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^'33c^ \\%A
HARVARD COLLEGE
LIBRARY
FROM THE BEQUEST OF
MRS. ANNE E. R SEVER
OF BOSTON
Widow qf Col, James Warren Sever
(CUm ot 1817)
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IL
BUONARROTI
SCRITTI
SOPR» LE ARTI E LE LETTERE
DI
BENVENUTO GASP ARONI
CONTIKVATI PEK CUBA
DI ENRICO NARDUGGI
VOLUME DECIMOQUARTO
ROMA
TIPOGRAFIA DELLE SCIENZE MATEMATICHE E nSICHE
Via Lato N* 3.
1880
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MAY 241921
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Serie II. Vol. XIV.
Gennaio 1880
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BUONARROTI
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BENVENUTO 6ASPAR0NI
CONTINDATO PER CORA
DI ENRICO NARDII€€I
PAG.
I. Spiegazione probabile degli emblemi intarsiati in
argento con epigrafe latina in un peso-triente di
bronzo del Castro Pretorio di Roma, illostrato
dal eh. 8ig. iMiqi Ceselli romano , ecc. (Gio-
vanni Eroli) » 3
II. Degli studi in Italia, 08sia considerazioni intorno
all'opuscolo del generale Mexxacapo (Continua-
zione) (Prof. Gabriele Deyla) » 12
III. Del Bello nella nuova Poesìa {Continuaiione)
(Prof. Nicolò Marsucco) » 16
IV. Sensati restauri di un monumento antico e sua
nuova destinazione (Giuseppe Verzili Archi-
tetto Ingegnere) j> 23
V. Passatempi artistici dell'architetto Pietro Bo-
ttelli » 27
VI- Scienza e Virtù. Carme del prof. Antonio Rieppt,
volgarizzato da Giuseppe Bellucci ...» .11
VII. Taedium vitae. Sonetto (L. A. R.) . . . . » 36
ROMA
TIPOGRAFIA DELLE SCIENZE HATEMATICHE E FISICHE
VIA LATA n! 3.
1880
Pubblicato il 9 Ottobre isso
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V
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IL
Serie II. Vol. XIV. Quaderno I. Gennaio 1880
SPIEGAZIONE PROBABILE DEGLI EMBLEMI INTARSIATI IN ARGENTO
CON EPIGRAFE LATINA IN UN PESO-TRIENTE DI BRONZO DEL
CASTRO PRETORIO DI ROMA, ILLUSTRATO DAL CH. SIG. LUIGI
CBSBLU ROMANO NEL BULLETTINO DELL' IMPER. INSTITUTO
GERMANICO DI CORRISPOND. ARCHEOL. N.o X , 1879 , pag. iO e
scgg. (I).
la ciotta illustrazione che il eh. sig. Luigi Ceselli pub-
blicò nel nostro Bullettino intorno a un peso tipo romano
in bronzoj intarsiato ad argento con epigrafe latina, e con
la figura di un cavallo corrente, sotto al cui corpo s*innal-
zano e piegano due rami di alloro congiunti assieme pe*gambi,
e rinvenuto nelle vicinanze del Castro Pretorio di Roma , h
bene importante, ed io nel leggerla ne ricavai molta soddi-
sfazione e diletto. Ciò non ostante rimasi con la curiosità di
sapere a che alludano esso cavallo e i due ramoscelli di alloro,
e per qual ragione furon ivi intarsiati.
In quanto ai cavallo immaginò una spiegazione lo stesso
Ceselli; ma poi non garbandogli punto, ebbela del tutto ri-
fiutata. Leggiamo quel elisegli scrisse su tal proposito.
tf Le parole castrorum Ziugusti ed il cavallo nel mezzo
» della corona nella base superiore del peso mi avevano
» fatto nascere Tidea che avesse potuto appartenere ai castra
» degli equites singulares) ma considerando che T emblema
» fino ad oggi conosciuto degli equites singulares non era
>i il cavallo sfrenato, ma bensì il cavallo fermo, mi sono
» persuaso che questo peso tipo appartiene esclusivamente
>* ai castra in genere ecc. »
Ed ebbe ragione concludere a tal modo il sig. Ceselli ,
mentre nel nostro emblema deesi considerare, non un cavallo
in genere , inattivo , ^solato ; ma un cavallo in gran corsa ,
accompagnato da rami di alloro, ed è questo uno dei tanti
rebus antichi che merita di essere interpretato. Forse il Ce-
(i) Letto il presente discorso li 20 febbr. ISSG in Roma nella sedata
ordinaria de' Soci di detto Instituto.
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selli non volle fare altre congliietture su cotesti simboli, per
non gittare come suol dirsi, opera ed olio; ma spesse fiate,
dopo varie conghietture sopra i dubbi delle cose, vien fuori
bella e chiara la verità. Se non si fossero mai tentate le
interpretazioni di cose diflScili, queste sarian rimaste sempre
fra le tenebre^ e noi avremmo meno cognizioni di quelle che
abbiamo. Tentare non nocete e per questo non sara ardito
a tentare , con probabilità di riuscita , 1* interpretazione di
detti emblemi del peso-triente del Castro Pretorio.
A ottener l'intento reputo necessario dover prima cono-
scere quai vari simbolici significati furon dati ia antico al
cavallo e ali* alloro, ed a quali gentiksclie divimità dedicati
presso i greci e romani. Ciò saputo, son da scerre fra i vari
significati esposti quelli che più conf annosi al nostro soggetto,
e che stiano in maggior armonia tra loro, per cavarne quindi
una nozione, se non certa, almeno assai pr^^babile.
Rispetto al cavallo, sappiamo per alcuni antichi scrittori^
ch*egli era simbolo, secondo i diversi atteggiamenti, orna-
menti, condizione ecc., ora della maestà imperiale, ora, se
corrente^ della velocità, o delle pubbliche corse equestri, ora
ili generosità , di vittoria o rirtà guerriera , ora d' indipen-
denza, ora di lussuria e 4isordinatezza; simbolo pure di apo-
teosi^ dell'ordine equestre e di alcune città.
Come simbolo di velocità era dedicato ad Apollo e Bacco
in qualità ambedue di Sole, o Diana in figura di Luna, e
per questo i loi>o cocchi eran tratti da cavalli correnti. Che
se B»cco aom avesse rappresentato it Sole, ma il Dio conqui-
statore delle Indie, e inventore della coltivazione della vite,
allora il suo coccliìo era per le tigri condotto.
Dice ia favola che Nettuno con la sua cuspide equorea
desse nasceuza al cavallo; e ciò forse a signiGcare, secondo
il mio credere, clie la razza 'de' cavalli venne dagli estranei
introdotta in vari luoghi del mondo per la via del mare, e
prov essente da'luoghi orientali o v'ebbe origine. Per tal cre-
denza non poteva non esser sacro appo i greci e i romani
cotesto animale a esso Dio; anzi venn egli fatto patrono dei
giuochi equestri sotto titolo ài Ippio od Equestre. Immagi-
nossi pure lui trasformato in cavallo , per meglio ingannar
Cerere, del c«i amore erasi forte acceso: la qual cosa alluder
potrebbe, secondo ime, a una introduzione contemporanea per
mare dalloriente in ocddeate, tanto della razza equina, come
del seme d^lle biade, ovvero potrà pure significare , che la
nave^ in cui per la prima volta fu dall'oriente trasportato
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, — 5 —
in Grecia e Bèi Lazio e altrove quel seme, avea in poppa
per ornamento la figura di un cavallo, se non anco il nome:
il qual costume di dar qualsiasi nome alle navi, e arico di
abbellirne la poppa con ornamenti, o figure reali ovvero
emblematiche, si conserva sempre presso gli antichi, come oggi
conservasi anco tra noi.
Non meno cbe a Nettuno era sacro il cavallo a Castore
e Polluce, valente Tuno a cavalcarlo e l'altro a domarlo; e
in varie monete e altri monumenti vcggonsi ameodue costoro
ritratti a cavallo e correnti con stella a capo.
Fu anco sacro a Marte pei grandi servigi che rendei ai
militi in pace « in guerra^ dovendo notarsi cbe questi, per
onorare in Roma siffatto loro Iddio tutelare., celebravano il
27 febbraio e u marzo a corse di cavalli, dette Equi^ie, alle
quali sarà forse Roma debitrice del costume odierno delle
corse carnevalesche nella stessa stagione. Cosi pure nell' ot-
tobre d'ogni anno immolavasi a esso Dio in Campomar^Q tun
cavallo de'più prodi nella corsa delle bighe, e da quel ipese
questo virtuoso , ma per la sua virtù disgradato animale ,
prendea il nome di Ottobre.
Facciamoci mo' discorrendo deli' alloro. Esso significava
talvolta la prudenza, la gloria o virtù militare; tall'altra la
vittoria riportata nelle gare della poesia^ della musica, delle
butlaglie, «delle corse, altri giuochi, ecc.
ii^antica religione de'greci e romani ebbe cptesta piai;ita
dedicata ad Apollo e Diana per le ri^iooi a voi note. Cre-
de vasi fosse sicura dai colpi de'fulmini. £x iiSf scrive Plinio
il vecchio, quae terris gignuntur fulmen lauri fruticem non
idi. Per questo Tiberio, quando cominciava a toccare, per
paura de'fulmini, ciogevasi il capo deUe foglie di quell'ariìore
sacro sempre verde, come sappiamo da Svetooio; ed attribui-
vasi al lauro siffatta virtù, perchè dedicato ad Apollo ^ Pi^na.
E siccome Apollo era pur Dio della poesia, x:osi i |)0£ti co-
ronavansi della sua amata fronda. L'alloro servì pure all'espia-
zioni, ad ornare la porta della casa dello sposo novello, allor-
quando conducev,asi a lui la fidani^ata; ad oruar pure V in-
gresso del palazzo dell'imperatore il primo giorno dell'anno,
e il giorno che menava qualche trionfo. Par questo il detto
Plinio lo appella gratissima domihus /anitrix 'Caesarum^ Ne
usavano anco i bevitori per diminuirle i fumi, che andavano
loro in testa del vino spiritoso : potenza che attiihuivasi
eziandio all'edera, dilettissima a Bacco e aUe Baccanti.
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Dietro queste notizie del cavallo e dell'alloro, noi pos-
siamo probabilmente indovioare il senso simbolico dei dtle
oggetti uniti assieme in tarsia nel peso triente proposto. Ma
nella scelta che ciascuno può fame a me presentasene uno
solo più acconcio al fatto nostro. Che se il cavallo corrente
indica naturalmente una cosa qualunque de'medesimi animali,
il che osserviamo pure nelle medaglie, dove le corse de^gtuocbi
Apollinari sono significate da un sol cavallo in carriera, e
se l'alloro esprime anco una qualsiasi vittoria, noi spiegar
possiamo facilmente l'emblema in genere pel cavallo vincitore
in una pubblica corsa. Ma, siccome questo emblema sta con-
giunto a un peso, che, secondo l'iscrizione annessa, riferi*
scesi al Castro Pretorio, cioè ad un corpo militare^ cosi potrem
dire , che il cavallo corrente e vittorioso significa le corse
che dai militi romani facevansi a onore del loro Marte nei
mesi già nominati, ovvero significa il cavallo Ottobre^ vincente
nella corsa delle bighe che sacrificavasi a esso nume. E questo
emblema avranno i pretoriani costumato nei pesi, o per ri-
cordo di tanta solennità, o perche si conoscesse che il com-
mercio militare , come loro stessi , stava sotto la protezione
di SI potente cellcola; lasciando da parte la ragione sempre
primaria dell'emblema che fu messo in quel peso per distin-
guerlo dai pesi comuni.
Ma qualcun di voi, o dotti CoUeghì, polriami opporre,
che il nostro cavallo, nella corsa vittorioso, potrebbe pure
darci a intendere le corse, di cui era preside Nettuno, e cosi
il peso assegnarsi alla pescheria del Castro Pretorio : come
pure potriasi cavallo e alloro, secondo le notizie date, riferire
ad Apollo, Diana o Bacco, quali comprotettori del Castro Pre-
torio e del loro commercio. Siffatta spiegazione sarebbe molto
singolare e speciosa; ne ad una pescheria conviene un peso
sì nobilmente lavorato; e però nel bujo attengomi alla spie*
gazione più propria del soggetto, e per tanto più ragione-
vole ed ammissibile.
Questa spiegazione sembrami, se non m' inganna Y amor
proprio, che sia accettabile. La qual cosa se paresse pure
a voi , onorandi Colleghi , allora prenderei fiducia a farne
altra simile sopra un secondo peso-triente-monetato della
collezione àtìVaes grave del museo Kircheriano romano, illu-
strata e pubblicata, qualmente ^vvi noto, dai pp. Marcili e
Tessieri. Cotesti autori riportano il sunnominato peso nella
tav. Vili, con ìspiegazione su esso a pag. 39 e segg. della
loro opera, e lo attribuiscono ai Rutuli del Lazio. Avvi rap-
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f)resentato da una parie un cavallo corrente verso la nostra
sinistra con due ponti o palline sopra, e due sotto; dall'altro
una ruota a sei razzi con le quattro palline ripetute. La
spiegazione data a questi emblemi dai due reverendi padri
non è in critica approvabile per nulla. Voglion essi che la
piccola ruota (lat. tutula) significhi i Butulij popolo del Lazio,
a cui si attribuisce l'invenzione o l'introduzione in Italia dei
carri a ruote. In quanto poi al cavallo, egli h per loro il
simbolo della partenza dei medesimi Hutuli dall'antica sede,
avvenuta in una di quelle solenni primavere che allora co-
stumavansì , in cui davasi bando con la sorte a una parte
della moltitudine, perchè procacciasse alla ventura altro ter-
reno estraneo e lontano da abitare, non più bastando a tutti
l'antico. £ siccome questa parte sortita per l'esilio portava
«eco nella partenza tutte le necessarie suppellettili , perciò
non lasciava di farsi accompagnare dai cani, dalle bestie da
soma e dai cavalli: per tal cagione uno di questi venne posto
a simbolo in detto peso della partenza àtRutuli dalla loro
antica patria.
Non richiedesi lungo discorso per gittare a terra questa
veramente mal pensata e stranissima sentenza.
Primieramente non tutti gli archeologi convengono che
ìt detto peso-trien te-monetato, e suoi confratelli, apparten-
gano al Lazio: anzi il maggior numero, e i più critici, so-
stengono che sian propri della Campania e sue vicinanze.
Fra i medesimi cito, per brevità, il solo Avellino, autorevo-
lissimo in siffatta materia. Costui^ in due articoli, inseriti nel
foglio settimanale delle scienze lettere ed arti pubblicato a
Napoli^ lodasi molto dell'opera citata dei due dotti padri; ma
in qualche punto opponesi loro, esprimendosi in questa guisa:
« L'opinione più comune attribuisce queste più recenti
» monete alle zecche della Campania e delle vicinanze. Ma
» agli autori (pp. Marchi e Tessieri) par che per tutte le cause
» preferir si deggia l'antico Lazio. E pure, nel render lode
» alle loro acute e dotte investigazioni, confessiamo non esser
i» di ciò rimasi pienamente convinti; né vediamo che gli autori
>i abbiano detta una sola parola per rispondere a varie diffi-
» colta che possono farsi con tra il loro sistema...» »
Essendosi adunque posto in questione il luogo, a cui ap-
partener possa il nominato peso, come volete, o Signori, che
regga la spiegazione degli emblemi innanzi dagli onorandi
padri? Ma concesso pure per un momento , che il proposto
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peso debba assegnarsi al Lasio » aoche m questo caso la
interpretazione non sostiensi in piedi.
i? Perchè ninn docutoento storico abbiam pronto a pro-
vare che i Ruiuìi inventarono o introdoss^éro Irà noi il carro
a ruote. E poi , se ia paroh rutula diede orìgine al nome
Rutuli^ allora i Rutuli furono inventori di nna piccola ^ e
non di Una girande ruota e non del carro intero. E che me-
rito allora Sarebbe, per liver nome dalKinvenzione ridurre nna
grande mota già esistente in fàinor proporìsione ? Ma non
conviene assolutamente dir rututa^ ossia piccola ruota, quelln
impressa nel nostro triente, giacche di grandezza necessaria^
mente ridotta , non potendosi in campo si picóolo farla di
maggior diametro: Si osservino altre monete piji grandi e la
ruota crteSce in proporzione del campo; per cui la ruota dei
nostro triente , non essendo propriametite rotelta , non può
tórsi ad origine del nome Hutulus.
i? Perchè la ruota non è assolato iètaìAem^deìVaes ghàpe
del supposto Lazio; ma lo è pure di quello di alcune città
etrusche e della magna Grecia.
3? Perchè r a<^cidenlale esterna somiglianza di due nomi
di origine ignòta non ék diritto a dedurne lo stesso senso :
tanto più che in un tempo possono aver significato una cosa^
e in altro tempo altra.
4? Perche mi sa motto strano che i Rutidi , supposti
inventori tra noi del carro, prendessero nome da «una sola
parte di questo e non dal tutto.
5? Perchè non è noto il tempo che venbe fuso Vaes grai^c,
se prima o dòpo che i Rutuli vennero nel Lazio.
6? Perchè nella spiegazione dèi due simboli la ruota non
ista in stretta relazione col cavallo; ed io ritengo per mas-
sima fondametitale di dii interpreta i vari simboli, che fre-
giano uno stesso oggetto, di farli rilevare in piena armonia
tra loro, non potendo essere altrimenti.
in quanto poi al cavallo , niuno potrà rimaner persuaso
e convinto che cota li bestie, nel partir da casa in compagnia
di tante masserizie, di tanta gente ^ che quasi tutta andava
a piedi e alla ventura, incontrando certo mille ostacoli per
gire innanzi di seguito, fossero senza freno ^ senza bagagli
o cavalciaote , e fossero padróni di prendere il portante , o
di alzare il galoppò, e còsi sparite alk vista de'propri signori,
per capitar pòi chi sa dove. Mi scusino coloro che sieguono
i padri Maréhi e Tessieri, se io non posso per nulla accet-
tare la loro spiegazione. Un cavallo che fugge nudo e tutto
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solo non può mai alludere al suo accompagnamento con gente
che cammina a grand^agio e lento passo, perchè porta seco
bagagli, donne e figli teneteli i.
Dunque che mai significheranno la ruota a aei razzi e
il cavallo corrente? Per me significano la corsa delle bighe
o quadrighe, essendo la ruota simbolo del carro, e il cavallo
corrente della corsa: e carro e cavallo stanno in piena rela-
zione. Che se al carro , come sapete , erano aggiogati due
cavalli, allora nomavasi biga; se quattro, quadriga. Questa
mia nuova opinione vien sostenuta, non solo per la dichia-
razione gik fatta sopra Temblema mezzo conforme del peso-*
triente illustrato dal Ceselli; ma pure dalle monete triumvi-
rali di argento, dette bigati e quadrigati, ove mirasi la corsa
delle bighe e quadrighe più artificiosamente e interamente
espressa, perchè a tempo de* triumviri monetali, Tarte del
disegno, delPincisione, del conio e del batter la moneta erasi
vie più raflSnata. Ed io già notai eh' esse corse usavansi a
onore di Marte, singoiar patrono di Roma, e anco ad onore di
altro Dio. Ma, siccome a quelle annettevasi molta importanza
e celebravansi con gran pompa e concorso di popolo, perciò,
e anche per rispetto alla divinità, fecesene memoria solenne
e gloriosa nelle nominate monete, che, a mio credere^ ven-
nero coniate in tale occasione.
Se mi fosse, o Signori, concesso tempo, vorrei esporvi più
a lungo il mio nuovo modo di vedere intorno agli emblemi
dellW^ grave^ contrario quasi in lutto a quello de'nominati
padri^ i quali, lodevoli in altre parti, in questa non sono da
commendare per la poca critica che adoprarono nella illu-
strazione del loro soggetto. Ma non abuserò della vostra cor-
tese sofferenza, se limiterommi a brevemente esporvi un altro
solo emblema dei menzionati pesi monetati , ed è appunto
quello del quadrante romano, che nell'opera citata, con alcuni
conformi esemplari (salvo piccola varietà) vien disegnato coi
n.' 3-7-8-9 nella tav* XII della prima classe , ed illustrato
a suo luogo nel testo.
Sul diritto del medesimo vedeste ritratto un uomo a tutto
il collo e poco delle spalle, le quali sono coperte dell'irsuta
pelle del cingliale, la cui testa lo incappella, e i cui estremi
lembi fannogli nodo innanzi alla gola. Il suo rovescio vi pre-
sentò la spiga a cima (ma questa manca in qualche esem*
piare), sotto a lei li tre punti o palle, quindi il toro infu-
riato , che corre a coda ritta e con le coma in resta per
menarle ; sotto la costui pancia il serpe a testa levata e
2
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— li —
sli*i$ciaoiesi a &pÌDa per terra, là quale yien rappreseu UU
da una retta che forma Tesergo, entro cut leggesi il coosnetò
motto ROMA. Come spiegano essi padri questi emblemi? Per
loro la spiga h Cerere» il toro Giove suo amante sotto questa
forma, e il serpe allude a Proaerpioa figlia di amendue, Esa*
miniamo critkamente questa opiiùone.
Già. sappiamo che qualche esemplare del quadrante uon
porta spiga , ma il solo toro é serpe. Questo unico fatto è
sufficiente a couivinoere» che il toro nel okoatro caao aon debbe
considerarsi come amante in relaaioue eoa Cerere. E poi ut»
toro infiuriatOi mai si addice al regno di Amore. Se uno, preso
da* begli occbi, o dalle belle maniere, o dal molto spirito»
0 dftJle gbiolte riccbeue di una lagazsa, si proponesse dm*
veaciurla e trarla al suo amore, si presenderebbe certo a lei
eoa dolci e cortesi modi, con Tallegretxa negli occhi, il sor--
riso sulle labbra ; non già con brusca cera , con occbiacci
spaventali , gittanti fuoco , è con le furie addosso : cxHesto
sarebbe il modo, non di adescare una timida doazdla , ma
di farle prendeire per paura le confulaionii epilettiche. Ve*
desi chiaro che i pp» Marchi e Tessieri, come religiosi, non
avevan letto il libro di Ovidio de arte amandi. Ma Giove,
che in fatto di amore era un biricfaioo addottorato con laurea
cornuta, ed avea saputo infinocchiare molte donne mortali
e isuBortali ; ben cotioscea Y arte di amare , e ben sapeala
mettere in pratica, perchè sariasi guardato, quantunque con-
verso in bestia, di presentarsi a Cerere inforiato in atto di
scornare, persuaso che in quel modo avrebbe fatto un buco
nell'acqua. In quanto al sèrpe niun mitologo lo assegna per
simbolo a Proserpina, la quale si tiene per la stessa feoon*
dita della terra: credo che la costei fecondità em da signi-
ficarsi in gUiisa più gentile, nobile e doviziosa che non col
serpe. Ma poÀ com' entra nella nostra scena Proserpina , la
quale^ quando Giove presentossi toro a Cerere, aon era ancor
nata? È vero che gli anacronismii nelle belle arti sono fre«
quenti; ma si deono comportare in cose noie e paleisi, non
mica nella spiegazione di cose ignote e simboliche. Sotto qua-
lunque aspetto consideriate l'esposta opinione dei due padri,
non regge al martello delia critica. Ora vi manifesterò la mia.
Volgete vostro pensiero alla cara e dolcissima stagione
della Primavera. Voi sapete che in questa tempo, e ai Sf di
aprile , entra il sole nei segno del zodiaco il toro. Voi sa-
pete che la natura in questo tempo adopra e spiega intere
le sue forze per remler feconda, animata^ ridente, piacevole
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e Lellissima tutta la terra. Uà gentil zeffiro, spirante soa-
vissimi odori^ ¥Ì carezza le gote, vi solletica le nari; il caoto
degl'innamorati augelli vi tocca il cuore; i prati e gli alberi,
vestiti di fiorii cou le acque fresche e diiare de'serpeggianti
ruscelli v'incantano. Le viti s'ingemmano per darvi il grato
licor di Bacco, i campì, a cibarvi, verdeggian di erbe e di
biade, i cui steli, già gravati dalle spighe^ muovonsi dolce^
mente qua e là al placido spirar del vento. Ecco le gentili
e leggiere farfallette, che, compiuta la duplice metamorfosi,
spiegano all'aere sereno le variopinte loro ali. Ecco il serpe
con gli altri rettili, che, mutato scoglio, sprigionaosi dalle
tenebre sotterranee, per venire a godersi novamente la soave
luce del sole. Ecco... ma tronclnamo questa poetica, ma reale
e necessaria descrizione; e ditemi, se dal poco, che 1k> di-
pinto, non vi paia raffigurare nel proposto quadrante i sim-
boli della Primavera... E come no? Mirate la spiga del grano
che fiorisce nel suo tempo e che ci parla della sua fecon-
dità : mirate il toro quale segno del zodiaco , che ci da il
tempo della detta stagione. Fu ritratto infuriato e con le
corna in resta, appunto perchè in questo caso, apiegando esso
tutta la sua gagliardia, meglio esprime la gran forza vege-
tativa della medesima: mirate per ultimo il serpe, che Ma-
crobio qualifica per simbolo del sole, il quale striscia sotto
il toro per indicare che esso non mai fermo, entrò da molti
gionai io quel segno zodiacale; ed al serpe ben conviensi il
simbolo del sole, perchè esso pel tiepido e vigoroso raggio
di costui , riacquista le sue forze vitali sapute , ritornando
dopo lungo letargo, alPaperto eoo nuova veste e nuova ga-
gliardìa. Né avvi per me dubbio che ootesti. emblemi riferì*
scansi al tempo della Priifciavera, mentre ì medesimi trovansi
nelle rappresentanze del culto misterioso , che attrìbuivansi
al sole, con lo stesso significato.
Ricordatevi clie questa stagione , personificata in Roma
dalla Dea Flora, era per gli antichi ena delle feste più so-
lenni, che celebravasi da tutti fra suoni, canti, balli, giuochi,
banchetti, e altri divertimenti e strepitose allegrie. Forse i
romani ebbero sotto questi emblemi l'ìotenzione di dedicare
a cotale divinità i loro pesi-quadrienti-HBionetaii, oppure avran
voluto far conoscere il tempo in cui vennero fusi o coniati,
come supposi che facessero dei due pest-trienti dianzi nomi-
nati. Che se volessi ragionarvi anco della testa del quadrante,
messa con pelle di cinghiale, potre'dirvi ch^essa fa bellissimo
riscontro con gli emblemi della Primavera , perch^ alcuni
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— 12 —
interpreti veggono in queir animale significato 1* inverno» la
quale stagione naturalmente legasi all' altra 9 e con le sue
nevi e con i suoi geli le prepara la potenza vegetativa.
E qui cessando mìo discorso » lascio alla vostra molta
perspicacia il giudizio del mio nuovo sistema ; e sa re* con-
tento vi paresse, se non certo, almeno più ragionevole deiraltro,
mentre la certezza in simili casi difficilmente potrem trovare.
Giovanni Eroli .
II.
DEfrLI STUDI IN ITALIA
OSSIA CONSIDERAZIONI INTORNO ALL* OPUSCOLO
DEL GENERALE MfiZZACAPO
Continuazione (i)
Recherò ancora un esempio per dimostrare in qual conto
si possano ancora oggidì tenere i concorsi per esame.
Nel iS75 9 in una città che fu già capitale della Magna
Grecia, e prima emula, poscia erede dell'antica Sibari, reg-
geva qual professore incaricato la cattedra di lingua italiana
e di fisica nella scuola nautica governativa un anziano inse«
gnante, che possedeva tutte e quattro le qualità di titoli di
cui si è fatto cenno ^ cioè diploma d'abilitazione allo inse*
gnamento a cui era stato chiamato, opere stampate che el>»
bero riscosso 1' approvazione degli intelligenti , attestazioni
degli studi fatti in una Regia università^ dichiarazioni inop'
pugnabili di essersi segnalato nello insegnamento pubblico
e privato: ebbene, per un l'aggiro di parte cui la mente e
la penna rifuggono dal descrìvere , senza dargliene avviso
e contro la pratica sancita dall^uso, si pose a concorso la sua
cattedra. Avevano preso parte a questa trama fra gli altri
un prete ed un barone, un barone noto borbonico sanfedista,
il quale poco tempo prima per abuso di potere era stato
destituito da Sindaco dall' ex ministro Lanza. Un prete che
dopo essere stato dimesso dalle scuole governative della città
che diede i natali ad Asinio Pollione, per una di quelle com-
binazioni le quali non si sa sie più dal caso che dall' arte
dipendano, fu non solo richiamato in servizio, ma promosso
(1) Vedi Qaadamo di Nofembfe 1879^ page 304.
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— 13 —
id ispettore delle scuole elementari del circondario di quella
menzionata vetusta greca metropoli. Questi, benché appena
da una settimana fosse entrato in possesso del suo nuoyo
impiego allora affidatogli e nulla avesse che fare^ anzi ve*
nisse per legge escluso da ogni ingerenza nelle scuole secon--
darie, tuttavìa si prestò a principale strumento dell'autocrata
barone in quel nefando intrigo a danno di un provetto inse*
gnante e povero padre di famiglia piemontese. Ma questa volta
la vipera morsicò il ciarlatano, perciocché ad insaputa degli
orditori della trama essendo stato raccomandato nel concorso
per esame un individuo, che ad istanza dello stesso medioevale
barone era stato poc'anzi licenziato dalle scuole di quella citta
sotto l'imputazione di essere destituito non solo di diploma
ma d*ogni altro titolo d'idoneità allmsegoamento, questi ne
fu dal ministero prescelto con istupore di tutto il paese e
grande sdegno e scorno degli ammutinati. Ecco a che con-
duce il concorso per esame in questi tempii ed ecco le con-
seguenze di un falso principio.
Circa l'elezione dei professori titolari delle altre scuole
secondarie , basterà avvertire , che se si eccettuino alcune
cattedre liceali , la Gazzetta ufficiale non pubblicò più da
tempo immemorabile alcun concorso nk per le scuole gin-
nasiali, né per le tecniche, ne per le normali e magistrali.
Egli è quindi evidente che si provvide alla vacanza dei posti
secondo l'arbitrio di chi tiene in mano la direzione del per-
sonale insegnante e secondo le sollecitazioni di parte. £ gli
abusi andarono tant oltre, che in isfregio alla legge di con-
corso, ed alla legge del cumulo degli impieghi del js luglio issi,
ed all'art. S7S della legge scolastica i3 novembre 1879 vigente,
che dichiara inconciliabili la qualità di preside con quella
di professore titolare o reggente , e contro il divieto degli
articoli 25, 16S della legge comunale e provinciale che esclude
dalla amministrazione coloro a cui incombe l'obbligo di vi-
gilarne l'andamento, vi sono persone non poche che occupano
quattro ed anche cinque uffici incompatibili tra di loro. In
una città della parte insulare d'Italia ad esempio, evvi un
avvocato che oltre a due incarichi nella regia università ,
fruisce ancora di variì altri stipendi nella qualità di profes**
sore della scuola nautica e normale, e fa parte nello stesso
tempo di una amministrazione contro della quale egli per
debito d ufficio di preside e di direttore ha l'obbligo di pro-
muovere all'uopo quei provvedimenti a cui essa si rifiutasse.
Di simili esempi presso a poco ne abbiamo nella stessa car-
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14 —
pitale del Regno. Di guisa che si può oramai affermare cbe
non si cercano più gli uonini per grimpieglii, ma ai creano
gli impieghi per gii uomini.
Ora io non aò con qnal diritto possa ancora il gorerno
ckiamare ali' 06servanxa della legge per ciò che concerne il
cumulo degli incarichi (art. a4s) e l' idoneità del personale
insegnante gli istituii privali» quaado egli k il primo a cal-
pestarla apertamente.
A q«el professore che si lagna presso il Ministero di essere
pos{)06to, negletto o bìsti'attato, gli si risponde d'ordinario,
che osta alla sua domanda, ora la necessità politica, ora la
promozione di un reggente a titolare, ora il ridiiamo in ser-
vizio in un professore posto in aspettativa forse dal mese o
dal giorno innanzi, ora un articolo del regolamento che ab-
bandona alle ammìnistcaziooi locali la proposta dei professori.
Ma queste ragioni anziché scusare valgono a maggiormente
accusare e condannare il potere esecutivoi e basta a convin-
cerne un accurato esame delle medesime. Farò capo sulla
allegata necessità polìtica.
È pur troppo vero che per una malintesa ragione politica
non solo ogni qualvolta avvenne Tanoesaone di una nuova
provincia al Regno italico, Ma ancora dopo, si distribuirono
alla cieca cattedre, presidenze, direóoni, ispettorati, pruvive-
ditorati a qualunque dei nuovi sudditi che sfaccbtamente si
fosse (atto imianzi, senza : badare a titoli, a capacità od alla
moralità dei postulanti, sotto il pretesto di acquistarsi la be*
nevolenza del nuovo popolo. Ma questo In T errore politico
pia grave che si abbia potuto commettere, e fu un ben cat*
tivo servigio che i commissari regir ed i miiiistri i quali a
questi successero nel governo della cosa pubblica , hanno
reso alla patria, ed una brutta pagina di storia che hanno
scritto negli annali dello Stato.
£ per fermo, anziché ad accattivare l'animo dei popoli,
contribuì questo sistema più d'ogni altra causa ad attirargli
il dispreizo. Perciocché ì tristi ed i dappoco , imbaldanziti
dal vedere salire a certi impieghi persone a loro eguali ed
anche infetìori, si affollarono alle porte del ministero a chie-
dere arditamente insegnamenti, direzioni, e non potendo i mi-
nistri soddisfarli tutti, gli altri divennero nemici del governo
e corsero ad ingrossare le falangi del partito che lavorava
indefessamente all'interno ed all'estero segretamente ed ina-
perto per ricuperare il perduto dominio. I buoni poi rifog*
gendo dai mezzi indecorosi ed Illeciti, ed essendo d'altra parte
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— I« —
tenuti lootabi dalle arti dèi codardi, scoraggiati, nauseati si
posero in disparte e privarono cosi il governo e le scuole
del fratto del loro studio, del loro sapere.
Di qui ebbe origine il maggior discredito che ricadde sopra
il gofemo e le sue scvole, e che d«rara finché non sorga
un pratico, saggio ed energico nioistro, il quale ad imita-
zione di quanto fece il generale La Marmota, dì buona ne-
morìa^ cogli ufficiali ed eserciti annesa , prenda a purgare
il corpo insegnante e specialmente il direttivo dall*elemento
guasto ed indegno. Ben ahra e pia sa^ia fu la condotta degli
antichi Romani verso le provincie annesse, e quindi ben di-
versi furono i frutti che ne raccolsero. Essi trassero di Grecia
e ricevettero in Roma ospitali non le appariscenze, non i sac-
centi imbellettati di falso senno^ ma gli uomini pratici, i veri
maestri dell'arte e della scienza. Ed è per questa ragione che
la vinta Grecia vinse la vittoriosa Roma con 1* indomabile
potenza dell'ingegno e degli studi, e che la lingua e la lette-
ratura latina sorse tutta informata ed ingentilita dalla greca,
e che colla letteratura e colla lingua crebbe quello incivili-
mento che per il favore delle armi Roma potè propagare per
tutto il mondo. Laddove in Italia oggidì , per quella male
intesa ragione di stato sopramenzionata crebbe il disordine
e la confusione col crescersi e moltiplicarsi di nuove e non
necessarie scuole , di nuovi ed inopportuni regolamenti coi
quali ogni ministro di pubblica istruzione si crede di porre
un argine al crescente male , mentre non lascia ai posteri
che un vero monumento della propria inesperienza, e contri*
buisce non poco a rinnovare in Roma quel deplorevole stato
di cose che il Settembrini ben descrive sotto il nome di Ba-
bilonia napolitana in questi termini:
« I ministri, uomini nuovi nella difficile arte del gover-
ni nare^ erano deboli ed inetti. Non avevano il coraggio, ne
» la forza di fare il bene. Mentre da una parte gridavano
» che le finanze erano povere, dall'altra creavano nuovi uffici
)) che distribuivano ciecamente... . Questa debolezza dei mi-
» nistri faceva baldanzire il popolo; ognuno credeva di po-
» tere salire a quello impiego dove vedeva salito un mal-
D vagio, uno stolto od un petulante, onde i tristi pretende-
>» vano,! buouì si lamentavano e scoraggiati si tenevano in
» disparte, I ministri ( ed i deputati ) perdevano il tempo
» a discutere materie d'importanza secondaria e trascuravano
» le più essenziali , ignoravano ciò che fosse urgente per
» soddisfare alle legittime esigenze, non comprendevano la
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— 16 —
» gravita della siluazione , e chiodevano stupidamente gli
» occhi in fronte alia marea che montava ogni giomp e che
» doveva Bnìre, come finì, col fare naufragare la liberta. »
Quello che più sconforta ancora e che non lascia spe-
ranza di alcun miglioramento si h vedere la Burocrazia > la
quale anziché attingere colla antica Sapienza che ci lasciò
scritto: Bimprwera il Saggio ed amerà te; si adopera con
tutte le arti ad osteggiare coloro che hanno il coraggio
civile di svelarle le piaghe , quasi che ciò bastasse per co-
prirle ed impedirne i malefici effetti? Folle consiglioi rimedio
peggiore del male! >
{Continua) Prof. GAsaiELE Deylì
III.
DEL BELLO NELLA NUOVA POESIA
{CantinuoMUmt) (I).
XI.
Il poco che ho detto circa il poema romanzesco, mi apri*
rebbe la via ad un qualche cenno sul romanzo in prosa, se
il tema del mio ragionamento non mi circoscrìvesse alle sole
materie della poesia ; solo mi limiterò ad avvertire , essere
innegabile che il romanzo in prosa , possa , ove non si di*
parta dal vero suo scopo, rendere servigi non pochi alla na-
zionale letteratura. E dal vero loro scopo non si dipartireb-
bero i romanzi in prosa, quando fossero informati all'ottimo
nostro idioma , e ad una sana morale accoppiata al diletto ,
qualità che, in molti di essi, sgraziatamente non sono.
Che questo genere di componimento trovi oggidì maggior
numero di lettori, comparativamente al primo, non sarà certo
chi il neghi, comechè a dir vero, cosi non fosse molti secoli
addietro, testimoni gli annali della patria nostra letteratura.
E come mai, a mo' d'esempio, un Pulci, un Bojardo, un Lo-
dovico Ariosto, avrebbero avuto il coraggio di dettare que*loro
lunghi poemi, se fossero stati certi di non vedersi onorati da
buon numero di lettori , come probabilmente noi sarebbero
oggidì que'poeti che si proponessero regalare al pubblico poemi
(i) Vedi Quaderno di Dicembre 1879» pag. 426.
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17 —
Vi maccbiiia a quelli somiglianti? Or donde mai la ragione
di una tal differenza? La risposta si argomenterà di leggieri
ove si ponga mente alla coltura assai maggiore ond*era ono-
rata^ a que'tempi, Tarte poetica rispetto all'età nostra, della
quale fattura, chi mi addomandasse la cagione» risponderei,
doversi questa, in molta parte, ripetere dall'ostilità dei suc-
cessi vi governi ai patrii studi, e in moltissima, dall'indole
le'naovi tempi devoti singolarmente a quelle discipline, che
positive si appellano. Arroge 1* inondazione de' romanzi stra-
'lieri che seducono e corrompono, in ispezial modo, in questo
secolo, le menti degli Italiani, con iscapito non poco della
buona lingua, e che h peggio, dei buoni costumi.
Io non vo' già dire con questo , essere oggidì preferibile
la lettura del poema romanzesco a quella del romanzo in
prosa, no certo; massime, se i romanzi in prosa rispondes-
sero allo scopo sopradetto; ma dico, che nelle condizioni pre-
senti della nazionale nostra letteratura, molto sarebbe a de-
siderarsi dalla classe almeno più colta del popolo, un amore
più intenso al poema romanzesco, come quello che tanta parte
costituisce dell'odierna poesia.
Ho detto che a mantenere sì trista usanza, molto contri-
buisce il culto assai minore, che viene oggidì consecrato all'arte
poetica, rispetto alle età passate; locchè posto, non parmi
fuor di proposito il porre qui sotto un qualche cenno sopra
alcuni pregiudizi tuttora vigenti, circa l'utilità di quest'arte.
Noii h qui mio intendimento di estendermi sopra un sog-
getto già le tante volte dibattuto, quale si è quello di co-
testa utilità. Ninno, dopo quanto già ne scrissero valenti uo-
mini , vorrà certo contrastarle un tal vanto. Che se molti
ancora si ostinano nella contraria sentenza, chiara ne appa-
rirà la cagione, quando si rifletta, come, bene spesso, la non
curanza o il dispregio verso certe arti o scienze, dalla igno-
ranza di quelle dipenda. Parigi, diceva il Voltaire, è pieno
di persone che dispregiano la poesia, perchè appunto non la
conoscono. Ma ben altrimenti ne sentono tutti quelli, che nati
ad essa, attesero a coltivarla con profitto e a deliziarsi ne'suoi
arcani diletti. I quali, siccome emanazioni del vero e del bello,
sono di tanta efficacia che non reca stupore se gli animi più
da essa compresi, sfidino, spesso, per amore di quella, enormi
sacrifizi a scapito de' propri interessi e talora della salute
stessa. Le storie letterarie sono piene di esempi di questa verità.
Che se il numero di coloro che dispregiano la poesia h forse
maggiore in questo, che nei passati secoli, ciò deve ascriversi
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al carattere di esso secolo, a cui, generalmente, si da il nome
di positivo.
E veramente, non può negarsi, come la coltura delle scienze
razionali e delle meccaniche sia in maggior voga oggidì che
nei passati secoli, le quali scienze sono, presso l'universale, te-
nute più vantaggiose delle arti che lian nome di belle; come,
per altra parte, non può negarsi, che, in virtù delle condizioni
economiche della società presente , non si riguardi dai più ,
che air utile immediato e diretto che può ritraici negli usi
della vita, da certe discipline alle quali e straniera la poesia.
Ma checche sìa di ciò, se vi hanno molti, che, per le anzi-
dette ragioni, dispregiano la poesia, io non saprei loro dare
il torto, essendo verissimo, come osservava anche il Parini:
« Che la poesia non è necessaria come il pane, ne utile come
rasino o il bue; ma non per questo dovrà dirsi un'arte inu-
tile, e che, bène e saviamente usata, (tocche oggidì sgraziata-
mente non h) non sia fonte di immensi vantaggi (i). »
Certo avrebbe aria di paradosso appo molti, oggidì spe-
zialmente, l'asserzione, essere quest'arte più utile della filosofia
medesima; ma ne parrà altrimenti a chi lo scopo dell'una e
dell'altra di queste discipline consideri. E in vero, che fine
principale della filosofia sia il convincere con gli argomenti
della dialettica, e con questo morale convincimento di sfor-
zarci alla virtù ed a fuggire il vizio; quello della poesia, di
muovere gli affetti, inspirando il cuore con que' sentimenti ,
di cui l'arte h capace, all'amore della virtù e all'abborrimento
del vizio, è sentenza che nessun uomo di senno oserà disco-
noscere. Or se ciò h vero, non so chi potria con ragione tac-
ciare di assurdo il principio da noi posto, chiaro essendo come
a quelle inspirazioni della poesia, meglio la natura umana ob-
bedisca, che a quelle della severa ragione. Di più, chi non sa,
come la più parte non dubiti persino posporla alle prave incli-
nazioni dell'una, comecliè convinta delle verità dell'altra. Il
cuore umano h cosi fatto, e noi abbiamo esempi che confer-
mano ogni giorno la nota sentenza della Medea di Ovidio ,
COSI bene espressa in quel verso dal cantore di Laura:
Veggio il meglio, V approvo; e il peggio seguo.
Del resto, se noi veggiamo molti tra i cultori di quest'arte,
hingi dal contribuir con essa, ad ammaestrare e a recar gio-
vamento alla patria, avere invece contribuito a corrompere
i più sani principi (e di cotesti cultori anche a' dì nostri
(i) Principi di beUe lellere.
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— 19 —
non h inopia) non potremo accagionarne la poesia; ma coloro
piuttosto che deviarono dal vero istituto di essa. Cosi stato
non fosse ! , ed il nome di poeta risuonerebbe più che mai
riverito e onorato nelle bocche del volgo , anziché divenire
talvolta oggetto di risa.
Ma io mancherei alla mia promessa^ e incorrerei nella nota
di pedante, se mi distendessi più oltre sopra questa materia
già svolta sì acconciamente da eruditi e valenti scrittori, tra
i quali piacemi ricordare il Parini (i); il gentilissimo poeta
ed elegante prosatore Ippolito Pindemonte (2), e quel lume
deiritaiiana storia, Lodovico Antonio Muratori (3). Il perchè
ritenendo come indubitate le costoro sentenze, nell'anzidetta
questione , trarrò ai^omento piuttosto dall' incuranza in cui
viene nel nostro secolo tenuta quest'arte, del bisogno di rial-
zarla dal suo letargo, accennandone, a parer mio, i mezzi da ciò.
XII.
Fu chi disse, (ed è cosa verissima) che la poesia dorme
fra noi, la notte di Michelangelo (4). Or se così è, come spe-
rare che da questo sonno possa risvegliarsi Ella mai, finché
non riviva tra noi la letteratura, fiore dell'intelletto, del quale
appunto la poesia stessa h il profumo? Locchè premesso, pare
a me, che con più acconci ed efficaci discipline dovrebbe prov*-
vedersi alla coltura de'patrii studi, brevemente, pare a me, che
una più seria attenzione del governo richiamar dovrebbero
le condizioni della pubblica istruzione.
Mon h qui mio pensiero di proporre riforme su questa
parte così importante delle nazionali discipline , sì perclié
non mi sento da tanto , sì perché noi mi consentirebbero
i limiti di questo breve mio ragionamento; solo mi ristrìngerò
a qualche osservazione sopra alcuni tra i principali difetti,
per cui la Pubblica Istruzione si presenta, tuttora, in uno
stato assai deplorevole.
Uno di questi difetti, e credo il primo, consiste nella
scelta dei direttori e degl'insegnanti. É noto l'adagio, che
l'allievo sotto la disciplina dell'insegnante, è come cera in
mano all'artefice, e però delle qualità di lui ritener l'opera che
dalla stessa materia s'impronta. Di li viene, che alla buona
(i) Princìpii di belle lettere.
(a) Prose campestri.
(3) Perfetta poesia.
14) Giuseppe Maziini. Prefatione allo Chatterton di Alfredo de-Vigny.
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— to —
scelta deirartefice dovrà por meDte^ chi la bontà dell'opera
che affida all'artefice tiea cara ed ha ia pregio. Ma egli pare
che cotesto requisito così importante all' insegnamento^ dico
Tottima scelta, non stia troppo a cuore al governo della Pub*
blica Istruzione, a giudicarne dai fatti. Conciossiachè sia oggidì
cosa nota a chiunque, come un buon corredo di sapere e di
cognizioni non basti ad un aspirante a conseguire una cat-
tedra y ove a queste belle doti quelle altre non accoppii di
minor conto sì , ma più utili allo scopo , e* yo' dire ragioni
di amicizia, di protezioni, parentela e va dicendo.
Vero h che il legislatore provvide, non doversi concedere
ammissione alle cattedre , che per titoli idonei e da unirsi
alla domanda, consistenti in certificati di esami sostenuti con
ottimo successo, ovvero in opere pubblicate per le stampe,
e onorate da pubblici suffragi. Savia legge! Ma quali leggi
per savie che siensi , delle cui trasgressioni , non occorrano
esempj^ per opera di dii ha in mano il potere, quando ciò
torni a suo prò? Così h della presente.
E che di queste trasgressioni non sieno pochi gli esempj,
basta il dare un occhiata ai giornali della Pubblica istruzione;
e il non essere stranieri all'andamento di essa, per rimanerne
convinti. £ cominciando dai direttori, potrei dire coscienzio-
samente saper di taluni, a cui in un colla carica della dire^
zione , non vien dissentita anche quella dell' insegnamento ;
che ciò poi, sia o no contrario alla legge, non importa.
£, per non tacere degli ins^nanti, so pur di taluni, che
con tutti i loro titoli, secondo me, più valevoli di qualunque
esame, come a dire opere rese di pubblica ragione, ed enco-
miate da ralenti ingegni, chiesero, né però riuscirono ad otte-
nere una cattedra, conciossiachè i loro titoli non vestissero
tutte quelle qualità giudicate idonee a meritar loro quel postcK
Se poi le autorità scolastiche che ne sentenziarono sul me-
rito, avessero o no, in ciò, tutte le 'ragioni del mondo, è que-
stione che lascierò in pendente.
Per ciò poi che spetta all' insegnamento delle materie ,
in genere^ un altro difetto non meno del primo deplorevole,
h da ripetersi dalla moltiplicità di esse, delle quali suole aggra»
varsi la mente dei giovani, dal che spesso ne segue, in con-
ferma dell'oraziana sentenza, che di molte cose a se procace
cino una lieve tintura, anziché un buon corredo delle principali.
Per non parlare di tutte le scuole, locché mi spingerebbe
troppo oltre i limiti assegnatimi in questo giornale , mi ri-
stringerò agli Institnti tecnici ed ai Licei. Nei primi difatti, se
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— 2i —
diamo un occhiata ai programmi, non basta lo iniziare i gio-
vbetti nella lingua latina, per poi ben avviarli neiritaliana,
ma non vuoisi da essi escluso lo studio della Storia e Geo-
grafia, della Matematica, del disegno, della lingua francese,
della fisica, della Storia naturale e via discorrendo.
A quelli poi de'Licei sarà necessaria una più che discreta
cognizione di Greco, di lingua Italiana, di Matematica, di
Storia e Geografia, della Storia della letteratura italiana, della
fisica sperimentale, locchè non impedirà che debbano sapere
esprimere acconciamente i loro pensieri sopra soggetti con-
cernenti le materie letterarie» E tutto il corredo di queste
cognizioni dovranno gli allievi delle rispettive classi secondo
le norme dei programmi, procacciarsi nel breve periodo di
circa otto mesi. Or se essi riusciranno pienamente allo scopo,
chi ha fior di senno il comprende.
Un terzo difetto, che non parmi da lasciare inosservato^
riguarda la disciplina scolàstica. - È strano il principio di
certi Rettori dlnstituti, che ad un professore (dico a un pro-
fessore , non ad un semplice maestro elementare) non solo
incomba Tobbligo di ammaestrare i suoi allievi nelle assegnate
materie, ma quello di sorvegliare eziandio attentamente alia
disciplina della scuola. — Dal che ne segue, che un profes-
sore li cui instituto sarà di spiegarne e dilucidarne alcune
di quelle che esigano la massima attenzione , se , per mala
ventura^ incapperà in una scolaresca poco proclive all'osser-
vanza di essa disciplina, o per cattiva educazione^ o per altri
motivi che accenneremo più sotto, dovrà por mente ed aver
occhio ad un tempo che cotesta disciplina non venga da
alcuno degli allievi menomamente sturbata; che se poi le sue
lezioni non fossero da essi bene intese, o non riuscissero pro-
ficue, ne sarii tutta sua la colpa.
E che cotesta indisciplina debba deplorarsi anche in allievi
la cui età e condizione ne parrebbero ai più argomenti del
contrario^ h cosa tuttodì confermata dairesperienza.
Di SI grave sconcio a chi mi domandasse le cagioni^ ri-
sponderei doversi queste principalmente ripetere da certi vizi
dellHndole, poco corretti dall'educazione, e ciò è tanto vero,
che in alcune parti del nostro bel paese, dove i genitori pon-
gono la maggior cura nell' adempimento di così sacro do-
vere, questa educazione, non solo tra le pareti domestiche,
ma tra quelle eziandio della scuola, torna feconda de'saluttri
suoi frutti ; avvegnaché , T erba (come ben dice il poeta) sì
conosca per lo seme.
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— st —
Ma un altro motivo che concorre a fomentare sì fatto vizio,
nelle classi di coi parlo, si h la facilità, con cui certi Presidi
e Rettori promuovono alle classi superiori, allievi, senza che
prima abbiano dimostrato qualità sufficienti da ben meritarsi
un posto, nelle inferiori. Di lì ne viene, che, ottenutolo in
quelle, sviano di leggieri Tattensione, da ciò che non inten-
dono; né sappiano indursi a mantenere quel contegno e quell'or-
dine, senza dei quali non vMia lezione che tornar possa a
profitto dei discenti, nh a soddisfazione degli insegnanti.
E qui fo punto. E ripigliando il filo del mio ragiona*
mento da donde mi era partito, soggiungerò che se tali sono
1 difetti della Pubblica Istruzione, né a questi si provveda
quanto è mestieri, come sperare che la letteratura nazionale
possa veramente risorgere, e con essa la poesia?
Ma lo stato presente della Pubblica Istruzione , conse*
guenza delle ragioni anzidette^ non h la sola piaga che torni
a detrimento della, patria letteratura; ben avvene altra della
quale non vo*tacere, checché le mie parole non possano suonare
a tutti bene accette. Io parlo del giornalismo, il cui predo-
minio non fu mai tanto fra noi, come nel presente secolo.
E come no? Di giornali politici abbiamo a josa, e non so se più
acconci da appagare la curiosità dei piiì, di quello che a gio-
vare alla nazione dal lato politico. E poniam pure, ve ne sieno
di quelli che predichino il loro vero apostolato, egli h però certo
maggiore essere il numero di quegli altri^ in gran parte prez-
zolati, e che sotto il velame della libertà, vanno insinuando^
per quanto è in loro, nella popolazione, principj favorevoli
air idolo da cui ricevono oro , protezione ed onori. Diremo
con questo, doversi sotto un governo libero, dare un bando
assoluto a tutti i giornali politici? No; essendo consentaneo
airindole di cosiffatto governo, che il popolo venga illumi-
nato sopra i suoi diritti, dalla stampa, che vengano, per essa,
messi in luce gli abusi di potere, le violazioni della legge
per parte del governo stesso o dei capi; ma parmt, che il
numero illimitato di cotesti giornali ad altro non serva che
a dare fomento maggiore ài partiti, come l'esperienza e' in*
segna, locchè, certo, dal lato politico, non e il miglior pro-
gresso del mondo.
Ma se a pochi dovrebbero ridunsi i giornali politici, non
altrimenti dovrebbe dirsi dei letterarj , e pur questi > sa-
rebbe desiderabile venissero redatti da uomini rersatissimi
nella letteratura della loro nazione , i quali sentenziar sa-
pessero con vero criterio e acume di critica , su tutte le
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— 23 —
opere che vedono oggidì la pubblica luce: « Un giornalista
( osserva saviamente il Gioberti ) h maestro e professore del
pubblico; ora se per insegnare ai putti bisogna sapere assai
più dì loro, non veggo come si possa salire in bigoncia per
ammaestrare una nazione, se non si sa più del comune. Un
giornalista dee cogliere ed esprimere il fior del sapere, egli
è dunque mestieri che lo possegga interamente. Ma se i gior-
nali spesseggiano come gli almanacchi, e chiaro che non var-
ranno più di essi, perchè invece di essere distesi da uomini
dotti e maturi, ^^rranno scritti da'semidotti o dai principianti
0 dagli ignoranti. £ in tal caso non che giovare, diventano
la peste delle lettere e delle scienze » (f).
Di queste parole che il Gioberti scriveva, sono parecchi
anni, ottimo consiglio sarebbe, che si facesse tesoro da coloro
che intendono ammaestrare la nazione col mezzo del giorna-
lismo j ma egli pare invece che il numero de' giornali vada
aumentando per modo, da far temere che il voto del gran filo-
sofo , abbia a sortire effetti diametralmente opposti. Ed io
bramo^ per il bene delle patrie lettere, che ciò non sia.
{Continua)
Prof. Nicolò Marsucco
IV.
SENSATI RESTAURI DI UN MONUMENTO ANTICO
E SUA NUOVA DBSTINAZIONE
Compita la disgustosa descrizione di due fabbricati, provo
la consolazione di tributare i miei rallegramenti al conte
Virginio Vespignani arcnitetto accademico , già mio condi-
scepolo nella scuola di architettura teoretica^ retta in quel
tempo dal compianto professt>re Gaspare cav. Salvi , per li
bene intesi ed imponenti restauri, che sta dirigendo (con l'as-
sistenza nella esecuzione di essi dell'architetto Augusto Ma-
derno) (2) nella Dogana di terra, posta sulla piazza di Pietra.
Il Ministero delle finanze si trovava in bisogno di avere
una Dogana in prossimità della Stazione delle vie ferrate.
A tal fine lo stesso ministero progettò alla Camera di Com-
(1) Gesuita moderno, T. 1?
(2) Discendente in linea retta da quel Carlo Mademo Comasco, che pro-
lungò la navata della basilica Vaticana , vi fece il vestibolo ossia pronaa e
la facciata.
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— 24 —
mercio (la quale non aveva sede fissa) dt cedergli per sua
residenza la Dogana suddetta^ con che però questa edificasse
a sue spese un locale per uso di dogana^ a seconda dei di-
segni che gli sarebbero stati presentati dal Consiglio d arte.
Accettato il progetto ed eseguiti i lavori della nuova dogana
nel punto designato; la Camera di commercio entrata al pos-
sesso della Dogana stessa ha posto mano ai restauri oc-
correnti, che ne aveva estremo bisogno, ed a quei lavori di
trasformazione per ridurla airuso del suo determinato fine.
Questo monumento si h creduto sempre da molti, come
si crede tuttora, che fosse la basilica di Antonino Pio e di
Marco Aurelio, e gli Archeologi si lambiccavano il cervello
per collocare di fronte al prospetto la colonna trionfale, la
quale è stata sempre dove sta presentemente sulla piazza
contigua; ma quando sapranno, che la basilica di Antonino
Pio esisteva sull'area occupata oggi dal palazzo Chigi, allora
conosceranno, che la colonna trionfale stava di fronte al suo
prospetto e così termineranno le questioni archeologiche.
11 monumento della dogana di terra rappresenta il fianco
a destra del tempio periptero dedicato a Nettuno con undici
colonne isolate di marmo scanalate a più pezzi , con base
attica e capitello corintio alte m. 18,10 e con base e capitello
m. 14,70 del diametro di m. i,44 distanti 1* una dall* altra
m. 2,40; ed il muro parallelo a poca distanza nella parte
interna detto il pronao è quello che con gli altri, che più
non esistono, costituiva la Cella. 11 suo prospetto era volto
ad oriente ; se fosse prostilo o antiprostilo ce lo diranno
i nostri archeologi i quali non sbagliano mai*
Della trabeazione di marmo che coronava le dette co-
lonne non rimane che il solo architrave e quel fregio e cor-
nice che si vedono oggi sono di muro e stucco, che sotto
il pontificato d* Innocenzo XII (Pignatelli) tra gli anni 1695
al 1700 vennero costruiti sotto la direzione dell' architetto
Francesco Fontana, ma con tanta semplicità, che poco o niente
si addicono alla ricchezza dell'ordine corintio.
Questo avanzo di tempio -viene fiancheggiato ai due estremi,
da due ale di fabbricato, un poco rientranti, con due finestre
in linea ad ogni piano ed in ciascuno di essi, decorati orrì-
bilmente da due pilastri (l'uno a contatto del tempio, Taltro
angolare) con capitelli alla borrominesca e cornice di brutta
sagoma.
Nei cavi fatti anni addietro sulla piazza di Pietra ven-
nero scoperti molti massi giganteschi di marmo scolpili, alcuni
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— 25 —
rappresentanti provincie personificate delKimpero Romano in
bassorilievo, altri in trofei ed ornati, e tra questi un pezzo di
cornicione con modiglioni ed altri intagli, che barbaramente
si trasportò sulla passeggiata delle Tre Pile, perchè stando
allo scoperto possa più facilmente deperire.
Il conte Vespìgnani architetto direttore , come si disse,
dei restauri di questo rispettabile monumento, nel suo buon
gusto e cognizioni in arte, seppe conoscere dalle dimensioni,
stile, intagli e carattere, che quel pezzo di cornicione tra-
sportato alle Tre Pile apparteneva al tempio di Nettuno ,
onde egli ricavatane sagoma esatta, lo ha fatto costruire di
muratura & stucco sulle due ale di fabbricato, che vennero
addossate alle due estremità del tempio medesimo. Così ha
fatto dei pilastri, ornandoli di capitelli corinti in armonia
con quelli delle colonne.
In quanto alle finestre esistenti nelle due ale di fabbri-
cato, egli le ha sbarazzate da ogni adornamento^ lasciando
le sole luci poggiate sopra una fascia, ed abbellite soltanto
dal taglio delle bugne nella rinnovata stabilitura e colla ,
con serraglio nelf architrave ; e quella tinta cupa che si è
data a queste parti restaurate accresce importanza e maestà
al monumento. Se farà egualmente neirintercolunnio, distrug-
gendo quei ridicoli sopraornati delle finestre, ed accompa-
gnando il cornicione a quello fatto ai due estremi, compira
un opera, che farà onore alle arti, a Roma, alla Camera di
Commercio ed a lui stesso, benché non ne abbia tanto bi-
sogno, avendo acquistato fama eternale.
Ma dopo compiti i restauri col sistema fin qui adottato,
quale impressione faranno quelle colonne bucate e sgrugnate
da cima a fondo? quella stessa che produrrebbe l'aspetto di
un vecchio venerando vestito di broccato, con sopra-veste la-
cera e sdruscita. Che cosa si direbbe dellarcbitetto direttore,
a cui vennero aflSdati i lavori di restauro? Che egli non ha
saputo compire l'opera sua, cioè il rappezzo delle colonne,
delle basi e capitelli, e di quel zoccolo continuato, o stilo"
JfatCf che sostiene le colonne medesime.
Con tali restauri, che che ne dicano i zelanti archeologi,
il monumento non perderà il merito artistico, ne molto meno
quello dell'antichità; poiché nessuno ha preteso mai scemargli
ì suoi anni; le colonne saranno sempre le stesse, come sa-
raranno sempre' le stesse basi, li stessi capitelli e lo stesso
stilobate. 11 dire che il monumento perderebbe della sua
originalità l'è una vera scipitaggine.
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— M
L'arco di Tito venne restaurato dal Valadier; ha perduto
niente del suo merito artistico ed archeologico ? Come non
perdette niente del proprio merito il muro esterno circolare
del Pantheon, presso la casa Bianchi, allorquando venne rap-
pezzato con la rinnovazione di quella cornice d'imposta.
Noi abbiamo quantità di ruderi antichi, ma nessun mo-
numento (eccettuato il Pantheon) che presenti la sua inte-
grila. Ce la presenterebbe la parte residuale del tempio di
Nettuno, qualora il conte Vespignani non venisse contrariato
nelle sue idee.
Ma fate signor Conte quello che vi suggerisce la filosofia
dell'arte, di cui siete bastantemente al possesso, e vi farà
onore , acquisterete maggior dose di credito , perchè farete
cosa gradita ai Romani e specialmente alla classe intelligente;
come vi farebbe torto se prestaste orecchio a coloro , che
attentano alla vostra gloria e non amano di vedere le cose
fatte secondo le regole di arte^ tendenti a maggiormente no-
bilitare la Citta eterna.
Voi siete autore di molte opere, e benché tutte vi fac-
ciano onore, questa del restauro del tempio di Nettuno esal-
tera fino alle stelle il vostro nome, perchè trarrete dal se-
polcro, per la parte che rimane, un cadavere disfatto^ ìmpu*
tridito, e lo restituirete in vita per rivedere la luce del
giorno nello stato di sua virilità.
Ora mi permetterete di manifestare una mia idea. Quegli
enormi due piloni che sostengono la volta di quel camerone
con ingresso sulla via de' Burro e sostengono altresì ì muri
superiori incrociati, li demolirei, sostituendo ad ognuno di
essi quattro colonne isolate con capitelli ed architrave ; e
ciò farei per togliere a quel vano il carattere mastino, che
i detti piloni gli somministrano. Conosco che V operazione
sarebbe alquanto difficoltosa, ma tutto si può fare volendo.
Roma 1? settembre isso.
Giuseppe Verzili Architetto Ingegnere
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Ì7 ~
V.
PASSATEMPI ARTISTICI
DELL'ARCHITETTO PIETRO BONELLi
XI.
UN NUOVO EDIFICIO SULLA PIAZZA DELLA MINERVA
L' autico palazzo Severoli » ora appartenente alla nobile
Accademia Ecclesiastica, posto di fronte alla chiesa di s. Maria
sopra Minerva, ingrandito dell'area di due casette attigue,
e indietreggiando di circa sei metri, ha test^ cambiato fiso-
nomia; ha perduto quella serietà bisbetica caratteristica delle
fabbriche del secolo XVII, ed ha preso quell'aria di vivacità
che costituisce lo stile predominante nella gran parte delle
odierne costruzioni. Questa metamorfosi la dobbiamo al nostro
architetto il sig. cav. Gaetano Monchini. E un lavoro archi-
tettonico di qualche importanza, di quei che nel breve pe-
rìodo dì un decennio abbiamo veduto compiersi in Roma ,
e come tale merita spendervi qualche parola. Limitandomi
a descriverne soltanto la parte ortografica , dirò che ella si
compone di tre piani oltre il terreno , con nove finestre in
ciascuno; Timbasamento tiene nel mezzo un superbo portone
d'ingresso guarnito di due colonne striate d'ordine dorico,
le quali sostengono una loggia a balcone balaustrato. Ai
fianchi di esso si schierano due ali di arenazioni d^ ordine
rustico, sostenute da piedritti a larghezze disuguali, alcuni
dei quali stecchiti di soverchio, e sebbene si compongano
^ guisa di perticale, pure non sono che porte di botteghe,
// clmì sesto superiore serve a dar aria e luce a chi sa che
^stie di abitazioni annesse alle medesime. Un cornicione
^^c3 iglionato corona l'intero edificio.
^ £ innegabile che un portico forma il bell'ornamento di
ijXB.Sk piazza ; ma come tale e parte integrale di un nobile
edi.fx<::io, credo non si dovesse dargli un^ apparenza rustica.
iWsL ^ propria dei luoghi campestri e di quelli di uso tutt'altro
cbe gentile; inoltre che desso debba servire a mascherare
vi>^ speculazione ciò è fuori di ogni convenienza. Che le hot-
legVft^ ravvivino le contrade, lo ammetto; ma d'altra parte
^^sc^gna convenire che sono sempre in contrasto colle ineso-
T^oili esigenze blasoniche e tramandano un' aura di specula-
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— 18 —
zione, che al caso nostro è doppiamente inescusabile; impe-
rocché offende i riguardi dovuti alla dignità magnatizia ed
ecclesiastica. Uno sguardo ai principeschi palazzi Farnese ,
della Cancellerìa, Borghese, Ruspolì, Chigi e tanti altri di
minor mole, e l'esempio dei grandi autori di quegrimponenti
edifici persuaderà ognuno che io non solo ho parlato secondo
i precetti razionali dell'arte, ma altresì coll'appoggio di auto-
rità che, credo, non cedono tanto facilmente a quelle della
moderna scuola.
Questa osservazione sebbene mi abbia per poco allonta-
nato dal mio argomento, mi era necessaria per un appoggio
alla mia opinione riguardo cotesto disegno ortografico. Desso
manca adunque di nobiltà e grandezza , che ben avrebbero
accompagnata quella vivacità di linee di cui è informato ;
caratteristiche proprie a rappresentare un asilo di gioventù
scelta e studiosa. Ed in prova di ciò vi concorrono altresì
la piccolezza delle finestre e la ristrettezza degli spazi inter-
posti fra loro; e tutto questo insieme riunito, mi porta a con-
cludere che il nuovo prospetto eretto sulla piazza della Minerva,
a mio modo di vedere, tiene le sembianze non di nobile pa-
lazzo, ma piuttosto di un vasto e privato casamento, e come
tale lasciate che io ne canti le bellezze, e ne lamenti le brutture.
In verità le une superano le altre. Difatti la parie de-
corativa delle finestre arcuate dei primo piano, in sul fare
di quelle del palazzo Farnese^ con due colonnine a capi-
tello composito che sostengono la trabeazione ed un fronti-
spizio alternativamente curvo Tuno, e angolare l'altro; il loro
rapporto metrico, sempre proporzionato a casamento, ed il
cornicione modiglionato che lo corona sono parti di esso ,
ove si riconosce buon gusto e bello studio. Dove poi sembra
a me, siasi cacciato mal garbo, pessimo gusto, e anti-eurit-
mica disposizione, e nei due piani superiori, le cui finestre
con troppo immediato passaggio da quelle del piano sotto-
stante si presentano di una semplicità che si avvicina alla
miseria; e perciò discordante da quelle del primo piano, ov'c
profusione abbondante di elementi decorativi. Di più la figura
stecchita di quelle del terzo piano darebbe a credere che sif-
fatta anomalia non fosse parte di quella istessa mente che
concepì la bella idea manifestata nel primo piano. In quanto
poi ai profili delle cornici , non mi pare in alcuni vedervi
molta grazia, specialmente in quelle del portone ov'è deci-
samente durezza e mal garbo. Riassumendo il fin qui detto
sul rapporto estetico della novella fabbrica , ella difetta di
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— t» —
quel carattere che le conviene, e non si presenta all'occhio
artistico che come una facciata di un particolare casamento
cittadino, il cui imbasamento h di ordine rustico, il primo
piano di gusto gentile e ben studiato, il secondo e terzo di
aspetto sgarbato e miserabile. Vedete i tre diversi modi di
architettare in un istesso edificio! Per un aristarco arrabbiato
questo mescuglio sarebbe un potente stimolo a'giudizi troppo
severi ed inconsiderati, io invece voglio tranquillamente assa-
porare questo manicaretto senza darmi il menomo pensiero se
grintingoli che lo compongono siano eterogenei fra loro. E con
tutta la sincerità dovuta fra compagni d'arte mi congratulo col
sig. Morichini, che ha disegnato con molta grazia, non dico il
prospetto del palazzo di un' Accademia Ecclesiastica , ma
quello di casa cittadina degno di una città capitale qual' h
Roma, improntato però del vizio predominante ai nostri tempi,
speculazione e risparmio; cioè mole da palazzo, picciolezza
di riparti e di proporzioni da caserino ed eccedenza di orna-
menti di capriccio per smania di novità , che bisogna pur
confessare egli h lo stile di architettare della nostra epoca,
introdotto fira noi assieme a quello spirito d'innovazione vo-
luta dal traffico e dal moderno avanzamento della civiltà e
del lusso ; cosicché 1' arte è caduta nelle mani di chi non
sente che il proprio tornaconto , e non tiene altro di mira
che la mollezza dei costumi, ed i capricci della moda e del
fasto. Le arti del disegno, una delle più belle creazioni dell'u-
mano ingegno^ che dovrebbero esser tenute come splendido
ornamento della società , sono ora tutt' altro che esei*dtate
secondo i veri principi estetici. Il moderno architetto inge-
gnere sente soltanto il pizzicore di aprirsi una stradella che
lo conduca a strisciare i piedi nelle aule marmoree dei grandi,
e col denaro accumulato mettersi nella classe di coloro a cui
nulla h impossibile , vizio predominante nella razza umana*
Cotesta fortunata aspirazione si realizza con più facilità che
non era una volta. Adesso si acquista riputazione di abile
e di illustre cultore dell'arte Vitruviana, e si guadagna un
nome imperituro con uno slancio di destrezza ; con questi
il genio si sviluppa, il gusto si fa buono, lo studio diviene
profondo; infine con vivacità e franchezza di modi, loquacità
animata, pompa di se stesso e favoritismo, tenendo sempre
nel taschino del panciotto il memoriale Tecnico dell'ing. Luigi
Mazzocchi, da bruco strisciante tra rovi e spine sì trasforma
in crisalide vaga di splendenti colori svolazzante nell'empireo
dei luminari della scienza, in somma con un risoluto salto un
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— 30 —
impresario, un costruttore di fabbriche, uà agrimensore, uà
capomastro muratore, un assistente a*lavori mutar] e chiunque
altro che esercita un'arte affine all' archetipa architettura
può immergersi nel pelago della scienza e fra i vorticosi flutti
trova un riparo ai disagi della vita, e si fa chiaro un nome
tenutosi fino allora oscuro e sconosciuto! Da cotestoro potrà
uscirne qualcuno che fornito dalla natura di eletto ingegno,
di un genio atto a belle creazioni, fervente di amore per l'arte
Vitruviana , divenga arclii tetto di vaglia , e onori colle sue
opere il nostro paese ? Possibile , ma difficile ; a meno che
preferisca al temerario slancio uno studio instancabile , e
manchi in lui V avidità del guadagno che non conduce mai
a bene oprare : allora si che questi inestimabili doni della
natura possono mettersi a profitto ed incremento dell arte
suddetta. Studiando sopra le stupende opere de* nostri an-
tichi maestri ei potrà comprendere quali siano le vere basi
dove posano gl'inalterabili principi estetici, ed h per ciò che
io consìglio chicchessia il quale voglia porsi su cotesto
cammino , di non scambiare in un subito la cazzuola
e la canna metrica colle seste e la squadra , ma prima
fare una lunga passeggiata per le strade interne di Roma ,
ed anche ricrearsi con qualche scampagnata al di fuori delle
sue mura, visitando ed esaminando con attenzione i monu-
menti della maniera greca, romana^ cinquecentista, barocca,
non trascurando qualcuno della moderna scuola del Valadier
e dello Slern, sparsi tutti per ogni dove su questo classico
suolo , e con questo solo esame pratico delle bellezze che
in essi certamente troverà , ardisco sperare eh ei diverrà
capace, se non di ben creare, che è quanto dire, frenare lo
sbrigliato modo di fabbricare d'oggidì, d'imparare almeno a
saper bene imitare.
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31 —
VI.
SCIENZA E VIRTÙ
gaume
DEL Paor. AmomO RIÈPPJ
I VOLGARIZZATO
DA GIUSEPPE BELLUCCI
Doetnna ted tìoi pfomovet ibtitam
Rectiqne cnllus pe<Aora robonot:
Utcumque defecere mores,
Dedecorant bene Data cnlpae.
HOH.
Haec aelas darò fulget moderamine rerum ,
Ingeniumque hominum tanto splendore renidet,
Abdita dum retegit latebris quae condidit ìmìs
Tellusi, quae pelagus sinuoso in gurgite volvit,
Quaeque micant mire fulgentia in aetheris arce;
Ut credas homines tandem solvisse beatos
Magnis inventis erroris vincla vetusti.
Plaustra rotis properis ' nigro compulsa vapore
Procurrente vias stratas ferro impete adurgent.
Et spatium celerant longum velocius euro:
Nec modo planitiem, sed ruptis Alpibus ipsis
Coecas trajiciunt rauco stridore cavemas.
Oceanus terras qui dissociaverat olim,
Pectora terrebatque hominum irremeabilis undae
Oh come su le cose ha bel governo
La nostra etade! oh come splende e brilla
L' umano ingegno, mentre ciò che asconde
La terra in sue latebre, e ciò che il mare
Ne* sinuosi suoi gorghi travolve.
Ciò che pili in alto raggia, esso discopre!
Onde già credi il secolo beato
N' abbia per molti alfin trovati eccelsi
Spezzato i lacci dell* antico errore.
Da vapor negro carri ecco sospinti
Su preste rote con foga precipite
Corron strade di ferro, e via divorano
Più che r ale de* venti i, lunghi spazii;
Né solo il pian, ma, rotte TAlpi stesse;
Cieche caverne in suon rauco trapassano.
Queir Oceàn che terre avea disgiunto,
E della visu sol ghiacciava i petti
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— 32 —
ConspectUi, nauias ignotas duxit in oras.
Aequora lata patent, Tethysque alium extulit orbetn,
Detexitque novas alio sub sidere terrea.
Non ope remorum, at vehementis flaminis actu,
Quod gemitu resono emittunt ferventia ahena,
Reclusis tubulis^ ingentis mole cylindri
Compulsa, et picei disiecto vortice fumi,
Mavigia exspatiata volant, longinqua pererrant
Littora, quaeque oriens perfundit lumine Phoebus,
Quaeque jacent ubi sol alto se gurgite condit.
Quin ipsum petimus coelum, et jam tela Tonantis
Contudimusy prisci quod non fecere gigantes.
Postquam fulmineas domuit Franklinius alas,
Labitur innocuum suprema in culmina fulmen.
JVec minus est mirum ezimius quod Volta peregit,
Quodye alii sunt enixi haec exempla secuti.
In parva pila cobibetur fulguris ira.
Ignis fulmineus teretis per fila metalli
Non modo longinquas orbis transmittit in oras
Signa, quibus mens absenti monstratur amico,
Sed, posita rabie, varios decurrit in usus.
Nam sonitus promit, laeti et modulamina cantus
Delle sue immense irremeabili onde.
Vide vele volare a lidi ignoti.
Apronsi mari, e altr* orbe addita e scopre
Teti, e sott* altro ciel nuove regioni.
Non. per forza di remi, ma di foco,
Cbe veemente e stridulo sprigionasi
Da ferventi caldaje, e per nascosi
Tubi, e potenza di cilindro 1* ale
Metton navigli, che vortice oscuro
Lancian di fumo, e trascorrendo vanno
Lontani lidi, e quei che il Sol nascendo
Veste di luce, e quei dove s' asconde.
Fin allo stesso ciel moviam l'assalto,
E già al Tonante rintuzziam gli strali.
Ciò che i prischi giganti non opraro.
Dacché Franklin domò del folgor T ale.
Innocuo ei scende su l'eccelse vette.
Né men di meraviglie oprò qnel grande.
Onde Como si esalta, e gli altri egregi,
Che ne seguir la traccia arditi e pronti.
Acqueta esigua pila al folgor l'ire,
Ed ei grazia le dona del suo foco.
Che per fili metallici tramanda
Non pur del mondo alle contrade estreme
Segni, onde legge il tuo lontano amico
Il tuo pensier; ma ad usi altri si porge.
Che snoni e canti e melodie soavi
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— 33 —
lam transfert pandi tquc procul, rursusque ciere
Verba potest vacuas aedis diffusa per auras.
Sic vox et remeat per quos modo venera t arcus
Arte nova, nova quam reperit Titania proles.
Audacter petimus coelum,* sedemque deorum.
Solis defectus scimus Lunaeque labores,
Quaeqne suo Ailgore nitescant sidera coeli.
Et quae reflexos radios, lucemque ministrent,
Quo pergant motu, redeantque agitata perenni,
Perpetuosque orbes aequato pondere librent.
Nec tangunt trepido nunc corda pavore cometaci,
Dum rutilos crines spatioso limite ducunt:
Nam qui convexo nutantem pondere mundum^
Quaeque polo astra baerent gemino, coelumque coruscum
Descripsit radio Sophiae perdoctus alumnus,
Horrificas certa deduxit lege cometas,
Perdocuitque modum, latus quo volvitur orbis.
Nec satis est coeli arcanas pemoscere leges,
Sed genus lapeti humanos convertit in usus
Pboebeos radios, et flexo lumine solis
Utitur ut vivas depromat imagine formas.
Umbras quin etiam tentat depellere noctis
Ei fura, e lunge le ridesta: accenti
Ripeter sa, cbe in camera fur sparti.
Cosi del par la voce indietro toma
Per li stessi meati, onde partissi:
Arte novella di Prometei nuovi.
Con voi piii ardito alle superne sedi
Spingìam la vista, e di saper n' è dato
Perchè eclissi alla Luna e al Sol dà briga.
Gli astri quai sien di propria luce adomi, .
Quai ne ministrin dai reflessi raggi,
Qaal moto li sospinga e li raggiri,
E il perpetuo rotar non li delibri.
Piii non tremano i cuor, se il rosseggiante
Crine diretro a sé lascian comete
Per lunga traccia; che l'industre e dotto
Alunno di Sofia, che la gran mole
Del circolante mondo, e d' ambo i poli
Le stelle fisse, e i tremuli baleni
N' ebbe sommesso ai calcoli, e alla sesta,
'D'orror, di stragi, di maligni influssi
Le comete svestinne, e ci i^' saggi
Del come lor grand' orbita si volve.
L'arcane qualità saper del cielo
Di Giapeto alla razza ornai non basta;
Ma il solar raggio ad umani usi astrigne,
E sì il riflette in lamina^ che a un tratto
N'escono forme che del ver son figlie.
Fin le tenèbre d* una luce abbella.
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— 34 —
Luce nova simulante micantia lumina Phoebi.
Isidis aetemae penitus pertuiui dehiscunt
Tegmina^ quae rerum naturae arcana tegebant:
Isis nuda jacel vittis spoliata vetustis.
Tartarei fugere timores, fabula manes
lam sunt, et nutans ruit ingens janua Ditis.
Sed tandem illuxit nobis felicibr aetas?
Optatum bumanis actis inventa decorem
Exbibuere? Novus saeclorum nascitur ordo?
Quid quo damna premant luctu reticere juvabit?
Nam baccbantur adbuc turpissima crimina in orbe:
Gultor justitiae insidiis cruciatur iniquis,
Nec pietas illum, nec honor defendit ab boste.
Filius ante diem patrios inquirit in annos:
Imminet exitio vir conjugisi» illa mariti (i).
Gompulsus furiis Gain justum obtruncat Abelum:
Desertas sedes nec adbuc Astraea resumpsit.
Pauperies urget plebem squallore timendo.
Et male suada fames infanda in crimina pellit.
Impia bella manent: borrescit sanguine fratrum
Gbe quasi Y aureo Sol vince, o pareggia.
D* Iside eterna son squai'ciati i veli,
Gbe di natura ricoprian gli arcani:
Ignuda e senza bende Iside giace.
Pallide larve, il buio e la versiera
Non impauran piti la gente accorta.
Ma alfin ci arrise piii felice etade?
Del si voluto bel civil costume
Gli alti trovati ci dotaro? Un nuovo
S* inizia ordine d* anni? Onesto è forse
Tacer dei tanti luttuosi mali?
Gbè turpissime colpe V orbe intero
Ancor scorazzan, come pazze Erinni:
S* insidia a morte chi giustizia ba in petto,
Né pietà, ned onor gli è usbergo e scudo
Da cbi il persegue. Pria del tempo il figlio
Del padre suo sugl'anni, iniquo! conta;
Moglie e marito pongonsi V agguato;
E il rio Gaino colle furie in core
Spegne sul giusto Abel vita innocente:
Non fe'peranco alle deserte sedi
Astrea ritorno. Povertà la plebe
Aggrava del tremendo suo squallore,
E la fame la incita a gran misfatti.
Empie guerre s* accampano: già il sangue
De' comuni fratei per ogni lato
(l) Ovid. Met. I.
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— z$ —
Orbis adhuc: nec tutantar pia foedera gentes.
Quid juvat inventis attingere culmina rerum,
Si virtus abjecta manet, si um bene parta
Dedecorant culpae? Est equidem et fuit utile scire:
Gum virtute scientia sed eonspiret amice.
O eives! virtus animo quaeratur aventi:
Exomet mentes juvenum sapientia prisca.
Socraticae puero poterunt oftendere cartae
Augustae Patriae quid debeat, et quid amicis,
Quae facienda viris sint convenientia vitae.
Quum tandem fauttum renovato lumine sidus
Fulgeat Italiae, longi fractisque catenis
Luctus Ausonidas jam non juga barbara vexent,
Sed Rex Ausonii generis Capitolia scandat,
Aomulidum res praeclaras imitemur avorum.
Romulidae auxilium Ingenti saepe tulerunt
Plebi: nec pigeat miseris nos ferre juvamen.
Kurigenae passim damnis jactantur iniquis.
Tellus imbuta imbribus et post usta calore
Agricolis segetes, fmgumque alimenta negavit:
L* orbe sgomenta, né v' è pia una lega
Cbe del suo braccio i popoli assecuri.
Toccar cbe giova co* trovati il colmo,
Se virtude è reietta, se sì belli
Acquisti vanno d' ogni colpa immondi?
Util cosa è il sapere, e fu mai sempre;
Ma Sc'ienza e Virtii vadan del pari.
O cittadini, con desio d' amore
Virtù cercate: sapienza antica
Le giovanili menti orni e avvalori.
Quel cbe all' augusta Patria ed agli amici
Il giovin debba, e ciò cbe si convegna
Al vivere civil parlano appieno
Le Socratiche carte. E or che la stella
D* Italia alfin rifolgorò sua luce,
E del lunffo servaggio infranti i ferri
Non piii il giogo barbarico n* offende,
Ma della nostra stirpe un Re guerriero
Vittorioso il Campidoglio ascese.
Di Roma antica alle magnanim* opre
Bello e fecondo è dirizzar lo sguardo.
Alla squallida plebe un di il Romano
Spesse fiate n' ebbe asciutto il ciglio:
Tal per noi sorga il misero che geme.
Un grave imperversar di danni certi
Tutte ville conturba; che la terra
Già rigonfia di piogge, e poi riarsa
L* aspettato negò sudato frutto.
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— 36 —
Opprimit esurics illos et turpis egestas;
Enecat et frigus nunc quos jejunia frangunt.
Pro! pueri egregi, veterum generosa propago
Samnitum, quos cum virtute scientia adauget,
Frangite pauperibas panem, succurrìte egenis.
La PoTertà, la Fame e il rio Bisogno
Signoreggian dovunque, e col Digitino
L' orrido Freddo i suoi rigori accampa.
Deh, gioventude egregia, in cui 1* antico
Sanni tico valore appien si mostra,
Voi che Scienza con Virtii più sempre
Ricchi farà d* invidiati beni.
Col poverello dividete il pane
Ognor pietosi a umanità che soflBre (i).
Cervia, 21 Aprile 1880.
vn.
Taedium vitae
SONETTO
« Voglio morir » : Lo dissi in primavera
Su* purpurei tramonti al venticello.
Che spirar suol pria che si faccia sera:
«r Discender voglio giovine ali* avello. »
Lo dissi air onda spumeggiante e nera
Sconvolta ognor da questo vento e quello:
« Voglio sparire in mezzo alla bufera,
» Né lasciar traccia in questo mondo fello. »
Lo dissi, quando caddero le foglie
Là nella selva; e il viver mio non cessa?
Ah! pur m' assai gon queste tetre voglie..
Ora che ghiaccio vitreo e neve spessa
Ammanta ovunque, un tal desìo mi coglie:
i> Vo&[lio morire in questa notte stessa. »
Dall'Alpi, Agosto 1880.
L. A. R.
(1) li Carme latino fa Ietto in un trattenimento mnsicale letterario e
scientifico tenuto nel Convitto Nazionale di Campobasso a beneficio dei poveri
addi 25 gennaio del 1880, e dal suo dottissimo Autore venne poscia pubblicato
nel mese di marzo per le stampe dei fratelli Colitti in detta città.
Il Traduiiore,
La nota delie opere penule in dono ei darà nei prossimo faseicoie
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Sbrib il Yot. XIV.
Febbraio 1880
IL
BUONARROTI
D I
BENVENUTO 6ASPÀR0NI
CONT]NDATO PER CURA
DI ENRICO CARDUCCI
PAG.
Vili. Poche notiiie sulla casa attribuita a Giulio D'Al-
camo (G. Frostna-Cannella) . ...» 37
IX. Degli studi in Italia, ossia considerazioni intorno
all'opuscolo del generale Mezzacapo (Tntertesto)
(Prof. Gabriele Detla). ..,...» 42
X. Del Belìo nella nuova Poesia [Continuazione)
(Prof. Nicolò Marsucco) » 49
XI. Articoli vari (Giuseppe Verzili Architetto In-
gegnere) » 54
XII. Due brani dei Diarii di Marino Sanuto relativi
alla disfida di Barletta » 63
XIII. Lavori del prof. Poggioli di Roma (Èuile
Vaisow) , . . » 64
XIV. Sospiri (G. Frosina-Cannella). . ...» 66
XV. Al principe romano don Alessandro Torlonia, per
il prosciugamento del Lago di Fucino. Sonetto
(Luigi Arrigo Rossi) » 72
ROMA
tipografia delle scienze matematiche e pisiche
VIA LATA n! 3.
1880
^i>»te
Pubblicato il 19 Novembre isso
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IL
Sbrie II. VoL. XIV. Quaderno IL Febbraio 1880
Vili*
POCHE NOTIZIE
SULLA CASA ATTRIBUITA A CIULLO D ALCAMO
È qualche tempo che, in tanto fervore di crìtica storica
e di studj filologici sulle lìngue e letterature romanze, si va
discorrendo di Giulio d'Alcamo e della sua Tenzone fino a
negare che sia esistito (i). Poche ed incerte sono, senza dubbio,
le notizie che abbiamo di lui; né bisogna sorvolare con cuor
leggiero e senza un pensiero al mondo sulla lingua adope-
rata dal poeta, la quale dallo stesso L. Vigo fu detta intinta
di pugliese, e sulla maniera provenzale che qua e là in essa
traspare. I\3a dal significare onestamente qualche dubbio ,
perchè col tempo sì possa vedere più chiaro nella questione
di Giulio e della sua Tenzone^ al negare che questa sia stata
composta da lui , e che il poeta sia esistito , panni che ci
corra, e di molto. Io desidererei che si ponesse mente, meglio
che non si sia fatto finora, alla tradizione, alla storia, con-
fortata dairautorita di Dante e di Petrarca sulla priorità del
poetar siciliano nella nuova lingua , che poi fu appellata
illustre, ed alla parlata siciliana, che non mi pare sia abba-
stanza nota in tutti ì suoi particolari, prima che si dicesse
Tultima parola su quel poeta e sull'opera sua.
Non so intanto che cosa possa valere qualche notizia
sulla pretesa casa di Giulio in Alcamo; questo so certo che
non bisogna lasciare mezzo intentato per far la luce su di
luì. Ed è per ciò che mi risolvo a pubblicar la seguente let-
tera, che a richiesta del suddetto Vigo, gli diressi in Acireale
ora son quasi nove anni.
(1) Per non accennare che ai più noti e più aatorevoli, dirò che ai nostri
ffiomi hanno scritto e polemizzato nn Ciullo e la sua Tenzone^ L. Vigo,
G. Grien» G. Galvani, Mussafia ed i professori D*Ancona, N. Caiz, A. Bar-
toli e F. D'Ovidio.
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Alcamo, addì 24 luglio I87i
Egregio sig. Cavaliere (i)
Edotto del suo desiderio, appena ricevuta la sua pregia-
tissima dell* 11 volgente mese, sonomi accinto a servirla, ed
ora mi affretto di farle sapere il risultato delle mie ricerche.
Se bene altri opini, appoggiandosi del resto alla tradizione^
che la casa di Giulio non sia quella, di cui le trasmisi Io
schizzo, ma invece una piiì piccola prossima alla suddetta,
che io con alcuni Alcamesi credo essere stata di Bagolino (2),
una volta si vede tuttora sulla porta d'ingresso un compasso
ed una squadra, simboli certo dell'arte meccanica della fa-
miglia di esso Bagolino; h per me fuor di dubbio che, uod
essendovi altra abitazione antica, nella parte meridionale, o
meglio sud-est delia città, pari in ampiezza a quella, che
vuoisi essere stata di Giulio , stante 1* opulenza di questo ,
bisogna, dico, non ammettere poi tante riserve sulla impor*
tanza della mia supposizione.
Vero è che lo stile di essa non vada di Ik dal secolo XIV;
ma h vero altresì, che un frammento di cornice, spoi^ente
nella parte occidentale della casa medesima, accenni ad una
rifazione , e quindi ad una architettura diversa dall' antica.
E poi quelle finestrìne semigotiche del secondo piano, i cui
mattoni ix)ssi, convessi a cemento durissimo, scoperti per l'in-
tonaco caduto, non costituiscono la massima delle prove in
favore delle maggiori antichità del fabbricato superiore, di-
contro al rimanente , incominciando dalle grandi finestre a
venir giù? in altre case della cittk antica, che resta nella
parte sud-est e nord-est della moderna, vedonsi pure di co-
taii finestrine; ma il resto è un misto di gotico e normanno,
ed h rifatto con stile del XV e XVI secolo.
Amerei finalmente che la S. V. IH"''' ponesse mente al sito
della casa da me attribuita a Giulio , oonciossiachè essa si
ritrovi al piano, ma più vicino al Bonifato, che non gli altri
antictii fabbricati rimasi.
Ciò posto, eccomi a soddisfare alle sue tre richieste, per
via di semplici risposte.
(1) Allora il Vigo non era stato fatto nominare Cofwmendatore dal Go-
verno del Regno d'Italia.
(2) Valente poeta Ialino del secolo XVI» di cai uUimamente pabblica?»
uno studio il prof. U. A. Amico.
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I? Le rimetto due schizzi a matita esattissimi, fatti da
un prete dilettante, che qui dod soqovì nh periti disegna^
tori, uh fotografi atti alla bisogna.
L'uno riflette, almeno secondo la mia credenza, la casa
di Giulio, r altro quella di Bagolino, affinchè Ella Caccia il
confronto, e si attenga al suo criterio. La prevengo intanto,
che la casa da me attribuita a Bagolino fu in parte rifatta,
conservando una parte del prospetto per ordine espresso dei
Municipio. E quefta parte è quella che mostra un embleoaia,
consistente in uno scudo con ai lati due serpi, e sovrapposti
a questi due pattini, e nel mezzo di esso scudo il compasso
e la squadra surriferiti. Dicesì che una volta vi fosse eziandio
una iscrizione latina, che, ritenuta vera la oolìzia, doveva
leggersi al di sopra di questa specie di blasone di famiglia;
ma, forse corrosa dal tempo, non iscorgesi punto. V archi-
tettura è piuttosto normanna, perchè la finestra è di un se-
mi-gotico pesante; forse del XII o Xtll secolo.
t? Gli archivi qui non è verosieno ben conserrati, tutt'altro;
gli atti pubblici e notarili ammucchiati in una stanznccia
del Municipio, sono il rimasuglio degli esistenti una volta
neirarchivio di San Francesco, dove Tumido, qualche dolosa
sottrazione e due o tre rivoluzioni l'avevano già decimato...
Uh il po' che rimane si conserva meglio, imperocché per
soverchia incuria parmi vada tuttodì perdendosi.
Ho del resto potuto sapere che la casa da me attribuita
a Giulio sia stata di una famiglia Guarrasi, e poscia del Mo^
novero nuovo. Oggi però la possiede un certo cav. Pietro
De Stefani : ma non si va colle notiaie raccolte più in la
del 1700. Rispetto alTaltra, quella più piccola e da me cre-
duta di Bagolino, noD mi venne fatto rintracciaTe cke pochis-
sime notizie^ le quali consistono nella proprietà di essa casa
oramai pertinente al conservatorio delle Riparate, cui pervenne
da due sorelle Montanale, sono notizie che abbracciano appena
il periodo di 70 anni , come Ella potrebbe accertarsene 4a
recenti atti notarili , e quindi di nessuna importauaa. Ri-
scontrai attentamente alcune memorie inedite scritte da un
giureconsulto Ignazio De Siasi sulla citta di Alcamo, che si
conservano al Municipio (i). Non un motto della casa di
Giulio, eppure sonovi alligati parecchi documenti, che nello
scorcio del passato secolo era facile rinvenire , ed intomo
alla biografia del poeta nulla dicono^ che non troviamo negli
(1) A non ^uari le metterà a stampa il sig. L. Pipitene, tipografo in
Alcamo, onde n'è in corso Tassociazione.
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scrittori nostrani. Suppose però il De filasi che Giulio debba
avere appartenuto alla famìglia dei fiaroni Colonna-Romano
tuttora qui esistente , ed essere figlio del magnifico An-
tonio venuto da Messina a sposare in questa cittk Margherita
Cabrerà o Caprera, figlia del Conte Di Modica signore di Al-
camo. Cotale supposizione è per lo meno una marchiana fiaba,
dappoiché, come altrove lo stesso raccoglitore riferisce, senza
avvedersi della cóntradizione in cui cade^ siffatto matrimonio
non poteva avvenire che nel secolo XV, ed in fatto a dir
breve , avvenne nel 1470. Io piuttosto opinerei aver potuto
appartenere quel nostro antico poeta o alla baronale famiglia
Ceraci, la cui magnifica casa era T odierno monastero di
S. Chiara, poco discosto dalla piccola attribuita, come dissi,
dalla tradizione a CiuUo; o alla famiglia del Marchese Lazio,
la quale ha sempre avuto il nome di Vincenzo nei suoi di-
scendenti, e che nel 1120, prima del sopra citato Ciullo, ebbe
una Veronica Lazio poetessa , della quale Bagolino riporta
alcuni versi latini assai gustosi (i).
È impossibile il rinvenire il proprietario della casa da
me attribuita a Ciullo, che abbia potuto avanti il secolo XIV
riabbellire e rimodernare l'architettura della medesima; né
meno difficile riesce per 1' altra di Bagolino : io del resto
non ho, che a riportarmi al già detto, cioè allo stile, cui
ambedue accennano. Penso inoltre, che Io stile predetto, mas^
sime della seconda , dovette nei tempi di lor costruzione
essere il Normanno. L'una e T altra casa poi, se mal non
mi appongo, hanno un certo riscontro con l'architettura delle
case fiorentine del secolo XIII; vai quanto dire con Tarchì-
lettura del Risorgimento, che pur conservò ivi un misto di
bizantino e di gotico , conforme in certo qual modo alla
normanna dei primi tempi.
Accetti queste mie opinioni per quel che valgano, poiché
io son profano all'architettura come arte, non che alla sua
storia speciale, e, se lo crede, ne faccia suo prò nell'opera
che andrà a pubblicare, desiderando ardentemente concorrere
air illustrazione di una gloria siciliana , e non altro che
questo (2).
(1) Ne scrìsse degnamente l'ab. prof. V. Di Giovanni nei suoi studi dal
titolo: Filologia e Letteratura Siciliana.
(2) Il Vigo in fatti ne tenne conto nel suo Commento alla Tenzone di
Ciullo pubbijcato in Bologna, d'onde una polemica fra me ed il prof. F. M.
Mirabella dibattutasi nella Falce di Trapani del 1874. In qael Compiilo il
Vigo de^nossi pure citare il mio SehixM storico-critico tu Ciullo à^ Alcamo
pubblicato in Palermo nel 1869.
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— 41 —
Volendo fin«Imente tenere nel giusto rispetto la tradi-
zione, che, come dissi, attribuisce a Giulio la casa da me e
pochi altri creduta di Bagolino , resterebbe a vedere se lo
scudo col compasso e la squadra, di cui sopra, abbia potuto
essere un blasone di famiglia dei tempi normanni. Ciò si do-
vrebbe riscontrare o nel Mugnoo, o nel Villabianca, le cui
opere son divenute rare, e corrono talvolta incomplete. Io qui
non ho Tagio di cotali riscontri, faccia quindi V. S. IH"";
perciocché, ritrovandosi quel blasone^ dalla famiglia, cui ap-
partenne od appartiene, e dai tempi, non che dal luogo, nel
quale fe'dimora, potrebbero ricavarsi preziose notìzie, e più
sicuri indizi.
Con ogni rispetto e piena osservanza permetta intanto
che io me le riprofessi Di V. S. Chiarissima
Devotissimo
G. Frosina-Cannella
Ed ora altre due parole. Tranne del Vigo, che prima di
morire disse l'estrema sua parola in difesa del suo Contento
e quindi di Ciullo e della Tenzone che va sotto il nome di
lui, nessuno in Sicilia, che io mi sappia, si è accinto a scri-
vere degnamente sull'importante argomento. L'£miliani-Giu-
dici ne fece un cenno nella sua Storia della Letteratura
Italiana^ il De Sanctis nella sua recente Storia della suddetta
nostra 'Letteratura. L* anno scorso rispose al Caix , che in
Ciullo vide Giacomino Pugliese (2), la Rassegna Palermitana ,
e, quantunque con felice successo in certi punti, non andò
fino al fondo della questione. Ciò posto , io mi spero che
altri, nato e cresciuto in Sicilia, dopo avere studiato bene
il dialetto natio, i canti popolari, le cronache ed altri do-
cumenti scritti in volgare, e nell'isola, nei secoli XI e XII,
non che le poesie in vernacolo di letterati siciliani , possa ,
e fra non molto, entrar nell'aringo con vera competenza.
Vorrei dir lo stesso suiraltro, e non meno importante argo-
mento della nascita e parentato di Ciullo; ma per quante
(i) J^pendice alla Disamina e al Comento della Tenzone di Ciullo d* Al-
camo. AIcaiBo, tip. Bazzolino, ia79.
(2) Se la memoria oon mi fallisce, ed il criterio mio indovina il vero,
debbo affermare che il prof. Caix nella Rivista Europea di Firenze , non è-
molto, ToUe credere che l'autore della Tenzone sia stato Cielo dal damo (poeta
immaginario) , non tanto per l' ingegnosa trasformazione del nome di CiaHo
d'Alcamo nell'altro suddetto di Cielo dal Camo, quanto pei riscontri e con-
fronti fatti con la lirica di Giacomino Pugliese, onde parmi evidente che abbia
in fondo voluto incontrastabilmente ritenere quest'ultimo autore della Tetk-
none surriferita.
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ricerche storiche si siano fatte (i), non credo si possa venire
a capo di qualcosa di veramente serio ed incontestato.
G. Froshia-Cannella
DEGLI STUDI IN ITALIA
OSSIA CONSIDERAZIONI INTORNO ALL* OPUSCOLO
DEL GENERALE MEZZAGAPO
{Mertesio)
ALL' XI CONGRESSO PEDAGOGICO
DISCORSO
Perchè' una istituzione scolastica possa fiorire , allegare
ubertosi, reali e non fallaci frutti si richiedono due condi-
zioni senza delie (piati tutti i metodi intuitivi di questo mondo
non approdano.
Questi mezzi sono riiKiSti nella buona scelta del personale
insegnante e del personale dirigente e nella guarentigia dei
pacifico esercizio dei Magistero. Ma la scelta non potrà mai
rispondere adet|uatamente allo scopo sino a che non venga
affrancata dalla influenzia delle passioni politiche , dalla in-
fluenza delle passioni locali e non venga affidata esclusiva-
mente a persone tecnic4ie.
Né il pacifico esercizio del Magistero sarà guarentito se
i direttori e gl'insegnanti per ciò che concerne le discipline
scolastiche non siano resi indipendenti dalle autorità ammi-
nistrative ad esse discipline profane; e si gli uni che gli altri
senza distinzione di tìtolo e di grado godano del medesimo
diritto di non potere essere sospesi, nh rimossi ne licenziati
senza un regolare procedimento e dopo di essere stati uditi
nelle loro difese. Altrimenti avviene quello che predisse il
Lambruschini nell'aureo suo libro 4leirEducazione, e che ogni
giorno si lamenta, che eglino si trovino nella spiacevole con-
dizione di dover tralasciare di fare il bene per non incor-
(i) Anch'io nella FtUee di Trapani citata mi provai, ma con poco o nessun
saccesso, a fare alcune ricerche sul difficilissimo argomento, e dovetti accor-
germi della mancanza completa che su di esso risentiamo de' fonti storici, e
come sia desiderabile l'esplorazione mfnuiiosa degli archivj pubblici e privati
siciliani per venire in chiaro di qualche cosa sul casato e la patria vera di
Giulio.
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rere nella disapprovazione altrui, per non perdere l'impiego
o quanto meno per non essere danneggiati nella carriera.
Ora le proposte come le disposizioni tendenti a regolare
le scuole professionali popolari^ di cui è tema, da quanto
potei rilevare dalla dotta ed elaborata Relazione del Sig. Com-
mendatore Romanelli non che dai varìi Regolamenti ad essa
annessi se sono adorne di molti commendevoli pregi , non
vanno però scevre dai difetto menzionato poiché lasciano la
scelta o la proposta, che vai quanto la scelta, come pure la
sorte dei direttori e degli insegnanti in balìa delle autorità
locali di discipline scolastiche ignare , composte per lo più
di persone politiche e non tecniche.
Questo difetto già condannato dall'antica sapienza col verso:
Tractent fabrilia fabri , trae con se delle conseguenze che
cozzano colle provvide leggi della didattica , della politica ^
della giustizia distributiva e dell'etica sociale.
Della didattica^ in quanto che gli amministratori locali^
fatta qualche rara eccezione, non essendo persone tecniche,
la loro scelta non può essere giudiziosa e non potendosi essi
liberare del tutto dalle influenze delle amicizie e delle pa-r
i^ntele, la loro scelta non può essere imparziale.
Della politica, perchè d'ordinario le amministrazioni locali
provvedono alla vacanza delle direzioni e delle cattedre senza
sperimentare il concorso, oppure se bandiscono il concorso
ciò fanno soltanto per forma, cioè quando hanno già desti*
nata la persona che vogliono eleggere : in entrambi i cast
però la scelta cade quasi sempre sopra un insegnante o non
insegnante del paese. Per tal mezzo si mantiene vivo lo spi-
rito di Municipalismo, quella piaga sociale che fu la causa
di tutte le sciagure che per tanti secoli mantennero calpesta
e divisa la nostra Italia. L'unità politica non potrebbe a lungo
durare quando essa non fosse cementata dalla unità intellet-
tuale e morale. La qual cosa non si può ottenere clie incro-
ciando, per così dire, le razze, cioè ravvicinando i {MpoU delle
rarìe provi ncie ed associandoli assieme perchè comunicandosi
a vicenda le idee e gli affetti fraternizzino fra di loro e for-
mino per modo di esprimermi una sola provincia, anzi un
sol paese l'Italia.
Della giustizia, perchè dall'istante che il Governo concorre
in queste scuole col denaro dei contribuenti di tutto io Stato,
non mi pare equo che le direzioni e le cattedre vadano ad
esclusivo beneficio degli insegnanti e più spesso dei non inse-
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— u —
gnanti di quel paese che gode già delf avvantaggio di pos-
sedere la scuola.
Delletica sociale; imperciocché se vi sono degli ammini-
stratori di buon conto e di delicata coscienza ; ve ne sono
però anche molti i quali non si propongono già il profitto
delia scolaresca, il bene del popolo, ma l'interesse loro par-
ticolare e sostengono sempre quel candidato dal quale pos-
sono sperare maggior numero di suffragi nelle elezioni ammi-
nistrative o nelle politiche, e convertono cosi una libertà, che
incauto loro dà il Governo, in un mezzo di traffico politico
e talvolta di un traffico ancora più ignobile che il pudore
mi vieta di qui nominare.
Ne si accampi il solito ritornello della liberta dei Comuni,
perchè quando questo non sia un soOsma è certamente un
paralogismo.
La liberta, la vera liberta, secondo il dettame della sana
filosofia, è riposta nella facoltà di fare il bene, cioè di sce-
gliere fra i vali beni il migliore, e non già nella facoltà di
scegliere tra il bene ed il male, perchè a questa libertà del
male si contrappone il diritto di chi ha ragione di preten-
dere che si faccia il bene che non sono capaci di conoscere
e di fare le amministrazioni locali in fatto di istruzione. E lo
stesso onorevole sig. Ferdinando Berti, al quale noi dobbiamo
riconoscenza per l'interesse che prende alla causa degli inse-
gnanti, lo stesso onorevole Berti, che ci venne a fare l'apo-
logia della libertà dei Comuni, se come Dionigio di Siracusa
fosse damnatus ad pueros in una scuola Municipale primaria
o secondaria non tarderebbe a pentirsene grandemente e a
presentarsi compunto a farne pubblica ammenda innanzi a
questo stesso illustre Consesso.
Altro è librarsi nelle regioni delle astrattezze, altro è di-
scendere sul campo della pratica.
Ma con questo io non intendo già di proporre che si sot-
tragga l'elezione del personale insegnante dalle autorità ammi-
nistrative locali per affidarle alla Burocrazia governativa, perché
allora sarebbe cadere , come si suol dire , dalla padella
nelle brace.
E per fermo se è vero ciò che ci lasciò scritto il Girard
che tre sono le doti che si richiedono per formare un buon
insegnante; valor letterario^ valor scientifico e valor didat^
tico, tre devono essere le persone per convenientemente giu-
dicarlo; un letterato, un scienziato ed un pedagogista. Ora
per quanto dotto ed erudito possa essere il capo divisione
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od il capo sezione a cui venisse raccomandata la menzionata
scelta, ei non potrà giammai riunire in se stesso queste tre
qualità e quindi il suo giudizio sarà conscienzioso ma non
sempre perfetto. D'altra parte sopraffatto egli da altre cure
per lui più importanti non può spendere il tempo in un accu«
rato esame dei titoli dei concorrenti e dovrà quindi affidarne
Tincarico ad impiegati subalterni privi di esperienza, ad im-
piegati d' ordine i quali giudicano sempre a rovescio scam-
biando le apparenze per le realtà^ l'orpello per oro, perchè
mancando dei criteri voluti per siffatti gravi giudizii, cedono
alle pressioni politiche.
Per le quali ragioni io spero che l'onorevole sig. Rela-
tore come questo illustre Consesso saranno per accogliere
volentieri Tordine del giorrno che ho l'onore di loro proporre,
tanto più che esso tende a mettere in armonia le proposte
intorno alle scuole professionali popolari con il voto già emesso
dal Congresso Pedagogico intorno alle scuole elementari dì
tirocinio annesse alle scuole magistrali rurali ed alle scuole
agrarie popolari secondo le conclusioni del sig. commendatore
Miraglia , e per le quali si è stabilito come principio che
debbano essere indipendenti dalle amministrazioni locali ignare
di discipline scolastiche. Ecco l'ordine del giorno:
Il Congresso Pedagogico ritenendo che una istituzione sco-
lastica non può allegare ubertosi e reali frutti se non a con-
dizione che la scelta del personale insegnante e dirigente ,
e Io esercizio del Magistero siano guarentiti dalla influenza
delle passioni politiche, delle passioni locali, in conformità
del voto già emesso riguardo alle scuole elementari di Tiro-
cinio annesse alle scuole magistrali rurali e riguardo alle
scuole agrarie popolari, raccomanda al sig. Ministro del Com-
mercio acciocché voglia egli riformare le disposizioni che re-
golano le scuole industriali popolari per guisa:
1? Che il Direttore come gli insegnanti delle scuole indu-
striali popolari siano scelti dal Governo, previo concorso di
tìtoli, fra le persone che sono dichiarate eleggibili senza limiti
di etk per quelli che già prestarono servizio nelle scuole pub-
bliche primarie o secondarie, governative o comunali (i).
(1) Fino a che non è stabilita per legge la inamovibiltà degli insegnanti,
un professore incaricato ed anche un reggente delle scuole j;overnative e delle
scuole Municipali può sempre per uno dei fre(;^uenti raggiri di parte essere
privato dello impiego, dopo di aver consumato il fiore degli anni nella istru-
zione della gioventù. E non pochi sono quelli che così rimangono vittime
del proprio dovere. Ora l'escluderli dal concorso delle cattedre quando hanno
varcato il limite di una determinata età vai quanto privarli del mezzo di
potersi guadagnare la vita nel momento che ne hanno più bisogno e ricam-
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— 46 —
2? Che la commissione esaminatrice dei titoli sia una sola
e composta esclasivamente di uomini tecnici che rappresen-
tino i tre rami di sapere : la letteratura , la scienza e la
pedagogica.
3? Che 1 Direttori, come gli insegnanti^ per ciò che con-
cerne le discipline scolastiche, siano resi assolutamente indi-
pendenti dalle amministrazioni locali ad esse discipline estranee»
e tutti senza distinzione di titolo e di grado godano del me-
desimo diritto di non potere essere sospesi, ne rimossi, nb
licenziati senza un regolare procedimento e senza essere stati
intesi nelle loro difese.
Se nella Svizzera e nella Germania lo insegnamento pri-
mario e secondario raggiunse il più alto grado di sviluppo
e di estensione^ si è appunto perche cola è stabilita per legge
la inamovibili tk dei docenti e la loro assoluta indipendenza
per ciò che ha rapporto colle cose scolastiche dai Municipi!*
(Veggasi pag. la del Maestro Municipale pubblicato in Parma
nel ISSI coi tipi di P. Grazioli dal Senatore conte Linati).
OBBIEZIOm - DISGOaSO DI aiSPOSTA
Sedutosi il professore Deyla^ il sig. commendatore Garelli
sorge a protestare, ed insinuando come il preopinante abbia
voluto screditare coi Comuni le scuole professionali popolari,
si fa a difendere a spada tratta la capacita delle amministra-
zioni locali a dirigere e governare le scuole, e corrobora i suoi
argomenti coli' esempio della scuola professionale di Biella.
Dopo di lui il prof. Deyla, chiesta ed ottenuta la parola per
un fatto personale, si rialza e gli risponde con questo altro
breve discorso.
11 sig. Garelli, mi spiace il dirloj hai travisato il senso
delle mie parole. Io non ho inteso giammai di screditare, ma
bensì di indicare il mezzo per accreditare le scuole popolari
professionali.
D'altronde, per ciò che riguarda l'incapacità delle ammi-
nistrazioni locali a dirigere le scuole, ho citato dei fatti e
contro la logica dei fatti non valgono le declamazioni ora-
biarli di una ingiusta ed inescusabile ingratitudine dei sacrifiiii da loro so-
stenuti per il bene comune della società. Tale rigorismo non è neppure pra-
ticato nella carriera Militare , dove gli ufficiali di qualunque grado ed età
sono semjfre ammessi nella milizia provinciale» quando non ne siano impediti
da malattia.
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47 —
torie» (i) ci vogliono fatti. Il sig. Garelli ha menzionato h vero
un fatto, ma questo non è applica1)ile al caso. Imperocché
la scuola professionale di Biella si trova in condizioni ecce*
zionali; essa h situata in una Città che è centro dì coltura^
e di una industria già adulta, ove è facile trovare uomini
tecnici cafiaci di costituire, come ha costituito, un Consiglio
direttivo conoscitore delle discipline scolastiche, lo che non
si può sperare dalle altre scuole professionali site in luoghi
ove la industria è ancora bambina.
D*altro cantOf contro questo fatto sta il malgoverno che
in generale fanno i Municipii delle scuole e la impotenza della
autorità provinciale e della stessa autorità centrale a frenare
gli innumei-evoli abusi ed arbitrii che essi van commettendo
contro glMnseguanti; abusi ed arbitrii che gridano vendetta
innanzi a Dio ed agli uomini «
In una sola provincia, come mi riferì teste un Ispettore
mio amico, sopra trentacinque comuni, quattro soli pagano
i maestri, gli altri li obbligano a languire di fame^ ed alcuno
di essi già peri d*inedia, senia che la famiglia abbia potuto
ricevere un soldo delio stipendio, guadagnato dal padre <
La maestra della scuola mista di Rivisondoli trovasi da
sei mesi priva dello stipendio, erasi rivolta bensì al prefetto
d'Aquila, ed il prefetto avea spiccato al Municipio Tordine di
pagamento; ma il Sindaco per protrarla in lungo ricorse sotto
meditati pretesti, al Consiglio di Stato contro il decreto Pre-
fettizio, e qtiantunque, che per quel principio del Diritto
Roóaanoi yenter non patìtur dilationem^ sancito dalle patrie
leggi, le sentenze e le ordinanze, quando trattasi di alimenti
debbano avere esecuzione provvisoria non ostante appello ed
opposizione , ella non h ancora a tutt' oggi stata pagata di
dulia. Vi ha di più: il Consiglio di Stato^ come etu naturale,
respinse, sono già alcuni mesi, il Ricorso del Comune^ eppure
• •
(I) Difatti il più forte arf^meato del sig. commendatore Gerelli pet pro-
vare la capacità delle amministrazioni locali a dirigere le istituzioni scola-
stiche si riassume in questa proposizione: ì^erchè gH amministratori lòculi
banno contribuito col danaro del Comune e eolla loro sollecitudine alla fon-
dazione e difusione delle scuole professionali popolari. Ma chi non vede che
questo argomento parte da un falso principio? Dall'avere i Comuni contribuito
allo stabilimento aelle scuole non ne consegue già che essi abbiano acqui-
stato la capacità di ben condurle; errano talvolta in questa (Ufficile arte co-
loro che hanno passato la maggior parte della loro vita nello studio e nella
pratica di queste discipline didattiche* e come potranno pretendere di saper
ben governare gli studi coloro che delle opere scolastiche conoscono appena
rindicef Del resto, se banno contribuito alla fondazione delle scuole, non hanno
fatto altro che il loro dovere, e che l'interesse loro e dei loro amministrati;
e da ciò non ne deriva già che abbiano acquistato il diritto a fare quello
per cui non hanno la voluta capacità.
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— 48 —
il Ministero di PubBlica Istruzione non è ancora riuscito ad
ottenere che la povera maestra fosse soddisfatta del suo avere.
Notisi che il Comune di Rivisondoli non h povero, e che si
ostina a non volere pagare la maestra menzionata soltanto
per vecchi rancori contro un ex Sindaco parente di essa.
Nella stessa ricchissima città di Taranto^ popolata da beo
quarantamila abitanti, ove il Municipio profonde annualmente
trentamila franchi in soli fuochi d'artificio ad onore di vari
santi napoletani ed esteri, non h molto tempo che un ispettore
scolastico raccoglieva in sulla via e soccorreva un maestro
di quel Municipio stesso giacente al suolo sfinito di fame.
In quella stessa citta esisteva una scuola Nautica gover-
nativa, e la Giunta locale di Vigilanza, che non diferisce che
di nome dal cosi detto ConsigUo Direttivo delle scuole pro-
fessionali , poiché entrambi sono composti di amministratori
del comune estranei alle discipline scolastiche, cioè di uomini
politici e non tecnici, la Giunta locale di Vigilanza dico, col
vessare continuamente gli insegnanti, massime i non Tarentini,
ed incagliarne la loro azione istruttiva ed educativa, la scre-
ditò a segno che il Governo dovette chiuderla. Eppure non
vi h in tutla Italia un paese che per la sua posizione geo-
grafica ed i favorì che gode dalla natura meglio si presti di
questa citta ad una siffatta e cosi vantaggiosa istituzione.
Tale sorte toccò pure a parecchie altre scuole Nautiche
per la malefica influenza delle Giunte di Vigilanza, le quali
anziché essere di stimolo, fatta qualche onorevole eccezione,
sono di un continuo ostacolo al progresso degli studi. Né la
riforma testé introdotta vale a migliorarle , che anzi para-
lizzando l'azione libera del Preside, mette fuori di combat-
timento il capo della scuola.
Non basterebbero dieci grossi volumi a registrare tutti
gli indicibili arbitrii che commisero sin qui gli amministra-
tori locali, ora sotto il titolo di Giunte di vigilanza, or sotto
quello di Corpo Direttivo , or sotto il nome di Consorzi o
Consigli comunali, in danno degli insegnanti e delle scuole.
Ora, se tale é il trattamento che i Comuni usano verso
i maestri delle scuole primarie e delle scuole secondarie da
loro dipendenti , i quali sono ancora in qualche modo gua-
rentite dagli articoli 42 e 335 della legge Casati, quale trat-
tamento si potrà sperare che essi siano per usare verso i pro-
fessori ed ì maestri delle scuole professionali popolari, quando
questi non venissero in alcun modo assicurati contro i loro
suprusi ?
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— 4» —
Finalmente il voto già emesso da questo stesso Congresso
per rignardo alle scuole elementari di Tirocìnio annesse alle
scuole magistrali rurali, e riguardo alle scuole agrarie popo-
lari, non forma esso una prova che il Congresso è convinto
della incapacità di molti comuni a governare le scuole?
Questo voto è perciò una approvazione anticipata che voi
o Signori avete dato alle mie proposte, e non potreste più
sconfessarlo senza essere inconseguenti a voi stessi.
Le lagnanze che io portai innanzi a questo Congresso pe-
dagogico, furono già portate innanzi al Parlamento Nazionale
fin dal IS73 dal sig. commendatore Morpurgo, il quale nell'oc-
casione che si discuteva il Bilancio della Pubblica Istruzione
ebbe a dire che i Municipii tutti, ad eccezione di pochi fra
i più cospicui, facevano così mal governo delle scuole, da far
disperare di un miglior avvenire d'Italia, se non si poneva
un argine agli abusi ed arbitrii loro. A lui fecero eco vari
deputati e senatori nell'una e nell'altra camera.
E prima di questi il senatore conte Linati^ provveditore
agli stndi, a pagine 8 e io del suo opuscolo il Maestro Muìu-
cipale citato lasciò scritto, che per formarsi un esatto con-
cetto degli infiniti abusi degli amministratori locali fa d'uopo
scorrere (come ha fatto egli) i Comuni ove l'arbitrio non ha
controllo, dove cuoprono gli uflEici Municipali uomini orgogliosi,
tenaci negli odi, dì rado inclinati a fare bene, e pei quali le
cariche del Comune sono mezzo a soddisfare le grette cupi-
digie, anziché una fatica sostenuta per pubblica utilità..
Siano dunque emancipati gli insegnanti dalla influenza
delle passioni politiche e delle passioni locali, se si vuole che
tante forze intellettuali che ora rimangono quasi sterili, di-
vengano fruttuose e benefiche, e che in vece di servire all'or-
goglio ed alla ambizione altrui, servano a migliorare la pre-
sente e le future generazioni d'Italia.
Prof. Gabriele Deyla
DEL BELLO NELLA NUOVA POESU
(Citntinuationé) (i>.
XIII.
Abbiamo accennato le cagioni de' non lievi ostacoli , che
derivano a parer nostro, al progresso della patria letteratura»
(1) Vedi Quaderno precedente» pag. 2>3.
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— 50 —
e conseguentemente della poesia, e di questa più sopra» ra-
gionando, toccato di alcuni generi di essa, cui si estese la
scuola romanzesca. Ma poiché, in conseguenza di alcune os-
servazioni dedotte dal filo del nostro Ragionamento, avevamo
taciuto della poesia drammatica, ragion vuole, che pur di
questa diamo ora un qualche cenno. I nomi dei Shakspeare^
degli Otwayi degli Scliiileri dei Goethe, suonano nelle bocche
di tutti^ uh v'ha chi ignori come ci abbiano preceduto nell'an^
zidetta palestra. Dovrà ciò attribuirsi alla minor potenza del
genio italiano, nel dare, in questa, lodevoli saggi di se? No
certo, ove si ponga mente, quanto già alto poggiasse in altri
generi di poesia, non meno di questo, difficili ed ardui* Di*
remo piuttosto ragione di ciò, essere stala una cotal timi*-
dezza a pigliare V abbrivo a così esprimermi , a novità di
prìncipi , al quale difetto contribuì grandemente il pedan«
tismo, che dominò lungo tempo nelle nostre lettere, e domi'^
nava pur sempre pochi anni innanzi che spuntassero gli albori
dell'italiano risorgimeuto.
Primo ad iniziat^e quella nuova palestra fra noi, fu Àles*
Sandro Manzoni, coirAdeichi e il conte di Carmagnola^ lavori
degni dell'autore dei Promessi Sposi, benché, a dir vero, non
abbiano toccato egual sorte a quella di cui gode pre8enle«>
mente quel romanzo, non avendo allora avuto quella scuola,
che podììssìnii imitatori, forse perclié lo splendido esempio
dato dall'Alfieri nel promuovere la classica scuola dei greci,
non era senza frutto; testimoni i Monti, i Foscolo, ì Nicco-
lini, i Marenoo, i Marsuzi ^i) ed i Pellico, coom quelli che alla
prefata scuola lodevolmente s'inspirarono per lucere di alcuni
altri non indegni di lode, beoohè a questi inferiori per me*
rito, come un Giovanni Pindenonte, una Bandeltini, un Carlo
Leoni, un Gorelli, un Ippolito d'Aste.
Presentemente, egli pare che la poesia drammatica tenda
a compiere la sua emancipazione anche fra noi, dalle disci*
pline della prima scuola, del che abbiamo esempj nelle più
recenti produzioni, gli autori delle quali tutti gareggiano, se
non erro, nell'imitazione dell'immortale poeta di Strafford.
Ma se questa imitazione sia del tutto felice, non mi attenterò
a sentenziarlo, non avendo ancora le opinioni già emesse da
molti^ intorno a quelle produzioni, ottenuto sanzione dal ma-
(i) Dì questo tragedo romano ci restano alcune belle tragedie, benché poco
conosciute, e a cui, oggidì gli Istrioni non consentirebbero un posto sulla
scena, dopoché i tniovi barbassori dell'arte drammatica hanno bandito all'o-
stracismo tatti i devoti dei Sofocli e degli Euripidi.
Nota àeWautore,
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— 6t —
taro giudizio del tempo. Ben avvertirò che V imitazione di
quel sommo vuol essere circondata da prudenti cautele, vo*
lersi por mente ai tempi in cui vìsse, e alla nazione per cui
dettava le sue tragedie. Ciò però che parmi di riprovevole
in alcune delle moderne produzioni» si è la morale bene spesso
dimenticata, della quale virtù, a di nostri, negli italiani è
così al vivo, sentito il bisogno. Che s'egli h vero (come ne
è maestra la Storia) essere il buon costume Tamico della vera
liberta « perano le arti (ripeterò col Giordani) sieno dimen-
ticate se non debbono giovare alle virtù dei popolij ma ser-
vire alle voglie impudiche o insolenti dei tiranni (i). »
Ben maggior servizio al teatro italiano, quanto allo scopo
morale e politico rese Vittorio Alfieri , checché dirsi possa
intorno al merito artistico delle sue tragedie , le quali ne
renderebbero per questo solo riguardo , il nome riverito in
ogni età. Ma la tempra del carattere Alfieriano negli italiani,
assai difficilmente si trova, popolo d'indole positiva e tran-
quilla, uh sappiamo quando alcuno di essi giungerà a disot-
terrarne il pugnale che giace con lui sepolto in S. Croce.
Ma se questo benefizio h poco sperabile, deh! almeuo si
studiassero gl'italiani d'imitarlo, nell'infòrmare a nobili e su-
blimi concetti i loro parti, acciò rispondessero in tutto e per
tutto, alla grandezza e al decoro dell'arte.
Ma tornando alla scuola romanzesca , se l' imitazione di
questa, h lodevole, anzi rispondente allo spirito che domina
la nostra letteratura, si dovrà egli bandire la croce alla clas-
sica? Gli autori che a questa si educarono, come un Alfieri^
un Carlo Marenco, un Niccolini^ un Pellico avranno perduto
ogni diritto ai suffragi della scena? Non so chi potrebbe, da
buon senno, asserirlo. Bensì io credo ^ che il concedere più
di frequente un posto a quelPantica scuola sulle nostre scene,
contribuirebbe a moderare alquanto gli eccessi della moderna,,
eccessi oramai giunti a tale, che non ho difficolta di affer-
mare con un moderno scrittore che: « dell' epoca presente ,
in fatto di teatro, non sia da parlare, ma da ridere (2). »
L'altro genere di componimento, che più della tragedia
lascia a desiderare nella drammatica palestra, si h la Com-
media , dico la vera Commedia , quale dietro V esempio dei
greci maestri, ci tramandarono un Goldoni, un Gigli, unGiraud,
un Alberto Nota, e quale tramandarono eziandio "dietro Te-
(i) Opere edite postarne. Voi. 1! Rdii. Borroni e Siotti. Milano.
(2) Vedi VÀnnaiatore, 31 Marzo ISSO» alFarticolo: « Noterelle critieo-bi-
bliografiche.
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— 52 —
sempio di que' primi alla lor nazione , un Pietro Cornelio ,
un Regnard, e più di questi» Tincomparabile Molière.
I francesi, presso i quali la scuola romanzesca ebbe si
grande influenza, le apersero più largo campo col dramma,
il qual genere di componimento venne scherzevolmente chia-
mato dal Voltaire tragèdie en redingote^ siccome quello che
partecipa del comico e del serio. Ma se questa strana me-
scolanza soddisfece al gusto del pubblico, che ama di venir
commosso, non tanto dall'uno quanto dall'altro, non tornò,
parmi, di gran vantaggio allo scopo morale dell'arte; avve-
gnaché , essendo la Commedia una vera satira dei costumi
del popolo per cui h scritta, trovi, con ciò, minor campo da
esercitare sola il suo ministero, e comechè a di nostri com-
medie non manchino in Francia ed in Italia, che rammentino
il socco diviso dal coturno; pur nondimeno h innegabile, che
il genere misto sopradetto abbia il sopravvento, particolar-
mente in Francia, la quale lo ha oramai tra noi diffuso per
modo, affascinando, come già fé' coi romanzi, le mentì ita-
liane (ligie da lungo tempo a ciò che sa di straniero) che
oramai delle trenta produzioni che si rappresentano nei nostri
teatri, raro h che le venti almeno non compariscano coU'im-
pronta straniera. La quale jattura sarebbe meno a deplorarsi^
se produzioni siffatte non peccassero contro i più sani pre-
cetti dell' arte , e quel che h peggio , contro la morale e ì
buoni costumi. - Quali saranno i provvedimenti da ciò?- Qua-
lunque provvedimento, a parer mio, tornerebbe ora vuoto d'ef-
fetto: ma il solo, immancabile h da aspettarsi dall'opera ma-
tura del tempo , il quale rende giustizia , tosto a tardi , si
nelle arti che nelle scienze , ai principi fondati sul vero e
sul bello.
Il seicento delirava (notò TAlBeri) (i) ma venne il tempo,
che que'deliri cessarono, quando cioè le menti italiane, rin-
savite a migliori principi, tornarono allo smarrito sentiero,
ed ai Marini, ai Preti, agli Achillini, succedettero i Monti,
i Cesari, i Parini, i Foscolo.
E verrà tempo (né temo di fallire al pronostico) che
molte produzioni tanto acclamate, oggidì, e levate a cielo
con
(1) Il discreto lettore saprà interpretare la sentenza del sommo tragico,
^v» quelle eccezioni , che merita » e non imputerà , certo , Io stesso delirio
al 600, in fatto di <(uelle scienze, nelle quali, il Galileo, il Torricelli, il Cas-
sini , ed altri illustri scienziati ne fnrono il principal decoro ed ornamento.
Ed anche, in fatto di lettere, non comprenderà, nella turba della falsa scuola,
i Bartoli, i Segneri, i Doni, i Capecelatro, né lo stesso Galileo, le cui scrit-
ture meritarono un buon posto, fra i testi di lingua.
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— 53 —
dalla folla; ma non avvalorate dall* approvazione di uomini
insigni, per perizia e buon gusto, nelle cose letterarie, rica-
dranno nell'oblio 9 come fiv venne, per addurne un esempio,
alle opere drammàtiche del conte Pepoli, le quali ricliiama-
vano, al suo tempo, immenso numero di concorrenti alle rap-
presentazioni, mentre quelle dell'Alfieri erano, il pia delle
volte, ascoltate con impaziente noja. Ma non per questo, nulla
dobbiamo omettere de' nostri sforzi , da preparare una via
ad una salutare riforma. Scopo della quale sia il ricondur
l'arte a que'principj, dai quali va deviando ognor più, con
grave detrimento di essa. Vorrebbesi, insomma, un valente
ingegno che intendesse a giovarla di que' benefici medesimi,
onde giovò ia scoltura un Antonio Canova , nel ravvisar
quest'arte degenere da quell'eccellenza, con cui l'Eterna Citta
Tavea ricevuta dai Greci, nel che riuscì, (benché non senza
gravi ostacoli) ritirandola più vicino a'suoi principi^ e risu-
scitò il fare di quello.
E qui, piacemi ricordare, in proposito dei Greci maestri,
che il Chiabrera, volendo dar lode meritata a qualche cosa,
che sopra le altre toccasse più da vicino aireccellenza« usava
dire: «r la è poesia greca, d Oh! perchè alla stessa lode non
hanno diritto, oggiHì, le molte che vedono la pubblica luce?
A coloro, che studiarono in quegli eterni modelli^ o nei felici
loro imitatori, sarà agevol cosa la risposta, e compatiranno
a que'molti^ dai quali vengono que'prìmi posti in non cale,
o derìsi, e stimano cosa da pedanti il far tesoro di que'pregi
che pur li resero immortali. Noi intanto devoti a que'sommi
maestri non lascieremo di ripetere a tutti i savi cultori
dell' arte: '
Vos exemplaria Greca (1)
Noctarna versate manu versate diarna
Orai. 9 arte poeL
{Continua)
Prof. Nicolò Marsugco
(1) QiieggOD da voi dioroa,
ChieggOD Dottarna man gli Achei modelli.
Vefiùme del Solari.
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— 54
XI.
ARTICOLI VÀKI
1-
UN FABBRICATO SULLA VIA NAZIONALE
È temerità, o sfrontatezza di tutti coloro, clie col titolo
d'ingegneri commettono l'impudenza di far mostra ai romani
delle loro opere in quell'arte, che ambiscono di esercitare,
senza conóscerla? No^ non è ne Tuna né l'altra, ma è l'effetto
di pretta ignoranza. Poiché se riflettessero, che Roma h stata
la dominatrice del mondo, che dessa ha diramato per tutto
l'universo il germe delle scienze, della civiltà delle arti; che
a questa Roma concorrono tutte le nazioni per istruirsi sui
tanti monumenti che V adornano , dovrebbero trepidare alla
semplice idea di presentare ai romani un parto di loro inven-
zione; ma totalmente ignari in professione, non temono delle
loro facoltà e fanno tutto quello , che il capriccio lor sug-
gerisce.
Con tali prìncipi vedo inalzato un casamento sa detta
via distìnto col M? 13; ma- io non intendo criticarlo, perchè
gli farei un onore , e poi per non cadere in con tradizione
con me stesso, avendo detto in altro mio articodo, pubblicato
su questo giornale, che non s'imprende mai a criticare un'o-
pera, sia letteraria 0 artìstica, senza che dessa presenti alcun
merito. Finalmente perché la vera critica é l' applicazione
del gusto e del buon senso alle Belle Arti. L' oggetto , che
dessa si propone é il distinguere io un'opera ciò che vi ha
di bello o di brutto; l'ascendere dai casi particolari ai prin-
cipi generali, ed il formare in tal guisa le regole, od i ca-
noni concernenti i vari generi del bello nelle opere dell'in-
gegno, ma non in quelle degV ingegneri.
Non avendo dunque alcun merito per poterlo criticare, ne
darò prima un'idea in massa, e quindi discenderò a farne det-
tagliata ed imparziale descrizione , in tutte le parti che lo
compongono.
In questo casamento si é voluto adombrare lo stile della
nostra Accademia, che é quanto dire il Greco-Romano, ma.
deformandolo con una male intesa applicazione, come verrà
^n appresso descritto.
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— 55 —
É composto di un piano terreno e di quattro piani su-
periori abitabili con sette finestre in linea ad ogni piano.
la parte inedia di questo prospetto, che comprende lo spazio
di cinque finestre in linea di ogni piano» si è volata risal-
tare di pochi centimetri in tutta la sua altezza per distin-
guerla dalle due parti estreme» che sonosi lasciate più sem-
plici o per dir meglio meno sciattate.
II piano terreno e bugnato e le botteghe, che da tre parti
fiancheggiano il portone d'ingresso, hanno vani di porte ar-
cuate con serragli regolari*
li primo piano nella parte media del suo prospetto risal-
tata di pochi centimetri , ha cinque finestre con parapetto
balaustrato, che sono una bellezza, luce arcuata molto sfilata
fiancheggiata da due colonne addossate una per parte, sfilate
anch' esse con capitello composito , le quali sostengono una
trabeazione sproporzionata^ composta di architrave , fregio e
cornice dentellata , la quale sporge in modo da stabilire la
banchina di una ringhiera a livello del pavimento del piano
superiore con parapetto di ferro.
Al secondo piano non si h potuto fare altrettanto, perchè
si h voluto che i vani interni (cosa straordinaria) fossero più
alti di quelli del primo piano sottoposto, e per conseguenza
non si potevano stiracchiare le luci rettangolari (e non ar-
cuate) e le colonne delle finestre, tanto che bastassero ad arri-
vare con la loro trabeazione a livello del pavimento del terzo .
piano per ottenere la banchina della ringhiera sulla cimasa
delia trabeazione, che corrispondesse a livello del pavimento
del piano superiore, come si h fatto al sottoposto. E per na-
scondere la distanza eccessiva che risultava tra i due piani
si h costruito un pesante e brutto cornicione dentellato, nel
cui architrave infilano le cimase delle finestre sopradescritte.
Le finestre del terzo e del quarto piano sono sorelle car-
nali, o cugine di quelle dei due piani sottoposti. Il corni-
cione, che corona l'edificio pienamente vi corrisponde; per
cui è da notarsi in questo casamento essersi conservato co-
stante uno stile capriccioso e stravagante, da non trovar mai
pedanti imitatori. Discorda un poco il basamento per essere
semplice e regolare.
2.
ALTRO FABBRICATO SOL LATO OPPOSTO DI DETTA VIA
DISTINTO COL N! ai9.
Anche questo è bastantemente stravagante, portando Firn-
pronta del genio ingegneresco, perchè mancante di gusto, di
purgatezza di stile, di unità di carattere, di armonia.
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— 56 —
È composto di un piano terreno e di quattro piani supe-
riori abitabili compreso il mezzanino immediatamente sopnh
posto al piano terreno, con sette finestre in linea ad ogni piano.
Nel piano terreno sono tre grandi vani di porte, che per
la stravaganza degli adornamenti somigliano tra loro; quello
di .mezzo serve d'ingresso al casamento, i due laterali alle
botteghe , le quali vengono fiancheggiate da due finestrini
retlangolaii di uno stile^ che punto non corrisponde al ca-
rattere delle porte suddette.
E cosa potrò dire del mezzanino con quei sette finestrini
poggiati ad una fascia modinata troncata ad ognuno di essi?
Presi isolatamente non sarebbero brutti, ma si rendono ridi-
coli , perchè discordano coi vani di porte al piano terreno
e coi piani superiori, ai quali si h preteso d'imprimere un
carattere barocco. Questi finestrini vengono adornati da mostra
modinata e piccola cimasa sostenuta da due pilastrini di stile
pestano^ e tra questo stile e quello barocco passa grandissima
distanza, e non vi voleva che l'ingegno di un ingegnere per
poterli avvicinare.
Ho già detto, che i piani superiori al mezzanino puzzano
di barocchismo , e ciò basta per esonerarmi di farne detta-
gliata descrizione ; ma mi piace far conoscere all' autore di
questo fabbricato chi fu Tautore del barocchismo onde servirgli
di norma, che dovendone dirigere un altro lo possa far meglio
(perchè peggio sarebbe più difficile).
Il corifeo del barocchismo fu l'architetto Francesco Bor-
romini, che visse in questo mondo dal 1599 al 1667. Fu egli
che portò la bizzarria al più alto grado del delirio. Deformò
e mutilò frontespizi, rovesciò volute, tagliò angoli, ondulò
architravi e cornicioni, e profuse cartocci, lumache, conchiglie
e bizzarrie d'ogni sorta. L'architettura borrominesca è un ar-
chitettura alla rovescia, cioè una scempiaggine.
E come si ridusse egli a tanto delirio , dotato com' era
di straordinario talento? Per invidia che concepì a carico del
celebre architetto Lorenzo Bernini. Quell'invidia era così arrab-
biata, che alla fine impazzì, divenne frenetico e si ammazzò!
Per soperare il Bernini non prese 1' unico spediente di far
meglio e più correttamente. Il secolo della correzione non
era più , era il sedolo della corruzione. Onde egli prese il
partito di rendersi singolare con l'andare fuori di ogni re-
gola, vi riuscì e formò quella setta detta borrominesca, che
estese le sue ale ed ebbe vita per circa un secolo, e trovò
tanti seguaci presso gl'ignoranti, che pedantescamente segui-
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— w —
ròno il suo esempio, che non voleva che nn Francesco Mi-
lizia per annientarla; ma era il secolo della corruzione, come
si disse; ma oggi sullo spirare del secolo XIX, mentre si de-
canta progresso, civiltà e libere istituzioni si ha da vedere
in una città monumentale com'è Roma, risorgere il baroccume^
il quale ebbe vita nell'epoca dell'ignoranza e della decadenza
delle arti? £ per opera di chi? dei sapientissimi ingegneri,
che Dio li benedica e perdoni loro tutti gli errori fin qui com-
messi nelle opere architettoniche e faccia loro perdere la sfre-
nata ambizione di essere architetti*
Questi due fabbricati sopradescrìtti starebbero bene sulla
piazza di san Silvestro in Capite, perchè stando a contatto col
palazzo della Posta, potrebbe chiamarsi piazza degli spropositi.
3.
SECONDA APPENDICE ALL'ARTICOLO CHE HA PER TITOLO
<c 1 CAPRICCI DELLA MODA APPLICATI ALLE ARTI, d
È cosa dispiacente per uno che scrive articoli dover ri-*
petere gli stessi rimproveri tendenti ad eliminare, se sia pos-
sibile , alcune licenze , che si commettono nei fabbricati di
nuovo impianto, come altresì in quelli di restauro, per cui
mi avvedo non godere stima bastante per essere creduto^
Non importa: io scrivo per l'amore dell'arte, e mi parrebbe
sentirne rimorso se restassi in silenzio. È vero che molti non
lèggono il Buonarroti su cui scrivo, perchè l'è un periodico
poco diffuso, ma alcuni sono associati, e questi dicono non
aver tempo di leggerlo, ad onta che avessero solennemente
promesso rispondere ad un mio articolo pubblicato su questo
stesso giornale; ma sarebbe meglio si dessero per vinti, perchè
dimostrano essere ammassati di quelle cognizioni atte a le-
gittimare i loro errori, ma il dire di non aver tempo di leg-
gere poche righe sul Buonarroti è una scusa troppo magra>
ed intanto caparbi come sono, seguitano a commettere le stesse
licenze, ridendosi forse de'miei articoli.
Dopo questa prolusione i miei lettori non sapranno quali
siano le licenze di arte da me disapprovate, e che si com-
mettono nei fabbricati da alcuni architetti a danno della sem^-
plicitk 9 del buon gusto e del giusto raziocinio. Ma se mi
accorderanno breve respiro, mi studierò di manifestare con
la maggior chiarezza tutto quello , che a mio credere non
deve farsi, ed eccomi a dimostrarlo.
Si è introdotta, da qualche tempo la moda, di dare aspetta
di mezzanini ai secondi piani^ con finestre volanti e di pic^
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— 58 —
cole dimensioni , credendo forse di rendere più elegante il
prospetto* Cosa ne viene? che essendo i piani dei vani interni,
a un di presso tutti della stessa altezza^ risulta una distanza
maggiore dairarchitrave delle finestre del preteso mezzanino,
alla linea del davanzale delle finestre del terzo piano; e per
nascondere, o ingannare la distanza clie ne rìsulta, si co-
struisce quella odiosissima fascia o cornice in linea del pa-
vimento del terzo piano suddetto» da me le tante volte cen-
surata.
Finora avevo detto molto su queste inutili fasce, in vari
miei articoli pubblicati su questo stesso giornale , ma non
mi ero mai internato a conoscere per qual ragione si co-
struissero, e mi piace averlo potuto conoscere e manifestare
come sopra; che anzi a maggiore illustrazione aggiungo quanto
appresso.
Nei grandi palazzi occorre di avere al primo piano delle
grandi sale destinate a ricevimenti^ a feste da ballo, a so-
cietà e ad altri usi, e siccome queste devono avere un'altezza
proporzionata alla loro ampiezza, gli architetti del secolo XVII,
per non occupare quella del piano superiore, come fece il San-
gallo al palazzo Farnese, immaginarono il plausibile ripiego
di costruire un mezzanino sopra il piano nobile, affinchè le
sale suddette comprendessero 1* altezza di quello , come si
fece al palazzo Chigi a pias^za Colonna, a quello Buonaccorsi
sulla via del Corso, a quello Boadille sulla via de*Cesarini,
al palazzo Pacca sulla piazza di Campitelli ed in tanti altri;
e siccome V altezza dei piani mezzanini è tanto minore di
quella dei piani sottoposti , nessuno si trovò in bisogno di
costruire le odiose fasce o cornici in linea del pavimento del
terzo piano, per ingannare la maggiore altezza che risultava
dall'architrave delle finestre mezzanine alla linea di parapetto
delle finestre del piano superiore.
Dunque notate bene, miei cari ed amati colleghi, che i
piani mezzanini interposti tra i due piani nobili, s'immagi-
narono per un ripiego e non per imprimere aspetto più ele-
gante ai prospetti, come si pretese fare al palazzo Marignoli
sul vicolo di san Claudio, in quello a piazza Colonna, olim
della Posta, in quella piccola casa di recentissima costruzione
sulla via di san Venanzio N? i3 ed in tante altre, egualmente
recenti, che non voglio nominare. Dunque i mezzanini inter-
medi ai piani nobili si rendono necessari nei grandi palazzi
per avere grandi sale da comprendere Taltezza dei Mezzanini
medesimi, e non nei casamenti ove queste sale non occorrono.
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Frattanto cosa si dovrà pensare intorno al criterio arti-
stico di questi arcbitetti? escile sono mancanti della filosofia
dellarte, e che vogliono ciecamente seguire i capricci della
moda.
Ora voglio discorrere un poco di quei bugnati alla rustica
con bozze rilevate, con le quali si pretende di adornare indi-
stintamente il basamento di ogni fabbricato, senza distinzione
del carattere e dell'uso cui viene destinato.
Ma i diversi piani che s'innalzano sopra questi bugnati,
sono in armonia con lo stile serio di quelli? - pare di no »
vediamolo*
L'immortale Urbinate diresse il palazzo Stoppani, oggi
Vidoni , sulla via del Sudario , con quel basamento serio o
piuttosto fiero , e sopra questo basamento egli impresse al
primo piano il carattere dorico che adornò col suo proprio
ordine con colonne addossate binate, e sta bene, perchè armo-
nizza con lo stesso basamento (il secondo piano h posteriore).
Bramante Lazzari principiò a dirigere, sulla via Giulia,
un palazzo di giustizia , ed al basamento inalzato di circa *
due metri dal piano stradale che tutt'ora esiste, voleva im-
primergli un carattere di fierezza mediante quel bugnato a
grandi bozze rilevate alla rustica , per fargli acquistare un
carattere che bene si addicesse ad un tribunale. Il male si h
di non conoscere quale aspetto avrebbe impresso ai piani
superiori, perchè passato agli eterni riposi Giulio II grande
mecenate delle arti, questo immenso fabbricato rimase sospeso;
ma Bramante nel proprio suo genio avrebbe saputo armo-
nizzare il tutto con le parti, e non avrebbe decorato il piano
superiore con stile che al basamento non convenisse, poiché
egli fu architetto di prima classe e ristauratore dell'arte
architettonica»
Lo stesso Bramante nel palazzo della Cancelleria costruì
il basamento di un carattere gentile, perchè gentilissimi si
voleva che fossero i piani superiori. Lo stesso fece al pa-
lazzo Giraud a ScossacavallL
Anche il Peruzzi, nel suo bel palazzo Massimi sulla via
Papale, adornò il piano terreno con pilastri e colonne doriche,
in modo che armonizzasse con i piani superiori.
All'incontro nei fabbricati moderni vedo severi bugnati
al basamento ed i primi piani immediatamente sopraposti ,
ornati di fasce modinate, o comici e finestre che apparten-
gono alFordìne jonico o corintio. Dov'è dunque quell'accordo
che costituisce l'armonia delle varie partì di un edificio? Vedo
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— 50 —
ancora serragli bugnati nei vani di porte e finestre contor-
nati nella parte interna di fasce gentilmente modinate, come
malamente si fece alla Banca di Risparmio , e tuttociò per
seguire pedantescamente la moda» senza potere addurre alcuna
ragione per sostenere simili errori.
Pare sentirmi dire alle spalle » Chi è costui , che sputa
sentenze e pretende dettare in cattedra per darci lezione?»
Questo costui sono proprio io in persona, che al i^ dell'en-
trante settembre entrerò negli anni 83 , e se vogliate cono-
scere il nome e cognome, guardate in fine dell'articolo e lo
vedrete, che non ho mai preteso erigermi a maestro e molto
meno presso coloro che ne sapranno più di me. Nella mia
gioventù ho molto studiato sugli antichi monumenti e su
<{uelli del secolo XV di classici autori» e cosi ho potuto for-
marmi uno stile, che credo basato sulla ragione e sul giusto
raziocinio. E quando vedo un fabbricato mancante di alcuni
principi con dispiacere lo biasimo , come altrettanto godo
lodarne un altro qualora lo ravvisi ben condotto » siccome
(^uno avrà veduto ne'miei articoli. E tuttociò senza spirito
di parzialità , ma per solo amore dell' arte , perchè vorrei ,
che i miei colleghi in professione divenissero tanti Bramanti^
Urbinati, tanti Peruzzi, per cavarmi il cappello e profonda-
mente inchinarmi al loro passaggio in segno di rispetto, ma
che forse a tutta risposta non mi guarderebbero in faccia.
£ così sìa.
4.
SI DECANTA CIVILTÀ' E SI CALPESTANO LE ARTI
Tra le tante glorie che può decantare la città de' sette
Colli, una delle maggiori è quella di essere stata mai sempre
considerata da tutto l'universo come madre e regina delle
Arti Belle, da Cesare Augusto insino a noi. Tra queste arti
la più nobile^ perchè la più utile, è l'architettura, detta per
antonomasia madre e direttrice di tutte le altre.
Per essa si adornano e si nobilitano le Città con la ma-
gnificenza de' suoi monumenti, per la bellezza de' palazzi e
case cittadinesche , per i pubblici e privati edifici , per la
regolarità delle vie, e per la disposizione e comodità degl'in-
terni appartamenti.
Per essa si hanno le Basiliche, le Chiese, le parrocchie^
gli oratori, le cappelle private, i Conventi, i Monasteri e
tutto quello che tende all'incremento della religione e del
culto. Per la pubblica istruzione si hanno i Collegi, i Semi-
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— 61 —
nari ^ le Università , le Biblioteche , le Gallerie , i Musei , i
Gabinetti di Fisica, le Specole, le Palestre. Per ia pubblica
igiene i Spedali, ì Manicomi, i Lazzaretti, le Terme^ i Cimi*
teri. Per ramministrazione della Giustizia, i Tribunali, Can-
cellerie , Archivi , Segreterie e luoghi di pena. Per diverti-
menti e siti di delizia, i Casini di campagna, parchi, ville,
giardini, peschiere. Teatri, Anfiteatri, Circhi, Sferisteri , Po-
liteami^ Cavallerizze. Per la pubblica sicurezza, mura di cinta,
porte di citta fortificate , Castelli , ponti levatoi , Fortezze.
Per animare l'industria e commercio, Porti, Fari, Spiagge.
Che più si potrà pretendere dall'esercizio di quest'arte
COSI benemerita della società, e che per conseguenza dovrebbe
godere la massima protezione del Governo, perchè ridonde-
rebbe all' onor suo ed a gloria della nazione ? Pur non di
meno è quella che poco o niente si considera e bisognando
si disprezza per la protezipne, che si accorda agringegneri,
i quali vengono erroneamente considerati come architetti, che
non lo sono , né lo possono essere per mancanza di studi
relativi e per esser privi di quel genio naturale, dono della
natura, atto all'esercizio di tal professione.
Me tante volte giova studiarla senza la naturale dispo-
sizione: si potranno al più apprenderne i primi rudimenti,
i quali si restringono a pochi, ma quando si tratti dell'ap-
plicazione, d'imprimere cioè ad un edificio il carattere proprio
ed espressiva alla sua destinazione, lo che si chiama filosofia
dell'arte, allora si conosce la mancanza del genio! come si
ravvisa in un pittore qualora non sappia dare l'espressione
alle sue figure: pochi sono quelli che ci riescono, e mollo
meno potranno riuscirvi coloro che non ci sono chiamati ,
e che mentre disprezzano quest'arte, ambiscono di esecitarla.
Tutte le arti liberali dovrebbero esclusivamente eserci-
tarsi da coloro che ne hanno inclinazione, e quel genio na-
turale atto all'esercizio di quella che s'imprende ad eserci-
tare: l'ingegneria non è arte, come non sarebbe arte Tarchi-
tettura, se a questa non fosse unita la parte estetica, la quale
ha per iscopo di cercare e determinare i caratteri del bello
nelle produzioni della natura e dell'arte, mediante la quale
si ottiene l'accordo e l'armonia delle parti per ottenere quel
carattere significante da imprimersi ad un edificio; ma senza
il genio naturale non si ottiene, come colui, che volesse eser-
citarsi nella musica e che fosse mancante di orecchio per di*
stinguere la diversità dei toni, potrebbe mai divenirne com-
positore? Dante scrisse anche in prosa, ma non figura come
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— M —
nel celebre suo poema, perchè la sua tendenza era dì essere
poeta e non oratore. Cicerone^ il gran Cicerone, volle scrivere
in versi, ma non riuscì, perchè era oratore e non poeta.
Ed io che non sono né poeta né oratore, vorrei esercì*
tare la mia professione, ma per mancanza di mecenati nes*
suno mi chiama. Se fossi ricco sarei un brav*uomo, godrei
k fiducia di molti ed avrei delle commissioui ad onta cbe
fossi una bestia, ma benché bestia mi parrebbe di saperne
un tantino più di coloro che si chiamano ingegneri, pat:bè
nato con la tendenza e naturale inclinazione a seguire
quest'arte, la quale è basata sui raziocinio, come dice Vi-
travio, e sulla ragione, e non sul capriccio.
E gFìngegneri, mancanti come sono del genio naturale»
totalmente privi dei primi rudimenti e di quelle cognizioni,
cbe si acquistano nella contemplazione e misura dei monu-
menti antichi e quelli del risorgimento di classici autori
(qual'è la vera scuola, dopo acquistati i primi elementi in
un'accademia) sono quelli cbe rovinano le arti, ed i poveri
architetti, che avrebbero tutto il diritto di esercitare la loro
professione acquistata con studio, sudore e dispendio nel fiore
de' loro anni, si trovano privi di lavori.
Meno male se gl'ingegneri sapessero fare qualche cosa,
ma ignari come sono in professione , allorquando hanno a
dirigere un fabbricato , si raccomandano a qualche giorìne
architetto per avere i disegni, che poi defonnano nella «se-
cuziose, poiché con le regole di statica e con l'idraulica non
si distribuisce un appartamento, non si colloca conveniente-
mente una scala, non s'imprime il carattere ad nn edificio,
che esprìma chiaramente il suo scopo.
E quei fabbricati di nuovo impianto eletti al Maocao »
al Celio, ali* Esquiiino ed altrove non danno a oonosoere la
mancanza di «cognizioni artistiche? Se tornasse al mondo il
signor d' Angincourt , il quale compilò la storia ragionata
delie arti e vedesse quei fabbricati, qual concetto si fonne-
rebbe «de'loro autori? Esdameirebbe con Cassìodoro-: mores
tuos fabricae hquuntur. Ha sarebbe bene non vedesse il pa*
lazflK» dieflla huta, perchè lo caratterizserebbe un opeva be'bassi
tempi, oMne la casa di Cola jtienso» detta anche di KlatOt
ordinala nelVXI secolo da Ilicola figlio idi Crescenzit» e di
Teodora ppinro Duoa di Roma.
Che in quell'epoca tutti igli «tementi coiigiarassero a danno
della civiltà e del progresso la cosa è ]»06itiva , poiché tra
le mondiali alternative suocede, che nascono le arti, crescono^
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— 63 —
migliorano, si alterano, si deformano, decadono, si distrug-
gono y ritornano in fiore ; per le stesse cause a noi ignote ,
che mettono in iscompiglio le citta, le provincie, i princi-*-
pati, i regni, grindividui; ma che oggi sullo spirare del se-
colo XIX^ mentre si decanta civiltà, progresso e libere istir-
tu2Ìoni, s'abbia vedete quest'arte (l'architettura) Unto gelo*-
samente protetta e guarentita dai cessati governi, imbastar-
dirsi per opera di coloro, che reggono il timone della cosa
pubblica, è più che una scempiaggine, un barbarismo.
Dunque non decantate progresso, perché questo tende a
proteggere e migliorare le arti, non a farle decadere: l'in-
vasione dei barbari si ravvisa dai monumenti distrutti e la
vostra gestione dalla defoimìta di quei tanti fabbricati di-
Ktti dagl'ingegneri che Voi proteggete a danno degli archi-
tetti e a disdoro di voi stessi y della capitale del regno e
della intera nazione.
Giuseppe Verzili Architetto Ingegnere
XII.
DDE BRANI DEI DIARII DI MARINO SANOTO
RELATIVI ALLA DISFIDA DI BARLETTA
Dobbiamo la comunicazione di questi brani alla esimia
cortesia dei eh. signori cav. Andrea Tessier e Nob. Camillo
Soranzo, addetto alla biblioteca Marciana di Venezia. Gover-
natore Veneto di Trani era nel I5d3 Zulian Gradenigo; ma
ulteriori ricerche fatte nei detti Diarii non portarono a sco-
prire alcnn altra comunicazione dello stesso Governatore su
tale argomento.
Voi. IV, carte 347.
2 Marzo isos.
« £ da saper come tutta la terra fo piena et in colegio
yt nulla erra tamen vidi uno capitolo di lettere di Traci di
» 13 fevrer di questo tenor scrìve el canzelier dil governador
i> e dice cussi Tenuta questa fin adi i3 a borre 3 di nocte
» E venuto qui persona e sta a veder a combater francesi i3
» e Taliani 13 che sono a soldo dil gran capitanio i qualli
ji ia questi zorni se disfidono a combnt^r su questo che fran-
» cesi bavea ditto che Taliani erano Iraditori come spagnoli
» et ozi sono stati a combater in campagna a cavalo adeo
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— 64 —
» che per tre borre combateteno et rimaseno a piedi tutti
j» con i pugnali soli in man et tandem Italiani romaseno vin-
D citori et ha menato tutti 13 francesi presoni a Barleta di
» qualli parecchi sono feriti ma tre sonno a morte. Chi ha
» riferito dice che Taliani haveano fato virilmente de li qualli
D do Romani con el sig. Fabricio Coloiia i altri sonno di la
» compagnia dil Duca di Termeni. Il governator non so sii
» scrìvira di questo a la Signoria perche ha ligato tutte le
» sue letere e adesso parte il ca^alaro. »
Voi. IV, carte 350.
6 Marzo i503.
« Da Napoli xlil Consolo di 25 , come per li disonesti
» portamenti di Francesi Castelaneta più volte si lamento
» al vice Re et ninna provisione fece e mossi da gran ra-
» sone a insto disdegno si dete a spagnoli una note e amazono
» parte di francesi e parte fato presoni. Si dice la Terra
» e sta ricuperata e fato vendeta tamen non e certeza. Et
» in terra di Otranto e ribellato etiam Zuam battista de
» Montibus fiol di messer Francesco e appresso il Re di Ro-
» mani baron di Coreliano et a mandato a Taranto a darsi
^ e a Leze , si fava provisione contra di lui , sì tien sarà
» disfato. Iteftì come in quelli di 13 Italiani de spagnoli et
» 13 francesi se disfidono verso Canosa fonno a le man tutti
» in arme bianche a cavallo e li Italiani vinsero* E si tractava
)> che Italiani di francesi facessìno il simile con spagnoli. »
LAVORI DEL PROF. POGGIOLI DI ROHA
L'avv. Giuseppe Poggioli fin dal 1862 pubblicava alcuni
scritti inediti del prof. Michelangelo Poggioli suo padre. Essi
vennero altamente lodati da ìUustri accademie e scienziati
sì italiani sì stranieri. Qra per cura dello stesso avvocato
sono usciti alla luce altri scritti postumi dello stesso geni-
tore col titolo: jilcuni tasfori in opera dì scienze naturali.
La soverchia abbondanza di materie non ci permise finora
di fame parola nel nostro giornale. Il nome dell'esimio prof.
Michelangelo Poggioli, e gli elogi che all'una e all'altra pub-
blicazione vennero prodigati da insigni periodici» che ne die-
dero il sunto, ci dispensa dal fame un'analisi* Basterà ri-
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— 65 —
poitare tradotto in nostra lingua il seguente articolo del
cb. sig. Emilio Vaisson (i).
« Riceviamo dal sig. G. Poggioli la raccolta dei lavori ine-
diti dell'illustre suo genitore, prof. Michelangelo Poggioli,
che fu ad un tempo abile medico , eminente botanico e
grazioso poeta.
» Sebbene i lavori del dotto naturalista non entrino nel
programma del nostro giornale, afferriamo con piacere l'oc-
casione , che ci viene offerta di lodare le rilevanti qualità
che spiccano negli scrìtti dell'illustre scienziato italiano, tra
le quali i critici hanno concordemente riconosciuto concisione
accoppiata all'ordine, chiarezza coUegata colla profondità delle
idee, e soprattutto, cosa rara negli scritti scientifici, mera-
vigliosa facilità e squisita eleganza di stile.
» La nuova raccolta pubblicata dal sig. avv. Poggioli rac-
chiude una importante dissertazione, in ottimo latino, circa
la fisiologia vegetale. Noi non possiamo farne minuta ras-
segna. Ne basti il dire che, secondo il prof. Poggioli, tutti
i fenomeni della pianta, considerata sia nello stato di em-
brione, sia nelle sue funzioni vegetali o riproduttive , sono
sotto la dipendenza della forza vitale, « (;«> vitalis », Tutto di-
pende da questo agente, onde noi vediamo gli effetti senza
conoscerne l' essenza. Questa forza vitale dà al succo quel
potere ascensionale, che dal seno stesso della terra, lo attrae
a traverso delle radici e del tronco, sino alle più alte foglie
dell'albero. Le forze fisiche, l'endesmosi, la capillarità, Teva-
porazione continua che si effettua alla superficie delle foglie,
sono insufficienti a spiegare l'ascensione del succo. La forza
vitale è il primo agente di questo fenomeno. Lesesi con
gusto, nella dissertazione del prof. Poggioli, ciò |che riguarda
il sonno delle piante, l'innesto degli alberi e le cagioni ge-
nerali delle malattie dei vegetali. Ringraziamo, in nome della
scienza, il sig. principe Boncompagni^ che, colla sua libera-
lità sempre intelligente , ha potuto involare air oblio tutti
questi notevoli lavori. »
Emile Vaisson
(1) Jùwmal d'Hygiène publié par le Ds Pro9per De Pietra Santa ^
a* année » oum. 206 » 2 septembr. 1880.
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— M —
XIV.
SOSPIRI
DEDICA
Ai ttonti^ ài mare, ai prati, ai fiumi i canti
Che sorgono dal cor.
Ai narcissL, alle rose, ed agli amanti.
Ch'educano all'amor.
A mia madre, alle vergini pudiche
E alla Ince del sol,
A Gigi e a Linai, che mi furo amiche
Della vita nel duol;
Air itale stenCure ed alle glorie.
Che or grande ed ora umil
Quest'alma terra fan delle memorie.
Malgrado i proci e i vii;
Ai Miei bimbi, ai viventi e ai cari estinti
GÌ* inni ed i miei sospir.
Air aiuola, ove crescono i eiacinti.
Olenti si xìke non saprei ridir:
Alle dolci e serene ricordanze
Della mia prima età.
Che povera trascorsi e senza danze
Di qua pei canipi e là;
A Dio, che mai non vidi, ma che sento
Dentro d'esto mio sen,
Ctie il ciel governa, V orbe, V ac<{ua e il vento,
Cile «della aiente è il ben.
Sciacca, 29 Novembre 1878.
MI AMI?
A sera, quando un lieve venticello
Desìi alberi susurra dentro i rami,
E Tacque chiare increspa d'un ruscello.
Io chiedo a te se m' ami !
Perchè mai non rispondi? Forse al core
Ti suonano incompresi detti, e brami
Che non ragioni a te mai più d' amore,
Sentendo che non m'ami?
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— «T —
Degli occhi tuoi la vivida fiammella
Neir anima penetra, e i giorni grami
A me fa scorrer, cui non rinnovella
. La vita «e non m' ami.
Delle tue riccie chiome il bel volume
Omar vorrei con fior colti da stami.
Che colora in aprii del sole il lume;
Ma dimmi pria che m' ami !
Pili ti contemplo, e piii di simpatia
Percuote un senso i labili velami,
E mi allieto d* amore e poesia,
Ancorché tu non m' ami.
Ma nel silenzio della mia stanzetta
Ripenso come vegeti e dirami
L'ime radici amor, cui morte spetta:
Dimmi, dimmi che m* ami !
Novembre 1872.
AD UNA !
Angiolo mio, sai dirmi perchè il core
Batte piii forte nel pensare a te ?
Sai dirmi come suscita V amore
Il raggio delle tue pupille in me?
Inconsapevol tu folleggi, e lieta
Vedi trascorrer Tonda dei tuoi dì;
A me però di ridestar si vieta
La gioia che il dolore inaridì.
Ma pur neir intimo del petto io sento
Che prepotente è il palpito d'amor;
Arrestarlo vorrei, ma indamo io tento.
Perchè ritoma piii frequente ancor.
Gli è nelle dure prore della vita
Che il core ha d' uopo dell' altrui sospir.
Onde la stanca speme invigorita
Vien soave gli spasimi a lenir.
Ascolta: de* miei sogni nei mistero
Spesso là cara imagin tua spumò;
Tu sorridevi, e con arder sincero
La mia bocca tremando ti baciò.
L* affetto mio per te, mi credi, è intenso,
E forse su la terra il par non v'ha;
Concedi, deh ! concedi, che V immenso
Desir confidi, che nel cor mi &ta.
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— 08 —
È desire di gloria e d'infinito
Pudico amor, che intender puoi sol tu:
De' celesti la vita non è un mito,
E noi, volendo, la godrem quaggiii.
Dicembre 1872.
HIEMS.
Sbuffa il vento, rimugghian Tonde, e i lidi
D'erbe son privi, onde l'aprii s'allegra:
Nel verno gli elementi sono infidi,
E la terra par egra.
Fugge dal pioppo l'uccellin ramingo,
E a vespro il pastorel presto conduce
Air ovil la sua greggia, e nel solingo
Albergo si riduce.
Lo scarno contadin toma dai campi
Gol suo fardel di legna in su le spalle.
Mentre bombisce il tuono, e spessi lampi
Lumeggiano la valle.
Raccolto nella mia romita stanza
Scorgo attraverso i vetri la natura
Sui monti smorta, e dei flutti la danza
Che in mar passa e non dura.
Sciacca, addì 3 Dicembre 1878.
VOLUPTAS TENET SILVAS ET CAETERA RURA.
Laggiii nei prati come perle brillano
Del mattin le rugiade;
Dall'alto, prima di sparir, giii piovono
Gli astri fiammelle rade.
Cessa la notte, e l'alba imbianca i ripidi
Intonsi tuoi dirupi.
Del Cronio o vetusta cima, e 1' ululo
S' ode d' infensi lupi:
Dal tremebondo ovil tosto s'involano,
E queir alba novella
Par maledicano coli' occhio rapido;
Mentre posan le agnella.
Ve' dall' ameno balzo appena scorgesi
Un raggio poi^porino;
L' acqua del mar, i clivi e i piani indoransi
D' alma luce al mattino.
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— 59 —
UN TRAMONTO DI LUNA IN SICILIA.
Le acque parlan d' amore, e l'ora e i rami,
E gli aagelletti, e i pesci, e i fiori, e V erba.
Tutti insieme pregando che io sempre ami.
Petrarca.
Danzan le stelle in cielo, 4
E mentre a gruppi corrono le sfere,
Leggiere nubi un velo
Prestano lor, perchè di bianco ammanto
Covra ciascuna le sembianze vere:
Patetica melode.
Che a me suscita il canto.
Da r etra e da la terra venir s* ode;
Quete s*incalzan Tonde,
E de la luna al tremulo chiarore.
Come da lungi le spingesse amore.
Ribaciano le sponde.
De l'occiduo mare
Verso TE^adi amene già declina,
E ne* gorghi dispare
Lucido il globo de la bianca luna.
Geme intanto il cucii; giii per la china
Precipite discende
Un' acqua, e eiu s' aduna.
Onde da antiche Terme il nome prende (1).
Guardo, ma non ravviso,
Del Cromo (s) fra i balzi aduiti, l'acque.
Che un di natura d' occultar si piacque
A l'occhio intento e fiso.
Agli avi nostri grata
D'esse fu la fosforica virtute;
Da tempo celebrata.
Dedalo qui ne praticava il saggio (3);
E se pur troppo son da noi tenute
Oggi da sezzo ancora.
Lo stranier, che non cura triste viaggio (4),
L* inerzia nostra tuttodì deplora.
Ei sanità ricava,
E lieto riede, ma dei nostri guai
Or pietoso, or disgustato assai
Di nostra vita ignava !
Del sinuoso Isburo (5)
Miro da lungi su' feraci lidi
Un solinso abituro.
Che l'ellera ed il muschio denso adoma:
Ivi fanciulla un di soletta io vidi
Leggiadra villanella,
Di cui l'imago a visitarmi torna
Vezzosa sempre, ma pudica e bella.
10
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70
E tu, morente luna.
Certificar potresti le innocenti
Mie gite, e come più d* amor ferventi
Far senza speme alcuna !
De la famosa Nina,
A cui sacrava il cor ignoto vate
Con rima peregrina (6),
Portava il nome, pura come giglio.
Che r erme valli rende profumata;
Di sua virtii gelosa,
Tra i fior crebbe e 1' erbette; un biondo ciglio
Leggermente adombrava P amorosa
Sua cernia pupilla,
E in maggio ne indorava il sol le gote.
Ne Teta che di sue campestri note
Dolce echeggiò la villa.
Del padre stanco a sera
Premurosa ìmbandia la parca mensa,
E dopo la preghiera
Grato trovava il ruvido suo letto.
De* cieli gli astri su la volta immensa
Tenevano V impero,
E la Nina dal rustico suo tetto
Migrava in sogno al gemino emisfero:
Oh, de la plebe fia
Men duro il pane, come i suoi riposi !
Perchè dei Gracchi il voto non disposi,
O bella patria mia?
Sui clivi e le colline.
Di pingui uve, di biade e d' uliveti
Ringiovaniti alfine.
Forse a quel voto inneggierassi un giorno;
E non più serva di stranieri e preti.
Di Roma il fascio antico.
Da r Alpi al mar, che la cingono intorno.
Opporrà Italia con tra al suo nemico:
Allor certo verrai
Animatrice, o luna, di quel canto.
Che scioglierò di Roma al nome santo,
E a chi vergine amai.
Di libertà foriera
Su V ecatombe ier splendevi, o luna,
D'Arcadon (7), ove intera
L'ira greca rifulse e il valor prisco.
Le sorti alterne scorte ad una ad una
Da questi piaggie estreme.
Vedo rOsmano in fuga, e ai regi ardisco
D' inulte genti rimbrottar la speme !
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— 71 —
O popolo di Creta,
Con fatidica voce anch' io proclamo,
Che ornai fallir non puote il tuo richiamo
A gloriosa meta.
O Cinzia, là tu riedi
U' del Mississipi l' onde tranquille
Con rai d' argento fiedi:
Ivi, sui verdi colli
Di fior smaltati, accese le faville
De la vindice guerra
Triste mercato di tribii selvaggie.
Che tanto tempo contristò la terra:
Di Lincoln su la tomba
Un serto di tua luce per me posa.
Mentre la nova schiavitù corrosa
Nel Messico s' intomba.
Percorso il firmamento.
Come la vita mia tu pur declini;
Però senza lamento
Vedovi e terra e mar de' raggi tui.
Onde per boschi e liti udir divini
E armonici concenti
De l'usignuol per essi è dato a nui:
Alta è la notte, si taciono i venti
Di vaghe trasparenze
Splende in Triocala acuminata vetta (8),
E tu volgi a 1' occaso, ove s' aspetta
Il ben di tue parvenze.
Dalle rapi del Cronio, aprile 1867.
G. Fbosina-Cà^tnella
(1) Terme selinuntine.
(2) Oggi detto di S. Calogero.
(3) Vedi in Diodoro Siculo.
(4) Massime una volta infermi stranieri venivano in Sciacca per ft'uire
de' bagni termali e della famosa Stufa. V. Farina, Cenno sulle Terme Seli-
nuntine.
(5) Oggi fiume Verdura in quel di Ribera.
(6) Dante da Majano.
(7) Arcadion.
(8) Triocala città greco-sicula, ora distratta, che un dì fioriva sotto Cal-
tabellotta.
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— w —
XV.
AL PRINCIPE ROMANO
DON ALESSANDRO TORLONIA
PER IL PROSCIUGAMENTO DEL LAGO DI FUCINO
SONETTO
Fucino ò gloria tua. L'astro fecondo.
Nel suo tramonto maestoso e vago.
Lo empiea di fuoco» e ti porgea T imago
Di ciò ch'egli era a' primi di del mondo:
Era un vulcan dal baratro profondo
Che vinceva la cupa Etnèa vorago;
Ma il gran Fattor mutava, nel secondo
Evo, V igneo cratère in un bel lago.
Ove regnava il negro dio di Lenno
E Diana e le ninfe sue compagne.
Or dischiuse alle vaste onde il tuo Senno
Un varco novo in seno alle montagne
Tu parli, e si trasforma ad un tuo cenno
Lo steril lago in fertili campagne!
Koma S6 Ottobre 1880.
Luigi Arrigo Rossi
La nota <Ulle opsrm venute U done et dark nal prossimo fetcieele.
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Sekie II. VoL. XIV.
Marzo 1880
I L
BUONARROTI
D I
BENVENUTO 6ASPAR0NI
CONTINUATO PER CURA
DI ENRICO CARDUCCI
PAG.
XVI. Intorno ad un bassorilievo della basilica di
Monza (Francesco Labruzzi di Nexiua). » 73
XVII. Della Prosopografia. Lezione del professor Ga*
BRIELE DeYLA , . . » 83
XVin. Del Bello nella nuova Poesia {Continuazione)
(Prof. Nicolò Marsucgo) » 92
XIX. Il monumento a Vittorio Emanuele li. (Giu-
seppe Verztli Architetto Ingegnere). . » 06
XX. Villa Pamphili (Luigi Arrigo Rossi) . . )> 102
XXI. A mio Padre (Vincenzo Monti). ...» 104
Pubblicazioni ricevute in dono » 104
ROMA
TIPOGRAFIA DELLE SCIENZE MATE» ATICBE E FISICHE
VIA LATA n! 3.
ISSO
Pubblicato il i7 Dicembre isso
\
\
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iBii(i)simiB(i)^a
Serie IL Vol. XIV. Qui m.
Marzo 4 880
INTORNO AD
DELLA BAS
^SORILIEVO
MONZA
Nel mio scritto suirorigiAa Corona di ferro, il quale
fu pubblicato nel 1878 in qJ giornale , parlando di un
bassorilievo ch'è nella basili*Monza, ed in cui h figurata
la coronazione di un re d'itlfatta per le mani dell'ar-
ciprete di quella chiesa, mani l'opinione che il monarca
in essa rappresentato fosse
rese tra noi tanto sciagurata
barossa. Cosi per altro non p
il quale nel fascicolo di gennai
successivo, prese a confutare la
ingegno e dottrina, ma, per q
tanta solidità di argomenti.
Tostoche lessi lo scritto deinor Aguilhon mi proposi
di replicargli; ma una grande Jrura domestica, onde fui
allora improvvisamente colpito,
un dolore che io per molto tei
voglia di rifarmi a' miei studi
quindi mi trattennero non brev
che grate cure che furono conseg
dimenticabile sventura. Di questi
se non lieto e tranquillo (che la ti
ambascia non potrà mai cessarmi)
bato, ho preso a dare un pò d ojfc a miei libri, sì lunga
mente lasciati in abbandono, esslomi capitato alle mani
lo scritto del signor Aguilhon, niono fatto a rileggerlo;
e poiché gli argomenti da lui reclnon hanno potuto ora,
come non poterono un anno fa, rfcire a persuadermi, mi
sono determinato di non più differiriidempimento della pro-
messa che già feci a me stesso di Upondere cioè alle sue
osservazioni.
•^ederico di Syevia che si
famoso col nome di Bar-
signor Cesare Aguilhon,
79, pubblicato nel maggio
ngettura certo con molto
mi pare, non con al tre t*
pò l'animo mio di tale
non sentii in me alcuna
iletti , dai quali anche
te le molte e tu tt* altro
di quella mia non mai
Li però che con l'animo
za restatami di s\ grave
o meno doloroso e tur-
li
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i
Il signor AguilhoQ dun di parere: i^ che il marmo
« di cui ragioniamo afferrii"lto dell'arciprete dì coro-
» nare lui, mancando l'ar^ovo di Milano^ il re di La-
» magna imperator design ^ ^ rappresenti una corona-
D zione ideale secondo iUto adombrante una di fatto
» ch'era in aspettativa i» j\^ ^ lo scultore e l'epigrafista
» hanno attinto al Morig^ e poiché il Morìgìa scrisse
nella prima meta del se<decimoquarto è chiaro che la
scoltura, a volerla fare ^tica eh' è possibile, non può
essere anteriore a quel sei3? Che la coronazione in aspet*
tativa molto probabilmenia stata quella di Enrico VII
avvenuta nell'anno i3ii.
Ora mettendo a cimeo^este tre proposizioni del signor
Aguilbon e con loro ste^ con la storia di quei tempi ,
principiamo dal conside che se quella scoltura afferma
il diritto dell'arciprete #ronare il re d'Italia per mauco
dell'arcivescovo di Milaiyn si può punto credere che Fin-
coronazione in aspettatipsse quella di Enrico VII. Difatti
e noto, e lo si trova rlato da tutti gli storici contem-
poranei e dallo stesso ista monzese Bonincontro Morìgia,
che Enrico fu coronato S, Ambrogio dall' arcivescovo di
Milano che era allora One della Torre. Quindi i Monzesi
se desideravano e fece^ratiche perchè la coronazione di
lui avvenisse nella basi di S. Giovanni della loro terra,
anziché in quella di Ambrogio , non potevano peraltro
giammai aspettarsi che «e fatta dall'arciprete loro, giacché
mancava la condizione enziale perchè ciò , anche secondo
la loro pretensione, aie potuto avvenire, cioè l'assenza
dell'arcivescovo di Mi^. La prima proposizione adunque
del signor Aguilbon ccaddice ed esclude affatto la terza:
vediamo adesso se la onda resiste meglio alla crìtica.
A me pare che no marmo monzese ricorda solamente
sei elettori deirimperaoè gli arcivescovi di Colonia, di Tre-
veri e di Magonza, il <a di Sassonia, il marchese di Brande-
burgo e il Langravio; 'vidente perciò che esso venne scol-
pito prima dell'anno 15 in cui fu aggiunto un settimo elet-
tore nella persona dee di Boemia. Ecco dunque un altro
argomento per conferre sempre più che la coronazione in
aspettativa (dato e n concesso che il marmo rappresenti
proprio un' incoronale a venire e non una gìk seguita) ,
non potè essere quel di Enrico di Lucemburgo , ed ecco
altresì una sicurìssin prova che l'epigrafista non attinse
punto al Morigia, avdo questi scritto, come ho già ricor-
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.^%i:
-—75
dato, parecchi anni dopo il 1290, cioè nella prima meta del
secolo decimoquarto. Certo non si può dubitare che il signor
Aguiihon abbia letto il Morigia, peraltro h d'uopo credere
ch'egli non abbia badato gran fatto a ciò che leggeva^ poiché
altrimenti come avrebbe potuto trascorrere ed asserire con
tanta sicurezza che lo scrittore dell* epigrafe monzese aveva
attinto da quello della cronaca, e non accorgersi punto che
mentre l'epigrafista menziona soltanto sei elettori, il Morigia
ae ricorda ben sette ? Ed ecco infatti ciò che questi dice
al proposito:
ff Hi Electores sunt.
» Àrchiepiscopus Maguntìnus Gancellarius Germaniae -
» Àrchiepiscopus Treverensis Gancellarius Galliae - Archie-
» piacopus Coloniensis Gancellarius Italiae - Marchio Braif-
» deburgensis Gamerarius — Landegravius Turingiae Palatinus
» Dapifer - Dux Sassoniae ensem portans - Pronunciator
» electionìs et Auditor Dux Boemiae Pincernae, qui nunc Rex
D dici tur.
» [Inde versus.
» Maguntinus, Treverensis, Goloniensis
y Quilibet imperii fit Gancellarius horum.
» Et Palatinus Dapifer, Dui portitor ensis.
» Marchio praepositus Gamerae, Pincernae Boémus.
» Hi statuunt Dominum cunctis per secula summum » (i).
Messo in sodo che il marmo monzese è anteriore al 1290,
cadono di per se stesse tutte le dotte considerazioni del chiaro
mìo contradittore sopra gli abitanti di Monza rappresentati
in quel bassorilievo, e nei quali egli, oltre al podestà della
terra, riconosce « il giudice collaterale, il cancelliere, e i due
> procuratori, i quali tutti si trovano individuati negli sta-
» tuti monzesi compilati sotto la signoria di Azone Visconti »,
cioè tra il 1320 e il 1339, e per conseguenza molti anni dopo
che fu scolpito quel marmo. Io avrei molto a grado di sapere
da che il signor Aguiihon abbia potuto capire cosi per l'ap-
punto chi fossero tutti quei personaggi. Queste belle cose,
ch'io sappia, non le ha saputo vedere nessun altro prima di
lui; e difatti il Giulini dice soltanto che quelle figure « rap-
» presentano il popolo di Monza, e la prima di esse il pò-
» desta del luogo » e non trova tra loro altra differenza
senonchè nel podestà, il quale oltre ad avere le calze e le
scarpe diverse dagli altri <r for^e per insegna del suo magi-
ci) Boninc. Morigia» Cbron. R. 1. S. rol. XII» pag. 1079—80.
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— 76 —
» Strato ha anche la tonaca più lunga, che giunge fino at
» piedi. »
Provate false la seconda e la terza proposizione del signor
Aguilhon f rimane la prima cioè che il marmo rappresenti
« una coronazione ideale secondo il diritto adombrante una
» di fatto che era in aspettativa. Ma è facile capire come
rinversate le altre due che la fiancheggiavano e la sostene-
vano f questa pure debba inevitabilmente seguire la sorte
delle sue compagne. Il signor Aguilhon stesso «e non trova
» che ridire sulla sentenza generale che i monumenti debbonsi
» considerare come testimoni che parlano del passato, non delle
)i previsioni dei contemporanei di fatti contingibili e in pros-
ìt Simo aspettati » ; però aggiunge che « ogni regola ha le
» sue eccezioni » e crede che appunto come un' eccezione
debba essere considerato il bassorilievo monzese. Ma le ecce*
zioni, per essere credute tali, hanno bisogno di prove certe»
assolute, irrefragabili; bisogna che chi vuole eccettuare certi
fatti o certi monumenti dalia regola generale ci sappia anche
dire perchè , come e quando quei fatti , o quei monumenti
avvennero o furono innalzati; infine tutte le particolarità di
cagione, di modo e di tempo per cui una cosa si allontana
dalle norme comuni a tutte le altre simili cose, bisogna che
siano determinate e accertate così precisamente e sicuramente
da non lasciare luogo al minimo dubbio. Un'eccezione non
può essere mai creduta sulla semplice affermazione. Atten-
dendo adunque che il signor Aguilhon ci sappia mostrare
con prove certe e sicure che il marmo di cui trattiamo è
proprio un'eccezione, e rappresenta davvero un*inaugurazione
ideale adombrante un'altra che si stava aspettando, io che
invece vi vedo figurato un fatto e non una pretensione e
una speranza, mi farò a replicare agli argomenti da lui ad-
dotti per confutare la mia opinione che sia in esso ricordata
la coronazione italica di Federico I.
E innanzi tratto prego il signor Aguilhon di voler ba-
dare un pò pili a quello che ho scritto per evitare il peri-
colo dì credere egli e di far credere a chi lo legge che io
afi'ermi senza alcuna distinzione di tempo taluni fatti , che
invece sono da me riferiti ad un tempo precisamente deter-
minato. Nell'ipotesi che il marmo di cui si ragiona rappre-
senti la coronazione italica di Federico I, io confortai questa
mia opinione con le parole imperiale maestà che si leggono
nel bassorilievo ; e osservai che al tempo del Barbarossa
ancora non si usava di dare il titolo d'imperatore a chi noo
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— 77
aveva già conseguito in Roma la corona augustale. Ebbene,
il signor Aguilhon esce fuori con questa interrogazione: <( Forse
» che al signor Labruzzi non venne mai trovato che si desse
ft il titolo d* imperatore a chi non era che re de* romani ?
» È impossibile. » E cita gli atti di Enrico VII, vissuto un
buon secolo e mezzo dopo il Barbarossa , dove « si hanno
» a iosa esempi di questo titolo anticipato. » Ben si capisce
che in questo modo è assai facile trovare motivo per eser«
citare il proprio genio critico. Ma si può chiamar critica
questa? Tanto varrebbe, a mò d'esempio, meravigliarsi che
il Manzoni non abbia dato il titolo di eminenza al cardinale
Federico Borromeo, giacché non era possibile ch'egli ignorasse
che questo titolo fu concesso da Urbano \III ai cardinali
qualche anno dopo di quello in cui avvennero i fatti da lui
raccontati. Con questo confondere i tempi e trascorrere con
tanta disinvoltura da secolo a secolo, che meraviglia che il
signor Aguilhon non trasecoli un'altra volta, come trasecolò
quando venne a sapere che vi era <r chi sosteneva che nel
» bassorilievo monzese rappresentante la coronazione di un
» monarca germanico è figurata la coronazione di Federico
j» Enobarbo? x» E f u tale il suo trasecolamento che non sa-
rebbe stato maggiore « se gli fosse affermato che nella co-
» lonna traiana sono rappresentati i miracoli di S. Antonio!! »
Padronissimo il signor Aguilhon di trasecolare quanto gli
pare e piace: ci permetterà di dirgli però che il suo trase-
colamento ci sembra un pochino esagerato , e il paragone
affatto fuori di ogni regola e di ogni misura. E di fatti tra
l'imperatore rappresentato nel bassorilievo e Federico Barba-
rossa qualche termine di riscontro c'è; non foss'altro il loro
titolo sovrano. Ma fra S. Antonio e Traiano, via, non vi sap-
piamo proprio vedere alcuna relazione, e crediamo che, non
ce la sappia vedere neppure il signor Aguilhon. 0 che ai
signor Aguilhon per confutare chi avesse asserito che nella
colonna traiana sono espressi i miracoli di S. Antonio, sa-
rebbe forse bastato il cuore di tenere occupati i lettori del
Buonarroti per ben dieci pagine p quante pur troppo ha
creduto di doverne impiegare per mostrare, com'egli crede,
che nel bassorilievo monzese non h figurata l'incoronazione
del Barbarossa? Auguriamo di cuore al signor Aguilhon che
questa fantasia non gli venga mai per il capo, ma se mai
gliene venisse la tentazione, lo preghiamo fervidamente fin
da ora ad armarsi della virtù necessaria per saperla vitto-
riosamente vincere e discacciare, come seppe fare con tanta
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— 78 -^
sua lode ed ODOre il santo eremita della Tebaide da lui
ricordato.
Ora veniamo ai Langravio. Vedendo che nel marmo mon^
zese manca il conte palatino del Reno ch'era il primo elet*
tore laico, e in (|uella vece si trova menzionato il Langravio,
che punto non era tale, io ne arguii che nella coronazione
rappresentata in quel bassorilievo invece del conte palatino,
o lontano o non volente^ fosse intervenuto il Langravio. E
poiché quando si fingono le cose, le si fingono nei loro modi
solili ed ordinari, e non in quelli straordinari e casuali, mi
parve che la presenza del Langravio in vece del Conte pa-
latino fosse un buon argomento per credere che il marmo
figurava una consacrazione realmente ed effettivamente avve*
nuta, e non già, come invece era parso a taluni, e pare ora
al signor Aguilhon, una affatto finta ed immaginaria rappre*
sentata al solo scopo di autenticare il diritto che aveva o
pretendeva avere l'arciprete di Monza di coronare i re d'Italia
in mancanza dell'arcivescovo di Milano. Per togliere valore
a quest'argomento, che, se mal non mi avviso, sembrami ne
abbia di assai, il signor Aguilhon s'ingegna a mostrare che
nel concetto dei monzesi il Langravio e il Conte palatino
del Reno erano una stessa persona; e cita la cronica di Bo-
nincontro Morigia il quale infatti enumerando gli elettori
dell'impero nomina tra di essi il Landegras^ias Taringiae
Palatinus Dapifer. L'ipotesi che il Morigia fosse anteriore
al marmo monzese, e che l'epigrafista di questo avesse preso
da lui, poteva fino ad un certo punto gmstificare questa os-
servazione del signor Aguilhon; ma poiché non si può più
dubitare che il bassorilievo fu scolpito assai prima che fosse
scritta la cronica, ne consegue che l'argomentazione del signor
Aguilhon manca al tutto di fondamento; e le parole di fio-
nincontro se mostrano che costui confuse in una due affatto
diverse persone, non possono punto mostrare che eguale con-
fusione si faceva al tempo che fu scolpito quel bassorilievo,
il buon Morigia aveva da una parte il bassorilievo ove fra
gli altri elettori era mentovata il Langras^ius e non il conte
palatino; e dall'altra quei versi da me poc'anzi riportati, in
cui fra gli elettori stessi non si menziona punto il Langravio,
ma sì il Palatinus (comes) Dapifer. Per mettere di accordo
quello con questo che fa il bravo cronista? Li prende amo-
revolmente tutti e due, li unisce, li rimpasta a suo modo, e
da un Langravius e da un Palatinus Dapifer ne compone
bravamente un Landgranus Palatinus Dapiferi era una mo-
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— 79
struosita , si dàpisce , e anche una mala azione togliere la
propria personalità a quei due bravi signori ; ma egli non
vi badò più che tanto^ e forse non se ne avvide nemmeno,
e tirò avanti tranquillamente.
Io non posso dubitare della parola del signor Aguìlhony
e però credo benìssimo ch'egli abbia letto il mio scritto sulla
corona monzese e in ispecie quella parte che si riferisce al
bassorilievo. Dico questo perchè ho dovuto vedere pur troppo
come anche in proposito al Langravio io non abbia avuto
la bella sorte di farmi capire da lui, dimodoché egli riferisce
come una mia deduzione o supposizione ciò che invece io
assevero come un fatto certo e sicuro. Egli dice che io tf es^
» sendoci stato un Langravio cognato di Federico deduco che
» qui con un cognato ci sia pure l'altro, presupponendo che
» sieno presenti alla supposta coronazione di Federico i per-
j> sonaggi che più si eran segnalati nelle sue imprese militari.
» In tale ipotesi - aggiunge - si dovrebbe provare che il
» Langravio cognato prese realmente parte alla spedizione
» del 1158 contro Milano; e poi c'è ancora che ridire, impe-
j» rocche se altri in quell'impresa fece per uno, il duca di
» Boemia Ladislao fece per dieci. » Ebbene io non ho dedotto
nulla ne nulla ho presupposto; bensì ho assicurato in modo
affatto esplicito e chiaro che il Langravio accompagnò effetti-
vamente Federico nelle guerre da questo combattute in Italia.
Ecco le parole mie : <c La presenza specialmente del Lan-
» gravio^ non mai ricordato in altre discese di principi ger-
» manici , sembrami provare a sufficenza rappresentarsi in
j» quel marmo la coronazione di Federico, del quale il Lan-
» gravio era cognato^ e pel quale combattè pure nelle guerre
» d'Italia. » E che io abbia detto il vero facilmente si per-
suaderà chi voglia leggere ciò che del Langravio scrisse nella
sua Historia Ottone Morena, vissuto in quel tempo e ch'ebbe
parte in quei fatti (i).
Neppure è vero che io , come dice il signor Aguilhon ,
abbia supposto che il Langravio fosse mentovato nel basso-
rilievo per la sola ragione ch'era in compagnia di Federico
nella spedizione contro i milanesi. Se il signor AguiUK)n si
fosse preso il fastidio di leggermi più attentamente io spero
che^ per quanto sia oscuro il mio modo di esprimermi, egli
sarebbe forse riuscito a capire che io non volli punto dire
che il Langravio era rappresentato nel marmo per aver avuto
(1) Ottonis Morena, Hiitoriay R. I. 5., tom. VI, pag. 1087.
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— 80 —
parte alfó militari imprese dì Federico, sibbene per essere
intervenuto alla coronazione italica di quel monarca invece
e luogo del conte palatino o lontano, o non volente; e questo
perchè, mancando il conte palatino, era appunto il Langravio
quello che lo sostituiva nel suo officio di elettore dell'impero.
Se a ciò avesse posto mente il signor Aguilhon, e' non ci ha
dubbio ch'egli avrebbe riputate affatto inutili e fuori di prò*
posito le molte parole che spende per provare, che se il marmo
accennasse veramente alla coronazione di Federico vi si sa*
rebbe dovuto nominare anche il re di Boemia, il quale nelle
fazioni di quella guerra se altri fece per uno egli fece per
dieci. Ed avrebbe di conseguenza riconosciuto al tutto priva
di valore la sua conclusione cioè che <c mancando nel marmo
» il re di Boemia, non si può pensare che altri vi sia per
» quel titolo stesso per cui esso vi dovrebbe primeggiare; »
poiché si sarebbe facilmente persuaso, crediamo, che altri ci
stava non per il titolo per cui primeggiava il re di Boemia,
cioè di avere strenuamente combattuto in quella guerra, bensì
perchè il suo grado gli dava il diritto di sostituire un elet-
tore assente, diritto e titolo per cui non poteva ancora non
che primeggiare neppure figurare il re di Boemia. Trovo poi
nel Gregorovius (i) una circostanza che spiegherebbe assai
bene perchè nel marmo monzese non figura il nome del conte
palatino insieme con quelli degli altri elettori. Era allora conte
palatino del Reno Corrado di Wittelsbach fratello del Bar-
barossa il quale fu anche arcivescovo di Magonza. Era però
naturale che nella coronazione di Federico egli non potesse
intervenire che per uno soltanto de*suoi due titoli elettorali;
il più cospicuo, quello cioè di arcivescovo di Magonza can-
celliere del regno di Germania. Quindi è che a sostenere le
sue parti in quella cerimonia come conte palatino del Reno
doveva essere necessariamente chiamato il Langravio, il quale,
oltre alla sua parentela coU'imperatore, era pure, dopo gli
elettori , il più elevato in grado fra tutti gli altri baroni
dell'Àlemagna.
Il monarca rappresentato nel marmo monzese è, a detta
del signor Aguilhon, uno sbarbatello allampanato; e di qui
il mio chiaro contradittore prende motivo per confermarsi
sempre più nell'opinione che il re coronato non possa essere
il Barbarossa, del quale egli ha tanto quanto un afdto barn-
(1) Storta di Rema nel medio evo, lib. Vili, cap. V, S V.
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— SI ---
bino potrebbe were delVattilesco (i). Si concede che in quella
figura non si vegga tutta la pienezza e la gagliardia di forme
che si convengono ad un uomo nel rigore deireta: però bi-
sogna ricordarsi quanto triste, fosse in quei tempi la condi-
zione delle arti rappresentative. Uomini di età matura e di
aitante persona , nei dipinti e nei bassorilievi di allora li
vediamo, poveretti, cosi secchi, smunti e stecchiti come se
fossero presi dal male del tisico, sicché a riguardarli tu temi
che essi da un punto all'altro ti debbano cadere innanzi sfi-
niti. Nella splendida edizione di Milano dell'opera del Ter-
rario sul. Costume antico e moderno è riportato il bassori-
lievo di cui discorriamo; e in esso non il solo imperatore, ma
anche gli altri personaggi che lo accompagnano , sembrano
tutti, eccetto il marchese di firandeburgo, tanti giovinetti tri-
stanzuoli senza punto indizio di barba. 0 che fossero tutti,
quegli arcivescovi e quei prìncipotti , afaticci adolescenti in
quel tempo? Mon potendo negli originali ho riscontrato nelle
tavole del Terrario il bassorilievo di Monza con quella rap-
presentante Federico I , che stava nel mezzo della facciata
esteriore di porta rgmana in Milano. Certo non dirò che fra
il monarca del m'armo monzese e quello del milanese v* abbia
una perfetta rassomiglianza; pure nell'insieme del loro aspetto,
massime per la lunga capigliatura che a entrambi discende
fin sulle spalle, v'è sicuramente qualche cosa di simile. Eb-
bene, anche in quel viso smunto e sparato e in quella per-
sona irrigidita e stecchita del bassorilievo di porta romana
chi crederebbe di vedere il terribile imperator Barbarossa?
Concludendo dico^ anzi, per parlare più esattamente, ri-
peto che , se i monumenti debbono tenersi come memorie
di fatti veramente accaduti e non come espressioni di spe-
ranze o di pretensioni più o meno e£fettuabili e giustificate,
10, considerate e riscontrate con la storia nostra alcune no-
tevoli particolarità intrinseche del bassorilievo monzese, non
credo possìbile che in esso sia rappresentata altra coronazione
se non che quella del primo Federico imperatore.
(1) Forse per un uomo aJtiileteo il signor Aguilhon intende un qualche
gigantaccìo, un Tifeo, un Poliferoo. Dico forse perchè quell* aggettivo aiU-
letco non lÌio trovato ne] vocabolario, e s'è moneta coniata dal signor Aguilhon
mi permetto osservargli che non è di buona lega, poiché Attila, per quanto %
se ne ha dalle storie del suo tempo, anziché essere un bastracone aitante e
membruto, aveva la persona bassa e tozza. Del resto neppure Federico I aveva
punto del gigantesco. Mediocriter longui lo dice Ottone Morena che lo aveva
veduto da vicino ; e sebbene lo descriva minutamente e ci faccia sapere che
aveva i capelli quasi fiavù et crispit^ della barba tace affatto, ragione forse
per credere che, almeno allora, non la portasse.
12
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82 —
Qui avrei voluto far punto , senonchè certune parole
del signor Aguilhon, le quali confesso che non mi riescono
perfettamente intelligibili , mi costringono ad approfittare
ancora deIl*amichevoIe cortesia del direttore di questo gior-
nale. Presso al fine del suo scrìtto il signor Aguiilion esprìme
il dubbio che <c allora - cioè nel secolo XIV — non si sapesse
9 nella stessa Monza di possedere la corona inaugurale » »
e quindi coDclude che « quanto h certo e assodato da solenni
» documenti^ che Monza era sede di corona, vale a dire il
» luogo delle coronazioni , altrettanto è arduo provarre che
)) si eseguissero con quella corona in cui s'identificò il titolo
» di ferrea e che cominciò a figurare come inaugurale a Bo-
)) logna sul capo di Carlo V uel 1530. >» Che cosa ha inteso
di^ dire il signor Àguilhon? Forse che la corona di ferro non
solo non era tenuta allora in conto d'inaugurale^ ma neppure
ancora stata mai adoperata nelle coronazioni dei re d'Italia?
Se questo h stato il suo pensiero, egli mi permetterà ch'io
gli faccia osservare come un'asserzione che contraddice inte-
ramente all'opinione di tutti gli scrittori che trattarono della
corona di ferro, i quali benché discordi nello stabilire pre-
cisamente il tempo in cui essa fu primamente adoperata nella
inaugurazione dei nostri re, concordano tutti peraltro nell af-
fermare che ciò non potè essere punto dopo il secolo X (t);
un'asserzione, dico, che include una mentita cosi formale e
recisa a quanti mai si occuparono di proposito intorno a
questo argomento^ non deve essere messa fuori incidental-
mente, non lasciata cosi nuda e magra ^ bensì esposta con
rigoroso ordine logico e confortata da argomenti e da prove
indiscutibili. Non essendosi il signor Àguilhon dato il fa-
stidio di farci palesi le ragioni di questa sua nuova e tanto
diversa opinione, io credo che, senza fargli punto torto, mi
potrei passare affatto dal confutarla, sebbene mi sarebbe assai
agevole dimostrarne pienamente fin da ora l'assoluta falsità
e inverìsimiglianza. E difatti per dirne pur qualche cosa, se
nel secolo XIV non si sapeva nella stessa Monza di posse-
dere la corona inaugurale ^ com'è che Rolandino, il quale
compì la sua cronica nella seconda meta del secolo XIII ,
parlando del tentativo fatto da Ezelino da Romano contro
Monza, dice che quel famoso tiranno il fé forse con animo
di privare quel borgo della corona di ferro^ la quale, egli
(1) II Ferrano, che è quegli che dà alla corona di ferro origine meno
antica» dice che essa fu usata la prima volta nell'incoronazione di Ottone III
nell'anno 996.
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— 83 —
aggiunge, dopo reiezione deirimperatore fatta in Alemagna
deve essere presa da questo prima di ricevere a Roma dal
papa la corona imperiale ? (i) E se la corona di ferro non
fosse stata da antichissimo tempo la inaugurale del regno ^
ma avesse principiato a figurare come tale a Bologna sul
capo di Carlo V nel 4530 , come si spiegherebbe che quel
monarca, nel vigore già dei trent'anni^ invece di farne fab-
bricare un' altra che perfettamente convenisse col volume
della propria testa , abbia voluto inaugurarsi appunto con
una corona appena appena capace di cingere la fronte di
un bambino, e perciò tainto a lui disadatta, che fu d*uopo
accomodarla sopra di un altro cerchio perchè potesse sicu-
ramente posargli sul capo? 0 che fantasticaggine, che stra-
vaganza sarebbe mai stata la sua? Altre cose parecchie potrei
aggiungere a queste , altre spiegazioni richiedere al signor
Aguilbon; ma mi saprebbe proprio peccato abusare tuttavia
' dell'indulgenza dei lettori del Buonarroti per ribattere un'as-
serzione interamente gratuita , e però , altre parole non ci
appulcro.
Francesco Labruzzi di Nexima
XVII.
DELLA PROSOPOGRAFIA
LEZIONE DEL PROFESSOR GABRIELE DeYLA
Il discorso, il calcolo, la lingua, secondo scrìsse il Gior-
dani, sono le mani deirintelletto colle quali l'uomo si nutre
e mediante le quali produce. Ma colla Ungua egli distende
ancor piiì la sua potenza, perchè niuna cosa è che la parola
non possa rappresentare e sotto questa forma maneggiare,
come se fosse visibile e mensurabile.
Ora fra le forme dell'umano discorso che più contribui-
scono ad istillare negli studiosi delle arti liberali e delle
belle lettere cognizioni utili e ad un tempo pensieri elevati
e morali, si è quella che educando il sentimento estetico dalla
(1) (( Burgum Modìcìam attenta vit iotrare, volens eam privare forsìtan
D illa nobili dignitate coronae ferroé, quae Ulie est ab atUiquis no$tri$ ìq
» honorem Lombardicae libertatis, hac de causa reposita, ut scilicet, quan-
I) documque fuit Romanorum imperator eiectus legitime» post electionem de
» se factam in regem Aiamannorucn , hic idem corona illa ferrea primi tus
yi coronetur , deinde pergens Romam sumat coronam auream ab apostolica
» dignìtate. dRolandinus Patavinus, De factis etc, lib. Xll, cap. 5, apud
MuRATORT, R. I. S. tom. Vili, pag. 347.
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— 84 —
contemplazione delle bellezze e delle meraviglie del creato
li innalza alla ammirazione ed ali* amore della sapienza e
bontà creatrice. Tale si h appunto la forma descrittiva.
La forma descrittiva che merita maggiore studio si h quella
che riguarda l'uomo quale individuo.
Ora gli individui si possono distinguere gli uni dagli
altri per la costituzione fisica, per Tiogegno e per l'indole,
le quali unitamente considerate formano ciò che si dice il
carattere di ciascuna persona. 11 carattere adunque h il com-
plesso di tutte quelle qualità che formano Tindole, l'ingegno
e la fisica costituzione della persona umana.
La descrizione del carattere ossia della costituzione fisica
dicesi dai Reiterici prosopografia, a differenza della descri-
zione del carattere intellettuale e del carattere morale che
viene chiamato dai medesimi con un solo nome di etopeja.
La prosopografia dal greco prosópon (persona) e poicó
(creare), ci rappresenta il corpo umano nel suo insieme e nelle
sue parti , non che nei varii atti ed atteggiamenti suoi e
negli abiti che lo cuoprono e lo adornano.
DEL CORPO RIGUARDATO NEL SUO INSIEME
11 corpo riguardato nel suo insieme presenta alla nostra
vista la costituzione fisica y la quale può definirsi il complesso
delle qualità per cui ogni uomo si distingue in quanto al
corpo da tutti gli altri uomini. Essa per conseguenza risulta
dalla proporzione f daìV ordinamento , dalla compagine delle
parti dell'organismo e dal loro svolgimento.
DELLA PROPORZIONE DELLE PARTI DELL'ORGANISMO
La proporzione delle parti dell'organismo da nome ed ori-
gine in particolar modo al taglio, alla presenza ed all'aspetto.
Il taglio viene determinato dall'armonia di tutte le parti
del corpo cioè della grandezza , della figura , della forma ,
del disegno della persona. Esso e più o meno bello secondo
più o meno perfetta e la menzionata armonia, più o meno
regolare è l'ordine delle sue parti.
Se si ha di mira il taglio o la presenza o la apparenza
si dira che uh corpo ha un bel taglio o cattivo taglio: è
ben fatto, oppure difettoso, imperfetto, disparìscente.
Esempio, lì figlio di Ramengo aveva gli occhi neri, ben
tagliato di tutta la persona (Gantù^ Margherita Pusterla).
Del giovane e essere di aspetto dolce per essere goduto;
dell'uomo maturo sarà l'aspetto grato con terrore.
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— 85 —
Però Taspetto è la parte anteriore deiruomo;.suoIsi usare
soltanto come sinonimo di aspetto il vocabolo, apparenza e
tal fiata anche il vocabolo, aria del corpo. Il perchè dicesi
di bello aspetto, di bella apparenza; ma non h la medesima
cosa. Di bello aspetto, vale di forme piacevoli e di aria ma-
nierosa; riguarda insomma più il fisico che il morale; uomo
di bella apparenza riguarda più il morale che il fisico e fa
pensare che le apparenze siano più lusinghiere della realtà,
e che sotto la esteriore bontà e gentilezza si copra un*aniraa
fredda e maligna. Quando l'apparenza è splendida e lusin-
ghiera, si dice piuttosto appariscenza. Molte cose sono di poca
appariscenza nell'apparenza loro, ma hanno nello intrinseco
vaghezza e valore.
Apparenza è più sinonimo di aria che di aspetto. Notisi
che qui ìntendesi parlare dell'aria del corpo che vuole essere
distinta dall'aria del viso, perciocché questa si riferisce sem-
plicemente al viso , quella al viso ed al portamento e agli
atti di tutta la persona.
Come quando si dice di un uomo che ha aria di uno
sciocco, si giudica non solo dalla fisonomia ma da tutta la
persona.
Varie sono le qualità che si attribuiscono allaspetto. Si
suole ordinariamente dire che un uomo h di aspetto o di aria
grave, maestoso, autorevole, raccolto, marziale, amabile, si-
gnorile, giocondo, oppure sciocco, ridicolo, sospettoso.
Esempi i « Ed era di tanta grazia nello aspetto e con
» tanta umanità accoglieva gli uomini, che non mai gli parlò
» alcuno che si partisse da quello (da lui) mal contento. »
(Machiavelli, vita di Gastruccio).
tf Fu Ignazio di aspetto grave e raccolto dove però con-
» veniva, prendeva sembiante (apparenza) di amorevolezza»
j> pareva che gli si vedesse il cuore in faccia e consolava
» altrui al solo riceverlo. Quanti ne scrissero di veduta il
» rappresentano un uomo di aspetto severo ma insieme ama-
j» bile; e giovane era il più bel cavaliere e di signorile pre-
2> senza » (Bartoli, vita di S. Ignazio).
« Gabriello Chiabrera nella sembianza pareva pensoso ,
» ma poi usando cogli amici era giocondo, i» (Chiabrera ,
vita di se stesso).
« Eglino avevano aria di avere bisogno. Riconosciuto
» all'aria sospettoso. » (Manzoni).
« Il naso aquilino , gli occhi neri e sfolgoranti davano
» al suo volto un aspetto serio ed imponente (Cantù).
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— 80 —
DELL' (MtDINAMENTO E DELLA COMPAGINE
DELLE PARTI DELL' ORGANISMO
L'opdlnaBieBto e la connQSSìoQ^ o coiopagioe delle parii
dell organismo co^tUuiacono speciabn^ate la struttura^ la quale
si può chiamare il modo eoa coi h costituito il corpo, lor-
dlae e la disposizione di ciascuna pat:te di esso, non che la
compagine delle membra. Uo uoiao può essere di forte o cat-
tiva struttura secondo il modo cke essa si presenta.
Esempio; k Tutte le sue membra ben proporzionate an-
» nuaziavano uua forte e maschia natura (struttura). » (Cantù).
DELLO SVOLGIMENTO DELLE PARTI DELL' ORGANISMO
Lo svolgimento delle parti dell'organismo prende diversi
nomi secondo cbe trattasi degli elementi solidi o degli ele-
menti fluidi del corpo.
DELLO SVOLGIMENTO DEGLI ELEMENTI SOLIDI
Se trattaci degli elementi solidi lo svolgimento si può
esaminare dal lato della estensione o hioghezza oppure dal lato
del volume, od altrìmeati dal lato della forza e robustezza.
Lo svolgimento in estensione o lunghezza piglia il aome
di statura, k> av^olgiaento iu volume chiamasi corporatura,
lo svolgimento della foroa, della robustezza si appaia com-
plessione.
DELLA STATURA
OSSIA DELLO SVOLGIMENTO IN ESTENSIONE
La statura od altezza varia secondo gli individui e Teta,
e può essere alta o bassa, mezzana, gigautesqa* o bassissima
come nei pigmei.
Dice Aristotile che la virtù della grandezza h di supe-
rare molti di lunghezza tanto di più, che la soprabbondanza
non faccia i movimenti più tardi. Distingui adunque la gran-
dezza dalla altezza.
Esempi: {< Marco Visconti era grande della persona. »
(( Statura alta anzi che no, tendente allo snello. ^ (( La per-
» sona era piuttosto gigantesca che alta, vero che il collo assai
» lungo la faceva sembrare forse più alta. » (Cantù, Mar. P.).
<( Vedi quello spagnoletto di persona alquanto bassa; offeso
» di una gamba ed allegrissimo d'occhi. » (Bartoli).
« Fu della persona più cbe l'ordinario di altezza ed ogni
» membro era allo altro rispondente. » (Machiavelli , della
vita di Castruccio).
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— 87
DELLO SVOLGIMENTO IN VOLUME
OSSIA DELLA CORPORATURA
La corporatura si può considerare nello insieme delle
membra» oppure dal lato dei componetJti della medesiina.
Avuto riguardo al Complesso delle membra un individuo
può essere corpulento, dorputó, tozzo, atticciato o tarchiato,
I complesso o compresso , fatticcio o maccìanghero , od altri-
menti sottile, secco, segalino, adusto, afatto o scriato, allampalo
0 lantemato, affilato, esile, gracile, asciutto, mingherlino, ecc.
Riguardo ai componenti delle membra quali sono la carne,
il grasso» la pelle e le ossa , un individuo può essere car-
nacciuto, cicciuto, polposo o polpacciuto, grasso, pìngue,
adiposo, gravacelo, oppure magro, scarno, spento, sparuto,
smilzo, mencio, strutto, vizzo, grinzo o crespo, rugoso, bianco,
nero, moro, bruno, giallo, ossuto, membranuto, nervóso.
Esempti fc Uomo di più di settant'anni, carnuto, maci-
» lente. » (Caro). « Cresciuto il naso par nel viso scarno. »
(Ariosto). (( II Segalino e freddoloso Redi. » (Redi). « Tempera-
» mento di complessióne adustissimo. » (Fra Giordano). « S\
» strutto che tiene l'anima coi denti. » (Lippi). « Per lungi
)) fame estenuate e fiacche. )> (Ariosto), «f E T altro è Cassio
)i che par si membranuto. » (Dante, Inf.).
DELLA COMPLESSIONE
La complessione è la piega presa dal corpo per Forigi-
naria struttura come per le abitudini contratte. Essa può
j quindi riescire forte, robusta, vigorosa, gagliarda, oppure
debole, languida, fragile.
Esempio: « Tutto svelava in lui una corrotta e fi'agile
» natura. j>
Alla complessione e robustezza appartengono l'agilitk, la
velocita, perciocché, come dice Aristotile nella sua Réttarica:
« Anco uno che sia veloce si intende robusto , perciocché
« chi può in un certo modo gittare le gambe e muoverle
» presto si intende corridore , chi ha forza di stringere e
I » fermare l'avversario dicesi statore.
I
I DELLO SVOLGIMENTO
DEGLI ELEMÉNTI FLUIDI DEL CORPO
Il vario svolgimento delle parti liquide o fluide del corpo
costituisce i temperamenti.
Il temperamento suol definirsi la prevalenza di una parte
dell'organismo sulle altre, ma più particolarmente è la temperie
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— 8S —
o proporzione dei fluidi. Quindi la distinzione di tempera*
mento nervoso, sanguigno^ linfatico, flemmatico, secondo pre*
domina ii fluido nerveo, il sangue o la linfa.
Il yarìo temperamento rende l'uomo disposto od inclinato
al movimento, alla vivacità od alla malinconia, alla contem-
plazione od alla azione e via dicendo.
Esempio: « Di tempra era ardentissimo, ma per impero
» di virtù senza niuna mostra di ardoi^ che da medici fu
» creduto eccedere in flemma. j> (Castiglione, vita di Ca-
struccio Gastracane).
DEL CORPO CONSIDERATO NELLE SUE PARTI 0 MEMBRA
Il corpo consideralo nelle sue parti o membra offre al
nostro studio la testa, il busto e le estremità. La parte più
importante della descrizione si è la faccia.
La faccia risulta dalla superficie ossia dalla figura della
parte anteriore del corpo che comincia dalla sommila della
fronte e si estende sino alla estremila del mento. Chiamasi
anche viso perchè in essa risiedono gli organi della vista. Ma
ih ogni superficie si distinguono due cose, i limiti e le qualità
sue. 1 limiti della faccia chiamansi lineamenti e vengono indicati
dallo insieme delle linee che ne segnano il contorno. La qua-
lità della superficie è determinata dalle prominenze e sinuosità
più o meno regolari che costituiscono la sua forma o confi-
gurazione materiale. Ora la material forma o configurazione
del viso in quanto è più o meno delicato o leggiadro chia-
masi appunto fattezza. Nella faccia adunque si distìnguono
le fattezze, i lineamenti o il profilo, in quelle risiede la bel-
lezza, ed in questi la grazia^ la correttezza. « Malebranche
aveva fattezze tondeggianti. Aveva Andrea un profilo cor-
» retto. ìi (Cantù).
(c Raffigurato alle fattezze contentai qual proposito osserva
il Casa più acconciamente diciamo: riconosciuto alle fattezze,
che alla figura , alla immagine: <c Parevano le sue fattezze
» bellissime, aveva le fattezze del volto delicate molto ed
» ottimamente disposte. » (Boccaccio). « Il naso , i labri ,
» i cigli, ogni fattezza pareva fatta per la man di amore. »
(Berni). <c Occulta virtù desta in lei da alcuna rinomanza dei
>» puerili lineamenti del viso del suo figliuolo. » In un bam-
bino non erano ancora svolte le fattezze, perciò ben dice
l'autore i lineamenti.
La faccia^ le fattezze ed i lineamenti non cangiano mai
per s^, ma tuttavia il viso può pigliare un vario atteggia-
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80 —
mento e comporsi in vano modo secondo che varia lo stato
del corpo e dell'aniina.
Questo vario atteggiamento del viso chiamasi col nome
generico di volto dal latino s^ohere , che significa volgere ,
voltare, piegare.
Esso è una conseguenza dello intimo rapporto che passa
tra il corpo e Tanima» per cui quello può essere da questo
modificato e viceversa.
Quindi secondo il diverso stato del corpo oppure dell'a-
nimo, il volto può piegarsi, atteggiarsi^ comporsi alla since-
rità ed alla finzione.
Per conseguenza, siccome il volto riguarda piuttosto 1 at-
teggiamento che piglia la faccia secondo lo stato del corpo
e dell'animo così esso può essere e dirsi volto sincero, volto
simulato, volto allegro od ingrugnato^ ed anche bello o brutto^
in quanto che la bellezza si addice tanto allo spirito che
al corpo, viene dalle forme e dalle espressioni del viso.
11 volto h pure mutabile, laddove la faccia non muta mai.
Ricordiamo la faccia e quei finti e simulati volti , dice
Cicerone: Non avrebbe detto faccia simulata; e Tacito scrisse.
<c Non si mutano le faccie dei luoghi , come si mutano i
» volti degli uomini. »
Quando un siffatto atteggiamento del volto è prodotto
più particolarmente da affetti anche molteplici che si manife-
stano esteriormente nel viso, esso prende il nome di aria]del viso.
Cosi il Vasari descrive V aria del viso del vecchio che
nel quadro della Trasfigurazione di Cristo del Raffaele so-
stiene il giovane spiritato con queste parole: « Questa figura
» sostiene un vecchio che abbracciatolo e preso animo, fatti
» gli occhi tondi colla luce in mezzo, mostra con lo alzare
D le ciglia ed increspare la fronte in un tempo medesimo e
» forza e paura (che sono affetti istantanei). »
V aria e queir aura che spira dal volto umano , quel
non so che di indefinibile , che vi piace o vi disgusta , vi
innamora o vi irrita ed esprime l'armonia del volto coll'af-
fetto dell'animo. Come sinonimo di aria si suole togliere la
parola cera, ma essa oltre che è un termine che si può solo
adoperare in istile e parlar famigliare, non viene cagionato
da tutta sorta di affetti ma soltanto dagli affetti passeggieri
della tristezza , e della gioia e comprende anche nella sua
l'idea del colore.
Cera esprime l'aspetto esterno della faccia allegra o mesta,
sana od inferma.
12
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— 90 —
tf In quella faccia (di Marco Visconti), alquanto scarna,
» pallida forse di soverchio, spiccava il nero di una barba
» morbida e folta, di due sopracciglie ben distese, di occhi
» sfolgorantissimi. »
(( Le guance si tingevano qualche volta del vivo colore
» della porpora. »
«e N^ sempre mutò cera, ne colore, » (Livio). « Con cera
» fosca. » (Boccaccio). « Con cera brusca. » (Varchi). » Festeg-
» giare con lui di buona cera, a (Livio), (f Non ti £ece buona
» cera. » (Lib. Son.). « Il marito di lei non mi I>a eera di
)) valento cavaliere. » Aver cera di fare una cosa^ vale pa*
rere atto alla cosa.
La cera si suole dire triste^ allegra, fosca, brusca, gio-
josa, buona, cattiva, brutta^ mutabile come il volto.
Quando finalmente questo vario atteggiamento e piega-
mento del volto è prodotto da affetti costanti che si leggono
continuamente nel viso di una persona ^ e si rileva anche
in particolare dall'aria, dalle fattezze e dai lineamenti che
tutti cospirano a dare un indizio d^eUe quali^ interne di
un uomo, chiamasi fisionomia.
La fisionomia esprime V armonia dellie parti del viso in
sh e l'armonia delle parti del viso coU'affetto dellanimoi di
più l'affetto che questa virtù eccita nei riguardanti.
Il Grossi descrive la fisionomia di Marco Visconti in questi
termini. <( I disagi di una vita travagliata e tempestosa se ave-
» vano rapito al volto la prima freschezza, il primo fuoco^.
» quel raggio giovanile pieno di gioia e di baldanza, vi av'e-
» vano sostituito una gravita serena e pur dolce, una fierezza
» temperata, un non so che di malinconico che significava lo
D scontento , ma senza amarezza , senza fiele nessuno. *
« Ignazio era allegrissimo d'occhi, j»
PARTI DELLA FACCIA
Della faccia fan parte la fronte che guarda al cielo, ed
al cielo tende , la quale può essere alta , larga , spaziosa ;
oppure: stretta, liscia o rugosa, grinzata, maestosa. « Aveva
» Malebranche una fronte alta e spaziosa; Andrea una fronte
n ampia; Don Luigi la fronte alta e maestosa. » (Gantù ,
Margherita Posteria). Una fronte facile a corrugarsi.
La Bocca onde esce il riso che penetra Dentro i cuori
e l'accento si disserra. Che or severo comanda or dolce im-
petra, può essere larga, grande, scivagnata, stretta, ridente,
aperta, serrata, piccola, delicata e aggraziata; sono ornamento
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— 91 —
della bocca i labbri ed i denti, quelli grossi o sottili, colorati
o pallidi, questi bianchi o giallognoli, neri o sani o cariosì.
-w Aveva Margherita Posteria un sorriso amichevole in
j» sulle labbra, aveva la bocca aggraziata, brevi e sottili
» le labbra, i denti bianchissimi. Aveva Andrea una bocca
» piuttosto piccola e delicata sotto la quale spiccavano denti
j> di maravigliosa bianchezza. » (Gantù, Margherita Posteria).
« Colla bocca atteggiata sempre ad un riso fra l'idiota
)) ed il maligno, » (parlasi di Grillin cervello della Marghe-
j» rita Posteria). « Il labbro serrato portava il marchio della
» sventura. »
Il naso può essere regolare, ben profilato, camoscio quando
è schiacciato, aquilino^ ricagnato. « Aveva don Luigi il naso
» aquilino; Margherita il naso un po' camuso, d
Le gote o guancie che possono essere paffute, secche,
smorte, cadaveriche, rosee, butterate, lentiginose, simiesche,
gentilesche , liete , belle , avvenenti. « Malebranche aveva
» guancie rosee e fresche , Margherita la carnagione bian-
» chissima, le gote rubiconde. »
Occhio dell' alma interprete eloquente , - Senza cui non
avrìa dardi e faretre - Amor^ n^ Tali, né la face attente.
L'occhio varia nella forma e nella sua posizione, nel colore,
nei movimenti ossìa nella guardatura, nella espressione e nella
perfezione od imperfezione delle sue parti, «e Malebranche
» aveva gli occhi franchi e vivaci. Andrea una folta capi-
» gliatura sotto la quale scintillavano occhi vivissimi e pieni
» di slancio e di intelligenza. Gli occhi di Luigi erano azzurri
» e languido lo sguardo. »
La guardatura specialmente negli uomini di comando h
di gran momento perché esprime e persuade assai meglio che
la lingua il vigor dello ingegno e la potenza dell* ànimo
imperante^ onde il Giove Omerico timoneggia con un batter
di ciglia : Cuncta superciUo moventi { Omero ). L' occhio
con l'azione del guardare simboleggia l'efficacia creatrice e
conservatrice della provvidenza. Gli Egizii* simboleggiavano
Iddio coli' occhio quasi organo, e come noi dicemmo canoc-
chiale dell'intelletto, nel modo che i poeti per significare la
bellezza e la penetrativa dello sguardo umano lo paragona-
vano a quello dell'aquila re degli uccelli, che prospetta dalla
lunga e vince in acutezza, di vista ogni altro uccello.
[Continua)
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— 92
xvra.
DSL BELLO NELLA NUOVA PORSIA
IConiinuagiimeì {i},
XIV.
Ma uno de*mczzt pia acconci a faTorire il progresso dìelle
arti e delle scienze, per parte de governi, si h Tincoragjìa-
mento, del quale lodevolissimc prove sono i premi e le r>-
compense, essendo cosa notissima, le arti e le scienze non
essere mai povere di fiori né di frutti, quando di tali bene-
fici non manchino , locch^ dovrk dirsi tanto più di quelle
nazioni, a cui la natura fu prodiga dei doni dell'intelletto
e dell^gegno, nei quali la nostra non h certamente, ad alcuna
seconda. Il perchè (tornando all' arte drammatica) acconcie
all'uopo anzidetto, sempre mi parvero le commissioni desti-
nate ad aprire concorsi a tutti coloro che aspirassero a veder
coronate di premio le loro fatiche consecrate alla dramma-
tica palestra.
Ma le commissioni drammatiche non giovano; anzi tor^-
nano all'arte dannose, quando non rispondano allo scopo di
cui parlammo.
A provvedere a così fatta mancanza , giova in primo
luogo, sieno desse costituite di membri d'integrità conosciuta*,
riguardevoli per fama e per merito^ e periti nell'arte, intorno
ai saggi della quale sono destinati a sentenziare. Ciò pre-
messo, che nelle presenti commissioni drammatiche concor-
rano tutte le qualità anzidette , h cosa che ninno asserirà-
da buon senno, a giudicarne dalle prove che esse porgono
nell'adempimento degli uffici loro.
10 non mi farò qui a ripetere tutte le accuse a cui fu-
rono segno dalla pubblica stampa: so quanto i giornali sieno
spesso corrivi all' esagerato od al falso } ma credo , che di
quelle tante, assai poche sieno. a revocarsi in dubbio. Mi limi-
terò agli ordinamenti di tali instituzioni in genere ed ai
difetti, onde ne emergono gli abusi, argomenti oggidì com-
muni di lagnanza.
11 primo consiste, pare a me, nella scelta dei membri
che le compongono. Tutti sanno constar esse di autori e
(i) Vedi Quaderno precedente, pag. 53.
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— 93 —
Si attori, locchb viene a dire» di membri, il cui primo impegno
quello si è di sostenere le loro rispettive ragioni di conve-
nienza. E cominciando dagli autori^ non so se abbiano tutti
virtù bastevole da far buona e giusta accoglienza alle mi-
gliori produzioni drammatiche presentate al giurìa che destar
potrebbero applausi in iscena; né se tutti di comune accordo
sieno propensi a coronarle de'loro suffragi. Imperocché, chi
non sa, quanto cosa cara e preziosa sia il bello dell* arte,
da impor silenzio ad ogni menomo senso di gelosia;, verso
coloro che seco gareggiano nell'aringo medesimo? Or se così è,
sarà agevol cosa inferirne, come quel sentimento stesso sarà
cagione, che non sempre i giudizi sulle cose altrui proce-
dano con quella rettitudine, con quella giustezza di criterio
inspirati dall'amor del vero, e del progresso dell'arte. Che
se qualche onorevole eccezione potesse farsi a questa regola,
non per questo avrebbe peso che basti sul generale principio.
Quanto alle disposizioni espresse nel programma del giurì
drammatico, comechè nel loro concetto, non possano notarsi
di biasimo, salvo qualche eccezione, che noterò più sotto,
pur dan luogo a conoscere come non troppo agli onorevoli
membri, ne stia a cuore l'osservanza. Per esempio, dal pro-
gramma del giurì drammatico nazionale residente in Milano,
rilevasi^ che il giudizio dei lavori presentati al giurìa dovrà
parteciparsi ai concorrenti non più tardi della Pasqua suc-
cessiva alla data del disposto. Or tutti sanno, come ben più
tardi di quel termine abbia già quella disposizione avuto il
suo effetto. Che se questa fu violata, ben potrà temersi lo
sieno alcune altre , come quella che vieta 1' apertura delle
schede da bruciarsi contenenti i nomi degli autori di quelle
produzioni non approvate per la scena (art. 2).
Né lascierò di notare, per ciò che spetta alle disposizioni
del programma , come ben poca cosa mi sembrino i premi
decretati dal giurì drammatico, alle migliori produzioni dram-
matiche, se si misurino colle fatiche durate dagli autori a far
cose degne veramente della scena^ ed h pur doloroso il vedere,
come un autore drammatico, per valente che dasi, non giunga
mai a percepire un terzo di quelle provisioni, che pur a larga
mano si prodigano ad altri artisti, il cui merito non in altro
consiste, che in quelle doti estetiche da far mostra sulla scena, e
illudere gli spettatori colla pompa di spettacoli^ i quali se di-
lettando ammaestrino^ lascierò a chi ha buon senso il deciderlo.
Si dira che sono queste vecchie querele^ alle quali non
potrà darsi orecchio, finché la società raddrizzata a migliori
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94 —
costumi non cessi dal divezzarsi da que' spettacoli, che pia
fayoriscono la sua natura corrotta. Sia : ma intanto quali
provvedimenti si vanno attuando da arrecare a questa piaga
un qualche salutare rimedio? I Catti cel dicono. Cosi la loro
voce non tornasse inefficace!
Poco giusta ed equa panni eziandio la disposizione (art. 3)»
con cui vengono gravati i concorrenti, di una tassa di Lire 5,
per la presentazione dei manoscritti, da sottoporsi al giudizio
del giuri drammatico^ quasiché la tassa postale non bastasse,
segnatamente per coloro^ pili che altri forse bisognosi di trar
profìtto dai frutti delfingegno. La quale disposizione darebbe
luogo a sospettare, essere stata la medesima ideata allo scopo
di costituire a spese dei concorrenti stessi, la somma da elar*
girsi a coloro giudicati meritevoli di premio; nel qual caso,
non più al governo sarebbe dovuto realmente il beneficio
di quella provisione, bensì ai concorrenti.
Stando le cose in questi termini, sarebbe a desiderarsi ,
che cotesti membri eretti a giudici delle altrui produzioni,
desistessero una volta da un titiffico così indegno dell'arte,
e di un corpo onorevole, quale esser dovrebbe quello di un
giurì drammatico instituito a favorire il progresso dell'arte
e ad incoraggiarne i cultori.
Io non intendo di mettere in campo progetti da chiamare
Fattenzione dell'universale, su quest'ardua materia, parendomi
assunto troppo al di sopra delle mie forze , ma se dovessi
proporre esplicitamente un mio avviso, direi che di commis-
sioni siffatte non avessero a far parte autori ne attori dram-
matici; ma persone intendenti dell'arte, libere da qualunqne
impegno e da qualunque ragione d'interesse colle compagnie,
e tali da poter sentenziare circa il merito letterario, e sce-
nico delle produzioni presentate al concorso.
Queste commissioni dovrebbero, secondo me, avere stanza
permanente nelle principali citta dello Stato, con obbligo di
aprire ogni anno un concorso; e permanenti nelle principali
citta dello stato dovrebbero essere le migliori compagnie
drammatiche, alle quali verrebbe commessa la rappresenta-
zione dei lavori approvati per la scena.
Si dira che queste commissioni statuite, secondo l'espresso
concetto, potrebbero giudicare buono e degno della rappre-
sentazione un lavoro commendevole per soli pregi letterari,
come quelle che difettassero di quella esperienza della scena,
che i migliori attori procaccia ronsi colla pratica dei teatri,
e ì migliori autori furono costretti a procacciarsi, giovandosi
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— 95 —
dei loro consigli, e aacor più dei giudizi del pubblico sulle
produzioni da loro condotte in iscena, comeclìè per le ragioni
diverse delle due professionfi, siffatta qualità si trovi in questi
ultimi^ comparatiratnente mirvore.
Ed io non negherò che in ciò che spetta la parte esterna
del dramma, gK attori siedo maestri; ma non per questo
crederò il mio principio destituito di verità, cilecche se ne
pensi in contrario; uh saprò darmi ragione come un lavoro
drammatico, il quale commuova alla tacita lettura fra le pri-
vate pareti, non possa commuovere egualmente, anzi viemag-
giormente alla rappresentazione collo spettacolo della scena,
ove all'acconcia interpretazione del dramma, concorrano la
perizia e il buon volere dì eccellenti artisti.
Tale fu sempre il mio avviso in così fatta materia, non
discorde da quello di F. Maria Zanotti e del prof, dal Rio,
come ben può rilevarsi dall'arte poetica del primo, e dalla
prefazione del secondo alle opere poetiche del cav. Ippolito
Pindemonle, la dovagli parla deirArminio del poeta Veronese.
Del resto, che i giudizi del giurì drammatico, sulle pro-
duzioni meritevoli di premio, e su quelle altre che ammette
all'onore della scena, non sieno sempre concordi a q;ueUi del
pubblico, ne abbiamo luminose testimonianze nei fatti; con-
eiossiachè a quelle stesse nelfultimo concorso, pur giudicate
meritevoli di premio, egli abbia fatto una ben meschina acco-
glienza, laddove sia stato largo d'applausi ad alcune altre non
giudicate dal giurì drammatico, pur degne della scena.
E poiché di sopra ho nominato gli attori, non crederei
disposizione gran fatto assurda, l'imporre a coloro che inten^
dessero ascriversi alle compagnie dei principali teatri, t'ob-
bligo dì un qualche esperimento, che desse alcun indizio delle
qualità loro in fatto di lettere, approvando, con regolar di-
ploma i meritevoli , e gli immeritevoli rimandando a prov-
vedersi di quelle cognizioni che meglio occorressero all'eser-
cizio della loro professione. Con ciò si eviterebbe il pericolo
di vedere ammessi nel seno delle compagnie drammatiche ,
nomini usciti non sappiamo donde, che fidenti nelle doti este-
riori della persona, si cimentassero all'ardua palestra delle
rappresentazioni^ con quanto beneficio dell'arte. Dio vel dica!
Queste considerazioni non so di quanto peso- potranno
estimarsi da coloro, che in cose siffatte, sentono di me più
addentro; ma io le ho espresse^ come inspiravami un sincero
amore per l'arte, del cui progresso, tra noi specialmente»
e sì al vivo, sentito il bisogno.
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— 96 —
Vero h che, nelle attuali condizioni del paese, che richia-
mano le menti a più serie questioni, queste mie parrebbero
intempestive; ma non per questo» ho creduto inutile suggerir
finora, per quanto ìq me Ifu^ qualche principio, che valesse
a preparare la via se non altro a salutari nforme suU* arte
drammatica, la quale indirizzata al vero suo scopo, tornar
potrebbe alla nazion nostra di morali vantaggi feconda.
Cosi le arridano sorti migliori, da cui possa questi fra
gli altri molti sperare!
{Continua)
Prof. Nicolò Marsuggo
XIX.
IL MONUMENTO ONORARIO
A VITTORIO EMANUELE IL
Finalmente si h pubblicato il programma di concorso pel
monumento da erigersi a Roma alla gloriosa memoria di Vit-
torio Emanuele II, annunziato dai pubblici fogli, e da quello,
che ha per titolo // Popolo Romano (del 24 settembre 1870
N! 25S), e ne attingo le notizie.
Prima di discendere ai particolari dovrò dire, che il pro-
gramma è sommamente oflfeasivo alFonore della nazione e di
Roma. Quello che sorprende h l'essere stato dettato da una
coir.missione composta di cittadini italiani, ma nella maggior
parte ingegneri, i quali, a similitudine dei Reverendi Padri
Gesuiti, non devono avere uh parenti, né patria, ma l'amore
soltanto di loro stessi e della Compagnia.
Il monumento è limitato nella sola spesa (9 milioni di
lire) ed e un limite bastantemente spazioso; ma in quanto
al concetto ed al sito da collocarsi , è a scelta dei concor-
renti; e fin qui sta bene; ma quello, che fa torto alla com-
missione , e di aver proclamato il concorso mondiale e non
esclusivamente nazionale.
Questa barbara idea si h concepita per fare un*onta agli
italiani e specialmente agli artisti della capitale del Regno,
credendo forse d' ingigantire il soggetto invitando Tunivcrso
mondo a presentare i disegni, o modelli, per erigere il mo-
numento onorario alla memoria di Colui, che seppe riunire
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— ^7 —
lìtdlia sotto lo scettro di sua dinastìa e restituire a Roma
1 ayita gloria di esseme la Capitale.
Ma Vittorio Emanuele II h talmente grande, da non po-
tersi più ingrandire, e chi ha concepito la scipita idea di
chiamare a concorso tutte le nazioni del mondo per model-
lare il suo monumento, è segno evidente, che non ha com*
preso la sua grandezza.
Quel sarcofago di rozzo peperino, che gelosamente si
custodisce nel museo Vaticano, il quale conteneva le ceneri
di Scipione Africano, quale altro monumento ricco e grande
che sia potrà stargli a confronto?
Quello che sarà dedicato alla memoria di Vittorio Ema-
nuele II, comunque sia; e per questo non vi era bisogno
d' invitare tutti gli artisti dei due emisferi per modellarlo;
poiché i fatti sono quelli , che rendono V uomo immortale
e non un monumento, che sarà composto di poche statue
allusive di freddo marmo.
Vittorio Emanuele II h cosi grande per le sue geste, da
ingigantire e nobilitare qualunque sasso, che ricopra le di
Lui spoglie mortali, tanto che sia lavorato da un Italiano,
quanto da uno straniero.
Ma coinunque sia, gì' Italiani dovendo nutrire sentimenti
di gratitudine alla memoria dell' estinto Monarca per averli
emancipati dal dominio straniero, essi soli possono più fa*
cilmente concepire un'idea significativa neirimmaginare IV
spressione del monumento; mentre gli stranieri non vincolati
da alcun sentimento di riconoscenza per Esso, non potranno
mai dare al monumento quella espressione proveniente dagli
impulsi del cuore.
Ed ammesso, che uno straniero scolpisse il monumento,
che bella gloria sarebbe per gì' Italiani vedere nella loro
capitale, in mezzo a tanti monumenti di classici autori na«
zinnali, un lavoro eseguilo da mano straniera, e pagarlo coi
denari provenienti dalle spontanee elargizioni degl* Italiani
medesimi ?
.,'' Quale affronto poteva farsi maggiore a coloro^ che tanti
sagrificì hanno fatto per giungere a godere quella libertà
tanto decantata, ma che per opera di pochi si è deformata
in assoluto despotismo !
E la sagaci ta di questi signori non ha permesso loro di
riflettere, che tra gli stranieri sono quelli nemici giurati della
riunione d'Italia per pretesi e mal fondati diritti perduti
su questa penisola. Costoro come potranno concepire l' idea
14
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— OS —
dì glorificare il nemico delia loro nazione nel monumento ,
che dovrebbero modellare ?
E gli onorevoli deputati ai parlamento » tanto romani,
quanto quelli di tutte le provincie dello stato » come mai
hanno potuto sopportare uno sfregio / che si fa ali* intera
nazione ed a loro stessi? se questi sono d'accordo col mi-
nistero, saranno nemici dell* onore nazionale; se poi noa
hanno saputo comprendere lo smacco, che lor si fa, in qu^to
caso conviene concludere essere una massa di genie inutile
a sé ed alla società. E costoro siedono al parlamento come
legislatori , come rappresentanti del popolo per guarentire
i suoi interessi, i suoi diritti, e Tonor suo? PoNrcra iulia!
FIN 0^1 LE GIUSTE LAGNANZE DEL POPOLO DI QUiaiRO
E DI TUTTE LI PROVINCIE DEL RSGUO
pel grave affronto che riceve da una commissione
composta da cittadini italiani imbastarditi.
VEDIAMO OHA
quale sarà l'esito del mondiale concórso^ e figu^riéomoci
di aver trascorso fanno accordato a presentare i progetti.
Siamo dunque al fis settembre issi alle ore s pomeridiane^
glortìfo perentorio al concarso, a termini della ìegge as lu-^
glio ISSO e del decreto reale i3 settete4}re anìi^o Sfqd?
Dopo pochi giorni avremo la con^lazionè di vedere espo^
sto in una, o in più grandi aule il prodotto d^ ^ènio ^deile
quattro parti dei mondo, in disegni, in modelli', formati iu
creta, in gesso, in cera.
Tutti i concorrènti ambiranno ad ottenere almeno l'uno
dei tre premi promessi, che sono il t? di 50,000 Lii^e, il "Sfi? di
30,000, ed il 3? di 20^000 Lire.
E nella certezza, che siano molti i progetti dei concor-
renti, che saranno esposti al pu'bblico, il ministero ha no-
tninato N.^ so Giurati per esaminarli e quindi conferire i pretiii
9 coloro, che avranno saputo meritarli.
I Giurati a tafuopo eletti sono còme appresso.
N.^ 4 ingegneri :^ 5 deputati al parlafmento, compreso
il presidente della Commissione «» 5 sedatori = 2 {)ittori ^
2 scultori a II sindaco di Roma a II presidente dell accade^
Olia di san Luca.
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— 09
Tutti questi signori, saranno al caso di giudicare il me-
rito dei concorrenti? » Togliete il presidente dell* accademia
di san Luca, e tutti gli altri sono come potrei essere io se
fossi chiamato a dare il voto in una questione teologica.
In quanto agi* ingegneri bs guardate le opere loro e giu-
dicate se quegli, che non sanno far bene le cose proprie ,
possono essere al caso di giudicare sul merito di quelle de-
gli altri ; anzi mi sorprende come tra i quattro nominati
dalla Commissione , o dal Ministero non figuri il nome di
colui, che diresse il palazzo della Posta sulla piazza di san
Silvestro in Capite ! Il solo suo nome avrebbe imposto ri-
spetto a tutto r Universo, come ha spav^entato (i) T opera
sua tutti quelli, che Tanno veduta^
Gli onorevoli cinque deputati al Parlamento hanno dimo-
strato essere nemici dell'onore della patria, con l'avere ap-
provato il barbaro progetto della Commissione di rendere il
concorso mondiale e non esclusivamente nazionale , come si
doveva; di non aver punto migliorato lo stato finanziario, am-
ministrativo ed economico della penisola, anzi in tutto peg-
giorato. = E non sentendo l'amor di patria, non possono tam-
poco aver gusto ed occhio critico sulle opere di arte e per
conseguenza nulli, o anche nocivi sull'incarico affidato loro
dal Ministero.
E dei cinque onorevoli senatori^ che cosa potrà dirsi?» Che
sono stati conniventi alla risoluzione della Commissione e
dei deputati al parlamentò, e per conseguenza nemici ancor
questi dell'onore nazionale. Ma prescindendo da tutto questo
s hanno gusto per le arti belle? => pare di no, perche se
ne avessero un tantino, non avrebbero tollerato le tante li-
cenze commesse nei fabbricati di nuovo impianto diretti
dagr ingegneri al Maccao , al Celio , al Viminale, all' Esqui-
lino e nei due monumenti governativi delle Finanze e della
Posta. Dunque ancor questi nulli, nullissimi a soddisfare al
loro mandato.
I due pittori , potranno esser buoni ad immaginare un
monumento, ma non mai a passare in rivista una quantità
imponente di progetti provenienti dalle quattro parti del
Mondo, e tra tutti sceglierne tre, che siano migliori degli
altri e classificarli per esser degni di premio.
(1) Si allude al Ministro Spaventa, che in opposizione al voto della Com-
missione edilizia municipale volle si costruisse quel palazzo sui disegni pre-
sentati dair ingegnere Malvezzi.
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— iOO —
I due scaltorì. Tra questi vedo figurare quel GioTanni
Duprè 9 che scolpi il monumeato trionfale per eternare la
memoria di quel graad^uomo di stato, che fu Camillo Benso
conte di Cavour. Povero Conte in che brutte mani capitasti !
Dovevi figurare essere stato gigante e fosti rappresentato
come deforme pigmeo! Ma non dubitare, che se il Duprè
ti ha impiccolito, la storia ti esaltera talmente» che diverrai
un colosso, come ben lo meritasti.
]1 compagno Vincenzo Vela sarà bravissimo per model-
lare e scolpire una , o più statue , ma non tutti hanno il
dono della composizione come l'ebbe il celebre Canova, poi-
ché noi abbiamo due recenti monumenti entro la basilica
Vaticana , V uno di Pio VII e V altro di Pio Vili, amendue
scolpiti da classici professori, il primo dal Thurvaldsen, il
secondo dal Teneranì; ma essendo mancanti di composizione
non hanno mai incontrato il favore del pubblico. Ma qui
non si tratta di far progetti , ma conoscere se questi due
scultori abbiano l'occhio critico per esaminare tutti quelli,
che verranno dall'universo Mondo, e sceglierne tre, che si
crederanno degni di premiazione.
II Sindaco di Roma » Sarà un galantuomo ed è ciò che
si desidera.
II presidente dell'accademia di san Luca.
Ecco l'unico Giurato, che potrà essere al caso di distin-
guere il merito dei saggi, che verranno esposti, non già come
presidente dell'accademia , perchè potrebbe essere un uomo
da poco, ma come architetto di merito (i), poiché la nostra
accademia , la quale ha goduto sempre fama europea per
gli uomini grandi, che la componevano » oggi va' ad imba-
stardirsi per alcune nullità, nella classe architettonica , che
abusivamente vi hanno annoverato.
Sara una fatalità, ma pare, che tutto congiuri a danno
di queir arte, che è stata sempre considerata come madre e
direttrice di tutte le altre.
Se ciò sia l'effetto della civiltà e del progresso lo faccio
decidere da quegit stessi, che la calpestano, i quali dovranno
dichiararsi per vere nullità, o per nemici del bene e dell'onore
e della patria.
Ma se il Ministero, le Camere, il Senato > il Municipio»
sono quelli stessi, che ne vogliono la distruzione, come po-
li) Francesco Azzurri» autore di quel bel casamento sulla piazza Polla-*
raia, Num. 19.
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— 101 — .
tranoo queste arti risorgere « perchè possa V Italia e Roma
conservare il gran privilegio di goderne il primato?
Leggendo la storia si conosce , che gli uomini grandi
sono stati in ogni tempo amanti delle arti belle , e questi
nostri legislatori fanno di tutto per distruggerle. Maometto
nelle sue leggi del Corano proibì le scienze e le arti. Qui
non si proibiscono» ma si tenta di annientarle col favorire
r ingegneria e col non voler fare alcuna distinzione tra il
merito di un monumento di arte e quello di un chiavicotto.
Ed il povero presidente .delFaccad ernia di san Luca si
troverà molto imbarazzato nel combattere con 4 ingegneri,
che pretenderanno di dettare in catedra , con 5 deputati al
parlamento e 5 senatori (persone tutte rispettabilissime, ma
totalmente profane in quello, che dovranno trattare), poiché
queste vorranno sostenere la loro opinione senza gusto e
senza cognizioni artistiche, ed il presidente dell'accademia ,
che in tutto troverà opposizione, prenderà il suo cappello
e se ne andrà, lasciando quei signori a bisticciarsi tra loro
senza concluder niente.
I due pittori e i due scultori diranno timidamente il
loro sentimento , che coinciderà con quello del sindaco di
Roma, ma sopraffatti dalle chiacchiere dei dieci parlamentari
prenderanno l'espediente di porsi in silenzio.
E così andrà a terminare come il monumento , che si
volle erigere al conte di Cavour, che h una vera vergogna.
II primo requisito per coloro, che stanno alla testa degli
affari h quello di conoscere il merito delle persone che ven-
gono incaricate a soddisfare il mandato a loro affidato. Na-
poleone I vinceva strepitose battaglie , perchè sapeva sce-
gliere i Generali} e Napoleone IIP perchè non li seppe sce-
gliere perdette la guerra^ il trono e la vita.
Se la commissione, o il Ministero, a vesserò avuto l'inten-
zione, che il monumento fosse degno di Roma, e di esalts^re
la memoria dell'estinto monarca, doveva eleggere a Giurì l'in-
tero corpo accademico di san Luca, il quale essendo compo-
sto di Scultori, Pittori , Architetti e letterati insigni (tra i
quali figura un Mamiani) potrebbe dare un adequato giudi-
zio; ma siccome questi signori pretendono riguardarci come
popolo conquistato, tutto si fa per far torto ai romani, e
potendo avere nel monumento una mostruosità sarebbero
molto contenti , ma la vergogna sarebbe per loro stessi , e
non per noi, per aver nominato a giurati persone non atte
a dare un giudizio; e se hanno nominato il sindaco di Roma
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. — tot —
ed il presidente deiraccademia di san Luca h stato per una
vera derisione e non altro.
Koma Si Novembre iss».
Gius. Versili Archit. Ing.
VILLA PAMPHILI
Appo antiche^ grandiose, erme raine
Da Tederà, di fede emblema, cinte.
Ove è gran tempo che i romani petti
Già ruppe il ferro, e gli ultimi sospiri
Dieron, spargendo da le vene il sangue.
Che rossegrìava su le verdi zolle,
O in fervido vapor volava al cielo..
Spnntan rose ili fra i cespi ove m' aggiro.
Ma coglierle da' steli non vorria.
Che duri quanto può lor dolce vita!
Se non se i loro calici fragranti
Appassiranno al vespero che cade!.
È fugace la viu, amati fiori!
Qui l'ambasce temprar potria la nova
Bella stagion che allegra e ridipinge
G\ì arbus^ e i cespi, a* candidi giacinti
Alternando le rose e le viole;
Qui animate son 1* aure e spicca il vento
Le foglie ed altre notano sul lago
Ove guastano i cigni, d'ogni intomo
Levi bisbiglian ricadendo P acque,
Scherzan del margo al tenue musco i pesci
Che solcano la fresca onda d' argento;
Qui animate son l' aure, e, nel profondo
Silenzio de la valle e de la selva,
Modulan gli augelletti il dolce metro,
]1 fragor qui de la città s'oblia,
E qui del giovani! spirto la possa
Novellamente a poetar m'alletta..
E più 1' insania incendemi d' amore !
Presso il palagio, che mi par di Fate
Magico ostello, al rezso d' alti pini.
Per il sentier cui attoi*niano le rupi.
Tratta da bianchi e rapidi corsieri,
Alti, superbi di lor nobil carco,
Un giorno t' incontrai. Da la beata
Ora non volli a te pensar, ma in core
Mi s* annidò la tua soave immago!
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— 103 —
£ men parevi altera, ma il segi*eto
Mio sentir non ti fu noto: la fiamma
Nostra, palese a voi, vi fa più schive;
Mentre la vostra che per noi sfavilla
Più animosi ci rende e più gentili!
Oblia Tajrito tuo splendor., comune
La progenie sortimmo., ed è celeste!
Il Sol semina d'or le alpestri vette
Di Monte Cavi sacre al Làzial Giove^
I villerecci reconditi borghi
D'Alba Lohga e di Tuscolo, gli antichi
Cratèri speliti, eh' ^divenner laghi.
Superando il ciglion de la montagna.
Di là si schiuderan gP immensi piaili
A te Vezzosa., e meno tu dal cielo
Ti sentirai da lunge.! De la mia
Alba e del vespro mio fulgida stella.
Unica stella, addio.. Pur atìco addio.
Dolce mia donna.! Danzino le Ore
A te d' intomo, ed Imeneo ti guidi
Su lieve carro^ in fra la polve «d'oìro.
Pari air Aurora, cui dipinse Guidq;
Pari a la dea che del sidereo manto
Spoglia la Notte, simile a la dea
Cui insegue Apollo per Tetera, indamo
Inebbrìato de la sua bellezza!
LA FARFALLA
Già spuntano le rose e le viole
Sovra le zolle de la patria mia.
Una •fai'fall^ sotto i rai del sole.
Come un fior variopinta, allegra già.
Or r uno or 1* altro sempre sugger suole,
In sin che stanca de la lunga via.
Danzando e folleggiando per le ajuole.
Il più soave fior requie le dia:
Ivi che può temer? Forse che un giorno
Con insìdia un fanciul prigiòn ita pòrte
Per suo diletto nel natio soggiórno?
Tal farfaRa non son; per crada sorte
Son la farfalla che s' aggira intomo
Ad una fiamma per aver la morte.
Roma, nell'aprile del lS7i.
LoiQi Arrigo Rosm
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— 104
XXI.
A MIO PADRE
Già volge ranno che da questa terra
Ti dipartisti, o mio padre diletto,
Quando vinto dal mal che ti fé' guerra
Lasciar dovesti ogni più sacro affetto.
La vedovella tua mesta rinserra
Un eterno dolor per te nel petto,
£ piange sul tuo frale che sotterra
Giace, e favella col tuo spirto eletto.
Di tue virtÌL, del vivere onorato
Va superbo il tuo figlio, e con orgoglio
Serberà il nome che ha da te redato.
Or mentre eh' io di tua morte mi doglio.
Tu mi guarda dal tuo loco beato
E alfin m'adduci nel celeste soglio.
Roma, 16 Dicembre 1880.
Vincenzo Monti
ERRATA-CORRIGE
(al quaderno II, VOL. XIV DEL BUON jìRROTI)
Pag. 37 w^ an Giulio so Giallo
» » Grien Grion
38 {t'fi. 2 Gayaliere Cayaliere,
39 lin. 23 Ho del resto 3? Ho del resto
41 lin, 6 Mugnoo Mugnos
D tiofa 1 Razzolino Ragolino
70 lin. 9 profumata profumate
Pag. 68 VOLUPTAS TENET , ecc. Ri^hhUeheremo questa poeiia nd praaimo
foieieolo » essendo per inaoveHensa ri-
masta monca di cinque strofe in fine.
La nota delie opere venute in dono et darà nel prossimo fascicolo.
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Serie II. Vol. XIV.
Aprile 1880
I L
BUONARROTI
D I
BENVENUTO 6ÀSFAR0N1
CONTINDATO PER CORA
DI ENIUGO I^ARDIICCI
PAG.
XXII. Descrizione di tutte le colonne ed obelischi
che trovansi nelle piazze di Roma, disposta
in forma di guida da Angelo Pelle-
grini ecc. {Continua) » iOS
XXUI. Della Prosopografìa. Lezione del professor
Gabriele Deyla (Fine) .;,..» 120
XXIV. Di un monuroento onorario per eternare la
memoria di Vittorio Emanuele li. (Giu-
seppe Verztlt Architetto Ingegnere) . » 126
XXV. Bibliografia. Le opere letterarie dì Leo-
nardo da Vinci pubblicate dal dott. Jean
Paul Richtbr » 129
XXVI. Su due scheletri che abbracciati si rinvennero
in Pompei non lungi dalle pubbliche Terme.
Elegia del cav. Diego Vitbìoli e tradu-
zione (G. Frosina-Cannella) . . . )) i32
XXVII. Voluptas tenet silvaset caetera rura(G. Fro-
sina-Cannella) » 136
XXVIII. Il pensiero del cuore (Luigi Arrigo Rossi). » 137
XXIX. A sua maestà Alessandro II, a«tocrate di
tutte le Russie, trionfatore deTurchi (Luigi
Arrigo Rossi) » 139
Pubblicazioni ricevute in dono » 139
ROMA
tipografia delle scienze matematiche e fisiche
via lata n! 3.
1880 .
Pubblicato il 29 Gennaio issi
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IL
Seme II. VoL. XIV. Quaderno IV. Aprile 1880
XXII.
DESCRIZIONE
DI TUTTE LE COLONNE ED OBELISCHI
CHE TROYANSl NELLE PIAZZE DI ROMA
DISPOSTA IN FORMA DI GUIDA
DA . ANGELO PELLEGRINI
miiBio diil'ivstituto di goiiispovseksa aichiolo«ica
COLONNA DI M. AURELIO
DETTA VOLGARMENTE ANTONINA
Conducetevi in piazza Colonna j ove nel mezzo sorge la
famosa colonna coclide di Marco Aurelio Antonino , eretta
solo per servire di monnmento onorario della vittoria da lui
riportata contro i Marcomanni, come è dimostrato da quanto
vedesi rappresentato nelle sculture a bassorilievo che ador-
nano il suo fusto. ( cataloghi dei regionari sotto il titolo di
Curiosum Urbis e Notitia Ja registrano nella Regione nona
col titolo di tempio» e colonna coclide di Antonino» e detta
coclide per esser vuota , e per avere la scala a chiocciola ;
e riguardo al nominato tempio di Antonino Pio, che è fuori
dell'argomento di cui trattiamo» basterà soltanto di sapere
che universalmente dai topografi moderni si crede avere esi-
stito nella località ora occupata dal palazzo Chigi. Il nome
poi di Antonino appropriato alla stessa colonna, come si ^
veduto, era comune ad ambedue i nominati imperatori, e perciò
da alcune reliquie delle iscrizioni nel suo piedistallo che sus-
sistevano fino al secolo XV coU'indicazione divi . Antonini •
AVGVSTi . pii . . . flius si volle dedurre essersi dedicata all'im-
peratore Antonino Pio. Cosi fu dichiarato nelle iscrizioni che
furono poste nel rivestimento fatto al piedistallo sotto il pon-
tificato di Sisto V» delle quali parleremo a suo luogo.
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Ma quanto sia stata iosussisleate l'appropriazione ad An-
tonino Pio, h stato da tutti riconosciuto, dopo il ritrovamento
della vera colonna dedicata al medesimo imperatore che de-
scriveremo a suo tempo, e deiriscrizione concernente il per-
messo accordato ad Adrasto, liberto di Settimio Severo e Ca-
racalla, di costruire nua piccola casa In vicinanza della me*
desìma colonna per averne la custodia.
In tale iscrizione in marmo ^ ora esistente nel corridoio
delle lapidi presso il Museo Vaticano, questa colonna viene
chiamata Centenaria , poiché il fusto di essa colla base e
capitello davano cento piedi romani di altezza. Si ha dagli
antichi scrittori, e da Vitruvio particolarmente, che col vo-
cabolo colonna s' intendeva ciò che si h detto , cioè senza
il piedestallo ed altre cose, e perciò pei centosettantacinque
piedi assegnatile dai regionaria nel IV secolo s'intende tutto
^assieme del monumento.
Cominciando ora dal suo piedistallo, il lato di esso che
corrispondeva verso l'antica via Flaminia, sostituita dall'at-
tuale strada del Corso , aveva la porta che metteva entro
essa. Questa fu chiusa ne'tempi di Sisto V, e fu aperta Tat*
tuale nel lato a mezzodì per servire ali* uso stesso nell'in-
contro dei gradi della scala che corrispondono all' attuale
piano della piazza.
Gli scalini suddetti, che ora servono per ascendere alla
sommità, sono I90, e nell' interno la colonna ha 41 feritoie
per ricevere la luce. Resta alquanto incerta la determina-
zione del modo con cui era decorato il grande piedestallo
di sopra indicato , sul quale era elevata la colonna di cui
parliamo.
Poche reliquie dei marmi con cui era rivestito furono tolte
nel ristabilimento fatto dal ponte6ce Sisto V; ma sei quattro
specchi furono certo figure a bassorilievo relative a M. Au*
relio, oltre della iscrizione sopra la porta, come si osserva
in una stampa od incisione del secolo XVI, che si conserva
nella raccolta di stampe antiche nella biblioteca Barberina.
Nel plinto eranvi scolpite figure femminili alate, o vit-
torie, che reggevano festoni, come vedesi in tutti i disegni
anteriori al -risarcimento della colonna, che nell'alto termi-
nava colla statua colossale in metallo del nominato impera-
tore, e colla solita rappresentanza, cioè loricato tenendo Tasta
ed il globo.
Principiandosi ora ad osservare i bassirilievi intorno al
fusto della colonna che esprimono i fasti della guerra contro
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107 r—
Qaadi, Marcoraanni e Sarmati, h da notarsi » che essa è tutta
composta di massi di marmo luaense^ o di Carrara.
Seguendo il giro airintorno, e, principiando dalla parte
rivolta al palazzo Chigi dove prende origine la spira che
racchiude i basslritievi , miransi primieramente tre granari
muniti di un vallo, in cui erano riposte le provvisioni per
alimentare l'esercito romano. Succedono due fienili in forma
degli odierni pagliari, come si usa anche oggidì, chiamandosi
volgarmente le penilesse^ e fra questi ^ una catasta di travi
o legni per l'uso del campo. Indi viene un castello di legno,
e come le altre descrìtte cose. Sono sulla ripa del fiume Da-
nubio con acque correnti ^ e per presidio de' soldati in cu-
stodia degli approvigionaménti. Di fuori del castello miransi
due soldati in fazione, ed il vallo che costeggia la ripa del
fiume vedesi munito di un grande valido steccato di tavole.
Girando intorno sempre dalla stessa mano , si trova il Da-
nubio personificato, che esce per la meta dalle fuggenti sue
acque, tenendo rivolto il corpo a settentrione, e mostrando
col braccio destro di essere propizio a Marco, ed al suo inclito
esercito. Un oppido o paese sovrasta al Danubio, forse Car-
nunto nei confini della Germania e delia Pannonia. In questo
avevano stazione i soldati romani, e secondo Plinio partico-
larmente quelli della legione decimaquarta. Plinio chiama
questo luogo pannonici quartieri d'inverno, corrispóndenti
airodierno castello di Hatnberg. Indi osservasi la partenza
de'soldati romani da questi quartieri trapassando il Danubio.
Vi si vedono due barche che trasportano scudi e bagagli entro
sacchi legati con corde, ne'quali si potrebbe pur credere esservi
stato frumento o farina. Indi un soldato remigante in altra
nave che precede le altre due no6tinate , vi port^ fusti o
botticelle d'aceto o di vino.
Siegue l'esercito romano in marcia sul ponte costrutto con
navi nel DaDubio, occupando la ripa nemica^. M. Anrelio con
lorica e paludamento, tiene la lancia in mezzo a due tribuni.
Addietro viene il cavallo dell'imperatole falerato o' bardato,
ed innanzi alla truppa sono i tibicini. La scena che succede
rappresenta M. Aurelio che passato il Danubio parla ai sol-
dati o generali, accompagnato da due legati e da due tribuni.
Sotto il suggesto dell'imperatore, che tiene in mano un vo-
lume, sono i centurioni; a sinistra è lo stendardo della turma
equestre , e dai lati del suggesto sono le insegne militari
pe'manipoli, indizio della fedeltà e del giuramento dei soldati,
portate dai signiferi con teste coperte da pelli di leone per
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— 108 —
incutere terrore al nemico. S^lla destra si vede parte delfe-
sercito a piedi ed a cavallo che s*invia per la battaglia. Sie-
guono i bassirilevi molto guasti dalle ingiurie de'tempi, ma
vi si distingue un Castro o luogo forte romano già costrutto
di grandi pietre nel suolo nemico, con porta, soldati dentro
e cavalieri al di fuori, i quali proseguendo al trotto in buon
numero insieme colla fanteria assalgono e bruciano un pago
0 vico de'Marcomanni. Le case sono rotonde e formate, o di'
paglia o di fieno, con una sola porta, senza finestre a guisa
di capanne. Vi h pure un soldato del corpo de^ fabbri che
mena con una mazza. Indi vengono i legati dei Germani, ovvero
dei regoli dei confini a cavallo che implorano clemenza e pace
dairìmperatore, che e presso la tenda con due soldati ed un
vessillifero.
Marco parla ad essi, dicendo loro dì deporre le armi, e che
rimangano fedeli; sotto si vedono giacenti i cadaveri de'Ger-
mani. Sulla destra mirasi un soldato romano che vibra un
colpo di spada ad un Germano^ il quale si raccomanda con
giunte ed elevate mani. A sinistra innanzi alle tende degli
accampamenti, veggonsi due guardie o sentinelle, e sulla destra
mirasi un bei gruppo di soldati.
Siegue M. Aurelio che entrato nella regione dei Quadi fino
al fiume Maro si è impadronito di tutti i luoghi fortificati.
Vani sono gli sforzi dei frombolieri germani dall'altra parte
del fiume ora chiamato Marava; ed il castro nella ripa op-
posta è ripieno di soldati. Parte ne sono al di fuori coUlm-
peratore, cui un soldato collo scudo ripara i colpi de^ sassi
che vengono dalla opposta ripa. Indi si vede una macchina
0 riparo fatto dai Germani per innondare Taccapamento ro-
mano. M. Aurelio vittorioso terminata la battaglia perlustra
questo luogo in cui sono accatastati i cadaveri de germani.
1 Quadi si difendono, facendo argine cogli scudi nella ripa
opposta del fiume. Indi viene un sacrificio fatto dalPimpe-
ratore accompagnato da alti personaggi militari. I soldati ro-
mani per mezzo di una rada passano il fiume, e M. Aurelio
sedente nel suggesto invia la cavallerìa alla battaglia. Indi
vedesi un combattimento di sagittarii ausiliarì germanici
de' Romani contro il nemico. Vi si osserva la macchina ba-
lista, e nel mezzo è^ l'imperatore alla testa dell'esercito coi
suoi generali, o legati.
Vien poi il famoso simulacro di Giove Pluvio che stende
la destra propizia ai Romani , e la sinistra sfavorevole ai
barbari. È allusivo alla pioggia, che prodigiosamente ristorò
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— 109 —
l'esercito romano nel punto di perire di sete, al quale i sol-
dati pagani attribuirono il miracolo di Giove, e quelli cri-
stiani alle loro orazioni a G. & I Romani ricevono la pioggia
salutare negli scudi, ed i Quadi unitamente ai loro cavalli
sono colpiti ed uccisi da fulmini dal piovente braccio sinistro
di Giove; i mariti colle mogli ed i figliuoli Quadi fuggono
a M. Aurelio come per rifugiarsi pk-esso una divinità. I Ro-
mani riprese le forze sconfiggono il nemico; M. Aurelio h
innanzi alla sua tenda mandando la fanteria e cavallerìa nei
campi nemici; e vi è il carro sarmatico tirato da bovi. Avendo
disfatti i barbari, i Romani occupano i loro pagbi o paesi,
e l'incendiano con faci. 1 vinti implorano clemenza, ed i figli
e le mogli si fanno prigionieri e schiavi. Ciò faJ;to, il cle-
mentissimo Mai-co perdona alle suppliche dei Germani , ed
ordina il fine delle stragi. 1 bovi predati si portano alHm-
peratore, col regolo e la moglie schiavi. Marco si ferma nella
riva del fiume, ed un regolo dalia sponda opposU tende le
braccia supplichevoli arrendendosi all'imperatore.
Così dai Quadi Marco passa in Boemia, ovvero nei Mar-
comanni. Vi si vedono i grani con spighe della fertile Ger-
mania per indicare che ciò avvenne di estate, e il fiume rap-
presenta il Cuso in Transilvania. Vi si osservano due donne
contadine fra il grano, che trovandosi spaventate dal com-
battimento delle due armate fuggono verso la ripa del fiume.
Siegue il combattimento dei Romani coi nemici ed un
soldato marcomanno ferito, cadendo da cavallo, viene trafitto
ed ucciso da un Romano vittorioso presso i compagni a piedi
che colle aste fanno fronte alla caralleria. Vi sono due carri
o carretti eguali, il primo tirato da due muli ed il secondo
da due bovi , portando ciascuno una botte di legno come
le presenti che usansi per il vino, e si conducono i prigio*
nieri innanzi all'imperatore colle mani legate dietro le spalle.
Marco Aurelio vedesi alla testa della cavalleria, inseguendo
il nemico, ed essi sopraffatti si danno la morte precipitan-
dosi dall'alto in uno sprofondo fin dove li aveva incalzati
Tiraperatore. Vi si osserva un carro a quattro ruote tirato da
due cavalli, e ripieno di scudi, aste ed altre cose per l'uso
dell'esercito romano. Scorgonsi i soldati romani rappresentati
in due barche trapassando un fiume con gli arcieri 'ausiliari
germani, che si spediscono verso il nemico. Proseguendo il
giro dei bassirilievi intomo alla colonna, vedesi un carro a
quattro ruote tirato da due cavalli, e condotto da soldati ro-
mani, che h ripieno di armature. È M. Aurelio innanzi alla
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— 110 —
porta pretoria del castrò in piedi sul suggesto , e comanda
di trapassare il fiume. Si scorge pure in questa parte un
combattimento fra la cavalleria romana, e la quada e sarmata.
Passato il fiume per un ponte di legno formato su barche
e cambiata la sede delia guerra, mirasi V imperatore velato
in atto di sacrificare a Giove e a Marte, un toro ed un ariele
col Camillo o garzoncello de^sacrifizj tenente la cassetta degl'in-
censi chiamata acerra; un soldato coronato d^alloro a guisa
di altro ministro conduce il bue innanzi al tripode ardente
di metallo, mentre dietro h preparato il vittimano popa colia
scure. Sulla destra mirasi altro ponte di barche dove trapassa
l'esercito romano su d'un altro canale del fiume Granua che
sbocca sul Danubio. Fra i due ponti h un cavallo solo e
nudo, che corre su d'un cadavere di Germano, mentre un
Romano altro ne uccide; e sopra è altra parte del combat'
tiraento fra i Romani coi Marcomanni, e Sarma,ti.
M. Aurelio^ entrato in Sarmazia, riceve i legati entro gli
accampamenti chiedendo le coudizioni di pace. Siegue M. Aurelio
che dato il segnale alle legioni già suona un tibicino nella
fronte del fiume e traversano con barche all' altra sponda.
L'imperatore già a, cavallo, è alla testa della legione fulmi-
natrice^ che già nella riva opposta del fiume con impeto fa
indietreggiare il nemico. La cavalleria sarmatica vien circon**
data dalla fanteria romana. Il marmo nella colonna siegue
molto guasto, ma vi si distingue, che battuti i nemici dall'altra
parte del fiume, l'esercito romano in quella regione si avanza,
avente l'imperatore alla testa colle insegue, il tibicino, ed i
carri pieni d' armi. Vi si vedono sopra le tende , e quindi
l'imperatore che tratta coi legati dei nemici intorno alla guerra.
11 legato che parla con Marco, credesi essere Elvio Pertinace,
che dopo Comodo figlio delF imperatoire successe ad esso
nell'impero. Gli arcieri germani si battono in difesa dei suoi,
e vi è un carro a quattro ruote tirato da due cavalli e spet-
tante ai Romani.
I regoli, o prìncipi dei paghi, uniti colla plebe in cam-
pagna, sono congregati a pubblico concilio intorno alla guerra
verso i Romani. Mentre i primi siedono, arriva improvisa-
mente M. Aurelio, e compenetrati alcuni si prostrano o s'in-
ginocchiano. La scena è vicino a un pago con poita e case
fatte di muro, e con loggia coperta, tetto e finestre simili
alle nostre.
Viene un edifizio romano costrutto di pietre quadrale, e
a tre piani, e con altrettante fenestre, ove sono afiacciati
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— Hi —
1 Germani prigionieri. Un regolo, o legato si presenta a Marco;
i vici o paghi con case, o capanne di stoppie invadono i Ro*
mani, mentre acremente combattono col nemico.
Le donne germane abbandonano queste dimore» fuggendo,
per guardarsi dall' esser fatte schiave, nei boschi e paludi.
M. Aurelio parla ai Germani nascosti nelle paludi , mentre
sono sorpresi dai Romani , ed uno già implora clemenza
dall'imperatore.
Tolti gli armenti o bestiami, i soldati incendiano le case,
mentre arde fervida la battaglia da ogni parte. Sopraffatti
i Germani, vengono fatti prigionieri e schiavi. Fra questi è
una donna con corona radiata da regina accompagnata da
altra femmina, per la sua dignità.
Indi segue Àf. Aurelio, che ordina che si ricerchino i ne-
mici nascosti nelle paludi , ed i soldati alcuni portano faci
per essere la scena di notte. I Germani vengono posti in fuga,
e M. Aurelio in piedi sul suggesto riceve i regoli, o legati
che gli chieggono la pace. Alcuni hanno in testa il pileo o
cappello; e la cavalleria de'Germani fugge vinta dalla fanteria
deiresercito romano, ed a destra veggonsi due castri romani
costrutti di pietre quadrate con entro i legionari in stazione.
Indi viene un grande combattimento di Marcoinanni, Quadi
e Sarmati contro i Romani, e perdendo i Germani, lasciano
molti morti sul terreno. L*imperatore impadronitosi delle vaste
loro regioni, riceve i legati, e consiglia i tribuni ad estin*
guere le reliquie delle armate nemiche.
Viene l'ultimo tentativo di battaglia data dai Germani dopo
di avere ricomposte le forze, ma ?engono disfatti di nuovo.
I regoli e magistrati dì essi si prostrano a M. Aurelio implo-
rando clemenza.
Seguono i Romani che fatta la testuggine cogli scudi ,
danno l'assalto ad un castello nemico. I Germani gli tirano
sópra grandi pietre e ruote di carri; alcuni soldati romani por<-
tano faci, mentre la cavalleria colle lancie ferisce i nemici.
Dall'altra parte segue l'allocuzione dell'imperatore ai capi
dell'esercito, stando sul suggesto in mezzo alle insegne. Indi
viene un trofeo formato colle spoglie de' Germani, e presso
questo mirasi la Vittoria alata che scrive In un clipeo, o scudo,
come viene rappresentata nelle monete dell'imperatore vie.
GER. Victoria germanica.
Viene un trofeo avente come l'altro indicato le insegne
nemiche del dragone, e nella sommità la galea od elmo di
raro uso in Germania.
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112 —
SECONDA GUERRA GERMANICA
Avendo M. Aurelio trionfato nel suo ritorno in Roma ,
ed estinto Cassio, i Germani cospirano di nuovo contro Tim-
pero romano. M. Aurelio nuovamente parte per la Germania,
ed intraprende la seconda guerra per reprimerli. 1 principi
della Germania ed i maggiori per nascita e nobiltà con i figli
supplichevoli si avanzano alfimperatore, indicando colie mani
la loro fedeltà, e sottomissione alia sua persona.
La cavalleria romana circonda la truppa germanica a piedi,
che si era nascosta in una selva. Le donne ed i vecchi di
quelle campagne piangono la schiavitù, venendo col bestiami
in potere dei vincitori. La cavalleria parte h composta di
arcieri, e parte con spade; poi segue il marmo corroso in cui
appena distinguonsi dieci figure.
Seguono i palafrenieri che conducono i cavalli dei regoli,
ed essi invece di avere la falera sul dorso come quelli dei
Romani , hanno una piccola sella somigliante all' odierne di
cavallerizza. Un re de'Quadi, o de'Marcomanni parla vicino
alla ripa di uno stretto fiume, ed in fede riceve un principe
di altra citta come socio nella guerra contro i Romani.
Le donne germane veggonsi afflitte ed esanimi per il dolore
e la paura di essere tratte in Ischia vitù. Vi si osservano sol-
dati con corazze squamate e a maglia. Un regolo de' Quadi
tiene nella destra lo scettro o indicolo del comando , ordi-
nando il taglio delle teste a molti Germani che eransi stretti
in fede e società coi Romani. A due già sono troncate le teste
che giacciono sul suolo; ad uno il soldato germano sta in atto
colla spada di troncargliela, e agli altri già si legano le mani
dietro la schiena per porli al supplizio.
I magnati o principali germani, tendono le mani suppli-
chevoli al buon M. Aurelio, sedente fra due altri personaggi
romani, ed in quello a destra forse si ravvisa Commodo suo
figlio che lo accompagnò, secondo Lampridìo, a questa se-
conda guerra della Germania. Siegue un combattimento fra
Romani e Germani a piedi ed a cavallo.
Indi i Germani che incalzati dal grosso della cavalleria
romana si danno alla fuga su i loro cavalli.
Poi veggonsi i bovi e le pecore, provenienti dalle deserte
campagne^ ed i Romani si accorgono che i Germani si rifug-
giano nelle selve. Un soldato vittorioso presone uno per i ca-
pelli, che invano tenta liberarsi dal ferro, glielo infigge nel
cranio, ed un altro barbaro trepidante cerca di fuggire. Si cou-
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H3
ducono prigionieri due regoli colle mani legate dietro le spalle^
e le tarme dei cavalieri romani hanno corazze squamate.
A Marco Aurelio seduto nella sella castrense^ si portano
dai soldati due teste di regoli, insieme ad un prigioniero^
ed a destra miransi i Romani che si dirigono verso il ne-
mico, ed aggrediti parte li ricoprono di ferite e parte li ri-
ducono in servitù.
In questo fatto essendone stata grande la strage» essi si
rendono prigionieri; un vessillifero di loro con alcuni perso-
naggi di alta condizione, unitamente alle donne vengono con-
dotti in servitù dai soldati romani. La madre conduce due
figli, e mentre un altro in età maggiore sta in atto di ab-
bracciarla , gli vien tolto da un soldato romano. In questa
parte sopra le teste sono i rappezzi eseguiti da Sisto V ,
essendo stata la colonna danneggiata da un fulmine.
Fra i caduti, se ne alza uno vivo, dandosi prigioniero^
ma uu soldato romano presolo di dietro per i capelli gl'in-
figge il ferro nel collo. Da tutte le parti si conducono pri-
gionieri a Marco accompagnato da Commodo suo figlio; si
bruciano le loro case, e questa parte ha subito molto ristauro.
Siegue una battaglia equestre, dove i Germani volgono
le spalle. Fuggendo dai monti Tengono uccisi dai Romani ,
ed alcuni tornati in dietro si arrendono ad essi.
Le pecore, le capre, i buoi ed i vitelli predati nei loro
terreni si conducono in alimento dell'esercito romano. Prece^
dono donne fatte schiave; e prima soldati smontati dai ca-
valli, ed uno snl cavallo inseguendo un cavaliere barbaro.
L'imperator M. Aurelio offre agli Dei sull'ara accesa fiori
e. frutta, e colla patera vi Versa il vino, e secondo il co-
stume innanzi alla battaglia sacrifica. Di fronte ad esso sono
tre stendardi, ovvero insegne di tre legioni. Siegue appresso
r imperatore loricato con lancia , e preceduto dalla fanteria
che attacca il nemico, mentre i cavalieri accorrono da ogni
parte facendo grande strage. Questa parte della colonna ,
avendo molto sofierto, subì variì arbitrari restauri.
Succede la strage de' Germani , ed essi vinti per dritto
delle genti i superstiti al combattimento si fanno schiavi.
Siegue la cavalleria de*Germani con aste, e due insegne, ed
ì soldati hanno iil testa il pileo.
L'imperatore per mezzo di un ponte costrutto su barche,
insieme coll'esercito, passa un fiume. Alla coda delle Legioni
romane, marciano gli arcieri ausiliari germani con testa pure
coperta da pileo. La testa dell'esercito, già passato il fiume,
16
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— 114 —
Granua, o il Vistolo od altro, aggredisce ed arreca grande
strage al nemico.
Siegue la carneficina, e la schiavitù de'Germani, che ap-
pena si ravvisano, essendo i) marmo estremamente guasto*
Vedesi M. Aurelio in mezzo a due personaggi o legati
romani. Si osservano le guardie innanzi alle tende dell'impe-
ratore e dei tribuni nel pretorio , ed i soldati discendono
nelle navi governate da loro stessi.
Le centurie del corpo de* labbri edificano un castroi ed
uno di essi porta sulle spalle una pietra quadrata reggen-
dola legata con fune.- Siegue l'allocuzione che fa M. Aurelio
ai soldati, che indossano gabbano^ o sopravveste^ veste per
tutelarsi dalla pioggia e dal freddo.
Trapassato un fiume, i Romani, per mezzo del solito ponte
di legno sopra le barche , assalgono i Germani o Sarnati ,
traendoli in servitù, unitamente alle loro donne e figliuoli.
Sieguono i soldati ragunati sotto il suggesto su cui paria
l'imperatore, accompagnato dai legati, dai tribuni e dalle
insegne. Indi vengono i bovi, e i Germani fatti schiavi colle
mani legate dietro le spalle, fra ì quali due giovani attac-
cati o legati insieme.
Siegue un combattimento della cavalleria romana per fare
passaggio sopra d'un ponte stabile di legno su d'un fiume
guardato dalia fanteria nemica , facendone di essa grande
strage. Il fiume^ sia l'Elba od altro della Germania o Sar-
mazia che scarica nel Danubio, non si può afiermare* Seguita
M. Aurelio a cavallo , ed alla testa di tutto 1* esercito per
passare l'indicato ponte.
Indi viene una battaglia equestre fra Romani e Germani,
dandosi questi alla fuga, e lasciando molti morti sul terreno.
Poi miransi tre carri pieni di armi e vettovaglie , due
de'quali a due ruote tutte d'un pezzo senza raggi e due con
raggi, e profusi ornati. Poi si vede la costruzione di un castro
per parte delle centurie dei fabbri, uno de'quali con maz«-
zuolo e scarpello , lavora una pietra , ed altro col modulo
prende misura d'una trave.
M. Aurelio è sul suggesto con Commodo suo figlio ed
altro personaggio o legato, parlando ai soldati ragunati colle
insegne. Le tende non sono nel castro ma nella campagna
per la necessita della guerra.
La fanteria romana distrugge alcune compagnie equestri
germaniche; e le donne fuggite a nascondersi nelle paludi^
e nei monti , vengono fatte schiave dai soldati romani ^ ed
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— 115 —
UAft impaurita della morte , ritiene il braccio di un soldato
che gli trafigge il petto col ferro. M. Aurelio accompagnalo
da tre alti personaggi militari assiste alla distruzione di un
castro che era formato al solito di pietre quadrate. La ca-
vallerìa romana, dopo fatta grande strage delia fanteria ger-
manica, preda i bestiami loro ed insegue i suoi cavalieri.
Siegue r allocuzione di M. Aurelio ai soldati con vesti
d'inverno, e sempre accompagnalo dai due soliti personaggi.
Poi è l'imperatore affacciato dall'alto del pretorio, ai quale per
due ingressi si entra con doppia scala, e nel mezzo di queste
entrate mirasi. un gran portone. I soldati incendiano le case
de Germani al solito di forma rotonda, costrutte di paglia e
di vimini con doppia porta, facendo schiavi i loro abitanti.
Bruciati i vici , i Germani si ritirano nelle selve ^ dove
vengono fatti schiavi dai Romani, ed uno di essi si prostra
ìa ginocchio. Indi si vedono i fagotti militari de'Romani por-
tali dentro un carro tirato da due cavalli , e molti soldati
che marciano con corazze di greve armatura, spettanti, come
ai h veduto altre volte, ai corpi dei fabbri. Indi mirasi l'im-
peratote innanzi la truppa a piedi, e poscia la cavalleria.
I vincitori^ progredendo innanzi, sbaragliano le forze ne-
miche, lasciando molli morti sul terreno. Sulla destra viene
M. Aurelio che conferma la vittoria, mettendo colla sua cn-
Tallerìa in fuga quella del nemico. Nel mezzo vedesi uìt castro
merlato, e nella sinistra miransi le donne germaniche che si
conducono schiave.
M. Amelio a cavallo con i due legati o personaggi, sta-
bilisca di portare aiuto agli assaliti castri, passando il fiume
sopra un ponte formato di barche e col grosso del suo eser-
cito a cavallo ed a piedi. Le fortificazioni vengono liberate,
facendosi grande strage del nemico. Dentro il castro veggonsi
alcune beiti di legno cerchiate come si usa oggidì.
Pecore e capre sono condotte da soldati nel castro. M.
Aurelio è presente alla partenza dell' esercito che porta su
carro tifato da buoi armature, e acafe o barche. Si tralasciò
dì notare, che come si vede in altri monumenti i soldati por^
tane legato al collo un fazzoletto o cravatta.
L'esercito indi passa su d'un ponte stabile di legno. M.
Aurelio riceve un legato supplichevole, ed i Germani raccolti
in pubblico concilio decretano di arrendersi.
Due piccoli castelli o propugnacoli , costrutti di pietre
quadrate e con merli , veggonsi in ambedue le ripe di un
fiume, e da questa parte il marmo ha molto sofferto.
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— 116 —
M. Aurelio vittorioso stende la destra ai popoli germa-
nici supplichevoli, e mogli e mariti sopra scafe per il fiume
vanno da Marco , ed altre vi si conducono con carri tirati
da bovi, mentre molti Sarmati conduconsi a cavallo. In altra
regione, passando con barche un fiume i soldati romani por*
tano gli schiavi, alcuni de'qoali in ginocchio supplichevoli.
Finalmente vengono i bovi, capre e pecore predate.
Tornando ora alla descrizione delle vicende della colonna,
ad essa certamente fu tolta la statua di M. Aurelio in me-
tallo dorato nella sommità, allorché Costante II o Costantino IH,
Tanno 663 dell'era volgare, spogliò Roma di quasi tutti i bronzi
rimasti che V adornavano. Il liber pontificalis che va sotto
il nome di Anastasio, parlando della venuta in Roma di tale
imperatore, dice nella vita di papa Vitaliano: Omnia^ quae
erant in aere ad ornatum civitatis deposuit^ sed et Eccle"
siam beatae Mariae ad Martjres^ cioè il Panteon, quae de
tegulis aereis erat coperta ^ discoperuit. Et in regiam urbem^
ConstantinopolimyCum aliis dis^ersis quaedeposueratjdirexit^
Indi Io stesso biografo nella vita di papa Adeodato narra
che tutti quei metalli li seguì Costante fino a Siracusa. Ivi
dopo ucciso r imperatore in un bagno, essendo stata presa
tal citta dai Saraceni Tanno 669 portarono via un gran bot-
tino, nel quale si compose secondo Paolo Diacono De Gestis
Longobardorum^ Lib. X, e. w e <3, il metallo che Costan-
tino, aveva involato a Roma.
L'anonimo Einsiediense, o pellegrino, che visitò Roma nel
principio del secolo IX, edito dal Mabillon nel fine dei suoi f^-
tera jénalecta, indicando quel visitatore i monumenti che s'in-
contravano andando dal Panteon verso porta Salaria, mostra
in sinistra columna jintonini. E qoindidescrivendo la strada
da s. Lorenzo in Lucina al Panteon, prima ricorda l'arco
trionfale di L. Vero e M. Aurelio fra il cantone della via
della Vite ed il palazzo Piano, poscia Tobelisco nell'orologio
solare di Augusto, e quindi la Columna jintonini.
Il nominato arco fu atterrato d'ordine di Alessandro VII
Tanno 1662, perchè toglieva lo spazio e la visuale alla strada
del Corso.
L'anno 955 papa Agapito II confermando i beni al mo-
nastero dei Benedettini detto Catapauli ^ ossia della chiesa
de' santi Stefano, Dionisio e. Silvestro, gli concedette questa
colonna col terreno alT intorno , come leggesi nelT apografo
che si conserva nell'archivio della nominata chiesa ora chia-
mata s. Silvestro in Capite. In tal manoscritto in pergamena
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— 117 —
viene designata la colonna di cui parliamo col titolo di ma-
iorem^ per distinguerla dalla vicina colonna onoraria di gra-
nito rosso egizio dedicata ad Antonino Pio , M. Aurelio e
L. Vero suoi figlia di cui parleremo a suo tempo.
L'anno 1084| ai tempi di Gregorio VII, entrò in Roma per
la porta Flaminia come nemico Roberto Guiscardo contro
Enrico IV re de'Romani, portando guasto e fuoco dal punto
della nominata porta, ora del Popolo, fino a s. Silvestro in
CapitCj onde la colonna ne ricevette dei danni. Essendo stato
dai Romani respinto, rientrò di nuovo per la porta Asinaria
corrispondente all' odierna di s. Giovanni, ed incendiò tutto
fra il Laterano ed il Campidoglio , ridusse questa parte in
un mucchio di sassi , come riferisce Romualdo da Salerno
riportato dal Muratori presso i Rerum hai. Script. T. VII.
1 benedettini tenendo sempre in possesso l'indicata chiesa di
s. Silvestro e sue adiacenze, vicino alla colonna avevano edi-
ficato una chiesa sacra a s. Andrea de Columna , e questo
terreno dopo ia rìferila catastrofe lo diedero in affitto uni-
tamente all'ultima nominata chiesa. Cessata però quejla ur-
genza cagionata dai guasti ricevuti dal Guiscardo, Pietro
abbate del monastero di s. Silvestro Tanno ino lo riprese,
pubblicando una solenne inibizione sotto pena di scomu-
nica per gli altri abbati successori e monaci che osassero di
affittarlo , dichiarando pure sagrilego , rapitore ed invasore
delle cose sagre chi avesse sottratta la colonna al suddetto
monastero. Di questo atto rimane la lapide contemporanea
nel portico della chiesa di s. Silvestro. Siccome questa iscii-
zione è piena di nessi e non a tutti commune di leggerla,
COSI il Nibby nella sua Roma nell'anno mdcccxxxyh Parte li
Antica^ pag. 643 la trascrisse cosi in caratteri corsivi: Quo-
niam columpna Antonini iuris monasterii sanpti Sihestri
et ecclesia sancii Andreae quae circa eam sita est cum
oblationibus quae in superiori altari et inferiori a peregrinis
tribuuntur longo iam tempore locatione a nostro fuit alienata
monasteric, ne idem contingatj auctoritate Petri apostolorum
principis et Stephani , et Dionisii , et confessoris Silvestri
maledicimus et rinculo ligamus anathematis abhatem et
monachos quicumque columpnam et ecclesiam locare vel be-
neficio dare praesumpseritj si quis ex honUnibus columpnam
per ifiolentiam a nostro monasterio subtraxerit perpetuae
maledictioni sicuti sacrilegus et raptor et sanctarum rerum
invasor subiaceat et anathematis rinculo perpetuo teneatur.
Fiat. Hoc actum est auctoritate episcoporum et cardinalium
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et multorum clericorum atqae laicorum qui interfiieruut.
Petrus Dei gratta hunulis abhas huius sancii cenobii cum
fratribus suis fecit et confirmavit anno Domini millesimo
centesimo decimo nonoj indictione XII. Fino a die tempo
la colonna rimanesse in possesso del più volte ricordato mo*
nasteroy è incerto. Nel secolo XIII vien rammentata la co<*
lonna presso il Palatium (i), da Martino Polono Ckì\ L. I,
cioè iniianxi al tempio di M. Aurelio che si ritrovava ove ora
esiste il palazzo Chigi; e poscia la colonna vien ricordata nei
Mirabilia Romae. Il Petrarca nella sua lettera a Giovanai
Colonna, parlando dei monumenti di Roma disse: Haec An^
t€nini columna.
Poggio Bracciolini fiorentmo de f^ariet. Fortunae, Lib. /,
la mostra danneggiata dal fulmine, e in tal modo vedesi incisa
a pagina i5i delle Antichità della città di Roma del Gamucci
edizione seconda, ed in tutti gli altri disegni del secolo XVL
Kel fine di questo, cioè nell'anno 1580, Sisto V vi fece no-
tevoli ristauri, servendosi del rinomato architetto Domenico
Fontana. Vi pose nella sommità la statua in bronzo di s. Paolo,
spendendovi in tutto , compreso il rista uro della colonna ,
9640 scudi, come si ha dagli estratti dei conti Camerali pub-
blicati dal Fea nella sua Miscellanea Tom. 11^ pag. a. La
statua fu modellala da Costantino de'Servi e venne (usa da
Bastiano Torrigiani. DoroUa Tommaso Moneta, e nei registri
Camerali cosi si riporta:
A Costaniino deSersd scultore per il modello della
statua di S. Paolo Se. 2S0
A Bastiano Torrigiani fonditore per il gettito della
medesima .... « Se. 1942
A Tommaso Moneta per doratura della statua ,
benché più piccola dell'altra di San Pietro pagatagli
la stessa somma di Se. 165
Per trasporto della medesima dalla fonderia alla
piazza tirata da s camalli Se. 25
Per remozione fatta d'ordine di Sisto f^ della statua
posta colla faccia verso il Popolo^ e w^tata di poi wrso
la Basilica /Vaticana Se. 300
Se. 2682
(1) Con tal nome s^indtcftva qualun(|u« edifizio nel medio evo, assai vasto.
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— 119 —
Se. 26»2
// metallo della Camera posto in opera per la fu-
sione della statua^ diadema j e spada furono nette di
calo libbre 12777, che a baj. 12 la libbra sono Se, I897,i2.
M casfaliere Domenico Fontana per compra de'marmi^
restauri alla colonna^ e collocazione della statua. Se. 499a
ji Sella LongOf Paolo e Costantino de Sersfi scul-
tori per i lawri di loro arte fatti alla Colonna. Se. 1335
j^d Antonio Mambrilla ferrare Se. 535
A Gio. Pietro carrettiere per porto di pietre. Se. 98
Totale Se. 9640
Il FonUaa diede al piedestallo la forma predente^ ponen-
dovi Dei quattro lati queste iscrizioni ehe ivi si leggono:
SIXTVS . V • PONT • MAX SIXTVS V . PONT . MAX
OOLVMNAM HANC COLVHNAM HANC
GOCflLIDBM AB . OMNI . iMPlBTATfi
JMP . ANTONINO DIGATAM EXPVRGATAM
MISERE . LAGERAM S • PAVLO . APOSTOLO
RVINOSAMQVE . PRIMAE AENEA . EIYS « BTATVA
FORMAB RfiSTlTVlT INAVRATA • IN . SVMHO
AN MDLXXXIX . PONT . lY VERTICE • POSITA . D . D
A . MDLXXXIX . t^ONT . IV
2 4
M . AVRELIVS . IHP. TRIYMPHALIS
ARMENIS • PARTHIS ET . SAGRA • NVNG . SVM
GBRMANISQVE . BELLO GHRISTi « VERE • PIVM
MAXIMO DEVIGTIS DlSGIPVLVM . FERBNS
TRIVMPHALBM . BANG QVI . PER . GRVCIS.
GOLVMNAM . RBBV6 PRAEDICATIONEM
GBSTIS . INSIGNBM DE . R0MANI6
IMP . ANTONINO PIO BARBARISQVB
PATRI DIGAVIT TRIVMPHAVIT.
(Continua)!
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— 120 — .
XXUI.
DELLA PROSOPOGRAFIA
LEZIONE DEL PROFESSOR GABRIELE DeYLA
Fine (I)
DEI CAPELLI.
CHIOMA CHE SOPRA GLI OMERI CADENTI
OR BIONDA OR BRUNA IL CAPO ADORNA E DIFENDE
La chioma esprìme l'insieme^ la capelliera la foltezza, e
la capigliatura o capellatura la quantità dei capelli. La ca-
pelliera però accenna anche alla lunghezza dei capelli, im-
perciocché ì capelli mozzi ossia tosati fanno sempre una ca-
pellatura più o meno gentile , ma non mai un capilliera.
Esempti <r Nutricava la chioma e portava i capelli lunghi, j»
(Maestruzzo) « Non ho tanti capelli in queste chiome. j> (Pe-
trarca). Sinonimo di capelli è crine , ma usasi soltanto in
poesia. La qualità e l'acconciatura dei capelli sono gli og-
getti a cui dobbiamo porgere mente nella prosopografia. Delle
qualità alcune si possono conoscere col mezzo degli organi
della vista tale si è il colore; altre col mezzo del tatto, come
la morbidezza o la ruvidezza e la increspatura; altre final-
mente per mezzo del tatto e della vista insieme, quale sa-
rebbe la forma di cui fan parte la lunghezza, la grossezza
o la finezza , ecc. La conoscenza delle qualità dei capelli
serve per distinguere le varie razze umane, non che Teta di
ciascun individuo. I capelli degli Europei sono in generale
lunghi e rotondi più o meno fini e presentano tre colori prin-
cipali, cioè il nero, il biondo ed il rosso. Gli Asiatici sono
forniti di capelli piuttosto luoghi^ più o meno fini e di color
nero. Gli Africani hanno capelli fini, lanosi^ curti ed incre-
spati; i popoli indigeni dell'America diflferìscono dagli altri
popoli per i capelli lunghi grossi e forti ed in generale di
color nero; i popoli che abitano le contrade più vicine ai poli
hanno i capelli piatti, grossi, ricciuti, duri e di color nero.
L'acconciatura è quella maniera più o meno vaga con cui
vengono aggiustati ed ordinati i capelli. È di varia specie
e giova a conoscere i tempi e la condizione morale e sociale
degli uomini.
Le varie acconciature prendono i nomi di zazzera , di
trecce, di riccio ecc.
(1) Vedi Quaderno precedente, pag. 91.
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— 121 —
La zazzera esprime una foggia di portare i capelli che
fu comune ai noslrì antichi ed ora h soltanto di alcuni preti
e di altre pochissime persone. Essa consiste in una quantità
talvolta abbondante, talvolta scarsa di capelli che discendono
artificiosamente in sulle spalle e più spesso terminano in ricci.
Differisce dalla capigliatura in ciò che questa non h sempre
artificiosa, né sempre cadente sulle spalle, ma più comune-
mente si compone di una quantità sempre copiosa di capelli
cbe discendono naturalmeute in tutte le parti delia testa.
Differisce ancora la zazzera dalla chioma^ perchè la chioma è
di ambedue i sessi, la zazzera h solo dell'uomo. I ricci sono
capelli anellatì, sinonimo di riccio è la voce cincinno e la
voce cirro; però quest'ultima non h della lingua parlata. La
treccia risulta dall'intreccio di capelli lunghi ed h una parte
della capelliera. La zazzera e la treccia possono essere scarse
o posticcie, e perciò diversificano dalla capelliera che h sempre
folta e naturale. Essere in capelli, essere in zucca significa
essere a capo scoperto; questo però dicesi dell'uomo e quello
è proprio delle donne. Essere in capelli significa ancora un
modo di acconciarsi il capo fatto con molta arte, sicché ne
appaia tutta la bellezza vera od accattata della capigliatura.
Le così dette eminenti romane sono in capelli.
Esempd k Riconoscere alla crespa capellatura. » (Boccaccio).
4c Di quella bionda testa svelse morte un aureo crine. » (Pe-
trarca). « Senatori in zucca. » (Davanzati).
Giova l'acconciatura e distingue i tempi. Nei tempi antichi
ad esempio i grandi avevano un modo di vestire loro proprio.
Or siccome molti di questi furono dalla fantasia dei popoli
innalzati al grado di Dei, così essi consei*varono anche adorati
in sugli altari la foggia di capellatura per cui si distingue-
vano gli uni dagli altri. Per tal guisa tutte le divinità greche
si distinguono fra di loro per la capigliatura propria a cia-
scuna. E chi per poco conosca delle loro opere e dell'arte greca
può sempre riconoscere a prima vista l'immagine del nume
dal modo con cui sono acconciati i capelli. L' acconciatura
disposta a guisa della chioma del leone per esempio, è quella
che è propria di Giove e di tutti i veri o pretesi suoi di- ,
scendenti, cioè di Eusculapio, di Serapide, di Plutone.
Nei secoli XVII e XVIII dell'era volgare erano di moda
i capelli air Herison , a V Enfante , e prima ancora si era
giunti a tal grado di follia da dare ad una nuova foggia di
acconciatura il nome di capelli alla yictimey per cui la poe*
17
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122 —
tica bile di Parini ebbe giustamente ad isfogarsi in una delle
più sublinii sue odi.
L* acconciatura dei capelli indica ancora come dicemmo,
lo stato morale e la condizione sociale degli individui. I ca-
pelli disordinati , incolti sono indizio di tristezza , i capelii
arruflTati, irti di spavento, di collera. Tanto presso i Greci
cjuanlo presso i Romani i capelli lunghi e negletti siguificaTano
duolo, i capelli curti e rasi schiavitù. Ora siccome tre ordini
di schiavitù sì contavano; cioè la schiavitù verso gli uomini^ la
schiavitù verso la patria, e la schiavitù verso gli Dei; cosi si
radevano i capelli alle persone che venivano private delb li-
berta in segno di schiavitù verso gli uomini, si radevano le
chiome agli adolescenti allorché assumevano la toga virile, in
segno di loro schiavitù verso la patria^ e si recidevano i ca-
pelli alle vestali in segno di loro schiavitù verso la Divinità
a cui si dedicavano. Presso i moderni vi fu un tempo in cui
i Re e le Regine ed i principi avevano il diritto di portare i ca-
pelli lunghi, gli altri solo in proporzione delle loro nobiltà.
Valgano i seguenti esempi tratti da classici autori a confermare
ciò che venne detto dei capelli: « Andrea aveva una testa ardita,
> poetica coronata da una folta selva di capelli neri, lasciati
» cadere in abbandono, ma nel discorrere più belli iotoroo
» ad un volto abbronzito. » (c I capelli finissimi e biondi
» ombreggiavano il volto di Luigi. » (Cantù, M. P.). « La
» testa aveva armata di belli capelli rìcci. » (Lo stesso). « Con
» le falde del cappello floscie e spenz(^ate aveva i capelli
» stivati ed incollati sul viso. » (Manzoni di Renzo), v II capo
» portava scoperto e si vedevano i capelli neri divisi sulla
» fronte ampia e maestosa discenderli egualmente dai due lati
» sino al confine deiroreccbie segnante il contorno del viso. »
is I neri e giovanili capelli (di Lucia) spartiti sopra la fronte
)/ con una bianca e sottile dirizzatura si ravvolgevano dietro
))^il capo in cerchi molteplici di trecce trapassate da lunghi
)è spilli d'argento, che si dividevano all'intorno quasi a guisa
» dei raggi di un aureola, m (Manzoni, P. S.). « G«ileazeo Vi-
» sconti aveva capellatura cascame ad anelia sopra le spalle. »
(( Le chiome sparse per il collo, la veste succinta ai fianchi
» avevano le Ninfe. » (Annibal Caro). « li crin cbe in rete
)i accolti - Lunga stagion ahi foro - Sull^omero disciolti —
» Qual ruscelletto d'or. - Forma attendon novella - Di arti-
» ficiosa anelia. » (Parini, Ode soterica).
E fin qui delle persone vere si h parlato; «na sogliono
i, poeti descrivere pure come se fossero persone le cose che
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— 123 —
soltanto colla mente si possono concepire^ e questa descri-
zione clnamasi ìdolopea dal greco eidólon (idolo) e poicó (fare),
ossia personificazione la quale per verità arreca alla poesia
una sorprendente avvenenza! come si può scorgere dalla descri-
zione della fama di Virgilio che passeggia il suolo ed ha fra le
nubi il capo, il silenzio e la frode deirAriosio. U Dati descrive
la calunnia quale la dipinse Àpelle in questi termini: <c Veniva
» la calunnia tutta adorna e lisciata^ che nel fiero aspetto e
» nel portamento della persona ben palesava lo sdegno e la
» rabbia che Ella chiudeva nel cuore. Portava nella sinistra
» una fiaccola e con l'altra mano trascinava per la zazzera
h un giovane, il quale levando le mani al Cielo chiamava ad
» alta voce gli Dei per testìmonii della propria innocenza, n
DELL'ANDATURA»
OSSIA DEL PORTAMENTO DELLA PERSONA.
L'andatura ossia il portamento è il modo con cui un uomo
cammina, tiene e piega la persona; dipende dall'abitudine
contratta nei movimenti ordinarli del corpo.
Perciò quegli che nel camminare ha contratto V abitu-
dine di toccare appena il suolo ha un portamento leggiero,
£ per lo contrario colui che ha contratto l'abito di lasciarsi
andare con tutto il peso del corpo avrà un portamento pe-
sante. Bello, leggiadro e dignitoso sarà il portamento di quella
persona che si sia avvezzata ad abitualmente evitare le posi-
zioni sconvenevoli ed indecenti. Quando però la diligenza nel
regolare i movimenti sia sovercliia e lasci trasparire l'arte,
allora il portamento è studiato, e se degenera ancora in una
sconveniente imitazione diviene affettato.
Esempi: « Fu il sig. Galileo di giocondo e gioviale aspetto
» massime in sua vecchiezza , di corporatura quadrata , di
» giusta statura, e di un leggiadro portamento. » a Non altra
D andatura facendo che soglia fare novella sposa. » (Boccaccio).
<c Est insignis facie. » (Virgilio).
DELL* ABBIGLIAMENTO
L'abbigliamento ed il vestimento h tutto ciò che serve di
copertura o di ornamento alla persona. .L'acconciatura stessa
dei capelli fa parte dello abbigliamento. Gli esempì varranno
a chiarire questo' vero. Così il Manzoni, dopo avere descritta
l'acconciatura dei capelli della Lucia, prosegue col descriverne
r abbigliamento in queste parole : « Intorno al collo aveva
>» un vezzo di granati con bottoni d'oro e filagrana; portava
» un bel busto di broccato a fiori con le maniche separate
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— lU —
» ed allacciate da bei nastri; una corta gonnella di filaticcio
» dì seta a pieghe fitte e minate; due calze vermiglie; due
» pianelle di seta anch'esse a ricami. » Ed il Costa descrive
la semplicità dell' abbigliamento di una villanella in questi
versi : « Esce dal casolar la villanella - 11 dì festivo... —
» Non sinuosi drappi, non corone - Aspre di gemme e d or
>i lei fanno altera -Ma una sempKce veste, un bianco velo—
D Copron le belle membra e la vermiglia — Rosa il seno
» le ingemma. »
LEGGI DELLA PROSOPOGRAFIA.
Le leggi che governano la descrizione dello estrinseco delle
persone, alcune riguardano Tordine^ altre la scelta delle parti
del corpo; altre la natura delle persone. L'ordine naturale ri*
chiede che si mettano in primo luogo quelle parti che le prime
colpiscono rocchio, e fanno maggior impressione, quali sono la
presenza, Taspetto, la fisionomia, e poi le altre parti secondo il
loro ordine di coesistenza e continuità. La scelta deve essere
conveniente alla condizione della persona che si vuole rap-
presentare ed allo scopo precipuo che uno si prefigge nella
descrizione^ per guisa che abbiano la preferenza quelle partii
colaritk che allo stato sociale, all'età, al sesso dell'individuo
da descriversi meglio sì addicano, anziché quelle che sono
a tutti gli stati comuni » e siano prescelte le note del ca*
rattere fisico cho direttamente rispondano a quelle partico-
larità che altri si h proposto di fare maggiormente spiccare,
cioè le fattezze, i lineamenti, il portamento, se si ha di mira
di rattrarre la bellezza della forma, e la gentilezza dei modi
di una persona, ovvero la statura, la corporatura e la com-
plessione, se si desidera di spiegare la vigorìa ed il valore
fisico di alcuno. La natura della persona ha pure sue leggi:
se si tratta di persone vere, allora conviene descriverle quali
la pittura, la scoltura e la tradizione ce le rappresentano,
se poi si tratta di persone ideali, allora dobbiamo dipingerle
secondo la loro condizione; i tempi ed i luoghi esigono per
modo che non v'entri nb la contraddizione, nh l'assurdo che
sono contrari al verosimile. ^
Conviene pure infine che lo stile e la elocuzione corri-
spondano alla nobiltà del soggetto, acciò non avvenga il con-
trario di quello che dice Dante in questi versi:
. . . Forma non s'accorda
Molte fiate airintenzion dell'arte
Perchè a risponder la materia è sorda.
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LA PROSOPOGRAFIA
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— 126 —
XXIV.
DI UN MONUMENTO ONORARIO
PER ETERNARE LA MEMORIA
DI VITTORIO EMANUELE IL
I fasli di Vittorio Emanuele U hanno destato ammira-
zione e rispetto a tutto l'universo; e gl'Italiani grati al be-
nefìcio ricevuto per essere stati emancipati dal dominio stra-
niero, hanno gareggiato ad elargire ingenti somme di denaro
per erigere un grandioso monumento onorario ad eternare la
memoria delFestinto monarca e far conóscere al mondo» che
il popolo italiano sente gl'impulsi del cuore nel corrispon-
dere ai benefici ricevuti.
Si aspettava pertanto che la Commissione, o il Ministero
pubblicasse il programma di concorso per conoscere le con-
dizioni alle quali ì concorrenti dovessero attenersi.
I pubblici (oglì del 24 settembre decorso ce lo annun-
ziarono e viene soltanto limitato nella spesa di nove milioni
di Lire, in tutto il resto^ cioè quanto ai concetto ed al sito
da collocarsi, è ad arbitrio dei concorrenti.
II concorso doveva essere di diritto esclusivo degl'italiani,
ma invece si è pubblicato ecumenico, e a spese degritaliani
pagare il monumento. È un barbarismo , un insulto che si
fa all'intera nazione!
Non ostante gì' italiani smaniosi di esaltare la memoria
dell'estinto loro sovrano^ già vanno pubblicando in disegni
ed in fotografie il parto del loro genio nativo , lo che ser-
virà a frenare l' ambizione degli stranieri a cimentarsi con
quel popolo, che ha goduto sempre il primato nelle arti belle.
Tra questi progetti ne ho veduto uno riportato in foto-
grafia , immaginato dall' architetto Publio cavaliere Gortini ,
il quale presenta tutti i caratteri di una fervida e tenace
immaginazione ; poiché si ravvisa in esso il grandioso in
accordo con la semplicità, l'armonia unita all'espressione; lo
stile Greco-Romano adattato ali* uso cui viene destinato , e
sarebbe bene vederlo in opera nel piazzale di Termini sull'in-
gresso della via Nazionale, ove l'autore avrebbe pensato col-
locarlo. Ma questi non pubblicò il suo progetto con animo
di gareggiare con gli artisti dell'universo mondo, ma lo fece
soltanto per tributare i suoi omaggi alla memoria di un So-
vrano impareggiabile e dimostrargli la di lui gratitudine.
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— 127 —
Questo grandioso monumento h basato sopra una gradi-
nata rettangolare smussata agli angoli^ la quale sostiene tre
grandi piedistalli di granito parallelepipedi, smussati egual-
mente agli angoli, Tuno soprapposto all'aUro, gradatamente
rastremati per meglio piramideggiare, l'ultimo dei quali so-
stiene la statua equestre in bronzo di Vittorio Emanuele II.
Non starò a dire dei tanti emblemi in statue ed in bas-
sirilievi in marmo e in bronto, dbe adarnano i nominati pie-
distalli, esprimenXi la forea della nazione nei quattro Leoni
sulla gradinata ; le quattro principali provìncie del regno ,
che sono Roma, Napoli, Torino e Venezia. Le battaglie vinte
a Coito, Palestro, san Martino e santa Lucia. L*ingresso trion-
fale, che fece il Re a Milano con Napoleone 111, a Napoli
col generale Garibaldi, a Venezia, a Roma. Delle statue in
marmo , che simboleggiano la prosperità della nazione nel
Commercio, nelle Belle Arti, nella Giustizia e nella Sapienza.
Nelle sei aquile romane , che denotano il rapido volo del
popolo italiano sella civiltà e nel progresso, gli stemmi na-
zionali, e finalmente i due bassorilievi in bronzo, che rap-
presentano, il primo, il giuramento prestato da Vittorio Ema-
nuele II , al suo augusto genitore Carlo Alberto di riunire
r Italia; il secondo, l'ingresso dell'esercito italiano a Roma
(20 settembre 1870)*
Finora ho accennato di volo agli emblemi allusivi , che
adornano il monumento, ma mi riservavo discorrere diffusa-
mente sulle quattro statue poste agli angoli smussi del prim'or-
dine in apposite edicole, le quali rappresentano i più distinti
antenati della dinastia regnante, cioè Umberto I biancamano^
conte d'Aosta, e stipite di detta dinastia.
Amedeo V il Grande conte di Savoja nel 1285 (i).
Amedeo VI, detto il Conte Verde, duca di Savoja, nel 1343 (2).
Emanuele Filiberto duca di Savoja, detto Testa di Ferro,
nacque i's luglio 1528 (3).
(i) Principe saggio e bellicoso, fece 32 assedt, né mai intraprese cosa
alcuna, che non gli sia rinscila. Mantenne nel 13H i Cavalieri neirisola di Rodi
contro i Tarctii , e da quel tempo i Duchi di Savoja presero per arma la
croce di Malta. Morì in Avignone nel 1323 in età di 74 anni.
A questa croce vi sono anite le quattro lettere iniziati seguenti F. R. R. T.
che si crede significhino Fortitudo ejus Rhodutn tenuit allusive al valore di
questo Principe nella liberazione di Rodi dair assedio dei Turchi. Le aquile
erano prima le armi dei suoi antecessori.
(2) Uno dei più gran principi del suo tempo: andò in Grecia in ajato di
Giovanni Paleologo , e fu l'arbitro d'Italia. Morì nel 1383 dopo un regno
glorioso.
(3) Passò in Germania in età di 20 anni. Fu fatto generale dell'armata
nell'assedio di Metz, e guadagnò contro i Francesi la battaglia dì san Quin-
tino nel 1557.
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— iS8 —
Questi grandi uomiai pare , che guardino con la mente
e con rispettosa ammirazione la statua equestre |di Vittorio
Emanuele II loro successore e con dignitosa compiacenza
dicano: Ben ti collocarono in alto i tuoi novelli sudditi per
le rapide conquiste che facesti, merc^ il coraggio e la po-
litica. Ancor noi fummo conquistatori e facemmo conoscere
al mondo la forza delle nostre armi; ma tu in pochi anni
sapesti emancipare Tltalia dal dominio straniero e restituire
a Roma l'avita gloria di esserne la Capitale.
Godi d'essere asceso per i tuoi trionfi, sul tempio della
gloria e di aver reso il tuo nome immortale come quello di
un Cesare e di un Trajano! Ricevi in omaggio l'ammirazione
delluniverso e gli attestati di amore e di gratitudine aflfet-
tuosa dal popolo d'Italia.
Terminato di scrivere V articolo , seppi che il cavaliere
Cortini presentò o fece presentare 1' originale in acquarello
del monumento onorario a S. M. il Re. Allora mi venne
il desiderio di conoscere se la M. S. ne avesse dato segno
di gradimento, e pregai il Cortini di farmelo conoscere; ed
egli gentilmente mi rese ostensibile il Dispaccio originale ,
fattigli pervenire, che qui letteralmente trascrivo:
« Segreteria particolare di S. M. il Re = N? 387 = Roma
» S6 gennaio isso. s=. A seconda del gentile desiderio espressomi
» dalla S. V. ho presentato a S. M. il bozzetto originale
» in acquarello del monumento, che Ella ideava ad onorare
» la gloriosa memoria del gran Re Vittorio Emanuele, e da Lei
j> cortesemente offerto in dono alla M. S. -^ L'augusto nostro
» Sovrano , mentre gradiva il di Lei omaggio , apprezzava
» degnamente il pensiero patriottico ed affettuoso che gui-
» dava la S. V. nella esecuzione di quel lavoro. Piacque
» pertanto a S. M. di orjdinarmi, che il medesimo fosse con-
» servato tra le molte dimostrazioni di amore e di gratitu-
» dine offerte dal Paese al compianto suo Re e mi affidava
» l'incarico di far pervenire a Vossignoria i suoi vivi rin-
» graziamenti. Accolga lUmo sig. Architetto i sensi della
» mia più distinta osservanza. 11 ministro = Visone. = Al
» sig. Cav. Publio Cortini Architetto = Roma. »
Roma, 13 dicembre isso.
Giuseppe Verzili Architetto Ingegnere
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— ISO —
XXV.
BIBLIOGRAFIA
LE OPERE LETTERARIE
DI LEONARDO DA VINCI
PUBBLICATE
DAL DOTT. Jean Paul Righteb
Crediamo che ogni cultore dell'Arte e della Scienza vorrà
salutare con vivo interesse V apparire di una pubblicazione
da gran tempo desiderata delle opere letterarie di Leonardo
da Vinci e che ci viene annunciata da Londra mediante un
manifesto che ci piace riprodurre dal testo inglese, acciò si
veda di qual importante lavoro si tratta.
La seria e profonda cultura dell'erudito filologo tedesco
che si h accinto all'ardua impresa, e la sua pratica consumata
neirinterpi:etazione degli antichi manoscritti, ci h arra della
buona riescita del suo lavoro, sul quale ci h caro pertanto
richiamare Tattenzione degli studiosi. L'opera Comparirà in
Londra col testo italiano da un lato, la traduzione inglese
dall'altro e con un commentario in lingua inglese: più un
gran numero dlUustrazioni. Viene pubblicata per mezzo di
sottoscrizioni nei termini e nelle condizioni espresse nelFac-
cennato manifesto.
« Le opere letterarie di Leonardo da Vinci contenenti i
>» suoi scritti sulla Pittura ( « Libro della Pittura 9 ) Seul-
» tura ed Architettura, le sue massime filosofiche, gli scritti
» umoristici, e le osservazioni diverse intomo agli avveni-
» menti personali, intorno a*suoi contemporanei, intorno alla
» Letteratura ecc., per la prima volta pubblicati dai mano-
» scritti autografi dal Dott. Jean Paul Richter» membro
9 onorario della reale ed imperiale Accademia, della Scuola
» italica di Roma, ecc. »
Due volumi in 8^^ imperiale , contenenti circa aoo di-
segni in riproduzione fotografica auto tipa, ed altre numerose
illustrazioni.
Prezzo pei soscrittorì otto guinee da pagarsi al compa-
rire dell'opera compita, cioè s^erso la pie del issi. Editori,
i8
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— 130 —
Sampson Low, Marslon, Searle^ e Rivington, 188 , Fleet-
Street Londra.
PROSPETTO
li Vasari rammeuta nelle sue Vite degli Artisti, che Leo-
nardo da Vinci operò assai più colla parola che coi fatti ;
ma, come egli osserva iti un altro passo^ egli scrisse a ro-
vescio f in brutti caratteri e colla . mano sinistra , cosi che
chiunque non b pratico nella lettura dei medesimi non può
intenderli. La prima edizione del (< Trattato della Pittura »
dì Leonardo non apparve se non isa anni dopo la sua morte;
ma questo lavoro \ stato riconosciuto d' alioTa in poi per
la migliore opera teoretica suirarte, e fu ripubblicato ven-
tidue volte e in sei lingue differenti. Rafaele Trichet Du-
fresne, che pubblicò la prima edizione, si lagnava allora delle
deficienze e della confusione nel testo, che era preso da copie
manoscritte non autentiche, ed anche al dì d'oggi non esiste
una edizione corretta: mentre le illustrazioni del Poussin e
di altri non sono in alcun modo un compenso adegnato ai
disegni originali fin qui rimasti ignòti.
Nove manoscritti autografi di Leonardo da Vinci sono
conservati in Inghilterra: tre nel Museo dì South Kensington,
due nella Raccolta reale di Windsor^ due nella biblioteca di
Lord Ashburnham, uno nel Museo Britannico, ed uno nella
biblioteca del conte di Leicester. Dodici si trovano ''a Parigi
nell'Istituto di Francia, due a Milano, vale a dire uno nella
Biblioteca Ambrosiana^ il secondo nella Biblioteca del mar-
chese Gian Giacomo Trivulzio; finalmente uno a Roma presso
il conte Giacomo Manzoni. Sembra difficile a spiegarsi perchè
i contenuti di questi manoscritti non siano stati fin qui inve-
stigati e resi di pubblica ragione, il Codice Atlantico di Mi*
lano essendo l'unico finora parzialmente pubblicato.
Uno studio accurato di quésti manoscritti per parte del
Dott. Richfer lo ha portato alla scoperta del testo originale
del Trattato della Pittura, ch'egli ora sì propone di pubbli-
care per mezzo di sottoscrizioni. Questa nuova edizione con-
terra una trascrizione del solo testo originale autentico, con
un numero di capìtoli quale non si riscontra nelle edizioni
correnti^ e sarà illustrato da riproduzioni esatte di numero^
diagrammi, schizzi e disegni della mano di Leonardo medesimo.
Leonardo da Vinci molto rettamente fu dal Vasari chia-
mato il primo di tutti gli artisti moderni. Quando si prenda
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— 131
in considerazione lo svariato contenuto de*suoi numerosi scritt i,
i quali tutti trattano di materie tuttora in voga nella lei te-
latura moderna, rimane giustificato il chiamarlo il precursore
della cultura moderna.
Quattro quinti delle 4500 e più pagine che formano i
suoi manoscritti in Inghilterra^ a Parigi, in Italia trattano
di scienze matematiche o naturali. Di queste il Venturi (1797)
e il Libri (i840) pubblicarono alcuni estratti, ma la loro inve-
stigazione vuol essere considerata quale compito di persone
competenti nella materia. Rammenteremo solamente che Ales-
sandro di Humboldt ebbe a considerare Leonardo come il
primo che mirasse a concentrare tutti i nostri pensieri e sen-
timenti nel concetto delta natura come un tutto.
La pubblicazione proposta , in aggiunta al libro delia
Pittura, sarà limitata a materie di un interesse più generale
da renderci più intimamente famigliari coli' artista , quale
uomo^ quale umanista.
Fra altri materiali fin qui ignoti essa conterra i progetti
di Leonardo per le sue opere d*arte, le sue opinioni in iscul-
tura, numerosi studi! architettonici per le costruzioni delle
cupole ecc. , osservazioni intorno ad allievi ed altri artisti
che ebbero a trovarsi in sua casa, suggerimenti e piani per
la costruzione di uno studio da pittore, considerazioni intorno
ad avvenimenti della vita sua propria è di suoi contempo-
ranei più o meno distinti , osservazioni intorno ad un* eru-
zione del Monte Etna, intorno alle Alpi» all'isola di Cipro,
e al Nilo, un piano per un ponte arcuato sul Corno d'Oro, ecc.
Non meno attraenti sono i suoi scritti umorìstici, facezie^ indo-
vinelli ecc. , che mettono in vie maggiore evidenza il suo
carattere gioviale ed eminentemente ingegnoso.
La pubblicazione del testo originale sarà accompagnata
da una traduzione in lingua inglese e da note esplicative
per parte del Pubblicatore. Gli scrìtti di Leonardo suU' ar-
chitettura saran commentati dal Barone Enrico de GeymùUer
di Parigi , autore dei <c Projets primitifs pour la basilique
» de St. Pierre de Rome par Bramante» Raphael, ecc.
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— 131 —
*
XXVI.
SD DUE SCHELETRI
CHE ABBRACCIATI SI RINVENNERO IN POMPEI
NON LUNGI DALLE PUBBLICHE TERME
ELEGIA DEL CAV. DIEGO VITRIOLI
Due scheletrì Irovati t non è guarì molto » abbracciati
in Pompei ispirarono la seguente bellissima Elegia al cav.
Diego Vitrìoli, noto latinista delle Calabrie. A rìchiesta d'al-
cuni amici ne fu eseguita ultimamente in Sicilia una tradu-
zione italiana in versi sciolti , che ci piace di pubblicare
più sotto (i).
Cur simul ossa cubent, ac post tot saecla, viator.
In molli amplezu nos ita jungat amor,
Accipe: nec trìstes pigeat cognoscere casus;
Elicient lacrumas fors mea verba taas.
Saxa etenim ùereat^ gemitus si fondere possenti
Deflerent nostras aspera saxa vices
Sol medium coeli vix jam trajecerat orbem,
Pompejosque tenet mollis et alta quies.
Rusticus in yilla, mediis stat miles in armis:
Subdola piscator per mare lina jacit;
Curia habet patres; it magna ad tempia sacerdos^
Femina devolvit linea pensa colo.
Quum subito ezstinctos, infandum! suscitai ignes
Yesyius, et rauco murmurc saxa vomit;
Culmine et in celso montis stat fumea pinus,
Atracjue nimbosum contegit umbra polum»
Ocyus aeriae Tolucres trepitantibus alis
Frondiferas nemorum deseruere domos.
Manarunt nullo arentes humore lacunae;
Sulfureis Samus lentior ibat aquis.
Amnigenae nymphae glauco de gurgite surgunt,
Mox celeri jactu gurgitis ima petunt....
Huic ego tum dixi: crudelia litora linquas,
Lux mea; sit vitae, sit tibi cura tuae»
(i) Altra Tersione del sig. D. Giuseppe Bellucci di questa bellissima elegia
latiaa» accompagnata col testo » leggesi a pag. 53—55 del quaderno di fel>-
braio 1872 del Buonarrctif ser. Il, toL VIL
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— 133 —
Dum Toluere dei, felices egimus annos:
Nunc procul e patriis pellimur ambo focis:
loiterea ingenti sqnalebant moenia luctu;
Urget Pompejos ultima namque dies*
Turba ruit portis: secom fert quÌ8<iue penates,
Exuviasque suae, pignora cara, domus.
Quid non audet amor? gestat non nemo parentem,
Aujne ignis sanctum non yiolavit onus:
Vidi ego pallentes Ijmphata mente puellas
Yirgineas manibus dilaniare genas.
Haec stupet, haec vanis incusat fata querelis:
Altera in alterius concidit aegra sinum.
SoUicitae matres gnatis cum dulcibus errante
Invocat illa homines, invocat illa deos.
O ubi vitiferi colles, et amoena flaenta,
Atque coloratis florida prata rosis:
O gelidi fontes, o tempia augusta deorum,
Centum aris quondam fumida thuricremis:
En jacet ambuatum templum Junonis, et ara
Isidis, et templum, pulcra Erjcina, tuum:
Semper ubi Idaliae solitae volitare columbae.
Sacra ubi cum viridi cespite myrtus erat.
Hic olim blandi cantus, bic mille cboreae:
Hic quoque mille dabant laeta tbeatra jocos,
Nunc urbe in vacxkA gradiens bacchatur Erinnys;
Per fora, perqpe vias ventilat illa faces....
Nec fuga per pelagus facilis; tnmet undique pontus;
Et fremit bine boreas, et fremit inde notus.
Ingemino voces: fugias, teque eripe flammis;
Eripe te flammis, lux mea, toUe moras.
Ast illa ezpandens morientia lumina fatnr:
Te sine, me patrios linquere posse lares?.».
Si celerare fugam probibet te martia virtus,
Obruar in mediis ignibus ipsa simuL
Ossa simul iaceant! ut nostri conscia amoris,
Ista domus nostrae conscia mortis erit....
Ter sonnit coecis tum mons Vesuvius antris,
Nosque ambo oppressit vasta mina domus.
TRADUZIONE
Perchè quest'ossa mirinsi congiunte
In dolce amplesso, e, poi che tanti secoli
Volseit), amor cosi ne stringa ancora,
O viatore, ascolta; né t* incresca
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— 134
Del nostro estremo giorno le sventare
Apprender tutte. Ai detti miei le lacrime
Arrestar non potrai tu forse, e sino
Le pietre, se lor fosse dato, anch^esse.
Le dure pietre, verserebber di pianto
Sui noslK mali:
A messo, del suo giro
Era il sol giunto appena, e intera quiete
Godea Pompei. L' agricoltor è intento
Ai campestri lavori, ed il guerriero
Air armi usate; 1* ingannevol rete j
Il pescator nel mar già tende, i Padri
Nella curia si stanno, ai grandi templi I
S* avviano i sacerdoti, e dalla rocca |
La femina l'attorta lana fila.
Quando repente, inefl&bile orrore!
Dagr imi abissi suscita il Yesevo
Le fiamme spente, e sassi erutta rapidi.
Cupamente rombando. Il fumo a guisa
Di pino suir adusta vetta s' erge.
Ed il nimboso ciel atra ombra imbruna.
Fuggon con trepidanti ale gli augei.
Come non mai, velpci delle selve
I frondosi lor nidi, disseccate
Per difetto d' umor son le paludi,
E con onda sulfurea scorre il Samo
Pili lento. Le fiumane ninfe spuntano
Dal glauco seno, e preste con un salto
Aiparansi del gorgo in fondo. A questa
A dir mi fedi alior: mio dolce lume.
Lascia i lidi crudeli, di tua vita,
Di te abbi cura. Col voler de' Numi
Felici ne trascorser gli anni: lungi
Dai patrii lari ora scacciati siamo-
Le mura intanto per immenso lutto
Di squallor son coperte, cbè a Pompei
L estrema di ricorre. A torme irrompono
Fuor dalle porte i cittadini, e adduce
Seco i Penati ognuno e della casa.
Cari pegni, gli avanzi. Amor che mai
Non osa? C è sugli omeri chi mena
A salvamento il padre, uè violano
Le fiamme il santo incarco. Come pazze,
Vidi fanciulle pallide le gote
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Verginali sfregiarsi colle mani:
Chi stupefatta, chi con vani lai
Il fato accusa. Altra d* un* altra in seno
Priva di sensi cade. Con in braccio
I dolci nati, spinte dal periglio
Erran le madri; gli uomini d' aiuto
Questa richiede, quella i Numi invoca.
O vitiferi colli,' ofiomi ameni
E voi prati di fiori sempre adomi
E di vermiglie rose, dove siete?
Dove mai siete, o gelide fontane.»
O degli Dei con cento altari fumidi
D' arso incenso sacrati templi? Ed ecco
Di Giunone il delubro già combusto,
E V ara d' Iside, e persin distrutto.
Bella Ericina, il tempio a te dicato
Ove sempre le idalie tue colombe
Venivan svolazzando, ove cresceva
Dal verdeggiante stelo il sacro mirto*
Qui dolci canti un tempo, qui già danza
A mille, qui di mille giuochi ancora
Lieti svaghi apprestavano i teatri.
Or furente pei fiori e per le vie
Della vota città, faci agitando.
Corre un* Erinni. Né per mar la fuga
È agevol cosa; V onda ovunque ingrossa,
Borea già freme, e Noto di rincontro.
Fuggi, le dico ancor, scansa le fiamme.
Scansa le fianmie, o luce mia, t' afiretta.
Ed ella ì semispenti occhi volgendo:
La patria senza te fìiggir poss* io?
Se dell'armi l'onor di porti in salvo
Vieta, bruciati oggi moriamo insieme.
Giacciono unite V ossa, e queste mura
Testimoni del nostro amor, saranno
Pur testimoni della nostra morte.
Dalle cieche latebre allor tre volte
Tuonò il Vesevo, e della casa tosto
Ci oppresse insieme la mina estrema.
G. Frosina-Gaicnella
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— 136 —
XXVII.
VOLUPTAS TENET SILVAS ET CAETERA RURA (i).
Laggiù nei prati come perle brillano
Del mattin le rugiade;
Dall'alto, prima di sparir, giù pioTOno
Gli astri fiammelle rade.
Cessa la notte, e Talba imbianca i ripidi
Intonsi tuoi dirupi.
Del Cromo o vetusu cima, e 1* ululo
S'ode d'infensi lupi:
Dal tremebondo ovil tosto s'involano,
E quell'alba novella
Par maledicano coli' occhio rabido,
Mentre posan le agnella.
Ve' dall'ameno balzo appena scorgesi
Un raggio porporino;
L' acqua del mar, i clivi e i piani indoransi
D' alma luce al mattino.
E i fiori apron lor calici, e dagli alberi
Sorvola una fraganza
Cinguettano gli uccelli, e V onda luccica.
Gl'insetti fan la danza.
Vola sul timo 1' ape industre e rapida
Ne sugge il miele e passa;
Stende II nocchier la rete, e il rivo mormora
Sulla pianura bassa.
Come r egro mortai beve nov' aura.
Lieta fassi al verone
L'ingenua fanciulla; scherza il zefiro,
E va sul mar 1' alcione.
Gigli e rose si levano sui petali,
E saltano i capretti;
Le farfalle e le lodole s'insegnono
Conscie dei loro afietti.
(1) Nella pagina J04 del fascìcolo precedente si avvertì di ripubblicare
la .presente poesia già pubblicata in parte nella pagina 68 del Quaderno II •
essendo rimasta monca per inavvertenza di cinqae strofe in fine.
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— 187 —
Dolce ed ignota volattii discorrere
Yeggiam di cosa in cosa in cosa.
Senso d*amor la terra , il cielo e gli esseri
Agita, e non riposa.
Sciacca, addi 3 dicembre IS78.
G. FROSINA-GAFHfEtLÀ
Nei Sospiri pubblicati nel quaderno II , voi. XIV del
Buonarroti occorsero le seguenti mende , che sono da cor-
reggere così:
Pag. 69 Ilo. 21, giù per via per
I» 70 » 9, profumata profumate
I» Ji » 42» ler ieri
J» 71 I» 26» acumiittta l'aguasa
xxvni.
IL PENSIERO DEL CUORE ,
Se di fragranti pallide viole
Un mazzolin ti dessi, o amata Bella,
N'avresti cura quando splende il sole
E quando aurata tremola ogni stella?..
Poi, scolorato, il crederesti degno
Di fare al libro di tue preci segno?..
Quando Tonda del mar si volge a calma.
Vuoi meco veleggiare alla ventura,
E cosi ricrear la tua belf almui?. .
Tu me lo niegU?*. Ahimè!.. tu€l# mi farà
L'astro d* amore!.. Eppur degli a»nì miei
Procellosi in etemo il faro sei.
Cara Fanciulla, poi cbe non ragiono
Deir amor che sU chiusa nel cor mio.
Io non ti voglio domandar perdono.
Né perdono implorar voglio da Dio:
Amor non palesato non s* accresce!..
Pur non s* estingue, se dal cor non esce.
Un ramoscel di rose in un vasello
Io posi ed inacquai, ma non credea
Che si farla più grande; e il ramoscello,
Mercè di quelF umore, ognor crescea.
Così, 0 Diletta, il mio nascente amore
In mezzo al pianto mio si fa maggiore!
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— 138 —
Quanto candida sei, quanto vezzosa
E leggiadra di modi e di persona,.
Semplice nel vestire e graziosa!
All'amor mio celestì'al perdona..
Se ti veggio dovunque nello spazio.
Né son giammai di rivederti sazio !
Sporgevi dal balcon, quando ho mirato.
Ebbro d* amore, il cielo dalla via
Credevi avessi per Te il capo alzato!
Sì che sei il cielo, o FanciuUetu mia.
Ti veggio da per tutto nello spazio.
Né son giammai di rivederti sazio!
Fra r angiolette non mi seppi mai
Qual pili venusta fosse, ma Te miro.
Sciogli la chioma, a me rivolgi i rai
Di quei begli occhi d'orientai zaffiro!..
Angiol, col muover 1' ali tue V ardore
Tempra, eh* a me strugge il cervello e il core!
T*ho vista in sogno con la ghirlandella
Di rose, il bianco sajo e V aureo crine
Che ti scendea sulF omero in anéllai
Avevi forme tutte peregrine;
Gli occhi spiravan dolce sentimento^
E mi parlavi con soave accento.
Ardono gli occhi miei ddla tua immago-l
Da per tutto ti cercano!.. T'adoro,
Infuor di te di nulla non m'appago:
Tu la mia stella sei, tu il mio tesoro!.
Ti veggio da per tutto nello spazio.
Né son giammai di rivederti sazio»
Or quando g^ugnerà la primavera.
Non recider per me i diletti fiori.
Dappoi che maggio tempra ogni bufera
Neir etra si, ma non però ne' cori:
Recidili per me la prima volta.
Prima che sia la salma mia sepolta.
Ti posso dare un mazzolin di fiori?
O Dcmzella, gentil tiranna mia.
Deh non temer, che io non involo i cori,.
Tu sol li rubi e te li porti via;
Ti veggio da per tutto nello spazio,
Né son giammai di rivederti sazio.
Koma, Colle Pincio, nel gennaio del mdccclzxxi.
Luigi Areico Rossi
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XXIX.
A SUA MAESTÀ
ALESSANDRO E-
AUTOCRATE DI TUTTE LE RUSSIE
TRIONFATORE DB' TURCHI
Cader file d* eroi nell* aspra clade.
Piover di sangue suU' adusta terra,
Tonar di bronzi, lampeggiar di spade:
Son questi i frutti di cotanta guerra?.*
Già sotto gli oppressor Grecia ricade!..
Di nuovo, 0 Czar, i fulmini disserra!».
Ricaccia il Turco nell'Eoe contrade,
E il suo poter per sempre infrangi e atterra.
Air armi, all' armi ! L* Osmanlie coorti
Sfidano Atene.. Or Tu, di gloria sazio,
Lei non soccorri?.. Abbian vendetta i morti»
Il nomade Ottoman nell'Asia rieda
Ove largò al suo ambir schiuso è Io spazio..
E il Bosforo che fia?.. Tua giusta preda.
Roma, nel primo giorno dell' anno mdgcclxxzi.
LviGi Arrigo Rossi
PUBBLICAZIONI RICEVUTE IN DONO
Biblioteca della gioventù' italiana. Anno XII. Agosto i880. La cro-
nica di Giovanni Viilani annùkUa ad tuo della giovenià dal iac. prof. Ce-
lestino Dorando. Volume guarto, Torino^ 188(^9 tipografia e libreria Sale-
ciana, San Pier d'Arena, Nizza Maritlima. lo 12« di pag. 244.
-^ Settembre. Volume quiiUo. Torino, ecc. In 18! di pag. 380.
— Ottobre. Volume iato. Torino, ecc. In 12! di pa{;. 344.
— - Novembre. Volume settimo. Torino ecc. In 12! eh pag. 322.
— ^ Dicembre. Volume ottavo. Torino ecc. In 12! d» pag. 328.
Bosco (Giovanni) Storia Saera per uso delle scuole e wecialmente deUc classi
elementari Hcondo il programma del Ministero della pìUfblica istruzione^
utile ad ogni stato di persone , arricchita di analoghe incisioni e di una
carta geografica della Terra Santa pel sacerdote Giovanni Bosco. Edizione
decimaierza. Torino, 1881» t^^ra^ e libreria Salesiana, Sampierdarena-
Luccor-Nizza Marittima. In 8.* di pag. 272 e pianta.
De Nino (Antonio) Usi abbrutissi descritti da Antonio De Nino. Volume
primo. Firenze, tipografia Barbèra 1879. In 8.* di pag. 207.
De Rossi (Michele Stefano) Congresso della assciaziane meteorphgica ita^
liana Alpino-Appennina e sue deliberazioni iatomo allo studio della Me-
teorologia Endogena. Roma, dedla tipografia della Pace, piazza della Pace
N. 35» 1880. In 8» di pag. 15.
— ^i— Rivista degli studi e delle recenti scoperte Patcoetnologiche di Roma
dal 1870 al 1879 ^ dissertazione letta nella Pontificia Aceaiemia Romana
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— 14» —
di Archeologia nella tornata del 15 gennaio 1880. {Eetratto dal Periodico
Gli Sludi in Italia, anno lll^ voL II, fan. IT). Roma\ tipografia di Roma,
1880. In 8.* 3i pag. 26.
Favaro (Aotonio) Inedita Galileiana. Frammenti tratti dalla Biblioteca no-
Mionale di Firenze pubblicati ed iltuetrati dal prof. Antonio Favaro eoeio
eorr. del reale letituto Veneto di ecienMe. lettere ed arti (EHr. dal t>ol. XIl
delle Memorie deiristitato stesso). Venezia, preeto la eegreteria del R. Idi-
tuto nel falatio dmeale » tipografia di Giuseppe Antonelli 1880. In 4? di
pag. 43 ea una tavola.
Ragguaglio dei manoeeriiti Galileiani nella Biblioteca nazionale di
Firenze ed annuncio di alcuni frammenti inediti del Galileo , ecc. {Eetr.
dal voi. VI, ter. V degli Atti ecc.). Venezia, i880, tip. Antonelli. In 8.^
di pag. 7.
Henbt (C.) Bemaraue eur un article dee nouvellee annaUt.-^ Généralitation
d^un théorème darithmétique [Extrait tfe« Nouvelles Annales de Mathéma-
tiques, 2« térie, U III, 1880). Parie, in^merie de Gauthier f illari, guai
dee Auguitine 55. In 8.o di pag. 4.
Ladelgi iFrancesco) Intorno alle febbri di periodo, dieeorto relativo alla
circolare Municipale diretta ai medici romani in data delfX^ ottobre 1879.
Del prof. Francesco Ladelci. (Eetratto dagli Atti delfAccad. pont. de'Nuovi
Lincei, to. XIIIII , anno III III, teuione VI'' del 23 magi(io 1880).
Roma, tip, delle Se. mot. e fie., via Lata n.^ Z, 1880. In 4.* di pag. 24.
LuGAS (Edoardo) Prìndfii fondamentali della Geometria dei Teuuti {Estratto
dai fase. 7! ed 8.^ (Anno VI) del Periodico mensile: L'ingegneria Civile
e le Arti Industriali), rortuo , tip. e Ut. Camilla e Bertolero , Via (hpe-
dale, 18, 1880. In 8.* di pag. 32.
Martingngo (Domenico) morale e Storia. Racconti alla gioventù ed al po-
polo. Torino 1880» tipografia e libraria Salesiana^ San Pier d^ Arena, Nizza
liarittima. In 12? di pag. 296.
Meli (Romolo) Sulla natura geologica dei terreni incontrati nelle fondazioni
tubulari del nuovo Ponte di ferro coetrwito sul Tevere a Ripetta, e sull'inno
siiruATUs Lamk, rinvenutovi. (Reale Accademia dei Lincei, anno CCLIIVII
<l879-80) ). (Serie 3*. Memorie della Classe di scienie fisiche, matematiche
e naturali, voi. VIII). Roma, eoi tipi del SaMued 1880. In 4.* di pag. 11,
ed una tavola.
Muntz (Eug.) Raphael archéologue et historien Sart (Extrait de /a Gaiette
dea Beaux-A'rts Octobre et Novembre 1880). Paris, imprimerie de A. Quantin
et C.i' 7, rue Saint-BenoU, 1880. in 4* di pa». 22.
Paria (Giusepne) d. C. d. G. Sermoni di San Bernardo nelle iolennità del
Signore volgarizzati da frate Domenico Cavalca delVordine de*predicatori,
ridotti a purgata lezione e dedicati all'eccellenza del principe don Raldas-
sarre Boncompagni. Roma dalla tipografia della Pace, piazza della Pace
35. 1889. In 8.* di pag. 416.
Rice ARDI (P.) Nota etatistica di Storia Matematica (Estratta dal Toeso 11^
anno 1880» delle Memorie della R. AccadHnia di Scieoae, Lettere ed Arti
di Modena). In 4! di pag« 12* ed ma tavola.
Biblioteca Matematica Italiana dalla origine della stanca ai primi anni
del secolo III. (Parte sevonda, volume uinieo). Modena, società tipografica
antica tipografia SoHani, t880. In 4! di pag. xxii— 161— 294.
Sabatini (Francesco) Abelardo ed Eloisa secondo la tradizione popolare. Roma,
libreria centrale ed. Mueller, Corso 146, 1880. tn 8.» di pag. 126.
ScHiAPARELLi (Luìgì) 17» copitolo di StoTìa PaMa antica e moderna (nella
bene ausoieata unione del signor Alessandro Sella, eolla signorina Giovanna
Giacomelli, Agosto 1880). ron'ne, stamperia reale della ditta G. B. Paravia
e comp., di I. Vigliardi, 1880. In 8.^ di paf. 112.
Sella (Quintino) SuUe casse postali di Risparmio. Lettera alVon. deputato
L. Lnziatti {Estratto dalla Naorn Antologia, l! Jaoilo 1880). Roma, tipo-
grafia Barbèra 1880. In 8.* di pag. 30.
Tessier (Andrea) Tre novellette ed altri brevi scritti deW abate Giuseppe
Manzoni veneziano {per le ampicoHssime nozze dell* egregio signor Gino
dott. Zajotti eolfamabilissivsa signorina Teodolinda Antonini). Venezia, coi
tipi di Pietro Naratovich 1880. In 8! di pag. 27.
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Serie II. Vol. XIV.
Maggio 1880
I L
BUONARROTI
D I
fiENY£NUTO GÀSFÀRONl
CONTINUATO PER CORA
DI ENRICO CARDUCCI
PAG.
XXX. DocDdìentì mediti dell* arte toscana dal XII
al XVI secolo , raccolti e annotati da G.
Milanesi {Cùntinua) » 141
XXXI. Descrizione di tutte le colonne ed obelischi
che trovansi nelle piazze di Roma, disposta
in forma di guida da Angelo Pelle-
grini ecc. {Coniinuaxione) » 158
XXXII. Del bello nella nuova poesia {Fine) (Prof. Ni-
colò Marsucco) >i 173
XXXIII. Grandiosa idea di un monumento onorario da
erigersi in Roma per eternare la memoria
di Vittorio Emanuele lì, primo Re d'Italia
(Giuseppe Verzili Architetto Ingegnere). » 179
XXXIV. Alla Maestà della nostra augusta e graziosa
sovrana Margherita Regina d'Italia, per il
suo fausto ritorno a Roma dai trionfale
viaggio in Sicilia (Luigi Arrigo Rossi), d 183
Pubblicazioni ricevute in dono » 184
RoniA
TIPOGRAFIA DELLE SCIENZE MATEMATICHE E PISICBE
VIA LATA N? 3.
1880
Pubblicato il 9 Marzo i8Si
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IL
ai3(!>sì^iìiiìi(i>^a
Serie !!• Vol. XIV. Quaderno V.
Maggio 1880
XXX.
DOCUMENTI INEDITI DELL'ARTE TOSCANA
DAL XII AL XVI SECOLO
RACCOLTI E ANNOTATI
DA G. MILANESI
AVVERTIMENTO
La storia delle Belle Arti in Italia, dopoché esse risorsero
dalla lunga notte di più secoli di barbarie, a vita novella
per virtù de'toscani ingegni, e procedendo nel glorioso loro
cammino, pervennero felicemente al colmo d*ogni perfezione,
fu narrata da Giorgio Vasari nel suo immortale libro delle
Fìtej al quale come fonte più copioso e sincero, attinsero
tutti coloro che per tre secoli ebbero di esse arti a trattare.
Ma allorquando gli studj storici in Italia ebbero grande rin-
novamento ed impulso, massimamente per opera del Mura-
tori; anche quelli che alle Arti Belle riguardano comincia*
rono nello stesso tempo a risentire i medesimi eJBTetti. I quali
col progredire ed allargare degli studj , produssero che un
più diligente ed accurato esame si facesse de* già noti mo-
numenti artistici così scritti come figurati, e che altri fino
allora sconosciuti fossero , per industria di uomini eruditi ,
tratti dagli Archivi e dalle Biblioteche, e poscia pubblicati.
Onde per questo lavoro non mai interrotto da quasi cent'anni
di ricerche e di studj , noi siamo giunti oggi a possedere
una abbondantissima e spesso preziosa raccolta di documenti.
so
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— 142
per la quale, oltre ad essere illustrate mirabilmeate le nostre
arti per il corso eli tre secoli , si dimostra altresì quanto
il libro del Biografo Aretino in specie nei due primi secoli
dell'arte risorta rimanga povero, manchevole e spesso erroneo.
Per meglio prepararmi alla nuova edizione del Vasari j
già da tre anni cominciata in Firenze, avendo dovuto ripi-
gliare le mie ricerche neirArchivio di Stato ed istituirne delle
nuove nel Generale de'Contratti, mi venne fatto di raccogliere
a poco a poco un ragguardevole numero , specialmente in
quest'ultimo, di documenti artistici dal XI[ al XVI secolo,
i quali per essere sconosciuti e parermi importanti la maggior
parte alla storia dell'Arte Toscana, avevo in animo di pub-
blicare. Erano nondimeno passati alcuni anni che questo mio
desiderio, non ostante varj tentativi, non aveva conseguita
lo sperato effetto. Quando essendomi rivolto all'illustre sig/
Principe Don Baldassarre Boncompagni^ egli per quella sua
grande generosità e cortesia che h nota a tutti, volle non
appena richiesto che quel desiderio fosse contento. Onde ,
come per cosi segnalato favore io mi sento oltremodo grato
e riconoscente verso queirillustre gentiluomo, così spero che
non minor gratitudine e riconoscenza gli avranno ì cultori
della Storia dell'arte, i quali dalla presente pubblicazione
trarranno non mediocre utilità ed aiuto pe*loro studj.
Di Firenze, li S9 di dicembre 1880. '^
Gaetano Milanesi
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143 —
N.' 1, 1165, 1 di gennaio
Guglielmo e Biccio maestri deWopera della Primaziale di Pisa
fanno patto cogli operai circa il dcUario loro^ e de' discepoli >
Archivio di Stmio in Film. Carle della Frimasiale.
In Eterni Dei nomine amen. Breve conventonim pactorum . . .
GrassMs Torscellus et ics atqne tus et BeUm c^erariis (sic)
opere Sancte Marie, et Gtdlielmus (1) et JRicotua magistri predictc opere
convenerunt inter se. Siqnidem predicti operaris (sic) promisenmt sti-
pnlatione predicto Cruilielmo et Riccio^ nnosqnisque eorum per sin*
golam ebdomadam prò expensa denarios qpiattuordecim et prò pretio
denarios deeem et octo, et hoc debent dare per menses octo. In aliis
quattuor prò expensa totidem , et prò pretio denarios qnindecim
sic senper dare debent. Ni si impediar (sic) eos infirmhaie. In ten-
pore vero infirmitatis nichil debent abere de pretio. De expensa
autem adam, tantum quantum in tenpore sanitatis. Expletis
vero duabus ebdomadis, si infirmitas persevaeraverit, nichil dd>ent
abere de pretio yel de expensa. In fine vero anni, nulla infirmitate
aut iestivitate inpediente , dare debent predicto GuUielmo prò feo
solidos yiginti quinque, et Riccio solidos quindecim. De discipulis
vero sic inter se convenerunt: quod magìster GuUièlmus debet abere
tres discipulos et non plures, et magister Riecius tantum duos, tali
modo debent retinere in predicta Opera postquam videbunt illos esse
conveniens: prò expensa »uscipienda unusquisque eorum debet eam
abere tantum quantum aliquis eorum ; prò pretio debent recipere
tantum quantum illos scierint laborare. In tempoi'e vero infirmitatis
debent snscipere expensam per unam ebdomadam et non^ amplius.
Pro pretio vero nichil et in fine anni nichil de feudo. Super omnia
predicta in die Nativitatis Domini, inter omnes, quotquot fuerint,
debent recipere unum barile vini et unum sextairium fabavum , et
unum fascem inter porros et brascas; et in unaquaque iafrascriptarum
duas festivitates Nativitas Dconini et Resurrexioois unusquisque
vestrum, magister videlicet et discipulus, per singulos, denarios duos,
et omnes maeistri et dbcipuli in diebus quibus laborant ter bibere
debent; in testivitatibus autem semel, (^ando autem in aliquibus
sepulturis laboraverint, inter omnes debent abeve d«narios quattuor.
In die etiam Jovis ante quadragesimam debent abere per singulos
(1) Non ho dubbio cfae questo Guglielmo sia quel medesimo cba il
Vasari nomina nella vita d* Arnolfo » e crede tedesco di nazione , ma che
invece è da riputare italiano, e facilmente pisano. Ed a costui, che deve essere
stato il compagno di Bonanno nella costruzione del campanile della Prima-
ziale di Pisa nel 1177, è certo per me che si riferisca la iscrizione sepolcrale
scolpita nel zoccolo dell* ultimo pilastro a destra della facciata della detti
chiesa, scoperta nel 1865, dalla quale si rileva che egli fu Tantore dell'antico
pergamo, fatto circa 130 anni innanzi a quello che nel 1302 scolpì Giovanni
Pisano. La iscrizione dice così:
S SXPVLTVRA GVILIELVI R MAGI8TRI QV» FECIT PERGVM (per-
^aifitim) SAITCTE VARIE (Vedi l'opuscolo intitolato: Sulla ricom-
patixione del pulpito di Giovanni Pisano. Raparlo della Com-
missione istituita dal Consiglio Municipale di Pisa). Pisa, Nistri,
1873, in 8!
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— 144 —
aborlingam (i) unum. In die etiam Kesurrexionis Domini debent re-
cipere omnes insimul panem et vinum et agnelum, et ova et erbatam.
De omnibus supradictis promiserunt uterque inter se stipolatione
penam solidorum quattuorcentum. Et in tali bordine bec scribere
rogavimus Edebrandum notarium Apostolice Sedis. Hactum in Por-
ticu prediate Opere, anno Dominice Incamationis millesimo cente-
simo sexagesimo quinto, ipso die kalendarum ianuarii, indictioneXIIP.
SIgna manuum Bernardi Familiati et Barattidi quondam Ber-
nardi , et Sacci quondam Alberti , et Henrici magistri quondam
Ildebrandi et Mariconis quondam Petri^ et Johanni quondam Lam-
berti^ et Martini quondam Johamii rogatorum testium.
Supradicti operariis (stc) confessi sunt coram predicti testes (sic)^
quod infrascripti magistri fidelitatem fecissent predicte Opere, preter
Bernardus Familiatus, qui tunc non erat ibi.
Ego lldebrandus nourius Apostolice Sedis boc Breve , rogatu
utrumque partium, scripsi et firmavi.
N.** 2 i21i, 4 di giugno
Maestro Guido marmoraio da Lucca fa convenzione di lavorare
nella Pieve di S. Stefano di Prati.
Archivio di Slato in Lucca,
In Dei nomine. Amen, mccxi. Pridie non. Junii. Indict. XIIII.
Actum Prati in claustro sancti Stepbani. Praesentibus magistro Strir
nato^ Vliverio quond: Fanti de Colonica, et Diodato clerico S. Bar-
tbolomei ecclesie de Goiano. testes rogati.
Ex bac publica litterariim serie omnibus sit manifestum, quod
magister Guido (2) marmolarius S. Martini de Luca, promisit et con-
venit et pactum fecit domino Henrico Dei gratia plebis S. Stepbani
de Prato preposito , Magistro Bonaguidae , Henrico de Castdlo^ et
Zongheìlo^ canonicis diete plebis, et Guidoni Guazaloti^ et Cmidalocto
quond. Gualfredi Grecci^ tunc temporis Pratensium consulibus, atque
Strambo et Mainecto et Tignosi consulibus mercatorum, et Ardicdoni
operario eiusdem plebis, recipientibus vice et utilitate Operis diete
plebis et totius comunis de Prato, bona fide sine omni fraude et
malìtia , stare in opere S. Stepbani , et suis manibus operare , et
facere quos voluerit laborare , donec dictum opus , auxiliante Do-
mino , completum fuerit , cum illis magistris sive discipulis quos
in ilio opere operare placuerit prò competenti pretio, sicut melius
ei videbitur expedire cum istis pactis et conventionibus infra sciptis,
(i) Aborlingui non è parola che si trovi registrata nel Dacange. Pa-
re che così si denominasse in antico una sorta di pasta o grossa ciambella
fatta di farina, d*uova e di miele. Da Aborlingo ne vennero certamente Ber-
lingo, il suo diminutivo Berlingozzo , ed ancne Berlingaccio ^ per il giovedì
grasso.
(2) Questo maestro Guido scultore lucchese si può affermare che non sia
persona diversa da Guidetto nominato in una iscrisione del 1204 riferita dal
Ciampi nelle Notizie della Sagrestia Pittoieee ecc., pag. i2i, scolpita in un
cartello tenuto da una figura sedente a una colonna dalla parte del campanile,
sul portico superiore della facciata di S. Martino di Lucca. Che maestro Guido
lucchese lavorasse in S. Stefano di Prato in ToKana era rimasto fino ad ora
ignoto.
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— 145 —
scilicet. Quod in murando in dicto opere et in intalliando lapidea
siye marmor semper in ter esse debet promisit. Et qpiandocunque
prepositns, yel ejus capitulos, siye consules yel potestas Pratentium,
aut Operarius dicti Operis ipsom magùtrom prò faciendo dictum
Opus inqpiisierint , promisit yenire et stare atque operare in ilio
opere donec Operarius dicti Operis ipsum tenere yoluerit; salvo
tamen quod sit licitum dicto magistro ire Lucam IIII yicibus in
anno , expensis illius Operis in eundo et redeundo , et non plus.
Item si opus quod fecerit in dicto Opere non videbitur bonum et
congraum majori parti hominum , promisit ipsum reficere sicut
melius potuerit, expensis dicti Operis. Hec autem omnia suprascripta
et singula, tactis sacro sanctis Eyangeliis, idem Magister corpora-
liter jurayit observare, compiere et facere in omnibus et per omnia,
ut suprascriptum est, bona fide sine omni fraude et malitia. Et ta-
liter suprascripti Prepositus*, Canonici et Consules vice et utilitate
dicti Operis et totius Comunis de Prato inyestierunt ipsum magi-
struno Guidonem de dicto Opere , et dederunt et concesserunt ei
dictum opus ad faciendum ^ ut predictum est. Insuper vero dictus
Ardicdùne , prò parabola dictorum Prepositi , Ganonicorum- atque
Consulum, promisit dicto Magistro , prò se suisque sucoessoribus ,
dare et solvere ei, prò omni die quo in opere ilio laborabit. III so*
lidos in summa, yel XXVI denarios et commestionem: et hoc debet
esse in arbitrio dicti Operarii quodcunqpie istorum capere placuerit:
et in omnibus diebus dominicis prouisit ei commestionem dare, et
si in edomada erunt duo festivitates yel plures , debet ei comme-
stionem dare tantum in una festivitate et non plus, et XII salmas
lignorum ad faciendum ignem ei dare promisit et conyenit per
annum et non plus.
(L. S.) Ego Udebrandm imperiali auctoritate Judex atque Not.
omnibus suprascriptis interfui eaque rogatus publice scripsi.
N. B. Quando ho avuto dubbio di non aver ben decifrata qualche pa-
rola, fho poita nelle inierlinee come ita ecriUa nella pergamena,
N^ 3. i282, 83 di luglio
Azzo del m*^ Mazzetto pittore^ s'obbliga d^insegnare Varie eiuA
a Vanni di Bruno di Papa.
Jrchirio di Stato in Firense, PerganeDe tratte dall' A.rchÌTÌo Giodiaiarìo.
Item die Jovis decimo kalendas Augusti. Actum Florentie ,
testes Chiecvus Banagiimte de Medicia et Franchinus Mellioris populi
sancti Salvatoris et SaUua Janni» populi sancti Thome.
Yamix filius Ermi quond. Pape , populi sancti Romoli Flo-
rentie , emancipatus , ut scriptum est manu Jacobi Cinghietti no-
tarii , auctoritate domini Maffei Tedaldi iudicis ordinarii , et ad
cautelam consensu sui patria, posuit se et suas operas cum magistro
Aczo pictore filio magistri Maczeti populi Sancti Thome prò suo
discipulo ad artem suam pingendi et ad omnia pertinentia ad dictam
artem addiscendam, hinc a kalendis novembris proxime venturi, inde
ad sex annos proxime venturos ; et ipse Vanni promisit et dictus
Brunui pater precibus dicti Vanni fideiussit prò eo , ambo simul
in solidum promiserunt dicto Aczo^ quod ipse Vanni stabit et mo-
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— 146
rabitur cum eo continue et serviet sibi et laborabit cum eo ad uti-
lìtatem dicti Aczi^ ubicumque dictus Aczu$ Yolaerit ipsum morari,
continue , bona fide sine fraude htnc ad dìctum terminvm ^ die
noctuque ; et quod salnabit bona et res dieti Atti bona fide , sine
fraude. Qne omnia pronùserunt fàcere sub pena librarum viginti-
quinque et contra non venire etc. — Qui Aczìts ^ emancipatos ut
dixit per carlam fa^^tam manu Dotdbene notarli , promisit dicto
Vcmm^ ettm secnndum suam artem doeere ad dictum terminum et
prò suo salario dare et sotuere promisit ei commestiones et potus
secundum suam faeultatem ad substetttationem sni corporis, et etiam
omni anno , excepto primo anno , libras quinque florenorum par^
vorum in katendis noTcmbris.
N.*^ 4;. 1292, 8 d'agosto
Il Comune di Firenze stanzia 12 lire a Fino di Tedaldo pittare per le
pitture da lisi fatte nel palazzo pubblico sapra la porta della Camera.
JrchMo detto, ProTTistoni, Tomo 1, a carte |0<^.
Item Fvnù pictori filio TedaìM^ de populo Sancte Marie No-
velle, qui ut asserit coactus a domino Capitaneo et Domino Boi-
neaasiio eìus iudice , piaxit. et pingi fecit picturas ,. ymagines et
fig«ras factas et pietas in muro pallatii GouMinis , supra portam
Camere dieti Gomunis et super locum in quo moratur idem
dominu& Bolnaaaxua {udex Camere^ pi^ ipsi^us satxsfactione, remune^
ratione et solatione predictarum picturarum et figurarum et colonun
in eis positoruaii,, et prò onmi eo et toto quod dieta occasione dicto
Comuni petere passit, libr» XII fior., parv.
N.* 5. Ì2t4, 5 d'aprile
Goccio di Cianpello da Barberino si pone ad imparare
V arte con Tura di Ricovero pittore.
fMloaoLli data.
Giampellus Venture pop: S- Silvestri de Barberino emancipatus
a dicto patre suo ut de emancipatione contineri dixit manu ser Beni
de B)sirberino notarli, posuit et locavio Goecium filium suum - cum
Tura Ricoueri pictore pop-: S- Panali ad artem pingendi adiscendam -
bine ad quattuor annos.
N.^ fi. 1294, 24 d'aprile
Dino di Benivieni, pittore^ piglia ad insegnare Varie
per tre anni a Gerardo di Gianni.
ÀrchWio, Rogiti e Protocolli detti, e. 24.
Presentibu. testibus Bonaffedi melltorati et Corso Buoni pictore,
et Peduccio bonuccioli de Armatis, - Giarmes Cordonis magister
populi Sancii Felicis in piaza de Florentia posuit et pacto locavìt
et dedit Gierardum filium suum ibidem presentem ac uolentero^ ma-
gistro Dino Benevieni pictori pop: S. Marie Novelle ad ipsam artem
adiscendam pingendi et operandam et serviendam bine ad tres annos
proxime venturos, promittens solepniter sine aliqua exceptione [urìs
uel fatti (sic) se obligando dicto Dino se ita et taliter facturum et
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curaturam, qnod dictus Gierardus hino ad dictum termìnain per-
seueranter et continue diebus convenientibus cum dicio magistro
suo Dmo morabitur et fideliter et studiose faciet et operabit que-
cumqne dictus magister circa dottrinam (sic) et ezercitium ipaius
artis sibi preceperìt*, et res et bona eliam et cniuscumque alterius
qne penes eum essent, bona fide custodiet et saluabit et furtum non
faciet^ nec nolenti facere consentiet» ncque fuget nel discedet ab eo
hinc ad terminum supradìctum. Quod si aliquod eorum facìat, sa-
tisfaciet idem ipse Giannes dicto Dino , et eum indepnem conser-
vabit; et specialiter faciet et curabit quod ipse Gierardus quot dies *
ante terminum , preter ipsius magistri Toluntatem discedet yeì se
remouebit a continuo exercitio diete artis, tot ei reficiet et restao-
rabit in eodem opere et exercitio ad suam voluntatem post terminum
supradictum. Qua propter idem magister DtMus promittit ipsi Gicmni
vice et nomine dicti Giengrdi bona fide in arte predìcta dicUun Gìb-
rctrdum tenere et decere bene et legaliter. £t beo omnia promisernnt
▼icissim unus alteri ad inTicenL, solepni stìpulatione bine inde intei^
veniente, actendere et observare, et contra non facere uel uenire
sub pena dupli eius unde ageretur, et insuper librarum decem fior,
parvor. Et damna etc.
N.* 7. 1294, 16 d^agoslo
Andrea di Gante pittore^ piglia ad insegnare Varie
a Bartolo di Lapo.
Archipio tleiiù. Rogiti 4etfei. Protocollo dal 1294 al 1296, e. 26.
Presentibns testibus ser Renaldo medico filio quondam Ridol-
fini et Ghecto Bonaccorsi pop. S. Marie Novelle, ser Guido Monetti
notarius populi Sancte Marie Novelle , posuit et locavit ex pacto
Bartholum nepotem suum , filium olim Lapi cum Andrea pictore
filio Cantis^ populi sancti Stepbani Abatie ad ipsam artem pingendi
adiscendam , serviendam et operandam in termino videlicet a ka-
lendis aprilis ad tres annos proxime venturos.
N.® 8, 1295, 28 di gennaio
Nuto di Grillo da Prato è posto al pittore^
con Grifo di Tancredi.
Rogiti • Protocollo dettile. l4 verso,
Presentibns testibus ser Carso Gerardi et ser Pino Guida-
lotti notariis. Grillus filius .... de Prato qui moratur Fior, in
populo Sancti Petri Maioris posuit et patto (sic) locavit Nutum filium
suum cum Grifo pittore filio Tancredi ad ipsam artem pingendi adi*
scendam-in termino -bine ad quattuor annos proxime venturos.
N.' 9. 1295, 2 di marzo
Lapo di Beliotto e Lapo di Taldo pittori^ compagni^ s'obbligano d^tn-
segnare la loro arte a Monachino di Bonamico Garmenni da
Forlì dimorante in Firenze*
Archivio^ Rogiti • Protocollo detti, e. 4S.
Actnm Florentie , presentibus testibus Toschino ChelU populi
S. Marie maioris et Piero Salvi Mannelli dicti populi. Bonqmicus
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— 148
Carmanni de Forlivio qui moratur Florentie ìa populo Sancte Marie
Novelle posuit et pacto locavit Monackinum filium suum ibidem
presentem et volentem cum magistro Lapo BelioUi et Lapo Taldi
pittoribus {sic) sotiìs, ad ipsam artem pingendi adiscendam - in ter-
mino-bine ad quatuor {armos) proxime venturos.
N."* 10. 1295, 14 di marzo
Asinelio (1) di Alberto pittore^
riceve per ma discepolo aWarte Berto di Restorino.
jirchivio. Rogiti e Protocollo detti, e. 47.
Actum Florentie , presentibus testibus Banducdo Lamberti^ et
Canudo Beliotti pop: S. Maiie Novelle - Restorinus conciator pan-
norum filius Rustichelli pop: S. Micbaelis Bertelde posnit - jBertimt
eius filium cum Asinelio filio Alberti pop: S. Marie Novelle pittore
ad artem pingendi adiscendam - in termino a medio mensis februarii
proxime preteriti ad quatuor annos proxime venturos.
In fine si dice : Et ex nunc voluit dictus Asvnellus quod idem
Bertus discipulus sit ab ipsa discipulatione et positione liber.
N.* 11. 1295, 16 d'aprile
Cecco di Salimbene da Campi si pone ad imparare
Varie con Scalore di Lottieri pittore.
JrchiifiOf Rogiti e Protocollo detti, e. 50 verso*
Presentibus testibus Cieppo Ricordi de Campi et Mattheo Bo^
naffedis Melliorati - Cieccus Scdimbenis de Campi emancipatus ut
dixit per cartam manu Ser Luce de Campi ngtarii , se posuit et
locavit ex pattp cum Scalore pittore quondam Lattieri ad ipsam artem
pingendi adiscendam bine ad quattuor annos proximos.
N.* i2. 1295, 24 d'aprile
Giovanni di Nuto dai Borgo S. Lorenzo di Mugello
va a stare come discepolo netta bottega di Vanni di Rinuccio pittore.
Archivio^ Rogiti e Protocollo detti, e. 48.
Actum Fior: presentibus testibus Maso Ranerii bonaccord de
Florentia, Ser Forense notario filio quondam Uguettucdi de Burgo
ad sanctum Laurentium. Nutns quondam Barinni (?) de Burgo ad
Sanctum Laurentium de Mugello posuit Johannem filium suum cum
Vanne Rinuccii pittore pop: Sancti Laurentii , conducenti paterno
consensu, ad ipsam artem pingendi adiscendam - bine ad otto annos
proxime venturos - Fideiussit prò dicto Auto, Ser Zoccolus q. Dni
Zoccoli de Burgo ad S. Laurent: de Mucello.
N.^" 13. 1295, 29 di luglio
Coluccio di Guido pittore
piglia ad insegnare Varie sua a Manetto di Giovanni.
archivio. Rogiti e Protocollo detti, e. 51.
Amadore Johannis pop: S. Mich: vicedomerionem posuit et lo-
cavit patto Manettum suum fratrem filium Johannis cum Coluccio
(!) Nel libro alfabetico dei matricolati alfarte de'Medici e Speziali sotto
l'anno 1312, si trova Giovanni Tocato Ànnellù .
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. — 149 —
pittore filio Guidi dicti pop: ad ipsam artem pingendi adbcendam -
bine ad quattuor annos.
N."* 14. 1295, 3 d'agosto
Taldo Mannelli pone in bottega di Lapo di Beliotti
per discuoio Bartolino suo figliuolo,
JrehMo, Rogiti e Protocollo detti.
Presentibus Corso Buoni rettore pietorum et Bonaffede Mellio-
rati - Taldtis Mannelli pop. S. Salvatoris posuit Bartolinum filium
suum cum Lapo Beliotti pictore recipiente prò se et Lapo Taldi sotio
suo ad ipsam artem pingendi adÌ3cendam - a kalendis Januarii pro-
xime preteritis ad quattuor annos.
N."" 15. 1295, 8 d*ag06to
Rossello di Lottieri pittore riceve per discepolo
Geri cf Anselmo di Gerardino.
jirùhtvio. Rogiti • Protocollo detti, e. 51.
Presentibus testibus. Borghese Chiariti de Monte lupo, et Rosso
Strozzi pop: S. Marie Ugonis. Ansélmus quondam Crierardini pop:
S. Fridiani loca^it- Gerium filium suum cum Rossello Lotterii pictore
ad ipsam artem operandam cum eo, quomodocumque condecenter
idem Rossellus yoluerit - a kalendis proxime preteritis huius mensis
Augusti ad unum annum prozime venturum.
N.^" 16. 1295, 26 d'agosto
Goluccio di Guido pittore pone Grazianello di Giovanni
ad imparare Varie con Chele di Pino pittore.
Archivio 9 Rogiti e Protocollo detti, e. 56 verso»
Presentibus Rossello Lotterii pictore et Nerio Guidi de Le-
gnaria"^» CoIìaccvuis pictor filius Guidi pop: Sancti Michaelis yicedo-
minorum locavit - Gratianellwm filium Johannis pop: supradicti -
cum Chele pittore filio Pini ad artem pingendi adiscendam - bine
ad (piatuor annos.
N."* 17. 1295, 10 di settembre
Petruccio di Puccio da Pisa si pone con
Bertino de la Marra pittore, cui imparare Varie.
Archivio^ Rogiti t Protocollo detti, e. 62 vevso»
Presentibus RosseUo Lotterii rectore in arte Pietorum et Nerio
Guidi de Sancto Quirico de Legnaria - Petruccius filius olim Puccii
de Pisis de con tra ta S. Lucie de Pisis se ipsum posuit cum Bertìno
de la Marra pictore ad artem pingendi adiscendam - bine ad quat-
tuor annos.
N.*^ 18. 1295, 25 d'ottobre
Lapo di Cambio pittore
accetta per suo discepolo Vanni di Tommaso di Ristoro.
Archivio 9 Rogiti • Protocollo detti.
Presentibus Rossello Lotterii rectore artis pittorum et Jfoso Dati
pop. S. M. Novelle - MoreUus filius Thomasii Ristori pop: S. Petri
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— 150 —
Scradii pacto posnit Vctnnem fratrem sutim cam Lapo Cambii pictore
de Sancto Georgio ad artem depingendi adiscendam ^ tiinc ad qnat-
tuor annos.
N.* 19. 1295, io di dicembre
Bartolint) drAtnadore cbx S. Sùloudùre a Leccio
toma per discepolo con "Grerta di Piero pittore.
)^reséiitìl!)ti^ testibns Rotsello LvtterH pittore «t Cofm ÉUùni ^
retioribu^ anis pittoTum. Bartùlinus filitis q. AmadoHà fop: S. Sai»
vadorfs de Leccio posTuit f^ patto )ocavit se ipsutn <?trm Crtita Pieri
pittore ad artem pingendi - adiscendam - hinc ad quattnor atmos.
N.* 20. 1295, il dette
Ao^sello (K Lattieri piHo^ pane Tieri mò ^iiuolo
ad imparare ìa pittura e&n ftossello nitro 'suo figliuolo.
jÈrckivio, Rugrti 'é 'PVolocbllo «letti, e. 83.
Littter'ius ItMst popoli Sawcti Mk^aelis Vicedomivortim-^posuit—
TerkiM filine sutim ^^ cum fhwMiJIo pittore (ilio ano ad artem pm-
getfdi adisceviAam ^ a kalendis Julii ptfoiciaie |)reterìtì ad qnatmor
annos Jwoxime ventaros.
N.''^!. i296, il di gennaio
Niccolò di Leone è posto al pittore
nella bottega di Guiduccio di Maso.
jirehM0, llògìti e ^Hito4ò11« Mti, e. 90.
Actam Fior, presentibus testSms ìiMueéio Bogoli rettore artis
pittorumy et Bruno Mazze et Ghetto Bonaccuirsi pop: S. Marie No-
velle. AWizhtus ^. Periccioli pop: S. F^licis in Piaztti , - -posuit
Niccolum 'filiti m Léonis nepotém stt^ùm - cum Gidduóóiù Mobì pittore
ad ipsàm artem adiscendam in téitnino ^binc «Ul otto annos prozime
Venturos - dictus Omdiiccim promim - ^ipsum Niacóhan tenere et
docere etc., et ei dare - alimenta, vittus et vestitum dicto tempore
prò suo munere et mercede.
N."" 22. 1296, 20 di febbraio
liippo di 'BenTVietii pittore
piglia pìÈfr %ìao dhcepóolo 'Martino di ^Guardi.
'jù^ehivié, Itocitt « «PititMÒNo tteld» e. 90.
Pr^etftibns tesftibus tdnwceio ^BógoUs rettore attis pittortm A
Cichte Lipp pop: Sci 'Remigii - MatKinus Si. ériMMK pop: S- Lucie
de MagnoHs pYti^ìtirdtor ad hec Bindaceki Bruni pittoiiB '-«pOMt «^
Nerium filium ipsius Bindacchi cum Lippi pittore filio Beneuieri ad
artem pingendi adiscendam - bine ad tres annos.
N."" 23. 1296, 20 di marzo
iLuti di 'Ldpo di S. Pietro u MowtkelH
è messo per discepolo 'con Gucoio di «Lippo pittore.
Presentibus Binuccio Bogàlis dephitorè réttthre artis piUorum
et Nigio 'Jaàopi pop: S. 'Pètri de Monticéllts - Lapus filitts quond:
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— 151 —
Venlbare pop: S. Petri de Monticellis - posuil - LuXum filium suum
cum Gticcio pittore filio Zrtppt ad ipsam artem pingendi adiscendam -
hiac ad quattuor annos proxime venturos.
N."" 24. 1300, 22 di dicembre
Lapo Scatapecchia di Compagno, pittore»
Protocollo lecoodo del detto Ser MaiUo, dal itOO al Ì3i4, e. 7.
Fra i testimoni ad uno strumento di quel giorno, mese ed anno
è Lapo SccUapeechia figliuolo del fu Compagno pittore.
N.*» 25. 1301, 13 d'ottobre
Cuccio di Lippo, Vann uccio di Duccio,
Bruno di Giovanni pittori.
Protocollo detto, e. 41 verso.
Testamento di ser Ricco Mazzetti -Tra i testimoni sono no-
minati: Cuccio Lippi pictore , Vannuccio Duccii pictore^ Bruno Jo-
hannis pictore pop: S. Marie Novelle.
N."" 26. 1314, 13 di giugno
Quietama di Lapo di Palmerino
a Lippo di Benivieni pittore*
Protocollo detto, «. 109.
Actum Fior: in via ^qusi prope Ecdesiam fr^trmn 3* Marci. -
Lapus condam Palmerini pop: S» L&ureatii - fecit fiii^m refuta-
tionem et pactum de ulterius non potendo Lippo pic^ori filio q.
Benivieni qui moratur in dicto pop: S. Laurentii, de debito decem et
septem florenor. auri quos ab eo ex causa mutui recipere-debebat(l).
(Continua)
(1) La massima parte de*pittori fiorentini de*quali si leggono i nomi nei
sorriferiti strumenti dal 1282 al 1*314, è sconosciuta. Nel registro alfabetico
de*matricoIati art' arte de*Medici e Speaiali. compilato su i liori delle matri-
cole di detta arte, che cominciavano nel 1297, questi soli si trovano aeritti
in quello del 1312, cioè Grifo Tancredi, Asinelio d'Alberto, Vmuì di Ri-
nuccio, Rossello di Lottieri, Lapo di Cambio, Guid uccio di Maso, Vannuccio
Ducei e Lippo Benivieni; éi in quello cominciaio nel 1320 il aalo Corso di
Buono. L'unico pittore obe Cosse già noto per una aua opera, da gran ^mpo
perduta, aè Lippo Benivieni, il quale nel 1315 ebbe a dipingere dai Consoli di
Calimala i portelli del tabernacolo ore era riposta la atatua di S. Gìo. Batista
nel Batistero di Firenze.
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— 152 —
XXXI.
DESCRIZIONE
DI TUTTE LE COLONNE ED OBELISCHI
CHE TROVANSl NELLE PIAZZE Di ROMA
DISPOSTA 19 FORMA DI GUIDA
DA ANGELO PELLEGRINI
MIMBIO SELL' IH •TITUTO Bl COlftUFORDElf SA ABCBEOLOOICA
Coniinuaiùme (i)
COLONNA COCLIDE DI TRAIANO
Partendo da piazza Colonna , e voltando al sud per la
via del Corso all' angolo del palazzo Ferrajoli, dopo piazza
di Venezia, incontrasi il quadrivio di Macel de'Corvi, di s. Marco
e della ripresa de'Barberi, dove fu Tarco trionfale di Domi-
ziano. Corrispondeva questo all' antico quadrivio costituito
dalia via Lata (2), da altra che si dirigeva alla regione- IX
verso il circo Flaminio (3), da altra che conduceva al Qui-
rinale fra la colonna coclide di Trajano ed il tempio di tale
imperatore presso il suo foro (4) , e dal fine della via Ma-
mertina (5).
Ora voltando per la terza via nominata, corrispondente
a quella di Macel de'Corvi, avete in vista la colonna di cui
parliamo, uno dei più preziosi monumenti che ci siano rimasti
conservati di Roma antica. Essa h nel mezzo del lato setten-
trionale della basilica Ulpia nel foro Trajano architettato
dal celebre ApoUodoro damasceno, che fu il più ricco e son-
tuoso dei fori di Roma. Non è nostro argomento di descri-
verlo, ma perchè il lettore ne abbia qualche piccola idea^
veniamo a dargliene un rapido cenno.
L'imperator Trajano imprese a costruire il suo foro Tanno
865 di Roma^ corrispondente al 113 delTèra volgare, serven-
(1) Vedi Quaderno precedente, pa^. 119.
(2) Questo tratto della via Flaminia detto via Lata per l'essere p\h larvo,
terminava alfarco di Claudio che era fra Podierna via di Pietra e l'arco dei
Garbognani; e tale tratto aveva principio dalla via della Ripresa de'Barberi
indicata.
(3) Questa siegue Tandamento della via di s. Marco.
(4) Questa corrisponde alla via di Macel de' Corvi.
(5) Il quarto ramo è l'altro braccio della via di tal nome cbo si congiunge
con quella di Marforio. L'arco di Domiziano fu quadrifronte, come si osserva
nelle sue medaglie, perchè vi transitavano queste quattro sUiKle.
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dosi del nommato greco architetto. Per formar la sua area
venne fatto un gran taglio dal colle Quirinale lungo l'odierna
piazza detta Foro Trajano , dal lato su cui sorgono al di-
sopra la chiesa e convento di s. Caterina da Siena; ed altro
taglio più piccolo venne eseguito alle falde del monte Ca-
pitolino presso l'odierna contrada, detta via delle Chiavi d'oro.
Per reggere le terre formò due grandi edificii disposti inter-
oamente in semicircolo , e quasi per intiero rimane il più
alto al ridosso del Quirinale, il quale si va ad osservare in
due punti , cioè dal palazzo del Gallo , ed entrando anche
dalla via del Grillo per il portone della casa segnata col
civico n? 6; dell'altro edifizio conforme appiè del Campidoglio^
ne restano alcune reliquie nei sotterranei delle case lungo
la via nominata delle Chiavi d'oro, e lungo la via di Mar-
forio, corrispondente all'antica Mamertina. Dove è il già no-
minato convento di s. Caterina da Siena si vedono imponenti»
e ragguardevoli avanzi delle fabbriche trajaoee, che sorgono
dal colle, e queste in principio dovettero servire a persone
addette alla custodia del foro come anco a soldati. La co-
struzione curvilinea indicata entro il palazzo del Gallo, viene
chiamata volgarmente i Bagni di Paolo Emilio. Nel foro ri-
mangono gli avanzi della basilica Ulpia^ che era a due piani,
e con i tronchi delle sue colonne di bel granito bigio rimessi
sulle basì scoperte al loro posto, dopo l' escavazione che si
vede fatta Tanno isis. Dai lati del piedestallo della colonna,
veggonsi reliquie dei muri e traccie dei piantati delle due
biblioteche , che unitamente alla basilica racchiudevano la
colonna coclide in una specie dì cavedio separato dal foro,
ed innanzi al nominato tempio di Trajano erettogli da Adriano,
e da Sabina sua moglie. Tutti questi edifici, e i portici del
foro, erano coperti con tetti di metallo, ed ornati d'infinite
statue e trofei, emergendo sopra quelle di distinti personaggi,
la statua equestre di Trajano in metallo» della quale ne re-
starono stupefatti Timperator Costanzo ed Ormisda re per-
siano. Verso il fondo della piazza attuale, dove ha principio
la via Alessandrina, era Tarea del foro, quadrata con portici
dai lati, e di fronte al prospetto della basilica Ulpia; e l'altro
Iato lo costituiva il grandioso arco trionfale con accessori ,
che dava ingresso al foro dalla parte della chiesa di s. Urbano.
Venendo ora alla descrizione della colonna coclide, narra
Dione, che fu eretta non solo perchè servisse all'imperatore,
ma ancora come testimonio del lavoro incontrato per la co-
struzione del foro nei tagli delle terre dei colli disopra de-
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scrìtti; cioè all'altezza del fusto della colonnai vale a dire di
100 piedi , per la ragione che abbiamo Milla coloBoa di M.
Anrelio alleata» Tal fatto h constatato dalla is€rìsìoo£ oiì-
ginale superstite nel siso piedc^aUo» dalla quale si dichiara
] altezza del monte spiaoato:
SENàTVS . POPVLVSQVE . ROMANVS
IXP . GAESARI . DIVI . NERVAB • F • NERVAE
TRAIANO . AVG . GERN . DAGIGO . PONTI?
MAXIMO . TRIB . POT . XVII . IMP . Vi • COS . VI • PP
AD . DECLARANDVM . QVANTAE . ALTITVDJNIS
MONS . ET • LOCVS . TANTfV Op6RlRVS . SIT • EGESTVS
Narra Dione « cbe le ceneri di Trajano furono deposte nella
colon na^ ed Entropio e Cassiodoro rifeiiscono essere slate col-
locate sotto la coloona in una urna d'oro. La coIoana ba in
tutto 188 piedi di altezza, compresa la misura del fusto indi-
cata ed h d* online dorico. Vi si sale per iss grzdwi, e 45
feritoie danno lume alla scala. La colonna h tutta di marmo
bianco looense, ed h composta di 34 massi enormi^ cioè s for-
mano il gran piedestallo, i la base» R3 il fusto , i il capi-
tello, ed uno il piedestallo cbe reggeva la statua iu marmo
dt Trajano astata, come iredesi nelle medaglie^ ed ora quelk
di s. Pietro postavi da Sisto V, di cui parleremo a suo luogo.
L' architetto ApoUodoro stabili di distendete intorno al suo
fusto a guisa di una fascia, e scolpita a bassorilievo la storia
delia gaerra dadca, come si vede. Tal lavoro di buoni scul-
tori romani, fu primieramente abbozzato ^ ed eseguito dopo
che la colonna venne costrutta, e lo stesso ancor si fece ri-
guardo all'interna scala. Varie volte furono incisi i bassirilievi
di questa colonna, ma fra le diverse copie come prima tene-
vasi in sommo pregio quella di Pietro Sante Bartoli, clie esegui
pure quella di M. Aurelio, così oggi la correttissima di W.
Froebner con le incisioni di M. Jules Duvaux edita la prima
volta Tanno isss. Quindi fu riprodotta con grandi incisioni,
e ne trasse argomento allorché 1* imperatore Napoleone III
ottenne di formare in gesso i suoi bassirilievi,' avendone de-
siderata andie la riproduzione i suoi predecessori sovrani di
Francia Francesco I l'anno 1641, e Luigi XIV nel 1665. L'ultima
adunque grande opera su questa colonna venne pubblicata
dal nominato autore francese l'anno iS74 (l).
(1) Merita considerazioDe Topera incìsa dal Moneta e disegnata da Salva-
toro. Busuttil ed illustrata dal Pistoiesi , colle indicazioni del rabretti , Cfc-
coni, e dal Bellori.
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Priucipiandosi ad osservare i bassirilievi dalla parte ri-
volta verso la facciata della chiesa di s. Maria di Loreto ,
incomiiìcfa 4a rappreseti tarione della prima campagna deila
guerra dì Trajano coatro i Oaoi.
Si vedono nelle quattro laocie d>el ipiedestaUo ArorCei di
quella nazione coìie loro insegne «de' serpenti, laocie e gia-
vellotti; cHSohi in {orma di berretto frigio, oDratse a squaMe^
altre a maglia, ed a verghe di ferro; caschi con ornamenJa,
turcassi egualmente, tuniche, scvdi 'Ovali, trombe ed altre cose.
La cartella deM*iscpieione ripoitata, vedesi retta Aa due vit-
torie alate, e sngli angoli éove sono attaccati i quattro gran-
diosi serti di alloro con nastri , sono assise qaaitro aquile
legionarie 'che recano cogli artigli il fiiae di essi.
'Ora venendo «li fasti della giverra dacica, meggonsi pri-
mieramente ncfl basso dei fuso della colonna ì gcanari da
riporvi il 'grano^ ed i viveri deiresercito romano sopra le ripe
del fiume Dawnbio ^'ortifficati da stoocabi. Siegue una catasta
di legname, o per le fortilicrzioni degli alloggiamefntìt o per
eriger ponti , o per cariaggi , o per cuocer vivande. Indi
vengono due fienili, o pagliari per alimento de'cavaUi e giu-
menti dell'esercito. Succedono tre castelli con faci presso cui
sono di gnardia quattro soldati romani astati con scudi ovali
e sago, due de 'quali senza elmo.
Indi vengono tre >bardlie da carico sul Danubio, scaphae
onerariaCi luna carica di grano, e Taltre di vino, o di aceto.
Vi sono botticelli cerchiati come usansi oggidì, ed i soldati
che vi son dentro , hanno al collo la solita cravatta detta
focale^ quasi come quella degli odierni, e trasportano i vi-
veri da un castello, che ivi si vede, cioè agli alloggiamenti
del Peserei to.
Sopra il Danubio , Ister o Danuvius , vedesi elevata la
citta forte di f^iminacium^ corrispondente all'attuale Kostolalz
in cui era dì guarnigione la settima legione Claudiana. Sot-
to scorgesi il Danubio personificato assiso entro una grotta
nelle sue acque, che guarda i Romanii i quali usciti per una
porta della citta, attraversano il fiume sopra un ponte for-
mato con barche ; e per condursi ad una isola in esso ora
chiamata Ostros^a. I soldati portano greve armatura o lorica,
ed oltre le armi, hanno legato sopra di un'asta un sacchetto
di biscotto ed altro di formaggio ^ e carne salata; un vaso
da vino, gratella, e grattaruola, come nsavasi nella pvestesza
delle spedizioni nei luoghi deserti. Due legati o luogotenenti
di Trajano sono airestreroita del ponte, marciando colle insegne
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e suonatori de* corni badnatores^ e precedono i caTalli dei
capitani che accompagnavano Trajano. Sopra un grande ed
elevato snggesto formato di pietre » mirasi Trajano seduto ,
che tiene consiglio di guerra con dieci suoi luogotenenti; e
quindi succede lo stesso imperatore che vestito con gli abiti
sacerdotali, fa il sacriBcio suwetauriUa^ cioè del porco, dei
montone e del bue. Vi si osservano i vittimari, i tibicini e
garzoni de^sacrìfizj.
Appresso mirasi un messaggiere, che alFapparire di Tra-
jano e di due suoi luogotenenti che discendono da una col-
lina, è caduto da un mulo, tenendo una specie di crivello,
e tal messagiere è di BureSj Buri.
Succede V imperatore accompagnato da due suoi legati ,
e sopra ad un suggesto formato di pietra che parla , o fa
una allocuzione ai suoi soldati, accompagnati dalie insegne
portate dai vessilliferi. Viene la costruzione di un campo for-
tificato, a cui assiste Trajano coi suoi due luogotenenti; e
tre soldati j>assano rapidamente un ponte ^ mentre un altro
al di la posa in terra una marmitta di bronzo. Sieguono molti
soldati che tagliano una selva per servirsi dei legni nella
nominata costruzione; e parte ne conducono nei loro allog-
giamenti, ed in luogo elevato vedesi Trajano accompagnato
da un suo legato che fuori del castro dirìge i lavorì de'sol-
dati. Succede in luogo elevato il cavallo deli* imperatore
bardato e condotto da un soldato pretoriano a piedi , e
quindi viene altra scena colla costruzione di altro castro
cui assistono un capo del corpo dei fabbri , e V ìmperator
Trajano.
Appresso miransi due fienili ed uno steccato per conte-
nere cavalli, presso il quale un ponte di legno per traspor-
tarvi il fieno e la paglia per via di fiume. Trajano accom-
pagnato da due suoi luogotenenti, ha dietro di se un soldato
pretoriano , custode del suo corpo , che tiene il dito alzato
per segno di costanza e di fede. In questo punto gli vien
condotto da due soldati romani un spione daco legato al di
dietro; e poi succede una moltitudine di fabbri o pontonieri,
che con grande attività costruiscono un ponte di legno. Siegue
la costruzione di altro luogo trincierato, con il macchinismo
di portare le pietre quadrate dietro le spalle per mezzo di
due bastoni , come in un soldato si vede. Vi si osservano
scudi ed elmi deWdati pendenti da pali, mentre attendono
alle fortificazioni; ed i cavalli dell'imperatore sono vicino alla
porta pretoria degli alloggiamenti per la quale escono i soldati
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a cavallo ed a piedi, mentre staano in fazione due soldati
pretoriani, in guardia deirimperatore.
La cavalleria, degli equites singulares ba passato un rivo
sopra un ponte stabile di legno, e poi vengono soldati a piedi
di greve anuatnra loricati con elmo e scudo, presso i quali
l'aquila legionaria adorna di penne, invece degli elmi deW-
dati, cbe a quest* epoca trajanea sembra che non T usassero.
Altri militi tagliano una selva per torre Timpedimento allV
sercito, ed il mezzo al nemico di potersi imboscare. Queste
due ultime scene esprimono i Romani che attendono l'inimico
presso di Japce in cui sull'alto della colline mirasi costrutto
un forte castello.
Dopo i tagliatori della selva scorgesi altro corpo di le-
gionari! in ordine di battaglia, preceduto dalle aquile e dai
manipoli, che attendono di avanzare.
A Trajaoo accompagnato da un suo luogotenente ven*
gono mostrate da due soldati le teste dì due Daci da loro
uccisi. Siegue un combattimento di fanti e cavalieri romani
contro la truppa a piedi de' Daci, ed uno dei Romani com*
batte con clava.
Nella zuffe apparisce in cielo Giove, Jupiter tonitrualis,
che impugna il braccio destro contro i Daci, che hanno per
insegne il labaro ed il dragone. Il cadavere di un giovane
loro compagno morto in battaglia , vien portato da essi in
luogo di deposito per seppellirlo, e l'imperatore accompagnato
da due suoi luogotenenti, ha in mano un giavellotto, mentre
contempla i suoi soldati che con faci incendiano un borgo
dei Daci. SulF alto della collina , mlransi gli alloggiamenti
costrutti di pietre quadrate, su cui sono infilati in pali teschi
de' Romani fatti prigionieri , e presso il borgo sono alcuni
obelischi e colonne spettanti ai sepolcri dei Daci più distinti
morti in battaglia.
Sieguono i soldati romani che attraversano a guado un
fiume con i portatori di stendardo e manipoli unitamente
al buccinatore. Uno di essi porta lo scudo sul capo in cui
ba posto le sue armi, e le vesti, e al di la del torrente sulla
collma è una fabbrica di elegante costruzione.
Trajano, con un suo legato, con l'asta in mano montato
sulla piazza nel recinto di un campo , la tiene in atto di
destinarla in offerta al generale che più si distinse nella
scorsa battaglia. Sono presenti a tale ceremonia Y esercita
romano colle insegne che è aggruppata innanzi al tribunale
in cui è in piedi Timperatore, e due ambasciadorì daci con-
S2
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dotti da Germaai a cavallo delle coorti ausiliarie airesercito
romano.
Fuori del campo romano guardato da fazioni, mirasi Tra-
jano seguito dal suo stato maggiore che riceve cinque amba-
sciadori de'nemici venuti per domandare la pace.
Essi non avendo composta la pace colt'imperatore, uccisi
gli armenti e tutto il bestiame^ combattono contro i Romani^
e restano vinti e morti, parte combattendo, e parte sommersi
nel fiume. SuH* alto della collina tre cavalieri danno ftiocó
ad una casa, e le fémmine dace implorano la clemenza dall'im**
peratore , e la prima h la principessa fatta prigioniera dal
generale Mario Laberio Massimo.
L'imperatore ritira le sue truppe nei campi d'inverno sulla
Mesia a bordo del Danubio, e parte per Roma. I Daci appro-
fittando dell'assenza di Trajano, tentano un colpo di mano
verso di essi, battono le mura coli' ariete, mentre i loro sa»
gitt-ari feriscono i Romani difensori. Atri Va una carica di vìveri
per soòcorso degli assediati, e sotto le mura miransi tre cava*
lieri parti con casco conico ed armatura a maglia di ferro, come
si h altre volte osservato, ed un albero forma fine alla scena.
DODICESIMA CAMPAGNA DELL'aNRO IDS DELl'crA VOLGARE
Passato r inverno frattanto in Italia l' imperatore ricerca
rinforzi. Si vede una gran citta circondata da mura^ e presso
essa un anfiteatro, che h VJriminum corrispondente airodiema
Rimini in Umbria s«iirAdriatico. £vvi l'arco di trionfo eretto
a Trajano l'anno di Roma 727 sulla via Flaminia, il quale arco
è sormontato da Hti gruppo di bronzo esprimente la Vittoria
che conduce la <fuadriga, come nelle medaglie di argento di
tale imperatore si vede. Si osservano presso la città sul mare
i soldati occupati a trasportar i loro bagagli delle navi bi*
remi, ed in terra miranisi gl'imaginiferi colle insegne innanzi
all'imperatore coi suoi capitani e soldati:
Succede il viaggio sull'Adriatico, e in una barca hippa-
gogne condotta da un solò remo trovausì dentlo quattro ca-
yalli senza briglie. Vicino gli è il bireme iftiperiale oruato
nella sommità della poppa di una testa d'anitra, cketiisque
cbe pone vasi in segno di buon omaggio^ e con una pertica
accanto con nastri avvolti. L'»mpe)*atore ed un suo luogote-
nente sono seduti, e muovono loro stessi il timone. La prora
di questa barca in cui ^osservatisi altì-i stette individui^ ha il
Tostro ornato di un bassorilevo a pittura «sprimeate ^genietti
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alati assisi su cl*un mostro marino. Vi si osservano ancora altri
due navigli, Tuno de* quali carico d*armi e bagagli.
Essendo giunti ad una citta forte dell'Istria, fanno il di-
sbarco di tutta la loro roba , e 1* imperatore coi suoi legati
già hanno messo piede a terra. Siegue la marcia dei soldati
neirinterno del paese nemico colla coorte ausiliaria germanica
con braghe, o pantaloni. Trajauo cogli eqyjites singulares ^
cavalleria distinta , traversa una foresta a cavallo. Disfanno
i cavalieri parti inviati dal re Pacoro, lasciando parecchi morti.
Indi viene la battaglia al disopra, e sotto della montagna,
su cui vedesi il busto della Notte personificata; e fatt^ grande
strage dei nemici veggonsi abbandonati i loro treni pieni di
armi e delle insegne del dragone. Da questo fatto d'arme ne
avviene la sottomissione di una tribù, e tre principi daci colle
loro donne portano i piccoli figliuoli per implorare la cle^
menza da Trajano. I soldati legano tre prigionieri daci^ ed
altri conducono un soldato gravemente ferito al luogo di cura^
mentre Trajano coi due suoi legati è presso la costruzione
di un castro.
L'esercito ^ in marcia, e la colonna è preceduta da tre
vessilliferi della coorte e da un porta stendardo i^exillarius,
innanzi ai quali due trombette , bucinatores. Veggonsi tre
muli attaccati ad un carro di baliste, o di trasporto di ca-^
tapulte a due rote accompagnato dai soldati. Trajano h alla
testa delle legioni colfindicolo o bastone del comando nella
mano sinistra, e col suo legato accanto, nel mentre che gli
vien condotto da un soldato un daco prigioniero.
Indi succede la battaglia; i Daci sono posti su d una col*
lina dove la cavalleria romana viene a disloggiarli, nel mo-^
mento che le legioni li attaccano di fronte , e gli ausiliari
germani di fianco. Sullo scudo di un Daco vi è un emblema,
una specie dell'immagine del sole; uno si rende ad un Romano,
e dei Daci in questa battaglia molti ne morirono^ molti se ne
fecero prigionieri ed altri si diedero alla fuga.
Trajano elevato sul suggesto coi suoi luogotenenti, parla
ai suoi soldati, lodando la loro virtù, ed uno scudiere regge
il cavallo deirimperatore. I prigionieri daci per lo più prin-
cipi sono racchiusi entro un castello tenuto in custodia dai
soldati romani^ ed uno di questi porta sulle spalle un'otre.
Trajano seduto in un luogo elevato, in cui sono in piedi
i suoi luogotenenti, cioè sulla sella castrensis j distribuisce
i premi, e le decorazioni ai soldati. Un legionario chinato
innanzi ad esso riceve dalle sue mani o un braccialetto , o
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un medaglione d* onore che mal si distingue , phalera , ed
no altro soldato decorato, che è disceso dalla tribuna, viene
abbracciato e baciato da un suo compagno.
Indi viene una casa costruita sopra uno scoglio, presso
la quale sono le donne daci, che per vendicarsi dei Romani,
a tre prigionieri spogliati con faci bruciano la testa e le
spalle, avendo loro legate le mani al di dietro.
TREDICESIMA CAMPAGNA
Trajano s'imbarca di nuovo, uscendo da un forte merlato,
mentre è incontrato da due ambasciadori dad, condotti da
soldati romani. L'aquila, e due stendardi dei manipoli sono
piantati nel suolo. La bireme imperiale ^ ornata nella prua
di un dipinto esprimente un genio alato su d*un cavallo ma-
rino, ed i soldati caricano i loro bagagli in un bastimento
da trasporto.
Indi siegue il passaggio di un rivo della Bistra su d*un
ponte di legno formato di barche presso cui vedesi la cit-
tadella, poscia chiamata Pons Augusti. Trajano marcia alla
testa della colonna , ed avanti a lui gli scudieri conducono
ì cavalli dello stato maggiore. Fra le insegne ^ da rimarcarsi
una, la lupa.
Seguono bagagli, elmi, scudi, pili ed altre armature por-
tate sopra carri tirati da cavalli e da bovi. Mentre Trajano
si dirige verso la residenza di Decebalo re dei Daci, le truppe
occupano la cittadella , ed i trincieramenti nemici costrutti
di steccati e di muri a pietre, con macchine, evidentemente
diretti da architetti romani, che aveva il nemico abbandonati,
e vi lasciano un presidio. Traj.ano s^mpadronisce di una delle
princìj>ali citta de'Daci situata presso della Porta di Ferro e
la contrada h montuosa e piana, fortificata e guarnita di torri.
È da rimarcarsi una linea di circonvallazione a zigzag con
palizzata nei lati , ed un sotterraneo formato nella roccia ;
due balaustre o griglie sono ai lati della strada, e Timpera-
tore percorre il paese alla testa delle sue truppe.
La scena continua colla costruzione delle torri, e le fab-
briche nella cittadella, fuori della quale vedesi Trajano che
ordina Teserei to. Uno dei porta stendardi, od aquilifero, tiene
sotto il braccio sinistro uno scudo ovale. Intanto li soldati
non oziosi tagliano, e portano legna, calce ed arena* nei co-
fini per fortificare maggiormente gli alloggiamenti^ e di nuovo
i Daci vengono a parlamento coirimperatore. Saccede il so-
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lenne sacrificio suwetaurilia , cio^ del porco , dell' ariete e
del bue. L'imperatore velato e con abito sacerdotale celebra
il sacrifizio entro il recinto di un campo. Vi sono al solito
i vittìmari colle scuri, i tibicini, il garzoncello camillusy ed
altri ministri de'sacrifizj coronati, parte dentro, e parte fuori^
per entrare nel nominato recinto, in cui uno de*portastendardi
regge sotto il braccio sinistro uno scudo ovale.
Appresso alla ceremonia religiosa l'imperatore arringa i
suoi soldati , esortandoli a portarsi valorosamente contro il
nemico tante volte superato, e s'incamminano a tagliare una
selva. Vedesi un piccolo ponte di legno su d*un torrente, su
cui passa Trajano a cavallo , seguito da due cavalieri , e
due lancie fisse su d'un muro in cui, presso due fabbriche,
miransi infilate le teste di due Daci recise. La cavallerìa
percorre le montagne, e la fanterìa incendia un casotto, uno
steccato di legno ed una fabbrica di materiale dei Daci. Sull'alto
scorgesi l'esercito nemico coll'insegna del dragone.
Viene la costruzione di un castro per parte dei legionari,
ed i soldati portano con due bastoni le pietre su le spalle;
altri con corde pure sugli omeri, altri portano cofani di calce
e di arena , alcuni i legni, o travicelli , ed alcuni pongono
in opera il materiale.
Innanzi a Trajano col suo stato maggiore vien condotto
un principe daco con pileò in testa, che h in ginocchio sup-
plichevole innanzi allo stesso imperatore. Dietro questo osser-
vasi la testa dell'esercito colle insegne, ed i hucinatores.
Viene il passaggio delle montagne; due muli, e due bovi
sono attaccati ad un carro a due ruote carico di barili, e scor-
tato dai soldati. Dei fazionieri armati di lancie guardano le
mura d'un piccolo campo romano, e nel secondo piano mi-
ransi alcuni edifizj rotondi dei Daci, 'che vengono occupati
dai soldati romani.
Appresso vedesi un'altra cittadella del nemico; l'impera-
tore è alla testa del sno esercito al disopra delle montagne.
1 cavalieri numidi di Q. Lusio Quieto arrivati sul teatro
della guerra caricano l'inimico con grande strage, inseguendolo
fino ad una foresta. I cavalli non hanno briglia, e tengono
solo un doppio cordone al collo per attaccarvesi colla sinistra.
I cavalieri sono vestiti di un mantello corto senza elmo, o
pileo, ed armati di lancia e scudo ovale. I Daci hanno in testa
il pileo, e portano l'insegna del dragone.
Succede altra costruzione di un castro o campo attorniato
dal vallo, o fossa. Al secondo piano deUa scena vedesi altre
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campo romano con due catapulte, e con porta chiusa e sor^
montata da una transenna. Innanzi a questa mirasi l'impera-
tore accompaguato dai suoi luogotenenti, che riceve due prin-
cipi daci inviati dal loro re che gli chieggono supplichevoli
la pace. Sotto vedesi una catapulta in un carro a due rote
tirato da due muli, il quale da un soldato s* invia verso il
combattimento , dove mirasi altra macchina simile al posto
iu una barricata formata da cataste di travi per impedire che
il nemico Tassalga. Viene il combattimento nella foresta e i
corazzieri parti, scoraggiati per gl'insuccessi de'Daci, già sono
passati all'esercito romano, e si battono contro i Daó* innanzi
a questi ed ai legionari, miransi i frombolieri^ che colle from-
bole scagliano sassi e ghiande di piombo sopra i nemici. Nella
parte superiore miransi artiglieri daci, che in una barricata
caricano una catapulta , in cui h la solita insegna del dra-
gone, che in processo di tempo venne anche adottata dalla
milizia romana. Siegue una cittadella dei Daci costrutta nella
sommità d*una montagna, dove alcuni di essi tagliano gli alberi.
Viene la costruzione di un campo romano presso al quale
è l'imperatore coi suoi legati, mentre gli vien condotto pri-*
gioniero un principe daco. Indi i Romani depositate le loro
armi tagliano una selva, e poi viene l'assalto di una fortifi-
cazione nemica, in cui prendono parte anche gli arcieri ausi-
liari germanici^ vestiti di una veste talare con sovrapposta
giacca dentellata, o spizzata, e con casco conico in testa. Vi
sono pure un tromboliere ed uno de'soliti armato di clava.
Succede altra fortificazione dacica attaccata dai Romani, che
hanno cogli scudi formata la testudine. Con tal maniera erano
serrati e coperti da' loro scudi, e cosi assicurati dall'impeto
de^ sassi e dardi tirati di sopra si accostavano alle mura senza
essere offesi. *
A Trajano in piedi accompagnato dai suoi luogotenenti,
vengono portate dai soldati le teste di due spioni daci , e
poi vedesi il combattimento finale , nel quale l' imperatore
avendo dissipato le reliquie de' nemici ascese secondo Dione
la sommitk dei monti , e penetrando di cima in cima , poi
giunse alla regia di Decebalo.
Trajano dentro al campo convoca i suoi soldati pretoriani,
che hanuo elmo sormontato di peone, e sotto vedonsi i fabbri
ancora occupati per qualche costruzione. L'esercito ha fatto
alto presso d'una sorgente, ed un soldato vi prende l'acqua
con una marmitta, ed un altro beve in: un orciuolo di bronzo.
Uno scudiere tiene il cavallo dell'imperatore. Sull'alto veg-
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— 163 —
gonsi due piccoli campi » ed i soldati vi vanno a depositare
i loro bagagli.
Indi scorgesi la sottomissione del re Decebalo. Trajano
contornato dal suo esisrcito, siede in uno scoglio convertito
in suggcsto, e dinanzi a lui vedèsi prostrato ii nominato re
unitamente ad uno dei prìncipi daci che tocca ii ginocchio
deil'impetatore, segnale antico delia preghiera più fervente.
Una schiera di Daci che hanno accompagnato il loro re lianno
deposto le loro aitfti, ed in ginocchio tendono le mani sup^
plichevoli a Trajano , terminando tale truppa colle insegne
del dragone. Al secondo piano mirasi un aggere romano co-
strutto di tronchi d'alberi con due baracche mobili. Infondo
si scorge Sermizegèthusa capitale dei Daci , ora Varhèly in
Transilvania, citta rimarchevole pe'suoi fabbricati. Femmine
e fanciulli si rìfoggono neìle caverne, che gli uomini si occu-
pano di barricare, e la truppa si conduce davafnti alle montagne.
Trajano accompagnato dai suoi luogotenenti è in piedi sul
suggesto , tenendo r indìcoto o bastone del comando mentre
paria ai suoi soldati «che gli fanno vive acclamazioni; e poscia
succede la Vittoria in mezzo a due trofei daci composti dei
mantello, sajum e della corazza a s(fuame su due tronchi di
albero sormontati da c^sco. Attorno sono aggruppate le insegne
dei dragoni e gli stendardi con sotto gtfudì, caschi, azze, ed
aste. La Vittoria tiene il piede sinistro appoggiato sopra un
casco de* nemici , ed in uno scudo con bordura d* alloro ap-
poggiato ad un pilastrino scrive la conquista di Trajano, ed
il nome del popolo vinto.
SECONDA GUERaà DACIGA
Decebalo ribellatosi di nuovo , fu dichiarato nemico dei
senato romano , ed obliando i patti , e le stabilite conven^
zioni, si dispone a sostenere una nuova guerra allesftendo un
esercito formidabite.
La prima scena presenta la citta 'd^ Ancona nel Piceno
suirAdriatico, dove si h imbarcato Trajano per imbarcare le
sue truppe. Sulla riva miransì sontuosi bastimenti, presso cui
un tempio prostilo tetra^tilo. Dietro vedesi suU'alto il grande
santuario di Venere, di cui parla Catullo con il sacro recinto,
ed il tutto a colonne d'ordine jonico e colta 'statua della dea
nella cella del tempio^ Sotto mirasi i'arco di Trajano tuttora
esistente e sormontato da tre statue pipobabilmente di Giove^
Marte e Mercurio. Vicino mirasi la lanterna del porto attac-
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— 164 —
cata ad una pertica» ed aoa strada conduce dalla citta al porto.
Al primo piano della prospettiva, scorgesi una nave bireme
con entro due insegne militari» e la sua prua vedesì decorata
di festoni, che fingonsi dipinti. Il rostro è sotto la forma di
un mostro marino, e tutti i remigatori stanno al loro posto.
Al secondo piano scorgesi il trireme imperiale , che ha nel
rostro un cavallo marino, e sulla prua fingonsi dipinti due del-
fini. Trajano h in atto di montarvi, e nella prua di un terzo
bireme vedesi un mostro marino; ed avanti a questa flotta
neir Adriatico miransi due delfini che scorrono nelle acque.
Indi viene il molo di una città sulFAdriatico, forse Ra-
venna. La porta h consolidata da un muro di costruzione
con una serie d*arcbi a servizio di stazioni dei piccoli ba-
stimenti. Alla vista della flotta gli abitanti sono accorsi alla
riva per salutare gli arrivanti^ ed uno si dirige verso Tara
per sacrificare un bue a Nettuno, per rendergli grazia del
buon viaggio. In fondo mirasi un portico d'ordine corintio,
e le fenestre del muro esterno hanno transenne.
Trajano visita la citta accompagnato dai rappresentanti del
municipio trovandosi presso un gran tempio attorniato da re-
cinto sacro con colonne d*oidine corìntio, e poi succede la torre
del molo presso cui sono due biremi, nelle prue de'quali in
UDO sono dipinti due navigli , e nell* altro ornati a fiori.
Trajano discendendo dalla collina passa sotto ad una grande
porta od arco trionfale, e prima di rimbarcarsi offre un grande
sacrificio a Nettuno. Miransi due altari costrutti di pietre
quadrate, e decorati di serti; e quattro bovi sono tenuti dai
vittimari. Larghe bende pendono dai corpi delle vittime^
e Timperatore officia al tempio in semplice toga, presso cui
sono due littori con fasci, e lungo corteggio d'uomini, donne
e ragazzi, la più parte coronati e tenenti le mani al cielo
ad atto di preghiera. Poco più oltre, dopo due porta insegne,
mirasi un piccolo campo.
Siegue laiTivo ad un porto di mare nella Gallia Cisal-
pina, I legionari sbarcando, preceduti dalle insegne, hanno
Telmo^ o il casco, attaccato nella spalla destra, ed il bireme
ha sulla prua dipinto un genietto sopra d'un cavallo marino,
e tre altri vascelli sono al mare verso il fondo presso le mura
del porto.
Siegue altro sacrificio in vicinanza di un giardino con-
tornato da un colonnato coperto, al quale succede un teatro
con bella facciata verso l'ingresso nella parte posteriore della
scena , con finestroni , e colonne d' ordine jonico. Più oltre
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— 165 —
mirasi ad una certa distanza un tempio prostilo tetrastilo
parimenti d*ordine jonìco, cioè con quattro colonne di fronte.
L'altare del sacrificio ^ al consueto ornato di serti, o fe-
stoniy e riroperatore vestito con semplice toga celebra in esso,
versando il vino colla patera sul fuoco, attorniato da frutti
e da un pomo di pino. Il Camillo od accolito velato con
corona in testa regge la cassetta degl'incensi, ed il tibicine
suona, mentre lo sgozzatore afferra la vittima del bue.
Appresso viene altro viaggio nell'Adriatico collo sbarco
dell'esercito dell'Istria. Il bireme imperiale giunto alla riva,
ha vele raccolte con l'ancora, il timone^ cordaggi e tutti i
dettagli della poppa. Trajano ha messo piede a terra , ed
un carro tirato da due muli porta gli scudi de' suoi soldati.
Indi succede la marcia verso Tinterno del paese, e si vede
una citta contornata di mura in cui sorgono un piccolo tempio,
ed un portico con colonne d'ordine jonico. Più lungi \'eg-
gonsi tre case sulla cresta della montagna ; e l' imperatore
a cavallo col suoi cavalieri, equites singulares, si avanza^
mentre un nobile daco gli va incontro supplichevole unita-
mente ai suoi figliuoli, e ad una turba d'uomini di tal nazione.
Siegue un grande sacrificio offerto innanzi ad un luogo
sacro in cui sono cinque altari ornati di festoni, forse d'alloro.
In uno di questi l'imperatore officia con semplice toga, ver»
sando colla patera il vino sul fuoco. Evvi il garzoncello Ca-
milluSf ed il tibicine suona le doppie tibie, mentre quattro
vittimar!, due de'quali col malico o mazza appoggiata alla
spalla sinistra, conducono al sacrificio quattro bovi. Un gruppo
di Daci fra uomini, donne e fanciulli assistono alla ceremonia.
Un corpo di ausiliari di tipo germanico, s'occupano a tagliare
una foresta; indossano il sago, ed hanno lo scudo secondo
il loro costume di forma esagona ; ed in fondo mirasi una
cittadella con mura merlate.
L'esercito dace da un castello fortificato fa un movimento
su d'un luogo trìncierato dove i Romani si difendono, mentre
Trajano a cavallo alla testa dei suoi cavalieri viene in soc-
corso degli assediati. Un Daco si batte con una falciuoia
detta volgarmente serrecchiay ed appresso gli ausiliari ger-
mani tagliano alberi per munire gli alloggiamenti.
Viene il famoso ponte sul Danubio presso il campo ro-
mano , che ha le tende pretoriane , e ì legionari colle loro
insegne assistono ad altro sacrificio offerto dall'imperatore su
d'un altare inghirlandato^ in cui sono passati intorno al fuoco
alcuni frutti, fra 'i quali un pomo di pino, mentre il vitti-
23
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— 166
inario conduce un bue. Trajano vestilo semplicemente con toga,
ba Findicolo del comando, o bastoncello nella mano sinistra»
e versa colla patera il vino, mentre il Camillus ^ presso il
libicine, l'ugge Taccerra o cassetta degl* incensi.
Poscia vi«ne una città romana nella Mesia , e la porta
principale ha sopra l'abitazione del guardiano, presso la quale
sono rappresentate due altre case. Al di fuori il prospetto
del teatro presenta cinque porte, una maggiore, e le altre
minori; e sopra esse veggonsi sei finestre triangolari. Accanto
sono altre fabbriche fra le quali un portico sostenmto da
quattro colonne corinzie*
Trajano riceve una deputazione di guerrieri sarmati che
vengono a fare le loro sommissioni. I «due cavalieri che tengono
ì loro cavalli per la briglia sono vestiti di pantaloni, di lunga
tunica, dei pallio e di un piieo in testa della forma di un cono
tronco. Altri due senza pileo portano una lunga veste con una
specie di corset; e gli altri, due de'qvali con pileo, che si ap-
prossimano a Trajano, hanno le solite brache, o pantaloni coi
petto nudo coperto solo dal pallio nella spalla destra.
L'armata traversa il ponte dei Danubio, presso cui ali en-
trata mirasi una porta od arco trionfale sormontato da due
trofei, e Trajano h alk testa dei suoi legionari.
Trajano a cavallo segurto dai suoi scudieri passa sotto
d*una città fortificata in cui mirasi un tempio. L'esercito esce
dal suo campo attendendo l'imperatore dinanzi ad un aitare
apparecchiato per sagrifizio, presso cui il Camillo coU'acerra,
ed il vittimano col bue decorato d'uita larga benda che gli
pe»de dalla groppa. Alcuni officiali e soldati già acclamano
Pimperatore al suo arrivo.
Altro sacrificio suouetaurilia^ cioè del porco, dell'ariete
e del bue, s'ofifre dall'imperatore .entro la cinta del campo,
ed h vestito con gli abiti sacerdotali, e colla veste cinctus
gabinus ; e coi soliti ministri coronati , uno de' quali tiene
il vaso deiracqua lusU'ale e l'aspergiUo. Tre buccinatori ed
un tibicine, laureati, accompagnano le vittime condotte dai
vittimari, pure con corone.
Traiano accompagnato da d>ue suoi luogotenenti e da an
littore colla scure nel fascio, è sul suggesto, e parla, o fa
una aUocuzione ai soldati. Precede l'aquila, e poi Tengono
le insegne con corona rostrale. Qui la truppa k quasi tutta
di pretcmani cbe si distinguono dalla cresta di penne^ o pen-
nacchio, e due cavalieri smontati da cavallo, hanno attaccato
i loro scudi alle selle.
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— 167 —
Trajano sìeduto nel suggesto deatro il campo romano pre-
siede al consiglio di guerra^ Poscia succede l'imperatore alla
testa dei suo esercito , e più in alto mirasi lo stesso Tra-
jano y che ha condotto un distaccamento sulle montagne in
cui mirasi un carro tirato da muli carico di scudi , ed un
mulo è carico d'elmi e d'altri scudi.
Si scaricano i carri dentro al campo» ed un soldato con
una secchia attinge lacqua di un rivo presso le sue mura.
L'esercito sì avanza ed un distaccamento di legionari grevi,
prende per le montagne preceduto dall'imperatore, e dalle
insegne. Un'altro corpo di legionari leggieri traversa il piano
preceduto da coorti ausiliarie germaniche, e da arcieri parti
con lunghe vesti e tuniche spizzate. Hanno in testa elmi co-
nici, e sono armati di faretra, d'arco e del parazonio.
Indi viene un campo costruito su d'una roccia, con tende,
presso cui un tribuno, due trombettieri bucinatores, ed un
soldato in fazione con elmo con pennette. Sieguono i soldati
occupati a mietere il grano con falcinole dette volgarmente
serrecchie, trasportandone i fasci per caricarli su i muli. Tre
fazionieri sono all'ombra di tre alberi aggruppati, e sopra
yedesi un campo stabilito su d'una roccia. Vedesi pure il
campo dace sulle montagne con torri, merli e fabbriche; e
poi succede il combattimento pure innanzi la montagna. Poi
vedesi il campo romano con due portatori d'insegne nell'in-
terno con scudi tondi, e al' di fuori sono due sentinelle.
L'inimico ristrettosi su le montagne, occupa una posizione
vantaggiosissima , e scarica pietre sopra ì Romani. I legio-
nari appoggiano le scale alla roccia, ed uno di essi già tiene
la testa d'un Daco. Vi si vede un fromboliere in atto di sca-
gliare un sasso, e poi siegue una immensa fortificazione dace
composta di pietre poligonali, ed innalzata certo da ingegneri
romani al soldo di Decebalo. I Daci armati di pietre, di dardi,
e di lancie si difendono dall'assalto dei Romani; e Trajano
col suo stato maggiore e guardie del corpo assiste all'espu-
gnazione del castello. A qualche parte di questa scena^ ve-
desi reso impraticabile l'accesso alia roccia con certe macchine
non facili a spiegarsi, ed un pozzo vedesi vicino al suddetto
alloggiamento dei Daci.
Succede un'altra battaglia, ed i Romani sono secondati
dalle coorti ausiliarie germaniche, e da una truppa di arcieri
barbari che hanno corazza squamata, ed elmo aguzzo cordo-
nato per lungo. 1 combattenti daci si difendono con eroismo
gettando loro addosso grandi pietre quadrate.
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— 168 —
Indi viene la costruzioDe di un castro, e li soldati stessi
elle tagliano alberi. Un principe ambasciadore di Decebalo
viene a prostrarsi dinanzi a Trajano ^ chiedendogli la pace
in presenza dell* intiero esercito. Gli abitatori di una citta
assediata dal vicino esercito romano la bruciano, ed ì prin-
cipi pronti a morire, meglio che arrendersi, prendono il ve-
leno con un vaso preparato da uno dentro una marmitta ed
una turba di Daci lo pregano di rifarlo. Due moribondi sono
portati dai loro amici, ed alcuni morti già veggonsi sul suolo.
Il Generale dell* armata dace , abbandona il suo campo
con tutta la truppa , colle insegne del dragone , ed alcuni
dei suoi soldati alzano la mano in atto di ricusare il veleno.
A Trajano, che h alla testa del suo esercito^ un grande
numero di daci supplichevoli vengono ad implorare la grazia.
I legionari sono intenti alla costruzione di una linea di cir-
convallazione a zigzag, ed altri portano sacchi di grano nei
loro alloggiamenti, cioè al campo, dove pure sono molti sol-
dati colle insegne 9 che conferiscono con Trajano, e fanno
vive acclamazioni.
Succede un movimento di truppe, e l'esercito si avanza
verso le dimore di Decebalo.
Indi viene la costruzione di un campo, e gli stessi sol-
dati che tagliano gli alberi , hanno depositato a terra gli
scudi, ed alcuni pure gli elmi.
Viene il campo colle sentinelle e con le insegne piantate
innanzi le tende del quartiere generale. Poi succede la costru-
zione di altro campo in cui veggonsi carretti a due ruote, cia-
scuno carico di un barile.
Sieguono tre principi daci inginocchiati innanzi a Trajano,
e certamente ambasciadori di Decebalo , e quindi un ponte
su cui passano i soldati, e la riviera che traversa h la Sargetia.
Viene una fortificazione dei Daci fatta con muri, e tronchi
d'alberi, da cui escono per assalire grinvasori, e poi in massa
assalgono il campo romano. I soldati romani loro gettano sopra
grandi masse di pietre facendone grande strage, e tre di essi
con pileo in testa in lontananza sonosi ricoverati fra un gruppo
d'alberi per schivare i pericoli del combattimento. Vedesi la
cittadella dace aL secondo ripiano, e quindi Trajano sul tri-
bunale che arringa ai suoi soldati promettendo ricompense.
Tre soldati del treno conducono due muli carichi di vasi
di argento, forse spettanti al tesoro di Decebalo.
Viene il consiglio dei principi daci ed uno tiene un piatto
pieno di cose assai preziose, proponendo d'inviarle in dono
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— 169 —
a Tra j ano, ed un daco^ per non voler servire, col pugnale
sì uccide.
La cavalleria romana perseguita e disfa quella dei Daci
consumando le reliquie dell'esercito di Decebalo, che è ca-
duto appiè d'un albero tenendo colla mano destra una mano
ritorta^ ferendosi mortalmente. I Romani gareggiano nel fare
i prigionieri legando loro le braccia dietro le spalle e riducen-
doli in servitù.
Ai soldati adunati dentro il loro campo, da due uomini
la un piatto viene mostrata la testa di Decebalo.
Yarii ufficiali dei Daci che resistono ancora , sono fatti
prigionieri per onorare il trionfo di Trajano, altrimenti sa-
rebbersi uccisi. Verso il fondo vedesi Tanimale chiamato Uro,
e poi sono l*Àlce ed un Bue che cammina per la collina.
Molti prigionieri sono condotti al loro destino con una forte
scorta, e la protome, o busto personificato della Notte, ap-
parisce dietro la montagna.
I Daci rafforzati dai Sarmati rìcombattono contro i Ro-
mani, mentre eransi ritirati nel territorio sarmatico.
Qui i Sarmati portano elmo a cono tronco con quattro
liste nel modo degli odierni keppì. Nel fondo vedesi una
città della Bastia sul bordo d*una riviera.
Viene scortato un prigioniero, ed i legionari danno fuoco
ad una citta.
I Daci emigrano portando seco i loro figliuoli , le fem-
mine , i bestiami e le robe imballate , dando al loro paese
un eterno addio.
Tornando ora alle vicende del foro Trajano, e della co-
lonna, h chiaro, che fino al terminare del VI secolo delibera
volgare, non solo non era stato né spogliato, né distrutto,
ma che ancora serviva alle adunanze almeno dei dotti. Il
buono stato di esso ci vien confermato da Paolo Diacono nella
vita di s. Gregorio Magno cap. XVII, il quale nel secolo Vili
inventò la storia della liberazione dall'inferno dell'anima di
Trajano, che si legge in Dante. Dice Paolo, che papa Gre-
gorio passando per questo foro, si muovesse a pietà di quelFim-
peratore, dal che ne risulta, che ai tempi di s. Gregorio nel
principio del VII secolo, e di Paolo nel secolo Vili, era con-
servato, parlandone quello scrittore come di cosa presente.
I bronzi però mobili , consistenti in trofei , statue ed
ornamenti, furono portati via da Costante II o Costantino III,
come dicemmo altra volta nella descrizione della colonna di
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— 170 —
M. Aurelio, allegando il liber pontificaUs, ovvero Anastasio
Bibliotecario nella vita di papa Vitaliano Tanno 663 dell'ara
volgare.
L*anno 896 avvenne la presa di Roma fatta da Arnolfo,
notata negli Annali Fuldensi di Freero, e descritta da Lint-
prando, Hist. lib. /, cap. Vllly e chi sa che a quel tempo
non accadesse la rovina. Certo però è^ che verso il fine del X
secolo Tarea del Foro Trajano era ingombra di rovine, e la
contrada aveva preso nome di Campo di Cololeo , ossia di
Cololeone , origine dell* odierno vocabolo di Campo Carleo.
11 documento più antico di tal denominazione è dell'anno toos,
consistente in una carta di cessione , colla quale Cecilia
badessa di s. Salvatore , ( la qual chiesa e convento dedi-
cata anco ai ss. Ciriaco e Micolao , poi detta s. Maria in
via Lata) concede a Giovanni prete del titolo di s. Marcello
Torto cogli alberi di fichi unitamente alle pietre e alla co-
lonna trajana.
Tal carta conservasi nell*arcbivio di s. Maria in via Lata,
e si riporta dal Galletti nel Primicero p. 23S, e dice esser
posto il nominato orto: Bome regione septima iuxta Campum
de quondam Kaloleonis. Si dice lungo quaranta piedi semis*
sali, largo 30, e chiuso fra muri diruti forse delle biblio-
teche della basilica e della cella del tempio.
Un'altra carta dello stesso archivio mostra che Tanno 1032
Preziosa abbadessa pure di s. Salvatore concede per so anni
a Romano arciprete, e ad altri sei preti, la chiesa di s. Nic-
colò posta sub columna Trajana^ cum omni suo ornatu et
terram vacantem^ positam in regione nona in campo Kalo^
leonis ; cioè sottoposta - alla colonna Trajana , unitamente a
tutti gli ornamenti della stessa chiesa , e la terra incolta
posta nella regione nona nel campo di Cololeone.
In altra carta dello stesso archivio la stessa Preziosa dà
a livello altre parti dell'area dello stesso foro, cioè certe
terre poste in Roma nella regione nona, vicino alla colonna
di Trajano imperatore.
Apparisce nell'Orbo Romanus del ii43 riportato dal Ma*
billoo Musaeum Italicum^ Tom. Il, p. 132, 142, 143, che l'area
del foro Trajano fosse impraticabile, evitandola i papi nelle
loro cavalcate e processioni a segno di salire dall'Arco de'Pan-
tani a s. Caterina da Siena per andare alla chiesa de 'ss. Apo-
stoli, piuttosto che seguire direttamente per l'area del foro
Trajano ingombra dalle macerie degli ediGzj caduti, da chiù*
sure d'orti, e case.
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171
Quel collegio di preti a cui Preziosa abbadessa concedette
la chiesa di s. Niccolò appiè della colonna insensibilmente
si andò sottraendo dal dominio diretto del monastero , ma
la causa mossa dalle monache nel 1162 venne decìsa a loro
favore dal senato romjano. Tale sentenza h un documento
importantissimo per la storia degli antichi monumenti di
Roma, da cui si desume la cura che nel secolo XII il senato
aveva riassunto della loro con^rvazione. Yeggasi il Galletti
Primicero p. 323. Però ivi apparisce ch« in tale ^poca rima^
neva in piedi la sola colonna coclide in parte ricoperta dalle
macerie , e privata della statua di metallo nella sua som-
mità. Sul fine dello stesso secolo , forse perdile V iscrizione
nel piedestallo eia coperta dalle rovine , il nome delia co-
lonna cominciò ad alterarsi , poiché nell' Ordo Homanus ài
Cencio Camerario, riportalo pure dal Mabillou^ nellopera alle-
gata, nominasi la chiesa di s. Niccolò coll*aggiunta de co^
lumna Adriani.
Martino Polono nel secolo seguente dice, che stava il Pa-
latium Adriani ubi est columna^ mentre prima nomina per
il Palatium Trajani le fabbriche del foro di Augusto. Nel
secolo appresso il Petrarca scrivendo a Giovanni Colonna »
rende il nome vero alla colonna dicendo: haec Trajani co-
lumna, cofne si ha da sua lettera nel Lib. VI delle Fami-
gliari , enumerando i monumenti antichi di Roma. Nel se-
colo XY, sotto il pontificato di Niccolò V cosi vien chiamata
da Poggio Fiorentino, De Fariet. Fort. Lib. /, scrivendo
al nominato pontefice. Paolo IH nel secolo XVI scavò infor-
memente intorno al piedestallo della colonna , e di quello
scavo si ha memoria nella veduta inserita dal Gamucci Axiti-
chità di Romay p. 53, ed in altre incisioni di quei giorni.
Sisto V Tanno 1588 la volle isolare più regolarmente sco-
prendo il piedestallo in modo che non andasse più soletto
ad essere ingombrato dalle terre, servendosi dell* architetto
Domenico Fontana. Secondo il progetto da lui presentato
comprò varie case ed altre ne fece acquistare dalla Camera
Capitolina. Fé porre nella sommità la statua colossale in me-
tallo dorato di s. Pietro^ cbe fu fatta fondere da Sebastiano
dei Torrigiani sul modello e direzione di Leonardo Sorman
scultore, e Tommaso della Porta suo scolare.
Si ha dai Registri Camerali 1b nota delle spese di tutto
il restauro della colonna^ riportata già dal Fea^ Miscellanea
Tom, II, pag. «.
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178 —
Spese fatte per la medesima del pontificato di Sisto V.
S'intende dopo la compra delle nominate case, che unitomente
alla demolizione di esse si pagiarono 10,000 scudi.
Indi dicesi:
Al camlier Domenico Fontana architetto per pa-
gamenti fatti come appresso per il gettito, mettitura
e doratura della statua di San Pietro posta in cima
della colonna come al conto saldatogli il dì 30 ot-
tobre 1588 ridotti dalli Se. uUjio a ... Se. 2878
jé Sebastiano Torrigiani fonditore per il gettito
della statua di S. Pietro alta palmi ss stimata dai
periti Se. 2000 Se. isso
J Tommaso Moneta per awr dorato la mede-
sima .Se- 165
Per mettitura della statua ^ e per varj acconcimi
alla Colonna ^- ^*^
Per piombo e mettitura del parapetto di ferro. Se. 47
Se. 2278
// metallo della Camera posto in opera per la
fusione della statua suddetta j comprese le chiavi, dia-
dema ed alcune zeppe, furono nette di calo libre lasso
che ragguagliato a baj. ite ^f* la libra, sono Se. I69i,25.
Pagati da Gio. Agostino Pinelli depositario gene-
rale della Camera Apostolica nelVanno 1586 come ap-
presso, essendo Monsig. Benedetto Giustiniani Teso-
riere generale.
A Leonardo Sorman scultore, e Tommaso della
Porta suo scolare per la formazione del primo mo-
dello di creta, per vedere come tornava alfoccfiio la
grandezza di esso in cima alla colonna. . . Se. 60
Alli suddetti scultori per la formazione delValtro
modello di creta , che servì per la formazione della
statua Se. 165
Alli suddetti per la costruzione della prima forma
in gesso della statua composta di varj pezzi . Se. 150
Alli medesimi per t opera della nettatura della cera
di detta forma Se. 75
Ad Antonio Mambritta ferrare per ferramenti. Se. 109
Totale Se. 559
[Continua)
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— 173 —
XXXII.
DEL BELLO NELLA NUOVA POESU
(Fine) («).
XVI.
E qui dovrei far punto a questo mio Ragionamento, se
non credessi fuor dì proposito V accomiatarmi dai lettori ,
senza pur dare un lieve cenno di altro genere di poesia che
corre oggidì sotto il nome di verismo , cbe h quanto dire
il ritratto della Matura nel suo vero aspetto. Or che da co-
testo genere emerger possano belle imagini atte a commuo-
vere, senza la virtù della poetica finzione, non vogliamo ne-
garlo, e ne abbiamo esempj nei moderni poeti, e in quelli
anteriori a noi di qualche secolo. Ma che cotesta dottrina
possa estendersi all'arte poetica^ in modo assoluto, è ciò che
non credo> come mi studierò di far chiaro più sotto.
Per dare intanto un qualche esempio , da giunger peso
alla mia prima sentenza, piacemi citare un brano di poesia
che tolgo ad una delle celebrate visioni sacre di Alfonso Va-
rano, il quale io credo, in fatto di bellezze poetiche, passi
mollo innanzi ai molti dei nostri odierni veristi.
11 poeta, nella visione V sulla Peste Messinese, finge di
trascorrere rapito dalla sua Guida, sopra un carro di fuoco,
le acque della Calabria. Ecco i versi:
In qaesto, pel chiaror cristallo fido
Tante imagin vid* io, che all' alma parve,
Cbe fosse rocchio in presentarle infido.
D'infinite colonne un lungo apparve
Ordin'egual; ma» in un baleno» monche
Sembrar, cbe la metà somma disparve.
E in quella parte, ove rimaser tronche.
Si spiegar tutte» e dì se fer molti archi
Rozzi e simili a quei delle spelonche.
Cbe si mostràro all' improvviso» carchi
Di vaghissime torri, e di castella,
E anch' esse, qual fumo che 1* aria varchi»
Sparirò» e in vece lor, nacque novella
Di Piramidi scnlte aspra foresta.
Indi ampia valle» a fiori pinta» e bella.
E in mille colli» e in mille armenti questa
Cangiossi ancor» tal' io sclamai — traveggo^
Il sogno forse con pupilla desta?
E il poeta si fa a domandarne la ragione alla sua Guida,
la quale allentando di roseo foco le risplendenti briglie, cosi
ne spiega il fenomeno:
(1) Vedi Quaderno di Marzo» pag. 96.
24.
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174
Il moute sai trinacrj calli
Namari ombroso che al Pploro scende
Fecondo ha il sen dr lucidi metalli.
E dentro al mar misti all'arena stende
Parti di stibìo e Tetro e selenite,
R la sais* acqua ancor fertil ne rende.
Queste dal Sol cocente alto rapite.
Fra i vapor densi forman specchi erranti
Di tersissime facce ed infinite.
Quindi da una colonna a lor davanti
Mille crearne uguali ad essi accade,
E cangian poi gli oggetti vari e tanti.
Poiché il lor moto, per T aeree strade.
Cangia 1* imago, e in angol è simile
Il raggio che riflette a quel che cade.
lo vorrei che tutti i cultori deirodierno verismo si sfor-^
zassero a darci pitture somiglianti, anziché attingere a quella
matta scuola, la quale, per servirmi di un espressione dellV
gregio autore del Paolo (i), a null'altro giova che a torcere
gl'intelletti a disfare il già fatto^ per poi fare un bel nulla.
Nb il solo citato esempio;' ma molti altri che trapasso
per amore di brevità^ basterebbero a confermare la mia prima
asserzione, senza nulla tor di peso alla seconda. E veramente^
quanto Tanzidetto principio peccherebbe di erroneità, facile
h il comprendere, ove per poesia si voglia intendere creazione,
ove si rifletta, che quello ammesso, sana giuocoforza lo esclu-
dere dal regno dell'arte poetica* quella facoltà che si chiama
immaginazione, la quale appunto delfinvenzione h Torigine,
p SI veramente sarebbe mestieri il copiar la natura, e non
copiare che questa. Bella dottrina invero ! ma che non so
quanto soddisfar possa coloro^ che di quella rara facoltà fu-
rono da natura privilegiati. Imperocché chi non vede, come
questi anteporrebbero i mostri vaghi della lor fantasia, alle
rozzezze, che pur sono molte nella natura, e alla trivialità
positiva? E vaglia il vero. Dante, l'Ariosto, il Tasso, il Milton,
ed altri tra i più celebrati poeti a questa facoltà s'inspira-
rono^ di questa si valsero, per dar vita ai loro poemi, ed
è chiaro, come senza di essa, poco o nessun diritto avreb-
bero acquistato alla rinomanza, di quelle età che la nostra
chiameranno antica.
Le erroneità di sì fatta dottrina sono sì ciliare^ a chi ben
considera y che costrìnsero alcuni critici ad affermare , con
buon fondamento di verità, non solo non essere applicabile
alle arti che belle si chiamano, ma nemmeno alla poesia.
(1) Vedi tre Sonetti che precedono Ja tragedia del Paolo di Antonio Gaz-
zoletti. Fireuae, ed. Le Monnier»
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— 175 —
Ma l'errore dei moderni veristi^ meno forse da convin-
zione di principio y che dal difetto di quella facoltà stessa
dipende, da poter elevarsi a quella cima ^ fra i molti nel
regno dell'arte, destinata a pochissimi. Per la qual cosa non
crederei di male appormi, affermando con un moderno scrit-
tore, in proposito della mentovata dottrina, che i difensori
di essa, abbiano voluto concluderne: noi manchiamo di co-
testa facoltà, e però decretiamo, che nessuno ne abbia.
11 guaio si è, che questi devoti del verismo poco o nulla
hanno che ritragga ciò cbe dicesi scuola originale, concios-
siachè i loro parti, in genere, rassomiglino a piante esotiche,
che poco felicemente allignino sotto 1* azzurro del nostro
bel cielo.
E mi fu caro il vedere questa mia sentenza non discorde,
almeno nella sostanza, da quella del Carducci, come quegli che
in uno de'suoi bozzetti critici afferma la odierna letteratura
italiana non esser altro che una riproduzione, o copia della
letteratura francese, esservi, per avventura qua e Ik qualche
spnizzaglia di tedesco; ma il fondo esser francese. Oh! -di-
ranno taluni - non sarà dunque lecita una qualche pur lon-
tana imitazione a chi crea? - E dove sono i veri creatori
nell'arte poetica, nel rigoroso significato della parola? - Ri-
spondo che una qualche imitazione sarà lecita, purché con
eletto e maestrevol modo si faccia, e convengo anch'io, non
esservi in poesia veri creatori , e vero creatore essere colui
solo che trasse dal nulla ogni cosa. Voltaire giunse a dire,
che quasi tutto h imitazione: « 11 Bojardo ha imitato il Pulci,
TAriosto il Bojardo. » Anche gli ingegni più inventivi ricor-
rono gli uni agli altri (i). Sappiamo come lo stesso Shakspeare
tolse dai nostri novellieri gli argomenti, ove intravide i germi
di quell'azione drammatica, che svolse poi in alcuni de'suoi
Stupendi lavori. L'Otello^ l'Amleto^ la Giulietta e Romeo, il
Mercante di Venezia, la Tempesta, sono esempj di questa verità.
Ma per tacere dei geni creatori e ristringendoci ai soli
imitatori, dico che l'Italia letteraria d'oggidì ben potrebbe
chiamarsi contenta, se una numerosa schiera di valenti potesse
contarne. E raglia il vero di quanta lode sìeno i felici imi-
tatori meritevoli, si comprenderà di leggieri, ove si ponga
mente alle difficoltà non lievi che hanno a superarsi, da chi
aspira a quel titolo.
(I) Presque tout est imitatioD. Le Bojardo a ìmité le Pulci, TArioste a
imité le Boiardo. Lea esprits les plus originaux eropruotent les uns det aatres.
(Voltaire, lettre$ phiiosophiqoes. Lettre VII*»*).
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— 176 —
Virgilio, Catullo e Orazio tra ì Latiai, tra gl'Italiani il
Chiabrera e il Leopardi, imitarooo si fattamente ì Greci mo-
delli 9 da lasciare tra essi e questi ultimi quasi dubbia la
palma, e Properzio ebbe a dire in proposito dell* Eneide di
Virgilio: Nescio quid majus nascitur Iliade. Ma quale razza
d'imitazione h quella della più parte di coloro, che oggidì
corrono per le bocche col nome di poeti? Dove sono le bel-
lezze che ritraggano del subbietto, per modo, da rendere Im-
mortali le loro scritture? Mftgre figure, buone a nuli* altro,
che a dare risalto maggiore alle virtù dei modelli.
Quanto sia grande la turba degli imitatori, fra noi, delia
letteratura straniera, specialmente della francese, già fu scritto
da molti. Que' poeti stessi , che fra moderni corrono per la
maggiore, ne sono chiare testimonianze. Basta leggere Vittor
Hugo, il Bondelaire, il Musset, ed alcuni altri della stessa scuola,
e poi lo Stecchetti, il Boito, il Carducci stesso e il Costanzo*
per tacere di molti altri, da convincerci di questa verità.
Ma tutte le loro imitazioni sono poi tali da non restare
addietro di lungo tratto ai loro modelli? Ecco ciò che non
parmì vero, come non parve ad alcuni altri, ne io dissento
dalle loro sentenze.
Fu detto (ed h cosa verissima) due tra i precipui pregi
di un buon traduttore esser quelli , di non stemperare per
quanto e possibile il concetto del testo, affinchè non perda
della sua efficacia, e di non attenuare le bellezze delicate e
riposte, le quali passano a molti inavvertite, si per la poca
perizia della lingua di cui ritraggono i concètti, si veramente
perchè difettano di quel sentimento poetico, o, per dirla con
Orazio, dì quelV os magna sonaturum, di cui erano padroni
i modelli presi ad imitare. Quello che si è detto dei tradut-
tori , possiam dire degli imitatori. Ma questi precetti rado
è che veggiam posti in opera da questi ultimi.
Fra i molti esempi che abbiamo di questa verità, e che
occorreranno di leggieri a chiunque si pigli la briga di con-
sultare i saggi d'imitazione, mettendoli a riscontro col testo^
ne riferirò alcuni^ dei quali, benché non abbia taciuto qualche
giornale, pur non credo inopportuno ripresentarli ai lettori^
aggiungendovi quatclie piccola osservazione del mio, spintovi
dall'amore di brevità.
Il testo del brano che segue è di Teofilo Gauthier^ uno
tra i più zelanti imitatori di Vittor Hugo, e che tiene un bel
posto nella letteratura francese.
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177
Le monde est fait ainsi: loi supreme et funeste
Gomme Tombre d'un songe au bout de peu d'instants
La rose Wt une heure et le cyprès cent ans.
Or ecco, come quest'ultimo verso viene stemprato in cinque^
colla versione seguente:
Dio di misericordìal
Come fan presto ad appassir le rose.
Solo il cipresso, il simbolo
Deir umana miseria e del dolore
Solo il cipresso vegeta
Anche nel freddo, e il verde suo non muore.
L'autore non ba detto che il verde del cipresso non muore^
avvegnaché non vi sia cosa quaggiù non soggetta alla morte,
bensì che il cipresso ba un cent^anni di vita, laddove la rosa
non ha che quella di un'ora; senza che, questa perifrasi del
cipresso, il quale già tutti sanno essere il simbolo del do-
lore, non fa che stemperare il concetto, per tacere di quell'en-
fatica esclamazione Dio di misericordia ! colla quale , pare
si voglia fare le maraviglie di cosa notissima, laddove l'autore
si ristringe ad accennare esser dessa una legge suprema
e dolorosa»
Eccone un altro del Coupé:
Elle viendra ce soir. Elle me Ta promis
Tout est bien près: je viens d*éloigner mes aniis,
D' allumer des parfums, d'allomer des bougies»
Et de jeter au feu les fades Èlégtes,.
Que fai faites alors qu*Elie ne venait pas.
Et j*attends tout à Ineure. Elle viendra, son pas
Retentira léger comme un pas de gazelle.
Et déja ce seul bruit me ^ayera de mon sèle
Elle entrerà troublée et voilant sa pékur:
Nous nous prendrons les mains, et la douce chaleur
De la chambre fera sentir bon sa toilette
O les premiers baisers a travers la voilette!
Io credo che il Bacine non avrebbe potuto dettar versi più
delicati , né più belli. E non so con qual maggior grazia ,
potevasi mettere in essere l'atto dell'innamorata^ colla simi-
litudine della Gazzella.
Di bellezze di questo genere non mancano esempi ne' poeti
Italiani. E chi non ricorda quel luogo si celebrato del Pa-
nni, ove si rappresenta il piacere sceso sulla terra:
L'uniforme degli uomini sembianza
Spiacque ai Celesti, e a variar la terra
Fu spedito il piacer. Quale già i Numi
D'Ilio sui campi; tal 1* amico genio
Lieve lieve per 1* aere labendo
S* avvicina alla terra, e questa ride
Di riso ancor non conosciuto. Ei move,
E r aura estiva del cadente rivo
E dei Clivi odorosi a lui blandisce
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— 178 —
Le Tagbe membra e lenemente sdrùcciola
Sai tondeggiar dei muscoli gentile
Gli s' aggiran d' intorno i vezzi e i giochi.
La bellezza di questi versi h tale che io credo passino innanzi,
nell'anzidetto genere^ a quelli stessi or citati del Coupé.
Ma di bellezze sì fatte è oramai fra noi perduta la
stampa.
Ecco l'imitazione del brano francese in un Sonetto:
Domani Ella verrà; domani è certo
Che il tempo mi parrà lungo e mortale.
Quando commenterò, suU' uscio aperto.
Ogni passo che suoni in sulle scale.
Verrà... verrà, ma perchè dunque incerto
Palpito e tremo come un Collegiale?
Ab! purché tutto non sia già scoperto!
Purché la Mamma non sospetti il malei
Dentro una voce susurrarmi sento
Verrà... doman verrà! Chi più l'aspetta
Lo ritrova più dolce il pan momento.
Come calda sarà la prima stretta
Della sua man tremante, e lo spavento
De* primi baci dietro la veletta!
La voce commenterò della prima quartina mi sa del prosaico;
ma dove è la similitudine della Gazzella^ che ritragga si benie
il retentir leger 'del testo? Farmi inutile anziché no, la ripe-
tizione del {^errà verrà nel primo terzetto, come quello già
bastantemente espres.so nelle due prime quartine; epperò un
riempitivo non troppo perdonabile in un Sonetto. Senza che,
non so se tutti potrebbero soscriversi a quella sentenza chiusa
nel verso medesimo: » Che il piacere tornì più dolce a chi
l'aspetta ^ avvegnaché a chi ben consideri, ne paja anzi il
contrario, come ben mostrò di credere il Metastasio in quel verso:
Inatteso piacer giunge più grato
Parrei crìtico fastidioso se mi mettessi all'impresa di tutti
notare per sìngulo, i difetti di molte delle odierne imitazioni
Italiane , messe a riscontro coi testi , e però lascierò a cui
piaccia il procurarsene esempj.
Ma da tutto ciò che dovremo concluderne? Nient*altro, se
non quello che il Giordani asseriva un 50 anni fa: « Cotanto
ì9 essersi avanzati i maestri francesi, che di questi dobbiamo
M noi Italiani parere sempre ombre. >i Vorrà forse talun dire
(cosi egli): Avevamo allora in casa armi e leggi galliche, era
naturale ossequio prendere anche i pensieri e le forme dei
pensieri dai padroni. Come se ciò conoscessero i conquista-
tori! Ma cinquant'anni prima di quel tempo, e trent*anni di
poi^ quale adulazione di serio ci spingeva, e ci spinge a sna-
turarci per contraffare altrui? Una impressione da pittori pò-
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— 17» — ^
trebbe essere talora ingegnosa, e perciò lodevole; ma la nostra
e da scimie^ h vìlissìma e iriescusabii turpitudine.
Paolo Segneri, la cui morte precedette di tre anni la morte
del Redi (ultimo de'nostri sovrani scrittori), fu il primo, che
in alcuna delle sue opere, nell'Incredulo per esempio^ lasciasse
ad occhio bene certo vedere ch*ei lesse i valentissimi francesi
del suo tempo, cbe fu il gran secolo di Francia. Ni un ve-
stigio di SI fatta lettura trovereste nel Redi^ nel Bartoli, nel
Pallavicino, in nessun altro, ne di grandi, né di mezzani, e
in lui stesso h sì coperta, che appena avrà alcuno che me
lo creda.
Poco di poi, vi corsero ghiottamente Lorenzo Magalotti,
Antonio Salvini^ primarj a questa deformazione dello stile Ita*
liano ; poi una turba ognora più crescente di numero e di
goffaggine, «e Siamo giunti a tale (sic) che io non saprei inten-
» dere Tinnumerabile esercito degli odierni scrittori Italiani,
A se non sapessi un poco di francese. £ dove andremo a finire^
» per questa via? E bello frattanto h udire le oche a gridare
» Italia! Italia! Illa quale Italia dunque? »
Oh! ci punga una volta pensiero di noi stessi, pensiero di
quelle dottrine tramandateci in retaggio dai nostri maggióri. Di
quanto pregio, di quanta lode meritevoli sieno le letterature
straniere delle colte nazioni, chi il nega? Ma dovremo per questo
disconoscere la nostra, quasiché nessuna parte del fondo pa-
terno più vivesse fra uoi? Ciò sarebbe come un voler negare
Tuberta di una cima, onde scendessero le abbondevoli acque
d'un fiume. Alla coltura adunque di questa nostra letteratura
vuoisi por mano, senza mentire alla nostra origine, se vuoisi
che torni di nuovi ed utili frutti feconda; se vuoisi con essa
contribuire alla morale rigenerazione della patria nostra, che
dal progresso delle letterarie discipline tanta parte attende
del suo perfezionamento.
Prof. Nicolò Marsdcco
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— 180 —
XXXIU.
GRANDIOSA IDEA
DI UN MONUMENTO ONORARIO
HA ERIGERSI IK ROMA
VII BTIlHAll LA MSHOIIA
DI VITTORIO EMANUELE II
PRIMO RE D*ITALIA
c( Il disegno, il calcolo, la lingua, secondo scrisse il Gior*
» dani, sono le mani delPintelletto, colle quali Tuomo si nutre,
» e mediante le quali produce. Ma colla lingua egli distende
» ancor, più la sua potenza, perchè niuna cosa è, che la pa-
» rota non possa rappresentare e sotto questa forma ma--
» neggìare, come se fosse visibile e mensurabile (i). »
Se dunque con la parola si possa rappresentare un con-
cetto, perchè non sarìi permesso ad un vecchio architetto,
che porta sulle spalle il peso di 83 anni , manifestarlo in
iscritto, non potendolo esprimere in disegno, come ambirebbe
di fare , perchè indebolita la vista e la mano tremolante ?
È vero che potrebbe egli abbozzarlo e quindi farlo disegnare
da un giovine, ma essendo lavoro piuttosto lungo, gli man-
cano danari per farlo eseguire.
Questo concetto consisterebbe ad esprimere Tidea del mo-
numento onorario da erigersi in Roma per eternare la me-
moria di Colui, che seppe io poco tempo riunire T Italia.
Tal monumento sarebbe grandioso, parlante, espressivo^ sem-
plice, e nella sua magni6cenza adornerebbe, nel punto del
suo collocamento la capitale del Regno^ e farebbe onore alle
arti, a Roma, al Sovrano regnante, ed a tutti coloro, che
reggono la cosa pubblica , i quali dovrebbero pienamente
aderire all'idea copcepita dalKantore per onorare la memoria
di Vittorio Emanuele lì.
In poche parole potrò manifestare questa idea , ma
sarebbe desiderabile , che colui che leggera tale articolo
s'investisse del concetto, come lo vedesse delineato in carta,
o modellato in legno, per desumerne l'effetto, che dovrebbe
produrre. E qualora per mia fortuna venisse accolto, intendo
di percepire il primo premio promesso; ed in questo caso mi
obbligherei di fare eseguire i disegni occorrenti, onde poterlo
più facilmente edificare.
(1) ProsopograOa, Lezione del prof. Gabriele Deyla.
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— 18! —
Il monumento per sì magnanimo Monarca dev'essere stra-
ordinarioy come straordinari sono i di Lui fasti, i quali hanno
destato ammirazione e sorpresa a tutto V universo ; ed io ,
che appartengo alla Guardia d'onore alla provisoria di Lui
tomba al Pantheon^ posso assicurare (come testimone ocu-
lare, allorquando sono stato di servizio) con quale e quanta
rispettosa ansietà concorrono in folla, a tutte le ore del giorno,
nazionali e stranieri per ammirare soltanto il punto ove si
racchiudono le di Lui ceneri, distinto da una corona reale.
Questo straordinario monumento consisterebbe dunque
nell'adornamento dell'Esedra di Termini (rispettabile avanzo
delle Terme Diocleziane (con grandioso portico, seguendo la
curva interna del semicircolo , composto di colonne isolate
sullo stile pestano, ovvero di ordine jonico, chiuso da can-
cellata di ferro, posto di fronte alla chiesa degli Angeli, e
nel fregio della trabeazione , dovrebbe esservi questa iscri-
zione in caratteri cubitali di bronzo = I popoli d'Italia al
PRIMO LORO Re Vittorio Emanuele IP m attestato di gra-
titudine QUESTO MONUMENTO ERESSERO. A. D. 188 . ^= ed in
fondo al pronao corrispondente ad ogni intercolunnio, rap-
presentare in bassorilievo (in marmo) o in pittura, i fasti più
memorabili^ che appartengono alla storia dell'estinto Monarca.
Nel primo quadro per esempio, coiiispondente al primo in-
tercolunnio, rappresentare Vittorio Emanuele nell'atto di pre-
stare giuramento all'augusto di l2ui genitore Carlo Alberto,
di riunire l'Italia ed émandparla dal dominio straniero.
Nel secondo quadro , c<^Vrispondente al secondo interco-
lunnio, rappresentare Vittorio Emanuele nel momento di pro-
clamare ai suoi popoli la nazionalità italiana.
Mei tei^o quadro la battaglia vinta a Coito. Nel quarto
quella vinta a Palestro. Nel quinto quella vinta a san Mar-
tino. Nel sesto quella vinta a santa Lucia. Quindi l'ingresso
trionfale fatto a Milano con Napoleone III? Quello fatto a
Napoli col generale Garibaldi. Poi quello a Venezia , a
Roma, e tanti altri fatti, che sul momento non posso ram-
mentare. :
L'apertura dell'esedra, che dk ingresso alla via Nazio-
nale, essendo larga 26 metri, quanto la ^suddetta, verrà
adomata da un peristilio in armonia ed i]% continuazione del
portico, il quale (per chi viene dalia Sta^zione) mentre for-
merà nobile e sontuoso passaggio per entrar^^ nella citta de'Sette
Sfalli, servirà altresì per congiungere i diite segmenti del se-
micìrcolo, che costituiscono l'Esedra sudc^tta.
r
L 25
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— 188 —
Superiormente a questo passaggio^ di fronte al prospetto
della chiesa degli Angeli, trionferà, in proporzioni colossali,
lo stemma della dinastia regnante, sostenuto, d'ambe le parti
da due geni piangenti, scolpiti in marmo, o in bronzo.
Nella parte opposta, che guarda la via Nazionale, sarà
l'Italia personificata, scolpita in marmo, che piangente addi-
terà all'Europa, attonita, (personificata aneli essa) un grande
medaglione col retratto in mosaico deirestinto Sovrano.
Si è detto già, che nell'interno del pronao, al piano ter-
reno, innalzato di pochi gradini dal suolo stradale, saranno
rappresentati tutti i fatti che si riferiscono alla vita di Vit-
torio Emanuele II?
Nell'attico poi, ossia nel piano superiore, sarà un museo,
ove si conserveranno le corone ed altri donativi, offerti dalle
varie citta e provincie del Regno, da corpi costituiti, dagli
ufficiali dell'esercito e privati individui, e deposti sul feretro
del compianto Principe.
Sulla balaustrata, che coronerà l'attico, per nascondere
il tetto, saranno statue sopra piedestalli a piombo delle co-
lonne, le quali rappresenteranno, se non tutti, la maggior
parte almeno, di quei Re longobardi, che dominarono per più
di due secoli una gran parte d'Italia, da Odoacre a Desiderio.
Nel punto poi centrale dell'Esedra sarà la statua colos-
sale equestre di Vittorio Emanuele IP gettata in bronzo ,
posta sopra uno scoglio, che parrà risorto in vita, ed uscito
dal suo avello (posto che il monumento religioso si faccia
entro la chiesa degli Angeli, sul piazzale di Termini) e che
passando sotto il tempio de'suoi trofei, entri trionfante nella
città Eterna da Lui redenta dal dominio straniero, e per Lui
tornata ad essere capitale d'Italia, come fu una volta capi-
tale dell'Universo.
Roma, 17 Gennajo issi.
Giuseppe Verzili Architetto Ingegnere
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— 183 —
XXXIV.
ALLA MAESTÀ
DELLA II08TIA kVQVaTk B OIACIOSA 80VIANA
MARGHERITA
REGINA D' ITALIA
PER IL SOO FAUSTO RITORNO A ROMA
DAL TRIONFALE VIAGGIO IN SICILIA
Palermo, Siracusa, Eana, Messina
Acclamavan festose al Tuo viaggio,
E, come a bella apparizion divina.
Archi ed altari ergean sul Tuo passaggio.
Affrica si commosse a tanto raggio
Della risorta potestà latina,
E, genuflessa a Te davanti, omaggio
Porger Ti volle come a «uà reina.
Alla gran madre nostra or volgi il piede.
Che figlia cara e perla sua Ti noma
E amor Ti giura sempiterno e fede,
Ch^, dalle Tue virtù conquisa e doma,
Suddita volontaria a Te si diede
La domatrice delle gentil Roma.
Roma, gennaio mdggclxxxi.
Luigi Arrigo Rossi
NeUa Poesia e B pemiero del core » del medesimo autore è incorso un
errore di stampa. Il terzo verso dell' antipenultima strofe deve leggersi cosìi
« Di ninna cosa infuor di te m* appago »
i//^/y
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— 184 —
PUBBLICAZIONI RICEVUTE IN DONO
Belli (Giacomo) La Divina Commedia di Dante Alighieri tradotta in praa.
Roma^ tipografia della Pace, piaxta della Pace 35, 1875. In 8/ di pag. 361.
Sonetti Roma ece.» 1877. In S.*' di pag. 06.
BiADEGO (Giuseppe) Dei versi di Maria Alinda Brunamonti nata Bonacci
{EstraUi dal giornale V Adige, NJ 46, 47, 48, 49 e 50). Verona, stabUi'
mento tipografico di G. Civelli, 1876. In 12.® di pag. 84.
Biblioteca della gioventù' italiana. Anno XIII. Gennaio 1881. // Sol-
valore, Poema di Davide Bertolotti. Torino, 1881, tipografia e libreria
Salesiana, San Pier d* Arena, Lucca, Nitxa Marittima, in i29 di pag. 275.
Febbraio. Lettere di Giuseppe Giusti scelte pei giovinetti a cura di Gae-
tano Debò. Volume primo, Torino eee. In 12.<» di pag. 254.
Corradi (Alfonso) Clemente Sibiliato e Giambattista Morgagni, accuse e di-
fese (letta nell'adunanza del 4 maggio 1876 , del R. Istituto Lombardo di
Scienie e Lettere) (Estratto dai Rendiconti del R. Istituto Lombardo di
Scienze e Lettere, Serie U, voi. IX, fase. XL Milano 1876, tip. Remar-
doni. In 8.® di pag. 32.
Broli (Giovanni) La coronazione di M. F. del Ghirlandajo e la Madonna
del Libro di Raffaello, classici dipinti descritti ed illusiratù Nami, t^-
grafia Umbro-Sabina mdccclxxx. In 8! di pag. 125 e figure. — Breve
istoria della namese tipografia, di pag. ix.
Fayaro (Antonio) Sulla Biblioteca matematica italiana del prof. P. Riccardi.
Cenni (Estratto dal voi. VII , ser. V degli Atti del R. Istituto veneto di
scienze, lettere ed arti). Venezia, 1880, tip. Antonelii. In 8.® di pag. 18.
Henri (Charles) Sur divers points de la theorie des nombres remarques hi-
storiqueSy Séance du 17 oout 1880 (Association francaise pour Vavancement
des Sciences, Congrès de Reims 1880) . Reims, J. Justinart, Independani Remote.
Paris, au secrétariat de l' association, Rue de Rennes, 76. In 8.'' di pag. 7.
Considérations sur quelques formules intégrales doni les valeurs peuoent
étre exprimees en certains cas par la quadrature du cercle. Mémoire de
Léonard Euler, publié conformément au manuscrit autographe Bulletin des
sciences Mathématiques et Astronomiques , etc. Paris , Gauthier- Villars ,
imprimeur-Libraire y du bureau des longitudes ^ de fècole polgtechnique^
successeur de Mallet-B achelier, quai des Augustins 55, 1881. In 4! di pag. 52.
Sur le calcai des dérangements (Extrait des Nouyelles Annales de Ma-
thématiques, 2« sèrie, t. XX, 1881). Paris, imp/de Gauthier- Villars, quai
des Augustins 55. In 8.» di pag. 4.
LucAS (Edoardo) Principii fondamentali della Geometria dei tessuti (Estratto
dai fase. T ed S (Anno VI) del Periodico mensile L'ingegneria Civile e le
Arti lodustriali) Torino, tip. e Ut. Camilla e Bertolero, Via Ospedale 18,
1880. in 8 di paff. 32 e tabella dei disegni fondamentali.
Morsolin (Bernardo) Giovanni da Schio o la critica ne* tempi più oscuri della
storia di Vicenza (Estr. dal voi. VI, ser. V, degli Atti dei R. Istituto ve-
neto, di scienze lettere ed arti). Venezia 1880, tip. Antonelli. In 8? di pag. 28.
MtJiNTz (Eugene) Notice sur un pian inédit de home au XV^ siede (Extraii
des proeès^erbaux de la Sociétè nationale des Antiquaires de France. Seance
du 21 avrii 1880). Nogent-le-Rotrou, imprimerie Daupeley Gouverneur. In 8.^
di pag. 7, e figura
Pedinino (Antonio) Catalogo ragionato dei libri di prima stampa e delle edi-
zioni aldine e rare esistenti nella Biblioteca nazionale di Palermo. Voi. II.
Palermo, stabilimento tipografico Lao 1S80. In 8T di pae. 422.
Salvo -Cozzo (Giuseppe) Lettera al barone Raffaele Strarrabba. Sulle notizie
biografiche e bibliografiche degli scrittori napoletani fioriti nel secolo XVII
compilate da Camillo Minieri-Riccio. Palermo, stabilimento tipografico Virzì,
1876. In 8.0 di pag. 40.
Tessier (Andrea) Tre lettere di Apostolo Zeno, ora per la prima volta pub-
blicate con annotazioni. (Per le nozze deiregregio signor D.'' Giuseppe Ma-
donini e della amabilissima signorina Annetta Artelli). Venezia, co'tipi di
Pietro Naratovich mdccclxxxi. In 8." di pag. 15.
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Serib II. VoL. XIV.
Giugno 1880
I L
BUONARROTI
D I
BENVENUTO GASPARONI
CONTINUATO PER CURA
DI EINRICO NAnR9rCCI
PAG.
XXXV. Docomenii inediti dell'arte toscana dal XII
al XVr secolo, raccolti e annotati da G.
Milanesi {Continuazione). ...» 185
XXXVI. Descrizione d» tutte le colonne ed obelischi
che trovausi nelle piazze A Roma, di-
sposta in forma di guida da Angelo
Pellegrini ecc. (ContinuSione), , * 195
XXXVII. Della storia, della scienza e dell* arte inse-
gnativa considerata in "^* *^*'/jne'suoi
rapporti colla stor' '^«I^'S-icienza e
deirarte letteraria (Pr^ Gabriele
Deyla) Q . ., » 213
XXXVIII. Il nihilismo cb^ chiede la costituzione allo
Czar Alessandro III. (Luigi Arrigo
Rossi) » 223
Pubblicazioni ricevute in dono » 223
ROMA
TIPOGRAFIA DELLE SCIENZE MATEMATICHE E FISICHR
VIA latan! 3.
1880
PuLblicato il 13 Aprile issi
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^( Oca U
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IL
Qii(Dsi^3iiSi(i)^a
SfiEiB II. VoL. XIV. Quaderno VL
Giugno 1880
XXXV.
DOCUMENTI INEDITI DELL'ARTE TOSCANA
DAL XII AL XVI SECOLO
RACCOLTI E ANNOTATI
DA G. MILANESI
Continuazione (1)
N.* 27. 1310, 8 di giugno
M^ Fino di Dato piglia ad insegnare Varie sua dello scarpello
e del legname a Donnino di Lapo da Brozzi.
archivio detto. Rogiti di ter Arrigo di Benintt. Protocollo dal i308 al 1S14, e. 68.
Actnm in populo Sancii Donnino (sic) - Donninus filius q. tapi
populi plebis de Brozzi posuit se et personam soameum maestro
Fino Dati dicti populi ad discendam artem et misterium ^rtis la-
pidis et lignaminis hinc ad tres annos proxime yenturos , promit-
tens et convéniens eidem magistro Fino cum eo ire et Stare ad omnia
et singula làboreria ad que dictus magister Finus staret ad labo-
randum, et in dictis laboreriis et quolibet eorum sibi suis expensis
propriis servire bene et condecenter ad requisì tionem dicti magistri
Fini per totum dictum tempus - et eidem magistro Fino dare et sol-
vere prò suo salario et mercede libras viginti flor: parv: in tribus
vicibus, scilicet in Gne cuiuslibet dictorum trium annorum libras
sex sol: tredecim et denar: quatuor fior: parvor: - Et hoc ideo quia
dictus magister Finus promisit eidem Donnino ipsnm ducere et tenere
secum ad dieta làboreria, ad que dictus Finus laboraret et staret
per totum dictum tempus et eum docere dictam artem bene et le-
galiter - et sibi dari facere ab ilio sen illis personis , cuius vel
quorum fuerint talia làboreria, maius salarium siue pretium qnod
ipse magister Finus potuerit etc. quod salarium sit dicti Donnini-
N."" 28. 1310, 10 di settembre
Confessione fatta da Betto di Ranuccio da Lucca ^ e da Ruota di
Guiduccio da Montelupo di aver ricevuto 500 fiorini (te' 1300
che dovevano riscuotere dal promotore della chiesa di S. Croce
(1) Vedi Quaderno precedente, pag. 151.
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— 186
di Firenze per conto di legname e magistero messo nella eostrur-
zione di detta chiesa.
Archìvio detto. Rogiti di S. Obito da Pontremoli. Protocollo dal 1108 al i3ll, e. 194.
In dei nomine Amen. Anno a nativitate domini Millesimo. Tre-
centesimo decimo, Indit. viij, die decimo Septembris. Actum Fio-
rentie in loco Fratrum minoram presentibus testibus Chone olim
Brunetti de Quercieto et Lapo Persi de Remto servitorihus Inqui-
sitoris. Bettus qaond. Ranuccii Salomonis Cari de Luca pop: S. Mi-
chaelis et Ruota filius Guiducii de Monteiupo prò se ipsis et prò
eomm sotiis fuerunt confessi et contenti et recognoverunt se habuisse
et recepisse prò se et dictis eorum sotiis a Richupero Caccini pop:
Sci: Jacobi inter foveas de Fior: et procuratore operis ecclesie Sancte
Crucis, florenos auri quingentos de summa mille trecentorum florenor.
auri, quos ipsi et predicti eorum sotii debebant babere et recipere
prò lignamine et magistratura lignaminis diete ecclesie , ut conti-
neri dixei*unt scriptura publica facta manu ser Bartoloinei Ghian-
delfini de Luca notarii, compulatis in dieta summa quingentorum
floren: auri, trecentis florenis auri, quos dictus Bettus et Johannes
Spiafamis not. fuerunt confessi prò se et sotiis eorum se habuisse
et recepisse a Bonaguida Fabri Tolosini in civitate lucana de summa
predictor: mille trecentorum florenorum auri, ut contineri dixerunt
scriptura publica facta manu dicti ser Bartholomei not.
N.*» 29. 1314, 12 di gennaio
Sepoltura di marmo de'Mannelli presso il chiostro di S. Maria No^
velia allogata a scolpire a Lapo di Ricevuto maestro fiorentino*
^archivio d«tfeo.
Rogiti di ser Gio. di Gino da CaI«niano. Protocolio dal i3lS al lSi4t e. 286 verso,
Mcccziiij, die duodecimo Januarii. Actum Florentie, presentibus.
testibus Fratre Johanne de Bostids ordinis Predicatorum et con-
ventus ecclesie S. Marie Novelle Fior:, Johanne Medaglie et /o-
hanne Bracchetti familiaribus et servitialibus dicti conventus et aliis.
Reli|iosus vir frater Johannes de Ultramo oordinis Predicatorum
de dicto fiorentino conventu, operarius ecclesie sanote Marie Novelle,
suo nomine et in vice et nomine fratrum et capitali dicti conventus,
locavit raagistro Lctpo quond. Ricevuti pop: Sancti Laurentii de Fio-
rentia opus et laboreriukn cuiusdam monumenti et sepulture fibnde
bine ad festum beate marie mensis augusti proxime venturi prò illis
nobilibus viris de domo de ManneUis civibus florentinis , in muro
seu iurta murum claustri diete ecclesie, in loco inferius confinato,
cui ab uno latere platea nova diete ecclesie, a ij® porta dicti cbustri,
a ii)® muruft dicti claustri , a iiij^ monumentum taddei tieri dietìr
salvia vel si qui sunt ueriores confini, prò salario et pretio in summa
librarum centum septuaginta florenonim parvorum: quod quidem sa-
larium et pretiìim promisit eidem magistro Lapo &ibi dare et solvere
paulatim et inter et plures vices prout idem frater Johannes viderit
convenire, prò emendis marmoribos, lapidil^us, calce^ arena et aliis
opportunis ad predictum laborerium faciendum; et postquam idem
magister compleuerit et perfecerit dictum laborerium in dictum ter-
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— m —
minitm, ut ipse magiflter promisit ut inferius continetur^ eidem ma-
gìstro solvere residuum et complementam totias dicti pretii et salari!.
Item dictus Magister Laptm in conducendo promisit et convenit
dicto fratri Johanni -- dictum monuraenCum et sepulturam in «dicto
loco supra confinato , facere et murare de lapidibus et calcina et
marmonhus albis et nigris tante altitudinis et amplitudinis et pro-
fìinditatis et talis forme, quante et qualis sunt alie sepulture mar-
moree circumstantes facte in dicto seu insta (sic) dictum murum: et
ad pedem diete sepulture facere aliam sepulturam ad modum capse,
de lapidibus et calce, et dictum laborerium facere et compiere bona
fide sine fraude.
Item postea die ({uarto febmarii.
Niccholaus filius magistri Lapi suprascripti pop: S. Laurentii
et Coppua quondam Andree dicti populi, magistri lapidum, et uterque
eorum in solidum — se obligaverunt - ad supradictum laborerium
et opus faciendum supradicti monumenti et sepulture, prout et sicut
per omnia et in scdidum - se obligaverat magister Lopus predictus.
N.*» 30. 1320, 17 d'aprile
Allogazione a Pietro Lorenzetti da Siena
della pittura deila tavola deiV aitar maggiore della Pieve d* Arezzo.
Archivio detto. Rogiti di ser Attoldo di Baldinaccio d'Areno. Protocollo del 1320.
In nomine domini Amen. Anno Xpi a Nativitate millesimo
occ.xx, Indictione tenia, tempore domini Johannia pape, die xvij mensis
aprilis. Actum apud ecclesiam Sancti Angeli in Arcaltis extra et
iuxta Cimiterium ipsius ecclesie, coram domino Gerio canonico are^
tino, domino Mignolo mansionario ecclesie sancti Angeli in Arcaltis,
testibus. Magister Petrtés pictor quondam Lorenzetti^ qui fuit de Senis,
soUepniter et sponte promisit et convenit venerabili patri domino
Guidoni dei gratia episcopo Aretino stipulanti et recipienti prò vice
et nomine plebis sancte Marie de Aretio , pingere tabulam Beate
Yirginis Marie deputandam in ipsa Plebe, de pulcberrimis figuris:
in cuius tabule medio debeat esse yma?o Yirginis Marie cam filio
et cum quatuor figuris coUateralibus ad voluntatem ipsius domini
Episcopi, laborando in campis et spatiis ipsarum figurarum de optimo
auro de C foliis prò floreno et regulos et campos ipsarum figurarum
de auro predicto et alia ornamenta de optimo argento et de optimis
et electis coloribus et mietendo in ipsis quinque figuris azurrum
ultramarinum electum, et in aliis circumstantiis circumferentiis et
spatiis ipsius tabule pingendo ymagìnes profetarum et sanctorum
ad voluntatem ipsius domini Episcopi de bonit et electis colorilma.
Debeat esse longa vj bracchia et alta in medio vj braccbiis {Me)
absque duabus colupnis, quarum quelibet debeat esse ampia medio
bracchio et in qnalibet esse debeant esse (sto) vj figure laborate de
auro predicto et debeat ipsum laborerium approbari per ipsum do-
minum Episcopum et alios quos voluerit; et debeat incipere ipsum
laborerium incipere (sic) ad voluntatem ipsius domini Episcopi statim
postquam facta fuerit ipsa tabuja de lignamine, et in ipso laborerio
supersedere continue usque ad perfectionem ipsius tabule, non adsu-
mendo aliud laborerium etc. Et hoc ideo promisit, quod dictus do-
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I8S
minus Guido promisi! eidem facere d9ri et assignari ipsam tabulam
coQStructam de lignamine et eidem soluere prò salario ipsius picture
et prò coloribas, argento et auro centum sexaginta libras pis. scilicet
tertiam partem in principio operis, tertiam partem in medio operis,
et reliquam tertiam partem opere completo et perfecto etc. etc. etc.
N."" 31. 1328, 6 di dicembre
Silvestro di Cambio st alloga per tre anni con Jacopo di Cionino
sellaio , a fare , lavorare ed ornare le selle d' osso con figure
di leoni.
Archivio detto. Rogiti di ser Parente Bencivenni, FiUa dal 1125 al ISSS, e. 78.
Actum Florentie presentibus testibus - Nerio quondam Jannis
spetiario pop: S. Marie Nipotecose et Lapo quond. Vannis pop:
S. Michaelis Vicedominor.
Siluester Glius quond: Cambii pop: Sancte Marie Nouelle lo-
cavit et se pacto posuit cum Jacobo Cumini sellano pop. S. Micbaelis
in Palchetto, cam pactis et conditionilms infrascriptis, in termino
duorum annorum proicime futurorum incipiendorum in kalendis
mensis Januarii proxime yenturi , ad faciendnm et laborandum et
ornandum sellas de osse ad figuras, et de figuris leonum vel alias
figuras relevatas; et promisit et conyenit dictus Siluester dicto Ja-
cobo toto dicto tempore et termino stare cum dicto Jacobo ad labo-
randum et faciendum ipsas sellas bene et diligenter, bona fide sine
fraude, toto suo posse: et versa vice dictus Jacobus promisit et con-
yenit dicto Silvestro dare et solvere eidem Silvestro prò qualibet bu-
iusmodi sella , quam ipse Silvester sic modo predicto laborabit et
omabit, tres florenos anri et dimidium alterius floreni auri inconti-
nenti, postquam ipsam sellam fauiusmodi sic laboratam et omatam
compleverit.
N."" 32. 1330» 25 di settembre
Compagnia alV arte delle coperte di cuoio da cavalli di gesso e di-
pinte, fatta tra Matteo Rosselli, Chiaro di Michele, e Bartolo
Gioggi pittori fiorentini , da una parte ; e Pasquino di Cenni
pittore da Siena ^ Landuccio e Duccio di Falcone pittori luc-
chesi , e Vanni di Mino detto Pilorcio , pittore da Siena ,
dalV altra parte.
Archivio detto.
Rogiti di Ser Parente di Bencivenai-CassetU. FiUa dal 1325 al 1S3S, e. 107 verso.
Actum Florentie, presentibus testibus ad hec uocatis et rogatis Vgh^
lino pievi et Agevole Corsi populi Sancti Michaelis Vicedominorum
de Florentia et aliis.
Mcuiteus Rosselli pictor populi sancti Laurentii, Chiarus quondam
Michelis^ populi Sancti Michaelis Vicedominorum, et Bart?iolus Gioggi
pop: Sancti..». pictor, ex una parte; et Pasquinus Cennis pictor de
Senis qui moratur Florentie in dicto populo sancti Micchaelis Vice-
dominorum prò se ipso et suo nomine proprio ac etiam suo proprio
et privato nomine prò se obligans prò Landuccio et Duccio fratribus
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— 189 —
et filiis quondam Falconis de Lucha, qui hodie morantur in populo
Sancii Laurentii \, et prò Vanne Mini uocato Pilorcio^ dicti populi
$an€ti Micbaelis Vicedominorum, sotiis ipsius Pasquini^ prò quibus
de rato promisit eie, ex parte altera; contraxerunt et fecerunt Inter
se et sibi ad invicem et yicissim sotietatem spetialiter et nominatim
de infrascriptis rebus infrascripto modo, in arte et de arte pingendi
cum infrascriptis modis et pactis, tenore et conditione, videlicet:
In primis quod dictus Pasquinus prò se ipso et predictis suis
sotiis teneatur et debeat ponere et mietere ad presens in dieta so-
tietate et coi-pore diete societatis tria paria couertarum de corio
releuato cum testerìis actis ad fulciendum equum (sto), que uulga-
rìter vocantur et appellantur inter eos coi^erte da vantaggio rileuate
chon gesso; et quod predicti Madeus^ Chiarus et Bartholus teneantur
et debeant ad presens mietere et ponere in dieta sotietate et cor-
pore diete sotietatis duo paria similium couertarum consimilis ualute
et pretii. Et banc sotietatem de dictis couertis durare et valere vo*
luerunt predicte partes bine ad unum annum proxime uenturum ad
mìnus y et etiam tanto tempore ultra plus , sì dieta quinque parìa
dictarum couertarum, ut dictum est, per dictas partes ponenda ad
presens iu dicto corpore diete societatis, non uenderentur uel uendi
non possent. Et quod etiam quelibet pars possit et sibi liceat intra
dictum tempus vnius anni mittere et ponere in dieta sotietate et
corpore diete sotietatis quot parìa uoluerint de dictis couertis ad
rationem predictam et modo predicto, prout quamlibet partem tangit
modo predicto, videlicet, quando dictus Macthetis et sotii micterent
et ponerent duo paria; predicti Pasquinus et sotii teneantur et de-
beant mietere et ponere tria paria et e conuerso. Et quod predicte
partes possint et debeant ipsas covertas quam citius commode po-
terunt vendi seu uendi facere, et pecuniam et pretium ex ipsis per-
cipiendum possit et debeat per ipsas partes dividi et sortirì, et de
ipso pretio et pecunia possint et debeant predicti Pasquinus et sotii
percipere predicti Mactheus et sotii reliquas duas partes de ipsis
quinque partibus. Itan quod predicte partes teneantur et debeant
ponere et mietere de pretio et pecunia percipienda de buiusmodi
couertis ut dictum est , per eos vendendis , duos florenos auri de
qnolibet et prò quolibet pario ipsarum couertarum, que sic uende-
rentur ut dictum est, in quadam capsa duas claues habente; quarum
clavium unam teneat dictus Pasquinus et aliam dictus Mactheus ^ et
postea quando voluerint saltem duabus vicibus in anno dictam capsam
debeant et possint aperire et pecuniam que tunc ibi erìt invenientes
dividere et sortirì et de ipsa facere septem partes, quarum quatiuor
debeant et habere et percipere possint dictus Pasquinus et sotii, et
reliquas tres partes predicti Mactheus et sotii. Item quod diete partes
et quilibet dictarum partium possit et eis liceat ire et mietere ad
uendendum et uendere extra civitatem et comitatum Florentie que-
cumque laborerìa eorum artis voluerìnt et inde facere quicquid
voluerinty non obstantibus supradictis; dum tamen primo et ante omnia
faciant et observent inter se omnia suprascrìpta per eos promissa ^
etc. etc. etc*
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— 190 —
N.° 33. 1331, 7 di giugno
Andrea di Neri pittore aretino promette di dipingere un aitare
colle ^ue pertinenze in ima cappella della Pieve d^Arezzo.
ArchMo dell». Rogiti di fior Astoldo di Baldittuooio d'AresKO. PNtoeoNo dal ISSi d ISIS.
Andreas pictor ollm Nerii promisit presbitero Goro Isacd ca-
pellano plebis sancte Marie in capella Jacobi olim Pauli pingere
altare ipsius capelle noviter constructum in dieta plebe et perti-
nentia ipsius altaris<»secunduminfrascriptummodum, incipiendo ipsum
opus usque ad perfecùonem ipsiiis operis, non adsumendo aliud la-
borerium. Et hoc facere promisit prò pretio et salario quatuor fioren.
auri: de quo pretio confessus est se recepisse duos florenos auri a
dicto presbitero Goìo. Reliquos vero duos florenos auri prefatus pre-
sbiter Crorus promisit dicto Andree solvere statim dicto opere com-
pleto et perfecto.
N."" 34. 1331, 2 d'agosto
Corso di Giovanni si pone cui imparare la pittura
da Duchino di Niccoluccio pittore liÀCche$e dimorante in Firenze.
ArehivU detto. Rogiti di Ser Piroite leiiciTmii. fiUa dal iSSS al |S31» e. i4f.
Actum Florentie, presentibus testibus ad hec vocatis et rogatis
Martino Bolgie de Podiouento et bonuccio ridolfi pop: S. Micbaelis
Vicedominorum, et ser Bernardo benciuennis et aliis.
Corsus Glius quondam Johanm» pop: S. Miccbaelis Yicedomi-
norum , pacto se posuit cum Duchino quondam Niccholuccij dicti
populi, pictore, ad adiscendam artem pingendi, et sibi serviendi in
dieta arte in termino vnius anni intrati in kalendis presentis mensis
augusti. Qui Corstcs promisit dicto Duchino eidem servire in dieta
arte et laborerio et pingere de laborerio et misterio diete artis de die
et de nocte, et sibi obedire et ab eo non discedere sine eius licentia
usque ad dictum terminum, et res et bona dicti Du^chini salvare et
custodire bona fine sine fraude, ac etiam Junta frater dicti Corsi et
filius quondam dicti Johannis dicti populi, ex certa scientia et non
per errorem et sciens se non teneri et volens teneri , promisit
dicto Duchino se facturum etc, quod dictus Corsus predicta omnia
faciet etc. Et dictus Duchinus promisit dare et soluere eidem Corso
prò eius salario et mercede dicti anni , libras viginti tres fior,
parvorum etc.
N.* 35. 1331, 1 di marxo
Pagamento a M.^ Agostino di Giovanni da Siena ed a Giovanni
suo figliuolo d'una parte del prezzo pel lavoro di una cappella
nella Pieve d' Arezzo.
Archivio dttto. Rogiti di 8. Astoldu di Baldinoccio d'Aresso. Protocollo dal IS3i al iStS.
Magister Augustinus Johannis de Senis et Johannes eius filius
fuerunt confessi se babuisse a presbitero Goro cappellano Plebis
decem libras et xi sol: pis: de summa xxvij librar, quas debent ab
eo recipere de laborerio capelle ipsius presbiteri Gori- de quo la-
borerio fuerunt in concordia cum eo et Jacopo Ghini et Finuccio
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Vbertìni : quod laborerium promisit perducere ad effectum hìnc ad
Pasca Resurrectionis.
N.^ 36. 1333, 8 di giugno
Guido del fu Ghezzo pittore da Siena cede a Matteo Kosselli pit-
tore da Firenze un credito che aveva contro Paolo d' Andrea
pittore senese»
Archivio detto» Rogiti di Ser Parente di BenciveDoi. Filsa dal 1325 al 1333, carte I84i verso.
Actuin Florentie in populo S. Micchelis Vicedominorum in
apotkeca domus habitationis mei Parentis , presentibus testibus ad
faec vocalis Sandro Johannis et Pasquino Cennis (l) pop. S. Michaelis
Vicedominorum et Cambio Angnoli de Fulgineo pop: Sancii Mi-
chelis in Palchetto.
Guido olim Ghezzi (2) de populo S. Donati de Senis, ut uerns
credilor, ante solutionem pretii infrascripti, uendidit, transtulit et
mandavit Macteo Rosselli (3) pie tori pop: S* Laurentii de Florentia
debitnm et jus et nomen debiti sex fiiorenorum auri ex maiori summa
xij florenorum auri, quos Pcmlus olim Andree (4) pictor de populo
Sancti Anthonii, et dictus Guido^ ut principales, et Ser Jacobus olim
Ser Bendi eorum fideiussor, ex causa mutui reddere promiserunt Fran-^
cischo olim domini Schotti de Schottis civi Senensi, prout de dicto
principali debito constat scripturam publicam factam manu Ser Jo-
hamnis Chele de Senis notarii ; de quibus sex florenis auri dictus
Chddus babuit jura cessa a dicto Francisco contra dictum PaiUum^
prout constat manu dicti Ser Johannis notarii. Item quoddam alium
debitum et jus et nomen debiti quattuor floren: auri ex summa octo
florenor: auri , quos octo florenos auri predicti Guido et Paulus et
uterque eorum in solidum ex causa mutui reddere promiserunt
Petro olim BlasH domini Cini de Bemarducciis de Senis, prout constat
manu Ser Jacobi Ser Bendi notarii. Et de quibus quattuor florenis
auri dictus GtUdo babuit jura cessa a dicto Petro^ ut constat manu
Ser Johannis c[uond. Naddi notarii. - Que instrumenta predicta dedit
eidem, et tradidit incessa. - Et prò dieta cessione fuit confessus se
habuisse a dicto Mactheo ^ àecem fior: auri.
(1) Pasquino di Cenni che fu pittore senese, dimorante in Firenze, è
nominato nel Libro de' Capitoli della Compagnia de' Pittori fiorentini intito-
lata a S. Luca, della quale egli era nel i339, quando fu fondala, uno deXapitani.
(2) Questo Guido pittor senese fu figliuolo di Ghezzo di Guido che fece
la medesima arie. Le sue memorie cominciano fino dal 1318. Nel i84Q abi-
t iva con Giovanna sua moglie nel popolo di San Piero alla Magione , allora
fuori della Porta a Camollia.
(3) Appartiene alla famiglia de^Rosselli antichi, da cui uscirono Rossello
suo padre, Tieri e Scalore suoi zii, tutti pittori, de'quali sono riportati indietro
alcuni documenti sotto Tanno 1295. Di Matteo, che ebbe un figliuolo di nome
Iacopo , nel quale si estinse la sua famiglia, sappiamo che verso la metà del
secolo XIV dipìnse a fresco una parete della chiesa di s. Michele Bisdoraini
uno inferno^ nel quale introdusse tra ^li altri personaggi, il duca d'Atene.
(4) In Siena non si ha di guesto pittore nessuna memoria. Invece lo 'tro-
viamo registrato sotto gli anni 1343 nel libri delle Matricole de'Medici e Spe-
ziali di Firenze, alla quale arte erano ascritti, come si sa, i pittori.
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— 191
N.® 37. 1334, 28 di gennaio
M.a Giovanni di Af.o Agostino da Siena piglia a fare da mess: Ro-
berto de* Tarlati da Pietramala una cappella di marmo nella
chiesa del Vescovado d^ Arezzo*
Archivio dttto. Rogiti di Str Aftoldo di Baldinacdo d'Aretso. Protocollo del ISS4.
1334, Die xxviij mensis Januarii. Actum in domo mei notarli, pre-
sentibus Petro quondam Maynotti Anicci^ Simone Chini Pticcti Grassi^
Ciardo Riccii^ Cecche Petri^ Francisco not. Clio mei notarli, testibus.
Magister Johannes filiùs magistri Augustini de Senis promisit Cecdio
quondam Finaccii de Hostiena domicello et familiari nobilis militi^
domini Roberti de Pietramala, stipulanti et recipienti vice et nomine
ipsius domini Roberti^ facere et construere prò ipso domino Roberto
in Ecclesia Episcopatus Aretini bine ad kalendas Julii prozime uen-
turi vnam capellam de bono et electo marmore largam et altam et
pulcram, sicut est capella filiorum Chini PiACcii Grassi que est ia
plebe sancte Marie de Aritio, et ad ipsius capelle similitudinem et
cum omnibus ornamentis, figuris et sculturis designatis et factis in
ìpsa capella , salvo quod non teneatur facere altare ipsius capelle ;
prò pretio et nomine pretii quinquaginta qulnque florenorum de
auro : de quo pretio prefatus Magister Johannes fuit confessus se
recepisse dicto Cecche dante prò ipso domino Roberto et de ipsius do-
mini Roberti pecunia, decem octo floren: auri: totum antem residunm
dicti pretii prefatus Cecchus promisit soluere dicto Magistro Johanni
in terminis declarandis per Simonem olim Chini Pium Crassi (I).
N.** 38. 1335, 18 di maggio
Compra della terza parte d^una casa
fatta da Bernardo Daddi pittore fiorentino
Archivio detto.
Rogiti di Ser Benedetto di Michele. Protocollo dii] 1IS8 al 1S35, carte 215 vrto.
In del nomine. Anno ab elus Incarnatlone Millesimo Trecen-
tesimo trigesimo quinto, Indictione terda, die octavo decimo mensis
mali Actum Florentie , presentibus testibus Mancino Sostegni po-
puli Sancte Reparate et Baldera Lapi pop: S. Laurentii, et Micfie-
lino Franchi populi Sancti Miccbaelis Yicedomlnorum ad hec vo-
catis et rogatis.
Domina Chiara filia Satini Mantadii^ et uxor Lapi olim Ghuccii
pictoris pop: Sancti Laurentii de Florentia babitis in omnibus et
singulis infrascriptis parabola et consensu dicti Ratini patris sui et
dicti Lapi elus viri, -vendidit- Bernardo olimDad(2i(2)pictori populi
(1) La cappella architettata e scolpita da maestro Giovanni nel vescovado
d*Arezxo per iness. Roberto Tarlali non esiste più da gran tempo; come non
esiste r altra cappella qui ricordata nella Pieve della suddetta città , che fu
allogata a scolpire al detto Giovanni in compagnia di m."* Affostino suo padre,
dalla quale allogazione si può vedere lo strumento del 7 di febbraio 1333 ,
pubblicato a pag. 200 del voi. I, de* Documenti per la ttoria dell'arte teneee.
(2) Di Bernardo Daddi pittore fiorentino e scolare di Giotto, vedi quel
che è detto nel Commentario alla Vita di Stefano Fiorentino e dTgolino Se-
nese posto nel voi. I, p. 439 e seg. delle Opere del Vaeari. Firenze, Sansoni,
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— 193 —
sancii Laurentii de Florentia - tertìam partem prò indiviso cuiusdam
domus cum curia murata et orto et puteo et ficubus et vitibus et
arboribus, posite Florentie in dicto pop: Sancti Laureatii in Via
Larga extra portam murorum -veterorum (sic) civitatis Floi^entie^ que
Yocabatur porta Spatariorum, cuius domus, orti, curie et rerum
hos dixit esse confines : a j^ via , a ij® olim domine Tesse de Lam-
bertis, et hodie heredum Segue Bcddticcii, muro comuni et terminis
in medio usque ad tectum diete domus; a iij® filiorum ser Rimbal-
dini; a iiij*^ Chelli pennaiuoli siue Tehaldi Gabrielli^ muro comuni
et terminis in medio - Pro qua uenditione - dieta domina Chiara
uenditrix fuit - confessa - recepisse nomine insti pretii a dicto Ber^
nardo emplore, libras septuaginta fior, parvor.
N.* 39.
1337, 18 di dicembre
Ordine che a Francesco Cennamelli (1) sia pagata la pittura
fatta nella Sala della Residenza de* Consoli deWArte della Lana.
Archivio dt Stato in Firenze,
DeliberaBÌooi de* Gonio]i dell' arte della Lana. Voi. 49, ili, verso,
Item quod libr. ducente octuaginta novem fior: parv: olim so-
lute per Ffilicem Berti camerarium diete artis et prò Guicco Tetti
de lizzano et Tido Migliorati et sotiis, pluribus et diversis personis
prò pretio lapidum , calcis et mattonum , ferramentorum et ligna-
minum et in salariis et prò salario magistrorum et manualium prò
ianua seu porta domus diete artis noviter facta , sen reactata tem-
pore officii Gonsulum diete artis prozime preteriti vigore apodixe
1878 , in 8? Alle copiose notizie nuove , e per la massima parte date da noi
intorno a questo artefice, degnissimo di maggior fama, tra le cui opere é ora
da assegnare la bella tavola di N. D. nel tabernacolo d*Or S. Michele» aggiun*
geremo (|ui che egli morì certamente nel 1348 ; e forse vittima della gran
morìa di quell'anno, e che questo è l'alberetto della sua famiglia compilato
sopra scritture contemporanee:
Simone del Salto, luogo del Mugello
t
Daddo
Lisa
marito
Benivienì
di Bambo
Bernardo pittore
fioriva 1320 J{i 1348
Tommaso
Daddo pittore
matricolato
nel 1358
I
Francesco
Simone scultore ed architetto,
moglie
Giovanna di Mazzuolo
d' Ugolino
Segna, Bertino,
moglie moglie
Zenobia Niccolosa
nel 1379 nel 1383
(1) Francesco Cennamelli o Cennamella si trova sotto Tanno 1343 nei
molo de' pittori scritti alla Compagnia di S. Luca di Firenze.
27
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— 194 ^—
tane dictor: Gonsulum, potuerunt licite solvi de pecunia diete artis
per dielum Felicem; ac etiam qiiod ipse Felice (sic) de pecunia diete
artis licite dari et solvi potuerit Francischo CennameUi pictori prò
pretio picture quam facit in domo diete arti&, seu in sala diete domus^
iuxta sàgrestiam diete domus - ac etiam quod ipse Felice camerarius
predictus - possit libere et licite expendere et solvere dicco Fran-
cisco CennameUi prò pretio picture quam modo facit in dieta sala
diete domus, videlicet prope puteum diete domus.
N.*» 40. 1338, 9 d'aprile
Pucciarello rf Alberto pittore pisano piglia ad insegnc^e
Varie sua a Giovanni di Martino da Panicale.
archivio detto.
Rogiti di ser Arrigo di Bonamore, notaio d'Arane.^ Protocollo dal IStt ai it44.
Domina Grana relieta Martini Giannis de Paniebali posuit /o-
hannem filium suum et filium suprascripti Martini ad standum et
morandum ad adiscendum artem pictorie cum PtkcdaréLlo Alberti (i)
pictore de capella sancti Nicheli, bine ad sex annos proxime ven-
turos, et prò soUepni stipulatione supi*adicta Grana convenit et pro-
misit isuprascripto Pucciarello facere ei curare ita cum e^Sectu^ quod
supraseriptus Johannes stabit et morabitur e«m diete Pucomrdlo ad
exercendum et adiscendum dictam artem, et ab eo toto suprascripto
termino non discedet et custodiet eum et eius familìam et bona et
de eius bonis non defraudabitur et non consentiet quod de ij^is boms
defraudetur. Et predicta omnia et singula faciet et observabit ei sine
briga etc. , ad penam librar, viginti quinque den: pisanor: Obli*
gantes inter se etc. Qua re supraseriptus Pucciarellus convenit et
promisit suprascripte domine Grane stipulanti prò suprascripto /o-
hanne , ipsum Johannem toto suprascripto termino tenere sanum et
infirmum ^ et dare eidem Johanni victum , vestimentum et calcia-
mentum bene et sufficienter secundum suam facultatem etc. Actum
Pisis in apotecha domus abitationis Tegnini et Cfioli germanor: filior:
olim Bindi de Vico, presentibus ser Gerardo notario de Vivaria et
Bonaccinda notario filio Jacobi de capella S. Viviane testibus etc.
N.*» 41. 1338, 26 di giugno
Viviano del fu Viviano procuratore di Bartolo di Ricco pittore, fa
quietanza a Micbele di Maso suo discepolo nelV arte della pit-
tura^ di tutto ciò che per questa cagione dovesse avere dal detto
Micbele.
Archivio dotto. Rogiti di ler Bartolo di Neri da Rofliano. Protocollo dal Ìt36 al 1339.
In dei nomine Amen. Anno Incamationis eiusdem Millesimo
Trecentesimo trigesimo ottavo , inditione sesta , die vigesimo sexto
mensis Junii. Actum Florentie presentibus testibus hartolo del bene
populi sancti Laurentii et piero banduccii de castro Sancti Jobannis:
Vivianus quond: alterius Viviani pop: Sancti Petri maioins de Fio-
fi) Niente sappiamo di questo pittore pisano.
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-^ 19S —
rentia procurator ut asseruit Battoli jRioc/ii(i)piciorÌ5 populì, ad iafra-
scripta specialiter coostitutus, ut de procuratione ìpsa dixit continetur
ìnstrumento publico scrìpto manu ser Andree Lande notarii , pro-
curatorio nomine prò dicto Bartolo^ gratia et amore fecit finem, quie-
tationem , absolutionem - Micheli quond. Masi popnli Sancte Marie
Novelle, recipienti prò se et suis heredibus, eo quod stetit prò di-
scipulo cum dicto Bartolo ad artem pittorie. Et dixit vidisse com-
putum, et rationem calculasse eiusdem Michelis et invenisse eum in
nullo teneri eidem Bartolo.
(Continua)
XXXVI*
DESCRIZIONE
DI TDTT£ LE COLONNE ED OBELISCHI
CHE TROYANSl NELLE PIAZZE DI ROMA
DISPOSTA ISf F011M4 DI GUIDA
DA ANGELO PELLEGRINI
«JKMBftO dell' IVSTITOTO VI GOlftlSPONDENIA AftCHEOLOftlCA
Coniinuaxione (2)
COLONNA DI FOCA NEL FORO ROMANO
Riprendendo la via di Macel de* Corvi , e quindi imboc-
cando a quella volgarmente detta di Marforio, in cui trovasi
a sinistra il . monumento sepolcrale di travertino di Cajo Po-
blicio Bibulo, che ricorda l'ultimo periodo della repubblica
romana, si giunge al Foro Romano.
Dentro l'area di questo foro, lungo la sponda orientale
della via Sacra, esistono ancora in piedi sette nuclei di pie-
destalli d'opera laterizia, che ressero colonne onorarie innal-
zate a personaggi finora a noi ignoti (3) delle quali colonne
di diverse pietre ne rimangono imponenti avanzi sulP arco
dello stesso foro. Presso i tronchi enormi di esse, più verso
Tarco di Settimio Severo, sorge la colonna di Foca, eretta
a tale imperatore da Smaragdo esarco d'Italia Tanno 6O8 dell'era
(1) Bartolo di Ricco pìUore fiorentino; il qual Ricco fu pittore e genero
di Giotto, ebbe un fratello Stefano parimente pittore» dal quale nacque Giotto
detto Giottino, scambiato dal Vasari con Tommaso 0 Ma$o di Banco pittore
di gran fama a' suoi giorni, e padre di Michele nominato in questo documento.
(2) Vedi Quaderno precedente, pag. 172.
(Z) Se Togliamo eccettuare quella base marmorea ivi ritrovata e ad uno di
essi spettante, ora allato del portone degli orti Farnesiani, che si vuole attri<
buire a Costanzo e Galeno che rimase ai Cesari fino al 300 deirera volgare.
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— Ì9Ù —
volgare, come si ha dalla iscrizione incisa nel suo piedestallo
del tenore seguente:
)^ OPTINO CLEMENTI&fimO pÌSSÌmOQ\Z
PRINCIPI DOMINO n. Focae imperatori
PERPETVO A DO CORONATO TRIVMPHATORI
SBMPER AVGYSTO
SMARAGOVS EX PRAEPOS. SACRI PALATIl
AC PATRICIVS ET EXARCBUS ITALIAE
DEVOTVS EIVS CLEMENTIAE
PRO INNYIIERABILIBVS PIETATIS ElVS
BENEFICIIS ET PRO qiÙETS
PROGVRATA ITAL. AG GONSERi^a^a LIBERTATE
BANG %iatuam maiestaixs Eivs
AVRI SPLENDOre fulgemEM HVIG
SVELIMI GOLvmNae ad perennem
IPSIVS GLORIAM IMPOSVIT AG DEDIGAVIT
DIE PRIMA MENSIS AVGVSTI INDICT. VND.
PC PIETATIS ANNO . QVINTO
Fu eretta ad oriente^ forse in commemorazione di Costanti-
nopoli , sede allora dell* impero , che dominava jn Roma ed
in altre parti d'Italia. Autore di tal monumento ne fu Sma-
ragdo come fu detto disopra; il quale due volte ebbe Fonore
dell'esarcato, la prima sotto Maurizio dall'anno 583 al 588,
e la seconda dal eos al 809 dell'era volgare. Questa colonna
rimasta in piedi all'ingiuria de' tempi, e coperta di scarichi
e rovine, oltre la sua base, fu oggetto a grandi discussioni
negli studi archeologici. Alcuni antiquari la credettero ap-
partenente al Comizio, altri alla Curia, altri al ponte di Ca-
ligola, altri al tempio di Giove Statore, e fra le tante cose
fallaci fu attribuita anche ad un tempio di Giove Custode.
Ed il Guattani (i) parlando di essa si limita solo a dire :
ji mezzodì di quest*arco (di Settimio Severo) osserva quelVu-
nica colonna che rimane sola fra botteghe e casuppole di
moderna antichità^ lavorate per altro con una soda e ben
stretta cortina. (Contentati di sapere essere una colonna scan-
nellata d'ordine corintio dell'altezza di sessanta e più palmi
di bel marmo Greco , ecc.
Niuno però si era dato a riflettere Taltezza della sua col-
locazione, superiore di molto al piano degli altri circonvicini
edifizj , nh ad alcuno venne in mente di scavare il terreno
(i) Roma descritta, MDCGGV, T<nn. 1, pag. 11.
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«7
ad oltre due metri per conoscerne il piantato. Il solo Ga-
mucci nelle Antichità di Roma , f^enezia 1565 , la credette
una colonna monumentale e per essere allora il piano stra-
dale più basso che ali* epoca del Guattani indicata, dice al
lib. I^ p. 32; che dalCuno dei lati del plinto .- • . si veg-
gono lettere.
L^amministrazione del governo francese che reggeva Roma
Tanno iSi3 demolì le case plebee e torri de*tempi bassi, che
all'intorno gli formavano una specie di piazza, ed il 13 marzo
di quell'anno, scavandosi al disotto del plinto, fu letta l'i-
scrizione che abbiamo riportata. La colonna come in essa si
legge reggeva la statua in metallo dell'imperatore dorata, e
questa fu rovesciata dopo la sua morte, quando venne dete-
stato il suo nome e cancellato dal monumento unitamente
ai titoli come in detta iscrizione si vede.
Lo scavo attorno alla colonna venne proseguito dalla
duchessa di Devonshire nel 1816 e finalmente si scoprirono
i gradini come ora si vede. Nel 1S36 essendo stati quivi dis-
sotterrati molti massi sconvolti di tufa e peperino vennero
addossati al monumento in modo di riformare rozzamente la
piramide primitiva della gradinata suddetta in gran parte
mancante.
La colonna di Foca è di marmo bianco annerito dal tempo
e ben lavorata , ma le proporzioni essendo troppo svelte
sembra essersi tagliata nella meta del secondo secolo dell'era
volgare , e tolta da qualche fabbrica antica già in rovina
ai tempi del sopraddetto imperatore. Compresa la base e ca-
pitello ha 48 piedi romani d'altezza per 4 e 7i di diametra»
11 piedestallo ha 12 piedi di altezza e^ compresi i 12 gradini,.
il monumento aveva n piedi romani di altezza.
COLONNA ERETTA
SULLA PIAZZA DI S. MARIA MAGGIORE
Tornando indietro per la via Bonella ed indirizzandosi -
alla chiesa della Madonna de'Monti, salendo suU'Esquilino per
la via in Selce, si giunge alla piazza di s. Maria Maggiore»
Venendo alla descrizione della monumentale colonna in-
ftalzata in questa piazza, primieramente debbonsi accennare
le cose seguenti.
Nella basilica dedicata dal senato romano all' imperator
Flavio Costantino per i meriti di lui » come attesta Aurelio
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— i08 —
Vittore (i); e che però fu eretta dairimperator Massenzio nella
regione IV Templum Pads vicino al Foro Romano, era so»-
stenuta la granide volta della nave media da otto colonne
di marmo proconnesio. Tali colonne scanalate d'ordii»e corinzio,
compresa la base e capitello, avevano circa piedi 65 di altezza ,
ed una di queste vien ricordata da Poggio Fiorentino (2) nel
secolo XV. Essa pur mirasi al suo posto nell'opera del Ga-
mucci (a) , ed in tutte le altre vedute di questa fabbrica ,
disegnate, ed incise nel secolo XVf. Si può credere, che le
altre rovinassero nel 1340 in quel grande terremoto descritta
dal contemporaneo Petrarca in una lettera del lib. Xy epist. II,
Oper. p. 873. La colonna superstite rimase al suo posto fino
all'almo i6i3, quando venne tolta da papa Paolo V, che fa-
cendola trasportare sulla piazza di s. Maria Maggiore colla
spesa di circa undicimila scudi d' allora ivi innalzoUa. Tal
pontefice, di casa Borghese, ne diede l'incarico airarchitetto
Carlo Miftdemo , e su i disegni dello scultore francese Gu-
glielmo Bertolotj Domenico Ferretti ed Orazio Censore, git-
tarono la svelta e bella statua di Maria Vergine col divi»
figliuolo in braccio di metallo, che vedesi nella sua sommità.
Si ha dai registri Camerali la seguente nota delle spese.
Pagamenti fatti dal dì sa agosto iMS a maggio f$u.
A Carlo Moderno architetto per erogarli nelVog--
getto suddetto Se. rtHy m
Alla fabbrica di San Pietro per arcarecci^ cor-
dicelle y legnami ed altro Se. 2939, si
A Rocco Rocchi per canapi per il tiro della
colonna.
Canapo uno di libre loio a baj. 5 la libra Se. so, 50
Canapi due di libre I695 a baj. 6 la libra Se. 100^ 50
Canapo uno di libre 915 a baj. 3. . . Se. 27, 45
Fientole due di libre 725 a baj. 6. . Se. 43, 50
Cordicelle in più pezzi lib. 206 a baj. 4 '/a i^
libra Se. 9, 27
Per argani due Se. 12
Per ferramenti diversi Se. ai, 70
Totale Se. 10906, 73
(1) Auteliìu Victor de Cae$.
(2) De Fortunae Varietale Urbis Romae, Hb. 1, 144U.
(3) Antichità di Roma, p. 41, seconda edizione.
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— IW —
Seguono le altre spese occorse a compimento dell'opera:
A Domenico Ferreri fonditore per fattura della
statua di metallo di Maria (^ergine con il figliuolo
in braccio^ e con la corona stellata ... Se. 1187^ 24
Ad Annibale Coradinij doratura per migliara 57a
oro messo in opera per dorare la suddetta statua Se. 33
A Jacopo Laurenziani fonditore per fusione
de'draghi di bronzo situati negli angoli della base
della Colonna Se. 200
Al suddetto Coradini doratore per f importo
delVoro per i draghi^ e per fattura della doratura
de medesimi , e della statua della Madonna Se. 50
A Guglielmo Bertolot francese scultore per il
modello della statua della Madonna con il Bam-
bino Se. 100
Al medesimo per V altro dei draghi . . Se. 15
A Tullio Solare scarpellino per prezzo di di-
versi marmi Se. 361, 58
Al medesima per il gettito di \?arj marmi fatto
nel tempio della Pace Se. 19, 80
A Giovanni Peltuccio per un pezzo di marmo Se. 33, so
Ad Ascanio Ligna carrettiere per condottura
de^marmi e metalli Se. 102
Ai muratori per donativo accordatogli per aver
rinunciato al passato per opera impiegata per la
colonna Se. 125
A Cesare Bartolùù per libre 400 stagno. Se. 84
A Francesco Antonio Mori per le medaglie messe
nel fondamento Se. 40
A Fabrizio Baldelli scrittore per le iscrizioni Se. 30
Totale Se. 2380, 92
Belle assai sono le iserizioai del Baldelli suddetto, e nel
piedestallo della colonna innanzi al portico della basilica di
s. Maria Maggiore, leggesi:
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— 100 —
• PAVLVS . V . PONT . MAX.
COLVMNAM
VETEaiS . MAGIflFlGENTlAE
MONVMENTVM
INFORMI . SITV . OBDVCTAM
NEGLEGTAQVE
EX • IMMANIBVS . TEMPLI . RVINIS
QVOD . VESPASIANYS . AVGVSTVS
AGTO • DE . IVOAEIS . TRIVttPHO
ET . REIPVB . STATV . CONFIRMATO
PAGI . DICAVERAT
IN . BANG . SPLENDIDI3SIMAM • SEDEM
AD . BASILIGAE . LIBERIANAE
DEGOREM . AYGENDVM
SVO . IVSSV . EXPORTATAM
ET . PRISTINO • NITORI . RESTITVTAM
BEATISSIMAE . YIRGINI
EX . CVITS . VISCERIBVS
PRINGEPS . VERAE . PAGIS • GENITVS • EST
DONYM . DEDIT
AENEAMQVE . EIVSDEM . VIRGINIS
STATVAM . FASTIGIO • IMPOSVIT
ANNO . SAL . MDGXIIII . PONTIF . IX.
A sinistra nell'altra faccia del piedestallo, leggesi:
VASTA . GOLVMNAM . MOLE
QVAE . STETIT . DIV
PAGIS . PROFANA . IN • AEOE
PAVLVS . TRANSTVLIT
IN . EXQVILINVM • QVINTVS
ET . SANGTISSIMAE
PAX . VNDE • VERA . EST
GONSEGRAVIT • VIRGINI
A destra:
IMPVRA . FALSI • TEMPLA
QVONDAM . NVMINIS
IVBENTE . MOESTA
SV8TINEBAM . CAESARE
NVNC . LAETA • VERI
PERFERENS . MATREM . DEI
TE • PAVLE . NVLLIS
OBTIGEBO . SAEGVLIS
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— 201 —
Nella parte opposta:
IGNIS . COLVMNA
PRAETVLIT . LVMEN . PUS
DESERTA • NOGTV
VT . PBRMANERET • IN . VIA
SEGVRI . AD • ARGES
HAEC • REGLVDIT . IGNEAS
MONSTRANTE . AB . ALTA . SEDE
CALLEM . VIRGINE
Resta ora a dire qualche cosa della sottoposta fontana
deir acqua Felice , che è congiunta alla descrìtta colonna.
Fu eretta contemporaneamente con architettura del già no-
minato Carlo Mademo. Si eleva sopra gradini^ e viene for-
mata da una vasca oblonga centinata di travertino, avente
nei lati maggiori due piccole tazze con gitto d' acqua per
comodità del pubblico. Nel centro della vasca sorge sul suo
piede una tazza rotonda, in mezzo a cui sgorga in alto un
gran fiocco d' acqua. Vedasi il Cassio , Corso delle acque ,
Tom. Ij Par. /, num. XXXf^III^ pag. 347. L*acqua chia-
masi Felice da Felice Peretti, già papa col nome di Sisto V^
che la condusse in Roma. Tornando alla nostra fontana co-
strutta da Paolo V , i registri Camerali esibiscono la se-
guente nota:
Spesa della fontana costruita a piedi della Colonna
sotto la direzione di Carlo Madernoy e Gaspare de becchi
architetti} e pagata con ordine di monsig. Lelio Biscia Chie-
rico di Camera dal di i5 decembre i6i4 a tutto il dì
2 giugno 1616.
^ Giuliano Caratelli muratore per la condot-
tura ed altro di sua arte Se. 21 18, 54
/i Domenico Garzoli scarpellino per il lascerò
del vaso ed ornati Se. 38i,«27
jid Orazio Facili altro Se. 87, 58
jid jéntonio Mileti stagnaro per i piombi. Se. 130
A Giulio Ardicino altro Se. 92, 82
A Mario Ottonare per fistole .... Se. 34, 05
Ad Andrea Bonetto ferrare Se. 51, 24
Se. 2895, 50
28
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— 202
Se. 2895, 50
J Vincenzo Ronca , e Gio, Battista Zocconi
per levatura di terra avanti la fontana . . Se. 98, 50
A Carlo Maderno architetto per ricognizione. Se. 12
A Gaspare de Vecchi altro come sopra . Se. io
A Loren zó Lauro altro , ed al sotto maestro
di strade come sopra. ....... Se. I8
A f^incenzo Bordini come sopra . • . Se. 2
Totale delle spese Se. 3036
COLONNA DI ENRICO IV.
Sulta stessa piazza di s. Maria Maggiore innanzi la chiesa
di s. Antonio Abbate , era una colonna di granito con in
cima un Crocifisso di metallo , e che era copèrto da un ci-
borio sostenuto da altre quattro colonne.
Si fece erigere da papa Clemente Vili in memoria delia
conversione ed assoluzione di Enrico IV re di Francia e di
Navarra, il quale da quando Maria d'Albret sua madre ab-
bracciò il calTinismo, lo fece in quello istruire. Venne eletto
re di Francia con patto di abiurare , prestare ubbidienza
al pontefice , e promettere sinceramente di consenrare nel
regno la cattolica religione. Nel piedestallo della colonna
per tal fatto fu incisa analoga iscrizione riportata da Andrea
Vittorelli nelle giunte al Ciaconio (i), dal Cancellieri (2), da
Ridolfino Venuti (3), e nella Roma Antica e Moderna d'au*
tore anonimo edita dal Roisecco (4)9 che h la seguente:
0 • 0 • 11
CLEMENTE . VUI . PONT . MAX.
AD . MEMORIAM
ABSOLVTrONIS IIENRICI IV.
PRANC . ET . NAVAR.
REGIS . CHatSTlANlSSIftl
Q . F . R . D • XV . KAL . OCT . MDXGV.
Tale iscrizione in processo di tempo fu levata, forse da
parte della Francia^ e venne postat in sua vece una pietra
(i) Vitae et rei geslae Poniif, Ifomanor. , to. IV, pag. 506.
(2) Storia dei iolenni Pouessi^ pag. 506.
(3) Venati, Roma Moderna^ Tomo primo, pag. 46.
(4) Tomo secondo, pag. 510.
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— 203 —
eoa una fiammella nel mezzo che vi durò fino al 1744. In
questo anno cadde all^ìmproviso il monumento e rimase intie-
ramente infranto.
Benedetto XIV nel 1745 lo fece ristabilire nella forma die
si vede nelle stampe, e che si vedeva anni indietro prima
che fosse atterralo per abbassare il piano stradale.
Negli Ornamenti di Fabbriche Antichi e Moderni de-
lineati da Giovanni Maius romano, e colle sue dichiaratione
fatti da Bartolomeo Bossi fiorentino Tanno leoo non vi è
il nominato ciborio (t). La colonna è come si vedeva con
di più il motto in una fascia circa al terzo della colonna:
IN HOC SIGKO VlIfCES.
Tornando a Benedetto XIV t egli ristabilì il monumento
come si vedeva, e si rivedrà, rimettendo la croce come era
prima in mezzo a Gesù Cristo, ed alla Vetrine; e nel suo
piedestallo le arme di Clemente Vili , del re di Francia , e
del Delfino, oltre alla sua con questa iscrizione:
BEflEDlCTVS • XIV . PONT • MAX.
PVBLICVM . HOC . MONVMBNTVM
DEIPARJB • VIRGINI . SACaVM
A • CLEMENTE . Vili • PONT . MAX . ERECTVH
TEMPORIS . INIVRIA . RVINA . COLLAPSVM
RESTITYIT
ANNO . DOMINI . MDCCXXXXV.
Ne fu decretata la nuova erezione nella seduta Consi-
gliare dei 29 novembre isso del Comune di Roma.
COLONNA ERETTA IN PIAZZA DI SPAGJVA
Varii anni indietro dalla parte destra della via della
Missione, era addossata coica al palazzo della Curia Inno-
cenziana, ora del Parlamento sulla piazza di Monte Citorio,
una colonna di cipollino alta palmi romani d^allora 53 per
6 e 7a di diametro. Essa fu scoperta nei fondamenti di una
fabbrica delle monache Benedettine in Campo Marzio, e fu
creduta in principio di granito rosso , mentre h di marmo
carìstio detto dagli scarpellini cipollino. Oìò avvenne, perchè
essendo interrata nella parte non ancora demolita della casa,
non si potè ben giudicare della qualità della pietra, come
(1) Presso la Biblioteca GasaoateDse, T. 11, 19 in CG.
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— 104 —
si ha dalle notizie del Chracas^ giornale di Roma, n? 286,
27 settembre 1777. Ma ivi al n? 340, 4 aprile 1778, nel rife-
rire la totale scoperta, si corresse 1* equivoco preso, e si
annunziò T ordine di farne lo scavo, coli* idea di collocarla
sul piedestallo della colonna Antonina recentemente collocato
sulla piazza di Monte Gitorio^ ponendovi sopra la statua della
Giustizia in allegoria dei tribunali che erano nel nominato
palazzo. Corse voce che il suddetto piedestallo (i) per ren«
derlo più proporzionato alla colonna, se ne sarebbero segati
i magnifici bassirilievi, e che restaurati dagli scultori Vin-
cenzo Felice, e Giuseppe Napolioni si sarebbero trasportati
al Museo Pio dementino al Vaticano. Ciò fu smentito dai
citato giornale n? i526, i5 agosto 1789, ed ai 14 di maggio
di detto anno ne fu intrapresa Testrazione con otto organi
da voltarsi da 16 persone per ciascheduno.
Appena date alcune mosse, si ruppe uno dei quattro travi
maestri a traverso delfarmatura del castello, e ne fu sospesa
r operazione. Nella mattina 21 fu rimessa mano ali* opera ^
ed estratta felicemente a guisa di billico con undici argani
da Pietro Albertini romano di anni 22, ingegnere della fab-
brica di s. Pietro, assistito dalla direzione di Gio. Battista
Visconti commissario delle antichità. Tornò a dirsi che si
sarebbe collocato sopra Tindicato piedestallo, ma che prima
se ne sarebbe formato un modello con cerchi e tele dell'i-
stessa grossezza ed altezza^ con una statua in cima per osser-
vare l'effetto che avrebbe fatto, come nell* allegato giornale
u? 354, 23 maggio. Ma non avendo incontrato la prova, fu tra-
sportata con due argani dentro il cortile del palazzo della Curia
Innocenziana, ove giacque per molti anni, fino a che fu ripor-
tata alla via della Missione, da cui Tanno 1854 d*ordine di papa
Pio IX fu fatta condurre in piazza di Spagna, onde innalzarla
innanzi a Propaganda Fidcj come monumento per eternare lo
scioglimento del domma dell'immacolata concezione di Maria.
Allorché fu eretta» come si vede, un terzo di essa venne
fasciato con cerchi di ferro con ornamenti di metallo dorato,
essendo lesa, onde dagli antichi romani non venne mai posta
in opera. Architetto di tal monumento^ ne fu il comm. Luigi
Poletti 9 e la statua della Madonna , in metallo dorato , si
modellò dall'Obici, e venne gettata da Luigi de'Rossi, insieme
ai due stemmi del papa della stessa materia, e gli altri orna-
menti. 1 quattro bassirilievi in marmo esprimenti le storie
(i) Ora tal magnifico piedestallo in marmo di cui parleremo a sao tempo,
è nel mezzo del pontificio giardino detto della pigna ai Vaticano.
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— 205 —
dello scioglimento del domma per parte dei vescovi e del
papa, si scolpirono dal Gianfredi, Gantalamessai Benzonì e Galli.
I quattro profeti, Mosè, Isaia, Ezechiele e David, sono belle
statue in marmo eseguite dal Jacometti, Revelli, Ghelli eTadolini.
Ora principiando ad osservare volgendo le spalle a Pro*
paganda^ leggasi riscrizione seguente in lettere di metallo:
MARIAE . VIRGINI
GENITRICI . DEI
^ IPSA • ORIGINE
AB . OMNI . LABE . IMMVNI
PIVS . Villi . P . M.
T . ALOIS . POLETTIO • ARGHIT. ,
INSIGNIS . PRAEGONIl
FIDE . GONFIRMATA
DEGRETO • Q . D . E • VI . EID . DEC.
A . MDGGGLIIII
PONEND . GVRAVIT
AERE . GATH . ORB . GONLATO
IN . SAG • PRINGIP • XII.
ALOIS. POLETTIO ARGHIT.
Da un lato sotto la statua del profeta Isaiai a lettere pure
in metallo leggesi il passo del testo:
ECCE . VIRGO
CONGIPIET
IS. VII. 14.
Sotto Taltro profeta Ezechiele il suo passo:
PORTA • HAEG
GLAVSA . ERIT
Ezec. XLIV. 2.
Nella faccia del piedestallo della colonna rivolta verso la
piazza del Popolo, leggesi:
AVE
GRATIA . PLENA
DOMINVS . TEGVM
BENEDIGTA . TV
IN MYLIERIBVS
Lue. I. 28.
Da un lato sotto la base del Mosè , leggesi il passa della
Genesi:
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— S06 —
INIMICITIAS . PONAN
INTER • TE
ET . ■VLIEREV
Gep. III. 15.
Sotto il David sono Le parole del Salmot
SAHCTIFICAFIT
TABERHACVLVM
SVYM . ALTlSfilMVS *
Ps. XLV. 6.
Sopra lo sproporzioaato capitello, allo più deirordioario»
per dare al moDumento maggiore altezza , sono in marmo
i simboli dei quattro Evangelisti. Il capitello suddetto, h di
sfigurato ordine corintio, più che composito, vedendosi fra
i fogliami i gigli; e goffa h la statua in bronzo della Ma-
donna. Sedici colonnette di marmi diversi e graniti, circon*
dano i gradini del monumento, cui sono infisse aste di ferro
con ornati, che formano un recinto al suddetto, per la sua
conservazione.
COLONNA ERETTA
SULLA PIAZZA DI S. FRANCESCO A RIPA
Uba delle 24 colonne ritrovate nell'antica citta di Veii,
che non furono mai mes«a in opera, essendosi scoperte gia-
centi: dodici di esse di marno lunense di circa 23 palmi di
altezza, e 3 di diametro, d*ordine jonico, con basi e capitelli
pure antichi, vennero poste in opera da papa Gregorio XV^I
l'anno t838 nel portico del palazzo per. l officio delle poste
in piazza Colonna, servendosi dell'architetto Pietro Camporese.
Non so a qual fine una di tali colonne, eh* era di marmo
simile, fosse surrogata a detto portico da altra colonna pro-
veniente d'altrove; che h quella di cui parliamo fatta erigere
da Pio IX sulla piazza di s. Francesco a Ripa l'anno 1847,
sostituendola ad una più piccola scanalata a spira di pavo-
nazzetto. L'altre i2 colonne ritrovate a Veii nominate erano
di marmo bigio di 13 palmi romani di allora, d'altezza per
I e Ya di diametro (1).
Essa ha capitello antico, e base d'ordine jonico, scana-
lata nel fusto, e con piedestallo di pietra tiburtina, o tra-
dì Si OQinbi in misura metrica.
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— 207 —
vertino, in cui dai Iati sodo due borchie scolpite nella stessa
pietra, e nella faccia di esso, che guarda la via di s. Fran-
cesco, leggesi:
PIVS . IX . PONT . MAX.
GOLVHNAM
AREAB . AMPLITVDINI
PAREM
DONAVI!
ANN . D < MDGGGXLVIi
COLONNA INNANZI LA PIAZZA
DELLA BASILICA DI S, LORENZO FUORI LE MURA
A tutti h notissima la strada che conduce al campo Ve-
rano, su cui rimane il pubblico Campo Santo di Roma, ove
innanzi al prospetto della chiesa dì s. Lorenzo , eretto da
papa Onorio III Tanno i2i6, edificando la porta principale
ed il portico, come si vede, è innalzata la colonna di cui
veniamo a parlare.
Primieramente h da riferirsi , che allorché Pio iX fece
restaurare ed abbellire la chiesa, come si vede, decorandola
di pitture in parte del Pracassini neirinterno, fece dipingere
la facciata nell'esterno dall'artista Silverio Capparoni.
In tal circostanza, fu pensato di sostituire innanzi al pro-
spetto di questa basilica sulla f ia Tiburtina un*altra colonna
di mole maggiore alla piccola qui eretta nel secolo XVI [
di granito rosso. Si pensò primieramente ad una colonna di
granito rosso trovata negli scan d'Ostia, ma fu trovata mi-
gliore un'altra di granilo rosso egiziano. Indi fa scella quella
giacente nella via del Mosaico dietro la basilica e fabbri-
cati di s. Pietro al Vaticano, delle quali parla il Corsi nel
Trattato delle pietre antiche ^ prima edizione, pag. 297, e
quest'ultima, avanzo delfantica basìlica^ o nuova mentovata.
Nella piazza innanzi al prospetto delfanzidetta basilica,
primieramente l'architetto conte Virginio Vespignani, che di-
resse il restauro della chiesa con l'annesso convento dei cap-
puccini, e l'ampliamento del Campo Santo, livellò il terreno
dove fu cavato il fondamento per la colonna di cui parliamo.
La imposizione della prima pietra in tal fondamento per il
piedestallo, venne fatta da monsignor Marinelli vescovo di
Porfirio e Sacrista il di i^ aprile 1864, dopo aver compiuto
il sacro rito della benedizione.
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— 208 —
Le misure esatte delFaltezza totale del moDumento^ sono:
Altezza della colonna^ palmi romani. . . 39 7-
Diametro preso alt imoscapo di essa . . 5
Altezza del piedestallo coi suoi gradini . 23 onc. 9 */•
Altezza della base 2 1.4
Altezza del capitello dorico 2 7-
Altezza del peduccio 6
Altezza della statua 9
Altezza totale dal piano del terreno^ palmi 88 onc. 7-
La statua di s. Lorenzo in metallo che sormonta la co-
lonna d'ordine dorico, colla mano destra regge la gratella,
e con la sinistra la cassetta dei tesori, ove è scritto: dispersit
dedit pauperibus.
Fu modellata dallo scultore Stefano Galletti, scolare di
Pietro Tenerani, e fu gettata in metallo da Francesco Lucenti.
L*arme di Pio IX, e le gratelle su la cimasa del piede-
stallo , come altresì il capitello , sono lavori del marmista
Carimini. Sul dado del piedestallo, leggesi:
IR . HONOREll
LAVRENTU . HARTYRIS
EREXIT
PIVS . IX . PONT . MAX.
POKPICATVS . A . XIX
COLONNA ANTONINA
Nell'orto annesso alla casa dei padri della Missione, cor-
rispondente nel lato occidentale del grande palazzo di Mon-
tecitorio in cui ora è stabilita la Camera dei Deputati del
Parlamento Italiano, nei primi anni del secolo passalo, tro-
vavasi in piedi in tal luogo la grande colonna Quinquage-
naria di Antonino Pio, ovvero alla 50 piedi romani antichi
in granito rosso egiziano. Fino all'anno 1704, non conoscevasi
a quale uso fosse stata innalzata, ma in tale epoca, essen-
dosi scavata fino al suo piedestallo di marmo , si venne a
conoscere dalla iscrizione su d^una delle sue fronti, che era
stata dedicata al divo Antonino Pio dai suoi figli M. Aurelio
e L. Vero. Nelle medaglie battute per decreto del senato,
vedesi impressa questa colonna colla leggenda divo . pio • Il
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209 —
fusto di essa alto metri 50 fatto di un sol masso, fu dedotto
dalle cave d'Egitto per cura di Dioscoro. sotto la direzione
deirarchi tetto Aristide, sino dal nono anno dell'impero di Tra-
jano, come si ha dall'iscrizione di cava scolpita al disotto
dell'imoscapo ora al giardino della Pigna al Vaticano.
AIOCOTPOT
LeTPAIANOI
ATOANAnOAtCN
T€IAOYAPXIT€KToT
Dopo varie vicende che riporteremo in appresso , tale
colonna fu spezzata e segata per varii usi. Il suo magnifico
piedestallo venne trasportato e posto in mezzo, come si vede,
neirindicato giardino papale, parte integrale di quello annesso
al palazzo apostolico di s. Pietro, e l'iscrizione dice:
DIVO . ANTONIMO . AVG • PIO
ANTONINVS . AVG VST VS . ET
VERVS . AVGVSTVS . FIUI
Nel lato posteriore del piedestallo è rappresentata a bas-
sorilievo di buono stile V apoteosi di Marco Aurelio , e di
Faustina sua moglie fra la figura di Roma appoggiata su
trofei, e l'altra dell'Egitto che regge un obelisco. Nelle parti
laterali sono rappresentati soldati a piedi ed a cavallo per
la corsa funebre. Scrisse il Mardini nel secolo XVII nella sua
Roma Antica^ lib. VI, cap. 7, che tale colonna in gran parte
sotterrata esisteva in piedi nella casa posseduta da un certo
Carlo Eustachi , posta incontro al convento dei padri della
Missione; ed il Ficoroni nel 1706 nelle sue Memorie n? Il,
indica che già il luogo era passato a giardino dei padri sud-
detti. Parlarono di questa colonna il Vignoli con opera inti-
tolata De Columna Antonini Pii, edita l'anno 1705, il Pi-
ranesi ne diede i disegni nelle Antichità di Roma, voi. XIV,
il Bianchini, il Della-Chausse , il Posteria, il Crescimbeni,
il Fontana, il Cancellieri» ed il De Fabris.
Il Cancellieri nella sua lettera con la relazione di Fran-
cesco f^alesio sopra lo scoprimento^ e traslazione della co-
lonna di Antonino PiOj e con i^arie notizie intorno air obe-
lisco Solare innalzato in sua vece nella piazza di Monte Ci-
torio, ed alla colonna di cipollino giacente nel cortile della
Curia Innocenziana, inserita nel fascicolo V delle Effemeridi
29
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— ilo
Fehbrajo MDCCCXX^ tanto nelP estratto, come nell* opera
del Mercato diffusamente ne parla. Dice che fu scoperta all*)D-
torno Tanno I7U3, e che nelTabbassarla si ruppe una traglìa,
dal che ne seguisse lo spezzarsi. Nel mese di luglio 1704 si
pose mano a fortificare il castello di legname, rinforzandosi
di doppi travi e candele, ed aggiuntovi tre altri argani, i
quali furono posti nella sttada che va al Campo Marzio.
Il 23 settembre si pose mano ad alzarla per quanto bastò,
ed il seguente giorno fu fatta tm poco piegare. Ma poi per
la pioggia bisognò lasciarla, fi venerdì 25 furono riprese le
operazioni, e venne distesa affatto per terra collo sparo d*una
quantità di tnortaletti , e suono delle campana della Curia
di Monte Ci tòrio.
Nel seguente giorno andarono a vederla molti nomiai
di considerazione, fra i prim*! virtuos^i di ■Roma, e ritrova-
rono circa nei dde terzi della coloiina una cte^patura assai
considerevole, con scrostature che le giravano all'intorno, e
fu giudicato essére rotta in tre <pe^zi. Il -card. Spinola Ca-
merlengo strepitava , non Volendo che si facesse più spesa
alcuna, e fu con tavoloni e catene di ferro tutta ricoperta.
Ai 15 ottobre fu tentata la mossa , e datone il segno
colla tromba s^incominctarono a girare gli argani in numero
di otto, e dòpo cinque o sei voltate cominciò ad alzarsi. Ma
scrocchiando grandemente il'tastello, to\ suono del campanello
fu dato segno di fermare per vedere che cosa era. Si scoprì
che un legno della incavalcatura di sopra si rompeva, onde
fu rinforzato con un altro trave consimile, e così dato di
nuovo il segno colla tromba, si tornò a lavorare. Poi si ruppe
un argano, e dopo risarcito si 'ripose mano all'opeìra.
Pei* altri accidenti fu dismesso, e questa prima mossa si
fece sotto il nome di prova^ anzi il cav. Fontana padre così
aveva detto al papa. Ma l' intenzione dell* architetto cav.
Francesco, èra se non succedevano grinconvenìenti riferiti ,
di calarla ^giù afTiatto per farla vedere al papa, alFimprov-
viso calata nel dopo pranzo , come vi andò còli' occasione
della festa di s. Teresa. Vide adunque il papa per la prima
volta la colonna, ma non calata come si h detto.
Ai 18 ottóbre si ripose mano all'opera, ma dopo vari! altri
avvenimenti e rotture, la maggior parte della nobiltà spet-
tatrice se ne andarono a pranzo, e specialmente la regina Casi-
mira di Polonia, e gli athbasciadori di Spagna, dell'impera-
tore ed altri.
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— Ui —
Fa deputata una Congregazione particolare sopra il tra^
sporto della colonna, composta dai cardinali Spinola e Pan*
ciatici , dai monsignori Lorenzo Corsini tesoriere , poi Cle-
mente Xil , e Francesco Bianchini } dai matematici Vitale
Giordani e Domenico Quarteroni lettori della Sapienza^ dagli
architetti Carlo Fontana padre e Francesco figlio, dairarchi-
tetto Contini, e dal capo mastro Giacomo Patriarca. Si adu-
narono il 26 ottobre 1704 dopo il* pranzo nella casa della Mis-
sione, d'ordine di papa Clemente XI Albani. Fu deciso sul
modo in cui si doveva fortificare il castello^ il che fu ese-
guito in due settimane, e quindi si fece altra congregazione
sul modo da tenersi nel trasporto della colonna, la domenica
16 novembre di detto anno. Quindi dopo altre congregazioni
nello stesso sito la domenica n si vide^ che la crepatura
era stata ricoperta con alcuni legni circolarmente adattativi,
e Tarchitetto Francesco nel dopo pranzo, mostrando ad alcuni
suoi amici il luogo ove si diceva rotta la colonna, fece levar
via tutte le corde, ma i legni no. Nella mattina del lunedì
seguente ninno poteva accostarsi al luogo della rottura, sebr
bene avessero levate via le tavole, essendovi di guardia un
capomastro o semplice muratore.
11 tempo passo in ciarle e dicerie fino al sa settembre 1705
festa di s. Michele^ in cui furono tolti i legni che coprivano
la fessura, ma lasciaronvi le corde, ed impiastrando di fango
la crepatura, fu fatto un tavolato comodo a poter cammi-
nargli alTintorno; perocché il dopo pianzo vi andava il papa^
e nel suddetto giorno vi fu trovato scritto questo mòtto :
trinum et unum , alludente ai tre pezzi della colonna. Vi
furono messi mezzi cerchi di ferro, ed il 3 ottobre s'inco-
minciò a muovere la colonna per tirarla fuori.
Ài 9 di detto mese cominciò ad imboccare la strada, che
da Monte Citorio va al Campo Marzo, e nelle ore pomeri-
diane fu tirata su la base. Indi si scoprì lo zoccolo in due
pezzi, che posava sopra il piedestallo, e il seguente giorno
la colonna era tutta nella strada. 11 sabato appresso fu tirato
su un pezzo del suddetto zoccolo, e Taltro ai 12, e venne
tirata la colonna fino alla piazza di Monte Citorio per mezzo
di tre argani. II lunedì a notte venne inoltrata dentro la
piazza con gran brio dei lavoranti a lume di torcie a vento.
La mattina seguente , fu tirata qi^asi nel mezzo della
piazza^ ed ivi lasciata sopra i suoi letti già preparati.
Ai 17 ottobre di mattina venne estratto il piedestallo ,
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— 212 —
ed il giorno 19 lunedi s'incominciò a trascinare fino al 29 in
cui fu fermato nel mezzo della piazza.
Nondimeno quantunque Clemente XII, bramasse di fare
rialzare questa colonna sopra il suo piedestallo per nuovo
ornamento di qualche piazza della citta , pure non giunse
a far altro, che chiudere il tutto entro un casotto di legno,
riserbando ad alcuno dei suoi successori la gloria di eseguire
una idea così plausibile.
Fece restaurare il piedestallo dagli scultori Vincenzo Fe-
lici e Giuseppe Napolioni, e rimase cosi fino a Benedetto XIV,
che con l'assistenza dell'architetto Ferdinando Fuga lo fece
trasportare nel centro della piazza sullo zoccolo ove ora h
il piedestallo dell'obelisco avanti al palazzo di Monte Citorio,
sopra di un gran fondamento capace di reggere la colonna
che ivi divisava di alzare (l). Ma ne venne impedito per
la lesione sofferta , ed essendo ivi rimasta abbandonata ,
Pio VI nel 1792 servendosi dell' architetto Antinori la fece
tagliare in pezzi , e segare , onde far uso del granito nel
grande restauro dell'obelisco Solare ora innalzato nella piazza
anzidetta, facendo trasportare il piedestallo nel giardino detto
della Pigna al Vaticano, come fu detto, e segare la parte
dell'imoscapo della colonna contenente l'iscrizione della cara
che pur vedesi nello stesso luogo.
Fine delle Colonne.
{Continua)
XXXVII.
DALLA STORIA DELLA SCIENZA E DELl' ARTE INSEGNATIVA
CONSIDERATA IN SE STESSA E Ne' SUOI RAPPORTI
COLLA STORIA DELLA SCIENZA E DELl'aRTE LETTERARIA.
La Storia della scienza e dell'arte insegnativa costituendo
un ramo importante della storia della scienza e dell'arte let-
ti) Uscì una notificazione che invitava f^li oblatori ad erigere a patto
stucco la colonna Antonina. Così ana mattlDa vi fa trovato scritto in un
cartello:
Levatemi dal Cui tanta canaglia
Chi vìtol che io vada al destinato luogo
Faccia venir da me Mastro Zàbaglia^
cioè il celebre Niccolò Zabaglìa capo-maestro dei lavoranti del Vaticano, detti
i Sampietrini, Quest'uomo incolto, ma pieno d'ingegno, inventò tutte le mac-
chine per i lavori della basilica di s. Pietro.
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— 213 —
terarìa ha con essa comune 1* orìgine e lo svolgimento sno,
e fa parte della estensione della medesima.
Perciò dalla orìgine, dallo svolgimento e dalla estensione
della storìa letterarìa io farò capo per ìstabilire e dimostrare
la reciproca loro relazione e dipendenza» ed il vincolo che
insieme le congiunge.
La letteratura la quale suona uso delle lettere (togliendosi
il vocabolo lettere per sinecdoche nel senso di parola scritta
e per metonimia nel senso di parola parlata) è l'espressione
del pensiero per mezzo della lingua. Considerata come storia
essa abbraccia tutti i monumeuti dello scibile umano rappre-
sentato per mezzo della parola, della scrittura e di altri segni.
Ma lo scibile umano dividendosi in scienze ed arti, e si le
une che le altre avendo mestieri per manifestarsi di essere
rivestite di una forma letterarìa ne consegue che una storia
completa della letteratura abbracciar debba tutte le scienze
razionali e positive, tutte le arti belle ed utili, e particolar-
mente le lettere, che di quelle e di queste sono le interpreti
e ministre, riguardate nella loro origine, nel loro svolgimento^
non che nelle leggi che alle une ed alle altre presiedono se-
condo r ordine dei tempi e dei luoghi.
dell'origine della letteratura
L^origine della letteratura h essenzialmente connessa colle
invenzioni, colla origine ed il progresso delle arti, delle scienze
e delle lingue. Le scienze difatti le quali altro non sono che un
sistema di cognizioni, si formano meditando sulle opere istin-
tive dell'uomo, e sulle leggi che segue la natura nel progres-
sivo suo svolgimento per trarne le norme di operazione. Le
quali norme poi tradotte in atto coU'esercizio e cogli espe-
rimenti danno origine alla vera arte, la quale suolsi perciò
definire un sistema di azioni. L'arte adunque procede dalla
scienza, e la scienza h figliuola della meditazione fatta sopra
l'operare istintivo dell'uomo e sopra le leggi della natura.
Quanto adunque più si approfondisce e si allarga questo studio
sulle leggi naturali, tanto più si moltiplica il numero di queste
norme di operare, si accrescono le cognizioni e si perfezionano
le scienze e le arti; e per conseguenza tanto più forte si fa sen-
tire il bisogno di trovar dei segni ossia dei vocaboli per cui
si possano esse di età in età tramandare ai posteri. Ma i vo-
cadoli per se non bastano ancora ad esprimere tutti i concetti,
convien che siano strettamente connessi fra di loro secondo
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— «14 —
quel naturale legame che più li fa atti a rendere chiara ed
efficace Tespressione del concetto.
Nei prinoixlii d'ogni cotisoraio nmano questo lavoro fu
istintivo e spontaaeo, vario e più o neiio perfetto secondoclbi
varie e più o «eno svegliale e coltesi erano le menti dei diversi
individui che vi attendevano. Quindi è che nella maoifesta-
zione dei pensieri e degli affetti alcuni si segnalavano per
la chiatrezza^ altri per la efficacia e la forza del dires quelli
furono detti chiari, questi eloquenti parlatori^ ed eloquenza
fu appellata cotale loro dote e naturale disposizione a con-
vincere e persuadere altrui delle proprie opinioni.
Ma siccome Y uomo per sua natara comincia a pensare
e riflettere sugli oggetti, poscia sopra la parola che h l'e-
spressione del pensiero primieramente per rendersi ragione
del pensiero, .poscia per ricercare se l'espressione da lui ado-
perata sia la più acconcia a rappresentare il pensiero stesso;
COSI ne avvenne che col progresso del tempo si itidagarono
le ragioni pei le quali non tntti gli uomini con pari chia-
rezza ed eloqu<anza sapessero manifestare i medesimi pensieri
ed affetti; e trovatele si ridussero a i*egole e norme generali
le quali ordinate a sistema diedero origine alla scienza ed
applicate ai casi particolari diedero nascimento e vita all'arte
del retto ed eloquente . parlare che va essenzialmente con-
giunta colla scienza e coU'arte del ben pensare.
La scienza del retto pensare in qualsiasi lingua, s'appellò
logica o grammatica generale, e la scienza del retto parlare
in una data lingua grammatica speciale mentre la scienza ossia
la conoscenza dei principii^ delle norme dell'eloquente par-
lare si nomò Rettorica.
Il complesso di tntte le parole che somministrano il ma-
teriale, e di tutte le leggi che presiedono all'uso ed alla di-
stribuzione delle parole nel discorso le quali ne danno la forma,
ricevette il nome generico dì lingua e specifico di idioma o 'di
dialetto secondo la maggiore o minore estensione. Ogni lingua,
ogni idioma adunque si compone di due parti; dei vocaboli che
ne formano il dizionario^ ossia la nomenclatura e delle leggi
del loro legame che ne costituiscono la grammatica; l'inven-
zione dei primi dovette precedere l'invenzione delle seconde.
Ora siccome la letteratura, ossia l'uso delle lettere, si h quella
che abbraccia nel suo signiOcato tutto lo scibile umano , e
perciò tutti i pensieri e tutti gli affetti rappresentati per mezzo
di una o di più lingue, cosi si può conchiudere che la sua
origine ha una stretta relazione e dipendenza coll'origine ed
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2ii5 —
il progresso delle lingue , coli* origine e col progresso delle
scienze e delle arti d'ogni specie, dalle quali le lingue rice-
vettero i loro natali.
DELLO SVOLGIMENTO BDLLA LETTEttATUBA.
Lo svolgimento della letiteratuiia si può coAsiderat e rispetto
al concetto rappresentativo^ e riguardo al mezzo o strumento
di rappresentazione quale si è la lingua , non che riguardo
alle condizioni esterne che ne possono accrescere, od arrestare
il progresso, e cagionarne anche il decadimento.
Riguardo al concetto rappresentativo segue in generale
nel suo svolgimento le leggi del bello per cui quello che è
il primo in eccelllenfla e lullimo a manifestarsi neirordìne del
tempo. Però nella poesia, nell'architetlura e neirarte insegna-
tiva il bello tipico giusta lordine cronologico occupa il se-
condo anziché il terzo luogo che è tenuta dal bello simbolico.
Quindi l'arte è imitativa in Omero; Egli ed i Rapsodi cre-
devano alla verità dei fatti che narravano. Non più cosi in
Virgilio elle idealizzò 1* origine e la grandezza di Roma^ la
poesia del quale fu tipica. In Dante che prende a maestro
Virgilio l'arte divenne simbolica.
Una vicenda analoga subì il poema eroicomico; fu imita-
tivo nei Trovadori e Poeti Provenzali che narravano i fatti
dei paladini dì Carlo Magno e divenne tipica nel Bojardo e
nello Ariosto^ simbolica nel Don Chisciotte di Cervantes.
Lo stesso processo possiamo osservare nell'architettura.
Nei tempi più antichi era imitativa perchè imitava colla so-
lidità e grandezza le rozze abitazioni scavate entro i fianchi
dei monti; divenne ideale e tipica presso i Greci ed i Romani;
e finalmente simbolica nel medio evo coi grandi ordini archi-
tettonici alia gotica. Cosi avvenne dell' arte di insegnare e
di educare; essa fu imitativa nei primordi delle società, di-
venne tipica in Socrate, in Platone, simbolica in Esopo ed in
G. Cristo^ i quali presentano la legge raor(»le col linguaggio
poetico dei simboli ossia delle immagini acconcie a signifi-
care la virtù ed il vizio, il senno e la follia, il decoro e
la sconvenienza.
Riguardo al mezzo o strumento dUmitazione, ossia riguardo
alla lingua essa è tanto più dotta, copiosa, sintetica, quanto
più h antica, e tanto più semplice analitica quanto h più
moderna. Così la lingua e letteratura greca <è più copiosa
e sintetica della latina^ la latina h più semplice ed analitica
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— 216 —
della greca» ma più sintetica della italiana , delia francese,
della spagnuola e di tutte le lingue e letterature moderne che
divengono tanto più analitiche quanto più si scostano dalle
antiche. Insomma essa procede dal composto al semplice.
Riguardo alle condizioni esterne che la possono favorire
essa soggiace ai cambiamenti morali e politici delle nazioni*
quindi può segnare un epoca di progresso o di regresso. Di-
fatti spenti i bei tempi dei Greci e poi quelli dei Romani
l'Europa cadde nella rozzezza e nella barbarie; ma ad essa
oppose una resistenza la purezza della morale evangelica estesa
nell'Àfiìca e nell'Europa meridionale (come ne rende testimo-
nianza fra gli altri scritti il romanzo storico del Manzoni).
A questo mezzo soprastò l'Arabo legislatore col suo Alco-
ranoy vietando ogni studio di scienze, di lettere ed arti, e
dopo di lui gli Ommiadi; ma a costoro, sottentrati quasi tosto
gli Abassidi fu aperto un asilo agli studiosi in Bagdad sede
dell' impero loro: quinci si pensò a misurare le terre, e fu-
rono chiamati cultori dalla Sorìa« dalla Caldea e dalla Persia.
È appunto dagli Arabi insignoriti dalla Spagna, i quali
avevano oltrepassato i Pirinei , che trassero origine quelle
poche cognizioni onde si formò il gusto dei provenzali Tro-
vadori la cui lingua fu poi il ceppo delle tre lingue francese,
spagnola ed italiana, colle quali incominciò una novella era
di svolgimento e successivo progresso della letteratura; quan-
tunque l'azione educatrice per essere gli Stati sminuzzati dal
feudalismo succeduto alla barbarie si trovasse divisa e quasi
dissipata fra la moltitudine degli individui e delle famiglie.
dell'estensione della letteratura.
Sono oggetto della letteratura le scienze e le arti tutte
che si svolgono nello spazio dei tempi e dei luoghi. Le scienze,
le arti utili e dilettevoli, il tempo e lo spazio ne segnano
adunque i limiti suoi.
Ma le scienza e le arti essendo il prodotto dell'opera e
del ritrovato dell'ingegno umano ne consegue che la lettera-
tura debba pure estendersi a trattare degli autori delle me-
desime, vale a dire degli inventori e degli scrittori di esse.
Il perchè suolsi la letteratura dividere in universale, gene-
rale e particolare secondochc abbraccia tutte le scienze , le
arti, tutti gli scrittori d'ogni tempo e luogo; oppure si re-
stringe ad una parte più o meno grande di essi.
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— 217 —
DELLA STORIA DELLA SCIENZA E DELL* ARTE INSEGNATIVA
CONSIDERATA IN SE STESSA.
Ora fra le scienze e le arti la più importante per 1' u-
manitk si h senza dubbio, la scienza e Tarte di educare e di
istruire siccome quella dal buon uso della quale dipende la
felicita dei popoli.
La prima di esse viene più comunemente con vocabolo
tecnico tolto dal greco chiamata Pedagogia , la seconda Di-
dattica. Ma entrambe possono comprendersi sotto il nome ge-
nerico di Pedagogica che verrà da me usato in questa trat-
tazione per esprimere la scienza e l'arte insegnativa.
La storia della Pedagogica può abbracciare quattro argo-
menti, cioè la stona della scienza e degli scrittori, la storia
degli istituti e la storia delle leggi. Ma potendo le due prime
parti ridursi ad una sola, la Storia Pedagogica può adunque
dividersi in tre specie: in storia della scienza che h pur quella
degli scrittori^ ed in storia degli istituti e delle leggi. Darò
prima un cenno della storia della 'scienza ossia deg^Ii scrit-
tori di Pedagogica.
Il primo libro di educazione, secondo l'opinione di molti
si h la Bibbia. Ed invero nella Germania si scrisse una Pe-
dagogica Biblica da un ministro protestante per nome Heiber.
Questo libro h uno schema di pedagogia diviso in tanti capi
corrispondenti ad altrettante massime della Bibbia. Ma che
diremo della importanza della educazione quale ci viene de-
scritta dal vangelo? Gioberti nella introduzione allo studio
della filosofia dice: <c Nelle due forme più antiche di società
» quali sono il patriarcato ed il Governo a caste la religione
h e l'educazione si confondono insieme ed appartengono alla
» cosa pubblica. »
Passiamo ai profani: La storia, secondo lo stesso Gioberti,
ci mostra l'educazione pubblica in vigore presso gli antichi
Persi, e ci induce a conghietturare che assai prima fosse co-
mune a tutti i popoli iranici; d'onde forse passò in Egitto
dove la troviamo fiorente sotto il dominio dei Faraoni. I Do-
riesi che furono probabilmente in orìgine un ramo Pelasgico
Tintrodussero nella Grecia ellenica ed in quasi tutte le loro
colonie, l'affinarono in Laconia, in Beozia ed in Creta^ nella
Magna Grecia e la recarono per alcune parti ad un raro grado
di perfezione. Certo le meraviglie, dell'antica Grecia si deb-
bono principalmente attribuire alla influenza del genio dorico,
30
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— 218
c alla perìzia nel migliorare gli uomini colla disciplina. Li-
curgo rinnovatore d'instituti antichi viziò l'educazione doriese
esagerandone i principi; Pitagora la mise in arte, fondò con
essa la sapienza italo-greca e se ne valse a tentare una ri-
forma religiosa e civile,
Platone ateniese, nato nel 429 e morto nel 348 avanti Cristo,
si può dire il grande educatore del suo secolo^ esso aveva
preso per tipo il tnaestro suo Socrate, ed i suoi dialoghi sono
tante rappresentazioni in cui suol fare conoscere al popolo
il grande suo maestro Ostetrico dello spirito Socrate che
diceva di saper nulla ma invitava gli altri a cercare seco la
verità. Platone in tutti i suoi dialoghi e specialmente nel
Menone ci da la maniera di educare i fanciulli ; tratta di
educazione ancora nel libro delle Leggi dolia Repubblica.
11 metodo pitagorico si può dire opposto al socratico ;
il pitagorico h metodo dell' autorità , il socratico della ra-
gione. Ottemperati assieme possono giovare. Il pitagorico serve
a determinare i limiti entro cui va tenuto il socratico. Pi-
tagora che fiorì verso il 540 avanti Cristo , e che secondo
la più probabile opinione nacque nell'isola di Samo, inse-
gnava tutti gli elementi delle scienze, ma non permetteva
a suoi discepoli di disputare sino a che non avessero com-
presa bene tutta la tela della scienza. Laddove Socrate ap-
poggiato al buon senso li conduceva per mezzo di graduate
interrogazioni a cercare la verità, a combattere Terrore. Am-
bidue i metodi di Pitagora e di Socrate sono eccessivi: contempe-
rati assieme giovano grandemente all'istruzione ed educazione.
Dopo Platone viene Zenofonte ateniese, suo contempo-
raneo. Questi lasciò la sua Ciropedia che vuol dire educa-
zione del giovane Ciro. Alcuni la dicono una storia, altri un
romanzo storico: vi è del vero in quanto all'educazione. Co-
munque sia il libro di Zenofonte si presenta come tipo dell' e-
ducazione antica presso ì Persiani. Ma Zenofonte non si con-
tentò di presentare Teducazione persiana antica, scrìsse ancora
un' altro libro dei memorabili di Socrate in cui esamina e
raffronta il metodo socratico. 11 professor Regis tradusse il
primo, Verri Alessandro imprese a correggere il secondo, ma
non h sufficientemente pura la traduzione e si desidera mi-
gliore. Amedeo Peyron dice che Zenofonte ci presenta Socrate
reale qual era, laddove Platone lo presenta ideale, quale aveva
ideato che avrebbe dovuto essere.
Viene in seguito Aristotile di Stagira nato nel 384, morto
nel 322 avanti Cristo. Questi non trattò della educazione se
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— S19 —
non come parte della politica. Bellissime considerazioni fa nel
50 6^ e 7^ volume della politica in cui esprime la sua teoria
delleducazione politica quale veniva praticata presso i Lace-
demoni. Ma non si limita qui la gran mente del filosofo di
Stagìra: egli accenna ancora agli esercizii ginnastici, alla mu-
sica, alle lettere^ alle arti^ alla religione. Le sue considera-
zioni sulla musica sono degne di essere oggetto di storia.
Viene poi Plutarco celebre filosofo e storico nato a Che-
ronea nella Beozia, marto 120 anni dopo Cristo. Ei parla di
educazione nelle sue vite parallele e precipuamente nelle vite di
Licurgo e Numa. Scrisse inoltre un trattato di Pedagogica riguardo
ai fanciulli che alcuni credono che sia apocrifo. Ma apocrifo
od autentico, non ha certo il merito del libro di Aristotile.
Dopo i Greci vengono i Latini.
Fra i Latini avremmo avuto Cicerone d' Arpino » morto
nel 42 avanti Cristo, che nella sua Repubblica trattò dell'edu-
cazione, ma andò perduta, perchè dei libri della Repubblica
rimangono solo due, perciò dobbiamo tacere.
Quintiliano M. Fabio nato nel 49, morto nel lis^ anno dopo
Cristo nelle sue istituzioni oratorie tratta dell* educazione :
prende il suo oratore fin nei primissimi anni delPinfanzia e
lo porta air arte oratoria. Egli fa minute e profonde osser-
vazioni sulla mente, sul cuore e sulla disciplina.
Seneca da Cordova, nato verso il secondo anno di Cristo,
e morto nel 65 di Roma, tratta di educazione con assennatezza
nelle lettere a LucuUo, preziosi documenti della sapienza sto-
rica. Insegna in e^e come devesi leggere^ scrivere, occuparsi.
Cosi Plinio il Giovane di Como, morto nel 110 dopo Cripto,
dice belle cose intorno al leggere nelle sue lettere.
Sul z tedesco raccolse tanti pàssi di Setiecà e formò una
Pedagogica Senecea^ libro raro.
Abbiamo adunque: V la Bibbia; l"" i Filosofi gred; 3' i
Classici latini. Vengono ora in 4* classe i Santi padri latini.
Sant'Agostino nato nel 054 in Tagasta lìélU Numidià^ tra-
dotto dall'abate Rosmini^ tratta De Catechisandis Pradibus
et de Doctrina Cristiana: àggiutigansi alcune sue lettere. San
Gregorio Magno nato nel 540, scrisse: Cura Pastoralisi in essa
parla dei doveri del vescovo e tratta ampiamente la questione
dell'educazione di conoscere l'indole umana dei fanòiuUi^ e
trattarli secondo Tindole loro seguendo l'indole^ prendendoli
ciascuno per il suo verso a correggere e perfezionare.
S. Girolamo , nato a Stridone in Pannonia verso il 331 ,
morto in Palestina nel 420, scrisse trattati di educazione nelle
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— 220 —
varie lettere ad alcune madri, per esempio a Seta che sono
preziosissime ; discende ad indicare il metodo di lettura da
tenersi, la maniera di studiare e di insegnare la S. Scrittura,
fa la classificazione dei libri sacri da mettersi nelle mani dei
giovanetti, e quelli da serbarsi ad età matura.
5* classe: Padri Greci.
Il Crisostomo nel Commento di San Matteo paria nei
sermoni dei doveri dei genitori di educare la prole e si estende
agli uffici dell'educatore.
I^ Basilio nato nel 1070 contemporaneo ed amico del Cri-
sostomo scrisse De legendis poetis.
Cregorio Nazianzeno nato nel 329 in Azianzo borgo di
Nazianzo trattò qua e là dell'educazione nei suoi scritti.
Ma fra i padri Greci non vi ha trattato compiuto di
Pedagogica.
Scrittori del medio evo.
S. Tommaso nato nel 1226 in Aquinio^ nella Somma Filo-
sofica tratta del dovere dei genitori di educare i figli ', ne
tratta nel libro de jRegimine Principis.
A S. Tommaso di Aquino si aggiunge Gessler che scrìsse
de trahendis parvulis ad Christum^ a costui si attribuì De
imitatiane Crisii^ ma non è sua.
Dei francesi abbiamo Rabelais, Montaigne, Rossuet, Fe-
nelon , Fleury. Rabelais trattò di educazione in un romanzo
strano; questo libro è la storia di un gigante che si chiamò
Argante, è una satira agli errori de 'suoi tempi, fu una critica
acerba della maniera dura con cui sono trattati i figli ed alle-
vati. 11 Cuizot dilucidò questo romanzo e mise in mostra le
idee del Rabelais.
Montaigne nato nel castello di Montaigne nel Perigord
il 28 febbraio 1533 e morto nel 1592, nei saggi di Pedagogica
scrisse con arguzia pungente contro i difetti dell' educazione
de* suoi tempi e propose a modello l'educazione ricevuta dal
padre che dà piccolo gli faceva parlare il latino conversando.
Ma come giganti si sollevano su questi Bossuet e Fenelon.
Di Bossuet nato a Dijon nel 1627, morto a Parigi nel 1704, non
havvi che la relazione dell'educazione data al Delfino di Francia^
la quale h un capo lavoro. Ma il migliore de*suoi scritti è la
storia universale in cui tratta dell'educazione dell' umanità.
Fenelon si occupò assai più; e scrisse Veducation des fils
a cui fa seguito una lettera scritta ad una donna. Merita di
essere studiato da qualunque educatore^ fu tradotto in tutte
le lingue, aggiunse alla stona dell'educazione la pratica nel
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— 221 —
SUO Telemaco in cui sì fa educatore, scrisse ancora una bella
raccolta di favole latine e francesi. £i nucque nel Porigor-
dino nel 1631» mori a Cambrais nel 1715.
Assai più scrisse il Rollin nato nel leei» morto a Parigi
nel 1741; se non si leva alto come Russuet e Fenelon; scrisse la
maniera di studiare e di insegnare le belle lettere; neirnltima
parte tratta del governo dei collegi, questa h ancora consi-
derata come testo di pedagogia e di didattica. Contemporaneo
a lui è il Fleury; scrìsse: Della scelta del metodo degli studi.
Il Fleury h più largo del Rollin. Costui tratta dei convitti e delle
scuole secondarie, ma il Fleury tratta ancora dei fanciulli e delle
fanciulle di ogni classe, h ricco di idee e di norme pedagogiche.
In quel tempo fu pubblicato de Batione studiorum da
Zuvanci ed il trattato degli studi che sì facevano nel col-
legio dei gesuiti. Questo libro ha qualche pregio in mezzo
a molti errori dì didattica e pedagogica; ne fu fatta una nuova
edizione nel tS36. Questi furono gli scrittori del secolo 17?
Appartiene a questo secolo il Locke filosofo inglese che
innestò il sensismo in tutte le sue opere e così nella peda-
gogica nel suo libro della educazione trattò molto di filosofia,
di politica, di tutte le scienze razionali; egli è il precursore dì
Rousseau. Ei nacque a Wrigton nel 1632 e mori a Oates nel 1704.
Il Rousseau nato a Ginevra nel 17I2, mori a Ermenoville
nel 1778; però esagerò la dottrina di Locke e scrìsse TEmilìo che
e un romanzo pedagogico, e una satira dell'educazione delle
famiglie che affidavano i figli agli istituti appena nati, li trat*
tavano con durezza.
Io siffatta sua opera però Fautore si scostò dall'esempio
degli Spartani, l'educazione dei quali aveva altrove lodata
e procedette per via affatto opposta a quella di Licurgo.
Questi volle costringere e trasformare la natura, quegli se-
condarla, ed al contrario di Helvetius e di Jacotot, il primo
dei quali nel suo tratto: De thomme et de son éducation^
il secoodo nel suo libro De Fenseignement unis^ersely sosten-
nero che r educazione possa e debba fare tutto in fatto di
umano perfezionamento, egli dichiara che l'educazione possa
far nulla. L'uomo, egli dice^ nasce buono, e la società, il guasta.
Rimovasì il pestifero influsso e si faccia luogo airistinto natio.
La natura vuol essere unica allevatrice e maestra delFuomo^
e l'istitutore deve contentarsi di allontanare gli ostacoli, tan-
toché l'educazione riesca negativa e non positiva (Emil. liv. I)-
Contro gli errori di Rousseau primo s*alzò il Gerdil che
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— 222
lo confutò nella sua riflessione sur la pratique e la theorique
de Veducation de Rousseau^ libro pregevolissimo.
Dopo il Gerdil prèsero a combatterlo rdrii altri , fra i
quali il Catnpe nd suo libro Jllgem. He^isian* /, Bd. S. 236;
il Gioberti specialnietite nella sua introduzione alla filosofia,
il primo attribuisce V errore di Rousseau alla indole para-
dossastica del ciltadiuo di Ginevra il quale in questa sua
sentenza còme in quasi tutti i suoi paradossi abu^a della ge-
neralizzazione innalzando a dignità di massima fondamentale
ciò che la prudenza suggerisce in alcuni casi particolari f
il secondo dimostra che Terrore di Rousseau consiste nel falso
supposto che l'uomo nasca essenzialmente buono e la società
il corrompa. Perchè se la società corrompesse il fanciullo» lo
dovrebbe corrompere del pari l'educatore reso anch'egli mal-
V aggio dalla società di cui è membro ed alunno. Quindi il
vero educatore in forza della logica dovrebbe allontanare per*
sioo da se stesso l'alunno e gettarlo nella solitudine in mezzo
alle fierej perciò Tassurda conseguenza dimostra la falsità dei
principio. Il vero si è, egli osserva» che v'ha nell'uomo una
propensione viziosa; e che perciò il solo modo di migliorarlo
h una forte e positiva educazioue. Ma ancorché Tuomo non
fosse originalmente corrotto, leducazione sarebbe tuttora ne-
cessaria» perchè la natara abbozza l'uomo, noi compie e l'arte
ricercasi a perfezionare la natura. L' uomo nasce col germe
della scienza e coll'istinlo airàiione» ma la scienza vuole essere
imparata e l'anione diretta alTapprendimento dellarte.
11 Pestalozzi nato a Zurigo nel 1745 , morto a Neutroff
presso Brugg nel 1S27 » h celebre per i suoi scritti ; ma i
suoi tediativi pratici furono infelici» perche non sapeva rea-
lizzare il suo ideale. L*errore suo fu veduto dal Girard che
notò essere questo che il Pestalozzi poneva per base del suo
insegnamento la matematica mentre deve essere la lingua.
È pi'egeVole il suo libro: Geltrude che insegna ai suoi figli*
esso h un vero romanzo morale-pedagogico.
Girard Gregorio nato a Friburgo nella Svizzera il 17 set-
tembre 1765, dopo essere stato qnalcbe tempo incerto fra lo
stato militare e l'ecclesiastico, elesse finalmente questo ed entrò
nel convento dei Francescani. Egli non tardò (|uivi a segna-
larsi negli studi per guisa che appena questi finiti fu desti-
nato ad insegnare filosofia nel suo paese nativo. All'epoca
della rivoluzione ei mandò al signor Stupfer ministro di pub-
blica istruzione delia Repubblica elvetica un progetto di edu-
cazione della intiera Svizzera, e per ciò nel 1799 gli fu asse-
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— S23 —
guato UQ impiego negli archivi di quel ministero dove ebbe
occasione di conoscere tutti gli stabilimenti d'istruzione dei
vari Cantoni. Finalmente nel 1804 fu destinato quale prefetto
a sistemare la scuola francese dei fanciulli che il Consiglio Mu-
nicipale di Friburgo aveva aflBdato alle cure dei religiosi suoi
confratelli. Ivi ci concepì l'idea di insegnare ai fanciulli la lingua
materna come mpdre di ogni coltura intellettuale e morale.
Cambiò anche il metodo di insegnare l'aritmetica cominciando
al contrario di quello che si faceva innanzi , dai problemi
per venire alla regola. Insomma come il Galileo nelle scienze
fisiche y cosi egli nello insegnamento introdusse il metodo
esperimenlale e fu il vero fondatore del metodo osservativo,
di cui i Tedeschi specialmente Fròbel menano tanto rumore
in Germania e che alcuni nuovi scrittori come il Gabelli cre-
dettero di potere chiamare intuitivo; il metodo insomma che
il Ragneriy quale abile filosofo che egli era, ridusse a formola
scientifica come vedremo.
11 corso di lingua materna del Girard può essere corretto,
ma la sua introduzione a questo corso tradotta ed emendata
dal prof. Lace h un capo lavoro.
Dopo Girard venne l'abate Rosmini nato in Roveredo nel
iY58 e morto a Milano nel 1827. Il primo suo libro fu un
trarttato dell' educazione cristiana dedicato a sua sorella.
Poi scrisse del supremo pensiero della metodica. La prima è
il principio della sua speculazione h il vertice de'suoi studi-
Abbiamo di lui ancora: Della unità della educazione. Queste
tre opere formano un complesso di dottrine pedagogiche a
cui non si può mettere di confronto nessuna opera ne di
tedeschi, uh di francesi.
Contemporaneo del Rosmini fu Vincenzo Gioberti. Egli
per la forza degli argomenti, per la gagliardia dello stile,
per la vastità delle cognizioni e per la profondita delle ri-
flessioni sorpassò tutti gli antichi ed i moderni scrittori di
pedagogici. Parlò della istruzione e della educazione nella intro-
duzione allo studio della filosofia e nel Gesuita Moderno ove
prese a confutare gli errori del Batto studiorum dei Gesuiti.
Abbiamo ancora autori di Pedagogia tedeschi recenti.
Il Milde stato tradotto a Milano, lo Strazz, il Kurman^ e
Hegel^ ma questi pecca di panteismo come in tutte le sue opere»
{Continua)
Prof. Gabbiele Deyla
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2S4 —
xxKyiii»
IL NIHILISMO CHB CHIBDE LA COSTITUZIONE
ALLO CZAR ALESSANDRO IH.
Il tuo gran genitor, novello Alcide,
Sperava andarne delle spoglie adorùo
D' un immane lion, che tutto irride
E soltanto paventa i rai del giorno:
Ma perdura il lion nelle sue sfide.
Sitibondo di sangue per iscorno
Scote la fulva giubba a lui dattorno,
L* assalisce, 1* azzanna e al fin T ancide. . .
Che non imiti il forte Macedone,
Che de* lion con la ruggente scorta
In fino air Indo s*innoltrò festante?..
Doma, 0 novo Alessandro, il fier lione!..
Aggiogalo al tuo carro, e trionfante.
Al disiato Bosforo., ei ti porta!..
Luigi Abrigo Rossi
PUBBLICAZIONI RICEVUTE IN DONO
Albrecbt de Batavia (M. J. E.) L*ifutruetion primaire chex le$ Chinois dans
l'ile de Java, traduit du hollandaù et annate par Aristide Marre {Ewtrait
dei Annales de rExtrème-Orieot.) Paris, librairie orientale de Challamel
Àinéy me Jacob, 3, 1881» In 4.'' di pag. 16.
Altieri (Ant) Giuliano de* Siedici eletto cittadino romano, ovvero il Natale
di Roma nel 15i3. Relazione inedita con prefazione e note di Loreto Pa-
squalucci. Roma, tipografia Artero e C, piazza Montecitorio, 125, 1881. In
12.^ di pag. 78. Edizione di duecento esemplari.
Biblioteca della gioventù* italiana. Anno XIII. Marzo 1881. Lettere di
Giuseppe Giusti scelte pei giovinetti a cura di Gaetano Dehò. Volume <e-
eondo, Torino , 1881 , tipografia e libreria Salesiana , Sanpierdarena-
Lucca-Nizza Marittima* In 12<^ di pag. 310.
Elenco delle Accademie, Società, Istituti scientifici, direzioni di giornali ecc,
che ricevono le pubblicazioni dell' Accademia dei Lincei , coli' indicazione
delle pubblicazioni periodiche che mandano in cambio. Roma, coi tipi del
Salviueci, 1881. In 8.o di pag. 50.
Fa varo (Antonio) Galileo Galilei ed il k Dialogo de Cecco di Ronchitti da
» Bruzene in prepuosito della stella nuova » studi e ricerche {Estr. dal
voL VII, serie V, degli Atti del R. Istituto veneto di scienze lettere ed
arti). Venezia, tipografia di G, Antondli, 1881. In 8.^ di pag. 86.
Galileo astrologo secondo documenti editi ed inediti , studi e ricerche.
(Estratto del Periodico Mente e Cuore). In 8.» di pag. 10.
Henry (G) Lettre a monsieur le Rédacteur contenant l'indicaiUm de quelques
erreurs dans les Tables mathématiques sur le Bulletin des Sciences mathé-
matiques (fascicule de janvier 1880) [Extrait du Bulletin des Sciences ma-
thématiques, 2« sèrie, I. IV, 1880) Paris, imprimerie de Gauthier-Villars^
quai des Augustins, 55. In 8.» di pag. 5.
Nardugci (Pietro) Illustrazione dei rilievi per ^esecuzione del Fognone alTE-
s^uUino. Roma , tipografia del Senato di Forzani e comp. 1879. In 8.^
di pag. 10.
R. Accademia delle Scienze di Torino. Elenco degli Accademici, Stamperia
Reale di Torino, 1* febbraio 1881. In 8.» di pag. 26.
Raggi (Oreste) Di due estremi affetti e due estremi dolori^ commemorazione
intima a Ferdinando Santini. Roma, tipografia nelV orfantìtrofio comunale
di Termini di Mario Armanni 1881. In 12<> di pag. 19.
Stahly (F. I. A.) Elementi di un sistema di Drammaturgia, ossia di unedi-
fizio teorico delle arti drammatiche. Sunto di pubbliche lezioni tenute nel
Circolo Filologico di Roma {Serie prima, fascicolo primo) Torino Roma Fi-
renze, fratelli Bocca e C. lib.-edit. 1881. In 8.<» di pag. 56.
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Serie II. Vol. XIV.
Luglio 1880
I L
BUONARROTI
D 1
BENVENUTO GASPARONl
CONTINUATO PER CUBA
DI ENRICO CARDUCCI
XL.
XLI.
PAG.
XXXIX. Documenti inediti dell'arte toscana dal XII
al XVI secolo, raccolti e annotati da G. Mi-
lanesi (Coniinuazione) »
Descrizione di tutte le colonne ed obelischi
che trovansì nelle piazze di Roma, disposta
in forma di guida da Angelo Pelle-
grini ecc. (Continuazione) »
Sopra il luogo e Tanno della morte di Fra
Giocondo, architetto veronese, e sul cognome
di Antonio da Sangallo - y i*4>rc, architetto
fiorentino , ambìdue de^ .1 .i alla fabbrica
di San Pietro in Roma. Lettera al eh. signor
cav. Enrico Narducci (Camillo Ravioli). »
XLll. La Greca Scoltura (Prof. Giuseppe Dkrossi). » 254
XLIII. Bibliografia. Monuments de Tart antique
pub!ìès sous la direction de M. Olivier
Rayet ecc »
XLIV. Alla gentilissima donzella Rosina Pontecorvo
ed al giovine egregio Marco della Rocca
nel dì delle nozze Io zio MosÈ Page questo
ghiribizzo offre (Di palo in frasca). . » 256
XL V. L'altezza serenissima dì 6'ar/o /// principe so-
vrano di Monaco, alfaltezza reale di donna
Florestina duchessa di Wurtemberg sua
augusta sorella (Luigi Arrigo Rossi), d 261
XLVl. Atomi. A Sevérina. — Voci udite alle corse
(Luigi Arrigo Rossi) )f 262
Pubblicazioni ricevute in dono ........ 264
225
234
249
255
ROMA
TIPOGRAFfA DELLE SCIENZE MATEMATICHE E FISICHE
VIA LATA N? 3.
t880
Pubblicato il 3 Giugno Issi
(
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^
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IL
Serie II. VoL. XIV. Quaderno VII. Luglio 4 880
XXXIX.
DOCUMENTI INEDITI DELL'ARTE TOSCANA
DAL XII AL XVI SECOLO
RACCOLTI E ANNOTATI
DA G. MILANESI
Continuazione (1)
N.* 42. ' . 1341, 13 di giugno
PcUti con maestro Antonio per la edificazione della caia di resi-
deìoa della compagnia di S. Maria che s^ adunava in Or
S. Michele.
Archivio di Stato in Ftren^iiff^
Archivio d' Or San Michele. Voi. di V. 145.
Al nome di dio. Amen.
Qui apresso sarà scritto l' acordo che Nicholò di Cenni e Rag-
gieri ài berto fecero a di xii di gugno miij^XLJ chon Antonio maestro
in fare la chasa della Compagnia d'Orto San Michele (2).
Che farà il' braccio quadro di tutti i fondamenti e chavare e
mandare Tia la terra fino alaqua B viii picc:'! ad ogni sua spesa Jf viij .
Che farà una volta sotterra doppia e rinpierà di piche e di
calcina e la schala e finestre e amattonato: la metà intendesi a ferri
e pionbo e legname della Compagnia e ogni altra spesa d'Antonia,
mburando a piano d' ogni braccio quadro • e gli schaglion de* fare
di lastroni e de* lastrichare la volta di sotto : entendasi che sia
braccia iiij dal piano al peduccio Jf xx picc:"
Che farà il concio di pilastri subbiato piano, e lareho il pi-
lastro braccia ijg- si che bene istea, e mettendo in ogni pilastro tre
doppie, misurando per alteza d'ogni braccio ^ xxxviij picc.
Che farà il concio dell' arcora facendo in peduccio brac. Ig- e in
serraglio brac. If d'ogni braccio per lunghezza dell'archo Jxxxyipicc.
Che farà il concio delle pietre femine infino al davanzale , e
metterà di suo il davanza(fó); de' avere d'ogni braccio quadro del
concio; e ogni concio s'intende a sue pietre >xiiipicc:^^
(1) Vedi Quaderno precedente» paji;. 19.6.
(8) Crediamo che questa fabbrica esista tuttavìa» e sia quella che è dirim-
petto air ingresso principale dell'Oratorio d'Or S. Michele.
ai
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— 226 —
Che farà il muro sconcio dal davanzale in giuso ogni braccio
quadro per sol: quattro dan: sei piccioli e murerà il concio a sue
spese e non ne dee avere danaia: ragonasi [sic) sarà il concio grosso
r braccio > iiij d vi picc:
Che farà il muro dinanzi dal davanzale in suso; contando vano
per pieno e facciendo tre finestre, d'ogni braccio quadro ^ vij picc:**
Che farà ogni muro oltre a'detti sopraterra andando alto insino
in braccia ventidue in gronda : d* ohni braccio quadro , contando
vano per pieno, sol: vij piccoli.
Che farà una volta sopra terra doppia e ripiena in peducci di
pietre e di calcina e amattonata a ogni sua spesa , e intonichata ,
misurando a piano d'ogni braccio per ^xvijpicc:"
Intendesi ogni ferro o pionbo o legname che rimanesse murato
sia a costo della compagnia.
E ogni doccione che vi bisogna nelle mura, o nella colonna^
che Antonio gli comperrà alle sue spese.
Che farà ogni lavorìo buono e di buone pietre e di buona chal-
cina: a questo si starà a quello chenne dirà Gherarduccio maestro:
e simile se oltre a questi lavorii vi sì facesse alchuno lavoro^ che
n*abbia quello che dirà il detto Gherarduccio.
Anchora che ogni muro che facesse per chiusa, e fosse muro
di pietre che fosse grosso J- o ^ di braccio, ne debbia auere chome
dell'altro, cioè Jf sette del braccio, fvciendo di suo una colonna di
pietre concie sabbiate nel mezzo con una cimassa di sopra e di sotto
una basetta che getti uno ottavo di braccio intorno.
In Dei nomine ^P^'Ci^' Anno dius mcccxlj ind. viiij die xix\
mensis Junii. Actum Florentiae in dieta domo presentibus testibus
Fratre Bene Salvi de Ordine Pinzocherorum populi Sci Pauli, Fran-
cescho Cenni populi Sancti Jacobi Ultramum et Tura Gratie po-
puli Sancti Felicis ad hec vocatis.
N.** 43. 1342, 21 di giugno
Allogazione ai maestri Paolo e a Gio. suo padre
di sei statue per ornamento della porta a San Gallo di Firenze.
archivio dello.
Bufiti di S. Francesco dì Pagno da Vespignano. Protocollo dal 1340 al 1345. e. 48.
Pateat omnibus eridenter quod nobiles et pmdentes viri , vi-
delicet dominus Fantone de Rossis suo nomine , jFranctsctis Lapi
Johannis suo nomine et vice et nomine dicti Bindi domini Oddonis
de AUovitis , Ughuccione Ricciardi de Riccis et Feu» domini Baldi
della Tosa., officiales super constructione mnrorum civitatis Fio-
rentie, una cum Filippo Bonfigliuoli eorum collega absente:
Actendentes locationem dadum factam per religiosos viros dopnos
PeUrum et Zenouium monacos de Septimo oi'dinis Cìsterciensis, tunc
camerarios constructionis murorum civitatis Florentie , de concilio
et deliberatione proborum virorum Duccii Angiolini Malchiaudlij
Bartholomey domini Guidotm de Cavaleantibm j Gerii GuccU de
Spinis, Spinelli de Mosciano , Neri Foriis Bezzole^ et Geri Gi*ccii
Ghiberti , tunc officialium super constructione et hedificatione mu-
rorum civitatis Florentie; Paulo magistri Johannis populi sancti Lau-
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227
rentii, recipienti et conducenti prò se ipso et dicto magistro Joharine
patre suo ^ ad faciendum et construendum , sculpendum et inta-
Sliandum sex figuras sive ymagines lapideas de ottimis (sic) lapi-
ibas della Cicala , seu figuram Domini nostri Yhesu Xpi et beate
Marie Virginis matris eios, que sedeant, et qualiter ipse Dominus
Yìkùs Xps eandem matrem eius coronet; altitudininis quelibet ipsarum
figuramm sedendo super quodam sedio , bracchiorum quatuor ^ et
grossitudinis sive latitudinis quelibet ipsarum figurarum trium quaiv
torum bracchii; et sub pedibus eorum vnum pedistalium altitudinis
vnius bracchii et longìtudinis ab uno colouello ad alium; et in dicto
pedistalio ex parte anteriori intalliare et scolpire tres scudicciuolos
scultos armis comunis Fiorentie cum folgliaminis circum circa. Item
facere et intalliare figuram siue ymaginem beati Johannis baptiste
et sancte Reparate ^ altitudinis quelibet ipsarum figurarum brac-
chiorum quattuor et grossitiei sicut requiritur diete altitudini et
figuris: et stent recte diete figure in pedibus, et dieta figura beati
Johannis baptiste teneat in manum vnam crucem et unam cartam
apertam, in qua debeant scribi sive depingi lictere; et figura beate
Keparate habeat in manum vnum vrceum cum liliis ex latere si-
nistro versus portam de Pinti. Item figuram beati Petri appostoli
cum clavibus pulcerrimis et magnis, et figuram beati Laurentii ad
modum diaconi, cum vno cultello palmarum in manum eius; men-
snre, altitudinis et latitudinis sicut alie figure supradicte; et stent
rette (sto) in pedibus. Item facere construère et murare et hedificare
' novem postas beccadellorum in tribus partibus inter vnum fenestra-
ticum et aliud porte Sancti Galli. Et sint mssi dicti beccadelli ,
quilibet ipsorum medium bracchii, et sint altitudinis quelibet posta
beccadellorum bracchiorum duorum, et sint sgolati et sfogliati. Et
super dictos beccadellos ponere et murare lastrones grossum {sic) tercìe
partis bracchii et amplitudinis ad modum dìctorum beccadellorum
et faciat dCagietto quartum bracchii; et sint sgolati a trìbus lateribus
et sfogliati de subtus. Et super dictis lastronibus unam cornicem
altitudinis tertie partis bracchii et sint smussati; super qua recol-
ligatur aqua ad modum basamenti. Et super dieta cornice facere sex
colonnellos cum basis et capitellis sfogliatis #t sgolatis de suctus (sic)
et sint altitudinis bracchiorum quattuor et duornm tertiorum brac-
chiorum, quando erunt sculpti: et sint grossi quilibet dictorum co-
lumpnellorum tenia pars bracchii; et super dictis capitellis facere
sex beccadellos grossitudinis quilibet dictorum beccadellorum medii
bracchii et altitudinis vnius medii bracchii, fornita posta; et sportent
de foris murum turris siue janue ]>er vnum bracchium et quartam
partem alterius bracchii, cum visis in testa intalliatis et sculptis in
dictis beccadellis, et inter postam vnius columpnelli ad alìam de-
super facere vnum beccadellum de duobus lapidibus ad modum al-
terius, uel magis suflEiciens, et super dictis beccadellis incipiantur et
fiant arebecti genuflexi cum testeriis sfogliatis da lato^ sicut reqnirit
dictum laborerium, et volticelle intus sint de bonis lateribus bene
coctis: et super dictis archettis genuflexis facere chiocciolas; super
dictis frontespitiis sint coperte de lastronibus de caua de Montecelli,
et in quolibet frontespitio vnum scutum facere et intalliare, in quo
et quolibet sint sculpta arma Comunis Fiorentie. Quas figuras, vi-
#
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— 228 —
delicet Domini nostri Yhù Xpi et beate Marie Virginio modo pr€>-
dicto scuipte (sic) designatas et intalliatas ponere seu poni facere
super porta de medio ; et dictas figuras beati Jobannis baptiste et
sancte Reparate intailiate scuipte et designate (sic) ponere seu poni
facere super alia porta colupnellorum inter ynum et aliud ex parte
dextra versus portam Fauentie. Et dictas figuras beatorum Petri et
Laurentii modo predicto sculptas et designatas ponere seu poni fa-
cere super altera porta colunpnellorum ex parte sinistra versus
portam de Pinti.
Que omnia supradicta dictus magister Paulus dictis camerariis
promisit facere, construere scolpire (sic) et intalliare vna cum diete
magistro Johanne patre suo, omnibus eorum et cuiuscumque eorum
sumptibus et expensis in dicto laborerio opportunis et occurrentibus,
exceptis calce vivo et ferris et plumbo necessariis et opportunis dicto
laborerio. Et omnes supradictas figuras ponere seu poni facere ad
portam sive super portam Sancti Galli et super dictis postis becca-
dellorum, ut supra dictum est, omnibus suis expensis, ut dictum est,
prò pretio centum sexaginta florenorum auri: ut de predictis et aliis
latius continetur in locatione et conductione predicta, rogata et scripta
per ser Alexandrum domini Kari notarii in H.cccxxviiij, die xviij
mensis februarii.
Et actendentes quod prò parte dictorum magistrorum Johannis et
Pauli conductorum proponitur et asseritur dieta laboreria a se con*
ducta, esse quasi perfecta et ad fiaem debitum deducta, salvo quod
nondum sunt locata posita, murata constructa et ordinata in dieta
porta et turri Sancti Gallio ut promiserunt. Et ideo petunt ante omnia
eis dari tradi et assignari calcem , ferramenta et plumbum neces-
sarium laborerio supradicto , ut in dieta locatione dicto magistro
PaiUo conductori promissum fuit. Nec non omnia que ipsi officiales
videant et examiuent et perquirant per se ipsos officiales vel per alias
sufficientes et expertas personas quas ad predicta duxerint deputandas^
utrum predicta conducta promissa et conventa per dictum Paidum sint
fini debito mancipata, nec ne. Et considerantes dicti officiales quod
ad presens comune Florentie est in magna penuria et necessitate
pecunie, adeo quod ad solutionem pretii dictarum rerum presen-
tialiter necessariarum laborerio supradicto (sic) secundum pacta et con-
ventiones predictas; diligenti deliberatione prehabita, vigore eorum
officii, auctoritatis et balio, de consensu et voluntate dicti magistri
Pauli^ et omni via, jure et modo quibus melius potuerunt, ad hoc
ut nulla questio siue disceptatio sit vel oriatur in fuiurum inter
dictum comune Florentie et eius officiales ex una parte, et dictum
Paulum conductorem ex altera, ratione vel occasione prediùtorum;
vigore eorum officii, autoritatis et balie et omni via, jure, et ratione
quibus melius potuerunt; presente, volente et consentiente magistro
PaiUo predicto, supradicti officiales elegerunt, nominaverunt et de-
putaverunt Masum Leonis , Stephanum Puccti , et Pugium Contri ,
cives florentinos, viros providos et expertos in arte et de arte caiv
pentariorum et magistrorum lapidum et lignorum, et eisdem magistris
et duobus ex eis, alio absente, siue deficiente, aut presente et con-
tradicente siue consentiente uel tacente, commiserunt plenarie vices
suas, quatenus viso per singula dicto instrumento locationis et con-
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— 229 —
dactionis scripto per dictam ser Allexandrum notariam , una cum
religioso viro fratre TcUento de Ordine Predicatorum civitatis Flo-
rentie, famoso magistro lapidum et lignorum, vadant et videant exa-
minent et perquirant, ordinent et determinent utrum magistri Paìdus
et Johannes conductores prefati piene et bene fecerint omnia et sin*
gala que promiserunt et convenerunt in istrumento predicto scripto
per dictum ser Alexandrum; nec non provideant et ordinent qaan-
titatem pecunie quam predicti conductores Tel alter eorum rationa-
biliter expendiderint prò perfectione dicti laborerii, prò calce, fer-
ramentis et plumbo supradictis in laborerio supradicto, ac etiam in
qualibet alia re et laborerio, quam sive quod prò utilitate et ad de-
corem dicti laborerii fecissent vel facerent in futurum ultra vel preter
predicta promissa per dictum magìstrum Patdum in dicto instrumento
rodato et scripto per dictum ser Alexandrum notarium. Dantes et con-
cedentes eisdem magistris sic electis et duobus ex eis, ut dictum est,
vna cum dicto fratre Jacoho coniuncte plenam potestatem et baliam
componendi, ordinandi , providendi omnia et singula que yiderint
expedire in predictis, prò predictis vel supra dictis, aut eorum aliquo;
stantiantes et ordinantes ex nunc prout ex tunc officiales predicti
vigore et auctoritate predictis per singula et omne id et totum quod
dicti magistri commissari! aut duo ex eis de consensu dicti fratris
Jacohi ut dictum est, in predictis supra predictis aut circa predicta
vel in dependentibus ab eisdem dixerint, providerint, vel aliqualiter
ordina verint (l).
- N.® 44. 1346, di gennaio
MemoWa della Tavola dell'altare della Compagnia del Gesù Pellegrino^
che si adunava sotto la chiesa di S. Maria ttfovellay data a di-
pingere a Piero chiamato Ghiozzo.
Da una copia dell'antiquario Gioi Batista Dèi,
coaseirau neW .archivio di Stato di Firenze,
Al nome di Dio e della sua benedetta Madre, Amen.
Quie appresso faremo memoria della Tavola la quale istarà sopra
r altare , et chi la pagherane e '1 dipintore chella farane et quello
chosterane.
Chostò la Tavola di lengniame choUa predella et choUe colonne
fiorini d'oro 5, paghoUi Filippo Niccoli di suo per l'amore di Dio.
Essi data a dipingniere la detta Tavola a Piero di culliari (?) (2)
chiamato Chiazzo. Fece choUui il merchato Filippo Niccholi et Piero
Rinaldi : della quale tavola et predella e colonne chiese fior:*^ xx
d*oro a metterla tutta di fino oro, cioè la tavola et la predella; et
le colonne d'altro oro et non fine.
(1) A questo stesso Paolo di Giovanni scultore fiorentino» di cui tacque
fino a' nostri giorni la storia, furono date a fare con istrumenti de' 7 e de* 9
di gennaio 1329 altre statue per ornamento della porta a S. Pier Gattolini,
oggi Romana. I quali istrumenti si possono leggere stampati nel Voi. Ili ,
pag. 282, del Giornale storico degli Archivi Toscani. Firenie, Galileiana 1859.
(2) Nessuno altro ricordo di questo pittore abbiamo trovato nelle scrit*
ture contemporanee. Della Tavola fatta da lui per la Compagnia del Gesii
Pellegrino, nella quale era rappresentata nel mezzo Nostra Donna col Divin
Figliuolo, e dalle bande i Santi Filippo e Zanobi» non si sa che ne sia stato^
e crediamo cbe sia perduta.
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— 230 —
Profertoffli fue per Filippo fiorini XVI. Bimisesi in Piero Ri-
naldi^ che sella sa bene, chelgli dovesse sentenziare quello cbalui
piacesse.
Anne auto il detto Piero dipintore da Piero Rinaldi fior:'' tre.
Anche n*ha auto il d.* Piero dal detto Piero RinàUU fior:** d*oro ij.
Anche ha auto il detto Piero dal detto Piero fior:** ij.
Memoria di quelli della Compagnia che meleranno nella d.*
Tavola a farla dipignere.
Ane chiesto Filippo Niccoli di fare dipingnere di suo nella detta
tavola due Santi , cioè San Filippo e S. Zanobio. Ebbe Piero Ri^
naldi fiorini iiij doro.
Ane chiesto Ser CitUo Cecchi et Piero Rineddi il compasso di
mezzo della detta Tavola, e farla dipignere da loro e farvi la Nostra
Donna chol Figliuolo.
A dato Ser Ctt^o a Piero fiorini doro i.
Ane dato Piero: ebe il dipintore fior:"*l doro.
Ane chiesto Lapo di Cione a fare dipignere nella detta tavola
uno compasso e farvi dipignei'e Santo Simone.
N.* 45. 1346, 18 d'ottobre
Angelo di Af* Giovanni , pittore , afferma che dipinge le figure
di pietra fatte da Paolo di M" Giovanni per la porta di
S. Gallo di Firenze.
ÀrehMo dello.
Rogiti di 8«r Banedetto di ]Cieb«le da Firente (o da Pomino) Protocollo dal ilKh al iS4S, e 87.
Die ottavo decimo mensis octobrìs.
Acmm apud ianuam sancii Galli de Florenlia, presentibus te-
stibus Gerio Bett%iccii pop: Sancti Lanrentii et Geppo Schiatte po-
puli sanctorum Appostolorum , Niecolao Salvi delle BoniUe pop:
Sancti Niccolai et aliis ad hec vocatis et rogatis. Pateat omnibus
evidenter • quod Agnolus pictor olim magistri Johannis pop: S. Pauli
de Florentia , òxxìl et asseruit in presentia mei Benedicti not. et
testium predictorum, quod ipse pictor pingit et ornai figuras lapidam
relevatas et scultas et positas ad portam Sancti Galli, ad instantiam
et petitionem et preces Pauli magistri Johannis populi sancte Marie
Novelle de Florentia^ magistri, et expensis et sumptibus ipsius Paulù
Et ego Benedictm notarius vidi dictum Angelum pingentem dictas
figuras in presentia dictorum testium. Qui Pofutus rogavit me Bene-
dictum notarium infrascriptum ut de predictis publicum conficerem
instrumentum (l).
(1) Angelo pittore e figliuolo di maestro Giovanni» è detto d'Arezzo in
un Registro dì artefici forestielri che dimoravano in Pirenie, fatto intorno
al 1340. Egli è ascritto alla Compagnia di S. Luca sotto Tanno 1344, e posto
tra i matricolati all'arte de'medici e speziali nel Libro delle matricole dal
1353 al 1386. Di lui non abbiamo altra notizia-
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231
N.* 46. 1348, 1 d'aprile
Allogazione a Benci di Cione maestro di pietra e di legname della
costruzione d*una cappella per le monache di S. Maria del Fiore
di Fiesole dette di Lapo.
Jrehivio detto.
Rogiti di Ser Assolino di Contnccino. Protocollo dal Ì3i7 al 1349..
In Xpi nomine Amen.
Anno eiusdem Salutifere Incarnatlonis Millesimo Trecentesimo
quatragesimo nono ind: secunda, die primo mensis aprilis. Actum
Florentie in populo S. Micchaelis Vicedominorum, presentibus te-
stibus Niccholao ser Bonifatii pop: S. Petri maioris, Johanne Do^
nati pop: S. Laurentii et Pepo Lapi de Alfanis pop: S. Michaelis
Vicedominor. - Pateat omnibus evidenter quod - Lapus quond. Gutl-
lelmij qui vulgariter nuncupatur Lapo da Fiesole^ volens intendere
circa hedificationem cappelle que fieri debet per virgines reclusas
S. Marie del Fiore de Fesulis, secundum testamentum et disposi-
tionem quond: Johannis Gagnazzi de Gambasso, super podere quod
olim fuìt dicti quondam Johannis ; et considerans quod per Capi"
uneos Sotietatis beate Marie Vireinis della Misericordia de Flo-
rentia, que bedificata fuit sub tituio Sancti Tobbie, et que Sotietas
facit seppelliri mortuos et plura opera pietatis et misericordie exercet;
provisum fuit, quod de denariis diete Sotietatis, et prò remedio ani-
marum illorum qui diete soti etati reliquerunt, bona seu pecuniam
ipsorum deponerentur penes Jacopum Dini Guidi et Bartolomeum
Guardi inter duas vices floren: auri quattuorcenti quadraginta; et
quod de dictis qaatuorcentis quadraginta florenis auri bedificaretur
et bedificari fieret per dictum Lapum de Consilio Guidonis del Pe^
chora et Johannis Andree Guidi^ tunc sotios diete Sotietatis - quedam
cappella longitudinis , amplitudinis et forme de quibus eìsdem vel
maiori parti ipsorum videa tur ; in qua quidem cappella ponantur
et sint acuite , ita quod omnibus respicere volentibus appareant ,
tres lapides in quibus sint sculta et pietà signa diete Sotietatis Mi-
sericordie, videlicet, in summitate muri ubi est colmignolum, Tna, et
alie dile in gronda in facie anteriori; ac etiam ibidem scriptum in
facie anteriori et supra portam qualiter talem cappellam fecerunt fieri
Capitanei diete Sotietatis prò rimedio animarum illorum qui mortui
sunt et diete sotietati aliquid reliquerunt. Et volens dictus Lapus
nomine dictarum monialium ad quorum ìnterceptionem deputata est,
dictam intentionem dictorum Gapitaneorum ad eifectum perducere,
eo quia penes dictos Jacopum, Dini Guido et Bartholomei Guardi
dieta pecunia est depositata prò dieta cappella construi facienda ac
dicens se esse de ipsorum Guidonis et Johannis intentione plenarie
informatus , prò se ipso et vice et nomine dictorum Guidonis et
Johannis ac etiam vice et nomine diete Sotietatis - locavit ad con-
struendum dictam cappellam infrascripto modo, et cum infrascriptis
^ pactis condictionibus longitudine et amplitudine et modis Bendo filio
quondam Cionis (1) magistro lapidum et lignaminis, qui moratur Flo-
rentie in populo S. Aeparate, videlicet etc.
(1) Benci di Cione maestro di pietre ed architetto eccellentissimo, da
pochi anni stato rivendicato dal lungo ed immeritato oblio alla storia dell'arte.
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— 239
Quod dictus Bencius debeat omnibus et singulis suis expensis la-
pidum, lignaminum, ferrorum^ calcine, rene, magisterii et omnium
et singularum expensarum circa diete cappelle constractionem occur-
rentium; dictam cappellam facere longham bracbia viginti otto et
largham brach: quattuordecim ex parte interiori; et debeat esse alta
in angulo interiori in gronda seu in stillicidio brachiis quattuordecim;
et debeat esse fundata super terram bracbiis tribus: quod fundamentum,
seu quod murtts fundamenti sit grossus yno bracchio cum dimidio et
super terram sint grossi dicti muri diete cappelle yno braccbio. Et in
dieta cappella ex parte anteriori sit una porta cum vno pulcro et sujffi*
cienti limite siue soglare et cum bonis et pulcris pilastrellis cum yno
bastone, et cum becchatellis isfogliatis, et supra dictam portam sit ynus
pulcer cardinalis lapideus: et in qua cappella sint quinque fenestre fer-
rate de ferro secundum consuetudinem finestrarum que fiunt in eccle-
siis, in ea yidelicet parte, et Ulius forme, in qua parte seu partibus
diete cappelle, et eo modo quo eisdem Lapo et aliis supra nominatis
yidebitur et placebit. Que cappella et muri diete cappelle sint tecti
uno pulcro et ydoneo tetto de abiete et cum cayallettis piallatis et
regulatis et inbossolato et coperto bonis et ydoneis lastris fesulanis.
Guius cappelle facies anterior sit rimboccbata, rasa à'cantoni in ea
parte muri que erit supra porticum seu dal portico in su. Et quod
dieta cappella ex parte interiori sit tota imbrattata a cazzuola^ in qua
etiam sit ynus corus, cuius cori murus sit altitudinis bracchiorum
quattuor ad minus , computata in dieta quantitate quattuor brac-
chiorum, illa parte muri que erit subtus terram prò fundamento :
super quem murum sit quedam pulcra cornix de lapidibus conciis: —
et totum solum seu totum spazzum diete ecclesie sit smaltatura et
cum illis gradibus seu scaglionibus qui erant necesse prò intrando
in corum diete cappelle. Et extra dictam cappellam sit ynus gradus
siye scagiona qui sit largus per tantum spatium, per quantum spatium
erit ampia ianua siye porta diete cappelle , et etiam alìus gradus
qui diyidat yiam a platea diete cappelle longus per tantum spatium,
quantum est largba dieta cappella. Que platea anterior diete cap-
pelle sit lastricata cum lastris bene et sufficienter. Que ianua seu
porta habeat et habere debeat hostia lignaminis ylmi et impiallac-
ciata de assidibus nucis cum aliquibus confessis et cum agutis rile-
yatis et yernichatis, et cum illis ferramentis que eruut congrua in
illa et prò illa porta. Supra quam portam sit ynus porticus sive tettus.
nacque da un muratore di Como, venuto ad abitare in Firenze. Dove apprese
l'arte dai padre, e ben presto si fece valente nella scultura, e poi nell archi-
tettura, e fu dalla Repubolica fiorentina adoperato nella costruzione de' prin-
cipali edifizj pubblici che a suoi tempi s* innalzarono, come nel 1345 insieme
con altri nella continuazione del palazzo del podestà, e nel 1349 in compa-
gnia di Neri Fioravanti nell' innalzamento della loggia è palazzo d'Or San
Michele e della cappella dedicata a S. Anna edificata nell'oratorio d'Or S. Mi-
chele in memoria della cacciata del Duca d'Atene. Nel 1356 insieme con Fran-
cesco Talenti capomastro di S. Reparata fu chiamato a Siena per vedere i
difetti che s'erano scoperti nella fabbrica del duomo di quella città» e prò- ,
porne i rimedj.Ma la maggior gloria di Benci di Cione è l'avere architettalo
la maravigliosa Loggia de' Priori, cominciata sulla piazza della Signoria di
Firenze fino dal 1375, il cui autore da Vasari in poi è stato detto VOrcagna,
morto certamente nel 1368, cioè sette anni innanzi che si desse mano a quella
fabbrica. Morì Benci di Cioncy essendo assai vecchio, nel i388.
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233 —
laboratus cum similibus lìgnaminibus^ quibus erit constructus et la-
boratus tectus diete ecclesie seu cappelle, largus per tria bracchìa
et longas per tantum spatium quantum est seu erit largha dieta
ecclesia seu cappella. Et sint etiam in dieta cappella, et ipse Bencius
facere debeat, duo bostia, per unum quorum eatur, seu iri possit de
dieta ecclesia ad et in domum veterem dicti poderis, et que domus
erat iuxta dictam cappellam cum una scala apud dictum bostium
per quam scalam eatur et iri possit in palcum dictarum domorum; et
per aliud bostium eatur et iri possit in domum mansionis seu ha-
bitationis presbiteri qui morabitur ad offitiandum dictam cappellam.
In qua quidem cappella idem Bencius ponere et infigere debeat vnum
lignum bonum et decens prò ponendo super ipso ligno tabulas pietas
et picturas diete ecclesie ; ac etiam facere in dieta ecclesia intus
circum circa iuxta muros diete ecclesie ynum murum seu segbettam
prò sedendo, et super quo sive qua sedeant et sedere possint stantes
in dieta ecclesia, et dictam ecclesiam visitantes , copertam seu co-
pertum de lastroncèllis de macigno concis et bonis. Quam cappellam
dictus Bencius magister debeat teneatur et adstrictus sit complevisse
et ipsam cappellam modis et cum ordine supradictis compiere et per-
ficere promisit et dare completam et perfectam bine ad sex menses
proxime venturos, uel in dictum tempus ad terminum sex mensium.
Et habere et percipere debeat idem Bencius prò emendo lapides ,
mattones, calcinam, renam, ferramenta, lastras, assides lignaminis
et omnia sibi necessaria prò perfectione diete cappelle , ac etiam
prò magisterio et factura diete cappelle, fior: auri quattuorcentos qua-
draginta bonos et legales retti ponderis et conii fiorentini, eo modo
et forma et quando et prout videbitur dictls Lapo et Guidoni^ dum
taraen ipsos quattuorcentos quadraginta fior: auri ipse Bencius habere
debeat integraliter, etc. etc.
1349, 22 aprilis.
Actum Florentie, presentibus testibus ser Nerlo ser Donati pop:
S. Laurentii et Stagio Mini populi S. Petri maioris et aliis. Bar-
tholus Gardi civis et mercator florentinus, prò se, et Jacopo Bini Guidi
eius sotio fuit in ventate confessus habuisse et recepisse in depositum
et accomandigiam a Francisco Lapi Bonagiunte de Florentia capi-
Caneo sotietatis Misericordie dante de pecunia diete Sotietatis, fior:
auri trecentos eisdem sotiis alias depositatos nomine diete Sotietatis
prò construendo cappellam Sancti Jobannis Evangeliste que fieri
debet et locata est ad construendum Bendo Cionis magistro super
podere Johannis Cagnazzi de Gambasso prò pretio et mercede fioren;
auri ccccxL, promictens ipso6^ solvere dicto Bendo magistro, quando
et prout de voluntate et conscieniia Guidonis Bini et Andree Guidi
campsorum fiorentinorum processerit, quibus est commissa per Ch-
pitaneos diete Sotietatis ordinatio et sollicitudo perfectlonis diete
cappelle (l).
(i) Fuori della porta a San^allo, sulla via cbe conduce al ponte alla Badìa,
esiste sempre la chiesa mutata in gran parte dalla primitiva forma, della quale
parla il presente docomento, ed è annessa al convento di monache chiamato
di S. Maria del Fiore, e volgarmente di Lapo, dal suo fondatore.
32
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— 234 —
N."* 47. 1350, 13 di luglio
Quietanza di J&f.^ Neri Fioravanti della somma di 200 fior: dCoro
ricevuti per la costruzione della cappella Falconieri ai Servi
di Firenze.
JrehMo detto.
Rogiti di Ser ▲«•olino di Goatoedno. Protocollo dal iSi9 al 1350.
Nerius quondam Fioravantis magister lapidum et lignamìnis ^
fuit confessus habuisse et recepisse ab Andrea quond: Nerii Lippi
pop. S. Michaelis Vicedominorum dante el solvente de pecunia So-
tietatis Orti S. Michaelis penes ipsum deposita prò construi faciendo
quandam cappellani in ecclesia Fratrum Servorum S. Marie de Fio-
renti a secundum formam testamenti et vltime voluntatis condite et
facte per Ghiarissimum quondam Alberti de Falconeriis, fior: auri
ducentos bonos et legales tam prò constructione diete cappelle, qnam
prò expensis diete cappelle, lapidum, lignaminis, calcine et fìilci-
menti diete cappelle.
(Continua)
XLo
DESCRIZIONE
DI TUTTE LE COLONNE ED OBELISCHI
CHE TEOVANSI NELLE PIAZZE DI ROMA
DISPOSTA IN FORMA DI GUIDA
DA ANGELO PELLEGRINI
MCMBBO DELI'IHSTITOTO DI COttlSPONDBHSA ABCSCOLOAICA
Continuazione (1)
PARTE II.
OBELISCHI
Dopo TEgittOi dove gli obelisclii furono inventati, Roma h
la città che ne contiene maggior numero, vedendosene dodici
in piedi uelle sue piazze principali, ed in alcuni de*suoi giardini.
Non si conosce il nome antico egizio di queste moli di
granito rosso, poiché quello di obelisco h greco o^tXtcnogj di-
minutivo di o^tloq^ spiedo f e radice di questo ^eXog, dardo ^
saetta , fulnUne , e per questa medesima ragione dal volgo
chiamansì Aguglia^ e Guglia^ ed i Francesi Aiguille (2). Plinio
parlando del granito sienite rosso dice che i re d'Egitto fecero
travi, cha chiamarono obelischi, consagrati al sole, e perciò
ebbero la forma di raggi (3), ed Ammiano (4) narra che i re
(1) Vedi Quaderno precedente, pag. 212.
(2) Ved. Herodoti Halicamassei, Hist. Lìb. Il, cap. UH, e. 170 e 41.
(3) Plinio, Hist. Nat., Lib. XXXV, cap. VHI e XIH, dice che raggio
signiflcava il nome egizio.
(4) Ammiano, Lib. XVII, e. 4.
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235 —
di Egitto consacrarono gli obelischi ad onor degli dii» e che
nella forma imitavano il raggio. Dice che si cavavano rozzi,
venendo poi levigati dagli artefici che li ricoprivano di ge-
roglifici da tutle le sue partii ed indica la varietà delle figure,
non dicendo come Plinio (i) che queste contenevano la inter-
pretazione della natura delle cose secondo la filosofia degli
Egizii , ma che mostravano voti , o fatti compiuti dai re.
Finalmente dice , come poi si è scoperto , che erano come
gruppi ognun de* quali conteneva nomi e verbi, e reca per
esempio la figura àéìV avvoltojo , colla quale indicavano la
natura, e come per Tape in atto di fare il miele esprime-
vano il re, alludendo che egli modera e governa.
Ermapione sacerdote egizio ci lasciò la spiegazione dell'i-
scrizione a geroglifici dellobelisco di Ramsés III, o Sesostri,
ora esistente sulla piazza del Popolo , il cui testo greco ,
come i^edremo in appresso, fu riportato da Ammiano. In Egitto
furono eretti sempre dinanzi al pilone de' templi , finché i
costumi non vennero alterati per la dominazione degli stra-
nieri. Gli obelischi in Roma dei re d'Egitto sono quattro,
e gli altri, compresi i tre senza geroglifici , furono tagliati
in tale vasta regione dell'Africa durante la dominazione ro-
mana , dopo la conquista fatta da Augusto che fu il primo
a trasportare queste moli in Roma.
Plinio calcola molto la difitcolta del rimuovere e traspor-
tare questi monoliti, e come fu opportuno costruir bastimenti
da eccitare l'ammirazione de'contemporanei.
OBELISCO LATERANENSE
Tornando al foro Trajano e quindi per le vie Alessan-
drina e del Colosseo, si giunge nella piazza minore di s. Gio-
vanni in Laterano , che è abbellita nel mezzo dalP obelisco
pregevolissimo egizio che sorpassa gli altri in antichità , e
li supera di mole. Thutmes IV il Moeris d'Erodoto, che re-
gnava in Egitto Tanno 1740 innanzi l'era volgare, innalzò due
obelischi dinanzi al tempio grande di Tebe, cioè all'immenso
monumento di Karnac o di Amonra, per stare avanti ai due
baluardi del santuario, TrpovuXata, i propilei, come dall'iscri-
zione in geroglifici in uno di essi rilevasi. Fu I' ultimo ad
essere trasportato in Roma, togliendolo da tal sito l'impera-
tore Costantino Magno.
(1) Lib. XXXVII, cap. Vili,
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836 —
Egli, sci:onclo Ainmiano Marcellino (i), lo fece per il Nilo
trasportare ili Alessandria, destinandolo ad ornamento di Roma,
ma nel punto che doveva imbarcarsi l'imperatore morì. Suo
figlio Costanzo fece eseguire il trasporto. Tanno dell'era vol-
gare 357, dopo circa 20 dalla morte di suo padre, il quale
lo fé sbarcare nelTanzidetta citta in cui venne costrutta una
nave da doversi condurre da 300 rematori. Messo a terra dal
fiume Tevere a tre miglia lungi da Roma sulla via Ostiense,
ove era il borgo, l^icus jilexandri^ l^gg^^^ ^^ Ammiano citato
il viaggio che gli fu fatto fare a traverso delTA ventino, dopo
entralo dalla porta Ostiense , sopra uno strascino tirato da
cu ioli; da dove per la regione Piscina Publica fu introdotto
nel Circo Massimo in cui si era destinato d'innalzarlo.
Ivi si fecero castelli di legno per la grande difficolta di
erigerlo, a segno che non era sicura la riuscita. Sembrava
un bosco di macchine, ed alle travi del castello furono at-
taccati tanti canapi e funi, che essendo in direzione diversa,
presentavano 1* aspetto di una rete che copriva il cielo. A
forza di migliaia denomini che davano leva alla mole, si vide
innalzarsi nel mezzo del circo. Narra finalmente Ammiano che
vi fu posta ad ornamento nella sommità una sfera di metallo
dorato , ma che questa essendo colpita da un fulmine , gli
venne sostituita una face pure di bronzo dorato.
È incerto quando avvenisse la sua caduta , ma che la
sua rovina fosse cagionata da un incendio, chiaramente si vide
quando venne disotterrato d'ordine di Sisto V Tanno 1587.
Dice il Mercati che si trovò presente a quel cavo, che
ne furono tagliati circa quattro palmi nella estremità infe-
riore per poter con sicurezza rialzarlo^ e che fu trovato circa
dieci palmi sotto terra rotto in tre pezzi. Lo scavo si fece
sotto la direzione di Matteo da Castello, dicendo Flaminio
Vacca nelle Memorie^ n. 5, dedicate a Simonetto Anastasii:
Ancorché f^. S. si ricordi che nel Cerchio Massimo^ si sono
traiate due Guglie^ una dirizzata da Sisto f^. nella Piazza
Lateranensey e Valtra nella piazza di S. Maria del Popolo^
nondimeno è bene farne menzione^ come cosa notabile', come
anche di quelli gran Condotti di piombo^ e f^olte che erano
intorno al detto Cerchio ricettacolo delle Barche^ nelle quali
ho ifeduto alcune rotture nel muro, dw^e staffano anelli di
metallo , dei quali gli antichi si servivano per imbrigliare
le barche^ ed essendo rubati ne rimase parte lì in margine
Rerum Gestarumr Lib. XVII, cap. IV.
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237 —
nel muro quali ho \fistL Si trovò ancora una gran Cloaca^
quale smaltisca le acque che camminavano verso il Tevere;
non è dubbio alcuno , cfie si sarebbero trovate gran cose
ma ^inondazione delf acque impedirono Matteo da Castello,
che vi cavava, e non si potè vedere altro.
Questo Matteo da Castello h colui, che si accinse a con-
durre Tacqua Felice in Roma, ma infelicemente, avendo inu-
tilmente spesi centomila scudi , per il che fu rimosso da
Sisto V| sostituendogli Tarchitetto Giovanni fratello di Do-
menico Fontana, come si ha dal Cassio, Corso deW jicque.
Par. I, pag. 3i3.
Per rialzarlo nella piazza di cui parliamo , Sisto V si
servi del già nominato celebre architetto cav. Domenico Fon-
tana , come da tutti si conosce per memorie e tradizioni ,
^Tenendo pure ciò detto nella sua vita scritta dal Baglioni.
Questi prima di dirizzarlo lo fece restaurare col granito del
suo piedestallo^ sul quale era T iscrizione conservataci dal
Grutero, p. CLXXXVI, n. 3, che la prese da Angelo Rocca.
Esso collocò nella Biblioteca Vaticana un modello di questa
base prima che dal Fontana venisse distrutta.
Tale iscrizione ne apprende contro ciò che dice Ammìano
Marcellino più volte citato, cioè che Costantino non voleva
trasportare l'obelisco in Roma, ma a Costantinopoli; ed inoltre,
che questo arrivò mentre Roma era dominata dal tiranAo Ma-
gnenzio, che ivi per derisione viene appellato Taporo, poiché
presso Elena castello dei Tapoti popoli della Cantabria pros*
si mi ai monti Pirenei uccise Costante fratello di Costanzo ,
cioè Tanno 3fS3 in cui morì il suddetto tiranno. Ma secondo
A m mia no allegato Tobelìsco non fu eretto se non Vanno 357
e Tiscrìzione diceva sulla faccia rivolta a mezzodì:
PATRIS . OPVS • MVNVSQVB . SUUm * TIBl • ROMà . DIGàViT
AVGVSTVs . toto . Constanrws . orbe • regepto
ET . QVOD . IfVLLà . TVLIT • TELLVS • MEC • VIDERAT • AETAS
CONDIDIT . VT . CLARIS • ElkeqUCt . DONA . TRIVMFIS
HOC . DECVS . ORI! ATVM • GENITOR . COGNOMINIS • VRBEM
ESSE . VOLENS . CAESA . THEBIS • DE RVPE . REVELLIT
sopra quella rivolta a levante:
SED . GRAVIOR . DIVVM . TANGEBAT • CVRA . VEHENDI
QVOD . NVILO • INGENIO • NISVQVE . MANVQVE . NOVERI
CAVCASEAM . MOLEM . DISCVRRENS . FAMA . MONEBAT
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— 238 —
AT . DOMINVS - MVNDI . CONSTANTIVS . OMNIA . FRETVS
CEDERE • VIRTVTI . TERRIS . INCEDERE . IVSSIT
HAVD . PARTEM . EXIGVAM . MONTIS . PONTOQ • TVMENTI
sopra quella rivolta a tramontana:
cREDiDiT . ET . PLACIDO • vexeruTit . aequorac . flyctv
LITVS . AD . BESPERIVM . lìberi . MIRANTE . CARINAM
INTEREA • ROMAM . TkpOKO . VASTANTE . TYRANNO
AVGVSTI . lACYIT . DONVM . STVDIVMQVE . LOCANO!
NON . FASTV . SPRETI . SED • QVOD • NON . CREDERBT . VLLVS
TANTAE . MOLIS • OPVS • STPERAS . CONSVRGERE • IN • AYRAS
sopra quella rivolta a ponente:
NVNC . VELVTI . RVRSVS . HV/ls . AVVLSA . METALLIS
EMICVIT . PVLSATQ • POLOS . HAEO . GLORIA . DVDVM
AVGTORI . SERVATA . SVO . CUÌÌl . CAEDE . TYRANNI
REDDITVR . ATQVE • ADITV • KOmae . YIRTUTE • REPERTO
VICTOR . OVANS . vRBiQae . locat . Sublime . tropaevm
PRINCIPIS . ET . MVNVS . CONDIgmV . l'SQVE • TRIVMFIS
Delle iscrizioni moderne postevi nella nuova base da
Sisto V^ leggasi nella Caccia rivolta alla basilica di s. Maria
Maggiore;
SIXTVS . V . PONT . MAX
OBELISCVM . HVNC
SPECIE . EXIMIA
TEMPORVM . CALAMITATE
FRACTVM ■
CIRCI . MAX
A . RVINIS . HVMO
LIMOQVE
ALTE . DEMERSVM
MULTA • INFENSA
EXTRAXIT
HVNC . IN . LOCVM
MAGNO . LABORE
TRANSTVLIT
FORMAEQVE . PRISTINAE
ACCVRATE . RESTITVTVM
CRVCI . INVICTISSIMAE
DICAVrT
A . M . D . LXXXVllI
PONT . IV.
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Verso r Ospedale:
— S39 —
FL . COSTANTmVS
MAXIMVS . AVG.
CHRISTIANAE . FIDEI
VINDEX • ET . ASSERTOR
OBELISCYM
AB . AEGYPTIO • REGE
mPVRO . VOTO
SOLI . DIGATVII
SEDIBYS . AYVLSVM
SYIS
PER . NILVM
TRANSFERRI
ALEXANDRIA! '
JYSSIT
VT . NOYAM . ROMAN
AB . SE . TYNG
GON0ITAM
EO • DECORARET
MONYIIENTO
Verso la basilica Lateranense:
GONSTANTINYS
PER . CRYCBM
YJCTOR
A . S . SILVESTRO
BIG . BAPTIZATYS
CRYCIS . GLORIAI!
PROPAGAYIT
Verso la Scala Santa:
FL . CONSTANTIYS • AYG
CONSTANTINI . AVG . F.
OBELISCYM . A . PATRE
LOCO . SVO . MOTVll
DIVQVE . ALEXANDRIA
lACENTEM
TRECENTORVM . REMIGVM
IMPOSITVM . NAVI
MIRANDAE . VASTITATIS
PER . MARE . TIBERIMQYE
MAGNIS • MOLIBVS
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240 —
ROMÀM . CONVECTTM
IN . CIRCO . MAX.
POREIfDVII
S • P • Q • R • D • D.
Passiamo ora alle ìscrìzioDÌ egizie in geroglifici, secondo
rUngarelli» Interpretatio Obeliscorum Urbis ^ rimettendomi
ad ogni correzione che per il progresso degl* interpreti si
potrebbe fare.
FACCIA MERIDiONALB *- PlRAMIDB
ite, Sole^ riparator delle terre, donatore della vita^ di-
letto di Ammone sole, del signore dei troni^ e delFuno, e
V altro mondo signore del cielo.
A sinistra sopra il Dio:
Dona la 9Ìta^ la fermezza, la purità tutta, A'mmon-Atmù.
A destra sopra il re:
Figlio del Sole Thutmes donatore della vita a guisa
del sole in perpetuo.
A sinistra sopra il Dio (i):
Donatore della vita perfetta y e di tutta la fermezza e
purità^ Ammon-ra padrone dei troni dei due Egitti^ signore
del cielOf che dimora nelle sedi di Tebe.
A destra sopra il re:
Be sole riparator della terra j figlio del sole Thutmes^
dando tutta la vita, come il sole in perpetuo.
Sotto i donativi
Agita la libagione.
Colonna dì mezzo
L'immagine delPuccello di rapina che insiste al vessillo
da princìpio a questo senso:
Har-óér-phrè forte^ che domina in questa regione della
purezza, e della giustizia.
Signore della superiore ed inferiore regione , giocondo
nel regno come in cielo il sole.
Oro splendente 9 diòtributore dei domint, custode della
doppia vigilanza.
(1) iDtendesi delle due figure che ivi si veggooo tagliate.
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~ 241 —
Re sole riparatore della terra ^ conosciuto col sole figlio
del sole Thutmes benemerito delV Egitto.
Fece perenne il suo edificio al padre Ammon-ra al si-
gnore dei tròni d'ambedue gli Egitti.
Eresse ad onore di lui VObelisco altOj che tocca il cielo.
Edificò il tempio ad ampliamenti di Tebe , ha princi-
piato collo stabilire un eccellente obelisco nella regione della
purità e della giustizia.
FACCIA ORIENTALE - PIRAMIDE
Ammon-ra re degli dei.
A destra sopra il re:
Buon Dio sole 9 riparatore della terra, vivificatore in
perpetuo.
Il prenome regio, come si vede nelle quattro faccie dell'o-
belisco, sì compone di un globo, di un oggetto merlato e
di uno scarabeo; leggendosi ph-mn-to, cioè Remento sole sta-
bilitore del mondo.
Il nome poi è formato dalPuccello Ibis^ che si vede nel
prossimo cartello, simbolo di Thout sopra una pertica accom-
pagnato dalle lettere £ M 2» e cosi si compone ThoutmeSy
e dai simboli del bene , e del mondo , cioè beneficatore del
mondoj o dei mondi, titolo formato da una specie di pala,
e dallo scarabeo accompagnato dal segno plurale III , onde
esprimere mondi.
NELLA Colonna di mezzo
Har-6er-phré , amico del sole , signore della regione
australe.
Signore della inferiore j e superiore regione che guarda
r impero della giustizia j e al mondo caro.
Sole risplendente, custodiente, re, sole della terra ^ ri-
paratore diletto^ sforzi del sole Ammoniaci^ mentre i suoi
edifizi amplificasse^ per le gloriose azioni di coloro che pri-
mieramente abitarono questa casa ; nel mondo terrestre
niuna similitudine di tale edificamento.
FACCIA ROREALE - CoLONNA MEDIA
Har-óer-phré forte^ amico del sole^ signore della regione
superiore ed inferiore^ grande spirito nelle universe terre.
Sole splendente j grande colla forza che percosse i Libi.
33
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— 848
Re sole riparatore della terra , figlio di Aminone , e
della stessa progenie.
Il quale lo partorì a lai Mot (i) nella terra con forti
membra i e si diletta con lui.
figlio del sole Thutmes , base del mondo Ammon-ra ,
amico delVunoj e f altro Egitto del signore dei troni, dona-
tore della ulta come U sole.
FACCIA OCCIDENTALE - PlRAMIDB
Ammon-ra facendo lui perfetto^ Ammoo-ra dona la vita
ed ogni perfetta tutela , signore dei troni et ambedue gli
Egitti, e custode degli altri dei.
Colonna di mezzo
Har-óer-phré, forte, che domina nella verità, e nella
giustizia, re riparatore della terra.
AmmoDe glorificando nel suo astro risplendente, nelle ^
sedi di Tebe.
Aminone fa perfetto quello nel reggere le dominazioni,
il cuor di lui si amplia per lo sforzo del suo figlio giocon--
damente regnante , è a se gli amici come per dono della
sua fermezza animati, non che della sua virtù divina} del
signore che avanza questa allegrezza delle due solennità,
del Sole figlio Thutmes base del mondo . . .
PACCiA AUSTRALE - CoLONNA A SINiSTBA
Sopra il re:
Dio buono sole riparatore della terra , figlio del Sole
Thutmes signore dei dominj ; dando la vita come il Sole.
Ricevi la vita che sporgo alle tue narici.
Re, signore faciente altre cose, il sole riparator delle
terre, che ama Ammone.
Ecco perchè la sua Maestà procurò di ornare i due
Obelischi insigni, grandi, e singolari, come facesse còla-
zione al padre Re sole riparatore della terra, per le vit-
torte nate della sua Maestà.
Questo obelisco lapideo
anni XXXf^ di allegrezza .
in luogo meridiano della terra dove la sede Toph appresso
la parola del padre , io di lui figlio il medesimo fondai
(\) Imau dea tutelare della città, Sais oeirEgitto inferiore» la Minerva
dei Greci.
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— 243 —
descritto. L* iscrizione pertanto col cognome del mio avolo
del divo buon sole stabilente il mondo.
Lavoro del re signore dei due mondi ^ Sole riparatore
delie terre amico del sole preferì portare il titolo del di--
letto Sole j acciò perenne facesse il nome del nonno Dio-
spoleos (Aflimon-ra).
Fece il figlio del sole Thulmes dominatore dei dominanti
donator della vita.
Base:
Signore delfuno^ e Valtro mondOf signore dei diademi^
sole custode della verità approvato dal sole diletto di Am-
mone Ramses, donatore della vita come il sole.
A sinistra sopra il dio:
Ammon-ra sole della duplice regione dio Atmù signore
del cielo.
Sulla destra sopra il dìo:
Signore dei troni sole delta doppia re-
gioncy dio grande padrone del cielo.
FACCIA ORIENTALE - CoLONNA A SINISTRA
Office . . . alb. facendo lui donatore della vita.
Re sole riparator delle terre ampliò i donativi nelle sedi
di Aminone, con oro 9 pittura ad encausto y bronzo, pietre
preziose ed ogni genere , /' immagine della grande baride ,
o navigio dei sole «...
. . . conciossiachè quando desse il guasto colla guerra y
e distruggesse la Maestà sua la terra ostile nei confini della
regione Tose, intagliando in oro a se il magnifico sgabello ^
e tutti i suoi ornamenti^ ricevesse i doni del padre Aramone
nel transito della sua barca.
FACCIA ORIENTALE - CoLONNA DESTRA
Dio benefico custodiente la fortezza^ principe congregante
per le vittorie sue, e per l'apportare i suoi terrori nella
terra nemica Mennabóm (tribù di barbari), e delle concul-
cazioni sue nella Nubia Libica^ educato al padre Ammone
acciò si esercitasse nel regio potere per lungo tempo , e
principi che sono in tutte le terre (vale a dire anche le
barbare) ammutirebbero ai grandi animi della sua maestà:
aver parlato colla sua bocca , avere agito colle due sue
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— 244 —
braccia prescrisse il signore Tore (ossia Phtah espresso con
figura di scarabeo).
Re sole riparatore delle terre, doppiamente sarà per ri-
manere il suo nome nelle sedi di Aminone: donator della s^ita.
FACCIA BOREALE - CoLONNA SiNiSTRA
Re diletto degli dei ruv lyxotjfKùv (e) degli altri iddiit buonOj
scelto dal sole in . . . di baride , glorificante Atmù
(il sole) mentre si porta attorno alla baride.
Signore dei due mondi ^ sole riparator delle terre fece
edificare la regione della purità e della giustizia in perpetuità.
Fece monwnenti nelle sedi di Ammone , ed agli dii
Diospolei^ oltre i monumenti fatti allo stesso Figlio Atmù
di quel germe nato nel trono del padre.
Thutmès dominatore dei dominanti Ammon-ra di-
letto
FACCIA BOREALE - CoLONNA DESTRA
Dio benefico signore operatore di tutte le cose , sole
riparatore delle terre che dà la vita come il sole.
Le azioni gVincensi di offerire (a luì) che (si) fa datore
della ifita.
Dio. benefico esemplare dei dominanti , stabilì V una e
Valtra regia potestà come Atmù, (il sole) custode della for^
tezza, trafigge i Libiensi re riparatore delle terre.
Abbraccia con una sola custodia tutto il suo impero a
guisa di signore della regione della purità e della giustizia.
Principe vigilantissimo come Manciù ((t« Phré) acciò w-
tasse al padre Ammone le sue vittorie nelle regioni bar-
bare tutte accedette alle terre
non si è impadronito delle ricchezze delle altre.
Figlio del sole Thulmes dominatore dei dominanti di
Ammone sole marito della sua madre , diletto donator
della vita.
FACCIA OCCIDEiyTALE - CoLONNA SINISTRA
Re sole riparatore delle terre figlio
esso fa oblazione recente al signore degli
deij ed edificherà monumenti al padre colle sue spoglie tolte
al nemico di lui verso
le buone strade . . . collo stupore percuote i barbari
sotto i suoi calceamenti, purificò
nelVornare f edificio del padre (e) del re
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— MS —
• ••i«»
. come australe suo
muro stabilì re nella regione della
vigilanza. '
Uscì dal cuore il di lui gaudio.
Figlio del sole Thutm^s dominatore dei dominanti ....
FACCIA OCCIDENTALE - CoLONNA DESTRA
Dio buono signore d^ambedue i mondi tutte le cose ope-
rando il sole stabilitore del mondo donator della vita per-
fetta in sempiterno.
Re sole riparatore delle terre esperimentato ad Aminone
sedente fra gli dei * . .
. al re signore y godendo con V aspetto rettamente
dei suoi fattiy alla grandezza del di lui duplice dono^ nel
cuore suo.
Dona a lui
ammutiscano ai grandi spiriti di esso.
Fece ^edificio suo al padre Ammon-ra, eresse il grande
obelisco insigne^ il vestibolo sopramminente i templi di Tebe^
oltre (quelle cose) nella regione della purità e della giu-
stizia . . , fece figlio del sole
amando quel Thutmès dominatore dei dominanti donator
della vita.
Base:
Re Signore delVuna^ e l'altra regione.
Restano ora a riportarsi i conti Camerali sulle spese incon-
trate da Sisto V per il ritrovamentb, trasporto ed innalza-
mento del descritto Obelisco.
Obelisco sulla piazza del Luterano.
Pagati da monsig. Marzio Frangipani Tesoriere
segreto con mandato del Pontefice Sisto f^ in data
27 febbraro 1587 a Matteo da Castello capo mastro
muratore , a titolo di donativo fattogli dal mede-
Simo Pontefice, per avere scoperto^ e trovato f Obe-
lisco nel Circo massimo Se. 300
jil cavaliere Domenico Fontana architetto per
festrazioncj e condottura di esso .... Se. 54io
Se. 57i0
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— 346 —
Se. 57ia
Al medesimo per il fondamento^ erezione, fai--
tura degr ornamenti di metallo ed altro , stimato
il tutto da Prospero Rocchi misuratore . . Se, 187»
Jd Antonio Mamhritta, per ferramenti sommi-
nistrati^ come al conto saldatogli in detto tempo. Se. 216
Totale Se. 247i6
// metallo di proprietà della Camera Apostolica andato
in opera negli ornamenti furono lib. 2858 tutto di calo cioèi
Per i 4 legni posti sulla sommità delVObelisco fusi da
Lodovico Torrigiani fonditore, lib. 216O.
Per i 4 vasetti posti sopra i medesimi , fusi da Gio.
Battista Laurenziani, libre zoo.
Da diverse piastre di metallo messe in • opera j libre ^a»^
È alto metri 13 7^9 non compresa la base ed il pie destallo.
OBELISCO DI S. MARIA MAGGIORE
Questo obelisco e liscio affatto, e rotto in più pezzi, come il
suo compagno sulla piazza del Quirinale. Imperciocché ambedue
furono trovati caduti e spezzati presso l'antico ingresso del
Maosoleo di Augusto, dietro la chiesa di s. Rocco a Rìpetta.
Di tali obelischi che vennero posti ad ornamento di detto
sepolcro in epoca posteriore alla sua costruzione ne fa parola
Ammiano citato dicendo di queste moli: duo in Augusti Mo-
numento erecti sunt.
Il Fulvio neir anno i527 (i) mostra che fu scavato poco
tempo prima^ nuperrime^ presso la chiesa di s. Rocco, e che
vedevasi rotto in mezzo alla strada , e che ne fu trovato
un altro, ma non venne scavato, dietro la medesima chiesa.
Ai tempi deir Aldroandi, cioè V anno I5S6, continuava a
vedersi rotto dinanzi la chiesa di s. Rocco^ come egli stesso
dice aelie sue Memorie n. 38.
11 Gamucci (2) poi così ne parla descrivendo il Mausoleo
di Augusto: di tanti ornamenti che vi erano non vi è restato
altro che due Obelischi j i quali erano piedi quarantadue
(1) Ànt. Urb. Lib. IV p. LXXI.
(2) Libri quaUro delle antichità delia città di Roma. Venezia 1565.
Altra edizione dell'anDo i5S0 con correzioni dei Peracchi.
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247
e mezzo Vunoi et di quelli se ne vede uno in tre parti rotte
fra t Augusta e il fumé: Valtro sta dietro la chiesa di san
Rocco coperto dal terreno.
Sarebbero pure da citarsi le incisioni delle reliquie delle
antiche fabbriche pubblicate dal Du Perac Tanno 1575, ed
altre di quei tempi fino all'epoca di Sisto V, dove vedesi
rotto e giacente in quattro pezzi l'obelisco di cui parliamo.
11 suddetto pontefice Sisto V lo fece togliere da quel
luogo Tanno 15S7, dirizzandolo nella piazza dietro la tribuna
di s. Maria Maggiore, servendosi per il traporto, e la col-
locazione deir architetto Domenico Fontana. Esso lo mise
sopra un piedestallo, e l'ornò de'monti, di una stella, e di
una croce di metallo, come oggi si vede.
Nel piedestallo si leggono le seguenti iscrizioni.
Verso il Viminale:
SIXTVS V. PONT MAX.
OBELISCVM
AEGYPTO ADVECTVM
AVGVSTO
IN ElVS MAYSOLEO
DIGATVM
EVERSVM DEJNDE ET
IN PLVRES CONFRACTVM
PARTES •
IN VIA AD SANGTVH
ROCHVM 1A«ENTEM
IN PRISTINAM PAGIEM
RESTITVTVM
SALVTIFERAE GRVCI
FELICIVS
HIC ERIGI IVSSIT
AN. MDLXXXVII
P. U.
Verso la Stazione della Ferrovia:
GERISTI DEI
IN AETERNVM VIVENTIS
CVNABVLA
LAETISSIHAE GOLD
QVI MORTVI
SEPVLGHRO AVGVSTI
TRISTIS
SERVIEBAH
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— 248 —
Verso le Quattro Fontane:
CHRISTVM DOMINVM
QVEM AVGVSTVS
DE VIRGINE
NASCITVRVM
VIVENS ADORAVIT
SEQYE DEINGEPS
DOMINVH
DICI VETVIT
ADORO
Verso la Basilica:
GHRISTVS
PER INVIGTAM
CRVCEM
POPVLO PACEM *
PRAEBEAT
QVl
AVGVSTl PAGE
IN PRAESEPE NASCI
VOLVIT
Riportiamo finalmente il conto Camerale delle spese incon-
trate da Sisto V.
Obelisco sulla piazza della tribuna di s. Maria Maggiore
jil Budino di Stabbia muratore per prezzo con--
cordato della condottura delV Obelisco di Augusto
a S. Rocco sino a S. Maria Maggiore ... Se. 451
j4l cavaliere Domenico Fontana per V erezione ^
ed accomodatura di- esso , saldato il dì is no-
vembre 1587 Se. 1490
A Lorenzo Bassani scarpellino per i lavori di
scarpello fatti a dett^Obelisco compresa la manifat-
tura del zoccolo di travertino Se. 692
j4d Antonio Mambritta ferrare per ferramenti
diversi Se. 78
A Giacomo Tranquillo caldararoy per la cornice^
montiy stella e croce, saldato il dì io settembre 1587. Se. 227
Totale Se. 2938
È alto, non compreso il piedestallo, zoccolo e croce ecc.,
circa metri 8.
(Continua)
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— 249
XLI.
Sopra il luogo e V anno della morte di Fra Giocondo ,
architetto veronese^ e sul cognome di Antonio da San-
gallo giuniore^ architetto fiorentino , ambidue deputati
alla fabbrica di San Pietro in Roma.
Ch. Signor Cav. Narducci
Roma 21 aprile I88I
Nel giornale romano il Buonarroti Ella cortesemente ac-
colse altra volta alcune mie osservazioni. Colle prime, in una
lettera a Lei diretta, stampata nel Quaderno VI, giugno 1868,
detti schiarimenti intorno ad Antonio d'Orazio da Sangallo
a proposito di una lettera del signor Filippo Ricci ; colle
altre, nella serie II, voi. V, maggio 1870, dissi alcuna cosa
sopra tre disegni architettonici o schizzi di Raffael da Urbino,
pubblicati a Parigi nella Gazette des Beaux Arts dal eh.
architetto signor Enrico^ de Geymùller.
La gentilezza dellanìmo suo or m'incoraggia per la terza
volta a pregarla di dare un posto a queste righe^ che per
fortunata coincidenza accoppiano al nome della famiglia dei
Sangallo quello dello stesso infaticabile e dotto tedesco.
Il barone Enrico de GeymùUer nella celebrata opera in
corso di stampa, in cui egli, col corredo di grandi disegni,
tratta delle Notizie e della Storia sopra i progetti per la
fabbrica di S. Pietro in Roma (di cui già Ella pubblicò
nel Buonarroti medesimo, sui quaderni di luglio e di set-
tembre 1868 una nota, tradotta dal tedesco, dell'egregio av-
vocato Raffaele Ambrosi)^ tesaurizzando quanto intorno alla
Basilica Vaticana operarono il Rossellino, rAlbeiti, il Bra-
mante, Giuliano da Sangallo, fra Giocondo, Raffaello, il Pe-
ruzzi, Antonio da Sangallo il giovane^ il Buonarroti ecc., si
trovò sulla via d'indagare e scoprire incidentalmente notizie
recondite ed importanti.
Tra queste vanno annoverate le due, le quali, finito il
riassunto del volume di fresco messo a stampa , col titolo
Documenti^ ci apprendono il luogo e Tanno della morte di
fra Giocondo veronese, architetto dei ponti di Nostra Donna
e San Michele a Parigi e da ultimo della fabbrica di san
Pietro dopo la morte di Bramante. Qui non disputerò col
Poleni, se il Giocondo fosse dei domenicani 0 de'minori di
san Francesco, ne qual fosse l'anno della nascita sua, citando
TEchard, l'Orlandi, il del Pozzo, lo Scaligero, il Vasari, il
Maffei, rOnofrio, il "Waddingo, il Paciolo, il Tiraboschi, il Te-
34
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— 150 —
manza ed altri; ormai la prima è quistione risoluta a vantaggio
dei domenicani dalle prove^ clie ne dkii P. Marchese (Mem, dei
più insigni Pittori^ Scultori e Architetti domenicani^ Genova
f860, voi. llv lib. HI» cap. IX); quanto a quella dellanao della
nascita, essendo essa sempre incetta, non mi vi fermerò: così
pure nulla dirò de*suoi viaggi in Germania, in Francia e per
ritalia; ne m'interterrò sulle edizioni di Yitruvio da lui emen-
dato e di figure arricchito, delle quali trattò a lungo, oltre
il Poleni, il Marini.
Dirò soltanto che ad un esemplare appunto della prima
edizione di Vitruvìo de] Giocondo, stampata in Venfezia nel i5ii,
slam debitori della notizia del luogo, del giopiio e dell'anno
della morte di lui; imperocché il de Geymùtler in quello,
che conservasi nella biblioteca del signor Eug. Piot^ trovò
scritto di mano del principio del secolo XVI , che il Gio-
condo moti' più che ottuagenario in Roma al i"" di luglio i$i«*
Finora era sempre stato ignoto Tanno della nascita, oome
ne fanno fede le investigazioni soprallegate del Poleni; ne
conoseiiito il tempo e il luogo, ov*egli morisse. Pur tuttavia
il Milizia, ehe ripete ch'egli morì vecchissimo mu non si sa
né do^e né quando^ sembra essersi avvicinato al vero nel dirlo
nato nel 1435, o meglio verso il 1430, per gli argomenti del P.
Marchese; ma questi pure conclude: quando e os^e morisse j
òi è indarno cercato ; che poi morisse k) Francia intorno
al i^sen , non fu cIm una mera congbiettura : il documento
del Geymùller tu4tto chiarisce. E qm importa osservare che
il Giocondo, secondo il Vasari^ nel 1613 era tuttora in Venezia;
e per le parole del Poleni si conosce che nelFanno dopo si
recava in Roma e v*era fatto architetto del Vaticano, jet prò
certo ponam^ Bramante urbinate wta functOj anno I5i4 Jb-
oundum Romacy una cum Raphaele Sanzio Urbinate^ et cum
Juliano Sangallensi , praefectum fuisse extructioni Templi
Disfi Petri. Perciò poco egli potè operare essendo morto ,
col nuovo documento alla mano, al primo di luglio del 1515.
La seconda notizia , di cui il Geymùller ci arricchisce ,
è non meno imp<»rtante della prima« Essa verte a dauci il
cognome di Antonio da SaDgallo il giovane. Fino a q^i, sulla
fede del Vasiari, cui tutti fecer eco per tre secoli, avevamo
imparato che i Sangallesi più^ vecdhi, Ginlianb ed Antonio,
avessero il cognome dei Giamberti, e che da Una loro sorella
maritata ad un Bartolommeo Picconi* si fermasse la< linea dei
Picconi da Sangallb con Antonio il giovane , fi^io appunto
di Esmeralda e di Bartolommeo e fratello a Battista il gobbo.
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— Vii —
É ▼«re che io aeììe ricerche, che feci aQteWormente al i$63
sopra tutti i Sangallo (veggansi le mie Notizie sui lawri ecc.
dei nwe da Sangallo^ Roma i863, pag. 34), trovai che il fasci-
colo tm Q. 15 delle carCje dei cassoni di casa Caddi portava
« pie* di pagi Da: Questo libro si è di maestro Antonio di Bar-
tùlommeo Condiani da Sangallo architettore del Papa i.S20: così
almeno lesse nel 1748 Rosso Antonio Martini e cosi scrisse nelle
ssue lettere che da Firenze dirigeva a monsignor Gio. Bottari.
Ond'io ammettendo errore nella parola Condlani^ senza preoc-
cuparnù d'altro, tra parentesi aggiunsi il nome ricevuto per
vero (Picchoni), come se questo cognome fosse indiscutibile;
concio^siachè tra i manoscritli da me consultati di Antonio
#on mi £osst ioibatXuto mai in qualclie sottoscmioue auto-
grafa, die mi avesse fatto certo o messo in sospetto sul co-
gnome dei Picconi o dei Condianì od altra. Quando il dili-
gente nostro Geymùller, esaminando Taltra edizione vitruviana
4el Giocondo, messa in luce a Firenze nel l5ia, che è la s'
in 8^ , posseduta essa pure dal signor Eug. Piot , ebbe la
fortuna di leggere sotto al frontispizio il nome e cognome
del possessore antico, che fu Antonio da Sangallo in questi
termini: Questo libro sie di mastro anf* di bartiolo\\meo Co-
roliani dassangallo architettore del || papa e santro petro 1520.
Per lo che il cognome dei Picconi o dei Condiani per più
diligente lettura si sarebbe cangiato in quello dei Coroliani.
Lo stesso signor Piot affrettossi a comunicare a Firenze al
cfa. cav« Gaetano Milanesi la scoperta del vero cognome dei da
^ngallo giuiiior]; ed il preclaro filologo fiorentino accettò quel
nome con modificazione che ne altera la dizione* Come se a lui
non sonasse bene la voce Coroliani^ cangiando posto ad una
lettera, scriss'egli Coriolanij e cosi leggesì nel quarto volume
della nuova edizione del Vasari, illustrata dall'egregio scrit-
tore^ ove pur vedesi l'albero di quella famiglia, di molto
accresciuto per nuove giunte e schiarim/enti, avendo posto in
testa: Albero de^Giamberti^ de*Coriolani e de* Da Sangallo
L'illustre cav. Milanesi, per mezzo del P. Guglielmotti
mi comunicò il nuovo Albero dei Sangallo, e per lo stesso
mezzo il chiarissimo barone de Geymiiller mi fece avere il
foglio a stampa dalla pag. 345 alla 352 del Riassunto del vo-
lume di recente pubblicazione, ove son portate con le nuove
lezioni l'analoga spiegazione. Quindi io fui in grado di por-
tare matura riflessione sulla novità del caso e volli darmi ad
esaminare alcuni mss. di Antonio da Sangallo per famiglia-
rizzarmi colle scritture di lui; poiché, ripudiato U cognome
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— 252 —
Picconi, se non entrava nelle mie convinzioni la voce Con-
diani, la voce CoroUani mi sonava un po' peregrina ed un
po' troppo affine a voce storica romana quella di Coriolani.
L'esame dei caratteri di Antonio mi portò alla convinzione
che nessun dubbio mai può esservi nelle lettere dell'alfabeto
e ed 0 scrìtte da lui, perchè si riconoscono facilmente per
tali ; le lettere rt , i ed a sono pur sempre chiare ; la r è
ognor foggiata alla francese , quando per essa comincia la
parola, ed è tondeggiante s'essa h nel mezzo; la d sempre
scritta coir asta diritta , cui ora si appoggia ed ora no la
pancia dell' o che la costituisce.
Volli cercare più particolarmente nel ms. delle Rocche
di Romagna (Veggansi i miei Nove da Sangallo a pag. 33),
ove i caratteri di Antonio s'incontrano con quelli del fratel
suo Battista, una qualche parola, in mancanza di meglio,
la quale per più lettere che giacessero nello stesso ordine
che mostra il vocabolo CoroUani^ m'aiutasse nella quistione;
e trovai la parola Giardino nelle piante della rocca di Ce-
sena e di Rimini. Se la voce soprascritta per sé stessa non
ammettesse equivoco nelle lettere che la compongono, si sa*
rebbe inclinati a leggere ambedue le volte Giardino^ stanteckè
la d sia in due separate, per modo di ritenere a prima vista
la 0 indipendente dalla /. Quindi applicato questo fatto al
nostro caso, io non istenterei ad avere per certo che il Co-
roliani del GeymùUer, altro non sia che Cordianiy voce di
più facile pronuncia ed anche molto pronta a ribattere l'e-
quivoco incorso dal Martini , che lesse Condiani invece di
Cordianv, perchè la r alla francese a filo curvo ei la prese
per una n, come facilmente l'avrebbe presa nella voce Gian-
dinoy convertendola in Giandino, se quella non fosse voca-
bolo di oggetto noto , e questo di nessuna significazione
dell'uso e della lingua, siccome lo sono in genere molti co-
gnomi di famiglia, in cui nulla risveglia in noi un oggetto
cògnito^ che ci ammaestri di dare più retta interpretazione
a qualche lettera per cogliere nel segno.
Veggo bene da ciò che la mia variante piuttostochè far
più semplice la quistione, la rende più complessa, ponendoci
incerti più che mai tra le tre voci Condiani , CoroUani e
Gordiani, In tanta controversia giudice migliore all'uopo non
può essere che il cav. Milanesi stesso, che a tutt'agio con-
sultati i fiorentini voluminosi mss. di Antonio, e gli archivi
o le raccolte, come quella del Gaye, per mille vie potrà dar
lume agli apprezzamenti, in cui è interessato l'egregio ba-
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— 253 —
roae de Geymùller, il quale ridestò co' suoi studi sui nostri
classici artisti, dandogliene motivo la ricostruzione della Ba-
silica Vaticana 9 molte considerazioni e memorie inosservate,
non ultima mostrandosi quella del cognome dei giunìori da
Sangallo. Egli con un documento cancella ad un tratto il
cognome dei Picconi, giustamente ne mostra errata la cita-
zione di Rosso Antonio Martini , e per nuova osservazione
che al certo non isdegnera di fare sul documento trovato
presso il signor Piot ci dira se il cognome di Antonio dovrà
definitivamente essere Coroliani o Gordiani.
Ne giova intanto di aggiungere qui le parole stesse del
Geymùller^ che leggonsi nel testo francese: tsst sono al fianco
del tedesco della grandiosa opera di lui alle pagine 351 e 352.
<r Le second document se trouve ecrit de la main méme
h d'Antonio da Sangallo, dont IVcrilure nous est si familiare,
A au bas du titre d'une édition du Vitruve de Fra Giocondo,
» format in-8^, imprimé k Florence en 1513 par PhiL Juute,
» de la méme biblioth^ue, dont le titre est:
VITRVVIVS ITERVM ET
FRONTINVS A lOCVN-
DO BEVISI REPVR-
GATIQVE QVAN-
TVll EX COLLA-
TIGNE Ll-
CVIT
yt Ce petit volume, contenant de nombreuses annotations avec
» croquis d'Antonio da Sangallo donne le vrai nom de famille
» du neveu maternel de Giuliano et d'Antonio (il vecchio)
» da Sangallo^ dont le nom de famille dtait Giamberti. Jusqu'ici
» on croyait, sur la foi de Vasari, que le pere d'Antonio
I» s'appellait Bartolomeo Picconi, lei Antonio nous apprend
» lui-méme que le nom de son pere était Bartolomeo Coro-
» liani. Re'cemment M. Piot a communiqué cette notice éga-
» lement a M. G. Milanesi qui n'bésite pas a l'accepter entiè-
» rement. Seulement^ dans le quatrième volume de son e'dition
» de Vasari, il écvìl Goriolani, au lieu de Gorolianì. On peut
ìf rapprocher cette notice d'Antonio d'une autre de sa main
» écrite au bas de la première page d'un poème d'auteur
» ìncertain qui se trouvait, en 1748, sous le n° 15, dans le
» fascicule i06 de la célèbre collection Gaddi a Florence.
» Cette inscription était:
Questo libro si è di maestro jintonio di Bartolommeo
Condiani da Sangallo architettore del Papa 1520«
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» Nious erapruatoiis cette aotice a i*iiit^cM«aat travaii
^ de M. Ravioli: « Notizie sui lavori di architettiira mili-
» tare» ecc., dei nove da Saagallo. Roma, ì^^z^ p. a4. m
V U lest évìdent que Rosso Aatooio Martini, qui donoaìt
» cette notice a Monseigneur Bottari , peo familiarisé aree
j» 1 periture d'Antonio, aura I41 Coadiani pour Coroliani, ce
» qui pottvait facilemeni a^ river , eu e'gard aux caractères
^ d'Antonio. Nous sommes par contre sùrs de la lecture Co-
)) roliani; nous coonaissons Tinture d'Antonio depuis qua-
)» torze ans et en Jivons presque eonstamment de nombreux
» exeouples sous la inaia. »
In questo modo da termine il dotto architetto de Gey-
mùlier alle osservazioni sulla scoperta del cognome del primo
da SangaUo giuniore, ed io puranche tralascio dallo spen-
dervi altre parole; e mentre ho speranza non sieno discare
a Lei , che tanto ama le patrie memorie , me le confermo
colla maggiore affiezione
Suo devotissimo amico
Camillo Ravioli
■ J^iM 1^1 ua
XLII.
LA GRECA SGOLTURA
Non può negarsi che il bello consista nella verità e na-
turalezza. Quanto più le cose si accostano al vero > tanto
più appariscono belle e perfette. Cosi Tarte, vera emula e
seguace d^lla natura, è tanto più sublime ed apprezzabile
quanto h più fedele imitatrice di questa. Più regna ràrti*
ficio studiato e imbaldanzito, più l'opera si deprime. Ecco
perchè V antica scuola greca di Fidia ci arricchì di tanti
sublimi maestri e di opere imperiture.
Al presente si h malamente introdotto nelle belle arti ,
specialmente in architettura e scultura , V artificio ancora
inusitato e strambo, come ne veggiamo disgraziatamente gli
esempi. Sarebbe assai desiderabile si ritornasse ali* antica
scuola, che non mancano seguaci di quella in varie regioni
del mondo , specialmente bravi artisti Italiani , i quali se-
guono a nostro onore la greca scuola. Così nel mio recente
viaggio in Australia ho visitato lo studio del prof* Achille
Simonetti Romano , figlio di Luigi , anch' egli scultore ben
noto, scolaro del celebre Finelli. 11 prof. Achille Simonetti
scultore governativo nella grande citta di Sidney, dopo di
essere stato per tre anni in Grecia ad attingere il suo per-
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2» —
feziotiamento artìstico nella cittk di Atene, ha fatta ift Sidaey
tre magi^ificbe statue separate , rappresentanti la Pietà , la
Ghistizìa , la Dea Minerva , quali costituiscono nn mirabile
e prezioso lavoro per averlo uniformato alla vera scuola greca
e sul naturale. Ha ultimato ancoi*^ una Venere, die impara
a tender Varco a Cupido. Questa magnifica statua, premiata
dell'esposizione Aiondiale dì Sidney, e pel suo pregio chia-
mata cola la tenere del Sud, 11 prelodato Professore ha
sempre studiato dal mido la vera e legittima scuola di Fidia,
la< quale sta tutta nel bello ideale , corretto ogni difetto ,
senza ttiira di speculazione ma solo di veritk, fondata sulla
natura e svA vero, come sarebbe p. e. la naturai tensione
del muscolo in azione, l'espressione delle varie passioni negli
atteggiamenti del viso ecc. Per questi rari lavoi'iy già pre-
sentati all'esposizione mondiale di Sidney , ha meritamente
riportato più premi , che ebbe la gentilezza di mostrarmi ,
quali sono tre medaglie d* argento di massima dimensione ,
ed una grande d'ora, premio' di altra pregevole statua, che
è Clìzia al Sole. Speriamo che la greca e vera scuola sia
sempre più coltivata ed* invigorita , specialmente dai figli
d' Italia , che è la madre delle arti belle in preferenza di
tutte le altre nazioni del mondo.
Prof. Giuseppe Derossi
xiiin.
BIBLIOGRAFIA
liOMUMENTS II DB || L ART ANTIQUE || PUBL1ÈS SOUS LA DIRECTION jl
DE M. Il olì FiEil i?^F£r 11 PROFESSEDR SUPPLÉANT AU COL-
LÈGE DE FRANGE, DIRECTEUR ADJOINT A't'ÉCOLE DES
HAUTES ÉTUDES || uvraìson ii. fi PARIS , A. QDANTIN , IMPRI-
MEOR-ÉDITEUR, 7 RUE SAINT BENOIT lS8i. Ib foglio.
La prima dispensa dei Mx^umenU de Vari antique^ pnbbllcata dal sig.
M. Rayet, e data in luce dalla casa Quantin, ha trovato presso i critici e il
pubblico, tanto in Francia che in Inghilterra ed in Germania, un'accoglienza
delle pia lusinghiere. I^ol crediamo che un ugual successo sia ri^erbato alia
seconda eh» è comparsa airepoc* fissata anticipaiafiieiite, con una regolarità
rara nelle pubblicazioni di questo genere, e d* un buon augurio per Y avve-
nire. Come la precedente, essa contiene Ì5 tavole in elioerafia, ed il para-
gone di queste con quelle che le hanno precedute , manifesta nelP impiego
del metodo Dujardin, uo nuoro progrèsso. Non crediamo possibile avvicinarsi
dt più all'originale, il rìi>rodurne meglio non solo le linee ma lo spirito ed
il sentimento, quento nella tavola II (testa d'una giovane dama romana); vi
sono delle delicatezze di modellato , ed un'armonia di toni , veramente sor-
prendenti. La grazia squisita delle terrfe cotte di Taiiiajra si ritrova intera-
mente nella tavola XII consacrata ad un gruppo squisito di piccoli Amori ,.
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— 256 —
una delle ricchezze del Louvre , e nella tavola IX (figurina della collezione
Dutuit). La fermezza d'aspetto ed ì riflessi del bronzo sono perfettamente
espressi nelle tavole VI e VII (testa d'Apollo» trovata ad Ercolano, e Lupa
del Campidoglio). In fatto di monumenti egiziani, la statuetta ed i due fram-
menti di basalto verde (tav. XIV) hanno conservato nelle riproduzione tutta
la loro energia. Il nostro ammirabile Scriba accoccolato » ha potuto ugual-
mente» malgrado le pessime condizioni dì luce nelle quali si trova , essere
rappresentato con una straordinaria fedeltà.
Le notizie consacrate alle opere deirarte egiziana» sono state compilate
dal sig. Maspero» direttore della nostra giovine Scuola egiziana, conserva-
tore del museo Boulaq. La menzione del suo nome, rende superfluo ogni elogio.
Fra le altre, tre sono dovute alla penna fine e vivace di M. Calliguon, antico
membro della scuola d' Ath^ne8 , e professore d' archeologia alla facoltà dì
Bordeaux; le tre ultime sono del sig. Rayet. Tre di queste (la vittoria di Sa-
motracia, — i tre Apollini sauroctoni del Louvre, del Vaticano e della villa
Albani — la Lupa del Campidoglio, sono monografie complete ed altrettanto
interessanti quanto istruttive. '
Prima ancora che questa dispensa non uscisse dai torchi» Tautore e l'e-
ditore, hanno cominciata la preparazione della terza. Essa comparirà nel mese
di novembre: e puossi affermare senza timore» che non la cederà in interesse
alle due precedenti.
XLIY.
ALLA GENTIILISSIMA DONZELLA
ROSINA PONTECORVO
ED AL GIOVINE EGREGIO
MARCO DELLA ROCCA
NEL DÌ DELLE NOZZE
LO ZIO MOS£ PACE
la SEOiro DI ESULTAiriA ED AFFETTO
QUESTO GHIRIBIZZO
OFFRE
Misi cari Nipoti
Avrei davvero volvJto dedicarvi un canto , non dirò hello , perchè
la cosa per me non sarebbe stata possibile ^ ma nel quale almeno
si parlasse d'amore^ d'imeneo^ di faci ardenti^ d* incenso^ d'altare e
che so io. Ma vi assicuro che ogni tentativo fu vano. Traverso ora
un periodo^ in cui le cose piti serie mi si presentano dal lato coinico^
e se mi provo a scrivere un inno^ mi viene uno sbadiglio. Che fare?
Vi avevo promesso dei versi., e non ho voluto mancare. Ho messo insieme
questi che vedete e che vorrebbero essere amenamente scherzosi. Pren-
deteli come ei sono; e se non vi garbano., per carità non lo dite a
nessuno., o se pur volete., ditelo a me solo,^ e in un orecchio^ dentro
al sinistro, che da quella parte ci sento un po' m^no , e poi per pu-
nirmi^ bruciateli: il fuoco purifica. Però non avendo in essi detto tutto^
aggiungo due parole in prosa^ e queste per augurarvi sul serio che la
vostra vita sia una gioia continua ^ che gli anni , passando ., se vi
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— 257 —
spruzzino un po'* di brina nei capelli e vi lascino qtmlche rughetta sulla
guancia^ non vi tolgano mai la gioventù del cuore^ che il vostro affetto
sia fuoco che riscaldi e non incendi, e che non possiate mai cono-
scere la noia.
Voi dunque aggradite nei versi la buona volontà che ho cwuto, e
siate poi persuasi che senza di essi si sta bene egualmente; anzi Pian-
tane, il gran Savio, voleva, come sapete, dalla sua repubblica banditi
i poeti, e ne aveva forse le sue buone ragioni.
Valete
Vro Àffmo
M. Pack
Roma^ 22 Maggio 1881.
DI PALO IN FRASCA (0
Una canzone petrarchesca, o almeno
Un sonetto pensai scriver per voi;
E già d'estro poetico ripieno:
O musa, incominciai, musa ! • . ma poi
Stimai miglior consiglio di lasciare
Petrarca in pace, e alla buona cantare.
E canterò siccome il Guadagnoli
Qualche cosa da mettervi allegria.
Se terra terra andrò senza far voli
Cogliendo umili fior di poesia.
Gli è perchè so ch'ai voli repentini
Sogliono i precipizi esser vicini.
Come chi aspetta chi non vuol venire,
O qual chi al giuoco perde e se n'attrista.
Come chi vuole andar né può partire.
Come chi ha sonno e non ne vuol far vista.
Sono, come ognun vede, paragoni
Che al bisogno sarebber belli e buoni.
« Intanto Erminia in fra le ombrose piante »
Cantò Torquato, e voi sapete il resto.
L' Ariosto cantò di Bradamante;
Ma io non vo' seguir né quel né questo.
Altro, ben altro é l'argomento mio:
A dirla schietta noi so bene anch'io.
Era un giorno bellissimo d'estate,
Cantavan le cicale in metro antico,
Giii nel fosso le rane innamorate
Facean baccano, ed all'ombra d'un fico
Se ne stava pensando a' casi suoi
Tal eh' al vederci surse in piedi, e - O voi, -
(i) Non mi scuso dei farti» se mai qaalcano- trovasse che qua e là io
abbia messo versi di altri; anzi, ciò che aggrava la mia posizione, dichiaro
che il più delie volte l' ho fatto proprio apposta.
35
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— 258 —
Disse, cV avete i volti dolci e umani.
Non v' incresca con me restam un poco,
Né vi spaventino i miei versi strani;
Chi può dir com'egli arde è in picciol foco:
Io non so chi voi siate, eppur son certo
Che i miei detti, saran voci al deserto. —
Quivi il lasciammo, e presa una barchetta.
Senza forza di remi e senza vela
Errammo, finché giunti a un' isoletta.
Soli, di notte, senza una candela.
Ci mettemmo a cantar la casta Diva;
Ma quella sera Cinzia non usciva.
Quella sera la casta verginetta
Forse stava a ciarlar col suo pastore,
O stanca della caccia, avea, soletta.
In braccio a profondissimo sopore.
Cercato oblio del sanguinoso insulto
Che un poeta le fece, e ancora è inulto.
Quel poeta è il Carducci che le die*
Titol di paolotta, e per di più
Infeconda la disse ... ah Giosuè !
Perchè tant'odio a lei? tempo già fu
Che un altro Giosuè fermava il sole.
Ma non lo fece con male parole.
Io penso a Casamicciola frattanto
Che un dì si bella or fatta è una rovina.
Penso ch'esser di Napoli altrettanto
Un dì potrebbe; e Ghiaia e Mergellina,
Ch' or sono un vero incanto di natura.
Fatte una vasta immensa sepoltura.
Odor di gelsomini e di viole.
Soavissimi canti di Bellini!
Luce elettrica, amabili carole,
O recite di Rossi e di Salvini !
A voi pensando più non trovo loco . . .
Dolce è lo star d'inverno accanto al foco.
Erano belli e giovani e per giunu
Ricchissimi d'ingegno e innamorati.
Egli Riccardo, essa avea nome Assunta,
Parean, ma proprio, l'un per l'altra nati;
Andavano a braccetto al dì di festa.
Ma che peccato! state a sentir questa.
Venne Riccardo un giorno a la sua bella
Sovra un destrier bellissimo montato,
£ Addio! le disse, alto dover m'appella^
Vo a pugnar per la patria, io son soldato.
Mi rivedrai, ci rivedremo un giorno . • .
Se non ti trovo non m' impoita un corno. —
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— 259 —
— Riccardo! aspetta, verrò teco anch'io —
E Assunta si vestì da vivandiera.
Fecer prodezze che né voi né io
Né altri saprà mai, finché una sera
Dopo tanti anni, proprio a farla a posta,
A Boma ritomaron per la posta.
Ma di loro non più, di Francia or parlo.
E la Gallia una terra aspra selvosa.
(Tristo chi porta in sen d'invidia il Urlo)
La musa mia salta di cosa in cosa;
Largo, largo al poeta che balzano
Un canto iimalza argutamente strano.
Oh! i quindici anni! età della speranza!
Li ebbi anch'io quindici anni, ve lo giuro.
Avea bionde le chiome e di baldanza
Si pieno il cor che mi sentia securo
Di vincer ogni osucolo ad un tratto • • •
Or grigio e calvo, quel che ho fatto ho fatto.
La vita, a chi ben guarda, è un'altalena.
Beato chi sa farla con giudizio:
Siam commedianti posti in su la scena.
Ove spesso virtù rassembra il vizio,
Gl'ignoranti gran dotti, e teste quadre
Tai che per scherzo l'ebber dalla madre.
Ma tempo é omai d'ammainar le vele,
0 almeno andar con più sicura scorta.
Chi non sa della torre di Babele?
^^ P^ggior passo é quello della porta;
Se il giuoco sai non insegnarlo altrui . . .
Salute a noi finché ritoma lui.
Voi già vi siete accorti, o almen lo spero.
Che i miei versi non son versi d' amore.
Li ho scritti in modo che chi vede il vero
Certo li troverà senza sapore;
Già! come l'acqua, che non deve avere
Nessun sapor per esser buona a bere.
E il Regaldi suU' acqua fé' un poema
Che chi lo ha letto a leggerlo non torna:
Non che sia fatto mal, ma quello é un tema.
Che non va a sangue, onde ne han detto corna
1 critici, bravissime persone.
Che il vino voglion pure a colazione.
Oh! il Chianti, oh! il gentilissimo Pomino,
De' toschi colli onor, si cari al Bedi !
Lo Sciampagne esso pure é un certo vino.
Che quando il bevo, dalla testa ai piedi
Mi mette un pizzicore, un' allegria • • •
Peccato che si tosto vada via.
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— 260 —
E* mi ricorda ancor di certa sera,
Ch* ultimo assunto a genì'al convito.
Di dotti amici in mezzo a eletta schiera.
Se ne bevve davver dello squisito,
Alternando biscotti e poesia.
Nel tempio della vera cortesia.
Ne la tua casa, o Fabio, e ci leggevi.
Del tuo ferace ingegno opra novella.
In Valnerina^ e tra quel bevi e bevi.
Tanto effetto mi fé* V opra tua bella,
Che vivi i personaggi e veri i lochi.
Li vedo ancora, e scorser di non pochi.
E il vecchio Bruschi, a me non conosciuto.
Vedo sano e rubizzo andare attorno
Pe'suoi vigneti. O povero canuto!
Non ti vedrà piii alcun farvi ritomo
Com'ei ti pinse, e col baston per lancia.
Toccar di sprone al tuo cavai la pancia.
Di pace cavalieri dentro la fossa
T'han messo ora a giacer! dormi e t'allieta:
Che non morrai finché duri la possa
De' canti e dell'amor del tuo poeta,
S'anco non resti un gocciol del tuo vino.
Non ambrosia, aleatico divino.
Dove, io già stanco, te, dove te lascio,
O liquido rubin che fiammeggiante
Nel cristal vidi, limpido Roascio?
S'io fossi re una croce di diamante
Darti vorrei, cultor, che sai far tanto;
Se papa fossi poi ti farei santo.
Gli eroi d'Omero quelli si che a cena
Non si mettevan come noi per scherzo.
Due 'biscotti a noi fan la pancia piena.
Ognun di lor d' un bue mangiava il terzo;
E per questo si dissero famosi • . .
Intanto noi gridiam viva gli sposi.
Viva gli sposi! col bicchiere in mano
Viva gli sposi, io vo* gridar, evviva!
Viva gli sposi! ognuno a mano a mano
Viva gli sposi, gridi, evviva, evviva!
Viva gli sposi! si, viva gli sposi!
Vivan gli sposi, vivano gli sposi!
Quando cantai del Chianti e del Pomino,
E dissi la virtù dello Sciampaene,
Recar non volli offesa a ogn* altro vino.
Né sfregio a nostre fertili campagne;
Non vorrei travisato il mio pensiero
Perchè per fretta non lo espressi intero.
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261 —
Piacemi pur quel d'Asti ed il Barolo,
Quel di Genzan mi piace e di Marino;
Di quello di Velletri un bicchier solo,
E di Montepulciano intero un tino;
E di Montefiascone e delle Grotte,
Di Gradoli e d'Orvieto anche una botte.
Fatta quesu protesu io tiro innanzi;
« Andiam che la via lunga ne sospinge, »
Dunque restammo, come dissi dianzi.
Restammo . . . qui ci vuol la rima in inge;
Finge^ dipinge, intinge ... or non mi serve.
Invece ora vorrei la rima in eroe.
Ma non mi vo' confondere, che diavolo 1 .
Affronterò sicuro ogni pericolo.
Sapete che diceva u mio bisavolo?
« Se non puoi per la via, passa pel vicolo.
Il forte è d'arrivar; se trovi ostacolo.
Niente paura, si farà un miracolo. »
A proposito, dite, ci credete
Ai miracoli voi? al tempo antico
Molti se ne facevano, sapete.
Adesso se ne fanno, eh! già non dico.
Ma pochini, cosi per esercizio.
Giusto perchè non se ne perda il vizio.
Uno ne ho fatto anch' io proprio stasera
Di legger da me stesso e a faccia tosta.
Senza arrossire o impallidir di cera.
Questa indigesta fricassea, composta
Alla carlona, o meglio alla mattesca . . •
Non mettete mai '1 fuoco accanto all' esca.
E qui finisco. Se riesco a un fiasco
Io non m' infosco o offusco, e me ne infischio.
Conosco il visco e da losco non casco.
M'infrasco e fresco poi esco di rischio.
Chi di voi mi darà la rima in aschio ?
V'auguro nn bel figliuolo e che sia maschio*
XLV.
L' ALTEZZA SERENISSIMA DI CARLO IH.
PRINCIPE SOVRANO DI MONACO
ALL'ALTEZZA REALE
DI DONNA FLORESTINA
Duchessa di "Wortemberg
SUA AUGUSTA SORELLA
Cerchia il ceruleo mare il mio bel trono
Sovra la rupe d'Ercole Monèco,
Ove del marzial eroico suono
De gli aviti Grimaldi ^odesi l'eco;
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— %t% —
Mentre il popolo' mio, cui padre io sono
Meglio che prence, come figlio meco
Vive; né de gli allor, cui Marte bieco
Comparte* ma d'olivo io m'incorono!
D'Oriente la flora in su lo scoglio
Surge spontanea come la divina
Fede de gli avi a l'ombra del mio soglio...
Ma il bel tesor, fra l'Alpe e la marina,
Che più rifulge e incendemi d'orgoglio...
È sol la tua virtude, o FlorestinaY
Luigi Arrigo Rossi
XLVI.
ATOMI
À SEVERINÀ
e Triitlt in hilariUte.
Vorrei darti un amorino^
O diletto mio tcsor;
Vorrei darti un géUominOj
Cui somiglia il tuo candor;
Vorrei darti V amaranto^
Il cui vivido color
Apparir di tanto in tanto
Sul tuo volto vedo ancor.
Darti pur la sempreviva^
Il mughetto^ cento fior.
La gaggia^ la sensitiva^
Cui simiglia il tuo bel cor;
Vorrei darti la giunchiglia^
La pcUustre^ il botton dC or^
La viola^ la vainiglia^
Il ligustre^ ogni bel fior.
Ma, fra tanti, deh, indovina
Qual più raro fior ti do?...
Quella fede, o Severina,
Che appassir 1' età non può !
La stilla di sangue
Di Vener vezzosa
Largiva alla rosa
Purpureo color:
Giunone superba
Versava la stilla
Di latte che brilla
D'immenso splendor.
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— 263 —
Di pianto la stilla
Se tu versi innante,
Potria qnell' istante
Temprarmi il dolor.
L' uomo cV ha il cor sensibile
Celia, ma in modo lieve;
L' uomo, più d' una lagrima
Mai versare non deve;
Poicliè è un celiare e un piangere
Il mio cantare è breve.
Deve il pilota, per salvarsi in mare.
Non la stella, la bussola guardare;
E ho perduto la bussola, o Donzella,
Per contemplarti ognor fulgida stella.
VOCI UDITE ALLE CORSE
e Bilarìt in trittitia. >
Principino Don Diego, ti chiedei
Di far su Dante le tue chiose belle.
M'hai risposto: « Non sciccio d'altri Danti
Che quello della pelle de' miei guanti. »
De* buoi le coma indoransi
Nelle pubbliche feste,
E V auree corna spuntano
Sopra l'umane teste.
Non hai di pietra, hai di adamante il core,
Né lo ponno incavar stille d'amore.
Dal core all' intelletto
Sale la poesia, ^
Ma scender dee dall'intelletto al core ^
Il nuziale amore.
La ghirlanda di rose ha Imene al crine,
Si sfronda presto e restano le spine.
Come un vulcano trasformossi in lago,
O cara donna, hai trasformato il core:
Acqua placida egli è, non piti vorago.
Eri cotanto schiva
Che tutti ti dicean la sensitiva^
Ora sei un' altra cosa,
La pungente spinosa.
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— 264
Non più versa di Trevi la fontana
L' acque che fean grandi fragori e spume;
Ma, se il pianger che fa la razza umana
Vi s'aggiungesse, tornerebbe un fiume.
Il pedante è uno gtìlUa
Il ([ual passa la sua vita
Nel guardar dall'alto in basso.
Senza mai movere un passo.
Luigi Aaaico Rossi
PUBBLICAZIONI RICEVUTE IN DONO
Biblioteca della gioventù' italiana. Anno Xlil. Aprile 1881. La Fa-
miglia di Erlauy racconto di Giuseppe Maffei. Torino, 1881, tipografia
e libreria Salesiana » Sanpierdarena-Lucca-Nizxa Marittima* In 12<* di
pag. 264.
BusiRi (Aiidrea) Torre tul Quirinale con eale per un Accademia Filarmonica
e coneervatorio di Mueica e Dama. Studi e disegni dell'ingegnere archi-
tetto Andrea Bosibi, in compimento del progetto mdccclxxix del nuovo
ingresso alla Via NaxùmaU sulla Piazza di Venezia e della Via del Corso
al Monte Capitolino. Roma mdccclxxxi. Piante due in foglio con Illa-
strazione.
Isolamento parziale delV antico Peristilio di Antonino Pio in Roma
secondo il voto della Commissione Archeologica del R. Governo. Pianta
in foglio con Illustrazione.
Henbt (Charles) Galilèe, Torricelli, Cavalieri^ Castelli. Documents nouveaux
tirés des bibliothèques de Paris ( Reale Accademia dei Lincei, anno CCLXX VII,
1879-80) {Serie 3*. Memorie della Classe di scienze morali, storiche e filo-
logiche. Voi. F. Seduta del 20 giugno 1880). Roma, coi tipi del Salviueei
1880. In 4.0 di pag. 20.
Boncompagni [B.)Cin^ Uttres de SopAte Germain a Charles^Frédéric Gauu„
publiées d'après les origtnaux posséaés par la Socièté rogale des Sciences de
Gdltingen ecc. — Govi (G.) Intorno alla data di un discorso inedito pro-
nunciato da Federico Cesi, fondatore dell'Accademia dei Lincei ecc. * Govi
(G.) Su alcune lettere inedite di Lagrange pubb. dal Boncompagni eco. —
Germain (Sophie) Mémoire sur l'emploi de Vépaisseur dans la théorie des
surfaees élastiques ecc. Memorie bibliografiche pubblicate da Henry Charles
{Extrait du tfulletin des Sciences mathématiques 2« sèrie, t. IV ^ 1880).
Paris , imprimerie de Gauthier Villars , guai des Augustins 55. in 8.<» di
pag. 5.
Muntz (Eugene) Études sur Vhistoire des arts a Rome pendant le moyen-dge,
Boniface Vili et Giotto {ExtraU des Mélanges d*archéologie et d'histoire,
nublièspar V Ecole Fran^aise de Rome). Rome, imprimerie de la Paix, 1881.
In 8*. ai pag. 29 e tavola.
Tessier (Andrea) Quattro lettere di Ippolito Pindemonte ora per la primo
volta pubblicate {per le faustissime nozze del barone Giulio Reichlin, colla
eontessina Maria Cassis) Venezia, tipografia delV Ancora 1881. In S.^ di
pag. 27 non numerate.
— ^ Due dispacci di Alvise Querini ministro residente in Torino della re-
pubblica veneta, ora per la prima volta pubblicati con annotazioni {auspi-
catissime nozze Tilling-Ricca). Venezia, costipi di Pietro Naratovich, i88l.
In 8? di pag. 20.
errori incorsi nel Fascicolo precedente
errata corrige
Pag. 215 linea 38 d* imitazione di rappresentazione
Pag. 216 » 13 sovrastò sovrastette
Pag. 216 » 19 dalla Spagna della Spagna
Pag. 219 » 25 nel 65 anno di Roma nel 65 anno in Roma
Pag. 220 » 26 Argante Gargantua
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Sbrie II. VoL. XIV.
Agosto 1880
r L
BUONARROTI
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BENVENUTO GASPARONl
CONTINUATO PER CURA
DI ENRICO NARDIICCI
PAG.
XLVII. Documenti inediti dell'arte toscana dal Xll
al XVI secolo, raccolti e annotati da G. Mi-
lanesi (Fine) » 265
XLV11I. Descrizione di tutte le colonne ed obelischi
che trovaijsì nelle piazze di Roma, disposta
in forma di guida da Angelo Pelle*
GRiNi ecc. (Cùntinuazione) » 276
XLIX. Notizie sugli scavi di S. Urbano di Narni, di
Magliano in Sabina, di Vitorchiano nel Vi-
terbese e di altri luoghi. Lettera all'onore-
vole Sig.i* Dirett.« Gnale de' Musei e degli
Scavi di Antichità (G. Eroli). ...» 291
L. Le migliori cantatrici italiane fino alFanno
17L5. Notizia di M. Steinschneider . » 301
LI. Specuium Dianae. — Palatinus (Luigi Ar-
rigo Rossi) . . , » 302
LII. Ai miei cari (Luigi Arrigo Rossi) . . » 303
ROMA
tipografia delle scienze matematiche e fisiche
Ma lata n* 3.
1880
k ^:4':^'
Pubblicato il 12 Luglio issi
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IL
f
Serie II. VoL. XIV. Quaderno Vili. Agosto 1880
XLVII.
DOCUMENTI INEDITI DELL'ARTE TOSCANA
DAL XII AL XVI SECOLO
RACCOLTI E ANNOTATI '
DA* G. MILANESI
CaniinuaMùme (1)
N.* 48. 1351, ì di luglio
Ristoro d'Andrea (2) pittore da Firenze^ domanda d^esser pagato da
Paoluccio di Lazarino pittore lucche»e^ dimorante in Firenze^ pel
prezzo di pitture fattegli.
Archivio di Stato tn Firenze.
Arahirio della Mercausia, Caute Ordinarie. Voi. illl, dal 18 gennaio all'li di luglio lS5i.
Coram nobis domino Vgolino (Uni lohanms de Spoleto) indice
et oflBtio predictis ezponit et dicit Ristorus Andree populi Sancte
Marie Novelle de Florentia, pictor, quod Pauhiccvus Lazzarini de
Lucila, qui morari consuevit in cavitate Florentie , jam sunt vel
menses et vltra fuit et est debitor dicti Ristori in vij fior, auri xx
idcirca prò salario et labore picturarum per ipsum Ristorum factarum
dicto Paithiccio. Et quod dictus Pauluccius a dicto Ristoro pluries
requisitus cessavit et cessat eidem dare, solvere dictam quantitatem
florenor: auri in eius preiudicium et gravamen. Quare , facto sic
exposito petit nunc dictus Ristorus quatenus cogatur et compellatoir"
et in dieta summa condenpnetur dictus PaiUucim ad dandum et sol*
vendum dicto Ristoro dictorum florenor: auri quantitatem et in pre-
dictam procedi breviter et summarie secundum bonam equitatem, etc.
(1) Vedi Quaderno precedente, pag. 234.
(2) Ristoro d^Àndrea si trova scritto alla Compagnia de'Pittori di Fìrenxe.
Egli fu padre di aneiriiiufr^a, parimente pittore, che nel 1392 si fece la se-
poltura m S. Maria Novella. Di Paoluccio figliuolo di Lazzarino di Luporo
pittore lucchese, poche notizie dà il Trenta. Noi sappiamo che e^li dopo aver
dimorato in Firence col padre suo, andò a stare in Pisa, dove ai 30 d^ Agosto
1365 sposò LisabeUa de ifu Tomwuuino da Venezia.
36
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— 266
N.® 49. 1351, 5 di gennaio
Allogazione a qiuUtro maestri di pietra de' marmi lavorati di più colori
per la costruzione di dieci braccia ddTultimo finestrato del Cam--
panile del Duomo di Firenze.
jtrehtviù detto.
Rogiti di Ser Bartolo di Neri da Rsffiaao. Protocollo dal II4S ol lUl.
In dei nomine, et Dominiee Incamationis» Anno millesimo
trecentesimo quinquagesimo , Inditione quarta , die quinto mensis
Januarii.
Discreti viri Manettus Spigliati de Filicaria , Landus Antomi
de AUnzzis^ Alessus Guglielmi^ et Filippus Bonsi^ eives fiorentini,
operarii prò Arte Lane constructionis operis sancte beate Reparate
cathedralis ecclesie fiorentine, ad dictum Opus congregati, volentes
intendere ad vtilitatem dicti operis, et ut ieruentius ad laborerium
diete Opere procedatur, locaverunt, et concessenmt Nerio FioravanUs
populi sancti Petri maioris, Benozzo Niccolay populi sancti Michaelis
Vicedominorum, Niccolao Beltrami populi sancti Laurentii , et Al-
berto Amoldi populi Sancti Michaelis Berteldi magistris ad condu-
cendum ad dictum opus , et ibidem consignandum operariis dicti
operis, siye Gubematoribus ibidem prò tempore eicistentibas, labo-
ratas et completas infrascriptas quantitates marmorum , videlicet
alborum de Garraria , rubeorum de caua Sancti Justi ad montem
Rantuli, et nigroinim de Monferrato, bona et pastosa et netta pilis
vel aliis defectibus infrascriptarum rationum et bonitatum, et men-
surarum^ ut inferius particulariter continetur prò ìnfrascriptis pretiis,
et quantitatibus pecuniarum, videlicet: xvj braccbia stipidorum ad
modinum eis dandum per Francischum Talenti principalem magi-
strum dicti operis, vel per alium principalem magistrum dicti operis
prò tempore existentem; grossitudinis per latum tertie partis vnius
bracchii, videlicet minus petinm, et iongiludinis vnius bracckii et
dimidii alterius braccbii prò pretio et ad rationem libranim otto
prò quolibet bracchio: in snmma libramm cxxviij fior: parvor.
Item octo bracchia angnlorum ad modum atìpidi, ad rationeni
librarum quactuor fior: parv: prò quolibet bracchio : in annuna
libr. xxxij fior, parvor.
Duodecim bracchia marmoris rnbei qui poni debet in dictis
pilastris, longitudinis duorum tertiorum bracchii ad rationem libr:
duorum fior: parvor: prò quolibet bracchio: libr: xxiiij fior: parv-
Otto bracchia marmorum rubeorum quod poni (sic) debet inter
angulos dictorum pilastrorum, largitudinis quarte partis vnius brachii
ad rationem sol: xx prò quolibet bracchio: libr. viij fior: parvor.
Sedecim bracchia marmoris nigri qui poni debet inter pilastros,
largitudinis tertie partis vnius bracchii^ ad rationem sol: viginti
duorum fior: parvor: prò quolibet bracchio : libr. xvii et sol: xij
fior: parv.
Sedecim bracchia vnius cornicis marmoris albi de Garraria >
que poni debet in medio facciarum campanilis inter marmora nigra
de Monteferrato et rubra de dieta caua Sancti Justi de Monte Rantuli^
largitudinis tertie partis vnius bracchii et grossitudinis qpiarte partis
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267 —
vnius bracchii , ad rationem librarum duarum et sol: decem fior:
parvor: prò quolibet braccbio: in summa lib: xl fior: parvor.
Otto bracchia tauolarum rabeorum rubeorum de Monte Ran-
toli longitadinis vnias braccbii el octaue partis alterius bracchii,
ad rationem librar : trium prò quolibet braccbio : libr : viginti
quactnor fior: parv.
Otto bracchia vnius filaris marmornm albomm de Carraria, lon-
gitudinis medietatis vnius bracchii et grossitudinis quarte partis vnius
bracchii ad modinum convcnientis, ad rationem sol: kiv pi*o quolibet
bracchio: libr. xviij fior, parvor.
Septnaginta quinque bracchia concii prò dicto campanili ex
parte intrinseca ponenda cum schala lapidum fortium, ad rationem
libr: trium et sol: quinque prò quolibet bracchio: in summa libr:
ducentas quadxaginta tres et sol: xv fior, parvor.
Dixerunt insuper quod infrascripta marmerà et concia sunt que
▼adunt sive mitti, aut poni debent in quactuor fenestris et in isguan-
ciatis et in pectoralibus et dauanzalibus et colupnellis rubeis et in
petratis et U sapra più de seggiolis et omne id quod pertiaet ad
dictas fenestras, altitudinis decem bracchiorum, quod debet partiri
in decem, et totidem dixerunt tangere prò bracchio quolibet.
Gentum nonaginta duo bracchia inter columpnas medii bracchii
et columpnas cum duabus brucchiis et columpnas tondas que poni
debent in medio fenestrarum laboratas ac tortas secundum modum quo
sunt incepte et ad modum dicendi per principalem magistrum dicti
operis prò tempore existentem; longitudinis, videlicet ille duorum
bracchiorum et ille medii bracchii, ad minus longitudinis quodlibet
petium bracchiorum trium cum dimidio alterius bracchii ; et ille
que poni debent in medio fenestrarum, longitudinis sex braccbiorum
et dimidii ad minus prò quolibet petio, ad rationem librarum se-
decim llor: parvor: «prò quolibet bracchio.
Gentum quinquaginta duo bracchia colonnellorum mannorum
Tubeorum de caua sancti Justi, que cii^ghiari debent in petcatum et
sguanciati fenefitramm ad rationem librarum quinque letaol: decem
prò quolibet tbracchio.
Quindecim bracchia colonnellorum marmorum rubeorum que
poni debent ad planum fenestrarum sub pettorali et de super, ad
rationem librar: quinque et sol: decem fior: parvor: rpro >quolibet
bracchio.
Septuaginta duo bracchia colonnellorum dictorum matrmorum
rubeorum que poni debent ad planum fenestrarum ad pedem iaguan-
ciatorum, grossitudinis tertie partis bracchii, longitudinis duarum
tertiorum braccbii, ad modinum eis dandum per dictum prìncipalem
magistrum, ad rationem librar: sex floren: parvor: prò quolibet
bracchio.
Septuaginta quinque bracchia impetrati prò isguancitis fene-
strarum, que poni debent in medio oolupnellorum rubeorum^ largi-
tudinis septem ottavorum brachìi, ad rationem librarum novem et
sol: quindecim fior: parv: prò quolibet bvaochio.
Quadraginta bracchia tabulatorum alborum de marmore de Gar-
rana , largitudinis septem ottavorum , et grossitudinis sexte partis
bracchii, que secuntur cum isguanciato fenestrarum ad pedem, quod
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— 268 —
non est impetratam, in medio colupnellomm mbeoram, qni poni
debent ad planum , ad rationem librar: qninque fior: paryor: prò
quolibet bracchic.
Septuaginta quactaor bracchia comicis albe dicti marmoris qae
cinghiant pilastros et faccinolas nsque ad columpnellos, debent esse
et redire concii tertia pars vnios braccbii per grasseza et largita-
dinis medii braccbii laboratate ad linguazas^ ad rationem librar um
otto, sol: duorum et den: sex: floren: parvor: prò quolibet braccbio.
Viginti octo bracbia diete comicis albe prò davanzalibus fene-
strarum tornando di concio tertium vnum et grossitudinis et largi-
tudinis trium (juartorum ad rationem librar: novem, sol: quindecim
floren: parvor: prò quolibet braccbio.
Duodecim tabule prò pectoralibus fenestrarum, de quibus, otto
tabule debent esse longitudinisquelibetbracbiorum duorum et duorum
tertiorum; et alie quatuor, quelibet bracchium vnum et duos tertios
et grossitudinis quelibet dictarum duodecim tabularum inter tertium
et medium braccbii compassate et laborate ad modinum eis dandum
per principalem magistrum dicti operis prò tempore existentem; alti-
tudinis omnes duodecim tabule quelibet earum vnius braccbii et
duorum tertiorum, prò pretio inter omnes fior: centum septuaginta
auri, ad rationem libr: trium et sol: quinque prò quolibet floreno auri.
Et per lo sopra più dé^ seggioli ^ qui debet partiri cum questo
medesimo libr: centum septuaginta duas floren: parvor.
Octuaginta braccbia lastricbi quod poni debet sub seggiolis ad
rationem sol: viginti duorum prò quolibet braccbio libr: ottuaginu
octo flor: parvor. Et voluerunt et in concordia fuerunt dicti operarli
quod volebant eisdem magistris dari de denariis et florenis dicti
operis prò stipendio? flor: viginti quinque auri: de predictis marmo-
ribus et lapidibus concis debent ut dixerunt et in concordia fuerunt
fornire decem braccbia dicti campanilis per altitudinem et circum
circa. Et debent ipsi magistri suprascripta omnia marmora bene ac
sufBcienter ac ydonee laborau et completa dare et assignare ope-
rariis dicti Operis siue capomagistro siue gubematori dicti operis
prò tempore existenti, ad pedem campanilis ad coUam cum qua la-
borerium ipsum collari debet supra dicto campanili, adeo bene com-
pleta et facta quod murari possit: et si expediret supra ipso campa*
nili, dum murabuntur, in actare et retocfaare omne concium quod
expediret ibi suis sumptibus et expensis faciendi ac ferramenti prò
murando, ita quod propterea dictum opus nicbil babeat mietere nisi
in murando et calcinam renam et manualium ac magistrorum (sic) prò
murando; salvo quod si aliquid contigerit solvi ad Garrariam prò
dogana marmorum alborum ; quod tunc et in eo casu solvi debet
ipsa dogana de denariis dicti Operis. Que omnia marmora, videlicet
alba nigra et rubea et concium lapidum fortium facere debent suf-
ficienter ad laborandum dieta decem braccbia campanilis per altitu-
dinem et circum circa. Et voluerunt et pepigerunt diete partes modis
et nominibus quibus supra et cum protestatione predicta , quod si
accideret (piod dicti magistri conducerent seu conduci facerent ad
dictum opus marmora uel de dictis marmoribus vi tra quantitateok
necessariam ad faciendum et fulciendum dieta decem braccbia dicU
campanilis de marmoribus non contiis; quod in dicto casu dieta su-
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— S09 —
perflua marmora emantur ab eis prò dicto opere prò pretio conde-
cente. Et si marmora laborata per eos vtilia dicto operi superessent
tunc per dictum opus solvatur eis de laboratis ad rationem predictam
et sapra scriptam non excedendo quantitatem marmorum conciorum
qaantitatem necessariam prò murando vno bracchio prò altitudine
et circum circa ipsum campanile. Et quod si aliquid laborerium
esset laboratum prò dicto opere et concium ad diclum opus, debent
dicti magistri , et pepigerunt ad voluntatem operariorum prò tem-
pore existentium, sibi illa computare ad et secundum rationes pre-
dictas a dicto Opere.
Et e converso predicti Nerius^ Benozzuis^ Niccolaus et Albertus
magistri predicti dieta marmora et lapides sive concium lapidum
et marmorum conduxerunt a dictis operariis et obligando se ipsos
et quemlibet eorum et ipsorum et cuiuscumque ipsorum heredes et
bona omnia mobilia et immobilia presentia et futura, promiserunt
et convenerunt dictis operariis et mihi Bartolo notario tamquam pu-
blice persone stipulantibus et recipientibus prò Comuni Florentie
et dicto opere et quilibet eorum in solidum et in totum obligando
dieta suprascripta marmora supradictarum mensurainim colorum et
bonitatum ac lapides siue concium lapidum conducere seu conduci
facere et conducta et laborata et concia consignare et dare operariis
sive officiali ac gubernatori dicti Operis prò tempore existentibus
omnibus ipsorum magistrorum stvmptibus et expensis de marmoribus
et lapidibus, naulis, gabellis, magisteriis et ferramentis prò conciando
et uectura et omnibus aliis quam bene conti is et actis et completis
prò murando, videlicet dieta marmora, ad pedem campanilis, et dicti
lapides fortes in claustro dicti Operis vbi morantur magistri dicti
Operis ad laborandum prò dicto opere, et posita ad pedem campa-
nilis ipsa marmora ad cellam ipsius campanilis in terminum quin-
decim mensium proxime yenturorum prò dictis pretiis sub pena et
ad penam (piinquaginta florenor: auri solempni stipulatione premissa:
Que pena totiens commictatur et pacti et exigi possit cum effectu
quatenus con tra factum fuerit sive ventum qua pena etc. etc. Et vo
luerunt et pepigerunt dicti magistri quod de eorum bono seryitio
fiendo et bono laborerio dando ad terminum debitum stare et stari
debeat dicto, discretioni vel deliberationi suprascriptorum locatorum
prò tempore viventium vel presenlium in civitate Florentie. Et hoc
ideo feccerunt quod dicti Operarli - promiserunt eisdem quod a gu-
bernatore dicti Operis prò omnibus predictis dabuntur suprascripta
pretia que adscendere dixerunt summam florenor: quattuor millium
centum auri, videlicet prò quolibet braccbio fior: quatorcentos decem
auri. Et promiserunt dicti magistri et quilibet eorum prò predictis
obseruando et executioni mandando ut supra continetur, dare qui-
libet eorum vnum sufficientem fideiussorem bine ad octo dies pro-
xime venturos, de bonitate et sufficientia quorum fideiussorum stari
voluerunt dicto dicti Neri Fierauantis etc. etc.
Actum Florentie in camerecta sita in claustro dicti Operis vbi
morantur notai'ius et camerarius dicti Operis ad soluendum ma-
gistris, presentibus ad bec testibus Luysio Johannis de Strozis pop:
Sancti Miniatis inter turres , Vinta Tuccii RigcUecti et Francisco
Talenti et Nerio Loczii de Florentìa.
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270 —
N."" SO. 1353, 3 dicembre
Ordini rigtuir danti gli Orefici di Arezzo.
jirchlvto O€M0ruU de* Camtratii di Ftrens».
Rogiti di Ser Guido di metter Rodolfo d'Aresto. Protocollo dal i352 al 1S54.
In nomina Dei eterni. Amen. Anno Xpi a natiyitate eiusdem^
Millesimo Trecentesimo quinquagesimo tertio* Indictione sexta, do-
mino Itmocentio papa sexto residente, die tertio mensis decembris.
Actum Aretii, in plebe sancte Marie, presentibus Nicholao domini
Cingani de Sassolis , Berardino Gmdonis de Mignano , Berardmo
IvJthi de Camaianis et Bonomo Angeli- Bonomi spetiario de Aretio
testibus ad hec. Infrascripti ciues aurìfices civitatis Aretii simnl dan-
nati in plebe predicta in piena et comuni concordia, nullo ipsorum
discordante, videlicet Cola Spinelli (i)j Petrus Vannis., Franciscus Lagni^
Johannes et Lucìias fratres filii olim Fei^ Michelucius Gori domini
Jucehe de Sassolis^ Johannes ser Fei et Feus Goriy asserentes se esse
duas partes et satis ultra, immo quasi omnes aurifices civitatis pre-
diete ; ad honorem et commodnm civium diete civitatis et habi-
tandum in eadem et prò bono et augmento diete artis et artificnm
artis predicte; facto prius et misso partito inter eos ad fabas nigi^is
et albas et obtento, nullo ipsorum reperto contrario, fecerunt, com-
posuerunt et firmaverunt infrascripta ordinamenta que voluerunt
per omnes artifices artis predicte et eorum artista et fancellos invio-
labiliter observari. Que quidem ordinamenta infra per ordinem vul-
gariter scripta sunt, videlicet:
Emprima, chel Rectore che sirk per lo tempo, sia tenuto de re-
cercare ei suoi artefici che lauorano ariento a deci oncie, e cerchi
el meno iiij uolte el mese e più a la sua volontà: e selli trouasse
alcuno che non lauorasse ariento come elli dia, possa lui el decto
Rectore condampnare come a lui piacerà , secondo el defecto cha-
uesse commesso.
Ancho che le feste le saranno date per scripto el Rectore, se
debbiano guardare per li decti artefici e loro garzoni e fancelli
a pena (sic) e chel Rectore le debba comandare o fare comandare
a quella medesima pena.
Ancho che niuno artelece possa torre alaltro alcuno garzone
per tutto el tempo chello lauesse pattovito, a pena . . . ma com-
piuto el decto tempo, possa el decto garzone e a lui sia licito de po-
narse con qualunche maestro elli uorrà.
Ancho che niuno forestieri possa fare ella cita darezo bottega
de la decta arte, se prima non paga deci libre al camerlengho de
la decta arte a pena . . .
Ancho che niuno artefece o suo garzone o fancello possa latio-
rare el sabbato da uespro ennanzi, se non lauorio che se douesse
rendere compiuto la sera medesima o la mattina seguente, a pena . . .
Ancho che tucti ei detti artefici lauoranti o garzoni a coman-
damento del Rectore sieno tenuti de raunarsi per la festa de sancto
Donato e de ^sancto Alò, ogni anno, e le dette feste andare ad ho-
norare come piacerà al decto Rettore, a pena de . . .
(1) Questo Cola Spinelli orefice fu Zio paterno di ;^>ie{/o aretino pittore.
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— 871 —
Ancho clie ninno artefece lavorante o earzone debbia lanorare
oro a meino che de meità^, e non possa né debbia mettare o legare
en oro alcuna pietra se non fina, a pena de . . .
Ancho che ninno cambiaitore, sett^uolo o altro forestieri possa
né debbia nendare alcuno arieato lauorajto n^uono a meno di lega
de X oncie ; e cbel Aeotore deli orfi possa cercare se elli ene a
la lega.
N.^ 51. 1371, di maggio
AUogaxiane a Piero di Landò (i) da Siena, maestro di legname^
del Coro della chiesa maggiore di Fiesole.
jtrehivio Veteovile CapUoUre di Mi^sple^ ,
Dal M§mortaU Episcopi Fi94oÌa*i^ scritto di miiuo di S. Andrea Corsini
vescovo di quella chiesa. 81.
Piero di Landò d» Si^ia ha tolto a fare il coji'O nella chiesa
maggiore di Fiesole; e questi sono i paui*» i q^isiìi ha fatti con noi,
col Proposto di Firenze, e Ser Tcuideo predetto in preseni^a del
detto Proposto.
In prima che iì det^to Piero de* fare il detto coro a ogni suo
legname, ferramento e ogni altrtf ispesa.
Item de*fare il deito Coro conpie quello delle Donne di S. Piero
Maggiore , cioè di bracciali in giu^o , con una panca dinanzi da
inginocchiarsi: e da*bri|9GÌaU in suso vuole essere un braccio e mezzo
intorno intomo alto.
Item vogliono essere i bracciali di noce colla piana di dietro
ove si commettino, la piana ove si commetteranno i sedi, di noce,
e i ballatoi e i peducci e un regolo dinanzi a manganella, ogni
cosa di noce ; e sia regolato da' bracciali in giù , come quello di
S- Pier Maggiore, di noce, e da* bracciali in su regolato di noce,
riquadrato con una cornice di noce di sopra, e di sotto alla detta
cornice un fregio di tarsia come in quello di S. Miniato dalle Torre,
e la panca dinanzi da inginocchiasi regolata dì noce, come quello
di S. Miniato dalle Torre. Tutto Taluo legname vuole essere d'al-
bero, asse di mezzo.
Item debbe auere il detto Piero per pagamento del detto coro
fior: cinque e mezzo di ciascheduna sedia e a tutte sue spese di
mangiare e di bere^^ e d'ogni altra cosa di gabella e di vettura e
di ciascheduna altra ispesa ; salvo che della Sedia del Vescovo si
debba vedere per messer lo Proposto di Firenze, e per Ser Taddeo
di S. Pier Maggiore ; e quello che a loro paresse , debba essere
ristorato. E questi sono i patti.
(1) Maestro Pietro di Landò da Siena, ebbe un fratello di nome Lorenzo,
parimente legnaiuolo, che morì ne'primi giorni d'agosto 1363, mentre in com-
pagnia del fratello lavorava il coro di lenagme di S. Domenico di Siena. Di
Pietro andato ad abitare in Firenze ha dato alcune notiiie il Gaye nel voi. I,
pag. 73 del Carteggio d^Àrtisti ecc. Che egli facesse il coro deUa cattedrale
di Fiesole era fino ad ora ignoto.
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— 272
A di 29 di maggio 1371.
Maestro Piero di Landò da Siena ebbe questo di di sopra per
comprare il legname del coro di Fiesole fior: trenta d*oro, in pre-
senza del Proposto di Fiesole, e quello di Firenze.
Ilem ebbe egli in presenza del Proposto di Fiesole e di Scr
(riovanni a di i5 [di Giugno dell'anno di sopra fiorini 25 d*oro
per comprare legname.
Item ebbe egli in presenza del Proposto di Fiesole e di Frate
Bartolomeo a di 20 Luglio lire cincpianta.
Item ebbe egli a di 24 d'Agosto in presenza del Fabbro Vanni^
fiorini 15 d'oro.
Item ebbe egli a di 27 di Settembre £ cinquanu in grano che
io gli vendei per soldi diciannove lo staio.
' Item diegli questo di medesimo ricevette egli fiorini 20 d'oro.
Item diegli a di 24 di novembre ebbe egli £ venti.
Item ebbe Piero maestro a di 2 di marzo in presenza del Pro-
posto di Fiesole fiorini otto d'oro.
Item ebbe Piero maestro a di 18 aprile fiorini sei d'oro in
presenza di Vannone.
Item ebbe 24 metadelle (24 boccali) di vino : montano £ una
soldi sedici.
Item ebbe a di 24 d'aprile 1373, secondo che sentenziò messer
Taddeo canonico di Fiesole, fiorini tre d'oro.
Sicché ha avuto il maestro del Coro in tutto fiorini 144, lire
una e soldi uno.
N.* 52. 1371, 12 d'ottobre
Giacomo del maestro Francesco del Tonghio (1) intagliatore senese fa
quietanza del prezzo del coro di legname da lui fatto per S. Giusto
di Volterra.
JrehMo (reiterale de' Contraiti di Firenze,
Rogiti di Ser Potente Lotti di Volterra. ProtoeoUo dal ÌS72 il iS75.
Magister Jacobus magistri Francisci de Senis vocavit se a dictis
operariis (opere Sancti Justi de Vulterris) contentum et etiam bene
pagatum et integre satisfactum de omni et toto quod petere possit
eisdem occasione Cori facti per eum in ecclesia Sancti Justi pre-
dicti, et eisdem fecit finem. Quam finem etc.
Actum in dicto Monasterio Sancti Justi etc.
Postea nero eisdem anno , - die - loco. Operarii suprascripti
fecerunt - finem dicto magistro Jacobo de omni et toto quod petere
possent eidem occasione diete summe per eos date prò laborerio
die ti cori.
(1) Costui è Giacomo figliaolo di m» Franceseo del Tmghio menzionato
nel primo Tomo de* Documenii per la Storia dell'arte senese.
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— 278 —
N.*» 53. 1383, 18 di novembre
Lettera da Napoli di Andrea di Vanni pittore Senese
alla Signoria di Siena.
jirekhfio di Staio in Siena. Lettera alla Signorìa ad annum.
Le novelle che sono a Napoli non ve le posso scrivere, al pre-
sente ma per lo primo messo che ci ritornarà io rescrivaxò a me-
nato. El papa entrò in Napoli a di diece di novembre et el re gli
fé ^ande honore.
El vostro servitore Andrea di Vanni
vi se recomanda , data in Napoli
a di xviij del mese di novembre
(fuori) Magnifici e potenti signor signori
et Capitano di popolo signor
de la ciptà di Siena signore suoi
N.* 54. 1385, 27 di giugno
Francesco di Michele (1) s* obbliga di dipingere un tabernacolo a CoUrn-
nata^ a Lemmo di Baldnccio fondatore dello Spedale di S. Matteo.
Archivio dello Spedale di S, Maria Nuova di Firenze
Spedale di 6. Matteo. Filaa A, a. 24.
Al nome di dio adi 27 di gignio (sic) 1385.
Sia manifesto a chi vedrà questa scrita chio francescho di mi-
chele dipintore del popolo di sancto leo di firenze prometto di dipin-
fniere a lemmo balducd del popolo di sancto michele bisdomini di
renze un tabernachulo, il quale è a colonata del popolo di sancto
remolo del piviere di sesto ; pel quale tabernachulo debo dipin-
gniere le' frascrite dipinture : in prima la Natività del nostro si-
gniore Giesocristo chon que'pastori e agneeli el bestiame e montagnie
e agniolli eh' anuziarono e quele chose che si chontiene a la deta
Natività e come venono ad adorare.
Apresso la Coronazione di nostro Dona chon serefini e alchuno
agniolo di sotto e da lato, e sotto a detti agnioli, quelli sancti che
ci chaperano : nel mezo di questi sancti. tra luno e laltro alchuno
agniolo che suoni alchuno istromento.
Ancora il Giudicio di nostro Signiore in un trono dagnioli e
serafini e altri agnioli intomo cho'segni de la Pasione, ciò lancia,
la crocie la spungnia i chiovi e altre chose che si richiede, e sancto
Giovani batista e la nostra Dona; poi giii di soto a giudicio l'anime
buone e chative e angnoli che trombino e sepolture e diavoli come
si richiede a la detta istoria.
(1) È Del Ruolo de'Piltorì fiorentini scritti alla Compagnia di S. Laca
sotto l' anno 1385. Forse costui è quel medesimo Francesco pittore che il
Vasari fa scolare di Don Lorenzo monaco, e del quale si dice la pittura in
fresco dentro il tabernacolo che è nell' angolo delia piazza di S. Maria No-
vella dal lato della Via della Scala. IK tabernacolo di Colonnata non esiste
più da gran tempo.
37
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— 274 —
E nel cielo de la volta qnatro Evangielisti chon azuro chomune
che susa dipingnìere pepli altri dipintori, chone stelle di stagnio
inorato. Ne la facciata di fuori la Nunziata chon due santi di sotto
e cho' que* marmi di sotto che bisognierà ; le corone doro fine de
santi e gli altri cholori finì a stima di due boni maestri , tràtone
azuro ol tramarino. E siamo dacordo che de lo detto lavorio Lemo
mi deba dare fior: venticinque doro, si veramente chel detto lavorìo
deba istare bene e diligiente mente a stima di due maestri de larte,
e qanto (sic) no, che non istese bene pe detti venticinque fior:, che
non melli dea. El detto lavorio deba essere fatto per di qui a mezo
aghosto che viene, e debami dare le spese del manichare e del bere
e la chalcina e la rena«
E se chaso fosse, chel detto lavorìo no fosse conpiuto per tuto
il mese daghosto, non avendo chagione legitima, no mi debba dare
i detti 25 fiorini a senno de* detti maestri.
Io Franciescho sopra iscrito ò fato questa iscrita di mia propia
mano, anno e dì sopradeto, in presenza degF infrascritti testimoni^
cioè Mateo del Nero , e Andrea d' antonio populo Sw michele bi-
sd omini, e a miei prieghi si sono soscriti qui di sotto.
Io Matteo del Nero fui presente a la sopradetta ischritta, anno
e di sopradetto, e però mi sono soscbritto qui di mia propria mano.
Io andrea dantonio fui presente alla soprascritta scritta , anno
e dì sopradetto, e però mi sono soscntto di mia propria mano.
Io Francescho ò ricevuto de' detti venticinque fiorini per co-
minciamento di paghamento, fior: dieci doro.
Io Augnalo di Taddeo dipintore prometto per Frànciescho so-
pradetto di sodisfare a Lemma Balducd dì sodisfare fior: cinque
se*I detto Franciescho non servisse, per insino in fior: dieci.
Io Pierozo di ser micfiele da rabatta prometo per FraneieseìèO
sopradetto di sodisfare a Lemo Balduoci fior: cinque , se il detto
Franciescho non servisse il detto Lemmo^ insino in fior: dieci.
N.^" S5. 1386, 23 di luglio
Quietanza d'Angelo <K Mafiuccio pittore del Borgo San Sepolcro del
prezzo di certe pitture che doveva fare nella chiesa di S. Fran-
cesco del Borgo suddetto.
Archivio detto.
Rogiti di Ser Jacopo di S. Paolo Ciucci dal Borgo 6. Sepolcro. Protocollo dtà 1S86.
Die vigesima tertia Julii. Actum in dicto Burgo, in domino Fra-
ternità tis sancti Bartolomei de ipso Burgo,
Angelus oliiìi Maffucij (l) pictor de dicto Burgo sponte per se et
eius heredes et successores fuit confessus et contentus se habuisse et
recepisse a suprascripto Nicola (Francisci Duccii de dictó Burgo) ca-
merario diete Fraternità tis heredis- cum benefitio inventarii dicti
Ranerii ^olim Nerii bruni de dicto Burgo) sex fior: auri insti pon-
dcris et lige currentes in dicto Burgo, prò picturis fiendis per eum
in ecclesia Fi'atrum minorum Sancti Francisci de dicto Burgo; quos
(1) Questo Pittore Borghese è sconosciuto, per quanto sappiamo, né a noi
è accaduto di trovare altro ricordo di lui.
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— 276 —
dictus Ilanerius reliquid (sic) expendi debere in dictis picturis, vigore
testamenti ipsius Ranerii facti manu Ser Maiei Ser Angeli notarli.
Et propterea dictus Angelus pictor absolvit et libera vit finivit et
quietavit dictum Nicolaum prò dieta Fraternitale.
N.* 28ÒÌ8 (i) • 1313
I Consoli delVarte di Calimàla eleggono Lippo di Benivieni pittore y
capomaestro delle pitture del tabernacolo della chiesa di S. Gio-
vanni di Firenze.
Archivio di Stato in Firenze.
Stituto dell'arte di Calimàla del 18Ì$. Aggiunte, cap. XXV.
Lippi pictoris.
Demum etiam et firmatum est per arbitros et statutarios pre-
fientès, qtiod Lippttó Benivieni pictor, et qui preientialiter pingit
figoras et picturas tabemaculi pon^idi in ecclesia sancti Johannis,
que multum alluminant et delectant corda et oculos civium et sin-
gularum personarum aspicientium eas ; ad hoc ut non recipiant
aliquod varium vel sinistrumi^ intelligatur et sit caput magister et
pictor dìctatum figurarum et tabernaculi, bine ad kalendas Januarii
proxime venturi cuin salario consueto, et cum magistris, discipulis
et laboratoribus^ quibus dicto lAppo vìdebitur fore utile prò dando
complemento figuris et picturis prenominati^ ^ non obstante aliquo
capitulo diete artis (2).
(i) Quésto documento non fu laseri to nel Quaderno di Giogbo pef Inav-
vertenza tipografica.
(2) De! tabernacolo di S Giovanni^ dalla figura di rilievo del Battista,
e delle storie del Santo dipinte ne' portelli , parla il Vasari nella Vita di
lippo pittore fiorentino, (Vasari Opere; Voi. Il, pag. 13, Edizione Sansoni)
assegnando l'una ad Andrea da Fisa , e le altre a questo Lippo (di Corso)
nato nel 1357 e morto dopo il 1430. Ma che egli s'inganni rispetto all'autore
delle storie, potendosi sempre dubitare circa allo scultore della figura, si
«eopre manifestamente dal presente documento, nel quale è detto che le pit-
ture dei portelli del tabernacolo furono fatte nel 13)3 da Lippo di Benivieni >
le cui memorie risalgono, come abbiamo veduto, al 12d6. Non occorre dire
che lauto la figura del Precursore, quanto il tabernacolo colle pitture del Be-
nivieni» da gran tempo non esistono più.
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— 27« —
XLVIII.
DESCRIZIONE
DI TDTTE LE COLONNE ED OBELISCHI
CHE TROVANSI NELLE PIAZZE DI ROMA
DrSPOSTA IN FORMA DI GUIDA
DA ANGELO PELLEGRINI
MBMBKO DELL' IHSTtTUTO PI COKBXSPOVDBHSA ABCBVOLOOICA
Continuazione (1)
OBELISCO DELLA PIAZZA DELLA MINERVA
Notissimo h cbe fra s. Stefano del Cacco e dietro la chiesa
di s. Maria sopra Minerva, furono i tempj d^lside e Serapide
contigui fra loro^ simili d'architettura e destinati egualmente
al culto egìzio.
Fra gli ornamenti innanzi air/^60, o tempio d'Iside, che
era situato dietro la tribuna della nominata chiesa^ fu l'obe-
lisco di cui parliamo^ mentre l'altro ora innalzato sulla piazza
del Pantheon, era presso il Serapeo.
Tali piccoli obelischi sono ambedue di granito rosso, ma di-
versi per tono di colore, per stile, per epoca, e per dimensione.
L'obelisco di cui trattiamo venne disotterrato nel giardino
dei pp. domenicani , ora del Ministero dell' I. P. che resta
fra la nominata chiesa detta della Minerva e quella di s. Ignazio
l'anno 1665, mentre era papa Alessandro VII, di casa Chigi.
Fornì nuovo argomento al padre Kircher gesuita di metter
fuori i suoi sogni «opra i geroglifici nell'opera che intitolò:
Interpretatio Hierogljrphica Obelisci Jegyptiaci etc. Romae
1666. È sano di un sol pezzo, e fra gli obelischi di Roma è
il più piccolo avendo senza i suoi ornamenti metri 5 e j~.
È di un granito rosso pallidissimo , ed i geroglifici che Io
rivestono sono in una sola linea e non incavati così bene come
quelli dell'obelisco Lateranense descritto.
I cartelli danno alternativamente il prenome ed il nome
del re d'Egitto Hophre, l'Apries de' Greci, figlio di Isamme-'
tico II che regnò dall'anno 595 fino all'anno 570 avanti l'era
volgare.
II nome solo però è nelle faccie d'oriente e d'occidente,
ed il prenome nelle altre due. Questi cartelli si riconoscono
(i) Vedi Quaderno precedente, pag. 248.
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— 277 —
rasi ad arte, e solo quello a mezzodì presenta più chiarameate
il nome.
Questo Faraone appartenne alla dinastia dei re saiti ed
i suoi 25 anni di regno furono contemporanei alle due epoche
che in Roma compresero i regni di Tarquinio Prisco e Servio
Tullio. Di esso ne parla lungamente Erodoto, dicendo final-
mente che dagli Egizj fu strangolato nel suo palazzo (i) ; e
non molto tempo dopo V Egitto fu soggiogato dai Persiani ,
onde forse a quel tempo fu raso il suo nome nei cartelli
come sì vede.
È da notarsi che quest'obelisco probabilmente venne tra-
sportato in Roma da Sais, quando era metropoli dell'Egitto,
celebre per il tempio di Neith^ ossia Minerva egizia, parti-
colarmente nobilitato da Apries e da Amasis e casualmente
oggi serve d'ornamento alla piazza col nome della stessa dea.
Dopo la scoperta di questo monumento, il pontefice Ales-
sandro VII nominato di sopra, l'anno 1667 diede al Bernini la
commissione di ergerlo in questo luogo. Questo rinomalo scul-
tore-architetto, considerando la piccolezza della mole, imma-
ginò di farlo sostenere dal masso di un grande elefante di
marmo, sopra un alto piedestallo, che uniti insieme all'altezza
della croce nella sommità , sorpassano quella dell' obelisco
medesimo.
Il Bernini ideò quel colossale elefante non senza ragione,
poiché egli stesso si era dato il soprannome di elefante fin
dair anno i665 allorché viaggiò alla corte di Luigi XIV. In
questo avvenne che per la sua grande rinomanza immenso era
il concorso della gente che veniva a vederlo nei luoghi che
passava , come narra il Baldinucci nella sua vita. Perciò si
mise il soprannome di elefante, e tornato in Roma cercò di
perpetuarlo. Profittò di una idea tratta dal sogno di Politilo,
come venne indicato dal Ficoroni, e modellò l'elefante di cui
parliamo il quale venne scolpito da Ercole Ferrata.
Alessandro VII vi fé porre le seguenti iscrizioni.
Nella parte verso la chiesa.
VBTEREM OBELISCYH
PALLADiS . AEGYPTIAE MONVMERTUM
E TELLVRE ERYTVM
ET . IN MINERVAE OLIM
NVNG . DEIPARAE . GElfITRiCIS
(i) Lib. //, eap. 161 e ieg.
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— £78 —
FOAO . ERBGTVIf
DIVINAE SAPIEMTUE
ALEXANDER . Vii • DBDICAVIT
ANNO . SAL . MDGLXVll
Nella parte opposta:
SAPIENTIS • ABGVPTl
INSCVLPTAS • ORELISGO • FIGVRAS
AB ELEPHANTO
BELLVARVM FORTISSIMA
GBSTARl • QYISQVIS . BIG . VIDES
DOGYHENTFM • INTELLIGB
ROBVSTAE lENTIS ESSB
SOLIDAM SAPIBNTIAM SVSTINEBE
Veniamo ora ai geroglifici secondo V interpretazione del
p. Ungarelli nelFopera citata.
PÀCHiA OCClDEfìTALE
Haroéris, risplendente e facente insigne Fano e f altro
Egitto.
Figlio del sole da lui discendente dal quale si ama Hophre.
Diletto di Neith che nella parte della terra dei viventi
dimora donatore della vita come il sole in perpetuo.
FACCIA MERiDiONÀlB
Haroéris letificante il cuore.
Rcj signore del superiore ed inferiore Egitto^ signore
delle virtà rallegrante il cuore.
Diletto Athmù del gran dio , che risiede nella regione
inferiore^ e della vita datore a guisa del sole in perpetuo.
FACCIA ORIENTALE
Haroéris rallegrante il cuore^ Re signore del superiore^
e padrone dell'Egitto inferiore-, signore della virtày sole le-
tificante il cuore.
Àthmù dio grande che nella parte della terra dei viventi
dimora lui ama {e rendè) datore della vita^ come è il sole
in perpetuo.
FACCIA BOREALE
Haroéris splendente che fa florido Vuno e l'altro Egitto.
Figlio del sole da lui discendente (e) dal quale si ama
Hophre.
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— 279
Diletto di Nettli .... nella regione boreale^ do-
natore della vita coìne il sole in perpetuo.
Dal 1616 fino al I8I8 non trovansi altre memorie nei re-
gistri Camerali, riguardo agli obelischi secondo che asserisce
il Fea nella sua Miscellanea Filologia Critica, e Antiquaria^
Tomo secondo, pagina 15.
OBELISCO DELLA PIAZZA DI MOrJTE CITORIO
Augusto fu il primo a trasportare queste moli in Roma,
come dicemmo a suo luogo, innalzandone una nel mezio della
spina del Circo Massimo e l'altra nel Campo Marzio, perchè
servisse di cognome al suo Orologio Solare che è quello di
cui veniamo a parlare.
Esso secondo Strabene lib. XVH, fu tolto da Eliopoli dove
era stato eretto insieme ali altro nominato che venne eretto
nel Circo Massimo, e in tal citta erano stati posti ad onore
del Sole che eravi principalmente adorato.
Plinio nel libro XXXVI, cap. 9, dice che Augusto lo eresse
nel Campo Marzio, e che aveva nove piedi di meno di altezza
di quello di Sesostri, cioè dell'altro eretto nel Circo nominato
di sopra. Quest ultimo egli dice avere 85 piedi di altezza, e
questa proporzione va d'accordo, fatte le debite deduzioni coi
fusti d'ambedue gli obelischi, oggi innalzati, uno sulla piazza
del Popolo, e l'altro sopra quello di Monte Citorio. Quello
di cui trattiamo è alto metri 21 {^^ , e l'altro della piazza
del Popolo, metri 23 ^g.
Plinio citato erroneamente lo assegna a Sesostri , cioè a
Ramses HI, come quello che lo eresse, mentre i cartelli che
neir obelisco si leggono danno il nome di Psametik I, ossia
il Psammitico di Erodoto che ebbe il trono di Egitto Tanno 671
avanti l'era volgare. 11 Rosellini (1) giustamente interpreta i
segni del prenome formati dal globo, come vedesi nella Ta-
vola II, n. i, dalla specie di pala e dal vaso PH-*]VO^PE-IHT,
cioè Sole benefica del cuore: e quelli del nome composti dal
quadrato fig. 2, dal tralcio del gufo, dalie molle e dalla tazza
per nCMTK, mancando le vocali IICAMHTIK.
Tornando all'Orologio Solare di Augusto nel Campo Marzio,
è da ricordarsi chis a tale uopo fu fatta una linea meridiana
(1) Monumenti deirEgìtto e della Nubia. Parte L Tom. It, pag. 129.
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280
di marmo corrispondente ^ con strisele di metallo indicanti i
mesi, i giorni^ le notti, le ore sino alla sesta, ed il crescere
e decrescere dei giorni, il tutto per ingegno matematico, che
vi pose nella sommità un globo di bronzo che regolava il
radio (i). Questo orologio ben presto soffrì^ non già secondo
Plinio per qualche cangiamento avvenuto nel corso solare, ma
piuttosto, come dice dopo, o per qualche perturbazione della
terra, o per qualche movimento prodotto da terremoti, o fi-
nalmente per le inondazioni del Tevere, alle quali l'area della
meridiana stava esposta , le quali avessero alterato i punti
precisati dal gnomone.
L'iscrizione sul piedestallo antico di granito rosso come
Tobelisoo, appartiene alla dedicazione rinnovata da Augusto
Tanno 745 di Roma corrispondente all*s delfera volgare, di-
cendo che Vimperator cesare Augusto figlio del diwj pon^
tefice massimo dopo la XII acclamazione imperatoria y essendo
console per la XI volta j nella potestà tribunicia XI f^ dopo
asfer ridotto V Egitto in potestà del Popolo Romano^ l'avea
dato in dono al sole:
IHP . GÀESAR . DIVI . F
AVGVSTVS
PONTIFEX . MAXIMVS
IMP • XII . GOS . XI . TRIB • POT . XIV
ÀEGYPTO . IN . POTESTATEM
POPVLI . ROMANI . REDACTA
SOLI . DONVM . DEDIT
Quest'obelisco andò soggetto ad un forte incendio^ siccome
si conobbe quando venne disotterrato, e talmente forte che
sebbene di granito ne peri gran parte, come si vede. Am-
miano Marcellino lo ricorda V anno 357 dell* era volgare , e
r anonimo Einsiedlense , pellegrino che visitò Roma verso la
meta del secolo IX, lo nomina come esistente.
La caduta certamente avvenne ai tempi di papa Gregorio VII
r anno 1Ò84 , allorché Roberto Guiscardo per la prima volta
penetrò in Roma dalla porta Flaminia in soccorso di quel pon-
tefice, mettendo a fuoco tutta la contrada del Campo Marzio.
Cosi rimase dimenticato fino all'anno 1463, allorché il card.
Filippo Calandrino fece coprire con nuovo tetto tutta la chiesa
di s. Lorenzo in Lucina, suo titolo cardinalizio. Contempo-
raneamente edificò una cappella ad onore de 'ss. Filippo e Gia-
ci) Plinio, lib, cit., cap, J.
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— 281 —
corno, tanto per se, quanto per la sua famiglia» dove poi Tanno
1476 fu sepolto. Pertanto scavandosi per i fondamenti di questa
cappella^ si scoprì una parte della meridiana d'Augusto che
diede indizio dell'obelisco. La cappella sul fine del secolo XVI
Clemente Vili la converti in sagrestia; e già fm dal principio
di questo secolo scrisse TAlbertino nel suo opuscolo De Mi^
rabilibus Nwae et Feteris Urbis , pag. 26 , dedicandolo a
Giulio II che ip una casa nuova (i) pertinente alla nominata
cappella era stata una base celebre , non lungi dalla quale
vedevasi seminterrato un grande obelisco^ dove venne scavato
un orologio solare con linee, e gradazione di metallo dorato,
coi venti negli angoli espressi in musaico e colla iscrizione
VT BOREAS SPIRAT.
Non molti anni dopo il Fulvio (2), cioè nel 1526 racconta,
che nella nuova cappella de'cappellani di s. Lorenzo in Lu-
cina, cioè in quella già indicata, fu il piedestallo che soste-
neva l'obelisco, e la meridiana scavata pochi anni prima, cer-
tamente per i lavori del card. Calandrino. Indi soggiunge che
tale meridiana aveva sette gradi, e le linee di metallo dorato,
mentre il suolo dell' area era composto di grandi lastre di
pietra. Sopra questo lastricato, che era di marmo, erano linee
pur di metallo, e ripete coli' Alberti ni, che negli angoli in
musaico vedevansi le immagini de'quattro venti, fra le quali
restava quella di tramontana colla scritta boreas spirat.
Sette anni dopo, il Marliano (3) conferma, che vicino alla
chiesa di s. Lorenzo in Lucina , vedevasi nella cantina (4)
di un cittadino romano una parte dell'obelisco rotto sulla cui
base leggevasi la iscrizione di Augusto che egli riferisce non
correttamente, ed aggiunge la scoperta delKorologio colle linee,
e co' gradi di bronzo dorato e le quattro immagini de' venti
in musaico colla iscrizione vi boreas spirat.
Queste notizie anni dopo promossero delle ricerche per
ordine di Sisto V , il quale commise al Fontana di poterlo
estrarre. Tale rinomato architetto, avendolo riconosciuto in
grande parte consumato dal fuoco^ fu decìso di lasciarlo stare.
Narra Flaminio Vacca nelle sue Memorie n. 45. Parimente
al tempo di Sisto V presso San Lorenzo in Lucina dalla
parte s^erso Campo Marzo , // Cas^alier Fontana vi trovò
una gran Guglia di granito Egiziaco^ e pervenuto alt orecchio
(!) Corrispondeva alla casa in Via dell'Impresa N.» 2.
(2) Ant. Urb. Lib. F, pag. LXXXVIL
(3) Ant. Romae Topogr. Lih, VI, pa^. 143.
(4) Della casa indicata al numero civico 2.
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di Sua Santità^ commise^ che si scoprisse, con intenzione
di dirizzarla in qualche liiogoi ma detto Cai^aliere trovan-
dola maltrattata dal fuoco^ e datone ragguaglio a Sua San-
tità fu risoluto di lasciarlo stare. Sebbene non si cavasse
non si perdette la sua memoria in tal luogo» come si ha dal
Nardiniy lib. VI» cap. VI, della Roma antica.
Non molto dopo narra Sante Bartoli, Memorie n. 103 e t04«
che nel farsi il fondamento del cbiavicone che va a piazza Sa-
vona» fu scoperto alle radici del monte Gitorio, cioè dal canto
deirimpresa presso la Vignaccia, questo obelisco rotto in più
pezzi, e che in diversi siti nella chiesa di s, Lorenzo in Lu-
cina, si videro le lastre di marmo dell'orologio con linee e let-
tere numerali di metallo, che egli dice corintio. Finalmente Be-
nedetto XIV Tanno 1748 lo fece scavare, come narra il Ficoronì
nelle sue Memorie n. 99, ed allora fu scoperto il piedestallo
colla iscrizione. In tale epoca il Baudini scrisse l'opera col
titolo DelVObelisco di Cesare jiugusto in latino ed in ita-
liano. Una iscrizione posta al Largo dell'Impresa sul portone
della casa segnata col numero civico 2, ricorda il sito preciso
dove fu rinvenuto al posto il piedestallo, che è la seguente:
BENEDIGTVS . XIV . PONT . MAX
OBELISGVM . HIEBOGLYPHICJS . NOTIS . ELEGANTER . INSGVLPTVM
JEGYPTO . IN . POTESTATEM . POPVLI • ROMANI • REDACTA
AB . IMPERATORE . AVGVSTO . ROMAM . ADVECTVM
EX . STRATO . LAPIDE . REGVLISQVE . EX . AERE . INGLVSIS
AD . DEPBEHENDAS • SOLIS . VMBRAS
DIERVMQVE . AG . NOGTIVM . MAGNITVDIN6M
IN . CAMPO . MARTIO . EREGTVM . AG , SOLI • DIGATVM
TEMPORIS • ET . BARBARORVM INIVRIA . GONFRAGTVM . lACENTEMQVE
TERRA . AG • AEDIFIGIIS . OBRVTVM
MAGNA . IMPENSA . AG . ARTIFICIO . ERVIT
PVBLIGOQVE . REI . LITERARIiE . BONO . PROPINQVVM • IN . LOGVM . TRANSTVLIT
ET . NE . ANTIQViE . SEDIS . OBELISGI . MEMORIA
VETVSTATfi . EXOLESGERET
MONVMENTVM . PONI . IVSSIT
AN . REP . SAL . MDGGXLVIII • PONT . IX.
La Roma Antica e Moderna ^ edita a spese di Niccola
Roisecco mercante libraro, e stampatore in piazza Navoaa ,
Fanno 1765 cosi ne parla: <x Era già noto, che quest'Obelisco
» giaceva infranto nella cantine di alcune casette, che re-
» stano dietro la sagrestia della Chiesa di San Lorenzo in
» Lucina 9 appartenenti in proprietà alli Frati di S. Maria
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— 283 —
» del Popolo. Questi Religiosi^ risolutisi di demolirle nel 17489
» per erigervi, come fecero, nuove, e più comode abitazioni,
» si trovò nel cavarsi i fondamenti , che il piedestallo era
j> tuttavia in piedi sopra il suo basamento, cinto nella parte
h inferiore da una gran Cornice tutto all'intorno, e che ve-
li niva ad esser situato in faccia appunto al Portone del Pa-
» lazzo della S. Casa di Loreto in Campo Marzo^ venti palmi
y d'architetto in distanza dalla Strada, verso dove era uno
» de'suoi principali aspetti, e Taltro riguardava la parte op-
h posta con iscrizioni simili in ambedue , che sebbene in
» parte guaste, si rìcava nondimeno dal Marliani, che esser
» dovettero del tenore seguente. » Dopo riportata l'iscrizione
mal copiata dal Marliano, prosegue a dire, tf L'Obelisco poi
» era tutto rovesciato a terra colla punta , che oltrepas-
» sando i fondamenti delle stesse Casette, giungeva ad occu-
j> pare quasi la meta di quel poco di largo per cui si ascende
» all'ingresso del vicino Palazzo Conti (ora Lais N? 83) (1),
> e della Vignaccia. Trovossi in 6 pezzi infranto ed in parte
» cancellati li caratteri; ed estratto per ordine di Bene-
» detto XIV con tutta la maggior diligenza, ed altrettanta
» maravigliosa facilità da Niccola Zabagli, ovvero Zabaglia
<c sanpietrino della basilica Vaticana. »
Allora però non fu innalzato, e quasi disperavasi di po-
terlo fare, Gnche Pio VI Tanno 1792 servendosi dell'architetto
Antinori, dopo averlo fatto restaurare col granito della co-
lonna di Antonino Pio, che descrissi a suo luogo, anch'essa
rovinata dal fuoco, lo fece innalzare come si vede sulla piazza
di Monte Citorio, ponendovi le seguenti iscrizioni.
Nel lato occidentale del piedestallo:
PIVS . VI . PONT . MAX
OBELISCVM
REGIS . SESOSTRIDIS
A.C. GAESARE • AVGVSTO
HORARVH . INDICEM
IN • CAMPO . STATVTVM
QVEM . IGNIS • VI
ET . TEMPORVM . VETVSTATE
GORRVPTVM
BENEDIGTVS . XIIII • P . M.
EX . AGGESTA • HVMO . AMOLITVS
(1) Ved. la pianta del NoUi.
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— 284 —
RELIQVERAT
SQVALORE . DETERSO
GVLTVQVE . ADDITO
VRBI • GAELOQVE • RESTITVIT
ANNO . M . DCG • XCH
SAGRI . PRINGIPATVS . EIVS • XVIII
Nel lato orientale:
QVAE GELEBRIS OLIM SIGNABAT • PTRAHIS HORAS
FRAGTA DE BING LAPSV SPRETA lAGEBAT HVMO
ANTIQVVM RENOVATA DECV3 HVNG FRONTE SVPERBA
DINVHERAT SEXTI TEMPORA FAVSTA PII
Nel medesimo lato nel zoccolo di marmo sotto a tali iscri-
zioni nel piedestallo di granito^ ^^gg^si ì" nome dell'architetto:
IOAN . ANTINORIO . CAMERTE . ARGHIT
Veniamo ora alla spiegazione dei geroglifici secondo l'opera
deirUngarelli che abbiamo altre volte riportata.
Piramide
Sopra ed accanto al Dio:
Dà la vita tutta ^ e perfetta tutela ^ in perpetuo.
Oro cC ambedue le regioni, gran dio^ signore del cielo.
Doniamo a te la vita, la purità perfetta j tutta la far-
tezzay e tutta la magnanimità in perpetuo.
Sopra il Re:
Be sole giocondità del cuore, figlio del sole Psammitico.
Colonna a destra
Oro-sole bene risplendendo, meritevole dell'Egitto Psam-
mitico, che vive in perpetuo.
Figlio del sole, e della sua progenie dallo stesso amato,
sole giocondità del cuore
FACCIA MERIDIONALE - PIRAMIDE
Fornito della vita a somiglianza del sole, in perpetuo,
in innumerevoli giorni.
Colonna a sinistra
Orosole. Sole difesa della verità, sole, giocondità del
cuore.
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— 285 —
Re f signore del superiore ed inferiore Egitto vigilante
(o custode).
Dio buono j Signore tutto V insieme delle cose facente ^
amico di Alhmù figlio degli dei assai diletto ....
Signore delVuno e V altro Egitto^ sole bontà del cuore
dio spirito {della regione dell' anima).
Colonna a destra:
Oro-sole bene risplendente^ meritatole dell'Egitto Psam-
mitico amico di Athmù signore della regione dell'anima Pone.
He solcj bontà del cuore che Phre-Oro consacrante Vuna
e t altra regione ama^ figlio del sole e della stessa progenie
congregò il bene della regione superiore al signore tyÌs ^J/xfivr
Psammitico che amane della regione deWanima Pone ....
FACCIA orientale:
Sopra il dio Piramide:
Dona la vita perfetta Athmu signore dell'una e l'altra
regione^ superiore ed inferiore.
Sopra il re:
Re sole giocondità del cuore, figlio del sole Psammitico ,
dante la vita e tutta la purità come il sole in perpetuo.
Colonna a destra:
Oro-sole difensore della verità Psammitico.
Colonna a sinistra:
Oro-^ole bene risplendente , delV Egitto meritevole sole
giocondità del cuore, vivente sempiterno.
Figlio del sole della stessa progenie che lui ama Psam-
mitico immortale.
fece due obelischi
figlio di Athmù da lui discendente.
Psammitico sempre vivente diligente.
OBELISCO DELLA PIAZZA NAVONA
Quando anche non esistessero i nomi, il lavoro de*gerogli-
fici di quest*obelisco basterebbe a far conoscere essere dell'e-
poca imperiale.
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— S86 —
I cartelli dimostrano che fu tagliato e coperto di gero-
glifici ai tempi di Domiziano, forse per ornamento della sua
villa albana, donde Massenzio Tanno 311 dell'era volgare lo
fece trasportare nel circo da lui dedicato ad onore del suo
figlio Romolo sulla via Appia.
Rimase quest'obelisco abbattuto nella rovina della villa di
Massenzio^ in cui era il circo, ma rimase sempre scoperta
giacente. Poggio Fiorentino (1) dice di averlo veduto per terra
nel primo periodo del secolo XV, rotto in quattro pezzi, scri-
vendo: vidi alterum (obeliscum) paolo minorem
iacentemin Hippodromo via Àppia quatuor frustis oonfractum.
II Fulvio (2) nel 1527 lo mostra pure scoperto, cbiaman-
dolo obeliscum mirae magnitudinis in plures confractus partesy
frase che fu copiata dal Marliani (3). Il Mercati (4) propose
a Sisto V di erigerlo incontro, innanzi la chiesa di s. Seba-
stiano fuori le mura. Questo progetto non ebbe efietto , e
Tobelisco rimase rotto e giacente fino al pontificato d'Inno-
cenzo X, il quale l'anno Ì65l, servendosi delFarchitetto Ber-
nini lo fece innalzare nel mezzo dello Stadio del Campo Marzio,
poi chiamato il circo di Alessandro Severo, ed ora piazza Navona.
Allora fu ritrovato molto malconcio , e rotto in cinque
pezzi^ Ira pure sfaldato agli angoli, e la cuspide mancava
di alcune parti. Il rinomato Bernini immaginò di farlo sor-
gere sopra la magnifica sua fontana in quella piazza, ne fece
eseguire il trasporto ed il ristauro assistito da Ludovico suo
fratello colla direzione del p. Kircher gesuita, e del Canini,
antiquari, che fecero intagliare i geroglifici mancanti, pub-
blicando il primo i suoi soliti sogni nel grosso volume in foglio
che intitolò Obeliscus Pamphilius Romae 1650. Fu ornata la
sommità con colomba portante l'olivo, arma di casa Pamfili,
ossia di papa Innocenzo X. Il fusto come oggi si trova h alto
metri 16 -—, e sulla fine dello scorso secolo furono scoperti
tre frammenti della cuspide , i quali vennero pubblicati ed
illustrati dal Zoega nella sua grande opera degli Obelischi,
ed acquistati dal celebre card. Borgia, passarono con tatti gli
altri oggetti del Museo Borgiano di Velletri, a quello di Napoli.
Altri frammenti di questo monumento , ed una grande
scheggia furono scoperti dall' archeologo Nibby nella spina
dell'indicato circo Tanno 1825, ed il Duca Giovanni Torlonia
(1) De Varietale Fortunae, Lib. /, pag. 20.
(2) Ant. Lib, IV, pag. LXVIL
(3) Ant. Romae Topog. Lib, VII, e. XVIL
(4) Obelischi di Roma, pag, 264.
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— 287 —
allora proprietario, del laogo, come il principe attualmente,
li donò al re di Baviera che li pose nel museo di Monaco.
Il Bernini nominato, valentissimo artefice, nella fontana
su cui sorge l'obelisco di cui parliamo, volle figurare colla
grande vasca il mare. Nel meizo di essa s'innalza un grande
scoglio scolpito in travertino traforato nelle quattro bande.
Àgli angoli sopra questo siedono quattro grandi giganti, o
statue in marmo bianco figurati per i quattro principali fiumi,
cioè Danubio, Gange, Nilo e Rio della Piata. 11 Danubio che
significa l'Europa h in atto di ammirare questo meraviglioso
obelisco, il Gange esprimente l'Asia tiene un gran remo in
mano per denotare l'immensità delle sue acque, e sotto esso
h un cavallo, mentre il Danubio ha presso di se un leone.
Il Nilo , che rappresenta I' Africa , si cuopre con un certo
panno la testa, per denotare l'oscurità, nella quale h stato
per gran tempo tenuto, e vi ha appresso una bellissima palma.
Colla mano sinistra solleva alquanto il panno che gli copre
il capo, e colla destra regge l'arme di marmo d'Innocenzo X.
Il Rio della Piata , figurato per 1' America , rappresenta un
muro, presso cui veggonsi alcuni denari per figurare la ric-
chezza dei metalli di cui abbonda quel paese. Vicino ha una
pianta di fico d' India , e sopra un serpe: guarda la chiesa
di s. Agnese, e come fosse spaventato , si arretra , ed alza
una mano. Si vuole -in tate atto per censurare il Borromino
autore della facciata di detta chiesa assai ardita, in ispecie
per la sua cupola, che sembra minacci di cadere. Ha sotto
di se uno spaventoso mostro, chiamato volgarmente il Tatù
delle Indie. Il leone appartiene al Nilo il quale animale h
in atto di bere ; sotto al Gange esce unf drago , ed il Da-
nubio avendo presso di se una pianta di cedro coi suoi frutti,
regge l'altro stemma di papa Innocenzo. Presso tutte quattro
le statue scaturisce l' acqua Vergine in gran copia f e nel
piano della vasca miransi alcuni grandi pesci in atto di sguiz-
zare nel mare.
In questo gran lavoro sono di tutta mano del Bernini ,
lo scoglio, la palma, il leone, e la metà del cavallo. Il rima-
nente del cavallo^ ed il mostro sotto al Nilo, sono lavori di
Lazzaro Morelli. Il Nilo si scolpì da Giacomo Antonio Fan-
celli, il Gange è lavoro di Monsù Adamo, il Danubio fu ese-
guito da Andrea detto il Lombardo , ed il Rio della Piata
si condusse da Francesco Bavatta. In questo e nel Nilo diede
molti colpi di sua mano lo stesso Bernini (f).
(1) Dal Baldinucci, Vita del cav. Lorenzo Bernini, pag. 30 e seg.
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— 283 —
L'obelisco ha per disotto neirimbasamento o piedestallo
di granito quattro iscrizioni che sono le seguenti.
Nel lato a mezzodì leggesi:
IRNOGENTIVS . X • PONT . MAX
NILOTICIS • ENIGMATIBVS . EXARATVM . LAPIDEM
AlIlfiBVS . SVBTEELABENTIBVS . IMPOSylT
YT . SALVBREH
SPATIANTIBYS . AMOENITATEM
SITIENTIBVS . POTVM
MEDITANTIBYS . ESGAH
HACmPlCE . LARGIRETVR
Ad Oriente:
NOXIA . AEGYPTIORVM . MOEISTRA
INNOCENS • PREMIT . GOLVMBA
QYAE • PACIS . OLEAM • GESTANS
ET • YIRTYTVH • LILIIS . REDEMITA
OBELISGVM • PRO . TROPHEO . SIBl . STATYENS
ROMAE . TRIVMPHAT
Ad Occidente:
INNOGENTIYS . DECIHVS . PONT • MAX
NATALI . DOMO . PAMPHILIA
OPERE . GYLTVQVE . AMPLIFICATA
LIBERATAQ . INOPPORTYNIS • AEDIFIGIIS
AGONALI . AREA
FORYM . YRBIS . CELEBERRIMVM
HVtrrPLICI . MAIESTATIS . INCREMENTO
NOBILITAYIT
La quarta finalmente a Settentrione:
OBELISGVM
AB . IMP . ANT . GARAGALLA . ROM . ADVEGTYM (l)
GYM • INTER • GIRCI • CASTRENSIS . RYDERA
GONFRACTVS . DIV . lAGYISSET
INNOCENTIVS . DECIHVS . PONT . OPT . MAX.
AD . FONTIS . FORIQ . ORNATYM
TRANSTYLIT . INSTAVRAYIT . EREXIT
ANNO . SAL • MOGLI . PONT . Yll.
(1) Qui SÌ nomina Garacalla perchè gli archeologi di quel tempo crede-
vano che il circo dedicato a Romolo da M asseniio suo padre, fosse stato edi-
ficato da Garacalla suddetto.
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Dice il Rosellini altre volte citato (i) che i cartelli nei
geroglifici mentre danno a Domiziano i titoli di Cesare e di
Augusto KE2P2 TMITIN2 2B2T2, cioè Kataotpq TofAiziayoq le^
fiatrxoqj ed a Vespasiano e Tito il titolo di divo.
Veniamo ora alla spiegazione dei geroglifici secondo il
p. Ungarelli nell'opera citata.
FACCIA SETTENTRIONALE - PIRAMIDE:
Haroéris-Phrè manifestato figlio vincitore, signore del su-
periore (e) signore dell'inferiore Egitto, principe sublime.
Oro risplendente, regnante dopo il suo padre.
Re signore dell'universa terra delle regioni Cesare Do-
miziano eresse due obelischi di pietra sienite {granito rosso)
scelta al padre Phrè dell'uno, e l'altro mondo, come cose
da vedersi gli edifizi ristabiliti (2).
Fece piacere nel rendere stabile il nome degli dei (e)
delle dee, mentre regnasse in trono Oro (che) e il sole del
mondo
" (dante)
la vita, la stabilità, la purità integra, vivente come il sole
in perpetuo.
FACCIA MERIDIONALE - Pi RAM IDEI
Uaroéris Phrè che ama le regioni dell' universa terra ,
moderatore diletto dei mondi, .... grande per la
duplice vigilanza.
Trafisse i suoi nemici, e le regioni del mondo facendo
lui illustre in se stesso, non stette il mondo in timore in
tempo di esso (fu) luogo dei suoi uomini; duplice stella sul
trono H6r, Phrè degli dei) passò da parte a parte nel vin^
cere i suoi nemici barbari della terra ? portando tutte le
parti della terra nella sua - regione (3)
offrì mondi le
sue oblazioni. .
Fece il signore di cui è principale il suo nome, acciò
dia allegrezza del suo spirito in cielo e perchè goda come,
signore dell'uno e V altro Egitto. Cesare Domiziano sempre
vivente.
(i) PaHe /, Tom. IL pag. 438.
(2) Rìcordansi gli edifizj restaurati, ed ampliati da Domiziano in Egitto.
(3) L'impero romano.
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— 290 —
' FACCrA ORIENTALE - Pt RAMI DE:
Haroérig-Phrè membra dwine procreate sono in esso.
Ricevè i dritti di regnare del divo suo padre VespasiaDO»
in luogo del divo suo fratello Tito, soprasta t anima di
questo il cielo.
Signore della superiore (e) signore della inferiore regione^
domatore (e) fabbricò Vedifìcio
Oro risplendente principe della doppia
vigilanza, compì tutte le ceremonie paaegyriae come Phtah—
Sokarì) principe a guisa del sole.
He signore dell'uno e Valtro mondo germe seminato dagli
dei che la terra sycomori (i) ama Vimperatore figlio del sole
il signore dei dominanti Cesare Domiziano il quale Pbtah
ed Atbyr amano, vivente come il sole.
FACCIA OCCIDENTALE - PIRAMIDE:
Haroéris-Phrè forte amica della giustizia.
Re signore deWuna e V altra regione, signore operante
il tutto delle cose figlio del sole signore dei dominatori /Im-
perator Cesare Domiziano Augusto? diletto del sole (di ku)
divino simulacro
perchè dia gloria al principe figlio, al signore della supe-
riore, ed al signore della inferiore resone (e dia) la purità
la dea Menthi custodiente colui che vive a simiglianza del
sole in perpetuo,
(Continua)
(i) Misterioso nome dell'Egitto.
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2M —
éXLIX.
NOTIZIE SOGLI SCAVI
DI S. URBANO DI NARNI. DI MAGLIANO IN SABINA,
NODjTALIA DI VITORCHUNO NEL VITERBESE, E DI ALTRI LUOGHI.
rrORATO REGIO
IN IVARNI
feari e Monameoti
di Aoliehitk
WR^istroIS Air Onorevole
OGGETTO ^*^ ' Dii-ett.e Gnale de' Musei e degli Scavi di Antichità
UE SUGLI SCAVI
f. Urhauó, torri-
di Ntrnif in Ma-
:.:tt!:J'Arn: Namì add^i 35 agosto 1878
n, « in altri laogk i .
Ghìarmo Sig/ Direttore
Nelle notizie degli scavi di antichità non vidi notata la
mia lettera scritta a V. S. ai 26 ottobre dell'anno passato.
Supponendo non T abbia ricevuta ^ le ne fo pertanto copia
qui sotto, desiderando che sia ricordata in esse notizie.
iV.^ del Registro 15.
Nami 26 ottobre i877
<c Giorni sono fummi dal nostro castello di s. Urbano
portata una piccola pietra- di travertino, scheggiata in più
parti, larga m. 25, lunga 20, alta 9, con incavo nella super-
ficie profondo circa 15 mill. , e eoo due buchi per ingrap-
parla, Tuno nella parte postica, l'altro lateralmente nella
sinistra di chi guarda. Per cotesti due buchi e per Tincavo
viensi a conoscere che la pietra stava infissa al muro, o in
piedistallo, a sostenere il simulacro della dea Fortuna ricor-
dato dall'epigrafe latina, ivi scolpita nella fronte a ineguali
e rozzi caratteri , che io riferirei al sec. IV o V dell' era
volgare. 11 nome e cognome di chi sciolse il voto, e dedicò
alla Fortuna il simulacro, non sono nuovi nell'epigrafia ro-
mana; ma del secondo più raro il primo.
Ecco r iscrizione , di cui le mando pure il calco che
ne feci^ perchè mi piacerebbe che le iscrizioni antiche fos-
sero tutte pubblicate in facsimile^ quando si trovassero rotte
e non chiare.
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— 292 —
C. POsTvMVLEWVS
PAVLLVS FORT. H (l)
Leggo per intero: ^
CajUS POsTvMVLBNVS
PAVLLVS FORTUDae Magnae (vel Manenti)
Ma preferisco la lezione Manenti^ mentre sappiamo per
altri documenti che la Fortuna veniva adorata sotto i titoli
di dubia o di manens (2).
Cotesta pietra venne trovata a mezzo il febbrajo del 1876
nel piano che si allarga sotto s. Urbano^ quando scassavasi
il terreno nomato Saporeto , in proprietà di Pasquale Onori
abitante il detto castello. Il luogo, per gran tratto, h pieno
dì frantumi di vari marmi e varie figuline romane , e la
volgare tradizione narra , che quivi fosse esistita un' altra
Roma; deducendosi ciò dal vocabolo Ramone di altro con-
tiguo terreno, il quale vocabolo vuoisi corrotto da romana^
cioè Roma grande. Ma, se non deesi badare a cotesta curiosa
e fantastica etimologia volgare, è ben da credere che in detto
piano fosse fabbricata qualche gran villa o paesotto dVntichi
romani. Il culto della dea Fortuna e il monumento a lei
eretto, i molti e largamente sparsi frammenti di vari marmi
e varie figuline, valgon bene a confermarlo.
Suggerii al proprietario di fare scavo più largo e pro-
fondo, potendosi così trovare tutta o parte della pianta del
fabbricato , qualche iscrizione che ne dichiari il nome , e
forse pure il simulacro della dea, con altri idoli o di ter-
racotta, o di marmo, o di bronzo, o di pasta di vetro, o
di avorio, o d*ossò ec. ec.
La pietra è ora in mie mani per dono del ritrovatore ,
ed io la riporrò nella collezione che feci nel nostro muni-
cìpio dell'epigrafi greche, romane e cristiane primitive.
E poi che siamo in discorso di cose antiche, appartenenti
alla diocesi di Narni, debbo vendicare a questa Tiscrizione
(1) PAVLLVS fu co^ome deUa gente Emilia: JBmilius Marci fUius Paullut,
e prenome della gente Lepida: Paullus Lepidut.
(2) La M potrebbe anco spiegarsi MagUtrae, poi che vien così appellata la
Fortuna in iscrizione Amerina (vedi la mia collezione deiriscriz. di Amelia):
IVLIAE . M : F . FELICITATI
VXORI
C . CVRIATI . EVTYCNETIS
ini . VIRO . MAGISTRAE . FORTV
NAE, etc. etc.
Ma siccome questa si suppone proveniente dalle schede del Ligorio » e
per ciò falsa, non pnossene cavare alcun argomento.
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— 293 —
latina, pubblicata nelle Notizie degli Scasai dell'anno corrente^
pag. 32, e che vien data a Magliano:
DIS MANIBVS
e. IVLIVS
EVTYCHVS
SIBI ET
IVLIAB GASSIAE
LIBERTAE SVAE
CARISSIMAE
Questa iscrizione fu veramente scoperta nel territorio del
nostro Calvi, e non dentro quello di Magliano, nel 1845^ un
trent'anni circa prima del tempo assegnato dalPanonimo com-
positore delParticolo riportato nelle Notizie. Tanto vero clie
io la pubblicai dentro il i858 nel primo voi., pag. 239 della
mia Miscellanea storica narnese, e fummi comunicata, appena
scoperta, dal segretario municipale di Calvi signor Prospero
Polelli di buona memoria, quantunque la sua copia fosse scor-
retta, l/ebbi quindi correttissima per altra parte, ma dopo
stampata la detta Miscellanea , perchè non potei correggere
il prenome dì Eutìco ch^è CaJuSy non Publius^ come fummi
scritto la prima fìata.
L'autore dell'articolo intorno alle antichità di Magliano (i),
piuttosto che parlare con qualche errore su questa lapide se-
polcrale^ non propria di essa citta, potea far nota de'sepolcri
etruschi, di cui è ricca la medesima, e che non furon mai
ricordati , per quanto mi sappia , da ninno scrittore antico
o recente, specialmente dai più noti, quali sono Io Sperandio
nella Sabina sacra e profana, il Guattani ne'monumenti Sabini.
Su cotesti sepolcri magli anesi aveva io scritto un lungo
artìcolo, ben particola ri zzato e composto sulla faccia del luogo,
quando fui chiamato a vedere e stimare gli oggetti trovati.
Detto artìcolo era per rinstiiuto di Corrispondenza Archeo-
logica; ma in viaggio mei perdetti; e ora non conservo che
alcuni pochi appunti, de'qualì mi servirò per descrivere som-
mariamente alla S. V. gli scavi ignoti dell'etrusca Magliano.
(1) Chi Tisica oggi Magliano in Sabina, vede una piccola e meschina città
abitata da poche persone piene di cortesia, gentilezza e ospitalità. Lo Spe-
rando e il Guattani che parlarono a lungo della Sabina non ci danno che
scarse notizie di Magliano che un tempo fu cnpo di provincia, e perchè flo-
rida, ricca e popolata assai più di oggi. Dagli scavi recenti si conosce che
appartenne agli Etruschi, provenuti di certo o dalla vicina Fallari o da Vi-
terbo ed estesi in altri luoghi, ma non tutti, della Sabina. In fatti il suo nome
istesso è etrusco, trovandosi un altro Maqliano in Toscana e in altri luoghi.
II suo significato è ignoto, per quanto siasi qualcuno studiato di spiegarlo*
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294
Dieci anni fa circa, un conladino, lavorando nel terreno,
dimandato Madonna grande , e posseduto da tal Domenico
Rosati, ebbe Taccidentalita di scoprire alcuni sepolcri etruschi
antichissimi, ma poveri di suppellettili, mentre in essi non
ebbe rinvenuto che rozze figuline, fra le quali dieci prege-
voli vasi figurati ed ornati] il cui pregio solo consiste nella
fattura di nuova specie, essendo lavorati a sfondo, cioè con
fondo naturale di terra cotta e rilievo a tinta nera; e li giu-
dico di nuova specie, perchè non ne vidi simiglianti in tutte
le più note collezioni di Europa da me visitate, e specialmente
quella del museo di Londra eh' è la più ricca. E a questa
mia sentenza uniformaronsi altri archeologi , e anco i soci
deir imperiale germanico Instit. di Corrisp. Archeol. , a cui
ebbi mostrato uno di detti vasi. Ma di cotesti non trovai che
uno solo qua^i intero; e dico quasi, perchè pur esso mancante
del collo e del manico. Gli altri furono bestialmente infranti
dalla zappa dell'ignorante villico, che non aveva altro a caro
che gli splendidi oggetti di metallo, di cui i sepolcri eran privi.
Portai a casa un canestro di cocci, per tentare con questi
di ricomporre qualche vaso; ma non vennemi fatto, perchè
mancavan molti pezzi, portati via, per curiosità, da persona
che trovossi presente allo scavo. Io credo che siffatti vasi
.sieno etruschi di un tempo un po' remoto e dì fabbrica locale,
non essendosene fin qni trovati altri delia stessa foggia. Che
se accadesse in seguito, io li terrei sempre per vasi itali non
grechi. Quello quasi intero è oggi per mio dono, nella pre-
gevole collezione preistorica del chiariss. signor Leone Nar-
doni di Roma, e spero quando che sia, pubblicarne il disegno.
Intanto a V. S. lo descriverò a parole , perchè ne abbia
alcuna idea.
Esso è alto, senza collo, 27 cen., e con questo era forse 45.
Da piedi, fino all'altezza di 7 cen., è tutto in nero lustro,
quindi un meandrino alto 5 mill. della stessa tinta nei rilievo,
e nello sfondo del color naturale della terra cotta.
Dal meandro staccansi alcuni fiori come di loto, con due
figure nel mezzo , e sono alti circa dodici centimetri. Suc-
cedono a questi alcune foglie che vanno sino all'attaccatura
del collo, il quale dovea esser nero, perchè stesse in armonia
col piede e col corpo. Era ansato a destra, ma col collo andos-
«ene pure il manico. Che cosa significhino le due figure virili,
non sapre' indovinarlo. La prima , verso la nostra sinistra ,
ritrae un uomo grosso e goffo, di forma simile a Sileno, con
la vita piegata in avanti, e con le mani distese in atto di
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— S»6 —
pregare altro^ meglio formato, più. saello di lui, e che stagli
in faccia, e che sembra arrestarsi dalla fuga per ascoltarlo:
a tal motivo torce il solo viso indietro a guardarlo. Il fug-
gente porta nella sinistra il simpulo, e con la destra tocca
un fiore del vaso; quasi per reggersi oeir esquilibrio della
persona; ma egli dovea tener prima nella medesima il pre-
fericolo che, forse per timore, caddegli di mano, e che sta
per terra fra le sue gambe. Il simpulo e il prefericolo erano
arnesi de'sacri riti^ e trovansi scolpiti in molti pagani mo-
numenti che riferisconsi a religione; perchè puossi con dritto
argomentare che il soggetto contenga un sacro significato.
Qualche anno dopo questa scoperta , cioè nell* inverno
del 1872, venni per un amico ragguagliato, che nella slessa
citta un secondo contadino erasi imbattuto^ lavorando, in
altro sepolcro più nobile degli altri. Al cortese e sollecito
avviso, mi recai tosto sul luogo; ma vidi lo |scavo di recente
riempiuto, e vidi solo sparsi intorno frantumi di tegoloni ,
di vasi antichi in figulina, di grossi pezzi di tufo. Quindi
fui a visitare il contadino scopritore del sepolcro, proprie-
tario della roba, e credo anco del terreno, per nome Giro-
lamo Francucci. Da costui appresi che il sepolcro stava sot-
terra circa un metro, e ch'era formato da grandi massi di tufo,
de*quali mostrommi vari esemplari asportati in sua casa. Il
loro taglio è a pelle piana in figura di para Ielle pi pedi, con
misura tra loro disuguale: i maggiori sono lunghi circa due
metri, e alti cm. 52.
Questo sepolcro non era povero come gli altri , avendo
contenuto oggetti vari di bronzo, cioè armi, anelli, vasi, ba*
Cini ecc., oltre le molte figure rozze o fine, semplici o figu-
rate, di cui diemmi a vedere solo un canestro di frantumi,
perchè pur esso ebbe il barbaro costume dell'altro, di romper
tutto ch'era terra cotta, credendo che i vasi antichi valgan
meno delle pentole e delle pile di casa sua. Ciò non ostante
fra i molti cocci ne pescai alcuni, che mi parvero degni di
qualche considerazione, e che richiamano gli antichi vasi se-
polcrali di Cervetri , Bomarzo e altri luoghi. Due pezzi di
essi cocci , i più notabili , hanno figure rosse e fiori gialli
di loto in campo nero. In altro pezzo mirasi figurato con
buon arte un cigno bianco in campo nero con fiori e meandro
alla greca.
Il detto sepolcro esiste quasi in cima al colle del Giglio,
al sud-est^ rimpetto e vicinissimo alla citta passato il fosso.
Confina da un lato con la strada comunale sabinese, dal se-
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— 296 —
concio col predio Cardarelli, dal terzo co'beai del pio lascito
Miccinellit dal (|uarto con la strada delta vicinale (i).
Sono di parere che i sepolcri della Madonna grande e
del Giglio formin parte di due necropoli maglianesi da do-
versi premurosamente ricercare non senza qualche utilità.
L*una è certo più antica deiraltra, ma qual delle due risale
più addietro? Crederei quella della Madonna grande^ stante
che i sepolcri sono cavati nel vivo del monte, ed i vasi, che
contenevano, più arcaici degli altri del Giglio. È vero che
alcuni archeologi , fra quali il signor Brizio (2) , ritengono
per più vetusti i sepolcri costrutti a cotal guisa di massi
tufacei; ma, in quanto a Magliano^ e altri luoghi, io tengo
opinione contraria ; né ora parmi opportuno esporre su ciò
le mie ragioni. L'epoca del sepolcro del colle del Giglio potria
fissarsi, giusta l'opinione di altro valente archeologo, al sesto
o settimo secolo innanzi all'era volgare; ma non si giurì sulla
parola del maestro (3) mentre è assai diBSicile fissare tali secoli.
Gli etruschi di Magliano sono, in quanto a me, provenati
da quelli della vicina antica Fallari (Civitacastellana) , e da
Magliano propagati quindi in varie parti della Sabina , e
specialmente a Castelvecchio che, non ha guari, pose in luce
(1) Dopo scritta la presente lettera, furon fatti dai signori Rosati e Mo-
retti altri scavi accidentali i.elle dette necropoli. Il primo nel terreno eoUeape,
entro i mesi di aprile e maggio 1879, ritrovò un boccaletto tutto nero lustro.
Altri quattro boccaletti a sfondo, tre de' quali nero-dipinti senza ornati; il
auarto a vari fiori. Cinque anfore, Funa delle quali a sfondo con figure e fiori,
na tazza con figura maschile nel mezzo dell* interno graffite e nuda. Essa
tiene un cerchio o corona nella destra , e una nembride nella sinistra. Cn
vaso a sfondo» come quello già descrìtto nella presente, il quale dà a vedere
una figura maschile a cavallo di un caprio (forse Tanima del morto che tra-
passa all'altra vita) e di contro una figura alata che sarà certo il suo condut-
tore ai mondo di là. Tralascio di descrivere altri consimili vasi trovati più
tardi e da me non visti.
11 Moretti nell'aprile di detto anno, nei terreni Giglio e s. Biagio^ sca-
vando a salti per lavori agricoli, ebbe a sorte rinvenuto molli frantumi di
vasi e tazze ordinarie dì torme e tinte diverse con poche linee in alcuni di
ornato. Gli riuscì avere interi solo auattro piccoli balsamari in figulina a
fondo giallo con ornamenti di nero. Un boccaletto, come sopra a tinta lustra
di bronzo. Un grosso caldajo di bronzo assoluto co* suoi piedi; ma disfecesi
al contatto dell'aria, non restando di esso che due piedi e piccola parte della
conca. Una spada di ferro molto lunga e larga , di cui non resta che il ci-
lindro che guerniva il manico. Questa spada e il caldaro esìstevano in una
tomba di s. Biagio scavata nella pozzolana, la quale contiene una banchina,
larga m. 4, lunga m. 2: 30.
(2) Leggi su ciò un suo lungo artìcolo nel Bullett. dell' Instit. di Gorr.
Archeol. 1872, pag. 178 e segg. Lo stesso argomento trattò la Civiltà Catto-
lica nella serie IX, voi. X. articolo dell'Archeologia. La costruzione dei se-
polcri a grandi massi di tufo , come quelli della necropoli del Gìglio , era
generale nell'Etruria, e se ne trovano a Vìtorchiano, Palestrina, Ceri, Amelia,
Bologna e altri luoghi. A Bologna, di questa maniera, ne furon trovati 170 nella
necropoli dì Marzabotto, come riferisce nella sua relazione il senator Gozzadini.
(3) Vedi il Bullelt. deirinstit. di Corr. Archeologica 1878, articolo sugli
scavi di Suessala.
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— 297
vari oggetti propri di quel popolo. Ma sembra che l'antica
provincia della Sabina, come pure quella dell'Umbria, non
fossero tutte occupate da cotesto orientale popolo conquista-
tore. In fatti alcuni luoghi dell'una e dell'altra sono privi,
per quanto sin qui conoscesi, di necropoli e monumenti loro.
Fra quei luoghi conto, per esempio, Tantica Ocrea e Tanti-
chissìma mia Narni e Calvi, sabine un tempo pur esse. Amelia
invece, che confina col nostro territorio, e che fu prima pe-
lasgica al par di noi e di altre città italiche, ebbe poi gli
etruschi dalla parte certamente del Tevere, ossia dal terri-
torio di Orte. La sua necropoli etrusca h prossima alle anti-
chissime mura di cinta, e anni sono, produsse vari oggetti,
di cui feci minuta relazione, come socio, airinstit. di Gorrisp.
Archeol. con tre lettere stampate nel BuUett. di detto Insti-
tuto. Ma essa necropoli meriterebbe ricerche più regolari
e premurose, mentre ogni tanto donaci fortuitamente oggetti
di qualche valore; e tempo fa avemmo da lei una base di
candelabro di bronzo a pie' di leone, varie laminette d'oro
figurate a sbalzo, con vari pezzi di filigrana in oro, i quali
forse dovean servire a legare esse laminette perchè trovati
assieme. Le medesime formavano, a mio credere, la pettina
di qualche donna , ne d' è la prima rinvenuta a cotal uso.
Si scavò pure un sepolcro, come quello di Maglìano, a tufi
grandi e conci.
L'Etruria non fu mai visitata, ricercata e studiata qual
si conviene. Ma non saria cosa da poterla fare un privato,
essendo lavoro faticosissimo, lunghissimo, di grande spesa e
che richiede molta critica, molta erudizione e acuto ingegno.
Finché non sarà eseguito cotesto profondo studio, noi non
avrem mai una generale e degna istoria dell'Etruria. Storia
tentata da più d'uno a brani; ma, fin qui, mal riuscita a
tutti; essendo ordinario difetto degli storici mettersi a scri-
vere senza il necessario fornimento, senza lunghe e pazienti
ricerche , avendo smania di presto procacciarsi rinomanza ,
senza badare alla maggior perfezione del lavoro.
Bisognerebbe pertanto che il Governo medesimo mandasse
attorno per TEtrurìa ingegneri ed archeologi di nome, i quali,
uniti alle dotte persone di ciascun paese, facessero la pianta
generale dell'Etrurìa, ove fossero notate tutte le citta, o morte
o vive, o trasformate ma appartenute a detto popolo, i ca-
stelli, le ville, le loro strade, i loro ponti, i bagni, i teatri, gli
anfiteatri e altro qual sia monumento. Tratterebbesi di per-
correre adagio adagio tutta iMtalia, s'è vero, secondo il detto
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— MS —
eli T. Livio , eh* essa fu quasi interamente occupala dagli
Etruschi. Colai pianta, generalmente illustrata, dovrebb'essere
accompagnata da una bibliografia etrusca, italiana e straniera»
e da una nota di tutte le collezioni piccole e grandi, pab^
bliche e private di oggetti etruschi esistenti in Europa e
altrove. Dopo ciò potremmo sperare di avere una storia, par*
ticolarizaata, bene scritta e nobilissima dell'Etrurìa, che noi
poco e male oggi conosciamo, per quanto siavi stato scritto
sopra da molti smembratamente.
Io potre' citare vari luoghi etruschi, che visitai per mia
curiosità, ignorati nell'universale e mal noti agli stessi abi*
tanti, salvo a due o tre. Prendiamo^ per esempio, Orte eoa
tutto il terreno che da questa citta, per la parte del Tevere,
estendesi fino ad, Amelia. Chi visitò cotesti luoghi etruschi
con proposito di ricercarli e attentamente studiarli ? Niuno.
Qualche dotto vi fece una scorsa in fretta nelle due citta
principali e basta : nei luoghi di minor conto ninno ; tolto
qualche avido negoziante di oggetti antichi, la qual genìa
ficca il naso per tutto^ e depaupera TUalia delle sue vetuste
ricchezze e bellezze, perchè d'ordinario vende a fòrastieri e
non ai connazionali^ perchè questi non son larglii con loro,
come quelli, di denaro. E pure il territorio di Orte e Amelia
meriterebbe le nostre cure e i nostri studi.
Andiamo ora con un salto in altra parte, cioè ai monti
Cimini, un tempo popolatissimi e ora mezzo deserti. Quanti
sanno de*siti e monumenti etruschi che fan belli cotesti mae-
stosi e già terribili monti vulcanici? Ben pochi. E quanti ne
scrissero? Quattro o cinquie scarsamente e malamente* Del resto
non senti che notizie vaghe, contraddittorie, talvolta bugiarde
in bocca dei coltivatori e padroni de* campi.
Un tempo fui a Vitorchiano, ed ebbi vaghezza sapere del
suo tempo antico e monumenti etruschi; ma non potei sopr*essa
pescar notizie né dentro i libri, né dentro gli archivi. Sol-
tanto dassene brevissimo cenno , incongrueale insufiiciente ,
nelle storie Viterbesi e nel libretto del sigaor Valentino Bo-
vani intitolato: Memorie dei Fedeli di Campidoglio^ p. co.
Deluso nelle mie ricerche sui libri e fra gli archivi pubblici e
privati, diedimi attorno pel castello e per la campagna a inter-
rogar la gente circa i luoghi e antichità etrusche esistenti o
esistite sopra terra o sotto nel detto paese. Seppi poco poco;
ma quel poco manifesterò nella presente, perchè col tempo
non vada in dimenticanza, potendo servire al lavoro da me
pensalo, desiderato e proposto a cotesta Direzione generale.
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— 299 —
Nel mese di luglio del 1972, tempo in cui mi condussi
a Vitorcbìano, per visitarvi la famiglia Presutti mia amica»
ebbi la ventura di trovarvi a villeggiare il cortese e istruito
signor cav. Giovanni Pompilj di Roma. Costui avendo saputo
dal sig/ Agapito Presutti^ che io era dilettante e ricercatore
di antichità, si offerse volontieri^ come scorta, per accompa-
gnartni nella visita de*sepolcri etruschi che popolano un suo
podere ^ ove sta a cavaliere la villa , e che furono scoperti
dagli agricoltori nel far le forme per le viti.
La necropoli dista mezzo chilometro circa da Vitorchiano,
a cui sta di faccia verso nord-est. A sud-est guarda i monti
Cimini, la cui condizione, come dicemmo, è vulcanica, all'ovest
Montefiascone. Il terreno e totalmente di peperino e nomasi
paparano. Condotto sul luogo, vidi due o tre sepolcri aperti
con entro qualche cassa gigantesca mortuaria di pietra locale.
Sopra terra alcune urne cinerarie della stessa pietra, pezzi
di vasi fittili, tegoloni e travertini lavorati; fra cui una base
incorniciata, che alcuni reputano per ara, ma che io ritengo
quale base di statua o semibusto , essendovi nel mezzo un
buco da potere imperniare o Tuna o Taltro.
Quindi il cav. Pompilj condussemi al suo casino, ovVb-
bemi mostrato alcuni vasi etruschi di varia foggia , ma di
poco pregio con tre tegoloni estratti dai medesimi sepolcri,
dichiarandomi, che apparteneva pure ad essi un candelabro
dì bronzo da lui posseduto in Roma, il cui stelo è vagamente
ornato di un cane che corre verso un uccello, e la cima di
tre gentili colombe poste sopra a una tazza , mancando la
quarta che per simmetria dovea stare in compagnia dell'altre
nei quattro angoli. Cotesti ornamenti necandelabri etruschi
sono assai comuni^ essendosene trovanti altri così foggiati, ed
io ne posseggo uno consimile proveniente dalla necropoli di
Orte. Mi assicurò inoltre che altre persone ebber la fortuna
di trovarvi diversi idoli preziosi,^ specchi graffiti e non graffiti,
molti scarabei^ una magnifica corazza di bronzo, alcune spade,
lance, vasi ordinari di bronzo, e anco alcuni a basso-rilievi
di buon'arte, una fibula d'oro e qualche leggiadro vaso in
figulina dipinto a figure e ornati. Diedemi pure a vedere
oggetti romani di niun valore, ed alcune monete di bronzo
e di argento, cavati gli uni e le altre dai medesimi sepolcri;
sicché devesi argomentare^ che i romani, cantando quel motto
virgiliano f^eteres migrate coloni , occupassero un tempo
i sepolcri etruschi di Vitorchiano; costume irreligioso e ri-
provevole praticato pure in altri luoghi.
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— 300 —
Le monete meglio conservate, e con chiara scrìtta» eran
quattro. Nella prima (quinario) leggevasi il motto roma, nella
seconda l. tiivri» nella terza brvtvs-libertas » nella quarta
L. TBORivs BALBvs, nel cui rovescio le sigle i. s. m. r. Cotesti
trìumviri monetari, come pure le loro monete, sono ben noti»
perchè lascio di farne particolare menzione.
Preso commiato dal cav. Pompilj, fecimi presso uno dei
fratelli Sdirami di Vitorchiano; essendomi stato detto, ch^essi
rinvennero alcuni sepolcri con oggetti etruschi in un loro
podere dimandato Poggio ricotta in contrada Fondij distante
un chilometro circa da esso castello. In fatti ebbemi il me-
desimo sig.' Sdirami significato di aver rinvenuto nel pre*
detto Poggio un colombajo , profondo circa 18 metri , che
conteneva un'urna cineraria di travertino, foggiata a schiena
d'asino con entro ossa bruciate, più due piccoli vasi di bronzo
con manichi formati a serpenti^ una cassa di peperino con-
ficcata in una parete contenente ossi e teste di morti, e altre
simili per terra coperchiate; ma in qualche parte rotte, perchè
rovistate. Oltre questo colombajo furono scavati e visitati
altri sepolcri da una società di antiquari, i quali sen torna-
rono a casa lieti e contenti con largo bottino.
Un tal Luigi Projetti , ricercatore di oggetti antichi , e
che ha l'aria ardita e presuntuosa di un Cicerone, mi assicurò
aver trovato nel medesimo Poggio alcuni vasetti variopinti
di vetro, una cassa che racchiudea lo scheletro di una donna,
avente al fianco un pezzo di velo di seta nera, fregiato nel
lembo di fiori; altri pezzi di cotesto velo stavan per terra.
Nello stesso sito trovò una lucerna con figura di donna atteg-
giata a mestizia con fiaccola accesa in mano. Per l'iscrizione
ivi scolpita DEJE CERERI ricscc facile spiegare la rappresentanza,
ch'è Cerere andante attorno in cerca della figlia Proserpina
da lei smarrita^ perchè rapita da Plutone.
Il medesimo Projetti mi aggiunse aver tentato altri scavi
a Perento e a Poggio del gallo*, proprietà quest'ultima uà
tempo del canonico Anguillara di Canepina e oggi del de-
manio, se non l'ebbe venduto. Nel primo luogo scavò vasi
in figulina a vernice rossa e nera con figure e ornati , e
qualcuno senza; vasi di bronzo, lance, picche e spade, due
scarabei e un lume eterno col motto ferentvm. Nel secondo
trovò dentro un sepolcro una tavola di travertino ^ larga
circa 75 cm., ricoperta di tovaglia, che andò in polvere ap-
pena intesa l'aria. Su questa eran consperse molte foglie di
mortella ancor vive e verdi, e imbandita una povera mensa,
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— 301 —
cioè quattr'uova, due rotte e due intere ma vuote, un pane
grande quanto i nostri da un soldo. Ornavano la medesima
uu cucchiajo, una forchetta e un bicchiere nobile e splen-
dido per bei fregi d'oro. Rispetto all'uova non h cosa straor-
dìoarìa, mentre più volte ne furon trovate nelle necropoli
di Toscanella, di Vulci, di Bologna ecc. (l), unitamente a pane»
fave e lenticchie; rispetto alia mortella parmi cosa rimarche-
vole e non comune, quantunque si conosca per pianta funebre.
Il sig.' Agapito Presutti mi parlò di un suo possedimento,
nominato volgarmente Cucchiarella, donde vennero in luce,
per sue ricerche , dodici sepolcri , che diedero frantumi di
Tasi in figulina colorati e figurati, vasetti variopinti di vetro
bellissimi, uno scarabeo in pietra dura, con fina incisione,
venduto lire sessanta , un manico di bronzo , un vezzo di
canutiglie d*oro^ vari specchi di rame, urne laterizie con ossa
di morti. La detta Cucchiarella appartiene al territorio di
YitorchianOj da cui dista quattro kii. circa, uno da Monte-
Gasoli , castello diruto , che si reputa per V antica Meonia ,
mezzo chil. circa da Gastellara , ove miransi ruderi molto
antichi. Confina col territorio di Bomarzo e col lenimento
della Colonna^ proprietà del principe Borghese.
E per oggi basti. Sono sicuro che V. S. farà conto di
queste poche smembrate notizie, e della proposta che riguarda
la storia della nostra Etruria. Che se questa avesse effetto.
Ella acquisterebbe certo maggior merito e vanto di quello
che già gode. Stia sana.
Suo devmo
G. Eboli
Ispettore regio degli Scavi e Monum. di antichità
LE MIGLIORI CANTATRICI ITALIANE FINO ALL' ANNO 1713
NOTIZIA DI U. STEINSCHNEIDER
In un libro tedesco intorno alle poetesse della Germania,
stampato nel 1715 (2) si trova nella prefazione un registro
(1) Nel 1878 in un antico ipogeo deUa città di Oria fra le altre cose fu
trovato un vaso, e vicino a questo alcuni gusci d'uova e mandorle che con-
servavano ancora la parte legnosa del guscio e quasi tutta Tepidermide. E in
altro sepolcro dello stesso luogo il simile* (Notizie degli Scavi di antichità
camonicate all'accademia de' Lincei, an. 1878, pag. 147 — 48).
(2) Teutschlands galante Poetinnen Mit Ihren sinnreichen und netten
Proben; ecc. ausgefertiget von Geor^ Christian Lehms. Fracckfuri am Mayo
1715. — il foglio citato della prefazione è segnato: f 2.
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— 302 —
delle migliori cantatrìci in Italia, «r che erano allora , o die
» furono prima i» , e sono le seguenti.
1. Margherita Durastanti
%. Diamante Maria Scarabelli
3. Francesca Vanini Baschi
4. Maria di Chateauneuf, nominata Landini
5. Margherita Salvagnini
6. Giovanna Martinelli
7. Signora Santa Stella
8. Maria Anna Garberini Beoti) detta la Romanina
9. Giovanna Albertini, detta la Reggiana
10. Angina Augusti
11. Signora Rosa Ungarelli
i2. Maddalena Bonavia
13. Livia Nannini, detta la Polacchina
L'autore non accenna la fonte da cui ha preso questo
elenco.
LI.
SPECULUM DIANAE <ìy
I.
SPECULUM DIANAE
L' innocente fanciulla era ignara
d* ogni arte donnesca» e pura come
il raggio della luna che ai specchia
sul fonte. Btrom .
Nel guarnelletto bruno e nel zendado
È avvolta la fanciulla a me diletta:
Passeggia lungo il lago, a passo rado.
Dove la bianca lana alto saetta.
Passeggiammo, e la luna sen fuggia
Baciando i nembi, mesto vìatore.
Volsi i passi e la luna mi seguia:
Così la Gloria fa, cosi 1' Amore.
Che dici, mesta alla Luna?: « Sul monte
Selvoso e sul lago la luce apporti;
Di sentimento copiosa fonte,
O bianca Luna, salutami i morti. »
Sii lieta. Il Iago è si placido e chiaiH)...
L* alma mia non ha pace. - E a Delia piacque.
Mentre le Driadi ed i Fauni danzaro, ,
Sparso per lei Tuman sangue in quest'acque?
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303 —
Talora sono scettico, sono empio.
Impreco ai Numi che mi fan penare;
Talora sono mistico e nel tempio
Mi prostro umilemente appiè dell' are, -
Piove sul lago. - E al lago, o donna mia.
Tu mi compara ed io t'agraagli al cielo:
Sereno è il lago e pieno d allegiùa
Quando è sereno il cielo e senza velo.
Restiam di questo pin sotto T ombrella
A ripararci dalla pioggia ria,
E Giove Pluvio non temiam, mia Bella,
Che ambedue fulminar qui ci potria.
Sul leggiadretto pie sostati, o cara.
T'amo, ti dico e dir piii non poss*io...
Non balbettar, non far la voce amara.
Non dire: « andate per amor di Dio. »
If.
PALATINU8
Mentre cogliam le rose ad un arbusto
Sacro alla bella antica dea di Gnido,
E ti contemplo il sembiante venusto.
Bionda fanciulla a cui 1* anima at&ào;
Ci assai la pioggia in questo colle augusto
Che fu della romana aquila il nido,
E ripariam sotto un arco vetusto
Che sembra il santuario di Cupido*
La primavera e il colle ermo di Roma
Non so de' due qua! benedica primo:
Poi che sotto quest' arco, Ada vezzosa,
Mentre sferzarlo udiam la pioggia, imprimo
Baci al ti*epido tuo labbro e una rosa
Rorida intesso alla tua bionda chioma.
Luigi Arrigo Rossi
LII.
AI MIEI CARI
1.
A MIA SORELLA
Pria che di Gloria insazìau sete
Tronchi per sempre questa vita amara,
L'Ore intomo a danzar ti se?uan liete
Come dal di che ti sposasti all'ara.
Tutti i miei cari hanno varcato il Lete,
Non mi resti che tu. Sorella cara.
In questo mondo, ove la Morte miete
Gli eletti, a cui Fortuna è tanto avara.
Non mi resta che il tuo sposo diletto,
E quel tuo eh' io divinai dalle belle
Forme, non ancor nato, pargoletto.
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— 304
Non mi resta che d* opre e di favelle
Saggie 1' emula brama, il vostro affetto
E a* fiorì, al mare un guardo ed alle stelle.
II.
SULLA TOMBA DI MIA MADRE
O Madre mia, prima che fosse sorta
L' ora che ti rapiva al suol diletto
Di Roma, io ti stringevo ai mesto petto.
Coir anima piangente e quasi accorta.
Che ti attendeva, oimè, il funereo letto.
Senza che in un tal di t'avessi scorta.
Madre, che non credevi al grande affetto,
E, lontano stando io, lontan sei morta.
Ed hai raggiunto in ciel gli altri che adoro?..
E fia, o diletta, che da te diviso
Per sempre io stia?.. Dimmelo quando moro...
Dimmelo quando lascio il mondo inviso...
Dimmelo quando cessa il mio martoro...
Dimmelo qpando vengo in Paradiso!...
III.
SULLA TOMBA DI MIO PADRE
Da pargoletto, spesso ti chiedea,
O Padre mio, che fossero le stelle
Che fiammeggiare in ciel tante vedea,
E mi parean più d* ogni cosa belle. ^^
Or, guatando del cielq,^ facelle, ^ie
Mi rimanga la speme ultima dea.
Rivederti o pietosa Anima, in quelle...
Ma so quanto la Terra è ignava e rea.
So quanto il mondo nostro è crudo e insano.
Ove, trascorso ogni piacer veloce.
Dalla Calunnia e dall' Invidia atroce
Che stringon gli angui attossicati in mano
E le fiaccole ardenti, ai pii si nuoce...
Ove fuma P incenso e il sangue umano !
IV.
SULLA TOMBA DI MIA SORELLA ADELE
Desto da grave sonno, in procelloso
Ocean mi trovai sovra il naviglio
Ch' errava, o Adele mia, senza riposo,
E oeni flutto porgea novo periglio.
Ma, in fondo air orizzonte tenebroso.
Travedendo il crepuscolo vermiglio:
« Surge o tramonta il Sole? » con ansioso
Cuore addimando e con intento ciglio:
Quando il pilota ecco additarmi a prora
V ago vaticinante; e quei, per sorte.
Ne rivela V Oriente - Era T aurora. -
Così Religì'on, d* un' alma anela
Sacro magnete, a me naufrago svela
Aurora e non tramonto esser la Morte.
Luigi Arrigo Rossi
La nota delle opere penule in dono si darà nei prossimo fascicolo
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Serie II. Vol. XIV. Settembre 1880 1
I L
BUO:SARROTI
D I
BENVENUTO 6ÀSPAR0N1
CONTINDATO PER CORA
DI ENRICO CARDUCCI
PAG.
LUI, Il dio Mitra a Terni (G, Broli) ....>» 305
LIV. Descrizione di tutte le colonne ed obelischi che
trovansi nelle piazze di Roma, disposta in
forma di guida da Angelo Pellegrini ecc.
iContinuaiione) » 322
LV. Notizie di mss. inediti in ispecie di Architettura
militare. Al eh. sig. cav. Narducei (Camillo
Ravioli) » 332
LVI. Belle Arti » 335
LVII. Vae Poetis (Luigi Arrigo Rossi). ...» 336
Pubblicazioni ricevute in dono » 330
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ROMA
tipografia delle scienze matematiche e fisiche •
VIA LATA kT 3.
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Pubblicato il 17 Agosto issi
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Serie II. VoL. XIV. Quaderno IX. Settembre 1880
LUI.
IL DIO M "TRA A TERNI
II naturale carattere degli uomini si è la volubilità, per
cui facilmente noìansi d* ogni cosa , e nel variarle molto si
studiano, si rallegrano e godono. Questa loro costante volu*
bilita produce il bizzarro capriccio della moda ne' loro co-
stumi; ma questo capriccio non limitasi soltanto alle cose pro-
fane , che estendesi eziandio » sebben più di rado , a quelle
sacre. Quindi il cambiamento in tanti secoli di tante reli-
gioni, di tante divinità, di tanti sacerdoti, di tante cerimonie
e rappresentanze dacché l'uomo apparve sulla terra.
Non occorre, a persuadercene, citare esempi di nazioni
straniere , bastandoci quello della nostra Italia , ove fecero
recapito, con buon successo, quasi tutte le religioni del mondo,
o portate dà noi stessi in patria con le guerre e il commercio
estemo, o portate tra noi dagli altri per lo stessissimo modo.
Dei molti piccoli Olimpi stranieri può dirsi essersi formato un
solo grande Olimpo italiano, curiosamente e stranamente popo-
lato a divinità colte o selvagge, orride o belle, pietose o crudeli,
morali o immorali, deboli o potenti; in sembianza ora umana,
ora di bruti di ogni genere, spesso di piante, erbe, fiori,
frutti, pietre e che so io; con riti molte fiate inverecondi ed
osceni^ con sacrifici orrendamente bruttati del nostro sangue,
con sacerdoti più dediti alla crapula, all'incontinenza, alla
lussuria e altri vizi che non alla virtù, in tutti tempi ammi-
rata e lodata da molti; ma vagheggiata e sposata da pochi.
Il culto di Saturno, Giano,/Giove, Nettuno, Plutone, Giu-
none, Pallade, Venere e di tutte le altre conosciute divinità
del paganesimo, avea già fornito suo tempo, e per vecchiaia
divenuto debole , spregiato e deriso , per cui lasciava facil-
mente accesso ad ogni altro nuovo, che d'improvviso fosse
dinanzi a noi comparso.
4i
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— 306 —
Ed appunto neiranno 087 circa di Roma venne, secondo
Plutarco, a stanziare nel nostro paese il culto del persiano
Dio Mitrai; già prima propagato nelf Egitto, nella Fenicia,
nella Grecia, e quivi imbastardito eoa altro culto indigeno.
Venne introdotto pe'soldati di Pompeo dopo la guerra de'Pirati
da essi trionfalmente menata. Piacque loro il detto culto forse
per la durissima disciplina degl'iniziandi, che alla militare
molto rassomigliava; fors'anco per un certo coraggio eroico
che richiedevasi ne' medesimi a sostener le lunghe e crude-
lissime pruove dei gradi da percorrere alle dignità del col-
legio mitriaco. Parte dei quali gradi anche pel loro nome pò-
teano esser tornati accetti a*Pompejaui, mentre Tuno noma-
vasi del soldato, eh* era la loro divisa^ T altro dell'aquila^
che dava forma e nome al loro vessillo, un terzo del leone^
espressione della loro forza ed ardimento guerresco, un quarto
del corvo e un quinto del grifone, animali ambedue in istima
e venerazione anco nella loro antica religione, essendo essi
consacrati ad Apollo, che in sostanza era tutt'uno con Mitra,
ambedue simboleggiando il sole. Ed appunto perdio Mitra
nel suo simbolo era tutt'uoo con Apollo, anco per questo
il nuovo culto sarà facilmente entrato nelFanimo de'Pompeiaoi.
Esso dapprima rimase secreto ; ma poi a poco a poco
venne all'aperto, si fé' largo, ed ebbe gran voce, general-
mente accettato dallltalia; ma per breve tempo (i). La nostra
Umbria addimostrossì fra li più ferventi seguaci, e prese a
coQsecrare al nuovo Dio selve, spelei « ossia grotte e sotter-
ranei, a fondare in su' onore collegi di sacerdoti e alunni,
a scioglier voti, a menar solenni feste e banchetti»
L'antico Sentino presso Sassoferrato, Spoleto, la distratta
Ocrea, ne'qu«ali luoghi furon trovati monumenti mitriaci (9)»
(1) Esso cominciò a indebolirsi poco per volta di fronte alla novella re-
ligione cristiana ; e a decadere neil anno 2^3 dopo la morte di Eliogabalo.
Riebbesi poi alquanto nel 362 , favorendolo la protecione dell' afiostata Giu-
liano ; ma per presto e sempre tornare nel dispregio e nell* oblio nel 378 ,
mentre con editto di Gracco, prefetto di Roma, venne in quell'anno assolo-
tamente proibito : pel quale beneficio meri tossì Gracco le soBiBie lodi di
s. Girolamo, eternate ne'suoi scritti.
(2) Da un'epigrafe, trovata a Sentino, apprendiamo l'amore degli umbri
pel detto Dio:
.... INVICTO DICATVS IDVS SEPT MAR. ANTON.
PROSEDENTE AVO II ET SACERDOTE II COS.
SEVIO FAGVN1>0
VMBRI
RVFINVS ET
BMILIARVS
LEONES
Di Ocrea posso assicurare cbe l'altr^anno venne ivi trovato un frammento
di marmo bianco, il quale non conserva altre lettere cbe queste HiTRHA,di
La presente fu riportata dal RamelU nel discorao
intitolato: Monumenti Mitriaci di Sentino, Fermo 1853,
tipegr. Paccasassr.
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— 5^7 —
ce ne forniscono bastante testimonio^ come pure Terni) nel
coi teiTitorioy tempo indietro, si scoperse un marmo votivo^
fino a oggi ignorato, con la rappresentanza ivi scolpita in
basso-rilievo del nominato Iddio, giusta il costume degli altri
monumenti di tal fatta esistenti.
Per quanto m'è no^o, ninno storico di cotesta citta ebbe
mai parlato del culto mitriaco^ né pubblicatone alcun mo-
numento. E TAngeloni^ che fece piiì degli altri lunghi accu*
--• - - - - A . ^ --■■-■ -■ ■■ llll
grande e bella forma da giudicarle del terzo o quarto secolo dell'era volgare»
del qual tempo sembra pure il monumento ternano. Il detto frammento truo-
▼9si forse a«€ora sul posto dello scavo» ed io non ne posseggo che il calco.
Pregherei gli otricolani, o il proprietario del terreno, a conservarle, traspor-
tandolo in fuogo sicuro. Per sé .stesso è poca cosa, ma vale assai per la storia
di Ocrea e della [)rovincia umbra ; quantunque sìa dubbio cbe a tempo dei
romani essa città sia appartenuta a detta provincia, piuttosto che alla Sabina.
Rispetto a Spoleto mi servirò delle notizie date a mia richiesta dal ba-
rone Acbille Sansi stotico illustre di essa città:
<( Nel luglio del 1879, facendo il reggimento di guarnigione in Spoleto
dei movimenti di terra In un campo presso la città di proprietà del sig. Gi-
lippo Marìgooìr, furono seoperti alcuni avami di mfurì, nei Quali venne rico-
nosciuto un Mitteo di pietre conce , con pavimento di mosaico comune , e
pareti colorite in rosso *. Vi si trovò Tara di travertino alta m. 1,05, ornata
di TOlnte e di ptfPvilli, aella cui fronte si lesse questa iscridene:
SOLI
INVICTO MtT»IlAt
SACrVM
Le lettere sono regolari, meno le due S che hanno una forma spiccata del
simbolico serpente. Si- trovò nello stesso Itkogo, ferma anch'essa al suo posto,
ima colomia acuminata di cipollino, simile a quella del Hiitreo.di a. Cle-
mente in Roma, alta metri 1,35 ''*. Nelle pareti di un corridoio dello stesso
piccolo ediGcio si scopersero quattro figure a colori, due quasi svanite affatto,
\È!ktt senaa testa, ed usa quasi- intaltav Quella senza tesla^ nuda nel dinanzi,
è femminile coperta di manto rosso, e portante nelle mani un oggetto verde
(forse primizie) , quella intatta è virile coperta di manto verde e con felce
in maBo. Fu trovata una moneta deirimperatove Castantuio, ed ««a statoina
di osso che piega il ginocchio , porta manto e corona di alloro , e suona la
lira ***, 11 Mìnervio^ (nella storia di Spoleto) riporta un'iscrizione cbe dice
eseere stata in domo JHvae Mariae, ed è questa*.
SOOLBI MARCIVS ****
Q. F. F.
* Non fensa ragione furono in rosso dìftinte queste pareti ; è la ragione è prblabilmeate
qoella stessa, per aui i ministri del Dìo Mitra, com'io rifarisco in seguito nella nota n, 9, tin-
geraffo con la t^krica gli armenti e gli alLeri: il rosso era per gli antichi simbolo del fuoco
téketUi e bene stava per tanto questo oolore e quMto simbolo, ere adoratasi il sole.
** Forte questa colonna era, a parer mio, un gnomone per indicare eon r ombra sua le
«r« del gioano, al paro delle guglie egiainaa ehe tuuIsì ionalsate a cielo awperto per cOtesl'oT-
flcio: e la detta colonna avrk ricevuto il sole per un fero praticato nel piccolo edificio: ovvero
mg*, rappresentava un Dio , come conghietturasi di un cono marmoreo ricordato nel Bullett.
dairinsUt. imporiale ^rmanieo ài corrisp. archeol. 1847. p. 22; e di altro neiropeea del Cara
sulla Genuità degl'Idoli Sardo — Fenici esistenti nel Museo Archeol. della regia Univer^
Mtk di Cantari, pa«;. S6*— 37 e segg. Ed il sapposto Dio potaa etter beoissimo Mit«a , cb«
non escludeva alla colonna di servire anco da gnomone.
*** Per me non v'ha dubbio che cotale stataeita figuri Apollo, che nella rapprescntanta
eliaca era tutelino con Mitra; come pure le quattro figure dipinte ritraevano le ijnattro stagioni.
**** Questa iscririone rd antichissima ortografia ne assiirura che U culto eliaco fu a Spoleto
d« molto t«a»po in ueo, e prima del culto roilrtaco. Il monum. descritto dal Santi, e trovai
B«l ia79, appartiene forse al tanto o quarto seeol<v dcU*cra volgare. Gredeti cbe gli Ojff^tl
quivi rinvenuti aieno oggi i» naaafr del Marìgnolt resideato a Roma.
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— 808 —
rati studi sopra la storia ternana , da lui pubblicata , cosi
scrive a pag. it della medesima, rispetto ai templi pagani,
dopo averne notati alcuni, che non hanno che far nulla col
nostro Mitra:
c( Altri Tempi], e fabriche riguardevoli e di pregio po-
terono essere, dimostrandolo le frequenti rovine, che nella
Citta e nei Campi si trovano: ma stannosi 6no ad hora entro
la oscura caligine dell'invida antichità riposte, perochè alla
rovina degli edifici, alla perdita delle statue, e di gran parte
delle vecchie Inscrittioni , si aggiunge il non haver havuto
scrittore , che almeno sommariamente habbia i fatti di lei
notati, che degni d'Historia stimati fossero e d'essere da'po-
steri intesi ... »
Ecco dunque che il settecentista scrittore disse il vero^
ed ecco che V invida antichità, dopo lungo tempo, vuoile
alquanto diradata la sua oscura caligine^ per darne a cono-
scere un antico votivo marmo, il quale assicuri che nel ter-
ritorio esistettero e spelei e selve e sorgenti d'acqua conse*
crati air invittissimo Nume persiano. E di questo prezioso
monumento faremci ora a discorrere , dandone il disegno ,
ridotto a un terzo dell'originale (i), dichiarando ove fu trovato
e come da me acquistato, e facendone quindi^ con la maggior
chiarezza e brevità possibile , la descrizione e spiegazione
per intendimento di coloro che non si versano punto negli
archeologici studi.
Un giorno, girando per Terni in cerca di scoltnre e iscri-
zioni antiche, o intere o rotte,' per abbellirne le pareti della
loggia della mia casa in Nami, m'imbattei in certo muratore,
che assicurommi possederne due esemplari, nell'uno de'quali
era scolpito, per quanto eragli stato detto, il napoletano. Pul-
cinella a cavallo di una bestia. Curioso di vedere questo strano
soggetto, quantunque non acconcio al mio scopo, lo pregai
portarmelo^ con l'altro marmo, nella casa di un tale, verso
cui sareimi nel momento indirizzato. Detto, fatto; e a ter-
mine di pochi minuti fummo ambedue alla posta data, egli
colmarmi in sulle mani per mostrarmeli, ed io con gli occhiali
sul naso per osservarli. Ma quale sorpresa non fu la mia,
quando rilevai che il marmo, dato al buffo Pulcinella napo-
litano , apparteneva invece al serio e fortissimo Dio Mitra
'(1) L'egregio ed erudito giovane signor Curzio conte Catucci, mio con-
cittadino e amico, regalommi il disegno di questo monumento, per lui stesso
cavato dall'originale; e di tanta sua cortesia voglio qui ringraziarlo, dichia-
randomi a lui oltre modo grato: tanto più che non è la prima volta che ab-
biami favorito con la su' abilità nelle mie pubblicasiooi.
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— 309 —
persiano tanto noto agli archeologi ? Ma 9 nel suo vestiario
e berretto frigio, egli facilmente potea esser preso dal volgo
ignorante per un vero Pulcinella , laonde ninna maraviglia
dello scambio fatto. Così, non volendo contraddire alla cre-
denza del muratore, ne manifestargli il mio giusto giudicio,
che non avria compreso^ lo assicurai che *i suo Pulcinella
molto pìacevami, e che volentieri Tavre' acquistato. Ed egli
risposemi, che volentieri me lo avrebbe dato, essendo per lui
cosa inutile e di niun conto: in quanto poi al prezzo rimet-
te vasi alla mia stima.
Accettata questa , partissene conlento con una discreta
sommetta in mano, di cui sarassi in parte servito per una
pronta e solenne libazione a Bacco, che, come Apollo, tiene
strettissima relazione con Mitra, mentregli pure h Hgura di
quel gran pianeta , sotto la cui potente sferza maturasi e
invigorisce il dolce succo dell'uva, che pel forte piacere fa
girare la testa a tanti.
Egli assicurommi aver trovato il marmo a Piedimonte
presso Terni, nascosto sotterra, mentre faceva uno scavo per
fabbrica campestre commessagli. E Piedimonte appunto era
il sito acconcio al culto mitriaco, che richiedeva folte selve,
oscure e riposte grotti (f), o naturali o artefatte, con vive sor-
genti d' acqua , delle quali cose non mancava e non manca
quel luogo montuoso e fertile alquanto discosto dalla citta.
Aggiunse anco che poco lungi dal marmo trovò una spada
di ferro ossidata, ed alcune figuline, le quali, alla descri-
zione che me ne fece, ritenni prive d*ogni pregio e impor-
tanza storica.
il nuovo prezioso monumento ternano , per me salvato
dalla destruzione, h ora dunque in mia, casa, affisso in una
parete della loggia d'ingresso, ed esposto alFammi razione dei
dotti ed indotti che verranno a visitarmi. Egli h un marmo
votivo, dedicato fors' anco con iscrizione^ al Dio da un suo
devoto, o per grazia ottenuta, o per grazia desiderata: voto
non dì persona povera, ma benestante, perchè le scolture in
marmo convengono a chi ha denaro; quantunque il nostro
sia di poca spesa , perchè piccolo. In fatti ha l' altezza di
cm. 40, la larghezza di 33, la maggior grossezza di 13. Pre-
senta forma quadrilunga in marmo bianco, e scoltura con-
ti) Giallo Finnico (de errore prof, relig. V, pag. 19) scrive: t( . . . sacra
vero ejus (Mithrae) in speluncis aoditis tradunt etc. » E Porfirio {de absti-
tienlta, ]. 2, e. 5) « Ubieumque Mithram agnoverunt gentiles^ eidem Dea epe-
cubus iocra faciebatU ».
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— «t —
dotta da Luono scalpello, per quanto si può rilevare dalle
parti meno guaste.
Una mano nemica ebbelo tutto quanto dannegialo e ^-
furato; n^ io credo sia avvenuta per trastullo di gente rozza
di campagna; ma piuttosto per fanatismo religioso de* nuovi
seguaci di Cristo, clie^ trionfando sul paganesimo > dieder^d
ad atterrarne i templi, a distruggerne gl'idoli, o guastarli,
non potendoli per qualche ragione del tutto distruggere. E
di questo loro odio abbiam frequenti segni in più moikumenti
pagani di Roma e dell* Italia , tanto appartenenti a Mitra ,
quanto ad. altri Numi. E presero a sBgurarue specialmente
i volti, forse perche nel volto sta d'ordinario espresso il sen-
timento e Tanirao di ciascuno, e per consegueaza da lì parte
quella corrente e forza magnetica che potentemente ammalia,
afiascioa e lega insieme due cuori. E la nostra immaginazione
attribuisce in ciò anco alle finte immagini quella stessa po-
tenza che truovasi realmente nelle vere.
I monomenti mitriaci romani, o scolpiti, a graffiti, o di-
pinti (i), che conosconsi fino a oggi,^ rassomiglian d'ordinario
tra loro, specialmente nella scena principale; ma variano negli
accessori ^ o per la quantità maggiore o minore ,. o pel di-
verso bra collocamento ed azione delle figure ec. In fatti
il monumento ternanot mentre accordasi in genere con tatti
gli altri; in alcune cose as ne diparte, perchè può dirsi sin*
golare; e questa sua singolarità lo rende pregevole e impor-
tante, aumentando la varietà dei detti monumenti. A para-
gonarlo strettamente con gli esistenti, esso vie piik ritrae dai
due incisi nella tav. LXXIX dell'atlante di Lajard; autore
che scrisse ex pnyfesso , e meglio di tuUi ,. sul presente
argomento (2).
La rappresentanza del nostro marmo» può dirsi divisa in
tre parti distinte , media , cb' \ la principale , superiore ed
inferiore. La media donati l' interno di una grotta ad arco
schiacciato , avente nella base 45 cm. di larghezza , e nel
mezza 30 di altezza.
(1) Questi ultimi specialmente truovansi nelle catacombe romane, e
fanue mot(o il eh. prof. Garrucci nella celebrata istoria ^^VÌArU Crùliana.
(2) L'opera del Lajard porta questo tìtolo: Hecherches tur le eulU pn6He,
et les mysteres de Mitra en orient et en oceident par Felix Lajard ; Paris ,
imprimé par autorisatiun de 1* empereur mdccclxvtt. Due voi. in foglio ,
Funo di testo e Taltro di tavole incise. Dopo questo autore è inutile citarne
altri che ne sanno- meno di lui su tal soggetto, come sarebbero, per esempio,
il Visconti, il Creuzer rifatto dal Guignaut (Religione de Vantiquité etc.) ,
l'Hammer (Mitriaci), ì dizionari grandi di mitologia etc.
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311
Nel suo centro vedi prostrato a terra un toro con la sola
parie dinanzi, mentre con la deretana tiensi alquanto solle-
vato e teso, come per fare uno sforzo a rialzarsi. Stagli gi-
noccbione sulla schiena il Dio in atto col braccio destro di
riporre o aver riposto il ferro in vagina , ^r fare altrui
conoscere ch'ebbe già ferito nel colio il sottoposto animale,
il cui capo è tenuto teso in allo per le nari dalla sua mano
sinisti'a. Cb« la ferita sia stata di già aperta mostraulo chiaro,
non solo il coltello riposto, ma pure il sangue sgorgante, ed
un cane che anzioso si drizzò suso a lambirlo. L'azione di
Mitra riescemi nuova^ mentre in altri monumenti vedesi esso
Iddio con il coltello, o ficcato ancora nella ferita, o tenuto
in alto a mostrare essersi da lui compiuto il sacrificio offerto,
come vogliono alcuni teologi moralisti, a Ormuza giudice su-
premo: sacrificio di redenzione^ che dona alle anime, cadute
nella via della generazione, vale a dire nella regione della
terra e delle tenebre, il privilegio di rimontare alla regione
del cielo e della luce, dov'ebbero origine.
Il nominato Dio porta il capo coperto del berretto frigio,
e la persona di una tunica (sadéré) stretta a vita, con sopra
un mantello (candys) a pieghe, in parte spinto in aria, e nel
r<8to raccolto sulla spalla sinistra ^ perchè fosse libero il
braccio opposto, che menar dovea con forza il colpo mortale.
Le sue gambe stanno chiuse nelle brache (anaxyris), strette
al collo de'piedi messi in calzari.
Al cane sopra notato aggiungonsi altri animali, cioè un
lungo serpe strisciante a pieghe sotto il ventre del toro; uno
scorpione sotto la coda dritta e piegata del medesimo; altra
indistinta bestia presso suoi genitali.
Sulla soglia e ai lati della grotta stanno due figure. al
par di Mitra in costume persiano ; ma col mantello teso e
gittate a tergo. Tengono due arnesi in mano, certamente due
fiaccole, che ne'guasti del monumento perdettero loro forma:
quella a destra vòlta in sa, la sinistra in giù.
Nella parte superiore della grotta vedrai scolpiti , per
segno di una sacra selva, alcuni alberi mezzo scoronati, sotto
al cui intreccio levansi suso altrettante are accese. Quando
il monumento man tene vasi integro , gli alberi erau senza
dubbio più alti e in numero di sei con altrettante are, mentre
ora di queste e di quelli appaion solo cinque.
Più sotto , presso i pie' dritti dell' arco della grotta ,
stanno scolpiti due semibusti, pur essi molto danneggiati;
l'uno dal lato destro col capo radiato, avente vicino a questo
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— 312 —
un volatile spennacchiato; T altro dal lato sinistro che non
riconoscesi punto; ma certo rappresentava una testa cornata,
ossia la luna per riscontro del sole.
Nella parte inferiore fanno rilievo alcuni vasi, rispondenti
pel numero, per la postura e per la grandezza alle sei are
sopranotate.
Il Dio Mitra nella sua posizione è alto cm. so, il toro
quasi 33, il cane ìA, lo scorpione 7, l*altro ignoto animale
forse 8, il serpe S3, le due figure con fiaccole 17, i due se-
mihusti 10 circa, il volatile i, le are, non comprese le
fiamme, 3, i vasi la stessa misura. In quanto agli alberi^ per
quel che resta di loro, può dirsi che raddoppiassero quasi
l'altezza delle are.
Mei tutto assieme cotesta rappresentanza è curiosa; ma
neirintrinseco, volendola per allegoria spiegare, contìeoe vari
significati o teologico-morale, o fisico, come vogliono i mito-
logi. Per me mi attengo al fisico , parendomi più proprio
alla rappresentanza scolpita; e per me credo che questa ci
dia in figura V azione del sole in sulla terra nelle quattro
stagioni dell'anno. Ed io tenendomi* stretto a questa da me
creduta principale e più naturale allegoria, darò la spiega-
zione di ciascuna parte speciale del monumento , lasciando
da parte le altre interpretaziooi che mi sembrano un po' con-
torte, e che ciascuno potrà leggere a posta sua nel Lajard
e in altri mitologi.
La grotta, eh' esser dovea vòlta al noi^d, simboleggia la
terra o il mondo, e la sua parte superiore il cieh), poi che
in essa splendono il sole e la luna, espressi neMue semibusti.
Mitra , vocabolo che significa , secondo alcuni , amante
o benefico , e certo l* immagine del sole , dichiarandocelo
aperto le iscrizioni a lui dedicate con gli epiteti di fortis-
simo infittissimo' E veramente il suo amore e il suo bene-
ficio sono per noi singolari immensi, mentre co'propri raggi
investe, penetra, feconda, anima e vivifica ogni cosa. Nonno
dice: ic I Persiani pensano che Mitra sia il sole; gli offrono
molti sacrficì', e celebrano certi misteri in su' onore. » Per-
sona non era ammessa a questi misteri, se prima non soste-
neva molti supplizi, se non dava pruova di «pietà e fortezza
di animo. Dicesi che ottanta erano i modi de'snpplizi inflìtti
agli aspiranti. Da principio, per esempio, bisognava ch'essi
per tanti giorni traversassero a noto grandi masse di acqua
per poi gittarsi nel fuoco. Dovevano inoltre vivere a lungo
in solitudine, praticare il digiuno, aspramente flagellare il
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— 313 —
corpo a verghe. Pochi reggevano a queste e altre molte cra^
deli pruove; anzi alcuni vi perdeyan la vita. I più forti che
uscivano vittoriosi, erano ne' misteri iniziati, e i più valenti
messi in officio e in dignità , secondo il grado meritato.
Questi gradi eran dodici, tre terrestri, ciob del Soldato^ di
Bromio o Toro-, e del Leone, tre aerei, cioè à^WAvs^oltojo^
àeìV Aquila e del Corace o Corvo-, tre ignei o solari, vale
a dire del Grifone^ dei Persio di Elio o Sole-, gli ultimi tre
divini , ossia del Padre Aquila , del Padre Sparviero , del
Padre dei Padri. Cotesti gradi avevano un'allegoria astrono-
mica, o d'influenza solare, fecondatrice e vitale sulla ^erra.
Crinvestiti di cotai gradi doveano aver la figura del soggetto
che rappresentavano, cioè mascherati o da corvi o da leoni etc.
Il toro è uno de'segni del zodiaco, e, quando il sole rin-
novasi in lui, si effettua il gran miracolo della universale
generazione, per cui in ogni canto della terra ogni cosa si
anima, s'invigorisce, s'infiora, si abbella e rallegrasi stupen-
damente. £ appunto, per esprimere la potenza del gran pia-
neta nella dolce stagione, immaginossi che '1 Dio Mitra fe^
risse col suo coltello, ossia co* suoi raggi, il toro, che per
. gli antichi era il geroglifico idrografico della vita, ossia il
simbolo del princìpio umido, mentr'essi un tempo facean tutto
dall'acqua generare; ma era anco il simbolo del potere pas-
sivo della generazione, o vogliam dire del sesso femminino.
Però figurava anco la luna , che tanta influenza aveva per
essi sulla generazione. « Che se dimandasi (così scrive Lajard
che qui traduco), perchè l'antichità avea scelto questi due
animali (cioè il leone e il toro) per essere il geroglifico, l'uno
del principio umido, l'altro del principio ìgneo, la risposta a
tal dimanda non può imbarazzare ninno che voglia attenta-
mente considerare la costituzione fisiologica e i costumi del
toro e del leone. Il primo, animale erbivoro e ruminante,
animale di forme grosse e massicce, abita ì luoghi bassi e umidi,
come i grandi cumuli di acqua e i fiumi occupano le parti
basse della terra. I suoi due stomachi e gli escrementi sono
essenzialmente umidi ; la sua orina è provverbialmente ab-
bondante; la sua femmina è la primaria delle nutrici presso
tutte le specie animali. Deditissimo, come la vacca alla co-
pula, ardente, impetuoso, feroce anco ne'suoi amori, sprov*
visto d'intelligenza (i), il toro quadrupede poligamo riassume,
(\)SiprovtUto tTiiUeUigenxaì Per me noi credo» ed in una mia raccolta
di poesie pubblicata per le nozxe firoli-CoUelH nel settembre 1879 (Perugia,
tip. Bertelli), scrissi contro questa opinione sostenuta nelle nostre scuole» e
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— SI4 —
per coftì dire» m ae stesso le idee che raottchita sì fonnara
sulla vUa e sulla generazione, sopra la parie dellacqua (i)
pei feuonieni delta generazione e della riproduzione, sopra
.aU*a6tacoio che oppongono allo sviluppo delle facoltà intel-
leltuali, come delle qualità morali, una costituzione umida
e una inclinazione abituale all'atto della copula.
» Al contrario il leone , animale carnivoro , di persona
alta , agile e pieghevole non meno che vigorosa , dotato di
una costituzione secca, ardente, aiui ignea, sdegnando Tacqua,
non volendosi pascere che di carne e sangue dei quadrapedi
mangiatori di erlie e biade; ma nemico così magnanimo che
coraggioso , e cessando il massacro al momento che abbia
sopita la fame; il lione , casto ne* suo* amori, fedele a una
sola compagna, riassume io se le idee deirantichita sulla na-
tura del fuoco, sopra la parte di questo agente nei fenomeni
della generazione e della riproduzione , sopra lo sviluppo
deiriotelligenza degli animali carnivori, sopra la superioiita
delle facoltà intellettuali e delle qualità morali dell* uomo
dotato di una costituzione secca ed ignea. »
11 serpe nella mitologia ha diversi signiBcati allegorici,
secondo la sua postura, forma e accompagnamento con altri
soggetti. Non è qui duopo esporli tutti, bastandoci quello
soltanto che riferiscesi al sole, poi che stassi con lui con-
giunto. Il suo muoversi lento e tortuoso sotto il corpo del
toroj come qui veggiamo, esprimer vuole il torto cammino
che fa il sole percorrendo 1' ecditica. Hacrobia ebbeci già
informati ne' Saturnali che il serpe figura il moto del sole;
e bene sta che cotesto rettile congiungasi al sole in una rap-
presentanza della primavera, meatr'esso in tale stagione ri-
che del tutto toglie alle bestie l*iiitelligeoia. Penso cbe Domine Dio abbiane
a eiascana specie di animali largita tanta qoanta basti loro per governarsi
nella maniera di vivere a ciascuia assegnata» ed è redicola cosa le asioai
loro, in gran numero conformi senza dubbio alle nostre» chiamarle istinto,
parola impropria , capricciosa e direi anche matta. Se dovessimo guardare
alle azioni delle bestie , e schiettaroeiKe confessare il vero , esse alle volle
mostran più intelletto e giudizio degli uomini» i quali, senz'avere chi possa
contraddirli, si giudicano da loro slessi i soli animali ragionevoli della terra,
mentre ammisero il principio inconcusso» che ntunojHiò eugr giudi€€ in cauia
proprt«« e cbe niuno può penetrare i misteri della natura. E le bestie non
sono per noi un mistero? Oh va a capire la logica umanall Ma per me non
cepisoo nulla di nulla; e più studio e meno Intendo.
(!) Alcuni filosofi antichi davano fra gli elementi il primato air acqua»
altri al fuoco, ma in aoslanza tvtti e oaattro gli antichi elementi» sono una
ineguale combiaazione di loro stessi; sì che tutti e quattro necessari per la
vita. Noi moderni, col molto progredire negli studi chimici» non teoiam più
per elementi né T acqua» né il fuoco» né là terra » né t* aria » che potemmo
00» Tanalisi decomporre; mst invece lóro sostituimmo on nomer» assai mag-
giore di sempliti» circa settanta» alcunr ée' quali» se mn tutti, saranno col
tempo dalla scitnaa» sempre progrediente» riconosdati certo per composti
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— 318 —
sente il beneficio de caldi raggi solari/ e mutando scoglio, e
levandosi dal lungo letargo, riappare vigoroso e ringiovanito
nella superficie della terra fra le erbe e i fiori, e fra le alle^
grezze e le dolcezze degli altri animali. U detto di Macrobio
viene comprovato dal sapersi che gli Egiziani adoravano ii
serpente Neph, di cui dicevasi, che, aprendo gli occhi, iliu«
minava tutto il mondo, e chiudendoli tornavan le tenebre.
E in fa Iti quando il serpe dopo Tin verno apre gli occhi, e
torna alla superficie della terra, è segno della primavera, sta-
gione in cui il sole spiega tutta la sua virtù fecondatrice,
e quando il serpe pel letargo invernale chiude gli occhi ,
il sole perde la sua forza, ed il mondo ha più lunghe te-
nebre che mai. Ma, siccome nella nostra scena è pur ritratto
il corvo, come dirò appresso, per questo potrebbe il serpe
al par di lui, ricordare la costellazione che gli attribuiscon
le favole neiranttco sistema astronomico.
La canicola h costellazione ben nota, che fasst in cielo
quando il sole più saetta co'^uoi raggi ed il caldo infierisce.
Le favole narranci che venne in lei trasformato il cane, al
quale fu da Giove data in custodia Europa, ovvero la cagna
di Erigone. Omero lo appella il cane dì Orione, splendidis«
simo astro , ma infesto a' mort ali pe' morbi che adduce. Il
bever che lui fa il sangue versato dal toro, il quale sangue
h simbolo deiranima o del fuoco celeste, che tutto feconda
in primavera (i), potrebbe, secondo me^ spiegarsi col dire
che la canicola abbrucia tutte cose, facendole perire.
(1) Epifanio nel suo libro {adéertus haeres., lib. I) fanne sapere che gli
egiii» al principio dell'equinozio di primavera, toglievano alquanta rabrìca,
che ^el suo colore ritrae dal sangue» e con essa tìngeano gli alberi e gli ar-
menti dicendo , che in questo giorno il fuoco incendiò il mondo. Il «angue
adunque, rappresentato dalla rubrica , era il simbolo del fuoco celeste cbe ,
al tornare del sole nell'equinotio, alla levata eliaca delP ariete, fecondam la
natura.' E questa tradizione passò pure presso i romani. Forse ridncesi a
questo significato 1* uso preistorico di colorire con la rubrica , o altro rosso
colore 9 la faccia o altra parte dei morti , o qualche arnese unito a loro * .
Per i morti, secondo gli antichi, era necessario il fuoco celeste per rianimarli
alla seconda vita. Per questo mettean loro le lucerne accese nelle sepolture»
e quivi scolpivan pure gli emblemi del sole o della luce , cioè il tripode ,
il corvo, il capro ammone, l'aquila, il leon«, il candelabro acceso, il grifo,
o le rappresentanze mitologiche di Apollo, Bacco e Diana, divinità solari e
Innari. Perciò è notabile, tra le akre aventi conforme soggetto, un'elegante
ometta cineraria di marmo , una volta esistita , e da me veduta in Amelia
auir estremità del muro sinistro della strada cbe conduce alla cattedrale . e
precisamente di fianco all' antico campanile della medesima ; ma era vedesi
nel palazzo municipale. Essa umetta ha nel mezzo la seguente epigrafe:
DIS. MANIBVS
SESSIAE LABIONILLAE
D O
Suf^riormeote a questa mirasi scolpito na encarpo » e sopra V encar^ «o
' Pifoiiw ■•! BvìUit, di FaÌ0ln9Ì, JU^i,, ano. VI, ptfg. SS e Mgf.
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— 3i6 —
Lo scorpione^ qui presente^ figura, proprio quello cbe^
secondo la mitologia, fece uscir la terra dal suo seno per
combattere il baldanzoso Orione, il quale erasi con Latona
e Diana vantato di sterminare tutto eli* essa terra avrebbe
prodotto. Nel fiero duello lo scorpione diede a vedere una
destrezza e forza mirabile da far restare attoniti anco gli
Dei (i). Anzi Giove, per onorarlo e rimeritarlo della vittoria,
il vuoile assumere in cielo, e col proprio nome dargli luogo
fra le altre costellazioni. Per questo venn^esso posto in se-
guito fra*segni del zodiaco a indicar l'autunno; ma con pes*
simo influsso, stante i mali che apporta cotesta piovosa sta*
gioue. Siflfatta costellazione si compone di circa 500 stelle di
varie grandezze, e la maggiore di tutte dicesi Antares ^ o
cuore dello scorpione. Il maggior numero che conoscessero
gli antichi di queste stelle era di circa trenta. Macrobio ,
neir opera citata , afferma che Io scorpione per gli antichi
rappresentava la virtù del sole. Qualunque si prenda dei due
simboli dichiarati, è sempre conveniente alla nostra generale
rappresentanza; ma per me preferisco il simbolo della costel-
lazione autunnale , perchè nel nostro monumento truovo
eziandio significate le altre tre stagioni.
candelabro acceso t<muto da due grifi. Ai loro Iati due teste di capro ammone
con guide di foglie e bacche di quercia pendenti sotto i loro monchi colli.
A pie* della iscrizione rappresentasi una processione bacchica per metà, cioè
il solo Sileno accompagnalo da satiri , putti , un sonator di corno etc. Nel
destro lato e di fianco alla stessa urna è rilevalo un tripode coperchiato , e
sul coperchio posto un uccello che sarà di certo o il corvo o il pico. Queste
scolture sono inquadrate da linee e colonne spirali nella parte dinanzi, e da
linee e pilastri scanalati nella parte laterale.
(1) Il lettore, ignaro della storia naturale, non creda qui trattarsi di uno
scorpione piccolo al par de' nostri, no: ina invece trattasi, a parer mio, di
uno gigantesco, quali c'insegna la scienza geologica essere stati i primi ani-
mali apparsi al mondo ^d esistiti per lungo tempo. Neirorlente sono anc'oggi
scorpioni per tre o quattro volte maggiori dei nostri; ma quelli de*tempì di
Orione saranno stati anco più grandi, se questa favola potesse avere qualche
fondamento sulla verità, come si crede averlo tutte le altre. E poi che nomi-
nammo più sopra anco le formiche, Erodoto nella sua storia ricordane una
rasza di straordinaria grandezza, esistente, a tempo suo, in oriente nelle mi-
niere d'oro, ch'esse medesime cavan fuori purissimo, quando voglion procac-
ciarsi ivi una novella abitazione. Ma neppur oggi mancano giganteschi ani-
mali. Nel FarmacUiOL Italiano ho letto nel corrente anno a pag. %ì : «e In
questo momento l'oggetto zoologico di Londra è un ragno colossale, il quale
e proveniente dal Brasile. Questa schifosissima bestia si nutrisce di sorci e
di uccelli, di cui succhia il sangue; poi, allorquando è sazio, lo si vede giuo-
care con la pelle vuota delle sue vittime, precisamente come farebbe un
gatto con un sorcio. Il corpo di cotesto ragno è interamente coperto di lunghi
peli del medesimo colore della sabbia, in cui è solito vivere, e le mandìbole
sono armate di una scaglia cornea dura e tagliente, la quale paossi parago-
nare all'acciajo. Questo curiosissimo ragno colle proprie zampe distese è ab*
bastanza grosso per coprire un piatto. » Nel gabinetto zoologico di Londra
Tidi anni sono fra pìccole nottole» nottoloni grossi come i gatti.
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— 347
V animale informe, scolpito presso i geDitali del toro ,.
può essere o la formica o la lumaca spogliata» mentre in altri
consimili monumenti sono essi a vicenda figurati nello stesso
posto; e credo a significare T inverno, perch'essi animali in
detta stagione stanno riposti, in quanto alla formica sotterra,
in quanto alla lumaca ne'féssi o buchi de'muri, delli scogli etc.
E siccome pel loro letargo e nascondiglio invernale compa-
riscon quasi privi di vita e per ciò di fecondazione , così
furon posti presso i genitali taurini, come per richiedere la
forza e la virtù della primavera a liberarsi dai gelidi legami
invernali. In quanto poi alla formica^ la quale dalla mito-
logia fu posta in relazione con Cerere, Dea delle biade, può
anco dirsi che venga considerata quale simbolo deirinverno,
perchè, a campare in questa ingrata e sterile stagione, rac-
coglie e ripone premurosamente nelfcstate quanti cereali le
avvenga mai trovare in sulla terra.
Ai due Geni assessori posti a'Iati interni della grotta,
cou fiaccole in mano, dannosi pe' mitologi varie spiegazioni.
A tal proposito riferiremo quanto ne dice il Lajard nella
sez. 3% cap. VI, pag. 683.
V Proseguendo Tordine delle idee esposte, noi riconosciamo
nel gruppo, formato da Mitra e i suoi due assessori, una
triade particolare, o almeno una novella allusione al triplo
carattere, di cui era questo Dio rivestito, secondo Tesempio
della Venere orientale , rappresentata sopra i monumenti
asiatici, ora fra due assessori maschi o femmine, ora fra i
cipressi del sole e i cipressi della luna, e qualificati nei testi
regina del cielo, regina della terra ^ e regina degl'inferi*
Dei due assessori di Mitra, l'uno, per la sua fiaccola levata
in alto, rappresenta l'equinozio di primavera, tempo in cui
il sole s'innalza al di sopra del nostro emisfero; l'altro, per
la sua fiaccola rovesciata , e pel grappolo d* uva che tiene
nella sinistra , ci ricorda e il moto contrario del sole nel
tempo dell' equinozio di autunno , e 1' uno dei frutti della
teiTa propri di questa stagione. Posto il primo alla destra
di Mitra , il secondo alla sua sinistra , questi due Geni ci
rammentano nel medesimo tempo il dogma della teologia per-
siana che assegna a Mitra un posto particolare verso i punti
equinoziali dello zodiaco, mettendo alla sua destra le regioni
boreali o fredde, alla sua sinistra le regioni australi o caide^
Egli è moltissimo probabile che i nostri due assessori lam^
padofori rappresentassero pure l'idea del giorno e della notte,
Tidea jdel lume, l'idea delle tenebre, o la vitato la morte.
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— SI8 —
. Essi poterano così servire a mostrare ai segnaci di Mitra ,
che questo Dio h il dispeosatore della luce e del calore ,
il regolatore delle stagioai« il padrone della vita e il legame
necessario per larmonia dei mondo. •
Queste spiegazioni date col Lajard dai mitologi, e gene-
ralmente accettate» sariano plausibili, se i due Geni assessori
fossero per egual modo rappresentati in tutti ì monumenti-
Ma noi notammo , e ciascuno puote per sh medesimo notare ,
ch'essi varian sovente di luogo e di azione, mentre ora son
posti sopra la soglia della grotta , ora fuori e da parte di
lei; ora hanno sul capo una stella per ciascuno, ora nulla;
ora tengono ambedue le fiaccole rovesciate , ora ambedue
dritte; ora a vicenda Tuna levata in su, e l'altra piegata in
giù. Dietro siffatte mie osservazioni , non puossi affermare
col Lajard e seguaci, che Tuna figura sia il simbolo delire-
quinozio di primavera, o il simbolo della luce, o il simbolo
della vita; e l'altra o il simbolo dell'equinozio autunnale,
o il simbolo delie tenebre, o quello della morte: le fiaccole
tenute da ambedue o dritte o rovesciate smentiscono le ac-
cennate allegorie. Non convengo . nemmeno sulla supposta
triade mitriaca, mentre gli assessori, alle apparenze, (fiinno a
vedere di essere in un grado assai inferiore a Mitra, e di noA
avere l' istessa essenza e potenza : appaion piuttosto come
suoi ministri. Che se noi consideriamo che i due Geni asses*
sori (cosi nomati dal Lajard) stanno L'uno dalla parte rispoii*
dente in dritta linea al capo radiato (figura del, sole), e l'altro
dalla parte a cui risponde il capo cornuto, ossia la luna;
e se ricordiamo che sulla testa di questi, cosi detti Geni,
fu talvolta scolpita una stella, e se osserviamo le loro figure
essere in tutto simiglianti, compreso anco il vestiario, po-
tremmo, giusta mio avviso, argomentare ch'eglino simboleg-
gino queir astro che tremolante e chiarissimo brilla tanto
suir imbrunire , quanto sul fare del giorno ; e che , stante
il suo doppio officio, porta due nomi distinti, cioè di espero
nella sera^ e di lucifero nella mattina. In conseguenza l'ar-
tista che dovea esprimere in figura quest'aurora co'detti nomi
distinti, dove' immaginare due persone, ma identiche per dare
a intendere che rappresentavano una sola cosa , ma con
doppio officio; cioè Tuno per indicare il giorno, Taltro la notte,
per cui ben convenivano in loro mani le fiaccole col giuoco
dell'alto e basso. Quindi chiameremo lucifero la figura posta
sotto la protome solare, ed espero qaeUa sotto la proèuwe
lunare. Spiegheremo poi rabbassamenlo o inahamento della
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— aio —
fiaccola della prima figura pel solvere o tramontare del sole,
e quello della seconda pel sopraggiungere o cessare della
notte. Che se, tutte a due le fiaccole fossero levate in su^
o capovolte, nel primo caso potremo dire die il giorno sia
al colmo, e nel secondo la notte. In quanto poi al grappolo di
uva, che tiene una delle due figure è da credersi che questa
volta il Mitra persiano esprima Tiudiano Bacco per far cono*
scere la stretta relazione che tiene quel frutto col sole, e
come da questo esso tolga tutta la sua potenza, la sua dol-
cezza e buon gusto; per ciò egli è un prodotto miracoloso
di quel grand'astro: il che bene espresse Dante nel XXV^ dei
Purgatorio cantando:
E perchè meno ammiri la parola,
ùuarda il calor del Sol che si fa vino
Giunio all'umor chs dalla vite cola.
Questa mia nuova spiegazione sopra le due (non dirò più
Geni col Lajard) figure laterali parrà a chiunque, come spero,
più ragionevole e conforme alle artistiche variate compo-
sizioni.
I sei vasi scolpiti a pie' della grotta hanno pur essi il
loro allegorico significato; Non rinvengonsi in tutti i monu-
menti mitriaci, e, se vi sono, non giungono a questo nu-
mero, né collocati al medesimo, posto, il quale in alcun mo-
numento viene in vece occupato da tante are accese, quante
se ne veggono superiormente. Da Eubolo apprendiamo l'uso
persiano di celebrare i solenni misteri mitriaci dentro le grotti
naturali o artificiali, provviste di una sorgente di acqua (i),
perche questa reputavasi, come già dicemmo, a simbolo del
principio umido necessario per la vita. E siccome V acqua
attingesi coi vasi, o in questi mantiensi, quindi il continente
passò presso gli antichi a simboleggiare nella liturgia il con*
tenuto. Ma per la vita essendo pur necessario il principio
igneo , però nel nostro monumento ad ogni vaso di acqua
fu posta superiormente in riscontro un'ara accesa, e sopra
(i) Anco nel sistema cosmogonico di Zoroastro l' aequa tiene una gran
parte, egualmente nella liturgia della sua religione» giacché Taccma è causa
non solo di fecondità, ma eilandio di puresxa e salute. Alcuni YOf;liono, come
già dissi, che dall'acqua sia prorenuto il mondo, in conseguenza anco i primi
animali, che sul principio risserò in lei e per lei. Ma per alcuni filosoG al
contrario il fuoco era il principale elemento necessario per la vita , giudi-
cando l'acqua, ossia il principio umido, come cagione della morte dell'anima;
mentre le costituxioni umide sono molli , e per conseguenza effemminale e
deboli. Le anime secche reputavanst da loro per le pid saggio. Bel priTÌlegio,
in fede mia , pottor conoscere distintamente le anime umide e le anime
iecehell La Filosofla Gualche Volta dorrebbe tirare per gli orecchi i suoi
allievi, che fanno farle tristissima figura al mondo.
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— 35M) —
le are gli alberi, quasi a significare che per. la generazione
e vegetazione h mestieri terra , aria j acqua e fuoco. Nelle
tav. LXXXI-LXXXIV dell'atlante del Lajard- troverai presso
Mitra uD solo vaso esprimente lacqua. Che gli antichi unis-
sero assieme iu varie occasioni gli emblemi dei due primari
principi vitali, acqua e fuoco, ne abbiamo pur testimonio
nel planisferio celeste, tolto di certo a* Caldei, ove miransi
due costellazioni, Tuna contro Faltra, dette cratene e lionc}
il cratere, forma di antico vaso, è simbolo ivi pure delfacqua,
principio umido, e il leone del fuoco, principio igneo. Mentre
Tuna costellazione sorge, Taltra tramonta, per cui bene canto
il poeta Manilio:
Ultima pars magni quum toUitur orbe Uonis,
Crater auratii surgii coelatus ab astris.
L uccello, che mirasi presso la testa radiata, abbiasi di
sicuro pel corvo. Di costui raccontasi questa fola. Venne
ad Apollo la voglia di fare un giorno onore a Giove con
una festa solenne; e pel sacrificio da fare abbisognando Tacqua,
ordinò al corvo, suo ministro, andarla attingere ad un fonte
alquanto lontano dal luogo sacro. L'uccello, pronto al co-
mando, tolse un vaso, e via per l'aria al fonte. Ma per l'aere
procedendo, die' a lui sugli occhi un maraviglioso gigantesco
fico carco di frutti. Immaginate, se, ghiotto com'era, gli fe-
cero gola ; per cui fermossi in suU' albero col proposito di
farsene una buona satolla. Ma nel saggiarli, trovoUi inuna-
turi e rimase disgustato. Al contrario, non volendo perdere
sì favorevole occasione^ disse fra se: « Gridi Apollo; ma non
partirò di qua finché i frutti non sieno giunti a maturità ;
e cosi deposto il pensiero dell'acqua, si occupò solo dei fichi ^
i quali giunti al punto ^ avidamente se li mangiò e molti.
Sazio in modo da crepare, andò per l'acqua, e con essa tor-
nossene al suo Dio che stava con tanto di muso. Ma il furbo
corvo, per iscusarsi del ritardo, avea seco portato un grosso
serpe che depose a'suoi piedi dicendo: « Questo malvagio per
alcuni giorni m'impedì accostarmi alia fontana, perchè venni
con lui a fiera battaglia, e vintolo con difiicoltk, mi accostai
quindi alla fontana: ecco la cagione del mio ritardo. » Messer
Apollo malignamente sorrise a questa frottola, e per pena,
gli rispose, avrebbe ogn'anno sofferto sete per tutto il tempo
che gli alberi deifichi avessero dato frutto. Ma poi, non so
come, gli prese il matto ghiribizzo di cangiare, a memoria
del curioso successo, in costellazioni^ Tuna vicina all'altra,
il serpe^ il corvo e la tazza. Ma lasciando da parte le favole.
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— SSi —
dimandasi, perchè il corvo diede nome ad una lucente eostel-
lazìone, mentre le sue negre piume dovrebbero esser sìmbolo,
come lo era per alcuni popoli, delie tenebre piuttosto che
della luce ? Rispondasi che U corvo avea presso gli antichi
ragione di brillare fra gli astri, o perchè egli dalle sue negre
piume, quando le investe il sole^ manda lampi vivissimi di
luce, 0 perchè con la sua voce, al dir loro, chiamava la luce,
ovveroi perchè avea tanto lume intellettuale da saper pre-
dire come il magno Apollo, le cose future. Non manca poi
chi donagli eziandio il simbolo del freddo , ossia della sta-
gione invernale a riscontro della colomba simboleggiante la
luce e il calorico. Al nostro proposito giova tradurre e rife-
rire in volgare alcune delle tante cose che scrive il Lajard
sopra il detto volatile : « La liturgia de' persiani è qui in
accordo con la teoria psicologica che dovè stare a capo della
instituzione del grado del corvo. Presso cotesto popolo Tuc-
celio simbolico dalle nere piume figura in una festa stabi-
lita per celebrare il fine della stagione dei giorni brevi e
freddi, cioè Tinvemo, e il ritorno della stagione dei giorni
lunghi e caldi^ cioè la primavera. La festa cadeva nel mese
Ader consecrato dXVized o al Genio del fuoco, e corrispon-
dente, giusta Tantico calendario de'persiani, al mese di marzo,
vale a dire all'equinozio invernale. Il personaggio, che in
questa solennità religiosa era incaricato di rappresentare il
sole novello^ e per conseguente il calore e la luce, compa-
riva nudo e senza barba, giovane come il sole che non invecchia
mai, e eh 'è sempre vittorioso. Egli tenea sulle mani un corvo,
Tuccello precursore del calore e della luce, l'uccello che diede
tutto assieme il suo nome alla costellazione , il cui levare
eliaco , nella sfera celeste , annunzia il solstizio di estate ,
e lo diede al grado dei misteri che marca i limiti della re-
gione terrestre e tenebrosa e della regione solare o luminosa, j»
E cosi, o bene o male, sodisfacemmo al nostro impegno
di descrivere e illustrare il monumento mitriaco ternano.
Forse qualcuno mi farà rimprovero di esser talvolta ricorso
alla mitologia greco-romana nel dare spiegazione di un culto
che ha origine persiana. Ma io fo riflettere a miei critici ,
se vi fossero, che in Grecia e Roma, come già notai, il culto
mitriaco persiano venne imbastardito dal culto eliaco indi-
geno^ cioè di Bacco e Apollo, perchè le rappresentanze mi-
triache vennero dagli artisti adattate piuttosto a questo che
non al persiano. Infatti chi paragoni le scolture e pitture
romane, ove figurasi il sacrificio del Dìo Mitra, colle per-
43
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— 322 —
sìane^ vedrà che queste poco o nulla rassomiglìansi a quelle*
Ma il Lajard non ebbe la mìa avvertenza^ spiegando sempre
i monumenti romani col corredo delle dottrine persiane.
G. Eboli
LIV.
DESCRIZIONE
DI TUTTE LE COLONNE ED OBELISCHI
CHE TROYANSI NELLE PIAZZE DI ROMA
DISPOSTA IN FORMA DI GUIDA
DA ANGELO PELLEGRINI
HIMBIO VBtL'lHSTITUTO DI CORIISPOHDINSA ARCBBOLOAICA
Coniinuaxione (i)
OBELISCO DELLA PIAZZA DEL PANTHEON
Parlando dell'altro piccolo obelisco sulla piazza della Mi-
nerva, fu detto^ cfae quello come questo fu un tempo orna-
mento innanzi ai due tempj di stile egiziano sacri ad Iside
e Serapide, stando il primo nell'isola che contiene in qualche
parte il già convento , e chiesa dì s. Maria sopra Minerva
presso la tribuna , e la casa Tranquilli con le altre lungo
la via di s. Ignazio dietro la medesima, ed il secondo dove
ora h la chiesa di s. Stefano del Cacco. Noti sono i ritro-
vamenti fatti in queste località consistenti in diversi oggetti
e colonne, capitelli e statue di stile egiziano^ parte propria-
mente dei re d' Egitto e parte d* imitazione , fra i quali h
l'obelisco di cui parliamo.
Dovendo servire questi due obelischi come ornamenti di-
mostrativi del culto egizio , al quale erano destinati tali
tempj , i Romani non si diedero gran briga , che ambedue
fossero simili , e mentre dall' Egitto ne trasportarono uno
dell'epoca d'Apries che abbiamo descritto, ne tolsero un altro
appositamente di Ramses 111 o Sesostri^ come quello ora esi-
stente sulla piazza del Popolo in proporzione assai piccola^
ma cogli stessi geroglifici.
I cartelli poi portano l' istesso prenome , e nome di
Ramses III , o Sesostri , come quello eretto da Augusto nei
(1) Vedi Quaderno precedente, pag. 290.
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— 323 —
Circo Massimo, ora ai Popolo, che h realmente dì quel re,
mentre però non hanno alcuna somiglianza d'intaglio.
Il culto isiaco in Roma fu abolito da Tiberio negli ultimi
tempi del suo regno, allorché Paolina nobile, e pudica ma-
trona fu in quel tempio goduta da Mondo, ingannata dai sa-
cerdoti d'Iside^ che le diedero a credere volerla godere Anubi
loro dio. Per questo misfatto Tiberio fé' crocifiggere i sacer-
doti insieme con Ide liberta del padre di Decio Mondo ca-
valiere romano anzidetto, che avea avuto la parte principale
in quella frode : e distrusse il tempio , e fece gittare nel
fiume il simulacro della dea (l).
Questo obelisco essendo stato tagliato dai Romani pel
tempio d'Iside, è chiaro essere posteriore a quell'epoca, cioè
all'anno 37 dell'era volgare^ poiché Tacito non fa menzione
del fatto di Mondo, ma bensì Giuseppe Flavio soltanto.
Svetonio narra nella vita dell'imperatore Ottone (2) che
esso celebrò i riti isiaci secondo il costume stabilito. Lo stesso
biografo in Domit. e. 1^ parlando della fazione fra il par-
tito di Vitellio, e quello di Vespasiano^ dice che Domiziano
si salvò al Campidoglio vestito da sacerdote.
Narra finalmente il citato Giuseppe Flavio nella Guerra
Giudaica^ che Vespasiano e Tito nella notte che precedette
il loro ingresso trionfale in Roma , dimorarono nel tempio
d'Iside cioè nelle case dei sacerdoti che gli erano annesse (3).
Da ciò .chiaramente apparisce che la riedificazione del
tempio, e il ristabilimento del culto avvenisse prima di 'Ot-
tone^ cioè dell'anno 69 dell'era volgare.
Tornando all'obelisco non si conosce l'anno preciso in cui
venne scoperto, e Poggio Fiorentino (4) lo nomina come fram-
mento in regione pinea verso la meta del secolo XV.
Neir epoca che fu trovato , si collocò nell' area che dava
ingresso alla porteria delle carrette nel convento de'pp. Do-
menicani presso la chiesa di s. Maria sopra Minerva. Tale area
anche adesso rimane verso la piazza di s. Ignazio cui si ha
ingresso dalla piazzetta di s. Macuto, già anni indietro giar-
dino dei domenicani , ed ora spettante al provvisorio locale
del Ministero delle Finanze.
(i) Tal fatto è raccontato da Giuseppe Flavio, AnUehiià Giudaiche,
lib. XVIII, cap. mi.
(2) Cap. XII.
(3) Guerra Giudaica, lib. VII, cap. XVI, in cui intende sempre il tempio
di coi parliamo.
(4) De TaHetaie Fortunae, lib. I, pag. 20.
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— 3t4 —
Per questa ragione il Fulvio (i) parlando degli obelischi
lo indica: alter in platea s. Machuti haud longe a Pantheo.
Kella pianta del Bufalini edita Tanno issi» vedesi nel mezzo
della piazza suddetta, e da molti fu chiamato obelisco ma-
cntèoy perchè innanzi la chiesa di quel santo.
Il Mercati sul finire del secolo XVI insinuò a Sisto V
d'innalzarlo dinanzi la chiesa della Rotonda, ovvero avanti
quella della Minerva (s), ma questo non fu eseguito se non
da Clemente XI V anno i7ii. Questo papa mutò faccia alla
fontana eretta da Gregorio XIII nel mezzo della piazza della
Rotonda incontro il famoso Pantheon d*Agrippa, e tal primi-
tiva fontana da alcuni ritenevasi disegno di Onorio Looghi,
e da altri di Giacomo della Porta. Papa Clemente si servi
delFarchitetto Filippo Barigioni che formò primieramente una
gradinata di travertino composta di sei scaglioni^ e circon-
data da basse colonne di ferro. Sopra questa formò una vasca
molto ampia di marmo bigio, ad otto faccie, ma cogli angoli
acuti. Ai quattro punti cardinali di essa, pose altrettanti biz-
zarri gruppi consistenti in una maschera con ai lati due del-
fini, e dietro un drago alato, dai quali escono più bocche
d'acqua. Nel centro della vasca ideò una scogliera, opera di
Francesco Pinceilotti, la quale serve di sostegno ad un imba-
samento piramidale di marmo con cornici centinate; agli angoli
di questo mise quattro grossi delfini, lavoro di Vincenzo Fe-
lici, romano, i quali tengono il capo volto in basso e dalia
bocca versano copiosa acqua. In tal basamento nelle due faccie
a mezzogiorno, e tramontana collocò gli stemmi di Clemente XI,
Albani, e nelle altre due la ripetuta iscrizione ove a belli
caratteri leggesi:
GLEMENS XI
PONT- VAX
FONTIS ET FORI
ORNAMENTO
ANNO SAL
HDCGXl
PONTIF. XI
Finalmente trasportò, ed eresse sopra il nominato imba-
samento piramidale il piccolo obelisco di cui trattiamo, che
da molto tempo giaceva negletto, e sostenuto da un monte
di mal commesse pietre, come si è detto, accanto la chiesa
(i) ilfilt^. Urb.^ptg.
(2) Obelischi di Roma
LXXI.
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— TU —
dì 8. Maculo. Compì rornamento di questa splendida fontana
col terminare Tobelisco in cima con una stella di metallo,
parte dello stemma di Clementei su cui h posta la croce pure
di bronzo, e nella cuspide sono i fogliami della stessa materia.
La descritta fontana Tanno I804^ sotto il pontificato di
Pio VII fu fatta ristaurare , come fa fede la modesta iscri-
zione sotto Tarme di Clemente XI di prospetto al Pantheon:
RESTAVRATA
ANNO DOMINI MDCCCIV
Su ciò che abbiamo descritto vedasi il Cassio^ Corso dell' jicque^
parte I, tomo I, Roma 1756, pag. 303, e riguardo ai geroglifici
ne daremo la solita spiegazione dell' Ungarelli, rimettendomi
alle correzioni per il progresso degli egiziologi.
Piramide
Sole custode della inerita scelto dal sole.
Di Ammone amico Ramses.
FACCIA MBRlDiONALE
Haroéris forte ^ della sferità amico •
Fondamento nella regia instituzione tutti i^eggono (il re).
Signore dell'uno e taltro Egitto sole custode della ine-
rita scelto dal sole.
FACCIA ORIENTALE
Haroéris forte, figlio di Athmù
Moltissimi edifizj {e) Vedificio nella città di EUopoli.
Signore dei diademi amico di Ammone Ramses.
FACCIA OCCIDENTALE
Haroéris foHe diletto del sole
Principe delle solenni cowenzioni , come il sole , nel
trono di Athmù
Signore dei diademi amico di Ammone Ramses, il quale
il sole della duplice regione ama.
FACCIA A TRAMONTANA
Haroéris forte^ della inerita amico
JPiglio primogenito Phrè devoto ad esso.
Eccelso signore delt uno e F altro Egitto sole custode
della verità scelto dal sole.
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— 396 —
Da qui prendendo per la vicina via del Corso vi con-
durrete al monte Pincio.
OBELISCO DEL PINCIO
Di tutti gli obelischi di Roma^ quello del passeggio pub-
blico sul monte Pincio fu rultìmo ad essere innalzato^ poiché
i cartelli incavati in esso, ripetono i nomi di Adriano Cesare,
e di Sabina Augusta, sua moglie ITPAN2 KCP, cioè IATPIAN02
KAI2AP , e 2ABINA 2B2TH , cioè 2EBA2TH. Due volte vi
si legge il nome del giovine favorito di Adriano Antinoo
ANTNE ed ANTIN02, cioè ANTIN002. Ad Adriano prece-
dono i titoli di figlio del sole, e signore dei dominanti, dal
Rosellini.
Da ciò si rende chiaro che fu fatto tagliare da Adriano
forse per qualcuno degli edifizj della sua villa tiburtina; e
di la da Elagabalo fu trasportato ne' suoi giardini Variani
per ornamento della spina del circo. Di questo circo nella
valle sottoposta all'anfiteatro Castrense, fuori le mura, fra
le porte s. Giovanni e Maggiore , si conosce tuttora dalla
disposizione del terreno il luogo e la sua forma.
Dopo caduto questo obelisco rimase sempre sopratterra,
ma rotto, ed il Fulvio (i) così lo vide nel principio del se-
colo XVI, e lo designa in due pezzi fuori di porta Maggiore
dietro la chiesa di s. Croce in Gerusalemme, entro le vigne.
Restò negletto fino all'anno i570, allorché Curzio e Marcello
Saccoccia , proprietarii della vigna , misero in miglior vista
i due pezzi, e posero una lapide in uno degli archi dell'ac-
quedotto dell'acqua Felice ove si legge:
OBELISCl FRAGMENTA DIV PROSTRATA
CVRTIYS SACCOGCIVS ET MARGELLVS FRATRES
AD PERPETVAM HVIVS GIRCI SOLIS MEMORIAM
ERIGI CVRARVNT
ANNO SALVTIS M.D.LIX
Ivi restò fino ai tempi di Urbano Vili allorché si fece
trasportare in Roma dai Barberini^ ponendolo coleo nel cor-
tile del loro palazzo , come leggesi in Pompilio Totti (2) ,
coU'idea però d'innalzarlo innanzi al ponte annesso allo stesso
palazzo. Fino al pontificato di papa Clemente XIV ivi giacque
negletto fino a che D. Cornelia Barberini lo donò a quel papa
(1) ÀtUiq. Urb., pag. LXVII e LXXI.
(2) Ritratto di Roma Moderna, 1638, pag. 273.
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— 327
Tanno 1773 , e questi lo fece trasportare nel giardino della
Pigna al Vaticano.
Pio VI suo successore pensò d' innalzarlo nel cortile di
Bramante sopra la fontana nel palazzo pontificio nello stesso
Vaticano, e porlo sopra il piedestallo della colonna di Anto-
nino Pio. Sopraggiunte altre circostanze pei cambiamenti po-
litici, restò abbandonato nel cortile del vestibolo del giar-
dino, fino all'anno I822. Allora Pio VII servendosi delFarchi-
tetto Marini lo fece ristaurare^ e trasportare sul ripiano del
Pincìo , erigendolo come si vede , e ponendovi le iscrizioni
ebe riportiamo qui appresso.
Nella faccia del piedestallo rivolta ad oriente h V arme
in marmo di Pio VII, e neiraltra rivolta ad occidente, leggesi:
PIVS • V!! • PONT . MAX
OBELISGVM • AVRELIANVM
QVI . VNVS • SVPERERAT
TEMPORVM • INIVRIA • DIFFRAGTVM
DIVQVE • OBLITVM
IN • PRISTINAH . FAGIEM • RESTITVI
ATQVE . HOC . IN . LOCO . ERIGI . IVSSIT
VT . AMOENA • PINCU • SPATIA
GIVIBVS • AD . APRIGANDUM • APERTA
EXIMII • GENERIS . MONVMENTO
DEGORARET
A settentrione:
XI RAL.
SEPTEMB.
ANNO . MOGCG
XXII
Più sotto:
lOS. MARINI ARGHIT
A mezzodì nella quarta faccia, leggesi:
SAGRI
PRINGIPATVS
ElVS
ANNO • XXIII
Senza il piedestallo^ gli ornamenti di metallo nella som-
mità ed altri accessori^ il suo fusto h aito metri 9 ^.
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— 3S8 —
Veniamo ora alla spiegazione dei geroglifici secondo l'in-
terpretazione del P. Ungarelli nella sua opera fino dal prin-
cipio citata j non riportando ì commenti , se non i piii ne-
cessarii.
FÀCCIA SBTTBNTBiONAlE
Capitolo:
ji simiglicmza dei Faraoni offre i donatismi stando innanzi
al dio Phr^ che è seduto e poi principia Viscrizione ecc.
Detto di Phrè {signore) dell'uno e l'altro emisfero: ti
dono la purità in perpetuo.
Dice figlio del sole signore dei dominanti Adriano Ce-
sare sempre vivente.
Io tuo figlio amando te^ il mio cuore (è) a te.
Colonna a destra
{Questo) sepolcro Faraone fece alV ossiriano Antinoo
veridico^ cuore di esso {è) nel gaudio dell'una e V altra eterea
regione: ampliò {lui) il limite acciò si manifestasse la sua
altezza al corpo del defonto : nella vita camminò secondo
la giustizia nel comando del sole.
Oro ornamento del cielo illuminando gli dei contempla
il germe degli dei , (e) degli uomini , che ottennero la
gloria celeste.
Contempli l'adorante j l' assorgente ^ nato secondo l'im-
magine acciò si facesse figlio tuo diletto.
Re sotto il cielo porta divina
. . . nella somiglianza delle regioni abitate nel mezzo
dei magnati^ e per gli stessi {ancora) popoli tutti: diletto
del Nilo {i) e di tutti gli altri del signore dei dominanti
vita ferma permanente continuamente.
Colonna sinistra
Principe venerando j buono essendo nel dominio della
purità {e) moderatore di tutti i mondi fra le regioni sog-
gettCy vide la Libia che gli si prostrava^ che è sotto i suoi
piedi come un popolo di schiavi; sole deltuno e Valtro mondo^
Thorè
che appartengono a questo mondoj oltre
i quattro bovi (2) insieme colle loro vacche
(i) 11 fiame.
(2) Cbiamavansi Mnevìn^ Ap^, Pacin^ Neton, che erano bovi sacri.
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329 — •
coir abbondanza del cuore ampliò gli olocausti di essi a luiy
e rallegrò V animo di esso.
Insieme colla moglie regina grande che lo ama {ed è)
moderatrice delV universo Egitto Sabina , sfita permanente ,
Augusta sempre vìvente
FACCIA ORIENTALE
Capitolo:
Questo lato con i seguenti al solo Antinoo spettano ,
che stando in piedi porge il vaso al dio Tliot seduto a
mensa y ecc.
Colonna destra
Osirianq Antinoo veridico a Thorè nel corpo manifestato
figlio della bellezza.
Mentre si faceva lutto diurno; stabile edificio ....
mansueto
pacificamente nelV animo prese il decreto degli dei.
Leone dotato per la fortezza^ germe^ signore della ba*
ride (i) portante quelle cose che appartengono ai peregrini
dei (ra) di Osiriano, e tutte le costruzioni di esso nel cir-
cuito E t adesione dello stesso . . .
le are d'acro e i di lui tempj parimenti
in essi venne rallegrato nello spirito della vita. Spirito Thori
producente l'amore nei cuori di tutti gli abitanti che sono
di Ermopoli
Dio dei parlari chiusi collo scritto e di Phrè {fanno
fiorire) lo spirito di lui come
Colonna sinistra
Per la cura del cadavere. Il suo tempo per la notte (2)
nelV adorazione presa, ed in tutti i giorni nel diletto di lui
{che è) nel cuore de*servi del medesimo
(1) La barca altra volta ricordata.
(2) Le notti sacre instìtuite per dritto ad Antinoo.
44
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— 330
Le lodi di bU presso i puri spiriti tutti (i quali) pregòz
Sta la di lui sede nelVuna^ e V altra aula sacra (i) dei tempj.
Antinoo {col nome di lui sono) consacrati i simulacri
degli adoratori in Egitto: vincitore Osiris nella regione del
sepolcro scassato (presso) gVinferi per foblazione del s^ri--
dico (2).
Ferm^e sono le relazioni di lui nel mondo , finalmente
è scritto in esse (che) la baride del medesimo fu disposta
ed entrò due volte in possesso del diletto del medesimo.
I portinai della regione Oker dicevano (a lui) sei donato
della gloria: cavano a forza gli uni e gli altri i pali, aprono
le porte divine di essi alla sua presenza, nella moltitudine
dei giorni diversi la diuturnità della vita
dello stesso nel trono.
FACCtA MBRÌDiOIfàLE
Capìtolo:
Si vede Vimmagine di Ammone con grandi piume deco-
rata y e seduta in trono tenendo lo scettro colla mano si-^
nistra » e porgendo colla destra il simbolo della vita ad
Antinoo. Fra essi è la mensa con frutti^ fiorij vasi da òere,
e pani ecc., a cui Antinoo in piedi offre Cocchio mistico.
Colonna a destra
VOsiriano Antinoo veridico che è vicino è fatto divino . .
E cotesto dono j è luogo ad abitar che diede
e nel nome di lei {di Sabina) e nel nome di lui {di Adriano)
per sudditi abitatori in questo mondo insieme coi principi
della gioventù.
Trasportò coi remi delV Egitto alle turbe del popolo uni--
verso, come a colui che a sotto Thoth che
dia le acque.
Le corone dei fiori sono nel capo di lui che si ritrova
fra tutti i beni {e) molte altre cose sopra le are dello stesso
sono state fatte agli dei (a) nel cospetto di tutti i giorni .
Fu celebrato dalle scritture dei geroglifieiy colla grandezza
^ - . ■ ■ ■
(i) Il doppio pronao colle aale nei tempi degli Egiziani» eh* erano dae.
(2) Antinoo.
(3) Le cose sacre agli dei.
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331 —
degli animi di lui (quando) entrò nel luogo suo^ e nel
. • • • « • della remota regione (t).
Mentre sentiva (la vocel) deW invocante stette in cura
vicino al sepolcro : figlio principe come si fosse accostato
al luogo di scrittura (2) Thores riguardò Vedificio suo colle
immagini.
Fece Thore ornamento alla grandezza del cuore y e fino
a che Thore (sia) divino padre venerando nel ....
. . . progenie Phre (e) Muth, escito in luce.
Nelle vittime
FACCIA OCCIDENTALE
Capìtolo:
L* immagine del dio per la caduta dell' obelisco si è
quasi tutta perduta , e vi resta la figura di ^ntinoo che
al solito è innanzi la mensa con fiorii vasi e la cassetta
degVincensi cui siede il nume} dal quale divotamente riceve
il simbolo panegyriae, al quale sovrastano la 7Ìta e la stabilita.
Colonna destra
Antinoo è assopiigliato al dio per causa delt oblazione ^
in questa città che (è) dono di abitazione in aumento del
limite della dominazione pura in Roma (3).
Si considera come dio nelle città novo dio per V ala
Horus . ... fu edificato (nelle) porte delV abitazione.
Si adora come dio dai profeti (e) dai sacerdoti tanto
della superiore come della inferiore regione (e) dagli abi-
tatori dell'Egitto.
Similmente come valle il nome di
lui (4) che appartengono ai dei de* Greci?
abitanti della casa della città del sicomoro (5) vengono .
(i) AI mondo ulteriore 0 lontano da esso.
(2) II domicilio degli scrittori, 0 la biblioteca.
(3) Sembra in qaesto discorso farsi cenno di Àntinopoli città fabbricata
da Adriano ad onore di Antinoo.
(4) Che fu divulgato per mezzo degli scrittori il nome dì Antinoo per
quanto si estende la valle dell'Egitto.
(5) L'albero di moro del quale in Egitto sono pii^ generi di piante che
altrove.
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332
Colonna sinistra
Siccome al suo dio le oblazioni di coloro ....
la consacrazione
mantiene salva la vita di quelli essendo
particolare nelle porte della residenza di questo dio la ba-
nde (i); del quale (2) è il nome di lui la purità.
Osiriano Antinoo veridico: Vedipcazione di pietra biotica
singolare i le sfingi poste all'intorno di lei le immagini uni-
tamente^ alte^ moltissime^ belle.
Come suol farsi verso i principi^ e tanto più di ciò che
si fa dai Greci. Parimenti cìie agli dei e dee tutte essi
stessi danno la vita (nella) trasmigrazione acciò respiri
nel vigore della gioventù.
Discendete dar qui nella piazza del Popolo.
(Continua)
LV.
NOTIZIE DI MSS. INEDITI
IN ISPECIE DI ARCHITETTURA MILITARE
eh. Sig. Cav. Narducci
Roma i^ luglio i88t
Cedo al suo gentile invito, tracciando alcune osservazioni
sul Trattato ms. di fortificazione, che Ella mostrommi. Questa
è una buona occasione per richiamarmi agli studi miei antichi,
ed impegnarmi a darle notizie di altri mss. di fortificazione
o di arte militare o di politica, ch*io posseggo, ovvero ebbi
opportunità di vedere od esaminare. Le sarò obbligatissimo
se vorrà aprirmi le colonne del suo Buonarroti^ come altre
volte ha fatto , mentre sempre mi onorerò di confermarmi
Suo afiezionatissimo amico
Camillo Ravioli (3)
I.
V architettura militare^ Libri sei^ di Angielo Degl'Oddi
è un' opera che dalla prima pagina si appalesa imperfetta \
(i) La barca altre volte nominata di cui parla s. Epifanio (tn iiicor
num. 108).
(2) Di Antinoo.
(3) Non che aderire volentieri al desiderio del eh. scrivente me gli pro^
fesso gratissimo del valido e benevolo suo concorso. 11 mss. del quale qui
si tratta è di spettanza del libraio di Firenze signor MenozzL £> N.
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— 333 —
imperocché vi si legge: Del modo di fortifjcat le città, Libro
secondo. Chiaro h dunque che il frontispizio generale non
istà al suo posto, e mancano il primo libro e i quattro altri
promessi. Di più, parecchie figure di questo secondo libro
mancano e vi si nota l'altra imperfezione che i capitoli ch'egli
chiama Discorsi sono numerati fino al quarto, e dopo ó sono
lasciati in bianco o non più nominati Discorsi. Vi sono palesi .
lacune, a un tratto lascia e si vede chiaro essere incompleto
questo stesso Libro secondo.
Quanto alla disposizione delle materie esso poco conserva
il filo logico ed h pieno di errori ortografici e grammaticali:
cosa molto comune negli scrittori ingegneri militari dell'epoca.
Per la nitidezza dei caratteri non so dire se il lavoro
sia autografo o copia; rivela però sempre l'autore suo dei
primi del secolo XYH, somigliando i caratteri all'esemplare dì
calligrafia dell'autore delle maiuscole antiche Romane Tu es
Petrus della Cupola Vaticana, che fu Ventura Saraffellini da
Imola del I602: U quale esemplare ho sott'occhio.
11 merito poi h molto meschino; in questo secondo libro,
mentre parlasi di baluardi, di terrapieni, di scarpate, di mer-
loni e delle figure in triangolo, in pentagono, in esagono ed
ettagono che qui è detto settimangole , non si accenna mai
ad opere esterne, ed oltracciò h sempre slegata la tessitura e
procede a salti. Di soprappiù evvi intercalata nelle ultime
pagine una tavola dimostrante una pianta colorila di fortifi-
cazione di spiaggia estera sul mare con arsenale e molo, il
quale h detto Miamà e presso Y arsenale si veggono scogli
colla denominazione di Porporela. Forse essa apparteneva
ad un'opera che fece l'Angelo sull'isola di Gandia e che tro-
vasi in Urbino, come più sotto vedrassi.
Chi fosse quest' Angelo Degli Oddi non h facile a dirsi.
La famiglia Degli Oddi h Urbinate, e vi è un Matteo ed un
Muzio Oddi quasi contemporanei all'Angelo. U saper ciò mi
fece consultare le opere di Bernardino Baldi da Urbino , in
ispecie V Encomio della patria (Urbino 1706), per trovarvi ci-
tati tali nomi tra gì' ingegneri militari. Ma questa ricerca
tornò vana. Esaminai tutte le Bibliografie militari, che ho, e
solo ritrovai in D'Ayala a pag. 109 (Torino 1854) la citazione
seguente: « Oddi Angelo da Urbino — Citta, fortezze, porti
» e spiaggie del regno di Candia, fatto l'anno 1650. - Mano-
» scritto che si conserva in Urbino. Anche il Santini lasciò
D de'disegni compagni. >» Questa data e il dirsi Degli Oddi
mi fan supporre l'Angelo essere nipote o figlio, agnato in
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— 334 —
somma, ad uno dei due Matteo o Muzio, il primo di questi
è autore dì un'opera di fortificazione intitolata: Precetti di
Architettura militare raccolti^ et ordinati da Matteo Oddi
da Urbino in tre centoni. Milano 1627. È opera postuma ,
imperocché il fratello Muzio Oddi dedicandola al Conte Odoardo
Pepoli, da Lucca ai 12 gennaio 1627, cosi comincia: « Haveva
x> mio fratello, poco prima, che passasse a miglior vita, rac-
» colti et ordinati in tre Centurie questi Precetti ec. » Di
questi a pag. 93 trovasi quest'avviso: Nella maniera stessa^
che fu da noi mostrato nel quarto libro della nostra Archi»
tettura militare. Discorso secondo. - Da questa citazione si
vede che questo tìtolo è eguale a quello posto da Augelo-
V Architettura militare « e la divisione ià libri e discorsi
e pur comune. Ciò non toglie che questo lavoro non sia
di Matteo, e che Angelo non sia posterióre alla data del 1627
in cui quegli era morto. L'opera dei Precetti è citata dal
Marini nella sua Biblioteca di fortificazione ^ e la critica e le
osservazioni che sopr'essa fa sono favorevoli all'autore.
E poiché non possiam dire altro di Angelo, seguiamo a
dire qualche altra cosa sopra Matteo, del quale abbiamo
citato lopera inedita della Architettura militare-, imperocché
ben quattro opere mss. egli lasciò, tutte autografe, in parte
copie più corrette di un primo abbozzo: esse conservavansi
in Roma nella Biblioteca Albani e passarono in quella del
Principe Buoncompagni. Io le citerò secondo V ordine come
le trovai nella Biblioteca antica, quando ne feci il catalogo
coir idea di comperarle , come infatti molte ne acquistai ,
prima che fosse posta in vendita la parte delle opere a stampa.
Oddi Mattbo d'Urbino. — Trattato d'Architettura Miliure, distinto
in 3 libri, 1613; N.*» 143, scanzia 35, ms. cart. in f.** gr.
Oddi Matteo — Il terzo librò duplicato N.** 536, se. 55, ms. cart.
in f.® gr. aut.
Oddi Matteo — Discorso deirArchitettura Militare, 1624, N.® 774,
se. 69, ms. cart. in f.^ con mutamenti e postille autografe.
Oddi Matteo — Trattato d'Architettura Miliure, ms. cart. in f.*
scritto nel 1614 autogr. N.** 809, se. 70.
Muzio poi fratello di Matteo, che caro l'edizione dei Precetti
del 1627, essendo egli pure ingegnere, lasciò mss. due opere che
egualmente erano nella Biblioteca Albani. Eccone il titolo:
Oddi Muzio d'Urbino — Degli Orologi solari, due Opere. N.*» 321,
se. 43; N.<» 322, se. 43 e N^ 89, se. 32 : si vede che Tuna
delle due debb' essere stata un duplicato.
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— 335 —
LVI.
BELLE ARTI
Nella Serie II, Voi. XII di questo periodico ann. 1877-73
si trova la illustrazione fatta dal pittore sig. Pacifico Mori
di un nuovo quadro del Correggio qui in Roma posseduto dal
prof. F. Ladelci. Oggi il giudizio dato dal detto artista, e
da quanti altri hanno veduto il detto quadro, h stato con-
fermato dairAccademia di Belle Arti di Parma, come veniamo
assicurati dalla Gazzetta della stessa citta in data del 4 scorso
mese di Luglio , ove sotto il titolo Belle Arti si legge
quanto segue:
re L'Accademia di Belle Arti di Parma h stata in questi
giorni lietissima per aver potuto confermare la scoperta fatta
dal prof. F. Ladelci, grande amatore e cultore delle belle
arti in Roma, di un nuovo dipinto in tavola, da lui posse-
duto , del sommo artista parmense Antonio Allegri detto il
Correggio. È questo un pìccolo quadro che misura e. 43 di
altezza , e e. 30 di larghezza. Esso rappresenta la S. Ver-
gine che porge il seno al bambino Gesù. La scena h not-
turna , e la luce che parte dal divino Infante illumina il
volto della Madonna, e si diffonde nell'aria circostante, con
quel magico effetto che Fautore stesso ha saputo dare all'altro
suo famoso dipinto detto la notte di Dresda. Lo stile gran-
dioso, la perfezione del disegno, la vivacità e vaghezza del
colorito, l'effetto sorprendente del chiaro scuro; tutti insomma
que' rarissimi pregi per i quali il Correggio ha raggiunto il
sublime grado dell'arte pittorica sono riuniti in questa vera
gemma artistica , che viene oggi aggiunta alla fulgidissima
corona di gloria che ha reso il nostro Correggio immortale. »
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— 336 —
LYII.
VÀE POETIS
Scintillali gli astri per la' volta azzurra.
Fra l'Alpe e il mar, su granitici* massi
Che diroccati fùr dalla monugna,
E che sembran lanciati dagli Dei
Gontra i giganti nell'antica guerra.
Mezzanotte ora suona ad una torre
Di vicina chiesuola; e la famiglia
Umana tutta è immersa negli usati
Vani sollazzi, o giace nel profondo
Sonno, eh' è vita sua. Quivi dappresso,
Una cristiana vergine, a cui giova
Sacrarsi al Cielo, entro le rozze mura
D'un claustral recinto, a mani giunte.
Fervida, implora pe' molatali un giorno
Migliore, e d'angeletti una falange
A lei s'inchina e la solleva in festa
Ne' reami di Dio, dove si trova
L'arcana, spiritale, unica requie...
La verginella santa, ah, per me prieghi.
Oh, fossi morto, appena il marzial hronzo.
Sul Gianicolo colle rimbombava:
Pargolo essendo io appena nato, un globo
Carco di piombo e fuoco sfracellavasi
Accanto alla mia culla: oh, fossi morto
Quando piii grandicello, dalle coltri
Uscendo all'alba a cogliere i bei fiori
(Oh ingenua etade eh' è l' infanzia!) pinti
Sovra il parato della stanza mia.
Precipitavo orrendamente a terra.!
Troppo del Lete è placido il riposo.
Obliar non ti so, terra natia.
Ne' mesti dì che t'ho lasciato. Il cielo
Era tutto di nuvole coverto,
E, quando il ciel tutto di nembi è cinto,
Sembra che l'estro in noi s'accenda, quasi
Allor la fantasia brami sull'ali
Fino all'ultime alzarsi eteree nubi.
Perchè le squarci, a rivedere il sole.
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.337
Poscia le nubi si schiudeano, e un lembo
M' addimostravan dell' azzurro cielo.
Quasi parvenza cara d'un bel lago
Ove i bei giorni dell'infanzia scorsi.
Il lago della Luna*
E mi ricorda
Ch'era la luna al primiero barlume
Qual fosse aureola in capo ad una santa.
Quando dell'alma Roma dipartimmo.
Ma risplendeva nella sua pienezza.
In pria che a Pisa movessimo. Tratti
In tenebrosa galleria repente.
Mi parean de' miei sogni esser le larve
Le varie vision traverso i fessi
Della montagna; e più ch'io disiava
Di contemplarle, come avvien ne' sogni.
Vieppiù si dileguar rapide.
Egli era
D'un villaggio, talor, la via frequente
Sotto cui scorrevam; talor, del mare
Inaspettato burrascosa 1' onda.
E, quando sulla ligure riviera
Avanzavamo, un cimitero presso
L'ondoso mar vedemmo: ove creare
Un cimiter più che del mare in riva.
Che di mestizia 1' anima e' inonda
Pe' naufraghi cotanti! E desiavo,
In cuor che riposassero fra quelli
Cipressi innanzi tempo le mie ossa!
E, come l' uom che aspettasi morire
Dall' un misterioso isunte all'altro.
Raccoglie ben suo spirto, che l'aspetto
Di Chi r attende gravità gì' invade.
M'apparecchiavo a trapassar da quella
Terra natale alla straniera sponda.
Scevro di minor falli... Eppur l'esilio
M' apparia il varco dall' ausonia terra;
E come avviene agli esuli sovente.
Che festeggiati ne riedono ai Lari,
Se d'uno Stato cambiano gli eventi,
E ciò che crimin ne pareva in prima,
Fulge virtude poscia... io mi credevo
Ch' addiverria di me quanto al gran fallo
D'aver l'errante Fanusia !
45
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— 338 —
A cbe, un tempo^
Sovra il colle Gianicolo io saliva
Da adolescente, in preda alla mestizia,
L'ore sostando gli ultimi oriszonti
Estatico a mirare*..? e sul Pariolo
Al cui piede fiorian tanti oleandri.
Che fìir divelti quando le due Parti
Li roteàro un ferro incontro a Roma?
Che valer posso io lasso autodidatto
A cui le idee s* affollano al cervello
Per uscir, quasi fossero le genti
Ch'escon da un tempio repentine a un tratto.
Affannose ed insiem, da un tempio allora
Che sen nuncian le fiamme?..
Oh, patria mia I
La volubile mia tempra e il restare
Ad ogni cosa estraneo d* attorno
Pel diuturno del cerebro lavoro,
E per ansia febbril d'un pe&sier solo.
Per cui patria, piaceri, oro, famiglia
Tutto ho perduto., volsero a mio danno...
Non m'accusaron d'un immenso ambire.
Oltre cbe m'accusar d'ozio e demenza...!.
Pur solitario viver volli sempre.!
Che, s'ebbi osato i grandi contemplare.
Fu perchè in prima l' una, e poscia l' altra
Fanciulla amai di quelle genti: e il primo
S' estinse affetto, con la tomba d'una;
L'altro, s* estinguerà con la mia tomba.
Luigi Abrigo Rossi
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— 339 —
PUBBLICAZIONI RICEVUTE IN DONO
Baccelli (Alfredo) Ad Alfredo Cappellini nel XV anniversario della sua
marte. Livorno tip. della Gaxx. Livornese 1881. In 8! p. di 8 pag.
Biblioteca della gioventù' italiana. Anno XIII. Maggio 1881. Poesie
di Paolo Costa e Giulio Perticari scelte ed annotate dal sae. Gaetano Dehò.
Torino^ 1881, tipografia e libreria Salesiana, Sanpierdarena-Lueca-Nisxa
Marittima. In 12o di pag. 217.
Catalogue de la Bibliothèque scienti figue historique et littéraire de feu M.
Michel Chasles (de Vlnstitut) dont la vente aux enchères publiques, aura
lieu du 27 Juin au 18 Juillet 1881 à 8 heures très précises du soir , 28»
rue des Bons-Bnfants (Maison-Silvestre) Salle n. 1, au i^r étage^ Par le
ministére de M. Georges Boulland, commissaire-priseur r%ie Neuve-des-Petits-
Champs, 26, assistè deìà- A, Claudin, libraire-expert et paléographe. Paris ^
Jf. A. Claudinf libraireeoppert et paléographe laureai de l*insiitut, rue Gué-
négaudy 3 (près le Pont-Neuf) 1881. In 8.o di pag. 386. (E Supplément
(pag. 395—416).
Ciampi (Ignazio) Storia moderna dalla scoperta delV America alla pace di
Westfalia. Opera postuma, edita per cura di Paolo Emilio Castagnola. Vo-
lume primo. Imola, tip. d*Jgnaxio Calcati e figlio, via del Corso, 35, 1881.
In 8* di pag. 409.
Del Lungo (Isidoro) Della interpetraxione d* un verso di Dante (Inferno ,
xviii, 66) rispetto alla Storia e della Lingua e de Costumi (Estratto dall' Xr-
chi?io Storico Italiano, tomo XXII, anno 1875). Firenxe, tip. Galileiana
di M. Cellini e C. In 8."* di pag. 17.
Dupuis (J.) Le nomare géométrique de Platon. Imprimerie A. Lahure, rue
de Fleurus, 9, à Paris, In 8. di pag. 4.
Le nombre géométrique de Platon^ Paris, libraire Hachette et C. Bou-
levard Saint-Germain, 79. lu 8. di pag. 63.
Favaro (Antonio) Documenti inediti sulla primogenita di Galileo pubblicati
ed illustrati (noxxe Terriei^Bellati) Padova, tipografia del Seminario 1881.
In 8.* di pag. 23.
Galileo Galilei e lo studio di Bologna (Estr. dal voi. VII, serie V degli
Atti del R. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti). Venexia, tipografia
di G. Antonelli 1881. In 8. di pag. 18.
SuUa invenxione dei Cannocchiali binoculari {Estratto dal voi. XVI degli
Atti della R. Accademia delle Scienze Adunanxa del 29 Maggio 1881). To-
rino, Ermanno Loescher, libraio della R. AceaéUmia delle Scienxe, 1881.
In 8. di pag. 12.
La proposta della longitudin$ fatta da Galileo Galilei alle confeékrate
Provincie belgiche, tratta per la prima volta integralmente dall'originale
nell'Archivio di Stato all'Aia (Esir. dal voi. VII, serie V degli Atti del
R. Istituto veneto di scienze lettere ed arti). Venexia, tipografia di G. An-
tonelli, 1881. In 8. di pag. 34.
Guasti (Cesare) Arnolfo, quando è mortai Firenxe coi tipi di M. Cellini e
C. alla Galileiana 1881. In 8.* di 8 pag. (Estr. dalla Rassegna naxionale).
Henry (C.) Deux pages inédites de la vie de Frédéric le Grand (Extrait de
la Nouvelle Revue du 15 avril 1881). Paris, librairie de J. Baur, rue des
SainU-Pères, 11, 1881. In 8. di pag. 12.
Jackson (James) List» provisoire de Bibliographies Géographiques spèciales,
Paris, librairie Ch. Delagrave éditeur de la société de géographie , rue
5ott0lol 15, 1881. In 8? di pag. 125.
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- — 340 —
Lozzi (Carlo) Delie origini della stampa^ saggio ttorieo-eritico {Edraito dal
giornale della Società di letture e conversasioni scientiGcbe di GenoTa).
Genova, tip, del Movimento di T. P. Ricci, 1881, In 8. di pag. 24.
Manno (Antonio) Un documento di Ascanio Vitoszi tràieritto da Antonio
Hanno {Estratto dagli Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino,
voi. JIV, adunanxa del 24 novenUn'e 1878). Stamperia reale di Torino,
1878. In 8.0 di pag 15.
Turf e Scating dei nostri nonni. Chiaccherata di Antonio Manno [Estratto
dalle Curìos'ììÀ e Ricerche di Storia Subalpina, voi. Ili, puntata XII, pag,
644). Roma, Torino, Firenze, fratelli Bocca, librai di S. Jf. il Re d'Italia,
1879. In 8* di pag. 22. Edizione privata di soli cinquanta esemplari.
Marre (Aristide) Linstruction primaire chex les Chinois dans Vile de Java
mémoire de M. J. E. Albrecht de Batavia, traduit du hollandais et annoté
par Aristide Markk (Exlrait dM Annales de TExtréme-Orient). Paris, li-
brairie orientale de Challamel Ainé, rue Jacob 5, 1881. In 4? di pag. 16.
Deux nouvelles lettres mathématiques inédites du P. Jaqnemet de Pora-
toire, de la maison de Vienne [Dauphiné], Paris, imprimerie de Gauthier
Villars, guai des Augustins 55. in 8? dalla pag. 200 alla 207.
Meli (R.) Sopra una nuova forma di Pecten dei depositi pliocenici di Civi-
tavecchia. Roma, coi tipi di L. Cecchini, Via del Teatro Valle 62, 188 1.
In 8. di pag. 7 e tavola.
Muntz (Eugenio) Ricerche intomo ai lavori archeologici di Giacomo Gri-
maldi antico archivista della basilica Vaticana , fatte sui manoscritti che
si conservano a Roma, a Firenze, a Milano, a Torino e a Parigi {Estratto
dalla Rivista Europea - Rivista Internazionale). Firenze , tipografia della
Gazzetta d'Italia, via del Castellaccio, i2 bis, 1881. In 8.<* di pag. 57.
Pi CORI NI (Luigi) Il Museo nazionale preistorico ed etnografico di Roma^ Prima
relazione di Luigi Pigorini a S. E, il Ministro della Pubblica Istruzione.
Roma, tipografia eredi Botta 1881. In 4? di pag. 14.
Riccardi (P.) Commemorazione di Michele Chashs (Estratto da< Rendiconto
deirAccademia delle Scienze deiristituto di Bologna, e letta nella Sessione
del \7 febbraio 1881. Tipi Gamberini e Parmeggiani. In 8! di pag. 36.
Starly (F. I. a.) Elementi di un sistema di drammaturgia ossia di un edi-
fizio teorico delle arti drammatiche. Sunto di pubbliche lezioni tenute nel
circolo filologico e nella regia università romana. Torino, Roma Firenze,
fratelli Bocca e C. lib.-edit. Via del Corso, N. 216-117, 1881. In 8. di pag. 291.
Tempia (Stefano) // canzoniere delle scuole e delle famiglie. Raccolta di fa-
cili canzoni educative, Torino 1881, Ermanno Loescher, Firenze e Roma
presso la stessa Casa. In 4.° di pag. 32.
Valfrè (Teodoro) Per le nozze illustri del cavaliere Ferdinando dei conti
Valfrè di Bonzo , eolla signorina Maria dei conti Miglioretti di Bourset
e san Sebastiano. Discorso del fratello dello sposo monsignor Teodoro Valfrè
di Bonzo, detto nella chiesa parrocchiale della SS. Annunziata in Torino
li 27 aprile 1881. Tipi privati di Efisio Manno. In 8.** di pag. 5.
Vernarecci (Augusto) Ottaviano de'Petrucci da Fossombrone inventore dei
tipi mobili metallici della musica nel secolo IV. Fossombrone, tipografia
di F. Monacelli 1881. In 8! di pag. 174.
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Il Serie II.
o»-. XIV.
Ottobre 1880 »
. »" -• " '
1 L
H^5l
UOS" ARROTI
^-^ V^ JL 1 XjLX VX V V^ X X
D I
BENVENUTO 6ASPÀR0N1
CONTINOATO PER CURA
DI ENRICO I^ABDIICCI
PAG.
r.viii
. Il conte Umberto I (Biancamano) Art bibl.
(Francesco Labruzzi di Nexima). . . » 341
I-IX.
Descrizione di tutte le colonne ed obelischi che
irovatjsi nelle piazze di Roma, disposta in
forma di guida da Angelo Pellegrini ecc.
(Continuazione) » 356
JLX.
Passatempi artistici deirarchitelto Pietro Bo-
NELLi {Continua) , . . » 377
LXI.
Francesco de* Medici. Tragedia storica di Ni-
colò Marsucco (Continua) » 376
r.xii-
Aà Alfredo Baccelli pel suo carme in onore di
AlfredoCappellini. Versi sciolti (E. Narduc ci)» 392
ROMA
.p , PO G' RAFIA DELLE SCIENZE MATEMATICHE E FISICHE {
via lata n? 3.
1880
Pubblicato il 30 Settembre issi
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IL
Seeie IL VoL. XIV, Quaderno X. Ottobre 1880
Lvm.
IL CONTE UMBERTO I (BIANCAMANO)
Indubitato progenitore della real casa di Savoia fu
queir Oddone che sposatosi verso la metà del secolo XI ad
Adelaide contessa di Torino recò nella sua famiglia gli ampi
possedimenti che di qua dalle Alpi con arti di leone e di
volpe era andato acquistando il marchese Ulrico Manfredi
suocero suo. Di chi fosse figlio Oddone restò incerto fino
al secolo passato; e chi lo diceva nato di re Arduino, chi
di Aleramo di Monferrato, altri di altri. Il Muratori, come
molte altre , sciolse anche questa controversia pubblicando
un. documento in data delKanno toiu in cui Oddone concedeva
alla chiesa di Tarantasia la valle detta di Beranger prò re-
medio animae patris mei Humhertus comes.
Conosciuto il nome del padre di Oddone occorreva cono-
scere chi egli fosse, e ciò^ a dir vero, non era impresa assai
agevole, essendo il nome di Umberto o Uberto molto comune
in quel tempo. Fra i parecchi documenti in cui esso s'in-
contra ve ne ha taluni che mostrano come un Umberto conte
avesse quattro figli chiamati Amedeo , Burcardo , Aimone e
Oddone; quindi era verisimile credere che l'Umberto padre
di Oddone marito di Adelaide fosse appunto colui. Questa
congettura era anche confermata dal fatto che molti beni
appartenenti a queir Umberto furono poi posseduti dai di-
scendenti di Oddone di Savoia. Il barone Domenico Carutti
nelle recenti sue ricerche sopra le origini umbertine (i), mentre
riconosce che il padre di Oddone fu altresì padre di un Amedeo,
di un Burcardo e di un Aimone, non crede però che in quei
documenti si tratti sempre di lui ; e vuole che alcuni si
debbano riferire a un secondo Umberto che crede zio pa-
terno dell'altro, ed a cui attribuisce tre figli chiamati pur
(I) Carutti, Il conte Umberto I {Bianeamano). Hieerehe e éheumentù
Firenze coi tipi di M. Ceilini e G. alia Galileiana 1878.
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— 342 —
essi, come quelli del presunto nipote, Amedeo , Barcardo e
Oddone. Per distìnguere questi supposti due Umberti il Caratti
chiama Tuno, quello che fu padre di Oddone di Savoia, Vm-
berta /, e all'altro Umberto da il predicato di Savoia Bellej.
Nello studio di documenti riferibili a tempi in cui ancora
non si usavano i cognomi, l'identità delle parentele è stata
sempre ritenuta dai geneologisti come ottimo argomento per
stabilire l'identità di qualche personaggio. Ora noi nei do-
cumenti umbertini, come si è veduto, ci troviamo innanzi
a due Umberti che hanno entrambi tre figli di eguale nome.
Anziché supporre una strana coincidenza di nomi, come la
chiama il Carulti, non ^ più naturale, più semplice, più
logico anche, credere che in tutti quei documenti si tratti
sempre delle stesse persone ? Quanto siffatta supposizione
avvantaggi l'altra di verisimiglianza e naturalezza, non è del
certo sfuggito all' egregio storico , il quale , per quanto mi
pare, non sarebbe forse stato alieno dal preferire piuttosto
questa che l'altra ipotesi, se non gli fosse sembrato che un'as-
soluta necessita genealogica recisamente la escluda. Egli crede
che dall'esame dei documenti umbertini resti evidentemente
provato esservi stati contemporaneamente due diversi Amedei
e due diversi Burcardi ; e siccome tutti costoro sono detti
figli di Umberto, egli ne conclude essere altresì vissuti nel
medesimo tempo due Umberti diversi. Certo, la conseguenza
è perfettamente logica; resta a vedere se le premesse sieno
qualmente ben fondate.
Comincìeremo dai due supposti Amedei. Con atto anteriore
al 1030 il conte Umberto l insieme con i tre suoi figli Amadeo,
Aimone e Oddone donano alla chiesa di s. Germano alcune
terre deserte, una selva e tre mansi presso Maltacena nella
contea di Savoia e due mansi nel pago di Beliey. Con altro
atto egualmente senza data , ma che sembra , dice il signor
Ca rutti, anteriore anch'esso al 1030, Umberto suddetto e i tre
nominati suoi figli « donano ai monaci di Maltacena, benefi-
» cati con Tatto precedente, un manso con selve, prati, terre
)» colte, incolte, acqua e corso d'acqua e una chiusa per la
» pesca Th (pag. 93). Ora con atto in data del 22 ottobre 1030
un conte Amedeo figlio di un conte Umberto e sua moglie
Adele donano ai detti monaci la chiesa di s. Maurizio nella
contea di Savoia , e con altro atto di data incerta ma pò*
steriore al toso , fanno pure donazione alla detta chiesa di
s. Maurizio pel suffragio dell'anima del loro figlio Uberto e
pel sostentamento dei monaci. Prima della firma dei dona-
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— 343 —
tori vi ha quella del conte Umberto Biaacamano e di Àacilia
sua moglie.
Perche dunque questo Amedeo conte marito di Àd^le e
padre di un Uberto premorto^ non può esser figlio del Bian-
camano, come lo farebbero credere il vedere essere anche egli
Itirgitore di beni a quegli stessi monaci che erano già stati
beneficati dal conte Umberto, e la sottoscrizione di questo
e della moglie Àncilia nell'atto di donazione? Quale neces-
sita genealogica si oppone a questa probabilissima filiazione?
Osserva il Camiti che un Amedeo conte si trova ricordato
come padre di un Aimone vescovo di Belley nel 1032 ; e ne
deduce che 1* Amedeo marito di Adele e donatore ai monaci
di Maltacena nel loso, avendo un figlio vescovo nel i032 non
poteva esser figlio di Umberto 1. Perchè la conclusione del
Carutti possa essere attendibile bisognerebbe provare che
TAmedeo padre di Aimone vescovo e l'Amedeo marito di Adele
erano una sola persona. Ciò invece non risulta da nessun do*
canento; e però ci paiìe che mentre si deve distinguere l'Amedeo
padre del vescovo Aimone dai figli di Umberto I, si debba
peraltro per le ragioni suespresse considerare come tale l'Amedeo
donatore ai monaci del Bourget.
Veniamo ora al Burcardo o ai Burcardi da cui il barone
Carutti crede poter trarre un' altra riprova dell' impossibile
identità non pure degli Umberti ma anche degli Amedei. « Addì
j» 8 di Aprile del ioss Lautario vescovo di Langres dona alcune
» terre nella contea di Ginevra ad un certo suo amico conte
» Umberto e a due suoi figliuoli Amadeo e Burcardo vescovo,
ìf afiinchè ne godano^oro vita naturale durante » (i). Ora sic-
come il signor Carutti è di avviso che il Burcardo figlio del
Biancamano non portò mai il titolo di yescovo, è chiaro che
non solo il Burcardo nominato in quel documento non potè
esser figlio del conte Umberto I ma neppure il suo fratello
Amedeo; ed ecco quindi un altro Amedeo e un altro Bur-
cardo figli di un altro Umberto. Però non mi pare che i
documenti dove si trova il nome di Burcardo portati dal Ca-
rutti debbano necessariamente condurci ad escludere l'identità
del Burcardo vescovo con il Burcardo figlio del Biancamano.
Nell'ottobre del 1025 Burcardo vescovo di Aosta permuta alcuni
beni con un tale Katelmo. La permutazione è approvata dal
conte Umberto il Biancamano, e nel novembre dello stesso
anno il conte Umberto ed il vescovo Burcardo fanno una per*
(1) Carutti, oper, cìt. pag» 82.
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— 344 —
mutazioae di terre eoa un tal Frescio. Mentre niente vi ha
qui che provi che il vescovo non possa esser figlio del conte,
vi h un altro documento che darebbe a credere che tale ap-
punto egli fosse, ff Addì i3 di giugno 1042 il conte Umberto I
» e i suoi figli Amedeo e Oddone donano slUìl chiesa di s. Lo-
)) renzo di Grenoble la chiesa di s. Maria posta alle scale nel
» vescovato di Grenoble e un manso d (pag. ioi). Oltre al conte
Umberto e a Malleno vescovo di Grenoble che rappresenta la
parte beneficata, vi sono pure sottoscritti i tre figli del conte^
Aimone, Amadeo e Oddone; l'altro figlio, Burcardo, no; perchè
questa omissione? Eppure le chiese avevano cura che i figli
de'benefaltori intervenissero tutti agli atti di liberalità e li
confermassero (i); e però, ripetiamo, come si spiega che nella
carta suddetta mentre vi è la firma di Aimone , che pure
non h uno dei donatori, manca quella del suo fratello Bur-
cardo ? Ebbene se , come credo si debba , vorremo ritenere
che il Burcardo figlio del Biancamano e il Burcardo vescovo
del i022 e 1025 e poi arcivescovo di Lione nel ì03ì siano una
stessa persona, ci persuaderemo ben presto che questa man-
canza tanto difficile a spiegarsi se veramente fosse stata^ invece
non vi fu punto; poiché in quell'atto subito dopo la sotto-
scrizione del conte Umberto si legge: sìgnum Brochardi Ar-
chiepiscopo.
Di fronte a questi documenti che se non forniscono la
prova assoluta fanno peraltro ritenere assai probabile essere
stato il Burcardo figlio di Umberto I appunto il Burcattlo
vescovo ed arcivescovo di cui si è detto di sopra, che do-
cumenti abbiamo che ci porgano ragione di supporre il con-
trario? Ecco, in un atto di donazione di anno incerto fatta
da Aimone di Pietroforte appariscono i nomi del conte Um-
berto e dei suoi quattro figli Amedeo , Burcardo , Aimone
e Oddone, Il Burcardo di questa carta non porta il titolo
di vescovo^ come neppure fusa in un altro documento del i040
in cui è firmato insieme con il padre Umberto e i suoi fra-
telli anzidetti.
È questa una prova^ secondo il Carutti, che il Burcardo
di quei documenti, il quale è indubbiamente figlio del Bian-
camano, non è il Burcardo che fu vescovo d'Aosta e poi arci-
vescovo di Lione, poiché se fosse stato quel desso non si sa-
rebbe in esso taciuta la sua dignità episcopale. Qui però si
vuole avvertire che Burcardo arcivescovo di Lione essendosi
(i) GaruUi, oper. cit. pag 92.
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fieramente e pertÌDacemente opposto a Corrado imperatore
nelle guerre da questo combattute per ereditare il regno di
Borgogna, fu da luì privato della dignità arcivescovile. Di-
fatti il Caruttì stesso ci fa sapere che in una bolla di Ste-
fano X nel 1057^ con la quale conferma ai monaci di Cluny
i vasti loro possedimenti, è mentovato Burcardo ma senza il
titolo episcopale. Ora il documento del i040 e certamente
anche quello della donazione di Aimone di Pietraforte, sono
posteriori alla privazione delfarcivescovato patita da Burcardo;
e però è naturale che questi non facesse piiì uso di un ti-
tolo di cui era stato privato, massime in documenti firmati
anche dal padre di lui, che era uno dei più caldi fautori di
Corrado, e copriva un altissimo ufficio nel regno di Borgogna.
Che poi il figlio seguisse nelle controversie del regno un par-
tito contrario a quello del padre, nessuno credo se ne vorrà
maravigliare quando si riporti a quei tempi in cui lo spirito
di parte divideva i più stretti congiunti; e maggiormente
poi quando si consideri che mentre la feudalità laica era in
gran parte favorevole a Corrado, il clero borgogn3n6 invece,
di cui Burcardo era uno dei principali dignitari, gli era affatto
contrario. Mi sembra di poter concludere da tutto ciò che
non v'abbia alcuna prova che l'Amedeo donatore ai monaci
del Bourget e il Burcardo vescovo e poi arcivescovo non siano
l'Amedeo e il Burcardo figli del conte Umberto fiiancamano;
e però anziché ammettere la strana- coincidenza di due con-
temporanei Umberti ambedue conti , ambedue padri di figli
del medesimo nome, si debba piuttosto credere alFesìstenza
di un solo Umberto^ escludendo affatto quella dell'altro cui
il signor Carutti ha creduto dover distinguere con l'epiteto
di Swoia Belle/.
Ma siano o no questi due conti Umberti una stessa per-
sona bisogna confessare che né l'identità uè la diversità loro
ci somministra alcun argomento per definire la questione prin-
cipale, cioè chi fu il padre del Biaticamano. È noto quanti
diversi sistemi siano stati proposti per risolvere questo dubbio,
taluni dei quali, a dir vero, più che a buoni argomenti sto-
rici si fondavano sopra ipotesi aflfatto immaginarie. Il Carutti
prende ad esaminare con molto acume critico i principali di
questi sistemi, e dimostra evidentemente come essi siano quasi
tutti in aperta contraddizione con la cronologia o con la
storia. Con argomentazione molto efficace e stringente egli
riesce a provare essere affatto falsa l'opinione del Guichenon,
il quale prese a sostenere che la real casa di Savoja discen-
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deva da Yiticbindo , il celebre campioDe dell'indipendenza
sassone al tempo di Carlomagno. Si sa che il dotto Savoiardo
non era neppure egli persuaso di ciò che affermava , ma ,
cortigiano e francese, obbediva ai voleri di madama Cristina
di Francia duchessa vedova di Savoia, a cui premeva di dare
origine germanica alla famiglia per facilitare la desiderata
costi luzione del Piemonte in elettorato imperiale.
Al signor Carutti non sembra accettabile neppure Topi-
nione del Dubouchet, sostenuta in questi ultimi anni dal ba-
rone Gengìs La Sarra, secondo i quali progenitore della real
casa di Savoia sarebbe stato quel conte Bosone fratello dell'im-
peratrice Richilda, moglie di Carlo il Calvo, e non isgradito
rapitore della carolingia Ermengarda, che fu il primo re dì
Provenza. E non solo non accettabile ma da doversi recisa*
mente rifiutare come affatto infondata, il chiaro critico ritiene
l'opinione messa avanti or sono due secoli dal Della Chiesa,
cioè che padre di Umberto Biancamano fosse stato Ottone Gu-
glielmo il profugo figlio di Adalberto Re d' Italia. Questa
ipotesi, che il Litta chiamava un'idea feconda di altre idee,
fu fatta rivivere ai principi di questo secolo dal Napione ,
e sostenuta quindi con maggior copia di argomenti dal conte
Cibrario. Il signor Carutti dopo aver dimostrato che Ottone
Guglielmo fu padre di tre soli maschi, di cui non pui« sono
noti i nomi ma anche la parentela e tutta la discendenza,
conclude dimandando: « Con quale diritto, con che fondamento
» si può dare a lui un quarto figliuolo per nome Umberto
» e questo figliuolo fare stipite di una casa illustre e so-
A vrana? Avvi egli qualche prova o indizio di tale figliazione?
» Nessuno. È un'affermazione nuda, recisa, che niun docu-
» mento contemporaneo nessuna tradizione suffraga. Non pre*
» senta neanco qualche ripetizione di nome fra ascendenti
» e discendenti; nessun Guglielmo nessun Adalberto o Be-
» rengario o Anscario noverano gli umbertini. » A me sembra
che la conclusione dell'egregio autore sia perfettamente logica,
e che egli sia riuscito benissimo a provare che l'esule figliuolo
di re Adalberto, Ottone Guglielmo conte di Borgogna, non
potè essere il padre del Biancamano. Ma Tofiicio del critico
non si deve sempre limitare a distruggere; bisogna talora
che egli coi materiali degli edifizi da lui demoliti si provi
di ricostruirne di altri che meglio reggano sui fondamenti
e meglio rispondano alle esigenze dell'arte. Ciò con non poco
studio ed industria ha procurato di fare il signor Carutti;
ed ora vuoisi che noi ci tratteniamo alquanto a considerare
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— 347 —
se egli, come ba potuto dimostrare erronee le altre conget-
ture sullorigine della real casa di Savoia^ sia egualmente arri-
vato ad escogitarne un'altra che non offra come quella alcun
punto debole agli attacchi della critica.
Persuaso che « il nome di Amedeo h il nome stipite della
» casa Umbertina, e che il nome di Umberto^ appartenuto
A dapprima ad un secondogenito passò nel primogenito alla
j> seconda generazione » (pag. 148-49), il Carutti nei documenti
borgondici del secolo decimo prende a cercare qualche Amedeo
che senza offendere la cronologia , potesse essere verisimile
mente il progenitore degli Umbertidi; e crede dì averlo trovato
in un Amedeo firmato in un placito delPanno 926 in cui Anselmo
conte del pago equestrino e Ugo conte del sacro palazzo di Ro-
dolfo li re di Borgogna^ sedendo a parlamento in s. Gervasio
fuori delle mura di Ginevra, difiniscono una controversia ri-
guardante certi beni posti nella contea di Njon. Trovato l'a-
tavo del Biancaroano in questo Amadeo, il Carutti si da in
traccia di un Umberto che ne possa essere Tavo, e questo pure
gli viene facilmente fatto di rinvenire in un Umberto che fu
presente a un giudizio proferito da Corrado re di Borgogna
nell'anno 943 in favore del monastero di Cluny^ e che a lui
sembra una stessa persona con un Umberto conte mentovato
in due carte dell'anno 971 e 975. Come si vede, oramai non
manca più che trovare il padre del Biancamano , e questa
non h molto difficile impresa. Nel 977 Corrado suddetto re dì
Borgogna prese sotto la sua protezione i beni del monastero
di s. Teofredo nel pago di Valenza e di Dies, e Tatto fu
firmato da parecchi signori del regno ^ fra i quali il conte
Amedeo e il conte Umberto. Quest'Umberto che si sottoscrive
dopo Amedeo al signor Carutti non sembra l'Umberto del 97i
e 975 bensì un figlio secondogenito di quello, il cui primo-
genito è invece il conte Amedeo nel quale egli ravvisa il padre
del Biancamano. Sopra di queste basi il nostro autore stabi-
lisce il seguente albero genealogico.
Amedeo il vecchio (926)
I
Umberto il vecchio (943, 971, 975)
I
I I
Amedeo il maggiore (977) Umberto di Savoia Bellej (977)
Umberto I Biancamano
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Riconosciamo facilmente che l'ipotesi del signor Carutti oon
contrasta punto con la cronologia, ma è anche d^uopo rico-
noscere che essa si fonda unicamente sopra di un nome e
« luce troppo debole h un nome » , avvertiva il Muratori a
proposito di uu Amedeo conte di palazzo al tempo dell'im-
peratore Lamberto, dal quale taluno voleva far derivare la
casa di Savoia; ed in questa sentenza del celebre storico il
Carutti stesso pienamente conviene (pag. ss). Niente ci prova
che r Amadeo creduto padre del Blancamano fosse figlio di
un Umberto, e da altra parte siffatti nomi non sono poi cosi
rari Ha dovere necessariamente far credere ad una agnazione
in chi li porta. Oltre all'Amedeo conte di palazzo di cui si
e detto di sopra , e ad un altro Amedeo che nell' anno 945
si adoprò di molto per promuovere gl'interessi di Berengario
allora marchese d*Ivrea, quindi re d'Italia (i)^ il Muratori ne
rammentava parecchi altri. Di Umberti poi i documenti ne
ricordano moltissimi.
La ragione dei possessi, che sarebbe del certo un argo-
mento di non poco valore, neppure essa suffraga la conget-
tura del Carutti, imperocché non v'ha alcun documento onde
si provi che l'Amedeo da lui supposto padre del Biancamano
e r Umberto e 1' altro Amedeo creduti avolo e bisavolo di
quello, avessero beni nei paesi in cui quindi signoreggiò la
casa di Savoia. Difatti T Amedeo che il Carutti chiama il
Maggiore nella delta carta del 977 , unica memoria che di
lui ne rimanga, appare come testimone ad un privilegio del
re Corrado a favore del monastero di s. Teofredo; cosi l'Um-r
berlo il vecchio che il signor Carutti crede padre di quest'A-
madeo^ nei documenti è mentovato come conte del Viennese.
Anzi qui sarebbe da osservare che nella carta del 943 ,
in cui apparisce per la prima volta quest' Umberto ancora
senza il titolo di conte, vi h pure la sottoscrizione di Leo-
taldo conte di Ma-^on, il quale^ come ci fa sapere il barone
Carutti^ avea un fratello appunto chiamato Umberto, che può
essere benissimo quegli che si sottoscrìsse con lui , e che ,
diventato quindi assai verisimilmente conte del viennese , è
ricordato nelle citate carte .del 971 e 975. E perclie dalla fa-
miglia dei conti di Magon non discende del sicuro la real
casa di Savoia^ il filo genealogico dell'onorevole Carutti rimar-
rebbe affatto troncato. Inoltre circa quest'Umberto conte del
viennese si potrebbe fare un' altra supposizione egualmente
(i) Muratori, Annali d'Italia, an. 945.
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— 349 —
e forse anche più probabile. Carlo Costantino, nipote del re
Bosone e figlio dell'orbo imperatore Lodovico, ebbe in retaggio
il principato di Vienna, e fu padre di due figli, Tuno chiamato
Riccardo, Taltro Uberto. L'Umberto conte del viennese nel 971
e 975 non potrebbe essere appunto il secondogenito del prin-
cipe Bosonide^ La cronologia consente, e la ragione dei pos-
sessi lo confermerebbe pur essa. In tal caso l'Umberto del 945
non potrebbe più essere una stessa persona col conte di Vienna
del 7i e 75, bensì il fratello del conte Leotaldo di Ma(;on.
In ogni modo parmi evidente che Umberto conte del Vien-
nese non abbia avuta alcuna attinenza col Biancamano. Quanto
poi all'Amedeo cui l'egregio critico da il predicato di vecchio
e reputa atavo del Biancamano , la carta del 926 in cui h
soltanto mentovato con altri signori della Borgogna , non
mostra punto di quale regione del regno egli fosse.
Se dunque io non m'inganno del mio giudizio, l'ipotesi
del barone Carutti, sebbene stia in perfetto accordo con la
cronologia e ci dia sicura prova dei lunghi e dilìgenti studi
da lui fatti intorno a questo argomento , reggendosi però
unicamente sopra una base di assai dubbia solidità, qual è
quella dell' omonomia , non è del certo di tanto valore da
risolvere 1* antica ed ardua questione. Il perchè credo mi
sarà permesso di cogliere questa occasione per mettere fuori
anche io un'altra congettura che mi si era presentata alla
mente assai prima che uscisse il libro del signor Carutti e
che, come Io prova il non averla abbandonata dopo la let-
tura dì esso, non mi sembra neppure adesso del tutto indegna
di essere proposta all'esame degli studiosi.
Oltre a re Adalberto, padre di quell'Ottone Guglielmo
che per le ragioni della madre Gerberga e il favore del pa-
trigno Enrico di Borgogna salì a grande stato di la dei monti,
Berengario II re d'Italia ebbe pure due altri figli, Guido e
Corrado. Guido mori presso il Po nell'anno 965 combattendo
contro Burcardo duca degli Alemanni mandato da Ottone I
a reprimere gli ultimi conati d'indipendenza in Italia; Cor-
rado sopravvissuto alla rovina della sua famiglia venne indi
a patti col monarca tedesco da cui potè ottenere qualche
stato. Quorum bidone interfecto Conone pactione quieto
Adalbertus ecc. : scrive Arnolfo nella sua Historia Mediai.
lib. I, e. 8 (i). E difatti da una donazione dell'anno 987 che
si conserva nell' archivio dei canonici di Vercelli e che fu
(1) R. I. S. t. IV.
47
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— 350 —
pubblicata dal Provana (t) rileviamo che in quell^anno il detto
Corrado era marchese d'Ivrea, marchesato che, come h noto,
era stato già tenuto dai suoi antenati. Corrado chiamato anche
Cona, Conone e Dadone, si sposò con Ichilda figlia di Arduino
Glabrione conte di Torino, ed oltre ad alcuna femmine ebbe
da lei tre maschi, cioè Arduino, che fu re dltalia, Amedeo
e Vi berlo od Uberto.
Amedeo h mentovato insieme col fratello Ardoino, jàr-
duinum et Amedeum fratrem ejus nella scomunica lanciata
contro di essi dal vescovo d' Ivrea nell' anno 997 o 998 (2).
Di Uberto si fa parola in un placito tenuto a Pavia ai 14 di
ottobre del iooi da Ottone conte del sacro palazzo e presie-
duto da Ottone III imperatore, al quale assistette tra gli
altri primati del regno t^ibertus Comes fUius b. m. Dodonis (z);
lo vediamo quindi sottoscritto in una donazione di Ottone
figlio di Arduino a favore della chiesa di s. Siro di Pavia:
Io si trova compreso nella sentenza di Enrico II imperatore
data Tanno ioi4 contro molti seguaci del re Arduino^ e fi-
nalmente in una carta dell'anno i0&9, con la quale Olderico
Manfredi marchese di Torino fa ricca donazione al monastero
di s. Giusto in Susa, vi h signum manibus f^iutberti Corniti
et Hudoni lege sfis^entes salica testes.
Qui osserviamo che il modo con cui sono segnati quei
due testimoni Uberto e Oddone, ambi lege salica uiventes,
mostra esservi certamente agnazione tra loro^ e forse trat-
tarsi di padre e figlio. Dunque nella famiglia di Arduino
troviamo tre dei primi e principali nomi della casa di Sa-
voia, Umberto, Amadeo e Oddone. È anche questa una strana
coincidenza di nomi , o non piuttosto un forte indizio che
tra la famiglia dellultimo re d*ltalia' italiano e quella di Sa-
voia v'abbia una stretta attinenza? Consideriamo che le pa-
rentele tra questi Umberti e questi Amedei e Oddoni non e
già, come quella fra gli Umberti e gli Amedei trovati dal
signor Garutti, affatto ipotetica, bensì certa e provata da do-
cumenti irrefragabili. Umberto e Amedeo sono i nomi di due
fratelli di Arduino; Oddone o Dadone è quello del padre di
lui e di un suo figlio , e forse , come abbiamo veduto , di
un figlio del suo fratello Umberto.
(1) Studi critici sulla itoria d" Italia ai tempi del rt AtduiiM , docu-
mento N.o 1.
(2) Provana, oper. cit. docam. N? 9.
(3) Muratori, Jnl. Eitemi^ part. II.
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— 35i —
Di più sappiamo che la madre di Arduino, Icbilde, era
della famiglia dei marchesi di Torino; e nella contesa che
Arduino ebbe a sostenere contro Enrico II il suo cugino
Olderico Manfredi marchese di Torino e nepote d*lchilde fu
ora aperto ora celato ma sempre costante suo partigiano.
Morto Arduino, nell'anno ;i029 il fratello Umberto e il costui
£glio Oddone li troviamo in Susa presso la corte del cugino
Manfredi, altra prova della buona relazione che proseguiva
a essere tra quelle due famiglie. Ebbene, la figlia ed erede
di Manfredi, la famosa Adelaide si sposò con Oddone figlio
di Umberto Biancamano , e questo fatto sembra ci porga
un altro valevole indizio per ritenere assai probabile che
quest'Umberto progenitore della real casa di Savoia sia stato
appunto il fratello di Arduino.
La tradizione antichissima che attribuisce origine regia
alla casa di Savoia, e che viene confermata dalle parole di
s. Pier Damiano alla contessa Adelaide, e da quelle che si
leggono nell'atto di fondazione di s. Maria di Óyse nel 1036
concorre anche essa a dar forza a questa congettura. E ve-
ramente è un po' difficile a credersi che se Umberto fosse
stato soltanto un privato. Berta, figlia del suo figlio Oddone,
potesse essere elevata al talamo di Enrico IV imperatore ,
caso maraviglioso davvero se si vuole tenere conto della gran-
dezza in cui, quando esso avvenne, era la real casa di Fran-
conia, e se si consideri non avervi altri esempi in quéi tempi
che un imperatore nato di padre anch'esso imperatore si spo-
sasse a donna che non fosse di sangue reale (i). Anche il
titolo assunto dagli Umbertidi e costantemente da loro rite-
nuto di marchesi d'Italia, vale ei pure a rafforzare quest'ipo-
tesi, potendo mostrare come essi congiungendo il loro nome
a quello della penisola volessero tener viva la memoria del
dominio altre volte esercitato su di essa dalla loro famiglia.
(1) Principiando dagli Ottoni» osserviamo che la prima moglie di Ottone I
fu Edita figlia di Edoardo I re d'Inghilterra; la seconda Adelaide figlia di
Rodolfo II re di Borgogna e vedova di Lottarlo re d'Italia. Moglie di Ottone II
fu Teofania figlia di Romano imperatore d'Oriente. Ottone III non ebbe
moglie. Vero è che Cunegonda moglie di Enrico li non fu di sangue reale,
essendo nata di Sigifredo conte di Lucemburgo ; ma è da considerare che
quando Enrico la sposò egli non era imperatore, ami non aveva alcuna spe-
ranza di poterlo essere mai» essendo ancora in vita Ottone III ben più gio-
vane di lui. Anche la moglie di Corrado il. Salico » Gisla iglla di Ermanno
duca di Alemagna» non fu di sangue reale» ma anch'essa si sposò a Corrado
auando questi non era peranche re. Enrico III ebbe due mogli; Cunichilde
glia di Canuto re d'Inghilterra» e Agnese figlia di Guglielmo potentissimo
duca di Aquitania e conte di Poitiers» ed a cui per essere re non mancava
altro che il titolo.
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— 352 —
Come Tesule prole di re Adalberto trovò rifugio nel regno
di Borgogna, cosi molto verìsimilmente^ morto Arduino, in
quel medesimo reame cercò ed ebbe ospitalità il suo super-
stite fratello Umberto. 11 suo cugino Ottone Guglielmo pos-
sedeva allora uno dei maggiori feudi di quello stato , ove
egli sì per la propria virtù e sì per la dappocaggine del re,
era venuto a tanta potenza che reggeva lo stato da padrone
Rodolfo di nome (l). Uno dei primi documenti che si può
con sicurezza riferire ad Umberto Biancamano è quello già
di sopra citato dell'anno 1025 in cui apparisce conte di Aosta.
È facile che egli, mediante il favore del potentissimo cugino,
fosse stato investito di quella contea, la quale, allora com-
presa nel reame di Borgogna, avea già fatto parte del mar-
chesato d* Ivrea antico retaggio della sua famiglia. Finché
durò in vita Enrico II imperatore, nulla ci prova che Um-
berto parteggiasse per lui nelle guerre che quegli ebbe a
sostenere contro i signori borgognoni , mal soffrenti che il
loro regno dovesse cadere in balìa di un sovrano straniero.
Anzi non è improbabile che egli in quelle rivolture seguisse
le parti del suo parente e protettore Ottone Guglielmo, che
era il principale oppositore di Enrico sì per odio alla fa-
miglia di Sassonia che avea privato il padre del regno d'Italia,
e sì perchè mirava a succedere al debole Rodolfo nel reame
della Borgogna. Però morto Enrico, morto Ottone Guglielmo,
e succeduto a quello sì nell* impero come nelle pretensioni
sulla Borgogna Corrado il Salico, il conte Umberto, di ac-
cordo con la regina Ermengarda moglie di Rodolfo III, prese
a favorire gl'interessi di Corrado e a combattere efficacemente
per lui. Umberto, che accorto e avvisato uomo era, di leg-
gieri si avvide che non era probabile opporsi alla potenza
dell'ipiperatore, e forse a luì come ad altri signori borgognoni,
similmente ai grandi vassalli d'Italia al tempo d'Arduino,
tornava meglio che il regno venisse in potere di un principe
lontano e che vi avrebbe fatto breve e forse nessuna dimora,
anziché di uno nazionale; e però preferì la causa di Corrado
a quella del suo competitore Oddone conte di Sciampagna.
E ben gli tornò; n'ebbe concessioni di molti benefizi, la ca-
rica di contestabile, e quindi il rettorato del regno.
Facilmente prevediamo un'obbiezione che a primo aspetto
può parere assai forte. In una carta di donazione alla chiesa
d'Ivrea dell'anno i094 Umberto II pronipote del Biancamano
(1) Carutti» oper. cit. pagt 20.
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— 353 —
scriveva : ego Ubertiis flly quondam Amedeo qui professo
sum ex nacione mea lege vivere romana. Ora è noto che
gii Ardoinici professarono invece la legge salica; quindi la
differenza della legge potrebbe reputarsi come sufficiente ar-
gomento per provare la diversità pure della famìglia.
Peraltro a questa obbiezione non mi sembra che possa
mancare soddisfacente risposta, È noto che, specialmente dopo
Carlomagno , ciascuno poteva scegliere la legge secondo la
quale voleva vivere; quindi la possibilità che il conte Um-
berto abbandonasse la legge salica per la romana non può
esser negata , ed il signor Carutti anch* esso implicitamente
]* ammette. Però egli non ne concede egualmente la proba-
bilità, poiché « la legge franca -dice egli -era legge onorata^
» legge rispettata, legge dei padroni, dei vincitori del 5S4.
» Chi per natali la professava non l'avrebbe abbandonata
» avendo molte ragioni per conservarla nessuna per cam-
j» biada. Era segno di sovranità, legame di vasta fratellanza,
» sangue del sangue nazionale. La legge sospetta, nimicata
» dal clero era la Gundobada. L'arcivescovo di Lione Ago-
D bardo nella sua petizione a Lodovico il pio esagerandone
ji i difetti domandava che i Borgognoni fossero costretti di
3) abbracciare la salica: Si autem placuerit Domino nostro
» sapientissimo imperatori ut eos trasferret ad legem Fran-
» corum eo ipso nobiliores éfflceretur... Se i maggiori di
» Umberto I fossero stati di legge salica, egli ed i suoi di-
» scendenti 1* avrebbero conservata. » Questo ragionamento
del signor Carutti, ingegnoso e sottile a dir vero, vuol essere,
mi pare , alquanto esaminato. I Borgognoni quando nel 456
occuparono quella parte della Gallia cui dettero poi il nome,
usarono mitemente della conquista, e nonché opprimere grin-
digeni coabitarono concordi con loro. Borgognoni e Romani
prescrive il loro codice, siano di una stessa condizione (i);
quindi eguaglianza di dritti e d' imposizioni ; facoltà anche
per ì romani di ascendere alle prime dignità dello stato; e
difatti nella legge loro si trova scritto sovente : Bomanus
Comes vel Burgundio... Omnes comites tam Burgundiones
quam Romani. Due codici vigevano nel regno burgundico,
uno per i borgognoni, l'altro per i romani; e la legge ro-
mana aveva ispirato più volte il legislatore borgognone, che
da essa prese pure Videa di confermare e ampliare l*antorìtà
monarchica menomando le prerogative dell'assemblea popolare
(1) Burgucdos et Romanos una conditione tenuntur» Tit XI.
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— 854 —
e i privilegi del clero, amplissimi invece ia altri codici bar-
bari, massime ia quello dei Visigoti. Quando nel 5S4 i fra-
telli Childeberto e Clotario re dei Franchi occuparono e si
divisero la Borgogna vi lasciarono sussistere le consuetudini
anticlie^ come vi rimase intatta Tantica popolazione. Forse,
come accadde in Italia dopo l'invasione di Garlomagno, qualche
signore franco si sarà stabilito in Borgogna, ma il grosso dei
grandi e della popolazione continuò a esser costituito dai
borgognoni e dai gallo-romani. I quali, che per i buoni rap-
porti SI lungo tempo durati fra loro, avevano ormai formato
un popolo solo, perduta la propria indipendenza per opera
dei Franchi, conservarono sempre malo animo verso di questi
e aperta contrarietà alle leggi loro ; di guisa che quando
Lodovico il Pio^ cedendo alle sollecitazioni del clero, abolì
la legge Gombetta stata a quello sempre mal gradita, la po-
polazione borgc^nona, anziché adottare^' la legge degli odiati
conquistatori, preferì di reggersi secondo quella romana, la
quale^ ce lo dice lo stesso signor Carutti: ^ divenne comune
» COSI agli abitanti di nazione burgondica come ai gallo-
» romani » (pag. 59). Quando l'impero franco di Carlomagno
venne ai deboli successori di lui, i molti elementi eterogenei
cbe lo componevano e che dalla sua mano poderosa erano
stati costretti a una forzata associazione , presto tornarono
a dividersi; e i Borgognoni, profittando della propizia occa-
sione si tolsero anche essi della soggezione dei Franchi e
ricostituirono il regno loro.
Rivendicata cbe essi ebbero la propria indipendenza, la
legge salica anziché essere più un segno di sovranità j legge
onorata^ legge rispettata come al tempo di Lodovico il Pio,
era legge odiata, la legge degli antichi padroni, dei conqui-
statori del 534^ era un ricordo di una gravissima sciagura
sofferta, di un grande avvilimento patito, un'offesa all'amor
proprio nazionale; mentre al contrario la legge romana, quasi
universalmente seguita da parecchie generazioni e tenuta
come vincolo di fratellanza ira i conquistati durante la mal
sofferta dominazione dei Franchi, era divenuta la legge della
nazione. Quindi il conte Umberto, che, esule dall'Italia, era
venuto in Borgogna a ricercarvi ospitalità , e I' avca eletta
a sua seconda patria, e intendeva ad ottenere onorevole posto
tra i magnati del regno, aveva tutto l'interesse di non urtare
il sentimento: nazionale del popolo in cui vivea , bensì di
conciliarselo e di amicarselo uniformandosi ai suoi costumi
ed alle sue consuetudini. Perciò niente di più facile che egli
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— S55 —
cambiasse la legge salica per quella romana; la legge invisa
per quella nazionale, e se ciò fu, agevolmente si spiega perchè
quasi un secolo dopo, un suo pronepote, il conte Umberto II,
affermasse di professare per nascita la legge romana: professo
sum ex nacione mea lege solvere romana.
Non pretendo io già di essere riuscito a sciogliere defi-
nitivamente la questione , e a rispondere trionfalmente a
un interrogativo intomo al quale si sono affaticati uomini
tanto maggiori dì me per dottrina e per senno. Ma mentre
riconosco senza esitanza che i documenti finora cogniti non
bastano a provare questa nuova congettura, mi sembra però
che essa si appoggi sopra argomenti forse di maggior peso
e solidità che quelli recati a sostegno delle altre. Di ciò pe-
raltro non posso essere giudice io, bensì quei cortesi cui non
sarà di soverchia noia il prendere ad esame le cose da me
discorse, e fra quali mi è grato sperare che vorra essere pure
Y illustre storico il cui recente lavoro ha dato occasione a
questo scritto. Il suo retto giudizio, la sua profonda cono-
scenza della storia dei nostri re e il suo cognito amore del
vero mi assicurano a ritenere per fermo che egli, se rico-
noscerìi buone le mie argomentazioni, vorrà e potrà confor-
tarle e sostenerle con altre assai più di quelle efficaci e con*
eludenti, ovvero, se le ravviserà mal fondate, saprà di leg*
gieri, con prove e ragioni incontestabili e decisive, confu-
tarle ed abbatterle compiutamente.
Frangbsco Labruzzi di Nbxwa
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— 556 —
LIX«
DESCRIZIONE
DI TUTTE LE COLONNE ED OBELISCHI
CHE TROYANSI NELLE PIAZZE DI ROMA
DISPOSTA IN FORMA DI GUIDA
DA ANGELO PELLEGRINI
MBMBtO DELI'IHITITUTO DI COtBISPOHDKHSA ABCBBOLOOICA
CotUinuaxioM (i)
OBELISCO DELLA PIAZZA DEL POPOLO
Fu detto allorché si trattò dell* obelisco sulla piazza di
Montecitorio, come ambedue queste moli fui*ono le prime ad
essere condotte in Roma da Eliopoli V anno 744 di Roma ,
9 delFera volgare. Augusto che le trasportò, destinò questo
obelisco ad ornamento della spina del Circo Massimo. Plinio
nel libro XXXVl, cap. 9, dice che tale obelisco fu tagliato
dal re Semneserte , a' tempi del quale viaggiò Pittagora in
Egitto, e gli da di altezza 125 piedi e 9 oncie, oltre la base
ossia il piedestallo di granilo, dicendo: excisus est a rege
SemenpserteOj che non sembra certamente errore dei copisti.
I cartelli però danno il nome di Ramses IH ossia Sesostri
che regnava in Egitto dieci secoli prima di Pittagora , cioè
l'anno 1565 avanti l'era volgare, mentre il nominato viaggio
fu circa Tanno 560 innanzi di essa, cioè sotto T ultimo Fa-
raone. Ammiano Marcellino (2) però, dopo avere indicato il
trasporto dei due obelischi^ riferendo la interpretazione delle
iscrizioni geroglifiche fatta in greco da Ermapione, ne mostra
autore Ramesse.
Le vicende di quest'obelisco sono comuni con quelle dellV
belisco lateranense descritto, onde rimando a ciò che di esso
ne fu notato in principio. Esso fu trovato da Matteo da Ca-
stello circa 2 metri sotterra, e come laltro fu risarcito, tra-
sportato ed eretto dall'architetto Domenico Fontana d'ordine
di Sisto V Tanno 1587. Era rotto in due pezzi, ed insieme
con questi fu ritrovato il piedestallo antico, sul quale venne
innalzato di nuovo nella piazza del Popolo.
(1) Vedi Quaderno precedente, pag. 332.
(2) Lib. XVII, cap. 4.
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— 357 —
La iscrizione di Augusto ripetuta in due lati dell' obe-
lisco è eguale a quella dell'altro ora sulla piazza di Monte
Citorio^ e qui la riportiamo di nuovo:
INP • CAESAR . DIVI • F.
AVGVSTVS
POlfTlFEX^ MAXIMVS
IMP. Xìl. COS. XI TRIB. POT. XIV
AEGYPTO . IR • POTESTATEM
POPVLI • ROMANI • REDAGTA
SOLI DONVM DEDIT
Delle iscrizioni di Sisto V» la prima nella faccia orientale dice:
ANTE . SACRAM
lUIVS • AEOEM
AVGVSTIOR
LAETIORQVE • SVRGO
GVIVS • EX . VTERO
VIRGINALI
>VG • IMPERANTE
T^OL . IVSTITIAE
EXORTVS . EST
L*ìscrizione principale a settentrione ricorda lopera di Sisto V
che lo fece cavare rotto in pezzi nel Circo Massimo , tra-
sportare e ridurre nella forma primitiva , e che lo dedicò
alla Croce invittissima:
SIXTVS V. PONT. MAX
06ELISCVM HVNG
A CAES • AVG • SOLI
IN CIRCO MAX. RITV
OICATVM IMPIO
MISERANDA RVINA
FRAGTVM OBRVTVMQ.
ERVl TRANSFERBI
FORMAR 8VAE REDDI
CRVCIQ • INVICTIS8.
DEDICARI IV8SIT
A . M • D . LXXXIX . PONT « IV
Per errore dei copisti non è esatta la misura che da Plinio
nel luogo citato, cioè di piedi LXXXV ed un dodrante» riguardo
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— 138 —
alla sua altezza (i), méntre è alto circa 79 piedi, ed esatta-
mente metri 23 j~ il solo fusto non compresa la base , . la
croce di metallo ed altri accessori moderni.
Sulla piazza del Popolo Sisto V aveva fatto innalzare una
bella fontana co'disegni di Giacomo della Porta, composta
di una bella tazza di marmo salino formata, come dicevasi,
colla base di una delle colónne che Sostenevano il frontispizio
della casa aurea di Nerone (2). Siccome però questa fontana
rimaneva presso 1* obelisco , coisi allorquando d' ordine di
Leone XII fu questo^ circondato da una gradinata quadra ,
venne tolta, ed in sua véccf furoiH) sostituite le quattro negli
angoli. Si eressero da Leone XII circa Tanno 1824, servendosi
deirarchitetto Giuseppe Valàdier. Esse si compongono d*ana
vasca rotonda di travertino in cui cade Tacqua dalla bocca
di un leone di marmo bianco, scolpito sullo stile egizio, e
collocato su d'un imbasamento formato da sette risalti qua-
drilunghi che s'innalzano quasi in forma piramidale.
Riguardo al nome di Raihses III, delle sue mogli e dei
figli, veggasi il Rosellini Monumenti detV Egitto e della Nubia^
parte I, pag. 256 e seg., ed i cartelli a pag. X in fine dei
quali è uno del re suddetto.
Lasciando da parte di riportare la versione in italiano
della traduzione in greco delle iscrizioni geroglifiche di questo
obelisco fatta da Ermapìone di cui si ^ parlato di sopra, ve-
niamo all'interpretazione riportandola, per quanto si può,
dall'opera dell'Ungarelli citata.
FÀCCiA OCCIDENTALE - PiRAMIDE
Vedesi seduto Menphtah I oon mitra in testa^ o proprio
diadema Phta-Sokaris^ innanzi a cui è f immagine simbolica
ésfe/Z'Androsphingis. Le iscrizioni dicono sopra queste figure.
Detto: attribuiamo a te tutta la tutela^ Atbmù dio signore
dell'uno e Valtro tratto della occidentale regione.
Dio benefico sole di giustizia firmamento; figlio del sole
amico Phtah Nubnubei dando la vita, la stabilità la purità.
Forza vita in esso.
Forza . . . é . vita^ purità in esso tutta.
(1) Così Plinio NaL tìùt. edii. tiamburgi et tìolhae MDCCCLL Voi. V,
pag. 324, cap. IX.
iV Yed. V«cca , Memoria n. 78f. Così cbiamavaiio il tempio del Sole
eretto da Aureliano sol Quirinale» di cui rimanevano avanzi nel giardino Co-
lonna, che iretirieró distruUt (fa Urbano Vili.
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— 359 —
Capitolo;
Vistesso re Menphtah \ colle insegne Phtah-Sokar sup-
pliches^ole acanti al dio offre a lui in msi.
A destra sopra il re:
Be sole di giustizia frmamentq ; fglio def spfe t^pHfo
Phtba-Nubnubei.
A sinistra sopra il dio:
Dona la vita integra, la longanimità tutta Atfamù si-
gnore della regione ocpidentale, signore del cielo.
Sotto i donativi:
Offre i profumi (o gli incensi) vari al padre.
Colonna di mezzo
Il sacro accipiter (uccello di rapina, o avvoltojo) mitrato
a somiglianza di Àthmà^ sta sopra il vessillo, come nelle quattro
faccie dell'obelisco LateraneDse, e sempre col sottoposto toro.
Har-Oéris forte nel sole^ amico della verità.
Signore della superiore^ e signore della inferiore regione^
punì le terre straniere , trafisse i nemici Mennabdm (i)
nemici.
Oro splendente amico del solcj il nome {di lui è) am-
plificatore delle religioni.
Be sole stabiliente la giustizia arricchì fa regione d^oc-
cidente cogli obelischi^ e Vabitazione del sole (2) inEliopoli.
Partecipi fece dei suoi beni gli dei del gran fempio
per la retribuzione dei gaudi.
Fece il figlio del sole amante o diligente £htab amifio
degli altri dii che abitano nel gran tempio^ donatore della
vita come il sole.
Base:
Quantunque in parte Tantico è mancante^ restano Jtraccie
delle figure del re Menphtah I inginocchiato avanti la figura
del dio Phre in piedi, a cui particolarmente era saicro questo
obelisco, facendo le oblazioni in un vaso.
(!) I barbari,' e coincide colla frase di Ermapione.
(2) Il gran tempio.
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— 360 —
A destra sopra il re: ^
Amico del sole gran dio^ signore del cieloy datore della
vita^ il quale {dio) è padrone del tempio.
Har-Oéris forte come Maadù (i) Re moderatore magna-
nimOf signore dell'uno e l'altro mondo^ sole stabiliente la
giustizia^ donator della vita in perpetuo.
Figlio del sole della progenie di esso, dal quale si ama.
signore dei diademi {%). Amico Pbtah Nuboabei:
A sinistra sopra il dio:
Detto da Phre del mondo dio grande;
signore del cielo.
Ti consegnarne i mondi in possesso , ti ordiniamo di
gratificare l'Egitto superiore (ed) inferiore.
' FACCIA OCCiDENTALS - CoLONNA DESTRA
Har-Oérisy figlio molto potente di Atbmù.
Sole (3) generato dagli deij ridusse i mondi nella sud
potestà.
Re sole custode della verità eletto dal sole , figlio del
sole di Ammone amico Ramses.
Oro splendente custode degli anni, grande per le vittorie.
Signore del mondo sole custode della verità eletto dal
solcj figlio del sole amico di Ammone Ramses, figUo di Thorè
immortale.
FACCIA OCCIDBNTALB - CoLONNA SINISTRA
Har-Oérìs prevalido amico della verità.
Signore solenne eguale di celebrare come il padre di
lui Phtah-Sokari.
Re sole custode della verità eletto dal sole , figlio del
sole di Ammone amico Ramses, signore delta regione supe^
riore ed inferiore^ stabilitore del f Egitto ^ e punitore delle
terre degli stranieri.
Signore deWuno e f altro mondo sole custode della ve-
rità eletto dal sole^ figlio del sole di Ammone amico Ramses,
figlio di Tore, donator della vita.
(1) Marito della dea RUho.
\2) S' intende dei dominanti.
(3) SoUf nome usato per Faraone»
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— 361 —
TACCIA MBRiDiONALE - PIRAMIDE
Menphtah I colla forma di una sfinge mitrata che fa
offerte al dio Pbrè.
// parlare: doniamo a te la vita, la fermezza ^ la pu-
rità tutta.
Pfarè dio grande signore del cielo.
Dio buono signore delV Egitto sole stabiliente la giustizia ^
figlio del sole signore delV Egitto amico di Pfatah Nubnubei.
Forza vita perfetta in esso.
Forza vita^purità integra tutta in esso.
Capitolo:
Come nella faccia occidentale Menphtab fa adorazione^
ed oblazione al dio Pfarè.
Dà la vita lunga, perfetta e tutta la tutela (e) la piena
vittoria.
Sole deir uno e V altro mondo , dio grande , signore
del cielo.
COLONNA DI MEZZO
Har-Oéris forte che le terre degli stranieri percuote
colle sue vittorie.
Signore del superiore Egitto ed inferiore , fondatore
della sacra fabbrica in perpetuo^ e per sempre.
Oro risplendente {che) perfeziona il sole nei suoi diletti.
Re sole stabilitore della giustizia (di cui) il simulacro
nella terra Pone dimora (e) fa esso pure quello per Phrò
signore di luij le cose tutte ^ il cielo e la terra in duplice
gaudio della religione di lui.
Per quelle cose che fa il figlio del sole Menphptab amico
di Phrè-to, come il sole in perpetuo.
Base:
Qui Menphtab offre il doppio vaso contenente il vario
profumo,
A destra sopra il re:
Amico Phr^ del dio grande sigjiore del cielo che abita
nel mezzo del gran tempio.
Haroeris forte vita dell'Egitto^ /Je, signore delVEgittOy
signore il tutto delle cose operante^ signore della fortezza^
sole stabiliente la giustizia.
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362 —
Figlio del sole dai bisarcavoli diletto di lui , signore
dei dominanti servo di Phtali Nubnubei.
A sinistra sopra il dio:
f^erbo del sole . . del mondoj gran dio^ signore
del cielo.
Assegnamo a te tutte le parti della terra ^ e degli stra-
nieri tutti in possesso^ ti comandiamo di beneficare il su-
periore ed inferiore Egitto j a somiglianza del sole per tutto
il tempo sul trono Oro,
FACCÌà MSRIDiONALB - CoLONNA DESTRA
Haroéris forte figlio Phtah-Sokaris,
Signore delV Egitto superiore ed inferiore , siabilitore
delFEgiitOy e punitore delle terre straniere^ re sole custode
della verità eletto dal sole 9 figlio del sole amico di Am-
mone Ramses,
Furono allegri nella terra Pone sotto la regia potestà
di esso (/. e.) signore dell* una e V altra parte delP Egitto,
sole custode della verità eiettò dal sole , figlio del sole ,
amico di Ammone Ramses donator della vita.
HaFoérìs valido^ della verità amico.
Signore solenne giurisdizione a simiglianza del padre
suo Phtali-Sokaris f re sole custode della verità scelto dal
sole, figlio del sole di Aminone amico Ramses.
Ihstituì i sacrifizi agli dei, edificò tempj dei medesimi
de W una e V altra regione, sole custode della verità eletto
dal sohf figlio del sole di Ammone amico Ramses donator
della vita a similitudine del sole.
f^erbo: a te attribuiamo la tutela di Thorè nel centro
della sua nave.
Forza vita in esso^ tutto {il sole).
Dio buono sole firmamento della verità, figlio del sole
amante Phtah di Mubnabei.
Forza vita nello stesso tutto il sole.
Capìtolo:
Supplichevole Menphtah I offre i donativi al dio Thorè
(cioè il liquore contenuto in due vaselli).
A destra dalla parte del dio legges}:
Dà la vita tutta-, e Ipi magnanimità (e) sótto gli {auspict)
di Thorè dio grande signore del cielo.
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— 3M —
Sótto i donativi:
Offre al padre (suo).
Colonna di mezzo
Baroérìs forte, perfetto nella verità.
Signore del superiore Egitto (ed) inferiore^ Mandù cu-
stodiente l'Egitto delVorbe.
Oro splèndente^ sacerdote di Thorè, re iole stabiliente
la giustizia che secondo i riti consagrò l* edificio (i) nella
sede della regione Pone in perpetuità.
Nel fondamento verso ai cardini del cielo (2) allo sta-
bile f con innumerevoli giorni a . . . . deli' oéchio
alla casa del sole e degli altri dei.
Base:
È la solita offetta dei vasi per parte di Menpbta^ à Phrè.
A destra sopra il dio: .
Parola Pi) rè dell'uno e f altro mondo dio grande.
Doniamo a te tutta la tutela e la perfetta magnani-
mità^ che siano soggette tutte le còse . . . . ^. • .
, . • la vita, la purità intiera . . . come il sale
in perpetuo.
A sinistra sopra il re:
Haroéris forte 9 figlio di Athmù Be signore delf Egitto,
sole firmamento della verità, fié^lo del iùle^ si^horé dèi do-
minanti amante Phtah di Nubntibei> d&nàtòY della vita èòfhe
il sole in perpetuo.
FACCIA A TRAMONTANA - CoLÙNNA DÈSTRA
.Haroéris forte, che ama il sole.
Sole seminato dagli dei, alitnentàtoré del mondo, i
Re sole custode della verità scelto dal sole , figlio del
sole, amico di Ammone Ramses, gran nome netl universo
mondo per la grandezza delle di lui vittorie^
Signore deWEgitto, sole custode della verità scélto dal
sole j figlio del sole , amico di Ammone Ramses , donator
della vita a somiglianza del sole.
(1) Il grande tempio di Eliopoli.
(2) Ai quattro venti.
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S64
FÀCCIA A TRAMONTANA -Colonna a sinistra
Haroérìs forte^ figlio di Nupti (i).
Oro risplendente custode degli annij grande per le vit-
torie, re sole custode della irrita eletto dal sole^ figlio del
sole amico di Ammone Ramses abitazione
del dio OrO) Àtbor, colle sue magnificenze sacre.
Signore delt Egitto sole custode della verità scelto dal
sole 9 figlio del sole^ amico di Ammone Ramses, donatore
della vita in perpetuo.
FACCIA ORI B NT ALE - Pi RAMI DEI
Vi ^ la stessa rappresentanza come nella faccia occiden-
tale^ cioè Menphtah coWandros finge ecc.
A destra sopra ed accanto al dio:
Dice: conferiamo a te la vita^ la purità j Ammone si-
gnore dell'una e r altra regione Poni: stabilità e tutta pu-
rità in esso.
A sinistra sopra il re, ed accanto:
Dio buono sole custode della verità scelto dal sole, figlio
del sole^ amico di Ammone Ramses, donator della vita^ della
stabilità i della purità.
Forza vita in esso.
Capitolò:
Al dio Atmù come padre suOj offre il simulacro, o figura
della verità. Sopra la testa di Ramses III è la sfera del
sole colle aure ecc.
A destra sopra il dio:
Dà la vita tutta (e perfetta tutela
Athmù signore di Poni, dio grande^ signore del cielo.
A sinistra sopra il re:
Re sole custode della verità eletto dal sole, figlio del
solcj amico di Ammone Ramses.
Sotto il donativo:
Dà per dono la verità al padre.
(1) Della Nubia.
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— 365 —
Colonna di mezzo
oro prevalido della verità amicò Re sole custode della
verità scelto dal sole , figlio del sole , amico di Ammone
Ramses fece il suo edificio (i) come stelle del cielo , giun-
gono le sue opere in cielo.
Raggio fhrh che letifica al transito per la sua casa di
allegrezza neWanno alla Maestà sua (%). Ornò (3) lo stabile
edificio questo del padre dei diletti , rendendo perenne il
nome di lui nella città del sole (a).
Fece il figlio del sole amico di Ammone Ramses di
Athmù signore della regione Pone diletto , donator della
vita in perpetuo.
Base:
Ramses III tenendo nella mano sinistra una specie di
piramide Voffre al dio Alhmù.
Sopra il dìo:
Dice concediamo a te il trono di^eh (dio) la gloria di
Alhmù . . . di coloro al signore dell' una e V altra
Nubia colla vita e purità.
Athmù signore del regione Pone, dio grande.
A sinistra sopra il re
Oro forte i amico della verità^ Re signore dell* uno e
f altro mondo f sole custode della verità eletto dal sole t figlio
del solcj signore dei dominanti^ amico di Ammone Ramses.
Donator della vita come il sole.
FACCIA OBIENTALB - CoLONNA DBSTBA
Oro prevalido amico del sole.
Sole procreato dagli dei alimentatore del mondo ; Re
sole custode della verità eletto dal sole , figlio del sole ,
amico di Ammone Ramses.
Dà l'abitazione ai dei tutelari tv Pone nelle voci di
giubilo.
(1) La descrixione del sepolcro di 0$ymandyae presso Diodoro I, 47, ri-
chiama in mente questo edificio come ornato di stelle.
(2) Le due torri del tempio di Eliopoli.
(3) Il lacunare del tempio con stelle.
(4) Eliopoli.
49
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— 366 —
Del raggio del sole nelPuno e l'altro emisfero^ a con-
templare ciò che fece il signore dell' Egitto sole custode
della {ferità scelto dal sole^ figlio del sole, amico di Aminone
Ramses donator della vita, come il sole.
Colonia simstra:
Oro forte y della verità amico.
Oro risplendente custode degli anni^ grande per le vit-
torie 9 Re sole custode della verità eletto dal sole , figlio
del solCf amico di Ammone Ramses.
Pone la statua (o il simulacro) alla resone Pone in
ciascuno dei pia grandi edifizj , figlio degli dei da essi
oriundo nel gran tempio.
Signore delVEgitto^ sole custode della verità scelto dal
solcj figlio del solcj amico di Ammone Ramses, donatore della
vita in perpetuo.
Veniamo ora alle spese Incontrate da Sisto V per la si-
stemazione di que$t*obelisco secondo i registri Camerali.
Obelisco sulla piazza del Popolo
Pagati da monsig. Marzio Frangipani Tesoriere
segreto con ìnandato di Sisto F' del dì u aprile iwt
a Matteo da Castello muratore per donativo fattogli
per avere trovato VOhelisco suddetto nel Circo Mas-
simo dieci palmi sotto terra Se. soo
Jl cavalier Domenico Fontana architetto , per
Coperà delF estrazione di esso Se idss
Al medesimo per la spesa della condottura^ re-
stauro » ed innalzamento , conforme alla stima di
Prospero Rocchi misuratore camerale^ ascendente a
Se. 8926; ridotti, e saldati il is giugno 1589 per Se. sooo
A Gio. Pietro carrettiere per porto di diverse
pietre Se. 67
Totale Se. ios99
Prendendo la via del Corso , e verso il fine voltando
a sinistra per il vicolo Seìarra , proseguendo direttamente
il cammino si sale al Quìiinale.
{Continua)
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— 367 —
LX.
PASSATEMPI ARTISTICI
DELL'ARCHITETTO PIETRO BONELLI
XII.
CICALATA SUI TEATRI DI ROMA
liN PROPOSITO DEL NUOVO TEATRO COSTANZE
Una nuova e grandiosa fabbrica: un ieatro per 1* opera
seria, inaugurato la sera del 27 novembre isso coll'opera in
musica Semiramide del maestro Rossini, e del quale da lungo
tempo se ne dicevano taute di mirabilia da far correre in
folla i curiosi, compresi quei die amano di essere sempre i
primi a giudicare di checchessia. In verità questa curiosità
moveva da un sentimento essenzialmente cittadino ; V amore
al paese natio ci tiene sempre animosi di tutto ciò che mira
al suo decoro, e ne fa oggetto alla estimazione altrui.
Il teatro sorge sul colle Viminale presso la via Nazionale
e precisamente fra le due vie Firenze e Torino. Il sìg. Dome^
nico Costanzi lo ha eretto a sue spese con diseguo e dire*
zione deirìngegnere sig. cav. Achille Sfondrini. Cotesto ma<>
gnifico edificio essendo riuscito di tal maniera leggiadit) e sì
bene adorno, sarebbe mestieri trovar colui che qual novello
atlante sei togliesse in sul dorso, e dallo strettoio di quelle
due viuzze remote lo trasportasse dove la sua magnificenza
Io richiede, cioè sul centro della vecchia Roma che è la meglio
e più nobilmente fabbricata, ed insieme la parte più popò-
Iosa ed animata della nostra citta. Ma lasciamo da parte os-
servazioni inutili; il teatro h sorto sulle amene alture della
nuova Roma che alla fin fine dovrà un giorno essere il cuore
della grande capitale, e se il Costanzi ha voluto mostrar più
deferenza verso la posterità anziché alla età presente, egli era
nella sua piena facoltà. 11 teatro adunque malgrado la sua
recondita posizione è meritevole dell* attenzione pubblica e
delle investigazioni dell' arte , ed io nella serata d'inaugura-
zione fui nel numero degli accorsi coll*unsia di conoscere la
grande opera di un artista nuovo per noi.
Il sole si era nascosto appena nell'occaso e compariva già
sul ciel dell'orsa luccicante qualche stella, quando io mi tro-
vava innanzi il portico d'ingresso. M'introduco nel vestibolo;
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— t(S8 —
ma gii aditi della sala non si erano ancora dischiusi^ e per
scacciar la noia dell' aspettare » mi si cacciò nella mente il
capriccio di scrivere quanto io sapeva intorno lorigine e la
storia dei teatri di Roma. Mi parve un argomento adatto alla
circostanza ed a proposito del teatro Costami; laonde entrai
nel vestibolo, mi assisi e colla matita scrissi.
Le rappresentazioni sceniche chiamate colla lingua del
Lazio Ludi scenici', non hanno una origine ben marcata, come
li tanti altri pubblici spettacoli nati da private abitudini, o
per io meno da circostanze puramente locali o straordinarie.
I canti popolari, i prestigi de* maghi, i vaticini dei profeti
hanno dato orìgine alle poesie epica, drammatica e satirica.
Dall' Etruria, dove queste ebbero culla, passarono in seguito
a Roma. Neil' anno 39i essendo questa città afflitta da una
peste che decimava sensibilmente la popolazione , si ricorse
per placare l*ira degli Dei ad un mezzo che la superstizione
credeva molto efficace, quello di celebrare in loro onore dei
giuochi pubblici, ed affinchè la intercessione fosse più pronta,
si pensò d'introdurre una nuova specie di questi 6no allora
sconosciuta, i Ludi scenici prendendoli in prestito dalla vi-
cina Etruria, i quali siccome avviene nella prima imitazione
di qualunque costume estraneo, consisterono in danze rozze
ed informi a suon di tibia eseguite nel foro o sull'arena del
circo, e declamando in pari tempo certi versi detti Fescen^
nini (i). A cotesti giuochi la gioventù prendeva parte con
ogni sorta di motteggi e parole licenziose. Non si sa se a
queste prime rappresentazioni teatrali fossero chiamati appo-
siti istrioni (2) dalla stessa Etruria, come al dire degli an-
tichi storici fecero nel tempo successivo. A poco a poco
queste informi recitazioni presero più regolarità , e l'inter-
locuzione del pubblico divenne più soda e satirica , fino a
che un tal Marco Livio Andronico liberto di Marco Livio Sa-
linatore, e precettore de'suoi figli, circa l'anno di Roma sts
compose, e fece recitare al pubblico alcune sue commedie e
tragedie sulla foggia delle greche, e queste possono consi-
(1)1 versi Fescennini erano una specie di poesia grossolana, senza metro
e senza cadenza, piena di facezie in ^ran parte licenziose e aUe a far ridere.
Si cantavano dai giovanetti dinnanzi le abitazioni di sposi novelli. Queste
canzoni si ritengono come i primi modelli degli epitalami i. Pare che questi
versi pigliassero no tal nome da Fetetnnium citlà etrasca non lungi dalla
odierna Civitacastellana» i cui abitanti ne furono Tiaventori. Macrobio però
crede derivato l'appellativo di fescennini da faseinum come se dessi servis-
sero per allontanare i malefici e impedirne gli effetti.
(2> Hittrio detto anche aetor e eantor era colui che mascherato, col gesto
e colla voce rappresentava le opere teatrali. La parola Histrio ha per radice
Hister che nelVidioma etrusco significava buffone 0 giocoliere^
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369 —
derarèi le prime opere del teatro latino, nelle quali Tuso
d'interloquire si ridusse a recitare negli iutermezzi degli atti
farse, exodia dette Atellane (i) estranee alla commedia che
si rappresentava. In queste commedie ove il poeta autore era
attore, vi si univa il canto e il ballo; però fino allora non
si parlava affatto e non si conoscevano luoghi appositi per
cotesti divertimenti. Era sempre il foro o il circo che pre-
stava la sua area e nuUaltro. A misura poi che Roma andava
sempre più allontanandosi dal suo stato primitivo, i suoi co-
stumi si dirozzavano, e gli agi, il comodo ed il lusso suc-
cedevano a quella vita semplice e patriarcale che fin dalla
sua infanzia aveva sempre tenuta, gli spettacoli teatrali diven-
nero il trattenimento più favorito, e si cerco ogni mezzo onde
r assistervi fosse meno disagioso , come lo era stato per lo
innanzi; la lunghezza dello spettacolo portata quasi al dì la
di quanto permettevano i loro affari , il proprio interesse ,
fece si che non più soffrendo lo starsi in piedi^ si cercò di
assistervi seduti, ed ecco Tidea del teatro che però non fu
che temporaneo e di legno. Dicesi che Jolao figliuolo di
Ipsicleo nel ricevere le Tespiadi da Ercole fu il primo che
nell'isola di Sardegna ordinasse i gradi da sedere^ e sembra
che non fossero altro che linee di rozze tavole soprapposte
le une alle altre a guisa di gradini di un carattere piuttosto
rustico; per esempio come l'odierna nostra Jlhambra. In Grecia
questa nostra costruzione s' ingentilì , e le fu dato il nome
di Theatram dal verbo reo^fjte specto^ cioè contemplo^ ammiro^
riferibile agli spettatori che vi accorrevano^ e così i Romani
dallo esempio di questi si procurarono il modo di godere
agiatamente di cotesti divertimenti , e siffatte disposizioni
di legname si mantenevano soltanto durante il tempo in cui '
si eseguivano le rappresentazioni. Peraltro questa comodità
di star seduli era contraria alla rigidezza dei costumi pri-
mitivi di quel popolo^ ciò non ostante se ne tollerò l'uso sino
a che non contentando più coleste costruzioni in legno, si
tentò di ridurle in materiale e stabili. Si fa menzione di uu
tal Dionisio Lemneo come il primo che in Grecia murasse
un luogo destinato pei spettacoli scenici. A Roma nell'anno 599
venne in mente ai censori Messala e Cassio di fabbricare in
(1) Atellane, specie di commedie composte di motti lepidi e graziosi
quasi detti pungenti e sarcastici come le satire degli antichi greci. E pia-
cevano siffattamente ai romani da chiedersene spesso la replica di qualche
scena; si vuole che avessero origine da Atella città della Campania oggi Ar-
pino. Queste commedie si dissero anche Exodia perchè estranee al compo-
nimento che si recitava.
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— 370
pietra un teatro stabile alla falda settentrionale del monte
Palatino; e già erasene incominciata la costruzione, allorché
il Senato in seguito a forti declamazioni del console P, Cor-
nelio Nasica contro questa innovazione dannosa alla gravita
dei costumi emanò un Senatus^onsulto col quale ordinò
di distruggere quanto si era già fatto, e disperdere il rima-
nerne dei materiali, ed aggiunse che nìuno dentro le mura,
e nel raggio di un miglio fuori di esse, potesse metter se-
dili, o goder assido di tali spettacoli. Se vi fosse adesso Na-
sica, cosa direbbe delle poltrone, dei palchetti, e dei came-
rini secreti de'nostri teatri ? Anche allora lo schiamazzo di
quel valentuomo paralizzo soltanto pel momento questo peri-
colo di prevaricazione, imperocché sappiamo che M. Emilio
Scauro per solennizzare la sua inaugurazione all'edilità fece
a sue spese costruire un teatro temporaneo che dicesi, poteva
contenere so,ooo persone ; secondo la descrizione di Plinio
lib. XXXVJ, 15, la sua scena era ornata di 360 colonne di-
sposte a tre ordini, il primo de' quali le aveva di marmo,
alte 38 piedi, il secondo di cristallo (lusso non più rinnovato)
ed il terzo di legno dorato. Negli ìntercolunnj vi erano tre-
mila statue di bronzo. Le tappezzerie poi, i quadri, le deco«-
razioni <li ogni specie raggiungevano un valore tale che di^
sfatte dopo i giuochi teatrali, e trasportate in una casa di
campagna che Scauro aveva al Tuscolo, e datovi fuoco per
malignità de'suoi schiavi, il danno fu calcolato cento miiliooi
di sesterzi equivalente a moneta moderna 12,500,000 lire.
Quanta ricchezza! che bel contrasto colla semplicità e serietà
dei costumi di allora ! Le anomalie ci sono state sempre.
A questo straordinario esempio di splendidezza ne sussegui
un altro non meno singolare ed ammirabile^ sebbene di un
genere assai diverso dal primo. Lo stesso Plinio ci racconta
die C. Curione, in occasione della morte di suo padre, tro-
vandosi nella impossibilità d'imitare tanta orgogliosa magni-
ficenza , e sdegnando in pari tempo di mostrarsi da meno
dell'edile Scauro fece uso del suo ingegno, col far costruire
due vasti teatri in legno , a contatto fra loro , staccati dal
suolo in guisa che girassero con tutti gli spettatori che vi
erano sopì a, e si congiungessero insieme onde formare un'anfi-
teatro. Nella mattina si rappresentavano azioni sceniche; a
sera girati all'improvviso i due teatri si univano insieme for-
mando un anfiteatro che serviva a dar nell'arena combatti-
menti di gladiatori. Questa locomozione può dirsi il miracolo
della meccanica a confusione nostra che pretendiamo di essere
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— STI —
iQ questa scienza di graa lunga superiori ai nostri antichi.
Dopo questa straordinaria celebrazione de'giuoclii teatrali ri-
portata da vari scrittori delle cose di Roma, è facile com-
prendere quanto si accrebbe nei romani il desiderio di avere
un teatro stabile e di materiale, in guisa che fu mossa Tarn-
bizione del grande Pompeo, il quale conoscendo le diiEcoltk
a cui sarebbe andato incontro per parte del Senato, si studiò
in modo da deludere una legge dalla quale era persuaso, che
non si sarebbe mai derogato. Egli costruì un vastissimo teatro,
alla sommità della gradinata, v'innalzò un tempio a Venere
vincitrice^ lasciando di legno e mobile la scena. Nelfinvitare
poi il popolo alla dedicazione del tempio disse di avervi ag-
giunto dei gradini affinchè potesse con più decoro assistere
ai giuochi soliti a celebrarsi in tale solennità; cosi con questo
artificioso stratagemma accompagnato da una circospezione
necessaria a quei tempi, la legge venne delusa ed i romani
ebbero il primo teatro stabile capace di contenere 4M00
spettatori. Cesare, 1* emulo implacabile della grandezza di
Pompeo, non volle rimanersi al disotto anche in questa occa-
sione, pensò di soverchiarlo, ma la sua tragica flne impedì
che venisse effettuato il suo disegno. Si era già preparata
1 area per erigervi un altro grande teatro, che venne poi co-
struito da Augusto Tanno 741, dedicandolo al suo nipote Mar-
cello, riuscito però più piccolo dell'antecedente non conte-
nendo che 22,000 persone. Quasi contemporaneo ne sursé un
terzo, quello di Cornelio Balbo: questi tre teatri grandi di
mole, e magnifici per ricchezza di ornamenti, furono i soli
che ebbe l'antica Roma nell'apogeo della sua grandezza. Noi
oggi ne abbiamo invece una dozzina compreso il piccino di
s. Carlo , e tutti assieme non sono capaci di dar posto a
tanti spettatori quanti ne poteva contenere il piii piccolo
dei tre teatri sunnominati. Mi rimetto sulla strada.
Pare che i nostri tre teatri antichi se ne stettero in
piedi per lo spazio di cinque secoli e mezzo , cioè sino
air incominciare di quel periodo deplorevole nella storia
d'Italia per le continue irruzioni di orde barbariche, le do-
minazioni straniere , il feudale dispotismo tirannico in cui
la bella Italia già devastata da saccheggi incendi e rube, fu
per luogo tempo lacerata da discordie di parti, e da inces*
santi fazioni civili in cui venne perduto il fiore di ogni col-
tura d'intelletto; e le arti, le scienze e le lettere abbando-
nate, perirono sotto la pressione di una prepotenza brutale;
per lo che non si parlò più di spettacoli teatrali^ e per coa-
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372 —
seguente devastati e minati gli antichi edifici destinati a
quest'uso, perdendosene perfino la memoria. II medio evo dì-
sparve, e Dante, Petrarca e Boccaccio, gli astri più fulgidi
della nostra italica patria sparsero la prima luce nelle fosche
tenebre della ignoranza; verso la fine del secolo XV la poesia
si ricominciò a gustare , risorsero a novella vita le antiche
commedie e tragedie latioe suss^uite da nuovi componimenti
drammatici , taluni dei quali rivestite di musica. Si recita-
vano presso le corti e le case de* principi ove riunivansi
nobili uditori, e talvolta a miglior riuscita della recitazione
si erìgevano appositi palchi, servendo alla scena atri di corti
ed anche pubbliche piazze. Nell'incominciar del secolo sus-
seguente queste rappresentazioni sceniche divennero sempre
più frequenti e pubbliche. Sappiamo che a Firenze nel I5i3,
allorché Giuliano de' Medici fratello di Leone X fu ascritto
fra i romani , fu pubblicamente recitato il Poenuhis di
Plauto in un teatro fabbricato a bella posta. Le scene si
fecero dipoi a prospettiva 9 e T impalcatura si disse tribu-
nale. Artisti di alta fama concorsero sussequentemente alla di-
pintura di quelle : a Ferrara Dosso e i suoi scolari ; a Fi-
renze Andrea del Sarto; in Roma Baldassarre Peruzzi; e lo
stesso Raffaello, dipinse una scena dei Suppositi di Ludovico
Ariosto, commedia che Leone X volle fosse recitata in Va-
ticano. Nel rinnovellarsi le tante volte la costruzione di sif-
fatti teatri temporanei o meglio dire impalcature risorse l'idea
del teatro stabile e di materiale. Degli antichi se n* erano
perdute le forme e le piante , e come fra Giocondo a Pola
d'Istria fu il primo che le trovò e le mise allo scoperto, cosi
Andrea Palladio costruì a Vicenza sua patria per Taccademia
Olimpica il primo teatro di materiale alla foggia degli antichi,
che venne dopo la di lui morte terminato dallo Scaraozzi
nel 1583^ nobilissimo edificio tuttora esistente a gloria nostra
ed alla ammirazione dei stranieri. L' invidia e la smania di
soperchiare nate al sorgere di si bel monumento fra i duchi,
duchini, conti e marchesi di allora, fecero sì che se ne vi-
dero parecchi di legno, largheggiando oltre misura nel fasto
e nella ricchezza. A Parma Ranuccio Farnese fece costruire
un teatro di forma antica capace a contenere 14,000 spetta-
tori ; e si vuole che fosse architettato dal Palladio. Anche
a Firenze le accademie scientifiche e letterarie gareggiarono
in cotesta 'mania dell'epoca: insomma durante la prima meta
del secolo XVI non vi fu che un continuo affaccendarsi nell'e-
rìgere interamente^ o con riduzione di locali adatti, teatri
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— 373
di ogDÌ forma e di ogni capacita e sempre temporanei e di
legno. Indi si venne a miglior partito; a questi si sostitui-
rono costruzioni murarie» e ciò pare che avvenisse dopo la
meta del secolo XVII. Molte città della penisola ne ebbero
e ne hanno tuttora dei grandi e pregevoli in merito archi-
tettonico» come fra gli altri , il teatro s. Carlo di Napoli »
uno dei più vasti d Italia » eretto nel 1736 sui disegni di
un certo Angelo Carasale allievo di Medrano architetto della
corte reale» arso nel i8t5» e riedificato come si vede al pre-
sente. La Scala di Milano» architettato dal Piermarini nel 1778
sull'area di un'antica chiesa dedicata a s. Maria della Scala» da
cui prese il nome. A Fano evvi un teatro rinomato per l'am-
piezza della scena^ per vaghezza e bizzarria di architettura»
eretto a spese dell'architetto Torelli col concorso di cinque
suoi concittadini; incendiatosi nel 1699 dopo una trentina d'anni
d'esistenza» fu rifabbricato intieramente ed è tuttora uno dei
bei teatri d'Italia. Il Comunale di Bologna già detto teatro
nuosH} costruito dal Senato bolognese nel i756 col disegno di
Antonio Bibiena. Io non ne aggiungerò altri» limitandomi»
come già dissi» di tener conto soltanto dei teatri di Roma.
Sembra che in questa citta onde allontanare la corruttela e
il mal costume che il governo teocratico temeva » potessero
cogli spettacoli scenici insinuarsi nei suoi soggetti» il teatro
fu introdotto più tardi delle altre città» quando cioè l'esempio
altrui prevalse sopra ogni altra considerazione in contrario»
e si vuole che il teatro Pace fosse il primo ad esser co-
struito nella nostra città» non si sa però da chi e quando» pe-
raltro dalla sua forma quadrilunga usata ordinariamente nel
secolo XVII si può arguire che a quest'epoca egli apparte-
nesse , ed abbenché angusto in tutte le sue parti e senza
adornamento di sorta alcuna; pure siccome il primo» tenuto
fu nei primordi della sua esistenza come un gioiello di questa
metropoli» di guisa che avutosi in riguardo» venne risarcito le
parecchie volte, sino a che sorti dei nuovi» e di più decoroso
aspetto» il nestore dei teatri romani cadde in abiezione» e
i suoi assicelli» e le vecchie tavole non più rinnovate» logore»
tarlate e bisunte» si sono mantenute sino a giorni nostri» e
divenute inservibili per decrepitezza, il propietario attuale
un tal Finocchi or sono circa una trentina d*anni lo ha de-
molito sostituendovi un casamento per abitazioni particolari.
Data la preferenza per la sua antichità al teatro Pace»
ora mettiamoci in ordine secondo l'importanza degli altri che
verrò descrivendo.
50
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874
II teatro di JpoUo^ chiamato prima di Tordinona da una
antica torre esistente doye egli fu eretto, una volta pub*
hliclie carceri tolte di Ik da Innocenzo X trasferendole in
una nuova fabbrica appositamente costruita sulla via Giulia.
Tutto di legno ad eccezione delle mura che lo racchiudevano
aveva T uditorio di forma pressoché quadrata rivolto verso
la strada, e il palco scenico verso il Tevere; prolungato per
mezzo di un palco di tavole sostenute da pali conficcati
nell'acqua. Riconosciuto poi insufficiente alla folla degli spet-
tatori che vi accorreva, un tal conte Aliberli a proprie spese
e credesi coi disegni di Alessandro Specchi lo fece ricostruire
voltandone la linea longitudinale lungo la pubblica strada
come è attualmente ; e ridotto più grande e maggiormente
comodo e brillante^ il concorso si aumentò in modo che di^
venne anch'esso incapace a soddisfare alla curiosità e al fa-
natismo pubblico e motivo [di gara fra 1 rappresentanti le
nazioni estere; e in mezzo al tumulto di tanti reclami, e
intransigenti pretese, vedi cosa singolare, il papa Clemente XI
credette di provvedervi col far demolire l'uditorio, i palchetti,
il palco scenico, e tutti gli accessori, lasciando intatte le sole
mura, li divisamente non poteva essere più efficace, ma penti-
tosi poi di questo modo categorico di distruggere i semi di
discordie diplomatiche, nei i735 ne ordinò all'architetto cav.
Gregorini la ricostruzione, la quale si compiè in quattordici
giorni colFarchitettura del cav. Passalacqua chiamato dallo
stesso Gregorini a compagno di questo lavoro. Il teatro sempre
più bello deir antecedente arse miseramente la notte del 29
gennaro i;8l, e si pretende per malizia altrui. Il suo proprie-
tario, un certo avvocato abate Francesco Antonio Ricca, non
se ne sgomentò punto, e coU'aiuto dell'architetto Giuseppe
Tarquini e di un certo Luigioni caporoastro muratore, si ac-
cinse a rifabbricarlo, ma Tedificio crollò in parte la notte del
18 novembre 1785 innanzi che si compisse, per imperizia dell'ar-
chitetto e per mancanza di denaro necessario ad un lavoro
murario di questo genere. Allora il coraggioso Ricca trovò
nell'architetto Giuseppe Barbieri un nuovo appoggio ali* in-
vincibile smania di possedere un teatro. Questi fece Bn di-
segno, ma restò inoperoso per dissensi di parecchi interessati
alla fabbrica, e per quattro anni, le macerie del caduto edi-
ficio, il cui dominio diretto era devoluto alia Camera Apo*
stolica, rimasero alla ingordigia di rapinanti, finché nel 1789
monsig. Fabrizio Rufib, Tesoriere della Camera Apostolica, in
vista di forti reclami degli stessi interessati con beneplacito
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— 875
Apostolico fece riedificare il teatro a spese dell'erario pubblico,
e coi disegni dell'architetto camerale Felice Giorni compiuto
nel 1795 ed e quello che lasciato il nome di Tordinona e
preso quello di Jpollo^ oggi tiene il primo posto fra i teatri
di Roma. Dato prima che ei fosse compiuto in enfiteusi a
un tal Giambattista Cerroni passò poi in proprietà della fa-
miglia Santacroce; finalmente sotto la data del io febbraro 1820
yenne acquistato dal duca D. Giovanni Torlooìa. Rinnovato
intieramente nella parte decorativa^ rifatto di materiale Tin-
temo della sala, ingrandito il palco scenico^ aggiuntivi tutti i
comodi per gli attori, abbellito di un prospetto sulla pubblica
via, quindi ristaurato nuovamente nella parte decorativa dal
principe D. Alessandro di lui figlio colFopera dell'architetto
Giuseppe Yaladier, fu inaugurato come teatro regio nella sta-
gione del Carnevale 1830 coli' opera in musica , Giulietta e
Romeo del Vaccai, ed il grande ballo Gabriella di f^ergjr.
Nel 1862 venne dallo stesso principe colla direzione dell'ar-
chitetto Nicola Carnevali , nobilmente arricchito di miove
decorazioni ^ ed è oggi annoverato per uno dei più belli ,
ricchi e grandi teatri d'Italia.
Il teatro Jliberti costruito circa la meta dello scorso se-
colo a spese di un conte Aliberti fanatico di emulare le glorie
del teatro di Tordinona. Ne fu architetto Francesco Galli
Bibiena: il più vasto di tutti quelli della nostra citta, venne
detto anche delle Dame perchè il primo in Roma in cui si
rappresentarono i drammi in musica e i balli . spettacolosi ;
servi altresì per qualche tempo per le pubbliche feste da
ballo nel carnevale. Appartenne in seguito al principe D. Ales-
sandro Torlonia assieme a parecchi altri comproprietari, ed
essendo tutto costrutto in legno, assai maleandato e rovinato
egli coU'opera dell'architetto Nicola Carnevali, lo ridusse a
buona forma, e lo rinnovò quasi del tutto, rendendolo ca-
pace per grandi spettacoli diurni e notturni. Un violento in-
cendio di cui è sempre rimasta ignota la causa, lo distrusse
intieramente nella notte del 14 al 15 febbraro 1863 dopo ter-
minato Io spettacolo di prosa e ballo che vi davano una com--
pagnia drammatica e gli acrobatici Chiarini; e sulle di lui
mine è sorto oggi un vasto stabilimento balneario.
(Continua)
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176 —
LXI»
FRANCESCO DE'MEDia
TRAGEDU STORICA
VI
NICCOLO* MARSUCCO
AD ACHILLE MONTI
A te^ la cui patria gloriosa piange ancora V immatura tua
perdita^ io dedico questo mio drammatico esperimento^ che già ti
compiacesti di leggere , e far segno alle tue lodi <, quando mi
onoravi della tua preziosa amicizia^ che a questa sola attri-
buisco^ non al poco mio merito.
Docile al consiglio che cdlor mi suggeristi , di non cimentare
questo lavoro alCcardua pcUestra della rappresentazione^ sulle scene
presenti ^ devote più ad un beUo clamoroso ed appariscente , che
a quello inspirato atta vera scuola delV arte , me ne rim4m. Se
non che^ confortato da peregrini ingegni che fecero anch'essi buon
viso a cotesto frutto delle deboli mie forze ^ mi faccio ora ardito
di affidarlo alla stampa , tn questo giornale medesimo ^ a cui si
bel vanto crescevano le tue pubblicazioni.
Gradisci questo pegno di grata memoria^ in quella patria
migliore ove or godi il premio delle tue virtù <, e dove sperano
di tornare al tuo amjUesso^ i tuoi congiunti^ e gli amici più cari.
L* AUTORE
ARGOMENTO
Pietra Bonaveaturì fioreotiDo , cbe , nel 1560 ,. teneva le
ragioni al Banco de' SaWiati in Venezia j ed abitava nella
casa di fronte al palazzo di Bianca Capello^ innamoratosi
di quella giovine patrizia^ e sentendosene corrisposto; ma
non potendo ottenerne la mano , come quegli che non era
dì nobile casato» propose all'amante di fuggir seco a Firenze.
Accettò Bianca il partito , ed ambidue fuggirono di fatto,
da Venezia, il tz novembre 1563, e posero piede in Firenze,
dove la Capello rese legittima la sua unione col Bòna ven-
turi, il quale ne ebbe una figlia nel 2a luglio i564, che fu
battezzata col nome di Pellegrina. Poco dopo questo avvenir
mento, il Senato di Venezia decretava la sentenza del bando
contro i fuorusciti , e pubblicava anche una taglia contro
il Bonaventuri, affinch'egli si riconsegnasse in mano alla giu-
stizia, e il padre di Bianca istigava il processo contro coloro,
che eraoo sospetti di complicità,, nella fuga di questa»
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S77 —
Gli amanti vissero qualche tempo in Firenze in povero
stato, quando Francesco de'Medici erede allora del trono di Co-
simo, avvenutosi nella bella patrizia, se ne invaghì, e, come
era facile cosa ad un regnante, riuscì a guadagnarne il cuore.
L'ambizione di vedersi vagheggiata da un principe^ pre-
valse ben presto in costei , sulP amore pel Bonaventuri ,
il quale vinto dal pensiero di farsi scala al potere col
mezzo di lei, ne pazientò le infedeltà e l'adulterio. Àmbidue
vennero ammessi alla corte del Duca. Il Bonaventuri fu da
lui investito del grado di Ciambellano^ ed in tale congiun-
tura, superbo del nuovo suo stato, s'accese d'amore per Cas-
sandra Bongiani gentildonna di illustre casato, e già favorita
del Duca. Cassandra corrispose all' amore del Bonaventuri ;
ma la sorte non durò propizia agli amatori; imperocché l'una
\enne pugnalata nel proprio letto, e l'altro assassinato. Intanto
la passione del Duca per la Capello giungeva a tal punto,
che egli senza alcun rispetto al decoro della propria moglie
Giovanna d^Àustrìa, osò persino di far palese alla corte l'amor
suo, quando un nuovo caso saldò vieppiù le sorti della Ve-
neziana trionfante. 11 ìs aprile 1568, Giovanna d'Austria mo-
riva^ secondo che alcuni vogliono per isconcezza di parto,
secondo altri di veleno, e pochi giorni dopo il Duca condu-
ceva la Capello in isposa, che, nel la ottobre 15^9, fu coronata
duchessa dì Toscana. Come questo avvenimento contribuisse
a conciliarle gli austeri parenti, h facile il comprendere. Bianca
divise quel regno con Francesco de'Medici oltre a sette anni.
Ma il di 19 ottobre del 1577, trovandosi ella in Poggio a Ca-
jano collo sposo, e Ferdinando I, fratello di Francesco; rima-
sero avvelenati essa e il marito. Francesco morì il 19, Bianca
il 20 ottobre. É fama che Ferdinando avesse accelerato, in
questa guisa , la fine dei loro giorni , per assumere , come
poi fece, il governo dello Stato.
l' autore
PERSONAGGI
Frahcesco de'Medici Duca dì Fìrense
Bo'-EKTO RICCI 8"" Consiglieri
Pietro Bonaventuri Consorte di Bianca Capello
Bartolomeo Capello Padre di Bianca
Ferdinando de* Medici Fratello del Duca
Bianca Capello Sposa di Pietro Bonaventuri
Giovanna d'Austria Duchessa dì Toscana e sposa del Duca^
Sofia Sua confidente
Un Paggio, Cortigiani, Dame» Guardie
L* azione è in Firenze
Epoca i56a
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378 —
ATTO PRIMO
SCENA I.
Appartamenti del Duca
Duca, Guido
Duca Nulla, o Guido, a dispor per la solenne
Cerimonia piix resta?
Guido I cenni tuoi
Compiuti aon. Nella Cappella accolti
< Fiau d'Aquileja il patriarca, in breve,
II Cardinal cogli Ottimati, e il Veneto
Ambasciator. - D' inusitata pompa
Parato è il tempio. All'Imeneo festosa
Plaude Fiorenza, ed iterato eccheggia
Del suo Francesco e di Giovanna il nome.-
E ben n' ha donde. Qual d* onor più degno
Di voi, qual pur, tra gli Europei Monarchi
Nomar potrei? E che! del terzo Enrico
Consobnn vostro, e delPIspan Filippo
Forse alla Corte, al par di voi, de*studt,
E d' ogni arte gentil son cólti i fiori.
Protetti i gent, di favor largiti.
Onde qui sacra, e venerata un* ara
Sorge al Bello ed al Ver? Qual d* es$i al sacro
Amor d' entrambi egual virtii congiunge!
Ah! che di que' scettrati altra è la scola,
E quella legge norma han sol che tema,
E riverenaa ne* soggetti infonde,
Alla clemenza chiuso il cor, preclara
Gemma, onde un serto piii maqtien^i e splende.
Che piii? di ria Sacerdotal congrega
Nido è la Spagna, che di sua mentita
Religion col velo, arbitra regge
De' Monarchi il vofter, supplizi appresta
In chi, a dritto, V abborre, e roghi accende.
E al vostro, o Duca, pareggiar sì indegno
Regime, osar potremmo? -Eppur... (svelarlo
Il debbo?) - In voi di malcontento espi'essi
Non dubbii segni...
Duca Ben t' avvisi e lieve
Interpretarne la cagion ti fia.
Se libri quanto di cotal Re&^genza
Mi gravi il pondo. Sì, d* ali or che Cosmo
A me la cesse, mentre umile in Poggio
Vita, ei sceglieva, d'ogni brama al colmo
Pareami- Illuso!... Quel potisr medesmo.
Che ne' sudditi miei ver me cotanta
Riverenza oggi spira, il novo Stato
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— ho —
A invidiar del Genitor m'astringe.
L' astuto Ferdinando, il mio superbo
Germano intanto, di seguaci accolta
Procacciar tenta, ed in me forse occulti
Disegni ordisce, tal eh' io veggio a prova
Quant* arduo torni del poter le basi
Consolidar. - Né il pensier solo, o Guido,
Quest' è che il cor mi signoreggia, e invitta
In me fa guerra. Altro ben sai...
Guido V intendo.
Bianca Capei.. •
DvcA(con accento sommesso e vivo) Sì dal fatale istante.
Che in Venezia mi apparve, ài mio pensiero
Toma sovente.
Guido Obliar vi giovi...
Duca Ah! dimmi
Niun più di lei sentor ti giunse?
Guido (da sé) O Cielo!...
Quel che fama pur dianzi a me n* Apprese
JRivelargli dovrò?
Duca , Perchè t'arresti?
Qual dubbio, o qual timor t'ingombra? Parla.
Guido (dopo un breve istante)
Tanta fiducia, o Sir, nuova a svelarvi,
Che a voi tacer bramato avrei, m'incuora...
{sommessamente^ ma con espressione)
Questa Capello, che d'amor la prima
Fiamma, v'apprese, è in Firenze...
Duca Che sento!
Guido Da tal Bonaventuri alle paterne
Case, rapita, qui ne venne, e grido
Fama recò, che la fatai sentenza
Del bando, in lor vergato area de* Dieci
Il Consiglio.
Duca (passeggia agitato per la sala)
In Firenze! e d' altri sposa!
E udirlo... Oh! tanto fia oprar mia cura
Che rivederla alfin. (si arresta) Ma che diss'io?
Ah! lungi un tal pensiero! A miglior tempo.
O Guido, a ciò provvederem. Rammento
(E Cosmo il genitor men fea precetto)
Che il simular prima ai potenti è norma.
Sinistri indizi l'alma sposa ancora
Trarne potria; ma dì?... che fa? di lei
Qual ti sembra il contegno?
Guido Ella dal giorno.
Che in ques^ Corte pose il pie, d'Angelico
Spirto una imago, in mortai vel, mi parve
A bearti sortita. All' ara innante.
Nella Cappella interior, poc'anzi.
Di riverenza, di pietà compunta
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— tao —
La vidi, e te beato! a me dicea.
Cui si alto dono il Ciel iargi.
Duca Coroni
I voti suoi! Tu alle sue stanze riedi
Dille, che, in breve, a lei sarò. (Guido parte)
SCENA IL
Duca solo
Pietade
Benieno cor, di regia stirpe il vanto...
No, le virtìi queste non son d'amore
Nodrici e madri. Anime v' han, cui meri
Nomi son desse, e che ad amar ne spinge
Livincibil poter. -Bella Venezia!...
Oh! di qual gioia, sulle tue lagune
Sublimi istanti mi heir. L'imago
Chi ritrarrà che qual Vision Celeste,
Colà m'apparve. Bianca, allor tal eri.
Che te raggiante di beltà vid'io.
Appo un veron ne' miei, fissar tuoi sguardi
E un Eliso svelarmi, a cui s'ergea
Tutto sovra me stesso il mio pensiero.
D' ogni grandezza di quaggiìi gì' incanti
Le delizie che son di quelle, al paro.
Onde l'alma esultar sentia commossa?
Ma che? membrarla degg' io forse? ancora
Dell'amor di Colei nodrir la speme?
Né l'Imeneo, cui già m'appresso, a quello
Ostecol fia? Ma se vederla il Cielo
Mi ridonasse, la segreta fiamma
Aprirle, qual d' amor scambievol pegno
Da queir Angiol sperarne io d'altra sposo?
E se pago n'andassi... i di securo
Trar seco... Lasso!... alle mie brame infausti
Ben allor, temo, seguirian gli effetti... (si abbandona
*" sopra un seggiolo)
(poco dopo si ode Varpeggio di un liuito dentro la scena.
Il Duca si rialza commosso)
Qual concento! È Giovanna... Ella che i puri
Suoi reconditi affetti al plettro affida
Quasi i miei stessi ad accusar (dopo un istcmte^ risoluto
e con forza) ma nulla
Nulla in me il grido a soffocar ne giunge.
SCENA III.
UN PAGGIO B DETTO
Paggio Chiede udienza un uom Signor, qui giunto
Da Venezia. Alto affar, dicea, l'adduce.
Duca (da sé) Da Venezia!... Che sento! (o^j^ajf^to) Egli s'inoltri
Da Venezia! ah! di Bianca udir novel
S'io mai...
(U paggio parte)
Ila
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— $81 —
«
SCENA IV.
Duca, Pibtro Boivaventuri
P. BoNAV. (inchinandosi) Non io di questo giorno Altezza,
Sturbar gl'istanti osato avrei, se grave
Gagion...
Duca Parla, chi se' donde in Firenze?
P. BoifAV. Pietro Bonaventuri ignobil figlio
Di Fiorenza son io.
Duca (da sé) Lui!
P. BoifAv. Queste terra.
Onde m*avean privati affar diviso.
Riveder volli e qui redia; ma in breve.
Demone avverso a* voti miei le care
Aure, vieteme a me pai*ea. D'occulte
Aggressìon fui segno, a cui sottrarmi
Dura impresa m'ebb'io, quindi la pronte
Giustizia vostra ad implorar qua venni.
Se a voi de' rei sentor giungesse.
Duca O Piero,
In tei misfatti inesorabil sempre
Di mia giustizia il rigor veglia, al paro
Delle Venete leggi, i patrii dritti
A tutelar.
P. BoifAv. Venete leggi! o mio
Signor, mentre qui sol del Mediceo
Novel regime Fiorenza esulte,
Ghe alta pietede, alla clemenza vostra
Il plauso suona, sotto ferreo giogo
Venezia geme, né a dannarlo ardite
Voce s'innalza, che di ferri è cinte
Fin del pensier la libertà. Dell'opre
De'Gittadini scrutetor là siede
Un Gonsiglio tremendo a punir pronto
Ghi sol d'un detto, di rigor soverchio
Notorio ardisse. E dubiter potrei
Del poter vostro sotto l'ali accolto,
Ghe securi gioir piii lieti i giorni
Dato non siami?
Duca La cagion fu queste,
Ghe al suol natio ti trasse? -Il ver favella,
E generoso a te sarò* - Severo
S'io mentitor ti scopra.
P. BoNAv. Aperto e franco
Io parlerò. Di Fiorenza, il dissi.
Figlio ignobil son io; ma d' alto il core
Sentir capace. Un di le luci in volto
A patrizia fissar gentil donzella
M'avvenne. Bianca, dei Gapello illustre
Si
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— 388 —
Germe. -Baien non mai nube repente
Così squarciò, com' ampia in cor ferita
Quella vista m* aperse. - Airadorata,
D* allor, qual cosa santa, i miei pensieri
Sacrar, fu sola mia delizia e brama.
E quando amico a inargentar venta
L* astro lunar la placida laguna.
Appo un veron la contemplava assisa.
Che suir onde mettea. Vergin creata
Dair inspirato BafTael mi pare
Del Bello imago che in pensier sol cape.
O Venezia... o Venezia ed obliarti
Io mai potrò?
Duca Che sento!
P. BoifAv. Invan la cara
Fiamma a sbandir della ragion la voce
Mi suggeria; che in lei patrimo sangue.
In me ignobil scorrea. Suprema, invitta
Forza, o Bianca spingeami, a lei di sposo
Unir la destra. E la gentil, compresa
Di pari ardor, nascosamente al guardo
De* vigilanti genitor sottrarsi
Anelava V istante; in sen versarmi
Deir invincibil suo sentir la piena.
Quel mutuo foco ad occultar null'arte
Valer potea. Mille i patrizi, o Sire,
Hanno in Venezia esploratori attenti.
Che ad essi quanto d'udir cai, fan conto.
Tal di noi fu. Da cieco sdegno acceso
Di Bianca il genitor la patria terra
Ss[ombrar m'impose. Non gii ardenti e misti
Al mio dolor reiterati preghi
Dal fier proposto il distornerò. E quale
Voce d' ignobil Cittadin potria
Alle patrizie contrastar? Dall'empio
Destin, sottrarci mezzo alcun non era.
Ma obliar Bianca io potea?... da lei per sempre
Diviso... Oh! pria delle lagune in grembo
Io seppellirmi tolto avrei. Ma novo
Partito, quale amor spirommi, io scelsi.
Duca Che divisasti?
P. BoNAV. Ai Baccanali amica,
E de'Venez'ian delizia e brama
Stagion rivolge, il sai. - Notte serena
Regnava in Giel, che di concenti e grida
L' ebri-festante gioventude empia -
Ad un fidato gondolier la cura
Di finte vesti provveder commisi
Bianca Capei, che, inosservato io meco
Torre all' ingrata sua magion tentava
Grave, d'alto periglio era l'impresa;
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Duca
P. BONAV.
Duca
P. BoNAV.
— S8S —
Ma alle mie brame il volo amor giungea
Io dell* impaziente alma il tumulto
Simular m* adoprava, ogni sospetto
A prevenir. Ma batte l'ora... il legno
Cauto e non visto dei Capei sospingo
Alle mura. Qui sosto... qui tre volte
Incontro lor^ del brando mio percoto.
Scala acconcia v'appoggio. Immantinente
Dalle sue stanze al noto appel risponde
Bianca, e il chiaror d' una notturna face.
Onde splende il veron, di lei m'avvisa.
Già sia... si schiude... a brun vestita e nera
Maschera in man recando Ella si mostra.
Io salgo, in breve... al sen la premo, e il tetto
A lei fatai, meco a fuggir l'^orto.
Alla profferta Ella piangea... tremava.
Ma tempo a pianti ed a timor non era.
Pietà di me la vinse alfin. Solleciti
La gondola afferrammo, e da quel porto
Batti sciogliemmo col favor dell* onde.
Ciel!...
Qui non prima attingevamo che bella
Speme raggiar pareane in cor: ma in noi
Dei Capello qui pur ministri occulti
Vegliano i delator, veglian gli sgherri
In Fiorenza di compir bramosi
Quel che in Venezia lor fu tolto. Or questo
In me i vili tentar; né invan compiuto
Gostor l'avrian, se il brando mio non era.
Dell'amor tuo la dolorosa Istoria
Quest' anima commosse. In me t' affida.
De' tuoi nemici insidiator sulF orme
N'andran fidati esplorator. Se alcuno
Di lor n' adduca in mio poter la sorte
Di giustizia al rigor non fia che scampi.
D' oeni perìglio, te, la sposa intanto
A riparar, nel mio palagio entrambi
Lieto accor bramo, e cV oggi in voi la Corte
Due favoriti miei ospiti ammiri.
Che dir poss'io?... Ah del gran Cosmo il figlio
Riconosco, in quest'atto, (s'inchina al Duca e parte)
SCENA V.
Duca solo
Acconcia destra
Ed inattesa, a mio favor fortuna
Ecco mi porge. A prò si volga. È
Se di Bianca la fiamma in me non tace
Chi giunge?
d' uopo
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— 184 ^
SCENA VI.
Duca, Guido
Guido Sire, Gontarìn, P illustre
Veneto Ambasciator a voi sollecito
Questa lettera invia, (gli porge un foglio)
Duca (legge) « Bianca Capello
Con tal Bonaventuri, un uom plebeo.
Da Venezia è fugg;ita. Del paterno
Suo dritto, in nome, il Genitor la chiede.
Che a Venezia fedel sicura scorta
La riconduca. » (a Guido^ risoluto)
A Contarin rispondi.
Che a me prudenza, in quest* affar, fia norma»
(partono. Cala il sipario).
ATTO SECONDO
SCENA I.
Appartamenti di Pietro Bonaventuri nel palazzo del Duca.
PlETMO BONAVERTUai, BlANCA
P. BoNAV. Si di favor quesU inattesa prova
Di stupor mi riempie. Al nome suo
Plaudir Vinegia, e Fiorenza intesi, «
Ma suon mendace mi parea, che spesso.
Turba, all' orecchio di chi in alto siede
Adulatrice invia: or veggio a prova.
Che dal ver lunge errava.
Bianca O Pier, l'istante
AnchMo rammento che salpar le Venete
Lagune, il vidi. Allo spettacol vago.
Onde teatro Elle appariano, in lieto
Festevol giorno, ei da stupor compreso
Pareami, ed in que* lochi, in cui natura.
Ed arte il Bel de' suoi tesor profuse
Esultar, piii che agi' iterati evviva, (*)
O Var.:
che agi' iterati Evviva
Misti de* plausi al suon che a lui fèan l' aure
Liete echeggiar.
P. BoNAV. Ben dell'Ausonio Cielo
Com' astri eletti, in lui splendean preclare
Le Medicee virtudi, or d'altri merti
Più luminose al paragon, ma l'aure
Degli inusati suoi favor più a lungo
O Bianca, a noi fruir non lice, e in questo
Ducal palagio i di protrar; ma in breve ecc.
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— S85 —
Misti de* plausi al suon, che a lui gioconde
Oltre r usato, 1* aure gian recando*
P. BoRAv. Ben dell* Ausonio Ciel, com' astri eletti
Le sue virtù splendeano allor, di nòvi
Meni or più chiare, ma piii a lungo o Bianca,
A noi fruir de' suoi favor, non lice,
Né in queste mura, di protrar; ma, in breve.
Alle terre drizzar Romulee, il corso.
BiAifCA O Piero, al nostro amor nemica stella
Paventar qui possiam?
P. BoNAv. Vinegia entrambi
Fuggimmo, il sai, del nostro amor conteso
Liberamente a secondar le brame
Ed altra via m* additeresti indamo
D'altra meta a noi guida.
Bianca ^ O Pier, se fermo
È il tuo voler, a tal disegno inciampo
Non io por bramo, e d* obbedirti ho fisso.
Ma d' infausti color, troppo al pensiero
Di questa Corte V avvenir ti pingi.
Or che di nòve alte speranze il Duca
Arra ne die*.
P. Bonav. Quali all'illusa mente
Larve, ti crei? A nobiltà di sangue
Virtù medesma qui posposta ignori?
Che uso simìl, di lunga età retaggio.
Domina si, che non in lui del Duca
L' autorità preval? Ben dello stato
Gli eletti suoi, ben meritar; ma d'alte
Dignità in lor non splenderian le insegne
Se di gentil prosapia il vanto, ad esse
Suggel non fosse.
BuNCA Di delusa mente
Imagini sien pur: ma quale, o Piero,
Di questo a noi miglior, più eletto asilo
Che da timor ne franchi? Ohimè! divisi
Da queste mura, che altro mai saremmo
Che legni all'onde procellose in preda?
E a buon corso drizzar la vela altrove
Intenderem, mentre securo un porto
Ivi n* accoglie?
P BoNAV. Un porto!... ah! temi, o Bianca,
Temi che un mar più procelloso ancora
Non sia di quello che a fuggir m' esorti.
Bianca Sommesso parla: alcun s'avanza.
SCENA n.
I PRECEDENTI, GuiBO
Guido II pio
Rito, compiuto, pochi istanti al Duca
Sacrar s' addice della sposa al fianca.
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— S86 —
D* insidie, in voi, BonaventurL, ordite.
Nuovo grido gli giunse, e scudo a entrambi
(Tal fé* giuro) ei sarà
Bianca Di nove insidie
Il grido?
Guido Donna, idee si tristi or lungi.
Da tema sgomjbri, qui, sereni i giorni
Trarrete.
P. BoNAV. O Guido, finché amico il Duca
Di favor tanti largitor n' arride,
È il timor nostro intempestivo e vano:
Ma il durar noi, tra queste mura accolti
Di cortigiani eletti, al par, dell'alta
Bontà di lui, soverchio abuso estimo.
Quindi assentir giusto commiato a entrambi
Vorrà: mi penso.
Guido Ove di tal partenza
Ardente brama in voi s* ostini, inciampi
Non vi porrà,
P. BoNAV. (a Guido) Deh! a lui moviam (a Bianca)
Tu resta.
L'indol tua femminil di quella, o Bianca,
Del tuo sposo men salda, alla presenza
Ducal, tradir potriati, e a' miei conformi
A te non sempre suggerir gli accenti.
Bianca O Pier dehi m*odi,..
P. BoNAv. (risol.) È necessario (parte con Guido)
SCENA III.
BlAirCA SOLA
Ei vola
Un asil meco di fuegir bramoso
Ove dell' avvenir bmla al pensiero
Mi sorridea la speme. E qual più. acconcio
Ad una figlia dei Capei parea?
Qui sol d* invidia a' miei nemici oggetto.
Con Pier sarei. ^ Il Genitor col Duca
Vago d' unir dell* amislade i nodi
Steso avria forse sul passato un velo
Benigno a me del suo perdon. — Me lassa!
Altre ben temo, a noi sciagure, il faito
Va preparando. - Chi s' appressa? - Il Duca?
SCENA IV.
Duca, Bianca
Duca Desio di tor da me commiato, o donna.
Testé mosse il tuo sposo, e lui d*un foglio
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— SS7 —
Munir commisi; onde securo altrove
Tragga, se fermo è il suo voler. Ma gravi
Nuove che a noi suonar, di trame ascose
De* Pucci e de* Ridolfi, a cui si forte
Delle mie nozze ange il pensier (di questo
Novel regime invidiato vanto)
Magnanimo in quell'alma ardor dettero,
A mia difesa.
Bianca Ab! per lui tremo
Duca O donna
Chi d* occulti aggressor V armi respinse
Contro le aperte de' ribelli, il brando
Con le mie stesse usar saprà. - D* onori
Solo ad illustri cortigian, sortiti
Degno allor splenderia . - Non piii di questo -
(con aria di affettuosa confidenza)
Bianca; or ditemi, il pie* dalle ospitali
Mura, a ritrar voi pur brama accendea?
Bianca Me non già; ma lo sposo, e impreaa ardita
Questa avvisava, de* sinistri accorta
Ond*io temea.
Duca Si, prevenirli cnr giova.
Né al partir vostro assentirò, se prima
Per voi svanito ogni timor non veggia.
Alla turbata alma un conforto, o Bianca (*)
Concedete, in tal dì. - Qual nebbia, in breve,
Che il sol dilegui, al mio poter T incauto
Staol cederà, che contristar s* adopra
De' miei giorni il seren. Gioconda al Poggio
Quinci festa n' attende. Ime con noi
Vi fia grado?
Bianca Signor...
Duca Benigna, o Bianca,
Di risposta mi siate.
Bianca Intempestiva
Festa simile a me parria: straniera
Alla Corte son io.
Duca Ma il nome vostro
Non già.
Bianca L' amor che la mia patria terra
A fuggir mi costrinse a que' tripudi
Mal s'appaga, o Signor; libero sfogo
Agli affetti dell' alma assai piii affida
Ne* romiti silenzi, ove i raccolti
Pensier, di care rimembranze ei pasce.
Duca Bianca, nel cor vi leggo, e ben 1' intendo.
Anch' io d' un primo amor provai le arcane
f) Var. :
1* O Bianca, alla turbata alma un conforto
2^ Bianca, alla combattuta alma un conforto
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Bianca
Duca
BUNCA
Duca
Bianca
Duca
Bunca
Duca
Bunca
Duca
Bianca
Duca
Bianca
Fiamme, soave alP anima conforto.
Ai mali oblio la solitaria calma
Recar pareami, cbè tra pompe e fasti
Le dolcezze non mai, come in suo grembo
Io sentia, quella in ricordar che sola
Avea di me la miglior parte assorta.
Ma voi da Pier non mai divisa, i cari
Istanti, seco, qui partir godrete.
In lui, qual fido specchio, i sentimenti
Deir agitato sen, nel suo riflessi
Qui vagheggiar.
L*alta bontà cV entrambi
A voi n^astringCi di ricambio è degna.
Ma ov' io medesma a tal desir consenta.
Se Pier...
Non ei di Bianca, ai voti, al prego
Si pertinace ostar vorrà, mi penso.
Né a que' del Duca. Indefinibil gioia
Tal per me fora, eh' io...
Quai detti!
O Bianca,
Al labbro il cor li spira, il cor che pago
Non è.
Che udir deggio?
Si, della Corte,
Fra le delizie invidiate, un vóto
Io sento, qual se del gioir la coppa
Libar concesso a me non fosse, Oh quanto
Quanto infelici, o Bianca, i nuziali
Talami son, che amor di sue ridenti
Rose, non sparge, cui ragion di stato
Pronuba è sol!
Cessate... e il di solenne
Di vostre nozze almen vi calga. Eccelsa
Consorte, a voi destinò il Gieì, né sia.
Che di tradita fé* crudel sospetto
L' anima sua gentil penetri.
O donna.
Memorie v'han che por del petto in bando
Quaggiii, n*è tolto.
Alta virtii dal Sommo
Nume, implorate, che di voi medesmo
Trionfar vi conceda.
Ah! di quest'alma
Se il tremendo tumulto a voi palese...
Signor...
Bianca, slam soli e qui non giunge
De* sospettosi cortigian lo sguardo.
Sotto il Veneto cielo, un di, nostri occhi
S* incontrar.
Cessa.
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— S8« —
Duca Ah! nel membrarlo ancora
Un tremito m* assai. Fra le splendenti
Beltà che mi cingean, come celeste
Vision m' appariste. Irrequieto
In voi, da queir istante, il mio pensiero
Rivolava sovente, in voi... {la Duchessa compare
sulla soglia)
Bianca Non piii.
Duca (accorgendosi della Ihichessa)
O Ciel! Giovanna...
SCENA V.
Duchessa b detti
Duchessa
Duca
Duchessa
Bianca
Duchessa
Bianca
Duchessa
Bianca
L'accoglienze o Duca,
Onde a costei, testé, prodigo foste.
Ed allo sposo suo, palese assai
Mi fèr, quanta di lor pietà vi stringa.
Ben in virtù simìl di noi condegna
Con voi. Duchessa, gareggiar m* è grato.
Cui, tra il misero stuol diffonder piacque
Di generosi benefici il frutto.
Se della coppia che ospitai ricetto
Qui da noi s* ebbe, * i tristi casi udrete.
Il vostro, al mio conforto, unir, lo spero,
Non sdegnerete, della lor fortuna
L* amarezza a lenir.
Costei fuggita
Con un tal Pier Bonaventuri intesi.
Da Venezia, Cagion non lieve, estimo,
A ciò la spinse.
Si, cagion possente
E tal, Duchessa, che quest* opra escusa
Che a colpa, ingiusta opinion m'ascrive*
Da Questa astretto le paterne soglie
Lasciai.
Qual dunque?
Irresistibi) fiamma
D' amor per PierOi in me a' accese.
Amore!
O Ciel! né ai cari genitor V afietto
Dello sfregio il pensier eh* onta simile
Avria al casato dei Capello impresso.
Freno ali* ardente passì'on non era?
Al patrio snol tornate, ivi pentita
A Dio perdono, ai Genitor chiedete.
Ed allor di pietà, per voi capace,
AUor sarò.
Che, tra T avite mura
Io rieda V ira ad afirontar del padre?
58
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— 390 —
E seaza Piero, lo potrei? ma dove
Pier r assentisse, della sua salvezza
Mallevador chi fora? Ed io spergiura...
Ah! no. Duchessa, sacrifizio è questo,
Ch* ogni mia possa eccede.
Duchessa Eppur v'è forza.
Duca Deh! un accento miglior benigno scenda
Dal vostro labbro a quest* afflitta, a pii
Sentimenti, per lei 1' animo aprite.
Duchessa D* alto momento afTar quest' è; V illustre
Casato, ond'EUa è scesa... (con accento ironico)
Duca Ah! V amor suo
Non del Casato la ragion. Duchessa,
In voi prevalga. E che! ai fratelli il pondo
Delle miserie alleviar, di Cristo
La legge stessa non e' esorta?
Duchessa Ah! temo.
Che sotto il vel di tua virtude ascoso
Disegno alcun...
Duca (risentito) Giovanna!
Duchessa (vorrd>be parlargli come per rimproverarlo: ma poco stc^itcy
reprimendo la sua agitazione^ gli dice)
A miglior tempo
Piii aperti sensi dal mio labbro udrete, (parte)
SCENA VI.
Duca; Bunca
Duca Sospetti in lei fan guerra. Al mio proposto
Sviarmi intende. Inutil brama! O Bianca,
Di sua grazia il rifiuto a voi del Duca
Il cor non muta.
Bianca Tolga il Ciel che infausta
Di contese sorgente a lei non torni
Ah! se temerlo dovess' io, la Corte
Da quest'istante, abbandonar costretta
Con Pier sarei, de'benefict vostri
La memoria recando, e al Ciel d' entrambi
Lasciar la cura.
Duca Ah! no.
SCENA VII.
Guido, Roberto Ricci b detti
Guido (al Diica) Come imponeste
Raiinata è la Corte e a lei mostrarvi...
Duca Parato io son.
RoB. Ricci Mia zia Cassandra, Altezza^
Qui pur sarà.
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SW
Duca Cassandra! Inaspettato
Favor, m* è questo. Dal Ducal palagio
Ritratta s* era, e dal rumor lontana
De* fasti, trar parea bramasse i giorni.
£oB. Bicci Ma consiglio mutò, vinta al mio prego
E ben di voi menar credetti. Un raro
Della Corte ornamento in lei predaste.
Ddca Mercè, Roberto: le sue doti in cale
Non men terrò; tu a lei sii scorta e dille.
Che a me V istante avventuroso affretti.
In cui rivolga a queste Corte il piede. (Roberto s'tn-
china al Duca che parte con Bianca e con Guido).
SCENA vni.
Roberto Ricci
Creder dunque il poss* io? - L' occulte fiamma.
Onde in Fiorenza sussurrò la fama.
Vano sogno non è? - Bianca d' un Pietro
Bonaventuri, d' uom plebeo la sposa
A Cassandra preferte... a lei che al Duca
Seder parea d' ogni pensiero in cima?
Or qual stupor che questo Piero, in breve.
Questo di Fiorenza ignobil figlio.
Per qualche degno e memorabil fatto (ironicamente)
Qui delle insegne d* alti onor fregiato.
Splender mi vegga d' un mio pari al fianco,
Che i pili prestenti in nobiltede avanzo?
Ahf no, a tei prezzo de' servigi al Duca
Non assentii l'omaggio. Armi possenti
Pili che non crede io stringo: armi che in lui
Oprar saprò, se a provocarle ei giunga (parte).
(Continua)
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— 392
hXU.
AD ALFREDO BACCELU
PEL SUO CARME
IN ONORE DI ALFREDO CAPPELLINI
Dimmi^ Alfredo, sei tu, che il terzo lustro
Varcato appena^ di sì forti sensi
Ispiratrice hai si leggiadra musa?
Forse Toccidental brezza marina
Sin da Caprera ti spirava un soffio
Che sul capo alitò del 6ero veglio
D' Italia onore. Egli a me pur fu duce
Quando, trilustre anch*io, Virgilio e Omero
E trepidanti i miei cari lasciai,
E alla riscossa della patria corsi
Incontro al ferro di stranierì schiavi.
U* son gli spirti di quei santi siomi ?
D'Italia allora tramontò la stella.
Ma per sorger piti lieta, in sé recando
Colpitala fortuna, onta ai tiranni.
Infamia ai traditori, a noi vendetta.
Ben felice pensiero il primo agone
A tentare ti spinse, richiamando
D' altro Alfredo il valor^ l' eroe di Lissa,
Onde a morir pria che servir s'impara.
Possa V Italia in non lontano tempo.
Vinte r ire nemix:he, e domo il sbero
Livor di pochi rinnegati figli,
Secura di sé stessa a or re voi patto
Riconquistar le ancor disgiunte membra;
Ma se fia dall' invidia o dalla frode
Altrui costretta a ritornar guerriera,
Sarei dei figli oltre la tomba altero.
Se dal sasso ove alberghi il cener mio
Postuma voce ai loro cor scendesse:
- Sol per amor di libertà, di sangue
Sul verde campo il bianco crin cosperso.
Sacro alla gloria vostro padre é morto. -
Che non andrebbe il nome mio confuso
Tra quei che, nulla per la patria oprando.
Ad altrui danno imbaldanziti, e onusti
Di turpe censo e di mercati onori
Treman coi forti e son coi vili audaci.
*• settembre 1881.
E. Narducci
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Serie IL Vol. XIV.
Novembre 1880
I L
.BUONARROTI
D I
BENVENUTO GASPARCNI
CONTINDATO PER CUBA
DI ENRICO NABD1IC€I
PAG.
LXIII. Della storia, della scienza e dell'arte insegna-
tiva considerata in se stessa e ne' suoi rap-
porti colla storia della scienza e dell'arte
letteraria {Continuazione) (Prof. Gabriele
Deyla) » 393
LXIV. Descrizione di tutte le colonne ed obelischi che
trovansi nelle piazze di Roma » disposta in
forma di guida da Angelo Pellegrini ecc.
(Continuazione) . » 401
LXV. Passatempi artistici dell'architetto Pietro Bo-
NELLi {Fine) , . . » 407
LXVI. Bibliografia. Domenico Beisso. La Gioventii
Italiana iniziata alla vita morale e civile
ecc. (M.) » 419
LXVII. Francesco de' Medici. Tragedia storica di Ni-
colò Marsucco (Fine) » 420
ROMA
tipografia delle scienze MATEMATICfiE E FISICHE
VIA LATA n! 3.
i880
Pubblicato il 24 Novembre issi
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IL
Serie IL VoL. XIV. Quaderno XI. Novembre 1880
LXIII.
DELLA STORIA DELLA SCIENZA E DELL ARTE INSEGNATIVA
CONSIDERATA IN SE STESSA E NE* SUOI RAPPORTI
COLLA STORIA DELLA SCIENZA E DELL* ARTE LETTERARIA.
Conlinuaxione (1)
Dopo avere accennate le opere didattiche del Girard, del
Rosmini e del Gioberti, credo essere pregio dell'opera esten-
dermi alcun poco, prima di procedere innanzi, intorno alla
sostanza ed al valore delle principali di esse.
Farò capo dalla migliore opera del Girard nella quale
si racchiudono i germi prodottivi di grandi beni, cioè quei
semi ideali che germinarono fiori di gentilezza in tutta Europa
e produssero specialmente nella Svizzera quei frutti di ci-
viltà che ora veggiamo.
Il metodo del Girard si può dire un temperamento del
metodo Socratico col Pitagorico. Egli si valeva della forma
dialogica-espositiva^ ossia della forma dialogica inventata da
Socrate e della forma espositiva praticata da Pitagora. Con-
siderando che molteplice deve essere l'istruzione^ il Girard
poneva la sua prima cura nell' armonizzare insieme le varie
parti dellmsegnamento tra di loro, in modo che uno studio
servir potesse di complemento all'altro, e tutti insieme con-
corressero a compiere e perfezionare nei limiti voluti da cia-
scuna delle varie classi di cui si componeva la scuola lo
stadio della lingua, mezzo primo di coltura e pietra ango-
lare dello insegnamento elementare e mezzano. In questo
studio egli distingueva per altro l'insegnamento delle sem-
plici parole che formano il dizionario delia lingua dallo inse*
gnamento delle leggi che presiedono all' uso ed alla distri-
buzione di esse nel discorso, ossia l'insegnamento così detto
(1) Vedi Quaderno di Giugno» pag. 223.
53
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— 394 —
della nomenclatura dallo insegnamento della grammatica, fa-
cendo in sul principio quello a questo precedere, connettendo
ed alternando poscia Tuno coU'allro, accoppiando gli esempi
pratici ai teorici , la vita attiva alla vita speculativa. Ma'
dovendo, siccome egli diceva, le parole servire per i pen-
sieri ed i pensieri per il cuore e la vita, egli ben si guar-
dava dal ridurre l'insegnamento cosi detto della nomencla-
tura a dar parole senza idee; ma secondando la naturale ed
ardente brama propria dell'età giovanile di conoscere il mondo
reale ed in esso orizzontarsi e di aprire il cuore ai più nobili
e sublimi sentimenti die questo eccita, usava portare la loro
attenzione sopra gli oggetti della natura e dell'arte, obbligan-
doli mercè l'analisi ontologica ed il dialogo didattico a questi
esaminare, indicarne il nome, enumerarne ed enunciarne le
parti, le qualità e le relazioni, discorrere dell'origine, dell'uso,
dei vantaggi, formarsene idee chiare e distinte, dissipare gli
errori ed i pregiudizi volgari intorno ad essi, e rappresen-
tarli con diverso e variato ordine. Per tal guisa discendeva
sino a loro per innalzarli ed aiutarli ad acquistare quelle
idee fondamentali delle scienze cosmografiche , fisiche, come
merdali e matematiche, che sono espresse dalia lingua comun-
del popolo e possono essere apprese autor itati vamente o ra-
zionalmente per analogia od induzione^ e valgono a costituire
il fondo materiale della grammatica, della composizione e si
prestano sublime argomento allo insegnamento delle verità
civili e morali. Partendo sempre dal fatto alla legge e dai
particolari all'universale, dal sensibile all'in telligibile, e man-
tenendo rigorosamente in ciascun corso e nella serie dei varii
corsi d'idee e di cognizioni la legge di gradazione riguardo
al pensiero ed all'azione, esercitava così lo spirito di osser-
vazione^ la riflessione, la coscienza, il giudizio, il raziocinio,
la memoria, l'immaginazione e tutte insomma le facoltà dell*a-
nimo senza trasandarne alcuna. Alternava ed avvicendava pure
gli studi in modo che un lavoro mentale potesse tornare di
ristoro air altro , e tutti insieme senza stancare ed esaurire
le forze mentali dei giovinetti esercitassero però lo spirito
ad usare quella fatica che h necessaria perchè vengano così
per tempo preparati alle dure prove della virtii, all'obbedienza
ed al sacrifizio e sia temperata in loro quella mobilita di
fantasia che tende a renderli frivoli, incostanti, superficiali,
viziosi. Divideva per ultimo il suo insegnamento non per
parti ma per gradi, cioè insegnava le stesse cose alle singole
classi, colla sola differenza dell'ampiezza e dello svolgimento
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— 395 —
dell'oggetto; sicché ognuno, quand'anche dovesse in findelPanno
abbandonare la scuola, a qualunque classe apparteneva, non
avesse solo idee smozzicate e divise, ma un complesso di co-
noscenze proporzionali alia sua età ed utili alla vita, cioè
avesse ognuno degli allievi se non il totaliter il totum delle
scienze prime. Queste cognizioni loro comunicate man mano
che si presentava l'opportunità di dover spiegare un voca-
bolo , commentare un passo , richiamare una proposizione ,
ossia mediante un insegnamento occasionale agevolmente e
senza sforzi si apprendevano dai fanciulli ; raccolti poscia
in sul fine ed ordinati con un insegnamento apposito e rego-
lare sopra ciascuna materia, vale a dire ordinato a sistema
scientifico s' imprimevano fortemente nella memoria , arric*
chivano, nobilitavano ed aguzzavano la mente e suscitavano
soavi affetti e profonde commozioni. A facilitare però questo
menzionato esercizio ei si valeva, per quanto lo permettevano
i tempi ed ì luoghi, dei sussidii che la natura suggeriva e
r esperienza e la ragione dimostrano essere efficacissimi ; il
primo dei quali e Tuso dei sensi ed in ispecial modo quello
della vista e del tatto; perchè tutto quello che può passare
per gli occhi ed essere toccato dalla mano va diritto alla in-
telligenza senza molto sforzo e vi dura a lungo, dipendendo
la durata della memoria dal numero delle facoltà impiegate
nell'acquisto delle cognizioni (i).
In quanto alla disciplina tutto era disposto in maniera
da rendere possibile l'ordine più perfetto, da coadiuvare
efficacemente al metodo d'istruzione. Egli governava la scuola
col mezzo di monitori a questo uopo preparati , lo che ^li
permetteva di stabilire numerose divisioni. Il primo concetto
di questo insegnamento reciproco egli lo desunse da Licurgo,
come quello della forma dialogica l'aveva imparato dalle opere
di Socrate. « Licurgo , secondo che narra Plutarco , ordinò
» che tutti i fanciulli di sette anni fossero educati nello
» stesso luogo e sottoposti alla stessa disciplina; egli li divise
)» in parecchie classi alla cui testa pose un certo numero
(i) Gli oggetti più famigliari e meglio conosciuti, tutto ciò che parla
ai sensi e s* imprime nella immaginazione erano il punto di partenza del
suo insegnamento : la storia si presentava in sulle prime in abbozzo come
una raccolta di fatti e di aneddoti, esponeva quindi la medesima storia più
completamente, e Analmente questa medesima storia corredata da riflessioni
convenienli ad una piìi matura età. Nell'aritmetica similmente in un primo
corso insegnava le quattro operazioni fondamentali sopra numeri di una sola
cifra; il secondo le ripeteva sopra numeri più grandii un terzo corso versava
sopra numeri dojgni grandezza. Ma i problemi tenevano il posto principale
per rendere sensibile l'uso delle regole ed erano tolti dalle più comuni oc-
correnze della vita. (Aaynert, Metodica).
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— ZH —
» ài fanciulli i più abili e coraggiosi; gli altri dovev^ano
> aver coatinuamente ' gli occhi sopra di loro, obbedire ai
» loro ordini e ricevere con sommissione le punizioni che
> contro di essi pronunziavano » (t).
Quali erano i frutti della sua scuola ce lo dice l'indirizzo
seguente dei padri di famiglia di Friborgo al Consiglio Co-
munale: <c Non si vede più oggi giorno come altra volta quella
» moltitudine di fanciulli vagabondi che girano tutto il dì
» e stendono la mano mendica al passeggiero, quelle turbe
» numerose e scliiamazzanti , quelle risse , quelle indecenze
» d' ogni genere , quei furti che costringevano la pubblica
)i autorità a mettere le mani per sin sui fanciulli. A Fri-
» borgo non v'era che una voce a questo riguardo. Avvenne
>^ un salutar cambiamento. Di scioperati e monelli i fanciulli
» divennero studiosi, docili, modesti, rispettosi e gentili. »
(Adresse de 24 pères de famille au Conseil Municipal de la
Ville de Fribourg, iSis).
Mentre il sistema di educazione del Girard faceva sì ottima
prova ^ i tentativi pratici del sistema del Pestalozza furono
sempre infelici, perchè quegli poneva per base del suo inse-
gnamento la lìngua materna e questi la matematica. Le opi-
nioni del Pestalozza sull'uso delle matematiche^ se erano vere
entro certi limiti , recavano però con se di gravi pericoli^
ff II predominio di questi studi può suscitare negli animi
» dei giovinetti il bisogno di dimostrazioni dello stesso ge-
» nere, come osserva il Rayneri, quand'anche per la natura
» delle cose sia assurdo l'esigerle, impossibile il darle; può
(1) Fra i moderni i primi ad ordinare la scuola in questo modo, da
quanto si narra , sarebbero stati il cav. Paulet vecchio ufficiale francese a
Parigi e Tabate Goltieri d'Asti emigrato francese in Londra. Dopo di auest'al-
timo, in Inghilterra ridussero questo insegnamento a sistema e to applicarono
nelle scuole, il Bell cappellano militare degli inglesi a Madras nelle Indie ed
il Lancaster quacchero, inglese anche esso, a Londra. L' ordine ammirabile
che regnava in quelle scuole mosse il clera ed i filantropi dell' Inghilterra
a favorirlo ed a moltiplicare le scuole per tutto il reame. 1 signori De-la-
Borde, Fomard, Baili;, Francoeur, Degefando lo introdussero e propagarono
in Francia. Il padre Girard in Isvtzzera ma con gravi modificazioni; i signoci
Gonfalonieri, Porro, marchese di Breme in Lombardia; il P. Sassetti, il cav.
Ferrerò in Piemonte, e sarebbesi assai piìi diffuso se in quei tempi della rivo-
luzione dal 1816 cioè al 21 sussegurti dalla rivoluzione italiana, il partito rea-
zionario non gii avesse levato incontro una fierissima guerra, accagionando un
semplicissimo ordinamento delle scuole elementari di pessime tendenze di
irreligione, di spirito rivoluzionario e facendola pressoché origine dei rovesci
politici di quei tempo, solo perchè introduceva nelle scuole dei fanciulli una
maggior regolarità, un po' di ordine militare nel passo, nella posizione della
persona, nella divisione delle classi, nel comando e nella disciplina. Eccesso
di biasimo fu questo che dimostra eccesso di lode, di cui fu oggetto tale
sistema. In tutte le cose umane gli estremi conducono agli estcemìs* (Jiay^
neriy Metùdioa).
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— 307 —
» produrre T aridità del cuore e quel guasto morale di cui
» parla il Bonfadio nelle sue storie, ed il Fenelon ne* suoi
» scritti filosofici. La lingua all'incontro essendo T espres-
» sione universale dei nostri pensieri ed affetti può divenire
» la istruzione universale d'ogni coltura. Perciò il corso di
i* lingua materna era la pietra angolare della scuola del
1» padre Girard. Ei vi spendeva la meta del tempo desti-
» nato a tutto lo insegnamento. Questo corso aveva per epi-
)* grafe: Le parole per i pensieri ed i pensieri per il cuore-
» Un numero grandissimo di esempi scelti col più fine cri-
» terio ponevano sott'occhio degli allievi una serie di verità
^ le più adatte ai loro bisogni. La natura e le sue mera-
» viglie, Tuomo e le sue facoltà, la società e le sue leggi
» erano le fonti a cui attingeva continuamente i suoi det*
» tati, invece di non considerare in una proposizione altro
» che gli elementi grammaticali il fanciullo doveva dichiararne
» il significato, apprezzarne la verità e portare finalmente,
» quando vi fosse luogo, un giudizio morale* » {Raineri ,
Metodica).
Vittorino da Feltre (i). Fra gli educatori del medio evo più
celebrati in Italia vuoisi annoverare Vittorino Rombaldoni, più
comunemente chiamato dal nome del suo nativo paese Vittorino
da Feltre. Nacque nel 1398 ed appena compiuti gli studi aprì in
Padova e poco tempo dopo anche in Venezia un collegio, ove
diede le prime prove della sua abilità nella scienza e nell'arte
d'insegnare e di educare la gioventù. La sua fama era salita
tanto in alto, che Francesco Gonzaga lo chiamò a Mantova per
educare i proprii figli Ludovico e Carlo, Ivi egli fondò un
collegio che attrasse non solo dall'Italia, ma dalla Grecia, dalla
Germania e dalla Francia grande numero di discepoli, i quali
poi ne uscirono segnalatissimi nelle scienze, nelle lettere e
neir arte militare. La maschia e saggia sua educazione in
Mantova non solo ma in tutta la penisola produsse un cam-
biamento morale ed intellettuale per essere le virtù della
scuola passate nella famiglia e dalla famiglia nella citta.
Tuttavia tutto ciò che sappiamo della sua scuola non ci viene
dalle sue opere ma dalla tradizione, perciocché occupatissimo
come era tutto il giorno coi suoi allievi, egli scrisse poche
cose e queste non giunsero neppure fiuo a noi. Da quanto
si rileva dagli autori che ci tramandarono le sue memorie,
(1) Benché secondo Tordine cronologico di Vittorino si avrebbe dovuto
i parlare prima , tuttavia per la relazione che ha il suo metodo con quella
del Girard» a questi credetti opportuno di farlo seguire.
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— 398 —
le sue prime mire erano rivolte a conservare la sanila de'siioi
discepoli merci le cure igieniche , ad accrescerne le forze ,
addestrarne le membra, perfezionarne i sensi, aggraziarne la
persona mediante la ginnastica. Riguardo alla coltura intel-
lettuale egli procurava che la sua istruzione fosse pratica,
educativa , molteplice , varia e graduala , dilettevole dando
i primi rudimenti quasi per giuoco, affinchè i fanciulli non
])igliassero dispetto dello studio. E, quantunque dottissimo, non
saliva mai la cattedra senza essersi preparata ogni volta la
lezione con matura e profonda riflessione. Per quanto ri-
guarda r insegnamento della lettura il pedagogista Feltrese
seguiva l'opinione di Quintiliano; imperciocché Quintiliano
approvava Fuso fin da*suoi tempi introdotto di fare imparare
Talfabeto ai fanciulli quasi giocando con certe tavolette d*a*
vorio sopra le quali erano scolpite le lettere , e Vittorino
faceva eseguire tali tavolette di cartone dipinte a vari! co-
lori, sopra ciascuna delle quali ciascuna lettera dello alfabeto
fosse disegnata , e ciascuna tavoletta il nome prendeva da
quella lettera che in fronte portava (Platin, Vita Yictorini).
Questo metodo fu anche da moderni approvato ; Lock con-
sigliò i dadi, Rollio le carte, e M. Dumas trovò il tavolino
tipografico che dal RoUin viene descritto.
Nello insegnamento delle altre materie Vittorino poneva,
al pari del Girard, quale base T insegnamento della lingua
materna seguendo nelPimpartirlo il metodo analitico-sintetico.
Di guisa che, siccome narra Rosmini Carlo, tosto che i fan*
ciulli erano stati istruiti nei primi elementi delle lettere che
ad ogni uomo mediocremente educato sono necessari, che di
ogni scienza e disciplina sono il fondamento^ prima di passare
innanzi , di applicarli ad altre scienze , di lunga mano egli
studiava il carattere e Y inclinazione di ciascuno , secondo
il precetto di Plutarco, il quale dice che bisogna coltivare
i fanciulli non secondo le facoltà del padre , ma secondo
quelle dello spirito loro.
Nelle lezioni di lingua materna egli usava snocciolare
i passi più difficili dei filosofi, dei poeti e discendere nella
sua analisi alle più minute osservazioni, e non era contento
sino a tanto che si accorgeva che anche i più tardi ingegni
intendevano. E ciò che non avevano prima inteso non per-
metteva che essi studiassero.
Circa r ordinamento della scuola ben conoscendo, che
qualunque sia il metodo d' insegnamento, nullo ne sarebbe
il frutto, ove mancasse lordine scolastico ossia la disciplina
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309 —
dispensiera del tempo, tutela del lavoro, conciliatrice degli
animi, ispiratrice della docilità, dell'affetto, della riverenza
al maestro, e la guarentigia del buon costume ed il nerbo
della scuola, non risparmiava alcun mezzo per ottenerla. Ora
siccome sapeva che uno dei principali mezzi si è l'autorità di
fatto che è riposta nella saggezza e probità del maestro^ an-
netteva tanta importanza alla scelta dei precettori, che amava
assai più di avere ad istruire i fanciulli rozzi e quali li
aveva fatti natura , che quelli che già fossero stati istruiti
da imperiti maestri ; poiché nel secondo caso , ei diceva ,
doppia essere la fatica, dovendosi prima di istruirli far loro
disimparare quello che male avevano imparalo. Di questo
avviso era pure Quintiliano , il quale narra come Timoteo
celebre suonatore domandava una certa determinata somma
se doveva insegnare ad un discepolo che non avesse avuto
altra istruzione ; ma questa somma voleva duplicata se
UH altro si presentava che fosse stato istruito da poco esperti
maestri. Tanta h la forza della prima educazione ed istru-
zione che giunse molte volte ad assopire le stesse naturali
inclinazioni, come ne lo prova lesempio di Licurgo (riportato
da Plutarco nel giudizioso suo trattatello dell'Educazione
dei figliuoli) dei due cani nati dalla stessa madre, ma stati
allevati diversamente, l'uno alle mollezze ed al ritiro,
r altro alla caccia ed ai boschi. Neppure sfuggendogli che
r autorità di fatto del maestro può essei*e contrastata ed
alcune volte vinta dagli abiti precedentemente contratti
da un alunno, dall'indole medesima di esso^ o da compagni
non metteva in non cale lautorilà di diritto la cui sanzione
sono i premi ed ì castighi. Egli distingueva però due specie
di mancanze^ cioè quelle che provenivano da malizia e quelle
che provenivano da trascuratezza. Quindi al primo ingresso
di ciascun discepolo nel collegio gli prescriveva il sistema
di vita che condurre ivi doveva, il quale ove fosse da lui
maliziosamente violato , veniva senza dar luogo a scusa od
a pretesti escluso dal ginnasio come don atto alla sua di-
sciplina. Quando poi un discepolo era negligente l'obbligava
di applicarsi allo studio nel tempo in cui gli altri suoi com-
pagni occupavansi in giocondi esercizi Questo metodo però
non h da imitarsi, siccome quello che non serve che a fare
abborrire i libri , lo studio e la scuola. Infatti Quintiliano
consiglia l'opposto sistema: egli vuole che il maestro procuri
di far SI che il fanciullo riguardi lo studio come un diver-
timento ed un premio, e che se egli nega di studiare, non >uole
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— 400 —
che se ne faccia schiamazzo^ nh che gli si dica pur moto,
ma che si chiami alla sua presenza un fanciullo più docile,
il quale si lasci istruire. Il primo ne sentirà una lodevole
invìdia, agognerà lo studio ed il maestro per nudrire in lui
questo desiderio gliel negherà per qualche tempo. Insomma
vuole Quintiliano che il maestro, mentre il discepolo h ancor
giovinetto e per conseguenza incapace di calcolare i propri!
vantaggi , non cerchi tanto che egli ami lo studio quanto
che non lo prenda in orrore.
Ma se Vittorino richiedeva nel suoi discepoli la docilità,
voleva che questa non fosse passiva ma attiva per guisa che
tutti stessero attenti, e la loro attenzione si arguisse non
tanto dall'equivoca quiete del corpo quanto dal movimento
degli occhi e dalFarìa del volto. Ad ottenere questo scopo
poneva grandissima cura nel classificare gli alunni per riguardo
al grado di coltura non solo , ma anche per riguardo alla
educazione ed alle naturali inclinazioni, attenendosi in ciò
all'esempio dell'educazione persiana, secondo che ce la descrive
Senofonte nella Ciropedìa, lib. I, cap. II. Quest'illustre edu-
catore, dal quale il Girard e quelli che lo seguirono trassero
non poco, come si scorge dal confronto dei sistemi loro, mancò
ai vivi nel 1446 compianto da tutti coloro che ne poterono
conoscere ed apprezzare l'ingegno, la dottrina e Tabilita di-
dattica, e venne sepolto nella chiesa di san Spirito in Mantova.
Molteplici sono le pubblicazioni in tomo alla vita ed alle
opere educative di Vittorino da Feltre. Fra queste meritano
particolare menzione gii scritti di Rosmini Carlo e dell'abate
Iacopo Bernardi. Gli scrìtti del primo portano il nome di
Idea delf ottimo precettore nella sfita e nelle discipline di
Vittorino da Feltre e de suoi discepoli^ videro la luce nel 1845
in Milano per opera deireditore Silvestri; quelli del secondo
portano per titolo : Studi di fattorino da Feltre e suo
metodo educativo^ e si stamparono in Pinerolo nel 1S56.
Il Rosmini nella sua opera dell'unita dell'educazione insegna
quali siano i limiti entro i quali si dovrebbero tenere i legi-
slatori nel proporre e decretare le riforme scolastiche.
Tuttavolta si vuole procedere alla riforma di una istitu*
zione, dice il filosofo di Roveredo, h necessario fissar bene
ciò che vi ha di ottimo e perciò dMmmutabile, e questo intie-
ramente conservare per far cadere la riforma sul rimanente
soltanto. Ora ciò che deve avere di ottimo e perciò d'immu-
tabile una istruzione si h l'unita. Nella pubblica educazi one
l'unità vuol essere di tre sorta, cioè unità del fine, unità
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401 —
delle dottrine ed unita del metodo. Questa teoria venne se-
guita dal Rayneri di cui parleremo più innanzi. Con queste
parole pare che il Ro£lmini abbia voluto avvertirci fin da'suoi
tempiy che la triplice unita menzionata fosse il miglior mezzo
di acquistare^ come di conservare e consolidare, acquistata
che fosse, la nostra unità politica.
{Continua)
Prof. Gabriele Deyla
LXIV.
DESCRIZIONE
DI TUTTE LE COLONNE ED OBELISCHI
CHE TROYANSl NELLE PIAZZE DI ROMA
DISPOSTA IN FORMA DI GUIDA
DA ANGELO PELLEGRINI
MBMBIO DBLL'IVSTITUTO DI COBRISPOITDBNSA ABcHEOLOGIGA
Continuazione (1)
OBELISCO DEL QUIRINALE
Quest' obelisco sulla piazza del Quirinale j fu innalzato
come quello dietro la tribuna di s« Maria Maggiore , come
fu detto j avanti V ingresso dei Mausoleo di Augusto. Tali
obelischi ambedue eguali senza geroglifici, si tagliarono cer-
tamente in tempo dei primi imperatori romani.
Si scoprirono , come notossi ^ poco prima dell' anno i527
per testimonianza del Fulvio che scrìsse esserne stato estratto
uno solo e lasciato giacente spezzato avanti la chiesa di
s. Rocco, e che l'altro fu lasciato sepolto. Quest'ultimo rimase
sotterra fino al i78i , allorché papa Pio VI lo fece scavare
di nuovo ed estrarre nelFanno 1782.
Era rotto in tre pezzi, ed il primo venne innalzato con
direzione dell'architetto Antinori nei primi giorni di ottobre
del i786, e successivamente gli altri due correndo lo stesso
mese. È alto, non compreso il piedestallo, la croce di metallo,
lo sbassamento attuale della piazza, e qualche altro acces-
sorio, circa metri 6.
Il celebre gruppo colossale in marmo dei due cavalieri
greci coi loro cavalli, annesso alfobelisco di cui trattiamo,
(i) Vedi Quaderno precedente, pag. 366.
54
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— 408 —
fino dai terapi anticbi sì diceva opera di Fidia e di Prassi-
tele^ leggendovisi anche ai tempi di Aureliano come al pre-
sente nelle loro 'basi: oPvs phidià«:. ok>^ praiitblis. Eraito si-
tnati di fronte al prospetto del tempio ^el Sole nell' area
innanzi ai giardino Colonna » ora piazza di Monte Cavallo ,
da dove li rimosse Sisto V «collocandoli nel sito presente sotto
la direzione dell'architetto Domenico Fontana. Ciò fece per
restaurarli non solo^ ma anche perchè rendessero ornamento
al palazzo ponliikio (i) ed alla strada di Porta Pia (2J* Il
com un'errore di credere queste statue dei nominati scultori
greci lo confermarono le antiche iscrizioni seguenti scolpite
nelle loro basi.
La prima sotto il cavallo creduto di Fidia:
PHlblAS NOBILIS SCVLPTOR AD ARTIFIGIS PRAESTAP^TIAX
DECLARANDVM ALEXAMDRl BVGEFALVH DOMANTIS
EFFIGIEM E HARMORE EXPRESSIT.
Nella stessa base leggevasi ancora un* altra di Sisto V:
SIXTVS V. PONT. MAX.
SIGNA ALEXANDRI MAGNI CELEBRISQVE ElVS BVCEFALI
EX ANTIQVITAT1S TESTIMONIO PHIDIAB
PRAXITELIS AEMVLATIONE HOC MARMORE AD VIVAM
EFFIGIEM fiXPRESSA A FL. C0N8TANTIN0 MAX. E GRAECIA
a4)vecta svisqve in thermis in hoc QVIRINALI
MONTE COLLOCATA TEMPORIS VI DEFORMATA LAGERAQVE
AD EIVSDEM IMPERATORIS MEMORIAM VRBISQVE
DECOREM IN PRISTINAM FORMAM RESTITVTA
BIG REPONI IVSSIT
AN. M . D . LXXXIX. PONT. IV.
Sotto l'altro creduto di Prassitele:
PRAXITELES SCVLPTOR AD PHIDIAE AEMVLATIONEM SVI
MOflVMENTA INGENII POSTERIS RELINQVERE GVPIENS
EIVSDEM ALEXANDRI BVCEFALIQVE SIGNA FELICI
CONTENTIONE PBRFEGIT
Indi nel piedestallo sotto quello creduto di Fidia dietro si legge:
SIXTVS . V . PONT . MAX.
COLOSSEA * HAEG . SIGNA . TEMPORIS . VI . DEFORMATA
RESTITVIT
VETERIBVSQ . REPOSITIS . IN^GRIPTIONIBVS
E . PROXIMIS . CONSTANTINIANIS . THERMIS
(1) Ora Regio.
(2) Ora Via Venti Settembre.
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— 403 —
IN • OVIRINALEM • AREAH . TRANSTVLIT
ANNO . SALVTIS . MDLXXXIK
PONTIFICATVS • (TVARTO
Nel luogo ora occupato da questi cavalli sussisteva un
masso rustico di muro antico, che fu distrutto al tempo di
Sisto V per situarli in tal punto, come si ha dal Vacca /l/e-
morie^ n. io e 40 (i). 11 suddetto pontefice fra essi edificò una
fontana la quale fu tolta allorché d'ordine dì Pio VI venne
collocato l'obelisco nel mezzo ai due colossi, voltandoli come
sì vede, e ponendovi la seguente iscrizione in versi:
ME . QUONDAM . AEGYPTI . DESECTVM . E . CAVTIRVS . VNDAS
VIS . QVEM . PER . MEDIAS • ROMVLA • TRANSTVLERAT
VT • STAREM . AVGVSTl . MOLES . MIRANDA . SEPVLCRI
GAESAREVM • TIBERIS . QVA . NEMYS • ADLVERET
lAM . FRVSTRA . EVERSVM • FRAGTVMQVE . INPESTA . VETVSTAS
NISA . EST . AGGESTIS • GONOERE . RVDERIBVS
NAM . PIVS . IN • LVGEM . REVOGAT . SARTVHQVE . QVIRINl
SVBLIMEM . IN . COLLIS . VERTICE . STARE . IVBET
INTER • ALEXANDRI . MfiOlVS • QVI • MAXIMA . SIGNA
TESTABOR . SEXTl • GRANDIA • FAGTA . PII
I più volte riportati registri Camerali così notano riguardo
alle Spese per i
Cavalli sulla piazza del Quirinale
Al cavaliere Domenico Fontana architetto per la
remozione e mettitura di essi Se. 766
Al medesimo per diversi massi esistenti sulla
piazza gettati a terra, che impedivano la veduta di
detti Cavalli} come al conto saldato il dì 5 aprile iS90 Se. i980
A Lorenzo Bassani scarpellino per il lavoro de pie-
distalli Se. 1500
A Flaminio Vacca^ Pietro Paolo Olivieri^ e Leo-
nardo Sorman scultori per la subiatura de* Cavalli ,
come dalla stima fatta da Gio. Battista Bianchi
a Se. 2250 ridotti^ e saldati il it gennaio iS90. Se. isoo
Ad Antonio Mambrilla ferrare per le spranghe
di ferro Se. 78
Totale Se. 6ii4
(1) Era l'avanzo di uno delle due specie di cortili posti nei lati del
tempio del Sole di cui la platea a grandi scaglie dì selce vedemmo distrug-
gere con molta fatica nel medesimo luogo quando Pio IX fece fare la nuova
salita del Quirinale.
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— 404 —
L'attuale fontana eretta da Pio VII l'anno I8I8 fra i due
colossi, h composta da una grande tazza rotonda di granito
rosso y che poggia su d'un piede di marmo bianco baccel-
laio con dado sotto di travertino. Dal centro di essa sgorga
in alto un grosso capo dell'acqua Felice, e da questa le acque
rigurgitano nel sottoposto bacino rotondo formato di traver-
tino. 11 labbro o tazza di granito suddetto trovavasi fin
dai secolo XVI'nel Foro Romano trovata a tempi di Sisto V
presso santa Martina nel cantone colla via di Marforio, uni-
tamente al colosso giacente dell' Oceano ora nel cortile del
museo Capitolino. Questo versava V acqua in quella tazza ,
e costituivano ambedue una fontana degli antichi romani
incontro il carcere Mamerlino. Il piede della tazza indicato
è antico , e fu trovato V anno I817 quando fu tolta questa
vasca che serviva di abbeveratoio al Campo J^accino.
Il lutto si eseguì con direzione dell' architetto Stern e
venne posta nel piedestallo dell' obelisco la seguente bella
iscrizione.
PIVS . VII . PONT . MAX,
QVOO . ABSOLVENDVM . SVPERERAT
ADDITO • CRATERE . EXCITATO . SALIENTE
SYMPLEGHA . CONSVMAVIT
A . D . MDCCGXVIII . PONTIF . XIX.
Prendendo la Via Venti Settembre y e giungendo alle
Quattro Fontane, si vede a sinistra
L'OBELISCO DELLA TRINITÀ DE' MONTI
L'innalzamento di questo obelisco nell'area dove oggi si
trova ; si deve a Pio VI 9 togliendolo presso la Scala Santa
Santa a s. Giovanni in Laterano, dove papa Clemente XII
aveva Tidea d'innalzarlo innanzi al prospetto principale della
nominata basilica.
Venendo ora a quel poco di storia che di esso ci rimane
Àmmiano (1) scrisse che fra gli obelischi portati in Roma
dopo Augusto, uno venne dirizzato in hortis Sallustii^ cioè
negli orti Sallustiani, e precisamente nel circo ancora visi-
bile. Tale obelisco tagliato e trasportato in Roma dall'Egitto
nell'epoca media deirimpero romano, non è se non una informe
imitazione di quello del Popolo, a segno che l'inetto inta-
(I) Lib. XVIL cap. 4.
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— 405 —
gliatore qualche volta credendo indifferente la cosa ha capo-
volto i gerogUGci , ed intagliatili anche di capriccio. Forse
fu coperto coi geroglifici in Roma circa ai tempi di Gomroodo
come dallo stile apparisce.
Gli orti di Sallustio , passati già al demanio imperiale ,
andettero soggetti ad incendio nel primo furore dei Goti con-
dotti da Alarico Tanno 409 dell'era volgare allorché entrarono
per la porta Salaria per testimonianza di Procopio (i) , ed
allora si può credere che cadesse l'obelisco.
Indi non se ne trova più notizia fino all'anno 1527, allorché
il Fulvio (2) ne fa menzione, come ancora giacente e spez-
zato negli orti sailustiani, dicendolo obeliscus Lunae dicatus.
Golia stessa falsa denominazione , vedesi rappresentato gia-
cente e rotto nella pianta del Bufalini edita l'anno 1551, entro
la vigna di Vincenzo Vettori fra le porte Pinciana e Salaria,
ora parte della villa Ludovisi. É da credere che il Vettori
od altri prima di luì dalla valle del circo, dove originalmente
era stato eretto, lo avessero trasportato in quel punto^ cioè
sul ripiano del monte.
Dice il Mercati (3) che Sisto V aveva divisato di ergerlo
avanti la chiesa di s. Maria degli Angeli , dove al tempo
stesso avrebbe fatto ornamento alla piazza che apri innanzi
la sua villa Peretti, oggi quasi intieramente distrutta per for-
mare la Stazione della Ferrovia ed il nuovo quartiere della
citta, restandone ben poco ai Massimi. Formata tal vasta piazza
colla rovina di una parte delle terme Diocleziane non ebbe
tale ornamento per la morte di quel papa. Rimase pertanto
giacente nella vigna Vettori, che non molti anni dopo, cioè
circa il i62l la comprò il card. Ludovisi, e formò parte della
villa di questo nome. Ivi restò rotto e giacente fino all'anno 1733,
dicendo il Valesio , che papa Glemente XII il 22 marzo lo
richiese alla principessa Ludovisi per innalzarlo innanzi la
facciata principale di s. Giovanni in Laterano, ed essendogli
stato donato, con Breve dei i4 febbraio 1734 dal cav» Galilei
lo fece trasportare presso la Scala Santa.
Restò ivi abbandonato fino all'anno 178S, allorché Pio VI
lo fece trasportare dinanzi la chiesa della Trinità de'Monti,
dove nella primavera dell'anno it89 fu innalzato, come si
vede sopra un gran piedestallo di marmo bianco con archi-
tettura di Giovanni Antinori. Nella sommità è sormontato
(1) G%UTTa Vandalica, Lib. I, cap. 2.
(2) Ant. Urb., pag. LXXL
(z; iin». cyrv.» fjo^. i^a
(3) ObclUchi, pag. 259.
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— 406 —
al solito da una croce di metallo contenente le reliquie del
legno della Croce, di s. Giuseppe, de' ss. apostoli Pietro e
Paolo , di s. Pio V , di s. Agostino e di s» Francesco di
Paola (i).
Il fusto deirobelisco h alto metrica e ^ e nella faccia
del piedestallo rivolta ad occidente, cioè alla città leggesi:
PIVS . VI . PONT . MAX
OBELISGVBI * SALLVSTIANVBI
QVEM • PaOLAPSlONE . DlFFRACTYlk
SVPERIOR . AETAS
lAGENTEM • RELIQVERAT
COLLI • HORTVLORYH
IN . SVBSIDENTIVH . VIARVM
PROSPECTV . IHPOSITVH
TROPAEO
€RVGIS . PRAEFIXO
TRINITATI . AVGVSTAE
DEDIGAVIT
A mezzodì leggesi nell'altro lato:
SAGRI
PRINCIPATYS
ElVS
ANNO • XV
Nella faccia settentrionale:
IH • EIDVS
APRIL
ANNO . M . DCG
LXXXVl.
Nel fianco orientale nel basso:
IOAN . ,ANTIN0R10 . GAMERTE . ARGHITÉGT.
Indirizzatevi al ponte Elio, ed entrando nel Borgo pas-
sato il medesimo, sul fine s'apre la vasta piazza di s. Pietro,
so cui vi h l'obelisco Vaticano.
(Continua)
H) Ved. Cancellieri, Mercato, pag. 165.
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— 407 —
LXV.
PASSATEMH ARTISTICI
DELL'ARCHITETTO PIETRO BONELLI
Continuatione (1)
Il teatro jirgentina^ di una 6gura la più vaga di tutti
gli altri teatri di Roma; ed insieme la più armoQÌ«ca perche
compOvSta di ud semicircoio prolungato da tkie linee quasi
parallele fra loro. Eretto dal duca Sforza Cesarini coi di-
segni dell'architetto marchese Girolamo Teodoli; sebbene da
alcuni se ne voglia autore un tal Frediani. Una vicina torre
chiamata u^r^en^/zza perchè annessa al palazzo del cardinale
vescovo di Argentina gli diede il nome. Nel principio «del cor*
rente secolo, dato in enfiteusi a Pietro Cartoni vi fu fatto
un prospetto ideato dall'architetto Pietro Holl, servì per Vo-
pera regia sino al isso epoca in cui fu trasportata al teatro
di Apollo. Essendo fin dalla sua prima costruzione in mas-
sima parte di legno a questa venne nel 1837 con disegno del
cav. Pietro Camporese, sostituita una ben ordinata opera mu-
raria. Venduto in seguito dalla Sforza Cesarini al principe
D. Alessandro Torlonia; il nuovo proprietario nel i862 si die
a ristaurarlo e a farvi nuove migliorìe, là dove neppure ab-
bisognavano. Anche questo lavoro fu diretto dall'architetto
Carnevali. Le decorazioni del Camporese andarono perdute,
e a quelle si sostituirono altre di assai diverso gusto. La di-
pintura sulla tela del soffitto a tinte calde ^ e sfumate con
leggiadre figure a svolazzo riparò ad usura questa perdita ;
ciò lo dobbiamo alla valentia del prof. Grandi e del Masella;
non così può dirsi dei davanzali ed interno dei palchi in cui
primeggia una tinta fredda ed incerta che disarnìonizza sì
fortemente col soffitto da muoverti la collera come spinse
gì' intolleranti a cantare romanescamente a suon di timpani
e castagnole le laudi della platea d'Argentina sotto le sem-
bianze di una pentola di bassanella col coperchio di por^
cellana. Ma che razza di gusto in questa acconciatura teatrale!
Proprio una mascherata carnesfalesca !
11 teatro Metastasio è di antica data ; prima si diceva
Pallacorda perche fabbricato sopra un'area che servì un tempo
al giuoco della pallacorda. «Costraito tutto di legno aveva
(1) Vedi Quaderno precedente, pag. 375.
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— 408 —
una figura bislunga a somiglianza del teatro Pace^. Appartenne
fin dalla sua prima costruzione, che credo rimonti al prin-
cipio del secolo XYlll, ad un tal Corea spagnolo; da prin-
cipio vi si diedero rappresentazioni di ogni genere, poi vi
s'introdussero le marionette, indi compagnie drammatiche di
bassa forza vi recitarono commedie colla maschera del pul-
cinella. Passato poi iu proprietà dei sigg. Quadrari e Barac-
chini^ eglino lo rifabbricarono per intiero e di materiale, coi
disegni del cav. Nicola Carnevali , divenuto ormai come il
Bibiena^ T architetto dei teatri romani, e qui egli ebbe un
felice successo^. Gaio , e di forma ben regolare in un' area
assai ristretta può ritenersi per il miglior suo lavoro archi-
tettonico. Il sipario h degno di particolare osservazione; lo
dipinse il prof. Nicola Consoni rappresentandovi Coriolano
mosso dalle preghiere di Veturia sua madre, leva l'assedio
di Boma. Il teatro venne inaugurato in onore del poeta lirico
Metastasio nella primavera dell'anno 1841 dalla compagnia Ma-
scherpa colla Pamela nubile del Goldoni. Fu per molto tempo
la palestra alle migliori cfompagnie drammatiche: oggi vi ha
stanza il pulcinella col suo abile corredo di attori sfogando
in operette di prosa e musica i lazzi partenopei non sempre
nella cerchia di una sana morale.
Il teatro Capranica , proprietà della famiglia Negroni ,
porta il nome dell'attiguo collegio Capranica, che lo diede
nei tempi passati anche alla piazza ove e situato. La sua
icnografia era pessimamente ripartita e difettosa a segno che
il suo unico adito sulla piazza era in comune con uu'albergo
e stalla annessa; di Ik insieme ai spettatori vi entravano ed
uscivano cavalli, muli ed asini. Non aveva alcun prospetto^
si presentava sulla stessa piazza soltanto con un lurido muro
bucato di poche finestre di svariate dimensioni e senza ordine
alcuno, sparse sopra la di lui superficie come le oasi di un
deserto. Servi in origine alla rappresentazione delle opere in
musica, ma i suoi sconci gravissimi lo fecero ben presto de-
cadere fino a che si ridusse alle marionette. La struttura in
legno poi col tempo assai deperita avendo dato luogo ad una
innumerevole immigrazione di animalucci quadrupedi, ed insetti
di razza morella provenienti dalla sottostante stalla, ed il pe-
ricolo di mina ne portò finalmente la chiusura per parecchi
anni, quando la sua situazione centrale, la sufficiente gran-
dezza determinarono i condomini a rifabbricarlo; e coi disegni
dell'architetto Gaspare Servi sorse di più belle forme, e gra-
dito all'occhio con un ripartimento icnografico se non buono
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— 409 —
certo meno disagevole e indecente di prima: ciò non ostante
la esistenza di scale incomode, e di passaggi intralciati amò
di laberinto, gli mantengono sempre un certo discredito che
ha per conseguenza i lunghi periodi di ozio e di abbandono.
Il teatro Italie di proprietà • dei signori marchesi Capra-
nica, sembra che fosse una riduzione di vecchia fabbrica entro
la quale vi si ricavò la sala coi suoi palchetti di legname,
ed in prova che egli non venne fabbricato appositamente, oltre
allo stato deperito delle mura, lo confermava la esistenza di
una grossa muraglia di grande imbarazzo per le rappresen-
tazioni sceniche, restringendo di soverchio il piano del palco
scenico; e per questa ragione i proprietari nel i82l intrapre-
sero a demolirlo intieramente ed a ricostruirlo nello stesso
tempo tutto dì materiale, liberandolo dalPimportuno ingombro.
A questo lavoro fu chiamato l'architetto cav. Giuseppe Va-
ladier il quale v'incontrò qualche dispiacere per la caduta
di un nuovo arcone sul palco scenico , della quale egli si
giustificò in modo che la sua grande perizia nell* arte non
restò menomamente intaccata. Egli pubblicò colle stampe una
relazione esatta deir accaduto, esponendo con tutta verità è
sapere artistico le cause che produssero siffatta rovina. Nel
carnevale del 1823 venne aperto al pubblico con un' operetta
in musica intitolato il Maestro di cappella in Marocco, questa
opera del Valadier fu assai commendata^ e si trova graziosa
ed armonica la curva della platea, bello il prospetto esterno,
comode le scale, e ammirabili per la disposizione nuova ed
ardita delle sue rampe. Anche le pitture di decorazioni, e il
sipario, opera di Felice Gianni^ vennero giudicate di molto
pregio; oggi per forza di .nuovi impiastri a colori e rinnova-
zioni volute dalla vecchiaia sono miseramente perdute. Non
ostante ciò il teatro Valle è sempre ritenuto sebbene piccolo,
per uno dei più belli teatri di Roma. Per vari anni vi fu-
rono rappresentate opere in musica serie e buffe, al presente
pare destinato esclusivamente alla prosa.
L'anfiteatro posto sulle ruine del mausoleo di Augusto,
con ingresso sulla via dei Pontefici, fu costruito per uso di
pubblici divertimenti dalla famiglia spagnola Corea che vi
aveva un palazzo accanto* Non può annoverarsi fra i teatri
di Roma, mentre la sua struttura a gradinata circolare, con
un ordine superiore di palchi e terminata da un loggiato ,
senza il minimo accenno di palco scenico lo escluderebbero
fra questi se non si prestasse da qualche tempo alla recita-
zione diurna di produzioni teatrali , nelle quali coloro che
55
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— 410 —
calzano il socco od il coturno devono tenersi'sopra nn tavo>
lato postìccio in forma di proscenio esposto alle sgambatezze
deiratmosfera» e dove vecchie scene dipinte per la luce arti-
6ciale perdono ogni effetto ottico, cioè quella illusione che
rivela il merito delio scenografo. L'uditorio poi gode un pri-
vilegio molto segnalato, quello di sentire durante lo spetta-
colo echeggiare dintorno a* se lo scampanio dei sacri bronzi
di una chiesa attigua , le cui vibrazioni sonore troncano la
parola agli attori drammàtici, e ne sospendono l'azione obbli-
gandoli a rimanere sul palco come gruppi plastici. L'anfiteatro
per parecchi anni servì di arena alla giostra dei tori, diverti-
mento in allora molto accarezzato, e abolito nel 1829 quando da
lunga pezza era per ogni dove condannato dalla civiltà dei
tempi. In sostituzione di questo barbaro divertimento s^iatro-
dussero dal nostro concittadino Alessandro Guerra ì giuochi
ippici. Fin dai primordi di questo secolo vi si eseguivano altresì
nei mesi d'estate certe feste notturne cui davasi il nome di
fuochetti^ consistenti in concerti di musica istrumentale ese-
guite da due orchestre e svariati fuochi d'artificio in mezzo
ad una brillante illuminazione , e dove accorreva numerosa
la gioventù d'ambo i sessi e vi si raccoglievano i più bei fiori
del nostro fertile suolo. Questo geniale convegno si disperse
negli sconvolgimenti politici del 1S48 e 49, di già illanguidito
perchè invalsa si era nel popolo l'opinione che l'aria notturna
in quel luogo fosse malsana , e causa di febbri periodiche.
A completare la statistica dei teatri romani è necessario
di commemorare i trapassati ed i nati di recente data. I non
più esistenti da poco tempo sono il teatrino Piano sul corso
in un angolo del palazzo di questo nome; serviva per rap*
presentazioni comiche miste a ballo e musica , animate da
una maschera romana chiamata Cassandrino^ sostenuta eoa
una straordinaria naturalezza da un tal Filippo Teoli romano»
i cui frizzi e le arguzie le più saporite richiamavano ogni
sera un uditorio assai numeroso e colto: alla morte del Teoli
mancò la vita al piccolo teatro, e malgrado gli sforzi di chi
volle succedergli, i concorrenti diminuirono a segno che si
dovette chiudere e destinarlo ad altro uso. Il teatro Ornani
poi Emiliani in piazza Navona, nomi di più proprietari è
tra gli estinti: vi si recitavano operette in prosa e musica
miste al ballo colle marionette, ma non venne mai a rino-
manza alcuna , e si chiuse quando se ne aprì altro dello
stesso genere ma più proprio e decoroso in via della Valle,
nominato balletto, per distinguerlo dal teatro Valle che gli
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— 411 —
era daccanto. Dopo alcuni anni di esistenza^ toccò al mede-
simo egual sorte deìV Emiliani j trasformandosi in magazzino *
di tessuti. Frattanto a questo rancidume di poco conto la
privata speculazione vi ha provveduto a larga mano e in breve
periodo di tempo, con altrettante microscopiche sostituzioni
e certo senza un gran sciupìo di denaro.
Si ebbe il teatro Rossini il meglio architettato degli altri,
però troppo superbo di se, fu a mio parere, troppo temerario
voler onorare il grande cigno pesarese colla dedica di una
scatola da parrucca, può dirsi un oltraggio anziché omaggio.
Il Quirino appartiene alla classe delle baracche di legno, e
perciò fra le costruzioni temporanee d'oggidì, come lo sono
Vjilhambra e il cadente Circo reale agli Esperidi. Quest'uso
barbarico vorrei che non si diffondesse d'avvantaggio; egli è
sempre degradante per una citta come la nostra. Ma faccio
le mie riserve, la Comottiana grande lavoro di meccanica e
di sapere artistico deve essere con riverenza, escluso dal no-
vero di» quelle. Il teatro Manzoni tra 1' Oppio e il Cispio
dell' Esquilino h il primo costruito in laterizi , da che qui
scesero i nostri benvenuti ingegneri transpadani; h di stile
arcaico^ tutto spira semplicità ed economia. Anche questo
teatro porta un titolo troppo illustre; forse chi glielo applicò
non sapeva quanto il nome del sommo letterato milanese ono-
rasse il teatro ai Monti e la dedica del teatro nulla accrescesse
alla rinomanza di lui. 11 palco scenico ha servito da principio
agli spettacoli di opere in musica, indi h caduto nelle mani del
pulcinella e dello stenterello. Quasi contemporanee al Manzoni
sono le riduzioni di due locali a teatruccoli il Goldoni, e il
s. Carlo; due perle da contado; il prìmo gode poi una pre-
ferenza inestimabile sull'altro per la sua posizione topogra-
fica: nientemeno che gli si h posata la prima pietra fonda-
mentale sopra il letame di una stalla nel vicolo de'Soldati,
uno di quei chiassuoli che tenevano un dì alto il vanto sulla
celebrata sucideria delle nostre strade.
Il Politeama opera egualmente de'nostri tempi in mas-
sima parte di legno, nella regione trastiberina, posto a con-
tatto delle bionde acque del fiume, con stradelle di accesso
e piazzetta alla sua fronte, bizzarra sì che par voglia indi-
carti una serra da fiori. Contiene una sala la piiì vasta di
ogni altro nostro teatro e circondata da gradinate. Un ordine
de palchetti, ed un loggiato superiore. A seconda del profitto
che se ne ricavava dagli spettacoli, accortamente il proprietario
sig. Vannutelli veniva costruendo un poco alla volta nuovi
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— Aì% —
ingrandimenti, e gli accessori ed abbellimenti richiesti dalla
convenienza di quella classe eletta di cittadini che si diede
a frequentarlo, attirata dallo stesso proprietario con grandiosi
e scelti spettacoli a prezzi abbastanza temperati , cosicché
il grande teatro è direnato simpatico e geniale ai romani che
vi accorrono di buon grado, nella persuasione raramente smen-
tita di passarvi con piacere qualche ora della sera.
Da cotesto breve ragguaglio storico sì rileva che in Roma
abbiamo attualmente tra grandi e piccoli, nobili ed ignobili,
quattordici teatri. L^ cifra è cospicua; la grande città non
li ebbe giammai, e ciò che muove a meraviglia si è che in
mezzo a tanta abbondanza si muove lamento per la mancanza
di un teatro regio! Siamo pur indiscreti! Che si vuole di più?
V Apollo non risponde a cotesta prerogativa? No; perchè
il teatro fu buono al nobile uso per lo passato, adesso non
è più del tempo, lo dicono gli as^veniristii le odierne grandi
opere-ballo richiedono ben altro; per cui ci vuole lazione dei
nostri sessanta tutori per far si che al di sopra di tante piicro-
scopiche galanterie, trionfi un teatro massimo, capace ad ap-
pagare le brame de*suoi pupilli, i padri coscritti fecero vociare
che se ne sarebbero occupati, ma finora VApollo h il teatro
regio^ e viene conservato come un gioiello inestimabile: gli ot-
timati lo proteggono, la borghesia lo ha a caro, ed il te vere
lo accarezza di sovente colle sue limacciose leccate. Sta perà
tra i provvedimenti edilizi a prendersi cotesta titanica im-
presa e forse un di si sarebbe veduta cosa inaudita se il Co-
stami quale fantasima sorto tra i desideri e le esitanze, con
una splendidezza sovrana , non avesse fatto conoscere che
un deciso volere non ha ostacoli
Alcuni urti poco garbati e senza un monosillabo di scusa,
scossero la mia preoccupazione, una folla di gente che parca
forsennata, strisciava sui nuovi pavimenti delle sale alzando
un polverìo da accecare, mi avvertì che il tempo era scorso
più di quanto desiderava e gli usci della platea si erano
spalancati. Intascai con fretta lo scartafaccio e messomi senza
indugio fra la turba, corsi con essa; sì che attraversati sei
ambienti di sale, salette, atri e vestiboli mi trovai all'istante
nella grande sala. Oh! esclamai, uno di quei oh! che sfuggono
dalle labbra per impulso di ammirazione ed altri ne intesi fra
la moltitudine. Illuminata dall alto con uno splendore da stu-
pefare anche il più incallito alle meraviglie, TefiTetto era ma-
gico; l'autore aveva raggiunto lo scopo; ed io dissi fra me:
se non sarà teatro regio, saia sempre un'opera monumentale.
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— 413
Vediamo ora se Tarte abbia coadiuvato Yeccelsa risolutezza
del suo fondatore.
Il teatro Costanzi occupa una superficie rettangolare in
verità non molto vasta; per tre lati presenta airesterno un
giro di due ordini di arcate in uno dei quali vi risalta un
portico per le vetture^ e nell'altro opposto, un avancorpo
simile che comprende sale per uso di caffè. Sulla vìa Torino
è la parte postica del teatro, e l'ingresso al palco scenico:
Io non mi tratterrò a discorrere di tutte le parti qhe lo com-
pongono, ne dei dettagli icnografici, che non è cotesto il
mio proposito, ma dirò soltanto del prospetto esterno, della
sala e del palco scenico, che sono le parti essenziali di un
teatro; esaminandoli su ciò che h rapporto a disegno ordine
e misura.
I due ordini di portici della ortografia esterna con pi-
lastri , di maniera dorica V inferiore e jonica il superiore ,
sono dì imitazione, e sempre bella, perchè esprimono chia*
ramente il carattere che si richiede, sono insomma secondo
il mio modo di vedere, la parte architettonica più bella di
tutto Tedificio^ e crederei maggiormente apprezzabile se il por-
tico delle vitture situato in uno dei prospetti laterali avesse
invece occupato il centro di quello che fronteggia sulla via
di Firenze^ il quale per ragioni icnografiche dovrebbe essere
il principale, e cosi non avrebbe lasciato in forse se in questa
fronte, o nel lato a destra egli sia.
La grande sala h semicircolare colle solite due linee di
prolungamento brevi, e leggiermente convergenti fra loro con
una grazietta di tortuosità, lasciando un* apertura di dodici
metri per la bocca d'opera. Dessa misura una lunghezza di
m. 23, ed una larghezza di m. 2i,j&0 (i), e vi girano attorno
tre ordini di palchi tutti terminati ad archi sostenuti da co-
lonnine, sopra ì quali ricorre un loggiato in forma di anfi-
teatro a doppia scalèa di quattro gradi per ciascuna, l'ultima
delle quali contenente un migliaio di posti per coloro che non
appartengono alla classe degli onorevoli. Viene poi racchiusa
(i) Cade qoi in acconcio riportare un parallelo delle Sale di alcuiii teatri
principali d'Italia » per conoscere il posto in cui il teatro Costami va collo-
cato fra questi rapporto alla sua vastità:
Teatro della Scala in Milano. Platea lunga metri 24,10; larga m. 21,75.
r^alro 5. Carlo in Napoli. Platea lunga m. 23,50; larga m. 22,90:
Teatro Co$tanxi in Roma. Platea Innga m. 23; larga m. 20,50.
Teatro Regio di Torino. Platea lunga m. 20; larga m. 16,50.
Teatro Apollo in Roma. Platea lunga m. 19,80; larga m. 16,65.
Teatro della CanMana in Milano. Platea lunga m. 18,80; larga m. 16,45.
Teatro Àrgenitna a Roma. Platea lunga m. 18,20; larga 16,45.
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— 414 —
da una serie di archi poggiati sopra esili colonne di ferro. La
volta a camera-canna con apertura nel centro per la luce nelle
rappresentazioni diurne e a sesto sorbassato, coperta esterna-
mente da lastre di ardesia sostenute da armatura di ferro.
Le decorazioni in pitture» e stucchi a sufficienza ricche sono
ben condotte e si accordano perfettamente coli* architettura
della sala e soprattutto quelle della volta, ove sono rappre-
sentate in vari gruppi figure allegoriche relative al teatro
con disegno accurato, colorito 'fresco e deciso del Brugnoli
di Perugia.
Il palco scenico, provveduto di sale di trattenimento per
gli artisti e per le masse, e camerini ed altri locali, ha una
lunghezza massima di m. 27 sopra una larghezza di m. 34,
e se per latitudine h superiore a tutti i teatri d'Italia, nel
Iato longitudinale però nh assai inferiore, e ciò a causa della
malaugurata scelta della sua area in cui conseguentemente
è riescito assai angusto altresì il suo circondario. Compresa
in questo edificio havvi una sala per concerto tuttora invi-
sibile perchè non compiuta nella parte decorativa, ciò non
ostante se ne parla gik in visibilio, e vuoisi che la sua ma-
gnificenza emuli quella del teatro.
Egli h ben naturale che malgrado la inaugurazione del
teatro riuscita infelicissima per causa dello spettacolo datosi
con elementi ed apparecchio tutt'altro che propri alla circo-
stanza, e per minuzie di molestie facili ad accadere quando si
vuol far uso intempestivo di una fabbrica novella, è ben natu-
rale, ripeto, che ella riuscisse una vera e splendida ovazione
al sig. Costanzi proprietario e al sig. Sfondrini architetto;
toccava tanto alla disinteressata generosità dell'uno, quanto
al merito artistico dell'altro. In Costanzi si vedeva rinnovato
l'esempio di Pompeo e di Balbo, e tanta grandezza d*idea
teneva già volti gli animi de'suoi concittadini alla simpatia
verso un'opera cosi rimarchevole. In Sfondrini artista elevato
alla gloria dei superni di che ne fu commossa la modestia
di lui, e collo schiamazzo della stampa si era preparata Tarn*
mirazione di tutti coloro, cui il bello s*immedesima in tutto
ciò che e novità. A dire il vero lo slancio generoso e dirò
quasi unico^ o per dir meglio il dispregio al danaro di un
nostro concittadino, poco comune su questo pianeta sublu-
nare, merita plauso e riconoscenza da tutta la cittadinanza
romana, ed una medaglia d'oro benemerenti deve il consesso
capitolino decretargli ad unanimità. Non vMia dubbio altresì
che l'autore del nobile edificio costanziano ha diritto anch'egli
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— 4i5 —
agli encomi non solo di quei che non sanno dare un giusto
apprezzamento alle opere d' arte , ma bens\ di coloro che
per cognizioni relative possono valevolmente pronunciarsi ,
il suo gusto di architettare declina dalle odierne strampa-
lerie, il suo studio non ha i ristretti termini nei quali si
restringe oggid'i Tandazzo degli artisti, e quantunque la sua
opera a mio credere appalesi in alcune parti difetti e scor*
rezioni, alle loro congratulazioni unisco le mie. Ma il male-
detto difetto di non poter tenere occulto come io la pensi
di chicchessia mi spinge lontano dal chiasso e dagli evviva
che ei riscosse dal pubblico sulla ribalta del palco scenico;
e senza la voglia di bearmi con intemperanza deIJa bellezza
e magnificenza del suo disegno, di snsurrargli qualche os-
servazioDcella acconcia a stabilire il merito della sua arte
architettonica. Che egli o chiunque altro la prenda a suo
modo! ciò non mi cale; posso prender marroni, ma posso anche
cogliere nel giusto segno. Non sono molte le osservazioni a
farsi, ma troppo necessarie per sostener Tarte che non deve
mai piegarsi ai capricci dei tempi: il teatro sul Viminale
non h artisticamente veduto, quella delizia, quell'eden che
sì h tanto decantato; egli è una bella galanteria in cui Tautore
ha mostrato molto ingegno e franchezza di composizione ,
d'altra parte egli h cultore dell'arte vitrnviana,. e come ha
adoperato il suo talento ed il suo studio nella parte mec-
canica e pratica, e sul modo dì soddisfare alle attuali esi-
genze sociali, doveva anche un pochino guardarsi dalle sdruc-
ciolate oggidì tanto frequenti, e precipitose perchè si corre
sbadatamente e con troppa franchezza sopra un terreno scabro
e difficile. Pur troppo si vedono nel nuovo teatro le orme
di chi non h ancor sicuro nel camminare per la vìa diretta.
Mi segua chi vuole nelle mie osservazioni r dapprima nella
icnografìa: entriamo nella sala del teatro. Gl'ingressi priiicir
pali sono sulla via Firenze e si vedono chiusi. Per dove » passa?
Di fianco, pel portico delle carrozze, e se wm si ha l'ago
magnetico che ti diriga, ti riescirà difEcile pei anditi, saie,,
salette, portici e vestiboli, a trovare la platea. Eh perchè?
Ella h posta troppo a contatto colla strada senza una sala
che la divida , ed è forza tenerli chiusi , altrimenti l' aria
esterna e il rumore delle carrozze, sarebbero, due compagni
certo poco graditi per chi assiste allo spettacolo nell'estremo
dell'ambiente. Osservate inoltre, e con me invito a vedere
tutti i presbiti e i miopi, slanciata dall'imO' al sommo della
cavea una doppia gradinata, che è quanto dire un aborto
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— 416 —
di anfiteatro antico sopra uà teatro moderno ; al contrario
se si fosse presa sul serio la cosa, e collocata la scalèa nel
basso della platea, unico posto che le convenga, non si sa-
rebbe ottenuto il più bel profilo di circoscrizione della sala.
Questa ha la solita figura dei teatri moderni detta ferro
di cas^allo , eppure 1* autore che ha dato in questa opera
uno splendido saggio della sua abilità, non può certamente
ignorare che tale curva non si presta egregiamente come
la semicircolare agli effetti ottici. Ha egU dunque creduto
far dileggio al progresso dell'arte eliminando dal suo disegno
una figura che si è sostituita all'antica in quasi tutti i teatri
moderni? Ha forse temuto di tirarsi addosso il biasimo uni-
versale? Ma pure egli ebbe il coraggio di presentarci quella
bella novità dell'anfiteatro posto .in soffitta, originalità che
non avrà certo imitazione. Andiamo innanzi; egli ha ripro-
dotto un'altra deformità caratteristica dei teatri della nostra
epoca^ cioè il sistema alveare dei palchi che girano attorno
la sala, però qui mi conviene smettere ogni severità di cri-
tica; iipperoccbè se Fautore non si è mostrato energicamente
risoluto di abbandonare questo sistema, lo ha però giudizio-
samente modificato, contentandosi di tre sole fila di palchetti
indispensabili per Talta e bassa aristocrazia, le quali non
vogliono in nissun modo accomunarsi colla democrazia. Ciascun
vano è piuttosto spazioso , il davanzale molto basso , ed è
perciò che le caselle riescono meno ascose e recondite di
quelle che si facevano una volta. Peraltro V architetto ha
inserto in ognuna di esse una piccola ritirata a guisa di ca-
merino d'appendice, con qualche arnese da toletta, e che può
benissimo servire a nascondersi totalmente agli occhi del pub-
blico. Ricordiamoci che quando siamo in teatro, ci troviamo
in una società pubblica più o meno eletta secondo il prezzo
della polizza che dobbiamo consegnare alla porta, e il tenersi
in disparte, e sfuggire il contatto degli invitati per far ciò
che torna a proprio comodo , infine portarsi al teatro per
passare una buona parte del tempo nel camerino dei secreti
per riacconciarsi in più bel modo, oppure giuocando, libando
o ciarlando come si farebbe in casa propria, è qualche cosa
che si allontana qualche chilometro dalla strada tracciata
dalla civiltà. L' anfiteatro pensile di sopra citato e che può
contenere un migliaio di persone ha due scale ; una delle
quali riesce in quella dei palchi, l'altra è sulla via, ossia inter-
capedine colla villetta Strozzi. Figurarsi, terminato lo spet-
tacolo che uscita piacevole, deve essere per i bipedi di un
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— 4i7 —
volume più o meno pronunciato; in un caso di tafferuglio»
poi, cbe il cielo ce ne scampi, quante gambe e braccia spez-
zate, petti pigiati, giunture slocate, pelli escoriate!. Infine
all'insaputa forse dell'architetto, colla diminuzione di tanti
fori di cui sono pieni tutti gli altri teatri, e colla copertura
curvilinea nh risultata una sonorità che eccede il bisogno,
locchè siamo al caso di dover desiderare che il teatro trabocchi
di gente e desiderare il fastidio di una piena rigurgitante,
una delle cause che ammorzano la trasmissione del suono, se
non si V(^lia assoggettare Torecchio ad una armonia confusa
e ad un frastuono di voci. Sulla catacomba dellorchestra lascio
che i musicanti pronuncino il loro verdetto.
L'architettura, stando a quello che dice la Illustrazione
del teatro Costanzi edita coi tipi della Pace, è di stile del
cinquecento, ma con buona licenza del cinquecentista autore,
a me sembra proteiforme. Vi sì vede il portico esterno trat-
tato alla maniera romana coi pilastri acefali, tre ordini di
palchi nella sala in forma bizantina, le arcate dell'anfiteatro
volante di aspetto arabo o saraceno, il palco reale imbiz-
zarrito di un ruvido barocco con quelle due cariatidi a so^
stegno, le quali messe sotto il davanzale somigliano un poco
a coloro che nei tempi andati e in certe solennità solevano
portar sul dorso qualche cosa di grosso. In fatto poi di acces-
sori ^^^ ^^ Ao^t cominciare per rallegrarmi coU'autore di tanta
avvedutezza in rapporto ad agiatezze e comodità. Ài tempi
di Pompeo, di Balbo e di Ottaviano, il popolo che trattene-
vasi in teatro le intiere giornate, attento unicamentente allo
spettacolo, non aveva comodi alcuni tranne quello dei gradi
di marmo per sedere, e 1 ottenne per sorpresa. Oggi la società
si e ingentilita; alla civilizzazione si sono attaccate certe abi-
tudini puramente figlie primogenite della mollezza de'costumi
della moda, vi si sono collegati certi riguardi di amor proprio
creduti indispensabili alla dignità delle classi privilegiate. To-
gline pochi che amano unicamente gustare la rappresentazione
scenica, coloro che frequentano il teatro, egli è per sfuggire la
noia della vita oziosa, per attraenze geniali o per distrazioni
giovanili. Dessi pretendono ben altro che la sola comodità di
sedersi, come si contentavano i nostri antichi. Vi ha un ceri-
moniale sancito, dall' etichetta, e dai più osservato scrupolo-
samente. Appena messo il piede sul limitare dell'uscio vo-
gliono lasciare il mantello, sentendone peso il portarselo av-
volto sul braccio, prendersi il binocolo che lasciano in con-
segna ad alcun famigliare teatrale. Negli intervalli dell'opera
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SÌ esce di quando ia quando dalla sala in cerca di nuove sen-
sazioni; 81 fuma, si ristora Io stomaco» si legge qualche gior-
nale, si giuoca al bigliardo, insomma il teatro è una farma-
copea per distìMiggere gli effetti degli appetiti: infrenabili» co-
sicché ne deriva* la necessita di aviere in teaino locali' per guar-
darobe, caflfe, ristoranti, gabinetti di léttuca, Bigliardìi ecc.
Di più dbndbsi nel teatro fe9te> da: ballon fa* meetterii dii sale
per trattenimento, e magaBzeni' per abiti* da maachera, e: dL
tutti questi locali, il teatro Costanzo è completamente fornito;:
abbenchè la^ grandezza loro non corrisponda' alla castità del
teatro, e non siano al posto- giudiziosamente* ooUocatii
Satollo ormai di tanto vedere, e nulf altra cosa presen-
tandosi che spignesse la curiosità mia, assiderato dai una tem-
peratura polare , uscii a rweder le stelle-y e alla brezza^
antelucana mi si dilatò il torace, e un lungo e fragoroso re-
spiro ravvivò il mio spirito, come a colui che esee> da mo-
lestia che l'opprime, feci sosta per stringermi) negli abiti>.e
tosto presi il cammino. Era solo, senza che alcuno misurasse
coi suoi i passi miei, e cominciai fra me a ragionar di» quanto
aveva veduto, e come se fossi addimandato che ne pensassi» con-
clusi così: il Costanzi h grande; egli h con vaghezza ed' egregio
magisterio, e se vuoi alquanto capricciosamente ricco di orna-
menti e decorazioni , splendente di una luce che abbaglia ,
egli h capace di contentare la dignità, le pretese e gli agi
di ogni ceto di cittadini, dal blasonico al plebeo» e per siffatti
pregi ha ottenuto la universale manifestazione del plauso il
più sincero. Ma se tutto ciò sia in relazione favorevole col
vero beilo dell'arte, intendo dire coU'unico oggetto cui mirar
deggiono le osservazioni architettoniche di. un edificio , una
affermazione sarebbe bugiarda. Tuttavolta Tartefice operò un
portento e può gloriarsene^ ma questa aureola di gloria, credo
debba cingerla altresì un altro. Le pitture del Brugnoli vi
tengono un posto distinto, egli molto cooperò alla riuscita
felicissima dell'idea architettonica; dunque a ciascuno il suo
merito, e che gl'in transigenti gridino pure a piena gola che
r architetto ha creato un corpo informe» un pittore gli die
anima e grazia. Solo dal complesso di sì difficile lavoro può
desiderarsi di vederlo io altra impresa più franco e provetto
artista, tanto più che seguace non mi sembra della presun-
tuosa turba di Zanfragnini, venuti a scuotere le basi delle
tre arti sorelle. Sappiano essi una. volta per sempre che a
Roma si viene per imparare e non per insegnare, e lo hanno
bastantemente provato Michelangelo , Raffaello » Bramante e
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— 419 —
tanti altri i quali vennero costì come scolari^ e ne divennero
maestri sommi , la cui fama imperitura h in tutto il mondo
unanimemente celebrata. Che lo Sfrondini non adoperi altro
che il coraggio per mantenersi lontano da costoro y e ne
uscirà artefice valente.
E sì dicendo, toccava l'uscio delia casa.
LXVI.
BIBLIOGRAFIA
DOMENICO BEISSO. La Giotcntù Italiana iniziata alla vita morale
E CITILE. Roma, stab. Givelli, seconda edizione» fSSl.
Domenico Beisso non è nuovo nell'arringo delle pubblicazioni didattiche;
e da molti anni dedica il suo tempo, il suo ingegno non comune e il suo
ricco sapere alla educazione dei giovinetti. Senza occuparci di taluna delle
sue pubblicazioni fatta piii che altro a scopo di polemica , ci limiteremo a
raccomandare vivamente questa che in pochi giorni ha ottenuto T onore,
insolito fra noi, della seconda edizione.
In poche pagine - cencinquanta appena - il prof. Beisso raccoglie un mo-
desto ma utilissimo tesoro di cognizioni che vorremmo v^er per le mani
di tutti i nostri giovinetti: Comincia come è giusto, dairedncaiìone morale;
e con stile serio ma non pesante , con piacevolezza di racconti, con sugge-
rimenti che paiono consigli amorevoli di amico svela la bruttezza dei vizi ,
combatte infiniti pregiudizi , spoglia della bugiarda apparenza di eroismo
il suicidio, il duello, e altri avanzi di barbarie, colloca infine, come è giusto,
in cima a tutti i pensieri del giovinetto quella sacrosanta religione del do-
vere che basta a fare i buoni cittadini , e qualche volta gli eroi svolti op-
portunamente, nella seconda parte, i piti ammirati esempii di morale pratica
ricordatici dalla storia. Lo scrittore espone nella terza i principii del Governo
che ci regge; riporta testualmente lo statuto , commentandolo. Nella quarta
dà una bella serie di notizie geografiche e statistiche sui monti, sui fiumi ,
sui laghi, sulle valli, sui prodotti ^naturali, agricoli, industriali. Dà accurato
ragguaglio dei corpi deliberativi e corruttivi che amministrano la cosa pub-
blica« né vi mancano le divisioni amministrative, giudiziarie, militari, né le
altre notizie che il lettore ordinario non può davvero andare a cercare negli
enormi volumi delle statistiche ufficiali, fi insomma un libro di un'utilità
molto superiore alla sua mole , è il libro di un uomo onesto e di un abile
educatore. Esso riesce mirabilmente in ciò che dovrebbe essere la vera mis-
sione dei libri didattici ; nel far conoscere agli Italiani ciò che meno cono-
scono, il loro paese.
M.
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— 420 —
LXTII.
FRANCESCO DE' MEDICI
TRiGEDIi STORICA
91
NICCOLO* MARSUCCO
jP^ (i)
ATTO TERZO
SCENA I.
Una sala
PllTBO BoNATBNTCai, GuiDO, ROBERTO RlCCI
BD ALTBX COBTIGIANI CHB ENTRANO DISCOBRZNDO
P. BoNAv. (in abito di Ciambellano)
Danque, in brere, qui fia?
Guido Si Pier: di Stalo
Usati affari a* Cortigiani alquanta
Lo ritragson, per or; ma dolci al core
Mi son gli istanti, eh' io con voi divido^
A si preclaro onor sortito • Il braccio
Che a prò del Duca, generoso, opraste
Contro la vinta fazìon, di tanto
Degno vi rese. Atto ver lui compieste.
Onde col fior de* prodi e piìi valenti.
Ben dello Stato meritaste.
P. BoNAv* Un giusto
Atto ver lui compiei, che a me si larga
Stender degnò de* suoi favor la mano.
Gumo Ed arra a voi tal sia, che mai fallirvi
Non potrà la sua grazia.
P. BoNAV* Un Nume, o Guido,
Chiamatelo per me.
RòB. Ricci Del gaudio vostro
Io vegno a parte. Ben da tanto, o Piero,
I vostri merti fùr, benché d' avita
Inclita stirpe il sangue in voi non scenda.
P. BoNAV. No, in me di questa, né di inerti il vanto
In me pur splende; ma di Cosmo al figlio
Maggior obligo, in ciò, tanto m* astringe
Quanto T incarco d'alti merti é segno.
RoB. Rkci Da soverchia cagion grazia inusata
Talor procede e voi...
(1) Vedi Quaderno precedente» pag. 391.
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— 421 —
P. BoNAT. Signor...
RoB. Ricci Voi pago
O Pier, n* andrete, cui di tal fortuna
L' aura spirar con 1* adorata donna
Il Giel die': ma badate; io ve n' assenno,
Che della Corte lo splendor, soverchio
A Bianca, e a voi non tomi.
P. BoNAv. Un ul linguaggio
Di rispetto miglior più chiara prova
A domandar mi spinge, altro contegno
Ad assumer con voi.
RoB. Ricci Bonaventuri,
Ciò il mio sentir non muta.
Guido (irUerponendori; mentre gli altri Cortigiani avranno dato segni
(V attenzione) A gare, amici.
Inopportuno è tal momento. A queste
Fine impor vi consiglio.
RoB. Ricci O Pier, la fede
Che alla Capei giuraste, intemerata
Splende ognor?
P. BoNAV. Quali accenti! Il Ciel, Roberto,
n Cielo appien l' immenso amor sol vede.
Che per lei nudro. Ma se a lei spergiuro.
In quest* amor foss' io, chi a voi ne diede
D'incolparmene il dritto? ah! se la stella
De' miei natali ignobil fu, no pari
Alma a questi non ho.
RoB. Ricci Così Fiorenza
Tutta non dice dell'occulta fiamma
Conscia, che per Cassandra omai v'accese.
P. BoiiAv. Cassandra!
Guido Deh! cessate (sommesso a Roberto Ricci}
A tua rovina
Correr vuoi forse, ignori tu che il Duca?...
RoB. Ricci Ah! tutta in me dell'ira sua la piena
Disfoghi ei pur, da uom simìl sentirmi
FaveUar di tal guisa io non sopporto.
P. BoMAv. Che!
RoB. Ricci I notturni silenzi all'ore fisse
Fuggir v' esorto. Malaeevol toma
Di Fiorenza trapassar le vie ]
Agli amator, benché con armi ascose»
P. fioNAv. Quest'affronto vupl sangue»
RoB. Ricci Al vostro invito
Sordo non son. Del duellar nelParte,
Da' miei prim'anni, alunno io fui di Silvio
Piccolomini, un tale, a cui Yinegia
E Fiorenza egual non vanta.
P. BoifAv. Or dunque
(traendo la ^ada) La spada...
RoB. Ricci (facendo lo stesso) E sia.
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Guido (frapponendosi)
Uno db'cort.
Duca
— 422 —
M* udite
SCENA IL
I PMCBDERTi, a Duca
Il Duca!
P. BONAV.
Duca
RoB. Ricci
P. BONAV.
RoB. Ricci
Duca
I brandi
Della vagina fuor!... testimon d'altro
Qui mi credea.
Con altri sensi, o Duca
Io delle insegne d*alti onor, fregiato,
Qual vi piacquci, testé, l'adito a questa
Corte, m'apersi; ma qui a grave eccesso
Mi spinser detti fieramente amari.
Chi di voi dunque?
(dopo (were egli pure rinvaginato
la spada II ver profersi.
Il vero?
Io a Bianca infido di Cassandra amante?
Roberto, il ver fu questo?
Il comun grido
Di Firenze quest'è.
Né a suggellarlo
Della Ducal mia autorità qui venni.
(a Rob. Ricci) Ma non a me la gelosia s' asconde
Cbe in voi di Piero suscitar gli onori,
£ incredibil non é che tal contesa
Da lei sol mova. Ma a voi piti del vostro
Rivai, negli usi della Corte istrutto,
A voi, Roberto, più che a lui fia conto.
Quale a tai pugne spirto avverso io nudra,
'E qual "^severo in lor bandia precetto.
Questo adempir cosi vi cai, che novo
Spettacdl farne la mia corte osate?
Bonaventuri, di consigli amico
A voi sarò; (a Rob. Ricci) ma voi di Pier piii reo.
Voi recidivo, da Firenze in bando.
Sino a' novelli cenni miei, nel vostro
Montegno, il fefllo ad espiar n'andrete.
Roberto, o Altezza, disfidai dal grave
Oltraggio astretto, 'ond'ei ^prìmier ferimmi:
Ma la mia colpa non appi^i ciò escusa.
E di clemenza pegno tdl» 'con grato
Animo, accetto.
'Di punir desio
'Costui mi spinse che del »novo grado
Solo ad illustri qualità sortito.
Insolentir parca: ma s'io de' vostri
Cenni, in ciò, ardito trasgressor mi resi.
Meglio obbedirvi, con prudente senno.
In avvenir saprò.
(a Pietro
Bonav.)
P. BONAV.
RoB. Ricci
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— 423 —
Duca (a Rob Ricci) Partir vi giovi
E tosto, (a P. Bonav.) Voi nell'intime mie stanze
Finch* io v' appelli (Bonaventuri entra nelle stanze del
Duca. Roberto Ricci e i cortigiani
partono^ ad eccezione del Duca
e di Guido) >
SGENA in.
Duca, Guido
Duca (dopo fatti alcuni passi.
per la sala) Del tuo vigil senno
Guido, ho mestier, che a. tai licenze un freno
Si ponga.
GuIdo Obbedirò.
Duca Di traditori
Siam cinti, il so: ma poter diemmi, o Guido,
A deluderli il Ciel.
Guido Roberto ognora
Di gelosia soverchia avvampa.
Duca In lui
Rintuzzarla saprem.
Guhm) Diffidi opra
Se ben m* avviso: cieco amor, di stirpe
Quegli all' innata ambizion congiunge.
Duca Amor... ^
Guido Si: la Bongian, colei che priìna
Della Capei, del favor vostro all' aura,
Qual di Bellezza eletto fior splendea.
Cui riverenti i cortigiani, a gara.
Inchinarsi godean, come a regina.
Questa egli ama»
Duca Cassandra !
Guido E in suo segreto
Freme, che Bianca favorita ammira.
Colei negletta, cui la fronte un giorno
Cinta veder della Ducal corona
(Chi il crederia?) sperava, ed ira il rode.
Che di tal donna al cor Bonaventuri
Stranier non sia.
Duca Bonaventuri! Ei dunque?
Guido L' eccelso grado a lui sortito, i sensi
Primier n' estinse ed altro il rese.
Duca Ascolta,
O Guido. - Di Roberto il fier coruccio
Me non spaura, e quando a lui quest'aula
Riaprirà la grazia mia, gioirne
Al paragon, del suo rivai non speri
E poiché indegno dell' amor V estima
Di Cassandra Bongian, con Pier gli amati
Colloqui, io stesso agevolarne ho fisso.
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— 424 —
Guido E se Bianca...
DocA A disdegno Ella quest* arte
Non avrìa, quando il mio pensier penetri -
E acconci mezzi fia dispor mia cura
La mia fama a salvar.
Guipo Disporli, air uopo.
Saprò: ma nulla indi a temer più resta?
Né dei Capei la nimistà?...
Duca Che parli?
Del Mediceo poter ben lieve, o Guido,
Idea ti crei, se di umor capace
Della vendetta dei Capei m* estimi.
Che! non bastò se del patrizio il foglio
Di risposta degnai, che la rapita
Figlia chiedea? Di Fiorenza al Duca
Inimicarsi, per cagion sì lieve
Il Veneto Senato oso sarebbe?
Lega, in me, ordir con Ferdinando?-© Guido,
Nel provvido pensier miglior consiglio
Accorrà.
Guido Ferdinando! oh! di tal fiamma
Ei col pretesto, cònestar gli arditi
Suoi disegni potria. D* indefinita
Tristezza, intanto la Duchessa ingombra
E di sospetti, alle scerete stanze
.1 pensier fida e liber'aure forse
Nel profondo dell'alma Ella sospira
Più che alla Corte a lei fruir sia dato.
Duca Di Pratolin 1' aprico almo soggiorna.
Che opportuno a lei scelsi, alle sue brame
Risponderà.
Gumo Si preziosa vita
A porre in cai v* esorto. - Ah! se immatura
Morte, troncasse de* suoi giorni il corso...
Duca AUor Duchessa di Firenze e sposa
Bianca al Duca saria.
Gumo Bianca!... Ella giunge
Duca Seco mi lascia: a miglior tempo il resto
Consulterem. (Guido parte)
SCENA IV.
BuNCA, Duca,
Duca Mia Bianca, onde ansiosa.
Sollecita cosi?
BuNCA La vostra, o Sire,
Giustizia, ad implorar.
Duca Che fu? parlate.
Bianca II vero appresi? A singoiar tenzone
Roberto e Pier.
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— 4S5 —
Ddga T'accheta: all'ire freno
Opportuno, a por giunsi.
BuNGA Acerbi detti
Dunque il mio sposo provocar? Roberto
Dell'oltraggio l'autor?
Duca Tal fu: ma il fio
Nel suo Montegno^, in bando, egli ne sconta.
Bianca Ah! di qual rio dolor trafitta il crudo
M*avria, non vide.
Duca Già non dubbi segni
Di queir invido spirto il mal talento
Mi presagian: di tanto pur capace
Io noi credea.
Bianca Benché di Pier non tremi
Finché del favor vostro aura m'affidi.
Novo, sott' altro ciel cercar ricetto
Ne concedete: a nòve gare il campo
Cesserà, di comporle in voi la cura.
Tenace men deli' amistade il nodo
Non saria no che a voi n' avvinse e il grato
Animo nostro...
Duca A tal desir l'assenso
Blandiria quel superbo, innanzi a tutti
In questa corte sovrastar bramoso.
Ove al suo fianco gentiluom non soffre.
In cui di sangue nobiltà non splenda.
Bianca Amaro a Pier l'oltraggio fu; ma sempre
Dal ver discordi non suonar, pavento,
L' accuse.
Duca Qual sospetto!
DuNGA (dandogli un foglio) A questo foglio
Fé negar deggio?
Duca (legge) Di Cassandra un foglio?
« De' sommi onor dal Duca a voi largiti
Intesi, e gioinne questo cor; ma gioja
Non pria sentita commoveami, allora.
Che de' primi colloqui i dolci istanti
Con voi partia, di rinnovarli entrambi
(Non dubbia arride al mio desir la speme)
Paghi n'andrem, perpetuar d'alterna
Intelligenza, i sensi. Ad un segreto
Mio paggio, il foglio che vergai, comanisi,
E secreta da voi risposta attende
» Cassandra. »
Le sue cifre!
BuNCA A me scerete
Già non restiir, qual di Cassandra il paggio.
Che, mentre, sciolto alla letizia il freno,
Pier della nova dignità le insegne
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Duca
Bianca
Duca
Bianca
Duca
Bianca
Duca
— 486 —
Ad ornarsi* attendea, nel portafogli
Questo obliava.
Ciò desio d* alterni
Colloqui sol, non mutuo amor dinou.
Ah! ben di Piero il cor leggo e l'intendo
Ogni detto, ogni sguardo il suo contegno
A me lo svela, e interprete eloquente
Occhio di sposa è nel consorte.
E fia?
Si quelle cifre i miei timor cangiiro
In certezza fatai, d'ogni sciagura
Piii crudo, in me, quel colpo fu.
Deh! a calma
Ti ricomponi: con solerte cura
Della temuta passì'on gli effetti
Io preverrò: ma perchè a te secondi
Tu, a miglior prova, n miei disegni intenda.
Sappi che al padre che chiedeati, io stesso.
Io... rinviarti ricusai.
Che sento!
No, se supplice ei pur, se a' miei ginocchi
S* appresentasse... non a me sottrarti...
SCENA V.
Un paggio e dbtti
Paggio
Bartolomeo Capei patrizio illustre
Chiede udienza.
BuNCA (dando segni di turbamento) II padre mio!
Duca Ben giunge
Egli s* inoltri.
Bianca (in atto di ritirarsi) Deh! concedi.
Duca Donna
Del genitor paventi? - Ignori forse.
Che del tuo Duca al fianco sei? -Che invitto
È della sola tua virtii l'usbergo?
Bianca Ciel dammi forza! (si abbandona sopra un seggiolo)
SCENA VI
Bartolomeo Capello b' detti
Bianca €dla vista del padre è compresa da forte commozione-
Essa tenta invano di rialzarsi , e si copre colle mani il volto»
Il Capello reprime la siui^ con un contegno impassibile^ senza gtiar^
dare Bianca in volto. Dopo le prime parole pronunciate dal
padre j come spinta da forza irresistibile^ corre a gettarsi fra le sue
braccia.
Bart. Capbl
Alto affar...
Sire, a questa Certe
A vestirsi
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42T —
Bianca Padre. ..
Bart. Gapbl (respingendola) Chi se' tu? ti scosta
£ sul tuo labbro eh* io di padre il nome
Proferir non intenda (al Duca) A voi, Francesco,
I miei detti son volti. Omai v*è conto
Quale dal patrio ciel cagion, costei
Qui trasse. - D* ospitai grata accoglienza
Voi generoso, di favor le foste-
Della patema autoritade in nome
La figlia or chieggo.
Duca A Pier Bonaventuri
II Ciel la giunse, e di ritorla il dritto
A lui non diemmi.
Bart Gapbl Ell'è mia figlia. Il crudo
Sol, d'iui infame rapimento a prezzo,
A sé 1' ottenne.
BuNCA (al padre) Udite...
Bart. Gapel E che dir puoi
Che del padre al cospetto il fallo escusi?
Ingrata! di pietà misero oggetto
La tua fuga mi rese. - Eri, da' primi
Anni, mia gioja e cura, eri il conforto
De' cadenti miei di; come adorata
Figlia, ti crebbi. - Ah! ne* più cari affetti,
Ghi salda por potria fidanza? Iddio
Le supreme dolcezze all' uom ne invola.
Solenne esempio che di terree glebe
Felicità non è germoglio. -O Bianca
Io nella fibra più vital colpito
Per te fui. -De' miei di tratto all'estremo.
Se il Giel m' avesse, a mendicar costretto.
Di minor fato graveriami il pondo -
Al fero annuncio sopraffatto e muto
Restai, ma poi che al duol la strada apersi.
Io deir avita casa ogni riposto
Angol, frugai; che una lusinga ancora
Di ricovrarti, mi blandia. - Me lasso!
Quanto vano al desir segui V efietto!
Fuggisti e sprone alla tua fuga un vii e
Seduttor fu. (pronuncia queste uUime parole con voce
interrotta dal pianta)
BuNCA Deh! un solo accento.
Bart. Gapbl Un giuro
Da queir istante in cor sacrai, eh* io sempre
Obliata t' avrei: ma quale in petto
Qual genitor si cruda alma rinserra
Che figlia ponga della mente in bando^
Golpevol pur, del suo perdono indegna?
Questo indomito in me poter prevalse,
Questo al tuo sen^ Bianca mi spinse. (Vabhraccia) A prova
Ghiaro or mi fia se del dover la voce
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— 428 —
Del padre il pianto alla fatai tua fiamma
Freno esser ponno.
BuNCA In te il paterno affetto
O padre, in me V amor di figlia umano
Poter non doma. Dio nel cor mi legge.
Iddio r intende: ma scolparmi a Lui^
Innanzi al Duca io debbo.
Duca II dei: favella.
Bianca Sì d'un patrizio Senator la figlia
Son io, dal sangue dei Capei discesa.
A Pier Bonaventuri amor m* avvinse,
A lui giunsi la destra e al nome mio (*)
Onta recar, con quest* Imen conteso
Non io pensai. - Se nobiltà di sangue
Ei non redo, nobili sensi, egregia
Dote, a lui son. Sì pria dei di V estremo
Morte m* ancida, eh* io '1 mio giuro infranga.
Ma il mutuo nodo a tutelar, del Duca
Il favor stesso al Ciel sortirne piacque.
Né a dritto il Duca assentirla, che l'alme,
Che in quel nodo Iddio giunse, altri disgiunga.
"Bart. Capel Al senno, o Duca^ alla giustizia vostra
10 mi confido.
Duca Del dolor la piena
Che V* ingombra, o patrizio, io ben comprendo^
Ma che al soverchio desir vostro io ceda.
Nò il mio dover, né V ecpiità noi paté.
Se nobil sangue alla Capei, lo sposo.
Col vincol suo non reca, al patrio tetto
A cui lo tolse, riclamarlo il dritto
' In voi non é; ma il grado, a cui la Corte
Eletto omai, col mio favor lo ammira
Ben il difetto de' natali emenda.
Qui di ricchezze co' piii illustri, e d' agi
Al par starà, di sontuoso e splendido
Palagio, il don v'aggiungerò.
Bart. Capel ^ Decisa
È dunque la mia sorte? Ebben si ceda
Tal del Duca è il voler. - Padre infelice!
Allor eh' io volsi a questa terra il piede.
Del poter vostro mi blandia la speme
Ed alla mente ancor dolce un pensiero
Mi parlava, e dicea, che al sen la figlia
Ricondotta m' avria. Vana speranza!
Ecco protetta la rea coppia io miro.
C) Var. :
A lui di sposa unii la destra, e d'onta
11 mio nome gravar, con tal conteso
Imen non io pensai. Se nobil sangue
Ei non redo, ecc.
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— 489 —
Ecco nova al mio cor crudel ferita.
Che la primiera a esacerbar s* aggiunge.
Ducà Esacerbar? Signor...
Bart. Gapbl No... errai.*, perdona
Di tal sospetto, qui pur T ombra è colpa.
(levando al Onta alla casa dei Capei! Me misero!
cielo le Al natio lido ora a redir mi resta,
mani) Con disperato duol, che meco in breve.
Scenderà nella tomba. O figlia ingrata!
Donna d* un Prence io ti rinnego.
Bianca Ah! no.
Duca Donna d'un prence! Oh! se al dolor rispetto
Non avess' io, che a delirar vi tragge,
A caro prezzo, questi arditi accenti
Scontereste, o patrizio...
Bianca (interponendosi) Ah! vi scongiuro
Padre... (stringendosi al seno del padre)
Bart. Capel (respingendola) Lungi da me... lungi per sempre, (parte)
(Bianca getta un grido e sviene. Cala U sipario).
ATTO QUARTO
SCENA I.
Una sala nel palazzo del Duca in Pratolino
Duca, Bianca
Duca (conducendo Bianca presso un seggiolo)
Qui posatevi all'anima commossa
Libero sfogo consentite.
Bianca Ah! l'empia
Vista, il dolor piii crebbe, onde m'afflisse
Del genitor Y inesorato sdegno.
Duca Duolmi che a noi quest'inatteso evento
Della festa a turbar campestre il riso
Giungesse, ond'io del vostro affanno il pondo
Alleviar sperai; ma indizi forse
Sol di sincera cortesia fùr quelli.
Onde di Pier, della Bongian la fiamma
Argomentaste.
Bianca (da sé, dando segni di non aver posto mente alle parole del Duca)
Ah! crederlo poss' io?
Ma no... m'illusi, all'intelletto un velo
Amor forse mi pose.
Duca Ei di simili
Inganni, spesso, a' suoi devoti è fabbro.
Bianca O mia patria, o congiunti, abbandonarvi
A tal prezzo potei? D'alta sventura
Me a me medesma, a voi crear strumento?
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Duca
Bianca
— 4»)
non più.
Bianca.
Ma Piero ov è? parlargli
Deggio.
Duca In breve qui fia. In me de' miei
Commosai affetti, in me, per or, la piena...
BuNCA Signor*. •
Duca La vostra, 0 Bianca, alta virtude
A venerarvi oltre ogni dir, m' astringe.
Ma dove Pier d* infedeltà 1* immenso
Vostro amor ricambiasse, a lui pur sempre
Devota... a me restia...
Bianca (set;era) Duca... il solenne
Di mia sacrata fé* giuro, obliaste?
Ah! si ove pur d* infedeltà quel crudo
Giungesse al colmo pria dei dì lo stame
Troncar vorrei, che in colpa egual macchiarmi.
Duca Taci: ei s* avanza. Oh! come neir aspetto
li recente del cor tumulto esprime!
SCENA n.
Pnrao Bohaventuei k D£tti
P. BoNAv. Signor...
Duca Turbato cosi dunque?
P. Bonav. O Bianca...
Bianca Tu tremi?... o Pier, saper potrei?:..
P. BoNAv. Gelarne
No la cagion non deggio. Amari detti
In me fùr volti.
Duca In voi? Chi dunque?
P. BoNAv. Il nome
Di delator non amo.
Bianca O Pier, tu queste
Mura, a fuggir pria m* esortavi. Il Cielo
Questo consiglio ci porgea. Compirlo
Ci giovi e tosto.
Duca Udir degg'io?...
P. BoNAV. L'assenso
Mio, non sperarne. Di timor saria
De* miei rivali a fronte, alto argomento.
Bianca Ah! delle insìdie lor paventa i danni.
Novi alla sposa tua martir non giungi,
A qae^che già, per amor tuo, sofferse.
P. BoNAV. Piii che noi credi, a distornarli or volte
Mie cure son^ d* un avvenir sereno
A te costante procacciar le sorti.
Donna, un disegno ascolta, (da sé esitando) O del svelarlo
Dovrò?
BuNCA Simil contegno alcun mistero
Asconde.
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43i —
P. BoNAY. Bianca, a me t' invola, al tuo
Sposo, rinunzia, io v'acconsento.
Bianca II vero
Intendo! No la mia vita n' andasse.
P. BoNAV. Un foglio al padre invia, perdono implora
A queir amor, che al natio suol ti tolse,
E da lui ti disgiunse. AI Duca chiedi
Che il disegno secondi; a questo i voci
Del genitor risponderan.
Bianca Non mai.
P. Bona v.(€la sé) Misera ignori qual ria serpe il riso
De' tuoi giorni avveleni, (a jBianca) Bianca...
Bianca Ingrato!
Amaro inver de' sacrifizi miei
Colgo il frutto. Tradita io son, tradita
Colma è del duol la coppa, eppur votame
Mi giova il fondo (piange)
Duca (a Bianca) Ti rinfranca, il Duca
A tal disegno s' opporria. (a Piero) No a tanto
Spingermi, o Piero, non vorrete. Ignaro
Non son io, che a Cassandra onesti uffici
Di Cavalier sacrar v' è caro. Eccelso
Delle sue doti è il vanto; eppur dal calle
A distornarvi del dover capaci
Non io le estimo, (a Bianca) Msl se a te mal grato
Dal suo labbro sfuggi d'amor parola.
Tu benigna il riprendi e tu perdona
Un trascorso, del core alla fralezza.
BuNGA Ah! di pentir, verace ai fallo emenda
Io mai sperarne..*
Duca Guido inoltra, or meco
Di consulur bramoso (a P. Bonav.) A confortarla
Provvido intendi.
T' obbedisco.
P. BONAV.
BuNCA (da se)
Oh! quanto
Di quest' aura più ognor mi grava il pondo.
(Pietro Bonaventuri e Bianca partono)
SCENA m.
Duca, Guido
Duca
Ben giungi, o mio fedel.
Guido
Né a te di lievi
Nuove, forier.
Duca
Che fu?
Guido
Giunto a Firenze
È Ferdinando
Duca
Vel tragge.
Egli!... Grand* uopo, al certo,
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— 432 —
Guido Ardir la sua venuta e lena
Del fedel gregge suo crebbe allo stuolo.
Roberto in noi fremente ognor, nel foco
Di gelosia soffiando va, che in petto
Cova quel Duca.
Duca Me non ispaura
Cotesto insetto, che mi ronza intomo.
Io» d*un soffio, lo sperdo«
Guido Un pestilente
Insetto, in popolose ampie contrade
Può funesti vibrar dardi mortali:
E r amor di Cassandra or più un arcano
Alla Corte non è. Chi al par di Piero
A queir altera capricciosa Ispana,
Tra i cortigiani, accetto fu? Le alterne
Corrispondenze, i lusinchier sorrisi
Nella Capei di gelosia io strale,
E in Roberto destar.
Duca Di questa fiamma
Arda, struggasi ei pur. È mio talento.
Che del trionfo spettator di Piero
Mal suo grado egli sia. - Guido, alla meta
'Drizzato è il dardo.
Guido E speri?
Duca A q[uesta ei giunga
Deir arti mie sperimentai le prove:
Ardua è V impresa, ma el' inciampi sgombra
Pertinace voler. Poich' Ella apprenda
Che Piero ad altra passion die' loco...
Guido Ah! di sì occulto ardor dissimularvi
I timor non poss'io. Membrar vi giovi,
Ch* or più da presso con solerte cura
Ad esplorarvi Ferdinando intende.
Da morbo oppressa, della vita in forse
Geme intanto Giovanna.
Duca O Ciel!
Guido La nuova
Or or ne udii: (né il celerò) sospetti
Della misera, in voi, destò la sorte.
Duca Ah! questo ancor? {dopo aver fatti alcuni passi per la soZa)
Ben di lei ducimi, o Guido,
Ma gravi affar di stato a Ferdinando
Mi chiamano in tal punto. - A confortarla
Tu a lei t* affretta; indi a me riedi (il Duca parte)
SCENA IV.
Guido solo
Il core
Di speme ei pasce; ma timor funesto
Per lui m* ingombra. -Oh! non invan Fernando
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— 433 —
Posto ha in Firenze il pie*: taccpie de* Pucci,
De* Ridolfi r ardir; ma 1* Idra inulta
Kivive, e a lei quel Ferdinando è Duce,
Che te, Francesco, dal sognato Eliso
Precipitar minaccia, e il cieco amore
. Per la Capei, ch'onta al tuo nome impresse,
A tal rovina affretta il voi. (Si ode un grido dentro
la scena)
Qual grido!
Di Giovanna è la voce. Eccola! oh! d*alma
Afflitta, imago! Libero uno sfogo
Air infelice con le fide ancelle.
Per or, lasciam. {Guido parte)
SCENA V.
GiOVANHA BNTRA SOSTBNDTA da SoFU con alcune OAMB 01 COftTE
Giovanna (delirando a Sofia) Si: a lui m'adduci. Il perfido
Confonder vò.
Sofia Qui... qui ti posa: in breve
Fia che a te viedB. (V adduce ad un sof appresso il verone
da cui si scorge la campagna)
Il combattuto spirto
A te ricrei di questa scena il riso.
Giovanna (sempre in delirio)
Lungi o larva fatai!...
Sofia Deh! «in te rientra
Giovanna Ah! noi vid* io gì* innamorati sguardi
Cupido in lei fissar?... Empia... t* invola
Via... via quel serto... Di Francesco sposa...
La Duchessa son io...
Sofia Giovanna!
Giovanna Oh! quale
Voce m'appella?...
Sofia Una fidata amica
De' vostri dì sollecita.
Giovanna O Sofia,
Del corso lor già tramontò la stella (*)
Il vital soffio nella stanca salma
Mancar già sento.
Sofia A miglior speme il core
Riconfortate.
Giovanna È tardi, e un fatai sogno
Testé air angoscia che opprimeami, il pondo
Accrebbe.
Sofia Un sogno! A tristo e certo augurio
Volger fallace vision potreste?
{*) Var. : Di questi di già tramontò la stella
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— 434 —
GiotAififA Odi, e poi dimmi se a presagi infausti
Argomento non è. D'almo soggiorno
Per le piagge io movea, dove superbo
Torreggiava un Castel. Di caccie il duono
Festivo, udia. Vaghi giardin, colline
Apriche, ombrose valli, antri soavi.
Chiare, fresche e dolci acque, in lieto aspetto
Mi s* ofl^rian. Vedea da pagn ingombro.
Da òortieiani e da matrone il loco,
È bella m mezzo a lor, straniera donna
Seder del Duca al fianco. Amor profondo
Spirar d'entrambi mi parean gli sguardi.
Egli il cortèo gentil ({nasi obliando.
Seco in colloqui il pie* movea. Quand*ecco
Di nubi il Giel velarsi, ed un fantasma
Grandegeiar fra la turba, minaccioso
Aprirsi il calle. Acuto mise un grido
La donna. -È Ferdinando. In lui '1* acciaro
; Converte il Duca, ad imitarlo i fidi,
E in un balen, qual fiamma arde la zuffa. J
Ma di fantasmi tarmato sluol s' affolta
Che di Francesco la contraria schiera
Rotnpé^ in brevei» e disperde. A terra il Duca,
E il sen trafitto da morul ferita
Esangue cade. Al dilettoso e vago
Soggiorno, tosto un cupo orror succede,
E del festevol di svanisce il riso. - *
Funeste larve! ma che forse il crudo
Morbo, nel falso imaginar vi crea.
No... del futuro un vel, ben io pavento.
Iddio m'aperse: io noi vedrò quel giorno
Ma tu lassa! il vedrai, (si aJbòandona sul suo seno pian-
Non piii. gendo)
Di questa
Vital dimora, ecco al fin giungo e ai core
Conforto è sol d' altra miglior la speme
Di quel Dio neir amplesso. Ohi dolcemente
Ben più che noi credea, nel tenebroso
Sen della tomba io sòendo. -«O generosa.
Cui di tanta amistà nodo mi strinse.
Deh! ognor di me ti risovvenga, e quando
La muta pietra chiuderà quest'ossa
Del pietoso tuo duol la rimembranza
Nel novo regno, io serberò.
SoFU Deh! oessa...
A piii tranquilla vita ancor potrebbe
Chiamarti Iddio. Forse pentito il Duca...
Giovanna {come scossa dal suo vcmeggiamento)
Pentito!... ah! duncpie? Ma qual rio pensiero
A dubitar di sua virtìi m* astringe?
O mia fedel se rimanere in vita
SoFU
Duchessa
Sofia
DuCHBSSA
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— 435 —
Mi concedesse il Giel, di questa ancora
Nova il cor nutrirei dolce speranza
Ma lo sposo celeste a sé mi chiama.
Oh! d' altri che di lui piii non parlarmi.
Sofia Ella vien manco, le parole estreme
Dal suo labbro a raccor 1' amato sposo
Qui fosse almen! ((iccqstandosele) Duchessa... (s*od6 una
dolce musica)
Giovanna Oh! (jual celeste
Musica intomo eccheggiar odo e Talma
D' indefinito alto gioir m* inonda!
Ah! quella è pur che da quest* occhi il pianto
Trarmi solca nella mia patria, allora
Che tutta in Dio bear pareami assorta.
Ma dove son che parlo? Ecco mi schiude
L' auree sue porte il Giel, d* eletti spirti
Schiera immortai mi cinge, nova intomo
Luce m' arride, ivi corona e palma
M* offre Colui eh' ogqi poter trascende.
SUve, o magion felice e voi salvete
Purissim' alme! O sposo, e tanto ancora
Di terrene grandezze il fuggitivo
Splendor, di fral beltade amor t' illude?
Deh! vieni, meco a queste sedi il volo
De* tuoi pensier solleva... Ea^co perenne
Serto a te pur quel Dio prepara. - Etema-
mente beati là sarem. -
Sofia Q^hI cara
Vision questa pia d'Onnipossente
Ardor, comprende! Ah! il Dio cui l'alma estolle
Benigno forse a lei dell' ultim' ora
A lenir vien gl'istanti..* Ella si desta...
Duchessa Ove son? tutto dunque è vano sogno?
Chi siete voi? (volgendosi intorno)
Sofia Le ancelle tue che pie
Per la tua pace pregano.
Duchessa I lor voti ^
Adempia il Ciel! Da un lieto .$OgnOy o cara.
Mi risveglio. Testé, fra l'alme i^ssorto
Che r immortai beato cerchio serra...
Era il pensier. Qual labbro upian potria
Le infinite ridir dolcezze arcane.
Che in me spandea chi d' ogni gaudio è fonte?
Sofia Al duol conforto che per te mi punge^
È questo, o mia Duchessa: ma... tu tremi?
Tu impallidisci?
Duchessa Ah! perchè ^uova il crudo
Di me non chiede, e almen l'ultimo addio...
Sofia T'accheta ei forse del tuo stato ignaro...
Ma chi s'avanza? Non m'inganno, è Guido
Ben giungeste, o Signor.
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— 436 —
SCENA VI.
Guido s dette
Guido Del Duca il cenno
Sollecito, o Duchessa, a voi m' invia
Ei la somma per voi Pietade implora,
E la tristezza a disgombrar v* esorta.
A vostri dì seme mortai.
DucHBssA Compiuto
N*è il corso ornai... La mia tristezza, o Guido,
Con lor fia sgombra. Ma che fa lo sposo
Perchè non giunge?
Guido Se di membra infermo
Qual voi non è, non della gioja il riso
Il cor gli rasserena e in lui del giusto
Rimorso accusa tor non tace il grido.
Qui tratto avria; ma troppo a voi funesta
Temè la sua presenza. E d* inattesi
Affar, piena ha la mente. È Ferdinando
Qui giunto.
Duchessa Ferdinando !•.. (con viva espressione)
Ah! il tristo sogno
Dunque in certezza..*
Guido Tutto oprar m* è d'uopo
Che amistà regni in lor, né pace il volo
Da questo suoi dispieghi. A voi membrarla
Pur la Capei pregommi, e del presente
Duol che vi strugge, ond* è cagion, perdono.
Per me, vi chiede.
Duchessa Tu a lei lo reca
Dille che se d' amor funeste prove
Al mio sposo Ella die, 1* offesa oblio.
Che al Ciel quest'alma con rancor non sale.
Dì a quell'ingrato, che a lui pur perdono.
Che di sposa miglior felice ei viva-
Al popol suo mi raccomandi. A lui
Un generoso di favor tributo
Dell'amor suo qual pegno ultimo ei renda:
Modesta sorga l'urna mia; ma sculte
Del serto avito abbia le insegne.
Guido Io tutto
Che bramate, farò
Giovanna Di me serbate
Pur memoria o buon vecchio: aurei consigli
Porgete al Duca che allo Stato il freno
Giusto e clemente ei regga, ed io... ma un velo
Mortai, gli occhi m' appanna, (a Sofia) Vieni al fido
Letto, mi guida... là d'un breve giorno
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437 —
Tranquilla aspetterò T ultima sera.
Addio, (parte sorretta da Sofia colle Dame)
Guido (da se) Martire pia, d* alte sventure
Ohimè presago il tuo morir pavento.
(parte)
ATTO QUINTO
SCENA I.
Un anticamera nel palazzo del Duca
Ferdinando db* Medici e Roberto Ricci di dentro
RoB. Ricci (di dentro) M' odi..,
Ferdinando Mi lascia a miglior tempo. Impresa
D'alta mole quest* è. (entra) Del mio disegno
Al compimento irrequieta brama
Di vendetta lo spinge. Accorto senno
Pur qui si vuol, la mia venuta al Duca,
Con pretesti onestar; ma quando in lui (*)
Della mia tela acconciamente ordite
Le insidiose fila sien, V incauto
Avvolgan sì che sciorle a niun sia dato.
Ei vien.
SCENA IL
Ferdinando, il Duca
Ferdinando (movendogli incontro)
Salute, o mio german, parlarti
Pria d*or, bramai; trista cagion mei tolse
Della Capei lo sposo...
Duca ~ Ah! si quel desso.
Cui d' ospitali accoglienze amiche
Benigno fui, d'occulte insidie autore
Si fé coir armi, e lui qual reo degli Otto
Il Consiglio dannò; ma da mortali
Ferite oppresso, qui l'estremo fiato
Fu r infelice ad esalar costretto.
Quindi Bianca lenir d' util conforto
Mia cura fu. Di quell' afflitta il fato
M*ange e di tema pe'suoi di, mi colma.
(*) Var. Ma quando in lui
Della mia tela acconciamente ordite
Le fila avrò, ne' lacci lor l'incauto
Avvolgan si, che sciorli a niun sia dato.
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— 438 —
Ferdinando Duolmì, o german, ohe sì funesto evento
Di questo d* amniatid giorno solenne
Turbi il «eren.
Duca Cosi Tindnlio a' rei
Favorevol men fosse!
Ferdinando A che, Francesco,
Mirano i detti vostri?
Duca In questa Corte
Roberto Ricci il pie* ripose. A lui
Libero sempre, in avvenir, l'accesso
Qui non vorrei,
Ferdinando Nullo il decreto escluse
Dalla grazia DucaL, né a me s'asconde.
Come quel gentiluom del mio casato
Ben meritasse, e d'un suo par condegno
Quel favor...
Duca {interrampendolo con accento severo)
Ferdinando, altro ne sento;
Ma dell'affar, che qui vi traggo, or giovi
Consultar. (Siede. Ferdinando farà lo stesso)
Brama vi pungea, sinceri
Suggerirmi, o german, saggi consigli.
Ferdinando È ver.
Duca V* ascolto.
Ferdinando Pria che morte i lumi
A Giovanna chiudesse, a nova fiamma
L' animo aprir non dissentiste, immemore.
Che a voi da una Capei sperar mestieri
Di Cosmo al figlio un successor non era.
E a tal si cieca passì'on vi spinse
Che ad una voce fé* prestar non niego,
Che voi medesmo, contro Pier, d'insidie
Autor, già susurrando, e sparsa ad arte
Indi l'accusa, onde per voi fu segno,
Che lui de* sgherri V aggressor dicea
Dal Veneto Senato a domandarlo
A lui spediti.
Duca Ferdinando! E fia?
Chi mai?
Ferdinando Di delator l'infame incarco
Ferdinando non ha. Ma chi, Francesco
Pria d' accoglienze piii di voi benigno
Fu a Pier? chi or più a condannarlo intende?
De' Dieci pria contro il fatai Consiglio
Scudo gli foste, indi per cenno vostro.
Quel fu degli Otto, a giudicarlo, eletto.
Or che, spenta è Giovanna, aperto il campo
Sperate Bianca ad impalmar.
Duca Fernando !
Ferdinando Francesco altro per voi piii degno aringo
A riprender v' esorto se del vostro
Nome avito vi preme.
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— 439 —
Duca E qaal?
FmftDiNANDO (frae da un portafogli una lettera e la rimette al Duca)
Leggete
£ del german giudice siate.
Duca Un foglio
Col suggello real! (legge) « La nobil brama
Che il Giel vi spira, di Firenze al Duca
Degno Imen procacciar, piacque all'Ispane
Cortes. Se illustre principessa e sposa
Fedel, morte gli tòlse, altre del sangue
Ve n' ha, d' Austria bel vanto, e chiara splende
Margherita tra lor. Gli uffici vostri
Usar v' esorto, eh' ei si eletta gemma
Al Mediceo casato unir consenta.
« Filippo »
(dopo un istante^ ritornatogli il foglio)
E se del tuo german, s* altre da quelle
Deiriberio Signor fosser le mire?
Esisteresti?
No, Fernando, il modo
Questo non è che di Firenze al Duca
Conveniente estimo. A me la scelta
Deir Imen contrastar disegno è questo
Di quel Monarca, onde voi stesso a parte...
Io!
Si. r offerta, Ferdinando, io sdegno.
(Egli 8i alza. Ferdinando farà lo «tesso)
Al rifiuto seguir tardo potrebbe
Il pentimento.
Duca (vorrebbe rispondere^ ma si arresta e si affisano entrambi alcuni
istanti),
Ferdinando Odio però serbarvi
Non vo' per questo, e sol desio che amico (*)
Genio, prudenti al cor sensi v'inspiri.
Addio.
Duca M' udite. Tor da me commiato
Non si tosto vorrete.
Ferdinando No, Francesco,
Anzi deir amistà che a voi mi lega,
A miglior pegno, qui la mia dimora
Protrar m'è grato.
Duca E dal german ricambio
Di voi degno n'avrete, (gli stringe la mano. Ferdinando
parte).
Ferdinando
Duca
Ferdinando
Duca
Ferdinando
(*) Var. : Io non bramo per <;ueste, e «ol desio.
Che più prudenti il Ciel sensi v'iBspiri.
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— 440 —
SCENA in.
Duca solo
Assai t* intesi
No, più dubbio non v' ba. Quest' uom da cieca
Ajnbizion spinto, con assidua cura.
Attraversarmi il mio diseeno intende. (*)
Ma il dado è tratto, e del Ducal mio serto
Torrei far gitto che air aeon ritrarmi.
Ah! di letizia indefinita al colmo,
D' ogni desir, toccherò allor, che il Cielo
Me del trionfo spettator di quesu
Capei, farà, che della mia grandezza
Sopra l'aitar fia posta.
SCENA IV.
Un paggio e detto
f^QQiQ A queste stanze
Bartolomeo Capei di Bianca il padre
Chiede accesso.
Duca S'inoltri. A tempo ei giunge, (il paggio
parte)
SCENA V.
Duca, Bartolomeo Capello
Duca Salve! illustre patrizio. Io d'Adria al lido
Reduce già vi supponea di speme
Omai deserto a* vostri voti amica.
B. Capello Sì questa terra abbandonar che nova
Esca e fomento al mio dolor sol diede.
Io fea pensier; ma dal proposto grave
Cagion, mi svolse. D'aspra udii contesa.
Che d' armi a prova singoiar, Roberto,
E Piero astrinse, e confortevol speme
Blandìami, che ove nell'agon, la sorte
A Roberto arridesse, al patrio tetto
Bianca redir meco assentito avria.
Doca Se tal di lei fosse il desio, le vele
Quinci, o Capei, drizzar lieto potreste.
Bonaventuri è spento.
B. Capello Ei dunque...
Duca Io stesso
Della sua fin testimon fui.
(*) Var. : A frappor tende al mio disegno inciampo
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6. Capello
Duca
B.
Duca
B« Capello
— 441 ~ ^
Ma Bianca...
Sovra V estinto abbandonata un varco
Al disperato suo dolor schiudea.
Capello (con espressione)
Rivederla degg* io.
Libero sfogo
Or degli affetti alPinnstata piena
Le consentite.
No esortar Colei
A seguitarmi ho risoluto. Ab! forse
Qual decreto del Ciel, del suo consorte
Ella il fato avvisò.
Non io que* dritti.
Che a voi, qual genitor, sorti Natura
Violar pretendo; ma se al tetto avito
Bianca redir con voi negasse.,.
Ov'Ella
A tal giungesse, confortarla, o Duca,
Al rifiuto osereste, a me la destra.
Del perdon pegno, ricusar?
Se il fessi
Chi incolparmene ardito...
Io stesso, 0 Sire,
Ed a ragion, che d* onta etema impresso
Yedria per voi di questa figlia il nome.
Duca
B. Capello
Duca
B. Capello
Duca
B. Capello
Duca
E s' io 1' amassi e riamato amante
Ne fossi?
Voi!
Del ver. Capello, instrutto
Meglio sareste, se i di trarre alquanto
Vi talentasse in questa Corte, ov'EUa
I suoi protrar non sdegnerà, lo spero.
B. Capello (con accento ironico)
Qual d' un Medici amante, e non già sposa
II ver non è?
Duca (con tuono risoluto) Sposa e Duchessa.
B. Capello (commosso) Bianca!
Duchessa! (dopo breve istante^ stende la mano al Duca,
e con accento benigno gli dice)
Altezza, de' passati affiinni
Inatteso, per me, compenso è questo.
Di vero amor non dubbia prova. Al nodo
Assento, e meco d'assentirvi è lieta
La Veneta Repubblica. Preclara
Tra le patrizie è dei Capei la schiatta:
f Ma di novel non men preclaro vanto
Splenderà, al ceppo Mediceo congiunta.
Duca Mutuo il guadagno fia; ma alcun s' inoltra. . .
È dessa. Oh! come di visibil traccie
Le angeliche sembianze il duol ne impresse!
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— 448 —
SCENA VI.
Bianca, Bartolohio Capello, Duca
B. Capello
Bianca
Duca
Bianca (entra pallida colle chiame sparse^ e visto il padre si abban-
dona fra le sue braccia)
O padre...
Figlia mia^ pentiu forse
Tomi al mio aen? Di Piero udii la soite
E del tuo stato alta pietà mi strinse.
Ah! r amor tuo d* indefinito affanno
A me cagton non benedisse il Cielo.
Deh! a me perdona. Intemerata e pura
Fu qruella fiamma. A Piero il cor sacrai.
Né il giuro infransi: ma per voi costanti
Serbai di figlia affettuosa i sensi,
E dell' affanno al pensier, spesso, io piansi
Onde v' oppresse il mio partir. (*)
Pon freno
Dell'anima al tumulto, e nova speme
Ti riconforti. Un avvenir piix lieto
Per te, o Bianca, incomincia. Alle sventure
Che ti graviìr, largo compenso il Duca
T'appresta, e il padre. Ah! pria che ai lari aviti
Bianca, tu rieda4| lascia almen eh' io queste
Ad alleviar, non brevi di consacri.
Sperar potreste?
O figlia, a te di grata
Alma, il dover Timpon. Di quante oggetto
Cure ospitali, di favor non fosti
In questa Corte accolta! Ah! si del Duca
Alla profferta ad annuir t' esorto.
Generoso patrizio, a voi mertate
Grazie, ne rendo.
Del paterno affetto
Or pegno, o figlia^ il mio perdon ricevi
E alla nostra drizzar terra, le vele
A Venezia...
Venezia!.. • ohimè per sempre
Rivederla m' è tolto.
E fia?... Qual nero
Presentimento! . . .
Un ver tremendo^ o padre.
Un ver tremendo.
Che di tu? Ma quale
Insolito pallor?
Bianca
B. Capello
Duca
B. Capello
Bianca
B. Capello
Bianca
B. Capello
{*} Var, : E l' infinito duol, cogli occhi in pianto
Nel combattuto cor volgea sovente.
Onde v'oppresse il mio partir.
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— 443 —
Bianca Deh! a me perdona...
A novo orribil colpo il cor prepara.
B. Capello Che fu?
Bianca Di Kero le parole estreme
Troppo agiUr quest* alma. U disperato
AfFanno mio sulla ragion prevalse^
E dalle infette sue ferite il sangue
Mortai bevei.
B. Capello Ciel! si soccorra...
Bianca È tardi
Del vital soffio la mia stanca salma
Mancar già sento. Addio; la genitrice
Ti raccomando... dille ch'io memoria
Deir amor suo serbai sino air estremo, (muore)
B. Capello Figlia... mia ùglÌB... (dopo averla contemplata alquanto)
Morta (si pone una mano sulla
fronte)
Duca Ah! in me tua destra
Gran Dio, s' aggrava. Della mia grandezza
Or che mi cai? Dell'universo i regni.
Per quella vita, io cederei*
(s' odono grida inteme) Viva
Ferdinando de' Medici!
Qual grido!
Egli?
B. Capello Che ascolto! ah! quest' amato pegno
Ch'io altrove adduca, e al gran dolor la via
Libero schiuda, (parte trasportando Bianca)
SCENA VII.
Guido frettoloso e detti
Duca O mio fedel, comprendo
Di tua venuta la cagion, ma nova
A me s'aegiunge piii crudel sventura
Bianca del viver mio delizia e speme.
Tronchi i dì col velen ch'Ella di Piero
Disperata suggea dalle ferite,
Del Genitore a rio dolor sol vivo
Tra le braccia or si giace, anciso fiore,
Dall' immaturo stel. Ma tu le amare
Novelle, onde forier. Guido, t' avviso.
Svelami.
Guido A questa Signoria ribelle
Aoberto Ricci con Fernando occulta.
Insidiosa trama ordì. Del Sire
Ispan r assenso Ferdinando ottenne.
Cui del funesto amor vittima inulta.
Che in voi Bianca destò, Giovanna ei pinse.
Duca Qual perfidia!
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— 444 —
Guido Or d* armati ardito stuolo
A cui Roberto è condottier, con quelli
Di Ferdinando, a qaesu volta avanza
Intempestivo è l'indugiar^ di scampo.
Colla fuga, una via, tentar vi giovi.
Dom Fuggir! Non fia cVonta simll mi copra!
No... mai si forte in me prevalse, o Guido,
Della vita il disprezzo, (m atto di partire mentre le grida
raddoppiano dentro la scena)
Guido Odi? (s' ode un tinnire di spade
che va crescendo)
SCENA vra.
Ferdinaiido DE*Mn>ia, soldati b detti
Ferdinando T' arresu
A me di questa Signoria Firenze
Il fren commise che in tua man disdegna.
Duca Fiorenza! Ah! no. Le tue fazion, Fernando,
Ma non sarà che di mìo Duca il vanto
Tu ostentar goda, (in atto di ferirsi)
Ferdinando (è attonito) Qual follia ti spinge?
Odimi, incauto. Il tuo german son io.
De' riguardi e favor che il vincol nostro.
Il tuo stato consente, a te benigno
Sarò: sol bramo che del Tosco Cielo
Piii a lungo le contese aure non spiri.
Duca Ch*io dunque?
(da 8è con sdegno represso) Ebben si faccia. In me non tace
D'un avvenir per te fatai, la speme (a Ferdinando riposta
Obbedirò. la spcuìa nel fodero)
Ferdinando (con superba esultanza)
Compiuta è P opra mia.
(Cala U sipario)
La n«fc deiU opere venute In dono ti derk nei prostime fmseieeio.
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Serie 11. Noi.. XlV-
DlCEMBRE 1880
I L
BUONARROTI
D I
BENVENUTO GASPARONI
CONTINDATO PER CURA
DI ENRICO NARDIirCl
PAG.
]^;X^ Vllf. Descrizione dì tutte le colonne ed obelischi
che tro valisi nelle piazze di Roma, disposta
in forma di guida da Angelo Pellegrini
ecc. (Fine) » 445
LXIX- Filippo Maria Gerardi (Oreste Raggi) . » 460
X^XX. Alcune osservazioni dirette al sì f^nor Cesare
Qujìrengbi dal cav. Camillo Ravioli
sopra tre punti , che questo concernono e
che leggonsi nella Rassegna Bibliografica
e nelle Cinte Murali di Roma da quello
pubblicate » 468
j^^jj^Xl- Cordi ^Ni il vero nome da Sangallo il gio-
vane (B.ne Enrico de Gevmùller) . » 477
p„l3l)licazioni ricevute in dono » 479
ROMA
TI pOG RAFIA DELLE SCIENZE MATEMATICHE E FISICHE
VIA LATA N? 3:
4 880
Pubblicato il 9 Gennaio 1882
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IL
Serie II. VoL. XIV. Quaderno XII. Dicembre 1880
LXYIIK
DESCRIZIONE
Dì TUTTE LE COLONNE ED OBELISCHI
CHE TROVANSl NELLE PIAZZE DI ROMA
DISPOSTA IN FORMA DI GUIDA
DA ANGELO PELLEGRINI
■ BMBBO DStL'lHSTITUTO DI GOIBISPONDEHSA ABCBEOLOaiCA
' Fine (i)
OBELISCO VATICANO
Dopo Tobelisco Lateranense, questo h il più grande degli
altri di Roma, ed il solo fra i grandi che siasi conservato
di un solo pezzo, poiché ebbe la fortuna^ come vedremo,
di rimanere in piedi al suo posto, finché fu fatto rimuovere
da Sisto V per rialzarlo nella gran piazza del Vaticano.
Esso h mancante dei geroglifici, e nella parte inferiore,
leggesi ripetutamente:
dIvo . caesarI dIvI ivlI p avgvsTo
TI CAESAhi dIvI avgvstI f avgvsTo
sacrvm
Da questa iscrizione frattanto si rileva, che fu* consagrato
ad Augusto e Tiberio, e fu trasportato in Roma da Caligola
come narra Plinio (2), che dopo aver parlato dei due traspor-
tati da Augusto, dice: Tertius JRomae in faticano Gai et
Neronis principum circo j ex omnibus^ unus omnino fractiis
est in molitione, quem fecerat Sesosidis fUius Nuncoreus (3);
e da questo passo chiaramente si vede non essere lavoro
(i) Vedi Quaderno precedente, pag. 406.
l2) Lib. XXXVI. cap, XI.
(3) Edizione con commentari indici e correzioni di Giulio Sillig. Ham-
burgo e Gotha MDCCCLI.
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— 446 —
egizio, ma imitazioue romana rigaardo alla semplice grandezza
di quello del figlio di Sesostri Nuncoreo.
Questo nome facilmente h corrotto da quello di Nehen-
sciai o Novenchar^ che è il sesto dei ventitré figli di Ramses ///,
ì cui nomi si leggono tutti nel Ramsessèion a Tebe^ e ven-
nero riportati nella più volte citata opera del RosselUni su
ì Monumenti dell'Egitto e della Nubia (&).
La nave che condusse l'obelisco in Roma fu di tale gran-
dezza , che per zavorra vi andarono 120^000 moggia di len-
ticchia , cioè 2 milioni S80 mila libbre. La lunghezza della
nave era tale che l'imperator Claudio la fece affondare per
servire di fondamento al molo del suo porto Ostiense (2) ,
facendole sostenere una gran parte del lato sinistro , dove
furono erette come tre torri, ed una a somiglianza del Faro
d' Alessandria. L' albero era un abete di tale grossezza che
appena quattro uomini potevano abbracciarlo, ed oltre il peso
della mole questa nave portò li quattro massi di granito che
dovevano sostenerla , i quali superavano un altro milione
di libbre. Finalmente condusse seco l'equipaggio, le provvi-
sioni e gli attrezzi: e come utilmente gli antichi profittavano
di tali trasporti, facevano servir per zavorra la lenticchia (3).
Questo legume allora pregiato, cioè la lente che veniva
dall'Egitto, era superiore alla europea per grossezza e per
gusto, come può rilevarsi dallo stesso Plinio allegato (4), che
ne ricorda due specie, 1 una più rotonda e l'altra più comune.
Claudio anche si servi di questa medesima nave per il
trasporto della sabbia vulcanica di Pozzuoli eminentemente
commendata dagli antichi per le costruzioni marittime^ e
degli altri materiali, non che quelli delle tre moli a guisa
di torri^ alle quali servi poi di fondamento.
Altrove il medesimo Plinio (5) ricorda questo trasporto,
e l'uso fatto della nave, e dopo tale scrittore, Svetouio per
incidenza nella vita di Claudio (s) parla dell' obelisco Vati-
cano, e della nave sommersa dal suddetto imperatore.
Successivamente Io ricorda Ammiano Marcellino (7)^ come
vedemmo parlando dell'obelisco della Trinità de Monti, e vien
registrato nell'epilogo della Notitia dei Regionarii.
\ r- Il I , j L I - ■ I . . . X - I I IT r ~
(1) Parte f, Tom. I, pag. 274.
(2) Lo stesso Plinio, lib. XVI, cap. XXXIX, XL, sect. 76, ediiione citata.
(3) Luogo citato.
(4) 11 medesimo autore, lib. X^III, cap. Xll.
(5) Lib. XXXVI, cap. IX.
(6) Cap. XX.
(7) Lib. XVII, cap. IV.
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— 447 —
Fra gli scritti de* tempi bassi^ se ne fa parola nei M-
rabilia Romae^ e tali informi scritture piene di larve, dopo
arere indicata la chiesa di s. Andrea» che fu poi compresa
nella nuova basilica Vaticana, dice: iuxta quod est memoria
Caesaris in agulia^ volendo significare, che vicino alla chiesa
di s. Andrea era la memoria sepolcrale di Giulio Cesare
nell'aguglia; e quindi prosegue colla sua favola la quale si
mantenne fino a Sisto V, dicendo che le sue ceneri splendi*
damente riposavano ivi nel suo sarcofago, ed esponendo altre
false assersioni^ interpretando finalmente, l'iscrizione in alto
come qui appresso si riporta designando lobelisco: ubi splen-
dide cinis eius in suo sarcofago requiescit, ut sic eo s^is^enie
totus mundus ei subiectus fuit^ ita eo mortuo usque in ftnem
secuti subicieturi Cuius memoria inferius ornata fuit ta-
bulis ereis et deauratis literis latinis decenter depicta: su*
perius usque ad malum ub requiescit auro et pretiosis la--
pidibus decoratur ubi scriptum estx cassar tantvs eras qvantvs
ET ORRis: ET RVNC ifi MODICO cLAVDis AVRÒ : et hacc memoria
sacrata fuit suo more sicut adhuc apparet et legitur (i).
Ora h da notarsi, che fino all'epoca del suo traslocamento
sulla cuspide, era un globo di bronzo dorato, che lo scritto
riportato chiama malum j melo ove riposa (Cesare) decorato
d oro e pietre preziose; e leggendosi più e più volte ripetuto
nella iscrizione riportata il titolo di Cesare dato ad Augusto
e Tiberio, e particolarmente al primo dIvo gaesarI» ne venne,
che il volgo credesse che la palla di bronzo contenesse le
ceneri di Giulio Cesare. Quando l'obelisco fu abbassato nella
spina del circo di Caio Caligola presso la sacrestia di s. Pietro,
onde trasportarlo nella piazza dove si vede, fu trovato che
il globo era colpito da palle di archibugio, e questo avvenne
nella presa di Roma per parte del Borbone l'anno 1527. Allorché
fu calato venne anche spogliato dei leoni di metallo ricordati
dal Petrarca Epist. FamiL II , lib. VI , dicendo : hoc est
saxum mirae magnitudinis , aeneisque leonibus innixum ,
disfis imperaloribus sacrum^ cuius in vertice JuL Caesaris
ossa quiescere fama est.
Il Mercati (2), testimone oculare di quando fu abbassato,
e scavato all'intorno il piedestallo dell'obelisco, non parla
aflfatto dei leoni , ma di quattro astragali di bronzo, come
(1) Le descrizioni dì Roma in poche pagine cognite col titolo Mirabilia
sono una piccola raccolta di tradizioni voleri, ed indicazioni locali; e si attri-
buiscono a Pietro Manlio» a Giovanni Maniacuzìo, a Cencio Camerario, a Mar-
tino Polono ed a Giovanni Caietano, che vissero dall'anno 1140 al 1300.
(2) Obelischi di Roma, pag. 240.
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— 448 —
yedesi nell' iDcisione riportata dal Gamucci (i), riportandola
così: Sopra il fondamento nella cinta del Cerchio era inse-
rito un marmo bianco^ alto dal piano del Cerchio quattro
palmi et mezzOf sopra questo staila per poggietto del Pie-
destallo un pezzo di granito rosso alto quattro^ palmi et
un quarto } di sopra era posto un tronco quadro di gra-
nito rosso alto tredici palmi^ sopra detto tronco una cor-
nice della medesima materia corrispondente al poggetto alta
quattro palmi^ et sopra la cornice un altro tronco di gra-
nito rosso alto undici palmi. Questo secondo tronco soste-
neva i quattro astragali di bronzo indorati alti un palmo
et un quarto che reggemmo il raggio dell* obelisco.
Narra il Manetti nella vita di papa Niccolò V (s), che esso
pensò di porre questo obelisco sugli omeri di quattro statue
colossali in metallo rappresentanti gli evangelisti, e nel ver-
tice quella del Salvatore della stessa materia. Paolo II trattò
con Aristotele architetto di farlo trasportare nella piazza, se-
condo che narra il Volaterrano (3) ma neppur questo ebbe
effetto. Scrisse il Mercati (4), che Paolo IH consultò il Buo-
narroti per eseguire questo piano, ma esso non volle accet-
tarne l'incarico dicendo: Paulo terzo teneva gran desiderio
di condurre l'Obelisco di Caio Imperatore sa la piazza di
San Pietro , et più volte ne tenne proposito con Michel
Agnolo Buonarruoti Scultore et Pittore eccellentissimo
deir età nostra , et Architetto incomparabile ma il
detto Michel Agnolo non volse mai attendere à tale impresa.
Prosegue a dire il Mercati che a Gregorio XIII si rinovò
il medesimo desiderio di condurre f Obelisco f^aticano su
la piazza di San Pietro, mosso da un ingegnere che venne
a Roma nel primo anno del suo Pontificato. Poi soggiunge
che : neir anno settimo del suo Pontificato fa ritruovata
nel Cerchio massimo la base dell Obelisco di Augusto f et
fu fatta tutta scoprire d'ordine suo, nondimeno non pro-
seguendo più altro. Indi prosegue a dire che nel nono anno
del suo pontificato, cioè nel 1583 Camillo Agrippa Architetto
propose al detto pontefice uninventione di condurre il detto
Obelisco su la piazza di San Pietro j offerendosi di levare
rObelisco dalla sua base con una machina di legno, e di
(i) Antichità di Roma, pag. 195, prima ediiione.
(2) Riportata nei Rerum Italiearum Seriptorei del Maratori» tomo III »
parte li, colonna 934 in fine.
(3) Commentariorum Urbanorum Maffari Jacobi Volaterrani. Lugdoni
MDLII, lib. XXII, Anthropotogia» colonna 677.
(4) Obelischi, pag. 343—344.
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— 449 —
condurlo dritto nella medesima machina pendente in aria,
sin al luogo doi^e si doveva posare (i). Scrisse un trattato
appositamente sopra questo trasporto, e fece uq modello per
persuadere il papa ed intraprendere questo lavoro , ma la
diflBcolta dell' impresa spaventò , e cosi gli obelischi nella
maggior parte furono riservati alla gloria d* innalzarli » ed
al genio intrapreodente del gran pontefice Sisto V. Quel papa
dopo avere consultato tutti gli architetti , ed i matematici
del suo tempo; e dopo avere esaminato i modelli, ed i pro-
getti , abbracciò quello di Domenico Fontana (2) , al quale
pure commise la direzione del lavoro. L'operazione principiò
il 30 aprile 1586, e fatto il castello attorno alfobelisco, che
rimaneva eretto presso la sacrestia di s. Pietro sulla spina
del circo di Caligola (3), furono preparate le traglie, ed at^
taccati agli argani li canapi. Narra il nominato cav. Fontana,
che si cominciò ad argano per argano a tirarli con tre^ e
quattro cavalli per accordare , e unire le forze loro risie-
dendoli tre^ e quattro volte ad uno ad uno, sino che fus-
sero ugualmente tirati, e a questo segno si firmorono alli
vinfotto d'Jprile i585. E perche popolo infinito concorreva
à vedere cosi memorabile impresa*, per oviare à disordini,
che potesse causare la moltitudine delle genti sperano sbar-
rate le strade ch'arrivano sopra detta piazza (4), e si mandò
un bando, eh* il giorno determinato ad alzar la Guglia nis-
suno potesse entrar dentro à ripari salvo, che gli operaij
à chi avesse sforzato li cancelli vi era pena la vita di più,
che nissuno parlasse sputasse, ò facesse strepito di sorte
alcuna sotto gravi pene: acciò non f ussero impediti li co-
mandamenti ordinati da me à ministri, e per far subito
essecutione di detto bando il Bargello con la famiglia tutta
entrò dentro il serraglio ........ Avanti che la Guglia
fosse imbragata alcuni giorni prima fu levata la palla, che
vi stava in cima per ornamento^ e perchè molti pensavano,
che {sendo la Guglia dedicata a Cesare) in essa fossero
le ceneri di lui-, fu considerata da me con gran diligentia,
e vidi lei essere gettata tutta d'un pezzo senza commissura
alcuna, che stando questo, non vi si poteva mettere dentro-
cosa alcuna è ben vero eh in molti luoghi è stata forata
dall' arckibuciate, che vi sono state tirate da soldati, quando
(i) Opera citata, paff. 344—345.
(2) Vedasi 1* opera del Fontana intitolata: DeUa traspoHattane dell Obe-
lUeo VaticanOf ecc.
(3) Ved. op. cit., tav. I.
(4) La piaiza che si era spianata attorno all' obelisco medesimo.
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— 450 —
la Gita di Roma fu presa , per i quali fori era entrata
alquanto di pohere spinta dai i^enti Poi prò-
segue a dire , che il mercoledì 30 aprile due ore innanzi
giorno si dissero due messe dello Spirito santOf e che avanti
che apparisse il giorno usciti dalla chiesa gli assistenti ,
capimastri e lavoranti entrarono nel recinto^ e messi c<a-
scuno al suo posto, ed ordinati a sono di tromba; e dopo
datane lunga descrizione dell'operazione dice che: // tutto
fu finito à hore vintidue del medesimo giorno e dato il segno
a Castello con alcuni mortari , si sparorno tutte le arti^
glierie con grandissimo rimbombo in segno d* allegrezza ,
per essere stato calato.
Narra che v' intervennero U card. Montalto , nipote di
Sisto V, con la maggior parte dei cardinali» D. Michele Pe«
retti governatore di Borgo altro nipote del papa; la signora
Camilla sorella di sua Santità colle nipoti Flavia ed Orsina,
la prima duchessa di Bracciano per avere sposato il duca
Virginio Orsini, e la seconda duchessa di Fallano per aver
sposato il duca Marcantonio Colonna gran Contestabile del
Re di Spagna nei regno di Napoli; e quasi tutte le dame e
signore di Roma, gli ambasciadori» e moltissimi forestieri.
11 giorno seguente Tobelisco con quattro argani fu tirato
fuori dal castello, che venne cominciato a disarmare di tutte
le traglie^ argani ed altre cose; e subito che fu disfatto s*in*
cominciò a cavar la terra attorno al piedestallo, e si cavò
il primo pezzo del piedestallo sopra il quale erano gli ossi
che sostenevano lobelisco. Sorto si rinvenne una cimasa, e
poi un sodo piedestallo, e sotto una base, e più in basso
un zoccoletto , pezzi tutti che s' inviarono alla piazza di
s. Pietro dove vennero ricomposti, come si vede sullo stile
antico. Sotto questa base era un zoccolo di marmo bianco
composto di tre pezzi congiunti con spranghe di ferro co-
perte di piombo, e ben conservate, che quantunque fossero
nellacqua che sorgeva nella profondità della terra. Finito di
cavare il piedestallo, si trovò una platea doppia di traver-
tini , e sotto il fondamento a scaglie di selce. Il giorno
7 maggio fu posto nello strascino, ed ai i3 di giugno per-
corse lo spazio dal luogo da dove ora è una pietra presso
la sagrestia fino alia piazza ove si trova. Terminato già il
castello sulla piazza attorno al piedestallo (t) ricomposto ,
(1) Sotto al zoccolo di marmo e nei foodamenti prima che l'obelisco si
posero alcune medaglie d'oro colPefiSgie di s. Pio V d'ordine di Sisto V me-
desimo e poi Tobelisco si mise coleo nel suo piedestallo.
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— 451 —
il di 10 settembre 1586 di mercoledì, essendo in punto ogni
cosa^ la malioa avaati giorno si dissero due messe dello Spi*
rito Santo nella chiesa ch'era allora dentro il palazzo del
Priorato, perche così chiamavasi per essere del Priore di Roma
della Religione di Malta, che stava da un capo della piazza
d'allora verso ponente, e terminate queste si pose ciascuno
al suo luogo e allo spuntar deiralba s'incominciò con qua-
ranta argani , centoquaranta cavalli e ottocento nomini con
ì medesimi segnali di tromba^ e della campanella per fer-i^
roarsi e lavorare. Quando l'obelisco fu alzato a meta, si fermò
puntellandola, cosi rimanendo finche mangiarono tutti i ia^
voranti, e gli altri addetti all'impresa.
Terminato di mangiare, ciascuno si rimise al suo posto,
e con molta diligenza si proseguiva innanzi, mentre in quel
tempo alle tre e tre quarti, ventun'ora a quei giorni, passò
Tambasciator di Francia che veniva a rendere la prima obe-
dienza al papa ; entrato per porta Angelica ^ e giunto alia
piazza si fermò a vedere due tirate ; e dopo cinquantadue
mosse nel tramontar del sole l'obelisco fu dirizzato sul suo
piedestallo.
Subito se ne diede segno con alcuni raortari a Castel
s. Angelo, il quale scaricò molti pezzi d'artiglierie, e ccmi-
corsero a casa dell'architetto tutti i tamburini e trombe di
Roma ^ e mentre che il forte sparava , Sisto V si trovò in
Banchi, che tornava a s. Pietro da Monte Cavallo per dare
il concistoro pubblico all'ambasciator di Francia^ e ivi gli fu
comunicato che Taguglia era al suo posto.
Fu un bellissimo spettacolo, e vi concorse infinito popolo,
e assai furono le persone che per non perdere il posto dove
stavano a vedere stettero digiuni fino alla sera; ed alcuni
fecero i palchi per le persone che vi concorsero guada-
gnando assai denari (i).
Indi il Fontana riporta la descrizione della processione
ordinata da Sisto V per purgare e benedire l'obelisco, onde
(1) Narrasi che nel pieno vigore della operazione i canapi pel grande
attrito 8* inaridirono e fnrono ani ponto di accendersi : in quel frangente »
uno degli operai nativo di s. Remo nel Genovesato, di nome Bresea, gridò
aequa alle corde , malgrado il dtrìelo di parlare alto e gridare sotto pena
capitale. Esso fa subito arrestato » e dichiarò la causa urgente , che lo
aveva mosso, onde Sisto V. conosciuta la giustezza delle sue ragioni» invece
di punirlo lo rimunerò altamente, ponendo a sna scelta di domandargli qual
grazia voleva: ed egli modestamente richiese per se. e pe'sooi discendenti il
privilegio di fornire ogni anno le palme nella Domenica innanzi la Pasqua,
privilegio che ancora rimane.
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— 458 —
consacrarvi sopra la Croce 9 e noi per brevità rìportei-emo
quella del Mercati.
Della consecratione de gli Obelischi
Cap. XXXIX.
Si come terettione degli Obelischi è marawgliosa^ così
r espurgatione , et la consecratione di essij da Nostro &-
gnore fu ordinata solenne nella maniera che seguita. Il
primo venerdì che viene dopo Verettione^ un y escono ce--
lebra la messa solenne della Santissima Croce^ nella Chiesa
innanzi alla quale j sta dirizzato rObelisco. Dopo la messa
il f^escovo con tutto il clero va in processione verso rObe-
lisco accompagnato da i cortegiani , et dalle guardie del
Palazzo j et da tutti quelli che si ritruovono presenti et
d^ intorno alla piazza stanno in ordine 1 cavalle^ieri del
Papa. Giunta che è la processione all' Obelisco, il Vescovo
primieramente benedice la croce ^ che ha da essere drizzata
nella punta di essoy sopra un altare che vi sta appoggiato.
Di poi espurga V Obelisco con diversi esorcismi , spargen-
doli attorno Inacqua santa con V hisopo^ incensandolo più
volte ^ et finalmente benedice V Obelisco^ consecrandolo alla
Santissima Croce^ et scolpendo con un coltello una Croce
in ciascuna delle quattro facciate deWObelisco^ et mentre
che questi esorcismi , et benedittioni con molta devotione
si fanno , è risposto à tutti i versi , et a tutte t orationi
cantate dal f^escovoy da una bellissima et festeggiante mu-
sica y con la quale si cantano ancora alcuni hinni in ho-
nore del Nostro Redentore^ et della sua santissima croce.
Dopo la benedittione deW Obelisco si tira su la Croce le-
gata ad una corda j la quale è calata dalla cima dell* Obe-
lisco ^ et il sottodiacono monta su per le scale f acciocché
mentre che gli artefici fermano la Croce sopra la punta
deirObeliscOj egli tenga con le sue mani il fusto di detta
Croce: et subito ch'ella comincia ad apparire sopra fObe^
lisco, viene honorata da tutti gli circostanti inginocchiati
in terra f et è salutata con bellissime musiche, et con suoni
di Trombe. Fermata che è la Croce, il Diacono publica
l'indulgenza di quindici anni concessa da sua Santità alli
presenti, el a ciascuno che in stato di gratia passandovi,
honori la Croce. Di poi partendosi la processione si tirano
arteglierie della piazza et del Castello per segno di alle-
grezza, che ciascun debbe prendere della magnifica essai-
tatione della vittoriosa insegna del popolo Christiano.
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— 453 —
Il Fontana ebbe sooo scudi d'ora in contante, una pen-
sione di 2000 scudi trasferibile ai suoi eredi, je dieci cava-
lierati laùretani. Ebbe in dono , come si h costumato fino
air ultima colonna eretta in piazza di Spagna d* ordine di
Pio IX, tutto il materiale che aveva servito a quella ope-
razione; cbe si valutò più dì 20^000 scudi. Fu creato nobile
romano, ed in suo onore coniaronsi due medaglie. È l'obe-
lisco alto circa metri 25 ^|^, non compreso il piedestallo e
la croce.
Innocenzo XIII l'anno 1723 aggiunse, nel basso dell'obe-
lisco, gli ornati di bronzo, consistenti in aquile e festoni,
il tutto eseguito con direzione di monsignor Sergardi, stam-
pandovi sopra di ciò un discorso. Lo stesso papa fece cin-
gere con colonnette e sbarre di ferro l'area intorno oU'obe-
lìsco, servendosi di rocchi di colonne ricavati da frantumi
di quelle cbe rimanevano nelfantica basilica.
La croce posta nella sommità venoe ristaurata l'anno 1702
da Carlo Fontana con un meccanismo , di che dopo circa
mezzo secolo se ne fece autore il Zabaglia capomastro dei
sanpietrini in circostanza di un altro ristauro. Nel I8i7 per
le cure di monsignor Gilii , astronomo del Vaticano , sotto
la sua direzione venne disegnata la meridiana, come si vede
nell'area della piazza, alla quale quest'obelisco serve di gno-
mone. Finalmente Pio IX facendo riselciare la piazza di
s. Pietro, restaurò la meridiana suddetta, e vi pose i grandi
candelabri con globi di cristallo, che s'illuminano a gas.
Riferirono tutti i particolari delle grandi operazioni
dell' abbassamento , trasporto e rialzamento dell' obelisco il
Bargèo, il Mercati riportato^ il Pigafetta^ il Jodati, il Tor-
rigio, il Vittorelli ed altri scrittori contemporanei.
Riguardo alle iscrizioni fatte incidere nel suo piedestallo
da Sisto V, unitamente a quella della cuspide 0 punta dell'o-
belisco ad occidente verso la facciata di s. Pietro, la prima
cioè quella della cuspide, dice:
SANCTISSIMAE CRVCI
SIXTVS V. PONT. MAX.
CONSECRAVIT
E PRIORE SEDE AVVLSVM
ET CAES. AVG. ACTIB.
I. L. ABLATVM MDLXXXVI
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— 4M —
Nel piedestallo da questa parte leggesi:
CHRISTVS VINCIT
CHRISTV^ REGNAT
CHRISTVS IMPERAT
CHRISTVS
AR OMNi MALO
PLEREM
SVAM DEFENDAT
Nella faccia ad oriente;
ECCE CRVX DOMINI
FVGITE PARTES
ADVERSAE
VIGIT LEO
DE TRIRV IVDA
Nel lato meridionale del medesimo piedestallo:
SIXTVS V. PONT. MAX.
CRVGl INVICTAE
QRELISGYM YATICANYM
DIS GENTiVM
IMPIO CVLTV DICATVM
AD APOSTOLORTM LIMINA
OPEROSO LARORE
•
TRANSTVLIT
AN. M. D. LXXXVl. PONT. IN
A settentrione nell altra faccia:
SIXTVS V. PONT. MAX.
CRVCI INVICTAE
.ORELISGYH VATICANVH
AR IMPVRA SVPERSTITIONE
EXPIATVM IVSTIVS
ET FELIGIVS GONSECRAVIT
AN. M.D. LXXXVl. PONT. Il-
Sotto nello stesso lato:
DOMINIGVS FONTANA EX PAGO NILI
AGRI NOVOGOMENSIS TRANSTVLIT
ET EREXIT
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— 455 —
Restano ora a rirportarsi i conti camerali delle spese
occorse per Tabbassamento» il trasporto e l' innalzainento di
esso nella piazza di s. Pietro d'ordine di Sisto Y.
Obelisco f^aticano
Al cav. Domenico Fontana per la spesa occorsa
delV abbassamento y trasporto, elevazione e stabili-
mento deirObelisco con suoi ornati sulla piazza del
Praticano Se. 37000
Nota. Il conto esibito dal medesimo Fontana
ascendeva a Se. 38269^ ma venne ridotto e saldato
il 23 febbraro 1587 per la suddetta somma di Se. 37000
, Distinzione della spesa
Per libbre 39494 canepi, e funi a Se. 49 il mi^
gliaro Se. 1933
Per libbre 65251 ^ canepi e funi a Se. 47 il mi^
gliaro . . Se. 2596
Per libbre 44044 canepi e corde a Se. 45 zV mi-
gliaro Se. 1981 :I8
Per altre corde e funi Se. 224^50
Per prezzo di legnami di varia specie. . Se» 657i:95
Per ferramenti ed ottoni Se. 5536:54
Per la spesa del primo castello costruito per
abbassare VObelisco dal luogo antico^ compresi Se* 400
per il disfacimento del medesimo castello . Se» aioo
Per la spesa occorsa nella formazione del se-
condo castello eretto per inalzare VObelisco nella
piazza compresi Se. sòo per V opera del disfacimento -
del medesimo castello Se. 4300
Per spese fatte ad uso di muratore , scarpel-^
lino, ed altro Se. 9940149
A Gio. Bastiano Laurenzianoj e Francesco Cen--
sori fonditori camerali per la fusione j e lavorazione
de^varj oggetti di metallo in peso libbre 10812 nette
dal calo dell otto per cento e queste si distinguono
come appresso Se. 714:34
Se. 37O0O
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— 456 —
Per le poleggie , o siano girelle da traglie , ed
altri attrezzi , che servirono susseguentemente per
altre operazioni Lib. 9770
Per la Croce posta nella cima delVObeUsco Lib. 4S8
Per il balaustro con il bottone sotto la Croce Lib. 280
Per le mensole^ che sono sotto i monti . Lib. 224
Per tre arme messe ai monti .... Lib. 18
Per un pezzo di metallo messo ad un buco. Lib. 4
Per sette piastre di metallo poste sotto V Obe-
lisco Lib. 28
Lib. 10812
Seguono altre spese
Pagati per mani del cavaliere Fontana a Lodo-
vico Torrigiani per la fusione fatta delli quattro
leoni di metallo dorati a mordenti del peso Lib. 5694,
e conforme al modello di Prospero Bresciano e Cec-
chino da Pietrasanta scultori^ la di cui opera fu
stimata dal medesimo Fontana Se. 975, ma nel saldo
del conto fattogli il dì is novembre i587, e gli furono
Rogati Se. 96a
Il metallo andato in opera fra i 4 leoni, ed or-
namenti deirObelisco furono Lib. 6736, che uniti alle
altre Lib. 977a impiegate nelle puleggie, girelle, ed
altro , fanno in tutto Lib. 16506 , U cui valore non
fu considerato ; mentre era di proprietà della Ca-
mera Apostolica , che ne fece la somministrazione
alli fonditori.
A Colantonio Leante per aver fatto il modello
deir Obelisco pagatigli il dì 5 sud. i586 . . Se. 25
A Giacomo della Porta per spese fatte nel far
scoprire F Obelisco pagatigli il 30 settembre sud. Se. i7:25
A Baldassar Fornaro per il prezzo di una sua
casetta nel luogo antico delVObelisco gettata a terra,
pagatigli il dì 4 febbraro 1586 Se. 76:92
Pagati da Giovanni Agostino Pinelli Depositario
generale il dì 7 ottobre 1586 ad Ottavio Fànni orefice
per pagamento della collana dorata del Pontefice
Sisto f^' donata al cavaliere Fontana ... Se. 85:i0
Se. 1172.-27
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— 457 —
Resta ora di trattare dell'ultimo obelisco antico della yilla
già Mattei sul Monte Celio> alla quale si entra incontro alla
chiesa di s. Giovanni e Paolo , e perciò località molto lon-
tana dalla piazza del Vaticano.
OBELISCO DELLA VILLA GIÀ MATTEI
Questa aguglia non h che un frammento di un obelisco,
il quale per le dimensioni h analogo a quello che vedesi
innalzato nella piazza del Pantheon. Questo pezzo da Ci-
riaco Mattei» circa V anno 1582 » fu ristaurato e posto sopra
un. altro 'masso di granito rosso, tagliato anch'esso a forma
d'obelisco, perchè fosse d'ornamento ad un prato che dispose
a modo di circo nella villa sua magnifica celimontana anzidetta.
Gli Tenne donato dal senato e popolo romano, conside-
rando la cura , che poneva molto zelo a raccogliere monu-
menti per formar quivi un ricco museo.
Questa grande raccolta restò in detta villa fino all'ultimo
periodo del secolo decorso, fornendo poscia molti oggetti ri-
marchevoli al museo Pio dementino al Vaticano. Su questi
monumenti scrissero gli archeologi Amaduzzi e Venuti, com-
pilando un'opera divisa in tre volumi col titolo Monumenta
Mattheiana , comprendendovi pure quelli che esistevano nel
palazzo Mattei nel centro di Roma presso la piazza di
questo nome.
Questa villa già dei Mattei duchi di Giove con palazzo
eretto con architettura di Giacomo del Duca siciliano , nel
principio del secolo presente fu acquistata da D. Emmanuele
Godoi principe della Pace e di Bassano, e poscia fino al pre-
sente fu posseduta da altri. Il Godoi vi fece fare alcuni scavi,
ove fra le altre cose ritrovate, si distinguono un erme bi-
cipite colle teste di Socrate e Seneca, un pavimento di mu-
saico, e due iscrizioni in marmo, una delle quali incisa in
un piedestallo di statua dedicata all'imperator M. Aurelio
dalla coorte V dei vigili, che qui ebbe la Stazione; cioè di
que' soldati che guardavano la città dagl' incendi come gli
attuali vigili o pompieri.
Nel piano che sta dinnanzi al casino , ergesi 1* obelisco
di cui parliamo, il quale prima era di pertinenza della citta
di Roma, poiché da tempo immemorabile tal frammento ve-
devasi giacente sul Campidoglio avanti alla cordonata per
cui discendesi all'arco di Settimio Severo.
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— 458 —
Si ha da Svetooio in Domiziano càp. I, che nel Campi-
doglio vi era un tempio d*[side con collegio di sacerdoti isiaci«
dal che si sarebbe potuto congetturare con qualche grado
di probabilità^ che da quel tempio 11 frammento fosse pro-
venuto, al che osta per essere stato l'obelisco compagno e
con la stessa iscrizione a geroglifici di quello ora eretto sulla
piazza del Pantheon, proveniente^ come si disse , dai pros-
simi tempj d'Iside e Serapide.
Esso era scoperto fino dal primo periodo del secolo XV,
poiché lo ricorda Poggio Fiorentino de f^arietate Fortunae
lib. I, e successivamente in qael posto viene indicato da altri
fino ai traslocamento alla villa Mattei.
Dopo che la villa Tanno isso venne in potere del prìn-
cipe della Pace, esso fra gli altrì lavori di abbellimento e
di ristauro, fece pur quello di riaUar l'obelisco che minac-
ciava rovina, Néll'erigerlo di nuovo» avvenne un infortunioi
cioè che uno degli operai , tenendo le mani sotto , mentre
l'obelisco si collocava, miseramente ve le perdette, sorpreso
dalTimprovvisa rottura di un canapo che in un istante fece
piombare la mole nel sito destinato. L'infelice fra gli spar-
simi ebbe a soffrire nel luogo stesso l'amputazione, lasciando
le tildtii con parte d'un braccio schiacciato fra il piedestallo
e l'obéliseo.
Venendo ora ai geroglifici della parte antica, secondo la
spiegazione fattane dal padre Ungarelli nell'opera più volte
riportata, egli dice che questo frammento appartiene ad un
obelisco di Ranises III , che come dicemmo altra volta co-
mitlciò a regnare in Egitto circa 1' anno isds innanzi V èra
volgare. Il medesimo poi dice che essendo tre faccie scolpite
eguali^ e che solo nella faccia occidentale la figura del ves-
sillo differìsce dalle altre, ha creduto di riportare la seguente.
FÀCCiA oca DB NT ALE - PiRAUtDB
Sole custode della verità scelto dal sole.
Di Ammone amico Bamses.
IfBL SOMINATO VSSSiUO
Haroeris^ fot'te figlio di Tore (o Phtah) Ae sole custode
della veriéà scelto dal sole » /%/io del sole , di Aminone
amico Ramses.
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— 459 —
FRAMMENTI D' OBELISCHI
ED OBELISCO DELL'ISOLA TIBERINA
Il Valesio scrisse nel sao Diario , che 1* anno |70« ai
16 di agosto il card. Alessandro. Albani ebbe in dono dai
gesuiti tre pezzi di obelischi di piccola dimensione, certo
provenienti dai tenjpj d* Iside e Serapide di cui abbiamo
altre volte parlato.
Uno serviva come cantonata accsinto allo speziale di
s. Bartolomeo de'Bergamaschi (i), dove era stato posto ai tempi
di papa Paolo lY, che ampliò lex convento di s. Maria sopra
Minerva dei pp. domenicani, come mostrava una lapide ìi^i
apposta. L'altro stava nel cantone incontro, vale a dire nello
sbocco della via de' Bergamaschi a piazza Colonna , ed il
terzo stava dentro la fabbrica del ex Collegio Romano diretto
dai pp. gesuiti (s). Questi oggi non rimangono più in Roma»
L'obelisco di s. Bartolomeo all'isola cosi venne descrìtto
dal Gamucci l'anno 1565. È opinione di alcuni antiquarij
che per ornamento^ deir isola j vi fosse messo nel mezo quel
Obelisco , che ne tempi nostri si vede in su la pic^zza di
san Bartolomeo^ perchè rappresentasse V alberò \ il che io
{si debbo dire il parer mio) nò credo ne mi è capace che
alla grandezza di quella nave^ di cui aveva forma l'isoldf
havessero dato con tanta sproportione un sì piccolo albero^
onde credo che quello ad altro hornamento habbia servito.
11 Gamucci giustamente riprova quella comune credenza che
si è mantenuta in parte. fino a nostri giorni, cio^ che questo
piccolo obelisco avesse rappresentato l'albero di quella che
da Epidauro nel 462 di Roma trasportò nell'isola il /serpente
di Esculapio all'occasione della peste. E ciò come contrario
alle proporzioni dell'isola cui fu data la forma di quella nave,
essendo per albero troppo piccolo (3). Dopo di queir epoca
questo obelisco frammentato, già piccolo di ^ua natura , fu
rotto in più pezzi, come si ha dal Casimiro: Memorie Jsto-
riche delle Chiese e dei Commenti dei Frati Minori delia
provincia Romana, pag. 328. Egli dice che uno di tali fram-
menti era non lungi dalla porta del convento dì s. Barto-
'■■»'■■ Ili . I \ ■ ' ■ ' ■ ■ -1 I ■ I mi. Il I I ■■ ■ r
(M Questa chiesa ora è nota col nome di s. Maria deJU Pù&tà ip piazza
Colonna.
(2) Ora Liceo Eddìo Quirino Visconti..
(3) £ daopo ricordare cbe Livio e Dionisio asaeri^eono essei'3i for^^^ta
rìsola coi fasci di grano tolti dai campi del re Tarquinio il Superbo, e get-
tati nel Tevere.
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— 460 —
lomeo ranno 1764. 1 due pezzi superstiti nel fine dello scorso
secolo vennero presi dal card. Stefano Borgia, trasportandoli
nel suo museo in Velletri ; ma dopo la sua morte insieme
agli altri oggetti nel I8i4 per acquisto passarono alla corte
di Napoli, onde oggi miransi nella sala della collezione egizia
del Museo Nazionale.
LXIX.
FILIPPO MARIA GERARDI
II giorno 18 di febbraio del 1874 moriva in Roma di un
subito Filippo Maria Gerardi, e passava di questa vita ricor-
dato e compianto solo dalla famiglia e dai più stretti amici,
come fosse un uomo qualunque, od un impiegato comune di
cui si parlerà il dì appresso dai suoi compagni di ufficio e
non più. E questa indegna dimenticanza veniva dalle speciali
condizioni nelle quali era Roma in quei giorni, da poco fatta
metropoli dltalia, non ancora ordinata, e le menti tuttavia
distratte dai buoni studj^ con dispareri e opposizioni nelle opi-
nioni politiche, amministrative, e letterarie, con nuove genti,
comechè, per buona ventura, tutte italiane, ma che mal co-
noscevano, mal giudicavano Roma, i suoi cittadini, e molto
meno quanto questi avessero operato politicamente e lettera-
riamente dai primordi del presente secolo Gno al memorabile
e sempre carissimo anno i87o, in cui col resto d'Italia fu re-
denta anche la stessa Roma.
Dei concittadini o condiscepoli od amici del Gerardi molti
erano morti , altri per vicende politiche sbandati qua e Ik
da lunghi anni. Cosi il Gerardi moriva quasi fra stranieri
in mezzo ai suoi, e però generalmente sconosciuto e dimen-
ticato. Ma non h giusto prosegua questa dimenticanza di un
uomo che all'onore degli studj e della patria consacrò intera
una vita neppure tanto breve , e che dell' ingegno e degli
studj suoi lasciò bastante testimonianza in più opere date
al pubblico colla stampa. Però ricordo come ioancor giova-
netto prendessi a stimarlo fin d'allora e a volergli bene per
alcuni suoi scritti, e segnatamente per rOssERVATORS che già
leggeva con diletto ed ammirazione , io dei pochi rimasti
oggimai fra i suoi vecchi amici, mi sento in dovere di richia-
mare come so meglio la sua memoria, e renderlo conosciuto
non solo ai presenti, ma fare che per queste carte non tra-
passi neppure ignorato a chi verrà da noi.
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•^ 4Ci
Verso il 1820 gli studj delle lettere e segnatamente della
lingua italiana, dopo la rovina patita dai tanti francesismi^
si ravvivavano in ogni città nostra, e così auche in Roma.
Qui una schiera dì valentissimi si adoperava a questo fine,
e si potrebbero ricordare il Perticari, l'Odescalchi, il Biondi,
il Marsuzzi, TAmati, il Cecilia, il venerando e tuttavia vi-
vente Salvator Betti, e non so quanti altri che a propagare
quei ravvivati studj pubblicavano il Giornale Arcadico.
Ma di tutti gli altri fu assai benemerito quel Luigi Maria
Rezzi che, cacciato dal sodalizio dei Gesuiti per intrighi della
setta, si ebbe dal Consalvi, che prese a sostenerlo e proteg-
gerlo, la cattedra di letteratura latina ed italiana nella nostra
Università; e dallo insegnamento di un taiìto maestro sor-
geva quella scuola che fu poi detta scuola romana, la quale
tenne agli antichi classici nella letteratura , né mai volle
'accogliere le forme straniere e non di nostra indole, che già
facevano capolino fra noi, e nella lingua airantica purezza
e venusta contro i barbarismi di cui da molti era già troppo
imbrattata. Ora dei primi fra gli scolari del Rezzi degni di
memoria fu quel Luigi Fornacìari da Lucca^ venuto in Roma
per istudiarvi il diritto , e che acquistò poi si bella fama
di purgato ed elegante scrittore. Dopo di lui viene il nostro
Gerardi. Che gli scolari del Rezzi si succedono come di ge-
nerazione in generazione per lunghi anni fra i migliori scrit-
tori di Roma, i quali costituiscono, come si diceva, quella
scuola romana, che clii per vezzo nega, o mette in beffe deve
pur riconoscere come quella che sostenne fino al presente i
buoni principj delle lettere e della lingua sì generalmente
malmenata oggidì.
Ma per tornare al Gerardi dirò com' egli nascesse in
Roma nel 5 di marzo del 1805 da Ferdinando di quel casato
e da Maria Weder. Il padre morì anch* egli repentinamente
e di dolore per aver veduto tolto alTimprovvìso da inaspet-
tata legge ogni valore alle così dette cedole, onde lasciava
nella miseria la povera famiglia. Così anche questo figliuol
suo Filippo, e ne aveva altri, crebbe in mezzo a privazioni
di ogni genere, ma non per tanto fu mandato dalla madre
agli studi presso i padri Scolopi in S. Pantaleo, e vi fece
tali e così rapidi progressi che in breve ne uscì per andare
airuniversita della Sapienza romana. Ma gli difettava la età,
che aveva preceduta collo studio, per la qual cosa gli con-
venne averne la sanatoria dalle potestà scolastiche. E la ot-
tenne facilmente in grazia dei progressi fatti in quelle prime
62
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4^ —
scuole. Entrò nella uni?ersita per darsi allo stadio della gia-
risprndenza , nella quale facoltà si meritò la laurea ad ho-^
noremy come allora si diceva.
Vedevamo sopra di che maniera il Rezzi fosse stato dal
Gonsalvi mandato ad insegnare lettere nella slessa u&iversitk.
Ora i desiderosi di questo studio accorrevano a quella scuola^
sebbene non fosse di obbligo, ed il nostro Gerardi, coalem*
poranearaente a quella di giurisprudenza» frequentava questa
di belle lettere e prendeva a stimare ed amare il valoroso
maestro da cui facilmente fu presto tenuto in conio ed amato
come colui che mostrava tanta disposizione alle stesse let-
tere. Questa reciproca stima e benevolenza fra scolaro e
maestro durò poi per tutta la vita. Uscita dalle scuole il. Gè-
rardi non tardò molto a cimentarsi nel pubblico colla stampa
di' alcun suo scritto letterario, e primo fu un suo giornaletto
che pubblicava settimanalmente e che, imitando Gaspare Gozzi,
intitoliava altresì VOsssrvàtorBì il quale, come quello del ve-
neto letterato, si componeva di racconti, di aneddoti, di favole,
novelle, epigrammi, spiritose invenzixHii che ne rendevano f»^
cile e piacevole la lettura, perchè alla varietà e moralitji della
materia congiungeva uno stile vivace e grazioso, una lingua
puramente italiana ed elegante, come oggi non è facile vedere
usata. Peccato che di questo giornale aoa sia agevole ormai
trovare più copia, per quanto io l'abbia rìoercata e nelle pub-
bliche biblioteche della nostra citta e da privali raccoglitori,
perchè uscendo ogni settimana in pìccolo foglio staccato, uou
facilmente raccolti in uno, andò perduto. Né io stesso Gerard!
si curò di conservarne copia in famiglia, tanto era poco cu-
rante dei propri scritti. Ma qual conto si facesse a quei giorni
del nuovo Osservatore di questo giovane letterato, basta il
ricordare come la elegante opera avuta in assai pregio, tanto
per lo stile con cui era dettata, quanto per le materie che
vi si trattavano, e specialmente in fatto di morale, come si
esprimeva in un suo attestato il principe don Pietro Ode-
scalchi, che la società del Giornale Arcadico volle nominarlo
all'ufficio di uno dei dodici compilatori dello stesso giornale.
Così il Gerardi ebbe nuovo stimolo e largo campo ad eser-
citarsi nelle lettere, sebbene nello stesso tempo facesse pra-
tica di giurisprudenza presso uno dei piiì illustri avvocali che
era Durante Valentini. Ma 1* avvocatura nou esercitò mai il
Gerardi, preso unicamente dall'amore delle lettere. Ed il Rezzi
parlando dello stesso Osserifotore scrive che <r incontrò luni-
yersale gradimento degli uomini colti^st per la vaghezza delle
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•^ 463 —
fantasie^ che per la purgatezza e bontà del linguaggio, stu-
diato e molto bene da esso Gerardi imparato sui migUori
scrittori.
Oltre die nel giornale Arcadico scriveva nell'^^ Ita-
liana delle belle arti» che pubblicava l'archeologo marchese
Giuseppe Melchiorri. Io questa, fra le altre cose, illustrava
raffresco di Raffaello che trovasi iu S. Severo. Roma, a quei
lefiipi, era veramente la sede principale in Italia, anzi nel
«ondo , delle belle arti , e i migliori artisti di ogni paese
qui convenivano e bellamente operavano*
Era universale Tamore e l'apprezzamento di queste arti;
tutti ne parlayano; se alcuna opera nuova usciva dalle mani
di quei valenti, ognuno si compiaceva di andarla a visitare
e ad ammirare* Più di un giornale trattava di esse, oltre l'Ape
Italiana e i giovani scrittori facevano le prime lor prove
con articoli su le arti stesse, seguendo l'esempio del Giordani.
Così il Gerardi mollo scrisse di arti, ma lungo e non facile
sarebbe il ricercare e ricordare tutti gli articoli da lui pub-
blicati segnatamente in questa materia, e nel giornale la Pal-
LADE e nel Tibcbuio e in altri; per cui mi par tempo oramai
di continuare la sua vita , ricordando i principali opuscoli
e le voluminose opere da lui lasciate. E tra gli opuscoli mi
viene primo sott*occhio la biografia di quel gentile e sommo
maestro di musica , Vincenzo Bellini , la quale pei tipi dei
Salviucci pubblicava nel i83S, dedicandola a quel zelantissimo
cultore e promotore dei buoni studi che fu monsignor Carlo
Emanuele Muzzarelli Tanno stesso iu cui l'Italia, il mondo
intero perdeva innanzi tempo quel sommo.
Dello stesso anno Roma perdeva un altro grande artista
nel suo trasteverino Bartolomeo Pinelli, potente e bizzarro
ingegno. Egli operò segnatamente nel comporre disegnando ed
incidere all'acqua forte la storia romana, i costumi romaneschi,
il Meo Patacca ed altro che non è luogo qui di rammemorare.
Dirò solo che, non appena spento il Pinelli, Oreste Raggi,
giovane allora, fu primo a pubblicare la più copiosa e par-
ticolareggiata vita di lui per quanto lo comportasse la brevità
del tempo in cui si affrettò di metterla in luce. Altri poi sulle
[ notizie raccolte dal R|iggi pubblicò altre biografie e fra questi
[ il Falconieri, e lo stesso Gerardi. Il quale di biograBe scrisse
I parecchie ancora, come quella del professore di matematiche
[ Riochebach; e nel 1837 quella del famoso scultore inglese Mattia
Kessels, e nel 183S quella di Alessandro Pieri; nel quale anno
fu invitato a scrivere anche nel Giornale scientifico e lette^
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— 464 —
rario che si pubblicava in Modena. Ma di biografie andò fra
le più stimate TElogio funebre di quel fiore di carità e ado-
rata donna che fu la pricicipessa Guendalina Talbot Borghese»
la quale morendo ancor giovanissima in Roma, aveva ecci-
tato il compianto universale, e fu accompagnata alla sepol-
tura da così immenso e rattistrato popolo che non fu visto
mai il maggiore. E V ultima biografia che merita di essere
ricordata si fu quella dell'iucisore Agostino Valentini romano,
colla quale il Gerardi, com'egli si esprime, mirò a compiere
un sacro dovere verso un amico , ed a persuadere ai suoi
concittadini come si possa anche servire alla patria procu-
rando di conservare intatta la gloria immensa derivatale dalle
arti belle.
E qui lasciando dei molti opuscoli, comincerò a dire delle
più volumioose opere da lui dettate , ma pubblicate col
nome di altri. E delle prime furono le tre principali basiliche
di Roma, cioè, la Lateranense, la Liberiana e la Vaticana, la
prima delle quali edita in due volumi in foglio, la seconda in
un solo, la terza in due altresì, e al secondo volume di questa
terza fu aggiunta la illustrazione e la descrizioue delle fa*
mosissime logge Vaticane, conosciute dovunque col nome di
logge di Raffaello. Il Valentini ne ebbe il pensiero, le mag-
giori cure, le spese, onde sotto il nome di lui andò questa
pubblicazione , ma la parte descrittiva e letteraria fu tutta
opera del Gerardi^ come, se non nel frontespizio, si legge
nell'ultima carta del libro. La insigne Accademia romana delie
belle arti, denominata di S. Luca, volle rimeritare per comun
voto del corpo accademico il Valentini della grande opera,
con una medaglia che accompagnava con parole di lodi tanto
per la parte tipografica, quanto per la incisione delle tavole
e per le descrizioni, onde questa attestazione di merito che
dav9 quella insigne Accademia ali* editore torna ad onore
anche del nostro amico scrittore.
Sotto il nome dello stesso Valentini^ ma pure per opera
del Gerardi^ si ristamparono molte edizioni, l'ultima delle quali
nel 1870, della Guida di Roma che Antonio Nibby aveva ri-
fatta su quella del Vasi e di cui aveva ceduta la proprietà
al Valentini. Ogni nuova edizione si arricchiva delle nuove
scoperte archeologiche e di tutti quei lavori artistici , coi
quali si andavano di mano in mano adornando le chiese ed
i principeschi palazzi di Roma. Non va sotto il suo nome,
né potei trovarne la ragione, ma va sotto quello del Giucci
la voluminosa opera sulla storia degli ordini religiosi e caval-
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— 405 —
leresclii. Egli cooperò col marchese Giuseppe Melcbiorri nella
illustrazione del Campidoglio pubblicata sotto il nome del
Righetti» e col cavaliere Pietro Ercole Visconti nella pubbli-
cazione del Dizionario storico delle citta e famiglie nobili e
celebri dello stato pontificio. Col suo nome peraltro pubbli*
cava nel iS45 una illustrazione del primo monumento che
Pietro Tenerani aveva scolpito del generale Simone Bolivar
per la città di Bogota nell^^merica Meridionale. E di questa
illustrazione basta per ogni elogio quanto ne scriveva il Gior-
dani allo' stesso Tenerani: « Io poi » e non io solo , dob-
D biamo congratularci coll'ottimo giudizio di lei che a de-
» scrivere tanta opera ha eletto uno scrittore come oggidì se
» ne trova pochissimi. »
E poiché non fu indifferente al primo movimento dltalia
che nel 1846 ebbe luogo per quel meraviglioso papa che fu
Pio IX, cosi anch*egli il Gerardi come tutto il mondo, si com-
mosse al primo e solenne atto dello stesso pontefice di quella
vera e grande amnistia. Molti di noi rammentiamo 1' entu-
siastiche feste del popolo romano per quell'atto solenne; ma
per chi non le vide e per i futuri le narrava il Gerardi nel
numero 17 del giornale la Pallade, da lui fondato e da cui
estraeva in gran numero di copie questo scritto per renderlo
più comune. Questo, che e de'suoi migliori, e quello che descri-
veva il possesso di esso Pio IX, riprodusse in molte città d'Italia
e valsero a rendere più conosciuto e a ripetersi per ogni dove
il nome del Gerardi medesimo. Ricorderò ancora fra i migliori
scritti suoi di belle arti la illustrazione del gran quadro dei
Bruni rappresentante il Serpente di bronzo, che menò tanto
rumore a quei giorni (verso il 1839), e che fu portato a Pie-
troburgo, dove il Bruni era chiamato a dirigere Taccademia
di belle arti; e da ultimo ricorderò la illustrazione degli af-
freschi che primo il pittore Francesco Giangiacomo e poi l'altro
Pietro Gagliardi ebbero operato nella chiesa di S. Girolamo
degli Schiavoni; la quale illustrazione il Gerardi pubblicava
nel 1852. L*ultimo suo scritto per altro, come ho già detto,
fu la biografia del Valentini che nel i87i pubblicava in omaggio
alla memoria delFestinto amico. Ne la prosa solo, ma coltivò
altres\ la poesia^ segnatamente la bernesca e la satirica. Molte
pasquinate che corrono per Roma erano sue; e la lingua e lo
stile usò egualmente purgato ed elegante come nella prosa. Ma
non conosco che di poesie stampasse, poiché neppure di queste
faceva egli gran conto; erano poesie di occasione, passata la
quale non se ne occupava più. Rammento come in quel risve-
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— 466 —
gliarsi dello studio della lingua sui trecentisti, alcuai» come
avviene di tutte le novità, toccavano lafFettazione e la cari-
catura, e fra questi in Roma un tal dottore Laurenzi pub*
hlicò un manifesto di una sua opera chirurgica^ scritto in
una lingua così antiquata che nh si comprendeva, uh si com-
portava senza riderne. 11 Gerardi prese quest' argomento e
scagliò contro al Laurenzi un sonetto in quella stessa anti-
quata e strana lingua che mi piacerebbe ricordarlo per in-
tiero^ come ricordo questi primi sei versi:
Cinque mai si abbabboccio s'è loquito
Come voi fate nò $\ infusamente,
E dite poi capponissimamente
Saper la nostra lingua a mena dito;
Sitite che strombettavi la gente
Per culto viro soavi eloquente, ecc.
Fin qui il Gerardi letterato e scrittore, e basterebbe alla
sua meritata rinomanza; ma anche i letterati e scrittori vo*
gliono essere considerati nella vita famigliare e civile, e sotto
questo duplice aspetto dirò^ che nel iS40 condusse in moglie
Elena Doria, da cui ebbe tre figli, Ferdinando, Adriano, Ma-
rina e si mostrò sempre buon marito e padre affettuosissimo,
curando la educazione di questi suoi figliuoli che alle paterne
cure corrisposero come ne* nuovi tempi generalmente non si
usa più. Alla indipendenza ed alla liberta dellltalia rivolse
il pensiero e V affetto fin da quando quest' affetto e questo
pensiero era grave delitto il nutrire. Imperocché , a voler
dire il vero , il Rezzi , nostro adorato maestro , già gesuita
ed ora vero sacerdote, coU'ufficio delle lettere insinuava in
tutti i suoi allievi quest'amore d'Italia, e tutti o colla penna,
o con le armi combattemmo sempre per questa cara patria,
ed il Gerardi combatté e con le armi e con la penna. Fin
dal 1831 , stretto di amicizia coi principe Luigi Napoleone
Buonaparte, cospirava al risorgimento d'Italia. Abbiamo ve-
duto come nel 1846 si ehtusiasmasse anch' egli ai prim' atti
di Pio IX, che accennavano al risorgimento della Patria, che
poi il Papa non seppe costantemente volere, anzi vi si fece
contrario. Nel 1848 il Gerardi fu inviato Commissario straor^
dinario > nel Veneto pel riordinamento delle legioni romane ,
e si trovò nella battaglia di Vicenza. Dei Ministri della Guerra,
principe Andrea Doria e principe Camillo Aldobrandini , fu
segretario, e tale ufficio ebbe altresì nel comando generale
della Guardia civica di quel tempo. Precipitate presto le sorti
di Roma, questa, occupata mano armata dai repubblicani fran-
cesi^ che da buoni fratelli vennero ad imporci nuovamente
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467
il potere temporale del Papa, il principe don Pietro Odescalchi,
non solo uomo di lettere , ma ottimo cittadino , di mite e
nobile animo, fu per buona ventura chiamato a Presidente
della Commissione municipale, istituita in quel 1849 dal rista-
bilito Governo pontificio. E poiché V Odescalchi , come ab-
biamo veduto, aveva da più anni in molta stima ed affetto
il nostro Gerardi, cosi non esitò^ conoscendo il valore e la
onesta sua, a chiamarlo presso di se, perché lo coadiuvasse
nei lavori della stessa Commissione. Eletto Senatore dì Roma
o , come meglio si dice oggi , Sindaco , il principe Urbano
Del Drago, anche questi volle presso di se il Gerardi, il
quale per breve tempo alla morte di quel Senatore , messo
in disponibilità^ fu poi richiamato coll'incarìco di proseguire
gli annali capitolini. Promosso quindi a capo dell'ufficio di
segretario vi rimase fino all'anno 1873, quando la gente nuova
del Municipio, lui non richiedente , ed inaspettatamente Io
collocò in riposo. Il suo animo ne fu fortemente amareggiato,
e questa grave amarezza, forse non fu ultima causa della sua
morte, poiché egli era d'animo irrascibile e disdegnoso. Ma
oltre gli ufficii che sostenne nel Municipio , altri ne ebbe
nella Direzione delle nostre vie ferrate. Egli fino dal 1866
erasi adoperato perché il Governo pontificio avesse anch'esso
una rete di queste vie, e quando nel successivo 1857 si fon-
dava la società concessionaria delle linee da Roma a Civita-
vecchia, Bologna, Ancona e Napoli, egli ne compilò gli Sta-
tuti e i Capitolati e ne ordinò l'amministrazione. Però la So*
cieta medesima nel 1860 lo nominava suo Segretario generale,
ufficio che tenne fino al febbraio del 1874, quando la morte
toglieva lui ad ogni ufficio, alle lettere, alla famiglia ed alla
patria. Vivente ebbe amicizie e relazioni con tutti i più ce-
lebrati scrittori del suo tempo. Dalla sua morte ad oggi fu
quasi dimenticato, ed ora vorrei che si riconoscesse, come già
in sua vita, il valore eh' egli ebbe nelle lettere, e che di lui
fosse il nome tenuto in quel maggior conto che egli merita
fra i suoi concittadini e per tutto il resto d'Italia.
Di Roma nel settembre del 1881.
Oreste Raggi
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— 46S —
LXX.
Alcune osservazioni dirette al signor Cesare Quarenghi
dal cav. Camillo Ravioli sopra tre punti , che questo
concernono e che leggonsi nella Bàssbgna Bibliografica
e nelle Cinte Murali di Roma da quello pubblicate.
Mio buon amico
Roma 21 luglio i88i
Mi permetto d'usare della stessa espressione sua, colla
quale volle onorarmi nella Rassegna Bibliografica y ch'Ella
mise in luce ùeìV Italia militare del 7 decembre isso N? 146^
quando insieme già ad altro illustre scrittore si trovò concorde
a volere aver la bontà di addossarmi d* aver io sostenuto
che i bastioni a san Paolo coi fianchi dupUcati non sieno
opera di Antonio Sangalloyma di Giovanni il Gobbo. Allorché
pubblicai la Notizia sui lavori d^ architettura militare di tutti
i Sangallo (Roma 1863) nulla sostenni; poiché lo storico non fa
il causidico, ed io non mi sentU predilezione nessuna par-
teggiando piuttosto per V uno che per V altro ; ma detti a
ciascuno il suo e dissi di Antonio (a pag. 23 e 24) che quanto
alla iiwenzione sieno opera sua e dissi di Giovanni il Gobbo
fratello minore di Antonio (i) ch'egli spese tutto il suo tempo
nella direzione delle fabbriche di Antonio^ poiché dove questi
alcuna volta non poteva così tosto essere^ serviva Valuto di
Battista , perchè cosi si esprime il Vasari (a pag. 37) ; ed
aggiunsi che al Baluardo fuori porta San Paolo suU'autorità
delle parole del celebre De Marchi: Gio. Battista vegliava
alVesecuzione e ai congressi e dispute interveniva (a pag. 38).
Quest'era il succo della mia dimostrazione storica; sintesi di
più disparate notizie tolte dagli autori, e non foggiate di mio
arbitrio a capriccio. 11 merito dunque de'fìanchi duplicati e
(1) Oramai è accertato per la lettura di due sottoscrizioni autografe che
questi due fratelli, figli di Èsmeralda Giamberti e di Bartolommeo» creduto
sempre dei Picconi, come si legge nelle Vite del Vasari, avevano ben altro
cognome. Difatto Antonio si trova sottoscritto: Àfdonio di Bartolomeo Cor-
diani, lotto nei mss. di casa Gaddi per Condiani, dal Geymuller in un libro
posseduto dal sig. Piot a Parigi per Corolianù dal Milanesi a Firenze rice-
vuto per Coriolani, dal Ravioli per logiche induzioni, dedotte dall'analisi
delle scritture di Antonio per Cordiani; alla qual sentenza pare accostarsi il
Geymuller medesimo per recenti lettere. (Veggasi intanto II Buonarroti,
serie II, voi. XIV, luglio i880 (3 giugno 1881) pag. 249).
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— 469 —
d^ ogDÌ invenzione Sangallesca resterà sempre ad Antonio ,
r esecuzione alcuna inolia al Battista: per Io che qualunque
argomento di sofista essendomi estraneo, concluderò de hoc
satisj arcicontento io dell'approvazione riportata dairillustre
Carlo Promìs {GV Ingegneri e gli scrittori militari Bolognesi
del Xì^ e XVI secolo , Torino 1863 , pag. 83) , quand* egli
citando opportunamente le mie Notizie sui Sangallo le chiamò
dotte ed accurate.
Ma ben altra causa, mio buon amico, mi fece prender
la penna: sono le Cinte Murali di Roma^ altro egregio la-
voro suo, che si legge nella Nìwva Antologia^ Fascicolo IX,
1^ maggio 1881, pag. 78. Perdoni se oso entrar nel suo campo,
ma credo di averne il diritto; poiché son quel desso che dopo
di aver dato alle stampe le Notizie sui lavori di architet-
tura militare di Camillo Orsini, in ispecie per. la cinta pen-
tagonale di Castelsantangelo (Veggasi il Giornale Arcadico^
tomo LXVII della nuova serie, Roma isti), volli aggiungere
a quella una mia Appendice Cronologica delle Mura innal-
zate daltetà più remote fino a noi a difesa del suolo che
occupa Roma ; nel qual lavoro colla pubblicazione giunsi
all'anno 1485 e non potei proseguire^ perchè quel giornale,
fondato nel I8i9 co' nomi di un Perticari, di un Monti, di
un Betti, di un Nibby, di un Borghesi, di un Amati, di un
Odescalchi per tacer d'altri illustri, si estinse per una ca-
gione ben semplice, l'abbandono del sussidio ufficiale^ nuovo
genere di trasfusione di sangue che dai fratelli italiani hanno
avuto i Romani dal 1870 in poi. Ma ora non parlo tanto di
questo mio lavoro^ quanto dell'altro pur mio: H sito delle
Pile Sabine nel Foro Rombino ec. , V esterno della Roma
quadrata^ sue porte j clivi e colline ^ solco del Pomerio di
Romolo ec, Roma 1870 (veggasi il Giorn. Are ad. cit. Tomo
LXIII della nuova serie). Posso assicurarla che non avrei
ricordato questi miei precedenti lavori, dove s'incontrano idee
originali e mie, non manifestate mai da nessuno, se Ella s^vesse
dimenticato me e quelli; imperocché non avrei avuto io ra«
gione di dir nulla, essendosi Ella espressa ben chiaro nella
prolusione che le sue pagine son frutto di ripetute ricerche
su opere scritte^ senza dir quali, altro bel trovato de'tempi
liberi della razza umana, che si dà il vanto di rigeneratrice.
Invece però mi cita a pag. 82 dicendo .... una poHa a cui
il dotto Ravioli dà il nome di Capena^ ma della quale non
v'è notizia alcuna. La frase e ambigua; forse perchè, domando
io, non si trova traccia di quella sul terreno? ovvero perchè
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— 470 —
si teme ette abbia ardito io di porla nel i*ecinto di Romolo
arbitrariamente? Po^te que.ste due quislioni, nulla curando la
prima, con brevi parole mi occuperò della seconda.
Indipendentemente dai recìnti parziali dei colli del Set-
timon«io, abitati anteriormente alla fondazione di Roma, si
ha quello della Roma quadrata col suo pomerio inaugurato
da Romolo; il secondo che va sotto il nome di recinto ed
aggere di Servio Tullio; Tultimo quello di Aureliano. Ognuno
di questi giri di mura aveva le sue porte. E Plinio dice
chiaro quante ne avesse la Roma di Romolo, tre o quattro:
Urbem tres portas habentem Romulus reliquit^ et ut più-
rimas tradentibus credamus (juatuor. V una la Mugonia a
capo il clivo Palatino o sacro^ l'altra la iRoraanula a capo
aWinftmus clwus f^toriae^ e se resta incerta la quarta a
capo le scale di Caco , che pure essendo Scale in qualche
buco do^reano finire , a meno che non fossero come quelle
del monumento di piazza di Spagna del Poletti , le quali
menano sulla faccia dei quattro bassorilievi , resta sempre
a trovarsi la terza. E notisi bene che tre volte Romolo do-
vette alzar l'aratro per non solcar la via in salita, che di-
rigevasi agli ingressi già esistenti; cioè, ai piedi AeWinfimas
elibus f^ictoriae cominciò T inaugurazione seuz* essere obbli-
gato ad alzarvi l'aratro; ma Talzò ai piedi della via che era
diretta alle scale di Caco, ai piedi del cliw^s PuUium e ai
piedi del clwus Palatinus ; imperocché gli etruschi come
notò Servio aravano il solco dei pomeri! aratrum suspen-
dentes circa loca portarum e la voce porta vien da por-
tandOi ossia dairahamento dell'aratro sulla via o sul clivo
in direzione dell'ingresso delle citta.
La Roma di Romolo non ebbe ingrandimento e nuova
cinta fino a Servio^ sesto re, da costituire nuove porte; pur
tuttavia un ingrandimento Tebbe dal lato settentrionale; lo
dice Tacito: Forumque Romànum et Capitolium non a Ro-
mulof sed a T. Tatio additum urbi credidere. D'altronde
la Mugonia a un dipresso stava a levante, la Romanula a
settentrione e le scale di Caco a ponente : la terza porta
adunque di Plinio e delia storia deve essere quella posta
a mezzodì.
Udiamo che cosa narra Tito Livio avvenuto da quel lato
sotto Tulio Ostilio, terzo re di Roma: Interim TìiUus ferox...
infesto exercitu in agrum Albanum pergit. E Tagro Albano
sta a mezzodì di Roma. Non istarò a fermarmi, sul combat-
timento degli Orazi e Curiazi , ma vado diritto agli effetti
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di esso: Ita exercitus inde domos abducti Princeps Horatius
ibat, tergemina spolia prae se gerensi cui soror virgo, qiuie
desponsa uni ex Curiatiis fuerat^ obvia ante portàm Ca-
pe tfAM piit... Certo sotto il terzo re non sarà quistione della
porta Capena del recinto di Servio, sesto re! Di più, che
dicean tra le diverse pene le leggi? ... verberato vel intra
pomoeriuntj vel extra pomoerium. E quando era per appli-
carsi la legge, il re^ cui sembrò troppo austera io quel caso,
appellatosi al popolo, forni occasione al vecchio padre Orazio
di perorare pel figlio. £ quali parole quegli proferse per com-
moverlo? ... gerbera vel intra pomoerium ^ modo inter illa
pilaj et spolia hostium: vel extra pomoerium^ modo intra
sepulcra Curiatiorum ... E di che pomerio potea parlare il
vecchio Orazio^ se non di quello di Romolo? E se il clivus
Pullium^ con cammino sceo, come tutti gli altri^ metteva
ad una porta, la terza porta dì Romolo non fu la Capena (2)?
L*unica che, non volendosi, alla moderna, credere Tespressione
di Tito Livio, sarebbe senza nome e rivolta a mezzodì; che
avea, dopo che la Roma quadrata cessò d*esser rocca isolata,
dinanzi a sé nel piano quella celebre via A ppia , la quale
anche prima che prendesse nome da Appio Claudio il cieco,
usciva per la nuova porta Capena del recinto di Servio; che
avea fuori a sinistra tra i tanti il sepolcro degli Scipioni ;
che ha tuttora a cavallo T arco di Druso , compresi entro
la cinta aureliana e eh' oggi è distinta col nome di porta
S. Sebastiano^ da cui il cammino per Napoli, e spettatrice
di tante imprese e vicende nell'età di mezzo, e dell'ingresso
di Carlo V, e del trionfo di Marcantonio Colonna nel secolo XVI?
Altra quistione è sul pomerio. Tutte volte che dilata vasi
Timpero, ossia il governo del popolo romano, sì protraea il
pomerio per ingrandire l'area abitabile della citta. Ciò avvenne
per Anco Marcio dalla parte del Tevere, quindi per Servio
Tullio. NelTepoca repubblicana Siila e Cesare colla grave di-
scussione dell'alveo del Tevere e dei campi Vaticani; durante
rimpero Augusto, Tiberio, Claudio, Nerone, Vespasiano, Tra-
iano e Settimio Se>ero o protrassero o modificarono il pomerio
o alcuna porta: ultimo circondò di nuove mura la citta Au-
reliano, quando non si parlò più di pomerio. Ma che cos'era
cotesto pomerio? Tko Livio il definisce meglio ch'altri scrit*
tori. È pregio dell'opera ricordarlo: Pomoerium^ verbi vim
solam intuentes, postmoerium interpretantur esse: est autem
(2) Leggasi pure la dissertazione di Stefano Piale: Delia fondazione di
Roma^ del pomerio^ mura e porte fattevi da Romolo ec. Roma isa3» pag. 10.
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— 4751 —
magis circa murum locuSj quem in cèndendis urhibus quon^
dam Strusci, qua murum ducturi erant, certis circa ter-
minis inaugurato consecrabant : ut ncque interiori parte
aedificia moenibus continuarentur^ quae nunc i^ulgo etiam
coniungunt; et extrinsecus puri aliquid ab humanu cultu
pateret soli. Hoc spàtwm^ quod nec habitari ncque arari fas
eratj non magis quod post murum esset^ quam quod murus
post idf poMOBRtUM Romàni appsllarunt: et in urbis incre-
mento semper^ quantum moenia processura erant, tantum
termini hi consecrati proferebantur. Lo" scopo del pomerio è
patente. Per uno spazio o zona di terreno airingiro delle mura
era vietato l'accostarsi colle fabbriche, come di dentro così di
fuori, e nella zona esterna non era lecito neppure arare o te-
nervi coltura. È la ragion militare cbe la religione co* riti au-
gurali tutelava. Le citta chiuse da mura aveano il pomerio,
perchè le operazioni contro gli assalti e gli assedi eventuali, oltre
le strade scee, che per lo più eran clivi, fossero più efficaci in
caso di attacco nemico; e il solco non era altra che lo schema
di una cunetta o fossato che ne riceveva le acque di scolo,
parallelamente ai lati turriti delle citta. Collo stesso fine a
noi serve lo spallo, che è quello spazio dominato e spazzato
dal cannone e dal fucile all'intorno di citta "bastionate, il> quale
al di la del gran fosso , delle opere esterne e della strada
coperta vien stabilito con inclinazione e scolo verso la cam-
pagna e tenuto a prato secondo le regole dell' architettura
militare. - Gli antichissimi itali^ etruschi o romani che fossero,
pare avesser la testa sul busto al paro e forse meglio di noi
nipoti più presuntuosi certo, ma non più saggi.
Riguardo alla Roma quadrata, Romolo augure e soldato
adempiendo tutte le regole militari ed augurali si condusse
lontano dalle mura e nel basso a tracciare il suo pomerio.
Tacito così si esprime: ... suicus designandi oppidi coeptus
ut magnam Herculis aram amplecteretur (vuol dire in fondo
all'infimo clivo della Vittoria presso la moderna piazza^ della
fiocca della Verità)» ad aram Consi (la quale era in direzioae
delle scale di Caco e fu compresa in fondo alla spina del fu-
turo Circo Massimo verso la Moietta di San Gregorio); mox
ad Curias Veteres (cioè alla base del cVwus Pullium dietro
il venturo tempio di Venere e Roma presso il Colosseo sorto
sullo stagno di Nerone o lago Fagutale); tum ad SaceUum
Larium (il quale era al principio del clivo palatino e della
via sacra, ov'oggi è la chiesa di S. Cosma e Damiano presso
il tempio d'Antonino e Faustina). Come si vede fu condotto
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— 473 —
il solco con quattro soste, calcolandovi il punto di partenza
vicino air Ara Massima , per ima montis Palatini. Perciò
non mi par giusta l'espressione sua a pag. 79: «r Sul Pala-
ia tino pertanto sorse la Roma quadrata, e fu cinta da mura
» auspicate sulla traccia segnata dal vomere sacro. » Ma Ella
saggiamente poi alla pag* so si spiega meglio e dimostra molto
bene il pomerio al basso e le mura romulee nell'ai to, delle
quali alcuni tratti, che vennero scoperti ventitre anni fa, fu*
rono delineati neir Album giornale romano ed illustrati dal
Cottafavi ottimo e sventurato incisore dello studio Canina
[Anno XXV (i85s), distribuzione n. 19, 23; pag. 147^ iso], senza
cIm a Roma bisognasse la trasfusione di novello sangue, che
secondo i suoi detti^ le venne trasmesso in quest'ultimo de-
cennio anche in Archeologia a quanto pare, dai fratelli da
ogni parte convenuti. Imperocché sempre a Roma in qualunque
epoca gli studiosi (noti bene) romani vi prosperarono e i non
romani (noti anche meglio) v'ebbero affluito e vi trovarono
facile e molto ospitale stanza da ogni parte d'Italia non che
d'Europa.
Ancor due altre parole ed ho finito. Nel mettere in ordine
tutte le idee disparate, che sui Sangallo e sulle loro opere
di muro o d'ingegno ebbero gli scrittori contemporanei e
quelli che lor succedettero fino a' di nostri, ebbi ad impaz-
zare. Si legga il mio lavoro, e si vedrà quali difficoltà superai,
e quanti errori emendai, e con quanta cautela procedetti sempre
per ricercare il vero in mezzo alle contradi^ioni^ senza mai
mancare di riverenza alle altrui opinioni ^ senza mai farmi
lecito di convertire il Medichino o Medighino, in Melighino
o Meleghino (3); e di cambiare la lettera G in A, la I in N^
(3) (vto. Giacomo Medici» wnnintUo U Medighino et fatto poi marchese
di Marignano (Lorenzo Capelloni, Ragion, varii ec. Milano 1610, pa^. 13).
Gianiacomo de Medici, altrimenti il Medichino (Luca Contile, La H istoria
de fatti di Cesare Ma^gi da Napoli, Pavia 1564, carte 54 verso).
Fu molto stimata [lì Bellucci) dal Duca Cosimo e dal Marignano grand' in-
tendente di cose di fortificazioni (Promis, Biografie di Ingegn. Milit. Ita],
(op. post.) Torino 1874» pag. 204). — Giangiacomo de*Medici, che il De liarchl
chiama il Medichino (Arch. Mil. lib. ili, cap. XXXIV) oltre esser fratello
di papa Pio IV era anche parente ai Farnesi e per conseguenza a papa Paolo 111
(Leggasi il Platina in Pio IV). — Quel meraviglia dunque di vedere tra
tanti illustri nomi d* ingegneri e capitani Giovanni da Sangallo ed anche 11
Medici, come ci narra il De Marchi, con queste precise parole: La qual figura
(quella del bastione d'ordine rinforzato fuori porta San Paolo) mi ricordo di
sentirla disputare dinanù a pana Paolo Terzo , et dal Signor Alessandra
Vitello huomo molto famoso nelV arte della guerra e Mastro Gio. da San
Gallo, et il Capitano Jacomo Castrioto, et il Cap. Francesco da Monte Xtno,
et il Cap. Leonardo da Vdene Mastro Gio, Mangone^ et il Medichino et il
Galasso da Carpi . . . Questo è il testo del De Marchi che io mi farei sempre-
scrupolo d'alterare con belle dimostrazioni. In esso chiaramente figurano atV
vanni da Sangallo e Giangiacomo de'Medici detto il Medichino marchese di
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— 474 —
la 0 in T di nessuno degli autori citati. I miei principi di
Ermeneutica non van tant'oltre. E dopo eh ebbi detto che il
De Mafchi attribuiva a Giovanni Tìnvenzione della duplicazione
de'fianchi dei baluardi e la faiibrica del baluardo di Ronu ec.
i! (a pag. 22), non aggiunsi subito (a pag. ss) che ad onta di
I tutti i meriti che potesse aver Giovanni, e gli avea, la lapide
del sepolcro di Antonio e i disegni suoi che sono nella reale
Galleria di Firenze ci rendono certi che ei e non altri cornine
classe a fortificare a suoi tempi Boma7 Questo ne miei Nove
da Sangalto. E in altro luogo come conciliai il De Marchi
concordine cronologico dei fatti e col rispetto deìVunicm(/ue
suum? Leggansi le mie Notizie sopra Camillo Orsini (Roma
f87i, op. cit., pag. ss, nota n. 4); anzi mi si lasci riferirne
il brano : <c Nel 1534 lo stesso Pierfrancesco da Viterbo da
» ì disegni di un pentagono quasi regolare per la fortezza
» da Basso a Firenze; ed Antonio da Sangallo il giovine per
» la morte di lui Teseguisce. Nello stesso anno Giambattista
» da Sangallo ha la direzione del Baluardo di Roma tra porta
» San Paolo e San Sebastiano, ove ripete i fianchi duplicati
N inventati gik dal fratello Antonio per la cinta di Civi-
» ta vecchia. » Se io dunque procedetti talora coi forse ,
talaltra eliminai molti errori patenti , quanto a conclusione
non restai nel dubbio, n^ poteva immaginare che altri po-
tessero averlo sul conto mio. [ critici la prendano, se han
fegato, col De Marchi; non diano noia a me, irresponsabile
de'detti altrui, in questo caso poco discutibili (4).
Marignano: il primo come Mastro dì fortificazione, il secondo come grande
intendente di cose di fortificazioni; l'uno come fratello di Antonio da San-
ffalto, del quale nei congressi sosteneva le ragioni, P altro come parente di
Pio IV e di Paolo III» e personaggio di fiducia. — Vi possono essere nov Ut
eercatori ed edUori di ciarpane (sic) ^Storia delle fortificazioni nella spiaggia
romana — Roma 1H80, pag. 334], non nego; ma che vi sieno valcnii scrit-
tori che abusino del proprio ingegno per cacciare via Giovanni dalle dispute
o congressi innanzi al papa considerandolo Gobbo inetto a tante cose (Storia
sopraccitata pag. 322) e supporre 0 credere il Medichino o Bernardo de'Me-
dici, che a questo era padre e personaggio inutile ne' congressi « e peggio,
confondendo tempi e luoghi, il famoso Meleghino! trovo che è troppo...
0 per mia dignità non aggiungo altra osservazione. Vadano queste citazioni
ed in ispecie l'autorità del Capelloni e del Contile per l'iin latore per l'altro
r espressioni dei De Marchi a confortare quanto 10 dissi ne' miei Nove da
Sangallo a pag. 22 e basti.
(4) Valgano le mie nuove dichiarazioni sui Sangallo a ribattere le pag-
333 e 334 della citata Storta delle Fortifieaxioni nella Spiaggia Romana, il
cui Autore, verso di me ben differe* te da quello del 1863, nel ISSO lepidamente
mi rinfaccia la pag. 38 nota 3 de' miei Nove da Sangallo^ la qoale è molto
anzi troppo riverente verso di lui. Più che i Gobbi Giganti ei Cavalieri
erranti veggo i Giganti gobbi e trovo la cavalleria non certo tra le ali di
mulino a vento , ma invece inzaccherata in luogo paludoso , come possono
essere i dintorni di Ostia, il cui Castello mi ricorda ì primi giorni di maggio
IS.iO e la frase fiorentina: Dagli amici mi guardi iddio, che dai nemici
mi guardo io ?
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— 475 —
E come in ciò , così non restai dubbioso nell' assegnare
l'epoca della costruzione del baluardo di Roma al 1534. Il
De Marchi medesimo e lo Scamo2zi, autori di grandi opere
e Tun d*es6Ì contemporaneo e testimonio oculare ^ lo dicon
netto ed aperto. Ma Ella, mio buon amico, che va battendo
il vento, cupido di demolir me più ch'altri, anziché raccor-
dare o se più vuole, conciliare i fatti coti utili osservazioni,
esce in campo col documento dell'appalto che porta la data
del SI dicembre I5d7. Questo che fa? L'atto pubblico, com*Ella
il chiama (Vedansi Le cinte murali nella Nuova antologia
citata, a pag. loi) stipulato sul progetto d'Antonio (del quale
Ja firma autografa sarebbe importantissima a conoscersi - Si
legga la nota in principio di questo scritto) è di quella data,
e il baluardo fu cominciato, magari nei lavori di demolizione
deir antiche mura, di sterro e di picchettatura della nuova
fortificazione , nelP anno di grazia 16S4. Era miglior partito
indagare il perchè si venne cosi tardi ad un contratto e per
conseguenza esaminare se Antonio, col quale si dovea (a quanto
pare) conchiudere quell'atto, dal 1534 al 1537 fosse in Roma
o no. Ed avrebbe trovato col mio libro alla mano , rispar-
miandosi la lettura di molti altri» che Antonio all'epoca, in
cui non eran ferrovie, uh tubi atmosferici, nb palloni e proprio
nel maggio e luglio i534 erasi recato a Firenze ad eseguirvi la
fortezza da Basso e a far restauri alle mura: certamente sono
opere queste che con tre mesi non si fondano ed avviano (a
pag. 19, 20, ai); che i lavori fortificatorìi di Ancona, presie-
duti da Antonio, cominciati nel 1532 terminarono nel 1537 (a
pag. 22). Verso poi il 1535 e fors anche il 1536 facea progetti
e per conseguenza visite per fortificare la spiaggia romana
contro i pirati turcheschi (a pag. 29); e per Pierluigi Farnese
nientemeno che fece la fortezza e la città di Castro e ciò nel 1537
(pag. 29, e meglio il Promis nelle Biografie di Ing. MiK ItaK
op. cit. pag. 9o). Antonio si chiamava Antonio, ma non avea
tra tanti lavori che d' architettura civile e militare faceva ,
il pregio ad un tempo àeWubiquitày sebbene molte cose, io
stesso il dissi, dirigeva da Roma (a pag. 2i).
In questo modo resta l'onore del baluardo fuori porta
san Paolo, quanto all' assistenza e direzione, a Giovanni, il
quale era, tra il 1534 e 1537, sempre in Roma e sul posto;
ed essendo la grand'epoca delle Commissioni e dei Congressi
innanzi al papa, a questi tra tutti i Sangallo era il solo che
potesse intervenire, perchè gli altri di quella casa eran morti o
assenti e si chiamava non ant.^ ma gio., come dice De Marchi,
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— 476 —
ch'era ammesso aneli 'egli a' congressi (5). Resta al sno posto
la data del contratto al i537; e in benemerenza di tante opere
o dirette od inventate o disegnate, resta ad Antonio Tooore
di essere stato nominato architetto della fabricae nuirorum
aimae urbis nostrae , com' Ella attesta , sotto la data del
24 gennaio 1538.
Ma non b il primo caso questo del Sangallo d'essere nel
1538 y dopo molti anni di servizio e di esercizio , nominato
architetto delle mura della citta, quand'egli fin dal i5l5 a?ea
mostrato a Leone X la fortificazione di Civitavecchia; nel 1526
per commissione di Clemente VII era spedito nelle Romagne
e a Parma a Piacenza per far relazioni o a dar ordinazioni,
ed a Firenze, ove fece puntoni o rivellini fuori le porte maestre.
Nel 1532 era mandato in Ancona ad ordinarne le fortificazioni;
e nel 1535 e 36 per la spiaggia romana, e a Castro nel 1537
e seg., sempre collo stesso scopo.
Parimenti non è il primo caso questo di lavori cominciati
prima di far contratto d'appalto per lavori murali, e le potrei
citare il recente caso peregrino di lavori fatti e finiti qui in
Roma d'urgenza senza asta ed appalto come vuol la legge,
da giustificarsi però con un contratto compilato dopo anni
dai lavori eseguiti, novello esempio di trasfusione di sangue!
Dopo tutto ciò, son giunto al termine. La prego purtut-
tavia di un favore: se qualche cosa le fa de'miei scritti stam-
pati, m'accordi la grazia di prima leggermi bene, poco impor-
tando a me che il suo sistema è di far suo quello che legge
in altri ; ma se trova veri errori (che non sono certo della
mia volontà) inesorabilmente^ pronunciando il mio nome, li
sveli al colto pubblico e alla gueriiigione: sarà premio con-
degno alla mia audacia di aver voluto studiare in ogni occa-
sione con calma ciascun tema preso a soggetto e d'aver fatto
per quaranta lunghi anni lo scrittore, piuttostochè il can-
tambanco, e m'abbia sempre per suo
Buon amico
Camillo Ravioli
(5) Leggasi la nota precedente N. 3 Del testo del De Marchi, pag. 473—74.
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477 —
LXXI.
CORDJANI IL VERO NOME DI ANTONIO DA SANGALLO
IL GIOVANE
Pubblichiamo di buon grado la seguente lettera indi-
rizzataci dal ch.""^ signor Barone Enrico di GeymùUer^ così
per la verità storica ch'essa stabilisce, come per la nobiltà
d'animo di chi la dettava.
« Chiarissimo Signor Cav. Narducci
» L'egregio Cav. Camillo Ravioli parlando gentilmente, nel
Buonarroti del luglio scorso, del vero nome di Antonio da
Sangallo, che io pubblicai recentemente, proponeva per la
lettura di questo nome « Coràiani )> in vece de Coroliani ,
letto da me, o di Coriolani^ modificazione adottata dal Ch.
Cav. Gaetano Milanesi nella sua bella ristampa del Vasari.
» Benché, lo confesso volontieri, le dotte ragioni del Cav.
Ravioli, basate sopra una scrupolosa osservazione della scrit-
tura di Antonio, mi avessero quasi convinto del tutto della
loro esattezza , esitava ancora , vedendo nelle tre linee del
documento appartenente al Sig. Eugenio Piot, quattro volte
la lettera d fatta nell'istesso modo, mentre precisamente quella
nel nome d'Antonio, mostava l'asta della d assai discosta dall'o
formando due lettere distinte. Perciò volli aspettare, prima
di decidermi^ di aver esaminato di nuovo i numerosi scritti
d'Antonio conservati agli Uffizi. Ora, fatto questo studio^
accetto interamente l'opinione del Cav. Ravioli. In fatti, trovai,
nel disegno segnato col numero provisorìo 1340, un caso affatto
analogo, ove Antonio scriveva <( palazo deli ac/imari >, mentre
non ci può essere dubbio qualunque che sia A^^imari.
» A conferma del nome Gordiani, il ch . cav. Gaetano Mi-
lanesi, mi autorizza gentilmente a dire che di recente, egli
trovò nelle scritture pubbliche , un antenato d' Antonio ,
oriundo dal Mugello, nominato Cordini. Ma avendo egli visto
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il mio lucido del documenlo del signore E. Plot , il cay.
Milanesi non esitava un momento a dire» con me, che Antonio
aveva scritto Gordiani, la presenza della a essendo confer-
mata finalmente dal Condiani letto in altro documento dal
Martini , la cui lettura si trovava dunque più esatta che
io non credeva.
D Sono lieto di esprimere qui la mia riconoscenza al dotto
storico AeNoi^ da Sangallo^ Gav. Ravioli, di aver indovi-
nato un errore mio e di averlo accennato con tanta cortesia,
dandomi l'occasione di correggerlo qui, sperando che la mia
rettifica avrà la maggiore pubblicità che si possa.
» Dalla concorrenza dunque di tutti questi fatti, h ormai
certo, che il vero nome di famiglia dell'architetto Antonio
da Sangallo il giovane era Cordiani.
» La prego di gradire, chiarmo Signor Gavaliere^ coll'e-
spresfiione della mia più distinta stima quella de mìei rìn-
graziatnenti per Tacoettazìone di queste righe
» Enrico db GeYHULLEa
» Firenze li 22 Dic.^'* issi. »
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PUBBLICAZIONI RICEVUTE IN DONO
Camera dei Depatati. Ln BiblioUea della Camera dei Deputati nei ditemhre
deWanno 1881. Notixie pubblicate per cura della Cùmmisiione della Bi-
blioteca. In 4.0 gr. di pag. 3 non namerate, e pianta.
Concorso artietieo irUemaxionale per un monumento aUa glorila wmorta
del Re Vittorio Eujitusls da erigerei in Roma, iloma, tép. Tiberina,
piatta Borghese^ 89. In 8? dì pag. 7.
Corradi (Alfonso) Le infermità di Torquato Taeso Studio letto in parte nelle
adunanze 5 giugno 1879 e 29 luglio 1880. In 4.0 gr. di pagine 73. (Fase. I?)
Duci (Luigi) Il libro completo per to 2^ e 3* daese della ecuoia elemetUare,
giudicato di merito euperiore della Committione Govemati)oa nei ton-
corio 1877. Torino, Ermanno Loeseher , 1882. Roma e Firenze » preeso la
iteeta Casa. In 8.* di pag. 155» lag.
— - // sillabario e l'aritmetica per la setione superiore delia prima classe,
giudicato ecc. Torino ecc. 18S2. In 8? di pag. 46 e Modelli di Calligrafia
e Scrittura di pag. 14.
— Il sillabario ecc. , per la sezione inferiore della prima classe , ecc.
In 8! di pag. 35.
Descrizione del concetto espresso contrassegnato col motto: Una pagina di
Storia , presentato a concorso per la erezione di un monumento atta glo-
riosa memoria del Re Vittorio Eììanuble in Roma. Roma^ tip. Barbèra.
In 8? di pag. 6.
Favaro (Antonio) Intorno ad una nuova edizione delle opere di Galileo (Estr.
dal voi. Vili, Serie Y, degli Atti del R. Istituto tfeneto di scienze, lettere
ed arti), Tenexia, tipografia di G. Antonelli 1881. In 8.0 di pag. 51.
Henry (Charles) Études sur le triangle harmonique (Extrait du BuUetin des
Sciences mathématiques, 2« sèrie» t. V; 1881). Paris, imprimerie Gau^ier*
Villars, quai des Àugustins, 55. In 8? di pag. 18.
— Sur un procède particulier de division rapide — Décomposition des
nonibres H^ — 9g^^ et du doublé de ces nombres en deux cubes rationnels.
(Extrait des Nouvelles Annales de Mathématiques, 2* sèrie, t. XX, 1881).
Paris, imp. de Gauthier- Villars, quai des Àugustins 55. In 8.0 di pag. 4.
Il Mausoleo in Roma al primo Re d'Italia nel secolo XIX. Disegno descrU-
, tivo del progetto dedicato alla commissione governativa ed ai Giudici del
concorso. Anno 1881. Roma, eoi tipi della tipografia romana, pieuza
S. Silvestro n. 71, 1881. In 8* di pag. 8.
Maes (Costantino) Il Circo Massimo, V opificio Pantanella, il Circo di Ife-
rone. Roma, tipografia del Popolo Romano, 1881. In 12? di pag. 15 e pianta.
— Le Terme di Agrippa, prime note archeologiche intomo ai recenti scavi.
H Pantheon ripristinato a Mausoleo dei Re d'Italia. Roma MDCCCLXXXII.
In 8.0 dt pag. 40.
Manno (Antonio) e Promts (Vincenzo) Notizie di Jacopo Gastaldi carto-
grafo piemontese del secolo XVL (Estratto da! volarne XVI degli Atti della
R. Accademia delle Scienze, adanansa del 26 giugno 1881). Torino, stam-
peria reale della ditta G. B. Paravia e eomp. di L. Vigliardi , 1881.
In 8? di pag. 30.
Marre (Aristide) Bibliographie Malaise, ouvrage du capitaine Badings ,
d^ Amsterdam (Extrait du Journal AsùjAique). Imprimerie Nationaie 1^81.
In 8! di pag. 6.
Morelli (Marino) Jtfu^toa. Ricordo agli amici, Roma^ tipografia Barbéru, 1881.
In 8? di pag. 279.
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Napoli (Federico) Mewìoria della vita e delle opere di Giovaa Battista Odieraa
astronomo fUieo e naturalista del secolo XVII , letta nella tornata del
25 luglio 1880. (Estratto dagli Atti delVÀceademia di Scienze e Lettere di
Palermo^ voi. II, 1880—81) Palermo^ tipografia E. Ferrigno e F. indo,
via Divisi n. 20, 1881. In 4! di pag. 50.
Nardini Despotti Mospignotti (Aristide) Il monumenio nazionale al re
Vittorio Emasuelb IL In Livorno , dalla tipografia di Frane. Vico
1881. In 4.0 gr. di pag. 28 e pianta del Monumento.
Osservazioni sul concorso per il monumento da erigersi a 5. Af. Vittorio
Emanuele li» descritti da un ammiratore delKarte italiana. Roma 1881,
tip. letteraria, via di Tata Giovanni 2. In 8* di pag. 11.
Pace (Mosè) Magnis Parva Viris, Versi. In Roma» presso Forzani e C, ti-
pografi del Senato, 1881. In 22"" di pag. 82.
Paria (Giuseppe) d. G. d G. Sermoni di San Bernardo neUe solennità del
Signore volgarizzati da frate Domenico Cavalca delVordine de* Predicatori
ecc, Roma, dalla tipografia della Pace, piazza della Pace 35, 1830. In 8!
di pag. 416.
Perreau (Pietro) Intorno agli atti del IV congresso internazionale degli
Orientalisti tenuto in Firenze nel settembre 1878 {voi. /). (Estratto dal Mosè
Antologia Israelitica di Corfà 1881). Corfù . tipografia di G. NaeamuUi
editore, 1881. In 4.» di pag. 62.
QuAREifGHi (Cesare) Del progresso letterario nelV esercito italiano dal 1860
al 1876. (Estratto dalla Rivista Militare Italiana, 1881). Roma, Voghera
Carlo, tipografo di S. M., 1881. In 8.^ di pag. 51.
RosELLi LoRENziNi (Iguazìo) Onore al Rei Relazione esplicativa del progetto
di monumento alla memoria del Re Vittorio Emanuele II presentato
al concorso Internazionale. Roma , tipografia dei fratelli Pallotta , via
dell* Umiltà n.* 86. In 4,"* gr. di pag. 26 e pianta dei Monumento.
ScHREiBER (Theodor) Die antiken bildwerhe der villa Ludovisi in Rom.
Leipzig, Verlag von Wilhelm Engelmann, 1880. in 4! di pag. 275 e pianta.
Herr (Overbeck) legte folgenden Aufsatz dee Herrn Dr. Theodor Schreiber
iiber Flaminio Vacca* s Fundberichte (Abdruck aus den Berichten der
phUol.-histor. Classe der Kònigl, Sachs. Gesellschaft der Wissenschaften
1881). In 8? dalla pag. 43—91).
Seni (Francesco) Pietro Caideron de la Barca, studio biografico. Roma, ti-
pografia di Rama, 1881. In 12! di pag. 22.
WiEOEMANN (Eilhard) Beitràge zur Geschichte der Naturwissensehaften bei
den Arabem, VI (Separat-Abdruck aus den Annalen der Physik und Chemie
1881. Neue Folge. Ed. XIV.) Leipzig, Verlag von Johann Ambrosius Barth.
Foglietto di .una pagina con copertina in 8?
Z\TTi (Carlo) Cenni storici ed iscrizioni di Brescello antica. Reggio-Emilia,
tipo-litografia degli artigianelli 1881. In 8? di pag. 52.
Jf^P'ISO
Col presente volume si chiude la Seconda serie del Buo-
narroti. // ritardo talora ines^itabile della pubblicatone ^
onde la data di ciascun fascicolo era in contraddizione
con quella della sua pubblicazione , ci ha consigliato ad
incominciare una Terza serie. Ciascun sfolume sarà composto
come prima di i 2 fascicoli progressivamente numerati^ senza
riguardo alle date di pubblicazione.
La Direzione
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481 —
INDICE DEGLI SCRITTI
CONTENUTI NEL DECIMOQUARTO VOLUMK
QUADERNO I. — I. Spiegazione probabile degli emblemi intarsiati in argento
con epigrafe latina in un peso-triente di bronzo del Castro Pretorio di
Roma , illustrato dal eh. sig. Luigi Ceselli romano , ecc. (Giwanni
Broli), pag> 3. — li. Degli studi ia Italia, ossia considerazioni intorno
all'opuscolo del generale Me zz acapo (Continuazione) (Prof. Gabriele
Deyla)y pag. 12. — III. Del Bello nella nuova Poesia (Continuazione)
(Prof. Nicolò Manueeo), pag. 16. — IV. Sensati restauri di un monu-
mento antico e sua nuova desiìnàzìone {Giuseppe Veìxili Architetto » In-
gegnere), pag. 23. ~ V. Passatempi artistici delF architetto Pietro Bo-
^ellif pag. 27. — VI. Scienza e Virtù. Carme del prof. Antonio Rieppi,
volgarizzato da Giuseppe Bellueeif pag. 31. — VII. Taedìum vitae. So-
netto {L. A, R.), pag. 36.
QUADERNO IL — VIII. Poche notizie sulla casa attribuita a Ciullo d*Alcamo
{G. Frosina Cannella), pag. 37. — IX. Degli studi in Italia, ossia con-
siderazioni intorno all'opuscolo del generale Mezz acapo {Iniertesto)
(Prof. Gabriele Deyla), pag. 42. — X. Del Bello nella nuova Poesia (Con-
tinuazione) (Prof. Nicolò Marsueeo), pag. 49. — XL Articoli vari {Giu-
seppe Verxili Architetto Ingegnere), pag. 54. — XII. Due brani dei Diarii
di Marino Sanuto relativi alla disfida di Barletta, pag. 63. — XIII. La-
vori del prof. Poggioli di Roma (Émile Vaison), pag. 64. ^ XIV. So-
spiri G. Frosina Cannella)^ pag. 66. ~ XV. Al principe romano don
Alessandro Torlonia, per il prosciugamento del Lago di Fucino. Sonetto
[Luigi Arrigo Rossi), pag. 72*
QUADERNO III. — XVI. Intorno ad un bassorilievo della basilica di Monza
{Francesco Labruzzi di Nexima), pag. 73. — XVII. Della Prosopografia.
Lezione del professor Gabriele Deyla, pag. 83. — XVIII. Del Bello nella
nuova Poesia (Continuazione) (Prof. Nicolò Mar succo) , pag. 92. —
XIX. Il monumento a Vittorio Emanuele IL {Giuseppe Verzili Archi-
tetto Ingegnere), pag. 96. — XX. Villa Pamphili {Luigi Arrigo Rossi),
pag. 102. — XXI. A mio Padre ( Vincenzo Monti), pag. 104.
QUADERNO IV. — XXIL Descrizione di tutte le colonne ed obelischi che
trovansi nelle piazze dì Roma, disposta in forma di guida da Angelo Pel-
legrini ecc. (Continua), pag. 105. — XXIII. Della Prosopografia. Lezione
del prof. Gabriele Deyla (Fine), pag. 120. — XXIV. Di nn monumento
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— 482 —
onorario per eternare la memoria di Vittorio Emanuele IL {Gitaeppe
Verxili Architetto Ingegnere), pag. 126. — XXV. Bibliografia. Le opere
lelterarie di Leonardo da Yiifci pubblicate dal doCt. Jtan Paul Riehter,
pag. 120. — XX Vi. Su due scheletri che abbracciati si rinvennero in
Pompei non lungi dalle pubbliche Terme. Elegia del cav. Diego Vi-
TKiou e traduzione {G. Froiina^Cannella) ^ pag. 132. — XXVll. Vo-
luptas tenet silvas et caetera rura (G, Frorina-Cannella) , pag. 136 —
XXVIII. Il pensiero del cuore ,{Luigi Arrigo Rotsi)^ pag. 137. —
XXIX. A sua maestà Alessandro li, autocrate di tutte le Russie, trion-
fatore de* Turchi (Luigi Arrigo Ros$i)» pag. 139.
QUADERNO V. — XXX. Documenti inediti dell* arte toscana dal XII
al XVI secolo, raccolti e annotati da G. Milanesi (Continua), pag. 141.—
XXXI. Descrizione di tutte le colonne ed obelischi che trovansi nelle
piazze di Roma , disposta in forma di guida da Angelo Pellegrini ecc.
(Continuazione), peg. 152. — XXVII. Del Bello nella nuova Poesìa (Fine)
(Prof. Nicolò Marsuceo)y pag. 173. — XXXI IL Grandiosa idea di un
monumento osorario da erigersi in Roma per eternare la owmoria dì
Vittorio Emanuele II » primo Re d* Italia {Giuseppe VenHi Architetto
Ingegnere) , pag« 170. — XXXIV. Alla maestà delia «astra angusta e
graziosa sovrat^a Margherita Regina d'Italia, per il suo fausto ritomo a
Roma dui trionfale viaggio in Sicilia {Luigi Arrigo Rosei) , {Mg. 183.
QUADERNO VI. — XXXV. Documenti inediti dell'arte toscana dai Xll ai
XVl secolo, raccolti e annotati dà G. Milanesi (Continuazione), pag. 185.—
XXXVI. Descrizione di tutte le colonne ed obelischi che trovansi nelle
piazze di Roma , disposta in forma di guida da Angelo Pellegrini ecc.
(Continuazione) , pag. 195. — XXXVil. Della storia , della scienza e
deirarte insegnativa considerata in se stessa e ne* suoi rapporti colla
storia della acicAza e dell'arte letteraria (Prof. Gabriele Degla), pag. 213. —
XXX Vili. Il nibilisno che chiede la costituzione allo Czar Alessandro HI.
{Luigi Arrigo Rossi)^ pag. 222.
QUAIMSRiNO VII. — XXXIX. Documenti inediti deir arte toscana dal XII
al XVI secolo, raccolti e annotati da G. Milanesi (Continuazione),
pag. 225. — XL. Descrizione di tutte le colonne ed obelischi che tro-
vansì nelle piazze di Roma, disposta in forma di guida da Angelo Pel-
legrini ecc. (Continuazione), pag. 234. — XLI. Sopra il luogo e l'anao
_ della morte di Fra Giocondo, aichitetto veronese, e sul cognome di An-
tonio da Saogallo giuniore, architetto fiorentino, ambidue deputati alla
fabbrica di San Pietro iu Roma. Lettera al eh. signor cav. Eneico Njr-
DUCci {Camillo Rewioli)^ pag. 249. — XLIII. La Greca Scoltura (Prof.
Giuseppe Derotsi)^ pag. 254. — XLIII. Bibliografia. Monnments de
r art antique publiés sous la direction de M. Olifieb Rat et , ecc. ,
pag. 255. — XLIV. Alla gentilissima donzella Rosina Pontecobvo ed
al giovine egregio if^ aco della Rocca nel dì delle nozze lo zio Jfoif
Pace questo ghiribizzo offre (Di palo in frasca), pag. 256. — XLV. L'al-
tezza serenissima di Carlo lìi principe sovrano di Monaco, all'altezu
reale di donna Florestina duchessa di Wurtemberg sua augusta so-
rella {luiffi Arrigo Rossi), pag. ^64. — XLVI. Atomi. A Severina. —
Voci udite alle corse (Luigi Arrigo Rossi)^ pag. 262.
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— 483 —
QUADERNO Vili. — XIVIII. Documenti inediti dell'arte toscana dal XTI
al XVI secolo, raccolti e annotati da G. Milanesi (Fine), pag. 265. —
XLVIII. Descrizione di tutte le colonne ed obelischi che trovansì nelle
piazze di Roma , disposta in forma di guida da Angelo Pellegrini ecc.
(Continuazione) , pag. 276. — XLIX. Notizie sugli scavi di s. Urbano
di Narni, di Magliano in Sabina, di Vitorchiano nel Viterbese e di altri
luoghi. Lettera alPonorevole Sig.^ Dirett.« Gfiale de'Musei e degli Scavi
di Antichità ((?. Broli) , pag. 291. — L. Le migliori cantatrìci italiane
fino all'anno 1715. Notìzia di il. Steinsehneider , pag. 301. — LL Spe-
culum Dianae. — Palatinus {Luigi Arrigo Bossi), pag. 302. — LIf. Ai
miei cari (Luigi Arrigo Rossi), pag. 303.
QUADERNO IX. ~ LUI. Il dìo Mitra a Temi {G. Broli) , pag. 305. —
LIV. Descrizióne di tutte le colonne ed obelischi che trovansi nelle piazze
di Roma, disposta in forma di guida d^ Angelo Pellegrini ecc. (Conti-
nuazione), pag. 322. — LV. Notizie di mss. inediti in ispecie di Archi-
tettura militare. Al eh. sig. cav. Nardvcci (Camillo Ravioli), pag. 332. —
LVI. Belle Arti, pag. 335. •— LVII. Vae Poetis (Luigi Arrigo Rossi),
pag. 336.
QUADERNO X. — LVIH. II conte Umberto I (Biancamano) Abt. bibl,
(Francesco Labruzzi di iVe^'ma), pag. 341. —LIX. Descrizione di tutte
le colonne ed obelischi che trovansi nelle piazze di Roma, disposta in
forma dì guida da Angelo Pellegrini ecc. (Continuazione), pag. 356. —
LX. Passatempi artistici dell* architetto Pietro Bonelli (Continua) ,
pag. 377. — LXI. Francesco de' Medici. Tragedia storica di Nicolò
Marsucco (Continua) , pag. 376. — • LXII. Ad Alfredo Baccelli pel suo
carme in onore di Alfredo Capellini. Versi sciolti (E. Narducci), pag. 392.
QUADERNO XI. — LXIIL Della storia, della scienza e dell'arte insegna-
tiva considerata in se stessa e ne'suoi rapporti colla storia della scienza
e dell'arte letteraria (Continuazione (Prof. Gabriele Deyla),ipag. 393. —
LXIV. Descrizione di tutte le colonne ed obelischi che trovansi nelle
piazze di Roma, disposta in forma di guida da Angelo Pellegrini ecc. ,
(Continuazione), pag. 401. — LXV. Passatempi artistici dell'architetto
Pietro Bonelli (Fine) , pag. 407. — LXVI. Bibliografia. Domenico
Beisso. La Gioventà Italiana iniziata alla vita morale e civile ecc. (Jlf.),
pag. 419. — LXVII. Francesco de' Medici. Tragedia storica di Nicolò
Marsucco (Fine), pag. 420.
QUADERNO XII. — LXVIII. Descrizione di tutte le colonne ed obelischi
che trovansì nelle piazze di Roma, disposta in forma di guida da Angelo
Pellegrini ecc. (Fine), pag. 445. — LXIX. Filippo Maria Gerardi (Oreste
Baggi), pag. 460. — LXX. Alcune osservazioni dirette al signor Cesare
QuARENGHi dal cav. Camillo Baoioli sopra tre punti, che questo con-
cernono e che leggonsi nella Rassegna Bibliografica e nelle Cinte
Murali di Boma da quello pubblicate, pag. 468. — LXXI. Verdiani
H vero nome da Sangallo il giovane (B.'»' Enrico de GeymUller), pag. 477.
Pubblicazioni rieeviUe in dono» pagg. 139, 184, 224, 264, 339, 479.
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FINE DEL VOLUME DECIMOQUARTO,
ULTIMO DELLA SECONDA SERIE
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i.ìì Buonarroti sì pubblica ogni mese in fascicoli di
circa quatlro fogli in 4! piccolo.
2. L*as8ociazioneè annna da gennaio a deceinbrc ed
importa Lire i2.
3. Se non è disdetta tre mesi innanzi al suo termine,
intendesi rinnovata per un altro anno. .
4. Lettere» pieghi e danari s'inviano ad Bnkigo Nar-
Ducci, Roma, Tipografia delle scienze matemalicbe
e fisiche , Via Lata n! 3.
5. I manoscritti non si restituiscono.
AVVISO
Col presente volume si chiude la Seconda serie
del Buonarroti. Il ritardo talora ineviiahile della
pubblicazione , onde la data di ciasctin fascicolo
era in contraddizione con quella della sxia dribbli'-
cazione , ci Im consigliato ad incominciar o ttna
Terza serie. Ciascun volume sarà composto^ come
prima, di i 2 fascicoli progressivamente mtmeruti
senza riguardo alle date di pubblicazione.
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SZiOTfS
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the Library on or before the last date
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A fine of Ave oenta a day is inonrred
by retaining it beyond the speoifled
time.
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