 
moglie,  diventando  di  bel  nuovo  capocomico,  e  inaugurando  Ìl 
giugno  di  quell'anno  il  Politeama  Alfieri  di  Genova.  Fu  con 
la  Pezzana  in  Ispagna  e  Portogallo,  e,  tornato  in  Italia,  con 
Bollini;  passando  poi  di 
società  in  società  fino  al- 
l'anno, in  cui  fu  nomina- 
to Professore  secondario 
alla  R.  Scuola  di  Recita- 
zione di  Firenze. 

Ebbe  dall'Abati  una 
figliuola,  Antonietta,  già 
seconda  donna,  poi  pri- 
ma, moglie  dell'artista 
Giuseppe  Strini,  e  sposò 
in  seconde  nozze  l'attrice 
Annetta  Cavallotti,  da  cui 
ebbe  due  figliuoli. 

Dire  della  squisitez- 
za dell'animo  e  della  inte- 
grità di  Carlo  Lollio  non 
potrei.  Mite,  affettuoso, 
debole  financo,  si  faceva 
leone  contro  la  umana  in- 
giustizia. Di  fronte  al  suo  dovere  dì  uomo  onesto  non  conosceva 
ostacoli.  E  questa  sua  rettitudine  senza  pari  gli  costò  la  vita.  Di- 
sfatto dalla  malattia  dì  cuore,  impotente  quasi  a  muoversi  dal 
letto  di  morte,  con  uno  sforzo  supremo  un  giorno  levò  il  capo,  e 
si  diede  a  sclamare  con  voce  rotta  dal  pianto;  «  perdono!  per- 
dono!... perdono  tutti!  perdono  tutto!...»  E  dopo  qualche  giorno, 
il  2  2  nov.  1 893,  morì  ;  e  io  nulla  ho  più  da  aggiungere,  ubbidiente 
e  devoto  all'amico,  al  padre,  al  protettore  e  difensore  mio;  ma 
voglio  qui,  in  questo  libro,  ov'è  trasfusa  tanta  parte  di  me,  chiu- 
dere i  cenni  della  vita  di  Carlo  Lollio  con  una  Y>3so\a.:  gratitudine  / 


36  LOMBARDI 


Lombardi  Bernardino.  Recitava  le  parti  di  Graziano  nella 
Compagnia  dei  Comici  Confidenti,  che  tanto  grido  levaron  tra  noi 
e  in  Francia  nella  seconda  metà  del  sec.  xvi.  Non  è  ben  chiarito  in 
quale  epoca  si  recassero  a  Parigi,  ma  non  prima,  pare,  del  '75; 
né  in  quale  si  fondessero  coi  Gelosi,  formando  la  Compagnia  dei 
Comici  Uniti,  e  da  quelli  poi  si  risciogliessero.  Al  nome  di  Al- 
berghini-Angelica,  è  pubblicato  il  madrigale  di  Cristoforo  Cor- 
belli che  generò  la  notizia  data  dal  Quadrio  della  loro  unione 
circa  r  '80.  Ma  una  supplica  pubblicata  dal  Belgrano  abbiam 
neir  '83  di  Bernardino  Lombardi  a  nome  degli  Uniti  Confidenti 
per  recitare  a  Genova  nei  mesi  di  aprile,  maggio  e  giugno,  ed  al- 
tra ne  abbiamo  neir  '86  al  Senato  Genovese,  de'  soli  Confidenti. 

Fu  il  Lombardi  anche  autore  di  una  commedia  in  prosa, 
intitolata  V Alchimista,  e  dedicata  a  Giulio  Pallavicino  (Ferrara, 
Baldini,  1583,  poi  Venezia,  Sessa,  1586,  e  Spineda,  1602),  in 
cui,  scrive  Adolfo  Bartoli  nella  sua  introduzione  agli  Scenar j, 
<  noi  troviamo  quello  che  è  così  raro  nella  commedia  italiana 
del  secolo  xvi,  qualche  carattere  studiato  e  disegnato.  La  sa- 
tira dell'Alchimista  è  ben  fatta,  e  Momo,  Lucrezia,  il  servo  Vol- 
pino hanno  qualche  originalità,  si  staccano  dal  solito  e  mono- 
tono convenzionalismo  di  quasi  tutti  i  personaggi  drammatici 
del  cinque  e  seicento.  Le  stesse  Nafissa  vecchia  ed  Angelica 
cortigiana  si  può  asserire  che  non  sono  come  tutte  quelle  altre 
infinite  cortigiane  e  vecchie  della  scena  italiana.  > 

Alla  fine  di  essa  è  un  suo  sonetto,  non  brutto,  al  Pallavi- 
cino, che  il  Bartoli  riferisce  nel  suo  cenno  :  ma  io  preferisco 
metter  qui  una  scena  del  Graziano  (la  3*  dell'atto  II),  la  quale 
ci  darà  meglio  un'idea  dello  scrittore  e  dell'artista: 

SCENA    III 

POCOINTESTA   &   GRATIANO 

Poe.  Che  cosa  vorrà  il  suo  seruitor  dal  mio  patrone  cosi  allo  scuro,  che  non  ne  habbiamo 
anchora  tredici  del  Mese?  &  sono  decinoue  miglia  sonate  in  torre  di  Nona,  &  non 
ho  finito  ancho  il  primo  sonno,  &  la  patrona  della  sua  sema  mi  manda,  per  eh'  io 
parli  col  mio  padrone:  ma  eccolo  a  fede  mia,  e  nò  burlo  già,  che  volete  voi  da  me? 

Gra.  Desedet  zucca  senza  sai,  tu  duorme  an  ualenthom,  Oh  quand  qstu  no  dorm  l' è  pur 
vizilant  as  pò  ben  dir  che  essendo  con  mi,  ch'ai  sia  insiem  du  huomn  dlla  caplina 


LOMBARDI  37 


lu  in  te  la  tutia,  e  mi  in  quel  eh  se  sa.  Dim  Pocintesta,  che  cosa  voi  similitndinar 
quel  che  t'ha  in  quel  Alcest? 

Poe.  Mad.  s*  io  vo  dal  patrone,  volete  eh*  io  mi  leui  di  questo  letto,  o  pure  ho  d'andami 
cosi  ignudo:  horsu  aprìtimi  la  porta,  e  fatemi  lume,  che  gli  è  vn  giorno  di  notte, 
che  par  di  mezzo  Agosto,  o  bel  solaio  alla  sala  del  mio  patrone;  ho  patrona  dite 
al  messere,  che  non  voglio  leuarmi. 

Gra.  a  son  masculin,  e  no  famulin,  &  ti  no  nie  in  casa,  ne  in  tal  lett  es  t'auuri  i  occhi 
t  vedrrà  se  ti  no  srà  orb,  dim  vn  poc,  mat  purta  qle  rob,  cha  t' ho  scritt  in  qella  plizza. 

Poe.  Eccoci  il  giorno,  ma  chi  mi  ha  portato  qui  senza  mia  licenza,  &  m'  ha  riuestito, 
che  paio  vn  hnomn  di  legno?  patrone  son  qui;  perchè  M.  &  il  mio  messere  con 
Pocointesta  madorono  la  casa  del  semitore  in  villa  p  portare  in  vn  cesto  le  coma 
del  bufolo  caprino,  che  voi  sete,  suo  amico. 

Gra.  Tn  sa  dir  al  to  concet,  zuè  la  tua  vpilation,  tu  vuo  dir  Mad.  la  qual  parland  cun 
mi  vuol  vnfrir  l'infumad  parol,  che  te  ne  par,  nonella  qsi? 

Poe.  Signor  si,  eccomi  vino  da  donerò;  e  s*io  muoro  mai  più,  che  possiate  essere  ea- 
strato ;  mi  pareua  hora  dormendo,  che  haueuate  perduto  il  ceruello,  &  che  il  mio  per 
cercarlo  era  restato  pegno  per  la  vettura  del  cauallo  alla  Storta. 

Gra.  Non  tant  derimonie,  at  domand  le  robeno  al  cernei. 

Poe.  O  vi  dirò,  il  messo,  che  mi  fu  portato  dalla  lettera,  dicea  cosi.  Per  vn  presente  ti 
lauerai  il  viso,  come  voglio,  che  tu  pigli  co  tre  pesci  in  porto,  e  vn  passo  in  mezo 
il  Tenere  co  '1  dissegno  d' vna  tetta  vecchia,  &  che  tu  metta  vna  buona  cura  alle  cose 
del  fiamingo,  accio  resti  sano,  &  teghi  V  acqua,  &  eh'  io  venissi  col  subito  per  vna 
cossa  eh'  importa,  si  che  intendete  il  presente,  la  lettera  no  me  la  diede;  il  viso  me 
lo  lauai;  i  tre  pesci  eccoUi,  il  passo  in  mezo  il  Tenere  lo  farò,  se  voi  pagate  la  spesa 
del  ritorno;  il  disegno  della  tetta  vecchia  non  se  ne  troua;  il  Fiamingo,  perchè  non 
è  stitico,  non  volse  la  cura;  ne  li  diedi  l'acqua,  perchè  li  piaceua  più  il  Vino:  il 
subbio  eccolo,  che  ve  ne  pare  ?  non  son'  io  lesto  ?  &  se  non  mi  credete  ecco  la  lettera. 

Gra.  Ti  n'  sa  liezer,  lassa  far  à  mi,  da  qui  che  te  m' ha  srui  in  ti  garit  ;  la  dis  qsi  ascolta 
qnest  è  al  suzett,  al  tintor  della  littera,  pr  la  patent  t'  haurà  auis,  com'a  vuoi,  eh 
t'  pii  al  cumtrapes,  e  vn  cumpas  mezan,  eum  al  dsegn  d'  ceuetta  vecchia,  &  met  bona 
cura  alle  eos  del  fìameng  azzò  che  le  tiengan  ben  l' aqua  ferma,  *  *  subi  pr  vna  cosa 
de  porca:  mo  fat  qui,  va  in  tal  mia  studi,  e  tua  al  mia  cumtrafat  dpint  int  l'voli 
dal  naturai,  e  puortal  alla  sgnora  Angzielica  da  mia  parte,  e  dii  cha  vuoi  parlar  cun 
lià  sta  sira  sacchettamente,  chin  dit  ?  t'  bastard  l' amit  d'  far  l' imbastarda  con  la  va. 

Poe.  £  di  che  sorte;  dirò  cosi.  M.  ritrat  mi  manda  da  voi  la  cortigiana,  acciò  le  mandiate 
vn  sacchetto  di  mente  per  il  bastardo,  da  far  l'amito  al  basto  del  mio  patrone,  & 
contrafarà  nello  studio  del  Pittore  l'olio  nell' rerinale,  non  va  cosi? 

Gra.  Si  si  o  bon  tia  al  più  bon  rutori  al  più  bel  vrlador  pr  dir  la  to  intintation,  che  sia 
ma  vsci  dalla  scola  d'  Zezaron,  potta  d'  Zuda,  s'  Roma  perdes  qstù,  a  mi  la  free  pò 
castra  da  vera,  va  mit  zo  qste  rob,  e  tua  quel  cha  t'  ho  dit,  e  vsa  bona  salcizza  da 
Vdine  di  gratia  intomo  à  Fiora,  che  vaga  a  eà  d' la  surella  d' la  patrona,  sat  Pocintesta 
garbat?  e  mi  andarò  dal  mia  eumpar  per  vn  mia  disegn. 

Lombardi  Francesco.  Nativo  di  Alessandria  della  Paglia, 
commesso  un  omicidio  in  patria,  esulò  per  sottrarsi  ai  rigori 
della  giustizia,  e  si  fece  frate  dell'ordine  di  S.  Francesco. 
Stanco  poi  della  vita  monastica,  fuggì  dal  convento  in  paesi 


38  LOMBARDI 


ov'  era  sconosciuto,  sinché,  unitosi  alla  Compagnia  di  Nicola 
Petrioli,  si  diede  al  teatro  recitando  le  parti  di  secondo  innamo- 
rato (era  Testate  del  1740,  al  Teatro  Ducale  di  Milano).  Nella 
chiesa  parrocchiale  detta  S.  Maria  della  Mascarella  in  Bologna, 
prese  moglie,  con  cui  visse  molti  anni  senza  figliuoli,  e  che  gli 
morì  del  1 768  in  Venezia.  Pcissato  nella  Compagnia  di  Vincenzo 
Bazzigotti,  e  recatosi  a  Siena,  tentò  in  vano  di  psissare  a  se- 
conde nozze  con  una  giovane  del  paese,  per  nome  Caterina, 
divenuta  poi  la  moglie  di  Antonio  Fiorilli.  Sempre  in  Compa- 
gnia del  Bazzigotti  fu  il  carnovale  del  '70  in  Ferrara,  dove, 
scoperto  alla  fine,  risolse  di  palesare  il  suo  stato  al  Marchese 
Camillo  Bevilacqua,  coli' aiuto  del  quale  potè  ottenere  la  pro- 
tezione del  Cardinal  Crescenzi,  Legato  di  Ferrara,  che  invioUo 
a  Roma  appiedi  di  papa  Clemente  XIV,  dal  quale  ottenne  la 
più  ampia  assoluzione  di  ogni  sua  colpa.  Tornò  air  ordine 
de'  cappuccini,  e  da  una  sua  lettera  a  un  Facchini  di  Ferrara, 
in  data  del  2  febbraio  1771,  firmata  Fra  Gian  Fedele  d'Ales- 
sandria, stridente  cappuccino  indegno,  e  pubblicata  per  intero  da 
Fr.  Bartoli,  sappiamo  com'  egli,  appena  entrato,  avesse  avuto 
la  direzione  spirituale,  che  durò  sei  mesi,  dal  Padre  Maestro 
Bonaventura  di  Ferrara;  poscia  un  Lettore,  il  Padre  Giuseppe 
Maria  d'Alessandria,  per  psissar  la  filosofia.  All'ottobre  avrebbe 
mutato  convento  per  lo  studio  della  teologia,  e  avrebbe  offi- 
ciato a  Pentecoste. 

Si  diede  poi  alle  Missioni  apostoliche,  e  lo  vediam  percor- 
rere tutta  la  Marca  Anconitana,  e  fece  con  grande  successo  il 
quaresimale  del  '77  a  Bologna,  in  quella  stessa  chiesa  della 
Mascarella,  ove,  rinnegata  la  fede,  avea  preso  moglie.  Suo  vivo 
desiderio  sarebbe  stato  quello  d'andar  tra* barbari,  missiona- 
rio, beato  di  affrontare  e  sostenere  il  martirio  per  la  fede  di 
Cristo,  ma  la  morte  lo  colse  del  '78,  mentre  stava  predicando 
in  Romagna. 


li  Stefano  da  Nizza  di  Provenza.  Il  Bartoli  lo  dice 
comico  di  qualche  merito.  Recitò  le  parti  àHnnamorato  in  Com- 


LOMBARDI  39 


pagaia  di  Nicodemo  Manni,  con  la  moglie  Anna,  egregia  ser- 
vetta, con  la  quale  passò  poi  a  Napoli  e  a  Palermo  (1782). 

Lombardi  Rodrigo.  Bolognese,  comico  eccellente  per  le 
parti  di  Dottore,  nelle  quali  e  per  la  intelligenza  e  per  la  viva- 
cità non  ebbe  chi  gli  stesse  a  fronte.  Fu  uno  de'  principali  or- 
namenti della  Compagnia  di  Antonio  Sacco,  di  cui  sposò  la 
sorella  Adriana,  moglie  poi  in  seconde  nozze  dell'artista  Ata- 
nasio Zannoni.  Ebbe  da  tal  matrimonio  molti  figliuoli,  e  ne 
vediam  due  sul  teatro:  Benedetto,  prima  ballerino  nella  Com- 
pagnia del  Sacco,  rimasto  in  tal  carica  sul  teatro  a  Lisbona 
per  undici  anni  al  servizio  di  quella  Corte,  poi,  tornato  in  Italia 
e  già  maturo,  Arlecchino  di  molto  pregio,  morto  a  Torino  nel 
carnovale  del  1 795  ;  e  Rosa,  graziosa  e  pregevole  donnina,  che 
sposò  Francesco  Arena,  il  figliastro  del  Pantalone  d'Arbes,  e 
morì  giovanissima.  Quando  dalla  Compagnia  Grimani  uscì  il 
Dottore  Monti,  Rodrigo  Lombardi  andò  a  sostituirlo,  e  Gol- 
doni lasciò  scritto  di  lui  (Pasquali,  XIV,  9)  eh'  era  bravo,  eccel- 
lente: e  valente  lo  disse  pure  il  Gozzi  nell'appendice  al  suo 
Ragtonamento  ingenuo  (IV,  45).  Fu  autor  di  Scenarj  di  comme- 
die all'  improvviso,  eh'  egli  recitava  mirabilmente,  intitolate 
Il  Dottore  giudice  e  padre,  e  Chi  trova  un  amico  trova  u?t  tesoro, 
o  sia  //  Dottore  avvocato  dei  poveri.  Nel  1 749,  sceso  all'osteria 
della  Croce  Bianca  in  Parma,  ove  dovea  far  la  stagione  d'estate 
coi  Parenti,  fu  colpito  da  sì  repente  e  terribile  male,  che  do- 
vette, in  capo  a  pochi  dì,  soccombere  nella  pienezza  della  vi- 
rilità. 

Lombardi  Giovanni.  Figlio  di  Benedetto,  di  cui  s' è  fatto 
cenno  all'articolo  precedente,  fu  attore  pregiatissimo  in  Roma 
per  le  parti  di  donna.  Passò  poi  in  varie  compagnie  nel  ruolo 
di  primo  amoroso,  e  tale  fu  molti  anni  in  quella  di  Giacomo 
Moggio.  Scrisse  molte  commedie  rappresentate  e  non  istam- 
pate,  e,  lasciata  l'arte,  si  ritirò  prima  a  Mirandola,  poi  a  S.  Gio- 
vanni in  Persiceto,  dove  morì  nel  1836. 


40  LOMBARDI 


Lombardi  Federigo.  Fratello  del  precedente,  fu  come  lui 
artista  egregio  per  le  parti  di  primo  amoroso,  che  sostenne 
nelle  migliori  compagnie  del  suo  tempo.  Sposò  in  Siena  una 
certa  Giuseppa  Zacchea  di  Milano.  Venuto  a  maturità,  vestì  la 
maschera  del  Brighella,  sotto  la  quale  si  mostrò  pur  valentis- 
simo, e  morì  in  Bologna  nel  1850. 

Lombardi  Rosa.  Sorella  dei  precedenti,  nacque  a  Venezia 
nel  1 741,  e  cominciò  da  bimba  a  mostrar  grandi  attitudini  alla 
scena.  Fu  coi  parenti  nella  Compagnia  Sacco,  e  recatasi  poi 
con  essa  a  Lisbona  assieme  ai  fratelli  e  ad  altri  fanciulli,  recitò 
con  gran  maestria  le  parti  àX prima  attrice,  protetta  e  remunerata 
da  quei  Sovrani  sino  al  dì  del  famoso  terremoto  del  1755,  in 
cui  fu  costretta  a  tornarsene  con  la  Compagnia  in  Italia.  Progre- 
dendo in  età,  in  perizia,  in  bellezza,  potè  assumere  il  ruolo  di 
prima  attrice  assoluta,  in  cui  fu  acclamata  a  Venezia  e  altrove 
come  una  delle  più  chiareartiste  del  suo  tempo.  Sposò  a  ven- 
tidue anni  Giuseppe  Arena,  il  celebre  inventor  delle  macchine, 
trasformazioni,  voli,  ecc.,  per  le  favole  teatrali  scritte  da  Carlo 
Gozzi  pel  capo-comico  Sacco,  ma,  non  compiuti  i  ventiquat- 
tr'anni,  le  si  palesò  tal  grado  di  anemia  che  in  pochissimo 
tempo  la  estinse  in  Venezia  nel  1765,  seguita  nel  sepolcro  a 
breve  distanza  dallo  sposo  accoratissimo. 

Lombardi  Francesco.  Primo  figlio  di  Federigo,  nacque  a 
Bergamo  il  1 792,  e,  con  l'esempio  del  padre,  si  mostrò  fin  da  gio- 
vanetto egregio  amoroso  in  Compagnia  di  Antonio  Goldoni,  poi 
di  Giacomo  Dorati  ;  riuscendo  quindi,  sotto  gli  ammaestramenti 
di  Giovanni  Libanti,  artista  de' più  pregiati.  Venuto  a  morte  in 
Compagnia  Fabbrichesi  il  celebre  Giovanni  Bettini,  andò  il  Lom- 
bardi a  sostituirlo;  e  sì  bene  uscì  dal  cimento,  che  partito  il 
Belli-Blanes,  egli  ne  sostenne  le  migliori  parti  di  amoroso,  pas- 
sando di  trionfo  in  trionfo.  Indescrivibile  è  il  fanatismo  da  lui 
destato  a  Napoli,  solo  uguagliato  dal  fratello  Alessandro.  Fu 
quindi  nella  Compagnia  di  Luigi  Vestri,  stipendiato  dal  vecchio 


LOMBARDI 


Duca  Torlonia  per  tre  stagioni  annuali  in  Roma,  e  quivi  anche  sì 
rinnovarono  i  trionfi  di  Napoli.  Passò  da.  questa  primo  ai/ore  con 
Giacomo  Modena,  poi,  intollerante  di  giogo,  formò  da  sé  com- 


pagnia della  quale  fu  prima  attrice  l'Amalia  Vidari.  La  quare- 
sima del  '25  diede  improvvisamente  addìo  alle  scene  per  riti- 
rarsi a  Bologna,  ove  aveva  segretamente  sposata  la  Principessa 
Maria  Hercolani. 

Il  Colombertì  dice  di  lui:  che  sortì  dalla  natura 


e  inquieto,  atrabiliire,  pontìglioso  e  prepolenle.  Villano  e  sprezzante  di  tutto 
e  di  tatti,  non  aveva  amici  perche  voleva  suppedìtar  tatti  con  il  suo  prepotente  contegno, 
e  con  il  suo  basso  e  triviale  frasario.  Osteiiante,  bene  spesso  era  preso  dal  vino,  ed  in 
allora  netmno  sapeva  il  modo  di  contenersi  con  Ini.  Secondandolo,  se  ne  olTendeva,  op- 
ponendosegli,  bisognava  litigare,  e  anche  venire  alle  mani.  Dotata  di  una  forza  ercolea, 
sn  di  essa  afiidavasi  per  insoleatire  a  dritto  o  a  torto 


-  /  Comi 


aaliat 


.  VoL  II 


42  LOMBARDI 


A  questo  carattere  violento,  irruento,  dovè  il  Lombardi 
la  più  tragica  delle  morti,  che  il  Colomberti  ancora  ci  racconta 
ne'  suoi  particolari  : 

Senti  vasi  egli  una  mattina  indisposto  di  s&lnte;  aveva  ordinato  un  brodo,  e  tar- 
dando a  riceverlo,  si  recò  egli  stesso  in  cucina  dal  cuoco,  uomo  già  vecchio,  e  che  da 
molti  anni  serviva  nel  palazzo  della  Principessa.  Là  giunto,  corse  fra  loro  un  dialogo  con 
minaccie  da  parte  del  Lombardi,  e  di  scuse  da  quella  del  cuoco  ;  ma  queste  non  servirono 
che  a  iritar  maggiormente  il  padrone,  il  quale  fini  col  percuotere  il  vecchio.  Questi  che 
stava  sventrando  un  pollo,  aveva  in  mano  un  lungo  coltello  e  affilato.  Alla  provocazione, 
l' insultato  e  percosso  rispose  avvertendolo  di  fermarsi  :  ma  seguitando  quegli  brutalmente  a 
percuoterlo,  il  cuoco,  perduto  il  lume  della  ragione,  gli  piantò  il  coltello  nel  basso  ventre, 
e  Lombardi  cadde  immerso  nel  suo  sangue.  A  quella  vista,  il  disgraziato  vecchio  fuggi 
dal  palazzo,  col  coltello  grondante  sangue  in  mano,  urlando  lungo  la  via,  e  correndo  a 
costituirsi  in  prigione,  dove  mori  di  dolore  dopo  pochi  mesi.  Mentre  il  cuoco  correva  alla 
polizia  a  palesare  il  fatto,  Federigo,  padre  di  Francesco,  che  non  abitava  con  lui,  lo  andò 
a  cercar  nel  suo  appartamento,  e  avendo  saputo  dal  cameriere  ov'  era,  andò  alla  cucina  ; 
ed  entrato  in  quella,  gli  si  presentò  l'orribile  spettacolo  del  figlio  steso  in  terra,  ed  im- 
merso in  un  lago  di  sangue.  Come  il  povero  Federigo  rimanesse,  immagini  il  lettore,  n 
figlio,  dopo  pochi  secondi,  gli  spirò  fra  le  braccia,  dopo  averlo  riconosciuto,  ma  senza 
pronunziare  una  parola. 

Era  il  giugno  del  1845. 

Molti  testimoniaron  della  grandezza  del  suo  valore.  Fran- 
cesco Righetti  nel  suo  Teatro  italiano  (II,  104),  parlando  de' co- 
mici figli  di  comici,  dice  :  //  solo  Francesco  Lombardi  s'alza  gi- 
gante in  mezzo  a  tanti  suoi  confratelli,  che,  0  giacciono  nell'oscurità, 
0  appena  toccano  la  mediocrità. 

Nella  Galleria  de' più  rinomati  attori  drammatici  italiani, 
da  cui  ho  tolto  il  presente  ritratto,  è  uno  scritto  di  Tommaso 
Locatelli,  il  quale  dice  di  lui: 

Il  Lombardi  è  dotato  dalla  natura  di  alta  e  bella  persona,  d'una  corretta  e  chiara 
pronunzia,  e  di  una  voce  forte  e  soave,  atta  in  singoiar  modo  a  piegarsi  a  tutte  le  infi- 
nite varietà  di  quegli  affetti,  eh'  ei  vuole  esprimere,  e  che  sa  cosi  mirabilmente  trasfondere 
negli  animi  de'  suoi  uditori.  Benché  le  parti  tutte  gli  stieno  bene  del  pari,  pure  la  tragedia 
è  quasi  il  suo  campo  d' onore,  dov'  egli  in  quelle,  che  sostiene,  si  addentra  cosi,  che  più 
in  lui  non  vedete  l'attore,  ma  vi  trovate  dinanzi  l'eroe  ch'ei  rappresenta.  Milano  n'ebbe 
già  una  prova  solenne,  che  poteva  riuscire  per  lui  troppo  fatale,  allorquando  del  1821  su 
quelle  scene  rappresentando  V Emone  nx^^ Antigone  dell'Alfieri,  nell'atto  ch'ei  dovea  si- 
mulare di  uccidersi,  veramente  si  feri  del  pugnale  nel  fianco. 

Tal  fatto  ci  è  descritto  nel  seguente  sonetto,  che  tien 
dietro  allo  scritto  del  Locatelli: 


LOMBARDI  43 


Sei  tu,  Lombardi,  o  il  furibondo  Emone, 
d'Antigone  svenata  al  crudo  aspetto, 
che  col  barbaro  padre  in  ria  tenzone 
d'ira  trabocca  e  disperato  aflfetto? 

Chi  pingendo  natura,  al  paragone 
starà  di  te,  cui  Torrido  subbietto 
sul  brando  micidial  tragge  boccone, 
tal  che  piaga  non  finta  apri  nel  petto? 

Surse  il  popolo  allora  e  un  grido  mise 
visto  il  garzon  che  si  scolora  e  langue, 
e  pietoso  terror  Talme  conquise. 

Il  cordoglio  comun  piagnealo  esangue; 
sola  dell' astigian  l'ombra  sorrise 
allo  stillar  d' inaspettato  sangue.  a.  p. 

Lombardi  Alessandro.  Fratello  del  precedente,  nacque  a 
Mantova  nel  1796,  né  fu  men  celebre  di  Francesco,  poiché 
se  a  lui  non  si  accostò  nella  tragedia,  lo  uguagliò  nel  dramma, 
e  lo  superò  nella  commedia.  Di  bella  figura,  se  bene  alquanto 
esile,  di  voce  armoniosissima,  d'ingegno  pronto,  di  coltura 
non  comune  venutasi  acquistando  da  sé  con  l'assidue  letture, 
di  maniere  dolcissime,  fu  amato  da  quanti  lo  conobbero.  Si 
tolse  dalla  famiglia  il  1 8 1 5  per  andare  amoroso  in  Compagnia 
di  Angelo  Venier,  col  quale  dopo  un  anno,  assunse  per  due  anni 
ancora  il  ruolo  óì  primo  amoroso  assoluto.  Passò  poi  (\Md\  primo 
attor  giovine  in  Compagnia  di  Gaetano  Goldoni-Riva,  in  cui 
stette  fino  al  '21,  per  entrar  poi  a  Napoli  in  quella  di  Salvador 
Fabbrichesi,  superando  la  più  difficile  prova,  dacché  andava 
ad  affrontar  quello  stesso  pubblico,  che  sino  a  poche  sere  in- 
nanzi, aveva  avuto  incredibili  entusisismi  pel  fratello  France- 
sco. Ma  una  sì  preziosa  esistenza  doveva,  essere  anzi  tempo 
troncata,  non  così  tragicamente  come  quella  del  fratello,  ma 
non  men  stranamente.  Alessandro  Lombardi,  in  una  cena  di 
amici  a  Trieste  nella  primavera  del  1820,  forse  un  po' alterato 
dal  vino,  fé'  scommessa  di  stritolar  co' denti  un  bicchiere  di 
cristallo,  e  tutto  inghiottirlo.  Già  egli  ne  avea  fatta  la  prova 


44  LOMBARDI  -  LOMBARDO 

senza  conseguenza;  ma  l'ebbe  'sta  volta,  e  fatalissima.  Da 
quella  sera,  al  momento  della  digestione,  acutissimi  dolori  al 
pilòro  lo  mettevano  alla  tortura.  Giunto  a  Napoli,  si  fece  visi- 
tare dallo  Scottugno,  una  celebrità  medica  d'allora,  il  quale, 
per  mettere  in  opera  ogni  mezzo,  all'intento  di  strapparlo  alla 
morte,  gli  fé' dividere  la  sua  casa  e  la  sua  mensa;  e  tali  e  tante 
furon  le  cure  affettuose  di  lui,  che  il  povero  giovane  si  riebbe 
alquanto.  Ma,  sciaguratamente,  il  Fabbrichesi  ruppe  contratto 
coi  Fiorentini,  per  recarsi  un  triennio  nell'Italia  centrale;  e  il 
Lombardi,  non  ostante  le  supplicazioni  dello  Scottugno,  volle 
seguir,  come  di  dovere,  il  suo  capocomico,  accettando  le  conse- 
guenze, qualunque  esse  si  fossero.  Giunto  a  Trieste  nella  pri- 
mavera del  '24,  si  riaffacciarono  i  sintomi  del  terribile  male,  a 
cui  dovette  soggiacere  in  Venezia  dopo  pochi  mesi,  non  ancor 
compiuto  il  ventinovesimo  anno. 

Lombardo  Gio.  Donato  detto  il  Bitontino.  Il  D'Ancona 
dice  che  il  Gio.  Donato,  che  è  tra  gli  Uniti  firmati  nella  sup- 
plica del  3  aprile  1584  da  Ferrara  al  Principe  di  Mantova  per 
andar  colà  a  recitare,  potrebb'  essere  Lombardo  nostro.  Che 
abbia  poi  questi  che  vedere  con  Bernardino  Lombardi,  del 
quale  il  Belgrano  non  sarebbe  alieno  dal  crederlo  figlio  o  fra- 
tello, e  suo  successore  nella  maschera  di  Pedrolino,  non  mi 
riesce  di  capire.  Più  probabile  è  la  congettura  del  D'Ancona, 
benché,  senza  prova  di  fatto  e  con  la  sola  opera  alla  mano  del 
Lombardo  stesso  {Nuovo  Prato  di  prologhi  di  Gio.  Donato  Lom- 
bardo da  Bitonfo,  detto  il  Bitontino.  In  Venezia,  1 6 1 8),  si  potrebbe 
fin  anco  supporre  ch'ei  non  fosse  comico,  ma  semplice  direttor 
di  compagnie  e  autore  di  prologhi  per  tutti  coloro  che  glie  li  or- 
dinarono. In  fatti:  non  solamente  egli  ne  compose  (sono  in  tutti 
sessantatrè,  due  dei  quali  soltanto  in  versi:  della  primavera  e 
della  impietà)  per  comici  di  professione,  ma  anche  per  dilettanti. 
Nella  licenza  del  prologo  nono  {d'Amore)  dice:  ho  co?igiunti 
dietro  questo  teatro  certi  amorosi  Accademici,  per  recitare  alla 
vostra  presenza  un'opera  amorosa. 


LOMBARDO  -  LUCCHESI  45 


In  quella  del  prologo  ventunesimo  {della  Glorici)^  dice  : 

Oggi  coronerò  di  qncsta  corona  di  lauro,  di  fiche,  e  di  rose  quest'Accademia,  la 
quale  s'ha  proposto  recitarvi  una  graziosa,  piacevole  e  sentenziosa  comedia:  li  dono  le 
rose  per  la  fatica  pigliata  ;  li  porgo  le  fiche  per  il  compito  travaglio,  e  al  fine  gli  ornarò 
il  capo  di  lauro,  perchè  l' avranno  recitata.  Fate  silenzio,  eh'  io  anco  mi  porrò  qui  dietro 
ad  udirla,  e  non  vo  star  qui  per  non  invaghirli  tanto  della  mia  bellezza,  che  sol  mirando 
il  premio,  che  se  gli  darà,  incorressero  in  atto  disdicevole,  rozza  prononcia,  gesti  disconci, 
difforme  venustà,  disusati  vestimenti,  et  altre  cose  non  convenienti  al  grado  loro. 

E  in  quella  del  XXII  (della  Pace)  : 

Io  son  venuto  a  darvi  saggio  di  questa  bell'opera,  c'oggi  vi  recitaranno  questi  dotti 
figli  ;  et  se  non  avrà  pronunzia  Varroniana,  disposizione  Aristotelica,  e  locuzione  di  Plauto, 
ornata  facondia  di  Cicerone,  gesti  del  greco  Demostene,  et  eccellenza  dell'africano,  iscusati 
siano  appresso  voi,  ch'a  tal  mestibro  di  rkcitark  usi  non  sono,  ma  ritrovandosi 
Genio  Dio  del  piacere  secretamente  tra  tutti,  in  questo  festivo  giorno,  pieno  di  contenta 
gioja,  et  immenso  giubilo,  oggi  ve  lo  mostreranno  con  l'animo  pronto  in  rappresentar- 
vela  ;  piacendovi  con  lieto  volto  ascoltarla,  e  donargli  manifesti  segni,  eh'  ella  sia  riuscita 
conforme  al  vostro  desiderio. 

La  licenza  del  prologo  LI V  {della  Faticd)^  dice  : 

Ogni  cosa  che  giovamento  apportar  suole,  da  me  fatica,  procede,  sicome  vedrete 
in  questa  nuova  Comedia,  la  quale  con  fatica  è  composta,  e  s'  hanno  affaticati  alcuni  Ac- 
cademici farvene  un  presente  in  questo  giorno. 

Né  solo  per  Compagnie  comiche,  o  per  Accademie  com- 
poneva i  suoi  prologhi,  ma  anche  per  Compagnie  di  canto, 
come  abbiamo  da  quello  de  gì' inventori  della  musica,  il  venti- 
quattresimo della  raccolta,  che  termina  così  :  abbiamo  proposto 
in  questo  luoco  con  la  musica  dei  dolci  concenti  di  cotanti  amanti, 
ai  cigni  rassomigliati,  e  con  le  note  di  cotante  Progne  e  Filomene, 
cantarvi  dolcemente  col  suono  delle  vostre  parole  un'opera  composta 
in  Madrigale  di  dodeci  voci. 

Fu  anche  autore  di  una  commedia  intitolata  //  fortunato 
amante  e  stampata  in  Messina  da  Fausto  Buffalini,  in-8,  il  1589. 

Lucchesi  Domenico.  Romano.  Abbiamo  di  lui  notizie  nel- 
r  operetta  di  Francesco  Bartoli.  Esordì  in  patria  recitando  le 
parti  ^innamorato,  poi  trasferitosi  il  1768  in  Lombardia,  si 
scritturò  nella  Compagnia  di  Pietro  Colombini,  mostrandosi 
artista  egregio  nelle  commedie  all'improvviso.  Passò  poi  in 


46  LUCCHESI  -  LUSTRINI 

quella  migliore  di  Vincenzo  Bugani,  col  quale  stette  più  anni; 
e  sotto  gV  insegnamenti  di  Giustina  Cavalieri  tanto  progredì, 
che  Girolamo  Medebach  lo  volle  con  sé  a  Venezia  nel  S.  Gio- 
van  Grisostomo.  Uscito  Luigi  Benedetti  dalla  Compagnia  di 
Antonio  Sacco,  andò  il  Lucchesi  a  sostituirlo,  e  quivi  si  tro- 
vava ancora  nell'  '83,  ammiratissimo  dai  comici  e  dal  pubblico 
per  la  prontezza  di  spirito  nella  commedia  dell'arte,  e  per  la 
intelligenza  e  diligenza  in  quella  studiata 

Lucio  Fedele.  Forse  lo  stesso  Lutio,  che  firmò  la  supplica 
degli  Uniti  con  Gio.  Donato  (V.  Lombardo)  e  altri?  Forse  lo 
stesso  Burchiella,  come  abbiam  detto  al  nome  di  questo  (V.)? 
Ma  il  Burchiella  era  dottore,  e  nella  supplica  degli  Uniti  è  ap- 
punto il  Gratiano,  accanto  a  Lutio.  A  meno  che  come  abbiam 
in  essa  Batista  da  Treviso  Franceschina,  non  s'avesse  a  legger 
Gratiano  Lutio,  senza  la  virgola.  Ma  è  ipotesi  forse  arrischiata. 

Lugo  Olga^  nata  a  Genova  da  famiglia  borghese,  e  recatasi 
giovanetta  a  Milano,  entrò  in  quella  maggiore  filodrammatica, 
e  neir  '80  esordì  quale  amorosa  con  Luciano  Cuniberti,  passando 
poi  con  lo  stesso  nel  ruolo  di  prima  attrice,  al  quale  era  più 
adatta,  anche  per  la  figura  matronale,  ond'era  dotata.  Passò 
poi  con  Lavaggi  e  Drago,  e  a  questo  si  unì  in  matrimonio  nel- 
r'85.  Andò  nel  '92  a  sostituir  la  povera  Silvia  Pietriboni  nel 
ruolo  di  prima  attrice  assoluta;  e  formò  poi  Compagnia  col  ma- 
rito che  tenne  a  intervalli  e  con  varia  fortuna. 

Lustrini  Geminiano.  Fiorito  -  dice  il  Colomberti  -  tra 
il  1790  e  il  1820,  sostenne  con  massima  lode  nelle  migliori 
Compagnie  del  suo  tempo,  Coleoni,  Dorati,  Goldoni  e  Perotti, 
il  ruolo  di  tiranno  tragico.  Le  parti  di  Creonte  così  nel  Polinice 
come  Ti^ Antigone,  di  Egìsto  neir  Oreste,  di  Appio  nella  Virgi- 
nia, furon  da  lui  magistralmente  recitate  ;  ma  dove  non  ebbe 
rivali,  fu  nelle  due  di  Opimio  nel  Cajo  Gracco,  e  di  Zambrino 
nel  Galeotto  Manfredi.  Lasciò  l'arte  ancor  giovane,  e  si  recò  a 


LUSTRINI  -  LUTTIANI  47 

Roma,  custode  del  Palazzo  dì  Firenze,  ove  albergava  l'amba- 
sciatore del  Granduca  di  Toscana,  e  morì  verso  il  '40. 

Luttiani  Francesco  e  Giulio.  Sono  citati  dal  Bertolotti 
(pp.  cit.)  fra  i  commedianti  che  furon  di  passaggio  in  Mantova, 
e  presero  alloggio  all'albergo  del  Cappello  il  29  dicembre 
del  1591. 


^'^P^ 


7.  —  /  Comici  Haliani,  VoL  □ 


I    COMICI    ITALIANI 


MafiTeì  Benedetto.  Sappiamo  dall'aggiunta  del  Bartoli  al- 
l'articolo di  Flaminia,  che  il  famoso  brighella  Atanasio  Zanoni 
possedeva  di  lui  un  manoscritto  del  1625,  intitolato:  Discorsi 
da  Commedia  di  me  Benedetto  Maffei  detto  il  Furioso,  allievo 
della  signora  Flaminia  Comica  detta  Orsola  Cecchini. 


Maggi  Andrea.  Fu  al  suo  apparir  sulla  scena  uno  de'  più 
promettenti  giovani,  preconizzato  il  successore  degno  di  Tom- 
maso Salvini  e  dì  Ernesto  Rossi.  Nato  a  Torino  da  famiglia 
agiata,  passò  dal  collegio  di  San  Francesco  di  Paola,  ove  com- 
piè il  corso  ginnasiale,  al  ministero  delle  finanze,  qual  volon- 
tario. Fu  della  scuola  di  Carolina  Malfatti  (V.),  e  del  '72,  poco 
più  che  ventenne,  era  a'  Fiorentini  di  Napoli,  amoroso,  in  Com- 


pagnia  Alberti,  di  cui  eran  parti  principali  la  Pezzana  e  l'Ali- 
prandi,  Bozzo  e  Serafini.  Di  fisionomia  dolce  ed  aperta,  di 
figura  maestosa  ed  elegante,  di  voce  forte  e  soavissima,  non 
tardò  molto  ad  abbandonar  la  stabile  Compagnia  napoletana 


per  entrare  in  una  delle  nomadi  di  primissimo  ordine.  Accolto 
primo  aitor  giovane  da  L.  Bellotti-Bon,  fu  assunto,  dopo  alcune 
prove,  a  cagione  appunto  de' suoi  mezzi  fisici,  al  grado  A\  primo 
attore  assoluto,  cominciando  a  entrar  nelle  maggiori  grazie  del 
pubblico  col  Ferréol  di  Sardou,  che  egli  recitava  magnìfica- 
mente, e  diventandone  poi  Ìl  Beniamino  col  Conte  Rossori  G.Gia- 
cosa,  di  cui  fu,  si  può  dire,  interprete  unico. 

In  brevissimo  tempo  il  giovane  e  già  forte  artista  passò 
dal  repertorio  regolare  di  compagnia,  alle  parti  del  grande 


MAGGI  53 


repertorio,  allettato,  nel  costante  favore  del  pubblico,  da  spe- 
ciali interpretazioni  di  Amleto  e  di  Otello.  E  infatti  egli  si  mo- 
strò sotto  le  spoglie  de'  varj  grandi  personaggi  di  Shakspeare, 
salutato,  se  non  forse  come  un  avvenimento,  certo  come  una 
promessa;  e  la  fama  del  trionfo  corse  ovunque  nel  vecchio  e 
nuovo  mondo,  ed  egli  s'ebbe  onori  inaspettati  in  Russia,  in 
America,  in  Austria,  in  Polonia,  ecc. 

Forse  alle  sue  interpretazioni  mancava  quello  studio  pa- 
ziente, analitico,  profondo  che  accoppiato  alle  naturali  attitu- 
dini, innalza  l'artista  alle  sfere  più  alte;  forse  allo  addentrarsi 
in  esse  profondità  mancava  in  lui  1'  acume  indispensabile  ; 
forse....  ma  lasciamo  a  tale  proposito  discorrer  Tommaso  Sal- 
vini, che  il  valoroso  giovane  seguì  amorosamente  a  traverso 
le  varie  fasi  : 

Andrea  Maggi  è  uno  dei  più  prestanti  attori  che  abbiano  calcate  le  scene  nostre 
da  mezzo  secolo  in  qua.  In  alcune  parti,  per  la  prestanza  fisica,  non  ha  rivali.  Se  non 
potè  salire  alla  sommità,  deve  incolpare  sé  stesso.  Può  egli  asserire  di  avere  assiduamente 
e  profondamente  studiata  Parte  sua?  Non  lo  credo.  Quali  tesori  di  doni  naturali  egli  pos- 
siede !  Quale  intuizione  estesa,  feconda,  ma  attutita  dalla  poca  applicazione.  Sembrerebbe 
ei  pensasse  che  l' arte  non  abbisogna  di  studio  e  che,  apprese  le  parole,  il  resto  venisse 
da  sé.  Se  per  poco  questo  pur  giovane  artista  avesse  potuto  persuadersi  nel  principio  della 
sua  carriera  che  l' arte  va  coltivata  con  maggior  cura  e  serietà,  con  indagini  perseveranti, 
con  profonde  meditazioni,  affinchè  renda  frutti  maturi  e  prelibati,  non  ne  raccoglierebbe 
degli  scialbi  ed  acerbi.  Tanto  ingegno,  tanta  naturale  attitudine  avrebbero  promesso  mi- 
glior resultato.  I^  esuberanza  dei  suoi  mezzi  fisici,  con  T  invidiabile  suo  organo  vocale, 
credo  che  in  luogo  di  giovargli  gli  furono  dannosi,  poiché,  se  avesse  dovuto  combattere 
qualche  lieve  imperfezione,  si  sarebbe  maggiormente  addentrato  nello  studio  dei  segreti, 
che  dirò  psicologici,  dell'arte,  e  ne  avrebbe  ottenuto  uno  splendido  effetto.  Nullameno 
egli  occupa  uno  dei  primi  posti  nell'areopago  dell'arte  drammatica  italiana. 

E  lo  Stesso  giudizio  avea  dato  due  anni  prima  Giulio  Pic- 
cini {farro)  ne'  suoi  primi  studj  Sul  palcoscenico  e  in  platea  (Fi- 
renze, Paggi,  1893):  al  quale  anche  potè  aggiungere  parole 
di  gran  lode  per  l'arte  di  mettere  in  iscena,  e  per  l'indole  dol- 
cissima dell'  artista  e  dell'  uomo. 

Al  momento  in  cui  scrivo,  egli  si  trova  in  Società  con 
r  attore  Della  Guardia  al  Teatro  Valle  di  Roma  ove  ha  creato 
in  italiano  la  parte  di  De  Cyrano  Bergerac  con  tal  successo,  che 
Adelaide  Ristori  ha  dichiarato  essere  a  suo  avviso  la  interpre- 


54  MAGGI  -  MAJANI 


tazione  di  Andrea  Maggi  la  più  bella  e  completa  interpreta- 
zione di  attore  ch'ella  abbia  sentito  dacché  ha  abbandonato 
il  teatro. 


Maggi-Marchi  Pia.  (V.  Marchi). 

Magnano.  Fu  artista  del  San  Salvatore  di  Venezia,  tartas- 
sato con  Medebac,  Falchi  e  la  Marliani  da  Carlo  Gozzi  nel  suo 
ditirambo  pel  Truffaldino  Sacchi,  e  in  un  sonetto  burchiellesco. 
(V.  Falchi  Francesco). 

Magni  Carlo,  milanese,  recitava  con  molto  plauso  le  parti 
di  primo  innamorato  sotto  il  nome  di  Odoardo.  Fu  lungo  tempo 
nelle  Compagnie  di  Francesco  Berti  e  di  Pietro  Rossi,  poi, 
nel  1762,  in  quella  di  Onofrio  Paganini,  per  tornar  poi,  dopo 
un  solo  anno,  in  quella  del  Rossi.  Affetto  da  aneurisma  nel 
collo,  dovè,  dice  il  Bartoli,  abbandonar  le  scene  del  '65,  e  sta- 
bilirsi a  Milano  sua  patria,  dove  morì  del  '68.  A  cagione  di 
tale  infermità  fu  accusato  talvolta  di  freddezza:  nuUameno 
ebbe  fama  di  comico  egregio  ;  e  nel  Baldassarre  di  Ringhieri, 
eh'  egli  creò,  e  nella  Favo/a  del  Corvo,  non  ebbe  chi  gli  stesse 
a  fronte.  Scrisse  alcun  che  di  poesia,  e  il  Bartoli  dà  come  sag- 
gio del  suo  stile  il  brindisi  in  versi  martelliani  (bruttini  anzi 
che  no)  eh'  egli  recitò  a  Brescia  nel  Convitato  di  pietra,  e  in  cui 
sono  le  lodi  sperticate  di  quella  città. 

Majani  Francesco.  Nato  a  Bologna  nel  17 18,  abbandonò 
il  mestiere  del  sarto  per  l' arte  del  teatro,  dopo  di  aver  dato 
prove  di  singolare  attitudine  tra'  filodrammatici  della  sua  città. 
Recitò  lungo  tempo  a  Venezia  e  specialmente  nel  Teatro  di 
San  Luca,  pel  quale  dettava  il  Goldoni  le  sue  commedie.  Creò 
degnamente  il  Majani  le  parti  di  protagonista  nel  Padre  per 
amore  e  nel  Medico  olandese;  e  aggiunge  il  Bartoli  che  nel 
Disertar  francese,  sostenne  ia7ito  eccellentemente  la  parte  del 
padre  di  Dorimel,  che  fu  di  molti  applausi  onorato.  Avanzando 


MAJANI  55 

negli  anni,  abbandonò  la  Compagnia,  eh'  era  allora  al  Sant'An- 
gelo, e  messa  la  maschera  del  Brighella,  si  andò  scritturando 
in  Compagnie  di  giro,  ultima  delle  quali  fu  quella  di  Onofrio 
Paganini,  in  cui  morì  a  Bologna  nel  carnevale  del  '78.  Carlo 
Goldoni  fa  cenno,  nel  XIV  volume  dell'  edizione  del  Pasquali, 
della  moglie  di  lui,  bolognese,  punto  inclinata  al  teatro  per  la 
estrema  sua  freddezza,  e  per  la  incorreggibile  pronunzia  dia- 
lettale, a  cui  volle  affidar  la  parte  di  Graziosa  nella  Bancarotta, 
che  a  cagione  appunto  della  sua  melensaggine,  riuscì,  egli 
dice,  uno  de' più  dilettevoli  personaggi  della  commedia. 

Majanì  Giuseppe,  figlio  del  precedente,  e  più  noto  in  arte 
col  diminutivo  di  Majanino,  sostituì  il  padre,  vecchio,  nelle 
parti  di  primo  innamorato,  in  cui  riuscì  a  perfezione  per  la 
eleganza  della  persona,  la  pieghevolezza  della  voce,  la  facilità 
della  memoria.  Venezia,  Milano,  Genova,  Torino,  Mantova, 
Parma  furon  teatro  de'  suoi  trionfi.  Il  Bartoli  lo  dice  grande 
nel  premeditato  e  all'  improvviso  ;  e  aggiunge  che  sapeva  an- 
che farsi  applaudire  ne'  semplici  annunci  fuor  del  sipario  per 
lo  spettacolo  del  domani.  Fu  anche  autore,  e  si  rappresentaron 
di  lui  con  successo  La  donna  che  non  si  trova  e  La  bella  castel- 
lana. Dopo  molti  anni  passati  in  Compagnia  del  Lapy,  si  scrit- 
turò col  Medebach,  poi  (i  782-83)  colla  Battaglia  al  San  Giovan 
Crisostomo.  Alle  sue  belle  qualità  di  artista,  il  Bartoli  mette 
come  contrapposto  quelle  dell'uomo  tutt' altro  che  lodabili. 
Fu  giocatore  nel  più  largo  senso  della  parola;  e  tanto  potè 
la  passione  cieca  sull'animo  di  lui,  che  per  essa  fu  più  volte 
ridotto  a  mal  partito,  avendo  dovuto  ricorrere  a  strattagemmi 
e  raggiri  non  degni  di  un  uomo  dabbene. 

Metto  anch'io  qui,  come  chiusa,  il  sonetto  del  Bartoli, 
che  è  alla  fine  del  suo  articolo. 

Bravo  Comico  in  Scena,  e  bravo  in  Piazza 
raggiratore  ed  inventor  di  Fole; 
ed  in  Teatro  e  fuori  ei  può  che  vuole 
con  il  talento  suo,  che  ogni  altro  ammazza. 


MAJANI - MAJERONI 

Convien  pur  dir,  eh'  ei  sia  di  quella  razza 
ch'Argo  ingannò  perch'  Io  dappoi  gì'  ìnvole  ; 
oppur  del  ceppo  della  scaltra  Iole, 
che  ad  Ercoi  feo  filar,  depor  la  mazza. 

Nel  Socco  e  nel  Coturno  ei  Roscio  imita; 
per  l'Arte  Teatral  niun  di  più  brama, 
essendo  all'eccellenza  in  lui  salita. 

Famoso  il  Majanino  ognun  già  chiama: 
&nioso  nell' astuzia  anco  più  ardita; 
onde  in  suo  onor  suona  per  tutto  6ma. 


Majeronì  Achille.  Metto  qui  intero  il  breve  e  bello  arti- 
colo che  il  dottor  Icilio  Polese,  direttore  dell' Arie  drammatica. 
pubblicava  nel  suo  giornale,  il  21  gennaio  del  1888: 

Achille  Majeroni  è  morto  a  Bologiut 
t  ieri  (io)  «Ile  sei  pomerìdiine. 

'  Cbe  vitn   artistica   ipeniierala  fn  ta 

Bua!  Era  tiglio  dell'arte.  Sua  madre  fu  la  fa- 
moaa  attrice  veneziana  Morelli,  qnell'  attrice 
che  ai  primi  del  secolo  fu  di  moda  per  lo  squi- 
sito modo  di  recitare  le  commedie  di  Gotdoui. 
Majeroni,  fatte  le  prime  armi  in  com- 
pagnie intime,  a  un  tratto  rifulte  in  quella 
rinomata  Compagnia  Lombards,  fondata  e 
diretta  dal  milanese  Giacinto  Battaglia,  di- 
stinto commediografo.  -  Povero  Battaglia  ! 
Come  presto  fosti  dimenticato,  specialmente 
dai  tuoi  concittadini  !  E  sapete  chi  faceva 
parte  della  rinomata  Compagnia  Lombarda 
di  Giacinto  Battaglia  oell'anno  1S46?  ~  Ln 
Fanny  Sadowski,  la  gentile  May«r,  la  Botte- 
ghini. Alamanno  Morelli  (fratellastro  di  Ma- 
jeronit.  Luigi  Bellotti-Bon,  Gaetano  Veltri  e 
Achille  MajeroDi. 

Poi  Majeroni,  scritturato  da  Ade- 
laide Ristori,  fece  il  giro  dei  principati  teatri 
d'  Europa. 

Dopo  il  primo  giro  artistico  all'estero. 

Adamo  Alberti  lo  scritturò  nella  sua  compa- 

Fiorentini  di  Napoli,  compagnia  sussidiata  con  biglietto  regio 

'  anni  ed  anni,  passando  da  un  teatro  all'altro.  Là  il  ino  nome 


gnia  permanente  al 
borbonico,  e  là  rin 
diventò  gigante. 

Formò  Compagnia  nel   1S66,  e  quando  il 
Veneto,  la  Compagaia  Majeroni  era  la  compagnia 


1   prendeva  possesso  del 


MAJERONI  57 


Guadagnò  denari  a  cappellate  -  ne  spese  a  sacchi.  Visse  in  un  bel  momento  arti- 
stico -  non  seppe  approfittarne.  Come  abbiamo  i  milionari  Salvini  e  Rossi,  ci  debbono 
essere  gli  spensierati  che  all'indomani  non  pensano. 

Amò  i  molti  figli.  Fu  buon  marito;  e  dalla  sua  buona  compagna,  signora  Graziosa, 
fu  pietosamente  assistito  sino  all'  ultimo  momento  della  sua  vita. 

Aveva  sessantacinque  anni. 

Come  artista,  era  bravo  senza  essere  ottimo;  era  bello,  aveva  una  voce  armoniosa, 
incantava  la  sua  figura  statuaria. 

Ecco  mostrato  in  poche  parole  l'artista  e  Tuomo  ;  a  com- 
plemento delle  quali  dirò  che  nacque  in  Milano  il  1824  da 
Eduardo,  ufficiale  del  primo  impero,  che  lasciò  poi  la  milizia 
per  darsi  all'arte,  esordendo  nella  Compagnia  Romagnoli,  Bon 
e  Berlaffa,  e  da  Antonia  Musich,  nobile  ungherese.  Dell'arte 
sua  e  della  sua  vita  abbiam  testimonianza  in  un  manoscritto 
contemporaneo  di  epigrammi  (forse  del  Forti),  da  cui  traggo 
i  seguenti: 

A  Majeroni 

Sei  sopportabile  nelle  commedie, 
molto  insoffribile  nelle  tragedie: 
giura  non  più  rappresentar  TEgisto, 
e  chiedi  a  tanto  ardir  perdono  a  Cristo. 

Alla  Morelli 

Riprender  vuoi  marito: 

e  in  mezzo  a  tanti  comici  birboni, 

il  più  birbo  scegliesti  in  Majeroni? 

Veggo  che  di  te  stessa 

tu  stessa  sei  nemica. 

Tel  perdonino  i  figli,  il  ciel  ti  benedica. 

Cominciò  Achille  a  sostener  nel  '40  col  padre,  in  compa- 
gnia Modena,  le  parti  di  Agostino  nel  Clermont  di  Scribe,  di  Già- 
natu  nel  Saul,  e  di  Roberto  nei  Due  Sergenti,  applauditissimo 
sempre.  Dalla  Compagnia  Lombarda  passò  il  '49,  primo  attore 
assoluto,  in  quella  di  Coltellini  e  Zannoni,  con  Carolina  Santoni 
prima  attrice.  Tornò  il  '50  in  Compagnia  Lombarda,  e  fu  il  '35 
in  quella  di  Cesare  Dondini.  Tornato  dopo  il  '60  dall'estero  colla 
Ristori,  si  unì  colla  Sadowski  e  si  fermò  al  Teatro  del  Fondo 

8.  —  /  Comici  italiani.  Voi.  II. 


58  MAJERONI  -  MAJONE 

in  Napoli,  ove  mise  in  iscena  con  allestimenti  non  più  veduti, 
il  Faust  e  il  Don  Giovanni,  che  gli  procacciaron  lodi  nuove 
e  ingenti  somme;  e  dove,  dopo  varie  peregrinazioni,  tornò 
del  '68. 

Achille  Majeroni  fu  il  più  generoso  degli  artisti  dramma- 
tici; ma  la  sua  generosità  era  piuttosto  prodigalità,  o  meglio 
scialacquo.  Soldato  del  '49  alle  barricate  di  Roma,  si  ebbe  at- 
testazioni di  lode  da  Garibaldi  e  dall' Avezzana.  Creò  del  '65, 
all'infierir  del  colèra,  la  compagnia  di  Misericordia,  essendo 
capitano  della  guardia  nazionale.  I  poveri  soccorse  in  ogni  ma- 
niera, e  organizzò  grandi  recite  gratuite  pei  militari  di  bassa 
forza,  reduci  dalle  patrie  battaglie.  Colpito  il  Taddei  d'apo- 
plessia, il  Majeroni  gli  die  gratuitamente  per  due  anni  la  co- 
spicua somma  di  diciottomila  lire,  procurandogliene  poi  altre 
dodicimila  con  una  solenne  rappresentazione  eh'  egli  fece  in- 
sieme a  Tommaso  Salvini.  Fu  nel  lusso  pari  a  principi:  ebbe 
cavalli  e  carrozze  di  ogni  specie,  e  servitori  di  ogni  razza.  Vòl- 
tegli  la  sorte  le  spalle,  incalzando  la  vecchiaja  e  i  malanni,  i 
suoi  compagni  d'arte  si  ricordaron  di  lui,  ma  non  così  da  ri- 
sparmiargli l'ultima  ora  nella  miseria. 

Aveva  sposato  del  '59  Graziosa  Bignetti,  comica  e  figlia 
di  comici,  compagna  d'arte  di  lui,  a' Fiorentini  di  Napoli,  ove 
sosteneva  con  buon  successo  le  parti  di  prima  attrice  giovane. 

Una  caratteristica  di  Achille  Majeroni  fu  il  gran  pizzo 
ch'egli  non  tolse  mai,  fuorché  pel  Goldo7ii  e  le  sue  sedici  commedie 
di  Paolo  Ferrari,  eh'  egli  recitò  stupendamente  al  Teatro  Gallo 
di  Venezia  il  16  dicembre  del  '53. 

Ebbe  un  fratello,  Odoardo,  artista  di  qualche  pregio,  che 
si  diede  ai  primi  attori  del  gran  repertorio,  nei  quali  riuscì  tal- 
volta sufficientemente. 

Majone  Domenico.  Una  delle  più  forti  speranze  del  nostro 
teatro  di  prosa,  dileguata  improvvisamente  dopo  soli  dieci 
anni  di  vita  artistica.  Povero  e  caro  Mimi  !  Era  nato  il  2  feb- 
braio 1844  a  Napoli  da  Giuseppe  Majone  e  da  Rosa  Demiccolis. 


MAJONE - MALDOTTI 


Se  ben  compiuto  gli  studi  legali,  ebbe  amore  profondo,  radi- 
cato pel  teatro,  al  quale  avrebbe  voluto  sagrificare  codici  e 
pandette.  Ma  il  padre  vi  si  opponeva  recisamente.  Venuta  al 
Fondo  la  Ristori,  ed  ammalatosi  Y amoroso  della  compagnia,  il 
Majone,  dilettante  egregio,  andò  a  sostituirlo  sotto  nome  di 
Morandini.  Morto  il  padre  nel  feb- 
braio del  '62,  egli  entrò  di  punto  in 
bianco  primo  amoroso  ai  Fiorentini  di 
Napoli,  dove,  mercè  gli  ammaestra- 
menti del  Taddei,  dell'Alberti,  del  Sal- 
vini, della  Cazzola,  della  Pezzana,  della 
Marini,  salì  a  tal  grado  d' arte,  che  la 
quaresima  del  '70  partiva  con  la  ma- 
dre per  Cremonaa  raggiunger  laCom- 
pagniadi  Alamanno  Morelli,  della  qua- 
le egli  era  il  primo  attore  assoluto.  Due 
anni  di  arte,  due  anni  di  trionfo  !  Nella 
Signora  dalle  Camelie.  neW  Onore  della 
famiglia,  nel  Falconiere,  nella  Suotiatrice  d' arpa,  ecc.,  mostrò  a 
quale  altezza  avrebbe  potuto  salire  :  s' ebbe  onori  e  lodi  dai  cri- 
tici migliori,  e  Paolo  P'errari,  Filippi,  Arbib,  dichiararon  riser- 
bato per  lui  il  posto  di  Tommaso  Salvini.  E  tante  speranze,  tanti 
bei  sogni  distrutti  d'improvviso  a  soli  ventotto  anni.  Assalito 
fieramente  da  febbre  miliare,  la  mattina  del  30  novembre  1 872, 
rendeva  l'anima  al  Signore. 

Domenico  Majone  aveva  soavissima  l' indole,  che  gli  tra- 
spariva in  tutti  i  lineamenti  della  faccia.  DÌ  forme  più  tosto 
erculee,  se  ben  corto  di  braccia,  male  gli  si  attagliavano  le 
parti  sdolcinate.  In  quelle  che  richiedevano  accenti  di  passione 
gagliarda  era  artista  de'  più  forti. 


Maldottì.  <  Fanciullo  grazioso  -  dice  Fr.  Bartoli  -  che  in 
età  puerile  recitava  la  parte  d'Amorino  in  Bologna  l'anno  1634 
nella  Compagnia  de'  Comici  Affezionati.  È  molto  lodato  da 
Bartolommeo  Cavalieri  nella  Scena  Illustrala.  > 


6o  MALDOTTI  -  MALFATTI 


Maldottì  Antonio.  Nato  il  1773  a  Venezia  da  poveri  pa- 
renti, si  diede  all'arte,  dopo  la  lor  morte,  riuscendo  in  breve, 
artista  di  grido  per  le  parti  di  brighella  nelle  commedie  all'  im- 
provviso, e  di  tiranno  nelle  tragedie  e  ne'  drammi  scritti.  In 
tali  ruoli  lo  vediamo  a'  primi  del  1 800  con  Antonio  Pellandi, 
applauditissimo.  Dicon  le  note  del  tempo  che  i  versi  dell'asti- 
giano declamasse  mirabilmente,  e  che  niuno  gli  stesse  a  petto 
nella  maschera  del  brighella.  Formò  poi  compagnia  per  far 
salire  al  grado  di  prima  donna  assoluta  sua  moglie  Giovanna, 
avvenente  e  pregevole  prima  amorosa;  e  dopo  dodici  anni  di 
capocomicato,  or  fortunato  or  disastroso,  si  scritturò  per  un 
triennio  in  Compagnia  Perotti,  poi,  il  1820,  coi  figli  Luigi  e 
Adelaide  (Luigi,  sposatosi  alla  figlia  del  capocomico  Cavicchi, 
abbandonato  dalla  moglie,  ridotto  alla  più  squallida  miseria, 
si  suicidò,  avvelenandosi,  verso  il  1828),  in  quella  di  Velli  e 
Mascherpa,  nella  quale  cessò  di  vivere  la  primavera  del  1823. 

Maldotti  Adelaide.  Figlia  del  precedente,  nacque  sul  prin- 
cipio del  1 803,  e  fu  mirabile  servetta.  Né  solamente  fu  pre- 
giata come  attrice,  ma  altresì  come  cantante,  possedendo  essa 
una  voce  magnifica  di  contralto  e  mezzo  soprano.  Era  il  '24 
col  fratello  Luigi  in  Compagnia  Fini,  che  lasciò  dopo  un  anno 
per  quella  della  Toffoloni,  nella  quale  tanto  piacque  al  Tea- 
tro Nuovo  di  Firenze  come  cantante,  che  l'impresario  Feroci 
le  offrì  di  abbandonar  l'arte  comica  per  la  lirica,  scritturan- 
dola per  quattro  anni;  compiuti  i  quali,  ella  passò  stipendiata 
dal  celebre  Lanari  per  altri  quattro.  La  sua  carriera  artistica  fu 
gloriosa,  ma  brevissima;  che  nell'autunno  del '35,  scritturata  al 
Carcano  di  Milano,  morì  di  consunzione  a  soli  trentadue  anni. 

Malfatti-Gabusi  Carolina.  Figlia  di  un  bravo  macchinista 
teatrale,  nacque  a  Piacenza  il  1809.  Passata  con  lui  dalla  Com- 
pagnia di  Napoli  diretta  dal  Fabbrichesi  in  quella  di  Righetti 
e  Blanes,  entrò,  dopo  tre  anni,  in  quella  di  Bazzi  e  Righetti, 
che  più  non  lasciò,  e  che  divenne  più  tardi  la  celebre  Compa- 


MALFATTI  -  MALLONI  6i 


gnia  Reale  Sarda.  Esordì,  bambina,  il  1821,  nelle  Risoluzioni 
in  amore  del  Nota,  e,  cresciuta  in  età,  diventò  una  pregevole 
generica.  Si  sposò  a  un  certo  Malfatti,  il  quale,  impazzito,  fii 
ricoverato  in  un  manicomio,  e  da  lei  mantenuto.  Ma  non  po- 
tendo ella  sopperire  a  tante  spese,  si  tolse  dall'arte,  trovando 
aiuto  ne' compagni,  che  le  affidarono  per  l'istruzione  teatrale 
le  loro  bimbe,  tra  le  quali  Adelaide  Tessero,  Luigia  Robotti, 
Cristina  Andrà,  ecc.  Fu  nominata  maestra  nel  '51  all'Acca- 
demia Filodrammatica  di  Torino,  e  da  quell'ora  datò  la  rino- 
manza vera  della  Malfatti.  Licenziata  dalla  carica,  ma  non  ab- 
bandonata da  una  sola  delle  sue  allieve,  tanto  perseverò,  serena 
e  fidente,  che  la  sua  scuola  fiorì  per  trenta  e  più  anni,  dando 
all'arte  attori  e  attrici,  come  il  Maggi,  l'Emanuel,  la  Campi, 

la  Reinach,  la  Boccomini,  la  Migliotti,  il  Diotti 

Fra  le  prime  alunne  che  lasciaron  la  scuola  dal  '59  al  '60, 
eran  la  Tessero  e  la  Pezzana,  la  quale  dettò  alcuni  cenni  bio- 
grafici della  maestra  (Torino,  Paravia,  1893),  da  cui  son  tratte 
le  presenti  notiziole.  Né  solo  come  artista  e  maestra  va  ricor- 
data la  Malfatti,  ma  anche  come  cittadina.  Del  '59  fondò  il  Comi- 
tato femminile  per  soccorso  ai  feriti  delle  patrie  battaglie,  e  ne 
fu  sempre  il  vice-presidente.  Le  recite  di  beneficenza  date  dalla 
sua  scuola  non  si  contano.  E  questa  donna,  la  cui  vita  fu  tutta 
un  generoso  e  spontaneo  sagrificio  in  prò'  degli  altri,  è  morta 
più  che  ottantenne,  povera  e  abbandonata,  nel  suo  quinto  piano, 
in  cui  non  eran  né  men  più  i  mobili,  eh'  ella,  ammalata,  vendè 
per  trovar  modo  di  tirare  avanti,  e  da  cui  -  bene  dice  la  Pez- 
zana —  la  forte  donna  avea  veduto  sorgere  e  tramontare  parec- 
chie generazioni  d'artisti,  rimanendo  essa  in  piedi  per  piangere 
sugli  amici  perduti. 

Malloni  Marìa.  È  davvero  a  dolersi  che  in  nessuna  delle 
biblioteche  pubbliche  o  private  d'Italia  e  di  fuori  abbia  rin- 
venuto il  libretto,  che  già  Fr.  Bartoli  chiama  raro,  stampato 
a  Venezia  da  Gio.  Pietro  Pinelli  il  161 1  col  titolo:  Corona  di 
lodi  alla  Signora  Maria  Mattoni  detta  Celia  Comica;  il  quale 


62 


MALLONI 


anche  ha  in  fine  una  Scrittura  —  dice  il  Bartoli  —  sopra  i  meriti 
della  stessa,  dettata  in  prosa  dal  Commendatore  Cleoneo  Ac- 
cademico Oscuro.  Molte  cose  avremmo  forse  potuto  riferire 
sui  pregi  di  codesta  donna  che  fu  incontestabilmente  a  testi- 
monianza di  molti  una  delle  più  forti  attrici  del  suo  tempo,  sì 
per  dottrina,  sì  per  valore  artistico.  Ma  ci  basti  sapere  da 
Francesco  Gabrielli,  il  celebre  Scappino  (V.),  eh'  ella  fu  di  in- 
gegno e  di  memoria  prontissimi.  La  Celia  —  egli  scrive  da  Fer- 
rara, ov'egli  si  trovava  con  la  Compagnia  e  con  la  stessa  Mal- 
Ioni,  ad  Antonio  Costantini,  segretario  del  Duca  di  Mantova, 
il  6  gennaio  1 627  (pag.  964)  —  è  la  prima  donna  che  reciti,  poiché 
se  la  Compagnia  od  altri  mettono  fuori  opere  0  comedie  nove,  lei 
subito  le  recita,  che  la  Lavinia  (l' Antonazzoni)  né  altra  donna  non 
lo  farà,  se  prima  di  un  messe,  non  si  hanno  premeditato  quello  che 
nel  soggietto  si  contiene. 

Intanto  resta  dunque  assodato  che  sì  il  Sand  {op.  cit.),  sì 
il  Magnin  nel  suo  Teatro  Celeste  in  Rev.  d,  deux  m.  del  1847, 

^    .  erroneamente  fanno 

comparire  m  Francia 
la  Celia  il  1571  e  '72. 
Nel  162  7,  giudicata  dal 
Gabbrielli  prima  fra  le 
prime  donne,  avrebbe 
avuto  al  meno  al  meno 
settant'  anni. 

L'oroscopo  rin- 
venuto nella  Biblioteca 
Nazionale  di  Firenze  ci 
dà  l'anno  di  nascita  che 
è  il  1599  e  la  città  na- 
tale: Ferrara;  più,  l'an- 
no del  viaggio  in  Fran- 
cia: il  1602.  Il  resto, 
come  sempre,  è  indeci- 
frabile. Ma  anche  per  l'andata  in  Francia  come  concorderebber 


MALLONI  63 


le  due  date  1599  e  1602?  A  tre  anni  andò  in  Francia?  Forse 
ella  v'andò  colla  madre,  comica  anch'essa,  e  forse  prima  a 
portar  sul  teatro  il  nome  di  Celia,  della  quale  il  Magnin  avrebbe 
potuto  notar  l'apparizione  a  Parigi  il  1572  ?  E  chi  son  codeste 
Malloni,  o  almeno  codesta  Lucilla  Malloni,  di  cui  trovo  la  se- 
guente domanda  senza  data  nell'Archivio  di  Stato  di  Modena? 

Ser.mo  Sig.*"®  Duca, 

Virginia  et  Lucilla  Maloni  commìci  con  la  loro  Compagnia  supplicano  a  Vostra 
Altezza  Serenissima  a  volergli  concedere  licenza  di  poter  recitare  Commedie  nella  Città  di 
Reggio  per  tutto  questo  Camouale,  cK'  il  tutto  otterrà  per  gratia  singolarissima  dalla  beni- 
gnità di  Vostra  Altezza  Serenissima  quale  Dio  mantenga  felicissima  con  tutta  la  Ser.m^  Casa. 

Di  fuori  l  A  Vostra  Altezza  Serenissima 

per  la  Virginia  et  Lucilla  Commici. 

(Rescritto  della  Cancelleria)  s'è  scritto. 

Alla  testimonianza  Gabbrielli,  va  subito  congiunta  quella 
del  Beltrame  Barbieri,  che  nella  Supplica  (1634)  chiama  la  Celia 
giovane  di  belle  lettere  e  comica  famosa  ;  alle  quali  poi  tengon 
dietro  quelle  di  letterati  illustri,  e,  prima,  del  Cavaliere  Marino, 
che,  nell'ottave  68,  69  e  70  del  Canto  XVII  à^ Adoìie,  la  mette 
quarta  fra  le  Grazie  : 

Un*  altra  anco  dì  più,  che  *I  pregio  ha  tolto 
D'ogni  rara  eccellenza  a  tutte  queste, 
Aggregata  ve  n'  è,  non  è  già  molto, 
E  sempre  di  sua  man  la  spoglia,  e  veste, 
Celia  s'appella,  e  ben  del  Ciel  nel  volto 
Porta  la  luce,  e  la  beltà  Celeste; 
Ed  oltre  ancor,  che  come  il  Cielo  è  bella, 
Ha  l'armonia  del  Ciel  nella  favella. 

O  con  abito  pur,  che  rappresenti 

Ninfa  selvaggia,  il  suo  Pastore  alletti, 
O  dolce  esprima  in  amorosi  accenti 
Fatta  Donna  civile  alti  concetti, 
O  talor  spieghi  in  tragici  lamenti 
Reina  illustre  i  suoi  pietosi  affetti. 
Co' sospiri  non  men,  che  con  la  laude 
Chi  ne  langue  trafitto,  e  chi  l'applaude. 


64  MALLONI 

Talia,  che  ha  de'  Teatri  il  sommo  onore, 
Invida,  a  costei  cede  il  primo  vanto, 
Onde  veggendo  pur  la  Dea  d'Amore, 
Che  le  Grazie  di  grazia  avanza  tanto. 
Non  sol  degna  la  fa  del  suo  favore 
Fra  l'altre  tutte,  e  del  commercio  santo, 
Ma  per  renderla  in  tutto  al  Cielo  eguale 
Sempiterna  V  ha  fatta,  ed  immortale. 

Egregia  dunque  appar  qui  in  ogni  genere  di  poesia 
drammatica.  E  per  la  pastorale  infatti  abbiamo  nuova  testimo- 
nianza nel  seguente  sonetto  che  le  indirizzò  il  conte  Ridolfo 
Campeggi,  quand'  ella  recitò  in  Bologna  V Aminta  del  Tasso  : 

Alla  Signora  Celia  Comica   Confidente, 
Silvia  neir Aminta  rappresentando 

Donna,  s' io  miro  gli  occhi,  o  il  crine  in  onde. 
La  bella  fronte,  e  le  serene  ciglia, 
In  sé  (dico  al  mio  cor)  con  meraviglia 
Le  bellezze  del  Ciel  Celia  nasconde. 

Ma  se  al  rigor,  cui  pudicizia  infonde, 
Risguardar  la  ragion  pur  mi  consiglia. 
Soggiungo:  al  nome  fier,  che  altera  or  piglia. 
Il  rigor  delle  Stive  ahi  ben  risponde. 

O  Silvia,  o  Celia  pur;  co' detti  grati 
Rendi,  s'  armino  alfin  di  fiamme,  e  gelo, 
Pietose  r  ire,  e  gli  odj  innamorati. 

Anzi,  eh'  eguale  ai  nati  lumi  in  Delo, 
Spargendo  di  virtù  raggi  animati, 
Il  nome  hai  fra  le  Selve,  e  il  core  in  Cielo. 

Dagli  altri  sonetti  pubblicati  dal  Bartoli  ne  tolgo  uno  del 
Cavaliere  Gerosolimitano  Fra  Ciro  di  Pers,  dettato  con  inge- 
gnosa strampaleria,  e  che  trovo  ancora  nella  raccolta  di  motti 
Brighelleschi  di  Atanasio  Zannoni  (Torino,  1807),  da  lui  proba- 
bilmente recitato  a  qualche  innamorata,  sotto  la  maschera  di 
Brighella  : 


MALLONI  65 


Alla  Signora  Maria  detta  Celia  in  Commedia 

Celia,  e  Maria,  voi  siete  e  Mare,  e  Cielo, 
E  sono  i  pregi  in  voi  del  Ciel,  del  Mare. 
Vi  dà  le  perle,  ed  i  coralli  il  Mare: 
La  luce  avete,  e  T  armonia  dal  Cielo. 

Pien  d'augelli  canori  è  il  vostro  Cielo: 
Di  musiche  Sirene  il  vostro  Mare. 
Beato  il  Ciel,  eh'  è  tetto  a  si  bel  Mare, 
Beato  il  Mar,  eh'  è  specchio  a  si  bel  Cielo. 

Mentre  è  sereno  il  Ciel,  tranquillo  il  Mare, 
Icaro  esser  vorrei  per  questo  Cielo, 
E  dar  novello  nome  a  questo  Mare. 

O  pur  mi  concedesse  amico  il  Cielo 
Morir  nuovo  Leandro  in  si  bel  Mare, 
Perir  nuovo  Fetonte  in  si  bel  Cielo. 

E  metto  qui  ancora  il  seguente,  non  citato  dal  Bartoli, 
che  tolgo  dalle  Rime  di  Pace  Pasini,  edite  a  Vicenza  nel  1642, 
per  gli  eredi  di  Francesco  Grossi  : 

Sopra  Celia  Comica 

Scioglier  la  lingua,  &  annodare  i  cori, 
melar  le  labra,  e  amareggiar  gli  affetti, 
piagare  i  seni  e  non  aprire  i  petti, 
strugger  la  speme  et  animar  gli  amori; 

Scoprir  la  neve  e  suscitar  gli  ardori, 
nutrire  angoscie  e  partorir  diletti, 
influir  tema  e  implacidir  gli  aspetti, 
sono  in  Celia  d'amor  forze  e  stupori. 

Ma  co'  vezzi  condir  grave  alterezza 
maturir  gli  anni  in  immaturo  crine, 
e  maritar  l'Honor  con  la  Dolcezza; 

Il  sesso  sublimar  sopra  il  confine, 
gli  oceani  capir  de  la  Bellezza, 
sono  in  Celia  del  cielo  opre  diuine. 

9.  —  /  Comici  italiani.  Voi.  II. 


66  MALLONI 


E  ora,  come  saggio  del  suo  stile,  do  anch*  io  il  sonetto 
eh'  ella  dettò  in  risposta  a  uno  di  Paolo  Fabbri,  pubblicati  en- 
trambi da  Fr.  Bartoli  : 

Risposta  di  Celia 

Pompa  d'onor,  che  dall' obblio  di  Lete 
Sempre  fuggendo  accresci  gloria  agli  anni, 
E  quasi  Cacciator  tendi  la  rete 
Alla  virtù  con  onorati  affanni. 

Poggia  pur  tu  colà,  dove  si  miete 

Eterna  fama;  mentre  io  spiego  i  vanni 

Inutili,  e  tarpati  a  basse  mete 

Nel  troppo  affetto  il  tuo  sapere  inganni. 

Veggio  (Talpa  non  son)  che  in  te  risplende 
Ciò,  che  può  far,  ciò  che  può  dar  natura, 
Che  di  bearti  eternamente  intende. 

O  rara  contro  Morte,  alta  ventura, 

O  virtù,  che  in  te  sol  l'anima  accende 
Perch'  ella  viva  d*  immortale  arsura. 

Maria  Malloni,  detta  Celia,  fu  dunque  comica  confidente  e 
spensierata,  e  fiorì  nella  prima  metà  del  secolo  xvii.  Ch'  ella 
accoppiasse  al  grande  valore  artistico  un'altrettale  bontà  del- 
l'animo non  pare  :  si  sarebbe  anzi  portati  a  credere  che  avesse 
con  le  compagne  di  palcoscenico  e  di  ruolo  comune  la  dia- 
voleria; sciupata  in  parte  dal  fatto,  che  mai  madre  di  comica 
spinse  la  petulanza,  il  pettegolezzo,  la  malignità,  l'abbiettezza 
sì  alto,  come  la  madre  di  Maria,  a  cui  s'aggiungeva  poi  come 
braccio  destro  delle  sue  male  azioni  un  figliuolo,  fior  di  cana- 
glia, disperazione  vera  del  povero  direttore  Flaminio  Scala. 
I  dissapori,  le  battaglie,  le  accuse  a  Don  Giovanni  de'  Medici, 
(il  capocomico),  e  le  scuse  poi,  le  invidie,  gli  scandali  sulla  scena 
tra  i  partigiani  di  Celia  e  quelli  di  Lavinia  (l'Antonazzoni),  le 
sonore  fischiate  a  quella  in  pubblico  teatro,  e  le  pubbliche  di- 
fese dello  Scala,  e  le  lettere  di  Celia,  sono  pubblicate  e  chiarite 
in  un  articolo  di  Achille  Neri,  uscito  nella  Scena  illustrata  del 


MALLONI  -  MANTOVANI  67 

i^  agosto  1887.  Dal  quale  anche  appare,  dopo  un  reciso  ri- 
chiamo air  ordine,  come  Celia  si  andasse  ammansando,  così  da 
farsi  chiamar  dallo  Scala  stesso  coppa  d'oro,  e  chiedere  in  isposa 
da  Iacopo  Antonio  Fidenzi  detto  Cintio;  matrimonio  che  non 
potè  poi  farsi  per  solenne  divieto  della  madre  infame,  che  ve- 
dea  morto  con  esso  ogni  sorgente  di  lucro. 

Malossi  Carlo.  Di  Parma:  recitava  sotto  la  maschera  di 
Pantalone;  ed  è  citato  dal  Bertolotti  fra  i  comici  che  nel  1658 
abitavano  in  Roma  nel  distretto  della  Parrocchia  di  San  Pietro. 

Malucelli  Carlo,  bolognese,  nato  il  1650,  recitava  le  parti 
del  Dottore;  e  fu  tra  i  comici  che  andaron  da  Venezia  a  Var- 
savia, scritturati  a  posta  da  Tommaso  Ristori,  Tanno  17 14, 
per  la  Corte  di  Dresda.  Fu  ascritto  a  quel  teatro  come  socio, 
e  quando,  il  1732,  tutto  il  personale  italiano  fu  licenziato,  fu 
fatta  eccezione  per  la  coppia  Bertoldi,  per  Bellotti,  e  per  que- 
sto vecchio  ottantenne,  a  cui  fu  assegnata  la  pensione  annua  di 
500  fiorini,  e  che  quivi  morì  nel  1747,  a  novantasette  anni. 
(V.  Bellotti  Natale). 

Manni  Nicodemo.  Fiorentino Fu  conduttore  -  dice 

Fr.  Bartoli  -  di  una  Comica  Compagnia  per  molti  anni  e  recitò 
nel  tempo  istesso  con  grazia  n^^  caratteri  caricati , . . .  Fu  scrit- 
tore di  commedie,  tra  cui  La  Fannì,  pubblicata  p^r  le  stampe, 
e  viveva  ancora  nel  1783. 

Mantovani  Mariano.  Bolognese.  Fu  attore  di  gran  pre- 
gio per  le  parti  ài  innamorato.  Fu  con  Onofrio  Paganini,  poi, 
nel  1764,  con  Pietro  Rossi.  Sposò  Regina  Cicuzzi,  rimasta 
vedova  (V.),  ed  è  questo  il  secóndo  marito,  che  al  nome  di  lei 
si  cita  come  sconosciuto.  Quando  il  Magni  lasciò  T  arte,  il 
Mantovani  passò  con  molto  successo  alle  parti  di  primo  attore: 
ma  recatosi  colla  Compagnia  a  Vercelli,  l'autunno  del  '65,  vi 
morì,  a  treni'  anni  circa,  colpito  da  malattia  violenta. 


68  MANZANI  -  MANZONI 


i  Francesco.  <  Comico  che  fioriva  -  dice  Fr.  Bat- 
toli -  intorno  il  i655.> 

Recitava  le  parti  di  Capitano  col  nome  di  Capitan  terre- 
moto,  suggeritogli  dalla  grande  statura  e  dalla  voce  potente. 
Scrisse  talvolta  pel  teatro,  e  tradusse  dallo  spagnolo  in  prosa 
italiana  la  tragedia:  A  gran  danno  gran  rimedio  (Torino,  Za- 
pata,  1661). 

Manzoni  Giovan  Battista,  piacentino,  nato  verso  il  1730, 
esordì  col  ruolo  ^innamorato,  dedicandosi  poi  esclusivamente 
alla  maschera  òHarUcchino,  che  sostenne  con  molto  favore,  e  per 
la  novità  e  spontaneità  de' lazzi,  e  per  le  ariette  musicali  che 
mescolava  con  molto  garbo  nelle  varie  commedie.  Fu  molti 
anni  con  Pietro  Rossi,  poi  col  Paganini,  poi  di  nuovo  col  Rossi, 
poi  col  Lapy  al  San  Luca  di  Venezia,  dal  quale  passò  con  la 
stessa  Compagnia  al  Sant'Angelo.  Si  ritirò  con  la  moglie  a 
Venezia,  in  cui  viveva  ancora  al  tempo  di  Fr.  Bartoli  (1782). 

Manzoni  Caterina,  moglie  del  precedente,  viveva  in  un 
ritiro  di  Padova,  sua  patria,  quando  il  Manzoni  la  sposò  (1762). 
Esordì  nella  Compagnia  di  Pietro  Rossi  con  parti  di  poca  im- 
portanza, nelle  quali  però  die'  subito  a  vedere  a  qual  grado 
sarebbe  salita  col  volere  e  lo  studio.  Passò  da  quella  del  Rossi 
nella  Compagnia  di  Onofrio  Paganini,  in  cui  progredì  rapida- 
mente, facendosi  molto  applaudire  e  come  attrice  e  come  can- 
tante. Destata  poi  l'invidia  della  prima  donna  della  compagnia, 
artista  provetta,  ma  già  vecchia,  non  fu  riconfermata  dal  Paga- 
nini, e  tornò  con  Pietro  Rossi,  col  quale  a  Livorno,  a  Parma,  a 
Verona,  s'ebbe  i  maggiori  onori  nelle  cose  studiate  e  improv- 
vise. L'autunno  del  1768  entrò  col  marito  al  San  Luca  di 
Venezia  in  Compagnia  Lapy;  e  dice  il  Bartoli  esser  giunto  a 
tale  il  successo,  che  il  pubblico,  non  contento  di  applaudirla  in 
teatro,  l'accompagnava  ogni  sera  a  casa  fra  le  più  festose 
acclamazioni.  Delle  parti  eh'  ella  sostenne,  vanno  citate  più 
specialmente  quelle  di  Cleri  nel  Disertor  francese,  e  della  prò- 


MANZONI  69 


tagonista  nella  Gabbriella  di  Vergy,  in  cui  la  Manzoni  raggiunse 
il  sommo  dell'arte.  Grande  nella  commedia,  fu  grandissima  nel 
dramma.  E  tuttavia  nel  vigore  degli  anni,  al  colmo  della  gloria, 
più  che  circondata,  assediata  dal  favore  del  pubblico,  abban- 
donò l'arte,  dopo  il  carnovale  del  1774,  fermandosi  in  Venezia, 
in  cui  viveva  floridamente  ancora  deU"8i,  tutta  intenta  all'au- 
stera educazione  dei  due  suoi  figliuoletti. 

Francesco  Bartoli  le  indirizzò  il  seguente  sonetto  : 

Alla  Signora  Caterina  Manzoni 

Io,  nel  fiorir  de'  bei  vostri  anni  acerbi 
sul  picciol  Ren  per  quella  via  vi  scorsi, 
che  a  sottrarsi  del  tempo  ai  fieri  morsi 
insegna,  ed  a'  suoi  fasti  empj  e  superbi. 

Sul  lido  d'Adria  poi  spargendo  verbi 
di  virtù  colmi,  orecchio  anco  vi  porsi  ; 
e  eh' è  r  ingegno  vostro  atto  m'accorsi, 
a  far^  che  il  duolo  altrui  si  disacerbi. 

Crebbe  virtude  in  voi,  crebbe  in  me  stima 
pe'  vostri  merri,  e  pel  saper  profondo, 
che  ad  Elicona  fa  salirvi  in  cima. 

Ond'  oggi  il  mio  desir  più  non  v'  ascondo, 
il  qual  con  prosa  incolta  e  bassa  rima, 
tenta  innalzarvi,  e  farvi  eterna  al  Mondo. 

• 

Alla  testimonianza  di  Fr.  Bartoli  fo  seguir  quella  di  Carlo 
Gozzi  [Memorie  inutili,  voi.  II),  il  quale,  accennando  al  fatto 
che  la  Manzoni,  da  lui  scritturata  pel  Sacchi,  si  sciolse  poi 
dall'  impegno,  vinta  dalle  supplicazioni  e  dalle  lagrime  de'  suoi 
compagni  e  delle  sue  compagne,  che  vedeansi  alla  rovina,  ab- 
bandonati da  lei,  conchiude  : 

Ella  ha  abbandonata  in  età  giovanile  la  comica  professione  in  cui  si  distingueva 
dalle  altre  attrici,  per  abilità,  e  per  educazione,  pochi  anni  dopo  V  accennato  accidente,  e 
s' è  ben  meritata  la  fortuna  che  la  pose  in  istato  di  poter  lare  un  tal  passo,  per  dedicarsi, 
com'  ella  fa  con  tutto  lo  spirito,  a  istillare  in  due  suoi  figliuoletti,  le  massime  più  austere 
della  virtù  sociale  e  spirituale. 


70 


MANZONI  -  MARCHESETTI 


E  l'altra  non  meno  attendibile,  sebbene  il  Bartoli  non 
abbia  troppe  tenerezze  per  lui,  di  Antonio  Piazza,  il  quale 
dopo  di  averla  acerbamente  giudicata  nella  Giulietta  (1771), 
dicendo  : 

ha  una  lettera  di  raccomandazione  nel  volto  che  dovunque  presentasi  non 

le  manca  mai  un  accoglimento  umanissimo.  Giovine,  ben  fatta,  di  statura  mediocre,  e  d'una 
bellezza  particolare,  le  si  farebbe  un  torto  a  non  applaudirla  ;  ma  invece  di  brava  sarebbe 
meglio  gridare  bella  per  non  ingannarla.  In  lei  merita  una  gran  lode  il  suo  buon  volere 
che  fa  tutti  i  sforzi  possibili  per  renderla  capace  della  sua  professione,  ma  la  meschina  non 
è  nata  per  la  medesima 

le  dedica  poi,  sei  anni  più  tardi,  //  Teatro,  nel  quale  sono  a 
profusione  le  lodi  per  l'incomparabile  artista.  Delle  qualità 
della  donna  egli  discorre  così  nella  lettera  dedicatoria: 

Quando  dirò  che  una  donna  voi  siete  che  fece  onore  al  Teatro  coli*  abilità  sua  e 
col  suo  contegno  ;  che  del  medesimo  nulla  serbate,  nell'  ozio  grato  della  vostra  vita  pre- 
sente ;  che  alla  vivezza  dello  spirito  accoppiate  la  docilità  del  core,  e  alla  finezza  del  discer- 
nimento r  indole  di  compatire  ;  che  ne'  divertimenti  co'  quali  il  secolo  invita  la  freschezza 
della  età  vostra,  mantenere  sempre  sapete  la  decenza  muliebre,  la  eguaglianza  de'  modi, 
il  tratto  affabile,  le  maniere  cortesi;  quando,  ripeto,  dirò  tutto  questo  di  Voi,  non  avrò 
dato  che  un  saggio  del  vostro  carattere,  ma  robusto  di  verità,  mallevadori  delle  quali 
potranno  farsi  tutti  quelli,  che  vi  conoscono  e  trattano. 

Marcheselli.  Trovo  a  questo  nome  il  seguente  curioso  do- 
cumento nell'Archivio  di  Stato  di  Modena  : 

Ser.»na  Altezza, 

Solo  mi  trono  in  obligo  di  vmiliare  à  V.  A.  S.  tome  oggi  a  mezo  giorno  è  urtata 
in  uno  di  questi  Molini  una  Barca,  in  cui  ui  era  la  Compagnia  Comica  detta  MarcheseUi^ 
quale  da  Turino  con  passaporto  del  Sig.*"  Ambasciatore  di  Francia  passana  a  Verona  per 
recitami  questo  Carneuale;  fortunatamente  e  con  stento  si  sono  saluate  le  persone,  che 
molto  hanno  soferto,  auendo  per  altro  perduto  quasi  tutto  l'Equipaggio  con  loro  gran  danno. 

Altro  non  ho  che  auanzare  a  V.  A.  S.  mentre  con  la  maggiore  vmiltà  sempre  ai 
miei  doueri  mi  dico. 


Di  V.  A.  S. 

Brescello  li  16  Dicembre  1738. 


Vmilissimo  Dcv."®  Ob.™o  Seruitore  Suditto 

Prospero  Mal  aguzzi. 


Marchesetti  Carlo.  Era  il  17 14  V  arlecchino  della  Compa- 
gnia italiana  di  Varsavia,  formata  a  Venezia  da  Tommaso  Ri- 
stori per  la  Corte  di  Dresda.  Aggiunge  il  Barone  O  Byrn  {pp.  cit.) 


MARCHESETTI  -  MARCHESINI  71 

per  questo  artista,  che  dipinse  pel  teatro  di  Varsavia  una  scena 
di  camera. 

Marchesini  Antonio,  veneziano,  ebbe  molto  grido  come 
capocomico.  Recitava  le  parti  ^  inìiamorato,  e  Fr.  Bartoli  lo 
dice  4c  Uomo  di  molto  ingegno,  che  non  solo  in  Teatro,  ma  al 
Tavolino  ancora  mostrar  sapeva  uno  spiritoso  talento.  >  Non 
ebbe  alcuno  mai  in  società,  e  cumulò  denari  quanti  volle  : 
ma  proprio  al  momento,  in  cui  credè  la  sua  sorte  assicurata 
per  sempre  cominciò  a  esser  da  essa  perseguitato,  e  con  sif- 
fatta costanza,  che  in  capo  a  pochi  anni  fu  ridotto  in  miseria. 
Aveva  sposato  la  vedova  Brigida  Sgarri,  da  cui  ebbe  una 
femmina,  monaca  a  Fano,  e  un  maschio,  Giovanni,  marito 
della  famosa  Regina  Cicuzzi  (V.).  Rimasto  vedovo  passò  a  se- 
conde nozze  con  la  prima  donna  Lucrezia  Tabuini  di  Modena, 
artista  pregiatissima  nelle  parti  studiate  e  nelle  improvvise, 
mortagli  in  Bologna  il  1762.  Antonio  Marchesini  si  ritirò  poi 
in  Venezia,  ov'  ebbe  -  dice  il  Bartoli  -  pietosi  sussidi  da  Gero- 
lamo Medebach,  e  dove  morì  del  1765. 

Si  mantenne  viva  nei  repertori  del  tempo  una  sua  com- 
media, xxiXkX.oX'dXò.LaMaga  avvocato,  che  aveva  in  fine  il  seguente 
sonetto  : 

Diede  natura  all'uom  sul  proprio  Core 
un  assoluto,  indipendente  impero. 
Questo  nel  nascer  nostro  don  primiero 
da  lui  si  riconosce  per  favore. 

Ma  a  chi  reca  piacere,  a  chi  dolore; 
ed  io  il  provai  finora  acerbo,  e  fiero: 
se  per  serbarne  il  suo  dominio  intero, 
di  due  morti  sugl'occhi  ebbi  l'onore. 

Pur  mercè  a' Numi  liberai  lo  sposo, 
il  germano  placai,  contenta  sono; 
scevra  d'ogni  periglio  avrò  riposo. 

Ma  perchè  dell'arbitrio  io  goda  il  dono, 
cortesi  voi  quel  che  sperar  non  oso, 
donate  a' falli  miei  gentil  perdono. 


72  MARCHESINI  -  MARCHETTI 

Metto  qui  la  patente  accordatagli  dal  Duca  di  Modena, 
che  tolgo  da  queirArchivio  di  Stato,  a  testimonianza  de' suoi 
meriti,  e  del  conto  in  cui  egli  era  tenuto  : 

Antonio  Marchesini  dichiarato  attuale  Servitore  di  Sua  Altezza  Ser.in^ 

Francesco  &. 

Partendo  dai  Nostri  Stati  per  portarsi  altrove  Antonio  Marchesini  Capo  della  Com- 
pagnia de'  Comici,  che  ha  esercitata  per  più  mesi  tal  professione  ne'  Teatri  di  Modena,  e 
di  Sassuolo  con  piena  nostra  sodisfazione,  e  della  nostra  Corte,  ed'  anendo  perciò  motivo 
d'accordargli  la  nostra  prottezione,  con  ascrìverlo  nel  numero  de  nostrì  attuali  Sruitorì, 
1'  accompagniamo  colle  presenti  nostre  lettere  patenti,  in  vigore  delle  quali  preghiamo  i 
Signori  Prìncipi  per  i  Stati  de  quali  gli  occorrerà  transitare,  e  rìspettivamente  ricerchiamo 
i  loro  Minbtrì  a  far  godere  allo  stesso  Marchesini  i  suoi  cortesi  riguardi,  lasciandolo  pas- 
sare liberamente  col  suo  seguito,  e  Bagaglio,  e  tanto  poi  comandiamo  espressamente  aj 
Ministri,  Officiali,  e  Sudditi  Nostri  per  quanto  stimano  la  gratia.  In  fede  &. 

Dato  in  Modena  dal  Nostro  Ducal  Palazzo  questo  di  i6  xmbre  1753. 

Dal  Paglicci-Brozzi  {pp.  ctt)^  sappiamo  che  nell'estate 
del  1738  recitava  al  Teatro  Ducale  di  Milano.  Aveva  in  Com- 
pagnia il  figliastro  Francesco  Sgarri,  buon  arlecchino,  e  Pietro 
Vidini,  buon  comico  anch' egli,  forse  marito  della  Madda- 
lena (V.),  e  tanto  vi  piacque  che  fu  riconfermato  per  la  se- 
guente estate. 

Marchesini  Regina.  (V.  Cicuzzi  Marchesini). 

Marchetti  Stefano.  Recitava  nella  seconda  metà  del  se- 
colo XVII  le  parti  d^ innamora/o  sotto  il  nome  di  Lelio.  Nella 
lettera  di  Giuseppe  Fiala,  accennata  al  suo  nome  (V.),  è  questo 
brano  che  si  riferisce  al  Marchetti  : 

pongo  auanti  gì'  occhi  di  Vostra  Signoria  III. ma  che  sono  in  Napoli  con 

cinque  persone  carico  di  debiti  fatti  per  uenir  in  questa  Città,  non  con  altro  ogetto  che 
di  leuarmi  dalla  tirannia  e  persecutione  di  Lelio  marchetti  e  suoi  adherenti,  che  è  stato 
la  rouina  di  mia  casa,  che  se  io  hauessi  hauto  minimo  comando  nel  tempo  sono  dimorato 
in  modona  non  mi  sarei  partito  e  non  sarei  cosi  consumato. 

Altre  due  lettere  (entrambe  dell'archivio  Rasi)  si  hanno 
di  lui:  una  da  Venezia  del  2  dicembre  1673,  non  sappiam  bene 
a  chi  diretta,  nella  quale  sono  i  ringraziamenti  per  l'avuta  parte 
intera,  e  le  assicurazioni  della  concordia  completa  della  com- 


MARCHETTI  73 

pagnia;  e  l'altra  da  Bologna  del  4  aprile  1679  appena  decifra- 
bile, nella  quale  domanda  una  lettera  di  raccomandazione  pel 
Cavaliere  Bartolomeo  Longhì  a  Genova,  a  favore  di  sua  mo- 
glie, comare  della  persona  sconosciuta,  a  cui  è  indirizzata  la 
lettera.  Molto  probabilmente  la  moglie  è  quella  tal  Marchetta, 
citata  al  nome  di  Girolamo  Chiesa,  la  quale  appunto,  nel  1664, 
s'era  fatta  aufricc  d'una  Compagnia,  in  cui  s'erano  impegnati 
il  Dottor  Violone  e  Bagolino:  impegno  che,  a  detta  dello  scri- 
vente Ludovico  Bevilacqua,  era  più  aito  di  perfidia,  e  liuore 
contro  la  signora  Marzia  {la  Fiali)  che  sincero,  et  anteriore  à  quello, 
che  haueuano  con  questa  signora....  Il  che  concorderebbe  forse 
col  fatto  dell'essere  stato  il  Marchetti,  come  abbiam  visto,  la 
rovina  della  casa  Fiali. 


Marchetti  Angelo,  di  famiglia  lucchese,  studiò  pittura  in 
patria,  andando  poi  a  perfezionarsi  a  Viareggio  sotto  due  fra- 
telli di  sua  madre,  Emilia  Rustici.  Colà,  entrato  nella  Società 
filodrammatica,  esordì  colla  parte  di 
Paolo  in  Francesca  da  Rimini  del  Pel- 
lico, e  tale  ne  fa  il  successo  che  tutti  lo  gj  '  ^^0i^^  \ 
consigliarono  a  gettare  i  pennelli  per      é  "  ^p  ^^      \ 

darsi  all'arte  del  comico.  Il  nonno,  con- 
trarissimo sul  mutamento,  profittò  della 
partenza  di  una  tartana  per  Napoli,  e 
v'imbarcò  Ìl  nipote  assieme  a  un  altro 
giovane  pittore,  certo  Prati.  Non  po- 
tendo sfogare  in  altro  modo  il  suo  fer- 
vore pe  '1  teatro,  si  diede  il  Marchetti 
a  declamar  nelle  società  napoletane  le 
poesie  del  Giusti  e  del  Berchet,  per  le  quali  s'ebbe  non  so 
quanti  giorni  dì  carcere.  Tutto  intento  nel  pensiero  del  teatro, 
conobbe  a  NapoU  varj  comici,  tra' quali  Rafaele  Negri,  padre 
di  Adelaide  Falconi,  del  quale  sposò  più  tardi  l'altra  figliuola 
Ergilda.  Dopo  alcune  recite  al  Teatro  Partenope,  fu  scritturato 
da  Adamo  Alberti  a'  Fiorentini,  quale  amoroso  a  vicenda  con 


74  MARCHETTI  -  MARCHI 

Luigi  Monti,  assumendo  alla  sua  partenza  il  ruolo  dì  primo  attor 
giovine  a  fianco  della  Sadowski,  della  Cazzola,  della  Monti,  di 
Taddei,  di  Alberti,  di  Bozzo,  di  Majeroni,  di  Tommaso  Salvini, 
di  Angelo  Vestri,  di  Marchionni  e  di  Virginia  Marini,  con  la 
quale  passò  poi  in  Compagnia  di  Alessandro  Monti.  Quindi  co- 
minciò veramente  a  farsi  popolare  il  nome  di  Angelo  Marchetti, 
che  fra  le  tante  sue  interpretazioni,  ammiratissimo  per  castiga- 
tezza e  slancio,  diventò  sorprendente  in  quella,  dì  Armando  nella 
Signora  dalle  Camelie,  colla  quale,  a  fianco  di  Virginia  Marini,  il 
grande  astro  saliente,  allora,  formava  il  più  bel  duetto  artistico 
che  mai  si  potesse  credere.  Alla  fine  del  carnovale  del  1868  fu 
aggredito  in  Milano;  derubato  dell'orologio  e  del  portamo- 
nete, e  minacciato  di  morte  se  avesse  parlato.  Affetto  da  vizio 
cardiaco,  e  di  fibra  singolarmente  sensibile,  ammalò  poco  dopo; 
e,  trasportato  a  Viareggio,  quivi  morì  il  6  febbraio  del  1869. 
Sulla  pietra  che  suggella  il  suo  sepolcro  nella  cappella 
del  Vecchio  Camposanto,  è  la  seguente  epigrafe  : 

Qui  presso  all'avo  ed  al  padre  piangendo  deposero 
le  spoglie  mortali  di  Angelo  Marchetti  della  dram- 
matica arte  cultore  egregio  -  Ergilda  consorte, 
Alessandro  fratello. 

Il  fratello  Alessandro  fu  comico  anch'esso,  e  anche  capo- 
comico solo  e  in  società.  Giovane  colto,  si  adoperò  con  qual- 
che suo  scritto  in  prò  dell'arte  drammatica,  alla  quale,  non 
ostante  il  posto  che  oggi  occupa  di  rappresentante  di  una 
compagnia  d'assicurazioni,  è  sempre  legato  di  vivissimo  affetto. 

Marchi  Francesco  e  Isabella.  (V.  Fiala  Giuseppe). 

Marchi-Maggi  Pia.  Figlia  di  Cesare  e  Carlotta  Marchi,  ar- 


tisti drammatici,  quello  brillante,  qxxestdL prima  attrice  giovine,  poi 
prima  attrice  e  madre,  nacque  a  Verona  del  1846.  Diventata  la 
prifna  attrice  assoluta  di  una  Compagnia  di  L.  Bellotti-Bon,  si 
diede  all'interpretazione  del  gran  repertorio  moderno,  facen- 
dosi ammirar  schiettamente  in  ogni  lavoro,  non  esclusa  la 
Moglie  di  Claudio  ;  ma  il  suo  vero  periodo  di  gloria  fu  di  quei 


sei  anni  passati  nella  Compagnia  di  Alamanno  Morelli,  a  fianco 
di  Luigi  Monti,  col  quale  formava  la  più  deliziosa  coppia  d'in- 
namorati che  si  potesse  mai  veder  su  la  scena.  Svegliatis- 
sima  di  mente,  di  spi- 
rito pronto,  ebbe  atti- 
tudini singolari  alle 
parti  comiche,  che  col- 
tivò amorosamente  sul 
tardi,  acquistandosi 
con  Ninicke.  Ma  Cou- 
sine, Fenttne  à  Papa,  e 
altro,  il  nome  di  Judic 
italiana. 

Recitò  come  tutti 
i  figli  d'arte,  piccolis- 
sima; poi  fu  messa  in 
collegio  a  Milano,  dal 
quale  uscita,  tornò  a 
recitare,  esordendo  al 
Corcano  con  la  parte 
di  prima  donna  nel  Ca- 
Valter  di  spirito  di  Gol- 
doni, in  Compagnia  di 
Adelaide  Ristori,  colla 

quale  visitò  Londra,  Parigi,  Barcellona.  Del  repertorio  dì 
Achille  Torelli,  e  specialmente  di  Fragilità  che  fu  scritta  per 
lei,  fu  a'  bei  tempi  antiqui  ìnterpetre  eccellente,  unica:  in  quello 
di  Dumas  figlio,  Francillon,  Moglie  di  Claudio.  Diana  di  Lys, 
non  ebbe  rivali,  fuorché  Eleonora  Duse.  DÌ  comicità  irresisti- 
bile, e  d'ingegno  come  abbiam  detto  vivacissimo,  seppe  trar 
grande  partito  da  ogni  situazione  la  più  semplice;  una  piccola 
scena  recitata  da  lei,  assumeva  proporzioni  gigantesche!  Che 
deliziosa  macchietta,  ad  esempio,  quella  à.€X operaja  i\€i}^ Ispet- 
tore dei  vagoni'letio,  che  invita  ai  baci  col  falso  tic/,..  Sembrò  a 
tutti  e  per  un  pezzo  eh'  ella  dovesse  avere  il  cuore  invulnera- 


76  MARCHI  -  MARCHIONI 

bile;  ma  un  bel  giorno  con  universa!  sorpresa,  si  ammogliò  al 
bello  e  forte  attore  Andrea  Maggi,  dal  quale  poi  si  distaccò 
artisticamente  avendo  così  diverse  le  attitudini  e  le  aspirazioni  ! 
Benché  non  piii  giovane,  essa  continuava  a  farsi  ammirare  ed 
applaudire  nelle  sue  vecchie  interpretazioni.  Se  si  fosse  decisa 
ad  assumere  un  ruolo  più  conveniente,  ella  sarebbe  certo  tor- 
nata a'  bei  giorni  dei  più  clamorosi  e  sinceri  trionfi.  Colpita  a 
Roma  d'influenza,  che  poi  andò  mutandosi  in  polmonite,  vi 
morì  il  29  aprile  1900,  assistita  dal  marito,  dalla  sorella,  dal 
figliuolo,  desolati.  Fu  pianta  sinceramente  da  molti  amici,  dalla 
stampa  e  da  ogni  specie  di  pubblico  che  si  vide  rapir  d'im- 
provviso una  delle  sue  più  dilette  artiste. 

Marchi  Adelina.  Sorella  minore  della  precedente,  ricca 
d'intuizione  artistica  e  dì  squisito  sentire,  fu,  per  più  anni,  amo- 
rosa eletta  nella  Compagnia  di  Luigi 
Pezzana  a  fianco  di  Giovanni  Ceresa. 
Benché  difettosa  alquanto  nella  pronun- 
cia, potè  passare  con  una  recitazione 
calda  e  spontanea,  al  ruolo  di  prima 
attrice  assoluta  in  Compagnie  di  primo 
ordine,  come  della  Sadowski,  diretta  da 
Luigi  Monti,  nella  quale  io  l'ebbi  col- 
lega affezionata,  dì  L.  Bellottì-Bon,  e  di 
Giovanni  Emanuel.  In  questa,  una  delle 
sue  ultime  e  più  belle  interpretazioni 
fu  della  protagonista  in  Odetìa  di  Sar- 
dou,  che  replicò  acclamatissima  per  più  sere  al  Teatro  Alfieri 
di  Torino,  Oggi  la  egregia  artista  è  fuor  della  scena  maritata 
a  un  ufficiale  dell'esercito. 

Marchioni  Angelo.  Fiorentino.  Giovane  di  sicura  abilità  nelle 
parti  di  Imiamoralo.  Addcstrossi  nell'arte  del  recitare  fra  gli  accademici 
della  sua  Patria;  e  poi  passò  a  Napoli,  dove  sì  fece  onore.  Ritornato  a 
Firenze,  recitò  nel  Teatrino  della  Piazza  Vecchia,  ed  oggi  scorre  l'Iulia 
con  la  Compagnia  di  Giovanni  Roffi,  facendo  sempre  più  conoscere  con 
certezza  i  teatrali  meriti  suoi. 


MARCHIONI  -  MARCHIONNI  77 

Così  Francesco  Bartoli.  Ma  io  credo  che  s'abbia  a  leg- 
gere Marchionni  anziché  Marchioni,  figliuolo  di  Casimiro,  non 
sappiam  dire  se  comico,  marito  di  Elisabetta  di  Pompeo  Bai- 
desi  e  padre  della  celebre  Carlotta  che  gli  nacque,  mentr'  egli 
e  la  moglie  (i  796)  trovavansi  a  Pescia  in  Compagnia  di  Giovan 
Battista  Mancini. 

Marchionni  Carlotta.  Figlia  del  precedente  e  di  Elisabetta 
Baldesi,  nacque  a  Pescia  nel  1 796.  Messa  nel  collegio  delle 
Orsoline  di  Verona,  si  vuole  che  fosse  trovata  in  estasi  dinanzi 
a  una  statua  di  sant'  Orsola,  alla  quale  recitava  certe  sue  fila- 
strocche. Recitazione,  che  ripeteva  poi  per  invito  della  stessa 
direttrice  e  delle  compagne  nelle  ore  di  ricreazione.  Balzò  di 
punto  in  bianco  dai  silenzi  del  chiostro  alle  lusinghe  della  scena, 
in  cui  passò  di  compagnia  in  compagnia  sostenendo  parti  or 
di  paggetto,  or  di  amorosa,  or  di  seconda  donna,  sinché  il  1 8 1 1  fu 
scritturata  prima  attrice  dal  capocomico  Lorenzo  Pani,  sino 
al  '14;  nel  quale  anno  appunto,  essendo  a  spasso  in  Firenze 
gli  artisti  Antonio  Belloni,  Ferdinando  Meraviglia,  Carlo  Cala- 
mai e  Luigi  Domeniconi,  formarono  con  Elisabetta  Marchionni 
una  società,  di  cui  fu  prima  donna  assoluta  la  diciassettenne  Car- 
lotta, la  quale  esordì  al  piccolo  teatro  della  Piazza  Vecchia  nella 
Pamela  ntclnle  del  Goldoni.-  Narra  il  Colomberti  che  la  società 
iniziò  il  corso  delle  sue  recite,  non  solamente  senza  alcun  cor- 
redo di  scena,  ma  senza  fin  anco  il  libro  della  commedia  che  fu 
per  buona  ventura  trovato  sur  un  banchetto.  L'esordire  della 
giovane  attrice  fu  il  primo  passo  alla  celebrità,  che  divise,  unica 
fra  le  donne,  con  Luigi  Vestri  e  Gustavo  Modena. 

Ma  il  Modena  si  chiuse  nella  cerchia  della  tragedia  e  del  dramma,  n  Vestri  e  la 
Marchionni  personificarono  forse  meglio  quella  varietà  di  attitudini  che  è  degli  attori  italiani 
soltanto,  e  che  permette  a  ciascuno  di  loro,  che  sia  veramente  nato  all'arte,  di  suscitare 
le  commozioni  più  disparate  e  diverse  ;  di  passare  con  stupenda  volubilità  e  occorrendo  in 
nna  sera  medesima  dal  tragico  al  comico,  dall'Alfieri  al  Goldoni  :  d' essere  come  la  Mar- 
chionni ora  Mirra  o  Clitennestray  più  tardi  Mirandolina  o  Rosaura  :  come  il  Vestri  oggi 
Don  Marno^  domani  //  povero  Giacomo. 

(Ferdinando  Martini,  Al  teatro.  Firenze,  Bemporad,  1895). 


78  MARCHIONNI 


E  più  largamente  il  Colomberti: 

La  naturale  sensibilità,  il  nobile  gestire,  l'espressione  del  volto,  e  più  di  tutto  il 
suono  armonioso  della  voce  donavano  alla  Carlotta  un  fascino  che  dominò  per  quasi  tren- 
ta anni  tutti  i  pubblici  d' Italia.  Chi  la  vide  rappresentare  VAUxina,  La  Fiera,  La  Lusirt" 
ghiera,  e  La  Vedova  in  solitudine  del  Nota;  La  Sposa  sagace,  le  due  Pamele,  GP Innamorati, 
le  tre  Zelinde  del  Goldoni  ;  La  bella  Fattora,  traduzione  del  conte  Piosasco  ;  le  due  Chiare 
di  Rosenberg,  La  figlia  della  terra  d* esilio,  DOrfanella  svizzera,  drammi  scritti  a  pK>sta 
per  lei  dal  fratello  Luigi,  non  potè  a  meno  di  riconoscere  e  di  applaudire  in  lei  quei  tratti 
di  grande  attrice,  che  caratterizzano  il  vero  genio.  Un  altro  genere  da  lei  insuperabilmente 
rappresentato  era  quello  delle  parti  ingenue.  La  Ciurli  o  La  famiglia  indiana,  la  Lauretta 
di  Gonzales,  e  varie  altre  erano  da  lei  con  tale  innocenza  rappresentate,  e  nel  tempo  stesso 
con  una  verità  si  grande  da  far  supporre  che  l'arte  non  vi  aggiungesse  nulla  del  proprio, 
quando  invece  era  la  sublimità  di  questa  che  le  faceva  raggiungere  il  vero  ;  e  se  questa 
somma  attrice  fu  a  tante  superiore  nella  commedia  e  nel  dramma,  con  non  minore  maestria 
seppe  innalzarsi  nella  tragedia,  poiché  la  Francesca  da  Rimini,  eh'  ella  creò,  la  Pia  d^Tolo- 
mei,  la  Mirra,  VOttaifia,  e  tante  altre  le  procuraron  sempre  nuovi  trionfi. 

E  Francesco  Righetti  nel  suo  Teatro  italiano,  dopo  di 
avere  accennato  alle  invidie  suscitate  da  lei  nelle  compagne 
d' arte,  e  di  avere  enumerati  alcuni  difetti  di  gesto  e  d' intona- 
zione dovuti  a  mancanza  di  scuola,  viene  a  concludere  così: 

Ma  io  sfido  tutti  i  delicati  conoscitori  dell'  arte  comica  a  dirmi  in  chi,  dove,  e 
quando  si  è  veduto  nella  commedia  italiana  una  donna,  che  con  tanta  grazia,  con  tanta 
decenza,  e  con  tanta  nobiltà  passeggi  la  scena?  Io  m'appello  a  tutte  le  dame  di  tutte  le 
corti  più  galanti,  se  si  può  con  miglior  dignità  ed  amabilità  in  una  nobile  e  gentile  con- 
versazione, dir  sedete  come  lo  dice  la  nostra  Marchionni;  con  quale  vivacità  di  colorito 
sa  ella  moltiplicare  e  compartire  le  tinte  in  una  scena  di  gelosia  !  Chi  sa  comporre  qnello 
sguardo,  accomodar  quel  labbro,  emettere  quel  suono  di  voce  in  una  scena  d'ironia  al 
pari  di  lei?  Della  felicità  sorprendente  nelle  transazioni,  e  nel  passaggio  d'un  affetto  al- 
l' altro,  della  dizione  semplicissima  e  naturale,  dell'artifizio  che  par  tutto  natura,  ne  ab- 
biamo un  esempio  parlante  nella  Lusinghiera  dell'avvocato  Nota. 

E  qui  fa  un'  analisi  minuziosa  e  interessante  dell'  interpre- 
tazione, in  cui  la  Carlotta  si  mostrò  più  che  in  altre  artista  di 
genio;  alla  quale  fa  seguir  quella  della  Mirra,  che  ne  fu  la 
creazione  più  maravigliosa,  approdando  alle  stesse  conclusioni, 
e  terminando  poi  con  queste  parole  :  <  la  nostra  Marchionni  ha 
dei  difetti:  e  chi  non  ne  ha?  Ma  dove  ella  è  grande,  è  più 
grande  di  tutte.  > 

La  società  con  tanta  modestia  e  direi  meglio  povertà  co- 
stituita, andò  innanzi  dodici  anni  tra  l'ammirazione  e  l'applauso 
di  ogni  pubblico,  esempio  unico  di  artistica  fratellanza.  Termi- 


MARCHIONNI 


nati  i  quali  la  Carlotta  passò  (la  quaresima  del  '23)  nella  Com- 
pagnia Reale  Sarda,  in  cui  portò  coll'arte  e  co' costumi  l'amore 
del  pubblico  verso  di  lei  al  grado  d'idolatria,  e  da  cui  si  staccò 


nel  '39.  per  ridursi  a  vita  privata,  e  non  tornar  più  sulle  scene, 
fuorché  tal  volta  a  scopo  di  beneficenza.  Morì  nubile  di  paralisi 
al  cuore  ìn  Torino  nel  1861.  Nubile  !  A  proposito  del  sagrificio 
ch'ella  avea  fatto  all'arte  degli  affetti  di  sposa  e  di  madre,  Giu- 
seppe Costetti  {op.  cit,  38)  dice: 

E  quando  ti  rifletU  che  la  verginità  di  CarlolU  Muchionni  non  fu  nns  muchera 
«stnU  per  gabellare  irresponsabilmente  non  dirò  la  scoitomateiza,  ma  nemmeno  le  facili 
mondanità  della  vita  del  teatro,  ma  fa  invece  nna  castità  immacolata  e  tersa,  non  appannata 
mai  neppure  dal  soffio  della  maldicenza  che,  fra  le  quinte,  è  vipereo;  k  da  pensare  pint- 


8o  MARCHIONNI 


tosto  che  quell'anima  forte  e  quella  vigorosa  fantasia  si  piacessero  del  contrasto  fra  la 
severità  del  costume  che  s'era  imposta,  e  le  sfrenate  amorose  passioni  che  doveva  rap- 
presentare. 

E  più  oltre  (pag.  41): 

Carlotta  Marchionni,  la  estatica  di  Verona  {allude  al  ColUgio  delle  Orsoline),  la  im- 
mancabile alle  messe  meridiane  della  Consolata  o  di  San  Filippo,  che  prima  di  uscir  sulla 
scena  ogni  sera  si  faceva  senza  ostentazione,  né  sotterfugio,  il  suo  bravo  segno  di  croce, 
rappresentò  alla  perfezione  Donna  Giulia  {La  Lusinghiera)  e  le  sue  spinte  civetterie,  come 
già  aveva  reso  le  fiamme  incestuose  di  Mirra. 

E  il  Colomberti: 

Carlotta  Marchionni  fu  donna  adoma  di  modi  squisiti  e  gentili  ;  d' ingegno  perspi- 
cace e  pronto.  Tanta  era  l' attrattiva  del  suo  conversare,  che  la  di  lei  casa  era  in  ogni  città 
frequentata  dai  più  rinomati  ingegni  in  Arti,  Scienze,  e  Letteratura.  L'arte  che  professava 
fu  sempre  per  lei  una  seconda  esistenza.  Né  questa  le  impedi  d'essere  figlia  amorosissima, 
perché  non  volle  mai  separarsi  dalla  sua  genitrice  ;  e  quando  la  morte  glie  la  tolse,  le  fece 
innalzare  nel  Campo  Santo  di  Torino  un  monumento  che  racchiuse,  dopo  varj  anni,  anche 
le  di  lei  spoglie  mortali. 

La  madre  morì  d'anni  65  il  dì  24  marzo  1835;  ^^  ebbe 
sulla  sua  tomba  questa  iscrizione  : 

Ad  Elisabetta  Marchionni  Sanese  |  dalla  figlia  Carlotta  |  cui 
raddoppiò  gli  affanni  nel  mancar  della  madre  |  amata  sopra 
tutte  le  cose  umane  com'era  degna. 

Giovanni  Prati  dettò  il  seguente  sonetto  : 

Visitando  la  tomba  di  sua  madre 

Si  ;  vidi  anch'  io  queli'  urna  e  quelle  forme 
sculte  nel  marmo,  e  che  tu  piangi  estinte: 
E  volto  a  quella  che  là  dentro  dorme, 
e  per  aura  miglior  V  ali  ha  sospinte, 

sclamai  :  «  Beata,  che  traesti  T  orme 
da  queste  zolle  in  vanità  dipinte, 
dove  s' indraca  un  popolo  difforme, 
che  troppo  ha  T  alme  nella  creta  avvinte. 

Beata  ancor,  che  dietro  te  lasciasti 
una  che  piange  in  queste  basse  rive, 
come  cosa  mortai  più  non  la  tocchi. 

Troppo  le  tombe  scordano  i  rimasti  ! 

Troppo,  e  Dio  se  ne  accora.  Ella  non  vive 
dal  di  che  ha  chiuso  alla  sua  madre  gli  occhi.» 


MARCHIONNI  8i 


Gli  onori  tributati  alla  grande  Carlotta  ricordan  quelli 
tributati  più  di  due  secoli  a  dietro  a  Isabella  Andreini;  onori 
di  rime,  di  medaglie,  di  marmi.  Madame  di  Staél,  a  una  rap- 
presentazione della  Mirra  in  Milano,  lei  che  all'ammirazione 
del  teatro  italiano  non  fu  molto  inchinata,  voltasi  a  Silvio  Pel- 
lico, sclamò  :  elle  à  le  genie  de  son  art  au  dernier  poinL  Tra'  versi 
dettati  in  suo  onore,  del  Pezzòli  nella  Galleria  dei  più  rinomati 
attori  drammatici  italiani,  del  Vico  nell'opera  del  Costetti,  ecc., 
scelgo  il  principio  e  la  fine  del  sermone  di  Giuseppe  Barbieri, 
//  Teatro,  a  lei  dedicato,  che  è  men  facile  a  trovarsi  : 


Pochi  nel  geni'al  comico  ludo 

surgono  ad  alta  meta  insigni  attori; 

e  Tu  forse  nel  tragico  lamento 

unica  sei,  che  l'anime  distempri 

d' ineffabil  dolcezza  ;  e  ben  Tu  fosti 

a  miracol  mostrar,  di  Ciel  venuta, 

soavissima  Venere  del  pianto. 

O  rara  donna  !  A  questo  erami  dunque 

la  tua  maravigliosa  arte  serbata, 

questo  voleva  il  mio  destin,  che  tutto 

Tamaro  e  il  dolce,  in  che  passai  la  vita, 

«quand'era  in  parte  altr'uom  da  quel  ch'i' sono;» 

tutto  m'  avesse  a  ribollir  nel  petto, 

e  traboccarmi  in  lagrime  dagli  occhi; 

e  me  da  me  diviso,  e  in  te  pendente 

confondermi  con  teco?  Illustre  donna, 

chi  non  t'  ammira  ?  Di  vivaci  plausi 

ferve  al  tuo  comparir  l'Itala  scena; 

che  dove  a  Te  simile  altra  sorgesse, 

di  Melpomene  alunna  e  di  Talia, 

men  sonerebbe  glorioso  il  vanto, 

che  le  galliche  prove  a  noi  rinfaccia. 


o  delle  Muse 

verace  figlia,  e  delle  Grazie  alunna, 

a  Te  mi  volgo,  in  Te  conforto  e  speme 

11.  —  /  Comici  italiani.  Voi.  II. 


82  MARCHIONNI 


giovami  por  ;  clie  Tu  Roscia  de'  palchi, 

Tu  del  bello  imitar  casta,  decente, 

affettuosa,  amabile,  maestra 

farai  le  scene  di  lor  meglio  accorte; 

e  sarai  vivo  specchio,  in  che  guardando 

attori  e  spettator,  prendano  forma 

d'ogni  sincera  teatral  virtude. 

Opra  è  questa  da  Te.  Natura  ed  arte 

Ti  componeano  al  bello  ed  all'onesto. 

Sirena  del  dolore,  io  ti  saluto. 

Marchionni  Luigi.  Fratello  della  precedente,  nacque  a 
Venezia  il  2  novembre  1791.  De' primi  anni  dell'arte  sua  rife- 
risce il  Colomberti  il  seguente  aneddoto  : 

Il  direttore  Antonio  Belloni  che  trova  vasi  con  la  Compagnia  Paganini  nel  1803  uni- 
tamente all'  Elisabetta,  da  poco  divenuta  vedova,  possedeva  un  piccolo  cane,  che,  divenuto 
idrofobo,  fuggi  di  casa,  e  si  recò  in  quella  della  Marchionni,  forse  per  non  mordere  i  pa- 
droni. Giunto  colà,  incontrò  in  una  stanza  Luigi  e  la  di  lui  sorella  (non  già  la  Carlotta, 
ma  la  Luigia,  che  appena  aveva  raggiunti  i  dieci  anni).  Fratello  e  sorella  in  quel  punto 
litigavano  per  un  motivo  qualunque,  e  Luigi,  veduto  il  cane,  lo  aizzò  contro  la  sorella, 
che  venne  morsicata,  e  mori  dopo  pochi  giorni.  La  madre,  furiosa  contro  del  figlio,  ca- 
gione innocente  della  morte  della  sorella,  lo  cacciò  di  casa.  Inutili  furono  le  discolpe  del 
giovinetto,  e  le  preghiere  di  tutta  la  Compagnia;  la  madre  rimase  inflessibile.  Il  Capo- 
comico ed  il  Belloni  lo  impiegarono  con  la  Compagnia  condotta  dal  caratterista  Francesco 
Pieri;  e  là  il  disgraziato  giovinetto  fu  obbligato  a  suggerire,  copiare  originali  e  parti,  non 
meno  che  a  far  parti  adattate  alla  sua  età.  Benché  da  tanti  obblighi  non  ritraesse  che  un 
piccolo  stipendio,  pure  non  solo  provvedeva  alla  propria  sussistenza,  ma  siccome  era  stu- 
diosissimo, toglievasi  spesso  il  pane  dalla  bocca,  per  comprare  dei  Ubrì.  Nelle  ore  in  cui 
poteva  esser  libero  da'  suoi  doveri  (e  queste  non  erano  tali  che  nella  notte),  si  occupava 
continuamente  a  leggere  ;  ed  essendo  pieno  d' ingegno  naturale,  e  dotato  di  ferace  memoria, 
seppe  profondamente  istruirsi,  e  in  seguito  diventare  un  buon  autore  teatrale,  ed  un  ottimo 
artista.  Sembra  che  il  tempo  e  l'amor  materno,  non  meno  delle  preghiere  della  sorella, 
gli  ottenessero  il  perdono  della  severa  Elisabetta  dopo  diciassette  anni  di  esilio  dalla  fa- 
miglia: e  infatti  lo  ritroviamo  nel  i8ao  nella  Società  drammatica  della  madre  e  della  sorella 
al  posto  di  primo  amoroso  assoluto^  dopo  la  scelta  del  primo  attore  Meraviglia,  con  la 
moglie  Teresa,  brava  prima  e  seconda  donna  giovane. 

(Era  questa  figliuola  del  buon  secondo  caratterista  e  servo 
sciocco  Giuseppe  Grazzini). 

Entrò  il  1825  con  l'impresa  Tessari,  Prepiani  e  Visetti 
2! Fiorentini  di  Napoli,  ove  stette  sino  al  '64,  anno  della  sua 
morte.  Il  Marchionni  fu  Fattore  generico  per  eccellenza.  Bril- 


MARCHIONNI-  MARIANI 


lante  e  tiranno,  padre  nobile  e  amoroso,  caratterista  e  promiscuo. 
s' ebbe  fama  di  Garrìck  redivivo.  La  Moda  di  Napoli  dice  :  «  è 
difficile  veder  due  volte  il  Marchionni  con  la  stessa  sembianza: 
diverso  sempre  da  sé  sot- 
to le  diverse  forme  che 
veste  su  le  scene,  ei  non 
somiglia  a  sé  stesso  che 
in  una  sola  cosa,  cioè  In 
esser  sempre  eccellente.» 
Di  lui  abbiamo  tra- 
gedie :  /  Martiri,  Olindo 
e  Sofronia,  Edea  Zave/la 
o  La  presa  di  Negroponte, 
La  Vestale,  che  meritò  gli 
elogi  di  Vincenzo  Monti  e 
di  Ugo  Foscolo;  spetta- 
coli :  Pirro,  o  i  Venti  Re 
all'assedio  di  Troja,  La  fi- 
glia della  terra  d'esilio;  drammi  :  Chiara  di  Rosenberg  calunniata. 
Chiara  innocente,  L  Or/aìiella  svizzera;  lavori  questi  scritti  per 
la  sorella  Carlotta  e  da  lei  con  molto  successo  recitati.  Poi  li- 
bretti d'opera,  come  L' Esule  di  Roma  e  Belisario,  musicati  dal 
celebre  Donizetti,  e  una  infinità  di  traduzioni  dal  francese  e 
riduzioni  in  prosa  e  in  versi  che  furon  vive  per  molti  anni 
ne'repertorj  delle  nostre  primarie  compagnie. 


Marchis  (De)  Giuseppe.  Uno  dei  primi  attori  della  Com- 
pagnia di  Gioacchino  Petrelli.  Autore  di  un  dramma.  La  morte 
di  San  Nicola,  che  fu  rappresentato  per  più  sere  nel  1 800  a 
Tolentino. 

Marcucci  Anna.  (V.  Fiala-Narici  Marzia). 


Marìanì-Zampieri  Teresìna.  Dei  primi  anni  di  questa 
egregia  artista,  nata  a  Firenze  al  principio  del  1871,  e  andata 


84  MARIANI 


il  '77  e  *7 8  a  sostener  colla  Ristori  a  Parigi  e  in  Ispagna  le 
parti  di  uno  dei  bimbi  nella  Medea  e  del  Delfino  nella  Maria 
Antonietta,  una  delle  più  intellettuali  tra  le  %\ov2iXÌ\  prime  donne 
del  nostro  teatro  di  prosa,  così  parla  Gace  nel  Resto  del  Carlino 
del  29  novembre  1897: 

Scioltasi  la  Compagaia  Ristori,  le  sventare  domestiche  cominciarono  a  sperimentare 
la  tempra  del  caore  della  piccola  attrice,  edacaadola  alla  scuola  del  dolore.  Il  padre  di 
lei,  Aatonio,  oriundo  romaao,  buoa  attore,  formò  una  discreta  compagnia,  che  dopo  brevi 
tentativi,  si  scioglieva:  e  recatosi  a  Torino  colla  famiglia,  prestò  P opera  sna  a  quella 
Società  Filodrammatica  ;  ma  rottosi  l' accordo,  quei  bersagliati  si  trovarono  ancora  in  balia 
della  ventura. 

Dimenticati  dalla  famiglia  comica,  si  stabilirono  a  Torino  ;  il  padre  con  un  impiego 
di  copista,  le  due  donne  ad  agucchiare  per  la  sartoria  del  Teatro  Regio.  La  madre  tornò 
per  alcun  tempo  nella  Compagnia  Milone  Vazer  ;  ma  ben  tosto  ancora  al  lavoro  dell'ago. 
Poi,  anche  questo  mancò  col  cader  della  stagione  teatrale,  e  fu  allora  un  travagliarsi,  un 
assoggettarsi  a  fatiche  nuove,  ad  occupazioni  penose  e  di  tenue  guadagno.  Le  belle  manine 
della  giovinetta  lavorarono  alla  fabbricazione  delle  cartucce  nell'arsenale  militare,  e  trapun- 
sero  ricami  di  crocheis  pel  convento  delle  Josephitus, 

In  quei  giorni,  la  famiglia  Mariani,  più  per  sfogo  che  per  guadagno,  andava  coi 
dilettanti  alla  Venaria  Reale,  dove  la  giovine  attrice  interpretava  i  caratteri  più  disparati 
e  più  strani,  quali  la  Linda  di  Chamounix  o  il  Maino  della  spinetta»  Il  direttore  della 
Filodrammatica  del  Teatro  Nazionale,  Alessandro  Emanuel,  ammirato  dai  pregi  della  bionda 
attrice,  la  scritturava  per  le  recite  del  carnevale  ;  e  in  questo  periodo  di  tempo  incomin- 
ciano i  suoi  primi  trionfi. 

A  quindici  anni,  la  Compagnia  Diligenti-Pezzana  l'accoglieva  con  amore;  e  nel  1885 
nella  parte  di  Edith  del  Figlio  di  Coralia  debuttava  applaudita  al  teatro  dei  Rozzi  di 
Siena;  continuando  negli  anni  successivi,  colle  Compagnie  Novelli,  Pasta  e  Drago,  a  raf- 
forzare sempre  più  la  sua  delicata  fibra  d'artista. 

Dopo  gli  anni,  che  chiameremo  di  noviziato,  ma  che  furono 
anni  di  vita  artisticamente  vissuta,  nei  quali  la  prima  attrice 
giovane  colla  intelligenza  svegliata,  colla  voce  insinuante,  colla 
dizione  limpida  e  piana,  era  diventata  l'idolo  del  pubblico, passò 
prima  attrice  assoluta  nella  Compagnia  di  Cesare  Rossi,  osteg- 
giata dai  più,  che  vedevano  in  lei  nelle  grazie  del  viso,  la 
eterna  ingenua,  ma  accompagnata  dall'incoraggiamento  dei 
pochi,  che  vedevan  nella  gagliardia  della  sua  mente,  e  della 
sua  volontà,  nello  sviluppo  ognor  crescente  delle  sue  attitudini, 
una  giovane  forza  che  sarebbe  arrivata  in  breve  agli  alti  gradi 
dell'arte.  E  i  pochi  non  s'ingannarono:  alla  Fernanda,  alla 
Ivonne,  alla  Pia,  alla  Iolanda,  seguì  la  Dorina,  la  Parigina,  la 


MARIANI  -  MARINI 


Innamorata,  la  Santuzza,  non  esclusa  la  inevitabile  Margherita 
Gauthier,  in  cui  la  Mariani  si  cimentò,  cosciente  della  battaglia 
grande  che  ingaggiava  col  pubblico,  ma  fidente  nelle  sue  forze. 
E  vinse.  E  il  pubblico 
r acclamò;  e  procla- 
mò artista  fine  e  po- 
tente.... D'ingegno 
pieghevolissimo,  pas- 
sò con  singolare  sicu- 
rezza e  rapidità  ai 
generi  più  disparati, 
riuscendo  interpre- 
te felice  della  nuova 
scuola.  Oggi  è  capo- 
comica,  e  maritata  a 
Vittorio  Zampieri;  e 
dopo  un  viaggio  bre- 
ve ma  fortunato  in 
America,  tornò  tra 
noi  al  Valle  di  Roma, 
ove  interpretò  mira- 
bilmente Zaza.  l'affa- 
scinante mosaico  tea- 
trale di  Berton,  per  riprendere  il  largo  verso  la  Spagna,  ove 
l'attendevano  onori  non  isperati.  Le  più  che  festose,  entusia- 
stiche accoglienze  di  Madrid  e  di  Barcellona  la  compensarono 
a  esuberanza  de' tristi  anni  della  fanciullezza,  che,  tra  le  accla- 
mazioni di  un  popolo  artista,  le  torneranno  alla  mente  con  na- 
turale e  vivo  compiacimento,  sentendo  di  dovere  a  sé  sola,  alla 
sua  tenacità,  al  suo  amore  per  l'arte,  all'ingegno  suo,  se  potè 
da  quelli  balzar  nella  vita  presente  tutta  intessuta  di  rose. 

Marini  Giuseppe,  veronese,  esercitatosi  tra' dilettanti  della 
sua  patria,  si  diede  all'arte  nel  1810,  dedicandosi  per  la  sua 
maestosa  figura  al  ruolo  di  tiranno,  che  sostenne  con  raoltis- 


86  MARINI 


sima  lode  nelle  primarie  compagnie  di  Raftopulo,  Goldoni, 
Dorati,  Internari  e  Paladini,  Perotti  e  Fini. 
Morì  a  Firenze  Tanno  1854. 


ini  Virginia,  figlia  di  Carlo  e  Teresa  Weiss,  nacque 
ad  Alessandria  della  Paglia  il  19  novembre  del  1844.  Essendo 
il  padre  custode  del  teatro  d'Alessandria,  la  piccola  Virginia 
attendeva  ogni  mattina  alla  ripulitura  dei  palchi  e  della  platea, 
ingannando  il  tempo  con  tirate  di  commedia  che  aveva  impa- 
rate la  sera  in  teatro.  Il  fiorentino  Giovan  Battista  Marini, 
discreto  artista  (era  generico  dignitoso  il  1853  in  Compagnia 
Sadowski-Astolfi),  sorpresala  nelle  sue  declamazioni,  scoprì  il 
tesoro  magnifico  della  sua  voce,  e,  vedovo  da  poco  e  per  giunta 
con  figliuoli,  propose  alla  Virginia  di  sposarla,  coli' intento  d'ini- 
ziarla alla  vita  dell'arte.  Essa  accettò,  il  matrimonio  accadde 
nel  1858,  e  Virginia  Marini  diventò  nello  stesso  tempo  attrice. 

Questa  la  leggenda. 

Fu  i  suoi  primi  anni  servetta  con  Meneghino  Preda;  poi, 
il  '62,  ingenua  ai  Fiorentini  di  Napoli,  ove  mostrò  subito  quali 
altezze  avrebbe  saputo  raggiungere.  Era  la  prima  volta  che 
recitava  in  italiano.  Ttta  Nane,  pseudonimo  che  cela  uno  dei 
più  modesti  e  più  intelligenti  cultori  dell'arte  nostra,  così  de- 
scrive quello  e  gli  altri  primi  passi  in  un  bello  e  appassionato 
articolo  apparso  nella  Tribuna  illustrata  del  settembre  '94  : 

Adamo  Alberti  scelse  per  il  debutto  un  vecchio  pasticcio  del  Bayard:  //  nuovo 
Figaro  e  la  Modista,  La  modista  era  lei,  la  Marini.  La  sala  metteva  paura.  H  pubblico 
aveva  avuto  per  una  settimana  i  grandi  della  Compagnia,  Salvini,  la  Clementina  Cazzola, 
e  non  dico  altro.  Della  Marini  nessuno  aveva  mai  sentito  ripetere  il  nome.  Qnand'ecco 
arriva  sulla  scena  lei  con  una  scatola  in  mano,  vestita  proprio  come  una  sartina  che  si 
rechi  a  domicilio,  e,  senza  uscire  dalla  naturalezza,  fa  sentire  la  musica  di  quella  voce. 
Apriti  cielo!  Fioccarono  gli  applausi,  e  lei,  poveretta,  non  credeva  a  sé  stessa;  subito 
Tommaso  Salvini  la  slanciò  nel  genere  drammatico,  e  il  successo  fu  eguale.  Essa  non 
perdeva  sillaba  della  Cazzola,  che,  per  eleganza,  naturalezza,  profonda  intuizione  d'arte, 
si  collocò  fra  la  Ristori  e  la  Sadowsky,  e  in  certe  parti  non  trovò  chi  riuscisse  a  supe- 
rarla; e  più  tardi,  a  Firenze,  quando  la  Cazzola  ammalò,  Tommaso  Salvini  ricorse  alla 
signora  Virginia;  e  la  signora  Virginia,  improvvisando  sera  per  sera  un'interpretazione, 
cominciò  a  spiccare  il  gran  salto,  sempre  sotto  gli  auspici  del  gran  colosso  Salvini,  artista 
completo,  dividendo  il  regno  dell'arte  con  la  Tessero  e  la  Pezzana,  e  tutte  tre  facendo 
credere  con  i  grandi  successi  fatti  ottenere  alle  commedie  di  Gherardi  Del  Testa  e  di  Achille 


MARINI  8; 

Torelli,  M  proverbi  del  Snner,  ù  drammi  del  Coitetti,  ai  lavori  nuutodontici  dell'ultima 
maniera  di  Paolo  Ferrari,  al  medio  evo  di  Giaccia,  ^la  rominiU  di  Pietro  Cona,  all« 
galanterìe  di  De  Renzif,  dì  Martini,  di  Caitelnaovo,  e  tutto  il  resto  di  Codiuello,  di 
Ifnratori,  di  Montecorboll,  di  Castelvecchio,  di  Sabbatini  e  di  tanti  altri,  tacendo  credere 
all'  eiiilenza  d' no  moderno  teatro  italiano. 


Virginia  Marini  fu  il  '63  con  Luigi  Domeniconi,  e  il  '64 
con  Gaspare  Pieri.  Il  'ò^-'Os  era  di  nuovo  con  Adamo  Alberti 
ai  Fiorentini  dì  Napoli,  e  questa  volta  prima  attrice  giovane: 
dal  '66  al  '68  con  Alessandro  Monti,  dal  '68  al  '69  con  Tom- 
maso Saivini,  dal  '69  al  '72  con  Alamanno  Morelli.  Poi  ebbe 
Compagnia  propria,  entrò  nella  Compagnia  Nazionale,  tornò 
a  formar  Compagnia....  Fu  con  Ermete  Zacconi  e  con  Giovanni 
Emanuel....  poi....  mutati  i  tempi,  mutati  i  sistemi,  mutati  gl'in- 


dirizzi,  mutate  le  scuole,  sì  ritirò  dall'arte  in  Roma,  ov'è  tut- 
tavia, chiamata  a  coprire  la  cattedra  di  arte  della  recitazione 
nel  Liceo  musicale  dì  Santa  Cecilia,  creata  per  decreto  del 
Ministro  Baccelli.  Questa  la  cronaca  della 
vita  artistica  dì  Virginia  Marini. 

Enrico  Panzacchi,  analizzando  la  in- 
terpretazione A^\X Adriana  Lccouvreur  di 
Qementina  Cazzola  (V.)  e  di  Virginia  Ma- 
rini, di  questa  viene  a  dire  : 

UAdriann  invece  TupprcscntHtBci  dalla  Marini  i  altra 

donna.  Forse  meno  ligia  alle  inleozioni  di  Scrìbe  e  Legoavé, 

forse  mero  fedele  alla  biografia,  ma  più  confonne  a  Datura  e 

vetitì.  Sulle  ptìme  è  la  giovine  donna  che  ama  e  crede  nel- 
l'amore, che  pare  profonda  e  confidente  nei  gesti,  nel  volto, 

nei  toni  pacati  della  sua  belln  voce  !  La  passione  legaa  dentro 

poderosa,  assoluta,  una  di  qoelle  passioni  che  decidono  il  destili 

che  dorma  e  sogni  tranquilla  carezzata  dalia  fede 

Resane,    nell'anticamera    della  tragedia,   Adriana 

naturalezza  dj  giovine  attrice  spigliata,  allegra,  carezzevole, 

buon  sangue  e  buona  cera. 

Chi  in  quella  bonaccia  profonda  indovinerebbe  la  tempesta  del  quarto 

trasfigurazione  compiuta.  Il  portamento,  il  gesto,  gli  occhi  assumono  un  fare 

e  fulmineo;  la  voce  ha  sibili  come  il  serpente  e  inflessioni 
iceratrici  come  d'aculeo.  L'invettiva  di  Fedra  gittata  a  guisa 
'uno  schiaffo  a  d'un  pugno  di  fango  sai  volto  della  rivale,  ci 
vela  a  un  tratto  tutta  la  potenza  tragica  dell'amore  à^ Adriana 
ci  fa  anche  presentire  il  terribile  sciogliraento  del  dramma. 


di  lutla  una  vita,  ma  pare 
dalla  speranza.  Sotto  le  belle  vesti  di 


lil'a 


a  latto  sempre 


Ai  successi  delV Adriana  Lecouvreur 
dovrebber  qui  aggiungersene  migliaia  ; 
che,  per  oltre  un  ventennio,  Virginia  Ma- 
rini ha  tenuto  con  Adelaide  Tessero  lo 
scettro  del  teatro  italiano  dì  prosa,  e,  direi 
quasi,  di  canto,  tale  e  tanta  era  la  carezzosa  musicalità  della 
sua  voce.  Quando  non  sì  andava  svogliatamente  com'oggi  a 
teatro,  per  veder  la  riuscita  di  un  nuovo  lavoro,  sul  quale  sì 
ha  già  una  preventiva  poca  fede;  ma  ci  si  accorreva  entu- 
siasti a  giudicar  di  una  interpretazione,  suscitante  poi  ne' con- 
fronti le  più  vive  discussioni,  la  vita  artistica  di  Virginia  Ma- 


rini  era  il  trionfo  non  interrotto  di  ogni  sera.  Passando  dalle 
schiette  e  composte  comicità  della  Serva  amorosa  agli  sfrenati 
e  sfacciati  ardori  di  Messalina,  e  da  questi  alle  sospirate  roman- 
ticherie del  Cuore  ed  arte,  poi  a  Frine.  ^Adriana  Lecouvreur, 
alla  Signora  dalle  Camelie,  al  Trionfo  d'amore,  alla  Straniera,  a 
Cecilia,  al  Falconiere,  alla  Donna  e  lo  Scenico,  al  Fratello  d'armi, 
3\\&  Donne  curiose,  a  tutto  un  repertorio  de'più  vasti  e  disparati 
e  in  verso  e  in  prosa.  Virginia  Marini  non  sentiva  il  bisogno 
di  correr  dietro  alle  solleticanti  e  stimolanti  sudicierie  di  una 
pochade  per  attirare  e  guadagnarsi  il  pubblico;  ma  bastava  lei, 
lei  sola,  circondata  da  una  modesta  schiera  di  compagni,  i  quali 
potevan  chiamarsi  Alamanno  Morelli,  Giovanni  Ceresa,  Fran- 
cesco Ciotti,  Guglielmo  Privato,  Giulio  Rasi,  Sante  Pietrotti, 
Pierina  Giagnoni,  Anna  Job,  e  via  discorrendo. 

Ricordiamo  ancora  Virginia  Marini  alla  vigilia  della  cele- 
brità con  Alessandro  Monti  al  Teatro  Alfieri  di  Firenze!  Quale 
Signora  dalle  Camelie  allora  !  Che  duetti  d' amore  con  Angelo 
Marchetti!...  E  tutto  il  periodo  Salviniano?  Quale  armonia,  che 
fusione  di  sospiri  !  Che  Figli  ddle  Selve  allora  !  Che  OtelU  !  Che 
Zaire!...  Perchè,  Virginia  Marini,  al  fianco 
di  Tommaso  Salvini,  diventò  una  di  quelle 
artiste,  rimasta  unica  poi,  che  sollevava, 
come  il  suo  grande  compagno  e  maestro, 
le  platee  con  una  semplice  inflessione  dì 
voce;  era  quella  una  forza  sua.  I  versi, 
nella  sua  bocca,  si  andavano  aprendo  e 
sviluppando  in  melodie  nuòve....  forse  non 
sincere  talvolta,  forse  non  sempre  d'into- 
nazione perfetta,  ma  di  una  maravigliosa 
efficacia  sul  pubblico,  che  rimaneva  vinto  di  sorpresa,  e  sog- 
giogato.... L'arte  della  Marini  fu  plastica  nella  dizione  e  nel 
portamento.  Artista  non  troppo  sincera,  forse,  al  molto  studio 
sagrificò  di  conseguenza  la  spontaneità.  Gli  scatti  subitanei, 
le  improvvisazioni  inattese,  e  diciam  pure  gl'improvvisi  lampi 
d'arte  della  Tessero  mancavano  a  Virginia  Marini;  ma  nella 

\2.  —  t  Comici  italiani.  Val.  IL 


90  MARINI  -  MARIOTTI 

grande,  grandissima  artista  del  momento  mancavan  le  elette 
qualità  dell'altra,  che,  se  bene  un  po' meccanicamente,  si  mo- 
strava tutte  le  sere  colla  stessa  voglia,  colla  stessa  arte,  cogli 
stessi  mezzi,  che  formaron  sì  lungo  tempo  l' idolatria  del  pub- 
blico pagante.  Perchè  anche  questo  va  pur  notato.  Di  Virginia 
Marini  non  si  potè  mai  dire  :  <  stasera  son  capitato  male  ;  re- 
cita col  sangue  al  naso/>  Ma  tanta  gloria,  tanti  entusiasmi,  do- 
vevan  finire  come  per  incanto.  A' venti  anni  di  acclamazioni, 
che  avrebber  dovuto  lasciarne  ripercossa  l'eco  per  tanti  e  tanti 
anni  ancora,  seguì  un  silenzio  di  tomba.  Il  pubblico  teatrale, 
che  in  Italia  è  l'espressione  più  viva  e  chiara  dell'umana  in- 
gratitudine, vòlte  le  spalle  all'  idolo  vecchio,  ne  cercò  di  nuovi  ; 
e,  non  trovatili,  li  creò,  e  a  quelli  si  prosternò.  I  trinciamenti 
d'aria  col  braccio  e  l'indice  distesi,  le  inflessioni  di  voci  ad  alti 
e  bassi,  a  scatti  voluti,  tutto  il  grande  convenzionalismo  del- 
l'antica scuola,  cede  il  campo  alle  dizioni  incolori  nella  lor  na- 
turalezza, alle  movenze  studiate  nella  lor  trascuratezza,  a  tutto 
insomma  il  grande  convenzionalismo  della  scuola  moderna. 
Virginia  Marini  ha  chiuso  il  vecchio  periodo,  che  comprese 
con  lei  la  Ristori,  la  Tessero,  la  Pezzana,  la  Marchi,  la  Campi, 
la  Giagnoni,  Morelli,  Ciotti,  Ceresa,  Pasta,  Salvadori,  Bellotti, 

Rasi,  Vestri,  ecc Eleonora  Duse  ha  aperto  il  periodo  nuovo, 

che  comprende 

Marìotti  Olinto.  Fiorentino,  primo  attor  giovine  de' più  in- 
telligenti, nacque  il  1850.  Cominciò  a  recitare  in  compagnie  di 
poco  o  niun  conto,  finché,  morto  Giulio  Rasi,  andò  a  sostituirlo 
in  Compagnia  Morelli,  acquistandosi  in  breve  la  stima  e  bene- 
volenza de' pubblici  più  arcigni,  per  la  svegliatezza  della  mente, 
lo  slancio  della  passione,  la  interpretazione  mai  errata.  Le  due 
parti  che  tra  l'ultime  gli  crebber  fama,  furono  il  Duca  Valentino 
nei  Borgia,  e  V  Ammiraglio  Rotei  nella  Cleopatra  di  Pietro  Cossa. 
Aveva  sposato  Laura  Tessero,  sorella  minore  di  Adelaide,  prima 
attrice  giovane  di  qualche  pregio,  e  morì,  giovanissimo,  com- 
pianto da  tutta  l'arte. 


MARIOTTI 


Di  lui  riferisco  le  parole  dì  Yorik,  come  quelle  che  ci  dàn 
chiaro  Ìl  ritratto  dell'artista  e  dell'uomo; 

Aveva  ippena  Irent'anni,  era  pieno  di  vita  e  di  sperania,  Torte,  robusto,  gagliardo, 
ricco  d'iug^no,  lieto  della  sua  torte,  felice  della  simpatia,  dell' affetto,  della  itima,  io  che 
lo  tSDevano  i  snoi  concittadini.  Era  entrato  di  fresco 
nell'arte,  e  non  per  la  solita  porta  delle  diiìUaiioni 
e  delle  stanchezze.  C'era  venato  per  vocaiione  vera, 
e  ci  aveva  portato  un  animo  generoso,  ana  niente 
colta,  nn'istmiione  non  connine.  Scriveva  con  garbo 
in  prosa  ed  in  verso;  aveva  anche  fra  le  ioe  carte 
qualche  non  iolèlice  tentativo  drammatico;  si  era 
latto  largo  nella  achiera  degli  artisti  per  l'ingegno 
tao  vivace,  per  la  fettiviti  dello  spirito,  per  l'ar- 
gnzia  della  parola,  per  la  bontì  del  cuore,  per  l' ar- 
dore infaticabile  de' suoi  stndj  continnì.  Festeggiato 
da  per  tatto,  applaudito,  incora[^alo,  camminava 
a  fronte  alta,  e  con  passo  spedito  verso  nn  avve- 
nire che  non  pareva  troppo  lontano. 

E  nel  pieno  fiore  delle  sue  speranze  mori 
a  Matetica,  la  mattina  del  37  settembre,  alle  ore  Ire, 
pronnniiando  a  stento  col  labbro  agoniziante  il 
nome  di  personaggi  drammatici  che  gli  rammen- 
tavano  i  suoi  più  lusinghieri  trionfi....  Rotei.... 
VaUntino.... 

Cosi  mnojono  gli  artisti  veri  I  II  povero  Olinto  vivrà  però  lungamente  a: 
memoria  d^i  amici  fedeli,  e  nel  compianto  del  pubblico  italiano. 

Paolo  Ferrari  dettò,  in  nome  della  vedova,  la  seguente 
iscrizione  che  trovasi  nel  monumentino  erettogli  in  Firenze  a 
San  Miniato  al  Monte: 


a  nella 


OLINTO  MARIOTTI  FIORENTINO 

COLTIVÒ  LE  LETTERE  SCRISSE  PEL  TEATRO 

FU  ARTISTA  DRAMMATICO 

AFPLAUDITISSIHO 

ALLE  DIFFICOLTÀ  DELLA  VITA 

OPPOSE  ANIMO  SALDO 

VOLONTÀ  PERTINACISSIMA 

AVEVA  VINTO 

COMINCIAVA  A  GUSTARE  LS  GIOIE 

DELL'ARTE  DEGLI  AMORI  DRLLA  FAMIGLIA 

QUANDO 

TRENTENNE  APPENA 

IL  d1  XXVII  SETTEMBRE  MDCCCLXXIX 

MORÌ 

IO  LAURA  TESSERO  VEDOVA  DI  LUI 

GLI  POSI  QUESTO  RICORDO 

DEL  MIO  AMORE  DEL  MIO  DOLORE 

IL  NOVEMBRE  MDCCCLXXX 


92  MARLIANI 


Marliani  Giuseppe,  piacentino.  Trascrivo  da  Francesco 
Bartoli  : 

Fece  egli  in  sua  gioventù  il  Ballerino  da  corda  in  una  Compagnia 
di  saltatori  diretta  da  Gaspare  Raffi  Romano,  di  cui  sposò  la  Maddalena 
di  lui  sorella;  e  vedesi  ancora  andare  attorno  una  stampa  in  Rame  con 
espressevi  tutte  le  forze,  ch'egli  faceva,  e  con  sotto  questa  iscrizione: 

Giuseppe  Marliani  ballerino  da  corda. 

Fu  il  Marliani  istruito  nell'arte  comica  da  Alessandro  d'Afflisio 
Innamorato  di  merito;  e  però  in  Venezia  ballava  di  giorno  co' suoi  com- 
pagni e  colla  moglie,  in  un  casotto  nella  Piazza  di  San  Marco,  e  la  sera 
recitava  con  gli  stessi  nel  Teatro  di  San  Moisè,  esercitandosi  nella  ma- 
schera di  Brighella. 

Questi  i  principii  di  questo  artista,  che,  passato  poi  nella 
Compagnia  di  Girolamo  Medebach,  col  quale  stette  più  anni, 
potè,  al  Sant'Angelo  e  al  San  Gio.  Grisostomo  mostrare  più 
largamente  i  veri  pregi  ond'era  ornato.  Il  Bartoli  cita  una 
commedia,  particolare  fatica  di  lui,  nella  quale  sosteneva  parec- 
chi personaggi,  parlava  più  dialetti,  e  faceva  mille  giuochi  ca- 
pricciosi. Né  solo  air  improvviso  fu  attore  pregiato,  ma  anche 
nelle  cose  studiate,  in  cui,  deposta  la  maschera  del  Brighella, 
si  mutava  egregiamente  in  tiranno,  come  né[V Attila  e  néiVEz- 
zelino  dell'abate  Chiari.  Passò  vecchio,  con  la  moglie,  da  quella 
del  Medebach  nella  Compagnia  della  Battaglia,  nella  quale  vi- 
veva ancora  al  1781. 

Sappiamo  dal  Bartoli  essere  stato  un  uomo  de' più  ca- 
pricciosi; giuocatore  arrabbiato  del  Lotto,  dilettante  alchimi- 
sta, era  riuscito  a  comporre  un  metallo  somigliante  all'argento, 
di  ben  poco  valore  ;  ma,  soprattutto,  uomo  probo,  e  come  tale 
amato,  e  stimato  da  tutta  l'arte.  (V.  Medebach  Teodora). 

Marliani-Raffi  Maddalena.  Veneziana,  moglie  del  prece- 
dente, e  attrice  egregia  nelle  parti  di  serva,  fu  sempre  col  ma- 
rito sotto  il  nome  di  Corallina,  eccettuato  un  triennio,  in  cui 
se  ne  staccò,  per  inconsideratezza,  còme  dice  il  Goldoni.  Nelle 


VARLIAXI  «  VARTEILI  <;i 

Oj6e  rnrrcTvise  non  aveva  cii  le  s:e:55>e  arr^^ttc^:  e  nt\>  rr>e^ 
rzeiriare  ni  tile  3  valor  suo.  eie  3  GoL^v^ni  e  il  Ch:an  sonsser 
rei  ccere  a  r-?sta  per  lei:  cuegrìì  Z-i  j<"»t^^  «j:*s?,^»  ax^j.  Z^  .:>vif,i 
^z  rjrié,\  La  Z^K^MiutnE:  cuesti  Li  r€^.:Vs:j  j'^^^^\*sj^  /"  ,<%  r/ 
m€SJ<j  è<fz£^  Zjm  pirr^iza^  EH  leu  a  propcvsito  deUa  ^^t.j  a.^^.v-v^, 
Carlo  Gclioni  scrive  yMcm^^  II,  i  lo^: 


da  ocrdft  al  pori  di  Isi,  cn  «sa  s^rxBe  tmk-xòxu  mohv>  NrlU  <^  aiMiKk^»  pk^iMi 
<5  ssàrJrT>  e  S  ti  irti,  e  Bcstrav^  felìd  dìsposùicaì  per  U  €v>mat<vtùi:  <^U  a>t^ra  ahhaft^ 
4ÌcB^o  sao  Barilo  per  gioraaDe  ìacoBsìsieratexnL,  e  renite  a  mmìrsì  con  luì  dv^{v^  tnr  aatiù 
prrm>mr\o  V  ùapàtgo  dì  serra  aeOa  Cocipagma  di  Medebadi  sotto  i)  niMiM'  di  c>r;««^.i^M« 

Era  gcBXiìe,  rapprescntaTii  le  parti  di  serm,  e  quìadi  noa  mancai  dMnttre$«araù 
per  là.  Presi  cara  della  sua  persona,  e  composi  ma  commedia  per  la  $ua  prin^a  j^ivrk'iua^ 

Vai^ama  Medebach  mi  somministrava  idee  interessanti,  commoventi,  e  d*un  cwrxìv» 
sfpfirr  ed  xnaooeate;  e  madama  MarUami^  tìtil,  piena  dì  spìrito,  e  naturalmente  accorta, 
daTa  mi  nsoro  stimolo  alla  mia  immaginativa,  e  incorag^vami  a  U>x>rare  in  quel  ^nere 
di  commedie  che  richiedono  ardfixio  e  finezza. 

Cominciai  dalla  S^r^a  amorosa «     «      .     « 

Questa  commedia  ebbe  un  incontro  completo.  C^ra/lxma  fu  estremaniente  applau^ 
dita,  ma  dircone  tosto  una  ridale  formidabile  per  madama  Medebach. 

E  nella  prefazione  alla  Scrzui  oìNorosa  (Edizione  Pasquali, 
voi.  Ili,  pag.  76): 

Non  nego  che  molto  non  abbia  contribuito  ali*  ottima  riuscita  di  tal  comme^lia  il 
merito  personale  di  quell'eccellente  attrice,  che  sostenne  mirabilmente  il  person«g){io  di 
Corallima:  ma  appunto  conoscendo  io  dove  potea  fare  maggior  risalto  la  di  lei  abiliti^,  ho 
procurato  vestirU  d'una  prontezza  di  spirito,  che  a  lei  suol  essere  famigliare,  e  mi  è  riuscito 
l'effetto,  a  misura  dell'intenzione. 

Recatasi  col  marito  nella  Compagnia  Battaglia,  rimase 
tuttavia,  benché  in  là  con  gli  anni,  quella  celebre  Corallina  che 
fu  nella  sua  fresca  giovinezza,  e  le  lodi  -  dice  il  Bartoli  -  che  a 
lei  si  danno  in  alcuni  moderni  romanzi  sono  depne  di  lei  ;  ma  me- 
£lio  sarebbero  state  in  una  storia  vera,  di  quello  che  figurano  in 
mezzo  alle  favole.  Patente  allusione  all'opere  del  Piazza,  che  ha 
parole  di  vivissimo  encomio  per  T  incomparabile  artista.  (Vedi 
Medebach  Teodora). 

Martelli  Antonio.  Bolognese.  Di  sarto  ch'egli  era,  si  mutò 
in  Brighella,  esordendo  nella  Compagnia  di  Antonio  Marche- 


94  MARTELLI 


sini  ;  e  tanto  progredì  nell'  arte,  che,  venuto  a  mancar  l'Ange- 
leri  (V.)  al  S.  Luca  di  Venezia,  egli  vi  fu  chiamato  a  sostituirlo, 
l'autunno  del  1754.  Né  solamente  apparve  buon  Brighella,  ma 
buon  caratterista  in  genere  ;  e  Carlo  Goldoni  scrisse  per  lui  il 
Todaro  Brontolon,  il  Fabrizio  A'^^ Innamorati,  il  Don  PoHcarpto 
della  Sposa  sagace,  il  Don  Mauro  déiV Amante  di  se  stesso,  ed 
altro  ;  commedie  tutte,  nelle  quali,  a  detta  del  BartoH,  mostrò 
tanto  valore  da  diventare  il  Beniamino  di  Venezia,  dove  stette 
lunghi  anni,  prima  al  San  Luca,  poi  al  Sant'Angelo,  sotto  la 
direzione  di  Giuseppe  Lapy,  del  quale,  sempre  a  detta  del 
BartoH,  fu  più  che  amico,  fratello. 

Ho  messo,  a  detta  del  BartoH,  poiché  a  detta  invece  di 
Antonio  Piazza,  l'autor  del  Teatro,  il  valore  artistico  del 
Martelli  e  l'amor  suo  pel  Lapy  furon  di  assai  bassa  lega. 
Ecco  in  fatti  ciò  ch'egli  ne  dice  alla  pagina  18  del  secondo 
volume  : 

Il  Brighella  di  quella  Compagnia  era  un  bolognese  nasuto  che  faceva  il  sartore  di 
professione,  e  cangiata  l' aveva  in  quella  di  commediante.  D  suo  pregio  maggiore  è  un  gran 
tuono  di  voce  da  spaventare  un'armata,  tuono  che  mai  non  si  cangia,  e  che  stordisce 
l' udienza.  Egli  si  crede  il  più  bravo  di  tutti  i  comici  dell'  Universo,  per  i  caratteri.  In 
che  consiste  la  sua  bravura  ?  Nel  fare  da  vecchio  in  una  scena,  e  in  un'  altra  da  giovine, 
senza  mutar  personaggio;  anzi,  spesse  volte,  queste  mutazioni  succedono  in  una  scena 
medesima;  perocché  la  comincia  tremante,  e  piegato  col  capo  a  terra,  e  la  finisce  ritto, 
ritto  sulla  persona.  Oh  che  bravo  caratterista!  Bisogna  poi  goderselo  nelle  tragedie.  Se 
pare,  l' Impresario,  vestito  all'  eroica  il  Re  di  Coppe,  costui  pare  una  figura  de'  Tarrocchi, 
e  quando  sono  fuori  tutti  e  due,  non  si  può  dare  di  meglio.  Uno,  che  nel  Foro  Romano 
parla  da  Dottore,  l'altro  che  urla,  senza  poter  mai  piegare  quella  voce  da  bufalo,  formano 
una  coppia  galante  da  far  ridere  anche  quando  si  ammazzano.  Li  gondolieri  del  mio  paese 
hanno  sempre  sostenuto  colle  loro  mani  callose,  che  quel  Brighella  è  un  grande  uomo. 
Con  coloro,  chi  grida  più  ha  più  merito,  e  dove  trovare  tra  i  comici  una  voce  da  stali 
e  premi  più  sonora  di  quella?  Qualora  detto  venivagli,  che  qualche  altro  recitava  bene 
delle  sue  parti  ;  come,  diceva,  se  il  Goldoni  le  ha  scritte  per  me  I  Io  sono  stato  il  primo 
a  (arie  ;  non  può  darsi,  non  è  vero  :  o  saranno  mie  copie,  o  reciteranno  male.  Ah  !  Che 
forza  di  argomentare!  che  testa  da  foro!  Era  gran  amico  dell'Impresario,  ma  ancor  più 
di  sua  moglie,  donna  giovine  e  non  brutta.  Le  scene  di  gelosia,  che  tratto  tratto  nasce- 
vano tra  di  loro,  erano  delle  più  bizzarre  eh'  uscir  possano  da  una  poetica  fantasia.  Dottore 
faceva  la  barba  a  Brighella,  e  questo  cuciva  la  roba  dell'  altro  ;  cosi  aveva  il  comodo  di 
star  sempre  vicino  alla  sua  Bella.  Che  bel  vedere  in  Casa  uniti  que'  due  celebri  Perso- 
naggi 1  L' Impresario  al  tavolino  in  veste  da  camera,  in  berretta  bianca,  cogli  occhiali  sul 
naso,  a  rovinar  Commedie,  pareva  un  moribondo  che  scrivesse  il  suo  testamento;  e  bri- 
ghetta,  coli' ago  in  mano,  il  suo  sartore  che  gli  facesse  l'abito  da  morto.  E  poi  la  sera, 
sul  palco  a  fare  da  Imperatori,  da  Re!!... 


MARTELLI  -  MARTINELLI  <K 

Forse,  alcun  po'  delle  lodi  togliendo  all'uno,  e  alcun 
po'  de'  biasimi  all'altro,  avremo  nel  Martelli  un  bravo  artista 
per  le  parti  comiche,  non  essendosi  egli  mai  spacciato,  e  in 
ciò  conviene  anche  il  Battoli,  per  attore  tragico. 

Era  al  Sant'Angelo  di  Venezia  il  1795-06,  ^r^M/a  e  ca- 
raiterisia  della  Compagnia  Pellandi,  e  tu  primo  a  recitarxn  la 
parte  del  vecchio  di  centoquattr' anni  nella  Madre  di  famiglia 
del  Sografi.  Il  24  gennaio  1797  vi  recitò  al  Sant'Angelo  Gu- 
glielmo e  Carolina,  dramma  tradotto  dall' Albergati  ;  e  \-i  fu 
<  illuminazione  a  giorno,  j)erchè  recitò  il  signor  Martelli,  ricu- 
peratosi  da  ima  grave  malattia. >  {Teatro  a/^/*.^  voL  8,  pag.  lo^. 

Martelli  Francesco.  Figlio  del  precedente,  iniziato  al  teatro 
da  suo  padre  e  dal  capocomico  Lapy,  con  l'esempio  di  Maja- 
nino  e  del  Pettinaro  (Grandi  Tommaso),  ch'erano  in  compa- 
gnia, recitava  le  parti  à^  innamorato.  11  Bartoli  lo  incita  a  un 
più  serio  studio,  e  a  un  maggiore  riserbo  col  bel  sesso,  po- 
tendo, j)er  tal  modo,  <  giungere  —  egli  dice  -  ad  acquistarsi  in 
tutto  quella  pregevole  fama,  che  ancora  sull'ali  librata  si  va 
pigramente  arrestando,  sino  che  un  più  lodevole  stimolo  di 
questo  attore  le  faccia  incessantemente  più  alto  spiegar  il 
volo.  > 

Martinelli  Tristano.  Figlio  di  Francesco  e  Lucìa,  manto- 
vano, fu,  se  non  il  più  antico,  il  più  grande  certo  degli  antichi 
arlecchini,  fiorito  tra  gli  ultimi  venti  anni  del  '500  e  i  primi 
trenta  del  '600.  Le  prime  notizie  che  abbiamo  di  lui  son  del 
fratello  Drusiano  dalla  Spagna,  ov' erano  entrambi,  l'uno  at- 
tore, l'altro  direttore,  nel  1588.  Lo  troviamo  poi  nella  Compa- 
gnia di  Pcdr olino,  Giovanni  Pelesini,  dalla  quale,  com'egli 
scrive  a  un  famigliare  del  Duca  da  Cremona,  il  4  dicembre  '95, 
si  partì  per  mali  trattamenti  e  più  per  insofferenza  dì  giogo, 
passando  in  quella  A€ Desiosi  o  della  Diana,  in  cui  lo  troviamo 
ancora  Tanno  successivo  a  Mantova  e  a  Bologna,  il  '97  a  Pia- 
cenza, onde  scrive  gajamente  a  Ferdinando  de' Medici,  chia- 


96  MARTINELLI 


mandolo  neir  intestatura  misericordioso  tutore,  e  nella  sopra- 
scritta <  suo  come  fratello  minore  Messer  Ferdinando  Medici, 
ma  non  de  quei  che  toccano  il  polso  >,  e  il  '99  a  Verona,  anno 
appunto,  in  cui,  con  decreto  del  29  aprile,  fu  fatto  dal  Duca 
Vincenzo  soprastante  ai  Comici  mercenarj,  ciarlatani,  ecc.,  di 
Mantova  e  distretto;  carica  che  gli  suscitò  contro  l'invidia 
de'  malevoli,  com'  egli  ebbe  a  dolersi  col  Duca  in  una  lettera 
del  7  di  agosto,  riferita  intera  dal  D'Ancona. 

Enrico  IV,  entrato  il  maggio  1599  in  trattative  di  matri- 
monio colla  principessa  di  Toscana,  Maria  de'  Medici,  e  dive- 
nuto ufficialmente  suo  promesso  sposo  nell'inverno  del  '600, 
avendo  stabilito  di  andarla  ad  incontrare  a  Marsiglia  o  a  Lione, 
pensò  per  la  fine  del  '99  di  accaparrarsi  in  Francia  la  Compa- 
gnia del  Duca  di  Mantova,  di  cui  era  ornamento  principale  il 
Martinelli.  A  questo  infatti,  col  mezzo  del  signor  di  Rohan  suo 
cugino,  allora  in  Firenze,  fece,  il  21  dicembre  '99  da  Parigi, 
r  invito  formale  di  recarsi  nel  suo  regno,  promettendogli  ogni 
buon  trattamento:  e  l'invito  fu  accettato  per  la  Pasqua  ve- 
gnente, e  il  Duca  Vincenzo  I  il  19  aprile  raccomandava  con 
ogni  calore  al  Duca  d'Aiguillon  e  al  Duca  di  Nevers  i  suoi 
bonissiìni  recitanti,  I  quali  non  si  recaron  subito  in  Francia, 
trattenuti  a  Torino  dal  Principe  di  Savoja,  che  di  essi  molto  si 
dilettava;  ma  Drusiano  Martinelli,  fratello  dell'Arlecchino,  e 
marito  dell'Angelica  (V.  Alberghini),  che  da  tre  settimane  si 
trovava  già  in  Lione,  ebbe  ordine  da  Enrico  di  tornare  a  To- 
rino a  prendervi  la  Compagnia;  che  si  recò  subito  in  fatti  a 
Lione,  come  appare  dal  dispaccio  dell'ambasciador  di  Venezia 
dell!  8  di  agosto,  che  ci  fa  sapere  come  andasse  il  Re  quasi 
ogni  giorno  alle  commedie  degl'  italiani.  Ma  venuti  Enrico  e  il 
Principe  di  Savoja  alle  armi  pe  '1  Marchesato  di  Saluzzo,  i  co- 
mici italiani  furon  messi  in  disparte  sino  alla  vittoria  del  Re 
francese,  il  quale,  dopo  la  presa  di  Montmélian,  si  recò  trion- 
fante a  incontrar  la  sposa  in  Lione,  ove,  il  17  dicembre,  fu 
celebrato  il  real  matrimonio,  e  ove  si  trattennero  un  mese  e 
mezzo  circa.  A  questo  tempo  il  Martinelli,  che,  avido  com'  era, 


MARTINELLI 


non  lasciava  nulla  d'intentato  pel  mantenimento  sollecito  d'ogni 
promessa  che  gli  veniva  fatta,  pubblicò  un  libro  per  ottenere 
dal  Re  e  dalla  Regina  la  promessa  collana  con  medaglia  d'oro, 
del  quale  il  Baschet,  alla  cui  opera  magistrale  più  volte  citata 
vo  queste  notizie  attingendo,  ha  fatto  un  largo  cenno,  ma  il 
quale  per  la  sua  curiosità  e  rarità,  riporto  qui  per  intero. 


COMPOSITTONS 


^fflXQXS:- 


Itiriittiiri  dffr^tT  ISoflilllx. 


Esso  trovasi  nella  Biblioteca  Nazionale  di  Parigi,  e  ha  l'in- 
dicazione: Yz  — ^22  — di  Riserva.  È  composto  di  70  pagine 
in  40,  inquadrate  da  un  doppio  filetto  bruno,  e  pressoché  tutte 
bianche,  con  in  testa  le  parole  COMP.  DE  RHETOR.  a  dritta; 
e  LIVRE  I  o  II  o  III  a  sinistra. 


MARTINELLI 


Dietro  al  frontespizio  (V.  pag.  preced.),  ridotto  della  metà , 
è  una  pagina  bianca,  poi,  pagine  3  e  4,  la  seguente  lettera  di 
dedica  : 

AL  MAGNANIMO 

Moniienr,  Monsieur  HENRY  de  BOURBON,  premier  bnrgeois  de  Psris,  chef  de 
tati  le«  MesEieun  de  LyoD,  Coate  de  Mommeillao,  Chastellan  da  fort  de  Santa  Catertni, 
GoDTernetir  de  la  Breua,  Pretentor  del  Msrqaiiat  de  Salnces,  Armiral  de  la  mer  de  Mar- 
aeille,  maistre  de  la  moitié  du  poat  d'Anignon,  &  bon  amii  da  maiitre  de  l'aatra  moitit, 
Conteiller  Sonnerara  aa  Conseil  de  guerra  contre  tea  PlainontoU,  GratieiinMinio  coorrear 
de  bagae,  Cappitaine  general  de  France  et  de  Nauarre,  Despensier  liberal  de  canonadei, 
Terrear  de  Sanoyard,  Spanente  de  Spagnols,  Colonel  dei  soldati,  qui  Bont  en  Sanoye, 
Secrelaire  Secret  du  plus  (ecret  Cabinet  ite  Madama  MARIA  DI  MEDICI,  Reina  dn 
Loasre,  Grand  ThreMrìer  dei  Conicdieni  Italieas.  &  Prince  plus  qoe  tont  aatre  digne 
d'estre  engraoè  en  Medaille  tant  de  inoy  desirée  &  plus  ultra, 
SALUT, 


ET 


A  MAdama 

Madama  sa  femme  antanl. 


MARTINELLI 


99 


Pagina  5  : 

Ha  %EINE,  Colana 
Quantumque  donni  moy, 
Autrement  m'en  iray  cert 


XOY  Medaglia 
per  la  morbin 
in  Itaglia. 


Qui  è  il  ritratto  d'Arlecchino  in  ginocchio  della  pagina  25. 

ET  HARLEQVIN  DONNERA  A  V.  M. 

Un  meT^o  (C)  Niente, 

Con  un  (O)  Niente  entierr. 

Accompagnato  con  un  (RE). 

La  pagina  6  ha  il  ritratto  che  trovasi  a  pagina  precedente, 

leggermente  ridotto. 

Pagina  7  : 

LIVRE  PREMIER 
DE  RHETORIQVE 

Quantumque  la  chaine  &  la  Medaglia 
Pour  la  monstrer  à  ces  Messieurs  d' Itaglia, 

Seguon  pagine  bianche  dalla  8  alla  24. 


TTTK 


cnsD 


DE     RHETORIQVE 


Riproduco  la  pagina  25,  ridotta  della  metà. 


MARTINELLI 


Seguon  pagine  bianche  dalla  26  alla  47. 
Riproduco  la  pagina  48,  ridotta  della  metà. 


Alla  pagina  49  è  l'indicazione  del  terzo  libro,  ma  senza 
testo,  sormontata  da  un  fregio. 

Alla  pagina  50  è  il  ritratto  di  Pantalone,  riprodotto  al 
nome  di  Pasquati. 

Alla  pagina  5 1  è  il  ritratto  di  Capitano,  riprodotto  al  nome 
di  Garavini,  preceduto  dal  distico: 

Vamtno  à  Paris  à  Je'  da  CauagUer 
qne  gannaremo  agita  bien  da  corner. 

e  colla  leggenda  : 

LEV  ANTA  QVE  NO'MATO  HOMBRE  ENTIERA. 
Seguon  pagine  bianche  dalla  52  alla  56. 
Pagina  57: 

SONGE 

le  me  suis  itiiomniuto  ce  malin, 
Qtt'att  fachiii  d'Ìniporlau:za 
mi  lìroit  par  la  panica, 


I 

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ìl^ 


Se^^" 


TH^CK^ 


MARTINELLI  loi 


et  mi  disoity  Monsitur  Arlequin, 

Habehis  medagliam  &  colanam, 

le  respondis  en  donnant, 

si  non  me  burlai  opinio: 

Piaccia  a  Iddio 

di  farci  vedere  il  maturo  parto 

di  queste  pregne  speranT^e. 

Per  la  mia  foy  en  songeant  au  guadagno 

io  parlo  Toscolagno. 

Pagina  58: 

SONET   IN 

ottaua  rima. 

Vient,  void  &  vince,  el  grand  Cesar  Roman, 
Così  ha  faict  HENRY  Roy  de  BOVRBON, 
Qu'a  prins  la  Bressa,  le  Fort,  &  Mommeillan 
Plus  facilment,  que  manger  maccaron. 

A  Moy,  qui  suis  Arlequin  Sauojan 

Me  semble  bien  qu' HENRY  a  grand  reson 
De  far'que  Carlo  li  tienna  parole 
De  luy  rendre  Salux  et  Carmagnole. 

Que  venga  la  verole 

A  son  conseil,  qui  Ta  mal  conseillé, 
Qu'est  causa  qu' Arlequin  est  ruiné. 

Ah  sacra  Majesté, 
Fais  moy  doner  tout  astheure  pour  streina 
La  medaglia,  attachee  à  una  grossa  chaina. 

Poi  tutto  bianco  fino  alla  fine. 

Gli  Accesi  erano  ancora  l'ottobre  del  1 601  a  Parigi,  d'onde, 
nonostante  le  richieste  della  Contessa  Maria  di  Boussu  per 
averli  nelle  Fiandre  e  in  Brabante,  pare  tornassero  in  Italia  nel 
prossimo  autunno. 

Il  IO  novembre  1606  da  Fontainebleau  Enrico  scriveva 
gajamente  a  suo  cugino  Ferdinando  Gonzaga,  cardinale  un 
anno  dopo,  nonostante  i  suoi  vent'  anni,  perchè  la  Duchessa  di 
Mantova  tenesse  la  promessa  fatta  alla  cognata  di  Francia  d'in- 


ioa  MARTINELLI 


viarie  novamente  i  comici  italiani;  i  quali  però  non  andaron 
altrimenti,  allegando  la  malattia  d'Arlecchino,  e  le  difficoltà 
delle  attrici  per  avventurarsi  a  un  tal  viaggio  d' inverno.  Se- 
guiron  nuovi  inviti  a  più  riprese  del  Re  e  della  Regina  al  Duca 
e  alla  Duchessa  e  ad  Arlecchino  medesimo,  il  quale  tuttavia 
persistè  nel  rifiuto.  Morto  Enrico  (30  maggio  16 io),  si  adoperò 
vivamente  un  anno  dopo  la  Regina  Reggente  per  avere  alla 
Corte  il  Martinelli,  di  cui  fé'  tenere  in  suo  nome  a  battesimo 
un  figliuolo,  l'ottobre  del  161 1,  come  annunzia  il  Martinelli 
stesso  al  Vinta  in  una  lettera  datata  da  Bologna  il  4  gennaio  16 1 2; 
e  corser  trattative  fra  loro  e  il  Cardinal  Gonzaga,  per  lo  spazio 
di  due  anni,  a  cagione  delle  difficoltà  che  nascevano  ad  ogni 
istante,  generate  per  invidia  di  mestiere  ora  da  Lelio,  Giovan 
Battista  Andreini  (V.),  che  sopr'a  tutto,  voleva  avere  egli  l'in- 
carico di  formare  e  condurre  la  compagnia,  ora  da  Florinda, 
Virginia  Andreini  (V.),  che  s' era  scatenata  contro  la  Flavia, 
Margherita  Luciani,  moglie  del  Capitano  Rinoceronte  (V.  Ga- 
ravini),  la  quale  col  marito  aveva  risolto  di  voler  non  più  sa- 
perne di  viaggi  all'estero.  Ma  finalmente,  dopo  un  carteggio 
ben  nudrito  da  ambe  le  parti,  la  Compagnia  si  mise  in  viaggio 
in  piena  estate  del  161 3  per  alla  volta  di  Parigi,  fermandosi  a 
dar  qualche  rappresentazione  dal  26  agosto  a  Lione,  e  arri- 
vando ai  primi  di  settembre  a  Parigi,  ove  recitarono  il  io  al 
Louvre:  di  questa  e  di  altre  rappresentazioni  riferisce  il  Ba- 
schet  le  parole  di  Malherbe,  che  non  son  le  più  tenere  pei 
componenti  la  Compagnia  in  genere  e  per  Messer  Arlecchino 
in  ispecie.  Passaron  poi  da  Parigi  a  Fontainebleau,  e  di  qui 
novamente  a  Parigi,  ove  esordiron  in  pubblico  all'Hotel  de 
Bourgogne  il  24  novembre.  Recitarono  a  Parigi  fino  alla  fine 
di  luglio  del  16 14,  ora  all'Hotel  de  Bourgogne  per  diverti- 
mento del  pubblico,  ora  al  Louvre  per  quello  della  Corte;  e  a 
mostrar  la  famigliarità  che  Arlecchino  s' era  in  essa  acquistata, 
attesta  il  Malherbe  che  il  27  gennaio  il  Re  e  la  Regina  Reg- 
gente in  persona  tennero  nuovamente  un  suo  figliuolo  a  bat- 
tesimo. 


MARTINELLI  103 


La  Compagnia  allora  era  composta  di:  Tristano  Marti- 
nelli, Arlecchino  ;  Federigo  Ricci,  Pantalone;  Ricci,  suo  figlio, 
Leandro;  Giovanni  Pellesini,  Pedro/ino,  che  aveva  allora  ottan- 
tasette anni;  Baldo  e  Lidia  Rotari;  Gio.  Battista  e  Virginia 
Andreini,  Lelio  e  Florinda;  Girolamo  Garavini,  Rinoceronte  ; 
Nicotina;  Bartolomeo  Bongiovanni,  Graziano. 

Il  Baschet  non  ci  dice  altro  che  dal  '14  al  '20  non  vi  fu 
più  Compagnia  di  comici  italiani  in  Francia;  ma  non  mancaron 
per  lo  meno  i  soliti  negoziati,  come  appare  dalla  lettera  inte- 
ressantissima del  '  1 5  di  Arlecchino  alla  Comare  Cristianissima, 
che  riproduco  fedelmente  (Raccolta  Rasi),  proveniente  dalla 
casa  Charavay  di  Parigi. 

Contro  il  Tesoriere  dalla  mezza  collana,  al  quale  accenna, 
s' era  già  scagliato  Arlecchino  in  un  poscritto  di  altra  lettera 
con  data  di  Mantova,  3  dicembre  161 1,  in  cui  lo  chiama  cane 
cornuto,  e  gli  prepara  un  purgante  per  renderlo  uomo  dabbene. 
La  terza  comparsa  di  Arlecchino  in  Francia  fu  dunque  alla  fine 
del  '20.  Questa  volta  la  Compagnia  aveva  in  meno  il  Pellesini, 
la  Niccolina,  Baldo  Rotari,  Bongiovanni,  e  perde  in  viaggio  a 
Chambery  il  giovane  Ricci,  Leaìidro.  Aveva  in  più  :  Giovanni 
Rivani,  Lorenzo  Nettuni,  Fichetto,  e  Urania  Liberati,  serva, 
sotto  nome  di  Bernetta,  Assente  il  Re,  pare  non  recitasse  che 
al  suo  ritorno,  il  12  gennaio  1621,  all'Hotel  de  Bourbon;  poi, 
dal  6  al  28  aprile,  a  Fontainebleau.  In  una  lettera  della  Regina 
Anna  al  Duca  di  Mantova  del  6  marzo,  sono  lodi  particolari 
del  Martinelli,  e  in  altra  di  Maria,  la  Regina  Madre,  raccoman- 
dandolo per  la  prioria  di  San  Ruffino,  a  favore  di  un  ecclesia- 
stico suo  parente.  Quando  il  Re  annunciò  la  sua  partenza  nel 
mezzogiorno  della  Francia  per  andarvi  a  raggiungere  la  sua 
armata,  confermò  i  comici  a  Parigi,  per  trovarveli  al  suo  ri- 
torno; ma  Arlecchino,  allegando  in  iscusa  l'età  avanzata  e  il 
bisogno  di  riposo,  domandò  umilmente  congedo,  il  quale  poi, 
non  essendogli  stato  accordato,  si  prese  da  sé  dopo  una  serie 
non  breve  di  accuse  e  di  difese  di  tutta  la  Compagnia,  dinanzi 
a  cui  Messer  Arlecchino  non  era  più  il  conduttore,  ma  il  ti- 


I04  MARTINELLI 


ranno.  Egli  fuggì  alla  fine  di  giugno,  e  si  restituì  a  Mantova, 
a  godervi  la  pace  sospirata  nella  sua  casetta  di  via  dell'Aquila; 
pace,  che  non  fu,  pare,  di  molta  durata;  giacché  vediamo  il 
Martinelli  qo' Fedeli  a  Venezia  il  carnovale  del  '23;  e  il  luglio 
del  '26  accennava  ancora  al  desiderio  di  comparir  novamente 
in  Francia. 

Morì  nel  '30  a  settantacinque  anni  circa,  e  nella  soprin- 
tendenza de' comici,  escludendosi  questa  volta  i  virtuosi  del 
Monferrato,  furono  confermati  i  figliuoli  con  decreto  del  1 3  set- 
tembre 1639. 

Martinelli  Drusiano.  Fratello  del  precedente.  Arlecchino 
anch' egli,  era  nel  1572  capocomico  in  Inghilterra,  secondo  il 
Collier,  citato  da  Adolfo  Bartoli  {pp,  ciL^  CXXIX),  e  in  Ispagna 
r  '88  col  fratello  Tristano,  come  abbiam  da  una  sua  lettera  alla 
madre  del  1 8  agosto,  di  cui  lo  stesso  Bartoli  {ivi,  CXXX)  rife- 
risce le  parole:  staremo  tutto  guest' anno  qui  in  Spagna.  Abbiam 
veduto  nell'articolo  precedente,  com'egli  nel  '600  fosse,  se 
non  il  direttore  della  Compagnia  che  andò  a  Parigi,  per  lo 
meno  il  conduttore  o  amministratore....  Nessun  documento  ci 
parla  del  valor  suo  artistico  ;  e  forse  egli  era  più  bravo  armeg- 
gione che  buono  attore,  se,  più  tosto  che  Drusiano  Martinelli, 
spesse  volte  veniva  altrui  designato  fratello  di  Arlecchino,  o 
marito  di  Madama  Angelica,  com'  egli  medesimo  si  sottoscrive 
in  una  lettera  al  Duca  di  Mantova,  del  17  settembre  1580,  da 
Firenze.  (V.  Alberghini). 

Ma  se  notizie  non  ci  son  pervenute  di  lui  come  attore, 
a  bastanza  ne  abbiamo  come  uomo  e  come  marito,  in  due  let- 
tere sue  da  Milano  del  27  ottobre  '91  e  da  Caravaggio  del 
9  novembre  al  capitano  Alessandro  Catrani,  che  il  D'Ancona 
riferisce  per  intero  {pp,  cit.^  II,  504),  e  in  cui  son  descritti  i 
garbugli  e  le  minaccie  di  morte  per  conto  di  una  Malgarita 
comica,  che  si  potrebbe  credere,  come  già  dissi,  la  Luciani, 
moglie  del  Capitano  Rinoceronte  (V.  Garavini),  e  che  il  D'An- 
cona propenderebbe  invece  a  ritener  quella  Margherita  Pa- 


MARTINELLI 


105 


voli  (V.),  che  il  Duca  raccomandava  il  '92  ai  Comici  Uniti.  Da 
essa  lettera,  naturalmente,  risulta  evidente  la  onestà  così  di 
Angelica,  proclamata  dal  compagno  d'arte  Leandro,  come  di 
lui  homo  datene  el  che  sempre  fece  onore  alla  sua  patria,  e  la  diso- 
nestà di  Margherita,  amante  di  Gasparo  Imperiale,  che,  avuto 
il  mandato  di  sfregiar  nel  volto  l'Angelica,  mentr'era  in  palco 
a  recitare,  lo  aveva  passato  a  un  tal  Piazza,  che  poi  confessò 
tutto,  non  volendosi  immischiare  in  sì  losca  faccenda.  Da  altre 
lettere  pubblicate  dallo  stesso  D'Ancona,  Io  sappiamo  a  Fi- 
renze il  1°  giugno  del  '92,  e  a  Mantova  il  20  luglio,  dove  pare 
armeggiasse  presso  il  Duca,  suo  nuovo  padrone,  per  certi  suoi 
segreti.  Poi  troviamo  ancora  (ivi,  523)  una  lettera  dell'i  i  mar- 
zo '98,  in  cui  designa  due  individui  imbauttati,  che  pare  lo 
posteggiassero  innanzi  alla  porta  di  casa.  Dopo  di  averne  av- 
vertito infruttuosamente  il  luogotenente  del  bargello,  e  lo 
Schermidore  Giulio  Tornelli,  ne  scriveva  per  ajuto  al  Consi- 
gliere Chesipio.  I  due  imbauttati,  a  detta  del  MartineUi,  erano 
certo  Ottavio  Caura,  e  un  guantaro,  soldati  entrambi  di  corte. 
Ma  la  lettera  più  curiosa,  e  che  ci  mette  al  nudo  Drusiano  e 
Angelica  nella  lor  intimità  conjugale,  è  quella  che  il  Capitano 
Catrani  scriveva  di  Mantova  il  29  aprile  '98  al  Consigliere 
Cheppio,  riferita  anch'essa  per  intero  dal  D'Ancona  (j-vi,  523), 
nella  quale  spicca  in  mezzo  alle  accuse  di  uomo  falso,  calun- 
niatore, senza  onore,  infame,  questo  brano  edificante  : 

Mentre  Drasiano  è  stato  ultimamente  in  questa  città  che  son  da  cinque  mesi  in 
circa,  à  visso  sempre  de  mio  con  il  vivere  eh'  io  mandavo  a  sua  moglie,  et  egli  atendeva 
a  godere  e  star  alegramente  sapendo  bene  de  dove  veniva  la  robba,  et  comportava  che 
sua  moglie  stesse  da  me  et  venisse  alla  mia  abitàtione,  et  non  atendeva  ad  altro  che  a 
dormire,  magnare,  et  lasciava  correre  il  mondo:  come  di  questo  ne  (arò  far  fede  avanti 
S.  A.  da  più  testimonie  degni  di  fede.  Ma  perchè  circa  otto  giorni  sono  io  li  ho  fatto 
intendere  per  la  massaia  che  si  trovi  da  vivere,  che  non  voglio  ch'egli  viva  de  mio, 
mena  rovina  et  parla  di  ricorso  al  Alt.^  Sua,  et  di  più  per  haverli  fatto  sapere  che  quella 
casa  è  mia,  poi  che  io  ne  pago  il  fìtto  (come  mostrarò)  et  che  se  ne  proveda  d' una, 
tratta  alla  peggio  sua  moglie,  con  farli  quella  mala  compagnia  che  S.  A.  potrà  sapere;  et 
di  più  per  haver  saputo  che  '1  mobile  che  è  nella  suddetta  casa,  è  maggior  parte  mio  et 
che  io  lo  vorrò  quando  mi  tornerà  comodo.  Questi  son  li  capi  che  lo  han  fatto  mettere 
in  fuga  a  parlar  di  ricorso  a  S.  A.  et  non  zelo  di  honore  come  à  detto,  poiché  mentre 
io  ò  speso  per  mantenerlo,  esso  à  consentito  a  qualunque  cosa  che  io  ho,  come  infame 
che  egli  è. 

14.  —  /  Comics  italiani,  VoL  IL 


I06  MARTINELLI  -  MARTORINI 

Da  lungo  tempo  durava  la  tresca  fra  il  Catrani  e  TAn- 
gelica,  se  v'era  di  mezzo  un  figliuolo  di  sei  anni,  tenuto  sem- 
pre dal  Catrani  che  T  amava,  e  or  per  vendetta  disputatogli 
al  Duca  dal  Martinelli,  il  quale  non  cessò  mai  di  vituperar 
la  moglie,  scacciandola  di  casa,  e  obbligando  così  il  Catrani 
stesso  a  provvederla  di  un  letto  e  lasciarli  tanto  da  alimen- 
tare il  figliuolo,  se  non  volea  che  andasse  mendicando,  ov- 
vero aprisse  bottega  pubblica.  E  di  queste  accuse  e  dello  sparlar 
contro  il  Duca  stesso,  e  dell'avere  il  fratello  Arlecchino  stra- 
pazzato in  Firenze  e  in  Parma  il  servo  di  S.  A.  chiama  il 
Catrani  a  testimonio  Carletto  che  sosteneva  in  commedia  le 
parti  di  Franccschina,  Pedrolino  e  Cardone.  E  anche  Tristano 
era  siffattamente  intricato  nelle  faccende  del  fratello,  che  da 
lui  stesso  sappiamo  in  una  lettera  del  2  maggio  '98  al  Duca, 
come  entrambi  fosser  perseguitati  e  minacciati  di  morte;  onde 
chiedeva  protezione  al  Duca,  non  volendo  ricercar  né  ven- 
detta, né  giustizia,  ma  desiderando  solo  di  viver  da  cristiani 
e  giustamente. 

Martorini  Baldassarre.  Citato  dal  Bartoli  come  ottimo 

commediante  e  per  le  commedie  improvvise  e  per  quelle  stu- 
diate. Fu  con  Antonio  Marchesini;  poi,  a  Malta,  con  Maria 
Grandi;  poi  a  Napoli  (nel  1774  era  al  San  Carlino,  con  Teresa 
Martorini,  probabilmente  la  moglie,  e  firmava,  insieme  a'  suoi 
compagni,  con  a  capo  Don  Tomaso  Tomeo,  una  supplica  al 
Re  per  ottenere  che  fosse  attenuata  la  gran  concorrenza  che 
avevan  ne' teatri  Nuovo  e  Fiorentini)  (V.  Di  Giacomo,  op.  cit.)  e 
a  Roma,  serbandosi  anche  in  età  avanzata  comico  eccellente. 
Viveva  ancora  al  tempo  del  Bartoli  (1782),  il  quale  ci  fa  sapere 
com'egli  a  Malta  scrivesse  un  Prologo  in  versi  martelliani, 
<  dove  finse  che  i  comici  agitati  da  una  burrasca  si  trovassero 
vicini  a  naufragare;  e  che  poi  assistiti  da  Netunno  (il  quale 
lasciavali  con  questi  due  versi: 

restate  dunque  amici  al  puro  aer  sereno, 

che  a  riposar  men  torno  ad  anfitrite  in  seno), 


MARTORINI  -  MARZOCCHI  107 

potessero  felicemente  in  queir  Isola  approdare,  e  far  servitù  a 
quella  Nazione,  come  di  fatto  poi  fecero.  > 

Martorìni  Elisabetta.  Figlia  del  precedente,  e  allevata, 
fanciulla,  dal  Pantalone  Giovanni  Vinacesi,  di  cui  il  Bartoli  non 
ci  dà  notizie,  esordì  nella  Compagnia  di  Vincenzo  Bazzigotti, 
facendosi  notar  subito  per  chiare  attitudini  alla  scena;  e  tanto 
con  la  volontà  e  l'ingegno  vi  progredì,  che  fu  il  1775  al  S.  Cas- 
siano  di  Venezia  prima  donna  assoluta  di  Gerolamo  Medebach. 
Entrò  il  1780  con  Antonio  Sacco  al  Teatro  S.  Luca,  ove  tro- 
vavasi  ancora  il  1782.  Fr.  Bartoli,  contemporaneo,  ha  per  lei 
parole  di  alto  encomio  e  come  attrice  e  come  donna.  <  È  la 
Martorini  molto  commendabile  -  egli  dice -nelle  parti  tenere 
ed  amorose,  mostrando  coli' espressione  della  voce  gl'interni 
affetti  dell'anima;  distinguendosi  in  singoiar  modo  con  atten- 
zione indefessa  anche  nelle  più  minute  cose,  senza  ommetterne 
alcuna,  e  tutto  volendo  che  giovi,  e  contribuisca  alla  perfezione 
di  ciò  che  ella  rappresenta.  >  E  più  giù  :  <  nel  nubile  suo  stato, 
al  fianco  d' una  vecchia  tutrice,  esposta  agli  occhi  del  mondo, 
fornita  di  bellezza  e  di  grazia,  ella  ha  saputo  schermirsi  dal- 
l' insidie  del  secolo.  > 

Marzocchi  Giovanni.  Comico  assai  pregiato  nella  ma- 
schera del  Dottore  che  sostenne  al  Teatro  S.  Luca  di  Venezia 
al  servizio  dei  nobili  Vendramini.  Fu  in  Germania  e  in  Italia 
festeggiatissimo  sempre,  anche  in  parti  a  viso  scoperto,  e  morì 
in  Udine  del  1772. 

Marzocchi  Caterina.  Bolognese,  moglie  del  precedente, 
fu  espertissima  prima  donna  in  ogni  genere  di  rappresenta- 
zioni. Recitò  sempre  a  fianco  di  suo  marito,  e  morì  a  Verona 
del  1768. 

Marzocchi  Gaspare,  bolognese,  figlio  dei  precedenti,  fu 
egregio  artista  per  qualsivoglia  genere  di  parti.  Dopo  di  avere 


io8  MARZOCCHI  -  MASCHERPA 

recitato  in  alcune  compagnie  di  giro,  si  fermò  al  S.  Gio.  Cri- 
sostomo di  Venezia  con  Girolamo  Medebach,  passando  poi  con 
Maddalena  Battaglia.  Si  dedicò  più  specialmente  alla  maschera 
del  Brighella,  che  sostenne  assai  degnamente,  e  in  cui  fu  so- 
stituito dal  Marliani,  serbandosi  egli  attore  generico  de'  più 
provetti.  Il  1795-96  era  al  S.  Gio.  Grisostomo  con  la  Battaglia, 
e  vi  recitava  i  caratteri  sotto  nome  di  Anselmo. 

Mascherpa  Romualdo.  Celebre  capocomico,  figlio  di 

Abramo,  piccolo  possidente,  nacque  in  Casal  Pusterlengo  verso 
il  1785,  ed  ebbe  una  mediocre  educazione,  nonostante  gli  anni 
trascorsi  al  seminario  di  Lodi,  ove  fu  testimonio  di  sul  campa- 
nile della  chiesa  della  battaglia  data  sul  ponte  della  città  agli 
austriaci  dal  generalissimo  Bonaparte.  Venuta  nel  suo  paesello 
una  piccola  compagnia  di  comici,  egli,  da  essi  istigato,  si  diede 
al  teatro,  passando  di  peripezia  in  peripezia,  ma  acquistandosi 
pur  sempre  una  crescente  fama  di  buon  attore.  Le  interpreta- 
zioni di^VC Abate  de  V Epée,  di  Misantropia  e  pentimento,  del  Cava- 
liere di  spirito,  del  Cavaliere  di  buon  gusto,  delle  due  Pamele,  e 
di  altri  lavori  comici,  drammatici,  o  tragici,  lo  collocarono  fra 
i  migliori  del  suo  tempo.  Sposò  in  quel  torno  Maria  vedova 
Buccinieri,  già  servetta  di  buon  nome,  e  formò  la  quaresima 
del  1818  una  buona  società  col  primo  attore  Luigi  Velli,  di  cui 
facevan  parte  comici  egregi,  quali:  il  Vismara,  il  Dones,  lo 
Zuanetti,  il  Baraldo,  la  celebre  Polvaro,  ecc. 

Lo  vediamo  in  quest'anno  citato  nella  sentenza  del  tribu- 
nale statario  di  Modena,  dove  si  afferma  che  Carlo  Zucchi  im- 
putato «  assistette  alla  recezione....  dei  comici  Velli  e  Vismara 
nella  setta  massonica,  non  che  al  conferimento  del  grado  di 
maestro  all'altro  comico  Mascherpa,  sottoscrivendone  le  rela- 
tive patenti.  >  (V.  Doc,  rig,  il  Governo  degli  Austro-Estensi  pub- 
blicati per  ordine  del  dott.  Farini,  voi.  I,  parte  I,  pag.  35.  — 
Comunicazione  F.  Martini). 

Notizie  comunicate  alla  L  R.  Polizia  di  Milano  fanno  cre- 
dere che  egli  abbia  introdotto,  o  restaurata  in  Modena  la  mas- 


MASCHERPA  109 


soneria  come  incaricato  dai  comitati  superiori  di  quella  setta. 
Fece  molti  proseliti. 

Da  un  quadro  storico  sulle  Sette,  tratto  dalla  Inquisizione 
istituita  negli  Stati  Estensi,  risulta  che  Romualdo  Mascherpa 
fu  aggregato  alla  massoneria  nel  1818,  per  opera  dell' ex-offi- 
ciale Carlo  Zucchi  e  del  capitano  Sirelli.  Tale  notizia  venne 
confermata  dallo  stesso  Mascherpa  in  uno  scritto  da  lui  pre- 
sentato alla  I.  R.  Polizia  di  Venezia. 

Il  1824  si  fece  capocomico  solo,  e  potè  aver  l'onore, 
mercè  la  sua  probità  e  la  buona  accolta  degli  artisti,  di  mettere 
la  sua  Compagnia  al  servizio  di  Maria  Luigia  Duchessa  di  Parma, 
con  uno  stipendio  annuo  per  quelle  stagioni  che  doveva  passar 
nella  capitale.  Dal  '25  al  '49,  anno  della  sua  morte,  avvenuta 
in  Torino,  ebbe  scritturate  le  seguenti  prime  attrici,  le  migliori 
del  tempo:  Maddalena  Pelzet  1825-27  -  Isabella  Belloni  Co- 
lomberti  1828  -  Maddalena  Pelzet  1829-30  -  Erminia  Ghe- 
rardi  1831-34- Amalia  Bettini  1835-36 -Laura  Della  Seta  1837 

-  Carolina  Santoni  1838-39  -  Antonietta  Robotti  1840-41  - 
Adelaide  Ristori  (due  compagnie  fatte  a  posta  per  lei)  1842-46 

—  Carolina  Santoni  1847-49;  ^  ì  seguenti  primi  attori:  Luigi 
Carraresi  1825-26  -  Luigi  Domeniconi  1827-31  -Antonio  Co- 
lomberti  1832-36  -  Giacomo  Landozzi  1837-39  ""  Antonio  Co- 
lomberti  1840-42  —  Giacomo  Landozzi  1843-49  -  Luigi  Gatti- 
nelli,  caratterista,  fu  con  lui  dal  1826  al  '44,  anno  della  sua 
morte  improvvisa.  Il  Guagni  che  lo  sostituì  stette  in  Compagnia 
fino  alla  morte  del  Mascherpa.  Sei  anni  fu  con  lui  il  brillante 
Costantino  Venturoli,  e  dieci  anni  Cesare  Dondini.  L'Adelaide 
Fabbri,  che  sostituì  nel  ^2>^  1^  madre  nobile  e  caratteristica 
Isabella  Buggi  Brangi,  restò  in  Compagnia  finché  visse.  Il  Ma- 
scherpa insomma  serbò  uniti  il  maggior  tempo  che  potè  i  suoi 
scritturati,  convinto  che  principal  forza  di  una  Compagnia  fosse 
nell'affiatamento.  Sappiamo  ch'egli  fu  capocomico  de' più 
onesti  e  miti,  e  di  pochissime  parole.  Non  si  occupò  mai  di 
direzione,  ch'egli  affidava  a  uno  de' suoi  artisti;  e  v'eran  mesi 
in  cui  non  compariva  sul  palcoscenico,  se  non  per  recitarvi. 


Ito 


MASCHERPA 


A  complemento  di  questi  cenni,  metto  qui  l'elenco  della 
Compagnia  per  la  quaresima  del  1 842,  secondo  la  distribuzione 
dell' originale,  e  il  suo  repertorio: 


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Prima  amorosa 

Matilde  Chiari 

Servetta 

Amalia  Colom berti 


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Prima  attrice 

Adelaide  Ristori 

Madre  nobile 

Adelaide  Fabbri 

Attrici  generiche 

Angela  Buccinieri 

Rosa  Rizzoli 

Maria  Leigheb 

Maria  Mascherpa 


ff^ 


Altra  amorosa 

Argenide  Dondini 

Caratteristica 

Teodora  Dondini 


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Primo  attore  assoluto 

Antonio  Colomberti 

Primo  amoroso 

Giovanni  Leigheb 

Altro  amoroso 

Agostino  Buccinieri 

Generici 

Ettore  Dondini 

Enrico  Ristori 

Giuseppe  Bignami 

Francesco  Paglini 


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Parti  brillanti 

Cesare  Dondini 

Parti  d'aspetto 

Luigi  Cardarelli 

Parti  ingenue 

Augusta  Ristori 
Cesare  Ristori 

Suggeritore 

AsTORRE  Rizzoli 

Poeta 

Iacopo  Ferretti 


'^■s> 


Caratterista  e  Promiscuo 

Luigi  Gattinelli 

Tiranni  e  Padri 

Paolo  Fabbri 

Primo  generico  di  cignardo 

Achille  Dondini 

Generici 

Giorgio  Vismara 

Antonio  Ristori 

Paolo  Riva 


Macchinista    —     TroTarobe     —     Due  Traduttori     —     Apparatore 

REPERTORIO 

Torquato  Tasso  di  Goldoni  -  La  discordia  di  quindici  anni  -  //  figlio 
assassino  per  la  madre  -  La  fedeltà  alla  prova  -  //  diadema  di  Nota  -  Ditta 
Scaff  e  Clerambeau  di  Scribe  -  Un  fallo  -  La  finta  ammalata  di  Goldoni  - 
//  mulatto  -  Un  matrimonio  in  Francia  sotto  Luigi  XV  -  Rifiuto  e  vendetta 
-  //  custode  della  moglie  altrui  -  //  galantuomo  per  transa:(ione  di  Giraud  - 
Un  bicchier  d'acqua  -  //  dominò  nero  -  Pamela  nubile  di  Goldoni  -  Una  ca- 
tena di  Scribe  -  GVinnammorati  di  Goldoni  -  Il  flagrante  delitto  -  Eulalia 
Granger  -  La  calunnia  di  Scribe  -  Maria  Stuarda  -  Don  Cesareo  Perse- 
poli  -  La  lettrice  -  La  Pia  de  Tolomei  -  La  fuga  dal  forte  di  Sant'Andrea 
di  Venezia  -  //  testamento  di  una  povera  donna  -  La  cognata  -  Don  Mar- 
:(io  alla  bottega  del  caffé  di  Goldoni  -  //  proscritto  -  M alvina  -  Felice 
come,  una  principessa  -  Filippo  -  Papà  Goriot  -  /  due  Sergenti  -  Marion 
de  rOrme. 


Masi  Napoleone.  Nato  a  Rimini  da  artisti  drammatici, 
il  28  febbraio  del  1857,  cominciò  a  recitar  parti  di  bimbo  con 
Salvini  e  con  Rossi,  entrando  poi,  grandicello,  come  secondo 
brillanie  in  Compagnia  di  Luigi  Pezzana  e  Achille  Dondinì  che 
del  Masi  aveva  sposato  la  sorella  Manetta.  Divenuto  Ìl  co- 
gnato capocomico,  Napoleone 
Masi  dovè  sostituire  nelle  parti 
di  brillante  assoluta  gli  attori 
Bonfiglio  e  Tramonti,  parti  che 
poi,  per  costante  favore  di  pub- 
blico, non  abbandonò  più.  Fu 
socio  di  Calamai,  poi  scritturato 
da  Sterni  e  Majeroni,  poi  da  Mo- 
relli e  dalla  Tessero,  coi  quali 
s'ebbe,  assieme  al  Mariotti,  ii 
diploma  d'incoraggiamento  dei 
giurì  drammatico  milanese.  Do- 
po due  anni,  andò  per  un  trien- 
nio nella  Società  Meschini  e  Ca- 
silini;  poi  con  Marini,  dal  quale 
si  tolse,  non  terminato  il  contratto  e  pagata  una  rilevante  pe- 
nale, per  andar  a  sostituire  Claudio  Leigheb  nella  Compagnia  di 
Cesare  Rossi,  col  quale  stette  dair'82  31*94,  tranne  l"87,incui, 
avendo  voluto  il  Rossi  riposare,  passò  brillante  con  Eleonora 
Duse.  Smessa  il  Rossi  compagnia,  il  Masi  entrò  brillante  nella 
nuova  Società  Rosaspina  e  Paradossi,  scioltasi  dopo  pochi  mesi 
a  Riraini,  e  finì  l'anno  a  stento  in  quella  Cocconato  De  Chiara. 
Sostituì  il  Talli  nel  '96  con  Sichel  e  Tovagliati,  e  fu  il  '97-'g8 
con  Paladini  e  la  Mariani,  da  cui  si  tolse,  per  entrarvi  poi 
il  'geo,  dopo  di  essere  stato  un  anno  in  società  con  Sichel  e 
Zoppetti. 

Questo  lo  stato  di  servizio  di  Napoleone  Masi,  il  quale, 
senza  elevarsi  alle  massime  altezze,  fu  sempre  attore  assai  fe- 
steggiato per  una  vena  di  comicità  spontanea  e  vivissima,  e 
per  correttezza  di  dizione. 


112  MASSA  -  MATERAZZI 


Massa  Innocenzia.  <  Romana.  Giovane,  che  partita  dalla 
sua  Patria  diedesi  alla  comica  professione  ;  e  che  in  alcune  va- 
ganti Compagnie  da  circa  sei  anni  va  ritrovando  impiego.  I  suoi 
pregi  d'avvenenza,  non  meno  che  la  sua  abilità,  la  vanno  so- 
stenendo sui  teatri  con  una  mediocre  fortuna.  >  Così  Francesco 
Bartoli. 

Massaro  Francesco.  Comico  napoletano  di  gran  pregio 
per  la  parte  di  Don  Fastidio  ch'egli  creò.  Dell'origine  del  tipo 
così  parla  Di  Giacomo  {pp.  cit,): 

Giuseppe  Pasquale  Cirillo  che,  assieme  al  Lorenzi,  recitava  nel  teatrino  domestico 

del  Duca  di  Maddaloni  ed  aveva  anche  un  altro  teatro  di  filodrammatici  a  casa  sua 

e  che,  per  mettere  in  burla  un  paglietta  molto  conosciuto  per  la  sua  bessaggine  cercava 
l'attore  che  ne  sapesse  vestire  i  panni  e  l'ignoranza,  capitò  un  giorno  in  un  barbiere  alto 

« 

allampanato  e  con  un  naso  meraviglioso  :  proprio  tal  quale  il  paglietta  di  cui  voleva  far 

la  caricatura.  Costui  si  chiamava  Francesco  Massaro 

Cerlone  lo  adocchiò  e  se  ne  giovò  per  le  sue  commedie....  Una  sera,  nel  1768, 
il  pubblico  della  Cantina^  mentre  applaudiva  freneticamente  al  Massaro,  lo  vide,  d'un 
subito,  arrovesciarsi  addietro  e  stramazzar,  con  un  grido,  sul  palcoscenico.  Cessarono,  come 
d'incanto,  la  risata  e  gli  applausi.  Gli  attori,  sgomentati,  affollarono  il  palcoscenico,  e  Pul- 
cinella, con  gli  altri,  si  chinò  sul  povero  Massaro  inerte.  Vi  fu  un  gran  silenzio  :  gli  spet- 
tatori aspettavano,  ansiosi,  ritti  nella  platea,  ritti  nei  palchi.  E  a  un  tratto  la  voce  d'un 
di  quegli  attori  annunziò,  tremante,  in  quel  lugubre  silenzio:  Signori,  Francesco  Massaro 
è  morto!... 

Francesco  Bartoli  ha  pel  Massaro  parole  di  gran  lode, 
come  quegli  che  era  <  fornito  di  una  grazia  prodotta  in  lui 
dalla  natura  e  coltivata  dall'arte....  Tutto  in  lui  parlava,  e  cam- 
minando e  gestendo  e  levando  il  cappello  e  stando  immobile: 
effetto  di  uno  studio  fondato,  e  fatto  da  lui  nella  difìficile  scuola 
del  teatro.  > 

Materazzi  Francesco.  Nato  a  Milano,  verso  il  1652,  era 
parte  il  1686  della  Compagnia  del  Duca  di  Modena  in  qualità 
di  Dottore,  a  vicenda  con  Galeazzo  Savorini.  Fu  scritturato  dal 
Riccoboni  per  la  Compagnia  italiana  del  Reggente  che  si  recò 
a  Parigi  il  17 16,  e  vi  recitò  sotto  la  stessa  maschera  per  molti 
anni.  Passò  a  seconde  nozze  il  13  novembre  del  '31  per  puro 
atto  di  pietà,  con  Vincenza  Gallini-Bertoi,  vedova  del  Pantalone 


MATERAZZI  -  MAZZOCCA  113 

Alberghetti,  e  morì  il  29  novembre  1738  a  ottantasei  anni,  na- 
turalizzato francese,  e  ufficiale  del  Re.  Il  D'Origny  annunzia 
così  la  sua  morte  :  s  il  ne  fit  pas  regretter  le  Comédien,  on  regretta 
sincéremcnt  l* honnéte  homme,  l'homme  verttieux,  l'époux  tendre 
et  le  bievfaiteur  des  pauvres, 

Mattagliani  Vittoria.  È  ricordata  da  Fr.  Bartoli,  come 
attrice  di  merito  per  le  commedie  improvvise  e  studiate.  Fu 
in  qualche  Compagnia  di  Venezia,  poi  seconda  donna  con  Ono- 
frio Paganini,  al  fianco  di  Rosa  Brunelli,  prima  donna,  poi, 
avanzando  negli  anni,  in  Compagnie  varie  di  pochissimo 
conto. 

Mazza  Onofrio.  Comico  egregio  per  le  parti  à^ innamorato, 
che  sostenne  nelle  varie  Compagnie  di  Napoli.  Il  1754  era  con 
Domenicantonio  di  Fiore  al  Casotto  del  San  Carlino;  dal  '63 
al  '69  ottenne,  per  farvi  commedie,  un  rimessone  dei  Reverendi 
Padri  Agostiniani  a  Portici.  Il  '70,  fatto  vecchio,  fu  per  essere 
licenziato  di  compagnia,  ma  con  una  supplica  al  Re,  vi  rimase 
fino  air '82.  Vistosi  abbandonato  e  ridotto  alla  miseria,  avanzò 
una  supplica  al  Re  per  ottener  grazia  di  <  esporre  una  statua 
di  cera  del  Servo  di  Dio  Benedetto  Labre,  senza  riscuoter  nulla 
eccetto  che  qualche  limosina  che  graziosamente  gli  si  darà.  > 
Ma  la  statua  non  attira  nulla.  Neil'  '86  dimanda  di  essere  ripreso 
in  compagnia,  e  ne  tenta  il  modo  accusando  e  denunziando  il 
Tomeo  come  despota  e  <  ingannatore  della  R.  Udienza,  avendo 
registri  falsi.  >  Naturalmente  in  compagnia  non  fu  ripreso,  e 
dovè  finire  la  vita  nel  modo  più  miserevole.  (Di  Giacomo, 
op.  cit.). 

Mazzocca  Ida.  Nata  a  Monselice  il  16  novembre  1876  da 
Giuseppe  Mazzocca  primo  attore  e  Maria  Santato,  non  comica, 
è  stata  una  delle  poche  buone  prime  attrici  giovani  che  vantasse 
il  nostro  teatro  di  prosa.  Fatte  le  prime  armi  nella  Compa- 
gnia di  suo  padre,  si  scritturò  prima  attrice  giovane  con  Arturo 

15. —  /  Comici  italiani.  Voi.  II. 


MAZZOCCA  -  MAZZOTTI 


Garzes  pel  '92,  passando  poi  nel- 
lo stesso  ruolo,  il  '93,  con  An- 
giolo Diligenti,  il  '94  con  Fran- 
cesco Garzes,  il  '95  con  Andrea 
Maggi,  e  il  '96  con  Flavio  Andò  ; 
dal  quale  staccatasi,  passò  il  '97 
nella  Compagnia  Mariani-Zam- 
pieri,  e  il  '98  in  quella  di  Eleo- 
nora Duse,  andando  nell'ottobre 
a  sostituir  con  Ermete  Zacconi 
la  Varini  ammalata.  Dopo  il  qual 

tempo,  maritatasi  fuor  del  teatro,  abbandonò  definitivamente 

l'arte. 


Mazzocchi  Luigi.  Mantovano.  Recitò  le  parti  di  Dottore 
nelle  Compagnie  di  Pietro  Rossi,  di  Domenico  Bassi,  6(1781) 
di  Francesco  Paganini.  11  Bartoli  lo  dice  «  fornito  di  qualche 
cognizione  intorno  alle  lettere;  ed  occorrendo  sa  recitare  an- 
cora in  parti  serie  nelle  studiate  rappresentazioni.  > 

Mazzetti  Pietro.  Avvocato  veneziano.  Dopo  di  aver  preso 
moglie,  e  consumato  ogni  sostanza  di  entrambi,  si  diede  al- 
l'arte comica,  nella  quale  riuscì  buon  attore  per  le  parti  d'm«a- 
morato.  Fu  nelle  Compagnie  di  Pietro  Rossi  e  di  Luigi  Perelli. 
Viveva  ancora  nel  1782. 


Mazzetti  Margherita.  Attrice  di  bella  rinomanza,  fu  nella 
gio\\n&zz3LprÌ7na donna  egregia;  egregia  madre  nobile  nella  ma- 
turità, e  caratterista  perfetta  e  unica  nella  vecchiezza.  Nel  1827, 
vicina  ai  settant'anni,  serbava  ancora  tutto  il  fuoco  della  prima 
età,  la  morbidezza  del  gesto  e  della  persona. 

Francesco  Augusto  Bon  scrisse  per  lei  non  pochi  lavori, 
tra'  quali:  La  donna  e  i  romanzi,  U importuno  e  V astratto.  La  lot- 
teria di  Vienna,  Ludro  e  la  sua  gran  giornata,  ecc.  Fu  eccellente 
nelle  commedie  del  Goldoni,  e  sì  vuole  che  colla  sua  morte, 


MAZZOTTI  -  MEDEBACH  115 

avvenuta  in  Livorno  nel  1836,  scemasse  d'assai  l'importanza 
del  suo  ruolo. 

Medebach  (Metembach)  Girolamo.  II  più  celebre  capoco- 
mico del  secolo  xviii,  che  dovè  gran  parte  della  sua  celebrità, 
se  non  tutta,  a'  vincoli  artistici  eh'  egli  ebbe  con  Carlo  Goldoni, 
nacque  a  Roma  nel  1 706  circa  da  Giovanni  Francesco,  e  gli 
furon  messi  i  nomi  di  Agostino,  Rsiimondo,  Girolamo.  A  tredici 
anni  abbandonò  Roma  con  una  compagnia  di  attori,  e  l'autunno 
del  1739  f'^ce  la  sua  prima  comparsa  a  Venezia,  ove  agiva  la 
Compagnia  di  ballerini  da  corda  e  comici  insieme,  diretta  da 
Gasparo  Raffi,  dal  quale  fu  scritturato,  e  del  quale,  divenuto 
poi  direttore  della  Compagnia,  domandò  in  moglie  ufficial- 
mente, il  1 5  gennaio  1 740,  la  figlia  Angela,  Teodora,  Giovanna, 
lucchese,  di  circa  diciassette  anni,  che  trovavasi  da  pochi  mesi 
a  Venezia.  Furon  testimoni,  fra  gli  altri,  della  domanda,  il  padre 
della  sposa  Gasparo  Raffi  del  fu  Lazzaro,  romano,  di  quaran- 
tadue anni,  l' attore  Giuseppe  Marliani,  piacentino,  zio  della 
sposa  (V.),  esperto  ballerino  da  corda,  ed  egregio  Brighella,  e 
i  comici  Gasparo  Zorni  di  Gorizia,  e  Francesco  Monti  di  Mi- 
lano. Ma,  o  in  questa  domanda  il  Medebach  di  fronte  alla  gio- 
vinezza della  sposa  si  è  scemato  gli  anni,  o  il  Bartoli,  che  glie 
ne  dà  novanta  circa  nel  1 78 1 ,  ha  voluto  esageratamente  aumen- 
tarli. Il  nome  di  Metembach,  messo  fra  parentesi,  trovo  in  una 
istanza  a  Sua  Eccellenza  il  signor  conte  Cristiani,  amministra- 
tore generale  di  Stato  di  Modena  a  dì  3  luglio  1748: 

Geronimo  Metembach,  e  Gaspare  Raffi,  condatori  di  una  Compagnia  di  comici  e 
servidori  umilissimi  di  Vostra  Eccellenza.  Ossequiosamente  la  suplicano,  a  degnarsi  di  con- 
cederle licenza  per  rappresentare  nel  corr.te  estate  un  corso  di  Recite  nel  Teatro  Rangoni 
che  della  Grazia  etc. 

E  il  permesso  fu  accordato.  E  la  Compagnia  vi  recitò  la 
prima  volta,  col  Goldoni  presente,  la  Vedova  scaltra.  Il  i  o  marzo 
era  stata  firmata  fra  l'autore  e  il  capocomico  la  scrittura,  in 
forza  della  quale  doveva  quegli  scrivere  otto  commedie  atl- 
Tanno,  e  averne  in  compenso  dal  Medebach  450  ducati,  con 


Il6  MEDEBACH 


obbligo  di  seguir  la  Compagnia  anche  nelle  città  di  terraferma. 
Pare  che  la  Compagnia  tornasse  al  Rangoni  di  Modena  anche 
Testate  del  '49.  I  patti  di  scrittura  furon  mantenuti  da  ambe 
le  parti;  e  se  il  buon  successo  delle  commedie  stabilì  la  fama 
dello  scrittore,  non  meno  formò  la  fortuna  dell'impresario.  Il 
Medebach  recitava  in  esse  la  parte  di  Ottavio,  scritte  a  posta 
per  lui.  Fatto  poi  questi  pubblicare  dal  Bettinelli  il  teatro  di 
Goldoni,  senza  il  di  lui  consenso,  tanto  egli  se  ne  aspri  che 
ruppe  il  contratto,  passando  a  scrivere  pel  Teatro  San  Luca: 
e  ciò  fu  al  15  febbraio  del  1752.  Ricorse  allora  il  Medebach 
all'opera  dell'Abate  Pietro  Chiari,  il  quale,  se  ben  per  nulla 
comparabile  al  Goldoni,  ne  fu  tuttavia  un  formidabile  antago- 
nista. Alle  di  lui  commedie  romanzesche,  salite  alle  stelle,  altre 
non  men  romanzesche  contrapponeva  il  Goldoni,  come:  La 
sposa  persiana.  Le  Ir  cane.  La  Peruviana,  La  bella  selvaggia;  a 
queste  altre  nuove  e  più  romanzesche,  o  meglio,  più  ancor 
bislacche  contrapponeva  il  Chiari  ;  e,  tra'  due  litiganti,  chi  go- 
deva era  il  solito  terzo,  che  accumulava  danaro.  E  il  Medebach 
ebbe  colla  sua  Compagnia  luminosi  successi  dovunque  ;  e  lo 
vediamo,  partendosi  da  Milano,  ove  avea  fatto  il  migliore  de- 
gP incontri  nell'estate  del  '55,  munito  di  Lettere-Patenti  del 
Duca  di  Modena,  Francesco  III,  dettate  nella  forma  più  larga 
e  laudativa.  Nel  '61  gli  venne  a  morte  la  moglie,  e  visse  di  tal 
perdita  addoloratissimo  per  molti  anni,  passando  poi  a  seconde 
nozze  con  la  figlia  del  noto  dottore  Scalabrini  di  Bologna,  che 
sopravvisse  al  marito,  e  che  vediamo  più  tardi  in  Compagnia 
di  Pietro  Rosa.  L'agosto  del  '62  fino  a  tutto  il  settembre  recitò 
al  Rangoni  di  Modena,  d'onde  dovea  recarsi  a  Reggio  per  la 
fiera,  invitatovi  in  nome  del  Capponi  da  Alessandro  Frosini, 
che  dice  la  Compagnia  di  lui,  la  migliore  che  si  conosca.  Partito 
quello  stesso  anno  e  quello  stesso  mese  il  Goldoni  per  Parigi, 
cessaron  le  gare  poetiche  ;  e  il  Medebach  per  alcun  tempo  con- 
tinuò a  condur  Compagnia  con  relativa  fortuna.  Lo  rivediamo 
Testate  del  '63,  del  '66  e  del  '74  in  Milano,  e  al  suo  partirne, 
gli  furon  volta  per  volta  rinnovate  le  Patenti  del  Duca.  L'agosto 


MEDEBACH  117 


del  '70,  nonostante  il  contratto  già  firmato,  non  andò  più  a 
Milano,  ove  con  nuova  deliberazione,  fu  abolita  la  stagione  di 
prosa,  per  surrogarvi  le  opere  buffe.  Si  recò  invece  a  Modena 
ove  ottenne  il  solito  gran  successo;  avendo  seco  il  comico 
cantante.  Sante  Vitali,  che  sosteneva  egregiamente  le  parti  di 
Dottore,  e  che  poco  dopo  il  suo  arrivo  in  Modena  fu  tocco 
d'apoplessia,  e  vi  morì  a  trentotto  anni.  Ma  recitandosi  con 
buon  successo  le  nuove  traduzioni  della  Caminer  al  Sant'An- 
gelo, e  con  immensa  fortuna  le  imitazioni  dallo  spagnuolo  di 
Carlo  Gozzi  al  San  Luca,  il  povero  Medebach  (recitava  allora 
al  SanGio.  Grisostomo) n'ebbe  in  poco  tempo  deserto  il  teatro, 
e  dovè  ricorrere,  l'autunno  del  1772,  a  Maddalena  Battaglia, 
prima  donna  allora  di  grandissima  fama,  che  gli  recò  non  co- 
mune sollievo,  specialmente  con  le  molte  rappresentazioni  della 
Semiramide  di  Voltaire.  Sollievo  effimero  codesto;  dappoiché 
concesso  ingiustamente  il  teatro  alla  stessa  Battaglia,  il  Mede- 
bach, rassegnato,  si  rifugiò  a  quello  di  San  Cassiano,  dove  le 
sorti  non  furon  delle  più  prospere.  Passò  poi,  o  meglio,  tornò 
al  Sant'Angelo,  partitosene  il  Lapy,  e  con  miglior  fortuna;  non 
tale  però  da  non  costringerlo  il  1780  ad  abbandonar  quella 
Venezia,  per  la  quale  avea  così  indefessamente  e  onestamente 
lavorato,  e  cercar  altrove  con  una  Compagnia  sociale,  un  qual- 
che miglioramento  alla  sua  condizione,  divenuta  omai  delle 
più  misere.  Di  lui  scrisse  Francesco  Bartoli: 

É  stato  il  Medebach  nn  esperto  conduttore  della  saa  Truppa,  un  eccellente  reci- 
tante in  que' suoi  particolari  caratteri;  ed  ha  saputo  acquistarsi  il  concetto  d'uomo  di 
probità.  Egli  ha  tollerato  con  pace  la  sua  non  cercata,  e  non  meritata  espulsione  dal  Teatro 
di  San  Gio.  Crisostomo  procuratagli  ingratamente  da  chi  mai  noi  dovea.  Egli,  urbano  con 
tatti,  egli  prudente  e  saggio,  egli  pietoso  soccorritore  delle  miserie  altrui,  merita  bene  il 
nome  d'uomo  onorato,  e  rendesi  degno  della  stima  d'ognuno.  Essendo  egli  poi  stato  l'unico 
movente,  per  cui  l' Italia  possa  pregiarsi  d' aver  sortito  anch'  essa  un  Eccellente  Poeta  comico 
nel  celebratissimo  Goldoni,  non  avendo  perciò  da  invidiare  alla  Francia  il  suo  Molière,  si 
viene  per  lui  a  stabilire  un'  epoca  considerabile  nella  storia  del  nostro  Teatro. 

Medebach  Raffi  Teodora.  Moglie  del  precedente,  e  figlia 
di  Gasparo  e  Lucia  Rafifi,  conduttori  di  una  Compagnia  di  bal- 
lerini da  corda,  nacque  il  1723  circa  a  Lucca,  di  dove  fu  por- 


Ii8  MEDEBACH 


tata  via  a  tredici  giorni.  Ecco  come  il  Goldoni  descrive  la 
Compagnia  Rafifi  nel  XVII  volume  delle  sue  Commedie,  edi- 
zione del  Pasquali: 

Erano  già  tre  anni,  che  portavasi  in  Venezia  regolarmente  in  tempo  di  carnovale 
Gasparo  Raffi  Romano,  Capo  de'  ballerini  di  corda  colla  saa  Compagnia,  eh'  era  una  delle 
più  famose  in  tal  genere.  Eravi  la  bravissima  Rosalia^  sua  cognata,  moglie  in  allora  di 
nn  saltatore  tedesco,  e  passata  ad  esserlo  in  secondi  voti,  di  Cesare  Darbes,  celebre  pan- 
talone (V.).  La  Teodora^  figliuola  del  Raffio  moglie  in  appresso  del  Medebach,  ballava 
sulla  corda  passabilmente,  ma  danzava  a  terra  con  somma  grazia;  la  Maddalena ^  che  fu 
moglie  in  seguito  di  Giuseppe  Marlianìy  era  una  copia  fedele  della  Teodora,  e  il  Marliani 
suddetto,  che  faceva  il  Pagliaccio,  era  un  saltatore  e  danzatore  di  corda,  il  più  bravo,  il 
più  comico,  il  più  delizioso  del  mondo.  Questa  compagnia  di  quasi  tutti  congiunti  era 
amata  ed  apprezzata  in  Venezia,  non  solo  per  la  bravura,  ed  abilità  in  tal  mestiere;  ma 
per  r  onesta  e  saggia  maniera  di  vivere  sotto  la  buona  direzione  dell'  onestissimo  Raffi, 
e  l' ottima  condotta  della  prudente,  devota,  e  caritatevole  signora  Lucia  sua  consorte.  D 
Marliani,  non  so,  se  stanco  di  quel  pericoloso  mestiere,  o  eccitato  dal  genio  comico,  avea 
gran  voglia  di  recitare  delle  Commedie.  Capitò  il  secondo  anno  in  Venezia  il  Medebach 
accennato  ;  e  unitosi  co'  Ballatori  suddetti,  avendo  egli  cognizione  bastante  dell'  arte  co- 
mica, gì'  instrui,  forni  loro  i  soggetti,  e  preso  il  picciolo  Teatro  di  S.  Moisè,  colà,  termi- 
nato il  Casotto^  recitavano  delle  Commedie,  le  quali  sostenute  principalmente  dalle  appa- 
renze, dai  giuochi,  e  dalle  grazie  del  Marliani,  che  facea  V Arlecchino^  non  lasciarono  di 
attirare  buon  numero  di  spettatori.  La  Teodora  faceva  la  prima  donna,  e  la  Maddalena 
facea  la  servetta;  il  Medebach  era  il  primo  amoroso,  e  qualche  altro  personaggio  avean 
preso  per  eseguir  le  loro  Commedie.  Cosi  principiò  quella  Compagnia,  che  poi  si  è  resa 
famosa,  e  che  trovai  ben  formata,  ed  in  credito  quattr'anni  dopo  a  Livorno. 

Alle  attitudini  per  la  scena  congiungeva  la  Medebach  - 
dice  il  Bartoli  -  una  figura  leggiadra,  un  volto  tutto  spirante 
grazia,  e  una  voce  dolcissima  e  chiara.  Pare  che  il  genere  suo 
fosse  più  specialmente  il  patetico,  dacché  il  Goldoni  scrisse 
per  lei  La  figlia  ubbidiente  e  La  moglie  saggia,  e  il  Chiari  Ljtpor 
storell a  fedele,  nella  quale  più  specialmente  si  mostrò  somma. 
Riferisco  dal  Bartoli: 

Ella  esprìmeva  assai  bene  il  carattere  di  quella  Pastorella  innocente,  innamorata  del 
suo  agnellino  più  che  d' Ergasto  ;  umile  e  rispettosa  col  vecchio  suo  genitore  ;  fiera  e  riso- 
luta col  Castellano  suo  tentator  disonesto;  e  vivamente  spiccava  il  salto  lanciandosi  nel 
fiume  per  sottrarsi  all'  insidie  del  di  lei  seduttore.  Moltissime  sere  fu  replicata  in  Venezia 
nel  1754,  ed  infinite  lodi  furon  date  alla  tenerissima  Irene,  Questa  brava  attrice,  che  molto 
lustro  avrebbe  recato  a'  Teatri  italiani,  divenne  cagionevole  nella  salute  affliggendola  con- 
tinuamente alcuni  effetti  convulsivi.  Stava  quasi  sempre  guardata  in  letto,  e  quando  talvolta 
sentivasi  un  po'  sollevata,  lasciavasi  vedere  in  Teatro.  Ma  crebbero  in  lei  a  dismisura  i 
suoi  incomodi,  e  gli  oppiati  rimedj  che  i  medici  le  apprestavano,  non  fecero  che  abbre- 
viarle la  vita,  onde  rese  l'anima  al  suo  Creatore  in  età  di  anni  quaranta  nel  1761. 


MEDEBACH  119 


La  riputazione  artistica  della  Medebach  si  stabilì  con  la 
Donna  di  garbo  del  Goldoni,  recitata  qualche  sera  dopo  della 
Griselda,  nella  quale  il  pubblico  avea  già  avuto  modo  di  notar 
le  qualità  dell'attrice.  Da  quella  sera  fu  un  successo  ognor 
crescente.  Dallo  spoglio  delle  memorie  goldoniane  abbiamo  che 

Madama  Medebach  era  un*  attrice  eccellente  ed  attaccatissima  alla  sua  professione,  ma  una 
donna  soggetta  a  vapori.  Era  sovente  ammalata,  sovente  credeva  d'esserlo,  e  qualche  volta 
non  aveva  che  vapori  di  soio  comando. 

In  questi  ultimi  casi  bastava  a  propor  di  dare  una  bella  parte  da  rappresentarsi  ad 
un  attrice  subalterna,  che  l' ammalata  tosto  guariva. 

Mi  presi  la  libertà  di  farla  rappresentar  sulla  scena  da  sé  medesima.  Se  ne  accorse 
alcun  poco;  ma  trovando  bellissima  la  sua  parte,  se  ne  incaricò  volentieri,  e  rappresen- 
tolla  a  perfezione. 

A  questi  vapori  che  il  Goldoni  crede  più  immaginari  che 
sinceri  e  che  come  tali  dipinge  Paolo  Ferrari  nella  sua  incom- 
parabile commedia,  la  Medebach  univa  la  gelosia  di  mestiere. 
I  successi  della  Marliani,  Corallina,  specialmente  nella  Serva 
amorosa,  furono  un  gran  pruno  nell'  occhio  della  direttrice,  per 
la  quale,  a  guarirla  radicalmente,  dovè  il  Goldoni  scrivere  La 
moglie  saggia. 

Ma  egli  errava  certo  nel  suo  giudizio.  La  Medebach,  ge- 
losa de'  successi  di  Corallina,  faceva  un  grande  sforzo  per  vin- 
cere quel  male  che  realmente  l'opprimeva,  e  che  la  condusse 
immaturamente  al  sepolcro.  E  la  prova  abbiamo  in  quest'  ul- 
tima citazione,  la  quale  ci  mostra  chiaro  come  la  povera  donna 
non  trovasse  come  prima  nel  suo  coraggio  la  forza  di  lottare 
col  male,  e  nella  quale  a  me  par  di  vedere  un  pizzico  di  cru- 
deltà nell'animo  del  Goldoni. 

Madama  Medebach  era  sempre  ammalata.  I  suoi  vapori  divenivano  sempre  più 
nojosi  e  ridicoli:  rideva  e  piangeva  in  una  volta,  mandava  grida,  faceva  mille  smorfie  e 
mille  contorsioni.  La  buona  gente  di  sua  famiglia,  credendola  affascinata,  fece  venir  Esor- 
cisti, e  carica  di  reliquie,  giuocava  e  scherzava  con  quei  monumenti  pii  come  una  fanciulla 
di  tre  o  quattro  anni. 

Vedendo  la  prima  attrice  fuor  di  stato  d' esporsi  sopra  la  scena,  all'apertura  del 
carnevale  feci  una  Commedia  per  la  cameriera  o  servetta.  Madama  Medebach  si  fece  veder 
in  piedi  ed  in  buon  essere  il  di  di  Natale  ;  ma  quando  seppe  che  si  era  affissata  pel  giorno 
appresso  La  Locandiera^  commedia  nuova  fatta  per  Corallina,  andò  a  rimettersi  in  letto 
con  convulsioni  di  nuova  invenzione,  che  facevano  impazzire  sua  Madre,  suo  marito,  i 
suoi  parenti  ed  i  suoi  domestici. 


I20  MEDEBACH  -  MEDONI 

Medebach  Gìovan  Battista.  Figlio  dei  precedenti,  vene- 
ziano, fu  attore  e  capocomico;  e  fu  la  sua,  la  prima  compagnia 
venale  che,  nel  novembre  del  1798,  Tolentino  ascoltasse  a  me- 
moria d'uomo.  Pare  anche  fosse  Tolentino,  con  questa  compa- 
gnia, una  delle  prime  città  delle  Marche  a  veder  le  donne  sulla 
scena. 

Sposò,  il  6  dicembre  1786,  Clemente  Giovanna,  figlia  di 
Bartolommeo  Paltrinieri  del  Finale  di  Modena,  di  cui  si  con- 
serva nell'Archivio  di  Stato  di  Modena  l' elenco  de'  mobili  e 
oggetti  da  lei  recati  in  dote.  Il  6  di  ottobre  del  1790  gli  furon 
sequestrati  in  Modena,  mentre  recitava  al  Teatro  Rangoni,  a 
istanza  di  Domenico  Torricelli,  oste,  creditore,  per  cibarie 
somministrategli,  di  lire  104.15,  i  cassoni  contenenti  gli  og- 
getti costituiti  in  dote  dalla  moglie,  la  quale  con  istanza  del 
13  ottobre,  richiedeva  la  restituzione  delle  robe  sequestrate, 
contro  pagamento  del  debito:  restituzione  che  non  fu  accor- 
data, né  anche  dopo  rifatte  le  spese  contumaciali  se  non,  par- 
zialmente, per  il  solo  vestiario  femminile.  Infatti,  la  mattina 
del  13  dicembre  1790,  tutti  gli  oggetti  sequestrati,  di  lui,  Me- 
debach, furon  messi  all'incanto,  e  venduti  per  lire  175.29. 
E  a  questa  risoluzione  fu  spinto  il  dottor  Bellagi,  procuratore 
del  Torricelli,  stante  —  dice  il  testo  —  la  notoria  condotta  del 
Medebach  di  aver  praticato  lo  stesso  con  altri  Locandieri,  e  sommi- 
nistranti vitto  in  altre  città,  senza  che  in  quelle  sia  stato  appurato 
anzi  costretto  non  ostante  a  pagare,  ecc.  ecc. 

Lo  vediamo,  assieme  alla  matrigna,  la  Scalabrini,  ma  non 
sappiam  dire  in  quale  anno,  in  Compagnia  di  Pietro  Rosa. 

Medoni  Nicola,  nato  in  Genova  nel  1 803  da  onesta  fami- 
glia, e  fatto  un  corso  regolare  di  studi,  si  diede  all'arte  comica, 
nella  quale,  mercè  l'ingegno  svegliato,  la  bella  figura,  e  la 
voce  magnifica,  riuscì  egregio,  occupando  in  breve  il  ruolo  di 
primo  attore  assoluto  nella  Compagnia  del  suo  concittadino  Luigi 
Favre.  Sposò  in  essa  la  giovinetta  Elena  di  Paolo  Bacci  (V.), 
esimia  attrice,  che  gli  morì  a  soli  trentacinque  anni.  I  pregi 


MEDONI - MENGHINI 


artistici  del  Medonì  erano  alquanto  scemati  dalla  cattiva  pro- 
nunzia dialettale,  ma  compensava  tal  difetto  con  la  coltura  e 
l'ingegno  non  ordinari  in  un  comico  (è  stato  autore  di  molte 
tragedie  applaudite,  tra  le  qua- 
li, applauditissìma,  la  Dircé)  e 
con  la  eloquenza,  che,  tra' co- 
mìci  del  suo  tempo,  oserei 
dire,  unica.  Egli  soleva  tra  Ìl 
penultimo  e  l' ultimo  atto  del- 
la rappresentazione  invitare  il 
pubblico,  secondo  il  costume, 
alla  recita  del  domani  :  e  tale 
e  tanta  era  la  grazia  delle  sue 
parole,  tanta  la  varietà  ed  ele- 
vatezza dei  concetti,  e  tale  an- 
cora la  dovizia  delle  trovate,  che  molti  degli  abbonati  reca- 
vansi  a  teatro  in  quell'  ora  solamente. 

Il  Medoni  fu  il  1829  a  6anco  del  gran  Vestri,  della  Mar- 
chionni,  del  Boccomini,  del  Righetti  nella  Compagnia  Reale 
Sarda;  ma  condusse  quasi  sempre  compagnia  propria.  Abban- 
donato il  teatro,  si  ritirò  in  patria,  ove  morì  nel  1882. 


Menghini  Gìovan  Battista,  bolognese.  Recitò  con  molto 
spirito  sotto  la  maschera  di  Tabarrino.  prima  con  accademici 
nel  Teatro  Malvezzi,  poi  con  comici  in  altri  teatri  della  sua 
patria  ed  in  quello  del  marchese  Rangoni  di  Modena.  France- 
sco BartoH  che  lo  vide,  quando  nel  carnovale  del  1 764  recitava 
a  Bologna  con  la  Compagnia  di  Onofrio  Paganini,  ci  dà  il  se- 
guente ritratto  dell'  uomo  e  della  mzischera  : 

Era  egli  d'  niu  itatnra  alquanto  piccola,  pingue  oltr«  ìl  dovere,  con  faccia  rotonda 
di  lembianse  geniali,  con  nn  gran  ventre,  e  due  gambe  giotsiiiiine,  ma  tntte  egnali,  a 
coi  i'  ^iplCcavano  piccioliwìini  piedi.  Rappresentava  per  lo  più  nn  nomo  del  ceto  mercantile 
Twtìlo  dì  nero  in  abito  da  collare,  detto  oltrinienti  da  cittì,  con  calze  bianche,  e  due  liste 
di  color  TOSSO  nelle  estremiti  laterali  del  sno  tabarro.  Aveva  la  chioma  divisa  in  dne  parti, 
che  pendevaglì  per  le  spalle,  e  sopra  il  petto,  e  portava  in  testa  nn  nero  cappello  tiralo 
an  a  dne  ali  con  alta  cnba  nel  mezzo,  qnasi  simile  a  qnella  del  Gìangnrgolo  calabrese. 
Parlava  egli  nn  groMoUoo  Uognaggio  di  Bologna,  meachiandovi  delle  parole  toscane  dì 

16.  —  /  Comici  iialiani.  Voi.  IL 


123  MENGHINI  -  MENICHELLI 

tempo  in  tempo,  che  davano  grazia  a'  suoi  ragionamenti.  Era  egli  lepido  nel  sno  discorso, 
accorto,  e  pronto  nelle  risposte,  ed  i  lazzi  snoi  pantomimici  dilettavano  per  la  loro  varietà 
e  per  essere  fatti  nella  debita  situazione  del  teatro,  che  da'  Comici  a  tempo  si  appella. 

E  venendo  a  parlar  delle  Torri,  due  commedie  di  sua 
particolare  fatica  e  di  sua  invenzione,  il  Bartoli  assicura  aver 
egli  toccato  il  sommo  dell'arte,  in  una  scena  specialmente,  per 
la  quale  ci  dice  che  bisognava  vederla  per  giudicare  s  ella  meritava 
ogni  lode  di  chi  sa  intendere  la  forza  di  quelT  arte,  che  è  tutta  prò- 
pria  d' un  bravo  Comico  e  che  non  è  permesso  alla  penna  d' uno 
scrittore  d*  estenderla  al  Tavolino  in  pari  modo.  E  aggiunge  che 
fu  stimato  dal  Duca  di  Modena  Rinaldo  I,  che  volle  sentirlo. 
Il  Menghini  faceva  V  indoratore,  ed  ebbe  un  figliuolo  che  gli 
diede  molti  dolori.  Tornato  di  Modena,  ove  fu,  come  dicemmo, 
a  recitare  a  quel  Teatro  Rangoni,  non  si  levò  mai  più  dalla 
sua  Bologna,  dove  morì  nel  1767. 

Menichelli  Nicola.  Buon  comico  per  le  parti  improvvise 
sotto  la  maschera  à^W  Arlecchino.  Recitava  -  dice  il  Bartoli  - 
una  commedia,  intitolata  Arlecchino  finto  scimmiotto,  in  cui  ve- 
devasi  eseguire  diverse  forze  sopra  una  cordicella  volante.  Fu 
con  Pietro  Rossi,  con  Onofrio  Paganini,  con  Domenico  Bassi  e 
con  altri.  Passò  con  Giovanni  Simoni  e  Angiola  Dotti  nel  1768 
a  Vienna,  ove  fu  molto  applaudito,  e  formò  poi  società  per 
lungo  tempo  con  Pietro  Ferrari,  sino  al  1780,  nel  quale  anno 
cominciò  a  condurre  compagnia  da  sé  con  buona  fortuna.  Vi- 
veva ancora  il  1781  insieme  alla  moglie  Teresa,  la  quale,  non 
ostante  l' avanzar  dell'età,  dotata  di  svelta  ed  elegante  persona, 
di  spirito  pronto  e  vivace,  recitava  ancora  egregiamente  le 
parti  di  serva,  specialmente  in  scene  improvvise. 

Menichelli  Francesco.  Figlio  del  precedente.  Recitava  le 
parti  d! innamorato,  e  il  Bartoli  lo  dice  nel  1781  di  freschissima 
età.  Lo  vediamo  capocomico  nell'autunno  del  1795-96  al  San 
Cassiano  di  Venezia.  Y^r^^ prima  donna  della  compagnia  Gaetana 
Menichelli,  moglie  probabilmente  di  Francesco;  e  Arlecchino, 


MENICHELLI  -  MERLI  123 


il  famoso  Giovanni  Fortunati.  De'  pregi  del  Menichelli  come 
attore  abbiamo  un  cenno  nel  Teatro  mod.  app.  il  quale  dopo  aver 
detto,  che  seppe  acquistarsi  una  gloria  non  disgiunta  dall' utilità, 
venendo  a  parlar  Ò!^ Amleto  di  Ducis,  applauditissimo  a  Bo- 
logna col  Menichelli,  protagonista,  nell'estate  del  1795,  ^^^^ 
eh'  egli  esprimendo  con  tragica  energia  il  sopraeminente  carattere 
del  protagonista,  seppe  ricordare  il  gran  Mole  a  tutti  quelli  che  udito 
r avevano  a  Parigi. 

Menicucci  Angela.  Figlia  di  Pietro  Rosa,  e  moglie  del 
ballerino  Menicucci,  che,  fattosi  poi  comico,  lasciolla  vedova 
nel  1780.  Il  Bartoli  non  accenna  punto  alla  di  lei  abilità.  Sap- 
piamo solo  che  recitava  le  parti  di  donna  seria,  e  che  fu  con  la 
Battaglia,  col  Camerani,  col  Sacco  ;  da  cui  passò  in  una  Com- 
pagnia vagante,  ove  trova  vasi  ancora  nel  1781. 

Meraviglia  Ferdinando,  nato  da  onesti  parenti  a  Brescia 
nel  1786,  si  diede  il  1808  alle  scene,  esordendo  quale  amoroso 
generico  in  Compagnia  di  Antonio  Goldoni,  dal  quale  fu  poi 
riconfermato  ma  col  ruolo  di  primo  attore  assoluto.  Fece  parte 
della  società  formata  il  1 8 1 1  da  Belloni,  Calamari,  Domeniconi, 
con  Carlotta  Marchionni  prima  donna,  e  ne  fu  per  tutto  il  tempo 
applaudito  primo  amoroso  e  primo  attore.  Scioltasi  quella,  altra 
ne  formò  la  quaresima  del  '23  con  Antonio  Belloni,  passando 
per  la  prima  volta  al  ruolo  di  caratterista.  Una  nuova  società 
formò  il  '27  con  l'amoroso  Carlo  Gnudi;  e  altre  poi  con  altri, 
cessando  di  vivere  a  Brescia  nel  1 834.  Il  Meraviglia  fu  attore  di 
grandissimo  pregio,  specialmente  per  le  commedie  Goldoniane, 
nelle  quali,  passando  al  ruolo  di  caratterista,  serbò  col  Don  Mar- 
zio, con  la  Locandiera,  col  Ventaglio,  la  stessa  grandezza,  alla 
quale  era  salito  in  gioventù  con  gV Innamorati,  le  Zelinde,  le  Pa- 
mele, il  Tasso,  il  Cavalier  di  spirito,  il  Cavalier  di  buon  gusto,  ecc. 

Merli  Cristoforo,  nato  a  Bologna  verso  il  1741,  fece  le 
prime  donne  cogli  accademici  fortunati  della  sua  patria,  comin- 


124  MERLI  -  MIANI 


ciando  poi  a  recitare  da  innamorafo  in  compagnie  di  giro  verso 
il  1768.  Fu  un  anno  a  Venezia  con  Girolamo  Medebach,  poi, 
il  '70,  in  Portogallo  con  Onofrio  Paganini,  col  quale  tornò  in 
Italia.  Entrata  Faustina  Tesi  in  compagnia,  egli  visse  con  lei 
maritalmente.  Furono  scritturati  il  '76  con  Pietro  Rossi,  e 
nel  '77  formaron  essi  stessi  compagnia,  che  scorreva  ancora 
nel  1781,  mediocremente  accreditata,  le  varie  città  di  Lombar- 
dia. Come  attore  fu  il  Merli  amoroso  assai  reputato;  come 
uomo,  dice  il  Bartoli  eh'  ebbe  indole  tanto  mite,  quanto  l'ebbe 
stravagante  la  sua  compagna. 

Merli  Giovanni.  Minor  fratello  del  precedente,  recitò  con 
lui  neir  accademia  do' /or lunati,  sostenendo  le  parti  di  serva. 
Entrato  in  arte,  si  diede  anch' egli  al  ruolo  àéiV innamorafo,  nel 
quale  fu  molto  apprezzato,  specialmente  per  le  parti  spigliate. 
Fu  a  Napoli  più  anni;  poi  entrò  nella  Compagnia  della  Tesi 
col  fratello,  con  cui  era  sempre  nel  1781.  Lo  vediamo  l'au- 
tunno del  1795  caratlcrista  nella  Compagnia  di  Marta  Cole oni 
al  San  Cassiano  di  Venezia. 

Messieri  Camillo.  Bolognese.  Sosteneva  coi  Merli  nell'ac- 
cademia ^^^ fortu7iati  le  parti  di  seconda  donna.  Entrò  innamo- 
rato con  Pietro  Rossi,  col  quale  stette  quattr'  anni.  Sposò 
Brigida  Sgarri,  ballerina,  divenuta  poi  comica  anch'  essa,  e 
dalla  Compagnia  del  Rossi  passò  nel  '70  in  altre  di  giro,  ab- 
bandonando le  parti  d'amoroso  e  sostituendo,  alla  sua  morte, 
il  suocero  Francesco  Sgarri  (V,),  nella  maschera  ^€^ arlecchino. 

Miani  Rinaldo.  Veneziano.  Dall'  arsenale  della  sua  patria, 
dov'  era  impiegato,  passò  a  recitar  le  parti  di  Pantalone,  sosti- 
tuendo con  onore,  l'autunno  del  1780  e  il  carnovale  del  1781, 
il  rinomato  Gio.  Battista  Roti,  mancato  ai  vivi  nel  precedente 
settembre.  Al  San  Cassiano  di  Venezia  fece  rappresentare,  il 
26  dicembre  del  '97,  una  sua  azione  spettacolosa,  intitolata  il 
Gran  Torneo  della  Grecia,  eh'  ebbe  una  replica. 


MIANI  -  MILANTA 


Mìani  Anna.  Nacque  a  Udine  da  Pietro  Mìani  ed  Anna 
Sella  il  26  aprile  del  18 17.  Giovinetta  entrò  in  un  laboratorio 
di  sarta  per  impararvi  il  mestiere,  ma.^ducata  alle  scene,  nella 
filodrammatica  della  città,  dall'ex-artista  drammatico  Zuccate, 
fuggì  di  casa,  dopo  la  morte  del  padre  {1836),  per  sottrarsi 
alla  risoluzione  della  madre  che  volea  far  di  lei  una  istitutrice, 

e  si  recò  a  Venezia,  ove  fu  scritturata  . . 

amorosa,  in  Compagnia  di  Corrado  Ver-  /  ~  x 

gnano,  dalla  quale  passò  in  quella  di  GÌo- 
vannina  Rosa,  a  farvi  le  parti  di  seconda 
donna  che  meglio  si  attagliavano  alla  sua 
bella  e  slanciata  figura.  Fu  poi,  nello  stes- 
so ruolo,  con  Carolina  Internari,poi,/W- 
ma  attrice  assoluta,  col  Meneghino  Mon- 
calvo,  col  quale  recitò,  dopo  la  Carolina 
Santoni  che  l'aveva  creata,  la  parte  della 
protagonista  nella  Maria  Giovanna.  Ab- 
bandonò dopo  qualche  anno  il  ruolo  di  prima  attrice  per  darsi  a 
quello  di  madre  e  caratteristica  ;  e  tale  fu  scritturata  da  Giorgio 
Duse,  da  Gaspare  Pieri,  da  Tommaso  Salvini,  ammiratissima,  in 
ogni  tempo,  e  nelle  parti  comiche,  fra  cui  la  goldoniana  Cale. 
e  nelle  tragiche,  fra  cui  l'alfieriana  Cittcnncstra.  Fu  poi  con  la 
società  Ciotti,  Marchi,  Lavaggi;  e  con  Achille  Dondini;  poi, 
seconda  madre  e  caratteristica,  con  Alamanno  Morelli  e  con 
Bellotti-Bon,  in  Compagnia  n_."  2,  nella  quale  recitò  la  prima 
volta  a  fianco  del  figlio  Belli-Blanes  (V.).  Questi,  nel  1878,  for- 
mala società  con  Ciotti  e  Bozzo,  la  tolse  dalle  scene,  e  nel  1 883 
la  fermò  a  Castel  San  Pietro,  ove  tranquillamente  visse  fino 
al  18  dicembre  del  r888,  giorno  della  sua  morte. 


MUanta  Giuseppe.  Comico,  fiorito  nella  seconda  metà  del 
secolo  XVII,  con  la  maschera  del  dottore,  e  famoso  col  nome  di 
Dottor  Lanternone.  In  una  lettera  al  Duca  di  Modena  da  Parma 
in  data  4  giugno  1655,  si  accenna  al  Milanta,  richiesto  per  la 
Compagnia  di  Parigi,  e  dal  Principe  Alessandro  negato.  Nel  '64 


126  MILANTA  -  MILLITA 

era  ancora  fra'  comici  che  Fabrizio  (V.)  desiderava  mettere  as- 
sieme per  l'Altezze  di  Parma.  Era  nel  1687  ^1  servizio  del 
Duca  di  Modena,  nella#Compagnia  di  Giuseppe  Fiala  il  Capi- 
tano Sbranaleoni  (V.). 

Millita  Anna  Maria.  Comica  del  Serenissimo  di  Modena, 
sotto  il  nome  di  Cintia.  Abbiam  di  lei  la  lettera  seguente,  tolta 
a  quell'Archivio  di  Stato,  l' eroe  della  quale  è  certo  quel  Do- 
menico Antonio  Parrino  (V.),  comico  e  istoriografo  napoletano, 
che  in  quel  tempo  appunto  era  al  servizio  del  Duca  di  Modena. 
E  chi  era  il  Padre  Francesco?  Forse  il  buon  Dottore  Materazzi? 
Ma  ecco  la  lettera  : 

Alt.  «a  Ser.»"a 

La  supplico  a  condonarmi  dell'ardire  che  io  ho  preso  di  scriuere  a  V.  A.  S.  La 
causa  è  la  prigionia  del  Sig.!"  Antonio  è  si  troua  in  secreta  con  molto  pericolo  della  sua 
uita.  Se  l'A.  V.  non  lo  soccorre  di  quanto  accena  nella  sua.  Io  in  tempo  della  sua  roalatia 
ho  impegnato  ogni  cosa  dell  mio,  et  adesso  per  la  prigionia  l'ho  uenduto  è  non  so  più 
come  mi  fare,  à  mantenerlo  la  dentro,  onde  lascio  considerare  alla  prudenza  di  V.  A.  S.  in 
che  labirinto  stiamo  tutti  dui.  Io  ho  procurato  di  dare  la  sigurtà  all'  Hoste  d'un  Caualiero 
quale  è  l'IU.i^o  Sig.i"  Co.  Claudio  Canossa  et  il  detto  hoste  non  l'ha  uoluto,  ho  procurato 
medesimamente  di  farlo  uenire  alla  larga  è  fu  risposto  dal  Sig.^  Cap.°o  di  Giustitia  che 
è  ordine  espresso  del  Sig.i*  duca  di  Mantova  f>erche  quest'  hoste  li  è  andato  a  dire  al  istesso 
Sig.r  Duca  che  il  Sig.!"  Antonio  erra  una  spia  di  V.  A.  S.  et  f>er  queste  parole  fu  datto 
ordine  espresso  che  fosse  carcerato.  Io  ho  saputo  che  si  uogliono  dare  li  tormenti  per  farli 
dire  quello  che  non  è  la  uerità  la  causa  è  il  Sig.f  Co.  Violardi  onde  che  aforza  di  denaro 
in  testa  al  Sig.i*  Antonio  che  io  farò  il  resto.  La  suplico  f>er  l'Amor  di  Dio  et  f>er  la 
fedeltà  del  Sig.^*  Antonio  appresso  di  V.  A.  S.  ad  aiutarlo  in  questa  necessità  che  subito 
sortito  delle  Carceri  sarà  a  baciare  le  mani  di  V.  A. 

Circa  il  Padre  Francesco  non  occorre  che  uenghi  a  Mantoua  perchè  lo  fariano  pri< 
gione  è  se  l' esaminarano  li  essami  non  si  confrontarìano  dell'uno  e  dell'altro  è  potrebbe 
succedere  del  danno  tanto  al  Sig.^  Antonio:  è  se  V.  A.  S.  uole  honorare  il  Sig.i*  Antonio 
del  denaro  è  non  lo  uoglia  rimettere  puole  sf>edire  il  Padre  Francesco  doue  io  li  ho  scritto 
che  non  ui  sarà  pericolo,  è  questo  sarà  all'  hosteria  di  Cerese  et  l' istesso  Padre  mi  puoi 
mandare  auisare  che  anderò  io  in  persona  acciò  sia  sicuro  à  leuare  il  denaro  che  f>er  uia 
denaro  si  cauerà  fuori,  La  suplico  f>er  l'Amor  di  dio  a  far  questa  gratia  acciò  che  possi 
fare  le  sante  feste  costi  in  Modena  mentre  per  fine  resto  facendoli  profondissima  riue- 
renza. 

Di  V.  A.  S. 

Humiliss.»*  devot™»  obb."*  Serua 
Anna  M.*  Millita  Comica  detta  Cintia. 

Mantoua  li  16  Dicembre  1678. 


MINELLI  137 


Minelli  Giulio.  Veneziano.  Ebbe,  dice  il  Bartoli,  tutte  le 
doti  necessarie  per  riuscire  un  ottimo  Pantalone;  alle  quali  però 
non  seppe  né  volle  accoppiar  mai  la  fatica  dello  studio.  Grande 
lazzista  e  pantomimo  grazioso,  fu  in  molte  compagnie  applau- 
ditissimo.  Nel  1780-81  trovavasi  in  quella  di  Antonio  Sacco,  e 
nel  '95-*96  in  quella  di  Pellandi  al  Sant'Angelo  di  Venezia,  as- 
sieme a  un  Agostino  Minelli,  probabilmente  suo  figliuolo.  Col- 
r avanzar  dell* età,  s'andò  sempre  in  lui  allontanando  l'amore 
allo  studio;  onde  pervenne  a  vecchiezza  guitto  e  mìsero.  Nei 
momenti  suoi  più  calamitosi  ebbe  la  sorte  di  vincere  un  terno 
al  lotto  di  400  bavare  (quasi  2000  lire),  che  avrebbe  dovuto 
sanargli  molte  piaghe.  Né  men  per  sogno  !  Egli  si  fé'  portare 
il  letto  a  una  osteria,  e  di  là  non  si  partì  che  dopo  speso  fin 
l'ultimo  quattrino  in  pranzi  e  cene  da  pazzo.  Ridotto  al  men- 
dicare, ricorse  a  uno  strattagemma  che  l'arte  gli  suggerì.  Egli 
recitava  solo,  per  via,  intere  commedie....  ma  lasciam  la  parola 
all'attore  Colomberti  che  di  quelle  recite  singolari  ci  lasciò  la 
seguente  descrizione: 

Nella  primavera  del  1824  io  mi  trovavo  a  recitare  al  Teatro  San  Benedetto  di  Ve- 
nezia colla  Compagnia  di  Luigi  Fini;  e  una  mattina,  trovandomi  a  passeggiare  sulla  riva 
degli  Schiavoni,  vidi  giungere  un  vecchio,  seguito  da  un  ragazzo  che  gli  portava  una  sedia, 
che  pose  in  mezzo  al  vacuo  fra  le  colonne  di  Marco  e  Todero,  ed  il  vicino  canale  che 
dalla  Laguna  va  al  Ponte  dei  Sospiri.  Giunto  in  quel  largo,  il  vecchio  si  fermò  ;  prese  il 
suo  cappello,  lo  pose  sul  suolo,  ed  aspettò.  A  poco,  a  poco,  e  dalle  vicine  gondole,  e  da 
quegli  che  passavano  si  formò  un  semicircolo  intomo  alla  sedia,  sulla  quale  era  seduto  il 
suddetto,  che  tutti  salutava,  e  sorrìdeva  a  tutti.  Quando  il  concorso  gli  sembrò  al  com- 
pleto, si  alzò  dalla  sedia,  e  rivolto  agli  accorsi,  disse  loro  in  dialetto  alcune  parole  di 
ringraziamento,  e  terminò  coli'  annunziare  che  avrebbe  recitato  un  lavoro  tragi-comico,  in 
tre  atti,  intitolato  :  la  Maga  Morgana  e  Arlecchino  vittima  delle  sue  vendette.  Grande  at- 
tenzione neir  uditorio  ;  e  io  guardavo  attorno,  per  vedere  se  alcun  altro  artista  compariva, 
quando  egli  incominciò,  gridando:  aito  primo,  scena  prima;  e  dopo  di  aver  detto  che  il 
fatto  aveva  luogo  in  una  grotta,  prosegui  notando  il  nome  dei  personaggi  dei  due  sessi, 
che  egli  avrebbe  rappresentato,  e  cosi  di  tutti  gli  altri  sol  nominati.  Potei  ascoltare  le  prime 
scene  dell'atto,  e  confesso  che  per  l'esecuzione,  ammesso  che  l'artista  potesse  fare  più 
personaggi  senza  travestimenti,  la  protasi  fu  abbastanza  ben  descritta.  Ma,  benché  di  maggio, 
il  sole  scottava  bastantemente,  e  pensai  bene  di  andarmene,  riserbandomi  di  domandare 
informazioni  sul  passato  di  quel  disgraziato.  Né  mi  trovai  deluso,  perchè  il  vecchio  caf- 
fettiere del  Teatro  mi  disse  che  quell'  uomo  chiamavasi  Giulio  Minelli,  che  alla  sua  epoca 
era  stato  un  bravo  Pantalone  ;  ma  che,  in  vecchiaja,  datosi  al  vino,  si  era  ridotto  in  mi- 
seria. Allora  inventò  di  dar  quel  nuovo  spettacolo  sulla  riva  dei  Schiavoni,  che  bastava 
a  farlo  vivere,  se  non  bene,  mediocremente. 


128  MINUTI  -  MIUTTI 


Minuti  Barbara,  detta  in  Teatro  Florinda.  (V.  Biancolelli 
Orsola). 

Miti  Pompilio.  Bolognese.  Fu  un  buon  innamorato,  e  fece 
parte  della  Compagnia  del  San  Luca  a  Venezia.  Scrisse  il  1735 
Ottaviano  Trionfante  di  Marc  Antonio,  dramma-parodia,  che 
fece  rappresentare  da*  suoi  compagni  con  la  musica  del  Mae- 
stro Maccari.  Nel  '36  sostenne  con  molto  successo  la  parte  di 
Uranio,  maggior  sacerdote  di  Apollo  nella  tragicommedia: 
La  clemenza  nella  vendetta.  Rimasto  vedovo,  abbandonò  l'arte, 
e  vestì  l'abito  talare,  lascia?uio  -  dice  il  Bartoli  -  delle  azioni  sue 
una  fama  onorata,  e  morendo  in  quella  città  (Venezia)  per  lui 
tanto  benefica  nel  decorso  dell  anno  1^66. 

Miti  Vittoria.  Moglie  del  precedente,  attrice  bravissima 
per  le  commedie  improvvise,  sotto 'il  nome  di  Eularia.  Né 
men  brava  si  mostrò  nelle  opere  studiate  che  richiedevano 
slanci  di  passione.  Nella  parte  di  Eularia,  Principessa  de  Fog- 
giani, parte  seria  in  mezzo  alla  faceta  rappresentazione  JLa 
clemenza  nella  vendetta,  la  Miti  fu  ottima  e  lodatissima.  Ebbe  a 
seconda  donna  la  rinomata  Marta  Bastona.  Gianvito  Manfredi 
nel  suo  Attore  in  scena  dice  di  lei  :  si  distinse  la  celebre  non  meno 
che  saggia  ed  onesta  Vittoria  Miti,  detta  Eularia,  passata  all'altra 
vita  pochi  anni  sono,  da  me  più  volte  con  non  poco  stupore  ascoltata. 
Morì  in  Venezia  nel  1740,  non  tocchi  ancora  i  35  anni. 

Miutti  Francesco.  Figlio  di  un  ciabattino  di  Udine,  dove 
nacque  verso  il  1780,  fu  allevato  nel  mestiere  del  padre,  morto 
il  quale,  vagando  di  paese  in  paese,  or  questo  or  quello  frec- 
ciando, s' imbattè  in  una  piccola  compagnia  di  comici  che  lo 
accolsero  in  qualità  di  socio,  e  da  cui  fu  licenziato,  dopo  la 
prima  sua  comparsa  in  pubblico.  Lo  vediamo  in  capo  a  tre 
anni  amoroso  generico  in  Compagnia  Rossi,  poi  cinque  con  Pe- 
rotti,  secondo  e  primo  amoroso.  Dalla  Compagnia  del  Perotti, 
passò  in  quella  di  Antonio  Raftopulo  col  ruolo  di  secondo  ca- 
ratterista, poi  in  altra  secondaria  con  quello  di  prima  assohUo; 


MIUTTI  -  MODENA  129 


e  tanto  crebbe  in  rinomanza  collo  studio  indefesso,  col  ferreo 
volere,  e  colle  chiarissime  attitudini,  che  il  Perotti  lo  richiamò 
e  lo  tenne  con  sé  fino  alla  sua  mòrte,  accaduta  nel  1820.  Fu 
poi  in  Compagnia  di  Goldoni  e  Riva,  poi  di  Bon,  Romagnoli  e 
Berlaffa,  coi  quali  stette  più  anni,  applauditissimo  ed  amatis- 
simo sempre.  Percorse  dal  '45  al  '50  il  napoletano  e  la  Sicilia 
con  una  società,  di  cui  egli  era  capo.  Tornato  a  Napoli  vi  morì, 
non  ancora  compiuto  il  suo  settantesimo  anno,  lasciando  la  mo- 
glie Enrichetta,  mediocre  seconda  donna  e  madre,  poi  caratte- 
ristica, e  due  figliuole,  una  delle  quali,  la  Claudia,  che  sostenne 
per  alcun  tempo  il  ruolo  di  prima  donna,  ma  con  poca  fortuna, 
a  cagione  specialmente  del  fisico  né  bello,  né  simpatico.... 

Fu  il  Miutti  un  capo  ameno,  trascurato  piuttosto,  e  ga- 
stronomo per  eccellenza.  Non  vi  fu  Piazza,  nella  quale,  al 
momento  della  partenza,  non  trovasse  che  dire  pei  debiti  fatti 
con  questo  e  con  quell'oste.  A  Livorno  (in  quaresima  del  '22), 
la  signora  Perotti  dovè  pagare,  all'  oste  della  Pera,  quaranta 
francesconi  per  tanti  tordi  mangiati  dal  Miutti,  il  quale  era 
tenuto  in  ostaggio....  A  Napoli,  avuto  dal  capocomico  un  ma- 
gnifico soprabitone,  e  non  avendo  un  soldo  in  tasca,  per  certa 
merenda  che  s'era  proposto  di  fare  coi  compagni  Bon  e  Ro- 
magnoli, corse  alla  Villa  e  ne  vendè  le  lunghe  falde  a  un  rigat- 
tiere per  quindici  carlini,  coi  quali  potè  allo  Scoglio  di  Frisi 
far  la  sospirata  merenda.  Come  artista  ebbe  valore  incontesta- 
bile, e  Francesco  Augusto  Bon  scrisse  apposta  per  lui  parec- 
chie delle  sue  commedie. 

Modena  Giacomo.  Attore  insigne  in  ogni  genere  di  parti, 
ma  più  specialmente  in  quelle  di  padre  nobile  e  tiranno  tragico 
per  le  quali  si  aggiungevano  all'intelligenza  superiore  la  im- 
ponente e  proporzionata  persona,  la  robusta  e  pieghevole  voce, 
nacque  a  Mori  nelTirolo  italiano  da  poveri  montanari  il  1773. 
Si  recò  a  quindici  anni  a  Verona,  per  impararvi  il  mestiere 
di  sartore;  ma  innamoratosi  del  teatro,  entrò  in  una  piccola 
compagnia,  in  cui  dalle  ultime  parti  potè  salir  ben  presto  a 

17.  —  /  Comici  italiani.  Voi.  IL 


MODENA 


quelle  di  prima  importanza,  quali  di  padre  e  di  tiranno;  e  con 
tal  successo,  che  in  capo  a  pochi  anni  Io  vediam  già  nello  stesso 
ruolo  in  Compagnia  del  vecchio  Zanerini,  di  cui  potè  seguire, 


senza  servilità,  la  vecchia  scuola,  e  di  Maddalena  Battaglia 
(1795-96),  destando  a  Venezia,  al  San  Gio.  Grisostomo,  col- 
V  Ubaldo  nel  Galeotto  Manfredi  dì  Vincenzo  Monti,  specie  nella 
scena  del  quarto  atto  con  Zambrìno  e  Manfredi,  siffatto  entu- 
siasmo, che  se  ne  volle  la  stessa  sera  la  replica.  E  «  il  Carlo  XII 
nel  Carlo  XII  a  Bender  del  Federici,  e  X Enrico  Traslow  nel 
Federico  II.  mostrarono  -  dice  il  Teatro  mod.  app.  (voi.  Ili,  XXI)  — 
quanto  egli  fosse  capace  di  sostenere  i  più  sublimi  caratteri  e 


MODENA  131 


di  esprimere  le  più  veementi  passioni.  >  Grande  nella  parte  di 
Macmut  nella  trilogia  Goldoniana  La  sposa  persiana,  Ircana  in 
luì/a  e  Ircana  in  Ispaan,  fu  grandissimo  in  quelle  del  Sacerdote 
n^ Baccanali  e  del  Padre  n^ Elena  e  Gerardo  di  Pindemonte. 
Né  le  tragedie  di  Alfieri,  Saul,  Agamennone,  Oreste,  Virginia, 
Polinice,  Antigone,  Ottavia,  né  i  drammi  del  Metastasio,  Attilio 
Regolo,  Temistocle,  Catone  in  Utica,  ebbero  più  forti  interpreti 
di  lui.  A  questi  si  univan  V Abate  de  l'Epée,  il  Cugino  di  Lisbona, 
il  Ministro  d'onore,  il  Medico  olandese,  che  accrebber  nuova 
fama  all'artista  già  famoso.  La  robustezza  del  suo  petto  era 
tale,  ch'egli  potè  a  sessantacinque  anni  replicar  più  sere  il 
Saul  e  V Aristodemo;  quel  Saul,  nel  quale  egli  fu  sommo,  e  pel 
quale  vuol  la  leggenda  di  palcoscenico  ch'egli  si  mostrasse 
geloso  del  figlio  Gustavo.  Ma  è  da  credersi,  che  la  frase  a  lui 
detta,  se  pure  fu  detta,  quando  salì  sul  palco,  dopo  ascoltato 
il  Saul:  €  no  g'  ave  rispeto  gnanca  de  vostro  pare  >  ebbe  più 
un  tuono  di  amorosa  compiacenza,  che  di  sciocco  risentimento  ; 
dacché  pare  irrefragabilmente  provato  da  chi  lo  avvicinò,  che 
egli  fosse  d'indole  buona  e  avesse  un  amore  sviscerato  per  la 
famiglia  (sposò  il  1 801  la  valorosa  attrice  Luigia  Bernaroli  (V.), 
vedova  Lancetti,  da  cui  ebbe  due  figliuoli)  ;  e  che  la  serenità 
dell'uomo  e  la  coscienza  dell'artista  non  mai  venissero  meno 
in  lui,  mostrandosi  in  ognun  de' casi  (o  attore  stipendiato,  o 
socio,  o  capocomico  solo),  direttore  eccellente  e  galantuomo 
rarissimo.  Nei  sette  anni  di  esilio  di  Gustavo,  egli,  con  sacrifici 
di  ogni  maniera,  privandosi  quasi  del  pane  per  sé  e  i  suoi,  gli 
fu  largo  dì  soccorsi  in  Francia  e  in  Isvizzera,  sopportando  sem- 
pre con  rassegnazione  i  molti  dolori  che  per  tristizia  di  tempi 
ebbe  a  patire  nel  corso  non  breve  della  sua  vita.  Sazio  d'en- 
comi, e  ben  fornito  di  danaro,  pensò  di  lasciar  le  scene  per 
darsi  alla  vita  tranquilla  della  famiglia.  Ma  il  suo  riposo  non 
durò  che  sei  anni.  Costretto  dalla  sorte  a  riprender  la  via  del- 
l'arte, entrò  nella  Compagnia  Internari  (1823),  ove  stette  più 
anni,  festeggiato  e  acclamato.  Morì  a  Treviso  fra  le  braccia  del 
figlio  e  della  moglie,  in  tardissima  età. 


MODENA 


Lauro  Corniani  d'Algarotti  gli  dedicò  il  seguente 
SONETTO 

Ai  prischi  di  della  Superba  Roma 
Roscio  dal  palco  gli  animi  volgea, 
e  dai  signori  della  terra  doma 
alta  mèsse  di  plausi  allor  cogliea. 

De' più  gravi  pensier  posta  la  soma 
l'Anglo  al  teatro  cupido  movea, 
e  or  lieto,  or  irto  per  terror  la  chioma, 
dal  multiforme  Carrico  pendea. 

Modena,  e  tu  cosi  se  il  sire  argìvo 
micidìal  del  proprio  sangue  additi 
agli  atti,  al  viso  d'ogni  pace  schivo. 

E  pur  cosi  quando  del  Norte  ai  liti 
in  te  lo  Sveco  eroe  par  redivivo, 
e  le  sue  gesta  e  sua  fierezza  imiti. 


Modena  Gustavo.  Figlio  del  precedente;  il  più 
grande,  ÌI  più  completo,  per  comune  consenti- 
mento, degli  attori  del  nostro  secolo,  nacque  a 
Venezia  il  1 3  febbraio  del  1 803.  Iniziato  alle  let- 
tere nel  liceo  di  Verona  sotto  le  discipline  di 
.  -'Ilario  Casarotti,  passò  poi  a  studiar  legge  nel- 
'  l'Università  di  Padova.  Apertosi  il  1820,  quel 
teatro,  restaurato,  colla  Fedra  dell'Orlando;  di 
cui  eran  parti  principali  la  celebre  Grassini,  la  Pasta  e  De- 
begnis  basso,  egli  fu  dopo  reciproche  provocazioni  generate 
dal  divieto  agli  studenti  di  partecipare  alle  prove  degli  spet- 
tacoli, ferito  a  un  braccio  la  notte  del  25  giugno  così  gra- 
vemente, che  i  dottori  Fabris  e  Ruggeri  nel  lor  rapporto  lo 
dichiararono  in  pericolo  di  vita.  Dopo  un  mese  di  malattia, 
<  espulso,  —  dice  il  Leoni  (DeìtArte  e  del  Teatro  di  Padova. 
Ivi  '73)  -  per  la  colpa  d'essere  stato  ferito  dai  manigoldi  au- 
striaci, »  riparò  a  Bologna,  ove  si  laureò  avvocato,  recitando 
talvolta  co' filodrammatici  le  parti  ^\  primo  attore,  nelle  quali 


MODENA  133 


mostrava  di  riuscir  sommo.  Morto  Alessandro  Lombardi,  Sal- 
vator Fabbrichesi  pensò  di  sostituirlo  col  giovane  Gustavo,  il 
quale,  chiamato  a  Venezia  (1824),  esordì  colla  parte  di  David 
nel  Saul  di  Alfieri;  e  s'andò  man  mano  acquistando  tal  fama, 
che  poco  dopo  entrò  nella  Compagnia  di  Antonio  Raftopulo 
come  primo  attore. 

Formò  dopo  un  anno,  e  per  un  triennio,  una  fortunata 
società  col  padre  e  la  celebre  Carlotta  Polvaro;  e  abbiam  d'al- 
lora, al  Giglio  di  Lucca  (i  5  maggio  1830),  un  programma  par- 
ticolareggiato di  una  rappresentazione  straordinaria  di  spet- 
tacolo straordinario  con  colpi  di  scena  e  scenari  straordinari 
del  solito  pittore  della  compagnia  sig.  Pietro  Venier,  ecc.  Si 
trattava  della  Scimia  liberatrice  ossia  II  naufragio  del  capitano 
La  Peyrotise.  Il  protagonista  era  Gustavo  Modena,  Comandante 
la  flotta  francese  il  padre  Giacomo,  e  la  Scimia  Welenfeldt. 

Oltre  ad  essi,  la  Compagnia  contava  allora  tra'  suoi  prin- 
cipali artisti:  Andrea  Vitalliani,  Angelo  Venier,  Angelo 
PiSENTi,  Carlotta  Polvaro,  Adetjvide 
V1TALT.LANI,  Caterina  Venier,  ecc.,  ecc. 

Le  cose  procedevano  floridamen- 
te, quando  le  agitazioni  politiche  del's  i 
nello  Stato  della  Chiesa,  e  la  rivoluzione 
di  Bologna,  ove  Modena  trovavasi  la 
quaresima  con  la  Compagnia,  lo  fecero 
risolvere  ad  abbandonar  questa  per  ^ 
correre  a  difender  sui  campi  di  Rimini  jf 
la  libertà  d'Italia  contro  gli  austriaci. 
Vinti  i  liberali,  ei  dovè  riparare  in  Fran- 
cia. Tornò  il  '32  a  Bologna,  ma  i  fatti  ** 
di  Cesena  lo  ricacciarono  in  esilio:  e  fu  a  Brusselle  correttore 
di  stampe,  maestro  di  scuola  e  commerciante  di  maccheroni 
e  di  cacio  lodigiano  ;  poi  in  Isvizzera,  poi  di  nuovo  in  Francia, 
d'onde  tornò,  dopo  sette  anni  di  esilio,  a  riveder  la  patria  e 
i  parenti,  per  amnistia  del  nuovo  imperatore  austriaco  Ferdi- 
nando L  Comparve  allora  sulle  scene  del  Teatro  Carcano  di  Mi- 


134  MODENA 

lano  sotto  le  spoglie  del  divino  Alighieri,  declamandone,  svi- 
scerandone alcuni  canti,  fra  cui  di  Ugolino  e  di  Francesca,  che 
suscitaron  l'entusiasmo.  SÌ  unì  poi  a  varie  compagnie,  colle 
quali  dava  or  qui  or  là  poche  recite,  maturando  il  disegno  di 
formare  e  condurre  una  Compagnia  propria  di  giovani  forze 
da  avviare,  da  ammaestrare,  da  guidare:  e  la 
Compagnia  fu  fatta,  e  alcuno  de'  nuovi  accolti 
riuscirono  attori  splendidi.  Ammirato  e  amato 
come  artista  e  come  patriota,  percorse  il  Ve- 
neto e  la  Lombardia,  ove  potè  mettere  assieme 
una  mediocre  fortuna  ;  ma  quando  la  rivolu- 
zione di  Milano  preluse  a  quella  del  '48,  egli, 
chiamato  a  soccorrer  la  patria  del  suo  braccio 
e  del  suo  nome,  tutto  abbandonò  e  sacrificò, 
come  nel  '31  ;  e  fu  il  primo  a  entrare  in  Pal- 
manova  con  in  mano  spiegata  la  bandiera 
d' Italia.  Ma  rientrati  gli  austrìaci  vittoriosi  e  trionfanti  nel  Ve- 
neto, si  vendicaron  tristamente  di  lui,  atterrando  e  distrug- 
gendo la  cìisa  e  la  terra  ch'egli  aveva  in  Treviso,  frutto  del 
suo  ingegno  e  delle  sue  fatiche.  Esiliato  dalla  Lombardia,  dal 
Veneto,  dalla  Toscana,  dallo  Stato  Pontificio,  dal  Napoletano 
e  dalla  Sicilia,  dovè  rifugiarsi  nel  Piemonte,  ove  fino  al  '61 
restò,  percorrendone  le  varie  città  or  con  compagnie  rilevate, 
or  con  formate  di  nuovo.  Lo  vediamo  alla  fine  del  '58  all'Apollo 
di  Genova,  ove  diede  ìl  mercoledì  22  dicembre  un'ultima  rap- 
presentazione compresa  nell'abbonamento  del  carnevale  col 
dramma  dì  Delavigne,  Luigi  XL  Cacciati  ì  borboni  da  Napoli, 
deliberò  dì  presentarsi  colà  come  artista;  ma  cólto  da  un  males- 
sere generale  dovè  tornare  a  Torino,  ove,  sviluppatosi  il  male, 
cessò  dì  vivere  a  soli  cìnquantott'  anni,  il  2 1  febbraio  del  1 86 1 . 
Molte  cose  abbiamo  a  stampa  di  luì,  o  che  discorron  di 
lui,  uomo  politico  ed  artista;  e  principali  fra  esse: 

I.  U Istruzione  al  popolo  italiano  e  V Insegnamento  popolare 
di  Gustavo  Modena  «  scrittura  —  dice  il  Martini  (Giusti  studente 
in  Simpatie.  Firenze,  Bemporad,  igoo)  -  a  cui  l'enfMÌ  dello 


MODENA  135 

Stile  guerrazzeggiante  non  scema  vigore  e  non  toglie  effica- 
cia.» Vì€^  Insegnamento  popolare  egli  riferisce  il  sunto  che  ne 
fece  il  Lami  al  Presidente  del  Buon  Governo  e  ch'egli  dice 
fedele;  e  quella  parte  del  dialogo  riguardante  il  Canosa,  a 
proposito  della  quale  egli  sarebbe  incline  a  credere  che  Io 
spiedo  immaginato  dal  Modena  gene- 
rasse la  Ghigliottina  descritta  dal  Giu- 
sti {Ivi,  112,  113). 

II.  Tutta  l'opera  sua  nella  stampa 
della  Giovine  Italia. 

III.  V Epistolario,  che  doveva  es- 
sere raccolto  da  Mauro  Macchi,  se- 
condo afferma  il  Ricciardi,  e  pubblicato 
con  prefazione  di  Giuseppe  Mazzini, 
ma  che  vide  soltanto  la  luce  nel  1888 
per  opera  della  Commissione  editrice 
degli  scritti  di  G.  Mazzini,  col  quale  egli  eresse  a  sé  l'oraziano 
monumento  più  durevole  del  bronzo,  e  nel  quale  è  un'ampia 
e  bella  biografia  dettata  amorosamente  da  Ettore  Socci,  rile- 
vante in  ogni  sua  parte  la  grandezza  dell'affetto  che  a  lui  le- 
gava la  incomparabile  compagna  Giulia  Calarne  di  Berna,  che 
lo  aveva  sposato  fuggisco,  e  che  fu  —  dice  il  Mazzini  -  donna 
mirabile,  come  per  bellezza,  per  sentir  profondo,  per  devozione  e 
costanza  d'affetti  e  per  amore  alla  sua  seconda  patria;  corse  più 
tardi  ogni  pericolo  di  guerra  accanto  al  marito  nel  Veneto 

IV.  Una  lettera  al  celebre  attor  dialettale  Giuseppe  Mon- 
calvo,  meneghino,  nella  quale  sono  espressi  i  suoi  intendimenti 
d'arte,  e  le  vie  da  seguirsi  ad  arrestarne  il  precipitoso  decadi- 
mento, riprodotta  poi  dal  Bertolotti  nel  suo  studio  sul  Moncalvo. 

V.  Gustavo  Modena  e  l'arte  sua  di  Luigi  Bonazzi,  che  ha 
data  un'idea  abbastanza  chiara,  a  noi  che  non  avemmo  la  sorte 
di  sentirlo,  della  sua  artistica  grandezza. 

VI.  Un  capitolo  nelle  memorie  dì  Tommaso  Salvini,  inti- 
tolato :  Come  G.  Modena  istruiva. 

VII.  Una  conferenza  di  Adriano  Palombi  (Roma,  '99). 


136 


MODENA 


Vili.  Una  conferenza  di  Edmondo  De  Amids  {Speranze  e 
Glorie.  Milano,  Treves,  1900),  alta,  appassionata,  piena  di  fer- 
vore patrioti  co. 

IX.  Una  conferenza  di  Carlo  Zangarini  (Bologna,  Zani- 
chelli, igoo),  ov'è  tutto  l'entusiasmo  della  sua  gagliarda  gio- 
vinezza. 


E  alle  cose  già  edite  e  citate  aggiungo  oggi  due  lettere 
inedite  che  riferisco  intere:  la  prima  del  15  aprile  1845  da  Ber- 
gamo a  Mariano  Somigli  impresario  del  Cocomero,  oggi  Teatro 
Niccolini,  a  Firenze;  la  seconda  del  1°  febbraio  1848  da  Ve- 
nezia all'abate  Iacopo  Terrazzi  a  Bassano. 


Caio  Mariano, 
Mascherpa  ha  ragione  di  mettersi  ia  collera  con  Montazio.  Qaando  an  giornalista 
vaol  gridare  contro  la  meschinità  della  mise  m  scine,  deve  anche  dire  al  pobblico:  <  tu 
pubblico  asino  e  spilorcio,  che  dai  tanti  paoli  all'opera;  e  voi  accademie  orecchìnte  che 
per  l'opera  date  migliaja  di  scudi,  date  anche  alla  commedia  i  mezzi  di  decorare  la  scena.  > 
Ma  egli,  il  giomatitla,  comincia  dall'  abonarsi  con  due  crazie  per  recita,  tante  quante  ne 
dà  al  decrotteuT  per  polirgli  gli  stivali;  e  poi  grida:  arte,  arte!  -  aite  un  cazzo:  poveri 
saltimbanchi  che  vi  facciamo  i  baffoni  per  strappar  la  vita;  ecco  cosa  sono  i  comici.  -  Mi 
Ta  da  ridere  quando  parla  dei  Faigny  e  dei  Doligny,  e  altri  francesi:  quei  poveri  infelici, 
dopo  d'aver  divertito  il  colto  pubblico  italiano,  han  dovuto  far  delle  collette  per  tornare 


MODENA  137 


in  Francia;  e  qui  si  son  mangiati  gli  abiti,  i  bijoux,  le  camicie,  e. fin  le  unghie.  Io  ho 
seguitato  fino  a  pochi  mesi  addietro  a  spendere  e  spandere  per  decorare  le  produzioni  con 
una  esattezza  di  costumi  e  con  uno  sfarzo  ignoto  fino  ai  nostri  giorni  ;  e  qual  è  la  città 
che  me  ne  ha  tenuto  conto  ?  La  sola  Milano  :  senza  Milano,  io  fallivo.  Qui,  a  Bergamo, 
perchè  ho  messo  il  biglietto  a  una  lira,  m' avean  minacciato  di  fischiarmi  nei  pubblici  caffè. 
£  a  questo  proposito  il  pubblico  di  Firenze  è  forse  più  indietro  di  quel  di  Bergamo.  Itnparo 
da  te  che  Taddei  è  vivo:  non  ne  sapevo  nulla  da  lui.  Che  non  piaccia  a  Civitavecchia  è 
possibile  :  perchè  il  pubblico  di  Civitavecchia  non  avrebbe  da  esser  asino  ?  Lo  son  tutti. 

Il  Battaglia  vuol  fare  una  compagnia  per  il  suo  teatro  Re;  ma  in  questa  io  non 
entro  per  nulla.  M' ero  obbligato  a  far  tre  recite  per  settimana  in  Milano  colla  detta  sua 
compagnia,  se  egli  avesse  trovato  i  duecento  sovventori  che  chiedeva  nel  suo  prospetto 
stampato;  non  li  ha  trovati;  ed  io  mi  son  chiamato  sciolto.  -  Ho  già  licenziata  la  mia 
compagnia,  ed  ho  messa  in  libertà  la  quaresima  di  Padova,  e  colPultimo  di  camovalone  4$ 
in  46  finisce  il  mio  capocomicato.  Probabilmente  verrò  a  passar  Tanno  venturo  in  un 
villaggio  di  Toscana,  alla  campagna.  Battaglia  è  in  trattato  con  alcuni  de'  miei  artisti  :  colle 
Botteghini  madre  e  figlia,  colla  Sadowski,  con  Bellotti-Bon,  col  ragazzo  Vestrì  Angelo, 
e  con  Lancetti.  So  che  ha  scrìtto  alla  Santoni,  alla  Fusarìni,  perchè  vorrebbe  riunire  molte 
brave  donne  e  farle  lavorare  a  vicenda,  ma  a  questo  non  riuscirà  :  le  convenienze!!  -  In 
fin  dei  conti  io  credo  che  la  Compagnia  del  Battaglia  finirà  prima  di  cominciare  come  quella 
di  Ali  impresario  per  le  Smime.  Addio.  Saluta  tutti.  H  tuo  Modena 

Dammi  notizie  della  Intemari. 

II. 
Pregmo.  Sig.»"  Professore, 

Mi  ascrivo  ad  obbligo  il  dare  pronto  riscontro  al  gradito  di  Lei  foglio  28  spirato 
gennaio.  E  dopo  di  averle  resi  i  più  vivi  ringraziamenti  per  le  gentili  espressioni  che  in 
quello  Ella  si  compiace  dirigermi.  La  prego  di  voler  manifestare  a  cotesto  illustre  Ateneo 
i  sensi  della  mia  riconoscenza  per  l' onore  che  mi  ha  fatto  di  nominarmi  suo  Socio  corri- 
spondente. Mi  è  poi  di  grandissima  compiacenza  l'entrare  seco  Lei  in  tali  rapporti,  che 
mi  procureranno  il  piacere  di  conoscerLa  personalmente,  e  di  riconoscere  in  pari  tempo  il 
di  Lei  merito  anche  in  fatto  di  pubblico  insegnamento.  Frattanto  ho  il  vantaggio  di  potermeLe 
dichiarare  Obblmo.  Dcvmo.  Servitore 

G.  Modena. 

Grande  e  bella  figura  questa  del  Modena,  di  cui  non  sap- 
piam  bene  se  più  e  meglio  valesse  la  modestia  sincera,  l'arte 
potente,  o  il  patriottismo  caldissimo.  Leone  Fortis  delineò 
l'uomo  politico  nel  Capitan  cortese  del  12  aprile  '96  con  queste 
parole  : 

Fu  tutto  di  un  pezzo  :  repubblicano  sin  dalla  prima  giovinezza,  fiero  nemico  cosi 
dell'  oppressione  straniera,  come  di  qualunque  arroganza  anche  tribunizia  che  mirasse  ad 
imporsi,  sia  con  la  dittatura  della  piazza,  sia  con  quella  della  Reggia. 

Mi  ricordo  di  averlo  veduto  nell'Assemblea  Toscana  in  cui  era  deputato,  capitanare 
un  giorno  un  tentativo  di  rivolta  dell'Assemblea  contro  la  dittatura  di  Guerrazzi  -  dittatura 

18.  —  /  Comici  italiani.  Voi.  II. 


IJB 


MODENA 


a  U  Rappre- 


acre,  aipni,  igarbaU,  che  non  sdvava  nemmeno  le  Bpparenxe,  e  e 
■estanu  del  popolo  a  fcndisciate.  -  Il  tentativo  falli,  •  L'Assemble 
per  reggervi.  -  Il  dittatore  inipote  il  roto  di  fiducia  e  l' ottenne,  -  Ma  l' nrto  fra  i  doe 
nomini,  entrambi  di  ferro,  fra  1  dne  caratteri  irti  di  ponte  e  di  angoli,  fn  terribile.  -  Gtter- 
raxzi  rispoic  alla  interpellanza  di  Modeiu,  «ecco,  sdegnoso,  incondo,  e  cUnie  diceodo  ; 
E  eoli  Tiipvnd«  al  ditcora  recitato  (e  marcA  ipreuante  la  fìraae)  dal  DeftÈtaio  M«dtna, 
Modena  scatta  in  piedi,  rouo  in  viso  contro  il  no  «olito,  tremante,  schÌE»ndo  fuoco  dagli 
occhi:  Con^rmde  taUutieitt  àaeltnU  e  la 
raecolgQ.  Soffia  il  sipar  Guerra^  cht  io 
mi  itnt«  tanto  altero  di  rtcilart  la  tragedia 
al  Teatro  di  Borgognissattti,  guanto  tunilialo 
nel  prender  farle  a  questa  indigna  comme- 
dia di  Palaste  Vecchio. 

Gnerraizi,  dal  ino  banco  ministe- 
riale, pallido,  terreo,  mandando  lam^  di 
collera  dai  cristalli  del  suoi  occhiali  d'oro, 
irmppe  con  brotca  impazienza:  Non  feci 
allutieni;  -  non  si  accalori  coti.  È  tulio 

E  Modena  di  rimando  :  •  Risponderò 
a  lei  come  fu  gii  risposto  da  un  nomo  li- 
bero come  me  ad  on  grande  tiranno  -  ma 
ad  nn  tiranno  da  tragedia,  non  da  comme- 
dia, a  Napoleone  I  :  È  il  nostro  destino 
quando  si  parla  di  libertà  -  per  me  dì  ar- 
rossire, per  voi  dì  impallidire.  > 

L'Assemblea  andò  sossopra  -  Il  pub- 
blico batteva  fteneticamenle  le  mani. 
li  sentimento  dell'  onesti  e  della  rettitudine  prevaleva 
e  ai  rancori  personali. 


ra  uomo  di  passione,  ma 
1  lui  alla  passione  politit 


Nessuno  certo  potè  mai  più  di  lui  né  come  lui  suscitar 
l'entusiasmo  nel  popolo  affollato,  sia  si  mostrasse  sotto  le 
spoglie  di  Paolo,  sìa  dì  Luigi  XI.  sia  di  Saul,  sia  di  David;  o 
di  Adelchi,  o  di  Waìenstein.  o  del  Cittadino  di  Gand,  o  dì  Mao- 
metto, o  A'Icilio,  o  di  Remy.  o  dì  Raimondo,  o  di  Dante,  del 
quale  interpretava  (come  abbiamo  da  un  programma  di  sua 
beneficiata  al  Teatro  del  Giglio  di  Lucca,  la  domenica  7  giu- 
gno 1840,  in  Compagnia  Dorati),  Mino  —  Francesca  da  Rimini 

-  Cerbero  (Canti  V  e  VI),  Ladri  tramutati  in  scrfii  (Canto  XXV), 
Curio  ~  Il  Mosca  -  Bertram  del  Bornio  (Canto  XXVIII).  Fal- 
satori —  Maestro  Adamo  (Canti  XXIX  e  XXX).  Luci/ero  —  Bocca 

-  Ugolino  (Canti  XXXIl,  XXXIII,  XXXIV). 


Né  minore  entusiasmo  egli  suscitava  in  assurdità  incre- 
dibili come  quella  famosa  del  pugnale  infisso  con  gran  violenza 
sul  piano  della  tavola,  che....  doveva  essere  di  marmo.  Ma.... 
altri  tempi,  allora.  La  missione  del  teatro  non  era,  allora,  di 
mostrare  al  vivo  malattie  del  nostro  spirito  e  del  nostro  corpo, 
senza  ragione,  senza  concetto, 
senza  ideali;  o  di  intrecciar  paz- 
zìe e  bizzarrie  per  ridar  vita  alla 
nostra  fibra  addormentata.  C'era 
allora  una  patria  da  liberare; 
e'  era  un  popolo  da  educare,  da 
ingagliardire....  E  l'artista  e  il 
patriotto  insieme  si  servìvan  di 
ogni  mezzo  per  riuscir  nell'in- 
tento. Non  occupiamoci  ora  di 
stabilire  se  antiartistica,  o  poco 
logica,  o  addirittura  grottesca 
potesse  essere  l'apparizione  di 
Modena  sotto  le  spoglie  di  Dan- 
te, che  i  canti  ^^VC Inferno  decla- 
mava, immaginando  dì  improv- 
visarli e  dettEU-li  inspirato  a  un  giovinetto  seduto  a  un  lato  della 
scena....  Quel  che  più  cercasse  il  Modena  con  tali  declama- 
zioni, se,  cioè,  di  ravvivar  nelle  genti  l' amore  pel  grande  vo- 
lume, o  non  piuttosto  di  mostrar  loro  i  più  riposti  sentimenti 
politici  del  fiero  ghibellino,  non  sappiam  precisamente.  Ma  sta 
in  fatto  che  l'uno  e  l'altro  scopo  non  ottenner  dalla  cattedra 
tutti  insieme  gli  eruditi  espositori,  com'  egli  dalla  scena  al  po- 
polo infiammato. 

Dice  il  Leoni  eh'  «  egli  tutto  possedeva  tranne  la  perfetta 
voce.  Studente  ancora,  il  brutto  morbo,  figliastro  dell'amore, 
corrodendogli  le  cartilagini  nasali  deformò  il  suo  volto,  ch'era 
nobilissimo,  e  alquanto  fessa  rese  la  voce  che  avea  potente  e 
bella,  ond'  era  necessario  abìtuarvisi.  Le  forme  del  corpo  atle- 
tiche e  ferrea  tempra.  » 


I40  MODENA 


Di  tutte  le  parole  stampate  in  prosa  e  in  verso  a  onore 
del  sommo  italiano,  scelgo  la  seguente  ode,  d'altre  forse  men 
peggiore,  che  il  Dall' Ongaro  dettava  nel  giorno  che  Gustavo 
Modena  chiuse  le  sue  rappresentazioni  nel  Teatro  di  Palma, 
intitolato  poi  dal  suo  nome. 

No  -  non  è  roro  T  idolo, 
a  cui  sacra  gl'incensi,  e  innalza  un'ara 
la  mia  terra  materna  all'arte  cara. 

No,  della  gloria  il  palpito 

non  è  figlio  dell'or,  né  quel  desio 
ch'erge  al  Genio  teatri  e  templi  a  Dio. 

Ferve  nel  petto  agl'Itali 

più  nobil  foco,  e  ad  alte  opre  gli  appella 
l'amore  e  il  culto  d'ogni  cosa  bella. 

Questo  t'accende,  o  Modena, 
quando  rendi  a  Talia  l'antico  impero, 
e  mostri  come  il  bel  s'accoppi  al  vero. 

Questo  dettò  le  semplici 
norme  a  Colui  che,  del  tuo  plauso  degno, 
architettò  questo  gentil  disegno. 

E  già  sacro  l'invidia 

de' pedanti  lo  fece,  e  lo  consola 
l'eco  possente  della  tua  parola. 

Forse  l' industre  arteBce 
di  questa  nova  gloria  era  presago, 
quando  il  suo  circo  immaginò  si  vago. 

Or  nobil  premio  all'opera 

Sien  del  tuo  labbro  i  non  mentiti  encomj, 
e  il  Teatro  gentil  da  Te  si  nomi. 

Invano  si  reclamava  dalle  gazzette  più  autorevoli  un  mo- 
numento al  grande  artista  e  al  gran  cittadino,...  Invano  si  det- 
tavano iscrizioni  da  incidere  in  un  sasso  che  ne  ricordasse  ai 
posteri  il  nome  e  le  virtù.  Il  29  aprile  del  '900,  Torino,  rifugio 
dell'esule,  che  gli  fu  seconda  patria,  inaugurò,  per  l'opera  co- 


MODENA  - 


st^lnte  e  amorosa  di  Giu- 
seppe Cauda,  un  giorna- 
lista, che  dell'arte  del 
teatro  s'è  fatto  un  culto, 
il  sospirato  monumento, 
degno  lavoro  di  A.  Bi 
stolfi,  al  quale  porse  il 
saluto  della  patria  Enri- 
co Panzacchi,  e  sul  qua- 
le sono  incise  queste  de- 
gne parole  di  A.  Graf  : 

mOEGNO    I    PER    CARITÀ   DI 
A  I  PER  INTEGRITÀ.  DI  VITA  | 


A  MAGISTERO 
RITA  DI  VIRTÙ 


uoai.  I  tS03-iS6i. 

Moncalvo  Giusep-  . 

pe.  Artista  celebre  nella 
maschera  milanese  del 
Meneghino,  giudicato 
dal  Vestri  la  verità  per- 
sonificata; ammirato  e 
stimato  da  Gustavo  Mo- 
dena (V.)  che  gli  dires- 
se lettere  su  argomenti 
d' arte,  capocomico  fa- 
moso, a  cui  fecer  capo 
nel  loro  inizio  artisti  sommi  ed  egregi,  quali  la  Ristori,  la 
Sadowski,  la  Robotti,  la  Lipparini,  Bellotti-Bon,  Gaspare  Pieri, 
Ernesto  Rossi,  Carlo  Lollio  ed  altri,  nacque  a  Reggio  d'Emi- 
lia il  4  luglio  del  1781  da  Carlo,  dentista  chirurgo  milanese. 


142  MONCALVO 


e  da  Antonia  Cianici.  Fuggì  a  diciotto  anni  dalla  casa  paterna, 
ed  esordì  ad  Abbiategrasso.  Nel  1804  recitò  al  Teatro  Got- 
tardi  di  Vercelli,  poi,  l'autunno,  a  Magenta,  formando  Tanno 
dopo  una  compagnia  regolare  in  società  con  G.  B.  Pucci  e  Carlo 
Dondini,  della  quale  era  anche  primo  attore.  Richiamato  dal 
padre  a  Milano,  ove  gli  fu  permesso  di  alternar  V  arte  della 
scena  con  la  professione  paterna,  istituì  filodrammatiche  so- 
cietà, di  cui  egli  era  esperto  direttore,  recitandovi  con  successo 
parti  di  tragedie  alfieriane,  quali  di  Filippo,  di  Agamennone,  di 
Egisto,  ecc.  Fattosi  capocomico  nel  '19,  trovò  la  maschera  del 
Meneghino,  resa  popolare  da  Gaetano  Piomarta,  che  il  Mon- 
calvo  in  breve  emulò  e  superò,  più  commerciale  della  tragedia; 
e  se  ne  servì,  nobilitandola  a  segno  da  sostituirla  alle  parti  ca- 
ratteristiche delle  opere  classiche,  come  ad  esempio  del  Curioso 
accidente,  del  Burbero  benefico,  del  Filosofo  celibe,  de^VInnamo- 
raii,  ecc.  Diventò  direttore  della  Compagnia  Guarna,  poi  di 
quella  Ciarli,  passando  dal  Carcano  al  Lentasio,  e  da  questo 
alla  Stadera,  per  metter  finalmente  il  piede  sulle  scene  delTari- 
stocratico  Teatro  Re,  ove  fu,  come  dovunque,  acclamatissimo. 
Quindi  i  trionfi  del  Moncalvo  non  ebber  più  tregua.  Fu  in  Pie- 
monte, nel  Genovesato,  negli  Stati  Estensi,  nelle  Romagne,  e 
la  stampa  d'allora  lo  chiamava  la  delizia  universcde.  Natural- 
mente egli  ebbe  comuni  coi  grandi  stenterelli  le  scurrilità,  le 
bottate  al  governo,  e  le  prigionìe.  Ma  queste  diventavan  quasi 
una  celia,  confortate  dall'ammirazione  sconfinata  per  l'incom- 
parabile artista,  la  quale  su  tutti  gli  profuse  in  privato  episto- 
lario e  su  per  le  gazzette  Angelo  Brofferio,  di  cui,  metto  qui 
il  brano  seguente  : 

Ti  ringrazio,  o  mio  buon  Moncalvo,  lume  e  splendore  dei  Meneghini^  ti  ringrazio 
dell'oblio  che  spargi  sulle  mie  pene,  del  sorriso  che  chiami  sulle  mie  labbra,  della  sere- 
nità che  trasfondi  nel  mio  cuore.  O  sia  che  servitore  in  Venezia  tn  ti  accinga  al  servizio 
di  due  padroni^  o  sia  che  barbiere  in  Gheldria^  tn  abbia  la  lingoa  più  affilata  del  rasoio, 
o  sia  che  scudiere  in  Benevento  ta  t' involga  nel  concistoro  delle  streghe^  sempre  spon- 
taneo, sempre  spiritoso,  sempre  giocondo,  tn  semini  la  gioia,  tu  ecciti  gli  applausi,  tu 
desti  1'  ammirazione.  O  quanti  attori  che  calzan  coturno  e  veston  manto,  debbono  umi- 
liarsi dinanzi  alla  tua  modesta  livrea!  O  quanti  Edipi,  quanti  Eteodi,  quanti  Filippi, 
quanti  Agamennoni  si  terrebbero  fortunati  di  essere  Meneghini!  Né  fu  colpa  del  destino. 


MONCALVO 


>43 


Tebe,  e 


■  Keltk,  (e  tn  ti  aggiri  nri  trivii  di  Milano, 
lotto  le  mank  di  Troi*.  Tu  potevi  *Tete  na  ti 
inninzi,  o  filosofia,  ed  ammirate  i  Ma  le  la  tua  parte 
o  Moncalvo,  peuando  «I  Itia  degli  Eroi.  Eteocle  fa 
uccisa  dalla  coiuorte,  Edipo  ha  ucciso  il  padre, 
Filippo  ha  Dcciao  il  figlio,  e  Menegliiiio  non 
ebbe  mai  kllro  nemico  che  U  mestizia  de'  snoi 
uditori.  Ah  1  ta  eri  il  mio  Eroe  ;  tu  sri  la 
gemma  degli  Eroi. 

Prosegui  sniinosamente  nella  lieta  pale- 
stra. Ti  sorrida  costante  la  fortuna,  come  lai 
costantemente  sorridere  la  platea;  e  le  avvertii 
(aht  mai  non  avvenga!)  che  l'oro  ti  dichiari  la 
gaerra,  tn  allora,  novello  stoico,  appagati  degli 
applaoii....  ma  tn  aogghigni,  e  mi  dici  che  gli 
appianai  sono  una  moneta  in  commercio  non  ri- 
cevala.... ebbene  recita  allora  le  trmtatri  di- 
sgrtait  di  Maugkine..,.  e  non  aia  il  mìo  arti- 
colo la  trentesima  qnarta. 


ti  che  aggirarti  nelU  Reggia  di 
I  e  scegliesti  nn  pagliaio.  Fatevi 
1  k  qaella  d'nneroe,  consolati, 
iso  dal  fratello,  A^mi 


"^^     ^9n.e^^' 


E  mi  par  dovrebbero  ba- 
stare queste  parole  a  dar  l'idea 
esatta  dell'arte  del  Moncalvo  e 
del  fascino  eh'  egli  esercitava  sul 
pubblico.  Quanto  al  Meneghino, 
egli  s'adontava  ogni  qualvolta  gli 
si  desse  il  nome  di  maschera....  e 
lo  si  mettesse  in  mazzo  con  Ar- 
lecchino, Brighella  e  Pantalone. 
«Meneghino -egli diceva- è  ca- 
rattere e  non  maschera,»  e  Am- 
brogio Curti,  da  cui  tolgo  le  presenti  parole,  aggiunge:  «ed  io 
credo  fosse  proprio  nel  vero,  perocché  egli  fosse  la  sintesi  fe- 
dele del  carattere  milanese  o  piuttosto  ambrosiano,  che,  per  il 
confluire  nella  mia  città  di  tanti  diversi  elementi  d' ogni  popo- 
lazione d'Italia,  si  va  ogni  dì  piìl  perdendo.» 

Alcuni  fecer  derivare  Ìl  nome  di  Meneghino  da  Dome- 
nico, altri  da  omeneghino,  piccolo  uomo:  altri  ancora  da  Me- 
nechino,  come  s'usò  per  erronea  lettura  chiamare  I Menechinì. 
facendo  risalire  il  nostro  tipo,  non  so  con  quali  argomenti,  alla 
Commedia  plautina. 


144  MONCALVO 


Nel  Mattino  di  Napoli  dell'  1 1  agosto  '97  un  abbonato  mi- 
lanese dice  che 

Meneghino  trae  la  sua  orìgine  da  Domenica,  essendoché  era  uso  in  Milano,  nei 
secoli  passati,  di  chiamare  in  servizio,  per  tutta  la  giornata  di  Domenica,  nn  nomo  del 
popolo,  il  quale  si  prestava  al  disimpegno  di  molteplici  faccende,  acconciandosi  anche  a 
fungere  da  servo  straordinario.  E  poiché  quell'  uomo  del  popolo  era  di  solito  sollazzevole 
e  burlone,  ed  era  al  fatto  di  tutti  gl'intrighi  e  degli  avvenimenti  del  quartiere,  intorno 
ai  quali  emetteva  giudizi  pieni  di  acume  e  di  sale;  cosi  si  affibbiò  il  nomignolo  di  Me- 
neghino alla  maschera  del  popolo  milanese,  nella  stessa  guisa  che  si  battezzò  col  nome 
di  Pulcinella,  la  maschera  del  popolo  napoletano. 

Comunque  sia,  il  Meneghino  personaggio  comico,  ed  esclu- 
sivamente milanese,  apparve  la  prima  volta  su  le  scene  in  com- 
pagnia di  Donna  Quinzia,  Beltramina  e  Taresca,  per  opera  di 
Carlo  Maria  Maggi,  al  cader  del  secolo  xviii. 

Giuseppe  Moncalvo  ebbe  due  mogli:  Maria  Bonetti,  la 
prima,  figlia  di  Francesco  e  di  Teresa  Proverbio,  nata  a  Mi- 
lano nel  1785,  e  quivi  morta  nel  1843,  con  cui  condusse  vita 
tormentosa;  e  Giovanna  Roveda  di  Carlo  e  Maddalena  Ros- 
setti, nata  a  Torino  nel  1805,  con  cui  visse  amorosamente,  e 
che  a  lui  sopravvisse. 

Troppo  ci  vorrebbe  a  metter  qui  le  testimonianze  della 
grandezza  e  bontà  del  Moncalvo.  Scrisser  di  lui  distesamente 
il  Ghislanzoni,  il  Regli,  il  Brofferio abbiam  lettere  di  Ade- 
laide Ristori,  di  Ernesto  Rossi,  di  Alamanno  Morelli e 

poesie  di  ogni  specie,  fra  di  cui  una  Cantata  di  addio  del  '33 
a  Torino,  dalla  quale  apprendiamo  com'egli  recitasse  in  ita- 
liano il  D.  Ippolito  nel  Filosofo  celibe  del  Nota,  riscuotendovi  gli 
universali  applausi.  Ma,  pur  troppo.  Toro,  come  accennava  il 
Brofferio,  gli  mosse  la  guerra.  Aveva  preso  in  affitto  il  Teatro 
della  Commenda,  e  restauratolo  ed  abbellitolo,  lo  andava  ce- 
dendo alle  varie  compagnie,  mettendo  per  condizione  di  con- 
tratto una  recita  a  suo  beneficio,  alla  quale  egli  avesse  preso 
parte.  Per  tal  modo  egli  vide  la  luce  della  ribalta  a  poco  men 
che  ottant'anni;  e,  se  non  miseramente  per  merito  della  seconda 
moglie  che  mise  un  freno  alle  inconsulte  dissipazioni,  non  certo 
quale  avrebbe  potuto,  morì  in  Milano  il  29  di  agosto  1859. 


MONCALVO  -  MONTI  145 

Di  lui  si  hanno  alcune  notiziole  biografiche,  pubblicate 
nel  '58,  delle  quali  principalmente  si  servì  il  Bertolotti  nel  di- 
stender la  vita  deir  artista  (Milano,  Ricordi). 

Monti  Giuseppe.  Bolognese.  Era  il  secondo  vecchio,  cioè 
Dottore,  della  Compagnia  di  Giuseppe  Imer,  che  poi  abban- 
donò per  recarsi  a  Napoli  col  figlio  Tommaso;  e  di  lui  scrisse 
Carlo  Goldoni  nel  volume  XIII  dell' ediz.  Pasquali: 

Sosteneva  egli  mirabilmente  nn  tal  personaggio,  ma  riusciva  ancor  meglio  nel  ca> 
rattere  di  Petronio,  San  Petronio  è  il  santo  protettore  de'  Bolognesi,  e  moltissimi  di  loro  si 
chiamano  con  tal  nome  ;  onde  il  celebre  Alessandro  Tassoni  nella  Secchia  Rapita  volendo 
parlare  de' Bolognesi,  li  chiama  i  Petronj.  Questo  personaggio  rappresenta  ordinariamente 
nn  buon  bottegajo,  e  per  lo  più  un  maestro  lavoratore  di  canapa,  di  che  abbonda,  più  che 
d'altro,  quel  Territorio.  Figurasi  un  Uomo  di  buona  fede,  facile  a  lasciarsi  ingannare, 
ed  è  quasi  sempre  nelle  Commedie  dell'  arte  lo  scopo  delle  furberie  del  Brighella,  delle  im- 
pertinenze dell'Arlecchino,  e  della  derisione  degli  amorosi. 

Monti  Tommaso.  Bolognese,  figlio  del  precedente.  Lo 
v^dSzxviJerzo  amoroso  nella  Compagnia  di  Giuseppe  Imer;  e  dice 
il  Goldoni  eh'  egliyi^  cattivo  comico  finché  fece  la  parte  dell'amo- 
roso, e  che  poi  divenne  eccellente,  quando  dopo  la  morte  di  suo 
padre  prese  la  maschera  del  Dottore,  nel  guai  Personaggio  la  sua 
grassa  e  goffa  figura  non  disdiceva,  ami  lo  rendeva  di  piacevole 
caricatura.  Anche  il  Bartoli  dice  che  travagliò  con  molto  spirito 
nella  maschera  del  Dottore  e  fu  conosciuto  per  un  ottimo  comme- 
diante. Sposò  la  figliuola  Angela  all'arlecchino  Gabriele  Co- 
stantini (V.),  col  quale,  uscito  dall'  Imer,  fu  a  Napoli  al  servizio 
di  Don  Carlo.  Passò  poi  a  Venezia  nella  Compagnia  di  Giro- 
lamo Medebach,  e  in  essa,  passando  a  Milano,  morì  la  prima- 
vera del  1757. 

Monti  Carlo.  Bolognese,  figliuolo  del  precedente,  recitava 
le  parti  d^ innamorato,  alternando  l'arte  del  comico  con  quella 
della  pittura,  nella  quale  riuscì  ritrattista  mediocre.  Fu  con  la 
Compagnia  di  Gaetano  Romagnoli,  al  posto  di  Nicola  Petrioli 
che  n'  era  fuggito,  poi  con  quella  di  Domenico  Bassi.  Mortagli 
la  prima  moglie,  s'abbattè  il  1 765  in  una  fanciulla  di  Cremona, 


19.  —  /  Comici  italiani.  Voi.  II. 


146  MONTI 


per  nome  Teresa  (V.  Avelloni-Monti  Teresa),  la  quale,  sposa- 
tala, educò  alla  scena  con  molto  profitto.  Ma  la  sciagurata 
compensò  T  appassionato  marito  coU'abbandonarlo;  sì  che,  non 
potendo  egli  farsi  una  ragione  del  perduto  amore,  si  uccise  a 
Sarzana  Tanno  1778,  gettandosi  in  un  pozzo.  Né  men  celebre 
divenne  la  moglie  per  essersi  gettata  in  mare  a  Livorno,  come 
racconta  il  Piazza  nel  suo  Teatro: 

Bravi  un'altra  donna  in  quella  Compagnia,  che  si  rese  poi  celebre  nella  Comica 
storia,  per  un  salto  da  grottesca  che  fece  dal  molo  di  Livorno,  con  intenzione  di  non 
fame  altri  mai  più.  La  serbò  in  vita  un  marinaio,  che  trovavasi  in  uno  schifo,  vicino  al 
sito  dove  gettossi,  afferrandola  alla  gonnella.  Chi  dice  che  fu  Amore  cagione  di  quello 
sproposito;  chi  una  disperazione  per  mancanza  di  soldi;  e  chi  per  essersi  offesa  di  una 
imputazione  non  meritata.  Ella  è  una  comica  da  poter  farsi  onore,  e  se  nelle  Tragedie 
imparasse  meglio  a  gestire,  assai  più  sarebbe  stimabile. 

Monti  Pietro.  Fratello  di  Carlo,  artista  di  qualche  pregio 
per  le  parti  d' innamorato,  recitò  in  varie  compagnie  vaganti,  e 
fu  diversi  anni  con  Giuseppe  Lapy  al  Sant'Angelo  di  Venezia, 
che  poi  lasciò,  per  andare  a  recitare  in  compagnie  di  minor 
conto.  Viveva  ancora  fuor  dell'arte  a  Venezia  nel  1781. 

Monti  Pietro.  Nato  a  Roma  il  1 799,  vi  perde,  bambino,  la 
madre,  e  dovè,  giovinetto  appena,  seguire  il  padre  in  Sicilia,  che 
era  maestro  di  caisa  di  una  famiglia  d'inglesi.  Nei  moti  popolari 
di  Palermo,  gli  fu  assassinato  il  padre,  e  la  famiglia  inglese  prese 
la  fuga  su  di  una  nave  mercantile.  Solo,  caduto  nella  più  squal- 
lida miseria,  il  giovinetto  Pietro  si  offerì  ai  trionfatori  in  qualità 
di  tamburino,  per  fuggir  poi  anch' egli  alla  prima  occasione  su 
di  una  nave  che  lo  portò  a  Civitavecchia,  d'onde  recossi  pede- 
stre a  Roma.  Si  conta,  che  privo  di  mezzi  per  pagarsi  il  più 
misero  alloggio,  dormisse  il  più  delle  volte  accovacciato  in 
qualche  nicchia  di  chiesa,  mancante  della  statua.  Venuta  in 
Torino  la  Real  Compagnia  Sarda,  il  giovinetto,  che  alla  man- 
canza assoluta  dell'istruzione  sopperiva  colla  svegliatezza  della 
mente  e  colla  fierezza  dei  propositi,  si  presentò  al  primo  attore, 
Camillo  Ferri,  ofifrendosegli  come  servitore.  Fu  accettato;  e 


tanta  misericordia  destò  in  lui  coi  racconti  delle  sue  avventure, 
e  tanta  stima  si  procacciò  coU' obbedienza  e  col  lavoro,  che  il 
Ferri  lo  condusse  nell'altre  città,  avendoselo  più  amico,  che 
servo.  L'amore  pe'l  teatro  gli  si  andò  sviluppando  a  grado  a 
grado,  e,  quando  il  suo 
ufficio  gliel  comportava, 
stavainchiodato  alle  quin- 
te, pendendo  dalle  labbra 
degli  artisti,especialmen- 
te  del  suo  padrone.  Ora 
accadde  che  una  sera  il 
Ferri,  a  ora  tarda,  scrisse 
non  potere  in  alcun  modo 
recitare  per  sopravvenu- 
ta indisposizione:  la  qual 
cosa  mise  in  impìccio  non 
lieve  il  capocomico  Bazzi 
che  non  avrebbe  voluto 
mutar  lo  spettacolo,  né  sa- 
peva a  quell'ora  in  qual 
modo  rimediare.  S' offrì  il  Monti  di  sostituire  il  Ferri  :  e  alle 
meraviglie  e  obbiezioni  degli  artisti  rispose  con  tal  sicurezza, 
che  ne  fu  fatto  l'ardimentoso  esperimento,  con  riuscita  ab- 
bastanza buona.  La  commedia  recitata  fu  Paolo  e  Virginia,  e 
dice  la  cronaca  che  il  servo  si  mostrasse  assai  più  in  carat- 
tere del  suo  padrone.  Da  quella  sera  cominciò  la  vita  artistica 
di  Pietro  Monti.  Gli  sì  afìidaron  partì  di  generico  e  di  secondo 
amoroso:  e  si  notaron  subito  le  sue  attitudini  spiccate  alla 
scena.  XÌ2I  secondi  amorosi  passò  si  primi,  finché,  nel  1835,  spo- 
sata Giulietta  Alberti,  sorella  del  brillante  Adamo  (V.),  entrò 
con  lei  e  col  cognato  nella  Compagnia  dei  Fiorentini,  per  so- 
stituirvi r  egregio  amoroso  Giovan  Battista  Gottardi  (V.),  di 
cui  non  potè  sì  facilmente  cancellar  la  memoria,  a  cagione,  in 
ispecie,  della  voce  aspra  e  nasale.  E  si  narra  che  una  sera,  non 
dandogli  più  l' animo  di  sopportare  la  manifesta  avversione  del 


148  MONTI 


pubblico,  fattosi  alla  ribalta,  invocò  pietà  e  misericordia  ;  e  lo 
fece  con  tal  garbo  e  con  tal  commozione,  che  l'avversione  si 
mutò  di  subito  in  indulgenza,  e  d' allora  Pietro  Monti  diventò 
il  beniamino  del  pubblico.  Toltosi  dalla  società  il  Tessari,  col- 
pito d' apoplessia  il  Visetti,  V  impresa  venne  assunta  da  Pre- 
piani, Monti  e  Alberti,  assumendo  il  nostro  artista  per  la 
prima  volta  il  ruolo  di  primo  attore  assoluto,  che  sostenne 
con  clamorosi  successi  fino  al  '49,  nel  quale  anno  fu  colto  da 
alienazione  mentale,  che  lo  condusse  in  breve  tempo  a  morte. 
Di  lui  scrisse  Michele  Cuciniello,  uno  de' fortunati  autori  che 
Tebber  felice  interprete  delle  loro  opere. 

Pietro  Monti,  completamente  illetterato,  che  l'avventurosa  sna  adolescenza  gli  aveva 
chiasa  ogni  via  da  istruirsi,  fu  nondimeno  un  artista  drammatico  più  ancora  prodigioso 
che  egregio.  Egli  non  era  stato  fatto  artista  dallo  studio,  ma  creato  tale  da  Dio  ;  e  però 
di  quanto  il  genio  soprasta  gì'  insegnamenti  delle  scuole,  di  tanto  il  Monti,  nel  signoreggiar 
gli  animi  dei  suoi  spettatori,  superò  gli  altri  artisti.  Regolari  ed  espressivi  furono  i  linea- 
menti del  suo  volto,  vivi  gli  occhi  e  nerissimi,  proporzionate  ed  armoniche  le  forme  della 
persona,  e  la  sua  voce,  la  quale  nella  conversazione  comune  era  d'un  metallo  piuttosto 
spiacevole,  nei  momenti  poi  di  passione  e  di  concitamento  di  affetti  acquistava  tanta  dram- 
matica energia,  metteva  tali  suoni,  da  scuotere  prepotentemente  le  fibre  dei  suoi  uditori. 
-  Quando  un  carattere,  un  personaggio,  lo  avevano  commosso  ed  interessato.  Monti  non 
temeva  rivali  nell'  immaginarselo  col  pensiero  e  nel  dargli  una  forma  sulla  scena.  Egli  allora 
non  fingeva  più;  ma  per  uno  sforzo  di  fantasia,  di  cui  solo  conosceva  il  segreto,  s'im- 
medesimava, si  trasfigurava  nel  personaggio,  che  aveva  preso  a  ritrarre,  illudeva  in  somma 
sé  stesso  prima  d' illudere  gli  altri  ;  e  quindi,  piangendo,  tremando,  rallegrandosi  davvero, 
senza  obliar  mai  quel  bello  ideale,  che  la  mano  stessa  del  Bello  eterno  gli  aveva  stampato 
nell'anima,  costringeva  gli  spettatori  a  piangere,  a  tremare,  ad  allegrarsi  con  lui.  -  Era 
tanta  la  potenza  del  Monti  nel  trasfondere,  dirò  cosi,  in  sé  stesso  il  soggetto  da  lui  rap- 
presentato, che  spessissime  volte,  calato  il  sipario,  egli  rimaneva  come  stupito  e  fuori  di 
sé,  e  visibile  era  il  suo  sforzo  per  passar  da  quella  esistenza  creatasi  con  la  fantasia,  nel- 
l'esistenza sua  propria. 

A  queste  parole  vanno  unite  alcune  sestine  pur  -del  Cuci- 
niello, di  cui  riferisco  le  due  ultime  : 

Addio,  bell'alma,  addio,  prodigio,  a  cui 
Volle  il  del  rivelare  e  donar  tutto 
Queir  incanto  e  queir  arte,  che  in  altrui 
Sol  di  vigilie  e  di  sudor  son  fruttò; 
Dono  fatai  però^  che  consumava 
Come  fiamma  quel  petto,  che  animava: 


MONTI  149 


La  farfalla  così,  l'ala  agitando, 

Spezza  r invoglio,  in  cui  prigion  giacca; 
Cosi  af&lato  adamantino  brando 
Logora  la  guaina^  che  il  chiudea; 
E  la  perla,  che  al  genio  s' assomiglia, 
Rode  cosi  la  povera  conchiglia. 

E  neir  Omnibus  di  Napoli  del  1 4  gennaio  1 84 1  a  proposito 
deir  interpretazione  dello  Chatterton  di  M.  Cuciniello,  P.  Vac- 
caro  Matonti  scriveva: 

all'  effetto  ed  al  saccesso  gran  parte  vi  ha  tenuta  Monti,  del  quale  artista  sa- 
rebbe ingiustizia  non  promulgare  soprattutto  il  suo  ardente  zelo  nelle  parti  che  esprimono 
affetti  e  sentimenti  di  forte  esaltamento  ;  egli  non  simula  per  arte  il  carattere  che  sostiene, 
ma  se  ne  infiamma  tanto  che  va  a  discapito  della  propria  salute  :  bel  sacrifizio  in  vero  che 
egli  tributa  all'  arte  suél,  e  per  la  quale  si  fa  tanto  pregiare  ed  amare  da  tutti. 

Un  degli  ultimi  tratti  di  follia  che  determinaron  la  sua  en- 
trata neir  ospedale  de' pazzi  d%^ Ponti  Rossi,  ci  è  raccontato  dal- 
l'artista Luigi  Aliprandi  che  del  Monti  fu  lungo  tempo  collega: 

Cominciò  a  dire  e  sostenere  che  il  Re  Ferdinando  II  lo  aveva  nominato  Diret- 
tore dei  due  R.  Teatri,  San  Carlo  e  Fondo;  e  che  nessun  Cantante,  Ballerino  o  Suonatore 
vi  sarebbe  scritturato  senza  il  di  lui  consenso.  In  tale  illusione  si  presentò  una  mattina  al 
Palazzo  Reale  per  voler  parlare  a  Sua  Maestà.  H  portinajo  ignorava  lo  stato  della  sua 
mente,  e  gli  disse  che  il  Re  era  in  colloquio  col  ministro.  Egli  rispose  :  ebbène,  lo  aspet- 
terò. Accostatosi  al  letto  del  portinajo,  si  tolse  in  un  lampo  le  scarpe  ed  il  vestito  e  si 
cacciò  fra  le  lenzuola.  Di  tal  fatto  si  mandò  avviso  al  cognato  Alberti,  il  quale  si  recò 
colà  in  compagnia  di  un  medico  amico,  e  lo  fece  subifo  rivestire  dicendogli  che  il  Re  lo 
attendeva  al  R.  Palazzo  di  Capodimonte.  Lo  posero  in  una  carrozza,  avviandosi  per  quella 
via,  ma  poi  lo  condussero  all'ospedale  dei  pazzi,  detto  de' Ponti  Rossi,  mentre  lo  scia- 
gurato andava  ognor  ripetendo  di  voler  discorrere  al  Re. 

Monti  Ltiigi.  Figlio  del  precedente  e  di  Giulia  Alberti, 
nacque  a  Napoli  del  1836.  Esordì  generico  giovine  in  Compa- 
gnia di  Alberti  e  Colomberti  dJ Fiorentini,  e  fu  sì  rapido  il  suo 
progredir  nell'arte,  mercè  una  naturale  attitudine,  ma  più  an- 
cora lo  studio  indefesso,  che  nel  '61  si  recò  a  Brescia  a  rag- 
giungervi la  Compagnia  Morelli,  della  quale  era  il  tìmovo  primo 
attor  giovine  assoluto.  Non  andò  lungo  tempo  eh'  egli  al  fianco 
di  Pia  Marchi,  fu  proclamato  il  più  grande  de' nostri  amorosi: 
che  se,  forse^  a  lui  mancarono  gli  slanci  potenti  della  passione, 


di  cui  tanto  ricco  era  il  Lavaggi,  nessuno  mai  potè  aggua- 
gliarlo né  accostarglisì  per  la  delicatezza  del  sentimento,  la 
soavità  della  dizione,  l'aristocrazia  de'modì.  La  Fragilità  e  la 
Verità  del  Torelli,  il  Romanzo  di  un  giovane  povero  del  Feuillet, 
il  Giovanni  Baudry  del  Vacquerìe,  i  Sogni  £  amore  dello  Scribe, 
il  Figlio  di  Giboyer  di  Augier,  il 
Figlio  naturale,  il  Demimonde  e 
V Amico  delle  donne  di  Dumas  fi- 
glio, e  altri  molti  lavori  d' indole 
più  disparata,  uscivan  dall'arte  di 
Luigi  Monti,  di  Pia  Marchi,  di  Ala- 
manno Morelli,  trasfigurati.  Stette 
Luigi  Monti  nove  anni  in  quella 
compagnia,  per  assumere  il  ruolo 
ài  primo  attore  assoluto  nella  nuova 
società  Pezzana,  Romagnoli  e  Pri- 
vato.... e,  dopo  un  triennio,  di/rt- 
mo  attore  e  direttore  nella  Compa- 
gnia n.  2  di  Fanny  Sadowski.  Fu 
a  codest' epoca  che  Luigi  Monti 
mise  in  iscena  V Amleto,  nel  quale  si  rivelò  Ìl  più  intelligente 
de' nostri  artisti.  Nell'interpretazione  del  Nerone  di  Pietro 
Cossa  toccò  le  più  alfe  cime,  non  ostante  la  esiguità  della 
figura  e  della  voce.  Io,  allora  in  sua  compagnia,  ricordo  le  ma- 
gistrali interpretazioni  de'  Vassalli  di  Castelvecchio,  del  Duello 
di  Muratori,  dello  Chatterton  di  De  Vigny,  allor  vivi  nel  reper- 
torio italiano  per  opera  sua  soltanto,  e  la  Satira  e  Parini  di 
L,  Ferrari,  ìn  cui  si  mostrò  fino  agli  ultimi  anni  protagonista 
insuperato.  I  nuovi  lavori  che  accrebber  nuove  fronde  alla  sua 
ghirlanda,  fiirono  i  Fourckambauli  di  Augier,  il  Povero  Piero 
di  Cavallotti,  e  il  Lantenac  d' Interdonato.  Fu  poi  capocomico 
con  varia  fortuna;  e,  or  è  qualche  anno,  fu  nominato  direttore 
dell'Accademia  de'  filodrammatici  di  Milano,  non  lasciando 
ogni  tanto,  di  mostrarsi  al  pubblico  sotto  le  spoglie  di  quei 
personaggi  che  più  gli  acquistaron  fama  di  eletto  artista. 


Monti  Alessandro.  Figlio  di  comici,  cominciò  a  farsi  no- 
tare in  Compagnia  Alberti  a  Napoli  l'anno  1848.  Fu  il  '49 
colla  società  Colomberti-lnternari,  nella  quale  si  unì  in  matri- 

monio  colla  prima  amorosa  Cesira  Longhi. 

■      ^_  Scioltasi  la  compagnia  in  Livorno  per  ragione 

I     ^^^  di  guerra  nella  primavera  di  quell'anno,  il 

fi    ì-^^V  Monti  si  scritturò  assieme  alla  moglie  con 

H^^S^^  Luigi  Pezzana,  recandosi  in  Grecia.  Sì  unì  poi 
EH^^^^H  in  società  col  Meneghino  Preda;  poi,  abban- 
|H2^^^^Hf  donato  questi  le  scene,  si  fece  capocomico 
l*'  J^^Kf  solo,  conducendo  una  compagnia,  non  pri- 
*  T^r  maria,  ma  che  salì  in  grande  rinomanza,  per 

l'armonia  artistica,  l'allestimento  scenico,  la 
cura  minuziosa  con  cui  eran  presentati  certi  drammi  popo- 
lari, fra  i  quali  //  goééo  mislerioso.  che  procacciò  al  Monti 
guadagni  non  isperati.  Non  vecchio,  si  ritirò  in  Bologna  go- 
dendosi tranquillamente  il  frutto  del  suo  lavoro,  insieme  al 
figliuolo,  divenuto  medico  de' più  stimati.  Quivi  morì,  assistito 
da' suoi,  dopo  lunga  e  penosa  malattia  di  cuore,  il  29  maggio 
del  '94. 


Monti'Longhi  Cesira.  Moglie  del  precedente,  nacque  a 
Bologna  il  1829  da  un  medico  reputatissimo.  Perduta  questi 
la  vista,  tentò  la  Cesira  la  via  dell'arte,  scrit- 
turandosi amorosa  in  una  compagnia  di  poco 
conto,  e  tanto  vi  riuscì,  che  il  1 847  entrò  prima 
attrice  giovane  in  quella  di  Colomberti,  Inter- 
nar! e  Fumagalli.  Fu  l'anno  seguente  con 
Romualdo  Mascherpa,  poi  di  nuovo  colla  so- 
cietà Colomberti,  nella  quale,  come  abbiam 
detto,  sposò  Alessandro  Monti.  Compagna 
esemplare  non  abbandonò  mai  il  marito,  so- 
stenendo con  decoro  il  ruolo  di  prima  attrice 
nella  propria  compagnia,  e  passando  poi  a  quello  di  madre  e 
seconda  donna. 


152  MONTINI 


Montini  Ippolito.  <  Comico  mirandolese,  detto  CorteUaccio. 
Diede  egli  alla  luce  un  libretto  di  due  fogli  e  mezzo  in  forma 
di  quarto  che  porta  per  titolo:  Contesa  di  precedenza.  È  questo 
un  Prologo  fatto  da  lui  in  occasione  d'incominciare  le  sue  re- 
cite in  Bologna  Testate  dell'anno  1624.  Introduce  in  questa 
Contesa  la  Pastorale,  la  Commedia,  la  Tragicommedia,  e  la 
Tragedia.  A  sciogliere  la  lite  di  precedenza  fra  esse,  appa- 
riscono Apollo  nel  suo  Parnasso  coi  Poeti  ed  Aristotele,  il 
quale  le  affida  a  Felsina  sovraggiunta  sopra  un  carro  trionfale, 
acciocché  essa  decida  del  merito  di  ciascuna;  la  quale  dando 
termine  a  questa  introduzione,  così  favella  : 

Pregiate  Donne,  se  alla  vostra  lite 
Sorta  sol  per  aver  la  precedenza 
Delle  vostre  virtù  rare,  infinite, 
Bramate  fine  impor  con  gran  prudenza: 
Meco  ornai,  che  son  Felsina,  venite 
Che  m'oflfero  condurvi  alla  presenza 
De' saggi  figli  miei,  da' quali  avrete 
Giudizio,  onde  contente  alfin  sarete. 

Il  libretto  è  stampato  in  quella  città  presso  Teodoro  Ma- 
scheroni e  Clemente  Ferroni,  ed  è  dall'  autore  dedicato  agi'  Il- 
lustrissimi Signori  Gonfaloniere  ed  Anziani.  Oltre  la  lettera 
dedicatoria,  il  Montini  diresse  ad  essi  il  seguente 

SONETTO 

Del  Felsineo  Leon  regger  il  freno, 

Librar  con  giusta  lance  e  premj  e  pene, 
Donar  a'  Patrj  Figli  ore  serene, 
Renderli  in  pace  fortunati  appieno: 

Nudrir  quasi  in  bel  Ciel  sul  picciol  Reno 
Lucide  stelle  di  saver  ripiene. 
Fra'  magnanimi  Eroi  fruir  quel  bene, 
Premio  della  virtù,  che  non  vien  meno  : 

Poggiar  di  gloria  all'ultimo  confine, 
Opre  son  vostre,  il  cui  alato  suono, 
Vola  alle  regioni  alte,  e  divine. 


Monti  Alessandro.  Figlio  di  comici,  cominciò  a  farsi  no- 
tare in  Compagnia  Alberti  a  Napoli  l'anno  1848.  Fu  il  '49 
colla  società  Colomberti-lnternari,  nella  quale  sì  unì  in  matri- 
monio colla  prima  amorosa  Cesira  Longhi. 
Scioltasi  la  compagnia  in  Livorno  per  ragione 
di  guerra  nella  primavera  di  quell'anno,  il 
Monti  si  scritturò  assieme  alla  moglie  con 
Luigi  Pezzana,  recandosi  in  Grecia.  Si  unì  poi 
in  società  col  Meneghino  Preda;  poi,  abban- 
donato questi  le  scene,  sì  fece  capocomico 
solo,  conducendo  una  compagnia,  non  pri- 
maria, ma  che  sali  in  grande  rinomanza,  per 
l'armonia  artistica,  l'allestimento  scenico,  la 
cura  minuziosa  con  cui  eran  presentati  certi  drammi  popo- 
lari, fra  i  quali  //  gobbo  misterioso,  che  procacciò  al  Monti 
guadagni  non  ìsperati.  Non  vecchio,  si  ritirò  in  Bologna  go- 
dendosi tranquillamente  il  frutto  del  suo  lavoro,  insieme  al 
figliuolo,  divenuto  medico  de' più  stimati.  Quivi  morì,  assistito 
da'suoi,  dopo  lunga  e  penosa  malattia  di  cuore,  Ìl  29  maggio 
del  '94. 


Monti'Longhi  Cesira.  Moglie  del  precedente,  nacque  a 
Bologna  il  1829  da  un  medico  reputatissimo.  Perduta  questi 
la  vista,  tentò  la  Cesira  la  via  dell'  arte,  scrit- 
turandosi amorosa  in  una  compagnia  di  poco 
conto,  e  tanto  vi  riuscì,  che  il  1847  entrbprima 
ai/rice  giovane  in  quella  di  Colomberti,  Inter- 
nari  e  Fumagalli.  Fu  l'anno  seguente  con 
Romualdo  Mascherpa,  poi  di  nuovo  colla  so- 
cietà Colomberti,  nella  quale,  come  abbiam 
detto,  sposò  Alessandro  Monti.  Compagna 
esemplare  non  abbandonò  mai  il  marito,  so- 
stenendo con  decoro  il  ruolo  di  prima  attrice 
nella  propria  compagnia,  e  passando  poi  a  quello  di  madre  e 
seconda  donna. 


154  MORELLI 


r importanza  di  una  dizione  drammatica,  accentuata  e  vibrata 
nel  canto,  e  rivelandole  poi  i  misteri  della  Commedia  improv- 
visa, nella  quale  essa  fece  in  breve  sorprendenti  progressi.  Il 
Kurz  rimasto  vedovo,  ella  ne  diventò  la  seconda  moglie,  e  dopo 
tre  anni  di  studio  indefesso,  il  15  aprile  del  1758,  esordì  al- 
l'I. R.  Teatro  della  Città  nella  nuova  commedia  a  trasforma- 
zioni di  suo  marito,  intitolata:  La  felice  unione  di  Bernardone, 
in  cui  fu  accolta  dall'applauso  universale  sì  per  la  grazia  del 
canto,  sì  per  la  eloquenza  dell'azione,  e  ancora  per  la  sicurezza 
della  lingua  tedesca.  Così  il  Kurz  nel  preavviso  di  tal  comme- 
dia raccomandò  la  moglie  all'  indulgenza  del  pubblico  :  <  La  si- 
gnora Teresa  Kurzin  si  mostrerà  maestrevolmente  in  tutti  quei 
caratteri  che  una  perfetta  attrice  è  capace  di  rendere.  Ed  es- 
sendo essa  italiana,  e  però  non  padrona  della  lingua  tedesca, 
tanto  più  ne  sarà  maravigliosa  l'azione.  Mi  hanno  gli  Dei  con- 
cessa tanta  grazia;  e  spero  che  anche  il  pubblico  che  die  con- 
tinue prove  di  benevolenza  verso  di  me,  vorrà  oggi  partecipare 
alla  mia  gioja.  >  (V.  il  lavoro  sul  Kurz  di  Ferdinando  Raab,  pub- 
blicato  a  Franco/or  te  da  Riltten  e  Loening  il  i8gg).  Anche  il  Vei- 
len  nella  sua  Storia  dei  Teatri  di  Vienna  (Cap.  Ili,  pag.  144), 
accenna  a  Teresina  Morelli,  che  chiama  bella  e  fiorente;  e  dice 
che  il  Kurz  diede  una  splendida  prova  del  suo  magistero,  tra- 
sformando in  soli  tre  anni  una  inesperta  ballerina  in  una  delle 
più  grandi  Colombine  tedesche.  Il  Kurz  rimasto  vedovo  il  1 5  giu- 
gno del  1755,  sposò  la  Morelli  nel  1758,  poco  avanti  all'esor- 
dire di  lei. 

Morelli  Antonio.  Nacque  da  onesti  parenti  in  Venezia. 
Giovinetto,  entrò  in  una  filodrammatica  della  città,  e  vi  si  fece 
notare  pe'  1  modo  garbato  e  spontaneo  con  cui  recitava  talvolta 
parti  di  ingenua  e  ài  prima  donna.  Entrò  poi  in  arte;  e  non  tardò 
ad  acquistarsi  le  lodi  di  tutti  i  pubblici  nel  ruolo  di  amoroso  e 
nelle  Compagnie  di  Goldoni,  Perotti  e  Dorati.  Sposò  Adelaide 
Salsilli,  giovine  artista,  figlia  di  artisti,  che  bene  prometteva  di 
sé;  e  venuto  egli  poi  al  grado  dì  primo  attore,  e  non  degli  ultimi, 


MORELLI  155 


formò  compagnia  con  la  moglie,  ch'era  salita  e  con  molto 
onore  a  quello  di  prima  donna,  resuscitando  le  commedie  di 
Goldoni,  e  facendone  base  del  lor  repertorio.  Il  1 82  2  li  troviamo 
applauditissimi  a  Tolentino  con  Benvenuti  e  il  Giandolini.  An- 
tonio Morelli  morì  a  Venezia  del  '27,  non  ancor  giunto  a  vec- 
chiezza; e  Adelaide  sposò  in  seconde  nozze  l'artista  Majeroni 
che  continuò  a  condur  compagnia. 

Morelli  Alamanno.  Figlio  del  precedente,  uno  dei  più 
forti  e  gloriosi  artisti  del  nostro  tempo,  che  regnò  sessant'anni 
sulla  scena  italiana  fra  gli  astri  di  maggiore  grandezza,  nacque 
a  Brescia  il  1 2  giugno  1 8 1 2.  Fece  per  volontà  del  padre  i  primi 
studj  classici,  e  si  dedicò  alcun  tempo  al  violino,  pel  quale  mo- 
strava singolari  attitudini  ;  ma  poi,  chiamato  alla  scena,  abban- 
donò tutto,  dopo  la  morte  del  padre,  per  entrare  in  una  di 
quelle  meschine  compagnie  che  andavan  guitteggiando  di  bor- 
gata in  borgata.  Dopo  una  non  breve  stagione  in  Arzignano 
nel  Vicentino,  la  compagnia,  impegnata  la  misera  condotta,  si 
sciolse  ;  e  Morelli,  che  non  avea  da  pagar  V  oste  che  gli  avea 
dato  il  vitto  e  V  alloggio  a  credito,  se  gli  offerse,  e  fu  accettato 
in  qualità  di  cameriere,  pagando  così  coli' opera  sua  di  uomo 
onesto,  il  debito  del  primo  attor  giovine.  Entrò  a  diciotto  anni 
in  Compagnia  di  Giacomo  Modena,  di  cui  faceva  parte  anche 
il  figliuolo  Gustavo,  facendosi  notar  subito  per  la  recitazione 
spontanea  di  alcune  particine  in  commedie  di  Goldoni,  Zelinda 
e  Lindoro,  Il  Medico  olandese,  I  quattro  Rusteghi,  della  quale 
specialmente  il  personaggio  di  Sior  Filipetto  s'ebbe  in  lui  uno 
de'  più  ingegnosi  e  brillanti  interpreti,  e  per  la  quale  la  prima 
attrice  Carlotta  Polvaro  gli  preconizzò  splendido  avvenire.  Fu 
scritturato  il  '40  in  Compagnia  Florio,  come  brillante  e  tiranno: 
recitava  maravigliosamente  nella  stessa  sera  il  tiranno  Filippo 
in  Bianca  e  Fernando  e  il  brillante  nel  Ctioco  e  il  Segretario  ;  sì 
che  Maria  Luisa,  la  Duchessa  di  Parma,  ebbe  per  lui  speciale 
ammirazione,  e,  nelle  sere  di  suo  beneficio,  speciali  elargi- 
zioni. 


156  MORELLI 


Entrò  il  '42  amoroso  nella  Compagnia  Favre,  passando 
Tanno  dopo  primo  attore  in  quella  Bergamaschi  e  Cappelli, 
nella  quale  restò  sino  al  '45  e  recitò  per  la  prima  volta,  primo 
in  Italia,  il  Kean,  la  Signora  di  S.  Tropez,  La  Catena  e  il  Giovan 
Maria  Visconti  di  Porta  e  Grossi.  Fu  il  primo  attore  della  Com- 
pagnia di  Giacinto  Battaglia,  che  andò  in  iscena  il  7  marzo  '46 
a  Padova,  e  in  cui  egli  dovette  lottare  coi  successi  della  Sa- 
dowski  e  di  Bellotti-Bon  ;  ma  dopo  la  Clotilde  Valéry  e  il  Chat- 
ter  ton,  il  trionfatore  fu  lui.  Ritiratosi  Battaglia,  Morelli  continuò 
la  compagnia  sino  al  '53,  recitando  nel  '50,  primo  de' viventi 
attori  italiani,  V Amleto,  ch'egli  stesso  adattò  alle  scene  sulla 
traduzione  del  Rusconi.  Chiamato  il  '54  a  diriger  l'Accademia 
de' filodrammatici  di  Milano,  vi  recitò  fino  al  '58,  tornando  in 
arte  il  '59,  direttore  della  Compagnia  Cazzola-Dominici,  e  ri- 
fondando il  '60  la  Lombarda  che  visse  quindici  anni  di  vita 
gloriosa,  e  in  cui  militaron  gli  artisti  di  maggior  fama,  quali 
Pia  Marchi,  Luigi  Monti,  Guglielmo  Privato,  Virginia  Marini, 
Francesco  Ciotti,  Giulio  Rasi,  Sante  Pietrotti,  Anna  Job.  Il  '76 
formò  società  con  Adelaide  Tessero  che  sciolse  l"8i,  al  suo 
ritorno  dall'America,  per  farsi  di  bel  nuovo  capocomico  solo, 
scritturando  1'  '82  la  coppia  Lavaggi,  1'  '83  Cesarina  Ruta,  V  '84 
Emilia  Aliprandi-Pieri.  Poi  divenuto  capocomico  il  Pieri  nel- 
r'85.  Morelli  ne  divenne  lo  scritturato.  Stette  un  anno  in  ri- 
poso a  Scandicci,  e  tornò  1'  '88-'89  alle  scene,  direttore  della 
Compagnia  Marazzi-Diligenti  e  Zerri. 

Fu  poi  con  altre  compagnie  di  minor  conto,  e  terminò  la 
sua  lunga  e  gloriosa  carriera  del  '91  con  Calamai.  Dopo  lo 
accolse  il  paesello  di  Scandicci,  ove  s' era  fatto  dono  in  tanti 
anni  di  lavoro,  di  una  romita  e  modesta  casetta,- e  quivi  morì 
fra  le  braccia  della  moglie  e  dei  figli  il  io  gennaio  1893. 

Fu  banditore  il  '74  del  primo  congresso  drammatico  in 
Firenze,  e  pubblicò  nel  '77  un  Manuale  dell'artista  drammatico 
in  cinque  dialoghi,  col  Prontuario  delle  pose  sceniche,  già  edito 
nel  '54,  che  si  può  dire,  senza  offendere  la  memoria  del  grande 
attore,  l' antitesi  dell'  arte  sua,  fatta  tutta  di  verità  e  di  spon- 


MORELLI 


taneità.  Né  gli  anni  valsero  a  piegare  o  iniiacchire  la  sua 
tempra  gagliarda  :  a  poco  men  che  ottant'  anni  rappresentava 
ancora  con  efficacia  incredibile  la  Riabilitazione  del  Montecor- 


,'V; 

¥} 


boli  e  la  Signora  di  San  Tropez.  Noverar  qui  l'opere  dramma- 
tiche che  gli  furon  argomento  di  trionfo,  troppo  sarebbe;  citia- 
mone le  principali  :  //  Ditello.  Il  Figlio  di  Giboyer,  Zji  Straniera, 
U  Importuno  e  il  Distratto.  Amleto,  Fausto.  Guglielmo  Teli.  Il 
Giuocatore.  Fieschi.  Giovanni  Baudry,  La  Signora  Caverkt,  La 
calunnia.  Il  Vetturale  del  Moncenisio.  Macbeik.  La  Riabilitazione. 
Kean,  La  Sonora  di  San  Tropez.  Chaiterton.  Sti/ellius,  Dalle 
quali  si  può  capire  a  che  grado  di  pieghevolezza  egli  era  per- 


158  MORELLI  -  MORETTI 

venuto  collo   studio,   colla  riflessione,  coir  arte,   nonostante 
r  aspetto  non  bello,  e  la  voce  asprissima. 

Di  lui  scrissero  il  Piazza,  il  Bonazzi,  il  Regli,  il  Piccini, 
il  Polese,  il  Pavan  ;  di  lui  parlaron  sul  feretro  Tommaso  Sal- 
vini e  Gattesco  Gatteschi. 

Moretti  Pietro.  Fu  tra'  comici  della  Compagnia  italiana  a 
Dresda  (1749....),  ^  recitava  le  parti  di  Brighella  (V.  Arbes  (D') 
Cesare  e  Bastona  Marta). 

Secondo  il  giudizio  del  tempo,  egli  era 

nn  cattivo  attore,  dalla  voce  insopportabile.  Gridava  e  s' affannava.  La  sua  azione 

consisteva  in  nn  esagerato  agitar  delle  mani,  con  assolata  mancanza  di  spontaneità.  In 
breve:  non  piaceva. 

Moretti  Anna^  veneziana.  Ebbe  a  maestro  l'artista  Pietro 
Ferrari  (V.),  e  riuscì  un'attrice  di  gran  pregio.  Dopo  di  aver 
fatto  parte  di  molte  Compagnie  di  giro,  si  fermò  il  1774  con 
quella  di  Lapy  al  Sant'Angelo  di  Venezia,  ove  recitò  Lapazza 
per  amore,  sua  particolar  fatica,  in  cui  oltre  al  rappresentar 
vari  personaggi,  cantava  ariette  musicali  non  senza  grazia. 
Pare,  a  detta  del  Bartoli,  eh'  ella  non  fosse  artisticamente 
grande  ;  ma  un  cotal  grado  di  altezza  raggiungesse  con  suffi- 
ciente valore,  a  cui  s'univano  tal  prestanza  della  persona  e 
leggiadria  del  volto,  e  tal  gaiezza  e  vivacità  di  espressione  e 
saettar  d'occhi  neri,  che  la  reser,  se  non  attrice  perfetta,  at- 
trice, per  fermo,  ammìratissima;  aggiunge  il  Bartoli  che  vestita 
da  uomo  mostravasi  di  membra  tondeggianti  e  formose.  Fu  un 
anno  solo  col  Lapy;  dal  quale  tornò  in  Compagnie  vaganti, 
trovandosi  il  1781  in  quella  di  Antonio  Camerani. 

Fra  ì  tanti  versi  eh'  ella  ispirò,  metto  qui  il  seguente 

SONETTO 

Si,  che  maggior  d'ogni  Apollineo  canto 
Sono,  egregia  Moretti,  i  pregi  tuoi; 
Per  te  non  arte,  ma  natura  i  suoi 
Vivi  affetti  spiegar  par  ch'abbia  vanto: 


MORETTI  -  MORO-LIN 

Ben  sanno  quale  a  i  cor  formasti  incanto 
Di  Terme  II  Conte,  e  i  Veronesi  Eroi; 
Corrado  e  Clarendon  san  quel  che  puoi 
Se  sciogli  il  freno  a  l'ira,  a  i  vezzi,  al  pianto. 

Né  cred'  io  già  che  d' altri  sensi  impresso 
Sia  il  tuo  bel  cor;  essi  (non  l'abbi  a  sdegno) 
Fan  testimon  di  tua  bell'alma  espresso; 

Cosi  quest'opra  tua  recando  al  segno. 
Gli  atti,  gli  accenti  che  t'è  usar  concesso 
Fan  testimon  del  tuo  felice  ingegno. 


MorO'Lin  Angelo.  Veneziano,  attore  dialettale  di  moltis- 
simo pregio  fu,  insieme  alla  moglie  Marianna,  uno  de' più 
grandi  se  non  il  più  grande  il- 
lustratore del  teatro  dì  Giacinto 
Gallina.  Iniziato  agli  studi  eccle- 
siastici, buttò  via  un  bel  giorno 
r  abito  talare  per  indossar  la  di- 
visa di  ufficiale  della  guardia  na- 
zionale, che  dovè  smettere  al  ri- 
tomo delle  truppe  austriache  Fu 
garzone  d'un  sensale  di  grana 
glie,  fu  impiegato  doganale,  poi 
filodrammatico,  poi  suggeritore 
con  Copellotti  e  compagnia,  poi 
attore,  suggeritore,  segretario, 
trovarobe,  omnibus  insomma  del 
la  Compagnia  Lombarda,  poi  am 
ministratore  di  Aliprandi,  poi  se- 
gretario di  Ernesto  Rossi. 

Sposatosi  a  Marianna  Torta, 
attrice  della  Compagnia  Alipran 

di,  fu  con  lei  scritturato  da  Alessandro  Salvini;  e,  sciolta  poi  la 
Compagnia,  egli  risolse,  mosso  a  pietà  di  tanti  sciagurati,  di 
rilevarla,  correndo  da  una  città  all'altra,  in  lotta  aperta  con  la 
fame.  Abbandonato  allora  il  capocomicato,  diventò  segretario 


i6o  MORO-LIN 


del  Toselli;  poi,  tornato  capocomico,  tentò  riduzioni  di  com- 
medie piemontesi  nel  dialetto  veneziano,  quali  Maridemo  la 
putela,  e  La  fia  de  Sior  Piero  air  asta;  e  vistone  il  successo, 
formò  una  vera  e  propria  compagnia  dialettale,  e  andò  a  ria- 
prire a  Venezia  quel  Teatro  Comploy,  dove  appunto  la  com- 
media veneziana  era  morta. 

E  da  quel  momento  fu  un  trionfo,  un  vero  e  grande  trionfo, 
né  solamente  veneziano,  ma  italiano.  Selvatico  e  Gallina.  Questi 
due  nomi  apparver  sui  cartelloni  inattesi,  e  non  ne  furon  più  ban- 
diti. Le  commedie  La  bozzetta  dell'odio.  Le  barufe  in  famegia, 
El  moroso  della  nona,  I  recini  da  festa,  La/amegia  in  rovina.  Mia 
fia,  loci  del  cuor  furon  la  fortuna  di  Moro-Lin  ;  ma  quest'  ultima 
segnò  anche  la  sua  nuova  e  non  più  mutabile  sciagura.  Dopo 
dieci  giorni  dalla  rappresentazione  del  capolavoro  galliniano, 
la  povera  Marianna,  che  vi  aveva  profuso  tanta  arte,  tanta 
grandezza,  gli  venne  a  morire,  e,  lei  dileguata,  dileguò  anche 
il  bene  che  con  la  sua  attività,  con  la  sua  onestà,  con  la  sua 
mente  egli  s' era  procacciato.  Senza  più  attori  di  grido,  senza 
repertorio,  egli  dovè  piegare  fatalmente,  privo  del  più  tenue 
fil  di  speranza  per  una  prossima  o  lontana  resurrezione,  e  dalle 
gloriose  battaglie  del  capocomicato  passò  alla  snervante  mo- 
notonia dell'impiego  per  dar  pane  a'  figliuoli....  Tornò  dopo 
dieci  anni  alla  scena,  prima  con  Micheluzzi,  poi  con  Corazza; 
ma  il  suo  ritorno  fu  una  delusione  di  più.  Ricoveratosi  a  Ve- 
nezia, si  fece  maestro  di  recitazione,  finché,  vinto  dagli  anni 
e  dai  fastidi,  abbandonò  il  mondo  la  mattina  del  9  febbraio  1 898. 

A  dare  un'  idea  di  quel  che  fosse  V  attore,  basti  dire  che 
r  attore  Colomberti,  dopo  la  recitazione  del  Prima  el  Sindaco 
e  pò  el  Pievan,  lasciò  scritto  che  rivedeva  nel  Moro-Lin  il  bra- 
vissimo Augusto  Bon,  di  cui  ricordava  la  stessa  prontezza  e 
naturalezza,  la  stessa  grazia  e  spontaneità. 

Moro-Lin  Marianna.  Moglie  del  precedente,  nata  in  Alba 
il  30  giugno  1840,  mosse  i  primi  passi  nell'arte  in  Compagnia 
Robotti-Vestri  nel  '54  come  amorosa.  Esordì  nel  Sior  Todero 


MORO-LIN 


brontohn.  Fu  poi  prima  attrice  col  famoso  Toselli  col  quale  era 
a  Venezia  il  '67,  dov'ebbe  un  successo  dì  lagrime  nel  Ciochi 
del  vilage,  quando  con  affetto 
profondo  esprìmeva  il  dolore 
della  povera  derelitta  nella  fe- 
sta dì  tutto  il  villaggio. 

Maritatasi  al  Moro-Lin, 
con  tanta  facilità  si  diede  a  re- 
citare in  veneziano,  e  con  tal 
nitidezza  di  pronunzia,che  tutti 
la  credean  figlia  della  Laguna. 
Nei  Ciasscti  e  spasse/i.  nel  Mo- 
roso de  la  nona,  ecc., ecc.,  e  più 
ancora  nei  Od  del  cuor,  la  sua  ul- 
tima creazione,  fu  artista  unica. 
Il  Covi,  che  le  fu  compagno  e 
consigliero  al  suo  esordire,  as- 
sistè anche  all'ultima  sua  recita. 

Il  23  dicembre  del  1880  fu  inaugurata  al  Goldoni  di  Ve- 
nezia una  lapide  in  ricordo  di  lei  colla  seguente  iscrizione: 


marianna  moro-lin 

chb  del  veneto  dialetto 

quantunque  non  suo 

skntI  i.e  grazie 

e  sulle  scene  col  cuore  e  coll'arte 

'  inimitabilmente  lo  espresse 

la  società  piloprammatica  carlo  goldoni 
in  segno  di  affettuoso  ricordo 

POSE 

Ella  morì  a  Verona  la  notte  del  ig  giugno  '79,  quasi  im- 
provvisamente. 

A.  Grentile,  che  della  Moro-Lin  è  illustratore  amoroso, 
osserva  che  essa  fu  in  certo  modo  la  protagonista  di  una 
commedia  del  Gallina,  anche  dopo  morta.  Nella  commedia  La 
marna  non  mor  mai.  rappresentata  la  prima  volta  a  Trieste  il 


i6a  MORO-LIN  -  MORROCCHESI 

12  febbraio  1880,  la  vera  protagonista,  come  Io  dice  Ìl  titolo 
stesso,  è  la  madre  morta;  e  questa  ci  vìen  descritta  simile  alle 
altre  donne  che  Ìl  Gallina  creò  per  laMoro-Lin:  1875,  Rosa- 
El  moroso  de  la  nona;  1877,  Marina-  Telèri  vcchi;  1878,  Ma- 
riamola  -  Miafia;  1879,  Teresa  ~  I oci  del  cor. 

MoiTOCChesi  Antonio.  Nato  a  San  Casciano  in  Val  di  Pesa 
il  15  maggio  del  1768  da  agiati  parenti,  Francesco  Morroc- 
chesi  e  Marianna  Zaccagnini,  fu  con- 
dotto dal  natio  paesello  a  Firenze,  e 
raccomandato  per  l'educazione  ai  Pa- 
dri Scolopi.  Di  mente  svegliatissima, 
egli  fece  ottime  prove  non  solamente 
nella  lettura  di  classici  greci  e  latini, 
ma  anche  nell'arte  del  disegno.  Nul- 
lameno  l'amore  della  drammatica  pre- 
valse in  lui;  e  i  primi  applausi  tribu- 
tatigli nelle  sale  dell'aristocrazia  e 
dalle  platee  di  teatrini  privati,  gli  fe- 
cer  prendere  la  risoluzione  di  darsi 
tutto  alla  scena,  ove  in  breve  conseguì,  collo  studio  in  ispecie 
delle  tragedie  di  Alfieri,  fama  di  attore  insuperato  e  insu- 
perabile. 

Lasciò  scritto  un  enorme  volume  di  ricordi,  dei  quali 
Jarro  pubblicò  in  appendici  della  gazzetta  fiorentina  La  Na- 
zione, poi  in  volume  (Firenze,  Bemporad,  1896)  i  punti  pili 
salienti;  e  di  lui  dettò  una  breve  memoria  il  noto  scrittore 
Melchior  Missirlni, 

Il  Morrocchesi  cominciò  col  recitare  al  pubblico  nel  Tea- 
tro di  Borgognissanti  a  Firenze,  rappresentandovi,  primo  in 
Italia  e  sotto  il  nome  di  Alessio  Zuccagnini,  V Amleto  di  Shak- 
speare. 

Fu  in  vario  tempo  nelle  Compagnie  di  Luigi  Del  Buono{V.), 
di  Luigi  Rossi,  di  Vernier,  Asprucci  e  Prepiani,  ma  il  più  so- 
vente conduttor  di  compagnie  egli  stesso. 


^(ORRnccHl-:SI 


Da  lui  le  grandi  protagoniste  venivano  oscurate  :  nella 
Semiramide,  a  Milano,  mandò  in  visibilio  il  pubblico,  recitan- 
dovi VAssur,  e  facendo  fremer  di  gelosia  la  prima  attrice 


Qieccati,  artista  valentissima;  a  7 ìrGnze,né[\' Ottavia,  destava 
non  minore  entusiasmo  recitandovi  il  Nerone,  e  facendo  fremer 
di  gelosia  la  prima  attrice  Perotti,  artista  famosissima.  Fu,  si 
può  dire,  il  Morrocchesi  che  rivelò  a' pubblici  d'Italia  le  riposte 
bellezze  delle  tragedie  alfieriane.  I  successi  6.é[\'0resle  e  delia 
Virginia,  ma  più  ancora  del  Saul,  che  tenner  con  altre  pochis- 
sime opere  per  un  intiero  carnovale  i  cartelloni  del  teatro  di 


MORROCCHESI 


Santa  Maria  a  Firenze,  furon 
tali  ch'esso  d'allora  innanzi 
s'intitolò  dal  nome  di  Alfieri. 
Io  mando  lo  studioso  alla  let- 
tura di  quel  saporitissimo  li- 
bretto di  Jarro.ove  della  prima 
recita  del  Saul,  e  della  quinta 
alla  presenza  dell'autore,  è  ri- 
ferita la  cronaca  del  Morroc- 
chesi:  qui  basterà  dire  che  il 
nostro  attore  dovè  ripetere  al- 
cun brano  subito  la  prima  sera 
fra  le  acclamazioni  del  pubbli- 
co, e  che  la  quinta,  al  cospetto 
di  Alfieri,  si  abbandonò  con  tal 
violenza  su  la  spada  nel  pro- 
ferir l'ultimo  verso 

Me  troverai,  ma  almen  da  re 
[qui....  morto.... 

che,  feritosi  gravemente,  cadde 
alienato  di  sensi,  e  quando  rin- 
venne, si  trovò  nel  suo  letto, 
circondato  dagli  amici,  tra  i 
quali  si  potè  contar  da  quel 
punto  il  grande  astigiano. 

Né  solamente  a  Firenze 
gli  accadde  di  dover  cedere 
alle  insistenze  del  pubblico,  e 
replicar  sul  momento  or  que- 
sto, ora  quel  brano,  che  anche 
la  narrazione  di  Piìade  dovè  re- 
plicare immediatamente  «  sic- 
come un  pezzo  applauditìssìmo 
di  scelta  musica -com'egli  ci 


i66  MORROCCHESI 


avverte  -  nelle  scene  illustri  di  Ferrara,  di  Siena,  di  Pavia, 
di  Torino,  di  Bologna.  > 

Fu  il  1811  nominato  Professore  di  declamazione  e  d'arte 
teatrale  nella  Accademia  di  belle  arti  a  Firenze,  e  vi  stampò 
nel  1 83  2  un  corso  di  lezioni,  corredando  la  duodecima,  dei  gesti, 
di  quaranta  tipi  che  rappresentano  l'attore  ne' momenti  più  im- 
portanti della  sua  arte,  e  di  cui  do  qui  dietro  un  piccol  saggio. 
Tipi,  che,  siccome  è  accaduto  e  accade,  non  danno,  io  son  certo, 
che  assai  miserevolmente  e,  diciam  pure,  grottescamente,  l'idea 
dell'autore.  Scrisse  anche  non  poche  opere  teatrali,  che  si  veg- 
gono a  stampa  in  quattro  volumi  in-8  (Firenze,  Ciardetti,  1 822). 

Morì  d' idrope  pettorale  a  Firenze  ;  e  sulla  pietra  che  si- 
gillava il  suo  sepolcro  nel  chiostro  di  Santa  Croce,  a  destra  e 
in  prossimità  della  cappella  Pazzi,  toltane  alcun  tempo  pei  la- 
vori di  restauro,  e  ricollocata  poi,  ma  sebben  sempre  a  destra 
di  chi  entra,  non  più  allo  stesso  luogo,  fu  incisa  la  seguente 
iscrizione  che  dettò  Giovanni  Battista  Niccolini,  il  quale  non 
l'ebbe  in  vita  troppo  nel  suo  libro: 

QUI  RIPOSA 

ANTONIO  MORROCCHESI  DI  SAN  CASCIANO 

NELL'  I.  E  R.  FIORENTINA  ACCADEMIA  DI  BELLE  ARTI 

PROFESSORE  DI  DECLAMAZIONE 

FRA  I  TRAGICI  ATTORI  DEL  SUO  TEMPO 

PER  CONSENTIMENTO  D'ITALIA 

A  NESSUNO  SECONDO 

E  LUOGO  GLI  TENGA  DI  MAGGIOR  ELOGIO 

L'ESSERE  NELL'ARTE  SUA  PIACIUTO 

A  VITTORIO  ALFIERI 

MADDALENA  MORROCCHESI 

AL  CONSORTE  DESIDERATISSIMO 

NON  SENZA  LACRIME 

Q.  M.  P. 

NACQUE  AI  XV  MAGGIO  MDCCLXVIII 

MANCÒ  AI  XXVI  NOVEMBRE  MDCCCXXXVIII 

Fu  amico  de' più  ragguardevoli  italiani  del  suo  tempo, 
fra'  quali,  oltre  all'Alfieri,  i  Pindemonte,  i  Perticari,  Pellico, 
Albergati,  Vannetti,  Caluso. 

Sfogliando  le  sue  lezioni  di  declamazione,  guardando  a 
quelle  odiose  figurine  che  le  illustrano,  pensando  a  quelle  re- 


MORROCCHESl  167 


pliche  immediate  di  narrazioni,  e  il  tutto  comparando  al  giu- 
dizio che  ne  dà  il  Righetti  nel  secondo  volume  del  suo  Teatro 
Italiano,  e  che  qui  riferisco,  e'  è  da  credere  che  il  Morrocchesi 
fosse  un  grandissimo  artista  di  maniera. 

Fra  tutti  gli  attori  italiani  da  me  veduti,  e  che  meritarono  una  particolare  consi- 
derazione, nessuno  ha  presentato  alla  mia  mente  un  contrasto  più  bizzarro  quanto  il  nostro 
Morrocchesi,  celebre  attore  tragico.  Ben  fatto  della  persona,  braccia,  coscie,  gambe  cor- 
rispondenti ad  un  corpo  né  magro  né  pingue.  Un  occhio  vivo,  una  fronte  spaziosa,  bel- 
lissimi denti,  in  somma  un  bell'uomo.  La  sua  voce  era  rauca,  e  mal  atta  a  colorire  tenere 
espressioni,  imponente,  terribile  nell'espansione  di  violenti  affetti;  il  suo  portamento,  il 
suo  gesto  erano  nobili,  e  dignitosi,  né  perdevano  della  loro  dignità,  e  della  loro  nobiltà, 
che  quando  voleva  dipingere  gli  oggetti  fisici  con  gesti  di  contraffazione.  La  sua  dizione 
ora  lenta,  ora  precipitata,  non  era  sempre  quadrante  colla  qualità  dei  pensieri  che  doveva 
esprimere,  quasi  sempre  sublime  nella  pittura  di  vive  immagini,  e  nell'entusiasmo  si  tra- 
sportava talvolta  al  di  là  di  quel  confine  stabilito  fra  la  sublimità,  e  la  stravaganza:  infine 
nessun  attore  ha  presentato  all'  occhio  dell'  intelligente  osservatore  maggior  riunione  di 
bellezze  tragiche  miste  a  difetti  del  tutto  particolari.  Quest'attore  si  applicò  quasi  esclu- 
sivamente alle  tragedie  del  grande  Alfieri,  e  fu  dei  primi  che  le  fece  assaporare  sui  pubblici 
teatri,  ed  in  queste  sviluppava  tutte  le  sue  qualità  fisiche  e  morali.  Nessuno  potrà  con- 
trastare al  nostro  Morrocchesi  esser  egli  stato  il  primo  fra'  comici  a  penetrare  ben  addentro 
ne'  reconditi  pensieri  di  quel  gran  tragico,  a  colpirne  i  caratteri,  a  regolare  la  declamazione 
de' suoi  versi  meno  pomposi,  che  ricchi  di  pensieri,  ed  indigesti  alla  più  gran  parte  de'  co- 
mici d'allora.  Fu  acclamato  nelle  principali,  e  più  colte  città  d'Italia,  e  stette  gigante  in 
mezzo  a'  suoi  rivali  che  pur  volevano  atterrarlo,  assalendolo  da  ogni  lato.  Questi  é  il  solo 
valente  artista  con  cui,  nella  mia  carriera  teatrale,  mi  sia  trovato  in  contatto  fino  che  non 
fui  aggregato  alla  drammatica  compagnia  al  servizio  di  S.  S.  R.  M.  il  re  di  Sardegna,  e 
non  temo  d'errare  se  dico,  che  questo  tragico  attore  era  l'attore  di  genio;  il  suo  difetto 
nell'analisi  dei  caratteri  traspariva  nelle  particolarità,  non  nel  tutto;  e  se  talvolta  deviava 
dalla  retta  declamazione,  e  si  abbandonava  a  conati  troppo  più  violenti  del  bisognevole, 
era  meno  per  mancanza  d'intelligenza,  e  d'arte,  che  per  la  foga  di  strappare  al  pubblico 
que' clamorosi  applausi,  che  lo  inebriavano,  e  di  che  era  quasi  sempre  padrone. 

Non  m'  uscirà  mai  dalla  memoria  il  modo  straordinario  con  che  rappresentava  l'ul- 
timo atto  del  SaulU  d'Alfieri.  Eccellente  in  tutta  la  tragedia,  tranne  alcuni  abbagli  di 
situazione,  e  di  minute  particolarità,  in  quell'  atto  era  perfetto.  Io  lo  presi  a  modello  in 
tutta  quella  difficilissima  scena  perché,  per  quanto  studio  avessi  posto  onde  variare  modi, 
ed  atteggiamenti,  m' avvedeva  che  tutto  sarebbe  rimasto  al  disotto  d'  una  felice  imitazione. 

Chiudo  il  breve  cenno  col  sonetto  che  è  in  fine  alla  me 
moria  di  Melchior  Missirini  : 

SONETTO 

Giacca  il  Coturno  Ausonio,  e  bassi  e  inetti 
Carmi  rendeano  suon  sterile  e  vano, 
e  fu  de'  Roscj  lo  atteggiar  sovrano 
scena  scurril  di  turpi  Mimi  abbietti. 


l68  MORROCCHESI  -  MOZZANA 

Di  fieri  Àgitator  tragici  affetti 

e  di  franchi  pensieri,  aito,  ed  umano 
Tu,  r  ira  del  terribile  Astigiano 
Infondesti  primier  nei  nostri  petti. 

Ei  ti  udì,  e  sen  compiacque,  e  ai  forti  e  nuovi 
modi.  Te  scelse  adatto  all'onorato 
ufficio  di  rifar  l'itale  menti! 

Ei  gì'  ingegni  già  adulti,  e  tu  i  nascenti 
coltivi,  in  ciò  di  Lui  più  avventurato, 
ch'egli  un  corrotto,  e  un  vergin  suol  tu  trovi! 

Mezzana  Francesco.  Attore  fiorito  nella  metà  del  se- 
colo XVII.  Recitava  sotto  la  maschera  di  Truffaldino,  e  abbiamo 
di  lui  un  Curioso  capriccio  di  bellissimi  giuochi  non  più  veduti, 
edito  dal  Malatesta  a  Milano,  senza  data.  È  un  libriccino  di 
dieci  pagine  in  1 2^,  compreso  il  frontespizio,  e  contiene  ven- 
titré scipitaggini,  di  cui  ecco  un  esempio  : 

A  far  parere  molte  persone  senta  testa 

Piglia  sale  armoniaco,  sale  gemma,  e  sale  di  canfora  tanto  dell'uno,  quanto  del- 
l' altro,  &  acqua  vita  di  sette  cotte  ;  fa  fondere  tutto  insieme,  &  ongi  con  quello  la  can- 
dela di  sevo,  o  di  cera;  col  chiaro  di  detta  candela  pareranno  senza  testa. 

Probabilmente  in  simili  giuochi  era  celato  il  chiapperello, 
e  apparivano  senza  testa  chi  facevan  la  prova. 

Di  questo  Mozzana  non  abbiam  notizie;  ma  due  lettere 
di  Anton  Maria  Goccino  da  Venezia  del  18  febbraio  1650  e  del 
4  marzo  165 1  al  Duca  di  Modena  che  lo  richiedeva  di  alcuni 
artisti,  accennano  a  un  Truffaldino,  che  non  s' è  potuto  iden- 
tificare, ma  che  potrebb' essere  il  nostro  attore. 

Ecco  i  passi  che  lo  riguardano  : 

Truffaldino  m'  ha  detto  che  quando  parti  da  Mantova  fu  honorato  da  quella  Al- 
tezza d'una  medaglia  d'oro,  e  lo  impegnò  per  Tanno  uenturo,  et  che  desobbligato  da 
questo  ambise  de  seruir  a  V.  A.  pur  che  unita  con  lui  habbia  la  moglie  al  recitare. 


Auisai  con  altra  mia  humilissima  lettera  all'A.  V.  Sere.™^  come  in  ubidienza  de 
suoi  sourani  commandi  procurai  d'obbligar  li  comici  nominati  nella  lettera  sua  di  2  spi- 
rato, a  seruir  per  questo  prossimo  carnevale  V.  A.  ma  che  la  bizzarìa  di  questa  gente  non 
mi  prometteua  quella  consolatione  che  tanto  ambisco  in  pontoalmente  seruire  a  suoi  cenni, 


MOZZANA  -  MUZIO  169 


escQsandosi  chi  con  uno  chi  con  altro  pretesto  ;  dopo  di  che  insistendo  nel  mio  debito 
ho  condotto  da  M.^  Residente  suo  Fabritio  e  Truialdino,  pur  sperando  d'  auttorizare 
gì'  impulsi  colla  presenza  di  quel  Ill.^o  suo  Ministro,  ad  ogni  modo  delle  lettere  di  detto 
Sig.'c  l'Altezza  Vostra  sentirà  la  continuatione  de  loro  iscuse,  et  insieme  la  premura  de 
miei  ufitij  tributati  all'adempimento  de  suoi  commandi. 

Mozzi  Giustiniano.  Attore  e  capocomico  non  ispregiato. 
Fu  '"A.  primo  amoroso,  nel  1850,  della  Compagnia  che  Antonio 
Colomberti  formò  in  società  con  Eugenia  Baraccani,  sposata 
la  quale,  si  fece  capocomico  egli  stesso,  separandosi  poi  ami- 
chevolmente dalla  moglie,  e  ritirandosi  dopo  alcun  tempo  dal- 
l'arte  per  andare  a  seguire  il  figliuolo,  divenuto  tenore  de' più 
ammirati. 


1  Maria  Maddalena.  Di  lei  non  abbiamo  che  la  se- 
guente lettera,  comunicatami  dall'egregio  Davari  dell'Archi- 
vio di  Mantova: 

1690.  31.  mag.**  -  Bologna  (ad  un  ministro  del  Duca) 

lU.mo  et  EcC.»no   S.'«  Pad.ne   col.»no 

La  venuta  del  S.^  G.  B.  Celini  a  Bologna  con  ordine  del  S.'  Padrone  d' aquistarmi 
per  la  recita  nel  teatro  di  S.  Lucca  di  Venezia  nel  venturo  carnevale  in  precio  di  mille 
ducati  effettivi  e  casa  finita,  ha  fatto  eh'  io  mi  impegni  a  servirli  mentre  m'  hano  in  tutto 
sodisfatta  di  quanto  richiedevo  ;  onde  mi  dispiace  n'  poter  sortir  fortuna  di  riceyere  le  sue 
gracie  con  Sig.^**  Grimani,  m'  honarì  riserbarmi  il  desiderio  che  con  tanta  bontà  si  da  a 
conoscere  per  favorirmi,  eh'  io  n'  mancherò  di  procaciarmi  occasione  di  conservarmeli  per 
quella  che  senza  fine  mi  confesso  di  V.  S.  111. 

Devot  et  Oblig.""»  Serva 

Bologna  31  mar.»  1690.  MARIA  MaDALENA  MUSI. 

Muzio  Angelo  Antonio.  Recitava  le  parti  di  Dottore  nella 
Compagnia  che  il  Duca  di  Modena  aveva  formata  pel  1688. 
(V.  Torri  Antonia).  Abbiamo  per  lui  la  seguente  raccomanda- 
zione al  Duca  della  Boncompagni,  che  traggo  dall'Archivio  di 
Modena  : 

Alt.*»  Sereniss.»"* 

Con  quella  humiltà  douuta  al  Alto  Merito,  di  V.  Serenità  humilissima  supplico  la 
di  lei  Clemenza  in  socorerre  Angelo  Antonio  Muzzio,  il  quale  per  auer  moglie  e  cinque 
figlioli  et  al  presente  maggiormente  sfortunato  per  quello  che  sono  certa  cioè  della  moglie 

32.  ~~  I  Comici  italiani.  Voi.  IL 


ITO 


MUZIO 


che  mesi  tono  iiìq«  inferm»  et  essendo  suddetto  fori  dell»  Comptgnia  de'  Comki  di  V.  Se- 
lenita non  pno  più  aggiatare  la  sna  Tamiglia,  la  quale  i  in  necerìta  grandissima,  io  mi 
ipiace  Doo  patere  solo  cbe  in  cosa  minima  toleasrli:  V.  Serenitli  dispensi  l'ardire  di 
qnesta  racomandasione;  le  prerogative  di  V.  Sereniti  che  nolano  per  tatto  il  mondo,  anno 
animata  la  mia  hnmiliisima  oseroania  di  venire  a'  snoi  pedi  snpplicaiile  della  et>tia-  Nostro 
Signore  consemì  la  Persona  di  V.  Sereniti  per  gloria  del  secolo;  me 
li  iacio  nn  profondissimo  inchino. 


Di  V.  Alt.«i 


ero  S.  Mieti 


iliss."»  DeuotiH.""  ci  ObUg.»»  Sema 

Catekina  Boncoupaohi. 


I    COMICI    ITALIANI 


Nadasti  Lucinda.  Non  sappiam  se  il  nome  di  Luclnda  col 
quale  solamente  fu  chiamata  nell'  elenco  de'  Comici  di  Parma 
del  1664  (V.  Fabrizio  Napolitano),  fosse  anche  Ìl  suo  nome  di 
battesimo.  Lucinda  è  \z.  prima  donna,  quasi  sempre  amante  di 
Valerio,  tal  volta  di  Orazio,  tal  volta  di  Ubaldo,  de'Scenarj 
pubblicati  da  A.  Bartoli,  un  de' quali,  di  P.  C,  ha  per  titolo: 
L' onorata  fuga  di  Lucinda. 

Troviam  Lucinda  col  suo  casato  di  Nadasti  nell'  elenco 
de' Comici  del  Duca  di  Modena  pel  1688,  in  cui  ella  sosteneva 
le  partì  di  seconda  donna.  (V.  Torri  Antonia). 


Nanini  Giovanni.  Attore  e  capocomico  fiorito  nella  se- 
conda metà  del  secolo  xvii,  di  cui  abbiam  notizia  soltanto 
nella  citata  opera  di  Paolo  Trautmann  sui  comici  italiani  in 


174  NANINI  -  NAPOLIONI 

Baviera.  Stanchi  i  bavaresi  della  Compagnia  tedesca  capitanata 
dal  Treu,  e  desiderosa  forse  la  stessa  Adelaide  di  Savoia, 
riandando  la  sua  giovinezza  e  i  godimenti  provati  alla  rappre- 
sentazione del  Cid  di  Corneille,  di  riviver  queir  ore  di  esalta- 
zione dello  spirito,  risolse  di  chiamare  a  sé  una  buona  Compa- 
gnia francese,  che  si  recò  a  Monaco  Testate  del  1671,  condotta 
da  Filippo  Millots,  e  vi  rimase  fino  alla  morte  della  principessa 
elettorale.  Congedati  i  Francesi,  i  comici  di  Treu  signoreggia- 
rono ancora  una  volta  alla  Corte,  con  un  repertorio  de' più 
svariati  ricco  di  drammi,  farse,  pastorali,  ecc.  Ma  la  lor  si- 
gnoria durò  ben  poco.  La  fine  e  pur  frivola  società  di  Corte 
bavarese,  e  soprattutti  il  giovine  Max  Emanuel,  si  stancò 
presto  di  quelle  rozze  rappresentazioni:  la  riapparizione  di 
Treu  e  compagni  sul  teatro  di  Corte  a  Monaco  ebbe  per  re- 
sultato la  chiamata  di  comici  stranieri  :  e  questa  volta  furono 
italiani,  venuti  da  Venezia  sullo  scorcio  del  1689,  e  capitanati 
da  Giovanni  Nanini,  che  rappresentava  in  commedia  la  ma- 
schera del  Dottore. 

Nanini  Giuseppe.  Bolognese.  Fu  prima  ballerino,  poi  Ar- 
lecch'mo  di  pregio.  Ebbe  da  un  colpo  di  pistola  sì  malconcia 
una  mano,  che  si  dovette  amputargliela;  e  però  fu  cognomi- 
nato il  monco.  NuUameno  egli  continuò  a  recitar  con  favore,  e 
il  1781  si  trovava  con  Antonio  Camerani,  applauditissimo. 

Napolioni  Marco.  Napoletano,  fiorito  alla  metà  del  se- 
colo XVII,  recitava  nella  Compagnia  del  Principe  di  Parma  le 
parti  ài  Innamorato  col  nome  di  Flaminio.  Oltre  all'essere  at- 
tore pregiato  e  pregiato  capocomico,  era  ancor  traduttore  di 
opere  drammatiche,  delle  quali  TAUacci  nella  prima  edizione 
della  sua  drammaturgia  dà  V  elenco  che  qui  riferisco  : 

Il  Re  rivale  del  suo  favorito,  da  D.  Geronimo  di  Villa  Assan. 

Il  Purgatorio  di  San  Patrizio,  opera,  da  D,  Pietro  Calderon. 

La  gran  Zenobia,  opera. 

La  vita  è  sogno,  opera. 

La  casa  con  due  porte,  commedia,  da  Ivan  Perez  de  Montalban. 


NAPOLIONI  175 


IL  Sansone,  opera. 

Il  gran  Seneca  di  Spagna  Filippo  II,  opera,  da  Lopez  de  Vega. 

Il  Nigno  diabolo,  opera. 

L'armata  navale  vittoriosa  sotto  D.  Giovanni  d'Austria. 

Il  cane  dell'  ortolano,  tragicommedia,  da  Mora  de  Mesqua. 

Lo  SCHIAVO  del  demonio,  ovvero  il  D.  Giliz,  opera. 

La  fortuna  di  D.  Bernardo  di  Cabrerà,  e  D.  Lopez  de  Luna,  opera,  da 

Ivan  de  VigUega. 
La  verità  bugiarda,   opera,  da  tre  autori. 

Il  gran  Catà  an  Sacralonga,  tragicommedia,  da  D.  Francesco  de  Roxa. 
Il  Macometto,  opera. 
Theagene  e  Cariclea,  opera. 
Il  pericolo  ne*  rimedj,  opera. 
Il  maritarsi  per  vendetta,  opera. 
Persile  e  Sigismondo,  opera. 
Il  generoso  nemico,  commedia. 

Gli  aggravj  trionfanti  della  gelosla,  commedia,  da  D.  Ivan  d'Allarion. 
L'Anticristo,  opera,  da  D.  Gabriel  del  Dovei. 


Lo  troviamo  il  1647  a  Roma,  al  servizio  di  Donna  Olimpia 
Panfili,  conduttor  della  Compagnia,  insieme  al  Buffetto,  Carlo 
Cantù  (V.),  nelle  di  cui  lettere  è  riferita  la  storia  dei  subbugli, 
avvenuti  in  pubblico  teatro,  e  la  partenza  per  Napoli  del  Na- 
polioni,  che  seco  trasse  buona  parte  di  quei  comici,  da  lui,  come 
dice  il  Cantù,  subornati.  E  lagnanze  gli  mosse  contro  anche  la 
Fiorillo  {Beatrice),  come  si  vede  dalla  lettera  del  '51  pubblicata 
al  suo  nome  (voi.  I,  pag.  929),  per  le  solite  gelosie  di  mestiere, 
e  convenienze,  e  invidie  suscitate  non  sappiam  bene  se  dalla 
stessa  Fiorillo,  o  dalla  moglie  del  Napolioni,  che  ci  sembra 
poter  identificare  per  Argentina,  come  quella  che  insieme  a 
lui  assalse  Beatrice  con  dispetti  di  ogni  maniera  (V.  anche  Fio- 
rillo Giovan  Battista). 

<  Nel  Diario  del  Capecelatro,  riferisce  Benedetto  Croce 
{pp.  cit.y  i2b,  nota),  si  parla  di  un  Flaminio  Napoleone  o  Nobi- 
liane,  che  nel  1648  era  a  Roma  coli' ambasciatore  di  Francia  e 
aveva  intelligenze  coi  ribelli  napoletani.  Era  il  nostro  comico 
Flaminio.  » 

Una  sua  lettera  del  30  agosto  del  '57  da  Bologna  a  un 
Ministro  del  Duca,  ci  fa  sapere  come  il  settembre  e  T  ottobre 
la  Compagnia  si  recasse  a  Firenze  e  l'autunno  a  Venezia  al 


176  NAPOLIONI 


San  Samuele,  chiamatavi  da  S.  E.  Grimani  (V.  pel  58  le  lettere 
di  Orsola  Coris). 

Il  luglio  del  '59  si  trovava  a  Siena,  come  abbiamo  da  una 
sua  lettera  a  Francesco  Toschi,  colla  quale  accettava  di  far 
parte  della  Compagnia  del  Duca  di  Modena  sì  per  l'autunno, 
sì  fino  a  tutto  il  carnovale.  La  Compagnia  di  Flaminio  era  stata 
rotta  dal  signor  Podestà  di  Galicano,  e  il  Toschi  dandone  l'an- 
nunzio al  Duca,  e  proponendogli  il  Napolioni,  lo  dice  il  Melio 
che  calchi  sena...,  e  aggiunge:  se  V.  S.  IlLma  volesse  scriuere, 
certo  veriano,  e  si  farla  una  Compagnia  di  tutto  Paragone  ;  li  do 
questo  motivo  acciò  S.  A.  resti  ben  seruito  come  merita. 

Il  Croce,  nel  quarto  punto  dell'  appendice,  oltre  a'  titoli 
delle  parti,  ond'  è  composto,  riferisce  alcuni  brani  di  un  codice 
dal  titolo  :  La  pazzia  di  Fla^ninio  nel  presupposto  tradimento  di 
Cintia  —  a  15  maggio  1680,  ove  sono  soliloqui,  parlate  e  dialo- 
ghi, relativi  tutti  alla  parte  di  Flaminio.  Il  D'Ambra  di  Napoli 
ha  ristampato  (1884)  ^^^  commediola,  \vì\aXxAòX.2ì\  Flaminio  pazzo 
per  amore,  con  Pulcinella  studente  spropositato.  Commedia  nuo^ 
vissima,  secondo  il  buon  gusto  moderno,  che  è  certo  —  aggiunge 
il  Croce  -  una  manipolazione  dello  Scenario,  del  quale  dovea 
far  parte  la  scena  di  spropositi  ch'egli  riferisce  tra  Flaminio 
matto  e  Polcinella. 

Trovo  in  una  nota  inedita  del  GueuUette  che 

Marco  Napolioni  detto  Flaminio  era  conosciuto  in  teatro  col  nome  di  Flaminione 
per  distingaerlo  dagli  altri  Flaminj  della  Comedia  italiana.  Egli  era  nonno  di  Agata  Vita- 
lianì,  che  sotto  il  nome  di  Flaminia  recitava  in  Italia  le  amorose,  moglie  di  Francesco  Bal- 
letti, primo  del  nom'b,  che  recitava  gli  amorosi. 

Flaminione  fu  illustre  nella  sua  professione  e  amato  da'più  grandi  d'Italia,  specie  da  Co- 
simo III  granduca  di  Toscana.  Egli  era  a  Napoli  il  1647  al  tempo  della  rivolta  di  Masaniello, 
che  lo  conosceva  assai  bene.  Incontratolo  per  via,  sapendo  com'egli  era  amato  dai  grandi  e  dal 
popolo,  gli  ordinò  di  seguirlo.  Il  Napolioni  dovette  obbedire,  e  lo  sciagurato  lo  nominò  amba- 
sciatore per  aggiustar  le  differenze  tra  il  popolo  e  la  Corte  di  Spagna.  Flaminione  accettò  ;  ma 
l'ambasciata  non  ebbe  luogo,  perchè  in  capo  a  quindici  giorni  Masaniello  fu  destituito  dalla 
sua  pretesa  regalità,  e  Flaminione  di  cui  fu  riconosciuta  la  probità,  potè  restituirsi  a  sé  stesso. 

Il  padre  di  Flaminione  era  nipote  del  Cardinale.  La  sua  casa  era  presso  al  Con- 
vento delle  Fanciulle.  Egli  s' innamorò  di  una  religiosa,  e  scavalcato  il  muro  di  cinta,  la 
rapi.  Gli  fu  fatto  processo  in  contumacia.  Egli  si  ritirò  in  questo  tempo  a  Napoli,  e  vi  si 
fece  mercante  sotto  il  nome  di  Napolioni.  Fu  là  che  divenne  padre  di  Marco,  il  quale, 
montato  sul  teatro,  mutò  il  nome  di  Napolioni  in  quello  di  Flaminio. 


NARDELLI  177 


Nardelli  Gaetano,  nacque  il  1786  da  onesti  parenti  a  Ve- 
rona. Entrò  il  1807  coscritto  nei  veliti  italiani,  e  prese  parte 
alla  battaglia  della  Favorita  presso  Mantova.  Poi,  scioltasi  Tar- 
mata italiana  per  V  entrata  degli  Austriaci  in  Milano,  e  rifiuta- 
tosi il  Nardelli  di  continuar  nel  servizio,  se  ne  tornò  alla  natia 
Verona.  Morti  i  genitori,  egli,  che  avea  già  tal  volta  recitato 
nella  filodrammatica  della  città,  non  avendo  più  legami  di  sorta 
in  patria,  si  diede  alle  scene  in  cui  riuscì  valente  caratterista 
e  valentissimo  capocomico.  Formò  il  1830  società  con  Luigi 
Ghirlanda,  che  fu  poi  sostituito  da  Giovanni  Boccomini  fino 
ar35.  Ne  fu  per  tutto  quel  tempo  prima  attrice  l'Amalia  Bettini, 
che,  cominciando  allora  a  destar  fanatismo,  procacciò  al  Nardelli 
denaro  e  riputazione.  Facean  parte  della  Compagnia  gli  artisti 
Tessero,  Rossi,  Pelizza,  come  si  vede  nella  poesia  pubblicata  al 
nome  della  Bettini  (voi.  I,  pag.  390).  Andata  lei  con  Romualdo 
Mascherpa,  e  andato  il  Boccomini  con  Angelo  Rosa,  Nardelli 
si  ritirò  a  Verona,  ove  comprò  il  teatrino  dell'Accademia,  e 
de' vigneti  in  Valpolesella  ;  non  tardando  poi  a  formare  una 
società  per  un  triennio  con  Carlo  Re,  proprietario  dell'  antico 
teatro  di  questo  nome  in  Milano,  e  con  un  caffettiere  presso 
San  Carlo,  per  nome  Gottardi,  i  quali,  saputa  la  provata  espe- 
rienza di  lui,  gli  affidaron  la  direzione  dell'azienda.  La  Com- 
pagnia doveva  rimanere  al  Teatro  Re  ogni  anno  dal  i^  set- 
tembre al  1 5  dicembre,  e  ne  eran  principale  ornamento,  oltre 
a  un  buon  numero  di  generici  e  generiche,  Amalia  Bettini, 
prima  attrice;  Carolina  Fabretti,  poi  Giardini,  prima  attrice 
giovane;  Adelaide  Zannoni,  madre  e  seconda  donna;  Amalia 
Colomberti,  servetta;  Lucrezia  Bettini,  caratteristica;  Antonio 
Colomberti,  primo  attore;  Giovanni  Boccomini,  padre  nobile  e 
promiscuo;  Gaetano  Coltellini,  caratterista;  Pietro  Boccomini, 
primo  amoroso;  Antonio  Giardini,  brillante  e  secondo  amoroso; 
Giuseppe  Zannoni,  generico  primario. 

L'entrata,  un  anno  per  l'altro,  fu  dalle  80,000  alle 
90,000  lire,  e  l'uscita  dalle  50,000  alle  55,000;  e  il  biglietto 
serale  allora  era  normalmente  di  centesimi  60,  non  mai  più 

23.  —  /  Comici  italiani.  Voi.  II. 


178  NARDELLI  -  NARDO 

di  80.  Non  v'eran  poltrone,  posti  chiusi  o  riservati....  Niente 
altro  che  incasso  di  Platea  e  Palchi  che  non  eran  di  proprie- 
tarj.  Il  primo  autunno  fruttò  lire  47,000,  il  secondo  27,000,  il 
terzo,  che  si  mutò  poi  in  carnovale,  22,000:  e  alla  fine  del 
triennio,  prelevata  largamente  ogni  spesa,  i  soci  ebber  di  loro 
parte  20,000  lire  austriache  nette.  Ritiratasi  la  Marchionni 
dalla  R.  Compagnia  Sarda,  andò  la  Bettini  a  sostituirla,  e  il 
Nardelli  si  ritirò  per  sempre  in  Verona,  ove  si  diede  al  com- 
mercio de'  vini  forestieri. 

Passò  a  seconde  nozze  (la  prima  moglie,  una  mediocre 
servetta  figlia  di  comici,  gli  morì  nel  '39)  con  certa  Barbato, 
figlia  d'un  suggeritore,  e  morì  non  ancor  settantenne. 

Nardi  Antonio.  Francesco  Bartoli  dedica  una  mezza  pa- 
gina di  lodi  a  questo  comico,  per  aver  potuto,  dopo  uno  studio 
indefesso,  accurato  e  minuzioso,  sostituire  Agostino  Fiorilli 
nella  maschera  del  Tartaglia,  quando  questi  si  tolse  dalla  Com- 
pagnia d'Antonio  Sacco  per  recarsi  in  quella  di  Maddalena 
Battaglia,  riproducendone  fedelmente  i  soggetti  ed  i  lazzi. 

Nardo.  Sotto  questo  nome  è  citato  dal  Bartoli  un  certo 
Ferrasani,  fiorito  a  Palermo  il  1750  circa,  secondo  Zanni  rino- 
matissimo, vestito  di  bianco  alla  foggia  de' Piero.  Secondo  i 
varj  sentimenti  che  lo  moveano,  egli  sapeva  a  suo  talento  di- 
ventar pallido  come  un  cadavere,  o  rosso  infiammato  ;  nascon- 
der la  testa  fra  le  spalle,  apparendo  senza  collo,  o  risollevarla 
d' un  tratto,  il  collo  allungando  per  modo  da  farlo  parer  quello 
d' una  gru.  Toltosi  dalla  professione,  correva  le  strade  di  Pa- 
lermo chiedendo  del  suo  fallo  perdono  con  queste  parole:  Vi 
chiedo  scusa  del  cattivo  esempio  che  v'ho  dato,  e  in  accuso  d' essere 
stato  un  furfante;  ma  più  furfanti  siete  stati  voi  altri  portandovi 
cosi  vogliosi  ad  ascoltarmi.  E  il  popolo  segui  vaio  ridendo  e  ap- 
plaudendo. Venuto  a  morte,  fu  il  suo  corpo  disseccato  a  guisa 
di  mummia,  e  collocato  in  un  pubblico  cimitero,  d'onde  però, 
vista  la  poca  devozione  de'  visitatori,  fu  tolto  per  esser  messo 


NARDO  -  NARICI  179 


sotto  terra;  e  aggiunge  il  Bartoli,  che  la  memoria  di  lui,  viveva 
ancora  al  suo  tempo  (1781). 

In  tuttociò  è  probabilmente  una  grande  fantasticheria  del 
Bartoli,  dacché  un  tal  Nardo  Ferrasani  esistesse  davvero  sem- 
plice servitore,  il  quale  per  la  sua  balordaggine  passò  in  prover- 
bio; e  solevasi  dire  in  Palermo:  Stupido  come  Nardo  Ferrasano ! 

Narici  Bernardo,  genovese,  recitava  le  parti  ^innamorato 
sotto  il  nome  di  Orazio.  Lo  vediam  sempre  nella  Compagnia 
del  Duca  di  Modena,  insieme  al  Capitan  Fiala  (V.),  e  a  sua 
moglie  Marzia,  della  quale  il  Narici  era  parente;  probabil- 
mente fratello  (V.  Areliari,  al  cui  nome  è  V  elenco  della  Com- 
pagnia pe  '1  1675).  Abbiam  di  lui  una  ricevuta  di  prestito  del 
28  aprile  1677  da  Alfonso  D'Este  per  doppie  sette  d'Italia, 
e  una  lettera  dell' '84  che  riferisco  intera: 

Seren.wa  Altezza, 

Bernardo  Narice  detto  Orazio,  Comico,  e  semo  hamilissimo  di  V.  A.  S.  riverente- 
mente gì'  espone  ritronarsi  la  Compagnia  in  stato  da  non  poter  cosi  tosto  andar  fuori  a  proc- 
cacciarsi  il  oinere,  anzi  douer  star  mesi,  essendo,  come  è  noto,  inferma  malamente  la  Corallina 
in  Verona,  e  la  figlia  non  poter  lasciar  la  madre  pericolante;  al  che  prima  pendena  e  pende 
il  non  nedersi  comparire  la  Diana,  ne  sapersi,  quando  mai  sia  per  uenire,  perilche  Cintio  il 
Marito  si  protesta  non  nolere  uscire  fuori  senza  la  moglie,  essendosi  giii  portato  a  Verona, 
doue  è  la  Madre  inferma;  oltre  che  partendo  anche  questa  senza  gl'anzidetti  per  le  piazze 
prescrìtte,  gli  riuscirebbe  di  poco  proffitto,  essendo  sempre  auuezze  a  uedere,  e  sentire  le  più 
fiorite,  e  sdelte  Compagnie  di  Principi.  Stante  dunque  le  presenti  emergenze  il  pouero  oratore 
prostrato  à  piedi  dell'A.  V.  S.  sogiunge,  esser  egli  in  un  stato  più  che  miserabile,  hauendo, 
doue  di  certo  haurebbe  guadagnato  nella  Compagnia,  ou'  era  stato  ammesso  prima  di  rice- 
uere  la  lettera  dal  S.  D.  Alfonso  da  parte  di  V.  A.  dieci  doppie,  le  quali  nel  tempo,  che  qui 
si  tratiene  ha  fatto  di  debito  e  non  potendosi  più  sostenere  supplica  V.  A.  S.  a  degnarsi  di 
porgerli  qualche  soccorso  o  pure  darli  licenza  di  andare  a  proccacciarsi  il  nitto,  sino  a  tanto 
che  la  Compagnia  dell'A.  V.  S.  sia  in  stato  di  andar  fuori.  Che  della  grazia  Quam  Deus  etc. 

Di  fuori:        AU* Altezza  Seren.™»  del  Sig.r  Duca  di  Modona 

Per  Bernardo  Narice  detto  Orazio  Comico. 

(Rescritto  delia  Cancelleria)'.  (1684)  -  Si  riporti. 

Corallina  era  Domenica  Costantini,  moglie  di  Gradelinio. 
Diana  era  Teresa  Corona  Sabolini. 
Cintio  era  Giovanni  Battista  Costantini,  fratello  di  Mez- 
zettino  e  figlio  di  Domenica. 


i8o  NARINI  -  NEGRINI 

Nanni  Domenico.  È  citato  dal  BartoH,  come  attore  del  suo 
tempo  (1781)  di  sufficiente  abilità  per  la  maschera  del  Bri- 
ghella, e  più  ancora  per  le  parti  serie.  Di  voce  robusta  ma  gra- 
devole, gli  si  afildavan  volentieri  parti  imperiose  e  risentite 
corrispondenti  forse  piCi  tardi  a  quelle  di  padre  e  tiranno. 
Sua  moglie  recitava  con  lui  le  ultime  parti. 

Nazzari  Eugenia.  Veneziana.  Dopo  di  essere  stata  il  1 778 
seconda  donna  nella  Compagnia  di  Faustina  Tesi,  attrice  lode- 
vole nelle  parti  serie  e  appeissionate,  passò  prima  donna  asso- 
luta non  ispregiata  di  una  compagnia  di  giro. 


Negri  Luigi.  Fiorentino,  nato  di  civile  famiglia  verso  ìl  1 790, 
si  diede  all'arte,  dopo  compiuti  gli  studi  all'Università  dì  Pisa. 
Fu  ottimo  amoroso,  e  fece  parte  delle  Compagnie  di  Lorenzo 
Pani,  del  vecchio  Andolfati  e  di  Gaetano  Pazzi.  -  Venuto  a 
maturità,  prese  il  ruolo  del  pa-ire  nobile,  nel  quale  riuscì  at- 
tore non  meno  pregiato. 
Sposò  la  vedova  di  Gio- 
vanni Pazzi,  la  celebre 
Maria  Anna,  e  con  essa 
andò  a  stabilirsi  nel  1 849 
a  Firenze,  ove,  pochi  an- 
ni dopo,  morì. 

Negrini  Anna.  Fi- 
glia o  moglie  di  un  Gio- 
vanni Negrini,  di  cui  non 
so  altro  che  era  capoco- 
mico nel  1803.  Ella  re- 
citava le  parti  di  prima 
donna  con  molto  succes- 
so, e  al  Teatro  Valle  di 
Roma  le  fu  dedicato  il 
seguente  sonetto  con  in  fronte  il  ritratto  qui  riprodotto.  Opera 


NEGRINI  -  NELLI  i8i 


l'uno  e  l'altro,  a  quanto  sembra,  dello  stesso  autore,  nascosto 
sotto  le  iniziali  C.  C.  : 

Qual  comparve  il  tuo  volto  al  mio  pensiero, 
tal  r  incise  la  man  :  guancia  di  rosa, 
vago  ciglio,  ora  mite,  ed  or  severo, 
labro  gentile,  e  fronte  maestosa. 

Ma  l'arte,  che  su  i  cuor  ti  dà  l'impero, 
e  quei  modi,  con  cui  tratti  animosa 
il  Socco  umile,  ed  il  Coturno  altero, 
mano  incider  non  puole,  oppur  non  osa. 

«  Melpomene,  che  grave  il  cuor  conquide  » 
sembri,  e  poi  colle  tue  spoglie  cangiate 
sei  Talia,  che  Terror  percuote,  e  ride. 

Del  tuo  volto  le  forme  ho  lineate, 

ma  i  varj  moti  tuoi  qual  mano  incide? 
Ceda  l'Artista  tanta  gloria  al  Vate. 

Nelli  Ercole.  Recitò  le  parti  di  primo  Zanni,  che  vediam 
sostenere  il  1650  nella  Compagnia  del  Duca  di  Modena  (V.  Za- 
notti  Andrea).  In  una  lettera  del  Goccino  al  Duca  del  1 8  feb- 
braio '50  da  Venezia,  e  nella  sottoscrizione  della  Compagnia, 
in  data  15  aprile  1651  da  Bologna  (V.  LoUi  Eustachio),  egli  è 
chiamato  il  Dottor  Nelli.  Il  io  di  agosto  era  colla  compagnia 
a  Verona,  come  si  vede  dalla  supplica  di  cui  si  è  parlato  al 
nome  di  Fiala  Giuseppe  Antonio  (V.)  ;  e  vi  era  ancora  V  8  di 
settembre,  sotto  la  qual  data  riferisce  a  un  famigliare  del  Duca, 
come  non  essendosi  negoziata  a  dovere  T  andata  a  Venezia, 
probabilmente  la  compagnia  non  avendo  T  autunno,  dovrà 
sciogliersi,  per  riunirsi  poi  nel  carnovale  ;  annunzia  che  Colom- 
bina (la  Franchini)  vuol  andarsene  a  Bologna,  e  eh'  egli  è  co- 
stretto, secondo  l'ordinazione  de' medici,  a  condur  l'Angiola 
sua  moglie  a  Venezia /^r  una  tosse  di  cattiva  conseguenza;  e  con- 
chiude con  l'annuncio  di  due  lettere  (non  potute  trovare),  le 
quali  avrebber  fatto  conoscere  le  dopliccUe  malignità  de'  comici 
parmiggiani,  capo  de'  quali  è  Brighella  (V.  Cantù  Carlo)  e  Mario 
(V.  Grisanti  Agostino)  ;  che  non  contenti  d'haverci  stancato  le  città 


i82  NELLI 

(la  Compagnia  del  Duca  di  Parma  aveva  prima  d'essi  recitato 
a  Verona  trenta  commedie)  dove  dovevamo  andarci  noi,  cercono 
ancora  di  non  lasciarci  fare  le  nostre  opere,  che  sono  mie,  in  Venetia, 
Anche  nel  '54  pare  vi  fosse  timore  di  smembramento 
della  compagnia,  e  il  Nelli  avendo  saputo  che  le  carrozze  eran 
già  state  licenziate,  si  rivolge  il  3  di  aprile  a  un  famigliare  del 
Duca  per  sapere  se  la  compagnia  debba  andare  a  guadagnare, 
0  pure  aspettare  in  Bologna,  a  ciò  possano  tutti  i  compagni  dipen- 
dere dai  commandi  dell' A.  Sua. 

Nelli  Angiola.  Moglie  del  precedente.  Recitò  le  parti  di 
prima  donila  al  fianco  sempre  di  suo  marito.  Non  volendosi 
recare  il  '51  a  Padova,  allegando  in  iscusa  ch'ella  era  impe- 
gnata per  Milano,  ma  temendo  in  realtà  qualche  dispiacere 
nella  concorrenza  di  Armellina  (V.  Lolli  Eustacchio),  indirizzò 
una  lettera  a  un  Segretario  del  Duca,  sottoscritta  Angiola 
lig.^^  Nelli  ;  ma  per  quanti  raffronti  fatti,  non  m' è  riuscito  di 
trovar  con  quell'abbreviatura  il  nome  di  famiglia.  Paolo  Abriani 
nella  prima  parte  delle  sue  rime,  recitando  essa  Lo  Spirito  Fol- 
letto, dettò  il  seguente 

SONETTO 

Spirto  sei  finto,  e  con  veraci  incanti 
stilli  ne'  sensi  altrui  gioje  e  dolori. 
Tratti  fiamme  da  scherzo,  e  vivi  ardori 
spiran  dal  volto  tuo  gli  occhi  stellanti. 

Cangi,  Proteo  novel,  forme  e  sembianti, 
e  in  te  trasformi  immobilmente  i  cori; 
varie  lingue  e  costumi,  e  industri  amori 
rendono  a' cenni  tuoi  l'anime  amanti. 

Spettro  ti  fingi,  eppur  chi  t'ode  e  mira 
ti  giura  Angel  Celeste  ai  gesti  e  al  viso, 
e  all'alte  grazie  tue  fervido  aspira. 

E  in  un  rogo  d'amor  da  sé  diviso, 
reco  brama  cader,  eh' Angel  ammira, 
che  può  dar  fra  gl'incendj  un  Paradiso. 


NELLI  -  NETTUNI  183 


Di  tutte  le  scenate  dei  coniugi  Nelli  e  dei  coniugi  Buf- 
fetto e  Colombina,  vedi  al  nome  di  Cantù  Carlo,  il  quale  ha 
lettere  interessantissime  su  tal  proposito. 

Nelvi  Andrea.  Bolognese.  Attore  reputatissimo,  recitasse 
egli  a  viso  scoperto,  o  con  la  maschera  del  Dottore  o  del  Bri- 
ghella. Fu  con  Gabriele  Costantini  a  Napoli  al  servizio  del  Re 
Carlo,  poi,  tornato  in  Lombardia,  con  Pietro  Rossi. 

Divenuta  celebre  una  certa  canzonetta,  che  cominciava 
gnor  a  luna,  compose  una  commedia  intitolata  Lo  sposalizio  della 
sonora  Luna,  alla  quale  accorreva  il  pubblico  in  folla,  e  nella 
quale  egli  rappresentava  una  parte  di  ebreo  a  meraviglia. 
Avanzato  in  età  e  trascurato  dalle  buone  compagnie,  dovè  ri- 
correre alle  più  meschine,  cessando  di  vivere  in  Romagna 
nel  1768,  <  attorniato  -  come  dice  il  Bartoli  -  dalla  miseria  e 
di  sozzure  ripieno.  > 

Nettuni  Lorenzo,  bolognese,  rappresentante  le  parti  di 
secoìido  Zanni  con  molto  valore,  apparteneva  il  1610  alla  Com- 
pagnia dei  Comici  Confidenti,  con  cui  lo  vediam  recitare  in 
Reggio,  Modena  e  Carpi.  Passò  poi  nella  Compagnia  del  Duca 
di  Mantova,  e  il  '20  era  fra  gli  artisti  che  si  recarono  in  Fran- 
cia, di  cui  è  r  elenco  al  nome  di  Martinelli  Tristano.  Firmò 
anch' egli  la  lettera  al  Duca  di  Mantova  in  data  1 2  maggio  1 62 1 , 
in  cui  protestava  pei  mali  disegni  dell'arlecchino  Martinelli  di 
smembrar  la  compagnia,  privandola  del  Capitano  (Garavini),  a 
cui  avrebbe  sostituito  Matamoros  e  suo  figlio  (S.  e  G.  B.  Fiorillo), 
e  soprattutto  di  volersene  fuggire,  come  fece  poi,  ora  che  avea 
fatto  bottino;  e  faceva  istanza,  conforme  i  desiderj  di  Sua 
Maestà,  di  restare  a  Parigi  un  anno  ancora....  istanza,  che  fu 
accolta  favorevolmente,  rimanendo  allora  alla  testa  della  com- 
pagnia Giovanni  Battista  Andreini.  Né  la  collera  dei  compagni 
contro  il  fuggitivo  si  spense  sì  facilmente:  essi  obbligarono 
TAndreini  a  redigere  una  lunga  requisitoria,  che  firmarono 
tutti,  compreso  il  Nettuni. 


i84  NICOLI  -  NOBILI 


Nicoli  Lodovico.  Recitava  nella  maschera  del  Dottore,  e 
il  1736  trovavasi  in  Compagnia  di  Argante  (V.  Franceschini 
Antonio)  al  San  Luca  di  Venezia,  ove  sostenne  la  parte  del 
Dottore  Marchese  de' Merlotti  nella  tragicommedia  intitolata: 
La  clemenza  nella  vendetta. 

Nicolini  Filippo.  Recitò  le  parti  à^  innamorato  con  molta 
lode.  Fu  con  Nicola  Petrioli  e  con  Alessandro  Gnochis  (1760) 
insieme  alla  sorella  Barbara,  e  al  cognato  Gaetano  Romagnoli: 
morti  i  quali,  s' unì  alla  Compagnia  della  Faustina  Tesi,  reci- 
tandovi da  Brighella.  Fu  artista  il  Nicolini  di  non  comune 
versatilità,  uno  degli  ultimi  e  fortunati  campioni  della  comme- 
dia improvvisa,  la  quale,  mercè  la  pratica  eh'  egli  avea  cogli 
scenarj  dell'arte,  e  la  sua  prontezza  di  spirito,  sapeva  ancor 
concertare  con  rara  intelligenza. 

Nobili  Orazio.  Era  il  primo  innamorato  di  quella  famosa 
Compagnia  dei  Comici  Gelosi,  che  pose  termifie  alla  drammatica 
arte,  oltre  del  quale  non  può  varcare  niuna  moderna  compagnia 
di  comici  (V.  Andreini  Francesco).  Di  lui  abbiamo  anche  la  te- 
stimonianza del  comico  G.  Bruni  (V.),  il  quale  dice  nella  intro- 
duzione alle  Fatiche  comiche  (pag.  11- 12),  che  il  Valerini  (V.) 
non  ispaventava  Orazio  Nobili  che  solamente  grazioso,  con  due  0 
tre  Sonetti  (che  si  potevano  adimandar  Protei  poiché  in  mille  guise 
ad  altre  tante  occasioni  li  trasformava),  ha  tenuto  il  luogo  di  buono 
tra  i  primi  (V.  Pasquati). 

Nobili  (De)  Nobile.  Citato  dal  Bertolotti  fra'  comici  che 
furon  di  passaggio  a  Mantova  nel  1590.  Egli  era  bolognese,  e 
il  1 2  settembre  giunse  in  casa  di  Cesare  Gonzaga  assieme  a 
Lodovico  Albergina  da  Venezia. 

Nobili  Sante.  Comico  egregio,  che  recitava  nella  Compa- 
gnia del  Duca  di  Modena  sui  primi  del  '700  le  parti  ^inna- 
morato col  nome  di  Lelio.  Pubblicò  il  '14  da  Giulio  Rossi  a 


NOBILI  -  NOVELLI  185 


Bologna  una  traduzione  in  prosa  à&^ Irene  Imperatrice  del- 
l'Oriente,  dramma  in  versi  per  musica  dell'abate  Silvani,  e 
dedicolla  al  Marchese  Antonio  Ghisilieri,  col  titolo  :  La  Virtù 
trionfaìite  del  Tradimento  negli  accidenti  d' Irene  augusta  vedova 
di  Leone  Imperatore  de'  Greci.  Ristampolla  il  '15,  dovendosi 
recitare  al  Teatro  Rangoni  di  Modena,  da  quello  stampatore 
Bartolommeo  Soliani,  intitolandola  solo  La  Virtù  trionfante  del 
Tradimento,  e  dedicandola  Al  Merito  sempre  grande  dell' IlLmo 
SigS  Conte  Cristoforo  Tardini  Fattore  Generale  e  Commissario 
delle  Battaglie  di  tutto  lo  Stato  di  S.  A.  SerJ'*^  il  Sig/  Duca  di 
Modena.  La  lettera  con  cui  il  Nobili  chiede  la  licenza  di  dedica, 
trovasi  nell'Archivio  di  Modena  e  ha  in  calce  :  Imprimatur  — 
Inquisitor  Mutince  Carolus  Barberius. 

Nolfi  Guido,  di  Fano,  è  citato  dal  Bertolotti  {pp.  cit.)  tra'  co- 
mici che  l'i  I  dicembre  1590,  di  passaggio  a  Mantova,  presero 
alloggio  presso  M.  Cesare  Calassi  pure  di  Fano. 

Novelli  Ermete.  L'artista  più  generico  del  nostro  tempo, 
che  fa  pensare  nella  spontaneità  maravigliosa,  e  nella  prodi- 
giosa multiformità,  a' più  grandi  attori  della  Commedia  del- 
l'arte, i  quali,  recitando  e  le  buffonate  e  la  tragedia,  eran 
capaci  di  rendere  le  idee  più  alte  de' poeti  drammatici,  e  d'imi- 
tar le  più  straordinariamente  ridicole  della  natura  (V.  Ber- 
tinazzi):  pregio,  avverte  il  Riccoboni,  che  è  una  particolarità 
de'  comici  italiani.  Tuttavia  nessuno,  come  il  Novelli,  anche 
tra  italiani,  dalle  altissime  cime  della  tragedia  potè  scendere 
alle  più  basse  della  pochade,  passando  pel  dramma  moderno  in 
tutte  le  sue  svariatissime  forme  esprimenti  le  più  calde  pas- 
sioni, e  destando  le  più  disparate  commozioni  in  chi  lo  vede  e 
ascolta.  Il  repertorio  di  Ermete  Novelli  si  direbbe  un  reper- 
torio acrobatico:....  Otello,  Papà  Lebonnard,  Mia  moglie  non  ha 
chic  —  Shylock,  Morte  Civile,  Distrazioni  del  signor  Antenore  — 
Amleto,  Bisbetica  domata.  Barbiere  di  Gheldria  —  Dramma  nuovo. 
Burbero  benefico.  Tre  mogli  per  un  marito  —  Luigi  XI,  Kean, 

24.  —  /  Comici  italiani.  Voi.  II. 


i86  NOVELLI 


Michele  Perrin  —  Nerone,  Gerla  di  Papà  Martin,  la  Zia  di 
Carlo..,.  Poi  una  infinità  di  monologhi  drammatici,  comici, 
grotteschi,  coi  quali  egli  può  far  valere  tutte  le  sue  qualità  di 
trasformista,  dirò  così,  naturale,  poiché  la  mobilità  di  fisiono- 
mia di  Ermete  Novelli  è  un  miracolo  vivente.  Egli  ha  il  fascino. 
Una  larghissima  vena  di  comicità,  che  gli  zampilla  su  dal 
cuore,  è  entrata  per  modo  nelle  sue  consuetudini,  che  non 
sappiam  più  se  in  iscena  reciti,  o  se  fuor  della  scena  discorra, 
tanto  si  fondono  e  confondon  l'uomo  e  l'artista.  E  codesta 
fusione  e  confusione,  a  volte,  gli  permette  famigliarità  col  pub- 
blico, le  quali  niun  altro  artista  si  permetterebbe....  Ma  se  il 
pubblico  va  'sta  sera  in  visibilio  dinanzi  alle  prodezze  del  suo 
beniamino  improvvisate  in  Mia  moglie  non  ha  chic,  o  in  Tre  mogli 
per  un  marito,  domani  resta  soggiogato  dall'arte  grandiosa 
eh'  egli  profonde  in  Papà  Lebonnard,  o  in  Un  dramma  nuovo. 

Un'altra  qualità,  non  so  più  se  buona  o  cattiva,  di  Novelli, 
è  quella  di  rimaneggiar  tal  volta  le  opere  che  rappresenta,  di 
guisa  che  non  rimanga  più  traccia  della  forma  primitiva.  Tagli, 
aggiunte,  riduzioni,  scene  d'una  tal  commedia  incastrate  in  tal 
altra,  soppressioni  o  creazioni  di  personaggi....  tutto  egli  si 
permette....  Ma  coglie  giusto  sempre;  e  il  lavoro  da  lui  così 
trasformato,  non  a  caso,  ma  perchè  così  veduto  e  sentito,  si 
rinsangua,  ripiglia  vigore,  e  sfida  glorioso  a' lumi  della  ribalta 
l'edacità  del  tempo.  Come  si  è  rivelato  il  genio  dall'artista? 
Col  mezzo  di  quali  profondi  studj  è  salito  a  tanta  altezza? 
A  quali  torture  del  cervello  ha  dovuto  soggiacere  per  ottener 
certe  maraviglie  di  bulino  ?  Fino  a  qual  grado  ha  egli  esercitata 
la  pazienza  nelle  discipline  degli  studj  per  fondere  il  comico  e 
il  drammatico  in  modo  da  far  piangere  e  ridere  il  pubblico  in 
su  lo  stesso  punto,  con  ima  perfetta  musicalità  d' inflessione, 
con  un  atto,  con  uno  sguardo?  Nessuna  risposta.  Nell'arte  di 
Novelli  non  saprei  determinare  né  modo  e  tempo  di  rivela- 
zione, né  profondità  di  studj,  né  torture  di  cervello,  né  esercizj 
di  pazienza!...  Le  profondità  degli  studj  sono  il  più  spesso, 
rispetto  agli  artisti  di  teatro,  nella  immaginazione  dello  spet- 


i88  NOVELLI 


tatore;  e  gli  attori,  in  genere,  che  ne  senton  solleticata  la 
propria  vanità,  a  coltivarla,  e  ad  afìforzar  quella  immaginazione, 
discuton  volentieri  di  malattie  e  di  ospedali  che  non  han  mai 
visto,  di  notti  vegliate  su  libri,  di  cui  non  sanno  né  meno  il 
frontespizio,  di  pensieri  riposti  dell'autore  in  una  parola  della 
lingua  originale,  di  cui  non  conoscono  l'alfabeto.  Novelli  è 
venuto  su....  da  sé,  come  a  un  dipresso  vengon  su  tutti  i 
genj.  Nato  a  Lucca  il  5  maggio  del  1851  da  Alessandro  e 
Teresa  Novelli,  comici  non  primarj  (il  padre  era  un  modesto 
suggeritore),  cominciò  a  birichineggiare  tra  le  quinte  di  un 
teatro  molto  uccio,  dando  noia  al  trovarobe,  e  aiutandolo  a 
fabbricar  gli  oggetti;  contraffacendo  i  compagni,  tormentando 
le  ragazze,  facendo  le  comparse,  recitando  parti  di  ogni  ge- 
nere, e  recitando  bene  senza  saperlo.  Col  crescere  degli  anni, 
gli  si  andò  sviluppando,  naturalmente,  il  cervello  e  la  forza  :  e 
allora,  invece  di  aiutare  il  trovarobe  nella  fabbricazione  degli 
oggetti,  aiutò  il  macchinista  a  rabberciare  e  ridipinger  le  scene, 
recitando  sempre  bene.  Uomo,  invece  di  aggiustare  e  ridipin- 
ger le  scene,  fece  parrucche  e  vestiti  all'antica,  e  fabbricò 
acque  odorose,  recitando  sempre  bene.  Oggi,  a  cinquant'anni, 
fa  il  negoziante  di  oggetti  antichi,  e  recita  sempre  bene.  Il 
teatro,  non  occupandolo  intero,  non  basta  alla  sua  attività; 
poiché  Novelli  é  sempre  stato  ed  é  sopr'  a  tutto  un  grande 
lavoratore  :  né  oggi,  che  pur  avrebbe  il  diritto  e  il  comodo  a 
un  po'  di  riposo,  può  starsi  in  ozio  un  momento.  E  però,  imi- 
tando alcuni  de'  suoi  grandi  predecessori,  fra  cui  primo  il  Col- 
tellini famoso,  egli  ha  aperto  nella  sua  casa  di  Venezia  un 
ricchissimo  negozio  di  oggetti  antichi,  ai  quali  è  già  tanto 
affezionato,  che  tra' più  gustosi  aneddoti  della  sua  vita  é  questo, 
che,  venduto  un  orologio  antico  a  un  forestiero,  tanto  se  ne 
accorò,  che  non  potè  riacquistar  l' antica  pace,  se  non  quando 
con  perdita  non  lieve  ebbe  recuperato  l' oggetto.  Figuriamoci 
i  lauti  guadagni  dell'artista  mercante! 

E  nell'acquisto  di  un'alabarda  egli  mette  lo  stesso  entu- 
siasmo che  in  una  recita  àeW  Otello.  E,  naturalmente,  essendo 


NOVELLI  189 


la  tragedia  e  le  antichità  quelle  cose  eh'  ei  predilige,  son  quelle 
ancora  che  gli  danno  il  maggior  dei  dolori.  I  più  tra  noi  che  di 
arte  antica  non  capiscon  jota,  ridon  delle  compere  del  Novelli, 
che  dicon  vittima  della  propria  ignoranza;  i  più,  tra  noi,  che 
dell'arte  tragica  del  Novelli  non  han  pur  l'ombra  d'idea,  ridon 
d' una  sua  interpretazione  di  tragedia,  dicendolo  vittima  della 
sua  presunzione.  I  successi  clamorosi  avuti  nel  vecchio  e  nuovo 
mondo,  attenuaron  la  crudeltà  del  giudizio  de'  suoi  connazio- 
nali ;  ma  il  grande,  unico  premio,  a  cui  egli  ambisse,  di  veder 
le  platee  tra  noi  riboccanti  di  popolo  sì  2!^  Otello,  come  alle 
Tre  mogli  per  un  fnarito,  gli  fu  lungo  tempo  conteso.  Le  lotte 
per  ciò  sostenute,  i  rammarichi  senza  fine,  i  propositi  nuovi 
son  descritti  in  articoli  di  lui  stesso,  di  Vamba,  di  Boutet,  di 
Gandolin,  di  Panzacchi,  di  Yambo  il  figliuolo  di  Novelli,  che  li 
raccolse  in  un  album  dedicato  interamente  a  papà,  arricchen- 
dolo di  un  centinaio  di  pupazzetti  che  ritraggon  l' uomo  e  l' ar- 
tista in  ciascun  momento  della  sua  vita  (Roma,  1899).  Ma  di 
tal  reluttanza  al  pubblico  non  va  dato  il  torto.  La  colpa  è  più 
tosto  delle  circostanze.  La  interpretazione  dell'  alto  dramma  e 
della  tragedia  fu  buttata  dall'artista  al  pubblico,  quando  questi 
era  più  imbevuto  di  tutta  l'arte  comica  di  lui....  La  pretesa  che 
di  punto  in  bianco  il  pubblico  corresse  a  giudicar  n^  Otello  il 
grottesco  protagonista  delle  Distrazioni  del  signor  Antenore, 
era  soverchia  forse....  Il  pubblico  ha  delle  crudeltà,  delle  pre- 
potenze, delle  vanità,  e  delle  sicumere  tutte  sue....  L'assenza 
dal  teatro  gli  sembrò  la  più  giusta  delle  lezioni  all'audace.... 
diciamo  la  sua  parola,  allo  sfacciato  invasore,  di  cui  la  comicità 
fisica  si  congiungeva  alla  comicità  del  personaggio,  di  maniera 
che  niuno,  per  quanto  amico  di  buona  volontà,  voleva  o  sapeva 
vedere  in  lui  un  eroe  da  tragedia.  Ricordo  il  Novelli  Generico 
primario  di  quella  Compagnia  di  Giuseppe  Pietriboni,  che  si 
acquistò  gran  rinomanza  per  l' insieme  omogeneo,  per  l' armo- 
nia delle  voci,  per  la  ricchezza  dell'  allestimento  scenico,  per  la 
fedeltà  storica  dei  costumi,  per  la  sobrietà  della  dizione.  Ne 
éran  parti  principali,  oltre  ai  Pietriboni,  la  Glech,  la  Peracchi, 


I90  NOVELLI 


Bassi,  Barsi,  Novelli  e  io.  Vi  entrai  di  punto  in  bianco  primo 
attor  giovine;  e  ricordo  che  in  una  recita  di  prova  al  Valle  di 
Roma,  del  Suicidio  di  Ferrari,  Novelli,  col  quale  ci  legammo 
da  bel  principio  di  forte  amicizia  sin  qui  immutata,  mi  dettava, 
dirò  così,  di  tra  le  quinte,  la  controscena  dell'ultimo  atto  avanti 
il  riconoscimento  del  padre.  Una  commozione  viva  lo  agitava 
tutto....  le  braccia,  li  occhi,  le  labbra  si  movevano....  e  ogni 
tanto  afforzava  l'espressione  del  gesto  colle  parole  su/...  così! 
anima!,..  Adesso!..,  Forza!,..  Bravo!...  Coraggio!...  Sinché,  git- 
tatomi  al  finir  della  scena  tra  le  braccia  del  padre,  uno  scroscio 
di  applausi  coronò  l'opera  del  maestro  sapiente  e  dello  scolaro 
divoto.  Il  Novelli  d' allora  era  ben  altro  dal  Novelli  d' adesso. 
La  celebrità  e  l'agiatezza  gli  erano  sconosciute.  In  quella  com- 
pagnia disciplinata,  egli,  se  bene  spirito  indipendente,  sapeva 
essere  disciplinato,  perchè  la  disciplina  era  fatta  tutta  d'amore. 
Mostrava  già  allora  la  grandezza  della  sua  duttilità  artistica; 
e  il  pubblico  se  ne  compiaceva,  poiché  non  era  stato  avvezzo 
a  vedersi  d' innanzi  più  specialmente  un  carattere  ;  ma  sì  i  ca- 
ratteri più  vaij  del  repertorio.  Marecat  ^^^  Intimi,  Francesco  I 
àe^^ Racconti  della  Regina  di  Navarra,  Vouillard  del  Rabagas, 
Mario  Amari  del  Duello....  Stasera  caratterista,  domani  primo 
attore....  Un  artista  indisposto  era  surrogato  da  lui  sul  mo- 
mento: e  quando  ei  non  sapeva  che  dire,  infilava  un  discorso 
a  modo  suo,  magari  estraneo  alla  commedia,  e  aveva  sempre 
ragione  lui.  Gli  amorosi  diventavan  brillanti,  le  situazioni  più 
scabrose,  momenti  di  grandissimo  effetto,  ogni  particina  un 
partone.  Sgambettava,  capriolava,  rideva,  piangeva,  e  si  faceva 
batter  le  mani.  Un  aneddoto:  egli  si  seccava  mortalmente  a 
recitar  nelle  farse.  Da  quelle  del  primo  brillante,  Bassi,  era 
stato  generosamente  liberato,  ma  da  quelle  del  secondo,  Ca- 
nevari,  no.  O  meglio:  non  vi  recitava;  ma  era  una  continua 
lamentazione  del  giovine  attore  col  capocomico,  perchè  per- 
suadesse Novelli  a  prender  parte  al  meno  a  una  farsa.  E  il 
capocomico  pregò,  e  Novelli,  tediato  dall'  insistenza,  accondi- 
scese. La  sera  della  farsa  venne,  e  a  un  dato  punto  Novelli 


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1    -^ 

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§^^- 

192  NOVELLI 


entrò  in  iscena.  Che  cosa  facesse,  o  dicesse  non  so  ;  e  nessuno 
seppe,  e  forse  non  seppe  mai  né  anch'  egli  :  improvvisa  un  di- 
scorso pazzo,  con  alzate  e  abbassamenti  di  tono  di  una  comi- 
cità irresistibile,  poi  a  piccoli  salti,  a  gemiti  interrotti,  a  grida 
soffocate,  fugge,  inciampa,  va  a  gambe  alF  aria,  si  alza,  esce 
zoppicando,  e  il  pubblico  frenetico  lo  vuole  alla  ribalta.  Termi- 
nata la  farsa,  Canevari  si  recò  nel  camerino  d^l  capocomico, 
rammaricandosi  del  successo;  e  Pietriboni,  chiamato  a  nome 
il  Novelli,  dal  suo  camerino  ammonì  :  <  ti  proibisco  d' ora  in 
avanti  di  farti  applaudire.  Vergogna  !  >  Canevari  capì  la  lezione, 
e  se  ne  andò  livido  di  rabbia;  e  Novelli  ottenne  il  suo  intento: 
da  quella  sera  non  ebbe  più  parte  nelle  farse  del  secondo 
brillante. 

Una  grande  qualità  del  Novelli  di  allora,  attenuatasi  poi 
col  sopravvenir  della  gloria,  fu  l'arte  del  trasformarsi.  La  ca- 
muffazione,  o  truccatura,  toccava  tal  volta  la  perfezione.  Chi 
non  ricorda,  per  esempio,  il  Marecat  àé* Nostri  intimi  con  quella 
enorme  pancia,  con  quella  faccia  rosea,  ridente,  piena,  fatta  di 
bambagia,  né  già  grottesca  come  quella  di  un  siur  Càmola,  ma 
ritraente  un  de' più  belli  e  simpatici  tipi  di  grasso  borghese? 
E  chi  nel  Vouillard  del  Rabagas,  una  indovinata  e  non  voluta 
caricatura  carducciana,  avrebbe  riconosciuto  a  prima  vista  il 
Novelli?  Quando  la  poca  o  niuna  responsabilità  della  parola 
gli  lasciava  una  piena  libertà  di  azione,  egli  soleva  allora  dedi- 
care al  suo  personaggio  insignificante,  un  minuzioso  studio  di 
trasformazione  e  di  ingrandimento.  Per  tal  guisa  il  pubblico 
era  sempre  alle  prese  con  un  forte  e  geniale  artista,  dicesse 
quattro  parole,  o  recitasse  i  primi  attori.  E  se  egli  avesse  con- 
tinuato in  quella  via,  il  pubblico  avrebbe  visto,  come  la  cosa 
più  naturale  di  questo  mondo,  la  parabola  ascendente  dell'ar- 
tista generico  per  eccellenza,  assistendo  con  soddisfazione  al 
tramutarsi  di  Marecat  in  Shylock,  di  Francesco  I  in  Amleto,  di 
Mario  Amari  in  Otello.  Invece  egli  passò  caratterista  con  Bel- 
lotti-Bon,  soggetto  a  Bellotti-Bon,  poi  caratterista  nella  Com- 
pagnia Nazionale,  a  vicenda  col  Vestri,  e  vincolato  da  un  mondo 


NOVELLI  193 


di  convenienze  e  sconvenienze,  che  impediva»  T  esplicazione 
della  sua  forza  e  della  sua  volontà.  Fu  in  quei  vincoli  troppo 
stretti  ch'egli  avvertì  il  peso  del  giogo,  e  sentì  il  bisogno  di 
scuoterlo  :  fu  allora  eh'  egli  risolse  di  formare  una  compagnia 
modesta  da  avviare,  da  manipolare,  da  rendere  primaria,  mercè 
la  sua  forza  direttiva,  mercè  il  suo  ingegno  artistico,  mercè  la 
sua  tenacità  di  propositi.  Una  compagnia  comica....  Non  aveva 
un  soldo.  Battè  a  tutti  gli  usci;  non  gli  fu  aperto:....  né  men 
risposto:  ma  non  si  perde  di  coraggio.  Lottò  con  una  pertinacia 
degna  di  chi  ha  la  coscienza  della  propria  forza,  e  vinse  :  chi 
gli  rispose  fu  il  pubblico....  Dalla  prima  sera  fu  tutto  un  trionfo 
di  ilarità:  il  nome  di  Novelli  sui  cartelloni  era  già  fonte  di 
gaudio:  si  andava  a  teatro  a  rifarsi  il  sangue....  a  ridere....  a 
ridere....  a  ridere.  E  quando  dopo  tanti  anni  di  buon  umore, 
l'artista  si  presentò  al  pubblico,  dicendogli  bruscamente:  < do- 
mani a  sera  venite  a  piangere  :  —  Morte  àvile  /  -  >  il  pubblico 
sconoscente  sì,  ma  perdonabile  nella  sorpresa,  saltò  su  a  dire: 
<Tu  farci  piangere?  Tu?  Ammattisci,  figliuolo?  Che!  Che! 
De'  miei  non  ne  buschi  !  >  E  disertò  il  teatro  !  E  ci  volle  la 
Francia,  ci  volle  l'America,  ci  volle  la  Russia,  ci  volle  la  Ger- 
mania, l'Austria,  l'Ungheria,  la  Spagna,  ci  volle  il  mondo  in- 
tero per  piegar  l' Italia  a  ricredersi  dal  suo  primo  giudizio. 

Oggi  Novelli  è  tutto  vòlto  alla  erezione  in  Roma  della 
Casa  di  Goldoni,  di  cui  mise  la  prima  pietra  al  Teatro  Valle  il 
I®  novembre  del  1900  con  pompa  solenne  e  con  accoglienze  en- 
tusiastiche; pensiero  alto  e  generoso  di  cui  gli  deve  saper  grado 
ogni  italiano.  Di  mezzo  alle  parole  di  gran  lode,  altre,  natural- 
mente, se  ne  levan  di  incredulità  e  di  scherno  da  coloro,  e  per 
buona  sorte  sono  i  pochi,  che  a  questa  del  Goldoni  voglion  con- 
trapporre (che  c'entra  ?)  la  casa  di  Molière.  I  più  continueranno  a 
dare  al  Novelli  il  loro  aiuto  morale  e  materiale  ;  e  dagli  esempi 
di  pertinacia  ch'egli  ci  ha  dato  più  volte,  si  può  concludere  che 
egli  dal  modesto  principio  saprà  pervenire  a  una  magnifica  fine. 

Oltre  all'album  di  Yambo,  abbiamo  sul  nostro  artista  un 
saporitissimo  studio  umoristico  ài  farro  (Fir.,Bemporad,  1897), 

25.  —  /  Comici  italiani  Voi.  H. 


NOVELLI -OLIVETTA 


un  numero  unico  illustrato  (Pisa,  1886),  con  una  cocente  epi- 
grafe di  Cavallotti,  uno  studio  novissimo  di  Antonio  Cervi  (Bo- 
logtia,  Beltrami,  1900),  e  finalmente  un  novissimo  scherzo  di 
farro  (Firenze,  igoi)  intitolato  //  naso  di  Ermete  Novelli, 


Olivetta.  Non  sappiamo  chi  si  nascondesse  sotto  questo 
nome,  che  era  un  po'  della  serva  e  un  po'  dell'  amorosa  ingenua, 
a  vicenda  con  Franceschìna,  nella  Compagnia  di  Flaminio 
Scala.  Nello  spoglio  del  suo  Teatro  delle  favole  rappresentative, 
ella  entra  tre  volte.  Nel  Vecchio  geloso  è  figliuola  di  Pasquella, 
e  amante  di  Pedrolino;  nel  Marito  è  serva;  nei  Tappeti  alessan- 
drini è  serva.  E  la  troviam  serva  nella  tragedia  de'  Quattro 
pazzi,  un  de' nuovi  Scenarj  pubblicati  da  A.  Bartoli. 

Francesco  Bartoli  riferisce  il  seguente  madrigale  del  Conte 
Gio.  Battista  Mamiano,  che  è  tra  le  sue  rime  edite  in  vecchiezza 
nel  1620: 

Per  la  Signora  Olivetta  Comica 

Pace  promette  il  nome 

d'  Olivetta  gentile, 

ma  le  parole,  il  volto,  e  quei  lucenti 

occhi  crudi  omicidi 

minacciano  al  mio  cor  guerre  e  tormenti. 

O  che  vezzoso  stile 

di  Comica  Sirena 

col  nome  gioia  dar,  cogli  occhi  pena. 


OLIVETTA 


195 


Se  di  perir  non  brami  in  fiero  ardore 
fuggi,  fuggi  mio  core, 
né  ti  fidar  del  finto  nome,  o  stolto; 
ma  credi  agli  occhi,  alle  parole,  al  volto. 

Il  Bocchini  (V.)  ha  nella  seconda  parte  della  Corona  Ma- 
cheronica  il  seguente 

Prologo  tra  Olivetta  e  Bagolino 


Bagolino 

Ahimè,  che  più  no  posso 

spinto  dal  gran  dolor, 

portar  sto  peso  adosso, 

soffrir  sto  batticor, 

perch'  ho  el  mio  ben  za  perso, 

vado  desperso 

criando  adess  : 

Olivetta  mi  son  zo  de  gargam, 

appassiona  d' amor,  morto  de  fam. 

La  zelosia  m' accora 
crescendome  el  martell, 
el  gargozzo  d' ogn'  ora 
pianze  con  le  budell, 
che  trovandose  senza 
la  to  presenza, 
ogn'  nn  langniss, 

e  bocca,  e  gola  no  se  puoi  dar  pas, 
priva  chi  de  baz  offia,  e  chi  d' un  bas. 

Olivetta  mariola 
deh,  no  m' abbandonar, 
che  una  menestra  sola 
me  puoi  resuscitar; 
e  xm  baso  de  to  bocca 
mentre,  che  '1  scocca 
da  quei  laurin, 

puoi  dar  la  vita  a  xm  servo  de'  più  car, 
ne  r  amor  si  costante,  e  nel  magnar. 

Ma  gramo  in  van  me  sbatto, 
ma  con  rabbia,  e  desgust, 
e  fin  che  no  te  catto 
no  posso  aver  più  gust, 
che  V  appetito  adesso 
in  far  progresso 
me  vuol  per  mort  ; 
e  sbolzonado  da  Cupido  ogn'  or, 
ho  la  fame  in  la  gola,  amor  nel  cor. 

Olivetta 

Se  podesse  za  mai 
con  Bagolin  mio  beli. 


raffrenar  tanti  guai, 

e  bandir  sto  martell  : 

vorave  governarlo, 

e  restorarlo  con  un  regal 

de  sbrufadei,  lasagne,  e  macaron, 

e  vorria  de  formai  darghe  un  gratton. 

Bagolino 

No  sastu  donca,  cruda, 

se  cotto  son  per  ti, 

e  za  mai  noi  se  muda 

pensier  notte,  né  di, 

anzi  a  quei  che  noi  crede, 

ghe  ne  fa  fede 

i  miei  sospir, 

che  tanti  per  dessotto  va  scappand, 

che  i  me  rompe  i  calzon  de  quando  in  quand. 

Olivetta 

E  mi  grama  meschina 

priva  del  mio  ben  car, 

tutto  el  di  in  la  cosina 

me  posso  smanizar, 

che  niente  mai  concludo, 

e  tutta  sudo 

quando  me  mett 

a  far  l' ajada,  e  co  son  in  tei  bon, 

da  debolezza  me  casca  il  piston. 

Bagolino 

Vien  pur  donca  speranza 

presto  a  la  conclusion  ; 

confortarne  la  panza 

con  qualche  bon  boccon; 

che  dospuò  te  prometto 

con  un  balletto 

farte  veder 

robba,  che  ti  dirà  dal  gran  stupor, 

viva  el  mio  Bagolin,  viva  el  mio  cor. 

Olivetta 

Orsù  via  me  contento, 
però  vogio  anca  mi 


196 


OLIVETTA  -  ORLANDINI 


ballar,  tirarghe  dentro, 

provandome  con  ti; 

e  per  compir  el  ballo 

vogio  sul  (allo 

far  comparir, 

la  sguattara  col  cogo  i  qnai  tutt'  unt 

interzeran  cor  bette,  e  contrapont. 

Tutti  insieme 

Su  donca  balludori 

ciaschedun  salta  in  su, 

per  confermar  1  humori 

de  tanta  servitù, 

deve  la  man  adesso, 

e  volzé  spesso 

le  spalle,  e  '1  bust; 

e  toméve  co  i  petti  a  rincontrar, 

mostrando  eh'  anca  i  Zagni  sa  ballar. 


Viva  V  amor  Zagnesco, 
e  viva  Bagolin, 
con  la  cucina  e  '1  desco, 
e  viva  Frittellin  ; 
viva  pò  Zan  Padella, 
con  Zan  Gradella, 
e  Candellot; 

viva  de  le  Vallade  a  ogni  confin, 
Mezettin,  e  Fenocchio,  e  Zan  Scappin. 

£  viva  Zan  Buffetto, 
Brighella  e  Bagattin, 
Zan  Polpetta  e  Guazzetto, 
Cappella  e  Trappolin  : 
e  viva  sempre  intera 
tutta  la  schiera 
de  i  Zagni  al  Mond, 
pur,  che  nel  celebrar  le  nostre  nozz, 
ciaschedun  vegna  a  empir  el  so  gargozz. 


Olivo.  È  Citato  nel  dialogo  di  Leone  De  Somi  fra  gli  egregi 
recitatori  del  suo  tempo  (V.  pag.  109).  Si  chiamava  Pietro; 
era  mantovano,  e  famigliare  del  Principe  ;  figlio  di  Giovan 
Matteo  e  padre  di  Volpino,  prete,  poi  canonico  della  cattedrale 
di  Mantova  (V.  D'A.,  440).  Olivo  prese  parte  alla  rappresen- 
tazione de^ Supposti  deir Ariosto  datasi  il  12  giugno  del  1553. 

Onorati  Ottavio.  Recitava  le  parti  di  Mezze/fino  nella  ce- 
lebre Compagnia  dei  Confidenti,  sotto  il  patronato  di  Don  Gio- 
vanni De  Medici,  a  fianco  di  Marina  Antonazzoni,  la  rinomata 
Lavinia,  al  nome  della  quale  sono  particolari  curiosi  della  di- 
scordia regnante  allora  in  compagnia  (161 5). 

Orlandi  Giuseppe.  Sappiam  solo  di  lui  che  era  ferrarese» 
e  sosteneva  la  parte  del  Dottore  nella  Compagnia  che  il  Duca 
di  Modena  avea  formata  pel  1675,  della  quale  è  riferito  l'elenco 
al  nome  di  Areliari. 


Orlandini  Leo.  Nacque  a  Perugia  il  1865  da  Carlo,  artista 
comico  egregio  per  le  parti  amorose  che  sostenne  nelle  Com- 
pagnie della  Robotti,  della  Ristori,  e  più  tardi  di  Ernesto  Rossi, 
dal  quale  fu  avuto  in  conto  di  attore  elegantissimo  e  di  Pilade 
eccellente.  Morì  giovanissimo  nel  manicomio  di  Bologna. 


ORLANDINI  -  PACI  197 

Il  figlio  Leo,  nonostante  l'avversìon  de' parenti,  che  lo 
tennero  in  collegio  fino  a  quindici  anni,  sì  diede  all'arte  loro, 
scritturandosi  1"82  secondo  amoroso  con  Luigi  Monti, 
e  serbandosi  :n  tale  ruolo  con  le  Compagnie  Bei- 
lotti,  Pezzana.Emanuel,  Marini, fino  all"89.  In  quel- 
l'anno passò  primo  attor  giovine  con  Novelli,  poi 
('gi-'92)  con  Favi-Colonnello  e  Bertini,  poi  ('g2-'g3, 
*93-'94)  con  E.  Duse;  salendo  finalmente  il  '94-'95 
con  Pasta- Di  Lorenzo  al  ruolo  di  primo  aitare,  che 
non  abbandonò  più;  e  in  cui,  dopo  alcuni  anni  di  traversie  in 
compagnie  sfortunate,  fu  scritturato  (1900)  dal  Novelli  per  la 
Compagnia  della  Casa  di  Goldoni.  E  mercè  la  direzione  di  tanto 
maestro  e  la  volontà  e  l'intelligenza  sua,  egli  salirà  certo  in 
maggior  fama,  avendo  già  dato  prova  di  un  prospero  avvenire 
con  le  felici  rappresentazioni  di  alcuni  personaggi,  tra  cui  primo 
quello  del  protagonista  in  La  satira  e  Parini  di  Paolo  Ferrari. 


-^^ 


Paci  Luigi.  Toscano,  nato  intorno  al  1785  da  civili  parenti, 
si  sentì,  compiuti  gli  studi,  attratto  alla  scena,  ove  riuscì  in 
breve  tempo  un  primo  amoroso  di  grido.  Sposata  l' egregia  ar- 
tista Laura  Civili,  si  fece  capocomico;  ma  dovè,  poco  dopo, 
lasciarle  scene,  per  condursi  a  Pisa,  ove  sperava  trovar  sollievo 
all'etisia  invadente,  e  ove  pur  troppo  morì  consunto  nel  1820. 


198  BADERNA  -  PAGANINI 

Padema  Giovanni.  Bolognese.  Dopo  studiata  la  pittura 
con  Matteo  Borbone,  partì  da  Bologna,  ancor  giovinetto,  col- 
locandosi in  qualità  di  paggio  presso  uh  capitano  di  vascello; 
il  quale  prese  molto  ad  amarlo  per  averlo  sentito  improvvisar 
bizzarrie  poetiche,  e  recitar  maestrevolmente  sotto  la  maschera 
del  Dottore.  Abbandonato  il  padrone,  il  Paderna  si  diede  a  girar 
r  Italia  or  con  Tuna,  or  con  T altra  compagnia  di  comici,  rap- 
presentando sempre  la  sua  parte  dialettale  di  secondo  vecchio. 
Per  certa  malattia,  dovè  poi  lasciar  la  professione,  e  restituirsi 
a  Bologna,  ove  ripigliò  i  suoi  studi  sotto  il  Dantone  e  il  Mitelli, 
eh'  era  —  dice  il  Bartoli  -  geloso  dello  scolaro.  Chiamato  a  Mo- 
dena da  quel  Serenissimo,  in  piena  estate,  riscaldato  dal  viag- 
gio, si  die  a  bere  vino  ghiaccio  per  modo,  che  in  capo  a  pochi 
giorni  dovè  soccombere  (1660  circa),  toccati  a  pena  i  quaran- 
ta anni. 

Paganini  Onofrio.  Milanese.  Compiuti  gli  studi  di  lettere 
umane,  si  diede  alle  scene,  recitandovi  ^^ innamorati  col  nome 
di  Odoardo,  e  restando  lungo  tempo  nella  Compagnia  di  Antonio 
Marchesini.  Essendo  a  Torino  il  1748,  dedicò  a  Madama  di 
S.  Gili  nata  Carpane  V Esopo  in  Corte  del  Boursauli,  tradotto  da 
Gaspare  Gozzi.  Si  fece  poi  capocomico  e  fu  al  San  Gio.  Griso- 
stomo  di  Venezia  al  servizio  di  S.  E.  Grimani.  Nel  1753,  andato 
Antonio  Sacco  in  Portogallo,  il  Paganini  lo  sostituì  con  nuova 
compagnia  per  quel  teatro,  che  però  non  piacque.  Costretto  a 
rifornirsi  di  nuovi  elementi,  scritturò  tra  gli  altri  Giuseppe  Za- 
narini  e  la  moglie  Rosa  Brunelli  (V.),  mantenendo  così  la  pro- 
messa fatta  n^XC Addio,  recitato  l'ultimo  giorno  del  precedente 
carnevale  dalla  prima  attrice  Francesca  Torri,  di  cui  ecco  al- 
cune strofe: 

Chi  di  Sorte  il  cieco  dono 
amò  più  del  suo  decoro 
loro  infuse  T  abbandono 
per  saziar  sua  fame  d'oro. 
E  noi  pochi  e  senza  lena, 
travagliammo  con  gran  pena. 


PAGANINI  199 


Senza  forze  e  senza  Attori, 
o  almen  pochi  ed  ignoranti, 
privi  affatto  degli  Autori 
che  i  lor  parti  dieno  e  tanti, 
come  mai  darvi  piacere 
nel  diflScile  mestiere? 

Come  mai....  Ma  verrà  un  giorno 
ch'io  tornando  a  queste  scene 
avrò  nuove  genti  intorno 
di  bel  spirito  ripiene, 
che  le  cose  altrui  ben  chiare 
sapran  meglio  recitare. 

Tornato  Sacco,  Paganini  condusse  la  sua  compagnia  in 
Toscana,  nel  Genovesato  e  in  Lombardia,  né  mai  più  pose  piede 
a  Venezia.  Nel  '63,  recandosi  per  mare  da  Genova  a  Livorno, 
fu  sorpreso  da  tal  burrasca,  che  si  dovette  gettar  in  mare  tutto 
il  carico  della  compagnia,  lasciando  nella  nave  la  sola  mercanzia 
di  un  ricco  negoziante  il  quale,  giunti  in  salvo  nel  porto  di  Li- 
vorno, risarcì  pienamente  il  Paganini  del  danno  sofferto.  L'au- 
tunno di  quell'anno  andò  al  teatro  della  Sala  in  Bologna,  con 
una  Compagnia  di  cui  eran  parte  principale  la  Brunelli  e  il  se- 
condo innamorato  Carlo  Magni.  Passò  il  carnovale  dalla  Sala 
al  nuovo  teatro  pubblico,  accordato  per  la  prima  volta  a' com- 
medianti, e  tornò  a  Bologna  al  teatro  Formagliari  il  carnovale 
del  '65  ;  ma  la  compagnia,  privata  della  Brunelli,  non  vi  fece 
incontro.  Fu  in  Portogallo  e  in  Ispagna,  con  poca  fortuna:  e, 
tornato  in  Italia,  pensò  di  riformar  la  compagnia,  scritturan- 
dovi per  un  anno  la  Faustina  Tesi.  Morì  improvvisamente  a  Ve- 
nezia la  quaresima  del  1776.  Dice  Fr.  Bartoli  ch'egli  parlava 
egregiamente  all'improvviso,  che  giocava  il  secondo  Zanni  a 
meraviglia,  e  scriveva  in  poesia  con  molta  grazia  ;  la  sua  figura 
teatrale  non  era  delle  più  adatte  al  personaggio  deW innamo- 
ralo, perchè  piccola  e  pingue  oltre  misura.  Il  Bartoli,  secondo 
il  solito,  si  scaglia,  in  difesa  del  Paganini,  contro  il  Romanzier 
del  Teatro  che  a  pagine  45  e  64  del  primo  volume,  così  lasciò 
scritto  : 


200  PAGANINI 


Trovai  1  Impresario.  Era  questi  un  nomo  picciolo  e  grosso,  con  una  (accia  rotonda, 
e  sanguigna.  Aveva  una  voce  imbrogliata  ed  oscura,  e  pareva  che  le  sue  parole  uscissero 
dall'esofago  d'uno  che  mangiasse.  L'ho  trovato  in  veste  da  camera,  con  una  berretta 
bianca  in  testa,  fatta  a  pane  di  zucchero.  Apriva  la  cassetta  de'  denari,  e  pria  di  cavarne, 
baciava  certa  immagine  stampata  che  là  dentro  teneva.  Ogni  volta,  mi  disse,  che  incomodo 
il  mio  scrignetto,  dò  questo  bacio,  e  finora  tanti  ne  diedi,  che  più  non  c'è  numero.  Cominciai 
a  sospettare  che  fosse  un  Ipocrita.  Sbrigati  ch'ebbe  alcuni  operaj  che  attendevano  soldi, 
mi  chiese,  con  un'  eloquenza  da  scena,  in  che  potesse  avere  la  bella  sorte  e  l' onor  di  ser- 
virmi. Gli  dissi  che  un  qualunque  posto  io  bramava  nella  sua  Compagnia.  Mi  oppose 
subito  cento  difficoltà,  e  quando  seppe  eh'  io  non  aveva  mai  recitato,  quasi  quasi  mi  tolse 
d'ogni  speranza.  Dissemi  essere  necessario  ch'io  parlassi  colla  prima  Donna  per  racco- 
mandarmi a  lei.  Sono  Impresario,  soggiunse,  ma  deggio,  in  molte  cose,  da  essa  dipendere. 
Ella  è  brava,  ma  per  dirvela  in  confidenza,  il  Diavolo  è  qualche  cosa  più  buono  di  lei. 
Se  le  dò  il  menomo  disgusto  non  si  contenta  d'onorarmi  col  titolo  di  giumento,  ma  mi 
balza  agli  occhi  come  una  furia,  e  se  non  usassi  prudenza  menerebbe  le  mani.  Finito 
l' anno  corrente,  la  lascio  per  chi  la  vuole,  e  gramo  quel  misero  che  se  la  piglierà.  Intanto, 
Figlia  mia,  tenetevela  pure  con  essa;  se  volete  ottenere  quanto  bramate,  e  col  tempo.... 
chi  sa?...  siete  Ragazza,  bella,  spiritosa,  d'una  nazione  che  piace,  e  forse  forse  diverrete 
la  più  famosa  delle  Commedianti.  Ciò  detto  mi  toccò  una  guancia  con  una  compiacenza 
più  che  paterna,  s' ingalluzzò,  e  mi  fece  avvertita  che  al  Vecchio  volpone  ancora  piace- 
vano i  pomi,  benché  non  avesse  più  denti. 

Quel  botticino,  recitava  sul  gusto  del  passato  secolo,  e  aveva  la  smania  di  (ar  an- 
cora quelle  parti,  che  gli  stavano  bene  quarant'anni  avanti.  Nel  mondo  comico  gli  uomini 
sono  soggetti  ai  pregiudizj  del  sesso  Donnesco,  quando  si  tratta  di  età.  Non  vogliono  per- 
suadersi mai  d'esser  vecchi,  e  senza  denti  in  bocca  balbettano  cose  amorose.  Negli  inviti 
al  Pubblico  ci  entrava  sempre  il  procureremo  di  superar  noi  medesimi;  e  quando  invi- 
tava per  qualche  Commedia  del  Goldoni,  qualunque  fosse,  la  chiamava  la  più  bella  che 
avesse  fatta  quel  celebre  Autore.  Recitando  all'  improvviso  diceva  sempre  le  stesse  cose, 
colle  stesse  parole  ;  eppure  da'  Commedianti  che  stavano  tra  le  ventitré  e  le  ventiquattro, 
era  riputato  uno  degli  ultimi  grandi  uomini  dell'  arte.  Chiamava  ognuno  suo  Monarca 
volesse,  o  non  volesse,  e  adulava  perfettamente. 

Riferisco  anch'  io  volentieri  i  sonetti  pubblicati  dal  Bartoli, 
come  saggio  dello  stile  poetico  del  Paganini,  e  come  prova 
della  stima  in  cui  lo  tennero  uomini  egregi. 

Per  l'acclamata  memoria  della  perfetta  arte  Comica  prof es saia  dalla 
Società  dipendente  dal  governo  del  Signore  Onofrio  Paganini, 
avendone  dato  un  cospicuo  saggio  nel  pubblico  Teatro  della  Città 
di  Pisa  nelle  sue  recite  di  varie  commedie  l'estate  deltanno  i'/62. 

Qual  mormorio  di  voci  si  festive 
oggi  qua  s'  ode  a  rallegrarne  i  Cori  ? 
fors'  è  che  Apollo  coll'Aonie  Dive 
Sparga  delle  sue  glorie  Inni  Canori  ? 


PAGANINI  aoi 


Di  pace  amico  stuol  qua  dalle  rive 

dell'Adria,  cinto  il  crin  di  rose  e  allori 
vantando  il  suo  valor  tra  Fole  argive 
sen  venne  a  sollazzar  gli  alfei  Pastori. 

Il  genio  teatral  candide  piume 

spiegando,  va  tra  l'aure  più  serene 
sull'Arno,  ove  n'appar  suo  chiaro  lume. 

Del  Paganini  il  nome  alle  Tirrene 
sponde  vivrà,  che  per  nuovo  costume 
senno  e  onestà  trionfa  in  dotte  scene. 


In  segno  di  vero  applauso  l'avvocato  Ranieri 
Bernardino  Fabbri  Pisano  fra  gli  Arcadi 
Odisio  Licurio  Vice  Custode  perpetuo  della 
Colonia  Alfea, 


Risposta  d' Onofrio  Paganini  al  suddetto 

Le  tue  dotte.  Signor,  rime  festive 
sanno  incantare  ed  obbligarsi  i  cori, 
tal  che  superbe  le  Castalie  Dive 
vanno,  a  ragion,  de' versi  tuoi  canori. 

Aman  tuo  vago  stil  d'Arno  le  rive, 
che  altro  non  fa,  che  meritarsi  allori, 
quai  meritò  là  sulle  arene  argive 
Pindaro  eccelso  in  fra  gli  achei  Pastori. 

Per  l'aereo  sentier  candide  piume 
spiega  Cigno  sublime,  e  le  serene 
aure  sormonta  ov'è  più  chiaro  il  lume. 

E  il  tuo  nome,  o  Signor,  l'onde  Tirrene 
rendan  sempre  immortai,  qual  per  costume 
rend'io  gli  Eroi  sull'erudite  Scene. 

Per  le  rime  antecedenti.  Sonetto  a  Odisio  e  ad  Onofrio  dell'avvo- 
cato Gio.  Francesco  Lami. 

Mentre  voci  sciogliete  alte  e  festive, 
Odisio  e  Onofrio,  a  sollevare  i  cori, 
fanno  nascer  d'onor  le  Aonie  Dive 
bella  gara  tra  voi.  Cigni  Canori. 

36.  ~  /  Comici  italiani.  Voi.  IL 


202  PAGANINI 


Vedo  già  risuonar  d'Arno  alle  rive 
i  nomi  vostri,  e  a  coronar  d'allori 
il  vostro  crin,  dalle  contrade  argive 
corre  Apollo  tra  Ninfe  e  tra  Pastori. 

Spiegaste  entrambi  l'onorate  piume 
di  gloria  a  replicar  l'aure  serene, 
ond'  io  resto  abbagliato  a  tanto  lume. 

Veggan  pur  con  stupor  l'onde  Tirrene, 
che  di  calcar  seguite  il  bel  costume 
uno  i  dotti  Licei,  l'altro  le  Scene. 

Paganini  Francesco.  Figlio  del  precedente,  dal  quale 
s' ebbe  i  primi  ammaestramenti  nell'  arte  comica,  e  col  quale 
stette  alcun  tempo,  entrando  poi  come  innamorato  nella  Com- 
pagnia di  Giovanni  Simoni.  Tornò  col  padre,  e  fu  con  lui  in 
Portogallo  ove  sposò  la  Corona,  assunta  la  quale  al  grado  di 
prima  donna,  al  suo  ritorno  in  Italia,  si  distaccò  dal  padre  per 
farsi  a  sua  volta  capocomico  non  troppo  -  a  detta  del  Bartoli  - 
fortunato,  negli  ultimi  anni  almeno,  nonostante  i  grandi  meriti 
della  moglie. 

Il  Colomberti  lo  cita  come  buon  capocomico  dal  1790 
al  1810. 

Paganini-Corona  Anna.  Francesco  Bartoli  ci  lasciò  di  lei 
il  seguente  ritratto  : 

Sortì  dalla  natura  i  più  bei  doni,  che  mai  potesse  avere  una  giovane 
attrice.  Una  bella  e  graziosa  figura,  una  voce  flessibile  e  dolce,  una  pro- 
nunzia assai  retta,  un  gesto  nobilmente  naturale,  e  un  portamento  spirante 
tutto  brio,  sono  i  bei  vanti  suoi.  Ciò  che  poi  fornisce  i  di  lei  meriti  è 
un'intelligenza  piena  d'acume,  l'investirsi  al  vero  delle  passioni,  e  l'espri- 
mere con  grazia  e  nobiltà  vivamente  tutte  le  cose,  che  rappresenta.  Nelle 
Commedie  fa  valere  il  suo  spirito  e  parla  con  eleganza  e  con  facondia;  e 
la  sua  rettorica  potrebbe  riputarsi  studiata,  quando  non  si  sapesse  che  ella 
crea  i  suoi  concetti  in  quel  momento  appunto  che  gli  escono  dalla  bocca. 

Andò  in  Lisbona  con  sua  madre  Chiara,  comica  anch'essa, 
nella  Compagnia  di  Onofrio  Paganini,  del  quale  sposò  il  figliuolo 


PAGANINI  -  PAGHETTI  203 


Francesco,  restando  sempre  con  lui,  principale  ornamento  della 
propria  compagnia. 

Ecco  un  sonetto  che  riferisce  il  Bartoli  a  lode  di  lei,  senza 
nome  di  autore,  ma  suo  probabilmente. 

Al  merito  impareggiabile  della  Signo^'^a  Anna  Corona  Paganini, 
che  nel  Carnovale  dell'anno  l'/'/y,  recita  in  Carattere  di  prima 
comica  in  Genova  nel  Teatro  delle  Vigne  con  universale  ap- 
plauso, 

Qual  altra  mai  sulle  notturne  Scene 
potea  cangiar  cosi  diversi  aspetti, 
pinger  dell'Alma  i  violenti  affetti, 
quale  un  tempo  già  feo  la  saggia  Atene? 

Tu  fra  le  genti  di  stupor  ripiene, 

muovi  cosi  gli  sguardi,  i  gesti  e  i  detti, 
che  svegli  a  tuo  piacer  ne'  nostri  petti 
sdegno,  amor,  duol,  pietà,  timore  e  spene. 

Quindi  il  tuo  nome  dell'invidia  a  scorno 
fa  la  sincera  fama  a  te  rivolta, 
nel  pien  Teatro  risuonar  d'intorno. 

E  l'attonita  Udienza  ognor  più  folta 

pende  dalle  tue  labbra;  e  al  chiaro  giorno 
preferisce  la  notte,  in  cui  t'ascolta. 

Paghetti  Giovai!  Battista.  Comico  reputatissimo  per  la 
maschera  del  Dottora,  fiorito  nella  seconda  metà  del  secolo  xvii, 
di  cui  scrive  Luigi  Riccoboni  {op.  cit.y  VII):  <  quasi  tutti  i  co- 
mici erano  a  quel  tempo  ignoranti,  ed  eccettuati  Gio.  Battista 
Paghetti,  che  recitava  la  parte  di  Dottore,  e  Galeazzo  Savorini 
che  gli  successe  nella  maschera,  non  potrei  citarne  uno  che 
avesse  compiuto  un  corso  di  studi.  >  Lo  vediamo  il  1 686  nella 
Compagnia  del  Duca  di  Modena,  di  cui  si  è  dato  V  elenco  al 
nome  di  Marzia  Fiali. 

Paghetti  Pietro.  Figlio,  probabilmente,  del  precedente, 
nato  a  Brescia  il  1674,  si  recò  in  Francia  giovanissimo  reci- 


PAGHETTI  -  PALADINI 


tando  parti  generiche  in  compagnie  dì  provincia.  Andò  il  1710 
a  Parigi  e  fu  scritturato  nella  Compagnia  di  Pier  Francesco 
Biancolelli,  figlio  del  celebre  arlecchino  Ifomin/^ue.  di  cui  ser- 
bava il  nome,  che  agiva  alla  fiera  Saint- Gè rmain,  impresari 
Laury  e  la  signora  Baron.  Passò  dal  171 2  al  17 14  a  recitar  le 
parti  di  Dottore  in  Compagnia  di  Gio.  Battista  Costantini  {Ot- 
tavio) alla  fiera  Saint- Laurent,  sotto  l' impresario  Saint-Edme, 
e  il  9  aprile  del  1720  esordì  nella  Compagnia  del  Reggente, 
colla  parte  di  Prutient  nella  Fausse  Coqueite.  commedia  francese 
dell'antico  teatro  italiano,  riportandovi  un  grande  successo. 
Di  lui  disse  il  Mercurio  del  tempo  :  «  Egli  parlava  assai  bene  il 
francese  e  l'italiano.  Non  sì  son  visti  facilmente  attori  acco- 
gliere tante  buone  qualità  pel  teatro,  e  per  ogni  specie  di  ca- 
ratteri. E  se  bene  egli  non  avesse  troppo  bella  persona  (era 
gobbo),  ei  li  rappresentava  con  tal  giustezza  e  precisione  che 
niente  lasciava  a  desiderare.  »  Aveva  sposato  Angelica  Cate- 
rinaTortoriti,  figlia  del  celebre 
Pascariello,  poi  Scaramuccia, 
e  morì  il  14  novembre  1732, 
munito  dei  SS.  Sagramenti,  e 
pubblicamente  lodato  dal  cu- 
rato di  S.  Salvatore  sua  par- 
rocchia, ove  fu  sepolto  Ìl  dì  se- 
guente, per  la  cristiana,  dav- 
vero esemplare,  rassegnazione 
colla  quale  sopportò  il  male  e 
passò  alla  nuova  vita. 

Paladini  Francesco.  Nato 
a  Capo  d' Istria  negli  ultimi  del 
secolo  scorso,  fu  ammaestrato 
nelle  belle  arti  dal  padre  pit- 
tore ;  ma  a  diciotto  anni  si  fe- 
ce comico,  riuscendo  in  poco 
tempo  un  egregio  amoroso  nella  Compagnia  di  Carlotta  Mar- 


PALADINI 


chionni.  Passò  poi  Ìl  '24  a  Napoli  col  Fabbrichesi,  che  lo  con- 
dusse con  sé  a  Trieste,  poi,  avanti  la  fine  dell'anno  lo  rimandò 
a  Napoli  primo  amoroso  e  primo  uomo  a  sostituire  con  Mario  In- 
ternari,  stipendiato  dal  Fabbrichesi,  l'attore  insufificiente  che 
copriva  quel  ruolo.  Dopo  un  anno,  scritturato  dallo  stesso 
Internar!,  passò  nell'Italia  centrale,  poi,  morto  nel  '25  l'Inter- 
nari,  entrò  nella  Compagnia  di  Luigi  Vestri.  Passò,  da  que- 
sta, in  quella  di  Antonio  Raftopulo  pel  triennio  '27-28-29, 
indi,  il  1830,  formò  società  per  un  nuovo  triennio  colla  cele- 
bre Carolina  Internari,  con  cui  si  recò  a  Parigi.  Fu,  ancora 
per  un  triennio,  scritturato  dai  soci  Fabbrici  e  Petrellì;  poi, 
sposata  l'egregia  servetta  Qotilde  Sacchi,  si  fece  nuova- 
mente capocomico  per  vari  anni  (il  '56  aveva  società  con 
Stefano  Riolo),  finché,  avanzato  in  età,  abbandonò  l'arte.  - 
Il  Colomberti  lo  dice  attore  di  molta  intelligenza  e  di  pre- 
stante figura,  applauditis- 
simo  sempre,  nonostante  il 
difetto  di  una  voce  alquan- 
to nasale. 

Paladini- Sacchi  Clo> 
tilde.  Moglie  del  prece- 
dente, e  figlia  di  un  bravo 
Arlecchino,  nipote  proba- 
bilmente di  Felice  Sacchi, 
detto  Sacchetto,  nata  nel- 
l'anno  1814,  si  scritturò, 
rimasta  orfana  del  padre, 
come  servetta.  Ìl  1 830  nella 
Compagnia  Bon,  Roma- 
gnoli e  Berlaffa,  nella  qua- 
le, sotto  gì'  insegnamenti 
del  Bon,  celebre  attore  e 
autore,  divenne  ben  presto 
ottima  nel  suo  ruolo,  rappresentando  per  ben  ventidue  sere 


PALADINI 


al  teatro  di  S.  Luca,  sotto  le  spoglie  della  cameriera,  la  com- 
media dello  stesso  Boti,  Nienlc  di  male.  Passò  il  '32  prima  donna 
giovine  con  Romualdo  Mascherpa,  tornando  poi  subito  servetta 
in  Compagnia  di  Luigia  Petrelli  in  cui  stette  sei  anni  dal  '33 
al  '38,  e  in  cui  sposò  l'attore  Paladini,  col  quale  si  fece  poi  ca- 
pocomica,  dovunque  ammiratissima. 

Paladini  Ettore.  Figlio  dei  precedenti,  nacque  a  Firenze 
il  1849.  Determinare  con  esattezza  cronologica  il  suo  stato  di 
servizio  non  è  certo  agevol  cosa,  tante  sono  le  compagnie  di 
vario  genere,  in  cui  militò,  e  per  tanti  anni  si  trovò  a  essere 
conduttor  di  compagnie  egli 
stesso!  Figlio  d'artisti,  dovè 
naturalmente,  come  ogni  altro, 
esordire  quando  gli  fu  dato  a 
pena  d'infìlar  quattro  parole: 
a  soli  cinque  anni.  Nondimeno 
la  famiglia  tentò  distorlo  dal 
teatro,  destinandolo  alla  vita 
del  mare.  Ma  Ì  babbi  propon- 
gono e  i  figliuoli  dispongono. 
Un  bel  giorno  non  volle  saper 
più  né  di  burrasche,  né  di  ba- 
stimenti, né  di  eliche,  né  di  trin- 
chetti, e  a  quattordici  anni  Ìl 
piccolo  ribelle  entrò  in  una  del- 
le infime  compagnie.  E  come  il 
sangue  non  è  acqua,  così  egli  potè  in  breve,  a  motivo  di  una 
dizione  purissima,  che  ha  tuttavia  serbato  il  primo  nitore, 
salire  ai  maggiori  gradi  di  primo  attor  giovine  e  di  primo  air 
lare,  diventando  poi  con  la  intelligenza  non  comune  e  la  non 
comune  gagliardia  di  fibra,  un  de'  più  pregiati  direttori  di 
compagnie,  fra  cui  quella  dì  Teresa  Mariani -Zampi  eri,  nella 
quale  stette  assai  gran  tempo,  ammiratissimo.  -  Fu  il  1900 
in  quella  di  Bianca  Iggius,  scritturandosi  poi  pel  '901  con 


PALADINI 


Qara  Della  Guardia,  con  la  quale  si  recherà  nell'America  me- 
ridionale. 


Paladini  (De')'Andò  Celestina.  Fu  attrice  di  grandissimo 
slancio,  benché  non  di  imponente  figura,  nelle  parti  tragiche, 
acclamatissima  specialmente  in  America,  ov' ebbe  onori  di  rime 
non  ispregievoli.  Nacque  a  Lucca  il  13 
luglio  1 8....,  ed  esordì  a  diciassette  anni 
in  Alba  di  Piemonte,  salutata  come  una 
gentile  promessa.  Nel  '63  era  g\k prima 
attrice  egregia  sì  nelle  partì  drammati- 
che, sì  nelle  tragiche,  ma  più  in  queste 
che  in  quelle,  e  nel  'óg-'yo,  conduttrice 
ella  stessa  d'una  compagnia  comica,  sol- 
levò quasi  all'entusiasmo  i  pubblici  più 
varj  d'Italia.  Sonetti,  ed  epigrafi  e  artì- 
coli dì  ogni  specie  s'ebbe  dovunque;  e 
non  sarà  discaro  a' lettori  ch'io  trascri- 
va qui  un  epodo,  offertole  a  Ravenna  il 
7  febbraio  del  1877,  mentre  dilettava  quel  pubblico  del  Teatro 
Alighieri  :  epodo,  il  quale,  se  bene  anonimo,  sembra  a  me  si 
levi,  con  altre  poche,  dalla  schiera  infinita  dì  quelle  poesìe 
volgari  dì  circostanza  che  sono  la  vergogna  dì  chi  le  scrive 
e  di  chi  le  riceve. 


Gli  ammiratori  di  Celestina  Andò  naia  De'  Paladini,  prima 
donna  drammatica  applaudittssima  sempre  nel  Teatro  Ali- 
ghieri, D.  D. 

EPODO 


È  '1  dolce  riso  dell'  amor  che  brilla 
nell'ardente  pupilla? 

È  '1  gran  cor,  che  di  furia  empin  si  accende 
se  gelosia  lo  prende? 


208  PALADINI 


È  l'orgoglio  d'un  anima  regale 

che  a  vanità  si  aggiunge; 
e,  com'  assillo  tormentoso,  il  punge 

d'avvelenato  strale? 

È  profonda  pietà,  che  1'  uman  frale 

d'  alti  rimorsi  grave 
tra  gli  spettri  e  le  rughe  tutto  solve; 

e  lo  gran  giorno  pavé 
che  Iddio  '1  ritorni  in  poca  e  muta  polve  ? 

È  la  ragion  che  lascia 
il  pover  capo  e  tra' dolor  lo  sfascia; 

oppur  vi  fa  ritorno 
con  r  alma,  giovin  sempre  e  innamorata  ? 

Ond'  è  che  a  noi  d' intorno 
tanta  pietà  veggiam  si  tosto  nata? 

Che  mai  da'  nostri  cigli 
a  spremer  vale  così  larga  vena, 

nella  ognor  varia  scena 
o  dell'  antiqua,  o  dell'  età  presente  ? 

Voi  !...  siete  voi  !...  voi,  piena 
di  grazia  e  di  saver,  che  tutta  conta 

d'  ogni  fè,  d' ogni  gente 
r  istoria  avete,  e  su  verace  impronta 

gittar  sapete  accento» 
incesso,  sguardo,  tratto,  atteggiamento; 

e  divinar  quai  moti 
nella  foggia  miglior  rendano  i  noti 

casi,  e  adeguarli  al  lento 
o  crebro  moto  d'  uman  cor.  Attèa, 

Stuarda,  Elisabetta^ 
Messalina....  or  gentile,  or  aspra;  or  saggia 

or  folle;  or  giusta,  or  rea; 
ma  sempre  grande,  e  a  tutti  sempre  accetta, 

bella  attrice  e  perfetta. 


PALADINI  -  PALAMIDESSI  J09 

Celestina  De  Paladini,  sposa  a  Flavio  Andò,  primo  at- 
tore e  direttore  della  Compagnia  da  lui  formata  in  Società 
con  Tina  Di  Lorenzo,  è  oggi  di  essa  compagnia  pregiato  or- 
namento nelle  parti  di  madre,  ch'ella  sostiene  con  quella  innata 
signorilità,  che  non  è  facile  di  ritrovare  nelle  sue  compagne 
di  ruolo. 

Palamìdessì  Giuseppe.  Da  padre  filodrammatico  e  av- 
vocato, nacque  a  Pisa  il  1840  circa;  e  datosi  con  l'esempio 
paterno  agli  studi  legali  e  del  teatro,  diventò  in  breve  alla 
sua  volta  avvocato  e  filodrammatico.  Ma  le  scene  del  teatrino 
privato  eran  troppo  anguste  a 
soddisfar  le  vanità  e  mostrar 
le  qualità  del  Roscio  futuro,  il 
quale,  scritturatosi  in  Compa- 
gnia Dreoni  per  le  parti  co- 
miche che  non  abbandonò  più, 
passò  poi  in  quelle  dì  Sterni, 
e,  nel  1874,  di  Emanuel  e  la 
PasquaH,  dove  colla  farsa  //  Ca- 
sino di  campagna,  da  lui  raffaz- 
zonata, toccò  addirittura  la  ce- 
lebrità. 

Il  Palamidessi  non  fu  ar- 
tista di  grande  levatura,  ma  at- 
tore castigatissimo,  anche  nelle 
bizzarrie  comico-musicali,  e  in  quella  stessa  farsa  in  cui  rap- 
presentava mirabilmente  una  marionetta,  un  cantastorie  e  un 
poeta,  e  che  replicava  sino  a  venti  sere  di  fila;  e  però  fu  sem- 
pre desideratissimo  da' capocomici,  tra' quali  il  Morelli.  Ma 
con  la  fama  crebbero  in  luì  le  pretese  e  la  baldanza,  sì  che 
l'artista  celebre,  creando  ad  essi  ognor  nuovi  fastidi,  fu  da 
essi  abbandonato.  Si  fece  allora  conduttor  di  compagnia,  ma 
con  ninna  fortuna;  e  in  breve,  consumato  ogni  suo  avere,  si 
trovò  costretto  a  ramingar  con  piccole  compagnie  in  pìccole 


2IO  PALAMIDESSI  -  PALMA 


città,  fino  a' dì  d'oggi,  in  cui  ha  la  triste  ventura  di  sollazzar 
la  gente  con  qualche  buffonata  dalla  minuscola  scena  di  un 
caffè  concerto. 

Paliotti  Carlo  e  Francesca.  Fu  la  vita  di  Francesca  Pa- 
liotti  alquanto  romanzesca.  Nata  il  1764  in  Ancona  da  un  gar- 
zone di  sarto  e  da  una  rivendugliola  di  abiti  vecchi,  s'innamorò 
a  vent'anni  di  un  giovane  della  sua  condizione,  dal  quale,  abban- 
donata, fu  per  morirne.  Condotta,  a  sollievo  de' suoi  mali,  a  sen- 
tire una  piccola  compagnia  di  comici  che  recitava  in  un'arena 
modesta  di  legno,  destinata  anche  alla  caccia  del  toro,  tanto 
s'invaghì  dell'arte,  che  risolse  di  consacrarsi  ad  essa.  Sposa- 
tasi il  1 785  a  un  giovane  attore  della  compagnia,  Carlo  Paliotti, 
divenne  ben  presto,  essendo  anche  di  rara  avvenenza,  un'ot- 
tima amorosa,  e  la  vediamo  il  1 790  in  Compagnia  di  Luigi  Rossi 
prima  donna  giovine  applauditissima.  Nel  1 800  formò  col  marito, 
lei  prima  attrice,  e  lui  primo  attore,  una  fortunata  compagnia;  e 
morirono  entrambi  nel  1825  circa,  all'età  di  poco  più  che  ses- 
sant'  anni. 

Palma  Carlo.  Romano,  fiorito  nella  seconda  metà  del  se- 
colo XVII,  sosteneva  in  commedia  la  parte  di  secondo  Zanni 
col  nome  di  Truffaldino.  Lo  vediamo  nel '58  a  Roma,  abitante 
nel  distretto  della  parrocchia  di  S.  Pietro,  assieme  al  Dottor 
Lolli,  al  Silvio  Coris,  al  Pantalone  Malossi,  ecc.  Nel  '75,  assieme 
al  Turri  Pantalone  e  all'Allori  Valerio,  fa  istanza  al  Serenis- 
simo di  Mantova  di  appartenere  alla  sua  compagnia:  istanza 
che  vediam  poi  accettata,  dacché  in  data  30  marzo  scriveva 
da  Venezia  a  un  famigliare  del  Duca,  avvertendolo  di  essersi 
abboccato  con  Valerio  e  di  esser  pronto  a  partire,  secondo 
i  comandi  di  S.  A.,  la  settimana  prossima.  Altra  lettera  ab- 
biamo di  tre  giorni  dopo,  in  cui  ringrazia  de' passaporti,  e 
raccomanda  con  molto  belle  parole  Federico  Beretta  che  fa 
le  parti  di  Capitano  Spagnuolo,  pubblicata  al  nome  di  questo 
comico  (V.). 


PALOMDERA  -  PANAZZI 


Palombera  Luisa  De  Vertamani.  Di  questa  comica  celebre 
e  caTttatrice  insigne  non  mi  è  riuscito  di  trovar  notizie  in  alcun 
diario  napoletano.  Forse  l'Ortensia  del  comico  Giuseppe  An- 
tonio Laurentiis  (V.)? 


Panazzi  Francesco.  Dopo  di  essere  stato  in  varie  compa- 
gnie di  giro,  si  trovava  il  1781  a  Venezia  in  quella  di  Nicola 
Menichelli.  Fu  attore  pregiato  nelle  commedie  improvvise, 
sotto  la  maschera  di  Brighella,  e  nelle  premeditate  senza  ma- 


311  PANAZZI  -  PANZANINI 

schera.  Par  nuUameno  ch'egli  fosse  assai  più  reputato  violinista 
che  attore,  e  dice  il  Bartoli  ch'ei  poteva  comparire  con  lode  in 
mezzo  ai  più  esperti  professori  di  musica. 

Fani  Lorenzo.  Nato  a  Firenze  il  1750,  fu  un  egregio  ti- 
ranno, e  uno  de' principali  capocomici  dal  1785  al  1815.  Morì 
a  Firenze  il  1825. 


Fanzaninì  Gabriele.  È  questi  il  famoso  Gabriele  da  Bolo- 
gna, che  sosteneva  le  parti  di  Zanni  nella  Compagnia  A€  Comici 
Gelosi  sotto  il  nome  di  Francatrippe.  lodato  da  Francesco  An- 


PANZANINI  -  PAPÀ 

dreini  (V.)  nel  Ragionamento  XIV  delle  sue 
citate  Bravure.  Era  il  1593,  come  abbiam 
visto  al  nome  di  Balestri  (V.),  nella  Com- 
pagnia de'Comici  Uniti,  e  in  quella  de' Co- 
stanti, come  abbiamo  in  una  lettera  senza 
data  citata  al  nome  di  Degli  Amorevoli  Vit- 
toria (V.).  Vedi  anche  (pag.  626)  pe  '1  co- 
stume il  Francairippa  di  Callot,  danzante 
con  Fritellino  (Pier  Maria  Cecchini).  Di  quel 
che  gli  occorse  a  Mantova  recitando  la  fa- 
vola A^  tre  gobbi,  vedi  Pasquati  Giulio. 


Francatrippe. 

(Da  una  rsccolla  inoi 
d<  dodici  tipi  grotti 


Panzierì  Pietro.  È  citato  da  Francesco 
Bartoli  come  giovane  di  buone  attitudini 
all'arte.  Recitava  le  parti  di  innamoralo,  e       "<>. .««-.  ««.o™.,. 
dopo  di  esser  stato  nella  Compagnia  di  Luigi  Perelli,  passò 
il  1781  in  quella  di  Antonio  Camerani. 

Paolo  di  Padova.  Conduttore  della  Compagnia  comica  ita- 
liana che  recitò  a  Nevac  il  1 5  79,  durante  il  soggiorno  di  Cate- 
rina de'  Medici.  Il  Baschet  {pp.  cit.,  87)  riferisce  un  documento 
ove  sono  il  rimborso  delle  spese  di  viaggio,  e  una  somma  di 
trenta  scudi  (novanta  lire  tornesi)  per  aver  recitato  più  com- 
medie dinanzi  a  Sua  Maestà. 


Papà  Leontina.  Nata  a  Mogliano  (Veneto)  l'ottobre  del- 
l'anno 1842  da  Leone,  maggiore,  e  da  Luisa  BOchmann,  esordì 
sul  finire  del  '59  in  Compagnia  Moro-Lin,  dì  cui  era  prima  at- 
trice la  Fumagalli  e  primo  attore  Alessandro  Salvini.  Mostrò 
subito  speciali  attitudini  alla  tragedia,  della  quale  fu  più  tardi 
cultrice  amantissima  e  ammiratissima;  e,  scritturata  il  '66  al 
Fondo  diNapoli  nella  CompagniaMajeroni,  vi  sostituì  con  molto 
onore  la  celebre  Sadowski.  Passò  Ìl  '69  con  LoUio,  poi,  il  '71, 
con  Coltellini.  In  quel  tomo,  a  Roma,  si  ammogliò  a  Raffaello 
Giovagnoli,  e  restò  fuor  del  teatro  due  anni.  Fu  il  '73-74  con 


Vitaliani  e  Cuniberti,  e  andò  il  '75  a  Londra  con  Tommaso  Sal- 
vini, Sostituì  il  '76  in  Compagnia  Ciotti  Virginia  Marini,  e  andò 
r'82  con  Emanuel,  poi,  in  Rus- 
sia, con  Ernesto  Rossi.  Il  '92-'q3 
fu  scritturata  da  Giacinto  Galli- 
na, il  '95-'9ò  da  Ferrati,  poi  dal- 
l'Impresa del  Teatro  Manzoni  di 
Roma,  ove  trovasi  tuttavia.  Leon- 
tina  Papà  nella  sua  vita  non  bre- 
ve di  teatro  ebbe  momenti  d'arte 
felicissimi,  e  molte  lodi  sincere, 
a  volte  entusiastiche.  Creò  con 
assai  plauso  non  poche  partì,  fra 
cui,  quattr'anni  or  sono  a  Firenze 
quella  di  Baronessa  nella  Mar- 
cella  di  Sardou. 
Fra  le  pubbliche  testimonianze  di  ammirazione  eh'  ella 
s'ebbe,  merita  qui  un  posto  la  dedica  di  un  opuscolo  di  versi, 
che  vuoisi  dettata  da  F.  D.  Guerrazzi. 

A  Leontika  Papà  -  attrice  drammatica  -  che  con  la 
voce  ricca  d'affeiti  -  e  con  l'eloquente  atteggiar  della 
persona  -  richiamò  sulle  scene  labroniche  -  le  glorie 
della  Marchìonni  e  della  Pasta  -  i  livornesi  -  augu- 
rando alla  giovane  artista  -  trionfi  maggiori  -  porgono 
tributo  d'ammirazione. 

E  questo  stornello  segnato  col  nome  di  Tito  Vespasiano, 
sotto  il  quale  si  nascondeva  il  caldo  poeta  livornese  Braccio 
Bracci. 

O  bella  fata  dagli  occhi  d'amore, 

chi  v'ha  insegnato  a  piangere  e  pregare? 

La  vostra  bocca  è  il  calice  d'un  fiore, 

e  con  la  voce  fate  innamorare. 

Chi  v'ha  sentito  per  gentile  usanza, 

vi  paragona  al  fior  delta  speranza; 

chi  v'ha  sentito  per  desìo  di  gloria, 

vi  paragona  al  fior  della  memoria. 


PAPA  -  PAPADOPOLI 

Voi  siete  brava  e  non  ve  n'avvedete, 
perchè  è  natura  dell' augel  che  vola, 
canto  e  passione,  e  se  non  Io  credete 
guardate  quella  mammola  ^'ola  ; 
benché  chiusa  nell'orto  in  tra  le  foglie, 
l'odor  la  scopre  e  il  passegger  la  coglie; 
così  la  vostra  luce,  o  fata  bella, 
vi  scopre  a  tutti  che  siete  una  stella. 


Papadopoli  Antonio.  Nato  a  Zara  il  1 7  aprile  1 8 1 5  da  Co- 
stantino Papadopolo,  mannaro,  poi  caffetiiere,  e  da  Giovanna 
Foscari,  si  diede  al  teatro 
dopo  due  anni  di  ginnasio,  e 
due  d'impiegato  all'Uffizio 
di  Sanità  della  Dogana,  esor- 
dendo il  '32  in  Compagnia 
Bon  Martini,  prima  come  se- 
gretario, poi  come  attore  nel 
Naufragio  felice  dello  stesso 
Bon  Martini,  pel  quale  s'eb- 
be dal  capocomico  non  po- 
chi incoraggiamenti.  Restò 
con  lui  sette  anni,  interrotti 
nel  '36  per  pochi  mesi,  du- 
rante i  quali  si  unì  alla  Com- 
pagnia Colli,  delle  infime 
d'allora,  in  qualità  dì  primo 
amoroso,  riuscendo  il  più  ca- 
ne di  tutti  gli  attori.  Sulla 
fine  di  ottobre  entrò  in  Com- 
pagnia Cavicchi  e  Bertotti  diretta  da  Domenico  Verzura,  pa- 
dre nobile,  dal  quale  il  Papadopoli  si  ebbe  la  sua  prima  e 
salda  educazione  artistica.  Si  scritturò  il  '40  col  celebre  Ve- 
stri,  che  divinò  in  lui  l'attore  caraiterista.  In  fatti  in  questo 
ruolo  esordì  il  '47  colla  Fusarini,  passando  poi  socio  con  Let- 
tini il  '48  e  '49,  a  fianco  della  Nardi  prima  attrice  e  della 


216  PAPADOPOLI 


Cazzola  amorosa,  con  cui  si  trovò,  sciolta  la  società,  nella  Com- 
pagnia di  Antonio  Giardini.  Prese,  nel  '54,  il  posto  di  Luigi 
Bonazzi  nella  Compagnia  Lombarda,  ammiratissimo  dovun- 
que, specialmente  per  la  spontaneità  e  la  verità  della  dizione 
che  furon  sempre  le  principali  qualità  dell'arte  sua.  Fu  poi 
dal  '60  air '80  in  quasi  tutte  le  compagnie  d'Italia,  vuoi  di 
primo,  vuoi  d' infimo  ordine.  Tentò  a  Firenze  la  maschera  di 
Stenterello,  ma  fu  accolto  a  fischi;  nella  Suor  Teresa  del  Ca- 
moletti,  per  mancanza  d'un' attrice,  sostenne  la  parte  di  Suor 
Giuseppa.  Non  troppo  di  notevole  abbiam  nella  vita  artistica 
del  Papadopoli.  Anche  vi  ebbe  chi  non  riconobbe  la  grandezza 
dell'arte  in  lui,  come  quegli  che  non  lasciò  alcuna  di  quelle 
creazioni  che  eternan  la  rinomanza  di  un  artista.  Ma  se  crea- 
zioni tipiche  nello  stretto  senso  della  parola  non  vi  furono  (nella 
recitazione  del  Papadopoli  non  era  celato  lo  studio,  ma,  al  dire 
di  più  contemporanei  non  era  studio  affatto),  tutti  i  suoi  perso- 
naggi acquistaron  tale  apparenza  di  realtà,  che  non  era  possi- 
bile il  desiderar  di  più.  Né  si  fermò  egli  a  un  tipo  unico  :  il  suo 
repertorio  fu  de' più  vasti  e  de' più  svariati:  ne  furono  il  fonda- 
mento Michele  Perrin,  Il  Sindaco  Babbeo,  Il  Bugiardo,  Il  Burbero 
benefico.  La Locandiera,  Il  Ludro,  Laveria  di  Papà  Martin,  L'in- 
quisizione  di  Spagna,  L' Ajo  neW  imbarazzo.  Il  Barbiere  di  Ghel- 
dria  e  altro;  e  il  Tommaseo  disse  di  Papadopoli  che  con  un  cenno 
rendeva  un  carattere,  con  una  modulaziane  di  voce  avviava  una 
scena.  Alle  severità  della  critica  odierna,  Antonio  Cervi,  dal  cui 
opuscolo  (Bologna  '96)  ho  tratto  in  parte  questi  cenni,  contrap- 
poneva queste  parole  di  Alamanno  Morelli  :  <  Io  che  ho  saputo 
contraffare  le  varie  interpretazioni  di  tutti  i  più  grandi  artisti, 
non  sono  riuscito  mai  a  contraffare  quelle  del  Papadopoli,  tanto 
esse  erano  naturali  e  semplici,  e  di  una  meravigliosa  efficacia.  > 
Come  uomo,  egli  si  formò  una  travagliosa  vecchiaja,  confortata 
a  pena  da  qualche  sussidio  strappato  ai  colleghi  doviziosi,  o  che 
gli  eran  stati  compagni,  o  che  sentivan  pietà  della  miseria  sua. 
Se  molto  bene  egli  fece  altrui  (il  beneficio  è  più  presto 
scordato)  molto  male  egli  fece  a  sé;  e  questo  il  mondo  del- 


PAPADOPOLI  -  PARISI  217 

Tarte  non  gli  ha  perdonato.  Simile  al  suo  predecessore  della 
Commedia  italiana  a  Parigi,  Antonio  Camerani,  egli  mangiò 
tutto  quanto  guadagnò,  e  più  volte  anche,  non  pago,  man- 
giò a  credenza.  Con  la  propria  coscienza  egli  potè  transigere 
attenuando  le  decadi,  e  tal  volta  anche  impegnando  i  cas- 
soni de'  comici  inconsapevoli  ;  ma  non  mai  con  la  tavola  e  con 
la  gola:  e  si  racconta  che  dopo  una  recita  all'Argentina  di 
Roma,  una  delle  tante  di  addio,  ch'egli  era  costretto  a  fare, 
dicean  le  gazzette,  per  trascinar  meno  peggio  la  vita  trava- 
gliatissima,  convitò  tutti  coloro  che  preser  parte  alla  recita, 
dando  fondo,  in  una  gustosa  cenetta,  alle  duecento  lire  che 
avea  guadagnate  nette  per  sé.  Altra  volta  mise  in  tavola,  come 
antipasto,  ottanta  lire  di  affettato;  altra  ancora,  de' petti  di 
tordo  per  sessanta  persone.  Di  lui  si  ha  un  libretto,  e  qui  anche 
torna  a  mente  il  Camerani,  intitolato  Gastronomia  Sperimentale 
(Zara,  1886),  in  cui  sono  le  norme  particolareggiate  per  alle- 
stire una  buona  serie  di  piatti  dolci  e  di  piatti  di  famiglia.  Lo 
sciagurato  vecchio  è  morto  a  Verona  la  mattina  del  2 1  otto- 
bre 1899.  Avea  sposato  una  Giuditta  Girometti,  mortagli  il 
2  novembre  1 872  a  Milano,  mentr'  era  con  Alessandro  Salvini  e 
Cesare  Vi taliani.  Di  lui  lasciò  scritto  Ernesto  Rossi  {pp.  cit.y  1 64), 
come  contrapposto  alle  tante  accuse  :  <  In  questo  lasso  di  tempo 
furono  aggregati  alla  mia  Compagnia  la  signora  Santoni,  la  si- 
gnora Baracani  e  Papadopoli,  da  tutti  proclamato  irrequieto, 
stravagante  di  carattere,  sregolato  negli  interessi,  e  da  me 
rinvenuto  buono,  compiacente,  e  persino  economo  e  parco  nel 
cibo,  che  è  tutto  dire....> 


i  Luigi.  Comico  rinomato  dei  tempi  di  Francesco  Bar- 
toli(i78i),  che  sosteneva  il  ridicolo  personaggio  dS.  Don  Fastidio 
De  Fastidiis  con  grande  successo,  specialmente  nelle  Avventure 
di  Donna  Irene  o  La  sepolta  viva,  di  Francesco  Cerlone.  Reci- 
tava anche  in  parti  serie,  ma  con  poco  buon  successo,  essendo 
egli  troppo  noto  come  buffone.  Lo  dice  il  Bartoli  uomo  ono- 
rato, e  ottimo  marito. 

28.  —  /  Comici  italiani.  Voi.  II. 


218  PARISI 

Parisi  Alessandra.  Moglie  del  precedente,  nota  in  arte  col 
diminutivo  di  Sandrina,  nacque  a  Torino  da  parenti  napoletani, 
e  fu  accolta  giovanissima,  insieme  al  marito,  in  Compagnia  di 
Pietro  Ferrari.  <  Ella  è  -  scrive  Fr.  Bartoli  -  d'una  figura  assai 
gentile,  di  sembianze  geniali,  e  gli  occhi  suoi  sono  due  vivi 
specchi  in  cui  sulla  scena  conosconsi  chiaramente  gli  affetti  in- 
terni dell'animo,  spiegando  con  essi  valorosamente  a  meravi- 
glia e  il  duolo  e  il  gaudio  e  V  amore  e  lo  sdegno.  Ella  è  molto 
vivace,  ed  è  inclinata  a  que'  caratteri  dimostranti  tenerezza  ed 
umiliazione,  o  abbattimento  di  forze  con  rammarico,  ed  afflit- 
tivi, appassionati  contrasti.  >  E  più  oltre  :  «  Merita  questa  at- 
trice le  più  sincere  lodi  pel  suo  valor  teatrale,  e  più  per  i  di 
lei  irreprensibili  costumi,  spiegando  a  sua  gloria  il  candido 
vessillo  d' una  incorrotta  onestà.  >  La  brutta  commedia  del 
Cerlone,  Le  avventure  di  Donna  Irene,  sollevava,  rappresen- 
tata da  lei,  all'entusiasmo.  Nel  carnovale  del  1781  recitando 
a  Bologna  in  Compagnia  Menichelli,  ebbe  la  destra  grave- 
mente ferita  nell'atto  di  dividere  i  duellanti,  e  ne  restò  imper- 
fetta nell'articolazione.  Il  triste  caso  fu  celebrato  dal  Bartoli 
col  seguente 

SONETTO 

Deh,  se  a  turbar  di  bella  donna  il  core 
impugnaste  T  acciaro  arditi  amanti, 
e  perchè  fia  che  uno  di  voi  si  vanti 
di  ferirla,  e  recarle  aspro  dolore? 

Beir  impresa  eli'  è  questa,  e  bel  valore 

egli  è  oltraggiar  chi  sol  si  strugge  in  pianti? 
Scorni  saran  per  voi,  non  saran  vanti, 
e  puniravvi  il  tribunal  d'Amore. 

Donna  di  si  gentili  illustri  pregi 

da  voi  s'oltraggia,  e  dite  poi  d'amarla, 

se  a  una  man  le  imprimete  e  doglie  e  sfregi? 

Itene;  in  biasmo  vostro  il  Mondo  parla; 
ma  di  lei,  e  de*  suoi  costumi  egregi 
lode  risuona,  e  ognun  brama  onorarla. 


PARRINI  -  PARRINO  219 

Panini  Luigi.  Pisano,  fii  attore  assai  reputato  nei  primi 
del  secolo,  per  le  parti  della  tragedia  alfieriana,  tra  cui  va  par- 
ticolarmente citata  quella  del  Filippo,  nella  quale  fu  ottimo. 
Passò  in  seguito  al  ruolo  di  caratterista,  e  si  fece  sempre  notare 
per  una  singolare  nobiltà,  anche  ne' personaggi  più  ridicoli. 
Ebbe  il  '25  compagnia  in  società  con  Filippo  Zinelli,  padre 
nobile,  la  di  cui  moglie  Sofia  Eloisa  n'  era  la  prima  attrice,  e 
certo  Pietro  Simoni  il  primo  attore.  Ad  avere  un'  idea  del  re- 
pertorio della  compagnia,  a  codest'  epoca,  basti  sapere  che  il 
caratterista  fece  a  S.  Sepolcro  la  sera  del  1 2  agosto  la  sua  Be- 
nefiziata col  Viaggio  dei  Pianeti,  ossia  Giove  e  Mercurio  in  Tianèa, 
azione  allegorica  spettacolosa,  con  promessa  in  un  manifesto 
reboante,  di  mutamenti  di  scena  a  vista  prodigiosi,  di  macchi- 
nismi non  più  veduti,  ecc.  Ma  lo  spettacolo,  che  fruttò  venti- 
quattro colonnati,  fu  giudicato  dal  cronistorico  anonimo  di 
quella  stagione,  infame. 
Il  Parrini  morì  nel  '32. 

Parrini  Clementina.  Moglie  del  precedente,  nata  Lenzi, 
recitava  con  molto  brio  le  parti  di  servetta.  La  troviamo  il  '24 
in  Compagnia  di  Luigi  Fini,  di  cui  ci  ha  lasciato  un  curioso 
notiziario  un  attore  della  compagnia:  forse  Vincenzo  Bellagambi 
(V.  Rasi,  //  Libro  degli  aneddoti.  Firenze,  Bemporad,  1898),  il 
quale  ci  fa  anche  sapere  che  la  Parrini  era  divisa  dal  marito  e 
conviveva  con  Ercole  Gallina,  il  primo  attore,  da  cui  ebbe  il 
3  gennaio  del  '26  una  bambina  che  le  morì  il  7  successivo. 

Panino  Domenico  Antonio,  napolitano.  È  ben  poco  ciò 

che  lasciò  scritto  Fr.  Bartoli  di  questo  comico  egregio  per  le 
parti  ùHnnamorato,  sotto  nome  di  Fior  indo,  e  non  meno  egre- 
gio istoriografo  della  sua  patria.  L'opera:  Teatro  eroico  e  politico 
del  governo  de'  Viceré  del  Regno  di  Napoli  dal  Tempo  del  Re  Fer- 
dinando il  Cattolico  fino  al  presente,  pubblicata  a  Napoli  il  1692, 
ebbe  V  onore  di  due  ristampe,  eh*  io  sappia,  V  una  del  Gravier 
nel  1770,  l'altra  del  Lombardi  nel  1 875.  A  questa  aggiungiamo 


220  PARKING 


le  Memorie  delle  notìzie  più  vere,  e  cose  più  notabili  e  degne  da 
sapersi,  accadute  nella  feliciss,  entrata  delle  sempre  gloriose  Truppe 
Cesaree  nel  Regno,  ed  in  questa  Città  di  Napoli,  pubblicata  dal- 
l' autore  il  1 708,  in  1 2°;  e  la  Guida  de' Forestieri  per  la  Città  di 
Napoli,  stampata  il  1725.  Il  1675  aveva  stampata  a  Napoli  con 
la  data  di  Venezia  una  commedia  tradotta  dallo  spagnuolo  da 
altro  comico:  Amare  e  fingere,  che  fu  poi  ristampata  davvero 
a  Venezia,  e  più  tardi  a  Bologna.  Il  Bartoli  lo  dice  Comico  al 
servizio  di  S.  M.  la  Regina  di  Svezia,  e  chiude  il  suo  breve 
cenno  facendolo  morire  intorno  all'anno  1730. 

Nell'Archivio  di  Modena  giacciono,  tra  T  altre,  inedite  al- 
cune lettere  di  lui,  o  lui  concernenti,  dalle  quali  possiamo  avere 
qualche  notizia  sicura  sull'arte  sua  e  sulla  sua  vita  di  comico. 
Il  1675  arrivò  a  Mantova  da  Napoli,  comico  del  Duca  di  Mo- 
dena, come  abbiamo  da  una  lettera  di  Alfonso  d' Este,  il  quale 
chiamandolo  principal parte  della  Compagnia  e  che  si  è  strecto  con 
promesse  di  Regalarlo  bene,  propone  a  quel  Duca  non  gli  si  dien 
Tneno  di  2^  dopie,  essendo  questo  un  huomo  che  à  testa.  L' elenco 
della  compagnia  del  1675,  in  cui  Parrino  è  detto  Pannini  per 
errore,  è  dato  al  nome  di  Areliari  Teodora.  Anche  il  9  aprile 
del  '76,  il  Duca  di  Mantova  ringraziava  quello  di  Modena  del- 
l'avergli ceduto  Florindo  pel  futuro  carnevale;  e  promette  di 
proteggerlo  in  riguardo  deirefiicaci  rcu:comandcUioni  che  Sua  Al- 
tezza à  di  lui  prò  gV  ingiungeva:  e  il  29  marzo  *77  lo  rimanda  a 
Modena,  con  grandi  elogi  all'  artista  per  le  recite  di  Venezia  e 
per  quelle  di  Mantova. 

Il  7  giugno  '77  da  Genova  scrive  distesamente  al  Duca  di 
una  aggressione  a  mano  armata  per  opera  di  certo  Filippo  Ca- 
stellano di  Napoli,  che  n'  ebbe  mandato  da  cotal  feudatario  di 
Monferrato,  il  quale  a  sua  volta  avrebbe  agito  d'ordine  del 
Duca  di  Mantova  in  persona,  indignato  contro  Florindo  che 
ricusò  di  servirlo,  allegando  in  iscusa  il  suo  prossimo  ritorno 
in  patria,  e  passando  invece  al  servizio  del  Duca  di  Modena. 
Del  15  agosto  1677  abbiamo  una  lettera  del  Dottore  Gio.  An- 
tonio LoUi,  nella  quale  si  accenna  ad  un  inganno  di  Florindo, 


PARKING  221 


che.  non  lo  mostrerebbe,  a  dir  vero,  uno  stinco  di  santo.  Egli 
mandava  a  richiedere  col  mezzo  d' un  cavaliere  e  d' una  lettera 
le  sue  cinque  casse  già  pervenute  a  Verona,  ove  doveva  reci- 
tare nella  compagnia  del  Duca  di  Mantova,  e  dal  Lolli  ritirate. 
Il  cavaliere,  avute  le  casse,  richiese  il  Lolli  della  lettera  per 
vedere,  diceva,  se  il  numero  e  la  specie  di  esse  corrisponde- 
vano alla  descrizione  fattane  da  Florindo;  e  datagliela  il  Lolli 
in  buona  fede,  quegli  se  la  ritenne,  e  non  volle  a  niun  patto 
restituirla.  Sembra  poi  da  una  lettera  di  certo  Capello  dell' 8  di- 
cembre al  Duca  di  Modena,  che  fra  le  casse  di  Florindo  ne 
fosse  una  di  Finocchio,  data  in  errore,  e  che  non  gli  era  possi- 
bile recuperare,  perchè  andata  in  mano  d' altri.  Ma  Florindo 
scrive  da  Mantova  il  23  agosto:  <  le  mie  Robbe  consistenti  in 
cinque  casse,  per  un  ordine  fattomi  fare  ad  un  de'  miei  com- 
pagni a  Verona,  sono  state  consegnate  non  so  a  chi,  mentre 
nell'ordine  s'esprimeva  che  si  dassero  al  Cav/®  che  lo  hauesse 
presentato.  Mi  persuado  però  che  siano  ancora  in  quella  città, 
mentre  non  ne  tengo  altra  notizia.  >  E  si  raccomanda  vivamente 
al  Duca,  perchè  componga  la  faccenda.  Ma  pare  che  il  Duca 
di  Mantova  l' avesse  davvero  a  morte  col  pover'  uomo,  il  quale 
per  non  commessi  delitti  fece  rinchiudere  in  una  prigione,  riu- 
scendo vane  per  liberamelo  le  intercessioni  di  Altezze  e  Po- 
tentati. Privo  della  libertà,  fatto  inabile  al  lavoro,  privo  fin 
anche  delle  r0bbe,  frutto  di  tant'anni  di  fatiche,  non  ha  più 
scampo  ormai  che  nella  morte.  Ma  neanch'  essa  lo  soccorre. 
Ultima  delle  lettere  in  cui  son  descritti  gli  sciagurati  accidenti, 
è  quella  del  21  ottobre  1678,  interessantissima,  che  riferisco 
intera : 

Molto  Reu.Jo  Sig.'  mio  Sig.'  Padrone  Coli.»"© 

Il  mio  fiero  destino  mi  riduce  agl'estremi,  mentre  doppo  una  si  lunga  serie  di 
disgrazie,  e  miserie,  più  fiero,  et  implacabile,  che  mai  si  fa  conoscere. 

Mercordi  dunque  di  notte,  accompagnato  da  5  huomini  armati,  tré  delle  guardie, 
e  due  della  Casa  del  mio  hospite,  fui  d'improuiso  condotto  fuori  di  Mantoua,  doue  fui 
costretto  lasciare  il  resto  delle  mie  poche  Robbe  (mentre  degl'Abiti  è  un  pezzo  che  sono 
priuo)  et  un  mio  Nipote  febricitante,  quale  della  Patria  fortiuamente  uenne  à  ritrouarmi 
per  darmi  parte  dell'ultimo  esterminio  di  mia  Casa;  e  li  detti  huomeni  mi  conducono  per 


222  PARKING 


certo  nel  Castello  di  Casale;  se  bene  nel  partire  mio  da  Mantooa  mi  fecero  credere  di 
incaminarmi  alla  Patria  con  intiera  libertà. 

Par  consideri  pietosamente  la  Paternità  Sua  Molto  Reo.*,  qnal  sia  il  mio  stato 
infelice.  Il  Gionine,  eh'  assisteaa  al  mio  negozio  di  libri  ;  doppo  hauere  pagato  di  mano 
propria  molti  mesi  del  suo  salario  ;  se  n'  è  d' improaiso  fuggito  in  Messina  in  una  Nane 
Inglese,  portandosi  aia  tatto  il  baon  della  Bottega.  Due  fancialle  mie  Nipoti  da  marito, 
se  ne  stanno  in  Casa  de  miei  Padregni,  con  poca  pace,  et  è  facile,  eh'  on  giorno  ne  siano 
scacciate  per  la  mia  absenza.  Appresso  di  me  non  ho  nolla;  ne  mai  ho  uedato  in  tanti 
mesi,  toltone  il  Vitto,  an  soldo  solo  per  riparare  all'altre  cotidiane  mie  necessità;  onde 
non  mi  aaanza  altro,  che  nna  misera,  e  mal  condotta  aita,  essendo  per  tanti  gnai,  peggio, 
che  morte;  e  Dio  sa  qaello  sarà  di  me,  doppo,  che  mi  haaeranno  posto  nel  sadetto  Castello. 
Eccomi  pertanto  tutto  lacrime  à  piedi  della  Paternità  Sua  Molto  Reverenda  à  supplicarla 
per  amor  di  Dio  à  uoler  fare  quelle  parti  di  pietà,  che  le  pareranno  più  proprie,  appresso 
cotesto  clementissimo  Padrone,  perche  dall'  abisso  di  tante  miserie,  e  calamità  mi  aiuti  à 
sottrame.  Sono  ridotto  in  mendicità  estrema,  e  senza  quel  poco,  che  haueuo  riseruato  per 
la  mìa  Vecchiaia  alla  Patria,  per  causa,  non  dico  già  della  prontezza  del  mio  obedire  gì'  altrui 
sourani  comandi  ;  ma  per  i  miei  peccati  chiedo  pietà,  e  sollieuo,  quale  spero  dalla  generosa 
benignità  di  un  tanto  Principe,  per  mezzo  dell'  efficacissimi  offizii  della  Paternità  Sua  molto 
Reuerenda.  Non  fò  poco  à  scriuere  queste  due  righe  di  fretta  qui  in  Cremona,  in  doue 
passo  costandomi  più  oro,  che  inchiostro;  si  compiaccia  far  le  mie  parti  con  il  S.>^  £cc."^o  e 
con  il  S.^  C.  Ronchi;  e  per  mezzo  di  qualche  Religioso,  mi  facci  penetrare  à  Casale  sadetto 
qualche  speranza  e  conforto,  per  non  (armi  morir  disperato;  che  se  non  fusse  per  la  salute 
dell'anima;  à  quest'ora  mi  sarei  tratto  fuori  di  tutti  gl'affanni. 

Mi  è  fuggito  il  poco  di  tempo  che  haueuo:  me  le  raccomando  per  le  uiscere  di 
Maria  Vergine,  e  le  (accio  profondissima  riuerenza  restandole  pieno 

Adi  21  8bre  167S  suo  schiauo 

D.  A.  P.  detto  Floìondo. 


Il  giugno  dell'  '80  partì  da  Modena,  e  giunse  dopo  ventidue 
giorni  a  Napoli,  d'onde  scrisse  al  Duca  mandandogli  una  de- 
scrizione in  versi  del  suo  viaggio,  non  rinvenuta  nel  carteggio. 
Annuncia  il  gran  disordine  trovato  ne' suoi  interessi,  che  muove 
alle  lagrime  gli  stessi  nemici;  ci  vorran  parecchi  anni  per  saldar 
tutte  le  piaghe;  ma  intanto,  promettendo  di  essere  l'ottobre  a 
Modena,  come  da  contratto,  si  raccomanda  alla  munificenza  di 
S.  A.  perchè  voglia  soccorrerlo  nel  prossimo  viaggio.  Finito  il 
carnovale  a  Modena,  Plorindo  si  restituì  in  patria,  e  il  Duca  lo 
raccomandò  con  ogni  larghezza,  il  3  marzo  1681,  a  Francesco 
Magnacavallo  suo  Agente  a  Napoli  e  al  fratello  di  lui  Ortensio, 
dei  quali  Florindo  ebbe  sempre  a  lodarsi.  L"83  egli  chiedeva 
al  Duca  una  lettera  di  raccomandazione  diretta  al  Viceré  di 
Napoli,  che  subito  ottenne.  Il  28  di  dicembre  deU"86,  augura 


PARKING  223 


da  Napoli  al  Duca  il  buon  capodanno,  e  ci  apprende  che  ha 
già  abbandonata  Tarte  comica:  io,  che  a  piedi  dell'  Altezza  Vostra 
sacrificai  gli  ultimi  sudori  de'  Teatri,  spogliandomi  affatto  del  la- 
borioso coturno:  mi/o  lecito  hora  comparirle  colla  douuta  deuozione 
auanti  ricouerto  solo  della  liurea  d' un  ossequiosissima  osservanza 
per  presentare  a  V.  A.  i  Voti,  ecc.,  ecc.  Il  25  febbraio  dell'  '87 
manda  al  Duca  i  suoi  devoti  mirallegri  per  la  favorevole  im- 
pressione da  lui  lasciata  alla  Corte  e  in  tutta  Napoli,  e  il  primo 
di  marzo  il  ben  tornato  a  Modena,  raccomandandoglisi  viva- 
mente per  ottenere  a  un  congiunto  dottore  la  provvista  d' un 
governo,  per  la  quale  ebbe  a  scrivere  parecchie  lettere.  Altre 
molte  ne  abbiamo  insignificanti  di  augurio,  o  di  congratula- 
zione, o  di  raccomandazione,  o  d'invio  di  doni:  talvolta  di  una 
cartella  miniata  superbamente  da  grande  artista  di  passaggio 
in  Napoli,  tal  altra  della  pianta  e  relazione  di  feste,  tal  altra 
ancora  del  Teatro  Eroico  de'  Viceré.  Di  più,  l'Archivio  di  Mo- 
dena conserva  un  sonetto,  che  qui  riferisco,  e  che  ci  dà  un 
saggio  dello  scrivere  di  questo  artista  letterato. 


La  lode  degnissima  \  Ossequioso  Tributo  all'Eccelsa  Grandezza 
dell'Altezza  Ser/^^  di  Francesco  d'Este  Duca  \  di  Modona 
Reggio  e  te.  I  Cesare  Augusto  del  nostro  secolo. 

SONETTO 

Trattò  Cesare  il  brando,  à  cui  soggiacque 
D' Ibero  il  Rio,  co'  gli  erti  Sassi  Alpini  : 
E  de  r  Ibernia,  à  cui  fan  mura  V  acque, 
Pur  tributarij,  e  riuerenti  i  Pini. 

Trattò  penna  erudita,  e  sol  gli  piacque 
Vsar  tratti  magnanimi  e  diuini. 
Quindi  al  facondo  dir  Roma  si  tacque, 
E  gli  fregiò  di  uerde  alloro  i  crini. 

Cosi  fece  ammirar  nel  Ciel  la  Luna, 
Cosi  fece  stupire  il  Gang  e'  il  Tago, 
E  la  Ruota  spezzare  à  la  Portuna. 


PARRINO  -  PASQUALI 

Ma  s'oggi  di  mirare  il  Mondo  è  uago 
L'Opre  d'Augusto,  e  le  Vinudi  in  una: 
Di  Francesco  à  mirar  uenga  l' Immago. 


Paniti  Gìovan  Battista  e  Maddalena  Francesca.  Fu- 
rono scritturati  nella  Compagnia  del  Duca  di  Modena,  a  co- 
minciare dal  15  di  luglio  1686.  Egli  sostituì  nelle  parti  àxprimo 
Zanni,  collo  stesso  nome  di  Finocchio,  il  Cimadori,  e  lei  recitava 
le  serve  col  nome  dì  Pimpinella,  tìtolo,  già  nel  1588,  di  una 
commedia  del  signor  Cavalìer  Cornelio  Lanci,  pubblicata  in 
Urbino  da  Bartolomeo  Ragusij. 

Pasetti  Lodovico.  Nato  a  Venezia  al  principio  del  se- 
colo XVIII,  passò  dall'impiego  di  fattore  all'arte  del  comico, 
nella  quale  riuscì  felicemente  sotto  la  maschera  del  Pantalone. 
Fu  anche  buon  musicista,  e  cantò  più  volte  v^fi^* Intermezzi.  Dopo 
di  essere  stato  in  varie  compagnie  si 
recò  in  Germania,  ov'  ebbe  qualche 
fortuna;  ma  venuto  vecchio,  e  tornato 
in  Italia,  morì  nell'indigenza  a  Vene- 
zia il  1781. 

Pasquali  Elvira.  Figlia  di  un  oste- 
trico,nata  a  Roma  il  1845,  e  cresciuta 
a  Milano,  dove  il  padre,  mazziniano, 
dovè  rifugiarsi,  entrò  seconda  amorosa 
nella  Compagnia  Monti  e  Preda,  in 
cui  ebbe  compagna  Virgìnia  Marini. 
Fu  il  '61  amorosa  e  prima  attrice  gio- 
vine con  Ernesto  Rossi,  e  il  '62-'63 
con  Amilcare  Belletti  e  Calloud,  coi  quali  stette  più  anni  al 
fianco  di  Anna  Pedretti.  Fu  in  Ispagna  con  Achille  Majeronì, 
e  vi  tornò  poi  capocomica,  ma  con  poca  fortuna.  Ritiratasi 


PASQUALI  -   PASQUALINI  1*5 

alcun  tempo  dal  teatro,  vi  ricomparve  il  '74  in  Società  con 
Emanuel,  poi,  finalmente,  sposatasi  a  un  giovane  egregio,  se 
ne  allontanò  per  sempre,  e  andò  a  stabilirsi  con  suo  marito 
a  Londra,  ove  conduce  tuttavia  una  vita  agiatissima.  Fu  at- 
trice di  molto  pregio,  e  si  deve  forse  alla  sua  mente  scom- 
posta, se  non  potè  esser  noverata  fra  le  primissime  del  suo 
tempo,  com' avrebbe  meritato. 


PaSQualini  Albina.  Attrice  rinomatissima  per  le  parti  co- 
miche, fu  unica  nel  rappresentare  /  viaggi  di  una  donna  di  spi- 
rito, dell'artista  conte  Bonfìo.  Nac- 
que presso  Urbino  l'anno  1801  ;  e 
la  vedìam  dilettante  ammiratissima 
il  1817  nel  Teatro  de'PascoIini  rap- 
presentare La  /amiglia  proscritta. 
Il  quadro  delia  moderna  filosofia,  e 
soprattutto  La  Locandiera,  che  dovè 
ripeter  più  sere  tra  le  acclamazioni 
de' suoi  concittadini.  Esordì  d^X  Are- 
na del  Sole  di  Bologna  in  Compa- 
gnia Pisenti  e  Solmi,  di  cui, dal  1823, 
fu  per  più  anni  la  prima  attrice  asso- 
luta. Passò  poi  a  far  parte  di  quella 
Romagnoli  e  Berlaffa,  e  nel  1837  ne  formò  una  essa  stessa,  che 
comprendeva  attori  di  grido,  quali  ÌI  Fabbri,  Ìl  Weltenfelt,  il 
Modena  padre.  Scese  coli' avanzar  dell'età  a  sostener  parti  se- 
condarie, e  morì  a  Trieste  in  una  piccola  compagnia  Ìl  1854. 
Diam  qui  a  titolo  di  curiosità  Y Addio  e  Ringraziamento 
eh'  ella  soleva  recitare  al  pubblico  1'  ultima  sera  della  sta- 
gione : 

Cile  è  mai  la  gioja  de' Mortali?...  Un'aura, 
Che  lievissima  passa,  un  fior  che  spande 
Le  vergini  dal  sen  grazie  odorose; 
Ma  un  lìor  che  cade  coli'  olezzo  e  muore. 
Se  cosi  libra  il  Fato,  a  che  dolente 


226  PASQUALINI  -  PASQUATI 


Piegar  la  voce  alle  querele,  e  '1  cupo 
Mesto  sospiro  risvegliar  dell'Eco? 
Ma  vinse  il  duol,  ma  suU'  incerto  ciglio 
Luce  stilla  di  pianto;  un  brividio 
Mi  ricerca  le  membra,  e  l'alma  anch'essa. 
L'alma  rifugge  sbigottita  e  muta, 
E  ad  altra  sponda....  Ah  non  v'approdi,  e  in  pria, 
Fatta  signora  di  sé  stessa,  un  detto, 
Un  sospiro,  un  addio  sciolga,  e  rimbombi 
Di  nostre  voci  al  suono  alterno,  e  giunga 
Alle  Valli  del  Serchio,  e  lo  ripeta 
Del  bel  Tirreno  ancor  la  riva  e  l'onda. 
Or  che  dirovvi  io  mai  ?  Come  poss'  io 
I  favori  narrar,  que' dolci  modi, 
L'accoglienza  gentil  che  a  noi  porgeste? 
Li  sente  il  cor,  ma  non  sa  dirli  il  labbro. 
Perchè  tanto  affrettò  l' invido  Fato 
Questo  triste  momento,  perchè  volle?... 
Dunque  dovrò,  fra  mesti  lai  partendo, 
Cosi  lasciarvi?...  Ah  non  fìa  mai;  l'affanno 
•  Ceda  a  ragione:  il  sospirar  che  giova. 
Quando  di  rivedervi  alta  speranza 
Profondamente  ho  nel  mio  cor  scolpita? 
Pur  questa  speme  che  avverar  si  debbe 
Può  alla  perdita  mia  recar  sollievo. 
Allettata  da  questa,  in  me  rinasce 
Vigor  novello  a  scior  la  voce  estrema. 
Che  spiega  a  Voi  d'un  grato  core  i  sensi: 
Parte  di  questo  cor  con  Voi  qui  lascio; 
E  parte  meco  traggo,  in  cui  scolpita 
Sta  l'immagine  vostra,  che  giammai 
Cancellar  potrà  '1  tempo,  che  giammai 
Sparger  d' oblio,  che  mai....  ma  tronca  i  detti 
Un  doloroso,  e  fra  i  sospiri  espresso, 
Non  dal  labbro,  dal  cor  ultimo  addio. 

Pasquati  Giulio.  Padovano,  fiorito  nella  seconda  metà  del 
secolo  XVI,  appartenne  in  qualità  di  Magnifico  alla  gran  Com- 
pagnia de' comici  Gelosi,  e  proprio  quando  la  lor  rinomanza 
era  al  colmo.  Anzi  in  essa  buona  parte  ebbe  il  Pasquati,  che, 


non  solo,  a  dire  del  Porcacchì,  s  era  in  dubbio  qucU  fosse  mag- 
giore in  lui  0  la  grazia,  o  f  acutezza  dei  capricci  spiegati  a  tempo 
e  sentenziosamente  nella  rappresentazione  data  in  onore  di  En- 
rico III  al  Fondaco  de'  Turchi  a  Venezia  la  sera  delli  1 8  lu- 


glio 1574;  ma  Io  stesso  Re,  che  desiderò  poi  di  avere  la  Com- 
pagnia in  Francia,  scrivendone  al  suo  ambasciatore  a  Venezia, 
Du  Ferrier,  il  25  maggio  '76,  gli  chiedeva  e  raccomandava 
sopra  tutto  il  Magnifico  che  aveva  recitalo  a  Venezia  davanti  a  lui. 
Prima  di  andare  a  Venezia,  Giulio  P^lsquati  si  trovava  a 
Milano  con  la  Compagnia  al  servizio  dì  Giovanni  d'Austria,  e, 
richiesta  di  ufficio  la  necessaria  licenza,  e  ottenutala,  pregò 
anche  il  Residente  «  di  rilasciare  un  certificato,  nel  quale  si 


228  PASQUATI 


dichiarasse  la  ragione  del  viaggio,  temendo  che  nel  passare 
per  Mantova,  quel  Duca  Guglielmo  Gonzaga,  o,  forse  meglio, 
il  Principe  Vincenzo,  non  li  trattenesse,  conoscendo  assai  bene 
qual  fosse  la  passione  di  quei  principi  per  il  teatro,  con  inten- 
zione fors'  anco  di  giovarsene  per  stabilir  patti  migliori  a  una 
prossima  occasione.  >  (Solerti  e  De  Nolhac,  //  viaggio  in  Italia 
di  Enrico  III.  Roux,  '90).  Una  parentesi:  Che  i  Gonzaga  fossero 
appassionatissimi  pel  teatro  è  fuor  di  dubbio;  ma  è  anche  certo 
che  la  loro  grande  passione  non  andava  discompagnata  dal- 
l'ambizione di  avere  in  tal  materia  la  supremazia;  né  da  questa 
lettera,  giacente  nell'Archivio  di  Modena,  della  quale  non  è 
riuscito  ad  alcuno  finora  trovar  conferma  nelle  carte  dell'Ar- 
chivio Mantovano,  né  dalle  prigionie  patite  dal  Parrino  e  da 
tanti,  alla  liberazion  de' quali  s'occuparon  patrizj  e  potentati 
in  vano,  né  dalla  cacciata  da  Mantova  degli  stessi  Gelosi  il  '79, 
ci  sarebbe  certo  da  dirli  stinchi  di  santo.  Pubblico  la  lettera 
intera,  perché  mi  pare  uno  de'  più  strani  e  interessanti  docu- 
menti del  nostro  teatro. 

A  28. 

Anchora  che  da  Mantoua  non  habbìa  hannto  tal  auiso  nondimeno  qua  si  dice 
ch'essendo  nennto  caprìccio  al  Daca  di  nedere  una  Comedia  dai  Gelosi  che  fosse  tutta 
redìcolosa  et  faceta,  i  recitanti  lo  semimo  con  fame  una  ingieniosissima  et  rìdicolosissima 
solo  che  tutti  i  recitanti  erano  gobbi  della  qual  cosa  Sua  Altezza  rise  tanto,  et  tanto  piacere 
se  ne  prese  che  niente  più,  finito  il  spasso,  chiamo  quei  Principali  comedianti  et  disse 
qual  di  loro  era  stato  l' innentore.  Il  Zani,  diceua  mi  mi.  Il  Magnifico  diceua  esser  stato 
lui,  et  Gratiano  uoleua  la  palma,  pensando  ogn'  uno  d' hauerne  un  grasso  premio.  Il  Duca 
li  fece  pigliar  tutti  3  et  fumo  condannati  alla  forca,  le  gentildonne  radunate  insiemme  tutte 
di  Mantoua  suplicaro  per  la  gratia,  et  non  iii  possibile  mai  d' hauerli,  solo  che  ottenero  di 
farli  i  lacci,  a  lor  modo  i  quali  fumo  di  fune  cosi  fragida  che  tutti  3  cadero  in  terra,  et 
la  città  gridò  gracia  gracia,  et  benché  i  meschini  fossero  condotti  alle  prigioni  semiuiui  et 
che  fossero  tosati  et  salassati  nondimeno  il  Duca  stana  anchor  risoluto  di  uolere  che  fossero 
impiccati  di  nono,  et  cosi,  ni  e,  stata  detta  da  bon  autore,  ma  non  già  scritta  da  quelle  bande. 

Di  fuori:  Auìsì  di  Roma  di  28  di  luglio  1582. 

E  scusate  se  é  poco.  I  tre  eran  dunque  il  Panzanini,  il 
De  Bianchi  e  il  nostro  Pasquati:  e  la  favola  in  discorso  era 
forse  l'antichissima  delH  tre  gobbi,  ridotta  da'  Gelosi  a  scenario, 
e  passata  poi  tra  le  opere  del  Tabarrino.  Tornando  al  Pasquati, 


egli  recitò  di  nuovo  a  Venezia  con  la  compagnia  alla  presenza 
di  Re  Enrico  il  21  al  Palazzo  Ducale  una  tragedia  di  Cornelio 
Frangipani,  musicata  dal  Merulo,  e  il  24  al  Palazzo  Giustinian 


una  pastorale.  Della  tragedia  del  Frangipani  è  detto  nell'av- 
vertimento premesso  alla  seconda  edizione  (Ven.,  Farsi,  1 574). 
che  tulli  li  recUanH  hanno  cantalo  in  suavissimt  concenti,  quando 
soli,  quando  accompagnali.,..  Non  potè,  il  '76,  recarsi  in  Francia, 
poiché,  secondo  la  risposta  del  Du  Ferrier  al  Re  (2  2  giugno) 
egli  trovavasi-  momentaneamente  alla  Corte  dell'Imperatore 
(Rodolfo  II).  Vi  si  recò  però  il  '77,  recitando  prima  a  Blois,  poi 
a  Parigi  con  immenso  diletto  di  Enrico. 


330  PASQUATI 


Ora  vediam  di  tracciar  qui  cronologicamente  V  itinerario 
dei  Gelosi  (coi  quali  però  non  si  può  affermare  se  fosse  sempre 
il  Pasquati,  mutando  egli,  come  tutte  le  celebrità,  di  compa- 
gnia anche  per  una  sola  stagione),  riassunto  sui  varj  studj  ap- 
parsi in  giornali  e  riviste  e  volumi  dal  D'Ancona,  e  arricchito 
poi  di  aggiunte  dal  Solerti  nel  suo  studio  in  collaborazione  col 
Lanza  sul  Teatro  ferrarese  nella  seconda  metà  del  secolo  xvu  Si 
trovavan  nel  1569  a  Milano;  e  nel  '71,0  forse  prima,  pare  an- 
dassero a  Parigi.  Del  '72  passaron  la  primavera  a  Milano  e 
l'autunno  a  Genova.  Del  '73  l'estate  a  Ferrara  e  l'inverno  a 
Venezia.  Del  '74  furon,  come  s'è  visto,  a  Milano  e  a  Venezia, 
e  del  '75  a  Milano  e  a  Firenze;  e  forse  a  Vienna,  riferendo  il 
Trautmann,  che  in  quell'anno  fu  largita  la  somma  di  cento 
fiorini  a  Franceschina  Commediante,  che  era  la  serva  de'  Gelosi 
(V.  Roncagli),  e  a'  suoi  compagni  per  aver  recitato  una  com- 
media davanti  a  S.  M.  Imperiale.  Son  di  nuovo  a  Ferrara  nel 
carnovale  del  '76,  e  passan  di  nuovo  in  Francia  nel  '77.  Sono 
nel  '78  a  Firenze  e  al  principio  del  '79  a  Venezia.  Parte  dello 
stesso  anno  pare  fossero  a  Ferrara;  certo  il  maggio  erano  a 
Mantova,  dove  alloggiavan  precisamente  al  Biscione,  e  d'onde 
furono  scacciati  il  5  di  maggio  con  ordine  reciso  e  immediato 
del  Duca.  Forse  il  brutto  fatto  si  collega  a  quello  bruttissimo 
dell'  '82,  in  cui,  graziati,  voller  per  rappresaglia  far  colla  com- 
media à,%\  gobbi  allusioni  men  che  rispettose?  Dal  maggio  in 
poi  si  recarono  a  Venezia,  Genova  e  Milano.  Furon  1'  '80  a  Ber- 
gamo, ove  si  vuole,  desumendolo  dal  madrigale  di  Cristoforo 
Corbelli  (V.  Alberghini)  che  i  Gelosi  si  con  giungessero  mo- 
mentaneamente alla  Compagnia  de' Comici  Uniti;  poi  a  Milano, 
d'onde  ancora  ebberminaccie  di  sfratto;  poi  a  Pisa  e  a  Venezia. 
L'  '82,  come  abbiam  visto  dal  riferito  documento  romano,  eran 
di  nuovo  a  Mantova;  r'83  a  Milano,  r'85  a  Firenze  e  1"86  a 
Bologna,  d'onde  chiedevan  licenza  al  Duca  di  Mantova  di  re- 
carsi colà  a  recitare.  Vi  si  recavan  certo  1'  '88,  passando  poi  con 
raccomandazioni  del  Duca,  per  essersi  dif>ortati  bene,  a  Milano. 
Furono  il  maggio  deir'89  a  Firenze,  e  il  settembre  a  Milano, 


ove  tornaron  poi  il  novembre  del  'go.  Li  vediamo  il  '91  e  il  '94 
a  Firenze,  il  '96  a  Genova  e  a  Bologna,  e  dal  '99  al  1604  in 
Francia,  quando  nel  ritorno,  morta  in  Lione  la  prima  attrice 
Isabella  Andreini,  la  Compagnia  si  sciolse. 

S'  è  detto  che  non  si  potrebbe  affermare  se  il  Pasquati 
fosse  rimasto  sempre  coi  Gelosi.  Io  credo,  per  esempio,  si 


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debba  senz'altro  riconoscere  il  Pasquati  nel  Pantalone  del 
documento  Romano  riferito  dall'AdemoUo  ne*  suoi  Teatri  di 
Roma,  che  è  un  Processo  dell'archivio  del  Governatore  pel  1 565, 
nel  quale,  accanto  a  cotesto  Pantalone,  figura  Soldino  :  quel 
Soldino  che  noi  vediamo  del  1570  a  Vienna  congiunto  a  un 
JuBo.  a  cui  furon  pagati  1'  8  aprile  dodici  talleri,  e  che  molto 
probabilmente  è  Ìl  nostro  Pasquati.  Del  1585  poi  abbiamo  un 
invito  del  Duca  Vincenzo  di  Mantova  a  Ludovico  da  Bologna, 
fatto  col  mezzo  del  Pomponazzi  a  Milano,  perchè  si  rechi  a 
recitarvi  nella  Compagnia  della  Diana  ;  al  quale  invito  si  ri- 
sponde non  potere  il  Gratiano  accettare,  ove  non  abbia  insieme 
il  Pasquati.  E  nello  stesso  anno  a  Vienna  sì  accordaron  per 
grazia  speciale  cinquantotto  fiorini  al  Magnifico  che  recitò  a 


232  PASQUATI 


un  pranzo  di  Corte  ;  nel  quale  il  Trautmann  non  è  alieno  dal 
riconoscere  il  Pasquali. 

Oltre  alle  testimonianze  del  Porcacchi  su  V  arte  del  Pa- 
squali, ne  abbiam  del  Garzoni  nella  Piazza  Universale,  e  del- 
TAndreini  (V.)  nelle  Bravure.  Pantalone  (l'etimologia  non  sap- 
piam  dire  con  sicurezza  se  si  trovi  nella  frenesia  dei  mercanti 
veneziani  di  acquistar  terre  nel  nome  della  Repubblica,  pian- 
tando il  lion  di  S.  Marco  su  l'Isole  mediterranee,  ciò  che  li 
faceva  derisi  dal  popolo,  che  li  chiamava //a/^/tì:/^^;^^.,..,  o  pure 
neir  antico  patrono  di  Venezia,  San  Pantaleone),  riproduce  il 
vecchio  borghese  veneziano.  Fu  ne' primi  tempi  semplice,  di 
buona  fede,  talora  amante,  talora  marito,  poi,  un  secolo  più 
tardi,  padre  di  famiglia,  economo  più  che  avaro,  moralista, 
predicatore,  nojoso.  Dalle  speciali  attitudini  de'varj  artisti  si 
diedero  al  Pantalone  altri  caratteri,  che  altri  poi  ne  generarono 
di  ogni  specie. 

Nelle  commedie  a  soggetto  egli  appare  in  tutte  le  salse.... 
E  in  uno  degli  Scenarj  corsiniani,  Terza  del  Tempo,  lo  vediam 
tenuto  sulle  spalle  a  braghe  calate  dallo  Zanni,  e  frustato  a 
nudo....  da  Lidia  sua  moglie. 

Il  Bruni  (V.),  fra  i  suoi  prologhi  ne  ha  uno  anche  pel  Pan- 
talone, che  metto  qui  a  dare  una  chiara  idea  di  quel  che  fosse 
la  maschera  a'  primi  del  '600. 

PROLOGO  DA  PANTALONE 

Se  l' homo  animai  da  do  man  (Magnìfici,  e  Zenerosi  Signori)  è  solo  in  questo  mondo 
che  vuol  tegnir  el  mondo  sotto  de  lù,  e  tutti  i  altri  viuenti  pi  che  sotto  i  pie,  non  desse 
alle  volte  in  tei  bestiai  noo  ghe  xe  dubbio  nigun  chi  el  pareraue  el  padron  de  sta  casa,  el 
Principe  de  sta  Republica,  el  Peota  da  sta  Nane,  el  Monarca  de  sto  Impero  e  l' anema 
de  sto  corpo:  daspnò  che  el  mondo  xe  vna  Nane  che  altre  volte  se  affondete  in  t'vn 
deluvio  salvandose  solo  nn  battello.  Una  casa  dove  la  natura  vivi  fa  che  habitemo  in 
sofifìta,  e  morti  la  ne  manda  in  magazen  sotto  terra.  Vna  republica  che  el  primo  fondador 
ordenò  che  fina  le  bestie  vivesse  in  libertà.  Un  imperio  dove  1'  huomo  per  la  rason  vien 
cognosuo  della  razza  real  ;  e  un  corpo  che  per  le  sue  alterazion  o  vidsitudini  ne  (a  vegnir 
in  cognizion  delle  sue  infirmitae.  Ma  per  che  co  diseva  l' huomo  non  cognosendo  el  so 
ben,  contrastando  alla  so  felidtae  da  si  medemo  se  fabrica  mille  desgusti  per  viver  in  con- 
tinue borasche.  Considerè  no  ghe  manca  chi  crede  eh'  el  non  haver  robba  sia  una  gran 
felicità,  vordè  quel  balordo  de  Crate  che  buttò  via  i  so  bezi,  e  Antippo  che  venduo  tutta 
la  so  facultae  la  butete  in  mar  per  che  sti  balordi  diseva  che  i  ghe  impediva  i  studij  e 


FASQUAXr 


'ìi 


nu  altri  per  haaer  ocotion  de  stodiaT  con  tanta  industria  cerchemo  de  cavar  soldi  da  vn 
altri;  e  molti  d«  vu  cognosando  che  i  soldi  lon  de  comodo  e  non  desconiodo,  cosi  mat 
Tolontiera  i  ne  i  da  e  cosi  (acilnienle  i  ne  atronza  la  paga.  Altri  dise  che  l'esser  orbo  i 
un  gran  contento;  opeaion  de  quel  filosofastro  di  Asclepiade.  che  vegnno  orbo  rìngiaiiette 
el  cielo  che  per  l'anegnir  el  faraue  andì  accompagnao  dove  prima  l'andava  solo,  e  non 
havevane  abno  tanti  impedimenti  a  ì  so  studij.  E  vu,  signori,  chi  non  vorave  haver  cent 
occhi  per  veder  in  questa  cittae  doane  coil  belle,  £abriche  cosi  pellegrine,  t 
celienti,  gentili'  nuomeai  cosi  illastri.  Pol- 
troni recever  pugni  cosi  eccelli,  e  bravi 
correr  cosi  forte?  Altri  se  daol  perchè  so 
mojer  se  troga  spasso  con  un  so  vesin 
manlegnando  una  opinion  cosi  diabolica 
che  le  come  nassano  all'  homo  quando  se 
seroena  in  te  le  vaneze  della  donna  ;  senti 
cari  Signori  a  consolazion  de  sti  poveri 
homini.  Se  l' honor  è  nn  premio  della 
virtiì,  perchè  un  homo  che  viva  vìrluo- 
«omente  benché  so  mojer  sia  poco  manco 
che  puttana  non  baio  da  esser  premii  de 
honoi?  E  se  t' honor  xe  nn  abito  del- 
l' anima  di  chi  opera  ben  :  com  nodo  le 
•£gion  d'on  altro  el  pon  far  vituperoso? 
E  se  tutte  le  virtuose  azzion  d'una  donna 
non  puoi  far  honorao  nn  huomo  infame 
per  che  la  iniamia  d' una  donna  può  de- 
lonorar  nn  hnomo  da  ben  }  Altri  han 
opinion  eh' et  non  pagar  i  coroedisDEi  sia 
opera  de  cariti,  e  nù  havemo  o^nnion  che 
chi  no  paga....  l'opinion  xe  brutta,  non 

lo  vogio  dir  ;  però  paghi  che  lari  l>en.  Ma  se  anderave  troppo  in  longo  se  de  tutte  le  opinion 
eronee  de  l' huomo  volesse  trattar.  Vegnemo  solo  alla  considerazion  che  costu  animai 
rasonevole  se  serva  cosi  mal  della  rason.  L'  hnomo  t  nn  animai  prodizioso  composto  de 
peizi  cootrarij,  t' anema  xe  come  un  principe,  el  corpo  come  una  bestia,  con  tutto  zò  queste 
do  parte  se  abbrazza  cosi  ben  tra  loro,  che  i  non  puoi  vivere  ìnseme  senza  verrà,  ne 
lepararae  senta  dolor;  podendosi  con  raaon  buttar  in  occhio  l'un  all'altra  de  non  poder 
con  ella  ne  seiu'ella  vivere.  L' huomo  se  può  dìitìnguer  in  tre  parti:  anima  e  spirito  e 
carne:  el  spirilo  e  la  carne  han  tiolto  in  mezzo  I' anema;  el  spirito  per  farme  intendere 
xe  come  el  Principe  nella  republica  :  non  spira  e  non  respira  che  beni  del  ciel  al  qual 
sempre  Tarda,  la  carne  per  contrario  le  come  la  lega  d' un  popolo  tumultuario  e  fnrfitnte, 
la  scovazera  e  sentina  dell'  huomo,  parte  che  cala  sempre  al  mal.  E  l' anima  nel  mezzo  xe 
come  1  principali  del  popular:  i  diferente  tra  '1  ben  el  mal,  trai  merito  e  demerito;  vien 
solecità  dal  spirito  e  dalla  carne,  e  secondo  da  qnal  parte  se  butta  la  si  fa  spirituale  e 
bnona,  o  carnale  e  cattiva,  come  sarave  a  dir  el  nostro  Portonier  xe  l'anemo,  la  cassetta 
el  spirito,  e  le  so  scarsele  la  carne.  Questa  anima  ha  quei  bezi  in  man,  la  cassetta  el  tolicila 
a  melerghei  drento,  le  scarsele  mostrandogbe  l'ntit  proprio  prega  per  elle:  segondo  a  quel 
che  el  te  reiolve  el  doventa,  huomo  da  ben  o  laro.  Da  queste  resolnzion  dell' anema  ne 
sncciede  i  varij  pensieri  e  stravagante  opinion  dell' hnomo  parte  delle  quali  ne  ho  IratU 
cosi  in  compendio.  Concludo  dunque  che  l' huomo  xe  felice  o  misero,  bon  o  cattivo  segoudo 
cbe  la  medesmo  vuol.  Però  se  in  potesti  dell'  homo  xe  d'operar  ben  e  mal,  che  pori  sforzar 


234  PASQUATI 


Tn,  signori,  a  criar  adesso  che  xe  tempo  de  star  zitti  ?  chi  porà  sforzar  la  vostra  modestia 
a  non  sopportar  i  nostri  mancamenti?  Nignn;  ste  dunque  ziti,  che  nn  parleremo  cercando 
con  una  bella  comedia  reoompensar  el  premio  abao  da  vn  Signori  alla  porta,  e  la  grazia 
che  receveremo  del  vostro  silenzio. 

A  ben  sostenere  la  parte  dì  Pantalone  nella  commedia  a 
soggetto,  il  Perucci  dà  questo  insegnamento  : 

Chi  rappresenta  questa  parte  ha  da  avere  perfetta  la  lingua  veneziana,  con  i  suoi 
dialetti,  proverbi  e  vocaboli,  facendo  la  parte  d' un  vecchio  cadente,  ma  che  voglia  affettare 
la  gioventù;  può  premeditarsi  qualche  cosa  per  dirla  nell'occasioni;  cioè,  persuasioni  al 
figlio,  consigli  a'  Regnanti  o  Principi,  maledizioni,  saluti  alla  donna  che  ama,  ed  altre 
cosucde  a  suo  arbitrio,  avvertendo  che  cavi  la  risata  a  suo  tempo  con  la  sodezza  e  graviti, 
rappresentando  una  persona  matura,  che  tanto  si  fa  ridicola,  in  quanto  dovendo  esser 
persona  d'autorità  e  d'esempio  e  di  avvertimento  agli  altri,  colto  dall'amore,  fa  cose  da 
fanciullo,  potendo  dirsi  :  ptier  centum  annorum,  e  la  sua  avarizia  propria  de'  vecchi,  viene 
superata  da  un  vizio  maggiore,  eh*  è  l'Amore,  a  persona  attempata  tanto  sccmvenevole  ; 
onde  ben  disse  colui  : 

A  chi  in  Amor  s' invecchia,  olire  ogni  pena 
si  convengono  i  Ceppi  e  la  catena. 

Dopo  di  che  l'autore  deìVAr/e  rappresentativa  dà  alcuni 
esempi  di  Consiglio,  di  Persuasiva  al  figlio,  di  Maledizione  ed 
figlio.... 

Quanto  al  costume,  si  posson  col  soccorso  dell'  icono- 
grafia notare  alcune  contraddizioni  in  cui  sarebber  caduti  gli 
istoriografi  del  nostro  teatro.  Tutti  son  d'accordo  nel  dare  in 
sul  principio  alla  maschera  di  Pantalone  il  calzone  intero  a 
coscia,  o  maglione,  mutatosi  poi  in  calzone  alla  spagnuola  a 
mezza  gamba  con  le  calze....  Ma  il  Pantalone  di  Martinelli 
(pag.  229)  antecedente  al  callottiano  (pag.  227)  ha  senza  dub- 
bio il  calzone  corto. 

Il  colore  restò  invariato:  giustacuore,  calzoni  e  calze  rossi, 
e  zimarra  nera.  Il  Sand,  riferendosi  forse  al  costume  degli  an- 
tichi veneziani  del  Gran  Consiglio,  dice  che  il  Pantalone  da 
principio  aveva  la  zimarra  rossa,  ma  a  me  non  fu  dato  rintrac- 
ciarne esempio.  Una  nuova  specie  di  maschera  di  Pantalone 
o  Magnifico  ci  ha  dato  il  Bertelli  (V.  voi.  I,  pag.  180)  con  la 
coccia  intera  di  cuojo  raffigurante  un  cranio  spelacchiato,  e 
lasciante  gli  occhi  scoperti,  come  quella  del  Dottore,  e  una  più 
nuova  ancora  un  anonimo  miniaturista  in  un  piccolo  interes- 


PASQUATI  -  PASTA 


santissimo  album  fiorentino  di  ricordi,  del  secolo  xvi,  rappre- 
sentante, a  quanto  pare,  una  serenata  di  maschere,  e  che  traggo 
dal  Museo  civico  di  Basilea  (V.  pag.  233);  ma  qui  trattasi  forse 
di  una  semplice  chiassata  carnevalesca,  come  nel  frontespizio 
al  Triompho  e  Comedia  fatta  velie  nozze  di  Lipotoppo,  con  Madonna 
Lasagna,  che  trovo  nell'Università  di  Bologna  (V.  pag.  231), 
nella  quale  il  costume  non  è  osservato  a  tutto  rigore. 

Anticamente  il  Pantalone  o  Magnifico  ebbe  anche  tal  volta 
barba  intera  e  lunghi  capelli  bianchì,  come  si  vede  nello  stesso 
Pantalone  di  Martinelli,  e  in  quelli  di  Trausnitz  (V.  Gio.  Maria)  ; 
e  oggi,  in  Francia,  esso  appare  coi  capelli  e  la  barba  incipriati 
e  in  costume  alla  Luigi  XV. 

Talora  fu  veduto  a  viso  scoperto,  ma  generalmente  con 
una  mezza  mascheretta 
scura  dal  lungo  naso 
aquilino,  a  cui  fa  contra- 
sto una  barbetta  a  punta 
arricciata  all'insii. 

Pasta  Francesco. 

Nato  il  4  ottobre  1839 
a  Roma,  da  parenti  non 
comici,  si  diede  al  teatro 
giovanissimo,  ove  non 
fece  i  soliti  progressi  con 
la  solita  rapidità,  forse 
per  la  tempra  sua  di  uo- 
mo freddo,  calmo,  che  si 
rispecchiava  su  la  scena. 
A  lui  mancavano,  se  ben 
ricordi,  gli  scatti  della 
grande  passione,  e  so- 
prattutto le  sdolcinature 
dell'innamorato  roman- 
tico. Per  questo  forse  la  sua  carriera,  che  fu  lenta  fino  all'entrata 


236  PASTA  -  PATELLA 

in  Compagnia  di  Calloud  e  Diligenti  nel  1872  come  primo  at- 
tore a  vicenda  col  Diligenti  (era  stato  quattr'anni  primo  attor 
giovine  in  quella  di  Peracchi),  diventò  poi  rapidissima,  afferman- 
dosi egli,  un  anno  dopo,  primo  cUtore  assoluto  nella  Compagnia 
N.  I  di  Bellotti-Bon,  l'aspirazione  suprema  dei  giovani  artisti, 
al  fianco  di  Adelaide  Tessero.  Francesco  Pasta  era  nato,  si  può 
dire,  primo  attore,  sì  pel  fisico,  era  di  figura  più  tosto  forte  e 
di  fisionomia  marcatissima,  sì  pe  '1  carattere,  come  s'è  detto, 
freddo,  talvolta  serio,  talvolta  anche  accigliato.  Aggiungerei  an- 
che che  il  Pasta  fosse  l'ultimo  tipo  di  primo  attore,  come  s'inten- 
devan  una  volta,  e  come  dovevan  essere  :  che  cominciavan  per 
noi  giovani  da  Alamanno  Morelli,  e  finivan  con  Giovanni  Ceresa. 
Resta  un  triennio  nella  Compagnia  N .  i ,  poi  passa  il  '  76  fino  al'  7  8 
in  quella  N.  2,  al  fianco  di  Pia  Marchi-Maggi,  da  cui  si  allontana 
per  entrar  nella  Compagnia  di  Alaméuino  Morelli,  con  Adelaide 
Tessero  prima  donna.  NeU"8i  eccolo  primo  attore  e  direttore 
della  Compagnia  Casilini  e  Meschini.  Un  anno  di  tréuisizione.  Pa- 
sta, nella  sua  austerità,  nella  sua  perspicacia,  nella  sua  freddezza, 
presentiva  tutti  i  requisiti  del  capocomico....  E  non  ebbe  da 
aspettar  troppo....  E  formò  l'anno  dopo  società  con  Annetta 
Campi,  e  mostrò  subito  le  più  chiare  attitudini  agli  affari.  La  so- 
cietà fu  delle  più  fortunate  per  cinque  anni,  dopo  i  quali  suben- 
trò alla  Campi  la  Boetti-Valvassura,  ma  per  brevissimo  tempo; 
che  il  Pasta  formò  da  solo  una  Compagnia  di  cui  eran  parti  prin- 
cipali Adelaide  Tessero  e  Pierina  Giagnoni,  e  con  cui  si  recò  per 
la  prima  volta  in  America,  raccogliendovi  onori  e  danaro.  Tor- 
nato in  Italia,  riposò  un  anno  per  crear  poi  la  società  Pasta- 
Garzes-Reinach,  nella  quale  fu  assunta  al  grado  di  prima  attrice 
assoluta,  e  con  fortuna  inattesa,  Tina  Di  Lorenzo.  Terminato  il 
triennio,  ne  seguì  un  altro  <  Pasta-Di  Lorenzo,  >  fortunatissimo^ 
dopo  il  quale  il  Pasta  (quaresima  'goo-'goi)  si  unì  con  Virginia 
Reiter,  con  cui  si  trova  tuttavia  in  qualità  di  socio  e  di  direttore. 

Patella  Ettore.  Nato  a  Padova  il  1750  da  civile  famiglia, 
avea  compiuti  gli  studj  per  darsi  alla  chirurgia,  secondo  il  vo- 


PATELLA  -  PATTI  237 

lere  de'  suoi.  Ma  in  lui  crebbe  a  segno  la  passione  del  teatro, 
che,  un  giorno,  fuggito  dalla  casa  paterna,  si  unì  a  una  com- 
pagnia delle  più  mediocri,  di  cui  divenne  ben  presto  il  sostegno, 
recitando  con  singolare  perizia,  e  con  meraviglia  dei  suoi 
compagni,  i  disparati  caratteri  di  amoroso^  primo  attore,  padre  e 
tiranno.  Morto  improvvisamente  il  primo  attore  della  Compa- 
gnia Battaglia  (annegò  nel  Po  con  altri  comici,  mentre  si  recava 
da  Pavia  a  Piacenza),  il  Patella  andò  a  sostituirlo;  e,  trovatosi 
in  un  campo  adatto  alle  sue  eccellenti  qualità  artistiche,  potè 
ne'  primi  teatri  d'Italia  ottener  successi  clamorosi,  confermati 
poi  nel  San  Giovan  Grisostomo  di  Venezia,  dove,  esordito  col 
dramma  di  Monvel  Clementina  e  Dorigfiy,  tanto  vi  piacque,  che 
la  veneta  aristocrazia  disertò  gli  altri  teatri  per  recarsi  ogni 
sera  a  sentir  lui,  il  quale,  dopo  alcune  sere,  nella  creazione 
deW Aristodemo  di  Monti  e  di  Nerone  néiV Agrippina  di  Pinde- 
monte  raggiunse  il  sommo  del  trionfo.  Passò,  acclamatissimo 
sempre,  a  Roma  e  a  Napoli  :  ma  quivi  infermato,  morì  da  tutti 
rimpianto  il  1786,  nell' ancor  fresca  età  di  trentasei  anni. 

Patriarchi  Andrea,  fiorentino.  Buon  legale,  e  accanito  di- 
lettante di  cose  drammatiche,  formò  una  compagnia  di  acca- 
demici, che  recitava  al  teatro  della  Piazza  Vecchia,  e  che  in  breve 
gli  fé' dar  fondo  al  modesto  patrimonio.  Non  dandogli  l'animo 
che  l'arte  comica  cedesse  il  campo  alla  forense,  pien  di  corag- 
gio condusse  i  suoi  comici  fuor  di  Firenze,  per  tutta  la  To- 
scana, in  Lombardia  e  a  Malta.  Ebbe  momenti  di  buona  for- 
tuna, ma  assai  fuggevole.  Viveva  ancora  il  1781  perseguitato 
dalla  sorte.  Pubblicò  a  Bologna  il  1764  pei  tipi  2}^! insegna  di 
S.  Tommaso  d' Aquino  una  commedia  in  versi  martelliani,  inti- 
tolata: La  Dama  di  spirito:  e  altra  in  prosa  e  manoscritta,  in- 
titolata :  I gelosi,  viveva  nel  repertorio  delle  varie  Compagnie, 


;i  Elettra.  Nata  in  Roma  il  1839  da  onesti  negozianti, 
fu  ammessa  nell'agosto  del  '53  nella  Filodrammatica  Romana 
qual  socia  esercente,  ed  il  4  marzo  del  '59  vi  dava  la  serata 


23«  PATTI  -  PAVONI 

d'addio,  scritturata  prima  attrice  giovine  in  Compagnia  Do- 
meniconi,  ove  stette  un  anno  con  Virginia  Marini  servetta  e 
Silvia  Fantechi  generica  giovane.  Passò  poi  in  quella  di  Ales- 
sandro Monti,  ove  stette  l'intero  triennio  '60,  '61,  62,  poi  in 
quella  de'  Fiorentini  di  Napoli  a  sostituirvi  la  Virginia  Marini, 
con  Tommaso  Salvini  primo  attore,  e  Qementina  Cazzola  prima 
attrice.  Il  '66  si  ritirò  dalle  scene  per  unirsi  in  matrimonio  con 
certo  Enrico  Finizio,  negoziante  in  seta,  il  quale,  dopo  pochi 
anni,  dovè  per  infortunj  commerciali  abbandonar  Napoli,  e  re- 
carsi con  la  moglie  a  Roma,  ove  vivon  tuttora  agiatamente, 
lontano  dal  teatro.  La  Patti  ebbe  momenti  di  buon  successo, 
ma  più,  dicon  taluni  che  la  conobber  da  vicino,  al  cospetto  dei 
pubblici  dozzinali  che  degl'  intelligenti,  abbandonandosi  essa 
a  ogni  sorta  di  artifizio  pur  di  aver  quegli  applausi,  che,  per 
vero  dire,  non  le  mancarono  mai. 


Pavoni  Ginevra,  romana,  figlia  di  un  medico,  nata,  si  può 
dire,  con  la  passione  per  la  scena,  che  fu  divisa  dalle  sue  sorelle, 
esordì  a  quattordici  anni  nella  Com- 
pagnia di  Bellotti-Bon,  rivelandosi 
attrice  di  assai  liete  promesse  con  la 
parte  di  Margherita  nelle  DueDame 
di  Ferrari,  di  cui  era  protagonista 
Virginia  .Marini.  L"8i  a.r\àb  prima 
attrice  giovine  con  Pasta-Casilini-Me- 
schini,  poi  di  nuovo  con  la  Marini, 
allora  capocomica.  Fu  col  Monti,  col 
Maggi,  col  Pietriboni;  e  finalmente, 
nel  '92,  volle  essere  prima  attrice  as- 
soiula,  e  conduttrice  di  una  compa- 
gnia, alla  cui  direzione  fu  preposto 
il  Belli-Blanes.  Ai  successi  di  Mar- 
gherita nelle  Due  Dame,  di  Susanna  nel  Mondo  della  Noja,  di 
Pia  nel  Cantico  de'  Cantici,  successer  quelli  di  Dora  nella  com- 
media omonima  di  Sardou,  di  Cipriana  nel  Divorziamo,  di  Fé- 


PAVONI  -  PEDRETTI  239 


dora^  ecc.  Poi,  più  nulla.  La  morte  della  madre  che  T  aveva  ac- 
compagnata sempre  nelle  sue  peregrinazioni  artistiche,  le  die 
tale  intensità  di  dolore,  che  la  poveretta  fu  per  morirne.  Si  al- 
lontanò dalle  scene,  col  proposito  di  ritornarvi,  ma,  pur  troppo, 
non  vi  fece  che  fuggevoli  apparizioni  or  con  Salvini,  or  con  la 
Compagnia  Squillace.  Ginevra  Pavoni  fu  wn^  prima  attrice  giovine 
nata....  La  voce  tremola,  direi  quasi,  timida,  la  figura  svelta  ed 
elegante,  e  la  fisionomia  infantile,  non  eran  facilmente  alterabili 
dair incalzar  dell* età:  ella  avrebbe  potuto  restar  prima  attrice 
giovine  fino  ad  oggi,  desiderata  e  amata  da'primarj  capocomici. 

Pedretti  Carlo^  veneziano,  e  perlaro,  si  sentì  attratto  alla 
scena  per  modo,  che,  abbandonata  un  bel  giorno  Tarte  sua 
per  quella  drammatica,  si  scritturò  in  una  modesta  compagnia, 
in  cui  riuscì  egregio  Tartaglia,  maschera  ormai  abbandonata 
dopo  la  morte  di  Agostino  Fiorilli.  Avea  sposata  Marianna 
Leonardi,  giovine  veronese,  che  seguì  V  arte  del  marito,  otte- 
nendovi buon  successo  nel  ruolo  di  madre  nobile  e  seconda 
donna;  ed  entrambi  fecer  parte  sempre  di  compagnie  prima- 
rie, tra  cui  quelle  di  Dorati  e  di  Raftopulo.  Morì  egli  in  Cre- 
mona il  1833,  precedendo  di  poco  la  moglie,  che  morì  a  cin- 
quantotto anni  in  Milano. 

Pedretti  Valerìano.  Figliuolo  del  precedente,  fu  un  artista 
egregio  per  le  parti  di  Amoroso  e  di  Brillante.  Sposò,  ancor 
giovane,  Carlotta  Castelli,  dilettante  milanese,  che  sostenne 
alcun  tempo  e  meritamente  il  ruolo  6\  prima  donna  giovine,  poi 
di  madre  nobile.  Fu  con  essa  più  anni  nella  Compagnia  di  Cor- 
rado Verniano,  passando  il  1853-54  in  quella  di  Luigi  Dome- 
niconi,  condotta  da  Gaetano  Coltellini,  e  diretta  da  Antonio 
Colomberti.  Fu  in  Egitto,  ad  Alessandria  e  al  Cairo,  con  una 
compagnia  sociale,  e,  tornato  in  Italia,  si  scritturò  con  la  mo- 
glie e  una  figliuola,  l'Annetta,  in  Compagnia  di  Cesare  Don- 
dini.  Valeriano  Pedretti  morì  a  Torino  del  1 866,  già  lontano 
dall'arte;  e  la  moglie  Carlotta,  a  Genova. 


PEDRETTI 


Pedrettì'Dìligenti  Anna.  Figlia  del  precedente,  attrice 
rinomatissima  per  le  partì  tragiche,  nata  a  Genova  del  1837, 
esordì  prima  donna  all'età  di  sedici  anni, 
come  una  delle  più  liete  promesse  del- 
l'arte. Divenuta  in  poco  tempo  artista 
delle  migliori,  nonostante  il  metodo  ma- 
nierato, fu  scritturata  il  '6  r  in  Compagnia 
di  Cesare  Dondini,  in  cui  sposò  il  pri- 
mo amoroso  Angiolo  Diligenti,  col  quale 
formò  subito  una  buona  compagnia,  che 
durò  parecchi  anni  con  buona  fortuna. 
Ma  sì  per  voluto  sbilancio  nelle  finanze, 
sì  per  la  niuna  compatibilità  dei  carat- 
teri, ella  domandò  e  ottenne  giuridica- 
mente una  separazione  di  corpo  e  di  beni.  Si  unì  poi  all'attore 
Artale,  mantenendo  alto  lungo  tempo  ancora,  colla  prestanza 
della  persona,  coli' intelligenza  non  comune  e  la  voce  armo- 
niosa il  prestigio  della  tragedia.  Recitò  più  tardi  in  compa- 
gnie veneziane,  e  oggi  si  trova  a  Napoli,  attrice  tuttavia  en- 
comiata. 


Pelandì  Giuseppe.  Cominciò  ad  acquistar  fama  dì  buon 
Arlecchmo  in  Compagnia  Bazzigotti,  e  passò  col  Medebach  al 
S.  Cassiano  di  Venezia,  ove  con  commedie  di  particolar  fatica 
si  fece  buon  nome,  diventando  poi  socio  dello  stesso  Mede- 
bach, col  quale  stette  lungo  tempo.  Il  lygs-'gó  fu  capocomico 
e  impresario  del  S.  Angelo  a  Venezia,  continuando  a  recitar  gli 
ArUechini  o  Truffaldini.  Era  parte  principale  della  Compagnia, 
a  vicenda  con  un  Domenico  Camagna,  suo  tiglio  Antonio,  che 
sposò  poi  al  terminar  di  quell'anno  la  celebre  Anna  Fiorillì  (V.). 


Pelizza  Ettore-Ferdinando.  Egregio  caratterista  ai  primi 
di  questo  secolo,  era  nel  triennio  1810-11-12  in  società  con 
Bartolommeo  Zuccato  e  Teresa  Consoli.  Fu  sempre  in  com- 
pagnie di  prim' ordine,  e  ÌI  '36  faceva  parte  di  quella  del  Nar- 


PELIZZA  -  PELLESINI  341 

delH,  di  cui  è  riprodotta  una  poesia  a  pag.  390,  che  ha  questa 
orribile  quartina  : 

Se  poi  a  caso  ci  preme  la  stizza, 
e  svogliata  noi  abbiamo  la  mente, 
il  veder  sulla  scena  Pelizza, 
tutto  quanto  obliare  ci  fa. 


Pellesìni  Giovanni.  Fiorito  dalla  seconda  metà  del  se- 
colo XVI  a  oltre  il  primo  decennio  del  secolo  xvii  (il  Malherbe 
—  cf.  Baschet  244  -  a  proposito  dei  Due 
Simili  recitati  al  Louvre  dai  Fedeli  la 
sera  del  14  settembre  1613,  dice  che  il 
Pellesini  aveva  allora  ottantasette  anni: 
sarebbe  nato  dunque  il  1526),  fu  uno  dei 
piò  grandi  Zanni  del  suo  tempo,  più  noto 
col  nome  di  PedroUno.  Antonio  Valeri 
nella  Rassegna  bibliografica  del  D'Ancona 
(Anno  IV,  1 896,  fascic.  1 1  )  pubblicò  un 
articolo  Chi  era  Pedrolino?  in  cui  con 
uno  studio  ingegnoso  di  eliminazione  , 
venne  a  riconoscere  nel  Pedrolino  Gio- 
vanni Pellesini  :  studio  che  servì  a  porre 
in  evidenza  l'acume  di  argomentazione 
del  signor  Valeri,  avendo  io  rinvenuta 
nell'Archivio  di  Stato  di  Modena,  la  se- 
guente lettera  di  Don  Giovanni  Me- 
dici, che  toglie  ogni  dubbio  sul  pro- 
posito ; 


Ser.'i 


Sig.' 


3  et  Pron.  Osj.n'o 


Gioauni  FelIeiÌDÌ  detto  Petrolino  Comico  ba  nel 
dominio  di  V.  A.  S.  certo  campo  et  pezzo  di  (erra  qaale 
certo  ano  confJDiDte  lòndato  sopra  cotesto  statuto,  ialende 
di  potere  et  uolere  comperare,  il  che  toroando  in  molto 
disconcio  di  detto  FetrolÌDO  mi  lia  pregato  ch'io  uoglia 
raccomandarli  questa  saa  differenza  si  come  To  con  tutto  l' affetto  dell' 
a  compiacersi  per  amor  mìo  et  per  compiacerne  me  et  oblìgame  singolai 

31.  —  /  Corniti  ilBliaHL  Voi.  II. 


242  PELLESINI 


gare  a  detto  statuto  non  comportando  che  contra  soa  nolontà  nenga  nendnto  detto  campo. 
Di  che  ne  resterò  obbligatissimo  all' A.  V.  alla  qoale  bado  di  cuore  le  mani.  Di  fiorenza 
li  7  Nouembre  1610. 

Di  V.  A.  S.  AÉL-o  Ser.»*  et  Zio 

Don  GiouANin  Medici. 


Tracciare  con  esattezza  cronologica  V  itinerario  artistico 
del  Pellesini,  e  i  suoi  passaggi  da  una  in  altra  compagnia,  è 
opera  assai  difficile.  Io  son  pur  sempre  d'avviso  che  come  s'è 
detto  pel  Pasquati  e  per  altri,  le  grandi  personalità  artistiche 
potessero  essere  sballottate  da  una  compagnia  all'altra,  se- 
condo il  volere,  o,  almeno,  il  desiderio  delle  Loro  Altezze  ca- 
pocomiche.  Infatti  noi  vediamo  il  marzo  1 581  la  Vittoria,  prima 
donna  di  Pedrolino,  supplicare  con  le  più  dimesse  parole  il 
Duca  Alfonso  di  Ferrara,  di  ridonar  a  entrambi  la  sua  prote- 
zione, che  sembrò  loro  tolta,  quando  Pedrolino,  trovandosi  al 
soldo  di  certo  Ettore  Tron,  non  potè  recarsi  a  Ferrara  a  reci- 
tarvi il  carnevale  secondo  le  richieste  del  Duca.  Di  alcimi  anni 
e  alcune  stagioni  possiamo  aver  date  precise  ;  per  altri  le  nuove 
costituzioni  e  frequenti  sostituzioni  generan  tal  confusione  da 
non  permetterci  di  d^re  affermazioni  recise. 

Gran  parte  dell'invernata  del  1576  il  Pellesini  passò  a  Fi- 
renze, e  questo  sappiamo  da  una  lettera  del  Commissario  Cap- 
poni al  Granduca,  riferita  dal  D'Ancona  :  poi  fu  a  Pisa,  poi  a 
Lucca,  poi  di  nuovo  a  Pisa,  dove  però  non  gli  fu  concesso  di 
recitare  per  certi  scandali  amorosi  eh'  eran  tra  le  donne  della 
Compagnia. 

L' aprile  del  1 5  80  come  da  Relazione  di  Leonardo  Cono- 
sciuti al  Card.  Luigi  D'Este  (Solerti  T.  F.)  egli  era  a  Ferrara; 
e  nel  medesimo  anno  la  sua  Compagnia  si  fuse  con  quella  dei 
Confidenti  che  aveva  a  capo  la  Vittoria  (Piissimi).  Forse  fu  in 
quell'anno  1580,  al  momento  della  riforma  della  Compagnia, 
che  il  Pellesini  prese  parte  al  banchetto  descritto  dal  Rossetti 
nel  suo  Scalco  (Venetia,  MDLXXXII),  e  già  riferito  in  parte 
dal  D'Ancona  e  dal  Solerti,  nel  quale  egli  appariva  colla  sola 
testa  fuor  della  tavola,  accomodata  al  bisogno,  coperta  da  un 


PELLESINI  243 


pasticcio,  d'entro  il  quale  poi  cercato  invano  da  Pantalone,  fa- 
ceva scena  con  lui,  destando  le  più  matte  risate. 

Il  Solerti  ritiene  che  tal  compagnia  restasse  così  co- 
stituita fino  al  1584....  Ma  1*83,  Pellesini  era  a  Milano  col 
Pantalone  Braga,  capocomico  il  Valerini  (V.);  con  la  stessa 
compagnia?  Il  D'Ancona  la  dice  dei  Gelosi:  ma  non  eran  gli 
U71UÌ  ? 

A  codesta  epoca  a  un  dipresso  io  credo  si  riferiscano  le 
altre  due  lettere  senza  data,  che  qui  riferisco  dall'Archivio  di 
Modena  : 

Ser.n^o  Signore, 

Pedrolino,  lacomo  Braga,  e  Compagni  Comici  Vniti  hnmilissimi  senii  di  Vostra 
Altezza  Ser.<n&  con  ogni  debito  di  riaerenza  la  sapplicano  à  far  loro  grazia  di  una  lettera 
di  fanore  al  S.i"  Conte  de  Fnentes,  che  nogUa  dar  loro  licenza  di  poter  recitar  Comedie 
in  Milano,  finito  e'  haueran  di  serair  qui  à  Modona,  e  pregandole  da  Nostro  Signore  felice 
fine  d*  ogni  suo  desiderio  aspettano  quanto  prima  la  grazia,  acciocché  altra  Compagnia  non 
gli  preaenga. 


Di  fuori  :  ai  Ser.^o  Signor  Duca  di  Modona  etc. 

Per  Pedrolino  e  Compagni. 


PedroUno,  et  Compagni  comici  vniti,  li  quali  con  mia  grandissima  sodisfattione,  e 
gusto  m' hanno  seruito  doi  mesi  continoui  con  le  comedie,  e  forse  con  speranza  di  tornare 
questo  Carnovale  al  mio  seruitio  desiderano  per  esser  più  vicini,  et  commodi  al  viaggio 
di  venir  per  l'Autunno  à  recitar  in  Bologna  nella  stanza  solita;  pero  prego  V.  S.  Ill.ma 
di  conceder  la  licenza  a  detta  Compagnia  che  possa  in  quel  tempo  recitar  sola  che  l' a  scri- 
nerò à  mio  singolariss.">o  fauore. 


L'89  sappiamo  ch'era  a  Firenze  coi  Gelosi  ^^x  le  nozze 
di  Ferdinando  Medici  con  Cristina  di  Lorena.  Nella  Pazzia 

d'Isabella,  recitatasi  il  13  di  maggio,  TAndreini si  mise 

poi  ad  imitare  li  linguaggi  di  tutti  li  suoi  comici,  come  del  Pan- 
talone,  del  Gratiano,  del  Zanni,  del  Pedrolino,  del  Franca- 
trippe,  del  Bur aitino,  del  Capitan  Cardone,  e  della  Franceschina. 
Proprio  tutta  la  Compagnia,  composta,  coir  Isabella  e  con  la 
Piissimi,  l'altra  prima  donna  che  aveva  recitato  il  6  La  Cin- 
gana,  delle  solite  dieci  persone,  {Diario  del  Pavoni,  Bologna, 
Rossi,  1589). 


244  PELLESINI  -  PELZET 

Del  1601  abbiamo  la  seguente  lettera  dei  Comici  Uniti, 
che  ritengo  inedita  e  che  traggo  dall'Archivio  di  Stato  di  Mi- 
lano: 

Archtrio  <fi  Stato  in  MOano.  Foglio  H. 

Comia  Uniti 

MfHiolani  20  lami  1601. 


et  Eoe.  Signore, 

Ttabdla  Pedrotini,  e  gjd  stessi  Compagni,  che  fiiroBo  £&Yorìti  da  V.  E.  ilL  scado 
rhiamati  da  Mantova  a  Idano,  e  da  Milano  a  Pavia  per  l'occasione  dell'abboccamento 
di  Mons.  m.  Aldobrandino  ed  S.  Altezxa  di  Savoia  con  ogni  debito  di  riverenza  la  sap- 
plicano a  (ar  loro  gratia,  che  possano  in  Milano  nella  stanza  solita  del  soo  Palazzo  recitar 
le  loro  honeste  Comedie;  hanno  già  sapplicato,  et  bora  di  nuovo  sapplicano  mandando 
messo  à  posta  ;  confidano  nella  sua  benigniti  ed  olendosi  prontissimi  ad  ogni  soo  cenno 
le  pregano  da  N.  S.  felice  fine  d'ogni  sno  desiderio. 

1601  a'  12  di  giagno. 
Facciasi  la  patente  nella  forma  solita. 

A  tergo  :  ni.  et  Ecc.  Sig. 

Gli  Comici  Uniti  etc. 


Pelzet  Maddalena*  Nacque  a  Firenze  da  uno  scorticatore 
di  agnelli,  Gaetano  Signorini,  e  da  Porzia  Piccardi,  il  2 1  feb- 
braio del  1801.  A  dodici  anni  entrò  neir  Accademia  di  Belle 
Arti,  sotto  gì* insegnamenti  del  rinomato  attore  Morrocchesi,  e 
a  quindici  a  pena  si  recò  a  Palermo  prima  attrice  giovine  della 
Compagnia  Zannoni  e  Pinotti,  ove  sposò  il  suo  condiscepolo  e 
concittadino  Ferdinando  Pelzet,  giovane  di  eletti  studi  e  di  forte 
intelligenza,  salito  poi  a  bella  rinomanza  più  tosto  come  istrut- 
tore drammatico, che  come  attore.  Franato  il  1 79 1 ,  morì  il  1 88 1 . 

Dopo  essere  stata  alcun  tempo  prima  attrice  a  Roma  con 
Vestri  e  Belli-Blanes,  tornò,  iPi  8,  a  Firenze,  ove  diventò  primo 
ornamento  della  nuova  Compagnia  Nazionale  Toscana.  La  ve- 
diamo il  '22-'23  con  Assunta  Perotti  e  Luigi  Fini;  poi,  per 
un  triennio,  nella  ducale  di  Parma,  capocomico  il  Mascherpa. 
Fu  con  Raftopulo  il  '27,  e  con  Rizzo  il  '28,  per  tornar  poi  col 
Mascherpa  sino  a  tutto  il  *3i. 

Formò  società  il  triennio  seguente  con  Luigi  Domeni- 
coni,  poi  andò  a  riposare  un  anno  a  Firenze,  per  non  abbaji- 


donar  lo  sposo,  colpito  da  fiera  malattia.  Tornò  un  nuovo  trien- 
nio col  Da  Rizzo;  e  si  scritturò  il  '40-'4i-'42  a'  Fiorentini  di 
Napoli  nella  Compagnia  Alberti,  Visetti  e  Prepiani  ;  ma  non  vi 
restò  che  il  primo  anno,  per  malaugurato  e  preparato  insuc- 


cesso. Fu  infine,  per  due  anni,  nella  seconda  del  Domeniconi, 
condotta  da  Gaetano  Coltellini,  e  diretta  da  Antonio  Colom- 
berti,  in  qualità  di  Prima  attrice  tragica,  e  Madre  nobile,  dalla 
quale  passò  a  Firenze,  ove  stette,  fuor  dell'arte,  sino  alla  morte, 
che  avvenne  per  idropisia  l'S  novembre  del  1854. 

Di  lei  dissero  Cesare  Scartabelli  nella  Polimazia.  e  Fran- 
cesco Regli  nel  suo  dizionario.  Molti  eletti  ingegni  dettarono 
poesie  ed  epigrafi  di  alta  ammirazione,  dì  cui  metto  un  piccol 
saggio  alla  fine.  Ma  quel  che  fu  la  Pelzet  sì  vede  più  chiara- 


240  PELZET 


mente  dalle  lettere  sue  al  Niccolini  e  del  Niccolini  a  lei.  Queste 
pubblicate,  parte  da  Atto  Vannucci  nel  secondo  volume  dei 
Ricordi  di  G.  B.  Niccolini  e  parte  da  Giulio  Piccini  {farro)  in 
un  opuscoletto  di  soli  quarantacinque  esemplari,  nell'occasione 
delle  Nozze  Ridolfi-Borgnini:  quelle  da  Filippo  Orlando  nella 
prima  serie  de'  Carteggi  italiani  inediti  o  rari. 

In  un  momento  di  stizza,  il  Niccolini  (la  Pelzet,  di  passag- 
gio a  Firenze,  vi  s'era  fermata  da  tutta  una  mattina  fin  verso 
le  tre  pomeridiane,  facendogli  credere  invece,  che  avrebbe  pro- 
seguito il  viaggio)  le  scrive  : 

Voi  conoscete  troppo  la  mia  onestà  e  la  mia  sincera  ed  altissima  stima  pei  vostri 
rari  talenti  nell'  arte  per  temere  che  in  me  venga  meno  1*  ammirazione  che  rìscotete  da  tntta 
l'Italia.  Io  dirò  sempre  che  siete  una  moglie  virtuosa  e  nna  grande  attrice. 

E  chiude  così  la  stessa  lettera  : 

Non  temete  eh'  io  venga  ad  annoiarvi  quando  passerete  per  Firenze  :  ma  per  la  rara 
abilità  della  signora  Maddalena  Pelzet  attrice  sarà  sempre  pieno  di  ammirazione  ti  sue 
d€V,mo  servo  G,  B,  Niccolini, 

E  in  altre  ancora: 

Io  godo  della  vostra  riputazione  più  che  della  mia  :  avete  il  suffiragio  del- 
l' Italia,  e  voi  non  avete  bisogno  di  me  per  avere  un  gran  nome  nell'arte  vostra,  pure  non 
ho  desiderato  essere  un  buon  tragico  quanto  adesso  che  conosco  andare  in  voi  le  doti  del- 
l'animo  del  pari  con  quelle  dell'ingegno. 

in  voi  è  tanta  l'abilità  e  l'eccellenza  nell'arte,  che  non  avete  bisogno  d'esser 

protetta  : 

state  dunque  certa  che  io  godo  della  vostra  gloria  come  se  fosse  cosa  mia, 

•e  mi  piace  che  abbiate  nell'arte  quel  primo  seggio  che  tenete  nel  mio  core,  e  nei  miei 
pensieri.  Quanto  a  me  che,  come  sapete,  vi  amo  d'un  purbsimo  affetto,  io  sento  che,  per 
giungere  dove  io  vorrei,  mi  mancano  le  forze  :  e  sinceramente  vi  dico  che  siete  più  innanzi 
nella  vostra  arte  di  quello  eh'  io  sia  e  possa  esserlo  nella  mia. 

Voi  avete  per  voi  il  suffragio  d' Italia  :  io  che  sono  l' ultimo  dei  suoi  scrit- 
tori, riconosco  intieramente  da  voi  la  fortuna  delle  mìe  tragedie,  ed  è  impossibile  far  meglio 
la  parte  di  Teresa. 

Un  po'  di  tara  dobbiamo  fare  alle  lodi  del  Niccolini,  il 
quale,  con  la  debolezza  di  quasi  tutti  gli  autori  di  teatro,  ha 
lodi  per  gli  artisti  che  han  fatto  piacere  l'opera  sua.  A  pochi 
anni  di  distanza,  dopo  di  avere  scritto  a  essa  Pelzet  :  <  non  vi 


PELZET  247 


faccia  specie  se  (l' Internar!)  avrà  qui  quelt applauso  che  giusta- 
mente le  nega  Bologna.  Non  è  fiorentina  e  ne  diranno  bene  per  far 
male  a  voi....  >,  scriveva  all' Internar!:  <  siete  senza  contrasto  la 
prima  attrice  tragica  d' Italia ;>  e  per  lo  contrario  dichiara  la 
Santoni,  che  non  ebbe  un  applauso  nel  Foscarini,  incapace  di 
recitar  tragedie  e  commedie,  e  le  scaglia  contro  la  più  vol- 
gare delle  offese.  Ma  giudizi  abbiamo  di  attori,  i  quali,  nelle 
condizioni  in  cui  furon  dettati,  paiono  a  me  assai  meno  sospetti. 
Il  Colomberti,  per  un  esempio,  suo  direttore,  di  cui  la  Pelzet 
in  una  lettera  al  Niccolini  del  27  luglio  '43  da  Bologna,  dice 
ogni  male  possibile,  perchè,  essendo  inabile  a  recitar  la  trage- 
dia, la  vuol  bandita  dal  repertorio,  e  lascia  lei,  scritturata  prima 
attrice  tragica,  inoperosa,  lasciò  scritto  ch'ella  <fu  una  delle 
migliori  attrici  della  sua  epoca,  abilissima  in  ogni  genere  di  rappre- 
sentazioni tragiche,  drammatiche  e  comiche.  > 

S' è  detto,  più  a  dietro,  che  la  Pelzet  non  restò  a'  Fioren- 
tini di  Napoli  che  uno  de' tre  anni,  pei  quali  fu  scritturata. 
Adamo  Alberti  così  ci  racconta  ne' suoi  Quarant anni  di  Storia 
del  Teatro  de'  Fiorentini  di  Napoli,  V  esordire  di  lei  : 

L'altima  a  presentarsi  fu  la  signora  Pelzet.  EUa  esordi  il  giorno  14  maggio  (1840) 
col  dramma  tradotto  dal  francese  intitolato  Sedici  anni  or  sono.  Il  dramma  era  stato  da 
poco  rappresentato  dalla  signora  Tessarì  con  esito  felicissimo.  La  signora  Pelzet  era  ve- 
nuta a  Napoli  con  molte  lettere  di  raccomandazione  dirette  a  persone  stimabili  ed  influenti. 
La  sera  del  debutto  erano  tutti  in  teatro,  per  cui  la  produzione  fu  molto  applaudita,  ma  la 
signora  Pelzet  non  persuase  la  maggioranza  degli  appaltati.  Si  trovò  prima  di  tutto  che 
era  vecchia  (non  ancor  quarant'  anni  ?),  poi  che  era  manierata,  ed  in  ultimo  che  faceva 
pompa  di  una  pronunzia  eccessivamente  fiorentina,  lochè  diveniva  stucchevole  e  nojoso. 
Infine  non  fu  né  un  successo,  né  un  fiasco,  si  sostenne  ma  nulla  di  più. 

E  più  innanzi: 

La  Pelzet  andava  ogni  giorno  decadendo  dal  favore  ricevuto  nel  suo  debutto.  L*  Im- 
presa per  sostenerla  le  fece  rappresentare  alcune  tragedie  da  lei  scelte,  come  la  Rosmunda, 
la  Medea;  ma  il  confronto  colla  signora  Tessari  era  troppo  fresco  e  la  signora  Pelzet  cadde 
senza  potersi  alzare  mai  più  ;  tanto  che  ella  stessa  domandò  di  esser  sciolta  per  l'anno  venturo. 
Alla  quale  proposta  l'Impresa  aderì  vedendo  che  questa  attrice  non  poteva  più  esser  di 
alcun  utile  per  il  teatro  de' Fiorentini. 

Ma  un  attore  di  quella  Compagnia,  Luigi  Aliprandi,  così 
annotò  le  parole  dell'Alberti  : 


248  PELZET 

In  proposito  della  signora  Maddalena  Pelzet,  si  potrebbe  aggiungere  qualche  rifles- 
sione. Che  non  valesse  la  Carolina  Tessarì  è  innegabile;  ma  come  fu  trattata  dall'  Impresa  ?  - 
La  si  fece  esordire  dopo  tutti  gli  altri  artisti  nuovi,  come  una  generica,  per  lasciare  che 
il  pubblico  accettasse  qual  vera  prima  attrice  la  Pieri- Alberti;  la  si  tenne  inoperosa  per 
molte  sere  ;  le  si  fecero  rappresentare  varie  parti  nuove  per  lei  e  vecchie  per  il  pubblico, 
non  la  si  circondava  dei  migliori  attori;  si  trascuravano  alcuni  accessori  della  scena;  le 
si  faceva  calare  il  sipario  prima  del  tempo  ;  gli  amici  dell'  Impresa  non  l' applaudivano  per 
non  perdere  l'ingresso  di  favore....  Tutto  ciò  poteva  forse  contribuire  a  farla  piacere?- 
La  Pelzet  comprendeva,  e  molto  nobilmente  sopportava! 

Povera  donna!  Nobilmente  sopportava;  e  s'andava  poi 
sfogando  con  gli  amici,  fuor  della  scena,  scrivendo  lettere  di 
fuoco,  dalle  quali  però  mi  pare  salti  sempre  fuori  la  correttezza 
del  suo  costume,  e  la  bontà  della  sua  indole.  Nella  medesima 
del '43,  discorrendo  del  capocomico  Domeniconi,  dice: 

n  prossimo  carnevale  torniamo  in  questa  città,  e  voi  dovreste  parlare  a  Domeni- 
coni, pregandolo,  a  nome  mio,  che  faccia  mettere  in  iscena  questa  tragedia  {Antonio  Fo- 
scarini)  per  la  prima  attrice  tragica.  Non  entrate  in  altri  gineprai  con  costui,  il  quale  è 
troppo  amico  di  questa  genia,  che  egli  si  è  affezionata  a  forza  d' ipocrisia  e  da  cui  è  con- 
tento di  farsi  mangiare  il  suo.  Io  ho  fatto  il  contrario,  e  mio  marito  non  ha  potuto  se- 
condare i  vizi  dei  comici  e  le  loro  abitudini,  ed  ecco  il  motivo  per  cui  non  abbiamo  amici 
in  quest'  arte.  Aggiungete  i  miei  successi  e  l' invìdia  che  hanno  prodotto,  e  giudicate  poi 
come  posso  vivere  allegra  con  si  cara  compagnia.  Non  vedo  l'ora  di  finirla,  e  voglio  venire 
a  mangiare  pane  e  fagioli,  ma  lontana  dalla  scena  e  dai  suoi  indegni  cultori.  Vi  giuro 
avanti  a  Iddio,  che  non  ha  rimproveri  la  mia  coscienza;  e  se  ho  potuto  far  del  bene  anche 
ai  miei  nemici  l'ho  fatto.  Sono  stata  docile  e  conveniente,  non  sono  stata  attaccata  al  con- 
tratto ed  ho  fatto  le  più  gran  concessioni.  Non  ha  servito  nulla,  e  mi  sono  convinta  che 
l'invidia  non  si  placa. 

E  ha  ragione  veramente  !  Ma  ancora  due  anni  di  pazienza, 
e  avrà  lasciato  per  sempre  la  galera  comica,  com'ella  dice  in 
altra  sua  da  Roma  del  20  luglio  '44  allo  stesso  Niccolini,  al 
quale  si  raccomanda  perchè  sia  dato  un  impiego  a  suo  figlio, 
alla  cui  sussistenza  non  può  pensare,  avendo  appena  il  pane 
per  sé.  E  conchiude  : 

Ecco  i  frutti  di  ventisette  anni  di  fatiche,  di  studi,  di  tribolazioni  !  Ecco  la  ricom- 
pensa che  hanno  le  attrici  italiane  !  Un  poco  di  pane  !  E  sono  tra  le  fortunate,  perchè, 
come  l'Andolfati  e  la  Perottì,  non  morrò  allo  spedale. 

La  Rachel  è  andata  a  Marsilia  per  dodici  rappresentazioni,  ed  ha  avuto  duemila 
franchi  per  sera.  Farà  tre  cose  :  la  Fedra ^  gli  Orazj  e  la  Stuarda  che  replicherà  più  volte  ! 
Qua  bisogna  far  di  tutto,  da  Marta  e  da  Maddalena,  e  questo  nostro  pubblico  impastato 
di  fango  non  è  contento  se  non  ci  vede  vomitare  i  polmoni  ! 


PELZET  249 


Da  un  omaggio  agli  attori  della  Compagnia  Pelzet  e  Do- 
meniconi,  per  le  recite  dell'estate  1833  a  Pistoja,  tolgo  la  se- 
guente epigrafe  : 

A 
Piti   SPLENDIDA    ONORANZA 

DI 

MADDALENA  PELZET 

TRAGICA  MARAVIGLIOSA  COMICA  INARRIVABILE 

SINGOLARE  COMMOVITRICE  D'AFFETTI 

l*ER  PORTAMENTO  E  NOBILE  GESTO  COMMENDEVOLE; 

IN  MATILDE  BENTIVOGLIO 

GELOSA  AMANTE; 

NELLA    GISMONDA 

DI  CONTRARIE  PASSIONI  PITTRICE: 

NELL'ESTER  D'ENGADDI 

FEDELE  E  MAGNANIMA 

CON  BELLO  ESEMPIO  INSEGNÒ  ALLE  SPOSE 

ANTEPORRE  L'ONORE  ALLA  VITA 

UN  AMMIRATORE  DI  TANTO  MERITO 

PUBBLICHE  GRATULAZIONI 

B 

FESTIVI  APPLAUSI 

AFFETTUOSISSIMO 

PORGE 


DI  GIUSEPPE  MATTEI 

Quand'io  pendo  dal  luo  labbro  gentile, 
e  il  suon  de'  detti  tuoi  mi  scende  al  core, 
sia  che  del  vizio  alla  licenza  vile 
ti  faccian  scudo  la  virtù,  Tenore, 

sia  che  di  fìda  sposa  e  figlia  umile, 
o  di  tenera  madre  immenso  amore 
t'infiammi  il  petto,  o  che  cangiando  stile 
arda  tu  d'ira  e  di  crudel  furore; 

in  estasi  dolcissima  rapito 

oltre  l'usato  il  mio  pensier  veloce 
al  Ciel  s'estolle,  e  dopo  averti  udito 

muto  io  resto,  né  so  dir  se  potria 
bearmi  il  cor,  più  della  tua,  la  voce 
di  Melpomene  stessa  e  di  Talia. 

32.  —  /  Comici  italiani.  Voi.  II. 


25© 


PELZET - PERACCHI 


LA  ROSA  DELL'AMICIZIA 

DI  Antonio  Guadagnou 


A  lei,  che  Italia 
orna  ed  onora, 
eh' è  la  delizia, 
l'amor  di  Flora, 

Cara  a  Melpomene, 
cara  a  Talia, 
l'amistà  candida 
oggi  m'invia. 

La  vidi  nascere, 
e  a  la  fanciulla 
d'odori  eterei 
sparsi  la  culla; 

e  da'  miei  petali 
volli  poi  tocca 
la  guancia  tenera, 
e  quella  bocca. 


che  a  tante  grazie 
poscia  s'aprìa, 
sacra  a  Melpomene, 
sacra  a  Talia. 

La  vidi  crescere, 
e  a  lei  gradita 
di  liete  imagini 
spargo  la  vita; 

per  lei  sì  veggano 
figlie  d'amore 
mille  risorgere 
ridenti  aurore, 

ed  io  precedere 
possa  quel  di, 
nunzio  di  gioje 
sempre  cosi. 


DI  LUIGI  FORTI,  COMICO 

Di  fresche  rose  e  gigli 
è  il  tuo  bel  viso  ornato, 
t'ha  la  madre  d'amore 
il  crine  inanellato; 
son  d'alabastro  i  denti, 
candido  il  sen  qual  neve; 
son  di  rubin  le  labbra, 
il  piede  in  danza  lieve. 
Beltà  si  peregrina  non  invidia 
le  più  bell'opre  di  Canova  e  Fidia. 


Peracchi  Giuseppe.  Nacque  a  Piacenza  il  7  aprile  del  1 8 1 8, 
e  si  laureò  medico  allo  Studio  di  Parma  il  1 84 1 .  Preso  d'amore 
per  Antonietta  Robotti,  formosissima  donna  e  valentissima  at- 
trice della  Compagnia  Reale  Sarda,  si  die  a  seguirla  per  quasi 


due  anni,  finché  ammalatosi  quel  primo  amoroso,  Pietro  Bocco- 
mini,  egli,  che  s'era  già  acquistata  fama  tra' filodrammatici  di 
artista  promettentissimo,  fu  scritturato  qual  primo  amarono  a  vi- 
cenda col  Boccomini,  pas- 
sando poi  per  la  morte  dì 
'  Giovanni  Battista  Gottar- 
di,  al  posto  di  primo  attore 
che  sostenne  con  molto 
onore  al  fianco  di  artisti 
egregi,  quali  la  Robotti  e 
la  Romagnoli,  il  Gattinelli, 
il  Domeniconi,  il  Dondinì. 
Il  '5i-'52  fu  aggre- 
gato alla  Compagnia  al- 
tro primo  attore  —  Ernesto 
Rossi  -  pel  quale  il  povero 
Peracchi,  dapprima  legato 
a  lui  d'amicizia  saldissima,  ebbe  a  patire  gran  pena,  come  si 
vede  in  una  lettera  a  Francesco  Righetti,  Capo  della  Compa- 
gnia Reale,  in  cui  è  il  seguente  brano: 


Voci  di  poco  gslantnomiimo  co'  iqoi  attori  in  Rossi,  l' aver  egli  cessato  affatto  di  scrì- 
vermi dopo  mìe  ripetate  lettere,  e  tante  e  tante  altre  cote  m'hanno  Boalmente  convitilo  che 
tutte  le  me  dìmostraiioni  d' amicizia  per  me  io  Torino  erano  interessate,  e  dirette  al  solo  icopo 
d'abindolarmi,  e  far  si  clie  io  sopportassi  la  sdb  concorrenza  in  Compagnia  Reale;  per  cui  gii 
garantitco  fin  d'ora,  che  fra  me  e  Ini  non  vi  sari  più  accordo,  ami  urto  contìnno,  diiprei- 
lando  io  per  principio,  cbi  sì  serre  dì  gesuitico  artilicio  per  sorprendere  l' attrai  buona  fede. 


E  si  raccomanda  a  mani  giunte  alla  carità  dell'amico  per- 
chè lo  sciolga,  sia  pur  con  penale....  Scioglimento  che,  sappiamo 
poi,  non  gli  fu  accordato,  che  dopo  un  anno  di  prova,  trascorso 
il  quale,  egli  si  scritturò  con  la  Compagnia  Astolfi  e  Sadowskì, 
per  un  anno.  Passò  nuovamente,  e  per  un  triennio,  con  Anto- 
nietta Robotti,  uscita  dalla  Reale  Sarda,  poi  con  Giuseppe  Tri- 
velli, conduttore  di  una  Compagnia,  famosa  allora  per  ricchezza 
di  arredo  scenico,  di  cui  era  prima  attrice  Elena  Pieri  Tiozzo. 


252  FERACCHI 


Rappresentò  al  Teatro  Re  di  Milano  il  marzo  del  1854  la 
parte  di  (z(?iiafo/// nella  commedia  di  Ferrari,  coi  grossi  mustacchi 
incipriati,  e  n'ebbe  dalla  critica  acerbo  biasimo.  E  il  Costetti 
ne'  suoi  Dimenticati  vivi  aggiunge  :  <  O  era  la  vanità  che  lo  do- 
minava, o  la  voglia  d^  imitare  F  artista  Majeroni  che  non  toglieva 
per  niun  conto  f  enor?fie  pizzo,  serbandolo  fin  anco  nf\  Luigi XI.  > 
Ma  qui  erra  lo  scrittore,  poiché,  proprio  nel  Goldoni,  il  Maje- 
roni  sacrificò  e  pizzo  e  mustacchi. 

Al  '59,  noi  vediamo  il  Peracchi  capocomico,  e  assistiamo, 
come  ci  avverte  esso  Costetti,  al  cominciamento  della  sua  pa- 
rabola discendente. 

Fu  dal  '60  al  '65  primo  attore  di  Bellotti-Bon  (il  '61  aveva 
sposato  Celestina  De  Martini)  poi  di  nuovo  capocomico,  poi  diret- 
tore ('75-'76-'77)di  una  delle  tre  compagnie  del  Bellotti-Bon. 

Non  posso  ricordare  il  Peracchi  nel  primo  tempo  della  sua 
vita  artistica,  il  quale  fu,  a  detta  del  Costetti,  glorioso.  Lo  ricordo 
nel  secondo,  in  cui,  nonostante  certi  difetti  di  recitazione,  emer- 
geva l'antico  pregio  dell'originalità  per  alcune  parti  special- 
mente, come  Aé[V  Oliviero  di  Jalin  nel  Demi  monde,  in  cui  non 
ho  mai  trovato  chi  per  la  eleganza  e  la  verità,  lo  facesse  dimen- 
ticare, o  del  Cavaliere  tf  Industria,  a  proposito  del  quale,  VArte 
del  28  sfennaio  '«^s»  in  una  lettera  a  Fannv  Sadowski,  dice: 

Vi  ricorcUtc  dì  Peracchi  nel  Ccn>zlzcr  JTIndusiriaf  E  impossibile  di  trovare  qualcosa 
di  più  perielio  ;  la  p^ru  era  tagliata  per  Ixii  me^Uo  àt\  soo  abiio  nero  —  è  tvtto  dire  !  e  V  abito 
ticeva  sparire  i  difetti  deiruonx);  o  meglio,  i  duetti  dell*  artista,  per  on  epigramma  del  caso, 
come  è  stato  già  detto,  in  questa  pssrU  si  caii:b:A>aao  in  belle  qTudità.  Io  disa  solamente  che 
egli  era  stato  degno  della  soa  Csiru  -  se  losse  raiso  meno,  ne  avrei  parlato  di  più. 

n  Peracchi  fu  lungo  tempo  maestro  della  moda:  signoril- 
mente austero  dapprima,  poi  i:;:rot:esco  a  sejrno  da  mostrarsi  in 
abito  nero  con  le  falde  foderate  dì  raso  bianco.  Alla  quale  stra- 
^*ag^anza  si  accoppiò  quella  di  una  dirione  lenta  e  nasale,  ori- 
ginalissima, a  base,  tal  volta,  di  improv\-ÌN^\jionì  curiose. 

A  luì  si  attribuiscono  il  ramoso  .;V':>j;,'.:.jf.w.V  morta  sil- 
labato sul  corpo  del'a  povera  J/.j»^-  :^f  ::,:,  e  il  non  men  famoso 


PERACCHI  -  PERELLI  253 

Egli  ebbe  aspetto  funerale...  Tocchio  aperto,  semispento;... 
i  capelli  e  i  bafifi  di  un  nero  corvino  artificiale....  la  faccia  Incar- 
tapccorita. Andava  poi  così  diritto  e  impettito,  che  si  volle  dai 
più  portasse  il  busto.  Fu  incline  alla  melanconia  e  alla  solitu- 
dine, e  passò  talvolta  serate  intere  in  compagnia  di  amici  senza 
aprir  bocca.  Abbandonata  l'arte,  si  ritirò  a  Milano,  dove  morì 
il  14  settembre  del  1887. 

Perelli  Luig^.  Oriundo  Monferrino.  Nato  da  civili  parenti, 
e  rimasto,  giovanetto,  orfano  del  padre,  si  diede  alla  scena,  in 
cui  sognava  di  diventare  egregio  artista  sotto  la  maschera  di 
Tfuffaldino,  per  la  quale  avea  potuto  ispirarsi  all'arte  di  Felice 
Sacchi  (Sacchetto)  prima,  poi  di  Ferdinando  Colombo,  in  Com- 
pagnia di  Pietro  Rossi.  Uscitone  il  1 7  70,  e  pervenuto  dopo  varie 
vicende  a  Venezia,  contrasse  amicizia  con  Luigi  Fabbri,  capo- 
comico e  artista  sotto  la  maschera  del  Dottore ^  e  con  lui  unitosi, 
potè  finalmente  realizzare  il  suo  sogno,  presentandosi  col  so- 
spirato vestito  del  Secondo  Zanni,  Fu  poi,  come  Innamorato,  in 
Compagnia  di  Pietro  Rosa;  ma  ammalatosi  V Arlecchino  Bugani, 
lo  sostituì  egli  più  volte.  Passò  il' 7  3  con  Giuseppe  Lapy  al  San- 
t'Angelo di  Venezia,  e  il  '74  formò  società  con  Francesco  Ma- 
jani,  che  mise  allora  la  maschera  del  Brighella,  e  con  Antonio 
Camera  ni.  Entrò  il' 7  6  nella  Compagnia  di  Antonio  Sacco,  e  andò 
lui  nelle  veci  del  celebre  Truffaldino,  a  cominciar  le  recite  di  pri- 
mavera a  Mantova,  ottenendovi  il  pieno  favore  del  pubblico. 

L'aver  avuto  dinanzi  agli  occhi,  per  tutto  un  anno,  esem- 
plare sì  egregio,  fu  gran  bene  pel  Perelli,  che  potè  davvero  per- 
fezionarsi nell'arte  sua,  gloriandosi  di  potersi  dire  discepolo 
del  Sacco.  In  questo  frattempo,  il  capocomico  Pietro  Rossi  offrì 
la  propria  figliuola  in  moglie  al  Perelli,  che  andò  a  sposarla  a 
Gorizia  sul  finir  del  carnovale  '77,  restando  poi  col  suocero 
tutto  il  '78,  e  assumendo  l'impresa  e  la  direzione  della  Compa- 
gnia l'anno  successivo,  in  cui  il  Rossi  avea  abbandonato  l'arte. 

Fu  a  Livorno,  a  Pisa,  a  Lucca,  e,  il  carnovale,  al  teatro 
pubblico  di  Bologna.  Divenuto  un  capocomico  assai  pregiato. 


254  PERELLI  -  PEROTTI 

gli  venner  da  ogni  parte  contratti  di  grande  importanza,  po- 
tendo egli  ornai  frequentare  le  principali  Piazze  del  Regno.  Con- 
dusse la  Compagnia  sino  ad  Innsbruck,  ove  le  cose  volsero  alla 
peggio  per  la  morte  di  Maria  Teresa  d' Ungheria.  Nonostante, 
affrontando  i  disagi  d'un  lungo  viaggio  di  terra  e  di  mare,  andò 
a  far  il  carnovale  a  Pesaro,  ov'  ebbe  le  più  festose  accoglienze. 
Fece  poi  ritorno  a  Bologna;  e  fu  a  Piacenza,  a  Trieste  e  a  Pa- 
dova. Firmò  alla  fine  dell'  '8i  un  contratto  con  cui  gli  si  accor- 
dava di  poter  occupare  con  la  sua  Comica  Compagnia  un  Teatro 
della  Dominante  per  dieci  anni  di  seguito  e  nelle  stagioni  di 
autunno  e  carnovale.  Francesco  Bartoli  che  fu  con  lui  cinque 
anni,  e  da  lui  si  distaccò  abbandonando  le  scene,  lasciò,  oltre 
alle  molte  parole  di  gratitudine,  di  lode  e  di  augurio,  il  seguente 
ritratto,  che  ci  dà  chiara  l'idea  dell'artista  e  dell'uomo: 

È  il  Perelli  un  comico  pronto  nelle  risposte,  lepido  ne' sali,  arguto 
assieme  e  frizzante.  È  ben  veduto  in  sulle  scene,  ed  applaudito;  e  da  par- 
ticolari nobili  Personaggi  favorito  e  protetto.  È  uomo  d'onore,  integerrimo 
e  zelante.  Provvede  a' suoi  interessi,  ed  a  quelli  de*  suoi  compagni  con  molta 
premura.  Ha  poste  in  Teatro  alcune  Rappresentazioni  favolose  del  signor 
Co:  Gozzi,  che  furono  per  T addietro  un  solo  pregio  della  Compagnia  d'An- 
tonio Sacco;  ed  egli  medesimo  n'ha  inventate,  e  dirette  le  tanto  difficili  tra- 
sformazioni. 

L'autunno  del  '95  e  il  carnovale  '95-^96  dirigeva  la  Com- 
pagnia al  San  Luca  di  Venezia,  e  vi  recitava  le  parti  di  Truf- 
faldino. 

Perelli  Anna,  moglie  del  precedente,  e  figlia  di  Pietro  Rossi, 
nacque  il  1756.  Dalle  parole  del  Bartoli  non  risulterebbe  esser 
lei  stata  un'attrice  di  pregi  singolari.  Recitava  le  parti  di  Donna 
seria,  e  piacque  maggiormente  nelle  parti  in  cui  dominavan 
l'impero  e  il  disprezzo.  Recitò  anche  da  Serva  con  sufficiente 
successo,  e  fu  sempre  al  fianco  del  marito,  sposa  esemplare. 

Perotti  Gaetano.  Piemontese,  un  de' migliori  capocomici, 
fiorito  dal  1790  al  1820,  anno  della  sua  morte,  si  diede  alla 


P  E  R  O  T  T  I 


255 


scena  giovanissimo,  cova^ primo  amoroso,  ma  con  poca  riuscita. 
Scontratosi,  dopo  alcun  tempo,  in  una  giovinetta,  figlia  dell'at- 
tore Santo  Nazzari,  la  quale  recitava  allora  con  molto  plauso 
le  parti  di  prima  donna  giovine,  se  ne  innamorò  e  la  sposò  in 
capo  ad  alcuni  mesi.  Crebbe  la  giovine  artista  in  bravura  a  tal 
segno  da  decidere  il  marito  a  farsi  conduttore  egli  stesso  di  una 
buona  Compagnia,  innalzando  lei  al  grado  di  prima  attrice  asso- 
luta. Indi  la  fama  del  Perotti,  conduttore  di  una  Compagnia,  la 
quale  potè  sempre  competere  colle  più  grandi  d'allora,  come 
Pellandi,  Fabbrichesi,  Dorati,  Bazzi,  e  Goldoni.  Arriso  dalla 
sorte  s' andò  formando  una  conveniente  fortuna,  che  permise  a 
lui  e  a'  suoi  di  viver  nell'  agiatezza.  Fu  bizzarro  e  stravagante, 
e  negli  ultimi  anni  anche  avaro.  Di  lui  si  contan  parecchi  aned- 
doti, tra' quali  questo  che  dà  un'idea  ben  chiara  del  suo  cer- 
vello. Egli  assegnò  alla  moglie  con  regolare  contratto  la  paga 
di  quattrocento  zecchini  veneti  all'anno,  e  una  mezza  serata  per 
ogni  piazza,  ove  le  recite  non  fosser  minori  di  venti;  e  stabilì 
sul  contratto  eh'  ella  dovesse  fornirgli  un  panciotto  della  stoffa 
di  ogni  nuovo  abito  ch'ella  facesse,  o  per  la  scena  o  per  fuori, 
o  in  costume  o  in  borghese  ;  tal  che  alla  sua  morte  si  trovò  una 
gran  quantità  di  panciotti  di  ogni  specie  e  di  ogni  colore,  na- 
turalmente, non  mai  indossati.  Negli  ultimi  sette  od  otto  anni 
di  vita,  fu  colpito  da  insonnia,  a  vincer  la  quale  si  diede  all'uso 
dell'oppio,  che  lo  condusse  lentamente  al  sepolcro. 

Morì  il  1820  a  Brescia,  lasciando  alla  vedova  circa  cento- 
mila lire. 

Ecco  l'elenco  della  Compagnia  con  balli  che  agiva  al  Tea- 
tro della  Canobbiana  in  Milano  il  carnovale  'i'g-'20: 


UOMINI 


Luigi  Romagnoli,  primo  attore 

Francesco  Augusto  Bon  ) 
.  .  [  amorosi 

Alessandro  Angiolini     ; 

Paolo  Baldigara 

Domenico  Verzura,  padre  nobile 

Filippo  Conti,  tecondo  padre 


Santo  Romiti,  tiranno 
Giovanni  Boboli,  caratterista 
Gaetano  Perotti    > 
Santo  Nazzari        /  .  . 

Cipriano  Cardosi   ( 
Giovanni  Cardosi  / 


Assunta  Perotti,  prima  aiirice 
Teresa  Baldigara,  iuppUinenio 
Carlotta  Poi, varo  ANGioLib;i,i7mo- 

rosa 
Rosa  Pasini  Roh\c,ììoli,  seconda 

donm 


Teresa  Corona,  ler^a  danna 
Elisabetta  Gaidoni,  madre 
Eugenia  Zocca,  caraneristica 
Ginevra  Guglierini,  serva 
Caterina  Zelmi  «  .  , 

Ros»  Novo  i  l""'"'" 


Perotti-Nazzarì  Assunta.  Moglie  del  precedente,  artista 
di  gran  valore  per  ogni  specie  di  parte,  o  tragica  o  dramma- 
tica o  comica,  divise 
con  la  Baz2Ì  e  la  Gol- 
doni l'eredità  artistica 
della  Pellandi,  ritira- 
tasi dalle  scene. 

Rosmunda.  Anti- 
gone. So/oMÌsba.  Mero- 
pe.  Ottavia  di  Alfieri, 
alcuni  drammi  del  Me- 
tastasio  e  del  Federici, 
e  molte  commedie  del 
Goldoni,  del  Nota,  del 
Giraud  ebbero  in  lei 
un'interprete  valoro- 
sa :  e  Vittorio  Alfieri, 
uditala  a  Firenze  nel- 
VOtlavia.  volle  cono- 
scerla davvicino,-  e  le  scrisse  una  lettera  di  lode,  congratu- 
landosi con  lei  del  modo  stupendo  con  che  declamava  i  suoi 
versi,  e  della  sovrana  intelligenza  ch'ella  spiegava  nell' inter- 
pretare con  mirabile  verità  i  diversi  caratteri.  Con  grandis- 
simo successo  recitò  a  Roma  l'autunno  del  1807  la  parte  di 
GiUa  néìVAio  nel!'  imbarazzo  di  Giraud,  e  il  3  febbraio  1808 
quella  della  protagonista  nella  Frenetica  compassionevole  pur  di 
Giraud. 


PEROTTI  257 


Il  ritratto  che  do  qui,  alcun  po' ridotto,  fu  pubblicato  a 
Roma  del  1806  da  Luigi  Perego  Salvioni,  con  in  fronte  il  se- 
guente sonetto  : 

AI.  MERITO  SUBLIME 

DELLA  SIGNORA 

ASSUNTA    PEROTTI 

CHE  CON  PLAUSO  UNIVERSALE 

HA   SOSTENUTO   IN   ROMA    NEL  TEATRO   VALLE 

E  NELL'ALTRO  DI  APOLLO 

PER  PIÙ  STAGIONI 

IL  CARATTERE  DI  PRIMA  ATTRICE 

TANTO  NELLE  COMICHE 

QUANTO  NELLE  TRAGICHE  RAPPRESENTAZIONI 


SONETTO 

Là  su  le  piaggie  apriche  d'Elicóna 
avea  Talia  di  propria  man  contesta 
nobil  ghirlanda,  e  dicea  lieta:  or  questa 
della  PEROTTI  io  reco  al  crin  corona; 

Ma  Melpomene  allor:  men  chiaro  suona 
forse  il  nome  di  Lei,  se  in  regal  vesta 
calza  il  coturno,  e  se  feroce,  o  mesta, 
a  terrore  o  a  pietà  gli  animi  sprona? 

Ciò  detto,  intreccia  le  sue  frondi  anch' ella. 
Sorge  aspra  gara:  il  biondo  Nume  incerto 
or  di  questa  in  favor  pende,  or  di  quella. 

Ad  ambe  alfin  toglie  di  mano  il  serto; 
ne  forma  un  solo,  e  dell' attrice  bella 
scende  egli  stesso  a  coronare  il  merto. 

Mortole  il  marito,  rimase  fuor  del  teatro  un  anno  in  segno 
di  lutto,  poi  formò  con  Luigi  Fossi  e  per  un  triennio,  una  so- 
cietà, in  cui  ella  passò  al  ruolo  di  madre  nobile,  lasciando  quello 
di  prima  attrice  a  Maddalena  Pelzet. 

La  società,  poco  fortunata,  non  durò  che  due  anni,  e  la 
Perotti  potè  scritturarsi  il  1824  con  Mario  Internari,  poi  con 

3J.  —  /  Comici  italiani.  Voi.  U. 


258  PEROTTI  -  PERTICA 

altri  fino  al  suo  settantesimo  anno  di  età,  nel  quale  risolse  di 
abbandonar  l'arte.  Le  traversìe  ch'ella  patì  dopo  la  morte  del 
marito  furon  terribili.  Prima,  un  amico  di  lui,  tornato  d'Egitto, 
tanto  seppe  avvilupparla  con  parole  lusinghevoli,  descrivendole 
gì'  ingenti  guadagni  che  si  potevan  fare  colà,  eh'  ella  gli  affidò 
due  terzi  della  sua  fortuna.  Ma  il  furfante  non  die  più  segno  di 
vita,  e  la  povera  artista  col  poco  rimastole  comprò  una  villetta 
con  podere  tra  Roma  e  Frascati,  la  quale  intestò  al  nome  di 
una  amica  fedele,  e  in  cui  viveva  con  essa  tranquillamente.  Ma, 
ahimè,  V  amica  la  precede  nel  sepolcro,  e  i  parenti,  imposses- 
satisi per  legge  di  tutto,  cacciaron  di  casa  la  padrona  vera,  la 
quale  andò  da  prima  limosinando,  poi  fu  ricoverata  all'  Ospizio 
di  mendicità,  d' onde  usciva  una  volta  la  settimana  per  andare 
a  pranzo  dalla  poetessa  improvvisatrice  Rosa  Taddei,  sorella 
del  celebre  caratterista.  Povera  Perotti  !  E  che  animo  buono 
ella  seppe  serbare  in  mezzo  a  tante  amarezze  e  a  tanti  inganni  ! 
Nell'album  della  Internari,  che  è  nella  Biblioteca  Nazionale  di 
Firenze,  si  trova  una  sua  lettera  a  questa,  in  cui  la  ringrazia  di 
certe  medaglie  e  reliquie  mandatele....  Ella  trovò  nella  fede  una 
gran  forza  a  sopportar  con  rassegnazione  la  miseria  squallida 
de'  suoi  ultimi  giorni  !  ! 

Pertica  Nicola,  nato  a  Roma  nel  1 769  da  Antonio  e  da  Rosa 
Rossi,  onesti  e  laboriosi  cittadini,  e  iniziato  al  mestiere  di  stam- 
patore, si  diede  giovinetto  al  teatro,  riuscendo  in  poco  tempo 
il  grande  emulo  di  Luigi  Vestri,  a  lui  forse  inferiore  nelle  parti 
promiscue,  ma  di  gran  lunga  superiore  in  quelle  di  caratterista. 
Noi  lo  vediamo  il  1 796  nell'elenco  dei  componenti  la  gran  Com- 
pagnia del  San  Carlino  di  Napoli  al  fianco  dei  Cammarano  e  dei 
Fracanzano,  dalla  quale  uscì  il  1803,  già  ottimo  caratterista,  a 
niuno  secondo  per  la  grande  spontaneità,  acquistata  su  quelle 
scene,  ricercato  dai  migliori  capocomici. 

Fu  parte  integrante  della  Compagnia  reale  italiana  del  Vi- 
ceré condotta  da  Salvator  Fabbrichesi,  dalla  sua  instituzione 
(1807),  fino  all'anno  della  sua  fine,  che  fu  il  181 5.  Passato  con 


Fabbrichesi,  De  Marini,  la  Tessari  alla  Corte  di  Napoli,  divenne 
in  breve  l' idolo  del  pubblico,  e  dello  stesso  Ferdinando  IV,  al 
quale  dovette  forse  la  sua  morte. 

Sia  per  doverosa  gratitudine  al  suo  Grande  estimatore, 
sia  per  Ìntima  convinzione,  sia  per  istinto  di  ribellione  a  ogni 
oltraggio  inconsulto  alla  Re- 
gia Dominazione.egli  si  sentì 
trascinato  a  mostrarsi  pub- 
blicamente avverso  alla  sètta 
dei  Carbonari,  gli  affigliati 
alla  quale  viveano  in  Napoli, 
facendo  temer  prossima  una 
sollevazione.  Una  sera  del 
1820,  terminato  lo  spetta- 
colo, il  Pertica,  traversando 
una  strada,  secondo  il  co- 
stume, per  recarsi  a  casa,  fu 
arrestato  dà  quattro  uomini 
mascherati, che,  puntatigli  al 
petto  i  lor  pugnali,  lo  minacciaron  di  morte,  se  avesse  osato 
non  pur  di  mostrarsi  avverso,  ma  di  accennare  in  qualsiasi 
modo  alla  lotta  de' Carbonari.  E  tale  fu  lo  spavento  ch'egli 
ebbe  dall'inattesa  aggressione,  che  preso  da  febbre  violenta, 
ne  morì  in  capo  a  quattro  giorni,  compianto  da  tutta  l'arte.  Fu 
il  Pertica  ricco  di  grazie  comiche  ed  argutissìmo,  sempre  no- 
bile e  castigato  ne'lazzi,  di  una  verità  prodigiosa.  Interpretò 
magistralmente  i  varj  caratteri  delle  commedie  goldoniane, 
del  Nota,  di  Giraud;  ma  dove  apparve  davvero  gigante  fu 
nelle  parti  di  seconda  importanza,  come,  a  esempio,  in  quella 
del  Maggiordomo  Longman  di  Pamela  Nubile,  in  cui  non  ebbe 
mai  chi  gli  si  accostasse. 


Pertìci  Pietro.  Sappiamo  dalla  Gorilla  Olimpica  dell' Ade- 
moUo,  ch'egli  aveva  cantato  nel  1731  e  1742.  Faceva  e  reci- 
tava le  commedie  in  musica  con  sua  moglie,  la  Tincanera. 


26o  P  E  R  T I  e  I 


Datosi  più  tardi  alla  scena  di  prosa,  vi  riuscì  attore  ec- 
cellente, e  il  '49  lo  vediam  con  la  moglie  recitar  commedie  ita- 
liane a  Londra.  Passò  poi  per  due  anni  al  servizio  della  Corte 
di  Parma  con  T  annuo  stipendio  di  350  zecchini,  e  il  carnovale 
del  '51  il  Conte  di  Ricecourt,  volendo  formare  una  Compagnia 
stabile  al  Cocomero  di  Firenze,  gli  offrì,  intermediario  l'abate 
Antonino  Uguccioni,  il  posto  di  maestro  o  direttore,  con  l'an- 
nua pensione  di  100  scudi  vita  durante  sua  e  della  moglie,  e 
d'impresario  del  detto  teatro....  Il  Pertici  accettò;  e  licenzia- 
tosi dalla  Corte  di  Parma,  formò  tal  compagnia,  che  fu  poi 
famosa. 

Il  Goldoni  assistè  più  volte  a  rappresentazioni  di  sue  com- 
medie, e  alla  prefazione  del  Cavaliere  e  la  Dama,  dice  : 

Penetrai  altresì  che  in  Firenze  vi  erano  le  commedie  mie  rappresentate  senza  le  ma- 
schere, cambiate  in  altri  caratteri  da  persone  di  abilità  e  di  talento,  e  mi  consolai  che  colà  si 
facessero  le  mÌQ  commedie,  trovandomi  onorato  moltissimo  che  da  si  dotta  e  cólta  Nazione  si 
soffrano  e  si  coltivino  le  imperfette  opere  mie.  Quando  poi  le  ho  vedute  in  Firenze  io  stesso 
rappresentare,  non  posso  bastantemente  esprimere  quanto  siasi  accresciuto  il  mio  giubbilo,  e 
quanta  compiacenza  mi  abbia  recato  il  vederle  con  tanta  esattezza,  con  tanta  verità  e  spirito 
rappresentate.  Io  le  ho  trovate  si  ben  dirette,  che  nulla  mi  resta  da  suggerire.  Il  Direttore  di 
esse  è  il  più  bravo  attore  del  Mondo,  Io  ne  sono  contento  e  deggio  rendergli  pubblicamente 
giustizia. 

E  a  quel  più  bravo  attore  del  Mondo,  è  la  seguente  nota  : 

Pietro  Pertici,  assai  noto  al  Mondo  per  1*  eccellente  sua  abilità  nelle  parti  buffe  per 
musica,  e  presentemente  bravissimo  attore  nelle  Commedie  in  prosa  in  Firenze. 

E  dedicando  Le  Donne  curiose  all'abate  Antonino  Uguc- 
cioni : 

Ella  ha  preso  a  proteggere  una  Compagnia  di  valorosi  comici  suoi  nazionali,  dei 
quali  ho  fatto  altra  fiata  menzione,  e  sono,  a  dir  vero,  ornamento  del  teatro  italiano. 

Il  Casanova,  trovatolo  del  '60  mutato  in  commediante,  così 
ne  scrisse: 

Vidi  Pertici  con  piacere  :  essendo  vecchio  e  non  potendo  più  cantare,  recitava  la  com- 
media e  da  buon  comico,  il  che  è  raro,  dacché  i  cantanti,  maschi  e  femmine,  confidando  nella 
durata  della  lor  voce,  trascuran  V  arte  della  scena. 

Fu  maestro  di  recitazione  del  Somigli  (\^),  detto  Beco 
Sudicio. 


PESCATORI 


Pescatori-Biagìni-Vanni  Giuseppina.  Nata  a  Spoleto 
il  1835  da  Giuseppe  Vanni,  impiegato  governativo,  e  Giuditta 
Nalli,  rinomata  pittrice,  fu,  ancora  in  fasce,  portata  a  Roma,  pa- 
tria dei  genitori.  Ivi  educata  più  specialmente  alle  belle  iirti, 
mostrò  particolari  attitudini  alla  musica,  al  recitare,  e  all'arte 
del  bulino,  che  essa  prediligeva.  En- 
trata nella  Società  filodrammatica  ro- 
mana, fu  subito  assunta  al  grado  di 
prima  attrice,  e  ammirata  e  domandata 
dalla  stessa  Ristori.  Ma  la  giovinetta 
non  osava  abbandonar  per  la  scena  l'In- 
cisione e  il  disegno.  Propostole  il  Pez- 
zana,  dietro  suggerimento  del  Morelli, 
che  avevala  sentita  nella  Suonatrice 
d' Arpa,  di  andar  nella  sua  Compa- 
gnia a  prendervi  il  posto  di  Amalia 
Fumagalli,  vinta  dalle  lusinghe  di  lui 
e  dalle  preghiere  della  madre,  risolse 
finalmente  di  abbandonar  l'arte  sua  di- 
letta, ed  esordì  a  Livorno  con  gran- 
dissimo successo,  col  nome  di  Giusep- 
pina Biagini,  che  fu  quello  del  secondo  marito  di  sua  madre. 

Passò  da  Livorno  a  Firenze,  nel  Teatro  Nìccolini,  accla- 
matissìma  sempre,  specie  nella  Medea,  e  dopo  un  anno  tornò 
a  Roma  al  Mausoleo  <f  Augusto  sollevando  in  una  lunga  stagione 
il  pubblico  all'entusiasmo.  Dalla  Compagnia  Pezzana  passò  a 
quella  del  Bosio,  poi  tornò  col  Pezzana,  che  lasciò  ancora  per 
Luigi  Santocchi.  Invitata  da  Adelaide  Ristori,  fece  con  lei  un 
giro  in  Europa,  festeggiatissima  al  fianco  della  gloriosa  artista. 

Era  nella  Compagnia  il  giovane  Erminio  Pescatori,  che 
aveva  lasciato  Parma,  sua  patria,  nel  '58,  per  darsi  all'arte.  In- 
namoratosi della  Biagini,  la  tolse  in  moglie  il  21  agosto  del '60. 

Passarono  dalla  Compagnia  Ristori  in  quella  Trivelli,  ove 
la  giovane  e  già  forte  artista  rinnovò,  o  meglio,  continuò  i  trionfi 
in  ogni  città.  Si  fecer  conduttori  di  Compagnia  essi  stessi,  che 


262  PESCATORI  -  PETITO 

dovetter  poi  sciogliere  per  vicende  politiche,  deliberando  di  ri- 
tirarsi dair  arte  e  fermarsi  a  Genova,  tutt'  intesi  all'  educazione 
dei  figli. 

Ammalatasi  la  Pedretti,  in  Compagnia  di  Amilcare  Bei- 
lotti,  la  Biagini  andò  per  breve  tempo  a  sostituirla  con  molta 
fortuna;  e  ritiratasi  poi  definitivamente  dall'arte,  si  recò  a 
Trieste  col  marito,  ove  stette  diciotto  anni  ammirata  maestra 
di  recitazione,  e  d'onde  si  restituì  in  Italia,  a  Milano,  ove  è  tut- 
tavia col  marito  in  ottima  salute. 

Petite  Antonio.  Figlio  di  Salvatore  e  di  Giuseppina  Errico, 
più  conosciuta  col  nome  di  Donna  Pappa,  nacque  a  Napoli  il 
2  2  giugno  del  1 822.  Fu  il  più  grande  Pulcinella  del  secolo  xix, 
e  il  Signore  del  Teatro  San  Carlino  per  ventiquattro  anni. 
(Vi  era  entrato  il  1852  e  vi  morì  il  26  marzo  1876,  d'aneu- 
risma). 

A  chi  voglia  avere  un'idea  chiara  di  quel  che  fosse  Anto- 
nio Fetito,  raccomando  la  Cronaca  del  Teatro  di  San  Carlino, 
di  S.  Di  Giacomo,  nella  quale  è  la  storia  documentata,  animata 
pur  sempre  da  un  soffio  di  poesia,  che  or  vi  solleva  tutto,  e  or 
vi  stringe  l' anima. 

La  sera  memorabile  in  cui  Antonio  V^\a\.o prese  la  maschera 
al  San  Carlino,  fu  presentato  al  pubblico  dal  padre  Salvatore, 
come  il  Pantalone  Rubini  dal  suo  predecessore  Gio.  Batta 
Garelli.  Toltasi  il  vecchio  Salvatore  la  maschera  di  sul  volto, 
e  adattatala  su  quella  del  figliuolo,  gli  augurò  piangendo:  ^Pe 
cienf  anncf  > 

Antonio  Petito  morì  sul  palcoscenico,  come  a  un  dipresso 
l'Angeleri,  il  Caccamesi,  il  Massari,  il  Pieri  padre.  Caduto  ap- 
pena il  sipario  sul  terz'atto  della  Dama  bia?ica^  egli  era  andato 
a  seder,  come  al  solito,  nel  corridojo  sul  quale  dava  il  suo  ca- 
merino. Colpito  d'apoplessia  fulminante,  cadde  a  terra,  e  morì 
dopo  cinque  minuti. 

Il  Di  Giacomo  così  descrive  con  sintesi  felice  l'attore  ge- 
niale : 


Buon  mirilo,  operajo  onesto,  generoto,  talvolta  pur  cora^ioso,  ■pirìio^o,  noa  servo, 
DOO  mitìgno.  Don  egoista,  arguto,  non  goffo  in  amore,  fine  osservatore,  intelligente  popolano  ; 
ecco  il  Pulcinella  in  Antonio  Fetilo.  La  dichiarazione  dei  diritti  dell'  uomo  rianimava,  tardi 


ma  in  tempo,  fin  la  maichera  acerrana;  il  Palcoscenico  del  San  Carlino  aveva  in  Piilcinilla 
OS  nomo  accessibile  alle  passioni  più  varie  e  contrarie,  an  attore  che,  dì  volta  in  volta,  sa- 
peva pi^ar  cosi  dirittamente  la  via  del  cnore  da  commuovere  lin  alle  lagrime  gli  spettatori. 


E  dopo  di  aver  accennato  alla  buffoneria  stereotipata  del 
pulcinella  cerloniano,  e  all'opera  riformatrice  di  Pasquale  Al- 
tavilla, dice  : 

Antonio  Petito,  a  cui  la  riforma  sorrìdeva,  raccolse  la  maschera,  ma  se  ne  coperse  la  fac- 
d*  non  per  nasconderla  sotto  una  stupida  e  goffa  sembianza.  Quando  gli  parve  che  non  lasciasse 
trapelare  la  passione  la  smise,  rimoveudo  nn  ostacolo,  e  diventò  Pascaj(iello,  tipo  popolare 
ch'egli  rappresentò  mìrabilmeute,  assorgendo  ad  arte  singolare  e  penetrante,  da  vero  attore. 


204  PETITO 


E  il  Petite  non  fii  che  attore.  Cominciò,  è  vero,  a  pubblicar 
nel  '67  le  sue  commedie,  intitolando  la  raccolta:  Selva  Comica 
Nazionale,  ma  egli  sapeva  appena  leggere  e  scrivere  (imparò 
a  scrivere  poco  dopo  di  esser  entrato  al  San  Carlino)^  e  i  suoi 
sgorbi  drammatici  eran  corretti  da  MaruUi  e  Altavilla,  i  quali, 
il  primo  specialmente,  concedevan  ch'ei  desse  commedie  loro 
sotto  il  suo  nome.  L'opera  del  Petito  non  regge  d'avanti  alla 
critica;  e  a  chi  tuttavia  volesse  chiedere  la  ragione  del  successo 
clamoroso  di  alcuna  delle  sue  commedie,  il  Di  Giacomo  rispon- 
derebbe che 

esso  non  fu  se  non  il  successo  personale,  comico  di  Antonio  Petito.  L' attore  era  veramente 
grande,  la  sua  figura  illuminava  tutta  la  scena,  riempiva  tutti  i  vuoti,  raccoglieva  tutte  le  emo- 
zioni e  gì'  interessamenti  ;  cosi  le  volgari  stupidaggini  deUa  commedia,  il  suo  difetto  d' uma- 
nità, di  nesso  logico,  di  spirito,  eran  dimenticati  in  un  godimento  che  pervadeva  tutto  il  pub- 
blico e  durava  ancor  fuori  del  teatro  :  una  felicità  che  accompagnava  fin  a  casa  gli  spettatori^ 
e  lasciava  ancor  sorridere,  nel  sonno,  le  loro  labbra  dischiuse. 

Quanto  al  costume,  la  maschera  del  pulcinella  è  nata  con 
la  camicia  e  i  calzoni  bianchi  larghissimi,  cappello  di  feltro 
bianco  a  cono,  talvolta  ripiegato  in  avanti,  scarpe  basse,  e 
mezza  maschera  nera  con  enorme  naso  aquilino.  Le  modifica- 
zioni ch'essa  andò  subendo  coli' andar  degli  anni  furon  soltanto 
nella  maggiore  o  minor  lunghezza  della  camicia,  la  quale  ve- 
diam  lunga  al  ginocchio  negli  ultimi  anni  (V.  il  Ghezzi),  e  più 
corta  ne'  primi  (V.  Callot).  Quanto  al  carattere,  il  pulcinella, 
dapprima  stragoffissima  maschera  (V.  Fiorillo  Silvio),  andò  poi 
come  le  altre  tutte  rappresentando  moltissimi  e  svariatissimi 
tipi,  mostrandosi  tal  volta  sciocco,  tal  volta  furbo,  tal  volta  po- 
polano, tal  volta  principe,  tal  volta  pusillanime,  tal  volta  eroe. 
Gran  numero  di  scrittori  e  nostri  e  forestieri  si  occupò  della 
origine  della  sua  persona  e  del  suo  nome  :  in  taluni  prevalse 
l'idea  che  la  maschera  fosse  invenzione  moderna;  in  altri,  spe- 
cie dopo  la  scoperta  del  famoso  Macco  dell'  Esquilino,  ma  non 
ho  ancora  capito  bene  con  qual  fondamento,  che  fosse  discen- 
dente in  linea  retta  dal  Mimus  albus  della  farsa  atellana,  come 
l'arlecchino  dal  Mimus  ccntunculus ;  quelli  fecer  derivare  il  nome 
or  da  Puccio  d' Aniello,  or  da  Paolo  Cinelli,  or  da  pulcino,  pule- 


PETITO  -  PETRIOLI  265 


cino,  puleciniello  ;  questi,  or  da  IIoXXt^  xtvTjotg  (molto  movimento), 
or  da  nóXc^  città,  e  xSvó^  o  in  forma  jonica  xetvó^,  vuoto,  sciocco, 
come  se  si  dicesse  buffone  della  città. 

Petrelli  Luigpia.  Figlia  dell'arte,  e  moglie  del  capocomico 
Gioacchino  Petrelli,  il  quale  vediam  già  nel  1 800,  a  dar  qua- 
ranta recite  con  la  sua  Compagnia  a  Tolentino,  riuscì  una  egre- 
gia/rrV^a  donna  per  compagnie  di  second' ordine.  Era  il  1820 
al  San  Gio.  Grisostomo  di  Venezia  in  una  Compagnia  Sociale  di- 
retta da  Ermeneghildo  Maldotti,  aggregata  a  una  Compagnia 
di  balli.  Recitava  poi  senza  ballo  alla  nuova  arena  Gallo.  Lasciò 
il  25  il  ruolo  6\  prima  attrice,  per  darsi  a  quello  di  madre  nobile 
e  caratterista.  Formò  nel  '30  in  società  con  l'artista  Natale  Fab- 
brici  una  Compagnia  primaria,  che  condusse  per  varj  anni,  fin- 
ché non  ebbe  abbandonate  col  marito  le  scene.  -  Si  ritirarono 
entrambi  a  Venezia,  ove  morirono  tra  il  '40  e  il  '50. 

Petrìoli  Nicola,  abruzzese,  nato  ad  Aquila  il  1 7  io  circa,  fu 
uno  de' più  noti  capocomici  del  secolo  xviii.  Recitava  \^  parti 
di  secondo  innamorato,  riserbandosi  di  primo  soltanto  quelle  di 
Attila,  Sansone,  e  Don  Giovanni  Tenario.  Di  sera,  affrettava  l'al- 
zata del  sipario  con  ripetuti  rulli  di  tamburo,  e  soleva  talvolta 
partirsi  da  una  Piazza  con  la  condotta  e  i  suoi  scritturati,  senza 
un  soldo  in  tasca,  e  senza  sapere  ove  si  sarebbe  posato.  Una 
volta,  giunto  a  Firenze  in  tal  contingenza,  ottenne  dal  general 
Botta,  governatore,  il  permesso  di  recitare  in  Livorno,  trovando 
chi  gli  sborsò  il  danaro  occorrente.  Questa  e  altre  bizzarrie  lo 
fecer  sinistramente  celebre. 

Era  l'estate  del  1740  al  Teatro  Ducale  di  Milano,  in  cui 
dette  un  regolare  corso  di  recite,  con  una  Compagnia  più  che 
sufficiente,  di  cui  erano  parte  principale  i  seguenti  artisti  : 

DONNE 


Angiola  Costantini,  prima  donna 

Elisabetta  Gnudi,  servetta 

/ 

34.  —  /  Comici  H aliami.  Voi.  IL 


Caterina  Silani,  per  le  parti  a  tra- 
sforma:(ione 


CETRIOLI  -  PETRUCCI 


Giovanni  Ant.  Foresti,  Brighella 
NiccoLA  Petrioli,  primo  innamorato 
Francesco  Lombardi,  secondo  inno- 

tnorijto 
Giovanni  Battista  Gozzi,  Pavta- 

lone 


UOMINI 

Giovanni  Valentini,  Dottore  bolo- 
gnese 

Silani,  Arlecchino 

Filippo  NiccoLmi    1 


Anselmo  Porta 
Agostino  Zurlini 


generici 


A  Ravenna,  trovandosi  il  1 765  in  uno  de' momenti  più  cri- 
tici, fuggì  dalla  Compagnia,  di  cui  prese  le  redini  la  famiglia 
Romagnoli. 

Trasferitosi  in  Ascoli,  ottenne  un  posto  di  Maestro  di  Casa 
presso  un  Cavaliere  di  quella  città,  ove  cincor  viveva  il  1781. 


Petnicci  Luigi.  Nato,  e  impiegato  governativo  in  Ancona, 
entrò,  appassionato  dell'arte,  nella  Filodrammatica  della  Città, 
e  vi  riuscì  in  breve  egregfio  per  le  parti  di  caratterista.  Carico  di 
famiglia,  e  ormai  non  più  gio- 
vane, determinò  di  darsi  alla 
scena,  esordendo  qual  caratte- 
rista nella  Compagnia  ch'egli 
stesso  formò  in  società  con 
Gaetano  Colomberti  e  Luigi 
Bergamaschi,  e  diventando  in 
pochissimi  tmni  de'piii  valenti. 
Fu  con  Goldoni,  e  con  Perotti; 
e  il  1819  si  fece  capocomico. 
Prediletto  da  Maria  Luigia  In- 
fante di  Spagna  e  Duchessa  di 
Lucca,  occupò  per  lungo  tempo  quel  R.  Teatro  del  Giglio;  e 
benché,  tormentato  dalla  podagra,  non  potesse  più  volte  che 
recitar  tutta  la  s\x^parle  seduto,  Ella  non  mancava  mai  alle  rap- 
presentazioni di  lui.  Fu  specialmente  egregio  nelle  commedie 
del  Goldoni,  del  Nota,  del  Giraud.  Ritrovavasi  nel  Teatro  Obizo 
di  Padova,  quando,  salitogli  il  male  al  petto,  cessò  di  vivere. 


PETRUCCI  -  l^HZZANA  267 


Petrucci  Giuseppe  ed  Elena.  Figlio,  il  primo,  del  prece- 
dente, e  buon  caratterista  anch'esso,  fu  scritturato  dai  migliori 
capocomici,  insieme  a  sua  figlia  Elena,  egregia  amorosa.  Gustavo 
Modena,  richiesto  d'informazioni  dall'attore  Giovan  Paolo  Cai- 
loud  su  l'arte  di  entrambi,  così  gli  scrisse  il  1 7  agosto  del  1 85 1  : 

La  Petrucci  è  un  buon  acquisto  ;  recita  naturalmente,  ha  forza,  ha  intelligenza,  è  un 
pastone  di  bontà,  e  farà  progressi  :  è  giovanissima,  un  po'  tozza  di  persona,  ma  belloccia  di 
viso,  e  non  sconcia:  non  ha  sentito  eroi  né  eroine  a  recitare,  quindi  non  è  ancor  guasta,  -  ma 
venga  con  voi  o  con  altri  si  guasterà,  grazie  al  colto  pubblico  e  all'esempio  dei  compagni.  Non 
lo  dire  a  Marchi,  che  non  mi  perdonerebbe  la  bestemmia.  Ma  la  Petrucci  ha  il  padre  che  è 
caraitertsia,  niente  cattivo  attore,  anzi,  a  parer  mio,  buon  attore;  e  se  non  sta  col  padre, 
passa  in  podestà  del  marito,  sposa  cioè  Germoglia  che  fa  \\  primo  attore;  nell'  un  caso  o  nel- 
l' altro  non  vedo  come  possa  fare  al  caso  vostro. 

Doventò  infatti  la  moglie  di  Germoglia,  e  una  artista  di 
buon  nome. 

Pezzana  Luigpi.  Fu  attore  de' più  egregi  in  ogni  genere  di 
recitazione  tragica,  drammatica,  o  comica.  Mise  il  primo  in 
iscena  a  Firenze,  dopo  la  rappresentazione  dei  filodrammatici 
Concordi,  il  Goldoni  di  Ferrari  con  grandissimo  plauso,  e  andò 
famoso  per  alcune  parti  di  genere  opposto,  come  Luigi  XI,  e 
Il  Cavalier  di  spirito.  Io  ho  sentito  il  Pezzana,  capocomico,  negli 
ultimi  anni  della  sua  vita  artistica,  rappresentar  tra  l'altre  con 
molta  verità  e  molta  efficacia  Xò.  parte  di  Vincenzo  Monti  n€CC  Ugo 
Foscolo  di  Castelvecchio  (il  Foscolo  era  Giovanni  Ceresa,  un  ar- 
tista di  gran  pregio,  formatosi  sotto  i  savj  ammaestramenti  di 
lui).  Luigi  Pezzana  era  nato  il  1 8 1 4  a  Verona  da  Giuseppe  Pez- 
zana, ultimo  rampollo  d'una  nobile  famiglia  di  Venezia,  che  per 
rovesci  di  fortuna  aveva  ottenuto  un  impiego  giudiziario  a  Ve- 
rona. Quivi  fece  gli  studi  ginnasiali  e  liceali,  poi  si  recò  all'Uni- 
versità di  Padova,  inscritto  nella  Facoltà  di  Legge.  Non  ancora 
spirato  il  secondo  anno  di  studj,  s'era  nel  1833,  il  futuro  avvo- 
cato, appassionatissimo  dell'arte,  in  cui  ebbe  lezioni,  dicono, 
dalla  celebre  Pellandi,  e  in  cui  fece  prova  eccellente  nella  filo- 
drammatica della  sua  patria,  si  scritturò  primo  attore  nella 
Compagnia  di  Marco  Fiorio,  di  cui  era  prima  attrice  Carlotta 


PEZZANA 


Polvaro,  vedova  del  brillante  Angiolinì,  la  quale  egli  sposò  dopo 
alcun  tempo. 

Passò  con  lei  dalla  Compagnia  Fiorio  in  quelle  di  Ghir- 
landa, di  Asti,  e  Domeniconi  (1842). 


Si  fece  poi  capocomico,  ora  solo,  ora  in  società  col  bril- 
lante Cesare  Marchi,  col  quale  stette  sino  al  1859  (la  moglie 
era  morta  nel  '51). 

Fu  il '60  con  Adelaide  Ristori  a  Parigi,  a  Londra,  in  Ame- 
rica (\\idX  promiscuo  e  caratterista,  poi  di  nuovo  capocomico,  poi, 
finalmente,  direttore  di  una  delle  tre  Compagnie  di  Luigi  Bel- 
lotti-Bon.Ma  ormai,  gii  anni  incalzando,  si  ritirò  a  Firenze,  ove 
morì  il  12  gennaio  del  1894. 

Il  Colomberti  dice  che  mentr'era  nella  Compagnia  di  lui 
il  1859  com.^  generico  primario,  lo  vide  eseguir  molto  bene  Saul, 


PEZZANA  269 


Egisto  Vi^ Agamennone,  Zambrino  nel  Galeotto  Manfredi  (questa 
dello  Zambrino  era  rimasta,  ricordo,  un  suo  cavai  di  battaglia 
degli  ultimi  anni),  e  i  drammi  Luigi  XI,  Il  Cittadino  di  Gand^  e 
La  colpa  vendica  la  colpa.  E  aggiunge  che,  dotato  di  buonissima 
voce  e  di  simpatica  figura,  sapeva,  specialmente  nelle  Arene, 
destar  fanatismo  :  e  al  Mausoleo  d' Augusto  (Corea)  di  Roma,  fu 
posta  una  lapide  che  ricordasse  ai  frequentatori  i  favolosi  in- 
cassi dell'estate  del  1859. 

Pare  ch'egli,  attore  popolare  per  eccellenza,  non  avesse 
gran  cura  dell'allestimento  scenico.  Costetti  n€ Dimenticati  vivi 
ci  fa  sapere  che  nel  palazzo  del  Conte  di  Montecristo  (il  Fezzsins, 
ricorreva,  costretto,  alla  risorsa  della  famosa  quadrilogia),  tutto 
il  lusso  orientale  di  lui  consisteva  in  due  moretti  di  stucco,  che 
reggevano  ciascuno  un  candelabro,  e  in  un  braciere  di  coccio 
dorato  da  cui  usciva  un  fumo,  poco  voluttuoso,  di  mirra  e  di 
incenso,  tal  quale  nelle  chiese  al  momento  della  benedizione  del 
Santissimo.  Del  che  il  pubblico  non  sapea  muovergli  rimpro- 
vero :  ma  glie  ne  moveva  la  critica  e  acerbissimo. 

Enrico  Montazio  {Il  Proscenio  e  La  Platea,  Firenze,  1845) 
fu  de'  suoi  più  acri  censori  nella  condanna  aperta,  senza  mezzi 
termini,  or  de' controsensi  di  messa  in  scena,  or  di  quel  volere 
l'applauso  a  ogni  scena,  a  ogni  parlata,  a  detrimento  della  ve- 
rità, della  castigatezza,  del  pudore:  e  tanto  una  volta  invei 
contro  l'artista  celebrato,  che  il  Niccolini  ebbe  a  scrivere  a 
Maddalena  Pelzet,  che  il  Pezzana,  montato  in  furore  per  le 
critiche  del  Montazio,  aveva  minacciato  per  la  strada  di  basto- 
narlo. 

Pezzana-Gualtieri  Giacinta.  Trascrivo  una  nota  autografa 

dell'illustre  artista: 

<  Nata  a  Torino  il  28  gennaio  1841  da  Giovanni  Pezzana, 
ricco  negoziante  di  mobili,  e  Carlotta  Tubi.  Entrata  nell'Acca- 
demia Filodrammatica  di  Torino  il  '57,  e  cacciata  per  mancanza 
di  disposizioni  per  l'arte,  e  ciò  per  opera  del  famigerato  Gar- 
beroglio.  Esordito  nel  '60  con  Toselli  in  dialetto,  dal  '62  al  '64 


170  PEZZANA 

con  Dondini  Cesare  ed  Ernesto  Rossi,  poi  fino  al  '6  7  con  Bellotti- 
Bon.  '68-'6g  ai  Fiorentini  di  Napoli  con  l'Alberti.  '7o-*7r-'72, 
Compagnia  con  Monti-Privato,  poi  Spagna  e  America.  > 

Fin  qui  la  nota,  che  cercherò  io  di  completare.  Alla  Spa- 
gna e  all'America  vanno  uniti  la  Rumenia,  la  Russia,  l'Egitto. 
Torna  in  Italia,  e  solleva  il  pubblico  all'entusiasmo  al  Dal  Venne 
di  Milano  con  la  Messalina  di  Pietro  Cossa.  Il  '78  riprende  il 
largo  per  l'America,  ove  per  la  prima  volta  ha  l'audacia  di 
cimentarsi  nella  parte  di  Amleto. 

Di  nuovo  in  Italia,  si  scrittura  aì  Fiorentini  dì  Napoli,  ove 
interpreta  colossalmente  la  Teresa  Raguin  di  E.  Zola.  Entra 
l"8o  con  Cesare  Rossi  nella  Compagnia  della  Città  di  Torino, 
che  abbandona  dopo  un  anno  per  rivedere  la  Rumenia,  la  Rus- 
sia, l'America. 

Poi  in  Italia  ancora  scritturata,  o  capocomica,  fino  al  '98, 
anno  in  cui  fa  parte  come  prima  attrice  tragica  e  prima  attrice 
madre  della  Compagnia  del  Teatro  d^ Arte.  Oggi  la  Pezzana  dà 
or  qui  or  là  rappresentazioni  straordinarie,  che  sono  pur  sempre 
feste  dell'arte,  dacché  i  suoi  sessant'anni  non  han  saputo  infiac- 
chirle la  eccezionale  fibra  di  acciaio. 

Giacinta  Pezzana  Gualtieri  (sposò  Luigi  Gualtieri,  scrit- 
tore di  romanzi  e  di  drammi  assai  noti  quali  L' Innominato  e 
La  voce  della  coscienza,  menlr'era  in  Compagnia  Rossi  e  Don- 
dini) formò  con  Virginia  Marini  e  Adelaide  Tessero  quella  glo- 
riosa trinità,  che  per  circa  un  trentennio  tenne  lo  scettro  dell'arte 
in  Italia.  Grande  nella  Zelinda  di  Goldoni,  non  fu  meno  grande 
nella  Medea  di  Legouvé.  La  sua  voce  maschia  e  vigorosa  nella 
tragedia,  trovava  nel  dramma  moderno  note  di  dolcezza  ineffa- 
bile. Nessuna  attrice  del  suo  tempo,  compresa  la  Ristori,  potè 
vantare  tal  vastità  di  repertorio.  Tornata  dalle  Americhe  non 
si  atrofizzò  ne' pochi  lavori  ch'ella  ammannì  a  quei  popoli  lon- 
tani, ma,  come  se  allora  allora  ella  entrasse  nell'arte,  si  diede 
col  fervore  della  prima  giovinezza  a  interpretar  l'opera  dram- 
matica piii  recente,  mostrando  sempre  e  dovunque  il  lampo  del- 
l'antico  valore.  Chi  non  ricorda  la  Pezzana  al  glorioso  tempo 


PEZZANA 


della  Compagnia  di  Bellottì-Bon,  della  qaale  ella  fu  principale 
ornamento?  Quella  Signora  dalle  Camelie,  vissuta  con  Lei  e  con 
Gaspare  Lavaggi  di  una  vita  nuova  al  pubblico,  tutta  anima, 


tutta  passione,  quella  Baronessa  <f  Isola  nei  Mariti  di  Torelli!... 
Oh  !  se  tutti  volessimo  enumerare  i  lavori,  in  cui  la  Pezzana  eser- 
citò il  suo  fascino  di  grande  artista  ci  bisognerebbe  scrivere  un 
libro.  Basti  che  intanto  se  ne  citino  alcuni,  i  quali,  nella  lor  va- 
rietà danno  un'idea  ben  chiara  della  morbidezza  e  vigorìa  del 
suo  talento  :  Stuarda  di  Schiller  -  Medea  di  Legouvé  -  Norma 
di  D' Ormeville  -  Messalina  di  Cossa  -  Amleto  di  Shakspeare  - 
Maria  Antonietta  di  Giacometti  -  Suor  Teresa  di  Camoletti  -  Te- 
resa Raquin  di  Zola  —  La  Signora  dalle  Camelie  di  Dumas  figlio  — 


ija  PEZZANA 

Fernanda  di  Sardou  —  Adriana  Lecòuvreur  di  Scribe  —  Il  Signor 
Alfonso  di  Dumas  figlio  -  Le  Gelosie  di  Lindoro  di  Goldoni  -  La 
Casa  Nuova  di  Sardou  -  La  Donna  e  lo  Scettico  di  Ferrari  -  Im 
Giorgina  di  Sardou  -  //  Cosine  di  Campagna  di  Kotzebue  -  An- 
tony di  Dumas  -  La  Vecchia  e  la  Nttova  Società  dì  Feuillet  -  // 
Codicillo  dello  Zio  Venanzio  di  Ferrari  -  Giuditta  di  Gìacomet- 
ti....  ecc.,  ecc.,  ecc. 

Al  fianco  di  Ernesto  Rossi  pare  ella  rivelasse  in  uno  scatto 
improvviso,  inatteso,  l'arte  suprema  che  avrebbe  poi  fatto  di 
lei  una  delle  più  geniali  attrici  del  nostro  teatro  di  prosa.  SÌ  re- 
citava V Otello  di  Shakspeare.  Ernesto  Rossi  nella  sua  foga  fu- 
ribonda sfiorò,  senza  volerlo,  la  guancia  della  giovane  artista. 
La  Pezzana  scossa,  come  se  fosse  stata  realmente  colpita,  ebbe 
una  esplosione  di  collera,  di  passione  e  di  lacrime  vere,  che  tra- 
scinò il  pubblico  all'entusiasmo.  Il  vecchio  Dumas,  che  era  fra 
gli  spettatori,  si  affrettò  a  salir  la  scena  per  congrat^l^^■si  col 
novissimo  astro, 

E  a  proposito  di  queste  sorprese  di  effetti,  Roberto  Bracco 
racconta  di  lei  che  la  Duse....  ma  no:  io  voglio  metter  qui  come 
chiusa  le  parole  dell'  egregio  commediografo  napoletano,  come 
quelle  che  ci  danno  in  bella  sintesi  il  ritratto  dell'artista  e  della 
donna,  mostrandone  le  qualità  meravigliose,  non  senza  toccare 
quel  tanto  di  male  che  potè  nuocere  in  parte  alla  sua  gloriosa 
carriera. 

Giadnta  Feizuia  -  alta  coi  gloria  è  nutnckla  qaelU  continuila  di  fulgore  la  quite  doq 
si  pDÒ  ottenere  sema  che  al  valore  immenso  sia  accoppiata  l'agilità  degli  espedienti  che  man- 
tiene tìvb  la  comunione  col  pubblico  irrequieto  e  variabile  -  rota,  comunque,  nell»  dramma- 
tica italiana  nn  sole  inotfuscato.  E  per  queita  insigne  donna,  che  non  ha  mai  troppo  amato 
l'eleganza,  che  ha  Mmpre  eliminato  stranamente  dalla  sua  personaliti  qTiella  forza  muliebre 
che  dai  palcoscemci  ha  tanta  vìrtiì  sog^ogatrice,  per  questa  donna  che  non  s' è  mai  riscaldata 
alla  5amma  d' una  grande  ambizione,  per  questa  donna  che  ba  facilmente  rinunziato  alle  lotte 
contemplando  senza  rancore  i  fulgidi  astri  cbe  I'  hanno  legnita  e  indicandoli  con  fiducia  ai 
diffidenti,  io  ho  una  speciale  predilezione  fatta  di  convincimenti  e  di  reminiscenze . 

Id  arte,  niente  mi  sembra  più  meraviglioso  e  più  bello  di  ciò  che  pare  scaturitca  dalla 
natura  atessa  d' un  artista  come  un'  acqua  limpida  e  fresca  da  una  roccia  vergine.  E  la  recita- 
zione di  Giacinta  Pezzana,  con  tutte  le  armonie  di  quella  voce  dolcisnima,  con  tutta  1'  eccel- 
lenza dei  suoi  eSetli  immediati,  con  tutte  le  profonditi  del  sentimento  che  sa  destare,  con  tutte 
le  sue  gradazioni  di  comicità  e  di  drammaticitì,  con  tatto  eia  che  in  altri  artisti  della  scena  pnò 
essere  il  risaltato  di  magistero  magnifico,  ha  avuto  sempre,  per  me,  quel  ci 


PEZZANA 


»7Ì 


ceritt  e  di  coneeoila  belleiza  che  eadnde  c^i  snppotuioae  di  afono,  di  ricerche,  dì  lavorio 
cerebrile  e  di  attiviUi  volitiva. 

E  qncite  minifeitazioiii  genniae  di  arte  lonima  paiono  (pecchi  che  ri  Aetlano  tatto  quanto 
accade  dinanzi  ad  esii.  Nella  recitazione  di  Giacinta  Pezzana  >i  sono  potati  ritrovare  gli  attef- 
gianieati  Mtetid  più  diversi.  La  tua  recita- 
zione è  stata  lempre  la  medeiima  ;  e  non- 
dimeno non  i  improbabile  che  esia  lia 
apparsa,  a  volte  a  volte,  romanttca,  cla>- 
sica,  verista,  simbolica.  Eleonora  Dose, 
ricordando  le  sue  primissime  armi  fatte 
accanto  a  Giacinta  Peitana  -  l'unica  at- 
trice da  cni  traesse  qualche  alimento  la  me- 
ravigliosa genialiti  lùuiatia,  -  mi  raccontava 
come  in  una  scena  dolorosa  d'uà  dramma 
del  quale  le  afn^jiva  il  titolo,  Giacinta  Pez- 
zana,  nna  sera,  all'  improvviso,  prendesse 
a  ripetere  una  parola  camminando  conci- 
tatamente e  mettendo  in  ogni  ripetizione 
un  snono  di  voce  strano,  intenso,  irresi- 
stìbile. Eleonora  Duse,  giovinetta,  ne  ebbe 
Dna  impressione  nuova.  Ne  fu  scossa,  ne 
fa  meravigliata.  E  più  lardi  -  cosi  ella  mi 
raccontava  -  provò  ancora  quella  impres- 
sione ascoltando  certe  prodigiose  e  sublimi 
vagneriane. 
iCorruri  di  Napoli,  19  hbbralo  1849). 


A  complemento  delle 
quali  parole,  dirò  che  Gia- 
cinta Pezzana  Gualtieri  pre- 
stò l'opera  sua  sovente  al- 
l'altrui beneficio.  Diede  rap- 
presentazioni a  Madrid  per 
fondare  un  ospedale  italiano; 
altre  ne  diede  a  Buenos  Ay- 
res  per  quegli  istituti  di  be- 
neficenza, ed  altre  ancora  a  Rosario  per  la  Società  patriottica 
italiana. 

Di  mente  aperta,  d' Ìndole  sdegnosa,  ribellante  a  tutto  ciò 
ch'è  impunemente  e  coscientemente  iniquo,  fu  attratta  un  tempo 
dalla  politica,  che,  in  lei,  soverchiò  quasi  l'arte.  Scrisse  in  prosa 
con  chiarezza  e  semplicità:...  mediocremente  in  versi. 


«74  PEZZANA  -  PIAMONTI 

Un  chiaro  e  gentile  esempio  di  gratitudine  ci  diede  colla 
pubblicazione  di  un  libricciuolo  in  memoria  di  Carolina  Malfatti, 
di  cui  fu  la  principale  allieva,  non  solo  per  attitudine  di  arte,  ma 
per  affezione  e  devozione  profonde  alla  modesta  maestra. 

Piamonti  Isolìna,  nata  a  Firenze  il  1 84 1  di  famiglia  senese 
(Travaglini),  studiò  recitazione  nel  Ginnasio  drammatico  del 
prof.  Filippo  Berti,  e  nel  '58  esordì  al  Teatro  Paganini  di  Ge- 
nova, quale  afrorosa  nella 
Compagnia  di  Luigi  Do- 
meniconi.  Fu  con  Gaspare 
Pieri;  poi,  qual  prima  at- 
trice giovane,  con  Cesare 
Dondini,  passando  il  '61 
nella  gran  Compagnia  di 
Tommaso  Salvini.  Passò 
da  questa  a  Napoli  nella 
Compagnia  di  Achille  Ma- 
jeroni,  fino  al  '65,  anno  in 
cui  assunse  il  ruolo  di  pri- 
ma attrice  assoluta  in  Com- 
pagnia dì  Achille  Dondini. 
Attrice  coscienziosa,  ricca  di  sentimento  e  d'intelligenza,  ot- 
time doti  non  mai  discompagnate  da  una  gentile  modestia,  per- 
corse i  principali  teatri  d'Italia  e  dell'estero,  al  fianco  de' più 
famosi  artisti,  quali  la  Fumagalli,  la  Cazzola,  la  Sadowski,  i 
fratelli  Salvini,  Taddei,  i  due  Rossi,  ecc.  Interpretò  con  molto 
plauso  caratteri  opposti,  come  Ofelia.  Desdemona.  Partenia, 
Norma,  Messalina,  Marcellina  e  Pamela;  e  Tommaso  Salvtni 
che  l'ebbe  lungo  tempo  a  compagna,  fa  bella  menzione  di  lei 
ne'  suoi  Ricordi  artistici. 

Sposò  Alfredo  Piamonti,  attore  generico  e  amministratore, 
col  quale  si  trova  anche  oggi,  e  dal  quale  ebbe  un  figliuolo, 
che,  seguita  l'arte  de' parenti,  promette  di  diventare  un  carat- 
terista egregio. 


FIANCA  -  PICCININI  275 

Fianca  Pietro,  milanese.  Dopo  di  aver  recitato  co' dilettanti 
della  città,  si  diede  al  teatro,  esordendo  primo  innamorato  con 
Fedele  Venini,  e  passando  poi  con  Francesco  Paganini,  col  quale 
ebbe  campo  di  mostrare  le  sue  ottime  qualità  di  artista,  spe- 
cialmente per  le  parti  di  genere  serio. 

Pianizza  Giuseppe,  bolognese.  Dopo  di  avere  recitato  fra 
gli  accademici  le  parti  di  prima  donna,  sollevando  all'entusia- 
smo nella  Zaira  di  Voltaire  e  nella  Perselide  del  Martelli,  risolse 
con  un  fido  compagno,  Orazio  Zecchi,  di  formare  una  Compa- 
gnia tutta  di  giovani,  colla  quale  si  recò  nella  Marca  anconitana, 
ov'era  vietato  alle  donne  di  presentarsi  in  Teatro,  e  ove  s'ebbe 
i  più  completi  trionfi.  Recitò  poi  le  parti  à.^  innamorato  ;  e  fu  col 
medesimo  Zecchi  a  Napoli,  ove  molto  piacque,  specialmente 
nel  personaggio  di  Signor  Pasquino,  uomo  ridicolo,  schizzinoso 
e  affettato,  e  in  quello  di  ubbriaco. 

Giuocatore  espertissimo  di  bigliardo  e  di  pallone,  fu  anche 
dedito  a  disordini  non  fatti  per  la  sua  complessione  gracilissima; 
talché,  prostrato  dal  male,  si  recò  da  Napoli  a  Bologna  colla 
speranza  di  recuperar  le  antiche  forze  nella  città  natale  :  ma,  le 
cure  de'  medici  riuscite  vane,  dovè  soccombere,  ancor  giov^e, 
nel  1775. 

Piccinini  Lorenzo.  Nato  a  Lucca  il  1807  da  Domenico  e 
da  Angela  Rosignoli,  entrò  in  arte  la  quaresima  del  '26  nella 
Compagnia  di  Carlo  Spinola.  Salito  al  grado  di  generico  prima- 
rio, si  mantenne  in  quel  posto,  ammirato  e  acclamato,  al  fianco 
de'  migliori  artisti  del  suo  tempo,  e  scritturato  da'  migliori  ca- 
pocomici, quali  Vergnano,  Bon,  Mascherpa,  Bazzi,  Presciani, 
Alberti,  Monti,  Domeniconi,  Coltellini,  Dondini,  Salvini,  sino 
al  1879,  anno  in  cui  si  ritirò  dalle  scene,  poverissimo,  soccorso 
da'  suoi  concittadini,  e  da  qualche  compagno  d' arte. 

Fu  direttore  di  una  Scuola  di  declamazione,  creata  a  po- 
sta per  lui  nella  sua  terra  natale,  ove  morì  il  17  di  novem- 
bre del  '91,  compianto   da  tutti.  Aveva  preso  parte  attiva 


276  PICCININI  -  PIERI 


il  '31  ai  moti  insurrezionali  italiani  con  la  legione  del  mar- 
chese Guidotti. 

Ernesto  Rossi  lasciò  scritto  di  lui: 

PiccinÌDi,  quantunque  non  levasse  le  ali  a  eccelsa  mèta  fu  artista  coscenzioso  e  distinto 
e  interprete  felice  delle  opere  dell'Alfieri,  del  Niccolini,  di  Pellico  e  del  Marenco,  opere  ormai 
sconosciute  alla  presente  generazione.  La  modestia,  più  che  il  suo  intrìnseco  talento  artistico, 
lo  arrestò  nel  suo  cammino,  il  quale  avrebbe  potuto  essere  più  glorioso,  ma  però  quella  mo- 
destia, che  io  chiamerei  temenza  di  sé  medesimo,  gli  valse  maggiormente  la  stima  dei  suoi  com- 
pagni e  della  crìtica,  perchè  ebbe  il  piacere  e  la  soddisfazione  di  recitare  sempre  a  fianco  dei 
più  bravi  artisti  italiani.  Come  uomo,  di  una  onestà  e  di  una  probità  veramente  esemplare, 
per  cui  mai  gli  mancò  la  stretta  di  mano  e  l' amicizia  vera  di  quanti  lo  conobbero. 

Pieri  Francesco^  romano,  figlio  di  onesti  parenti,  fu,  nella 
prima  giovinezza  proto  di  stamperia.  Stanco  dell'arte  sua,  ab- 
bandonò la  terra  natale,  e  dopo  alcune  vicende  si  aggregò  a 
una  Compagnia  comica  di  secondo  ordine,  recitandovi  le  partì 
di  tìranno.  Fu  con  tale  ruolo  socio  di  varj  nelle  imprese,  finché, 
impinguatosi  alquanto,  passò  a  quello  di  caratterista,  scritturato 
nella  Compagnia  Bianchi  e  Paganini.  Fu  in  processo  di  tempo 
socio  della  Belloni  e  del  Previtali;  poi  di  nuovo  scritturato  dal 
Pani  e  dal  Raftopulo.  Tornò  col  Pani  il  '23,  fece  società  il  '24 
con  Nicola  Vedova,  e  divenne  poi  conduttore  di  Compagnia  egli 
stesso,  che  tenne  •fino  alla  sua  morte. 

Il  Pieri  fu  coetaneo  del  Pertica  e  del  Vestri  :  nonostante, 
mercè  T  ingegno  svegliato,  la  voce  armoniosa,  la  fisionomia 
aperta,  la  figura  adatta  al  suo  ruolo,  fu  uno  de'  più  reputati  ca- 
ratteristì  del  suo  tempo. 

Le  commedie  :  La  Riconciliazione  fraterna  (dal  tedesco).  La 
Bottega  del  Caffè,  Il  Burbero  benefico.  Il  Poeta  fanatico.  Il  Barbiere 
di  Gheldria,  e  altre  molte  ebbero  in  lui  un  interprete  valoroso. 

Al  Teatro  Nuovo  di  Firenze,  nel  carnovale  del  1834,  ^^" 
trato  appena  fra  le  quinte  dopo  una  scena  delle  Donne  Curiose 
del  Goldoni,  fu  colto  da  apoplessia  fulminante,  che  in  poche  ore 
lo  condusse  al  sepolcro. 

Pieri  Anna.  Moglie  del  precedente,  figliuola  di  saltimban- 
chi, che  recitavano  e  ballavano  sulla  corda  in  baracche  mobili 


PIERI  277 

di  legno,  preceduti  e  accompagnati  da  un  suonatore  di  tromba, 
di  gran  cassa  e  di  chitarra,  fu  con  essi  in  Portogallo;  d'onde, 
restituita  in  patria,  fu  veduta  e  amata  dal  Pieri,  il  quale,  avu- 
tala in  moglie,  la  separò  per  sempre  da'  suoi  congiunti.  Diventò 
l'Anna  in  poco  tempo  un'attrice  di  liete  promesse,  e  con  l'orna- 
mento della  persona  bellissima,  del  volto  simpatico,  degli  occhi 
splendidi,  dello  spirito  singolare,  salì  in  breve  al  grado  di  se- 
conda donna,  poi  6ì  prima  assoluta,  nel  qual  ruolo  stette  sei  anni, 
nella  Compagnia  Raftopulo,  assieme  al  marito  caratterista,  poi 
in  quelle  di  Pani  e  di  Vedova. 

Cede,  il  1826,  il  ruolo  ^\ primadonna  a  sua  figlia  Amalia, 
passando  essa  a  quello  di  madre  nobile,  sino  al  '34,  anno  della 
morte  di  Pieri,  dopo  il  quale  scritturò  le  figliuole  Amalia  e  Lui- 
gia ^Fiorentini  di  Napoli,  e  ir35  ^i^dò  a  viver  con  esse  fuor  dal 
teatro. 

Pieri-Cristiani  Amalia,  figlia  dei  precedenti,  cominciò  a 
recitar  quindicenne  nella  Compagnia  che  suo  padre  aveva  in 
società  con  Vedova.  Col  padre  capocomico,  assunse  il  ruolo  di 
primadonna  giovine,  ^  prima  donna,  nel  quale  fu  scritturata  2!  Fio- 
rentini di  Napoli,  a  vicenda  con  Carolina  Colomberti,  sotto  la 
celebre  Tessari.  Sposatasi  a  Demetrio  Cristiani,  vedovo,  che  le 
morì  dopo  due  anni,  si  recò  prima  attrice  assoluta  nella  Compa- 
gnia Pisenti  e  Solmi,  in  cui  stette  più  anni,applauditissima.  Passò 
poi  in  varie  Compagnie,  ora  socia,  ora  scritturata,  e  morì  a  Roma. 


i-Tiozzo  Elena.  Veramente  ella  non  ha  che  vedere  col 
nome  di  Pieri,  essendo  nata  a  Napoli  il  1 840  da  Demetrio  Cri- 
stiani e  da  Angiola  Cavalli.  Mortagli  la  moglie,  il  Cristiani  passò 
a  seconde  nozze  con  Amalia  Pieri,  che  s'ebbe  la  piccola  figlia- 
stra, come  vera  figliuola:  e  questa,  entrando  in  arte,  adottò 
forse,  invece  del  paterno,  il  nome  della  matrigna,  a  cui  tanto 
lustro  aveva  cresciuto  il  fratello  Gaspare. 

A  tredici  anni  Elena  Pieri  esordì /^r  le  parti  amorose  in  una 
compagnia  formata  dall'Amalia,  e  a  poco  più  di  quattordici  si 


278  PIERI 

sposò  a  Giuseppe  Tiozzo,  pizzicagnolo  di  Chioggia.  Ma  l'amore 
deirarte  la  ricondusse  dopo  un  solo  anno  di  matrimonio  su  la 
scena,  prima  donna  della  Compagnia  Mazzola,  poi  della  Lom- 
barda ('56)  diretta  da  Luigi  Aliprandi,  di  quelle  di  Peracchi  ('57) 
(l'elenco  l'annunziava  come  socia  onoraria  dell'  Accademia  Rozzo- 
Senese)y  di  Gattinelli,  di  Bellotti-Bon,  di  Alessandro  Salvini. 

Formò  poscia  ('61)  compagnia  ella  stessa  per  un  triennio, 
dopo  il  quale  ('65)  fu  con  la  Compagnia  Dante  Alighieri,  diretta 
da  Riccardo  Castelvecchio.  Recatasi  a  Tunisi,  vi  dimorò  parec- 
chio tempo,  maestra  di  filodrammatici;  indi,  fatta  compagnia 
la  figlia  Zaira  (un'  artista  mediocre  per  le  parti  di  prima  attrice^ 
che  pervenne  a  un  certo  grado  di  rinomanza  per  la  rappresen- 
tazione della  Frine  di  Castelvecchio,  in  cui  mostrava  all'ultima 
scena  tutta  la  opulenza  delle  sue  forme  ;  e  che  oggi  trovasi  a 
San  Paulo  di  Brasile),  essa  andò  a  farne  parte  qual  madre  no- 
bile, e  tale  passò  l'anno  dopo  con  Novelli,  con  cui  stette  sette 
anni  ammiratissima. 

Fu  quindi  con  la  Compagnia  Cocconato,  poi  con  quella  di 
Cesare  Rossi,  dalla  quale  uscì  per  recarsi  a  Livorno,  aggre- 
gata alla  Filodrammatica  àé^  Nascenti.  Oggi  (1901)  eli' è  con 
Micheluzzi  a  Napoli.  Attrice  modesta  e  amantissima  dell'arte 
sua,  fu  sempre  decoro  delle  compagnie  in  cui  militò. 

Pieri-Alberti  Luig^ia^  sorella  minore  della  precedente,  so- 
stenne il  ruolo  di  servetta  fino  alla  morte  di  suo  padre,  poi  di 
amorosa  nella  Società  Tessari,  Prepiani  e  Visetti  di^^ Fiorentini 
di  Napoli,  della  quale,  in  breve,  diventò  la  prima  attrice  giovine 
applauditissima.  Uscitane  la  Colomberti  per  darsi  al  canto,  e 
non  essendo  la  celebre  Tessari  più  giovine,  la  Pieri  la  sostituì 
in  tutte  quelle  parti  convenienti  alla  sua  età.  Succedette  alla 
Tessari  Maddalena  Pelzet,  la  quale  dopo  un  solo  anno  dovette 
andarsene;  e  la  Pieri  tra  pel  merito  reale,  e  per  l'intrigo  del 
marito.  Adamo  Alberti,  capo  socio  della  Compagnia,  diventò 
\à  prima  donna  assoluta  dei  Fiorentini,  fino  al  '54,  in  cui  fu  so- 
stituita da  Fanny  Sadowski,  assumendo  essa  il  ruolo  di  madre 


nobile,  che  sostenne  per  varj  anni,  finché,  stanca  dell'arte,  il 
IO  ottobre  del  1885  sì  ritirò  dalla  scena.  Morì  a  settìintaquat- 
tr'anni  a  Napoli  d'idropisia. 

Pieri  Gaspare,  fratello  minore  delle  precedenti,  nato  a  Roma 
il  1 827,  fu  il  più  forte  artista  brillante  del  suo  tempo.  Cominciò 


giovanissimo  a  recitar  nella  Compagnia  Aé* Fiorentini  di  Napoli, 
poi  si  scritturò  ÌI  '51  come  amoroso  nella  Compagnia  di  Luigi 
Domeniconi.  Ma  dopo  alcuni  anni  dì  prova  infelice,  si  diede  alle 


28o  PIERI 

parti  comiche,  nelle  quali  riuscì  in  breve  grandissimo.  Trovan- 
dosi ir 5  5  nella  Compagnia  di  Astolfi,  morto  questi  di  colera  a  Pi- 
stoia, ne  assunse  egli  la  condotta  e  la  direzione,  fortunatissimo 
sempre  come  capocomico,  l'idolo  del  pubblico  e  delle  imprese 
come  attore.  La  rinomanza  sua  era  giunta  a  tale,  che  non  gli 
occorreva  più  spedir  T elenco  della  Compagnia  a' vari  teatri:  il 
suo  nome  era  più  che  sufficiente.  A  un  colpo  di  tosse,  a  una 
frase,  a  un  saluto  da  lui  appena  accennato  di  tra  le  quinte,  avanti 
d' entrare  in  scena,  si  propagava  in  un  attimo  per  tutto  il  teatro 
la  più  festosa  allegria.  Grazioso,  pieno  di  anima  e  di  vita,  elo- 
quente e  alquanto  istruito  (il  suggeritore  non  esisteva  per  lui), 
riempieva  egli  solo  tutta  la  scena.  Dire  delle  commedie  ov'  egli 
maggiormente  eccelse  non  è  possibile,  poiché  in  tutte  egli  fu 
eccellente.  Talvolta  anche  uscì  dal  suo  ruolo,  come  ad  esempio, 
nella  Salirà  e  Pariìii  del  Ferrari,  in  cui  passò  a  quello  di  carat- 
terista, recitando  il  Marchese  Colombi,  e  nel  Goldoni  e  le  sue  se- 
dici commedie  pur  di  Ferrari,  in  cui  passò  a  quello  di  primo  at- 
tore, recitando  il  protagonista. 

A  detta  de'  contemporanei  nessuno  toccò  nel  Colombi  la 
perfezione  di  lui,  e  quanto  al  Goldoni  egli  scriveva  a  Francesco 
Righetti  il  i8  agosto  '54  da  Venezia: 

Qui  la  mia  Compagnia  piace  immensamente,  qualunque  altra  in  vece  della  mia  non  fa- 
rebbe le  spese  serali,  tanti  sono  i  passatempi  gratis,  che  ofire  in  questo  mese  Venezia  ;  pure 
ò  116  abbonati  e  nove  palchi  a  stagione.  Colla  mia  destrezza  sostengo  persino  la  Dreoni,  che 
viene  salutata  al  suo  comparire;  Salvini  furoreggia;  ma  con  la  debita  modestia  io  sono  il  più 
festeggiato,  e  ne  ho  potenti  prove  pecuniarie.  Per  mia  beneficiata  feci  il  Goldoni  e  U  sue  se- 
dici commedie t  in  cui  sostenevo  la  parte  del  protagonista  ;  ebbene,  quantunque  stravecchia  la 
commedia,  pure  il  teatro  era  quasi  pieno,  e  rimasero  nette  314  lire,  senza  alcuni  regali  che  mi 
vennero  fatti,  mentre  in  festa  con  Dramma  nuovo,  non  abbiamo  mai  incassato  più  di  160  lire. 
Ne  feci  due  repliche  con  bel  teatro,  e  piacqui  immensamente,  come  pure  il  Raimondi  nella 
parte  del  Suggeritore,  Bellissimi  articoli  mi  scrissero  tanto  sulla  Gazzetta  officiale^  come  negli 
altri  fogli  di  Venezia.  Mi  dichiararono  superiore  a  molti  e  inferiore  a  nessuno  dei  primi  at- 
tori che  sin  oggi  hanno  rappresentato  Goldoni,  Lo  stesso  Paolo  Ferrari  che  me  la  pose  in  scena» 
mi  fa  i  più  lusinghieri  complimenti.  La  feci  studiare  e  provare  per  14  giorni,  per  cui  t' assi- 
curo che  è  affiatata  in  modo  da  farsi  a  memoria  ;  infatti  la  prima  parte  del  terzo  atto  la  reci- 
tiamo senza  rammentatore,  lo  che  fa  un  bellissimo  effetto. 

Era  stato  il  '54  nella  Compagnia  Reale  Sarda  (obbligato  di 
recitare  tutte  le  parti  di  brillante  e  non  meno  quelle  di  primo 


GENERICO  AMOROSO  che  gli  Verranno  assegnate  sema  ulteriore  pre- 
tesa, 0  contraddìsione  alcuna,  con  lo  stipendio  annuo  di  lire  nuove 
di  Piemonte  ^OO,  e  due  mezze  serate),  poi  diventò  per  un  anno 
capocomico,  anno  malauguratissimo,  in  cui  s'ebbe  malanni  di 
"ogni  sorta  un  po':  Colera,  Leve,  Carestia,  Imprestiti  e  altro. 
Tornava  scritturato  pel  '56,  attore  e  direttore,  con  Astolfi,e  nella 
lettera  al  Righetti  dianzi  accennata,  scriveva  :  <  non  voglio  pììl 
dolori  di  testa,  nei  più  begli  anni  della  mia  carriera:  questo  è  il 
momento  di  farmi  pagar  bene,  ed  infatti  me  ne  sono  prevalso  :  se 
Astolfi  mi  ha  voluto  pel  '56,  ha  dovuto  darmi  lire  settemila, 
e  cinque  mezze  serate.  »  Ma  l' Astolfi  morì,  e  il  Pieri  fu  d'allora 
in  poi  capocomico  fino  alla  morte  (a  Genova,  il  3  marzo  1866), 
e  per  di  più  senza  dolori  di  testa. 

Pieri-Casali  Giuseppina.  (V.  Casali-Pieri). 

Pieri  Vittorio,  figlio  dei  precedenti.  La  sua  prima  appari- 
zione mi  pare  facesse  il  1865  nell'elenco  della  compagnia  pa- 
terna, per  le  parti  ingenue. 
Lo  vediamo  il  '75  se- 
condo brillante,  prima  con 
Bozzo  e  Checchi,  poi  con 
De  Ogna  e  Schiavoni. 
L'  '80  era  nello  stesso 
ruolo  con  Morelli  e  la  Tes- 
sero.coi  quali  passò /«'wo 


assoluto  r'83  colla  moglie 
{V,  Aliprandi- Pieri)  prima 
attrice.  Diventò  1'  '84,  e 
per  un  triennio,  capoco- 
mico solo,  poi  in  società 
con  Cesare  Vitaliani  e  An- 
gelo Vestri.  Tornò  scritturato  in  vario  tempo  poi  capocomico, 
or  solo  ora  in  società,  passando  dal  ruolo  dì  brillante  a  quello  di 
generico  primario. 


282  PIERI-PIE  TRIBONI 

Vittorio  Pieri  non  ereditò  la  forza  comica  del  padre  ;  ma 
sì  la  sua  semplicità  e  correttezza....  e  però  ebbe  assai  più  atti- 
tudini alle  parti  dignitose  che  a  quelle  di  vero  e  proprio  bril- 
lante. Oggi,  se  ben  sempre  artista,  attende  all'amministrazione 
della  compagnia,  di  cui  egli  è  capo  assieme  all'attore  Enrico 
Reinach. 

Pietriboni  Giuseppe.  Un  de'  più  forti  capocomici  e  diret- 
tori del  nostro  tempo,  nacque  a  Venezia  il  21  dicembre  del  1846 
dal  ragioniere  Domenico  e  da  Angela  Demartini.  Studiò  legge, 
e  senza  aver  appartenuto  ad  alcuna  società  filodrammatica, 
mostrò  sin  da  piccolo  amore  grandissimo  al  teatro  di  prosa, 
nel  quale  esordì  come  autore,  facendo  rappresentar  di  giorno 
al  Malibran  per  beneficiata  del  primo  amoroso  della  Compagnia 
Zocchi  e  Bonivento  un  suo  lavoro  in  cinque  atti,  intitolato -^///^ 
nio  DalPonlCy  fondatore  del  Poìite  di  Rialto,  sotto  il  Doge  Pasquale 
Cicogna,  ch'ebbe  l'onore  di  due  repliche.  L'arte  lo  affascinava 
ognor  più.  A  Padova,  innamoratosi  di  un'attrice  della  Compa- 
gnia Boldrini-Peracchi,  si  scritturò  a  prova  secondo  amoroso  con- 
tro il  volere  del  padre,  e  aiutato  segretamente  dalla  madre  ;  ed 
esordì  con  la  parte  di  Egidio  nelle  Scintie  di  Gherardi  del  Te- 
sta. Dopo  tre  mesi  di  prova  fu  accettato  attore  stipendiato  a  lire 
una  e  cinquanta  centesimi  al  giorno  e  viaggi  pagati.  Ma  alla  ma- 
dre fu  proibito  di  mandargli  il  più  piccolo  soccorso  di  danaro, 
di  guisa  che  egli  fu  costretto  a  sciogliersi,  aspettando  il  danaro 
dal  padre  per  tornarsene  in  patria.  Nel  frattempo  si  ammalò 
improvvisamente  il  primo  attor  giovine  Giustino  Pesaro.  Gli 
affari  della  Compagnia  volgevano  alla  peggio.  Si  doveva  rap- 
presentar la  sera  una  commedia  nuova,  in  cui  tutti  prendevan 
parte.  Come  rimediare?  Pietriboni  si  offrì  di  sostituir  l'amma- 
lato la  sera  stessa.  E  il  successo  fu  pieno  :  e  anziché  tornarsene 
a  casa,  il  giovine  artista  fu  confermato  con  una  paga  che  gli 
desse  da  vivere  ;  e  indi  a  poco  egli  fu  primo  attor  giovine.  Passò  in 
due  o  tre  anni  nelle  Compagnie  di  Prosperi,  Peracchi  e  Sterni, 
finché  raccomandato  ad  Adamo  Alberti  dal  Comm.  Frascani, 


PIETRIBONI 


direttore  delle  Poste  a  Milano,  potè  entrare  il  '68,  qual  primo 
attor  giovine,  ai  ^wr^ntì»/ di  Napoli  dove  stette  sino  al '73,  anno 
in  cui  egli  si  creò  primo  aliare,  direttore.  Capocomico  e....  marito 
di  Silvia  Fantechi,  ch'egli  aveva  conosciuta  seconda  donna  nella 
Compagnia  di  Cesare  Rossi.  Il  primo  anno  fece  società  con 
Francesco  Coltellini,  da  cui  essendogli  pervenute  alla  resa  dei 
conti  cinque  o  seimila  lire  di  guadagno,  oltre  a  quel  tanto  da 
vivere  che  s'era  assegnato  giornalmente  per  sé  e  la  moglie,  sì 
sciolse  amichevolmente,  e 
diventò  capocomico  solo, 
mettendo  subito  piede  al 
primo  teatro  di  prosa  di 
Milano  (ora  Manzoni)  il  set- 
tembre, e  all'Arena  Nazio- 
nale dì  Firenze  la  prima- 
vera. E  qui  comincia  la 
grandezza  vera  di  Giusep- 
pe Pietriboni,  della  quale  io 
posso  dire  qualcosa,  aven- 
dolo avuto  direttore  e  fra- 
tello per  quattro  anni:  dal 
'77  all' 81.  Prima  di  tutto 
egli  seppe  accoppiare  una  grande  intelligenza  a  una  grande 
modestia;  e  in  ciò  stette  la  sua  forza.  Incoraggiato  dai  più,  ac- 
carezzato come  una  energìa  saliente,  non  fu  offuscato  dal  de- 
mone della  vanità  e  della  superbia....  Egli  andava  assiduamente 
a  frugar  nelle  vecchie  commedie  per  rinsanguare  il  suo  reper- 
torio; e  quelle,  cito  ad  esempio  la  Famiglia  Be/ioìton  di  Sardou, 
metteva  in  iscena  con  la  importanza  di  una  novità;...  alla  prima 
rappresentazione  dì  esse,  accortamente  preparati,  la  stampa  e 
il  pubblico  accorrevan  in  folla  a  dare  il  lor  giudizio  come  si 
trattasse  dì  grande  avvenimento. 

Dì  taluna  di  esse  (del  Padre  Prodigo  di  Dumas  figlio)  af- 
fidò la  direzione  a  Paolo  Ferrari,  il  quale,  traeva  tale  gagliardìa 
dalla  disciplinatezza,  dalla  sommissione,  dal  volere  di  noi  gio- 


284  PIETRIBONI 


vani,  che  a  volte  restava  in  teatro  a  dirigere  dalle  dieci  di  mat- 
tina alle  quattro  di  sera.  E  vi  fu  chi  l'accusò,  tanto  per  fare, 
di  non  saper  mettere  in  iscena  che  opere  proprie.  Oh  !  se  lo 
avesser  visto  nel  Padre  Prodiero,  nei  Fourchambault,  nel  Tor- 
guato  Tasso  di  Goldoni,  lavori  d' indole  così  disparata  !  E  quali 
effetti  di  commozione  o  di  comicità  non  sapeva  trarre  da  situa- 
zioni o  da  intonazioni  nuove,  imprevedute  !  !  ! 

Pietriboni,  ricorrendo  a  Ferrari,  ebbe  un  di  quei  lampi 
che  non  possono  avere,  ripeto,  che  gì'  intelligenti  e  in  un  mo- 
desti! Egli  ebbe  aperto  da  lui  un  nuovo  orizzonte....  il  metodo 
suo  seguì,  si  assimilò;  grande  interprete  del  concetto,  non  lo 
era  meno  della  parola.  Non  gli  sfuggiva  un  monosillabo  !  Lo 
ricordo  nei  Borghesi  di  Pontarcy  di  Sardou!  Distribuite  \e  parti 
e  letta  la  Commedia,  venne  alla  prima  prova  con  un  foglio,  ove 
eran  segnati  meccanicamente  nelle  scene  più  confuse  i  movi- 
menti de' singoli  attori!...  Mostrava  egli  le  scene,  recitava  da 
donna,  da  vecchio,  da  giovine!...  Certo  non  era  ingiusta  la  pecca 
che  trovaron  nella  sua  dizione,  saltellata  e  martellata  talvolta 
in  una  pronunzia  dialettale  che  non  l'abbondonò  più....  Ma  il 
concetto  della  parte  era  sempre  qual  si  doveva,  e  si  mostrasse 
egli  come  Esopo,  o  Padre  Prodigo,  o  Bernard,  o  Cavalier  di  Spi- 
rito, o  Fabrizio,  o  Bolingbrocke,  o  Carlo  V  o  Camillo  Blatta,  o 
altro....  se  non  potè  essere  per  l'orecchio  del  pubblico  attore 
eccellente,  fu  certo  e  sempre  pel  suo  cervello  eccellente  artista. 

Giuseppe  Pietriboni  fu  anche  uno  de' più  coraggiosi  capo- 
comici. Per  rappresentare  al  Valle  di  Roma  in  una  sola  stagione 
di  Carnevale  il  Mondo  della  Noia,  sborsò  a  Giovanni  Emanuel 
cinquemila  lire  in  oro.  Acquistò  \  Fourchambault  dS.  Augier  per 
dodicimila  lire  in  oro....  Commise  a  Cavallotti  un  lavoro,  che 
fu  poi  il  fortunato  Cantico  dei  Cantici...,  Ma  quando  ancora  tutto 
arrideva,  ahimè,  il  destino  inesorabile  venne  a  prostrare  quella 
forza  giovine.... 

L'  '85,  a  Nizza,  Giuseppe  Pietriboni,  quando  si  facevan 
sulla  scena  lavori  di  riadattamento  nel  teatro  incendiato,  visto 
nella  penombra  socchiuso  un  uscio,  e  credutolo  quello  di  un 


PIETRIBONI  385 

camerino,  lo  aperse  e  vi  entrò.  Era  quello  dell'ascensore!... 
Il  poveretto  precipitò  dall'altezza  di  tre  piani....  e  n'ebbe  tal 
commozione,  che  più  non  riacquistò  l'antico  vigore  del  corpo 
e  dello  spirito.  Sette  anni  più  tardi  la  sua  Silvia  gli  morì  dopo 
un  anno  e  mezzo  di  malattia  da  lei  ignorata,  e  che  fu  per  lui 
la  più  atroce  agonìa....  Oggi  egli  è  stato  chiamato,  dicono,  ad 
aiutar  nella  direzione  pel  triennio  '903-6  la  signora  Virginia 
Reiter.  Bene  !  Dio  lo  guardi  sempre. 


Pietrìboni  Silvia.  Moglie  del  precedente,  nacque  a  Firenze 
il  I  845  da  Stefano  e  Maddalena  Fantechi.  Alunna  della  Scuola 
fiorentina  dì  recitazione,  diretta  da  Filippo  Berti,  esordì  a  di- 
ciassette anni  nella  Com- 
pagnia di  Cesare  Mazzola, 
passando  poi  in  quelle  di 
Luigi  Domeniconi,  di  Pa- 
padopolie  Bergonzoni,ein 
altre.  Creò  allora  (novem- 
bre del  '69)  al  Teatro  Re 
Nuovoó\  Milano  Froti-J^rou 
di  Meilhac.  Fuir7i-'72  se- 
conda donna  della  Compa- 
gnia Sadowski,  diretta  da 
Cesare  Rossi,  al  He  Vecchio 
di  Milano  e  il  3  dicembre  '  7 1 
vi  creò  per  sua  beneficiata 
la  parte  di  Lidia  nella  Vìsiia  dì  Nozze  di  Dumas  figlio.  Sposa- 
tasi il  '73  a  Giuseppe  Pietrìboni,  ne  fu  anche  la  prima  attrice 
assoluta,  sino  al  dì  della  sua  morte,  avvenuta  a  Torino  per  car- 
cinoma il  21  febbraio  del  '92;  e  in  codesti  diciannove  anni  fu 
l'anima  della  Compagnia,  nella  quale  recò  tanto  di  bontà,  di 
grazia,  di  gentilezza,  che  non  vi  fu,  credo,  compagno  d'arte 
che  a  lei  non  fosse  come  me  affezionato  e  devoto,  e  come  me 
non  piangesse  la  sua  morte  sì  come  quella  di  una  buona  amica, 
di  una  sorella.  Povera  Silvia!  Non  grande  artista,  era  vera- 


286  PIETRIBONI  -  PIETRO    PAOLO 

mente  una  grandissima  attrice:  alla  mancanza  del  tempera- 
mento che  non  le  concedeva  lo  scatto  inatteso,  geniale  che  su- 
scita gli  entusiasmi,  suppliva  con  una  forza  di  volontà  singolare, 
accogliendo  sommessa  i  consigli,  gl'insegnamenti  assimilan- 
dosi, e  le  parti  più  disparate  analizzando,  sminuzzando  con  tal 
cura  affettuosa,  da  acquistarsi  la  benevolenza  e  l'ammirazione 
de'  pubblici  più  severi.  Creò,  prima  attrice  e  capocomica,  una 
infinità  di  parti,  fra  le  quali  primeggiavan  la  Pia  del  Cantico 
de  Cantici,  la  Maja  de'  FourchambauU ,  la  Madre  de'  Borghesi 
di  Pontarcy,  la  Beatrice  del  Marito  amante  della  moorlie.  Se  bene 
a  ogni  genere  di  lavori  ella  fosse  esercitata,  non  esclusi -^tì?r/a«<z 
Lccouvreur,  La  Signora  dalle  Camelie,  Due  Dame  ed  altro,  assai 
meglio  riuscì,  per  l'indole  sua,  in  quelli,  ove  fosser  primo  ele- 
mento il  sorriso  e  la  grazia,  l'ingenuità  e  la  monellerìa.  Così 
furon  commedie  predilette  e  da  lei  e  dal  suo  pubblico  Le  prime 
armi  di  Richelieu,  Il  Positivo,  Il  Cantico,  Il  Bicchier  d'acqua,  I  no- 
stri buoni  villici.  La  Sposa  sagace,  ecc.  —  Nel  primo  anniversario 
della  sua  morte  (2 1  febbraio  '93)  il  marito  raccolse  con  pietoso 
pensiero  in  un  volume,  che  pubblicò  a  Palermo  pei  tipi  del  Bar- 
ravecchia  col  titolo  ///  Memoriam,  quanto  fu  scritto  e  stampato 
nelle  sue  esequie  dagli  amici,  dalla  critica,  dall'arte  tutta. 

Pietro  Paolo....?  Per  quante  ricerche  fatte,  non  mi  è  riu- 
scito di  aver  notizia  su  questo  comico,  tranne  la  lettera  se- 
guente, che  traggo  dall'Archivio  di  Modena: 

Ser.»"o  Sig.»"  mio  os8.'"o 

Hauendo  Pietro  Paulo  comico  vna  lite  in  Reggio,  per  la  cui  spedizione  egli  preme, 
come  importante  molto  a  suoi  interessi,  ha  hauto  ricorso  da  me,  acciò  che  lo  raccomandi 
a  V.  A.  e  la  prieghi  ad  ordinare  a  que'  suoi  ministri  che  vogliano  troncate  tutte  le  dila- 
zioni spedirgliela  per  giustizia.  Io  lo  faccio  con  la  presente,  e  m' assicuro  che  l'A.  V.  si 
compiacerà  di  far  conoscere  al  suddetto  quanto  gli  sia  stata  fruttuosa  la  mia  intercessione, 
e  qui  raccordando  a  V.  A.  il  mio  solito  desiderio  di  sempre  seruirla,  le  bacio  con  par- 
zialissimo  affetto  le  mani 

Di  V.   A.  Aff  «0  Ser."  e  Cognato 

Piacenza  li  4  marzo  1640.  OdOARDO    FARNESE. 

S.>^  Duca  di  Modena 

•pvj   f,,^.-:  .       (RescriUo  della  Cancelleria)  s*è  scritto  al  S.'  Tenente  Borghi  che 

spedischi  la  sua  causa  con  somma  giustizia  rimosse,  ecc. 


PIETROTTI  -  PIISSIMI  «87 

Pietrotti  Santi.  Nacque  a  Firenze  il  24  marzo  1830  da 
Vincenzo  Petrotti  (e  non  Pietrotti  come  fu  chiamato  in  arte  il 
figlio  Santi)  e  da  Rosa  Gentilini.  Rimasto  orfano  del  padre,  si 
trovò  conduttore  a  sedici  anni  dì  una  bottega  di  parrucchiere, 
la  sola  rimasta  di  tante  possedute  dal  padre,  colla  quale  era  di 
sostentamento  alla  madre  e  a  due  fratelli  minori.  A  diciotto 
anni,  in  compagnia  di  Ciotti,  Barsi  e  altri,  comìncio  a  recitare 
in  un  teatrino  improvvisato,  e  dai  '53  al  '62  si  scritturò  con  lo 
Stenterello  Landìni  al  Teatro  della  Piazza  Vecchia,  per  le  sole 
stagioni  di  Carnevale  e  di  Quare- 
sima, e  con  Laura  Bon  (V.)  per  le 
domeniche  dell'estate  al  Politeama. 
Il '6  2  fu  col  Landini,  regolarmente, 
per  l'anno  intero.  Passò  il'ós^f^wc- 
rico  nella  Compagnia  di  Gaspare 
Pieri,  e  l'anno  seguente,  per  un 
triennio,  in  quella  di  Bellotti-Bon. 
Scritturato  il  '67  con  Alamanno 
Morelli,  fu  con  lui  Caratterista  fino 
al  '79,  per  passare  poi  nella  nuova 
Compagnia  Marini  e  Ciotti,  dalla 
quale  uscì  per  recarsi  con  Emanuel 
a'  Fiorentini  di  Napoli.  Fu  poi  con  Giacinta  Pezzana,  col  Bel- 
lottì  (Compagnia  n.  2),  e  finalmente  ancora  con  Virginia  Marini, 
per  un  triennio,  dopo  il  quale  (carnevale  deir'83)  si  recò  a  Fi- 
renze, dove  morì  il  23  giugno  dello  stesso  anno. 

Fu  il  Pietrotti  attore  assai  pregiato  per  la  verità  e  spon- 
taneità della  dizione.  Diceva  il  verso  con  molta  efficacia  non 
mai  discompagnata  da  una  grande  sobrietà.  A]  tempo  in  cui 
fioriron  l'opere  di  Pietro  Cossa,  egli  fu  nella  Compagnia  di 
Alamanno  Morelli,  degno  compagno  di  Virgìnia  Marini,  Fran- 
cesco Ciotti,  Giulio  Rasi. 

Pìissimì  Vittoria,  <  celebre  comica  ferrarese,  fioriva  del 
1579.  nel  qual  anno  fu  ad  essa  dedicata  da  Bernardino  Lem- 


288  PIISSIMI 


bardi  la  Fillide,  favola  pastorale  dell'  acceso  accademico  Ri- 
novato.  >  Così  il  Quadrio.  E  il  Garzoni,  dopo  di  aver  parlato 
A^Andreini,  dell' Armani,  e  della  Lidia  : 

Ma  soprattutto  parmi  degna  d'eccelsi  honori  quella  divina  Vittoria,  che  fa  meta- 
morfosi di  sé  stessa  in  scena,  quella  bella  maga  d'amore,  che  alletta  i  cori  di  mille  amanti 
con  le  sue  parole,  quella  dolce  sirena,  eh'  ammalia  con  soavi  incanti  l' alme  de'  suoi  di- 
voti spettatori:  e  senza  dubbio  merita  di  esser  posta  come  un  compendio  dell'arte,  havendo 
i  gesti  proporzionati,  i  moti  armonici  e  concordi,  gli  atti  maestrevoli  e  grati,  le  parole 
affabili  e  dolci,  i  sospiri  ladri  e  accorti,  i  risi  saporiti  e  soavi,  il  portamento  altiero  e  ge- 
neroso, e  in  tutta  la  persona  un  perfetto  decoro,  qual  spetta  e  s'  appartiene  a  una  per- 
fetta comedian  te. 

E  Giuseppe  Pavoni  nel  suo  diario  delle  feste  per  le  nozze 
di  Ferdinando  Medici  con  Cristina  di  Lorena  : 

Sabbato,  che  fu  alli  sei  (di  maggio  del  1589),  ritrovandosi  in  Fiorenza  li  Comici 
gelosi  con  quelle  due  famosissime  donne  la  Vittoria  e  l'Isabella,  parve  al  Gran  Duca  che 
per  trattenimento  fosse  buono  far,  che  recitassero  una  Comedia  a  gusto  loro.  Cosi  ven- 
nero quasi,  che  a  contesa  le  dette  donne  fra  di  loro,  perchè  la  Vittoria  voleva  si  reci- 
tasse la  Cingana,  et  l' altra  voleva  si  facesse  la  sua  Pazzia,  titolata  la  Pazzia  d' Isabella, 
sendo  che  la  favorita  della  Vittoria  è  la  Cingana,  et  la  Pazzia,  la  favorita  d'Isabella.  Però 
s'accordarono  in  questo,  che  la  prima  a  recitarsi  fusse  la  Cingana,  et  che  un'altra  volta 
si  recitasse  la  Pazzia.  Et  cosi  recitarono  detta  Cingana  con  gli  Intermedi]  istessi,  che  fu- 
rono fatti  alla  Comedia  grande  :  ma  chi  non  ha  sentito  la  Vittoria  contraiar  la  Cingana, 
non  ha  visto,  né  sentito  cosa  rara,  et  maravigliosa,  che  certo  di  questa  comedia  sono  re- 
stati tutti  soddisfattissimi. 

L'itinerario  della  Piissimi  troviam  quasi  interamente  trac- 
ciato al  nome  di  Pasquati  e  di  Pellesini.  Quando  i  Gelosi  eran 
l'inverno  1575  a  Firenze,  Ercole  Cortile  scriveva  al  Duca  di 
Ferrara  in  data  del  3  di  dicembre  : 

La  sera  fu  trattenuto  (il  Card. le  di  Gambara)  dalla  signora  Duchessa  a  una 

Comedia  di  2Uuii  della  Compagnia  della  Vittoria  la  quale  si  ritrova  qui  molti  giorni  sono,  dove 
era  anche  il  detto  Card.l^  de  Medici,  il  Rondo  et  Io  suso  un  palco  fatto  a  posta  per  S.  A. 
sopra  una  salla  grande  di  Palazzo  dove  fanno  ordinariamente  le  comedie  in  pubblico. 

Aggiungiamo  qui  alcuni  particolari  che  traggo  da  lettere 
inedite  dell'  archivio  di  Modena,  non  accennati  a'  nomi  degli 
attori  suddetti. 

Il  27  di  agosto  del  1580  il  Principe  di  Mantova  scriveva 
da  Gonzaga  al  Cardinal  d'Este,  raccomandandogli  la  Vittoria, 
la  quale  desiderava  recitar  le  sue  comedie  a  Padova. 


BUSSIMI  289 


E  al  Cardinal  d'Este,  scriveva  da  Ferrara  il  prevosto 
Trotti,  il  2  5  di  ottobre  dello  stesso  anno  : 

Tatti  stanno  benissimo  et  beri  sera  cbe  fa  giobbia  in  camera  della  S.<^  Do- 

cbessa  Ser.<n«  bavimo   una  Comedia  della  Compagnia  della  Vittoria  con   gran  gnsto  di 
qnelle  S." 

E  ora,  ecco  integralmente  le  lettere  della  Vittoria,  di  cui 
è  cenno  al  nome  di  Pellesini  : 

Serenissimo  Signor, 

Ho  nedato  quanto  Vostra  Altezza  Ser.™«  ba  iato  scriuer  a  petroUino  et  ben  cbe 
come  sua  bnmil  sema  mi  donessi  aquetare  à  quanto  conosco  esser  di  sua  sodisfacione  non 
dimeno  astreta  da  quella  pietà  cbe  ognuno  bA  di  sé  stesso  uedendomi  una  tanta  mina 
cosi  uidna  et  credendo  pur  cbe  Vostra  Altezza  perseueri  percbe  non  conosca  tanto  mio 
danno  et  dissonore  però  di  nono  la  suplico  per  le  Vissere  di  Gesù  Cbristo  a  non  esser 
causa  de  la  mina  mia  et  creda  cbe  se  cosi  non  fosse  uorei  prima  perdere  la  ulta  cbe 
restar  di  obedirla  la  mi  faccia  gratia  di  farsi  dar  informadone  da  cbi  ba  cog^don  di  questo 
fato  senza  cbe  io  sapia  da  cbi  et  non  siano  persone  interessate  cbe  la  conosserà  cb'io 
dico  il  nero  et  da  quelli  la  intenderà  quello  cbe  per  non  infastidir  taccio  cbiedendoli  per- 
dono de  la  molestia  et  mia  sforzata  importunità,  con  cbe  gli  resto  bumilissima  sema  su- 
plicandola  di  nono  concedermi  con  pedrolino  la  Vita  del  mio  bonore  et  del  Corpo  cbe 
nel  restar  di  pedrolUno  consiste  però  gratia  Ser.°>o  mio  Signor  gratia  per  l'amor  de  Dio 
cbe  quale  la  cbiesto  con  le  ginocbia  a  tera  et  con  le  lacrime  del  Cuore  nostro  Signor  la 
Consemi  et  a  me  dia  gratia  di  poterla  seruire  di  Venetia  a  di  4.  genaro  1581. 

Di  Vostra  Altezza  Ser.™»  Humili«iima  Ser.«« 

Vittoria  Pijssimi. 

Di  fuori  :  ai  Ser.*»©  Sig.J*  Duca  di  Ferrara  mio  sig.»^»  colendissimo. 

Ser.nio  Sig.rc 

Da  molti  mi  uiene  referto,  cbe  petroUino  et  io  babbiamo  persa  la  gratia  di  Vostra 
Altezza  Ser.™>  per  non  bauerla  potuto  seruire  questo  Cameuale,  et  percbe  la  riuerenza 
con  la  quale  1' osseruo  da  tanti  ani  in  qua  supera  ognaltra  uedendomi  cosi  à  uiua  forza 
bauer  mancato  a  cbi  tanto  son  tenuta,  et  bò  desiderato  sempre  semire,  nino  la  più  scon- 
tenta donna  cbe  mai  nassesse,  et  però  à  suoi  piedi  ricorro  suplicandola  ritornarmi  nella 
sua  gratia,  et  l' istesso  dico  di  petrolUno^  poi  cbe  per  mia  causa  è  incorso  in  errore,  il 
quale  per  l'affiuio  cbe  sente  si  può  dir  cbe  facia  la  penitenza  de  l'errore,  et  accresse  la 
mia  col  suo  cordoglio  :  ma  percbe  una  sintilla  de  quella  benignità,  con  la  quale  la  mi  ba 
sempre  fauorita  può  render  noi  felicissimi  io  di  nono  caldamente  la  suplico  et  bumilissi- 
mamente  me  et  questo  suo  denoto  bencbe  basso  seruo  raccomando,  oferendo  me  et  la 
mia  Compagnia  suplire  al  mancamento  et  pregar  Dio  per  la  sua  conseruatione,  cbe  nostro 
Signore  la  felidti.  di  Venetia  a  di.  5.  Marzo  1581. 

Di  Vostra  Altezza  Ser.m»  HumiliBsima  serua 

Vittoria  Pijssimi. 

Di  fuori  :  ai  Ser.«no  S.'  Duca  di  Ferrara  mio  sig."  colend.«»o 

37.  —  /  Comici  italiani.  Voi.  IL 


Del  1 590  abbiamo  questa  lettera  da  Roma  comunicatami 
da  Angelo  Solerti,  autore  con  Domenico  Lanza  del  Teatro  Fer- 
rarese nella  seconda  metà  del  secolo  xvi  : 

S«r.'"o  mio  Sig."  Om."io 
Per  l'iottams  che  me  Tien  btU  per  parte  di  Vittoria  Piiisima  comica,  la  quale 
i&at  ^k  aver  avuto  una  leatenza  a  favor  suo  sopra  nn  sao  credito  di  denari  prestati,  ho 
volato  prq^r  V.  A.  che  aia  lervita  d'ordinare  i  consiglieri  di  cotesta  Citti  li  qnali  tono 
gindici  di  qnesta  canta  che  venghino  all'eMcnzioQe  della  sentenza,  tfsatt  che  sia  saliilatt», 
e  non  sìa  più  straziata  dalla  parte  avversa.  La  domanda  mi  par  tanto  ginstt,  magpor- 
nente  essendovi  istnmento  in  forma  camerale,  che  mi  strìnge  a  sapplicare  V.  A.  con  la 
presente  con  molta  caldezza.  E  con  qneito  tine  nella  soa  bnona  grazia  mi  raccomando  e 
le  iMdo  la  mano. 


Il  Cakd."  Aliss.ho 

(R.  Arch.  di  Stato  in  Firenze;  Carteggio  Cardinali;  f.' 
3775).  -  Una  compagnia  della  Vittoria  torna  in  campo  solo 
nel  1593  (D'Ancona,  p.  330). 

Grandissima  artista  dovett' essere  in  vero  questa  Vitto- 
ria, se  si  disputò  il  primato  con  la  famosa  Andreini.  Né  sol- 
tanto si  mostrò  valorosa  nelle  parti  serie,  ma  anche  in  quelle 
di  serva,  ch'ella  sostenne  sotto  il  nome  di  Fioretta,  e  nella 
danza,  esercitate  con  rara  maestria,  a  testimonianza  del  conte 
Gio.  Batista  Mamiano,  che  le  dedicò,  ancor  giovine,  i  due  se- 
guenti madrig2ili,  pubblicati  poi  tra  le  sue  rime  a  Venezia 
il  1620. 

Per  la  Signora  Vittoria  Comica 

Con  soavi  catene 

di  grazie  e  di  bellezza, 

di  crudele  pietà,  di  molle  asprezza, 

l'alma  m'avvince,  ed  incatena  il  core 

questa  maga  d' amore, 

de'  Socchi,  de'  Coturni  e  delle  Scene 

Vivo  splendore  e  gloria. 

Vincitrice  dei  cor  dolce  Vittoria. 


PIJSSIMI  291 


Né  già  mi  dolgo  e  pento 

di  servitù  si  cara  e  si  gradita, 

dove  stimo  piacer  perder  la  vita. 

Ma  sol  temo  e  pavento, 

che  si  nasconda  poi 

sotto  il  ricco  tesor  di  tal  beltate 

fìnto  amor,  finto  cor,  finta  pietate. 

Per  r  istessa,  nelle  Scene  detta  Fioretta 

Col  nome  di  Fioretta 
lusingando  m'alletta 
questo  tiranno  amore; 
ma  quando  ardito  il  core 
s'accosta  al  vago  viso, 
incautamente,  ohimè,  rimane  ucciso. 

Così  mano  bramosa 

di  vermigliuzza  rosa, 

se  troppo  s'avvicina 

la  punge  acuta  spina, 

e  prova  in  un  momento 

con  dilettoso  mal  gioja  e  tormento. 

O  spietata  pietate, 

o  cara  feritate, 

dal  vostro  dolce  amaro 

con  mio  diletto  imparo 

come  amante  gioisce 

quando  in  mezzo  ai  martir  manca  e  languisce. 

che  poi  dirò  se  in  scena 

amorosa  sirena 

co'  lusinghieri  detti 

l'alme  trafiggi  e  i  petti, 

e  lascivetta  ancella 

avanzi  tutte  l'altre  in  esser  bella? 

Se  danzatrice  altera 

con  leggiadra  maniera 

in  variati  giri 

il  piede  muovi  e  giri, 

ed  ora  radi  il  suolo, 

e  t' ergi  poi  con  cento  salti  a  volo  ? 


292  BUSSIMI  -  PILASTRI 

Ardita  musa,  taci, 

frena  i  pensieri  audaci: 

chi  si  distilla  in  pianti 

ragion  non  è  che  canti: 

e'I  suon  d'umana  lira 

lodar  beltà  celeste  indarno  aspira 

Accolse  questi  accenti 
la  fama,  e  per  sua  gloria 
intorno  fece  risuonar  Vittoria. 

Pilastri  Francesco,  fiorito  nella  seconda  metà  del  sec.  xvi, 
sostenne  con  gran  plauso  le  parti  ^ hinamorato  sotto  il  nome 
di  Leandro.  Lo  vediamo  il  1593  nella  Compagnia  degli  Uniti, 
al  fianco  della  Piissimi,  la  celebre  Vittoria,  e  di  Pellesini,  il 
non  men  celebre  Pedrolino,  quando  chiesero  e  ottennero  li- 
cenza di  recitare  a  Genova  le  loro  honeste  Comedie  (V.  Ba- 
lestri). 

Il  D'Ancona  ci  fa  sapere  che  cai  4  luglio  del  1593  si  rim- 
borsavano a  Leandro  commediante  le  spese  occorsegli  per 
mandare  ad  avvisare  i  Commedianti  di  5.  -^.  di  tornarsene,  di 
Ferrara  e  Reggio,  ove  si  trovavano,  a  Mantova.  >  Dall' amba- 
sciator  ducale  a  Milano,  Ludovico  Felletti,  si  sa,  come  per 
conto  della  Comunità  di  Milano,  e  per  onorare  le  Nozze  del 
Conte  di  Haro,  si  desse  una  Comedia  dagli  Uniti  il  1 3  ottobre 
del  1594,  e  si  sa  dal  Pagani  come  si  costruisse  in  tale  occa- 
sione un  teatro,  la  cui  direzione  scenica  fu  affidata  all'attore 
Leandro.  Il  Salveraglio  pubblicò  per  le  nozze  Pupilli-Kruch 
(Milano,  Bortolotti,  1890)  la  descrizione  contemporanea  dello 
spettacolo;  in  cui,  oltre  alla  nota  particolareggiata  e  interes- 
santissima delle  spese  per  V  allestimento  scenico  e  il  vestiario 
degli  attori,  è  anche  l'elenco  di  essi  e  de'  personaggi  che  figu- 
ravano n^ Intermedio  del  precipìzio  di  Fetonte.  Leandro  soste- 
neva le  parti  di  Tempo  nel  Primo  Intermezzo,  di  Po  e  di  Giove 
nel  Secondo,  di  Giove  nel  Terzo. 

Alle  qualità  artistiche  del  Pilastri  che  lo  fecer  uno  de'  più 
pregiati  comici  del  suo  tempo  andò  congiunta  una  memoria 


PILASTRI  -  PILLA 


prodigiosa:  e  Domenico  Brunì  nell'introduzione  alle  sue  Fa- 
tiche  Comiche  dice  dì  luì  : 

Vi  è  stato  un  Leandro  Pilastri,  e  dotto  e  graxioao,  che  della  profonditi  della  sna 
rcemoria  ha  latto  itnpire  ogn'ano,  poichi  in  molti  Inoghi,  ma  particolarmente  in  Milano 
ha  di  tolte  le  famiglie  ìllastrì,  in  nna  occasione  narrato  l'armi,  deicrilto  i  colori,  detto 
ì  nomi  e  la  origine  col  nominare  quanti  Castelli  sono  sotto  quel  Dominio,  e  le  cose  nota- 
tHH  che  in  quelle  parti  nascono  ;  ha  fatto  raccolta  di  sei  e  settecento  nomi,  e  con  epiloghi 
diSerenti  di  quelli  mostrato  la  licorezza  della  r 


Pilla  Cesare.  Meglio  non  saprei  fare  che  trascriver  fedel- 
mente le  notizie  dì  lui,  comunicatemi  dall'egregio  quanto  mo- 
desto scrittore  di  cose  no- 
stre teatrali,  Antonio  Fiac- 
chi, Xzxi'ùzoPiccolet  del  noto 
giornale  Piccolo  Faust: 

Pilla  Cbsake  nacque  a  Bolo- 
gna nel  1807.  Prima  di  dire  di  lai  come 
artista,  merita  la  pena  di  accennare  alla 
(uniglia  dalla  quale  osci,  assai  nota  per 
una  specie  di  eccentridti  rivelantesi  in 


per  la  generositi  dell'animo,  assai  am- 
mirata per  il  patriottismo  1  assai  temuta 
per  il  cor^gio  e  l'eccezionale  gagliirdia 
dei  muscoli. 

Il  padre,  integerrimo  magistrato, 
allevò  quattro   figli,  forti   di  tempra  e 

Appena  adolescenti,  prendevano  per  passatempo  il  passeggiare  sul  ciirnìcione  della 
loro  casa,  portando  sulle  spalle  enormi  pesi,  a  rischio  di  cascare  nella  strada,  sfidandosi 
a  vicenda  suU'entilJi  del  peso  da  sollevare  o  ini  maggior  tragitto  da  percorrere  tanto  più 
preferito  quanto  più  irto  di  pericoli,  specie  allorché  lasciando  il  passeggio  usuale  salivano 
addiritlnra  sol  letto paterno  e  in  quelli  delle  case  vicine. 

n  padre  soleva  dite  che  quando  aveva  attorno  i  suoi  figli  si  sentiva  in  meno  ad 
scelli,  un  esercito. 

Essendosi  incendialo  presso  la  loro  casa  on  fondaco  di  legname,  tre  dei  quattro 
fratelli,  ancora  ragazzi,  accorsero  fra  i  primi;  e  cacciandoti  in  mezzo  alle  Gamme,  riusci- 
rono a  trasportare  parecchie  travi  non  ancora  divampanti  portandosele  come  fossero  fu- 
sicchè  togliendogli  esca,  il  fnoco  poti  essere  più  facilmente  domato. 

Il  padrone  del  fondaco,  grato  a  codesti  piccoli  eroi,  volle  regalarli  dì  $0  scudi,  ma 
il  padre  inibì  loro  d'  accettare  ed  essi  non  opposero  verbo,  ossequenti  alla  patria  potesti. 

Cesare  intanto  li  senti  trascinato  per  l'arte  drammatica,  nella  quale  entrò  giovanissimo. 

Nel  4S  [o  troviamo  con  non  si  sa  quale  compagnia  in  Grecia.  Scoppiata  da  noi 
la  rivoluzione  egli   pianta  lutto,  compresi  i  cassoni,  e   corre  a  Bologna  a   prender  parte 


294  PILLA 

alla  famosa  giornata  dell!  8  agosto  alla  Montagnola,  rimanendo  non  lievemente  ferito  al- 
l'ingoine. Al  suo  fianco  combattevano  anche  i  fratelli  Antonio  e  Carlo;  il  primo,  com- 
volto  nei  moti  del  3 1  aveva  dovuto  emigrare  a  Parigi  dove  si  guadagnò  un  nome  quale 
maestro  di  scherma.  Tornato  in  patria,  prese  parte  a  tutte  le  campagne  nell'  esercito  re- 
golare e  morì  nel  1891  col  grado  di  colonnello,  a  90  anni. 

Pagato  il  suo  tributo  alla  causa  della  libertà,  il  Pilla  tornò  all'  arte  e  fu  con  Sal- 
vini, colla  Carolina  Intemarì,  colla  Ristori,  per  dire  dei  principali  con  cui  militò. 

Onde  seguire  l'irresistibile  inclinazione  per  il  teatro,  non  si  curò  di  conseguire, 
come  gli  altri  fratelli,  un  grado  accademico,  ma  seppe  però  corredarsi  di  buona  coltura, 
cosi  che  se  la  sua  recitazione  fu  enfatica,  colla  cadenza  dovuta  al  sistema  di  battere  il  so- 
stantivo,  come  sì  dice  in  gergo  comico,  seppe  però  farsi  apprezzare  ed  ascoltare  con  atten- 
zione dal  pubblico  per  la  intelligente  chiarezza  con  cui  rese  sempre  il  giusto  significato 
di  quanto  esponeva. 

Dotato  d' una  memoria  fenomenale  e  prediligendo  la  tragedia,  d' altronde  allora  in 
voga,  sapeva  intero  V  Oreste,  pur  sostenendovi  la  sola  parte  d'Egisto,  e  cosi  V Aristodemo 
ed  il  Saul. 

In  una  escursione  all'  estero  ed  anche  in  Italia  (tra  il  50  ed  il  59)  diede  accademie 
di  declamazione  distribuendo  agli  intervenuti  un  elenco  di  titoli  di  un  migliaio  di  poesie  : 
da  alcuni  canti  della  Divina  Commedia  al  Deìenda  Cartago ;  da  dei  brani  dell'Ariosto 
alla  Secchia  rapita;  da  un  brano  della  Gerusalemme  liberata,  a  certi  sonetti  metà  in  ita- 
liano, metà  in  dialetto,  che  diceva  con  una  comicità  ed  una  naturalezza  incantevoli,  non 
trascurando  poesie  patriottiche  assai  compromettenti  in  quell'epoca;  e  dal  59  al  66  fu 
sempre  fra  i  primi  a  declamare  in  pubblico  le  cose  del  Dall'  Ongaro,  del  Mercanttni,  del 
Prati,  ecc.,  ottenendo  ovunque  successi  invidiabili  per  il  vivo  sentimento  patriottico  che 
in  esse  sapeva  trasfondere  mercè  i  palpiti  veri  che  gli  venivano  dal  cuore. 

Di  animo  generoso,  quanto  aveva  era  degli  altri,  e  se  nel  momento  del  bisogno  gli 
si  ricordavano  crediti  che  aveva  per  prestiti  fatti,  andava  su  tutte  le  furie,  esclamando  : 
e  Debbo  angariare  chi  non  può  dare  ?  Se  non  danno  è  segno  che  non  hanno  ;  »  e  di  queste 
candide  teorie,  molti  seppero  far  tesoro. 

Con  gli  averi,  anche  la  sua  forza  ed  il  suo  coraggio  mise  al  servizio  degli  infelici 
e  dei  deboli,  sicché  di  molti  e  non  dimenticati  pugni  seminò  la  via  percorsa,  sempre  però 
per  giustificati  motivi  e  non  per  brutale  prepotenza  o  per  vana  spavalderia.  Per  tale  sua 
qualità  fu  detto  il  più  forte  catzottatore  dell'arte.  • 

Se  il  solito  spazio  tiranno  non  mi  impedisse  di  volgere  al  fine,  molti  ed  interes- 
santi aneddoti  potrei  narrare  ;  mi  limiterò  al  seguente,  che  fa  comico  contrasto  a'  molti  atti 
veramente  eroici,  ai  quali  si  lasciò  non  di  rado: 

Si  provava  un  dramma  in  cui  il  Pilla  doveva  lottare  con  uno  degli  interlocutori 
e  soccombere. 

Tenutosi  per  un  po',  si  capisce  con  quale  sforzo,  nell'attitudine  del  vinto,  ad  un 
tratto  si  slancia  sul  vincitore,  lo  afferra,  lo  rovescia  al  suolo  gridando  nel  natio  idioma  : 
An'srà  mai  dètt  che  Pilla  stoga  dsòtta/i^) 

Afflitto  da  un  male  terribile,  conseguenza  forse  della  riportata  ferita,  morì  nella 
sua  Bologna,  il  febbraio  del  1885. 

£d  il  tempo  ed  il  malanno  rìuscirono  ad  infrangere  questa  fibra  d'acciaio,  come 
Luigi,  il  più  giovine  di  quei  quattro  fratelli,  riusciva  a  spezzare  con  due  dita  una  moneta 
da  cinque  lire. 


(1)  Non  sarà  mai  detto  che  Pilla  abbia  la  peggio  ! 


PILLA  -  PILOTTI  ags 

Fu  anche  scritturato  il  '58  nella  Compagnia  Reale  Sarda 
per  fare  tutte  quelle  parti  à\  generico,  di  eia  avanzata,  come  parti 
di  padre,  tiranni  generici  in  parrucca  e  senza,  sia  in  tragedia  che 
in  commedia,  ed  altre  simili  che  daJC Impresa  0  dal  Direttore  gli 

verranno  affidate 

attenendosi  alla  direzione  del  signor  Gustavo  Modena,  o  di  chi 
sarà  destinato:  ed  ebbe  di  stipendio  2400  lire. 

Pillotti  Emma.  Nata  il  7  febbraio  1876  a  Pistoia  da  Mi- 
chelangiolo  e  da  Elena  Bargiacchi,  entrò  alla  R.  Scuola  fioren- 
tina di  recitazione  diretta  da 
Luigfi  Rasi,  il  dicembre  '9 1 ,  ove 
stette  due  anni,  promessa  certa 
<ii  un  avvenire  artistico  de'piìl 
lieti.  Per  l'indole  sua  e  per  la 
sua  figura  non  molto  slanciata, 
poco  le  si  attagliavan  parti  di 
sentimento;  ma  in  quelle  comi- 
che profondeva  una  sì  misurata 
e  signorile  e  spontanea  gaiezza, 
con  una  dizione  delle  più  nitide 
da  farcì  sperare  che  in  un  tempo 
non  lontano  avrebber  rivissuto  su  la  nostra  scena  di  prosa  le 
glorie  della  Romagnoli,  della  Lipparini,  della  Cutini.  Fu  con 
Maggi,  con  la  Iggius  e  con  altri,  amorosa  e  prima  attrice  gio- 
vine. Fermatasi  a  Palermo  per  malattia,  il  1896,  vi  recitò  am- 
miratissiraa  fra  i  dilettanti,...  nell'attesa  di  raggiunger  la  Com- 
pagnia;... ma  colpita  dal  morbillo,  ella  si  spense  in  capo  a  soli 
due  o  tre  giorni 

come  in  su  '1  prato, 

poiché  l'aratro  in  suo  passar  l'ha  tocco, 

spegnesi  il  fiore. 

Pilotti.  Carlo  Gozzi  nel  suo  ragionamento  ingenuo,  lo  cita 
«assieme  a  Garelli,  Cattoli,  Campioni  e  Lombardi,  come  egre- 


296  PILOTTI  -  PILOTTO 


gio  predecessore  nella  Comedia  improvisa  di  Darbes,  CoUalto, 
Zannoni,  Fiorilli,  Sacchi,  ecc.  >  Ma  di  lui  non  ho  trovato  no- 
tizie. 

Pilotto  Libero.  Nato  a  Feltre  il  27  marzo  del  1854  da  Gio- 
vanni e  Rosa  Milliacci,  non  comici,  dopo  di  aver  recitato  fra  i 
dilettanti,  con  buona  riuscita,  fu  mandato  alla  scuola  di  decla- 
mazione di  Firenze,  d'onde  uscì  dopo  due  anni,  per  entrar  poi 
ne\Var/e,  per  modo  di  dire,  in  una  modesta  compagnia,  con- 
dotta, se  ben  ricordo,  da  un  cotal  Silvano. 

Dopo  molte  peregrinazioni  artistiche,  in  cui,  talvolta,  sod- 
disfare alla  fame  era  problema  di  assai  difficile  soluzione,  riuscì 
attore  egregio  per  le  parti  generiche,  e  fu  nelle  migliori  nostre 
compagnie,  amato  dai  compagni  per  la  innata  bontà,  e  ammi- 
rato dal  pubblico  per  la  sobrietà  e  verità  di  recitazione,  e  per 
quella  specie  di  bonomia  eh'  ei  sapeva  trasfondere  ne'  perso- 
naggi. Fu  anche  direttore  della  Compagnia  Nazionale,  e  socio 
di  Ermete  Zacconi,  ma  il  suo  nome  più  che  all'arte  del  reci- 
tare egli  legò  all'  opere  sue  drammatiche,  nelle  quali  è  sempre 
un  sapore  italianissimo  di  sana  commedia,  e  delle  quali  alcuna 
vive  tuttora  ne'  repertorj  delle  compagnie  sì  dialettali  che  ita- 
liane, come  VAmoreto  de  Goldoni  a  Feltre,  il  Tiranno  di  San  Giu- 
sto, V  Onorevole  Campodarsego,  Dall'  ombra  al  Sole. 

Ecco  l'elenco  delle  produzioni  da  lui  scritte,  che  traggo 
da  una  nota  biografica  di  L.  Zasio,  inserita  in  un  volume  dedi- 
cato alla  memoria  del  compianto  artista  dal  fratello  Vittorio,  e 
edito  il  1901  a  Feltre  {Castaldi)  nel  primo  anniversario  della 
morte. 

Il  Seminario  -  L'amerete  de  Goldoni  a  Feltre  -  Dall'ombra  al 
Sole  -  Il  Tiranno  di  San  Giusto  -  Col  ferro  in  pugno  -  La  bugia  del 
secolo  -  Macchie  di  sole  -  Padre  e  figli  -  Scuola  professional  -  Il  Re 
di  Molinella  -  Cesarina  -  L'onorevole  Campodarsego  -  I  Pellegrini  de 
Marostega  -  Maestro  Zaccaria  -  El  suicidio  de  sior  Prosdocimo  -  La 
bicicletta  -  I  figli  d' Ercole  -  Tenente  dei  Lancieri  -  La  bella  vita  -  Il 
banchetto  di  Montebelluna  -  La  famegia  d'un  canonico  -  Storia  de  geri 
-  Alcuni  bozzetti  e  vari  scherzi  comici. 


Fra  questi  cito  una  parodia  del  Cantico  de  Cantici  di  Ca- 
vallotti recitata  l'autunno  deH"8i,  al  Teatro  Manzoni  di  Mi- 
lano, dalla  Compagnia  Pietriboni, 
appunto  dopo  il  Cantico. 

Ammalato  di  diabete,  morì 
a  Feltre  ìl  6  maggio  del  rgoo, 
lasciando  nel  lutto  la  famiglia 
comica,  e  nella  desolazione  una 
moglie  affettuosa  (Antonietta 
Moro,' figlia  dell'arte,  egregia  se- 
conda donna),  e  quattro  figliuoli. 

Per  lui,  attore,  autore,  uo- 
mo, ebbero  tutti  parole  di  lode 
sincera. 

Edmondo  De  Amìcis  così  degnamente  preludeva  alle  me- 
morie raccolte  nel  volume  citato. 

BaitaTA  gaard>rlo  in  viso  per  dire:  -  è  an  silantnomo:  -  sdirlo  DomiuBre  i  inoi 
figliuoli  per  dire:  -  è  hd  ottimo  padre  :  -  vederlo  comparire  inlU  iceiui  per  dire;  -  t  on 
intigne  srtiitm.  - 

Mm,  qaalnnqae  parte  egli  facesM,  noooitante  l' arte  fìnUiima,  non  poteva  ditrima- 
Ure  aSttto  la  boati  affeitnota  e  la  gentilezza  «qnìtita  dell'animo  ano.  Lo  ammirai  prima 
come  autore  che  come  attore:  dopo  averlo  intcfo  recitare,  lo  cercai;  non  appena  lo  co- 
nobbi, gli  volli  bene.  Ogni  volta  che  venne  a  caia  mia  vi  portò  il  sonilo  e  vi  lasciò  la 
tereniti.  Non  Io  conoscevamo  che  da  pochi  mesi  e  ci  pareva  un  vecchio  amico.  In  fami- 
glia ci  annunciavamo  a  vicenda  l'arrivo  della  bob  compagnia,  dicendo:  -  Viene  Pilotto;  - 
il  che  significava  ;  -  avremo  il  grande  piacere  di  riveder  qnel  vi<o  buono,  di  rindire  quella 
cara  voce,  e  di  applaudirlo,  e  di  sentirlo  applaudire.  -  Non  lo  rivedremo  più,  non  po- 
tremo più  applandire  che  le  ine  commedie.  Ci  i  tolto  anche  il  conlbrto  di  quest'  amico 
al  grande  dolore  che  ci  ha  colpiti.  Ma  io  porterò  vivo  nel  caore  la  sua  memoria  fin  che 
avrò  lentimento  dell'amicizia  e  dell'arte.  Coraggio,  bnoni  liuiciuUil  Vi  porterà  rortuna  ìl 
nome  onorato  e  caro,  vanta  dell'arte  italiana  e  simpatia  d'ogni  cuore  gentile. 

E  degnamente  ancora  scrisse  del  comico,  amante  dell'arte 
e  della  famiglia  comica,  Edoardo  Boutet,  il  maggio  del  1 900, 
pochi  d!  dopo  la  morte  di  lui. 

Qaesta  morte  si  rende  anche  più  pungente  di  commozione  per  [a  famìglia  dell'arte, 
poiché  Libero  Pilotto  apparteneva  alla  breve  e  egregia  ichìera  di  quelli  attori  che  alla  for- 
tuna e  alla  dignità  della  comica  cosa  pigliano  particolare  interesse;  egli,  con  la  fede  e  l'en- 
tuaiaimo  degU  ottimi.  Infatti  tutto  quanto  il  miglioramento  della  classe  interessava  non 
lo  trovava  indifferente;  e  diicnteva,  scrìveva,  sempre  con  quel  cuor  di  galantuomo  snlle 
labbra,  e  con  una  visione  alla  e  nobile  per  U  bene  e  per  la  gloria  del  palcoscenico. 

3Ì.  —  I  Corniti  ÙaliauL  Voi.  IL 


298  PINOTTI  -  PIOVANI 

Pinotti  Francesco.  Nato  il  1736  a  Mantova,  è  citato  dal 
Bartoli  come  attore  diligente,  che  all'arte  del  dire  sapeva  unir 
quella  del  canto.  Recitava  le  parti  d^ Innamorato,  e  trovavasi 
il  1 781  a  Napoli  nella  Compagnia  de' Lombardi,  diretta  da  Tom- 
maso Grandi,  detto  il  Pettinaro. 

Era  r'87  al  Valle  di  Roma  con  Petronio  Zanerini,  e  creò 
il  16  gennajo  la  parte  di  Eumeo  n^ Aristodemo,  e  il  carnovale 
dell' '88  quella  di  Zambrino  nel  Galeotto  Manfredi  di  Vincenzo 
Monti  (V.  Zanerini  Petronio). 

Augusto  di  Kotzebue  nelle  sue  Osservazioni  intorno  a  un 
viaggio  da  Liefland  a  Roma  e  Napoli  (Colonia,  Peter  Hammer, 
1805),  dic^  d^l  Pinotti,  a  pagina  63  della  seconda  parte  (Tea- 
tro a  Napoli): 

La  drammatica  compagnia  dei  Fiorentini  non  è,  a  dir  yero,  eccellente,  ma  buona. 

Il  vscchio  Pinotti  si  distingue  particolarmente  nelle  parti  comiche  e  ingenue,  e 
potrebbe  misurarsi  coi  migliori  de'  nostri  artisti  tedeschi  (Iffland  e  Wiedmann  eccettuati)  : 
egli  è  anche  il  beniamino  del  pubblico,  al  quale  sfugge  un  mormorio  di  contentezza,  ogni 
qualvolta  egli  appar  su  la  scena. 

E  a  pagina  96  : 

Il  vecchio  Pinotti  ha  in  tutte  le  parti  che  gli  ho  visto  recitare,  e  non  son  poche, 
pienamente  confermato  il  mio  primo  giudicio.  È  un  eccellente  artista  che  io  vorrei  com- 
parar talvolta  ad  Iffland  e  talvolta  anche  ad  Eckhof. 

Fu  il  predecessore,  ai  Fiorentini,  del  celebre  Pertica,  il 
quale  ebbe  molto  a  lottare  col  pubblico  per  cancellar  la  grande 
impressione  lasciatagli  dal  Pinotti. 

Anche  sua  moglie  fu  attrice  valentissima  per  le  parti  ca- 
ratteristiche, che  sostenne  al  fianco  del  marito,  a  cui  talvolta 
riuscì  superiore.  Nacquer  dalla  loro  unione  tre  figliuole,  edu- 
cate all'  arte  del  canto,  due  delle  quali  riuscirono  egregie,  e 
una,  la  terza,  perde  la  voce  e  divenne  poi  moglie  del  rinomato 
La  Blache*  Francesco  Pinotti  morì  nel  1820. 

Piovani  Antonio.  Recitò  da  Pantalone  in  varie  compagnie 
di  giro  colla  moglie  Margherita,  Prima  donna  di  qualche  me- 
rito. Abbandonata  l' arte,  aprirono  a  Ferrara  bottega  di  caflfè 
all'  insegna  di  Caffè  di  Pantalone. 


PISENTI  -  PIVA  299 


Pisenti  Antonio,  soprannominato  Margouclno  (?),  figlio  di 
Giovanni,  artista  drammatico,  fu  così  grande  promessa  artistica 
nella  sua  infanzia,  che  lo  stesso  De  Marini  si  vuole  ne  avesse 
invidia.  Ahimè!  Il  pochissimo  sviluppo  della  persona  e  della 
voce,  non  solo  non  gli  concesse  di  toccar  la  mèta  sognata,  ma 
lo  condannò  alle  parti  di  servo.  Tuttavia,  alla  deficienza  fisica 
sopperì  largamente  con  la  intelligenza,  mercè  la  quale,  toltosi 
dal  recitare,  diventò  uno  de'  più  abili  capocomici  e  direttori. 
Formò  una  società  con  l'artista  Solmi,  che  durò  con  raro  ac- 
cordo ventidue  anni,  e  in  cui  acquistaron  fama  Luigi  Gattinelli, 
Amalia  Pieri,  Albina  Pasqualini,  Vincenzo  Gandolfi  e  Cesare 
Dondini. 

Era  il  1828  al  Giglio  di  Lucca,  col  ^dAx^  primo  amoroso,  e 
il  '35  a  Milano  col  padre,  passato  al  ruolo  di  secondo  caratterista 
sotto  il  Gandolfi.  Antonio  Pisenti  morì  nel  1840. 

Piva  Antonio  Maria,  padovano.  Dopo  di  aver  recitato 
cogli  Accademici  Uniti  della  città,  si  diede  all'  arte,  sostenen- 
dovi il  ruolo  6! Innamorato,  e  mettendo  poi  la  maschera  di  Pan- 
talone, nella  quale  riuscì  artista  egregio.  Fu  lungo  tempo  al 
servizio  dell' Elettor  di  Sassonia,  e,  tornato  in  Lombardia,  en- 
trò al  San  Luca  di  Venezia.  Passò  poi  con  Onofrio  Paganini,  e 
recitava  il  1748  al  Teatro  degli  Obizzi  in  Padova,  ove  s'acqui- 
stò molta  lode,  specialmente  per  una  sua  commedia  intitolata 
n  Par  ornino,  in  cui  produsse  una  difesa  dell'  arte  comica  det- 
tatagli dal  Paganini,  che  terminava  col  seguente 

SONETTO 

Aver  in  finto  oprar  pompe  d'onore, 
mostrar  ne'  scherzi  sollevati  ingegni, 
mover  tutti  gli  affetti  in  un  sol  core, 
passar  dal  genio  a  provocar  gli  sdegni: 

Eccitar  in  un  punto  odio  ed  amore, 
di  politica  idea  mostrar  gl'impegni, 
esser  scuola  di  speme,  e  di  timore, 
aprir  ad  ogni  mente  alti  disegni: 


300  PIVA  -  PIZZAMIGLIO 

Sollevar  con  virtù  gli  spini  oppressi, 
rinovar  con  piacer  le  altrui  memorie, 
i  fasti  rammentar  de' Numi  istessi: 

I  giorni  degli  Eroi  colle  vittorie 
in  un  fascio  di  scene  avere  annessi 
della  comica  azion  tutte  son  glorie. 

Da  quella  di  Francesco  Berti,  passò,  dopo  la  morte  di  lui 
nella  Compagnia  del  cognato  Pietro  Rossi.  Morì  a  Padova  la 
quaresima  del  1764,  dopo  di  avervi  recitato  l'antecedente  car- 
nevale. Fu  -  dice  il  Bartoli  -  attore  nella  sua  maschera  molto 
esperto;  e  accenna  a  un  amore  per  una  donna  di  elevata  condi- 
zione che  gli  fé' dar  di  volta  al  cervello,  non  tanto  però  da  vie- 
targli di  fare  al  cospetto  del  pubblico  il  più  scrupoloso  dei 
doveri. 

Pizzamiglio  Costanzo,  cremonese.  Entrò  nella  Compa- 
gnia di  Domenico  Bassi  più  come  cantante,  che  come  comico; 
e  vi  piacque  moltissimo  per  la  bella  voce  di  baritono  che  pos- 
sedeva, specialmente  poi  nel  personaggio  di  Simon  che  so- 
stenne con  gran  plauso  al  San  Cassiano  di  Venezia.  Passò 
il  1770  con  la  moglie  e  il  suocero  Gritti  nella  Compagnia  di 
Pietro  Rossi,  in  cui  cominciò  a  recitar  parti  in  commedia  e  in 
tragedia.  Lasciato  il  Rossi,  fu  scritturato  pel  1775  con  la  fa- 
miglia a  Barcellona,  d'onde  tornò  in  Italia  dopo  un  anno,  pren- 
dendo egli  le  redini  della  Compagnia,  per  la  morte  del  suocero 
avvenuta  in  Nizza  di  Provenza,  la  primavera  del  '71.  Si  diede 
a  sostener  la  maschera  del  Brighella,  e  dice  il  Bartoli  (1781), 
che  egli  era  comico  sufficiente,  e  musico  di  molta  abilità,  e  che, 
data  la  sua  ancor  fresca  virilità,  poteva  sperare  de'  migliori  prò- 
gressi  alla  sua  mediocre  fortuna. 

Pizzamiglio  Giulia.  Moglie  del  precedente  e  figlia  di  Luigi 
Gritti,  fu  istruita  da  una  zia  paterna  nell'  arte  del  canto,  in  cui 
riuscì  tanto  da  poter  prender  parte  con  successo  n^^ Inter- 
mezzi lirici,  che  soleansi  fare  nella  Compagnia  di  suo  padre  che 


PIZZAMIGLIO  301 


ella  non  abbandonò  mai.  Recitò  alcun  tempo  da  amorosa,  ap- 
plauditissima,  specie  nelle  parti  d'affetto,  poi  fu  assunta  al 
grado  di  prima  donna  assoluta.  Riferisco  da  Fr.  Bartoli  il  se- 
guente : 

^Applauso  meritato  dalla  signora  Giulia  Gritti'Pi:(;(amigliOy  e  dal  si- 
gnor Costan:(o  Pi:(;(amiglio  nella  Comica  T(appresenta:(ioney  intitolata  :  La 
VILLEGGIATURA  DI  Mestre,  nel  Teatro  di  San  Cassiano  il  carnovale  del- 
l' anno  1770. 

SONETTO  IN  LINGUA  VENEZIANA 

Zitto,  no  fé  rumor,  stè  ben  attenti, 

Mentre  canta  Costanzo,  e  Giulia  Gritti; 

Oh  che  trilli  !  oh  che  osette  !  oh  che  portenti  ! 

Per  carità  godeveli  e  stè  zitti. 

Se  xe  belli,  e  gustosi  i  sentimenti 

che  xè  sul  libro,  e  in  egual  note  scritti, 
per  tali  i  comparisce  a  chi  è  presenti 
dalla  grazia  e  dal  brio  de  chi  i  vien  'ditti. 

Gode  tutti  in  sentirli,  e  sulle  sponde 
dell'adriatico  Mar  zira  la  fama 
che  gnente  tien  segreto,  e  gnente  sconde. 

E  come  ha  sempre  de  lodar  gran  brama, 
sentila  pur  che  con  parole  tonde 
Bravi  Costanzo  e  Giulia  ancuo  la  chiama. 

Se  la  mia  Musa  grama 
dopo  feni  i  bagordi  in  sta  Città 
seguitar  li  podesse  in  dove  i  va, 

Gran  versi  in  quantità 
farghe  vorave  a  questi  do  soggetti 
o  canzon,  o  capitoli,  o  sonetti. 

Ma  spero  che  più  eletti 
e  chiari  inchiostri  de  ste  zogie  scriva 
dell'  Eridano  fiume  in  su  la  riva.  <*> 


(U  Ali  adesi  al  passaggio,  che  (ar  dovevano  la  seguente  primavera  in  Torino,  tra- 
sferendosi dalla  Compagnia  di  Domenico  Bassi  in  quella  di  Pietro  Rossi. 


30J  PIZZAMIGLIO  -  POLVARO 

Figlia  esemplare,  fu  anche  la  Pìzzamiglio  il  modello  delle 
spose;  e  forse  la  riserbatezza  e  onestà  de' costumi  le  acquistò 
la  taccia  di  Pinzocchera. 

Plazzani  Nicola,  romano.  È  l'attore  che  partì  da  Roma 
per  Venezia  il  1738  con  Girolamo  Medebach,  e  recitò  per  al- 
cun tempo  applauditissimo  nella  maschera  di  PukineUa. 

Poli  Giuseppe,  nato  il  1836  a  Firenze,  entrò  ì!  '58,  dopo 
varie  prove  coi  filodrammatici,  nella  Compagnia  Mazzoli  Milani 
come  secondo  brU/emie  e  amoroso.  Fu 
poi  primo  attor  giovine  e  brillante  con 
Muzzi,  poi  con  Vitaliani  e  Aliprandi 
primo  brillante  assoluto,  nel  qual 
ruolo  si  mantenne  lungamente,  pas- 
sando in  vario  tempo  nelle  Compa- 
gnie di  Coltellini  e  Vernier,  di  Ster- 
ni, Diligenti,  Pietriboni.  Tornato  in 
quella  Diligenti,  di  cui  era  parte 
Tommaso  Salvini,  vi  assunse  il  ruolo 
di  caratterista,  nel  quale  fu  con  Se- 
rafini e  Buzzi,  con  Angeloni  e  con 
Tina  di  Lorenzo  e  Paladini.  La  qua- 
resima del  1 89  2 ,  fu  nominato  Direttore  scenotecnico  dell'Accade- 
mia filodrommatica  italiana  al  Teatro  Nazionale  di  Genova,  in 
cui  trovasi  tuttavia. 

Il  Poli,  brillante,  ebbe  tutte  le  risorse  del  buono  spirito 
fiorentino.  Attore,  forse  di  non  grandi  finezze,  ebbe  tal  vena  dì 
spontaneità  e  dì  comicità  da  tener  degnamente  il  suo  posto,  ac- 
clamatissimo,  davanti  ai  pubblici  pììl  rigorosi,  compreso  quello 
del  Manzoni  di  Milano. 

Polvaro  Carlotta.  Nacque  a  Gorizia  da  genitori  non  comici, 
nel  1801.  Occorrendo  a  una  Compagnia  di  comici  di  passaggio 
a  Gorizia  una  ragazzina  per  non  so  piìt  qual  parte,  e  fattasi  già 


POLVARO 


notare  la  piccola  Polvaro  per  la  grande  svegliatezza  della  mente 
e  la  scioltezza  nel  recitare,  fu  in  essa  accolta,  e  in  breve  tempo 
tanto  progredì,  che  a  dodici  anni  vi  sostenne  parti  di  prima  at- 
trice. Entrò  il  1816  qual  prima  amorosa  nella  Compagnia  del 
rinomato  Pellegrino  Blanes,  e  il  'i  7  in  quella  dì  Domenico  Ri- 
ghetti, in  cui  sposò  il  pri- 
mo amoroso  Alessandro 
Angiolini  (V.),  dal  quale 
era  già  separata  per  in- 
compatibilità di  caratteri 
il  '22,  quand'ella  era  pri- 
ma attrice  della  Compa- 
gnia Rafstopulo.  Fece  il 
carnevale  '22-'23  al  Gol- 
doni di  Firenze,  e  il  Co- 
lomberti,  descrivendo  la 
Polvaro  nella  Giovanna 
t^Arco,  uno  dei  tanti  spet- 
tacoli della  Compagnia, 
dice:  «nel  vederla  vestita 
in  armatura,  quale  ci  vien 

rappresentata  quella  martire  nelle  sue  statue,  con  i  suoi  lunghi 
e  bellissimi  capelli  biondi  sparsi  sulle  spalle  ;  con  il  più  vezzoso 
volto  che  immaginar  si  possa,  con  quegli  occhi  grandi  e  cerulei, 
io  rimasi  sorpreso.  La  voce  pubblica  l'acclamava  la  più  bella 
attrice  della  sua  epoca,  e  per  certo  non  s'ingannava.»  Il  1826 
recitò  a  Padova  la  Francesca  da  Rimini.  Passò  il  '28  in  società 
con  Giacomo  e  Gustavo  Modena  fino  al  '31,  poi  col  solo  Gia- 
como, quando  Gustavo  partì  da  Bologna  coi  volontari  per  Ri- 
mini, fino  a  tutto  il  '32.  Fu  poi,  alcun  tempo,  capocomìca  in 
Sicilia.  II  '42  passò  col  ruolo  di  Madre  tragica  nella  Compagnia 
di  Luigi  Domeniconi,  e  morì  a  Brescia  il  185 1  d'apoplessia  fi-a 
le  braccia  del  secondo  marito.  Luigi  Pezzana,  compianta  da 
tutti  i  fratelli  d'arte.  Di  lei  scrisse  Paolo  Fola  nella  Galleria 
de' più  rinomati  attori  italiani  (Venezia,  Picottì,  1825): 


304  POLVARO  -  PONTI 


Le  belle  sue  forme  assistite  dalle  grazie  le  più  seducenti  cara  la  rendono  agli  occhi 
del  pubblico  al  primo  suo  apparir  sulla  scena.  Molte  potranno  correre  a  gara  con  lei  nella 
difficile  palestra  dell'arte,  ninna  potrà  però  superarla  nel  prezioso  dono  della  retentiva. 
Grande  nella  tragedia,  più  grande  si  mostra  nella  yariabilità  della  famigliare  Commedia. 
Applaudita  con  poesie,  con  articoli  di  gazzetta  e  per  la  Mirra  d'Alfieri,  e  per  la  Saffo 
di  Beltrame,  fu  laudata  moltissimo  in  varie  eulte  città  d'Italia  per  la  parte  di  Chiara 
di  Rosembergf  per  quella  di  Herfort  xktW AtrabiUare  di  Nota,  e  ntgV Innamorati  di  Goldoni. 

A  proposito  della  Sa/^o,  le  fu  indirizzato  il  seguente  so- 
netto di  anonimo,  inserito  nella  citata  Galleria: 

Tragico,  puro  spirto  in  te  sfavilla, 
qualora  sciogli  il  ben  vibrato  accento  : 
Tien,  chi  t'ascolta,  immota  la  pupilla, 
teco  divide  T  aspro  tuo  tormento. 

Di  pianto  scorre  la  perenne  stilla, 

se  mai  ti  cruccia  il  sen  crudo  lamento 

l'alma  d' ognun  ilarizzata  brilla, 

quando  prova  il  tuo  cor  gioja  e  contento. 

La  Cantrice  di  Grecia  ora  ti  vedo 
pinger  con  retta  veritade  tanto, 
che  d'essere  in  Leucadia  ormai  mi  credo; 

e  libero  disciolgo  mia  favella, 

gridando,  fra  il  terror,  la  gioja,  il  pianto: 
Non  la  Polvaro,  ma  la  Sa£fo  è  quella. 

Ponti  Diana,  <  Comica  desiosa  -  dice  il  Quadrio  -  detta  in 
commedia  Lavinia,  fiorì  con  Agata  Calderoni,  della  quale  fu 
molto  amica.  Fu  donna  assai  valorosa,  ed  ha  rime  avanti  il  Po- 
stumio,  commedia  di  I.  S.  »  Ma  che  c'entra  la  Ponti  con  la  Cal- 
deroni? La  Lavinia  della  Calderoni  non  era  l'Antonia  Isola  (V.)? 
E  il  Sand  riferisce  dal  Quadrio,  e  continua  Terrore,  afforzan- 
dolo. I  Desiosi  (V.  Fargnoccola)  erano  il  1581  a  Pisa,  r'88  a 
Roma  ove  fu  lor  concesso  di  far  comedie  di  giorno,  però  senza 
donne;  e  il  D'Ancona  giustamente  si  domanda  se  quel  senza 
donne  voglia  dire  senza  che  le  attrici  recitassero,  o  senza  pre- 
senza di  donne;  e  con  ragioni  che  mi  pajon  irrefragabili  trova 
più  accettabile  la  prima  spiegazione.  Erano  il  novembre  del  '93 
a  Mantova,  e  il  carnevale  molto  probabilmente  a  Ferrara,  in- 


PONTI  305 

sieme  a'  Gelosi,  come  si  ha  da  una  lettera  di  Alessandro  Botto 
al  segretario  ducale  Laderchi,  pubblicata  dal  Solerti  {pp^  cit.). 
L'aprile  del  '95  domandaron  di  recitare  a  Milano  (V.  Pagani 
T.  di  Mil.)  con  modestia  et  honestà  et  con  esempj  boni:  ed  erano  il 
dicembre  dello  stesso  anno  a  Cremona,  come  si  rileva  da  una 
lettera  dell'  arlecchino  Tristano  Martinelli  a  un  famigliare  del 
Duca  (D'Ancona,  op.  cit).  Li  vediamo  il  '96  a  Mantova  e  a  Bo- 
logna, secondo  una  lettera  del  Duca  alla  Duchessa  di  Ferrara, 
e  una  degli  stessi  Desiosi  a  Ottavio  Cavriani  tesoriere  del  Duca, 
pubblicate  pur  dal  D'Ancona.  Ma  talvolta  nei  documenti  che 
ci  danno  indicazioni  dell'  itinerario,  abbiam  soltanto  /  Desiosi, 
tal'  altra  soltanto  la  Diana.  Nel  primo  caso,  fu  sempre  con  essi 
la  Diana?  Nel  secondo  caso  furon  sempre  con  essa  i  Desiosi? 
L"82  noi  troviamo  che  i  Confidenti,  a  Bologna,  non  aspettavan 
che  la  Diana  e  Gratiano  per  recarsi  a  recitare  a  Mantova  per 
le  nozze  della  figliuola  di  Guglielmo,  Anna  Caterina,  con  Fer- 
dinando d'Austria.  E  come  mai  si  trovava  la  Ponti  a  Firenze? 
Forse  essa  aveva  abbandonato  un  anno  i  Desiosi  ed  era  entrata 
coi  Confidenti,  e  si  trovava  a  Firenze  in  riposo?  O  forse  Desiosi 
e  Confidenti  avean  comuni  gl'interessi,  e  la  Stella  passava  da 
una  compagnia  all'altra?  O  forse,  e  questo  è  il  più  probabile, 
ella,  sciolta  da  ogni  vincolo,  si  andava  scritturando  a  brevi  sca- 
denze or  con  questo  or  con  quello?  Secondo  un  documento 
del  Belgrano,  ad  esempio  {Caffaro,  29  dicembre  1882),  noi  la 
vediamo  a  Genova  nell'  estate  dell'  86  con  Cesare  de'  Nobili, 
fiorentino  e  altri  comici  :  e  probabilmente  (V.  Baschet,  op,  cit.) 
ell'era  il  1 601  a  Parigi  con  Martinelli,  Cecchini  e  Flaminio  Scala. 
Quando  nascesse  e  quando  morisse  la  Ponti  non  mi  fu 
dato  rintracciare.  Forse  continuò  a  recitare  in  età  avanzata, 
e  forse  in  compagnie  non  più  di  gran  fama.  Se  dell'  '82  eli'  era 
già  la  celebre  Diana,  del  1605,  epoca  in  cui  la  troviamo  al  ser- 
vizio del  Principe  della  Mirandola,  come  dalle  seguenti  lettere, 
ella  doveva  correr  verso  la  cinquantina:  e  assai  probabilmente, 
avendo  perduto  il  fascino  della  giovinezza,  e  il  vigore  dell'ar- 
tista, non  trovò  più  chi  la  volesse  nel  ruolo  assoluto  di  prima 

39.  -  /  Comici  italiani.  Voi.  II. 


306  PONTI  -  POXTREMOLI 


donna,  e  fu  costretta  a  farsi  ella  stessa  conduttrice  di  compa- 
gnie. Ma  eccp  le  due  lettere  : 

Scrcn.«no  s.'  mio  et  padrone  oss."»o 

Hanendo  la  Diana  Comica  unita  in  Ferrara  ad'  istanza  mia  una  buona,  et  nnme- 
rota  compagnia,  con  obligo  di  uenir  à  semirmi  ad' ogni  mia  richiesta,  desiderare!,  che 
potesse  per  qualche  tempo  trattenersi  in  Modena  ad'  esserdtar  l' arte  sua,  assicurandomi, 
che  sia  per  dar  molto  gusto,  et  ricorro  alla  benignità  dell'Altezza  Serenissima  supplican- 
dola à  degnarsi  di  concedergliele  in  gratia  mia,  ch'io  le  ne  restarò  singolarissimamente 
obligato,  et  £eicendole  humilissima  riuerenza,  le  auguro  da  Dio  ogni  felicità.  Della  Miran- 
dola adi  26  di  marzo  lóos- 

Di  V.  A.  Ser.ma 

Genero,  et  Dea."»»  et  oblig.»o  »er.'« 

Il  Principe  della  Mirandola. 
(al  duca  di  Modena). 

Seren.nio  Signor  mio  et  padrone  oss.^o 

Partendo  di  qui  la  compagnia  di  Diana  di  cui  ho  scritto  ultimamente  à  Vostra 
Altezza  Ser."ia,  per  andar  aspettando  in  diuersi  luoghi  il  tempo  del  Cameuale,  al  quale 
dourà  tornar  poi  alla  Mirandola,  et  hauendo  risoluto  di  passar  principalmente  per  Mo- 
dena, per  ueder  se  fia  di  gusto  à  Vostra  Altezza,  che  per  tre  o  quattro  giorni  ni  si  trat- 
tenga recitando,  ho  uoluto  accompagnarla  di  questa  mia,  per  assicurar  l'Altezza  Vostra 
Ser.™<^  che  d' ogni  fauore,  eh'  in  gratia  mia  ella  degnarà  di  (ar  à  detta  Compagnia,  io  re- 
starò lei  singolarissimamente  obtigato;  Et  ricordandole  la  continnuata  mia  deuotione  uerso 
di  lei,  et  il  desiderio  in  eh'  io  uiuo  tuttauia  d'hauer  in  che  mostrarlene  segni  co  '1  ser- 
uirla,  le  faccio  riuerenza  homilissima.  Della  Mirandola  a  di  viij  di  Maggio  1605. 

Di  V.  A.  Ser.ma 

Genero,  et  Den."'<^  et  oblig.mo  set.* 

Il  P.*  DELLA  Mirandola. 
(al  Duca  di  Modena). 

La  Ponti  fu  anche  scrittrice  di  versi,  e  si  ha  di  lei  un  so- 
netto che  precede  il  Postumio,  Comedia  del  Signor  L  S„  posta 
in  luce  da  Flaminio  Scala,  Comico  acceso  (Lione,  Giacomo 
Roussin,  MDCI),  che  non  mi  fu  dato  ancor  di  trovare. 

PontremolL  La  servetta  della  Compagnia  Imer  al  San  Sa- 
muele. Il  Goldoni  la  dice  brava,  eccellente  comica,  e  molto  si 
duole,  quando  nel  1735  abbandona  la  compagnia  per  recarsi 
a  Dresda  alla  Corte  Sassone-Polacca.  Peccato  che  il  citato  stu- 
dio del  Barone  O.  Byrn  cominci  dall'  arrivo  a  Dresda  di  Gio- 
vanna Casanova,  avvenuto  due  anni  più  tardi. 


PORTA  307 

Porta  AnselmOy  mantovano.  Già  coi  dilettanti  della  città 
potè  mostrare  le  sue  chiare  attitudini  alla  scena,  esordendo  poi 
attore  stipendiato  in  Compagnia  di  Niccola  Petrioli,  nella  quale 
fu  a  Genova  il  1758.  Ebbe  allora  un'avventura  di  amore  con 
una  gran  dama,  che  colmavalo  di  favori  e  doni.  Lasciata  Ge- 
nova per  condursi  a  Pisa,  ella,  vinta  dalla  passione,  volle  ac- 
compagnarlo: ma,  creduta  fuggiasca,  fu  inseguita  dai  parenti, 
e,  raggiunta  a  Sarzana,  ricondotta  a  Genova,  mentr'egli  fu 
messo  in  carcere.  Essendo  lontano  il  marito,  a  lei  poco  costò 
la  liberazione  dell'amante,  che  finì  l'anno  in  compagnia  Pe- 
trioli, scritturandosi  il  seguente  in  quella  di  Antonio  Sacco. 
In  essa,  una  sera,  uscendo  di  teatro  a  Milano,  gli  fu,  per  ordin 
certo  del  tradito,  ch'era  tornato  in  Italia,  tirato  un  colpo  di 
pistola  che  lo  ferì  in  un  fianco.  Recuperata  la  salute,  mercè  i 
soccorsi  de'  medici  e  della  Marchesa  Litta,  risolse  di  farsi  frate  ; 
ma  r  austerità  di  quella  vita  lo  fé'  abbandonare  il  convento  per 
recarsi  a  Vienna,  ove  colle  raccomandazioni  della  medesima 
Litta  ottenne  un  posto  nell'Ambasciata  d'Italia.  Salì  poi,  col- 
l'aiuto  del  suo  ingegno,  ad  alte  cariche,  e  fu  più  volte  in  Italia 
a  sbrigar  pubblici  negozj.  Ma  non  perfettamente  guarito  della 
ferita,  che  gli  facea  risentire  di  quando  in  quando  dolori  spa- 
smodici, ne  morì  ancor  giovane  l'anno  1 779.  Si  ha  di  lui  un  Sci- 
pione in  Africa,  tragedia  stampata,  e  due  commedie  manoscritte  : 
Le  metamorfosi  d'amore  e  La  Regina  Ester,  scritta  — dice  il  Bar- 
toli  -  a  requisizione  d'una  ricca  famiglia  ebrea  mantovana. 
Dettò  egli  la  parte  studiata  nel  Convitato  di  Pietra  per  laPesca- 
trice,  recitata  dalla  figliuola  del  suo  capocomico,  Angiola  Sacco 
Vitalba,  che  dallo  stesso  Bartoli  riferisco  in  parte,  come  saggio  : 

SORTITA 

Libertà,  libertà,  ricco  tesoro, 

dolce  quiete  del  cor,  gridano  a  gara 
tra  fronda  e  fronda  gli  augellettì,  e  tutte 
fan  eco  al  canto  lor  l'aure  soavi. 
Libertà,  libertà;  di  questa  in  fine 
voce  soave  ognor  rimbomba,  e  suona 


308  PORTA 


la  bassa  valle,  il  folto  bosco,  il  cupo 

remoto  sen  d' ogn'  antro  opaco,  ed  io 

dalla  stessa  rapita  amica  voce 

pieno  di  pace  il  cor,  l'amena  spiaggia 

torno  a  veder  su' mattutini  albori, 

e  grido  libertà.  La  fragil  canna 

colla  maestra  man  stringo,  e  vi  adatto 

amo  ed  esca  in  un  punto,  e  poi  su  queste 

che  spuntano  dal  suolo  erbe  novelle. 

Lieta  m'affido,  e  ricca  preda  io  faccio, 

pria  che  il  raggio  del  Sol  l'onda  riscaldi, 

de*  muti  pesci  al  nostro  cibo  eletti. 

Ognun  qui  vive  a  suo  talento,  ognuno 

arbitro  di  sé  stesso,  e  di  sé  pago 

trae  con  semplice  vita  ore  gioconde. 

Libertà,  libertà,  ricco  tesoro, 

dolce  quiete  del  cor,  lo  grido  io  pure, 

né  giammai  tacerò  finché  avrò  vita, 


DISPERAZIONE 

Ohimè!  parte  l'infido,  e  me  qui  lascia 
tradita,  e  sola  al  mio  dolore  in  preda. 
Perfido  !  Arresta  i  passi,  e  riedi  a  questa 
che  al  tuo  desire,  al  tuo  costume  abbietto 
ardisti  d'immolar  semplice  Donna. 
Torna,  torna  crudel....  Ma  ohinié!  qual  dardo 
che  dall'arco  sorti,  corre,  e  s'invola, 
e  porta  omai  senza  sentirne  orrore 
tutta  con  sé  di  questo  cor  la  pace. 
Oh  pace,  oh  core,  oh  libertà  perduta  ! 
Ma  invan  mi  lagno,  e  di  mie  voci  al  suono 
sordo  è  il  mar,  sordo  é  il  ciel.  Io  son  tradita, 
soa  disperata,  e  il  mio  dolor  soltanto 
che  mi„  lacera  il  cor,  può  con  un  colpo 
la  morte  annichilar.  Dov'è  una  fiera 
che  mi  disbrani?...  Ah,  ch'io  la  cerco  invano. 


PORTA  -  PREDA  309 


E  morir  vuo\  Dunque  si  mora,  e  sia 
la  mone  a  cui  m'affretto  orrida  a  segno, 
che  riparo  non  v'abbia  onde  salvarmi. 


Pozzi  Girolamo,  bolognese,  recitava  egregiamente  sotto  la 
maschera  del  Dottore,  e  fu  lungo  tempo  scritturato  ne'  teatri  di 
Venezia.  Fu  anche  nelle  compagnie  di  Pietro  Rossi  e  di  Onofrio 
Paganini;  poi,  protetto  da  un  veneto  gentiluomo,  visse  alquanto 
con  lui,  lontano  dall'arte.  Ma  desideroso  della  patria,  si  restituì 
alla  sua  Bologna,  dove,  fatto  vecchio,  morì  verso  il  1780. 


;i  Francesco,  milanese,  più  noto  col  diminutivo  di  Poz- 
zetto, fu  comico  egregio  per  le  parti  ^innamorato.  Entrò  gio- 
vanissimo nella  Compagnia  di  Antonio  Sacco  e  creò  la  parte 
di  Farruscad  nella  Donna  serpente  di  Carlo  Gozzi.  Passò  poi 
in  altre  compagnie  di  giro,  e  finalmente  in  quella  di  Onofrio 
Paganini,  nella  quale,  a  Vicenza,  fu  colto  da  siffatta  emorragia 
di  sangue,  che,  non  potutasi  arrestare,  lo  condusse  al  sepolcro 
il  3  giugno  del  1764,  all'età  di  venticinque  anni. 

Preda  Luigi.  L'ultimo  dei  Meneghini,  nato  a  Milano  il  1 81 1, 
fu  prima  compositore  nella  tipografia  teatrale  Brambilla;  poi, 
accarezzato  il  sogno  di  eccellere  in  arte  come  attore  tragico,  si 
scritturò,  dopo  alcune  prove  con  dilettanti,  al  Teatro  Lentasio, 
come  generico  nella  Compagnia  di  Antonio  Giardini,  della  quale 
sposò  \di  prima  attrice  giovine  Am3lÌ3,FdiSqu^li.  Formò  il  1 847  con 
suo  cognato  Valentino  Bassi  una  società,  in  cui  la  moglie  fu  as- 
sunta al  grado  di  prima  donna  assoluta,  ed  egli,  infelicemente,  a 
quello  ài  generico  primario.  La  rivoluzione  delle  Cinque  Giornate 
dissestò  la  compagnia,  che,  scacciati  gli  austriaci,  in  un  reper- 
torio  improvvisato  di  attualità  trovò  inattese  risorse  al  Teatro 
della  Stadera.  In  esso  il  Preda  rappresentò  la  sua  parte  in  dia- 
letto, al  fine  di  riuscir  più  efficace  e  acquistar  popolarità;  e 
tale  n'  ebbe  successo,  che,  abbandonate  le  fisime  del  coturno, 
si  diede  alla  maschera  del  Meneghino,  ammodernizzandone  co- 


310  PREDA  -  PREVITALI 

stume  e  repertorio,  e  diventando  in  breve  non  indegno  suc- 
cessore del  celebre  Moncalvo.  Fu  undici  anni  socio  del  Bassi, 
poi,  altri  undici  di  Alessandro  Monti.  Morì  a  Milano  il  9  aprile 
deir'84. 


Prepiani  Giovan  Battista,  veneziano,  attore  tragico  di 

sommo  valore.  Assunse  nel  1838  la  direzione  dell'Impresa  dei 
Fiorentini,  lasciata  dal  Fabbrichesi,  quando  la  R.  Soprainten- 
denza  de' teatri  ridusse  di  metà  la  dote  di  ottomila  ducati  annui. 
E  l'Impresa  (Prepiani,  Tessari  e  Visetti)  andò  con  prospere 
sorti  fino  alla  quaresima  del  '51,  nel  qual  anno  il  Prepiani  morì 
per  infiammazione  viscerale.  Molto  istruito,  di  nobile  porta- 
mento, d'intelligenza  acuta,  rappresentava  La  clemenza  di  Tito, 
il  Padre  in  Giulietta  e  Romeo,  il  Generale  nei  Due  Sergenti  e 
V  Aristodemo  con  dignità  singolarissima.  Recitava  di  rado  ;  ma 
nelle  sere  in  cui  recitava,  era  un  avvenimento  artistico.  Ebbe  mo- 
glie e  un  figliuolo;  ma  la  moglie  lo  abbandonò,  prima  ch'ei  si 
recasse  a  Napoli  col  Fabbrichesi,  fuggendo  con  un  inglese  do- 
vizioso. Pare  non  fosse  attrice  :  egli  certo  non  ne  parlò  mai. 

L'  attore  Francesco  Righetti  nel  citato  Teatro  Italiano, 
tesse  di  lui,  tragico,  l'elogio  seguente: 

Oh  I  Come  trovai  sublime  Prepiani  nel  Catone  di  Metastasio  in  cni  sosteneva  la 
parte  del  protagonista.  Come  scomparirono  a*  miei  occhi  qne'  difetti  di  pronunzia  che  qual- 
che volta  mi  ferivano  l' orecchio  nella  Commedia  !  Come  era  egli  nobile,  e  maestoso  !  Tutta 
la  dignità  del  Senato  latino  sedeva  sulla  sua  fronte,  e  come  ne'  suoi  atteggiamenti,  e  partico- 
larmente nella  morte,  tutta  la  forza,  e  la  fermezza  d*un  cittadino  romano.  Ma  dove  ancor  più 
fui  colpito  dall'espressione,  dal  calore,  dalla  mimica  di  questo  attore,  si  fu  nella  parte  di  Giuda 
nel  Gitiseppe  riconosciuto,  mediocrissimo  dramma  tradotto  dal  francese.  Il  nostro  Prepiani, 
buon  attore  nella  tragedia,  non  è  degli  ultimi  nella  commedia,  avvegnaché  in  questa  renda  più 
sensibili  que'  difetti  d'articolazione  che  quasi  sempre  sa  nascondere  con  arte  nella  tragedia. 

Previtali  Antonio.  Artista  e  capocomico  de' più  pregiati 
al  principio  del  secolo  decimonono.  Dotato  di  bella  persona,  di 
voce  soavissima,  di  maniere  nobili,  s' acquistò  gran  fama  colla 
parte  del  Bugiardo,  anche  perchè,  fuor  della  scena,  l'indole 
sua  rispondeva  a  meraviglia  a  quella  del  suo  personaggio.  Ai 
primi  tempi  della  sua  vita  artistica,  egli  recitò  nelle  commedie 


PREVITALI  -  PRIVATO  311 

all'improvviso  con  le  maschere,  riuscendo  attore  di  gran  pre- 
gio: e  ciò  gli  fu  di  gran  soccorso  più  tardi  nella  recitazione 
del  Bugiardo,  il  quale  rappresentava  in  modo  vario,  ogni  sera, 
sì  da  esser  reputato  in  quella /ar/e  superiore  al  gran  De  Marini. 
Le  sue  irrequietezze,  le  bugie  che,  per  una  consuetudine 
de*  suoi  primi,  anni,  andava  dicendo  a  ogni  aperta  di  bocca,  gli 
scemarono  Ìl  credito,  sì  che  si  ridusse  in  Sicilia  conduttore  di 
compagnie  di  poco  conto.  L'idtima  notizia  sua  si  ha  in  una  let- 
tera del  16  gennaio  1832,  ch'egli  scrive  da  Messina  all'attore 
Stefano  Riolo,  incaricandolo  di  formargli  una  compagnia  per 
l'Arena  ch'egli  ebbe  il  superiore  permesso  d' innalzare  in  quella 
città,  alla  Marina. 


Privato  Guglielmo.  Figlio  di  Luigi,  impiegato  postale, 
nacque  a  Venezia  il  27  settembre  del  1826:  e  ner48  fu  soldato 
sotto  il  Governo  provviso- 
rio, assieme  a  Paulo  Fam- 
bri,  e  al  tiglio  di  Daniele 
Manin.  Recitò  la  prima 
volta  a  Chìoggia,  nel  '49, 
in  una  brevissima  parte,  a 
beneficio  di  unacompagnia 
d'infimo  grado,  ed  esordì, 
comico.  Io  stesso  anno  a 
Mestre  nella  Compagnia  di 
Giovanni  Battista  Zoppetti, 
in  cui  stette  due  mesi  per 
passare  in  quella  di  certo 
Bosello.  Fu  11*50  con  Luigi 
Duse;  e  Ìl  '51  fu  accolto  nella  grande  arte,  nella  Compagfnia 
lombarda,  condotta  da  Alamanno  Morelli,  dalla  quale,  dopo  un 
triennio,  passò  primo  attor  giovine  in  quella  di  Cesare  Dondini, 
a  fianco  della Cazzola,  e  di  Romagnoli,  poi  di  Tommaso  Siilvini. 
Dopo  ancora  un  triennio,  il  '57-'58,  fu  con  Gaspare  Pieri,  qual 
generico  d'importanza,  e  il  '59,  brillante  assoluto  con  Peracchi 


312  PRIVATO  -  PRUDENZA 

prima,  poi  con  Bellotti-Bon.  Nel  medesimo  ruolo,  applaudito 
e  stimato  come  un  de*  più  egregi  artisti  del  suo  tempo,  si  scrit- 
turò il  '60  con  la  Società  Stacchini,  Civili  eWoUer,  il  *6i-'62 
con  Tommaso  Salvini,  il  ^63  con  Domeniconi,  il  '64-'65-*66  con 
Morelli,  il  '67  con  Alessandro  Salvini,  il  'óS-'óg  al  Fondo  di 
Napoli  con  Fanny  Sadowsky,  il  ^jo^ji-^ji  con  Giacinta  Pez- 
zana  in  società,  dal  ^73  all' '81  ancora  con  Morelli,  prima  a 
fianco  di  Virginia  Marini,  poi  di  Adelaide  Tessero,  e  fu  con  esso 
due  volte  neir America  del  Sud.  Divenne  socio  r'82  di  Gio- 
vanni Aliprandi,  e  il  triennio  '83-'84-'85,  si  scritturò  per  l'ultima 
volta  come  brillanie  nella  Compagnia  di  Giuseppe  Pietriboni. 
Morto  il  Vestri  in  Compagnia  Nazionale,  e  uscitone  il  Novelli, 
furon  sostituiti  dal  Privato,  che  vi  restò  sino  all'anno  '88,  in 
cui  si  unì  con  Emilio  Zago,  il  celebre  comico  veneziano,  col 
quale  trovasi  tuttavia  assieme  alla  sua  seconda  moglie  Elettra 
Brunini.  Aveva  sposato  nel  '61  la  diciottenne  Emilia  Cavallini, 
padovana,  attrice  egregia  per  le  parti  di  seconda  donna,  e 
adornata  di  bellezza  singolare,  che  gli  morì  nel  settembre 
del  '78  a  Catanzaro.  Ella  non  era  figlia  di  comici,  ma  ebbe  un 
fratello,  Antonio,  secondo  brillante  mediocre,  morto  a  Pisa  di 
etisia. 

Prudenza,  veronese.  Era  la  seconda  donna  dei  Comici  Gelosi, 
citata  da  Francesco  Andreini  nelle  sue  Bravure  del  Capitano 
Spavento.  Il  Cinelli  racconta  «  che  una  volta  (Curzio  MarignoUi, 
poeta,  nato  a  Firenze  il  1563  e  morto  a  Parigi  il  1606)  sgri- 
dato dal  padre,  perchè  i  suoi  averi  licenziosamente  spendesse, 
arditamente  rispose  :  Anzi,  tutto  il  mio  spendo  con  prudenza, 
intendendo  dire  con  una  donna  sua  amica  che  Prudenza  chia- 
mavasi.  »  E  l'Arlia  che  varie  rime  di  Curzio  raccolse  e  pubblicò 
nelle  Curiosità  letterarie  del  Romagnoli  (Bologna,  1885)  ag- 
giunge :  era  costei  una  comica,  alla  quale  poi  impazzata,  o  dav- 
vero, o  per  meglio  accalappiare  i  merlotti,  quell'altro  capo 
ameno  di  Francesco  Rovai  scrisse  il  seguente  sonetto,  che  piz- 
zica di  secentismo  un  buon  poco  : 


PRUDENZA  313 


Folle  è  Prudenza:  oh  che  follie  soavi 
folli  fan  per  dolcezza  i  saggi  amanti  ! 
oh,  che  grazie  amorose  e  vaneggianti 
stillan  da'  labbri  suoi  dell' Ibla  i  favi  ! 

Sparge  ella  i  sali  or  lascivetti  e  gravi; 
a  tempo  i  risi  alterna,  e  tempra  i  pianti, 
e  d'illustre  Pazzia  portando  i  vanti, 
tien  del  senno  d'ogn'altra  in  man  le  chiavi. 

Da  famoso  delirio  un  pregio  eterno 
traggon  le  scene,  e  in  sì  mirabil  mole 
coronato  di  lode  or  va  lo  Scherno. 

Or  chi  tenersi  e  vaneggiar  non  vuole, 
se  nel  Leon  di  Flora  in  mezzo  al  verno 
della  Prudenza  è  forsennato  il  Sole? 

Ma  par  mi  un  errore  V  attribuir  la  dedica  del  sonetto  a 
questa  Prudenza,  seconda  donna  dei  Gelosi,  piuttostochè  alla 
seguente,  prima  donna  àegXi  Affezionati,  che  nel  1634  recitò 
appunto  una  Pazzia,  Il  Rovai  (V.  Quadrio)  morì  nel  1646  in  età 
di  quarantadue  anni;  aveva  dunque  due  anni  alla  morte  del 
MarignoUi. 

Prudenza.  Prima  attrice  della  Compagnia  dei  Comici  Affe- 
zionati. Sono  le  sue  lodi,  come  quelle  de'  suoi  compagni,  nel- 
r  introvato  libretto  della  Scena  illustrata,  che  ho  trascritto  al 
nome  dei  singoli  artisti  da  Fr.  Bartoli,  La  vediamo  molto  ap- 
plaudita a  Bologna  nel  1634,  specialmente  in  una  sua  fatica, 
La  Pazzia,  forse  la  stessa  à^ Isabella,  rimaneggiata  e  ammoder- 
nata. All'arte  del  recitare  accoppiò  ancora  quella  del  canto,  nella 
quale  fu  encomiatissima.  Natole  a  quel  tempo  un  bambino,  Cri- 
stofano  Razzani  dettò  il  seguente 

MADRIGALE 

Pargoletto  bambino,  i  tuoi  vagiti 
sono  canti  graditi, 

quasi  armonia  di  Cigni  e  di  Sirene: 
or  che  sarà  poi,  quando 

40.  —  /  Comici  italiani.  Voi.  IL 


314  PRUDENZA 


per  l'Italiche  scene 

andrai  d'intorno  errando 

fiume  che  ha  d'or  l'arene 

fiume  d'alta  eloquenza? 

Basta  dir  che  tu  se'  figlio  a  Prudenza. 

Partendo  la  seguente  quaresima  per  Venezia,  un  Marco 
Florio  r  accompagnò  col  seguente 

SONETTO 

Or  che  volgi,  o  Prudenza,  il  pie  vagante 
a  bear  co'  tuoi  detti  un  ciel  straniero, 
tu  m'insegni  cosi,  che  in  un  pensiero 
non  è  sempre  7ruden:(a  esser  costante. 

ImpruderiT^a  è  però  del  mar  sonante 
fidar  un  sì  bel  volto  al  dubio  impero  : 
forse  non  temi  il  mar  benché  sia  fiero, 
perchè  stelle  propizie  hai  nel  sembiante? 

Deh  ferma  quelle  stelle  un  sol  momento, 
che  se  son  belle,  erranti,  ancor  non  meno 
belle  tu  le  vedrai  nel  firmamento. 

Ma  son  Soli  e  non  Stelle,  e  mai  non  suole 
il  Sol  fermarsi,  e  sempre  al  Mare  in  seno, 
va  mentre  parte  a  riposarsi  il  Sole. 

Il  Richiedei  ne'  suoi  Fiati d' Euterpe  (Venezia,  Sarzina,  1635) 
ha  in  lode  di  lei,  rappresentante  Arlanda  condotta  in  trionfo 
da  Papiro,  questo 

SONETTO 

Spiega  sul  gran  Teatro  i  suoi  martiri 
questa  del  mio  martir  ministra  atroce, 
né  spira  accento  pur,  né  forma  voce 
che  amor  non  formi,  e  crudeltà  non  spiri. 

Desta  con  un  sospir  mille  sospiri, 

e  con  mentito  ardore  infiamma  e  coce. 
Corre  legata  a'  danni  altrui  veloce, 
e  dà  co' suoi  legami  ali  ai  desiri. 


PRUDENZA  -  PUPPO 

E  tra  finte  catene  e  crude  voghe, 

mentre  schiava  si  mostra,  e  cerca  amore, 
amor  mi  nega,  e  libertà  mi  toglie. 

E  con  nuovo  amoroso  alto  stupore 
e  lega  l'alme,  e  le  sue  note  scioglie, 
slega  la  voce,  e  fa  prigione  il  core. 

Puppo  (Del)  Fracanzanì  Orsola.  (V.  Fracanzaki). 


I   COMICI   ITALIANI 


Qu^lia  Corinna.  Nata 
a  Chieti  il  28  dicembre  del- 
l'anno 1874,  entrò  quattor- 
dicenne alla  Scuola  Maria 
Latitia  di  Torino,  diretta  da 
Domenico  Bassi,  e  vi  stette 
un  anno  e  mezzo,  scritturan- 
dosi poi  prima  attrice  giovine, 
dal  '91  a  tutto  il  '92,  con 
Giovanni  Emanuel.  Riposò 
il  '93  per  desiderio  del  suo 
futuro  capocomico  Cesare 
Rossi,  che  l' aveva  scritturata  qual  prima  attrice  assoluta  per 
l'anno  comico  '94,  dopo  il  quale  ella  diventò,  il  io  ottobre 
del  '95,  la  signora  Zoppis. 


330  QUAGLIA  -  RAFSTOPULO 

Esuberante  di  vita,  ricca  d' intelligenza,  benevolmente  ac- 
colta dai  pubblici  come  una  gentile  promessa,  ella  avrebbe 
potuto  con  perseveranza  di  studi,  toccar  la  meta  desiderata, 
ma  alla  vita  turbinosa  della  scena  preferì  la  serenità  degli  af- 
fetti domestici. 


Rafòtopuio  Antonio.  Nato  a  Zante,  fu  uno  de'pift  rino- 
mati capocomici  nel  primo  trentennio  del  secolo  xix.  Nessuno 
del  suo  tempo,  né  dì  poi,  curò  come  lui  per  lo  sfarzo  e  la  fe- 
deltà storica  l'allestimento  della  scena.  Sì  vuole  che  per  alcune 
rappresentazioni  della  sua  Compagnia  paresse  di  assistere  a  un 
gran  ballo  di  Vigano.  Nella  Giovanna  ifArco.  nel  Ratto  delle 
Sabine,  nella  Vita  di  Carlo  XII  in  dieci  sere,  o  in  altro  di  simil 
genere  si  vedevano  (allora  i  Governi  concedevano  i  soldati  per 
le  comparse)  centìnaja  di  soldati  a  piedi,  trenta  a  cavallo,  com- 
battimenti ad  arma  bianca  o  a  fuoco  vivo,  cannoni  di  legno  cer- 
chiati in  ferro,  armature  vere,  bandiere,  musiche  militari,  ecc. 
Né  é  da  credere  che  a  questi  soli  spettacoli  egli  fosse  dedito  : 


RAFSTOPULO 


321 


nel  suo  repertorio  avean  posto  d'onore  Goldoni,  Alfieri,  Nota, 
Pindemonte,  Giraud,  e  la  sua  Compagnia  era  composta  dei 
migliori  elementi.  Eccone  l'elenco  pel  carnovale  del  1820  al 
Teatro  Apollo  di  Roma  : 

UOMINI 


Nicola  Vedova,  padrt  e  tiranno 

Francesco  Pieri,  caratterista  nobile 

Giuseppe  Zannoni  )  .      .    . 

r.  r>  \  amorosi  primi 

Carlo  Coltellini  )  ^ 

Agapito  Angiolini,  2°  caratterista 

FiLU'PO  Fontana,  generico  dignitoso 


Pietro  Pezzi,  generico  dignitoso 
Carlo  Camisani,  secondo  amoroso 
Domenico  Liparini    \ 
Giuseppe  Mazzotti   (  generici 
Lorenzo  Pellegrini  ) 
Ant.  Rafstopulo,  parti  d'aspetto 


DONNE 


Amalia  Pieri 


Amalia  Fieri     )  ^     .  . 

.  T^  >  parti  ingenue 

Luisa  Bologna  )  ^  ^ 

Anna  Pieri,  prima  attrice 

Teresa  Angiolini,  madre  nobile 

Adelaide  Angiolini,  prima  amorosa 


Margherita  Mazzotti,  caratteristica 
Teresa  Dal  Pino,  servetta 
Annunziata  Fontana  \ 
Marietta  Rizzato        >  generiche 
Adelaide  Mazzocchi    ) 


Nel  1825  (Archivio  di  Stato  di  Firenze)  Rafstopulo  do- 
mandò per  la  sua  Compagnia,  e  per  cinque  anni,  il  titolo  di 
Reale  Toscana,  col  sussidio  di  Duemila  Zecchini.  L' istanza  fu 
respinta  con  data  del  25  marzo,  stesso  anno,  dietro  informa- 
zioni del  Presidente  del  Buon  Governo,  il  quale  oltre  ad  aver 
trovato  che  i  comici  del  Rafstopulo  erano  scarsi  di  merito,  mo- 
strava come,  aderendo  a  tal  domanda,  si  sarebbe  danneggiato 
un  disegno  emesso  da  tre  o  quattro  anni  di  una  vera  e  propria 
Compagnia  Toscana,  autorizzata  e  sovvenzionata  dallo  Stato, 
quantunque  tal  disegno  avesse  poca  probabilità  di  essere  non- 
ché approvato,  solamente  discusso. 

Innamoratosi,  dopo  un  continuo  alternarsi  di  guadagni  e 
di  perdite,  della  figlia  del  custode  al  fanale  di  Livorno,  si  tolse 
dal  teatro  per  condurla  in  moglie,  e  pochi  anni  dopo  mori, 
compiuto  appena  il  suo  cinquantesimo  anno. 

Nell'elenco  della  Compagnia  pel  1843  di  Francesco  Pa- 
ladini erano  Leonardo,  Caterina  e  Amalia  Rafstopulo,  generici, 
non  so  in  che  grado  di  parentela  legati  ad  Antonio. 


41.  —  /  Comici  it<tliani.  Voi.  II. 


322  RAGGI       RAIMONDI 

Raggi  Giovanni,  fu  -  dice  il  Bartoli  -  figliuolo  del  trova- 
robe della  Compagnia  Medebach.  Addestratosi  da  fanciullo 
nell'arte,  riuscì  egregio /;7;^a»^t?ra/(?  per  le  commedie  scritte  e 
all'improvviso.  Fu  anche  inventore  di  fuochi  artificiali,  che  fece 
più  volte  per  uso  della  Compagnia.  Di  salute  assai  cagionevole, 
fii  costretto,  a  venticinque  anni,  abbandonar  le  scene  e  recarsi 
in  cura  a  Padova;  ma  poco  tempo  dopo,  la  primavera  del  1 769, 
vi  morì. 

Ragazzino  o  Rauzzini  Giacomo.  Attore  napoletano  che 
recitò  in  patria  le  parti  di  Coviello.  Fr,  Bartoli  lo  dice  un  ec- 
cellente comico,  e  aggiunge  ch'egli  aveva  una  presenza  vera- 
mente marziale,  e  che  i  suoi  discorsi  erano  tutti  sostenuti  da 
frasi  alte  ed  ampollose,  dimostranti  un  coraggio  d'invincibile 
guerriero. 

Ma  non  eccellente  apparve  sulle  scene  della  Comedia  ita- 
liana a  Parigi,  quando  vi  si  recò  il  17 16  nella  Compagnia  del 
Reggente.  Tutti  gli  scrittori  contemporanei  (V,  D'Origny,  De 
Boulmiers,  etc),  concordano  in  questo:  ch'egli  corruppe  con 
cento  pistole  l'incaricato  di  Luigi  Riccoboni  di  trovare  a  Na- 
poli un  buono  Scaramuccia;  ch'egli  era  usciere  del  Vicariato 
di  Napoli,  e  che,  recatosi  a  Parigi,  né  piacque,  né  dispiacque. 
Amante  delle  grandezze  e  dedito  alle  dissipazioni,  egli  mise 
carrozza,  ed  ebbe  ognor  tavola  imbandita.  Ma  venne  il  mo- 
mento, in  cui  si  trovò  assediato  da  creditori  di  ogni  specie. 
Allora  Francesco  Riccoboni  riuscì  a  ottener  dalla  Corte  un 
ordine,  mercé  il  quale  fu  trattenuto  pei  creditori  un  terzo  della 
sua  paga  sino  al  dì  della  sua  morte,  che  fu  per  apoplessia  il 
24  ottobre  del  1731. 

Raimondi  Giuseppe.  Nacque  a  Mantova  il  1 8 1 1  da  Teo- 
doro e  da  Maria  Cappello.  Tiranno  il  1843  nella  Compagnia  di 
Alberto  Tessari,  colla  moglie  Angiola  seconda  donna  e  il  figlio 
Teodoro  generico,  era  con  la  famiglia  e  negli  stessi  ruoli  il  '5 1 
con  Giuseppe  Astolfi.  Il  '53  fu  riconfermato  dall'Astolfi  per  la 


RAIMONDI  -  RANIERI  323 

_   _  j  ■    _ 

nuova  Compagnia  in  società  colla  Sadowski.  Amministratore, 
il'SS,  della  Compagnia  di  Ernesto  Rossi,  col  figlio  primo  attor 
giovine.  Morì  a  Genova  il  i°  luglio  del  1879. 

Raimondi  Teodoro.  Figlio  del  precedente,  egli  fu,  come 
abbiam  visto,  sempre  al  fianco  di  suo  padre,  crescendo  a  poco 
a  poco  di  valore  e  di  ruolo.  Era  il  '53  primo  amoroso  della  Com- 
pagnia Sadowski-Astolfi,  ^  primo  attor  giovine,  il  '55,  di  quella 
di  Ernesto  Rossi,  il  quale  di  lui  lasciò  scritto  nel  primo  volume 
delle  sue  memorie  : 

Il  vero  sesso  forte  sì  componeva  di  un  certo  Raimondi,  il  quale  disimpegnava  le 
parti  di  primo  attore  giovine  e  primo  amoroso  :  e  ti  posso  assicurare  che  era  un  bravo 
giovinotto,  pieno  di  zelo,  ricco  di  talento,  abbondante  dì  sentimento.  Fu  presto  tolto  al- 
l' arte  ed  alle  speranze  ed  agli  affetti  della  sua  famiglia  e  di  tutti  coloro  che  lo  conobbero, 
quando  per  mezzo  delle  mie  assidue  cure  e  della  sua  buona  volontà  ne  aveva  fatto  un 
eccellente  amoroso,  tale,  che  invano  si  cerca  e  si  trova  1*  uguale  (?). 

Entrato  in  Compagnia  di  quel  bravo  attore  Gaspare  Pieri,  dopo  poco  tempo  mori, 
vittima  forse  della  sua  troppo  sensibile  anima,  che  non  seppe  mai  rinvigorire  o  tempe- 
rare coU'arte. 

Sappiamo  infatti  da  una  lettera  di  Gaspare  Pieri  a  Fran- 
cesco Bigliotti,  che  Raimondi,  toccatogli  il  '56  alcun  tempo 
di  servizio  militare,  dovette  abbandonar  la  Compagnia.  Torna- 
tovi, in  permesso,  cominciarono  in  lui  i  segni  della  tisi,  alla 
quale  dovette  poco  dopo  soccombere. 

Fra  le  parti  ch'egli  sosteneva  egregiamente  v'era,  a  detta 
del  Pieri,  quella  comica  di  Suggeritore  nel  Goldoni  e  le  sue  Se- 
dici Commedie  Nuove  di  Paolo  Ferrari. 

Ranieri  Bartolomeo.  Piemontese,  del  Moncenisio,  nato 
il  1Ò40  circa,  fu  comico  al  servizio  di  Ferdinando  Carlo  per 
diciassette  anni,  e  richiesto  il  1685  dalla  Maestà  Cristianissima 
di  Francia,  Le  fu  concesso  con  lettera  dello  stesso  Principe  da- 
tata di  Mantova  il  14  marzo,  nella  quale  era  il  più  ampio  ben 
servito  che  dir  si  potesse.  Forse  nei  diciassette  anni  ch'egli  fu 
al  servizio  di  Ferdinando,  si  trovò  a  essere  ceduto,  come  spesso 
accadeva,  a  qualche  altro  principe:  e  mi  pare  si  debba  identi- 
ficare pel  Ranieri  questo  Aurelio  che  dal  Duca  di  Mantova  è 


324  RANIERI  -  RAPARELLI 

dato  al  Duca  di  Modena,  in  cambio  del  Parrino  (V.),  che  Que- 
sti cedeva  a  Quello. 

Ser.»no  Sig.»"  mio  Oss.'"o 

Spedisco  Aurelio,  perchè  serua  a  Vostra  Altezza  con  ogni  puntualità  maggiore  nella 
Compagnia  dei  Suoi  Comici,  e  già  che  uengo  auuisato,  eh'  ella  mi  habbia  fauorito  della 
persona  di  Florindo,  io  non  lascio  di  rìngratiarnela  di  cuore,  assicurando  l'Altezza  Vostra, 
che  perfettionato  il  futuro  Carneuale  resterà  à  di  lei  disposinone  lo  stesso  Florindo,  con- 
fidando, che  il  simile  seguirà  d'Aurelio.  Si  compiaccia  Vostra  Altezza  di  frequentarmi  le 
occasioni  di  poter  servirla,  come  desidero,  e  le  bacio  affettuosamente  le  mani. 

Di  Vostra  Altezza 
Mantoua,  9  Aprile  1676.  A£fet"o  Seruitore 

S.r  Duca  di  Modona.  ^^  ^^^^  ^^  Mantoua. 

Recatosi  1*85  a  Parigi,  Bartolomeo  Ranieri  vi  esordì  nel- 
l'aprile, assieme  al  Pulcinella  Fracanzano,  quale  secondo  Inna- 
morato, al  posto  delV  0/favio  Zanotti.  Il  successo  se  non  stre- 
pitoso fu  buono,  ed  egli  avrebbe  potuto  rimanere  in  Francia 
amato  e  stimato,  se  non  avesse,  con  assai  poca  prudenza,  av- 
venturate opinioni  sulle  vicende  del  tempo.  Il  che  saputosi  alla 
Corte,  egli  ebbe  tosto  decreto  di  espulsione. 

Restituitosi  in  Piemonte,  si  diede  a  continuar  gli  studi, 
lasciati  a  mezzo  per  imprender  la  via  dell'  arte  ;  e  compiuto  il 
corso  di  teologia,  prese  gli  ordini  sacri.  Dicono  i  fratelli  Par- 
faict  che  il  Padre  di  Riccoboni  lo  conobbe,  e  più  volte  sentì  la 
sua  messa. 

Ranuzzi  Francesco.  Recitava,  applaudito,  sotto  la  ma- 
schera di  Brighella.  Il  maggio  del  1777  era  a  Modena,  con  la 
Compagnia  di  Francesco  Panazzi,  insieme  ai  Falchi,  agli  An- 
dolfati,  ecc. 

Raparelli  Giovanni,  di  Viterbo,  fu  cancellier  criminale 
per  molti  anni  in  Perugia  sotto  il  Governo  di  Monsignor  Galli, 
in  Ferrara  dei  Cardinali  Cibo  e  Spada,  in  Imola  degli  Eminen- 
tissimi  Acquania  e  Borromeo,  e  altrove.  Ma,  avviluppato  dalle 
lusinghe  di  Angiola  comica,  per  opera  specialmente  di  sua  ma- 


RAPARELLI 


dre,  Isabella.,  la  sposò,  ed  entrò  con  esse  nella  Compagnia  del 
Serenissimo  dì  Modena,  recitandovi  gl'Innamorati  sotto  il  nome 
di  Orazio,  Ma  in  Carpi,  e  precisamente  l'aprile  del  1658,  quat- 
tro soli  mesi  dopo  il  matrimonio,  il  Rapa- 
relli  potè  constatar  la  mancata  fede  della 
moglie,  e  la  complicità  della  suocera. 
Ribellatosi  fieramente,  e  minacciatele 
entrambe,  esse  deliberaron  di  sbaraz- 
zarsene, e  ricorsero  allo  strattagemma 
di  proporre  la  rappresentazione  degli 
«infelici  amorì  della  Regina  d'Inghil- 
terra > ,  pei  quali  occorreva  l'uso  d'armi 
da  fuoco:  e  far  sì  che  il  Raparelli  por- 
tasse dette  armi,  e,  avvisatone  poi  il 
Bargello,  fosse  da  esso  e  dagli  sbirri 
sorpreso  e  carcerato.  Ascoltate  il  Duca 
di  Modena  le  dichiarazioni  di  lui,  parve 
piegare  all' indulgenza,  e  risolversi  forse 
per  la  liberazione;  ma  le  due  donne  gli 
inviarono  una  supplica,  in  cui  raccoman- 
davan  fosse  fatta  giustìzia,  poiché  il  Ra- 
parelli aveva  in  dosso  le  pistole  al  solo 
intento  di  ucciderle,  il  che  a  ogni  modo 
avrebbe  fatto,  secondo  le  sue  dichiarazioni,  non  appena  uscito 
dì  prigione.  A  questo  punto  ci  lasciano  i  documenti,  e  niun'al- 
tra  notizia  mi  fii  dato  rintracciarne. 


Rasi  Giulio,  Gaspare  {il  secondo  nome  assunto  all'entrar 
nell'arte  per  ammirazione  grande  verso  l'attore  Lavaggi),  figlio 
di  Antonio  e  di  Maria  Berghinzoni,  nacque  a  Ravenna  il  29  ot- 
tobre 1845.  Fatti  gli  studi  liceali  in  patria,  fu  prima  soldato 
nelle  truppe  regolari,  poi  garibaldino,  e  prese  parte  alla  cam- 
pagna del  '66.  Instituitasi  nella  sua  Ravenna  una  Società  filo- 
drammatica, egli  vi  mostrò  subito  attitudini  chiare  alla  scena: 
e  trasferitosi  Ìl  '67  con  la  famiglia,  a  Firenze,  dopo  la  morte 


3i6  RASI 

del  padre,  entrò  nell'Accademia  é^' Fidenti,  di  dove  uscì  dopo 
breve  tempo  (1871),  per  entrar  quale  amoroso  nella  Compa- 
gnia della  Sadowski,  diretta  da  Cesare  Rossi.  Abbandonata 
il  primo  attor  giovine  D' Ippolito  la  Compagnia,  nel  carno- 
vale dello  stesso  anno,  il 
Rasi  ne  prese  il  posto,  che 
tenne  fino  a  tutto  l'anno 
veniente,  dopo  il  quale 
passò  primo  attor  giovine 
sotto  Francesco  Ciotti,  al 
fianco  di  Virginia  Marini, 
in  Compagnia  dì  Alaman- 
'  ^■._  'f    "°  Morelli  facendosi  no- 

^^^^^^^I^Ly^H^^^kj^     tare  dai  compagni  e  dal 
^^^^^^^^2^^^^^^^Hr  per  la  elettezza 

^Ij^^^^^^^^^^^^^^^^  e  la  correttezza 

^^^^^^^^^^H^^^  della  dizione.  Còlto  da  feb- 

^^^^^^^^^  bre  tifoidea  in  Ferrara, 

vi  morì,  pianto  da  tutta  l'arte,  il  13  giugno  1878.  Su  di  lui, 
come  attore  e  come  uomo,  mi  piace  riferir  le  parole  dì  Virgìnia 
Marini  che  gli  fu  compagna  delle  più  care: 

Suo  fratello,  col  qaa)e  ebbi  il  piacere  di  >tare  qualche  anno,  era  an  gentiluoino 
perfetto,  ud  bravissimo  artista  ed  un  compagno  buono  ed  amoroto.  Egli  interpretava  eoo 
abilità  ed  intelligenza  tanto  il  Goldoni,  come  Dumas,  Ferrari,  Giacosa.  Ha  divìso  con 
me  gli  applausi  del  pubblico  nella  Signora  dalle  CamiUt,  nella  Serva  amoroia,  nella  Par- 
lila a  scacchi Aveva  un  avvenire  aplendìdo  :  la  morte  l' ha  rubato  giovanissimo 

all'  arte  ed  alla  gloria  !  !   Povero  Giulio  !  Lo  ramniento  sempre  con  affetto  di  sorella  e  con 
E  di  compagna. 


Ebbe,  giovinetto,  molta  facilità  nello  scrìvere,  e  serbo  di 
luì  manoscritto  un  buon  volgarizzamento  della  Lelia  di  Gior- 
gio Sand. 


Rasi  Luigi.  Fratello  del  precedente. 

Singolare  figura  d'artista  quella  di  Luigi  Rasi  poeta,  scrittore,  at- 
lore  e  professore  di  recitazione,  che  ci  ricorda,  per  certi  rispetti,  il  Cin- 
quecento, quando  i  comici  italiani  contendevano  la  palma  agli  scrittori  di 
maggior  fama  e,  più  che  interpreti,  erano,  sulle  scene,  inventori. 


RASI  327 

Il  Rasi,  nato  a  Ravenna  il  20  giugno  1852,  si  recò  il  '67  a  Fi- 
renze, ove  fece  la  quinta  ginnasiale  al  Liceo  Dante,  e  gli  studi  liceali 
agli  Scolopj. 

Entrò  ventenne  appena  come  secondo  amoroso  e  secondo  brillatite  nella 
Compagnia  Sadowski  diretta  da  Cesare  Rossi.  Di  li,  un  anno  appresso, 
nel  1873,  passò  in  quella  di  Luigi  Monti,  che  dovè  lasciare  poco  dopo 
per  soddisfare  ai  suoi  obblighi  di  leva.  E  tre  anni  stette  confinato  a  Lecce 
a  fare  il  caporal  foriere  e  il  caporal  maggiore  di  maggiorità,  riconfortan- 
dosi negli  studi  e  nel  suo  Catullo  ! 

Licenziato  di  sotto  le  armi,  nel  settembre  del  1877,  eccotelo  pr/mo 
attor  giovine  nella  Compagnia  Pietriboni,  dove  rimase  fino  air  anno 
scorso  (1882),  quando  fu  nominato  direttore  *della  R.  Scuola  di  Recita- 
zione in  Firenze. 

Attore  studioso,  elegante,  accuratissimo,  si  cattivò  di  colpo  le  sim- 
patie del  pubblico  per  le  sue  intelligenti  interpretazioni,  per  una  rara  natu- 
ralezza e  limpidità  di  dizione,  per  il  suo  amore  alla  verità.  Non  gridava, 
diceva:  otteneva  mirabili  effetti  senza  i  soliti  mezzucci:  cercava  che  il 
pensiero  dell'autore,  non  la  voce  dell'artista,  facesse  immediata  impres- 
sione sull'animo  del  pubblico.  Metteva  grande  studio  nel  penetrare  il  ca- 
rattere, la  psicologia  del  suo  personaggio:  gli  guardava  dentro  e  poi  cer- 
cava d'entrar  quasi  ne' suoi  panni.  Non  era  la  solita  sovrapposizione 
dell'artista  sul  personaggio;  era  un  vero  e  proprio  lavoro  di  transustan- 
ziazione, da  cui  l'attore  usciva  trasformato.  Nel  Violino jo  di  Cremona,  nei 
Fonrchambault,  nel  Cantico  dei  Cantici,  nella  Libertas  di  Costetti  e  in  tante 
altre  parti,  dimostrò  col  fatto  la  bontà  del  suo  metodo  :  del  quale  ve- 
demmo, di  recente,  gli  ottimi  risultati  in  una  prova  di  studio  degli  alunni 
nella  R.  Scuola  di  recitazione  da  lui  diretta. 

Perchè  il  Rasi  è  ormai  un  transfuga  della  scena.  Rinunziò  un  bel 
giorno  agli  applausi  sonori,  alle  commozioni,  ai  trionfi  della  vita  d'artista, 
contento  di  poter  darsi  agli  studi,  di  poter  avere  un  po'  di  quiete  per  stil- 
larsi il  cervello  traducendo  Catullo  e  lottando  a  corpo  a  corpo  con  le 
difficoltà  dell'originale  e  dei  metri,  con  la  rigidità  della  nostra  terribi- 
lissima lingua. 

Una  delle  sue  passioni  è  il  latino  che  conosce  assai  bene:  un'altra 
è  l'arte  della  lettura,  intorno  alla  quale  fa  quotidianamente  studi  ed  espe- 
rienze nella  sua  scuola. 

Fra  noi  su  questo  argomento,  non  s'  è  fatto  il  bel  nulla.  E  al  Rasi 
tocca  il  merito  d'avere  compresa  e  misurata  tutta  l'importanza  e  d'avere 
accennato  al  da  farsi.  Una  sua  conferenza  tenuta  al  nostro  Circolo  filo- 
logico e  ripetuta  costi  a  Roma,  fece  rumore  :  un  suo  trattatalo  sul- 
l'arte del  leggere,  meritò  gli  elogi  credibili  del  Carducci.  All'esperimento 


328  RASI 

che  dette  il  mese  scorso  nella  sua  scuola,  un  alunno  alto  tre  o  quattro 
palmi  lesse  un  discorso  -  per  esercizio  -  con  una  disinvoltura,  con  un 
garbo  da  sbalordire.  So  di  un  medico  nominato  a  un  tratto  professore 
d'università,  che  tremava  all'idea  di  leggere  la  prolusione.  Andò  dal  Rasi 
che  gliela  fece  studiare,  e  lessi  poi  nei  giornali  che  a  Parma  avevano 
ammirato  nel  giovane  professore  il  facile  eloquio.  Tornata  parola. 

Un'altra  passione  del  Rasi  è  l'erudizione.  Quasi  quasi  vorrebbe  pi- 
gliarne un  tal  bagno  freddo  da  spegnerci  i  suoi  ardori  d'artista.  Ma  poi 
quell'altra  parte  di  lui,  quella  sensiliva^  si  ridesta,  e  il  fuoco  sacro  lo  riac- 
cende di  nuovo. 

E  forse  allora  sogna  i  trionfi  della  scena,  una  filarata  di  teste  che  pen- 
dono commosse  dalle  sue* labbra,  un'eletta  d'anime  gentili  che  la  parola 
alata  dell* artista  e  del  poeta  agitano  soavemente,  e  il  plauso  che  giunge 
caro,  aspettato,  desiderato,  e  l'effetto  studiato  e  conseguito  in  quel  dato 
momento,  in  quel  punto  preciso  in  cui  si  voleva  e  si  attendeva,  e  il  mor- 
morio approvatore,  e  quella  calda  e  vivace  corrente  di  simpatia  che  lega 
il  pubblico  agli  interpreti  sapienti....  adimaro. 

P.  S.  —  Rileggo  quanto  ebbi  a  scrivere  diciannove  anni 
fa  nel  Capitan  Fracassa^  in  occasione  d*  una  memorabile  recita 
al  Quirinale,  dove  in  conspetto  dei  Sovrani,  della  Principessa 
Isabella  e  del  Duca  di  Genova  allora  sposi,  Cesare  Rossi,  Eleo- 
nora Duse  e  Luigi  Rasi,  aggiunsero  nova  grazia  e  vivezza  al 
proverbio  di  Francesco  De  Renzis  Un  bacio  dato  non  è  mai  per- 
duto. Allora  la  Duse  cominciava  ad  esser  nota  e  pregiata  come 
prima  attrice)  Cesare  Rossi  aveva  già  asceso  il  culmine  del  ca- 
pocomicato  ed  aspirava,  con  tutta  la  forza  della  sua  tromba  na- 
sale, a  quella  commenda  che  è  il  sogno  d'oro  d'ogni  artista 
provetto;  e  Luigi  Rasi  si  era  nobilmente  affermato  come  scrit- 
tore, come  dicitore  squisito,  come  maestro  acni  son  noti  e  fami- 
liari tutti  i  segreti  dell'arte  scenica.  —  A  distanza  di  diciannove 
anni,  mi  è  grato  oggi  ristampare  ciò  che  scrivevo,  e  aggiungere 
che  le  promesse  di  quei  giorni  non  furon  fallaci.  Luigi  Rasi  le 
ha  mantenute,  dirò  anzi  che  le  ha  sorpassate.  Di  lui  allora  si 
conosceva  il  poeta  traduttor  di  Catullo,  l'attore,  l'artista  colto 
e  coscienzioso  ;  ma  non  ancora  egli  si  era  rivelato  autore  di  quei 
monologhi  che  trovarono  sulle  scene  maggiori  e  su  quelle  dei 
filodrammatici  tanta  e  così  invidiata  fortuna;  non  ancoragli  si 


RASI  329 

era  sviluppato  così  nocchiuto  il  bernoccolo  dell'erudito  e  del 
feroce  raccoglitore  di  qualunque  cosa  avesse  attinenza  con  la 
storia  del  nostro  Teatro.  Questo  Dizionario  dei  Comici  italiani, 
concepito  con  tanta  genialità  e  condotto  innanzi  con  tanta  dot- 
trina e  cosi  ordinata  serietà  d'indagini  e  d'intendimenti,  ch'egli 
volle  dedicato  a  Teresa  Sormanni,  la  fedele  compagna  della' 
sua  vita,  la  collaboratrice  intelligente  e  amorosa  de'  suoi  studi, 
tolta  in  moglie  il  15  luglio  1881,  è  un  bel  titolo  e  degno  alla 
riconoscenza  di  quanti  pregiano  le  nostre  glorie  teatrali,  è  so- 
pra tutto  un'  opera  utile  e  buona  che  colma  una  vergognosa  e 
dolorosa  lacuna  della  nostra  storia  dell'arte,  fin  qui  così  tra- 
scurata. Per  compierla  occorreva  un  erudito  che  fosse  al  tempo 
stesso  un  artista  e  un  attore,  e  che  le  notizie,  pazientemente 
raccolte  con  zelo  e  industria  di  bibliofilo,  sapesse  poi  ordi- 
nare e  comporre,  dando  al  lavoro  l'attraenza  che  han  queste 
pagine.  Paragonate,  di  grazia,  il  Dizionario  del  Regli  con  que- 
sto, e  vedrete  quanto  ci  corra,  e  come  manchi  per  gli  artisti 
lirici,  il  geniale  compilatore  che  hanno  trovato  nella  loro  stessa 
schiera  gli  artisti  drammatici.  Ma  quest'  opera,  così  bene  e  so- 
lidamente piantata,  richiedeva  a  fondamento  una  raccolta  tea- 
trale,  quale  il  Rasi  ha  saputo  raccogliere  per  formare  un  vero 
museo  del  Teatro  Italiano,  che  dovrebbe  diventar  cosa  pub- 
blica, a  documento  delle  nostre  glorie  passate,  se  si  trovasse 
chi  fosse  disposto  a  compensare  delle  sue  spese  e  delle  sue 
fatiche  il  provvido  collettore. 

Il  Rasi  è  sempre  Direttore  della  nostra  R.  Scuola  di  Reci- 
tazione, la  quale  vanta  ormai  molti  alunni  che  son  divenuti  ar- 
tisti acclamati.  Ma  le  cure  della  Scuola,  cui  egli  si  è  consacrato 
con  grande  abnegazione,  non  lo  hanno  né  fisicamente  né  moral- 
mente abbattuto.  Gigi  Rasi  è  ancora  il  biondo  Rasetto  di  venti 
anni  fa  e  par  quasi  che  il  tempo  non  l' abbia  toccato  con  la  sua 
cipria  fatale.  -  La  voce  di  lui  ha  acquistato  in  potenza  e  in  vi- 
gorìa ;  la  dizione  in  perspicuità  e  sicurezza.  Dicitore  preciso  e 
vibrato,  il  Rasi  ha  tentato  per  primo  un  arduo  esperimento, 
quello  di  accompagnare  col  commento  della  calda  e  passionata 

42.  —  /  Comici  italiani.  Voi.  II. 


330  RASI 

parola  le  melodie  della  musica,  anche  quelle  sonore  d'una  or- 
chestra intera.  Le  sue  recitazioni  del  Manfredo  di  Byron,  illu- 
strato con  grande  orchestra  da  Schumann;  di  monologhi  suoi 
e  ballate  di  BUrger,  di  Schiller,  di  Marradi  con  musica  per  pia- 
noforte di  Belilo,  di  Liszt  e  di  Ricci;  ài€^ Egmoni  di  Goethe, 
testé  compendiato  in  bei  versi  italiani  a  commentare  le  armonie 
di  Beethoven,  hanno  fatto  comprendere  come  l'arte  della  pa- 
rola possa  utilmente  e  piacevolmente  sposarsi  al  canto  indefi- 
nito della  musica  strumentale.  Né  basta  :  il  Rasi  ha  voluto  e  sa- 
puto altresì  dimostrare  come  una  sapiente  recitazione  possa  da 
sola  servir  di  commento  alla  poesia,  mettendone  in  rilievo  le 
più  riposte  bellezze.  La  lettura  ad  alta  voce,  di  cui  egli  è  un 
apostolo  convinto,  diventa  così  un  mezzo  d'istruzione  e  di  edu- 
cazione, facile  e  aperto  a  tutti:  esso  dovrebbe  sostituirsi  anche 
nelle  scuole  a  quel  tedioso  e  forzato  esercizio  della  memoria, 
che  avvezza  i  ragazzi  a  non  capire  quello  che  recitano,  e  che 
riesce,  certamente,  a  renderlo  a  tutti  noioso,  anche  a  chi  è  co- 
stretto ad  ascoltarli. 

Ma  il  poscritto  è  ormai  più  lungo  dell'  articolo.  Colpa  del 
Rasi,  che  in  questi  diciannove  anni  ha  voluto  dar  da  fare  al  suo 
biografo  e  che  gli  darà  dell'  altro  filo  da  torcere  ad  una  nuova 
edizione  di  questo  genialissimo  libro. 

2  giugno  1902.  Guido  Biagi. 

ELENCO  DELLE  OPERE  A  STAMPA 

Clodia.  Memorie  di  C.  V,  Catullo,  (Lecce,  1876).  Comprende  la  versione  del 
poema  Le  Nozze  di  Peleo  e  Teli,  e  di  altro.  -  Se  ne  fecero  altre  due  edi- 
zioni a  Milano  nel  1878  e  1879. 

Torva  Prcelia.  Versi  originali  e  volgarizzamenti  catulliani,  (Napoli,  De  Angelis, 
1879). 

Eraclio  Florenzano  galatonese.  Monografia,  (Ravenna,  David,  1879). 

Jacchus.  Canto  antico,  (Bologna,  Zanichelli,  1880). 

La  Verità  nell'Arte  Rappresentativa.  Discorso  inaugurale  alla  Cattedra 
fiorentina  di  recitazione,  (Firenze,  Galletti,  1882). 

La  Lettura  ad  alta  voce.  (Firenze,  Paravia,  1883). 

Il  Libro  dei  Monologhi.  (Milano,  Hoepli,  1888).  -  Se  ne  fecero  tre  edizioni. 


RASI 


Saggio  di   una  traduzione  integra  del  libro  di   Catullo.  (Londra, 

Hall,  18S9). 
Armanda  ritorna.  Commedia  in  un  allo.  (Milano,  Barbini,  1889), 
L'Arte  del  Comico,  (Milano,  Paganini,  1890). 
Il  Libro  degli  Aneddoti.  (Modena,  Sarasìno,  1891).  -  Ne  ha  fatto  l'editore 

Bemporad  di  Firenze  una  seconda  edizione,  nuovamente  illustr.,  nel  1898. 
Pluto.  Commedia  di  Aristofane,  volgarizzata  in  prosa,  con  prologo  in  versi  e 

lettera  di  A.  Franchetti.  (Modena,  Sarasino,  1891). 
Il  Secondo  Libro  dei  Monologhi.  (Milano,  Hoepli,  1803). 
La  Recitazione  nelle  Scuole  e  nelle  Famiglie.  Antologia  poetica.  (Firenze, 

Civelli,  1895). 
La  Duse.  (Firenze,  Bemporad,  1901). 
I  Comici  Italiani.  Biografia,  bibliografia,  iconografia.  (Firenze,  Bocca-Luma- 

chi,  1897-190,.. 


TESTIMONI 


Caro  Raii, 


i]  giuKno  76. 


Ebbi  il  tuo  libro  poche  ore  avanti  ch'io  partiisi  da  Catuiia:  lo  portai  eoo  me  e 
mi  fece  buona  compagnia  lungo  il  via^o.  L«  mttnarit  %\  leggono  d'  ou  listo  e  l'elemento 
fantMtico  i  cosi  bene  intreccialo  allo  storico,  che  pnr  «sendo  esio  nn  romanzetto,  laiciano 
poco  o  nulla  a  deiìderare  dal  lato  dell' eiattezia.  Se  fosse  a  qnesti  pregi  accoppiato  un 
maggior  colorito  locale,  il  tao  lavoro  farebbe  commendevole  da  tnttì  i  lati.... 

Prendi  intanto  una  cordiale  itretta  di  mano  od  lao 

Rapisaidi. 


333  RASI 


Caro   Rasi,  Catania.  16  marzo  79. 

UAti  è  un  giojello  ;  1*  epistola  ad  Orlalo  e  la  Chioma  di  Berenice  più  spigliata, 
non  più  bella  dì  quella  di  Foscolo  ;  il  carme  a  sé  stesso  cosi  cosi  :  il  mio  è  forse  mi- 
gliore. 

Perdona  alla  scorbellata  franchezza  di  chi  ti  vnol  bene  davvero. 

Del  tuo 
Rapisardi. 


Egregio  Rasi.  P"»'*""'  ^1  »"kHo  1880. 

Ella  conosce  profondamente  Catullo,  e  ciò  eh' è  più  mirabile  sa  riprodurlo  nell'atte. 
La  traduzione  che  ci  ha  data  dell'Epitalamio  per  le  Nozze  di  Peleo  e  Teti,  mi  sembra 
veramente  degna  di  Catullo,  e,  s'io  non  erro,  la  migliore  di  quante  ne  abbiamo  avute.  C'è 
nn  sentimento  fino  di  poeta  congiunto  ad  una  intelligenza  non  comune  del  latino  da  farmi 
sperare  ch'Ella,  se  si  mettesse  all'opera,  tradurrebbe  Catullo  meglio  degli  altri. 

Io  consento  nella  sua  spiegazione  di  (^<^  extenuata  gerens  veteris  vestigia  pcenoe ; 
e  se  non  fosse  il  gerens  che  mi  mette  ancora  un  po'  di  dubbio,  oserei  chiamarla  certa. 

Quello  stupendo  mollescunt  colla  non  è  da  Lei  reso  pienamente.  Il  poeta,  com'  Ella 
ben  sa,  v'intende  V ammollirsi  del  collo  riposato.  Perchè  non  si  potrebbe  adoperare  anche 
in  italiano  la  stessa  parola? 

Mi  perdoni  questo  mio  giudizio  schietto  e  senza  ipocrisie.  Ella  comprenderà  quanto 
io  La  stimi  dal  modo  stesso  col  quale  io  La  giudico. 

Mi  creda  con  verace  stima  Suo  dev. 

G.  Trezza. 


Caro  Rasi,  '^'°""°'  ^0  febbraio  '80. 

Sono  veramente  ammirato  della  splendida  forma  del  tuo  Bacco,  e  specialmente  della 

poesia  per  la  grotta  di  Pozzuoli,  piena  di  sentimento  e  di  grazia.  Un  omino  che  fa  dei 

versi  come  questi 

e  prego  e  prego  e  prego,  e  nella  torbida  niente 

gtme  il  desìo  dilli  dolcezze  antiche 

è  un  omino  col  pepe  e  col  sale.  Non  posso  levarmi  dalla  testa  quel  secondo  verso  che 

mi  pare  la  più  bella  delle  moltissime  perle  del  tuo  volumetto.... 

I  miei  saluti  alla  Signora  e  al  Signor  Pietriboni  e  al  Bassi.  A  te  un  abbraccio  e 

un  bacio  in  cui 

geme  il  desìo  delle  dolcezze  antiche 

della  meridiana.  Addio,  addio.  Tuo 

Edmondo  (De  Amicis). 


Caro  Big.   Rasi,  Bologna,  3  marzo  1883. 

La  ringrazio  del  suo  libro,  che  mi  pare  utilissimo,  e  dal  quale  mi  pare  che  impa- 
rerò anch'  io  a  leggere  meno  male  i  versi.  Nella  Esposizione  che  Ella  ha  fatto  della  mia 
Mors  io  piaccio  a  me  stesso  e  meco  stesso  m' esalto  di  esser  cosi  bello.  Ma  poi  ripenso 


RASI  -  REBECCHI  333 


che  tutte  coleste  mie  nuove  bellezze  sono  trovate  d'un  poeta  di  fantasia,  di  sentimento 
«  di  molta  coltura,  che  dell'arte  del  declamare  fa  un'estetica  pensata  e  imaginosa. 

Alla  Sua  Signora  tanti  rispetti  e  ricordi  da  parte  mia  e  delle  mie  donne.  A  Lei 
on  saluto  affettuoso,  non  senza  il  desiderio  di  rivedere  di  quando  in  quando  di  quei  versi 

antichi  che  Ella  sa  fare  cosi  bene. 

Suo 

Giosuè  Carducci. 


Astichello,  presso  Vicenza,  30  ottobre  1887. 

Ottimo  professore  e  carissimo  amico. 

Non  tardo  un  minuto  a  ringraziarla  del  volume  «  I  Monologhi  »  che,  domani  co- 
mincierò  a  leggere,  e  della  notizia  che  mi  dà  del  superbo  lavoro,  a  cui  ha  già  posto  mano. 
Le  giuro,  che  que'  versi  miei  sulla  Madonna  mi  parvero  altra  cosa,  cioè  meno  infelice, 
quando  procurai  di  recitarli  secondo  le  sue  norme.  O  carissimo  Rasi  !  Non  ci  voleva  che 
un  pari  suo,  egregio  tanto  nel  comporre,  che  nel  recitare,  il  quale  potesse  donare  ali*  Italia 
un  libro  tanto  utile  e  dirò,  necessario.... 

Mi  voglia   sempre  bene  :  mi  ricordi  alla  sua  egregia  Signora  :  perdoni  alla  fretta, 

e  mi  tenga 

*  Suo  aff^o 

Giacomo  Zanella. 


Re  (Di)  Pietro.  Fa  cenno  di  lui  il  Padre  Gio.  Domenico 
Ottonelli  nella  sua  Cristiana  moderazione  del  Teatro, 

Pietro  Di  Re,  detto  tra'  comici  Mescolino  fu  molto  stimato,  era  modestissimo  ;  ma 
di  lui  si  divulgò  questa  taccia,  che  era  troppo  freddo,  perchè  mai  diceva  oscenità.  Io  ri- 
spondo che  l'esser  troppo  freddo  non  è  errore  contro  la  cristiana  moralità;  ove  difetto 
si  è  troppo  grave  l'essere  troppo  licenzioso  di  lingua.  E  se  Mescolino  era  tacciato  di  fred- 
dezza perchè  si  asteneva  dalle  sboccataggini,  quella  taccia  era  ingiusta,  e  doveva  essergli 
data  da  persone  poco  amiche  all'onestà;  ove  all'incontro  era  degno  dì  lode,  perchè  nel  mo- 
derno Teatro  serbava  le  regole  della  convenevole  moderazione  ;  e  sapeva  recitare,  e  dilet- 
tare senza  offesa  dell'arte,  e  senza  oltraggio  della  virtù. 

Fr.  Bartoli  aggiunge  che  «  fioriva  questo  comico  onesto 
e  rinomato  intorno  all'anno  1625. > 

Il  Callot  ci  ha  dato  una  scenetta  nei  Balli  di  Sfessania  tra 
Guazzetto  e  Mestolino  (V.  Bocchini). 

Rebecchi  Margherita.  <  Comica  assai  giovane,  che  fiorisce 
in  questi  giorni  (i  782),  e  che  può  occupare  un  degno  posto  in 
mezzo  alle  buone  attrici.  Ha  recitato  in  Verona  coli' accade- 
mica Compagnia  di  Marco  Florio  il  carnovale  del  1 780.  È  stata 
l'anno  appresso  con  la  truppa  d'Antonio  Camerani;  ed  oggi 


334  REBECCHI  -  RECHIARI 

trovasi  con  una  vagante  compagnia,  esercitandosi  con  impe- 
gno, e  procurando  d'acquistarsi  qualche  concetto  nella  sua 
Professione.  >  Così  Fr.  Bartoli. 

Rechiarì  Luca.  Attore  e  capocomico,  fiorito  nella  seconda 
metà  del  secolo  xvii,  recitava  le  parti  ^Innamorato  sotto  il 
nome  di  Mario,  al  servizio,  dall'  '86  al  '93,  del  Serenissimo 
Francesco  di  Modena,  a  vicenda  con  Gaetano  Caccia  (V.  SuppL). 
L'autunno  dell'  '86  era  a  Torino,  raccomandato  da  Sua  Altezza 
al  signor  Marchese  di  Drenerò;  e  r'88  a  Milano,  ove  gli  furon 
pagate  lire  740  dal  tesoriere  Zerbini  (V.  l'elenco  di  quest'anno 
al  nome  di  Torri  Antonia).  Il  25  febbrajo  '90,  trovandosi  a 
Roma,  e  avuta  notizia  che  il  Duca  privava  la  Compagnia  del 
Dottore  e  del  secondo  Zanni,  si  volge  con  lettera  a  un  se- 
gretario del  Duca,  per  ottenere  o  lo  scioglimento  da  ogni  ob- 
bligo di  servizio,  o  la  sostituzione  dei  due  personaggi.  Il  Fon- 
tanelli  poi  con  lettera  del  20  luglio  1691,  impetrando  soccorsi 
dal  Duca  pel  pantalone  Girolamo  Gabrielli  e  la  prima  donna 
Antonia  Torri,  dice  di  questa:  <  La  Lavinia  anch'essa  sta  at- 
tendendo dalla  solita  benignità  di  V.  A.  qualche  soccorso,  tanto 
più  il  Rechiari  non  l'ha  voluta  in  Compagnia,  non  sa  come 
sostentarsi.  >  Il  5  dicembre  del '91  scrive  da  Arezzo  di  Toscana 
a  un  segretario  del  Duca,  perchè  gli  ottenga  raccomandazioni 
per  Roma,  ove  i  comici  di  Silvio,  con  lor  mene,  gli  farebber 
guerra.  Il  dì  seguente  rinnova  la  supplica  al  Duca  in  persona, 
nella  quale  si  firma  non  più  Luca  Rechiari  detto  Mario,  ma 
Luca  Rechiari  detto  JLeantiro.  Forse  dalla  Compagnia  era  uscita 
il  Caccia,  primo  nell'  elenco,  ed  egli  ne  aveva  assunto  il  nome  e 
l'importanza.  A  Roma  poi  andò;  e  il  2  aprile  del  '92  l'abate 
Ercole  Fanziroli  scriveva  in  suo  nome  al  Marchese  Pio  di  Sa- 
voja,  perchè  gli  ottenesse  dal  Duca  raccomandazioni  per  Na- 
poli. Il  giugno  del  '93  lo  vediamo  a  Perugia,  al  termine  di  un 
corso  di  recite,  poi  per  un  mese,  a  Gubbio,  di  dove  il  Rechiari 
scrive  direttamente  al  Marchese  Pio,  perchè  gli  ottenga  dal 
Duca  una  commendatizia  pel  Cardinal  Rubini,  Legato  di  Ur- 


RECHIARI  -  REINACH  335 

bino  e  Pesaro,  acciò  si  possa  recar  in  quelle  due  piazze  a  gua- 
dagnarsi il  vivere.  L'ottobre  del  '93  era  a  Fermo,  il  dicembre 
a  Chieti,  il  carnovale  a  Roma. 

Egli  aveva  in  compagnia  la  moglie,  che  recitava  le  prime 
donne  a  vicenda  con  la  Torri,  prima  nell'elenco  (e  forse  per  ciò 
il  Rechiari  o  spontaneamente  o  stimolato  dalla  moglie  pensò 
bene  di  liberarsi  di  questa),  e  un  figliuolo,  Giorgio,  che  reci- 
tava i  terzi  amorosi,  sotto  nome  di  Ottavio. 

Reinach  Enrico.  Nato  il  3  agosto  1851  a  Torino,  mostrò 
sin  da  ragazzo  un  amor  singolare  al  teatro;  ma  il  padre  lo 
mandò,  per  distornelo,  presso  alcuni  parenti  a  Vienna,  ove  stette 
tre  anni.  Morto  il  padre,  sì  restituì  in 
Italia,  e  frequentò  a  Milano  la  Scuola 
dei  filodrammatici,  sotto  gl'insegna- 
menti di  Amilcare  Bellotti,  detto  Bel- 
loitino  (V.).  'Esor<ì\,  generico  giovine,  al 
fianco  di  Ermete  Novelli,  a  Udine  in 
Compagnia  Diligenti  e  Calloud.  Fu 
l'anno  dopo  secondo  amoroso  con  Vir- 
ginia Marini,  che  lasciò  dopo  la  metà 
del  secondo  anno,  perchè  chiamato 
sotto  le  armi.  Finito  il  servizio  mili 
tare,  era  di  seconda  categoria,  passò 
primo  attore  giovine  in  Compagnia  di 

Luigi  Pezzana  con  Ceresa  primo  attores  Adele  Marchi  prima 
attrice,  e  la  Duse  prima  attrice  giovine;  poi,  nello  stesso  ruolo, 
in  quelle  di  Bellotti-Bon,  di  Pasta,  Nazionale,  della  Marini,  di 
Marchetti  e  la  Giagnoni,  passando  finalmente  primo  attore  e  ca- 
pocomico in  società,  prima  con  Pasta  e  Garzes,  poi  con  Talli. 
Fu  scritturato  dalla  Duse  per  la  sola  parte  di  Armando 
nella  Signora  dalU  Camelie  nel  suo  giro  dì  Germania  e  Russia  ; 
quindi,  per  un  triennio,  da  Irma  Gramatìca  e  Raspantini.  Oggi 
è  tornato  capocomico  in  società  con  Pieri,  slanciando  qual  prima 
attrice  sua  moglie  Edwige. 


Enr.'.o  Kfnn^ich  si  acc-jistò  in  arte,  e  a  buon  diritto,  3 
Vi\ftVj'V\€lernó  primo ailor  gioi-ine.  che  l'avanzar  degU  anni  ooo 
^li  to's^  mai  un'aura  singolare  di  gio^-inezza,  cuasi  direi  di 
infantiliti.  Veramente  la  nuova  dÌ\-Ìsione  deVi«///  e  de'Je  parti 
ha  fatto  di  lui  un  primo  attore,  ma,  secondo  le  considerazioni 
antiche,  oggi  egli  è  sempre  primo  attor  gio\Tne;  come,  secondo 
le  moderne,  si  dee  dire  che  primo  attore  egli  è  da  no  pezzo, 
alrn'rno  da  ouan'lo,  ammalatosi  il  Salvadori,  egli  lo  sostituì 
ni:YÌ  Armatuitì  crm  laMarini.  IIReinach.di  elegantissimo  vestire 
e  di  m'Kli  »'"]uisiti,  fu  lungo  tempo  l'ammirazione,  direi  quasi, 
lo  spasimo  delle  signore.  Se  nella  sua  recitazione  si  potè  no- 
tare talvolta  una  coiai  mancanza  di  sincerità,  essa  fii  compen- 
sata a  esuberanza  da  scatti  di  passione,  calda,  violenta,  ch'ai 
Kf:rba  tuttavia,  nei  quali  è  Ìl  segreto  di  tutta  la  sua  forza. 

^^^^.  Reinach-Guglielmetti  Edwige. 

^^^^^^&%  Mogh'e  del  precedente,  cominciò  a  re- 

^^^^^^^P^  citar  quindicenne,  seconda  amorosa,  con 

^^^^^^T^  Virginia  Marini,  con  la  quale  stette  un 

^^^^H<  triennio.  Fu  poi  scritturata  prima  attrice 

'^^^^^  giovine  da  Andrea  Maggi;  ma  Ìl  Reì- 

^^^^^P^«^^  nach  ne  sciolse  il  contratto  per  faria  sua 

^^^^^fS^nt^^^  sposa.  Adorna  di  fisico  elegante,  di  fìsio- 

^^^^^^^^HJI^^^L  nomìa  aperta,  di  voce  armoniosa,  di  suf- 

^^^^^^^^HH!*^  fìciente  sentire,  e  di  una  grande  pas- 

^^^B^^^^  sione  per  l'arte,  è  passata  al  ruolo  di 

prima  attrice  assoluta,  nel  quale  va  oggi 

affrontando,  con  onore,  i  pubblici  più  severi,  e  le  partì  piii 

scabrose. 

Reiter  Virginia.  Modenese,  figlia  di  Carlo  Reiterer  e  di 
Ternsa  Deodati  nata  Formìggini.  Forse  per  brevità  questi 
aveva  mutato  in  quel  di  Reiter  il  nome  di  Reiterer,  lascia- 
togli dal  padre,  tedesco,  uno  de' più  fidati  del  Duca  di  Modena, 
dal  ([iialu  anche  fu  mandato  a  Vienna  con  missioni  segrete   e 


si  dice  vi  accompagnasse  Ìl  Conte  Tarrabini,  Ministro  delle 
Finanze  Estensi,  in  qualità  d'interprete:  nel  1859,  fedele  al 
Padrone  nella  prospera  e  nell'  avversa  fortuna,  seguì  a  Vienna 
il  Duca,  ed  ivi  morì  nel  1880,  d'anni  78,  lasciando  tra  altri  il 
figliuoIoCarlo.padredellapiccolaVirginia,  che  ed  UGO  alla  Scuola 
di  Carità  dalle  monache  figlie  di  Gesìl.  La  prima  apparita  sulla 


Fai.  Bnvnmii  -  Firnu. 


scena  ella  fece  in  convento.  Entrata  nella  Società  Cuore  ed  Arie. 
al  momento  della  sua  formazione,  vi  emerse  in  poco  tempo, 
mostrando  assai  chiare  attitudini  alla  scena:  e  fu  gran  ventura 
pei  parenti  ai  quali  non  volgevan  troppo  al  bene  le  cose,  che 
Virginia  potesse  abbracciar  l'arte  drammatica:  ciò  fu  il  mag- 
gio dell'  '8  2  con  Giovanni  Emanuel,  che  le  fu  poi  maestro,  com- 
pagno, amico  fino  all'anno  1894.  La  Reiter,  naturalmente,  fu 
scritturata  per  parti  di  non  grande  importanza,  ma  con  la  spe- 
ranza che  potesse  taluna  volta  ripiegar  la  prima  attrice  giovine 
Bianca  Ferrari,  ammalata.  E  alcuna  volta,  infatti,  la  sostituì,  e, 
lei  morta  il  marzo  dell'  '83,  ne  prese  il  posto.  Ebbe  a  prime  at- 


338  REITER 


trici  Adelina  Marchi,  la  Papà,  la  Ruta,  la  Glech,  la  Marini:  con 
questa  trovò  subito  modo  di  uscire  dallo  stato  di  lieta  pro- 
messa ;  che  la  rappresentazione  di  La  figlia  di  Jefie  di  Caval- 
lotti al  Filodrammatico  di  Milano  (7  aprile  '86)  consacrò  l'ar- 
tista valorosa,  che,  l'anno  dopo,  uscitane  la  Marini,  diventò  la 
prima  attrice  assoluta  della  Compagnia,  alternando,  e  sempre 
con  buon  successo,  Santarellina,  Il  Matrimonio  di  Figaro,  La 
figlia  di  Jefte,  con  Frou-Frou,  Demi-monde,  Fedora,  Signora 
dalle  Camelie,  Fernanda, 

Staccatasi  finalmente  dall'Emanuel,  diventò  pel  '94  la 
prima  attrice  assoluta  della  Compagnia  Talli  e  Reinach,  pel  '95- 
96  di  quella  Andò  e  Leigheb  ;  poi  formò  Società  con  Pasta, 
per  passar  da  ultimo  capocomica  assoluta:  questa  la  cronaca 
artistica  di  Virginia  Reiter.  L'angusto  spazio  e  l'indole  di 
quest'opera  non  consentono  che  un  breve  e  rapido  giudizio 
dell'artista.  Ma  basti  affermare  ch'Ella  per  sue  doti  fisiche  e 
intellettuali  è  noverata  oggi  fra  le  rare  attrici  di  pregio  intrin- 
seco della  nostra  scena  di  prosa;  e  di  esse  prima  senza  dubbio 
per  la  spontaneità  doviziosa,  direi  quasi  per  la  improvvisazione, 
specie  negli  scatti  della  passione  caldissima,  in  cui  forse  la 
moltitudine  non  avverte  alcune  scorrettezze  di  forma  lamen- 
tate dall'acume  della  critica.  La  sua  voce  metallica,  estesa,  ca- 
pace delle  melodie  più  soavi  e  più  aspre  e  forti,  afferra  l'anima 
di  chi  ascolta.  Nel  suo  riso  squillante  è  una  giocondità  viva  e 
sincera,  nel  suo  pianto  sono  solchi  profondi  di  dolore,  strazi 
di  anime,  a  cui  si  avvince  la  folla  dominata.  In  quella  bellissima 
faccia  ebraica  (sua  madre  era  figlia  del  custode  della  Sinagoga 
di  Modena,  fatta  cristiana  quando  si  sposò)  sfolgoran  due  occhi 
a  mandorla,  ricchi  di  fascino  ineffabile;  tra  le  labbra  tumide  e 
procaci  affaccian  due  file  di  perle  grandi  ed  uguali  che  attrag- 
gono: se  la  parte  inferiore  della  sua  persona  rispondesse  ar- 
monicamente a  quella  di  sopra,  Ella  sarebbe  in  ogni  rispetto 
magnifica.  Ho  detto  più  sopra  scorrettezze  di  forma.  Avrei  do- 
vuto aggiungere:  inevitabili  in  chi  si  abbandona  con  tutte  le 
esuberanti  doti  dell'anima  sua  d'artista,  senza  lasciar  tempo 


né  modo  alla  mente  d'infrenarla  e  guidarla  con  lo  studio  pa- 
ziente, profondo  dell'analisi  psicologica  in  ogni  minima  parte  : 


a  quell'abbandono  di  anima  si  accoppia  naturalmente,  nell'im- 
prowisazione,  quell'abbandono  di  persona  che  non  può  tenere 
l'artista  inconsapevole  dal  mostrare  alcuna  volta  quelle  siffatte 
scorrettezze.  Ma  in  ogni  modo:  com'Ella  riempie  la  scena! 


340  REITER 


Che  anima  !  Che  vita  !  Il  pubblico,  il  quale,  più  del  godimento 
intellettuale,  si  appaga  di  un  godimento  immediato  che  lo  scuota 
là  per  là,  è  assai  più  soddisfatto  davanti  a  codesta  attrice,  che 
ad  altre,  forse  intellettualmente  o  artisticamente  più....  come 
dire?...  elaborate.  Oggi  abbiamo  il  ** temperamento  artistico": 
con  queste  due  parole  si  scusan  molte  stramberie  sulla  scena. 
Se  v'è  temperamento  artistico,  non  si  può. aver  sempre  lo  spi- 
rito rispondente  a  ogni  chiamata.  Così:  la  tale  attrice,  che  è 
un  gran  temperamento  artistico,  'sta  sera  è  stata  fredda,  per- 
chè non  ne  aveva  voglia;  ier  sera  fu  arruffata,  perchè  era  ner- 
vosa, e  via  di  questo  passo  ;  e  beati  coloro  cui  tocca  ventura 
di  assistere  a  una  di  quelle  rappresentazioni,  il  cui  tempera- 
mento artistico  si  esplichi  in  tutta  la  sua  pienezza.  In  Virginia 
Reiter  forse  il  temperamento  artistico,  propriamente  detto,  non 
c'è:  le  analisi  nevrotiche  non  son  forse  quel  che  più  le  si  at- 
taglia.... Se  non  avessi  paura  di  essere  frainteso,  direi  che  Vir- 
ginia Reiter  non  ha  voluto  abbandonar  compiutamente  la  scuola 
di  taluna  che  la  precedette,  né  accettar  a  occhi  chiusi  tutti  i 
canoni,  tal  volta  a  base  di  oppio,  dell'arte  moderna....  Insomma: 
nella  sua  modernità  e'  è  sempre  della  Virginia  Marini.  Ma  la 
Reiter  è  la  Reiter....;  e,  grazie  a  Dio  (anche  in  ciò  somiglia  alla 
sua  egregia  antenata),  non  bisogna  al  povero  pubblico  di  an- 
darle a  chiedere,  prima  di  comperare  il  biglietto  :  <  Scusi  :  'sta 
sera,  ne  ha  voglia?...  >  Tra  le  produzioni  nuove,  o  rinnovate, 
la  cara  artista  ha  dato  l'anima  a  due:  a  Madame  Sans-Géne  di 
Vittoriano  Sardou,  e  a  Messalina  di  Pietro  Cossa. 

Così,  e  assai  bene,  il  mio  Ugo  De  Amicis  comincia  uno 
studio  sull'arte  della  Reiter  nell'interpretazione  della  prima: 

Credo  che  se  Sardou  fosse  un  autore  italiano  11  pubblico  direbbe  eh'  egli  ha  scritto 
la  Madame  Sans-Géne  per  la  signora  Reiter,  eh'  egli  ha  svolto  cosi  largamente  il  carattere 
di  Caterina  perchè  l' illustre  attrice,  presentandosi  nei  diversi  aspetti  di  questo  personaggio 
storico,  potesse  in  una  sola  parte  spiegare  tutte  le  sue  doti;  e  credo  che  chiunque  avesse 
letta  la  commedia  prima  di  vederla  rappresentata  e  avesse  voluto  distribuire  idealmente 
i  ruoli,  avrebbe  scritto  a  fianco  del  nome  della  protagonista:  Virginia  Reiter,  La  parte 
è  varia,  complessa,  multicolore  come  l' arte  di  chi  la  interpreta  ;  la  parte  non  limita  il 
vigore  artistico  dell'attrice,  lascia  che  questa  domini  con  tutta  la  sua  originalità,  con  tutta 
la  sua  valentia. 


Quanto  alla  seconda,  a  una  mia  dimanda  Ella  rispondeva  : 

Come  studio?  A  lango  e  non  poco....  qualunque  sia  il  reinlCato  dei  miei  studi. 

Iji  Missalmaì...  Dopo  letto  il  lavoro  ho  voluto  studiare  il  perioniggio.  L'ho  ri- 
cercato nei  testi  claisici  e  nei  semi-itorìci  o  romanzeschi  ;  e  cosi,  a  poco  a  poco,  prima 
delle  parole  della  parte,  ho  imparato  a  me- 
morìs,   dirà  cosi,  ana   iigara  che  mi  pareva 
aisomigliare  alla  Imperatrice  romana. 

Con  questo  corredo  di  preparazione  ho 
ripreso,  per  poco,  lo  stadio  dei  versi  e  poi  le 
prmt  lentamente,  tentando  di  dar  vita  a  quella 
figura  che  sapevo  e  che....  il  pubblico  solo  ora 
può  dire  in  quanta  parte  di  iwro  abbia  Teso. 

Veramente,  oggi  che  l'arte 
drammatica  mostra  di  tendere 
alla  radicale  rinnovazione  del 
dramma  storico,  mirando  in 
ispecial  modo  alla  ricostruzione 
fedele  dell'ambiente,  la  Messa- 
lina di  Pietro  Cossa,  che  pur  se- 
gnò al  suo  apparire  un  sì  gran 
passo  nel  progresso  della  scena, 
non  mi  pareva  tale  da  invogliare  "^'  ^"""""^  ~  ^•>"'°- 

un'artista  a  infonderle  nova  vita.  Né  tale  mi  pareva,  anche, 
perchè  trattavasì  di  dramma  storico,  del  quale  abbiamo  ancor 
nella  mente  e  nel  cuore  il  ricordo  della  interpretazione  ma- 
gnifica che  ne  diede  la  geniale  trinità  Marini-Tessero-Pezzana. 
Comunque  sìa,  pare  che  la  interprete  moderna  sia  uscita  de- 
gnamente dalla  nuova  battaglia. 


'.il  1 


Rìcci  Federigo.  Recitava  le  partì  di  Pantalone  e  lo  vediamo 
in  Francia  il  1613  e  1620,  con  la  Compagnia  di  Tristano  Mar- 
tinelli (V.). 


Ricci  Benedetto,  nipote  del  precedente,  nato  il  9  maggio 
del  1 592, recitava  gl'^naOTora// sotto  il  nome  diZ^aKf^rtj.  Pare 
fosse  il  1 6 1 8  a  Napoli,  d'onde  fu  richiamato  dall' Antonazzoni  (V.), 
per  essere  aggregato  alla  Compagnia  dei  Confidenti.  Partì  il  '20 


342 


RICCI 


per  Parigi  con  lo  zio  ;  ma,  arrivati  a  Chambéry,  sorpreso  da  ma- 
lore, vi  dovette  soccombere.  La  fede  del  guardiano  di  Cham- 
béry della  morte  di 


f)/^  /.  // 


Leandro  fu  spedita  a 
Venezia,  senza  dub- 
bio sua  patria. 

Secondo  Tinde- 
cifrabile  oroscopo 
che  tolgo,  come  gli 
altri,  dalla  Biblioteca 
Nazionale  di  Firen- 
ze, egli  avrebbe  pre- 
so moglie  il  1614  e 
commesso  un  omici- 
dio il  '16. 

Ricci -Teodora 

(V.  Bartot.1- Ricci). 


^4 

^  Ricci  Anna,  bo- 

lognese «  figliuola  -  dice  il  Bartoli,  di  Paolo  Ricci,  accade- 
mico recitante,  -  che  ne' privati  teatri  di  Bologna  fece  per 
alcuni  anni  un'ottima  comparsa. >  Entrò  con  lui  in  arte,  soste- 
nendovi le  parti  à!" ingenua;  e  di  lei  dice  ancora  il  Bartoli  che 
<  nelle  cose  dove  la  tenerezza  affettuosamente  campeggi,  a 
meraviglia  riuscì.»  Si  recò  dopo  di  aver  vagato  in  compagnie 
di  giro,  in  Napoli,  ov'era  nel  1782;  passò  poi  al  ruolo  di  Donna 
seriay  ammiratissima. 


Ricci  Orsola,  sorella  della  precedente,  entrò  in  arte  e  seguì 
sempre  il  padre  e  la  sorella,  recitando  da  Serva.  Di  questa  dice 
il  Bartoli:  <  il  gentil  personale  adattato  al  carattere  che  sostiene, 
una  prontezza  vivace,  ed  i  modi  suoi  graziosissimi  fanno  distin- 
guerla per  un'attrice  pregevole,  e  degna  di  quelle  lodi,  che  li- 
beralmente le  vengono  dagli  spettatori  concesse.  > 


RICCI  343 

Ricci  Emilia,  pisana,  nata  dalla  civile  famiglia  Gambacciani, 
venuta  a  povertà,  ancor  fanciulla,  dopo  la  morte  del  padre, 
sposò  Antonio  Ricci,  padovano,  ballerino  da  corda,  assai  mag- 
giore di  lei.  Andò  con  la  madre  Clarice  e  col  marito  a  Venezia, 
ove  recitò  nella  Compagnia  di  Antonio  Sacco  al  Teatro  Gri- 
mani  a  S.  Gio.  Grisostomo.  Le  grazie  del  volto,  la  pronunzia 
dolcissima,  lo  spirito  non  comune  fecer  di  lei  un'artista  di  pre- 
gio; sì  che,  passata  con  Girolamo  Medebach,  il  Chiari  ebbe 
a  scriver  per  lei  alcune  parti,  quali  la  Melania  nella  Pastorella 
fedele,  Ipparchia  nel  Diogene,  e  altre.  Restò  sul  teatro  fino  al- 
l'anno 1767,  dopo  il  quale,  prostrata  dalle  fatiche  che  le  ave- 
van  date  l'allevamento  e  l'educazione  di  cinque  figliuole,  si  ri- 
dusse a  Venezia,  ov'era  ancora  r82,  <  ben  conservata  —  dice 
il  Bartoli  -  e  in  buona  salute,  presso  una  doviziosa  e  onorata 
famiglia.  >  Suo  marito,  per  non  esser  d'aggravio  alla  famiglia 
si  recò  maestro  di  ballo  nel  Collegio  di  Senigallia,  e  quivi  morì 
il  1780.  L'anno  dopo  le  morì  la  madre.  Delle  cinque  figliuole, 
Angiola  recitò  da  bimba  alcuni  prologhi  del  Chiarì,  poi  divenne 
ballerina  egregia  e  sposò  Gaetano  Cesari,  rinomatissimo  grot- 
tesco: la  seconda,  Marianna,  fu  attrice  e  ballerina  anch' essa  col 
Medebach  e  sposò  nel  '79  Giovanbattista  Rotti,  Pantalone  (V.); 
la  terza,  Teodora,  fu  moglie  di  Francesco  Bartoli,  e  notissima 
attrice  (V.  Bartoli-Ricci)  ;  la  quarta,  graziosa  ballerina,  morì 
nel  '73,  appena  ventenne;  e  la  quinta,  Maddalena,  fu  egregia 
cantante,  sposa  al  bolognese  Vincenzo  Conti,  scenografo  di 
grido. 

Ricci  Amato,  fiorentino,  fu  il  più  forte  seguace  di  Luigi 
Del  Buono,  sotto  la  maschera  di  Stenterello.  Figlio  di  Giovan 
Batista,  pettinalo,  la  cui  bottega  esiste  tuttora  in  Via  de' Servi, 
presso  la  Chiesa  di  S.  Michelino,  si  mostrò,  da  giovinetto,  di 
spirito  più  che  bizzarro,  e  fu  eccitato  a  recitare  da  un  Antonio 
Palagi,  ciabattino,  popolarissimo  per  singolarità  di  arguzia.  La 
voce  armoniosa,  la  correttezza  della  dizione,  la  spontaneità 
de' sali,  lo  fecer  subito  amato  e  ammirato  dal  pubblico  della 


Piazza  Vecchia,  Teatro  degli 
Arrischiati,  sì  che  vi  fu  per- 
fino chi  lo  paragonò  a  Vestri 
nella  facoltà  di  trascinare  il 
pubblico  al  pianto  ed  al  riso. 
Da  alcuni  manifesti  di  sua  se- 
rata, rilevo  che  Stenterello  non 
era  la  sola  maschera  che  figu- 
rasse nella  Compagnia. 

La  beneficiata  del  Ricci 
del  31  gennaio  1837  si  aprì 
con  //  Matrimonio  con  la  benda 
agli  occhi  con  Pulcinella  cior- 
battino,  segretario  ignorante  e 
servitore  in  casa  della  miseria  ; 
e  quella  del  1 7  febbraio  del 
1840,  si  chiuse  con  una  pan- 
tomima, adorna  di  voli  e  tra- 
sformazioni, intitolata:  Arlec- 
chino bombardato  ossia  II  Gi- 
gante Para-Faragaramus. 

Forse  invece  di  una  vera 
e  propria  compagnia  del  Ricci, 
si  trattava  di  compagnie  scrit- 
turate, nelle  quali  poi  egli 
aveva  libertà  di  azione?  Infatti, 
al  proposito  della  pantomima, 
era  detto  ;  <  verrà  questa  rap- 
presentata davarj  componenti 
la  Comica  Compagnia,  che  gra- 
ziosamente si  prestano.  >  I  ma- 
nifesti di  beneficiata  avevan, 
come  per  tutti  gli  Stenterelli,  W 
solito  invito  al  pubblico,  ordi- 
nariamente in  brutti  versi  mar- 


RICCI  -  RICCIONI  345 


telliani.  In  quello  del' 37,  invece,  figuravano  due  sonetti,  de' più 
spontanei  e  garbati.  Il  Ricci,  poi  agente  teatrale,  entrò  in  una 
certa  agiatezza,  sì  che  potè  comprarsi  al  Ponte  alla  Badia  una 
villa,  detta  delle  Pagliole,  ove  morì  di  cholera,  dicono  per  paura. 
Il  numero  delV Arie  di  Mercoldì  9  agosto  1855  recava  in 
terza  pagina  queste  poche  parole  listate  a  nero  e  sormontate 
da  una  croce  : 

L*  artista  comico  per  eccellenza,  il  conscienzioso  ed  esperto  agente  teatrale,  attaccato 
jeri  dal  cholera,  spirava  questa  mattina  a  ore  4  antimeridiane,  fra  il  pianto  dei  suoi  più  cari 
e  il  lamento  di  tutti  quelli  che  apprezzavano  il  di  lui  talento  e  le  sue  rare  virtù. 

Ricciolina  o  Rizzolina.  Dal  libretto  della  Scena  Illustrata 
Francesco  Bartoli  riferisce  :  <  Comica  che  recitava  la  parte  della 
serva  in  età  avanzata  in  un  carattere  grave  e  prudente,  all'op- 
posto di  Fiammetta  sua  compagna,  nella  unione  de'  Comici  affe- 
zionati. Viveva  ancora  l'anno  1 634.  >  Ma  né  di  questa,  né  di  altri 
personaggi  degli  Affezionati  ci  fu  possibile  dar  notizie.  Il  D'An- 
cona (II,  5  34)  riferisce  alcune  parole  di  Federico  Zuccaro  nel  suo 
Passaggio  per  Italia  con  la  dimora  in  Parma,  pag.  28,  riguar- 
danti il  1605,  nelle  quali  é  detta  la  Compagnia  di  Frittellino,  <la 
migliore  forse  che  sia  oggidì,  guidata  dal  Capitano  Rinoceronte 
e  Frittellino,  con  le  lor  donne  meravigliose,  la  Flavia,  la  Flaminia 
e  la  Rizzolina,  con  Arlichino  e  altri  due,  etc.  etc.  >  Questa  Riz- 
zolina potrebbe  anch'  essere  la  Marina  Antonazzoni,  la  quale, 
secondo  l' articolo  del  Neri,  avrebbe  recitato  ne'  Gelosi  le  parti 
di  serva  sotto  nome  di  Ricciolina,  prima  di  salire  al  grado  di 
prima  donna  sotto  quello  di  Lavinia,  a  vicenda  con  la  Roncagli. 
Ma  mi  tengono  anche  in  dubbio  le  date  lasciateci  dall'oroscopo, 
secondo  le  quali  ella  avrebbe  avuto  il  1605  dodici  anni  (V.  An- 
tonazzoni, al  cui  nome  é  anche  l'illustrazione  di  G.  Callot). 

Riccioni  Barbara.  È  citata  dal  Bertolotti,  per  l'anno  1693 
a  Mantova,  come  cortonese,  comica  al  servizio  di  S.  A.  insieme 
a  un  Domenico  Cecchi,  pur  di  Cortona.  Ma  era  cantatrice,  ed 
ebbe  parte  principale  il  1694  al  Teatro  Malvezzi  di  Bologna 
nella  Forza  della  Virtù,  assieme  alla  celebre  Mignatta,  Maria 

44.  —  /  Comici  italiani.  Voi.  II. 


346  RICCIONI  -  KICCOBONI 

Maddalena  Musi  (V.)  citata  erroneamente  fra  le  attrici  del  teatro 
di  prosa. 

RiccoboniAntonio,  veneziano,  comico  egregio  per  le  parti 
di  Pantalone  nella  Compagnia  al  Servizio  del  Duca  di  Modena. 
Luigi  XIV  richiese  al  Duca  di  Modena  il  Riccoboni,  il  quale, 
colpito  dalle  parole  cortesi  di  rammarico  che  il  Duca  gli  volse 
nel  licenziarlo  per  la  Francia,  rifiutò  di  recarvisi,  qualunque  fos- 
sero i  patti  offertigli.  Secondo  i  Fratelli  Parfait,  seguiti  poi  dagli 
altri,  la  richiesta  del  Re  fu  causata  forse  dal  fatto  che  poco 
piacque  a  Parigi  il  Pantaloncini  cui  s'ignora  il  nome),  il  quale 
andò  a  sostituir  Turi,  egregio  artista  (V.),  morto  il  1670....  Ma 
questa  non  è  che  un'ipotesi;  e  anzi,  il  Robinet,  citando  il  nuovo 
Pantalone,  nella  sua  lettera  in  versi  dell' 8  marzo  1670,  dice: 

tous  les  acteurs  de  cette  troupe, 
qui  maintenant  ont  vent  en  poupe, 
compris  leur  nouveau  Pantalon^ 
rouge,  ma  foi,  jusqu'au  talon, 
y  font  a  Tenvi  des  merveiiles. 

Questo  Pantalone  ignorato  essendo  stato  V  ultimo  Panta- 
lone andato  a  Parigi,  e  non  trovandosi  poi  citato  più  da  alcuno, 
è  probabile  che  la  richiesta  del  Re  di  Francia  avvenisse  poco 
dopo  il  '70. 

Avanti  di  esser  Comico  al  Servizio  del  Duca  di  Modena 
(ma  non  sappiam  quando),  Riccoboni  era  a  Napoli  ;  e  ciò  sap- 
piam  da  una  supplica  del  '74  al  Duca,  in  cui  egli  espone:  che 
certo  Bartolomeo  Pavia  modenese,  suo  servo,  partitosi  con  lui 
da  Napoli,  per  recarsi  a  Modena  al  servizio  di  quell'Altezza 
Serenissima,  a  Gaeta  se  ne  fuggì  con  danaro  parte  prestatogli, 
e  parte  affidatogli.  E  trovandosi  ora  detto  servo  a  Modena,  in 
casa  del  conte  Sertorio,  e  potendolo  pagare,  Riccoboni  supplica 
il  Duca  perchè  vi  si  adoperi.... 

Il  Riccoboni  doventò  il  conduttore  della  Compagnia  du- 
cale, invece  di  Costantini,  e  il  luglio  del  '77  Alfonso  d'Este  ne 
sollecitava  il  passaporto  per  tale  ufficio. 


RICCOBONI  347 


Lo  vediamo  il  '79,  Pantalone  a  Londra,  non  sappiam  se 
solo  o  con  la  Compagnia,  ma  certo  al  servizio  sempre  di  Don  Al- 
fonso,... come  ci  fa  sapere  la  moglie  Anastasia  (probabilmente 
non  comica),  la  qucde,  lontana  dcd  marito,  senza  mezzi  di  sus- 
sistenza, e  più  con  cinque  creature  da  allevare,  si  raccomanda 
alla  solita  pietà  e  munificenza  del  Duca....  Delle  cinque  crea- 
ture non  abbiam  notizia  che  di  due:  Luigi,  Lelio,  del  quale 
s'avrà  da  discorrer  lungamente,  e  Bartolomeo,  soldato  di  for- 
tezza di  Modena,  che  il  giugno  dell*  '83,  provocato  da  altro 
soldato  di  fortezza,  figlio  di  Carlo  Curti  della  guardia  del  Duca, 
e  seco  lui  costretto  a  battersi  con  la  spada,  lo  distese  morto, 
passandogli  il  fianco. 

Fra  i  documenti  che  concernon  la  Compagnia  del  Duca, 
ov'era  Pantalone,  ve  n'ha  uno  del  1681,  che  comprende  la  nota 
della  paga  per  ognun  de' comici  in  sessanta  ducatoni  d'argento, 
e  queste  parole  aggiunte:  l'anno  1682  gli  donò  Sua  Altezza 
vinti  doble  per  ciascheduno  Comico,  et  erano  in  dodici  sì  che 
l'ordine  fu  di  doble  240  in  tutto,  e  poi  l'Altezza  Sua  si  disfece 
della  Compagnia.  E  ancora  più  sotto:  in  quest'anno  a  dì  20  gen- 
naio si  attaccò  di  notte  il  fuoco  al  Teatro  Valentino  ;  e  in  poche 
ore  restò  affatto  incenerito.  Si  proseguirono  però  le  Comedie 
nella  Sala  detta  della  Biada,  ove  d'ordine  di  Sua  Altezza  si  fe- 
cero la  scena,  e  qualche  palchi  per  modo  di  provisione. 

Fra  le  carte  di  Don  Alfonso  furon  rinvenute  parecchie  cam- 
biali di  comici  fra  cui  di  Riccoboni,  in  data  del  28  aprile  1677, 
che  riferisco  testualmente: 

Ricevo  Io  Antonio  Rico  Bon  per  puro  imprestido  dal  E.s'»  Sig.'  don  Alfonzo  deste 
dopie  di  italia  dieci  per  restntirle  a  piacimento  di  Sua  Sele.^^  a  chi  comanderà  e  presenterà 
la  presente  riceuta.  j^  Antonio  Rico  Bon  mi  confermo  nero  e  legitimo 

Debitore  et  obliga  ogni  mio  Avere. 

Altro  documento  ci  fa  sapere  che  S.  A.  diede  la  sussistenza 
in  ragione  di  due  doppie  al  mese  per  ciascheduno  dei  comici 
dal  1°  maggio  1686.  L'agosto  del  1687  Riccoboni  lasciava  ri- 
cevuta al  tesoriere  Zerbini  del  prestito  di  dieci  doppie,  ossia 
lire  330,  obbligandosi  di  rilasciarle  a  due  al  mese. 


348  RICCOBONI 


Al  nome  di  Torri  Antonia,  è  T  elenco  della  Compagnia 
pel  1688.  Pel  carnovale  di  quell'anno  furon  distribuite  con  or- 
dine del  7  marzo  '89  doble  centocinquanta  d' Italia,  ai.  dodici 
comici,  fra*  quali  il  Riccoboni,  ritenendo  doble  venticinque  pre- 
state il  maggio. 

Il  9  d'agosto  deir  '89  gli  furon  rimborsate  lire  83,  spese 
nel  trasporto  della  condotta  per  barca  dal  Finale  a  Modena. 

Il  '95  egli  si  rivolge  al  Marchese  Pio  perchè  voglia  con- 
fermargli e  continuargli  <  la  gloria  già  goduta  da  lui  con  tanta 
venerazione,  ordinando  che  gli  sia  rinnovato  il  Passaporto,  e 
repplicata  la  segnalata  dichiarazione  d'attuale  servitore  etc.  > 
Con  altra  supplica  dello  stesso  anno  implora  un  sussidio,  che 
gli  è  accordato. 

A  questo  punto  cessano  le  notizie  di  Antonio  Riccoboni. 

Riccoboni  Luig^.  Figlio  del  precedente,  nato  a  Modena 
verso  il  1675,  esordì  quale  Innamorato  nella  Compagnia  della 
Diana,  moglie  di  Giovanni  Battista  Costantini,  al  servizio  di 
quel  Duca,  diretta  sotto  il  nome  di  Federico,  che  mutò  poi  in 
quello  di  Lclio^  sembrato  alla  direttrice  più  teatrale;  e  diede 
subito  prova  di  gran  valore.  Traggo  dall'Archivio  di  Modena 
la  lettera  seguente  ricca  d' interesse  per  gli  scrupoli  religiosi 
da  cui  fu  preso,  poco  più  che  ventenne  : 

Ser.»n»  Altezza, 

Luigi  Riccoboni  seruo,  e  sudito  hum.^o  del  A.  V.  humilmente  li  narra,  come  ha 
esercitato  l' arte  comica  per  il  spatio  d*  anni  quatro,  e  ciò  ha  fatto  per  esser  figlio  d' An- 
tonio  che  ha  seruito  tant'anni  la  Ser.ina  Casa  per  Pantalone  nel  qual  tempo  ha  conosciuto 
apertamente,  et  indubitatamente  esser  impossibile,  esercitandola,  il  poter  saluar  l'anima 
sua,  e  su  questa  certezza  l*  anno  scorso  haueua  determinato  di  lasciar  tal  arte,  e  ritirarsi 
in  un  Monastero,  e  che  sij  il  nero  col  Padre  Guardiano  de  Zocolanti  di  Cento  trattaua 
tal  interesse;  ma  perchè  quelli  che  esercitano  tal  arte  sono  senz'anima,  e  pieni  d'iniquità 
fecero  che  fu  chiamato  a  recitare  dal  Ser.^o  di  Mantova,  dal  quale  non  si  potè  difendere 
con  tutto  li  rapresentasse  l' impegno  che  haueua  con  tal  Padre,  le  lettere  che  fra  essi  cor- 
reuano,  e  l' inclinatione  e  genio  che  haueua  di  farsi  Religioso  ;  si  conuenne  adunque  con> 
tinuare  il  recitare  con  mille  inquietezze  d'animo,  pretendendo  li  Compagni  farli  sposare 
l'Argentina  Comica,  del  che  se  ne  diffese.  Finito  l' anno  prima  che  fosse  impiegato  notifico 
al  Sig.*'^  Co.  Cesare  Rangoni  protettore  de  Comici  del  A.  V.  S.  che  non  l'impiegasse, 
che  non  uoleua  più  far  tal  arte,  ma  guadagnarsi  il  pane  in  gratia  di  Dio,  e  più  honora- 


RICCOBONI 


tMnente,  e  perchÈ  hor&  li  pernicDe  al  orechio  che  Leuidro  primo  Motoio  l' babbi  deitliutto 
prr  suo  secoDdo,  e  che  ni  lij  l'uienio  del  snil.o  Sig.'=  Conte,  contro  sua  nolonta,  ricorre 
al  Innata  bonti  del  A.  V,  S.  •  gratiarlo  che  non  «ij  sroriato  a  far  arte  dì  Unto  ano  pre- 
giaditio,  e  non  dubita  d'ottener  dò,  upendo  quanto  l'A.  Sna  sia  Christiana,  che  non  per- 
mettere che  offenda  dio  eiercitandola,  e  non  icorra  pericolo  di  iposare  la  già  nominata 
Argentina  che  pure  è  in  detta  Compagnia,  certo  alhora  di  non  lasciar  mai  [ùù  tal  me- 
stiere, e  piombare  al  Inrerno.  Che  della  gratta,  etc. 


Di  fuori  : 


A  S. 


.  Ser.™> 


-  Per  Lnigi  Riccoboni  (1696). 


Ma  la  difesa  pare  non  fosse  che  del  momento,  però  ch'egli 
sposò  difatti  VArgenlina,  Gabriella  Gardelini  (V.),  sorellastra 
di  Francesco  Materazzi,  Ìl  dottore  della  Com- 
pagnia (V.),  che  gli  morì  giovanissima,  e  da 
cui  non  ebbe  figliuoli. 

Rimasto  vedovo,  passò  a  seconde  nozze 
con  Elena  Virginia  Balletti  (V.),  famosissima 
attrice,  e  più  nota  col  nome  di  Flaminia;  e 
li  vediamo  con  la  lor  Compagnia  al  Vecchio 
Teatro  Comunale  di  Modena  in  Via  Emilia 
il  dicembre  del  1709,  il  carnovale  del  17  io, 
l'aprile  del  1 7 1 2'.  Alessandro  Gandini  {op.  cii.) 
riferisce  il  seguente  racconto  tratto  dalle  me- 
morie manoscritte  del  Ronchi  : 

Si  dice  che  il  Riccoboni,  sulle  scene  il  Lelia,  fn  fatto  arre- 
stare per  istanza  a  S.  A.  S.  di  alcnni  Cavalieri,  i  quali  nella  aera 
delli  1 1  gennajo  del  1 7to  avendo  recitato,  e  sperando  di  avere  la 
Corte,  questa  invece  andò  al  Teatro  ove  recitava  il  Lelia.  Questi 
si  permise  alla  fine  della  sna  produzione  di  ringraziare  ì  Sere- 
nissimi dicendo  che  le  grotte  delle  ZL.  AUeue  erano  slimatiisime, 
t  maitime  più  guaiido  erano  conferite  con  fire/erenta,  alludendo 
alla  venuta  delle  Serenissime  piottosto  da  lui  che  dai  Cavalieri, 
i  quali  adontati,  ottennero  che  il  Marchese  Lodovico  Raagom 
lo  coiuigliasie  a  costituirai  in  prigione,  al  che  aderendo  il  Lelio,  venne  nelli 
per  mezio  delle  Serenissime  latto  porre  iu  libertà  all'ora  della  redta. 

E  questo  mi  par  provi  in  quale  stima  fosse  tenuto  da  S.  A. 
il  Riccoboni,  che  aveva  già  cominciato  a  far  tanto  parlar  di  sé 
pe'  suoi  tentativi  dì  Riforma  del  Teatro  Italiano,  sostituendo 
alla  Comedia  delF arte,  buone  opere  scritte,  tolte  dall'antico  re- 
pertorio, quali  So/onisba  del  Trissino,  Semiramide  di  Muzio  Man- 


RICCOBONI 


fredi,  Edipo  di  Sofocle,  Torrismondo  del  Tasso,  e  altre,  e  altre, 
che  troppo  sarebbe  voler  qm  enumerare,  le  quali  allestì  al  pub- 
blico con  molto  decoro,  e  recitò  con  molto  valore. -Aproposito 
^^^^  della  recitazione  tra- 
it^"  fi  gica,  è  opportuno  ri- 
ferire quel  che  dice 
Pier  Jacopo  Martel- 
lo nel  volume  I  delle 
sue  opere  (Bologna, 
Lelio  dalla  Volpe, 
MDCCXXXV): 

ti  vo'dargiuto 

con  aenteazìsre,  che  t' Italia- 
no va  a  piacere  con  più  ra- 
gione degli  altri,  ae  più  com- 
mozione dogli  Franiesi,  e  più 
gravità  dagli  Spagnuoli  pren- 
decì  in  prestito  nelle  Scene. 
Di  questo  mescolamento  mi 
dA  grande  speranza  LwgiRie- 
cobuoni  detto  Lelio  Comico, 
che  con  la  lua  brava  Flaminia 
si  è  dato  non  solo  ad  ingenti- 
lire il  costume  pur  troppo  ril- 
[ano  de'  vostri  Istrioni,  col 
rendere  V  antico  decoro  alla 
comica  professione,  ma  reci- 
tando  insieme  co'  anoi  com- 
pagni regolate  e  sode  tragedie, 
le  rappreienta  con  TÌvaciti,  e 
con  fermeiia  conveniente  ai 
soletti,  che  tratta,  dimodo- 
ché potete  voi  dargli  il  giu- 
sto titolo  di  vero  Riformatore 
de' recitamenti  Italiani. 

Ma  la  vittoria 
del  Riccobonì  non 
poteva  dirsi  compiuta,  ove  fosse  mancato  il  successo  a  Vene- 
zia, la  Capitale  d'Italia  pel  teatro  di  prosa.  E  pur  troppo  vi 
mancò:  la  commedia  improvvisa  coi  suoi  arlecchini,  co' suoi 
brighella,  co' s\ì.q\ pantaloni,  imperava  sovrana,  e  Riccoboni,  che 


RICCOBONI  351 


non  aveva  avuto  dalla  natura  il  genio  di  opporre  a  quella  una  pro- 
duzione nuova,  destinata  a  migliorare  gradatamente  il  corrotto 
gusto  del  pubblico,  dovette  soccombere.  Scoraggiato,  avvilito, 
deliberò  di  accettar  l'invito  che  gli  venne  di  Francia  di  formare 
una  Compagnia  italiana  per  Parigi,  al  servizio  del  Duca  d'Or- 
léans, il  Reggente,  sperando  di  realizzare  colà  il  sogno  che 
aveva  tentato  invano  di  realizzare  in  patria.  Ma,  ahimè!  Avevano 
i  letterati  un  bel  chiamarlo  riformatore  !  Neanche  Parigi  volle 
sapere  delle  commedie  di  òuongusio;  epriniB.  ancora  di  aprire  il 
teatro,  egli  dovette  obbedire,  e  cedere  alle  voglie  del  pubblico, 
che  non  si  aspettava  dagl'  italiani  se  non  uno  sregolato  riso. 

Essendo  V Hotel  de  Bourgocrpie  in  riparazione,  la  compagnia 
recitò  al  Palais  Royal,  alternativamente  con  l'opera,  comin- 
ciando la  sera  del  1 8  maggio,  nel  nome  di  Dio,  della  Vergine 
Maria,  di  San  Francesco  di  Paola  e  delle  Anime  del  Purgatorio, 
con  La  Felice  Sorpresa,  che  ebbe  un  grande  successo  davanti 
a  un  pubblico  affollatissimo  :  l' introito,  e  i  posti  costavano  un 
terzo  meno  che  un  secolo  più  tardi,  fu  di  lire  4068. 

Il  20,  fu  pubblicato  un  ordine  del  Re,  col  quale  la  Com- 
pagnia Itcdiana  era  ufficialmente  stabilita;  e  lo  stesso  giorno 
si  recitò  la  commedia  a  soggetto  Arlecchino  buffone  di  Corte, 
che  destò  vero  fanatismo,  a  segno  che  le  Dame  si  credettero 
in  dovere  di  studiar  l' italiano  ;  coloro  che  l' insegnavano,  diven- 
taron  di  moda,  ed  era  di  somma  eleganza  averne  la  sera  uno 
in  palco,  il  quale  spiegasse  il  lavoro. 

Or  ecco  l'elenco  della  Compagnia: 

UOMINI 

Pietro  Alborghetti  di  Vtnt:^a Pantalone 

Francesco  Materassi  di  Milano Dottore 

Luigi  Riccoboni  detto  Lelio  di  Modena  ...  1°  Amoroso 

Giuseppe  Baletti  detto  Mario  di  Monaco  .  .  2°  Amoroso 

Jacomo  Rauzini  di  Napoli Scaramuccia 

Giovanni  Dissoni  di  Bologna Scapino  (i°  Zanni) 

Tomaso  Antonio  Visentini  di  Fene^ia.  .  .  .  Arlecchino  (2°  Zanni) 

Fabio  Sticotti Cantante  e  Generico 


352  RICCOBONI 


DONNE 

Elena  Baletti  detta  Flaminia  di  Ferrara .  .  i*  Amorosa 

Zanetta  Rosa  Benozzi  detta  Silvia  di  Tolosa  .  2*  Amorosa 

Margherita  Rusca  detta  Violetta  di  VeneT^ia  .  Servetta 

Orsola  Astori  di  VeneT^ia Cantatrice  o  Chanteuse 

Fu  lor  concesso  il  titolo  di  Comici  di  S.A.R.  il  Signor  Duca 
d' Orléans,  Reggente;  e  sappiamo  che  Riccoboni,  prima  di  partir 
dall'Italia  e  di  stringere  il  patto,  aveva  indirizzato  al  Duca  di 
Parma  il  seguente  memoriale  : 

i^  La  Compagnia  latta  supplica  umilmente  Vostra  Altezza  Serenissima  di  farle  accor- 
dar la  grazia  di  cui  godettero  i  suoi  predecessori,  che  ninna  Compagnia  italiana  sia  rice- 
vuta a  Parigi  sotto  alcun  pretesto,  quand'  anche  tutti  i  Comici  parlassero  francese  ;  e  sia 
generalmente  vietato  a  qualsiasi  altro  di  servirsi  de'  costumi  éUlU  Maschere  del  Teatro 
Italiano,  quali  deU* Arlecchino,  dello  Scaramuccia,  del  Pantalone,  del  Dottore  e  dello  Sca- 
pino; et  anche  del  Pierrot,  che,  se  ben  francese,  è  nato  dal  teatro  italiano. 

2^  I  Comici,  augurandosi  di  servir  Sua  Maestà  in  pace  e  con  buona  fieuna,  diman- 
dano che  in  nessun  tempo  sien  ricevuti  nella  Compagnia  della  famiglia  dei  Costantini,  per 
la  quale,  tutti  sanno  che  i  Comici  italiani  lor  predecessori,  vennero  in  disgrazia  della  Corte. 

3<^  Essi  domandano  umilmente  sien  lor  concesse  le  danze  e  la  musica  negl'inter- 
mezzi, come  furon  concesse  a'  predecessori. 

4<^  Se  alcuno  de' Comici  avesse  la  sciagura  di  non  incontrare  il  favor  della  Corte 
e  della  Città,  sta  data  alla  Compagnia  facoltà  di  rimandarlo  con  un  regalo,  e  di  fame  venire 
altro  al  suo  posto. 

5<^  I  Comici  supplicano  Sua  Altezza  Serenissima  di  far  vive  istanze  alla  Corte,  perchè 
sia  loro  concesso,  come  in  Italia,  il  libero  uso  dei  Santi  Sacramenti  ;  molto  più  che  essi 
non  reciteranno  mai  nulla  di  scandaloso,  e  Riccoboni  s' impegna  sottopor  gli  scenarj  delle 
comedie  all'  esame  del  Ministero,  e  anche  di  un  Ecclesiastico,  per  la  loro  approvazione. 

Il  Principe  Antonio  di  Parma  inviò  al  Duca  Reggente  il 
Regolamento  della  Compagnia  già  approvato,  senza  che  né 
in  esso,  né  in  quello  del  Duca  d' Orléans  fosse  più  fatta  men- 
zione della  Compagnia  Costantini,  alla  quale  il  Riccoboni,  es- 
sendo la  sua  scrittura  una  semplice  aggiunta  a  quella  della 
moglie,  aveva  accennato:  e  forse  la  ragione  di  quell'accenno, 
sta  in  ciò,  che  trovandosi  il  Costantini  a  Parigi,  ove  s'era  fatto 
impresario  nel  1 7 1 2  di  spettacoli  alle  fiere  di  San  Germano  e 
di  San  Lorenzo,  il  Riccoboni  ne  temeva  l'ingerenza  nella  nuova 
compagnia.  Ingerenza,  che  con  sollecitazioni  e  raccomanda- 
zioni non  mancò,  poiché  gli  fu  affidato  un  ufficio  amministra- 


RICCOBONI  353 


tivo;  ma,  fortunatamente  egli  lo  disimpegnò  sì  male,  che  poco 
tempo  dopo  fu  congedato. 

I  Comici  tutti,  senza  distinzione,  compreso  Riccoboni, 
ebber  nell'azienda  parti  uguali.  La  cassa  fu  tenuta  dal  Dis- 
soni (V.);  e  preposti  alle  spese  furono  Alborghetti  (V,),  e  Ma- 
terazzi.  Ognuno  doveva  pensare  al  proprio  vestiario,  eccet- 
tuato Fabio  Sticotti,  marito  di  Orsola  Astori,  la  cantatrice,  al 
quale  eran  forniti  gli  abiti  dalla  Compagnia,  e  da  essa  poi  con- 
servati insieme  agli  altri  che  le  appartenevano,  come  di  com- 
parse, ecc. 

Luigi  Riccoboni  fu  naturalizzato  francese  con  lettera  del 
giugno  1723,  insieme  alla  moglie,  e  al  figliuolo  Antonio  Fran- 
cesco Valentino;  il  5  aprile  '27  ottenne  il  permesso  per  due 
mesi  di  recarsi  a  recitare  in  Inghilterra,  e  il  25  aprile  '29  l'au- 
torizzazione di  ritirarsi  dalle  scene  insieme  alla  moglie  e  al 
figlio  con  l'annua  pensione  di  lire  idoo  per  sé  e  per  la  moglie. 
Tal  fatto  fu  annunziato  nel  Mercurio  di  Francia  del  maggio 
seguente,  con  molte  parole  di  lode. 

Stette  il  Riccoboni  con  la  famiglia  due  anni  a  Parma  ;  po- 
scia, il  novembre  del  '31,  fé' ritorno  a  Parigi,  dove,  fuor  della 
scena,  morì  a  settantotto  anni  il  6  dicembre  del  '53,  e  fu  se- 
polto l'indomani  al  San  Salvatore.  L'atto  di  morte  lo  dice 
Antico  Ufficiale  del  Re. 

Pare  che  a  Modena  si  fosse  sparsa,  molti  anni  prima,  la 
notizia  della  sua  morte,  poiché  abbiamo  un  brano  di  lettera 
del  1°  gennaio  1735  ì"  quell'Archivio  di  Stato,  così  concepito: 
<  Il  povero  Riccoboni,  che  avevamo  mandato  all'altro  mondo, 
vive  sempre,  e  sempre  bravo  modenese.  > 

Molte  sono  le  opere  di  teatro  ch'egli  scrisse,  ma  tutte 
ohimè  giacenti  nell'oblìo.  Vivono  invece  quelle  sul  teatro,  con- 
sultate da  chiunque  si  dia  a  tal  genere  di  studj,  e  specialmente 
La  storia  del  Teatro  italiano^  opera  più  che  altro  di  polemica, 
per  quella  benedetta  quistione  della  derivazione  della  comme- 
dia dell'  arte  dall'  antica  Atellana,  e  dello  Zanni  arlecchino  dal- 
l'antico  Sannio,  che  aveva  sotto  certo  rispetto  le  stesse  carat- 

45.  —  I  Comici  italiani.  Voi.  II. 


354  RICCOBONI 


teristiche  del  costume  :  quistione  non  ben  risolta  tuttavia.  Tale 
opera  comprende  anche  un  catalogo  di  tragedie  e  commedie 
pubblicate  per  le  stampe  dal  1500  al  1600;  e  per  comporta 
egli  dovè  far  capo  sempre  al  famoso  raccoglitore  e  amico  dei 
comici  Gueullette,  come  si  rileva  dalle  sue  lettere,  nelle  quali 
ora  domanda,  per  dar  l'ultima  mano  al  suo  lavoro,  Le  livre  sans 
nom,  ora  V Arliquiniana,  ora  la  Bibliothèque  des  théatres.  Uomo 
di  gran  cuore,  benché  d'umore  atrabiliare,  si  raccomandava  a 
Gueullette  in  una  lettera  del  settembre  1739  (lunedi),  perchè 
andasse  con  lui  ad  assistere  il  povero  Thomassin,  Visentini,  mo- 
rente ;  e  soprattutto  per  indurlo,  prima  della  morte,  a  pensare 
alla  sua  famiglia.  Ma  ecco,  senz'altro,  l'elenco  de' suoi  scritti 
per  ordine  cronologico  di  pubblicazione  : 

Dell'Arte  Rappresentativa.  Cap.^sei  (3»  rima).  Londra,  MDCCXXVIII. 

HiSTOiRE  DU  Théatre  Italien,  etc.  etc.  A  Paris,  Chez  André  Cailleau,... 
MDCCXXXI.  Due  grossi  volumi  in-S"*,  adorni  di  18  illustrazioni  in 
rame  di  maschere  incise  da  Joulain. 

Nuovo  Teatro  Italiano,  che  contiene  le  commedie  stampate  e  recitate  dal  si^ 
gnor  Luigi  Riccoboni  detto  Lelio.  In  Parigi,  appresso  Briasson, 
MDCC  XXXIII.  Tre  volumi  in-i2°,  con  testo  francese  a  fronte. 

Observations  sur  la  comédie,  et  sur  le  genie  de  Molière.  Paris,  Pis- 
sot,  MDCC XXXVI.  Un  volume  in-I2^ 

RÉFLEXIONS   HISTORIQUES    ET   CRITIQUES    SUR   LES    DIFFÉRENTS   ThÉATRES   DE 

l'Europe,  avec  les  pensées  sur  la  Déclamation.  A  Paris,  Jacques 
Guerin,.  MDCC XXXVIII.  Un  grosso  volume  in-8°. 

De  la  Réformation  du  Théatre.  Paris,  Debure  Pere,  MDCCLXVII. 
Un  volume  in-i2°. 

Una  curiosa  lettera  a  Pier  Iacopo  Martello,  da  Verona  6  settem- 
bre 17 14  {Lettere  inedite  d'illustri  italiani,  Milano,  Classici,  MDCCC XXX), 
in  cui  dà  ragguaglio  della  Fuhia,  pastorale  dell'abate  Giovanni  Bravi, 
della  quale  tutti  i  letterati  dicevan  mirabilia,  giudicandola  superiore 
diW  Aminta  nello  stile,  al  Pastor  Fido  nello  spirito,  e  impeditane  la 
stampa  dai  Revisori  «  per  certi  baci  ed  amplessi  forse  un  po'  troppo 
teneri.  y> 

Fra  le  tante  curiosità  bibliografiche  del  teatro  italiano,  è 
da  notare  un  rarissimo  libretto  di  M.  Musard  (Parigi,  18 io), 
in  cui  sono  aggiunti  alle  Parades  des  Boulevarts,  alcuni  Lazzis 


RICCOBONI  355 


d'ArLEQUIN,    CONxés  JADIS   À   LELIO    PAR   LE   CÉLÈBRE   CaRLIN 
SUR  LE  THÉATRE  DE  LA  CoMÉDIE  ITALIENNE  (CoU.  Rasi). 

Riccoboni  Francesco.  Figlio  del  precedente,  nacque  a 
Mantova  il  17.07  e  andò  coi  parenti  a  Parigi  il  17 16.  Esordì 
alla  Comedia  italiana  il  io  gennajo  '26  con  la  parte  di  amoroso 
in  La  Surprise  de  l'Amour^  commedia  di  Marivaux,  presentato 
al  pubblico  dal  padre  Lelio  con  un  fervorino,  che  ispirò  a  un 
anonimo  i  seguenti  versi  : 

Pour  ton  fils,  Lelio,  ne  sois  pas  alarmé, 

Il  n'a  pas  besoin  d'indulgence  ; 
D'un  heureux  coup  d'essai  le  parterre  charme 
N'a  pu  lui  reiuser  toute  sa  bienveillance. 
Pour  ses  succès  futurs  cesse  donc  de  trembler, 

Que  nulle  crainte  ne  t'agite, 

Si  ce  n'est  d'avoir  dans  la  suite 
Un  généreux  rivai  qui  pourra  t'égaler. 

Uscì  Francesco  dalla  Comedia  italiana  il  25  aprile  '29 
coi  genitori,  per  rientrarvi  nel  '31  con  tre  quarti  di  parte;  e 
si  presentò  sotto  le  spoglie  di  Valerio  negli  Amants  réunis, 
commedia  di  tre  atti  in  prosa  di  Beauchamps.  Ne  uscì  di  nuovo 
il  '36,  e  recitò  un  anno  in  provincia,  dopo  il  quale  riapparve 
alla  Comedia  italiana  il  21  marzo  '37  in  una  parodia  di  Alzira, 
intitolata  Les  Sauvages,  di  Giovan  Antonio  Romagnesi. 

Il  14  dicembre  del '49  domandò  e  ottenne  il  riposo;  ma 
eccolo  di  nuovo  alla  Comedia  italiana  il  2 1  aprile  '59  con  500  lire 
mensili  di  stipendio.  Aveva  sposato  il  7  luglio  1 7  34  Marie  Jeanne 
de  Heurles  de  Laborras  de  Mèzières,  nata  a  Parigi  il  17 13, 
entrata  alla  Comedia  italiana  il  23  agosto  '34  col  ruolo  di  amo- 
rosa, che  mutò  per  insufficienza  con  quello  di  madre,  e  assai 
nota  per  una  quantità  di  romanzi,  che  furono  in  voga  al  suo 
tempo.  Lasciò  il  teatro  nel  *6o,  e  morì  a  Parigi  il  7  dicembre  '92. 

Francesco  Riccoboni,  che  il  Grimm  assicura  essere  stato 
attore  freddo  e  pretenzioso,  compose  un  trattato  :  L'Art  du 
THÉATRE  (Paris,  MDCCL),  pubblicato  poi  in  italiano  a  Venezia 


356  RICCOBONI  -  RIGETTO 

da  Bartolommeo  Occhi  nel  MDCCLXII,  e  molte  commedie  sia 
da  solo,  sia  in  collaborazione  con  Dominique  e  Romagnesi. 
Fra  le  prime  il  Des  Boulmiers  cita  Les  Caqtcets;  ma  si  sa  dallo 
stesso  autore  che  i  primi  due  atti  sono  opera  di  sua  moglie. 
Ciò  suggerì  a  Geoffroy  (Appendice  del  1 2  vendemmiale  anno  1 1) 
queste  parole  : 

L'aatear,  en  mari  galant,  mit  sar  le  comte  de  sa  femme  les  deax  premiere  actes 
des  Caquets^  lorsqu'il  les  fit  imprimer;  ce  n*ètaii  pas  un  mediocre  cadeau,  qn'il  lai  faisait, 
car  le  premier  acte  est  le  meilleur.  Il  est  possible  qn'il  y  ait  plns  de  jnstice  qne  de  galan- 
terie dans  le  procède  dn  mari,  car  Madame  Riccoboni  a  fait  des  romans  qui  valent  mienx 
qne  la  comédie  des  Caqueis. 

Una  delle  opere  da  citarsi  del  Riccoboni  è  la  parodia 
della  Semiramide  di  Voltaire,  della  quale  Crebillon  diede  un 
giudizio  assai  favorevole,  sebbene  il  Colle,  accanito  contro  gli 
italiani,  lo  ritenesse  sospetto  di  parzialità. 

A  proposito  della  loro  recitazione  nel  maggio  1765,  lo 
stesso  Colle  {Journal  historiqué)^  dice  : 

GÌ'  introiti  degl'  italiani  diminuiscono  a  vista  d' occhio.  Io  desidero  cordialmente  che 
questo  teatro  di  cattivo  gusto,  e  che  non  serve  se  non  a  corrompere  il  buono  ed  il  vero, 
fìnisca  una  buona  volta,  e  sien  rinviati  tutti  codesti  istrioni  in  Italia.  Il  teatro  francese 
ci  guadagnerebbe  qualche  lavoro  di  Marivaux,  ben  recitato  dai  nostri  artisti,  e  massacrato 
oggi  da  codesti  buffoni  d'italiani. 

La  freddezza  del  nostro  artista  accennata  dal  Grimm,  pare 
non  fosse  che  su  la  scena;  poiché  il  Campardon  riferisce  una 
querela  di  Giacomo  Lavaux,  macchinista  della  Comedia  italiana, 
per  esser  stato  insultato  e  aver  ricevuto  da  lui  un  calcio  nel 
ventre  e  uno  schiaffo. 

Francesco  Antonio  Valentino  Riccoboni,  noto  in  teatro 
col  nome  di  \j^iao  figlio,  morì  a  Parigi  il  14  maggio  1772,  e 
fu  sepolto  due  giorni  dopo  nella  chiesa  di  San  Lorenzo. 

Rigetto  Gian  Paolo.  Nel  movimento  della  popolazione  man- 
tovana per  gli  anni  1 590-1 591,  riferito  dal  Bertolotti  {pp.  ciL)^ 
trovo:  al  IO  dicembre  '90  Gio.  Paullo  Rigetti,  bolognese,  che 
abitò  con  la  Camia,  la  de  Msissi,  l'Anelli  da  Domenico  Torni  ; 


RIGETTO  -  RIGHETTI  357 

e  al  5  maggio  'gì  Gio.  Paolo  de  Rigetti,  del  Friuli,  con  un 
ragazzo,  che  si  fermò  due  giorni  soltanto,  e  alloggiò  all'Al- 
bergo della  Fortuna. 

Righetti  Francesco.  (Detto,  in  arte,  Righett<me.  per  la  forte 
e  alta  persona,  e  per  distinguerlo  da  Domenico),  nacque  il  1 770 
a  Milano,  di  civile  famiglia,  e  fu  sotto  il  Governo  napoleonico 


Sotto- Prefetto.  Perduto  l'impiego,  tornò  all'amor  della  scena, 
in  cui  aveva  fatto  da  giovine  buone  prove  coi  filodrammatici, 
e  si  scritturò  con  Rossi,  colla  Goldoni,  colla  quale  lo  vediamo 
il  14  giugno  1 8 1 5  rappresentar  la  parte  di  Sole  nella  Caduta  di 
Fetonte  dell' Avelloni,  poi  con  Dorati,  prima  padre  nobile,  poi 
caratterista,  nel  qual  ruolo  entrò  il  '22  nella  Compagnia  Reale 
Sarda,  e  vi  fu  accl9.matissimo,  fino  al  '28,  anno  della  sua  morte. 
Recitò  per  l'ultima  volta  neirC?(^w  ereditario  del  Cosenza,  e  la- 
sciò nella  Compagnia  un  grande  vuoto  che  non  potè  essere  col- 


358  RIGHETTI 


mato  se  non  Tanno  dopo  da  Luigi  Vestri,  il  quale,  vedi  bizzarria 
del  caso,  recitò  per  V  ultima  volta  in  quel  medesimo  dramma 
tredici  anni  più  tardi. 

Fu  autore  di  un  Teatro  italiano,  edito  a  Torino  da  AUiana 
e  Paravia,  in  tre  volumi,  il  primo  dei  quali  comprende  la  Storia 
del  Teatro  italiano  di  Luigi  Riccoboni,  tradotta  e  ridotta,  pre- 
ceduta da  alcuni  cenni  biografici  di  lui,  il  secondo  lo  Stato  at- 
ttuile  del  Teatro  italiano,  in  cui  sono  notizie  preziosissime  di 
attori  e  attrici  del  suo  tempo,  e  il  terzo  uno  Studio  sull'  arte 
della  Declamazione  teatrale. 

Nella  Compagnia  Reale  Sarda,  almeno  per  Tanno  1825-26, 
aveva  lo  stipendio  annuo  di  lire  6000  con  tre  serate  a  mezzo, 
secondo  Tuso  comico.  Di  lui  la  Gazzetta  dì  Genova  del  18  set- 
tembre 1822,  delTanno,  cioè,  in  cui  egli  entrò  a  far  parte  della 
Compagnia,  scriveva:  «  Il  signor  Righetti,  nemico  dei  lazzi 
volgari,  conosce  la  difficile  arte  di  saper  cogliere  dagli  spetta- 
tori sensati  il  desiderato  sorriso  di  compiacenza.  > 

Righetti  Domenico.  Nato  di  famiglia  patrizia  in  Verona 
il  1786,  fu  educato  a  Venezia  nel  Collegio  dei  Nobili.  Appas- 
sionatissimo  pel  teatro,  entrò  nella  Compagnia  Fabbrichesi, 
passando  poi  in  quella  di  Paolo  Blanes  e  dei  Fiorentini  di  Na- 
poli, ove  condusse  in  moglie  Vincenza  Pinotti,  figliuola  di 
Francesco,  vezzosissima  giovinetta,  ed  artista  valente,  che  so- 
stenne con  molto  plauso  le  parti  di  prima  attrice  giovine  e  prima 
attrice,  in  Compagnia  Reale  Sarda  sotto  la  Bazzi.  Il  Righetti, 
entrato  il  1821  con  la  moglie  in  detta  Compagnia,  al  momento 
della  sua  formazione,  vi  sostenne  ammiratissimo  le  parti  di 
primo  attore,  a  vicenda  con  Luigi  Romagnoli. 

Passò  poi  a  quelle  di  padre  nobile,  a  vicenda  col  Bocco- 
mini,  per  diventare  dal  '43  al  '49,  anno  della  sua  morte,  am- 
ministratore e  direttore  della  Compagnia,  nel  qual  ufficio  fu 
poi  sostituito  dal  figlio  avvocato  Francesco. 

Aveva  con  la  moglie  Vincenza,  il  *2  5-'26,  lire  annue  7500, 
e  una  serata  a  mezzo. 


RIGHETTI  -  RIOLO  359 


Fu  traduttore  e  riduttore  di  molte  commedie,  e  autore  di 
un  Carlo  Goldoni  a  Parigi  e  di  un  Matrimonio  di  Goldoni,  che 
ebber  liete  accoglienze. 

A  lui  dedicò  il  Bazzi  i  suoi  Primi  rudimenti  de It  arte 
drammatica. 

Rinaldi  Pietro.  Di  nobile  famiglia  veronese,  dovette  per 
dissesti  finanziari  darsi  all'arte  comica,  esordendo  nella  Com- 
pagnia della  Battaglia,  e  passando  poi  in  quelle  di  Giuseppe 
Lapy,  e  di  Luigi  Perelli,  nella  quale  ultima  era  al  tempo  di 
Fr.  Bartoli  (1782),  Innamorato  ammiratissimo.  Fu  anche  scrit- 
tore di  versi,  e  lo  stesso  Bartoli  riferisce  un  prologo,  né  dei 
migliori,  né  dei  peggiori,  ch'egli  dettò  per  Luigia  Lapy,  quando 
assunse  in  Cremona  il  ruolo  6ì prima  donna,  e  ch'ella  recitò, 
applauditissima,  spettatrice  Maddalena  Battaglia,  alla  quale 
eran  rivolte  assai  parole  di  lode,  e  la  quale  terminava  allora 
di  recitare  su  le  medesime  scene. 

Ringhierì  Francesco.  Ottimo  artista,  per  le  parti  di  tiranno 
in  tragedia,  nato  verso  il  1790  a  Verona,  figurò  negli  elenchi 
delle  migliori  compagnie  sino  al  1 840. 

Riolo  Stefano,  palermitano,  figlio  di  Vincenzo,  pittore  di 
bella  fama,  nacque  il  4  ottobre  del  181 1.  Trascinato  all'arte  da 
una  forza  invincibile,  fu  affidato  agi'  insegnamenti  di  Angelo 
Canova,  artista  di  alta  riputazione,  e  con  lui  stette  parecchi  anni. 
Passò  poi  nella  Compagnia  Tessari  ai  Fiorentini  di  Napoli  qual 
primo  amoroso,  e  vi  esordì  applauditissimo  la  quaresima  del  1 836 
col  Polinice  n^Eteocle  e  Polinice  di  Alfieri.  Fu  il' 3 8  nella  Com- 
pagnia Goldoni  diretta  da  F.  A.  Bon,  poi  primo  amoroso  ^primo 
attore  tragico  nella  nuova  Compagnia  Alfieri,  a  fianco  di  Madda- 
lena Pelzet.  Lo  vediamo  il  '43  con  Carolina  Internari,  e  dopo 
con  Luigi  Taddei,  per  darsi  finalmente  al  capocomicato  con  la 
moglie  Adelaide,  figlia  dell'  attore  e  scrittore  Luigi  Forti,  che 
aveva  già  levato  bel  grido  di  sé  come  prima  donna.  Ma  toltosi 


RIOLO  -  RISTORI 


dalle  principali  compagnie,  la  sua  rinomanza  si  arrestò  come 
d'un  tratto,  ed  egli  dovette  contentarsi  di  percorrere  con  com- 
pagnie modeste,  per  quanto  decorose,  i  teatri  di  minor  conto. 


Lo  vediamo  il  settembre  del  '46,  momenti  di  fanatismo  pel 
nuovo  Pontefice  Pio  IX,  a  Tolentino;  e  il  cronista  ci  dice  che 
ogni  sera  si  facevan  dimostrazioni  di  giubilo,  si  sventolavano 
dai  palchi  banderuole,  s'intrecciavano  pezzuole  bianche-gialle 
tra  palco  e  palco,  intanto  che  uno  scelto  coro  di  cantori  venuto 
per  le  musiche  sacre  intuonava  l'inno  a  Pio  IX  di  Rossini. 
Stefano  Riolo  morì  il  13  ottobre  dell' 87.  Ebbe  una  figliuola, 
Teresina,  da  lui  iniziata  all'arte,  che  fu  al  suo  fianco  applau- 
dita prima  attrice,  e  si  va  oggi  esercitando,  direttrice  di  filo- 
drammatici a  Milano. 

Ristori  Tommaso.  Attore  pregiato  nelle  parti  di  Coviello. 
e  più  pregiato  Impresario  del  Principe  elettorale  di  Sassonia 
Giovanni  Giorgio  III,  eh'  egli  aveva  accompagnato  nel  suo 
viaggio  in  Olanda,  nacque  il  1 600.  Federigo  Augusto,  l'amante 


RISTORI  361 


deirarte,  che  dopo  la  riconquista  della  Polonia  aveva  con- 
dotto a  fine  il  disegno  di  una  Corte  splendida  a  Varsavia  con 
opera  e  commedia  italiana,  volle  anche  a  Dresda  procurare 
un  tal  godimento;  e  il  2  settembre  del  17 14  furono  antici- 
pati 4000  fiorini  imperiali  al  Ristori,  comico  di  S.  M.  il  Re 
di  Polonia,  allora  a  Venezia,  pel  viaggio  in  Sassonia  pas- 
sando per  Vienna  e  Praga,  della  Compagnia  di  cui  faceva 
parte  sua  moglie  Caterina,  di  cinquantotto  anni,  sua  figlia 
Maria  di  diciotto,  e  suo  figlio  Giovanni  che  tanta  importanza 
s'acquistò  più  tardi  all'Opera  di  Dresda,  ove  morì  del  1753, 
di  ventidue. 

Tommaso  Ristori  aveva  -  dice  il  suo  passaporto  d'allora, 
tuttavia  esistente  -  i  capelli  castano-chiari,  e  vestiva  un  abito 
conveniente  rosso,  orlato  d'oro.  Tornò  il'  1 7  in  Italia  per  iscrit- 
turar  nuovi  attori  da  sostituire  agi'  insufficienti,  e  sotto  la  di- 
rezione del  figlio  Giovanni  furon  rappresentati  Intermezzi  e 
Pastorali  :  e  sebbene  il  Re  Augusto  prediligesse  la  Compagnia 
francese,  ch'egli  manteneva  alla  Corte  insieme  alla  italiana, 
questa  non  ebbe  mai  a  patirne;  e  Tommaso  Ristori,  special- 
mente, s'ebbe  per  grazia  del  Re  con  decreto  del  20  marzo  1 7 1 7, 
un  regalo  di  269  scudi,  come  «  chef  de  la  Troupe  italienne,  tant 
pour  faux  frais  dans  son  voyage,  que  pour  autres  pertes  et 
dépenses  extraordinaires.  >  Licenziata  la  compagnia  del  1732, 
anche  il  vecchio  Ristori  con  la  moglie  se  ne  tornò  in  Italia,  ove 
morì  poco  tempo  dopo. 


Ristori  Griacomo.  «  Napolitano  Capo  Comico  rinomatis- 
simo, che  condusse  per  molto  tempo  una  Truppa  di  esperti 
Commedianti,  recitando  egli  medesimo  da  Primo  Innamorato. 
Fu  uomo  di  somma  riputazione  in  riguardo  a'  meriti  suoi  tea- 
trali, per  essere  stato  un  modello  del  Comico  eccellente.  Si  fece 
gran  concetto  nella  Città  di  Napoli,  e  per  il  Regno.  Lasciò  di 
vivere  intorno  al  1730  Così  Fr.  Bartoli. 

Forse  il  precedente,  di  cui  Bartoli  ci  diede  il  nome  errato? 
Dopo  la  prima  gioventù  potrebbe  avere  abbandonato  le  parti 

46.  —  /  Comici  italiani.  Voi.  IF. 


362  RISTORI 


amorose  per  quelle  di  Capitan  Coviello^  che  è  appunto  maschera 
napoletana. 


i-Canossa  Teresa.  Nata  il  1777,  e  sposa  a  un  Ri- 
stori comico,  legato  forse  in  parentela  col  precedente,  fu  artista 
drammatica  di  grande  valore  per  le  parti  di  prima  donna  così 
nella  tragedia,  come  nel  dramma  e  nella  commedia,  e  il  piccolo 
Giornale  de  teatri  (Venezia,  1820)  ha  per  lei  parole  di  moltis- 
sima lode. 

Pare  non  fosse  di  riserbatezze  spartane,  che  il  primoge- 
nito Antonio  si  volle  figlio  di  un  Console  spagnuolo,  e  Luigia, 
moglie  di  Bellotti  prima  (V.),  poi  di  F.  A.  Bon,  di  un  banchiere 
per  nome  Sacerdote:  un  epigramma  del  tempo  e  di  un  compagno 
d'arte  (Miscellanea  poetica  di  Luigi  Forti,  artista  drammatico 
[^Manoscritto  della  Raccolta  Rasi])  accenna  con  poco  rispetto 
alla  prodigalità  di  lei.  Sposò  in  seconde  nozze  certo  Bona- 
gamba,  e  abbandonate  le  scene  si  ritirò  a  Venezia  in  casa  della 
vedova  Tommasini,  sorella  del  genero  Bon,  abitante  in  S.  Bor- 
tolamio,  e  quivi  morì  quasi  improvvisamente  per  bronco-emor- 
ragia nel  1842. 

Ebbe  una  terza  figliuola,  Amalia,  maritata  all'  artista 
Zerri  (V.). 

Ristori  Antonio.  Figlio  della  precedente,  nacque  a  Capo 
d'Istria  il  1796,  e  crebbe  con  un  suo  padrino  a  Fiume,  ove 
stette  alcun  tempo,  impiegato  nella  di  lui  casa  commerciale. 
Si  diede  poi  all'  arte  del  comico  in  cui  riuscì  mediocremente  ; 
sposò  Maddalena,  figlia  di  Ricci-Pomatelli,  capitano  sotto  Na- 
poleone I,  nata  a  Ferrara  del  1 795,  e  morta  del  1 874  a  Firenze;  e 
fu  con  lei  in  molte  compagnie  di  secondo  e  di  terz' ordine.  Sa- 
lita in  rinomanza  la  figlia  Adelaide,  la  seguirono  nella  Compa- 
gnia Reale  Sarda,  e  in  altre  di  poi. 

Morto  il  Ristori  a  Firenze  il  3  settembre  1861,  fu  tumu- 
lato nel  Cimitero  del  Monte  alle  Croci,  ove  la  figliuola  desolata 
fé'  erigere,  alla  morte  della  madre,  una  cappella,  co'  meda- 


glioni  degli  estinti,  opera  dello  scultore  Cambi,  e  con  le  se- 
guenti epigrafi; 


AD  ANTONIO  RISTORI  nato 

IL  5  MARZO  DEL  I796  |  MANCATO  AI 
VIVI  IL  3  SETTEMBRE  DEL  I861  1 1  O  MIO 
DILETTISSIMO  PADRE  |  A  TE  CHE  MI  FO- 
STI ESEMPIO  I  DELLE  PIÙ  BELLE  VIRTÙ  | 
CHE  PER  GENEROSITÀ  DI  CUORE  |  E  SPI- 
RITO DI  SANTA  CARITÀ  VERSO  I  MI- 
SERI I  FOSTI  SEMPRE  BENEDETTO  DALLA 
SVENTURA  I  CHE  FRA  GLI  STENTI  AL 
LAVORO  I  CONSACRASTI  TUTTA  LA  TUA 
VITA  I  LA  TUA  FIGLIA  ADELAIDE  |  CHE 
AMAVI  TANTO  E  CHE  St  PRESTO  TI  HA 
PERDUTO  I  QUESTO  MONUMENTO  {  DE- 
BOLE SEGNO  D'  INCANCELLABILE  AF- 
FETTO I  TUTTORA  IN  PIANTO  PONEVA. 


A  MADDALENA   RISTORI  | 

MODELLO  DELLE  MADRI  \  NATA  IL  20 
OTTOBRE  DEL  1795,  MANCATA  AI  VIVI 
IL  26  MAGGIO  1874  I  I  SUOI  DESOLA- 
TISSIMI  FIGLI  I  INALZAVANO  QUESTO 
MONUMENTO  |  TRIBUTO  DI  LAGRIME  E 
DI  DOLORE.         

La  sua  frimogenila  Adelaidt  Risieri 
Del  Grillo  con  diiperata  accenlo  esclama  : 
Oh  Madre  mìa  tu  sai 

Dal  luogo  ove  tu  sei 

or  tu  redi  il  mio  duol,  gli  ailiuuiì  miei  ; 

benedici  i  miei  figli,  il  mio  consorte 

nel  cammin  della  vita  ed  anche  in  morte  ; 

io  con  lagrime  e  iior  vuo'  darli  addio 

tino  a  quel  di  che  ti  riv^^  in  Dio. 


Ristori  Adelaide.  Nata  dai  precedenti  a  Cividale  del  Friuli 
il  29  gennajo  del  1822  quand'erano  in  Compagnia  Cavicchi, 
fu  per  universale  consentimento  la  più  grande  artista  del  suo 
tempo.  Ancor  bambina  s'era  già  fatta  un  nome,  recitando,  prò- 


3^4 


RISTORI 


tagonista,  in  farse  o  in  commediole,  e  riuscendo  di  non  poco 
utile  al  capocomico. 

Ora  ecco  l'elenco  della  Compag^nia  di  Luigi  Rosa  e  Pa- 
squale Tranquilli,  che  agiva  assieme  a  un  corpo  di  ballo,  per 
la  stagione  di  carnovale  dell'anno  1832  al  R.  Teatro  Pantera 
di  Lucca: 


DONNE 

Fabbretti  Carolina  (V.),  prima 
attrice 

GuLLOTTi  Gaetana,  tnadre  e  carat- 
teristica 

Beseghi  Antonia  (V.),  servetta 

Ristori  Maddalena,  altra  madre 
e  seconda  dorma 


Rosa  Rachele 

Pellegrini  Assunta  \  generiche 

Paladini  Giuditta 

RISTORI  ADELAIDE 

Rosa  Virginia  \  ? 

Di-  1  tngenue 

Ristori  Carolina  '     ^ 


UOMINI 


Tranquilli  Pasquale,  primo  attore 
Rosa  Luigi,  padre  e  tiranno 
Massini  Antonio,  caratterista 
BosELLO  Giovanni,  primo  amoroso 
Bertucci  Vincenzo,  secondo  amo- 


roso 


Fabbretti  Fortunato,  secondo  ca- 
ratterista 


Ristori  Antonio 
Guarnì  Giovanni    / 
Mariotti  Giuseppe  \  * 
Pescatori  Nicola 
MENEGHINO 
ARLECCHINO 
BosELLo  Giacomo,  pittore 
Mechetti  Domenico,  macchinista 


La  prima  rappresentazione,  da  darsi  il  lunedì  26  dicem- 
bre 183 1,  fu  annunziata  così: 

Non  v'ha  dubbio  che  il  Drammatico  trattenimento  sia  divenuto  ai  nostri  giorni 
la  scuola  del  costume,  e  lo  specchio  delle  umane  passioni. 

Tale  verità  fu  conosciuta,  ed  apprezzata  mai  sempre  dai  popoli  più  illuminati.  Que- 
sta saggia  e  colta  popolazione  lucchese  tanto  conoscitrice  dei  vantaggi  che  dalle  sce- 
niche Produzioni  ne  derivano,  quanto  magnanima  per  incoraggiare  nei  loro  tentativi  gli 
attori  che  si  accingono  ad  eseguirle,  anima  V  umile  Compagnia,  condotta  e  diretta  da  Luioi 
Rosa  e  Pasquale  Tranquilli,  ad  intraprendere  un  corso  ben  regolato  di  Recite  nel 
corrente  Carnevale.  I  più  scelti  autori,  la  novità,  il  genere,  la  debita  decenza,  l' analogia 
delle  decorazioni  agli  spettacoli  daranno  prova  del  rispetto  che  tutta  la  Compagnia  nutre 
e  professa  a  questo  colto  Pubblico,  e  si  lusinga  che  gli  intelligenti  e  benigni  amatori  della 
drammatica,  una  non  dubbia  prova  accordare  vorranno  di  loro  bontà  con  dare  contras- 
segni di  aggradimento  alle  fatiche  degli  umili  attori,  non  ad  altro  tutti  aspirando  che  ad 
essere  coperti  col  prezioso  manto  di  un  si  valevole  patrocinio. 


RISTORI 


365 


Onde  rendere  vieppiù  completo  e  dilettevole  il  leiale  trattenimeato  Tenanno  etpottì 
tre  Balli;  nno  di  meno  Carattere,  e  dne  Buffi  diretti,  o  compMti  dal  ugaor  Domenico 
TtiTchi:  il  i»imo  di  qverti  è  iBtitolat9:  Il  Pkoscbitto  Scozzese,  il  secondo  II  Feuda- 
tario OSSLA,  LE  EKCLUTE,  l'altro  di  deitinani. 


Il  repertorio,  come  tutti  quelli  a  un  dipresso  delle  altre 
compagnie,  si  componeva  in  gran  parte  di  drammi  lagrimosi, 
alternati  con  qualche  tragedia  di  Alfieri  e  qualche  commedia 
dì  Goldoni. 

Allora  alla  piccola  Ristori  si  afiìdavan  piìì  specialmente 
parti  insignificanti  di  piccoli  servi. 


Il  '34  fu  scritturata  con  la  famiglia  dal  Meneghino  Mon- 
calvo,  il  quale,  dopo  di  averla  per  due  anni  esercitata  in  parti 
di  bambina,  credette,  mercè  la  figura  di  lei  slanciata,  di  affi- 
darle quella  di  Francesca  da  Rimìni.  eh'  ella  recitò  per  la  prima 
volta  a  Novara  nel  '36,  con  tale  successo,  che  le  furon  poco 
dopo  offerte  scritture 
di  prima  donna  asso- 
luta. Ma  per  fortuna  il 
padre,  uomo  di  buon 
senso,  la  scritturò  in- 
vece (1837-38)  nella 
Real  Compagnia  Sar- 
da, come  amorosa  inge- 
nua, poi  prima  attrice 
Rovine  sotto  Carlotta 
Marchionni,  che  le  fu 
amica,  madre,  maestra 
amorosissima;  ai  sa- 
cri precetti  della  quale, 
affermava  ne'suoi  ri- 
cordi con  raro,  e  direi 
quasi  unico  esempio  di 
gratitudine  nell'arte 
nostra,  di  non  essere 
mai,  giovine  e  adulta, 
venuta  meno. 

Lasciate  la  Marchionni  le  scene  nel  1840,  la  Ristori  ne 
prese  il  posto,  accanto  ad  Amalia  Bettini,  passando  l'anno  dopo 
con  Romualdo  Mascherpa,  con  cui  stette  fino  al  '45. 

Frattanto  il  Righetti,  direttore  della  Real  Compagnia, 
facevale  vive  istanze  perchè  vi  tornasse  ;  ma,  prima  per  le  con- 
dizioni da  lei  fatte  della  scrittura,  poi  per  la  speranza  del  suo 
matrimonio,  non  approdarono  a  buon  fine.  Ella  fii  dal  '46 
al '50  con  Domeniconi  e  Coltellini,  e  dal  '51  alla  quaresima 
del  '52,  divenuta  da  un  anno  e  dopo  una  serie  di   roman- 


368  RISTORI 


tiche  vicende  la  marchesa  Capranica  Del  Grillo,  fuor  della 
scena. 

In  quel  tempo  T  attore  e  capocomico  Pisenti  fu  messo  in 
prigione  per  debiti  ;  e  la  Ristori,  che  fu  sempre  delle  miserie 
de'  compagni  soccorritrice  pietosa,  architettò  tre  rappresenta- 
zioni straordinarie,  che  furono  avvenimento  di  vera  gloria,  e 
la  salvazione  del  povero  carcerato.  Allora  il  Righetti,  che  in 
lei  sola  omai  vedeva  T  àncora  di  salvezza  della  naufragante 
Compagnia  Reale,  tornò  all'assalto;  ma  ella  da  Castel  Gandolfo 
rispondeva  il  12  settembre  del  '47: 

La  ringrazio  delle  di  Lei  esibizioni;  ma  avendo  preso  marito  da  qualche  tempo, 
ed  essendo  ciò  a  cognizione  di  tatti,  doveva  bene  immaginarsi  che  se  rimanevo  ancora 
sulle  scene,  lo  facevo  in  riguardo  di  non  rovinare  ì  miei  Capo-Comici  con  nn  repentino  allon- 
tanamento dal  Teatro.  Col  termine  del  carnovale  50  in  51  termino  il  mio  contratto  e  la 
carriera  drammatica  per  cambiare  di  condizione.  Eccole  parlato  francamente. 

Non  si  perdette  d'animo  l'egregio  direttore,  e  si  alleò  a 
riuscir  nell'  impresa  Pasquale  Tessero,  cognato  di  lei,  E  vera- 
mente quella  scena  che  aveva  date  tante  e  così  grandi  gioje 
all'artista,  non  poteva  esser  guardata  da  lungi  senza  rimpianto. 
La  larghezza  delle  offerte  aveva  solleticato  non  poco  V  amor 
proprio  della  Ristori,  nella  quale  si  risvegliò  d' un  tratto  po- 
tentissimo r  antico  amore  dell'  arte,  che  quello  di  sposa  e  di 
madre  aveva  per  alcun  po' assopito.  Ma  ad  attuare  il  nuovo 
disegno  s'interponeva  un  ostacolo  non  facilmente  sormonta- 
bile  :  suo  marito,  da  cui  non  si  sarebbe  mai  separata,  era  sul 
punto  di  ottenere  .un  appalto  governativo,  in  società  con  amici, 
che  gli  assicurava  un  ottimo  resultato:  forse,  dopo  un  triennio, 
r  utile  di  dieci  mila  scudi. 

Ancora:  le  condizioni  dell'arte  in  Italia  non  eran  tali  da  re- 
munerar IsifirimaaUrice  di  una  compagnia  sì  lautamente,  da  col- 
mar, sia  pure  in  parte,  il  vuoto  lasciato  da  quell'  affare  inconcluso. 
E  d'altronde:  la  Ristori  si  era  disfatta,  coli' allontanarsi  dal 
teatro,  di  ogni  suo  corredo....  Bisognava  ricominciare,  e  su  lar- 
ghissima scala,  rimanendo  la  Compagnia  ferma  a  Torino  per  due 
stagioni  almeno.  Come  fare?  Ci  volevan  per  lo  meno  30,000  fran- 


chi  all'anno.  E  poi:  Righetti  dovrebbe  obbligarsi  a  firmare  un 
contratto  annuo  per  una  stagione  a  Roma,  e  per  l'autunno  nel 
primo  anno  '53.  Di  più:  in  caso  di  pericolo  di  vita  di  un  dei 


é. . _. 


suoceri,  ella  dovrebbe  aver  subito  venti  giorni  di  permesso, 
rimettendo,  nell'anno,  le  recite  ch'ella  non  avrebbe  potuto 
fare.  La  morte  del  suo  Giuliano  dovrebbe  riguardarsi  come 
morte  sua,  e  però  il  contratto  sarebbe  da  quel  punto  sciolto. 
Il  pagamento  dell'onorario  dovrebbe  farsi  in  tanti  napoleoni 
d'oro,  valutati  20  franchi  cadauno,  ovunque,  esclusa  qualunque 


moneta  o  carta.  E  finalmente:  Ella  reciterebbe  solo  cinque  volte 
alla  settimana,  in  una  sola  prodyzione  per  sera  in  principio 
della  serata  con  diritto  dì  rifiutare  quelle  parti  immorali  sulle 


quali  molte  revisioni  passano  sopra,  come  II  Fallo,  Dopo  sedici 
anni.  Dieci  anni  di  vita  di  una  donna,  SH/elius,  Clarissa  Har- 
lowe,  ecc.:  quelle  parti  insomma  con  le  quali,  per  quanto  sieno 
eseguite  con  dignità,  è  d'uopo  sostenere  una  posizione  imba- 
razzante verso  il  pubblico,  e  le  quali  il  signor  Righetti  potrebbe 
far  eseguire  da  chi  meglio  credesse.  Rimarrebber  pure  escluse 


RISTORI 


tutte  quelle  partì  nelle  quali  fosse  obbligata  a  vestirsi  da  uomo  ; 
le  benefìciate  farebbe  a  sua  scelta  in  principio,  o  fine  delle 
Piazze,  come  credesse  meglio  pel  suo  interesse;  dovrebbe  co- 
noscer r  elenco  degli  attori  che  componessero  la  Compagnia, 
prima  di  sottoscrivere  il  contratto;  e  prima  della  riconferma, 
non  dovrebber  in  esso  farsi  innovazioni,  a  sua  insaputa.  Il 
Direttore,  qualunque  fosse,  non 
dovrebbe  aver  diritto  d'imporle 
l'esecuzione  della  sua  parte; 
volendo  ella  eseguirla  secondo 
gliela  dettasse  il  suo  modo  di 
sentire.  Ora  :  le  pretese  eran 
senza  dubbio  fortissime,  specie 
a  quel  tempo  ;  ma  la  Ristori  era 
la  Ristori;  e  Righetti,  uomo 
equo  e  intelligente.  Io  capiva,  e 
voleva  conciliar  quelle  col  bi- 
lancio non  pingue  della  Compa- 
gnia. E  cercandole  con  lusin- 
ghevoli parole  la  via  del  cuore, 
tentò  diminuir  di  metà  lo  sti- 
pendio, e  accordarle  in  quella 
vece  un  terzo  degli  utili.  E  la 
via  del  cuore  la  trovò  infatti  ; 
che  il  28  del  '52  la  Ristori  gli  scriveva  da  Roma:  «Nei  nostri 
cuori  fece  gran  senso  la  Sua  lettera,  ed  in  modo  speciale  nel 
mio,  che  cresciuta,  allevata,  ed  iniziata  nell'arte  da  cotesta 
Regia  Compagnia,  me  la  figuravo  un'istituzione  ìmperìbile,  ed 
andrei  superba  di  contribuire  all'esistenza  di  questa,  come  una 
figlia  riconoscente  a  quella  della  propria  madre.  »  Ma  l'ono- 
rario annuo  portò,  ultima  concessione,  a  20,000  franchi,  che  te 
furon  dal  Righetti  accordati  assieme  a  quanto  d'altro  chiedeva, 
in  alcun  punto  solamente  e  lievemente  modificato. 

Ella  aveva  attinto  da  noi  il  culmine  sommo  della  rinomanza. 
GÌ'  inni  della  stampa,  e  gh  entusiasmi  del  pubblico  non  ebber 


confini.  Fu  allora  che  <  come  un  baleno  -  è  lei  che  lo  dice  - 
da  un  cantuccio  della  sua  mente  scaturì  l'ardito  progetto  di 
andare  in  Francia.  »  Ma  il  Righetti,  nella  gran  prudenza  poco 


intraprendente,  sì  oppose  al  proposito  nuovo  :  troppi  i  rischi, 
possibile  r  insuccesso  artìstico,  possibilissimo  il  finanziario. 
Il  ricordo  della  Compagnia  che  v'era  andata  il  '30  con  la 
Internarì  e  il  Taddei,  non  era  tale  da  invogliare  a  ritentar  la 
prova.  Ma  la  Ristori  tenne  fronte  gagliardamente,  e  vinse. 


con  nuovi  e  più  forti  argomenti,  primo  dei  quali  la  divisione 
con  lui,  nel  caso  di  perdita,  della  sua  parte  di  utili  toccata 
in  Italia. 


E  la  risoluzione,  infatti,  fu  presa  irrevocabilmente,  e  la 
Ristori  si  diede  attorno  con  tutti  i  mezzi  che  le  offrivan  la 
sua  grandezza  artistica  e  il  suo  nuovo  stato  per  «  rivendi- 
care all'estero  -  com'ella  dice  -  il  nostro  valore  artistico,  mo- 
strando che  anche  in  ciò  la  nostra  non  era  lérra  dei  morii.  > 


RISTORI  375 

L'  1 1  gennajo  '55  scriveva  da  Torino  alla  Principessa  Herco- 
lani  a  Bologna  : 

le  ingenti  *peie,  e  le  molte  etigeme  d«l  popolo  frBnc«*«,  rendono  molto  pe- 

■icoloio  qnell' eiperìmento,  «i>  d»l  lato  Ìnleret«e,  che  da  quello  di  nn  lavorCToIe  laccctto. 


A  render  tatto  ciò  meno  difficile,  mio  muito  perni  partire  per  Parigi  il  lo  o  IJ  cat- 
rente,  e,  corredato  di  lettere  commendatiiie,  iatereiMre  l' atta  tocietà  a  freqaentare  le  rag- 
preaentaiioni  italiane,  e  proteggere  qaeito  eiperiniento.  Ella  più  che  ogni  altro  pnA  In 
eia  glo*ard,  e  mandarci  qualche  letter*  che  preaenti  mio  marito,  per  ora,  e  quindi  mn, 
•Ile  dittiiite  e  taaii«rde*oU  bmiglie  tue  conoicenti,  raccomandandi)  onorare  di  loro  ap- 
poggio qneit'  eiperimento  drammatico  italiano,  pel  quale  colà  li  porta  mio  marito  (Giu- 
liano dei  Uarcheri  Capraalca,  MVKbcM  Del  Grillo}.... 


376  RISTORI 


E  il  Marchese  Giuliano,  di  fatti,  si  recò  a  Parigi  prima 
della  Compagnia  ;  e  di  là  mandò  al  Righetti  una  nota  dei  per- 
sonaggi, che  avrebber  preso  il  palco,  primi  dei  quali  l'Impe- 
ratore e  l'Imperatrice,  S.  A.  Girolamo,  S.  A.  la  Principessa 
Matilde,  S.  A,  Murat,  S.  A.  il  Principe  Carlo  Bonaparte,  S.  A. 
il  Duca  di  Brunswick,  S.  E,  il  Marchese  di  Villa  Marina,  S.  E. 
Fould,  Ministro  di  Stato,  S.  E.  il  Barone  HUbner,  Ambascia- 
tore d'Austria,  S.  E.  il  Duca  di  Galliera,  ecc.,  accompagnata 
da  queste  parole  : 

La  stampi  ha  già  cominciato  a  lavorare,  e  la  cosa  è  sparsa  per  tutta  Parigi. 

Per  i  14,000  franchi  contateci,  come  sono  sicuro  che  l' esito  sia  di  tntta  soddisiasione  per 
voi,  per  me  e  per  gli  artisti.  Di  questo  sono  moralmente  cantnnto.  Sai  prezzi  dei  palchi 
si  regolano  qneUi  degli  altri  biglietti.  Presto  ci  rivedremo.  Abbiate  fiducia  in  me  :  ricor- 
datevi che,  oltre  al  dividere  con  voi  interessi  e  rischi,  ho  a  cuore,  più  di  qualunque  altro, 
la  riuscita  buona  della  cosa  per  la  mia  Adelaide.... 

E  la  sera  della  prima  rappresentazione,  il  22  di  maggio, 
venne,  e  il  successo  della  Ristori  fu  ottimo,  se  non  stupefa- 
cente. La  stessa  tragedia  -  Francesca  da  Rimini  del  Pellico  — 
non  offriva,  tranne  che  nella  scena  del  quarto  atto,  grandi 
risorse,  e  taluni  tra  i  devoti  della  Rachel,  negaron  tra  l'altro 
all'  artista  nostra  <  la  forza,  il  vigore  necessario  a  bene  inter- 
pretare le  passioni  violenti  più  proprie  del  poema  tragico.  > 
Forza  e  vigore  che  anco  i  più  restii  trovaron  a  esuberanza  in 
lei  dopo  la  rappresentazione  di  Mirra  di  Vittorio  Alfieri,  che 
fu  tutta  un  trionfo  de'  più  solenni. 

Ma  la  Ristori  non  era  il  solo  ornamento  della  Compagnia, 
Altri  artisti  di  valore,  come  Ernesto  Rossi,  Luigi  Bellotti-Bon 
e  Gaetano  Gattinelli,  avevan  diritti  da  far  valere.  Si  dovette 
recitare  II  Burbero  benefico  di  Carlo  Goldoni,  Niente  di  male  di 
Augusto  Bon,  La  Suonairice  cfArpa  di  David  Chiossone.  E  le 
lodi  non  mancarono,  non  mancarono  gli  applausi;...  ma  chi 
mancava  era  il  pubblico.  Come  porre  riparo  alla  disfatta  ?  Il 
5  di  giugno  si  replicò  la  Mirra;  e  il  pubblico,  attratto  dall'en- 
tusiasmo della  stampa,  vi  accorse  in  gran  folla,  e  il  successo 
fu  clamoroso.  La  tragedia  si  replicò  fino  all'andata  in  iscena 


di  Maria  Stuarda,  e  la  buona  riuscita  dell'impresa  fu  artisti- 
camente e  finanziariamente  assicurata:  ornai  la  Rachel  fu  sog- 


giogata dalla  grande  arte  della  Ristori,  fatta  tutta  di  sponta- 
taneità,  e  quel  battesimo  della  sua  fama  le  aprì  le  vie  dì  tutto 
il  mondo. 


378  RISTORI 


Ecco,  a  titolo  di  curiosità,  il  borderò  di  una  di  quelle  recite 
(13  agosto  1855): 

Recette  brutte 8,339.50 

Loyer  et  fraU  de  soirée 800.00 

^    .       ,      ,  i   Sur  la  recette 560.05 

Droits  det  hospices      ^  .  , 

^        {   Concession 46.55 

[  Sapears >3«35 

Sapplément  Passe  minait  |  Gardes I9*50 

f  Police 9.00 

Afiìches,  et  buletins  extraordinaires 327*35 

Droits  d'anteurs 60.00 

Ensemble  à  déduire '1835.70 

Reste  net 6,503.80 

À  déduire,  pour  la  Direction 3,251.90 

Reste  net,  pour  M.n»«  Ristori 3,151.90 

Visto  e  riconosduto,  etc.  etc.  Firmato,  con  data  di  Parigi  21  agosto  1855,  Giu- 
liano del  Grillo. 

Reynaud,il  Colline  A^2,  Bohème,  scrive  della  Ristori  nella 
nuova  serie  de' suoi  Portraits  contemporains  (Paris,  Amyot,  1 864): 

Col  successo  di  Parigi,  eli'  è  giunta  omai  in  prima  linea,  ha  conquistato  un  posto, 
che  non  le  sarà  più  tolto,  e  che  ninna  adesso  può  disputarle.  Prima  fra  le  regine,  ha  ricevuto 
dalla  natura  tutti  i  doni  necessari  all'arte  sua.  Grande,  nobile,  di  bellezza  commovente 
e  appassionata,  con  due  occhi  che  parlano,  un  sorrìso  di  ]>erle,  un  gesto  d'imperatrice, 
incede  come  potrebber  Pallade  o  Giunone,  e  la  sua  voce  è  una  musica  piena  di  soavità, 
o  di  forza,  secondo  il  sentimento  che  la  domina.  Mai  attrice  tragica  fu  più  maravigliosa- 
mente dotata.  Ella  possiede  tutte  le  corde,  il  furore,  la  rabbia,  l'amore,  l'ironia,  la  tri- 
stezza, la  tenerezza,  la  grazia.  Ella  muove  al  pianto,  anche  quando  non  la  si  comprende,  con 
l'espressione  della  sua  faccia,  e  la  melodia  del  suo  organo  di  fisarmonica.... 

Questo  per  le  doti  fisiche.  E  per  le  intellettuali  : 

Le  sue  ispirazioni  sono  sublimi,  ella  trova  nelle  v^'t parti  ciò  che  l'autore  stesso 
non  aveva  indovinato,  e  le  sviscera  in  ogni  più  tenue  gradazione  di  tinte:  con  un  sol 
gesto,  con  una  occhiata  ella  dice  assai  più  di  un'  altra  con  cento  parole.  Chi  non  ricorda 
il  modo  con  cui  s*  avvolgeva  nel  suo  manto  alla  fine  del  secondo  atto  di  Mirra  t  Chi  non 
senti  bagnarsi  gli  occhi  di  lacrime  vedendola  inginocchiarsi  davanti  al  Crocifìsso  in  Maria 
Stuarda?,,,  Ella  si  volge  direttamente  al  cuore  e  vi  ]>enetra  nel  profondo;  ha  tali  accenti 
che  straziano  e  trascinano.... 

E  per  la  donna  : 

Non  é  difficile  indovinare  che  la  Ristori  ha  molto  cuore:  è  il  distintivo  del  suo 
talento.  Ella  non  vive  come  una  commediante,  ma  come  la  più  onorata  madre  di  famiglia, 
compiendo  ogni  suo  dovere,  che  è  per  lei  la  felicità.  Nelle  parti  odiose  si  trovan  per  lei 


380  RISTORI 


delle  scuse,  e  pare  che  il  suo  personaggio  non  possa  agire  altramente  sia  che  la  fatalità 
lo  spinga,  o  la  passione  lo  trascini,  o  le  circostanze  lo  dominino.  Vi  han  delle  parti  che 
non  accetta,  perchè  le  ripugnano;  ed  ella  vuol  sempre  identificarsi  con  le  sue  eroine.... 

Il  d'HeylH  nel  suo  Journal  intime  de  la  Comédie  Franfaise 
(Paris,  Dentu,  1873),  dice  di  lei: 

L' ornamento  principale  della  Compagnia,  Adelaide  Ristori,  si  ebbe  nella  interpre- 
tazione di  tragedie  di  Alfieri  e  di  Schiller,  un  successo  colossale,  che  aveva  davvero  del 
fisnatìsmo  e  del  delirio,  e  che  fu,  si  potè  dirlo  con  ragione,  il  trionfo  più  grande  e  incon- 
testato dell'Esposizione.  Bisogna  leggere  i  giornali  dell'epoca,  per  rendersi  ben  conto  di 
codesto  delirio,  e  di  cotesto  fanatismo.  Lamartine  stesso  usci  dal  silenzio  poetico,  in  cui 
sembrò  essersi  condannato,  dettò  per  lei  un'  ode,  che  la  folla  acclamò  per  due  sere,  riem- 
piendo al  colmo  la  sala  Ventadour,  Dumas  padre,  proprietario  allora  del  giornale  H  Mo' 
schet fiere,  prese  le  parti  dell'attrice  italiana,  facendo  uno  strano  parallelo  tra  lei  e  la  Rachel, 
nel  quale  si  sforzava  di  mostrare  quanto  più  grande  fosse  la  tragica  straniera  della  tragica 
francese....  £  tutti  i  giornali  comparavan  ne'  loro  articoli  i  talenti  delle  due  artiste,  in 
verità  si  diversi,  e  le  lor  conclusioni  non  apparivan  sempre  favorevoli  alla  Rachel.... 

E  finalmente  Vittoriano  Sardou,  venti  anni  dopo,  ricor- 
dando l'antico  entusiasmo,  scriveva  a  un  amico: 

Sono  stato  un  de'  più  grandi  ammiratori  della  Ristori.  L' ho  veduta  in  tutte  le 
sue  parti,  e  non  ho  lasciato  alcuna  delle  sue  rappresentazioni.  Posso  dire  di  doverle  molto, 
poiché,  soccorso  dal  ricordo  di  quanto  le  vidi  fare,  mi  son  servito  bene  spesso  de'  suoi 
giuochi  di  scena  e  di  fisionomia.  Assai  sovente  ho  modellato  attrici  su  questa  ammira- 
bile artista,  e  tra  l'altre  la  Fargueil,  che  è  tutta  piena  di  imitazioni  ristoriane,  e  che  le 
deve,  senza  saperlo,  gran  parte  del  suo  presente  successo  all'Ambigu  nella  Rosa  Michel 
del  Blum.  Tutta  la  scena  della  denunzia  in  Patria  era  del  Ristorismo  più  puro.  Per  conto 
mio  non  ho  mai  veduto  niente  di  più  bello  al  teatro,  che  l' azione  di  questa  maravigliosa 
donna  ;  e  le  serate  di  /V^,  di  Medea,  di  Giuditta,  di  Maria  Stuarda,  son  rimaste  le  più 
belle  di  tutta  la  mia  vita  di  teatro. 

Naturalmente  i  grandi  entusiasmi  ebbero  anche  il  loro 
rovescio,  e  Lemercier  De  Neuville  nelle  sue  Figures  du  temps 
(Paris,  Bourdilliat,  1861),  non  ebbe,  specie  per  la  recitazione 
in  francese  della  Beatrice  di  Legouvé,  parole  di  soverchia  tene- 
rezza per  la  nostra  eroina  :  ma  l'entusiasmo  si  mantenne  alto, 
nonostante  i  tentativi  di  reazione  dell'anno  dopo,  e  quel  primo 
battesimo  di  Parigi  fu  anche,  s'è  già  detto,  il  primo  passo  del 
lungo  e  glorioso  cammino  della  Ristori,  che  di  là  il  suo  nome 
echeggiò  in  ogni  parte  più  riposta  del  mondo.  Percorse  l'Ame- 
rica del  Nord  nel  '66,  e  vi  tornò  l'anno  di  poi,  il  '75  e  r'84. 


RISTORI  381 

Fu  il  '68  ne!  Messico;  il  '6g  in  tutta  l'America  del  Sud,  ove 
tornò  del  '74.  Recitò  la  commedia  e  la  farsa,  il  dramma  e  la 
tragedia  in  italiano,  in  francese  e  in  inglese  con  attori  italiani, 
francesi,  inglesi  e  tedeschi;  e  dovunque  ammirata,  festeggiata, 
acclamata  dal  pubblico,  dalla  stampa,  dai  poeti.  Ebbe  amicizie 


di  Sovrani;  ridonò  alla  società  e  alla  patria  un  povero  soldato 
condannato  a  morte  ;  visse,  nei  momenti  più  burrascosi  della  pa- 
tria nostra,  gagliardamente  italiana.  Fu  sposa  e  madre  adorata; 
e,  lasciate  le  scene,  diventò  dama  d'onore  della  Regina  d'Italia. 
Al  suo  ottantesimo  anno,  tutto  il  mondo  si  preparò  a  festeg- 
giarla, richiamandole  alla  memoria,  nella  solennità  dell'omaggio, 
gli  entusiasmi  che  ella  seppe  destare  per  oltre  sessant'anni. 

Il  nostro  giovine  Re  Vittorio  Emanuele  ITI  andò  in  per- 
sona a  ossequiarla,  recandole  un  dono  e  gli  auguri  della  Re- 
gina; il  Ministro  dell'Istruzione  le  co;iÌÒ  una  medaglia  d'oro; 


RISTORI  -  RIVA 


e  un'altra  d'oro  gliene  coniò  la  R.  Scuoladi  Recitazione  di 
Firenze  che  ho  l'onore  di  dirigere;  e  sono  orgoglioso  dì  poter 
qui  legare  in  qualche  modo  il  mio  piccolo  nome  a  quello  di 
lei  grandissimo  e  venerato. 


Ebbe  tre  fratelli  che  seguiron  l'arte  sua:  Carolina,  moglie 
di  Pasquale  Tessero (V.),  nata  il  4  novembre  1823  a  Brescia  e 
morta  a  Genova  il  1890;  Enrico,  artista  egregio  alcun  tempo 
per  le  parti  amorose  al  fianco  di  sua  sorella,  poi  impiegato 
ferroviario,  nato  a  Voltri  nel  1826,  e  morto  capo-stazione  a 
Foggia  nel  1894;  e  Cesare  ora  al  fianco  della  sorella  per  le 
parti  di  carattere,  ora  cantante  buffo,  nato  a  Soresina  il  21  di 
marzo  1835,  e  morto  aTorìno,  maestro  di  recitazione,  il  26  feb- 
brajo  1891. 

Riva  Carlo.  Nella  cronistoria  de'teatri  di  Modena,  di  A.  Gan- 
dini  (1,94-95)  è  citato  questo  Riva  detto  Naiini.  conduttore  di 
una  compagnia  che  recitò  a  quel  vecchio  teatro  comunale  i  car- 
nevali del  1717  e  1718.  Pel  16  marzo  è  fatto  cenno  dell'inter- 
vento al  teatro  del  Principe  di  Charlerois. 

Riva  Alessandro,  cognato  della  celebre  Gaetana  Goldoni 
(ne  aveva  sposato  la  sorella  Anna  Andolfati),  fu  un  egregio  pa^ 
dre  nobile  e  tiranno,  fiorito  nell'ultimo  ventennio  del  secolo  xviii. 
Fu  con  la  Coleoni,  la  Battaglia,  Zuccato,  e  il  cognato  Goldoni^ 


RIVA  -  RIZZOTTO  383 

Sappiamo  che  il  1821  viveva  a  Padova  fuor  dell'arte,  in  cui 
aveva  lasciato  di  sé  fama  di  un  de' più  integerrimi  uomini  e  va- 
lenti artisti. 


Riva  Ltiigi,  figlio  del  precedente,  nato  a  Verona  il  1 790,  si 
esercitò  giovinetto  nell'arte  comica  ;  e  Io  vediamo  il  1 8 1 5  primo 
amoroso  al  fianco  della  zia  Gaetana.  Morto  Antonio  Goldoni,  il 
181 7,  egli  lo  sostituì  nella  direzione  dell'azienda,  riducendo  al 
nulla  in  soli  cinque  anni  di  sregolatezze  ogni  avere  della  po- 
vera vedova.  Consunto  dai  vizj,  morì  improvvisamente  a  Trieste 
la  primavera  del  '23. 

Rivani  Giovanni.  Faceva  parte  della  Compagnia  Marti- 
nelli (V.),  che  andò  a  Parigi  il  1621. 

Rizzotto  Giuseppe.  Nacque  a  Palermo  l'ottobre  del  1828, 
e  fu  da  suo  padre,  impiegato  governativo,  avviato  all'avvoca- 
tura; ma,  appassionato  filodram- 
matico, preferì  la  scena  alla  leg- 
ge, e  dopo  di  aver  preso  parte  ai 
moti  della  Sicilia  del  '48,  si  scrit- 
turò a  ventidue  anni  in  una  com- 
pagnia d'infimo  ordine,  poi  in 
quella  di  Robotti,  poi  fu  in  Ame- 
rica colla  Pezzana,  e  mercè  un 
suo  lavoro  dialettale,  in  cui  di- 
pinse al  vivo  la  mafia  dì  Palermo, 
quest'uomo  singolarissimo,  cele- 
bre in  Sicilia,  conosciuto  a  Na- 
poli, sconosciuto  a  noi,  potè  girar 
trionfalmente  i  più  riposti  angoli 
■  d*Italia,ammÌratoestimatocome 
attore,  come  autore,  e  come  uomo.  Morì  a  Trapani  il  4  luglio 
del  1895.  Ebbe  variì  figliuoli  dalle  tre  mogli,  migliori  de' quali 
i  due  della  terza  Salvatore  e  Giulia:  quello  primo  attor  gio- 


384  RIZZOTTO  -  ROBOTTI 

vane  e  primo  attore  di  assai  buone  qualità  con  Italia  Vitaliani  ; 
questa  egregia  seconda  donna  con  la  Società  Gramatìca-Talli- 
Calabresi. 

Robetti  Antonietta,  nata  a  Como  il  1 8 1 7  dai  conjugi  Roc- 
chi, fu  raccolta,  educata  e  amata  qual  figlia  dalla  famiglia  comica 
TorandelU,  che  l'ebbe  sostegno  prodigioso  delle  sue  travagliate 


peregrinazioni,  in.  cui  si  mescolava  la  recitazione  alle  farse  in 
musica  e  ai  balletti  giocosi.  SÌ  narra  che  la  giovane  Toran- 
delli,  così  la  chiamavano,  fosse  un  vero  miracolo  di  arte  sana 
in  mezzo  a  un  guittume  della  peggiore  specie.  Volle  ventura  che  ■ 
V  attore  Luigi  Robotti,  uditala  appena,  la  togliesse  dall'  am- 
biente pernicioso  per  farla  sua  moglie,  e  condurla  per  vie  mi- 
gliori. La  vediam  difatd  il  '  36  prima  aiirice  giovitte  sotto  la  Mar- 


ROBOTTI  385 


chionni  nella  Compagnia  Reale  di  Torino  col  marito  amoroso, 
fino  ar39,  sostituita  da  Adelaide  Ristori.  Passò  per  un  triennio 
nella  Compagnia  Mascherpa  al  servizio  dell' Arciduchessa  Ma- 
ria Luigia,  per  rientrar  nella  Reale  di  Torino,  prima  attrice 
assoluta,  al  fianco  sempre  del  marito,  amoroso,  a  vicenda  con 
Carlo  Romagnoli,  fino  a  tutto  Tanno  '52,  dopo  il  quale  fé* com- 
pagnia col  maggior  figlio  di  Luigi  Vestri,  Gaetano,  lanciando 
prima  attrice  giovine  la  figlia  Luigia,  che  del  Vestri  doventò 
poscia  la  moglie.  Staccatisi  questi  dopo  alcuni  anni,  scrittu- 
rati da  Bellotti-Bon,  i  coniugi  Robotti  formaron  nuova  com- 
pagnia ('59),  che  intitolaron  Nazionale  subalpina,  e  di  cui  eran 
parte  la  magnifica  Ferroni,  Enrico  Capelli  e  Salvator  Rosa.  Ma 
gli  affari  non  volgevano  a  bene,  specie  per  una  fiera  malattia 
di  artrite  dell'Antonietta,  che  la  tormentò  lungo  tempo.  L'aprile 
del  '62  il  marito  Luigi  scriveva  da  Ferrara  all'amico  Francesco 
Righetti  :  <  Antonietta  è  sempre  stata  in  condizione  da  non 
poterle  parlare  d'affari;  oggi  che  grazie  a  Dio,  dopo  io J giorni 
et  infermità  va  meglio,...  >  e  nel '64,  ella  moriva  in  Bologna. 
Quivi,  alla  Certosa,  in  memoria  di  lei,  si  legge  : 

ANTONIETTA  ROCCHI,  moglie  a  L.  ROBOTTI 

SALUTATA  NSLL*ARTS  DI  ROSCIO  MAESTRA 

NON  SUPERBA 
NEI    TRIONFI,   NELLE    DOVIZIE,   NEI    PLAUSI 

NON  PAVIDA 
IN  CASI  AVVERSI  E  MALATTIE  DOLOROSE 

PRONTA 
A    SOCCORRERE    I    MISERI,   A    GIOVARE    I    CONGIUNTI 

IN  DIO   FIDATA 
LO  INVOCANDO  SPIRt) 


LA  SOLA  AMICIZIA  FEDELE 

IN  VITA  ED  IN  MORTE 

MURÒ  IL  SEPOLCRO  A   CUSTODIRE  LE  CENERI 

DI 

ANTONIETTA 

ED  AL   SUO   NOME  IL  MARMO  INCIDEVA 


N.  in  Como  a.  ìidccc  xvii.  M.  ìd  Bologna  A.  mdccc  lxiv 

Robetti -Vestri  Luigia  (V.  Vestri). 

49.  —  /  Comici  ùaliaui.  Voi.  II. 


386  ROCCA 


Rocca-Nobili  Camilla.  Prima  attrice  dei  Confidenti,  fu  una 
delle  più  forti  artiste  del  suo  tempo,  lodata  in  vita  e  pianta  dopo 
morta  da' più  eletti  ingegni.  11  Belgrano  propenderebbe  a  cre- 
dere ch'ella,  figlia  o  altrimenti  parente  di  Cesare  Nobili,  esor- 
disse col  padre  nella  Compagnia  dei  Desiosi. 

Il  Quadrio  si  confonde  tra  la  Delia  e  la  Celia,  la  Malloni, 
attribuendo  a  quella  le  lodi  di  questa,  e  citando  persino  come 
errore  di  stampa  il  nome  di  Delia  nel  libretto  di  poesie  in  lode 
di  lei  che  andremo  scorrendo,  e  che  ha  per  titolo  : 

LE  FUNEBRI  |  RIME,  |  di  diversi  eccell.  |  autori,  in  morte  della 
SIGNORA  I  CAMILLA  ROCHA  NOBILI  |  comica  confidente  detta 
I  DELIA.  I  raccolte  da  Francesco  antonaz  |  zoni,  comico  confi- 
dente   DETTO  I  ORTENSIO.  |  DEDICATE   ALL'  ILLUSTRISS.  &  |  ECCELLEN- 

Tiss.  SIC.  IL  siG.  I  ANNIBALE  TORCHI  |  marchese  d'ariano. 
In  venetia  I  appresso  Ambrogio  dei  I  M.D.C.XIII. 


Il  libretto,  rarissimo,  consta  di  143  pagine  in- 12°,  e  ha  un 
grazioso  fregio  in  rame  che  incornicia  il  titolo.  Precede  una 
lettera  dedicatoria  dell'Antonazzoni,  e  un  indice  degli  autori, 
tra'  quali  si  notano  il  famoso  Cintio  Fidenzi,  Comico  Acceso,  e 
il  non  men  famoso  Capitano  Spaventa  Francesco  Andreini,  dei 
Gelosi. 

Non  sappiamo  di  qual  terra  fosse  nativa  la  Rocca,  e  que- 
sti versi  del  Fidenzi  (pag.  36) 

Delia  qui  giace,  il  cui  almo  sembiante 
ornò  le  Tosche  Scene, 

ci  dicon  troppo  poco  ;  ma  certo  morì  quasi  improvvisamente  e 
fu  sepolta  a  Padova  (V.  il  sonetto  di  Matteo  Bembo,  pag.  44, 
e  quello  di  Verdizzotti,  pag.  1 6)  dopo  una  ricaduta  fatale  della 
malattia,  quando  tutti  eran  certi  omai  della  guarigione.  Per  la 
convalescenza  di  lei  dettò  Fidenzi  il  sonetto  seguente  : 

Post'avea  già  sul  formidabil  arco 
r  invida  morte  il  suo  funereo  strale, 
e  volea  aprir  de  la  prigion  mortale 
de  la  famosa  Delia  a  l'alma  il  varco. 


ROCCA  387 

Ma '1  Dio  d'amore  a  Tuopo  suo  non  parco 
di  favor,  disse  a  lei  rivolto;  or  quale 

•  sconsigliato  furor,  morte,  t'assale 
di  fare  al  regno  mio  si  grave  incarco? 

Ella  ben  mille  a  me  alme  rubelle 
mi  darà  col  suo  dir,  allor  che  ornato 
sarà  il  teatro  di  sue  fiamme  belle. 

Morte  ritenne  allora  il  colpo  irato. 
Cosi  rara  virtù  sforza  le  stelle, 
e  può  sol  quella  superar  il  fato. 

E  un  madrigale  sul  medesimo  soggetto  dettò  Giovanni 
Lazzaroni. 

Da  un  sonetto  di  Girolamo  Friuli  (pag.  49)  sappiamo 
com'  Ella  fosse  bionda: 

Di  questa  cosi  saggia  in  biondo  pelo, 
di  questa,  che  di  rai  la  chioma  cinta 
fu  Delia  in  terra,  ed  ora  è  Sole  in  cielo. 

Giovanni  Zignoli  (pag.  67)  ci  parla  della  sua  bellezza  e 
dell'  età  sua  giovanile  : 

Discolorato  hai  morte  il  più  bel  volto 
nell'  età  sua  più  bella  e  più  fiorita 


e  ce  ne  parla  Niccolò  Boldri  in  un  sonetto  (pag.  1 24)  al  rac- 
coglitore Antonazzoni  : 

«  Amico,  i'  godo  il  cielo, 

non  dir  eh'  in  verde  età  sia  al  mio  fin  giunta, 
che  grave  è  sempre  all'alma  il  mortai  velo.  » 

Al  quale  rispondeva  Antonazzoni  (pag.  seg.)  : 

Maggior  beltà  di  Delia,  io  non  scorgen, 
né  di  lei  rimirai  cosa  più  eletta, 
m'era  dolce  il  penar,  cara  e  diletta 
l'amorosa  prigion  la  pania  avea. 


388  ROCCA 

L'ammirai  come  Nume,  e  come  Dea 
mi  fu  strale  d*amor,  face  e  saetta, 
mèta  de'  miei  pensier  giusta  e  perfetta  * 
Lei,  non  febo,  per  me  luce  spargea. 

Ond'or  che  vive  in  ciel  da  me  disgiunta 
provo  il  gel  nell'ardor,  l'ardor  nel  gelo; 
e  mia  vita  direi  fosse  al  fin  giunta. 

Se  non  avessi  a  vói  con  puro  zelo 
Talma,  Signor,  donata,  che  congiunta 
gode  felice  in  Voi,  come  in  suo  cielo. 

Dal  qual  sonetto  si  potrebbe  anche  inferire  eh*  ella  fosse 
qualcosa  più  che  amica  del  compagno  d'arte.  Ma  come  ciò 
concorderebbe  col  bel  candore  decantato  da  Francesco  Andreini 
in  questo  suo  sonetto: 

Or  che  Delia  è  sparita,  e  '1  suo  splendore 
inargenta  altre  selve  ed  altri  colli, 
che  fia  di  noi  ?  Rugiadosi  e  molli 
gli  occhi  trarremo  in  sempiterno  orrore. 

Delia  talor,  mentre  che  nasce  e  more 
l'argento  tuo,  fin  là  dove  t'estolli, 
le  caduche  speranze,  e  i  pensier  folli 
nostri  rimira  col  tuo  bel  candore. 

Cosi  vedrai,  che  quanto  in  terra  giace, 

è  fumo  ed  ombra:  e  scorgerai  che  '1  mondo 
d'insidie  è  pieno,  e  lusinghier  fallace. 

Specchiati  in  Ciel  nel  sommo  ben  verace, 
poi  ch'hai  vinto  Satan  Angelo  immondo, 
e  con  li  giusti  godi  eterna  pace. 

E  sopratutto  come  concorderebbe  con  questa  terzina  del 
Fidenzi  (pag.  36)? 

Fu  Delia  de  le  donne  onore  e  lume, 

GLORIA  DEL  SPOSO  SUO,  pompa  del  mondo, 
e  dei  teatri  luminosa  Aurora. 


ROCCA  -  RODOLFI  389 


Quanto  a*  suoi  pregi  artistici,  par  eh'  Ella  ne  avesse  pa- 
recchi, e  in  ogni  sorta  di  composizione,  come  accenna  il  Bol- 
dri  in  una  sua  canzone  a  pag.  80  : 


Ancor  le  menti  a  volo 

trarrai  nell'altro  polo, 

e  formando  la  voce 

or  benigna,  or  feroce 

e  mutando  te  stessa  in  Cavaliere, 

in  amante,  in  guerriero, 

in  Pastorella,  in  Dama, 

in  Serva,  ed  in  Regina, 

farai  degli  altrui  cor  dolce  rapina. 


Ch'  Ella  fosse  congiunta  a  Cesare  Nobili,  come  incline- 
rebbe a  credere  il  Belgrano,  non  si  può  dire  :  tuttavia  non  è 
assai  fuor  del  probabile,  potendosi  forse  ritenere  eh'  ella  fosse 
davvero  Nobili  di  nascita  da  un  sonetto  di  Enrigo  Sottovello 
(pag.  68),  là  dove  dice  : 

mentre  Camilla  Rocca,  onor,  conlento 
del  secol  nostro 

Ma  né  anche  questa  è  prova  sicura  del  suo  cognome  di 
sposa,  serbando  le  attrici  in  arte  il  nome  con  cui  salirono  in 
rinomanza. 

Rodolfi  Giuseppe.  Nato  a  Bologna  il  1827  da  Gioachino 
e  da  Colomba  Brighenti,  fu  artista  brillante  rinomato  per  la  co- 
micità spontanea  e  originale.  Esordì  nella  Compagnia  Bottazzi 
e  Berlafifei  del  1845;  e  fu  per  alcuni  mesi  del  '48  in  quella  di 
Micheloni  e  Dondini,  scioltasi  a  mezz*anno  a  cagion  della  guerra. 
Entrò  il  \50  in  quella  di  Edoardo  Majeroni  diretta  da  Gaetana 
Rosa.  Sposò  in  quell'anno  Amalia  Vannucci  bolognese  e  at- 
trice, che  gli  morì  a  Padova  di  colèra  il  '55,  e  dalla  quale  ebbe 
un  figliuolo,  Rodolfo.  Fu  il  triennio  '5 6-' 5  7-' 5  8  con  Robetti  e 


Vestri.  Lo  vetjiam  poi  con  Giuseppe  Peracchi,  col  quale  stette 
lungo  tempo,  poi,  del '73,  con  la  compagnia  n.  2  di  F.Sadowski» 
diretta  da  Luigi  Monti.  Passò  del  '74  in  seconde  nozze  con 
Sofia  Cerretelli,  dalla  quale  ebbe  due  anni  dopo  il  figliuolo 
Eleuterio.  Entrò  il  '78  nella  Compagnia  lucchi,  diretta  da  Gio- 
vanni Emanuel,  e  il  '79,  dato  un  ad- 
dio alle  scene,  si  ritirò  nella  sua 
Bologna,  dove  morì  il  19  febbrajo 
deir'85. 

Che  cosa  fosse  Giuseppe  Ro- 
dolfi come  artista,  niuno  ha  mai  sa- 
puto dire.  Forse  volgare,  forse  su- 
perficiale, forse  buffone,  forse  grot- 
tesco.... Ma  s'andava  a  teatro  e  si 
rideva  a  crepapelle  del  riso  il  più 
sano  e  il  più  schietto.  La  sua  stessa 
figura  era  di  una  comicità  irresisti- 
bile. Il  busto  bene  formato  e  svi- 
luppato era  sorretto  da  un  pajo  di  gambette  ad  arco,  che  si 
movev^ln  a  salti,  a  guizzi  su  la  scena  nel  più  buffo  modo  del 
mondo.  Aveva  una  dizione  vera,  corretta,  spontanea,  e  una 
pronunzia  del  più  aperto  bolognese  :  il  che  accresceva  comicità 
all'esser  suo.  Chi  noi  ricorda  nel  Pugno  incognito  e  t\G\\^  Bolla 
di  Sapone  di  Vittorio  Bersezio?  Nei  Naufraghi  del  m,ar  Pacìfico. 
nel  Casto  Giuseppe  e  la  moglie  di  Putifarre?  In  Mamma  Agata 
bolognese?  Nelle  Nozze  del  signor  Camillof  Chi  può  ripensar  quei 
famosi  or  ora  glie  lo  dico,  senza  riderne?  E  quella  famosa  di- 
chiarazione d'amore  ch'egli,  non  eccezionalmente,  ma  ormai 
per  consuetudine  doveva  ripeter  lì  per  lì,  in  mezzo  alle  più 
matte  risate  dì  un  pubblico  stipato  ?  Se  a  Giuseppe  Rodolfi 
mancaron,  come  s'è  dianzi  accennato,  talune  qualità  d'arte, 
egli  fu  per  certi  rispetti  attore  brillante  veramente  unico. 

Il  figliuolo  Eleuterio  esordì  generico  giovine  nella  Compa- 
gnia di  F.  Garzes,  morto  il  quale,  entrò  subito  secondo  brillante 
con  Pieri  e  Ferrati.  Fu  il  '95  con  Talli-Sichel-Tovagliari,  Ìl  '96 


RODOLFI  -  ROFFI  391 


con  la  Vitaliani,  il  '97  con  la  Della  Guardia,  il  'gS-'gg  con  No- 
velli, il  *900  con  Talli-Gramatica-Calabresi,  il  ^901 -'90  2  con 
Leigheb;  e  finalmente  il  '903,  per  un  triennio,  con  la  Della 
Guardia,  primo  brillante  assoluto,  assieme  a  sua  moglie,  Adele 
Mosso,  attrice  egregia  per  le  parti  di  seconda  donna. 

L'esempio  dei  maestri,  sotto  i  quali  militò,  e  sui  quali  si 
modellò,  la  sua  attitudine  e  il  suo  buon  volere  fanno  sperare 
assai  bene  del  suo  artistico  avvenire. 

Roffi  Giovanni,  toscano.  Valoroso  attore  per  le  parti  di 
Arlecchino,  e  non  men  valoroso  capocomico,  fu  nella  Compa- 
gnia di  Francesco  Berti,  di  cui  sposò  la  cognata.  Stabilitosi  a 
Firenze,  vi  aprì  una  hoXX^^'à.  di  varie  merci -come  dice  Fr.  Bar- 
toli  —  e  prese  in  affitto  il  Teatro  del  Cocomero^  ove  mantenne 
alternativamente  compagnia  di  prosa  e  di  musica. 

Nel  1780  cominciò  a  uscir  di  Firenze,  sotto  la  protezione 
di  Pietro  Leopoldo,  con  privilegio  di  occupar  egli  solo  con  la 
sua  comica  compagnia  i  teatri  varj  della  Toscana;  e  lo  vediamo 
r  autunno  di  quell'anno  a  Livorno,  ove  per  l'apertura  del  Tea- 
tro di  San  Sebastiano  fu  composto  un  prologo  (Livorno,  Fa- 
lorni),  che  finisce  con  queste  parole  di  Minerva  volta  alla  Com- 
pagnia schierata  in  sulla  scena  : 

scendete 

O  miei  figli  scendete;  eccovi  aperto 
Vasto  campo  al  valor;  dell'arti  mie 
Fate  qui  prova;  Io  non  vi  guido  al  varco 
D'incognita  region;  del  patrio  Mare 
Rivedete  le  sponde;  in  ogni  volto 
Distinguete  la  gioia;  in  voi  si  scorga 
Un'umiltà  non  vile;  assai  decente 
Abbia  lo  scherzo  il  suo  confin;  il  gesto 
Non  si  avanzi  di  troppo,  il  fasto  improprio 
Nel  vestir  non  deformi 
II  carattere  altrui;  fate  che  sia 
Esatta  ognor  l'esecuzion,  ma  prima. 
Lungi  dair  adularvi 


393  ROFFI 

Fate  che  ognor  risulti 
Ad  eterna  memoria, 
Dall'altrui  perdonar  la  vostra  Gloria; 
Solo  pregio  del  terreno 
Non  è  il  darne  il  frutto,  o  il  fiore 
Pregio  è  pure  del  calore 
Dell'umore 
È  pur  mercè. 

Deh  sperar  ci  fate  almeno 
Chiaro  il  Sol,  copiosa  l'onda. 
Che  allor  si  la  pianta  abonda 
Più  feconda 
Che  non  è. 

Facevan  parte  della  compagnia  quasi  tutti  attori  fioren- 
tini, tranne  Pietro  Andolfati,  primo  attore  (V.)  e  Giuseppa  Fi- 
neschi  prima  donna  (V.),  artisti  di  molto  pregio.  Aggiunge  il 
Bartoli  che  non  contento  di  rimaner  ristretto  nei  confini  della 
Toscana,  il  Roffi  percorse  con  grande  fortuna  la  Lombardia,  il 
Piemonte  e  il  Genovesato. 

Forse,  quando  abbandonò  la  Compagnia  Berti  per  recarsi 
a  Firenze,  abbandonò  anche  le  scene  per  diventare  esclusiva- 
mente impresario.  Infatti  un  elenco  della  sua  compagnia,  senza 
data,  ma  certo  prima  assai  deir'80,  ci  dà  i  seguenti  attori: 


SIGNORE 

Anna  Roffi 

Maria  Zocchi 

Anna  Cesari 

Amalia  Gattolini-Brunacci,  serva 


SIGNORI 

Gaetano  Brunacci 
Giuseppe  Mancini 
Angiolo  Marchioni 
Luigi  Lensi 


MASCHERE 

Gaetano  Cipriani,  Pantalovr 

Baldassarre  Bosi,  Trastullo 

Nicola  Bertoni,  tArUcchino  e  subalterni. 

Roffi  Anna.  Moglie  del  precedente,  e  sorella  di  Caterina 
Berti  (V.),  fu  attrice  egregia  per  le  parti  di  serva,  e  talvolta 


ROFFI  -  ROMAGNESI  393 

anche  per  quelle  di  donna  seria.  Recitò  sempre  nella  compa- 
gnia del  marito,  ma,  a  Firenze,  neir  autunno  del  1771,  rappre- 
sentando La  Vedova  Scaltra  del  Goldoni,  nell'  atto  di  porsi  il 
zendado  alla  veneziana,  fu  colpita  d'apoplessia,  che  la  con- 
dusse a  morte  in  capo  a  poche  ore,  compianta  da  tutti  e  pei 
suoi  pregi  e  per  la  sua  sciagura. 

Rolenzino.  È  citato  dal  Marchese  Decio  Fontanelli  in  una 
sua  lettera  del  14  agosto  1691  al  Duca  di  Modena.  La  Com- 
pagnia del  Duca  aveva  domandato  di  poter  recitare  a  Verona, 
ove  andò  poi  quella  del  Duca  di  Mantova,  rifiutata  a  Milano. 
La  Compagnia  di  Modena  allora,  profittando  del  teatro  libero, 
si  recò  a  Milano,  e  vi  fece  grande  incontro.  In  quello  stesso 
anno  V  Elettore  di  Baviera  aveva  licenziato  la  Compagnia  ita- 
liana, e  il  Fontanelli  esorta  in  questa  lettera  il  Duca  a  servirsi 
di  alcuno  di  quei  soggetti  per  migliorar  la  sua  compagnia;  e  ag- 
giunge :  <  giunto  hieri  sera  da  Sassuolo  in  Modena  vi  trovai  Ro- 
lenzino famoso  primo  Zane,  ho  stimato  perciò  bene  di  fermarlo  à 
disposinone  di  V.  A.  5'^r.'*^...>  È  la  prima  volta  che  ci  occorre 
questo  nome  in  tanti  documenti  veduti.  Forse  era  nome  di  ma- 
schera? Forse  metatesi  di  Lorenzino? 

Romagnesi  Marc' Antonio,  ferrarese,  era  salito  in  gran 
fama  qual  Pantalone  e  capocomico.  Pier  Maria  Cecchini  aveva 
proposto  con  lettera  del  1 6 1 2  da  Venezia  al  Duca  di  Mantova 
di  mandarlo  a  Parigi,  ove  poi  non  andò,  pei  raggiri  di  Tri- 
stano Martinelli  chg  vi  andò  in  sua  vece  il  16 13.  Vediam  più 
tardi  il  Romagnesi,  il  1616,  nella  Compagnia  de'  Confidenti, 
diretta  dallo  Scala  e  protetta  da  Giovanni  De  Medici,  nella 
quale  ebbe  a  Genova  un  alterco  con  Battista  Austoni,  V  am- 
ministratore della  Compagnia.  (V.  Neri,  Gazzetta  letteraria, 
18  maggio  '89). 

E  sua  senza  dubbio  la  traduzione  dell'  opuscoletto,  intito- 
lato :  DichiarcUione  \  del  Re  Chr istianissimo  \  pubblicata  nel  Par- 
lamento I  nel  qual  S.M.  si  ritrovò  il  giorno  \  18  di  gennajo  16J4  \ 

50.  —  /  Comici  italiani.  Voi.  II. 


394  ROMAGNESI 


richiamando  il  Duca  cT  Orléans  \  Suo  fratello  \  tradotta  dal  fran- 
cese I  da  Marcantonio  Romagnesi.  -  Venetia,  1634. 

Romagnesi .  •  •  •  ?  Recitava  le  parti  ^Innamorato  sotto  il 
nome  di  Orazio;  e  fu  probabilmente  figliuolo  del  precedente. 
Il  Moland,  non  sappiamo  con  qual  fondamento,  gli  dà  il  nome 
di  Marco.  Egli,  marito  à^^ Aurelia,  Brigida  Bianchi,  si  era 
recato  con  la  Compagnia  Locatelli  a  Parigi,  ove  morì  il  1660.  Di 
lui  fa  menzione  il  Loret  nella  Muse  historique  del  3 1  marzo  1659 
col  distico  seguente  : 

Horace,  en  beau  discours  fréquent, 
faisoit  l'amoureux  éloquent. 

Romagnesi  Marc' Antonio.  Figlio  del  precedente  e  di 
Brigida  Bianchi,  nacque  a  Roma  (o  a  Venezia  :  non  è  ben  ac- 
certato) intorno  all'anno  1633.  Fu  educato  nel  Collegio  de- 
mentino di  Roma,  indi,  come  sovente  s' è  visto,  trascinato  alla 
scena  dall'esempio  dei  parenti,  salì  subito  in  alto  grido  per 
le  parti  d!  Innamorato,  sotto  nome  di  Cintio.  Non  si  recò  a 
Parigi  che  del  1660.  Aveva  sposato  a  Bologna  il  31  marzo 
1653  Elisabetta  Giulia  Della  Chiesa,  non  comica  (in  francese 
si  firmava  De  tEglise  e  in  italiano  La  Gieza)y  che  gli  morì  a 
Londra  il  1675  ^"  ^^^  ^^^  ^^^  viaggi  che  la  Compagnia  fece  in 
Inghilterra  col  permesso  della  Corte  di  Francia.  Il  Neri  pro- 
penderebbe a  crederla  figliuola  del  celebre  Dottor  Violone, 
Girolamo  Chiesa,  ma  non  saprei  perchè,  non  essendosi  mai 
trovato  il  suo  nome  preceduto  da  quel  Della,  che  fa,  pare  a  me, 
un  diverso  casato. 

Troviamo  il  Romagnesi  a  Mantova  V  aprile  del  '55,  come 
da  una  sua  lettera  al  Duca  di  Modena  del  5,  con  la  quale  lo  rin- 
grazia dell'invito  di  recarsi  colà  a  recitare  :  poi  nulla  sappiamo 
più  fino  all'anno  1667,  in  cui  egli  apparve  sulle  scene  del  Tea- 
tro italiano,  sostituendovi  il  secondo  amoroso  Valerio  Bendi- 
nelli  ;  indi,  abbandonato  il  primo  amoroso  Ottavio  Costantini 
il  teatro  nel   1688,  e  partito  per  l'Italia,  predendone  egli  il 


ROMAGNESI 


posto.  Verso  r'8g  fu  incaricato  da  Colbert  di  recarsi  in  Italia 
a  scritturarvi  nuovi  attori  per  colmare  i  vuoti  lasciati  nella 
Compagnia.  A  tal  proposito  scrisse  una  lettera  a  Carlo  Pevrault, 
controllore  della  Casa  Colbert,  chiedendo  un  passaporto  per 
Roma,  Venezia,  Genova,  Ferrara,  Bologna,  Padova,  e  una  sov- 
venzione in  danaro,  per 
far  fronte  alle  spese,  fa- 
cendo osservare  che  pel 
viaggio  in  due  sole  città, 
Bologna  e  Venezia,  Ot- 
tavio avea  sempre  avuto 
200  scudi. 

Invecchiato  il  Lolli, 
Romagnesi,  che  non  era 
più  giovine,  e  a  cui  non 
più  si  addicevan  le  parti 
à! Innamorato  (1694),  lo 
sostituì  nella  maschera 
del  Dottor  Baluardo,  nel- 
la quale  ci  lu  tramanda- 
to in  effigie  dal  bulino 
del  Manette,  un  de*  più 
benemeriti  della  storia 
iconografica  del  nostro 
teatro. 

Soppresso  il  Teatro 
italiano  nel  1697,  Roma- 
gnesi naturalizzato  francese  dal  1685,  ufficiale  del  Re,  e  am- 
ministratore della  Compagnia  italiana  insieme  ad  Angelo  Lolli, 
abbandonò  le  scene,  e  morì  a  Parigi  in  via  S.  Dionigi  il  29  ot- 
tobre 1706.  Fu  sepolto  nella  chiesa  di  S.  Lorenzo  alla  presenza 
dei  figli  Carlo  e  Augusto  Alessandro. 

Marc' Antonio  Romagnesi  fu  poeta  e  non  de' peggiori,  e 
pubblicò  pei  torchi  di  Langlois  a  Parigi  il  1673  le  sue  rime, 
eh'  ei  volle  consecraie  alt  immortai  nome  di  Luigi  XIV Re  di  Fran- 


Mr  le  X>octezrr3aioiiard. 


396  ROMAGNESI 

eia  e  di  Navarro.  Esse  si  dividono  in  Eroiche.  Amorose.  Morali 
e  Varie.  II  Bartoli  riferisce  l'ode  indirizzata  a  sua  madre,  e  la 
risposta  di  questa.  Ma  come  saggio  del  suo  stile  ve  n'  ha  ben 
altre  che  mi  pajon  di  gran  lunga  migliori. 

Oltre  a  queste  una  ne  pubblicò  il  Cotolendì  nel  suo  Livre 
sans  nom  (Paris,  Brunet,  M.  DC.  XCV),  Al  proprio  Genio,  pre- 
mettendole alcune  parole  d'iperbolica  lode  per  tutta  l'opera 
poetica  di  Cintio. 

L'ode  comincia: 

Fiamma  de  l'intelletto, 

mobil  del  mìo  voler,  moto  dell'alma, 

colmo  d'estro,  e  dispetto, 

a  te  periurbator  della  mìa  calma, 

parlo,  o  mio  Genio  insano  :  a  te  che  sei, 

forsennata  cagion  de' torti  miei. 

La  notizia,  citata  dal  Bartoli,  che  il  Romagnesi,  andato  a 
Mantova,  trovasse  una  sua  casa  sequestrata,  e  supplicasse  Ìl 
Duca  della  liberazione,  che  poi  ottenne,  troviamo  nel  seguente 
sonetto  che  non  mi  par  de' peggiori: 

Signor,  giacché  più  tetto  non  m'avanza, 

e  più  casa  non  ho  su  't  mantovano, 

non  vi  sdegnate  che  col  scettro  in  mano, 

mentre  casa  non  ho,  faccia  una  stanza. 
Molte  n'ho  fatte,  è  vero,  in  varia  istanza 

a  Vostra  Ahezza,  mio  Padron  sovrano; 

e  pur  con  tante  stanze  essendo  al  piano, 

di  star  allo  scoperto  ho  per  usanza. 
La  Camera  ducal  se  l'ha  investita; 

e  pur  ell'è  come  campagna  rasa, 

o  nuda  più  che  cella  d'eremita. 
Ma  s'a  la  vostra  Camera  è  rimasa, 

date  ordine  mi  sia  restituita; 

che  non  può  entrare  in  Camera  una  casa. 

Degne  di  certo  interesse  a  chi  fosse  dotato  di  molta  pa- 
zienza, sono  alcune  poesie  nelle  quali  egli  dà  la  spiegazione 


ROMAGNESI 


De  la  Ctrtnedie  Jtalienne ^  d^n^  san 


dell'oroscopo.  Analizzando  e  raffrontando,  si  potrebbe  forse 
venire  alla  soluzione  di  altri,  sparsi  in  quest'opera.  Limitiamoci 


398  ROMAGNESI 


a  dar  qui,  come  saggio,  la  interpretazione  di  quello  concernente 
il  natale  di  Angelo  LoUi  : 

A  te  Febo  dà  vita:  e  mortai  fine 
nell' undecimo  lustro  indi  t'offende; 
e  di  Mercurio  in  dignità  t'intende 
de  la  Terra  a  tracciar  vario  confine. 

Giove  in  Terza  l'amor  par  che  t'indine 
De  i  Sacri;  e  col  Sestile  a  Cintia  apprende 
favor  donnesco:  e  Citerea  difende 
di  morte  ria  da  subite  ruine. 

Empi  Amici  additar  Marte  qui  vuole, 
Sterilità  Saturno,  e  prigionia, 
Benché  Delia  feminea  unica  prole. 

Gli  Angoli  Orizzontali  han  Stella  ria, 
turban  la  prima  età,  poi  Giove  suole 
cadente  tranquillar  l'aura  natia. 

E  il  sonetto  mi  pare  ancor  più  sibillino  dell'oroscopo,  il 
quale,  nondimeno,  ci  dice,  e  qui  non  corron  dubbi,  la  data  della 
nascita  di  A.  LoUi,  che  è  il  28  agosto  del  1630  (non  1622,  come 
s'è  ritenuto  fin  qui  erroneamente),  a  ore  18  e  24  minuti. 

Il  Romagnesi  fu  veramente  lodato  da  chiari  ingegni  del 
suo  tempo,  e  ha  versi  diretti  all'Abati  e  a  Salvator  Rosa.  Ai 
nomi  di  Costantini  Giovan  Battista  e  Gherardi  Evaristo  sono 
accennate  alcune  querele  e  dispute  ch'egli  ebbe,  per  le  quali 
si  ricorse  perfino  alle  vie  di  fatto  con  la  spada  alla  mano. 

Dei  cinque  figliuoli,  Agostino  Alessandro,  Ippolito,  Gae- 
tano, Girolamo  Alessandro,  Carlo  Virgilio,  due  soli  si  fecero 
comici:  Gaetano  e  Carlo  Virgilio. 

Agostino  fu  educato  alle  armi,  e  sappiamo  da  un  sonetto 
del  padre  eh'  egli  militò  ancor  giovine  contro  i  turchi  in  Polo- 
nia. Era  cavaliere  dello  speron  d' oro,  e  fu  nominato  dal  Duca 
di  Mantova  conte  Boba. 

Ippolito  studiò  pittura  sotto  la  scuola  del  famosissimo  Do- 
menico Maria  Canuti,  e  finì  Provinciale  dei  domenicani  a  Roma. 

Girolamo,  interdetto  per  demenza,  morì  a  Charenton. 


ROMAGNESI  399 

Romag^esi  Gaetano.  Figlio  del  precedente.  Dì  lui  sap- 
piamo soltanto  che  fu  comico,  e  che  uscito  di  Francia  nel  1 697, 
al  tempo  della  soppressione  della  Comedìa  italiana,  dopo  di 
aver  recitato  in  Fiandra  e  nei  Paesi  Bassi,  morì  a  Bruxelles 
il  26  ottobre  del  1 700.  Aveva  sposato,  morta  sua  madre.  Maria 
Anna  Richard  (da  cui  ebbe  un  unico  figlio,  Gìovan  Antonio)  la 
quale,  rimasta  vedova,  passò  a  seconde  nozze  col  signor  Duret 
Hreur  d'ordì  Lione,  che  poi  si  fece  comico.  Nella  divisione  dei 
beni  di  Marc'Antonio  Romagnesi,  il  Duret  prende  la  qualità 
di  avvocato  in  Parlamento. 


Romagnesi  di  Belmont  Carlo  Virgilio,  fratello  del  pre- 
cedente. Ufficiale  del  Re,  nato  a  Parigi  il  7  maggio  del  1670,  fu 
inviato  in  educazione  a  Roma,  d'onde 
si  restituì  in  patria  dopo  tre  anni  di 
dissipazioni,  col  fermo  proposito  di 
calcar  le  scene.  Esordì  all'antico  tea- 
tro italiano  sotto  il  nome  di  Leandro. 
il  24  agosto  1694,  nella  Comedìa  Le 
depart  des  Comediens.  e  fu  applauditis- 
simo.  «  Aveva  -  dicono  i  fratelli  Par- 
fait  -  una  bellissima  figura,  e  delle  at- 
titudini singolarissime  per  la  scena.  » 
Dopo  un  anno  fu  ricevuto  a  parte 
intiera,  insieme  al  fratello  Gaetano. 
Chiusa  la  Comedia  italiana  nel  '97, 
Leandro  si  scritturò  col  Pascariello 
Tortoriti,  e  scorse  parte  della  Fran- 
cia, recandosi  poi  in  Lorena.  Tornò 
a  Parigi  al  finire  del  1707,  e  vi  sposò 
il  6  gennajo  i  708  Elisabetta  Costan- 
tini figlia  di  Giovan  Battista,  Ottavio,  Tornò  a  recitare  in  Pro- 
vincia; e  finalmente,  accasciato  dai  malanni,  fé'  l'ultimo  ritorno 
a  Parigi  verso  il  1725,  trascinandovi  una  vita  di  languore  e  di 
stento,  fino  al  9  marzo  1731,  giorno  della  sua  morte.  Nominò 


400  ROMAGNE5I 

con  testamento  del  precedente  24  febbrajo  legatario  univer- 
sale il  nipote  Giovanni  Antonio,  ed  esecutrice  testamentaria  la 
moglie  Elisabetta.  Ebbe  due  figliuoli  gemelli,  morti  lo  stesso 
giorno  della  nascita,  e  sepolti  insieme  il  13  luglio  del  1708. 

Romagnesi  Giovanni  Antonio.  Figlio  di  Gaetano  e  di 
Anna  Richard,  nacque  a  Namur  Ìl  1690.  Mortogli  Ìl  padre 
nel  '700,  e  rimaritatasi  la  madre  coU'avvocato  Duret,  egli  ebbe 
da  entrambi  tali  maltrattamenti,  che,  sebbene  avesse  g^à  esor- 
dito a  quindici  anni  con  buon  successo  nella  compagnia  ma- 
terna, si  trovò  costretto  a  prendere  il  servizio  militare,  arruo- 
landosi con  un  tal  Capitano,  dal  quale  non  ebbe  trattamento 
migliore,  nonostante  Ìl  dono  che  gli  fece  d'un  piccolo  orologio, 
che  era  tutto  quanto  ei  possedeva.  Venuto  alla  disperazione, 
risolse  di  disertare;  ed  essendo  il  suo  reggimento  non  lungi 
dalla  Savoja,  si  rifugiò  sulle  terre  del  Re  di  Sardegna.  Ma  non 
andò  molto  ch'egli  ebbe  a  pentirsi  di  tal  passo;  e  avvicinatosi 
alla  Francia  per  le  montagne  della  Svizzera,  scrisse  al  celebre 
attore  Quinault,  che  allora  recitava  a  Strasburgo,  esponen- 
dogli il  suo  triste  stato,  e  chiedendogli  soccorso.  Quinault  ri- 
spose, dandogli  convegno  a  Basilea,  dove  sarebbe  andato  fra 
giorni.  Alle  porte  della  città,  ÌI  povero  ramingo  dovette  fer- 
marsi, che  non  era  permesso  l' entrata  a  chi  veniva  dalla  Sa- 
voja, senza  un  chiaro  esame  sul  suo  nome,  sul  suo  stato,  sui 
suoi  disegni.  Come  fare?  Visto  un  ragazzetto  che  guardava  un 
branco  di  porci,  mediante  qualche  po' dì  danaro  e  qualche  pa- 
rola minacciosa,  ottenne  di  sostituirlo:  e  trovandosi  assai  male 
in  arnese,  gli  fu  agevole  ingannare  le  guardie,  ed  entrare  in 
città,  dove  avrebbe  trovato  il  suo  liberatore.  Ma  il  corriere  dì 
Strasburgo  non  sarebbe  giunto  che  il  dì  dopo.  Come  fare?  Lo 
sciagurato  giovane  si  rivolse  a  un  piccolo  albergo  presso  la 
Posta,  e  domandò  da  mangiare  e  da  dormire  :  ma  la  pallidezza 
del  volto  e  la  povertà  del  vestire  fecer  pretendere  alla  padrona 
il  pagamento  anticipato.  Fortunatamente  un  fornajo  presente 
alla  scena  si  fece  mallevadore,  e  Romagnesi  potè  riaversi  del 


ROMAGNESI  401 


lungo  cammino,  e  dei  disagi  patiti.  Il  domani  una  lettera  di 
Quinault  gli  annunziò  il  suo  arrivo,  e  infatti  alle  quattro  del 
giorno  stesso  egli  fu  in  Basilea,  e  rivolse  le  sue  prime  cure 
all'abbigliamento  del  suo  nuovo  compagno  d'arte,  che,  con- 
dotto subito  a  Strasburgo,  vi  esordì  in  capo  a  qualche  giorno 
con  molto  successo. 

Pubblicata  V  amnistia,  e  cessata  ogni  inquietudine  per  la 
diserzione,  il  Romagnesi  restò  due  anni  con  Quinault,  poi  si 
scritturò  con  Giovan  Battista  Costantini,  Ottavio,  che  aveva 
compagnia  a  Parigi  nelle  fiere  di  San  Germano  e  di  San  Lo- 
renzo, col  titolo  di  Opera  Comica,  ed  esordì  a  quel  tempo  come 
autore  con  la  Comedia  in  prosa  e  musica  in  tre  atti  :  Arlequin 
au  Sabat,  rappresentata  alla  fiera  di  San  Lorenzo  del  1716  con 
grandissimo  successo.  Alla  fine  dello  stesso  anno,  Costantini 
abbandonò  la  impresa,  e  Romagnesi  passò  in  una  Compagnia 
di  Marsiglia  fino  al  17 18,  anno  in  cui  fu  di  ritorno  a  Parigi, 
esordendo  il  4  di  luglio  al  Teatro  francese  con  la  parte  di  Ra- 
damisto  nel  Radamisto  e  Zenobia.  Ma  il  successo  non  essendo 
stato  qual  era  da  sperare,  dopo  non  molte  recite,  egli  fu  ancora 
in  Provincia,  a  Bordeaux,  a  Bruxelles,  a  Cambrai,  donde  resti- 
tuitosi a  Parigi,  fu  accolto  nella  Compagnia  dei  Nuovi  Comici 
italiani.  Il  Mercurio  di  Francia  così  annunziava  il  suo  esordire  : 

Il  (venerdì)  13  aprile  (1725)  il  signor  Romagnesi,  nuovo  attore  e 
nipote  di  Cintio,  comico  famoso  dell'antica  Compagnia  italiana,  si  pre- 
sentò per  la  prima  volta  nella  Comedia  La  Surprise  de  l'Amour  (di  Ma- 
rivaux),  e  vi  recitò  la  parte  di  Lelio  con  molta  intelligenza.  Fu  ancor  più 
ammirato  nelle  altre  parti  che  recitò  di  poi. 

Poco  tempo  dopo,  fu  ricevuto  in  compagnia  con  tre  quarti 
di  parte. 

Il  maggio  del  1742,  si  recò  a  recitare  a  Fontainebleau 
davanti  alla  Corte,  nonostante  alcuna  indisposizione,  ch'egli 
aveva  avuta,  e  ritenuta  passeggiera,  sul  finire  dell'aprile;  ma  l'ii 
di  maggio,  cólto  da  male  improvviso,  mentre  passeggiava  nelle 
foreste,  potè  appena  metter  piede  in  casa,  ove,  caduto  a  terra 
privo  di  sensi,  morì  in  poche  ore  tra  le  braccia  della  zia  Belmont. 

51.  —  /  Comici  Haliani.  Voi.  II. 


402  ROMAGNESI 


Negatagli  il  Curato  di  Fontainebleau  la  sepoltura,  si  de- 
liberò d'inviare  il  suo  corpo,  chiuso  in  un  cassone,  a  Parigi, 
ove  fu  sepolto  nella  chiesa  del  Salvatore  il  1 3  maggio. 

€  Alto  e  ben  fatto,  -  dice  il  Dizionario  dei  teatri,  —  egli 
aveva  la  voce  un  po'  sorda,  e  sembrava  patir  gran  pena,  allor- 
ché aveva  da  dire  un  brano  un  po'  lungo.  Fuori  di  ciò  egli  era 
attore  egregio  in  ogni  genere  di  parti,  eccellente  in  quelle  di 
ubbriaco  e  di  svizzero.  > 

Molte  sono  le  opere  eh'  egli  diede  al  teatro,  vuoi  solo  vuoi 
in  società  con  Davesnes,  Niveau,  Laffichard,  Dominique,  Ric- 
coboni  figlio,  ecc.  ;  ma  quella  che  par  gli  desse  maggior  grido 
fu  una  traduzione,  o  meglio,  una  trascrizione  in  versi  francesi 
del  Sansone,  tragedia  italiana  in  prosa  di  Luigi  Riccoboni,  che 
l'aveva  recitata  con  grande  successo  la  prima  volta  il  28  feb- 
brajo  17 17,  sostenendovi  la  parte  principale. 

La  prima  rappresentazione  del  Sansone  francese  ebbe 
luogo  il  18  febbrajo  1730,  e  Romagnesi  vi  ottenne  un  successo 
enorme,  secondo  che  attesta  Matteo  Marais  nel  suo  diario,  alla 
data  del  5  marzo  1730,  che  dice: 

«  Agl'italiani  hanno  un  lavoro  che  fa  gran  chiasso.  È  una 
traduzione  fatta  da  Romagnesi  in  versi  francesi  del  Sansone  ita- 
liano. Egli  lo  declama  meravigliosamente,  magli  altri  fan  pena.> 

Molte  delle  sue  opere  si  trovano  sparse  nelle  varie  rac- 
colte del  Thédtre  italien  e  delle  Parodies  du  Théàtre  italien.  Ma 
di  quelle  eh'  ebber  maggiore  successo  fu  fatta  dalla  Vedova 
Duchesne  (M.DCC.LXXII)  una  bellissima  edizione  in  due  vo- 
lumi in-8°,  che  comprende  Sanson,  Le  petit  Maistre  amour eux. 
Le  Frère  ingrat.  La  Feinte  inutile,  Les  Gaulois,  La  Fille  arbitre, 
L'Amant  Prothée,  Le  Superstiti  eux,  Pigmalion. 

I  molti  pregi  di  alcune  sue  parodie  dettarono  i  seguenti 
versi  : 

Comédien  sensé,  parodiste  plaisant, 
en  traits  fìns  et  légers  Romagnesi  fertile 
couvrit  les  plais  auteurs  d'un  ridicule  utile; 
qu'on  doit  le  regrettcr  dans  le  siècle  présent. 


ROMAGNOLI  403 


Romagnoli  Gaetano.  Buon  Arlecchino  e  capocomico  me- 
diocre, fu  molti  anni  colla  moglie  e  il  cognato  Filippo  Nicolini 
nella  Compagnia  di  Nicola  Petrioli,  fuggito  il  quale  egli  ne 
prese  le  redini  per  alcun  tempo.  Ma  pare  che  questa  nel  1776 
si  sciogliesse  avanti  la  fine  dell'anno,  ed  egli  si  scritturasse 
assieme  alla  famiglia  con  Alessandro  Gnochis  pel  carnovale  di 
quell'anno  a  Genova,  dove  morì  ai  primi  di  gennajo.  Di  lui  dice 
Fr.  Bartoli  che  <  piacque  la  sua  maniera  di  recitare  lepida  ed 
arguta,  e  per  sapere  a  tempo  cogliere  l'occasione  di  motteg- 
giare co'  frizzi  spiritosi  e  faceti.  > 

Romagnoli  Barbara.  Moglie  del  precedente,  e  sorella  di 
Filippo  Nicolini,  fu  da  prima  nella  Compagnia  del  rinomato 
Carlo  Veronesi,  sotto  gl'insegnamenti  del  quale  potè  divenir 
comica  egregia.  Sposatasi  al  Romagnoli  diventò  la  prima  donna 
della  ^ua  compagnia;  e  rimaista  vedova  in  quella  di  A.  Gno- 
chis, si  scritturò  con  altra,  e  morì  nell'estate  del  '76  nella  Val- 
tellina a  circa  cinquant'anni. 

Romagnoli  Antonio.  Figlio  dei  precedenti,  nato  il  1750, 
fu  ottimo  artista  sotto  la  maschera  di  Brighella.  Trovavasi 
nel  '76  in  Compagnia  Veronesi,  quando  gli  morirono  i  geni- 
tori. Sposò  l"8o  una  figlia  di  artieri  di  Lodi,  per  nome  Anna, 
la  quale  cominciò  a  recitar  da  serva  (e  tale  la  vediamo  il  1781, 
col  marito  Brighella  nella  Compagnia  di  un  Carlo  Rebecchi, 
forse  fratello  di  Margherita  (V.)),  e  in  soli  due  anni  diventò 
un'  egregia /W;«a  donna  giovine .  Scritturati  entrambi  in  compa- 
gnia Battaglia,  vi  ebbero,  specialmente  a  Venezia,  le  più  fe- 
stose accoglienze.  Furon  poi  con  Petronio  Zanerini,  alla  cui 
scuòla  ella  salì  al  grado  di  prima  donna  assoluta,  e  finalmente 
formaron  essi  compagnia,  che  durò  fino  al  1802,  anno  della 
morte  della  moglie.  Continuò  egli  a  recitare  scritturato  in  com- 
pagnie di  ordine  vario,  finché,  divenuto  il  figlio  Luigi  primo 
amoroso  della  Compagnia  Perotti,  carico  d'anni,  si  ritirò  dalla 
scena. 


404  ROMAGNOLI 


Romagnoli  Luigi.  Figlio  del  precedente,  cominciò  a  reci- 
tar gli  amorosi  nella  compagnia  di  suo  padre,  passando  poscia 
in  quella  di  Francesco  Perotti,  nella  quale  salì,  dopo  un  anno, 
al  grado  di  primo  amoroso  assoluto,  dopo  la  scelta  di  Armando 
Subbotici.  Innamoratosi  della  seconda  amorosa  della  Compa- 
gnia, Rosa  Pasini,  la  tolse  in  moglie,  e  con  essa  vi  restò  alcuni 
anni,  per  passar  poi  il  182 1  in  quella  Reale  Sarda,  al  momento 
della  sua  formazione,  primo  attore  a  vicenda  con  Domenico  Ri- 
ghetti. Ne  uscì  il  23  per  andar  con  Goldoni  e  Riva,  e  formar 
poscia  una  società  con  Augusto  Bon  e  Francesco  Berlaffa,  sov- 
venuta per  due  stagioni  dal  Duca  di  Modena,  che  durò  fino 
ar32.  Passò  poi  primo  attore  ^  padre  con  Romualdo  Mascherpa, 
e  ridiventò  in  vario  tempo  e  con  varia  fortuna  capocomico,  ora 
solo,  ora  in  società.  Morì  a  Milano  il  23  dicembre  del'ss  ^^1" 
Tetà  di  sessantasei  anni.  Molte  furon  le  lodi  a  lui  tributate  come 
uomo  e  come  artista,  e  Augusto  Bon  Tebbe  in  tal  considera- 
zione che  scrisse  per  lui  //  Sospettoso^  il  Conte  nel  Niente  di  male, 
V Importuno  n^ Importuno  e  il  distratto.  Recitò  assai  bene  il  re- 
pertorio goldoniano  sì  in  dialetto,  sì  in  italiano;  e  specialmente 
L!  uomo  di  mondo. 

Romagnoli  Rosa,  nata  Pasini,  è  stata  una  delle  più  celebri 
servette  del  nostro  teatro  di  prosa.  Nata  il  1800,  esordì  gio- 
vinetta in  Compagnia  Perotti,  ove  sposò  il  Romagnoli.  In  essa, 
staccatasi  dal  marito,  tornò  il  '30;  e  vi  restò,  attrice  incompa- 
rabile, fino  al  '53,  anno  in  cui  ella  abbandonò  il  teatro. 

Nella  interpretazione  del  repertorio  goldoniano  non  ebbe 
rivali,  e  ogni  più  piccola  parte  acquistava  con  lei  grande  im- 
portanza. 

Bella  di  volto  e  di  persona,  dalla  voce  metallica,  dagli 
occhi  espressivi,  attraeva  a  sé  ogni  specie  di  spettatori  al  suo 
primo  apparir  su  la  scena. 

Degl'  inni  di  lode  alzati  alla  diletta  artista  scelgo  le  parole 
di  Francesco  Righetti,  attore  egregio,  critico  acuto,  e  già  com- 
pagno d'arte  della  Romagnoli  {Teatro  ital.,  II,  153): 


ROMAGNOLI 


405 


Il  personaggio  di  servetta  era  semispento  nelle  Compagnie  comiche, 
e  colla  morte  della  celebre  Maddalena  Gallina,  che  mirabilmente  lo  rap- 
presentava, e  per  il  nuovo 
genere  introdottosi  in  Italia 
di  commedie,  in  cui  il  rìdi- 
colo  entra  appena  di  furto,  e 
per  l'abbandono  della  Com- 
media goldoniana. 

Riapene  le  porte  della 
scena  al  nostro  Goldoni  an- 
che alcuni  moderni  scrittori 
presero  ad  imitarlo,  ed  il  per- 
sonaggio della  servetta  tornò 
ad  essere  imponante,  e  ne- 
cessario ;  ma  non  si  trovava 
più  chi  sapesse  con  disinvol- 
tura, con  brio,  con  grazia,  e 
colla  necessaria  finezza  rap- 
presentarlo. Finalmente  la  si- 
gnora Rosina  Ronnagnolì,  già 
in  questo  carattere  iniziala 
nella  Compagnia  Perotti, 
spiegò  tutro  il  suo  valore 
nella  Compagnia  drammatica 
di  SS.  R.  M.  Sarda,  ed  invero 
fu  non  lieve  perdita  per  la 
suddetta  Compagnia  l'allon- 
tanamento di  sì  graziosa  at- 
trice, che  ben  a  ragione  è 
cotanto  acclamata,  ed  amata 
dal  pubblico.  Snella  delia  per- 
sona, non  grande,  non  pic- 
cola, occhio  vivo  e  malizio- 
setto,  volto  pieno  d'anima, 

voce  sonora,  un  abbandono  spontaneo  di  espressione,  e  di  movimento,  for- 
mavano in  lei  un  insieme,  che  non  poteva  a  meno  di  alleture  gli  spettatori. 

E  più  oltre: 

Il  primo  merito  d' una  servetta  è  aver  brio,  vivacità,  e  soprattutto 
buona  grazia.  La  grazia  sta  nel  contegno,  negli  atteggiamenti,  nella  na- 
turalezza, nella  disinvoltura,  nella  semplicità,  nella  perfetta  armonia,  e  nel- 


4o6  ROMAGNOLI 

r  intero  sgombramcnto  di  tutto  ciò  che  è  superfluo,  od  incomodo  :  il 
linguaggio  della  servetta  deve  essere  franco,  e  talvolu  ardito;  ma  in  ge- 
nerale il  modo  di  dire  delle  nostre  servette  è  tutto  pieno  di  tanti  fìori 
già  appassiti  nel  loro  nascere,  come  quelli  che  hanno  sulla  loro  gonnella. 
Tutte  le  suaccennate  qualità  le  scorgiamo  noi  nelle  nostre  servette? 
Ove  si  eccettui  la  commendata  signora  Rosina  Romagnoli,  che  se  non 
di  tutte,  almeno  di  una  buona  porzione  n'  ha  fetto  tesoro,  dubito  che 
altre  si  possano  ritrovare. 

Recitò  la  prima  in  Italia  Le  prime  armi  di  Ric/ielieu.  ed 
//  Birichino  di  Parigi.  Morì  a  Torino  il  14  novembre  1 886,  la- 
sciando una  figlia,  Enrichetta,  sposa  a  Eugenio  Casilini. 


Romagnoli  Carlo.  Figlio  dei  precedenti,  esordì  secondo 
amoroso  nella  Compagnia  Mascherpa,  passando  poi  primo  attor 
giovine  in  quella  De-Rossi,  col  qual  ruolo  formò  prima  società 
con  Achille  Dondini,  poi  fu  scrittu- 
rato dal  fratello  di  lui  Cesare,  da 
Adamo  Alberti  pei  FioreniìfU  di  Na- 
poli {1858-59-60),  da  Luigi  Dome- 
niconi  pel  seguente  triennio  ;  ma, 
sciolta  il  Domeniconi  la  Compa- 
gnia nell'agosto  dell' ultìm' anno  a 
Viterbo,  egli  formò  società  per  con- 
durla al  termine  dell'anno  comico; 
continuandola  poi  col  Colombertì 
fino  a  tutto  il  carnovale  '65.  Fu  di 
nuovo  a  Napoli  con  l'Alberti,  e  di 
nuovo  capocomico  in  società  con  la 
Pezzana  e  Privato  pel  triennio  '68-'6g'-7o.  Passato  al  ruolo  di 
generico  primario,  fu  prima  in  società  con  altri  per  vani  anni, 
poi,  scritturato  da  Tommaso  Salvini,  andò  in  Inghilterra  con 
la  figlia  Amelia  prima  attrice  giovine. 

Mori  dell' 8  2  a  Torino  in  una  casa  di  salute. 
Così  scrisse  di  lui  il  Tirascene  (G.  Costetti)  nel  Bersagliere 
di  Roma  : 


ROMAGNOLI  -  RONCORONI  407 

Carlo  Romagnoli  tenne  meritamente  uno  dei  primi  posti  fra  i  nostri 
attori.  Aveva  bella  voce,  prestante  la  persona;  mani  e  piedi  aristocrati- 
camente piccini,  del  che  si  teneva  moltissimo.  Recitò  vero,  e  sdegnò  l'ap- 
plauso del  volgo,  se  bene  sapesse  tutte  le  malizie  e  avesse  tutti  i  mezzi 
per  procacciarselo  a  suo  talento. 

Roncagli  Silvia,  bergamasca,  recitava  nella  famosa  Com- 
pagnia  dei  Gelosi,  magnificata  da  Francesco  Andreini  (V.)  nel 
Rag.  XIV  delle  Bravure,  le  parti  di  serva  col  nome  di  Frati- 
cischina,  e  quelle  —  aggiunge  il  Sand  (pp.  cit.)  —  di  travestimento 
col  nome  di  Lesbino.  Nel  Finto  Negromante  dello  Scala  (V.  op.  cit.) 
ella  si  traveste  adi  Mercurio;  nel  Ritratto  fra  i  personaggi  è 
Lessino  paggio,  poi  Silvia  milanese;  nel  resto  ella  è  quasi  sem- 

« 

pre  serva,  talvolta  ostessa,  o  moglie  di  burattino,  Fr.  Bartoli,  non 
so  la  fonte  di  tal  notizia,  dice  che  del  1580  la  Roncagli  era 
nel  fiore  della  sua  giovinezza. 

Roncoroni  Luigi,  nato  il  1856  a  Milano,  fu  avviato  dal 
padre  alla  carriera  militare.  Fuggito  a  diciott'  anni  dall'Acca- 
demia di  San  Luca,  entrò  in  una  Compagnia  d'infimo  ordine, 
qual  suggeritore,  cominciando  a  recitare  in  quella  italiana,  for- 
mata dal  celebre  attor  dialettale  Toselli  (V.).  Scritturato  da 
Bellotti-Bon  (V.),  quando  questi  si  suicidò,  formò  compagnia 
con  alcuni  superstiti  della  catastrofe.  Si  recò  all'Argentina 
con  Emanuel  (V.),  e  di  qui  cominciò  la  sua  fortuna  ;  che,  avuto 
un  grande  e  schietto  successo,  trovò  modo  di  formar  da  solo 
una  compagnia  che  condusse  poi  in  ogni  parte  dell'America 
del  Sud  con  ottima  riuscita  artistica  e  finanziaria.  Un  disastro 
bancario  gli  tolse  tutto,  ed  egli  dovette  ricorrere  a  ogni  mezzo 
per  campar  la  vita,  passando  dal  maestro  di  scuola  al  pittore, 
dall'impiegato  al  cantante  di  operette.  Impadronitosi  della 
lingua,  si  scritturò  primo  attore  in  una  Compagnia  spagnuola, 
e  n'ebbe  onori  e  denaro.  Oggi  percorre,  capocomico  festeggia- 
tissimo,  l'Avana  e  il  Messico  ove  rimarrà  fino  al  gennaio  1 903  ; 
per  tornarsene  dipoi  in  Italia,  col  proposito  di  riprender  nella 
lingua  patria  l' antico  ruolo  di  brillante. 


408  RONZONI  -  ROSA 


Ronzoni  Antonia.  Figlia  di  Luigi,  detto  il  Gobbo,  rammen- 
tatore, fu  prima  attrice  di  buon  nome,  poi  capocomica  sul  finire 
del  secolo  xviii  e  nel  primo  ventennio  del  secolo  xix.  La  ve- 
diamo r  autunno  del  1 795  al  San  Cassiano  di  Venezia,  impresa- 
ria  Marta  Coleoni,  e  il  181 3  nella  Compagnia  di  Luigi  Parrini, 
nella  quale,  il  1°  maggio,  invitò  con  versi  sdruccioli  il  pubblico 
lucchese  alla  rappresentazione  di  suo  beneficio,  che  fu  Ferdi- 
nando II  Granduca  di  Toscana  alla  Villeggiatura  di  Pratolino 
con  Francesco  Fagiuoli  buffone  di  Corte.  Coir  avanzar  degli  anni 
si  diede  al  ruolo  di  madre. 

Rosa  Rinaldo.  Sosteneva  le  parti  di  Pantalone  nella  Compa- 
gnia del  Duca  di  Modena.  Al  governatore  Gaudio  Ricci  fu  dato 
Taprile  del  1697  l'ordine  ducale  di  arrestarlo,  non  è  detto  per 
qual  motivo,  in  un  con  Giuseppe  Sontra,  Flaminio,  quando  fos- 
sero passati  pel  Po,  diretti  da  Ferrara  a  Cremona;  ordine  che  il 
Ricci  annunzia  da  Brescello  in  data  del  2 1 ,  di  avere  passato  al 
Capitano  del  Brigantino. 

Rosa  Pietro.  Veneziano,  fu  prima  fattore  di  nobile  fami- 
glia di  Venezia,  poi  mostrate  chiare  attitudini  a  sostener  la  Ma- 
schera del  Pantalone^  si  scritturò  a  quel  Teatro  di  San  Ltua, 
per  sostituirvi  il  Rubini  (V.).  Fu  artista  di  molto  pregio,  e  Gol- 
doni scrisse  per  lui  il  Tomio  nel  Torquato  Tasso.  Mise  in  iscena 
il  1765  una  sua  commedia,  parte  scritta,  parte  a  soggetto,  in- 
titolata: Chi  la  fa  t  aspetta,  ossia  I  due  fratelli  veneziani  perse- 
guitati dalla  calunnia  e  resi  felici  dalla  magia,  che  «  travagliata  — 
dice  Fr.  Bartoli  -  con  molto  spirito,  apportò  del  profitto  alla 
comica  Compagnia.  >  Uscito  dal  San  Luca,  si  fece  capocomico 
e  passò  in  Terra  ferma  con  Giustina  Cavalieri  e  Vincenzo  Bu- 
gani,  percorrendo  poi,  quand'essi  tornarono  a  Venezia  con 
la  Battaglia,  il  Tirolo  e  la  Dalmazia.  Diventò  poi  conduttore 
d'opere  in  musica,  ma  con  poca  fortuna;  che  il  '79,  s'incendiò  il 
Teatro  di  Gorizia,  del  quale  egli  aveva  l'impresa.  Passò  quindi 
nella  Compagnia  Pizzamiglio,  recitandovi  di  nuovo  sotto  la 
maschera  del  Pantalone  coli' antico  successo. 


ROSA  409 

Rosa  Caterina.  Figlia  del  precedente  e  moglie  di  Carlo 
Serramondi,  Innamorato  di  buon  nome,  che  dopo  due  mesi  di 
vedovanza  passò  a  seconde  nozze  con  una  figlia  di  Marco  Fiorio 
veronese,  fu  educata  dal  padre  nell'arte  scenica,  in  cui  divenne 
pregiata  artista  per  le  parti  di  serva.  Dopo  di  aver  recitato  la 
primavera  del  1779  in  Genova,  recavasi  col  marito  a  Verona, 
scritturati  da  Maddalena  Battaglia,  quando,  presso  Voghera, 
datisi  i  cavalli  del  legno  alla  fuga,  ella  vinta  dalla  paura,  balzò 
a  terra,  fratturandosi  una  gamba,  e  lasciando  quivi  dopo  alcuni 
giorni  la  vita.  Il  pietoso  accidente  ispirò  a  Fr.  Bartoli,  allora 
a  Verona,  un  sonetto,  andato  perduto,  e  altro,  abbastanza  in- 
sulso, a  certo  Carlo  Fidanza  romano,  rammentatore  della  Com- 
pagnia Battaglia,  che  il  Bartoli  riferisce. 

In  una  lettera  del  1764  da  Parigi  a  Stefano  Sciugliaga,  il 
Goldoni,  alludendo  alla  distribuzione  delle  tre  Zelinde,  e  pre- 
cisamente a  Tonnina,  la  cameriera  di  Barbara,  dice  che  se  la 
CatroUi  non  volesse  fare  la  seconda  serva  che  è  nella  seconda 
e  nella  terza  commedia,  <  si  potrebbe  far  supplire  ad  una  bal- 
lerina, o  alla  figlia  della  signora  Rosa.  > 

Rosa  Angelo,  veneziano,  fu  un  egregio  artista  per  le  parti 
di  primo  amoroso,  e  un  egregio  capocomico,  ora  solo,  ora  in 
società.  Lo  vediamo  il  1820  con  Daniele  Alberti,  e  il  '21  con 
Belloni,  prima  attrice  la  moglie  Gaetana.  Di  lui,  allora,  in  en- 
trambe le  compagnie  le  Varietà  teatrali  inserirono  poche  parole 
di  lode,  dicendo  <  ch'ebbe  il  vantaggio  di  crearsi  un  metodo 
di  recitare  suo  proprio,  che  piace  e  lo  rende  ben  accetto  presso 
il  pubblico.  > 

Fu  con  la  famiglia  nella  Compagnia  Reale  Sarda,  dal  '24 
a  tutto  il  '31. 

Rosa  Gaetana.  Moglie  del  precedente,  figlia  di  Innocente 
e  Giovanna  De  Cesari,  comici,  e  nipote  della  celebre  Bazzi,  fu 
egregia  prima  attrice,  poi  madre  e  caratteristica.  Di  lei,  quan- 
di era  in  Compagnia  Belloni,  le  Varietà  teatrali  disser  parole  di 

52.  -  /  Comici  italiani.  Voi.  II. 


lode.  Fu  anche  traduttrice  delle  migliori  produzioni  francesi 
del  suo  tempo,  e  di  esse  si  valse  pel  suo  repertorio  la  Compa- 
gnia Reale  Sarda.  Del  '46  la  vediamo  madre  e  direttrice  della 
Compagnia  dì  Balduini,  suo  nipote,  assieme  ai  figli  Gìovannina 
e  Salvatore;  del  '47  madre  della  Compagnia  dalmata,  diretta 
da  Luigi  Capodaglio,  con  la  figlia  ed  il  genero;  e  del  '57,  vec- 
chia, a  Ivrea  con  la  Santoni.  Del  '59  ella  scriveva  da  Ancona 
a  Righetti  a  Torino,  di  aver  trovato  un  onorato  asilo  in  Ascoli, 
direttrice  d'una  Società  filodrammatica,  ma  che  sarebbe  stata 
troppa  fortuna  per  lei:  e  infatti  la  Società  si  sciolse.... 


Rosa  Gìovannina.  Figlia  dei  precedenti,  fu  una  ottima 
prima  attrice  per  le  commedie  goldoniane  e  le  sentimentali  del 
teatro  francese,  che  al  suo  tempo  inondavan  le  scene,  tradotte 
dalla  madre  Gaetana. 
Anche  sostenne  con 
molto  plauso  la  trage- 
dia e  l'alto  dramma;  e 
una  bella  litografia  in 
foglio  del  Doyen  di  To- 
rino (i  840)  la  raffigura 
in  costume  di  Pia;  ma 
per  la  piccolezza  della 
statura,  a  lei  certe  parti 
eroiche  non  si  conveni- 
vano. L'anno  comico 
'57-'58  fu  scritturata 
col  marito  Federico 
Bianchi,  caratterista  e 
promiscuo,  nella  Com- 
pagnia torinese,  appen- 
dice della  Reale  Sarda, 
sotto  la  direzione  di  Gustavo  Modena,  per  parti  di  seconda  donna, 
madri  serie  e  comiche,  ed  altre  di  generica  primaria,  con  l'annuo 
stipendio  (in  coppia)  di  lire  5400,  più  due  mezze  serate.  Datasi 


giovinetta  alle  fatiche  di  un  ruolo  primario,  morì  nel  '583  To- 
rino, logorata  dàlia  tisi,  non  ancor  cinquantenne. 

Rosa  Salvatore.  Fratello  della  precedente,  fu  brillante 
egregio  ed  egregio  caratlerista.  Comìncio  a  recitar  bambino 
colla  famiglia,  e  giovinetto  so- 
steneva già  parti  d' importan- 
za, promettendo  assai  bene  del 
suo  avvenire  artistico.  Col  soc- 
corso degli  elenchi,  ho  potuto 
ricostruire  almeno  in  parte  il 
suo  stato  di  servizio.  Brillante 
e  capocomico  il  1845-46  in  So- 
cietà con  Balduini;  id.  il  '48 
con  Lipparini;  brillante  il  '53 
con  la  Sadowski  e  Astolfi;  id. 
il  '56  con  Zamarini  e  soci;  id. 
il  '58  con  Robotti;  id.  il  '69 
con  Ernesto  Rossi  ;  caratteri- 
sta il  '71  con  Peracchi;  id.  e 
copocomico  il  '72  in  Società 
con  Casilini  e  Biagi;  caratte- 
rista il  '76-'77-'78  con  Ali- 
prandi;  id.  r'83  con  Cremonesi,  quand'egli  recitava  al  Coco- 
mero di  Firenze. 

Del  '46,  Enrico  Montazio,  non  sospetto  certo  di  tenerezza 
verso  i  comici,  così  scrisse  di  lui  nella  Rivista: 

S*lv>lor  Rou  ha  lopra  il  Vergiuno  (recilav*  questi  >1  Nuova  io  Compagnia  Pez- 
zuu)  il  vanUegio  della  voce,  della  pertona,  della  eU;  ambedae  amano  l'arie  non  da 
iitrìom,  ma  da  artitti  ;  ambedae  pongono  pari  amore  alle  piccole  parti,  che  a  quella  prin- 
cipale e  di  protagoniita;  e  da  ciò,  ■  parer  mio,  ri  diitiogue  topratutto  l'artiita  ragione- 
vole e  tenero,  più  che  d'un  trionfo  a  carico  de' tuoi  compagni,  della  totale  nascita  di 
tin'aiione  drammatica.  Sennonchi  il  Rosa  gettasi  pel  campo  dell'arte  con  tutto  l'impelo 
giovanile,  e  talvolta  per  troppo  amore  di  &re,  itrafli;  mentre  Vergnano (V.). 

L'incalzar  degli  anni  accennava  pur  troppo  a  privarlo 
della  vista,  sì  che  dovette  abbandonar  l'arte,  povero:  e  anche 


ROSA  -  ROSASPINA 


Oggi  vive,  cieco  e  vecchio,  a  Forlì,  soccorso  di  quajido  in  quando 
dai  pietosi  compagni  d'arte. 

Rosaspina  Carlo.  Figlio  di  Cesare,  che  fu  buon  patriotto. 

mediocre  attore  e  nipote  del  celebre  incisore  omonimo,  nacque 
a  Vercelli  il  1854. 

Recitava  col  padre  nella  Compagnia  del  Meneghino  De 
Velo,  a  Pisa,  quando,  sentito  dall'artista  Gaspare  Lavaggi,  fu 


Cesare  RosaEpina. 


Catlo  Rosaspina. 


da  lui  scritturato  primo  attor  Rovine.  Dopo  un  triennio  passò 
nella  Compagnia  di  Adelaide  Tessero,  in  cui  stette  cinque  anni, 
poi  in  quelle  di  Anna  Pedretti  e  di  Alamanno  Morelli.  Salì  al 
grado  di  primo  attore  assoluto  in  Compagnia  Favi,  intitolata 
al  nome  di  Bellotti-Bon,  e  tale  si  mantenne  fino  a  oggi  or  con 
Cesare  Rossi,  or  con  la  Duse,  or  con  Luigi  Rasi.  Fu  anche, 
un  anno,  capocomico,  ma  con  poca  fortuna.  Carlo  Rosaspina 
è  artista  dì  singolare  intuizione;  e,  quando  voglia,  sa  dar 
vita  a  caratteri  vari  con  giustezza  di  colorito,  e  con  misura. 
Fu  lungo  tempo,  ed  è  tuttavia,  buon  compagno  dì  Eleonora 
Duse,  a  fìanco  della  quale  si  fa  specialmente  apprezzare  dai 


ROSASPINA  -  ROSSI  413 

vari  pubblici  nostri  e  forastieri,  sì  neW Armando  della  Signora 
dcUle  Camelie,  sì  nel  Claudio  della  Moglie  di  Claudio,  e  nelF  Obrey 
della  Seconda  Signora  Tanqueray,  e  in  altro.  Nel  ^99,  in  Com- 
pagnia Rasi,  creò  fra  tante  al  Filodrammatico  di  Milano,  la 
parte  di  Henschel  nel  Vetturale  Henschel  di  Gherardo  Haupt- 
mann,  ottenendovi  uno  schietto  e  clamoroso  trionfo  per  la 
grande  vigoria,  non  discompagnata  dalla  più  grande  sem- 
plicità. 

Al  punto  in  cui  scrivo,  egli  è  additato  come  uno  de'  più 
forti  sostenitori,  se  non  il  più  forte  dopo  la  Duse,  della  nuova 
tragedia  d'annunziana  Francesca  da  Rimini,  nella  quale  incarna 
con  molta  efficacia  e  molta  sobrietà  il  carattere  di  Gianciotto. 

Rossi  Bartolomeo.  Comico  veronese  del  secolo  xvi,  reci- 
tava gV Innamorati  sotto  nome  di  Orazio,  e  trovavasi  a  Parigi 
il  1 584,  nel  quale  anno  pubblicò  pei  tipi  di  AbelFAngelliero,  una 
pastorale.  Fiammella,  che  dedicò  alt  illustrissimo  et  eccellentissimo 
Principe,  il  signor  Duca  di  Giojosa.  Dall'  avvertimento  ai  lettori 
si  sa  che,  stampati  i  primi  due  o  tre  fogli,  l'autore  cadde  gra- 
vemente infermo,  e  non  potè  curar  l'edizione,  riuscita  da  molte 
parti  lacerata  da  grandissimi  errori,  che  l' autore  indica  nell'  ul- 
tima pagina.  S'apre  l'operetta  con  un  sonetto  francese  di  Fran- 
<;ois  de  Beroalde  au  Seigneur  Bartelemi  Rossi  Veronois  sur  sa 
Pastorale,  e  si  chiude  coi  due  seguenti  d'incerto  autore: 

AL  SIGNOR  BARTOLOMEO  ROSSI 

COMICO   DIGNISSIMO 

Rosso,  vero  Theatro  e  Tempio  e  Choro, 
doue  canta,  risplende,  et  doue  siede 
quella  virtù,  quel  valor,  quella  fede, 
con  che  andate  facendo  il  secol  d'oro. 

Humili  inchinai!  voi  tutti  coloro, 
nei  quali  spirto  di  ragion  si  vede; 
et  chi  più  v'alza  al  Ciel,  chi  più  vi  cede, 
più  di  ciò  che  far  dee  sema  il  decoro. 


414  ROSSI 

Perchè  non  sol  di  Tullio  organo  sete, 
d'Homero  cetra,  et  di  Parnaso  ingegno, 
fiato  alla  Fama,  e  ricordanza  a  Lethe; 

ma  d'hoggi  il  di  non  tien  più  egregio  ingegno 
di  voi;  che  al  Ciel  e  agl'hoomini  vivete 
non  men  d'honor,  che  di  salute  degno. 


AL  MEDESMO 

Oratio,  grazia  di  quel  certo  ingegno 
che  torre  il  Cielo  a  sé  medesmo  sole, 
per  darlo  in  sorte  a  chi  più  potè,  e  vole 
dei  miracoli  suoi  mostrar  gran  segno. 

Fra  i  primi  del  poetico  disegno 
sapete  accomodar  le  linee  sole, 
et  col  venusto  stil  de  le  parole, 
colorir  vivo  ogni  concetto  degno. 

La  Maestà  del  compor  vostro  altero, 

lodando  il  mondo,  in  suon  chiaro,  et  profondo, 
acquista  fede  al  mio  giuditio  intero. 

Primo  a  sé  stesso,  a  nuli' altro  secondo, 
fia  '1  vostro  spirto,  et  ciò  tener  per  vero, 
è  uffitio  et  degl'huomini,  et  del  mondo. 

Da  questi  quattro  personaggi,  così  descritti  : 

Fiammella,  ninfa^  innamorata  di  Montano, 

Ardelia,  ninfa^  compagna  di  Fiammella^  innamorata  di  Titiro, 

TiTiRO,  pastore^  innamorato  di  Fiammella, 

Montano,  pastore,  compagno  di  Titiro,  innamorato  d'^Àrdelia, 

si  capisce  subito  l'intreccio  della  favola.  A  queste  persone 
principali  s'aggiungono  un  Famelico  parasito  e  un  Salva- 
Tico,  e  le  maschere  Bergamino,  Pantalone,  Graziano,  che 
fan  le  maggiori  buffonate  del  mondo  ;  poi  figure  allegoriche  e 
soprannaturali:  Eco,  Tempo,  Pazienza,  Speranza,  Aletto, 
TisiFONE,   Megera,   Mercurio,   Proteo,  Giove,  Plutone, 


ROSSI  415 

"  —        '  ■-■■I  ..  ,1  I  ■■  y  -■■—  Il  ■■■■M 

Nettuno,  che  servono  a  empir  di  fantastico  il  quadro. •  Gran 
parte  vi  ha  VJScOy  il  quale  comincia  a  farsi  sentire  in  un  lungo 
monologo  di  Pantalone  al  primo  atto,  tutto  a  bisticci  : 

La  sorte  s'urta,  e  fa  che  morte  m'urta 
se  vago  vuogo,  e  se  sto  fermo  formo 
affanni,  e  fanno  che  me  liga  e  laga 
la  fina  funa,  che  me  strinze  e  stronza 
e  moro,  e  miro  se  con  passi  posso 
far  scherno  e  scorno,  a  chi  mi  tira  in  tara 
le  parche  porche  se  le  fila  il  filo 
della  mia  vita,  vota  d'ogni  degni 
contenti 

e  via  di  seguito  per  trentacinque  versi,  dopo  i  quali  comincia 
una  comica  lotta  di  parole  con  VEco,  che  torna  poi  in  scena, 
per  dir  così,  con  Titiro  al  secondo  atto,  e  con  Montano,  poi  con 
Graziano  e  Bergamino,  e  con  Fiammella  e  Ardelia,  al  quarto. 

Non  ispregevole  pastorale,  non  certo  delle  peggiori,  è 
codesta  Fiammella,  in  cui,  oltre  alla  felicità  dell'orditura,  alla 
maestria  della  condotta,  al  fantastico  di  certe  scene,  sono  versi 
abbastanza  garbati  come  i  seguenti  che  tolgo  dalla  scena  unde- 
cima dell'atto  quarto. 

Dopo  che  Fiammella  ha  promesso  a  Titiro^  se  cessi  dalla 
sua  crudeltà,  un  vaso  per  attinger  acqua,  fatto 

d'un  teschio  d'un  uccello, 
ch'in  aria  si  nutrisce  di  rapina, 


e  n'è  intagliato  con  sottil  lavoro 
tutt' all' intorno  d'ogni  sorte  uccelli. 


Ardelia  dice  : 


E  tu,  Titiro  mio,  se  mi  compiaci, 
ti  vo'  donar  una  bella  ghirlanda 
da  verginelle  mani  ben  contesta 
di  Rose,  di  Ligustri,  e  d'Amaranti, 
con  molte  foglie  d'Ellera  e  d'alloro, 


4i6  ROSSI 

nelle  quali  son  scritte  le  mie  pene, 
e  come  fui  per  te  d'amor  trafitta, 
con  fregi  che  circondano  le  foglie 
ch'in  tsst  Sì  comprendono  il  trionfo 
del  faretrato  Dio,  e  di  sua  madre. 
Quivi  s'un  carro,  che  di  mille  fiamme 
è  cinto,  giace  il  perfido  fanciullo 
tirato  da  destrier  candidi  e  forti, 
e  Citerea  lo  segue,  ed  è  condotta 
da  l'amorose  e  lascive  colombe, 
co  i  pargoletti  e  le  Grazie  che  vanno 
scherzandoli  d'intorno,  dolcemente; 
e  son  cosi  lascivamente  fatti 
ch'avrian  forza  spezzare  ogni  aspro  core. 
Accetta  un  dono  tale  e  queste  membra. 

Tiiiro  e  Montano  cedon  finalmente  a'  preghi  delle  ninfe, 
e  quello  diviene  sposo  di  Ar delia  e  questo  di  Fiammella,  e  le 
due  coppie  abbracciate  si  riducono  alle  lor  capanne. 

La  licenza  agli  uditori,  detta  da  Mercurio,  è  un*  esalta- 
zione  di  Parigi, 

dove  soggiorna  santa  Religione, 
candida  Astrea,  intatta  e  bianca  fede, 
d'^un  governo  divin,  d'un  Rege  santo, 
circondato  da  Principi  famosi, 
che,  per  servizio  fargli,  al  quinto  Cielo, 
andriano  per  levar  il  ferro  a  Marte, 
pur  che  ciò  fiisse  grato  al  suo  Signore. 


Interessante  è  il  prologo  della  Pastorale,  in  cui  favellano 
Prologo,  Comedia,  Virtù,  Onore,  Ignoranza.  La  Comedia 
non  osa  più  mostrarsi  in  scena,  perchè  aborrita  da  gente  ne- 
ghittosa a  cagion  d'ignoranze,  e  chiamata  dai  più  dotti  infame. 
Ma  la  Virtù  con  una  buona  difesa  de'  comici,  scaccia  T  Igno- 
ranza; e  la  Comedia  promettendo  di  rimanere  alla  Virtù  e 
air  Onore  divotissima  serva,  si  mostra  sotto  il  nuovo  Poema 
pastorale. 


ROSSI  417 

Ma  d'assai  più  interessante  per  noi  è  il  racconto  che  fa 
Bergamino  di  aver  veduto  una  frotta  di  commedianti,  di  cui 
non  tutti  pur  troppo  fu  sin  qui  possibile  identificare  (V.  Ar- 
mani,  Zuccati,  Lidia). 

Róssi  Pietro,  veneziano,  nato  il  17 19,  cominciò  a  poco 
men  che  trentanni  a  farsi  conoscere  nelle  parti  ^Innamorato 
in  Compagnia  di  Francesco  Berti,  con  cui  stette  alcun  tempo, 
e  di  cui  tolse  in  moglie  la  cognata  Maddalena.  Morto  il  Berti, 
egli  lo  sostituì  nell'azienda  della  Compagnia,  e  s'acquistò  in 
breve  rinomanza  di  capocomico  egregio.  Fu  il  carnovale,  per 
molti  anni  e  fino  al  1768,  nel  Teatro  Obizzi  di  Padova. 

Ebbe  tre  figliuoli  addestrati  alla  scena,  ma  che  gli  mori- 
ron  giovanissimi  :  una  figlia,  Anna,  maritò  a  Luigi  Perelli  (V.). 
Il  Rossi  -  a  detta  di  Fr.  Bartoli  che  appartenne  alla  sua  Com- 
pagnia -  era  buon  direttore,  e  buon  attore;  e  recitava  assai 
bene  le  parti  serio-facete,  specie  quella  di  negoziante  Friport 
nella  Scozzese  di  Goldoni.  Egli  ebbe  certo  in  esso  Bartoli  un 
valido  difensore  dalle  accuse  del  Fisizza,^  che  nel  romanzo  // 
Teatro  aveva  dato  di  lui  il  seguente  ritratto  : 

Era  questi  (il  Capo)  nn  veneziano  grasso  e  bassotto,  rosso  di  faccia,  ma  goffo  e 
pesante,  e  d'nn'arìa  da  spazzacammino  pincchè  da  comico.  Vantavasi  di  ben  pronunziare 
11  toscano,  e  convertiva  la  CT  in  5,  e  diceva  giogia  per  gioja,  senz'  accorgersi  di  fallare, 
cossa  per  cosa.  Regasse  per  ragazze.  Triviale  qaanto  nn  facchino,  aveva  nn'  ambizione 
invincibile  per  far  da  Eroe,  e  recitare  nelle  tragedie.  Si  metteva  sull'elmo  certe  piume 
lunghe  un  braccio,  tutte  ritte  e  ammucchiate  l'una  sull'altra,  che  conoscer  facevano  la 
goffaggine  del  suo  gusto.  Carico  di  brillanti  da  Murano,  una  bottega  parea  da  vetrajo,  e 
dal  mezzo  in  giù  la  figura  faceva  d' una  piramide  per  i  lunghi  e  mal  ]x>sti  fianchetti,  che 
lo  ristringevano  in  alto  e  dilatavansi  in  linea  obliqua  quasi  sino  alle  calcagna.  Quel  guat- 
tero  vestito  alla  eroica,  recitava  male  com'era  vestito.  Non  sapeva  camminare,  né  dove 
tener  le  mani,  né  (are  un  gesto  a  dovere.  Urlava  quand'  era  minaccioso,  e  parlava  sber- 
leffando  con  una  voce  crepata,  quando  pretendeva  d' intenerire.  Ostinato  come  un  mulo 
nell'  errore  de'  comici  vecchi,  voleva  ancora  fare  le  parti  da  giovine,  e  riputavasi  il  più 
necessario  di  quella  Truppa,  quando  bastava  che  lo  vedesse  in  iscena  la  Udienza,  per 
replicare  un  oh!  derisorio,  che  persuaderlo  dovea  a  non  recitare  mai  più.  Faceva  il  Scm^ 
sane,  e  ultimamente  nella  Rossana  so  che  fé'  il  BajaneU  Da  una  testa  di  questo  calibro 
si  può  immaginare  com'erano  regolati  bene  gli  affari.... 

Dopo  il  carnovale  del  '78,  fatto  prima  al  Comunale  di  Bo- 
logna, poi  a  Firenze,  egli  cede  la  compagnia  a  suo  genero  (ne 

53.  —  /  CxmUi  italiani.  VoL  II. 


4i8  ROSSI 

era  prima  donna  Anna  Lampredi  (V.),  e  andò  a  ritirarsi  con 
la  moglie  e  due  figlie  a  Cento,  ove  aprì  una  bottega  di  comme- 
stibili ed  altro.  Fr.  Bartoli,  che  aveva  la  fregola  del  sonetto, 
ne  dedicò  uno  anche  a  lui,  quando  si  ritirò  dalle  scene. 
Eccolo  : 

Rossi,  sei  lustri  di  Talia  seguace 
al  teatro  vivesti,  e  Duce  esperto 
di  comici  faceti,  e  d'alto  merto 
le  vie  d'Italia  trascorresti  audace! 

Sorte  t'arrise;  ed  oggi  brami  in  pace 
finir  tuoi  di  sotto  Destin  più  certo, 
lasciando  un'arte,  il  di  cui  fi'utto  incerto 
potrìa  fortuna  a  te  render  fiigace. 

Saggio  Consiglio.  Alle  tue  mire  ardenti 
sacro  nume  immortale  appresti  aita 
e  i  tuoi  desiri  alfin  fausto  contenti. 

Nell'imminente  tua  fatai  partita 
pianga  la  Bglia,  il  genero  sgomenti, 
non  dei  restar,  s' altrove  il  Ciel  t'invita. 

Rossi  Maddalena.  Moglie  del  precedente,  e  sorella  mag- 
giore di  Anna  Roffi  e  Caterina  Berti,  nacque  a  Vicenza  il  1727. 
Fu  sempre,  moglie  esemplare,  nella  Compagnia  del  marito, 
col  quale  si  allontanò  dall'arte.  Stabilitasi  a  Cento,  vi  fu,  dopo 
un  anno,  colpita  d'apoplessia,  e  morì  a' primi  di  giugno  del '79. 
Ebbe  figliuoli  che  <  allevò  -  dice  il  Bartoli  -  con  amore,  ed  ai 
quali  diede  un'  onesta  educazione,  essendo  ella  molto  religiosa 
e  buonissima  cristiana.  >  Fu,  come  artista,  egregia  nel  ruolo 
della  serva,  e  specialmente  nelle  comedie  all'improvviso,  in  cui 
recitava  con  molto  spirito  e  molta  prontezza. 

Né  essa  fu  risparmiata  dalla  freccia  velenosa  del  Piazza 
che  la  chiamò  vecchia  sdentata,  che  fischiava  in  luogo  di  parlare, 
buona  forse  trent* anni  prima,  ma  che  allora,  non  si  poteva  soffrire. 

Rossi  Felicita,  livornese.  <  Fu  impiegata  nel  carattere 
della  serva  per  molti  anni  nel  Teatro  a  San  Luca.  Travagliò 


con  dello  spirito,  della  grazia,  e  fa  nelle  cose  dell'arte  molto 
bene  instrutta.  Fece  degli  avanzi  col  guadagno  della  prc  j- 
sione.  Alienossi  poi  dall'arte,  e  visse  comodamente  in  Venezia 
senza  più  recitare  ;  ed  in  età  avanzata  morì  in  quella  Domi- 
nante l'anno  1755,  lasciando  a'suoi  parenti  qualche  conside- 
rabile facoltà.»  Così  Fr.  Bartoli. 


Rossi  Andrea.  Uno  dei  tanti  Arkcckini  del  secolo  xviii. 
Fu  nelle  Compagnie  minori  di  Maria  Grandi,  di  Vincenzo  Baz- 
zigotti,  di  Costanzo  Pizzamiglio,  ecc.,  e  viveva  ancora  del  1 782. 
Scrisse  anche  in  versi  martelliani,  e  pubblicò  a  Reggio....  una 
rappresentazione  intitolata  La  Giuditta,  che  dedicò  alle  Dame 
e  ai  Cavalieri  di  quella  città;  e  una  commedia  in  prosa  di  due 
atti,  a  Gorizia  ÌI  1780,  intitolata  La  Costanza  in  Cimento,  che 
dedicò  con  lettera  in  versi  sciolti  alla  Contessa  Teresa  Della 
Pace.  Dice  il  Bartoli  ch'egli  aveva  perduto  la  vista;  ma  che 
poi,  ricuperatala  completamente,  riapparve  sulla  scena,  ove  si 
ebbe  il  maggior  favore  del  pubblico,  sebbene  di  avanzata  età. 

Rossi  Mario  Eugenio.  N  ato 
il  22  maggio  1826  a  Vercelli  da 
Bernardo  Rossi,  ex-tenente  d'ar- 
tiglierìa e  da  Teresa  Monticelli, 
fu,  morto  il  padre  nel  '34,  con- 
dotto a  Torino,  dove  conobbe 
il  Goliardi,  primo  attore  della 
R.  Compagnia  Sarda,  stretto  pa- 
rente di  sua  madre.  Conosciuti 
col  suo  mezzo  la  Robotti,  Tes- 
sero, Bucciotti,  doventò  in  poco 
tempo  creatura  del  palcosceni- 
co ;  e  tanto  lo  prese  amor  del- 
l'arte,  che  una  bella  notte,  di 
nascosto  della  madre  e  del  fratello  maggiore,  fuggì  di  casa 
per  andare  ad  aggregarsi  a  una  compagnia,  che  recitava  a 


420  ROSSI 

Drenerò  in  una  sala  dell'ospedale;  e  colla  quale  frequentò 
per  oltre  un  anno  teatri  talvolta  di  quello  assai  peggiori.  Vol- 
tasi la  madre  alla  polizia,  egli  dovette  un  po'  colle  buone, 
un  po'  colle  minaccie,  tornarsene  a  Torino,  ove,  stretta  ami- 
cizia dopo  molto  tempo  con  Giacomo  Brizzi,  tornò  più  acceso 
di  prima  agli  antichi  amori;  e  nel  '52  fu  iscritto  fra  i  gio- 
vani volenterosi  che  Gustavo  Modena  riunì  a  Savigliano  per 
un  giro  artistico  nel  Piemonte.  Passò  da  Savigliano  a  Nizza,  poi 
ad  Alba,  poi,  per  mancanza  di  pubblico,  la  Compagnia  si  sciolse. 
Formò  allora  Società  conToselli  per  assai  breve  tempo;  indi  si 
scritturò  con  Lorenzo  Marazzi,  di  cui  sposò  la  figlia.  Fu  socio, 
in  vario  tempo,  di  Pascali,  Cardarelli,  Bovi,  Papadopoli,  Picci- 
nini, Ferrante,  Andreani:  poi  pensò  di  fare  da  sé;  e  scioltasi 
la  Compagnia  Monti  e  Preda,  egli  subentrò  al  Santa  Rade- 
gonda  con  un  contratto  che  durò  otto  anni,  e  fii  la  sua  risorsa. 
Mise,  primo,  in  iscena  i  Vaudevilles  col  soccorso  del  mae- 
stro Casiraghi,  si  unì  allo  Scalvini  per  la  Rivista  Se  sa  minga, 
e  spese  diciotto  mila  lire  per  l'allestimento  scenico  a  Milano 
della  Creazione  d'Eva  di  Castelvecchio,  la  quale  cadde  per  non 
rialzarsi  mai  più.  S' unì  allora  a  Pratesi  e  formò  compagnia  di 
Prosa  e  Ballo  per  un  quadriennio.  L'operosità,  oserei  dir 
mostruosa,  di  Rossi  Mario  arrivò  a  questo  :  egli  ebbe  in 
un'epoca  a  Genova  quattro  teatri:  Le  Peschiere,  il  Politeama, 
l'Apollo,  e  il  Teatro  di  Sestri  Ponente.  Bene  :  con  lo  stesso 
PERSONALE,  seuza  segretarj,  né  amministratori,  faceva  quat- 
tro recite  al  giorno.  S'unì  poi  a  una  Eccentricità  FenonienaJe 
per  desiderio  di  veder  l'Europa;  e  fu  in  Francia,  nel  Bel- 
gio, in  Olanda,  in  Austria,  in  Germania,  in  Inghilterra,  in  Rus- 
sia. Ritiratosi  finalmente  a  Genova,  per  godervi  in  pace  il 
frutto  de'  suoi  guadagni,  fu  vittima  della  sua  buona  fede,  e 
dovette  recarsi  in  Grecia,  dov'egli  aveva  una  figlia  mari- 
tata, e  dove  sperò  inutilmente  scovare  colui  che  l' aveva  rovi- 
nato. Da  dodici  anni  egli  vive  a  Zante,  mantenuto  da' suoi  figli, 
alimentato  dalla  speranza  di  venire  a  morir  nella  terra,  che  lo 
vide  nascere. 


Rossi  Emesto.  Non  so  se  a  me,  che  non  ebbi  la  sorte  di 
sentirlo  nella  sua  grande  opera  d'interpretazione  e  di  ripro- 


duzione al  culmine  della  gloria,  sarà  dato  tracciar  la  figura 
grande,  geniale,  e  nella  genialità  disordinata,  dell'artista,  che 
nell'ultimo  cinquantennio,  con  Adelaide  Ristori  e  Tommaso 


422  ROSSI  . 

Salvini,  tenne  lo  scettro  deirarte  in  Italia  e  a  traverso  il  mondo 
intero.  E  per  noi,  e  per  gli  ascoltatori  di  tutto  il  mondo,  fu  gran 
ventura  ch'egli  tanto  si  staccasse  nel  sistema  e  nell'indole  dal 
suo  gloriosissimo  collega,  da  formare  un  tutto  a  sé.  Non  molto 
puro  di  linee,  fu  molto  vario  e  spontaneo  ;  ma  nella  spontaneità 
talvolta  esuberante  con  islanci  geniali  e  inattesi,  che,  presi  fuor 
di  misura,  oltrepassavano  il  confine.  Se  mi  fosse  lecita  una  com- 
parazione, direi  che  Ernesto  Rossi,  romantico  per  eccellenza, 
fu  nell'arte  dell'attore  quel  che  fu  Vittore  Hugo  nell'arte  dello 
scrittore  :  ebbe  forza  e  bellezza  grandissime,  ma,  più  volte,  di 
seicento. 

Anima  ribelle  se  ce  ne  fu  mai,  aveva  la  ribellione  acqui- 
stata in  una  sicurezza  piena  e  recisa  di  sé.  Amava  sviscerata- 
mente l'arte  e  sé  stesso....  E  non  sappiamo  quale  dei  due  più: 
forse  sé  stesso!  Certo  egli  credette  che  l'arte  dovesse  molto 
a  lui,  non  ch'egli  dovesse  molto  all'arte....  Di  tal  guisa  egli  si 
mostrò  nella  vita  un  po'  sempre  personaggio  di  commedia,  e 
nelle  sue  grandi  interpretazioni  un  po'  sempre  Ernesto  Rossi. 
Qualunque  opera  da  lui  architettata  doveva  essere  legge  per 
tutti.  Da  niuno  avversata  era  forse  lasciata  a  mezzo;  ma  se  ta- 
luno avesse  osato  esser  pietra  d'inciampo  al  suo  cammino,  egli, 
solennemente  e  paternamente  mite  coi  devoti,  sarebbe  stato 
per  quello  capace  di  odio  vatiniano. 

Né  cotal  senso  di  sovranità  baldanzosa  era  difficile  perdo- 
nargli, siccome  quello  derivato  in  lui  dal  piedistallo  di  gloria, 
in  cui  lo  avevan  posto  per  trenta  e  più  anni  monarchi  e  principi 
e  uomini  prestantissimi  nelle  arti,  nelle  scienze,  nelle  lettere, 
di  ogni  paese.  E  ne  parlava  sovente:  troppo  forse;  ma  ne' suoi 
racconti  di  confidenze  sovrane,  di  accoglienze  incredibili,  che 
gli  piaceva  tenere  con  tuono  magniloquente,  erala  vera  verità.... 
E  i  piccoli  che  mal  patiscono  l'altrui  grandezza,  se  ne  vendi- 
cavan  chiamandola  millanteria.  Talvolta  il  fumo  dell'incenso 
Tacciecò,  e  allora  egli  pensò  di  essere  un  po' di  tutto:  maestro 
di  musica,  scrittore  drammatico,  letterato,  scienziato,  riforma- 
tore di  scuole,  politico  sopr'  a  tutto  :  sedere  in  Parlamento  fu  un 


de'  sogni  più  grandi  che  non  potè  tradurre  in  fatto.  Serbò  fin 
all'ultimo  forza  ferrea  di  volontà  e  fibra  giovanissima.  Vagheg- 
giò la  morte  su  la  scena  fra  lo  splendore  dei  lumi,-  il  fragor 
degli  applausi,  come  quella  d'un  generale  sul  campo  di  batta- 
glia: il  fato  che  gli  fu  prodigo  di  tante  dolcezze,  gli  serbò 
la  più  amara  delle  delusioni  :  su  la 
grande  arte  sua,  in  mezzo  agli  urli 
della  folla  esaltata,  al  teatro  di  Odes- 
sa, calò  il  sipario  per  sempre;  e  ab- 
bandonato, forse  già  dimenticato,  il 
grand' uomo  nella  piccola  Pescara 
esalò  l'ultimo  respiro  alle  1 1,45  del 
4  giugno  1896. 

Era  nato  a  Livorno  il  27  mar- 
zo del  1827  da  Giuseppe  Rossi, 
già  ufficiale  di  Napoleone,  poi  ne- 
goziante in  legname,  e  da  Teresa 
Tellini. 

Il  padre  voleva  farne  un  avvocato,  ma  egli,  che  già  da 
bimbo  aveva  mostrato  un  amor  grande  al  teatro,  a  una  recita 
deìì'Oresie  di  V.  Alfieri  data  da  G.  Modena  tanto  s'infiammò, 
che  risolse  di  abbracciar  l'arte  del  comico.  In  una  assenza  del 
padre  da  Livorno,  potè  sostituir  senza  infamia  nel  Venlaglio  di 
Goldoni  {Barone)  e  nella  Francesca  da  Rimini  di  Silvio  Pellico 
{Paolo)  un  attore  della  Compagnia  Calloud....  Ma  il  padre,  sa- 
puta la  cosa,  per  poco  non  maledì  il  figliuolo,  che  vinto  dal- 
l'autorità paterna,  piegò  il  capo^con  promessa  di  riprender 
gli  studj.  Ohimè!  L'amor  della  scena  fu  più  forte  di  ogni  con- 
trario proponimento;  e  un  bel  giorno,  poco  avanti  il  carnovale 
del  1846,  di  nascosto  del  babbo,  ma  col  tacito  consenso  del 
nonno  e  della  mamma,  partì  da  Livorno  per  andare  a  raggiun- 
gere a  Foiano  una  compagnietta  delle  infime,  alle  cui  recite 
si  soleva  dare  come  biglietto  d'ingresso  frutta,  salsiccie,  e  vino  ; 
e  in  cui  la  paga  degli  attori  variava  dalle  due  alle  quattro  crazie 
al  giorno.  Per  fortuna  la  quaresima  veniente,  egli  entrò  in  Com- 


424 


ROSSI 


pagnia  Calloud,  Fusarini  e  Marchi  ed  esordì  dX  Pantera  di  Lucca 
con  la  Fedeltà  alla  prova,  facendosi  notare  subito  per  la  dizione 
garbata  e  spontanea,  non  che  per  una  papera  colossale.  Il  settem- 
bre di  quell'anno  s*unì  alla  Compagnia  nel  Teatro  Sant'Agostino 
di  Genova  G.  Modena,  che  fu  pel  Rossi  una  grande  rivelazione 
d'arte.  Passò  a  mezzo  il  '48  col  Meneghino  Moncalvo,  e  il  '49 
formò  Compagnia  con  Giovanni  Leigheb.  11*52  sposò  la  signorina 
Pellegrini  di  Mantova,  ed  entrò  nella  Compagnia  Reale  Sarda. 

Qui  bisogna  io  mi  fermi  alquanto  per  l' importanza  della 
scrittura  e  degli  avvenimenti. 

Egli  fu  scritturato  per  un  anno,  primo  attore  a  vicenda  con 
Giuseppe  Peracchi  (V.),  con  l'annua  paga  di  lire  5500,  più  tre 
mezze  serate.  A  evitare  conflitti  o  semplici  malumori  fra'  due 
artisti,  fu  convenuta  la  seguente  divisione  di  repertorio,  da  loro 
e  dal  direttore  Domenico  Righetti  accettata  e  sottoscritta: 


Farti  di  spettanza  del  signor  Rossi 

Caterina  Howard 

Cittadino  di  Gand 

Cola  di  T(ien:(p 

Calunnia 

Conte  Hermann 

Clotilde  di  Valéry 

Tonello  al  tempo  di  %ichelieu 

È  pa:(^a 

Francesca  da  T(imini  (Lanciotto) 

Fornaretto 

Foscari 

Luisa  StroT^T^i 

Oraria  Stuarda 

Marchese  Ciabattino 

Proscritto 

Riccardo  UHarlington 

Segreto 

Signora  di  SJ  Trope^^ 

Stifelius 

Sorella  del  Cieco 

Tre  passioni 


Parti  di  spettanza  del  signor  Peracchi 

^Avviso  alle  mogli 

Arturo 

'Bruno  filatore 

bastardo  di  Carlo  V 

battaglia  di  donne 

Don  Cesare  di  ^a:(an 

Duchessa  e  Taggio 

Dramma  in  famiglia 

Elemosina  d'un  napoleon  i oro 

Guanto  e  Ventaglio 

Innamorati^ 

Mac  Allan 

Maria  Giovanna 

Presto  0  lardi 

Ricco  e  povero 

Ruy  Blas 

Fortuna  in  prigione 

Tutrice 


Mentre  il  Peracchi,  come  s'è  visto  al  suo  nome,  scongiu- 
rava il  Righetti  perchè  lo  sciogliesse  dal  contratto,  per  non 
trovarsi  con  Ernesto  Rossi  che  gli  aveva  mancato  di  fede,  Ìl 
Rossi  in  data  17  settembre  1851,  scongiurava  il  Righetti  allo 
stesso  intento  : 

io  ora  vengo  quasi  ginocchioni  a  pr^arti,  a  aupplicarti  psr  quanto  hai  di 

più  Mero  e  caro  sa  qaesta  Terra,  Unto  pel  mio  intereue  e  per  la  mia  qniete,  quanto  pel 
tuo  rìpo*o,  a  volere  jneaentare  qaeita  lettera  alla  nobile  Direzione,  fare  conoicere  l'im- 
mensi danni  che  potrebbero  avvenire  tenendo  dae  primi  allorì,  non  più  amici  fra  loro, 
HA  BENsl  ACCANITI  NEUiCi,  U  poco  itadìo  delle  parti,  le  continae  dìspnte,  l'odio  impla- 
cabile nel  piacere  più  l' ano  che  l' altro,  e  forse,  forse  tante  e  tante  altre  dimoatruioui, 
che  arrecherebbero  anche  l'intiero  ditgailo  del  Pubblico.... 

Dopo  le  quali  ragioni,  egli  si  crede  in  diritto  o  meglio 
in  dovere,  di  passare  alle  minaccia,  in  caso  dì  risposta  ne- 
gativa : 

ne  sarei  cod  col- 


Se  p(H  tn  mi  aveitsi  a  rispondere 

^to  ed  irritato,  che  adesso  non  so  spiegarti  a  che  potrei  ginngere  per 
piere  il  mio  contratto;  e  ne  avverrebbe  allora,  che 
tD  mageìomiente  irritato  mi  obbligheresti  con  forza 
armata  a  venire  a  Torino,  e  U  incomindare  Dna 
guerra,  nna  guerra  implacabile!... 

Ma  pare  che  il  Righetti  gli  scri- 
vesse al  proposito  di  tali  minacele 
una  lettera  di  buon  inchiostro,  per- 
chè Rossi,  il  1 2  ottobre  '5 1 ,  da  Man- 
tova, venuto  a  più  miti  consigli,  gli 
dichiara  che  la  loro  amicizia  non 
deve  venir  meno  per  sì  piccoiji 
BAZZECor^,  e,  naturalmente,  non  si 
parla  mai  più  di  scioglimento.  Ma  Ìl 
Righetti  non  se  ne  contenta  troppo, 
e  torna  all'assalto  con  una  fiera  lettera,  che  suggerisce  al  Rossi 
uno  squarcio  da  personaggio  di  dramma  lagrimoso: 

Io  larA  intrepido,  sarò  forte  contro  all'  invidia  e  «Uà  tna  inimicizia,  e  mi 

lagnerò  sol  qnando  mi  farai  vedere  che  questa  sia  cessata  ;  sono  avvezzo  a  vedermi  trattar 
male,  e  sconoscere  gli  affètti  del  mio  cnore,  ma  ho  tanta  superbia,  tanto  orgoglio,  e  forza 
per  calpestare  la  serpe  che  ni  morde. 

54.  —  /  Comici  italiani.  Voi.  U.  • 


E  più  giù  : 

S*rd  docile,  numsoelo,  e  pinttoito  che  vetur  teco  nn'iltr*  toIu  in  puole  mi  uiog- 
getterò  anche  quando  In  il  credeMi  a  lare  il  Trovarobe  ;  non  potso  più  conti  nnare,  loiio 
talmente  arrabbiato,  che  mi  trema  la  mano,  la  bile  ti  converte  in  pianto,  in  pianto  perchè 
rum  po«>o  ora  irogarmi  qtunto  detidera  lo  sdegno.  Addio,  che  it  Cielo  non  ti  dia  mai 
nna  pontata  limile  a  questa  che  mi  fai  passare.  Ancora  una  cosa  io  voleva  dirti:  Se  credi 


che  la  mia  abilità  non  sia  tale  da  roeritamiì  la  paga  che  tu  mi  hai  accordata,  fai  pnre  quelle 
reitriiioui  che  vnoi  :  Tidncila  a  quella  del  Ino  Macchinista  :  mi  sari  più  di  contento  che 
U  sentirmela  a  rimproverare..,. 

E  il  Rossi  andò  in  compagnia,  e  mali  umori  certo  ce  ne 
furono,  e  invidie,  e  armeggìi  nascosti,  come  si  può  vedere  da 
questo  bigliettino  anonimo  del  5  maggio  1852  : 


Si  esorta  il  signor  Direttore  della  Real  Compagnia  a  non  voler  più  oltre  deA'Btldar  le 
parti  dovute  all'  Esimio  attore  Giuseppe  Feracchi  col  sostituirle  all'attore  Emesto  Rossi  ;  onde 
evitare  qualsiasi  disordine  che  in  Teatro  ne  potrebbe  nascere.         p^^sccHI  abbonati. 


Da  qual  parte  fosse  maggior  lealtà  di  combattimento  non 
saprei  dire;  forse  uguale  in  entrambi;  ma  il  Feracchi  uscì  di 
compagnia  l'anno  veniente,  e  il  Rossi  vi  fu  riconfermato  per 


un  triennio,  assoluto  e  solo,  con  cento  lire  di  aumento  pel  primo 
anno,  e  1400  e  una  mezza  serata  per  ciascheduno  degli  altri 
due,  più  un  regalo  di  lire  mille  per  una  sol  volta. 

Ammalatosi  il  Pieri  nel '53,  egli  dovette  sostituirlo  per 
tre  mesi,  recitando  tragedie,  drammi,  commedie,  e  farse  al 


fianco  della  Cutini,  acquistando  nella  gran  varietà  de' perso- 
naggi, quella  elasticità  di  dizione  e  d' interpretazione  che  do- 
veva condurlo  a  gran  passi  alla  celebrità.  Fu  a  Parigi  a  fianco 
della  Ristori  e  di  Bellotti-Bon,  e  il  '55  vi  ebbe  ottimo  successo. 
Tornata  la  Compagnia  in  Italia,  non  ostante  gli  entusiasmi  sol- 
levati, non  riuscì  a  revocar  l' abolizione  del  regalo  governativo 
di  25000  lire,  e  si  sciolse  ;  e  Rossi,  dopo  di  aver  fatto  parte  con 
alcune  recite  straordinarie  della  Compagnia  Asti,  pensò  bene 
di  tornare  al  Capocomicato,  e  scritturò  Laura  Bon,  Celestina 
De-Martini,  le  Ferronì,  madre  e  figlia,  la  Job,  la  figlia  di  Gae- 
tano Gattinelli;  poi  Raimondi,  Benedetti,  De-Martini,  Cesare 
Rossi  ;  e  la  Compagnia,  tranne  pochi  mutamenti  d'anno  in  anno, 
andò  avanti  per  quattro  anni,  recitando  anche  a  Vienna,  ove 
Rossi  ebbe  il  più  grande  de'  successi. 


428  ROSSI 

Tornò  in  Italia,  festeggiatissimo  ;  riposò  un  anno,  poi  si 
scritturò  attore -direttore  per  un  biennio  con  Cesare  Don- 
dini  (*62-'63),  al  fianco,  prima  di  Anna  Pedretti,  poi  ('63-'64) 
di  Giacinta  Pezzana;  poi  formò  società  con  Giuseppe  Tri- 
velli, nella  quale  percepiva  una  paga  annua  fissa,  e  la  metà 
degli  utili. 

Le  donne  eran  rappresentate  dalle  signore  Matilde  Pom- 
pili-Tri velli,  Elvira  Pasquali,  Augusta  Giansana,  Angela  Bot- 
teghini, Luigia  Vestri,  ecc.,  ecc.,  e  gli  uomini  dai  signori  Leo- 
poldo Orlandini,  Luciano  Cuniberti,  Giacomo  Brizzi,  Giuseppe 
Trivelli,  Leopoldo  Vestri,  Filippo  Parducci,  Carlo  Perruc- 
chetti,  ecc.,  ecc.  Morto  il  Trivelli,  Rossi  lo  sostituì  con  Sal- 
vator Rosa;  se  ne  accollò  i  debiti,  continuò  l'azienda,  assoluto 
e  solo  padrone. 

Segretario  della  Compagnia  fu  il  Brizzi  che  restò  con 
Ernesto  Rossi  ventitré  anni,  cassiere  il  Perrucchetti,  che  re- 
stò venti. 

Fu  il  '66  in  Francia  e  in  Ispagna;  si  stabilì  il  '67  a  Na- 
poli, ove  gli  affari  andarono  alla  peggio  ;  e  avrebbe  certo  dato 
fondo  a  ogni  avere  messo  assieme  con  tanti  sudori,  se  il  buon 
genio  della  cassetta  non  gli  avesse  suggerito  di  comporre  una 
specie  di  satira  in  tre  atti  con  musica  -  Colpe  e  Speranze  —  che 
andò  in  iscena  il  25  dicembre,  e  piacque  a  segno  da  non  la- 
sciare un  sol  giorno  il  cartellone  per  tutto  quel  carnovale.  Tornò 
il  '68  in  Francia  e  in  Ispagna,  e  toccò  il  Portogallo.  Fu  il  '71 
e  '72  nell'America  del  Sud,  il  '73  e  '74  in  Austria,  Ungheria  e 
Germania,  il  '75  di  bel  nuovo  a  Parigi,  poi  nel  Belgio  e  nel- 
l'Olanda, il  '78-'79-'8i  in  Russia,  in  Romania,  in  Austria  e  in 
Egitto,  quindi  ancora  nell'America  del  Sud,  dove  ottenne  un 
clamoroso  successo  co\  Nerone  di  Pietro  Cossa;  r'83  nell'Ame- 
rica del  Nord  sino  a  San  Francisco  di  California,  e  poi  qui,  e 
poi  là,  un  po' dappertutto  all'estero  e  in  patria,  ove  dava  di 
quando  in  quando  recite  straordinarie.  Ma  se  il  sopravvenir 
degli  anni  gli  andava  scemando,  naturalmente,  il  vigore  fisico 
(un'  affezione  cardiaca  lo  tormentava  da  tempo),  gli  accresceva 


ROSSI  429 

direi  quasi  quello  morale....  sicché  a  quasi  settant'anni,  capo- 
comico e  direttore,  si  mise  in  viaggio  per  la  Russia,  ove  trovò 
le  stesse  accoglienze  del  tempo  addietro  ;  e  donde,  nel  ritorno, 
a  Pescara,  lasciò  miseramente  la  vita,  quasi  d'improvviso.  Tra- 
sportata la  salma  a  Firenze,  ebbe  quivi  funerali  sovrani,  e  si 
fecer  ne' principali  teatri  d'Italia  solenni  commemorazioni.  A 
Roma,  al  Costanzi,  a  iniziativa  e  profitto  della  Società  di  Pre- 
videnza degli  artisti  drammatici,  fu  data  una  grande  rappre- 
sentazione, in  cui  preser  parte  la  Ristori,  Salvini,  la  Marini, 
la  Marchi  :  Enrico  Panzaccfii  vi  tenne  la  conferenza  comme- 
morativa. 

Dire  degli  onori  toccati  a  Ernesto  Rossi  nel  corso  della  sua 
vita  artistica  non  è  possibile  :  basti,  ad  averne  una  pallida  idea, 
guardare  al  museo  magnifico  dei  regali,  venutigli  da  sovrani, 
da  artisti,  da  poeti. 

I  più  grandi  pittori  e  scultori  francesi  di  oggidì  hanno 
schizzi  e  firme  e  indirizzi  in  un  album  donatogli  quand'eran 
scolari  dell'Accademia  di  Belle  Arti....  Dettaron  biografie  fra 
gli  altri  Enrico  Brizio  e  Pier  Ambrogio  Curti....  Edmondo 
De  Amicis  gli  dedicò  un  magnifico  studio  per  la  recitazione 
del  Canto  de  Serpenti  di  Dante,  e  SuUy  Prudhomme  gli  dedicò 
il  seguente  sonetto  : 

A  ERNESTO  ROSSI 

Quand  le  monde  réel  m'est  un  trop  lourd  fardeau, 
Je  voudrais  bien  m'en  faire  un  autre  à  mon  usage; 
Et,  comme  tei,  muant  mon  àme  et  mon  visage, 
Devenir  un  autre  homme  au  lever  du  rideau; 

Àgiter,  tout  un  soir,  plus  fort,  plus  grand,  plus  beau. 
Le  fantóme  évoqué  d'un  héros  et  d'un  àge, 
Dussé-je,  aveuglement  fidèle  au  personnage, 
Le  rideau  descendu,  le  suivre  en  son  tombeau. 

Je  ne  le  puis.  Jamais  le  róle  que  je  rève, 

Dans  Tespace  où  Ton  marche  et  parie,  ne  s'achève, 
Et  Tespace  où  l'on  rève  est  si  près  du  néant  ! 


430  ROSSI 

Par  tes  créations,  tu  vis  plus  d*une  vie, 

Mais  moi  je  n'en  ai  qu'une  et  Tepuise  en  créant. 
C'est  pourquoi  le  poète,  en  t*admirant,  t'envie. 

SULLY  PrUDHOMME. 

Non  ho,  come  ho  detto  da  principio,  avuto  la  sorte  di  sen- 
tire Ernesto  Rossi  al  culmine  della  sua  gloria:  Tho  sentito 
qucindo  io  era  troppo  giovine  per  poter  giudicare  dell'  opera 
sua,  e  quando  egli  era  troppo  vecchio,  perchè  potessi  farmi 
un'idea  chiara  della  grandezza  passata:  certo  l'una  volta  e 
l'altra  ebbi  nell'animo  impressione  profonda.  Allora,  al  Comu- 
nale di  Ravenna  (primavera  del  '64),  recitava  Le  gelosie  di  Lin- 
doro;  e  mi  par  di  vederlo  ancora  lasciarsi  mettere  un  gran 
mantellone  dalla  moglie,  prima  di  partire,  e  minacciarla  dietro 
le  spalle  col  pugno  serrato,  mentre  in  faccia  si  sforzava  di  sor- 
riderle. Che  vena  di  comicità!... 

L'udii  vecchio,  a  Firenze,  n^XV Amleto:  un  colosso!  Shaks- 
peare  mi  apparve  in  tutta  la  sua  grandezza  :  Amleto  con  Ernesto 
Rossi  era  un  poema  vasto,  smisurato,  quale  non  aveva  mai 
visto,  né  vidi  poi. 

L'analisi  eh'  egli  fa  in  un  suo  studio  della  tragedia  shaks- 
peariana,  è  minuta  e  acuta,  e  dà  prove  non  dubbie  dell'  amore 
e  della  tenacia  con  cui  s'era  venuto  facendo  il  suo  personaggio, 
carne  della  sua  carne,  anima  dell'anima  sua.  Ma  non  poteva  tale 
studio  bastare  a  far  di  lui  un  grande  e  celebrato  artista.  Il  buon 
predicatore,  com'  è  avvenuto  in  ogni  epoca  d' arte,  avrebbe 
potuto  razzolar  male.  Invece  egli  la  profondità  dell'analisi  a 
tavolino,  teorica,  sposò  con  una  siffatta  grandezza  pratica  di 
commediante,  da  riuscire  artista  gigantesco  nel  vero  senso 
della  parola. 

Una  delle  scene  che  più  mi  ferì  fu  quella  del  teatro, 
quando  il  Re,  veduto  versar  nell'orecchio  del  Re  del  dramma 
il  veleno,  alle  parole  di  Amleto  :  Lo  avvelena  per  carpirgli  lo 
Staio.  Vedremo  come  V  assassino  si  cattiva  l' amore  della  moglie 
dell'  ucciso,  si  alza  turbatissimo  e  si  avvia  frettoloso  alla  porta 


d'uscita.  Mi  par  di  vederlo,  Ernesto  Rossi,  come  inchiodato 
davanti  al  Re,  indietreggiare,  man  mano  ch'egli  avanza,  fissan- 
dolo negli  occhi,  scrutando  quel  suo  turbamento....  Grande, 
colossale,  geniale  trovata,  resa  dall'artista  in  maniera  ineffa- 
bile !... 

Anche  ebbi  campo  di  ammirare  profondamente  la  gran- 
dezza di  Rossi  come  direttore  sia  nel  Giulio  Cesare,  pur  di 
Shakspeare,  da  lui  novamen- 
te  tradotto,  in  cui  una  sera  fu 
Antonio,  un'altra  Bruto,  sia 
nella  Mandragola  del  Machia- 
velli, nella  quale  trovò  effet- 
ti inattesi,  meravigliosi,  pre- 
sentando in  modo  più  che 
degno,  attori  men  che  me- 
diocri, 

Ernesto  Rossi,  come  al- 
tri grandi  artisti,  fu  solleticato 
dalla  vanità  di  scrittore,  e  ol- 
tre alla  traduzione  del  Giulio 
Cesare  e  agli  studi  shakspea- 
riani  (Firenze,  Le  Monnier, 
1 885),  e  a  varie  commedie,  tra 
cui,  non  delle  peggio,  Adele. 
pubblicò  un'operonedi  ricordi  in  tre  volumi:  Quarant' anni  di 
Vita  Artistica  (Firenze,  Niccolai,  1887),  che  la  critica  in  genere 
condannò,  e  Ìl  pubblico  dimenticò  per  le  troppe  inutili  cose  di- 
scorse concernenti  più  l'autore  che  l'arte.  Io,  schiettamente, 
passato  sopra  alla  sciattezza  della  lingua  e  dello  stile,  e  alla  pic- 
cola vanagloria  che  emergon  da  tutta  l'opera,  ho  trovato  e  trovo 
codeste  pagine  (del  primo  volume  specialmente)  un  preziosis- 
simo contributo  alla  storia  del  nostro  teatro  del  secolo  xix, 
specie  per  la  dovizia  degli  aneddoti  di  ogni  genere  e  pei  giu- 
dizi chiari  e  precisi  di  tutti  gli  artisti,  e  non  furon  pochi,  i  quali 
militaron  con  lui. 


ossi  Cesare.  Da  una  memoria,  scritta  a  posta 
pfjr  me,  del  figliuolo  avvocato  Alessandro,  ri- 
ferisco le  notizie  dei  primi  anni  di  sua  vita: 

n  povero  papà  è  nato  ■  Fano  lUi  19  novembre  1819  da 
Xioola  Rosli  e  Caterina  Lombardi,  loro  dedmo  figlio.  Fece  ^ 
sLudi  elementari  e  di  rettorica  nel  Collegio  dei  Gesnitì,  che  allora 
tenevano  il  monopolio  della  istroiione  pubblica  e  privata  in  qoeile 
Qojrtre  Provincie,  e  fino  da  fancinllo,  cosi  raccontano  i  fiatelU, 
disile  prova  di  ingegno  pronto  ed  aperto. 

Nelle  ore  libere  dalla  tcnola,  poicliè  il  padre  Nicola  era 
□  appaisionato  filodrammatico,  e  in  caaa  vi  era  nn  teatrino  per 
i  divertimenti  di  carnevale.  Celare  coi  fratelli  e  le  sorelle,  tntlì 
filodrammatici  impenitenti,  metteva  in  itcena  le  commediole  ono' 
e  daìV  admitlilur  della  Cnria,  e  nella  Stagione  migliore  con 
i  fratelli  Vincenzo  e  Giovanni  teneva  le  sfide  al  pallone  col  so- 
prannome di  1  /  frcatUi  Orati.  Ma  benché  Domo  Nicola  non  d  credesse,  i  tempi  comin- 
davano  a  matar«i,  e  gli  Grazi  nn  bel  giorno  capirono  che  vi  era  di  m^ìo  a  fare  che 
storpiare  Cicerone  e  gioocare  alla  palla. 

Giansero  a  Fano  le  prime  voci  dei  moti  di  Lombardia  e  del  Veneto,  si  forma  segre- 
tamente nna  compagnia  di  volontari  o^aniziata  dal  conte  Annibale  di  Honlev«c«hio,  6glio 
di  qnel  Gìnlio  che  Tn  amico  del  Foscolo,  e  i  fratelli  Rosai,  fra  i  quali  era  mio  padre,  scap- 
parono da  Fano  per  recarsi  a  Vicenza. 

Mio  padre  prese  parte  alla  difesa  di  Vicenza;  e  dopo  l'eroico  e  iventarato  assedio, 
&tta  l'onorevole  capitolazione,  ritornò  coi  suoi  compagni  in  patria.  Qni  questi  giovani  non 
■oSrirono  di  stare  colle  mani  in  mono  mentre  altrove  si  levavano  ancora  le  armi;  nn  groppo 
si  recò  in  Ancona  a  pettinare  gli  Anstiiaci,  ed  nn  altro  andò  a  Roma  ove  Garibaldi  e 
Rosselli  inonavano  a  martello.  Mio  padre  fu  incorporalo  nella  legione  Masi  e  prese  parte 
alla  pngna  del  Catino  dei  Quattro  Venti  ed  a  quella  dì  Porta  San  Pancrazio.  Al  Cosino 
dei  Quattro  Venti  gli  cadde  a  lato  il  fratello  Giovanni  colpito  da  una  palla  che  gli  tra- 
paasò  la  gola. 

Caduta  nel  sangue  la  Repubblica  Romana,  mio  padre  ritornò  a  casa,  ma  ormai  non 
era  più  tempo  dì  riprendere  in  mano  il  Dt  Amicitia.  e  la  vita  a  Fano  era  diventata  per 
Ini  impossibile,  essendo  spiato  notte  e  giorno  dai  Sarbacani  e  CaeciaUpre,  chioso  l'adito 
ad  ogni  impiego,  sospettato  di  eresia  e  scomunicato. 
Che  fare? 

Era  di  passaggio  una  Compagnia  di  comici,  ta  Compagnia  comico-mimo-acrobatica 
del  Paladini,  padre  dell'attuale  Celeste  Paladini- Andò. 

Mio  padre  aveva  fatto  conoscenza  con  quei  comici,  palesò  i  propri  guai  al  capo- 
comico. Breve  :  con  nn  vecchio  soprabito  color  Nanchino  regalatigli  dal  fratello  Sergio, 
tina  giacca  marrone  del  babbo,  e  qualche  fazzoletto  della  mamma,  uno  di  questi  fazzoletti 
fu  sempre  portalo  nell'  ultimo  atto  della  Gerla  di  papà  Marlin,  mio  padre  scappò  ancora 
di  casa  e  cominciò  la  sua  peregrinazione  artìstica  per  l'Italia. 

La  Compagnia  era  divisa  in  due  parti:  una  di  mimi- acrobati  ci,  l'altra  ài  comìd. 
Questi  rappresentavano  le  commediole  prima  e  dopo  la  pautomina.  II  Paladini  era  un  agile 
Arlecchino,  e  la  Celestina,  me  lo  ricordò  sovente  il  povero  papi,  essendo  allora  una  barn- 
Unella  molto  carina,  faceva  VAngùlo  nitratore.  Papà  si  rammentava  dello  spavento  avnto 
una  aera  quando  si  ruppe  il  congegno,  e  l'Angiolo  restò  a  mezz'aria.  Cosi  accadde  anche 


43J 


■  me,  molli  uini  dopo,  quando  facevo  il  bamlNDO  nella  Preghitra  dà  naufraghi,  e  mi 
p*r«  di  vedere  ancora  il  povero  Bellotti,  che  doveva  euere  affogalo  lotto  ana  tela  in  tem- 
pesta, icappar  fuori  e  gridarmi  a  braccia  aperte  ;  Sandrino  bultaii  giù .'  mentre  mio  padre 
fìgttraadosi  che  io  corresii  no  gran  pericolo  si  stniggeva.  Giù  mi  ricorda  un  altro  aned- 
doto mio.  Ta  lai  che  il  povero  papà  piangeva  davvero  sulla  scena,  e  faceva  dei  gocdo- 
loni  *tr*ti«nti.  Una  *en  n^li  Sfiattacamtm  della  Valle  d'Aosta  del  Sabatini,  al  Gertùno 


di  Torino,  io  ero  Gino  e  papà  il  nanna.  Nella  fiimosa  scena  del  ritrovamento,  mio  padre 
mi  prese  in  braccio  con  tale  commozione,  che  io  vedendo  mio  padre  piangere  tanto  farìo- 
tamente  mi  misi  a  urlare  e  a  piangere  anch'  io  in  modo  cosi  inconsolabile,  che  per  farmi 
capire  la  r^one,  non  valse  che  mio  padre  si  ricomponesse,  si  mettesse  a  ridere,  fra  le 
risate  del  colto  e  dell'indila,  ma  ti  dovette  calare  la  tela,  e  non  penaarci  più. 

Neil'  anno  1853  mio  padre,  dopo  essere  stalo  con  le  Compagaie  Calamai  e  con  quella 
del  Tassoni  ti  trovava  in  Corsica  io  Compagnia  Collellini  (la  De  Medici  prima  attrice,  Pe- 
scalori,  sno  marito,  primo  attore).  In  quell'anno  ti  uni  in  matrimonio  con  Carolina  De  Me- 
dia nipote  della  Pescatori  attrice  della  Compagnia,  la  quale  poverina  mori  dando  alla  luce 
mio  fratello. 

S5.  -  /  Comici  italiimi.  VoL  U. 


434  ROSSI 

Ma  qaegli  anni  erano  stati  troppo  tristi  e  dolorosi  per  il  giovane  comico.  Egli  soste- 
neva il  molo  di  amoroso,  che  con  quella  voce  e  con  qael  naso,  non  era  proprio  fatto  per 
conciliargli  la  benevolenza  del  pubblico.  I  fischi  erano  stati  più  assai  degli  applausi,  e  questi 
per  quanto  scarsi  erano  stati  più  assai  dei  guadagni. 

Alla  fine  di  quell'anno,  stanco,  sfiduciato,  povero,  ammalato,  desolato  per  la  morte 
della  moglie,  mio  padre  decise  di  dare  un  addio  alle  scene,  e  col  figliuolo  in  braccio,  ritornò 
a  Fano,  ove  la  madre  Caterina  aveva  già  ottenuto  il  perdono  del  marito  per  quel  figlio 
che  ritornava  da  lontano,  avendo  fatto  il  viaggio  più  a  piedi  che  in  diligenza,  e  portando 
tutto  il  suo  bagaglio,  dentro  una  caUetta, 

A  Fano  lo  colse  una  febbre  violenta,  causata  dai  disagi  patiti,  e  la  convalescenza 
fu  lunga.  Guarito,  pareva  che  egli  avesse  perduto  la  gioventù  ed  il  buon  umore.  I  tempi 
erano  tristi.  A  motivo  dei  figliuoli  liberali,  il  padre  Nicola  era  stato  allontanato  dall'  xxxk' 
pi^o,  gli  amici  erano  stati  parte  esiliati,  parte  arruolati  in  Piemonte,  qualcuno  anche  nelle 
carceri  di  Sua  Santità,  come  il  cugino  Getulio  Lombardi,  che  scontava  nell'ergastolo,  e 
ci  stette  dieci  anni,  una  ribellione  contro  una  pattuglia  di  papalini.  La  malinconia  prese 
il  mio  povero  papà,  ed  il  dottor  Claudio  Tommasoni,  quello  stesso  che  tenne  a  battesimo 
Claudio  Leigheb,  lo  consigliò  di  ritornare  al  teatro,  se  non  voleva  languire  di  nostalgia. 

Neil* inverno  di  quell'anno  1855  ^^'^  padre  lasciò  per  la  terza  volta  la  propria  casa, 
e  fu  scritturato  in  Compagnia  del  Calamai  ;  però  siccome  i  precedenti  insuccessi  lo  ave- 
vano persuaso,  cosi  lasciò  le  parti  di  amoroso  e  prese  il  ruolo  di  brillante. 

Anche  quell'anno  1855  non  fu  lieto.  Lo  stipendio  era  meschino  e  l'impegno  di 
vestiario  assai  costoso.  A  Firenze  mio  padre,  me  lo  ricordano  spesso,  dovette  fare  un 
debito  di  300  svanziche  con  un  sarto,  e  per  pagare  quel  debito,  avendo  avuto  dal  fra- 
tello Sergio  un  sussidio  di  sessanta  papetti,  dovette  vivere  un  mese  mangiando  pane  e 
mele  sotto  la  loggia  degli  Uffizi,  e  bevendo  il  vino  del  Biancone  in  piazza  della  Signoria. 

Non  è  a  dire  però  che  la  volontà  di  studiare,  di  fare,  di  togliersi  col  proprio  ingegno  da 
quelle  angustie  venisse  meno  in  lui.  Dotato  di  una  fibra  d' acciaio,  sempre  di  buon  umore, 
gioviale,  ardito,  coraggioso,  sentiva  in  sé  l'avvenire,  vedeva  la  mèta  e  lottava  per  raggiungerla. 

Già  cominciava  il  suo  nome  ad  essere  conosciuto  nella  cerchia  limitata  dei  comici, 
già  qualche  successo  aveva  sorriso.  In  una  farsa  :  Le  disgrazie  di  un  bel  giovane,  egli  era 
applauditissimo. 

Nell'anno  successivo  il  1856,  mio  padre  passò,  sempre  come  brillante  in  Compa- 
gnia Asti,  prima  attrice  Alfonsina  Aliprandi,  primo  attore  Giovanni  Aliprandi,  generico 
primario  Salvatore  Benedetti,  la  Vergani  madre  nobile,  Vergani  mezzo  carattere,  Bordiga 
amoroso.  In  quell'  anno  sposò  mia  madre  Giuseppina  Rocchi,  nipote  di  quella  Antonietta 
Rocchi,  milanese,  che  era  stata  guidata  sulle  scene  dalla  Tarandelli  antica  prima  attrice, 
e  fii  moglie  del  Robotti  ;  ed  era  allora  prima  attrice  della  Compagnia  Reale-Sarda,  attrice 
di  merito  non  comune. 

A  Torino  la  Compagnia  Asti  si  aggregò  Emesto  Rossi,  che  poi  la  segui  a  Ver- 
celli e,  il  carnevale,  a  Milano  al  Teatro  Re. 

Per  mio  padre  quella  stagione  del  Teatro  Re  era  la  prova  del  fuoco,  e  puoi  im- 
maginare con  quanto  zelo  egli  si  mettesse  all'opera.  Ma  pur  troppo  anche  allora  i  suoi 
sforzi  non  furono  fortunati,  ed  il  pubblico  rimaneva  indifferente  ai  suoi  lazzi  ed  alla  sua 
parlantina.  Il  Coltellini  per  incoraggiarlo  dopo  poche  recite  mise  sui  cartellone  :  Le  disgroMie 
di  un  bel  giovane,  e  mio  padre  si  tenne  sicuro  di  scuotere  finalmente  l' indifierenza  del 
pubblico.  Quale  delusione! 

Nella  scena  culminante,  quella  dell'andata  via  colla  giacchetta  rovesciata,  la  platea 
scoppiò  in  una  fischiata  cosi  unanime  e  clamorosa  da  farla  credere  tramutata  in  un  can- 
tiere di  locomotive. 


435 


Papi  le  ne  unnulò  e  per  più  giorni  non  e(d  di  oM,  egli  credeva  di  euere  rovi- 
nato, aveva  perduto  ogni  fidoda  in  li  itetso  e  già  pentava  ad  nu  KCondo  addio,  qnando 
nui  nattiiut  Emetto  Rotti  aodd  a  trovarlo  a  caia,  lo  incoraggiò,  lo  rianimò  e 
di  ritornare  al  Teatro.  Ritornare  al  Teatro  Re  ì 


Ripreteutani  innanzi  a  qoel  pubblico  feroce  ?  Era  presto  detto,  ma  come  averne 
11  tnpè  dopo  qnel  ciclone,  e  ipectalmente  dopo  avere  eianrito  tetti  i  propri  cavalli  di  bat- 

L' eloquenza  di  Emetto  Rotti  e  la  tua  anioriti  furono  fortuutamente  più  Torti 
delie  paure  del  giovane  deluto,  e  fu  dedio  che  la  aera  dopo  egli  tarebbe  riprettfitato  nella 
futa  :  A  tamburo  battmlt.  Una  (arsa  che  mio  padre  non  aveva  ttudialo,  che  non  aveva 
vitto  lare  da  nessnno,  nella  qoale  non  aveva  tgBml>etto,  nessan  lazzo,  nelinn  trucco.  Mio 
padre  andò  in  teatro  licnro  di  non  uscire  vivo  dalle  mani  del  pubblico.  Mtttamente  a  villa? 
Sta  che  il  pubblico  fotte  pentito  della  propria  ferocia,  lia  che  lapeise  l'affare  della 
nialattia,  lia  che  mio  padre  non  tapeado  quella  tera  le  norme  altrui  recitaste  a  modo  tuo 


436  ROSSI 

e  apparisse  un  attore  diverso,  fatto  è  che  dopo  la  prima  scena  cominciarono  gli  applausi, 
gli  applausi  continuarono,  e  calata  la  tela  mio  padre  si  trovò  fra  le  braccia  di  Emesto, 
che  era  felice  quanto  lui,  perchè  Emesto  Rossi  era  buono. 

Per  la  primavera  di  quell'anno  1857  Emesto  Rossi  doveva  formare  una  Compa- 
gnia drammatica  di  primo  ordine  per  incarico  di  alcuni  capitalisti  triestini.  Mio  padre  fu 
scritturato  da  lui,  ma  per  di  lui  consiglio  abbandonò  il  molo  di  brillante  per  prendere  quello 
di  promiscuo,  ed  accettò  il  posto  di  secondo  promiscuo,  dopo  la  scelta  di  Gattinelli. 

Da  questo  punto  comincia  la  fortuna  di  Cesare  Rossi,  e  la  sua  vita  artistica 
gloriosa. 

La  Compagnia  di  Emesto  era  formata  pel  triennio  1857-1860. 

Come  ti  ho  detto  mio  padre  aveva  un  molo  secondario,  inferiore,  cioè  quello  del 
Gattinelli,  come  era  inevitabile,  cominciarono  presto  le  emulazioni  fra  il  giovane  attore 
e  l'artista,  che  godeva  giÀ  meritamente  molta  fama. 

In  questa  rivalità  certo  mio  padre  in  quel  tempo  avrebbe  trovato  molti  ostacoli  se 
tra  Emesto  Rossi  e  Gattinelli  non  si  fosse  manifestata  una  incompatibilità  di  carattere  molto 
favorevole  per  il  giovane  attore.  A  lui  giovò  molto  anche  l' amicizia  fraterna  di  quel  gran 
galantuomo  e  buon  attore,  faceva  il  generico  primario,  che  fu  Salvatore  Benedetti,  il  quale 
caso  raro,  era  lietissimo  di  cedere  all'amico  Cesare  le  sue  parti  e  di  vederlo  a  lui  pre- 
ferito. 

Un  giorno  a  Trieste  nel  carnevale  del  1858  scoppiò  aperto  il  dissidio  fra  mio  padre 
e  Gattinelli,  a  proposito  di  una  parte.  Erano  alle  prove,  e  poiché  pareva  che  Emesto  Rossi 
desse  ragione  quella  volta  al  Gattinelli,  mio  padre  se  la  prese  anche  con  lui,  fece  baruiia, 
protestò  il  contratto,  e  andò  a  casa  infuriato  dicendo  a  mia  madre,  servetta  nella  Com- 
pagnia, che  fcuesse  su  la  poca  roba,  perchè  voleva  andar  via. 

Puoi  immaginare  lo  scompiglio,  tutta  la  casa  per  aria,  agitazione,  trambusto,  ma.... 
c'era  Benedetti.  Egli  nel  frattempo  aveva  calmato  gli  animi,  aveva  parlato  con  Emesto 
e  con  lui  andò  a  casa  del  papà  per  dirgli  di  non  fare  sciocchezze,  che  nel  nuovo  triennio 
egli  sarebbe  succeduto  in  omne  et  gualtòet  parte  al  Gattinelli,  e  tanto  fu  fatto  che  la  tiara 
di  Achimelek  rientrò  nei  cassoni,  insieme  alla  cotta  di  Lanciotto. 

Nel  1859,  allo  scoppiare  della  guerra,  la  Compagnia  di  Emesto  Rossi  si  trovava 
in  Austria,  e  si  sciolse.  Ernesto,  con  la  famiglia  Job  e  mio  padre  noleggiarono  a  Trieste 
un  barigozzo  e  sciolsero  le  vele  per  Fano.  Ohimè  !  la  bonaccia  tenne  la  barca  circa  un 
mese  sul  piano  dell'Adriatico,  e  quando  i  naviganti  giunsero  a  Fano,  la  guerra  volgeva 
già  al  suo  termine.  Nel  settembre  di  quell'  anno  liberate  le  Marche,  Emesto  Rossi  rac- 
colse la  propria  Compagnia  per  riprendere  i  propri  viaggi,  e  senza  maggiori  avvenimenti 
le  cose  procedettero  cosi  sino  al  1 860,  quando  essendosi  ammalato  improvvisamente  Grae- 
tano  Vestri,  che  sosteneva  il  molo  di  promiscuo  nella  Compagnia  di  Bellotti-Bon,  a  mezzo 
anno  il  Bellotti  si  rivolse  ad  Emesto  Rossi  pregandolo  di  cedergli  l'attore  Cesare  Rossi. 

Anche  in  quella  occasione  Ernesto  Rossi  si  mostrò  buon  amico  di  mio  padre,  e 
senza  farsi  troppo  pregare  accettò  di  sciogliere  il  contratto  con  lui  e  di  permettergli  di 
entrare  nella  Compagnia  Bellotti  nel  molo  importante  lasciato  dal  Vestri. 

Anche  quello  fu  un  gran  passo  pel  mio  povero  papà,  che  non  solo  andava  ad  affron- 
tare un  molo  di  grande  responsabilità,  ma  raccogliere  1'  eredità  pericolosa  e  quindi  il  con- 
fronto di  un  grande  artista. 

L'andata  in  scena  nel  nuovo  ruolo  e  nella  nuova  Compagnia  doveva  aver  luogo 
a  Milano  al  Teatro  Re.  Dopo  lunga  discussione,  alla  quale  presero  parte  il  Bellotti  ed 
il  compianto  Tebaldo  Ciconi,  fu  scelta  per  prima  recita  :  Il  papà  Goriot  di  Balzac, 

Anche  questa  scelta  era  ardita  perchè  Papà  Goriot  aveva  ormai  una  tradizione  sulla 
scena,  una  tradizione  formata  da  Gattinelli,  Vestri,  Taddei,  ma  il  confronto  non  fu  dannoso. 


Ernesto  Rossi  nel  primo  volume  de' suoi  Quarantanni 
eli  Vita  Artistica,  dopo  di  avere  parlato  degli  attori  che  com- 
ponevan  la  sua  nuova  Compagnia,  così  ci  descrive  il  passaggio 


di  Cesare  Rossi  dal  ruolo  di  brillante  a  quello  di  caratterista 
e  promiscuo,  che  doveva  farlo  salire  in  breve  a  tanta  altezza  : 

Si  potevo  uiardare  di  recitare  la  cominedìa,  it  dramma,  e  la  tragedia  !  e  che 

tragedia!  quella  di  Sbokeapeare,  che  in  quei  tèmpi  era  come  ud  tema  di  algebra  dato  per 
eune  dal  mlDlstro  Bonghi  r  e  credo  che  anche  in  o^Ì  vi  lieno  molti  acolari,  che  torcono 
il  mnio  a  certi  temi  del  tignar  Shakespeare.  Cola  originale  !  erano  appanto  qnei  temi  li, 
che  i  miei  attori  risolvevano  meglio  ;  Celare  Roist  specialmente  :  di  modo  che,  un  giamo 
lo  chiamai  a  caia  mia  e  gli  dissi  :  —  Scasi,   ma   lei  crede  proprio  di  averi 


43»  ROSSI 

per  fare  il  brillante  ?  —  Sicuro  !  -  mi  rispose  di  botto,  senza  lasciar  tempo  a  riflettere  sulla 
mia  domanda.  —  Mi  permette,  che  le  parli  chiaro  e  tondo?  come  la  penso?  —  Facda 
pure  !  -  mi  rispose  con  un  accento  fra  il  toscano  ed  il  marchigiano.  —  Ella  -  ripresi  io  -  può 
essere  chiamato  a  (are  di  tutto,  fuori  che  il  brillante  :  ella  non  ha  né  la  figura,  né  l' ele- 
ganza adatta  per  disimpegnare  quella  parte  :  guardi  là  I  e'  è  uno  specchio  :  si  guardi  !  QueUa 
testa  avrebbe  bisogno  di  essere  posta  sopra  un  altro  paio  di  spalle  ;  e  allora  lei  sarebbe 
un  gigante  proporzionato  :  vede  ?  come  le  sue  spalle  sono  strette  ?  e  le  sue  braccia  lunghe  ? 
eppoi  osservi  bene  una  cosa  che  è  rispettabilissima,  e  che  caratterizza  tutti  gli  uomini  che 
sanno  il  conto  loro  :  guardi  il  suo  naso  :  le  pare  un  naso  ragionevole  ?  ammissibile  per 
un  giovinotto,  che  vuole  interessare  la  sua  bella?  Venga  qua  :  si  lasci  fare:  le  metto  questa 
parrucca  grigia:  poi  questo  giubbone;  poi  prenda:  metta  questo  cravattone:  pftnda  questa 
canna  nella  destra  :  questo  cappellone  nella  sinistra  :  si  guardi  di  nuovo  allo  specchio  :  e 
veda  che  bel  caratterista  promiscuo  che  è  lei  !  eh  ?  che  gliene  pare  ?  e  poi,  vuole  e  pre- 
tende recitare  le  parti  serie  e  tragiche?  a  lei!  studi  Lanciotto  nella  Francesca;  lo  prove- 
remo insieme,  e  vedrà  che  lei  sarà  quel  tipo  per  cui  Francesca  può  scusarsi  colpevole.  —  Io 
avevo  toccato  proprio  nel  suo  debole  :  le  parti  tragiche.  —  Io  tragico  ?  -  disse  a  sé  stesso  — 
convengo  di  tutto,  signor  Rossi,  lascerò  le  parti  brillanti,  farò  il  generico,  il  caratterista,  il  pro- 
miscuo e  il  tragico,  ma  non  mi  dica  che  io  sono  sproporzionato.  Farò  tutto  quello  che  iruole, 
purché  mi  faccia  recitare.  —  Non  dubiti,  non  avrà  mai  un  riposo.  —  E  cosi  fu.  Cesare  Rossi, 
disimpegnò  benissimo  le  parti  tutte,  che  io  lo  preferii  sempre  più  nel  serio  che  nel  ridicolo  : 
perchè  nel  comico  ebbe  la  disgrazia  dì  imitare  Gattinelli  :  e  le  copie  sono  sempre  peggiori  dogli 
originali  :  nel  serio....  lo  guidai  io,  e  non  volli  che  mi  imitasse,  ma  che  mi  studiasse . . .  • , 

Cesare  Rossi  perchè  era  studioso,  zelante  e  infaticabile,  si  è  formata  una  posizione 
che  non  a  tutti  nell'arte  è  dato  conseguire. 

Se  col  SUO  glorioso  omonimo,  Cesare  Rossi  vide  chiara  a 
sé  davanti  una  mèta  da  toccare,  immediatamente  dopo  con 
Bellotti-Bon  la  toccò,  e  altissima,  in  quella  indimenticabile  com- 
pagnia, della  quale  eran  prime  parti  il  Bellotti  stesso,  Ciotti, 
Lavaggi,  la Pezzana,  la  Campi,  la  Fumagalli....  Il  primo  ricordo 
ch'io  serbo  intatto  del  glorioso  artista,  è  della  primavera  del  '65 
al  Teatro  Comunale  di  Ravenna,  nel  Vero  Blasone  di  Gherardi 
Del  Testa,  e  nel  Figlio  di  Giboyer  di  E.  Augier.  Oh  !  quel  Ma-- 
rechal!  Quel  monologo  in  cui  egli  si  esercita  alla  improvvisa- 
zione e  recitazione  del  discorso....  Il  fumo....  Il  fumo!!...  Il 
secondo  è  del  '68  al  Niccolini  di  Firenze,  in  quel  carnevale 
magnifico,  in  cui  si  rappresentaron  diciotto  volte  /  Mariti  di 
Torelli.  Quel  Duca  D'Her re ra,  che  noi  giovani  di  Liceo,  ricordo 
come  fosse  ora,  somigliavamo  nella  truccatura  del  Rossi  al 
Duca  di  Sermoneta!  Che  nobiltà,  che  grandezza,  nelle  scene 
aspre  col  figliuolo!  Che  arte  somma  in  quella  finale  col  servo, 
poi  colla  Duchessa!... 


Quattro  anni  dopo  Cesare  Rossi  era  il  Direttore,  Primo 
attore  da  parrucca.  Caratterista,  Promiscuo,  della  Compagnia 
di  Fanny  Sadowski,  nella  quale  anch'io  stetti  un  anno,  lieto 


'^ii 

Nb 

'  ^^^0 

oggi  di  poter  discorrere  di  tutte  le  grandi  qualità  del  mio  primo 
maestro. 

Si  è  detto  che  Cesare  Rossi  era  attore  di  maniera,  attore 
barocco.  E  vero.  Ma  quando?  Quando  al  suo  metodo  di  reci- 
tazione la  giovane  critica  ebbe  da  contrapporre  giovani  forze,, 
il  cui  metodo,  fatto  tutto  di  verità,  era  dal  suo  tanto  discosto. 
Verità  !  Verità  !  Verità  assoluta  o  verità  relativa  ?  Assoluta  no, 


perchè  la  verità  senza  il  soccorso  dell'arte  sì  muta  in  isciatteria, 
in  volgarità  e  peggio.  Dunque  relativa:  ma  allora  tanto  è  verità 
quella  d'oggi,  quanto  fu  quella  d'jeri  e  dell'altr'jeri,  e  magari 
di  tre  secoli  fa  a'  bei  tempi  degl' incomparabili  Gelosi,  \  quali 
apparivan  veri  allora  oltre  il  confine,  e  a' quali,  probabilmente, 
i  giovani  tirerebber  oggi  con  poca  riverenza  le  panche.  Ba- 
rocco !  Sicuro  :  Cesare  Rossi  fu  barocco  !  Un  barocco,  che  pro- 
dusse figure  non  mai  superate,  né  uguagliate,  di  cui  la  parte 
superficiale,  esteriore,  mutabile,  era  già,  nel  languor  dell'età 
e  mutar  de' tempi,  tramontata,  ma  di  cui  l'arte  animatrice  per- 
mane nella  nostra  memoria  immortale. 

Giudicar  Cesare  Rossi  nel  periodo  estremo  dell'arte  sua, 
quando  le  poche  figure  che  ancor  presentava,  tra  le  tante  che 
lo  poser  sì  alto,  eran  già  sbiadite,  alternate  con  le  figure  nuove, 
a  mostrar  le  quali  il  vecchio  metodo  e  il  vecchio  spirito  non 
eran  capaci,  è,  per  Io  meno,  ingiusto.  Io  vorrei  che  i  giovani 
potessero,  per  forza  di  miracolo,  tornare  a  dietro  di  qua- 
rant'anni,  e  seguir  sera  per  sera,  anno  per  anno,  l'opera 
varia,  forte,  grandiosa  di  Cesare  Rossi!  Maestro  Andrea  del 
Ghiacciaio  del  Monte  Bianco,  Don  Ambrogio  della  Celesie,  Conte 
Sirchi  del  Duello,  Marechal  del  Figlio  di  Giòoyer,  Papà  Martin 
della  Gerla  di  Papà  Martin,  Filiberto  del  Curioso  Accidente. 
Geronte  del  Burbero  benefico,  Risoor  di  Patria,  Palchetti  della 
Vita  Nuova,  Gaspero  di  Moglie  e  buoi  de'  Paesi  tuoi.  Papà 
Remigio  di  Claudia.  Bernardino  di  Oro  e  Orpello.  Croci  del  Ge- 
rente responsabile,  Lamberto  della  Famiglia,  Pietro  Branca  dì 
Spiritismo.  Don  Marzio  della  Bottega  del  Caffè,  Simonaza  di  Con- 
vincere, Commttovere,  Persuadere.  L'Abate  Costantino  e  Raba- 
gas....  Oh!  Quel  Rabagas  al  Fondo  dì  Nàpoli  con  Cesare  Rossi 
a  soli  quarantatre  anni!  Quale  maniera!  E  quale  barocco! 
Bernini  puro  sangue!!!...  Gran  peccato  davvero  che  codesti 
astri  di  prima  grandezza  non  abbian  la  forza  dì  togliersi  dalla 
loro  sfera,  non  appena  veggano  attenuarsi  la  vivezza  della  lor 
luce  I  Dopo  quello  della  Sadowskì,  egli  ebbe  ancora  un  grande 
periodo:  del  Teatro  Carignano,  della  Duse  con  Andò.  Se  la 


Duse,  con  la  sua  recitazione  singolare  arrecò  più  tosto  danno 
all'attore,  grandi  vantaggi  arrecò  al  capocomico, che  finì  poi 
col  diventar  socio  della  nuova  stella.  Dalla  quale  staccatosi,  ri- 


formò compagnia  con  la  Mariani  prima  attrice,  ch'egli  rivelò 
e  sviluppò.  Ebbe  di  poi  la  Glech,  la  Quaglia,  la  Riccardini, 
rUdina,  la  Violante.... 

E  volgeva  lento,  lento  alla  sua  fine. 

Lunedì  i"  novembre  i8g8,  egli  doveva  recitare  a  Bari 
//  Curioso  Accidentt  del  suo  Goldoni,  e  alle  2,45  dì  quel  giorno 
si  spense  quasi  d'improvviso  per  congestione.  I  funerali  furono 


441  ROSSI  -  ROTI 

una  imponente  testimonianza  di  affetto  e  di  ammirazione  sì  a 
Bari,  come  a  Fano,  dove  fu  traslata  la  salma.  <  Non  dimenti- 
care che  amò  i  giovani  attori  e  li  protesse,  che  fu  buono,  onesto 
e  glorioso,  e  che  a  punto  per  la  sua  rettitudine  preferì  sempre 
l'arte  sana,  le  persone  buone,  pochi  ma  sinceri  amici.»  Con 
queste  parole  il  figliuolo  chiude  la  sua  memoria,  ed  io  le  metto 
qui  come  chiusa  dell'articolo,  che  non  saprei  trovarne  di  mi- 
gliori. 

Rotali  Virgìnia  {V.  Andreini  Lidia). 


Roti  Giovanni  Battista.  Nato  di  famiglia  civile  a  Vene- 
zia il  1734,  si  diede,  morti  i  genitori,  all'arte  comica,  in  cui 
riuscì  egregio  Pantalone. 
Fu  a  Vienna,  e  vi  recitò 
in  tedesco,  specialmente 
le  commedie  tradotte  di 
Goldoni.  Fu  copista  del- 
l'abate  Metastasi©,  e  an- 
che direttore  artistico  di 
alcuni  suoi  melodrammi. 
Entrò  del  '69  nella  Com- 
pagnia di  Antonio  Sacco, 
a  Venezia,  sostituendovi 
il  D'Arbes,  scritturato 
dal  Lapy,  ed  ebbe,  al 
San  Luca,  le  migliori  ac- 
coglienze. Tradusse  per 
il  primo  I  due  amici  del 
Beaumarchais,  e  li  rap- 
presentò l'estate  del'yi 
al  Filarmonico  di  Verona, 
recitandovi  la  parte  di 
Aurelio  in  veneziano.  Scrisse  anche  una  commedia  in  versi 
sciolti  di  argomento  spagnuolo  per  commissione  del  Sacco,  ma 


ROTI  -  RUBINI  443 


con  poca  fortuna.  Il  carnovale  del  '79  sposò  Marianna  Ricci, 
sorella  di  Teodora  Bartoli;  ma,  cagionevole  di  salute,  potè 
a  stento  ricondursi  da  Verona  a  Venezia,  ove  assistito  dalla 
consorte,  moglie  saggia  e  amorosa,  morì  il  26  settembre 
del  1780. 

Il  Roti  -  dice  F.  Bartoli  -  era  un  uomo  d'ingegno,  pra- 
tico della  lingua  latina,  della  francese  e  della  tedesca;  e  molto 
adoprò  la  penna  in  servizio  del  mentovato  Sacco. 

Rotti  Carlo,  veneto,  entrò  nell'arte  poco  avanti  il  1 800,  e  re- 
citò alcun  tempo  le  parti  ^amoroso.  A  trent'anni  ebbe  un  vivo 
alterco  a  Trieste  con  un  tale  che  lo  percosse  pubblicamente. 
Il  Rotti  pensò  di  vendicar  vilmente  l'offesa;  e  appostatosi  di 
notte  sotto  un  ponte  della  città,  sulla  strada  che  conduceva 
all'anfiteatro  Mauroner,  al  momento  in  cui  l'offensore  passava, 
gli  scaricò  in  pieno  petto  un'archibugiata,  che  lo  ferì  ma  non 
uccise:  e  fu  gran  ventura  per  l'assassino,  che  fu  condannato  a 
soli  sei  anni  di  lavori  forzati.  Scontata  la  pena,  rientrò  nell'arte; 
ma  non  vi  fece  più  che  le  ultime  parti,  anche  perchè  obbligato 
dalla  lunga  consuetudine  della  catena  a  trascinarsi  dietro  la 
gamba  sinistra.  Nel  1820,  eccolo  palesarsi  autore  drammatico 
col  noto  lavoro  Bianca  e  Fernando,  ch'ebbe  successo  clamo- 
roso, e  al  quale  tenner  dietro  /  due  sergenti,  tuttora  vivi  nel 
repertorio  popolare,  //  carcere  d'I/degonda,  Boemondo  d'Altem- 
burgo,  e  altri.  Ma  non  mostrando  egli  nella  vita  alcuna  traccia 
d'ingegno,  e  non  essendo  al  Domeniconi  riuscito  di  fargli  cam- 
biare un  finale  d'atto,  molti  ne  inferirono  che  non  foss'egli 
autore  di  que'  drammi,  ma  sì  un  suo  defunto  compagno  di  ca- 
tena. Il  Rotti  morì  a  Venezia  del  1 840. 

Rubini  Ferdinando,  di  Roma,  attore  mediocre  per  le  parti 
^Innamorato,  soprannominato  Rubinazzo,  fu  chiamato  da  Giu- 
seppe Imer  al  Teatro  San  Samuele  di  Venezia,  per  sostituirvi 
Antonio  Argante,  allora  defunto.  Fu  anche  al  San  Luca,  e  cantò 
con  successo  in  alcuni  Intermezzi  musicali.  Era  a  Palermo  con 


444 


RUBINI 


la  Passalacqua  (V.  Afiflisio  (D')  Moreri  Elisabetta),  quand'  ella 
cadde  dall'alto  nel  far  il  volo.  Tornò  con  essa  in  Lombardia, 
poi  restituitosi  a  Roma,  vi  morì  nel  1773. 

Rubini  Federico.  Non  mi  è  riuscito  di  veder  traccia  di 
questo  Rubini  in  Italia.  Sappiamo  che  esordì  alla  Comedia  ita- 
liana di  Parigi  il  9  dicembre  1 760  colla  parte  del  Dottore  in 
una  commedia  intitolata  II  Pedante:  e  lo  troviamo  fra  gli  attori 
di^^  Amore  paterno,  secondo  il  documento  parigino  :  «  Extrait 
de  t  Amour  paterne l,  commedia  in  tre  atti  di  Goldoni,  data  a  Pa- 
rigi nel  1763,  4  febbrajo  (Paris,  Duchesne,  1762).  > 
Agivano  : 


CoLLALTO  da  Tantalom 
Mad.  Savi  da  Clarice 
M.LLE  PicciNELLi  da  AngtUca 
Z  ANN  UZZI  da  Lelio 
Balletti  da  Silvio 


Rubini  da  Florindo 

Savi  da  Petronio 

M.LLE  Veronese  da  Camilla 

Chiavarelli  da  Scapino 

Carlin  Bertinazzi  da  Arlecchino 


Ma  pare  ch'egli  vi  facesse  un  fiasco  solenne,  dacché  a 
Corte  si  venne  lo  stesso  anno  nel  proposito  di  licenziarlo.  I 
compagni  si  volsero  allora  al  Duca  di  Duras,  primo  gentiluomo 
di  camera,  con  questa  supplica  :  <  I^s  comédiens  italiens  deman- 
dent  quii  vous  plaise  de  leur  conserver  encore  le  steur  Rubiny  dont 
ils  disent  avoir  besoin  pour  lui  donner  le  temps  de  trouver  à  se 
piacer  en  Italie.  > 

Alla  quale  il  Duca  rispose  :  <  Les  comédiens  italiens  auraient 
du  remercier  le  sieur  Rubini  dès  l'année  passée;  vous  avez  eu  grand 
tori  de  souffrir  quii  continuai  à  jouer  cette  année.  Je  vous  prie 
de  ne  men  plus  parler,  > 

Ma  il  Rubini  restò  ancora  il  '64  a  Parigi. 

In  due  lettere  del  Goldoni  all'Albergati  del  gennajo  '63 
e  del  febbrajo  '64  da  Parigi,  si  accenna  alla  moglie  di  que- 
sto Federico,  Anna,  rimasta  a  Bologna,  poverissima,  e  pre- 
gante l'Albergati  col  mezzo  del  Goldoni  di  farle  avere  una 
limosina. 


RUBINI  445 


Ma  come  mai  cotesto  Rubini,  che  esercitava  V  impiego  di 
Dottore,  sostenne  poi  la  parte  di  Florindo  n^ Amore  paterno? 
Forse  nei  Dottori  non  piacque,  e  tentò  gV Itifiamorati f  Forse, 
dopo  lo  smacco  di  Parigi,  se  ne  tornò  in  Italia,  e,  concordando 
le  date,  è  lo  stesso  che  il  precedente,  di  cui  fu  citato  erronea- 
mente il  nome  da  Francesco  Bartoli? 

Rubini  Francesco^  mantovano.  Recitava  con  gran  merito 
sotto  la  maschera  di  Pantalone.  Fu  il  1 733  a  Milano  nella  Com- 
pagnia del  ciarlatano  Bonafede  Vitali  (V.),  detto  V anonimo;  e  al 
Teatro  di  San  Luca  a  Venezia  il  '35  a  sostituirvi  il  Garelli  (V.), 
che  gli  pose  in  volto  di  sua  mano  la  maschera,  presentandolo 
al  pubblico.  Fr.  Bartoli  ci  narra  che  la  somiglianza  de'  due  ar- 
tisti era  tale,  specialmente  nella  voce,  che  molti  credettero,  e 
ne  fecero  scommessa,  non  esser  altro  il  Rubini  che  lo  stesso 
Garelli.  In  La  Clemenza  nella  Vendetta  egli  sostenne,  il  '36,  con 
grandissimo  onore  la  parte  di  Pantalone  Re  dei  Cuchi,  cantan- 
dovi ariette  musicali,  ed  eseguendovi  diversi  combattimenti. 
Quando  Goldoni  cominciò  a  scrivere  pel  San  Luca,  scrisse  per 
lui  varie  parti  in  dialetto,  fra  le  quali  il  signor  Alberto  nel- 
V Amante  di  sé  stesso,  ch'egli  rappresentò  egregiamente.  Nella 
introduzione  al  Geloso  avaro  {Nuovo  Teatro  Comico,  T.  I,  Vene- 
zia, Pitteri,  M.DCC.Lvii),  Goldoni  dice: 

Non  ebbe,  per  dir  il  vero,  molto  felice  incontro,  e  il  personaggio,  che  rappresentava 
il  geloso  avaro,  quantunque  abilissimo  in  altre  parti  giocose,  in  questa  non  riusd  bene. 
Ciò  mi  fece  risolvere  appoggiar  tal  carattere  al  Panialoru,  eh'  era  in  allora  il  graziosis- 
simo  Francesco  Rubini,  e  non  m'ingannai,  poiché  alle  di  lui  mani  comparve  mirabil- 
mente, e  la  commedia  fece  in  Genova  un  buon  effetto.  Mori  poco  dopo  il  valoroso 
Rubini,  e  la  mancanza  dell'  incomparabile  attore  fé'  si,  che  di  tal  commedia  non  si  è 
parlato  più  oltre. 

E  nella  Introduzione  per  la  prima  recita  dell'  auiufino  del- 
tanno  1^54  (T.  Ili,  ivi)  : 

Clarice.  Non  vuol  vedere  la  nostra  prima  commedia? 

SiOR  Zamaria.  Mi  no;  co  me  recordo  quel  povero  Pantalone,  me  vien  da  pianzer. 

Florindo.  Caro  signore,  poteva  ella  far  a  meno  di  venirci  a  rattristare.  Abbiamo  bastan- 
temente compianto  la  perdita  di  un  nostro  amoroso  compagno  pieno  di  merito,  di  grazia, 
di  brio,  e  di  ottimi  illibati  costumi.... 


446  RUBINI  -  RUGGERI 


E  Goldoni  mette  in  nota: 

Elogio  ben  dovuto  alla  memprìa  di  Francesco  Rubini,  il  quale  quantunque  di  na- 
scita mantovano,  e  non  del  tutto  in  possesso  della  lingua  veneziana,  ha  saputo  tanto  pia- 
cere in  virtù  del  suo  talento,  e  della  sua  buona  grazia. 

Francesco  Rubini  morì  a  Genova  nel  1754. 

Rubini  Antonio.  Figlio  del  precedente,  fu  un  egregio  Ar- 
lecchino, e  recitò  in  diverse  compagnie.  Uscito  Francesco  Cat- 
toli  (V.)  da  quella  del  San  Luca  (carnovale  del  1763),  andò  il 
Rubini  a  sostituirlo.  Ma  recatasi  la  Compagnia  a  Vicenza  in 
primavera,  egli  ammalò  dopo  alcune  recite,  e  in  capo  a  pochi 
giorni  morì.  Fr.  Bartoli  lo  dice  <  grazioso  nella  Pantomima, 
arguto  nelle  risposte,  spiritoso,  e  faceto.  > 

Ruffino  Antonio^  romano,  nato  il  1780  circa,  fece  gli  studi 
universitari;  e,  mortogli  il  padre,  Giudice  della  Sacra  Ruota, 
si  diede  all'arte  drammatica,  facendosi  di  punto  in  bianco  con- 
duttore di  una  compagnia  d' infimo  ordine.  Comincian  notizie 
precise  di  lui  dal  1 8 1 7 ,  in  cui  Io  vediamo  secondo  caratterista 
applaudito  della  Compagnia  Rafstopulo,  nella  quale  egli  stette 
quattr'anni,  e  della  quale  era  primo  Francesco  Pieri,  ch'egli 
imitava  nel  gesto  e  nella  voce.  Passò  'A^ 21-^ 22^ primo  assoluto, 
in  quella  di  Tommaso  Zocchi  a  Firenze,  e  vi  piacque  moltis- 
simo, specialmente  in  Contraddizione  e  puntiglio.  Il  Barbiere  di 
Gheldria,  Don  Marzio,  Il  Burbero  benefico,  Rosella,  ecc.  Morì 
verso  il  1 840. 

Ruggeri  Ruggero.  Nacque  a  Fano  il  14  novembre  1871 
dall'avv.  prof.  Augusto  Ruggeri,  insegnante  letteratura  ita- 
liana nei  Licei  e  nelle  Scuole  Normali  del  Regno,  e  da  Corinna 
Casazza.  L'  '86  gli  morì  il  padre,  ed  egli,  interrotti  dell'  '88  gli 
studi  liceali  dopo  il  secondo  corso,  entrò  in  arte  come  prim.o 
attore  giovine  della  Compagnia  Benincasa,  poi,  nello  stesso  anno, 
di  quella  delle  sorelle  Marchetti.  Fu  amoroso  1'  '89  con  Fante- 
chi,  poi  di  nuovo  primo  attor  giovine  il  '90  con  Tessero-Giozza» 


RUGGERI 


al  fianco  di  Luigi  Monti  ed  Enrico  Belli-Blanes.  Entrò  il 'gì 
collo  stesso  ruolo  in  Compagnia  Novelli-Leigheb,  poi  Novelli 
solo,  con  cui  stette  sino  a  tutto  il  '97,  sostituendo  nell'ultimo 
triennio  il  Cohnnello  per  le  parti  di  primo  attore.  Fu  il  '98  primo 


attore  con  Brignone-Montrezza,  e  il  '99  con  la  Iggius.  Il  '900, 
finalmente,  prese  posto  qual  primo  attore  assoluto  in  Compa- 
gnia Talli-Gramatica-Calabresi,  nella  quale  è  tuttavia  {1903), 
riconfermatovi  pel  venturo  triennio. 

Fino  al  momento  dell'ultima  scrittura,  non  aveva  mostrato 
a  qual  grado  sarebbe  salito.  Oggi  egli  è  uno  de' più  forti  arti- 
sti giovani,  mercè  una  grande  volontà  e  una  grande  perseve- 
ranza negli  studi,  accoppiate  all'intelligenza  svegliata.  Di  que- 


44»  RUGGERI-RUTA 


Sta  e  di  quelli  egli  va  dando  non  dubbie  prove,  specie  con  la 
interpretazione  del  Parini  e  la  recitazione  della  Canzone  di  Ga- 
ribaldi e  ^^VCOde  a  Verdi  di  Gabriele  D'Annunzio.  Aitante 
della  persona,  piacente  del  volto,  elettissimo  de'  modi,  egli  po- 
trà salir  ancora  molto  alto,  quando  abbia  saputo  misurar  più 
la  dizione,  talvolta  confusa,  e  meglio  usar  della  voce  talvolta 
velata. 

Al  pari  del  suo  collega  Ciro  Galvani,  benché  in  altro  modo, 
egli  unisce  a  questa  del  comico  V  arte  del  disegnatore.  Il  ge- 
nere suo  preferito  è  la  caricatura,  e  in  moltissime,  specialmente 
del  Novelli,  egli  ha  mostrato  tutta  la  pieghevolezza  del  suo 
ingegno. 

Rtlino  Francesco.  Ercole  di  Ferrara,  rispondendo  con  let- 
tera del  5  febbrajo  1496  al  Marchese  di  Mantova  Francesco 
Gonzaga,  che  gli  aveva  domandato  le  commedie  volgari  già 
rappresentate  a  quella  Corte,  dice  che  non  può  favorirlo,  per 
essersi  fatte  soltanto  le  parti  de*  singoli  attori,  le  quali,  reci- 
tate le  commedie,  non  furono  serbate  né  messe  insieme,  e  per 
essere  alcuni  degli  attori  in  Francia,  a  Napoli,  a  Modena,  a 
Reggio.  E  dove  dice  (nella  lettera  autografa,  che  è  nel  ducale 
Archivio  di  Modena)  in  Francia,  a  Napoli,  è  scritto  in  margine  : 
Francesco  Ruino,  Pignatta. 

In  Francia  dunque  era  allora,  molto  probabilmente,  il 
Ruino  (V.  Gir.  Tiraboschi,  Storia  della  leti.  itaL,  Roma,  1784, 
T.VI,  P.  II,  215,  N.). 

Rusca  Margherita  (V.  Visentini ). 

Ruta  Cesarina.  Nacque  a  Milano  il  26  settembre  del  1854 
da  Filippo  Scalzi,  impiegato  di  Prefettura,  e  Luisa  Watter. 
Traslocato  il  padre  a  Genova,  ella  entrò  nella  Filodrammatica 
del  Falcone,  e  a  soli  quindici  anni  si  scritturò  con  una  piccola 
compagnia,  diventando  in  breve  mxC  amorosa  egregia.  Sposò 
il  '79  Pasquale  Ruta,  attore  brillante,  e  fu  con  lui  in  Compa- 


gnia  di  Ernesto  Rossi,  prima  attrice  giovine,  peregrinando  per 
le  varie  città  d'Europa,  ammiratissima.  Salì  nell'  '82  al  g^ado 
di  prima  attrice  assoluta  in  Compagnia  Morelli,  in  cui  la  rap- 
presentazione dì  Maria  di  Mandala  di  Pietro  Calvi  fu  il  suo 
maggior  trionfo,  dovuto  all'arte  sua  e  alla  sua  bellezza,  ch'era 


meravigliosa.  Andò  r'83  con  Emanuel,  poi  formò  Compagnia 
con  Ettore  Mozzanti  per  un  solo  anno,  dopo  il  quale  si  scrit- 
turò con  Carlo  Lollio,  poi  con  Amato  Lazzerì.  Fu  1'  '89  al  Teatro 
Rossini  di  Napoli,  poi,  ammalatasi  la  Duse,  fu  la  prima  donna 
de' suoi  comici,  coi  quali  fece  il  giro  della  Sicilia.  Passò  quindi, 
sotto  la  direzione  del  Morelli,  in  Compagnia  Marazzì-Dilìgenti 
e  in  quella  di  Lorenzo  Calamai,  finché,  ammalatasi  d'influenza, 
che  si  mutò  in  polmonite,  si  spense  in  Asti  il  1 5  gennajo  del  '92, 
lasciando  il  povero  marito  e  due  figliuoHni  nella  desolazione. 

17.  —  /  Comià  ilaliami.  VoL  li. 


4JO  RUTA  -  RUZANTE 

Cesarina  Ruta  fu,  coni' ho  detto,  di  bellezza  raaravigliosa,  che 
accrebbe  in  lei  i  pregi  artistici.  Rappresentò  la  prima  al  Valle 
di  Roma  e  al  Manzoni  di  Milano  la  Fedora.  e  n'ebbe  assai  lodi 
dai  critici  maggiori  quali  D'Arcais  e  Ferrigni  {Yorick). 

Rutti  Cecilia  (V.  Diana). 

Ruzante  (V.  Beolco  Angelo  nell'Opera,  e  nel  Supple- 
mento). 


I    COMICI    ITALIANI 


Sacchi  Felice.  Lo  chiamarono  comunemente  Felicino  Sac- 
chefto  per  distinguerlo  da  Antonio  Sacchi,  il  celebre  Truffaldino, 
da  cui  derivò  atteggiamenti  e  arguzie  e  prontezza  nella  ma- 
schera A^^ arlecchino,  che  sostenne  con  buon  successo  e  per 
molti  anni  in  Compagnia  Medebach  a  fianco  del  brighella  Giu- 
seppe Marliani  (V.),  che  gli  fu  largo  di  utili  ammaestramenti. 
Si  recò  del  1717  a  Parigi  a  sostituir  di  quando  in  quando 
nella  Commedia  italiana  Ìl  vecchio  Bertinazzì,  ed  esordì  col  Ca- 
merani  1*8  di  maggio  nel  Maitre  suppose,  nuova  comedia  ita- 
liana, che  non  piacque.  Sacchetti,  così  è  citato  nel  D'Origny, 
non  parlò  francese,  con  assai  poco  diletto  degli  spettatori  ;  ma 
egli  volle,  fermamente  volle,  dopo  soli  quattro  giorni,  unifor- 
marsi al  gusto  del  Paese,  e  vi  riuscì.  E  a  chi  gli  domandava, 
meravigliato,  quanto  gli  fosser  costati  progressi  così  rapidi,- A? 
molto  pianto,  -  rispondeva  con  una  soavità  commovente  e  una 
modestia  degna  d'incoraggiamento. 


454  SACCHI 


Ritornò  la  quaresima  in  Italia,  e  fu  per  un  anno  in  Com- 
pagnia Rossi,  passando  poi  nella  sua  prima  del  Medebach.  Ma, 
cagionevole  di  salute,  morì  la  primavera  del  1771  a  Milano,  a 
soli  trentasei  anni,  lasciando  all'arte  alcuni  scenarj,  tra' quali 
Fr.  Bartoli  cita  II  Mago  dalla  barba  verde  ed  //  turbante  di 
Asmodeo. 

Sacchi  Brigida^  moglie  del  precedente,  e  figlia  di  Antonio 
e  Lucrezia  Marchesini,  fu  buona  innamorata  nella  Compagnia 
Medebach  al  fianco  di  suo  marito.  Recatosi  questi  a  Parigi 
del  1767,  ella  si  fermò  per  alcun  tempo  a  Bologna  col  propo- 
sito di  andarlo  presto  a  raggiungere.  Ma  stabilito  il  di  lui  ri- 
torno, e  passata  di  Bologna  la  Compagnia  di  Pietro  Rossi,  ella 
vi  si  scritturò  per  l'autunno  e  carnovale,  recandosi  a  recitare 
a  Livorno. 

Tornato  il  marito,  e  scritturatosi  anch' egli  col  Rossi,  ella 
ebbe  occasione  di  assumere  il  grado  di  prima  donna^  che  so- 
stenne con  molto  buon  successo,  meritandosi  la  primavera  a 
Piacenza  il  seguente  sonetto  che  il  padre  Francesco  Ringhieri 
pubblicò  nella  seconda  edizione  della  sua  tragedia  Ortoguna, 
di  cui  la  Sacchi  fu  prima  e  fortunata  interprete. 

Tiappresentando  il  personaggio  di  Ortoguna  la  prima  volta  in  Piacenza  con 
applauso  universale  e  singoiar  maestria  la  signora  frigida  Sacchi. 

Mano  air  opra,  o  pittor.  Quest'è  Ortoguna, 
che  Arabia  ornò,  ch'orna  T Ausonie  Arene; 
pingi  virtù,  pingi  arte,  e  quanto  aduna 
Melpomene  di  grande  in  auree  Scene. 

Spiri  odio,  e  amor,  ma  senza  macchia  alcuna, 
senza  alcun  neo  mostri  furori  e  pene; 
e  quando  è  vinta  dalla  rea  fortuna, 
vinca  il  maschio  valor  d'Argo,  e  d'Atene. 

Con  ciglia  immote  il  Grande  e  il  Vii  l'ammiri, 
e  rapito  dall'arte  pellegrina, 
frema  a'  suoi  sdegni,  e  a'  suoi  sospir  sospiri. 


SACCHI  -  SACCO  455 


Giaccia  invidia  sul  suol;  l'alta  Eroina 
fama  preceda,  e  scritto  al  pie  si  miri: 
degli  Eroi  coturnati  io  son  regina. 

Entrò  di  nuovo  il  '69  col  marito  nella  Compagnia  Mede- 
bach,  e  vi  stette  sino  alla  morte  di  lui.  Vedova  con  due  figli, 
passò  a  seconde  nozze  fuor  del  teatro,  ma  non  potè  godersi  a 
lungo  la  quiete  del  suo  nuovo  stato,  che,  obbligata  non  poco 
tempo  al  letto  da  una  cronica  malattia  d' utero,  lasciò  la  vita 
il  1775  col  compianto  de' buoni,  e  fu  sepolta  nella  chiesa  di 
San  Gio.  Crisostomo  a  Venezia. 

Sacchi  Giovanni.  Figlio  dei  precedenti,  fu  come  il  padre 
un  egregio  arlecchino,  e  come  lui  conosciuto  col  nome  di  Sac- 
chetto. Ma  venuti  in  decadenza  V  uso  delle  maschere  e  la  com- 
media air  improvviso,  si  diede  a  recitar  le  cose  scritte,  riuscendo 
attore  stimato.  Condusse  alcuni  anni  ai  primi  del  xix  secolo 
una  Compagnia  secondaria,  della  quale  egli  era  applaudito  ca- 
ratterista, e  con  la  quale  s'ebbe  la  più  varia  fortuna.  Morì  a 
soli  quarantasette  anni  in  Casal  Maggiore  verso  il  181 2. 

Sacco  Gennaro  e  Maddalena.  Gennaro  Sacco,  napole- 
tano, fu  attore  reputatissimo  nel  personaggio  ridicolo  di  Coviello, 
eh'  ei  sosteneva  nel  dialetto  del  suo  paese.  Passato  in  vario  pe- 
riodo di  tempo  in  Lombardia,  nel  Veneto,  a  Genova,  vi  ebbe 
onori  grandissimi,  e  fu  al  servizio  del  Principe  Alessandro  Far- 
nese di  Parma,  del  Duca  di  Modena  e  del  Duca  di  Brunswick 
a  Varsavia.  L'Archivio  di  Stato  di  Modena  conserva  alcune  let- 
tere di  Coviello,  il  quale,  per  non  essere  da  meno  dei  suoi  com- 
pagni, batte  cassa  con  supplicazioni  di  ogni  specie;  ora  (Bre- 
scia, 4  agosto  1 690)  allegando  in  ragione  che  il  suo  esercito  è  in 
rovina  per  non  aver  potuto  fare  in  diciassette  giorni  che  sei 
comedie,  che  fruttarono  di  parte  lire  dieci  e  soldi  otto;  ora 
(Reggio,  20  novembre  1690)  che  li  Massari  del  ghetto  vogliono 
semignare  t  elettione,  per  la  carica  dei  letti  nel  Cestello,  e  sospira 
una  grafia  che  può  liberarlo  dalle  mani  del  Ebraismo. 


456  SACCO 

Deir'89  si  recò  dal  Finale  a  Sassuolo  a  recitarvi  durante 
la  permanenza  del  Duca,  e  avea  seco  la  moglie  Maddalena,  che 
sosteneva  le  parti  di  serva  col  nome  di  Armellina.  E  da  allora 
pare  eh'  egli  entrasse  in  compagnia  e  nelle  grazie  del  Duca, 
poiché  in  un  documento  sincrono  dell'Archivio  di  Stato  di  Mo- 
dena abbiamo  T  elenco  della  Compagnia,  in  cui  non  figurano 
i  nomi  dei  coniugi  Sacco,  bensì  quelli  di  Gaetano  Caccia,  Lean- 
dro (V.  Suppl.)  e  Galeazzo  Savorini,  Dottore  (V.),  con  questa 
annotazione  in  calce: 

S.  A.  S.  ha  ordinato  che  invece  di  Gaetano  Caccia  cioè  Leandro,  e  di  Galeazzo 
Savorìni  Dottore  si  paghino  le  lire  45  il  mese  a  Gennaro  Sacco  detto  Coviello,  et  alla 
Maddalena  Sacco  detta  Armellina. 

Per  r  elenco  della  Compagnia  V.  Torri  Antonia. 

Richiesto  dal  Ser.™"*  di  Celi,  pare,  secondo  lettera  da  Han- 
nover del  5  gennajo  1693,  che  il  Sacco  si  togliesse  dal  servizio 
del  Duca  di  Modena  senza  dargliene  alcun  avviso  ;  per  la  qual 
cosa  e'  s' ebbe  dal  Marchese  Decio  Fontanelli  sequestrate  tutte 
le  robbe.  Ma  egli  si  giustificò,  dicendo  a  Celi  e  scrivendo  al 
signor  Franchi  segretario  di  Celi  : 

D'haveme  più  volte  parlato  al  sig.  Co.  Decio  Fontanella,  al  quale  l'haveva 

rimesso  il  Comando  del  Ser.mo  facendoli  dire  che  non  teneva  servitori  per  forza,  e  che 
s'intendesse  col  S.i*  Marchese  sodetto:  non  havendone  speditione,  di  nnovo  ricorse  al  Ser.>"o 
e  da  nuovo  il  Ser.  n>o  lo  rimise  al  S.i*  M.se  Decio,  il  quale  lungamente  lo  fece  languire, 
e  li  disse  più  volte  che  non  sapea  cosa  dirli,  alfine  che  li  darebbe  una  lettera  per  Bolo- 
gna, e  che  gli  augurava  buon  viaggio,  che  non  si  potè  mai  ha  ver  la  lettera,  e  che  parti 
doppo  aver  di  ciò  parlato  in  Modena,  e  sino  à  Cavalieri,  c'erano  nell'anticamera  di  S.  A. 
Ser.mft  dolendosi  della  poca  fortuna  e'  haveva  havuta  col  detto  S.'  Marchese. 

E  pare  che  il  Marchese  Decio  fosse  lo  spauracchio  de*  Co- 
mici, se  dobbiam  credere  a  una  nuova  raccomandazione  in 
nome  del  serenissimo  senza  nome  del  raccomandato  né  dello 
scrivente,  ma  che  concerne  certo  la  faccenda  Sacco,  al  Conte 
Francesco  Dragoni  Govemator  di  Bersello  à  Modena,  intestata 
A  Lei  Sola,  e  che  comincia  :  Ella  havrà  riguardo  a  non  lasciar 
cculer  il  negotio,  né  la  confidenza  sul  Sig/  Co.  Fontanella  sospetto 
per  esser  f  arbitro  del  Theatro,  e  poco  favorevole  al  Comico. 


SACCO  457 

Al  qual  Dragoni,  anche  quindici  giorni  dopo,  il  Mauro, 
pur  da  Hannover,  scrive  in  nome  del  Ser.™°  di  Celi  per  ottenere 
dal  Ser.*"*"  di  Modena  il  rilascio  delle  robbe  sequestrate  al  Co- 
viello,  e  conoscere  le  sue  intentioni,  poiché  se  occorressero  alSer!^^ 
non  solo  Cornelio,  ma  altri  de  suoi  Comici  ancora,  ne  sarebbe  il 
SerJ^^  di  Modena  padrone^ 

Altra  viva  raccomandazione  vi  è  del  5  marzo  1 69 1  al  si- 
gnor Quaranta  Caprara,  perchè  fosse  di  ajuto  al  Sacco  nella 
riscossione  di  certo  suo  credito. 

<  Finì  di  vivere  -  secondo  Fr.  Bartoli  -  intorno  al  171 5, 
lasciando  di  sé  pei  meriti  suoi,  una  rinomanza  la  più  ricorde- 
vole ed  onorata,  >  I  quali  meriti  suoi  non  si  limitarono  a  quei 
dell'attore,  ma  altresì  dello  scrittore,  che  molte  opere  in  verso 
e  in  prosa  egli  pubblicò  non  senza  alcun  pregio  scenico  e  let- 
terario di  cui  ecco  l' elenco  : 

Il  Trionfo  del  merito.  Poema.  Venezia,  1686. 

Sempre  vince  la  Ragione.  Opera  eroitragisatiricomica.  Ge- 
nova, per  Antonio  Casamara,  1686,  in- 1 2**. 

La  luna  ecclissata  dalla  fede  trionfante  di  Duba,  regina 
dell'  Ungheria.  Opera  anagrammaticomica.  Verona,  per 
Domenico  Rossi,  i68y,  in- 12°. 

La  Commedia  smascherata,  ovvero  I  Comici  esaminati.  Co- 
media  dedicata  alla  Maestà  di  Augusto  secondo.  In  Var- 
savia, alla  Stampa  del  Collegio  delle  Scuole  Pie,  i6gg,  in-4°. 

Questa  commedia,  eh'  egli  pubblicò  mentre  era  da  nove 
anni  comico  del  Ser.""®  di  Celi,  <  eh'  è  un  Principe  così  grande 
-  dice  il  Sacco  nella  prefazione  -  così  giusto,  e  così  pio,  e  ci 
grazia  non  solo  dell'  alta  sua  protettone,  ma  ci  comparte  una 
mercede  così  copiosa,  che  può  far  la  fortuna,  anche  a  chi  pre- 
tende distintione  assai  superiore  a  quella  di  Comico  >,  è  forse 
la  più  importante  opera  del  Sacco,  sì  per  la  varietà  imaginosa 
delle  scene,  sì  per  la  comicità  ond'  è  piena,  e  anche  per  lo  stile 
men  reboante  del  solito.  Il  soggetto  è  la  solita  difesa  delle  Co- 
sa. —  /  Comici  italiani.  Voi.  II. 


458  SACCO 

medie  e  dei  Comici  contro  le  accuse  di  immoralità,  di  disone- 
stà, di  perdizione:  una  specie  di  Supplica  del  Beltrame  in  azione. 
Il  Sacco,  ossia  Gennaro,  detto  il  Capitan  Coviello,  vi  era  terzo 
innamorato.  Recitava  come  sempre  nel  dialetto  napoletano,  e 
alla  scena  XVI  del  primo  atto,  in  cui  tutti  i  Comici  fanno  <un 
paragone  della  Comedia  ad  altra  cosa  >  egli,  dopo  il  discorso 
del  primo  innamorato  Ottavio,  e  del  Pantalone  Girolamo,  dice  : 

Platone  nel  settimo  della  sua  Repubblica,  obliga  i  Capitani  d'eserciti  ad  essere 
buoni  aritmetici,  però  io  che  rappresento  la  parte  del  Capitano,  sosterrò  che  la  Comedia 
costa  di  questa  scienza  matematica,  e  che  sia  il  nero  :  l' aritmetica  si  diuide  in  prattica,  e 
specutatiua;  la  Comedia  e  composta  di  numero  semplice  non  douendo  uscire  da  i  termini 
assegnati  da  Aristotile,  di  ventiquattr'  hore  ;  e  di  numero  diuerso,  partito  in  tre  parti  che 
sono  gl'Atti,  ne  quali  si  racchiude.  Nella  Comedia  è  necessaria  la  proportione  del  luogo, 
e  la  proportionalità  del  Caso  ;  la  egualità  delle  persone,  maggiore,  o  minore  ;  e  l' inegna- 
liti  delle  cose;  ella  è  formata  di  regole,  di  quella  del  tré  nel  Comico  che  deue  hauere, 
bella  presenza,  Toce  soaue,  e  buona  memoria.  Di  quella  del  Cinque  nel  prologo,  nell'epi- 
sodio, nel  esito,  nel  Corico,  e  nel  Como  ;  di  quella  del  sette  nelle  sue  varie  specie,  espresse 
dal  Donato,  cioè:  Palliata,  Togata,  Atellana,  Tabematia,  Mimo,  Rhintonica,  e  Planipedìa. 
Ha  la  positione  semplice,  ne  i  personaggi  sciocchi  ;  la  positione  doppia  ne  i  semi  astuti  ; 
con  la  prattica  d'algebra,  e  di  almucabatà,  si  espongono  i  moltinomij  de  soggetti;  Con 
l' aritmetica  attiua  poi  numera  il  tempo,  somma  gì'  accidenti,  sottrae  l' improprio,  e  mol- 
tiplica gì'  abbellimenti  ;  vsa  le  prone  per  riuscire,  tiene  libro  semplice  per  le  rappresenta- 
tioni,  e  doppio  per  il  guadagno;  in  fine  se  Pittagora  sostiene  che  la  natura  de  numeri, 
trascorre  per  tutte  le  cose,  anche  la  Comedia  di  tutte  le  cose  è  specchio  ;  però  moltipli- 
cando il  suo  merito  per  ogni  regola,  trono  che  innumerabili,  come  innumerabili  sono  le 
diuisioni  aritmetiche,  sono  ancora  le  sue  glorie. 

Coviello  appartiene  alla  categoria  dei  capitani.  Seguendo 
il  Callot,  Maurizio  Sand  ci  ha  rappresentato  il  tipo  in  atteggia- 
mento di  danzatore  e  suonatore  di  mandolino  ;  ma  a  me  pare 
non  si  debba  con  troppa  sicurezza  attenersi  pel  costume  a  co- 
teste  incomparabili  figurine,  nelle  quali,  a  osservar  bene,  domi- 
nan  solamente  due  tipi:  del  Capitano  e  dello  Zanni;  e  talvolta 
l'uno  invade  il  campo  dell'altro,  come,  a  esempio,  il  Fracassa 
che  ha  V  abito  zannesco  di  Pulcinella,  o  di  Scapino,  o  di  Frit- 
tellino  (V.  Andreini  Francesco,  pag.  75).  II  Coviello,  tranne 
alcuna  eccezione,  è  uno  stupido  che  fa  il  bravaccio,  come  il 
Capitano;  e  di  Capitano  ha  il  costume  con  grandi  piume  al  cap- 
pello, grandi  stivali,  e  grande  spada.  Il  Valentini  ce  lo  dà  in 
abito  spagnuolo,  e  tale  a  un  dipresso  lo  vediamo  in  una  delle 


SACCO  459 

sue  apparizioni  nella  illustrazione  della  Cameriera  brillanie  di 
Goldoni  (Ediz.  Zatta),  in  cui  Traccagnino  vien  travestito  nella 
scena  V  dell'atto  III  da  Capitan  Coviello,  e  parla  napolitano. 

Sacco  Gaetano.  Fratello  del  precedente.  Secondo  che 
scrive  il  Piazza  nel  Teatro,  egli  era  ancora  quarant'anni  dopo 
la  sua  morte  nella  memoria  de'  comici,  come  valentissimo  ar- 
lecchino, sotto  il  nome  di  Truffaldino,  e  autore  di  scenaij,  pei 
quali  esso  Piazza  lo  qualifica  autore  di  commediacce.  Nella  fede 
di  nascita  del  figliuolo  non  abbiamo  le  notizie  personali  del  pa- 
dre, e  però  non  sappiamo  né  dove,  né  quando  sia  nato:  sappiam 
soltanto  ch'egli  era  a  Vienna  comico  al  servizio  di  quella  Corte, 
quando  nacque  il  celebre  figlio  Antonio  (i  708),  e  che  «  fu  -  dice 
Fr.  Bartoli  -  in  Moscovia  al  servizio  della  gran  Zara,  ove  pose 
fine  a' suoi  giorni  nel  i735.> 

Sacco  Adriana.  Figlia  del  precedente  e  di  Libera  Sacco, 
fu  sempre  nella  compagnia  del  padre.  Recitò  da  giovine  le 
parti  di  donna  seria  sotto  il  nome  di  Beatrice.  Fr.  Bartoli  ac- 
cenna a  un  errore  in  cui  ella  incorse,  ritenendo  opera  di  Giro- 
lamo Barufifaldi  la  tragedia  Diosebe,  ch'ella  recitò  ancor  nubile 
in  Pavia  il  1727,  e  dedicò  alle  dame  di  quella  città.  Passò  da 
quello  di  donna  seria  al  carattere  della  serva  sotto  il  nome  di 
Smeraldina,  nel  quale  successe  alla  Passalacqua,  e  riuscì  at- 
trice pregiatissima  per  l'acutezza  dello  spirito,  la  grazia  del 
gesto  e  la  vivezza  dei  lazzi. 

Il  Goldoni,  a  proposito  dell'  arte  sua,  dice  che  eccettuata 
fucUche  caricatura  sosteneva  benissimo  l' impiego  di  Cameriera  ; 
ma,  avverte  saviamente  il  Lfthner,  egli  la  <  giudica  un  po'  se- 
veramente, forse  perché  era  cresciuta  nelle  tradizioni  un  poco 
sgangherate  delle  farse  "  à  Canevas"  d'allora. > 

Sposò  il  9  gennajo  1739  in  prime  nozze  il  bravo  dottore 
Rodrigo  Lombardi  (V.),  dal  quale  s'ebbe  più  figli,  tra  cui  Be- 
nedetto e  Rosa,  di  cui  é  parola  al  nome  di  Lombardi  ;  e  dieci 
anni  dopo  Atanasio  Zanoni,  celebratissimo  brighella,  da  cui  si 


46o  SACCO 

ebbe  due  figli,  Teresa  e  Idelfonso  (V.).  Recitò  ancor  vecchia, 
e  mirabilmente  ;  finché,  afflitta  da  malattia  cronica,  obbligata 
non  poco  tempo  al  letto,  cessò  di  vivere  a  Venezia  il  i°  feb- 
brajo  del  1776  a  oltre  settant'anni. 

Sacco  Giovanni  Antonio.  Altro  figlio  del  precedente, 
nacque  a  Vienna  il  3  di  luglio  del  1 708.  Testimoniaron  V  atto 
di  nascita  Giovanni  e  Margherita  Bononcini  (V.),  Barbara  Za- 
nardi  (V.),  ed  Eva  Maria  Solbachin,  levatrice.  Cominciò  contes- 
sere ballerino  esperto,  e  Fr.  Bartoli  ci  dà  così  le  prime  notizie 
artistiche  di  lui  : 

Danzando  in  Firenze  sotto  la  maschera  di  secondo  Zanni  nel  Teatro  della  Pergola, 
fa  veduto  dal  Gran  Duca  Gio.  Gastone,  che  chiamandolo  alla  sua  presenza,  e  ravrisatolo 
di  pronto  spirito,  volle  obbligarlo  a  recitare  la  sera  appresso  in  quel  ridicolo  Personaggio 
nell'altro  Teatro  del  Cocomero,  in  cai  vi  travagliava  Graetano  suo  padre.  Esegui  il  comando 
di  quel  Sovrano,  mostrossi  dispostissimo  a  tale  esercizio,  e  veramente  trasportato  poi  dal 
genio  alla  Comica  professione,  pose  la  maschera  del  Truffaldino  con  sicurezza,  e  di  grado 
in  grado  collo  studio  s*  andò  perfezionando,  divenendo  finalmente  un  inimitabile,  e  famoso 
Comediante.  Insieme  con  Gaetano  Casali  servi  il  Teatro  S.  Samuele  de'  nobili  Patrizj  Grì- 
mani;  e  poi  passò  nell'altro  degli  stessi  Padroni  detto  di  S.  Gio.  Grisostomo,  e  ne  tolse 
la  direzione  egli  solo.  In  tutti  due  questi  Teatri  fece  valere  Antonio  Sacco  la  di  lui  abi- 
lità, mostrandosi  un  comico  fondatissimo  nelle  cose  dell'  arte,  e  comparendo  grazioso,  ar- 
guto, e  nelle  facezie  e  nei  sali  spiritoso  e  bizzarro. 

Il  Sacco  si  recò  a  Venezia  con  tutta  la  famiglia  V  autunno 
del  1738,  un  anno  dopo  la  morte  dell'ultimo  Medici;  e,  salito 
poi  in  gran  rinomanza,  partì  per  la  Russia  Testate  del  1742, 
nonostante  i  suoi  impegni  con  S.  E.  Grimani,  imperante  da  un 
anno  Elisabetta  Petrovna,  figlia  di  Pietro  il  grande  ;  seguito 
da  metà  della  Compagnia  di  S.  Samuele,  ossia  da  tutta  la  fa- 
miglia, composta  di  moglie,  suocera,  sorelle,  cognati.  Rimpa- 
triò il  1 745,  e,  perdonato  dal  Grimani,  riapparve  al  S.  Samuele 
a  Venezia,  d'onde  inviò  al  Goldoni  la  commissione  del  Servi- 
dore di  due  padroni.  Fu  molti  anni  a  Venezia  e  in  Italia,  finché, 
chiamato  alla  Corte  di  Portogallo,  non  curandosi  né  men  questa 
volta  del  contratto  ch'egli  aveva  con  S.  E.  Grimani,  piantò  im- 
provvisamente il  S.  Samuele,  e  recatosi  a  Milano  la  primavera 
del  1753,  poi  a  Genova  per  alcune  recite  in  attesa  dell'imbarco. 


SACCO  461 

fé'  vela  con  la  miglior  parte  della  Compagnia  per  Lisbona,  ove 
giunse  al  cadere  di  quell'anno,  e  ove  s'ebbe  la  più  festosa  delle 
accoglienze.  Sappiamo  da  Fr.  Bartoli  che 

non  contento  il  Sacco  di  produrre  il  suo  proprio  divertimento,  altro  cerconne  per  mag- 
giormente rendere  gradita  la  di  lui  servitù.  £  ciò  esegui  col  fare  apprendere  a'  piccoli  fan- 
ciulli figliuoli  de'  Comici  suoi  alcune  Commedie  del  Goldoni,  le  quali  erano  da  essi,  benché 
di  tenera  età,  meravigliosamente  eseguite.  L' attenzione  del  Sacco  fu  in  buon  grado  accolta, 
e  generosamente  premiata  da  Sua  Maestà.  Passavano  intanto  i  Comici  tranquillamente  i 
suoi  giorni  in  Lisbona,  accumulando  ricchezze,  e  facendo  una  vita  comoda  e  doviziosa. 

Ma,  ahimè,  il  fatalissimo  terremoto  del  1755  obbligò  il 
Sacco  a  tornarsene  in  Italia,  a  Venezia,  ove  riprese  il  S.  Sa- 
muele, e  continuò  per  alcuni  anni  a  condur  la  Compagnia  con 
buona  fortuna,  recandosi  in  vario  tempo  a  Milano,  Torino,  Ge- 
nova, Bologna. 

Quivi  fu  l'estate  del  '59,  e  fece  una  delle  solite  recite,  per- 
chè fosse  continuata  la  grande  opera  del  Portico  di  S.  Luca. 
A  lui  è  dovuta  la  costruzione  dell'arco  627,  sotto  il  quale  è 
scritto  : 

ANTONIO  SACCO  |  E  COMPAGNI  COMICI  |  CON 
LA  RECITA  FATTA  |  NEL  TEATRO  FORMA- 
LIARI  I  LI  X  LUGLIO  MDCCLIX. 

Tornato  a  Venezia,  e  sentito  come  a  divertimento  del  nuovo 
piccolo  Sovrano  Ferdinando  IV  si  dovesse  scegliere  una  Com- 
pagnia comica  Lombarda,  si  affrettò  ad  offrire  con  una  supplica 
del  20  ottobre  (V.  Croce  I.  T.  di  N.,  490-9 1)  la  sua  comica  Com- 
pagnia €  in  quel  grado  medesimo  che  ella  ebbe  l' onore  di  ser- 
vire per  più  di  due  anni  la  Maestà  Fedelis.*  del  Re  di  Porto- 
gallo e  sua  Reale  Famiglia  > ,  assicurando  €  ch'essa  compagnia 
era  molto  migliorata,  e  che  i  soggetti  comici  ridicoli  che  la 
componevano,  capaci  eran  di  divertire  qualunque  Principe  Cat- 
tolico, anche  severamente  educato.  > 

Ma  la  voce  della  Compagnia  Lombarda  a  Napoli  era  in- 
fondata, e  Sacco  rimase  a  Venezia. 

Intanto  le  opere  del  Goldoni  e  del  Chiari  andavan  acqui- 
stando sempre  maggior  grido,  e  il  pubblico  s' era  diviso  in  due 


402  SACCO 

parti,  disertando  il  teatro  del  povero  Sacco.  Fu  allora  che  il 
Conte  Carlo  Gozzi,  già  forte  estimatore  dell'ingegno  di  lui,  pensò 
di  venirgli  in  ajuto,  esordendo  come  autore  la  sera  del  25  gen- 
najo  1761  con  la  fiaba  U amore  deUe  tre  Melarance,  <  caricata 
parodia  buffonesca  sull'opere  dei  signori  Chiari  e  Goldoni,  che 
correvano  in  quel  tempo  ch'ella  comparvo  Fu  preceduta  da 
un  prologo  in  versi  <  Satiretta  contro  a'  Poeti,  che  opprimevamo 
la  Truppa  Comica  all'improvviso  del  Sacco  > ,  e  *  nella  bassezza 
de'  dialoghi  e  della  condotta  e  de'  caratteri,  palesemente  con 
artifizio  avviliti,  l'autore  pretese  porre  scherzevolmente  in  ri- 
dicolo //  Campiello,  Le  massere.  Le  baruffe  Chiozzotte,  e  molte 
plebee  e  trivialissime  opere  del  signor  Goldoni.  >  Che  Dio  l'ab- 
bia in  gloria!...  Il  successo  della  novità  fu  enorme,  e  n'ebbe 
il  Sacco  gran  vantaggio  con  danno  degli  altri  teatri,  sì  che  il 
Gozzi  continuò  nell'impresa  felicemente. 

Affaticato  il  Sacco  dal  continuo  recitare,  e  annojato  di 
sentirsi  criticare  la  compagnia  per  le  parti  serie,  pregò  l'autor 
protettore  di  scrivergli  alcun  lavoro  senza  maschere  :  per  tal 
guisa  egli  avrebbe  riposato,  e  i  detrattori  si  sarebber  ricre- 
duti. Gozzi  scrisse  infatti  le  due  trag^cocommedie  :  Il  Cavaliere 
amico  e  Doride,  recitate  la  prima  volta,  quella  a  Mantova  il 
28  aprile  del  1762,  questa,  pure  a  Mantova,  il  21  di  giugno 
dello  stesso  anno;  ma  non  v'eran  cagioni  di  rivolta,  non  vi  re- 
citava il  Sacco,  e  la  compagnia  era....  quello  che  era:  il  suc- 
cesso ne  fu  meschino.  L'autore  si  limitò  solo  a  dire:  «Un 
poeta,  che  voglia  ajutare  una  Truppa  Comica  sola,  la  quale 
sia  in  credito  per  un  genere,  e  in  discredito  per  un  altro 
nell'universale,  non  farà  certamente  grand' onore  a  sé  stesso, 
né  darà  grand' utile  alla  Truppa  soccorsa,  se  la  vorrà  occu- 
pata in  quel  genere,  di  cui  non  é  creduta  dall'universale 
capace.  > 

E  dietro  lo  smacco  dell'insuccesso,  il  Sacco  pensò  di  andar 
migliorando  la  Compagnia,  facendo  scrivere  allo  stesso  Gozzi 
nel  1772  (prefazione  alla  traduzione  del  Fajel  di  D'Arnaud  [Ve- 
nezia, Colombani]): 


464  SACCO 

Egli  tiene  la  Compagnia  esercitata  nella  Commedia  improvvisa,  e  ben  provveduta 
de'  più  atti  personaggi  a  una  tale  rappresentazione  ;  ma  ben  fornita  la  tiene  ancora  di 
abilissimi  personaggi  a  recitare  qualunque  buona  Tragedia,  Tragicommedia,  0  Comme- 
dia, composta  o  tradotta  che  gli  venisse  da  qualche  leggiadro  spirito  recata. 

Infatti  ecco  l'elenco  della  Compagnia  per  Tanno  1775  la- 
sciatoci dal  Lessing  nel  suo  Tagebuch  der  italienischen  Reise,  che 
è  nel  XVI  volume  dei  Sàmtliche  Schriften  herausgegeben  von  Karl 
Lachmann  (Leipzig,  GOschen,  1902): 


DONNE 

Teodora  Ricci 
Chiara  Simonetti 
Angiola  Sacchi 
Maddalena  Ricci 
Teresa  Zanoni 


MOROSI 

Petronio  Cenerino  (Zanerini) 
Luigi  Benedetti 
Domenico  Menghini 
Giovanni  Vitalba 
Francesco  Bartoli 


MASCHERE 

Antonio  Sacchi,  ^Arlecchino 
Atanasio  Zanoni,  brighella 
Gio.  Battista  Rotti,  Pantalone 
Agostino  Fiorilli,  Tartaglia. 

Compagnia  ritenuta  la  migliore,  e  colla  Ricci,  collo  Zane- 
rini, col  Vitalba,  colla  Sacco,  colla  Simonetti,  col  Bartoli,  atta 
davvero  a  poter  rappresentare  qualunque  opera  seria. 

Il  1762  il  Sacco  passò  al  Sant'Angelo,  e  un  anno  dopo  fu 
trattato  dal  Duca  di  Duras  per  la  Comedia  italiana  di  Parigi  ; 
ma  non  vi  si  recò  altrimenti,  forse,  a  parer  del  Goldoni,  per 
ragióne  d' interesse,  volendo  egli  essere  di  punto  in  bianco 
ricevuto  a  parte  (V.  lettera  di  Goldoni  al  Marchese  Albergati 
\n  fogli  sparsi  raccolti  dallo  Spinelli,  pag.  119).  Era  a  Milano  il 
il  carnovale  1762-63  e  l'aprile  1764.  Il  maggio  del  '65  fu  nuo- 
vamente ventilato  il  disegno  di  farlo  andare  a  Parigi  col  mezzo 
del  Goldoni,  per  incarico  dell'  intendente  primario  degli  spet- 
tacoli M.  de  la  Ferté  (V.  lettela  s.  e),  ma  egli  né  anche  'sta 
volta  vi  andò.  Andò  invece  a  Innsbruck,  chiamatovi  dalla  Corte 
Imperiale,  dove,  uscendo  dall'avere  assistito  alla  sua  rappre- 


SACCO  465 

sentazione  del  1 8  agosto,  morì  istantaneamente  V  Imperatore 
Francesco  I.  Lo  vediamo  la  primavera  del  '69  nel  Nuovo  Tea- 
tro di  Corte  di  Modena  (V.  Spinelli  -  Una  recita  di  A.  Sacco  a 
Modena  in  JLa  Promncia  di  Modena  del  3 1  ottobre  e  1°  novem- 
bre 1901),  ove  apparve  la  sera  del  30  maggio  l'Imperatore 
Giuseppe  II  proveniente  da  Firenze.  La  sera  dopo  egli  era  al 
teatro  in  Mantova  ;  e  lo  Spinelli  riferisce  questo  brano  di  let- 
tera di  Luigi  Galafassi  a  suo  padre  Consigliere  ducale  : 

L' Imperatore  disse  che  a  Modena  la  Commedia  era  ottima,  e  qaell*  arlecchino  molto 
vivace  e  bravo,  e  che  una  soa  facezia  gli  sarebbe  sempre  stata  impressa,  ma  che  non  vo- 
lena  dirla.  D  vecchio  marchese  2^etti  disse  che  la  Compagnia  Sacco  era  veramente  buona, 
che  si  era  sentita  in  Mantova,  e  che  quell'  arlecchino  era  stato  applaudito.  S.  M.  ripigliò  : 
e  Intendo,  vorrebbe  sapere  che  cosa  ha  detto,  ma....  oh!  via,  diciamolo.  Si  trattava  di 
un  ammalato,  a  cui  il  medico  aveva  ordinato  che  si  cibasse  di  cibi  leggieri.  Tutti  propo- 
nevano chi  una  cosa  chi  l' altra.  Arlecchino  disapprovava  tutto  :  se  volete  cibar  bene  il  vo- 
stro ammalato  dategli  quattro  cervelline  di  donna,  che  non  vi  è  cosa  più  leggiera  al  mondo. 
La  cosa  mi  arrivò  cosi  improvvisa  e  frizzante,  che  non  so  risovvenirmene  senza  ridere.  » 

E  trovata  la  commedia  di  Mantova  poco  buona,  S.  M.  disse  : 
<  A  Modena  la  commedia  mi  ha  assai  divertito,  e  vi  è  un  Tar- 
taglia (A.  Fiorini,  V.),  che  è  il  miglior  comico  che  io  mi  abbia 
mai  sentito.  > 

E  così,  di  trionfo  in  trionfo  andò  innanzi  il  fortunato  ca- 
pocomico artista,  ultimo  grande  avanzo  della  commedia  im- 
provvisa, fino  all'anno  1 782,  in  cui  la  Compagnia,  descritta  dal 
Gozzi  al  principio  de'  suoi  servizi,  come  quella  che  <  aveva  un 
credito  universale,  quanto  a'  costumi  famigliari,  differentissimo 
da  quello  che  in  generale  hanno  quasi  tutte  le  nostre  Comiche 
Compagpiie  >,  e  di  cui  {Mem.,  T.  II,  17) 

la  unione,  la  buona  armonia,  le  occupazioni  domestiche.  Io  studio,  la  subordinazione,  il 
vigore,  la  proibizione  alle  femmine  di  ricever  visite,  1*  abborrimento  che  queste  dimostra- 
vano di  accettar  doni  da'  seduttori,  1*  ore  regolarmente  divise  ne'  lavori  casalinghi,  nelle 
preci,  e  l' opere  di  pietà  co'  miserabili  eh'  ei  vide  nel  suo  drappelletto,  gli  piacquero, 

dopo  venticinque  anni  di  eroicomica  assistenza  dovè  sciogliersi 
per  la  vecchiaja  e  il  rimbecillimento  del  Sacco  ;  e  più  ancora 
pe' suoi  ridicoli  amori  a  oltre  óttant'anni,  pei  quali,  vedendo 
compromessa  l'eredità,  la  figlia  comica  si  ribellava  audace- 

59.  —  /  Comici  italiani.  Voi.  IL 


466  SACCO 

mente.  Alla  sua  s'unì  poi  la  ribellione  di  tutta  la  Compagnia; 
e  a  questa  le  invettive  del  Sacco,  doventato  un  demonio,  che 
eran  morsi  canini.  Si  corse  persino  alle  spade  e  ai  coltelli.  Pe- 
tronio Zanerini,  Domenico  Barsanti,  Luig^  Benedetti,  Agostino 
Fiorini  si  levaron  di  compagnia  nauseati  ;  anche  Atanasio  Za- 
noni  risolse  di  abbandonare  il  cognato;  ma  con  la  intromissione 
del  Gozzi,  rimase....  ancor  per  due  anni,  in  mezzo  alle  grida, 
ai  lamenti,  alle  ingiurie,  alle  minacele.  Si  passò  dal  S.  Salvatore 
al  Sant'Angelo  invano.  Mancavano  i  mezzi  per  allestir  degna- 
mente nuovi  lavori  ;  mancavano  i  mezzi  per  pagare  i  comici  ; 
si  andò  pe' tribunali,  si  ricorse  a' sequestri;  e  finalmente  la 
Compagnia,  <  che  per  lungo  corso  di  anni  era  stata  il  terrore 
di  tutte  le  altre  Comiche  Truppe,  e  la  delizia  de' teatri,  si  sciolse 
miseramente  > ,  e  il  vecchio  Truffaldino,  avanti  di  partire  per 
Genova,  andò  a  salutare  il  Conte  Gozzi,  e  a  chiedergli  con  un 
bacio  perdono  e  compassione. 

Sul  cadere  dell'  88  egli  morì  sopra  una  nave  nel  tragitto 
da  Genova  a  Marsiglia;  ed  ecco  come  la  Gazzetta  Urbana  Ve- 
neta del  19  novembre  1788,  n.  93  dà  l'annunzio  del  triste  caso: 

Qnest'  nomo  &mo8o  che  ammirare  si  fece  sino  a*  confini  d' Europa  :  che  fa  chia- 
mato fuori  d'Italia,  dove  non  intendesi  la  nostra  lingua:  che  volar  fece  il  suo  nome  ap- 
presso tutte  le  nazioni  dove  conoscesi  e  pregiasi  la  comic'  arte  :  che  nelle  nostre  parti  rese 
col  suo  valore  angusti  al  concorso  i  maggiori  teatri,  è  morto  indigente  nel  suo  tragitto 
da  Crenova  a  Marsiglia  e  il  suo  cadavere  soggiacque  al  comune  destino  de'  passeggieri  ma- 
rittimi, d' essere  gettato  in  mare.  Sarà  vero  che  molto  in  sua  vita  egli  abbia  guadagnato 
e  molto  speso  :  ma  è  vero  non  meno  che  l' arte  comica  in  Italia  non  arricchisce  nemmeno 
chi  l'esercita  colla  più  grande  fortuna. 

Non  mi  par  qui  il  caso  di  dover  rilevare  la  stupida  osser- 
vazione del  giornalista,  come  se  l'arte  comica  in  Italia  fosse 
responsabile  dello  sperpero  dei  danari,  degli  ori,  degli  argenti, 
e  delle  gemme,  che  un  attore,  favorito  dalla  sorte  fino  agli  ot- 
tant'anni,  fa  in  amori  senili  degni  di  ogni  dileggio.... 

Tocchiamo  più  tosto  dell'arte  sua  come  attore  e  capo- 
comico. 

Nella  Tartana  degl'  influssi  e  nelle  varie  Composizioni 
facete  satiriche  del  Conte  Gozzi  {Opere,  Firenze -Venezia,  1774, 


SACCO  467 

Colombani,  T.  Vili),  molto  si  discorre  contro  il  Goldoni  e  il 
Chiari  in  favore  di  Antonio  Sacco. 

Il  Burchielb,  profetando  il  ritorno  di  esso  da  Lisbona  per 
il  mese  di  dicembre  (carnovale  1755-56),  cantava: 

Anderan  le  formiche  a  processione, 
perocché  carnovale  era  sbandito; 
e'  dice  ancora,  tutte  le  persone 
andranno  al  Sacco,  come  ad  un  convito; 
e  rideranno,  e  dirangU:  Ghiottone; 
perchè  si  t'eri,  traditor,  fuggito? 
Questi  dottor  ci  opprimeano  i  cardiaci; 
eravam  fatti  tutti  ipocondriaci. 

Chi  poi  voglia  avere  un'  idea  de'  pregi  del  Sacco  e  della 
sua  Compagnia,  secondo  il  giudizio  di  esso  Gozzi,  non  ha  che 
a  leggere  il  secondo  volume  delle  Memorie  inutili,  e  tutto  il 
Canto  ditirambico  de' partigiani  del  Sacchi  Truffaldino  (opere  e.  s.), 
in  cui  fra  V  altro  è  detto  : 

Sacchi  innocente, 
di  nostra  mente 
consolazione, 
tato  e  mignone, 
tu  con  le  pure 
caricature, 
e  con  gl'imbrogli, 
quando  tu  il  vuogli, 
e  con  gli  amori, 
e  co'  furori, 
le  gelosie, 
le  braverie, 

senza  osceni  allettamenti, 
imposture,  adulazioni, 
vinci  tutte  le  invenzioni 
de'  Poeti  prepotenti  ; 
e  ci  sollucheri, 
e  i  cori  inzuccheri; 
a'  tuoi  detti  giriam  gli  occhi, 
tanto  il  mei  par  che  trabocchi, 


468  SACCO 

e  ci  urtiamo  e  pizzichiamo, 

ci  abbracciami  ridiam,  gridiamo: 

O  poeti  da  cucina, 

Viva  il  Sacchi,  e  Smeraldina. 

Ma  se  tutto  s'avesse  a  riferire  di  quanto  fu  pubblicato  in 
favore  del  Sacco,  occorrerebbe  un  grosso  volume.  Né  dal 
tempo  delle  ficAe  scritte,  dopo  tornato  egli  da  Lisbona,  datan 
le  offese  e  difese  dei  due  campi. 

V*ha  un  manoscritto  nella  Biblioteca  Estense  di  Modena, 
comunicatomi  dalla  cortesia  dell'amico  G.  A.  Spinelli,  intito- 
lato :  La  I  Chiareide  |  Poema  \  criHcosatiricogiocoso  \  raccolto 
da  I  Episarco  Laprisio  \  Pastor  Lapponio,  il  quale  contiene  oltre 
a  sonetti  dell' ab.  Pietro  Chiari  contro  i  Conti  Gozzi  e  l'Accade- 
mia de'  Granelleschi,  tre  sonetti  dello  stesso  Chiari  per  la  par- 
tema  della  Compagnia  Sacco,  i  quali  dieder  motivo  alla  Raccolta, 
con  le  risposte  a  ognuno,  e  de'  quali  ecco  il  primo,  come  saggio  : 

In  occasione  \  Della  partenza  da  Venezia  per  Lisbona  \  della  Com-- 
pagnia  Comica  di  |  Antonio  Sacco: 

Anime  ree.  più  nere  de  T  inchiostro, 

Amiche  a  l'Alcoran,  più  che  al  Vangelo; 
Obbrobrio,  e  disonor  del  secol  nostro, 
Pesti  de  la  Natura,  odio  del  Cielo; 

Respiri  Italia  in  voi  perdendo  un  Mostro, 

C'ha  il  fiel  negli  occhi,  e  fin  sul  core  il  pelo: 

Andate  pur,  seguite  il  destin  vostro. 

Più  a  voi  contrario,  che  le  fiamme  al  gelo. 

Le  sirti  Gaditane  e  le  procelle. 

D'avervi  ad  ingojar  speran  fra  poco. 
Alme  bestemmiatrici,  a  Dio  rubelle. 

Spera  chi  tien  fra  Lusitani  il  loco. 
Per  vendicar  le  bestemmiate  stelle, 
Se  sfuggirete  il  mar,  di  darvi  al  fuoco. 

Che  il  Sacco  fosse  attore  di  grandissimo  grido  sì  per  le 
argute  improvvisazioni,  sì  per  la  eleganza  e  rapidità  dell'azione. 


SACCO  469 

è  fuor  di  dubbio,  che  troppi  sono  i  testimonj  e  non  sospetti 
come  il  Goldoni,  che  al  Capitolo  IV,  T.  Ili,  delle  Memorie  sen- 
tenzia :  «  Il  nostro  secolo  ha  prodotto  tre  gran  comici  quasi 
nel  tempo  istesso.  Garrik  in  Inghilterra,  Preville  in  Francia, 
e  Sacchi  in  Italia  :  e  nella  Prefazione  al  Servitore  di  due  padroni. 
Scenario,  ossia  Commedia  a  Soggetto,  composta  il  1745,  mentre 
era  a  Pisa  fra  le  cure  Legali,  dice  di  lui  : 

I  sali  del  Truffaldino,  le  facezie,  le  vivezze  sono  cose  che  riescono  più  saporite, 
quando  prodotte  sono  snl  latto  dalla  prontezza  di  spirito,  dell'occasione,  del  brio.  Quel 
celebre  eccellente  comico,  noto  all'  Italia  tntta  pel  nome  appunto  di  Truffaldino,  ha  una 
prontezza  tale  di  spirito,  una  tale  abbondanza  di  sali  e  naturalezza  di  termini,  che  sor- 
prende: e  volendo  io  provvedermi  per  le  parti  buffe  de  le  mie  Commedie,  non  saprei 
meglio  farlo,  che  studiando  sopra  di  lui.  Questa  Commedia  l' ho  disegnata  espressa- 
mente per  lui,  anzi  mi  ha  egli  medesimo  l' argomento  proposto,  argomento  un  po'  dif- 
ficile in  vero,  che  ha  posto  in  cimento  tutto  il  genio  mio  per  la  Comica  artificiosa,  e 
tutto  il  talento  suo  per  l'esecuzione  (V.  anche  nelle  Memorie  il  Cap.  XLIX  del 
Tom.  I). 

Visto  poi  che  recitata  da  altri  la  Commedia  non  sortiva 
il  medesimo  successo,  s'indusse  a  scriverla  tutta,  «non  già, - 
aggiunge  con  gentile  riserbo,  -  per  obbligar  quelli  che  soster- 
ranno il  carattere  di  Truffaldino  a  dir  per  V  appunto  le  parole 
sue  quando  di  meglio  ne  sappian  dire,  ma  per  dichiarare  la 
sua  intenzione,  e  per  una  strada  assai  dritta  condurli  al  fine.  > 
E  conchiude  pregando  chi  reciterà  quella  parte,  di  volere  in 
caso  di  aggiunte  astenersi  <  dalle  parole  sconcie,  da' lazzi  spor- 
chi....» E  qui  forse  intende  di  muover  velatamente  rimprovero 
al  Sacco  stesso,  che  in  materia  di  sconcezze  su  la  scena  pare 
non  avesse  troppi  scrupoli. 

Ne  fa  fede  Pietro  Antonio  Gratarol  al  Capo  XII  della  sua 
Narrazione  apologetica,  quando  dice  : 

Non  altronde  che  a  Venezia  ti  verrebbe  &tto,  manigoldo,  di  ottenere  da  ogni  ge- 
nere di  persone  quanto  ivi  ottieni.  Li  commedianti  d' altra  nazione  sanno  anzi  rigentilire 
la  comica  professione  con  modi  li  più  costumati  e  sulle  scene  e  nelle  case;  ma  tu,  più 
ch'ogni  altro,  ben  sai  renderla  infame  con  un'intollerabile  licenza  di  continui  atteggi  e 
sali,  o  repugnanti  alla  decenza,  o  temerari  nella  censura.  Infatti  questo  idolatrato  eroe, 
non  so  se  per  superbia  di  vedersi  arricchito,  ovvero  per  timor  di  spacciare  le  sue  buffo- 
nerie senza  il  costumato  prezzo  delli  dieci  quattrini,  &  moltissimo  il  prezioso  nella  società, 
e  ne  riesce  alquanto  sciapito. 


470  SACCO 

E  al  Capo  XVIII,  parlando  della  censura  per  la  bestemmia: 

Perchè  non  si  rivedono  e  non  si  licenziano  anche  tante  scandalose  ribalderìe,  che 
impunemente  escono  tntto  giorno  dal  Truffaldino  e  da  altri? 

Ma  più  ancor  ne  fa  fede  Giuseppe  Baretti,  non  veramente 
sospetto  di  poca  sincerità  come  potrebbe  essere  creduto  il 
Gratarol  per  le  sue  relazioni  con  la  Compagnia  Sacco  e  il  Conte 
Gozzi,  in  una  sua  lettera  da  Venezia  del  14  aprile  1764  a  Don 
Francesco  Carcano,  al  quale  raccomanda  vivamente  il  Sacco 
che  doveva  recarsi  giusto  allora  a  Milano.  Egli  scrive  : 

Benché  in  teatro,  per  compiacere  il  grosso  dell'  udienza,  egli  si  lasci  scappare  qual- 
che cosetta  un  po' grassetta,  pure  nel  suo  conversare  familiare  egli  è  tale  che  le  vostre 
intemerate  Marianne  e  Carlotte  non  hanno  che  temere.. •• 

Fr.  Bartoli  che  fu  nella  sua  Compagnia  sei  anni,  senza 
buona  fortuna,  tesse  di  lui  le  più  ampie  lodi;  lo  dice  istruito, 
specialmente  intorno  alla  Storia  Universale,  direttore  egregio 
per  le  opere  serie  come  le  comiche,  gran  comico,  ritrovatore 
di  molte  scene,  di  cui  lardellava  i  vecchi  soggetti  dell'arte,  che 
ne  venivan  così  risanguati,  autore  di  scenarj,  fra  cui  del  fortu- 
natissimo Truffaldino  molinaro  innocente. 

Truffaldino  non  è  che  uno  dei  tanti  nomi  di  Arlecchino, 
senza  mutamento  né  di  abiti,  né  di  essenza.  Il  Rapparini  a 
pag.  184  del  suo  Arlichino  (Heidelberga,  Miiller,  17 18)  ce  ne 
dà  una  lista,  più  lunga  a  dir  vero  del  bisogno;  che  alcuni  ebber 
vario  il  costume,  e  varia  T  essenza  : 

Arlichino,  Trufaldino, 
Sia  Pasquino,  Tabarrino, 
tortellino,  naccherino, 
Gradellino,  Mezzettino, 

POLPETTINO,   NeSPOLINO, 

Bertolino,  Fagiuolino, 
Trappolino,  Zaccagnino, 
Trivellino,  Trac  agnino, 
Passerino,  Bagatino, 
Bagolino,  Temellino, 
Fagottino,  Pedrolino, 
Fritellino,  Tabacchino. 


SACCO  471 

E  autentico  il  ritratto  che  qui  riproduco  ?  Chi  sa  !  Appar- 
tiene  alla  splendida  raccolta  di  Hugo  Thimig,  T  eccellente  co- 
mico, direttore  del  Teatro  Imperiale  di  Vienna,  che  volle  gen- 
tilmente concederne  la  riproduzione  per  l'opera  mia.  Al  Thimig 
fu  dato  da  un  erudito  di  Dresda,  che  ci  scrisse  sotto  :  Arlequin 
bei  den  Sdcksischen  Kómedianten  im  Jahr  iy2j,  e  disse  a  voce 
a  esso  Thimig  trattarsi  assai  probabilmente  del  famoso  Sacchi. 
1723?  Dunque  del  Sacchi  a  quindici  anni?  Non  mi  pare  pos- 
sibile. L'arlecchino  di  Dresda  del  1723  non  era  Natalino  Bei- 
lotti  (V.),  uno  dei  Beniamini  della  Corte?  Potrebbe  adunque 
esser  questo  il  ritratto  suo,  giacché  quel  che  parmi  certo  si 
è  non  trattarsi  qui  di  una  semplice  imagine  della  maschera  di 
arlecchino,  ma  di  un  vero  e  proprio  ritratto. 

Quanto  al  cognome  del  nostro  artista  non  saprei  che  de- 
cisione prendere.  Sacco  egli  è  detto  nell'Arco  del  Portico  di 
S.  Luca;  e  Fr.  Bartoli  che  pur  fu  sei  anni  con  lui  lo  chiama 
Sacco;  Goldoni  Sacco  e  Sacchi,  Gratarol  Sacchi,  Sacchi  il  Gozzi 
che  fu  con  lui  venticinque  anni,  Sacchi  il  Baretti,  Shagy  il  Re- 
gistro parrocchiale  di  Santo  Stefano  di  Vienna,  e  finalmente 
Sacchi  si  firma  in  tutte  le  sue  lettere  lo  zio  Gennaro,  Ca- 
pitan Coviello.  Io  l'ho  chiamato  Sacco,  attenendomi  alla  let- 
tera che  il  Croce  riferisce,  sottoscritta  Antonio  Sacco  capo 
comico. 

Sacco  Antonia,  moglie  del  precedente,  e  figlia  di  Elisa- 
betta Franchi,  fu  assai  pregiata  artista  per  le  parti  di  donna 
seria  col  nome  di  Beatrice,  sì  nelle  commedie  a  soggetto,  sì 
nelle  scritte.  Fu  sempre  nella  Compagnia  del  marito,  e  vi- 
veva ancora  il  1782  fiior  della  scena  per  la  soverchia  età. 
Anche  di  lei  Carlo  Gozzi  fa  menzione  nel  citato  canto  diti- 
rambico : 

Sieda  ancor  la  Beatrice, 

che  de'  Sacchi  accresce  il  novero, 
perchè  il  mondo  mai  sia  povero, 
frutta  di  cotal  radice. 


472  SACCO 

Sacco  Vitalba  Angela.  Figlia  dei  precedenti  e  moglie 
di  Giovanni  Vitalba,'  fu  egregia  nelle  parti  di  prima  donna,  che 
sostenne  sempre  nella  Compagnia  di  suo  padre  che  le  fu  ottimo 
maestro.  Molte  delle  parti  nelle  Fiabe  del  Gozzi  e  nelle  sue 
Commedie  tratte  dallo  spagnuolo  furono  scritte  per  lei.  F.  Bar- 
toli  ci  fa  sapere  come  <  al  suo  valore  non  corrispondesse  an- 
cora il  di  lei  personale,  che  per  essere  basso,  e  pingue  di  so- 
verchio le  fu  di  molto  discapito  neir  arte  sua.  >  Di  ciò  fa  cenno 
anche  il  Gozzi  nel  canto  ditirambico: 

L'Angelina  il  monte  assaglia, 
ma  s'ingrassi  un  po' più  adagio. 

La  primavera  del  1766  si  trovava  a  Bologna,  e  le  fu  di- 
retto da  Ignazio  Casanova  il  seguente  sonetto,  comunicatomi 
gentilmente  da  G.  A.  Spinelli,  stampato  poi  nel  giugno  a  Mo- 
dena in  foglio  volante  dagli  eredi  B.  Soliani. 

Al  merito  della  valorosa  signora  |  Angiola  Sacco  |  Vitalba  |  prima 
donna  della  Compagnia  de'  Comici  \  al  Teatro  Formagliari  [  la 
primavera  dell'anno  1^66. 

KÀlludesi  alla  bellissima  Commedia 
** Che  anche  una  Donna  sa  custodir  un  segreto'' 

Pensieri  ingiusti  nella  mente  accoglie 
Contro  il  Sesso  gentil  il  Volgo  insano; 
Lo  crede  infido  a  custodir  l'Arcano, 
Che  facile  riceve,  e  presto  scioglie. 

Lo  dice  avvezzo  a  tramutar  le  voglie, 
Capace  di  tradir  al  par  di  Gano, 
Chi  in  lui  s' affida  il  seme  butta  invano; 
E  sol  miete  per  fin  affanni  e  doglie. 

Qui  venga  il  folle,  e  nel  sentir  la  forte 
Faconda  Donna  sostener  l'impresa 
Con  cor  virile,  e  con  maniere  accorte: 

Vedrà  la  Donna  della  Fé  custode, 
Costante  all'uopo,  e  di  valore  accesa, 
Che  il  bel  Sesso  gentil  merita  lode. 


SACCO  -  SADOWSKY  473 

Il  1782  era  ancora  col  padre  al  triste  momento  in  cui  la 
Compagnia  stava  per  isfasciarsi.  Le  scene  violente  ch'ella  ebbe 
di  continuo  con  lui  per  vedere  la  eredità  paterna  insidiata  da 
ridicoli  amori,  resero  incompatibile  la  sua  dimora  in  Compa- 
gnia, sicché,  avanzando  negli  anni,  determinò  di  togliersi  col 
marito  dalla  professione. 

Sacco  Giovanna.  Sorella  minore  della  precedente,  recitò 
sempre  nella  Compagnia  del  padre,  ammiratissima  nelle  parti 
di  amorosa  ingenua,  e  in  quella  specialmente  di  Barberina  nel- 
VAugeUin  Belverde  del  Conte  Gozzi.  Sposatasi  al  fabbricator 
di  navi,  Paris,  che  al  tempo  delle  Notizie  di  Fr.  Bartoli  (1782) 
era  primo  Ammiraglio  dell'arsenale,  si  ritirò  dall'arte,  in  cui 
prometteva  di  riuscir  valentissima. 

Sadowsky  Fanny.  Nata  a  Mantova  il  1827  da  un  Capitano 
polacco  al  servizio  dell'Austria,  fu  una  delle  maggiori  attrici 
italiane,  fiorita  dal  '45  al  '65,  entrata  in  arte  in  quella  famosa 
Compagnia  di  Gustavo  Modena,  fatta  di  elementi  giovani,  non 
viziati  da  eroi  o  eroine  della  scena.  Giuseppe  Costetti  ne  trac- 
cia il  seguente  ritratto  : 

Sedicenne  appena,  Fanny  Sadowski  avea  alta  e  flessuosa  la  persona,  dolcissima 
eppure  assai  squillante  la  voce.  Un  pò*  magrolina,  coi  capegli  fini  e  naturalmente  ricciuti, 
nerìssimi  al  pari  degli  occhi,  e  con  quella  pelle  bianca  che  è  particolare  alle  bionde,  ac- 
coglieva in  sé  i  tipi  della  bellezza  nordica  e  della  meridionale.  La  bocca  piccina  e  le  labbra 
di  quel  cinabro  che  non  si  comprerà  mai  neppure  a  Parigi,  carnose  e  mollemente  curve,  s'aprì* 
vano  appena  anche  nell'impeto  dell* esclamazione,  quasi  gelose  custodi  dello  smalto,  me- 
ravigliosamente bianco,  della  dentatura. 

Non  ho,  naturalmente,  conosciuta  giovane  la  Sadowsky; 
ma  l'ho  avuta  capocomica  del  '72  e  del  '73;  e,  sebben  trascu- 
rata negli  abbigliamenti  e  curva  della  persona,  serbava  ancor 
quasi  intatte  alcune  delle  doti  sopra  descritte. 

Esordì  a  Milano  con  la  parte  di  Micol  nel  Saul  di  Alfieri  : 
Saul  era  Modena,  David  Salvini. 

Ceduta  la  Compagnia  Modena  al  Battaglia,  ella  vi  passò 
prima  attrice,  sotto  la  direzione  di  Francesco  Augusto  Bon,  con 

W.  —  /  Comici  italiani.  Voi.  II. 


SADOWSKY 


Alamanno  Morelli  primo  attore,  e  Luigi  Bellotti-Bon  brillante. 
Dopo  un  triennio,  formò  Compagnia  col  caratterista  Astolfi, 
della  quale  eran  primo  attore  Giuseppe  Peracchi,  e  brillante 
Salvator  Rosa.  Passò  del  '51  nella  Reale  di  Napoli  ai  Fioren- 


tini, direttore  Adamo  Alberti,  attori  principali  Achille  Maje- 
roni,  Michele  Bozzo,  Luigi  Taddei,  Angelo  Vestri,  Luigi  Monti, 
Antonio  Zerri.  Col  Majeroni  e  il  Taddei  formò  poscia  una 
Compagnia,  colla  quale  girò  l' Italia,  acclamati ssi ma  sempre. 
Leone  Fortis  scrisse  per  lei  Cuore  ed  Arte,  e  ìo  stesso  l'Ho 
sentita  nell'  ultimo   tempo   della  sua  vita   artistica,   recitare 


SADOWSK V 


con  passione  fervida  la  figura  alta  e  poetica  della  Gabbriella 
dì  Teschen. 

A  proposito  del  suo  dare  intera  l'anima  viva  ed  accesa 
in  ogni  parte  dì  passione,  il  Costetti  racconta  che  avendo  ella 


baciato  veramente  Paolo  nella  famosa  scena  d'amore  della 
Francesca  di  Pellico  Sl' Fiorentini  di  Napoli,  intervenne  il  fisco, 
il  quale  inflisse  all'  artista  scandalosa  la  multa  di  dodici  ducati. 
Ora  accadde  che,  dati  da  lei  allo  stesso  punto  due  baci  la  sera 
di  poi,  un  bell'umore  dalla  platea  si  diede  a  sclamare:  <  Donna 
Fanny,  so'  ventiquattro  ducati  * ,  con  che  successo  di  risa  e  di 


476  SADOWSKY  -  SALIMBENI 

applausi  ognuno  può  immaginare.  Quando  nella  Signora  dalle 
Camelie  il  numero  de'  baci  non  potè  più  contarsi,  si  tentò  di 
proibirli  con  la  minaccia  di  proibir  la  recitazione  del  dramma; 
ma  fu  invano  :  la  Sadowsky  continuò  a  baciare,  e  il  pubblico 
ad  applaudire. 

Fermatasi  a  Napoli,  ove  ancor  vive  (1903),  e  divenuta 
sposa  del  Cav.  Santorelli,  formò  due  Compagnie,  in  una  delle 
quali,  diretta  da  Cesare  Rossi,  figura van  Ceresa,  Leigheb,  Giulio 
Rasi,  la  Campi,  la  Zerri,  la  Fumagalli;  nell'altra,  diretta  da  Luigi 
Monti,  Lollio,  Bertini,  Rodolfi,  Adelina  Marchi,  la  Boetti. 

Salimbeni  Girolamo,  di  Firenze.  Rinomatissimo  per  le 
parti  di  vecchio  fiorentino  sotto  il  nome  di  Zanobio  e  di  Piom- 
bino, appartenne  alla  famosa  Compagnia  de'  Comici  Gelosi  ci- 
tata dall'Andreini  (Rag.  XIV),  e  lo  vediamo  il  1593  a  Genova. 
(V.  Balestri),  e  il  1594  a  Firenze,  come  da  una  sua  lettera  in 
data  dell' 8  dicembre  al  cav.  Biagio  Pignatta,  pubblicata  dal 
Neri  nel  F.  d.  D.  del  4  aprile  1886,  nella  quale  discorre  di 
certa  porta  del  teatro  che  dava  sulla  strada,  e  che  non  ostante 
la  promessa  di  esso  Pignatta  di  farla  murare  per  evitar  danni 
alla  Compagnia,  gli  fu  ordinato  dal  signor  Alessandro  Barbe- 
rino di  tenerla  aperta.  Sì  dalla  istanza  del  1593,  scritta  di  pu- 
gno del  Fabbri  (V.),  ma  oltre  che  dagli  altri  sottoscritta  dal 
Salimbeni  per  sé  e  per  gli  assenti,  sì  dal  tenore  di  questa  let- 
tera dettata  a  nome  della  Compagnia,  il  Neri  ne  lo  ritiene  (e 
io  con  lui)  in  conto  di  Capo. 

Nella  supplica  del  1593  al  Senato  di  Genova  egli  si  firma 
Salimbeni  detto  piombino  :' qui,  Salimbeni  detto  piombo. 

Andreini  dice  di  lui  nel  citato  Ragionamento  :  «  Girolamo 
Salimbeni  da  Fiorenza,  che  faceva  da  vecchio  fiorentino  detto 
Zanobio,  e  da  Piombino.  >  Fr.  BartoH,  che  aveva  letto  male, 
commentò:  «  Zanobio  nativo  di  Piombino  luogo  della  Toscana.  > 
E  molti  lo  seguirono;  ma  io  credo  sia  evidente  trattarsi  del- 
l'appellativo di  un  tipo  speciale  di  vecchio  servo,  derivato  forse 
dal  modo  pesante  di  muoversi  e  discorrere,  come  il  Succiane- 


SALIMBENI  -  SALSILLI  477 

Spole  Xi^^ Innamorati  di  Goldoni,  il  Pizzuga  nella  Villana  di 
Lamporecchio  di  Del  Buono,  e  altri  moltissimi  di  simil  genere. 
Il  Salimbeni  dovè  certo  acquistarsi  buona  rinomanza  in  questa 
parte:  e  vediam  del  1608  a  Fontainebleau  il  Delfino  dar  per 
parola  d' ordine  agli  esenti  dalla  guardia  il  nome  de*  migliori 
personaggi  della  Compagnia  italiana  ;  oggi  Frittellino,  domani 
Pantalone,  posdomani  Cola,  e  tre  giorni  dopo  Piombifio,  e  dopo 
ancora  Ste/anello  (V.  Baschet,  op.  cit.). 

Salsilli-Morelli  Adelaide  (V.  Morelli  Antonio  e  Maje- 
RONi  Achille).  Dal  suo  secondo  matrimonio  con  Edoardo 
Majeroni  ebbe  un  figlio,  chiamato  anch'esso  Edoardo,  che  fu 
marito  di  Giulia  Tessero,  la  sorella  di  Adelaide,  morto  in  Au- 
stralia il  1 8g  i . 

Salsilli  Luigi.  Fratello  minore  della  precedente,  nacque 
il  1788,  e  rimasto  orfano  si  arruolò  giovinetto,  in  qualità  di 
tamburino,  nell'esercito  napoleonico.  Terminata  la  ferma  fu 
scritturato  dal  Capocomico  Goldoni,  amico  di  suo  padre.  Con- 
dusse anche  piccole  compagnie, e  morì  neli8i4.  Oltre  all'Ade- 
laide ebbe  tre  fratelli,  Francesco,  Pietro  e  Carlo,  tutti  comici. 
Sposatosi  a  Cherubina  Coppetti  senese,  divenuta  comica  an- 
ch'essa, n'ebbe  quattro  figliuoli: 

Elena  fu  moglie  dell'attore,  pure  di  Siena,  Silvio  Mozzi- 
dolfi,  e  madre  dell'attore  Napoleone  tuttora  vivente  a  Brescia, 
e  di  Teresa,  prima  moglie  di  Paolo  Giacometti. 

Adelaide,  attrice  promettentissima,  morta  a  soli  ventisei 
anni,  fu  la  prima  moglie  dell'attore  Francesco  Sterni. 

Alessandro,  buon  generico  per  molti  anni  in  ottime  com- 
pagnie, sposò  Aurora  Bettinelli  di  Asola,  e  quivi  ritiratosi  in 
vecchiaja  morì. 

Salsilli  Napoleone.  Figlio  del  precedente,  nato  il  1 808,  fu 
attore  efficace  e  intelligente  per  le  parti  di  caratterista  e  pro- 
miscuo. Recitò  ammirato,  in  gioventù,  nella  Compagnia  delle 


478  SALSILLI 


tre  famiglie  riunite  Morelli-Mozzidolfi-Salsilli,  e  fu  sempre  assai 
stimato  dal  celebre  cugino  Alamanno.  Nel  *3 1 ,  a  soli  ventisei 
anni,  fu  tra' partigiani  del  Menotti,  e  a  Correggio  fu  minacciato 
di  morte  dai  contadini  reazionarj,dopo  che  Francesco  IV  d'Este 
ebbe  consegnato  all'Austria  il  povero  Ciro  ;  ma  salvato  dagli 
amici,  egli  potè  darsi  alla  fuga.  Fu  poi  per  le  condizioni  della 
famiglia  sua,  della  quale  era  unico  sostegno,  in  compagnie  mo- 
deste, e  mprì  del  '74. 

Salsilli  Antonio.  Figlio  del  precedente  e  di  Marianna  Cor- 
dini di  Bazzano,  non  mai  comica,  nacque  V  8  di  ottobre  1 840 
a  Belgiojoso,  presso  Pavia.  Cominciò  a  recitar  giovinetto,  e 
talvolta  anche  in  parti  di  brillante,  ma  veramente  egli  salì  in 
rinomanza  come  suggeritore,  che  dovente  casualmente  a  soli 
dieci  anni,  quando,  una  sera  venuto  a  mancare  il  suggeritore 
della  Compagnia,  dovette  sostituirlo  lì  per  lì  nella  farsa  Z^ -M^/^z 
per  necessità. 

Fu,  dal  '63  a  oggi,  nelle  migliori  compagnie,  quali  :  Pieri 
Peracchi  e  A.  Salvini,  A.  Monti  e  Marini,  Majeroni  e  Sadowsky, 
Morelli,  Morelli  Marini  e  Ciotti,  Morelli  e  Tessero,  Pietriboni, 
Bellatti  e  Marini,  Marini  solo.  La  Nazionale,  Vitaliani,  Novelli. 
Fu  anche  capocomico,  e  condusse  e  diresse  la  Società  ('92-'93) 
con  Italia  Vitaliani.  Amministrò  la  Società  Ferrati-Riccardini, 
e  quella  Biagi-Iggius.  Quando  era  con  Morelli  (del  '70)  sposò 
Enrichetta  Pirocca  di  Este,  maestra  del  Collegio  ov'  era  stata 
educata,  e  appassionata  filodrammatica,  che  fu  poi  buona  ge- 
nerica e  seconda  madre.  Fra  i  tanti  miracoli  compiuti  dal  Sal- 
silli nell'arte  sua,  va  segnalato  questo:  di  aver  suggerito  deir'84 
in  Compagnia  Nazionale,  un  po'  a  memoria  e  un  po'  improv- 
visando, con  poche  parti  principali  in  mano,  il  Cuore  ed  Arte 
di  Leone  Fortis,  al  Teatro  Gerbino  di  Torino,  essendo  stato 
involato  il  manoscritto,  nuova  riduzione  dell'autore,  sul  punto 
di  alzarsi  il  sipario  ;  e  Paolo  Ferrari,  direttore  della  Compa- 
gnia, ignaro  della  cosa,  si  meravigliò,  venuto  più  tardi  in  tea- 
tro, della  esattezza  e  rapidità  di  esecuzione. 


SALSILLI  -  SALVADORI  479 

Non  dee  far  maraviglia  che  in  queste  pagine  figuri  un 
semplice  suggeritore.  Ma  io  non  saprei  immaginare  un'opera 
che  discorra  di  comici  italiani,  discompagnata  dal  nome  di  An- 
tonio Salsilli,  che  fu  sempre  e  tuttavia  si  serba  di  essi  amico 
fortissimo  e  strenuo  difensore;  che  vagheggiò  per  essi  radicali 
riforme  atte  a  levarne  alto  lo  spirito,  a  rialzarne  il  senso  morale, 
a  farne  comprendere  coi  sacri  doveri  i  non  men  sacri  diritti.  Ed 
egli  cominciò  col  pagare  di  tasca,  poiché  al  suo  nuovo  modo 
di  amministrare  e  condurre  una  Compagnia  sua,  modo,  che, 
se  da' più  fu  giudicato  una  fisima,  gli  acquistò  e  afforzò  l'amore 
delle  imprese  e  degli  scritturati,  dovette  forse  in  gran  parte 
la  sua  rovina  come  capocomico.  Né  questa  dell'  artista  umani- 
tario fu  sua  sola  dote.  Antonio  Salsilli  fu  anche  scrittore  egre- 
gio di  articoli  e  bozzetti  di  teatro,  spesso  col  pseudonimo  di 
Paron  Toni,  nella  Gazzetta  di  Napoli,  nella  Rivista  Subalpina, 
nel  Corriere  di  Roma,  nel  Carro  di  Tespi;  autore  di  commedie, 
tra  cui  accolta  con  molto  favore  quella  in  un  atto  Cicero  prò 
domo  sua,  e  di  monologhi,  tra  cui  1/  punto  interrogativo,  fatto 
celebre  dall'arte  meravigliosa  di  Claudio  Leigheb,  e  divenuto 
poi  la  delizia  di  tutti  i  dilettanti  maggiori  e  minori.  Tradusse, 
ridusse,  ammodernò  una  infinità  di  commedie  dal  francese,  dal- 
l'inglese, dallo  spagnolo,  dal  tedesco,  fra  cui  Rabagas,  Bebé, 
Le  sorprese  del  divorzio.  Fu  Toupinel,  U ostacolo.  Il  docente  a 
prova,  ecc.  Ora  egli  sta  preparando  la  Storia  del  teatro  con- 
temporaneo, di  cui  é  già  a  stampa  la  prefazione,  e  un  Libro  di 
memorie;  e  io  e  quanti  aman  l'arte  con  me  auguriamo  al- 
l'egregio uomo  di  condurre  a  fine  le  due  opere  che  saran 
certo  dei  più  preziosi  contributi  alla  storia  della  nostra  scena 
di  prosa. 

Salvadoii  Enrico,  nato  a  Pisa  il  i6  luglio  1848  da  Fran- 
cesco e  da  Enrichetta  Donati,  fu  uno  dei  più  forti  primi  attori 
giovani  del  nostro  tempo.  Messo  a  sette  anni  nell'Istituto  privato 
del  sacerdote  prof.  Bettini,  v'insegnò,  a  soli  diciassette  anni, 
italiano  e  francese.  Fece  parte  con  onore  della  nuova  Filodram- 


48o  SALVADORI 

matica  pisana,  indi  si  aggregò  nella  Compagnia  Capodaglio, 
per  un  breve  corso  di  recite  a  Mjissa-Carrara.  Andò  poi  a  so- 
stituir ramoroso  Tello  in  Compagnia  Peracchì,  esordendo  colla 
parte  di  Maurizio  n€X Adriana  Lecouvreur.  e  di  qui  ebbe  prin- 
cipio la  sua  vita  di  artista,  nella  quale  s' ebbe  comuni  gli  onori. 


e  ahimè  comune  la  sorte  ultima  con  Giovanni  Ceresa.  Il  2  gen- 
najo  del  '79  sì  manifestarono  i  primi  sintomi  del  male,  poco 
avvertiti,  che  doveva  poi  condurlo  al  sepolcro.  S'era  al  Man- 
zoni di  Milano.  Il  Reinach  lo  sostituì  nel  Fabrizio  Ag' Borghesi 
di  Pontarcy.  Il  25  la  malattia  sì  mostrò  apertamente,  e  il  7  feb- 
brajo  era  già  ritirato  dalle  scene  per  paraHsi  progressiva,  della 
quale  morì  il  4  febbrajo  1886  nel  manicomio  di  Fregionara,  e 
fii  sepolto  il  6  nel  cimitero  di  Lucca. 


SALVADORI  -  SALVINI  481 


Enrico  Salvador!  fu  amoroso  nel  vero  senso  della  parola. 
Il  periodo  migliore  della  sua  vita  artistica  è  quello,  in  cui  egli 
si  trovò  sotto  l'occhio  e  la  mente  di  Bellotti-Bon  a  fianco  di 
Adelaide  Tessero.  Egli  era  veramente  il  primo  attore  della 
Compagnia,  ma  primo  attore  che  recitava  il  Fernando  della 
Partita  a  Scacchi,  Di  aspetto  piacevolissimo,  di  persona  elegan- 
tissimo, di  voce  carezzevole,  ricco  d'intelligenza,  studioso,  era 
il  diletto  di  ogni  pubblico.  Forse  i  disordini,  forse  le  fatiche 
dovevano  spegnere  lentamente,  lentamente  queir  anima  piena 
d'ardore  e  di  passione,  distruggere  quel  cervello  sì  forte  a 
briciolo  a  briciolo  !  Salvador!  e  Ceresa.  Due  giovani  forze  pos- 
senti, le  più  possenti  forse  del  lor  tempo,  grandi  nell'inter- 
pretazione di  medesimi  tipi,  come,  a  esempio,  del  Raffaello 
di  Marenco,  del  Signor  Alfonso  di  Dumas,  e  prostrate  a  un 
tratto  nel  più  terribile  modo,  con  la  ironia  della  serbata  vita 
bestiale,  col  dono  maledetto  di  un'agonia  crescente  di  anni 
e  anni  !!!!... 

Salvestii  Giovanni^  livornese,  figlio  di  un  rinomato  no- 
tajo,  nacque  il  1847;  e,  non  ancor  compiuti  gli  studj,  si  recò 
ad  Alessandria  d'Egitto,  impiegato  in  una  buona  Casa  di  com- 
mercio. Fu  il  '66  con  Garibaldi,  poi  attore  di  qualche  pregio 
fino  al  '73,  nel  quale  anno  si  stabilì  a  Milano,  dedicandosi  allo 
scrivere  pel  teatro.  Molti  lavori  d'indole  varia  ottennero  il  fa- 
vore del  pubblico;  ma,  nato  il  Salvestri  in  Toscana,  e  ammi- 
ratore profondo  di  Gherardi  del  Testa,  dovè  trionfare  sopr'a 
tutto  nella  commedia  brillante.  Fatemi  la  corte,  commedia  in 
tre  atti,  è  quella  forse  che  gli  die'  maggior  nome,  rimasta  viva 
tuttavia  nel  repertorio  di  qualche  Compagnia.  Restituitosi  a 
Livorno  il  luglio  del  1890  per  l'aggravarsi  della  sua  ma- 
lattia di  cuore,  vi  morì  l' 1 1  di  ottobre,  compianto  da  tutta 
r  arte. 

Salvini  Giuseppe,  nato  da  onesti  parenti  a  Livorno  sul  ca- 
dere del  secolo  decimottavo,  fu  maestro  di  calligrafia  egregio. 

61.  —  /  Comici  italiani.  Voi.  II. 


482  SALVINI 


Dotato  di  prestante  figura,  di  bella  voce,  e  di  molta  attitudine 
all'arte  ch'egli  spiegò  tra' Filodrammatici,  diventò  presto  co- 
mico, e  presto  s' acquistò  buon  nome  in  ogni  genere  di  recita- 
zione, ma  più  specialmente  nella  rappresentazione  di  alcune  parti 
di  tragedia  quali  Filippo,  i  Creonti,  Virginio,  gli  Egisti  di  Alfieri. 
Non  potè  far  parte  delle  primarie  Compagnie  che  al  suo  tempo 
correvano  l'Italia,  perchè,  innamoratosi  della  giovinetta  Gu- 
glielma, figlia  del  capocomico  Tommaso  Zocchi  (V.),  fu  tratte- 
nuto ad  arte  nella  Compagnia  del  futuro  suoceto,  della  quale 
il  Salvini  era  un  de'  primi  sostegni  nel  ruolo  di  padre  nobile. 
Sposatosi  finalmente,  fece  parte  della  Società  Internari-Pala- 
dini,  e  si  recò  del  '30  a  Parigi,  lasciando  la  moglie  malata  in 
Italia  presso  la  sua  famiglia,  sostituita  per  favore  nel  suo  ca- 
rattere di  serva  dalla  moglie  del  caratterista  Taddei.  Dopo  due 
mesi  e  mezzo  di  soggiorno  a  Parigi,  ricevette  notizie  dal  suo- 
cero del  rapido  aggravarsi  della  malattia  di  lei,  e  dovè,  sciol- 
tosi amichevolmente  dai  compagni,  tornare  in  patria.  Mortagli 
poco  dopo  la  moglie  (1831),  passò  a  seconde  nozze  con  Fanny 
Donatelli,  divenuta  poi  buona  artista  di  canto,  dalla  quale  in 
breve  fu  per  infedeltà  separato.  Lasciato  il  maggior  figlio 
Alessandro  a  studiar  belle  arti  all'Accademia  di  Firenze,  si 
scritturò  nella  Compagnia  di  Bon  e  Berlafifa,  conducendo 
seco  il  figlio  minore  Tommaso;  poi,  sempre  con  lui,  in  quella 
di  Gustavo  Modena  ('43 -'44),  a  fianco  del  quale  egli  soste- 
neva Achimelech  nel  Saul,  Lusignano  nella  Zaira,  Andrea  nella 
Pamela  nubile,  ecc.,  oltre  a  tutte  le  parti  dì  primo  attore  asso- 
luto in  quelle  opere  di  varia  indole,  in  cui  Modena  non  avesse 
parte. 

Il  figlio  non  aveva  alcun  ruolo  speciale,  e  lo  stipendio  an- 
nuo era  di  lire  austriache  3000,  coi  viaggi  pagati  a  entrambi, 
e  400  lire  in  più  all'arrivo  sulla  piazza.  Il  quale  onorario,  con- 
siderati i  tempi,  fa  fede,  mi  pare,  del  gran  conto  in  che  Giuseppe 
Salvini  era  tenuto  dal  sommo  artista.  Pur  troppo,  recitando  la 
compagnia  a  Palmanova,  fu  còlto  da  malattia  mortale  ;  e  quivi 
morì  nel  1844. 


SALVINI  483 


Avanti  di  entrare  in  Compagnia  Modena,  trovavasi  a  Forlì, 
ove  per  la  sua  beneficiata  si  pubblicò,  in  foglio  volante,  la  se- 
guente epigrafe  : 

A  GIVSEPPE  SALVINI 

LIVORNESE 

PER  FELICE  NATURA   POTENTE  INGEGNO  ACCURATA  INDUSTRIA 

FATTO  ESEMPIO  SINGOLARE 

DEL  DECORO  DELLA   PROPRIETÀ  DELLA  GRAZLA 

ONDE  LA  DRAMMATICA  RECITAZIONE 

DILETTANDO 

GOVERNA  LE  MENTI  E  INCUORI 

A   FIGURARE   GLI  UMANI  AFFETTI 

UNA  COSA  COL  VERO 

FRA  L'UNANIME  APPLAUSO  DEI  FORLIVESI 

CHE   NEL  TEATRO  DEL  COMUNE 

IL  CARNOVALE  DEL  MDCCCXLUI 

AMMIRAVANO   TANTA   ECCELLENZA 

I  soci  DELLE  BARCACCE 

GHINASSI    VERSARI    E    MINARDI 

VOLLERO  RENDERE  ONORE  CON  QUESTA  MBMORLA 

ED  AUGURARE 

ALL'ARTE  LODATISSIMA  PERFETTA 

GIUSTA  MERCEDE 

E  CHE  ITALIA 

SCHIVA  UNA  VOLTA  D[  USANZE  FORESTIERE 

LE  LIBERALITÀ  RIMUNERATRICI  DELLA  DANZA  E  DEL  CANTO 

SERBI  A  PIÙ  UTILI  STUDJ 
E  NON  TORNI  IN  BASTARDA 


Salvinì  Alessandro.  Figlio  del  precedente,  nato  a  Padova 
il  luglio  del  1827,  fu  iniziato  allo  studio  del  disegno,  diventando 
in  breve  una  lieta  promessa  nell'  arte  del  pennello,  nella  quale 
si  addestrò  presso  TAccademia  di  Firenze.  Ma  morto  il  padre, 
il  desiderio  di  calcar  le  scene  lo  vinse,  e  a  sedici  anni  fece  le 
sue  prime  prove  col  celebre  Taddei,  scritturandosi  poi  col  Pel- 
lizza,  secondo  amoroso,  poi,  nello  stesso  ruolo  col  Domeniconi, 
sotto  il  ix^X.€AoTomvi\2i^o  primo  attor  giovine.  Diventò  in  breve 
artista  fortissimo  per  le  parti  promiscue,  quali  Papà  Martin, 
Amico  Francesco,  Laroque,  Giosuè  il  Gtcardacoste,  Luigi  XI,  e 


484  SALVtNI 

lo  abbiam  più  volte  ammirato  Jago  perfetto  in  compagnia  del 
fratello  Tommaso.  DÌ  faccia  espressiva,  di  voce  bellissima,  Ìx\ 
anche  attore  egregio  nelle  parti  dì  tragedia,  sebbene  pel  fisico 
alcun  po'  deficiente,  era  piccolo  di  statura,  non  gli  si  attaglias- 
sero troppo.  Divenuto  in  vario  tempo  capocomico,  n'ebbe  va- 


ria fortuna;  ma  più  spesso  non  buona  per  cattiva  amministra- 
zione. Scrisse  molte  opere  teatrali,  in  cui  la  sciattezza  della 
forma  era  compensata  da  una  cotal  vivacità  di  dialogo  e  fe- 
condità d'intreccio.  Non  poche  sortirono  buon  successo,  come 
La  Spia.  U unico  figlio,  I^  ragazze  scherzano,  ecc. 

Aveva  sposato  Margherita  Villa  di  Milano,  non  comica,  e 
morì  a  Firenze  il  2  febbrajo  1886  per  aneurisma,  e  fu  sepolto 
al  Monte  alle  Croci. 


Icilio  Polese  neìVArie  drammatica  del  1 8  gennajo  '73  nar- 
rava di  luì  il  seguente  aneddoto  : 

«  Sandro  rappresentava  non  so  dove,  né  quando,  né  con  chi  Filippo 
di  Alfieri.  Faceva  Carlo.  A  un  tratto  gli  si  piegano  le  gambe,  e  cade  privo 
di  sentimento.  "  Un  medico,  un  medico, "-grìdan  tutti.-  Accorre  un  me- 
dico qualunque,  il  quale  tasta  il  polso  all'Infante,  e  constala  che  con  un 
brodo  ristretto  e  una  bistecca  tutto  può  passare.  Povero  Infante  !  Non  aveva 
da  giorni  avuto  lo  spesato  dal  suo  capocomico.  » 


alvini  Tommaso.  Fratello  del  precedente, 
nacque  a  Milano  il  1°  gennaio  del  1829.  Se 
l  io  mi  facessi  a  scrivere  la  storia  teatrale  del- 
l'ultimo cinquantennio,  dovrei  cominciare  da 
Tommaso  Salvini,  artista  possente,  formida- 
bile, colossale,  classico  nel  significato  puro 
della  parola. 

Ab  love  principiumì 
Come  seguir  codesto  genio  nella  meta- 
.morfosi  rapida  dell'arte,  senza  provare  un 
senso  di  stupefazione,  direi  quasi,  d'incredu- 
lità? Nel  '43  in  Compagnia  Ben  e  Berlaffa  appare  su  la  scena  con 
la  veste  e  il  dialetto  di  Pasquino  nelle  Donne  curiose  di  Goldoni; 
dopo  pochi  mesi  vince  la  prova  con  Gustavo  Modena,  recitando 
il  racconto  di  Egisio  nella  Metvpe  di  Alfieri;  e  gli  sono  affidate 
tutte  te  parti  di  primo  attore  giovine.  Il  '45  è,  in  quel  ruolo,  ai 
Fiorentini  di  Napoli,  e  il  '46  con  Domeniconi  e  Coltellini.  Il  '47 
è  collo  stesso  Domeniconi,  al  fianco  della  Ristori,  già  forte  pro- 
messa nel  Paolo  della  Francesca  da  Rimini,  nel  Romeo  di  Giu- 
lietta e  Romeo,  nel  Carlo  del  Filippo.  neWEgis/o  della  Merope; 
il  '48  a  Roma  è  consacrato  attore  tragico,  suscitando  nel  pub- 
blico l'entusiasmo  zoW Oreste  dì  Alfieri.  A  diciannove  anni! 
Prende  parte  il  '49  strenuamente  all'assedio  di  Roma,  ed  è 
carcerato  prima  a  Genova  col  Saffi,  poi  a  Firenze,  alle  v^fura/e.... 
col  Guerrazzi.  Uscito  la  quaresima  del '53  dalla  Compagnia 
Domeniconi,  si  riposa  a  Firenze,  ove  sì  dà  allo  studio  di  nuove 


SALVIMI 


parti;  e  il  '54  entra  in  quella  di  Astolfi  con  la  Santoni  e  il  Pieri. 
Ma  eccolo  dal  '56  al  '60,  i  quattro  anni  che  accrebbero  e  ce- 


mentarono la  sua  riputazione  di  artista,  con  Cesare  Dondini, 
di  cui  diventa  socio  più  tardi,  a  fianco  di  Clementina  Cazzola, 
che  doveva  poi  essere  la  donna  del  suo  cuore  e  la  madre  dei 
suoi  figli.  Il  '57  va  a  Parigi  e  vi  ottiene,  specie  con  X  Otello. 


un  clamoroso  successo.  Il  '60  è  scritturato  primo  attore  e  diret- 
tore della  Compagnia  Reale  de' Fiorentini  in  Napoli;  il  '61  è 
capo  di  una  Compagnia  elettissima,  di  cui  son  parti  principali 
la  Cazzola  e  la  Piamonti,  Alessandro  Salvìni  suo  fratello,  Pri- 


vato, Woller,  Coltellini,  Biagi  ;  si  unisce  il  '62  ad  Antonio  Stac- 
chini, e  il  '65  ritorna  ai  Fiorentini  dì  Napoli,  e  questa  volta 
insieme  alla  Cazzola;  e  prende  parte  a  Firenze  alle  feste  dante- 
sche, recitando  al  Pagliano  alcuni  canti  del  poema  divino,  al 
Niccolini  per  la  prima  volta  la  parte  di  Lanciotto  nella  Fran- 
cesca di  Pellico.  Torna  capocomico  il  '67,  e  scrittura  il  '68  Vir- 


SALVINI 


ginìa  Marini  (ammalatasi  la  Cazzola,  mori  consunta  dalla  tisi  il 
luglio  di  quell'anno,  e  Salvini  sposò  pochi  anni  appresso  una 
giovanetta  inglese,  mortagli  a  ventiquattr'  anni  il  dicembre 
del  '78).  Va  il  '69  in  Ispagna  e  in  Portogallo,  il  '71  nell'Ame- 


rica del  Sud,  il  '73  nell'America  del  Nord,  e  il  '74,  di  nuovo.... 
in  quella  del  Sud;  il  '75  a  Londra,  al  Drury-Lane  ;  il  '76  di 
nuovo  a  Londra;  il  '77  in  Austria  e  Germania,  poi  a  Parigi; 
il  '79  in  Italia,  e  nuovamente  a  Vienna;  l'So  in  Ungheria,  in 
Russia,  in  Rumenia;  e,  ÌI  novembre,  nell'America  del  Nord 
per  recitar  prima,  il  2q,  a  Filadelfia,  poi  a  New- York,  egli  solo, 
in  italiano,  con  una  compagnia  di  attori  americani.  Il  dicem- 


SALVIMI  4S9 

bre  '81  e  gennajo  '82  in  Egitto,  il  marzo  e  l'aprile  in  Russia, 
r  ottobre  nell'America  del  Nord  ;  poi  in  Italia,  a  Roma,  Firenze 
e  Trieste.  Alla  fine  del  febbrajo  '83  in  Inghilterra  e  in  Iscozia; 
l'inverno  in  Sicilia.  La  primavera  deir'85  in  Ukrania;  alla  fine 
dell'anno,  per  la  quarta  volta,  nell'America  del  Nord  con  una 


compagnia  inglese,  prima  a  New-York,  poi  a  San  Francisco  di 
California,  poi  di  nuovo  a  New- York,  Filadelfia,  Boston,  recitan- 
dovi V Otello  con  l'illustre  Edwin  Booth,/(Zg-(j. Tutto  1*87  riposo; 
1*88  recita  in  Italia  e  torna  l'Sg  nell'America  del  Nord.  Nel 
carnovale  'go-'gi  interpreta  per  la  prima  volta  la  parte  di  Jago 
al  Niccolini  di  Firenze  con  Andrea  Maggi,  Otello:  poi  torna  in 
Russia,  acclamatissimo  come  a'  primi  tempi,  poi  si  aggrega  a 
questa  o  a  quella  Compagnia  per  dar  di  quando  ìn  quando  al- 
cuna rappresentazione  in  prò  della  Cassa  di  previdenza  per  gli 

62.  —  /  Corniti  italiani.  Voi.  11. 


490  SALVINI 


artisti  drammatici,  di  cui  egli  è  Presidente  ;  poi,  finalmente, 
nell'anno  di  grazia  in  cui  scrivo  (1903),  egli  crede  di  dare  un 
addio  alle  scene  a  fianco  di  suo  figlio  Gustavo,  recitando  V  Otello, 
la  Morte  Civile,  e  V  Oreste  (Pilade),  e  mostrando  ancora,  (tranne 
forse  ne'  rari  momenti,  in  cui  ricordavano  i  suoi  ammiratori  di 
altri  tempi  il  cannoneggiar  d' una  frase),  tutta  la  freschezza  e 
la  musicalità  della  recitazione,  tutto  V  impeto  della  passione, 
tutta  la  profondità  dell'interpretazione.  E  ho  detto  crede  di 
dare,  poiché  oggi,  a  quattro  mesi  di  distanza  da  quelle  recite 
di  addio,  egli  sta  trattando  per  recarsi  l'aprile  e  il  maggio 
del  1904  nell'America  del  Nord.  A  settantacinque  anni! 

Di  tra  i  giudizi  dati  all'illustre  Uomo,  scelgo  il  seguente 
di  Ernesto  Rossi  : 

Vidi  Tommaso  Salvini  rappresentare  la  parte  di  Egisto  nella  tragedia  classica,  Merope 
di  Ma£fei  :  e  come  lo  vidi  allora,  lo  tengo  sempre  scolpito  in  mente.  Le  creazioni  indovi- 
nate lasciano  lunga  ed  incancellabile  memoria.  A  facilitare  l'interpretazione  di  quel  carattere 
concorrevano  ad  esuberanza  le  sue  iÌEicoltà  fisiche  :  imperocché,  giovane,  bello  del  volto  e  della 
persona,  con  una  voce  fresca,  limpida,  armoniosa,  tonante,  pareva  fatto  e  tagliato  a  posta 
per  aUettare  e  sedurre  la  sensuale  madre  di  Oreste.  A  me  parve  che  in  quella  parte  egli  raggiun- 
gesse la  perfezione.  Una  sfiimatura  di  meno  sarebbe  stata  freddezza,  una  di  più  esagerazione. 
Giudicai  Tommaso  allora  classico  per  eccellenza.  Dubitando  di  poterlo  seguire  in  quella  ec- 
cellenza classica,  anche  richiesto  non  volli  mai  rappresentare  quella  parte,  né  quella  tragedia. 

E  di  tra  le  tante  testimonianze  di  ammirazione  e  di  gra- 
titudine ch'egli  ebbe  da  tutti  i  pubblici  nostri  e  di  fuori,  scelgo 
il  bel  sonetto  di  Paolo  Costa  che  la  Direzione  degli  Spettacoli 
di  Faenza  gli  offriva  il  20  luglio  1861  : 

A 

TOMMASO  SALVINI 

INSIGNE    ATTORE    ITALIANO 

NEL  DUPLICE  ARINGO 

DI   MELPOMENE   E  DI  TALÌA 

A  NIUNO   SECONDO 

LA   DIREZIONE  DEGLI   SPETTACOLI 

IN  SEGNO  DI  ALTISSIMA  AMMIRAZIONE 


Se  avvien  che  Tuom  per  questa  selva  oscura 
de  la  vita  mortale  il  guardo  giri, 
e  vegga  con  che  legge  iniqua  e  dura 
amore  i  servi  suoi  freda  e  martiri  ; 


SALVINI  491 


e  quale  avara  ambiziosa  cura 

faccia  grame  le  genti,  e  i  Re  deliri, 
esser  non  può,  se  umana  abbia  natura,, 
che  al  destin  non  si  dolga  e  non  s'adiri. 

Ma  se  poi  l'arte  orrendi  casi  e  fieri 
dinanzi  alla  pietà  di  gentil  core 
rechi,  e  gì' inciti  si,  che  pajan  veri: 

a  gli  occhi  manda  l'anima  dolente 

lagrime  dolci  nel  suo  dolce  errore, 

e  chi  t'ode  e  ti  mira,  o  Prode,  il  sente. 

• 
Oli  mi  suggerisce  ora  le  parole  e  le  imagini  per  dare  non 

già  un  ritratto  al  vero,  ma  una  pallidissima  idea  di  questa  gi- 
gantesca figura  di  Giove  tonante  ?  Vi  hanno  frasi  di  tragedie 
e  di  drammi  passate  nella  illustrazione  sua  in  proverbio. 
Questa  per  esempio  di  Giosuè  il  Gtcardacoste  : 

Ma  che  Ammiraglio  !  Non  e'  è  Ammiraglio  che  tenga  1  Fatemi  arrestare,  bastonare, 
voi  ne  avete  il  diritto  !  Ma  colai  che  verrà  a  dirmi  :  «  Ohe,  Van  Bronst,  -  cosa  e'  è  !  ?  - 
Eh,  nientemeno....  tno  figlio  ha  rubato....  >  Sia  Ammiraglio,  sia  Principe,  sia  Re,  sia 
Dio....  in  terra,  io  gli  dirò:  non  è  vero!!!!! 

T>diM Ammiraglio  a  Dio  era  una  parabola  ascendente,  ma- 
ravigliosa:  ah!  quel  Dio/  che  volata!  che  cannonata!  Non  si 
sarebbe  potuto  comparare  che  ai  famosi  do  di  petto  de'  più 
gagliardi  tenori,  e  ancor  con  discapito  di  questi. 

E  r  altra  frase  di  Otello  : 

Or  non  ha  dnnqne 
più  foco  il  ciel....  la  folgore  a  che  giova?... 

Con  una  intonazione  altissima,  disperata,  proferiva  sul 
fondo  della  scena  la  prima  parte  della  frase,  e  correva  poi  con 
magnifica  armonia  di  movimenti  alla  ribalta,  proferendo  l'ul- 
tima parte  con  una  voce  di  basso,  rauca,  sorda,  terribile,  che 
metteva  un  fremito  nella  folla. 

E  quest'  altra  di  Arduino  d^ Ivrea  : 

£i  venga,  e  in  vetta  troverà  dell'Alpi 
d'Italia  il  serto  d'Ardain  sull'elmo, 
ma  noi  vedrà,  che  di  mia  spada  il  lampo 
vince  il  riflesso  della  mia  corona. 


492  SALVINI 


Che  quantità  e  varietà  di  note  in  questi  quattro  versi! 
Strana,  e  pur  tanto  efficace!  quell'alzata  rapida,  acuta  di  voce 
air  ultimo  mia,  con  rapido  abbassarsi  a  corona. 

E  la  chiusa  della  scena  con  Arnolfo,  pur  à^ Arduino: 

Ard.  Prete  ! 

Il  prestigio  volgar  che  vi  circonda, 

me  non  accieca....  e  in  mio  poter  ta  sei! 

Guardati  I 
Arn.  Insano,  eh'  osi  ta  ? 

Ard.  Prostrarti 

del  tuo  Signore  al  pie. 
Arn.  '       Me?  Tu  vaneggi! 

La  sacrilega  man  ritraggi,  o  Iddìo.... 
Ard.     É  Dio  dei  forti  e  sta  con  me,  ti  prostra. 
Arn.    Sacrilegio  1  Empietà  1 
Ard.  Gracchia,  ma  piega, 

giù  nella  polve! 
Arn.  Empio  mi  lascia!...  Aita!... 


Ard.  Indietro  ! 

Nella  polve  lasciatelo  :  dinnanzi 
ad  Arduino  Re,  quello  è  il  suo  trono. 


E  il  famoso  : 


spavento 
m*è  la  tromba  di  guerra;  alto  spavento 
è  la  tromba  a  Saul 

e  il  non  men  famoso  : 

Ma  è  poco  a  mia  vendetta  ei  solo. 
Manda  in  Nob  l*ira  mia,  che  armenti  e  servi 
madri,  case,  fanciulli  uccida,  incenda, 
distrugga,  e  tutta  l' empia  stirpe  al  vento 
disperda 

di  Saul? 

E  la  descrizione  della  lotta  col  leone  in  Sansone?  E  II f gito 
delle  selve?  E  II  gladiatore?  E  Spartaco?  Vi  furon  opere,  scritte 
a  posta  per  lui,  che  niun  altro  per  la  mancanza  di  quei  mezzi 
fisici  onde  naturagli  fu  prodiga,  avrebbe  potuto  rappresentare. 
Né  si  creda  ch'egli  sia  stato  artista  colossale  soltanto  per  quelle 
parti  in  cui  specialmente  occorrevano  la  colossale  persona  e  la 
voce  poderosa;  che  accanto  alle  frasi  in  cui  si  richiedevan  quella 


personaequellavoce,  altrevene  avean  di  sommesse  consacrate 
dal  pubblico  e  dalla  critica.  Salvini  ha  potuto  della  sua  voce 
far  tutto  ciò  che  ha  voluto.  Dal  ruggito  della  tigre  passava  con 
incredibile  facilità  al  belato  dell'agnello.  Niun  meglio  di  lui 
seppe  sospirar  la  parte  di  Bonfil;  niuno,  meglio  di  luì,  Ì  versi 


di  Orosmane.,..:  il  racconto  dell'evasione  nella  Morte  Civile  era 
tutto  un  poema  di  sordine.  Nessuno  della  presente  generazione 
può  farsi  un'idea  del  come  egli  sapesse  trar  partito  da  una 
parola,  da  un  monosillabo,  da  una  esclamazione,  da  un  sospiro 
per  suscitar  l'entusiasmo  della  moltitudine.  Chi  ricorda  il  non 
è  vero  di  Giosuè  il  Guardacoste  f  E  il  prete  di  Arduino  tf  Ivrea? 
E  il  Non  intesi  ài  Piladef  e  V Ah  fratello  di  Lanciotto  f  E  il  Chi 
mi  traitien  di  Orosmanef  E  il  Dannata  la  cortigiana  vii  di  Otello? 
E  i  sospiri  del  Figlio  deUe  Selve  alla  rivelazione  dell'amore? 


Egli  aveva  la  consapevolezza  piena  della  sua  forza,  si  piaceva 
giocar  con  le  difficoltà  dell'arte.  Quando  gli  accadde  dì  dover 
recitare  con  Ernesto  Rossi,  altro  colosso  di  ben  .altra  specie, 
che  il  pubblico  riguardava  .assai  più  come  suo  antagonista,  che 


come  suo  emulo,  lasciava  a  lui  con  generosa  sommessione  la 
scelta  della  parte.  In  Francesca  da  Rimini  l'insuperato  Paolo 
restò  Paolo,  Salvini  si  mutò  rassegnatamente  in  Lanciotto  :  in 
Oreste  l'insuperato  Oreste  restò  protagonista.  Salvini  si  mutò 
inPilade.  Ma  nella  gran  metamorfosi  artistica,  Paolo  ed  Oreste 
ebber,  si  può  dire,  la  peggio:  Lanciotto,  entrato  fin  allora  nel 
criterio  del  pubblico  con  veste  di  odioso  tiranno,  fu,  da  allora,  il 
più  amabile  e  commiserabile  de'  personaggi  della  Francesca,'  e 


SALVINI  495 

il  piccolo  Pilade  doventò  un  colosso  di  parte.  Ho  detto  più  su 
che  Tommaso  Salvini  fu  classico  nel  significato  puro  della  pa- 
rola, che  non  mai  s'ebbe  da  notare  nella  sua  espo- 
sizione la  esuberanza  spontanea,  e  pur  tal  volta 
nella  spontaneità  grottesca  de' romantici:  ne'suoi 
scatti  di  passione,  ne'suoi  scoppi  di  furore  era 
sempre  la  misura  contegnosa,  direi  quasi  plastica 
della  forma:  plasticità  che  non  tradiva  mai  la  fa- 
tica dello  studio,  ma  usciva 
elegantissima  e  varia  sempre 
e  rapida  in  una  spontaneità 
apparente.  Se  mi  fosse  lecito 
un  paragone,  direi  che  l'ani- 
ma del  sommo  artista  era  un 
superbo  corridore,  passante  di  vittoria  in 
vittoria,  sorretto  dalla  man  forte  di  un  sa- 
vio condottiero  ;  la  mente. 

Con  la  imponenza  de' mezzi  fisici,  la 
commedia  del  salotto  oggi  gli  si  attaglie- 
rebbe meno  che  la  vasta  ope- 
ra tragica:  oggi,  mentre  non 
si  comprenderebbe  un  Saul 
o  un  Sansone  diverso  da  lui, 
mal  si  comprenderebbe  nella  gigantesca  persona 
figurato  il  tipo,  a  esempio,  ^\  Armando.  Ma  quando 
Salvini  era  Salvini,  sia  che.  Sansone,  si  pigUasse 
.  di  un  tratto  su  le  spalle  il  padre,  e  con  quel  far- 
dello non  lieve  (il  padre  era  Giustino  Pesaro)  sa- 
lisse a  corsa  l'erta  non  facile,  sia  che,  Armando, 
gemesse  infantilmente  a'  piedi  di  Margherita,  il 
pubblico  era  afferrato,  soggiogato  :  io  lo  ricordo 
in  una  intera  stagione  (agosto  1868  al  Politeama 
fiorentino);  e  ricordo  la  sua  grandezza  inalterata  nel  Sansone. 
nella  Suonatrice  <farpa,  nella  Francesca  da  Rimini,  nel  Torquato 
Tasso,  nel  Giosuè  il  Guanlacosfe,  nella  Zaira,  neW  Amlelo,  nel 


Sofocle,  nella  Pamela  nubile,  nel  Gladiatore,  nell'  Oreste,  nella  Mis- 
sione  di  donna,  nella  Virginia,  nella  VOa  color  di  rosa,  nella  Morte 
Civile,  nel  Sullivan,  neW  Otello,  nello  Scacco  matto,  nel  ^«  Z«ar, 
in  Giulietta  e  Romeo  (del  Ventignano),  nel  Milton,  nella  C(7i5*a 
vendica  la  colpa/ 

Quanto  all'indole  dell'uomo,  sì  direbbe  ch'egli  volle  cader 
di  proposito  nell'opposta  esagerazione  del  suo  grande  Compa- 
gno d'arte.  Come  sul  suo  petto  non  brillò  quasi  mai  una  delle 
tante  decorazioni,  pur  da  lui  possedute,  che  ■ 
coprivano  nelle  ofificialità  il  petto  dell'altro, 
cosi,  all'opposto  dell'altro,  egli  fu  in  ogni 
tempo  e  in  ogni  dove  sprezzatore  del  più 
piccol  mezzo  che  procacciandogli  successo, 
gliel  venisse  intimamente  attenuando.  Ei  si 
guadagnava  il  terreno  a  palmo  a  palmo, 
senza  strombazzature,  quasi  direi  senza 
preavvisi.  Salvini  ?  Chi  è  Salvini  ?  Si  doman- 
daron  la  prima  volta  a  Parigi  ;  e  andaron  la 
prima  sera  a  teatro  in  pochi:  vi  andarono 
più  la  seconda,  e  si  rimandò  la  gente  alla 
terza.  Sempre  così  egli  vinse:  con  la  sola 
potenza  dell'arte. 
In  riviste  inglesi  e  italiane  pubblicò  alcuni  studj  delle  sue 
interpretazioni,  e  in  un  volume  del  Dumolard  (Milano,  1895}  ^ 
suoi  Ricordi:  iniziò  a  Or  San  Michele  di  Firenze  le  letture  dan- 
tesche, e  a  Palazzo  Riccardi,  pur  di  Firenze,  lesse  intorno  al 
teatro  de!  '500.  L'ultimo  e  nuovo  suo  trionfo  può  dirsi  ogg^  la  . 
lettura  della  miglior  parte  di  una  tragedia  inedita  di  Cimino, 
Abelardo  ed  Eloisa,  nella  quale  egli  sa  risvegliare  tutta  l'antica 
forza.  Oggi  il  Ministro  della  Pubblica  Istruzione  gli  ha  fatto 
coniare  una  medaglia  d'oro  per  solennizzare  Ìl  suo  sessante- 
simo anno  di  vita  artistica.  Quando  un  artista  a  quasi  ses- 
sant'  anni  affronta  per  la  prima  volta  il  personaggio  di  Corio- 
lano.  e  a  oltre  sessanta  quello  dì  Jago,  e  a  settanta  infonde  lo 
spirito  a  nuovi  personaggi  con  la  sua  bocca  forte,  e  a  settan- 


/  CemUi  ilalieni.  Voi.  11. 


tacinque  pensa  attraversar  l'oceano  per  sostener  le  fatiche 
dell'artista  in  ben  trenta  rappresentazioni  e  nelle  più  impor- 
tanti opere  del  suo  repertorio,  noi  siamo  certi  di  poter  chiedere 
alla  sua  fìbra  titanica  una  nuova  e  gagliarda  manifestazione 
del  genio  nel  giorno  primo  di  gennajo  del  1909:  solennìssimo 
giorno,  nel  quale  Ìl  vecchio  e  il  nuovo  mondo  sì  uniranno  in 
un  amplesso  fraterno  di  arte  a  dargli  gloria. 

Salvini  Gustavo.  Figlio  del  precedente  e  di  Qementina 
Cazzòla,  nacque  il  1859  a  Civitavecchia,  donde,  poche  ore  dopo, 
fu  condotto  per  mare  a  Livorno,  acciocché  non  fosse  suddito  del 
Papa.  Studiò  fino  a  sedici  anni,  poi,  per  la  salute  cagionevole,  la- 
sciò le  scuole  e  andò  col  babbo  a  Londra,  ove  sostituì  nélVAm/e/o 
l'attore  che  sosteneva  la  parte  di  Rosencrantz.  L'arte  dramma- 
tica lo  adescava  fatalmente.  Io  lo  ricordo  giovinetto  a  Torino, 
quando  a  notte  alta  per  le  vie  ci  ripeteva  i  brani  più  salienti  delle 
interpretazioni  paterne:  nelle  modulazioni  musicali  della  voce  la 
imitazione  era  tal  volta  perfetta.  Un  po'  appunto  per  questo,  e 
molto  per  la  fibra  che  appariva  più  tosto  debole  a  sostener  le 
lotte  e  le  fatiche  della  scena,  il  padre  gli  fia  sempre  avverso  a 
che  si  facesse  comico  ;  ma  egli,  malgrado  tutto,  complice  Io  zio 
Alessandro,  entrò  il '78  nella  Compagnia  di  Achille  Dondini 
come  generico,  e  il  '79  in  quella  di  Marazzi-Diligenti  come^^- 
nerico  primario.  Fu  I"8i  con  Ferrante,  poi,  per  un  triennio  e 
per  sua  fortuna,  con  Vittorio  Pieri,  direttore  Alamanno  Morelli. 
Formò  società  fino  aH"88  con  Raspantini,  facendosi  poi  da  solo 
capocomico  con  avversa  fortuna;  tanto  che  il  padre  dovè  cor- 
rergli in  ajuto;  ma  col  patto  ch'egli  avrebbe  lasciato  l'arte  per 
sempre.  E  il  patto  fu  m^mtenuto....  per  cinque  anni;  dopo 
i  quali  (1894)  risolse  di  bel  nuovo  di  cedere  all'invito  della 
grande  sirena,  e  lasciati  moglie  e  figliuoli  in  Italia,  si  recò  nel- 
l'America del  Sud,  ove,  prima  a  Buenos- Ayres,  poi  a  Rosario 
di  Santa  Fé  e  a  Montevideo,  s'ebbe  il  più  vivo  dei  successi. 
Tornato  in  patria  si  unì  ad  Angelo  Saltarelli  (già  conduttore 
per  quattordici  anni  della  Compagnia  di  Ernesto  Rossi),  uomo 


SALVINI 


dì  molta  esperienza  e  di  molta  onestà,  che  gli  fu  sin  ad  oggi,  e 
gli  sarà  lungo  tempo  ancora,  amico,  fratello,  padre;  e  con  esso 
vide  la  Russia,  l'Austria,  la  Serbia,  la  Croìizia  acclamatÌssÌmo, 
a  fianco  d'Ida  Bertini,  una  filodrammatica  pisana,  che,  divenuta 
sua  moglie,  sostenne  prima  Ì  ruoli  di  amorosa,  poi  di  prima 
donna  assoluta.  Ma  or- 
mai egli  aveva  una  spina 
ne!  cuore,  che  gli  dava 
spasimo  forte  e  conti- 
nuo: all'applauso  del 
pubblico  mancava  quel- 
lo di  suo  padre,  il  quale 
risentitolo  a  Roma  e  a 
Firenze  (non  ne  aveva 
più  r  idea  dall'  '89  a  Fer- 
rara), non  solamente  gli 
die'  col  bacio  del  per- 
dono il  suo  assenso  a 
continuare,  ma  si  mo- 
strò con  lui  nel  Saul  e 
neir  Otello,  lasciandogli 
in  quello  la  parte  del 
Protagonista,  e  in  que- 
sto la  parte  di  Jago.  In- 
citato a  nuovi  e  severi  studj  s'ebbe  ognor  nuovi  trionfi.  Tra  le 
maggiori  e  migliori  sue  interpretazioni  van  notate  in  campo 
sì  disparato  quella  di  Petruzzo  nella  Bisbetica  domata  di  Shak- 
speare,  di  Edipo  Re  dì  Sofocle,  e  di  Jago  in  Otello  di  Shakspeare  : 
quest'ultimo  recitato  maestrevolmente  a  fianco  del  padre  nel 
suo  giro  di  addio. 

Anche  lo  volle  Eleonora  Duse  compagno  nella  Francesca 
da  Rimini  di  G.  D'Annunzio.  Ma  alla  forma  antica  e  pura  del- 
l'opera,  e  alla  recitazione  musicalmente  languida  di  Eleonora 
Duse,  il  modo  esuberante  di  Gustavo  Salvini  venutogli  col  re- 
pertorio forte,  mal  si  attagliò  taluna  volta  e  formò  dissonanza. 


500  SALVINI 


Egli  è  ricco  di  attitudini  chiare  e  rare,  congiunte  a  una  più  rara 
volontà.  Gli  ostacoli  non  lo  impacciano,  lo  studio  non  lo  pro- 
stra, purché  quelli  affronti,  si  dia  a  questo  per  V  arte  sua,  nella 
quale,  e  ciò  forse  gli  nocque  veramente  a  conseguir  la  purezza 
classica  delle  linee,  si  gittò  a  capo  fitto,  troppo  presto  liberato 
dalla  man  forte  del  guidatore.  Egli  stesso  con  amorevole  mo-  ^ 
destia  scriveva,  a'  primi  del  '900,  di  sé  :  <  ....  lo  studio  mi  aveva 
reso  più  forte  nelle  interpretazioni,  ma  io  adesso  posso  confes- 
sare candidamente  che  come  ho  recitato  gli  ultimi  anni  in  Com- 
pagnia Morelli-Pieri  non  reciterò  mai  più.  Sarò  e  potrò  di- 
ventare ancora  più  profondo  nelle  concezioni,  ma  recitare  più 
vero,  più  spigliato,  più  spontaneo  di  quell'epoca,  JVo.>  Proprio 
così:  la  verità,  la  spigliatezza,  la  spontaneità  gli  mancano  tal 
volta;  e  come  gli  sarebbe  agevole  riacquistarle  potè  far  fede 
la  parte  di  /ago,  recitata  sotto  la  guida  del  padre  con  tal  chia- 
rezza e  vivacità  e  sobrietà  insieme,  che  la  magnifica  figura 
shakspeariana,  troppo  sovente  fatta  consistere  in  un  artifizioso, 
leccato  strisciar  delle  parole  a  viemmeglio  insinuar  la  gelosia 
per  vendicarsi  o  dell'  oltraggio  maritale  di  Otello,  o  della  su- 
periorità di  Michel  Cassio,  balza  viva  e  saltante,  quale  essa  è 
veramente  :  figura  di  cinico,  egoista,  maligno,  calcolatore,  sot- 
tile, feroce,  che  va  diritto  al  suo  scopo,  serbando  in  quella  sua 
servilità  tutta  la  libertà  del  pensiero  e  dell'azione;  e,  come  al 
bel  tempo,  in  cui  la  prima  volta  la  incarnò  il  padre  al  Nicco- 
lini,  è  rivissuto  nell'  arte  del  forte  scolaro  tutto  il  genio  sel- 
vaggio di  Shakspeare. 

Salvini  Alessandro.  Fratello  del  precedente,  nacque  a 
Firenze  il  21  dicembre  del  1861.  Fu  educato  in  un  Istituto 
della  Svizzera  tedesca,  ed  ebbe  famigliare  su  l'altre  la  lingua 
inglese.  Si  recò  in  America  dell'  '82  con  Ernesto  Rossi,  in- 
terprete fra  lui  e  gli  artisti  inglesi.  Quando  il  Rossi  tornò, 
egli  restò  colà,  dove,  perfezionatosi  nella  lingua,  si  fé'  sen- 
tire, invitato  dal  signor  Palmer,  già  impresario  di  suo  padre, 
nel  monologo  di  Amleto.  Il  fiore  della  giovinezza,  la  freschezza 


della  azione,  la  svegliatezza  della  mente,  la  bellezza  del  volto 
e  della  persona,  il  nome  glorioso  di  Salvini  invogliaron  l'esperto 
impresario  a  fornirgli  modo  di  doventare  attore.  Si  presentò 
in  una  parte  di  amoroso  a  fianco  della  celebre  attrice  Clara 
Mowis,  e  vinse  la  prova.  Scritturato  da  principio,  si  fece  poi 
capocomico,  interpretando  acclamatissimo,  in  vario  tempo,  Don 
Cesare  dìBazan.  I Moschettieri,  Cavallerìa  rusticana,  AmJelo.  Romeo 
e  Giulietta.  Stormbeaten,  La  Causa 
celebre.  Fromont  e  Risler,  ecc.  ecc. 
Di  lui  scrive  suo  padre  : 

I  careltcTi  che,  a  mio  credere,  più  gli 
ti  addicano  lODO  i  *ÌrìU,  gli  energici  :  ai  lan- 
Catdi,  «noroli,  (entinienUli  doti  sembrami  in- 
clinato. Lama  fìgiiTa  atletica  non  li  accorda  con 
le  espreiiioni  tenere  e  mellifine,  che  diadicoDO 
anche  alla  ina  voce  robusta,  altisonante;  come 
pare  i  suoi  gesti  imperiosi  e  decisivi  si  mostrano 
soggiogati  da  ana  volenti  che  si  ribella  al- 
l'iitjnlo....  Ho  ferma  iidncia  che  Tra  poco  ri- 
valeggerà con  i  migliori  caminoni  della  lizza 
artistica,  e  sarà  tntto  merito  suo. 

Ammalatosi  di  tifo  in  Cali- 
fornia, e  non  curato  a  dovere, 
strascicò  una  esistenza  penosa 
tra  i  fastìdj  del  capocomicato  e  del  male  latente.  Lasciata 
l'America  per  tornarsene  in  Italia,  dovè  fermarsi  in  Inghil- 
terra còlto  da  febbri  intermittenti.  Rimpatriò  finalmente  ;  ma, 
distrutto  da  tisi  intestinale,  cessò  di  vivere  a  Firenze  il  1 5  di- 
cembre del  1896.  Avea  sposato  in  America  Maud-Wilson, 
divenuta  poi  artista  con  lui.  Molto  saviamente  di  lui  scrisse 
Piccini  {/arra)  nella  prima  serie  dell'opera  Sul  palcoscenico  e 


Andare  in  un  paese  forestiero:  andare  in  città  come  Nuova  York,  Boston,  Washing- 
ton, Filadelfia,  Nnova  Orléans  :  riuscir  a  parlar  in  ana  lingna  straniera,  e  non  por  a  par- 
lare, ma  a  recitare  in  essa  :  larsi  ascoltare,  non  da  migliaja,  ma  da  milioni  di  nomini  : 
riuscire  ad  essere  celebrato  fra  tnlti  gli  attori  paesani,  essere  ascoltato  con  affètto  e  con 
deferenza  da  alcuni  fra  essi,  può  davvero  sembrar  un  prodigio,  che  sapeva  efTettnare  nn 
giovane  italiano,  innanzi  di  toccar  i  trent'auni. 


SOI  SANGIORGI  -  SANSÒ 

Sangioi^  Carlo.  Fiorito  nella  seconda  metà  del  secolo  x  vii, 
recitò  le  parti  di  secondo  Zanni  col  nome  di  Trivellino.  Lo  tro- 
viamo il  1681  a  Venezia,  donde  a  un  segretario  del  Duca,  che 
voleva  la  Compagnia  a  Ferrara,  manda  la  lettera  seguente,  che 
traggo  inedita  dalla  mìa  raccolta  : 

DI.™'"  et  Ecc.-no  Sig.  Sig.  e  Pr.on  col. no 

Giunto  in  Veneda  non  niumi  di  unirmi  sili  miei  compagni  cod  il  conTeriTe  la 
gent.™'-  di  V,>  Ecc.'  e  gli  ho  trovati  circa  U  loro  volontà  dìspostìssimj  d'incontrare  li 
■noi  commandi;  ma  ritrovo  delle  difficolti  grandi  «ni  Padrone  del  teatro,  che  pretende 
di  trattenere  la  Compagnia  per  ino  servigio,  e  >i  adopra  quanto  pnole  per  vìa  di  Genti- 
Umomini  \  ma  spero  p.  quanto  sarà  possibile  di  condurre  la  Compagnia  à  Ferrara  ;  metto 
però  in  consideratione  a  V.  Ecc.*  il  gran  dispendio  della  Compagnia,  oltre  la  difficoltà 
del  Donativo  scarso  et  il  cresciroento  di  un'altra  parte,  hauendo  gii  due  terue  la  Com- 
pagnia. Però  se  V.  Ecc.*  non  «i  vede  per  tutto  lunedi,  hanri  mie  lettere  di  quello  la 
Compagnia  risolverà  :  e  mi  dedico 
di  V.  Ecc.» 
Venctla  Ji  li  ibre  ItBl.  Hnm.»  e  dcuoL'"  •«.'* 

CaKLO  SANOlOBCt 
detta  TtintUime. 

Dal  che  apparirebbe  avere  il  Sangiorgi  voce  in  capitolo 
in  compagnia  presso  S.  A. 

L'  '86  il  Duca  ordinava  in  data  28  giugno  al  tesoriere 
Zerbini  di  pagare  a' seguenti  comici  due  doppie  il  mese,  prin- 
cipiando dal  primo  di  maggio  scorso  : 

Maktia  Fiala,  detta  Flamminia. 

Giuseppe  Fiala,  detto  il  Capii.""  Sfagnuolo. 

Gaetano  Caccia,   detto  Leandro  (V,  Suppl.). 

Bernardo  Narici,  detto  Oraiio. 

Antonio  Riccobuont,  detto  Pantalone. 

Carlo  Sanoiorgi,  detto  Trivellino. 

Domenico  Bononcini,  detto  Campana. 

Gio.  Antonio  Lolu,  d«tto  il  Dottor  Brenlino. 

Anna  Marcucci,  detta  Angiola. 

Sansò  Giuseppe.  «  Napolitano.  Recitò  da  innamorato  spi- 
ritosamente ne'  Teatri  della  sua  Patria,  e  riuscì  un  ottimo  Com- 
mediante. Fu  nella  Compagnia  diretta  da  Antonio  Fiorilli,  in 
cui  ebbe  campo  di  far  spiccare  la  sua  abilità,  specialmente  nelle 
Commedie  all'improvviso.  Una  sera  dopo  d'aver  recitato,  perde 


SANSÓ  -  SANTONI  503 


con  sua  gran  meraviglia  la  vista,  senza  avervi  avuto  alcun  pre- 
ventivo malore.  Appassionato  ed  afflitto  per  tale  disgrazia,  am- 
malossi,  e  si  ridusse  a  morire  in  un  ospitale  correndo  Tanno 
del  1750  Così  Fr.  Bartoli. 

Santi  Virginia.  Nacque  il  1836  a  Senigallia  dai  coniugi 
Sassoli,  poverissimi.  Carlo  e  Margherita  Santi,  comici,  che  la 
vider  bambina,  sì  n'  ebber  pietà  che  ottennero  da'  parenti  di 
poterla  adottare  qual  figlia.  Venuta  grandicella  fu  condotta  se- 
rcdmente  in  teatro,  e  cominciò  subito  a  sostener  mirabilmente 
le  parti  di  bimba.  A  quindici  anni  era  una  egregia /r/w^  attrice 
giovine,  e  a  venti  prima  attrice  assoluta  di  molti  pregi  nella  Com- 
pagnia di  Luigi  Pezz3.na,  e  Cesare  Marchi.  Ma  dopo  un  triennio 
abbandonò  le  scene  per  isposare  un  ricco  signore  di  Bologna, 
e  morì  dell'  80. 

Santoni  Carolina.  Attrice  tragica  di  assai  buon  nome, 
nacque  il  1 808  in  Livorno  da  agiata  famiglia,  e  precisamente 
in  quel  quartiere  detto  Crimea,  oggi  Via  S.  Carlo  -  presso  la 
FidizzB.  Mazzini -già  Piazza,  di  Morte.  Vuoisi  ch'ella  avesse  una 
voce  magnifica  di  soprano,  e  che  una  sera  di  agosto  del  1825, 
mentre  ella  cantava  un  notturno,  accompagnata  al  piano  dal 
maestro  Vignozzi,  passando  di  là  il  Guerrazzi  e  il  Bini,  il  primo, 
colpito  da  tanto  accento  drammatico,  sclamasse  :  <  Per  Iddio, 
quella  ragazza  dovrebbe  far  l' attrice.  >  Fu  profeta,  perchè 
pochi  anni  dopo.  Carolina  Santoni  fu  una  illustrazione  dell'arte 
drammatica.  Recatasi  giovinetta  alla  Scuola  fiorentina  di  de- 
clamazione diretta  dal  Morrocchesi,  spiegò  subito  le  più  chiare 
attitudini  alla  scena,  sì  che  a  vent'anni  fu  scritturata /r/w^z  at- 
trice assoluta  da  Tommaso  Zocchi,  esordendo  felicemente  a  Fi- 
renze. Dopo  tre  anni  passò  nella  Compagnia  Lipparini,  poi, 
il  '43,  in  quella  primaria  di  Luigi  Domeniconi.  Ammogliatasi 
al  marchese  Zambeccari  di  Bologna,  si  ritirò  dal  teatro;  ma 
mortogli  improvvisamente  il  marito  a6  intestato,  ella  dovè  su- 
bito ritornarvi.  Fu  il  '50  con  Coltellini,  e  la  vediamo  al  Teatro 


SANTONI 


Re  di  Milano,  festeggiatissima;  il  '51  passò  con  Domeniconi  a 
fianco  di  Tommaso  Salvini,  di  Gaetano  Vestri,  di  Amilcare  Be- 
lotti;  e  il  '57,  per  un  triennio,  con  la  Compagnia  Righetti,  ap- 
pendice alla  Compagnia  Reale  Sarda,  sotto  la  direzione  di  Gu- 


stavo Modena,  «  in  qualità  dì  prima  attrice  per  quel  genere  di 
parti,  che  i  francesi  chiamano  fori  premier  ròte,  e  per  quella 
di  madre  tragica,  con  l'annuo  stipendio  di  lire  nuove  di  Pie- 
monte 6300,  e  tre  mezze  serate  a  suo  benefizio,  di  cui  una,  la 
quaresima,  a  Torino.»  Il  triennio '61 -'63  fu  nella  Compagnia  di 
Filippo  Prosperi,  e  andò  l'ultimo  anno  in  Ispagna,  ove  s'ebbe 
i  maggiori  onori.  Tornata  in  Italia,  fu  a  più  riprese  con  Ernesto 


SANTONI  505 


Rossi,  poi  direttrice  della  Filodrammatica  di  Terni,  poi  a  Roma, 
prima  attrice  al  Teatro  Capranica,  ov'  ebbe  a  rialzar  le  sorti 
della  povera  Compagnia  che  non  faceva  le  spese  dell'illumi- 
nazione. 

Tornò  in  Ispagna,  chiamatavi  dalla  nipote  Carolina  Civili, 
e  quivi  morì,  presso  Madrid,  il  febbrajo  del  1878. 

Carolina  Santoni  ebbe  figura  meravigliosa.  I  suoi  capelli 
corvini  adornavano  un'  alta  fronte  illuminata  da  due  occhi  ne- 
rissimi,  esprimenti  tutti  i  moti  del  cuore  umano.  Non  bella  ve- 
ramente, esercitava  sugli  spettatori  colla  espressione  della  fac- 
cia un  fascino  irresistibile. 

Il  collo,  le  spalle,  le  braccia  di  marmo  parean  modellati 
da  Fidia. 

Nata  per  la  tragedia  e  l'alto  dramma,  fu  eccelsa  nella 
Medea,  nella  Pia,  nella  Stuarda,  in  tutta  la  vasta  opera  alfie- 
riana,  nella  Suonatrice  d' arpa,  nella  Maria  Giovanna,  nella 
Diana  di  Chivry.  Né  la  coltura,  e  si  potrebbe  dir  la  gram- 
matica, era  il  suo  forte,  come  può  vedersi  da  questo  bigliettino 
ch'ella  mandava  il  '37  al  sig.  Ferdinando  Pelzette  S.  R.  M.  a 
Firenze  : 

Sti;n*o  Signior  Ferdinando 

Eccomi  di  nuovo 
ad'  incomodarlo  con  la  presente,  per  pregarlo  di  mandarmi  tre  monete  dovendo  comperare 
della  roba,  che  mi  sarà  necessarissima.  Lo  prego  di  scusare  l'incomodo;  Mille  è  mille 
salati  alla  gengissima  Sig.^  Madalena  e  resto,  piena  di  stima, 

Carolina  Santoni. 
P.  S. 

La  presente  li  servirà  di  ricevuta. 

Gio.  Batta  Niccolini  ha  parole  atroci  per  lei  in  una  lettera 
a  Maddalena  Pelzet,  forse  più  da  considerarsi  come  sfoghi  di 
autore  contro  la  Compagnia  Domeniconi  che  gli  preferiva  il 
Giacometti,  e  sfoghi  d'autore  che  voleva  ingrazionirsi  ognor 
più  r  interpetre  e  l' amica. 

Di  mezzo  alle  poesie  dettate  per  Carolina  Santoni  scelgo 
il  seguente  sonetto  di  T.  Z.  S.  dispensato  in  foglio  volante 

64.  —  /  Comici  italiani.  Voi.  II. 


5o6  SANTONI  -  SAVI 


al  Cocomero   di  Firenze    la  sera  del  suo  benefizio   20  feb- 
brajo  1851  : 

De' tuoi  grand' occhi  nell'alta  pupilla, 
rapito  al  Cielo  e  di  sé  stesso  altero, 
è  un  lume  dentro  cui  puro  sfavilla 
il  redento  da  te  Genio  del  vero: 

quindi  affetti  non  ha,  non  ha  parola 
questo  misero  sogno  della  vita, 
che  non  prenda  alla  tua  perfetta  scuola 
bellezza  insuperabile,  infinita. 

E  quando  più  nel  suo  fulgor  divina 
l'arte  trasfonde  T immortai  suo  spiro 
al  guardo  e  all'atto  che  ti  fan  regina; 

negli  arcani  del  tuo  vivo  sospiro 
ogni  cor  sente  la  superna  idea 
che  in  un  volger  di  ciglio  anima  e  crea. 

Sarti  Girolamo.  Veneziano,  nipote  del  suo  omonimo,  detto 
Str inghetto  (V.  Bartoli  Francesco)  recitò  con  molto  plauso 
le  parti  di  Tartaglia.  Lo  vediamo  il  1782  nella  Compagnia  di 
Giovanni  Roffi. 

Savi  Bartolommeo  di  Bergamo.  Istruito  da  Lorenzo  Bal- 
lotto, detto  Tiziano,  doventò  buon  Arlecchino,  e  fu  a  Venezia 
applaudito  in  Compagnia  di  Girolamo  Medebach.  Si  recò  poi 
a  Parigi  al  Teatro  italiano  e  vi  esordì  il  15  ottobre  del  1760 
nella  Dame  invisible,  senza  alcun  successo  :  ma  vi  piacque  il  dì 
dopo  in  Arlequin  Sénateur  Romain,  Tuttavia  abbandonò  il  ruolo 
di  Arlecchino,  e  prese  quello  di  Dottore  e  di  parti  staccate,  che 
sostenne  fino  alla  chiusura  del  teatro  nel  1767,  dal  quale  si 
ritirò,  essendogli  morta  l'aprile  dell'anno  prima  in  ancor  gio- 
vine età  la  moglie  Elena  Savi,  che  aveva  esordito  come  amorosa 
il  28  maggio  1 760  con  molta  intelligenza  e  con  molto  brio  nel- 
VHomme  à  bonne  fortune,  ed  era  stata  accolta  poco  tempo  dopo 
a  mezza  parte. 


SAVI  -  SAVORINI  507 


Sappiamo  dal  Goldoni  {Mem.,  T.  Ili)  che  la  signora  Savi 
era  la  prima  attrice  della  Commedia  italiana,  e  abitava  con  Za- 
nuzzi  al  sobborgo  di  S.  Dionigi,  come  pure  (ivi,  19)  che  non 
aveva  disposizioni  felici  per  la  commedia,  ma  che  era  giovane 
e  di  assai  buona  volontà. 

Uscito  dal  teatro,  Bartolommeo  Savi  si  diede  prima  a  fab- 
bricare fuochi  d' artificio,  coi  quali  si  recò  in  parecchie  città 
della  Francia.  Lo  vediamo  in  tale  ufficio  a  Modena  il  1 758,  dove 
immaginò 

I  FUOCHI  TEATRAXI,  cioè  :  Due  fontane  versanti  nella  platea  le  composizioni  pre- 
senti allusive  alle  suddette  fonti,  e  ai  componimenti  suddetti,  che  pure  alludono  alle  Me- 
desime, siccome  all'arme  de  la  serenissima  Casa  d'Este  alle  stelle  che  la  circondano, 
all'ecclissi  del  sole,  ed  ai  seg^i  del  zodiaco,  rappresentati  dai  fuochi  sopraddetti,  spieganti 
in  generale  le  glorie  della  suddetta  serenissima  casa,  alla  quale  umilmente  li  dona,  dedica 
e  con««».  l'osseqaiosi»rimo  .ervidore.  Ji^^.-^ovo  Savi  d.»  Truffaldino. 

Detti  fuochi  teatrali  furono  illustrati  con  un  carme  apolo- 
getico dell'abate  Gio.  Battista  Vicini,  poeta  primario  di  S.  A. 
Serenissima  (Mod.,  Eredi  di  Bart.  Soliani),  che  comincia  : 

Abbia  Marte  i  suoi  fuochi,  e  da  tonanti 
guerrieri  bronzi,  e  da  le  ferree  canne 
vomiti  incendi  strepitoso,  e  morti 
sotto  del  Cielo  Artoo  col  Prusso  in  lega 
pur  anco  resistente  e  col  feroce 
non  cedente  German  col  Gallo  invitto 
col  numeroso  Mosco  e  il  prode  Sveco 
abbia  i  suoi  fuochi  anco  Talia: 

Si  costruì  poi  il  Savi  un  teatrino  di  marionette,  con  cui  tor- 
nato in  Italia  e. stabilitosi  a  Torino,  ov*era  ancora  il  1781,  ag- 
giunse nuove  fortune  alle  già  acquistate.  Passò  a  seconde,  poi, 
nuovamente  vedovo,  a  terze  nozze. 


Galeazzo,  di  Bologna.  Comico  rinomatissimo 
per  le  parti  di  Dottore,  fiorito  sul  finire  del  secolo  xvii,  fu  al 
servizio  del  Duca  di  Modena  con  Anna  Arcagnati  sua  moglie, 
detta  in  commedia  Rosaura.  Abbiamo  di  lui  un  passaporto  dei 


5o8  SAVORINI 


più  ampii,  rilasciato  il  15  febbrajo  1689,  quando  i  Savorini 
dovevano  recarsi  da  Bologna  in  varie  città  d'Italia,  e  firmato 
Francesco-Carlo  Pio  di  Savoja.  Nell'elenco  però  della  Compa- 
gnia (V.  Torri)  non  figura  che  il  marito,  al  quale  sono  asse- 
gnate di  paga  venti  doble  al  mese.  Una  lettera  del  18  feb- 
brajo 1690  al  Duca,  firmata  dal  Savorini  e  da  Marco  Antonio 
Zanetti  detto  Truffaldino  (V.),  ci  apprende  come  la  Compagnia 
fosse  stata  costretta  a  scorrere  la  primavera  in  Pescia  e  Camajore, 
r  estate  in  Lucca  e  Livorno,  e  P  autunno  in  Firenze  senza  recite 
con  avversa  fortuita,  e  con  tante  traversie,  malattie,  e  dispendi, 
che  oltre  ai  gravi  incomodi  e  patimenti,  era  rimasta  impegnata  con 
un  debito  di  1^0  doppie,  oltre  li  debiti  particolari  di  ciascuno,  ai 
quali  Dio  sa  quando  si  sarebbe  potuto  provvedere. 

Il  Duca  di  Modena  aveva  loro  ordinato  di  andare  per  pro- 
prio conto  a  Modena,  e  di  là  a  Genova,  dopo  il  carnovale  di 
Roma,  Ma  gli  scriventi,  dopo  di  avere  annunziato  essere  in 
trattative  con  certo  Don  Ferdinando  Baldese  per  la  stagione 
di  Pasqua  a  Napoli,  ove  sarebbero  andati  a  tutte  sue  spese 
con  teatro  e  abitazione  per  la  Compagnia,  pagati,  e  con  altre 
condizioni  molto  vantaggiose,  si  dichiarano  pronti  a  eseguire 
gli  ordini  di  Sua  Altezza,  raccomandandosi  in  ogni  modo,  ac- 
ciocché voglia  somministrar  loro  il  bisognevole  per  fare  un 
viaggio  tanto  dispendioso.  Il  Duca  Francesco  ordinò  al  Teso- 
riere Zerbini  di  pagare  in  Roma  a  vista  all'  abate  Ercole  Pan- 
ziroli  doppie  dieci  d'Italia,  da  darsi  al  Truffaldino  e  al  Dottore 
per  valersene  nel  viaggio  da  Roma  a  Modena  a  conto  delle 
loro  provvisioni  :  una  miseria  codesta,  se  vogliam  credere  che 
il  bisogno  fosse  reale.  Infatti  i  comici  tornarono  all'  assalto 
l'i  I  marzo,  e  questa  volta  ricevettero  dalla  Munificenza  di  Sua 
Altezza  per  mezzo  del  medesimo  abate  quarantacinque  scudi 
d'argento  con  l'ordine  reciso  di  partir  subito  da  Roma. 

Rosaura,  la  moglie  di  Savorini,  non  era  con  lui  a  Roma, 
e  abbiamo  un  nuovo  ordine  del  Duca  allo  stesso  tesoriere,  di 
pagare  degli  effetti  di  cassa  segreta  al  Marchese  Decio  Fon- 
tanelli  lire  360,  per  darle  alla  Rosaura  in  conto  di  sue  provvi- 


SAVORINI  509 


sioni,  che  dovevan  principiare  a  decorrere  dal  giorno  di  arrivo 
a  Modena,  per  unirsi  al  resto  della  Compagnia. 

Altra  supplica  dei  Savorini  abbiamo  al  nuovo  Duca,  morto 
Francesco,  con  la  quale  espongono  la  loro  critica  posizione  e 
domandano  un  ajuto.  La  istanza  fu  passata  pei  provvedimenti 
al  Conte  Cesare  Rangoni  (1695). 

E  altra  finalmente  da  Bologna  in  data  1°  ottobre  1699,  ^^ 
cui  si  discorre  delle  solite  miserie,  e  s'implorano  i  soliti  soc- 
corsi, fatti  a  ciò  arditi  gli  umilissimi  serventi  dalla  Munificenza 
di  tutti  gli  eroi  della  Serenissima  Ca^a  Estense,  Epilogata  nella 
persona  di  Sua  Altezza  Serenissima, 

Alla  coltura  del  Savorini  accenna  Luigi  Riccoboni  nel 
capitolo  settimo  della  Storia  del  Teatro  Italiano,  là  dove  dice  : 
«  Neir  anno  1 690,  all'età  di  tredici  anni,  io  cominciava  a  fre- 
quentare il  teatro:  tutti  i  comici  di  quel  tempo  erano  igno- 
ranti. Tranne  Giovanni  Battista  Paglietti,  che  rappresentava 
la  parte  di  Dottore,  e  Galeazzo  Savorini,  che  dopo  lui  soste- 
neva le  medesime  parti,  non  potrei  nominare  uno,  ch'avesse 
fatto  i  suoi  studi.  > 

In  data  dell' '88  abbiamo  una  lettera  al  Duca  di  Modena, 
in  cui  si  lamenta  di  non  aver  ricevuto  la  sua  parte  del  donativo 
passato  ai  comici,  e  dice  di  aver  lavorato  per  nulla,  carico  di 
famiglia.  Domanda  soccorso.  Dice  che  quando  il  Duca  fu  am- 
malato corse  per  tutti  i  monasteri  di  Bologna  a  far  pregare,  e 
massime  in  quello  di  Santa  Caterina.  Altrettanto  fece  a  Corte 
Maggiore  per  altra  malattia. 

Giuro  avanti  Dio  che  se  V.  A.  mi  dà  una  carità  convenevole,  volere  andare  a  tro- 
vare la  sacra  M.  della  Regina  sua  sorella,  e  portarli  un  santo  Ritratto  qnal  dovevo  por- 
tare alla  felice  memoria  dell'  Imper.  Leonora,  come  da  una  sua  lettera  che  tengo  può  vedere, 
e  l' assicuro  che  gli  sarà  di  gran  sollievo  nelli  presenti  bisogni,  contento  all'  anima,  se  si 
degnerà  lasciarmi  comparire  davanti  la  di  lei  serenissima  persona  sentirà  l' historia,  dirò  solo 
che  sono  stato  dall"83  sino  all' '88  in  Livorno  nascosto. 

Ma  è  questa  lettera  sibillina  veramente  del  Savorini,  o 
forse  del  Muzio,  dottore  anch'esso  il  1688  al  servizio  del 
Duca? 


Sbodìo  Gaetano.  Nato  a  Milano  il  io  novembre  1844,  è 
stato  uno  de'  più  forti  sostegni,  dopo  Ferravilla,  della  Compa- 
gnia dialettale  creata  da  Getto  Arrighi.  A  quindici  anni,  abitava 


allora  a  Roma  con  la  famiglia  e  faceva  il  mestiere  dell'orefice, 
si  arruolò  volontario  nella  legione  Cacciatori  del  Tevere. 

Emigrato  a  Torino,  pensò  poi  di  andarsene  a  Milano,  de- 
sideroso com'era  di  rivedere  la  cara  patria.  Quivi  tornò  a 
far  l'orefice  per  campar  la  vita,  esercitandosi  la  sera  in  una 
società  di  dilettanti  a  recitar  le  partì  di  amoroso  in  italiano.  Col 
Meneghino  Caironi  sostenne  una  sera  del  carnovale  '64  o  '65, 
la  parte  di  Fornaretto  con  grande  successo,  e  da  allora  deli- 
berò di  farsi  attore.  Entrato  in  Compagnia  Codognola,  esordi 


al  Teatro  Chiaòrera  di  Savona  con  tale  successo  dì  fischi  e  di 
risa,  che  dovette  cambiar  aria,  e  andò  ad  aggregarsi  a  una 
Compagnia  miserissima,  che  recitava  in  un  granajo  di  Final- 
marina.  I  fischi  non  ci  furon  più,  ma  non  ci  fùron  più  né  anche 
i  mezzi  per  isfamarsì.  Deciso  di  tornarsene  a  Milano,  si  recò 
a  piedi  sino  a  Finalborgo,  dove  potè  ri- 
cavare il  bisognevole  per  giungere  a 
Milano,  recitando  poesie  giocose  e  can- 
tando canzonette  nel  caffè.  Il  '69  final- 
mente fu  scritturato,  dopo  altri  due  anni 
di  pene,  da  Cletto  Arrighi,  facendosi  am- 
mirar subito  nelle  scene  dialettali,  e  in 
ispecie  nel  famoso  Barchett  de  Bitffaiora. 
per  una  grande  intelligenza  nel  conce- 
pire i  caratteri,  e  una  grande  spontaneità 
e  verità  nel  rappresentarH  :  ammirazione 
che  si  mutò  nel  più  schietto  entusiasmo 
alla  recita  del  Saòet  gras  e  del  Milanes 
in  mar,  e  alle  canzonette  popolari. 

Da  quel  momento  Gaetano  Sbodio, 
«  ambrosiano  del  vecchio  stampo,  dal 
cuor  largo,  dal  buon  senso  caratteristico, 
dall'amore  tradizionale  per  la  rettitudine 
e  per  la  giustizi^l,  condita  con  quel  piz- 
zico di  umorismo  onestamente  mordace,  che  rende  Ì  Lombardi 
formidabih  negli  incruenti  duelli  della  parola  e  nell'espres- 
sione dei  loro  gìudìzj  {FerraviUa  e  Compagni.  Milano,  Aliprandi, 
1 890)  > ,  potè  anche  dirsi  il  più  popolare  degli  artisti  milanesi. 

Toltosi  dal  FerraviUa,  pensò  di  mettere  su  una  Compagnia 
milanese  in  società  con  Davide  Carnaghi,  la  quale  avrebbe  do- 
vuto camminar  su  le  orme  della  famosa  del  Toselli  e  di  quella 
veneziana  del  Benini  :  una  Compagnia  insomma,  che  ai  Massi- 
nelli.  Panerà.  Incioda  contrapponesse  la  vera  e  sana  commedia, 
originale  o  tradotta,  con  dialetto  e  ambiente  milanesi.  II  suc- 
cesso artistico  fu  assai  buono,  ma  quello  finanziario  mediocre. 


■W;4i 


512  SBODIO  -  SCALA 


Oggi  Gaetano  Sbodio  recita  ancora,  ma  collo  scemargli  della 
vista  gli  è  venuto  scemando  T  antico  vigore.  Fu  anche  autore 
di  più  opere  or  con  buona  or  con  cattiva  fortuna,  tra  cui  mi- 
gliore di  tutte  La  mamma  di  gatt. 

Scala  Flaminio.  Nato  di  nobili  parenti,  non  si  sa  dove,  né 
quando,  ma  fiorito  tra  la  seconda  metà  del  secolo  xvi  e  la 
prima  del  xvii,  fu  artista  sommo  per  le  parti  di  Innamoraio. 

Francesco  Bartoli,  seguito  poi  dal  Sand  e  dagli  altri,  dice 
che  lo  Scala  si  pose  alla  testa  de'  Comici  Gelosi  che  andarono 
a  Parigi  per  privilegio  ottenuto  da  Arrigo  III  nel  1577  ;  ma  il 
Baschet  si  domanda  {op.  ciL)  se  davvero  figurasse  in  quella 
Compagnia  più  tosto  questo  che  quel  comico,  e  se  davvero  ne 
fosse  capo  lo  Scala,  non  essendovi  di  ciò  prove  di  sorta.  È  vero. 
Né  solamente  pel  '77  non  abbiam  prove  della  sua  presenza 
nella  Compagnia  de'  Gelosi;  ma  né  anche  per  gli  anni  succes- 
sivi. Per  questi  anzi  se  n'  avrebbe  tale  da  escluderlo  assoluta- 
mente dai  Gelosi.  Come  mai  TAndreini  che  nelle  Bravure  del 
Capitano  Spavento  enumera  tutti  i  componenti  quella  gran  Com- 
pagnia, non  fa  cenno  di  lui?  Di  lui,  ch'egli  ebbe  in  tal  conside- 
razione da  dettare  egli  stesso  la  prefazione  alle  favole  rappre- 
sentative, facendo  dell'artista  il  più  largo  elogio?  E  infatti:  che 
ci  sarebbe  stato  a  fare  quell'Innamorato  accanto  a  due  sì  grandi 
nello  stesso  ruolo:  Orazio  Padovano  e  Adriano  Valerini?  Ma 
d'altronde:  come  dubitare  ch'ei  fosse  coi  Gelosi  al  fianco  d'Isa- 
bella Andreini,  per  la  quale  avea  composto  gli  Scenar j  che  la 
misero  più  in  voga,  come  La  fortunata  Isabella,  La  gelosa  Isa- 
bella, La  pazzia  di  Isabella,  di  cui  era  una  parte  principale  egli 
medesimo  ? 

Comunque  sia,  se  le  lacune  nello  stato  di  servizio  artistico 
dello  Scala  sono  troppe,  é  certo  ch'egli  così  in  Italia  come 
fuori  fu  artista  reputa tissimo  per  lungo  volgere  d'anni,  e  gen- 
tiluomo de' più  diletti  a  principi  e  a  letterati. 

Le  prove  certe  di  lui  cominciano  dall'estate  del  1600,  in 
cui  lo  vediamo  col  Frittellino  Cecchini  a  Lione,  dove  si  pub- 


SCALA  513 

blica,  a  sua  istanza,  //  Postumio,  comedia  del  signor  I.  S.  (Rous- 
sin,  1601).  L'inverno  del  1601  va  a  Parigi,  poi  forse,  richie- 
stane la  Compagnia  (degli  Accesi)  al  Duca  di  Mantova  da  Maria 
di  Boussu,  dama  della  Corte  di  Bruxelles,  nelle  Fiandre  e  in 
Brabante. 

<(  Fra  i  comici,  che  divertivano  la  Corte  di  Mantova  nel 
gennajo  1606  -  avverte  il  Bertolotti  -  è  nominato  Flavio  Scala, 
il  quale  era  ricercato  da  G.  B.  Spinola.  > 

Del  1 6 1  o  abbiamo  una  lettera  da  Ravenna  in  data  24  marzo, 
che  il  Cardinale  Caetani  scrive  al  Duca  di  Modena,  pregandolo 
di  dar  ordine  che  capitando  Flaminio  Scala  nel  suo  Stato  con  Com- 
pagnia di  comici  li  sia  prohibito  per  questo  anno  il  reàtar  comedie, 
e  ciò  perchè  gli  era  stato  dato  da  lui  //  maggior  disgusto  che 
potesse  dargli  kuomo  della  sua  conditione.  E  nel  Rescritto  della 
Cancelleria  è  detto  :  Scrivere  a  Reggio  e  a  Carpi. 

Il  1 6 1 1 ,  anno  della  pubblicazione  della  sua  grande  opera 
degli  Scenarj,  passò  da  quello  del  Duca  di  Mantova  al  servizio 
di  Don  Giovanni  de'  Medici  nella  Compagnia  de'  Confidenti, 
di  cui  fu  attor  principale  e  direttore.  Le  notizie  certe  di  lui 
terminano  col  marzo  del  1620.  Egli  assunse  in  teatro  il  nome 
di  Flavio  (lasciatoci  dal  Ruzzante),  specchio  degli  Innamorati, 
che,  bello,  galante,  poeta,  musicista,  gentile  come  un  corti- 
giano, attillato  come  uno  spagnuolo,  la  vince  nel  cuore  di  Fio- 
rinetta  su  tutti  gli  altri,  per  quanto  sfoggio  essi  facciano  delle 
loro  ricchezze;  e  tra'  suoi  Scenarj  cinque  ve  n'ha  intitolati  dal 
suo  nome  di  teatro,  e  in  cui  egli  è  protagonista  :  La  fortuna 
di  Flavio^  Flavio  tradito»  Flavio  finto  negoziante.  Le  disgrazie  di 
Flavio. 

Curiosa  e  interessante  opera  cotesta  degli  Scenarj  (Vene- 
zia, Pulciani,  161 1),  ch'egli  chiamò  II  Teatro  delle  Favole  rap- 
presentative, ovvero  La  Ricreazione  comica,  boschereccia,  e  tragica, 
divisa  in  cinquanta  giornate,  e  volle  dedicata  al  Conte  Ferdinando 
Riario. 

A  essa,  come  ho  già  detto,  preluse  con  parole  di  molta 
lode  Francesco  Andreini,  tra  cui  queste: 

65.  —  /  Comici  iialiaui.  Voi.  II. 


514  SCALA 

Che  il  signor  Flaminio  Scala  detto  Flavio  in  Comedia,  per  non  far  torto  all'or- 
dine suddetto,  e  tanto  da  buoni  filosofi  lodato,  nella  soa  gioventù  si  diede  all'esercizio 
nobile  della  commedia  (non  ponto  oscurando  il  suo  nobile  nascimento)  e  in  quello  fece 
tanto  e  tale  profitto  eh'  egli  meritò  d' esser  posto  nel  numero  de'  buoni  comici,  e  f ra  i  mi- 
gliori della  comica  professione. 

Luigi  Riccoboni  nel  capitolo  quinto  della  sua  Istoria  del 
Teatro  italiano,  parla  a  lungo  di  queste  favole  dello  Scala. 
Egli  dice: 

n  suo  teatro  non  è  scrìtto  in  dialogo,  ma  solamente  esposto  in  semplici  scenarj, 
che  non  sono  cosi  concisi  come  quelli  di  cui  facciamo  noi  uso,  e  che  esponiamo  attaccati 
al  muri  del  teatro  dietro  le  quinte,  ma  che  pure  non  sono  tanto  prolissi  da  poterne  trarre 
la  minima  idea  del  dialogo:  essi  spiegano  soltanto  ciò  che  l'attore  deve  fare  in  scena,  e 
l'azione  di  che  si  tratta,  e  nulla  più. 

E  li  dice  cattivi  e  scandalosissimi,  e  lodati  da  tanti  illustri 
uomini  non  già  pel  merito  loro,  ma  per  la  loro  invenzione.  An- 
dreini  poi  spiega  il  perchè  della  pubblicazion  delle  Favole  in 
Scenaij  piuttostochè  in  disteso,  nella  prefazione  di  esse  : 

Avrebbe  potuto  il  detto  signor  Flavio  (perchè  a  ciò  fare  era  idoneo)  distender  le 
opere  sue,  e  scrìverle  da  verbo  a  verbo  come  s' usa  di  fare  ;  ma  perchè  oggidì  non  si  vede 
altro  che  comedie  stampate  con  modi  diversi  di  dire,  e  molto  strepitosi  nelle  buone  regole, 
ha  voluto  con  questa  sua  nuova  invenzione  metter  fuora  le  sue  comedie  solamente  con  lo 
Soenarìo,  lasciando  ai  bellissimi  ingegni  (nati  solo  all'  eccellenza  del  dire)  il  farvi  sopra  le 
parole,  quando  però  non  sdegnino  d' onorar  le  sue  fatiche  da  lui  composte  non  ad  altro 
fine  che  per  dilettare  solamente,  lasciando  il  dilettare  e  il  giovare  insieme,  come  ricerca 
la  poesia,  a  spirìti  rari  e  pellegrini. 

Vedasi  ciò  che  dice  Evaristo  Gherardi,  ottant'anni  più 
tardi,  di  coloro  che  recitan  le  commedie  a  soggetto.  Andrea 
Perucci  più  volte  ricordato  dà  in  modo  particolareggiato  tutte 
le  regole  del  recitare  all'improvviso,  molte  delle  quali  sparse 
in  quest'  opera  a*  nomi  de'  più  famosi  recitanti. 

Nella  XIV*,  quella  cioè  del  modo  di  concertare  il  soggetto, 
ufficio  esclusivo  del  Direttore  di  Compagnia,  egli  dice  : 

n  Corago,  Guida-Maestro,  o  più  pratico  della  conversazione  deve  concertare  il  sog- 
getto prìma  di  farsi,  acciocché  si  sappia  il  contenuto  della  comedìa,  s' intenda  dove  hanno 
da  terminare  i  discorsi  e  si  possa  indagare  concertando  qualche  arguzia,  o  lazzo  nuovo. 
L' ufficio  dunque  di  chi  concerta  non  è  di  leggere  il  soggetto  solo  ;  ma  di  esplicare  i  per- 
sonaggi coi  nomi  e  qualità  loro,  l' argomento  della  favola,  il  luogo  ove  si  recita,  le  case, 
decifrare  i  lazzi  e  tutte  le  minuzie  necessarìe,  con  aver  cura  deUe  cose  che  fanno  di  bisogno 
per  la  comedia. 


SCALA  515 

Il  Perucci  prende  per  esempio  La  Trapolaria,  Scenario 
di  G.  B.  Porta,  e  su  di  esso  distende  minutamente  le  sue  re- 
gole, enumerandone  prima  i  personaggi,  assegnando  a  cia- 
scuno di  essi  le  case,  prima  o  seconda,  di  destra  o  sinistra, 
dicendo  l'argomento,  spiegando  i  lazzi  e  assegnandoli  a'vaij 
punti  della  Commedia.  Certo,  com'  egli  avverte  nel  Proeniio  al 
rappresentare  all'  improvviso, 

bellissima  quanto  difficile  e  pericolosa  è  l' impresa,  né  vi  si  devono  porre  se  non  persone 
idonee  ed  intendenti,  e  che  sappiano  che  vnol  dire  regola  di  lingua,  figure  Rettoriche, 
tropi,  e  tutta  P  arte  rettorica,  avendo  da  fare  all'  improvviso  ciò  che  premeditato  la  il 

ma  quando  esse  abbiano  le  qualità  volute,  e  specialmente  una 
pratica  singolarissima  del  teatro,  certi  inconvenienti  lamenta- 
bili nella  recitazione  premeditata,  sarebber  più  facilmente  eli- 
minati in  quella  improvvisa.  Per  esempio:  recitando  all'im- 
provviso è  più  facile  impedire  che  il  personaggio  che  entra  in 
iscena  s' incontri  con  quello  che  esce, 

perchè  parlando,  ed  aggiungendo  parole  sopra  la  materia,  si  può  vedere  quale  scena  sia 
occupata  dal  Personaggio,  che  sarà  jper  uscire,  e  non  entrare  per  quella;  ma  per  dove 
sarà  vota.  Benché  l'uscire  per  le  scene  di  sopra,  ed  entrare  per  quelle  di  sotto  é  una 
Regola  infallibile,  quando  la  necessità  altro  non  ricercasse. 

Rimediare  alle  scene  vuote  e  mute  si  può  altresì  più  all'improvviso,  che  al  pre- 
meditato, potendo  ciascuno  uscire  sopra  il  tenore  della  scena  antecedente,  e  parlare  fin  a 
tanto  che  venga  a  chi  toccherà  d'uscire. 

Noi,  grazie  a  Dio,  non  ci  troviamo  più  a  tanta  libertà; 
ma  artisti  capaci  di  rimediare  alle  così  dette  scene  vuote,  e  di 
tenere  a  bada  il  pubblico  o  con  un  monologo  o  con  una  scena, 
finché  non  entri  il  personaggio  che  deve  entrare,  ne  abbiamo 
ancora. 

Della  eccellenza  di  Flaminio  Scala  nel  recitare  e  nel  diri- 
gere abbiam  testimonianza  amplissima  in  alcune  lettere  del- 
l'Archivio di  Mantova,  ch'ebbi  per  gentile  comunicazione  di 
Stef.  Davari,  nelle  quali  Don  Giovanni  De'  Medici  si  oppone 
strenuamente  a  che  alcuni  de' suoi  comici  Confidenti  (Mezzet- 
tino  Onorati  e  Scapino  Gabbrielli,  e  primo  lo  Scala),  passino 
a  richiesta  di  Lelio  e  di  Florinda,  a  far  parte  della  Compagnia 


5i6  SCALA 

che  il  Duca  di  Mantova  vorrebbe  inviare  in  Francia.  La  Com- 
pagnia intera  è  pronto  a  inviarla  quando  piaccia  a  S,  A.,  dopo 
gV  impegni  assunti  col  Gran  Duca,  ma  comici  isolati  no  ;  che 
sarebbe  un  distruggere  la  Compagnia  eh'  egli  con  tanta  pa- 
zienza e  con  tanto  amore  tiene  insieme  da  circa  sei  anni  (le  let- 
tere han  la  data  del  '  1 8).  Infatti,  richiesta  la  Compagnia  dal  Duca, 
Don  Giovanni  scrive  alla  Duchessa  (Venezia,  2  aprile  1 6 1 8)  che 
pensando  potesse  essere  la  venuta  della  sua  Compagnia  anche 
di  suo  gusto,  le  ha  spedito  ordine  di  voltar  subito  strada  (era 
diretta  a  Genova),  e  recarsi  a  Mantova. 

E  il  successo,  confermato  dal  Duca  stesso  e  dal  Segreta- 
rio Marliani,  ne  fu  de'  migliori  ;  e  i  comici  tutti,  lo  Scala  spe- 
cialmente, s' ebber  donativi  e  onori. 

A  nuove  e  più  vive  richieste  del  Duca,  Don  Giovanni  ri- 
spose schermendosi  ancora,  finché,  insistendo  quello,  dovè 
(6  aprile  1 6 1 9)  mettersi  devotamente  a'  suoi  ordini  e  promet- 
tergli Scapino  e  Mezzettino  (V.  Gabbrielt.i  Francesco  e  Ono- 
rati Ottavio)  non  che  lo  Scala,  rassegnandosi  a  vedere  lo 
sfascio  della  Compagnia;  che  senza  tali  personaggi  essa  sa- 
rebbe stata  priva  dell'  anima  e  dello  spirito. 

E  dice  inoltre: 

Non  negherò  ancora  Ser.™o  Sig.<^«  che  amando  io  Flaminio  Scala  et  desiderandogli 
ogni  bene,  né  potendo  io  come  povero  Cav.re  farli  di  quei  benefizij  che  i  Principi  grandi 
sanno  et  possono  fare  a  loro  cari  servi." ,  ho  cercato  col  tener  qnesta  compagnia  insieme 
che  egli  possa  sostentarsi  cavandone  utile  che  veramente  mi  rincresce  che  resti  tolto  a 
questo  povero  galanthuomo  che  sempre  è  vissuto  in  maniera  da  capir  per  tutto.  Tuttavia 
può  tanto  in  me  il  desiderio  di  servire  et  gustare  V.  A.  che  senza  far  reflessione  sopra 
cosa  alcuna  accomoderò  il  mio  desiderio  al  suo  gusto,  uè  penserò  più  a'  commedianti,  et 
lo  Scala  è  tanto  galanthuomo  che  egli  medesimo  instantemente  mi  ha  pregato  eh'  io  operi 
in  questo  affare  in  guisa  che  V.  A.  resti  servita  di  conoscere  eh'  egli  serve  volontieris.o  a 
gran  Principi  suoi  pari  senz'  altro  interesse  che  di  buon  ser.r^,  che  è  debito  suo,  rimet- 
tendo ogni  altra  cosa  nell'arbitrio  et  volontà  de' suoi  Padroni. 

Ma  ahimè  !  quel  povero  Don  Giovanni  non  seppe  più  da 
che  canto  rifarsi  per  avere  un  po'  di  pace.  I  comici  si  raccoman- 
davano e  piagnucolavano  per  non  essere  divisi,  il  Duca  insisteva 
per  avere  quei  tre.  Nell'animo  del  Capocomico  di  buon  cuore 
prevalse  la  ragione  de'  comici,  tanto  più  che  i  personaggi  ri- 


SCALA  517 

chiesti  dal  Duca  non  lo  eran  per  suo  particolare  servizio,  ma 
per  essere  inviati  in  Francia  assieme  a  Lelio  e  Florinda. 

Vale  la  pena  eh'  io  dia  qui  intera  la  lettera  che  Don  Gio- 
vanni scrisse  da  Venezia  il  21  marzo  1620  a  Ercole  Marliani, 
nella  quale  son  notizie  di  grande  interesse  intorno  alla  Com- 
pagnia de'  Confidenti  : 

ni.re  Sig.re, 

È  vennto  da  me  per  licenziarsi  per  costà  il  nostro  Sig.i*  Flaminio  Scala,  et  io  quasi 
quasi  gli  avevo  consìgniato  non  so  che  ostriche  per  Mad.*^  Ser.°iA,  ma  domandandogli  poi, 
che  buon  vento  lo  spingeva  in  costà,  mentre  si  assettavano  i  bariletti,  mi  mostrò  una  let- 
tera di  V.  S.  degli  1 1  marzo  scritta  su  le  6  hore,  la  quale  letta  da  me  mi  indusse  subito 
a  dirgli  che  non  occorreva  ne  per  acqua  ne  per  terra  che  egli  venissi  in  costà,  se  non 
haveva  altro  negozio  in  che  servire  S.  A.  che  di  far  la  compagnia  per  mandare  in  Francia, 
poiché  il  concerto  fatto  con  esso,  io  sapevo  che  non  poteva  in  modo  alcuno  bavere  effetto. 
In  quanto  però  appartiene  alla  compagnia  de  Confidenti,  cKe  sta  ancora  sotto  la  mia  pro- 
tezione, essendosi  mitissimamente  ristabilita,  nella  quale  ancor'  egli  si  ritrova  et  che  quanto 
a  altri  comici  che  S.  A.  fa  trattenere  costi,  soggìunsegli  che  non  vedevo  quello  che  egli 
vi  havesse  che  fare,  et  dissigli  di  più,  che  mi  maravigliavo  che  essendo  egli  informatis- 
«imo  della  rissolutissima  volontà  et  stabilimento  de  compagni,  pensasse  a  venir  costà  con 
le  mani  piene  di  vento,  et  soggiungendomi  egli  che  si  moveva  per  ubbidire,  io  gli  sup- 
plicai, che  già  che  egli  sapeva  non  poter  servire  a  cosa  alcuna  nel  concertato  suo  con  S.  A. 
che  mi  pareva  prima  di  dovere  io  scrivere  a  V.  S.  quanto  passava  acciò  egli  non  facesse 
un  viaggio  a  sproposito  ;  et  cosi  lo  fermai  di  testa.  Dico  adunque  a  V.  S.  che  al  ritomo 
di  Monferrato  del  detto  Scala,  con  la  lettera  di  S.  A.  io  risposi  all'A.  S.  come  ella  può 
sapere,  che  all'  bora  haverebbe  la  compagnia  satisfatto  ali*  obbligo  che  haveva  qui  in  Ve- 
nezia, e  poi  a  quaresima  harei  procurato  per  quanto  potevo  di  servire  all'A.  S.,  et  in 
vero  credetti  poterlo  fare,  perchè  vedevo  quasi  tutti  alborottati  et  con  molte  difiìcultà  nel 
mantenersi  uniti,  come  è  solito  de  Comedianti.  Et  io  gli  lasciavo  (come  si  dice)  cuocere 
nel  loro  grasso,  ma  venuta  la  quaresima,  che  le  minestre  son  più  magre,  quando  l'uno 
e  quando  l'altro  comindomo  a  venirmi  a  rompere  gli  orecchi,  ma  tutti  a  una  non  doman- 
davano se  non,  unione,  unione.  Et  poi  tutti  insieme,  non  una  volta,  ma  ben  quattro,  mi 
son  venuti  a  dire  et  protestare  che  assolutissima.te  non  si  volevan  disunire  di  sieme,  et 
havendogli  io  più  volte  detto  et  ridetto  che  non  mi  volevo  impacciare  di  questo  affare 
ma  che  gli  farei  sapere  quanto  mi  pareva  bene  per  utile  loro  et  il  mio  desiderio,  mi  tor- 
nomo  tutti  a  dire,  con  humiliss.e  preghiere  di  non  gli  abbandonare,  che  erono  rissolutiss.*  di 
non  si  voler  disunire,  ne  separare  in  modo  alcuno,  et  che  però  in  tal  modo  io  gli  coman- 
dasse che  erano  prontiss.mì  ad  ubbidire,  ma  altrimenti  più  tosto  harebbono  eletto  di  andare 
dispersi,  perchè  vedevono  la  loro  manifesta  rovina,  mentre  si  disunissero  et  dovendo  rovi- 
nare col  dividersi,  più  tosto  harebbono  eletto  di  fare  ogni  vii  mestiero  che  più  recitare, 
e  tutto  hanno  fondato,  secondo  me,  sul  vedere  il  buon  guadagno  che  hanno  fatto  que- 
st'  anno.  Io  Sìg.**  Hercole  mio  per  parlar  con  V.  S.  alla  libera  vedendo  in  quel  che  consiste 
e  da  quel  che  depende  la  loro  risoluzione,  non  ho  saputo,  ne  anche  voluto  (per  dire  il 
vero)  fargli  forza,  perchè  come  povero  Cav.re  di  spada  et  cappa  non  ho  il  modo  a  dare 
a  ciascun  di  loro  500  scudi  per  ciascuno,  il  vitto  e'I  vestire  per  loro  e  per  le  loro  fami- 
glie per  tutto  l' anno,  come  ogni  uno  di  loro  quest'  anno  s' è  guadagnato,  che  prima  che 


SI8  SCALA 

icrìverlo,  creda  pnt  V.  S.  che  l' ho  volalo  molto  bea  vedere  e  toccu  con  mano.  Et  per 
vita  ma  la  prego  a  dirmi,  come  potevo  io  dire,  ta  hai  da  andare,  ta  hai  da  reitate,  tn 
che  tei  primo  diventar  lecondo,  et  fra  haominì  dove  i  liberti  et  compagnia  penoadere 
per  accettabile  la  inperiorìti  et  U  «nggeziione  ì  Che  cariti  chriitiana  harei  havnta  veno 
qneitì  poveri  hnomini  et  loro  famiglie  ì  Che  atto  di  corteiia  o  di  gratitudine  harei  io  diroo- 
ttrato  a  costoro  che  per  7  anni  continui  mi  hanno  obbedito  al  cenno,  se  io  gli  havetsì 
rovinati  et  «profondali,  come  loro  tengono  d' esaere  quando  saranno  dininitiP  Sig.r  mio, 
■on  povero  si,  ma  soq  generoso,  et  confesso  il  vero,  lon  persona  dolce,  ne  so  far  male 
a  chi  mi  riverisce.  V.  S.  sa  che  'I  mondo  si  governa  con  l'opinione;  questi  poveri  hnomini 
pensano  col  disunirsi  di  rovinarsi,  ond'  io  per  le  ragioni  dette,  non  ho  sapnto  trovar  parole 
da  principiare  non  che  da  persnaderglìelo.  Però  gli  ho  risposto  che  faccin  bene  che  io  gif 
aiaterò  sempre,  e  cosi  li  ho  liremiati.  Mi  «oso  ben  fatto  promettere  da  dascnno  in  par- 
ticolare, che  sempre,  che  per  qual  li  voglia  accidente  si  disnnischino,  ogni  uno  di  loro 
lari  qoel  eh'  io  vorrò.  V.  S.  vede  eh'  io  non  ho  laiciato  di  fare  quel  che  potevo  ma  »Ì»to 
che  non  bastava  per  complice  a  qael  che  barebbe  vointo  S.  A.  ho  fatto  alla  cortigiana; 
et  più  tosto  volevo  tacermi  che  scriver  cosa  di  poco  gnsto,  nondimeno  perchè  la  lettera 
di  V.  S.  presupponeva  le  cose  in  altro  stato,  ho  giudicato  bene  dargliene  parte  acdd  S.  A. 
ne  resti  informata,,  confidando  che  la  distrezza  di  V.  5.  gliene  porgeri  io  quella  maniera 
che  è  proporzionata  al  sommo  desiderio  che  ho  sempre  di  servire  a  5.  A.  in  ogni  cosa. 
Io  cbe  conosco  i  nobìlias.'  concetti  dell'A.  5.  et  la  soa  molta  prudenza,  non  ho  credalo 
veramente  eh'  egli  habbia  a  voler  premere  tanto  in  questo  negozio,  eh'  egli  hsbbla  a  voler 
mandare  spersi  questi  poveri  buominì  senza  suo  servizio  particolare,  perchè  credami  V.  S., 
che  questi  aepaiBti,  non  darebbono  ne  in  del  ne  in  terra,  anzi  che  S.  A.  manderebbe  in 
Francia  1»  torre  di  Babel  e  non  una  compagnia  de  comici,  se  disunendo  questi  gli  me- 
scolassi con  altri.  Troppo  dolce  suona  negli  orecchi  il  nome  della  liberti,  et  etiam  gli 
animali  vivuU  qualche  poco  in  sieme  non  si  fanno  dividere  quando  ai  viene  all'atto  et 
al  latto.  Sono  Sig.r  mio  notissimi  et  conosciuti  i  Lelij,  le  Florìnde,  le  Flamminie,  i  Frit- 
telini  et  gli  Arlichinì  tutti  huomini  desidetosiss.l  et  ambiziosi  di  dominio  et  d' impero, 
talché  questi  poveri  hnomini  uii  a  una  fratellBnia  fra  di  loro,  mai  si  ridurrebbou  con  eiaì 
in  una  servitù  pacifica  et  quieta,  et  qnesli  altri  mai  si  diveizerebono  dal  voler  dominare 
et  comandare,  perchè  si  san  troppo  usi,  et  hanno  rotte  troppe  scarpe  in  quel  mestiero, 
et  io  gli  ho  per  sensati,  perchè  ancor'  io  più  volentieri  ho  comandalo  che  ubbedito,  et 
questo  è  desiderio  innato  in  ciascun'  buomo,  et  però  ardisco  di  dire  immutabile,  anzi  che 
cresce  cogli  anni.  Però  creda  V.  S.  eh'  io  stimo  che  sia  servitio  di  S.  A.  che  di  questo 
negozio  non  se  ne  tratti,  perchè  non  è  proporzionato  alla  ina  Grandezza,  che  quattro 
commedianti  si  allontanino  dal  suo  gusto,  et  che  lasciando  in  parte  il  dovuto  rispetto  non 
stiano  mai  d' accordo  in  sieme,  come  al  certo  non  itarebbon  questi,  et  tanto  meno  in 
Francia  nel  Teatro  di  si  gran  Corte;  e  V.  S.  tenga  per  certo  ch'io  non  mi  inganno, 
perchè  mi  ricordo  degli  esempj  de  casi  seguiti  al  tempo  della  fel.  mem.  dell'A."  del 
S.'  Duca  Vincenzo,  padre  dell'A.  S. 

Io  somma  Sig.''  Mailiani  il  dominio  delle  volouli  non  è  cosa  terrena,  ne  da  lontano 
si  posBoo  rimediare  gli  inconvenienti.  Non  voglio  anche  tacere  a  V.  S.  un  mio  pensiero 
che  io  tengo  per  sicurìss."  che  la  prudenza  di  S.  A.  conosca  tutte  queste  cose  mollo  meglio 
di  me,  ma  che  l' importuniti  di  tutti  cotesti  comici  di  cotesta  compag.'a  trattenuti  costi 
gli  faccia  per  strano  dare  orecchie,  et  dare  qualche  ordine  in  queste  materie,  nel  qual  caso 
poi,  per  dirgliela  confidentemente,  io  non  mi  curo  punto  di  rompere  una  Compag.'^  che 
dipende  da  me  per  dar  gusto  a  commedianti  che  per  invidia  hanno  concertato  et  vorreb- 
boDo  urtarla,  cozzarla  et  disfarla.  La  Compagnia  de  Confidenti  invero  (se  ben  cotesti  et 
altri  la  disprezzano)  ha  gran  lama,  et  per  tutto  hoggi  è  stimala  più  d'ogni  altra,  onde  il 


^>l 


SCALA  519 

romperla  sarebbe  proprio  (come  si  suol  dire)  quasi  peccato,  e  tanto  più  senza  cavarne  il 
profitto  che  forse  si  spera.  Sono  stato  lungo,  ma  era  necessario  parlar  chiaro  et  senza 
maschera,  se  ben  si  tratti  de  commedianti,  perchè  non  siamo  in  commedia,  et  io  dico  da 
baon  senno.  Se  adunque  lo  Scala  non  viene,  V.  S.  scasi  me,  et  non  lui,  perchè  egli, 
come  buona  persona,  veniva  a  toccare  una  nasata,  et  io  che  hoggi  mai  ho  la  barba  più 
bianca  che  nera,  ho  stimato  sia  meglio  cosi  et  rimettere  il  tutto  nella  prudenza  di  V.  S. 
che  saprà  con  la  conveniente  circuspezione  et  riverenza  ritenere  alquanto  con  dolcezza, 
certi  impeti  vivaci,  soliti  a  regnare  nelle  menti  de  gran  Principi,  che  dai  buoni  ser.'i  de- 
von' essere  desiderati  quieti  et  conforme  all'honesto. 

Di  Venezia.  21  marzo   1620.  j^^^^  ^^^^   MEDICI. 


A  questo  punto  cessano  le  notizie  della  vita  artistica  di 
Flaminio  Scala,  di  colui  che,  se  non  migliorò  la  commedia  del- 
Tarte,  la  sviluppò  certo,  dandole  nuovi  e  più  varj  atteggiamenti. 

Da  questa  lettera  di  ringraziamento,  che  esso  Scala  inviò 
al  Duca  non  appena  giunto  a  Venezia,  vien  fuori  un  nuovo  per- 
sonaggio, la  Livia,  che  parrebbe,  all'ascendente  che  esercita 
su  lui,  una  moglie  in  calzoni. 

Ser.«no  Sig.«"c 

Subito  giunto  a  Venetia  andai  in  Villa  a  dare  le  lett.»  di  V.  A.  airEcc.nio  S.»*  D.n 
Giovanni  mio  Sig.*"*^,  al  quale  feci  relatione  del  regalo  fatto  a  ciascuno  della  sua  compa- 
gnia, ma  in  particolare  poi  dell'honore  fattomi  da  V.  A.  La  Sig.>**  Livia  curiosa  di  veder 
i'habito  negro  a  pena  mi  diede  tempo  di  mandarlo  a  pigliare  et  perchè  à  giudicato  che 
non  sia  per  me  pover  huomo,  me  ne  ha  dette  tante  che  m'ha  havuto  a  far  perdere  la 
patienza,  ond'  in  vece  di  far  una  grossa  spesa  per  acconciarlo  a  mio  dosso,  mi  converrà 
tenerlo  per  reliquia  cara  del  mio  Ser.^^o  Sig.^^.  Starò  attendendo  i  comandamenti  de  V.  A. 
et  sia  certa  che  la  servirò  conforme  la  mia  obligatione  et  in  quanto  potrò. 

Venezia.  16  di  giugno  1618.  Dev  ■•  et  obUg»o  .er." 

Flaminio  Scala  d.o  Flavio. 

Farmi  ozioso  il  fermarsi  sul  granchio  preso  dal  Quadrio, 
che  fa  moglie  dello  Scala  Orsola,  detta  in  commedia  Flaminia, 
eh*  era  la  moglie  del  Frittellino  Cecchini.  Il  Valeri  (  Un  Palco- 
scenico del  seicento,  Roma,  1893)  dall'errore  del  Quadrio  e  dal- 
l'essere stato  il  Cecchini  valentissimo  allievo  dello  Scala,  trae 
la  probabile  ipotesi  che  la  Cecchini  fosse  una  figlia  del  maestro 
maritata  allo  scolare. 

Delle  tante  poesie  dettate  in  onor  dello  Scala  dall' Achil- 
lini,  dal  Campeggi,  dall'Orsino,  dal  Lazzari,  dal  Petracci,  dal 


520  SCALA  -  SCALABRINI 

Marliaiii,  dairAndreini,  pubblicate  in  fronte  all'opera  delle  Fa- 
vole, metterò  qui  un  madrigale  del  Petracci,  e  il  sonetto  del- 
l'Andreini,  che  dicon  chiaro  le  lodi  dell'autore  e  dell'opera: 

Detta  Flaminio,  e  poi 

ciò  sì  ben  rappresenta 

Flavio  gentile  a  noi, 

ch'ogni  alma  trasse  ad  ascoltarlo  intenta. 

O  d' arte  e  di  Natura  eccelso  dono  ! 

Questi  e  Quegli  uno  sono; 

ma  qual  s'avanzi  stai  dubbioso  intanto, 

di  Flavio  il  pregio,  o  di  Flaminio  il  vanto. 


Giacean  sepolte  in  un  profondo  oblio 
le  Muse,  quando  tu  Flavio  gentile 
le  richiamasti,  e  con  leggiadro  stile 
principio  desti  al  nobil  tuo  desio: 

per  te  godon  le  scene  il  lor  natio 
honor  ;  e  già  se  'n  vola  a  Battro  a  Thile 
glorioso  il  tuo  nome,  e  V  empia  e  vile 
invidia  paga  il  doloroso  fio: 

Godi  dunque  felice  un  tanto  honore, 
che  '1  mondo  in  premio  delle  tue  fatiche 
lieto  ti  porge,  e  ne  ringrazia  il  Cielo: 

Quindi  avverrà  eh*  ogni  or  le  Muse  amiche 
avrai,  e  colmo  d'amoroso  zelo 
a  le  scene  darai  gloria  e  splendore. 

Scalabrìni-Medebach  Rosa.  Figlia  di  un  egregio  legcde 

bolognese,  e  seconda  moglie  di  Girolamo  Medebach  (V.),  che 
sposò  il  1766,  fu  prima  un'ottima  dilettante,  applauditissima 
specialmente  qual  prima  attrice  della  tragedia  Giovanni  di 
Giscala,  poi,  maestro  Ignazio  Casanova,  un'eletta  artista  per 
ogni  genere  di  parti,  grandi  o  piccole,  ch'ella  sosteneva  vo- 
lenterosa pel  buon  andamento  della  Compagnia  del  marito.  Lui 
morto,  la  vediamo  continuar  l'arte  assieme  al  figliastro  Giovan 


SCALABRINI  -  SCARPETTA  521 

Battista  (V.),  col  quale  fu,  dopo  il  1 790,  in  Compagnia  di  Pietro 
Rosa.  Fr.  Bartoli  la  disse  madre  di  più  figliuoli,  moglie  amo- 
rosa e  prudente. 

A  testimoniar  dell'arte  sua  metto  qui  il  seguente  sonetto, 
stampato  in  foglio  volante  a  Modena  dagli  eredi  di  B.  Soliani. 

Al  merito  singolare  \  della  Signora  Rosa  Scalabrini  |  Medebach 
che  recita  con  universale  applauso  \  in  Bologna  \  V  estate 
MDCCLXXX. 

Certo  queir  occhio  che  sfavilla  in  viso 
A  te  compose  dì  sua  mano  Amore; 
Onde  a  chi  '1  mira  dolcemente  al  core 
Un  dardo  giunge  da  cui  vien  conquiso. 

Ma  e  che  poscia  qualor  intento  e  fiso 
Ascolta  il  Reno  i  tuoi  sensi  d'onore? 
Qual  non  ammira  in  Te  senno  e  valore 
A  l'ire,  a  i  preghi,  a  gli  atti,  al  pianto,  al  riso? 

So  ben  che  a  i  rari  portentosi  accenti 
Tiensi  la  Notte  assai  più  bella,  e  parmi 
Che  stian  su  l'ale  taciturni  i  Venti; 

E  so  che  Febo  a  l' immortai  tua  laude 
Vili  tenendo  al  paragon  suoi  carmi 
Lascia  la  Cetra^  e  col  tacer  l'applaude. 

Scarlatino  Zoan  Maria.  É  citato  assieme  a  uno  Zacca- 
gnino,  a  Francesco  Ruino  e  a  Pignatta  (V.  Ruino),  nella  lettera 
di  Ercole  Ferrara  al  Marchese  di  Mantova  Francesco  Gonzaga 
(5  febbrajo  1496). 


ia.  È  accennato  dal  Gandini  {Cronist.  dei  T.  di 
Modena,  P.  I)  insieme  a  Fidelin  Romano,  fra  gli  attori  che  re- 
citarono il  1673  21  Modena,  nel  Teatro  Comunale  Vecchio  di 
Via  Emilia. 

Scarpetta  Giuseppe.  Di  lui  Corrado  Ricci  (  Teatri  di  Bo- 
logna) riferisce  una  lettera  del  161 3,  con  la  quale  domanda  pri- 

66.  —  /  Comici  italiani,  VoL  IL 


SCARPETTA 


vilegio  particolare  che  nìssun  possa  dispensare  un  secreto  di 
un  olio  da  lui  chiamato  il  suo  Balsamo. 

Tal  segreto  egli  ha  avuto  da  un  dotto  a  Parigi,  mentre 
forse  vi  esercitava  l'arte  comica.  La  lettera  comincia: 

HivcDdo  il  dÌvot."">  aet."  delle  Sig.*^'  loro  loiepho  SorpeU  già  comico,  il  quale 
fu  ìnTenlore  di  dare  Is  elemosina  a'  lochi  pii  dell!  denari  della  Comedia  %ato  il  Governo 
della  felice  memoria  dell' Ill.nio  et  R.mo  sig.  Cardinal  Cesia;  et  S.'  Cardinal  Paleoto  Ar- 
civescovo al'liora  di  questa  Inclita  Cittì,  habit&nte  da  trentaqostro  anni  in  qua  in  eisa 

Scarpetta  Edoardo.  Nato  a  Napoli  in  Via  Santa  Brigida 
il  13  marzo  1854  da  Domenico  Scarpetta,  ufficiale  di  prima 
classe  agii  affari  ecclesiastici  al  ministero,  e  da  Giulia  Rendina, 
è  il  principe  degli  attori 
napoletani  viventi,  sotto 
il  nome  di  Don  Felice  Scio- 
sàamocca  di  cui  ha  creato 
il  tipo,  erede  dell'alta  fa- 
ma di  Antonio  Petite,  a 
niuno  secondo  degli  arti- 
sti sì  dialettali,  sì  italiani 
per  la  fecondità  dell'  inge- 
gno, per  l'abbondanza  e 
spontaneità  della  vis  co- 
mica. Fanciullo,  non  ebbe 
alcun  amore  agli  studj,  ma 
n'ebbe  uno  grandissimo 
al  teatro,  ch'egli  si  fab- 
bricava da  sé,  e  in  cui  fa- 
ceva agire  i  pupi  con  com- 
medie da  lui  stesso  im- 
provvisate. Destinato  dai 
parenti  alla  musica,  un  bel 
giorno  gettò  in  un  fosso  i  documenti  coi  quali  avrebbe  dovuto 
presentarsi  al  Conservatorio  dì  San  Pietro  a  Majella,  e  confessò 
a'  parenti  il  suo  singolare  trasporto  per  l' arte  drammatica. 
Entrò  il  1 869  al  Teatro  di  San  Carlino,  impresario  il  Mormone, 


w'-r" 


524  SCARPETTA 


con  diciassette  lire  al  mese  di  paga  ;  passò  dal  San  Carlino  alla 
Partenope,  e  quindi  in  Compagnia  di  Michele  Bozzo,  allora  in 
giro  per  la  Calabria,  ultimo  generico,  disprezzato,  vilipeso, 
deriso.  Ma  rieccolo  a  Napoli  alla  Partenope,  ove  recitò  una 
sera,  davanti  all'impresario  Luzi  e  all'attore  Di  Napoli  del 
San  Carlino,  la  vecchia  farsa  napoletana  Feliciello  Sciosciamocca, 
mariuolo  de  na  pizza,  ed  eccolo  il  dì  dopo  scritturato  al  teatro 
famoso,  in  cui  mostra  subito  le  sue  doti  chiarissime  a  fianco  di 
celebri  artisti  quali  Petito  e  De  Angelis. 

Morto  il  Petito  nel  '76,  e  l'impresario  Luzi  nel  '77,  Edoardo 
Scarpetta,  dopo  alcun  tempo  trascorso  al  Teatrino  delle  Va- 
rietà pur  di  Napoli,  e  al  Metastasip  e  Quirino  di  Roma  con 
Raffaele  Vitale,  riuscì  finalmente  a  prendere  in  affitto  il  Teatro 
San  Carlino,  ripulendolo,  ammodernandolo,  rinnovandolo  così 
materialmente  come  intellettualmente  :  alle  bizzarrie  a  trasfor- 
mazioni, ai  lazzi  improvvisi,  alle  maschere,  alle  vecchie  e  grot- 
tesche tradizioni  del  celebre  teatro  napoletano,  fé'  seguire  la 
commedia  scritta, moderna, elegante, brillantissima,  vera.  Aveva 
già  scritto  a  diciott'  anni  quattro  commedie  :  altre  ne  scrisse 
di  poi,  e  moltissime  ne  derivò  e  tradusse  e  ridusse  dal  mo- 
derno teatro  nostro  e  forestiero.  Non  v'era  novità  comica  di 
importanza  che  non  facesse  dopo  brevissimo  tempo  la  sua  ap- 
parizione, foggiata  alla  napoletana,  nel  leggendario  teatrino, 
in  cui,  di  conseguenza,  alle  sghignazzate  della  popolaglia  era 
subito  succeduta  la  risata  schietta  e  misurata  del  fiore  dell'ari- 
stocrazia. Sciosciamocca  (letteralmente:  soffia  in  bocca)  è  non 
solamente  un  tipo  e  un  carattere,  non  altro,  nel  suo  complesso, 
che  il  mammo  di  un  secolo  fa  :  il  Filippetto  del  Goldoni,  il  Mar- 
chese/^/)^^//^  del  Giraud,  rinsanguati,  ravvivati  dalla  recitazione 
scintillante  di  Edoardo  Scarpetta;  ma  anche,  un  insieme  di 
tipi  variatissimi,  aggirantisi  attorno  al  tipo  fondamentale.  Il 
tipo  di  Miseria  e  Nobiltà  non  è  certo  il  medesimo  di  Tettilo  ; 
quello  di  mettiteve  a/aTammore  co  me  è  ben  diverso  dall'altro 
di  Duje  marite  imbrugliufie,  e  così  di  seguito.  A  questa  conti- 
nuata modificazione  del  principal  tipo,  Sciosciamocca  deve  forse 


SCARPETTA  -  SCHERLI  525 

la  continuata  ammirazione  del  pubblico,  che  sin  dalla  prima 
apparita  al  San  Carlino  rinnovato,  lo  compensò  di  tante  mise- 
rie, di  tante  lagrinie  versate,  sì  da  fargli  scrivere  nelle  sue 
nuove  Memorie  (Napoli,  1899):  <  Dopo  tutto,  Tessere  riuscito 
a  far  tanto  ridere....  gli  altri,  dava  anche  a  me  il  diritto  di  ri- 
dere un  poco.  > 

E  di  qual  riso!  Il  povero  ^tìfoa...,  entrato  nel  campo  del- 
l'arte per  un  usciolino  sgangherato,  con  un  vestito  che  gli  ca- 
scava di  dosso  a  brindelli,  colla  faccia  macilenta  per  fame  ;  che 
ad  ogni  passo  verso  l'agiatezza  e  la  gloria,  uno  vedea  farne  con- 
tro di  lui  dalla  maldicenza  e  dall'invidia,  trionfando  finalmente 
di  tutto  e  di  tutti,  autore  ammirato,  attore  idolatrato,  il  triste 
suono  del  piccone  distruttore  del  San  Carlino  coprì  con  quello 
del  martello  costruttore  di  un  vasto  palazzo  al  rione  Amedeo  : 
2il  battesimo  di  gloria  del  San  Carlino  è  succeduta  la  conferma 
non  mai  alterata  sin  qui  de'  Fiorentini  di  Napoli  e  del  Valle  di 
Roma,  ove  si  reca  ogni  anno  a  deliziare  della  sua  inesauribile 
giocondità  il  gran  pubblico  della  capitale. 

Scattolone.  Sotto  questo  nome  sosteneva  le  parti  di  Gra- 
ziano un  M.  Francesco...,  fiorito  nella  prima  metà  delsec.  xvii. 
Il  15  novembre  1622  furon  pagati  a  M.  Sante  Morandi 
venti  scudi  per  andarlo  a  prendere  a  Padova,  e  condurlo  a  Man- 
tova ove  l'attendeva  la  Compagnia  del  Duca. 

Scevola.  Comico  senese,  il  cui  nome  si  trova  citato  in  un 
processo  romano  del  1565  (V.  Ademollo,  T.diRo?na,'pdLg.  35). 

Scherli  Leopoldo  Maria.  Nacque  a  Verona  verso  il  1720; 

e  compiuto  un  corso  regolare  di  studi,  si  diede  a  recitare  tra  i 
filodrammatici  della  città,  riuscendo  artista  ammiratissimo,  se- 
condo afferma  Gianvito  Manfredi  nel  suo  Attore  in  scena;  tanto 
che  una  sera  dovette  ripeter  lì  per  lì  nell'  Orlando  furioso  la 
scena  della  pa,zzia,  tra  gli  applausi  entusiastici  della  folla.  Si 
fece  poi  comico  di  professione,  e  fu  alcuni  anni  a  Venezia 


526  SCHERLI 


(San  Gio.  Grisostomo),  dove  s'aquistò  come  attore  e  come  scrit- 
tore la  stima  di  tutti  e  l'amicizia  di  Gaspare  Gozzi. 

Lo  vediamo  il  '55  alla  Comedia  italiana  di  Parigi,  nella 
quale  esordisce  il  1°  di  gennajo,  come  amoroso,  insieme  alla 
moglie  amorosa,  nel  Doublé  mariage  cTArlequin;  ma  recitaron 
così  freddamente,  che  dovetter  tornarsene  in  Italia.  A  tal  pro- 
posito il  D'Origny  dice  : 

A  l'égard  de  ceux-ci,  quand  on  se  rappelle  que  des  personnages  de  ce  genre  ne 
sont  jamais  si  bien  remplis  qae  par  des  Acteurs  qai  ont  de  rinclination  l'un  poar  l'antre, 
on  est  tenté  d'attrìbuer  leur  malhearenx  succès,  moins  à  leur  inaptitnde,  qa'à  une  situa- 
tion  qui  ne  permet  gnère  qae  le  coear  ressente  les  feux  de  l'amour. 

Il  signor  D'Origny  (non  voglio  discuter  qui  Terrore  del- 
Tafifermazione  sua  sulla  maggiore  o  minor  riuscita  di  una  scena 
d'amore  recitata  da  due  amanti),  ha  voluto  alludere  alla  special 
condizione  degli  Schedi,  i  quali,  non  sappiam  bene  per  colpa 
di  chi,  ma  forse  di  entrambi,  essendo  Tuno  tutto  dedito  agli 
studi  e  taciturno,  e  Taltra  incline  alle  esaltazioni....  e  ad  altro, 
visser  quasi  sempre  separati.  Tornato  di  Francia,  Leopoldo, 
che  aveva  mostrato  in  varie  circostanze  un  cotal  ingegno  poe- 
tico, si  die  ad  allestire  un  volume  delle  sue  rime,  che  pubblicò 
in-i  2°  a  Lucca  il  1 760  per  Filippo  Maria  Benedini.Lo  vediamo 
il  *66  in  Compagnia  di  Pietro  Rossi  ;  poi,  allontanatosi  per  al- 
cun tempo  dal  teatro,  bibliotecario  del  Senatore  Davia  a  Bo- 
logna, poi  di  nuovo  attore,  recitando  in  varie  compagnie,  ma 
con  poca  fortuna,  a  cagione  della  sua  austerità  e  taciturnità, 
a  proposito  della  quale  il  Bartoli  racconta  che  <  andando  un 
giorno  a  desinare  con  Andrea  Patriarchi,  non  fu  mai  sentito 
pronunziare  una  parola  durante  tutto  il  tempo  della  tavola, 
e  col  solo  saluto  da  quella  casa  partì.  >  Fu  anche  a  Palermo, 
e  quivi  stette  alcun  tempo  col  Nobile  Spaccaforni,  qual  segre- 
tario. Toltosi  da  queir  Ufficio,  fu  da  altri  incaricato  di  formar 
una  compagnia  per  quella  città;  e  recatosi  a  Venezia,  la  formò 
difatti,  e  la  condusse  a  Palermo;  ma  essa  era  di  sì  mediocri 
elementi,  che  subito  cadde,  procurando  allo  Scherli  rimproveri 
senza  fine,  e  così  fatti  da  essere  forse  principal  causa  della  sua 


SCHERLI  527 


morte.  Il  Bartoli  ne  fissò  la  data  neir  autunno  del  1776:  ma  è 
certo  erronea,  dacché  lo  Scherli  pubblicò  la  sua  scelta  di  rime 
nel  '77  a  Psilermo.  Fu  egli  senza  dubbio  uomo  di  pregi  singo- 
lari, e  come  tale  considerato  dai  più.  Le  rime  edite  a  Lucca 
furon  precedute  dalla  pubblicazione  di  : 

Osservazioni  sopra  le  statiT^t  del  signor  Giulio  Cesare  Veccelliy  nelle  quali 
sostiene,  che  la  Poesia  possa  pia  della  Pittura.  Pubblicate  a  Verona 
nella  Stamperìa  del  Seminario,  [senz'anno],  in-8°. 

Traduzione  in  versi  sciolti  di  alcuni  esametri  latini  di  Marco  Antonio 
Rosa  Morando  a  Vincenzio  Bar:(i:(a.  Pubblicata  a  Verona  il  1745,  in-8°. 

Alcune  poesie  in  lode  del  Ban^tTia,  inserite  in  una  raccolta  di  componimenti 
in  lode  dello  stesso  ^arT^i^^a,  Verona,  e.  s., 

e  ad  esse  tenner  dietro  in  vario  tempo  un  brindisi  in  versi 
martelliani  nel  Convitato  di  Pietra,  pubblicato  in  foglio  volante 
a  Livorno  Tautunno  del  1766;  un  piccolo  libretto  in- 8°  conte- 
nente alcune  considerazioni  sopra  un  parere  del  dottor  Carlo 
Goldoni,  pubblicato  il  1767  non  so  dove,  ma  forse  a  Bologna, 
mentre  lo  Scherli  era  col  Davia  ;  Sette  Notti  di  Edoardo  Young 
tradotte  in  versi,  pubblicate  in-4°  a  Palermo  il  1774  nella  Stam- 
peria de'  Santi  Apostoli  ;  e  una  scelta  delle  Rime  con  aggiunta 
di  poesie  siciliane  e  di  lettere  varie,  edita  in  Palermo  il  1777 
in- 12°.  Fu  lo  Scherli,  dopo  la  pubblicazione  delle  rime  nel- 
Tanno  1760,  acclamato  pastore  arcade  di  Roma  col  nome  di 
AncLssandeide  Caristio,  e  dopo  quella  delle  Notti,  Pastore  Ereino 
di  Palermo  col  nome  di  Dendrio  Ipsisto. 
Riferisco  dal  Bartoli  la  seguente 

Licenza  recUaia  dalla  prima  Donna  della  Compagnia  de'  Comici 

nel  Teatro  S.  Già.  Grisostomo  di  Venezia 
l'ultima  sera  del  Carnevale  MDCCLIX 

Della  guerriera  tromba  ascolta  il  fuoco  appena, 

E  va  il  Guerriero  in  Campo  dove  la  gloria  il  mena: 
Spirano  appena  i  Zefiri,  ed  ecco  in  un  momento 
Salpa  il  nocchiero,  e  scioglie  tutte  le  vele  al  vento; 
Ma  se  volando  al  Campo,  se  abbandonando  il  Lido, 
La  Sposa,  o  il  Genitore  lascia  nel  patrio  nido, 


528  SCHERLI 


Lascia  su  quelle  sponde  parte  di  sé  il  nocchiero, 
Parte  di  sé  pur  lascia  nella  Città  il  guerriero; 
E  nel  partir  da  loro  sente  staccarsi  il  core, 
Sente  passarsi  l'anima  dal  più  crudel  dolore. 
Inclite  genti  Adriache,  splendor  d'Italia,  e  lume, 
Condonate  all'affetto,  se  troppo  ora  presume. 
Noi  siam  quel  navigante,  e  quel  guerrier  siam  noi; 
Questa  é  la  Patria,  e  il  Lido,  Padri  ci  foste  voi. 
Voi  ci  reggeste  ognora;  voi  placidi,  e  clementi 
Tolleraste  i  diffetti  ad  ascoltarci  intenti. 
E  come  il  Sol  benefico  oscura  nube  indora 
Si,  che  del  non  suo  lume  splende  nel  Ciel  tal  ora; 
Se  di  valore  in  noi  spuntò  qualche  scintilla. 
Fu  da  quel  lume  accesa,  che  intorno  a  voi  sfavilla. 
E  noi  dobbiam  lasciarvi?  E  per  fatai  destino. 
Siamo  costretti  a  scegliere  cosi  lungo  cammino? 
Ah  di  si  ria  partenza  quanto  il  dolor  sia  atroce 
Dicalo  il  nostro  pianto,  che  noi  sa  dir  la  voce. 
Dentro  il  mio  core  intanto  sento  pugnar  insieme 
A  gara  col  dolore  anco  il  timor,  la  speme. 
Penso  che  il  nostro  ingegno  che  coltivaste  tutti. 
Quasi  terreno  ingrato  scarsi  produsse  i  frutti. 
Ma  fra  i  timori  suoi  par  che  mi  dica  il  core: 
Non  si  stancò  per  questo  il  provvido  cultore. 
Anzi  veder  attende  alla  stagion  novella 
Nel  suo  terren  la  messe  più  verdeggiante,  e  bella. 
Compagni  miei,  coraggio.  Mentre  sarem  lontani, 
Non  sieno  i  sudor  nostri  infruttuosi,  e  vani, 
E  ritornar  ci  veggano  questi  bei  lidi  amati 
A  ricalcar  le  Scene  di  novi  fregi  ornati. 
Si,  che  il  faremo.  Intanto,  come  sicuro  segno 
Delle  nostre  promesse,  vi  resti  il  core  in  pegno. 
Alme  eccelse,  graditelo,  che  vostri  servi  siamo, 
E  con  tal  nome  in  fronte,  di  noi  superbi  andiamo: 
Che  se  sarem  sicuri  del  perdon  vostro  almeno. 
Nelle  fatiche  istesse  lieti  saremo  appieno. 
Come  di  sudor  molle  quel  povero  bifolco 
Sparge  cantando  i  semi,  segna  cantando  il  solco; 
Come  quel  gondoliero  suda  col  remo  in  mano, 
E  va  cantando  VArmi  pietose  e  il  Capitano, 


SCHERLI  529 


Cosi  del  favor  vostro  spirando  aure  feconde, 
Lieti  ritorneremo  d'Adria  a  baciar  le  sponde; 
Così  l'anima  nostra  nel  gran  piacer  giuliva 
Ripeterà  costante:  Viva  Vinegia,  e  viva. 

A  questa  faccio  seguire  il  sonetto  in  morte  di  un  suo  figlio, 
il  quale  ci  dà  ancor  più  chiara  Tidea  delle  sue  qualità  poetiche, 
e  del  suo  amore  a'  classici  : 

Come  candido  fior,  che  nato  appena, 
del  vomere  al  passar  cade  reciso, 
Carlo,  moristi,  onde  perpetua  vena 
di  pianto  a  me  bagna  le  gote  e  il  viso: 

C'ho  sempre  avante  i  tuoi  dolci  atti,  e  il  riso, 
e  i  cari  vezzi;  e  per  maggior  mia  pena, 
la  Suora  tua,  ch'or  vedi  in  Paradiso, 
la  tua  partita  a  ricordar  mi  mena. 

Figlio,  io  già  non  t'invidio  i  gaudi  immensi, 
che  in  Ciel  tu  godi,  ora  che  sei  si  presso 
al  Sol,  che  alluma  il  benedetto  chiostro; 

ma  quando  awien  che  a  le  tue  grazie  io  pensi, 
piango  me,  di  te  privo,  e  il  mortai  nostro 
vorrei  già  chiuso  in  un  sepolcro  istesso. 

* 

Scherli  Carolina.  Moglie  del  precedente.  Fu,  ci  dice 
il  Bartoli,  bellissima,  egregia  attrice  per  le  parti  di  donna 
seria,  e....  oggetto  di  piacere  negli  anni  suoi  giovanili.  Ebbe 
una  figlia  ballerina,  e  andò  con  lei  a  Palermo,  dove  le  fu 
rapita  da  un  Personaggio  di  qualità.  Tornatasene  sola,  fu  così 
turbata  dall'  accaduto,  che  die'  segni  non  dubbi  di  pazzìa, 
e  fu  vista  a  Bologna  passeggiar  per  le  vie  coronata  d'al- 
loro, o  recarsi  a  San  Michele,  declamando  poesie  sconclu- 
sionate. -  Fortunatamente  non  restò  lungo  tempo  in  quello 
stato  di  alterazione,  e  viveva  ancora  tranquillamente  in  Bo- 
logna nell'anno  1782  al  tempo  del  Bartoli,  il  quale,  alludendo 
alla  sua  separazione  dal  marito,  di  cui  ella  apprese  con  do- 

67.  —  /  Comici  italiani.  Voi.  II. 


530  SCHERLI  -  SCHIAVONI 

lore  la  morte,  le  dedicò  colla  solita  vena  dozzinale  il  se- 
guente epitaffio: 

Moglie  fui  per  virtù  dì  quel  gran  si, 
che  detto  retroceder  non  si  può. 
Mio  marito  da  me  poco  gustò, 
ch'io  sola  vissi,  ed  ei  lontan  morì. 

Schiavi  Carlo  detto  Cintìo.  Comico  di  buon  nome  per  le 
parti  ^Innamorato,  fiorito  nella  seconda  metà  del  secolo  xvii. 
A  richiesta  del  Duca  di  Modena,  rispose  accettando  di  far  parte 
della  di  lui  Compagnia,  di  cui  eran  principale  ornamento  i  Calde- 
roni Silvio  e  Flaminia,  con  lettera  da  Roma  del  19  aprile  1679, 
nella  quale  si  lagna  acerbamente  del  malo  trattamento  de'  ca- 
pocomici verso  di  lui,  che  non  sa  né  dove  spedire  la  condotta, 
né  chi  la  riceverà,  né  in  che  piazze  andrà,  né  come  sia  composta 
la  Compagnia,  e  che  soprattutto  s*  é  visto,  con  suo  danno  e 
rossore,  metter  fuori  una  seconda  donna  già  scritturata  d'ac- 
cordo con  lui,  certa  Angiola  Paffi  :  <  danno,  hauendo  seco  un 
antico,  e  non  poco  concerto  (cosa  mendicata,  e  ricercata  da 
ogni  Moroso),  e  rossore  per  esser  tenuto  un  parabolano,  et 
un  falso  ;  e  dopo  essermi  consumato  in  Venetia  ad  aspettare  la 
certezza  et  unione  di  questa  donna,  si  ritratta  al  presente  ciò 
che  si  deve  per  debito,  essendo  stata  accettata  e  corrisposta 
da  tutti.  >  E  si  raccomanda  al  Duca  di  ordinare  che  i  comici 
gli  scrivano,  perchè  egli  possa  con  loro  più  apertamente  discor- 
rere. «  Alla  Paffi  —  conclude  -  in  cuscienza  et  appresso  Dio  et 
al  mondo  non  si  deve  mancare.  > 

Schiavoni  Antonio,  nato  a  Roma  il  1846  e  suicidatosi  a 
Rosario  di  Santa  Fé  il  novembre  del  1889,  fu  attore  di  grande 
impulso,  se  non  di  grande  finezza,  illustratore  non  ispregevole 
delle  opere  più  conosciute  di  Shakspeare  ne'  teatri  di  secondo 
ordine.  Patriotto  caldissimo,  fece  le  campagne  del '59,  del'óo 
e  del  '66,  e  s' ebbe  la  medaglia  al  valor  militare.  Un  amore  fa- 
talissimo  lo  condusse  al  sepolcro. 


SCHIAVONI - SCOTIVELLI 


Una  lettera  dell'  attore  Beltramo  a  Icilio  Polese  così  de- 
scrive la  morte  eroica  del  povero  amico,  noto  in  tutta  l'arte 
per  la  soavità  dell'indole: 


H  nuttÌDo  che  precedelte  Ib  «ui  morte  li  ritìiò  ht  c*w,  accomodA  U  ina  ouneretla 
cambUndo  poiìxione  il  letto  ed  al  comodino,  il  veitl  da  garibaldino,  miie  le  aae  deco- 
razioni Bill  gnandale  accanto  al  revolvei,  ifoderò  la  tpada  e  la  miae  in  croce  col  fodero 
ai  piedi  del  letto,  si  coricò,  e  si  sparò  un  colpo  al  cuore  con  una  rivoltella  a  dae  colpi 
con  tanta  ticnreiza  e  pTemione  die  restò  (iilminato. 


Scotivelli  Marcantonio.  Apparteneva  il  1578  alla  Com- 
pagnia del  Re  di  Napoli,  condotta  da  un  Massimiano  Milanino. 
Forse,  congettura  il  Baschet,  si  trattava  di  una  piccola  compa- 
gnia secondaria,  adattata  al  piccolo  Stato,  che  aveva  traversato 
i  monti  in  cerca  di  fortuna,  o  forse  anche,  concordando  le  date, 
alcun  componente  la  Compagnia  de'  Gelosi  sì  era  sciolto  da 


53»  SCOTIVELLI  -  SERVILLI 

essa  per  rispondere  a  un  invito  del  Bearnese.  Comunque  fosse, 
né  di  questi,  né  di  Paolo  di  Padova  (V.)  capo  di  altra  compagnia 
del  Piccolo  Principe  nel  1579,  si  è  trovata  più  traccia. 

Sereiffinì  Giovanni.  Noto  attore  per  le  parti  di  brillante, 
figlio  di  Pietro,  comico,  e  di  Rosa  Francesconi,  nacque  a  Milano 
il  1 840.  Lo  vediam  coi  parenti  Ìl  1 846  in  Compagnia  Balduìni  e 
Rosa,  e  il  1847  in  quella  Capoda- 
glio,  nei  cui  elenchi  figura  come 
parte  ingenua:  il  '61  col  padre  ge- 
nerico era  brillante  della  Com- 
pagnia Bonazzi.  Fu  lungo  tempo 
brillante,  e  beniamino  de'^w*r«- 
&'»(dÌNapoli,  capocomico  Adamo 
Alberti,  e  tolse  in  moglie  in  quel 
torno  l'attrice  Pia  Fabbri  figlia 
dell'attore,  poi  professor  di  reci- 
tazione, Paolo;  morta  la  quale, 
passò  a  seconde  nozze  con  Vìtto- 
rina  Checchi.  Lo  vediamo  il  '76 
e  '77,  brillante  della  Compagnia 
Zer ri- Lavaggi,  e  ÌI  '79  e  '80  in 
Compagnia  di  Alamanno  Morelli 
sotto  Guglielmo  Privato.  Fu  poi 
colla  moglie  in  altre  compagnie,  e  finalmente  in  quella  di  Ro- 
molo Lotti,  colla  quale  si  recò  in  America  ove  perde  la  moglie, 
e  d'onde  non  rimpatriò  più.  -  Una  sua  sorella,  Giulia,  moglie 
di  Leopoldo  Orlandìni,  prima,  poi  dì  Giacomo  Brizzi,  ebbe  dal 
suo  primo  marito  i  figliuoli  Leo  e  Giulio,  e  fu  con  Ernesto  Rossi 
dal  1863  al  1884  in  qualità  di  seconda  donna  pr  e  gioia. 

Serramondì  Carlo.  (V.  Rosa  Caterina). 

Servilli  Isabella.  Comica  del  Duca  dì  Mantova  detta  sulle 
scene,  Bularia;  fiorì  nella  seconda  metà  del  secolo  xvii  e  nella 


SERVILLI  533 


prima  del  xviii.  Attrice,  cantante,  danzatrice,  schermitrice 
esimia,  e  conoscitrice  perfetta  di  più  lingue,  ispirò  non  po- 
che poesie,  che  metto  qui  testimoni  del  valor  suo  e  della  sua 
virtù,  e  che  mi  furon  gentilmente  comunicate  dal  chiaro  amico 
A.  G.  Spinelli  della  Biblioteca  Estense  di  Modena. 

Alla  Signora  Isabella  Servili  \  Comica  virtuosissima  del  Ser.mo 
di  Mantova  |  in  rappresentare  in  Bologna  le  Metamorfosi  d'Eu- 
laria  \  finta  Lachè  Francese,  Dama  Spagntiola,  Soldato  Te- 
desco,  I  e  Cingara  Egittiaca,  con  giochi  di  Spadone,  Alabardino, 
due  Spade,  scherma  neW  Academia  degli  eserciti]  militari,  e  con 
quattro  suoi  Balletti  diversi. 

Questa  è  la  saggia  Eularia^  e  questa  è  quella 
Che  gli  affetti  del  Ren,  faconda  impera, 
Che  gli  Oracoli  espon,  quaihor  favella, 
Franca,  Egittia^  Germana,  Itala^  Ibera, 

Se  tratta  Armi  e  Bandiere,  agile  e  snella, 
Con  gratia  ardita,  e  leggiadria  guerriera. 
Scerner  non  sai  se  sia  Folgore  o  Stella, 
E  non  sai  se  più  alletti,  o  se  più  fera. 

Ma  a  la  sua  lingua,  a  la  sua  Man  non  cede. 
Nodi  intrecciando  e  Laberinti  e  Ruote, 
Precorridor  de  le  Pupille,  il  Piede. 

Chi  a  tzm'Arnti,  a  tzni' Arti  oppor  si  potè? 
Rendonsi  Talrae  a  Lei  spontanee  prede, 
E  al  bel  Giogo  Servii  s'offrono  immote.  n.  n.  n. 

Al  merito  e  virtù  grande  \  della  Sig/"  Isabella  Servilli  detta  Eularia 
Comica  I  Eruditissima  del  Ser.*^°  di  Mantova  \  mentre  recita 
in  Venezia  l'anno  i6gy. 

V  essersi  veduta  in  Bologna  la  suddetta  Virtuosa 
in  habito  di  spirito  famigliare  giocar  d'armiy  danT^are  e  sonare  perfettamente 

dà  motivo  al  presente  sonetto: 

Qualor  spirto  ti  fìngi  in  vari  manti 

Mostri  in  più  forme  Eularia  il  tuo  valore 
Poiché  Proteo  gentil  con  tuo'  sembianti 
De' Teatri  ti  fai  gloria  maggiore. 


534  SERVILLI 


Prode  fra  l'armi  allor  ogn'un  incanti 
Né  movi  pie  che  non  inceppi  in  core; 
Voce  non  dai  che  non  risvegli  amanti 
Suono  non  fai  che  non  ne  danzi  amore. 

Tai  prodigi  sul  Ren  mirò  felice 
Delfina  de  la  scienza  alta  Eroina 
Onde  vie  più  a  lei  bramar  non  lice. 

A  te  dell'Adria  sol  nobil  reina 
M'avanza  l' amirar  da  tal  Fenice 
L'arte  con  la  virtù  sorger.... 

Per  contrasegno  di  stìnta  partìcolare  A,  M.  G» 
bolognese  devotamente  dedica. 

La  Stessa  Signora  s* introduce  a  maneggiare  legiadramente  la  spada: 

Eularia  di  beltà  e  valor  munita 

Cangia  la  notte  in  di  lucente  e  chiaro 
Allor  che  al  Campo  di  forbito  acciaro 
Splende  invitta  la  sua  virtù.... 

Che  bel  veder  le  delicate  dita, 

Quando  per  fulminar  pronte  l'armarol 
Ah  che  a  quel  fulminar  si  dolce  e  caro 
Soffrirebbe  ogni  core  ogni  ferita. 

Cosi  con  vaghe  sue  sembianze  e  sole 
Mentre  si  aggira  il  ferro  in  varie  rote 
Di  Marte  e  Citerea  rassembra  prole; 

Poiché  tiene  ne  gli  occhi,  e  su  le  gote 
Con  le  rose  dell'alba  i  rai  del  sole, 
Ond'é  che  intorno  Amor  l'ale  vi  scote,     peiio  steaso]. 

A/la  sempre  ammirabile  virtù  della  Sig.**  Isabella  Servili  detta 
Eularia  Comica  modestissima  mentre  recita  in  Bologna  il  Car- 
nevale dell'  anno  lyoo. 

^flessioni  ad  alcune  delle  molte  prerogative 
che  rendono  grata  a  tutti  la  medesima  Virtuosa 

Alla  modestia  unir  spirto  e  bellezza, 

Formar  più  vezzi,  e  non  macchiar  il  core; 
Con  laude  oprar,  e  disprezzar  l'honore; 
Di  più  lingue  (i)  erudite  haver  vaghezza. 


SERVILLI  535 


Chiuder  nel  molle  sen  viril  fortezza, 
A  Maestà  (2)  accoppiar  tenero  Amore. 
Usar  in  lui  pietà,  in  lei  rigore 
Affetto  simulando,  e  in  un  grandezza. 

Impugnar  Brandi  (3),  maneggiar  Bandiere 
Qual' altra  nuova  Amazone  gentile, 
Sono  d'EuIaria  sol  care  maniere. 

Quindi  è  che  '1  saggio,  prode,  grande,  e  vile 
Ne  piega  per  toni* Arti  e  finte  e  vere, 
A  si  bella  virtù  l'alma  servile. 

Leonardo  Sebastiani  d.  d.  d. 

(i)  Parla  perf.tc  diversi  linguaggi. 

(2)  Tatto  ciò  esprime  naturalmente  nelle  opere  serie  ma  spec.te  in  quella  di  Elisa- 
betta Regina  d'Inghilterra. 

(3)  Di  tutto  ciò  ne  dà  compito  saggio. 


A/la  Virtù  sempre  più  ammirabile  |  della  Signora  Isabella  Servili 
detta  Eularia  |  Comica  Eruditissima  del  Ser.mo  di  Mantoa 
Mentre  in  Bologna  nelV  Opera  famosa  del  ''Gran  Cide  delle 
Spagne"  |  comparisce  nobilmente  vestita  a  duolo. 

Qual  portento  vegg'io?  L*  ombra  e  il  splendore 
Son  pur  nemici  ancor  sin  da  le  fasce? 
L'una  succede  in  terra  al  di  che  muore, 
Precorre  l'altra  in  Ciel  l'alba  che  nasce. 

Pur  si  gli  accoppia  in  sen  à'Eularia  Amore 
Che  in  faccia  de  l'un  l'altra  rinasce. 
Se  sotto  amanto  di  lugubre  orrore 
De  begli  Occhi  il  splendor  vie  più  si  pasce. 

Or  s' adunque  un  Contrario  a  l'altra  è  accolto 
In  Lei  con  stupor  d'Arte  di  Natura 
Nel  Nero  Manto  e  nel  Splendor  del  Folto, 

Ben  dir  si  può  d'Amor  alta  fattura. 
Se  nel  ben  di  Costei  in  bruno  accolto 
Sembra  più  Creator  che  Creatura. 

Mosso  dalla  sola  mrtù  della  medesima 
il  gentile  Ergasto  ne  dedica  e  dona 
il  presente  alla  stessa. 


536  SERVILLO  -  SEVERI 

Servillo  Francesco,  detto  OdoarJo.  In  una  lettera  a  un 
Segretario,  non  so  bene  dì  qual  Dnca,  se  di  Mantova  o  di  Mo- 
dena, inviata  dì  suo  pugno  da  Livorno  il  26  giugno  1660,  e 
sottoscritta  anche  dal  PanfaJom  Giovanni  Gaggi  (V.  Scpple- 
meXto),  dice  che  a  Pistoja,  la  Piazza  precedente,  non  divisero 
un  soldo  e  rimisero  del  loro,  e  a  Livorno  son  con  due  paoli  al 
giorno,  e  eoo  la  prospettiva  di  una  nuova  rimessa,  nonostante 
la  gran  quantità  de*  forastieri  e  ti  buon  successo  della  Compa- 
gnia; e  domanda  per  luì  ed  esso  Gaggi  dieci  doppie  pel  sosten- 
tamento, che  avrebber  rilasciate  dal  donativo  di  carnovale. 

Severi  EHìsa,  di  Ravenna,  fu  trasportata  dalla  famiglia  a 
Roma,  ancor  bambina,  e  là  cresciuta  ed  educata.  La  magnifica 


Fot.  Vmrùcii,  Artico  -  Milano. 


persona  e  il  volto  pieno  di  attrattive  la  fecero  accogliere  il  1 894 
nella  Compagnia  Paladini-Talli,  senza  bisogno  del  lasciapassare 
di  una  scuola  o  di  una  filodrammatica.  Recitò  poi  a  sbalzi,  con 


SEVERI  -  SGARRI  537 


intervalli  più  o  meno  lunghi,  per  malattia  o  per  altro,  nelle  Com- 
pagnie Reinach-Talli,Gramatica-Raspantini,  Pia  Marchi-Maggi, 
Severi-Garzes-Raspantini,  e  finalmente  Pieri-Severi,  in  cui  si 
trova  anche  oggi  (1904),  per  andar  poi  nel  futuro  triennio  con 
Oreste  Calabresi.  Finché  la  Severi  fu  seconda  donna,  il  pubblico 
e  la  stampa  si  occuparon  solamente  dello  splendore  fisico  :  ma 
dacché,  assunto  il  ruolo  di  prima  donna  assoluta,  si  é  slanciata 
nel  gran  repertorio,  allo  splendore  fisico  pubblico  e  stampa 
trovaron  di  potere  aggiungere  una  grande  promessa  artistica. 
Naturalmente  i  pregi  della  donna  soverchiano  ancora  quelli 
dell'artista;  ma  la  promessa  c'è  davvero,  e  chiara;  e  perse- 
verando nello  studio,  nella  tenacità  di  propositi,  nell'amore  al- 
l'arte,  poiché  ella  é  una  delle  più  innamorate  dell'arte  sua,  la 
signorina  Severi  arriverà  certo  ad  attenuare  una  cotale  ine- 
guaglianza di  recitazione,  prodotta  forse  da  mancanza  assoluta 
di  guida  artistica. 

Sgarri  Francesco.  Piglio  di  Brigida  Sgarri,  recitò  la  parte 
di  Arlecchino  nella  Compagnia  del  patrigno  Antonio  Marche- 
sini (V.),  col  quale  era  l'estate  del  1738  a  Milano,  (riconferma- 
tovi per  la  seguente  del  '39),  e  in  altre.  Cangiata  la  maschera 
di  Arlecchino  in  quella  di  Brighella,  ottenne  applausi  quanti 
volle.  Fu  con  Onofrio  Paganini  e  con  Pietro  Rossi,  dal  quale 
si  allontanò  il  1770  per  entrar  con  il  genero  Messieri  e  la  figlia 
in  compagnie  di  minor  conto.  S'ammalò  in  Morbegno  di  Valtel- 
lina, e  quivi  ihorì  il  1 776.  Più  che  attore  lo  Sgarri  potè  dirsi  un 
mimo,  un  acrobata,  un  buffone.  Facea  mirabilmente  le  forze, 
suonava  la  tromba  e  altri  strumenti,  e  cantava  graziose  e  facili 
canzonette.  La  natura  non  lo  dotò  di  sciolta  loquela,  e  il  Bar- 
toli  ci  racconta: 

Egli  aveva  un'  arte  di  fare  frettolosamente  un  ragionamento  (non  inteso  né  da  lui, 
né  dall'uditorio)  promettendo  assistenza  al  Padrone  o  ad  altri;  e  questo  con  parole  spes- 
sissime,  e  vibrate  con  forza  fra  le  labbra  in  si  fatto  modo,  che  il  popolo  movevasi  a  fargli 
un  grande  applauso,  battendo  palma  a  palma,  ond*  egli  restava  soddisfatto,  e  l' udienza 
godendo  moveva  a  più  potere  le  risa,  benché  nulla  avesse  capito  da  tal  discorso,  che  lo 
Sgarri  chiamava  battuta,  forse  per  la  battuta  di  mani,  eh'  egli  ne  riscuoteva. 

b8.  —  /  Comici  italiani.  Voi.  II. 


SGARRI  -  SICHEL 


Oggi,  per  baituta.  in  arte,  s'intende  ogni  entrata  di  attore 
nel  dialogo.  Così  la  battuta  può  constar  di  più  pagine,  o  anche 
di  un  sol  monosillabo. 


Sichel  Giuseppe.  Attore  brillante  di  pregio  per  una  sua 
singoiar  vena  di  comicità,  nacque  a  Casaltone  di  Sorbolo, 
provincia  di  Parma  i!  4  ottobre  del  1849  da  Gaetano,  e  Ma- 
ria Grimaldi,  non  comici, 
ed  ebbe  domicilio  a  Gua- 
stalla. Recatosi  a  Geno- 
va, appartenne  alla  Filo- 
drammatica del  Falcone,  e 
del  '76  esordì,  brillante, 
con  Carlo  LoUio.  Fu  11*77 
con  Michele  Ferrante,  il 
'78  con  Galletti-Dondini, 
r'8o  ancora  con  L0IIÌ0; 
l"8i,  in  società,  con  Fa- 
giuoH,  Udina,  Tellini  e 
Aliprandi  Giovannina, 
ecc.  ecc. ,  r'8 2  con  Drago. 
Fu  1"83  con  Zoppetti,  se- 
condo brillante  e  primo 
dopo  la  scelta  di  lui,  r'84 
con  Emanuel,  1*85  con 
Novelli,  dall'  '86  al  '90 
con  Maggi,  dal  '91  al  '93 
con  Marini,  e  il  '94  con  Emanuel.  Dal  '95  cominciò  le  sue  for- 
tunate società,  con  Compagnie  essenzialmente  comiche,  e  con 
artisti  egregi  nel  genere,  quali  :  Talli,  Tovagliari,  Zoppetti, 
Guasti,  Falconi,  Ciarli. 

La  recitazione  del  Sichel  a  sbalzi,  a  strappi,  con  intona- 
zioni aspre,  rotte  da  una  infinità  di  interiezioni,  di  eh  interro- 
gativi di  distrazione,  è  inqualificabile  e  inimitabile  ;  non  certo, 
come  si  può  credere,  impeccabile,  ma  di  irresistibile  comicità. 


SICHEL  -  SIMONE 


Sichel  •  Saporetti 
Emitia.  Moglie  del  pre- 
cedente, nacque  a  Raven- 
na nel  1865.  Fu  buona 
prima  attrice  giovane  al 
fianco  di  suo  marito,  poi, 
con  lui  capocomico,  buo- 
na prima  attrice,  specie 
nelle  più  strampalate  po- 
ckades,  che  sono  Ìl  fonda- 
mento del  suo  repiertorio. 
Colpita  da  grave  anemia, 
dovè  per  alcun  tempo  al- 
lontanarsi dalle  scene,alle 
quali  è  tornata  l'autunno 
del  '903. 

Silanì  Caterina,  at- 
trice dì  molto  pregio  per 

le  commedie  airimprovviso,  fu  col  marito,  mediocre  arlec- 
chino, in  Compagnia  di  Niccola  Petrioli,  poi  in  quella  di  Do- 
menico Bassi,  poi,  coli' avanzar  degli  anni,  in  altre  di  minor 
grido.  Si  fé' molto  notare  in  una  vecchia  commedia,  U  Oggetto 
odiato,  pei  personaggi  ch'ella  rappresentava  d'ambo  i  sessi  e 
di  più  nazioni,  parlando  nelle  lingue  diverse.  Viveva  ancora  al 
tempo  di  Francesco  Bartoli  {1781),  e  sebbene  in  tarda  età  reci- 
tava in  una  vagante  Compagnia  «  procacciandosi— egli  scrive  — 
ad  onta  degli  anni  la  pubblica  approvazione,  e  qualche  ap- 
plauso sincero.  > 


Simone  da  Bologna.  Il  famoso  Zanne  de'  Comici  Gelosi 
(V.  Pasquati).  Di  lui  dice  il  Porcacchi  (Le  attioni  it  Arrigo  III 
Re  di  Francia  e  di  Polonia,  ecc.),  che  era  <  rarissimo  in  rappre- 
sentare la  persona  di  un  facchino  bergamasco,  ma  più  raro 
nelle  argutie  e  nelle  inventioni  spiritose  :  »  Ìl  Rossi,  nella  T^mw- 


540  SIMONE  -  SIMONI 


mella,  lo  loda  insieme  a  Battista  da  Rimino,  perchè  «  osservano 
il  vero  dicoro  de  la  Bergamasca  lingua;  >  e  Francesco  Andreini 
{Bravure,  XIV)  lo  cita  insieme  a'  comici  di  quella  famosa  Com- 
pagnia, <  che  pose  termine  alla  dramatica  arte,  oltre  del  quale 
non  può  varcare  niuna  moderna  Compagnia  di  Comici.  > 

Simonetti  Giuseppe.  Nato  a  Lucca  del  1703,  fu  buon  co- 
mico z}^  improvviso  per  le  parti  ài  Innamorato  che  sostenne  in 
Compagnia  di  Antonio  Sacco,  del  quale  sposò  la  sorella  Anna, 
e  col  quale  fu  in  Portogallo,  non  solo  recitando,  ma  facendo 
anche  fuochi  artificiali.  Aveva  sostituito  nel  1736  l'amoroso 
Vitalba  nei  Comici  di  Carlo  Goldoni,  il  quale  dice  di  lui  che  se 
fu  meno  brillante  del  suo  predecessore,  ne  fu  più  decente,  più 
colto,  più  docile.  Forse  lo  stesso,  capocomico  nel  teatro  ducale 
di  Milano  il  1743,  e  che  Paglicci-Brozzi  chiama  Giovanni? 

Giuseppe  Simonetti  si  fece  notare  nella  rappresentazione 
del  carattere  buffo  di  Don  Gelsomino  nella  commedia  II  Re  dor- 
mendo (?),  e  morì  a  Venezia  il  27  aprile  dell'anno  1773. 

Simoni  Barbara.  «  Brava  attrice,  che  recitò  con  gran  fran- 
chezza nel  carattere  della  serva,  e  che  fu  nelle  Compagnie  di 
Venezia  molto  applaudita.  Il  di  lei  spirito  fu  veramente  inimi- 
tabile, e  prevalse  a  qualunque  altra  che  recitasse  nel  suo  ca- 
rattere a'  tempi  suoi.  Fioriva  questa  comica  intorno  alla  metà 
del  secolo  presente.  >  Così  Fr.  Bartoli. 

Simoni  Giovanni.  Fu  detto  Goldoncino  per  essere  stato 
alcun  tempo  copista  di  Carlo  Goldoni  il  quale  con  lettera  del 
17  marzo  1759  da  Roma  (V.  Carteggio)  lo  raccomandava  viva- 
mente a  S.  E.  Vendramin,  per  le  parti  di  terzo  amoroso.  Di 
lui  non  fu  detto  troppo  bene  allo  stesso  Vendramin,  che  alle 
preghiere  del  Goldoni  faceva  orecchi  da  mercante.  <  Questo 
giovane  -  insisteva  Goldoni  -  non  è  mio  parente,  ma  ho  preso 
impegno  di  assicurarlo,  e  deggio  farlo.»  E  più  innanzi:  «  Per 
cattivo  eh'  ei  fosse,  avrebbe  mai  rovinata  la  compagnia  in  un 


i 

\ 


SIMONI  -  SOLDINO  541 


posto  di  terzo  amoroso?  Io  sono  di  lui  contento,  Roma  lo  ha 
stimato  e  lodato....  >  Non  sappiamo  s'ei  fosse  accolto  nella  Com- 
pagnia di  Venezia,  ma  sappiamo  che,  datosi  poi  all'arte  co- 
mica, riuscì  attore,  egregio  per  le  parti  bufife.  Fu  molti  anni 
capocomico,  con  Angiola  Dotti,  e  recossi  con  lei  a  Vienna.  Si 
trovava  il  1781  sempre  con  la  Dotti  a  Ragusa,  dove -dice  il 
Bartoli  -  facea  valere  il  suo  spirito  procacciandosi  degli  ap- 
plausi, e  facendo  qualche  mediocre  fortuna. 

Soardi  Carlotta.  Nata  a  Bassano  del  1 782,  fu  una  egregia 
comica  per  le  parti  di  serva,  che  cominciò  a  sostenere  all'im- 
provviso, sì  in  dialetto  che  in  italiano,  con  tal  grazia  ed  elo- 
quenza, che  i  più  provetti  dell'arte  si  dice  non  potessero  starle 
a  fronte.  Uscita  la  celebre  Gallina  dalla  Compagnia  Reale,  andò 
a  sostituirla,  e  n'  ebbe  moltissimi  onori.  Venuta  in  vecchiezza, 
passò  al  ruolo  di  caratteristica  in  compagnie  secondarie,  finché, 
ritiratasi  coi  pochi  avanzi  in  un  piccolo  villaggio  del  Veneto 
presso  Badia,  vi  morì  quasi  ottuagenaria.  Le  Varietà  teatrali 
di  Venezia  del  1821  dicon  di  lei,  quand'  era  al  San  Luca  in  Com- 
pagnia Toffoloni  : 

Nel  personaggio  di  servetta  è  spoglia  di  ogni  affettazione,  vivace,  intelligente,  gra- 
ziosa. Se  per  avventura  trovasi  costretta  alcuna  volta  a  coprire  qualche  parte  di  altro  ge- 
nere, abbiamo  la  compiacenza  di  assicurare  che  viene  da  essa  sostenuta  con  maestrìa  comica 
e  senza  mai  scordarsi  il  nuovo  carattere  ch'ella  assume  e  ricadere  nel  consueto. 

Soldino,  comico  fiorentino  del  secolo  xvi.  E  citato  insieme 
a  Scevola,  senese,  a  Tarasso,  vicentino,  e  a  Pantalone  (Pasquati) 
in  un  processo  romano  del  1565  (V.  Ademollo,  T.  di  R.,  35). 
E  Trautmann  lo  cita  nel  suo  prezioso  studio  de'  comici  italiani 
alla  (forte  bavarese,  fra  gli  attori  che  recitarono  a  Monaco 
il  1570,  al  quale  furon  pagati  40  fiorini.  Il  1572  era  capo  di  una 
Compagnia  italiana  in  Francia,  e  Carlo  IX,  messosi  a  un  regime 
per  venti  giorni,  ordinò  a'  comici  italiani  di  recarsi  da  Parigi 
a  Blois  ov'era  la  Corte,  per  divertire  Sua  Maestà  durante  il  suo 
periodo  di  dieta  ;  e  per  rimborso  di  spese  di  viaggio  e  per  ono- 
rario delle  rappresentazioni  {Comédies  et  plaisants  jeux)  ordinò 


S42  SOLDINO  -  SOMIGLI 


in  data  2  marzo.  1572  a  Claudio  Marcello,  proposto  de'  mer- 
canti della  città  di  Parigi,  di  pagare  a  esso  Soldino  e  agli  altri 
comici  italiani  lire  tornesi  135,  da  dividersi  tra  loro  in  parti 
eguali,  e  di  cui  non  doveva  esser  fatto  cenno  ne'  registri  delle 
spese  (V.  Baschet,  Les  Comédiens  italiens,  etc). 

Solmi  Pietro.  Mediocre  artista  per  le  parti  di  primo  attore, 
e  capocomico  egregio  in  società  con  Antonio  Pisenti  detto  il 
Margoncino:  società  che  durò  ben  ventidue  anni.  Egli  si  ri- 
serbava  alcune  parti  soltanto,  e  nell'elenco,  di  solito,  figurava 
come  altro  primario  attore.  Non  sappiam  l'epoca  né  della  na- 
scita, né  della  morte  ;  ma  sappiam  dagli  elenchi,  che  la  società 
col  Pisenti  durò  dal  '26  al  '46  circa.  Il  raccoglitore  di  Lucca  lo 
dice  in  una  nota  ms.  attore  passabile;  e  ci  dà  il  repertorio  della 
Compagnia,  il  quale  era  a  fortissime  tinte,  e  del  quale  facean 
più  spesso  le  spese  La  figlia  carceriera  del  padre.  Il  processo 
Ftuildes,  Bianca  e  Fernando,  Le  avventure  di  Mastrilli,  ecc. 

Somigli  Domenico,  detto  Beco  Sudicio.  Nacque  a  Firenze 
l'agosto  del  1756,  e  fu  barbiere,  comico,  e  poeta.  Nella  pre- 
fazione alle  sue  Rime,  scritta  da  Arpcdo  Argivo  (Firenze, 
Pietro  Allegrini  alla  Croce  Rossa,  1782,  in-8°,  voi.  II),  da  cui 
tolgo  il  presente  ritratto,  é  detto  che  <  anche  il  palcoscenico 
servì  al  medesimo  (Somigli)  per  isyiluppare  e  render  palesi  i 
suoi  naturali  talenti.  Egli  incominciò  a  esercitar  l'arte  comica 
sotto  il  nostro  celebre  Pertici,  e  sostenne  sempre  con  qualche 
decoro  quei  caratteri,  che  gli  venivano  destinati  dal  sopraffino 
discernimento  del  suo  direttore.  >  A  ventidue  anni  perde  im- 
provvisamente la  vista,  e  si  die  allora  a  scrivere  poesie,  spe- 
cialmente bernesche,  in  cui  riuscì  egregio.  Fu  pastore  arcade 
sotto  il  nome  di  Lisindo  Tir  esiano:  appartenne  anche  agli  Abo- 
rigeni  della  Colonia  Amiatense,  agli  Incamminati  di  Modigliana, 
e  agli  Apatisti  di  Firenze.  Dettò  versi  in  morte  di  Teresa  Ca- 
lamai, la  famosa  innamorata  del  Gamerra,  il  quale  nella  Corneide 
ha  un  cenno  di  lode  sul  Somigli. 


SOMIGLI 


L'opera  sua  poetica  è 
composta  di  sonetti,  eglo- 
ghe e  cantate,  fra  cui  una. 
La  fuga  in  Egitto,  curiosa, 
che  ha  per  interlocutori 
Maria  Vergine  e  San  Giu- 
seppe. Chi  voglia  avere  no- 
tizie particolareggiate  e 
dell'  indole  sua  e  del  suo 
poetare,  specialmente  im- 
provviso, veda  il  forbitissi- 
mo articolo  di  Cece  nel  Pio- 
vano Arlotto  del  febbrajo 
1859.  pag-  97- 

Intanto,  a  dare  un  sag- 
gio delle  sue  rime,  ecco  i 
due  sonetti  che  trattan  della 
sua  nascita  e  della  sua  vita, 
foggiati  alla  maniera  berne- 
sca, nella  quale  egli  rifulse  meglio  assai  che  nella  eroica  e 
sacra  : 


Nella  stagion  che  il  Sol  sta  tra  le  branche 
del  fier  Leone,  e  si  avvicina  al  Cane, 
e  che  le  brine  colle  mosche  bianche 
dal  nostro  clima  son' molto  lontane.... 

Allorché  le  cicale  non  son  stanche 
di  sciattare  i  bimmolli  in  fogge  strane, 
quando  del  Diacciatina  sulle  panche 
si  ganzan  di  sorbetti  le  sottane; 

il  giorno,  in  cui  tra  loro  uniti  stanno 
dì  Cecco  e  Beco  i  venerandi  figli, 
cosa,  che  segue  un  par  di  volte  l'anno: 

nel  seco)  d'ora,  in  la  Città  de' Gigli, 

gli  anni,  che  con  più  sei  cinquanta  fanno, 
nacque  al  mondo  Domenico  Somigli. 


544  SOMIGLI  -  SONDRA 


Nacqui,  e  poscia  alle  Scuole  fui  mandato 
in  quell'età  che  facile  si  piega, 
ed  il  Pedante  a  cui  fui  consegnato 
m'insegnò  compitar  Valfa  e  V omega. 

Qui,  credendo  aver' io  molto  imparato, 
il  genitore  posemi  a  bottega, 
feci  il  barbier,  fui  comico,  e  sveglialo 
l'estro  sentii,  che  Apollo  or  non  mi  nega. 

Perdei  la  luce  al  fin  di  Carnevale, 
e  volendo  alla  meglio  avanti  gire, 
l'arte  mi  posi  a  far  delle  cicale. 

Canto,  e  compongo  ancor  per  poche  lire, 
e  le  cose  fin  qui  non  vanno  male; 
poi  si  vedrà  come  l'andrà  a  finire. 

Sondra  Giuseppe  (o  Sontra?).  Comico  del  Duca  di  Mo- 
dena, noto  col  nome  di  Flaminio,  fiorì  nella  seconda  metà 
del  secolo  xvii.  Fu  arrestato  insieme  al  Pantalone  Rinaldo 
Rosa  (V.),  d'ordine  del  Duca  stesso,  nel  suo  passaggio  pel 
Po  da  Ferrara  a  Cremona;  e  non  ne  è  detto  il  motivo;  ma  pro- 
babilmente per  le  solite  defezioni  di  compagnia,  o  semplici  di- 
sobbedienze agli  ordini  del  Duca  capocomico. 

Il  Principe  di  Toscana  con  lettera  ig  agosto  1698  da  Pra- 
tolinOj  prega  il  Duca  di  Modena  di  rilasciarli  il  commediante 
Sondra;  il  che  starebbe  ad  attestare  del  valore  artistico  di  lui. 
Il  5  maggio  del  '99  il  Principe  cugino  annunzia  al  Duca  da  Fi- 
renze l'arrivo  di  Flaminio,  e  lo  ringrazia  di  una  lettera  piena 
di  cortesie  ch'ei  gli  mandò  per  suo  mezzo. 

Ademollo  (ZI  di  R.,  143)  riferisce  i  particolari  della  ucci- 
sione del  famoso  musico  Si/ace,  dallo  Zibaldone  di  Anton  Fran- 
cesco Marini,  il  quale  alla  data  io  luglio  1704,  dice:  «Discor- 
rendosi questo  dì  21  luglio  1704  di  Siface  musico  celebre;  mi 
disse  Giuseppe  Sondra  detto  Flaminio,  comico  del  Principe  di  To- 
scana, che  il  Quaranta  Marsilio  lo  facesse  egli  ammazzare  tra 
il  Ferrarese  e  il  Bolognese,  ecc.  » 


SPERANDIO  -  SPERINDI  545 

Sperandio  Bartolommeo,  mantovano,  sostenne  con  molto 
successo,  e  in  varie  compagnie  di  giro,  la  maschera  di  Arlec- 
chino, nella  seconda  metà  del  secolo  xviii.  Fu  lungo  tempo  coi 
comici  Lombardi,  sciolti  i  quali,  passò  in  Compagnia  di  Giu- 
seppe Lapy,  di  dove  uscì  per  diventar  conduttore  di  una  pic- 
cola compagnia.  Morì  di  apoplessia  a  Venezia  la  quaresima 
del  1778. 

Sperìndiy  di  Venezia.  Era  in  Baviera  con  un  Alessandro  di 
Polonia  il  1 567,  e  il  IO  agosto  fecero  assieme  istanza  al  Consiglio 
di  potere  per  quattro  giorni  mostrar  dovunque  le  loro  doti  arti- 
stiche con  salti  e  commedie,  e  prendere  in  compenso  del  danaro, 
poiché  mancando  il  nutrimento,  troppo  con  tali  fatiche  ne  ve- 
niva r  indebolimento  del  corpo.  Noi  sappiam  già  che  i  comici 
d'allora,  abbracciando  le  varie  arti,  eran  detti  or  suonatori,  or 
commedianti;  e  scorrendo  il  bello  studio  del  Trautmann,  tro- 
viamo in  un  libro  di  spese  (i  549)  del  Contabile  di  Ncerdlingen, 
antica  città  libera,  che  a  cinque  commedianti  veneziani,  i  quali 
si  fecer  rappresentare  a  S.  M.  Imperiale  da  Antonio  di  Bolzano, 
loro  interprete,  fu  pagato  un  fiorino  perchè  potessero  partire. 
Da  Ncerdlingen  passarono  a  Norimberga,  e  dal  Protocollo  del 
Comune  si  apprende  com'essi  dimandassero  di  poter  dare  una 
rappresentazione  di  una  vecchia  storia  di  Ercole,  e  di  essere 
confortati  di  buone  parole  (forse  un  attestato?)  e  favoriti  di 
quattro  fiorini  per  continuare  il  loro  viaggio. 

Con  data  del  io  gennajo  del  1551  si  permise  ai  comme- 
dianti italiani  di  dare  il  domani  la  loro  rappresentazione  coi 
ragazzi  saltatori  e  con  altri  giuochi.  Nel  1559  Bartolommeo 
di  Venezia  si  trovava  con  cinque  suoi  compagni  in  Ncerd- 
lingen, e  fu  pagato  a  ciascuno  un  fioriìw  di  onorario.  E  altri 
commedianti  italiani  apparvero  a  intervalli  dal  1556  al  1586 
in  Strassburg;  ma  pur  troppo,  afferma  il  Trautmann,  in  que- 
sta nota  dello  Sperindi  è  la  prima  volta  che  si  rileva  chia- 
ramente non  essersi  trattato  solo  di  salti,  ma  anche  di  com- 
medie. 

69.  —  /  Comici  italiani.  Voi.  II. 


546  SPOLVERINI  -  STACCHINI 

Spolverini  Pietro.  <  Eccellente  comico  nella  maschera  da 
Pantalone,  il  quale  fu  impiegato  per  molti  anni  ne' Teatri  di 
Napoli.  Tornò  in  Lombardia  da  dove  era  partito,  e  ivi  fece  con 
molta  lode  nuovamente  conoscere  i  suoi  talenti.  Passò  a  reci- 
tare in  Sicilia,  dove  fu  ben  accolto,  e  dopo  d'avere  colà  incon- 
trata una  sorte  propizia,  a  morir  venne  circa  il  1733.  >  Così 
Fr.  Bartoli. 

Spolverini  Anna.  <  Moglie  del  precedente,  detta  la  Cardel- 
Una.  Brava  comica  napolitana,  che  recitò  nel  carattere  di  prima 
donna  con  assiduo  impegno,  divenendo  un  oggetto  di  piacere 
sui  teatri  del  Regno  e  d'altre  Provincie.  Dopo  d'esser  dive- 
nuta moglie  di  Pietro  Spolverini,  diede  le  più  chiare  prove 
della  sua  somma  abilità,  e  passò  agli  eterni  riposi  intorno  al- 
l'anno 1735  nella  città  di  Napoli.  >  Così  Fr.  Bartoli. 

Stacchini  Antonio,  livornese,  nacque  il  1824  da  Giuseppe, 
avvocato,  e  da  Maria  Costanza  De-Ricci.  Fece  i  primi  studj  a 
Livorno,  poi,  quindicenne,  fu  ammesso  per  eccezione  all'Uni- 
versità di  Pisa,  Si  laureò  in  farmacia,  e  continuò  gli  studj  per 
uscirne  dottore,  quando  nel  '42  (egli  aveva  già  mostrato  chiare 
attitudini  alla  scena,  recitando  coi  filodrammatici  nel  dramma 
e  nella  tragedia),  invitato  da  un  tal  Pietrucci  (forse  il  caratte- 
rista Petrucci  (V.)?)  attore  della  Compagnia  Della  Seta  che  fa- 
ceva magrissimi  affari  agli  Avvalorati  di  Livorno,  accettò  di 
sostener  la  parte  principale  nei  Due  Sergenti.  E  l'audacia  del 
giovine  ebbe  tal  riuscita,  eh*  egli  risolse  di  abbandonar  la  me- 
dicina per  darsi  intero  all'arte;  ma  parenti  ed  amici  lo  distol- 
sero dal  proposito,  e  lo  costrinsero  ad  accettare  invece  un  po- 
sto di  farmacista  nell'ospedal  militare  di  Alessandria  d'Egitto. 
Appena  mortogli  il  padre,  tornò  in  patria,  e,  dopo  aver  fatto  il 
carnovale  del  '43  a  Carrara  con  una  miserrima  compagnia,  si 
scritturò  pel  '44  a  Firenze  in  Compagnia  Viti  e  Baroncini.  Il  '46 
si  scritturò  con  l'Impresa  Jacovacci  pel  teatro  Argentina  di 
Roma,  e  il  '48  con  Gandolfi  e  Landozzi  in  qualità  di  primo  attor 


STACCHINI 


giovine.  Fu  dal  '48  al  '54  con  Domenìconì,  generico  per  partì 
di  prima  importanza,  e  direttore  il  '55  di  una  delle  compagnie 
di  luì,  della  quale  era  prima  attrice  Laura  Ben.  Il  '56  diventò 
capocomico  egli  stesso,  e  continuò  a  esserlo  fino  alla  fine 
della  sua  vita  artistica  che  si  chiuse  il  '69;  anno  in  cui  si  recò 
definitivamente  a  Firenze  (vi  si 
era  già  recato  nel  '64  col  fermo 
proposito  di  lasciar  l'arte,  alla 
quale  tornò  poco  di  poi,  solle- 
citato da  Riccardo  Castelvec- 
chio  ad  assumere  la  direzione 
della  sua  Compagnia  Dante 
Alighieri),  affine  —  dice  un  suo 
.  biografo.  Cesare  Calvi  -  «  di 
proseguire  alcuni  studj  sul- 
l'arte e  sul  teatro  che  durante 
il  suo  artistico  peregrinaggìo 
non  poteva  condurre  a  fine,  > 
ma  in  realtà  -  dice  un  annota- 
tore -  per  darsi  a  non  so  che 
lucroso  commercio. 

Antonio  Stacchini  non  eb- 
be, in  arte,  fama  di  buon  diret- 
tore ;  piuttosto  di  buon  artista 

per  le  grandi  parti  di  primo  attore  padre,  e  tiranno,  fra  le  quali 
primeggiava  sempre  quella  di  Aristodemo  di  V.  Monti,  che  io 
stesso  gli  sentii  fare,  quand'egli  era  fuor  dell'arte  a  Firenze,  ■ 
di  cui  serbo  ancora  il  ricordo  di  un  insieme  ampolloso  di  espo- 
sizione. -  Vittorio  Cavalieri  (Trieste,  1864)  e  Cesare  Calvi  (Fi- 
renze, 1872)  dettarono  di  lui  alcuni  cenni  biografici;  ma  a 
quelli  del  Calvi  non  troppo,  secondo  il  solito  annotatore  (Bru- 
none  Lanata)  sarebbe  da  prestar  fede,  essendo  essi  una  iper- 
bolica apologia  dell'artista  e  dell'uomo. 

Antonio  Stacchini  ebbe,  fra  altri,  un  figlio.  Paolo,  stato 
artista  alcun  tempo;  e  morì  a  Firenze  il  19  marzo  1893. 


Sterni  Francesco.  Attore  generico  ài  molto  pregio,  fattosi 

celebre  con  la  parte  di  Rodin,  in  cui  per 

la  interpretazione  e  la  truccatura  mera- 
vigliosa non  ebbe  rivali,  nacque  a  Cas- 

soladiBassanoil  2  2  maggio  del  1822.  Fu 

accolto  nelle  migliori  Compagnie,  e  mol- 
tissimi elogi  gli  tributarono  il  pubblico  e 

la  stampa  per  le  lodevoli  interpret^l^ioni 

di  opere  di  vario  genere  quali  Kean,  Conte 

Hermann,  Edipo  Re.  Avvocato  Veneziano, 

Tasso,  ecc.  ecc.  Il  '59  si  fece  conduttore 

di  una  Compagnia  che  intitolò  Alessandro 

Manzoni,  composta  di  una  buona  accolta 

di  artisti,  fra  cui  la  Raspini,  la  Chiari,  la  Bianchi,  la  Miani,  Ven- 
turoli,  Giardini,  Sobrio,  Maz- 
zocca.  Fu  anche  lo  Sterni  pa- 
triolto  caldissimo.  Il  23  marzo 
del  1848  un  avviso  di  Ales- 
sandria, col  quale  invitava  il 
pubblico  a  una  accademia  di 
declamazione  e  di  canto  a  be- 
neficio dell'attore  Francesco 
Sterni,  cominciava  così  : 

T^  sera  di  giovedì  ij  marto  i 
ter*  per  doÌ  di  bcneficeDza  ciKadÌDa,  e 
qaesto,  piattosto  che  od  ricordo  teatrale, 
è  un  ricordo  comune  delta  tacita  e  re- 
ciproca promeiia  che  ci  liam  blta  di  ri- 
trovarli (ulti  come  ad  no  convegno  de- 

L'atlore  Francejco  Sterni  è  rimasto 
in  qaesia  quaresima  scoia  compagnia.  E 
perchè?  Gli  vietavano  i  contini  del  Regno 
Lombardo- Veneto  il  coraggio  civile  e  la 
bella  fiamma  d'aRétto  ed  intetligeDu  con 
cai  egli  aliava  la  ana  voce  a  far  più  bello 
il  grido  della  liberti  e  della  indipendenzm 

nazionali  che  naciva  dai  nostri  Poeti,  e  che  il  di  8  dello  scorso  febbrajo  metteva  all'ordine 

del  giorno. 


STERNI  -  STICOTTI  549 

In  quella  sera  egli  declamò  /  due  sogni  di  Matilde  del 
Berchet  e  del  Damasio,  1^  battaglia  di  lagnano  e  £ji  pace 
di  Costanza  di  Berchet;  L'ultimo  cantico  lirico  di  Gabriele 
Rossetti. 

Nel  '59,  anno  primo  del  suo  capocomicato,  fu  a  un  punto 
di  essere  fucilato  con  tutti  ì  suoi  per  ordine  di  Urban,  gover- 
natore di  Verona. 

Gli  appunti  sconnessi,  telegrafici  dettati  a  me  dallo  Sterni, 
son  confermati  e  bene  esposti  da  Giuseppe  Mazzocca{V.  Suppl.), 
amoroso  della  Compagnia,  nelle  sue  appetitose  «  Memorie  di  un 
attore-»  (Milano,  1904). 

Francesco  Sterni  condusse  onoratamente  Compagnia  per 
molti  anni,  finché,  stanco  della  vita  nomade,  sebben  sempre 
vigoroso,  si  stabilì  in  Bologna,  ove  fu  chiamato  insegnante  re- 
citazione nel  Collegio  di  San  Luigi. 


Sticotti  Fabio,  attore  della  Compagnia  del  Reggente, 
dotta  in  Francia  il  1 7 1 6  da  Luigi  Riccoboni,  nacque  il 
nel  Friuli,  dicono,  e  dalla  Sticotti,  canta- 
rina  di  una  compagnia.  Fu,  come  sua  moglie 
Orsola  Astori  (V.),  scritturato  per  cantar 
negl'intermezzi,  ma  poi  cominciò  col  so- 
stenere in  commedia  partì  di  poca  impor- 
tanza. Succedendo  a  Giuseppe  Giaratoni 
il  1729,  fu  egregio  sotto  la  maschera  di 
Pierrot.  se  s'ha  a  credere  alla  seguente 
quartina  : 

Cher  Sticotti,  je  crois  sans  peine 
quand  je  te  vois  jouer  Pierrot, 
que  si  tu  fais  si  bien  le  sot, 
tu  ne  le  tais  que  sur  la  scène. 

Infatti  un  contemporaneo,  il  Gueul- 
lette,  dice  che  Sticotti  era  un  grand'uomo 
assai  ben  fatto,  di  viso  tondo  e  piatto,  e  di 


550  STICOTTI  -  STRINI 


fisonomia  piacevole;  di  umore  gajo  al  sommo,  e  amabilissimo 
in  società.  E  aggiunge:  <egli  era  di  buona  famiglia  veneziana; 
s'innamorò  della  figlia  d*un  orologiajo,  e  la  sposò.  Venne  con 
lei  in  Francia,  e  non  aveva  mai  recitato.  Morto  Alborghetti,  lo 
sostituì  con  assai  onore  il  1733  nella  maschera  del  Pantalone, 
e  fu  ricevuto  in  compagnia  con  decreto  dell'i  i  febbrajo  a  un 
quarto  di  parte,  e  con -decreto  del  4  maggio,  a  metà.  Morì  il 
5  dicembre  1 741,  e  fu  sepolto  sotto  la  Cappella  della  Madonna 
di  S.  Salvatore.  > 

IlCampardon  riferisce  una  citazione  di  lui  contro  S.'Marc, 
il  quale  non  voleva  rendergli  un  pappagallo,  scappatogli  di  gab- 
bia, che  aveva  comprato  dall'Albo rghetti. 

Sticotti  Anton  Giovanni,  detto  KolU,  secondo  figlio  del 
precedente,  col  nome  di  Fabio,  fu  buon  Innamorato,  e,  dopo  la 
morte  del  padre,  buon  Pierrot  col  nome  di  Toni  e  buon  Pan- 
talone. Esordì  nella  Surprise  de  l'amour  di  Marivaux  il  1 5  giu- 
gno 1739,  si  sposò  al  S.  Salvatore  il  13  agosto  1739  con  Maria 
Claudia  Duflos,  dalla  quale  ebbe  più  figli,  e  dal  1754  in  poi 
recitò  anche  i  servi  e  i  contadini.  Scrisse  alcune  comme- 
die con  buon  successo  ora  solo,  ora  in  società  con  Panard. 
Ebbe  al  Teatro  italiano  mezza  parte  e  si  ritirò  il  1759  per 
passare  poi  in  Prussia,  alla  Corte  di  Federico  II,  ove  morì 
nel  1772. 

Di  lui  si  pubblicarono  anonime  alcune  parodie  di  Atys, 
Roland,  Mérope,  Amadis  ;  le  commedie  Les  Ennuis  de  ThaUe, 
Les  noms  changés,  Les  Faux  devins  ;  e  la  tragedia  Alzatde;  poi  : 
L'Art  du  théàtre  (Berlino,  1760,  in-8°),  OEuvres  d'un  paresseux 
bel  esprit  (Berlino,  1760,  in-8°),  il  Dictionnaire  des  passions,  des 
vertus  et  des  vices  (Paris,  1769),  la  traduzione  dall'inglese  di 
Garrich  cu  les  acteurs  anglois  (Paris,  1 769)  e  il  Dictionnaire  des 
gens  du  monde  (Paris,  1770,  5  voi.,  in-8°). 

Strini  Giuseppe.  Nato  a  Napoli  il  21  dicembre  1846  da 
famiglia  di  commercianti,  entrò  nel  '64,  come  allievo  nella  Co m- 


STRINI  -  SUBBOTICI  551 

pagnia  stabile  di  Achille  Majeroni  al  Teatro  del  Fondo.  Passò 
il  '67  secondo  amoroso  con  Fanny  Sadowski,  e  il  '70,  fuor  di  Na- 
poli, primo  attore  giovine  con  Giacinta  Pezzana,  sotto  Luigi 
Monti,  per  tornar  poi,  sempre  sotto  Monti,  con  la  Sadowsky 
il  '73.  Sposò  il  '77  la  figlia  di  Carlo  Lollio  (V.),  ed  entrò,  con 
lei  seconda  donna,  nelle  Compagnie  di  Luigi  Pezzana,  di  Ales- 
sandro Salvini;  poi  (lontano  dalla  moglie,  rimasta  in  Italia),  di 
Adelaide  Ristori  per  un  giro  all'estero.  Fu  in  seguito  con  Bei- 
lotti,  poi  formò  società,  e  neir  '84-'85  assunse  il  posto  dì  primo 
attore,  che  lasciò  T'Só  per  quello  òì  generico  primario,  soste- 
nuto sempre  con  assai  decoro  in  varie  compagnie  delle  più 
accreditate. 

Sono  lieto  di  mettere  qui  il  nome  di  Giuseppe  Strini,  mio 
caro  compagno  del  tempo  della  Sadowsky  (1873),  il  quale 
ebbe  a  sostenere  dure  lotte  in  arte,  per  la  figura  e  soprat- 
tutto per  il  volto,  poco  in  armonia  col  suo  ruolo  di  amoroso  ; 
dalle  quali  uscì  vittorioso  con  la  rara  correttezza  della  sua 
dizione. 

Ebbe  una  sorella,  Eleonora,  nata  a  Napoli  il  1842,  che 
esordì  al  Teatrino  JLa  Fenice  come  prima  attrice  giovine. 
Passata  amorosa  ai  Fiorentini  con  Adamo  Alberti,  vi  recitò 
sei  anni  come  prima  attrice  giovine  e  seconda  donna,  applau- 
ditissima  a  fianco  della  Sadowsky,  della  Cazzola,  di  Salvini, 
di  Majeroni,  di  Bozzo.  Morì  di  malattia  di  petto  a  soli  venti- 
quattr*anni. 

Subbotici  Armando.  Nacque  a  Spalato  in  Dalmazia  il  1 778 
(il  suo  nome  vero  fu  Subbotic).  D' intelligenza  svegliatissimo,  e 
dotato  dalla  natura  di  un  fisico  meraviglioso,  non  disgiunto 
da  una  voce  magnifica,  che  esercitava  un  fascino  irresistibile 
sugli  spettatori,  ebbe  per  un  ventennio  rinomanza  di  artista 
egregio  ;  e  il  Colomberti  lo  chiama  V  ideale  dei  primi  amorosi 
e  dei  primi  attori.  Ricorreva  spesso  nelle  uscite  di  scena  a  im- 
provvisazioni convenzionali,  che  gli  fruttavan  dai  pubblici  poco 
educati  al  bello  frenetici  applausi.  Ma  i  non  educati  al  bello 


5sa  SUBBOTICI 

pare  fossero  molti  ;  poiché,  in  forza  appunto  di  quegli  applausi, 
egli  trovò  posto  nelle  più  reputate  compagnie  del  suo  tempo. 
Col  volger  degli  anni,  fievolita  la  voce,  impinguato  il  ventre, 
raggrinzita  la  faccia,  egli  non  trovò  più  posto  che  in  compa- 
gnie di  secondo,  e  giù  g^ù  di  infimo  ordine,  terminando- a  Ve- 
nezia miseramente  la  vita  verso  il  1830. 


I   COMICI  ITALIANI 


Tabarin  Giovanni,  veneziano.  Dai  documenti  appare  il 
primo  conduttore  di  Compagnie  italiane  all'estero.  Egli  recitò 
a  Linz  il  1568  e  '69,  e  a  Vienna  il  '70,  '71,  '74;  ed  ebbe  titolo 
di  Attore  di  Sua  Romana  Imperiai  Maestà  (V.  K.  Trautmann, 
/  Comici  it.  in  Baviera,  e  Albert  Cohn,  Shakespeare  in  Germa- 
nia) ;  e  nel  Registro  di  spese  del  Cardinal  Luigi  D' Este,  si 
trova  una  partita  per  donativo  di  sei  ducati  pistoiesi  a  Taba- 
rin comediante  italian,  che  secondo  il  D'Ancona  apparterrebbe 
al  febbrajo  del '71.  Secondo  poi  il  Sand,  Taòarìno  sarebbe  stato 
lo  Zanni  della  Compagnia  che  si  recò  in  Francia  il  '70,  condotta 


556 


TABARIN 


da  Alberto  Ganassa;  ma  non  ci  dice,  ai  solito,  a  qual  fonte 
abbia  attinta  la  notizia.  Si  sa  ancora  di  lui  ch'ebbe  un  figliuolo 
dalla  Polonia  di  Vicenza,  sua  moglie  (e  moglie  poi  di  Valerio 
Zuccato?  O  Zuccato  fu  il  primo  marito?  O  divisa  dal  marito 
si  unì  a  Tabarin,  e  si  fece  piissare  all'estero  per  sua  moglie?). 


il  giovedì  25  settembre  1572,  a  cui  fu  posto  il  nome  di  Massi- 
miliano. Riferisco  dallo  Jal  testualmente  l'atto  di  battesimo  : 

Le  jeadf  xxv  septembre  1571,  fut  baptisé  Maiìmilicn  filt  de  Jehu)  Thibarìit, 
jtalien  de  VeDìse,  et  de  dam."<  Polon;^  de  Vìnceace  (sic),  n  remme;  le  pirrin  (aie)  boinme 
lehsD  de  Beome,  ponT  le  Roy,  lei  marriaes  noblei  damoiielles  lehaune  de  Muinoiiin 
tenant  poar  Uad.  de  Gaiie,  et  damoUelle  Franfaiae  Cler«  tenant  pour  Uadame  de  Ne- 
vers.   •  Eo  marge  est  ècrit.  >   M.''  Cnis  a  receu  unz  eicu. 

Ora;  Fu  attore  Massimiliano?  Ed  ebbe  un  figlio  che  re- 
citasse: quello  che  vediamo  il  1659  con  una  compagnia  a  Vienna, 
in  cui  era  il  famoso  Dominique?  E  apparteneva  a  questa  fa- 
miglia, o  era  lo  stesso  del  '59,  quel  Tamòorino  o  Taharrino 
ciarlatano  savojardo  nel  giornale  manoscritto  del  Fuidoro,  ri- 
ferito da  Croce,  che  il  dicembre  del  '69  pubblicamente  nel  largo 


TABARIN 


della  Piazza  di  Castello  a  Napoli,  fatta  nel  suo  banco  una  scena, 
vi  faceva  recitar  da  dieci  persone  e  a  tutte  sue  spese  comedie; 
e  pel  concorso  grande  che  vi  era  sema  pagare,  vendeva  una  con- 
seriìa  di  ginepro,  che  era  contravveleno?  E  Giovanni  Tabarìnì  di 
Venezia  diede  col  suo  casato  il  nome  alla  famosa  maschera  del 
Ponte  Nuovo  di  Parigi,  figurante  un  quarant'anni  più  tardi, 
come  servo  del  Ciarlatano  Mondor,  sotto  la  quale  si  celava 
Giovanni  Salomon  suo  socio?  O  essa,  ignara  pur  anco  dell'esi- 
stenza dell'attor  Tabarini,  fu  la  caricatura  di  Francesco  Ta- 
barin, contemporaneo  di  Salomon,  parigino, 
e  marito  di  una  Francesca  Coulignard  (per 
l'appunto  anche  la  moglie  diTabarino,  ma- 
schera, si  chiamava  Franceschìna)?  Tutte 
domande  a  cui  non  si  potrebbe,  credo,  con 
sicurezza  rispondere.  Su  che  si  basano  le 
notizie  romanzesche  del  Marmontel  su  la 
nascita  e  la  morte  del  Tabarino  del  Ponte 
Nuovo?  Secondo  lui,  riferito  dal  Petrai  nel 
suo  Spirito  delle  maschere,  egU 


era  il  bastardo  di  i 
riatcl  »  tenergli  aoicosb 
DD  giorno  il  ragBizo  v 


n   cardinale  romano  ;  co«a  che  sua  madre 

>sta  lino  a  eh'  ci  non  ebbe  v«nt'  anni.  Ma 
so  pet  quale  circostanza,  a 

e  seppe  come  sua  madre  vivesse  esclusi- 
vamente di  una  pensione  che  il  prelato  le  faceva  corrispondere 
dal  Vescovado  di  Milano.  Andò  al  Vescovado,  allora,  chiese 
il  registro  su  cui  era  iscritta  la  partita  e  ne  stracciò  la  pagina. 
Saa  madre  non  Io  rivide  pù.  Da  Milano  andò  a  Veaeiia,  da 
Venezia  a  Napoli,  da  Napoli  a  Roma,  a  Firenze,  «Torino,  cam- 
pando la  vita  col  fare  il  comico  e  il  saltimbanco.  Nel  1618,  alla 
fine,  capitò  a  Parigi.  Quello  era  il  centro  dove  andavano  a  cascar 
tutti.  Aisodatosi  con  l' empirico  italiano  Mondor,  misero  su,  ad 
imiUxione  dì  tatti  gli  empirici  del  secolo  decimosettimo,  un  pale 

Tabarrino  fini  in  modo  tragico.  Il  suo  palcosceni 
per  dieci  anni  egli  aveva  gettati  alle  folla,  gli  erano  rimbalzati  nella  scarsella 
dopfU.  L'orgoglio  lo  tentò;   comperò  nna  terra  Teudale, 
signore.  I  gentiluomini  dei  dintorni  s' irritarono   per   qaella  vicinanza,  ed 
una  caccia  uccisero  il  bnfibne,  come  ana  lepre,  in  un  angolo  del  bosco. 

Ma  chi  voglia  più  e  meglio  addentrarsi  in  questo  laberinto 
dì  notizie  e  di  genealogie  io  rimando  allo  Jal,  che  al  nome  di 


TABARIN 


Tabarin,  inette  ìl  resultato  delle  sue  lunghe  ricerche,  colle 
quali,  per  lo  meno,  ha  potuto  accertare  chiamarsi  il  Tabarin 
di  Parigi  Giovanni  Salomon,  e  non  aver  niun  vìncolo  di  paren- 
tela con  quello  di  Venezia.  Quanto  al  costume  ho  riprodotto 

la  maschera  del  Sand, 

che  non  è  che  una  va- 
riante dei  tanti  Zanni  di 
Callot,  e  non  ha  che  ve- 
dere né  con  quella  del- 
la stampa  attribuita  ad 
Abraham  Bosse,  con- 
temporaneo di  Mondor, 
fatta  nella  prima  giovi- 
nezza, poco  dopo  la  sua 
andata  da  Tours  a  Pa- 
rigi-, né  con  quella  della 
stampa  che  sta  in  fronte 
aW  Inventaire  universe! 
des  ceuvres  de  Tabarin 
(Parigi,  1623),  molto  so- 
migliante del  resto,  se 
ben  più  piccola,  all'  al- 
tra: se  non  che  Taba- 
rino  là  è  senza  barba  e 
coir  enorme  tesa  del 
cappello,  base  del  costu- 
me tabarinesco,  calata 
sull'occhio  manco  (pa- 
gina 556),  mentre  qui  ha 
la  lunga  barba  a  punta  e  la  tesa  rilevata  ai  due  lati,  come  in 
questa  riproduzione  ammodernata  che  precede  le  opere  ta- 
barinesche  nell'edizione  del  1858. 

Il  Salomon  soleva  intrammezzare  con  chiacchierate  ric- 
che di  spirito  e  di....  salacità  la  vendita  degli  specifici  di 
Mondor,  talvolta  in  dialogo,  sia  col  padrone,  sia  colla  moglie 


DELAHAYS, 


TABARIN  559 


Francischina,  e  talvolta  solo;  facendo  sopr'a  tutto  sbellicar 
dalle  risa  colle  trasformazioni  del  suo  cappello  di  feltro  bigio 
a  punta,  al  quale,  nelle  opere  son  dedicati  due  discorsi  :  De 
tantiquité  du  chappeau  de  Tabarin,  des  tenans,  abouiissans  et  de- 
spendances,  e  Les  fantaisies  plaisantes  et  facetieuses  du  chappeau 
à  Tabarin. 

Il  colore  di  tutto  il  vestito  era  bianco,  di  tela  greggia  ; 
come  si  rileva  da  una  delle  tante  fantasie  tabarinesche,  in 
cui  gli  si  rimprovera  di  aver  voluto  rubare  la  tela  per  ve- 
stirsi all'ala  di  un  mulino  a  vento  del  sobborgo  di  San- 
t'Antonio. 

Qual  personaggio  rappresentava  il  primo  Tabarini?  E, 
fosse  pur  di  Zanni,  com'è  a  supporre,  lo  rappresentava  col 
suo  nome  di  casa  o  con  un  nome  di  teatro?  Né  anche  a 
ciò  si  potrebbe  rispondere.  Più  volte  abbiam  visto  attori  e 
attrici  salire  in  rinomanza  col  lor  nome  di  battesimo  o  di 
famiglia,  e  più  altre  sol  con  quello  di  teatro:  e  forse  il  ce- 
lebre Tabarini  si  nascondeva  sulla  scena  sotto  uno  dei 
tanti  nomi  di  Zanni  o  di  altro  tipo,  non  potuti  sin  qui  iden- 
tificare. 

Il  Sand  discorre  di  un  tipo,  esistito  a  Bologna  fin  oltre 
il  1850  e  passato  poi  nel  dominio  delle  marionette,  che  rappre- 
sentava un  vecchio  mercante  di  circa  sessant'anni,  ignorante 
e  orso,  col  nome  di  Tabarino,  il  quale  soleva  cominciar  le  frasi 
in  italiano  e  finirle  in  dialetto  bolognese.  <  Padre  quasi  sempre 
di  Colombina  e  alleato  del  Dottore,  egli  era  -  dice  -  il  Cassan- 
dro  o  il  Pantalone  bolognese.  Aveva  la  parrucca  goldoniana 
incipriata,  veste,  panciotto  e  calzoni  corti  color  marrone,  calze 
rosse  al  di  sopra  de'  calzoni,  scarpe  con  fibbia  e  cappello  ro- 
tondo. > 

Un  opuscoletto  edito  dal  Cairo  a  Codogno  (s.  a.)  sulle  cin- 
quanta maschere  italiane,  poco  attendibile  per  quanto  riguarda 
la  esattezza  de' costumi,  benché  graziosamente  disegnati,  e  dei 
caratteri,  non  saprei  dire  su  che  basati,  benché  descritti  in  versi 
abbastanza  garbati,  ci  mostra  Tabarrino  in  perfetto  costume 


56o  TABARIN  -  TADDEI 

di  gentiluomo  spagnuolo  del  secolo  xvii  con  sotto  questa  se- 
stina: 

Tabarrino  dal  palco  satireggia 

contro  i  nobili  finti  e  cortigiani. 

£  l'idolo  di  tutti  i  popolani. 

Ma  la  Satira  giunge  nella  Reggia, 

e  se  il  comico  va  fiior  di  misura, 

su  la  schiena  gli  fanno  la  ottura. 

Tabò  Francesca.  Comica  fiorita  nella  seconda  metà  del 
secolo  XVI.  La  vediamo  coi  Contici  Costanti  tra  gli  attori  che 
firmaron  la  lettera  da  Ferrara  al  Duca  di  Modena  per  re- 
clamo contro  il  Pantalone  Scarpetta  (V.  e  Degli  Amorevoli 
Vittoria). 

Taddei  Francesco.  Nato  a  Napoli  il  1 7  70,  più  noto  col 
diminutivo  di  Ciccio,  fu  uno  de'  più  chiari  del  suo  tempo  nelle 
parti  di  caratterista  e  promiscuo.  Aveva  esordito  come  amoroso, 
riuscendo  egregio  nelle  scene  all'improvviso.  Di  volto  piacente, 
di  fisonomia  mobilissima,  sapeva  in  modo  mirabile  dare  al  suo 
personaggio  l'espressione  voluta,  senza  il  soccorso  della  truc- 
catura, fosse  esso  V Avaro  o  Ìl  Burbero  benefico,  o  il  Maldicente, 
o  altro.  Condusse  compagnia  per  trent'anni,  e  ne  fu  la  colonna  a 
fianco  della  moglie  Marianna,  che  da  lui  educata  all'arte  riuscì 
a  farsi  molto  apprezzare  dai  vari  pubblici  sì  nelle  commedie  e 
nei  drammi,  sì  nelle  tragedie.  Morirono  entrambi  a  Roma,  egli 
nel  1830,  ed  ella  nel  1842. 

Taddei  Luìg^.  Figlio  del  precedente,  nato  a  Forlì  il  1802, 
esordì  a  quindici  anni  come  brillante,  riuscendo  dopo  un  sol 
lustro  d'arte  a  replicar  festeggiatìssimo  al  Teatro  Nuovo  di 
Firenze  il  Bugiardo  dì  Goldoni,  e  il  Poeta  Stracciapane,  una  stu- 
pida farsa  ch'ei  recitò  in  mezzo  all'entusiasmo  per  ventidue 
sere.  Tentò  la  tragedia,  alla  quale  sentivasi  irresistibilmente 
trascinato;  e  recitò  V Aristodemo  del  Monti,  o  meglio,  secondo 
il  giudizio  del  padre,  ne  fece  la  parodia.  Tornò  subito  a'  ruoli 


comici,  passando,  ancor  giovine,  dal  brillante  al  caratterista,  nel 
quale,  coli' esempio  del  padre,  riuscì  eccellente. 

//  Maldicente.  Il  Burbero  benefico.  Il  Sindaco  babbeo.  Il  Bar- 
biere di  Gheldria.  VAjo  nell  imbarazzo.  Don  Desiderio,  il  Mar- 


chese della  Locandiera,  il  Conte  del  Ventaglio,  il  Fabrizio  degli 
Innamorati,  e  altri,  e  altri  moltissimi,  ebbero  da  lui  una  inter- 
pretazione magnifica.  Né  men  sommo  fu  nelle  parti  promiscue 
come  nel  Bene/attore  e  l' Orfana,  nel  Chirurgo  e  il  Viceré,  nel 
Filippo,  nella  Malvina,  nella  Leggitrice.  e  soprattutto  nel  Papà 
Gorioi.  lottando  col  difetto  delia  voce  aspra  e  chioccia,  e  vin- 
cendo gloriosamente,  sì  da  farsi  dire  l'emulo  e  il  successore 


II.  —  /  Comici  ileliam.  \ 


562  TADDEI 


degno  del  grande  Vestri.  A*  primi  del  '30  fu  con  la  Internari 
a  Parigi,  e  vi  suscitò  entusiasmo,  recitando  dopo  la  Rosmunda, 
Euticchio  della  Castagna.  Rimase  con  la  Internari  due  anni  an- 
cora, poi  passò  il  '33-'34  nella  società  Domeniconi  e  Pelzet, 
pella  quale  fu  pubblicato  a  Pistoja  un  opuscolo  di  versi,  tra  cui 
scelgo  il  seguente 

SONETTO 

AL   MERITO   SINGOLARE   DEL  CARATTERISTA 

Signor  LUIGI  TADDEI 

Or  che  nube  di  duci  par  che  si  stenda 
di  giovinezza  sul  celeste  fiore, 
né  più  il  sorriso  d'innocente  amore 
né  più  lieta  l'avvivi  altra  vicenda; 

bello  di  gloria  e  amor  dritto  é  che  splenda 
il  raro  ingegno  che  fa  scorrer  l'ore 
inavvedute  e  care  anche  al  dolore 
con  semplice  e  gentile  arte  stupenda. 

Ei  sempre  nuovo  si  trasforma  e  piace, 
sia  vecchio  amante,  ossia  marito  austero, 
o  sindaco  imbecille,  od  uom  loquace. 

Segui,  segui  animoso  il  bel  sentiero, 
già  porgi  ai  sommi  emulatore,  e  in  breve 
primo  di  tutti  salutarti  spero. 

Fu  il  '35-'36-'37  con  Gattinelli  e  Costantini,  il  '38-'39-'40 
con  Francesco  Coltellini,  e  il  '41  a  Torino  nella  Compagnia 
Reale  Sarda  a  sostituirvi  il  Vestri  per  un  triennio.  Cancellare 
l'impressione  dell'incomparabile  artista,  non  era  facil  cosa;  e 
il  Taddei  su  le  prime  andò  poco  a  verso  a' Torinesi,  tanto  che  il 
Vestri,  senza  il  rapido  avanzar  del  male,  avrebbe  ripreso  il  suo 
posto.  Ma  la  diffidenza  e  indifferenza  del  pubblico  non  tardaron 
molto  a  dissiparsi,  che  neW Euticchio  della  Castagna  prima,  poi 
negli  Osti  o  non  Osti,  il  Taddei  ebbe  tale  successo  da  lasciarsi 
a  dietro  il  gran  predecessore.  Uscito  dalla  Reale,  tornò  a  vagar 
di  compagnia  in  compagnia,  passando  poi  nel  '52  a*  Fiorentini 


TADDEI 


563 


di  Napoli,  ove  stette  dodici  anni,  divenuto  ornai  creatura  del 
suo  pubblico.  L'ultima  sua  scrittura  fu  pel  triennio  '65-'66-*67 
con  Achille .  Majeroni  al  Fondo  pur  di  Napoli  ;  ma  non  potè 
compierla;  che  colpito  d'apoplessia,  dopo  diciotto  mesi  di  in- 
fermità patita  con  cristiana  rassegnazione,  passò  a  miglior  vita 
il  29  agosto  del  1866. 

Fu  il  Taddei,  come  il  padre,  di  volto  piacente,  di  occhio 
sfavillante,  di  persona  ben  proporzionata.  Bilioso  e  sanguigno; 
era  a  volte  allegrissimo,  a  volte  insopportabile.  Allorquando 
appariva  in  teatro  col  cappello  calato  sugli  occhi,  né  pur  gl'in- 
timi ardivano  accostarglisi.  Alla  mancanza  degli  studj  supplì 
con  la  prontezza  singolare  dell'ingegno.  In  un  mio  manoscritto 
di  notiziole,  raccolte  dalla  bocca  de' vecchi  artisti,  trovo  questa 
curiosa,  e  interessante  :  <  Luigi  Taddei  buttava  al  pubblico 
ogni  fine  di  frase,  e  camminava  come  un  ballerino.  > 

Dettò  poesie,  non  prive  di  spontaneità  e  di  acume,  tra  cui 
una  satirica  intitolata  Artisti  e  giornalisti,  che  ha,  tra  l' altre, 
strofe  come  queste: 


È  un  foglio  inutile, 
ma  molta  gente 
va  a  sottoscrìversi 
immantinente: 

gli  artisti  corrono 
per  la  paura 
come  le  pecore 
alla  pastura. 


Molti  son  miseri 
vivono  a  stento, 
ma  tutti  pagano 
l'abbonamento; 

e  raziocinano 
che  l'associato 
non  potrà  essere 
mai  maltrattato. 


Se  sai  conoscere 
il  bel  momento 
di  saper  porgere 
un  complimento  (*). 

impareggiabile  !  I 
non  hai  peccato  !  ! 
In  fra  i  primissimi 
merti  il  primato: 

e  tu  medesimo 
a  tuo  piacere 
di  te  puoi  scrivere 
pagine  intere. 

(*)  Ossia  dare  un  regalo. 


•> 


5^4 


TADDEI 


Anche  si  dilettò  di  pittura;  e  io  posseggo  un  album  di 
figurini  acquarellati,  che  Luigi  Marchionni  cominciò,  e  Luigi 
Taddei  completò. 

Oltre  al  sonetto  dell'opuscolo  (pagina  562)  e  al  brano  della 
poesia  che  la  sorella  dettò  per  la  malattia  di  lui,  metto  qui  una 
odicina  del  Guadagnoli  dettata  (1832)  pel  medesimo  soggetto. 


Gigi  mio,  Gigi  mio, 
se  sapessi  tu  quant'io 
ho  penato,  tribolato, 
nel  sentir  ch'eri  malato! 
Ma  or  succede  al  dispiacere 
il  conforto  di  vedere 
che  il  fucile  della  secca 
questa  volta  ha  fatto  cecca. 
Già  Livorno  si  fa  lieto 
perchè  a  lei  rivolgi  il  pie, 
ed  il  povero  poeta 
che  non  può  venir  con  te, 
t'offre  i  parti  della  mente, 
onde  l'abbi  ognor  presente. 


Su  correte,  o  versi  miei, 
dall'amabile  Taddei 
a  tenergli  compagnia 
in  mia  vece,  or  che  va  via. 
Se  con  lui  sempre  starete 
nuovi  scherzi  apprenderete, 
nuove  grazie,  nuovi  sali, 
e  facezie  naturali, 
ch'ei  succhiato  ha  dalla  balia 
per  conforto  dell'Italia, 
che  se  l'ode  su  la  scena 
la  dolente  isi  serena, 
e  dimentica  gli  affanni 
ch'ella  soffre  da  tanti  anni  ! 


TaddeiRosa.  Sorella  del  precedente,  nata  aTrento  il  3oago- 
sto  1799,  si  diede  come  lui  all'arte  dei  parenti,  giovanissima,  e 
riuscì  a  soli  diciassette  anni  egregia  nelle  parti  amorose  di  prima 
donna,  mutandosi  poi  in  egr^gidi prima  donna  tragica.  Mostrò  da 
bambina  un  particolare  amore  agli  studj,  che  potè  coltivare  al 
fianco  dello  zio  Emanuele  Taddei,  uomo  per  dottrina  chiarissimo  ; 
e,  dotata  di  una  memoria  prodigiosa  e  di  una  mente  eletta,  si 
trovò,  ancor  giovine,  ricca  di  una  vastissima  coltura  storica 
e  letteraria.  Non  mai  lasciò  i  classici  greci  e  latini,  né  lasciò 
mai  di  esercitarsi  in  dettar  poesie  di  ogni  genere  e  di  ogni  me- 
tro. Recatosi  il  poeta  improvvisatore  Pistrucci  a  Viterbo,  a 
darvi  accademie  alternate  con  le  rappresentazioni  della  Com- 
pagnia Taddei,  invitò  una  sera  la  Rosa  a  svolger  con  lui  di  su 
la  scena  l'ultimo  tema  datogli.  Parve  a'  più  una  celia;  ma  la 
giovane  artista,  che  assisteva  da  un  palco  di  proscenio,  si  levò 


\ 


incontanente;  e  recatasi  alla  ribalta,  improvvisò  una  sestina- 
fervorino,  che  le  acquistò  subito  la  benevolenza  del  pubblico, 
andatasi  poi  grado  a  grado  mutando  in  entusiasmo,  onde,  a 


tenzone  finita,  ella  fu  accompagnata  a  casa  con  torce,  in  mezzo 
alle  più  pazze  acclamazioni. 

Da  quella  sera  fu  improvvisatrice  famosa,  e  giunta  a  Roma, 
accolta  e  festeggiata  da  Iacopo  Ferretti,  tal  fanatismo  vi  su- 
scitò con  le  frequenti  accademie,  che  fu  ascritta  col  nome  di 
Licori  Partenopea  tra  gli  Arcadi  di  Roma. 

Raccomandandola  il  Perticar!  al  Conte  Gabrielli  dì  Fano, 
scriveva:  «  Fa  ragione  che  le  nove  muse  vengano  di  persona 
a  salutarti,  perchè  elle  ti  mandano  la  Rosina  Taddeì  loro  amica 
e  compagna.  Non  vado  più  in  parole,  perchè  so  a  che  anima 


566  TADDEI 


cortese  io  scriva,  e  perchè  una  bella  giovanetta,  che  canta  versi 
soavissimi,  non  ha  bisogno  di  commendazione.  >  Francesco  Re 
di  Napoli  la  pensionò.  Dopo  dodici  anni  di  casto  amore,  s*unì 
in  matrimonio  col  comico  Mozzidolfi,  colto  e  integerrimo  uomo, 
e  morì  in  Roma  il  3  marzo  del  1 869. 

A  dare  un  saggio  dell'arte  sua  poetica,  metto  qui  il  prin- 
cipio e  la  fine  dell'ode  ch'ella  dettò  nel  '64  per  la  malattia  del 
fratello  Luigi  : 

Sorgi,  suonò  di  Naim  in  su  le  porte 
l'Eterna  voce  onde  T inferno  è  vinto; 
e  tosto  dal  feral  ^sonno  di  morte 

surse  r  estinto. 

Ed  or  la  stessa  sua  voce  sovrana, 
air  orecchio  de*  fisici  eccellenti, 
Destatelo,  suonò  con  legge  arcana 

d' alti  portenti  : 

e  ispirati  di  Cristo  alla  parola, 

sommessi  a  Lui  che  V  Universo  ha  in  pugno, 
obbedian  gli  educati  all'alta  scuola 

del  gran  Cotugno. 

E  sorgi,  al  fratel  mio  dicean  concordi; 
Dio  nella  nostra  la  sua  man  ti  porge; 
e  i  sensi,  che  all'udir  pareano  sordi, 

scuote,  e  risorge. 


Fratel,  che  tante  lagrime  mi  costi, 

solo  un  conforto  hai  tu  nel  tuo  malore; 
che  almen  felice  nel  dolor  tu  fosti 

fra  tanto  amore. 

Deh  !  Non  sparger  d'oblio  si  dolce  idea, 
fin  che  ti  basti  la  novella  vita: 
Dal  giusto  Dio  che  suscita  e  ricrea, 

venne  l'aita. 

Ei  fé'  di  tutti  sperimento  :  e  tutti 
trovi  degni  di  premio  all'oprar  loro; 
e  lor  darà  centuplicati  i  frutti 

dall'arche  d'oro. 


TADDEI  -  TALLI  567 


E  poiché  immenso  don  di  sua  pietade 
ti  pose  il  fido  Beniamin  d'appresso, 
che,  conforto  a' tuoi  mali,  or  la  metade 

è  di  te  stesso; 

appena  il  potrai  tu,  fa  ch'ei  ti  guidi 
al  tempio  di  Maria,  madre  di  Cristo, 
se  delle  offese  membra  ti  confidi 

riaver  l'acquisto; 

e  udrem,  nuovo  miracolo  di  Cielo, 
la  stessa  di  Gesù  voce  divina, 
ripeterti  col  suon  dell'Evangelo: 

Sorgi  e  Cammina. 

Talli  Virgilio.  Nato  a  Firenze  il  i°  agosto  del  1857,  ed 
educato  al  Collegio  Cicognini  di  Prato,  cominciò  a  recitar  tra  i 
dilettanti  nelF Accademia  Filodrammatica  Fiorentina  che  aveva 
sede  al  Palazzo  Rinuccini  e  contava  recitanti  egregi,  tra  cui 
primo  per  verità  e  spontaneità  e  finezza  il  porta-lettere  Fan- 
toni.  Dall'Accademia  Fiorentina  passò  a  quella  de'  Fidenti,  dalla 
quale  uscì  T'Si  per  andare  scritturato  con  Adeleide  Tessero, 
che  lo  alzò  subito  al  ruolo  assoluto  di  brillante.  Restò  con  lei 
fino  air  '85,  e  fu  i  primi  due  anni  e  mezzo  nell'America  del  Sud 
e  nella  Centrale,  ove  si  formò  il  repertorio,  e  ove  mostrò 
subito  una  singolare  signorilità  di  recitazione  e  di  modi,  da 
ogni  pubblico  ammirato  e  festeggiato.  Fu  V  '86  con  Novelli, 
e  r '87-^89  con  Pietriboni,  per  diventar  poi  capocomico  assieme 
a  Paladini,  colla  moglie  Ida  Carloni(V.)  prima  attrice;  nel  qual 
tempo  fé*  conoscere  agritaliani  i  lavori  del  Becque,  di  cui  primo 
La  Parigina.  Dopo  la  società  con  Paladini,  ne  formò  una  con 
Reinach,  della  quale  era  prima  attrice  Virginia  Reiter,  creando 
poi  la  famosa  Compagnia  comica  Talli-Sichel-Tovagliari,  una 
delle  più  fortunate  del  nostro  tempo,  sì  per  la  novità  e  origi- 
nalità del  repertorio,  sì  per  la  spigliatezza  e  T  affiatamento. 

Stette  poscia  con  Teresa  Mariani  un  anno,  e  un  triennio 
con  Di  Lorenzo- Andò  ;  dopo  il  quale  formò  società  con  Irma 
Gramatica  e  Oreste  Calabresi;  società  che  dura  da  quattro 


S68  TALLI 

anni,  e  in  cui  s'andò  egli  acquistando  la  fama  di  direttore  forte 
e  intelligente:  accresciuta  oggi  {1904)  coli' allestimento  della 
tragedia  La  figlia  di  Jorio  dì  Gabriele  D'Annunzio,  che  va  scor- 
rendo trionfalmente  i  teatri  d'Italia.  Ancora  due  anni,  e  questa 


Compagnia  che  s'è  conquistato  il  posto  primo  tra  le  prime, 
non  solo  per  le  parti  che  la  compongono,  ma  anche,  e  più, 
per  la  bella  armonia  dell'assieme,  si  sfascierà  tutta  per  dare 
nuove  missioni  da  compiere,  nuovi  ideali  da  tradurre  in  fatto, 
o  nuove  speranze  di  lucro.  Oreste  Calabresi  diverrà  capoco- 
mico solo,  e  avventurerà  al  gran  pubblico  una  giovine  pro- 
messa: Elisa  Severi;  la  Gramatica  diverrà  capocoraica  sola,  e 
scritturerà  primo  attore  e  direttore  Flavio  Andò;  Virgilio  Talli 
farà  una  compagnia  col  proposito  fermo  di  toglier  dì  mezzo 
tutte  quelle  piccole  convenzioni  di  palcoscenico,  che  tendono 


TALLI  -  TASSANI  569 


ad  infrenare  il  libero  corso  dell'arte,  e  principale  quella  dei 
ruoli. 

Il  male  ormai  è  radicato  da  secoli,  ed  estirparlo  non  è  im- 
presa agevole;  ma  se  uno  v'ha  che  possa  riuscirvi,  egli  è  certo 
Virgilio  Talli,  che  per  la  fierezza  dell'indole  e  la  pervicacia 
nella  lotta  non  ha  chi  gli  stia  a  paro. 


Tarasse  (V.  Soldino). 


i  Lorenzo.  Attore  caratterista  e  promiscuo,  e  capo- 
comico, ch'ebbe  scritturata  nel  1826  tutta  la  famiglia  Don- 
dini.  Recitava  anche  sotto  la  maschera  à! Arlecchino,  festeg- 
giatissimo.  Era  forse  figlio  di  un  Giuseppe  Tassani,  che  trovo 
Brighella,  sul  finire  del  secolo  xviii  in  Compagnia  di  Giovanni 
Fabbri. 

Passò  poi  da  capocomico  ad  attore  generico  e  direttore 
delle  rappresentazioni  nella  compagnia  di  suo  figlio,  e  morì  a 
Taranto  a  82  anni  il  16  marzo  del  '72.  Fu  prima  attrice  asso- 
luta della  sua  compagnia  la  moglie  Giuditta. 


li  Napoleone  ed  Elena.  Figlio  il  primo  del  prece- 
dente, fu  attore  e  capocomico,  e  abbiamo  l'elenco  della  sua 
compagnia  pel  1857:  anzi  due  elenchi,  uno  dello  Scaramuccia 
(n.°  40),  l'altro  di  G.  Cosentino  {L'Arena  del  Sole).  In  quello 
figuran  come  prima  attrice  e  primo  attore  i  coniugi  Elena  Pe- 
trucci-Germoglia  e  Giuseppe  Germoglia;  in  questo.  Elena Ger- 
moglia-Tassani,  e  Vincenzo  Andreani.  Forse  lo  Scaramuccia 
ebbe  l'elenco  in  quaresima  e  noi  pubblicò  che  in  agosto,  quando 
la  Germoglia,  morto  il  marito,  passò  a  seconde  nozze  col  Tas- 
sani? Dopo  sei  mesi  di  vedovanza?  O  lo  Scaramuccia  ripub- 
blicò un  elenco  degli  anni  scorsi?  Non  pare  possibile.  Certo 
r  elenco  del  Cosentino  è  stato  pubblicato  colla  scorta  del  docu- 
mento che  ci  dà  il  Tassani  marito  di  Elena  Germoglia,  figliuola 
del  caratterista  Giuseppe  Fetrucci  (V.),  <  giovane  e  bellissima 
attrice  -  scrive  Cosentino  -  che  lo  ajutava  a  portare  il  fardello 

72.  —  /  Comici  italiani.  Voi.  II. 


del  capocomicato  irto  di  difficoltà  pecuniarie,  >  e  che  si  meritò 
dal  pubblico  veronese  l'onore  della  presente  effigie  nel  IV  atto 
di  Medea. 


Napoleone  Tassani  rappresentava  di  preferenza  i  dram- 
moni da  popolino,  ai  quali  faceva  seguire  la  declamazione  dei 
libretti  di  opera  Trovatore,  Norma,  Emani,  ecc.,  con  cori  e  or- 


TASSANI  -  TELDI  571 


chestra.  Dio  sa  quali!  In  quell'estate  deiranno  '57  a  Bologna, 
la  Compagnia,  essendo  inoltrata  la  stagione,  passò  dall'Arena 
al  Teatro  del  Corso. 

Figurava  nella  stessa  Compagnia  una  Maria  Tassani,  e  il 
Tardini  {Teatri  di  Modena)  annovera  una  Amalia  Tassani-Maje- 
roni,  amorosa  il  '57  con  Luigi  Aliprandi,  il  '58  con  Luigi  Ro- 
botti,  e  il  *62  con  Francesco  Sterni  ;  poi  prima  attrice  assoluta 
il  '68  con  Gaetano  Benini,  moglie  di  Emilio  Tassani,  e  madre 
di  Enrichetta,  generici. 

Tassi  Lodovico.  Modenese.  Fu  attore  di  pregio  per  le 
parti  di  Dottore,  e  recitò  alcun  tempo  in  Compagnia  Medebach. 
Passò  poi  in  compagnie  vaganti,  sempre  ammirato,  e  finì,  a 
motivo  della  sua  condotta  disordinata,  in  piccole  accolte  di 
Comici  Castelleggianti,  cessando  di  vivere  miseramente  in  Vi- 
gevano Tanno.  1769. 

Tatarone,  ossia,  vecchio  che  vuol  fare  il  tata,  il  mimmo, 
parlando  con  favella  mozza,  infantile;  fu  soprannome  d'un 
comico  bolognese,  che  recitò  nelle  migliori  Compagnie  con 
la  maschera  del  Dottore,  <  e  si  mostrò  —  dice  Francesco  Bar- 
toli  —  grazioso  insieme  ed  erudito  nel  sostenere  il  carattere 
del  suo  secondo  vecchio,  parlando  con  assiomi  latini,  e  fa- 
cendosi distinguere  per  ottimo  commediante.  Morì  nel  1750 
circa.  > 

Teldi  Tilde.  Nome  di  teatro  di  Matilde  Tescher,  figlia 
della  nota  artista  lirica  tedesca.  Nacque  a  Milano  il  14  aprile 
del  1878,  ed  entrò  giovinetta  nell'Accademia  de' Filodram- 
matici diretta  da  Luigi  Monti,  dalla  quale  passò  scritturata 
il  1895  p^^^^^  attrice  giovine  e  amorosa  nella  nuova  Compagnia 
Garrin  di  Cocconato,  di  poca  fortuna.  Toltasi  alcun  tempo  dal- 
l'arte per  malattia,  vi  tornò  l'autunno  del  '96,  scritturata  collo 
stesso  ruolo  da  Eleonora  Duse  ;  e  fu  con  lei  in  Russia,  in  Ger- 
mania, in  Francia.  Il  '98  fu  chiamata  a  far  parte  della  nuova 


Compagnia  del  Teatro  d'Arie  di  Torino,  al  fianco  dì  Giacinta 
Pezzana,  e  il  '99  dì  quella  da  me  formata,  nella  quale  ebbi 
campo  di  studiare  e  ammirare  il  temperamento  artistico  della 


giovine  attrice.  Tilde  Teldi  è  stata,  direi,  l' ideale  della  prima 
attrice  giovine  del  suo  tempo.  Mentre  tutte  le  sue  colleghe  di 
ruolo  si  tuffavano  a  capo  fitto  come  prime  donne  assolute  nel 
gran  repertorio,  ella,  per  una  cotal  deficienza  di  mezzi  vocali, 
rimaneva  nella  sua  modesta  cerchia  amorosa,  facendosi  ovun- 
que notare  per  le  grazie  del  volto,  la  forza  del  sentimento  e  la 
soavità  del  dire.  Oggi,  andata  a  marito,  vive  a  Torino  fuor 
dalle  scene. 


1# 


TELLINI  -  TESI  573 

Tellini  Achille»  livornese,  è  stato  un  egregio  primo  attor 
giovine,  scritturato  da  buone  Compagnie,  quali  di  Achille  Don- 
dini  (1873),  di  Luigi  Monti  ('78), 
di  Vincenzo  Udina  ('81),  ecc.  Né 
sol  delle  doti  di  attore  egli  andava 
ornato,  ma  anche  di  disegnatore, 
che  egli  precedette  i  comici  Gal- 
vani, Ruggerì  e  Farulli  nel  ripro- 
durre i  maggiori  coUeghì  -  la 
Duse,  Cesare  Rossi,  Andò,  Zac- 
coni,  ecc.,  -  in  geniali  caricature  ; 
dove,  se  difetta  la  correttezza  del 
disegno,  è  pur  sempre  un  senti- 
mento e  uno  spirito  de' più  vivi, 
non  raggiunti  fin  qui.  È  passato 
il  Tellini  dagli  amorosi  ai  primi 
attori  e  da  questi  a  partì  di  minore  importanza;  e  anc'oggi, 
di  compagnia  in  compagnia  mediocre,  va  esercitando  l'arte 
comica  con  varia  fortuna. 

Tesi  Faustina,  di  Crema,  moglie  di  Domenico  Tesi  comico 
bresciano,  «  ÌI  quale  -  dice  Fr.  Bartoli  -  sarebbe  stato  un  abile 
commediante  se  non  avesse  trascurato  Ìl  mestiere  a  segno  di 
ridursi  a  recitare  tra' Comici  Castelleggianti,  e  a  suggerire  tra 
vaganti  compagnie,  »  fu  attrice  valorosa  specie  nelle  parti  tra- 
giche. Recitò  nella  prima  giovinezza  le  parti  di  serva,  e  vi  fu 
ammiratissìma;  in  una  particolarmente,  nella  quale  eseguiva 
un  volo  pericoloso  :  tal  che  una  sera  al  S.  Samuele  di  Venezia 
cadde  a  terra  dall'alto,  levandosela  con  pochissimo  danno.  Co- 
minciò a  recitar  da  prima  donna  il  1756  nel  Teatro  della  Sala 
di  Bologna,  e  vi  piacque  assai  sì  nelle  commedie  improvvise, 
come  nelle  scritte. 

Separatasi  dal  marito,  si  diede  allo  studio  della  musica, 
e  calcò  alcun  tempo  le  scene  liriche,  tornando  poi,  pel  mediocre 
successo,  alle  drammatiche,  scritturata  il  1770  al  S.  Gio.  Gri- 


574 TESI 

sostomo  di  Venezia  con  Girolamo  Medebach.  Si  tolse  da  esso 
Tanno  dopo,  fuor  di  tempo,  «  e  dall'amicizia  -  dice  Bartoli  — 
di  nobile  cavaliere  letterato  ricavar  seppe  a  vantaggio  suo  delle 
favorevoli  disposizioni  >  (?). 

PcLSSÒ  poi  con  Onofrio  Paganini,  tornato  allora  di  Spagna, 
ma  gelosa  degli  applausi  della  nuora,  se  ne  staccò  subito,  e 
andò  con  Pietro  Rossi,  col  quale  stette  un  anno.  Unitasi  a  Cri- 
stoforo Merli,  primo  innamorato  (V.),  formò  il  1776  una  Com- 
pagnia di  buoni  artisti,  colla  quale  percorse  decorosamente  le 
migliori  piazze,  quali  Bologna,  Parma,  Trieste,  Milano,  Brescia, 
Mantova,  ecc.,  e  della  quale  un  foglio  volante  di  Sassuolo  ci 
dà  r  elenco  :  Faustina  Tesi,  Cristoforo  Merli,  Giovanni 
Valentini,  Vittorio  Mattagliani,  Antonio  Fiorilli,  Gio. 
Batta  Gozzi,  Ferdinando  Colombo,  Francesco  Panazzi,  Do- 
menico Conti,  Luigi  Delicati,  Maria  Nasi. 

Andò  il  1777  con  esso  Merli  e  con  Giovanni  Valentini  a 
Napoli,  d'onde  rimpatriò  dopo  un  solo  anno,  continuando  a 
condur  Compagnia  con  favorevole  successo  ad  onta  dell'età 
non  più  giovine  e  di  alcuni  incomodi  ;  ma  sopr'a  tutto  della  sua 
indole  collerica  e  sdegnosa,  che  la  faceva  intrattabile.  E  questo 
prova,  mi  pare,  quanti  e  quanto  grandi  fossero  i  pregi  suoi  di 
artista.  Magnifica  di  figura  e  di  voce,  ricca  d*  intelligenza,  par- 
latrice  elegante,  piena  di  cuore  verso  i  suoi  compagni,  era  una 
specie  di  Ristori  d'allora.  Ma  la  pienezza  di  sé  attenuava  di 
molto  e  talvolta  distruggeva  agli  occhi  di  chi  l'accostava  i 
pregi  suddetti. 

A  mezzo  anno  pianta  Medebach,  poi  Paganini,  poi  si  se- 
para dal  marito,  poi  sbraita  contro  le  sconvenienze  del  pub- 
blico, poi  si  ribella  ai  compagni,  poi....  diventa  odiosa  a  tutti. 
Il  Bartoli  si  prova,  naturalmente,  di  dare  un  colpo  al  cerchio 
e  uno  alla  botte,  dedicandole  un  de' soliti  sonetti,  e  condan- 
nando il  Piazza  di  aver  avuto  per  lei  <  parole  puntate  che  dalla 
penna  di  pulito  scrittore  non  devono  uscire  giammai;  >  ma  per 
la  Tesi,  almeno,  non  osa,  come  per  altre,  accusarlo  di  calun- 
niatore. 


.ÉÉà 


TESI  -  TESSARI  575 


Vale  la  pena  che  io  le  metta  qui  per  intero  (//  Teatro, 
tomo  I,  art.  VI-VII). 

passai  alla  camera  della  prima  donna,  eh'  era  poco  lontana.  Trovai  una 

persona  di  vantaggiosa  statura,  ma  un  po'  avanzata  negli  anni.  Me  le  presentai  con  un'aria 
di  sommissione,  che  gonfiò  la  sua  vanità.  Fui  accolta  a  braccia  aperte  da  lei,  che  nelle 
parole  e  negli  atti,  non  poteva  essere  più  cortese  e  obbligante.  Mi  regalò  un  bacio  che 
mi  sconvolse  lo  stomaco  per  il  fetor  del  suo  fiato.  Glielo  restituii  su  una  guancia,  con 
tutti  i  riguardi  di  sanità.  Palesandole  il  bisogno  eh'  io  aveva  della  sua  protezione,  la  trovai 
si  disposta  a  farmi  del  bene,  che  rimasi  stupita.  Cominciò  a  parlarmi  de'  suoi  compagni 
e  loro  fece  una  raccomandazione,  che  non  mancava  di  alcun  requisito. 

Seppi  la  storia  della  prima  donna,  che  da  qui  innanzi  io  chiamerò  col  nome  di 
Megera,  Trasecolai  nell'  udirla,  e  qui  non  la  inserisco,  perchè  scrivo  la  mia,  non  quella 
delle  altre;  ma  dirò  alcuni  tratti  particolari,  che  divertir  potranno  chi  legge. 

In  un  mese  di  tempo  aveva  ella  cangiate  ventisei  serve.  Ognuna,  che  se  le  presen- 
tava, le  accomodava,  pareva  fatta  per  lei,  e  non  passava  un  giorno  che  la  buona  diven- 
tava cattiva,  ed  era  licenziata,  o  andava  a  sua  posta.  Per  mangiare  s' era  servita  a  tutte 
le  osterìe  di  Milano,  e  per  necessità  facevasi  cuocere  in  casa;  perocché  nessuno  voleva 
più  aver  a  fare  con  lei.  Acconciavasi  da  sé  non  trovando  un  parrucchiere  tanto  paziente 
che  potesse  reggere  alle  sue  stravaganze.  Brava  per  bestemmiare,  non  la  cedeva  a  un  vet- 
turino napoletano  ;  ardita  nelle  risse,  pareva  un  granatiere  infuriato  che  minacciasse  rovine 
e  morte,  ma  se  trovava  una  faccia  dura,  che  agli  urli  suoi  non  si  sgomentasse,  quella 
Tigre  diveniva  una  pecora  che  si  cacciava  tra  le  gambe  la  coda,  e  cedeva  vergognosamente 
il  campo  della  battaglia.  Un  giorno,  dopo  aver  strapazzato  ingiustamente  il  garzone  d' un 
caffettiere,  che  la  serviva  ed  era  uno  svizzero,  gli  diede  uno  schiaffo.  Il  ragazzo  soflH  le 
parole,  ma  non  i  fatti,  e  le  scagliò  in  faccia  tutta  la  roba  di  bottega  che  seco  aveva,  segnan- 
dola in  fronte,  e  scottandola  col  caffè.  In  luogo  di  continuare  la  zuffa,  misesi  a  gridar  : 
ajuto,  misericordia,  son  morta.  Pianse,  urlò,  mise  la  contrada  sossopra,  e  fece  entrare 
una  sentinella  nel  casino,  come  se  trattato  si  fosse  d'un  omicidio.  Una  lavandaja,  accu- 
sata da  lei  d' averle  rubata  una  camicia,  e  certe  altre  pezze,  e  venendo  chiamata  una 
ladra,  una  brutta  B....  le  diede  due  guanciate  pesanti,  al  cui  suono  echeggiò  la  camera. 
Ella  se  le  prese,  pianse,  e  si  fece  venire  le  convulsioni.  Che  più  ?  Lo  stesso  suo  amante, 
il  nido  della  tolleranza  umana,  la  bontà  personificata,  un  uomo  di  miele,  fu  costretto  più 
volte  a  batterla  come  un  tappeto,  ed  erano  poche  sere  che  prendendo  seco  il  fresco  di 
notte  vicino  alla  Porta  orientale,  le  aveva  scossa  la  polvere  dell'  andrienne  co'  colpi  della 
sua  canna.  Questo  poco  serva  a  far  meglio  conoscere  quella  donna  ;  il  molto  che  io  taccio, 
empir  potrebbe  un  volume. 

Accasciata  dal  male,  stette  alcun  tempo  lontana  dal  teatro  ; 
e  morì  in  Brescia  il  14  novembre  del  1781. 

Tessari  Alberto,  Pietro,  Marc' Antonio.  Nato  a  Verona 

il  21  giugno  del  1780  da  Epifanio  del  fu  Marco  Tessari  e  da 
Rosa  Turella,  si  diede,  appena  compiuto  un  regolare  corso  di 
studj,  a  recitare  nella  Filodrammatica  della  città,  scritturandosi 
poco  di  pfbi  col  Paganini,  dal  quale  passò  in  processo  di  tempo 


57.6 


TESSARI 


col  Bianchi,  con  la  Consoli  e  Zuccate,  e  finalmente  col  Fabbri- 
chesi,  Direttore  della  Real  Compagnia  Italiana.  Quando  questi 
condusse  nel  1 824  la  Compagnia  nell'Italia  Centrale,  il  Tessari 
ne  uscì,  per  rientrarvi  poi  l'anno  dopo,  diventandone  a'Fioren- 
tini,  il  proprietario  fino  all'anno  1839,  in  società  con  Prepiani 
e  Visetti  (V).,  stipen- 
diato dalla  Corte.  Pas- 
sò poi,  colla  moglie,  la 
celebre  Cavalletti  (V.), 
in  Compagnia  di  Cor- 
rado Verniano  (o  forse 
più  esattamente  Ver- 
GNANo)perun  triennio, 
per  doventar  di  nuo- 
vo capocomico  di  una 
compagnia  di  giro,  che 
lasciò  dopo  alcuni  anni, 
ritirandosi  dalle  scene 
per  la  morte  di  un  unico 
fratello  che  lo  lasciò  tu- 
tore de'  figli  e  ammini- 
stratore del  loro  ricco 
patrimonio. 
Abbiamo  molte  testimonianze  della  sua  arte  e  della  sua 
bontà.  Colomberli,  contemporaneo,  lo  chiama  un  «  ottimo  Pa- 
dre Nobile,  riuscito  ugualmente  bravo  nei  tre  generi  di  recita- 
zione, »  e  Luigi  Aliprandi,  contemporaneo  e  scritturato,  dice 
di  lui  largamente  ch'ebbe  figura  possente,  ma  voce  alquanto 
aspra,  e  modi  risoluti  e  austeri,  da  farlo  credere  di  una  seve- 
rità grandissima;  mentre,  in  realtà,  era  l'uomo  piii  mite  e  in- 
dulgente del  mondo,  E  narra  l'aneddoto  che  scontrato  per  via 
da  un  meschino  attor  di  provincia,  che  gli  si  raccomandò  per 
un  abito  vecchio,  squadratolo  da  capo  a  piedi  con  atto  di  stu- 
pore, «  ma  come!  —  gli  disse;  —  per  ridurre  un  abito  mio  al 
vostro  dosso,  ci  avreste  da  dare  al  sarto  una  somma..*  Mi  pare 


TESSARI  -  TESSERO  577 

sarebbe  molto  meglio  ve  ne  faceste  uno  nuovo....  >  L'attore  lo 
guardò  umilmente,  e  balbettò:  <Si  fa  presto  a  dirlo....  ma....> 
E  Tessari  di  rimando:  ^  Ho  capito.  >  E  senza  perdere  un  istante 
lo  condusse  da  un  mercante  di  panni.  Staccò  quel  tanto  che 
occorreva  per  un  vestito,  e  pagato  il  prezzo,  senza  che  T  altro 
avesse  il  tempo  di  dirgli  un  «  grazie  >  uscì  precipitoso  di  ne- 
gozio. E  Aliprandi  aggiuge  che  ben  considerata  l'indole  di 
lui,  non  si  penerà  a  credere  com'egli  recitasse  a  meraviglia 
//  Burbero  benefico,  L' Abate  de  L'Épée,  I  due  /rateili  alla  prova. 
La  restituzione  del  portafogli,  e  altro  di  simil  genere.  Il  Regli, 
a  proposito  della  recitazione  tragica  del  Tessari,  dice  che  «  si 
parlava  ancora  (1860)  del  modo  stupendo  con  che  rappresen- 
tava il  Filippo  d'Alfieri,  Creonte,  ecc.;  >  e  F.  Righetti,  nel  volume 
secondo  del  suo  Teatro  Italiano,  <  Ho  riconosciuto  —  scrive  — 
pochi  attori,  che  più  del  signor  Tessari  studiassero  di  penetrare 
nel  carattere  del  personaggio  che  dovevano  rappresentare. 
Uomo  colto  come  egli  è,  sapeva  benissimo  che  un  attore  assen- 
nato non  deve  nella  pittura  d' un  personaggio,  principalmente 
storico,  abbandonarsi  al  caso....  Io  amo  più  un  attore  che  abbia 
sbagliato  il  carattere  d'un  personaggio  per  averlo  mal  interpre- 
tato, che  quegli  che  l'abbia  indovinato  per  caso,  e  senza  riflessio- 
ne.... Il  nostro  Tessari  convinto  di  questa  verità,  rifletteva,  e  sen- 
tiva; e  colse  il  premio  del  suo  studio  nell'estimazione  dei  saggi.  » 
Da  un  volume  ms.,  intitolato  Coscrizione  prima  -  Registro 
de'  Volontari,  si  ricava  che  Alberto  Tessari  era  alto  5  piedi, 
4  pollici  e  5  linee,  ed  aveva  i  seguenti  connotati  :  <  capelli  ca- 
stagna, fronte  spaziosa,  ciglia  castagna,  occhi  cerulei,  naso 
lungo,  bocca  regolare,  mento  rotondo,  viso  largo.  > 

Tessali  Carolina  (V.  Cavalletti-Tessari). 

Tessero  Giovanni.  Primo  attore  assoluto  il  1826  nella 
Compagnia  di  Tommaso  Zocchi,  poi  nella  stessa  il  '38,  a  vi- 
cenda con  Giovanni  Trenti,  che  il  raccoglitore  lucchese  chiama 
mediocre,  poi,  sempre  nella  stessa  e  di  nuovo  assoluto  il  '43. 

73.  —  /  Comici  italiani.  Voi.  IL 


578  TESSERO 

Tessero  Pasquale.  Fratello  del  precedente,  nacque  in 
Aquila  da  Antonio  Tessero  Ìl  1797.  In  un  artìcolo  del  Fan/ulla 
delia  Domenica  del  1°  gennajo  1888,  Giuseppe  Costetti  Io  dice 
non  figlio  d'arte,  mentre  Ìl  Colomberti  lo  fa  nascer  da  genitori 
oriundi  napoletani  che  esercitavan  l'arte  drammatica.  Cominciò 
a  recitar  giovinetto,  e  abbandonata  la  famiglia,  percorse  l'Italia 
in  compagnie  secondarie  ora  scritturato,  ora  socio,  cominciando 
la  sua  vita  artistica  propriamente  detta,  nella  Reale  Compagnia 
Sarda,  in  cui  apparve  il  1836  in  qualità  di  tiranno  tragico  & /ami- 
gliare, e  in  cui  restò  fino  al  disciogliersi  di  essa.  Lo  vediamo  poi 
il  '60  e  il  '62  in  tournée  con  la  grande  cognata  Adelaide  Ristori. 
Pasquale  Tessero,  di  corporatura  tarchiata,  di  folta  capigliatura, 
di  voce  imponente,  fu  un  tiranno  modello,  e  s'ebbe  da' suoi 
compagni  d'arte  il  nomignolo  di  magna puièi  (mangia  fanciulli). 


Tuttavia  ne'  primi  tempi  il  tiranno  non  fu  considerato, 
come  più  tardi,  un  ruolo  a  tinte  fosche  obbligate  :  poteva  essere 
primo  attore,  e  anche  amoroso  :  tant'  è  vero  che  la  parte  di 
Ugo,  oggi  primo  attor  giovine,  nella  Pia  de'  Tolomei  del  Ma- 
renco,  fu  affidata  al  tiranno  {Costetti,  C.  R.  S.). 

Il  Tessero  mori  a  Bologna  il  24  dicembre  1887,  assistito 
amorosamente  dalla  moglie  Carolina,  che  fu  sorella  minore  di 


TESSERO 


Adelaide  Ristori,  e  artista  non  ìspregievole,  nata  a  Brescia 
il  4  novembre  1823,  e  morta  a  Genova  il  1890. 


Tessero  Adelaide.  Figlia  del  precedente,  nata  a  Firenze 
1*8  dicembre  1842,  nel  popolo  di  S.  Simone,  fu  per  comune 
consentimento  la  maggiore  della  gran  triade  che  regnò  sulle 
nostre  scene  dal  '60  all'  '80  incirca, 
per  la  spontaneità  e  il  sentimento  pro- 
digiosi. Nata  da  artisti  di  pregio,  cre- 
sciuta sulle  tavole  del  palcoscenico, 
all'ombra,  direm  quasi,  della  grande 
zia,  non  è  a  stupire  ch'ella  divenisse 
grande  a  sua  volta,  dando  i  primi  se- 
gni di  una  eccezionale  intuizione  a  soli 
nove  anni,  quando  al  Teatro  Re  di  Mi- 
lano si  presentò  a  recitare  nella  Gio- 
vannina  dei  bei  caveUli.  A  tredici  anni 
appena  era  già  l'amorosa  della  Com- 
pagnia italiana  di  Giovanni  Toselli, 

che  andava  maturando  il  disegno  di  una  Compagnia  piemon- 
tese. A  quindici  si  unisce  alla  zia  e  percorre  con  lei  le  grandi 
capitali  di  Europa,  e  dopo  un  anno  eccola  in  Italia  ed  eccola  di 
nuovo  con  Toselli  per  alcune  rappresentazioni,  prima  donna/ 
e  questa  volta,  della  Compagnia  dialettale  da  lui  formata,  re- 
citando la  Prancesca  da  Rimini  del  Pellico,  parodiata  dal  To- 
selli stesso,  col  titolo:  Cichina  if  Mofuale  {\%<^<^.  Riparte  con  la 
zia,  e  dà  segni  non  dubbi  di  futura  grandezza....  Ma  non  monta 
in  superbia  per  ciò:  tornata  in  Italia,  memore  di  quel  che  fu 
il  maestro  per  lei,  si  unisce  ancora  a  Toselli,  interpretando 
'sta  volta  i  capolavori  del  Teatro  piemontese,  quali  Sablin  a 
baia,  Gigin  a  baia  nen,  Margritin  die  violette,  e  suscitando  nel 
pubblico  accalcato  nel  piccolo  teatro  Rossini  il  piii  schietto  e 
più  vivo  degli  entusiasmi.  A  questo  punto  lascio  la  parola  a 
Luigi  Pietracqua,  che  da  proto  della  Gazzetta  del  Popolo,  passò 
ad  essere  il  più  forte  autore  del  Teatro  piemontese,  per  senti- 


mento  di  modernità,  accoppiato  alla  più  ardente  passione  (tra- 
duco dalla  gazzetta  dialettale  'Ibirichin  del  5  settembre  1896): 

Udì  figurili*  sUnciaU,  sottile  e  drilU,  e  coti  nfttntalmaite  elesanle,  ch«  i\  larebbe 
detta  nodellat£  Aa,  Fidia  o  da  Fratdtek.  Avea  lo  sguardo  profondo,  esprcuiro,  sereno 
e  ioave  a  dd  tempo,  inteUigùitiiiimo;  nu  compleaio  di  fitìonoinìa  che  ave*  qualcosa  delle 
Madonne  del  Mnrillo  e  del  Dolce,  che  facea  ricordare  le  più  belle  incamaiioDi  dell'arte 
bizantina,  e  che,  tatto  ben  considerato,   lomi- 
(■liava  nn'edncanda  ascila  fresca  fresca  dai  no- 
stri Col le^-Conv itti  delle  monache.  Io  ebbi  la 
fortuna  di  conoscerla  quando  non  aveva  che  qoìo- 


:,  dove  la  Tessero  die  prova  di  tutti  ì  suoi 


D*  la  Gufìa  o  pai  Hi  Garelli,  k  passata 
sempre  trionfalmente  a  Gigìn  a  baia  nen,  a  Giors 
'l  Santuari,  a  Le  spondt  dtl  Pi,  Debbo  dirlo 
a  onor  del  vero  :  qnest'  ultimo  lavoro,  nella  sua 
semphcità  originale  e  poetica,  fu  una  vera  rive- 
lazione artistica  per  la  noalra  Adelaide....  Totti 
dicevano  non  più  trattarsi  di  una  bimb*  qua- 
lunque, ma  di  una  vera  artista  fatta  e  provala. 
E  infatti,  era  tanta  e  cost  evidente  la  precocità 
■rtittica  in  queir  ■dor*bile  fanciulla,  che  io  stesso 
udii  ripeter  le  mille  volte  in  platea:  «Ecco  una 
vera  prima  donna  ideale,  •  A  quello  delle  Sponde 
del  Po,  segui  il  successo  di  Sablin  a  baia:  ma 
dove  la  splendida  larlalla  si  levò  sulle  ali  pode- 
arlìstici,  sì  fa  in  Margrilin  die  vio- 


lette, una  felice  riproduzione,  o  riduzione,  del  dramma  tipico  di  Dumas. 

Dal  Teatro  piemontese  passò  poco  di  poi  al  Teatro  ita- 
liano, primeggiando  nella  Compagnia  Bonazzì  a  fianco  di  Vir- 
ginia Santi  e  di  Enrico  Cappelli,  prima  ;  indi  in  quella  di  Ala- 
manno Morelli,  con  cui  stette  acclamatissima  un  triennio.  Uni- 
tasi in  matrimonio  con  Giovanni  Guidone,  si  allontanò  per  due 
anni  dalle  scene,  alle  quali  tornò  più  entusiasta  che  mai,  scrit- 
turata da  Bellotti-Bon  (Compagnia  n."  i,  1873),  dopo  il  clamo- 
roso successo  avuto  nella  Marce/lina  di  Marenco  al  D'Angennes 
di  Torino,  in  unione  a  Giacinta  Pezzana,  quella  che  raccolse 
degnamente  la  sua  eredità  artistica  in  Compagnia  Toselli. 

Fu  poi  gran  tempo  con  Alamanno  Morelli,  del  quale  di- 
ventò socia,  poi  si  diede  al  capocomicato  con  varia  fortuna, 
percorrendo  le  grandi  città  di  Europa  e  di  America  ;  poi..,,  per 


582  TESSERO 


una  malattia  cancerosa  al  petto,  che  la  rose  lentamente,  do- 
vette, in  mezzo  agli  spasimi,  soccombere  a  Torino  il  24  gen- 
najo  del  1892. 

Adelaide  Tessero!...  Chi  volesse  chiamarla  con  nome  anto- 
nomastico,  dovrebbe  dire:  La  grande  lottatrice!  Mai  artista  di 
teatro  si  è  sentita  così  gagliarda  e  possente  in  faccia  alle  bufere 
della  platea....  Pareva  ch'ella  godesse  di  trovarsi  alle  prese  col 
mostro  dalle  cento  teste,  e  assaporasse  nel  conflitto  l'ebbrezza 
della  vittoria....  Che  lanci  di  leonessa!  che  ruggiti  di  tigre!  che 
gridi  di  angoscia,  di  terrore  !  chi  ricorda,  chi  ricorda  i  tre  gridi 
famosi  del  Suicidio  di  Paolo  Ferrari,  e  il  famoso  Vedova  di  Donna 
0  Angelo  di  Teresa  Sormanni,  senza  fremere  !  che  vita  vissuta 
fu  quella  di  Adelaide  Tessero  sulla  scena  !  Con  quale  sponta- 
neità si  movevan  que'  personaggi  !  Che  lagrime  sgorgavano 
da  quegli  occhi  infiammati!  Come  ci  si  sentiva  commossi  da- 
vanti a  quelle  possenti  creazioni,  ch'erano:  Patria,  L'Odio, 
Fernanda  di  Sardou,  Messalina,  Cleopatra  di  Cossa,  Le  famiglie 
illegali  di  Pailleron,  Il  Ridicolo  di  Ferrari,  e  più  tardi  Odètte  di 
Sardou,  Maria  Antonietta  ed  Elisabetta  Regina  d' Inghilterra  di 
Giacometti,  Maria  Stuarda  di  Schiller,  e  tutto  infine  il  reper- 
torio della  gloriosa  zia  Adelaide.  Ristori  !  ! 

Ermete  Novelli,  uno  dei  pochi,  il  solo  forse,  veramente  ca- 
pace d'intendere  quella  recitazione  tutta  impulsi,  senza  un  fil 
di  meccanica,  dettò  nel  Fanful la  domenicale  del  31  gennaio  '92, 
poco  dopo  la  morte  di  lei,  un  articolo  ricco  di  commovente  en- 
tusiasmo, da  cui  mi  piace,  per  chiuder  degnamente  questo  mio, 
stralciare  un  brano,  che  si  riferisce  a  una  recita  di  Fernanda  al 
Margherita  di  Genova  per  la  famiglia  di  Carlo  D'Antoni. 

Tutto,  come  dissi,  andò....  come  doveva,  splendidamente;  ma  dove  l'entusiasmo 
del  pubblico  non  ebbe  più  limiti,  senza  contare  la  commozione  dei  fratelli  d' arte,  fu  al 
terzo  atto,  alla  famosa  scena  fra  Clotilde  e  Pomerol  I  Non  fu  più  la  rappresentazione, 
no  :  fu  tutto  un  dramma  rubato  alla  vita  !  Lei  più  nulla  aveva  di  donna  ;  era  diventata 
una  belva:  il  suo  viso,  cosi  dolce  di  solito,  non  era  riconoscibile....  Pallida  come  un  ca- 
davere.... le  labbra  più  pallide  ancora,  contratte,  umide  di  bava....  Ne  fui  talmente  spa- 
ventato per  quelli  che  diceva  di  odiare,  e  ai  quali  voleva  fare  tanto  male,  che  non  com- 
presi nuli'  altro,  se  non  il  dovere  di  difendere  da  quella  Jena  quei  disgraziati  !  Me  le 
avventai  addosso  furibondo,  la  presi  alla  vita,  strappandole  con  le  unghie   la  stoffa  del 


TESSERO  -  TESTA  583 

corsagt,  tentando  trucinarU  verso  U  quinta,  senza  TÌnscirTi,  tanta  era  la  forza,  l'agilili 

con  cai  mi  «fuggiva  di  mano orlando,  sibilando  t  Finalmente,  mi  rinsd  di  moltiplicare 

le  forze  ;  la  sollevM.  Il  teatro  sembrava  deserto,  tanto  era  profondo,  spaventoso  il  silenzio 
che  vi  regnava.  Si  sarebbe  detto  che  quei  mille  spettatori  fossero  compresi  dalla  veriti  di 
quel  dramma  ;  non  si  sentivano  che  t  miei  rantoli  rabbiosi  e  le  grida  soffocate  della  pò- 
.  vera  Adelaide.  Come  siamo  entrati  dentro  le  quinte,  come  non  siamo  caduti,  non  laprri 
dire;  so  lolamente  che  il  pubblico  la  chiamò  alla  ribalta  per  ben  undici  volte,  dico  nndid, 

sventolando  i  fazzoletti,   in  piedi e  che,  alla  fine,  ci  trovammo  abbracciali  e  piangenti, 

bBciaadoci  come  due  innamorati!  Lei  gridava:  •  Ecco,  ecco  la  mia  atte....  ritomo  giovine!...* 
E  io  non  aapevo  che  ripeterle:   <  come  sei  grande,  come  sià  grande!  > 

E  dopo  quella  memorabile  recita,  ella  tornò  a  Sampierda- 
rena,  ove  faceva  il  carnevale  con  una  compagnia...,  non  sua. 
Adelaide  Tessero!!! 


Tessero  Laura.  Sorella  mi- 
nore della  precedente,  fu  prima 
attrice  giovine  di  qualche  pregio,  e 
la  vediam  la  prima  volta  insieme 
all'Adelaide  del  1861  in  Compa- 
gnia Morelli,  dove  la  troviamo 
ancora  il  '79,  e  1'  80  quando  ne 
fu  socia  la  sorella,  con  cui  tra- 
scorse gran  parte  della  sua  vita 
artistica.  Fu  moglie  di  Olinto  Ma- 
riotti  (V.),  morto  ÌI  quale  passò  a 
seconde  nozze  con  Antonio  Boz- 
zo (V.),  vedovo  di  Amalia  Checchi. 
Oggi  Laura  Tessero,  passata  ai 
ruoli  di   madre,  vive   la   vita  di 

compagnia  in  compagnia  di  secondo  ordine,  con  una  figlia, 
avviata  anch'essa  all'arte  de' parenti. 

Testa Detto  in  Comedia  Aurelio,  fu  comico  insigne 

a  Napoli  (V.  Bucca,  e  note  del  Fuidoro  sub  ottobre  1630  cit. 
B.  Croce,  Teatri  di  Napoli.  781)  fatto  uccidere  da  Vincenzo 
Capece,  un  de'  primi  proprietarj  insieme  a  Ottavio  Sgambalo 
del  Teatro  de' Fiorentini,  Aurelio!...  Comico  insigne!...  i6jo/... 


584  TESTA  -  TOFANO 


Che  finalmente  si  possa  identificare  in  questo  Testa  V Aurelio 
conosciuto  fin  qui  col  solo  nome  di  teatro,  che  il  Bartoli  dice 
fiorito  verso  il  1630,  che  il  Belgrano  trova  il  16 io  a  Genova 
direttore  di  una  accolta  di  nobili  dilettanti,  che  il  Martinelli 
cita  in  una  sua  lettera  da  Milano  del  1620,  e  di  cui  il  Berto- 
lotti  riferisce  una  lettera  del  7  luglio  1 621  da  Napoli  al  Duca 
di  Mantova,  firmata  «  Aurelio  fedele  comico  >  (V.  D'Ancona, 
op.  cit)}  A  ogni  modo  però  non  potrebbe  essere  questo  lo  stesso 
che  il  Padre  Ottonelli  asserisce  di  aver  veduto  a  Firenze  il  1 640, 
e  chiama  ripetutamente  <  Capocomico  degli  Uniti.  > 

Tizone.  È  ricordato  da  Molmenti  {Venezia  nella  vita  privala) 
insieme  a  Giampaolo,  Trapolino,  e  Cimador  fra'  Comici  che  fio- 
rirono a  Venezia  ai  primi  del  secolo  xvi  :  Cimador  (V.)  e  Ti- 
zone sono  menzionati  dal  Sanuto. 

Todeschini  Battista.  Nato  a  Genova  il  1771  fu  pittore 
egregio  paesaggista,  e  artista  comico  non  ispregievole  per  le 
parti  di  caratterista.  Ma  il  teatro  non  fu  che  un  mezzo  per  ven- 
dere i  suoi  quadri  che  andava  dipingendo  dal  vero  in  ogni 
piazza.  Abbandonate  poi  le  scene,  si  restituì  in  patria,  ove  morì 
nel  1831. 

Tofano  Nicola.  Nato  ad  Airola  (Regno  di  Napoli)  il  giu- 
gno del  1 806  da  parenti  facoltosi,  fu  messo,  giovinetto,  nel  ce- 
lebre Istituto  Truglio,  dal  quale  dovette  uscire  anzi  tempo  per 
rovesci  di  fortuna.  Si  scritturò  il  '23,  e  per  un  quinquennio,  con 
Salvatore  Fabbrichesi;  e  con  l'esempio  del  gran  Demarini  do- 
vente in  breve  attore  de'  più  egregi  sì  pel  dramma  come  per 
la  tragedia.  Dopo  alcuni  mesi  di  alienazione  mentale,  un  suo 
fratello  lo  consigliò,  a  meglio  distrarsi,  di  darsi  alla  pittura 
per  la  quale  aveva  mostrato  da  giovine  chiara  inclinazione;  ma 
l'amore  per  l'arte  drammatica  prevalse  in  lui,  sì  che,  tornato 
alle  scene,  s'ebbe  le  più  entusiastiche  accoglienze,  specie  a  Pa- 
lermo ove  mancava  da  venti  anni.  Morì  il  27  dicembre  del  1855. 


TOFFOLONI  585 


Tofifoloni  Francesco.  Figlio  di  parenti  facoltosi,  che  vede- 
vano in  lui  un  futuro  letterato,  dovè  interrompere  gli  studj, 
giunto  a  filosofia,  còlto  da  una  passione,  per  la  quale  fu  costretto 
a  fuggire,  lasciando  la  sua  in  lite  con  la  famiglia  della....  fan- 
ciulla: lite  che  cessò  coll'isborso  da  parte  di  quella,  di  alcun 
migliajo  di  scudi.  Per  siffatto  motivo,  fu  costretto  il  Toffoloni 
a  darsi  all'arte  comica,  nella  quale  riuscì  mediocremente.  Sposò 
la  cognata  di  Fabbrichesi,  Gaetana  Fontevichi,  vedova  Caval- 
letti, e  madre  della  celebre  Cavalletti-Tessari  (V.);  morta  la 
quale,  passò  a  seconde  nozze  con  Giovanna  Stefani,  che  diventò 
il  fortunato  sostegno  della  Compagnia  del  marito,  omai  capo- 
comico di  grido  ora  solo,  ora  in  società  con  Caterina  Venier 
e  con  altri. 

ToflFoloni  Giovanna.  Moglie  del  precedente,  e  figlia  di 
comici,  fu  un* egregia,  prima  aUr ice  giovine,  poi,  divenuta  sposa 
a  Francesco,  passò  alle  parti  di  prima  donna  assoluta,  che  so- 
stenne con  molto  successo,  più  specialmente  nelle  commedie 
goldoniane,  e  in  dialetto.  Accoppiò  alla  vivacità  e  all'ingegno 
naturali  una  bellezza  non  comune.  Lasciato  col  sopravvenir 
degli  anni  il  ruolo  di  prima  donna,  passò  con  egual  merito  a 
quello  di  madre  nobile.  La  vediamo  il  carnovale  del  1 820  al  S.  Sal- 
vatore di  Venezia,  rappresentare  col  Gallina,  Gatteschi,  Toto 
e  Menichelli  il  repertorio  di  Francesco  Avelloni  intermezzato 
di  drammi  spettacolosi,  quale  V Innegunda  di  Scandinavia,  o  // 
gran  combattimento  all'ultimo  sangue  per  generosità  di  cuore,  di 
M.  Zegler,  ridotto  da  Filippo  Casari,  che  s'ebbe  l'onore  di  sei 
repliche  non  interrotte.  La  Toffoloni  si  trovava  l'aprile  del  '23 
al  Giglio  di  Lucca,  in  società  colla  Venier,  a  fianco  del  primo 
attore  Giacomo  Bon  Martini,  acclamatissima.  Fra  le  lodi  pro- 
digate al  valor  suo,  ve  n'ha  una  anche  all'artista  lirica,  la 
quale  si  mostrava,  accompagnata  da  piena  orchestra,  special- 
mente nella  farsa  La  Commediante,  in  cui  sosteneva  sette  di- 
versi personaggi,  e  cantava  sette  pezzi  scelti  tra  i  più  riputati 
maestri. 

74.  —  /  Comict  italianu  Voi.  II. 


586  TOMASI  -  TORCHI 


Tornasi  Bartolommeo.  Di  civil  famiglia,  ferrarese.  Adde- 
stratosi co'  Filodrammatici  della  sua  città  natale  nelle  parti  di 
Paìitalone,  riuscì  comico  egregio,  e  fu  più  anni  sotto  quella  ma- 
schera, con  Antonio  Sacco,  col  quale  anche  si  recò  in  Porto- 
gallo. Restituitosi  in  patria,  risolse  di  abbandonare  la  scena, 
stabilendosi  nella  sua  Ferrara,  ove  ottenne,  dice  Fr.  Bartoli, 
<  impieghi  onorati,  ne' quali  anch'oggi  -  (1781)  -  vi  esercita 
di  continuo  il  suo  talento  e  la  sua  penna.  > 

Tornasoli  Antonio.  Bolognese,  artista  egregio  per  le  parti 
di  Dottore  che  sostenne  prima  in  Compagnia  di  Girolamo  Me- 
debach,  poi  a  Napoli  per  alcuni  anni,  dopo  di  avere  sposato 
la  vedova  di  certo  comico  detto  Bacciccia,  che  si  chiamava 
Livia  ;  morta  la  quale,  passò  poi  a  seconde  nozze  con  una  gio- 
vane bolognese,  non  comica.  Rubatogli  di  notte  quanto  s' era 
venuto  accumulando  co'  suoi  risparmi,  risolse  di  tornarsene  in 
Lombardia;  e  si  unì  alla  Compagnia  di  Nicola  Menichelli,  col 
quale  si  recò  a  Vienna.  Tornato  in  Italia  si  scritturò  con  Pietro 
Rossi,  poi  con  Antonio  Sacco,  con  Pietro  Rosa,  con  Maddalena 
Battaglia,  a  Venezia,  con  Luigi  Perelli,  e  con  Antonio  Came- 
rani,  col  quale  era  ancora  il  1781.  Recitava  il  Tomasoli  anche 
senza  la  maschera  parti  di  vario  carattere,  e  fu,  dice  Fr.  Bar- 
toli, inventore  di  un  ridicolo  personaggio  di  nome  Lattanzio 
Mescolottì,  nel  quale  riuscì  graziosamente. 

Tommasino  (V.  Visentini  Tommaso  Antonio). 

Tonti  Antonio.  Comico  eccellente  per  le  parti  di  Pulcinella, 
fiorito  nella  seconda  metà  del  secolo  xvii.  Morì  alla  fine  di 
giugno  del  1 694  a  Roma.  (Da  un  Diario  inedito,  menzionato 
da  A.  AdemoUo,  T,  di  R), 

Torchi  Giovanni.  Comico  egregio  per  le  parti  di  brillante, 
fece  sulle  scene  una  fuggevole  apparizione.  Nato  a  Bologna  da 
civili  parenti,  compiè  il  corso  degli  studj  e  si  laureò  in  legge: 


TORCHI  -  TORRI  587 


ma  vinto  dall'  amor  pel  teatro,  nel  quale  aveva  già  fatto  egre- 
gie prove  co' filodrammatici,  si  scritturò  il  1829  con  la  Società 
Vedova-Colomberti,  riuscendo  in  breve  sì  per  la  svegliatezza 
di  mente,  sì  per  la  correttezza  dei  modi  e  la  spontaneità,  un 
de'  migliori  attori  comici  del  suo  tempo.  Ma  dopo  soli  quattro 
o  cinque  anni,  dovè  per  necessità  di  famiglia,  abbandonare 
l'arte,  e  restituirsi  a  Bologna. 

Toni  Giulio  Cesare.  Attore  per  le  parti  di  Zanni  col  nome 
di  Zaccagnino,  al  servizio  del  Duca  di  Modena,  a  cui  scrive  la 
curiosa  lettera  seguente  per  ottenere  la  grazia  di  poter  mutare 
il  portinajo  del  teatro. 

Serenissimo  Principe, 

Io  ho  inteso  i  comandi  di  Vostra  Altezza  Ser.n>a  circa  della  Compagnia  la  qnalle 
deba  star  in  cori  io  son  a  ubidire  li  suoi  comandi  si  come  ò  latto  per  lo  pasato  ma  suplico 
ben  Sua  Altezza  Ser.^n^  a  darme  licenza  che  piccone  non  stia  alla  porta  poi  che  questo 
cameuaile  ma  sasinato  e  se  bufetto  non  parla  e  flaminio  perche  afato  camerata  con  loro, 
ma  questo  non  lo  dico  per  la  camerata,  ma  perche  son  stato  a  robato  et  de  laltri  com- 
pagni sono  del  mio  umore  pero  scrino  la  mia  uolunta  el  dotore  non  parla  perche  a  meso 
el  pitore  in  compagnia  bufeto  non  parla  per  la  camerata  e  perche  noie  il  bologna  suo 
compare  il  Cap.o  non  dice  niente  per  amor  di  Girolomo  suo  seruo  non  ce  altro  che  me 
otanio  et  pantalone  che  se  lamentano  poi  che  non  siamo  ariuati  mai  alla  prima  sera  et 
tante  e  tante  sere  ni  è  stato  magior  popolo  et  paga  alterata  Consideri  Vostra  Altezza  el 
tutto  oltre  che  so  da  bona  mano  che  e  un  ladro  et  molti  compagni  dicono  che  Vostra 
Altezza  Ser.i^^^  gii  meso  della  qnal  cosa  non  e  nero  poi  che  Vostra  Altezza  Ser.^^  a  sempe 
detto  che  del  portinaro  non  uolete  fastidio  che  serìamo  rubati  sarà  nostro  dano  adunque 
suplico  di  nino  core  Vostra  Altezza  Ser.n>A  a  dame  tal  licenza  poi  che  non  lo  fo  per  me- 
terli  un  altro  portinaro  ma  solo  quello  che  la  Compagnia  comanda  poi  che  nengo  per  ser- 
uire  e  non  per  comandare  la  suplico  di  subita  risposta  e  con  tal  fine  li  bacio  vmilmente 
la  sacra  Veste  di  roma  el  di  i6  genaro  M^7. 

Sernitor  di  core  di  Vostra  Altezza  Ser.ma  . 

/Al  T^        j-  »*  j      V  Giulio  Cesare  Tori 

(Al  Duca  di  Modena).  j  ..    ^  i      /^     • 

^  '  detto  Zacagnino  Comtco 

Era  a  Napoli  il  1662  (V.  Fuidoro,  riferito  dal  Croce, 
op.  cit.,  784),  con 

Lavinia,  similmente  comediante,  e  si  stimava  che  fusse  e  che  non  fusse  sua  moglie, 
et  haveva  acquistato  con  la  scena  e  con  gli  amanti  qualche  commodità  di  considerazione  ; 
questa,  com'è  solito  dell'oziosa  nobiltà  napoletana,  che  oggi  si  è  avanzata  assai  nel  bor- 
dello, lussi,  ignoranza  e  povertà,  fu  posta  in  conditione  dalli  donativi  del  Principe  d'Avel- 
lino, dal  Principe  di  Belmonte,  ed  altri  nobili  et  ignobili,  che  con  pochissima  moneta  la 


588  TORRI 

goderono.  Venato  frescamente  Don  Vincenzo  Spinelli,  Principe  di  Tarsia  a  Napoli  dal 
suo  Stato,  cominciò  ancor  lui  a  vagheggiar  la  Lavinia,  che  volle  mascherarsi  da  Zacca- 
gnino,  non  bastandolo  quello  che  aveva  speso  in  Calabria  a  baffoni,  comedie,  cacciatori, 
conviti,  mnsica  continua,  cavalcatori,  maestri  di  scrima,  ecc.. 

A  lui  certo  allude  Luigi  Riccoboni  {op.  cit.,  cap.  VII), 
quando  dice  che  Zaccagnino  e  Truffaldino  chiusero  la  porta  in 
Italia  ai  buoni  Arlecchini, 

Toni  Antonia,  amante  o  moglie  del  precedente  (V.  Isot-a 
Antonia  e  Angiola),  fiorita  nella  seconda  metà  del  secolo  xvii, 
fu  attrice  pregiatissima  per  le  parti  di  prima  donna  assoluta, 
che  sostenne  col  nome  di  Lavinia  nella  Compagnia  del  Duca 
di  Modena,  di  cui  ecco  l'elenco  per  l'anno  1688: 

DONNE 

Antonia  Torri  detta  Lavinia  )      .        ,  .       , 

•.  „  \  prime  donne  a  vicenda 

Vittoria  Rechiari  )  ^ 

LuciNDA  Nadasti,  seconda  donna 

Gabriella  Cardellini,  Argentina,  serva. 

MOROSI 

Caetano  Caccia,  Leandro        ì      .    .  .        .      j 

r         n  i  primi  morosi  a  vicenda 

Luca  Rechiari  )  '^ 

Antonio  Torri,  LeliOy  secondo  moroso 

Giorgio  Rechiari,  terzo  moroso. 

MASCARE 

Antonio  Riccoboni  detto  Pantalone 
Angelo  Antonio  Muzio,  Dottore 

?  Gua:(^ettOy  primo  Zanni 

Marco  Antonio  Zanetti,  Truffaldino^  secondo  Zanni. 

Pel  1689  ci  furon  le  seguenti  variazioni: 

Invece  della  Rechiari,  Angiola  Isola  detta  Leonora 
Invece  della  Nadasti,  Colomba  Coppa  detta  Aurelia 

MOROSI 

Invece  del  Rechiari,  Giuseppe  Coppa  detto  Virginio 
Giorgio  Rechiari  non  è  sostituito. 


TORRI  589 

MASCHERE 

Invece  del  Muzio,  Francesco  Materazzi  detto  Dottore 
Invece  di  Guazzetto,  Carlo  Zagnoli  detto  Finocchio 
Invece  di  Zanetti,  Giovan  Battista  Trezzi  detto  Pasquino 
Altro  Dottore^  Galeazzo  Savorini. 

Ma  non  possiam  dire  a  quante  altre  variazioni  potesse 
andar  soggetta  la  Compagnia  nel  corso  dello  stesso  anno.  In 
questo  elenco  dell'  '89  non  figura  più  lo  Zanetti  (V.),  mentre 
sappiam  dalla  lettera  scritta  da  lui  insieme  al  dottore  Savorini 
essere  stato  nella  Compagnia  almeno  dalla  primavera. 


Toni  Anna  Maria.  Forse  figlia  dei  precedenti  e  sorella 
di  Antonio  Torri  detto  Lelio,  fu  attrice  al  servizio  del  Duca  di 
Modena  per  la  parte  musicale,  come  si  rileva  da  una  sua  curio- 
sissima lettera  al  Duca  stesso  da  Bologna,  in  data  2  giugno  1 683 
in  cui  si  lagnava  che  certo  signor  Francesco  Desideri]  suo  fa- 
migliare facesse  da  padrone  assoluto  con  lei  e  la  madre  (il 
padre  era  già  morto)  senza  aver  riguardo  alcuno  alla  lor  po- 
vertà, vantandone  autorità  da  Sua  Altezza.  Senza  un  permesso 
di  lui,  che  talvolta  si  faceva  molto  aspettare,  talvolta  non  ve- 
niva affatto,  la  Torri  né  poteva  ricever  in  casa  Cavalieri  o  altre 
persone  da  cui  farsi  sentir  cantare,  né  recarsi  ad  accademie, 
o  altre  funzioni  musicali,  proprie,  e  solite  di  sua  professione,  alle 
quali  era  invitata  dalle  Dame  protettrici,  né  accettare  scrit- 
ture, come  accadde  per  la  recita  di  Reggio,  della  quale  era 
restata  priva. 

La  protezione  del  fratello  del  Marchese  Palmieri,  che  più 
d'ogni  altro  cavaliere  frequentava  la  sua  casa,  ajutando  lei  e 
la  madre  senza  interesse  alcuno,  nelle  necessità  in  cui  le  trovò  in- 
volte, per  la  mancanza  delti  alimenti,  inasprì  a  segno  il  Desideri], 
da  farlo  sparlar  della  Torri  con  moltissimo  danno  alla  sua  ri- 
putazione. E  per  tutto  ciò  ella  si  raccomandava  al  Duca,  ac- 
ciocché volesse  degnarsi  rnoderare  a  questo  Signor  Desiderij, 
quando  pure  già  le  fosse  stata  concessa,  quclT  autorità  cosi  grande 
che  pretendeva  hauere  sopra  di  lei,,.. 


590  TORRI 

Il  settembre  dello  stesso  anno,  entrata  in  trattative  di 
scrittura,  chiede  da  Roma  a  Sua  Altezza  la  licenza  di  accet- 

« 

tare  il  contratto  per  il  prossimo  carnevale  al  S.  Angelo  di  Ve- 
nezia; e  il  settembre  dell' '87  le  è  ordinato  di  andar  a  recitare 
a  Crema  in  occasione  della  fiera. 

Toni  Giacomo,  di  Milano.  Benché  non  possedesse  il  dia- 
letto bolognese  recitò  sufficientemente  sotto  la  maschera  di 
Dottore.  Stette  più  anni  nella  Compagnia  di  Girolamo  Mede- 
bach  assieme  alla  moglie  ;  e,  quando  questa  abbandonò  le  scene, 
passò  in  quella  di  Pietro  Róssi,  per  poi  tornare  il  1770  col  Me- 
debach  dopo  soli  sei  mesi,  alla  morte  del  dottore  della  Com- 
pagnia, Sante  Vitali.  Fu  poscia  in  varie  compagnie  vaganti  di 
second' ordine  e  morì  a  Bergamo  la  primavera  del  1778. 

Torri  Francesca.  Moglie  del  precedente,  nata  Sora,  fu  at- 
trice di  gran  merito  sì  nelle  commedie  improvvise,  sì  nelle 
scritte,  sotto  il  nome  di  Clarice.  Fu  prima  donna  lodatissima 
al  S.  Gio.  Crisostomo  di  Venezia  con  Onofrio  Paganini  il  1 753, 
Tanno  in  cui  Antonio  Sacco  abbandonò  la  Compagnia  per  re- 
carsi in  Portogallo.  L'ultima  sera  del  carnovale  1 754,  la  Torri 
recitò  un  addio,  di  cui  ecco  alcune  strofe  allusive  all' abbandono 
del  Sacco  e  al  suo  mancato  impegno  : 

Chi  di  sorte  il  cieco  dono 
amò  più  del  suo  decoro 
loro  infuse  l'abbandono 
per  saziar  sua  fame  d'oro, 
e  noi  pochi,  e  senza  lena, 
travagliammo  con  gran  pena. 

Senza  forze  e  senza  attori, 
o  almen  pochi  ed  ignoranti, 
privi  affatto  degli  autori 
che  i  lor  parti  dieno  e  tanti, 
come  mai  darvi  piacere 
nel  difficile  mestiere? 


^ 


TORRI  -  TORTORITI  591 

* 

Come  mai....  Ma  verrà  un  giorno 
ch'io  tornando  a  queste  scene 
avrò  nuove  genti  intorno 
di  bel  spirito  ripiene, 
che  le  cose  altrui  ben  chiare 
sapran  meglio  recitare.... 

Passò  da  quella  del  Paganini  nella  Compagnia  di  Girolamo 
Medebach,  in  cui  stette  più  anni,  facendo  mostra  del  suo  gran 
valore  artistico  nelle  commedie  dell'abate  Chiari,  e  special- 
mente in  quella  intitolata  La  Madre  tradita.  Il  1 770  abbandonò 
Parte  per  seguire  a  Vienna  una  figlia,  ballerina  egregia,  di 
nome  Antonia  (forse  il  nome  della  bisavola,  o  semplicemente 
il  nome  della  celebrità?)  colla  quale  tornò  poi  in  Italia,  ov'era 
ancora  del  1781.  Il  1778  le  morì  il  marito;  e  dice  Fr.  Bartoli, 
che  quando  al  valor  suo  avesse  unito  un  personale  più  vantaggioso, 
poteva  ancora  proseguire  alcuni  anni  nella  comica  carriera. 

Tortoriti  Giuseppe.  Attore  de'  più  pregiati  alla  Comedia 
italiana  di  Parigi,  nella  quale  apparve  la  prima  volta  il  marzo 
del  1685  col  ruolo  di  Capitano  ch'ei  recitava  in  italiano  e  in 
francese,  nacque  a  Messina  e  fu  noto  prima  col  nome  di  Pa- 
scariello,  poi  con  quello  di  Scaramuccia,  che  aveva  già  prima 
di  recarsi  in  Francia,  quand'  era  al  servizio  del  Duca  di  Mo- 
dena (1680-82). 

Dalle  memorie  di  Dangeau  sappiamo  eh'  egli  fu  ammira- 
tissimo  anche  al  Teatro  di  Corte  di  Versailles  ove  recitò  il  1 5  e 
il  21  marzo  1685  con  la  maschera  àx  Pascariello  Tuono. 

\\ Mercurio  di  Francia  dice  ch'egli  eradi  una  sorprendente 
agilità,  e  secondava  a  meraviglia  V  incomparabile  Arlecchino 
Biancolelli  {Dommique).  Il  maggio  del  1 694  abbandonò  il  ruolo 
di  Capitano  per  quello  di  Scaramuccia,  e  il  1697,  dopo  la  sop- 
pressione della  Comedia  italiana,  formò  una  Compagnia  colla 
quale  fu  autorizzato  a  recitare  in  Francia  purché  a  trenta  leghe 
dalla  Capitale.  Vuoisi  che  il  tentativo  fallisse,  e  il  povero  Tor- 
toriti morisse  povero  qualche  anno  dopo. 


59»  TORTORITI 

Di  quando  fu  comico  al  servizio  del  Duca  di  Modena 
abbiamo  un  larghissimo  passaporto  in  data  3  novembre  1681  ;  e 
il  Campardon  riferisce  una  querela  di  lui  del  7  dicembre  1691, 
contro  certa  Maria  Lemaine  che  aveva  tentato  involargli  i  pegni 
di  un  credito  per  la  perdita  di  un  pajo  di  maniche  di  merletto. 
In  detta  querela  il  Tortoriti  ha  il  titolo  di  Uffuiale  del  Re, 

Anche  Cola,  Cassandro  Aretusi,  che  non  son  maschere 

propriamente  dette  ma  solo  tipi,  Pasquariello  e  Coviello  mette 

il  Ferrucci  tra'  vecchi.  Ma  Pasquariello  (non  so  bene  da  chi 

^  inventato;  probabilmente  da  Salvator  Rosa,  e 

\^^  incarnato  poi  da  Giuseppe  Tortoriti)  non  è  né 

^^^^^        padre,  né  vecchio,  né  parte  nobile  di  alcuna  spe- 

'^-^^^^■^K  eie  ;  ma  sempre  servo  :  e  caratteristica  sua  è  più 

^^^^^^^0  che  la  parola  la  mimica,  apparendo  prima  balle- 

^^B|^^p       rino  da  corda,  come  lo  ritrasse  Ìl  Callot  insieme 

^^H^^V        a  Meo  Squacquera,  poi  un  de' più  agili  saltatori 

^^^t^F  della  Compagnia  italiana  di  Parigi  nella  seconda 

^    ^^r  metà  del  secolo  xvii. 

^^^  ^^_  Nel  teatro  del  Gherardi  sì  delinea  chiaris- 

^•^  simo  il  tipo,  che  può  dirsi  fratello  minore  dì  Sca- 

^  ramuccia:  e  immagino  a  quali  acrobatiche  buffo- 

nate si  dovea  lasciar  andare  il  Tortoriti,  se  il  Mercurio  Galante 
del  marzo  1685  gli  dedicò  parole  di  tanta  lode;  e  più  ancora, 
se  ci  facciamo  a  considerar  lo  scenario  della  Precauzione  inuiiie. 
in  cui  avuto  l'ordine,  egli  e  Pierrot,  di  non  far  entrar  messaggi 
d'amore,  e  vista  una  farfalla  svolazzar  davanti  all'uscio  dell' ap- 
partamento d'Isabella,  immaginando  che  essa  potesse  essere 
una  messaggera  d'amore,  le  davan  la  caccia,  abbandonandosi 
a  ogni  specie  di  salti  e  capriole  pazze,  or  cadendo  lunghi  distesi 
a  terra,  or  montandosi  l'un  l'altro  sulle  spalle. 

Assomiglia  allo  Scaramuccia  anche  un  po'il  costume  datoci 
dal  Sand,  di  cui  giacca  e  calzoni  corti  son  neri,  senza  guarnizione 
di  sorta  ;  la  baverina  è  di  tela  bianca  pieghettata,  e  il  viso  infa- 
rinato: ha  calze  rosse  e  piccola  berretta  tonda  e  nera  sul  capo 
raso.  Ma  è  da  credersi  che  gran  parte  de'costumi  del  Sand.e  spe- 


TORTORITI 


cialmente  de' colori  di  essi,  sìeno  immaginari,  non  essendo  deter- 
minati da  alcun  documento.  Il  Pasquariello  del  Bertelli  (1594) 


avrebbe  un  semplice  abito  di  Zanni  con  maschera  dal  naso 
grande  e  aguzzo,  simile  a  quella  di  Pulcinella;  e  un  altro  ne  ab- 
biamo nella  riproduzione  di  antica  incisione  in  legno  (pag.  592), 
che  adorna  il  frontespizio  di  una  delle  solite  canzonette  di  Zanni. 


TORTURITI 


De' moderni  scrittori  Michele  Carré  fece  rappresentare 
nel  1847  al  Teatro  Francese  una  commedia  in  un  atto  in  versi,  in- 
titolata: Scaramoucke  et  Pascariel,  che  ebbe  ottimo  successo.  La 
parte  di  Pascariel,  protagonista,  fu  sostenuta  dal  celebre  Samson. 


Tortoritì-Toscano  Angelica.  Moglie  del  precedente,  e 
discendente  forse  dal  capocomico  Toscano  (V.),  esordì  alla 
Commedia  Italiana  di  Parigi,  poco  tempo  appresso  l'esordir 


TORTORITI  -  TOSCANI  595 

di  SUO  marito,  in  qualità  di  seconda  serva  col  nome  di  Ma- 
rinetta.  Ella  era  alta,  magra,  bellissima;  e  attrice  mediocre. 
Ebbe  dal  suo  matrimonio  due  maschi  e  due  femmine,  le  quali 
si  sposaron,  la  prima,  per  nome  Angelica  Caterina,  nata  a  Pa- 
rigi il  26  giugno  1692,  a  Pietro  Paglietti,  Dottore  (V.),  e  la  se- 
conda per  nome  Maria  Angelica,  nata  a  Parigi  il  1 8  agosto  1 696, 
a  Pier  Francesco  Biancolelli  (V.),  figlio  del  celebre  Dominiqtce, 
di  cui  serbava  il  nome. 


Toscani  Giovan  Battista.  Apparteneva  alla  Compagnia 
dell'Elettore  di  Sassonia  che  cambiò  continuamente  dimora 
fino  alla  sua  durata  tra  Dresda  e  Varsavia.  Lo  vediamo  reci- 
tare il  1752  la  doppia  parte  di  Abeì^ide,  giovine  selvaggio  in- 
diano,  e  di  Un  silfo  nel  Zoroastro  di  Rameau,  tradotto  da  Gia- 
como Casanova,  e  messo  in  scena  da  Pietro  Algeri  (V.  Af  bes  (D*) 
Cesare). 

Nel  mutamento  frequente  di  comici,  egli  restò  sempre  con 
sua  moglie  Isabella,  come  base  della  Compagnia  italiana  as- 
sieme alla  coppia  Vulcani,  a  Foscari,  alla  Casanova  e  a  Moretti, 
a  cui  si  aggiunse  per  parti  giovanili,  Luisa  Toscani,  figliuola 
forse  di  Gio.  Battista  e  Isabella. 

*  • 

Il  Barone  O  Byrn  nel  suo  pregevole  studio  più  volte  ci- 
tato, riferisce  la  cronaca  del  tempo,  che  dice  del  Toscani  :  <  È 
giovine  di  bella  figura,  di  carnagione  scura  e  d'occhi  e  capelli 
neri.  Parla  e  si  muove  nobilmente;  e  recita  le  parti  di  amoroso 
con  molta  naturalezza  e  molta  correttezza.  » 

Toscani  Isabella.  Moglie  del  precedente,  recitò  nella  Com- 
pagnia di  Dresda  a  fianco  del  marito,  e  sostenne  nel  Zoroastro 
di  Rameau  la  parte  di  Cenide,  giovine  selvaggia  indiana;  ma  il 
suo  ruolo  ordinario  era  quello  di  Colombina,  pel  quale  non  parve 
secondo  il  cronista  del  tempo,  molto  tagliata. 

<  La  Toscani  -  egli  dice  -  sa  chiacchierare;  ma  ciò  non 
basta:  bisogna  nascere  Colombina.  È  alta  e  forte,  e  però  non 
così  flessibile  e  agile,  come  il  tipo  richiederebbe.  È  giovine  ed 


596  TOSCANI  -  TOSCHI 


ha  volto  piacevole  sopr' a  tutto  sul  teatro.  Forse  ella  piacerebbe 
assai  più  come  amorosa.  Colombina  non  è  per  lei;  starebbe 
meglio,  io  penso,  alla  Vulcani  (V.).  La  vecchia  Colombina  nata, 
è  morta  (probabilmente  allude  a  Rosa  Grassi  (V.));  e  cagione 
della  sua  morte  fu  appunto  il  saper  sempre  entrare  profonda- 
mente in  ogni  parte  ella  rappresentasse.  La  Toscani  non  è  Co- 
lombina. > 

Toscano E  così  menzionato  sulla  fede  di  Gio.  Marciano 

da  Giambatista  Castiglione  al  carnovale  del  1579  {Sentimenti 
di  S.  Carlo  Borromeo  intomo  agli  spettacoli.  Bergamo,  Lancel- 
lotti,  M.  Dcc  Lix)  : 

Dimorava  in  qnel  tempo  in  Fossano  una  Compagnia  di  Comid  assai  faceti,  capo 
de' quali  era  uno  chiamato  Toscano,  che  si  tirava  dietro  un  gran  numero  di  sfaccendati, 
pure  sonando  un  giorno,  giusta  l'ordine  di  Giovenale  (Santo  Prelato  Griovenale  Areina), 
la  campanella,  che  dava  il  segno,  che  si  principiavano  gli  esercizi  dell'oratorio,  restò  solo 
co'  suoi  compagni  abbandonandolo  tutta  l' udienza,  con  sua  gran  confusione  e  scorno,  per 
andare  ad  udir  Giovenale,  che  ragionava;  ciò  che  essendogli  poi  più  d'una  fiata  succe- 
duto, stimò  meglio  il  ciarlone  di  mutar  paese,  e  nel  partirsi  ebbe  a  dire  :  <  In  Fossano 
non  vi  è  guadagno  per  esservi  un  altro  Saltinpergamo.  » 

Toschi  Francesco.  L'Archivio  di  Stato  di  Modena  ha  di 
lui  questa  lettera  senza  data,  ma  della  seconda  metà  del  se- 
colo XVII,  che  riferisco  intera,  e  dalla  quale  mi  sembra  egli 
apparisca  assai  più  impresario  che  attore. 

Se  le  Signorìe  loro  111.^^  uolessero  acquistar  nella  forma  qui  sotto,  per  non  pigliarsi 
tanto  fastidio,  farò  nuoua  Compagnia,  e  farò  in  questo  modo  : 

Prima  entrarò  à  nuova  Compagnia,  e  fatti  li  Conti  del  mio  debito  sodisfarò  con 
quella  porccione,  che  mi  tocarà  de  Guadagni,  e  li  anni  che  non  si  faranno  Comedie  li  pagarò 
il  cinque  per  cento: 

Che  le  spese  si  farrano  nel  teatro  per  benifìcio  de  Comici  siano  comune  come  anche 
del  Teatro: 

£  perche  li  ho  dato  ogn'  anno  cento  scudi  di  fitto  del  Teatro,  m' obbligo  in  questo 
caso,  di  far  quello  comandarano  le  Signorie  loro  lU.nie  auertendo  m' intendo  di  non  darli 
cosa  alcuna,  se  non  quando  si  farrano  Comedie  e  che  per  sua  sicureza  della  sodisfaccione, 
tutto  il  danaro,  che  si  esigierà  uada  nelle  sue  mani: 

La  Compagnia,  che  faremo  sij  durante  la  mia  uita,  o  uinti  anni  che  in  questo  mi 
rimetto  nella  benignità  delle  Signorie  loro  Ill.t"^  facendo  tutto  questo  per  conseruar  l' ami- 
cida,  e  che  le  cose  del  Teatro  Pasino  melio  del  Pasato. 

Io  Francesco  Toschj  prometto. 


TOSCHI  -  TOSELLI  597 

Una  lettera  airAndremi  pur  dell'Archivio  di  Modena  del 
2  giugno  1670,  comincia  così: 

Non  ho  rùpotlo  prìnu  a  V.  S.  perch'  era  neceisario,  eh'  io  parlaill  prima  »]  li- 
gnoT  Totchi.  Egli  mi  ha  detto  di  bavere  icrilto  ■  lei  dò  che  le  occorre,  ed  ella  potià 
intendersene  leco,  perch'elio  i  quel  che  ha  in  mano  tatto  questo  negotio. 

Anche  di  un  Torquato  Toschi  l'Archivio  di  Stato  conserva 
una  lettera,  nella  quale  egli  appare  direttor  di  attori  accade- 
mici, e  chiede  la  protezione  di  qualche  Principe,  «  acciò  pos- 
sano questi  giovini  operare  con  maggior  vigore,  et  esimersi 
da  ciò  che  potesse  di  sinistro  apportarle  qualche  emolo  invi- 
dioso come  altre  volte  ben  notto  è  all'altezza  Vostra  Ser."" 
essere  auvenuto,  »  E  si  firma  «  Torquato  Toschi  et  i  Giovini 
dell'Accademia.  » 


Toselli  Giovanni.  Nato  a  Cuneo  il  6  gennajo  del  1819  da 
Giacomo  e  da  Anna  Clara 
Pignatta,  fu  avviato  dal  pa- 
dre agli  studi  forensi,  ed 
esercitò  giovanissimo  la  pro- 
fessione di  sostituto  procu- 
ratore; ma,  artista  per  ma- 
nìa, come  scrive  Milone,  si 
recò  a  Milano  sperando  di 
trovar  colà  una  scrittura  di 
tenore,  che  non  ebbe  mai. 
Non  volendo  tornare  in  pa- 
tria si  aggregò  a  una  com- 
pagnia di  niun  conto,  e  da 
questa  passò  in  altre  della 
stessa  specie,  recitando  ogni 
parte  dall'amoroso  al  bril- 
lante, e  terminando  poi  con 
quelle  di  generico.  Scrittu- 
rato da  Napoleone  Colom- 
bino prima  (1854)  al  Teatro  Cittadella,  e  da  Napoleone  Tas- 


598  TOSELLI 


soni  poi,  capocomico  di  buon  nome  al  Circo  Sales,  potè  rea- 
lizzare un  vecchio  sogno  di  recitare  in  dialetto  piemontese, 
e  si  diede  a  mostrarsi  sotto  le  spoglie  del  Gianduja,  special- 
mente negl'inviti  ch'egli  faceva  ogni  sera  in  fin  di  spettacolo 
alla  rappresentazione  dell'indomani.  Conosciuto  dal  Modena, 
e  divenuto  suo  segretario,  accettò  il  suo  consiglio  di  conti- 
nuar nell'impresa  del  recitare  in  dialetto;  e  tanto  allora  ebbe 
a  palesarsi  attore  sincero,  che  il  Modena  stesso  ne  stupì. 
Io  credo  che  niuno  abbia  capito  e  rivelato  ai  posteri  Tarte 
somma  di  Giovanni  Toselli,  meglio  di  quanto  facesse  il  com- 
pianto Luigi  Pietracqua,  del  quale  mi  piace  riferir  qui  tradotte 
le  belle  parole  : 

I  posteri  riconoscenti,  artisti  e  ammiratori,  gli  dedicaron  monumenti  marmorei  cosi 
a  Cuneo  sua  terra  natale,  come  al  Teatro  Rossini  di  Torino,  dove  si  ammira  un  suo  basto 
assai  rassomigliante  ;  ma  il  più  bel  monumento  se  lo  eresse  da  sé,  creando  un  teatro  po- 
polare, che  prima  non.  esisteva  ;  inventando,  per  dir  cosi,  un  nuovo  genere  d'  arte  cosi 
viva  e  possente,  che  per  bestemmiar  che  facciano  certi  ipercritici  della  moderna  tuberco- 
losi artistica  (leggi  :  teorica  nova)  non  morrà  più  mai  né  nella  memoria  né  nel  cuore  del 
nostro  popolo  che  pensa  colla  sua  testa  e  giudica  col  suo  buon  senso,  infinitamente  su- 
periore a  tutte  le  fisime  più  o  meno  isteriche  di  certi  scrittorelli,  più  o  men  camuffati  da 
Aristarchi  Scannabue. 

Giovanni  Toselli,  colla  sua  invenzion  fortunata  della  commedia  in  dialetto  gìan- 
dujesco,  può  dirsi  abbia  rinnovata  per  noi  la  classica  tradizione  greca  dell'antichissimo 
Carro  di  Tespi  ;  perchè,  quando  cominciò  a  far  le  sue  prime  prove,  la  modestissima  com- 
pagnia, di  cui  s' era  messo  in  testa,  compagnia  composta  di  elementi  affatto  primitivi,  for- 
mava nella  sua  piccola  compagine  un  quadretto  cosi  caratteristico  e  pittoresco  da  far  pro- 
prio ricordare  il  genial  Carro  di  Tespi,  che  sentimmo  descriver  nelle  scuole,  e  che  Teofilo 
Gauthier  ha  cosi  ben  modernamente  illustrato  nel  suo  immortale  Capitan  Fracassa, 

L'artista  per  me  è  stato  a  un  tempo  rivelazione  e  ispirazione:  egli  è  stato  causa 
di  studi  profondissimi  sul  teatro  vecchio  e  moderno,  e  nobilissimo  incitamento  a  coltivar 
quell'  arte,  che  mi  die  tanti  piaceri  e  trionfi,  e  pur  tanti  dolori  nella  mia  povera  vita  arti- 
stica e  avventurosa. 

Ma  non  di  me  io  voglio  parlare  -  per  carità  !  Giovanni  Toselli  aveva  un  ideale,... 
e  questo  ideale  aveva  un  nome  semplice,  ma  profondamente  significativo;  si  chiamava: 
naturalezza  !  che  vengon  mai  a  dirmi  i  veristi  moderni  ?  Chi  ha  mai  saputa  concepire,  chi 
l' ha  mai  neanche  sognata,  l' aurea,  serena,  magistrale  naturalezza  del  nostro  povero  To- 
selli ?  Chi  può  ricordar  senza  rimpianto  le  sue  incomparabili  creazioni  del  Ferver  paroco, 
del  Tonio  in  Gigin  a  baia  nen,  del  Medeo  in  Sablin  a  baia»  del  Travet,  del  Ciochè  d^l 
vilage,  del  Papà  grand,  e  di  tante  altre  sue  glorie  imperiture  ?  Nemico  di  ogni  convenzio- 
nalismo anche  sul  palcoscenico,  egli  ha  saputo  trasformare  il  trovarobe,  i  macchinisti,  gli 
scenografi,  portandoli  tutti  al  suo  grande  concetto  costitutivo  della  grande  arte  :  verità, 
sempre  verità  in  tutto  e  per  tutto.  Quindi  giustizia  vuole  che  Toselli  sia  considerato  nel 


TOSELLI  -  TOVAGLIARI  599 


camfK)  dell'  arte  nostra  come  nn  vero  innovatore  e  rigeneratore  del  Teatro  moderno.  Ed 
è  per  questo  che  il  suo  nome  glorioso  non  sarà  più  obliato  dai  veri  cultori  dell'arte  dram- 
matica. 

A  lui  dovetter  la  lor  gloria  artistica  Bersezio,  Pietracqua, 
Garelli  :  da  lui  furon  guidati  i  primi  passi  di  due  artiste  pos- 
senti :  la  Tessero  e  la  Pezzana. 

Nel  1864  egli  fece  erigere  in  Cuneo  un  teatro  a  proprie 
spese,  e  i  trionfi  durarono  splendidi  sino  al  '69.  Poi  per  un  cu- 
mulo di  circostanze  disgraziate,  la  speculazione  volse  a  male 
tanto  che  il  Toselli  dovè  perder  la  proprietà  del  teatro;  e  privo 
di  mezzi,  cessar  di  recitare  in  dialetto,  diventando  il  direttore 
della  Compagnia  italiana  ZampoUa.  Formò  pQScia  a  Torino  il 
Teatro  di  famiglia  con  animo  di  rappresentar  le  vecchie  comme- 
die morali  del  Teatro  dialettale  ai  Teatri  d! Angennes  e  Scribe; 
ma  r'8o  ritornò  nella  Compagnia  piemontese  diretta  da' suoi 
due  allievi  Gemelli  e  Milone,  e  dopo  il  carnovale  dell'  '82  abban- 
donò il  teatro  seguendo  le  sue  figliuole  Clara  e  Carlotta,  attrici 
della  Compagnia  Pedretti  (aveva  preso  in  moglie  da  giovine 
una  Anna  Dogliotti),  e  vivendo  di  una  piccola  pensione  che  gli 
accordava  il  Consiglio  dell'ordine  dei  Cavalieri  dei  SS.  Mauri- 
zio e  Lazzaro,  di  cui  egli,  primo  tra  gli  artisti  comici  d'Italia, 
era  insignito.  . 

Morì  a  Genova  il  12  di  gennajo  del  1886,  e  il  9  di  aprile 
dello  stesso  anno,  la  sua  salma,  reclamata  dall'autorità  muni- 
cipale di  Cuneo,  fu  trasportata  con  gran  pompa  in  quel  cimi- 
tero, dove  si  ammira  il  busto  che  abbiamo  detto,  opera  dello 
scultore  Alessandro  Cafetti,  sulla  cui  base  è  la  seguente  epi- 
grafe dettata  da  Desiderato  Chiaves  : 

A  I  GIOVANNI  TOSELLI  |  che  su  queste  scene  | 

IL  TEATRO  PIEMONTESE  |  INSTAURÒ  |  PERCHÈ  RICREANDO 
EDUCASSE    I    TESTIMONIANZA    |    DI    MEMORE    AFFETTO 
I   TORINESI    POSERO       IL   XII   GENNAIO   M  LlCCC  LXXXVII. 

0 

Tovagliari  Pier  Camillo.  Nato  a  Parma  il  14  gennajo 
del  1847  da  Luigi  Tovagliari  e  Carolina  Panighi,  se  ne  allon- 


TOVAGLIARI  -  TRAPPOLINO 


tanò,  dopo  la  morte  del  padre,  in  cerca  di  fortuna.  Capitato 
a  Livorno  nel  1872,  si  presentò  al  capocomico  Papadopoli  per 
essere  scritturato,  senza  saper  che  sì  fosse  arte  drammatica. 
Fatta  discreta  prova,  .entrò  in 
Compagnia  con  quattro  lire  al 
giorno,  e  vi  stette,  generico, 
due  anni,  un  de'  quali  passò  al 
Quirino  di  Roma,  recitando,  can- 
tando, ballando.  Passò  poi  (il  '76) 
con  Ciotti,  poi  di  nuovo  (il  '78) 
con  Romagnoli.  Cominciò  1'  '80 
con  Drago  a  recitare  il  Caratte- 
rista, e  in  quel  ruolo  assoluto, 
fu  r'84  con  Calamai,  r'85  con 
Vitaliani,  T  '86  con  la  Pezzana, 
poi  tre  anni  con  Novelli,  e  due 
con  Brunorini.  Nel  '94  entrò  a 
far  parte  della  Compagnia  co- 
mica Ta Ili-Siche I-To vagì iari,  che  durò  due  anni,  poi  passò  colla 
Mariani,  con  Paladini,  con  Talli,  colla  Marchi,  e  finalmente  socio 
con  Claudio  Leigheb.  È  questo,  senza  dubbio,  il  piil  gran  mo- 
mento della  sua  vita  artistica:  momento  fuggevole,  pur  troppo, 
che,  ammalatosi  il  Leigheb,  la  Compagnia  si  sciolse,  e  Tova- 
gliati formò  società  con  Enrico  Reinach  e  con  poca  fortuna. 
Pier  Camillo  TovagHari  non  era  privo  di  egregie  doti  ar- 
tistiche ;  prime  e  non  comuni  quelle  della  spontaneità  e  della 
verità;  ma  coll'andar  del  tempo  un  cotal  trasandamento  lo  fece 
attore  scolorito  e  monotono. 


Trappolino.  Fra'  comici  più  antichi  veneziani  il  Molmenti 
(  Venezia  nella  vita  privata)  ricorda  ancora  un  Giampaolo  (Zan 
Polo)  un  Trapolino,  ecc.  ;  ma  secondo  il  Quadrio  sarebber  essi 
una  stessa  persona.  Egli  dice  : 


Giovan  Paolo  Trapoli n< 
Ma  poi  lasciata  la  comici  arie 


fu  le  delizie  de'  suoi  giorai  in 
e  distribuito  a*  poveri  tutto  il  s 


i  fu  anche  poeta. 
e,  ritiroMl  a  Me- 


TRAPPOLINO  -  TREMORI  6oi 

sire,  luogo  da  Venezia  non  più  distante,  che  sette  miglia  :  dove  in  un  romitaggio,  mace- 
randosi continuamente  con  asprìssime  penitenze,  passò  molti  anni;  finché  divotissimo  e 
vecchissimo  chiuse  con  morte  felice  i  suoi  giorni  drca  il  1630. 

Egli  era  -  scrive  Barbieri  nella  Supplica  -  a  Palermo, 
trent'anni  dopo  il  decreto  di  S.  Carlo  che  determinava  la  re- 
visione degli  scenarj  ;  ossia  nel  i6 13,  e  morì  pochi  mesi  avanti 
la  pubblicazione  dell' opera  di  esso  Barbieri,  ossia  nel  1634.  Un 
secondo  Trapolino  assai  noto  ebbe  il  Teatro  italiano  in  Giovan 
Battista  Fiorillo  (V.). 


i  Paolo.  Pantalone  di  buon  nome,  nato  in  Udine  di 
famiglia  veneziana,  fu  prima  nella  Compagnia  de*  Lombardi, 
poi  (1776)  in  quella  di  Pietro  Rossi,  assieme  a  Vincenza  sua 
moglie.  Passò  poi  con  Antonio  Camerani,  poi  con  Luigi  Pe- 
relli,  ove  trovavasi  ancora  il  1781,  scritturato  per  r'82  con 
Francesco  Paganini.  Recitava  anche  bene  parti  senza  la  ma- 
schera, e  avrebbe  meritata  -  disse  Fr.  Bartoli  -  migliore  for- 
tuna di  quella  ch'egli  ebbe. 

Tremori  Vincenza.  Moglie  del  precedente,  figlia  di  Ga- 
briello ed  Angela  Costantini,  fu  prima  attrice  di  qualche  pregio; 
ma  per  la  figura  piuttosto  piccola,  benché  gentile,  la  persuasero 
a  passare  al  ruolo  di  serva,  nel  quale  riuscì  egregia  per  lo  spi- 
rito e  la  spontaneità.  Fra  le  tante  poesie  che  le  furon  dedicate, 
il  Bartoli  trasceglie  il  seguente  sonetto,  parto  felice  (dice  lui) 
d'un  dottissimo  Cavaliere  Urbinate: 

Recitando  con  applauso  universale  nel  Teatro  de'  Nobili  Sig,  Pascolini  £  Ur- 
bino il  Carnevale  dell'anno  ryyS,  la  virtuosa  Donna  Signora  Vincenza 
Tremori;  si  offre  all' impareggiabil  nterito  della  medesima  il  presente  So- 
netto, allusivo  alla  descrÌT^ione  del  nodo  Gordiano  vivamente  da  lei  espressa 
per  due  volte  nella  rappresenta:(ione  del  Diogene,  sostenendovi  la  parte 
della  Poetessa  Corina. 

Al  Balenar  vid'io  di  ferro  audace 

Retto  dal  braccio  d'Alessandro  istesso 
L'aggruppato  Gordian  nodo  tenace 
Due  volte  suU' aitar  sciolto,  e  dimesso. 

76.  —  /  Comici  Ualianù  Voi.  H. 


6o2  TREMORI  -  TRENTA 


Il  moto,  il  gesto,  e  l'espression  vivace 
Fer  si  di  Donna  (cui  dal  Ciel  concesso 
Fu  gli  estinti  avvivar  qual  più  le  piace) 
Ch'io  mirassi  Alessandro  in  essa  espresso. 

Quindi  Tudj  gridar,  chi  sei,  che  intorno 
Si  ben  ravvivi,  e  mia  virtù  propaghi, 
Attrice  esperta,  e  la  rimetti  al  giorno? 

E  l'ombra  intanto  io  vidi  i  stigj  laghi 
Varcar  più  lieta,  e  girne  al  bel  soggiorno 
Quasi  sull'opre  sue  tutta  s'appaghi. 


i  Eustachio.  Figlio  forse  dei  precedenti,  insupera- 
bile nella  parte  dello  Sguizzerò  mbriaco  dinfa  lo  vascio  de  la  siè 
stella,  fu  generico  primario  e  caratterista  valorosissimo.  Il  suo 
nome  è  tra  quelli  più  ricordati  de'  comici  del  San  Carlino,  i 
quali  ancora  vivono  (V.  Di  Giacomo,  op.  cit.).  Vi  apparve  il  1 8 1 6 
e  vel  troviamo  ancora  all'ultima  rappresentazione  della  Com- 
pagnia nazionale  T  8  aprile  1 849,  assieme  alla  moglie,  o  figliuola, 
Vincenza,  attrice  egregia  che  vediamo  ancora  nella  Compagnia 
di  Giuseppe  Maria  Luzi  succeduto  al  padre  Silvio  Maria,  che 
era  morto  intorno  al  '60. 

Trenta  Lucilla.  Attrice  magnifica  di  bellezza,  fiorì  la  prima 
metà  del  secolo  xvii  col  nome  di  Rosalba,  e  abbiamo  su  di  lei 
il  seguente  aneddoto,  che  riferisco  intero  dal  Paglicci  (//  Tea- 
tro a  Milano  nel  secolo  xviì)  : 

Nella  primavera  del  1636,  nn  certo  Niccolò  Ala,  sergente  maggiore  della  milizia  di 
Cremona,  e  che  era  perciò  incaricato  di  custodire  l' ordine  morale  e  difendere  la  città  da 
ogni  inconveniente,  fu  preso  in  siffatto  modo  dall'  amore  di  lei,  che  in  un  eccesso  di  ge- 
losìa le  sparò  contro  una  terzetta  da  ruota. 

Era  Lucilla,  conosciuta  anche  sotto  il  nome  di  Rosalba,  restata  lungi  dal  marito, 
che  seguiva  la  sua  compagnia  ;  e  sotto  pretesto  di  penitenza  erasi  ritirata  in  una  casa  presso 
le  MaddciUne,  ove  però  di  nascosto  riceveva  visite,  doni  e  cibi  dal  bel  sergente,  che  la 
stimolava  a  lasciar  per  lui  il  buon  comico  marito.  Appena  infatti  fu  questi  lungi  dalla  città, 
Lucilla,  partitasi  dalle  Maddalene,  si  uni  a  far  vita  comune  col  Niccolò,  ma  non  mante- 
nendosi del  tutto  fedele  neppure  a  costui,  provocò  la  scena  di  gelosia  della  quale  abbiam 
fatto  parola,  e  che  fini  con  un  colpo  d' arme  da  fuoco,  senza  però  grave  suo  danno. 

E  qui  incomincia  lo  strano,  anzi  il  vero  caratteristico  segno  del  tempo. 

Il  Podestà  di  Cremona,  fattone  regolare  processo,  lo  condannò,  ma  quando  volle 
applicare  la  pena  dovuta,  la  scena  si  cangiò  ad  un  tratto. 


TRENTA  -  TRENTI 


603 


n  lergente  in  foro  delU  propria  patente  militare  e  perchè  cosi  rìcliiedeTa  il  btn*- 
fitio  e  il  servigio  di  Sua  Sfatila.  %i  Credette  aatoriiutto  a  portar  le  terzelEe  e  riduete  in 
grazia  al  Govenutore  che  il  FodeitJi  di  Ciemona  desiitesse  durando  il  lervitia  di  dori 
aleuna  molttlia  al  ittpplicantt  il  quale  con  ogni  aceurata  diliginta  invigila  alla  cura  e 
di/tta  della  alla.  Che  razza  di  vigilanza  e  di  cura  avetie  delle  cittadine  qneito  itraiio 
funzionario,  lo  abbiamo  vitto;  ma  qnello  che  ci  ha  latto  vera  sorpreia,  li  è  che  il  Go- 
vernatore gli  dette  ragione,  e  ne  aerine  al  Podeiti  in  questi  termini: 

1636,  al  9  di  giugno. 

•  Stando  l' occupazione  peraonale  del  lopplicante,  il  Fodeità  di  Cremona  li  proceda 
nella  canta  Ira  tre  meii.  '  Pi^tomus.  * 

Né  essendo  battala  qaetta  dilazione  a  NiccolA  Ala,  il  termine  ne  fn  ancora  prorogalo  per 
altri  due  mesi.  Se  qni  finissero  le  proroghe  non  saprei,  so  però  che  dell' abre  non  ai  parlò  più; 
e  fone  tnlto  lini  colla  vittoria  finale  del  bravo  sergente,  difensore  della  città  di  Cremona. 

Il  Paglicci  propenderebbe  a  credere  che  X^LucilU  costante 
di  Silvio  Fiorillo,  rappresentata  a  Milano  il  1632  dai  Comici 
Accesi,  fosse  scrìtta  per  la  Trenta,  e  da  lei  rappresentata. 

Trenti  Manetta.  Prima  attrice  tragica.  Non  ho  trovate 
notizie  di  lei,  tranne  in  questo  ritratto,  che  ce  la  presenta  in 


Giulietta  e  Romeo,  tragedia  di  Della  Valle.  Sotto  ad  esso  è  in- 


6o4  TRENTI  -  TROJANO 


ciso:  «  Al  merito  della  valorosa  attrice  Marietta  Trenti  —  R.  C. 
offeriva  >  e  subito  dopo  un  verso  e  mezzo  : 

Deh  tolga  il  Ciel,  che  questa  rosa  insieme 
Pur  r  Imeneo  finisca.... 

{Atto  IO  -  Scena  /«). 

Poi,  a  sinistra:  litografia  Rosi  1836....  Dove?  Ella  era 
moglie,  probabilmente,  di  quel  Giovanni  Trenti,  che  abbiamo 
visto  primo  attore  il  '38  in  Compagnia  Zocchi  a  vicenda  con 
Giovanni  Tessero  (V.). 


i  Giovan  Battista.  Recitava  le  parti  di  secondo 
Zanni,  sotto  il  nome  di  Pasquino,  e  apparteneva  il  1 689  alla 
Compagnia  del  Duca  di  Modena,  della  quale  vedi  l'elenco  al 
nome  di  Torri  Antonia. 

Trivelli  Giuseppe.  Torinese,  nato  di  agiata  famiglia,  fu 
talmente  acceso  del  teatro,  che  ad  esso  die  tutta  la  sua  vita, 
recitando  prima,  poi  diventando  subito  un  capocomico  de'  più 
pregiati.  Morì  in  un  ospedale  di  alienati  a  Torino  il  1865.  Er- 
nesto Rossi  che  lo  ebbe  socio  il  1863,  Tanno  in  cui  si  cominciò 
a  manifestare  T indebolimento  cerebrale,  lasciò  scritto  di  lui: 
<  Il  Trivelli  nacque  da  una  agiata  famiglia  torinese  :  era  uomo 
abbastanza  istruito  :  rappresentò  le  parti  di  brillante,  e  se  non 
lo  si  potè  dire  un  beli'  originale  di  artista,  fu  una  buona  copia 
di  Bellotti-Bon.  Sacrificò  quasi  tutto  il  suo  patrimonio  in  spe- 
culazioni drammatiche,  facendo  sempre  il  capocomico.  La  sua 
fine  giustificò  la  causa  del  cattivo  esito  delle  sue  speculazioni. 
Aveva  sposato  la  signora  Pompili  -  che  restò  poi  quattr'  anni 
con  Ernesto  Rossi  prima  attrice  di  qualche  pregio  -  figlia  del 
secondo  marito  della  signora  Botteghini  sunnominata.  Fu  ma- 
rito esemplare,  amoroso  in  famiglia,  onesto  con  tutti  :  —  Sentii 
vivo  dolore  per  il  suo  abbandono  e  più  tardi  per  la  sua  morte.  > 

Trojano  Massimo  (V.  Giovan  Maria). 


TURRI  605 


Tiini  Giovan  Battista.  Di  lui  dicono  i  fratelli  Parfait: 
€  Turi  di  Modena,  eccellente  attore  per  le  parti  di  Pantalone, 
recitò  sotto  le  spoglie  di  tal  personaggio  sino  alla  sua  morte, 
avvenuta  il  1670,  come  s'ha  ragion  di  credere  dall'annunzio 
che  Robinet  fa  dell'arrivo  di  un  nuovo  Pantalone,  il  marzo  dello 
stesso  anno.  >  Andò  a  Parigi  colla  nuova  Compagnia  che  vi 
esordì  il  io  agosto  del  1653;  ma  erronea  è  la  data  della  sua 
morte. 

L'annunzio  di  Robinet  si  riferisce  certo  al  ritorno  del 
Turri  in  Italia,  come  si  ha  dalla  seguente  lettera  di  Venezia, 
che  toglie  ogni  dubbio  in  proposito  : 

IU.»»o  mio  S.re  et  Pad.ne  Col.»»®, 

Già  venti  giorni  in  circa  scrissi  una  lettera  a  V.  S.  Ill.™<^  nel  proposito  di  un 
accademico  desideroso  di  uscir  fuori  in  alcuna  compagnia  da  secondo  Zane,  et  io  l' esortai 
di  mettersi  sotto  la  protetione  di  S.  A.  S.f°a^  come  cosi  si  obliga  servire,  mentre  però 
quest'anno  babbi  compagnia,  e  perchè  da  questo  vengo  stimolato  ogni  giorno  di  risposta, 
per  ciò  mi  conviene  essere  importuno  a  V.  S.  111."»^,  pregandola  significarmi  la  sua  vo- 
lontà, acciò  possi  risolverlo,  dicendomi  questo  haver  altre  occasioni.  Non  manco  ancora 
di  pregar  V.  S.  Ill.™a  di  benigna  protetione  per  mio  figliolo  Virginio,  che  desidera  abban- 
donare il  posto  di  terzo  moroso,  et  esercitare  quello  del  secondo,  e  tanto  più  quanto  che 
dovendovi  essere  (come  si  dice  un  capitano  spagnolo)  non  sa  come  possino  accordarsi  le  cose. 
Ha  anche  significato  questo  nostro  sentimento  al  S.'  Valerio  (Francesco  Allori  (V.)), 
quale  ha  mostrato  non  curarsi  di  questa  giusta  dimanda,  per  causa  della  quale  non  vorrei 
che  al  tempo  di  partire  ci  fossero  contrasti,  come  ne  furono  a  Padova  l'anno  scorso,  che 
non  voleva  la  compagnia  darli  tre  quarti  e  doverà  l'anno  a  venire  guadagnare  la  parte 
che  la  merita  quanto  ogni  principiante  della  sua  conditione,  supp.co  la  sua  gentilezza  di 
risposta  mentre  mi  sottoscrivo 

Di  V.  S.  III.  Hum.rao  e  devot.mo  ser.'e 

Gio.  Batt.a  Turri,  comico 

Venetia,  li  30  marzo  1671.  detto  Pantalone» 

In  un  brano  di  notiziario  del  1652,  ove  son  le  nuove  di 
Castelnovo  (Garfagnana)  è  così  menzionato  un  don  Domenico 
Turi,  parente  forse  di  Gio.  Battista,  ma  certo  recitante  acca- 
demico : 

€  Sono  andati  poi  il  Sig/  Cap.°  Ranpalla,  il  Sig/  Dotor 
Sigismondo,  il  Barozzi  et  il  Sig.'  Giuseppe  Cantelli  e  don  Do- 
menico Turi  à  Mod.*'  chiamati  da  S.  A.  per  recitare  co- 
medie... .  > 


Turri  Virginio.  Figlio  del  precedente.  Era  anch' egli  a  Pa- 
rigi nella  Compagnia  del  1653,  in  qualità  di  secondo  amoroso, 
sotto  il  nome  di  Virginio;  e,  morto  il  padre,  tornò  a  Modena, 
ove  si  iece:  Carmelitano  scalzo.  Ma  poco  avanti  la  consacrazione 
dell'abito,  a  soli  quarant' anni,  fu  spento  da  fiero  male,  e  se- 
polto in  quel  Convento  vestito  da  frate. 


■^^v.^'^JV^^^ 


I   COMICI   ITALIANI 


Udina  Vincenzo.  Nato  a  Roma  il  i"  aprile  del  1851  da 
Tommaso  Udina  di  CiUy  nella  Stiria  e  da  Marianna  Lucidi, 
sì  diede,  rimasto  orfano  del  padre,  all'arte  drammatica,  en- 
trando nella  Compagnia  romana  di  Amilcare  Belletti  a  fìanco 
della  Pedretti,  di  Calloud,  Diligenti,  Piccinini;  e  Ìl  suo  esor- 
dire fu  coronato  da  tal  successo,  che  al  terzo  anno,  ammalatosi 
il  primo  attore  a  Milano,  egli  Io  sostituì,  interpetrando  degna- 
mente Goldoni,  Parini  e  altre  parti  dì  non  minore  importanza. 
Sposò  il  '69  Ada  Lucidi,  figlia  di  un  suo  zio  materno,  e  il  '71 
andò  in  America  scritturato  da  Tommaso  Salvini.  Passò  poi 
nelle  Compagnie  Dondini, Romagnoli,  Sorelle Vestri, Cuniberti, 
Coltellini,  fino  all'anno  '78,  in  cui  diventò  il  primo  attore  asso- 
luto di  Adelaide  Ristori,  colla  quale  fu  in  Ispagna  e  in  Porto- 
gallo. Passò  il  '79  a'  Fiorentini  di  Napoli  con  la  Pezzana,  la 

77.  --  1  Comici  itaUMni.  VoL  II. 


Duse,  Emanuel,  per  tornar  poi  I"8o  con  Adelaide  Ristori,  che 
si  recava  in  Danimarca,  nella  Svezia  e  Norvegia.  Sostituì  1'  '8 1 
Gaspare  Lavaggi,  ammalato,  e  ne  condusse  l'anno  dopo  la 
Compagnia  in  suo  nome.  Fu  dì  nuovo  e  per  un  triennio  con 
Salvini,  poi  di  nuovo  capocomico  con  varia  fortuna;  poi,  ve- 


nuta in  nome  di  attrice  assai  promettente  sua  figlia  Giannina, 
si  adattò  a'  ruoli  secondari  pur  di  non  separarsi  da  lei  ;  e  dopo 
alcune  buone  scritture,  tornò  a  condur  Compagnia,  lei  prima 
attrice  assoluta,  ora  solo,  ed  ora  in  società.  Ma,  sposatasi  la 
figlia,  tornò  a  scritturarsi,  ed  oggi  (1904)  si  trova  con  Mauri 
nella  Compagnia  permanente  del  Manzoni  di  Roma. 


Udina  Giannina.  Figlia  del  precedente,  nata  a  Bassano 
veneto  il  1875,  fu  prima  educata  nel  Collegio  di  Oneglia,  poi, 
giovinetta  ancora,  ne  uscì  per  seguire  il  padre  nelle  sue  pe- 
regrinazioni artistiche.  Mostrate  subito  chiare  attitudini  alla 


UDINA  -  UGHI  6ii 

scena  colle  parti  di  adolescente  nel  Povero  Piero  e  nella  Morte 
Civile,  potè  a  quìndici  anni  affrontare  il  gran  pubblico  quale 
amorosa  della  Compagnia  di  Teresa  Mariani.  Fu  il  '93  prima 
attrice  giovine  con  Andrea  Maggi,  poi  con  Leigheb- Andò  ;  passò 
quindi,  prima  attrice,  con  Ermete  Zacconi,  e  con  Cesare  Rossi, 
dal  quale  ultimo  si  allontanò  per 
diventar  la  prima  attrice  assoluta 
della  Compagnia  formata  da  suo 
padre  in  società  prima  con  Achille 
Vitti  (iSgg),  poscia  con  altri  sotto 
la  direzione  delGaravaglia(i90i). 

A  mezz'anno  ella  si  ritirò  dal- 
l'arte, per  andare  sposa  al  marche- 
se Giulio  Ricci-Riccardi,  morto  or 
son  tre  mesi  (1904)  a  soli  venti- 
cinque anni  ;  e  v'  è  da  credere,  che 
spirato  il  termine  del  lutto,  ella  si 
riaccinga  a  calcar  le  seduttrici  ta- 
vole del  palcoscenico. 

La  sua  figurina  slanciata,  il 
volto  piacevole,  la  giovinezza  fio- 
rente, la  disinvoltura  acquistata 
col  lungo  esercizio,  la  fecero  guar- 
dar benevolmente  dal  pubblico,  il 

quale  nella  gentile  prima  attrice  giovine  vide,  o  gli  parve,  una 
futura  pregevole  prima  donna. 

Ughi  Elisabetta,  veneziana.  Cominciò  a  recitare  nella  Com- 
pagnia di  Pietro  Ferrari,  e  tanto  vi  progredì  che  poco  tempo 
dopo  fu  una  egregia /W»»a  rf(?««a.  lIBartolì,  al  cui  tempo(i78i) 
ella  fioriva,  dice  che  *  un  nobile  aspetto,  un  volto  ornato  di 
grazie,  ed  una  rara  biondissima  chioma  erano  ì  pregevoli  na- 
turali suoi  doni.  Uno  spirito  lodevole,  un'espressiva  aggiustata, 
ed  una  sufificientissima  intelligenza  formavano  i  suoi  meriti  nel- 
l'arte del  recitare.  >■ 


6i2  UGHI  -  UGOLINI 


Applaudita  dovunque,  fu  più  volte  lodata  con  poesie,  tra 
cui  il  Bartoli  riferisce  il  seguente  sonetto  : 

Al  merito  impareggiabile  della  signora  Elisabetta  Ughi,  prima 
donna,  che  nel  Teatro  delle  Vigne  si  distingue  nelle  commedie 
e  tragedie  mirabilmente  il  carnovcUe  lySi. 

Vaga  donna  io  vedea  stretta  in  catene 
i  bei  lumi  girar  pietosi  e  lenti, 
e  di  tragico  pianto  e  di  lamenti 
udìa  d'intorno  risonar  le  scene. 

Poi  sue  luci  tornar  chiare  e  serene, 
ed  al  comico  riso  e  ai  dolci  accenti 
tutte  starsi  vedea  le  accolte  genti 
di  maraviglia  e  di  piacer  ripiene. 

Con  la  Madre  d'Amor  dal  Ciel  discese 
applaudendo  le  grazie  in  lieto  tuono, 
stavano  l'aure  ad  ascoltarle  intese. 

Davale  Apollo  il  sacro  lauro  in  dono, 

e  le  nostr'alme....  ah!  le  nostr'alme  accese 
seguiano  a  voi  de' nostri  plausi  il  suono. 

Ugolini  Alberto.  Dopo  di  aver  recitato  tra'  filodrammatici 
di  Bologna,  sua  patria,  si  scritturò  con  Gabriele  Costantini  ; 
poi  con  Girolamo  Medebach  a  Venezia  per  le  parti  di  Dottore. 
Ma  la  sua  inclinazione  e  le  sue  attitudini  erano  più  per  quelle 
à.^ Innamorato,  in  cui  riuscì  per  ogni  rispetto  egregio.  Fu  con 
Pietro  Rossi,  con  Onofrio  Paganini,  con  Vincenzo  Bazzigotti  ; 
tornò  a  Venezia  il  1775  ^^^  Giuseppe  Lapy,  e  molto  vi  piacque, 
specie  rappresentando  la  parte  di  Te?iero  nella  tragedia  di  Vol- 
taire: Le  lepidi  Minosse.  Tornò  il  '76  col  Rossi,  e  restò  il  '77 
col  di  lui  genero  Perelli;  passò  il' 7  9  con  Francesco  Paganini,  e 
fu  di  nuovo  r  '8 1  con  Girolamo  Medebach,  per  le  parti  di  padre, 
A  questo  punto  cessano  le  notizie  del  Bartoli,  il  quale  aggiunge 
che  Alberto  Ugolini  <  ne' suoi  primi  anni  di  comico  esercizio  fu 
un  brillante  Innamorato,  e  si  distinse  sostenendo  tutte  le  parti 


UGOLINI  -  VALENTI  613 

principali  nelle  migliori  commedie  del  Dottor  Goldoni,  reci- 
tando con  grido  //  Medico  olandese^  Il  Filoso/o  inglese.  Il  Cava- 
liere di  spirito,  Torquato  Tasso,  ed  altre  rappresentazioni.  Avan- 
zandosi in  età,  e  lasciando  addietro  la  più  fresca  gioventù,  si 
mostrò  nelle  parti  sostenute  delle  tragedie  un  attore  applaudi- 
tissimo  ;  e  Verona,  Bologna,  Parma  ed  altre  città  furono  del  di 
lui  merito  bramose  spettatrici.  > 


^ 


Vacantiello  Francesco.  È  citato  da  Trajano  Boccalini  nei 
suoi  Ragguagli  di  Parnaso,  là  dove  dice  (I,  242)  :  <  ed  in  par- 
ticolare tanta  dilettatione  ha  dato  a  Sua  Maestà  il  signor  Cola 
Francesco  Vacantiello,  personaggio  napolitano,  che  ha  detto  che 
anche  nell' introdurre  il  napolitano  nelle  comedie  per  rappre- 
sentar la  fina  vacanteria,  havevano  gl'Italiani  mostrato  il  loro 
altissimo  ingegno....  > 

Concordando  le  date,  io  credo  potersi  identificare  in  que- 
sto il  Cola  che  fu  mandato  dal  Duca  di  Mantova  a  Parigi  il  1 608 
in  sostituzione  dell'arlecchino  Martinelli,  ornai  troppo  vecchio. 
Cola  (Nicola)  sarebbe  stato  dunque  anche  allora  nome  di  per- 
sona e  maschera?  Vacantiello,  diminutivo  di  vacante,  vuoto,  era 
forse  il  precursore  del  nostro  marno,  sciocco? 

Valenti  Gaspare,  fiorentino.  Cominciò  a  recitare  il  carat- 
terista, in  cui  riuscì  egregiamente,  cogli  accademici  della  città, 
poi  collo  stesso  ruolo  in  Compagnia  di  Nicodemo  Manni,  fe- 
steggiatissimo  da  ogni  pubblico  d' Italia.  Passò  da  quella  del 
Manni  in  altre  compagnie  vaganti,  colle  quali  ebbe  campo  di 
farsi  ammirare  anche  a  Napoli,  sapendo  unire  a  sufficienza 
l'arte  del  canto  a  quella  della  commedia.  Trovavasi  il  1 78 1  nella 
Compagnia  di  Antonio  Camerani. 


6i4  VALENTI  -  VALENTIN! 

Valenti  Francesco.  Nato  a  Roma  il  4  febbraio  1859  da 
parenti  non  comici,  e  datosi,  giovanetto,  al  recitare  in  società 
filodrammatiche,  si  scritturò  r'83  con  Bellotti-Bon,  per  la  cui 
morte  non  ebbe  luogo  il  contratto,  esordendo  invece  quello 
stesso  anno  come  generuo  con  Alessandro  Salvini  ed  Ettore 
Paladini,  e  piissando  subito  1'  '84  al  ruolo  di  secotuio  e  primo  ca- 
roMerista  sotto  il  Salvini:  ruolo  che  non  abbandonò  mai  piì»,  e 
che  sostenne  lodevolmente  in  compagnie  egregie,  quali  del- 
l'Emanuel, del  Morelli,  Maggi,  Rossi, 
3  De  Sanctis,  Teatro  d'Arte,  Rasi,  Della 
Guardia,  Pieri-Severi,  nella  quale  ul- 
tima si  trova  oggi  (1904). 
Francesco  Valenti,  semplice  dì 
modi  e  di  costumi,  può  dirsi  un  vero 
solitario.  Il  teatro  e  la  casa  sono 
V  le  sue  sole  occupazioni;  e  nella  casa 
l'artista  spesso  e  volentieri  diventa 
lo  scienziato:  fotografo,  proiezionista, 
meccanico,  elettricista,  e  anche  inven- 
tore. Sicuro:  Francesco  Valenti  è  in- 
ventore di  una  macchina  ottica  per  proiezioni,  brevettata,  che  si 
chiama  Foioautomotografo  Valenti.  Né  gli  studi  scientifici  gì'  im- 
pedirono mai,  nonostante  la  sua  piccola  statura  poco  teatrale, 
di  farsi  applaudire  come  caratterista  e  promiscuo,  sia  per  la  dili- 
genza scrupolosa  nello  studio  de'  caratteri,  sia  per  l' ingegno 
pronto  nella  loro  interpretazione,  sia  per  una  certa  vivacità, 
soverchia  forse  tal  volta,  di  recitazione.  Fu  anche  il  Valenti 
direttore  artistico  della  Compagnia  di  Giovanni  Emanuel  e 
Gio.  Batta  Marini,  e  in  tale  ufficio  die  prova  di  avvedutezza  e 
di  molto  occhio  pratico. 

Valentini  Giovanni,  bolognese.  Comico  universale,  come 
lo  chiama  Fr.  Bartoli,  per  una  particolare  sua  versatilità  che 
gli  permetteva  di  rappresentar  degnamente  caratteri  dispara- 
tissimi.  Fu  in  più  compagnie,  quali  di  Antonio  Sacco,  Nicola 


VALENTINI  -  VALERIANI  615 

Petrioli,  Pietro  Rossi,  Onofrio  e  Francesco  Paganini  e  Fau- 
stina Tesi,  in  cui  trovavasi  il  1 781.  Mise  da  giovine  la  maschera 
del  Pantalone,  poi  quella  del  Dottore;  e,  dice  il  Bartoli,  che  so- 
steneva or  l'una  or  T altra  con  egual  maestria.  Recitò  ne' suoi 
primi  anni  d'arte  una  commedia,  nella  quale,  sotto  nome  di 
Zanetto»  rappresentava  ammiratissimo  diversi  personaggi.  Si 
die  poi  a  sostenere  le  parti  caratteristiche,  scritte  dal  Goldoni 
per  Antonio  Martelli,  come  il  Todaro  brontobn,  il  Policarpio 
della  Sposa  sagace,  il  Fabrizio  degli  Innamorati,  e  vi  riuscì  ot- 
timo. Il  Bartoli  lo  disse  egregio  anche  nelle  parti  di  tragedia, 
e  mediocremente  addestrato  nell'arte  del  canto. 

Valentini  Rosa,  detta  la  Diana,  fu  moglie  del  precedente, 
e  nacque  -  dice  il  Bartoli  -  in  Polonia,  <  mentre  la  madre  sua 
trattenevasi  al  servizio  di  quel  monarca,  da  lui  cotanto  favorita, 
che  donoUe  il  suo  proprio  ritratto  tempestato  di  gemme  d'ine- 
stimabil  valore.  > 

Cresciuta  in  bellezza  (vuoisi  che  dalla  maestà  di  tutta  la 
persona,  e  dalla  ricchezza  dei  biondi  capegli  trasparisse  la  no- 
biltà del  seme  di  cui  dicevasi  frutto),  e  divenuta  artista  pre- 
clara, si  sposò  a  Giovanni  Valentini,  percorrendo  con  lui  l'Ita- 
lia, ammiratissima  e  per  le  doti  fisiche,  e  per  le  artistiche.  Morì 
a  Bologna  il  1 760  circa,  a  soli  trentasei  anni.  (V.  Diana  (della) 
Silvio). 

Valentini  Margherita.  Lodigiana,  seconda  moglie  del  pre- 
cedente, fu  da  lui  educata  all'arte  del  canto,  in  cui  riuscì  egre- 
gia, cantando  con  molta  grazia  in  vari  intermezzi.  Recitò  anche 
le  parti  di  serva  ed  altre,  ma  assai  più  valse,  e  fu  generalmente 
assai  più  apprezzata,  nella  musica. 

Valeriani  Serafino^  bolognese.  Fu  ^rìmdi Innamorato  negli 
accademici  della  città,  poi  Dottore  in  arte,  cominciando  con 
compagnie  secondarie,  e  passando  poi  con  quelle  di  Pietro  Fer- 
rari e  del  Menichelli.  Fr.  Bartoli  lo  dice  «  comico  abile  ancora 


6l6  VALERIANI  -  VALERINI 


(1781)  per  recitare  qualche  parte  seria,  e  può  essere  fatto  de- 
gno di  qualche  applauso.  >  Ma  lo  rivediam  Dottore  con  la  Co- 
leoni  l'autunno  del  1795  al  S.  Cassiano  di  Venezia. 

Valermi  Adriano.  Gentiluomo  e  dottore  veronese.  Comico, 
istoriografo  e  poeta  egregio,  del  quale  si  discorre  distesamente 
al  nome  di  Vincenza  Armani,  fiorì  nella  seconda  metà  del  se- 
colo XVI,  recitando  le  parti  di  Innamorato  sotto  il  nome  di  Au- 
relio. Domenico  Bruni  dice  di  lui,  che  fu  peritissimo  nelle  let- 
tere greche  e  latine;  e  con  tuttociò  in  iscena  non  avendo  quella 
grazia  che  si  aspettava,  benché  di  bellissima  presenza  fosse,  non 
ispaventava  Orazio  Nobili  (V.),  l'altro  innamorato  della  Compa- 
gnia de' Gelosi.  Dell'arte  sua  e  del  suo  valor  letterario  testi- 
moniaron  l'Andreini,  Francesco  Bartoli,  il  Quadrio,  e  più  tardi 
Adolfo  Bartoli  che  lo  chiama  uomo  colto  e  di  gusto  non  inferiore 
a  molti  scrittori  del  tempo  suo.  Fu  amante  appassionato  di  Lidia 
da  Bagnacavallo,  poi  dell' Armani,  morta  avvelenata  in  Cre- 
mona. Dopo  di  essere  stato  co'  Gelosi  (V.  Andreini  Francesco) 
lo  troviamo  conduttore  di  una  Compagnia  a  Milano  il  1583, 
della  quale  eran  parte  il  pantalone  Braga  e  lo  Zanni  Pedrolino 
(Felesini).  Di  quella  stagione  il  Beltrame  Barbieri  nel  Capi- 
tolo XXXVI  della  sua  Supplica  ci  dà  la  seguente  notizia  : 

Si  trovava  in  Verona  la  Compagnia  del  Signor  Adriano  Vallerini  Comico  genti- 
Ihuomo  di  qnella  Città,  Dottore  et  assai  buon  Poeta  Latino,  e  volgare:  e  l'Eccellentis- 
simo Signor  Gonematore  di  Milano  innitò  quella  Compagnia  à  dar  trattenimento  à  quella 
Città  ;  i  Comici  accettarono  l' innito,  et  arrìnati  che  furono,  e  fatto  la  prima  Coraedia,  fu 
loro  leuata  la  licenza  dall' istesso  Sig.  Gouematore,  e  mandato  danari  perchè  tornassero 
à  Verona  ;  i  Comici  per  ciò  attoniti  ricorsero  dal  Sig.  Gouernatore  chiedendoli  la  cagione, 
non  sapendo  in  che  haueuano  errato  d'haver  vn  tal  affronto:  rispose  quello,  che  certi 
gli  haueuano  detto  esser  la  Comedia  azzione  di  peccato  mortale,  e  che  gli  aueuano  mo- 
strato quello,  che  ne  scriueua  il  loro  Arciuescouo  :  i  Comici  cominciarono  à  dire  le  loro 
ragioni,  ma  il  Sig.  Gouematore  disse,  andate  dal  Sig.  Cardinale,  et  aggiustateui  seco,  che 
per  me  hauerò  gusto  d' vdir  .qualche  volta  questa  Compagnia,  che  mi  piace  ;  ma  non  voglio 
commetter  peccato  mortale  ;  e  cosi  i  Comici  ricorsero  dal  buon  Pastore,  e  furono  sabito 
introdotti,  atteso  che  quelli  istessi,  che  haueuano  parlato,  erano  in  quell'hora  all'udienza 
dando  parte  al  Superiore  di  quanto  haueuano  fatto  col  Sig.  Gouematore.  H  buon  Prelato 
ascoltò  le  ragioni  de' Comici:  non  mancauano  li  dua  di  portar  Testi  contro  le  Comedie, 
e  non  voleuano,  che  i  Comici  altercassero  ragioni;  quasi  volendo  che  l'autorità  dell' habito 
potesse  far  autentica  legge  alle  loro  opinioni  :  ma  1*  amoreuole  Superiore  diceua,  lasciateli 


VALERINI 


617 


dire,  il  donere  è,  cb'ogn'vno  die*  U  loa  ragione;  ma  perchi  U  com  andatu  in  Inngo, 
si  trasportò  Ìl  Tseionaroe  all'altro  giorno;  e  cod  il  gìonio  seguente  all'hora  depatata  com- 
pamero  i  Comici  cod  1' aatorìtl  legnata  ne' libri,  e  cosi  fecero  gl'altri  che  li  tronarono 
innitati,  chi  da  vn*  parte,  e  chi  dall'altra,  oae  che  li  contralto  vn  peno,  io  vltimo  il 
benedetto  Cardinale  decretò,  che  si  potesse  recitar  Comedie  nella  sua  diocesi,  oneruando 


però  ìl  modo  che  aerine  San  Tomaio  d'Aquino;  et  impoie  à  Comici  che  mostrauero  i 
Scenari]  delle  loro  comedie  giorno  per  giorno  al  ino  foro,  e  cosi  ne  fnrono  dal  detto  Santo, 
e  dal  nio  Reoerendissimo  Signor  Vicario  molti  sotlo*crittÌ,  ma  in  breue  i  molti  ■ffarì  di 
qoell' Vffizio,  fece  tralasciar  l'ordine,  giurando  i  Comici,  che  non  sarebbero  slati  gli  altri 
■nggetti  meno  honestì  dei  rinednti  :  il  Braga  (cod  chJanuuia  il  Pantalone  di  quella  Compa- 
gnia) et  il  Fedrolino  hanenano  ancora  (e  non  è  molto)  di  qnei  «aggetti,  ò  siano  Scenarìj 
di  Comedie  sottoscritti,  e  qnelli  segnati  da  San  Carlo,  si  tengono  custoditi,  e  nella  Com- 
pagnia, oue  bora  sono  vi  è  chi  ne  ha  due,  e  li  tiene  i  casa  per  non  lì  smarrire.  H  De- 
creto i  nell'AicìnescotiBto  di  Milano,  chi  baneue  curiositi  di  vederlo,  tu  fatto  tre  anni 
in  circa  ananti  1»  motte  del  Glorioso  Santo,  e  presto  li  potr&  tronare. 


ÌS.—  !Ccm, 


I.  Voi.  I 


6i8  VALERINI 


Secondo  Adolfo  Bartoli  sarebbe  stata  quella  la  Compagnia 
degli  Uniti,  che  si  erano  formati,  —  egli  dice  —  sotto  la  direzione 
di  Adriano  Valerini  nel  1580  circa.  Può  essere.  È  certo  però 
che  il  Valerini  non  ne  faceva  più  parte  nell'aprile  dell' '84,  se- 
condo r  elenco  che  abbiam  dato  al  nome  di  Pelesini. 

Il  Valerini  pubblicò  : 

Afrodite.  Nova  tragedia,  dedicata  ali* Illustrissimo  Signore  il  Conte  Paolo  Ca- 
nossa. Verona,  Sebastiano  e  Giovanni  dalle  Donne  fratelli,  1578,  da 
cui  è  tolto  il  presente  ritratto. 

Cento  Madrigali,  dedicati  al  M.  Illustre  Sig.  il  Sig,  Conte  Marco  Verità,  con 
alcune  annotazioni  del  signor  Fulvio  Vicomani  da  Camerino  in  alquanti 
dei  Madrigali.  Verona,  M.D.XCII.  Nella  Stamperia  di  Girolamo  di- 
scepolo. 

Oratione  in  morte  della  Divina  Signora  Vincenza  Armani  (V.),  Comica  eccel- 
lentissima. Verona,  per  Bastian  dalle  Donne,  et  Giovanni  fratelli,  1570? 

Le  bellezze  di  Verona.  Ivi  1586,  dov'egli  -  dice  Adolfo  Bartoli  -  cita  scrit- 
tori greci  e  latini  e  dove  dà  prova  di  una  erudizione  storica  non  comune. 

Della  sua  prosa  s' è  dato  largo  esempio  al  nome  delPAr- 
mani,  ove  il  lettore  troverà  gran  parte  dell'orazione  funebre  in 
morte  di  lei.  Della  poesia  diam  come  saggio  un  sonetto  alla 
stessa,  alcuni  madrigali  amorosi,  e  il  coro  dell'Imeneo  che 
chiude  il  primo  atto  di  Afrodite. 

Da  quella  conca  avventurosa  e  bella 

che  fuor  deironde  Tairna  Dea  di  Gnido 
allor  portò,  che  dal  Mar  nacque,  al  Lido, 
degna  d'esser  nel  Ciel  fatta  una  stella: 

tolse  le  perle  rilucenti,  e  in  quella 
bocca  le  pose  di  sua  man  Cupido, 
cagion  che  da  me  stesso  io  mi  divido, 
qualor  si  dolce  ride  ovver  favella. 

Quinci  deir armonia  s'ode  dal  cielo 
vera  imagine  uscir,  esempio  vero, 
ch'unqua  all'orecchie  dei  mortai  non  venne. 

Quindi  pon  dell' obho  squarciar  il  velo 
l'alme,  e  membrando  il  nido  lor  primiero 
per  voi  Vincenza  al  Ciel  spiegar  le  penne. 


VALERINI  619 


MADRIGALI 


Or  ch'altro  scampo  al  mio  martir  non  trono, 
Spero  che  il  Tempo  mi  darà  salute, 
Voi  della  giouentute 
Priuando  e  me  d'affanni, 
E  spiegarà  l'insegne  fra  poch'anni 
Nel  vostro  vago  volto, 
Al  qual  tosto  che  tolto 
Haurà  le  rose  fresche,  e  matutine, 
Torrà  fors'anco  a  me  del  cor  le  spine. 

vn 

Vanne  picciol  mio  parto 

Se  ben  pochi  ornamenti  hai  dentro,  e  fuore, 
In  mano  a  lei,  eh' è  de  l'Italia  honore; 
Cosi  t'auesse,  acciò  le  fossi  grato, 
Orfeo  composto,  e  Dedalo  legato, 

0  almen  fosse  a  l'Autore 

D'esser  il  libro  suo  dal  Ciel  concesso, 

Per  viuer  sempre  a  si  gran  Donna  appresso. 

Annotazione 

Mandò  il  Valerìni  a  donar  alla  sua  Donna  la  Galena  di  Minerua,  libro  da  Ini  com- 
posto e  dedicato  al  Serenissimo  Sig.  Duca  di  Mantoa,  et  di  sua  mano  scrisse  questo  Ma- 
drigale in  fronte  dell'opera. 

LV 

Sono  il  Tempio  di  Giano 

1  bei  vostr*  occhi,  i  quali  chiusi  essendo 
M'apportan  pace;  ma  se  questi  aprendo 
Folgorate  gli  sguardi  in  me  turbati. 
D'ira  e  di  foco  armati. 

Marte  l'empio  Furor  scatena,  e  sferra, 
E  la  mia  pace  si  rivolge  in  guerra. 

LXVI 

Rubò  Prometeo  il  foco 
À  le  ruote  del  Sole, 
Per  farne  parte  a  la  mondana  prole; 


620  VALERINI 


Rapì  Tantalo  a  Gioue 
Il  Nettare,  e  l'Ambrosia;  ma  toglieste 
Gli  alti  concenti,  e  l'armonia  celeste 
Voi  Madonna  a  le  Stelle,  et  a  le  none 
Sfere  superne;  e'I  furto  riteneste 
Dentro  le  labra:  né  per  questo  sete 
Con  fame  eterna,  e  con  perpetua  sete 
Punita  ne  l'inferno,  o  nel  Caucaso, 
^la  fatta  habitatrice  di  Parnaso. 


A  DONNA  MARITATA 

xcv 

L'altra  notte  io  sognai^  quando  le  stelle 
Dan  loco  al  vicin  giorno,  di  tenerti 
Stretta  ne  le  mie  braccia,  e  di  goderti; 
Fa  che  non  passi  il  sogno 
Per  l'Auorio  ben  mio  de  i  denti  tuoi. 
Perchè  saria  fallace; 
Se  vuoi  ch'eì  sia  verace. 
Soccorri  al  mio  bisogno, 
E  passi  il  Sonno  per  la  fronte  poi 
Del  tuo  marito  adorno. 
Ch'ini  la  porta  trouerà  di  Corno. 

Annotazione 

Narra  Homero  nel  fine  del  dedmo  nono  dell'Odissea  il  sonno  haner  dne  porte, 
r  vna  d'Auorio,  l' altra  di  Como,  per  la  porta  d'Auorio  passano  i  sogni  falsi,  per  quella 
di  Como  i  veri. 


CORO 

Sacrosanto  Himeneo, 

Che  alberghi  in  Helicona 
Con  la  tua  casta  madre, 
Là  doue  il  Pegaseo 
Fonte,  le  dotte  squadre 


VALERINI  621 


De  i  Cigni  a  bere  inuita, 

Per  c'habbin  la  corona 

Dal  figlio  di  Latona, 

Di  quella  fronde,  ch'ha  perpetua  uita, 

E  d'essa  ornati  poi, 

Cantin  la  gloria  de  gli  eccelsi  Heroi. 

Vago  Himeneo  gentile 
À  l'honestade  amico, 
Che  il  bel  uirgineo  nodo 
Al  sesso  feminile 
Sciogliendo,  in  dolce  modo 
Diverso  il  leghi,  e  serbi 
Il  nome  suo  pudico, 
E  col  tuo  giogo  antico 
Vinci  gli  animi  indomiti,  e  superbi.. 
Che  in  bella  coppia  vniti 
Quai  diuengono  mogli,  e  quai  mariti. 

Tu  di  duo  cori  un  core, 
E  un'Alma  fai  di  due, 
Di  due  voglie  vna  voglia. 
Mentre  per  far  minore 
L'aspra  eccessiua  doglia 
De  la  ulta  mortale. 
Le  noie  e  pene  sue 
Comparti  in  amendue, 
Ond'è  più  lieue  a  sofFerirsi  il  male. 
Né  men  le  gioie,  e  i  risi 
Hanno  in  commun  ne  i  tuoi  beati  Elisi. 

Questa  è  la  Coppia  uera, 
Che  quale  Hermafrodito 
Non  pur  duo  Corpi  insieme 
Ma  l'Alme  vnisce,  e  intiera 
Fa  vna  sostanza,  e  un  seme. 
O  dolce,  e  bel  legame, 
Che  fosti  in  Cielo  ordito 
Per  man  de  l'infinito 
E  sempiterno  Amor,  di  quello  stame, 
Che  il  viuer  volge  ancora, 
Tal  che  a  scioglierti  un  huom,  conuien  che  mora. 


622  VALERINI  -  VANNINI 

Tu  Dio  lieto,  e  benigno, 
Polinnio,  &  Afrodite 
Talmente  insieme  annoda, 
Che  influsso  empio  e  maligno, 
O  rio  voler  non  goda 
Vederli  vnqua  disciolti. 
Né  mai  Discordia,  o  lite, 
De  le  lor  dolci  vite 

Turbi  il  tranquillo;  o*l  bel  seren  de  i  volti; 
Ma  amor  e  pace  scorte 
Sian  del  vital  lor  corso  in  fin  a  morte. 


Valsecchi  Angelo,  caffettiere  veneziano,  cominciò  col  farsi 
ammirare  da'  clienti  di  bottega  come  imitatore  perfetto  del  ce- 
lebre Petronio  Zanerini,  indi  si  scritturò  come  Innamorato  in 
Compagnia  di  Giuseppe  Lapy,  al  posto  di  Tommaso  Grandi, 
riuscendo  attore  gradito  non  solo  a*  pubblici  di  terraferma,  ma 
ancora  di  Venezia,  ove  fu,  al  S.  Angelo,  l'autunno  del  1775. 
Fu  poi  con  la  Battaglia,  e  sostituì  egregiamente  il  D'Arbes 
nella  maschera  del  Pantalone.  Di  bella  persona  e  di  bella  voce, 
d'ingegno  svegliato,  e  perseverante  nello  studio,  fu  attore  am- 
miratissimo  nel  tragico  e  nel  comico,  nelle  parti  di  giovine  e 
in  quelle  di  vecchio,  nelle  quali  -  scrive  Fr.  Bartoli  -  <  mostra- 
vasi  tanto  d'esser  investito,  che  non  poteasi  desiderare  in  lui 
una  miglior  perfezione.  > 

Il  Bartoli  cita  anche  una  sua  <  Rappresentazione  d' argo- 
mento spagnolo  scritta  in  versi  sciolti,  intitolata:  HUsurpator 
d' Aragona;  che  fu  recitata  replicatamente  nel  Teatro  di  San 
Gio.  Grisostomo.  > 

Vannini  Gio.  Battista.  È  questi  senza  dubbio  quel  Bat- 

.  tista  da  Rimino  (V),  Zanne  dei  Confidenti,  citato  dal  Rossi  nel 
discorso  a' lettori  che  precede  \diFiam?nella,  Il  dottor  Paglicci- 
Brozzi  pubblicò  {Scena  ili"  del  15  ottobre  1890)  una  Supplica- 
tione  di  lui  al  marchese  d'Ayamonte  don  Antonio  de  Guzman 
governatore  per  Sua  Maestà  Cattolica  in  Italia,  in  data  25  di 


VANNINI  -  VARINI  623 


giugno  1574,  la  quale  comincia:  «  AUi  giorni  passati  essendo 
a  Cremona  la  Compagnia  dei  Comici  Confidenti,  et  fra  loro  il 
fidelissimo  servo  di  V.  E.  Battista  Vanino  da  Rimino,  qual  fa 
la  persona  del  Zanni,  qual' è  principalissima  et  necessaria  nella 
comedia....  >  Essa  ci  avverte  essere  stati  i  Confidenti  (V.  Scala), 
in  quell'anno  1574,  a  Cremona,  a  Pavia,  a  Milano;  nella  qual 
magnifica  città,  supplica  il  Vannini  sia  transferito  il  suo  pro- 
cesso; generato  dall'avere  egli  ajutato  un  ragazzo  di  XII  anni 
a  discendere  da  un  solajo  ov' erasi  rifugiato  alla  vista  degli 
sbirri,  andati  <  al  luoco  di  la  comedia,  per  prendere  alchuni 
sospecti  d'eàser  latri,  etc. >  La  supplica  ha  in  calce:  <  Il  Po- 
destà di  Cremona  faccia  giustizia.  >  Firmato  Neyra. 

Vanni  Emilia,  di  Pallanza,  figlia  di  Pietro  Varini  e  Leo- 
polda Bemacchi,  formatosi  un  buon  corredo  di  studi  ora  in 
collegio,  ora  colle  istitutrici  in  casa,  fu  condotta  giovinetta  a 
Milano,  ove  mostrò  casualmente  molte  attitudini  alla  scena, 
recitando  in  privato  una  commediola  in  francese.  Sentite  a  Mi- 
lano la  Duse  e  Sarah  Bernardt,  ella,  che  non  avea  mai  pensato 
al  teatro,  vi  fu  ad  un  tratto  sospinta,  e  si  diede  a  studiar  con 
Giacosa  prima,  poi  con  Monti,  esordendo  dopo  un  anno  di  pre- 
parazione in  Compagnia  Zacconi-Pilotto  a  Verona  colla  parte 
di  Elena  in  Resa  a  discrezione.  Passò  prima  attrice  giovine  con 
Maggi,  poi  con  Emanuel,  poi  con  Ferrati,  per  tornar  nel  '97 
con  Ermete  Zacconi,  con  cui  stette  circa  due  anni,  dopo  i  quali 
restò  alcun  tempo  in  riposo.  Il  settembre  del  '99  andò  a  sup- 
plire Irma  Gramatica  in  Compagnia  Raspantini,  poi  (1900), 
tentò  il  capocomicato  con  poca  fortuna.  Fu  a  tutto  il  '902  con 
Eleonora  Duse,  per  passar  l'anno  veniente  in  Compagnia  Berti- 
Masi,  poi  di  Ettore  Berti,  nella  quale  si  trova  anche  oggi  (i  904), 
col  suo  ruolo  di  prima  attrice  assoluta,  Emilia  Varini  è  donna  di 
fine  intelligenza  artistica;  alla  quale  forse  non  sempre  rispon- 
dono le  qualità  esteriori. 

Non  poche  parti,  nullameno,  le  diedero  buon  nome,  co- 
minciando da  quelle  dei  Diritti  dell'anima  e  di  Anime  solitarie 


6*4 


VARINI  -  VEDOVA 


ch'ella  interpetrò  lodevolmente  all'inizio  della  sua  vita  arti- 
stica, e  terminando  col  Malaiestino  in  Francesca  da  Rimini  di 
D'Annunzio,  che  seppe  esprimere  con  colorito  vigoroso.  Oggi 


s*è  data  quasi  esclusivamente  al  repertorio  d'annunziano,  e  sì 
fa  molto  ammirare  così  in  Francesca  (protagonista),  come  in 
Gioconda  (Silvia  Settala). 

Una  sua  sorella  minore,  Olga,  s'è  pur  data  all'arte  dram- 
matica, e  oggi  è  gentile  ornamento  della  Compagnia  Caimmi- 
Zoncada. 


Vedova  Nicola»  di  Venezia,  figlio  di  Pietro  (V.  Botteghini), 
fu  prima  ufficiai  dì  marina  al  servizio  di  quella  repubblica,  ca- 


VEDOVA  625 


duta  la  quale  si  diede  all'  arte  della  scena,  in  cui,  mercè  di  una 
figura  maestosa,  di  una  voce  possente,  di  una  memoria  di  ferro, 
riuscì  in  breve  il  più  rinomato  de'  tiranni  da  teatro  diurno.  AU 
tila  Flagello  di  Dio,  Ezzelino  da  Romano,  Fazio  nel  Ratto  delle 
Sabine,  Talbot  nella  Giovanna  et  Arco,  e  moltissime  altre  parti 
furon  da  lui  interpetrate  alla  perfezione,  e  nessun  attore  potè 
vantarsi  mai  di  avere  nella  sua  beneficiata  un  incasso  maggiore 
di  quello  che  nella  sua  beneficiata  aveva  il  Vedova;  il  quale  se 
sollevava  all'entusiasmo  il  popolino  delle  recite  diurne,  era  an- 
che molto  apprezzato  in  quelle  serali,  dal  pubblico  eletto,  come 
padre  nobile,  non  che  come  attor  di  tragedia.  Fu  con  le  mi- 
gliori Compagnie  d'Italia  scritturato,  poi  socio  del  Dorati  e  del 
vecchio  Pieri,  poi  di  nuovo  scritturato  con  Francesco  Taddei, 
e  di  nuovo  socio  (1829)  con  Gaetano  e  Antonio  Colomberti, 
artista  anche  allora  di  gran  pregio,  sebben  già  in  età  avanzata. 
Morì  a  Bologna  verso  il  1 840.  Mentr'  era  col  Ràftopulo  a  Ve- 
nezia il  1821,  il  Giornale  de*  teairi  scrisse  di  lui  che  non  avea 
voce  adattata  al  rango  che  sosteneva;  che  mancava  di  gesto 
tragico,  e  si  dimostrava  sempre  truce  ne' suoi  atti,  quand'anche 
l'uopo  noi  richiedesse.... 

Secondo  la  leggenda  del  palcoscenico,  il  Vedova  fu  il 
più  ignorante  uomo  del  mondo;  e  si  vuole  che  un  giorno 
(già  da  tempo  era  impensierito  per  la  scelta  della  beneficiata) 
si  recasse  alla  prova  con  un  libro  sotto  al  braccio,  scla- 
mando: r ho  trovada,  l'ho  trovada,  un  po'  lungheta,  ma  tagia- 
remo.  Piena  sicura/  Era  la  Divina  Commedia.  E  vuoisi  an- 
che fosse  lui,  che  solea  dire  di  sé:  mi  son  el  primo  tirano 
dopo  Cristo. 

Ma  tali  aneddoti  e  la  critica  del  giornaletto  veneziano  sono 
in  aperta  contraddizione  col  giudizio  che  ne  dà  il  Colomberti, 
attore  provetto,  e  del  Vedova  conoscitore  esperto.  Egli  non 
solamente  lo  ammira  come  tiranno,  padre  nobile  e  attore  tra- 
gico, ma  lo  dice  rispettoso  del  pubblico  e  di  sé;  abbigliato 
sempre  irreprensibilmente,  e  disputato  da' più  accreditati  ca- 
pocomici. 

79.  —  /  Comici  italiani.  VoL  IL 


VEDOVA  -  VELLI 

Vedova-Ristori  Giulia*  sorella  del  precedente  e  moglie 
di  Enrico  Ristori,  fratello  della  cele- 
bre Adelaide,  nacque  in  Alessandria 
di  Piemonte  il  24  giugno  1826,  e  fu 
artista  di  qualità  egregie.  La  vediam 
^^^^^^^^^  prima  attrùe  il  1854-55  della  Compa- 

^^^^^^^^^^H^      gnia  di  Cesare  Asti,  e  i  giornali  del 
^^^^^^^^^^^^B      tempo  hanno  molte  parole  di  lode  pel 
^^^^^^^^^^^^H      suo  metodo  squisito  sì  nella  comme- 
^^^Bbmmj^^^^^^^     dia,  sì  nel  dramma,  per  la  voce  insi- 
!pi^^^^^B|a^^^^      nuante,  per  la  verità,  l'intelligenza,  la 
^'Tw^r^n  ^r  passione.  II  suo  accento  -  dicono  — 

'  commoveva  anche  nelle  mezze  tinte, 

anche  in  quelle  piccole  nuances  d'  un 
carattere,  sulle  quali  molte  altre  sorvolano,  e  che  ella  affer- 
rava e  coloriva  a  meraviglia.  Morì  a  Firenze  ÌI  31  marzo 
del  igoo. 

Velli  Luigi,  veronese,  ebbe  da'  suoi  parenti  una  educazione 
compiuta;  e  laureatosi  in  legge,  sorpassò  per  sapere  e  intelli- 
genza tutti  i  giovani  praticanti  nello  studio  di  un  celebre  av- 
vocato della  città.  Ma  l'amor  della  poesia  in  genere  e  della 
rappresentativa  in  ispecie.  Io  fece  abbandonar  per  questa  foro 
e  pandette.  «  I  suoi  naturali  talenti  —  si  scriveva  il  1821  nelle 
Varietà  featrali  di  Venezia  -r  la  sua  coltura,  e  la  prontezza  del 
suo  spirito,  giunti  che  sìeno  a  farsi  conoscere  dal  pubblico,  mi- 
rabilmente coprono  lo  svantaggio  in  lui  di  una  voce  monotona 
e  non  insinuante,  e  di  uno  sceneggio  sovente,  se  naturale,  troppo 
confidenziale,  se  nobile,  troppo  ricercato.  > 

Velli  Carolina.  Moglie  del  precedente,  romana,  fu  ottima 
attrice  per  le  parti  di  madre  e  caratteristica,  che  -  dicon  le  Va- 
rietà teatrali  del  1 82 1  -  se  nelle  parti  di  madre  può  dirsi  abile, 
nelle  caratteristiche  non  si  esagera  nel  dirla  a  niun'altra  se- 
conda. 


VENIER  627 


Venier  Angiolo,  di  Verona,  fu  un  ottimo  primo  attor  gio- 
vine, e  rappresentò  pel  primo  a  Venezia  al  S.  Gio.  Grisostomo, 
quand'  era  in  Compagnia  Battaglia  primo  attore  a  vicenda  con 
Bellini,  dodici  sere  V Elena  e  Gerardo,  e  venti  la  Ginevra  di  Sco- 
zia di  Pindemonti,  nella  quale  ultima  sosteneva  mirabilmente 
la  parte  di  Ariodante.  Sposò  dopo  alcuni  anni  Caterina,  e  fu 
assieme  a  lei  prima  con  Gaetano  Asprucci,  poi  in  società  con 
Luigi  Vestri  per  gli  anni  181 7-1 8-19-20,  ove  passò  al  ruolo  di 
padre.  Scritturato  il  Vestri  con  Fabbrichesi  a  Napoli,  Angiolo 
Venier  entrò  nella  Compagnia  Blanes,  con  cui  stette  fin  a  tutto 
il  '24;  poi,  solo,  in  quella  di  Mario  Internari  pel  ^25.  Dopo  si 
ritirò  colla  moglie  a  Verona  presso  il  figliuolo  Pietro,  già 
grande,  pittore  e  scenografo  reputato,  abbandonando  il  teatro. 
Ma,  lei  morta,  egli  vi  tornò,  e  lo  troviam  padre  nobile  il  '33- 
'34-'35  nella  Compagnia  Romagnoli-Berlaffa,  insieme  alla  figlia 
Maria  Berlaffa  e  a  un  figlio,  Eugenio,  che  era  prima  al  Teatro 
Nota  di  Lucca,  generico,  poi  al  Teatro  del  Giglio  della  stessa 
città,  amoroso. 

Venier  Caterina,  moglie  del  precedente,  figlia  di  comici, 
fu  dapprima  un'  egregia  servetta,  poi  una  egregia  prima  attrice 
giovine,  doventando  poi  di  sbalzo  non  meno  egregia  prima  at- 
trice, in  sostituzione  della  rinomata  Cesari-Asprucci,  venuta  a 
morte  quand'  era  col  marito  nella  stessa  Compagnia.  Fu  sem- 
.  pre  con  lui  a  tutto  il  '24,  cominciando  a  recitare  le  parti  di 
madre  in  Compagnia  Vestri.  Il  '25,  scritturato  il  Venier  col- 
rinternari,  ella  si  scritturò  con  Tommaso  Zocchi;  poi  si  riuniron 
di  nuovo,  fuor  delle  scene  in  Verona,  città  natale  del  marito, 
dov'ella  morì  verso  il  1830. 

Venier-BeriaflFa  Maria,  sorella  del  precedente.  Nella  prima 
parte  del  primo  tomo  dei  Teatri  (1827),  G.  Ferrano  ha  parole 
di  molto  encomio  per  questa  artista,  che  se  fu  egregia  nelle 
parti  di  prima  attrice  giovine  e  di  seconda  donna,  che  sostenne 
in  Compagnia  Goldoni-Riva,  poi  nella  società  Bon-Romagnoli- 


6a8  VENIER  -  VENTURA 


Berlaffa,  non  la  fu  meno  in  quelle  di  madre,  che  assunse  in 
età  ancor  giovanile.  Dopo  molti  anni  di  professione,  si  ritirò 
presso  il  fratello  Pietro  a  Napoli,  dove  morì,  non  si  sa  quando 
precisamente. 

Venini  Fedele.  E  citato  da  Fr.  Bartoli  come  capocomico 
e  attore  sotto  la  maschera  di  Arlecchino,  in  cui  si  mostrò  va- 
lente, e  in  caratteri  caricati  nelle  studiate  rappresentazioni. 
Condusse  molti  anni  compagnia,  e  morì  del  1781  in  Piemonte. 

Ventura  Battista,  detto  il  Beccaro,  recitava  le  parti  di 
Pantalone  sulla  metà  del  secolo  xvii  ;  e  un  famigliare  del  Prin- 
cipe di  Modena,  D.  Giovanni  Parenti,  gli  scrive  in  data  6  marzo 
del  1655  da  Venetia,  che  ha  <  trattato  col  medesimo  (Ventura) 
facendoli  conoscere  la  gratia  che  vuol  farli  S.  A.  col  agregarlo 
nella  Compagnia  delli  di  lei  Comici,  e  veramente  da  questo  con 
ogni  prontezza  ne  ha  riportata  la  parola,  et  assenso.  Reveren- 
temente  solo  supplica  S.  A.  Ser.™*,  di  due  parole  in  iscritto, 
acciò  queste  gl'habbino  à  servir  per  riparo  in  caso  che  qual- 
ch'uno  lo  volesse  violentare  ad  altro  impegno....» 

Ventura  Giovanni,  milanese,  nato  il  6  luglio  del  1 800,  fu 
tra' più  colti  e  popolari  attori  drammatici  del  suo  tempo,  e  forse 
il  più  colto  e  popolare  dopo  Modena.  Dettò  versi  in  dialetto  mi- 
lanese, e  in  lingua  (Milano,  Fr.  Vallardi,  1859;  Bologna,  Gavazzi, 
s.  d.),  che  per  la  molta  soavità  lo  alzarono  al  grado  di  degno 
successore  di  Tommaso  Grossi.  Nato  di  padre  orologiajo,  non 
volle  continuar  l'arte  paterna,  e  si  diede  al  teatro,  scritturandosi 
amoroso  nella  Compagnia  Reale  Sarda  il  1827,  al  posto  di  Vin- 
cenzo Monti,  nella  quale  stette  fin  oltre  il  '40.  Il  Costetti  ne  lo 
fa  uscire  il  '43,  sostituito  da  Pietro  Boccomini,  ma  è  questo  er- 
rore evidente,  giacché  lo  vediamo  per  Tanno  '41 -'4 2  primo  at- 
tore assoluto  della  Compagnia  Giardini,  WoUer  e  Belatti,  dalla 
quale  passò  poi  nello  stesso  ruolo  in  quelle  di  Corrado  Ver- 
gnano,  e  di  Angelo  Rosa  con  cui  stette  lungo  tempo.  Dopo  il 


VENTURA 


movimento  politico  del  1848  aveva  emigrato  a  Torino,  dove 
trasse  la  vita  colla  più  modesta  laboriosità,  amato  e  stimato 
da  quanti  ebbero  la  fortuna  di  conoscerlo  personalmente,  e 


à.oy^  finalmente,  il  1852,  dopo  di  aver  anche  provato  le  noje 
del  capocomicato,  si  ritirò  dalle  scene.  Morto  l' attore  Ca- 
nova, gli  successe  nella  cattedra  dì  declamazione  alla  Filo- 
drammatica di  Torino,  sciolta  la  quale,  passò  maestro  di 
declamazione  alla   Filarmonica  Subalpina   della   stessa  città, 


630  VENTURA  -  VENTUROLI 

dov'  ebbe  pur  parte  nella  Commissione  pei  premi  agli  autori 
drammatici. 

Dopo  la  liberazione  di  Milano  rimpatriò,  e  diventò  diret- 
tore di  quella  Filodrammatica,  degno  successore  di  Pietro  An- 
dolfati  e  di  Augusto  Bon.  Io  ho  qui  sott' occhio  la  prolusione 
alle  sue  lezioni  di  arte  drammatica  recitata  nella  solenne  aper- 
tura della  scuola  la  sera  del  9  novembre  1859;  e  molto  mi  ma- 
raviglio che  nulla  vi  apparisca  di  quel  pedante,  che  in  un  maestro 
di  oltre  mezzo  secolo  a  dietro  parrebbe  doversi  inevitabilmente 
trovare. 

Giovanni  Ventura  (il  Colomberti  lo  dice  piccolo  di  statura, 
ma  di  volto  assai  espressivo)  morì  a  Milano  il  19  gennajo  1869. 

Venturino.  (V.  Giovan  Marta  Romano). 

Venturoli  Costantino,  di  Pontelagoscuro,  nato  a' primi  del 
secolo  XIX,  si  aggregò  giovinetto,  per  non  esser  più  a  carico 
della  famiglia  povera,  a  una  piccola  compagnia  comica,  in  qua- 
lità di  porta-ceste,  di  smoccolatore  di  lumi  a  olio,  e,  al  bisogno, 
anche  di  attore.  Sentito  una  volta  recitare  in  una  stamberga 
dal  celebre  Mascherpa,  fu  subito  scritturato  pel  venturo  anno 
in  qualità  di  amoroso,  e  le  sue  prime  prove  furono  disastrose  ; 
ma  il  Mascherpa,  che  fu  per  lui  più  padre  che  capocomico,  lo 
incitò  a  perseverar  nello  studio,  e  lo  riconfermò  per  altri  due 
anni,  ne'  quali  vide  avverarsi  le  previsioni  che  aveva  fatte  sul- 
r  avvenire  artistico  di  lui.  Dopo  il  triennio,  passò  il  Venturoli 
nella  Compagnia  Domeniconi;  e  anche  qui,  al  Valle  di  Roma,  le 
prime  prove  furon  di  fischi  e  corbellature;  ma  poi,  fatto  il  pub- 
blico l'orecchio  a  certe  sue  stridule  intonazioni,  ne  divenne 
in  breve  il  beniamino,  soprattutto  per  la  sua  grande  versatilità, 
mostrandosi  ugualmente  egregio  nella  prosa  e  nel  verso,  nella 
tragedia  e  nella  farsa.  Infatti  egli  fu  de' più  valorosi  primi  at- 
tori e  de' più  valorosi  brillanti  del  suo  tempo;  e  già  le  Varietà 
teatrali  di  Venezia  del  1 821,  quand'egli  era  semplice  generico 
in  Compagnia  lob,  accennano  alle  sue  larghe  promesse.  Lo  ve- 


VENTOROLI- VERATO 


dìam  primo  attore  Ìl  '47  con  Torello  Chiari,  e  caralterisla,  Ìl  '57, 
con  Giovanni  Leigheb,  e  dal  '59  al  '64  con  Francesco  Sterni. 
Morì  il  '70  a  Pisa. 


Verato  Battista,  ferrarese.  Di  lui  dice  il  Quadrio  (voi.  V, 
pag.  237):  «  Datosi  alla  professione  comica,  riuscì  eccellente 


632  VERATO 


e  famoso  per  modo,  ch'egli  fu  senza  dubbio  il  primo  che  al 
suo  tempo  praticasse  le  scene.  La  naturale  facondia,  il  mae- 
stoso e  vago  sembiante,  la  chiara  e  sonora  voce  e  la  rara  gra- 
zia nel  porgere,  tutto  in  lui  concorreva;  onde,  qualunque  per- 
sonaggio ei  facesse  in  scena,  o  ridicolo  o  grave,  tutto  faceva 
a  meraviglia.  Scorse  tutta  l'Italia  e  gran  parte  della  Francia, 
e  ne' più  famosi  teatri  fece  chiarissime  prove  del  suo  valore. 
Ritornato  poi  a  Ferrara  venne  a  morte,  e  fu  sepolto  nella  chiesa 
di  Santo  Spirito,  e  onorato  di  un  nobile  epitaffio  fattogli  da 
Torquato  Tasso.  Scrisse  questo  comico  alcune  regole  per  ac- 
conciamente rappresentare  in  teatro  le  azioni  umane  e  le  per- 
sone d'ogni  sorta.  > 

Dei  viaggi  del  Verato  in  Francia  non  si  hanno,  ch'io  sap- 
pia, non  che  prove,  traccie  di  sorta.  Sappiamo  che  prese  parte 
alla  recitazione  dello  Sfortunato,  pastorale  di  Agostino  Argenti, 
data  il  maggio  del  1567  a  Ferrara;  alle  rappresentazioni  che 
si  fecero  in  Ferrara  il  1 570  per  le  nozze  di  Lucrezia  d'Este  con 
Francesco  Maria  della  Rovere,  Principe  d'  Urbino,  per  le  quali 
furon  pagate  lire  marchesane  19.  o.  io  (V.  Solerti,  //  Teatro 
ferrarese)  ;  e  alla  recitazione  del  Sagrificio  del  Beccari,  data  in 
Sassuolo  nel  1587  con  prologo  del  Guarini,  pel  matrimonio  di 
Pio  di  Savoja,  Signor  di  Sassuolo,  Modena,  Vicenza,  1871;  e 
che,  morto  il  1589,  fu  sepolto  in  Santa  Monica  di  Ferrara. 

Ecco  l'epitaffio  del  Tasso,  non  scritto  dopo  la  morte  del 
Verato  (il  Tasso  avea  già  lasciato  Ferrara  dell'  '86),  ma  men- 
tr'  era  in  vita,  e  a  istanza  sua,  come  si  legge  nella  didascalia  di 
un  codice  estense:  Fatto  ad  instanza  del  Verato  eccellente  istrione: 

Giace  il  Verato  qui,  che  'n  real  veste 
superbo,  od  in  servii  abito  accolto, 
nel  proprio  aspetto,  o  sotto  finto  volto, 
come  volle,  sembrò  Davo  o  Tieste. 

Se  pianse,  e  risonò  funebri  e  meste 
voci,  lagrimò  seco  il  popol  folto: 
la  dura  cena  e  'ndietro  il  sol  rivoho 
parve,  ed  in  nubi  ascoso  atre  e  funeste. 


VERATO  -  VERGNANO  633 

Se  rise,  riser  seco  i  bei  notturni 
teatri  degli  scherzi  e  delle  frodi, 
ed  insieme  ammiraro  il  mastro  e  l'arte: 

or  le  scene  bramar,  bramar  le  carte 
sembran  l'alta  sua  voce  e  i  dolci  modi, 
e  sdegnar  altri  pie  socchi  e  coturni. 

Giovan  Battista  Guarini  intitolò  dal  nome  del  Verato  le 
sue  difese  del  Postar  Fido  contro  Giason  de  Nores. 


Verder  Giovanni,  veronese.  Si  esercitò  prima  co' dilettanti 
della  città,  poi  passò  a  fare  il  comico  intorno  al  1722.  Lo  ve- 
diamo al  S.  Luca  di  Venezia  insieme  ad  Argante  e  a  Pompilio 
Miti,  rappresentare  il  1736  la  parte  di  Florindo  nell'opera:  La 
Clemenza  nella  Vendetta.  Adattò  pel  teatro  un  Orlando  Furioso, 
metà  in  verso  sciolto,  metà  in  istanze,  tolte  qua  e  là  dal  poema 
ariosteo,che  non  fu  mai  stampato;  e  ritiratosi  dalle  scene,  visse 
alcun  tempo,  col  frutto  de*  suoi  risparmj  a  Venezia,  ove  morì 
circa  il  1757.  Fr.  Bartoli  dice  di  lui  che  <fu  comico  di  molta 
abilità,  e  piacque  sulle  venete  scene.  > 

Una  sua  figliuola,  ballerina,  si  ritirò  dal  teatro  per  vestir 
l'abito  religioso. 

Verg^ano  Corrado,  torinese,  fu  uno  de'  più  egregi  artisti 
brillanti  nella  prima  metà  del  secolo  xix,  per  la  correttezza  e 
la  nobiltà  de'  modi.  Il  Diplomatico  senza  saperlo  e  il  Ballandar 
nella  Catena  di  Scribe,  il  Bugiardo  e  altre  parti  di  simil  fatta 
ebbero  in  lui  un  interpetre  unico.  Colto  e  gentile,  s'ebbe  la 
stima  di  quanti  lo  accostarono,  e  la  sua  morte  fu  seguita  dal 
generale  compianto.  Fu  quasi  sempre  capocomico  e  de' più 
pregiati,  e  militaron  con  lui.i  migliori  attori  e  le  migliori 
attrici  del  suo  tempo.  Tuttavia  anche  a  lui  toccò  talvolta  la 
sorte  più  avversa.  Gustavo  Modena  che  s' era  aggregato  alla 
sua  Compagnia,  scrive  a  Calloud  da  Parma  il  20  novembre 
del  '42:  <  La  Compagnia  Vergnano  non  piacque;  e  con  essa, 
te  lo  dico  schietto,  i  Parmigiani  sono  ingiusti.  Questa  Compa- 
so. —  /  Comici  italioMÙ  VoL  II. 


634  VERGNANO  -  VERONESE 

gnia  ha  un'ottima  qualità  complessiva,  dì  tutti,  cioè  :  quella  di 
recitar  la  commedia  naturalmente,  parlando,  e  nessuno  glie  ne 
tien  conto.  »  E  il  Sossaj,  nella  sua  cronaca  (Teatro  Comunale 
di  Modena,  autunno  del  1844),  della  Compagnia  Vergnano  dice: 
«  Tutto  che  composta  di  soggetti  di  merito  discreto,  pure  fu 
assai  mal  corrisposta  dal  pubblico.  I  molti  impegni  lasciati  in 
altre  piazze  e  quelli  incontrati  in  Modena  hanno  prodotta  la 
conseguenza  della  totale  disunione  della  Compagnia,  per  non 
aver  mezzi  di  intraprendere  un  viaggio  e  caricarsi  di  ulteriori 
spese.  Malgrado  l'equipaggio  sequestrato,  i  soggetti  sono  tutti 
qui  requisiti,  meno  il  capocomico  Vergnano,  il  quale  seppe  de- 
stramente sottrarsi  colla  fiiga,  terminata  che  ebbe  la  parte  che 
aveva  nella  comedia.  >  -  Si  recitava  quella  sera  il  4"  atto  di 
Misantropia  e  Pentimento,  poi  il  2°  ^^  Due  Sergenti.  La  Pelzet 
in  una  lettera  a  NiccolÌnÌ  del  27  luglio  1843  da  Bologna  ac- 
cenna alla  rovina  di  Verniano  (sic),  per  opera  della  prosopopea 
della  lob,  la  sua  prima  attrice. 

Sua  moglie,  Francesca,  fu  una  egregia  artista  per  le  parti 
di  servetta,  e  passò,  dopo  la  morte  del  marito  a  seconde  nozze 
col  primo  attore  Cesare  Fabbri  che,  per  la  età,  poteva  esserle 
figliuolo. 

Veronese  Carlo  Antonio,  nato  il  1702 
non  sappiam  precisamente  dove  (il  Campar- 
don  dice  a  Venezia,  Fr.  Bartoli  a  Verona,  e  lo 
Jal  forse  a  Firenze),  cominciò  coU'essere  nelle 
Compagnie  italiane  primo  amoroso,  e  tale  lo  ri- 
trova Carlo  Goldoni  a  Feltre,  attore  e  direttore 
della  Compagnia,  di  cui  faceva  parte  Florindo 
de'  Maccheroni.  Sappiamo  da  esso.Goldoni  che 
il  Veronese  aveva  un  occhio  di  vetro.  Dopo 
alcuni  anni  di  capocomicato  si  scritturò  nella 
Compagnia  di  Antonio  Sacco  a  Venezia,  recitando  sotto  la  ma- 
schera di  Pantalone.  G.  G.  Rousseau  racconta,  nelle  sue  Con- 
fessioni, come,  essendo  segretario  dell'ambasciatore  di  Francia, 


VERONESE  63S 

il  carnovale  1743-44,  con  un  audace  colpo  di  mano  costrinse 
a  recarsi  a  Parigi  per  il  Teatro  Reale  il  Veronese,  Ìl  quale  non 
voleva  tenere  il  contratto,  e  s'era  invece  impegnato  col  Tea- 
tro Giustinian  a  S.  Moisè  di  Venezia.  Il  Loehner  per  altro  non 
guarentirebbe  l'esattezza  di  tale  aneddoto.  Comunque  sia,  il 


¥(t 


Veronese  esordì  in  prova  di  fatto  alla  Comedia  italiana  come 
pantalone  nel  Dotale  mariage  d' Arlequin.  il  6  maggio  1744; 
vi  fu  ricevuto  stabilmente  l'anno  dopo,  e  v'ebbe  promessa  di 
parte  intiera  il  4  novembre  1746.  Fu  attore  mediocre,  e  sì  ha 
sopra  di  lui  la  seguente  quartina: 

Depuis  le  front  jusqu'au  talon, 
tout  s'exprime  dans  Veronése, 
et  le  spectateur  est  fon  aise 
quand  il  voit  venir  Pantalon. 


VERONESE 


Scrisse  molte  commedie  pel  teatro  italiano,  fra  cui  alcune 
diventate  di  moda,  come  Coralità  magicienne  in  5  atti,  Le  Prince 
de  Solerne  in  5  atti,  Les  folies  de  Caroline  in  5  atti,  Les  Deux 
saurs  rivales  in  5  atti,  etc,  etc...  Nel  Principe  di  Salerno,  com- 


media tutta  a  macchinismi,  data  il  1746,  era  un  volo  pericoloso 
che  si  fu  obbligati  a  sopprimere  a  scanso  di  sciagure  :  Arlec- 
chino rapiva  il  Dottore  dal  teatro,  e  spariva  con  lui  da  un  fóro 
nel  soffitto  della  platea,  fatto  per  dar  aria  alla  sala. 

Carlo  Veronese,  uomo  facoltoso  -  dice  Fr.  BartoU  —  che 
accrebbe,  andando  in  Francia,  le  di  lui  fortune,  senza  pagare 
-  aggiunge  il  Loehner  -  i  suoi  debiti  di  Venezia,  ebbe  dal  suo 
matrimonio  con  Lucia  Pierina  Sperotti  cinque  figliuoli,  di  cui 
tre,  Pier  Antonio,  Cammilla  e  Anna  seguiron  l'arte  del  padre; 


VERONESE  637 


e  morì  a  Parigi  il  26  gennajo  1 762  Officier  du  Roy  et  bourgeais 
de  Paris,  sostituito  alla  Comedia  nel  suo  ruolo  di  Pantalone  già 
dal  1 760  da  Antonio  Matteucci  detto  CoUalto  (V.). 

Oltre  al  ritrattino  a  mezzo  busto  che  tolgo  da  L'Opera 
Comique,  metto  qui  la  riproduzione  di  due  disegni  a  matita 
rossa,  segnati  nel  catalogo  Bouchot  della  Biblioteca  Nazionale 
di  Parigi  coi  numeri  527  e  535,  e  così  descritti:  <  Scène  de  la 
Comédie  itali  enne  vers  1730,  où  Tacteur  Alborgheti  dit  Vero- 
nese  est  représenté  jouant  du  violon  devant  des  enfants.  -  Por- 
trait  en  pied  d'un  acteur  de  la  Comédie  italienne,  Alborgheti 
dit  Veronese,  en  costume  de  soldat.  >  Alborghetti  Veronese  ? 
Errore  evidente,  poiché  Veronese  esordì  a  Parigi  -quattor- 
dici anni  dopo  la  morte  dell'eccellente  Pantalone.  Il  Bouchot 
dice:  <  vers  1730.  >  Ma  io  credo  debba  assegnarsi  una  data 
posteriore  ai  due  disegni,  uguali  di  maniera  all'  altro  messo  al 
nome  di  Cammilla  (V.  Veronese  Cammilla)  e  concernenti  certo 
il  Veronese. 

Veronese  Pietro  Antonio  Francesco.  Figlio  del  prece- 
dente, nato  a  Venezia  il  25  marzo  del  1732,  esordì  alla  Comedia 
italiana  il  17  luglio  1754  colla  maschera  di  Dottore  nel  Doublé 
mariage  et Ariequin.  Sebbene  favorevolmente  accolto  dal  pub- 
blico, credette  opportuno  interromper  le  sue  recite  che  riprese 
poi  il  30  marzo  del  1756.  Fu  ricevuto  allora  collo  stipendio 
di  cento  lire  mensili,  portate  poi  il  21  agosto  1759  a  duemila 
annue.  Ma  l'anno  veniente,  per  una  infrazione  al  regolamento 
del  Teatro,  dovette  lasciar  la  Comedia,  e  scritturarsi  in  una 
Compagnia  di  provincia.  Richiamato  il  1763,  gli  furon  pagate 
quattrocento  lire  per  spese  di  viaggio,  e  assegnate  duemila 
quattrocento  lire  annue,  con  la  promessa  di  mezza  parte,  per 
recitare  anzi  tutto  sotto  le  vesti  di  Dottore,  poi  sotto  quelle  di 
Scapino.  Ottenne  il  1767  tre  quarti  di  parte,  e  fii  incaricato  as- 
sieme a  Giambattista  Dehesse,  della  sorveglianza  dei  macchi- 
nismi e  degli  scenari  delle  rappresentazioni  a  spettacolo  del 
genere  italiano. 


638  VERONESE 


Ebbe  in  arte  i  suoi  detrattori  e  i  suoi  ammiratori  ;  ma 
effettivamente,  senza  levar  troppo  alto  grido  di  sé,  sostenne  il 
ruolo  di  Dottore  con  molta  coscienza. 

Fu  due  volte  ammogliato.  Prima  con  Giovanna  Mestre, 
mortagli  il  6  agosto  dell'anno  1766,  poi  con  Giovanna  Mau- 
gras,  o  Naugras,  ch'egli  amava,  vivente  la  prima  moglie,  e 
che  sposò  dopo  di  avere  promesso  con  atto  formale  di  ab- 
bandonare per  sempre  il  teatro.  Al  momento  del  matrimo- 
nio, gli  sposi  riconobbero  un  loro  figliuolo,  per  nome  Pietro 
Lorenzo. 

Pietro  Antonio  Veronese  morì  a  Parigi  il  6  aprile  del- 
l'anno  1776. 

Dal  suo  secondo  matrimonio  ebbe  un  figlio,  il  quale  com- 
parve nella  Féte  du  village  alla  Comedia  italiana,  ancora  bimbo, 
destando  la  stupefazione  di  tutti.  Di  lui  è  detto  nelle  Métnoires 
secrcts:  il  piccolo  Veronese,  figlio  d'un  attore  italiano  noto  col 
nome  di  Dottore  di  cui  ha  sempre  sostenuto  il  ruolo,  ci  ha  dato 
uno  spettacolo  de'  più  curiosi.  Questo  ragazzo  di  sei  o  sette  anni, 
ha  ballato  con  una  forza  e  una  grazia  maravigliose  per  la  sua 
età.  La  sua  sicurezza  e  il  suo  garbo  hanno  incantato  tutti  gli 
spettatori. 

Veronese  Anna»  detta  Corallina.  Sorella  del  precedente, 
nacque  a  Bassano  verso  il  1730  ed  esordì  alla  Comedia  itor 
liana  il  6  maggio  1 744  insieme  a  suo  padre  colla  parte  di  Co- 
lombina nel  Doublé  mariage  d'Arlequin,  dopo  il  quale  eseguiva 
un  passo  a  due  assieme  ad  Anton  Stefano  Balletti.  Sostenne 
poi  la  protagonista  in  Cor  aline  jardinière  ovvero  La  Cotntesse 
par  hasard,  commedia  in  tre  atti  di  suo  padre,  e  in  Corcdine 
esprit  follet,  scenario  in  tre  atti  rimesso  in  scena  dallo  stesso. 
Dell'arte  e  del  successo  di  Anna  Veronese  dicono  i  fratelli 
Parfaict:  <  Una  figura  graziosa,  molta  vivacità,  molto  spirito 
e  molta  gaiezza,  qualità  essenziali  nella  parte  di  servetta,  le 
acquistarono  gran  rinomanza  non  mai  attenuata  in  tutto  il 
tempo  che  recitò.»  D'Origny  dice  che  <  non  si  sapeva  se  am- 


VERONESE  639 


mirar  più  il  suo  ingegno  o  la  sua  bellezza,  »  e  Panard  dettò  per 
lei  i  seguenti  versi  : 

Cet  objet  enchanteur  qu'on  doit  à  l'Italie 
de  trois  divinités  réunit  les  attraits; 
Coraline  offre  sous  ses  traits 
Hébé,  Terpsichore  et  Thalie. 

Fu  dal  suo  esordire  ricevuta  alla  Comedia  italiana  con  sti- 
pendio fisso,  e  nel  1 746  vi  ottenne  un  pò*  di  parte.  Ammessa 
più  tardi  a  parte  intiera,  abbandonò  il  teatro  alla  chiusura 
del  1759  con  mille  lire  di  pensione. 

Un  poeta  anonimo  ha  detto  : 

Coraline,  toujours  nouvelle 
dans  chaque  róle  où  je  la  vois, 
fait  que  je  suis  tout  à  la  fois 
amant  inconstant  et  fidèle. 

Il  suo  ingegno  e  la  sua  bellezza  inspirarono  anche  una 
lunga  poesia  al  Marmontel,  in  cui  è  la  seguente  descrizione 
appetitosa  delle  sue  doti  fisiche.  Dopo  di  aver  toccato  del- 
l'Italia,  la  terra  diagli  eroi,  delle  grazie,  della  poesia,  che  pro- 
dusse Cintia,  Delia  e  Corinna,  si  volge  a  Lucinda  (Personaggio 
di  Voltaire)  e  dice  : 

Mais  crois  mei,  ma  Lucinde,  en  ces  tems  si  vantés, 
si  Ton  t'eùt  vu  paraitre  auprès  de  ces  Beautés, 
avec  cette  fraicheur,  cet  éclat,  ce  scurire, 
cette  bouche  appellant  le  plaisir  qu*elle  inspire, 
ce  corsage  arrendi,  tei  que  l'avait  Psiche 
quand  l'amour  comme  un  lierre  y  semblait  attaché, 
ce  sein  ferme  et  poli  qui  repoussant  la  toile, 
de  son  bouton  de  rose  enfle  et  rougit  le  voile; 
cette  main  que  l'amour  baisait  en  la  formant, 
et  qui  ranimerait  la  cendre  d'un  Amant; 
crois-moi,  dis-je,  Properce,  Ovide,  ni  TibuUe, 
n'auraient  brulé  jamais  que  des  feux  dont  je  brfile, 
et  le  nom  des  beautés  célèbres  dans  leurs  vers, 
n'auraient  jamais  re9u  l'encens  de  l'Univers. 


640  VERONESE 


Ma  i  versi  migliori  le  vennero  da  F.  Gand....,  che  le  de- 
dicò Les  Cot.ifichets  (A  Amsterdam  M  DCC  XLVI)  colla  se- 
guente epistola: 

Fille  de  Terpsicorc,  ornement  du  Théatrc, 
Tei  que  le  public  idolatre, 
et  qui  dans  le  coeur  des  mortels 
S9ais  t'élever  de  solides  Autels: 
Aimable  esprit  follet,  charmante  Coraline, 
dont  les  rares  talens  &  la  beauté  divine, 
sur  tes  pas  ravissans  enchainant  les  Plaisirs, 
font  aussi  par  essains  voltiger  les  desirs: 

Tristes  enfans  de  ma  tendresse, 
mes  malheureux  soupirs  étouffes  dans  la  presse, 

n'ayant  jamais  pénétré  jusqu'à  toi: 
de  ma  muse  en  ce  jour  j'emprunte  le  langage, 
quel  destin  enchanteur  si  son  naif  hommage 
attiroit  tes  regards  &  les  fixoit  sur  moi  ! 
De  ma  timide  verve  accepte  les  prémices, 
l'esprit  n'a  point  de  part  au  don  que  je  t'en  fais  ; 
en  te  consacrant  ces  esquisses 
mon  coeur  seul  en  fait  tous  les  frais: 
oui,  du  tendre  Empire 
le  Tróne  t'est  dù: 
qui  te  voit,  t'admire.... 
qui  te  voit,  soupire..., 
Hélas!  Je  t'ai  vfl. 

Secondo  il  Grimm,  dispregiatore  per  sistema  delle  com- 
medie italiane,  il  chiasso  fattosi  attorno  a  Corallina  era  una 
esagerazione,  dacché  egli  non  seppe  vedere  in  lei  che  de'  bel- 
lissimi occhi,  delle  belle  carni,  e  un  magnifico  petto  accoppiati 
a  un  talento  d'attrice  mediocrissimo. 

Le  grazie  di  Corallina  le  acquistarono  un  numero  consi- 
derevole di  adoratori,  tra  cui  Carlo  Bertinazzi  il  celebre  arlec- 
chino, il  Principe  di  Monaco,  che  le  assegnò  come  semplice  do- 
nativo, prima  1 200  lire,  poi  altre  3000  all'  anno,  Létorière  e 
Di  Saint-Crix,  ufficiali  al  Reggimento  delle  Guardie,  e  il  Conte 
di  La  Marche,  più  tardi  Principe  di  Conti. 


VERONESE  641 


Questi,  che  donò  air  attrice  il  marchesato  di  Silly,  di  cui 
dicesi  ch'ella  portasse  talvolta  il  titolo,  s'ebbe  da  lei  un  figliuolo 
diventato  cavaliere  di  Malta,  e  noto  sotto  il  nome  di  Vauréal. 
Corallina,  morta  nell'aprile  del  1782,  istituì  per  testamento  suo 
legatario  universale  il  Principe  di  Conti,  il  quale  accettò  l'ere- 
dità, portando  da  600  a  1000  lire  annue  la  pensione  che  Co- 
rallina passava  dal  1 763  a  sua  madre  Lucia  Pierina  Sperotti. 

Veronese  Cammilla,  Giacomina,  Antonietta.  Sorella 

della  precedente,  nata  a  Venezia  verso  il  1 735,  nota  in  arte  col 
nome  di  Camilla,  esordì  alla  Comedia  italiana  il  16  maggio  1 744, 
assieme  a  sua  sorella  in  Corallina  esprit  foUet,  destando  la  co- 
mune ammirazione  come  danzatrice  perfetta.  Acclamatissima 
fu  il  1 746  nel  nuovo  passo  a  due  ch'ella  e  il  piccolo  Dubois  ese- 
guivano dopo  il  Principe  di  Salerno,  in  costume  di  vendemmia- 
tori, dei  quali  esiste  una  incisione  con  in  calce  i  seguenti  versi  : 

Ces  deux  danseurs  presque  en  naissant 
par  leur  danse  ingènue  embellissent  la  scène, 
et  daDS  l'àge  où  Ton  sent  à  peine, 
ils  expriment  tout  ce  qu'on  sent. 

Il  1°  luglio  1747  la  giovane  ballerina  esordì  come  attrice 
nella  commedia,  scritta  a  posta  per  lei  da  suo  padre,  intitolata 
Le  due  sorelle  rivali,  trascinando  poi  il  18  settembre  il  pub- 
blico all'entusiasmo  come  attrice  e  come  ballerina  nella  com- 
media francese  in  un  atto  e  in  versi.  Le  tabUaux,  di  Panard,  il 
quale  dettò  allora  questo  grazioso  madrigale  : 

Objet  de  nos  dèsirs  dans  l'àge  le  plus  tendre, 
Camille,  ne  peut-on  vous  voir  cu  vous  entendre 
sans  èprouver  les  maux  que  l'amour  fait  souffrir? 

Trop  jeune  à  la  fois  et  trop  belle, 
en  nous  charmant  sitót  que  vous  ètes  cruelle  ! 
Attendez  pour  blesser  que  vous  puissiez  guèrir  ! 

Poco  dopo  Cammilla  fu  accettata  nella  Compagnia  con  uno 
stipendio  fisso,  e  con  la  promessa  di  mezza  parte,  pei  ruoli  di 

81.  ~  /  Comici  UaUani.  Voi.  U. 


642  VERONESE 


amorosa  e  ballerina,  a  cui  aggiunse  nel  1759,  dopo  T  allontana- 
mento di  Corallina,  quello  di  servetta. 

Esegui  r  agosto  del  1760  con  una  verità  maravigliosa,  la 
parte  della  Statua  nel  Pigmalione  di  Billioni;  e  Favart,  giudice 
competente  in  materia,  così  parla  di  siffatta  creazione  : 

Nulla  uguaglia  la  finezza  dell'  arte  sua  f>antomimica,  specie  quando  la  statua  si  va 
gradualmente  animando.  La  sorpresa,  la  curiositi,  l'amor  nascente,  tutti  i  moti  improv- 
▼isi  o  progressivi  dell'  anima  son  dipinti  sul  suo  volto  con  tale  espressione  non  ancor  tro- 
vata sin  qui.  Si  può  dir  eh'  ella  danzi  col  pensiero,  e  credo  che  l'arte  degli  antichi  greci 
nella  pantomima  non  potesse  andare  più  oltre. 

Allegra  e  vivace  nelle  scenette,  sapeva  rendere  con  molto 
sentimento  le  situazioni  patetiche.  Nel  1761,  creò  la  parte  di 
madre  nel  Figlio  d' Arlecchino  perduto  e  ritrovato  di  Goldoni,  strap- 
pando le  lacrime  dell'uditorio;  e  il  Grimm,  nonostante  i  rim- 
proveri che  le  move  d*  introdur  troppi  gallicismi  nella  lingxia 
italiana,  e  italianismi  nella  francese,  assicura  che  il  suo  volto 
e  il  suo  gesto  eran  sovente  sublimi  d'espressione. 

Su  di  lei  si  ha  la  seguente  quartina  : 

Digne  élève  de  Terpsichore, 
digne  rivale  de  ta  sa'ur, 
Camille,  est  il  un  spectateur 
qui  ne  t'admire  et  ne  t'adore? 

Cammilla  Veronese  morì  il  20  luglio  1 768  tra  le  braccia 
di  Cromot,  che  amava  da  più  anni  la  cara  artista,  per  la  quale 
ordinò  magnifici  funerali.  Cinquanta  carrozze  borghesi  seg-ui- 
vano  il  feretro,  dietro  a  cui  eran  tutti  i  comici  del  Re  della 
Compagnia  italiana,  presieduti  dal  loro  decano  Giovan  Battista 
Dehesse;  e  nel  Necrologio  del  1769  si  legge: 

Si  è  detto  con  ragione  che  l'indole  di  Camilla  era  scolpita  sulla  sua  faccia.  Una 
fisionomia  nobile,  aperta,  e  ana  ingenuità  viva  dicevan  chiaro  le  qualità  dell'anima.  Sn-. 
periore  a  tutte  le  piccole  querele  e  alle  basse  gelosie  di  mestiere,  fu  ne'  suoi  successi  di 
una  modestia  rara  che  ne  la  rendea  più  degna. 

Lasciò  morendo  ogni  suo  avere  alla  sua  famiglia,  il  che 
fece  onore  alla  sua  mente  e  al  suo  cuore. 


VERONESE 


Camille  . 


Nonostante  le  piacevoli  commedie  di  Collalto  e  il  merito 
vero  di  Carlino,  il  teatro  italiano,  dopo  gli  ultimi  sprazzi  di 
luce  gagliarda,  avuti  dall'arte  delle  sorelle  Veronese,  andò  di 


VERONESE 


giorno  in  giorno  passando  di  moda,  e  da!  1 780,  la  Comedia  ita- 
liana, pur  conservando  tal  titolo,  ingiustificato  ornai,  non  rap- 
presentò più  che  commedie  scritte  in  francese. 


Fra  le  testimonianze  del  valore  artistico  di  Cammilla  mi 
piace  di  riferir  quello  di  Carlo  Goldoni.  Nel  Capitolo  II  del 
voi.  Ili  delle  sue  Memorie,  dice  : 

FreDdcniino  niu  ottdezs,  ed  aDdammo  da  Madamigella  Camilla  VcTonese,  ore 
eraTamo  aipettatì  a  pranzo.  Non  è  poisibile  di  trovar  persona  più  allegra  e  più  amabile 
di  Madamigella  Camilla.  Qoe*ta  rappretenUia  le  aerre  nelle  commedie  italiane;  faceva  le 
delixie  di  Parigi  sopra  la  scena,  e  quelle  della  Società  doTe  avevaii  la  fortuna  d'incontrarla. 

E  nel  Capitolo  III: 

Uadaroigella  Camilla  era  un'  eccellenl*  camerìem,  ben  accomp^Data  all'  arleccliino 
del  qtiale  ho  parlato  (Bertinaiii),  piena  di  ipirito  e  di  lentìmento,  che  toateneva  il  comico 
con  '  nna  vezzosa  vivacitl,  e  che  rappresentava  le  sitnazioni  commoventi  con  aninu  e  con 
intellii^nza.  Ella  compariva  in  pubblico  tal  quale  era  in  privato,  sempre  gaja,  sempre  eguale, 
sempre  interessante,   avendo  lo  spirito  ornato,  e  le  qnaltti.  del  cnore  eccellenti. 


VERONESE  -  VESTRI  645 

Si  fece  di  Cammilla  Veronese  V  anagpramma  L'Amore  se 
là  vince. 

Oltre  al  bel  ritratto  di  De  L'Orme,  metto  la  riproduzione 
di  un  disegno  a  matita  rossa,  segnato  nel  catalogo  Bouchot 
col  numero  530,  e  così  descritto:  «  Portrait  en  pied  d'une  actrice 
de  la  Comédie  italienne,  M."*Dehesse  (róle  de  Camille)  dansant 
et  jouant  du  tamboùr  de  basque  (1730).  >  M."*  Dehesse,  róle 
de  Camille  ?  Anche  qui  è  evidente  una  confusione  di  nomi.  La 
Dehesse  (V.  Visentini  Caterina  Antonietta)  non  fu  mai  Cammilla, 
e  Camilla  non  nacque  che  verso  il  '35  :  ma  la  Dehesse  fu  prima 
amorosa  poi  servetta,  mentre  Cammilla  fu  più  specialmente  bal- 
lerina. È  dunque  assai  più  probabile  che  la  data  assegnata  dal 
Bouchot  o  dal  suo  predecessore  al  disegno,  sia  di  alquanto 
posteriore,  e  che  esso  debba  ritrarre  veramente  la  Veronese. 

Verzura  Domenico.  Artista  rinomatissimo  per  le  parti  di 
padre  nobile  e  caratterista,  a  cui  si  dedicò  giovanissimo,  nacque 
a  Genova  l' ultimo  ventennio  del  secolo  xviii,  e  lo  vediam  già 
capocomico  stimato  nel  1 800.  Dotato  di  una  voce  magnifica  e 
di  un  portamento  oltre  ogni  dir  maestoso,  nonostante  la  pro- 
nunzia alcun  po'  dialettale,  s'ebbe  i  maggiori  encomi  da' più 
eletti  pubblici  d'Italia.  Fu  nelle  principali  Compagnie  di  Marta 
Coleoni,  Dorati,  Goldoni,  Perotti  e  Fini,  e  il  critico  delle  Va- 
rietà teatrali  di  Venezia  per  l'anno  182 1,  quando  il  Verzura  era 
in  Compagnia  Perotti,  lasciò  scritto  eh'  egli  era  eccellente  attore, 
se  non  maggiore,  non  certo  ad  alcun  altro  secondo. 
Morì  a  Genova  del  1851  a  oltre  settant' anni. 


i  Luig^.  Nacque  a  Firenze  nel  popolo  di  S.  Pier  Mag- 
giore la  mattina  del  23  aprile  1781  da  Gaetano  di  Luigi  Maria 
Vestri,  primo  cancelliere  del  tribunale  esecutivo,  e  da  Apol- 

■ 

Ionia  di  Andrea  Soldelli  ;  e  fu  battezzato  il  24  detto  coi  nomi 
di  Luigi,  Andrea,  Giorgio,  Giuseppe,  Maria.  Compiuti  gli  studi 
agli  Scolopi,  fu  iniziato  al  Foro,  e  ammesso  poi  nel  tribunale 
con  rescritto  del  granduca  Ferdinando,  come  ajutó  di  suo  pa- 


646  VESTRI 


dre.  Ma  la  Legge  non  aveva  per  lui  alcuna  attrattiva,  sicché 
un  giorno,  datole  un  addio,  passò  air  ospedale  di  Santa  Maria 
Nuova  per  darsi  agli  studi  di  anatomia  e  fisiologia  con  T  intento 
di  diventar  chirurgo.  Né  questa  ancora,  benché  dopo  due  anni 
desse  di  sé  le  più  liete  speranze,  egli  sentiva  essere  la  sua  via. 
Le  recite  con  dilettanti  della  città,  tra' quali  ei  fu  non  ultimo 
mai  e  tal  volta  primo,  lo  esaltarono,  specie  quella  del  Filippo, 
che  Alfieri  fece  in  sua  casa,  rappresentando  egli  stesso  il  pro- 
tagonista, e  affidando  a  lui  il  Gomez,  Ma  si  venne  al  1 799,  e  al 
Vestri  toccò  la  sorte  di  tanti  giovani,  forse,  nella  fiamma  di 
amor  della  patria,  un  po'  troppo  audaci:  di  essere  cioè  insul- 
tato e  percosso  dalla  popolaglia,  e  chiuso  nelle  carceri  del  Bar- 
gello, dalle  quali  uscito  dopo  breve  tempo,  nauseato  di  siffatte 
inique  persecuzioni,  abbandonò  Firenze  e  la  Toscana,  senza 
sapere  ove  il  suo  buon  genio  lo  guidasse.  E  andò  a  Milano. 
Quivi  r  incalzar  della  miseria  e  della  fame  lo  indussero  a  ten- 
tare, indarno,  di  trarre  qualche  profitto  da' suoi  studi  di  chi- 
rurgia; e,  per  sollecitudine  di  un  amico  fiorentino,  tornò  in 
patria,  trattato  col  maggior  de'  rigori  dal  padre,  che  mal  pa- 
tiva l'animo  ribelle  di  lui,  e  sopr'a  tutto  le  sue  inclinazioni  al- 
l'arte del  teatro,  la  quale  soleva  essere  guardata  allora  dalla 
gente  austera,  come  quasi  disonorante.  Quanto  più  dunque 
essa  attraeva  il  giovine,  tanto  meno  egli  sperava  di  potersi  dare 
a  lei  col  consenso  paterno.  Che  fare?  Turbato,  contrariato, 
disperato,  senza  una  guida,  senza  un  piano  determinato,  senza 
l'ombra  de' mezzi,  il  1804  ricorse  di  nuovo  all'espediente  della 
fuga,  in  cerca  di  una  compagnia  che  lo  accogliesse  nel  suo 
seno  a  qualunque  costo  ;  e  la  trovò  a  Perugia.  Le  cronache 
non  ci  dicono  quale  essa  si  fosse,  ma  non  é  dubbio  che  la  prova 
riuscisse  eccellente,  se  l'anno  dopo  lo  vediam  generico  della 
rinomata  Compagnia  Consoli  e  Zuccato,  di  cui  era  primo  attore 
Gio.  Angiolo  Canova,  l'artista  pregiato,  il  maestro  solertissimo, 
che  lo  addestrò  nelle  parti  di  tiranno  e  di  padre.  Passò  il  1806 
in  Compagnia  del  caratterista  Andrea  Bianchi,  della  quale  era 
primo  attore  il  gran  De  Marini,  che,  udito  il  giovine  artista,  e 


capite  subito  le  sue  chiare  attitudini  alla  scena,  lo  consigliò  ad 
assumer  le  parti  del  capocomico,  il  quale  annuì  dì  buon  grado 
a  esser  da  lui  sostituito,  facendolo  esordire  Ìl  carnovale  del  1807 
al  San  Benedetto  di  Venezia,  dove  Ìl  Vestri,  nel  nuovo  ruolo  si 
acquistò  la  stima  e  la  benevolenza  è  l'amore  di  ogni  classe  di 


pubblico.  Da  quella  del  Bianchi  passò  il  1 8og,  socio,  nella  Com- 
pagnia del  Dorati,  e  da  questa  il  181 2,  scritturato,  in  quella 
del  Blanes,  per  formar  poscia  Ìl  i8i6  un'ottima  Compagnia 
assieme  ad  Angelo  Venier,  della  quale  era  prima  attrice  Caro- 
lina Internari,  fiorente  di  giovinezza  e  di  gloria,  e  colla  quale 
andò  il  '  1 8  al  Teatro  Valle  di  Roma,  scritturato  per  un  triennio 
e  per  tre  stagioni  (primavera,  autunno  e  carnovale)  dal  Duca 
Torlonia  con  1 2,000  scudi  romani  ogni  anno,  destandovi  il  più 
schietto  e  vivo  entusiasmo,  giacché  allora,  ad  allargar  la  cer- 


648  VESTRI 


chia  del  suo  repertorio,  e  ad  acquistar  nova  gloria  al  suo  nome, 
si  diede  alla  interpetrazione  e  rappresentazione  di  quei  carat- 
teri così  detti  promiscui,  che  lo  fecero  in  breve  il  signore  asso- 
luto della  scena.  Ma,  ahimè,  il  carnovale  del  1822  volle  forse 
abbracciar  troppo,  abusando  della  idolatria  che  i  romani  avevan 
per  lui  ;  e,  proprietario  di  due  Compagnie  nella  stessa  Roma, 
impresario  del  Teatro  Apollo  per  la  messa  in  iscena  di  due 
opere  e  quattro  balli,  vide  in  un  attimo,  gli  affari  volti  al  male, 
perduto  ogni  suo  risparmio,  perduta  per  molti  anni,  volendo  a 
ogni  costo  far  fronte  sino  air  ultimo  centesimo  agli  assunti  im- 
pegni,*la  maggior  parte  del  suo  stipendio,  eh*  era  di  1 6,000  lire. 

La  morte  del  celebre  artista  Pertica  fu  la  vita  nuova  del 
Vestri,  il  quale,  chiamato  dal  Fabbrichesi  a  sostituirlo  nella 
Compagnia  Reale  ai  Fiorentini,  ov'era  ancora  il  celebre  De 
Marini,  benché  sulle  prime  vi  trovasse  il  pubblico  arcigno  oltre 
misura,  andò  gradualmente  trascinandolo  al  delirio,  specie  con 
L' odio  ereditario  del  Cosenza,  fino  a  essere  condotto  dopo  una 
recita  a  casa  in  trionfo,  cosà  rara  se  non  unica  -  accenna  il 
biografo  Scifoni  -  per  un  artista  drammatico, 

Da  quella  di  Napoli,  passò  il  ^29  dopo  la  morte  del  Ri- 
ghetti alla  Real  Compagnia  di  Torino,  nella  quale  stette  fino 
al  '41,  per  andare  come  attore  e  direttore  di  una  nuova  Com- 
pagnia formata  da  Carlo  Re,  proprietario  del  vecchio  Teatro 
di  tal  nome  in  Milano,  che  esordì  la  quaresima  al  Teatro  Obizi 
di  Padova,  dove  si  manifestarono  i  primi  sintomi  del  tumor  ma- 
ligno da  cui  fu  condotto  al  sepolcro  in  Bologna  la  mattina  del 
19  agosto  di  quell'anno  medesimo,  in  così  misero  stato  finan- 
ziario, da  non  lasciare  il  danaro  sufficiente  alla  spesa  dei  funerali, 
fatti  solennemente  mercè  pubbliche  offerte,  e  così  descritti  nel 
giornale  II  Felsineo  dall'attore  bolognese  Augusto  Aglebert: 

n  giorno  21  agosto  la  campana  della  chiesa  di  S.  Benedetto  suonava  il  tocco  dei 
morti,  e  quiri  radnnavasi  il  popolo  che  vivo  l'ammirò,  a  impetrar  requie  all'anima  di 
Luigi  Vestri.  —  Pregava  con  tetra  melodia  l' ultime  voci  di  pace  la  musica  solenne  del 
valentissimo  maestro  Marchesi,  il  quale  ne  dirigeva  la  esecuzione,  ed  egli  e  tutti  i  pro- 
fessori filarmonici  e  cantanti,  artisti  ed  amatori  che  trovavansi  in  Bologna,  prestavano  gra- 
tuitamente questo  doloroso  tributo.  Parevano  più  onnipossenti  quelle  armonie,  più  pene- 


650  VESTRI 


Il  Bartolini  a  Firenze  aveva  scolpito  un  busto  del  celebre 
artista,  ridente  da  un  lato,  piangente  dair  altro,  che  offerse  a 
Bologna,  e  che  fu  collocato  nella  Galleria  degli  Angeli.  Sul 
cippo  è  la  seguente  iscrizione  di  M/  Arcangelo  Gamberini  : 

ALOISIO  '  VESTRIO 

DOMO  •  FLORBNTIA 

QUI  •  ROSCIANAM  -  LAUDBM  •  BBfULATUS 

COMICORUM  •  SUI  •  TEMPORIS  •  PRINCBPS 

HABITUS  •  BST 

VIXIT  •  A.  LX.  DBa  XIIIL  K,  SBPT.  MDCCCXXXXI 

SODAL  •  CONCORDBS 

IN  •  SCBNA  •  PER  •  OTIUM  •  AGBNTBS 

PBC  •  CONL  •  POS 

GB  •  OFFERITA 

La  bontà  dell'animo  suo  fu  quasi  proverbiale.  Certo  a 
quella  non  corrispose  T ordine,  l'equilibrio  nella  condotta;  che, 
incurante  del  danaro  e  del  domani,  scialacquava  a  tal  seg-no 
da  trovarsi  il  più  spesso,  al  momento  di  lasciare  una  piazza,  in 
angustie  tormentose  :  e  si  vuole  che,  senza  tener  conto  della 
sua  paga  annuale,  avesse  potuto  colle  sole  beneficiate  lasciare  ai 
figliuoli  non  men  di  200,000  lire.  Quando  una  misera  compa- 
gnia si  trovava  vicina  alla  sua,  si  volgeva  a  lui  per  soccorso  ; 
ed  egli,  se  il  suo  dovere  glie  lo  consentiva,  accorreva  subito, 
e  con  una  recita  la  sollevava  lì  per  lì  dalle  abituali  ristrettezze. 
Mentre  si  trovava  al  San  Benedetto  di  Venezia,  con  un'ac- 
colta de' più  egregi  artisti,  quali  la  Internari,  Lombardi,  i  Ve- 
nier,  Berlaffa,  e  vedeva  ogni  sera  il  teatro  rigurgitare  di  spet- 
tatori, andò  al  San  Gio.  Crisostomo  la  Compagnia  ToflToloni 
composta  di  mediocri  artisti,  e  vi  ebbe,  naturalmente,  la  più 
meschina  fortuna.  Ma  ricorsa  all'allestimento  di  un  nuovo  la- 
voro spettacoloso  :  Vita,  delitti  e  morte  del  celebre  assassino  Giu- 
seppe Mastrilli,  vinse  la  curiosità  del  pubblico,  il  quale  fu  tanto 
colpito  dalla  novità  dell'  opera,  e  sopr'  a  tutto  dal  valore  arti- 
stico del  Gallina,  che  ne  sosteneva  il  protagonista,  che  per  ben 
venti  sere  affollò  il  teatro,  lasciando  deserto  il  San  Benedetto. 
Immagini  ognuno  la  sorpresa  e  la  bile  del  grande  artista! 
Come  fare?  Egli  annunziò  subito  la  goldoniana  Bottega  del  Caffi, 


VESTRI  651 


commedia  di  sicura  attrattiva,  specialmente  a  Venezia  e  reci- 
tata dal  Vestri,  sperando  di  scuoter  di  nuovo  V  apatia  del  pub- 
blico per  la  sana  commedia  e  V  arte  sana  :  triste  delusione  !  Il 
teatro  non  contò  quella  sera  oltre  cinquanta  spettatori.  Egli 
allora  si  tolse  la  parrucca,  si  mise  il  cappello,  si  buttò  sulle 
spalle  un  mantello,  e  si  recò  in  platea,  dove,  ordinato  all'or- 
chestra di  cessare  dai  suoni,  cominciò  a  dire  :  «  Grazie  anzi- 
tutto, o  Signori,  della  vostra  fedeltà;  ma  io  desidero  che  non 
restiate  qui  ad  annojarvi  in  questa  specie  di  deserto;  e  in  cam- 
bio della  Bottega  elei  Caffè,  vi  do  una  sala  della  Trattoria  del 
Selvatico,  dove  dividerete  con  me  una  modesta  cena  che  ardisco 
di  offerirvi.  Naturalmente,  io  e  i  miei  siam  pronti  a  recitare;  e 
non  avete  che  a  fare  un  cenno,  secondo  il  vostro  diritto,  perchè 
io  corra  a  dare  gli  ordini.  >  Prima  un  silenzio  glaciale,  poi  uno 
scoppio  di  risa  accolse  lo  strano  invito  ;  ancora  qualche  parola 
del  Vestri,  ancora  qualche  titubanza  del  pubblico  ad  accettare. 
Ma,  in  conclusione,  la  recita  non  ebbe  luogo,  e  di  lì  a  due  ore, 
parte  degli  spettatori  si  recò  davvero  al  Selvatico,  ove  trovò 
imbandita  una  sontuosa  mensa  con  gran  dovizia  di  cibi  e  di 
bevande,  rallegrati  dai  motti  di  spirito  e  dall'umor  gajo  e  gio- 
condo dell'anfitrione. 

Anche  dell'arte  sua  incomparabile  abbiam  testimonianze 
grandissime,  di  cui  metterò  qui  alcune  delle  più  chiare  e  men 
sospette  di  poca  sincerità. 

Di  Niccolò  Tommaseo  : 

Luigi  Vestii  ritaceTa  ripetendo,  eseguendo  creava.  Dolce  e  chiara  favella,  viso  trasmu- 
tabile per  ogni  guisa  d'affetto,  l'ingegno  non  digiuno  di  lettere,  onesto  il  sentimento. 
Volgeva  le  chiavi  del  rìso  e  del  pianto  ;  della  vita  sentiva  il  duplice  aspetto,  e  lo  ritraeva 
con  libera  agevolezza,  per  quasi  innata  facoltà.  Erano  in  quella  persona  4'  arte  consumata 
e  la  schietta  natura  in  mirabile  modo  più  che  unite,  miste.  All'udirlo,  la  moltitudine  si 
commoveva  di  allegrìa  e  di  pietà,  l' artista  rìmaneva  pensoso  ammirando.  Con  un  cenno 
ei  rendeva  un  carattere;  con  una  modulazione  di  voce  avvivava  una  scena. 

Di  Felice  Scifoni  : 

A  vederlo,  pareva  che  la  natura  lo  avesse  creato  non  ad  altro  che  al  genere  co- 
mico :  era  pingue  della  persona,  aveva  il  ventre,  sporgente  innanzi  ;  alto  però  quanto  si 
conveniva,  non  notavi  nelle  sue  membra  alcuna  increscevole  sproporzione.  Piacevole  fiso- 
nomia  ;  negli  occhi,  nelle  labbra  e  nella  fronte,  potenza  di  esprìmere  le  più  inteme  com- 


652  VESTRI 

mozioni  dell'animo,  senza  stento  nella  severità  o  nella  tenerezza,  senza  sconcezze  nel  ridi- 
colo;  si  che  più  volte  non  proferendo  parola,  non  movendo  mano,  seppe  con  nn  solo 
sguardo  scuoter  la  moltitudine  attonita,  atterrirla  o  rallegrarla  secondo  che  dimandassero 
le  trattate  passioni.  Da  quel  punto  ch'egli  entrava  sulla  scena  fino  a  che  non  ne  fosse 
uscito,  era  tutto  immedesimato  nel  personaggio  che  prendeva  a  rappresentare  :  né  v'  era 
imprevista  circostanza  che  mai  potesse  larlo  uscire  dalla  qualità  eh'  ei  vestiva  :  non  lo 
vedevi  dardeggiare  gH  sguardi  nei  palchi  o  nella  platea,  mentre  l' altro  attore  eh'  era  in 
scena  con  lui  favellava  ;  non  ammiccare  al  suggeritore  ;  non  mendicar  le  parole  ;  non  di- 
strarsi insomma  in  quelle  cose,  da  cui  anche  gì'  infimi  tra'  nostri  comici  sarebbe  ormai 
tempo  cessassero,  perchè  non  addimandano  sublimità  d' ingegno,  ma  solo  diligenza  nei 
propij  doveri,  amore  dell'  arte  che  professano,  rispetto  verso  quel  tremendissimo  giudice 
innanzi  a  cui  stanno. 

La  sua  voce  era  chiara,  aggradevole,  risonante;  se  non  che  nelle  più  alte  commo- 
zioni degli  affetti  forse  con  troppa  forza  tuonava  ;  ma  altri  che  il  Vestri  avria  potnto  in 
quel  punto  rattenere  la  foga  delle  fissioni,  egli  non  già,  che  troppo  sentiva  altamente. 
Nel  pronunziar  delle  sue  parole  udivi  tutta  la  gentilezza  del  favellare  toscano,  ma  vi  tro- 
vavi, dallo  studio  e  dal  continuo  correre  per  l'Italia,  rimosso  ogni  senso  di  aspirazione. 
Ogni  personaggio,  per  quanto  fosse  di  poca  importanza  nel  dramma,  diventava  nelle  sue 
mani  importantissimo,  ed  ebbe  in  ciò  una  rara  potenza  creatrice,  perchè  appunto  il  sno 
recitare  non  era  di  sole  parole,  ma  scrutando  con  sottilissimo  accorgimento  e  filosofia  nel 
costume  che  l' autore  aveva  espresso  nel  personaggio  eh'  ei  prendeva  a  rappresentare,  ogni 
volger  di  occhio,  ogni  movenza  della  persona  informavasi  da  quello.... 

Di  Luigi  Carrer  : 

Potrebbe  chiamarsi  quasi  la  mostra  del  gusto  predominante  in  un  popolo,  secondo 
eh'  egli  si  studia  maggiormente  piacere  per  via  della  serietà,  o  dello  scherzo,  potentissimo 
com'egli  è  in  doppia  prova.  Biirabilmente  attemprandosi  ai  diversi  caratteri  che  rappre- 
senta, non  mai  sveste  certa  aria  sua  naturale  che  può  dirsi  il  tuono  fondamentale  d'ogni 
sua  musica.  A  molti  parrà  questo  difetto  ;  a  me  sembra  l' indizio  più  sicuro  e  palese  del 
genio,  che  modifica  una  parte  di  sé,  giusta  i  diversi  soggetti  che  tratta,  ma  serba  intatta 
una  parte  per  farsi  conoscere  nella  sua  essenza,  che  mai  non  muta.  Però  non  manca  chi 
il  dice  monotono  in  alcuni  suoi  lazzi  e  movenze  :  pur  v'  è  chi  risponde  esservi  in  Ini  la 
stessa  monotonia  che  nella  natura.  Se  in  generale  fosse  men  nobile  ne'  suoi  portamenti, 
le  genti,  avvezzate  al  peggio,  mal  saprebbero  rimproverargli  le  alcune  volte  eh'  ei  rinnega 
sé  stesso  per  seguire  il  mal  vezzo  degl'  istrioni  dozzinali  :  e  dò,  perchè  non  si  dica  so- 
verchiamente sfoggiato  il  mio  panegirico. 

Ma  il  Carrer  dettava  queste  parole,  quando  il  Vestri  era 
ancora  a  Napoli  col  Fabbrichesi  :  e  lo  Scifoni,  accennando  al 
difetto,  quando  T  artista  era  in  Compagnia  Reale  Sarda,  così 
conclude  : 

Notavano  in  esso  gli  intelligenti  che  alcuna  volta,  troppo  compiacente  all'  uditorio, 
nel  rappresentare  le  parti  comiche  scendeva  alquanto  dalla  sua  dignità,  abbandonandosi 
a  certe  iÌBu:ezie  che  poco  si  convenivano.  Erano  queste  a  dir  vero  come  lampi  che  rom- 
pono il  tranquillo  sereno  di  una  notte  estiva,  ma  pure  spiacevano  in  un  artista  che  aveva 
ingegno  e  forza  da  correggere  in  questa  parte  il  mal  gusto  popolare.   Or  dunque  il  Vestri 


VESTRI  653 

av€va  anche  tolto  da  sé  gueUa  menda,  facendo  come  Goldoni,  che  prima  blandi  P  univer- 
sale per  farsene  signore,  e  poi,  quando  lo  poti  trarre  a  voglia  sua,  lo  indirizzò  pel  retto 
cammino, 

A  cotesto  difetto,  per  altro,  dello  strafare  accenna  anche 
Francesco  Righetti  (op.  cit.),  proprio  al  tempo  in  cui  il  Vestri 
era  nella  Compagnia  Reale  Sarda,  accusandone  piuttosto  il 
pubblico  che  Tartista;  ma  poi,  dopo  di  aver  detto  che  Vestri  sa 
commovere  il  cuore  gtcando  la  circostanza  et  una  scena  patetica  lo 
esige,  conclude:  nessun  altro  attore  in  Italia,  al  pari  di  lui  ha  saputo 
destare  tanto  diletto  nelle  parti  ridicole,  e  caitivarsi  Paura  popolar  e. 

Né  men  larghi  di  lode  al  genio  dell'  artista  furono  gli  stra- 
nieri. Il  Byron  nel  suo  diario,  alla  data  del  6  gennaio  182 1,  a 
Ravenna,  scrive: 

Parlato  col  conte  Pietro  Guiccioli  del  comico  italiano  Vestri,  che  è  ora  a  Roma. 
L' ho  veduto  spesso  recitare  a  Venezia.  Un  assai  buon  attore  :  un  po'  manierato,  ma  eccel- 
lente nell'alta  commedia,  come  nel  sentimentale  patetico.  Egli  mi  ha  fatto  spesso  ridere  e 
piangere  :  effetti  non  facili  entrambi  da  prodursi  ora  sul  mio  animo,  almeno  da  un  com- 
mediante. 

Il  Platen,  alla  data  del  15  ottobre  1824,  a  Venezia  {Viag- 
gio in  Italia)^  scrive  : 

In  S.  Benedetto  oggi  si  è  data  una  commedia  di  Goldoni  :  H  Burbero  benefico; 
degna  almeno  di  essere  ascoltata.  Vestri  che  faceva  il  Burbero  è  un  attore  che  non  ha 
il  suo  simile.  Egli  non  può  mostrarsi  senza  essere  subito  applaudito.  Oggi  egli  fu  chia- 
mato fuori  al  secondo  atto.  Venne,  si  allontanò  di  nuovo,  ma  il  pubblico  non  era  ancora 
contento,  ed  egU  dovette  venir  fuori  un'altra  volta. 

Al  degna  almeno  di  essere  ascoltata  del  Platen,  va  attribuito 
un  significato  in  contrapposto  alle  produzioni  straniere  e  ita- 
liane inascoltabili,  ond*eran  invasi  i  nostri  teatri.  Al  principio 
del  diario  di  Venezia  (24  settembre)  egli  dice  infatti: 

Abbiamo  finalmente  da  otto  giorni  qui  una  Compagnia  che  recita  al  teatro  S.  Be- 
nedetto di  proprietà  della  famiglia  Gallo.  La  Compagnia  Fabbrichesi  è  reputata  la  migUore 
in  Italia,  e  infatti  essa  ha  un  pajo  di  artisti  -  De  Marini  e  Vestri  -  che  nel  loro  genere 
non  lascian  nulla  a  desiderare;  ma  delle  commedie  che  furon  date  finora  una  fu  sempre 
peggio  dell'altra....  Sempre  gli  stessi  intrighi  :  è  in  tutte  una  scena  di  riconoscimento,  un 
figlio  perduto,  ecc.  Sarebbe  una  fortuna  straordinaria  vedere  almeno  una  commedia  di  Gol- 
doni e  ne'  costumi  del  paese  ;  poiché  i  lavori  dati  finora  eran  tedeschi,  olandesi  o  inglesi. 

Nella  vastità  e  varietà  del  suo  repertorio  eran  da  notarsi, 
come  quelle  che  gli  avevan  data  maggior  fama,  le  opere  se- 


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654  VESTRI 


guenti  :  La  Restituzione,  commedia  in  5  atti  di  ignoto  tedesco, 
tradotta  liberamente  da  Filippo  Casari,  e  rappresentata  al  Giglio 
di  Lucca  il  1 2  giugno  del  *26  per  beneficiata  della  caratteristica 
Francesca  Fabbrichesi;  Il  Berretto  nero  del  barone  Gio.  Carlo 
Cosenza;  L! Odio  ereditario  pur  di  Cosenza;  Dev'esser  uno  e  sono 
quattro,  traduzione  di  Filippo  Casari  ;  Gli  Eredi  della  Waisen- 
Thurn  del  Teatro  Imperiale  di  Vienna;  Il  Benefattore  e  I  Orfana 
di  Nota;  Il  Medico  e  la  Morte;  La  Bottega  del  Caffè  di  Goldoni  ; 
La  Serva  amorosa  di  Goldoni  ;  Filippo  di  Scribe  ;  Malvina  di 
Scribe  ;  La  famiglia  Riquebourg  di  Scribe  ;  La  Leggitrice  e  il 
Cieco:  Don  Desiderio  del  Giraud;  //  Poeta  fanatico  di  Goldoni. 

Fra  le  tante  carte  del  Vestri  che  io  posseggo  è  anche 
l'inventario  dei  mobili  esistenti  neir alloggio  ch'egli  occupava 
a  Torino,  e  che  vendè  a  Samuel  Levi  e  C.  per  1 500  franchi, 
quando  abbandonò  la  Compagnia  Reale  Sarda.  I  mobili  dove- 
vano essere  consegnati  entro  i  primi  di  marzo  del  1 84 1 ,  e  la 
nota  in  cima  all'inventario  porta  colla  firma  di  Luigi  Vestri,  la 
data  de'  io  agosto  1840:  un  anno  prima  della  sua  morte. 

Curiose  erano  anche  le  sue  più  vecchie  scritture  teatrali. 
Io  ho  quella  di  Luigi  Forti  colla  data  del  22  gennajo  1822,  tutta 
riempita  di  mano  del  Vestri  e  da  lui  firmata.  Consta  di  quattro 
articoli  brevissimi,  e  comprende  una  paginetta  e  mezzo  di 
stampa  a  grossi  caratteri. 

Delle  sue  tsmte  lettere  riferisco  in  fac-simile,  ma  un  po'  rim- 
picciolita, questa,  indirizzata  all'impresario  Pietro  Somigli,  in 
cui  è  accennato  al  come  si  trovasse  male  nella  Real  Compagnia 
di  Torino:  alla  quale  si  riferisce  un'altra  a  Domenico  Righetti 
da  Torino,  senza  data,  in  cui  risponde  negativamente  alla  do- 
manda di  lui  di  voler  conoscere  il  motivo  della  sua  partenza 
dalla  Compagnia,  e  conclude  :  «  Ciò  che  ora  mi  ha  determinato 
si  è  di  tal  peso  che  niuna  cosa  potrebbe  rimuovermi,  ed  il  mag- 
gior dispiacere  lo  forma  il  non  potertene  ora  manifestare  il 
motivo.  > 

Recitando  egli  nel  R.  Teatro  del  Giglio  in  Lucca  nella 
primavera  dell'anno  1826,  gli  ammiratori  del  suo  merito  gli 


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656  VESTRI 


offerirono  il  seguente  sonetto,  la  sera  di  sua  beneficiata,  che 
fu  il  IO  di  giugno  : 

Grecia  favoleggiò  che  in  forme  cento 

Proteo  cangiasse  ognor  modi  e  sembiante; 
ma  sol  oggi  Tu  avveri  un  tal  portento 
vantato  a  lungo,  e  non  mai  visto  innante. 

Che  se  destar  vuoi  '1  riso,  e  s' hai  talento 
che  in  pianto  sciolga  il  popol  circostante, 
il  clamor  cessa,  ed  il  represso  a  stento 
singulto  a  contener  non  è  bastante. 

Ebbe  i  suoi  ludi,  è  ver,  Roma  ed  Atene, 
ma  di  motti  scurrili,  ed  immodesti 
lazzi  contaminar  le  patrie  scene. 

Non  cosi  Tu,  che  a  senno  tuo  sapesti 
ciò  che  lice  imitar,  ciò  che  sconviene 
a'  detti  arguti,  ed  a'  giocosi  gesti. 

Vestii  Gaetano.  Figlio  del  precedente,  nacque  a  Milano 
il  25  dicembre  1825,  nella  Locanda  della  Commenda,  la  sera 
in  cui  la  Compagnia  Fabbrichesi  recitava  al  Carcano  UAjo 
neir  imbarazzo,  di  cui  era  protagonista  il  padre  Luigi.  Alzatosi, 
dopo  l'intermezzo  del  secondo  atto  il  sipario,  i  comici  s*a;ccor- 
sero  che  mancava  VAJo.  Di  qui  nacquero  mormorii  vieppiù  cre- 
scenti, che  il  pubblico  non  sapeva  rendersi  conto  di  quello 
sconcio  di  scene  vuote,  mai  accaduto,  UAjo  era  fuggito  alla 
Commenda  ad  abbracciare  il  primogenito  maschio,  e  quando 
ricomparve  sulla  scena,  il  pubblico,  messo  a  parte  ornai  del- 
l'avvenimento, lo  accolse  con  tale  scoppio  di  applausi  che  fece 
piangere  di  consolazione  il  fortunato  padre.  Gaetano  fu  allevato 
a  Desio  vicino  a  Milano,  poi  nel  Collegio  Boselli,  il  miglior 
convitto  di  Lombardia,  d'onde  a  dieci  anni  uscì,  compiuti  i  suoi 
primi  studi  d'italiano  e  tedesco,  per  entrare,  dopo  un  anno  di 
preparazione  al  latino  nella  Scuola  privata  Gay,  nel  Collegio 
vescovile  di  Castiglion  Fiorentino,  all'intento  di  farvi  il  corso  di 
filosofia.  Il  padre  lo  aveva  destinato  all'avvocatura,  sebbene  egli 


'jt.i. 


inclinasse  più  alla  medicina  :  ma  ossequente  all'  autorità  paterna, 
era  già  per  recarsi  all'Università  di  Firenze,  quando  quegli 
morì.  Abbandonati  allora  gli  studj  SÌ  di  medicina,  sì  legali,  Gae- 
tano, padrone  ornai  di  sé,  vinto  dal  fascina  che  avevan  sempre 


esercitato  su  dì  luì  le  glorie  teatrali  del  padre,  si  fece  comico, 
esordendo  con  Luigi  Domeniconi  al  Teatro  Rossini  di  Livorno, 
e  mostrando  subito  le  più  chiare  attitudini  alla  scena,  le  quali 
poi  sviluppò  con  gran  successo  al  fianco  di  Gustavo  Modena, 
che  gli  fu  capocomico  e  maestro  affezionato.  ■ 

Acquistatosi  una  bella  rinomanza,  si  unì  in  società  con 
Luigi  e  Antonietta  Robotti,  di  cui  sposò  nel  1851  la  figlia  Luigia, 


658  VESTRI 


prima  attrice  giovine.  Ma  ragioni  d'interesse  lo  tolsero  dopo  varj 
anni  dai  suoceri  per  fare  una  società  con  Antonio  Feoli,  che  sorti 
esito  disastroso,  sì  ch'egli  ritornò  attore  scritturato  nella  nuova 
Compagnia  di  Luigi  Bellotti-Bon,  dove,  ahimè  !  poco  di  poi  co- 
minciò a  dar  segni  manifesti  di  alienazione  mentale.  Bello  della 
persona,  di  fisonomia  espressiva,  di  conversare  piacevolissimo, 
di  coltura  non  comune,  di  mente  svegliata,  egli  andò  perdendo 
a  gradi  ogni  conoscenza  :  e  in  volger  di  pochi  anni,  ridotto  dal 
male  al  completo  ebetismo,  cessò  di  vivere  in  Torino  il  1862. 
Racconta  T  attore  Mazzocca  nelle  sue  Memorie  (Milano,  Pul- 
zato,  1904),  che  <  solo  negli  ultimi  mesi  del  1858,  agli  indubbi 
segni  di  dissoluzione  che  in  lui  si  manifestavano,  si  prevedeva 
la  sventura.  Tetro,  taciturno,  irrequieto,  talvolta  irascibile,  se- 
duto presso  la  buca  del  suggeritore,  posto  riservato  al  diret- 
tore, non  dirigeva  più  perchè  non  poteva.  Spesso  era  preso 
da  una  cattiva  sonnolenza  e  appariva  come  ebete.  Un  g-iorno 
egli  stesso  confessò  che  si  sentiva  quasi  un  vuoto  nel  cervello 
e  non  gli  riusciva  d'imparare  una  parte  nuova.  >  La  testa  di 
Gaetano  Vestri  era  enorme.  Sin  dall'infanzia  gli  amici  di  Luigi 
solevano  dire  che  suo  figlio  sarebbe  divenuto  o  un  grande  in- 
gegno, o  un  grande  zuccone:  frase  ch'egli  andava  poi  spesso 
ripetendo,  ma  pare  che  da  giovine  Gaetano  desse  molto  filo 
da  torcere  al  povero  padre  che  non  sapeva  come  porre  un  ri- 
medio alle  scelleratezze  di  lui  (vedi  al  nome  di  Luigi  la  lettera 
autografa),  nelle  quali  forse  era  il  germe  dell'  esquilibrio  men- 
tale. A  proposito  della  testa  smisurata  di  Vestri,  lo  stesso  Maz- 
zocca racconta  che  egli  <  si  divertiva  talvolta  a  entrare  in  un 
negozio  di  cappelli,  e  provarne  un  gran  numero,  senza  mai 
trovare  quello  che  facesse  al  caso  suo.  > 

Pochi  particolari  si  hanno  del  valor  suo  artistico,  ma  per 
comune  consentimento  egli  fu  ritenuto  come  quello  de*  figli  che 
più  si  accostasse  all'arte  prodigiosa  e  spontanea  del  padre. 
Enrico  De  Amici  annovera,  fra  le  opere  da  lui  meglio  inter- 
petrate:  La  Bottega  del  Caffè  e  Michele  Ferriti  ;  Giuseppe  Maz- 
zocca vi  aggiunge  Filippo  Maria  Visconti,  Carlo  Magno  nei 


Poveri  di  Parigi.  Zaccar,  Il  povero  Giacomo,  Papà  Martin,  Sior 
Todero  Brontolon,  il  Padre  nella  Prosa,  Carnioli  nella  Dalila. 

Vestri  Luigia.  Moglie  del  precedente,  e  figlia  dì  Luigi  e 
Antonietta  Robetti,  cominciò  a  recitare  nella  Compagnia  reale 
sarda  coi  parenti,  poi  in  quella  eh'  egli  avea  formata  in  società 
con  suo  padre.  Da  questa  passò  poi,  sempre  col  marito,  in 
Compagnia  Feolì  e  in  quella  di  BellottÌ-Bon,  nella  quale  co- 
minciarono i  primi  sintomi  del  male  che  dovean  condurlo  alla 
tomba.  Morto  il  Vestri,  ella  fu  qualche  mese  in  Compagnia  di 
Luigi  Bonazzi,  poi  sette  anni  in  quella  Trivelli.  Fu  il  '66  a  Na- 
poli con  la  Sadowskì  e  Majeroni,  e  il  '68  con  Zoppetti  e  Vitaliani, 
dai  quali  sì  sciolse  per  passare  a  seconde  nozze  col  dottor  Icilio 
Polese-Santarnecchi,  direttore  del  giornale  L'Arte  Dramma- 
tica di  Milano. 

Il  '70,  sollecitata  dall'agente  Eugenio  Lombardi,  andò  a 
sostituir  la  moglie  di  Alamanno  Morelli,  e  con  quell'anno  chiuse 
per  sempre  la  sua  carriera  artistica. 


Vestri •Marsoni  Laura.  Figlia  dei  precedenti,  cresciuta 
sulle  tavole  del  palcoscenico,  entrò  a  far  parte  della  prima 
Compagnia  di  Novelli  dopo  uscito  dal- 
la Compagnia  Nazionale,  per  parti  di 
giovine:  ma  da  lui  consigliata,  poco 
oltre  i  vent'anni  mise  la  parrucca  della 
madre,  per  seguire  la  tradizione  di  fa- 
miglia, in  cui  nonno  e  padre  s'eran 
fatti  celebri  colle  parti  caratteristiche. 
Recitò  in  dialetto  veneziano  sotto  la 
direzione  di  Giacinto  Gallina;  poscia 
in  milanese;  e  oggi  (1904)  trovasi  da 
cinque  anni  con  la  Compagnia  Gra- 
matica.  Talli  e  Calabresi,  -  La  Vestri, 

vera  faccia  di  caratterista,  è  un  attrice  modesta,  la  quale,  per  la 
serena  semplicità  del  suo  dire,  meriterebbe  maggior  attenzione. 


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Vestri  Pietro.  Fratello  di  Gaetano,  nato  aPadova  il  12  ago- 
sto 1827,  fu  condotto  a  cinque  anni  a  Torino,  ove  stette  fino 
al  '40.  A  Parma  Ìl  padre  gli  ottenne  Ìl  posto  di  allievo  nel  Col- 
legiomilitare.chegli  fii  serbato  gratuito  dall'Arciduchessa  Ma- 
ria Luigia  dopo  la  morte  del  padre.  Del'45 
4  fu  soldato  nel  secondo  Cacciatori,  e  com- 
piuto il  biennio  d'obbligo,  si  unì  a  sua  ma- 
dre e  a  sua  sorella  Anna,  venute  a  Parma 
a  recitare  in  quel  teatro  ducale.  Entrò  poi 
per  intercessione  del  fratello  Gaetano  nella 
Compagnia  lombarda  di  Alamanno  Mo- 
,  relli,  in  cui  restò  fino  al'ss.  Il  30  settem- 
bre '54  sposò  a  Milano  la  signorina  Luisa 
Biagini,  e  passò  in  Compagnia  Robotti,  da 
cui  si  tolse,  quando  ne  uscì  la  celebrata 
Antonietta.  A  voler  mettere  qui  tutte  fino  a  oggi  le  compagnie, 
in  cui  pellegrinò  con  varia  fortuna  e  con  vario  ufficio,  troppo 
ci  vorrebbe.  Basti  ch'egli  pervenne,  onestamente  modesto  e 
rassegnato,  ai  settantadue  anni,  dopo  i  quali,  soccorso  con 
amore  dalle  figliuole  Gilda  e  Anna,  andò  a  stabilirsi  a  Bologna, 
ov"  è  tuttavia  (1904). 

Vestii  Angelo.  Fratello  del  precedente,  nacque  a  Firenze 
il  30  settembre  del  1828.  A  soli  quindici  anni  si  trovò  con 
Gustavo  Modena,  poi  con  Augusto  Bon  in  Compagnia  Lom- 
barda, poi  brillante  ai  Fiorentini  di  Napoli  al  fianco  dì  Alberti, 
Taddei,  Majeroni,  Salvini,  la  Sadowski,  la  Cazzola,  in  mezzo 
ai  quali  cominciò  ad  acquistarsi  la  più  bella  rinomanza  artistica  : 
e  si  noti  che  Angelo  Vestri,  entrato  in  quella  Compagnia  il  '47, 
obbligandosi  «  di  agirvi  in  carattere  di  generico  e  in  tutte  quelle 
parti  di  primo  e  secondo  carattere,  brillante,  amoroso  che  gli  ver- 
ranno dal  direttore  della  Impresa  assegnate,  con  l'annuo  com- 
penso di  lire  austriache  duemilaseicento,  pari  a  ducati  del  Regno 
cinquecentoventi,  e  di  una  mezza  serata  in  appalto  come  d'uso 
in  Napoli,  >  arrivò  a  pena,  dopo  quattordici  anni,  nei  quali  era 


diventato  il  beniamino  del  pubblico,  a  ricevere  uno  stipendio 
di  settanta  ducati  al  mese,  che  è  oggi  a  un  dipresso  quello 
di  un  generico.  Uscito  dai  Fiorentini  il  '6i,  si  scritturò  con 
Alamanno  Morelli,  tornando  poi  a  Napoli  il  '64  al  Teatro  del 
Fondo  con  Achille  Majeroni  con  cui  stette  sino  al  '67.  Dal  '67 
al  '70  fu  capocomico,  e  il  '71  tornò  con  l'Alberti  ai  Fiorentini 
in  qualità,  'sta  volta,  dì  caratterista. 
Passò  ancora  per  alcuni  anni  dì  com*- 
pagnia  in  compagnia,  finché  fu  scrit- 
turato assieme  al  Novelli  nella  Com- 
pagnia Nazionale,  dove  stette  un 
triennio,  per  passar  poscia  in  quella 
di  Giovanni  Battista  Marini.  La  sera 
del  1 2  di  gennajo  1 88g  si  doveva 
rappresentare  al  Manzoni  di  Milano 
LaLocandiera  di  Goldoni,  in  cui  egli 
era  sommo  sotto  le  spoglie  del  Mar- 
chese di  Forlimpopoli.  continuando  la 
tradizione  gloriosa  de' suoi  grandi 
predecessori.  Al  momento  di  alzar 
la  tela,  uscì  di  camerino  per  entrar  sul  palcoscenico,  quando, 
tutt'a  un  tratto,  mandò  un  grido,  e  stramazzò  a  terra,  come 
fulminato. 

Trasportato  a  braccia  su  di  una  poltrona  a  casa  sua,  non 
discosta  dal  teatro,  in  quell'abito  goldoniano,  con  quel  viso 
truccato,  angoscioso  contrasto  con  la  inerzia  mortale  del  po- 
vero corpo,  visse  ancora  per  una  settimana  una  vita  di  morte, 
e  circondato  dall'affettuosa  moglie  e  da  tutti  i  compagni,  si 
spense  la  domenica  sera  20  gennajo  alle  11,25. 

I  funerali  civili  ne  furono  solenni  :  ogni  compagnia  mandò 
fiori  e  rappresentanti  ;  e  al  cimitero  Antonio  Salsilli  die  l'estremo 
saluto  al  povero  estinto. 

Angelo  Vestri  fu  il  solo  destinato  dal  padre  alla  scena.  E 
infatti  egli  ebbe  le  più  chiare  qualità  per  ben  riuscirvi  :  ingfe- 
gno  pronto,  recitazione  spontanea,  vera,  misurata;  fisionomia 


mobile  ed  espressiva:  amore  e  propositi  seri  per  l'arte  altis- 
sima, profonda. 

Yestrì-Mìchelli  Annetta,  moglie  del  precedente,  nata  nel 
villaggio  di  Ajello  presso  Palmanova  l'8  marzo  1840  da  Nicolò 
Michelli  e  Anna  Laraerz,  e  cresciuta,  si  può  dire,  in  un  am- 
biente drammatico  (il  patrigno  nobile  Carlo  del  Torso  .udinese 
era  presidente  del  Teatro  di  Palmanova),  ebbe  fin  da  giovi- 
netta il  più  grande  trasporto  alla  scena,  in  cui  fece  non  dubbie 
prove  dì  buona  riuscita  coi  dilettanti  del  paese.  Recatasi  col 
patrigno  a  Milano,  all'insaputa 
della  madre,  che  pei  soliti  vec- 
chi pregiudìzj  era  avversa  alle 
inclinazioni  della  figlia,  entrò 
nell'Accademia  de'  Filodram- 
matici, diretta  allora  dal  Mo- 
relli, ed  esordì  il  '55-'56  nella 
Compag^nia  di  Adelaide  Ri- 
stori, in  cui  stette  oltre  due 
anni,  come  generica,  amorosa, 
seconda  donna,  servetta,  e  tal- 
volta anche,  nonostante  la  te- 
nera età., madre  o  nutrice.  Andò 
poi  il  '59  e  '60  seconda  donna 
in  Compagnia  Domeniconi  a 
fianco  della  Cazzola,  sposando 
al  principio  del'òi  Angelo  Ve- 
stri  e  passando  ai  Fiorentini 
di  Napoli  nella  Compagnia  di 
A.  Alberti.  Fu  il  '62  e  '63  pri- 
ma aiirice  in  quella  di  Ala- 
manno Morelli  con  l'Adelaide 
Tessero  prima  attrice  giovine,  il  '64-'66  al  Fondo  di  Napoli  con 
Majeroni,  il  'bj-'àg  nella  Compagnia  di  suo  marito  in  società 
con  Pezzana,  ÌI  '70  in  altra  in  società  con  Majeroni  Edoardo 


e  Rescalli,  il  '7 1  di  nuovo  a  Napoli,  passata  al  ruolo  dì  prima 
donna  di  spalla,  seconda  donna  e  madre,  il  '74  ancora  prima  at- 
trice con  Bozzo,  il  '76  con  Giovagnoli,  e  il  '77  a  Parigi  con 
Salvini  al  posto  di  Amalia  Checchi  ivi  morta.  Passò  a  far  le 
madri,  il  '78,  con  Paladini,  Andò  e  Vestri;  ìl  '79  con  Pietriboni, 
ov*  io  r  ebbi  ottima  compagna,  1'  '80  in  Compagnia  sociale  di 
suo  marito,  e  l"8i  e  r'82  con  Emanuel.  Entrato  poi  il  Vestri 
nella  Compagnia  Nazionale,  dove  non  era  alcun  posto  per  lei, 
non  volendo  ella  creare  ostacoli  alla  scrittura  del  marito,  sì 
ritirò  dalle  scene,  e,  dopo  la  morte  dì  lui,  a  Bologna,  traendo 
meschinamente  la  vita.  Ma  vinto  il  concorso  alla  cattedra  di 
declamazione  nel  Liceo  musicale  dì  Pesaro,  quivi  ormai  si  è 
stabilita,  paga  della  vita  di  pace  che  s'è  venuta  creando  col  suo 
ingegno  e  colla  sua  bontà. 


Vestii  Leopoldo.  Ultimo  dei  fratelli  Vestri,  nacque  a  Bre- 
scia il  1832.  Fu  col  fratello  Pietro  a  Parma  nel  Collegio  dì 
Maria  Luigia,  d'onde  levato  ancor  gio- 
vine, visse  alcun  tempo  colla  madre, 
recitando  piccole  parti  di  paggio,  di 
amorino,  di  ragazzo,  con  Pisenti  e  Sol- 
mi, la  Ristori,  ecc.  Trovandosi  fermo 
a  Firenze  con  la  madre,  a  spasso,  gli 
venne  fatto  dì  conoscere  Giovanni 
Chiarini  celebre  conduttore  di  una 
compagnia  dì  pantomimi,  e  fu  da  lui 
scritturato  con  due  svanziche  alla  set- 
timana per  ogni  specie  di  parti,  dopo 
di  avere  esordito  con  ottimo  successo 
in  quella  di  vecchia  mugnaia  nei  Muli- 
nari.  In  breve  doventò  uno  de'  capi- 
saldi della  Compagnia,  alternando  le  partì  mimiche  con  le  forze 
alla  colonna  d'Alcide,  ì  balletti  di  carattere,  le  maschere  di 
Pierrot  e  Arlecchino.  Dopo  due  anni  di  quella  vita  travagliosa, 
il  fratello  Gaetano  lo  volle  con  sé,  e  gli  affidò  le  parti  di  amo- 


664  VESTRI  -  VIDARI 


roso,  da  cui  per  decisa  inettitudine  lo  tolse  subito  per  passarlo 
alle  comiche  marno  ^  secóndo  brillante:  e  tanto  Leopoldo  in 
quelle  si  distinse,  che  dopo  sei  anni  fu  elevato  al  grado  di 
primo  brillante  assoluto  nella  Compagnia  di  Zamarini  e  Carlo 
Romagnòli,  in  cui  esordì  con  molto  successo  il  1 860  ài  Pa- 
ganini di  Genova.  Fu  poi  con  Elena  Tiozzo,  con  Trivelli,  con 
Ernesto  Rossi,  col  quale  fu  in  America,  e  salì  in  bella  rino- 
manza, che  non  si  attenuò  mai  per  là  sua  gran  dovizia  di  comi- 
cità schietta  e  spontanea.  Fu  primo  a  rappresentar  le  parodie 
musicali  di  Roberto  il  diavolo,  Ruy -Bios,  Aida,  Ballo  in  Afa- 
schera,  ecc.,  nelle  quali,  io  ben  ricordo,  faceva  smascellar  dalle 
risa.  Troppo  sarebbe  noverar  le  compagnie  in  cui  egli  mi- 
litò :  basti  citar  quelle  di  Andò,  delle  sorelle  Vestri,  della  Pez- 
zana,  di  Morelli,  di  Achille  Dondini,  di  Bonazzi,  di  Dominici, 
di  Diligenti.  Sposò  a  Piacenza  nel  1 863  la  figlia  di  un  avvocato. 
Ameli,  da  cui  non  ebbe  figliuoli,  ma,  in  compenso,  grandissimo 
amore.  Oggi  egli  è  passato  al  ruolo  de*  caratteristi,  senza  che, 
a  oltre  settant' anni,  si  senta  fievolite  le  forze  fisiche  e  dell'in- 
telletto. 

Con  Leopoldo  Vestri,  attore  pregiato  quanto  modesto, 
appartenente  a  quella  schiera  omai  perduta  di  brillanti,  che 
suscitando  le  più  schiette  risate  rifaceva  il  sangue,  finisce  de- 
gnamente la  storia  dell' antiga  famiglia. 


Vestri  Anna.  (V.  Antinori  Amilcare). 


Vidari-Griffoni  Amalia.  Il  Pezzoli  e  il  Colomberti  la  dicono 
napolitana;  il  Regli  nata  a  Vicenza:  certo  ella  nacque  figlia 
dell'arte  (forse  a  Vicenza  da  parenti  napolitani),  e  dopo  di  aver 
recitato  in  compagnie  d'ultimo  ordine,  fu  sposata  ancor  giovi- 
netta a  Giuseppe  Vidari,  attore  della  primaria  Compagnia.  Gol- 
doni, in  cui  fu  diccoìtdi  generica  giovine,  e  restò  dodici  anni,  as- 
surgendo, mercè  gl'insegnamenti  di  Gaetana  Goldoni,  al  grado 
di  prima  donna,  dopo  la  scelta  di  lei,  e  di  prima  attrice  giovine 
assoluta.  Passò  il  1 8 1 5  col  Granara  prima  attrice  assoluta,  poi 


con  Giacomo  Modena,  poi  con  Francesco  Lombardi,  e  final- 
mente si  mise  col  marito  alla  testa  di  una  buona  Compagnia 
che  durò  molti  anni  con  gran  favore.  Ella  rivaleggiò  con  le 
maggiori  artiste  del  suo  tempo:  a  niuna  seconda  in  nessun  ge- 


nere di  parte,  le  superò  tutte  nella  commedia,  in  cui,  dice  il 
Regli,  era  una  potenza  ;  e  aggiunge  che  :  «  Pamela  nubile.  2^- 
linda  e  Lindoro  non  ebbero  più  mai  un'  interpetre  così  fedele 
e  così  perfetta.  » 

Ritiratasi  dall'arte,  andò  a  recitar  co'  filodrammatici  a  Vi- 
cenza, dove,  a  soli  cinquantun'  anni  trovò  la  più  tragica  fine. 
«  Afflitta  da  molte  sventure  di  famiglia,  angosciata  di  cuore  e 
alterata  di  mente,  uscì  di  casa  una  mattina  senza  dire  ove  an- 


666  VIDARI  -  VIDINI 


dasse,  né  mai  più  fu  veduta....  Si  suppone  eh*  ella  siasi  gettata 
nelle  onde  del  Bacchiglione,  fiume  che  bagna  Vicenza.  »  (Così 
il  Regli). 

Iacopo  Crescini  le  dedicò  nella  Galleria  de  più  rinomati 
attori  drammatici  italiani  questo 

SONETTO 

Ti  udiva,  o  Donna,  e  si  pendeva  attento, 
e  mi  stemprava  di  dolcezza  tanto, 
de'  tuoi  labri  amorosi  al  caro  accento 
nell'arte  di  cui  tieni  il  primo  vanto, 

che  ancor  rapita  in  estasi  mi  sento 
l'alma  non  sazia  del  gradito  incanto, 
ancor  dagli  occhi,  se  '1  tuo  duol  rammento, 
involontario  mi  discorre  il  pianto. 

Dammi,  o  Amalia,  una  lagrima  di  quelle 
che  dal  ciglio  ti  piovono  qualora 
accusi  a'  mali  tuoi  sorde  le  stelle  ! 

Che  per  tal  dono,  onde  in  pensier  mi  beo, 
i' sarei  pago,  aver  dovessi  ancora 
la  sorte  di  Comingio  e  di  Romeo. 

Il  marito  della  Vidari  era  un  impenitente  beone,  e  Fran- 
cesco Regli  riferisce  V  aneddoto  che  una  sera  a  Milano,  scor- 
datosi dopo  una  buona  bevuta  di  dover  recitare,  andò  a  teatro 
assai  tardi  ;  ed  entrato  in  camerino,  cominciò  a  svestirsi.  E 
quando  un  compagno  gli  disse  che  la  recita  era  sul  finire,  e 
eh'  egli  aveva  ripiegata  la  sua  parte,  il  Vidari  trasse  di  tasca  il 
borsello,  vi  die  dentro' un' occhiata,  e  tornò  pacifico  all'osteria. 

Vidini  Pietro.  (V.  Marchesini  Antonio). 

Vidini  Maddalena.  Moglie,  forse,  del  precedente,  fu  arti- 
sta di  grandissimo  pregio  :  e  la  vediamo  onorata  di  applausi  a 
Padova  il  carnovale  1747  quand'era  con  Onofrio  Paganini,  il 
quale  per  la  bella  interpetrazione  del  personaggio  di  Artnel- 
linda  nel  Rinaldo  di  Carlo  Goldoni,  le  dedicò  il  seguente 


VIDINI  -  VIGLIANI  667 


SONETTO 

Benché  a  lui  che  la  Gallia  e  il  mondo  onora 
svelar  non  osi  il  concepito  affetto 
per  il  zelo  d'onor,  che  nutre  in  petto, 
tacita  amante  il  gran  Rinaldo  adora; 

pur  nel  silenzio  istesso  è  bella  ancora, 
e  dimostra  Tardor  nel  cor  ristretto. 
Pietà  desta  in  altrui,  gioja  e  diletto, 
e  quanto  tace  più  tanto  innamora. 

Tenti  Fiorante  ogni  lusinga  e  frode, 
per  oscurar  della  gran  Donna  il  nome, 
che  ancor  cattiva  ha  la  sua  gloria  a  core. 

L'Eroe  difende,  e  con  vergogna  e  orrore 
de' perfidi  German  trionfa,  e  gode 
aver  lor  forze  indebolite  e  dome. 

Andò  poi  a  recitar  nelle  Compagnie  di  Venezia,  acclama- 
tissima,  e  morì  a  Genova  la  primavera  del  1761. 

Vieri  Marcello^  senese.  Fu  prima  nella  Compagnia  di  Ni- 
codemo  Manni  in  Lombardia  e  in  altre  provincie  d'Italia,  ap- 
plauditissimo  nel  carattere  brillante  ^\  francese  itaJianato,  di  cui 
fu  inventore  il  Canzàchi  (V.),  ma  che  il  Vieri,  fiorito  assai  tempo 
dopo,  rinnovò  senza  l' esempio  di  alcuno.  Recitò  anche  applau- 
dito in  parti  di  innamorato,  e  fu  abbastanza  noto  come  ritrat- 
tista. Viveva  ancora  fuor  dell'  arte  nel  1 7  8 1 . 

Vigliani  Oretta.  Benedetto  Croce  (  Teatri  di  Napoli,  pag.  141) 
riferisce  dalle  Poesie  del  signor  Bartolo  Partivalla  (Napoli,  per 
Honofrio  Savio  MDCLI)  il  seguente  sonetto  : 

Alla  Signora  Moretta  Vigliani 
comica  famosissima 

Mille  avvien  che  in  te  vegga  e  ch'in  te  miri 
e  prede  e  furti,  ond'ogni  cor  ti  cole, 
qualora  in  me  tra  lascivette  fole, 
i  lumi  soavissimi  tu  giri. 


668  VIGLIANI  -  VINACESI 

Non  bastavano  i  lucidi  zaffiri, 
eh' anco  volasti  in  su  l'eterea  mole 
l'oro  d'un  crine  ad  usurpar  del  sole, 
l'arco  d'un  ciglio  ad  involar  de  l'In. 

Era  a  te  poco  impoverir  gradita 
un  vastissimo  mar,  che  il  nome  ancora 
da  r  Hore  stesse  a  depredar  se'  gita. 

Felice,  o  me,  se  pria  che  in  tutto  io  mora, 
mi  sarà  dato,  anzi  il  partir  di  vita, 
un  momento  goder  di  si  belI'Hora  ! 

Vilfranchi  Barbara.  Figlia  di  Antonio  Romagnoli  (V.),  fu 
artista  di  grandissimo  pregio,  e  le  Varietà  teatrali  la  citano, 
quand'era  il  182 1  madre  nobile  e  caratteristica  in  Compagnia 
Job,  come  la  più  brava  attrice  della  Compagnia.  Forse  la  moglie 
di  Velfranch  Luigi,  che  il  Colomberti  cita  come  buon  primo 
attore  e  capocomico  secondario,  fiorito  verso  il  1 800  ? 

Villani  Felice.  <  Bolognese.  Recita  (1781)  nella  maschera 
^^ arlecchino  con  qualche  spirito;  travagliando  altresì  ne' ca- 
ratteri caricati  con  buona  grazia.  Fu  in  alcune  vaganti  com- 
pagnie, ed  oggi  ha  fermata  la  sua  dimora  in  quella,  che  scorre 
r Italia  sotto  la  direzione  di  Pietro  Ferrari.»  Così  Fr.  Bartoli. 
Lo  vediamo  arlecchino  il  1795-96  nella  Compagnia  sociale  di 
Carlo  Battaglia,  che  recitava  T  autunno  e  il  carnovale  al  ^.  Già- 
vanni  Crisostomo  di  Venezia. 

• 

Vinacesi  Elisabetta.  Quando  il  comico  Zanuzzi  fu  man- 
dato dalla  Compagnia  di  Parigi  in  Italia  (1775)  a  provvedere 
una  prima  attrice,  egli  trovò  che  la  più  a  proposito  era  la  Eli- 
sabetta Vinacesi.  Il  Gozzi  si  affaticò  a  provare  allo  Zanuzzi  che 
la  Vinacesi  era  poca  cosa  al  confronto  della  Ricci  (V.),  che  era 
stata  con  altre  in  predicato  per  andare  a  Parigi;  ma  pare  invece 
eh'  ella  fosse  di  gran  pregio,  che  sappiam  troppo  bene  come 
il  Gozzi  profondesse  lodi  alla  Ricci  in  danng  di  qualsiasi  altra. 


VINACESI  -  VISENTINI  669 


nella  speranza  di  togliersela  di  torno.  Infatti,  assicurato  che 
la  Ricci  non  sarebbe  in  alcun  modo  partita,  dice  aver  saputo 
dopo  €  che  la  Vinacesi  da  lui  conosciuta  giovine  di  molta  abilità, 
ma  di  costume  riservato,  contenta  di  ciò  che  guadagnava  in 
Italia,  aveva  rifiutato  a'  tumulti  di  Parigi,  e  a  quelle  fortune 
irregolari  che  alcune  femmine  teatrali  si  promettono  in  quella 
metropoli.  »  In  una  mia  raccolta  di  elenchi  della  fine  del  se- 
colo XVIII  un  Giovanni  Vinacesi  figura  come  Pantalone  nella 
Compagnia  di  Gregorio  Cicucci. 

Violone.  A  compimento  dell'  articolo  sul  Chiesa  (V.),  metto 
qui  l'aneddoto,  che  l'Ottonelli  riferisce  nel  libro  primo,  pa- 
gina IDI,  della  sua  Cristiana  Moderazione  del  Teatro,  inteso  da 
Violone  stesso,  come  testimonio  oculare,  e  già  riferito  dal  Bel- 
trame nella  sua  supplica.  Il  caso 

occorse  a  Capo  d' Orlando,  ove  da  una  fortuna  di  mare  sequestrata  una  Compagnia,  trovò 
che  l'albergo  era  occupato  per  rispetto  dell'arrivo  di  Monsig.  in  visita,  col  quale  erano 
quattro  venerabili  Religiosi.  Il  buon  Prelato  fece  stringere  la  sua  Corte  e  dar  luogo  ai 
Comici  ;  e  con  parte  de'  regali  presentati  a  lui  sovvenne  alla  lor  poca  provvisione.  Il  tempo 
con  l'asprezza  e  il  mare  con  la  tempesta  tolse  la  facoltà  di  viaggiare  a  tutti.  I  Comici 
ofierirono  un  poco  di  ricreazione  al  Prelato  lor  benefattore;  egli  si  compiacque  d'accet- 
tarla :  il  primo  giorno  si  fece  la  comedia  cosi  :  n  Monsig.  sedeva  avanti  la  porta  d' una 
camera  :  i  Religiosi  venerandi  sedevano  dentro  con  la  porta  non  affiitto  chiusa  ;  ma  che  ? 
A  mezzo  dell'azione  la  camera  risonava  per  l'applauso,  e  la  porta  era  spalancata.  Il  giorno 
seguente  quei  venerandi  sedettero  fuori;  e  il  terzo  sollecitarono  i  comici  a  dar  tosto  comin- 
damento.  Non  v'aggiungo,  scrive  Beltrame,  e  non  dico  il  tutto,  per  esser  creduto;  ma  certo 
che  molte  foron  le  lodi,  che  per  l'onesto  recitare  a'  Comici  diedero  quelle  saggie  Persone:  e 
benedicevano  il  mal  tempo,  che  aveva  loro  dato  occasione  di  goder  si  virtuoso  tratte- 
nimento. « 


Visentini  Tommaso  Antonio.  Nato  a  Vicenza  il  1682,  fu 

il  più  grande  Arlecchino  dell'età  sua,  più  noto  col  nome  di 
Thomassin,  che  non  sappiamo  s' egli  avesse  già  prima  di  re- 
carsi in  Francia.  Scelto  dal  Riccoboni  per  la  Compagnia  del 
Reggente,  si  recò  il  1 716  a  Parigi,  ed  esordì  alla  <  nuova  Com- 
media italiana  »  nel  teatro  del  Palais  Royal  (le  riparazioni  del- 
V Hotel  de  Bourgogne  non  erano  ancora  compiute)  il  18  maggio 
neW Inganno  Jortunato  (ykeureuse  surprise\  commedia  a  sog- 


670  VISENTINI 


getto  in  tre  atti,  che  il  pubblico  trovò  assai  buona,  e  in  cui 
erano  intercalate  alcune  scene  tratte  da  altra  commedia  spa- 
gnuola:  Visentini  vi  fu  magnìfico  in  quelle  del  Pittore. 

Il  vecchio  GueuUette  in  una  nota  curiosa  allo  Scenario  di 
Biancolelli,  parlando  dell' esordire  di  Tommasino,  racconta  come 
i  successori  del  celebre  Dominique,  il  quale  aveva  una  voce  in- 
goiata, e  somigliante  quella  di  un  pappagallo,  avessero  dovuto 
imitarlo,  che  i  francesi  mal  si  sarebbero  piegati  a  sentirne  una 
diversa.  E  però,  non  volendo  Visentini  uscire  dal  suo  metodo 
di  recitazione  naturale,  pensò  Riccoboni  di  mettere  al  princi- 
pio ài^heureuse  surprise  una  delle  tante  scene  di  notte  che  vi 
sono,  in  cui  Arlecchino,  chiamato  da  Lelio,  si  finge  talmente 
preso  dal  sonno  che,  senza  profferir  verbo,  or  scivola  a  terra, 
or  gli  cade  fra  le  braccia.  Tommasino  suscitò  le  più  schiette  ila- 
rità e  i  più  vivi  applausi  nell'  uditorio  ;  il  quale,  sentitolo  poi,  non 
ebbe  più  il  coraggio  di  burlarlo,  e  gli  permise  di  continuar  nel 
suo  tuono  naturale  di  voce.  Ma  il  successo  della  Compagnia  fu 
effimero,  sia  per  le  commedie  tutte  in  italiano,  che  i  francesi 
non  arrivavano  a  comprendere,  sia  per  la  ripresa  di  quelle  fran- 
cesi  d*una  volgarità  rivoltante,  scavate  dal  repertorio  dell'an- 
tica Comedia  italiana;  e  dopo  un  solo  anno,  vedendo  i  comici 
deserta  ogni  sera  la  sala,  incaricaron  Visentini  di  presentarsi 
al  pubblico,  e  riottenere  con  un  bel  discorso  l'antica  bene- 
volenza. 

Il  Campardon  riferisce  le  parole  di  lui,  tra  le  quali  furono 
queste  : 

Doe  cose  vi  dispiacciono  :  i  nostri  difetti  e  quelli  delle  nostre  commedie.  Per  quanto 
ci  concerne,  io  vi  prego  di  ranimentare  che  noi  siamo  degli  stranieri,  ridotti  per  piacervi 
a  dimenticar  noi  medesimi.  Nuova  lingua,  nuovo  genere  di  spettacoli,  nuovi  costumi  !  Le 
nostre  commedie  originali  piacciono  ai  conoscitori,  ma  essi  non  vengono  a  sentirle.  JLe  si- 
gnore, senza  le  quali  tutto  langue,  contente  di  piacere  nel  lor  linguaggio  naturale,  né  par- 
lano il  nostro,  né  lo  intendono  :  come  ci  amerebbero  esse  ?  E  per  difficile  che  sia  il  libe- 
rarsi dell'abito  d' infanzia  e  dell'educazione,  il  nostro  zelo  ci  sprona,  e  per  poco  voi  ci 
mettiate  in  istato  di  perseverare,  noi  diverremo,  lo  spero,  se  non  attori  eccellenti,  men 
ridicoli  certo  ai  vostri  occhi,  fors'  anco  sopportabili.  Quanto  alle  nostre  commedie,  io  non 
ho  troppo  da  invidiare  la  felicità  de'  nostri  predecessori,  che  vi  han  pure  attratto  e  diver- 
tito con  le  scene  stesse,  che  oggi  vi  tediano,  e  di  cui  non  potete  né  meno  sopportar  la 
lettura.  Il  gusto  del  pubblico  è  mutato  e  perfezionato  :  perchè  non  lo  è  quel  degli  autori  ? 


VISENTIN! 


M^o  K  compungere  d^ll  antort,  noi  «lac»  tapondabiH  è  di  dò  di'««n  à  un  dire,  e 
d«l  ceraie  noi  lo  didamo.  Siateci  indulgenti  p«  noitrì  sforai,  e  li  laddoppieremo  di  niomo 


/io...'  ir  Aj  ™bi,„.  ^n<tf  L, 
Il  .raìc  i-hiimia    Irj  Jf.aJair... 


in  giorno.  Proteggendoci,  voi 
nati  tra  voi,  formati  al  vostro 
itro  appUnso.  A  ogni  modo, 


vi  venite  allevando  pei  nostri  figli  de'  giovini  attori,  che, 
gntto,  aVran  forse  Da  giorno  il  contento  di  meritare  il  vo- 
essi  non  avrao  mai  per  voi  m^^or  zelo  e  rispetto  de'  loro 


672  VISENTINI 


Parole  che,  dette  da  un  attore  amato  e  stimato  s'ebbero 
il  loro  effetto,  poiché  a  poco  a  poco  il  teatro  italiano  ripigliò 
l'antico  vigore. 

La  sua  vita  artistica  fu  delle  più  brillanti.  Agile,  di  vena 
comica  inesauribile,  di  verità  sorprendente,  originale,  passava 
in  un  attimo  ai  sentimenti  più  disparati.  Sotto  la  maschera  del- 
V Arlecchino  egli  sapeva  strappare  le  lagrime,  glorioso  prede- 
cessore in  questo  del  non  men  glorioso  Petito  (V.). 

I  fratelli  Parfait  nel  lor  Dizionario  de  Teatri  gli  dedican 
parole  di  molta  lode,  riguardandolo  come  compatriotta,  e  di- 
cendo ch'egli  ha  fatto  un  uguale  onore  alla  Francia  e  all'Italia, 
degno  veramente  di  occupar  la  scena  con  Silvia  (V.  Bat.letti- 
Benozzi  Rosa  Giovanna),  la  sua  celebre  compagna  d'arte. 

Ammalatosi  di  tisi  il  martedì  grasso  del  1739,  comparve 
raramente  a  teatro  nell'ultimo  tempo  di  sua  vita,  coni  e  si  ha 
da  questa  quartina  : 

Cher  Visentini,  le  parterre 
ne  te  reproche  qu'un  défaut. 
J'ose  le  dire  tout  haut, 
c'est  que  tu  ne  te  montres  guère. 

Fra  le  lettere  del  Riccoboni  alla  Biblioteca  dell'Opera  di 
Parigi,  ve  n'ha  una  dell'agosto  1739,  colla  quale  prega  il  Gueul- 
lette  di  andare  con  lui  ad  assistere  il  povero  Thomassin  Visen- 
tini, morente,  e  soprattutto  per  indurlo  prima  della  morte  a 
pensare  alla  sua  famiglia. 

Avuti  r  1 1  di  agosto  dello  stesso  anno  i  Sacramenti,  morì 
mercoledì  19  in  via  Nuova  San  Dionigi,  e  fu  sepolto  il  domani 
a  San  Lorenzo,  sua  Parrocchia,  assistito  da  trenta  preti,  e  alla 
presenza  di  Vincenzo  e  Gioacchino  Visentini  suoi  figli,  di  Giu- 
seppe Balletti  e  di  Bonaventura  Benozzi.  L'atto  di  morte  lo 
dice  Ufficiale  del  Re. 

Lo  Jal  all'articolo  Visentini  dice:  €tlavaitètè  appelé  d'Ita- 
lie pour  doubler  et  remplacer  Evaristo  Gherardi,  successeur  du 
second  Dominique  Biancolelli,  fils  du  célèbre  Arlequin  aimé 


J3e    ce  /e  ne  .rcai.  qu^  iftte  l'art  nt  peiU  ait<ùicirt . 

Qui pi^urvil  rendrv  aiaryaix  iear  Jtu  pleùt  dìjyrt — ■"  ' 

JrfviCiTÙr  de  Ì<  fftruire  . 


ti.—  I  Comici  ilatiani.  Voi,  IL 


674  VISENTINI 

et  éstimé  de  Louis  XIV.  Tommaso  Vìsentini  vint  en  France 
avec  sa  femme,  Dominica  Rusca,  qui  ne  joua  point  la  comédie 
à  Paris,  soit  parce  qu'elle  ne  s'était  point  destinée  au  théatre, 
soit  parca  que  dans  !a  troupe  toutes  les  places  etaient  prises.  » 
Confesso  di  non  aver  capito  nulla.  Pour  doubler  Gherardi,  morto 
nel  '700?  Ma  che  c'entra  Gherardi  colla  nuova  Compagnia  del 
Reggente?  E  perchè  Dominica  Rusca,  e  non  Margherita?  E 
perchè  quei  due  soit  a  proposito  della  sua  non  apparita  sulla 
scena  italiana  di  Parigi,  mentre  si  sa  eh'  ella  vi  recitò  le  parti 
di  serva  sotto  il  nome  di  Violetta? 

Visentini'Rusca  Margherita.  Figlia  di  un  muratore  di 

Venezia  -  dice  Gueullette.  -  Nata  a  Bologna  -  dice  la  prefa- 
zione ^e\Nuovo  Teatro  italiano  (Parigi,  f  753).-  Moglie  del  pre- 
cedente, recitava  le  serve  sotto  ÌI  nome  di  Violetta,  e  andò  col 


marito,  e  collo  stesso  ruolo,  alla  Comedia  italiana  di  Parigi 
il  1 7 1 6.  Essa  era,  quel  che  si  dice,  una  gran  buona  donna  :  non 
forte  attrice,  ma  non  mai  spiacente  al  pubblico.  Morì  a  qua- 


VISENTINI  675 


rant'anni  il  28  febbrajo  del  1 73 1,  dopo  dì  aver  lasciato  il  teatro; 
e  fu  sepolta  l'indomani  a  San  Lorenzo,  sua  Parrocchia.  L'ico- 
nografia del  teatro  italiano  non  ci  ha  dato  che  questa  imma- 
gine di  Violetta,  che  tolgo  dalla  mia  raccolta.  {Suite  Herisset). 

Visentini  Caterina  Antonietta.  Figlia  dei  precedenti, 
nata  a  Venezia  e  battezzata  il  i  °  dicembre  1 7 1 1  nella  Chiesa 
di  San  Moisè,  non  lungi  dalla  Piazza  di  San  Marco,  esordì  bam- 
bina il  1 7 1 9  come  il  fratello  Francesco  nella  scena  aggiunta 
Aéìl^Arleguin  Pluton  di  Gueullette  sotto  le  vesti  di  piccola  Ar- 
lecchiti  a.  Apparve  poi  veramente  come  attrice  il  '26,  in  qualità 
di  amorosa  a  vicenda  colla  Balletti  Silvia,  passando  poscia  al 
ruolo  ài  servetta  nelle  commedie  francesi.  Sposò  il  30  luglio  '42 
l'attore  della  Comedia  italiana,  Dehesse  (il  suo  vero  nome,  dice 
una  nota  manoscritta  del  Gueullette,  era  Hesse),  olandese,  figlio 
di  francesi,  dopo  cinque  anni  almeno  di  contrasti  penosi,  cagio- 
nati da  certa  Maria  Maddalena  Hamon,  la  quale,  vissuta  lungo 
tempo  con  lui,  e  presentata  a  più  persone  come  sua  moglie, 
pretendendone  i  diritti  legali,  si  opponeva  al  matrimonio. 

Sul  valore  artistico  di  Caterina  Dehesse,  morta  il  5  ago- 
sto del  1774,  abbiamo  la  seguente  quartina  di  un  anonimo  : 

Fille  et  femme  de  grands  acteurs, 
Dehesse,  qui  dès  son  bas  àge 
du  public  obtint  le  suffrage, 
charme  toujours  les  spectateurs. 

(V.  Veronese  Cammilla). 

Visentini  Francesco.  Fratello  della  precedente,  aveva  poco 
più  di  un  anno,  quando  fu  condotto  il  1 7 1 6  a  Parigi,  e  com- 
parve alla  Comedia  italiana  il  19  gennajo  17 19  con  l'abito  di 
Arlecchino  in  una  scena  aggiunta  alla  commedia  di  Gueullette, 
Arlequin  Pluton,  pubblicata  soltanto  il  1879  dallo  Jouaust  a 
Parigi. 

Morì  il  19  aprile  1729  (rue  du  Renard),  e  fu  sepolto  l'in- 
domani al  San  Salvatore. 


676  VISENTINI 


Visentini  Giovati  Vincenzo.  Fratello  del  precedente,  nato 
il  171 7  a  Parigi  (Campardon  mette  erroneamente  1707).  Si 
chiamò  in  teatro  Tkomassin  come  suo  padre,  ed  esordì  merco- 
ledì 19  novembre  1732  alla  Comedia  italiana  colla  parte  prin- 
cipale di  Bajocco  nella  parodia  del  Joueur,  intermezzo  italiano. 
Il  5  dicembre  dello  stesso  anno  apparve  una  seconda  volta  colla 
parte  di  Maitre  à  chanter  nella  commedia  di  Boissy,  intitolata 
Je  ne  sais  quoi,  e  tutt'  e  due  le  sere  mostrò  una  finezza,  d'inter- 
petrazione  superiore  alla  sua  età.  Fu  ricevuto  poco  dopo  attore 
effettivo  della  Compagnia,  per  la  vicenda  col  padre  ;  ma  non  vi 
son  traccie  della  sua  compa^rsa.  come  Ar/eccAino/  bensì  di  quella 
come  Pulcinella,  la  quale  fu  delle  più  fortunate  ;  e  il  Mercurio 
di  Francia  del  dicembre  1732  trova  in  lui  molto  talento  pel 
teatro,  e,  a  perfezionarsi,  lo  consiglia  di  studiare  e  imitar  suo 
padre  che  ha  il  potere  di  afferrare  il  pubblico  al  suo  primo 
apparir  su  la  scena. 

Sposò  Maria  Agnese  Siméon,  che  esordì  alla  Comedia 
italiana  il  31  agosto  1752,  e  si  ritirò  dal  teatro,  alla  chiusura 
3  aprile  del  '55.  Il  4  settembre  seguente  fu  data  a  suo  beneficio 
una  rappresentazione,  che  ebbe  grande  successo,  con  La  Ser- 
vante maitresse  di  Baurans,  musica  di  Pergolese,  La  Féie  eie 
r amour  di  M.""*  Favart,  e  tre  intermedi,  l'ultimo  dei  quali, 
Les  Vil/ageois,  era  stato  composto  dal  Dehesse. 

Gian  Vincenzo  Visentini  non  fu,  pare,  di  una  condotta 
specchiata.  Un  documento  del  3  luglio  1 749  reca  l'accusa  della 
sua  domestica  Elisabetta  Deniset  di  averla  con  ogni  specie  di 
carezze  e  promesse  e  tentazioni  violata  e  incinta,  e  la  domanda 
di  un  rifacimento  di  danni  e  interessi;  con  un  altro  del  22  giu- 
gno 1 74 1 ,  il  Duca  di  Gesvres,  Governatore  di  Francia,  gli  or- 
dina di  costituirsi  immediatamente  prigioniero  a  For-l'Evéque 
per  aver  liticato  colla  moglie  tra  le  quinte,  cagionando  un  certo 
scandalo.  Un  terzo  infine  ci  apprende  come  egli  usasse  alzare 
il  gomito,  entrando  in  tale  stato  di  aberrazione  da  compiere 
inconsciente  anche  un  delitto.  Infatti  il  20  maggio  del  '52,  alle 
nove  di  sera,  ei  si  slanciò  per  di  dietro  su  di  un  soldato  della 


VISENTINI  J677 


guardia  che  andava  a  braccietto  di  un  amico  :  lo  separò  con 
violenza,  lo  percosse  con  pugni  nello  stomaco,  e  tratta  la  spada, 
glie  l'appuntò  al  petto,  provocandolo  e  sfidandolo.  L'amico 
intanto  era  corso  in  cerca  della  prima  squadra  della  guardia, 
la  quale  arrivata,  lo  trasse  in  arresto.  Altra  volta,  il  29  giu- 
gno 1754,  certo  Regley  ricorse  allo  strattagemma  di  farlo 
bere  per  ridurlo  a  perdere  ogni  conoscenza  e  fargli  firmare 
carte  compromettenti. 

Non  si  sa  la  data  precisa  della  sua  morte,  che  il  Campardon 
mette  verso  il  1 769. 

Visentini  Adriano  Guglielmo.  Figlio  del  precedente, 
nato  a  Parigi  il  1744;  studiò  sotto  lo  zio  Dehesse,  apparve 
il  22  febbrajo  '49  nel  ballo  degli  Enfants  vendangeurs,  ese- 
guito dopo  Le  Retour  de  la  paix  di  Boissy;  poi  negli  altri 
due  balli  Les  Enfants  sabotiers  e  Les  Vendanges,  suscitandovi 
entusiasmo. 

Non  si  sa  quando  egli  esordisse  veramente  a  la  Comedia 
italiana,  in  cui  assunse  come  suo  padre  e  suo  nonno  il  nome 
di  Thomassin.  Si  sa  eh'  egli  recitò  il  caratterista  a  vicenda  col 
Larouette,  e  talvolta  V arlecchino,  specie  1'  '84,  nei  Due  gemelli 
bergamaschi  di  Florian,  in  cui  apparve  l'ultima  volta  il  celebre 
Carlino  (V.  Bertinazzi)  all'età  di  settantadue  anni.  Del  suc- 
cesso di  Visentini  si  han  pareri  disparati  :  un  contemporaneo 
stampò  ch'ei  non  riuscì  indegno  del  famoso  nonno  Thomassin: 
e  una  nota  manoscritta  deir'87,  che  rispecchiava  l'opinione  del 
Comitato  del  Teatro  italiano  dice  semplicemente:  Thomassin, 
aòsolument  inutile* 

Egli  aveva  sposato  verso  il  '72  M."""  Giovanna  Nicoletta 
Tisserand,  che  esprdì  alla  Comedia  italiana  il  2  ottobre  '76  ;  fu 
ricevuto  a  un  quarto  di  parte  il  12  aprile  '75;  si  ritirò  dal  tea- 
tro il  maggio  dell'  '89,  e  morì  nel  1807.  Il  Campardon  reca  una 
citazione  di  lui  contro  certo  Fontaine  che  gli  aveva  rapita  la 
moglie  appena  diciannovenne  (gennajo  1776),  mentre  egli  era 
a  recitare  a  Versailles. 


678  VISENTINI 


Vìsentini  Luigia,  Elisabetta,  Carlotta.  Seconda  figlia 

di  Thomassin,  nota  al  teatro,  ove  esordì  il  luglio  del  1733,  col 
nome  di  BabeL 

Morì  il  1 8  febbrajo  1 740,  dopo  di  aver  già  lasciato  le  scene 
senza  nemmeno  dar  tempo  agli  spettatori  di  accorgersi  della 
sua  bellezza. 

Visentini  Francesca  Sidonia.  Sorella  della  precedente, 
conosciuta  in  teatro  col  nome  di  Sidonia,  nata  in  Francia  come 
Babet,  esordì  alla  Comedia  italiana  con  la  parte  di  protagonista 
in  La  Folle  raisonnable  di  Pier  Francesco  Biancolelli,  lunedì 
15  ottobre  1736;  e  vi  fu  ricevuta  al  posto  della  sorella  defunta 
poco  innanzi,  il  maggio  del  1740.  Di  fisonomia  men  regolare 
forse  di  quella  di  sua  sorella,  ma  più  viva  e  animata,  fornita 
delle  più  chiare  attitudini  all'arte  scenica,  fu  al  suo  esordire 
applauditissima,  né  solo  come  attrice,  sì  ancora  come  danza- 
trice; che  nel  balletto  d'uso  dopo  la  commedia,  ella  eseguì 
egregiamente  un  passo  a  due  insieme  al  signor  Dehesse.  Ma  la 
maggpior  fama  ella  s'  acquistò  nelle  parodie  a  Vaudeville,  ove 
spiegava  con  una  voce  passabile  tutte  le  grazie  ond'era  piena, 
specie  in  quella  di  Fedra,  che  fu  come  suggello  alla  sua  cele- 
brità. Poco  sopravvisse  a  Babet,  morendo  a  Parigi,  fuor  dalle 
scene,  la  domenica  5  settembre  del  1745. 

Visentini  Gioacchino.  Fratello  della  precedente,  nacque 
a  Parigi  il  2  maggio  del  1728,  e  fu  tenuto  al  fonte  battesimale 
rs  dello  stesso  mese  da  Francesco  Gioacchino  Potier,  Duca  di 
Gesvres,  Pari  di  Francia  e  Primo  Gentiluomo  di  Camera  del  Re, 
e  da  Renata  di  Romilly,  Duchessa  di  Cheures  ;  rappresentati 
r  uno  da  Michele  La  Caille  de  La  Tour,  suo  scudiere,  V  altra 
da  una  sua  damigella  Anna  Cordier.  La  notizia  è  data  dallo 
Jal  che  ne  reca  il  documento.  Di  rincontro  i  fratelli  Parfait 
con  la  scorta  del  Mercurio  di  Francia  dicono  che  Gioacchino 
Visentini  esordì  alla  Comedia  italiana  col  ruolo  di  Arlecchino 
in  Timon  le  Misaìitrope,  il  sabato  26  agosto  1741  all'età  di  soli 


VISENTINI  -  VISETTI  679 

diciotto  diVim.  La  notizia  è  seguita  poi  dal  D'Origny  e  dal  Cam- 
pardon.  Certamente  erronea  è  la  data  dello  Jal  il  quale  dà  un 
figììo^  jLuigi  Renato,  a  Thomassin  il  17  dicembre  1727,  e  un 
altro,  questo  Gioacchino,  il  2  maggio  del  1728  (cioè  a  dire 
dopo  quattro  mesi  e  mezzo),  anziché  del  1723. 

Anche  sul  valore  artistico  del  Visentini  ci  troviam  davanti 
a  contraddizioni.  Il  Mercurio  di  Francia  dell'agosto  1741,  se- 
guito poi  dai  fratelli  Parfait,  dice  ch'egli  fu  molto  applaudito 
nella  parte  di  arlecchino,  che  recitò  con  conveniente  intelligenza, 
dando  prova  di  molto  talento;  mentre  il  D'Origny  afferma  che 
l'esordire  di  lui  come  arlecchino  servi  a  provare  che  il  talento  è 
di  rado  ereditario.  Comunque  sia,  egli  certo  non  fu  ricevuto  in 
Compagnia,  e  andò  a  recitar  gli  arlecchini  in  provincia. 


Visetti  Giovali  Battista,  veronese,  nacque  il  1 780  da  civili 
parenti,  e  mostrò  giovanissimo  tra'  filodrammatici  una  grande 
attitudine  alla  scena.  Di  bella  persona,  di  volto  piacente,  di  voce 
magnifica,  d'ingegno  non  comune,  riuscì  in  breve  un  egregio 
primo  attor  giovine;  e  dopo  di  essere  stato  alcun  tempo  nelle 
Compagnie  Dorati  e  Righetti  passò  in  quella  di  Fabbrichesi, 
allo  stipendio  della  Corte  di  Napoli,  diventandone  \\i%2^  primo 
attore  assoluto  e  capocomico  in  società  con  Prepiani  e  Tessari, 
fino  al  1838,  in  cui,  condotta  nella  novena  di  settembre  la  mo- 
glie a  Macerata,  sua  patria,  fuor  dal  clima  di  Napoli,  e  da  una 
vita  ordinata,  fu  colpito  prima  da  febbre,  poi  da  paralisi  ner- 
vosa, che  lo  impedi  nella  parola.  Ristabilitosi  alquanto,  ritornò 
a  Napoli,  e  ricominciò  a  recitare,  ma  egli  non  era  più  il  celebre 
Visetti:  più  che  l'ammirazione  s'ebbe  il  compianto  del  pub- 
blico; e  in  capo  a  due  anni,  tocco  da  un  secondo  colpo,  rese 
l'anima  a  Dio.  Vuoisi  ch'egli  dovesse  la  sua  rovina  a  una  per- 
dita di  4000  ducati,  cagionatagli  da  false  speculazioni  di  suo 
figlio. 

Tutti  ebbero  del  suo  valore  artistico  un  grande  concetto, 
e  più  specialmente  il  Colomberti  e  l'Aliprandi,  i  quali  lasciarono 
scritto  ne'  lor  ricordi  che  egli  era  fortissimo  attore  in  ogni  ge- 


^ 


nere  di  lavori,  ma  sopr'  a  tutto  in  quelli  del  Metastasio.  Di  lui 
dice  il  Regli  : 

Fn  attore  di  grande  ilmocio  ;  1k  sa*  voce  aveva  il  in  odo  d'un  campanello  d'»Tge»to. 
Di  fignra  alquanto  tozza,  gestiva  pochi  !  simo  ;  pronimiiava  eMtUmeate;  alle  volte  pareva 


un  po'  freddo,  ma  nel  fuoco  delle  paiiioni,  nell'ardore  degli  affetti  li  riicaldava,  giovan- 
dogli mollo  in  <iue'  momenti  la  polenta  «iTaordinarìa  della  ina  voce.  Di  nobili  penumenli 
e  cosdeniiosiisimo,  ipreziava  quegli  artisli,  che  per  &rii  dei  partigiani,  ledtano  la  com- 
media al  Caffi,  amichi  in  Teatro  (parole  sue). 


VISETTI  -  VITALBA  68l 

E  Adamo  Alberti  : 

Visetti  era  un  pregiatissimo  Attore.  Possedeva  una  voce  armonica  e  robusta,  per  coi 
nelle  parti  di  forza  affascinava  il  pubblico,  e  si  faceva  strepitosamente  applaodire,  ma  egli 
studiava  poco,  non  sapeva  le  parti,  e  però  mancava  al  suo  compito. 

Vitalba  Antonio^  detto  Ottavio,  padovano,  primo  amoroso 
della  Compagnia  dell*  Imer,  per  la  quale  cominciò  a  scrivere 
il  Goldoni,  fu  comico  eccellente,  e  bastano,  credo,  queste  pa- 
role dello  stesso  Goldoni  a  dare  un'  idea  chiara  dell'  artista  e 
deir  uomo  : 

Antonio  Vitalba  Padovano,  comico  il  più  brillante,  il  più  vivo  che  siasi 

veduto  sopra  le  scene.  Parlava  bene,  e  con  una  prontezza  ammirabile,  e  ninno  meglio  di 
lui  ha  saputo,  come  dicono  i  commedianti,  giocar  le  Maschere;  cioè  sostenere  le  scene 
giocose  colle  quattro  Maschere  della  Commedia  italiana,  e  farle  risaltare  e  brillare.  Qualche 
volta  però  gli  arlecchini  si  dolevan  di  lui,  perchè  scordandosi  il  carattere  dell'amoroso, 
faceva  egli  l'arlecchino.  Mi  sovviene,  che  rappresentandosi  il  mio  Bellisario  (in  cui  so- 
steneva egli  un  tal  personaggio),  nella  scena  tenera  e  dolente,  in  cui  comparisce  senz'  oc- 
chi, con  un  bastone  alla  mano,  moralizzando  sulle  vicende  umane,  diede  un  colpo  di  bastone 
a  una  guardia  per  far  ridere  l' uditorio. 

Nelle  scene  più  serie,  e  più  interessanti  cercava  di  caa>ar  la  risata;  e  non  esitava 
a  rovinar  la  Commedia,  quando  gli  potea  riuscir  di  far  ridere.  Eppure  piaceva  al  pub- 
blico ;  ed  era  l' idolo  di  Venezia  ;  e  licenziato  qualche  anno  dopo  dalla  Compagnia  di  San 
Samuele,  fu  preso  con  avidità  dalla  Compagnia  di  San  Luca  (Gold.  Pasquali,  T.  XIU). 

Vitalba  che  aveva  così  ben  sostenuta  la  parte  di  Belisario, 
in  quella  di  Gtuiliiero  (della  Griselda)  si  sorpassò  {Mem.,  T.  I, 
XXXVIII).  Vitalba  era  un  bell'uomo,  un  eccellente  comico,  un 
gran  donnajuolo  ed  un  gran  libertino.  Era  invaghito  della  Pas- 
salacgua..,.  (Ivi). 

Per  questo  drammetto,  o  pettegolezzo  amoroso  in  tre, 
Goldoni,  la  Passalacqua,  Vitalba,  nel  quale  il  povero  Goldoni 
non  fa  la  più  bella  figura  al  mondo,  vedi  il  mio  monologo  La 
Spigliatezza  (Mil.,  1888). 

Del  resto,  Antonio  Vitalba,  che  uscì  vittorioso  dall'intrigo, 
fino  a  burlarsi  di  Goldoni,  pranzando  e  cenando  colla  Passa- 
lacqua, proprio  dopo  ch'ella  aveva  giurato  di  averlo  lasciato 
per  sempre,  era  ammogliato  ;  e  il  Loehner  riferisce  dai  registri 
di  San  Samuele  Tatto  di  morte  della  moglie  Costanza  in  età 
di  circa  35  anni,  avvenuta  il  1 7  ottobre  1736,  cioè  quasi  un  anno 
dopo  l'intrigo. 

86.  —  /  Comici  italiani.  Voi.  II. 


^ 


682  VITALBA 


Della  sua  vita  artistica  sappiamo  che  Testate  del  1724  si 
trovava  a  Padova,  poi  a  Treviso,  d'onde  scrive  a  un  medico 
due  lettere  :  per  ottenere  alcuna  commendatizia,  e  per  dargli 
avviso  di  avere  sputato  un  pò*  di  sangue,  il  che  V  aveva  messo 
in  grande  apprensione.  Con  altra  lettera  in  risposta  alle  ordi- 
nazioni del  medico,  avverte  non  poter  prendere  il  latte  sino  a 
Bologna,  per  dqve  sarebbe  partito  pochi  giorni  dopo;  e  do- 
manda se  debba  prenderlo  cotto  o  naturale,  e  s'abbia  da  me- 
scolargli altro,  e  quanto  n'avrà  da  prendere  e  per  quanti  giorni; 
e  quanto  sangue  stimerà  bene  si  faccia  levare,  e  cosa  debba 
prendere  prima  della  cavata  di  sangue. 

Tornò  a  Treviso  il  settembre  dello  stesso  anno  per  andar 
poi  a  passar  tutto  l'autunno  a  Bologna;  e  rinnova  istanza  per 
avere  una  lettera  di  raccomandazione,  e  neanche  a  farlo  a  posta 
rida  notizia  di  nuovo  sputo  di  sangue....  Ma  si  vede  bene  che 
Vitalba  era  pauroso  all'estremo.  Curioso  il  metodo  di  cura  se- 
guìto  scrupolosamente.  <  Io  prendo  -  scrive  -  l'acqua  col  litro 
la  mattina,  sugo  di  portuUona  e  piantagine,  e  li  protesto  che 
la  fame  la  patischo,  voglio  un  poco  vedere  cosa  è  per  essere.  > 

Il  marzo  del  '25  era  novamente  in  Bologna,  d'onde  prega 
il  solito  medico  di  disimpegnargli  un  abito  scarlatto,  ricamato 
d'argènto,  senza  il  quale  non  può  cominciar  le  recite,  promet- 
tendogli di  restituirgli  il  denaro  che  dovrà  sborsare,  non  ap- 
pena sarà  a  recitare  a  Ravenna  ov'è  un  regalo  di  cento  Filippi. 
E  prega  di  spedir  l'abito  a  Francesco  Cattolì  detto  Tracca- 
gnino  (V.),  a  Venezia,  il  quale  ha  incarico  di  farglielo  avere  a 
Bologna. 

Dal  '25  si  passa  a  una  lettera  del  '35,  in  cui  dopo  di  avere 
accennato  a  un  nuovo  sputo  di  sangue  avuto  il  '29  a  Padova, 
racconta  come  la  passata  quaresima  (1734)  tornando  da  Roma 
fosse  caduto  con  tutto  il  calesse  in  mezzo  a  un  fiume,  e  avesse 
dovuto  restar  due  giorni  in  una  casa  di  contadini  per  asciu- 
garsi, dalla  quale  partì  a  cavallo,  essendo  il  calesse  infranto, 
con  vento  e  neve  così  terribili,  che  credette  morirsi  per  via. 
Arrivato  a  Bologna  stette  bene  due  mesi,  ma  poi  fu  preso  da 


VITALBA  683 


vertigini  e  febbri  acutissime,  per  le  quali  fu  ordinata  nuova 
emissione  di  sangue.  Da  Bologna  potè  recarsi  a  Genova,  ma 
non  cessandogli  la  febbre,  si  volse  tosto  a  un  medico  che  gli 
ordinò  cascia  con  entro  gialapa  (sciarappa),  quale  gli  mosse  di- 
molto  e  operò  assai.  Gli  ordinò  anche  la  china  ;  ma  Vitalba,  dub- 
bioso del  merito  reale  del  medico,  giovanissimo,  ricorse  a  uno 
rinomato,  il  quale  trovatagli  una  ostruzione  al  ventre,  gli  or- 
dinò sei  pillole  ogni  mattina  per  dieci  giorni.  La  febbre  non 
gli  venne  più  così  gagliarda,  ma  egli  si  trovava  in  tale  stato  di 
affiacchimento,  da  non  potersi  reggere  in  piedi,  specie  la  sera, 
quando  doveva  recitare:  e  di  ciò  si  duole  col  solito  medico,  al 
quale  chiede  ajuto  di  nuovi  consigli. 

Il  '38  dedicò  una  traduzione  in  prosa  di€X Alzira,  tragedia 
di  Voltaire,  all'ambasciatore  di  S.  M.  Cattolica  in  Venezia  Don 
Luigi  Regio  Principe  di  Campo  Fiorito,  ecc.  (Ven.  Alvise  Val- 
vasense. 

Fr.  Bartoli  dice  che  Vitalba  recitò  sempre  sotto  il  nome 
di  Fhrindo,  e  fu  comico  al  servizio  di  S.  A.  S.  il  Sig.'  Duca  di 
Modena  Francesco  I  ;  ma  è  un  errore,  che  egli  stesso  si  firma  : 
Antonio  Vitalba  detto  Ottavio  Comico.  Anche  lo  fa  nascere 
a  Bologna,  mentre  Goldoni  lo  dice  padovano.  Fra  le  produ- 
zioni, in  cui  più  specialmente  emerse,  lo  stesso  Bartoli  cita  // 
Vagabondo,  U Amante /ra  le  due  obbligazioni  e  il  Don  Giovanni 
Tenorio  nel  Convitato  di  Pietra,  per  le  quali  ogni  spettatore 
bisognava  che  confessasse  esser  egli  un  comico  perfetto,  a  cui  nulla 
mancava  per  dirlo  un  Roscio  de'  suoi  tempi.  Entrato  nella  Com- 
pagnia di  Antonio  Sacco,  si  recò  in  Portogallo  con  lui,  e  di  là 
tornò  a  Venezia,  applauditissimo  sempre.  Antonio  Vitalba  morì 
a  Bologna  in  età  non  avanzata,  la  primavera  del  1758. 

Vitalba  Giovanni.  Figlio  del  precedente,  studiò  da  prima 
chirurgia  in  Firenze,  poi  si  diede  all'arte  comica,  nella  quale 
riuscì  di  qualche  pregio  per  quelle  parti  ^innamorato,  ove  non 
dominasse  il  sentimento.  Fu  con  la  Compagnia  di  Antonio 
Sacco  (V.),  di  cui  sposò  la  figliuola  (V.  Sacco- Vitalba  Angetj\.), 


684  VITALBA 


e  recitò  ammirato  nelle  favole  di  Carlo  Gozzi,  dalle  cui  Memorie 
inutili  riferisco  il  brano  che  riguarda  la  parte  eh'  ebbe  Vitalba 
nello  scandalo  Gratarol,  riproducendolo  al  vivo  in  JLe  Droghe 
d'amore,  dal  quale  si  ha  un  chiaro  cenno  delle  sue  qualità  fisiche 
e  morali. 

Il  Gozzi  aveva  assegnata  la  parte  di  Don  Adone  cugino 
del  Duca  al  comico  Benedetti,  romano:  quella  di  Alessandro 
Gran  Cancelliere  del  Duca  amante  di  Ardenia  Marchesa  di  Ta- 
ranto, al  comico  Vitalba.  Invitato  dopo  tante  peripezie  alla 
prova  della  favola,  trovò  invertite  le  due  parti.  Perchè  ?  Il  Sac- 
chi diede  ragioni  d'indole  artistica;  mentre  invece....  Ma  la- 
sciam  discorrere  il  Gozzi  : 

Alla  sedicesima  scena  dell'  atto  primo,  eh'  è  la  penultima  di  qnell'  atto,  nsd 

il  Don  Adone  cugino  del  Duca. 

Al  presentarsi  di  quel  personaggio,  la  parte  di  cui  era  stata  appoggiata  al  comico 
Vitalba  col  baratto  sopraddetto,  m'avvidi  tosto  della  serpe  che  mi  s'era  tenuta  occulta 
con  una  malizia  impenetrabile,  e  eh'  io  non  averci  mai  potuto  né  sospettare,  né  imma- 
ginare. 

Ecco  il  fondamento  d' un  diabolico  manupolio  concertato,  di  cui  non  posso  accusare 
che  la  comica  abborribile  venalità  favorita;  manupolio  che  legato  alle  anteriori  dissemi- 
nazioni, e  con  un'illusione  anticipatamente  fissata  da' passi  sconsigliati  del  Gratarol,  ha 
dato  corpo  solido  a  ciò  che  non  era  nemmeno  un'ombra. 

Il  comico  Vitalba,  buon  uomo,  ma  cattivo  attore,  per  sua  sciagura  aveva  i  capelli 
tendenti  al  biondo  come  quelli  del  Gratarol,  e  la  sua  statura  era  poco  più  poco  meno, 
consimile.  Da  ciò  nacque  il  traditore  artifizio  del  baratto  di  parte.  Ma  più.  La  pettina- 
tura di  quell'attore,  era  a£Fettatamente  imitata  da  quella  del  detto  signore.  U  colore  dei 
vestiti,  il  taglio,  i  ricami,  e  l'attillatura  erano  pure  imitati.  E  peggio.  Quel  comico,  per 
sé  stesso  persona  dabbene  ed  onesta,  era  stato  àmmestrato  non  so  da  chi  (forse  con  di 
lui  cecità),  ne'  gesti,  ne'  passi  marcati  del  Gratarol  per  modo,  che  quantunque  io  non  abbia 
giammai  avuta  la  menoma  inurbana  mira  di  porre  il  Gratarol  in  sulla  scena,  devo  dire 
con  mio  dolore  :  il  Gratarol  si  è  posto,  e  fu  posto  in  iscena  nella  mia  commedia  :  Le  Droghe 
d'amare. 

Presentatosi  appena  in  sul  palco  quel  personaggio,  un  enorme  applauso 

Immaginare  le  scene  che  accaddero  di  poi!  Il  Sacchi  visto 
il  risultato  delle  Droghe  d'amore  a  Venezia,  volle  al  suo  andare 
a  Milano  in  quello  stesso  anno,  ritentarla  in  quella  città.  Ahimè! 
Il  Vitalba,  andando  o  ritornando  di  notte  dal  teatro  si  era  incon- 
trato in  un  sicario,  il  quale  gli  aveva  scagliato  con  una  forza  da 
atleta  un  ben  grosso  bottiglione  pieno  cf  inchiostro  per  diffortnargli 
la  faccia. 


VITALBA  -  VITALI  685 


Fortunatamente  il  bottiglione,  che  avrebbe  potuto  non 
che  difformarlo,  accopparlo^  lo  aveva  colpito  al  collo  difeso  da 
un  colletto  a  più  doppi,  sottraendolo  alla  morte.  La  notizia 
giunse  a  Venezia,  e  il  carattere  pacifico  di  quel  pover  uomo,  riti- 
rato', economo,  che  faceva  il  comico  per  guadagnarsi  il  pane,  che 
obbediva  ciecamente  il  capocomico,  che  non  aveva  nimici  da  dover 
temere  d' essere  accoppcUo,  o  diff ormato,  suscitò  in  Venezia  de  di- 
scorsi,  e  de  sospetti  unanimi  sopra  il  GrataroL 

Fr.  Bartoli  dice  che  il  Vitalba  accumulò  del  danaro  col 
frutto  delle  sue  fatiche.  Viveva  ancora  alla  pubblicazione  delle 
sue  Notizie  istoriche  e  aveva  un  solo  figlio  per  nome  Costanzo 
(il  nome  della  madre?)- stabilito  in  Francia,  ove  esercitava  l'arte 
del  giojelliere. 

Il  Gozzi  nel  Canto  Ditirambico  de' Partigiani  del  Sacchi  Truf- 
faldino, dice  a  pag.  174: 

L'Angelina  il  monte  assaglia; 
ma  s' ingrassi  un  po'  più  adagio. 

Siedi,  e  fa  per  lo  contrario, 
del  Vitalba  o  Vedovella, 
perchè  il  popolo  t'appella 
una  fune  del  sipario. 

E  a  questa  vedovella  è  scritto  in  nota:  la  Sig/*"  Calterina 
Vitalba.  Qual  Catterina?  E  vedova  di  chi?  La  moglie  di  Vitalba 
non  era  V  Angelina,  figlia  del  Sacchi  ?  La  madre  del  Vitalba  ? 
Ma  quella  si  chiamava  Costanza  ed  era  morta  il  *36.  E  nel- 
r elenco  del  '75  lasciatoci  dal  Lessing  (V.  Sacco  Antonio)  non 
figuran  altri  Vitalba  che  i  soliti  coniugi  Angela  e  Giovanni, 

Vitalbino.  (V.  Zanuzzi  Francesco)* 

Vitali  Buonafede,  Bonaventura,  Ignazio.  Ciarlatano  e 

capocomico,  più  noto  sotto  il  nome  dsXV Anonimo,  che  assunse 
la  prima  volta  in  Genova  il  1 7 1 4,  nacque  a  Busse to  nel  Ducato 


686  VITALI 

di  Parma,  il  1 3  luglio  1686  (secondo  Tipaldo,  il  5  luglio)  da  Giu- 
seppe, militare,  e  da  Maria  Carpi,  cittadina  di  Parma;  e  abbiam 
da  Goldoni  notizie  particolareggiate  dell'esser  suo.  Mentre 
questi  era  a  Milano,  gentiluomo  di  Camera  del  Residente  ve- 
neto (1733),  arrivò,  nel  principio  di  quaresima,  il  Vitali.  Di 
buona  famiglia,  aveva  avuto  un'educazione  eccellente,  ed  era 
stato  prima  gesuita,  poi  medico  di  Reggimento,  poi  professore 
di  medicina  all'Università  di  Palermo,  poi  ciarlatano.  Vendeva 
specifici,  rispondeva  a  ogni  quesito  scientifico-letterario,  e  salì 
in  breve  in  alta  rinomanza.  La  piazza  ov'egli  agiva  era  piena 
sempre  di  gente  a  piedi  e  in  carrozza  ;  ma,  naturalmente,  di- 
fettandovi i  dotti,  egli,  all'intento  di  allettare  la  folla  ignorante, 
ebbe  l'idea  peregrina  e  geniale  delle  quattro  maschere  italiane, 
che  lo  ajutavan  co'  lor  lazzi  nello  smercio  de' suoi  specifici. 

Alle  maschere  italiane  seguì  una  vera  e  propria  Compa- 
gnia di  comici,  che  dopo  aver  ajutato  il  loro  padrone  a  ricevere  il 
denaro  che  veniva  loro  buttato  in  fazzoletti  annodati,  ed  a  riman- 
dare i  fazzoletti  medesimi  con  iscatolette  0  vasetti,  davano  poscia  la 
rappresentazione  di  commedie  in  tre  cUti  a  lume  di  torcie  di  cera 
bianca  con  una  specie  di  magnificenza.  Dopo  alcuni  anni  passò  a 
Venezia,  poi  a  Verona,  chiamatovi  per  una  malattia  epidemica 
mortale,  ch'egli  infallantemente  guariva  con  mele  appiole  e 
vin  di  Cipro,  dove  morì  di  peripneumonia  nello  stesso  anno 
(2  ottobre  1 745)  col  titolo  di  Primo  medico  di  Verona,  compianto 
da  tutti,  fuorché  dai  medici. 

Il  Vitali  aveva  in  Compagnia  un  Casali  e  un  Rubini  (V.), 
che  furon  poi  chiamati  a  Venezia,  l'uno  al  San  Samuele,  l'altro 
al  San  Luca  ;  e  Goldoni  scrisse  per  lui  //  Gondolier  veneto,  la 
prima  commedia  alla  sua  maniera,  comparsa  in  pubblico  (au- 
tunno 1833)  e  stampata  poi  successivamente  (Milano,  R.  Mala- 
testa,  1733,  pag.  i4,in-?4°[Sch.  Silvestri]).  Il  Goldoni  aggiunge 
che  trovasi  nel  quarto  volume  delle  sue  commedie  (ediz.  veneta 
del  Pasquali):  errore  questo,  sul  quale  non  ricordo  di  aver  letto 
correzioni.  Io  non  conosco  altra  stampa  fuor  quella  dello  Zatta 
(T.  I,  dei  drammi  giocosi  per  musica,  XXXV  delle  opere  tea- 


VITALI  -  VITALIANI  687 


trali),  in  fronte  alla  quale  è  detto  con  nuovo  errore  :  rappre- 
sentato per  la  prima  volta  in  Milano  ne If  anno  1732. 

Molte  opere  scrisse  il  Vitali  più  o  meno  scientifiche,  tra 
cui  la  Lettera  scritta  ad  un  Cavaliere  suo  padrone  (forse  il  Mar- 
chese Scipione  Maffei?),  dall' Aì^omuo  in  difesa  della  professione 
del  Saltimbanco  coli' aggiunta  infine  d'un  Tesoro  di  segreti  utili, 
e  dilettevoli  a  qualsivoglia  stato  di  persone.  (In  Verona,  fratelli 
Merli,  s.  a.),  che  ricordan  molto  quelli  del  Cortellaccio  Ippolito 
Montini  (V.).  Scrisse  altresì  La  Bella  Negromantessa,  commedia 
breve,  onesta  e  piacevole,  composta  e  data  in  luce  dalV K^o^iuo  per 
divertimento  de'  curiosi,  dove  si  mostra  il  pericoloso  stato  degli 
amanti  per  tollerare  la  concorrenza  in  amore.  (Bologna,  Lon- 
ghi,  1735);  e  una  tragedia  0>(f^,  donata  alla  zomxc^  Argentina 
(forse  un'ava  della  Zanerini?)  rimasta  inedita. 

Rimando  chi  volesse  maggiori  notizie  del  Vitali  alla  bio- 
grafia che  ne  dà  il  Tipaldo,  e  allo  studio  di  A.  D'Ancona: 
Una  macchietta  goldoniana  {Strenna  de'  rachitici,  anno  VII),  con- 
dotto maestrevolmente  su  quella  e  sullo  schizzo  lasciatoci  dal 
Goldoni. 

Vitali  Sante.  <  Bolognese.  Recitò  da  innamorato  in  diverse 
vaganti  Compagnie,  e  specialmente  in  quella  di  Onofrio  Paga- 
nini. Riuscì  grazioso  in  alcuni  caratteri  affettati,  e  cantò  di  buon 
gusto  ne' musicali  intermezzi  unitamente  ad  altri  comici.  Fu 
impiegato  nella  Compagnia  d'Antonio  Sacco  più  anni,  e  nel  1 770 
passò  con  quella  di  Girolamo  Medebach  per  recitarvi  nella 
maschera  del  Dottore,  ma  poco  ivi  potè  far  valere  il  suo  spirito 
e  la  sua  lodevole  abilità,  poiché  giunto  a  Modena,  tocco  da 
apoplessia,  vi  morì  in  quell'estate  in  età  d'anni  38.  >  Così  Fr. 
Bartoli.  Era  dunque  nato  il  1732. 

Vitaliani  Agata.  Una  nota  manoscritta  del  vecchio  Gueul- 
lette  ci  apprende  com'ella  fosse  moglie  di  Francesco  Balletti, 
primo  del  nome,  innamorato;  recitasse  in  Italia  le  amorose 
col  nome  di  Flaminia,  e  avesse  per  nonno  Marco  Napolioni 


688  VITALIANI 


detto  Flaminio.  Ho  perso  quasi  la  testa  per  trovare  il  bandolo 
di  questa  intricata  matassa,  e  non  vi  sarei  riuscito,  a  dir  vero, 
che  dando  due  mariti  ad  Agata  Vitaliani.  Luigi  Riccoboni  dice 
(V.  Calderoni  Francesco,  pag.  543)  :  <  A  capi  della  Compa- 
gnia erano  Francesco  Calderoni  detto  Silvio  e  Agata  Calderoni 
detta  Flaminia  sua  moglie,  nonna  della  mia.  >  E  perchè  non  : 
Francesco  Calderoni  e  Agata  Calderoni  sua  moglie,  nonni  della 
mia?  Dunque  Elena  era  nipote  per  parte  soltanto  della  donna; 
dunque  di  una  Balletti.  E  concordando  il  nome  di  battesimo  e 
quel  di  teatro  della  Vitaliani,  con  quelli  della  Calderoni,  ed  esa- 
minate le  date  da  Marco  Napolioni  alla  moglie  di  Riccoboni, 
sarei  portato  a  inferire  che  Agata  Vitaliani,  figlia  di  un  Vita- 
liani e  di  una  Napolioni,  moglie  di  Francesco  Balletti,  e  suo- 
cera della  Fravoletta  (V.  Balletti,...  ?),  rimasta  vedova,  fosse 
nel  1766  circa  passata  a  seconde  nozze  con  Francesco  Cal- 
deroni. 

Vitaliani-Parpagiola  Andrea.  Padovano  e  non  figlio  d*arte 
(il  nome  di  Parpagiola  gli  venne  da  una  prossima  parente.  Dama 
di  Corte  di  Maria  Luisa  di  Parma,  che  gli  aveva  lasciato  parte 
delle  sue  fortune)  era  il  1 824  primo  amoroso  in  Compagnia  Duse; 
e  il  n.°  4  di  quell'anno  delle  Varietà  teatrali  di  Venezia  gli  tri- 
buta parole  di  moltissima  lode.  Con  lettera  del  12  agosto  '37 
domandava  a  Ferdinando  Pelzet,  scadendogli  una  cambiale,  il 
prestito  di  otto  scudi.  <  Gli  affari  -  scriveva  -  poco  favorevoli 
del  mio  Capocomico,  mi  pongono  nel  caso  di  non  poter  soddi- 
sfare al  contratto  impegno.  >  Ma  non  ho  potuto  sapere  il  nome 
di  quel  capocomico. 

Era  il  '48  in  Compagnia  di  Angelo  Lipparini  colla  moglie 
Marianna  e  i  figli  Cesare  e  Vitaliano.  Della  sua  vita  privata  un 
piccol  cenno  si  ha  in  un  epigramma  del  tempo,  che  ho  in  una 
raccolta  manoscritta,  diretto  alla  moglie  di  lui,  chiedendole 
come  mai  egli  divenisse  tanto  birba  da  consumar  la  sovven- 
zione teatrale  con  la  Ciabetti,  e  fare  poi  scandali  con  la  moglie 
di  parole  e  percosse. 


VITALIANI 


Vitaliani  Cesare.  Figlio  del  precedente,  nato  il  1824,  co- 
minciò a  recitar  giovinetto,  come  ogni  figlio  d'arte,  insieme  al 
padre  e  alla  madre,  coi  quali  trovavasi  ancora,  amoroso  il  1848 
in  Compagnia  Lipparini.  Fu  poi  in  vario  tempo  e  in  varie  com- 
pagnie, primo  attore  pre- 
giato e  non  men  pregiato 
Direttore.  Mercè  la  sua 
cultura  e  la  sua  intelligen- 
zanon  comuni  fu  chiamato 
AzHy Italia  ar^^a  di  Tori- 
no, iniziatrice,  a  dirigere 
alcune  rappresentazioni 
di  commedie  classiche  ita- 
liane, tra  cui  QTdL  La  Man- 
dragola di  Macchiavelli. 
All'arte  sua  di  attore 
e  direttore  egli  accop- 
piò quella  di  scrittore  a 
cui  legò  favorevolmente 
e  per  alcun  tempo  il  suo 
nome.  Fra  le  molte  sue 
opere  vanno  annoverate 
come  le  migliori,  V Amore. 
e  Lord  Byron  a  Venezia,  le  quali,  ricche  di  tutto  Ìl  convenziona- 
lismo teatrale,  e  di  reminiscenze  delle  più  belle  opere  altrui, 
brillarono  come  fuochi  d'artificio,  di  luce  efifimera  e  smagliante. 
Non  fu  il  Vitaliani  uomo  di  specchiata  moralità,  e  un  senile 
pervertimento  gli  procacciò  processi,  e  pur  troppo  anche  la 
carcere,  dove  morì  presso  Trieste,  il  26  luglio  1893. 


Vitaliani  Clotilde.  Moglie  del  precedente,  nata  Trabalza 
a  Roma  il  1836,  apparve  sulle  pubbliche  scene  come  una  me- 
teora, dopo  di  avere  appartenuto,  acclamatissima,  alle  più  chiare 
e  signorili  filodrammatiche  della  città,  fra  cui  quella  presieduta 
dal  Duca  Grazioli,  nella  quale  si  meritò  l'onore  dell'effigie,  e 

S7.  —  /  Camici  ìlaliaHi.  VcL  IL 


VITALIANI 


busti  e  poesie.  In  arte  non  recitò  che  un  anno,  dopo  il  quale, 
benché  favorevolmente  accolta,  sì  re- 
stituì a  Roma,  abbandonata  dal  ma- 
rito, dove  continuò  a  recitare  in  So- 
cietà private,  alternando  le  sceniche 
rappresentazioni  con  declamazioni 
dantesche  a  cui  dedicò  studi  speciali, 
e  dov'è  anche  oggi,  maestra  di  reci- 
tazione. Io  l'ebbi  compagna  tra'  filo- 
drammatici il  '75,  e  la  ricordo,  bel- 
lissima, nell'ultimo  atto  della  Pia 
declamato  con  molta  passione. 

Vìtalianì  Vitaliano.  Altro  figlio 
di  Andrea,  marito  di  Elisa  Duse,  ar- 
tista mediocre,  era  il  1 848  con  la  famiglia  in  Compagnia  Lippa- 
rini,  col  ruolo  di  generico.  Lo  vediamo  il  '64  in  quella  dì  Zecchi,  e 
il  '65  nella  Dante  Alighieri,  diretta  da  Riccardo  Castel  vecchio, 
anno  in  cui  si  sposò.  Il  '69  era  con  la  moglie  prima  donna  in 
Compagnia  Carbonin,  diretta  da  Antonio  Giardini,  e  il  '76  in 
quella  di  Luciano  CunibertJ. 

Morì  nel  '95  di  affezione  cardiaca. 


Vitaliani  Italia.  Figlia  del  precedente  e  di  Elisa  Duse, 
nacque  a  Torino  (tolgo  la  seguente  cronologia  artistica  da  un 
album  in  onore  di  lei  -  Roma,  Vogherà,  1900)  il  20  agosto 
del  i866.  Era  il  '76  col  padre  in  Compagnia  di  Luciano  Cuni- 
berti,  ma  si  può  dire  che  cominciasse  a  recitare  nel  '79  —  tredi- 
cenne appena  -  con  Annetta  Pedretti.  Passò  quindi  nella  Com- 
pagnia Bellotti-Bon  e  Marini,  diretta  da  suo  zio  Cesare,  in 
qualità  di  seconda  amorosa;  fu  successivamente  nella  stessa 
compagnia  ;iW«fl  aUrice  giovine,  in  sostituzione  di  Linda  Belli- 
Blanes  ammalatasi.  Nel  1883  -  per  un  solo  anno  -  fece  parte 
della  Compagnia  Nazionale  sotto  Pierina  Giagnoni.  Nel  1884 
passò,  con  il  ruolo  assòluto  di  prima  attrice  giovine,  nella  Com- 


VITALIANI 


pagnia  di  Cesare  Rossi,  della  quale  era  prima  attrice  sua  cu- 
gina Eleonora  Duse.  In  seguito  rimase  per  tre  anni  con  Fran- 


cesco Pasta,  a  fianco  di  Annetta  Campi,  per  ritornare,  dopo 
un  triennio,  con  G.  B.  Marini,  ed  essere  prima  attrice  a  vicenda 
con  Virginia  Marini,  e  cioè  nelle  parti  che  più  non  si  adatta- 


VITALIANI 


ch'egli  dice  senza  lirico  sbhAtiAono-.prodigiosaTuUasuasempiiciid. 
<Non  mi  chiedete  -  ella  disse  una  volta  -  se  io  preferisca  l'arte 
antica  o  l'arte  moderna.  Per  me  questa  distinzione  non  sussìste. 
Amo  Vatie  ovunque  si  trovi,  e  anche  se  il  romantico  e  il  conven- 
zionale sanno  persuadermi  e  far  vibrare  la  mia  anima  per  modo 
che  io  possa  trasfondere  nel  pubblico  la  commozione  mia,  li 
accetto.  >  Di  qui  la  grande  varietà  del  suo  repertorio  :  accanto 
a  Hedda  Gabler.  Suor  Teresa;  a  Casa  paterna,  Zaza;  a  Maria 
Stuarda,  La  Locandiera;  a  Debora,  Fedora;  a  Tosca,  Adriana 
Lecouvreur;  a  Seconda  moglie.  Frou  Frou;  a  Casa  di  bambola. 
La  serva  amorosa.  E  in  tutte  queste  opere,  quando  il  tempe- 
ramento gliel  consenta,  sa  mostrar  l'arte  sua  poderosa  «  fatta 
—  scrive  Angiolo  Morì  —  di  intendimenti  dì  una  accuratezza  sot- 
tile, umanamente  Ìntima,  di  cui  è  profondo  il  concetto;  con  una 
recitazione  tutta  moderna,  di  .una  rispondenza  assoluta  del- 
l'anima con  lo  stato  della  coscienza  femminile  nella  triste  e  tor- 
mentosa ora  che  passa.  > 

Fin  qui  della  artista.  Come 
donna,  Italia  Vìtalianì  è  avuta  in 
conto  di  una  solitaria,  superba, 
intollerante,  rude  :  la  sua  tacitur- 
nità le  acquistò  il  nome  di  Prin* 
cìpessa  d'Orange.  QarìceTartu- 
fari  in  un  opuscoletto  del  Biondo 
di  Palermo  così  la  difende  : 


Ule  origine  rimine  coti  avvUap- 

pitB  nel  Telo  dell' eMgeraiione  e  cosi  contorti 
dalle  molteplici  iggiunte  della  fantaaim,  che  ena 
finiice  per  confondeni  con  la  meniogna.  Certo; 
Italia  Vitaliani  non  è  melliflna.  EUla,  consape- 
vole del  ano  valore,  irrigidita  nello  storio  co- 
stante di  una  meta  preG»*,  e  di  coi,  per  molti 
anni,  ha  forie  credalo  di  avere  smarrito  la  lim- 
pida vìiione,  assorta  perennemente  nella  ricerca 
di  una  periettibilitft,  che  è  il  tormento  e  la  forca  dei  grandi  artisti,  Italia  Vitalìaid  non  sa 
trovare  quelle  parole  imbigne  che  dicono  e  non  dicono,  quelle  frasi  rivolute  entro  coi  il 
pensiero  guizza  e  si  smarrisce  con  agUiti  serpentina:  no,  quando  una  persona,  ria  pare 
un  personaggio,  la  secca,  essa  lo  dimostra;  quando  on  lavoro,  sottoposto  al  mo  giodiiìo. 


VITALIANI  69S 

le  ipUce,  san  lo  dice,  fciua  perjlrmii  né  pietoM  tertiTeTMxioni;  quando  t  di  c&ttivo  amore 
non  la  trovare  nna  maschera  di  poconditl  da  collocarai  ini  tìio;  che  le  poi  ella,  o  per 
la  naturale  bontà  dell'  mimo  o  per  altre  coonderaiioni,  cerca  di  naicondere  il  mo  penslerD 
o  velare  le  ma  impreuionl,  eslate  allora  una  tale  antiten  b»  il  (nono  della  paroU  forzata- 
mente benìga*  e  l'impafiente  lampe^are  d^I'immenii  occhi  grìgi,  che  il  comprende  an- 
bitó  come  la  più  lieve  Biuione  le  rìeica  faitidioia, 

E  qui  la  gentile  autrice  riferisce  l'aneddoto  di  un  giovine 
autore,  spigliato  nell'andatura,  baldanzoso  nell'atteggiamento 
del  capo  eretto  e  leggermente  gittate  all'ìndietro,  il  quale,  pre- 
sentatosi alla  Vitaliani,  e  prò-  _  .  .- 
ferito  il  nome  di  uno  de' più 
noti  e  ricchi  negozianti  di  To- 
rino, le  porgeva  un  copione  di 
commedia,  ch'ella  respinse  con 
lieve  moto  della  mano  diafa- 
na, dicendo  poscia  lentamente: 
«  Ah  I  Lei  è  il  signor  tale  ?  sta 
bene:  non  dimenticherò  l'in- 
dirizzo della  sua  ditta,  quan- 
do avrò  bisogno  de'  suoi  pro- 
dotti. »  E  di  un  altro  giovine 
autore,  pallido,  mingherlino,  dal  volto  triste  e  spaurito,  semi- 
nascosto  dietro  una  quinta,  a  cui  la  Vitaliani  spontaneamente 
si  volse,  incoraggiandolo  con  dolci  parole;  e  promettendogli  dì 
leggere  la  commedia,  che  prese  con  gentile  violenza,  pose  con 
grazia  squisitamente  signorile  la  sua  piccola  mano  nella  mano 
tremante  dell'incognito  drammaturgo;  e,  accomiatatolo,  si 
volse  alla  Tartufar!  dicendo:  <  Umile  con  gli  umili,  superba 
coi  superbi  :  tale  è  il  mìo  motto.  »  E  di  questa  sua  bontà  an- 
che fa  fede  sua  madre,  in  una  lettera  a  me  diretta  del  '900,  in 
cui  dice  :  <  L' Italia  è  una  buona  figlia,  amorosa  ;  essa  viene 
spesso  a  trovarci,  e  si  trova  beata  e  felice  quando  rimane  qual- 
che giorno  fra  le  braccia  di  sua  madre  che  adora,  e  dei  suoi 
fratelli  e  sorelle.  » 

E  parlando  poi  la  Tartufari  della  vasta  e  solida  coltura,  di 
cui  la  egregia  attrice  non  fa  alcuna  pompa,  intesala  un  mattino 


694 


VITALIANI 


ch'egli  dice  senza.\irico  abbandono -.prod^iosane^  sua  semp/iciùi. 
€  Non  mi  chiedete  -  ella  disse  una  volta  -  se  io  preferisca  l' arte 
antica  o  l'arte  moderna.  Per  me  questa  distinzione  non  sussìste. 
Amo  Varie  ovunque  si  trovi,  e  anche  se  il  romantico  e  il  conven- 
zionale sanno  persuadermi  e  far  vibrare  la  mia  anima  per  modo 
che  io  possa  trasfondere  nel  pubblico  la  commozione  mìa,  li 
accetto.  »  Di  qui  la  grande  varietà  del  suo  repertorio  :  accanto 
a  Hedda  Gaòler,  Suor  Teresa;  a  Casa  paterna.  Zaza;  a  Afaria 
Stuarda.  La  Locandiera;  a  Debora.  Fedora;  a  Tosca,  Adriana 
Z^couvreur;  a  Seconda  moglie,  Frou  Frou;  a  Casa  di  òamóo/a. 
La  serva  amorosa.  E  in  tutte  queste  opere,  quando  il  tempe- 
ramento gliel  consenta,  sa  mostrar  l'arte  sua  poderosa  <  fatta 
-  scrive  Angiolo  Mori  -  di  intendimenti  di  una  accuratezza  sot- 
tile, umanamente  intima,  di  cui  è  profondo  il  concetto  ;  con  una 
recitazione  tutta  moderna,  di  una  rispondenza  assoluta  del- 
l'anima con  lo  stato  della  coscienza  femminile  nella  triste  e  tor- 
mentosa ora  che  passa.  > 

Fin  qui  della  artista.  Come 
donna,  Italia  Vitahani  è  avuta  in 
conto  di  una  solitaria,  superba, 
intollerante,  rude  :  la  sua  tacitur- 
nità le  acquistò  il  nome  di  Prin- 
cipessa d' Grange.  aariceTartu- 
fari  in  un  opuscoletto  del  Biondo 
di  Palermo  così  la  difende  : 


tale  origlDe  rimane  cori  avvilnp- 

paU  n«l  velo  dell' ewgeruione  e  ood  contorla 
dalle  molteplici  aggiunte  della  bntasia,  che  ena 
finiice  per  confondeni  con  la  mentoEoa.  Certo: 
Italia  Vitalìani  non  è  melliflas.  ^la,  coQ(t^>e- 
vole  del  mo  valore,  irrigidita  nello  tforao  co- 
itante  di  nna  meta  prefiua,  e  di  coi,  per  molti 
anni,  ha  Tone  creduto  di  avere  smarrito  la  lim- 
pida visione,  assorta  perenDcmente  nella  ricerca 
di  nna  perfettibilità,  che  è  il  tormento  e  la  fona  dei  pandi  artisti,  Italia  Vitalianl  non  sa 
trovare  qnelle  parole  ambila  che  dicono  e  non  dicono,  quelle  frasi  rivolute  entro  coi  il 
pensiero  gnizia  e  si  smarrisce  con  a^lità  serpeotina:  do,  quando  nna  persona,  sia  pure 
a  lo  dimostra;  quando  nn  lavoro,  sottoposto  al  no  gindìiìo. 


VITALIANI  695 

le  iiùace,  e»a  lo  dice,  «eiua  perìfrui  uè  j^etote  ter^rerMsioni;  qaando  è  dì  cattivo  nmoTe 
non  u  trovare  nna  maMhera  di  giocondità  da  coUocani  mi  viio  ;  che  te  poi  ella,  o  per 
la  naturale  booti  dell' mimo  o  per  altre  coiuiderarioni,  cerca  di  naicondere  il  no  peniiero 
o  velare  le  me  inpteiiioni,  eiiite  allora  nna  tale  antiteti  fra  il  mono  della  parola  forzata- 
mente benigna  e  l'impadente  lampeggiare  degl'inunenai  occhi  grigi,  che  li  comprende  su- 
bito come  la  più  lieve  fioiìone  le  rietca  fajtidioaa. 

E  qui  la  gentile  autrice  riferisce  l'aneddoto  di  un  giovine 
autore,  spigliato  nell'andatura,  baldanzoso  nell'atteggiamento 
del  capo  eretto  e  leggermente  gittato  all' indietro,  Ìl  quale,  pre- 
sentatosi alla  Vitaliani,  e  pro- 
ferito il  nome  di  uno  de' più 
noti  e  ricchi  negozianti  di  To- 
rino, le  porgeva  un  copione  di 
commedia,  ch'ella  respinse  con 
lieve  moto  della  mano  diafa- 
na, dicendo  poscia  lentamente  : 
«  Ah  I  Lei  è  il  signor  tale  ?  sta 
bene:  non  dimenticherò  l'in- 
dirizzo della  sua  ditta,  quan- 
do avrò  bisogno  de' suoi  pro- 
dotti.» E  di  un  altro  giovine 
autore,  pallido,  mingherlino,  dal  volto  triste  e  spaurito,  semi- 
nascosto  dietro  una  quinta,  a  cui  la  Vitaliani  spontaneamente 
si  volse,  incoraggiandolo  con  dolci  parole;  e  promettendogli  dì 
leggere  la  commedia,  che  prese  con  gentile  violenza,  pose  con 
grazia  squisitamente  signorile  la  sua  piccola  mano  nella  mano 
tremante  dell'incognito  drammaturgo;  e,  accomiatatolo,  si 
volse  alla  Tartufar!  dicendo:  «  Umile  con  gli  umili,  superba 
coi  superbi  :  tale  è  il  mio  motto.  »  E  di  questa  sua  bontà  an- 
che fa  fede  sua  madre,  in  una  lettera  a  me  diretta  del  '900,  in 
cui  dice  :  «  L' Italia  è  una  buona  6glia,  amorosa  ;  essa  viene 
spesso  a  trovarci,  e  si  trova  beata  e  felice  quando  rimane  qual- 
che giorno  fra  le  braccia  di  sua  madre  che  adora,  e  dei  suoi 
fratelli  e  sorelle.  > 

E  parlando  poi  la  Tartufari  della  vasta  e  solida  coltura,  di 
cui  la  egregia  attrice  non  fa  alcuna  pompa,  intesala  un  mattino 


696  VITALIANI  -  VITTI 


discorrere  nel  Duomo  di  Siena  dei  tempi  torbidi  e  poetici  dei 
comuni  con  parola  sobria,  ma  colorita  e  precisa,  <  Dove  trova 
il  tempo  lei  dMmparare  tante  cose  ?  >  le  domandò  stupita.  <  Io 
studio  in  ferrovia  -  le  rispose  con  semplicità  la  Vitaliani.  - 
Nella  mia  esistenza  affannosa  e  turbinosa,  le  ore  che  io  passo 
in  treno  sono  le  mie  migliori.  Mentre  la  macchina  vola  attra- 
verso i  campi  o  in  riva  al  mare,  io  dimentico  il  palcoscenico, 
dimentico  le  piccole  e  grandi  miserie  della  notorietà,  e  vivo 
di  me  e  per  me,  o  meditando  o  ritemprandomi  lo  spirito  con 
sane  e  forti  letture,  >  Nella  sua  esistenza  affannosa  e  turbinosa.... 
pur  troppo  deve  essere  così....  Italia  Vitaliani  non  ha  avuto 
prima  d'ora  la  fortuna  che  meritava.  <  Se  Italia  Vitaliani  vo- 
lesse, -  scriveva  alcun  tempo  fa  Alberto  Manzi  -  vedrebbe  i 
pubblici  entusiasti  di  lei,  come  sempre,  quando  ha  voluto,  li  ha 
veduti:  se  sinceramente  volesse,  tornerebbe  ad  essere,  come 
anni  or  sono,  la  Vitalianina  adorata....  >  E  oggi  pare  abbia  vo- 
luto e  voglia  davvero,  dacché  i  pubblici  nostri  e  quelli  di  Spa- 
gna e  d'America  s'inchinano  ammirati  all'astro  di  prima  gran- 
dezza. 

Vitti  Achille.  Nato  a  Zante  il  22  novembre  1866  da  parenti 
non  comici,  fu  cresciuto  a  Milano,  dove,  fatti  gli  studi  tecnici, 
ed  esercitatosi  tra  quei  filodrammatici,  si  scritturò  con  Ema- 
nuel; passando  poi,  in  vario  tempo,  con  Tibaldi  (Compagnia 
Nazionale),  la  Duse,  Cesare  Rossi,  Pietriboni,  Falconi,  Bertini, 
Paladini.  Dopo  una  società  con  Beltramo  e  Della  Guardia,  formò 
Compagnia  da  solo,  recitandovi  le  parti  di  primo  attore,  e  pas- 
sando a  quelle  di  prima  attrice  la  moglie  Gemma  Braconey, 
sposata  il  I  °  marzo  1 89 1 ,  una  dilettante  essa  pure,  che  aveva 
esordito  in  arte  con  Ermete  Novelli. 

Achille  Vitti  era  primo  attore  giovine  a  ventidue  anni  e 
primo  attore  a  ventisei  ;  e  divenuto  capocomico  si  diede  a  un 
rinnovamento  del  nostro  repertorio,  rappresentando  primo  in 
Italia  opere  del  teatro  nordico,  quali  :  La  Potenza  delle  tenebre. 
Gli  Spettri,  Delitto  e  Castigo,  Il  pane  altrui,  il  tedesco  Arlec- 


VITTI  -  VULCANO  697 


chino  Re;  i  lavori  di  Shakspeare:  La  bisbetica  domata  e  Molto 
rumore  per  nulla,  ecc.,  ecc.  Il  ^904  si  unì  con  la  Compagnia  al- 
l'artista  lirico  Scarneo,  che  passava  di  punto  in  bianco  alla 
scena  di  prosa;  ma,  da  esso  distaccatosi  prima  dell'anno  e 
solo,  tornò  a  formare  e  a  condur  Compagnia  con  mediocre 
fortuna. 

Vittoria.  (V.  PnssiMi  Vittoria). 

Vulcano  Bernardo.  Appartenne  alla  Compagnia,  che  ar- 
rivò a  Dresda  sul  principio  del  1738,  scritturata  da  Andrea 
Bertoldi  (V.  e  richiami)  per  la  Corte  Sassone.  Nello  schizzo  su 
gli  attori  della  commedia  italiana,  apparso  a  Stuttgart  il  1750, 
è  detto  di  lui  : 

<  Un  uomo  nella  pienezza  del  vigore  ;  circa  quarant'anni. 
Ha  bell'aspetto,  ed  è  ben  in  carne.  Di  mezzana  statura,  di  colo- 
rito più  tosto  bruno,  e  pieno  di  fuoco.  Pronuncia  perfettamente, 
e  recita  gli  amorosi  o  i  vecchi  pacati.  Occhi,  fisionomia,  mani, 
piedi,  tutto  parla  nella  sua  persona.  > 

Pare  fosse  qualcosa  più  di  un  semplice  attore,  dacché 
aveva  a  Varsavia,  per  lui  la  moglie  e  il  ballerino  Vulcani,  tre 
camere,  fra  le  qtcali  una  grande  per  le  prove.  (V.  Articchio 

NlCOLETTO). 

Vulcano  Isabella.  Moglie  del  precedente,  fu  con  lui  a  Dre- 
sda il  1738.  Recitava  le  amorose  sotto  il  nome  di  Eleonora,  ma 
forse  le  sarebber  convenute  meglio  le  parti  di  tenera  madre,  e 
magari  quelle  di  Colombina,  che  sosteneva  malamente  la  To- 
scani (V.).  Recitava  bene  veramente,  ma  non  in  tutte  la  parti. 
Era  piccola  e  magra,  e  in  apparenza  non  più  giovine,  ma  di 
volto  pur  sempre  piacente. 


88.  —  /  Comici  italiani.  Voi.  ir. 


698  WELENFELDT  -  WOLLER 


^ 


Welenfeldt  Bonifazio.  Parmigiano.  Cominciò  a  recitar  con 
successo  le  parti  ^Innamorato  in  Compagnia  di  Girolamo  Brandi 
e  quella  di  Francese  italianaio,  in  cui,  dice  il  Bartoli,  imitò  assai 
bene  il  Vieri  (V,),  Fu  con  Pietro  Ferrari,  con  Girolamo  Mede- 
bach,  con  Nicola  Menichelli,  col  quale  trovavasi  il  lySi, 

Un  libretto  stampato  del  PigmaUone  di  Rousseau,  reca  il 
seguente  frontispizio  che  trascrivo  co' suoi  errori: 

«  PIGMALION  I  de  monsieur  \  Jean  Jaques 
Rousseau  [  Scene  Lyrique  \  representé  dan  set  Il- 
lustre Théatre  \  par  |  Boniface  Weltjenfeldt 
et  I  Annette  Paganini  |  Comediens  Italiens.  ì» 

U  illustre  teatro  era  certo  il  San  Samuele  di  Venezia,  ove 
il  Pigmalione  fu  rappresentato  il  1773.  Ciò  si  rileva  dalla  tra- 
duzione italiana  pubblicata  a  Venezia  in  queir  anno  col  testo 
a  fronte  e  colla  dicitura:  <  Da  rappresentarsi  in  lingua  francese 
nel  Teatro  San  Samuele  > . 

Welenfeldt  Lodovico.  Figlio  forse  del  precedente,  fu  ca- 
ratterista di  buon  nome  nella  prima  metà  di  questo  secolo.  Era 
il  *33-'34-'35  nella  Compagnia  Romagnoli-Berlaffa,  il  '36  in 
quella  di  Gioacchino  Andreani. 

Woller  Gaetano.  Nativo  di  Roma,  fu  uno  de'  più  egregi 
artisti  italiani  pel  ruolo  di  generico  primario.  Nelle  parti  digni- 
tose non  ebbe  rivali,  sì  per  la  maestà  della  persona,  sì  per  Palti- 
sonanza  della  voce.  Fu  avuto  in  gran  pregio  da  pubblico  e  da 
colleghi,  e  militò  nelle  compagnie  di  primissimo  ordine. 


WOLLER  649 

Lo  trovo  per  la  prima  volta  il  1 839  in  Compagnia  di  Tom- 
maso  Zocchi.  Il  '4 1  e  '42  ebbe  Compagnia  in  società  con  Giar- 
dini e  Belatti,  e  vi  recitò  le  partì  di  Tiranno  e  Padre.  Lo  ve- 
diam  poi  generico  primario  colla  Reale  Sarda  di  Torino  dal  '47 
al  '55,  ultimo  anno  della  Compagnia,  in  cui  senza  più  appan- 
naggio, ma  pur  serbando  il  titolo  Al  servizio  di  S.  M.  il  Re  di 
Sardegna,  si  recò  a  Parigi.  Appare  il  '62  con  Tommaso  Salvini, 
e  il  '63  con  Gaetano  Gattinelli. 


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1   COMICI   ITALIANI 


Zaccagnino.  Chi  si  nascondesse  il  1496  sotto  questo  nome 
di  maschera  non  si  sa.  Egli  è  citato  nella  lettera  di  Ercole  di 
Ferrara  del  5  febbrajo  a  Francesco  Gonzaga  dì  Mantova,  a 
proposito  di  copioni  di  commedie.  Zaccagnino  allora  trovavasi 
a  Modena  (V.  Rxjino  Francesco.  E  pel  secolo  xvii  V.  Torri 
Giulio  Cesare). 


Zacconi  Giuseppe  e  Lucìa.  Figlio  il  primo  di  un  direttore 
delle  Gabelle  di  Bologna,  la  seconda  del  rinomatissimo  buffo 
Lipparini,  s'incontrarono,  recitando,  nelle  filodrammatiche  bo- 
lognesi, si  sposarono  ed  entrarono  in  arte.  Tempre  entrambi 
di  valenti  artisti,  avrebbero  avuto  miglior  fortuna  e  maggior 
rinomanza,  se  una  turba  di  figliuoli  non  fosse  venuta  a  porre 
un  ostacolo  alla  loro  carriera.  Benché  un  tantino  enfatici  nella 
tragedia,  erano  umani  e  valentissimi  nel  dramma  e  nella  com- 


media.  Egli,  soprattutto,  accoppiava  a  una  dizione  semplice  e 
naturale  una  gran  forza  di  espressione  e  un  senso  profondo  di 
verità  umana:  fu  direttore  eccellente,  e  s'ebbero  da* suoi  am- 


maestramenti artisti  di  pregio,  tra  cui  Giuseppe  Bracci  e  il 
rinomato  primo  attor  giovine  Gaspare  Lavaggi. 

Morì  a  Bologna  il  25  agosto  1903. 

La  moglie  era  morta  ad  Ascoli  Piceno  il  io  maggio  1875. 

Nacquero  dal  loro  matrimonio  tre  maschi  e  tre  femmine 
tutti  comici  : 

Romeo,  Ildobaldo  (morto),  ed  Ermete;  Giulia  maritata 
Bonfigli  ex  comico,  Imelda  maritata  Bouchard,  ed  Argia  ma- 
ritata Tovagliari,  che  ho  veduta  e  ammirata  nella  Compagnia 
dialettale  siciliana  dì  Giovanni  Grasso. 

Zacconi  Ermete.  Figlio  dei  precedenti,  nato  a  Montecchio 
di  Reggio  d'Emilia  il  14  settembre  dell'anno  185J,  è  quegli 
che  assieme  con  Ermete  Novelli  divìde  il  primato  artistico  del- 
l'età presente. 

Niun  attore  io  credo  abbia  avuto  come  luì  una  vita  di  pal- 
coscenico piena  di  movimento,  passando  dall'amoroso  al  bril- 


ZACCONI 


lante,  dal  brillante  al  primo  attore,  alternando  tal  volta  l'officio 
di  comico  e  anche  di  capocomico,  con  quello  di  pittore  sceno- 
grafo, magari  dì  macchinista;  tal  volta  escogitando  con  allegri 
compagni  di  sventura  nuovi  mezzi  di  difesa  dalla  miseria,  come 
fiere  o  altro,  recandosi  da  questo  a  quel  posto  oggi  in  barroc- 
cino, domani  a  piedi.  Dopo  di  aver  passato  gli  anni  della  fanciul- 
lezza col  padre  (il  1 865 
era  con  lui,  il  quale  fa- 
ceva il  primo  attore  a  vi- 
cenda col  Germani,  nella 
Compagnia  del  Teatro 
Valletto  di  Roma,  capi- 
tanata dal  brillante  Cri- 
stofari),  fu  con  Tommaso 
Massa,  un  attore  bril- 
lante, ricco  d'intelligen- 
za, dicitore  vero  ed  effi- 
cace, poco  fortunato  in 
arte,  a  cagione  special- 
mente della  sua  meschi- 
na figura,  con  cui  comin- 
ciò a  recitar  partìcine  di 
generico,  secondo  briilante 
e  amoroso.  Passò  poi  ge- 
nerico primario,  amoroso 
e  brillante,  a  vicenda  con  Nicola  Della  Guardia,  nella  Com- 
pagnia di  un  certo  Calìa  napolitano,  in  cui  recitava  anche 
gli  amorosi  nelle  farse  col  pulcinella  (non  mai  il  pulcinella, 
come  altri  affermò);  ^o\,  secondo  amoroso,  in  quella  di  Lamber- 
tini  e  Majeroni,  in  cui  stette  anche  l'anno  dopo  come  secondo 
brillante  sotto  Leopoldo  Vestri.  Fu  scritturato  brillante  il  '78  in 
Compagnia  Dominici,  passando  in  quaresima  al  ruolo  àiprimo 
attor  giovine,  poi,  per  l'improvvisa  partenza  del  Dominici,  a 
quello  di  primo  attore,  ch'egli  sostenne  per  alcuni  anni  in  pic- 
cole compagnie,  come  ad  esempio,  del  Battistoni.  Entrò  l"8i 


7o6  ZACCONI 


primo  attor  giovine  con  Dondini-Dominici,  e  T  *82,  ahimè, 
tentò  il  capocomicato  (sfogando  -  come  si  dice  in  gergo  — 
tutte  le  sue  passionacce,  fra  cui  quella  del  Figlio  delle  Selve  di 
Halm),  che  lasciò  subito  Tanno  di  poi,  per  andar  primo  attore 
in  Compagnia  Palamidessi  che  (altro  ahimè)  si  sciolse  a  metà 
d' anno.  Tornò  primo  attor  giovine  con .  Salvinetto  e  Pietro 
Rossi,  poi  primo  attore  e  direttore  d'una  Compagnia  italiana 
a  Cannes,  d'onde  scacciato  dal  colera,  si  scritturò  primo  attor 
giovine  il  carnovale  dello  stesso  anno  con  Artale-Pedretti. 
Fu  r'85  primo  attore  con  Verardini,  e  il  carnovale  dello  stesso 
anno  con  Emanuel,  con  cui  stette  oltre  un  biennio,  e  da  cui 
passò  primo  attore  e  direttore  con  Casilini  per  un  solo  anno; 
dopo  il  quale,  eccotelo  un  triennio  primo  attore  con  Cesare 
Rossi,  e  uno  con  Virginia  Marini,  fino  al  1894;  anno  in  cui  si 
associa  con  Libero  Pilotto,  per  condur  finalmente  compagnia 
da  solo  dopo  la  morte  di  questo  ;  compagnia  che  va  innanzi 
trionfalmente  da  sette  anni. 

Tutto  questo  passare  per  quasi  quarant'anni  da  un  ruolo 
all'altro,  da  una  compagnia  all'altra  con  vertiginosa  rapidità, 
specie  ne' primi  tempi,  dice  chiaro  quanta  fosse  la  duttilità  del 
suo  ingegno,  la  sua  dedizione  intera,  incondizionata  all'arte, 
pur  di  fare;  e  senza  aspirazioni,  pur  di  far  bene,  a  toccar  cime 
elevate,  alle  quali  egli  si  trovò  direi  quasi  senza  saperlo,  per 
una  conseguenza  logica  del  suo  gran  merito. 

E  la  duttilità  dell'ingegno  egli  ha  mostrato  fino  a  qui,  e 
mostrerà  pur  sempre,  passando  maestrevolmente  dalla  vasta 
tragedia  shakspeariana  alla  inguantata  commedia  di  Dumas 
figlio;  dal  fosco  dramma  nordico  dell' Ibsen,  dello  Strindberg, 
delHauptmann  alla  saltellante  comicità  del  Goldoni;  dall'aurea 
scoltura  della  terzina  dantesca  alle  mute  contrazioni  spasmo- 
diche di  Al  Telefono;  imperocché  non  una  parte  lo  alletti  più  di 
un'altra;  e,  purché  l'opera  sia  elevata  e  umana,  egli  abbia  pro- 
vato e  provi  egual  godimento  intellettuale  recitando  la  tra- 
gedia o  la  commedia:  Shakspeare  o  Beaumarchais.  Senza  una 
buona  dizione  non  credo  possibile  grandezza  di  attore  :  e  soli- 


7o8  ZACCONI 


dissima  base  della  grande  arte  di  Ermete  Zacconi  è  stata  dal 
suo  cominciamento  la  dizione.  Egli  stesso  era  inconsapevole 
del  raro  tesoro  che  possedeva:  se  ne  avvide  una  sera,  in  cui 
dovè  ripiegar  la  parte  lì  per  lì,  di  Cesare  Amici  nella  I^gge 
del  Cuore  di  E.  Dominici.  A  un  dato  momento  egli  sentì  che 
il  suo  dire  caldo,  sincero,  impulsivo  aveva  determinato  tra  lui 
e  l'ascoltatore  una  specie  di  corrente  elettrica,  tal  che  alla  fine 
della  gran  scena  con  Leonardo,  il  pubblico,  rimasto  fino  a  quel- 
l'ora  immobile  e  muto  in  una  religiosa  attenzione,  scoppiò  in 
un  grande  e  lungo  applauso,  a  cui  si  congiunse  il  bravo  alto  e 
vivo  dell'artista  Papadopoli,  il  suo  egregio  compagno  di  scena. 
Da  quella  sera  lo  Zacconi  ebbe  coscienza  della  sua  forza,  e  la 
visione  chiara  e  precisa  di  quella  specie  di  fascino  che  la  sin- 
cerità e  la  verità  possono  operare  sul  pubblico.  In  Demùfnonde, 
Amico  delle  Donne,  Resa  a  discrezione.  Tristi  amori,  sono  scene 
e  descrizioni  e  squarci  che,  detti  da  lui  possono  esser  sempre 
citati  come  modelli  di  perfetta  recitazione,  benché  più  volte  la 
dizione  si  vada  offuscando  in  un  ingrassamento  di  note,  che 
voglion  taluni  attribuire  alla  cupezza  dei  tipi  nordici  ch'egli 
da  più  anni  interpreta  con  tanto  fervore,  e  si  potrebbe  anche 
dire  con  gran  preferenza  sugli  altri  tipi.  E  qui  vorrei  aprire 
una  parentesi.  Che  il  pensiero  di  quei  taluni  sia  esatto  non  ose- 
rei affermare,  sebbene  si  possa  concedere  che  l'elemento  nor- 
dico entri  per  qualche  cosa  nella  presente  modulazion  della 
voce  con  predominio  di  note  cavernose,  e  nella  presente  inter- 
pretazione de' vari  tipi  con  predominio  di  sfiaccolamento  fisico. 
Altre  e  molte  possono  essere  le  cause  che  concorrono  a  tale 
alterazione:  forse  celate,  forse  anche  opposte  in  tutto  e  per 
tutto  a  quelle  che  noi  colla  nostra  gran  presunzione  di  critici 
indagatori  crediamo  di  conoscere.  E  prima  di  tutto:  questa 
gran  preferenza  sugli  altri  tipi  gli  è  venuta,  come  vorrebbero 
i  più,  dal  dominio  esercitato  sul  suo  sistema  nervoso  dal  per- 
sonaggio di  Osvaldo  negli  Spettri  di  Ibsen,  il  primo  della  spe- 
cie? O  non  piuttosto  da  una  particolare  attitudine,  sviluppatasi 
a  grado  a  grado,  all'interpretazione  del  dramma  interiore,  an- 


ZACCONI  709 


zichè  del  dramma  di  passione?  E  l'alterazione  non  potrebbe 
attribuirsi  meglio  a  una  semplice  cagione  fisica,  a  un  eccesso 
di  fatica  nell'uso  quasi  costante  per  lungo  tempo  di  voci  aspre 
e  cupe  a  ritrar  certi  tipi  di  Pane  altrui.  La  Potenza  delle  tenebre. 
Don  Pietro  Caruso,  Padre,  che  agirono  e  agiscono  come  una 
lima  sugli  organi  vocali  ?  O  si  dovrebbe  attribuir  forse  al  fatto 
che,  quanto  maggiormente  egli  si  dà  con  l'andar  degli  anni  e  il 
crescer  della  rinomanza  alla  disanima  profonda  di  un  personag- 
gio, tanto  meno  egli  pensa  al  modo  di  esprimerla  col  cesello  della 
parola?  Qiiedete  un  po' a  Ermete  Zacconi  qual  metodo  segua 
nello  studio  di  una  parte,  e  vi  risponderà  a  un  di  presso  così: 
<  letto  un  lavoro  che  mi  piaccia,  esso  resta  nella  mia  mente,  e 
mi  segue  costante  come  la  larva  del  sole  nella  pupilla;  e,  pur 
continuando  l'opera  mia  consueta,  provando  altri  lavori  già 
vecchi,  ragionando  di  cose  estranee,  passeggiando,  mangiando, 
l'imagine  della  nuova  commedia  letta,  e  ch'io  desidero  di  rap- 
presentare, non  esce  mai  dalla  mia  mente,  e  a  poco  a  poco  si 
disegna  più  chiara  e  decisa.  Quando  credo  di  averne  afferrato 
l'idea  fondamentale,  vedo  anche  disegnarsi  nettamente  i  singoli 
quadri  che  la  compongono,  agitarsi  e  vivere  i  personaggi. 
Quando  sento  di  possedere  il  quadro  e  le  singole  parti,  allora 
comincio  le  prove;  e  man  mano  che  quéste  si  svolgono,  mi 
rendo  conto  degli  errori  nei  quali  posso  essere  caduto,  vedo 
con  maggior  precisione  in  qual  giusta  luce  debba  essere  posto 
ciascun  personaggio.  Quando  credo  di  aver  tutto  compreso, 
sospendo  le  prove  e  comincio  ad  imparare  la  mia  parte,  man- 
dandola a  memoria.  Non  studio  mai  ad  alta  voce*  Quello  che 
mi  è  accaduto  prima  per  l'opera  da  interpretare,  mi  accade 
dopo  per  la  parte  che  vi  debbo  sostenere.  Una  volta  imparata, 
l'abbandono,  e  non  la  riprendo  più;  ma  mentre  continuo  ad 
occuparmi  di  altro,  vedo  sempre  il  mio  personaggio,  ne  ana- 
lizzo l'anima,  il  carattere,  i  sentimenti,  a  traverso  le  parole  che 
io  già  so;  e  quando  credo  di  possederlo  interamente,  di  sen- 
tirlo, di  viverlo,  riprendo  le  prove.  Allora  queste  si  svolgono 
rapide,  ed  i  così  detti  effetti  balzano  fuori,  non  cercati  e  voluti, 


710  ZACCONI 


ma  naturali  e  logici  per  lungo  processo  di  preparazione.  Ed  è 
facile  capire  come  con  questo  studio  del  personaggio  non  sol- 
tanto nei  fatti  che  si  svolgono,  ma  ben  anco  nelle  parole  con  le 
quali  si  esprime,  il  colorito  e  l'efficacia  della  dizione  siano  una 
conseguenza  legittima  dello  studio  complessivo  e  non  uno  studio 
a  parte  > .  Non  studio  mai  ai>  alta  voce.  È  dunque  possibile 
che  taluna  volta  a  lui  accada  per  la  parola  quello  che  accade 
ad  altri  in  genere  per  la  musica,  i  quali  mentalmente  credono 
di  ripetere  con  esattezza  un  motivo,  e  quando  si  provano  di 
rifarlo  colla  voce,  non  azzeccano  più  le  note?  Una  piccola  con- 
cessione oggi  ne  genera  due  o  tre  domani,  e  via  di  seguito, 
senza  che  l'artista  non  più  se  ne  avveda.  Così  non  altrimenti 
io  mi  spiegherei  l'alterarsi  della  dizione  in  grandissimi  ar- 
tisti, come  a  esempio,  l'Emanuel,  che,  coli' andar  deg-li  anni 
andava  ognor  più  accentuando,  nell'arte  somma  di  conce- 
zione, una  dizione  affannosa,  rantolosa,  che  i  più  giudica- 
vano invecchiata,  e  io  semplicemente  trascurata.  Ma,  chiusa 
finalmente  la  parentesi,  rieccoci  al  caro  artista,  che  ci  torna 
oggi  (1904)  dall'America,  ove  ha  recato  il  prestigio  del- 
l'arte italiana. 

E  quale  prestigio  !  Di  alcuni  lavori,  o  di  alcuni  momenti 
de'  varii  lavori  da  lui  rivelati,  gli  americani  del  sud,  per  quanto 
avesser  letto  su  pei  giornali,  non  avrebbero  mai  potuto  farsi 
un'  idea.  Di  quel  famoso  monologo,  per  un  esempio,  di  Loren- 
zaccio,  in  cui  egli  medita  e  determina  e  assapora  con  voluttà 
bestiale  l'uccisione  di  Alessandro!  Una  linea  ancora,  e  forse  lo 
Zacconi  toccherebbe  il  grottesco;  ma  la  linea  non  c'è,  e  invece 
del  grottesco  abbiamo  il  sublime  e  per  concepimento  artistico 
e  per  espressione....  Quelle  ondate  di  respiro  mal  contenute  a 
mostrare  la  gioia  interiore;  il  mal  contenuto  agitarsi  delle  brac- 
cia e  delle  gambe  con  selvaggia  infantilità;  le  sghignazzate 
sommesse,  arrestate  a  un  tratto  da  un  volgersi  guardingo  e  im- 
mediato.^.. Sublime!  E  come  avrebber  potuto  farsi  un'idea 
dell'arte  sua  tutta  suggestiva,  o  terrifica,  o  spasmodica,  negli 
Spettri  d'Ibsen,  nel  Putte  altrui  di  Turguenieff,  nel  Nuovo  Idolo 


di  De  Curel,  nelle  Anime  soUtarte  di  Hauptmann,  nei  Disonesti  di 
Rovetta,  nel  Kean  di  Dumas,  nel  Don  Pietro  Caruso  dì  Bracco, 
nella  Morie  civile  di  Giacometti,  tìgWAI  Telefono  dì  De  Lorde? 


Come  delle  squisitezze  di  cesellamento  nella  Resa  a  discrezione 
di  Giacosa,  néìV  Amico  delle  donne,  nel  Demi-monde  e  Padre  pro- 
digo di  Dumas  figlio,  nel  Duello  di  Ferrari  ?  Come  dell'arte,  tutta 
verità  e  modernità  n^^  Amleto  e  Otello  e  nella  Bisbetica  domata  di 
Shakspeare?  Ermete  Zacconi  è  soprattutto  vero.  Anche  quando 


712  ZACCONI 


rappresenta  grandi  personaggi  della  Storia,  anche  quando  la 
forma  del  lavoro  è  elevata,  egli  trova  modo  di  arrotondare  colla 
sua  naturalezza,  non  mai  volgare,  ogni  plastica  angolosità,  mo- 
strando di  seguire  in  questo  metodo  di  studio  per  T interpreta- 
zione e  l'espressione  Giovanni  Emanuel,  che,  primo,  recò  sulla 
scena  la  tragedia  shakspeariana,  spoglia  di  tutti  gli  arredamenti 
decorativi  con  cui  l'avevano  data,  con  arte  pur  grandissima  del 
resto,  i  suoi  più  celebrati  predecessori.  E  però  il  pubblico  che 
ben  ricorda  l'arte  magistrale  e  novatrice  dell'Emanuel,  chiama 
questo  volentieri  maestro  dello  Zacconi,  tanto  più  che,  come 
accade  il  più  spesso,  per  ogni  attor  subalterno,  egli,  vivendo 
al  fianco  del  grande  artista,  ne  ritrasse,  certo  inconsapevol- 
mente, alcune  maniere  e  inflessioni.  Se  per  maestro  s'intenda 
solo,  come  deve  intendersi,  colui  che,  colla  dedizione  incondi- 
zionata all'arte,  coli' alto  rispetto  del  pubblico  e  di  sé,  collo 
studio  profondissimo  di  sintesi  e  di  analisi,  trasfonde  nell'animo 
altrui  la  fiamma  sacra,  certo  l'Emanuel  fu  maestro  dello  Zac- 
coni. Che  se  poi  per  maestro  si  volesse  intendere  colui  dal 
quale  si  succhia  e  il  metodo  dello  studio,  e  il  fondo  dell'inter- 
pretazione, e  le  originalità  della  dizione,  allora  certo  lo  Zac- 
coni rigetterebbe  il  giudizio,  come  de' più  erronei.  Egli  aveva 
già  27  anni,  quando  entrò  nella  Compagnia  dell'Emanuel,  e  lo 
intese  per  la  prima  volta.  La  sua  tempra  d'artista  e  il  modo  di 
comprendere  e  di  estrinsecare  l'obbiettivo  e  l'ideale  artistico, 
erano  in  lui  già  così  nettamente  fissati,  che  non  avrebber  potuto 
mutare  a  un  tratto,  e  a  quella  età,  sotto  l'influenza  d'un'altra 
arte,  per  grande  ch'ella  si  fosse.  Anzi:  ammiratore  convinto 
dell'intelligenza  grandissima  e  del  genio  dell'Emanuel,  spesse 
volte  egli  avrà  dovuto  dissentire  da  lui,  metodico  per  eccel- 
lenza, sui  diversi  modi  di  estrinsecazione.  Che  vuol  dire  mai 
questo  circoscrivere  l'arte  a  un  tale  o  tal  altro  sacerdote?  Che 
in  arte  vi  sia  chi  impotente  a  far  del  suo,  cammina  servil- 
mente sull'orme  altrui,  è  indiscutibile:  ma  quegli  non  è  più 
artista;  è  semplicemente  attore.  Come  avrebbe  potuto  diven- 
tar lo  Zacconi  scolaro  dell'  Emanuel,  se  uguale  ammirazione 


ZACCONI  713 


aveva  per  la  forza  comprensiva  e  Tarte  profonda  e  cosciente  di 
questo,  per  gli  scatti  passionali  del  Majeroni,  per  la  sincerità 
quasi  dialettale  di  Papadopoli,  pel  dire  intelligente  e  affasci- 
nante del  Cappelli,  per  altro  di  altri?  Come  avrebbe  potuto, 
egli,  così  ricco  d' intuito  artistico,  riproduttor  della  vita  sulla 
scena  fin  da  giovinetto,  staccarsi  per  sentimento  d'imitazione 
da  quella  sua  espressione  d'arte,  che  amava  profondamente, 
perchè  espressione  del  suo  cuore  e  del  suo  pensiero  ? 

Dunque  niente  maestri  né  teorici  né  pratici.  I  maestri,  nel 
senso  di  fabbricatori  di  artisti,  non  sono  mai  stati  e  non  sa- 
ranno mai,  perché  l'ingegno  e  il  sentimento  non  li  dà  l'uomo. 
In  arte  non  possono  essere  che  delle  guide,  le  quali  con  l'esem- 
pio e  la  parola  additino  all'attore  la  via  diritta  dello  studio. 
Sarebbe  lo  stesso  come  dire  lo  Zacconi  scolaro  di  tutti  gli 
ammalati  e  i  moribondi  che  osservò  negli  ospedali  per  racco- 
gliere sinteticamente  in  una  semplice  linea  tutta  l'anàlisi  fatta  su 
quelle  contraizioni  facciali  lente  e  spasmodiche,  che  generaron 
poi  una  polemica  su  pei  giornali  a  proposito  dello  spegnersi  di 
Corrado  nella  Morte  civile  di  Giacometti  :  polemica  di  cui  forse 
una  parte  del  pubblico  avrebbe  fatto  a  meno  volentieri,  tanto 
più  ch'essa  era  aperta  fra  il  glorioso  decano  de*  nostri  artisti, 
Tommaso  Salvini,  che  fu  per  quarant'anni  il  rappresentante  del 
classicismo  a  teatro,  e  lui,  rappresentante  da  un  decennio  del 
verismo:  l'arte  vecchia,  non  mai  interamente  scomparsa,  e  che 
va  rifacendo  capolino  oggi  nel  rinnovamento  del  dramma  sto- 
rico, e  l'arte  nuova,  che  va  già  cennando  a  modificarsi.  Niente 
vi  deve  essere  di  più  sintetico,  di  più  artisticamente  teatrale  dello 
spasimo  dell'agonia,  e  delle  malattie  in  genere,  sul  teatro.  Se 
lo  Zacconi,  studioso  e  scrupoloso  all'eccesso  (anche  per  ciò 
l'Emanuel  aveva  già  dato  un  esempio  colla  riproduzione  ma- 
ravigliosa  di  una  morte  di  delirium  tremens  nelV Assommoir  di 
Zola),  afferma  di  avere  frequentato  giovanissimo  a  scopo  di 
studio  manicomi,  ospedali,  cliniche  e  reclusori,  perché  non  do- 
vremmo noi  credergli?  E  perché  non  credergli  quand'egli  af- 
ferma di  avere  letto  Descuret,  Charcot,  Lombroso,  Ferri  ed 

90.  —  /  Comt'ci  ìtalianL  Voi.  II. 


714  ZACCONI 


altri?  E  perchè  non,  ancora,  quand'egli  afferma  di  sapere  le 
ragioni  scientifiche  di  quanto  ha  osservato,  e,  nella  riprodu- 
zione dell'essere  normale  e  anormale,  di  non  compiere  un  mo- 
vimento muscolare  e  nervoso,  senza  conoscerne  le  orig-ini  ge- 
neratrici ? 

Se  lo  Zacconi  affermasse  che  oggi,  tempo  di  troppo  sa- 
pere, un  artista  coscienzioso  non  può  permettersi  il  lusso  di 
morire  a  soggetto,  di  spasimare  genialmente,  avrebbe,  nel 
fondo,  tutte  le  ragioni.  D'altra  parte,  capisco,  ecco  subito  riaf- 
facciarsi quella  benedetta  faccenda  della  teatralità,  che  si  vor- 
rebbe, non  so  con  quanto  criterio,  sbandire  dal  teatro,  fatto 
tutto  di  convenzioni:  chi  dovrebbe  giudicare  della  genialità  o 
realità  di  quegli  spasimi?  Il  pubblico,  o  gli  scienziati  facenti 
parte,  per  un  caso,  del  pubblico  ?  Io  credo  il  pubblico  ;  il  quale, 
o  genialità  o  realità,  dee  volere  soprattutto  dell'arte  pura.  Tut- 
tavia (e  qui  non  voglio  toccar  la  quistione  della  logica  nel  ge- 
nere di  morte  di  Corrado),  se  artista  sommo  ci  è  apparso  fino 
a  ieri  Tommaso  Salvini,  e  artista  sommo  ci  appare  oggi  il 
siciliano  Giovanni  Grasso,  il  quale  sa  di  ospedali  e  di  morti, 
quant'io  di  meccanica,  grandissima  lode  va  data  allo  Zacconi, 
se  all'entusiasmo  della  moltitudine  vuole  anche  congiunta  la 
sapiente  ammirazione  dello  scienziato. 

A  voler  dare  in  luce  i  giudizi  dell'Italia  e  di  fuori  su  Er- 
mete Zacconi  ci  sarebbe  da  fare  un  grosso  volume.  A  lui  sono 
stati  decretati  a  ogni  nuova  interpretazione  gli  onori  del  trionfo; 
e  il  pubblico  ricorda  ancora,  fra  tanti,  il  godimento  intellettuale 
provato,  quando  egli,  al  fianco  di  Eleonora  Duse,  apparve  sotto 
le  spoglie  di  Lucio  Settata  nella  Gioconda  e  di  Leonardo  nella 
Città  morta  di  Gabriele  D'Annunzio.  Non  vi  fu  città,  si  può 
dire,  nostra  o  forestiera,  in  cui  l'estro  poetico,  non  si  risve- 
gliasse a  dir  le  sue  lodi:  tra  i  tanti  versi  (ve  n'han  già  dell' 83, 
quand'egli  era  al  Pantera  di  Lucca,  presagenti  la  gloria  fu- 
tura) scelgo  questi  di  Achille  Testoni,  dettati  l'ottobre  del  '95 
quando  al  grande  attore  dram?natico  \  vanto  dell*  arte  italiana  | 
il  ptcbblico  modenese  \  l'entusiasmo  più  alto  e  sincero  \  addimostrava. 


ZACCONI  715 


O  DIVA  ARTE.... 

Tu,  che  deiralma  il  bujo  nembo  sperdi, 
O  bellissima  Iddia, 
A  noi  torna  benigna  e  l'arsa  via 
Al  tuo  sole  rinverdii 

Ecco,  tu  appari  con  le  scinte  chiome 
Tra  un  velo  luminoso. 
Ed  è  a  te  volto  l'occhio  desioso, 
È  sul  labbro  il  tuo  nome. 

Ecco,  a  te  intorno  un  dolce  alito  spira 
Che  il  bel  volto  accarezza, 
E  l'alma  nostra  in  fremiti  d'ebbrezza 
Te,  o  divina,  sospira! 

O  divina  Arte,  al  vivere  fecondo 
Noi,  sfiduciata  gente, 
Infiamma.  Solo  al  bacio  tuo  possente 
Si  rinnovella  il  mondo! 

Modena,  9  ottobre  1895. 

E  nullameno,  davanti  la  grandezza  dell'arte  sua,  Tentusia- 
smo  eh'  egli  suscita  nelle  platee,  le  acclamazioni  più  vive,  quasi 
forsennate  che  riceve  ogni  sera,  e  diciam  pur  anche  davanti  i 
suoi  guadagni  che  gli  concedon  oggi  più  che  l'agiatezza,  egli 
ha  serbato  intatta  una  famigliarità  di  modi  particolare.  Nulla 
mai  in  lui  che  riveli  l'artista,  e  soprattutto  il  grande  artista, 
fuorché  il  segno  naturale  della  modestia,  dell'affabilità,  della 
bontà. 

Quando  in  estate,  nei  mesi  di  riposo,  può  con  una  ma- 
glietta nera,  coi  calzoni  rimboccati,  colle  braccia  nude  e  un 
berrettuccio  in  testa,  infilare  il  bracciale  da  pallone,  o  inforcar 
la  bicicletta,  o  guidar  l'automobile  fuor  delle  mura  di  Bologna, 
presso  la  sua  cara  villetta,  o  in  riva  al  gran  mare,  egli  è  a  nozze; 
e  un  bel  sorriso  sano  gli  risiede  sulla  bocca,  spianando  tutte  le 
rughe  degli  Osvaldi,  dei  Corradi,  degli  Otelli.... 


X 


7i6  ZAGNOLI  -  ZAGO 


Zagnoli  Carlo.  Fiorito  sul  finire  del  secolo  xvii,  fu  attore 
al  servizio  del  Duca  di  Modena  per  le  parti  di  Primo  Zanni, 
sotto  il  nome  di  Finocchio  (V.  a  Torri  Antonia  l'elenco  della 
Compagnia  pel  1689);  nia  non  aveva  la  parte,  ossia  era  attore 
pagato  a  un  tanto  fisso. 

Il  nome  di  Finocchio  fu  tenuto  prima  dal  ferrarese  Cima- 
dori  (V.),  e  forse  fu  maschera  (in  una  lieve  variazion  di  bri- 
ghella, capostipite  della  famiglia  de'  primi  Zanni)  con  atti  e 
parlare  leziosi;  ma  non  saprei  dire  se  il  significato  di  <  alletta- 
mento, attrattiva  prodotta  dal  sapere  usare  le  piacevolezze,  i 
motti,  sali,  ecc.,  »  poi  di  effeminatezza  e  peggio,  derivi  dalla 
maschera,  o  questa  da  esso. 

ZagO  Emilio.  Il  solo  scrivere  questo  nome  mi  mette  il  buon 
umore  e  mi  rifa  il  sangue.  Quel  riso  della  bocca  e  degli  occhi, 
quella  voce  squillante,  quei  ciao  e  complimenti,  e  ostregheta  tutti 
suoi,  quella  pancia,  quelle  gambette,  che  ricordano  un  pò*  il 
delizioso  buffo  barilotto  del  San  Carlino,  formano  un  tale  in- 
sieme di  giocondità,  che  non  è  possibile  vederlo  e  udirlo,  senza 
lasciarsi  andare  alla  più  matta  risata.  Perchè....  egli  è  piccolo, 
molto  piccolo,  inverosimilmente  piccolo,  tanto  che  la  sua  sta- 
tura fu  nell'inizio  della  sua  vita  artistica  un  grande  ostacolo  a 
farlo  entrare  in  una  Compagnia  rispettabile  come  quella  di 
Moro-Lin,  che  fu  la  sua  prima  e  grande  e  ben  giustificata  aspi- 
razione. 

Nacque  a  Venezia  il  19  marzo  1852  da  Giuseppe  Zago  e 
da  Maria  Vianello,  e  mostrò  fin  da  giovanetto  inclinazioni  e 
attitudini  al  teatro.  Entrato  nella  Filodrammatica  Gustavo  Mo- 
dena, potè  subito,  sotto  gl'insegnamenti  dell'artista  Carlo  Hu- 
rard,  farsi  notare  per  una  innata,  irresistibile  comicità  ch'ei  pro- 
fondeva ne'  limiti  di  una  correttezza  artistica,  assai  rara  in  un 
dilettante.  Gli  applausi  della  folla,  le  lodi  della  critica  gli  fecero 
lasciare  di  punto  in  bianco  l'impiego  ch'egli  aveva  di  commesso 
nella  Casa  Commerciale  del  Senatore  Reali,  e  lo  fecero  partire 
a  insaputa  de'  suoi  per  Loreo,  dove  era  ad  attenderlo  la  Com- 


ili 


e».  ' 


i 


7i8  ZAGO 

pagnia  dì  Francesco  Zecchi,  che  recitava  all'aperto,  e  da  cui, 
dopo  alcun  tempo,  felice  di  potersi  liberare  da  queir  ambiente 
di  guitti,  passò  a  Voltri  in  Liguria,  in  quella  Ilardi-Cardin,  la 
quale,  purtroppo,  era  più  guitta  dell'altra.  Finalmente,  dopo 
cinque  anni  d'incredibili  peripezie,  in  cui  la  fame  aveva  pur 
sempre  la  più  gran  parte,  a  traverso  plaghe  inospitali,  in  bar- 
roccio, in  carretta,  a  piedi,  or  cogli  Stenterelli  Serrandrei  e 
Miniati,  or  con  Benini  e  Gelich  e  De  Carbonin  e  cJtri,  recitando 
da  vecchio  e  da  giovine,  da  promiscuo  e  da  marno,  e  fin  sotto 
le  spoglie  della  maschera  Faccanapa,  contrapposto  vivente  e 
poco  fortunato  del  Faccanapa  di  legno  inventato  dal  Reccar- 
dini,  che  formava  le  delizie  del  popolo  triestino,  mentr*  egli, 
Zago,  era  con  Gelich,  Tollo  e  Papadopoli  al  Teatro  Mauroner, 
pur  di  Trieste,  eccotelo  -  dico  -  finalmente  di  sbalzo  (agosto  '  76) 
a  Napoli  con  5  lire  al  giorno,  generico  della  Compagnia  Vene- 
ziana di  Angelo  Moro-Lin,  salutato  da  un  fragoroso,  unanime 
applauso  al  suo  primo  apparir  sulla  scena,  dopo  appena  tre 
sere  dal  suo  debutto. 

Restò  con  Moro-Lin  fino  a  che  (giugno  dell' '83)  per  la 
morte  della  celebrata  attrice  Marianna  Moro-Lin,  la  Compa- 
gnia si  sciolse,  e  ne  formò  subito  una  egli  stesso  in  società  con 
Borisi  diretta  da  Giacinto  Gallina,  e  amministrata  dal  fratello 
Enrico,  della  quale  eran  bell'ornamento,  oltre  che  Zago  e  Bo- 
risi, la  Zanon-Paladini,  la  Fabbri-Gallina,  la  Foscari  ;  e  la  quale 
esordì  con  clamoroso  successo  il  2  settembre  a  Feltre,  e  andò 
trionfalmente  fino  al  febbrajo  dell'  '87  ;  in  cui,  nella  sera  di 
congedo,  dopo  gran  numero  di  chiamate  alla  Compagnia,  egli 
dovette  andar  solo  a  ricever  le  acclamazioni  della  folla  al  colmo 
dell'entusiasmo.  Si  unì  per  alcun  mese  alla  Compagnia  Benini- 
Sambo,  e  formò  poi  per  la  quaresima  deH"88  una  nuova  so- 
cietà con  Guglielmo  Privato,  che  procede  come  l'altra  di  trionfo 
in  trionfo  sino  allo  spegnersi  di  questo,  diventanfio  alla  fine 
capocomico  solo,  rallegrato  seralmente  dalla  gioja  ormai  abi- 
tuale del  successo,  e  dalla  speranza  nuova  e  pur  grande  di  ve- 
dere i  maggiori  progressi  del  figliuolo  Giuseppe  (uno  dei  quat- 


ZAGO  7»9 

tro  eh* egli  ebbe  dal  suo  matrimonio  [carnovale  1882]  con  la  si- 
gnorina Cesira  Borghini  di  Ancona,  il  quale,  a  fianco  del  babbo, 
con  tanto  esempio  e  con  tali  ammaestramenti,  comincia  a  far 
già  buona  prova  nelle  parti  comiche  [V.  la  prima  fotografia  del 
quadro]),  addolorato  soltanto,  egli,  artista  neir  anima,  di  non 
aver  più  potuto,  e  non  potere,  non  so  bene  se  per  ragioni  arti- 
stiche o  finanziarie,  congiungersi  al  suo  confratello  dialettale 
Francesco  Benini,  e  rinnovar  le  vecchie,  e  interpretare  alcune 
parti  nuove  del  repertorio  di  Gallina. 

<  L'avvenire  del  teatro  veneziano  -  egli  disse  una  sera 
dell'ottobre  '98  al  Rossini  di  Venezia  in  una  intervista  con  Re- 
nato Simoni  -  sarebbe  splendido,  ove,  tolti  di  mezzo  gli  osta- 
coli, non  creati  da  me,  che  dividono  la  nostra  Compagnia  da 
quella  di  Gallina,  ci  trovassimo  uniti  tra  i  migliori:  Gallina, 
Benini,  Privato,  la  Zanon,  io,  e  i  più  buoni  elementi  delle  due 
Compagnie.  Si  entrerebbe  in  un  periodo  glorioso,  che  ricorde- 
rebbe i  tempi  di  Marianna  Moro-Lin.  Non  occorrerebbero  nep- 
pure commedie  nuove  ;  basterebbero  le  ultime  di  Gallina,  qual- 
che po'  di  Goldoni,  il  buono  del  repertorio  veneto,  e  il  pubblico 
dovrebbe  venire  per  forza  a  teatro.  Purtroppo  questa  combi- 
nazione non  è  per  ora  che  un  sogno.  Io  aspetto  e  spero.  >  E 
l'aspettazione  e  la  speranza,  quasi  vane  ormai,  non  gì' impe- 
discono di  portar  sempre  e  dovunque  il  magistero  dell'arte 
sua,  con  predominio  di  note  schiettamente  gaje,  sia  che  il 
buon  gusto  del  pubblico  gli  conceda  di  spiegar  le  sue  doti 
ne' capolavori  goldoniani  (oggi  [1905]  ne  ha  oltre  venti  in  re- 
pertorio), sia  che  dal  palato  avvezzo  agli  eccitanti,  o  dal  biso- 
gno nel  pubblico  lavoratore  di  una  distrazione  spensierata, 
egli  debba  mostrarsi  nelle  innocue  e  pur  vilipese  aberrazioni 
chiassone  à.^?i  pochade.  Perchè....  pochi  artisti  hanno  come  lui 
il  privilegio  di  riempiere  la  scena.  Io  lo  metterei  subito,  nella 
scena  dialettale,  accanto  a  Ferravilla  e  alla  Zanon  :  due  artisti 
che  per  la  loro  vita  vissuta  dinanzi  alla  ribalta,  assorbono  dal 
lor  primo  apparirvi  i  sensi  tutti  dello  spettatore.  Emilio  Zago, 
dicono,  alcuna  volta  va  oltre  i  confini  dell'arte.  Voglio  conce- 


720  ZAGO 

derlo.  Chi  non  e'  è  andato,  e  chi  non  ci  va,  anche  de*  sommi, 
specialmente  comici  ?  Il  rimprovero  dello  strafare  fu   mosso 
dalla  critica  inguantata,  come  s' è  visto,  anche  a  Luigi  Vestri, 
il  quale,  artista  eminentissimo,  di  una  verità,  e  soprattutto  di 
una  semplicità  sbalorditiva,  pare  fosse  tuttavia  conoscitore  pro- 
fondo di  tutte  le  risorse  del  mestiere,  alle  quali,  per  acconciarsi 
alle  esigenze  di  certi  pubblici,  ricorreva  talora,  non  saprei  dire 
se  volentieri  o  a  malincuore.  E  poi  :  in  che  lavori  avrà  strafatto 
il  Vestri,  in  quali  strafa  lo  Zago?  Chi  vorrebbe  adoperar  la 
brutta  parola  per  /  Recini  da  festa.  La  Casa  nova.  Star  Todero 
brontolon,  I  Rusteghi,  Oci  del  cor,  e  quel  Fator  oralantomo,  in  cui 
egli,  incredibile  dictu,  muore  in  iscena,  e  commuove  il  pubblico, 
tanto  da  sclamar  la  prima  sera  a  Trieste  (gennajo  ^96)  a  recita 
finita:  «  In  malorsega  che  li  go  fati  pianzer?...  >  E  di  che  deve  il 
pubblico  dolersi,  ove  l'artista  egregio  alle  chiassate  nell'-^w^r 
sui  copi,  o  nel  Campagnol  ai  Bagni  al  Lido,  o  n€CC Albergo  del 
Libero  scambio  aggiunga  alcuna  delle  sue  strampalerie,  qualche 
suo  granellin  di  pepe  ?  A  lui  deve  già  tanto  il  pubblico  e  tanto 
ancora  dovrà!  Emilio  Zago,  che  ha  in  sé  tutta  la  spigliatezza 
arguta,  tutta  la  bonarietà  del  suo  popolo  veneziano,  è  forse 
il  più  atto  a  sentire  e  a  riprodurre  l'opera  di  Carlo  Goldoni 
fatta  dallo  stesso  vero;  e  al  teatro  di  Goldoni  infatti  eg-H  volge 
oggi  ogni  pensiero,  ogni  studio,  ogni  aspirazione.  Bisogna  co- 
noscerlo personalmente,  battere,  dirò  così,  al  suo  cuore,  e  far- 
glielo aprire,  senza  soggezione:  su  cento  parole  ottanta  sono 
per  Goldoni.  Bisogna  vederlo  fra  un  atto  e  l'altro,  e  magari 
fra  una  scena  e  l'altra,  in  quel  suo  camerino,  ingombro  di 
giubbe  di  ogni  specie,  di  spadini  lucenti,  di  parrucche,  vicino 
alla  sua  tavola  di  truccatura,  sulla  quale,  accanto  ai  barattoli 
del  minio,  del  bianco,  della  terra  d'ombra  scintillano  anelli  an- 
tichi enormi,  e  orologi  istoriati  e  tabacchiere  e  ciondoli  sva- 
riati, e  al  disopra  della  quale  alla  parete  di  fronte,  accanto  a  un 
grande  specchio  vigila  in  bella  e  nitida  incisione  il  ritratto  di 
Lui,  di  Goldoni,  in  compagnia  d'incisioni  minori  di  suoi  perso- 
naggi, di  maschere,  di  mode  del  suo  tempo  ;  bisogna  vederlo, 


ZAGO  -  ZAMARINI  721 


dico,  col  SUO  libricciuolo  in  mano  di  una  commedia  del  Mae- 
stro, non  mai  tentata  a'  nostri  tempi,  per  esempio,  L' uomo  pru- 
dente, o  L'uomo  di  mondo,  che  studia,  analizza,  notomizza  per 
la  riduzione,  pei  tagli  sapienti,  per  le  trasposizioni  di  scene,  di 
frasi,  di  parole  !... 

E  così  a  ogni  commedia  goldoniana  che  risorge,  è  una 
buffonata  nostra  o  forastiera  che  tramonta....  E  così,  mercè 
sua,  Goldoni  rivive  sulla  scena,  di  vita,  se  non  anche  gagliarda, 
non  più  tisica  certo,  come  pochi  anni  a  dietro....  Cosi,  mercè 
sua,  il  vecchio  teatro  deW Armonia  di  Trieste  riceve  il  30  no- 
vembre 1902  il  nuovo  battesimo  di  Teatro  Goldoni;...  E  così, 
finalmente,  nel  costante  favore  di  popolo  e  di  critica,  un  suo 
pallido  e  debole  sogno  di  creare  la  casa  di  Goldoni  a  Venezia  con 
artisti  veneziani  e  repertorio  goldoniano,  va  acquistando  nella  sua 
mente  e  nel  suo  cuore  luce  e  vita  per  modo  da  occuparlo  tutto 
omai  come  una,  più  o  men  lontana,  realtà  luminosa....  Ed  è  con 
l'accenno  a  sì  grande  idea,  e  con  due  parole  di  lieto  augurio, 
ch'io  metto  fine  al  mio  piccolo  dire:  Dio  voglia!... 

Zamarini  Carlo.  Nacque  ai  primi  del  secolo  xix  a  Trieste, 
dove,  fatto  un  corso  regolare  di  studj,  si  impiegò  presso  una 
Casa  di  Commercio.  Ma  la  passione  per  l'arte  drammatica  lo 
vinse  a  segno,  che,  dato  un  addio  ai  libri  mastri,  si  scritturò 
in  una  Compagnia  comica  in  qualità  di  amoroso,  diventando  in 
breve  attore  di  qualche  pregio.  Ma  forse  egli  s'avvide  più  tardi, 
e  i  suoi  compagni  con  lui,  che  per  gli  studj  a'  quali  s' era  dato 
prima  di  calcar  le  scene  aveva  assai  più  inclinazione  che  per 
l'arte.  Sposatosi  ad  una  egregia  attrice  pur  triestina,  Giovanna, 
che  fu  buona  madre  e  carcUteristica,  determinò  di  lasciar  l'uffi- 
cio di  attore  per  quello  di  amministratore,  nel  quale  riuscì  egre- 
gio. Amoroso  il  '43  con  Angelo  Lipparini,  diventò  socio  e  cas- 
siere ir46  della  Compagnia  di  Ernesto  Rossi,  poi  conduttore 
e  amministratore  della  famosa  Lombarda  che  fu  prima  diretta 
da  Alamanno  Morelli,  e  ch'egli  tenne  più  anni  or  sotto  la  dire- 
zione di  Luigi  Aliprandi,  ora  di  Carlo  LoUio,  ed  ora  di  Carlo 

91.  —  /  Comici  italiani.  Voi.  II. 


7»»  ZAMARINI  -  ZAMPIERI 

Romagnoli.  II  '64  lo  vediam  direttore  di  una  Compagriia.  di 
cui  faceva  parte  il  Meneghino  Luigi  Preda,  e  di  cui  erano  prima 
attrice  sua  figlia  Antonietta,  distinta  artista,  e  primo  attore  suo 
genero  Achille  Cottinrpoi,  finalmente,  amministratore  di  quella 
di  Luigi  Bellotti-Bon,  di  cui  fu  più  che  scritturato,  amico,  e  da 
cui  si  tolse  sol  quando  per  la  vecchiezza  e  gli  acciacchi  fu  co- 
stretto a  ritirarsi  a  Firenze.  Ma  dopo  varj  anni,  colpito  da  pa- 
ralisi, fu  per  consiglio  di  medici  trasportato  a  Barbanìa  di  Pie- 
monte, in  una  villa  dei  Cottin,  dove  morì  V  8  novembre  1 886. 


Zampierì  Vittorio.  Nato  a  Verona  il  21  aprile  del  1862,  e 
destinato  dalla  madre  all'  ingegneria,  dovè,  per  rovesci  di  for- 
tuna, abbandonare  con  grande  rammarico  gli  studi,   dopo  il 
terzo  anno  d'Istituto  (sezione 
matematiche),  e  andarsene  impie- 
gato nell'Amministrazione   fer- 
roviaria aTorìno,  dove  g-li  sì  svi- 
luppò la  passione   dell'  arte,  e 
dove  stette  cinque  anni,  filodram- 
matico acclamato.  Esordì  al  San- 
nazzaro  di  Napoli  in  Compagnia 
Pietriboni,  la  quaresima  deir'83 
come  amoroso,  salendo  dopo  un 
triennio  al  grado  dì  pri-mo  attor 
giovine  con  Lorenzo  Calamai,  per 
passar  poi  con  Andò,  nella  nuo- 
va Compagnia  dì  Eleonora  Duse, 
dov'  ebbe  campo  di  farsi  notare, 
per  la  eleganza  e  la  correttezza  della  dizione,  specialmente  nella 
parte  di  Pinquet  in  FrattciUon  di  Dumas  figlio,  che  creò  con 
molto  successo  al  fianco  dell'illustre  attrice,  colla  quale  restò 
cinque  anni.  Fu  poi  due  anni  con  Cesare  Rossi  (prima  donna 
Teresina  Mariani,  ch'egli  sposò,  quando  entrambi  andarono  a 
far  parte  della  Compagnia  Garzes),  poi  si  diede  al  capocomicato 
in  Società  con  Paladini,  Calabresi  e  Biagi  per  un  anno;  con 


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ZAMPIERI  -  ZANARINI  723 

Paladini  per  sei  anni,  e  finalmente  solo  da  cinque,  amministra- 
tore egli  stesso  e  primo  attore  assoluto.  Questo  il  breve  e  fortu- 
nato stato  di  servizio  di  Vittorio  Zampieri,  il  quale,  recando 
sulla  scena,  oltre  allo  studio  e  alle  chiare  attitudini,  tutta  la 
gentilezza,  tutta  la  dolcezza  dell*  indole  sua,  sa  farsi  ammirare 
e  applaudire  dai  pubblici  di  ogni  specie,  al  fianco  della  sua 
egregia  compagna. 

Zanardi....  È  citato  da  Fr.  Bartoli  come  valoroso  brighella 
del  secolo  xviii,  noto  per  una  commedia  di  sua  invenzione,  in- 
titolata: Arme  e  bagaglio,  €  in  cui  intorno  alla  sua  propria  per- 
sona aveva  tutto  il  bisogno  onde  apprestare  una  mensa  lauta- 
mente imbandita  > .  NeìVArkccAino  perseguitato  dai  quattro  ele- 
menti Giovanni  Roffi  rinnovò  la  comica  trovata,  seguito  ancora 
dal  Rossi  suo  cognato  e  da  altri. 

Zanarini  Agostino.  <  Bolognese.  Recitò  nel  carattere  da 
Innamorato  con  buonissima  disposizione.  Fu  nella  Compagnia 
d'Antonio  Marchesini,  e  poi  passò  in  Venezia  in  quella  de' no- 
bili Vendramini  al  Teatro  S.  Luca.  Sufficientemente  fece  cono- 
scere i  suoi  talenti  per  la  comica  professione,  e  morì  in  fresca 
età  lasciando  molti  figli  alla  vedova  sua  moglie.  »  Così  Fran- 
cesco Bartoli. 

Zanarini  Giuseppe.  Figlio  del  precedente  e  marito  di  Rosa 
Brunelli  (V.),  che  sposò  poi  in  seconde  nozze  un  Bacelli  musi- 
cista (V.  Bacelli-Zanerini),  fu  abile  attore  per  le  parti  à^ In- 
namorato. Passò  il  1754  colla  moglie  al  S.  Crisostomo  di  Vene- 
zia, sotto  la  direzione  di  Onofrio  Paganini,  col  quale  restò  fino 
al  dì  della  sua  morte,  avvenuta  intorno  al  1760. 


i-Bianchi  Antonia.  Figlia  del  precedente,  fu  dal 
patrigno  Bacelli  ammaestrata  nella  musica,  e  cantò,  fanciulla, 
l'ultima  parte  in  comici  intermezzi  a  Bologna  e  altrove.  Pas- 
sata colla  madre  a  Parigi,  esordì  il  21  luglio  1766  come  amo- 


724  ZANARINI 


rosa  alla  Comedia  Italiana  negli  Amori  (T Arlecchino  e  di  Ca- 
milla di  Goldoni.  Morta  la  servetta  Veronesi  (V.),  ella  ne  prese 
il  posto  nel  1768,  e  si  fece  chiamare  in  teatro  Argentina.  Fu 
ricevuta  il  '69  per  una  piccola  parte,  il  io  aprile  '72  a  tre  quarti, 
e  poco  dopo  a  parte  intera.  Nel  '79,  quando  alla  Comedia  Ita- 
liana si  cominciò  a  modificare  il  repertorio,  e  a  rappresentare 
il  più  spesso  opere  francesi,  ella  die  gran  prova  di  zelo  e  di 
intelligenza,  recitando  egregiamente  le  parti  di  servetta  nelle 
commedie  di  Marivaux.  Soppresso  poi  totalmente  Tanno  dopo 
il  genere  italiano,  ella  fu  congedata  con  una  pensione  di  mille 
lire  annue  e  un  indennizzo  di  cinquemila  lire  da  pag-arsi  in  due 
anni  e  in  due  volte,  e  se  ne  tornò  in  Italia  con  la  madre  e  un 
bambino,  frutto  del  suo  matrimonio  con  un  Bianchi,  dal  quale 
viveva  separata.  «  I  suoi  meriti  personali  -  dice  Fr.  Bartoli  —  i 
suoi  modi  graziosi  e  la  di  lei  teatrale  abilità  forse  non  del  tutto 
al  teatro  saranno  tolti,  essendo  sparse  alcune  voci,  che  ci  fanno 
sperare  di  rivederla  ben  presto  sulle  scene  d'Italia.  > 

Ma  dal  1781  in  poi  non  mi  fu  dato  rivederne  il  nome  in 
alcun  elenco.  Quanto  ai  meriti  personali  e  ai  modi  graziosi,  il 
Campardon  riferisce,  colla  scorta  del  Grimm,  come  Ting-Iese 
Tommaso  Hales,  chiamato  comunemente  d'Hèle  in  Francia, 
ove  si  fece  conoscere  come  autore  drammatico  e  fece  rappre- 
sentare alla  Comedia  Italiana  Le  jugement  de  Midas,  UAmant 
jaloux,  e  Les  événements  imprevus,  opere  tutt'e  tre  musicate  dal 
Grétry,  si  fosse  pazzamente  invaghito  della  Bianchi,  a  segno 
da  morirne  il  27  dicembre  1780,  non  avendo  potuto  indurla  a 
rimanere  a  Parigi. 

D'una  magrezza  eccessiva,  stordita  e  senza  cuore,  ispirò 
il  seguente  ritratto  pubblicato  in  un  libello  verso  il  '79  :  <  Si 
può  vedere  presso  la  signora  Bianchi,  detta  Argentina,  via  del- 
l'Amante geloso  (titolo  d'una  delle  commedie  del  d'Hèle),  uno 
scheletro  che  cammina,  mangia,  digerisce  e  dorme  come  una 
persona  naturale.  Non  v'ha  che  la  testa  e  il  cuore  che  non  fun- 
zionano. Parla  italiano,  balbetta  il  francese,  mastica  l' inglese 
e  non  scortica  alcuno  » . 


ZANARINI  725 


Zanarini  Petronio.  Fratello  minore  di  Giuseppe  e  di  Carlo 
(di  cui  non  ho  trovato  notizie,  ma  già  comico,  e  al  tempo  del* 
Bartoli  (1781)  maestro  di  ballo  in  una  città  della  Lombardia), 
nacque  a  Bologna;  e  dopo  di  avere  fatto  qualche  studio,  si  diede 
air  arte  dell'  intagliare  in  legno,  nella  quale  riuscì  un  fine  lavo- 
ratore. Appassionato  del  teatro,  recitò  commedie  tra'  dilettanti 
della  città,  mostrando  subito  le  più  chiare  attitudini  alla  scena, 
tanto  che,  occorrendo  ad  Antonio  Sacco  un  Innamorato,  egli 
ne  assunse  il  ruolo  col  mezzo  del  soprintendente  i  teatri  di  Bo- 
logna, la  primavera  del  1 767.  Esordì  a  Torino  e  subito  fu  rico- 
nosciuto attore  di  rari  pregi;  talché,  addentratosi  ognor  più 
nello  studio,  riuscì  in  breve  il  più  valoroso  artista  del  suo  tempo 
a  giudizio  d'uomini  competenti,  quali  Francesco  Gritti,  che 
afferma  «  nelle  parti  dignitose  e  gravi,  e  ne'  caratteri  spiranti 
grandezza  e  pieni  di  fuoco,  lui  rendersi  certamente  impareg- 
giabile >  e  Carlo  Gozzi  che  lo  chiama  <  il  miglior  comico  che 
abbia  oggi  l'Italia,  >  e  Francesco  Bartoli  che  gli  dedica  nelle 
sue  Notizie  più  pagine  dell'  usata  iperbolica  magniloquenza. 
<  Una  magistrale  intelligenza  -  dice  -  una  bella  voce  sonora, 
un  personale  nobile  e  grandioso,  un'  anima  sensibile  ed  una 
espressiva  naturale  ma  sostenuta,  formano  in  lui  que'  tratti  ar- 
monici e  varj,  co' quali  sa  egli  così  ben  piacere  e  dilettare  a 
segno  di  strappare  dalle  mani  e  dalle  labbra  degli  uditori  i  più 
sonori  applausi.  >  Nel  Padre  di  famiglia  di  Diderot,  nel  Gustavo 
Wasa  di  Piron,  nella  Principessa  filosofa  e  nel  Moro  dal  corpo 
bianco  di  Carlo  Gozzi,  nel  Radamisto  di  Crebillon,  nel  FUottete 
(di  De  la  Harpe  ?)  e  in  altre  moltissime  opere  di  ogni  genere 
egli  spiegava  tutta  la  forza  della  sua  intelligenza  sia  per  altezza 
d'interpretazione,  sia  per  forbitezza  di  dizione,  e  sia  anche  per 
esattezza  scrupolosa  di  costumi  ;  al  cui  proposito  ci  avverte  il 
Bartoli  ch'egli  stesso  ne  inventava,  disegnava  e  coloriva  i  mo- 
delli, facendo  poi  ad  altri  colla  sua  assistenza  ultimarne  l'ese- 
cuzione. Né  solo  del  recitare  si  occupò,  che  la  musica  e  il  ballo 
conobbe  a  segno  da  poter  cantare  e  danzare  in  commedia  con 
garbo,  quando  il  bisogno  lo  richiedeva.  Amantissimo  di  scienze 


726  ZANARINI 


naturali,  si  diede  alF esame  del  microscopio;  fu  gran  conosci- 
*tore  di  Storia  civile,  e  si  dilettò  di  poesia,  nella  quale,  specie 
in  quella  del  dialetto  bolognese  riuscì  con  lode.  Il  Bartoli  an- 
nunzia il  suo  futuro  ufficio  di  conduttore  e  direttore  di  una 
compagnia,  «  atta  forse  ad  emulare  le  andate  glorie  de*  prelo- 
dati Gelosi  e  Confidenti i^ ,  ed  augura  possa  con  lui  rifiorire  <  sulle 
italiche  scene  V  antica  virtù  della  famiglia  Andreini  » . 

Fu  infatti  lo  Zanarini  capocomico  dal  1782,  cioè  dairuscita 
dalla  Compagnia  Sacco,  del  cui  tempo  il  Gozzi  ci  ha  lasciato 
la  seguente  notizia,  n^WAmore  assottiglia  il  cervello,  al  1790. 

Adunque  egli  racconta  che  Amore  assottiglia  il  cervello, 
commedia  in  verso  sciolto,  doveva  essere,  contro   ogni  sua 
volontà,  recitata  Testate  del  1781  a  Verona.  Petronio  Zana- 
rini, il  migliore  de*  comici  serj,  s'era  scelta  la  parte  del  prota- 
gonista, che  necessariamente  doveva  pendere  alle  g'offag-gini 
facete.  Egli  non  bilanciò  né  la  sproporzione  dell'età  sua  con 
quella  del  personaggio,  il  giovane  scimunito  Don  Berto,  <  né 
la  immagine,  che  il   pubblico  s'era  formata  del  suo    carat- 
tere, da  cui  attendeva  soltanto  un  comico  serio  naturale,  o 
un  tragico  maestoso  declamatore  di  sentenziosa  armonica  gra- 
vità, né  la  dissuasione  del  Gozzi  stesso  > .  L' autore    insistè 
su  l'opinione   che  la  parte  del  protagonista  non   conveniva 
al  comico  Zanarini,  mostrando  ogni  timore  sulla  buona  riu- 
scita dell'  opera,  anche  per  la  mancanza  d' intreccio,  e  la  lun- 
ghezza soverchia;  ma,  per  questo,  i  comici  a  cui  premeva  di 
fare  un  bel  teatro,  rispondevano  col  dargli  del  modesto  e  del- 
l'umile  affettato.  La  commedia  non  fu  più  data  a  Verona,  né 
Gozzi  potè  saper  mai  con  precisione  il  perché,  sibbene  a  Vene- 
zia al  teatro  di  San  Luca  la  sera  dell'i  i  dicembre  1781,  dove, 
dopo  i  primi  tre  atti,  fu  accolta,  secondo  le  previsioni  dell'au- 
tore, a  rumori  di  fischi  e  di  urla. 

Creò  lo  Zanarini  al  Valle  di  Roma  la  parte  di  Aristodemo 
nella  tragedia  di  tal  nome  di  Vincenzo  Monti  il  lógennajo  1787; 
e  pochi  giorni  appresso  Volfango  Goethe  ne'  Ricordi  deltItcUia 
scriveva:  <  L'attore  principale  in  cui  si  concentra  tutta  la  tra- 


ZANARINI  737 


gedia,  si  rivelò  nella  parola  e  nell'azione  artista  egregio.  Parea 
di  veder  su  la  scena  uno  degli  antichi  Imperatori  romani.  Ve- 
stiva il  costume  imponente  che  ammiriamo  nelle  antiche  scol- 
ture, ridotto  con  arte  alle  esigenze  della  scena:  insomma  si 
vedeva  che  aveva  studiato  gli  antichi  > .  Vincenzo  Monti  nel- 
l'esame critico  dell'Aristodemo  chiama  Zanarini  incomparabile 
comico,  che  gli  stessi  francesi  paragonano  e  molti  antepongono 
ai  più  famosi  della  loro  nazione. 

E  nove  anni  più  tardi,  nel  5°  volume  del  Teatro  applaudito, 
ove  sono  le  Notizie  storico-critiche  sult Aristodemo,  si  conferma 
il  giudizio  con  queste  parole  :  «  Ivi  il  valore  del  celebre  Petro- 
nio Zanarini  si  manifestò  eminentemente,  sostenendo  con  tra- 
gica dignità  il  carattere  di  Aristodemo^. 

Il  carnovale  dell'anno  dopo  allo  stesso  Valle,  andò  in  iscena 
colla  stessa  compagnia  la  seconda  tragedia  di  Vincenzo  Monti 
Galeotto  Manfredi,  nella  quale  col  solito  grande  successo  lo 
Zanarini  sostenne  la  parte  di  Ubaldo  degli  Accarisi {Galeotto  era 
Giuseppe  Orsetti). 

Cessato  di  essere  capocomico,  si  scritturò  con  Antonio 
Goldoni,  primo  attore  con  scelta  di  parti  e  direttore;  e  con  lui 
stette  fino  al  '95,  anno  in  cui  passò  con  Luigi  Perelli,  col  quale 
lo  vediamo  quell'  autunno  al  San  Luca  di  Venezia  sostenere 
per  la  prima  volta  le  parti  di  padre.  Nel  3°  volume  del  Teatro 
applaudito  sono  per  quella  stagione  e  su  quell'attore  le  seguenti 
parole  :  <  Fu  sempre  eguale  a  sé  stesso,  e  sempre  grande  tanto 
nel  tragico,  quanto  nel  comico,  specialmente  colla  parte  del 
Re  neìVAdelasia  in  Italia,  con  quella  di  Benetto  nello  Sposo  ve- 
neziano rapito,  e  coli' altra  di  protagonista  nel  Ladislao  >. 

Dopo  quell'anno,  desideroso  di  abbandonare  le  scene,  si 
ritirò  nella  sua  Bologna  ov'era  ancora  la  madre  più  che  set- 
tantenne, vivente  con  un  figlio,  maggiore  di  Petronio,  parroco 
di  un  villaggio  non  molto  lungi  da  Bologna.  Il  Colomberti  (le 
notizie  gli  furon  date  da  vecchi  attori,  alcuni  de'  quali  compa- 
gni d'arte  dello  Zanarini,  come  Nicola  Vedova,  Federico  Lom- 
bardi e  Lorenzo  Pani)  ci  fa  sapere  la  tragica  fine  di  Don  Pie- 


^ 

V 


728  ZANARINI 


tro,  prete  intransigente,  e  della  povera  madre.  Correva  il  1 797, 
e  l'Armata  Repubblicana,  impadronitasi  delle  Legazioni,  aveva 
fatto,  pur  ne'  più  piccoli  e  remoti  paeselli,  innalzare  V  albero 
della  libertà  con  in  cima  il  simbolico  berretto.  Anche  Don  Pie- 
tro, avutone  ordine,  V  innalzò  nella  piazzetta  del  villaggio  ;  ma 
nel  cuor  della  notte.  Levato  poi  di  buon  mattino,  lo  fé'  tosto  at- 
terrare da  contadini  al  par  di  lui  intolleranti,  e  lieto  dell'opera 
sua  se  n'andò  nella  vicina  chiesetta  a  celebrar  la  messa.  Ahimè  ! 
Compiuto  il  sacro  ufficio,  non  avea  messo  ancora  il  piede  nella 
piazza,  che  fu  arrestato,  e  lì  per  lì,  alzata  accanto  all'albero 
della  libertà  una  forca,  impiccato.  Poche  ore  dopo,  colpita  da 
sincope,  anche  la  vecchia  madre  mori;  e  Petronio,  avutane 
l'orribile  nuova  in  Bologna,  fuggì  tosto  al  colmo  della  dispe- 
razione a  Venezia,  dov'era  la  Compagnia  Goldoni,  che  gli  fece, 
ma  sempre  indarno,  le  più  vive  premure  perchè  trovasse  nel 
ritorno  alle  scene  la  distrazione  indispensabile  al  suo  dolore. 
Egli  si  ricoverò  in  un'  isola  della  laguna,  confortato  dalla  mo- 
glie, dai  figli  e  dagli  amici  di  Venezia;  e  dopo  un  anno,  ceduto 
finalmente  alle  nuove  istanze  di  Goldoni,  si  unì  con  lui  pel 
triennio  1800-01-02,  trascorso  il  quale  si  ritirò  per  sempre 
dalle  scene,  passati  appena  i  sessantacinque  anni  di  età. 

Come  saggio  dello  stile  poetico  dello  Zanarini,  metto  qui 
un  sonetto  riferito  dal  Bartoli,  diretto  alla  madre  di  un  novello 
celebrante  : 

Donna,  deh!  perchè  piangi?  Il  tuo  dolore 
da  qual  sorgente  mai,  dimmi,  sen  viene? 
Qual  è  l'affanno  che  ti  stringe  il  core, 
qual  sventura  a  te  fia  cagion  di  pene? 

Non  è  affanno  o  dolor.  È  un  mar  di  bene, 
è  una  gioja,  un  piacere,  un  dolce  ardore, 
prodotto  non  da  frali  aure  terrene, 
ma  dall'Eterno  Iddio,  dal  mìo  Signore. 

Non  vedi  tu  colui  curvato  all'Ara, 

che  col  suon  de' suoi  carmi  il  ciel  disserra? 
Mia  prole  egli  è,  prole  diletta  e  cara. 


ZANARINI  -  ZANDONATI  729 

Disse:  ed  il  volto  suo  tergendo  alquanto, 
tregua  con  lei  formò  la  dolce  guerra, 
mentrMo  piansi  di  gioja  al  suo  bel  pianto. 

E  chiudo  con  quest'altro,  pur  riferito  dal  Bartoli,  «  parto 
elegante  -  egli  dice  -  di  dottissima  penna  genovese,  »  dedicato 

Al  merito  singolare  del  signor  Petronio  Zanarini  attore  impa- 
reggiabile al  Teatro  di  Sant' Agostino,  nella  Primavera  del- 
r  anno  177 S: 

Cingati  ornai  de' suoi  più  verdi  allori 
Apollo  il  crin,  e  con  dorate  piume 
spieghi  la  fama  i  tuoi  veraci  onori, 
della  comica  scena  inclito  lume. 

Col  nobil  gesto  e  colla  lingua  i  cuori 
di  lusingar  ognor  hai  per  costume; 
se  pianti  adombri,  ire,  sospiri,  amori, 
il  ver  nel  finto  espresso  ognun  presume. 

Pien  di  leggiadre  doti  e  vivi  aflfetti, 
offri,  Petronio,  col  variar  l'imago 
come  Proteo  novel,  nuovi  diletti; 

quindi  nell'ammirarti  in  varj  aspetti, 
e  saggio  e  amante,  ed  or  &ceto  e  vago, 
tu  insegni,  infiammi  e  dolcemente  alletti. 

Zanarini  Teresa.  Fu  prima  attrice  di  assai  pregio  al  prin- 
cipio del  secolo  xix  in  Compagnia  Consoli-Zuccato  e  Pellizza. 

Zanarini  Marianna.  La  troviamo  in  Tolentino  nel  1819 
applauditissima  con  la  Pani  e  con  lo  Zuccate. 

Zandonati  Faustina.  Cagliaritana,  nata  il  1770  da  Enrico 
Malgomieri  e  Teresa  Alfani,  moglie,  poi  vedova  di  Domenico 
Zandonati,  fu  l'amante  e  idi  prima  attrice  dello  Stenterello  Luigi 
Del  Buono  (V.).  Dell'arte  sua  dice  la  Gazzetta  Universale  di  Fi- 

92.—  /  Comici  italiam.  Voi.  IL 


■w 


730  ZANDONATI  -  ZANETTI 

renze  (io  geixnajo  1800)  che  ella  rappreseritòla  parte  à,^  Andro- 
maca con  quella  vivacità  e  maestria,  con  la  quale  s' era  fatta 
sempre  distinguere  sopra  le  scene  del  R.  Teatro  di  Via  del  Co- 
comero per  il  corso  di  molti  anni.  Il  Morrocchesi  nelle  sue  Me- 
morie inedite  la  dice  invece:  instabile  e  pfosuntuosà;  robusta  e 
di  gran  voce,  sì,  ma  non  brava  :  piuttosto  giovine,  fresca  e  fat- 
ticcia, ma  non  bella.  Descrizione  un  po'  forse  esagerata,  se 
vogliamo  pensare  che  il  Morrocchesi  ne  fu  geloso  e  invidioso. 
■Nell'opera  di  Jarro:  L' origine  della  maschera  di  Stenterello  (Fi- 
renze, Bemporad,  1898),  sono  riferiti  alcuni  saporitissimi  aned- 
doti concernenti  la  Zandonati  :  e  tra  gli  altri  quello  di  una 
potente  bastonatura,  di  notte,  concertata  tra/1  Morrocchesi 
stesso,  il  fratello  di  Del  Buono  e  il  servitore.  La  indemoniata 
donna  morì  alle  2  Va  del  mattino  del  1°  maggio  1821,  e  si  ha 
dai  conti  del  Del  Buono,  il  quale  omai  viveva  con  lei  nella  sua 
casa  di  via  Borgognissanti,  che  spese  pel  mortorio  (le  fece  dire 
ottanta  messe) Jn  tutto  lire  328.6.8. 

Zanetti  Girolamo.  Fu  tra*  compagni  del  Ruzzante  (Vedi 
Beotxo  Angelo  nell'opera  e  nel  Supplemento),  e  dice  lo  Scar- 
deone, che  era  chiamato  Vezzo  in  commedia;  nome  di  servo,  che 
vediam  comparire  tra  le  opere  del  Ruzzante  una  sola  volta 
nella  Vcu:caria, 

Zanetti  (o  Gianetti?)  Marc' Antonio.  Fiorito  sul  finire  del 
secolo  XVII,  fu  comico  al  servizio  del  Duca  di  Modena  per  le 
parti  di  secondo  Zanni  sotto  il  nome  di  Truffaldino. 

Da  una  supplica  al  Duca  di  Modena  del  1686  per  ottenere 
che  gli  fosse  mantenuta  la  parte  intera,  non  volendo  i  comici 
dargliene  che  metà,  sappiamo  ch'egli  aveva  moglie  e  cinque 
figliuoli. 

Il  carnovale  del  i6go  si  trovava  a  Roma,  d'onde  scrisse 
una  lunga  lettera  al  Duca,  perchè  richiesto  di  andare  a  Bolo- 
gna con  la  compagnia,  gir  fosse  mandato  il  danaro  bisognevole 
pel  viaggio  dispendioso  (V.  Savorini  Galeazzo). 


ZANETTI  -  ZANNONI  7Si 

B  ■      I  _  II- — ■■ 

Il  9  aprile  1691,  avendo  Leandro  (Recliiari)  e  Coviello 
(Sacchi)  già  ricevuto  ordine  di  recarsi  dopo  Pasqua  a  recitare 
a  Vicenza,  poi  a  Verona,  lo  Zanetti,  nulla  sapendo  di  sè,-da 
Bologna  si  raccomandava  alla  clemenza  e  generosità  di  S.  A., 
afìfinchè  non  lo  abbandonasse,  è  lasciasse  senza  occasione  di 
recita,  vale  a  dire  sen:^a  //  menstcaJe^  sussidio  della  Ser."^*"  Casa 
d'Este,  che  era  V  unico  sostegno  della  sua  povera  famiglia. 

A  un  famigliare  del  Duca,  il  conte  Maresciano,  scrisse  da 
Orvieto  il  2  ottobre  1694  al  fine  di  ottenere  il  passaporto  per 
sé  e  uno  per  tutta  la  sua  Compagnia:  il  che  fa  credere  esserne 
stato  lui  il  conduttore. 

Allo  Zanetti  certo  allude  Luigi  Riccoboni,  quando  dice 
(pp.  cit.,  cap.  VII)  :  Zaccagnino  e  Truffaldino  chiusero  la  porta 
in  Italia  ai  buoni  arlecchini. 


;i  Gio.  Battista,  di  Verona.  Era  il  182 1  in  Compa- 
gnia Alberti  e  Rosa,  e  le  Varietà  teatrali  (n.°  1 3)  di  Venezia, 
dando  conto  della  Compagnia,  al  Teatro  grande  di  Brescia, 
dicon  di  lui:  «Merita  lode  la  premura  che  ha  d'imparar  bene  a 
memoria  tuttociò  che  deve  dire  dal  proscenio.  In  pieno  il  pub- 
blico si  mostrò  di  lui  appagato,  e  donò  alla  sua  buona  volontà 
ed  indefessa  applicazione  quei  difetti,  in  cui  cade  per  colpa  in 
parte  di  una  pronuncia  non  troppo  invidiabile  e  di  un  limitato 
talento  >.  Il  n.°  36  dello  stesso  giornale  per  la  stagione  di  pri- 
mavera al  Fu  Obizzi  di  Padova,  lo  dice  applaudito  nelle  parti  dob 
tiranno,  e  lo  esorta  <  a  raddoppiare  il  suo  zelo,  onde  coprire 
qualche  naturale  svantaggio  > . 

Zannoni  Atanasio.  Ferrarese,  figlio  di  Zanone  Zanoni 
(nell'ediz.  A€  Motti  brighelleschi,  pubblicata  a  Torino  nel  1807 
dai  figliuolo  Alfonso  è  Zannoni  coU'^^  doppia),  dopo  di  avere 
con  buona  riuscita  recitato  tra'  dilettanti  della  città  natale,  si 
diede  per  le  non  floride  condizioni  di  famiglia  all'arte  dram- 
matica, scritturandosi  subito  con  Gerolamo  Medebach,  e  pas- 
sando poi  con  Antonio  Sacco,  del  quale  sposò  nel  1750  la  so- 


732  ZANNONI 


rella  maggiore  Adriana,  vedova  di  Rodrigo  Lombardi  (V.),  e 
col  quale  andò  11*53  in  Portogallo.  Forse  egli,  buono,  sarebbe 
rimasto  col  cognato  sino  alla  morte;  ma  l'umor  bestiale  di  lui, 
fattosi  ancor  più  intrattabile  pel  ridicolo  sopravvenir  di  una 
senile  passione  amorosa,  lo  spinsero  a  partirsene  per  congiun- 
gersi coi  figli  :  lo  vediam  poi  più  tardi  con  la  Battag-lia  insieme 
a  Giacomo  Modena. 

L'arte  sua  somma  nel  rappresentare  il  suo  personaggio, 
la  facondia  del  suo  dire,  la  lepidezza  dei  sali,  cong-iunte  a  una 
probità  perfetta  e  a  una  perfetta  bontà  fecero  di  lui  un  dei 
grandi  sostegni  della  Compagnia  Sacco  pel  corso  di  più  che 
trentadue  anni.  Carlo  Gozzi,  sostenitore  per  cinque  lustri  di 
quella  Compagnia,  parlando  dell'imminente  suo  sfasciarsi,  dopo 
di  avere  citato  i  nomi  di  coloro  che  se  ne  allontanarono,  dice: 
<  Atanasio  Zannoni  di  lui  cognato,  valentissimo  comico,  one- 
st'uomo,  e  d'indole  dolcissima,  ferito  dalle  stravag-anze  del 
vecchio  inviperito,  trattava  di  sottrarsi  dalla  Compagnia,  eco 

Il  Gozzi,  pregato  dal  Sacco  d'interporsi  perchè  eg-li  non 
se  n'andasse,  lo  pregò  a  sua  volta,  promettendogli  di  far  fir- 
mare al  Sacco  quella  famosa  scrittura  che  lo  spogliava  di  ogni 
despotismo,  e  il  buon  uomo  Atanagio..,.  die  la  parola  di  rimanere, 
ridendo  però  sulla  scrittura  diseo^nata,  perocché  (diss'  egli)  lei  ve- 
drà che  con  mio  cognato  le  scritture  non  vàgliono  un  /il  di  paglia. 
Anche  nel  noto  ditirambo  de'  partigiani  di  Truffaldino  lo  Zan- 
noni è  favorevolmente  ricordato  assieme  agli  altri  comici, 

E  più  che  ricordato  è  nella  prefazione  del  Re  Cervo,  in 
cui,  oltre  alla  sua  parte  di  credenziere  del  Re,  rappresenta  il 
vecchio  Cigolotti  del  prologo.  Il  Gozzi  dice  : 

Atanagio  Zannoni,  che  sostiene  con  rara  abilità  il  personaggio  del  Brighella  tra 
le  maschere  nella  Truppa  Sacchi,  rappresentava  cotesto  vecchio  con  qnella  perfetta  imi- 
tazione nel  vestito,  nella  voce,  negl'intercalari,  nel  gesto,  e  nella  positura,  che  suol  far 
sempre  ne' Teatri  un  grand' effetto  con  indicibile  applauso. 

Ma  la  notizia  chiara  del  suo  valore,  e  soprattutto  di  ciò 
che  tal  valore  formava,  noi  abbiamo  da  Fr.  Bartoli,  là  dove 
dice  che 


ZANNONI 


?33 


AUnulo  Zannoni  per  renderti  particoUre  nell' etegiiire  k  parte  di  qneito  perio* 
niggio,  tu  Tolnto  allonUnarti  (UlI'adotUto  ino  trìvial  coftome,  e  l'h*  ie*o  tu  nomo  illn- 
minato  e  iplritoio  ;  che  parla  con  eleganza,  che  raiìociniji  con  bnon  criterio,  che  ba  qualche 
cognizione  delle  idenze,  e  eh'  è  naturalmente  per  *è  «te»o  nn  poco  filotoRi.  Colla  lettura 
di  molti  libri  Franceti  e  Spalinoli,  non  che  Italiani  [òello  qutl  non  che],  ba  lapnto  ^1Ì 
trovare  una  tonte  di  gnatoti  concetti,  di  nuuiine  dilettevoli  ed  iatmttive,  < 
l'nnivemle  approvate,  e  d'apolo|[hi  wmi- 
Efopiani  argntiiiiini  e  (aceti.  Ne*  Contratti 
rotti,  at^VlHflutii  di  Saturno,  nella  F^ir^^i'a 
Indiana,  ed  in  altre  commedie  dell'arte, 
dove  egli  abbia  nn  ataolato  maneggio  ve- 
deii  pare  il  Zannoiu  porre  in  opera  tutto 
il  900  ingegno,  ed  inlaticabilmente  ado- 
prarii  coQ  lode  nell' eaecoiioQe  dello  atn- 
diato  ino  personaggio..,,  ecc. 


E  va  avanti  di  questo 
stile  per  una  buona  pagina 
ancora,  in  cui,  dopo  avere  ac- 
cennato alla  sua  probità,  alla 
sua  amorevolezza,  alla  sua  ca- 
rità e  alla  sua  religione,  parla 
della  sua  erudizione  nella  sto- 
ria antica  e  moderna,  e  delle 
sue  attitudini  allo  scrivere  in 
verso.  Le  parole  trascritte 
starebber  dunque  a  provare 
ch'egli  snaturò  la  maschera 
del  Brighella.  Naturalmente 
i  giudìzi  su  di  un  attore  van 
dati  in  considerazione  dei 
tempi  in  cui  egli  fiorì;  che  se  s'avesse  a  giudicar  lo  Zannoni 
col  criterio  che  s'ha  oggi  dell'arte,  tutti  quei  lardellamenti 
storico-scientifico-filosofici  cel  mostrerebbero  artista  enorme- 
mente peso. 

E  tale  pesantezza  ci  vien  fuori  più  volte  scorrendo  la  rac- 
colta de'  MoUi  brighelUschi.  editi  più  volte,  ora  in  ristretto,  ora 
aumentati  dal  figliuolo  Alfonso.  Ne  traggo  alcuni  per  dar  l'idea 
di  che  cosa  fosse  diventata  la  maschera  di  Brighella  Cavicchio 


734  ZANNONI 


di  Val  Brembana,  disceso  dalla  parte  alta  di  Berg-amo,  furbo, 
ladro,  raggiratore,  rivale  in  amore  di  Arlecchino,  intrigante, 
mezzano  di  matrimonj.  , 

Buon  augurio, 

El  del  ve  daga  le  tre  cose,  che  non  gh'  ave  unite  '  alle  cinque,  che  gh'  mvè  :  le 
cinque  ton  queste:  bellezza  d'ammirar,  grazia  da  incantar,  salude  da  invidiar,  zoventù 
da  diletar,  e  modestia  da  insegnar.  £  le  tre  che  gh'  ave  ancora  :  un  bel  marido  per  non 
star  sola,  boni  fioi  che  ve  consola,  e  bona  borsa  per  star  molto  a  tela. 

Dovere  del  Padre 

El  Padre,  che  vive  spensieratamente,  senza  provveder  ai  so  fioi,  asnrpa  indebi- 
tamente vivendo  el  nome  de  padre,  e  acquista  giustamente  morendo  quel  de  tiranno  :  do 
cose  deve  lasciar  el  padre,  podendo,  ai  proprj  fioi,  una  necessaria;  é  l'altra  ntile;  la' ne- 
cessaria l' è  la  morigeratezza  ;  e  l' utile  l' è  el  ben  star  :  la  prima  poi  star  senza  la  seconda, 
ma  la  seconda  senza  la  prima  l'è  un  vetro  che  traluse,  ma  che  ghe  manca  la  fogìa  per 
esser  specchio  ;  chi  di  tutti  do  le  provede,  vive  contento,  e  mor  felice,  contento  in  vita, 
perchè  l'ha  fatto  quel  che  el  doveva:  felice  in  morte,  perchè  el  lassa  qaei,.  che  da  In 
derìvan,  nei  boni  costumi,  e  nel  ben  star  tutto  el  pagamento  di  quei  debiti ,  che  l'aveva 
contratti,  quando  ghe  diede  el  ciel  el  rispettabile  nome  de  padre. 

E  di  questa  sorta  ve  n*ha  centinaja,  mescolati,  s'intende, 
delle  solite  baggianate  ampollose,  comuni  un  po'  a  tutte  le  ma- 
schere, che  pajono,  e  sono,  il  sugo  spremuto  dalle  similitudini 
strampalate  di  tutto  il  '600.  Per  esempio  : 

Battendo  alla  porta  della  donna 

Dorma  dice:  Chi  batte?  L'è  un  corrier  d'amor  a  cavai  dell' ubbidienza,  coi  spe- 
roni del  comando,  che  porta  un  plico  de  suppliche  alla  monarchessa  delle  bellezze. 

Segue  per  la  serva 

L'è  un  gallo  spasemado,  che  vorria  far  do  chichirìchi  nel  pollare  amoroso  della 
vostra  grazia. 

Circa  furberia   - 

La  lassa  far  a  mi,  che  per  servirla,  metterò  in  ordine  la  balestra  delle  furberìe; 
tirerò  la  corda  dell'inganno;  piegherò  l'arco  dell'astuzia;  metterò  la  balla  deUe  inven- 
zion,  la  scaricherò  colla  violenza  dei  raggiri  ;  la  raccomanderò  al  vento  dei  strattagemmi, 
per  far  che  la  colga  nel  segno  dell'ardente  suo  desiderio. 

E  via  di  questo  passo.  Nella  raccolta  di  Torino  1807, 21^- 
mentata  dal  figlio,  figura  fin  anco  il  sonetto  per  la  Malloni  (V.) 
di  Fra  Ciro  di  Pers 

Celia  e  Marìa^  voi  siete  mare  e  cielo, 


ZANNONI  735 


un  de' più  begli  esempj  di  achillinismo»  che  in  bocca  di  Bri- 
ghella avrà  destato  il  risolino  di  compiacenza,  Dio  sa  di  quante 
svenevoli  ascoltatrici. 

Oltre  a  codesti  Motti  brighelUschi,  il  Diario  del  Riminaldi 
(Ms.  556.  Classe  I  della  Biblioteca  Comunale  di  Ferrarsi,  Co- 
municazione del  chiarissimo  prof.  Agnelli)  contiene  una  Let- 
tera di  ragguaglio  delT  arrivo  in  Torino  da  Madrid  di  S.  A.  R. 
la  Sig."  Duchessa  di  Savoja  Maria  Antonia  Ferdinanda  di  Spa- 
gna, e  delle  feste  fattesi  per  tale  avvenimento  seguito  in  Torino  il 
77  giugno  1750. 

Nel  Codice  Faustini  N.  362  del  Fondo  Antonelli,  conser- 
vato alla  stessa  Biblioteca,  è  ricordata  dallo  Zanlioni  anche  una 
commedia:  La  Patria,  recitata  in  Ferrar  a  nel  carnovale  deli'/4y 
dalla  Compagnia  Medebach,  nella  quale,  l'autore  era  attore  cUl  ca- 
ratiere  di  Brighella.  Dove  sia  andata  a  finire  la  commedia  non 
si  sai  Certo,  m'avverte  il  prof.  Agnelli,  la  data  di  rappresen- 
tazione del  Codice  Faustini  ne  è  erronea;  avendo  egli  rilevato 
dal  Diario  Riminaldi  che  la  Compagnia  di  San  Samuele  tenne 
un  corso  di  quaranta  recite  tra  il  22  e  il  6  giugno  1747. 

Tra<  le  varie  commedie  ricordate  nel  Diario,  di  codesta 
Patria  non  è  traccia  alcuna. 

Quando  nacque  Atanasio  Zannoni?  Nella  lettera  al  conte 
Giuseppe  Alcaini  che  prelude  ai  Motti  della  prima  edizione 
(Venezia,  1787)  egli  dice:  <  Nella  mia  vecchiezza,  fatta  più 

GRAVE  DALLE  DISGRAZIE  CHE  l/ ACCOMPAGNA  NO,  ho  il  COnforto  di 

sentirmi  per  le  vie  commiserato,  e  di  udire  universalmente  esagerato 
il  dispiacere  dello  scioglimento  della  nostra  Compagnia  comica  (quella 
del  Sacco)  un  tempo  tanto  favorita  da  guest'  inclita  Metropoli  di 
concorso  alla  nostra  Commedia  improvvisa  delT Arte  > .  Dovè  na- 
scere dunque  verso  il  *20. 

La  sua  fine  fii  delle  più  misere.  Pare  che  la  maschera  di 
brighella  venisse  al  mondo  sotto  brutto  auspicio.  Il  primo  bri- 
ghella apparso  a  Parigi  nel  iòti,  faceva  rabbia,  tanto  era  dete- 
stabile; lui  morto,  si  chiamò  a  sostituirlo  C\mdAor\  Finocchio, 
il  quale,  poveretto,  sorpreso  dal  male,  morì  per  via  a  Lione. 


736  ZANNONI 


Giuseppe  Angeleri,  il  più  celebre  di  tutti,  morì  sulla  scena, 
appena  entrato  fra  le  quinte,  d' un  colpo  a  Milano,  V  estate 
del  1754;  e  il  nostro  Zannoni  uscendo  da  una  cena  sontuosa 
a  Venezia  il  22  febbrajo  del  1792,  cadde  in  un  canale  profondo, 
e  poco  tempo  dopo  morì. 

Zannoni  Adriana.  (V.  Sacco  Adriana  e  Lombardi  Ro- 
drigo). 

Zannoni  Teresa.  Figlia  dei  precedenti,  si  diede  principal- 
mente allo  studio  della  danza,  e  recitò  anche  parti  di  fanciulla 
nelle  J^taòe  di  Carlo  Gozzi.  Ammalatasi  la  madre,  ella  si  provò 
di  sostituirla  nel  carattere  della  serva,  e  vi  riuscì  egregia- 
mente. Il  continuo  studio,  e  la  lunga  pratica  la  miglioraron  poi 
tanto,  che  diventò  per  le  commedie  all'improvviso  una  delle 
migliori  serve  del  suo  tempo.  Nubile  ancora  nel  1781  viveva 
<  lietamente  -  dice  il  Bartoli  -  presso  il  suo  genitore,  e  diri- 
gendo più  che  con  femminile  ingegno  i  domestici  affari  della 
propria  famiglia  > . 

La  vediamo  poi,  uscita  dalla  Compagnia  Sacco,  serva  in 
quella  di  Luigi  Perelli.  L'elenco  non  ha  data;  ma  è  dell' '85 
circa.  Un  mio  fascicele tto  manoscritto  di  epigrammi  reca  il 
seguente  : 

ALL'  ANGIOLINI-ZANONI 

Imita  nel  mestier  la  fu  tua  madre. 
Abborrisci  la  lingua  di  tuo  padre. 

Certo  è  questa  stessa,  moglie  di  Agapito  Angiolini  (V.). 

Zannoni  Alfonso  o  Idelfonso,  come  lo  chiama  Fr,  Bar- 
toli, fratello  della  precedente,  recitò  sotto  una  maschera  che 
pare  da  lui  inventata,  non  avendone  trovato  indizio  né  prima, 
né  dopo  lui,  chiamata  Agonìa,  forse  dalla  magrezza  del  volto, 
dalla  fatica  del  parlare,  dalla  lentezza  del  muoversi,  dall' ansa- 
mento  del  respiro. 


ZANNONI  -  ZANON  737 


Lo  vediamo  per  molti  anni  con  Giuseppe  Pellandi,  col 
quale  era  al  Sant'Angelo  di  Venezia  il  1795-96. 

Zannoni  Giuseppe,  bolognese,  fu  attore  di  molto  pregio 
per  le  parti  di  primo  amoroso  e  di  primo  attore  e  promiscuo»  fio- 
rito nella  prima  metà  del  secolo  xix.  Cominciò  ad  acquistarsi 
nome  di  artista  egregio  nella  Compagnia  di  Antonio  Rafsto- 
pulo,  col  quale  stette  più  anni.  Lo  vediamo  il  triennio  1 834-35-36 
generico  primario  con  Gaetano  Bazzi,  poi  con  Gaetano  Nardelli, 
col  quale  assunse  per  la  morte  di  Giovanni  Boccomini  il  ruolo 
di  Padre  nobile  ^promiscuo.  Di  bellissima  figura,  di  ottima  voce, 
di  intelligenza  pronta  e  svegliata,  fu  egualmente  ammirato  nella 
commedia,  nel  dramma  e  nella  tragedia  ;  ma  principalmente  in 
questa.  Passò  poi  nella  Compagnia  di  Carlo  Re,  della  quale 
doveva  essere  primo  sostegno  Luigi  Vestri,  che  morì  nel  suo 
cominciamento,  poi  in  quella  Alberti  ai  Fiorentini  di  Napoli, 
per  un  triennio,  spirato  il  quale,  tornò  nell'Italia  Centrale,  for- 
mando una  Compagnia  che  condusse  per  anni  con  varia  fortuna. 
Da  capocomico  solo  passò  a  essere  conduttore  in  società,  con 
non  so  quale  attore,  ma  di  Compagnia  secondaria  :  finché,  tra- 
vagliato dalla  sorte  contraria  e  dagli  anni,  si  ridusse  a  Sassuolo, 
ove  morì  verso  il  1 860.  -  In  Compagnia  Rafstopulo  egli  aveva 
sposato  Adelaide,  figlia  della  celebre  Teresa  Angelini  (V.),  che 
gli  sopravvisse.  Dagli  elenchi  della  Compagnia  si  rileva  che 
il  1820  egli  era  ancor  celibe. 

Zanon-Paladini  Latira.  Da  Giovanni  Zanon,  veneziano,  e 
da  Giovanna  Bava,  bresciana  e  comica,  figlia  di  Paolo,  geno- 
vese, nacque  la  nostra  Laura....  Ma  farei  peccato  veramente  se 
osassi  defraudare  i  lettori  di  questo  gioiello  di  lettera  ch'ella 
mi  scrisse  or  son  pochi  mesi,  la  quale  rispecchia  tutta  la  beni- 
gnità della  sua  natura,  e  con  essa  tutta  la  geniale  semplicità 
dell'arte  sua  : 

Nata....  ner52....  brrrrl  Papà  mio,  Giovanni  Zanon,  era  di  famiglia 
benestante,  e  pei  moti  politici  (mi  pare  del  '21)  fuggi  da  Venezia,  e  si 

93.  —  /  Ornici  itaìimU.  VoL  IL 


^ 


73»  ZANON 


rifugiò  in  una  compagnia  drammatica  -  Kefugium  peccatorum  —  (che  la- 
tesin  !).  Nell'arte  conobbe  mia  madre,  buona  creatura,  donna  dei  tempi 
primitivi  !  Quando  io  fui  grande  mi  sembrava  che  lei  fosse  mia  figlia, 
ed  è  perciò  che  credo  d'averla  amata  il  doppio.  Suo  padre  era  avvocato, 
ma  alla  discesa  in  Italia  di  Napoleone  e  al  saccheggio  di  Genova,  fuggi 
con  la  famiglia,  e  si  mise  a  fare  il  suggeritore:  viaggiava  con  otto  figliuoU. 
Come  farielo  adesso?  Povero  nono!  Altro  che  el  Conte  Ugolino  !!!  La 
mamma  mia  nacque  a  Brescia:  «  che  Dio  la  benedissa  »,  ave  scritto?  Oh, 
si,  ch'EI  la  benedissa  dassèno,  come  che  lo  fasso  mi  dal  profondo  del 
cuor,  povera  vecchietta  santa!...  Quel  poco  di  buono  che  ho  moralmente 
e  artisticamente  lo  devo  a  lei!... 

Qui  io  apro  una  parentesi  :  tra  gli  otto  figli  di  Paolo  Bava, 
trovo,  oltre  a  Giovanna,  una  Teresa,  di  cui  non  ho  notizie,  e  una 
Giuseppina,  andata  sposa  a  Giuseppe  Ruggeri,  veronese  (V.  nel 
SuppL),  primi  amorosi  entrambi  il '21  della  Compagnia  Mo- 
dena-Bellotti. 

Da  questo  matrimonio  nacquero  due  maschi,  Vincenzo  e  Leo- 
poldo, e  una  femmina.  Teresa,  che  stette  sempre  a  Venezia.  «  Sembrava 
-  dise  neìV Avocato  VencT^ian  -  che  i  gavese  sera  bottega....  »  co'  rispetto 
parlando:  Signor  no!  Dopo  dodici  anni  nacque  questo  po' pò*  di  perso- 
naggio (La  storia  non  dice  se  vi  fu  luminaria  !).  Dunque,  quando  venni 
al  mondo,  mio  padre  s'era  già  ritirato  dall'arte,  e  impiegato  nell'Am- 
ministrazione dell'Ospedale  Civile  di  Venezia.  Notate  questa  originalità: 
era  veneziano  puro  sangue,  fanatico  della  sua  città,  e  non  era  buono  di 
dire  una  parola  in  veneziano:  a  Venezia  i  vicini  lo  chiamavano  El  Fo- 
resto. Mancò  eh'  io  era  giovinetta,  e  venni  affidata  a  mio  fratello  mag- 
giore che  era  in  arte  (fu  per  molt'anni  brillante^  discreto,  con  Zoppetti, 
poi  caratterista  con  Ernesto  Rossi  e  con  la  Ristori).  Quando  andai  con 
lui  era  maritato,  e  aveva  una  figlia;  per  dire  la  verità,  le  prime  parti- 
cine  andarono  bene,  ma  mio  fratello  scrisse  a  mia  madre  di  non  calco- 
lare su  di  me,  perchè  in  arte  non  potevo  far  nulla,  priva  affatto  di  av- 
venenza, e  troppo  piccina....  (però  ero  simpatica,  e  questo  ve  lo  dico  io  !). 
Che  dolore  per  la  povera  vecchia  !  Era  su  me  sola  che  lei  poteva  &re 
assegnamento  :  si  trovava  presso  una  sua  sorella,  aspettando  che  mio  fì^- 
tello  avesse  trovato  per  me  una  scrittura.  Un  bel  giorno,  eravamo  a  San- 
pierdarena,  ella  venne  e  dichiarò  che  mi  voleva  seco,  non  potendo  più  vivere 
senza  di  me.  Mio  fratello,  indignato,  ci  pagò  un  mese  (^affitto,  e  noi.... 
rimanemmo  a  spasso  (prima  d' incominciar  la  carriera  !),  fidando  di  trovar 
del  lavoro....  aspettando  gli  eventi  !  Venne  la  compagnia  dello  stenterello 


Miniati,  ti  quale  capitò  proprio  nella  nostra  casa.  Aveva  una  figlia  di  otto 
o  nove  anni,  e  occorrendogli  un' amoroseita,  la  bimba,  che  m'aveva  preso 
in  gran  simpatia,  tanto  pianse  e  si  disperò,  che  il  Mintati,  benché  in  tratta- 
tive con  altra  famiglia,  scritturò  me  con  la  paga  di  tre  franchi  al  giorno 
e  viaggi  pagati.  Quanti  digiuni  I...  Tre  anni  senza  bere  vino!... 


Dovevo  &rmi  il  vestiario?!...  Che  lusso!...  «Ah,  povera  macia  Iv  di- 
rete voi.  Ma  che!  Ridevo....ridevo....  Avevo  quindici  anni!  Rimasi  tra  quella 
del  Miniati  e  la  Compagnia  Fanelli  quasi  tre  anni,  e  imparai  a  parlar  to- 
scano al  punto,  che  mio  fratello  disse  che  non  sarci  più  entrata  in  nessuna 
compagnia  buona,  perchè  sembravo  uno  stenterello  (a  quell'epoca  non 
v'  era  molta  simpatia  per  l' accento  toscano).  Trovai,  invece,  da  scrittu- 
rarmi con  Ferrante  e  la  Paladini  (ora  Andò),  sostituita  poi  dalla  Sivori,  come 
prima  attrice  giovine;  e  le  parti,  in  cui  più  mi  distinsi,  a  giudizio  della 
stampa,  furon  le  tragiche  :  Norma,  Medea,  Giuditta,  Saffo,  ecc.  Chi  l'avesse 
detto  I...  Saltiamo.  Andai  con  Moro  Lin  (allora  egh  aveva  compagnia  ita- 
liana), scritturata  per  parti  di  amorosa,  seconda  donna,  servetta,  ecc.  Sì 


740  ZANON 


fece  il  carnevale  a  Trieste,  e  gli  venne  in  mente  di  tradurre  un  lavoro 
piemontese  in  veneziano  :  ce  Maritemo  la  putela  »  (Mariuma  Clarin),  e  di 
affidare  a  me  la  servetta.  La  fatica  che  feci  a  dire  quelle  poche  parole  ! ... 
Ma  r  esito  fu  splendido,  le  repliche  seguirono  le  repliche,  e  invogliarono 
Moro  Lin  a  tradurre  un  altro  lavoro  :  Rovereti  ma  onesti.  C  era  la  parte 
d'una  vecchia,  una  specie  di  «  batti....  Canappia....  me  màgnela?  x> ....  Moro  Lin 
mi  prega  di  farla;  io  ricuso,  un  pò*  per  il  genere,  un  po'  perchè  non  sapevo 
come  avrei  potuto  fare  una  vecchia  :  mi  prega  la  Marianna  (la  Moro  Lin).... 
Moro  Lin  mi  supplica....,  e....  mi  lascio  convincere.  Notate  bene  che  si 
recitava  allora  Miss  MuUon^  e  io  ci  facevo  la  bambina:  si  replicava  da 
molte  sere,  e  mi  trovai  a  fare  nella  stessa  sera  la  bambina  nella  commedia, 
e  quella  vecchiaccia  nella  farsa....  Ma  che  fanatismi  !...  e  adesso  che  cal- 
colo freddamente,  posso  dire  che  la  facevo  proprio  bene  (modestia  a 
parte  !).  Finito  il  carnevale,  andai  come  servetta  assoluta  con  Peracchi, 
che  aveva  allora  in  compagnia  Cesare  Dondini,  Pasta,  Rodolfi,  ecc.  Moro 
Lin  seguitò  a  scrivermi,  facendomi  buone  proposte.  Metteva  su  una  com- 
pagnia veneta.  Io  non  volli  accettare  altro  che  col  patto  di  fare  almeno 
le  farse  in  italiano;  e  andai«  ma....  non  sapevo  parlare  veneziano  !  al 
punto  che  volevo  chiedere  lo  scioglimento;  tuttavia  siccome  ero  a  Ve- 
nezia, ov'era  anche  mia  sorella,  che  parlava  vene:(ianissimo,  fui  aiutata,  e 
seguitai.  Venne  il  Gallina  e  le  parti  m'aiutarono  a  vincere  l'antipatia  del 
dialetto  ereditata  da  mio  padre....  Ah  !  dimenticavo  di  dirvi  che  il  se- 
condo anno  che  ero  con  Moro  Lin,  mi  sposai  con  Francesco  Paladini, 
che  faceva  il  brillante  e  piaceva  molto.  Ma....  avevamo  fatto  un  sogno: 
stabilirci....  lasciar  l'arte.  Egli  diffatti  aprì  uno  studio  fotografico  in  Pa- 
dova; ma  lo  colpì  una  grave  malattia  d'occhi,  e  tutto  andò  per  aria.... 
Ritornai  frattanto  in  arte  con  la  Compagnia  Benini  (compagnia  mista 
allora  e  di  secondo  ordine);  poi  con  Gallina,  poi  con  Zago-Gallina,  e 
finalmente  del  '91,  Gallina  autore,  col  fi'atello  Enrico....  a  cui,  come  sa- 
pete, subentrò  proprietario  il  Benini,  e....  eccomi  ancora  qui.  Auff!!! 
Credo  ne  avrete  abbastanza  ! 

<  Non  abbastanza,  cara  moda  >  dirà  certo  con  me  il  let- 
tore, che  al  finir  della  lettera  s'è  vista  sparire  Timagine  viva 
di  lei,  saltellante,  birichina,  arguta,  senza  fronzoli,  e  senza  af- 
fettazione. Al  nome  di  Emilio  Zago  (V.  pag.  719)  io  scrissi  del 
Ferravilla  e  della  Zanon  :  <  due  artisti,  che  per  la  loro  vita  vis- 
suta dinanzi  alla  ribalta,  assorbono  dal  lor  primo  apparirvi  i 
sensi  tutti  dello  spettatore.  »  Oggi  potrei  aggiungere  Giovanni 
Grasso.  Qual  migliore  elogio  si  potrebbe  farne? 


ZANON  741 


I  sensi  tutti:  sì.  Qualunque  sia  V  artista  che  reciti  con  la 
Zanon,  o  per  piena  che  sia  la  scena,  i  sensi  dello  spettatore  son 
vòlti  su  di  lei.  Egli  la  cerca,  e,  trovatala,  non  V  abbandona  più, 
anche  quando  il  protagonista,  o  la  protagonista  si  trovi  presso 
la  ribalta,  ed  ella,  semplice  servetta  o  parte  di  contorno,  in  un 
angolo  della  stanza,  o  alla  finestra.  Mai  distratta,  mai  coli' oc- 
chio al  pubblico,  mai  immota.  Le  frasi  degl'interlocutori  sono 
accompagnate  sempre  da  una  sua  occhiata,  da  un  suo  sog- 
ghigno, da  una  sua  interiezione,  da  un  suo  atto  qualsiasi  di 
protesta,  di  assenso,  di  dubbio;  e  quei  rapidi  cenni  si  sovrap- 
pongono a  tutte  le  parole  di  quegl*  interlocutori.  Così  ogni  par- 
ticina  piglia  nelle  sue  mani  importanza  di  una  gran  parte  ;  e  il 
personaggio  è  rappresentato  con  tale  verità  e  con  tale  spon- 
taneità, che  par  sempre  ch'ella  improvvisi.  Eppure  nulla  di 
più  studiato  e  di  più  finamente  studiato  :  eppure  ella  è  forse 
una  delle  più  rispettose  osservatrici  del  testo  :  me  n'  ebbi  ad 
accorgere,  vedendola  più  sere  in  uno  stesso  lavoro.  La  vivacità 
della  sua  dizione,  la  snellezza  della  sua  figurina,  V  agilità  dei 
suoi  movimenti,  l'eloquenza  della  sua  espressione  la  fan  parere 
ancor  giovinetta;  specie  quando  rappresentala  Cameriera  astuta 
del  Castelvecchio,  in  cui  ella  profonde  tutto  il  tesoro  delle  sue 
grazie,  richiamando  alla  memoria  le  monellerie  della  Cutini 
(V.),  che,  appunto  in  quella  commedia,  sentii  a  oltre  cinquan- 
ta anni,  e  pur  sempre  maravigliosa  d'arte  e  di  freschezza.  In 
un  momento  di  malinconia,  o  piuttosto,  spero,  di  modestia,  ac- 
cennando ai  giornali  che  le  predicevano  uno  splendido  avve- 
nire nelle  parti  di  forza  e  di  sentimento,  la  Zanon  mi  scriveva: 
<  ghe  ne  vorlo  de  più  ?  Chissà,  prima  de  morir,  quanti  cambia- 
menti che  farò  ancora!...  Basta:  adesso  go  una  consolazion  in 
vista  -la  Casa  de  riposo!...  E  sarìa  ora  dassèno  che  me  ripo- 
sasse!... >  No,  cara  artista;  il  pubblico  reclama  ancora  più  di 
un  godimento  da  Lei  !  Ella  rimarrà  sulla  breccia,  a  edificazione 
nostra,  rinnovellando  i  trionfi  di  Virginia  Déjazet,  la  più  biri- 
china e  più  francese  di  tutte  le  artiste  francesi  che  a  più  che 
sessanfanni  creò  la  parte  di  Figaro  nelle  Prime  armi  di  Figaro, 


k 


742  ZANON  -  ZANOTTI 


e  a  settantasette  rappresentò  ancora  al  Vaudeville  di  Parigi,  La 
Vedova  di  Brienne  e  J//  Garat. 

Zanotti-Cavazzoni  Giovan  Andrea.  Nato  il  1 6  2  2  alle  Ca- 
selle, terricciuola  del  Comune  di  San  Lazzaro  di  Savana  presso 
Bologna,  fu  comico  de' più  egregi  per  le  parti  à^  Innamorato, 
sotto  nome  di  Ottavio.  Mortogli  nel  '40  lo  zio  materno  Vincenzo 
Zanotti,  ne  restò  erede  per  testamento,  coU'obbligo  di  assumere 
la  sua  arma  e  il  suo  cognome.  Fu  comico  al  servizio  del  Duca 
di  Modena,  e  le  notizie  cominciano  in  quell'Archivio  dal  '47. 

Il  carnovale  la  Compagnia  era  in  Parma,  dove  si  fecero  i 
più  magri  affari  ;  e  da  Parma  passò  a  Roma,  d'onde  fu  inviata 
una  lettera  al  Duca  il  27  febbrajo,  sottoscritta  dallo  Zanotti, 
da  Marco  Napolioni  e  da  Carlo  Cantù  (V.),  perchè  interponesse 
i  suoi  buoni  offici  presso  certo  Messer  Gio.  Maria  di  Parma, 
che  pretendeva  il  pagamento  di  un  debito  di  lire  trecento  che 
essi  non  riconoscevano,  sapendo  di  dovergli  solo  il  fitto  del 
palco,  il  quale  anche  speravano  fosse  loro  condonato  in  ragione 
delle  scarse  faccende. 

Da  Roma  la  Compagnia  doveva  andar  subito  dopo  Pasqua 
a  Napoli  co'  viaggi  pagati  :  e  Napolioni  (Flaminio)  si  affannava 
a  raccoglier  firme  tra'  compagni  perchè  la  gita  si  effettuasse, 
ma  altri,  e  specialmente  il  Pantalone  Bindoni  (V.  Suppl.)  e  Za- 
notti, si  opponevano,  allegando  la  niuna  solvibilità  deg-r  impre- 
sari a  Napoli,  dove  i  comici  più  insigni  di  Lombardia  han  do- 
vuto lasciare  in  pegno  i  bauli  per  potersene  partire.  E  tali 
ragioni  furono  scritte  dallo  Zanotti  stesso  al  Duca,  esag-erando 
il  male  con  tal  conchiusione  :  «  Sì  che  unito  con  tutta  la  mia  pò- 
vera  famiglia  supplico  per  l'amor  di  Dio  l'Altezza  Vostra  a  non 
comandarmi  tal  cosa  se  desidera  il  mantenimento  di  mia  casa» . 
Ma  dell'andata  a  Napoli  non  si  ha  più  traccia,  e  si  passa  al  '5 1, 
anno  in  cui  Zanotti  scrive  il  16  e  il  23  marzo  da  Bolog-na  a 
Gir.  Oraziani  per  la  nuova  Compagnia  del  Duca,  che  avrebbe 
dovuto  recarsi  a  Milano,  se  fosse  riuscita  a  sciogliersi  da  un 
preventivo  impegno  di  Padova. 


ZANOTTI  •  743 


E  furono  citate  lettere  di  cavalieri  (di  quanta  autenticità 
non  saprei  dire)  che  pare  avessero  scritto  al  Fichetto  Lolli  (V.) 
pregando  di  desistere  dall'  andata  a  Padova  per  non  incorrere 
nella  fuina  della  Compagnia.  La  quale  infatti  si  recò  a  Milano, 
di  dove  il  3  di  maggio  Zanotti  scrive  al  Oraziani  che  non  sa 
ancora  se  e  quando  dopo  Pasqua  si  recherà  a  Brescia  o  a  Ve- 
rona, poiché 

non  sono  mai  frequentate  dalle  Compagnie  de' comici  per  qualche  poco  di  tempo  doppo 
Pàsqua  quelle  Città,  che  dano  il  luogo  scoperto  per  rappresentar  comedie,  come  Brescia 
e  Verona,  perchè  sarebbe  un  volontariamente  perdersi  col  esporsi  alle  stravaganze  de  tempi, 
che  per  lo  più  riescono  in  simile  stagione  piovosi. 

Fu  poi  scelta  Verona,  d'onde  il  io  agosto  si  raccomanda 
al  Oraziani  perchè,  dovendo  la  Compagnia  andare  a  Venezia 
il  novembre,  il  signor  Marchese  BentivogHo  le  ottenga  per 
l'ottobre  il  teatro  di  Ferrara 

con  qualche  Emolumento  dal'affittatore  del  detto  Teatro,  che  sia  almeno  per  le  case  franche 
per  tutti  :  e  che  anche  siano  fatto  franchi  dal  dare  bolettini  a  sia  chisisia,  e  quelli  ordinari 
della  Dogana  siano  ridotti  ad  un  numero  ragionevole  ;  e  perchè  non  è  ordinario  l'essere 
Comici  in  tal  tempo  in  quella  Città,  è  necessario  che  il  detto  sig.  Marchese  ci  fiEu:cia  grazia 
d' introdurvi  le  Dame  ad  udirci,  che  noi  dall'altra  parte  ci  oblighiamo  d' affiiticard  in  modo, 
che  resteranno  gustati. 

Il  febbrajo  del  '52  la  Compagnia  era  a  Modena,  e  la  sera 
del  primo,  Ottavio,  venuto  a  parole,  s' ebbe  un  pugno  da  Tri- 
vellino, il  quale  per  ciò  fu  attaccato  alla  corda  in  piazza  (V.  Lo- 
CATELLI  Domenico).  L'agosto  del  '55  egli  era  a  Genova,  come 
si  rileva  dalla  lettera  inviata  a  Modena  al  Conte  Cimicelli  (V. 
Fortunati  Tiberio);  e  qui  cessano  le  notizie  d'Italia  avanti 
la  sua  andata  a  Parigi,  ove  esordì  all'antica  Commedia  Italiana 
nel  1660  per  le  parti  di  secondo  amoroso,  passando  poi  il  '67  a 
quelle  di  primo,  in  sostituzione  di  Giacinto  Bendinelli  detto 
Valerio  (V.).  L'i  i  di  gennajo  del  '68  gli  morì  la  moglie,  Teo- 
dora Blaise  (forse  Blasi),  che  era,  dice  Corrado  Ricci  in  Ottavio 
dalle  Caselle,  bolognese:  e  l'atto  d'inumazione  chiama  lo  Za- 
notti <  Capitano  del  Ponte  della  Samose  > .  Forse,  si  domanda 
lo  Jal,  è  il  villaggio  di  Samosia  a  tre  miglia  da  Bologna  sulla 
strada  di  Modena?  Probabilmente.  Per  insignificante  potesse 


^ 


744  ZANOTTI 


essere  quel  villaggio,  non  meno  doveva  riuscir  reboante  quel 
titolo,  specie  a  quel  tempo  di  non  facili  comunicazioni  e  in  Ca- 
pitale straniera. 

Prima  del  '74  passò  a  seconde  nozze  con  Margherita  En- 
guerant  di  Abville,  donna  gagliarda,  che  gli  diede  sette  fig-liuoli: 
i  primi  cinque  battezzati  a  S.  Germano  e  gli  altri  due  a  S.  Sal- 
vatore. 

Poco  si  sa  dell'  arte  di  Gio.  Andrea  Zanotti.  Certo  egli 
dovette  essere  avuto  in  conto  di  artista  egregio  e  dì  egregia 
persona,  se  uomini  ragguardevoli  come  il  Principe  di  Parma, 
Alessandro  Farnese,  Carlo  Gondi,  inviato  straordinario  del 
Granduca  di  Toscana,  indi  Pietro  di  Nyert,  primo  Cameriere 
segreto  del  Re,  e  Boileau  Puymorin,  Intendente  generale  delle 
feste  e  degli  affari  privati  del  Re,  tennero  al  fonte  del  batte- 
simo i  suoi  figli.  E  il  Fantuzzi  {Notizie  degli  Scritìori  bolognesi) 
scrive  : 

L' ixicontro  colà  (a  Parigi)  non  fa  minore  che  in  Italia,  e  li  fece  distìngaere  ancora 
pel  ano  carattere  civilissimo  ed  onesto,  e  pel  genio  .di  coltivare  1'  amicizia  de'  principali 
drammatici  di  Parigi,  e  fra  quelli,  che  frequentò  con  maggiore  premnra,  e  di  coi  captivò 
l' animo  in  singoiar  modo,  fn  il  famoso  Pietro  Cornelio. 

Ma  v'ha  qualcosa  più.  Nel  Viaggio  di  Francia  {i6ò^  e  1 665) 
costumi  e  qualità  di  qtcei  paesi  —  relazione  di  Sebastiano  Loca- 
telli;  prete  bolognese,  tradotto  sui  manoscritti  originali  del- 
l'Università di  Bologna  e  della  Biblioteca  Comunale  di  Peru- 
gia, e  arricchito  di  una  introduzione  e  di  note  storico-critiche 
per  opera  di  Adolfo  Vautier,  archivista  paleografo  di  Parigi, 
sono  alcuni  passi  interessantissimi  che  concernono  l'attrice 
Eularia  (V.  in  Supplemento)  e  il  nostro  Zanotti.  In  un  d'essi  Eu- 
laria  è  chiamata  gloria  della  Compagnia  del  Zanotti,  la  più  sti- 
mata che  vadi  a  torno:  ma  si  trova  fermata  in  Parigi  da  S.  Mae- 
stà (senza  speranza  di  riveder  più  l' Italia)  «  con  provvigione  di 
sedici  mila  franchi  annui,  oltre  a  quello  si  guadagnano  in  far 
l'opre  e  le  commedie,  che  tolto  l'Aduento  e  la  Quaresima  sem- 
pre si  fanno  ;  né  vi  entra,  senza  pagare,  se  non  la  famiglia  tutta 
del  Palazzo  del  Re  > .  E  in  un  altro,  a  proposito  del  recitare  in 


/  Omiki'  il^Jiami.  VoL  IL 


746  ZANOTTI 


italiano  a  persone,  che  per  lo  più  non  intendevano,  e  del  bisogno 
di  far  delle  azioni  assai,  di  trovar  dell'invenzioni,  mutazioni  di 
scene,  e  cose  simili  per  contentar  V  uditorio,  è  detto  :  <  Il  bra- 
vissimo Zanotti  non  più  con  la  sua  Eularia  poteva  dialogando 
mostrar  la  finezza  del  bel  dire,  l'argutezza  delle  risposte,  le 
sentenze,  e  gli  equivochi  frizzanti  per  guadagnar  i  cuori.-.  > 
Ottavio  era  dunque  il  capocomico,  e  dallo  stesso  Locatelli  sap- 
piamo che  la  Compagnia  era  composta  di  nove  persone,  <  cioè 
due  Innamorati,  due  Donne,  la  Rufiana,  un  Cornelio,  un  Franta- 
Ione  et  \xn Dottor  (9ra2riiz«é?>.Notizie  queste  esattissime  di  certo, 
perchè  riferite  al  Locatelli  da  Eularia,  come  tutte  le  altre  con- 
cernenti lei  stessa. 

L'  84  tornò  in  Italia  con  la  moglie  e  i  figli,  ai  quali,  assai 
provvisto  di  danaro,  potè  far  dare  in  Bologna  una  buona  educa- 
zione. Non  credo  abbandonasse  il  teatro  :  o  almeno  egli  non  lo 
abbandonò  definitivamente;  poiché  lo  vediamo  il  1688-89  ^ì 
nuovo  al  servizio  del  Duca  di  Modena,  proprio  quando  Giovan 
Battista  Costantini,  lasciata  la  Compagnia  e  il  nome  di  Ctnlio, 
si  recò  alla  Commedia  Italiana  di  Parigi  per  sostenervi  gli  amo- 
rosi sotto  il  nome  dìOttavio.  Anzi  I  Fratelli  Par/ai  et  e,  per  con- 
seguenza, il  Campardon  dicono  eh*  egli  fu  poscia  chiamato  Vec- 
chio Ottavio'p^r  essere  distinto  dal  Costantini.  Dove?  in  Francia? 
Ma  se  non  v'era  più.  In  Italia?  Che  confusione  poteva  nascere 
tra  due  attori,  di  cui  uno  recitava  in  Italia  e  l'altro  in  Francia? 
Non  era  forse  ragione  bastevole  per  farsi  chiamare  Vecchio 
Ottavio  il  recitar  gli  amorosi  a  quasi  settant'anni  ? 

E  in  casa  Volta,  infatti,  a  Bologna,  nel  carnovale  del  1693 
(a  settantun' anno)  4^  recitò  una  bella'  commedia,  >  secondo  la 
notizia  che  il  Ricci  ha  tratto  dai  Diarj legatizi  (voi.  IV,  pag.  390); 
e  morì  il  13  settembre  del  1695. 

Nelle  Memorie  manoscritte  di  Bologna  antica  scriveva  il 
canonico  Ghiselli  : 

A  di  17  settembre  fu  data  sepoltura  a  G.  A.  Zanotti  detto  Ottavio,  celebre  com- 
mediante nella  sua  parte  di  Primo  Innamorato  eh'  haveva  essercitato  ne*  primi  teatri  di 
Europa,  e  particolarmente  in  Francia  ove  quel  Re  lo  haveva  graziato  d'  an'  annua  pro- 
visione di  ducento  doppie  sua  vita  durante,  che  li  furono  sempre  puntualmente  sborsate. 


ZANOTTI  747 


Lasciò  la  professione  molt'  anni  sono  con  buona  grazia  del  Re^  disse,  pe)r  poter  saltare 
l'anima  sua,  che  teneva  in  dubbio  se  fosse  mòrto  in  qnell'Esercitio  ;  e  venne  a  stare  in 
Bologna,  nel  contado  della  quale  era  nato,  nel  Comune  delle  Caselle,  e  mori  in  età  di 
circa  ottant'anni  (dtUa,  conte  s*  è  visto ,  erronea),  e  fu  sepolto  nella  c^esa  dx^  Corpus,  Do- 
mini. Lasciò  tre  figlinoli,  tutti  e  tre  soggetti  di  beli' ingenio,  duoi  dottoHi  nno  di  legge, 
l'altro  di  medicina,  et  un  prete,  ma  ornati  tutti  di  belle  lettere  si  in  prosa  che  in  versi  ! 

Fr.  Bartoli  dice  che  gli  sopravvisse  mólti  anni  la  moglie. 
A  proposito  della  quale  mi  sia  lecito  por  qui  una  quistione. 

€  Rimasto  vedovo  -  scrive  il  Ricci  -  e  sposata  Maria  Mar- 
gherita Enguerant  di  Abville,  potè  aver  da  lei  dicìotto  figliuoli  ! 
Lo  afferma  lo  stesso  Francesco  Maria,  che  fu  Tultimo  d'essi.  > 
Diciotto  figliuoli!...  Quando? 

L'  84  lascia  Parigi  con  sette  figliuoli,  secóndo  la  notizia 
sui  documenti  data  dallo  Jal,  e  torna  in  Italia  ;  ha  già  sessan- 
tadue anni  !  Quando  avrebbe  avuto  gli  altri  undici  figliuoli  ?  E 
dalla  prima  moglie  non  ne  ebbe  alcuno  ?  A  chi  volle  alludere 
in  quel  passo  al  Duca  :  con  tutta  la  mia  povera  famiglia  ?  Alla 
moglie,  al  padre,  alla  madre  ?  O  vi  furon  figliuoli  morti,  o  persi 

» 

dì  vista  ?  O  quel  diciotto  del  figliuolo  Francesco  Maria  è  un  er- 
rore grafico?...  Questo  io  ritengo  assai  probabile. 

Gio.  Andrea  Zanotti  pubblicò  due  traduzioni  a  stampa: 
^^ Eraclio  e  del  Cid  di  Corneille. 

L'Eraci-io  Imperatore  d'Oriente.  Bologna,  Pietro  Ma- 
ria Monti,  lógi. 

HoNORE  contro  Amore,  tragedia  ricavata  da  soggetto  spa- 
gnuolo  vestita  alla  francese  e  tradotta,  in  italiano  per  G,A,Z,  D.  O. 
(cioè:  Giovan  Andrea  Zanotti  detto  OxX'ò.vio)  ydediccUo  all'  Altezza 
Serenissima  di  Ferdinando  Carlo  secondo  duca  di  Mantova,  Mon- 
ferrato, Carlovilla,  Guastalla,  ecc.  In  Bologna,  M,  DC.  XCI.  Per 
Gioseffo  Longhi,  in- 12''.  Nella  dedicatoria  dice  che  tradusse 
doperà  del  Cid  mentre  aveva  le  sue  dimore  in  Francia,  trattenuto 
al  soldo  di  quel  monarca. 

Tre  dei  figliuoli  di  Zanotti  ebber  fama  di  egregi  uomini  : 
Ercole,  che  fu  storico  e  poeta  ;  Francesco  Maria,  filosofo  e 
scienziato  celebratissinio  ;  e  Gian  Pietro,  pittore  e  storico  del- 
l'Accademia Qementina. 


748  ZANOTTI  -  ZAN 


Zanetti  Marìanna.  Bolognese»  fu,  prima,  ballerina;  poi, 
sposatasi  all'attore  Giuseppe  Barilli,  che  faceva  ^ InnatnoraU, 
e,  meglio,  i  servi  brillanti,  si  diede  all'  arte  comica  recitando  le 
parti  di  donna  seria,  prima  in  Compagnia  di  Andrea  Patriarchi, 
poi  d'Alessandro  Gnochis,  e  di  Luigi  Perelli  (1781).  A  Rimini 
le  fu  dedicato  da  Panginefilo  (?)  il  seguente  sonetto  che  riferisco 
dal  Bartoli  : 

No,  che  non  sa  qual  su  gli  umani  affetti 
abbia  possanza  amor,  chi  te  non  vede 
co  i  vezzi  a  lato,  e  i  teneri  amoretti 
mover  d'Alcide  in  sulle  scene  il  piede. 

Né  sa  come  tu  dolce  il  cor  saetti 

coi  due  begli  occhi,  dove  in  propria  sede 
regnan  le  grazie,  e  i  cari  genj  eletti 
a  cento  belle  e  gloriose  prede. 

Parlan,  che  il  sanno  TAriminee  genti, 
né  perciò  il  corso  a' tuoi  trionfi  arresti, 
anzi  mediti  ognor  nuovi  portenti; 

che  se  puoi  tanto  co' bei  modi  onesti, 
co'  lieti  scherzi  e  coi  leggiadri  accenti, 
l'arte  di  farti  amar  d'onde  apprendesti? 

Zan  Polo,  veneziano.  Abbiamo  dal  Sanuto  (V.  D'A.,  op.  di) 
come  si  presentasse  a  San  Beneto  in  ca  da  Pesaro  tra  un  atto  e 
l'altro  del  Miles  gloriosus  di  Plauto  (16  febbrajo  1 5 1 5),  recitato 
dagli  Accademici  Immortali,  con  una  <  comedia  nova,  fenzando 
esser  negromante,  et  stato  all'Inferno,  e  fé' venir  un  Inferno 
con  fogi  e  diavoli  :  fense  pur  farsi  Dio  d'Amor  :  e  fo  porta  a 
r inferno:  trovò  Domenico  tajacalze  cazava  castroni,  el  qual 
con  li  castroni  vene  fora  ;  fé'  un  ballo  essi  castroni  ;  poi  venne 
una  musica  di  Nimphe,  in  un  carro  trionfai,  quali  cantavano 
una  canzon,  batendo  marteli,  cadauna  sopra  una  incudine  a 
tempo,  et  fenzando  bater  un  cuor  > . 

Il  9  febbrajo  del  1522  fece  a  Venezia  ai  Crocicchieri  gli 
intermezzi  nella  commedia  di  Philante  inamorato  in  Caritea,  re- 
citata dal  De  Nobili  (V.  Cherea,  Trappolino  e  Cimador). 


ZANUZZI  749 


Zanuzzi  Francesco  Antonio.  Fratello  di  Elisabetta  Ca- 
troli,  nato  verso  il  1728,  recitò  ne'  teatri  di  Venezia  le  parti  di 
Innamorato,  e  fu  cognominato  Vitalbino»'^^r  la  gran  somiglianza 
ch'egli  aveva  nella  recitazione  con  Antonio  Vitalba.  Chiamato 
a  far  parte  della  Commedia  Italiana  di  Parigi,  vi  esordì  il  25  lu- 
glio del  '59  nel  Cavalier  (f  industria,  scenario  italiano  in  tre 
atti  :  r  anno  dopo  fu  ricevuto  a  tre  quarti  di  parte,  e  il  1 4  gen- 
najo  '66  a  parte  intera.  Alla  chiusura  del  teatro  nell'  '80,  Za- 
nuzzi, che  ad  ogni  modo  aveva  compiuto  i  suoi  anni  di  servi- 
zio, fu  congedato  con  una  pensione  di  1000  lire  annue,  e  un 
indennizzo  di  5000  lire,  pagabili  in  due  volte  e  in  due  anni.  Tor- 
nato in  Italia,  pare  lasciasse  definitivamente  il  teatro,  dacché  il 
Bartoli,  un  anno  dopo,  ci  avverte  com'  egli  colle  ricchezze, 
fatte  in  Francia,  avesse  acquistato  un  palazzo  e  de'  poderi  nel 
trevigiano,  e  quivi  stabilita  la  sua  dimora  <  lungi  dal  pensier 
del  teatro  > .  Non  si  conosce  la  data  della  sua  morte  ;  ma  egli 
viveva  ancora  il  1 790,  del  qual  anno  il  Museo  della  città  di  Bas- 
sano,  terra  natale  dello  Zanuzzi,  io  credo,  serba  di  lui  una  let- 
tera del  18  xbre  a  Giacomo  Vittorelli  (il  poeta  anacreontico?), 
che  ringrazia  per  la  restituzione  di  lire  duecentosei  prestategli. 
Francesco  Antonio  Zanuzzi  fu  avuto  in  gran  pregio  non 
solo  come  attore,  ma  altresì  come  uomo.  Fu  sua  l'idea  di  far 
andare  il  Goldoni  a  Parigi,  dopo  il  successo  del  Figlio  d'Arlec- 
chino perduto  e  ritrovato,  per  rinsanguare  la  povera  commedia 
italiana  che  dava  i  segni  manifesti  della  sua  prossima  fine  di 
anemia  ;  e  n'  ebbe  infatti  incarico  ufficiale  da'  Gentiluomini  di 
Corte,  e  trattò  la  cosa  in  tal  modo,  che  il  poeta  veneziano  già 
ammiratore  e  conoscitore  dei  di  lui  pregi,  lasciata  la  sua  cara 
patria,  ov  era  cuccar ezzcUo,  festeggiaio,  applaudito,  se  n'andò  il  '62 
alla  gran  capitale.  Altro  incarico  ebbe  lo  Zanuzzi  nel  '74:  di 
venire  in  Italia  a  provvedersi  di  una  nuova  prima  attrice.  E  ci 
venne  di  fatti,  e  la  sua  scelta  cadde  su  Teodora  Ricci  (V.),  la 
moglie  dell' istoriografo  dei  comici  italiani.  Interessantissima  a 
tale  proposito  è  la  spropositata  lettera  di  lei  al  suo  compare 
Carlo  Gozzi  scritta  da  Verona  il  22  luglio  di  quell'anno,  e  pub- 


750  ZANUZZI  -  ZBRAZIN 


blicata  da  Cesare  Musatti  col  titolo  :  Una  lettera  cT  una  comica 
ignorante  (Feltre,  1900). 

Il  Campardon,  a  mostrare  F eccellenza  del  suo.  cuore,  cita 
il  fatto  ch'egli  allevò  a  sue  spese  una  bimba,  e  la  mise  in  grado 
di  entrare  nell'Accademia  Reale  di  Musica,  ov' esordì  come 
bàllerìna  il  16  novembre  '79,  nel  ballo  del  IV  atto  ^Ifigenia  in 
Tauride  di  Gluck.  Avendo  il  Giornale  di  Parigi,  nel  dar  conto 
della  rappresentazione,  chiamata  la  fanciulla  figlia  di  Zaxiuzzi, 
questi  pubblicò  una  lettera,  firmata  Zanuzzt,  Comico  italiano 
ordinario  del  Re,  nella  quale  dichiarava  ch'ella  non  aveva  con 
lui  alcun  vincolo  di  parentela,  e  si  chiamava  Maria,  figlia  dei 
coniugi  Lescousier  borghesi  di  Parigi.  Appresa  la  triste  lor 
condizione,  egli  si  prese,  nient'altro  che  per  venire  in  loro  ajuto, 
cura  della  bimba,  che  fu  allevata,  ancora  in  culla,  sotto  i  suoi 
occhi;  e  accortosi,  coli' andar  degli  anni,  delle  attitudini  chiare 
alla  danza,  la  fé' istruire  dalla  maggior  celebrità  di  quell'arte. 

Oltre  ai  documenti  che  riguardano  l'accettazione  di  Za- 
nuzzi  in  Compagnia  a  tre  quarti  di  parte  e  a  parte  intiera, 
Campardon  pubblica  in  data  2  febbrajo  1767  la  querela  di  una 
portinaja  contro  di  lui,  certa  Anna  Angelica  Guerrier,  perchè, 
avendo  risposto  allo  Zanuzzi  che  certa  Joinville  avea  dormito 
in  casa  la  sera  precedente,  mentre  non  era  vero,  s'ebbe  da  lui 
una  sequèla  d'ingiurie  le  più  atroci  e  volgari,  e  l' iterata  minac- 
cia di  uno  schiaffo,  al  cospetto  della  gente  che  s' era  andata 
adunando. 

Zavalloni  Sebastiano.  Era  il  1830  primo  attore  assoluto 

della  Compagnia  Botteghini-Vedova. 

Zbrazin  (?)  Francesco.  Comico  del  Duca  di  Mantova,  del 
quale  trovo  notizie  in  una  sua  lettera  da  Fiorenza  del  i  *^  dicem- 
bre 1648  al  *Si^.  Nicolo  Zecca,  d^  Bertolino  comico  faniJ^^ ,  a  Pia- 
cenza, in  cui  si  firma  Francesco  Zbrazin  comico  d.°  Gabinetto. 
Ringrazia  delle  nuove  avute  della  recuperata  salute  del 
Duca,  e  crede  sia  sfumata  l' andata  a  Roma,  perchè  Donna 


ZBRAZIN  -  ZECCA  751 


Olimpia  Panfili  e  non  vuole  domandar  la  compagnia  senza  si- 
cura certezza  di  hàuerla,  onde  questi  napolitani  facilmente 
haurajinjo  disfatta  la  congiura  >^  Dalla  stessa  lettera  si  apprende 
che  Gabinetto  era  ammogliato. 

Zecca  Niccolò.  Comico  egregio,  che  recitava  nella  prima 
metà  del  secolo  xvii  le  parti  di  secondo  Zanni  sotto  il  nome 
di  Bertolino,  e  di  cui  Niccolò  Barbieri,  detto  Beltrame,  nel  Ca- 
pitolo VII  della  sua  Supplica,  dice  : 

n  Signor  Nicolò  Zeccha  detto  in  Comèdia  Bertolino  gìouane  di  gran  coraggio,  e 
di  qualche  eccellenza  nel  gitiocar  d' armi,  e  nel  danzare,  ha  rìcennto  honore  di  temir  molte 
volte  nella  Caccia  la  Sereniss.  Altezza  di  Vittorio  Amedeo  Duca  di  Savoja,  e  per  tirar 
asseti  bfne  a  gli  uccelli  in  aria,  e  correr  con  qualche  grazia  e  velocità  a*  cervi,  et  averne 
ucciso  alcuno,  è  stato  honorato  oltre  alli  molti  regali  d'un  singoiar  appetente  di  poter  levar 
cavalli  dalla  Ducale  Scuderìa  a  slio  beneplacito,  e  cacciar  in  ogni  luogo  risérbato  a  Sua  Al- 
tezza Sereniss.  con  prìuilegio,  che  per  qual  si  uoglia  bando,  che  potesse  sospender  la  per- 
missione a  prìuilegiati  da  S.  A.  S.,  che  già  mai  s'intenda  esclusa  la  gratia  fatta  a  Bertolino. 

Mi  sono  servito  della  prima  edizione  di  Venezia  1634: 
nella  seconda  di  Bologna  del  1636,  le  parole  trascritte  in  cor- 
sivo sono  state  soppriesse.  Il  Quadrio  {pp.  cit.,V,  239)  riferisce 
le  parole  del  Barbieri,  aggiungendo  :  <  i  quai  privilegi  gli  fece 
pure  il  Duca  di  Mantova  per  li  proprj  suoi  Stati  >.  Se  non  della 
grandezza  del  valor  comico,  abbiam  certo  una  prova  della  ver- 
satilità deiringegno  artistico  dello  Zecca  in  una  sua  lettera  da 
Parma  del  29  aprile  1646  al  Duca  di  Mantova,  a  cui  manda 
un  libretto  della  prima  opera  cantata  a  Piacenza,  ed  altro  ne 
manderà  presto  del  compositore  Marcili.  <  E  mi  dispiace  - 
dice  —  non  poter  essere  a  Piacenza  a  sentirle,  convenendomi 
recitar  per  interim  in  Parma  da  primo  Zanni  nella  Compagnia 
deirE."*°  Sig.  Card.*  Farnese  sino  all'arrivo  di  Buffetto  (V.Cantù 
Carlo),  che  in  breve  sarà  di  ritorno  di  Francia,  come  sin'hora 
ho  anco  recitato  da-Pa«/'^z/(?;^^  in  dififetto  della  malatiachesin'hora 
ha  trattenuto  in  Venetia  il  proprio  Pantalone.  >  Da  Parma  pas- 
serà poi  a  Brescia. 

Il  dicèmbre  del  '48  era  a  Piacenza,,  e  il  dì  8  (la  lettera  è 
pubblicata  dal  D'Ancona  iielle  nozze  Martini-rBenzoili),  cohr 


\ 


752  ZECCA  -  ZECCHI 


gratulandosi  col  Duca  di  Mantova  che  sia  risanato  delle  varale, 
gli  dà  notizia  che  a  Piacenza  ov'  è  la  miglior  Compag-nia  di 
commedie,  recitò  per  tre  sere  nella  parte  di  Bertolino.  Dal  '48 
si  salta  all'autunno  del  '59,  e  1*8  novembre  annunzia  a  un  Se- 
gretario del  Duca,  che  era  per  recarsi  a  Reggio  ;  ma  gli  era 
stato  detto  <  che  vi  erano  alcuni  che  recitavano  mezzi  comici 
principianti  e  mezzi  ciarlatani,  che  camminavano  sotto  nome 
di  due  donne,  dette  le  Marchette  i^  quando  gli  capitò  l'avviso 
che  erano  andati  a  recitar  fino  a  Natale  a  Bologna,  e  sarebber 
andati  a  Modena,  a  servir  S.  A.  pel  carnovale. 

Una  lettera  v'ha  ancora  del  21  aprile  1660  da  Parma,  la 
quale  mostra  la  grande  famigliarità  eh'  era  fra  lui  e  le  varie 
Corti,  annunciando  a  un  Segretario  del  Duca  di  Mantova  la 
scelta  degli  appartamenti  pel  suo  prossimo  arrivo  a  Parma  ove 
doveva  recarsi  anche  il  Ser."'°  di  Modena  coli' Arciduchessa 
Consorte  in  incognito,  mercè  la  qual  scelta  le  LL.  AA.  avreb- 
ber  goduto  di  tutta  la  miglior  libertà. 

E  chiede  in  poscritto:  <  Se  vi  fossero  in  questa  Ser.'"**  Corte 
penne  di  code  di  Pavoni  bianchi,  ardirei  suplicando  chiederle 
in  prestito,  mancandomene  di  molte  per  il  bisogno  che  io  ne 
ho  per  tanti  cimieri  che  faccio  fabricare  et  mi  raccomanderei 
a  V.  E....> 

L'ultima  notizia  riguardante  Nicolò  Zecca  è  dell'aprile  '70, 
quando  Ranuccino  Farnese  per  compiacere  alla  Corte  di  Man- 
tova, lasciavale  il  Capitano  Fiala  (V.)  con  tutta  la  famiglia,  af- 
finchè si  unissero  in  Mantova  con  lo  Zecca,  e  formassero  una 
buona  Compagnia  (V.  Bertolotti,  op.  cit.). 

Di  altri  due  Bertolini  è  ricordo  nella  Storia  del  teatro:  di 
quello  degli  Uniti  del  1584  (V.  Batista  da  Treviso),  e  del  Bro- 
glia (V,)  che  recitava  il  1672  a  Bologna,  e  r'87  a  Monaco  di 
Baviera  in  Compagnia  Calderoni. 


Zecchi  Orazio,  bolognese.  Dopo  di  aver  recitato  ne'  teatri 
accademici,  ne'  quali  si  mostrò  artista  di  gran  pregio  per  qual 
si  voglia  genere  di  parti,  risolse  di  farsi  comico,  e  unitosi  al 


ZECCHI  -  ZERRI  753 

fido  compagno  Giuseppe  PianÌ2za  (V.),  che  recitava  a  meravi- 
glia le  parti  di  prima  donna,  formò  una  compagnia  di  giovani, 
e  si  recò  nella  Marca  Anconitana  ov'era  proibito  alle  donne 
di  apparir  sulla  scena,  e  ove  s' ebbe  la  migliore  accoglienza 
specie  sotto  la  maschera  del  Dottore,  in  cui  si  mostrò  molto 
esperto  per  la  elegante  facondia,  e  la  naturai  comicità.  Passò 
poi  col  Pianizza  a  Napoli,  <  e  in  uno  di  que' teatri  -  dice  Fr. 
Bartoli  -  si  fece  conoscere  per  buono  attore,  e  sì  guadagnò 
degli  applausi  > . 

Invitato  un  giorno  a  lauto  banchetto  da  nobile  personag- 
gio, insieme  ad  altri  comici,  disordinò  alquanto;  e  recatosi  in 
fretta  al  teatro  per  la  rappresentazione,  fu  còlto,  pel  grande 
riscaldo,  da  febbre  sì  violenta  che  in  capo  a  pochi  giorni  lo 
condusse  a  morte  a  soli  cinquant' anni  nel  1774. 

Zenari  Andrea.  Apparteneva  alla  Compagnia  dei  Comici 
Uniti  nel  1593,  nella  qualità  di  Graziano  (V.  Bai^stri  Gio- 
vanni). 


Zerri-Grassi  Enrichetta.  Nacque  il  1843  da  Luigi  e  da 
Elisa  Danieli, comici,  figli  anch'essi 
di  comici  (nonna  di  Enrichetta  era 
la  moglie  dì  Giacomo  Dorati),  attori 
tutti  di  buon  nome;  e  vediamo  gli 
zìi  Antonio  e  Amalia  apparir  negli 
elenchi  dal  '34  in  Compagnia  Gol- 
doni, diretta  da  Augusto  Ben.  Enri- 
chetta era  il  '60  insieme  al  padre  e 
al  fratello  Antonio  amorosa  con  Gio. 
Battista  Zoppetti,  il  '61  in  Compa- 
gniaLombardadirettadaAlamanno 
Morelli,  col  quale  stette  poi  gran 
tempo.  Il  '71  passò  colla  Sadowski, 
prima  nella  Compagnia  diretta  da  Cesare  Rossi,  poi  in  quella 
diretta  da  Luigi  Monti,  col  quale,  capocomico,  tornò  il  '77. 

95.  —  /  Comici  itaiimm.  Voi.  IL 


754  ZERRI 

Il  '90  era  con  Maggi,  che  la  condusse  in  America,  dove,  in  quel 
luttuoso  Rio  Janeiro  lasciò  la  vita  per  febbre  gialla  il  14  maggio 
del  *9i,  precedendo  di  tre  ore  il  povero  marito.  Vespasiano 
Grassi,  colpito  assieme  a  lei  dal  morbo  inesorabile.  Poveri  ar- 
tisti! Lontani  dai  parenti  vecchi,  da' figli  adorati,  spinti  quasi 
nelle  braccia  della  morte,  in  quella  terra  fatale  che  avea  già 
tolto  brutalmente  all'arte  Arturo  Diotti,  fiorente  di  giovinezza! 
E  se  acerbissimo  fu  il  colpo,  ripensando  alla  simultaneità  della 
sciagura,  oltre  ogni  modo  acerbo  fu,  ripensando  alle  anime 
buone  che  si  perdevano. 

Enrichetta  Zerri-Grassi,  attrice  di  molta  intellig^enza,  se 
non  di  molti  mezzi,  fiancheggiò  sempre  col  maggior  decoro  le 
prime  attrici,  che  per  la  lor  giovinezza  e  la  loro  figura  (che 
un  tempo  si  badava  anche  a  questo)  non  potean  abbracciare 
tutto  il  repertorio,  quali  :  Pia  Marchi  e  Annetta  Campi.  Allora 
quella  prima  donna,  che  chiameremo  in  gergo  comico  di  spalla, 
recitava  Clotilde  in  Fernanda,  Livia  in  Amore  senza  stima,  e  JLady 
Tartuffo.,..  Oh  !  Quella  Lady  Tartuffo  !.,.  Chi  può  farsi  una  ra- 
gione del  come  potevan  quell'anima  soavissima  e  quella  mente 
serena  riprodurre  al  vivo  tutte  le  simulazioni,  tutta  la  perfidia 
di  quella  donna  !?  E  la  scena  di  Clotilde  con  Pomerol  della  Fer- 
nanda {Pomerol  era  Cesare  Rossi)  ? 

Passò  col  tempo,  se  bene  ancor  giovine,  alle  parti  di  se- 
conda donna  e  di  madre,  colle  quali  trovò  in  ogni  pubblico  le 
stesse  simpatie  di  quando  era  Prima  Attrice, 


i  Antonio.  'Fratello  della  precedente,  nato  a  Corfù  il 
20  ottobre  1837,  fu  attore  assai  pregiato  nelle  parti  di  carat- 
terista promiscuo,  sia  per  la  interpetrazione  sapiente  dei  perso- 
naggi, e  per  la  verità  della  dizione,  non  impeccabile  pur  troppo 
per  un  naturale  difetto  di  pronunzia,  che  lo  fece  parer  vecchio 
assai  prima  del  tempo.  Sposò  nel  '58  Gioconda Zanoni  di  Roma, 
che  gli  morì  nel  '65,  quand'egli  era  ai  Fiorentini  di  Napoli  in 
Compagnia  di  Adamo  Alberti,  al  fianco  di  Tommaso  Salvini  e 
di  Clementina  Cazzola.  Passò  a  seconde  nozze  in  Venezia  il  1 881 


750  ZERRI  -  ZOCCA 


con  Elvira  Gorga,  pur  di  Roma,  e  morì  a  Napoli,  consumato 
da  lentissima  tabe  intestinale,  il  15  aprile  del  1903. 

La  illustrazione  che  riproduco  qui  retro  dice  chiaro  quanta 
fosse  la  varietà  del  suo  repertorio.  Uauge  della  sua  vita  artistica 
fu  quand'egli  ebbe  Compagnia  in  società  con  Gaspare  Lavaggi, 
nella  quale  potè  mostrar  liberamente  tutte  le  sue  qualità  di 
artista,  interpretrando  con  molta  intelligenza  e  con  molto  suc- 
cesso Luigi  XI,  La  Gerla  di  Papà  Martin,  Don  Marzio,  e  spe- 
cialmente L'Aulularia  di  Plauto,  in  cui  fu  riconosciuto,  anche 
dai  più  severi,  artista  sommo. 

A  proposito  dell'interpretazione  di  Luigi  XI,  Parmenio 
Bettoli  dettò  un  lungo  articolo,  da  cui  traggo  il  brano  se- 
guente : 

Nella  grande  scena  del  quarto  atto  col  Solitario,  ebbe  moti,  accenti  e  ima 

espressione  della  maschera  del  volto  da  far  correre  brividi  tra  gli  spettatori.  £gli  mi  ri- 
cordò, quasi  alla  testualità,  il  sommo  Gustavo  Modena,  ed  è  tutto  dire. 

Ma  per  Ceutsì  un  esatto  concetto  della  valentia  di  lui,  bisognava  averlo  ammirato, 
la  sera  prima,  nella  parte  di  Fiorenzo  nei  RantMou, 

Quale  distacco  I  Allora  con  la  sua  bella  faccia  aperta,  onesta,  leale,  tutto  sorrisi, 
dolcezza,  angiolesca  bontà  :  adesso  scarno,  emaciato,  terreo,  con  la  voce  rantolosa,  le  smorfie 
nevralgiche,  tutto  ghigni  satanici,  ferocia,  scatti  improvvisi  di  belva. 

Ed  è  in  codesta  versatilità  sbalorditiva,  che  risiede  principalmente  1'  arte  vera,  la 
grande  arte. 

Zocca  Eugenia,  piacentina.  Si  sposò  giovinetta  a  un  sug- 
geritore Zocca,  del  quale  restò  vedova  nei  primi  anni  di  ma- 
trimonio. Recitò  mediocremente  nelle  parti  di  dramma  e  di 
tragedia,  ma  venuta  in  età  matura,  si  diede  al  ruo/o  di  Carat- 
teristica, nel  quale  riuscì  attrice  pregiatissima,  acquistandosi 
sino  al  primo  ventennio  del  secolo  xix  una  bella  rinomanza. 
Fu  parte  eletta  delle  Compagnie  Paganini,  Pelandi,  Goldoni 
e  Perotti,  col  quale  la  vediamo  al  Teatro  Canobiana  di  Milano 
il  carnovale  1819-20  col  medesimo  ruolo,  e  T aprile  seguente 
al  Carignano  di  Torino. 

Altre  due  sorelle  si  diedero  air  arte  comica,  una  delle 
quali,  andata  sposa  al  Marchese  Castiglione  di  Mantova,  si  ri- 
tirò dalle  scene,  e  T altra,  mediocrissima  attrice,  fu  moglie  del- 
l'artista e  capocomico  Francesco  Menichelli. 


ZOCCHI  757 


Zocchi  Anna  Maria»  fiorentina.  Recitò  molti  anni  applau- 
ditissima  nelle  parti  tragiche  e  nelle  comiche,  in  Compagnia 
di  Giovanni  Roffi  (V.)  al  Cocomero  di  Firenze.  <  Una  tenera 
espressione  -  dice  Fr.  Bartoli  -  un  gestire  bene  adatto  ed  una 
intera  e  puntuale  esattezza  nel  suo  dovere  la  resero  gradita,  e 
le  meritarono  il  nome  di  rinomata  attrice.  Oggi  si  è  alienata 
dal  teatro,  e  vive  felicemente  in  Firenze  in  età  ancor  fresca,  e 
non  sprovvista  di  meriti  e  di  virtù.  >  Ella  dunque  restò  in  pa- 
tria, quando  il  Roffi  (1780)  cominciò  a  uscir  di  Firenze. 

La  Zocchi  che  è  seconda  nell'elenco,  dopo  l'Anna  Roffi, 
pare  facesse  V  amorosa, 

Zocchi  Tommaso,  fiorentino,  figlio  di  un  mercante  di  se- 
terie, fu  prima  soldato,  poi  comico  di  buon  nome  per  le  grandi 
parti,  ove  non  dominasse  forza  di  passioni.  D' indole  assoluta 
e  indipendente,  non  volle  più  star  soggetto,  e  si  fece  capoco- 
mico. Passò  dalla  Toscana  nel  Regno  di  Napoli  che  percorse 
tutto  in  pochi  anni  con  buona  fortuna.  Tornato  a  Firenze,  formò 
la  quaresima  del  1821  un'ottima  Compagnia,  che  condusse 
gran  tempo,  rimanendo  poi  capocomico  in  sino  a  che,  fatto  vec- 
chio, s'unì  prima  al  figlio  Guglielmo,  col  quale  era  il  '46,  poi 
si  ritirò  a  Firenze  del  '50,  ove  morì  settuagenario. 

Dagli  elenchi  di  compagnie  e  dalle  monografie  (V.  Cosen- 
tino, L'Arena  del  Sole,  Bologna,  Zanichelli,  1903)  si  rileva 
come  lo  Zocchi  fosse  il  '32  all'Arena  del  Sole  di  Bologna,  ove 
per  graziosa  concessione  speciale,  generata  da  speciali  inflessi- 
bili  circostanze  potè  recitar  tutti  i  giorni  dal  2  3  aprile  al  30  giu- 
gno. Facean  parte  della  Compagnia  Grassi,  Martinez,  Salvini, 
Angela  Zocchi  moglie  del  capocomico,  e  lo  Stenterello,  che 
dello  spaventoso  repertorio,  era  magna  pars.  Le  rappresenta- 
zioni si  chiudevan  più  volte  con  arie,  pantomime  e  farse  in  mu- 
sica. Tornò  all'Arena  del  Sole  l'anno  seguente  dal  settembre 
al  7  ottobre. 

Formò  in  seguito  compagnie  con  buoni  elementi,  e  in 
quella  del  '43  eran  parti  principali  Luigia  Bon,  prima  attrice. 


758  ZOCCHI-ZOLI 


Laura  Bon,  amorosa,  Giovanni  Tessero,  primo  attore,  e  il  figlio 
Francesco,  brillante. 

Zocchi  Angela.  Moglie  del  precedente,  fu  artista  di  pregio 
per  le  parti  di  prima  donna,  che  sostenne  sempre  nella  Com- 
pagnia del  marito.  Era  dotata  di  non  comune  bellezza,  ed  egual- 
mente ammirata  ne*  tre  generi  ;  comico,  drammatico,  tragico. 
Morì  a  Firenze  nel  1865. 

Zocchi  Malvina.  Figlia  dei  precedenti  e  moglie  di  Giu- 
seppe Salvini,  fu  una  egregia  servetta,  e  tale  la  vediamo  col 
marito  nella  Compagnia  Paladini-Internari,  con  la  quale  doveva 
recarsi  del  1 830  a  Parigi  ;  ma  còlta  dal  mal  di  petto,  fu  obbli- 
gata a  restarsene  in  Italia,  a  Venezia,  presso  i  suoi  parenti,  so- 
stituita nel  ruolo  dalla  moglie  di  Luigi  Taddei.  Aggravatosi  il 
male,  fu  ormai  vana  ogni  opera  della  scienza,  e  l'autunno  del  '3 1 
dovè  soccombere  in  ancor  giovane  età. 

Zecchi  Guglielmo.  Fratello  della  precedente,  fu  artista  e 
capocomico  di  qualche  merito.  Generico  primario  pel  triennio 
del  1 843  e  '44  con  Corrado  Vergnano,  lo  vediamo  il  '46  Diret- 
tore, Primo^  Attore  e  Conduttore  di  una  Compagnia,  della  quale 
era  primo  ornamento  Adelaide  Ristori,  e  facevan  parte  la  mo- 
glie Adelaide  Laugier,  dilettante  bolognese,  e  i  minori  fratelli, 
Francesco  e  Alessandro,  generici  (che  vediam  trent'anni  dopo, 
conduttori  della  Compagnia  Alessandro  Manzoni),  e  il  vecchio 
padre  Tommaso. 

Avanzato  in  età,  ritornò  alle  parti  di  generico,  e  lo  vediam 
tale  il  '68  nella  Compagnia  del  brillante  Tommaso  Massa,  con 
una  Elisa  Zocchi,  forse  figliuola. 

Zoli  Pietro.  Caratterista  e  promiscuo  de' più  sinceri,  forse  il 
più  sincero,  che  non  potè  avere  la  fortuna,  a  cui  gli  dava  diritto 
il  suo  grande  ingegno  artistico,  per  la  cerchia  ristretta  in  cui 
visse,  nacque  a  Forlì  il  2  novembre  del  1830  da  Vincenzo  e  da 


Teresa  Strocchi.  I  moti  del '31  gli  tolsero  il  padre;  ed  egli 
crebbe  assieme  alla  madre  e  ad  una  sorella,  facendo  prima  le 
elementari  nel  Collegio  de'  Gesuiti,  poi  le  ginnasiali  fino  al- 
l'anno '48,  in  cui,  fuggito  a  Bologna  con  venti  bajocchi  in  ta- 
sca, e  a  piedi,  potè  arruolarsi  nella  Legione  Romana  sotto  il  co- 
lonnello Gallieno,  e  con 
essa  combattere  a  Vi- 
cenz£L  Passò  da  quella 
al  Reggimento  Italia 
Libera,  comandato  dal 
colonnello  Morandi,  e, 
recatosi  a  Venezia,  pre- 
se parte  alla  sortita  di 
Mestre,  dove  s'ebbe  fe- 
rito il  braccio  sinistro. 
Tornato  a  Forlì,  riprese 
il  corso  degli  studj,  che 
dovè  poi  troncare  per 
le  condizioni  della  fa- 
miglia, e  fu  accolto  co- 
me praticante  nella  far- 
macia militare,  prima  ; 
poi  in  quella  dell'ospe- 
dale, dandosi  a  tutto 
potere  allo  studio  della  chimica,  di  cui  diede  in  breve  gli 
esami,  e  in  cui  sì  addottorò.  Ma,  entrato  a  recitar  tra'  filodram- 
matici, ov'era  già  sua  sorella,  mostrò  di  punto  in  bianco  le 
più  chiare  attitudini  al  teatro,  al  quale  si  sentì  irresistibil- 
mente attratto.  Ammogliatosi  fra  tanto  ad  Anna  Rizzoli,  figlia 
di  un  Giudice  al  Tribunale  di  Forlì,  ed  avutine  due  bimbi,  si 
vide  nella  impossibilità  di  condur  con  decoro  la  famiglia;  tal 
che  buttati  in  un  canto  i  barattoli  di  farmacìa,  sì  scritturò  di 
sbalzo  primo  attore  in  Compagnia  Trenti  e  Venturini  per  gli 
annii856-'57,  applaudi  tissimo  ovunque.  Ma  \&  parti  di  parrucca 
eran  le  predilette,  e  subito  passò  a  queste,  entrando  in  Com- 


76o  ZOLI 

pagnia  di  Napoleone  Tassani,  come  caratterista  e  promiscuo.  So- 
stituì dopo  un  triennio  Gaetano  Vestri  in  Compagnia  Robetti, 
dalla  quale  passò  in  quella  di  Arcelli,  diretta  da  Alessandro 
Salvini.  Fu  dopo  due  anni,  e  per  un  triennio,  con  Raffaele  Lam- 
bertini,  a  fianco  di  Peppina  Bozzo,  Carolina  Santoni,  Leontina 
Papà,  Enrico  Cappelli,  ecc.;  poi  (1866)  con  Achille  Majeroni 
al  Fondo  di  Napoli,  dove  esordì  con  La  gerla  di  Papà  Martin, 
che  dovette  replicar  per  otto  sere  davanti  ad  un  pubblico  am- 
miratore profondo  di  Luigi  Taddei  ancor  vivo  e  malato,  e  che 
restò  poi  fino  all'ultimo  della  sua  vita  artistica  il  suo  cavai  di 
battaglia.  Recatosi  col  Majeroni  a  Firenze,  e  recitata  la  Gerla 
al  Pagliano,  Alessandro  Dumas,  venuto  per  la  recita  del  suo 
Don  Giovanni,  si  recò  sul  palcoscenico,  ed  ebbe  le  maggiori 
parole  di  lode  pel  giovine  artista  che  paragonò  al  celebre  Le- 
mattre.  Uscito  dopo  un  anno  dal  Majeroni,  diventò  socio  di 
Alberto  Vernier  ancor  per  un  anno,  poi  formò  Compagnia  da 
solo,  scritturando  Emanuel,  la  Caracciolo- Ajudi,  la  Pierina  sua 
figlia,  poi  moglie  a  Giagnoni,  Schiavoni  ed  altri.  Si  scritturò 
di  nuovo  il  '69  e  '70  con  Federico  Boldrini,  poi  con  certo  Zat- 
tini,  col  quale  girò  la  Calabria  e  la  Sicilia,  poi  fu  socio  di  Ca- 
lamai, Emanuel  e  Matilde  Arnoud,  poi  di  nuovo  collo  Zattini 
a  Costantinopoli,  dove,  col  soccorso  di  facoltosi  ammiratori, 
costruì  un  teatro  con  l'annesso  alloggio,  e  si  stabilì  con  tutta 
la  famìglia.  Ma  poco  appresso,  un  incendio  fé'  dileguar  d'un 
subito  il  bel  sogno  a  mala  pena  tradotto  in  fatto,  e  ridusse  il 
pover'  uomo  sul  lastrico.  Si  rifugiò  egli  allora  a  Salonicco,  e 
sempre  assieme  a  quello  Zattini,  col  quale  poi  tornò  in  Italia, 
pellegrinando  per  un  par  d'anni  ancora  nelle  provincie  del 
mezzogiorno.  Si  scritturò  con  l'Emanuel,  poi,  andate  a  male 
le  cose,  formò  Compagnia  coi  figliuoli  già  grandi,  poi  tornò 
ancora  scritturato  2!  Fiorentini  di  Napoli  dalla  Santobono,  in- 
sieme a  Michele  Bozzo,  la  Piamonti,  ecc.,  poi  di  nuovo  capo- 
comico in  società,  or  con  Pareti,  marito  della  prima  donna 
Elvira  Glech,  or  con  Drago,  la  Lugo  e  Sichel,  ed  ora  con  Car- 
toni e  Udina.  Ma  essendo  la  paga  divenuta  un  mito  (tanto  cor- 


reva  -  scrìve  lo  ZoH  -  che  non  e'  era  modo  mai  di  raggiun- 
gerla), determinò  ÌI  buon  uomo  dì  non  più  scritturarsi,  né 
più  unirsi  ad  altri  in  società,  ma  condur  solo  una  modesta 


azienda,  di  cui  egli  e  la  famiglia,  otto  o  dieci  persone,  for- 
mavan  la  più  gran  parte. 

Dopo  un  lungo  pellegrinaggio  di  città  in  paese,  di  paese 
in  borgata,  di  borgata  in  città,  arrivò  l'onesto  padre  alla  fine 

W.  -  /  Comici  iliJini.  Voi.  II. 


702  ZOLI 

del  '96,  dopo  di  che,  per  desiderio  del  figlio  Vincenzo,  allora 
capitano  in  Africa,  lasciò  per  sempre  il  teatro,  andando  a  sta- 
bilirsi a  Rocca  San  Casciano,  direttore  di  quella  Società  filo- 
dramatica,  a  cui  diede  tutto  il  suo  ingegno  e  tutto  il  suo  affetto, 
e  da  cui  fu  amato  e  venerato  fino  all'  estremo  giorno  (30  mar- 
zo 1899)  come  un  babbo. 

€  Egli  non  potè  aver  maggiore  fortuna  -  ho  detto  in  prin- 
cipio -  per  la  cerchia  ristretta  in  cui  visse.  >  E  questa  ristrettezza 
derivò  un  poco  da  tutto  un  insieme  di  dizione  e  di  pronunzia 
e  di  atteggiamenti,  nella  lor  grande  spontaneità  prettamente 
romagnoli,  da  farlo  parer  talvolta  più  tosto  un  attor  dialettale  ; 
e  un  poco  per  la  numerosa  famiglia  che  gì' impedì,  proprio 
quando  più  ce  n'era  il  bisogno,  di  prendere  il  largo,  e  di  eman- 
ciparsi collo  studio  speciale  da  quei  difetti  d'origine  che  lo 
facevano  apparire  anima  gentile  in  corpo  rozzo.  Egli,  nella  sua 
verità  e  semplicità  straordinarie  potè  sostener  parti  disparate 
serie  e  comiche  di  primo  attore  e  di  caratterista,  ma  in  quelle 
più  manifestò  la  sua  grandezza  così  dette  promiscue,  quali  : 
Filippo  di  Scribe,  Michele  Perrin,  Papà  Martin,  Malvina,  Ori- 
gine di  un  gran  banchiere.  Papà  Loriot,  Curioso  accidente.  Don 
Marzio,  Barbiere  di  Gheldria.  Degli  otto  figliuoli  avuti  dal  suo 
matrimonio,  tre  perirono,  fra  i  quali  Arturo,,  attore  prima  con 
Salvini,  poi  con  Cesare  Rossi  e  con  la  Duse,  con  cui  stette 
quindici  anni,  morto  a  Roma  l'aprile  del  '901. 

Degli  altri  un  solo  non  si  diede  all'arte,  Vincenzo,  un  dei 
nostri  ufficiali  più  egregi,  capitano  d'Affi-ica,  insignito  di  più 
croci  e  medaglie  che  attestano  la  grandezza  del  valor  suo  e 
della  sua  devozione  alla  patria.  Gli  artisti  sono  : 

Enea,  primo  attor e^  che  con  la  moglie  Eugenia  PqIzì,  prima 
attrice,  continua  la  Ditta  paterna  ; 

Enrico,  prima  attore  brillante  in  Compagnia  Tessero  e 
in  altre,  assieme  alla  moglie  Virginia  Razzoli,  poi,  ritiratosi 
dall'arte,  ragioniere  a  Genova; 

Cesare,  attore  stimato,  che  fu  in  Compagnia  d'Irma  Gra- 
matica,  e  in  altre  ; 


ZOLl  -  ZONCADA  763 

Adele,  prima  attrice  nella  Compagnia  paterna,  si  ritirò 
dall'arte,  per  riunirsi  a' suoi  vecchi. 

Caro  Zoli!  caro  padre!  Io  lo  ricordo  a  Livorno  in  una 
trattoria  dì  via  Grande!  Una  gran  tavolata  dì  dodici  o  quat- 
tordici persone.  Lui  capo  tavola  a  far  le  minestre  per  tutti  : 
c'erano  i  figli,  le  mogli  dei  figli,  e  fors' anche  i  padri  o  le  madri 
delle  mogli  dei  figli;  c'eran  gli  altri  comici;  pochi.  Una  sere- 
nità, una  giocondità  regnava  per  tutta  quella  mensa,  che  met- 
teva voglia.  Problemi  ardui  da  risolvere,  bili  sepolte  da  sfo- 
gare, invidie,  critiche  acerbe....  Ma  che!  Niente!...  Un  piatto 
di  meno  e  una  risatona  di  più.  L'onestà,  la  probità,  l'integrità 
scrupolosa  del  semplice  uomo  raggiava  in  tutte  quelle  anime 
giovani,  che  sarebbero  state  oggi,  in  tanta  convulsione  dello 
spirito,  il  pili  bello  e  salutare  esempio! 

Zoncada  Luigi.  Nato  a  Milano  il  2  maggio  1867,  cominciò 
a  recitar  da  ragazzo  coi  dilettanti,  ed  entrò  in  arte  ìl  5  ottobre 
dell' '87  nella  Compagnia 
dialettale  di  Caravatì  e  Ca- 
valli, recitando  da  vecchio 
e  da  giovine,  cantando,  bal- 
lando, e  anche  capriolando 
sul  trapezio  voltinte  sotto  gli 
ammaestramenti  del  vecchio 
Ettore  Baraccani,  primo  bal- 
lerino e  mimo,  un  tempo,  di 
gran  rinomanza.  Passò  dopo 
due  anni  secondo  brillante  con 
Cesare  Vitaliani;  ma  poi  gli 
si  afifidaron  le  parti  di  primo 
attor  giovine,  essendo  rima- 
sto scoperto  tale  ruolo.  Fu  poi  con  Diligenti,  Monti,  Pieri,  Pasta, 
Zacconi;  col  quale  ultimo  cominciò  a  recitar  parti  di  primo  a/- 
/(j«  (1894),  e  dal  quale  passò  il  '98  nella  Compagnia  Di  Lorenzo- 
Ando,  in  cui  stette  fino  alla  quaresima  del  1903,  per  diventar 


764 


ZONCADA  -  ZOPPETTI 


poi  capocomico  in  società  con  Gemma  Caimmi,  e  primo  cUtore 
assoluto:  società  che  dura  tuttavia  (1905)  con  molta  fortuna. 
Tale  lo  stato  di  servizio  di  questo  artista,  che  per  la  sua 
intelligenza,  la  sua  modestia,  la  bontà  della  sua  indole  e  la 
forza  della  sua  volontà,  passò  gli  ultimi  dodici  anni  in  tre  sole 
Compagnie,  ammirato  e  amato  sempre  da'  compagni  e  dal 
pubblico. 


2^ppetti  Giovali  Battista.  Fu  attore  e  capocomico  di 
assai  pregio,  e  uno  de'  primi  a  rappresentare  Francesca  da  Ri- 
mini  di  Silvio  Pellico,  da  cui  s'ebbe  moltissime  lodi.  Artisti 

rinomatissimi  furon  da  lui 
scritturati,  quali  Alamanno 
Morelli  che  dirigeva  la  Com- 
pagnia del  '57,  Luigi  Gatti- 
nelH,  Giulia  Ristori,  Gaetano 
Gattinelli,  Enrichetta  e  An- 
tonio Zerri,  e  altri.  Del  '60 
egli  si  trovava  il  maggio  e 
giugno  al  Teatro  Comunale 
di  Modena,  e  vi  diede  la  pri- 
ma recita  con  Clelia  0  la  Più- 
tomanìa  del  Gattinelli,  a  to- 
tale profitto,  dedotte  solo  le 
spese  di  teatro,  dei  Siciliani. 
€  L'eroico  slancio  (dice- 
va il  manifesto)  di  quei  Prodi, 
che  versando  il  loro  sangue 
^  mirano  alla  libertà  e  gran- 

dezza  della  Patria  Terra,  ben 
merita  essere  assecondato  da  ogni  uomo  cui  batte  nel  petto 
cuore  Italiano.  >  E  protrattosi  di  quattro  recite  il  corso  stabi- 
lito, metà  dell'introito,  dedotte  le  spese  serali,  fu  per  tutte 
quattro  le  sere  a  profitto  de'  Siciliani.  E  il  nuovo  manifesto  di- 
ceva: <  Ora  più  che  mai  ferve  la  lotta  ed  il  bisogno  in  quel- 


ZOPPETTI  765 

l'Eroica  parte  deiritalìa  nostra:  nessuna  occasione  noi  sfug- 
giremo per  prestarle  il  nostro  fraterno  soccorso  >. 

Sul  valore  artìstico  di  lui  Ìl  Colomberti  l^lsciò  scritta  que- 
sta noterella:  «  Egli  emergeva  principalmente  nelle  parti  in 
dialetto  veneto.  Dopo  il  bravissimo  artista  e  poeta  Francesco 
Augusto  Bon,  fu  uno  dei  migliori  che  rappresentassero  le  tre 
belle  commedie  del  Ludro  da  quello  composte». 

Morì  a  Forlì  del  1878. 

Sua  moglie,  Rosa  Bresciani,  figlia  d'arte,  e  discendente 
forse  dalla  celebre  Caterina,  recitò  sempre  con  lui,  e  morì  a 
Mestre  nel  1888. 


Zoppetti  Angelo.  Figlio  del  precedente,  nato  a  Venezia 
il  31  ottobre  del  1838  nella  parrocchia  di  S.  Luca,  fii  egregio 
attore  per  le  partì  di  brillante. 
un  de'miglìori  del  suo  tempo. 
Fece  le  prime  armi  come  se- 
condo amoroso  e  secondo  bril- 
lante, nella  compagnia  di  suo 
padre,  e,  lui  morto,  esordì 
brillante  assoluto  nella  giovane 
Compagnia  piena  dì  attrat- 
tive, Ciotti-Lavaggi-Marchì, 
nellaquale  stette  fino  a  tutto 
il  '72.  Sempre  collo  stesso 
ruolo  fu  poi  dal  '73  al  '76  in 
quella  N."  2  di  BelIottÌ-Bon, 
il  '77  e  '78  in  quella  di  Luigi 
Monti, dar79  all'  '81  in  quel- 
la sociale  Marini-Belletti; 
poi  1'  '82  con  Pasta,  e  1'  '83 
dì  nuovo  con  Monti.  Riposò 
r  '84  a  Mestre,  ov'era  sua  madre,  e  andò  1'  85  e  '86  con  Andrea 
Maggi,  passando  poi  d'anno  ìn  anno  in  compagnie  di  minore 
conto,  declinando  coU'avanzar  degli  anni  la  comica  forza  che 


76b  ZOPPETTI 


per  naturale  intuito  possedeva  al  sommo.  Il  '94  esordì  come 
caratterista  in  Compagnia  Maggi,  trovando  ancora  festose  acco- 
glienze di  pubblico,  non  quelle  certo  acquistatesi  col  primo  ruolo. 
Passando  d'una  in  altra  compagnia,  e  in  mezzo  a  peripezie  di 
scioglimenti  a  metà  d'anno,  ora  scritturato,  or  socio,  ed  ora 
capocomico  solo,  arrivò  sino  al  1902,  scritturato  in  Compa- 
gnia Renzi-Gabrielli,  nel  quale  anno  cessò  di  vivere  a  Livorno 
il  27  di  giugno. 

Chi  volesse  dare  un  giudizio  su  Angelo  Zoppetti  con  poche 
parole,  forse  non  s' ingannerebbe,  qualificandolo  :  <  un  gran 
brillante  senza  saper loy^.  Quante,  vere  o  no,  storielle  sulla  sua 
non  troppa  coltura  andaron  per  le  bocche  de'  comici  !  Ma,  per 
compenso,  qual  forza  d'intuizione  ! 

Ricorda  il  lettore  la  gran  scena  di  Dita  d'oro  d'una  fata, 
vecchia  commedia  di  Scribe,  in  cui  il  povero  Riccardo  di  Ker- 
briand,  discorre  con  Elena  del  suo  amore  per  Berta  e  della  sua 
balbuzie  ? 

E  l'altra,  non  men  forte  per  novità  e  comicità  irresisti- 
bile, in  cui  in  uno  scatto  violento,  lasciandosi  andare  a  parole 
e  imprecazioni  volgari,  improvvisa,  libero  e  diritto  fin  in  fondo, 
una  meravigliosa  difesa  di  Elena  accusata,  oltraggiata  da  tutti  ? 

Ricorda  il  lettore  la  parte  di  Perichol»  il  giurato  ribelle 
ài^  Ferréol  ^\  Sardou,  ch'egli  creò  con  tanta  apparente  ana- 
lisi di  particolari  ?  E  quell'  avvocato  Ballandar  della  Caténa  di 
Scribe?  E  le  farse  tutte? 

Angelo  Zoppetti  appartenne  come  brillante  al  periodo, 
non  so  dir  bene  se  fortunato  o  sciagurato,  in  cui  i  primi  attori 
spremevan  lagrime  dagli  occhi  degli  uditori,  e  i  brillanti  face- 
vano smascellar  dalle  risa. 

L'andatura  dello  Zoppetti,  il  suo  occhio,  la  sua  dizione, 
tutto  era  comico....  Quando  si  cominciò  a  dire  d'un  brillante: 
attore  nobile,  attore  fine,  attore  distinto,  si  cominciò  anche  a 
perdere  il  senso  del  brillante,  che  a  poco  a  poco  s'è  andato 
trasformando  per  modo  da  non  riconoscerlo  più.  In  somma: 
la  definizione  del  brillante  nobile  era  in  realtà  questa  :  un  bril- 


ZOPPETTI  -  ZUANETTI  767 

lante  che  non  fa  ridere.  E  Zoppetti  fu  tutt' altro  che  nobile,  o, 
a  dir  meglio,  fu  nobile  solo  a  modo  suo. 

Dal  suo  matrimonio  con  Giulia  Checchi,  egregia  seconda 
donna  e  amorosa,  passata  a  seconde  nozze,  e  ancor  vivente  a 
Napoli,  ebbe  quattro  gentili  figliuole,  esimie  artiste,  note  col 
diminutivo  affettuoso  di  Zoppettine»  e  un  unico  maschio: 

Elvira,  vedova  di  Giuseppe  Barsi,  brillante,  morto  in  Ame- 
rica, e  attrice  della  Compagnia  Sichel  e  Soci  ; 

Pia,  moglie  del  brillante  Arturo  Falconi,  tuttavia  in  arte  ; 

Giannina,  uscita  dall'arte  or  sono  otto  anni,  e  maritata  a 
Palermo  con  Giuseppe  Ardizzoni,  direttore  comproprietario 
del  Giornale  di  Sicilia;  e 

Cesare,  già  attore  in  Compagnia  Benini,  oggi  secondo  bril- 
lante in  quella  Mariani-Zampieri, 

Ebbe  anche  una  sorella,  Adelaide,  moglie  dell'attore  Cri- 
stiani,  attrice  di  non  molta  importanza,  che  recita  ancora  in  com- 
pagnie veneziane,  e  di  cui  Tunica  figlia  Giuseppina  si  trova  ora 
in  Compagnia  Di  Lorenzo-Ando,  moglie  di  Ferruccio  Bianchini. 

Zoppino  da  Mantova.  (V.  Angeloni  Filippo). 

Zoppino  da  Gazzolo.  Il  De  Sommi  lo  cita  col  Montefalco, 
il  Veratto,  T  Olivo,  lo  Zoppino  da  Mantova,  tra  i  molti  galanti 
homini  che  di  recitare  perfettamente  si  sono  diUttcUi  a  tempi  nostri 
(poco  oltre  la  metà  del  secolo  xvi). 

Zomi  Gasparo.  Fu  sostituito  nella  Compagnia  di  Giuseppe 
Imer  al  figlio  Monti,  terzo  amoroso,  quando  questi  se  n'andò  col 
padre,  dottore,  a  Napoli  ;  e  Carlo  Goldoni  lo  dice  non  superiore 
al  Monti  in  abilità.  (Ed.  Pasquali,  XIV). 

Zuanetti  Antonio.  Padovano.  Fu  attore  di  molto  pregio 
al  principio  del  secolo  xix.  Il  1821  era  nella  Compagnia  Ma- 
scherpa  e  Velli,  e  le  Varietà  teatrali  di  Venezia  così  ne  scrivono: 
<  Datosi  alle  parti  di  tiranno,  tanto  seppe  accoppiare  il  buon 
volere  a  que'  naturali  doni  che  in  sé  riunisce,  che  giunse  a  ren- 


768  ZUANETTI  -  ZUCCATO 


dersi  ben  accetto  anche  nel!' odioso  carattere  d'ordinario  da 
lui  sostenuto.  Migliori  progressi  da  esso  ci  aspettiamo,  ed  anzi 
s' egli  vi  porrà  un  maggiore  studio  nel  ben  pronunziare,  noi  lo 
assicuriamo  di  una  maggiore  e  più  luminosa  teatrale  fortuna  > . 
Anche  sua  moglie  Cecilia,  veronese,  fu  comica,  ma  di  me- 
riti assai  mediocri. 

Zuccato  Valerio.  È  ricordato  dal  Sansovino  nel  suo  libro 
sopra  Venezia  tra  i  comici  più  antichi  di  quella  città. 

Zuccato  Polonia.  Moglie  del  precedente,  e,  come  dice  il 
Sansovino,  notabilissima  recitante,  che  rappresentava  commedie 
a  soggetto  con  detto  Valerio,  Frate  Armonio  e  Lodovico  Dolce. 
Quando  Polonia  si  unì  in  matrimonio  collo  Zuccato  ?  Vedi  a 
questo  proposito  Tabarin  Giovanni,  dal  quale  ebbe  la  Polonia 
un  figliuolo  a  Parigi  il  25  settefmbre  del  1572. 

Zuccato  Bartolommeo.  Attore  egregio  e  celebre  capo- 
comico, nacque  a  Venezia  il  1776,  e  fin  da  giovinetto  mostrò 
la  più  grande  inclinazione  al  teatro.  Osteggiato  da*  parenti, 
dovè,  per  darsi  con  tutto  T  amore,  all' arte  drammatica,  aspet- 
tare r  età  maggiore  ;  giunta  la  quale,  infatti,  e  f  ealizzato  dai 
parenti  tutori  ogni  suo  avere,  si  scritturò  subito  con  Marta 
Coleoni,  passando  poi,  attore  ammiratissimo,  con  Goldoni,  Pe- 
rotti,  ecc.  Fu  capocomico  de'  più  rinomati,  ora  solo,  ora  in  so- 
cietà (V.  Consoli  Teresa),  e  de'  più  rinomati  direttori. 

L'estate  del  1800  lo  vediamo  2XSan  Giovan  Grisostomo  di 
Venezia,  dove  si  salva  da  un  probabile  disastro  colla  nuova 
tragedia  di  A.  M.  Cuccetti  (V.),  che  replicò  per  sei  sere.  Lo  ve- 
diamo poi  a  Pavia  il  giugno  del  18 io,  dove  non  avrebbe  tro- 
vato modo  di  svincolar  la  condotta  impegnata,  se  non  gli  fosse 
venuto  ia  soccorso  il  proprietario  ^^  Arena  del  Sole  di  Bolo- 
gna che  lo  Zuccato  andò  a  inaugurare  il  5  di  luglio  con  gran 
pompa  di  preavvisi-fervorini.  (V.  Cosentino,  L'Arena  del  Sole, 
Bologna,  Zanichelli,  1903). 


ZUCCATO - ZUCCHINl 


L'autunno  del  1807  era  a  Modena,  e  il  rg  a  Tolentino, 
fatto  segno  alle  più  vìve  dimostrazioni  di  simpatia.  Morì  del'ss 
a  Venezia  quasi  ottuagenario. 


Zucchini-Majone  Ermenegilda.  Carissimo  e  bellissimo 
tipo  d'artista!  Coli' avanzar  degli  anni  ella  ha  saputo  serbare 
intatta  la  giovanile  ga- 
iezza, e  con  essa  una 
modestia  senza  pari. 
«Volete  proprio  che  io 
rinnovelli  disperato  do- 
lor.— -prelude  alle  sue 
noterelle  biografiche  — 
rimontando  ai  tempi  di 
Noè  ?  Io  che  invece  vor- 
rei tanto  e  tutto  dimen- 
ticare! E  poi,  parlare 
di  me!  Come  donnanon 
ho  che  del  triste  da  ri- 
cordare; come  attrice, 
nulla  che  valga  la  pena 
d'essere  ricordato.  Fra 
la  folla  dei  discreti  at- 
tori, passai  anch'io,  rac- 
cogliendo qualche  loro 
bricciola  :  il  che  si- 
gnifica senza  lode  e  senza  infamia:  ecco  tutto. >  Ma  che  bric- 
ciola mi  vien  ella  brìcciolando  !  Qui  la  modestia  non  è  della  più 
schietta  acqua,  che  la  cara  artista  non  può,  dinanzi  alle  festose 
accoglienze  del  pubblico  ininterrotte  e  inalterate,  fermarsi,  in 
un  giudizio  del  proprio  valore,  alla  meschina  mediocrità.  Erme- 
negilda Zucchini  è  una  bella  e  forte  artista,  dotata  di  una  rara 
pieghevolezza  nell' afferrare  e  rendere  i  più  vari  personaggi, 
dalla  grottesca  suocera  della /ocAaafc,  all'austera  signora  della 
commedia  inguantata.  Nata  a  Lugano,  fu  trasportata  subito  a 


770  ZUCCHINI 


Milano  dove  passò  l'infanzia  e  la  giovinezza;  considerata  da 
ognuno  milanese,  nonostante  la  nascita  e  l'origine  forastiera, 
essendo  il  padre  francese,  oriundo  svizzero,  e  svizzera  la  madre. 
Benché  non  figlia  d'artisti,  ebbe  sin  da  piccola  una  passione  viva 
per  l'arte  della  scena,  che  coltivò  poi  alla  filodrammatica  mila- 
nese sotto  gli  ammaestramenti  dell'artista  Giovanni  Ventura  (V.). 
Rovesci  di  fortuna  la  sbalzarono,  il  1869-70,  ancor  giovinetta, 
nella  Compagnia  Dondini,  Ciotti  e  Lavaggi,  quale  amorosa,  dando 
subito  prova  di  non  dubbio  valore,  e  io  stesso  la  ricordo  al- 
l'Arena Nazionale,  applauditissima  nella  fischiatissima  comme- 
dia I matrimoni  del  Laurati.  Il  triennio  seguente  fu  con  Alamanno 
Morelli  prima  attrice  giovine:  sposò  il  '71  Domenico  Majone  (V.), 
e  ne  restò  vedova  il  '72.  Avrebbe  voluto  allora,  nel  momento 
della  grande  sciagura  lasciar  l'arte,  ma  l'arte,  entrata  ormai  nel 
suo  sangue,  non  la  lasciò.  Ed  ecco  la  Zucchini  nell'autunno 
del  '73  con  la  Ristori,  con  cui  fu  in  Inghilterra,  e  nel  '74**75  ^^^ 
la  Zampolli,  direttore  il  Toselli,  assunta  al  grado  di  prima  donna, 
che  sostenne  assai  decorosamente  pei  molti  pregi  artistici  onde 
era  dotata,  ma  non  fortunatamente  per  la  costituzione  del  fisico 
forte  e  sviluppato,  in  aperta  contraddizione  colla  sentimentalità  e 
romanticheria  dei  caratteri  che  doveva  riprodurre.  Non  ostante 
fu  degnamente  in  quel  ruolo  scritturata  con  Salvinetto,  con  Maje- 
roni,  e  in  Società  con  Dondini,  Dominici,  e  Giovanni  Arrighi  fino 
air'84.  Neir'85,  uscita  da  una  fiera  malattia  di  tifo,  andò  con 
Emanuel  per  parti  principalissime,  ma  senza  ruolo  fisso,  e  fu  da 
lui  iniziata  a  quello  di  madre  e  caratteristica,  lasciato  poi  subito, 
per  riprendere  il  suo  posto  (vanità  perdonabile  in  un'attrice  pre- 
giata e  ancor  giovine)  prima  in  Società  con  la  Tessero,  poi  con 
Dominici  e  Della  Guardia.  Ma,  ohimè!  Il  padre  morto, la  madre 
da  sostentare,  gli  affari  che  volgeano  sempre  più  al  peggio,  la 
costrinsero  ad  abbracciar  definitivamente  il  ruolo  di  vecchia, 

m 

scritturandosi  con  Ermete  Novelli,  e  passando  poi  con  Pasta, 
la  Tessero  e  la  Giagnoni,  con  Paladini,  con  Pasta,  Garzes,  Rei- 
nach,  con  Pasta  e  la  Tina  Di  Lorenzo,  con  Leigheb  e  la  Reiter, 
con  Pasta  e  la  Reiter,  e  con  la  Reiter  sola,  colla  quale  è  tuttavia 


ZUCCHINI  -  ZURLINI  771 

e  sarà  fino  al  princìpìodel  prossimo  triennio  '906-07-08, pel  quale 
è  scritturata  colla  Compagnia  Talli,  Re  Riccardi  :  questo  il  lungo 
stato  di  servizio  di  Ermenegilda  Zucchini,  o,  come  la  chiamano 
con  affettuoso  accorcimento  i  compagni  tutti,  della  Gilda,  che  le 
ha  procurato  per  la  probità  e  la  fedeltà  e  lo  zelo  con  cui  l' ha 
disimpegnato  il  più  ampio  certificato  del  pubblico  padrone.  «  Vi 
pare  che  basti?  -  Ella  conchiude  nelle  sue  noterelle.  -  Oh,  ba- 
sterebbe anche  a  me!  ma  c'è  ^x\c.oxz.  del  fosforo  ne  lombi  miei....-» 
Lo  credo  io  !  E  Le  auguro,  o  meglio,  auguro  a  me  e  a  tutti  gli 
spettatori  d'Italia,  di  provar  lungo  tempo  le  gioie  ch'ella  sa  dar 
dalla  scena  con  le  incomparabili  sue  riproduzioni  artistiche. 

Zurlinì  Agostino.  Artista  egregio  del  secolo  xviii  per  la 
maschera  del  Brighella  e  per  altre  parti  comiche  nelle  Compa- 
gnie di  Antonio  Marchesini  e  dì  Nicola  Petrioli,  aramiratissimo 
in  tutta  Italia.  Abbandonò  le  scene  in  tarda  età,  e  Fr.  Bartoli 
dice  che  s'egli  era  ancor  vivo  al  suo  tempo(i78i),  come  si  cre- 
deva, avrebbe  avuto  non  meno  di  novant'anni. 


INDICE 


DELLE  OPERE  E  DEGLI  AUTORI  CITATI 


INDICE 


DELIRE  OPERE  E  DEGLI  AUTORI  CITATI 


Ademollo  Alessandro.  -  /  Teatri  di 
Roma  nel  secolo  decimosettimo,  Roma, 
Pasqualucci,  1888. 

Voi.  II,  pag.  525,  541,  544,  586. 

—  Una  famiglia  di  Comici  italiani  nel 
secolo  decimo ttavo.  Firenze,  Ademollo, 
1885. 

Pag.  260. 

Alberti  Adamo.  -  Quarant*  anni  di 
storia  del  Teatro  dei  fiorentini  in  Na- 
poli. Memoria.  Napoli,  De  Angelis, 
1878. 

Allacci  Leone.  -  Drammaturgia  di 
Lione  Allacci  accresciuta  e  continuata 
fino  all'anno  MDCCLV,  Venezia, 

-  Pasquali,   1755. 

Pag.  35,  136,  voi.  II,  pag.  247, 
681. 
Andrelnl  Isabella.  -  Mirtilla.  Pasto- 
rale. Nuovamente  corretta  et  ristam- 
pata. Venezia,  Spineda,  1702. 

Pag.  137. 
Andrelnl  Francesco.  -  Bravure  del 
Capitano  Spavento Nen^zìdi,  appresso 
Vincenzo  Somasco,  1624. 

Pag.  57,  voi.  II,  pag.  213,  232, 
540. 


Andrelnl  Glo.  Battista.  -  La  Sul-- 
tana;  La  Ferinda;  L*  amor  nello  spec- 
chio; I  due  Leti  simili;  La  Centaura, 
Commedie.  Parigi,  Delavigne,  1622. 
Pag.  123. 

—  L'Adamo,  Sacra  rappresentazione. 
Milano,  Geronimo  Bordoni,  161 7. 

Pag.  137. 

—  La  Florinda,  Tragedia.  In  Milano, 
Bordone,   1606. 

Pag.  132,  139. 

—  L'Ismenia,  Opera  teatrale  e  pastora- 
le. Bologna,  Nicolò  Tebaldini,  1639. 

Pag.  124. 

—  La  rosa.  Comedia.  Pavia,  Giovanni 
Andrea  Magri,  1638. 

Aniello  Soldano.  -  Fantastiche  et  ri- 
dicolose  etimologie  recitate  in  comme- 
dia da  Aniello  Soldano,  Bologna,  Vit- 
torio Benacci,  16  io. 
Pag.  164. 
Armano  (D')  Tiberio.  -  Il  Capitano. 
Comedia.  Venezia,  Giolito,  1545. 
Pag.  211. 
Arrighi  Cletto.  -  Edoardo  Ferravilla. 
Milano,  Aliprandi,  1888. 
Pag.  868. 


776 


INDICE  DELLE  OPERE  E  DEGLI  AUTORI  CITATI 


Bada  Giambattista.  -  Scaramuzza. 
Poema  in  vernacolo  familiar  vene- 
ziano. Venezia,  1791. 
Pag.  909. 
Bagliani  Pietro.  -  La  pazzia.  Com- 
media. Bologna,  Teodoro  e  Cle- 
mente Ferroni,  1624. 
Pag.  248. 
Baumgarten.  -  La  France  qui  rit, 
Cassel,  1880. 
Pag.  438. 
Biancolelli  ^ìccoXò.-Ilprincipe  iragli 
infortuni  fortunato.  Bologna,  1668. 
Pag.  446. 

—  Za  Regina  statista.  Bologna,  .... 

Pag.  446. 

—  Il  Nerone.  Bologna,  Giacomo  Mon- 
ti, 1666. 

Pag.  446. 
Barbieri  Niccolò  detto  Beltrame.  - 
U  inavvertito,  ovvero  Scappino  distur- 
bato, e  Mezze ttino  travagliato.  Torino, 
1629  (ristamp.  in  Venezia  nel  1630). 

Pag.  266  fino  a  270. 

—  La  Supplica,  ecc.  (V.  descrizione 
del  titolo  nel  frontespizio  inciso). 
Venezia,  Marco  Ginammi,  1634. 

Pag.  270,  980,  voi.  II,  pag.  601, 
616. 
Bartoli  Francesco. -Le  Pitture,  Seul-- 
ture  ed  architetture  della  città  di  Ro~ 
vigo,  con  indici  ed  illustrazioni.  Ve- 
nezia, Pietro  Savioni,  1793. 

Pag.  287. 

—  Notizie  /storiche  de*  Comici  Italiani 
che  fiorirono  intorno  all'  anno  MDL 
fino  a*  giorni  presenti....  Padova, 
Conzatti,  1781. 

Pag.  34, 38,  45,  88,  106,  124,  143, 
151,  154,  159,  164,  191,  236,  266, 
271,  281,  288,  292,  293,  294,  295, 
301,  303,  326,  328,  339,  343,  344, 
381,  446,  490,  49^  503»  504,  516, 
530»  547,  583»  590»  602,  608,  613, 


652,  655,  656,  665,  674,  679,  686, 

695,  696,  698,  707,  720,  733,  739, 

760,  771,  792,  796,  837,  856,  857, 

867,  880,  884,  88ò,  914,  930,  932, 

934,  937,  942,  943,  954,  9^3,  9^8, 
1005,  IC06, 1008, 1043, 1052,  1059, 
1061,  voi.  II,  I,  II,  12,  54,  55,  66, 
68,  76,  94,  104, 107,  112,  113,  117, 
118,  124,  127,  128,  153,  178,  183, 
194,  199,  202,  217,  218,  219,  300, 

301,  334,  345,  361,  39^,  4i7,  4i9, 
443,  454,  459,  4^0,  461,  502,  521, 
537,  546,  573,  586,  611,  614,  628, 
634,  636,  668,  685. 

Bartoli  Adolfo.  -  Scenari  inediti  della 
Commedia  dell'arte.  Firenze,  San- 
soni, 1880. 

Pag.  118, 121, 124,  294,  312,  348, 
359,  519,  voi.  II,  pag.  173,  194, 
616,  618. 

Baschet  Armand.  -Z>j  comédiens  ita- 
liens  à  la  cour  de  France  sous  Char- 
les IX,  Henri  III,  Henri  IV  et  Louis 
XIII.  Paris,  Plon,  1882. 

Pag.  118,  844,  voi.  II,  pag.  477, 
512,  542. 

Bazzl  Gaetano.  -  Primi  erudimenti 
dell*  arte  drammatica  dedicati  all'  ar- 
tista Domenico  Righetti.  Torino ,  1 845 . 
Voi.  II,  pag.  359. 

Belando  Vincenzo  detto  Cataldo.  - 
Gli  amorosi  inganni.  Parigi,  David 
Gilio,   1609. 
Pag.  75. 

BellottI  Bon  Luigi.  -  Condizioni  del- 
l'arte drammatica  in  Italia.  Ancona, 

1875. 
Pag.  339. 

Bertolotti  A.  -  Musici  alla  Corte  dei 

Gonzaga  in  Mantova  dal  secolo  XV 

al  XVIII.   Milano,   Ricordi,  s.  a. 

Pag.  16,  29,  158,  237,  251,  342, 

362,  483,  503,  544,  569,  627,  796, 

858,  voi.  II,  pag.  145,  184. 


INDICE  DELLE  OPERE  E  DEGLI  AUTORI  CITATI 


m 


Bevilacqua  Enrico.  -  Alcune  rime, 
Venezia,  Ambrogio  Dei,  1613. 
Pag.  54. 

Bon  F.  A.  -  Principii  d'Arte  dramma- 
tica rappresentativa  dettati  nell'Istituto 
drammatico  di  Padova,  Milano,  San- 
Vito,  1857. 
Pag.  474. 

Bonarelll  Della  Rovere  Prospero. - 
Lo  Spedale,  Commedia.  Macerata, 
Grisei,  1646. 

Pag.  78. 
Bonazzl  Luigi.  -  Gustavo  Modena  e 
l*  arte  sua.  Con  prefazione  di  Luigi 
Morandi.  Seconda  edizione.  Città 
di  Castello,  Lapi,  1884. 

Pag.  215,  319,  478,  479,  voi.  II, 

pag.  135- 

—  Storia  di  Perugia  dalle  origini  al 

1860,  Perugia,  1879. 
Pag.  479,  482. 
Brofferlo  Angelo.  -  Primi  erudimenti 
dell'  arte  drammatica,  Torino,  1845. 
Pag.  310. 
Bruni  Domenico.  -  Faiiche  comiche, 
Parigi,  Callemont,  1623. 

Pag.  Ò36,  840,  884,  voi.  II,  pag. 
132,  184,  295. 

Calmo  Andrea.  -  Le  lettere.  Quattro 
libri.  Venezia,  1547,  '48,  '52. 

Pag.  551. 

—  Las  Spagnolas.  Comedia.  Venezia, 

appr .  Stefano  e  Battista  cognati ,  1549 . 

Pag.  551. 

—  La  Fiorina.  Comedia.  In  Venezia, 
Foresto,  1557. 

Pag.  521. 

—  //  Saltuzza,  Comedia.  Venezia, 
Alessi,  1551. 

Pag.  551- 

—  La  Pozione,  Comedia.  Venezia, 
Alessi,  1552. 

Pag.  551. 


Calmo  Andrea.  -  La  Rodiana,  Co- 
media.  Venezia,  Alessi,  1553. 

Pag.  551. 

—  //  Travaglia,  Comedia.   Venezia, 

Alessi,  1556. 

Pag.  551- 

—  L'egloghe  pastorali,  Venezia,  Ber- 

tacagno,  1553. 

Pag.  551. 
Campardon  Emlle  et  Congnon  Au- 
guste. -  La  Vieillesse  de  Scaramou- 
che,  Documents  inédits.  16901694. 
Pag.  22,  2C),  348,  364,  369,  371, 
726,  loio,  voi.  II,  p.  634,  670,  676. 
Cantù  Carlo. -Cicalamento  in  canzonette 
ridicole,  ecc.  Fiorenza,  Massi,  1646. 
Pag.  426,  430,  571,  572. 
Capuana  .Luigi.  -  //  Teatro  italiano 
contemporaneo.  Saggi  critici.  Palermo, 
Lauriel,  1872. 
Pag.  562. 
Castiglione  Giambattista.  -  Senti-- 
menti  di  S.  Carlo  Boromeo  intorno  agli 
spettacoli.   In  Bergamo,  1759.  -^P" 
presso  Pietro  Lancellotti. 
Voi.  II,  pag.  596. 
Cavalieri   Bartolommeo.  -  L'im-- 
presa  d' opera.  Dramma  giocoso  da 
rappresentarsi  nel   Teatro   Giusti- 
niani di  S.  Moisè  il  Carnevale  del- 
l'anno MDCCLXIX.  Venezia,  stes- 
so anno,  appresso  Modesto  Fenzo. 
Pag.  613. 
Cecchini  Pier  Maria.  -  L' amico  tra- 
dito, Venezia.  Bona,  1633. 
Pag.  413,  631,  633. 

—  La  Flaminia  schiava.  Comedia.  Mi- 
lano, 1610. 

Pag.  631,  633. 

—  Lettere  Facete  e  Morali  et  alcuni 
brevi  Discorsi  intorno  le  Comedie,  Co- 
mcdianti  e  spettatori, . . .  Venetia,  An- 
tonio Pinelli,  1622. 

Pag.  630,  632,  644. 


98.  — .  /  Comici  italiani.  Vo'.  II. 


77^ 


INDICE  DELLE   OPERE  E  DEGLI  AUTORI  CITATI 


Cecchini  Pier  Maria.  -  Frutti  delle 
moderne  Comedie  et  avisi  a  chi  le  re- 
cita. Padova,  Guaresco  Guareschi, 
1628. 
Pag.  85,  633,  635,  925. 
Cervi  Antonio.  -  Tre  artisti.  (Ema- 
nuel,  Novelli,  Zacconi).   Bologna, 
Beltrami,  1900. 
Voi.  II,  pag.  194. 
Clnelll.  -  Biblioteca  volante.  Modena, 
1695. 

Pag.  884. 
ColombertI  Antonio.  -  Scritti  inediti. 
Pag.  754,  756,  775,  voi.  II,  pag. 
78,  80,  82,127,  268. 
Constantlnl  Angelo.  -  La  vie  de  Sca~ 
ramouche.    Paris,    Claude    Barbin, 
1695. 
Pag.  718,  909. 
Costetti  Giuseppe.  -  Dimenticati  vivi 
nella  scena  italiana.  Roma,  1886. 
Pag.  186,  399,  685. 

—  La  Compagnia  reale  sarda  e  il  tea^^ 
tro  italiano  dal  18 21  al  1855. 
Milano,  Cantorowicz,  1893. 

Pag.  476,  529,  734,  looi,  voi.  II, 
pag.  79. 

—  //  Teatro  italiano  nel  1800.  Rocca 
S.  Casciano,  L.  Cappelli,  1901. 

Pag.  II. 

—  Bozzetti  di  Teatro.  Bologna,  Zani- 
chelli, 1881. 

Pag.  232,  342. 
Cotolendi.  -  Lwre  sans  noni  divise  en 
cinq  dialogues,  Paris,    Michel  Bru- 
net,  1695. 

Voi.  II,  pag.  396. 
Cotta  Pietro.  -  Le  peripezie  di  Aleramo 
e  di  Adelasia,  ovvero  la  discendenza 
degli  Eroi  del  Monferrato .  Bologna  e 
Venezia,  1697. 

Pag.  728. 

—  //  Romolo.  Bologna,   1679. 

Pag.  728. 


Croce  Giulio  Cesare.  -  Indice  uni- 
versale della  Libraria  0  studio  del  ce- 
lebratiss.  Arcidottore  Gratian  Furbson 
de  Fraculin,  ecc.  Bologna,  erede  dei 
Cocchi,  s.  a. 
Pag.  249. 

— -  Bravure  Tremende  del  Capitano  Bele- 
rò/onte da  Rocca  di  ferro.  Bologna, 
Cocchi,  1629. 

Pag.  73. 
Croce  Benedetto.  -  /  teatri  di  Napoli. 
Napoli,  Pierro,  1891. 

Pag.  IO,  42,  162,  237,  461,  504, 
531,  533»  665,  742,  862,  863,  867, 
922,  voi.  II,  pag.  14,  175,  556,  583, 
587,  667. 

D'Ancona  Alessandro.  -  Una  mac- 
chietta goldoniana,  Genova,  s.  d. 
Voi.  II,  pag.  687. 

—  Origini  del  Teatro  Italiano.  Torino, 
Loescher,  1891. 

Pag.  12,  14,  15,  16,  53,  59,  89, 
106,  158,  161,  211,  135,  308,  310, 
405,  406,  534,  663,  773,  862,  979, 
voi.  II,  p.  105,  290,  305,  555,  584. 

D'Aquino  Carlo.  -  Rugiade  di  Par- 
naso. Cosenza,  1654. 

De  Amlcls  Edmondo.  -  Conferenza 
su  Gustavo  Modena  (Speranze  e  Glo- 
rie). Milano,  Treves,  1900. 
Voi.  II,  pag.  136. 

De  Domlnlcls  Bernardo.  -  Vite  de' 
Pittori,  Scultori  et  Architetti  napole- 
tani. Napoli,  1745. 
Pag.  938. 

Des  Boulmlers.  -  Histoire  anecdoti- 
que  et  raisonnée  du  Thédtre  Italien. 
Paris,  Lacombe,  1769. 

Pag.  373»  374,  516. 
D'HeylII   George.  -  fournal  de  la 
Comédie   Fran^aise.    Paris,    Dentu, 

1873- 

Voi.  II,  pag.  380. 


INDICE  DELLE  OPERE  E  DEGLI  AUTORI  CITATI 


779 


Di  Giacomo  Salvatore.  -  Cronaca 
del  Teatro  San  Carlino,  Seconda  edi- 
zione. Trani,  Vecchi,  1895. 

Pag.  36,  161,  239,  2^2,  273,  274, 
477,  531,  558»  61B,  647,  678,  888, 
voi.  II,pag.  106, 112, 113,262,264, 
602. 

D'Origny.  -  Annales  du  Thédtre  ita" 
lien.  Paris,  Duchesne,  1788.  Tre  voi. 
in-8°. 

Pag.  553,  607,  674. 

Ellio  Francesco.  -  Idilli  di  diversi 
generi,  Milano,  Giov.  Battista  Bi- 
delli, 1618. 
Pag.  149. 

Pabrl  Glo.  Paolo.  -  Quattro  Capitoli 
alla  Carlona,  Trento,  Gio.  Battista 
Gelmini,  1608. 
Pag.  99. 

Pantuzzi.  -  Degli  scrittori  bolognesi, 

Pag-  453- 
Faur.-  Z«  transformations  de  VOpéra^ 

Comique,  Paris,  Castel,  1865. 

Pag.  554. 
Favella  Glronimo.  -  Filippica  in  cui 
si  discorre  della  grande  religione, 
bontà,  amicizia  e  potere  de*  Re  di 
Spagna  e  delle  eroiche  nazioni  de* 
Spagnuoli,  Napoli,  Roncagliolo, 
162Ò. 

Pag.  864. 
Fiorillo    Silvio.  -  L*Amor   Giusto, 
Egloga  Pastorale  in  Napolitana  e 
Toscana  lingua.  Milano,  Pandolfo 
Malatesta,  1605. 

Pag.  922. 
—  La  Cortesia  di  Leone,  e  di  Ruggiero 
con  la  morte  di  Rodomonte.  Suggetto 
cavato  dall'Ariosto,  e  ridotto  in 
stile  rappresentativo.  Milano,  Pan- 
dolfo Malatesta,  1624. 

Pag.  922. 


Fiorillo    Silvio.    -   La    Ghirlanda, 
Egloga.  Napoli,  Tarquinio  Longo, 
1609. 
Pag.  922. 

—  /  tre  Capitani  vanagloriosi.  Come- 
dia  capricciosa  in  prosa.  Napoli,  Do- 
menico Ferrante  Maccarano,  162 1. 

Pag.  922. 

—  La  Lucilla  Costante,  con  le  ridico- 
lose  disfide  e  prodezze  di  Policinella. 
Comedia  curiosa.  Milano,  Giov. 
Battista  Malatesta,  1632. 

Pag.  923. 

—  L'Ariodante  tradito,  e  morte  di  Po- 
linesso  da  Rinaldo  Paladino.  Pavia, 
Giov.  Battista  de  Rossi,  1629. 

Pag.  922. 
Florio  Gaetano.  -  Trattenimenti  tea^ 
trali,  Comedie.  Quattro  voi.  in-8°. 
Venezia,  1791. 

Galluzzi  Riguccio.  -  Storia  del  Gran-- 
ducato  di  Toscana, 
Pag.  895. 
Galanti  Ferdinando.  -  C  Goldoni  e 
Venezia  nel  secolo  XVII L  Padova, 
Fratelli  Salmin,  1882. 
Pag.  377. 
Gonzales  Emanuel.  -  Les  Caravanes 
de  Scaramouche,  Paris,  Dentu,  1831. 
Pag.  909. 
Gandini.  -  Cronistoria  dei  Teatri  di 
Modena.  Modena,  1873. 
Pag.  676,  voi.  II,  pag.  521. 
Glierardi  Evaristo.  -  Le  thédtre  ita-- 
lien  ou  le  recueil  general  de  toutes  les 
Comédies  et  scènes  fran^aises,  ecc.  Pa- 
ris, Briasson,  1 741.  Sei  volumi  in-80. 

Pag.  434,   439»   440,   709»  718, 
1008,  lOIO. 
Goldoni  Carlo.  -  Commedie.  Venezia, 
Pasquali,  1761.  Diciassette  volumi 
in-8^ 

Voi.  II,  pag.  93,  118,  145. 


7  So 


INDICE  DELLE  OPERE  E  DEGLI  AUTORI  CITATI 


Goldoni  Carlo.  -  Mémoires,  ecc.  Ri- 
stampate suir  edizione  originale,  e 
corredate  con  annotazioni  da  Er- 
manno Von  Loehner.  Venezia,  Vi- 
sentini,  1883.  Volume  I. 

Pag.  39,  299,  300,  301,  506,  555, 
932,  981,  1052,  1053,  voi.  II,  pag. 
93,  465,  469,  507,  644,  681. 

—  Il  Gondolier  veneto .  Milano,  R.  Ma- 
latesta,  1733. 

Voi.  II,  pag.  686. 

—  Nuovo  teatro  comico,  Venezia,  Pit- 
teri,  1758. 

Voi.  II,  pag.  2,  445. 
Gozzi  Carlo.  -  Opere,  Firenze,  Co- 
lombani,  1774. 

Pag.  507,  740,  voi.  II,  pag.  462, 
466. 

—  Memorie  inutili  della  sua  vita  scritte 
da  lui  medesimo  e  pubblicate  per 
umiltà.  Venezia,  Palese,  1797.  Tre 
volumi  in-8°. 

Pag.  278,  306, 344, 360,  530,  695, 
857,  voi  II,  pag.  69,  467,  684. 
Gratarol  Pietro  Antonio.  -  Narra- 
zione apologetica.  Seconda  edizione. 
Con  raggiunta  delle  riflessioni  d'un 
Imparziale  precedute  da  una  Lettera 
del  medesimo  Signor  Gratarol.  1 78 1 . 
Senza  luogo,  ma  ediz.  estera. 

Pag.  469. 
Guerrini  Olindo.  -  La  vita  e  le  opere 
di  Giulio  Cesare  Croce,  Bologna,  Za- 
nichelli, 1879. 

Pag.  73,  406,  413. 

Inventaire  universel  des  oeuvres  de 
Tabarin,  Paris,  1623. 
Voi.  II,  pag.  558. 

Jal.  -  Dictionnaire  critique  de  Biogra^ 
phie  et  d'Histoire,  Paris,  1872. 

Pag.  29,  343,  348,  364,  434,  voi. 
n,  pag.  556,  634. 


Jarro  (Cr.  Piccini).  -  Sul  palcoscenico 
e  in  platea,  Firenze,  Bemporad. 
Voi.  II,  pag.  501. 
—  //  naso  di  Ermete  Novelli.  Firenze, 
Bemporad,  1901. 
Voi.  II,  pag.  194. 

Kotzebue  Augusto.  -  Osservazioni 
intorno  a  un  viaggio  da  Liefland  a 
Roma  e  Napoli, CoXonìdi,  Peter,  Ham- 
mer,  1805. 

Voi.  II,  pag.  298. 

Lanza  Domenico,- Nozze  Soler ti-Sag- 

gini.  Pinerolo,  Tip.  Sociale,  1889. 
Pag.  56. 
Lasca  {Anton  Francesco  Grazzìnt),  - 
Rime  curate  dal  Verzone,   Firenze, 
Sansoni,  1882. 
Pag.  275. 
Lemercier  De  Neuville.  -  JLes  Figu-- 
res  du  temps,  {Adelaide  Ristori),  Pa- 
ris, Bourdilliat,  1861. 
Voi.  II,  pag.  380. 
Leoni.  -  Dell'Arte  e  del  Teatro  di  Pa- 
dova, Padova,  1873. 
Voi.  II,  pag.  132. 
Le  Sage  et  D' Orneval.  -  JLe  Thédire 
de  la  Foire,  ouL'Opéra-Comique,  Pa- 
ris, Candouin,  1734.  Dieci  voliuni. 
Pag.  418. 
Lessi ng.  -  Tagehuch  der  italienischen 
Reise-Sàmtliche  Schriften  herausgege- 
ben  von   Karl  Lachmann,  Leipzig, 
Gòschen,  1902. 
Pag.  464. 
Lunardi  Tiberio.  -  //  Servo  fedele. 
Commedia.  Venezia,  Altobello  Sa- 
licato,  1597,  in-8**. 
Pag.  77. 

Mi^a  Gio.  Francesco.  -  Rime,  Ve- 
nezia, Deuchino,  1629. 
Pag.  656. 


INDICE  DELLE  OPERE  E  DEGLI  AUTORI  CITATI 


781 


Malamanl  Vittorio.  -  La  Satira  del 
Costume  a  Venezia  nel  secolo  XVIII. 
Torino,  Roux  e  Favale,  1886. 

Pag.  377. 

—  Nuovi  appunti  e  Curiosità  goldoniane, 
Venezia,  1887. 

Pag.  511. 
Mantovani  Dino.  -  Carlo  Goldoni  e 
il  Teatro  di  S.  Luca  a  Venezia,  Car- 
teggio inedito. (1755-1765).  Milano, 
Treves,  1885. 
Pag.  554. 
Manzanl  Francesco.  -  A  gran  danno 
gran  rimedio.  Tragedia.  Torino,  Za- 
pata,  1661. 
Pag.  68. 
Martini  Ferdinando.  -  Al  Teatro, 
Firenze,  Bemporad,  1895. 
Pag.  77. 

—  Simpatie.  Firenze,  Bemporad,  1900. 

Voi.  II,  pag.  134. 
Martello  Pier  Jacopo.  -  Opere,  Bo- 
logna, Lelio  della  Volpe,  1735.  Sette 
volumi. 

Voi.  II,  pag.  350. 
Masi  Ernesto.  -  Lettere  di  C.  Gol- 
doni, Bologna,  Zanichelli,  1880. 
Pag.  377. 
Mazzocca  Giuseppe.  -  Memorie  di  un 
attore, Con  prefaz. di  Ferruccio  Beni- 
ni.  Milano, tip.  Pulzato  e  Giani,  1904. 
Voi.  II,  pag.  658. 
Meissner  Giovanni.  -  Die  englischen 
Komodiantem  zur  zeit  Shakespeares  in 
Osterreich,  Wien,  1884. 

Pag.  59- 
Merula  Antonio  Siciliano  G.  C.  C. 

(Giulio  Cesare  Croce?).  -  Capitoli  e 
Pubblicazione  delfaustoso  e  trionfante 
sposalizio  dell*  invitto  capitano  Mar-- 
chione  Pettata,  Con  quattordici  ottave 
botta,  e  risposta,  sopra  la  morte  di  Zer- 
bino, Bologna,  per  il  Benacci  s.  a. 
Pag.  73. 


Méziéres  A.  -  Prédécésseurs  et  Con- 
temporains    de    Shakespeare.    Paris, 
Charpentier,  1863. 
Pag.  308. 
Mlsslrlnl  Pirro.  -  Piccoli  tratti  estetici 
sul  teatro,  Milano,  Chiantore,  1863. 
Pag.  25. 
Modena  Gustavo.  -  Epistolario.  Ro- 
ma, 1888. 
Pag.  480. 
Molmenti  Pompeo.  -  Venezia  nella 
vita  privata. 

Yol.  II,  pag.  584,  600. 
Montazlo  Enrico.  -  //  Palcoscenico  e 
la  Platea,  Firenze,  1845. 
Pag.  269. 
Morrochesl  Antonio.  -  Opere  teatrali. 
Firenze,  Ciardel  li,  1822.  Quattro  voi. 
Voi.  II,  pag.  166. 

Omaggi    Poetici    alla  incomparabile 
Anna  Fiorilli  Pellandi  ed  ali* Egregio 
attore  Paolo  Belli -Blanes,   Firenze, 
Carli,  181 3. 
Pag.  323,  920. 

Ottonelll  Padre  Glo.  Domenico.  - 
Della  Christiana  Moderatone  del  Thea^ 
tro.  Quattro  parti.  Firenze,  Bonardi, 
1655.  Quattro  volumi. 
Voi.  II,  pag.  333. 

—  Compendio  dell'opera  della  Christiana 
Moderazione  del  Theatro  per  via  d'in- 
terrogatorio colle  sue  risposte,  Firenze, 
Onofri,  1661. 

Pag.  954,  980,  984. 

Pagllccl  Brozzl  Antonio.  -  //  Tea- 
tro a  Milano  nel  Secolo  XVII,  Mi- 
lano, Ricordi,  1891. 

Pag.  958,  966, 984,  1006,  voi.  II, 
pag.  602. 

—  //  Teatro  a  Milano  nel  secolo  X  Vili, 
Milano,  Ricordi. 

Pag.  630,  691,  voi.  II,  pag.  72. 


98/  —  /  Comici  Italiani.  VoL  II. 


782 


INDICE  DELLE  OPERE  E  DEGLI  AUTORI  CITATI 


Palazzi  Antonio.  -  La  clemenza  nella 
vendetta,  Padova,  Conzatti,  1736. 
Pag.  942. 
Palombi  Adriano.  -  Conferenza  su 
Gustavo  Modena,  Roma,  1899. 
Pag.  135. 
Panzacchl  Enrico.  -  Soliloqui  arti-- 
siici,   Roma,    Angelo   Somtoaruga, 
1885. 
Pag.  621,  624. 
Parfalct  Frères.  -  L'Histoire  de  l' an- 
cien thédtre  italien  depuis  son  origine 
en  France,  jusqu'à  sa  suppression  en 
rannéeiógy,  ecc.  Parigi,  Rozet,  1767. 
Pag.  97,  415,421,425,716,  1021. 
voL  II,  pag.  672. 
—  Memoires  pour  servir  à  Vhistoire  des 
spectacles  de  la  Foire  par  un  acteur 
forain,  Paris,  Briasson,  1763.  Due 
volumi. 
Pag.  29. 
Parti  valla  ^bltìxAò.-  Poesie,  Napoli. 
Honofrio,  Savio,  1651. 
Voi.  II,  pag.  667. 
Pavoni  Giuseppe.  -  Diario  delle  feste 
celebrate  nelle  solennissime  nozze  delti 
Serenissimi  Sposi  il  sig.  Don  Ferdi-- 
nando  Medici  et  la  sig.  Donna  Cristi- 
na  di  Lorena,  Granduchi  di  Toscana, 
Bologna,  Giovanni  Rossi,  1589. 
Voi.  II,  pag.  289. 
Perruccl  Andrea.  -  Dell'Arte  rap- 
presentativa premeditata,   ed  ali*  im- 
provviso. Parti  due.  Napoli,  Michele 
Luigi  Mutro,  1699. 
Pag.  132,  542. 
Petral  Giuseppe.  -  Lo  spirito  delle 
maschere,  Roma,  Roux,  1903. 
Voi.  II,  pag.  557. 
Piazza  Antonio.  -  //  Teatro,  ovvero 
fatti  di  una   Veneziana  che  lo  fanno 
conoscere,  Venezia  Giambattista  Co- 
stantini, 1777.  Due  volumi. 

Pag.  1004,  voi.  II,  IO,  70,  93, 146. 


Plcot  Emilio.  -  Pierre  Gringore  et  les 
Comédiens  italiens,  Paris,   Morgand 
et  Fatout,  1878. 
Pag.  51. 
PIperno  Pietro.  -  Disperarsi  per  la 
speranza,  overo  La  perfida  Fida,  Na- 
poli, Mollo,  1688. 
Pag.  80. 
Pola  Paolo.  -  Galleria  de*  piit  rino- 
mati attori  italiani,  Venezia,  Picotti, 
1825. 
Voi.  II,  pag.  303,  304. 
I.  S.  -  Il Postumio,  Comedia.  Roussin, 
1601. 
Voi.  II,  pag.  513. 

Quadrio  Francesco  Saverlo.  -Z^^/Az 

Storia  e  della  Ragione  di  ogni  Poesia, 

Milano,  Agnelli,  1739-52.  Sette  voi. 

Pag.  16,  201,  350,  515,  534,  651, 

67i»953>  voi. II, pag.  288, 304, 313, 
600,  631. 

{Raccolta  di  varie  rime  in  lodie  della 
sig,  Orsola  Cecchini  nella  Compagnia 
degli  Accesi  detta  Flaminia.  Milano, 
Gio.  Battista  Alzato,  1608. 
Pag.  639. 
Rapparlnl.  -  Arlichino,  Heidelberga, 
Mailer,  1718. 

Voi.  II,  pag.  470. 
I^asl   Luigi.  -  Clodia,   Memorie   di 
C.  V.  Catullo.  Lecce,  1876. 
Voi.  II,  pag.  330. 

—  Torva  Proelia,  Versi  originali  e  vol- 
garizzamenti catulliani.  Napoli,  De 
Angelis,  1879. 

Voi.  II,  pag.  330. 

—  Eraclio  Florenzano,  galatonese.  Mo- 
nografia. Ravenna,  David,  1879. 

Voi.  II,  pag.  330. 

—  facchus.  Canto  antico.  Bologna, 
Zanichelli,  1880. 

Voi.  II,  pag.  330. 


INDICE  DELLE  OPERE  E  DEGLI  AUTORI  CITATI 


783 


Rasi  Luigi.  -  La  verità  nell'arte  rap^ 
presentatwa.  Discorso  inaugurale  alla 
Cattedra  fiorentina  di  Recitazione. 
Firenze,  Galletti,  1882. 
Voi.  II,  pag.  330. 

—  La  lettura  ad  alta  voce,  Firenze,  Pa- 
ravia, 1883. 

Voi.  II,  pag.  330. 

—  //  libro  dei  monologhi,  Milano,  Hoe- 
pli,  1888. 

Voi.  II,  pag.  330. 

—  ^^gS^<>  ^i  ^^^  traduzione  integra  del 
libro  di  Catullo.  Londra,  Hall,  1889. 

Voi.  II,  pag.  331. 

—  Armanda  ritorna.  Commedia  in  un 
atto.  Milano,  Barbini,  1889. 

Voi.  II,  pag.  331. 

—  L*arte  del  Comico,  Milano,  Paga- 
nini, 1890. 

Voi.  II,  pag.  331. 

—  //  libro  degli  aneddoti,  accidenti  co^ 
mici  e  tragici.  Modena,  Sarasino, 
1891. 

Pag.  682. 

—  Fiuto,  Commedia  di  Aristofane, 
volgarizzata  in  prosa  con  prologo 
in  versi  di  A.  Franchetti.  Modena, 
Sarasino,  1891. 

Voi.  II,  pag.  331. 

—  //  secondo  libro  dei  Monologhi.  Mi- 
lano, Hoepli,  1893. 

Voi.  II,  pag.  331. 

—  La  Recitazione  nelle  scuole  e  nelle  fa-^ 
miglie.  Antologia  poetica.  Firenze, 
Civelli,  1895. 

Voi.  II,  pag.  331. 

—  //  Libro  degli  aneddoti.  Firenze, 
Bemporad,  1898.  Seconda  edizione 
con  aggiunte. 

Voi.  II,  pag.  219,  331. 

—  La  Duse.  Firenze,  Bemporad,  1901. 

Voi.  II,  pag.  331. 
Itegli  Francesco.  -  Dizionario  bio- 
grafico dei  più  celebri  poeti  ed  artisti 


melodrammatici,  tragici  e  comici,  ecc. 
Torino,  Dalmazzo,  1860. 

Pag.  42,  310,  874,  voi.  II,  pag. 
665,  680. 

Ricci  Corrado.  -  /teatri  di  Bologna. 
Bologna,  Monti,  1888. 

Pag.  159,  982,  voi.  II,  pag.  521. 

Rlccobonl  Luigi.  -  Histoire  du  Théa- 
tre  Ltalien  depuis'la  décadence  de  la 
Comédie  latine;  avec  un  Catalogue  des 
Tragédies  et  Comédies  Ltaliennes  im- 
primées  depuis  Van  i$oo,  jusqu'à  Fan 
1660  et  une  dissertation  sur  la  Tra- 
gédie  moderne.  Paris,  Cailleau,  1731. 
Due  volumi  in-8°. 

Pag.  80,  voi.  II,  pag.  203,  353, 
358,  514,  588. 

—  Reflexions  historiques  et  critiques  sur 
les  differents  thédtres  de  l'Europe  avec 
les  pensées  sur  la  declamation,  Paris, 
Jacques  Guerin,  1738. 

Pag.  377,407,408, 727,909,1061. 
Riccoboni  Francesco.  -  L'Art  du 
Thédtre.  Paris,  Simon,  1750. 
Voi.  II,  pag.  355. 

—  L'Arte  del  teatro.  Trad.  in  italiano. 
Venezia,  Bartolommeo  Occhi,  1762. 

Voi.  II,  pag.  356. 
J^Q}\\^à^\,-  Fiati  d' Euterpe.  Venezia, 
Sarzina,  1635. 
Voi.  II,  pag.  314. 
Righetti   Francesco.  -  Teatro  ita-- 
liano.  Torino,   Alliana  e   Paravia, 
1826.  Tre  volumi. 

Pag.  312,  467,  754,  976,  voi.  II, 
p.  42,  78,  167,  310,  358,  577,  653. 
Romagnesl.  -  CEuvres.  Nouvelle  édi- 
tion,  augmentée  de  la  vie  de  Tau- 
teur.  Paris,  Veuve  Duchesne,  1772. 
Due  volumi. 

Voi.  II,  pag.  402. 
Romagnesl  Marc' Antonio.  -  Tra- 
duzione dal  francese  della  Dichia- 
ratione  del  Re  Chris tianissimo  pub- 


784 


INDICE  DELLE  OPERE  E  DEGLI  AUTORI  CITATI 


•    hlicaia  nel  Parlamento  nel  guai  S.  M. 
si  ritrovò  il  giorno  i8  di  gennaio  1634 
richiamando  il  Duca  d*  Orléans  Suo 
fratello.  Venezia,  1634. 
VoL  II,  pag.  394.^ 
Romagnesi  Marc'Antonio.  -  Poesie 
liriche  divise  in  quattro  parti,  Paris, 
Denys  Langlois,  1673. 
Voi.  II,  pag.  395. 
F^omagnoll.  -  Curiosità  letterarie,  Bo- 
logna, 1885. 

Voi.  II,  pag.  312. 
Rossi  Bartolomeo.  -  Fiammella.  Pa- 
storale.   Parigi,    Abeir  Angeliero, 

1584. 
Pag.  307,  voi.  II,  pag.  24. 

fiossi  Ernesto.  -  Quarant'anni  di 
vita  artistica.  Firenze,  Niccolai,  1887. 
Tre  volumi. 

Pag.  625,  734,  778,  875,  looi, 
1046,  voi.  II,  pag.  276,  431,  437. 

Rossi  Vittorio.  -  Prolusione  alle  let- 
tere di  Andrea  Calmo.  Torino,  Loe- 
scher,  1888. 

Pag.  549,  552,  651. 
Ruzante.  -  Tutte  Le  opere  del  famo- 
sissimo Ruzante  di  nuovo  con  somma 
diligenza  rrvedute  e  corrette  Et  ag- 
giuntovi un  sonetto  et  una  Canzone  del- 
l' istesso  Auttore.  Ristampate  Tanno 
del  Signore  1584. 
Pag.  37-350. 

Salvini  Tommaso.  -  Ricordi.  Mi- 
lano, Dumolard,  1895. 

Pag.  216,  341,  498,  625,  778,  vo- 
lume II,  pag.  135,  496. 
Sacco  Gennaro.  -  //  trionfo  del  me- 
rito. Poema.  Venezia,  1686. 
Voi.  II,  pag.  457. 
—  Sempre  vince  la  ragione.  Opera  eroi- 
tragisatiricoraica.  Genova,  Casama- 
ra,  1687. 

Voi.  II,  pag.  457. 


Sacco  Gennaro.  -  La  bina  ecclissata 
dalla  fede  trionfante  di  Dura,  regina 
dell'Ungheria.  Opera  anagrammati- 
comica.  Verona,  Rossi,  1687. 
Voi.  II,  pag.  457. 

—  La  commedia  mascherata  ovvero  / 
Comici  esaminati.  Comedia  dedicata 
alla  Maestà  di  Augusto  secondo. 
Varsavia,  stampa  del  CoHegio  delle 
Scuole  Pie.  1699. 

Voi.  II,  pag.  457. 
Scala  Flaminio.  -  //  Teatro  delle  fa- 
vole rappresentative,  overo  la  Ricrea- 
tione  Comica.  Boscareccia  e  Tragica, 
divisa  in  cinquanta  giornate,  ecc.  Ve- 
nezia, Gio.  Batt.  Pulciani,  161 1. 
Voi.  II,  pag.  194,  512,  513. 
Scarpetta  Edoardo.  -  Memorie.  Na- 
poli, 1899. 

Voi.  II,  pag.  525. 
Scherillo  Michele.  -  La  Commedia 
dell'Arte.  Torino,  Loescher,  1884. 
Pag.  62,  1034. 
Scherli  Leopoldo  Maria.  -  Alcune 
poesie  in  lode  del  Barziza  inserite  in 
una  raccolta  di  componimenti  in  lode 
dello  stesso  Barziza.  Verona,  1745. 
Voi.  II,  pag.  527. 

—  Traduzione  in  versi  sciolti  di  alcuni 
esametri  latini  di  Marco  Antonio  Rosa 
Morando  a  Vincenzo  Barziza.  Ve- 
rona, 1745. 

Voi.  II,  pag.  527. 

—  Osservazioni  sopra  le  stanze  del 
sig.  Giulio  Cesare  Beccelli,  nelle 
quali  sostiene  che  la  Poesia  possa 
più  della  Pittura.  Verona,  Stam- 
peria del  Seminario  (senz'anno). 

Voi.  II,  pag.  527.    • 

—  Brindisi.  Livorno,  1766. 

Voi.  II,  pag.  527. 

—  Alcune  considerazioni  sopra  un  parere 
deldott.  Carlo  Goldoni.  Bologna,  1 767. 

Voi.  II,  pag.  527. 


INDICE  DELLE  OPERE  E  DEGLI   AUTORI   CITATI 


785 


Scherli  Leopoldo  Maria.  -  Sette  notti 
di  Edoardo  Young.  Tradotte  in  versi. 
Stamperia  dei  Santi  Apostoli,  Pa- 
lermo, 1774. 

Voi.  II,  pag.  527. 

Secchi  Nicolò.  -  //  Beffa.  Comedia. 
Parma,  Viotti,  1584. 

Pag.  75. 
So^afl  Antonio.  -  Le  Inconvenienze 
teatrali.  Commedia.  Padova,  Bettini, 
1816. 
Pag.  919. 
Soleirol  H.  A.  -  Molière  et  sa  Troupe. 
Paris,  1858. 
Pag.  51,418. 
Solerti  e  De  Nolhac.  -  //  viaggio 
in    Italia    di   Enrico    III.    Roux, 
1890. 
Voi.  II,  pag.  228,  305. 
Somigli   Domenico.  -  Rime;  pulh- 
hltcate    da    Arpalo   Argrvo,   Accade^ 
Plico   aborigene  della   colonia   Amia-- 
teme.   Firenze,    1782.    Due  volumi 
in-80  piccolo,  con  ritratto  dell'au- 
tore. 

Voi.  II,  pag.  542. 
Spinelli  A.  G.  -  Fogli  sparsi  del  Gol-- 
doni.  Milano,  Dumolard,  1885. 
Pag.  371,  511. 
Stlcottl  Anton  Giovanni.  -  L'art  du 
thédtre.  Berlino,  1760. 
Voi.  II,  pag.  550. 

—  Oeuvres  d'un  paresseux  bel  esprit. 
Berlino,  1760. 

Voi.  II,  pag.  550. 

—  Garrick  ou  les  auteurs  anglois.  Pa- 
ris, 1769. 

Voi.  II,  pag.  550. 

—  Dictionnaire  des  passions,  des  vertus 
et  des  vices.  Paris,  1769. 

Voi.  II,  pag.  550. 

—  Dictionnaire  des  gens  du  monde.  Pa- 
ris, 1770.  Cinque  volumi  in-8°. 

Voi.  II,  pag.  550. 


Stoppato  Lorenzo.  -  La  Commedia 
popolare  in  Italia.  Padova,  Draghi, 
1887. 
Pag.  78,  184. 

Tardlnl  V.  -  La  Drammatica  nel  nuovo 
Teatro  Comunale  di  Modena.  Modena, 
1898. 
Pag.  849,  voi.  II,  pag.  571. 

Tartufarl  Clarice.  -  Italia  Vitaliani. 
Palermo,  Biondo,  1903. 
Voi.  II,  pag.  693. 

Teatro  (11)  moderno  applau- 
dito, ossia  Raccolta  di  Commedie, 
tragedie,  drammi  e  farse  con  ag-- 
giunta  di  notizie  storiche,  critiche, 
e  del  giornale  dei  teatri  di  Vene-- 
zia.  Venezia,  1796.  Sessanta  volumi 
in-i20. 
Pag.  932. 

Tomadonl  Simon.  -  Le  pazzie  del 
Dottore.  Venezia,  Domenico  Lovisa, 
1689. 

Pag.  35. 
Trautmann   Carlo.  -  Italienische 
Schauspieler    am    bay  rise  hen     Ho/e. 
Mùnchen,  1887. 

Pag.  59,  487,  489,  858,  voi.  II, 

pag.  541,  555- 

Valeri  Antonio  {Carletta).  -  Un  pal-^ 
coscenico  del  seicento.  Roma,  1893. 
Pag.  117,  143,  487,  638,  voi.  II, 

pag.  519- 
—  Di  Francese* Antonio  Avelloni,  detto 

il  Poetino.  Roma,  1894. 

Pag.  238. 
Valerinl  Adriano.  -  Le  Bellezze  di 
Verona,  nuovo  ragionamento  d'Adriano 
Valerini  Veronese  ;  nel  quale  con  bre~ 
vita  si  tratta  di  tutte  le  cose  hotabili 
della  città.  Verona,  appresso  Giro- 
lamo Discepoli,  1586. 

Voi.  II,  pag.  618. 


786 


INDICE  DELLE  OPERE  E  DEGLI  ALTORI  CITATI 


Valerini  Adriano.  -  Cento  Madri- 
gali dedicati  al  M.  Illustre  sig.  il 
sig.  Conte  Marco  Verità  con  alcune 
Annotazioni  del  n'g.  Fulvio  Viromani 
da  Camerino  in  alquanti  dei  Madri- 
gali. Verona,  Discepoli,  1592. 
Voi.  II,  pag.  618. 

—  Afrodite.  Nova  Tragedia  di  Adriano 
Valerini  da  Verona.  Verona,  Seba- 
stiano e  Giovanni  dalle  Donne  fra- 
telli, 1578. 

Voi.  II,  pag.  618. 

—  Oratione  in  morte  della  divina  Si- 
gnora Vincenza  Armani  -  comica  ec- 
cellentissima. Verona,  Bastian  dalle 
Donne  et  Giovanni  fratelli,  1570? 

Voi.  II,  pag.  618. 
Ventura  Giovanni.  -  Versi.  Milano, 
Vallardi,  1859. 
Voi.  II,  pag.  628. 
Vitale   Buonafede    Bonaventura 
Ignazio.  -  La  bella  Negromantessa . 
Q)media  breve,  onesta,  piacevole, 


composta  e  data  in  luce  dair. 
per  divertimento  de'  curiosi,  dove 
si  mostra  il  jjericoloso  stato  degli 
amanti  per  tollerare  la  concorrenza 
in  amore.  Bologna,  Longhi,  1735. 

Voi.  n,  pag.  087. 
Vltaliani  Italia.  -  Album  in  suo  onore. 
Roma,  V(jghera,  1900. 

Voi.  II,  pag.  690. 

Wenceslao.  -  Biblioteca  teaJralt.  Ro- 
ma, Puccinelli,  181 5. 
Pag.  485. 

Zangarini  Carlo.  -  Conferenza  su  Gu- 
stavo Modena.  Bologna,  Zanichelli, 
1900. 
Voi.  II,  pag.  136. 
Zannoni  Atanasio.  -  RcucoUa  di  vari 
motti  arguii,  allegorici,  e  satirici  ad 
uso  del  teatro.  (Senza  data  ne  luogo, 
ma  17....). 

Voi.  II,  pag.  64. 


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