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Full text of "Il Buonarroti"

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^'33c^  \\%A 


HARVARD  COLLEGE 
LIBRARY 


FROM  THE  BEQUEST  OF 

MRS.  ANNE  E.  R  SEVER 
OF  BOSTON 

Widow  qf  Col,  James  Warren  Sever 

(CUm  ot  1817) 


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IL 


BUONARROTI 

SCRITTI 

SOPR»  LE  ARTI  E  LE  LETTERE 


DI 


BENVENUTO  GASP ARONI 


CONTIKVATI     PEK     CUBA 


DI  ENRICO  NARDUGGI 


VOLUME  DECIMOQUARTO 


ROMA 

TIPOGRAFIA  DELLE  SCIENZE  MATEMATICHE  E  nSICHE 

Via  Lato  N*  3. 

1880 


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MAY  241921 


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Serie   II.  Vol.  XIV. 


Gennaio  1880 


I  L 


i 


BUONARROTI 

D    T 

BENVENUTO  6ASPAR0NI 

CONTINDATO  PER  CORA 

DI  ENRICO  NARDII€€I 


PAG. 

I.  Spiegazione  probabile  degli  emblemi  intarsiati  in 
argento  con  epigrafe  latina  in  un  peso-triente  di 
bronzo  del  Castro  Pretorio  di  Roma,  illostrato 
dal  eh.  8ig.  iMiqi  Ceselli  romano ,  ecc.  (Gio- 
vanni Eroli) »      3 

II.  Degli  studi  in  Italia,  08sia  considerazioni  intorno 
all'opuscolo  del  generale  Mexxacapo  (Continua- 
zione)  (Prof.  Gabriele  Deyla) »    12 

III.  Del    Bello  nella   nuova   Poesìa   {Continuaiione) 

(Prof.  Nicolò  Marsucco) »    16 

IV.  Sensati  restauri  di  un  monumento  antico  e  sua 

nuova  destinazione  (Giuseppe  Verzili  Archi- 
tetto Ingegnere) j>    23 

V.  Passatempi  artistici  dell'architetto  Pietro  Bo- 
ttelli  »    27 

VI-  Scienza  e  Virtù.  Carme  del  prof.  Antonio  Rieppt, 

volgarizzato  da  Giuseppe  Bellucci  ...»    .11 

VII.  Taedium  vitae.  Sonetto  (L.  A.  R.)  .    .    .    .    »    36 


ROMA 

TIPOGRAFIA   DELLE  SCIENZE  HATEMATICHE   E   FISICHE 
VIA    LATA   n!   3. 

1880 


Pubblicato  il  9  Ottobre  isso 


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V 


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IL 


Serie  II.  Vol.  XIV.  Quaderno  I.  Gennaio  1880 


SPIEGAZIONE  PROBABILE  DEGLI  EMBLEMI  INTARSIATI  IN  ARGENTO 
CON  EPIGRAFE  LATINA  IN  UN  PESO-TRIENTE  DI  BRONZO  DEL 
CASTRO  PRETORIO  DI  ROMA,  ILLUSTRATO  DAL  CH.  SIG.  LUIGI 
CBSBLU  ROMANO  NEL  BULLETTINO  DELL' IMPER.  INSTITUTO 
GERMANICO  DI  CORRISPOND.  ARCHEOL.  N.o  X ,  1879 ,  pag.  iO  e 
scgg.  (I). 

la  ciotta  illustrazione  che  il  eh.  sig.  Luigi  Ceselli  pub- 
blicò nel  nostro  Bullettino  intorno  a  un  peso  tipo  romano 
in  bronzoj  intarsiato  ad  argento  con  epigrafe  latina,  e  con 
la  figura  di  un  cavallo  corrente,  sotto  al  cui  corpo  s*innal- 
zano  e  piegano  due  rami  di  alloro  congiunti  assieme  pe*gambi, 
e  rinvenuto  nelle  vicinanze  del  Castro  Pretorio  di  Roma ,  h 
bene  importante,  ed  io  nel  leggerla  ne  ricavai  molta  soddi- 
sfazione e  diletto.  Ciò  non  ostante  rimasi  con  la  curiosità  di 
sapere  a  che  alludano  esso  cavallo  e  i  due  ramoscelli  di  alloro, 
e  per  qual  ragione  furon  ivi  intarsiati. 

In  quanto  ai  cavallo  immaginò  una  spiegazione  lo  stesso 
Ceselli;  ma  poi  non  garbandogli  punto,  ebbela  del  tutto  ri- 
fiutata. Leggiamo  quel  elisegli  scrisse  su  tal  proposito. 

tf  Le  parole  castrorum  Ziugusti  ed  il  cavallo  nel  mezzo 
»  della  corona  nella  base  superiore  del  peso  mi  avevano 
»  fatto  nascere  Tidea  che  avesse  potuto  appartenere  ai  castra 
»  degli  equites  singulares)  ma  considerando  che  T  emblema 
»  fino  ad  oggi  conosciuto  degli  equites  singulares  non  era 
>i  il  cavallo  sfrenato,  ma  bensì  il  cavallo  fermo,  mi  sono 
»  persuaso  che  questo  peso  tipo  appartiene  esclusivamente 
>*   ai  castra  in  genere  ecc.   » 

Ed  ebbe  ragione  concludere  a  tal  modo  il  sig.  Ceselli  , 
mentre  nel  nostro  emblema  deesi  considerare,  non  un  cavallo 
in  genere ,  inattivo ,  ^solato  ;  ma  un  cavallo  in  gran  corsa , 
accompagnato  da  rami  di  alloro,  ed  è  questo  uno  dei  tanti 
rebus  antichi  che  merita  di  essere  interpretato.  Forse  il  Ce- 

(i)  Letto  il  presente  discorso  li  20  febbr.  ISSG  in  Roma  nella  sedata 
ordinaria  de'  Soci  di  detto  Instituto. 


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selli  non  volle  fare  altre  congliietture  su  cotesti  simboli,  per 
non  gittare  come  suol  dirsi,  opera  ed  olio;  ma  spesse  fiate, 
dopo  varie  conghietture  sopra  i  dubbi  delle  cose,  vien  fuori 
bella  e  chiara  la  verità.  Se  non  si  fossero  mai  tentate  le 
interpretazioni  di  cose  diflScili,  queste  sarian  rimaste  sempre 
fra  le  tenebre^  e  noi  avremmo  meno  cognizioni  di  quelle  che 
abbiamo.  Tentare  non  nocete  e  per  questo  non  sara  ardito 
a  tentare  ,  con  probabilità  di  riuscita  ,  1*  interpretazione  di 
detti  emblemi  del  peso-triente  del  Castro  Pretorio. 

A  ottener  l'intento  reputo  necessario  dover  prima  cono- 
scere quai  vari  simbolici  significati  furon  dati  ia  antico  al 
cavallo  e  ali*  alloro,  ed  a  quali  gentiksclie  divimità  dedicati 
presso  i  greci  e  romani.  Ciò  saputo,  son  da  scerre  fra  i  vari 
significati  esposti  quelli  che  più  conf annosi  al  nostro  soggetto, 
e  che  stiano  in  maggior  armonia  tra  loro,  per  cavarne  quindi 
una  nozione,  se  non  certa,  almeno  assai  pr^^babile. 

Rispetto  al  cavallo,  sappiamo  per  alcuni  antichi  scrittori^ 
ch*egli  era  simbolo,  secondo  i  diversi  atteggiamenti,  orna- 
menti, condizione  ecc.,  ora  della  maestà  imperiale,  ora,  se 
corrente^  della  velocità,  o  delle  pubbliche  corse  equestri,  ora 
ili  generosità ,  di  vittoria  o  rirtà  guerriera ,  ora  d' indipen- 
denza, ora  di  lussuria  e  4isordinatezza;  simbolo  pure  di  apo- 
teosi^ dell'ordine  equestre  e  di  alcune  città. 

Come  simbolo  di  velocità  era  dedicato  ad  Apollo  e  Bacco 
in  qualità  ambedue  di  Sole,  o  Diana  in  figura  di  Luna,  e 
per  questo  i  loi>o  cocchi  eran  tratti  da  cavalli  correnti.  Che 
se  B»cco  aom  avesse  rappresentato  it  Sole,  ma  il  Dio  conqui- 
statore delle  Indie,  e  inventore  della  coltivazione  della  vite, 
allora  il  suo  coccliìo  era  per  le  tigri  condotto. 

Dice  ia  favola  che  Nettuno  con  la  sua  cuspide  equorea 
desse  nasceuza  al  cavallo;  e  ciò  forse  a  signiGcare,  secondo 
il  mio  credere,  clie  la  razza 'de' cavalli  venne  dagli  estranei 
introdotta  in  vari  luoghi  del  mondo  per  la  via  del  mare,  e 
prov essente  da'luoghi  orientali  o v'ebbe  origine.  Per  tal  cre- 
denza non  poteva  non  esser  sacro  appo  i  greci  e  i  romani 
cotesto  animale  a  esso  Dio;  anzi  venn  egli  fatto  patrono  dei 
giuochi  equestri  sotto  titolo  ài  Ippio  od  Equestre.  Immagi- 
nossi  pure  lui  trasformato  in  cavallo ,  per  meglio  ingannar 
Cerere,  del  c«i  amore  erasi  forte  acceso:  la  qual  cosa  alluder 
potrebbe,  secondo  ime,  a  una  introduzione  contemporanea  per 
mare  dalloriente  in  ocddeate,  tanto  della  razza  equina,  come 
del  seme  d^lle  biade,  ovvero  potrà  pure  significare ,  che  la 
nave^  in  cui  per  la  prima  volta  fu  dall'oriente  trasportato 


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, —  5  — 
in  Grecia  e  Bèi  Lazio  e  altrove  quel  seme,  avea  in  poppa 
per  ornamento  la  figura  di  un  cavallo,  se  non  anco  il  nome: 
il  qual  costume  di  dar  qualsiasi  nome  alle  navi,  e  arico  di 
abbellirne  la  poppa  con  ornamenti,  o  figure  reali  ovvero 
emblematiche,  si  conserva  sempre  presso  gli  antichi,  come  oggi 
conservasi  anco  tra  noi. 

Non  meno  cbe  a  Nettuno  era  sacro  il  cavallo  a  Castore 
e  Polluce,  valente  Tuno  a  cavalcarlo  e  l'altro  a  domarlo;  e 
in  varie  monete  e  altri  monumenti  vcggonsi  ameodue  costoro 
ritratti  a  cavallo  e  correnti  con  stella  a  capo. 

Fu  anco  sacro  a  Marte  pei  grandi  servigi  che  rendei  ai 
militi  in  pace  «  in  guerra^  dovendo  notarsi  cbe  questi,  per 
onorare  in  Roma  siffatto  loro  Iddio  tutelare.,  celebravano  il 
27  febbraio  e  u  marzo  a  corse  di  cavalli,  dette  Equi^ie,  alle 
quali  sarà  forse  Roma  debitrice  del  costume  odierno  delle 
corse  carnevalesche  nella  stessa  stagione.  Cosi  pure  nell'  ot- 
tobre d'ogni  anno  immolavasi  a  esso  Dio  in  Campomar^Q  tun 
cavallo  de'più  prodi  nella  corsa  delle  bighe,  e  da  quel  ipese 
questo  virtuoso ,  ma  per  la  sua  virtù  disgradato  animale  , 
prendea  il  nome  di  Ottobre. 

Facciamoci  mo'  discorrendo  deli'  alloro.  Esso  significava 
talvolta  la  prudenza,  la  gloria  o  virtù  militare;  tall'altra  la 
vittoria  riportata  nelle  gare  della  poesia^  della  musica,  delle 
butlaglie,  «delle  corse,  altri  giuochi,  ecc. 

ii^antica  religione  de'greci  e  romani  ebbe  cptesta  piai;ita 
dedicata  ad  Apollo  e  Diana  per  le  ri^iooi  a  voi  note.  Cre- 
de vasi  fosse  sicura  dai  colpi  de'fulmini.  £x  iiSf  scrive  Plinio 
il  vecchio,  quae  terris  gignuntur  fulmen  lauri  fruticem  non 
idi.  Per  questo  Tiberio,  quando  cominciava  a  toccare,  per 
paura  de'fulmini,  ciogevasi  il  capo  deUe  foglie  di  quell'ariìore 
sacro  sempre  verde,  come  sappiamo  da  Svetooio;  ed  attribui- 
vasi  al  lauro  siffatta  virtù,  perchè  dedicato  ad  Apollo  ^  Pi^na. 
E  siccome  Apollo  era  pur  Dio  della  poesia,  x:osi  i  |)0£ti  co- 
ronavansi  della  sua  amata  fronda.  L'alloro  servì  pure  all'espia- 
zioni, ad  ornare  la  porta  della  casa  dello  sposo  novello,  allor- 
quando conducev,asi  a  lui  la  fidani^ata;  ad  oruar  pure  V  in- 
gresso del  palazzo  dell'imperatore  il  primo  giorno  dell'anno, 
e  il  giorno  che  menava  qualche  trionfo.  Par  questo  il  detto 
Plinio  lo  appella  gratissima  domihus  /anitrix  'Caesarum^  Ne 
usavano  anco  i  bevitori  per  diminuirle  i  fumi,  che  andavano 
loro  in  testa  del  vino  spiritoso  :  potenza  che  attiihuivasi 
eziandio  all'edera,  dilettissima  a  Bacco  e  aUe  Baccanti. 


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Dietro  queste  notizie  del  cavallo  e  dell'alloro,  noi  pos- 
siamo probabilmente  indovioare  il  senso  simbolico  dei  dtle 
oggetti  uniti  assieme  in  tarsia  nel  peso  triente  proposto.  Ma 
nella  scelta  che  ciascuno  può  fame  a  me  presentasene  uno 
solo  più  acconcio  al  fatto  nostro.  Che  se  il  cavallo  corrente 
indica  naturalmente  una  cosa  qualunque  de'medesimi  animali, 
il  che  osserviamo  pure  nelle  medaglie,  dove  le  corse  de^gtuocbi 
Apollinari  sono  significate  da  un  sol  cavallo  in  carriera,  e 
se  l'alloro  esprime  anco  una  qualsiasi  vittoria,  noi  spiegar 
possiamo  facilmente  l'emblema  in  genere  pel  cavallo  vincitore 
in  una  pubblica  corsa.  Ma,  siccome  questo  emblema  sta  con- 
giunto a  un  peso,  che,  secondo  l'iscrizione  annessa,  riferi* 
scesi  al  Castro  Pretorio,  cioè  ad  un  corpo  militare^  cosi  potrem 
dire  ,  che  il  cavallo  corrente  e  vittorioso  significa  le  corse 
che  dai  militi  romani  facevansi  a  onore  del  loro  Marte  nei 
mesi  già  nominati,  ovvero  significa  il  cavallo  Ottobre^  vincente 
nella  corsa  delle  bighe  che  sacrificavasi  a  esso  nume.  E  questo 
emblema  avranno  i  pretoriani  costumato  nei  pesi,  o  per  ri- 
cordo di  tanta  solennità,  o  perche  si  conoscesse  che  il  com- 
mercio militare ,  come  loro  stessi ,  stava  sotto  la  protezione 
di  SI  potente  cellcola;  lasciando  da  parte  la  ragione  sempre 
primaria  dell'emblema  che  fu  messo  in  quel  peso  per  distin- 
guerlo dai  pesi  comuni. 

Ma  qualcun  di  voi,  o  dotti  CoUeghì,  polriami  opporre, 
che  il  nostro  cavallo,  nella  corsa  vittorioso,  potrebbe  pure 
darci  a  intendere  le  corse,  di  cui  era  preside  Nettuno,  e  cosi 
il  peso  assegnarsi  alla  pescheria  del  Castro  Pretorio  :  come 
pure  potriasi  cavallo  e  alloro,  secondo  le  notizie  date,  riferire 
ad  Apollo,  Diana  o  Bacco,  quali  comprotettori  del  Castro  Pre- 
torio e  del  loro  commercio.  Siffatta  spiegazione  sarebbe  molto 
singolare  e  speciosa;  ne  ad  una  pescheria  conviene  un  peso 
sì  nobilmente  lavorato;  e  però  nel  bujo  attengomi  alla  spie* 
gazione  più  propria  del  soggetto,  e  per  tanto  più  ragione- 
vole ed  ammissibile. 

Questa  spiegazione  sembrami,  se  non  m' inganna  Y  amor 
proprio,  che  sia  accettabile.  La  qual  cosa  se  paresse  pure 
a  voi  ,  onorandi  Colleghi ,  allora  prenderei  fiducia  a  farne 
altra  simile  sopra  un  secondo  peso-triente-monetato  della 
collezione  àtìVaes  grave  del  museo  Kircheriano  romano,  illu- 
strata e  pubblicata,  qualmente  ^vvi  noto,  dai  pp.  Marcili  e 
Tessieri.  Cotesti  autori  riportano  il  sunnominato  peso  nella 
tav.  Vili,  con  ìspiegazione  su  esso  a  pag.  39  e  segg.  della 
loro  opera,  e  lo  attribuiscono  ai  Rutuli  del  Lazio.  Avvi  rap- 


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f)resentato  da  una  parie  un  cavallo  corrente  verso  la  nostra 
sinistra  con  due  ponti  o  palline  sopra,  e  due  sotto;  dall'altro 
una  ruota  a  sei  razzi  con  le  quattro  palline  ripetute.  La 
spiegazione  data  a  questi  emblemi  dai  due  reverendi  padri 
non  è  in  critica  approvabile  per  nulla.  Voglion  essi  che  la 
piccola  ruota  (lat.  tutula)  significhi  i  Butulij  popolo  del  Lazio, 
a  cui  si  attribuisce  l'invenzione  o  l'introduzione  in  Italia  dei 
carri  a  ruote.  In  quanto  poi  al  cavallo,  egli  h  per  loro  il 
simbolo  della  partenza  dei  medesimi  Hutuli  dall'antica  sede, 
avvenuta  in  una  di  quelle  solenni  primavere  che  allora  co- 
stumavansì  ,  in  cui  davasi  bando  con  la  sorte  a  una  parte 
della  moltitudine,  perchè  procacciasse  alla  ventura  altro  ter- 
reno estraneo  e  lontano  da  abitare,  non  più  bastando  a  tutti 
l'antico.  £  siccome  questa  parte  sortita  per  l'esilio  portava 
«eco  nella  partenza  tutte  le  necessarie  suppellettili ,  perciò 
non  lasciava  di  farsi  accompagnare  dai  cani,  dalle  bestie  da 
soma  e  dai  cavalli:  per  tal  cagione  uno  di  questi  venne  posto 
a  simbolo  in  detto  peso  della  partenza  àtRutuli  dalla  loro 
antica  patria. 

Non  richiedesi  lungo  discorso  per  gittare  a  terra  questa 
veramente  mal  pensata  e  stranissima  sentenza. 

Primieramente  non  tutti  gli  archeologi  convengono  che 
ìt  detto  peso-trien te-monetato,  e  suoi  confratelli,  apparten- 
gano al  Lazio:  anzi  il  maggior  numero,  e  i  più  critici,  so- 
stengono che  sian  propri  della  Campania  e  sue  vicinanze. 
Fra  i  medesimi  cito,  per  brevità,  il  solo  Avellino,  autorevo- 
lissimo in  siffatta  materia.  Costui^  in  due  articoli,  inseriti  nel 
foglio  settimanale  delle  scienze  lettere  ed  arti  pubblicato  a 
Napoli^  lodasi  molto  dell'opera  citata  dei  due  dotti  padri;  ma 
in  qualche  punto  opponesi  loro,  esprimendosi  in  questa  guisa: 

«  L'opinione  più  comune  attribuisce  queste  più  recenti 
»  monete  alle  zecche  della  Campania  e  delle  vicinanze.  Ma 
»  agli  autori  (pp.  Marchi  e  Tessieri)  par  che  per  tutte  le  cause 
»  preferir  si  deggia  l'antico  Lazio.  E  pure,  nel  render  lode 
»  alle  loro  acute  e  dotte  investigazioni,  confessiamo  non  esser 
i»  di  ciò  rimasi  pienamente  convinti;  né  vediamo  che  gli  autori 
>i  abbiano  detta  una  sola  parola  per  rispondere  a  varie  diffi- 
»  colta  che  possono  farsi  con  tra  il  loro  sistema...»   » 

Essendosi  adunque  posto  in  questione  il  luogo,  a  cui  ap- 
partener possa  il  nominato  peso,  come  volete,  o  Signori,  che 
regga  la  spiegazione  degli  emblemi  innanzi  dagli  onorandi 
padri?  Ma  concesso  pure  per  un  momento  ,  che  il  proposto 


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peso  debba  assegnarsi  al  Lasio  »  aoche  m  questo  caso  la 
interpretazione  non  sostiensi  in  piedi. 

i?  Perchè  ninn  docutoento  storico  abbiam  pronto  a  pro- 
vare che  i  Ruiuìi  inventarono  o  introdoss^éro  Irà  noi  il  carro 
a  ruote.  E  poi ,  se  ia  paroh  rutula  diede  orìgine  al  nome 
Rutuli^  allora  i  Rutuli  furono  inventori  di  nna  piccola  ^  e 
non  di  Una  girande  ruota  e  non  del  carro  intero.  E  che  me- 
rito allora  Sarebbe,  per  liver  nome  dalKinvenzione  ridurre  nna 
grande  mota  già  esistente  in  fàinor  proporìsione  ?  Ma  non 
conviene  assolutamente  dir  rututa^  ossia  piccola  ruota,  quelln 
impressa  nel  nostro  triente,  giacche  di  grandezza  necessaria^ 
mente  ridotta  ,  non  potendosi  in  campo  si  picóolo  farla  di 
maggior  diametro:  Si  osservino  altre  monete  piji  grandi  e  la 
ruota  crteSce  in  proporzione  del  campo;  per  cui  la  ruota  dei 
nostro  triente  ,  non  essendo  propriametite  rotelta ,  non  può 
tórsi  ad  origine  del  nome  Hutulus. 

i?  Perchè  la  ruota  non  è  assolato  iètaìAem^deìVaes  ghàpe 
del  supposto  Lazio;  ma  lo  è  pure  di  quello  di  alcune  città 
etrusche  e  della  magna  Grecia. 

3?  Perchè  r  a<^cidenlale  esterna  somiglianza  di  due  nomi 
di  origine  ignòta  non  ék  diritto  a  dedurne  lo  stesso  senso  : 
tanto  più  che  in  un  tempo  possono  aver  significato  una  cosa^ 
e  in  altro  tempo  altra. 

4?  Perche  mi  sa  motto  strano  che  i  Rutidi  ,  supposti 
inventori  tra  noi  del  carro,  prendessero  nome  da  «una  sola 
parte  di  questo  e  non  dal  tutto. 

5?  Perchè  non  è  noto  il  tempo  che  venbe  fuso  Vaes  grai^c, 
se  prima  o  dòpo  che  i  Rutuli  vennero  nel  Lazio. 

6?  Perchè  nella  spiegazione  dèi  due  simboli  la  ruota  non 
ista  in  stretta  relazione  col  cavallo;  ed  io  ritengo  per  mas- 
sima fondametitale  di  dii  interpreta  i  vari  simboli,  che  fre- 
giano uno  stesso  oggetto,  di  farli  rilevare  in  piena  armonia 
tra  loro,  non  potendo  essere  altrimenti. 

in  quanto  poi  al  cavallo  ,  niuno  potrà  rimaner  persuaso 
e  convinto  che  cota li  bestie,  nel  partir  da  casa  in  compagnia 
di  tante  masserizie,  di  tanta  gente ^  che  quasi  tutta  andava 
a  piedi  e  alla  ventura,  incontrando  certo  mille  ostacoli  per 
gire  innanzi  di  seguito,  fossero  senza  freno ^  senza  bagagli 
o  cavalciaote ,  e  fossero  padróni  di  prendere  il  portante  ,  o 
di  alzare  il  galoppò,  e  còsi  sparite  alk  vista  de'propri  signori, 
per  capitar  pòi  chi  sa  dove.  Mi  scusino  coloro  che  sieguono 
i  padri  Maréhi  e  Tessieri,  se  io  non  posso  per  nulla  accet- 
tare la  loro  spiegazione.  Un  cavallo  che  fugge  nudo  e  tutto 


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—  9  — 
solo  non  può  mai  alludere  al  suo  accompagnamento  con  gente 
che  cammina  a  grand^agio  e  lento  passo,  perchè  porta  seco 
bagagli,  donne  e  figli  teneteli i. 

Dunque  che  mai  significheranno  la  ruota  a  aei  razzi  e 
il  cavallo  corrente?  Per  me  significano  la  corsa  delle  bighe 
o  quadrighe,  essendo  la  ruota  simbolo  del  carro,  e  il  cavallo 
corrente  della  corsa:  e  carro  e  cavallo  stanno  in  piena  rela- 
zione. Che  se  al  carro ,  come  sapete  ,  erano  aggiogati  due 
cavalli,  allora  nomavasi  biga;  se  quattro,  quadriga.  Questa 
mia  nuova  opinione  vien  sostenuta,  non  solo  per  la  dichia- 
razione gik  fatta  sopra  Temblema  mezzo  conforme  del  peso-* 
triente  illustrato  dal  Ceselli;  ma  pure  dalle  monete  triumvi- 
rali di  argento,  dette  bigati  e  quadrigati,  ove  mirasi  la  corsa 
delle  bighe  e  quadrighe  più  artificiosamente  e  interamente 
espressa,  perchè  a  tempo  de* triumviri  monetali,  Tarte  del 
disegno,  delPincisione,  del  conio  e  del  batter  la  moneta  erasi 
vie  più  raflSnata.  Ed  io  già  notai  eh'  esse  corse  usavansi  a 
onore  di  Marte,  singoiar  patrono  di  Roma,  e  anco  ad  onore  di 
altro  Dio.  Ma,  siccome  a  quelle  annettevasi  molta  importanza 
e  celebravansi  con  gran  pompa  e  concorso  di  popolo,  perciò, 
e  anche  per  rispetto  alla  divinità,  fecesene  memoria  solenne 
e  gloriosa  nelle  nominate  monete,  che,  a  mio  credere^  ven- 
nero coniate  in  tale  occasione. 

Se  mi  fosse,  o  Signori,  concesso  tempo,  vorrei  esporvi  più 
a  lungo  il  mio  nuovo  modo  di  vedere  intorno  agli  emblemi 
dellW^  grave^  contrario  quasi  in  lutto  a  quello  de'nominati 
padri^  i  quali,  lodevoli  in  altre  parti,  in  questa  non  sono  da 
commendare  per  la  poca  critica  che  adoprarono  nella  illu- 
strazione  del  loro  soggetto.  Ma  non  abuserò  della  vostra  cor- 
tese sofferenza,  se  limiterommi  a  brevemente  esporvi  un  altro 
solo  emblema  dei  menzionati  pesi  monetati ,  ed  è  appunto 
quello  del  quadrante  romano,  che  nell'opera  citata,  con  alcuni 
conformi  esemplari  (salvo  piccola  varietà)  vien  disegnato  coi 
n.'  3-7-8-9  nella  tav*  XII  della  prima  classe  ,  ed  illustrato 
a  suo  luogo  nel  testo. 

Sul  diritto  del  medesimo  vedeste  ritratto  un  uomo  a  tutto 
il  collo  e  poco  delle  spalle,  le  quali  sono  coperte  dell'irsuta 
pelle  del  cingliale,  la  cui  testa  lo  incappella,  e  i  cui  estremi 
lembi  fannogli  nodo  innanzi  alla  gola.  Il  suo  rovescio  vi  pre- 
sentò la  spiga  a  cima  (ma  questa  manca  in  qualche  esem* 
piare),  sotto  a  lei  li  tre  punti  o  palle,  quindi  il  toro  infu- 
riato ,  che  corre  a  coda  ritta  e  con  le  coma  in  resta  per 
menarle  ;    sotto  la  costui  pancia  il  serpe    a    testa    levata  e 

2 


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—  li  — 
sli*i$ciaoiesi  a  &pÌDa  per  terra,  là  quale  yien  rappreseu UU 
da  una  retta  che  forma  Tesergo,  entro  cut  leggesi  il  coosnetò 
motto  ROMA.  Come  spiegano  essi  padri  questi  emblemi?  Per 
loro  la  spiga  h  Cerere»  il  toro  Giove  suo  amante  sotto  questa 
forma,  e  il  serpe  allude  a  Proaerpioa  figlia  di  amendue,  Esa* 
miniamo  critkamente  questa  opiiùone. 

Già.  sappiamo  che  qualche  esemplare  del  quadrante  uon 
porta  spiga  ,  ma  il  solo  toro  é  serpe.  Questo  unico  fatto  è 
sufficiente  a  couivinoere»  che  il  toro  nel  okoatro  caao  aon  debbe 
considerarsi  come  amante  in  relaaioue  eoa  Cerere.  E  poi  ut» 
toro  infiuriatOi  mai  si  addice  al  regno  di  Amore.  Se  uno,  preso 
da* begli  occbi,  o  dalle  belle  maniere,  o  dal  molto  spirito» 
0  dftJle  gbiolte  riccbeue  di  una  lagazsa,  si  proponesse  dm* 
veaciurla  e  trarla  al  suo  amore,  si  presenderebbe  certo  a  lei 
eoa  dolci  e  cortesi  modi,  con  Tallegretxa  negli  occhi,  il  sor-- 
riso  sulle  labbra  ;  non  già  con  brusca  cera  ,  con  occbiacci 
spaventali ,  gittanti  fuoco ,  è  con  le  furie  addosso  :  cxHesto 
sarebbe  il  modo,  non  di  adescare  una  timida  doazdla ,  ma 
di  farle  prendeire  per  paura  le  confulaionii  epilettiche.  Ve* 
desi  chiaro  che  i  pp»  Marchi  e  Tessieri,  come  religiosi,  non 
avevan  letto  il  libro  di  Ovidio  de  arte  amandi.  Ma  Giove, 
che  in  fatto  di  amore  era  un  biricfaioo  addottorato  con  laurea 
cornuta,  ed  avea  saputo  infinocchiare  molte  donne  mortali 
e  isuBortali  ;  ben  cotioscea  Y  arte  di  amare  ,  e  ben  sapeala 
mettere  in  pratica,  perchè  sariasi  guardato,  quantunque  con- 
verso in  bestia,  di  presentarsi  a  Cerere  inforiato  in  atto  di 
scornare,  persuaso  che  in  quel  modo  avrebbe  fatto  un  buco 
nell'acqua.  In  quanto  al  sèrpe  niun  mitologo  lo  assegna  per 
simbolo  a  Proserpina,  la  quale  si  tiene  per  la  stessa  feoon* 
dita  della  terra:  credo  che  la  costei  fecondità  em  da  signi- 
ficarsi in  gUiisa  più  gentile,  nobile  e  doviziosa  che  non  col 
serpe.  Ma  poÀ  com'  entra  nella  nostra  scena  Proserpina  ,  la 
quale^  quando  Giove  presentossi  toro  a  Cerere,  aon  era  ancor 
nata?  È  vero  che  gli  anacronismii  nelle  belle  arti  sono  fre« 
quenti;  ma  si  deono  comportare  in  cose  noie  e  paleisi,  non 
mica  nella  spiegazione  di  cose  ignote  e  simboliche.  Sotto  qua- 
lunque aspetto  consideriate  l'esposta  opinione  dei  due  padri, 
non  regge  al  martello  delia  critica.  Ora  vi  manifesterò  la  mia. 

Volgete  vostro  pensiero  alla  cara  e  dolcissima  stagione 
della  Primavera.  Voi  sapete  che  in  questa  tempo,  e  ai  Sf  di 
aprile ,  entra  il  sole  nei  segno  del  zodiaco  il  toro.  Voi  sa- 
pete che  la  natura  in  questo  tempo  adopra  e  spiega  intere 
le  sue  forze  per  remler  feconda,  animata^  ridente,  piacevole 


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e  Lellissima  tutta  la  terra.  Uà  gentil  zeffiro,  spirante  soa- 
vissimi  odori^  ¥Ì  carezza  le  gote,  vi  solletica  le  nari;  il  caoto 
degl'innamorati  augelli  vi  tocca  il  cuore;  i  prati  e  gli  alberi, 
vestiti  di  fiorii  cou  le  acque  fresche  e  diiare  de'serpeggianti 
ruscelli  v'incantano.  Le  viti  s'ingemmano  per  darvi  il  grato 
licor  di  Bacco,  i  campì,  a  cibarvi,  verdeggian  di  erbe  e  di 
biade,  i  cui  steli,  già  gravati  dalle  spighe^  muovonsi  dolce^ 
mente  qua  e  là  al  placido  spirar  del  vento.  Ecco  le  gentili 
e  leggiere  farfallette,  che,  compiuta  la  duplice  metamorfosi, 
spiegano  all'aere  sereno  le  variopinte  loro  ali.  Ecco  il  serpe 
con  gli  altri  rettili,  che,  mutato  scoglio,  sprigionaosi  dalle 
tenebre  sotterranee,  per  venire  a  godersi  novamente  la  soave 
luce  del  sole.  Ecco...  ma  tronclnamo  questa  poetica,  ma  reale 
e  necessaria  descrizione;  e  ditemi,  se  dal  poco,  che  1k>  di- 
pinto, non  vi  paia  raffigurare  nel  proposto  quadrante  i  sim- 
boli della  Primavera...  E  come  no?  Mirate  la  spiga  del  grano 
che  fiorisce  nel  suo  tempo  e  che  ci  parla  della  sua  fecon- 
dità :  mirate  il  toro  quale  segno  del  zodiaco  ,  che  ci  da  il 
tempo  della  detta  stagione.  Fu  ritratto  infuriato  e  con  le 
corna  in  resta,  appunto  perchè  in  questo  caso,  apiegando  esso 
tutta  la  sua  gagliardia,  meglio  esprime  la  gran  forza  vege- 
tativa della  medesima:  mirate  per  ultimo  il  serpe,  che  Ma- 
crobio  qualifica  per  simbolo  del  sole,  il  quale  striscia  sotto 
il  toro  per  indicare  che  esso  non  mai  fermo,  entrò  da  molti 
gionai  io  quel  segno  zodiacale;  ed  al  serpe  ben  conviensi  il 
simbolo  del  sole,  perchè  esso  pel  tiepido  e  vigoroso  raggio 
di  costui ,  riacquista  le  sue  forze  vitali  sapute ,  ritornando 
dopo  lungo  letargo,  alPaperto  eoo  nuova  veste  e  nuova  ga- 
gliardìa.  Né  avvi  per  me  dubbio  che  ootesti. emblemi  riferì* 
scansi  al  tempo  della  Priifciavera,  mentre  ì  medesimi  trovansi 
nelle  rappresentanze  del  culto  misterioso  ,  che  attrìbuivansi 
al  sole,  con  lo  stesso  significato. 

Ricordatevi  clie  questa  stagione  ,  personificata  in  Roma 
dalla  Dea  Flora,  era  per  gli  antichi  ena  delle  feste  più  so- 
lenni, che  celebravasi  da  tutti  fra  suoni,  canti,  balli,  giuochi, 
banchetti,  e  altri  divertimenti  e  strepitose  allegrie.  Forse  i 
romani  ebbero  sotto  questi  emblemi  l'ìotenzione  di  dedicare 
a  cotale  divinità  i  loro  pesi-quadrienti-HBionetaii,  oppure  avran 
voluto  far  conoscere  il  tempo  in  cui  vennero  fusi  o  coniati, 
come  supposi  che  facessero  dei  due  pest-trienti  dianzi  nomi- 
nati. Che  se  volessi  ragionarvi  anco  della  testa  del  quadrante, 
messa  con  pelle  di  cinghiale,  potre'dirvi  ch^essa  fa  bellissimo 
riscontro   con   gli    emblemi  della  Primavera  ,    perch^  alcuni 


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—    12   — 

interpreti  veggono  in  queir  animale  significato  1*  inverno»  la 
quale  stagione  naturalmente  legasi  all'  altra  9  e  con  le  sue 
nevi  e  con  i  suoi  geli  le  prepara  la  potenza  vegetativa. 

E  qui  cessando  mìo  discorso  »  lascio  alla  vostra  molta 
perspicacia  il  giudizio  del  mio  nuovo  sistema  ;  e  sa  re*  con- 
tento vi  paresse,  se  non  certo,  almeno  più  ragionevole  deiraltro, 
mentre  la  certezza  in  simili  casi  difficilmente  potrem  trovare. 

Giovanni  Eroli   . 


II. 
DEfrLI  STUDI  IN  ITALIA 

OSSIA    CONSIDERAZIONI    INTORNO    ALL*  OPUSCOLO 
DEL  GENERALE  MfiZZACAPO 

Continuazione  (i) 

Recherò  ancora  un  esempio  per  dimostrare  in  qual  conto 
si  possano  ancora  oggidì  tenere  i  concorsi  per  esame. 

Nel  iS75  9  in  una  città  che  fu  già  capitale  della  Magna 
Grecia,  e  prima  emula,  poscia  erede  dell'antica  Sibari,  reg- 
geva qual  professore  incaricato  la  cattedra  di  lingua  italiana 
e  di  fisica  nella  scuola  nautica  governativa  un  anziano  inse« 
gnante,  che  possedeva  tutte  e  quattro  le  qualità  di  titoli  di 
cui  si  è  fatto  cenno ^  cioè  diploma  d'abilitazione  allo  inse* 
gnamento  a  cui  era  stato  chiamato,  opere  stampate  che  el>» 
bero  riscosso  1'  approvazione  degli  intelligenti ,  attestazioni 
degli  studi  fatti  in  una  Regia  università^  dichiarazioni  inop' 
pugnabili  di  essersi  segnalato  nello  insegnamento  pubblico 
e  privato:  ebbene,  per  un  l'aggiro  di  parte  cui  la  mente  e 
la  penna  rifuggono  dal  descrìvere ,  senza  dargliene  avviso 
e  contro  la  pratica  sancita  dall^uso,  si  pose  a  concorso  la  sua 
cattedra.  Avevano  preso  parte  a  questa  trama  fra  gli  altri 
un  prete  ed  un  barone,  un  barone  noto  borbonico  sanfedista, 
il  quale  poco  tempo  prima  per  abuso  di  potere  era  stato 
destituito  da  Sindaco  dall'  ex  ministro  Lanza.  Un  prete  che 
dopo  essere  stato  dimesso  dalle  scuole  governative  della  città 
che  diede  i  natali  ad  Asinio  Pollione,  per  una  di  quelle  com- 
binazioni le  quali  non  si  sa  sie  più  dal  caso  che  dall'  arte 
dipendano,  fu  non  solo  richiamato  in  servizio,  ma  promosso 

(1)  Vedi  Qaadamo  di  Nofembfe  1879^  page  304. 


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id  ispettore  delle  scuole  elementari  del  circondario  di  quella 
menzionata  vetusta  greca  metropoli.  Questi,  benché  appena 
da  una  settimana  fosse  entrato  in  possesso  del  suo  nuoyo 
impiego  allora  affidatogli  e  nulla  avesse  che  fare^  anzi  ve* 
nisse  per  legge  escluso  da  ogni  ingerenza  nelle  scuole  secon-- 
darie,  tuttavìa  si  prestò  a  principale  strumento  dell'autocrata 
barone  in  quel  nefando  intrigo  a  danno  di  un  provetto  inse* 
gnante  e  povero  padre  di  famiglia  piemontese.  Ma  questa  volta 
la  vipera  morsicò  il  ciarlatano,  perciocché  ad  insaputa  degli 
orditori  della  trama  essendo  stato  raccomandato  nel  concorso 
per  esame  un  individuo,  che  ad  istanza  dello  stesso  medioevale 
barone  era  stato  poc'anzi  licenziato  dalle  scuole  di  quella  citta 
sotto  l'imputazione  di  essere  destituito  non  solo  di  diploma 
ma  d*ogni  altro  titolo  d'idoneità  allmsegoamento,  questi  ne 
fu  dal  ministero  prescelto  con  istupore  di  tutto  il  paese  e 
grande  sdegno  e  scorno  degli  ammutinati.  Ecco  a  che  con- 
duce il  concorso  per  esame  in  questi  tempii  ed  ecco  le  con- 
seguenze di  un  falso  principio. 

Circa  l'elezione  dei  professori  titolari  delle  altre  scuole 
secondarie  ,  basterà  avvertire ,  che  se  si  eccettuino  alcune 
cattedre  liceali ,  la  Gazzetta  ufficiale  non  pubblicò  più  da 
tempo  immemorabile  alcun  concorso  nk  per  le  scuole  gin- 
nasiali, né  per  le  tecniche,  ne  per  le  normali  e  magistrali. 
Egli  è  quindi  evidente  che  si  provvide  alla  vacanza  dei  posti 
secondo  l'arbitrio  di  chi  tiene  in  mano  la  direzione  del  per- 
sonale insegnante  e  secondo  le  sollecitazioni  di  parte.  £  gli 
abusi  andarono  tant  oltre,  che  in  isfregio  alla  legge  di  con- 
corso, ed  alla  legge  del  cumulo  degli  impieghi  del  js  luglio  issi, 
ed  all'art.  S7S  della  legge  scolastica  i3  novembre  1879  vigente, 
che  dichiara  inconciliabili  la  qualità  di  preside  con  quella 
di  professore  titolare  o  reggente ,  e  contro  il  divieto  degli 
articoli  25,  16S  della  legge  comunale  e  provinciale  che  esclude 
dalla  amministrazione  coloro  a  cui  incombe  l'obbligo  di  vi- 
gilarne l'andamento,  vi  sono  persone  non  poche  che  occupano 
quattro  ed  anche  cinque  uffici  incompatibili  tra  di  loro.  In 
una  città  della  parte  insulare  d'Italia  ad  esempio,  evvi  un 
avvocato  che  oltre  a  due  incarichi  nella  regia  università  , 
fruisce  ancora  di  variì  altri  stipendi  nella  qualità  di  profes** 
sore  della  scuola  nautica  e  normale,  e  fa  parte  nello  stesso 
tempo  di  una  amministrazione  contro  della  quale  egli  per 
debito  d  ufficio  di  preside  e  di  direttore  ha  l'obbligo  di  pro- 
muovere all'uopo  quei  provvedimenti  a  cui  essa  si  rifiutasse. 
Di  simili  esempi  presso  a  poco  ne  abbiamo  nella  stessa  car- 


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14  — 

pitale  del  Regno.  Di  guisa  che  si  può  oramai  affermare  cbe 
non  si  cercano  più  gli  uonini  per  grimpieglii,  ma  ai  creano 
gli  impieghi  per  gii  uomini. 

Ora  io  non  aò  con  qnal  diritto  possa  ancora  il  gorerno 
ckiamare  ali'  06servanxa  della  legge  per  ciò  che  concerne  il 
cumulo  degli  incarichi  (art.  a4s)  e  l' idoneità  del  personale 
insegnante  gli  istituii  privali»  quaado  egli  k  il  primo  a  cal- 
pestarla apertamente. 

A  q«el  professore  che  si  lagna  presso  il  Ministero  di  essere 
pos{)06to,  negletto  o  bìsti'attato,  gli  si  risponde  d'ordinario, 
che  osta  alla  sua  domanda,  ora  la  necessità  politica,  ora  la 
promozione  di  un  reggente  a  titolare,  ora  il  ridiiamo  in  ser- 
vizio in  un  professore  posto  in  aspettativa  forse  dal  mese  o 
dal  giorno  innanzi,  ora  un  articolo  del  regolamento  che  ab- 
bandona alle  ammìnistcaziooi  locali  la  proposta  dei  professori. 

Ma  queste  ragioni  anziché  scusare  valgono  a  maggiormente 
accusare  e  condannare  il  potere  esecutivoi  e  basta  a  convin- 
cerne un  accurato  esame  delle  medesime.  Farò  capo  sulla 
allegata  necessità  polìtica. 

È  pur  troppo  vero  che  per  una  malintesa  ragione  politica 
non  solo  ogni  qualvolta  avvenne  Tanoesaone  di  una  nuova 
provincia  al  Regno  italico,  Ma  ancora  dopo,  si  distribuirono 
alla  cieca  cattedre,  presidenze,  direóoni,  ispettorati,  pruvive- 
ditorati  a  qualunque  dei  nuovi  sudditi  che  sfaccbtamente  si 
fosse  (atto  imianzi,  senza  :  badare  a  titoli,  a  capacità  od  alla 
moralità  dei  postulanti,  sotto  il  pretesto  di  acquistarsi  la  be* 
nevolenza  del  nuovo  popolo.  Ma  questo  In  T  errore  politico 
pia  grave  che  si  abbia  potuto  commettere,  e  fu  un  ben  cat* 
tivo  servigio  che  i  commissari  regir  ed  i  miiiistri  i  quali  a 
questi  successero  nel  governo  della  cosa  pubblica  ,  hanno 
reso  alla  patria,  ed  una  brutta  pagina  di  storia  che  hanno 
scritto  negli  annali  dello  Stato. 

£  per  fermo,  anziché  ad  accattivare  l'animo  dei  popoli, 
contribuì  questo  sistema  più  d'ogni  altra  causa  ad  attirargli 
il  dispreizo.  Perciocché  ì  tristi  ed  i  dappoco  ,  imbaldanziti 
dal  vedere  salire  a  certi  impieghi  persone  a  loro  eguali  ed 
anche  infetìori,  si  affollarono  alle  porte  del  ministero  a  chie- 
dere arditamente  insegnamenti,  direzioni,  e  non  potendo  i  mi- 
nistri soddisfarli  tutti,  gli  altri  divennero  nemici  del  governo 
e  corsero  ad  ingrossare  le  falangi  del  partito  che  lavorava 
indefessamente  all'interno  ed  all'estero  segretamente  ed  ina- 
perto  per  ricuperare  il  perduto  dominio.  I  buoni  poi  rifog* 
gendo  dai  mezzi  indecorosi  ed  Illeciti,  ed  essendo  d'altra  parte 


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—  I«  — 

tenuti  lootabi  dalle  arti  dèi  codardi,  scoraggiati,  nauseati  si 
posero  in  disparte  e  privarono  cosi  il  governo  e  le  scuole 
del  fratto  del  loro  studio,  del  loro  sapere. 

Di  qui  ebbe  origine  il  maggior  discredito  che  ricadde  sopra 
il  gofemo  e  le  sue  scvole,  e  che  d«rara  finché  non  sorga 
un  pratico,  saggio  ed  energico  nioistro,  il  quale  ad  imita- 
zione  di  quanto  fece  il  generale  La  Marmota,  dì  buona  ne- 
morìa^  cogli  ufficiali  ed  eserciti  annesa ,  prenda  a  purgare 
il  corpo  insegnante  e  specialmente  il  direttivo  dall*elemento 
guasto  ed  indegno.  Ben  ahra  e  pia  sa^ia  fu  la  condotta  degli 
antichi  Romani  verso  le  provincie  annesse,  e  quindi  ben  di- 
versi furono  i  frutti  che  ne  raccolsero.  Essi  trassero  di  Grecia 
e  ricevettero  in  Roma  ospitali  non  le  appariscenze,  non  i  sac- 
centi imbellettati  di  falso  senno^  ma  gli  uomini  pratici,  i  veri 
maestri  dell'arte  e  della  scienza.  Ed  è  per  questa  ragione  che 
la  vinta  Grecia  vinse  la  vittoriosa  Roma  con  1*  indomabile 
potenza  dell'ingegno  e  degli  studi,  e  che  la  lingua  e  la  lette- 
ratura latina  sorse  tutta  informata  ed  ingentilita  dalla  greca, 
e  che  colla  letteratura  e  colla  lingua  crebbe  quello  incivili- 
mento che  per  il  favore  delle  armi  Roma  potè  propagare  per 
tutto  il  mondo.  Laddove  in  Italia  oggidì  ,  per  quella  male 
intesa  ragione  di  stato  sopramenzionata  crebbe  il  disordine 
e  la  confusione  col  crescersi  e  moltiplicarsi  di  nuove  e  non 
necessarie  scuole  ,  di  nuovi  ed  inopportuni  regolamenti  coi 
quali  ogni  ministro  di  pubblica  istruzione  si  crede  di  porre 
un  argine  al  crescente  male  ,  mentre  non  lascia  ai  posteri 
che  un  vero  monumento  della  propria  inesperienza,  e  contri* 
buisce  non  poco  a  rinnovare  in  Roma  quel  deplorevole  stato 
di  cose  che  il  Settembrini  ben  descrive  sotto  il  nome  di  Ba- 
bilonia napolitana  in  questi  termini: 

«  I  ministri,  uomini  nuovi  nella  difficile  arte  del  gover- 
ni nare^  erano  deboli  ed  inetti.  Non  avevano  il  coraggio,  ne 
»  la  forza  di  fare  il  bene.  Mentre  da  una  parte  gridavano 
»  che  le  finanze  erano  povere,  dall'altra  creavano  nuovi  uffici 
))  che  distribuivano  ciecamente... .  Questa  debolezza  dei  mi- 
»  nistri  faceva  baldanzire  il  popolo;  ognuno  credeva  di  po- 
»  tere  salire  a  quello  impiego  dove  vedeva  salito  un  mal- 
D  vagio,  uno  stolto  od  un  petulante,  onde  i  tristi  pretende- 
>»  vano,!  buouì  si  lamentavano  e  scoraggiati  si  tenevano  in 
»  disparte,  I  ministri  (  ed  i  deputati  )  perdevano  il  tempo 
»  a  discutere  materie  d'importanza  secondaria  e  trascuravano 
»  le  più  essenziali ,  ignoravano  ciò  che  fosse  urgente  per 
»  soddisfare  alle  legittime  esigenze,    non  comprendevano  la 


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—  16  — 
»  gravita  della  siluazione ,    e  chiodevano  stupidamente   gli 
»  occhi  in  fronte  alia  marea  che  montava  ogni  giomp  e  che 
»  doveva  Bnìre,  come  finì,  col  fare  naufragare  la  liberta.  » 

Quello  che  più  sconforta  ancora  e  che  non  lascia  spe- 
ranza di  alcun  miglioramento  si  h  vedere  la  Burocrazia  >  la 
quale  anziché  attingere  colla  antica  Sapienza  che  ci  lasciò 
scritto:  Bimprwera  il  Saggio  ed  amerà  te;  si  adopera  con 
tutte  le  arti  ad  osteggiare  coloro  che  hanno  il  coraggio 
civile  di  svelarle  le  piaghe ,  quasi  che  ciò  bastasse  per  co- 
prirle ed  impedirne  i  malefici  effetti?  Folle  consiglioi  rimedio 
peggiore  del  male!  > 

{Continua)  Prof.  GAsaiELE  Deylì 


III. 

DEL  BELLO  NELLA  NUOVA  POESIA 

{CantinuoMUmt)  (I). 


XI. 

Il  poco  che  ho  detto  circa  il  poema  romanzesco,  mi  apri* 
rebbe  la  via  ad  un  qualche  cenno  sul  romanzo  in  prosa,  se 
il  tema  del  mio  ragionamento  non  mi  circoscrìvesse  alle  sole 
materie  della  poesia  ;  solo  mi  limiterò  ad  avvertire ,  essere 
innegabile  che  il  romanzo  in  prosa  ,  possa  ,  ove  non  si  di* 
parta  dal  vero  suo  scopo,  rendere  servigi  non  pochi  alla  na- 
zionale letteratura.  E  dal  vero  loro  scopo  non  si  dipartireb- 
bero i  romanzi  in  prosa,  quando  fossero  informati  all'ottimo 
nostro  idioma ,  e  ad  una  sana  morale  accoppiata  al  diletto , 
qualità  che,  in  molti  di  essi,  sgraziatamente  non  sono. 

Che  questo  genere  di  componimento  trovi  oggidì  maggior 
numero  di  lettori,  comparativamente  al  primo,  non  sarà  certo 
chi  il  neghi,  comechè  a  dir  vero,  cosi  non  fosse  molti  secoli 
addietro,  testimoni  gli  annali  della  patria  nostra  letteratura. 
E  come  mai,  a  mo'  d'esempio,  un  Pulci,  un  Bojardo,  un  Lo- 
dovico Ariosto,  avrebbero  avuto  il  coraggio  di  dettare  que*loro 
lunghi  poemi,  se  fossero  stati  certi  di  non  vedersi  onorati  da 
buon  numero  di  lettori ,  come  probabilmente  noi  sarebbero 
oggidì  que'poeti  che  si  proponessero  regalare  al  pubblico  poemi 

(i)  Vedi  Quaderno  di  Dicembre  1879»  pag.  426. 


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17    — 

Vi  maccbiiia  a  quelli  somiglianti?  Or  donde  mai  la  ragione 
di  una  tal  differenza?  La  risposta  si  argomenterà  di  leggieri 
ove  si  ponga  mente  alla  coltura  assai  maggiore  ond*era  ono- 
rata^ a  que'tempi,  Tarte  poetica  rispetto  all'età  nostra,  della 
quale  fattura,  chi  mi  addomandasse  la  cagione»  risponderei, 
doversi  questa,  in  molta  parte,  ripetere  dall'ostilità  dei  suc- 
cessi vi  governi  ai  patrii  studi,  e  in  moltissima,  dall'indole 
le'naovi  tempi  devoti  singolarmente  a  quelle  discipline,  che 
positive  si  appellano.  Arroge  1* inondazione  de' romanzi  stra- 
'lieri  che  seducono  e  corrompono,  in  ispezial  modo,  in  questo 
secolo,  le  menti  degli  Italiani,  con  iscapito  non  poco  della 
buona  lingua,  e  che  h  peggio,  dei  buoni  costumi. 

Io  non  vo'  già  dire  con  questo ,  essere  oggidì  preferibile 
la  lettura  del  poema  romanzesco  a  quella  del  romanzo  in 
prosa,  no  certo;  massime,  se  i  romanzi  in  prosa  rispondes- 
sero allo  scopo  sopradetto;  ma  dico,  che  nelle  condizioni  pre- 
senti della  nazionale  nostra  letteratura,  molto  sarebbe  a  de- 
siderarsi dalla  classe  almeno  più  colta  del  popolo,  un  amore 
più  intenso  al  poema  romanzesco,  come  quello  che  tanta  parte 
costituisce  dell'odierna  poesia. 

Ho  detto  che  a  mantenere  sì  trista  usanza,  molto  contri- 
buisce il  culto  assai  minore,  che  viene  oggidì  consecrato  all'arte 
poetica,  rispetto  alle  età  passate;  locchè  posto,  non  parmi 
fuor  di  proposito  il  porre  qui  sotto  un  qualche  cenno  sopra 
alcuni  pregiudizi  tuttora  vigenti,  circa  l'utilità  di  quest'arte. 

Noii  h  qui  mio  intendimento  di  estendermi  sopra  un  sog- 
getto già  le  tante  volte  dibattuto,  quale  si  è  quello  di  co- 
testa  utilità.  Ninno,  dopo  quanto  già  ne  scrissero  valenti  uo- 
mini ,  vorrà  certo  contrastarle  un  tal  vanto.  Che  se  molti 
ancora  si  ostinano  nella  contraria  sentenza,  chiara  ne  appa- 
rirà la  cagione,  quando  si  rifletta,  come,  bene  spesso,  la  non 
curanza  o  il  dispregio  verso  certe  arti  o  scienze,  dalla  igno- 
ranza di  quelle  dipenda.  Parigi,  diceva  il  Voltaire,  è  pieno 
di  persone  che  dispregiano  la  poesia,  perchè  appunto  non  la 
conoscono.  Ma  ben  altrimenti  ne  sentono  tutti  quelli,  che  nati 
ad  essa,  attesero  a  coltivarla  con  profitto  e  a  deliziarsi  ne'suoi 
arcani  diletti.  I  quali,  siccome  emanazioni  del  vero  e  del  bello, 
sono  di  tanta  efficacia  che  non  reca  stupore  se  gli  animi  più 
da  essa  compresi,  sfidino,  spesso,  per  amore  di  quella,  enormi 
sacrifizi  a  scapito  de'  propri  interessi  e  talora  della  salute 
stessa.  Le  storie  letterarie  sono  piene  di  esempi  di  questa  verità. 
Che  se  il  numero  di  coloro  che  dispregiano  la  poesia  h  forse 
maggiore  in  questo,  che  nei  passati  secoli,  ciò  deve  ascriversi 

3 


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18   — 

al  carattere  di  esso  secolo,  a  cui,  generalmente,  si  da  il  nome 
di  positivo. 

E  veramente,  non  può  negarsi,  come  la  coltura  delle  scienze 
razionali  e  delle  meccaniche  sia  in  maggior  voga  oggidì  che 
nei  passati  secoli,  le  quali  scienze  sono,  presso  l'universale,  te- 
nute più  vantaggiose  delle  arti  che  lian  nome  di  belle;  come, 
per  altra  parte,  non  può  negarsi,  che,  in  virtù  delle  condizioni 
economiche  della  società  presente ,  non  si  riguardi  dai  più , 
che  air  utile  immediato  e  diretto  che  può  ritraici  negli  usi 
della  vita,  da  certe  discipline  alle  quali  e  straniera  la  poesia. 
Ma  checche  sìa  di  ciò,  se  vi  hanno  molti,  che,  per  le  anzi- 
dette ragioni,  dispregiano  la  poesia,  io  non  saprei  loro  dare 
il  torto,  essendo  verissimo,  come  osservava  anche  il  Parini: 
«  Che  la  poesia  non  è  necessaria  come  il  pane,  ne  utile  come 
rasino  o  il  bue;  ma  non  per  questo  dovrà  dirsi  un'arte  inu- 
tile, e  che,  bène  e  saviamente  usata,  (tocche  oggidì  sgraziata- 
mente non  h)  non  sia  fonte  di  immensi  vantaggi  (i).   » 

Certo  avrebbe  aria  di  paradosso  appo  molti,  oggidì  spe- 
zialmente, l'asserzione,  essere  quest'arte  più  utile  della  filosofia 
medesima;  ma  ne  parrà  altrimenti  a  chi  lo  scopo  dell'una  e 
dell'altra  di  queste  discipline  consideri.  E  in  vero,  che  fine 
principale  della  filosofia  sia  il  convincere  con  gli  argomenti 
della  dialettica,  e  con  questo  morale  convincimento  di  sfor- 
zarci alla  virtù  ed  a  fuggire  il  vizio;  quello  della  poesia,  di 
muovere  gli  affetti,  inspirando  il  cuore  con  que' sentimenti , 
di  cui  l'arte  h  capace,  all'amore  della  virtù  e  all'abborrimento 
del  vizio,  è  sentenza  che  nessun  uomo  di  senno  oserà  disco- 
noscere. Or  se  ciò  h  vero,  non  so  chi  potria  con  ragione  tac- 
ciare di  assurdo  il  principio  da  noi  posto,  chiaro  essendo  come 
a  quelle  inspirazioni  della  poesia,  meglio  la  natura  umana  ob- 
bedisca, che  a  quelle  della  severa  ragione.  Di  più,  chi  non  sa, 
come  la  più  parte  non  dubiti  persino  posporla  alle  prave  incli- 
nazioni dell'una,  comecliè  convinta  delle  verità  dell'altra.  Il 
cuore  umano  h  cosi  fatto,  e  noi  abbiamo  esempi  che  confer- 
mano ogni  giorno  la  nota  sentenza  della  Medea  di  Ovidio , 
COSI  bene  espressa  in  quel  verso  dal  cantore  di  Laura: 
Veggio  il  meglio,  V  approvo;  e  il  peggio  seguo. 

Del  resto,  se  noi  veggiamo  molti  tra  i  cultori  di  quest'arte, 
hingi  dal  contribuir  con  essa,  ad  ammaestrare  e  a  recar  gio- 
vamento alla  patria,  avere  invece  contribuito  a  corrompere 
i  più  sani  principi  (e    di    cotesti   cultori   anche  a'  dì  nostri 

(i)  Principi  di  beUe  lellere. 


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—   19  — 

non  h  inopia)  non  potremo  accagionarne  la  poesia;  ma  coloro 
piuttosto  che  deviarono  dal  vero  istituto  di  essa.  Cosi  stato 
non  fosse  !  ,  ed  il  nome  di  poeta  risuonerebbe  più  che  mai 
riverito  e  onorato  nelle  bocche  del  volgo ,  anziché  divenire 
talvolta  oggetto  di  risa. 

Ma  io  mancherei  alla  mia  promessa^  e  incorrerei  nella  nota 
di  pedante,  se  mi  distendessi  più  oltre  sopra  questa  materia 
già  svolta  sì  acconciamente  da  eruditi  e  valenti  scrittori,  tra 
i  quali  piacemi  ricordare  il  Parini  (i);  il  gentilissimo  poeta 
ed  elegante  prosatore  Ippolito  Pindemonte  (2),  e  quel  lume 
deiritaiiana  storia,  Lodovico  Antonio  Muratori  (3).  Il  perchè 
ritenendo  come  indubitate  le  costoro  sentenze,  nell'anzidetta 
questione ,  trarrò  ai^omento  piuttosto  dall'  incuranza  in  cui 
viene  nel  nostro  secolo  tenuta  quest'arte,  del  bisogno  di  rial- 
zarla dal  suo  letargo,  accennandone,  a  parer  mio,  i  mezzi  da  ciò. 

XII. 

Fu  chi  disse,  (ed  è  cosa  verissima)  che  la  poesia  dorme 
fra  noi,  la  notte  di  Michelangelo  (4).  Or  se  così  è,  come  spe- 
rare che  da  questo  sonno  possa  risvegliarsi  Ella  mai,  finché 
non  riviva  tra  noi  la  letteratura,  fiore  dell'intelletto,  del  quale 
appunto  la  poesia  stessa  h  il  profumo?  Locchè  premesso,  pare 
a  me,  che  con  più  acconci  ed  efficaci  discipline  dovrebbe  prov*- 
vedersi  alla  coltura  de'patrii  studi,  brevemente,  pare  a  me,  che 
una  più  seria  attenzione  del  governo  richiamar  dovrebbero 
le  condizioni  della  pubblica  istruzione. 

Mon  h  qui  mio  pensiero  di  proporre  riforme  su  questa 
parte  così  importante  delle  nazionali  discipline ,  sì  perclié 
non  mi  sento  da  tanto ,  sì  perché  noi  mi  consentirebbero 
i  limiti  di  questo  breve  mio  ragionamento;  solo  mi  ristrìngerò 
a  qualche  osservazione  sopra  alcuni  tra  i  principali  difetti, 
per  cui  la  Pubblica  Istruzione  si  presenta,  tuttora,  in  uno 
stato  assai  deplorevole. 

Uno  di  questi  difetti,  e  credo  il  primo,  consiste  nella 
scelta  dei  direttori  e  degl'insegnanti.  É  noto  l'adagio,  che 
l'allievo  sotto  la  disciplina  dell'insegnante,  è  come  cera  in 
mano  all'artefice,  e  però  delle  qualità  di  lui  ritener  l'opera  che 
dalla  stessa  materia  s'impronta.  Di  li  viene,  che  alla  buona 

(i)  Princìpii  di  belle  lettere. 

(a)  Prose  campestri. 

(3)  Perfetta  poesia. 

14)  Giuseppe  Maziini.  Prefatione  allo  Chatterton  di  Alfredo  de-Vigny. 


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—  to  — 
scelta  deirartefice  dovrà  por  meDte^  chi  la  bontà  dell'opera 
che  affida  all'artefice  tiea  cara  ed  ha  ia  pregio.  Ma  egli  pare 
che  cotesto  requisito  così  importante  all' insegnamento^  dico 
Tottima  scelta,  non  stia  troppo  a  cuore  al  governo  della  Pub* 
blica  Istruzione,  a  giudicarne  dai  fatti.  Conciossiachè  sia  oggidì 
cosa  nota  a  chiunque,  come  un  buon  corredo  di  sapere  e  di 
cognizioni  non  basti  ad  un  aspirante  a  conseguire  una  cat- 
tedra y  ove  a  queste  belle  doti  quelle  altre  non  accoppii  di 
minor  conto  sì ,  ma  più  utili  allo  scopo ,  e*  yo'  dire  ragioni 
di  amicizia,  di  protezioni,  parentela  e  va  dicendo. 

Vero  h  che  il  legislatore  provvide,  non  doversi  concedere 
ammissione  alle  cattedre ,  che  per  titoli  idonei  e  da  unirsi 
alla  domanda,  consistenti  in  certificati  di  esami  sostenuti  con 
ottimo  successo,  ovvero  in  opere  pubblicate  per  le  stampe, 
e  onorate  da  pubblici  suffragi.  Savia  legge!  Ma  quali  leggi 
per  savie  che  siensi ,  delle  cui  trasgressioni ,  non  occorrano 
esempj^  per  opera  di  dii  ha  in  mano  il  potere,  quando  ciò 
torni  a  suo  prò?  Così  h  della  presente. 

E  che  di  queste  trasgressioni  non  sieno  pochi  gli  esempj, 
basta  il  dare  un  occhiata  ai  giornali  della  Pubblica  istruzione; 
e  il  non  essere  stranieri  all'andamento  di  essa,  per  rimanerne 
convinti.  £  cominciando  dai  direttori,  potrei  dire  coscienzio- 
samente saper  di  taluni,  a  cui  in  un  colla  carica  della  dire^ 
zione  ,  non  vien  dissentita  anche  quella  dell'  insegnamento  ; 
che  ciò  poi,  sia  o  no  contrario  alla  legge,  non  importa. 

£,  per  non  tacere  degli  ins^nanti,  so  pur  di  taluni,  che 
con  tutti  i  loro  titoli,  secondo  me,  più  valevoli  di  qualunque 
esame,  come  a  dire  opere  rese  di  pubblica  ragione,  ed  enco- 
miate da  ralenti  ingegni,  chiesero,  né  però  riuscirono  ad  otte- 
nere una  cattedra,  conciossiachè  i  loro  titoli  non  vestissero 
tutte  quelle  qualità  giudicate  idonee  a  meritar  loro  quel  postcK 
Se  poi  le  autorità  scolastiche  che  ne  sentenziarono  sul  me- 
rito, avessero  o  no,  in  ciò,  tutte  le  'ragioni  del  mondo,  è  que- 
stione che  lascierò  in  pendente. 

Per  ciò  poi  che  spetta  all'  insegnamento  delle  materie  , 
in  genere^  un  altro  difetto  non  meno  del  primo  deplorevole, 
h  da  ripetersi  dalla  moltiplicità  di  esse,  delle  quali  suole  aggra» 
varsi  la  mente  dei  giovani,  dal  che  spesso  ne  segue,  in  con- 
ferma dell'oraziana  sentenza,  che  di  molte  cose  a  se  procace 
cino  una  lieve  tintura,  anziché  un  buon  corredo  delle  principali. 

Per  non  parlare  di  tutte  le  scuole,  locché  mi  spingerebbe 
troppo  oltre  i  limiti  assegnatimi  in  questo  giornale  ,  mi  ri- 
stringerò agli  Institnti  tecnici  ed  ai  Licei.  Nei  primi  difatti,  se 


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—  2i  — 

diamo  un  occhiata  ai  programmi,  non  basta  lo  iniziare  i  gio- 
vbetti  nella  lingua  latina,  per  poi  ben  avviarli  neiritaliana, 
ma  non  vuoisi  da  essi  escluso  lo  studio  della  Storia  e  Geo- 
grafia,  della  Matematica,  del  disegno,  della  lingua  francese, 
della  fisica,  della  Storia  naturale  e  via  discorrendo. 

A  quelli  poi  de'Licei  sarà  necessaria  una  più  che  discreta 
cognizione  di  Greco,  di  lingua  Italiana,  di  Matematica,  di 
Storia  e  Geografia,  della  Storia  della  letteratura  italiana,  della 
fisica  sperimentale,  locchè  non  impedirà  che  debbano  sapere 
esprimere  acconciamente  i  loro  pensieri  sopra  soggetti  con- 
cernenti le  materie  letterarie»  E  tutto  il  corredo  di  queste 
cognizioni  dovranno  gli  allievi  delle  rispettive  classi  secondo 
le  norme  dei  programmi,  procacciarsi  nel  breve  periodo  di 
circa  otto  mesi.  Or  se  essi  riusciranno  pienamente  allo  scopo, 
chi  ha  fior  di  senno  il  comprende. 

Un  terzo  difetto,  che  non  parmi  da  lasciare  inosservato^ 
riguarda  la  disciplina  scolàstica.  -  È  strano  il  principio  di 
certi  Rettori  dlnstituti,  che  ad  un  professore  (dico  a  un  pro- 
fessore ,  non  ad  un  semplice  maestro  elementare)  non  solo 
incomba  Tobbligo  di  ammaestrare  i  suoi  allievi  nelle  assegnate 
materie,  ma  quello  di  sorvegliare  eziandio  attentamente  alia 
disciplina  della  scuola.  —  Dal  che  ne  segue,  che  un  profes- 
sore li  cui  instituto  sarà  di  spiegarne  e  dilucidarne  alcune 
di  quelle  che  esigano  la  massima  attenzione ,  se ,  per  mala 
ventura^  incapperà  in  una  scolaresca  poco  proclive  all'osser- 
vanza di  essa  disciplina,  o  per  cattiva  educazione^  o  per  altri 
motivi  che  accenneremo  più  sotto,  dovrà  por  mente  ed  aver 
occhio  ad  un  tempo  che  cotesta  disciplina  non  venga  da 
alcuno  degli  allievi  menomamente  sturbata;  che  se  poi  le  sue 
lezioni  non  fossero  da  essi  bene  intese,  o  non  riuscissero  pro- 
ficue, ne  sarii  tutta  sua  la  colpa. 

E  che  cotesta  indisciplina  debba  deplorarsi  anche  in  allievi 
la  cui  età  e  condizione  ne  parrebbero  ai  più  argomenti  del 
contrario^  h  cosa  tuttodì  confermata  dairesperienza. 

Di  SI  grave  sconcio  a  chi  mi  domandasse  le  cagioni^  ri- 
sponderei doversi  queste  principalmente  ripetere  da  certi  vizi 
dellHndole,  poco  corretti  dall'educazione,  e  ciò  è  tanto  vero, 
che  in  alcune  parti  del  nostro  bel  paese,  dove  i  genitori  pon- 
gono la  maggior  cura  nell'  adempimento  di  così  sacro  do- 
vere, questa  educazione,  non  solo  tra  le  pareti  domestiche, 
ma  tra  quelle  eziandio  della  scuola,  torna  feconda  de'saluttri 
suoi  frutti  ;  avvegnaché ,  T  erba  (come  ben  dice  il  poeta)  sì 
conosca  per  lo  seme. 


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—  st  — 

Ma  un  altro  motivo  che  concorre  a  fomentare  sì  fatto  vizio, 
nelle  classi  di  coi  parlo,  si  h  la  facilità,  con  cui  certi  Presidi 
e  Rettori  promuovono  alle  classi  superiori,  allievi,  senza  che 
prima  abbiano  dimostrato  qualità  sufficienti  da  ben  meritarsi 
un  posto,  nelle  inferiori.  Di  lì  ne  viene,  che,  ottenutolo  in 
quelle,  sviano  di  leggieri  Tattensione,  da  ciò  che  non  inten- 
dono; né  sappiano  indursi  a  mantenere  quel  contegno  e  quell'or- 
dine, senza  dei  quali  non  vMia  lezione  che  tornar  possa  a 
profitto  dei  discenti,  nh  a  soddisfazione  degli  insegnanti. 

E  qui  fo  punto.  E  ripigliando  il  filo  del  mio  ragiona* 
mento  da  donde  mi  era  partito,  soggiungerò  che  se  tali  sono 
1  difetti  della  Pubblica  Istruzione,  né  a  questi  si  provveda 
quanto  è  mestieri,  come  sperare  che  la  letteratura  nazionale 
possa  veramente  risorgere,  e  con  essa  la  poesia? 

Ma  lo  stato  presente  della  Pubblica  Istruzione  ,  conse* 
guenza  delle  ragioni  anzidette^  non  h  la  sola  piaga  che  torni 
a  detrimento  della,  patria  letteratura;  ben  avvene  altra  della 
quale  non  vo*tacere,  checché  le  mie  parole  non  possano  suonare 
a  tutti  bene  accette.  Io  parlo  del  giornalismo,  il  cui  predo- 
minio non  fu  mai  tanto  fra  noi,  come  nel  presente  secolo. 
E  come  no?  Di  giornali  politici  abbiamo  a  josa,  e  non  so  se  più 
acconci  da  appagare  la  curiosità  dei  piiì,  di  quello  che  a  gio- 
vare alla  nazione  dal  lato  politico.  E  poniam  pure,  ve  ne  sieno 
di  quelli  che  predichino  il  loro  vero  apostolato,  egli  h  però  certo 
maggiore  essere  il  numero  di  quegli  altri^  in  gran  parte  prez- 
zolati, e  che  sotto  il  velame  della  libertà,  vanno  insinuando^ 
per  quanto  è  in  loro,  nella  popolazione,  principj  favorevoli 
air  idolo  da  cui  ricevono  oro  ,  protezione  ed  onori.  Diremo 
con  questo,  doversi  sotto  un  governo  libero,  dare  un  bando 
assoluto  a  tutti  i  giornali  politici?  No;  essendo  consentaneo 
airindole  di  cosiffatto  governo,  che  il  popolo  venga  illumi- 
nato sopra  i  suoi  diritti,  dalla  stampa,  che  vengano,  per  essa, 
messi  in  luce  gli  abusi  di  potere,  le  violazioni  della  legge 
per  parte  del  governo  stesso  o  dei  capi;  ma  parmt,  che  il 
numero  illimitato  di  cotesti  giornali  ad  altro  non  serva  che 
a  dare  fomento  maggiore  ài  partiti,  come  l'esperienza  e' in* 
segna,  locchè,  certo,  dal  lato  politico,  non  e  il  miglior  pro- 
gresso del  mondo. 

Ma  se  a  pochi  dovrebbero  ridunsi  i  giornali  politici,  non 
altrimenti  dovrebbe  dirsi  dei  letterarj  ,  e  pur  questi  >  sa- 
rebbe desiderabile  venissero  redatti  da  uomini  rersatissimi 
nella  letteratura  della  loro  nazione  ,  i  quali  sentenziar  sa- 
pessero con   vero  criterio  e  acume  di  critica  ,    su   tutte   le 


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—  23  — 

opere  che  vedono  oggidì  la  pubblica  luce:  «  Un  giornalista 
(  osserva  saviamente  il  Gioberti  )  h  maestro  e  professore  del 
pubblico;  ora  se  per  insegnare  ai  putti  bisogna  sapere  assai 
più  dì  loro,  non  veggo  come  si  possa  salire  in  bigoncia  per 
ammaestrare  una  nazione,  se  non  si  sa  più  del  comune.  Un 
giornalista  dee  cogliere  ed  esprimere  il  fior  del  sapere,  egli 
è  dunque  mestieri  che  lo  possegga  interamente.  Ma  se  i  gior- 
nali spesseggiano  come  gli  almanacchi,  e  chiaro  che  non  var- 
ranno più  di  essi,  perchè  invece  di  essere  distesi  da  uomini 
dotti  e  maturi,  ^^rranno  scritti  da'semidotti  o  dai  principianti 
0  dagli  ignoranti.  £  in  tal  caso  non  che  giovare,  diventano 
la  peste  delle  lettere  e  delle  scienze   »  (f). 

Di  queste  parole  che  il  Gioberti  scriveva,  sono  parecchi 
anni,  ottimo  consiglio  sarebbe,  che  si  facesse  tesoro  da  coloro 
che  intendono  ammaestrare  la  nazione  col  mezzo  del  giorna- 
lismo j  ma  egli  pare  invece  che  il  numero  de'  giornali  vada 
aumentando  per  modo,  da  far  temere  che  il  voto  del  gran  filo- 
sofo ,  abbia  a  sortire  effetti  diametralmente  opposti.  Ed  io 
bramo^  per  il  bene  delle  patrie  lettere,  che  ciò  non  sia. 
{Continua) 

Prof.  Nicolò  Marsucco 


IV. 

SENSATI  RESTAURI  DI  UN  MONUMENTO  ANTICO 
E    SUA    NUOVA    DBSTINAZIONE 


Compita  la  disgustosa  descrizione  di  due  fabbricati,  provo 
la  consolazione  di  tributare  i  miei  rallegramenti  al  conte 
Virginio  Vespignani  arcnitetto  accademico  ,  già  mio  condi- 
scepolo nella  scuola  di  architettura  teoretica^  retta  in  quel 
tempo  dal  compianto  professt>re  Gaspare  cav.  Salvi ,  per  li 
bene  intesi  ed  imponenti  restauri,  che  sta  dirigendo  (con  l'as- 
sistenza nella  esecuzione  di  essi  dell'architetto  Augusto  Ma- 
derno)  (2)  nella  Dogana  di  terra,  posta  sulla  piazza  di  Pietra. 

Il  Ministero  delle  finanze  si  trovava  in  bisogno  di  avere 
una  Dogana  in  prossimità  della  Stazione  delle  vie  ferrate. 
A  tal  fine  lo  stesso  ministero  progettò  alla  Camera  di  Com- 

(1)  Gesuita  moderno,  T.  1? 

(2)  Discendente  in  linea  retta  da  quel  Carlo  Mademo  Comasco,  che  pro- 
lungò la  navata  della  basilica  Vaticana ,  vi  fece  il  vestibolo  ossia  pronaa  e 
la  facciata. 


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—   24    — 

mercio  (la  quale  non  aveva  sede  fissa)  dt  cedergli  per  sua 
residenza  la  Dogana  suddetta^  con  che  però  questa  edificasse 
a  sue  spese  un  locale  per  uso  di  dogana^  a  seconda  dei  di- 
segni che  gli  sarebbero  stati  presentati  dal  Consiglio  d  arte. 
Accettato  il  progetto  ed  eseguiti  i  lavori  della  nuova  dogana 
nel  punto  designato;  la  Camera  di  commercio  entrata  al  pos- 
sesso della  Dogana  stessa  ha  posto  mano  ai  restauri  oc- 
correnti, che  ne  aveva  estremo  bisogno,  ed  a  quei  lavori  di 
trasformazione  per  ridurla  airuso  del  suo  determinato  fine. 

Questo  monumento  si  h  creduto  sempre  da  molti,  come 
si  crede  tuttora,  che  fosse  la  basilica  di  Antonino  Pio  e  di 
Marco  Aurelio,  e  gli  Archeologi  si  lambiccavano  il  cervello 
per  collocare  di  fronte  al  prospetto  la  colonna  trionfale,  la 
quale  è  stata  sempre  dove  sta  presentemente  sulla  piazza 
contigua;  ma  quando  sapranno,  che  la  basilica  di  Antonino 
Pio  esisteva  sull'area  occupata  oggi  dal  palazzo  Chigi,  allora 
conosceranno,  che  la  colonna  trionfale  stava  di  fronte  al  suo 
prospetto  e  così  termineranno  le  questioni  archeologiche. 

11  monumento  della  dogana  di  terra  rappresenta  il  fianco 
a  destra  del  tempio  periptero  dedicato  a  Nettuno  con  undici 
colonne  isolate  di  marmo  scanalate  a  più  pezzi ,  con  base 
attica  e  capitello  corintio  alte  m.  18,10  e  con  base  e  capitello 
m.  14,70  del  diametro  di  m.  i,44  distanti  1*  una  dall*  altra 
m.  2,40;  ed  il  muro  parallelo  a  poca  distanza  nella  parte 
interna  detto  il  pronao  è  quello  che  con  gli  altri,  che  più 
non  esistono,  costituiva  la  Cella.  11  suo  prospetto  era  volto 
ad  oriente  ;  se  fosse  prostilo  o  antiprostilo  ce  lo  diranno 
i  nostri  archeologi  i  quali  non  sbagliano  mai* 

Della  trabeazione  di  marmo  che  coronava  le  dette  co- 
lonne non  rimane  che  il  solo  architrave  e  quel  fregio  e  cor- 
nice che  si  vedono  oggi  sono  di  muro  e  stucco,  che  sotto 
il  pontificato  d*  Innocenzo  XII  (Pignatelli)  tra  gli  anni  1695 
al  1700  vennero  costruiti  sotto  la  direzione  dell'  architetto 
Francesco  Fontana,  ma  con  tanta  semplicità,  che  poco  o  niente 
si  addicono  alla  ricchezza  dell'ordine  corintio. 

Questo  avanzo  di  tempio  -viene  fiancheggiato  ai  due  estremi, 
da  due  ale  di  fabbricato,  un  poco  rientranti,  con  due  finestre 
in  linea  ad  ogni  piano  ed  in  ciascuno  di  essi,  decorati  orrì- 
bilmente da  due  pilastri  (l'uno  a  contatto  del  tempio,  Taltro 
angolare)  con  capitelli  alla  borrominesca  e  cornice  di  brutta 
sagoma. 

Nei  cavi  fatti  anni  addietro  sulla  piazza  di  Pietra  ven- 
nero scoperti  molti  massi  giganteschi  di  marmo  scolpili,  alcuni 


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—  25  — 
rappresentanti  provincie  personificate  delKimpero  Romano  in 
bassorilievo,  altri  in  trofei  ed  ornati,  e  tra  questi  un  pezzo  di 
cornicione  con  modiglioni  ed  altri  intagli,  che  barbaramente 
si  trasportò  sulla  passeggiata  delle  Tre  Pile,  perchè  stando 
allo  scoperto  possa  più  facilmente  deperire. 

Il  conte  Vespìgnani  architetto  direttore  ,  come  si  disse, 
dei  restauri  di  questo  rispettabile  monumento,  nel  suo  buon 
gusto  e  cognizioni  in  arte,  seppe  conoscere  dalle  dimensioni, 
stile,  intagli  e  carattere,  che  quel  pezzo  di  cornicione  tra- 
sportato alle  Tre  Pile  apparteneva  al  tempio  di  Nettuno  , 
onde  egli  ricavatane  sagoma  esatta,  lo  ha  fatto  costruire  di 
muratura  &  stucco  sulle  due  ale  di  fabbricato,  che  vennero 
addossate  alle  due  estremità  del  tempio  medesimo.  Così  ha 
fatto  dei  pilastri,  ornandoli  di  capitelli  corinti  in  armonia 
con  quelli  delle  colonne. 

In  quanto  alle  finestre  esistenti  nelle  due  ale  di  fabbri- 
cato, egli  le  ha  sbarazzate  da  ogni  adornamento^  lasciando 
le  sole  luci  poggiate  sopra  una  fascia,  ed  abbellite  soltanto 
dal  taglio  delle  bugne  nella  rinnovata  stabilitura  e  colla  , 
con  serraglio  nelf  architrave  ;  e  quella  tinta  cupa  che  si  è 
data  a  queste  parti  restaurate  accresce  importanza  e  maestà 
al  monumento.  Se  farà  egualmente  neirintercolunnio,  distrug- 
gendo quei  ridicoli  sopraornati  delle  finestre,  ed  accompa- 
gnando il  cornicione  a  quello  fatto  ai  due  estremi,  compira 
un  opera,  che  farà  onore  alle  arti,  a  Roma,  alla  Camera  di 
Commercio  ed  a  lui  stesso,  benché  non  ne  abbia  tanto  bi- 
sogno, avendo  acquistato  fama  eternale. 

Ma  dopo  compiti  i  restauri  col  sistema  fin  qui  adottato, 
quale  impressione  faranno  quelle  colonne  bucate  e  sgrugnate 
da  cima  a  fondo?  quella  stessa  che  produrrebbe  l'aspetto  di 
un  vecchio  venerando  vestito  di  broccato,  con  sopra-veste  la- 
cera e  sdruscita.  Che  cosa  si  direbbe  dellarcbitetto  direttore, 
a  cui  vennero  aflSdati  i  lavori  di  restauro?  Che  egli  non  ha 
saputo  compire  l'opera  sua,  cioè  il  rappezzo  delle  colonne, 
delle  basi  e  capitelli,  e  di  quel  zoccolo  continuato,  o  stilo" 
JfatCf  che  sostiene  le  colonne  medesime. 

Con  tali  restauri,  che  che  ne  dicano  i  zelanti  archeologi, 
il  monumento  non  perderà  il  merito  artistico,  ne  molto  meno 
quello  dell'antichità;  poiché  nessuno  ha  preteso  mai  scemargli 
ì  suoi  anni;  le  colonne  saranno  sempre  le  stesse,  come  sa- 
raranno  sempre'  le  stesse  basi,  li  stessi  capitelli  e  lo  stesso 
stilobate.  11  dire  che  il  monumento  perderebbe  della  sua 
originalità  l'è  una  vera  scipitaggine. 

4 


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—  M   

L'arco  di  Tito  venne  restaurato  dal  Valadier;  ha  perduto 
niente  del  suo  merito  artistico  ed  archeologico  ?  Come  non 
perdette  niente  del  proprio  merito  il  muro  esterno  circolare 
del  Pantheon,  presso  la  casa  Bianchi,  allorquando  venne  rap- 
pezzato con  la  rinnovazione  di  quella  cornice  d'imposta. 

Noi  abbiamo  quantità  di  ruderi  antichi,  ma  nessun  mo- 
numento (eccettuato  il  Pantheon)  che  presenti  la  sua  inte- 
grila. Ce  la  presenterebbe  la  parte  residuale  del  tempio  di 
Nettuno,  qualora  il  conte  Vespignani  non  venisse  contrariato 
nelle  sue  idee. 

Ma  fate  signor  Conte  quello  che  vi  suggerisce  la  filosofia 
dell'arte,  di  cui  siete  bastantemente  al  possesso,  e  vi  farà 
onore ,  acquisterete  maggior  dose  di  credito ,  perchè  farete 
cosa  gradita  ai  Romani  e  specialmente  alla  classe  intelligente; 
come  vi  farebbe  torto  se  prestaste  orecchio  a  coloro  ,  che 
attentano  alla  vostra  gloria  e  non  amano  di  vedere  le  cose 
fatte  secondo  le  regole  di  arte^  tendenti  a  maggiormente  no- 
bilitare la  Citta  eterna. 

Voi  siete  autore  di  molte  opere,  e  benché  tutte  vi  fac- 
ciano onore,  questa  del  restauro  del  tempio  di  Nettuno  esal- 
tera fino  alle  stelle  il  vostro  nome,  perchè  trarrete  dal  se- 
polcro, per  la  parte  che  rimane,  un  cadavere  disfatto^  ìmpu* 
tridito,  e  lo  restituirete  in  vita  per  rivedere  la  luce  del 
giorno  nello  stato  di  sua  virilità. 

Ora  mi  permetterete  di  manifestare  una  mia  idea.  Quegli 
enormi  due  piloni  che  sostengono  la  volta  di  quel  camerone 
con  ingresso  sulla  via  de' Burro  e  sostengono  altresì  ì  muri 
superiori  incrociati,  li  demolirei,  sostituendo  ad  ognuno  di 
essi  quattro  colonne  isolate  con  capitelli  ed  architrave  ;  e 
ciò  farei  per  togliere  a  quel  vano  il  carattere  mastino,  che 
i  detti  piloni  gli  somministrano.  Conosco  che  V  operazione 
sarebbe  alquanto  difficoltosa,  ma  tutto  si  può  fare  volendo. 

Roma  1?  settembre  isso. 

Giuseppe  Verzili  Architetto  Ingegnere 


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Ì7   ~ 

V. 

PASSATEMPI  ARTISTICI 
DELL'ARCHITETTO  PIETRO  BONELLi 

XI. 
UN    NUOVO    EDIFICIO    SULLA    PIAZZA    DELLA    MINERVA 

L'  autico  palazzo  Severoli  »   ora  appartenente  alla  nobile 
Accademia  Ecclesiastica,  posto  di  fronte  alla  chiesa  di  s.  Maria 
sopra  Minerva,  ingrandito  dell'area  di  due  casette  attigue, 
e  indietreggiando  di  circa  sei  metri,  ha  test^  cambiato  fiso- 
nomia;  ha  perduto  quella  serietà  bisbetica  caratteristica  delle 
fabbriche  del  secolo  XVII,  ed  ha  preso  quell'aria  di  vivacità 
che  costituisce  lo  stile  predominante  nella  gran  parte  delle 
odierne  costruzioni.  Questa  metamorfosi  la  dobbiamo  al  nostro 
architetto  il  sig.  cav.  Gaetano  Monchini.  E  un  lavoro  archi- 
tettonico di  qualche  importanza,  di  quei  che  nel  breve  pe- 
rìodo   dì   un    decennio  abbiamo  veduto   compiersi  in  Roma  , 
e  come  tale  merita   spendervi   qualche   parola.  Limitandomi 
a  descriverne  soltanto  la  parte  ortografica  ,  dirò  che  ella  si 
compone  di  tre  piani  oltre  il  terreno ,  con  nove  finestre  in 
ciascuno;  Timbasamento  tiene  nel  mezzo  un  superbo  portone 
d'ingresso  guarnito  di  due  colonne  striate  d'ordine  dorico, 
le   quali    sostengono  una   loggia    a    balcone    balaustrato.  Ai 
fianchi  di  esso  si  schierano    due    ali  di  arenazioni  d^  ordine 
rustico,  sostenute  da  piedritti  a  larghezze  disuguali,  alcuni 
dei  quali  stecchiti  di  soverchio,    e  sebbene   si    compongano 
^  guisa  di  perticale,  pure  non  sono  che  porte  di  botteghe, 
//  clmì  sesto  superiore  serve  a  dar  aria  e  luce  a  chi  sa  che 
^stie    di    abitazioni  annesse   alle   medesime.  Un  cornicione 
^^c3  iglionato  corona  l'intero  edificio. 

^         £  innegabile  che  un  portico  forma  il  bell'ornamento  di 

ijXB.Sk       piazza  ;    ma  come  tale  e  parte  integrale  di  un   nobile 

edi.fx<::io,    credo  non  si  dovesse  dargli  un^  apparenza  rustica. 

iWsL    ^  propria  dei  luoghi  campestri  e  di  quelli  di  uso  tutt'altro 

cbe      gentile;    inoltre  che  desso    debba  servire  a  mascherare 

vi>^     speculazione  ciò  è  fuori  di  ogni  convenienza.  Che  le  hot- 

legVft^   ravvivino  le  contrade,  lo  ammetto;  ma  d'altra  parte 

^^sc^gna  convenire  che  sono  sempre  in  contrasto  colle  ineso- 

T^oili  esigenze  blasoniche  e  tramandano  un'  aura  di  specula- 


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—  18  — 

zione,  che  al  caso  nostro  è  doppiamente  inescusabile;  impe- 
rocché offende  i  riguardi  dovuti  alla  dignità  magnatizia  ed 
ecclesiastica.  Uno  sguardo  ai  principeschi  palazzi  Farnese  , 
della  Cancellerìa,  Borghese,  Ruspolì,  Chigi  e  tanti  altri  di 
minor  mole,  e  l'esempio  dei  grandi  autori  di  quegrimponenti 
edifici  persuaderà  ognuno  che  io  non  solo  ho  parlato  secondo 
i  precetti  razionali  dell'arte,  ma  altresì  coll'appoggio  di  auto- 
rità che,  credo,  non  cedono  tanto  facilmente  a  quelle  della 
moderna  scuola. 

Questa  osservazione  sebbene  mi  abbia  per  poco  allonta- 
nato dal  mio  argomento,  mi  era  necessaria  per  un  appoggio 
alla  mia  opinione  riguardo  cotesto  disegno  ortografico.  Desso 
manca  adunque  di  nobiltà  e  grandezza  ,  che  ben  avrebbero 
accompagnata  quella  vivacità  di  linee  di  cui  è  informato  ; 
caratteristiche  proprie  a  rappresentare  un  asilo  di  gioventù 
scelta  e  studiosa.  Ed  in  prova  di  ciò  vi  concorrono  altresì 
la  piccolezza  delle  finestre  e  la  ristrettezza  degli  spazi  inter- 
posti fra  loro;  e  tutto  questo  insieme  riunito,  mi  porta  a  con- 
cludere che  il  nuovo  prospetto  eretto  sulla  piazza  della  Minerva, 
a  mio  modo  di  vedere,  tiene  le  sembianze  non  di  nobile  pa- 
lazzo, ma  piuttosto  di  un  vasto  e  privato  casamento,  e  come 
tale  lasciate  che  io  ne  canti  le  bellezze,  e  ne  lamenti  le  brutture. 

In  verità  le  une  superano  le  altre.  Difatti  la  parie  de- 
corativa delle  finestre  arcuate  dei  primo  piano,  in  sul  fare 
di  quelle  del  palazzo  Farnese^  con  due  colonnine  a  capi- 
tello composito  che  sostengono  la  trabeazione  ed  un  fronti- 
spizio alternativamente  curvo  Tuno,  e  angolare  l'altro;  il  loro 
rapporto  metrico,  sempre  proporzionato  a  casamento,  ed  il 
cornicione  modiglionato  che  lo  corona  sono  parti  di  esso  , 
ove  si  riconosce  buon  gusto  e  bello  studio.  Dove  poi  sembra 
a  me,  siasi  cacciato  mal  garbo,  pessimo  gusto,  e  anti-eurit- 
mica  disposizione,  e  nei  due  piani  superiori,  le  cui  finestre 
con  troppo  immediato  passaggio  da  quelle  del  piano  sotto- 
stante si  presentano  di  una  semplicità  che  si  avvicina  alla 
miseria;  e  perciò  discordante  da  quelle  del  primo  piano,  ov'c 
profusione  abbondante  di  elementi  decorativi.  Di  più  la  figura 
stecchita  di  quelle  del  terzo  piano  darebbe  a  credere  che  sif- 
fatta anomalia  non  fosse  parte  di  quella  istessa  mente  che 
concepì  la  bella  idea  manifestata  nel  primo  piano.  In  quanto 
poi  ai  profili  delle  cornici ,  non  mi  pare  in  alcuni  vedervi 
molta  grazia,  specialmente  in  quelle  del  portone  ov'è  deci- 
samente durezza  e  mal  garbo.  Riassumendo  il  fin  qui  detto 
sul  rapporto  estetico  della  novella  fabbrica  ,    ella  difetta  di 


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—  t»  — 
quel  carattere  che  le  conviene,  e  non  si  presenta  all'occhio 
artistico  che  come  una  facciata  di  un  particolare  casamento 
cittadino,  il  cui  imbasamento  h  di  ordine  rustico,  il  primo 
piano  di  gusto  gentile  e  ben  studiato,  il  secondo  e  terzo  di 
aspetto  sgarbato  e  miserabile.  Vedete  i  tre  diversi  modi  di 
architettare  in  un  istesso  edificio!  Per  un  aristarco  arrabbiato 
questo  mescuglio  sarebbe  un  potente  stimolo  a'giudizi  troppo 
severi  ed  inconsiderati,  io  invece  voglio  tranquillamente  assa- 
porare questo  manicaretto  senza  darmi  il  menomo  pensiero  se 
grintingoli  che  lo  compongono  siano  eterogenei  fra  loro.  E  con 
tutta  la  sincerità  dovuta  fra  compagni  d'arte  mi  congratulo  col 
sig.  Morichini,  che  ha  disegnato  con  molta  grazia,  non  dico  il 
prospetto  del  palazzo  di  un'  Accademia  Ecclesiastica ,  ma 
quello  di  casa  cittadina  degno  di  una  città  capitale  qual'  h 
Roma,  improntato  però  del  vizio  predominante  ai  nostri  tempi, 
speculazione  e  risparmio;  cioè  mole  da  palazzo,  picciolezza 
di  riparti  e  di  proporzioni  da  caserino  ed  eccedenza  di  orna- 
menti di  capriccio  per  smania  di  novità  ,  che  bisogna  pur 
confessare  egli  h  lo  stile  di  architettare  della  nostra  epoca, 
introdotto  fira  noi  assieme  a  quello  spirito  d'innovazione  vo- 
luta dal  traffico  e  dal  moderno  avanzamento  della  civiltà  e 
del  lusso  ;  cosicché  1'  arte  è  caduta  nelle  mani  di  chi  non 
sente  che  il  proprio  tornaconto ,  e  non  tiene  altro  di  mira 
che  la  mollezza  dei  costumi,  ed  i  capricci  della  moda  e  del 
fasto.  Le  arti  del  disegno,  una  delle  più  belle  creazioni  dell'u- 
mano ingegno^  che  dovrebbero  esser  tenute  come  splendido 
ornamento  della  società  ,  sono  ora  tutt'  altro  che  esei*dtate 
secondo  i  veri  principi  estetici.  Il  moderno  architetto  inge- 
gnere sente  soltanto  il  pizzicore  di  aprirsi  una  stradella  che 
lo  conduca  a  strisciare  i  piedi  nelle  aule  marmoree  dei  grandi, 
e  col  denaro  accumulato  mettersi  nella  classe  di  coloro  a  cui 
nulla  h  impossibile  ,  vizio  predominante  nella  razza  umana* 
Cotesta  fortunata  aspirazione  si  realizza  con  più  facilità  che 
non  era  una  volta.  Adesso  si  acquista  riputazione  di  abile 
e  di  illustre  cultore  dell'arte  Vitruviana,  e  si  guadagna  un 
nome  imperituro  con  uno  slancio  di  destrezza  ;  con  questi 
il  genio  si  sviluppa,  il  gusto  si  fa  buono,  lo  studio  diviene 
profondo;  infine  con  vivacità  e  franchezza  di  modi,  loquacità 
animata,  pompa  di  se  stesso  e  favoritismo,  tenendo  sempre 
nel  taschino  del  panciotto  il  memoriale  Tecnico  dell'ing.  Luigi 
Mazzocchi,  da  bruco  strisciante  tra  rovi  e  spine  sì  trasforma 
in  crisalide  vaga  di  splendenti  colori  svolazzante  nell'empireo 
dei  luminari  della  scienza,  in  somma  con  un  risoluto  salto  un 


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—  30   — 
impresario,  un  costruttore  di  fabbriche,  uà  agrimensore,  uà 
capomastro  muratore,  un  assistente  a*lavori  mutar]  e  chiunque 
altro   che    esercita    un'arte    affine  all' archetipa    architettura 
può  immergersi  nel  pelago  della  scienza  e  fra  i  vorticosi  flutti 
trova  un  riparo  ai  disagi  della  vita,  e  si  fa  chiaro  un  nome 
tenutosi  fino  allora  oscuro  e  sconosciuto!  Da  cotestoro  potrà 
uscirne  qualcuno  che  fornito  dalla  natura  di  eletto  ingegno, 
di  un  genio  atto  a  belle  creazioni,  fervente  di  amore  per  l'arte 
Vitruviana  ,   divenga  arclii tetto  di  vaglia ,    e  onori  colle  sue 
opere  il  nostro  paese  ?  Possibile ,   ma  difficile  ;    a  meno  che 
preferisca  al  temerario   slancio   uno   studio   instancabile  ,    e 
manchi  in  lui  V  avidità  del  guadagno  che  non  conduce   mai 
a  bene  oprare  :    allora   si   che  questi  inestimabili  doni  della 
natura   possono  mettersi  a  profitto    ed   incremento  dell  arte 
suddetta.   Studiando   sopra  le  stupende  opere  de*  nostri  an- 
tichi maestri  ei  potrà  comprendere  quali  siano  le  vere  basi 
dove  posano  gl'inalterabili  principi  estetici,  ed  h  per  ciò  che 
io    consìglio    chicchessia   il   quale    voglia    porsi    su    cotesto 
cammino ,    di    non    scambiare    in    un    subito    la    cazzuola 
e   la   canna    metrica    colle    seste   e    la   squadra ,   ma    prima 
fare  una  lunga    passeggiata  per  le  strade  interne  di  Roma  , 
ed  anche  ricrearsi  con  qualche  scampagnata  al  di  fuori  delle 
sue  mura,  visitando  ed  esaminando  con  attenzione  i  monu- 
menti della  maniera  greca,  romana^  cinquecentista,  barocca, 
non  trascurando  qualcuno  della  moderna  scuola  del  Valadier 
e  dello  Slern,  sparsi  tutti  per  ogni  dove  su  questo  classico 
suolo ,    e  con  questo  solo  esame  pratico   delle    bellezze  che 
in    essi    certamente    troverà ,    ardisco   sperare   eh  ei  diverrà 
capace,  se  non  di  ben  creare,  che  è  quanto  dire,  frenare  lo 
sbrigliato  modo  di  fabbricare  d'oggidì,  d'imparare  almeno  a 
saper  bene  imitare. 


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31   — 

VI. 

SCIENZA  E  VIRTÙ 
gaume 

DEL  Paor.  AmomO  RIÈPPJ 

I  VOLGARIZZATO 

DA  GIUSEPPE  BELLUCCI 


Doetnna  ted  tìoi  pfomovet  ibtitam 
Rectiqne  cnllus  pe<Aora  robonot: 
Utcumque  defecere  mores, 
Dedecorant  bene  Data  cnlpae. 

HOH. 

Haec  aelas  darò  fulget  moderamine  rerum , 
Ingeniumque  hominum  tanto  splendore  renidet, 
Abdita  dum  retegit  latebris  quae  condidit  ìmìs 
Tellusi,  quae  pelagus  sinuoso  in  gurgite  volvit, 
Quaeque  micant  mire  fulgentia  in  aetheris  arce; 
Ut  credas  homines  tandem  solvisse  beatos 
Magnis  inventis  erroris  vincla  vetusti. 
Plaustra  rotis  properis  '  nigro  compulsa  vapore 
Procurrente  vias  stratas  ferro  impete  adurgent. 
Et  spatium  celerant  longum  velocius  euro: 
Nec  modo  planitiem,  sed  ruptis  Alpibus  ipsis 
Coecas  trajiciunt  rauco  stridore  cavemas. 
Oceanus  terras  qui  dissociaverat  olim, 
Pectora  terrebatque  hominum  irremeabilis  undae 


Oh  come  su  le  cose  ha  bel  governo 
La  nostra  etade!  oh  come  splende  e  brilla 
L'  umano  ingegno,  mentre  ciò  che  asconde 
La  terra  in  sue  latebre,  e  ciò  che  il  mare 
Ne*  sinuosi  suoi  gorghi  travolve. 
Ciò  che  pili  in  alto  raggia,  esso  discopre! 
Onde  già  credi  il  secolo  beato 
N'  abbia  per  molti  alfin  trovati  eccelsi 
Spezzato  i  lacci  dell*  antico  errore. 
Da  vapor  negro  carri  ecco  sospinti 
Su  preste  rote  con  foga  precipite 
Corron  strade  di  ferro,  e  via  divorano 
Più  che  r  ale  de*  venti  i,  lunghi  spazii; 
Né  solo  il  pian,  ma,  rotte  TAlpi  stesse; 
Cieche  caverne  in  suon  rauco  trapassano. 
Queir  Oceàn  che  terre  avea  disgiunto, 
E  della  visu  sol  ghiacciava  i  petti 


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—   32   — 
ConspectUi,  nauias  ignotas  duxit  in  oras. 
Aequora  lata  patent,  Tethysque  alium  extulit  orbetn, 
Detexitque  novas  alio  sub  sidere  terrea. 
Non  ope  remorum,  at  vehementis  flaminis  actu, 
Quod  gemitu  resono  emittunt  ferventia  ahena, 
Reclusis  tubulis^  ingentis  mole  cylindri 
Compulsa,  et  picei  disiecto  vortice  fumi, 
Mavigia  exspatiata  volant,  longinqua  pererrant 
Littora,  quaeque  oriens  perfundit  lumine  Phoebus, 
Quaeque  jacent  ubi  sol  alto  se  gurgite  condit. 
Quin  ipsum  petimus  coelum,  et  jam  tela  Tonantis 
Contudimusy  prisci  quod  non  fecere  gigantes. 
Postquam  fulmineas  domuit  Franklinius  alas, 
Labitur  innocuum  suprema  in  culmina  fulmen. 
JVec  minus  est  mirum  ezimius  quod  Volta  peregit, 
Quodye  alii  sunt  enixi  haec  exempla  secuti. 
In  parva  pila  cobibetur  fulguris  ira. 
Ignis  fulmineus  teretis  per  fila  metalli 
Non  modo  longinquas  orbis  transmittit  in  oras 
Signa,  quibus  mens  absenti  monstratur  amico, 
Sed,  posita  rabie,  varios  decurrit  in  usus. 
Nam  sonitus  promit,  laeti  et  modulamina  cantus 


Delle  sue  immense  irremeabili  onde. 
Vide  vele  volare  a  lidi  ignoti. 
Apronsi  mari,  e  altr*  orbe  addita  e  scopre 
Teti,  e  sott*  altro  ciel  nuove  regioni. 
Non. per  forza  di  remi,  ma  di  foco, 
Cbe  veemente  e  stridulo  sprigionasi 
Da  ferventi  caldaje,  e  per  nascosi 
Tubi,  e  potenza  di  cilindro  1*  ale 
Metton  navigli,  che  vortice  oscuro 
Lancian  di  fumo,  e  trascorrendo  vanno 
Lontani  lidi,  e  quei  che  il  Sol  nascendo 
Veste  di  luce,  e  quei  dove  s'  asconde. 
Fin  allo  stesso  ciel  moviam  l'assalto, 
E  già  al  Tonante  rintuzziam  gli  strali. 
Ciò  che  i  prischi  giganti  non  opraro. 
Dacché  Franklin  domò  del  folgor  T  ale. 
Innocuo  ei  scende  su  l'eccelse  vette. 
Né  men  di  meraviglie  oprò  qnel  grande. 
Onde  Como  si  esalta,  e  gli  altri  egregi, 
Che  ne  seguir  la  traccia  arditi  e  pronti. 
Acqueta  esigua  pila  al  folgor  l'ire, 
Ed  ei  grazia  le  dona  del  suo  foco. 
Che  per  fili  metallici  tramanda 
Non  pur  del  mondo  alle  contrade  estreme 
Segni,  onde  legge  il  tuo  lontano  amico 
Il  tuo  pensier;  ma  ad  usi  altri  si  porge. 
Che  snoni  e  canti  e  melodie  soavi 


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—   33  — 
lam  transfert  pandi tquc  procul,  rursusque  ciere 
Verba  potest  vacuas  aedis  diffusa  per  auras. 
Sic  vox  et  remeat  per  quos  modo  venera  t  arcus 
Arte  nova,  nova  quam  reperit  Titania  proles. 
Audacter  petimus  coelum,*  sedemque  deorum. 
Solis  defectus  scimus  Lunaeque  labores, 
Quaeqne  suo  Ailgore  nitescant  sidera  coeli. 
Et  quae  reflexos  radios,  lucemque  ministrent, 
Quo  pergant  motu,  redeantque  agitata  perenni, 
Perpetuosque  orbes  aequato  pondere  librent. 
Nec  tangunt  trepido  nunc  corda  pavore  cometaci, 
Dum  rutilos  crines  spatioso  limite  ducunt: 
Nam  qui  convexo  nutantem  pondere  mundum^ 
Quaeque  polo  astra  baerent  gemino,  coelumque  coruscum 
Descripsit  radio  Sophiae  perdoctus  alumnus, 
Horrificas  certa  deduxit  lege  cometas, 
Perdocuitque  modum,  latus  quo  volvitur  orbis. 
Nec  satis  est  coeli  arcanas  pemoscere  leges, 
Sed  genus  lapeti  humanos  convertit  in  usus 
Pboebeos  radios,  et  flexo  lumine  solis 
Utitur  ut  vivas  depromat  imagine  formas. 
Umbras  quin  etiam  tentat  depellere  noctis 

Ei  fura,  e  lunge  le  ridesta:  accenti 
Ripeter  sa,  cbe  in  camera  fur  sparti. 
Cosi  del  par  la  voce  indietro  toma 
Per  li  stessi  meati,  onde  partissi: 
Arte  novella  di  Prometei  nuovi. 
Con  voi  piii  ardito  alle  superne  sedi 
Spingìam  la  vista,  e  di  saper  n'  è  dato 
Perchè  eclissi  alla  Luna  e  al  Sol  dà  briga. 
Gli  astri  quai  sien  di  propria  luce  adomi,   . 
Quai  ne  ministrin  dai  reflessi  raggi, 
Qaal  moto  li  sospinga  e  li  raggiri, 
E  il  perpetuo  rotar  non  li  delibri. 
Piii  non  tremano  i  cuor,  se  il  rosseggiante 
Crine  diretro  a  sé  lascian  comete 
Per  lunga  traccia;  che  l'industre  e  dotto 
Alunno  di  Sofia,  che  la  gran  mole 
Del  circolante  mondo,  e  d'  ambo  i  poli 
Le  stelle  fisse,  e  i  tremuli  baleni 
N'  ebbe  sommesso  ai  calcoli,  e  alla  sesta, 
'D'orror,  di  stragi,  di  maligni  influssi 
Le  comete  svestinne,  e  ci  i^' saggi 
Del  come  lor  grand'  orbita  si  volve. 
L'arcane  qualità  saper  del  cielo 
Di  Giapeto  alla  razza  ornai  non  basta; 
Ma  il  solar  raggio  ad  umani  usi  astrigne, 
E  sì  il  riflette  in  lamina^  che  a  un  tratto 
N'escono  forme  che  del  ver  son  figlie. 
Fin  le  tenèbre  d*  una  luce  abbella. 


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—  34  — 
Luce  nova  simulante  micantia  lumina  Phoebi. 
Isidis  aetemae  penitus  pertuiui  dehiscunt 
Tegmina^  quae  rerum  naturae  arcana  tegebant: 
Isis  nuda  jacel  vittis  spoliata  vetustis. 
Tartarei  fugere  timores,  fabula  manes 
lam  sunt,  et  nutans  ruit  ingens  janua  Ditis. 

Sed  tandem  illuxit  nobis  felicibr  aetas? 
Optatum  bumanis  actis  inventa  decorem 
Exbibuere?  Novus  saeclorum  nascitur  ordo? 
Quid  quo  damna  premant  luctu  reticere  juvabit? 
Nam  baccbantur  adbuc  turpissima  crimina  in  orbe: 
Gultor  justitiae  insidiis  cruciatur  iniquis, 
Nec  pietas  illum,  nec  honor  defendit  ab  boste. 
Filius  ante  diem  patrios  inquirit  in  annos: 
Imminet  exitio  vir  conjugisi»  illa  mariti  (i). 
Gompulsus  furiis  Gain  justum  obtruncat  Abelum: 
Desertas  sedes  nec  adbuc  Astraea  resumpsit. 
Pauperies  urget  plebem  squallore  timendo. 
Et  male  suada  fames  infanda  in  crimina  pellit. 
Impia  bella  manent:  borrescit  sanguine  fratrum 


Gbe  quasi  Y  aureo  Sol  vince,  o  pareggia. 
D*  Iside  eterna  son  squai'ciati  i  veli, 
Gbe  di  natura  ricoprian  gli  arcani: 
Ignuda  e  senza  bende  Iside  giace. 
Pallide  larve,  il  buio  e  la  versiera 
Non  impauran  piti  la  gente  accorta. 

Ma  alfin  ci  arrise  piii  felice  etade? 
Del  si  voluto  bel  civil  costume 
Gli  alti  trovati  ci  dotaro?  Un  nuovo 
S*  inizia  ordine  d*  anni?  Onesto  è  forse 
Tacer  dei  tanti  luttuosi  mali? 
Gbè  turpissime  colpe  V  orbe  intero 
Ancor  scorazzan,  come  pazze  Erinni: 
S*  insidia  a  morte  chi  giustizia  ba  in  petto, 
Né  pietà,  ned  onor  gli  è  usbergo  e  scudo 
Da  cbi  il  persegue.  Pria  del  tempo  il  figlio 
Del  padre  suo  sugl'anni,  iniquo!  conta; 
Moglie  e  marito  pongonsi  V  agguato; 
E  il  rio  Gaino  colle  furie  in  core 
Spegne  sul  giusto  Abel  vita  innocente: 
Non  fe'peranco  alle  deserte  sedi 
Astrea  ritorno.  Povertà  la  plebe 
Aggrava  del  tremendo  suo  squallore, 
E  la  fame  la  incita  a  gran  misfatti. 
Empie  guerre  s*  accampano:  già  il  sangue 
De'  comuni  fratei  per  ogni  lato 

(l)  Ovid.  Met.  I. 


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—  z$  — 

Orbis  adhuc:  nec  tutantar  pia  foedera  gentes. 
Quid  juvat  inventis  attingere  culmina  rerum, 
Si  virtus  abjecta  manet,  si  um  bene  parta 
Dedecorant  culpae?  Est  equidem  et  fuit  utile  scire: 
Gum  virtute  scientia  sed  eonspiret  amice. 
O  eives!  virtus  animo  quaeratur  aventi: 
Exomet  mentes  juvenum  sapientia  prisca. 
Socraticae  puero  poterunt  oftendere  cartae 
Augustae  Patriae  quid  debeat,  et  quid  amicis, 
Quae  facienda  viris  sint  convenientia  vitae. 
Quum  tandem  fauttum  renovato  lumine  sidus 
Fulgeat  Italiae,  longi  fractisque  catenis 
Luctus  Ausonidas  jam  non  juga  barbara  vexent, 
Sed  Rex  Ausonii  generis  Capitolia  scandat, 
Aomulidum  res  praeclaras  imitemur  avorum. 
Romulidae  auxilium  Ingenti  saepe  tulerunt 
Plebi:  nec  pigeat  miseris  nos  ferre  juvamen. 
Kurigenae  passim  damnis  jactantur  iniquis. 
Tellus  imbuta  imbribus  et  post  usta  calore 
Agricolis  segetes,  fmgumque  alimenta  negavit: 


L*  orbe  sgomenta,  né  v'  è  pia  una  lega 
Cbe  del  suo  braccio  i  popoli  assecuri. 
Toccar  cbe  giova  co*  trovati  il  colmo, 
Se  virtude  è  reietta,  se  sì  belli 
Acquisti  vanno  d'  ogni  colpa  immondi? 
Util  cosa  è  il  sapere,  e  fu  mai  sempre; 
Ma  Sc'ienza  e  Virtii  vadan  del  pari. 

O  cittadini,  con  desio  d'  amore 
Virtù  cercate:  sapienza  antica 
Le  giovanili  menti  orni  e  avvalori. 
Quel  cbe  all'  augusta  Patria  ed  agli  amici 
Il  giovin  debba,  e  ciò  cbe  si  convegna 
Al  vivere  civil  parlano  appieno 
Le  Socratiche  carte.  E  or  che  la  stella 
D*  Italia  alfin  rifolgorò  sua  luce, 
E  del  lunffo  servaggio  infranti  i  ferri 
Non  piii  il  giogo  barbarico  n*  offende, 
Ma  della  nostra  stirpe  un  Re  guerriero 
Vittorioso  il  Campidoglio  ascese. 
Di  Roma  antica  alle  magnanim*  opre 
Bello  e  fecondo  è  dirizzar  lo  sguardo. 
Alla  squallida  plebe  un  di  il  Romano 
Spesse  fiate  n'  ebbe  asciutto  il  ciglio: 
Tal  per  noi  sorga  il  misero  che  geme. 
Un  grave  imperversar  di  danni  certi 
Tutte  ville  conturba;  che  la  terra 
Già  rigonfia  di  piogge,  e  poi  riarsa 
L*  aspettato  negò  sudato  frutto. 


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—   36  — 
Opprimit  esurics  illos  et  turpis  egestas; 
Enecat  et  frigus  nunc  quos  jejunia  frangunt. 
Pro!  pueri  egregi,  veterum  generosa  propago 
Samnitum,  quos  cum  virtute  scientia  adauget, 
Frangite  pauperibas  panem,  succurrìte  egenis. 


La  PoTertà,  la  Fame  e  il  rio  Bisogno 
Signoreggian  dovunque,  e  col  Digitino 
L'  orrido  Freddo  i  suoi  rigori  accampa. 
Deh,  gioventude  egregia,  in  cui  1*  antico 
Sanni tico  valore  appien  si  mostra, 
Voi  che  Scienza  con  Virtii  più  sempre 
Ricchi  farà  d*  invidiati  beni. 
Col  poverello  dividete  il  pane 
Ognor  pietosi  a  umanità  che  soflBre  (i). 
Cervia,  21  Aprile  1880. 


vn. 

Taedium  vitae 

SONETTO 

«  Voglio  morir  »  :  Lo  dissi  in  primavera 
Su*  purpurei  tramonti  al  venticello. 
Che  spirar  suol  pria  che  si  faccia  sera: 
«r  Discender  voglio  giovine  ali*  avello.   » 

Lo  dissi  air  onda  spumeggiante  e  nera 
Sconvolta  ognor  da  questo  vento  e  quello: 
«  Voglio  sparire  in  mezzo  alla  bufera, 
»  Né  lasciar  traccia  in  questo  mondo  fello.   » 

Lo  dissi,  quando  caddero  le  foglie 

Là  nella  selva;  e  il  viver  mio  non  cessa? 
Ah!  pur  m' assai  gon  queste  tetre  voglie.. 

Ora  che  ghiaccio  vitreo  e  neve  spessa 

Ammanta  ovunque,  un  tal  desìo  mi  coglie: 
i>  Vo&[lio  morire  in  questa  notte  stessa.   » 
Dall'Alpi,  Agosto  1880. 

L.  A.  R. 

(1)  li  Carme  latino  fa  Ietto  in  un  trattenimento  mnsicale  letterario  e 
scientifico  tenuto  nel  Convitto  Nazionale  di  Campobasso  a  beneficio  dei  poveri 
addi  25  gennaio  del  1880,  e  dal  suo  dottissimo  Autore  venne  poscia  pubblicato 
nel  mese  di  marzo  per  le  stampe  dei  fratelli  Colitti  in  detta  città. 

Il  Traduiiore, 


La  nota  delie  opere  penule  in  dono  ei  darà  nei  prossimo  faseicoie 


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Sbrib   il  Yot.  XIV. 


Febbraio  1880 


IL 


BUONARROTI 


D    I 


BENVENUTO  6ASPÀR0NI 

CONT]NDATO  PER  CURA 

DI  ENRICO  CARDUCCI 


PAG. 

Vili.  Poche  notiiie  sulla  casa  attribuita  a  Giulio  D'Al- 
camo (G.  Frostna-Cannella)     .    ...»    37 

IX.  Degli  studi  in  Italia,  ossia  considerazioni  intorno 

all'opuscolo  del  generale  Mezzacapo  (Tntertesto) 
(Prof.  Gabriele  Detla).    ..,...»    42 

X.  Del    Belìo  nella   nuova  Poesia  [Continuazione) 

(Prof.  Nicolò  Marsucco) »    49 

XI.  Articoli  vari  (Giuseppe  Verzili  Architetto  In- 
gegnere)   »    54 

XII.  Due  brani  dei  Diarii  di  Marino  Sanuto  relativi 

alla  disfida  di  Barletta »    63 

XIII.  Lavori    del    prof.   Poggioli    di   Roma  (Èuile 

Vaisow) ,    .    .    »    64 

XIV.  Sospiri  (G.  Frosina-Cannella).     .    ...»    66 
XV.  Al  principe  romano  don  Alessandro  Torlonia,  per 

il  prosciugamento  del  Lago  di  Fucino.  Sonetto 
(Luigi  Arrigo  Rossi) »    72 


ROMA 

tipografia  delle  scienze  matematiche  e  pisiche 

VIA   LATA   n!  3. 

1880 


^i>»te 


Pubblicato  il  19  Novembre  isso 


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IL 


Sbrie  II.  VoL.  XIV.         Quaderno  IL  Febbraio  1880 


Vili* 

POCHE  NOTIZIE 
SULLA  CASA  ATTRIBUITA  A  CIULLO  D  ALCAMO 

È  qualche  tempo  che,  in  tanto  fervore  di  crìtica  storica 
e  di  studj  filologici  sulle  lìngue  e  letterature  romanze,  si  va 
discorrendo  di  Giulio  d'Alcamo  e  della  sua  Tenzone  fino  a 
negare  che  sia  esistito  (i).  Poche  ed  incerte  sono,  senza  dubbio, 
le  notizie  che  abbiamo  di  lui;  né  bisogna  sorvolare  con  cuor 
leggiero  e  senza  un  pensiero  al  mondo  sulla  lingua  adope- 
rata dal  poeta,  la  quale  dallo  stesso  L.  Vigo  fu  detta  intinta 
di  pugliese,  e  sulla  maniera  provenzale  che  qua  e  là  in  essa 
traspare.  I\3a  dal  significare  onestamente  qualche  dubbio , 
perchè  col  tempo  sì  possa  vedere  più  chiaro  nella  questione 
di  Giulio  e  della  sua  Tenzone^  al  negare  che  questa  sia  stata 
composta  da  lui ,  e  che  il  poeta  sia  esistito  ,  panni  che  ci 
corra,  e  di  molto.  Io  desidererei  che  si  ponesse  mente,  meglio 
che  non  si  sia  fatto  finora,  alla  tradizione,  alla  storia,  con- 
fortata dairautorita  di  Dante  e  di  Petrarca  sulla  priorità  del 
poetar  siciliano  nella  nuova  lingua  ,  che  poi  fu  appellata 
illustre,  ed  alla  parlata  siciliana,  che  non  mi  pare  sia  abba- 
stanza nota  in  tutti  ì  suoi  particolari,  prima  che  si  dicesse 
Tultima  parola  su  quel  poeta  e  sull'opera  sua. 

Non  so  intanto  che  cosa  possa  valere  qualche  notizia 
sulla  pretesa  casa  di  Giulio  in  Alcamo;  questo  so  certo  che 
non  bisogna  lasciare  mezzo  intentato  per  far  la  luce  su  di 
luì.  Ed  è  per  ciò  che  mi  risolvo  a  pubblicar  la  seguente  let- 
tera, che  a  richiesta  del  suddetto  Vigo,  gli  diressi  in  Acireale 
ora  son  quasi  nove  anni. 


(1)  Per  non  accennare  che  ai  più  noti  e  più  aatorevoli,  dirò  che  ai  nostri 
ffiomi  hanno  scritto  e  polemizzato  nn  Ciullo  e  la  sua  Tenzone^  L.  Vigo, 
G.  Grien»  G.  Galvani,  Mussafia  ed  i  professori  D*Ancona,  N.  Caiz,  A.  Bar- 
toli  e  F.  D'Ovidio. 

6 


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—  38  — 

Alcamo,  addì  24  luglio  I87i 
Egregio  sig.  Cavaliere  (i) 

Edotto  del  suo  desiderio,  appena  ricevuta  la  sua  pregia- 
tissima dell*  11  volgente  mese,  sonomi  accinto  a  servirla,  ed 
ora  mi  affretto  di  farle  sapere  il  risultato  delle  mie  ricerche. 
Se  bene  altri  opini,  appoggiandosi  del  resto  alla  tradizione^ 
che  la  casa  di  Giulio  non  sia  quella,  di  cui  le  trasmisi  Io 
schizzo,  ma  invece  una  piiì  piccola  prossima  alla  suddetta, 
che  io  con  alcuni  Alcamesi  credo  essere  stata  di  Bagolino  (2), 
una  volta  si  vede  tuttora  sulla  porta  d'ingresso  un  compasso 
ed  una  squadra,  simboli  certo  dell'arte  meccanica  della  fa- 
miglia di  esso  Bagolino;  h  per  me  fuor  di  dubbio  che,  uod 
essendovi  altra  abitazione  antica,  nella  parte  meridionale,  o 
meglio  sud-est  delia  città,  pari  in  ampiezza  a  quella,  che 
vuoisi  essere  stata  di  Giulio ,  stante  1*  opulenza  di  questo  , 
bisogna,  dico,  non  ammettere  poi  tante  riserve  sulla  impor* 
tanza  della  mia  supposizione. 

Vero  è  che  lo  stile  di  essa  non  vada  di  Ik  dal  secolo  XIV; 
ma  h  vero  altresì,  che  un  frammento  di  cornice,  spoi^ente 
nella  parte  occidentale  della  casa  medesima,  accenni  ad  una 
rifazione ,  e  quindi  ad  una  architettura  diversa  dall'  antica. 
E  poi  quelle  finestrìne  semigotiche  del  secondo  piano,  i  cui 
mattoni  ix)ssi,  convessi  a  cemento  durissimo,  scoperti  per  l'in- 
tonaco caduto,  non  costituiscono  la  massima  delle  prove  in 
favore  delle  maggiori  antichità  del  fabbricato  superiore,  di- 
contro al  rimanente  ,  incominciando  dalle  grandi  finestre  a 
venir  giù?  in  altre  case  della  cittk  antica,  che  resta  nella 
parte  sud-est  e  nord-est  della  moderna,  vedonsi  pure  di  co- 
taii  finestrine;  ma  il  resto  è  un  misto  di  gotico  e  normanno, 
ed  h  rifatto  con  stile  del  XV  e  XVI  secolo. 

Amerei  finalmente  che  la  S.  V.  IH"'''  ponesse  mente  al  sito 
della  casa  da  me  attribuita  a  Giulio  ,  oonciossiachè  essa  si 
ritrovi  al  piano,  ma  più  vicino  al  Bonifato,  che  non  gli  altri 
antictii  fabbricati  rimasi. 

Ciò  posto,  eccomi  a  soddisfare  alle  sue  tre  richieste,  per 
via  di  semplici  risposte. 

(1)  Allora  il  Vigo  non  era  stato  fatto  nominare  Cofwmendatore  dal  Go- 
verno del  Regno  d'Italia. 

(2)  Valente  poeta  Ialino  del  secolo  XVI»  di  cai  uUimamente  pabblica?» 
uno  studio  il  prof.  U.  A.  Amico. 


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—  39  — 

I?  Le  rimetto  due  schizzi  a  matita  esattissimi,  fatti  da 
un  prete  dilettante,  che  qui  dod  soqovì  nh  periti  disegna^ 
tori,  uh  fotografi  atti  alla  bisogna. 

L'uno  riflette,  almeno  secondo  la  mia  credenza,  la  casa 
di  Giulio,  r  altro  quella  di  Bagolino,  affinchè  Ella  Caccia  il 
confronto,  e  si  attenga  al  suo  criterio.  La  prevengo  intanto, 
che  la  casa  da  me  attribuita  a  Bagolino  fu  in  parte  rifatta, 
conservando  una  parte  del  prospetto  per  ordine  espresso  dei 
Municipio.  E  quefta  parte  è  quella  che  mostra  un  embleoaia, 
consistente  in  uno  scudo  con  ai  lati  due  serpi,  e  sovrapposti 
a  questi  due  pattini,  e  nel  mezzo  di  esso  scudo  il  compasso 
e  la  squadra  surriferiti.  Dicesì  che  una  volta  vi  fosse  eziandio 
una  iscrizione  latina,  che,  ritenuta  vera  la  oolìzia,  doveva 
leggersi  al  di  sopra  di  questa  specie  di  blasone  di  famiglia; 
ma,  forse  corrosa  dal  tempo,  non  iscorgesi  punto.  V  archi- 
tettura è  piuttosto  normanna,  perchè  la  finestra  è  di  un  se- 
mi-gotico pesante;  forse  del  XII  o  Xtll  secolo. 

t?  Gli  archivi  qui  non  è  verosieno  ben  conserrati,  tutt'altro; 
gli  atti  pubblici  e  notarili  ammucchiati  in  una  stanznccia 
del  Municipio,  sono  il  rimasuglio  degli  esistenti  una  volta 
neirarchivio  di  San  Francesco,  dove  Tumido,  qualche  dolosa 
sottrazione  e  due  o  tre  rivoluzioni  l'avevano  già  decimato... 
Uh  il  po' che  rimane  si  conserva  meglio,  imperocché  per 
soverchia  incuria  parmi  vada  tuttodì  perdendosi. 

Ho  del  resto  potuto  sapere  che  la  casa  da  me  attribuita 
a  Giulio  sia  stata  di  una  famiglia  Guarrasi,  e  poscia  del  Mo^ 
novero  nuovo.  Oggi  però  la  possiede  un  certo  cav.  Pietro 
De  Stefani  :  ma  non  si  va  colle  notiaie  raccolte  più  in  la 
del  1700.  Rispetto  alTaltra,  quella  più  piccola  e  da  me  cre- 
duta di  Bagolino,  noD  mi  venne  fatto  rintracciaTe  cke  pochis- 
sime notizie^  le  quali  consistono  nella  proprietà  di  essa  casa 
oramai  pertinente  al  conservatorio  delle  Riparate,  cui  pervenne 
da  due  sorelle  Montanale,  sono  notizie  che  abbracciano  appena 
il  periodo  di  70  anni ,  come  Ella  potrebbe  accertarsene  4a 
recenti  atti  notarili ,  e  quindi  di  nessuna  importauaa.  Ri- 
scontrai attentamente  alcune  memorie  inedite  scritte  da  un 
giureconsulto  Ignazio  De  Siasi  sulla  citta  di  Alcamo,  che  si 
conservano  al  Municipio  (i).  Non  un  motto  della  casa  di 
Giulio,  eppure  sonovi  alligati  parecchi  documenti,  che  nello 
scorcio  del  passato  secolo  era  facile  rinvenire  ,  ed  intomo 
alla  biografia  del  poeta  nulla  dicono^  che  non  troviamo  negli 

(1)  A  non  ^uari  le  metterà  a  stampa  il  sig.  L.  Pipitene,  tipografo  in 
Alcamo,  onde  n'è  in  corso  Tassociazione. 


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—  40  — 
scrittori  nostrani.  Suppose  però  il  De  filasi  che  Giulio  debba 
avere  appartenuto  alla  famìglia  dei  fiaroni  Colonna-Romano 
tuttora  qui  esistente ,  ed  essere  figlio  del  magnifico  An- 
tonio venuto  da  Messina  a  sposare  in  questa  cittk  Margherita 
Cabrerà  o  Caprera,  figlia  del  Conte  Di  Modica  signore  di  Al- 
camo. Cotale  supposizione  è  per  lo  meno  una  marchiana  fiaba, 
dappoiché,  come  altrove  lo  stesso  raccoglitore  riferisce,  senza 
avvedersi  della  cóntradizione  in  cui  cade^  siffatto  matrimonio 
non  poteva  avvenire  che  nel  secolo  XV,  ed  in  fatto  a  dir 
breve  ,  avvenne  nel  1470.  Io  piuttosto  opinerei  aver  potuto 
appartenere  quel  nostro  antico  poeta  o  alla  baronale  famiglia 
Ceraci,  la  cui  magnifica  casa  era  T  odierno  monastero  di 
S.  Chiara,  poco  discosto  dalla  piccola  attribuita,  come  dissi, 
dalla  tradizione  a  CiuUo;  o  alla  famiglia  del  Marchese  Lazio, 
la  quale  ha  sempre  avuto  il  nome  di  Vincenzo  nei  suoi  di- 
scendenti, e  che  nel  1120,  prima  del  sopra  citato  Ciullo,  ebbe 
una  Veronica  Lazio  poetessa  ,  della  quale  Bagolino  riporta 
alcuni  versi  latini  assai  gustosi  (i). 

È  impossibile  il  rinvenire  il  proprietario  della  casa  da 
me  attribuita  a  Ciullo,  che  abbia  potuto  avanti  il  secolo  XIV 
riabbellire  e  rimodernare  l'architettura  della  medesima;  né 
meno  difficile  riesce  per  1'  altra  di  Bagolino  :  io  del  resto 
non  ho,  che  a  riportarmi  al  già  detto,  cioè  allo  stile,  cui 
ambedue  accennano.  Penso  inoltre,  che  Io  stile  predetto,  mas^ 
sime  della  seconda ,  dovette  nei  tempi  di  lor  costruzione 
essere  il  Normanno.  L'una  e  T altra  casa  poi,  se  mal  non 
mi  appongo,  hanno  un  certo  riscontro  con  l'architettura  delle 
case  fiorentine  del  secolo  XIII;  vai  quanto  dire  con  Tarchì- 
lettura  del  Risorgimento,  che  pur  conservò  ivi  un  misto  di 
bizantino  e  di  gotico  ,  conforme  in  certo  qual  modo  alla 
normanna  dei  primi  tempi. 

Accetti  queste  mie  opinioni  per  quel  che  valgano,  poiché 
io  son  profano  all'architettura  come  arte,  non  che  alla  sua 
storia  speciale,  e,  se  lo  crede,  ne  faccia  suo  prò  nell'opera 
che  andrà  a  pubblicare,  desiderando  ardentemente  concorrere 
air  illustrazione  di  una  gloria  siciliana  ,  e  non  altro  che 
questo  (2). 

(1)  Ne  scrìsse  degnamente  l'ab.  prof.  V.  Di  Giovanni  nei  suoi  studi  dal 
titolo:  Filologia  e  Letteratura  Siciliana. 

(2)  Il  Vigo  in  fatti  ne  tenne  conto  nel  suo  Commento  alla  Tenzone  di 
Ciullo  pubbijcato  in  Bologna,  d'onde  una  polemica  fra  me  ed  il  prof.  F.  M. 
Mirabella  dibattutasi  nella  Falce  di  Trapani  del  1874.  In  qael  Compiilo  il 
Vigo  de^nossi  pure  citare  il  mio  SehixM  storico-critico  tu  Ciullo  à^  Alcamo 
pubblicato  in  Palermo  nel  1869. 


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—  41  — 

Volendo  fin«Imente  tenere  nel  giusto  rispetto  la  tradi- 
zione, che,  come  dissi,  attribuisce  a  Giulio  la  casa  da  me  e 
pochi  altri  creduta  di  Bagolino ,  resterebbe  a  vedere  se  lo 
scudo  col  compasso  e  la  squadra,  di  cui  sopra,  abbia  potuto 
essere  un  blasone  di  famiglia  dei  tempi  normanni.  Ciò  si  do- 
vrebbe riscontrare  o  nel  Mugnoo,  o  nel  Villabianca,  le  cui 
opere  son  divenute  rare,  e  corrono  talvolta  incomplete.  Io  qui 
non  ho  Tagio  di  cotali  riscontri,  faccia  quindi  V.  S.  IH""; 
perciocché,  ritrovandosi  quel  blasone^  dalla  famiglia,  cui  ap- 
partenne od  appartiene,  e  dai  tempi,  non  che  dal  luogo,  nel 
quale  fe'dimora,  potrebbero  ricavarsi  preziose  notìzie,  e  più 
sicuri  indizi. 

Con  ogni  rispetto  e  piena  osservanza  permetta  intanto 
che  io  me  le  riprofessi  Di  V.  S.  Chiarissima 

Devotissimo 
G.  Frosina-Cannella 

Ed  ora  altre  due  parole.  Tranne  del  Vigo,  che  prima  di 
morire  disse  l'estrema  sua  parola  in  difesa  del  suo  Contento 
e  quindi  di  Ciullo  e  della  Tenzone  che  va  sotto  il  nome  di 
lui,  nessuno  in  Sicilia,  che  io  mi  sappia,  si  è  accinto  a  scri- 
vere degnamente  sull'importante  argomento.  L'£miliani-Giu- 
dici  ne  fece  un  cenno  nella  sua  Storia  della  Letteratura 
Italiana^  il  De  Sanctis  nella  sua  recente  Storia  della  suddetta 
nostra  'Letteratura.  L*  anno  scorso  rispose  al  Caix ,  che  in 
Ciullo  vide  Giacomino  Pugliese  (2),  la  Rassegna  Palermitana , 
e,  quantunque  con  felice  successo  in  certi  punti,  non  andò 
fino  al  fondo  della  questione.  Ciò  posto  ,  io  mi  spero  che 
altri,  nato  e  cresciuto  in  Sicilia,  dopo  avere  studiato  bene 
il  dialetto  natio,  i  canti  popolari,  le  cronache  ed  altri  do- 
cumenti scritti  in  volgare,  e  nell'isola,  nei  secoli  XI  e  XII, 
non  che  le  poesie  in  vernacolo  di  letterati  siciliani ,  possa , 
e  fra  non  molto,  entrar  nell'aringo  con  vera  competenza. 
Vorrei  dir  lo  stesso  suiraltro,  e  non  meno  importante  argo- 
mento della  nascita  e  parentato  di  Ciullo;    ma  per  quante 


(i)  J^pendice  alla  Disamina  e  al  Comento  della  Tenzone  di  Ciullo  d* Al- 
camo. AIcaiBo,  tip.  Bazzolino,  ia79. 

(2)  Se  la  memoria  oon  mi  fallisce,  ed  il  criterio  mio  indovina  il  vero, 
debbo  affermare  che  il  prof.  Caix  nella  Rivista  Europea  di  Firenze ,  non  è- 
molto,  ToUe  credere  che  l'autore  della  Tenzone  sia  stato  Cielo  dal  damo  (poeta 
immaginario) ,  non  tanto  per  l' ingegnosa  trasformazione  del  nome  di  CiaHo 
d'Alcamo  nell'altro  suddetto  di  Cielo  dal  Camo,  quanto  pei  riscontri  e  con- 
fronti fatti  con  la  lirica  di  Giacomino  Pugliese,  onde  parmi  evidente  che  abbia 
in  fondo  voluto  incontrastabilmente  ritenere  quest'ultimo  autore  della  Tetk- 
none  surriferita. 


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ricerche  storiche  si  siano  fatte  (i),  non  credo  si  possa  venire 
a  capo  di  qualcosa  di  veramente  serio  ed  incontestato. 

G.  Froshia-Cannella 


DEGLI  STUDI  IN  ITALIA 

OSSIA    CONSIDERAZIONI    INTORNO    ALL*  OPUSCOLO 

DEL  GENERALE  MEZZAGAPO 

{Mertesio) 

ALL'  XI  CONGRESSO  PEDAGOGICO 

DISCORSO 

Perchè'  una  istituzione  scolastica  possa  fiorire ,  allegare 
ubertosi,  reali  e  non  fallaci  frutti  si  richiedono  due  condi- 
zioni senza  delie  (piati  tutti  i  metodi  intuitivi  di  questo  mondo 
non  approdano. 

Questi  mezzi  sono  riiKiSti  nella  buona  scelta  del  personale 
insegnante  e  del  personale  dirigente  e  nella  guarentigia  dei 
pacifico  esercizio  dei  Magistero.  Ma  la  scelta  non  potrà  mai 
rispondere  adet|uatamente  allo  scopo  sino  a  che  non  venga 
affrancata  dalla  influenzia  delle  passioni  politiche ,  dalla  in- 
fluenza delle  passioni  locali  e  non  venga  affidata  esclusiva- 
mente a  persone  tecnic4ie. 

Né  il  pacifico  esercizio  del  Magistero  sarà  guarentito  se 
i  direttori  e  gl'insegnanti  per  ciò  che  concerne  le  discipline 
scolastiche  non  siano  resi  indipendenti  dalle  autorità  ammi- 
nistrative ad  esse  discipline  profane;  e  si  gli  uni  che  gli  altri 
senza  distinzione  di  tìtolo  e  di  grado  godano  del  medesimo 
diritto  di  non  potere  essere  sospesi,  nh  rimossi  ne  licenziati 
senza  un  regolare  procedimento  e  dopo  di  essere  stati  uditi 
nelle  loro  difese.  Altrimenti  avviene  quello  che  predisse  il 
Lambruschini  nell'aureo  suo  libro  4leirEducazione,  e  che  ogni 
giorno  si  lamenta,  che  eglino  si  trovino  nella  spiacevole  con- 
dizione di  dover  tralasciare   di  fare  il  bene  per  non  incor- 

(i)  Anch'io  nella  FtUee  di  Trapani  citata  mi  provai,  ma  con  poco  o  nessun 
saccesso,  a  fare  alcune  ricerche  sul  difficilissimo  argomento,  e  dovetti  accor- 
germi della  mancanza  completa  che  su  di  esso  risentiamo  de' fonti  storici,  e 
come  sia  desiderabile  l'esplorazione  mfnuiiosa  degli  archivj  pubblici  e  privati 
siciliani  per  venire  in  chiaro  di  qualche  cosa  sul  casato  e  la  patria  vera  di 
Giulio. 


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—  43    — 
rere  nella  disapprovazione  altrui,  per  non  perdere  l'impiego 
o  quanto  meno  per  non  essere  danneggiati  nella  carriera. 

Ora  le  proposte  come  le  disposizioni  tendenti  a  regolare 
le  scuole  professionali  popolari^  di  cui  è  tema,  da  quanto 
potei  rilevare  dalla  dotta  ed  elaborata  Relazione  del  Sig.  Com- 
mendatore Romanelli  non  che  dai  varìi  Regolamenti  ad  essa 
annessi  se  sono  adorne  di  molti  commendevoli  pregi ,  non 
vanno  però  scevre  dai  difetto  menzionato  poiché  lasciano  la 
scelta  o  la  proposta,  che  vai  quanto  la  scelta,  come  pure  la 
sorte  dei  direttori  e  degli  insegnanti  in  balìa  delle  autorità 
locali  di  discipline  scolastiche  ignare  ,  composte  per  lo  più 
di  persone  politiche  e  non  tecniche. 

Questo  difetto  già  condannato  dall'antica  sapienza  col  verso: 
Tractent  fabrilia  fabri  ,  trae  con  se  delle  conseguenze  che 
cozzano  colle  provvide  leggi  della  didattica ,  della  politica  ^ 
della  giustizia  distributiva  e  dell'etica  sociale. 

Della  didattica^  in  quanto  che  gli  amministratori  locali^ 
fatta  qualche  rara  eccezione,  non  essendo  persone  tecniche, 
la  loro  scelta  non  può  essere  giudiziosa  e  non  potendosi  essi 
liberare  del  tutto  dalle  influenze  delle  amicizie  e  delle  pa-r 
i^ntele,  la  loro  scelta  non  può  essere  imparziale. 

Della  politica,  perchè  d'ordinario  le  amministrazioni  locali 
provvedono  alla  vacanza  delle  direzioni  e  delle  cattedre  senza 
sperimentare  il  concorso,  oppure  se  bandiscono  il  concorso 
ciò  fanno  soltanto  per  forma,  cioè  quando  hanno  già  desti* 
nata  la  persona  che  vogliono  eleggere  :  in  entrambi  i  cast 
però  la  scelta  cade  quasi  sempre  sopra  un  insegnante  o  non 
insegnante  del  paese.  Per  tal  mezzo  si  mantiene  vivo  lo  spi- 
rito di  Municipalismo,  quella  piaga  sociale  che  fu  la  causa 
di  tutte  le  sciagure  che  per  tanti  secoli  mantennero  calpesta 
e  divisa  la  nostra  Italia.  L'unità  politica  non  potrebbe  a  lungo 
durare  quando  essa  non  fosse  cementata  dalla  unità  intellet- 
tuale e  morale.  La  qual  cosa  non  si  può  ottenere  clie  incro- 
ciando, per  così  dire,  le  razze,  cioè  ravvicinando  i  {MpoU  delle 
rarìe  provi  ncie  ed  associandoli  assieme  perchè  comunicandosi 
a  vicenda  le  idee  e  gli  affetti  fraternizzino  fra  di  loro  e  for- 
mino per  modo  di  esprimermi  una  sola  provincia,  anzi  un 
sol  paese  l'Italia. 

Della  giustizia,  perchè  dall'istante  che  il  Governo  concorre 
in  queste  scuole  col  denaro  dei  contribuenti  di  tutto  io  Stato, 
non  mi  pare  equo  che  le  direzioni  e  le  cattedre  vadano  ad 
esclusivo  beneficio  degli  insegnanti  e  più  spesso  dei  non  inse- 


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—  u  — 

gnanti  di  quel  paese  che  gode  già  delf  avvantaggio  di  pos- 
sedere la  scuola. 

Delletica  sociale;  imperciocché  se  vi  sono  degli  ammini- 
stratori di  buon  conto  e  di  delicata  coscienza  ;  ve  ne  sono 
però  anche  molti  i  quali  non  si  propongono  già  il  profitto 
delia  scolaresca,  il  bene  del  popolo,  ma  l'interesse  loro  par- 
ticolare e  sostengono  sempre  quel  candidato  dal  quale  pos- 
sono sperare  maggior  numero  di  suffragi  nelle  elezioni  ammi- 
nistrative o  nelle  politiche,  e  convertono  cosi  una  libertà,  che 
incauto  loro  dà  il  Governo,  in  un  mezzo  di  traffico  politico 
e  talvolta  di  un  traffico  ancora  più  ignobile  che  il  pudore 
mi  vieta  di  qui  nominare. 

Ne  si  accampi  il  solito  ritornello  della  liberta  dei  Comuni, 
perchè  quando  questo  non  sia  un  soOsma  è  certamente  un 
paralogismo. 

La  liberta,  la  vera  liberta,  secondo  il  dettame  della  sana 
filosofia,  è  riposta  nella  facoltà  di  fare  il  bene,  cioè  di  sce- 
gliere fra  i  vali  beni  il  migliore,  e  non  già  nella  facoltà  di 
scegliere  tra  il  bene  ed  il  male,  perchè  a  questa  libertà  del 
male  si  contrappone  il  diritto  di  chi  ha  ragione  di  preten- 
dere che  si  faccia  il  bene  che  non  sono  capaci  di  conoscere 
e  di  fare  le  amministrazioni  locali  in  fatto  di  istruzione.  E  lo 
stesso  onorevole  sig.  Ferdinando  Berti,  al  quale  noi  dobbiamo 
riconoscenza  per  l'interesse  che  prende  alla  causa  degli  inse- 
gnanti, lo  stesso  onorevole  Berti,  che  ci  venne  a  fare  l'apo- 
logia della  libertà  dei  Comuni,  se  come  Dionigio  di  Siracusa 
fosse  damnatus  ad  pueros  in  una  scuola  Municipale  primaria 
o  secondaria  non  tarderebbe  a  pentirsene  grandemente  e  a 
presentarsi  compunto  a  farne  pubblica  ammenda  innanzi  a 
questo  stesso  illustre  Consesso. 

Altro  è  librarsi  nelle  regioni  delle  astrattezze,  altro  è  di- 
scendere sul  campo  della  pratica. 

Ma  con  questo  io  non  intendo  già  di  proporre  che  si  sot- 
tragga l'elezione  del  personale  insegnante  dalle  autorità  ammi- 
nistrative locali  per  affidarle  alla  Burocrazia  governativa,  perché 
allora  sarebbe  cadere ,  come  si  suol  dire ,  dalla  padella 
nelle  brace. 

E  per  fermo  se  è  vero  ciò  che  ci  lasciò  scritto  il  Girard 
che  tre  sono  le  doti  che  si  richiedono  per  formare  un  buon 
insegnante;  valor  letterario^  valor  scientifico  e  valor  didat^ 
tico,  tre  devono  essere  le  persone  per  convenientemente  giu- 
dicarlo; un  letterato,  un  scienziato  ed  un  pedagogista.  Ora 
per  quanto  dotto  ed  erudito  possa   essere  il  capo  divisione 


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—  45  — 
od  il  capo  sezione  a  cui  venisse  raccomandata  la  menzionata 
scelta,  ei  non  potrà  giammai  riunire  in  se  stesso  queste  tre 
qualità  e  quindi  il  suo  giudizio  sarà  conscienzioso  ma  non 
sempre  perfetto.  D'altra  parte  sopraffatto  egli  da  altre  cure 
per  lui  più  importanti  non  può  spendere  il  tempo  in  un  accu« 
rato  esame  dei  titoli  dei  concorrenti  e  dovrà  quindi  affidarne 
Tincarico  ad  impiegati  subalterni  privi  di  esperienza,  ad  im- 
piegati d' ordine  i  quali  giudicano  sempre  a  rovescio  scam- 
biando le  apparenze  per  le  realtà^  l'orpello  per  oro,  perchè 
mancando  dei  criteri  voluti  per  siffatti  gravi  giudizii,  cedono 
alle  pressioni  politiche. 

Per  le  quali  ragioni  io  spero  che  l'onorevole  sig.  Rela- 
tore come  questo  illustre  Consesso  saranno  per  accogliere 
volentieri  Tordine  del  giorrno  che  ho  l'onore  di  loro  proporre, 
tanto  più  che  esso  tende  a  mettere  in  armonia  le  proposte 
intorno  alle  scuole  professionali  popolari  con  il  voto  già  emesso 
dal  Congresso  Pedagogico  intorno  alle  scuole  elementari  dì 
tirocinio  annesse  alle  scuole  magistrali  rurali  ed  alle  scuole 
agrarie  popolari  secondo  le  conclusioni  del  sig.  commendatore 
Miraglia  ,  e  per  le  quali  si  è  stabilito  come  principio  che 
debbano  essere  indipendenti  dalle  amministrazioni  locali  ignare 
di  discipline  scolastiche.  Ecco  l'ordine  del  giorno: 

Il  Congresso  Pedagogico  ritenendo  che  una  istituzione  sco- 
lastica non  può  allegare  ubertosi  e  reali  frutti  se  non  a  con- 
dizione che  la  scelta  del  personale  insegnante  e  dirigente  , 
e  Io  esercizio  del  Magistero  siano  guarentiti  dalla  influenza 
delle  passioni  politiche,  delle  passioni  locali,  in  conformità 
del  voto  già  emesso  riguardo  alle  scuole  elementari  di  Tiro- 
cinio annesse  alle  scuole  magistrali  rurali  e  riguardo  alle 
scuole  agrarie  popolari,  raccomanda  al  sig.  Ministro  del  Com- 
mercio acciocché  voglia  egli  riformare  le  disposizioni  che  re- 
golano le  scuole  industriali  popolari  per  guisa: 

1?  Che  il  Direttore  come  gli  insegnanti  delle  scuole  indu- 
striali popolari  siano  scelti  dal  Governo,  previo  concorso  di 
tìtoli,  fra  le  persone  che  sono  dichiarate  eleggibili  senza  limiti 
di  etk  per  quelli  che  già  prestarono  servizio  nelle  scuole  pub- 
bliche primarie  o  secondarie,  governative  o  comunali  (i). 

(1)  Fino  a  che  non  è  stabilita  per  legge  la  inamovibiltà  degli  insegnanti, 
un  professore  incaricato  ed  anche  un  reggente  delle  scuole  j;overnative  e  delle 
scuole  Municipali  può  sempre  per  uno  dei  fre(;^uenti  raggiri  di  parte  essere 
privato  dello  impiego,  dopo  di  aver  consumato  il  fiore  degli  anni  nella  istru- 
zione della  gioventù.  E  non  pochi  sono  quelli  che  così  rimangono  vittime 
del  proprio  dovere.  Ora  l'escluderli  dal  concorso  delle  cattedre  quando  hanno 
varcato  il  limite  di  una  determinata  età  vai  quanto  privarli  del  mezzo  di 
potersi  guadagnare  la  vita  nel  momento  che  ne  hanno  più  bisogno  e  ricam- 

7 


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—  46  — 

2?  Che  la  commissione  esaminatrice  dei  titoli  sia  una  sola 
e  composta  esclasivamente  di  uomini  tecnici  che  rappresen- 
tino i  tre  rami  di  sapere  :  la  letteratura  ,  la  scienza  e  la 
pedagogica. 

3?  Che  1  Direttori,  come  gli  insegnanti^  per  ciò  che  con- 
cerne le  discipline  scolastiche,  siano  resi  assolutamente  indi- 
pendenti dalle  amministrazioni  locali  ad  esse  discipline  estranee» 
e  tutti  senza  distinzione  di  titolo  e  di  grado  godano  del  me- 
desimo diritto  di  non  potere  essere  sospesi,  ne  rimossi,  nb 
licenziati  senza  un  regolare  procedimento  e  senza  essere  stati 
intesi  nelle  loro  difese. 

Se  nella  Svizzera  e  nella  Germania  lo  insegnamento  pri- 
mario e  secondario  raggiunse  il  più  alto  grado  di  sviluppo 
e  di  estensione^  si  è  appunto  perche  cola  è  stabilita  per  legge 
la  inamovibili tk  dei  docenti  e  la  loro  assoluta  indipendenza 
per  ciò  che  ha  rapporto  colle  cose  scolastiche  dai  Municipi!* 
(Veggasi  pag.  la  del  Maestro  Municipale  pubblicato  in  Parma 
nel  ISSI  coi  tipi  di  P.  Grazioli  dal  Senatore  conte  Linati). 

OBBIEZIOm  -  DISGOaSO    DI    aiSPOSTA 

Sedutosi  il  professore  Deyla^  il  sig.  commendatore  Garelli 
sorge  a  protestare,  ed  insinuando  come  il  preopinante  abbia 
voluto  screditare  coi  Comuni  le  scuole  professionali  popolari, 
si  fa  a  difendere  a  spada  tratta  la  capacita  delle  amministra- 
zioni locali  a  dirigere  e  governare  le  scuole,  e  corrobora  i  suoi 
argomenti  coli' esempio  della  scuola  professionale  di  Biella. 
Dopo  di  lui  il  prof.  Deyla,  chiesta  ed  ottenuta  la  parola  per 
un  fatto  personale,  si  rialza  e  gli  risponde  con  questo  altro 
breve  discorso. 

11  sig.  Garelli,  mi  spiace  il  dirloj  hai  travisato  il  senso 
delle  mie  parole.  Io  non  ho  inteso  giammai  di  screditare,  ma 
bensì  di  indicare  il  mezzo  per  accreditare  le  scuole  popolari 
professionali. 

D'altronde,  per  ciò  che  riguarda  l'incapacità  delle  ammi- 
nistrazioni locali  a  dirigere  le  scuole,  ho  citato  dei  fatti  e 
contro  la  logica  dei  fatti  non   valgono  le  declamazioni  ora- 


biarli  di  una  ingiusta  ed  inescusabile  ingratitudine  dei  sacrifiiii  da  loro  so- 
stenuti per  il  bene  comune  della  società.  Tale  rigorismo  non  è  neppure  pra- 
ticato nella  carriera  Militare ,  dove  gli  ufficiali  di  qualunque  grado  ed  età 
sono  semjfre  ammessi  nella  milizia  provinciale»  quando  non  ne  siano  impediti 
da  malattia. 


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47   — 

torie»  (i)  ci  vogliono  fatti.  Il  sig.  Garelli  ha  menzionato  h  vero 
un  fatto,  ma  questo  non  è  applica1)ile  al  caso.  Imperocché 
la  scuola  professionale  di  Biella  si  trova  in  condizioni  ecce* 
zionali;  essa  h  situata  in  una  Città  che  è  centro  dì  coltura^ 
e  di  una  industria  già  adulta,  ove  è  facile  trovare  uomini 
tecnici  cafiaci  di  costituire,  come  ha  costituito,  un  Consiglio 
direttivo  conoscitore  delle  discipline  scolastiche,  lo  che  non 
si  può  sperare  dalle  altre  scuole  professionali  site  in  luoghi 
ove  la  industria  è  ancora  bambina. 

D*altro  cantOf  contro  questo  fatto  sta  il  malgoverno  che 
in  generale  fanno  i  Municipii  delle  scuole  e  la  impotenza  della 
autorità  provinciale  e  della  stessa  autorità  centrale  a  frenare 
gli  innumei-evoli  abusi  ed  arbitrii  che  essi  van  commettendo 
contro  glMnseguanti;  abusi  ed  arbitrii  che  gridano  vendetta 
innanzi  a  Dio  ed  agli  uomini  « 

In  una  sola  provincia,  come  mi  riferì  teste  un  Ispettore 
mio  amico,  sopra  trentacinque  comuni,  quattro  soli  pagano 
i  maestri,  gli  altri  li  obbligano  a  languire  di  fame^  ed  alcuno 
di  essi  già  peri  d*inedia,  senia  che  la  famiglia  abbia  potuto 
ricevere  un  soldo  delio  stipendio,  guadagnato  dal  padre < 

La  maestra  della  scuola  mista  di  Rivisondoli  trovasi  da 
sei  mesi  priva  dello  stipendio,  erasi  rivolta  bensì  al  prefetto 
d'Aquila,  ed  il  prefetto  avea  spiccato  al  Municipio  Tordine  di 
pagamento;  ma  il  Sindaco  per  protrarla  in  lungo  ricorse  sotto 
meditati  pretesti,  al  Consiglio  di  Stato  contro  il  decreto  Pre- 
fettizio, e  qtiantunque,  che  per  quel  principio  del  Diritto 
Roóaanoi  yenter  non  patìtur  dilationem^  sancito  dalle  patrie 
leggi,  le  sentenze  e  le  ordinanze,  quando  trattasi  di  alimenti 
debbano  avere  esecuzione  provvisoria  non  ostante  appello  ed 
opposizione  ,  ella  non  h  ancora  a  tutt'  oggi  stata  pagata  di 
dulia.  Vi  ha  di  più:  il  Consiglio  di  Stato^  come  etu  naturale, 
respinse,  sono  già  alcuni  mesi,  il  Ricorso  del  Comune^  eppure 
•      • 

(I)  Difatti  il  più  forte  arf^meato  del  sig.  commendatore  Gerelli  pet  pro- 
vare la  capacità  delle  amministrazioni  locali  a  dirigere  le  istituzioni  scola- 
stiche si  riassume  in  questa  proposizione:  ì^erchè  gH  amministratori  lòculi 
banno  contribuito  col  danaro  del  Comune  e  eolla  loro  sollecitudine  alla  fon- 
dazione e  difusione  delle  scuole  professionali  popolari.  Ma  chi  non  vede  che 
questo  argomento  parte  da  un  falso  principio?  Dall'avere  i  Comuni  contribuito 
allo  stabilimento  aelle  scuole  non  ne  consegue  già  che  essi  abbiano  acqui- 
stato la  capacità  di  ben  condurle;  errano  talvolta  in  questa  (Ufficile  arte  co- 
loro che  hanno  passato  la  maggior  parte  della  loro  vita  nello  studio  e  nella 
pratica  di  queste  discipline  didattiche*  e  come  potranno  pretendere  di  saper 
ben  governare  gli  studi  coloro  che  delle  opere  scolastiche  conoscono  appena 
rindicef  Del  resto,  se  banno  contribuito  alla  fondazione  delle  scuole,  non  hanno 
fatto  altro  che  il  loro  dovere,  e  che  l'interesse  loro  e  dei  loro  amministrati; 
e  da  ciò  non  ne  deriva  già  che  abbiano  acquistato  il  diritto  a  fare  quello 
per  cui  non  hanno  la  voluta  capacità. 


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—  48  — 
il  Ministero  di  PubBlica  Istruzione  non  è  ancora  riuscito  ad 
ottenere  che  la  povera  maestra  fosse  soddisfatta  del  suo  avere. 
Notisi  che  il  Comune  di  Rivisondoli  non  h  povero,  e  che  si 
ostina  a  non  volere  pagare  la  maestra  menzionata  soltanto 
per  vecchi  rancori  contro  un  ex  Sindaco  parente  di  essa. 

Nella  stessa  ricchissima  città  di  Taranto^  popolata  da  beo 
quarantamila  abitanti,  ove  il  Municipio  profonde  annualmente 
trentamila  franchi  in  soli  fuochi  d'artificio  ad  onore  di  vari 
santi  napoletani  ed  esteri,  non  h  molto  tempo  che  un  ispettore 
scolastico  raccoglieva  in  sulla  via  e  soccorreva  un  maestro 
di  quel  Municipio  stesso  giacente  al  suolo  sfinito  di  fame. 

In  quella  stessa  citta  esisteva  una  scuola  Nautica  gover- 
nativa, e  la  Giunta  locale  di  Vigilanza,  che  non  diferisce  che 
di  nome  dal  cosi  detto  ConsigUo  Direttivo  delle  scuole  pro- 
fessionali ,  poiché  entrambi  sono  composti  di  amministratori 
del  comune  estranei  alle  discipline  scolastiche,  cioè  di  uomini 
politici  e  non  tecnici,  la  Giunta  locale  di  Vigilanza  dico,  col 
vessare  continuamente  gli  insegnanti,  massime  i  non  Tarentini, 
ed  incagliarne  la  loro  azione  istruttiva  ed  educativa,  la  scre- 
ditò a  segno  che  il  Governo  dovette  chiuderla.  Eppure  non 
vi  h  in  tutla  Italia  un  paese  che  per  la  sua  posizione  geo- 
grafica ed  i  favorì  che  gode  dalla  natura  meglio  si  presti  di 
questa  citta  ad  una  siffatta  e  cosi  vantaggiosa  istituzione. 

Tale  sorte  toccò  pure  a  parecchie  altre  scuole  Nautiche 
per  la  malefica  influenza  delle  Giunte  di  Vigilanza,  le  quali 
anziché  essere  di  stimolo,  fatta  qualche  onorevole  eccezione, 
sono  di  un  continuo  ostacolo  al  progresso  degli  studi.  Né  la 
riforma  testé  introdotta  vale  a  migliorarle  ,  che  anzi  para- 
lizzando l'azione  libera  del  Preside,  mette  fuori  di  combat- 
timento il  capo  della  scuola. 

Non  basterebbero  dieci  grossi  volumi  a  registrare  tutti 
gli  indicibili  arbitrii  che  commisero  sin  qui  gli  amministra- 
tori locali,  ora  sotto  il  titolo  di  Giunte  di  vigilanza,  or  sotto 
quello  di  Corpo  Direttivo ,  or  sotto  il  nome  di  Consorzi  o 
Consigli  comunali,  in  danno  degli  insegnanti  e  delle  scuole. 

Ora,  se  tale  é  il  trattamento  che  i  Comuni  usano  verso 
i  maestri  delle  scuole  primarie  e  delle  scuole  secondarie  da 
loro  dipendenti ,  i  quali  sono  ancora  in  qualche  modo  gua- 
rentite dagli  articoli  42  e  335  della  legge  Casati,  quale  trat- 
tamento si  potrà  sperare  che  essi  siano  per  usare  verso  i  pro- 
fessori ed  ì  maestri  delle  scuole  professionali  popolari,  quando 
questi  non  venissero  in  alcun  modo  assicurati  contro  i  loro 
suprusi  ? 


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—  4»  — 

Finalmente  il  voto  già  emesso  da  questo  stesso  Congresso 
per  rignardo  alle  scuole  elementari  di  Tirocìnio  annesse  alle 
scuole  magistrali  rurali,  e  riguardo  alle  scuole  agrarie  popo- 
lari, non  forma  esso  una  prova  che  il  Congresso  è  convinto 
della  incapacità  di  molti  comuni  a  governare  le  scuole? 

Questo  voto  è  perciò  una  approvazione  anticipata  che  voi 
o  Signori  avete  dato  alle  mie  proposte,  e  non  potreste  più 
sconfessarlo  senza  essere  inconseguenti  a  voi  stessi. 

Le  lagnanze  che  io  portai  innanzi  a  questo  Congresso  pe- 
dagogico, furono  già  portate  innanzi  al  Parlamento  Nazionale 
fin  dal  IS73  dal  sig.  commendatore  Morpurgo,  il  quale  nell'oc- 
casione che  si  discuteva  il  Bilancio  della  Pubblica  Istruzione 
ebbe  a  dire  che  i  Municipii  tutti,  ad  eccezione  di  pochi  fra 
i  più  cospicui,  facevano  così  mal  governo  delle  scuole,  da  far 
disperare  di  un  miglior  avvenire  d'Italia,  se  non  si  poneva 
un  argine  agli  abusi  ed  arbitrii  loro.  A  lui  fecero  eco  vari 
deputati  e  senatori  nell'una  e  nell'altra  camera. 

E  prima  di  questi  il  senatore  conte  Linati^  provveditore 
agli  stndi,  a  pagine  8  e  io  del  suo  opuscolo  il  Maestro  Muìu- 
cipale  citato  lasciò  scritto,  che  per  formarsi  un  esatto  con- 
cetto degli  infiniti  abusi  degli  amministratori  locali  fa  d'uopo 
scorrere  (come  ha  fatto  egli)  i  Comuni  ove  l'arbitrio  non  ha 
controllo,  dove  cuoprono  gli  uflEici  Municipali  uomini  orgogliosi, 
tenaci  negli  odi,  dì  rado  inclinati  a  fare  bene,  e  pei  quali  le 
cariche  del  Comune  sono  mezzo  a  soddisfare  le  grette  cupi- 
digie, anziché  una  fatica  sostenuta  per  pubblica  utilità.. 

Siano  dunque  emancipati  gli  insegnanti  dalla  influenza 
delle  passioni  politiche  e  delle  passioni  locali,  se  si  vuole  che 
tante  forze  intellettuali  che  ora  rimangono  quasi  sterili,  di- 
vengano fruttuose  e  benefiche,  e  che  in  vece  di  servire  all'or- 
goglio ed  alla  ambizione  altrui,  servano  a  migliorare  la  pre- 
sente e  le  future  generazioni  d'Italia. 

Prof.  Gabriele  Deyla 


DEL  BELLO  NELLA  NUOVA  POESU 

(Citntinuationé)  (i>. 

XIII. 

Abbiamo  accennato  le  cagioni  de'  non  lievi  ostacoli ,  che 
derivano  a  parer  nostro,  al  progresso  della  patria  letteratura» 

(1)  Vedi  Quaderno  precedente»  pag.  2>3. 


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—  50  — 
e  conseguentemente  della  poesia,  e  di  questa  più  sopra»  ra- 
gionando,  toccato  di  alcuni  generi  di  essa,  cui  si  estese  la 
scuola  romanzesca.  Ma  poiché,  in  conseguenza  di  alcune  os- 
servazioni dedotte  dal  filo  del  nostro  Ragionamento,  avevamo 
taciuto  della  poesia  drammatica,  ragion  vuole,  che  pur  di 
questa  diamo  ora  un  qualche  cenno.  I  nomi  dei  Shakspeare^ 
degli  Otwayi  degli  Scliiileri  dei  Goethe,  suonano  nelle  bocche 
di  tutti^  uh  v'ha  chi  ignori  come  ci  abbiano  preceduto  nell'an^ 
zidetta  palestra.  Dovrà  ciò  attribuirsi  alla  minor  potenza  del 
genio  italiano,  nel  dare,  in  questa,  lodevoli  saggi  di  se?  No 
certo,  ove  si  ponga  mente,  quanto  già  alto  poggiasse  in  altri 
generi  di  poesia,  non  meno  di  questo,  difficili  ed  ardui*  Di* 
remo  piuttosto  ragione  di  ciò,  essere  stala  una  cotal  timi*- 
dezza  a  pigliare  V  abbrivo  a  così  esprimermi ,  a  novità  di 
prìncipi ,  al  quale  difetto  contribuì  grandemente  il  pedan« 
tismo,  che  dominò  lungo  tempo  nelle  nostre  lettere,  e  domi'^ 
nava  pur  sempre  pochi  anni  innanzi  che  spuntassero  gli  albori 
dell'italiano  risorgimeuto. 

Primo  ad  iniziat^e  quella  nuova  palestra  fra  noi,  fu  Àles* 
Sandro  Manzoni,  coirAdeichi  e  il  conte  di  Carmagnola^  lavori 
degni  dell'autore  dei  Promessi  Sposi,  benché,  a  dir  vero,  non 
abbiano  toccato  egual  sorte  a  quella  di  cui  gode  pre8enle«> 
mente  quel  romanzo,  non  avendo  allora  avuto  quella  scuola, 
che  podììssìnii  imitatori,  forse  perclié  lo  splendido  esempio 
dato  dall'Alfieri  nel  promuovere  la  classica  scuola  dei  greci, 
non  era  senza  frutto;  testimoni  i  Monti,  i  Foscolo,  ì  Nicco- 
lini,  i  Marenoo,  i  Marsuzi  ^i)  ed  i  Pellico,  coom  quelli  che  alla 
prefata  scuola  lodevolmente  s'inspirarono  per  lucere  di  alcuni 
altri  non  indegni  di  lode,  beoohè  a  questi  inferiori  per  me* 
rito,  come  un  Giovanni  Pindenonte,  una  Bandeltini,  un  Carlo 
Leoni,  un  Gorelli,  un  Ippolito  d'Aste. 

Presentemente,  egli  pare  che  la  poesia  drammatica  tenda 
a  compiere  la  sua  emancipazione  anche  fra  noi,  dalle  disci* 
pline  della  prima  scuola,  del  che  abbiamo  esempj  nelle  più 
recenti  produzioni,  gli  autori  delle  quali  tutti  gareggiano,  se 
non  erro,  nell'imitazione  dell'immortale  poeta  di  Strafford. 
Ma  se  questa  imitazione  sia  del  tutto  felice,  non  mi  attenterò 
a  sentenziarlo,  non  avendo  ancora  le  opinioni  già  emesse  da 
molti^  intorno  a  quelle  produzioni,  ottenuto  sanzione  dal  ma- 

(i)  Dì  questo  tragedo  romano  ci  restano  alcune  belle  tragedie,  benché  poco 
conosciute,  e  a  cui,  oggidì  gli  Istrioni  non  consentirebbero  un  posto  sulla 
scena,  dopoché  i  tniovi  barbassori  dell'arte  drammatica  hanno  bandito  all'o- 
stracismo tatti  i  devoti  dei  Sofocli  e  degli  Euripidi. 

Nota  àeWautore, 


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—  6t   — 

taro  giudizio  del  tempo.  Ben  avvertirò  che  V  imitazione  di 
quel  sommo  vuol  essere  circondata  da  prudenti  cautele,  vo* 
lersi  por  mente  ai  tempi  in  cui  vìsse,  e  alla  nazione  per  cui 
dettava  le  sue  tragedie.  Ciò  però  che  parmi  di  riprovevole 
in  alcune  delle  moderne  produzioni»  si  è  la  morale  bene  spesso 
dimenticata,  della  quale  virtù,  a  di  nostri,  negli  italiani  è 
così  al  vivo,  sentito  il  bisogno.  Che  s'egli  h  vero  (come  ne 
è  maestra  la  Storia)  essere  il  buon  costume  Tamico  della  vera 
liberta  «  perano  le  arti  (ripeterò  col  Giordani)  sieno  dimen- 
ticate se  non  debbono  giovare  alle  virtù  dei  popolij  ma  ser- 
vire alle  voglie  impudiche  o  insolenti  dei  tiranni  (i).   » 

Ben  maggior  servizio  al  teatro  italiano,  quanto  allo  scopo 
morale  e  politico  rese  Vittorio  Alfieri ,  checché  dirsi  possa 
intorno  al  merito  artistico  delle  sue  tragedie  ,  le  quali  ne 
renderebbero  per  questo  solo  riguardo  ,  il  nome  riverito  in 
ogni  età.  Ma  la  tempra  del  carattere  Alfieriano  negli  italiani, 
assai  difficilmente  si  trova,  popolo  d'indole  positiva  e  tran- 
quilla, uh  sappiamo  quando  alcuno  di  essi  giungerà  a  disot- 
terrarne il  pugnale  che  giace  con  lui  sepolto  in  S.  Croce. 

Ma  se  questo  benefizio  h  poco  sperabile,  deh!  almeuo  si 
studiassero  gl'italiani  d'imitarlo,  nell'infòrmare  a  nobili  e  su- 
blimi concetti  i  loro  parti,  acciò  rispondessero  in  tutto  e  per 
tutto,  alla  grandezza  e  al  decoro  dell'arte. 

Ma  tornando  alla  scuola  romanzesca  ,  se  l' imitazione  di 
questa,  h  lodevole,  anzi  rispondente  allo  spirito  che  domina 
la  nostra  letteratura,  si  dovrà  egli  bandire  la  croce  alla  clas- 
sica? Gli  autori  che  a  questa  si  educarono,  come  un  Alfieri^ 
un  Carlo  Marenco,  un  Niccolini^  un  Pellico  avranno  perduto 
ogni  diritto  ai  suffragi  della  scena?  Non  so  chi  potrebbe,  da 
buon  senno,  asserirlo.  Bensì  io  credo ^  che  il  concedere  più 
di  frequente  un  posto  a  quelPantica  scuola  sulle  nostre  scene, 
contribuirebbe  a  moderare  alquanto  gli  eccessi  della  moderna,, 
eccessi  oramai  giunti  a  tale,  che  non  ho  difficolta  di  affer- 
mare con  un  moderno  scrittore  che:  «  dell'  epoca  presente , 
in  fatto  di  teatro,  non  sia  da  parlare,  ma  da  ridere  (2).   » 

L'altro  genere  di  componimento,  che  più  della  tragedia 
lascia  a  desiderare  nella  drammatica  palestra,  si  h  la  Com- 
media ,  dico  la  vera  Commedia  ,  quale  dietro  V  esempio  dei 
greci  maestri,  ci  tramandarono  un  Goldoni,  un  Gigli,  unGiraud, 
un  Alberto  Nota,  e  quale  tramandarono  eziandio  "dietro  Te- 

(i)  Opere  edite  postarne.  Voi.  1!  Rdii.  Borroni  e  Siotti.  Milano. 
(2)  Vedi  VÀnnaiatore,  31  Marzo  ISSO»  alFarticolo:  «  Noterelle  critieo-bi- 
bliografiche. 


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—   52   — 
sempio  di  que'  primi  alla  lor  nazione ,  un  Pietro  Cornelio  , 
un  Regnard,  e  più  di  questi»  Tincomparabile  Molière. 

I  francesi,  presso  i  quali  la  scuola  romanzesca  ebbe  si 
grande  influenza,  le  apersero  più  largo  campo  col  dramma, 
il  qual  genere  di  componimento  venne  scherzevolmente  chia- 
mato dal  Voltaire  tragèdie  en  redingote^  siccome  quello  che 
partecipa  del  comico  e  del  serio.  Ma  se  questa  strana  me- 
scolanza soddisfece  al  gusto  del  pubblico,  che  ama  di  venir 
commosso,  non  tanto  dall'uno  quanto  dall'altro,  non  tornò, 
parmi,  di  gran  vantaggio  allo  scopo  morale  dell'arte;  avve- 
gnaché ,  essendo  la  Commedia  una  vera  satira  dei  costumi 
del  popolo  per  cui  h  scritta,  trovi,  con  ciò,  minor  campo  da 
esercitare  sola  il  suo  ministero,  e  comechè  a  di  nostri  com- 
medie non  manchino  in  Francia  ed  in  Italia,  che  rammentino 
il  socco  diviso  dal  coturno;  pur  nondimeno  h  innegabile,  che 
il  genere  misto  sopradetto  abbia  il  sopravvento,  particolar- 
mente in  Francia,  la  quale  lo  ha  oramai  tra  noi  diffuso  per 
modo,  affascinando,  come  già  fé' coi  romanzi,  le  mentì  ita- 
liane (ligie  da  lungo  tempo  a  ciò  che  sa  di  straniero)  che 
oramai  delle  trenta  produzioni  che  si  rappresentano  nei  nostri 
teatri,  raro  h  che  le  venti  almeno  non  compariscano  coU'im- 
pronta  straniera.  La  quale  jattura  sarebbe  meno  a  deplorarsi^ 
se  produzioni  siffatte  non  peccassero  contro  i  più  sani  pre- 
cetti dell'  arte ,  e  quel  che  h  peggio ,  contro  la  morale  e  ì 
buoni  costumi.  -  Quali  saranno  i  provvedimenti  da  ciò?-  Qua- 
lunque provvedimento,  a  parer  mio,  tornerebbe  ora  vuoto  d'ef- 
fetto: ma  il  solo,  immancabile  h  da  aspettarsi  dall'opera  ma- 
tura del  tempo ,  il  quale  rende  giustizia ,  tosto  a  tardi ,  si 
nelle  arti  che  nelle  scienze ,  ai  principi  fondati  sul  vero  e 
sul  bello. 

Il  seicento  delirava  (notò  TAlBeri)  (i)  ma  venne  il  tempo, 
che  que'deliri  cessarono,  quando  cioè  le  menti  italiane,  rin- 
savite a  migliori  principi,   tornarono  allo  smarrito  sentiero, 
ed  ai  Marini,  ai  Preti,  agli  Achillini,  succedettero  i  Monti, 
i  Cesari,  i  Parini,  i  Foscolo. 

E    verrà    tempo  (né   temo   di    fallire    al   pronostico)  che 
molte  produzioni  tanto  acclamate,    oggidì,  e  levate  a  cielo 


con 


(1)  Il  discreto  lettore  saprà  interpretare  la  sentenza  del  sommo  tragico, 
^v»  quelle  eccezioni ,  che  merita  »  e  non  imputerà ,  certo ,  Io  stesso  delirio 
al  600,  in  fatto  di  <(uelle  scienze,  nelle  quali,  il  Galileo,  il  Torricelli,  il  Cas- 
sini ,  ed  altri  illustri  scienziati  ne  fnrono  il  principal  decoro  ed  ornamento. 
Ed  anche,  in  fatto  di  lettere,  non  comprenderà,  nella  turba  della  falsa  scuola, 
i  Bartoli,  i  Segneri,  i  Doni,  i  Capecelatro,  né  lo  stesso  Galileo,  le  cui  scrit- 
ture meritarono  un  buon  posto,  fra  i  testi  di  lingua. 


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—  53  — 
dalla  folla;  ma  non  avvalorate  dall* approvazione  di  uomini 
insigni,  per  perizia  e  buon  gusto,  nelle  cose  letterarie,  rica- 
dranno nell'oblio 9  come  fiv venne,  per  addurne  un  esempio, 
alle  opere  drammàtiche  del  conte  Pepoli,  le  quali  ricliiama- 
vano,  al  suo  tempo,  immenso  numero  di  concorrenti  alle  rap- 
presentazioni,  mentre  quelle  dell'Alfieri  erano,  il  pia  delle 
volte,  ascoltate  con  impaziente  noja.  Ma  non  per  questo,  nulla 
dobbiamo  omettere  de'  nostri  sforzi  ,  da  preparare  una  via 
ad  una  salutare  riforma.  Scopo  della  quale  sia  il  ricondur 
l'arte  a  que'principj,  dai  quali  va  deviando  ognor  più,  con 
grave  detrimento  di  essa.  Vorrebbesi,  insomma,  un  valente 
ingegno  che  intendesse  a  giovarla  di  que' benefici  medesimi, 
onde  giovò  ia  scoltura  un  Antonio  Canova  ,  nel  ravvisar 
quest'arte  degenere  da  quell'eccellenza,  con  cui  l'Eterna  Citta 
Tavea  ricevuta  dai  Greci,  nel  che  riuscì,  (benché  non  senza 
gravi  ostacoli)  ritirandola  più  vicino  a'suoi  principi^  e  risu- 
scitò il  fare  di  quello. 

E  qui,  piacemi  ricordare,  in  proposito  dei  Greci  maestri, 
che  il  Chiabrera,  volendo  dar  lode  meritata  a  qualche  cosa, 
che  sopra  le  altre  toccasse  più  da  vicino  aireccellenza«  usava 
dire:  «r  la  è  poesia  greca,  d  Oh!  perchè  alla  stessa  lode  non 
hanno  diritto,  oggiHì,  le  molte  che  vedono  la  pubblica  luce? 
A  coloro,  che  studiarono  in  quegli  eterni  modelli^  o  nei  felici 
loro  imitatori,  sarà  agevol  cosa  la  risposta,  e  compatiranno 
a  que'molti^  dai  quali  vengono  que'prìmi  posti  in  non  cale, 
o  derìsi,  e  stimano  cosa  da  pedanti  il  far  tesoro  di  que'pregi 
che  pur  li  resero  immortali.  Noi  intanto  devoti  a  que'sommi 
maestri  non  lascieremo  di  ripetere  a  tutti  i  savi  cultori 
dell'  arte:  ' 

Vos  exemplaria  Greca  (1) 
Noctarna  versate  manu  versate  diarna 
Orai.  9  arte  poeL 

{Continua) 

Prof.  Nicolò  Marsugco 


(1)  QiieggOD  da  voi  dioroa, 

ChieggOD  Dottarna  man  gli  Achei  modelli. 

Vefiùme  del  Solari. 


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—  54  

XI. 

ARTICOLI  VÀKI 
1- 

UN  FABBRICATO  SULLA  VIA  NAZIONALE 

È  temerità,  o  sfrontatezza  di  tutti  coloro,  clie  col  titolo 
d'ingegneri  commettono  l'impudenza  di  far  mostra  ai  romani 
delle  loro  opere  in  quell'arte,  che  ambiscono  di  esercitare, 
senza  conóscerla?  No^  non  è  ne  Tuna  né  l'altra,  ma  è  l'effetto 
di  pretta  ignoranza.  Poiché  se  riflettessero,  che  Roma  h  stata 
la  dominatrice  del  mondo,  che  dessa  ha  diramato  per  tutto 
l'universo  il  germe  delle  scienze,  della  civiltà  delle  arti;  che 
a  questa  Roma  concorrono  tutte  le  nazioni  per  istruirsi  sui 
tanti  monumenti  che  V  adornano ,  dovrebbero  trepidare  alla 
semplice  idea  di  presentare  ai  romani  un  parto  di  loro  inven- 
zione; ma  totalmente  ignari  in  professione,  non  temono  delle 
loro  facoltà  e  fanno  tutto  quello ,  che  il  capriccio  lor  sug- 
gerisce. 

Con  tali  prìncipi  vedo  inalzato  un  casamento  sa  detta 
via  distìnto  col  M?  13;  ma-  io  non  intendo  criticarlo,  perchè 
gli  farei  un  onore  ,  e  poi  per  non  cadere  in  con  tradizione 
con  me  stesso,  avendo  detto  in  altro  mio  articodo,  pubblicato 
su  questo  giornale,  che  non  s'imprende  mai  a  criticare  un'o- 
pera, sia  letteraria  0  artìstica,  senza  che  dessa  presenti  alcun 
merito.  Finalmente  perché  la  vera  critica  é  l' applicazione 
del  gusto  e  del  buon  senso  alle  Belle  Arti.  L' oggetto ,  che 
dessa  si  propone  é  il  distinguere  io  un'opera  ciò  che  vi  ha 
di  bello  o  di  brutto;  l'ascendere  dai  casi  particolari  ai  prin- 
cipi generali,  ed  il  formare  in  tal  guisa  le  regole,  od  i  ca- 
noni concernenti  i  vari  generi  del  bello  nelle  opere  dell'in- 
gegno, ma  non  in  quelle  degV ingegneri. 

Non  avendo  dunque  alcun  merito  per  poterlo  criticare,  ne 
darò  prima  un'idea  in  massa,  e  quindi  discenderò  a  farne  det- 
tagliata ed  imparziale  descrizione  ,  in  tutte  le  parti  che  lo 
compongono. 

In  questo  casamento  si  é  voluto  adombrare  lo  stile  della 
nostra  Accademia,  che  é  quanto  dire  il  Greco-Romano,  ma. 
deformandolo  con  una  male  intesa  applicazione,  come  verrà 
^n  appresso  descritto. 


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—  55  — 

É  composto  di  un  piano  terreno  e  di  quattro  piani  su- 
periori abitabili  con  sette  finestre  in  linea  ad  ogni  piano. 
la  parte  inedia  di  questo  prospetto,  che  comprende  lo  spazio 
di  cinque  finestre  in  linea  di  ogni  piano»  si  è  volata  risal- 
tare di  pochi  centimetri  in  tutta  la  sua  altezza  per  distin- 
guerla dalle  due  parti  estreme»  che  sonosi  lasciate  più  sem- 
plici o  per  dir  meglio  meno  sciattate. 

II  piano  terreno  e  bugnato  e  le  botteghe,  che  da  tre  parti 
fiancheggiano  il  portone  d'ingresso,  hanno  vani  di  porte  ar- 
cuate con  serragli  regolari* 

li  primo  piano  nella  parte  media  del  suo  prospetto  risal- 
tata di  pochi  centimetri ,  ha  cinque  finestre  con  parapetto 
balaustrato,  che  sono  una  bellezza,  luce  arcuata  molto  sfilata 
fiancheggiata  da  due  colonne  addossate  una  per  parte,  sfilate 
anch'  esse  con  capitello  composito ,  le  quali  sostengono  una 
trabeazione  sproporzionata^  composta  di  architrave ,  fregio  e 
cornice  dentellata ,  la  quale  sporge  in  modo  da  stabilire  la 
banchina  di  una  ringhiera  a  livello  del  pavimento  del  piano 
superiore  con  parapetto  di  ferro. 

Al  secondo  piano  non  si  h  potuto  fare  altrettanto,  perchè 
si  h  voluto  che  i  vani  interni  (cosa  straordinaria)  fossero  più 
alti  di  quelli  del  primo  piano  sottoposto,  e  per  conseguenza 
non  si  potevano  stiracchiare  le  luci  rettangolari  (e  non  ar- 
cuate) e  le  colonne  delle  finestre,  tanto  che  bastassero  ad  arri- 
vare con  la  loro  trabeazione  a  livello  del  pavimento  del  terzo  . 
piano  per  ottenere  la  banchina  della  ringhiera  sulla  cimasa 
delia  trabeazione,  che  corrispondesse  a  livello  del  pavimento 
del  piano  superiore,  come  si  h  fatto  al  sottoposto.  E  per  na- 
scondere la  distanza  eccessiva  che  risultava  tra  i  due  piani 
si  h  costruito  un  pesante  e  brutto  cornicione  dentellato,  nel 
cui  architrave  infilano  le  cimase  delle  finestre  sopradescritte. 
Le  finestre  del  terzo  e  del  quarto  piano  sono  sorelle  car- 
nali, o  cugine  di  quelle  dei  due  piani  sottoposti.  Il  corni- 
cione, che  corona  l'edificio  pienamente  vi  corrisponde;  per 
cui  è  da  notarsi  in  questo  casamento  essersi  conservato  co- 
stante uno  stile  capriccioso  e  stravagante,  da  non  trovar  mai 
pedanti  imitatori.  Discorda  un  poco  il  basamento  per  essere 
semplice  e  regolare. 

2. 

ALTRO  FABBRICATO  SOL  LATO  OPPOSTO  DI  DETTA  VIA 
DISTINTO  COL  N!  ai9. 

Anche  questo  è  bastantemente  stravagante,  portando  Firn- 
pronta  del  genio  ingegneresco,  perchè  mancante  di  gusto,  di 
purgatezza  di  stile,  di  unità  di  carattere,  di  armonia. 


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—  56  — 

È  composto  di  un  piano  terreno  e  di  quattro  piani  supe- 
riori abitabili  compreso  il  mezzanino  immediatamente  sopnh 
posto  al  piano  terreno,  con  sette  finestre  in  linea  ad  ogni  piano. 

Nel  piano  terreno  sono  tre  grandi  vani  di  porte,  che  per 
la  stravaganza  degli  adornamenti  somigliano  tra  loro;  quello 
di  .mezzo  serve  d'ingresso  al  casamento,  i  due  laterali  alle 
botteghe ,  le  quali  vengono  fiancheggiate  da  due  finestrini 
retlangolaii  di  uno  stile^  che  punto  non  corrisponde  al  ca- 
rattere delle  porte  suddette. 

E  cosa  potrò  dire  del  mezzanino  con  quei  sette  finestrini 
poggiati  ad  una  fascia  modinata  troncata  ad  ognuno  di  essi? 
Presi  isolatamente  non  sarebbero  brutti,  ma  si  rendono  ridi- 
coli ,  perchè  discordano  coi  vani  di  porte  al  piano  terreno 
e  coi  piani  superiori,  ai  quali  si  h  preteso  d'imprimere  un 
carattere  barocco.  Questi  finestrini  vengono  adornati  da  mostra 
modinata  e  piccola  cimasa  sostenuta  da  due  pilastrini  di  stile 
pestano^  e  tra  questo  stile  e  quello  barocco  passa  grandissima 
distanza,  e  non  vi  voleva  che  l'ingegno  di  un  ingegnere  per 
poterli  avvicinare. 

Ho  già  detto,  che  i  piani  superiori  al  mezzanino  puzzano 
di  barocchismo ,  e  ciò  basta  per  esonerarmi  di  farne  detta- 
gliata descrizione  ;  ma  mi  piace  far  conoscere  all'  autore  di 
questo  fabbricato  chi  fu  Tautore  del  barocchismo  onde  servirgli 
di  norma,  che  dovendone  dirigere  un  altro  lo  possa  far  meglio 
(perchè  peggio  sarebbe  più  difficile). 

Il  corifeo  del  barocchismo  fu  l'architetto  Francesco  Bor- 
romini,  che  visse  in  questo  mondo  dal  1599  al  1667.  Fu  egli 
che  portò  la  bizzarria  al  più  alto  grado  del  delirio.  Deformò 
e  mutilò  frontespizi,  rovesciò  volute,  tagliò  angoli,  ondulò 
architravi  e  cornicioni,  e  profuse  cartocci,  lumache,  conchiglie 
e  bizzarrie  d'ogni  sorta.  L'architettura  borrominesca  è  un  ar- 
chitettura alla  rovescia,  cioè  una  scempiaggine. 

E  come  si  ridusse  egli  a  tanto  delirio  ,  dotato  com'  era 
di  straordinario  talento?  Per  invidia  che  concepì  a  carico  del 
celebre  architetto  Lorenzo  Bernini.  Quell'invidia  era  così  arrab- 
biata, che  alla  fine  impazzì,  divenne  frenetico  e  si  ammazzò! 
Per  soperare  il  Bernini  non  prese  1'  unico  spediente  di  far 
meglio  e  più  correttamente.  Il  secolo  della  correzione  non 
era  più  ,  era  il  sedolo  della  corruzione.  Onde  egli  prese  il 
partito  di  rendersi  singolare  con  l'andare  fuori  di  ogni  re- 
gola, vi  riuscì  e  formò  quella  setta  detta  borrominesca,  che 
estese  le  sue  ale  ed  ebbe  vita  per  circa  un  secolo,  e  trovò 
tanti  seguaci  presso  gl'ignoranti,  che  pedantescamente  segui- 


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—  w  — 
ròno  il  suo  esempio,  che  non  voleva  che  nn  Francesco  Mi- 
lizia per  annientarla;  ma  era  il  secolo  della  corruzione,  come 
si  disse;  ma  oggi  sullo  spirare  del  secolo  XIX,  mentre  si  de- 
canta progresso,  civiltà  e  libere  istituzioni  si  ha  da  vedere 
in  una  città  monumentale  com'è  Roma,  risorgere  il  baroccume^ 
il  quale  ebbe  vita  nell'epoca  dell'ignoranza  e  della  decadenza 
delle  arti?  £  per  opera  di  chi?  dei  sapientissimi  ingegneri, 
che  Dio  li  benedica  e  perdoni  loro  tutti  gli  errori  fin  qui  com- 
messi nelle  opere  architettoniche  e  faccia  loro  perdere  la  sfre- 
nata ambizione  di  essere  architetti* 

Questi  due  fabbricati  sopradescrìtti  starebbero  bene  sulla 
piazza  di  san  Silvestro  in  Capite,  perchè  stando  a  contatto  col 
palazzo  della  Posta,  potrebbe  chiamarsi  piazza  degli  spropositi. 

3. 

SECONDA  APPENDICE  ALL'ARTICOLO  CHE  HA  PER  TITOLO 
<c  1  CAPRICCI  DELLA  MODA  APPLICATI  ALLE  ARTI,  d 

È  cosa  dispiacente  per  uno  che  scrive  articoli  dover  ri-* 
petere  gli  stessi  rimproveri  tendenti  ad  eliminare,  se  sia  pos- 
sibile ,  alcune  licenze ,  che  si  commettono  nei  fabbricati  di 
nuovo  impianto,  come  altresì  in  quelli  di  restauro,  per  cui 
mi  avvedo  non  godere  stima  bastante  per  essere  creduto^ 
Non  importa:  io  scrivo  per  l'amore  dell'arte,  e  mi  parrebbe 
sentirne  rimorso  se  restassi  in  silenzio.  È  vero  che  molti  non 
lèggono  il  Buonarroti  su  cui  scrivo,  perchè  l'è  un  periodico 
poco  diffuso,  ma  alcuni  sono  associati,  e  questi  dicono  non 
aver  tempo  di  leggerlo,  ad  onta  che  avessero  solennemente 
promesso  rispondere  ad  un  mio  articolo  pubblicato  su  questo 
stesso  giornale;  ma  sarebbe  meglio  si  dessero  per  vinti,  perchè 
dimostrano  essere  ammassati  di  quelle  cognizioni  atte  a  le- 
gittimare i  loro  errori,  ma  il  dire  di  non  aver  tempo  di  leg- 
gere poche  righe  sul  Buonarroti  è  una  scusa  troppo  magra> 
ed  intanto  caparbi  come  sono,  seguitano  a  commettere  le  stesse 
licenze,  ridendosi  forse  de'miei  articoli. 

Dopo  questa  prolusione  i  miei  lettori  non  sapranno  quali 
siano  le  licenze  di  arte  da  me  disapprovate,  e  che  si  com- 
mettono nei  fabbricati  da  alcuni  architetti  a  danno  della  sem^- 
plicitk  9  del  buon  gusto  e  del  giusto  raziocinio.  Ma  se  mi 
accorderanno  breve  respiro,  mi  studierò  di  manifestare  con 
la  maggior  chiarezza  tutto  quello ,  che  a  mio  credere  non 
deve  farsi,  ed  eccomi  a  dimostrarlo. 

Si  è  introdotta,  da  qualche  tempo  la  moda,  di  dare  aspetta 
di  mezzanini  ai  secondi  piani^  con  finestre  volanti  e  di  pic^ 


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—  58  — 
cole  dimensioni ,  credendo  forse  di  rendere  più  elegante  il 
prospetto*  Cosa  ne  viene?  che  essendo  i  piani  dei  vani  interni, 
a  un  di  presso  tutti  della  stessa  altezza^  risulta  una  distanza 
maggiore  dairarchitrave  delle  finestre  del  preteso  mezzanino, 
alla  linea  del  davanzale  delle  finestre  del  terzo  piano;  e  per 
nascondere,  o  ingannare  la  distanza  clie  ne  rìsulta,  si  co- 
struisce quella  odiosissima  fascia  o  cornice  in  linea  del  pa- 
vimento del  terzo  piano  suddetto»  da  me  le  tante  volte  cen- 
surata. 

Finora  avevo  detto  molto  su  queste  inutili  fasce,  in  vari 
miei  articoli  pubblicati  su  questo  stesso  giornale ,  ma  non 
mi  ero  mai  internato  a  conoscere  per  qual  ragione  si  co- 
struissero, e  mi  piace  averlo  potuto  conoscere  e  manifestare 
come  sopra;  che  anzi  a  maggiore  illustrazione  aggiungo  quanto 
appresso. 

Nei  grandi  palazzi  occorre  di  avere  al  primo  piano  delle 
grandi  sale  destinate  a  ricevimenti^  a  feste  da  ballo,  a  so- 
cietà e  ad  altri  usi,  e  siccome  queste  devono  avere  un'altezza 
proporzionata  alla  loro  ampiezza,  gli  architetti  del  secolo  XVII, 
per  non  occupare  quella  del  piano  superiore,  come  fece  il  San- 
gallo  al  palazzo  Farnese,  immaginarono  il  plausibile  ripiego 
di  costruire  un  mezzanino  sopra  il  piano  nobile,  affinchè  le 
sale  suddette  comprendessero  1*  altezza  di  quello  ,  come  si 
fece  al  palazzo  Chigi  a  pias^za  Colonna,  a  quello  Buonaccorsi 
sulla  via  del  Corso,  a  quello  Boadille  sulla  via  de*Cesarini, 
al  palazzo  Pacca  sulla  piazza  di  Campitelli  ed  in  tanti  altri; 
e  siccome  V  altezza  dei  piani  mezzanini  è  tanto  minore  di 
quella  dei  piani  sottoposti ,  nessuno  si  trovò  in  bisogno  di 
costruire  le  odiose  fasce  o  cornici  in  linea  del  pavimento  del 
terzo  piano,  per  ingannare  la  maggiore  altezza  che  risultava 
dall'architrave  delle  finestre  mezzanine  alla  linea  di  parapetto 
delle  finestre  del  piano  superiore. 

Dunque  notate  bene,  miei  cari  ed  amati  colleghi,  che  i 
piani  mezzanini  interposti  tra  i  due  piani  nobili,  s'immagi- 
narono per  un  ripiego  e  non  per  imprimere  aspetto  più  ele- 
gante ai  prospetti,  come  si  pretese  fare  al  palazzo  Marignoli 
sul  vicolo  di  san  Claudio,  in  quello  a  piazza  Colonna,  olim 
della  Posta,  in  quella  piccola  casa  di  recentissima  costruzione 
sulla  via  di  san  Venanzio  N?  i3  ed  in  tante  altre,  egualmente 
recenti,  che  non  voglio  nominare.  Dunque  i  mezzanini  inter- 
medi ai  piani  nobili  si  rendono  necessari  nei  grandi  palazzi 
per  avere  grandi  sale  da  comprendere  Taltezza  dei  Mezzanini 
medesimi,  e  non  nei  casamenti  ove  queste  sale  non  occorrono. 


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Frattanto  cosa  si  dovrà  pensare  intorno  al  criterio  arti- 
stico di  questi  arcbitetti? escile  sono  mancanti  della  filosofia 
dellarte,  e  che  vogliono  ciecamente  seguire  i  capricci  della 
moda. 

Ora  voglio  discorrere  un  poco  di  quei  bugnati  alla  rustica 
con  bozze  rilevate,  con  le  quali  si  pretende  di  adornare  indi- 
stintamente il  basamento  di  ogni  fabbricato,  senza  distinzione 
del  carattere  e  dell'uso  cui  viene  destinato. 

Ma  i  diversi  piani  che  s'innalzano  sopra  questi  bugnati, 
sono  in  armonia  con  lo  stile  serio  di  quelli?  -  pare  di  no  » 
vediamolo* 

L'immortale  Urbinate  diresse  il  palazzo  Stoppani,  oggi 
Vidoni ,  sulla  via  del  Sudario ,  con  quel  basamento  serio  o 
piuttosto  fiero ,  e  sopra  questo  basamento  egli  impresse  al 
primo  piano  il  carattere  dorico  che  adornò  col  suo  proprio 
ordine  con  colonne  addossate  binate,  e  sta  bene,  perchè  armo- 
nizza con  lo  stesso  basamento  (il  secondo  piano  h  posteriore). 

Bramante  Lazzari  principiò  a  dirigere,  sulla  via  Giulia, 
un  palazzo  di  giustizia  ,  ed  al  basamento  inalzato  di  circa  * 
due  metri  dal  piano  stradale  che  tutt'ora  esiste,  voleva  im- 
primergli un  carattere  di  fierezza  mediante  quel  bugnato  a 
grandi  bozze  rilevate  alla  rustica ,  per  fargli  acquistare  un 
carattere  che  bene  si  addicesse  ad  un  tribunale.  Il  male  si  h 
di  non  conoscere  quale  aspetto  avrebbe  impresso  ai  piani 
superiori,  perchè  passato  agli  eterni  riposi  Giulio  II  grande 
mecenate  delle  arti,  questo  immenso  fabbricato  rimase  sospeso; 
ma  Bramante  nel  proprio  suo  genio  avrebbe  saputo  armo- 
nizzare il  tutto  con  le  parti,  e  non  avrebbe  decorato  il  piano 
superiore  con  stile  che  al  basamento  non  convenisse,  poiché 
egli  fu  architetto  di  prima  classe  e  ristauratore  dell'arte 
architettonica» 

Lo  stesso  Bramante  nel  palazzo  della  Cancelleria  costruì 
il  basamento  di  un  carattere  gentile,  perchè  gentilissimi  si 
voleva  che  fossero  i  piani  superiori.  Lo  stesso  fece  al  pa- 
lazzo Giraud  a  ScossacavallL 

Anche  il  Peruzzi,  nel  suo  bel  palazzo  Massimi  sulla  via 
Papale,  adornò  il  piano  terreno  con  pilastri  e  colonne  doriche, 
in  modo  che  armonizzasse  con  i  piani  superiori. 

All'incontro  nei  fabbricati  moderni  vedo  severi  bugnati 
al  basamento  ed  i  primi  piani  immediatamente  sopraposti , 
ornati  di  fasce  modinate,  o  comici  e  finestre  che  apparten- 
gono alFordìne  jonico  o  corintio.  Dov'è  dunque  quell'accordo 
che  costituisce  l'armonia  delle  varie  partì  di  un  edificio?  Vedo 


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—  50  — 

ancora  serragli  bugnati  nei  vani  di  porte  e  finestre  contor- 
nati nella  parte  interna  di  fasce  gentilmente  modinate,  come 
malamente  si  fece  alla  Banca  di  Risparmio ,  e  tuttociò  per 
seguire  pedantescamente  la  moda»  senza  potere  addurre  alcuna 
ragione  per  sostenere  simili  errori. 

Pare  sentirmi  dire  alle  spalle  »  Chi  è  costui ,  che  sputa 
sentenze  e  pretende  dettare  in  cattedra  per  darci  lezione?» 
Questo  costui  sono  proprio  io  in  persona,  che  al  i^  dell'en- 
trante  settembre  entrerò  negli  anni  83 ,  e  se  vogliate  cono- 
scere il  nome  e  cognome,  guardate  in  fine  dell'articolo  e  lo 
vedrete,  che  non  ho  mai  preteso  erigermi  a  maestro  e  molto 
meno  presso  coloro  che  ne  sapranno  più  di  me.  Nella  mia 
gioventù  ho  molto  studiato  sugli  antichi  monumenti  e  su 
<{uelli  del  secolo  XV  di  classici  autori»  e  cosi  ho  potuto  for- 
marmi  uno  stile,  che  credo  basato  sulla  ragione  e  sul  giusto 
raziocinio.  E  quando  vedo  un  fabbricato  mancante  di  alcuni 
principi  con  dispiacere  lo  biasimo ,  come  altrettanto  godo 
lodarne  un  altro  qualora  lo  ravvisi  ben  condotto  »  siccome 
(^uno  avrà  veduto  ne'miei  articoli.  E  tuttociò  senza  spirito 
di  parzialità ,  ma  per  solo  amore  dell'  arte  ,  perchè  vorrei , 
che  i  miei  colleghi  in  professione  divenissero  tanti  Bramanti^ 
Urbinati,  tanti  Peruzzi,  per  cavarmi  il  cappello  e  profonda- 
mente inchinarmi  al  loro  passaggio  in  segno  di  rispetto,  ma 
che  forse  a  tutta  risposta  non  mi  guarderebbero  in  faccia. 
£  così  sìa. 

4. 

SI  DECANTA  CIVILTÀ'  E  SI  CALPESTANO  LE  ARTI 

Tra  le  tante  glorie  che  può  decantare  la  città  de'  sette 
Colli,  una  delle  maggiori  è  quella  di  essere  stata  mai  sempre 
considerata  da  tutto  l'universo  come  madre  e  regina  delle 
Arti  Belle,  da  Cesare  Augusto  insino  a  noi.  Tra  queste  arti 
la  più  nobile^  perchè  la  più  utile,  è  l'architettura,  detta  per 
antonomasia  madre  e  direttrice  di  tutte  le  altre. 

Per  essa  si  adornano  e  si  nobilitano  le  Città  con  la  ma- 
gnificenza de' suoi  monumenti,  per  la  bellezza  de' palazzi  e 
case  cittadinesche  ,  per  i  pubblici  e  privati  edifici ,  per  la 
regolarità  delle  vie,  e  per  la  disposizione  e  comodità  degl'in- 
terni appartamenti. 

Per  essa  si  hanno  le  Basiliche,  le  Chiese,  le  parrocchie^ 
gli  oratori,  le  cappelle  private,  i  Conventi,  i  Monasteri  e 
tutto  quello  che  tende  all'incremento  della  religione  e  del 
culto.  Per  la  pubblica  istruzione  si  hanno  i  Collegi,  i  Semi- 


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—  61   — 

nari  ^  le  Università ,  le  Biblioteche ,  le  Gallerie ,  i  Musei ,  i 
Gabinetti  di  Fisica,  le  Specole,  le  Palestre.  Per  ia  pubblica 
igiene  i  Spedali,  ì  Manicomi,  i  Lazzaretti,  le  Terme^  i  Cimi* 
teri.  Per  ramministrazione  della  Giustizia,  i  Tribunali,  Can- 
cellerie ,  Archivi ,  Segreterie  e  luoghi  di  pena.  Per  diverti- 
menti e  siti  di  delizia,  i  Casini  di  campagna,  parchi,  ville, 
giardini,  peschiere.  Teatri,  Anfiteatri,  Circhi,  Sferisteri ,  Po- 
liteami^ Cavallerizze.  Per  la  pubblica  sicurezza,  mura  di  cinta, 
porte  di  citta  fortificate ,  Castelli ,  ponti  levatoi ,  Fortezze. 
Per  animare  l'industria  e  commercio,  Porti,  Fari,  Spiagge. 

Che  più  si  potrà  pretendere  dall'esercizio  di  quest'arte 
COSI  benemerita  della  società,  e  che  per  conseguenza  dovrebbe 
godere  la  massima  protezione  del  Governo,  perchè  ridonde- 
rebbe all'  onor  suo  ed  a  gloria  della  nazione  ?  Pur  non  di 
meno  è  quella  che  poco  o  niente  si  considera  e  bisognando 
si  disprezza  per  la  protezipne,  che  si  accorda  agringegneri, 
i  quali  vengono  erroneamente  considerati  come  architetti,  che 
non  lo  sono  ,  né  lo  possono  essere  per  mancanza  di  studi 
relativi  e  per  esser  privi  di  quel  genio  naturale,  dono  della 
natura,  atto  all'esercizio  di  tal  professione. 

Me  tante  volte  giova  studiarla  senza  la  naturale  dispo- 
sizione: si  potranno  al  più  apprenderne  i  primi  rudimenti, 
i  quali  si  restringono  a  pochi,  ma  quando  si  tratti  dell'ap- 
plicazione, d'imprimere  cioè  ad  un  edificio  il  carattere  proprio 
ed  espressiva  alla  sua  destinazione,  lo  che  si  chiama  filosofia 
dell'arte,  allora  si  conosce  la  mancanza  del  genio!  come  si 
ravvisa  in  un  pittore  qualora  non  sappia  dare  l'espressione 
alle  sue  figure:  pochi  sono  quelli  che  ci  riescono,  e  mollo 
meno  potranno  riuscirvi  coloro  che  non  ci  sono  chiamati , 
e  che  mentre  disprezzano  quest'arte,  ambiscono  di  esecitarla. 

Tutte  le  arti  liberali  dovrebbero  esclusivamente  eserci- 
tarsi da  coloro  che  ne  hanno  inclinazione,  e  quel  genio  na- 
turale atto  all'esercizio  di  quella  che  s'imprende  ad  eserci- 
tare: l'ingegneria  non  è  arte,  come  non  sarebbe  arte  Tarchi- 
tettura,  se  a  questa  non  fosse  unita  la  parte  estetica,  la  quale 
ha  per  iscopo  di  cercare  e  determinare  i  caratteri  del  bello 
nelle  produzioni  della  natura  e  dell'arte,  mediante  la  quale 
si  ottiene  l'accordo  e  l'armonia  delle  parti  per  ottenere  quel 
carattere  significante  da  imprimersi  ad  un  edificio;  ma  senza 
il  genio  naturale  non  si  ottiene,  come  colui,  che  volesse  eser- 
citarsi nella  musica  e  che  fosse  mancante  di  orecchio  per  di* 
stinguere  la  diversità  dei  toni,  potrebbe  mai  divenirne  com- 
positore? Dante  scrisse  anche  in  prosa,  ma  non  figura  come 

9 


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—  M  — 

nel  celebre  suo  poema,  perchè  la  sua  tendenza  era  dì  essere 
poeta  e  non  oratore.  Cicerone^  il  gran  Cicerone,  volle  scrivere 
in  versi,  ma  non  riuscì,  perchè  era  oratore  e  non  poeta. 

Ed  io  che  non  sono  né  poeta  né  oratore,  vorrei  esercì* 
tare  la  mia  professione,  ma  per  mancanza  di  mecenati  nes* 
suno  mi  chiama.  Se  fossi  ricco  sarei  un  brav*uomo,  godrei 
k  fiducia  di  molti  ed  avrei  delle  commissioui  ad  onta  cbe 
fossi  una  bestia,  ma  benché  bestia  mi  parrebbe  di  saperne 
un  tantino  più  di  coloro  che  si  chiamano  ingegneri,  pat:bè 
nato  con  la  tendenza  e  naturale  inclinazione  a  seguire 
quest'arte,  la  quale  è  basata  sui  raziocinio,  come  dice  Vi- 
travio,  e  sulla  ragione,  e  non  sul  capriccio. 

E  gFìngegneri,  mancanti  come  sono  del  genio  naturale» 
totalmente  privi  dei  primi  rudimenti  e  di  quelle  cognizioni, 
cbe  si  acquistano  nella  contemplazione  e  misura  dei  monu- 
menti antichi  e  quelli  del  risorgimento  di  classici  autori 
(qual'è  la  vera  scuola,  dopo  acquistati  i  primi  elementi  in 
un'accademia)  sono  quelli  cbe  rovinano  le  arti,  ed  i  poveri 
architetti,  che  avrebbero  tutto  il  diritto  di  esercitare  la  loro 
professione  acquistata  con  studio,  sudore  e  dispendio  nel  fiore 
de'  loro  anni,  si  trovano   privi  di  lavori. 

Meno  male  se  gl'ingegneri  sapessero  fare  qualche  cosa, 
ma  ignari  come  sono  in  professione ,  allorquando  hanno  a 
dirigere  un  fabbricato ,  si  raccomandano  a  qualche  giorìne 
architetto  per  avere  i  disegni,  che  poi  defonnano  nella  «se- 
cuziose,  poiché  con  le  regole  di  statica  e  con  l'idraulica  non 
si  distribuisce  un  appartamento,  non  si  colloca  conveniente- 
mente una  scala,  non  s'imprime  il  carattere  ad  nn  edificio, 
che  esprìma  chiaramente  il  suo  scopo. 

E  quei  fabbricati  di  nuovo  impianto  eletti  al  Maocao  » 
al  Celio,  ali*  Esquiiino  ed  altrove  non  danno  a  oonosoere  la 
mancanza  di  «cognizioni  artistiche?  Se  tornasse  al  mondo  il 
signor  d'  Angincourt ,  il  quale  compilò  la  storia  ragionata 
delie  arti  e  vedesse  quei  fabbricati,  qual  concetto  si  fonne- 
rebbe  «de'loro  autori?  Esdameirebbe  con  Cassìodoro-:  mores 
tuos  fabricae  hquuntur.  Ha  sarebbe  bene  non  vedesse  il  pa* 
lazflK»  dieflla  huta,  perchè  lo  caratterizserebbe  un  opeva  be'bassi 
tempi,  oMne  la  casa  di  Cola  jtienso»  detta  anche  di  KlatOt 
ordinala  nelVXI  secolo  da  Ilicola  figlio  idi  Crescenzit»  e  di 
Teodora  ppinro  Duoa  di  Roma. 

Che  in  quell'epoca  tutti igli  «tementi  coiigiarassero  a  danno 
della  civiltà  e  del  progresso  la  cosa  è  ]»06itiva ,  poiché  tra 
le  mondiali  alternative  suocede,  che  nascono  le  arti,  crescono^ 


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—  63  — 

migliorano,  si  alterano,  si  deformano,  decadono,  si  distrug- 
gono y  ritornano  in  fiore  ;  per  le  stesse  cause  a  noi  ignote , 
che  mettono  in  iscompiglio  le  citta,  le  provincie,  i  princi-*- 
pati,  i  regni,  grindividui;  ma  che  oggi  sullo  spirare  del  se- 
colo XIX^  mentre  si  decanta  civiltà,  progresso  e  libere  istir- 
tu2Ìoni,  s'abbia  vedete  quest'arte  (l'architettura)  Unto  gelo*- 
samente  protetta  e  guarentita  dai  cessati  governi,  imbastar- 
dirsi per  opera  di  coloro,  che  reggono  il  timone  della  cosa 
pubblica,  è  più  che  una  scempiaggine,  un  barbarismo. 

Dunque  non  decantate  progresso,  perché  questo  tende  a 
proteggere  e  migliorare  le  arti,  non  a  farle  decadere:  l'in- 
vasione dei  barbari  si  ravvisa  dai  monumenti  distrutti  e  la 
vostra  gestione  dalla  defoimìta  di  quei  tanti  fabbricati  di- 
Ktti  dagl'ingegneri  che  Voi  proteggete  a  danno  degli  archi- 
tetti e  a  disdoro  di  voi  stessi  y  della  capitale  del  regno  e 
della  intera  nazione. 

Giuseppe  Verzili  Architetto  Ingegnere 


XII. 

DDE  BRANI  DEI  DIARII  DI  MARINO  SANOTO 
RELATIVI  ALLA  DISFIDA  DI  BARLETTA 

Dobbiamo  la  comunicazione  di  questi  brani  alla  esimia 
cortesia  dei  eh.  signori  cav.  Andrea  Tessier  e  Nob.  Camillo 
Soranzo,  addetto  alla  biblioteca  Marciana  di  Venezia.  Gover- 
natore Veneto  di  Trani  era  nel  I5d3  Zulian  Gradenigo;  ma 
ulteriori  ricerche  fatte  nei  detti  Diarii  non  portarono  a  sco- 
prire alcnn  altra  comunicazione  dello  stesso  Governatore  su 
tale  argomento. 

Voi.  IV,  carte  347. 
2  Marzo  isos. 

«  £  da  saper  come  tutta  la  terra  fo  piena  et  in  colegio 
yt  nulla  erra  tamen  vidi  uno  capitolo  di  lettere  di  Traci  di 
»  13  fevrer  di  questo  tenor  scrìve  el  canzelier  dil  governador 
i>  e  dice  cussi  Tenuta  questa  fin  adi  i3  a  borre  3  di  nocte 
»  E  venuto  qui  persona  e  sta  a  veder  a  combater  francesi  i3 
»  e  Taliani  13  che  sono  a  soldo  dil  gran  capitanio  i  qualli 
ji  ia  questi  zorni  se  disfidono  a  combnt^r  su  questo  che  fran- 
»  cesi  bavea  ditto  che  Taliani  erano  Iraditori  come  spagnoli 
»  et  ozi  sono  stati  a  combater  in  campagna  a  cavalo  adeo 


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—  64  — 
»  che  per  tre  borre  combateteno  et  rimaseno  a  piedi  tutti 
j»  con  i  pugnali  soli  in  man  et  tandem  Italiani  romaseno  vin- 
D  citori  et  ha  menato  tutti  13  francesi  presoni  a  Barleta  di 
»  qualli  parecchi  sono  feriti  ma  tre  sonno  a  morte.  Chi  ha 
»  riferito  dice  che  Taliani  haveano  fato  virilmente  de  li  qualli 
D  do  Romani  con  el  sig.  Fabricio  Coloiia  i  altri  sonno  di  la 
»  compagnia  dil  Duca  di  Termeni.  Il  governator  non  so  sii 
»  scrìvira  di  questo  a  la  Signoria  perche  ha  ligato  tutte  le 
»  sue  letere  e  adesso  parte  il  ca^alaro.   » 

Voi.  IV,  carte  350. 
6  Marzo  i503. 

«  Da  Napoli  xlil  Consolo  di  25 ,  come  per  li  disonesti 
»  portamenti  di  Francesi  Castelaneta  più  volte  si  lamento 
»  al  vice  Re  et  ninna  provisione  fece  e  mossi  da  gran  ra- 
»  sone  a  insto  disdegno  si  dete  a  spagnoli  una  note  e  amazono 
»  parte  di  francesi  e  parte  fato  presoni.  Si  dice  la  Terra 
»  e  sta  ricuperata  e  fato  vendeta  tamen  non  e  certeza.  Et 
»  in  terra  di  Otranto  e  ribellato  etiam  Zuam  battista  de 
»  Montibus  fiol  di  messer  Francesco  e  appresso  il  Re  di  Ro- 
»  mani  baron  di  Coreliano  et  a  mandato  a  Taranto  a  darsi 
^  e  a  Leze  ,  si  fava  provisione  contra  di  lui ,  sì  tien  sarà 
»  disfato.  Iteftì  come  in  quelli  di  13  Italiani  de  spagnoli  et 
»  13  francesi  se  disfidono  verso  Canosa  fonno  a  le  man  tutti 
»  in  arme  bianche  a  cavallo  e  li  Italiani  vinsero*  E  si  tractava 
)>  che  Italiani  di  francesi  facessìno  il  simile  con  spagnoli.  » 


LAVORI  DEL  PROF.  POGGIOLI  DI  ROHA 

L'avv.  Giuseppe  Poggioli  fin  dal  1862  pubblicava  alcuni 
scritti  inediti  del  prof.  Michelangelo  Poggioli  suo  padre.  Essi 
vennero  altamente  lodati  da  ìUustri  accademie  e  scienziati 
sì  italiani  sì  stranieri.  Qra  per  cura  dello  stesso  avvocato 
sono  usciti  alla  luce  altri  scritti  postumi  dello  stesso  geni- 
tore col  titolo:  jilcuni  tasfori  in  opera  dì  scienze  naturali. 
La  soverchia  abbondanza  di  materie  non  ci  permise  finora 
di  fame  parola  nel  nostro  giornale.  Il  nome  dell'esimio  prof. 
Michelangelo  Poggioli,  e  gli  elogi  che  all'una  e  all'altra  pub- 
blicazione vennero  prodigati  da  insigni  periodici»  che  ne  die- 
dero il  sunto,  ci  dispensa  dal  fame  un'analisi*  Basterà  ri- 


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—  65  — 

poitare  tradotto  in  nostra  lingua  il  seguente  articolo  del 
cb.  sig.  Emilio  Vaisson  (i). 

«  Riceviamo  dal  sig.  G.  Poggioli  la  raccolta  dei  lavori  ine- 
diti dell'illustre  suo  genitore,  prof.  Michelangelo  Poggioli, 
che  fu  ad  un  tempo  abile  medico  ,  eminente  botanico  e 
grazioso  poeta. 

»  Sebbene  i  lavori  del  dotto  naturalista  non  entrino  nel 
programma  del  nostro  giornale,  afferriamo  con  piacere  l'oc- 
casione ,  che  ci  viene  offerta  di  lodare  le  rilevanti  qualità 
che  spiccano  negli  scrìtti  dell'illustre  scienziato  italiano,  tra 
le  quali  i  critici  hanno  concordemente  riconosciuto  concisione 
accoppiata  all'ordine,  chiarezza  coUegata  colla  profondità  delle 
idee,  e  soprattutto,  cosa  rara  negli  scritti  scientifici,  mera- 
vigliosa facilità  e  squisita  eleganza  di  stile. 

»  La  nuova  raccolta  pubblicata  dal  sig.  avv.  Poggioli  rac- 
chiude una  importante  dissertazione,  in  ottimo  latino,  circa 
la  fisiologia  vegetale.  Noi  non  possiamo  farne  minuta  ras- 
segna. Ne  basti  il  dire  che,  secondo  il  prof.  Poggioli,  tutti 
i  fenomeni  della  pianta,  considerata  sia  nello  stato  di  em- 
brione, sia  nelle  sue  funzioni  vegetali  o  riproduttive ,  sono 
sotto  la  dipendenza  della  forza  vitale,  «  (;«>  vitalis  »,  Tutto  di- 
pende da  questo  agente,  onde  noi  vediamo  gli  effetti  senza 
conoscerne  l' essenza.  Questa  forza  vitale  dà  al  succo  quel 
potere  ascensionale,  che  dal  seno  stesso  della  terra,  lo  attrae 
a  traverso  delle  radici  e  del  tronco,  sino  alle  più  alte  foglie 
dell'albero.  Le  forze  fisiche,  l'endesmosi,  la  capillarità,  Teva- 
porazione  continua  che  si  effettua  alla  superficie  delle  foglie, 
sono  insufficienti  a  spiegare  l'ascensione  del  succo.  La  forza 
vitale  è  il  primo  agente  di  questo  fenomeno.  Lesesi  con 
gusto,  nella  dissertazione  del  prof.  Poggioli,  ciò  |che  riguarda 
il  sonno  delle  piante,  l'innesto  degli  alberi  e  le  cagioni  ge- 
nerali delle  malattie  dei  vegetali.  Ringraziamo,  in  nome  della 
scienza,  il  sig.  principe  Boncompagni^  che,  colla  sua  libera- 
lità sempre  intelligente  ,  ha  potuto  involare  air  oblio  tutti 
questi  notevoli  lavori.   » 

Emile  Vaisson 


(1)  Jùwmal  d'Hygiène  publié  par  le  Ds  Pro9per  De  Pietra  Santa  ^ 
a*  année  »  oum.  206  »  2  septembr.  1880. 


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—  M  — 

XIV. 

SOSPIRI 


DEDICA 

Ai  ttonti^  ài  mare,  ai  prati,  ai  fiumi  i  canti 
Che  sorgono  dal  cor. 
Ai  narcissL,  alle  rose,  ed  agli  amanti. 
Ch'educano  all'amor. 

A  mia  madre,  alle  vergini  pudiche 
E  alla  Ince  del  sol, 
A  Gigi  e  a  Linai,  che  mi  furo  amiche 
Della  vita  nel  duol; 

Air  itale  stenCure  ed  alle  glorie. 
Che  or  grande  ed  ora  umil 
Quest'alma  terra  fan  delle  memorie. 
Malgrado  i  proci  e  i  vii; 

Ai  Miei  bimbi,  ai  viventi  e  ai  cari  estinti 
GÌ*  inni  ed  i  miei  sospir. 
Air  aiuola,  ove  crescono  i  eiacinti. 
Olenti  si  xìke  non  saprei  ridir: 

Alle  dolci  e  serene  ricordanze 
Della  mia  prima  età. 
Che  povera  trascorsi  e  senza  danze 
Di  qua  pei  canipi  e  là; 

A  Dio,  che  mai  non  vidi,  ma  che  sento 
Dentro  d'esto  mio  sen, 

Ctie  il  ciel  governa,  V  orbe,  V  ac<{ua  e  il  vento, 
Cile  «della  aiente  è  il  ben. 

Sciacca,  29  Novembre  1878. 

MI  AMI? 

A  sera,  quando  un  lieve  venticello 

Desìi  alberi  susurra  dentro  i  rami, 
E  Tacque  chiare  increspa  d'un  ruscello. 
Io  chiedo  a  te  se  m' ami  ! 

Perchè  mai  non  rispondi?  Forse  al  core 
Ti  suonano  incompresi  detti,  e  brami 
Che  non  ragioni  a  te  mai  più  d'  amore, 

Sentendo  che  non  m'ami? 


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—    «T  — 
Degli  occhi  tuoi  la  vivida  fiammella 

Neir  anima  penetra,  e  i  giorni  grami 
A  me  fa  scorrer,  cui  non  rinnovella 

.  La  vita  «e  non  m' ami. 

Delle  tue  riccie  chiome  il  bel  volume 
Omar  vorrei  con  fior  colti  da  stami. 
Che  colora  in  aprii  del  sole  il  lume; 

Ma  dimmi  pria  che  m'  ami  ! 

Pili  ti  contemplo,  e  piii  di  simpatia 
Percuote  un  senso  i  labili  velami, 
E  mi  allieto  d*  amore  e  poesia, 

Ancorché  tu  non  m'  ami. 

Ma  nel  silenzio  della  mia  stanzetta 
Ripenso  come  vegeti  e  dirami 
L'ime  radici  amor,  cui  morte  spetta: 

Dimmi,  dimmi  che  m*  ami  ! 

Novembre  1872. 


AD  UNA  ! 


Angiolo  mio,  sai  dirmi  perchè  il  core 
Batte  piii  forte  nel  pensare  a  te  ? 
Sai  dirmi  come  suscita  V  amore 
Il  raggio  delle  tue  pupille  in  me? 

Inconsapevol  tu  folleggi,  e  lieta 

Vedi  trascorrer  Tonda  dei  tuoi  dì; 
A  me  però  di  ridestar  si  vieta 
La  gioia  che  il  dolore  inaridì. 

Ma  pur  neir  intimo  del  petto  io  sento 
Che  prepotente  è  il  palpito  d'amor; 
Arrestarlo  vorrei,  ma  indamo  io  tento. 
Perchè  ritoma  piii  frequente  ancor. 

Gli  è  nelle  dure  prore  della  vita 

Che  il  core  ha  d'  uopo  dell'  altrui  sospir. 
Onde  la  stanca  speme  invigorita 
Vien  soave  gli  spasimi  a  lenir. 

Ascolta:  de*  miei  sogni  nei  mistero 

Spesso  là  cara  imagin  tua  spumò; 
Tu  sorridevi,  e  con  arder  sincero 
La  mia  bocca  tremando  ti  baciò. 

L*  affetto  mio  per  te,  mi  credi,  è  intenso, 
E  forse  su  la  terra  il  par  non  v'ha; 
Concedi,  deh  !  concedi,  che  V  immenso 
Desir  confidi,  che  nel  cor  mi  &ta. 


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—   08   — 

È  desire  di  gloria  e  d'infinito 

Pudico  amor,  che  intender  puoi  sol  tu: 
De' celesti  la  vita  non  è  un  mito, 
E  noi,  volendo,  la  godrem  quaggiii. 

Dicembre  1872. 

HIEMS. 

Sbuffa  il  vento,  rimugghian  Tonde,  e  i  lidi 
D'erbe  son  privi,  onde  l'aprii  s'allegra: 
Nel  verno  gli  elementi  sono  infidi, 
E  la  terra  par  egra. 

Fugge  dal  pioppo  l'uccellin  ramingo, 

E  a  vespro  il  pastorel  presto  conduce 
Air  ovil  la  sua  greggia,  e  nel  solingo 
Albergo  si  riduce. 

Lo  scarno  contadin  toma  dai  campi 

Gol  suo  fardel  di  legna  in  su  le  spalle. 
Mentre  bombisce  il  tuono,  e  spessi  lampi 
Lumeggiano  la  valle. 

Raccolto  nella  mia  romita  stanza 

Scorgo  attraverso  i  vetri  la  natura 
Sui  monti  smorta,  e  dei  flutti  la  danza 
Che  in  mar  passa  e  non  dura. 

Sciacca,  addì  3  Dicembre  1878. 

VOLUPTAS  TENET  SILVAS  ET  CAETERA  RURA. 

Laggiii  nei  prati  come  perle  brillano 
Del  mattin  le  rugiade; 
Dall'alto,  prima  di  sparir,  giii  piovono 
Gli  astri  fiammelle  rade. 

Cessa  la  notte,  e  l'alba  imbianca  i  ripidi 
Intonsi  tuoi  dirupi. 
Del  Cronio  o  vetusta  cima,  e  1'  ululo 
S'  ode  d' infensi  lupi: 

Dal  tremebondo  ovil  tosto  s'involano, 
E  queir  alba  novella 
Par  maledicano  coli' occhio  rapido; 
Mentre  posan  le  agnella. 

Ve'  dall'  ameno  balzo  appena  scorgesi 
Un  raggio  poi^porino; 

L'  acqua  del  mar,  i  clivi  e  i  piani  indoransi 
D'  alma  luce  al  mattino. 


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—  59  — 
UN  TRAMONTO  DI  LUNA  IN  SICILIA. 

Le  acque  parlan  d'  amore,  e  l'ora  e  i  rami, 

E  gli  aagelletti,  e  i  pesci,  e  i  fiori,  e  V  erba. 
Tutti  insieme  pregando  che  io  sempre  ami. 

Petrarca. 

Danzan  le  stelle  in  cielo,  4 

E  mentre  a  gruppi  corrono  le  sfere, 
Leggiere  nubi  un  velo 
Prestano  lor,  perchè  di  bianco  ammanto 
Covra  ciascuna  le  sembianze  vere: 
Patetica  melode. 
Che  a  me  suscita  il  canto. 
Da  r  etra  e  da  la  terra  venir  s*  ode; 
Quete  s*incalzan  Tonde, 
E  de  la  luna  al  tremulo  chiarore. 
Come  da  lungi  le  spingesse  amore. 
Ribaciano  le  sponde. 

De  l'occiduo  mare 

Verso  TE^adi  amene  già  declina, 

E  ne*  gorghi  dispare 

Lucido  il  globo  de  la  bianca  luna. 

Geme  intanto  il  cucii;  giii  per  la  china 

Precipite  discende 

Un'  acqua,  e  eiu  s'  aduna. 

Onde  da  antiche  Terme  il  nome  prende  (1). 

Guardo,  ma  non  ravviso, 

Del  Cromo  (s)  fra  i  balzi  aduiti,  l'acque. 

Che  un  di  natura  d'  occultar  si  piacque 

A  l'occhio  intento  e  fiso. 

Agli  avi  nostri  grata 

D'esse  fu  la  fosforica  virtute; 

Da  tempo  celebrata. 

Dedalo  qui  ne  praticava  il  saggio  (3); 

E  se  pur  troppo  son  da  noi  tenute 

Oggi  da  sezzo  ancora. 

Lo  stranier,  che  non  cura  triste  viaggio  (4), 

L*  inerzia  nostra  tuttodì  deplora. 

Ei  sanità  ricava, 

E  lieto  riede,  ma  dei  nostri  guai 

Or  pietoso,  or  disgustato  assai 

Di  nostra  vita  ignava  ! 

Del  sinuoso  Isburo  (5) 

Miro  da  lungi  su' feraci  lidi 

Un  solinso  abituro. 

Che  l'ellera  ed  il  muschio  denso  adoma: 

Ivi  fanciulla  un  di  soletta  io  vidi 

Leggiadra  villanella, 

Di  cui  l'imago  a  visitarmi  torna 

Vezzosa  sempre,  ma  pudica  e  bella. 

10 


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70 

E  tu,  morente  luna. 

Certificar  potresti  le  innocenti 

Mie  gite,  e  come  più  d*  amor  ferventi 

Far  senza  speme  alcuna  ! 

De  la  famosa  Nina, 

A  cui  sacrava  il  cor  ignoto  vate 

Con  rima  peregrina  (6), 

Portava  il  nome,  pura  come  giglio. 

Che  r  erme  valli  rende  profumata; 

Di  sua  virtii  gelosa, 

Tra  i  fior  crebbe  e  1'  erbette;  un  biondo  ciglio 

Leggermente  adombrava  P  amorosa 

Sua  cernia  pupilla, 

E  in  maggio  ne  indorava  il  sol  le  gote. 

Ne  Teta  che  di  sue  campestri  note 

Dolce  echeggiò  la  villa. 

Del  padre  stanco  a  sera 

Premurosa  ìmbandia  la  parca  mensa, 

E  dopo  la  preghiera 

Grato  trovava  il  ruvido  suo  letto. 

De*  cieli  gli  astri  su  la  volta  immensa 

Tenevano  V  impero, 

E  la  Nina  dal  rustico  suo  tetto 

Migrava  in  sogno  al  gemino  emisfero: 

Oh,  de  la  plebe  fia 

Men  duro  il  pane,  come  i  suoi  riposi  ! 

Perchè  dei  Gracchi  il  voto  non  disposi, 

O  bella  patria  mia? 

Sui  clivi  e  le  colline. 

Di  pingui  uve,  di  biade  e  d' uliveti 

Ringiovaniti  alfine. 

Forse  a  quel  voto  inneggierassi  un  giorno; 

E  non  più  serva  di  stranieri  e  preti. 

Di  Roma  il  fascio  antico. 

Da  r  Alpi  al  mar,  che  la  cingono  intorno. 

Opporrà  Italia  con  tra  al  suo  nemico: 

Allor  certo  verrai 

Animatrice,  o  luna,  di  quel  canto. 

Che  scioglierò  di  Roma  al  nome  santo, 

E  a  chi  vergine  amai. 

Di  libertà  foriera 

Su  V  ecatombe  ier  splendevi,  o  luna, 

D'Arcadon  (7),  ove  intera 

L'ira  greca  rifulse  e  il  valor  prisco. 

Le  sorti  alterne  scorte  ad  una  ad  una 

Da  questi  piaggie  estreme. 

Vedo  rOsmano  in  fuga,  e  ai  regi  ardisco 

D' inulte  genti  rimbrottar  la  speme  ! 


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—   71    — 

O  popolo  di  Creta, 

Con  fatidica  voce  anch'  io  proclamo, 

Che  ornai  fallir  non  puote  il  tuo  richiamo 

A  gloriosa  meta. 

O  Cinzia,   là  tu  riedi 

U'  del  Mississipi  l' onde  tranquille 

Con  rai  d'  argento  fiedi: 

Ivi,  sui  verdi  colli 

Di  fior  smaltati,  accese  le  faville 

De  la  vindice  guerra 

Triste  mercato  di  tribii  selvaggie. 

Che  tanto  tempo  contristò  la  terra: 

Di  Lincoln  su  la  tomba 

Un  serto  di  tua  luce  per  me  posa. 

Mentre  la  nova  schiavitù  corrosa 

Nel  Messico  s' intomba. 

Percorso  il  firmamento. 
Come  la  vita  mia  tu  pur  declini; 
Però  senza  lamento 
Vedovi  e  terra  e  mar  de'  raggi  tui. 
Onde  per  boschi  e  liti  udir  divini 
E  armonici  concenti 
De  l'usignuol  per  essi  è  dato  a  nui: 
Alta  è  la  notte,  si  taciono  i  venti 
Di  vaghe  trasparenze 
Splende  in  Triocala  acuminata  vetta  (8), 
E  tu  volgi  a  1'  occaso,  ove  s'  aspetta 
Il  ben  di  tue  parvenze. 
Dalle  rapi  del  Cronio,  aprile  1867. 


G.  Fbosina-Cà^tnella 


(1)  Terme  selinuntine. 

(2)  Oggi  detto  di  S.  Calogero. 

(3)  Vedi  in  Diodoro  Siculo. 

(4)  Massime  una  volta  infermi  stranieri  venivano  in  Sciacca  per  ft'uire 
de' bagni  termali  e  della  famosa  Stufa.  V.  Farina,  Cenno  sulle  Terme  Seli- 
nuntine. 

(5)  Oggi  fiume  Verdura  in  quel  di  Ribera. 

(6)  Dante  da  Majano. 

(7)  Arcadion. 

(8)  Triocala  città  greco-sicula,  ora  distratta,  che  un  dì  fioriva  sotto  Cal- 
tabellotta. 


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—  w  — 
XV. 

AL  PRINCIPE  ROMANO 

DON  ALESSANDRO  TORLONIA 

PER  IL  PROSCIUGAMENTO  DEL  LAGO  DI  FUCINO 


SONETTO 

Fucino  ò  gloria  tua.  L'astro  fecondo. 
Nel  suo  tramonto  maestoso  e  vago. 
Lo  empiea  di  fuoco»  e  ti  porgea  T  imago 
Di  ciò  ch'egli  era  a' primi  di  del  mondo: 

Era  un  vulcan  dal  baratro  profondo 
Che  vinceva  la  cupa  Etnèa  vorago; 
Ma  il  gran  Fattor  mutava,  nel  secondo 
Evo,  V  igneo  cratère  in  un  bel  lago. 

Ove  regnava  il  negro  dio  di  Lenno 
E  Diana  e  le  ninfe  sue  compagne. 
Or  dischiuse  alle  vaste  onde  il  tuo  Senno 

Un  varco  novo  in  seno  alle  montagne 

Tu  parli,  e  si  trasforma  ad  un  tuo  cenno 
Lo  steril  lago  in  fertili  campagne! 

Koma  S6  Ottobre  1880. 


Luigi  Arrigo  Rossi 


La  nota  <Ulle  opsrm  venute  U  done  et  dark  nal  prossimo  fetcieele. 


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Sekie   II.  VoL.  XIV. 


Marzo  1880 


I  L 


BUONARROTI 


D   I 


BENVENUTO  6ASPAR0NI 

CONTINUATO  PER  CURA 

DI  ENRICO  CARDUCCI 


PAG. 

XVI.  Intorno  ad  un  bassorilievo  della  basilica   di 

Monza  (Francesco  Labruzzi  di  Nexiua).  »    73 
XVII.  Della  Prosopografia.  Lezione  del  professor  Ga* 

BRIELE  DeYLA ,      .      .      »      83 

XVin.  Del  Bello  nella  nuova  Poesia  {Continuazione) 

(Prof.  Nicolò  Marsucgo) »  92 

XIX.  Il  monumento  a  Vittorio  Emanuele  li.  (Giu- 
seppe Verztli  Architetto  Ingegnere).     .    »  06 
XX.  Villa  Pamphili  (Luigi  Arrigo  Rossi)  .    .    )>  102 
XXI.  A  mio  Padre  (Vincenzo  Monti).     ...»  104 
Pubblicazioni  ricevute  in  dono »  104 


ROMA 


TIPOGRAFIA  DELLE   SCIENZE   MATE» ATICBE  E   FISICHE 

VIA    LATA   n!  3. 

ISSO 


Pubblicato  il  i7  Dicembre  isso 


\ 


\ 


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iBii(i)simiB(i)^a 


Serie  IL  Vol.  XIV.         Qui  m. 


Marzo  4  880 


INTORNO  AD 
DELLA  BAS 


^SORILIEVO 
MONZA 


Nel  mio  scritto  suirorigiAa  Corona  di  ferro,  il  quale 
fu  pubblicato  nel  1878  in  qJ  giornale  ,  parlando  di  un 
bassorilievo  ch'è  nella  basili*Monza,  ed  in  cui  h  figurata 
la  coronazione  di  un  re  d'itlfatta  per  le  mani  dell'ar- 
ciprete di  quella  chiesa,  mani  l'opinione  che  il  monarca 
in  essa  rappresentato  fosse 
rese  tra  noi  tanto  sciagurata 
barossa.  Cosi  per  altro  non  p 
il  quale  nel  fascicolo  di  gennai 
successivo,  prese  a  confutare  la 
ingegno  e  dottrina,  ma,  per  q 
tanta  solidità  di  argomenti. 

Tostoche  lessi  lo  scritto  deinor  Aguilhon  mi  proposi 
di  replicargli;  ma  una  grande  Jrura  domestica,  onde  fui 
allora  improvvisamente  colpito, 
un  dolore  che  io  per  molto  tei 
voglia  di  rifarmi  a' miei   studi 
quindi  mi  trattennero  non  brev 
che  grate  cure  che  furono  conseg 
dimenticabile  sventura.  Di  questi 
se  non  lieto  e  tranquillo  (che  la  ti 
ambascia  non  potrà  mai  cessarmi) 

bato,  ho  preso  a  dare  un  pò  d  ojfc  a  miei  libri,  sì  lunga 
mente  lasciati  in  abbandono,  esslomi  capitato  alle  mani 
lo  scritto  del  signor  Aguilhon,  niono  fatto  a  rileggerlo; 
e  poiché  gli  argomenti  da  lui  reclnon  hanno  potuto  ora, 
come  non  poterono  un  anno  fa,  rfcire  a  persuadermi,  mi 
sono  determinato  di  non  più  differiriidempimento  della  pro- 
messa che  già  feci  a  me  stesso  di  Upondere  cioè  alle  sue 
osservazioni. 


•^ederico  di  Syevia  che  si 
famoso  col  nome  di  Bar- 
signor  Cesare  Aguilhon, 

79,  pubblicato  nel  maggio 
ngettura  certo  con  molto 
mi  pare,  non  con  al  tre  t* 


pò  l'animo  mio  di  tale 

non  sentii  in  me  alcuna 

iletti ,    dai  quali  anche 

te  le  molte  e  tu tt*  altro 

di  quella  mia  non  mai 

Li  però  che  con  l'animo 

za  restatami  di  s\  grave 

o  meno  doloroso  e  tur- 


li 


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i 


Il  signor  AguilhoQ  dun   di  parere:  i^  che  il  marmo 

«   di  cui  ragioniamo  afferrii"lto  dell'arciprete  dì  coro- 

»  nare  lui,  mancando  l'ar^ovo  di  Milano^  il  re  di  La- 

»  magna  imperator  design  ^  ^  rappresenti  una  corona- 

D   zione  ideale  secondo    iUto  adombrante   una  di  fatto 

»  ch'era  in  aspettativa  i»  j\^  ^  lo  scultore  e  l'epigrafista 

»  hanno   attinto  al  Morig^    e   poiché  il  Morìgìa  scrisse 

nella  prima    meta  del  se<decimoquarto  è  chiaro   che  la 

scoltura,  a  volerla  fare  ^tica  eh' è  possibile,  non  può 

essere  anteriore  a  quel  sei3?  Che  la  coronazione  in  aspet* 

tativa  molto    probabilmenia   stata   quella  di  Enrico  VII 

avvenuta  nell'anno  i3ii. 

Ora  mettendo  a  cimeo^este  tre  proposizioni  del  signor 
Aguilbon  e  con  loro  ste^  con  la  storia  di  quei  tempi , 
principiamo   dal   conside  che  se  quella    scoltura   afferma 
il  diritto  dell'arciprete  #ronare  il  re  d'Italia  per  mauco 
dell'arcivescovo  di  Milaiyn  si  può  punto  credere  che  Fin- 
coronazione  in  aspettatipsse  quella  di  Enrico  VII.  Difatti 
e  noto,  e  lo  si  trova  rlato  da  tutti  gli  storici  contem- 
poranei e  dallo  stesso  ista  monzese  Bonincontro  Morìgia, 
che  Enrico  fu  coronato  S,   Ambrogio   dall'  arcivescovo  di 
Milano  che  era  allora  One  della  Torre.  Quindi  i  Monzesi 
se  desideravano  e  fece^ratiche    perchè  la  coronazione  di 
lui  avvenisse  nella  basi  di  S.  Giovanni  della  loro  terra, 
anziché    in    quella  di  Ambrogio ,    non  potevano   peraltro 
giammai  aspettarsi  che  «e  fatta  dall'arciprete  loro,  giacché 
mancava  la  condizione  enziale  perchè  ciò ,  anche  secondo 
la  loro  pretensione,    aie  potuto  avvenire,  cioè  l'assenza 
dell'arcivescovo  di  Mi^.  La  prima   proposizione  adunque 
del  signor  Aguilbon  ccaddice  ed  esclude  affatto  la  terza: 
vediamo  adesso  se  la  onda  resiste  meglio  alla  crìtica. 

A  me  pare  che  no  marmo  monzese  ricorda  solamente 
sei  elettori  deirimperaoè  gli  arcivescovi  di  Colonia,  di  Tre- 
veri  e  di  Magonza,  il  <a  di  Sassonia,  il  marchese  di  Brande- 
burgo  e  il  Langravio;  'vidente  perciò  che  esso  venne  scol- 
pito prima  dell'anno  15  in  cui  fu  aggiunto  un  settimo  elet- 
tore nella  persona  dee  di  Boemia.  Ecco  dunque  un  altro 
argomento  per  conferre  sempre  più  che  la  coronazione  in 
aspettativa  (dato  e  n  concesso  che  il  marmo  rappresenti 
proprio  un'  incoronale  a  venire  e  non  una  gìk  seguita) , 
non  potè  essere  quel  di  Enrico  di  Lucemburgo  ,  ed  ecco 
altresì  una  sicurìssin  prova  che  l'epigrafista  non  attinse 
punto  al  Morigia,  avdo  questi  scritto,  come  ho  già  ricor- 


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.^%i: 


-—75  

dato,  parecchi  anni  dopo  il  1290,  cioè  nella  prima  meta  del 
secolo  decimoquarto.  Certo  non  si  può  dubitare  che  il  signor 
Aguiihon  abbia  letto  il  Morigia,  peraltro  h  d'uopo  credere 
ch'egli  non  abbia  badato  gran  fatto  a  ciò  che  leggeva^  poiché 
altrimenti  come  avrebbe  potuto  trascorrere  ed  asserire  con 
tanta  sicurezza  che  lo  scrittore  dell* epigrafe  monzese  aveva 
attinto  da  quello  della  cronaca,  e  non  accorgersi  punto  che 
mentre  l'epigrafista  menziona  soltanto  sei  elettori,  il  Morigia 
ae  ricorda  ben  sette  ?  Ed  ecco  infatti  ciò  che  questi  dice 
al  proposito: 

ff  Hi  Electores  sunt. 
»  Àrchiepiscopus  Maguntìnus  Gancellarius  Germaniae  - 
»  Àrchiepiscopus  Treverensis  Gancellarius  Galliae  -  Archie- 
»  piacopus  Coloniensis  Gancellarius  Italiae  -  Marchio  Braif- 
»  deburgensis  Gamerarius  — Landegravius  Turingiae  Palatinus 
»  Dapifer  -  Dux  Sassoniae  ensem  portans  -  Pronunciator 
»  electionìs  et  Auditor  Dux  Boemiae  Pincernae,  qui  nunc  Rex 
D  dici  tur. 

»  [Inde  versus. 
»  Maguntinus,  Treverensis,  Goloniensis 
y  Quilibet  imperii  fit  Gancellarius  horum. 
»  Et  Palatinus  Dapifer,   Dui  portitor  ensis. 
»  Marchio  praepositus  Gamerae,  Pincernae  Boémus. 
»  Hi  statuunt  Dominum  cunctis  per  secula  summum  »  (i). 
Messo  in  sodo  che  il  marmo  monzese  è  anteriore  al  1290, 
cadono  di  per  se  stesse  tutte  le  dotte  considerazioni  del  chiaro 
mìo  contradittore   sopra  gli  abitanti  di  Monza  rappresentati 
in  quel  bassorilievo,  e  nei  quali  egli,  oltre  al  podestà  della 
terra,  riconosce  «  il  giudice  collaterale,  il  cancelliere,  e  i  due 
>  procuratori,  i  quali  tutti  si  trovano  individuati  negli  sta- 
»  tuti  monzesi  compilati  sotto  la  signoria  di  Azone  Visconti  », 
cioè  tra  il  1320  e  il  1339,  e  per  conseguenza  molti  anni  dopo 
che  fu  scolpito  quel  marmo.  Io  avrei  molto  a  grado  di  sapere 
da  che  il  signor  Aguiihon  abbia  potuto  capire  cosi  per  l'ap- 
punto chi  fossero  tutti  quei  personaggi.  Queste  belle  cose, 
ch'io  sappia,  non  le  ha  saputo  vedere  nessun  altro  prima  di 
lui;  e  difatti  il  Giulini  dice  soltanto  che  quelle  figure  «  rap- 
»  presentano  il  popolo  di  Monza,  e  la  prima  di  esse  il  pò- 
»  desta  del  luogo  »  e   non    trova  tra  loro   altra   differenza 
senonchè  nel  podestà,  il  quale  oltre  ad  avere  le  calze  e  le 
scarpe  diverse  dagli  altri  <r  for^e  per  insegna  del  suo  magi- 
ci) Boninc.  Morigia»  Cbron.  R.  1.  S.  rol.  XII»  pag.  1079—80. 


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—   76   — 

»  Strato  ha  anche  la  tonaca  più  lunga,  che  giunge  fino  at 
»  piedi.   » 

Provate  false  la  seconda  e  la  terza  proposizione  del  signor 
Aguilhon  f  rimane  la  prima  cioè  che  il  marmo  rappresenti 
«  una  coronazione  ideale  secondo  il  diritto  adombrante  una 
»  di  fatto  che  era  in  aspettativa.  Ma  è  facile  capire  come 
rinversate  le  altre  due  che  la  fiancheggiavano  e  la  sostene- 
vano f  questa  pure  debba  inevitabilmente  seguire  la  sorte 
delle  sue  compagne.  Il  signor  Aguilhon  stesso  «e  non  trova 
»  che  ridire  sulla  sentenza  generale  che  i  monumenti  debbonsi 
»  considerare  come  testimoni  che  parlano  del  passato,  non  delle 
)i  previsioni  dei  contemporanei  di  fatti  contingibili  e  in  pros- 
ìt  Simo  aspettati  »  ;  però  aggiunge  che  «  ogni  regola  ha  le 
»  sue  eccezioni  »  e  crede  che  appunto  come  un'  eccezione 
debba  essere  considerato  il  bassorilievo  monzese.  Ma  le  ecce* 
zioni,  per  essere  credute  tali,  hanno  bisogno  di  prove  certe» 
assolute,  irrefragabili;  bisogna  che  chi  vuole  eccettuare  certi 
fatti  o  certi  monumenti  dalia  regola  generale  ci  sappia  anche 
dire  perchè ,  come  e  quando  quei  fatti ,  o  quei  monumenti 
avvennero  o  furono  innalzati;  infine  tutte  le  particolarità  di 
cagione,  di  modo  e  di  tempo  per  cui  una  cosa  si  allontana 
dalle  norme  comuni  a  tutte  le  altre  simili  cose,  bisogna  che 
siano  determinate  e  accertate  così  precisamente  e  sicuramente 
da  non  lasciare  luogo  al  minimo  dubbio.  Un'eccezione  non 
può  essere  mai  creduta  sulla  semplice  affermazione.  Atten- 
dendo adunque  che  il  signor  Aguilhon  ci  sappia  mostrare 
con  prove  certe  e  sicure  che  il  marmo  di  cui  trattiamo  è 
proprio  un'eccezione,  e  rappresenta  davvero  un*inaugurazione 
ideale  adombrante  un'altra  che  si  stava  aspettando,  io  che 
invece  vi  vedo  figurato  un  fatto  e  non  una  pretensione  e 
una  speranza,  mi  farò  a  replicare  agli  argomenti  da  lui  ad- 
dotti per  confutare  la  mia  opinione  che  sia  in  esso  ricordata 
la  coronazione  italica  di  Federico  I. 

E  innanzi  tratto  prego  il  signor  Aguilhon  di  voler  ba- 
dare un  pò  pili  a  quello  che  ho  scritto  per  evitare  il  peri- 
colo dì  credere  egli  e  di  far  credere  a  chi  lo  legge  che  io 
afi'ermi  senza  alcuna  distinzione  di  tempo  taluni  fatti ,  che 
invece  sono  da  me  riferiti  ad  un  tempo  precisamente  deter- 
minato. Nell'ipotesi  che  il  marmo  di  cui  si  ragiona  rappre- 
senti la  coronazione  italica  di  Federico  I,  io  confortai  questa 
mia  opinione  con  le  parole  imperiale  maestà  che  si  leggono 
nel  bassorilievo  ;  e  osservai  che  al  tempo  del  Barbarossa 
ancora  non  si  usava  di  dare  il  titolo  d'imperatore  a  chi  noo 


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—   77 

aveva  già  conseguito  in  Roma  la  corona  augustale.  Ebbene, 
il  signor  Aguilhon  esce  fuori  con  questa  interrogazione:  <(  Forse 
»  che  al  signor  Labruzzi  non  venne  mai  trovato  che  si  desse 
ft  il  titolo  d*  imperatore  a  chi  non  era  che  re  de*  romani  ? 
»  È  impossibile.  »  E  cita  gli  atti  di  Enrico  VII,  vissuto  un 
buon  secolo  e  mezzo  dopo  il  Barbarossa  ,  dove  «  si  hanno 
»  a  iosa  esempi  di  questo  titolo  anticipato.  »  Ben  si  capisce 
che  in  questo  modo  è  assai  facile  trovare  motivo  per  eser« 
citare  il  proprio  genio  critico.  Ma  si  può  chiamar  critica 
questa?  Tanto  varrebbe,  a  mò  d'esempio,  meravigliarsi  che 
il  Manzoni  non  abbia  dato  il  titolo  di  eminenza  al  cardinale 
Federico  Borromeo,  giacché  non  era  possibile  ch'egli  ignorasse 
che  questo  titolo  fu  concesso  da  Urbano  \III  ai  cardinali 
qualche  anno  dopo  di  quello  in  cui  avvennero  i  fatti  da  lui 
raccontati.  Con  questo  confondere  i  tempi  e  trascorrere  con 
tanta  disinvoltura  da  secolo  a  secolo,  che  meraviglia  che  il 
signor  Aguilhon  non  trasecoli  un'altra  volta,  come  trasecolò 
quando  venne  a  sapere  che  vi  era  <r  chi  sosteneva  che  nel 
»  bassorilievo  monzese  rappresentante  la  coronazione  di  un 
»  monarca  germanico  è  figurata  la  coronazione  di  Federico 
j»  Enobarbo?  x»  E  f u  tale  il  suo  trasecolamento  che  non  sa- 
rebbe stato  maggiore  «  se  gli  fosse  affermato  che  nella  co- 
»  lonna  traiana  sono  rappresentati  i  miracoli  di  S.  Antonio!!  » 
Padronissimo  il  signor  Aguilhon  di  trasecolare  quanto  gli 
pare  e  piace:  ci  permetterà  di  dirgli  però  che  il  suo  trase- 
colamento ci  sembra  un  pochino  esagerato ,  e  il  paragone 
affatto  fuori  di  ogni  regola  e  di  ogni  misura.  E  di  fatti  tra 
l'imperatore  rappresentato  nel  bassorilievo  e  Federico  Barba- 
rossa  qualche  termine  di  riscontro  c'è;  non  foss'altro  il  loro 
titolo  sovrano.  Ma  fra  S.  Antonio  e  Traiano,  via,  non  vi  sap- 
piamo proprio  vedere  alcuna  relazione,  e  crediamo  che,  non 
ce  la  sappia  vedere  neppure  il  signor  Aguilhon.  0  che  ai 
signor  Aguilhon  per  confutare  chi  avesse  asserito  che  nella 
colonna  traiana  sono  espressi  i  miracoli  di  S.  Antonio,  sa- 
rebbe forse  bastato  il  cuore  di  tenere  occupati  i  lettori  del 
Buonarroti  per  ben  dieci  pagine  p  quante  pur  troppo  ha 
creduto  di  doverne  impiegare  per  mostrare,  com'egli  crede, 
che  nel  bassorilievo  monzese  non  h  figurata  l'incoronazione 
del  Barbarossa?  Auguriamo  di  cuore  al  signor  Aguilhon  che 
questa  fantasia  non  gli  venga  mai  per  il  capo,  ma  se  mai 
gliene  venisse  la  tentazione,  lo  preghiamo  fervidamente  fin 
da  ora  ad  armarsi  della  virtù  necessaria  per  saperla  vitto- 
riosamente vincere  e  discacciare,  come  seppe  fare  con  tanta 


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—   78   -^ 

sua  lode   ed   ODOre  il  santo   eremita   della  Tebaide    da   lui 
ricordato. 

Ora  veniamo  ai  Langravio.  Vedendo  che  nel  marmo  mon^ 
zese  manca  il  conte  palatino  del  Reno  ch'era  il  primo  elet* 
tore  laico,  e  in  (|uella  vece  si  trova  menzionato  il  Langravio, 
che  punto  non  era  tale,  io  ne  arguii  che  nella  coronazione 
rappresentata  in  quel  bassorilievo  invece  del  conte  palatino, 
o  lontano  o  non  volente^  fosse  intervenuto  il  Langravio.  E 
poiché  quando  si  fingono  le  cose,  le  si  fingono  nei  loro  modi 
solili  ed  ordinari,  e  non  in  quelli  straordinari  e  casuali,  mi 
parve  che  la  presenza  del  Langravio  in  vece  del  Conte  pa- 
latino fosse  un  buon  argomento  per  credere  che  il  marmo 
figurava  una  consacrazione  realmente  ed  effettivamente  avve* 
nuta,  e  non  già,  come  invece  era  parso  a  taluni,  e  pare  ora 
al  signor  Aguilhon,  una  affatto  finta  ed  immaginaria  rappre* 
sentata  al  solo  scopo  di  autenticare  il  diritto  che  aveva  o 
pretendeva  avere  l'arciprete  di  Monza  di  coronare  i  re  d'Italia 
in  mancanza  dell'arcivescovo  di  Milano.  Per  togliere  valore 
a  quest'argomento,  che,  se  mal  non  mi  avviso,  sembrami  ne 
abbia  di  assai,  il  signor  Aguilhon  s'ingegna  a  mostrare  che 
nel  concetto  dei  monzesi  il  Langravio  e  il  Conte  palatino 
del  Reno  erano  una  stessa  persona;  e  cita  la  cronica  di  Bo- 
nincontro  Morigia  il  quale  infatti  enumerando  gli  elettori 
dell'impero  nomina  tra  di  essi  il  Landegras^ias  Taringiae 
Palatinus  Dapifer.  L'ipotesi  che  il  Morigia  fosse  anteriore 
al  marmo  monzese,  e  che  l'epigrafista  di  questo  avesse  preso 
da  lui,  poteva  fino  ad  un  certo  punto  gmstificare  questa  os- 
servazione del  signor  Aguilhon;  ma  poiché  non  si  può  più 
dubitare  che  il  bassorilievo  fu  scolpito  assai  prima  che  fosse 
scritta  la  cronica,  ne  consegue  che  l'argomentazione  del  signor 
Aguilhon  manca  al  tutto  di  fondamento;  e  le  parole  di  fio- 
nincontro  se  mostrano  che  costui  confuse  in  una  due  affatto 
diverse  persone,  non  possono  punto  mostrare  che  eguale  con- 
fusione si  faceva  al  tempo  che  fu  scolpito  quel  bassorilievo, 
il  buon  Morigia  aveva  da  una  parte  il  bassorilievo  ove  fra 
gli  altri  elettori  era  mentovata  il  Langras^ius  e  non  il  conte 
palatino;  e  dall'altra  quei  versi  da  me  poc'anzi  riportati,  in 
cui  fra  gli  elettori  stessi  non  si  menziona  punto  il  Langravio, 
ma  sì  il  Palatinus  (comes)  Dapifer.  Per  mettere  di  accordo 
quello  con  questo  che  fa  il  bravo  cronista?  Li  prende  amo- 
revolmente tutti  e  due,  li  unisce,  li  rimpasta  a  suo  modo,  e 
da  un  Langravius  e  da  un  Palatinus  Dapifer  ne  compone 
bravamente  un  Landgranus  Palatinus  Dapiferi  era  una  mo- 


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—   79  

struosita ,  si  dàpisce ,  e  anche  una  mala  azione  togliere  la 
propria  personalità  a  quei  due  bravi  signori  ;  ma  egli  non 
vi  badò  più  che  tanto^  e  forse  non  se  ne  avvide  nemmeno, 
e  tirò  avanti  tranquillamente. 

Io  non  posso  dubitare  della  parola  del  signor  Aguìlhony 
e  però  credo  benìssimo  ch'egli  abbia  letto  il  mio  scritto  sulla 
corona  monzese  e  in  ispecie  quella  parte  che  si  riferisce  al 
bassorilievo.  Dico  questo  perchè  ho  dovuto  vedere  pur  troppo 
come  anche  in  proposito  al  Langravio  io  non  abbia  avuto 
la  bella  sorte  di  farmi  capire  da  lui,  dimodoché  egli  riferisce 
come  una  mia  deduzione  o  supposizione  ciò  che  invece  io 
assevero  come  un  fatto  certo  e  sicuro.  Egli  dice  che  io  tf  es^ 
»  sendoci  stato  un  Langravio  cognato  di  Federico  deduco  che 
»  qui  con  un  cognato  ci  sia  pure  l'altro,  presupponendo  che 
»  sieno  presenti  alla  supposta  coronazione  di  Federico  i  per- 
j>  sonaggi  che  più  si  eran  segnalati  nelle  sue  imprese  militari. 
»  In  tale  ipotesi  -  aggiunge  -  si  dovrebbe  provare  che  il 
»  Langravio  cognato  prese  realmente  parte  alla  spedizione 
»  del  1158  contro  Milano;  e  poi  c'è  ancora  che  ridire,  impe- 
j»  rocche  se  altri  in  quell'impresa  fece  per  uno,  il  duca  di 
»  Boemia  Ladislao  fece  per  dieci.  »  Ebbene  io  non  ho  dedotto 
nulla  ne  nulla  ho  presupposto;  bensì  ho  assicurato  in  modo 
affatto  esplicito  e  chiaro  che  il  Langravio  accompagnò  effetti- 
vamente Federico  nelle  guerre  da  questo  combattute  in  Italia. 
Ecco  le  parole  mie  :  <c  La  presenza  specialmente  del  Lan- 
»  gravio^  non  mai  ricordato  in  altre  discese  di  principi  ger- 
»  manici ,  sembrami  provare  a  sufficenza  rappresentarsi  in 
j»  quel  marmo  la  coronazione  di  Federico,  del  quale  il  Lan- 
»  gravio  era  cognato^  e  pel  quale  combattè  pure  nelle  guerre 
»  d'Italia.  »  E  che  io  abbia  detto  il  vero  facilmente  si  per- 
suaderà chi  voglia  leggere  ciò  che  del  Langravio  scrisse  nella 
sua  Historia  Ottone  Morena,  vissuto  in  quel  tempo  e  ch'ebbe 
parte  in  quei  fatti  (i). 

Neppure  è  vero  che  io  ,  come  dice  il  signor  Aguilhon , 
abbia  supposto  che  il  Langravio  fosse  mentovato  nel  basso- 
rilievo per  la  sola  ragione  ch'era  in  compagnia  di  Federico 
nella  spedizione  contro  i  milanesi.  Se  il  signor  AguiUK)n  si 
fosse  preso  il  fastidio  di  leggermi  più  attentamente  io  spero 
che^  per  quanto  sia  oscuro  il  mio  modo  di  esprimermi,  egli 
sarebbe  forse  riuscito  a  capire  che  io  non  volli  punto  dire 
che  il  Langravio  era  rappresentato  nel  marmo  per  aver  avuto 

(1)  Ottonis  Morena,  Hiitoriay  R.  I.  5.,  tom.  VI,  pag.  1087. 


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—  80   — 

parte  alfó  militari  imprese  dì  Federico,  sibbene  per  essere 
intervenuto  alla  coronazione  italica  di  quel  monarca  invece 
e  luogo  del  conte  palatino  o  lontano,  o  non  volente;  e  questo 
perchè,  mancando  il  conte  palatino,  era  appunto  il  Langravio 
quello  che  lo  sostituiva  nel  suo  officio  di  elettore  dell'impero. 
Se  a  ciò  avesse  posto  mente  il  signor  Aguilhon,  e'  non  ci  ha 
dubbio  ch'egli  avrebbe  riputate  affatto  inutili  e  fuori  di  prò* 
posito  le  molte  parole  che  spende  per  provare,  che  se  il  marmo 
accennasse  veramente  alla  coronazione  di  Federico  vi  si  sa* 
rebbe  dovuto  nominare  anche  il  re  di  Boemia,  il  quale  nelle 
fazioni  di  quella  guerra  se  altri  fece  per  uno  egli  fece  per 
dieci.  Ed  avrebbe  di  conseguenza  riconosciuto  al  tutto  priva 
di  valore  la  sua  conclusione  cioè  che  <c  mancando  nel  marmo 
»  il  re  di  Boemia,  non  si  può  pensare  che  altri  vi  sia  per 
»  quel  titolo  stesso  per  cui  esso  vi  dovrebbe  primeggiare;  » 
poiché  si  sarebbe  facilmente  persuaso,  crediamo,  che  altri  ci 
stava  non  per  il  titolo  per  cui  primeggiava  il  re  di  Boemia, 
cioè  di  avere  strenuamente  combattuto  in  quella  guerra,  bensì 
perchè  il  suo  grado  gli  dava  il  diritto  di  sostituire  un  elet- 
tore assente,  diritto  e  titolo  per  cui  non  poteva  ancora  non 
che  primeggiare  neppure  figurare  il  re  di  Boemia.  Trovo  poi 
nel  Gregorovius  (i)  una  circostanza  che  spiegherebbe  assai 
bene  perchè  nel  marmo  monzese  non  figura  il  nome  del  conte 
palatino  insieme  con  quelli  degli  altri  elettori.  Era  allora  conte 
palatino  del  Reno  Corrado  di  Wittelsbach  fratello  del  Bar- 
barossa  il  quale  fu  anche  arcivescovo  di  Magonza.  Era  però 
naturale  che  nella  coronazione  di  Federico  egli  non  potesse 
intervenire  che  per  uno  soltanto  de*suoi  due  titoli  elettorali; 
il  più  cospicuo,  quello  cioè  di  arcivescovo  di  Magonza  can- 
celliere del  regno  di  Germania.  Quindi  è  che  a  sostenere  le 
sue  parti  in  quella  cerimonia  come  conte  palatino  del  Reno 
doveva  essere  necessariamente  chiamato  il  Langravio,  il  quale, 
oltre  alla  sua  parentela  coU'imperatore,  era  pure,  dopo  gli 
elettori ,  il  più  elevato  in  grado  fra  tutti  gli  altri  baroni 
dell'Àlemagna. 

Il  monarca  rappresentato  nel  marmo  monzese  è,  a  detta 
del  signor  Aguilhon,  uno  sbarbatello  allampanato;  e  di  qui 
il  mio  chiaro  contradittore  prende  motivo  per  confermarsi 
sempre  più  nell'opinione  che  il  re  coronato  non  possa  essere 
il  Barbarossa,  del  quale  egli  ha  tanto  quanto  un  afdto  barn- 


(1)  Storta  di  Rema  nel  medio  evo,  lib.  Vili,  cap.  V,  S  V. 


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—   SI    --- 

bino  potrebbe  were  delVattilesco  (i).  Si  concede  che  in  quella 
figura  non  si  vegga  tutta  la  pienezza  e  la  gagliardia  di  forme 
che  si  convengono  ad  un  uomo  nel  rigore  deireta:  però  bi- 
sogna ricordarsi  quanto  triste,  fosse  in  quei  tempi  la  condi- 
zione  delle  arti  rappresentative.  Uomini  di  età  matura  e  di 
aitante  persona ,  nei  dipinti  e  nei  bassorilievi  di  allora  li 
vediamo,  poveretti,  cosi  secchi,  smunti  e  stecchiti  come  se 
fossero  presi  dal  male  del  tisico,  sicché  a  riguardarli  tu  temi 
che  essi  da  un  punto  all'altro  ti  debbano  cadere  innanzi  sfi- 
niti. Nella  splendida  edizione  di  Milano  dell'opera  del  Ter- 
rario sul.  Costume  antico  e  moderno  è  riportato  il  bassori- 
lievo di  cui  discorriamo;  e  in  esso  non  il  solo  imperatore,  ma 
anche  gli  altri  personaggi  che  lo  accompagnano  ,  sembrano 
tutti,  eccetto  il  marchese  di  firandeburgo,  tanti  giovinetti  tri- 
stanzuoli senza  punto  indizio  di  barba.  0  che  fossero  tutti, 
quegli  arcivescovi  e  quei  prìncipotti ,  afaticci  adolescenti  in 
quel  tempo?  Mon  potendo  negli  originali  ho  riscontrato  nelle 
tavole  del  Terrario  il  bassorilievo  di  Monza  con  quella  rap- 
presentante Federico  I ,  che  stava  nel  mezzo  della  facciata 
esteriore  di  porta  rgmana  in  Milano.  Certo  non  dirò  che  fra 
il  monarca  del  m'armo  monzese  e  quello  del  milanese  v*  abbia 
una  perfetta  rassomiglianza;  pure  nell'insieme  del  loro  aspetto, 
massime  per  la  lunga  capigliatura  che  a  entrambi  discende 
fin  sulle  spalle,  v'è  sicuramente  qualche  cosa  di  simile.  Eb- 
bene, anche  in  quel  viso  smunto  e  sparato  e  in  quella  per- 
sona irrigidita  e  stecchita  del  bassorilievo  di  porta  romana 
chi  crederebbe  di  vedere  il  terribile  imperator  Barbarossa? 

Concludendo  dico^  anzi,  per  parlare  più  esattamente,  ri- 
peto che  ,  se  i  monumenti  debbono  tenersi  come  memorie 
di  fatti  veramente  accaduti  e  non  come  espressioni  di  spe- 
ranze o  di  pretensioni  più  o  meno  e£fettuabili  e  giustificate, 
10,  considerate  e  riscontrate  con  la  storia  nostra  alcune  no- 
tevoli particolarità  intrinseche  del  bassorilievo  monzese,  non 
credo  possìbile  che  in  esso  sia  rappresentata  altra  coronazione 
se  non  che  quella  del  primo  Federico  imperatore. 

(1)  Forse  per  un  uomo  aJtiileteo  il  signor  Aguilhon  intende  un  qualche 
gigantaccìo,  un  Tifeo,  un  Poliferoo.  Dico  forse  perchè  quell*  aggettivo  aiU- 
letco  non  lÌio  trovato  ne]  vocabolario,  e  s'è  moneta  coniata  dal  signor  Aguilhon 
mi  permetto  osservargli  che  non  è  di  buona  lega,  poiché  Attila,  per  quanto  % 
se  ne  ha  dalle  storie  del  suo  tempo,  anziché  essere  un  bastracone  aitante  e 
membruto,  aveva  la  persona  bassa  e  tozza.  Del  resto  neppure  Federico  I  aveva 
punto  del  gigantesco.  Mediocriter  longui  lo  dice  Ottone  Morena  che  lo  aveva 
veduto  da  vicino  ;  e  sebbene  lo  descriva  minutamente  e  ci  faccia  sapere  che 
aveva  i  capelli  quasi  fiavù  et  crispit^  della  barba  tace  affatto,  ragione  forse 
per  credere  che,  almeno  allora,  non  la  portasse. 

12 


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82    — 

Qui  avrei  voluto    far   punto  ,    senonchè  certune   parole 
del   signor  Aguilhon,  le  quali  confesso  che  non  mi  riescono 
perfettamente    intelligibili  ,    mi  costringono    ad    approfittare 
ancora  deIl*amichevoIe  cortesia  del  direttore  di  questo  gior- 
nale. Presso  al  fine  del  suo  scrìtto  il  signor  Aguiilion  esprìme 
il  dubbio  che  <c  allora  -  cioè  nel  secolo  XIV  —  non  si  sapesse 
9  nella  stessa  Monza  di  possedere  la  corona  inaugurale  »  » 
e  quindi  coDclude  che  «  quanto  h  certo  e  assodato  da  solenni 
»   documenti^  che  Monza  era  sede  di  corona,  vale  a  dire  il 
»   luogo  delle   coronazioni ,    altrettanto  è  arduo  provarre  che 
))   si  eseguissero  con  quella  corona  in  cui  s'identificò  il  titolo 
»  di  ferrea  e  che  cominciò  a  figurare  come  inaugurale  a  Bo- 
))  logna  sul  capo  di  Carlo  V  uel  1530.  >»  Che  cosa  ha  inteso 
di^  dire  il  signor  Àguilhon?  Forse  che  la  corona  di  ferro  non 
solo  non  era  tenuta  allora  in  conto  d'inaugurale^  ma  neppure 
ancora  stata  mai  adoperata  nelle  coronazioni  dei  re  d'Italia? 
Se  questo  h  stato  il  suo  pensiero,  egli  mi  permetterà  ch'io 
gli  faccia  osservare  come  un'asserzione  che  contraddice  inte- 
ramente all'opinione  di  tutti  gli  scrittori  che  trattarono  della 
corona  di  ferro,  i  quali  benché  discordi  nello  stabilire  pre- 
cisamente il  tempo  in  cui  essa  fu  primamente  adoperata  nella 
inaugurazione  dei  nostri  re,  concordano  tutti  peraltro  nell  af- 
fermare che  ciò  non  potè  essere  punto  dopo  il  secolo  X  (t); 
un'asserzione,   dico,  che  include  una  mentita  cosi  formale  e 
recisa  a  quanti   mai   si   occuparono   di    proposito    intorno  a 
questo  argomento^    non  deve  essere  messa  fuori  incidental- 
mente, non  lasciata  cosi  nuda  e  magra  ^    bensì  esposta  con 
rigoroso  ordine  logico  e  confortata  da  argomenti  e  da  prove 
indiscutibili.  Non    essendosi    il    signor  Àguilhon  dato  il  fa- 
stidio di  farci  palesi  le  ragioni  di  questa  sua  nuova  e  tanto 
diversa  opinione,  io  credo  che,  senza  fargli  punto  torto,  mi 
potrei  passare  affatto  dal  confutarla,  sebbene  mi  sarebbe  assai 
agevole  dimostrarne  pienamente  fin  da  ora  l'assoluta  falsità 
e  inverìsimiglianza.  E  difatti  per  dirne  pur  qualche  cosa,  se 
nel  secolo  XIV  non  si  sapeva  nella  stessa  Monza  di  posse- 
dere la  corona  inaugurale ^  com'è  che  Rolandino,  il  quale 
compì  la  sua  cronica    nella    seconda  meta   del  secolo  XIII  , 
parlando    del    tentativo   fatto  da  Ezelino  da  Romano  contro 
Monza,  dice  che  quel  famoso  tiranno  il  fé  forse  con  animo 
di  privare  quel  borgo  della  corona  di  ferro^  la  quale,  egli 

(1)  II  Ferrano,  che  è  quegli  che  dà  alla  corona  di  ferro  origine  meno 
antica»  dice  che  essa  fu  usata  la  prima  volta  nell'incoronazione  di  Ottone  III 
nell'anno  996. 


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—  83  — 
aggiunge,  dopo  reiezione  deirimperatore  fatta  in  Alemagna 
deve  essere  presa  da  questo  prima  di  ricevere  a  Roma  dal 
papa  la  corona  imperiale  ?  (i)  E  se  la  corona  di  ferro  non 
fosse  stata  da  antichissimo  tempo  la  inaugurale  del  regno  ^ 
ma  avesse  principiato  a  figurare  come  tale  a  Bologna  sul 
capo  di  Carlo  V  nel  4530 ,  come  si  spiegherebbe  che  quel 
monarca,  nel  vigore  già  dei  trent'anni^  invece  di  farne  fab- 
bricare un'  altra  che  perfettamente  convenisse  col  volume 
della  propria  testa  ,  abbia  voluto  inaugurarsi  appunto  con 
una  corona  appena  appena  capace  di  cingere  la  fronte  di 
un  bambino,  e  perciò  tainto  a  lui  disadatta,  che  fu  d*uopo 
accomodarla  sopra  di  un  altro  cerchio  perchè  potesse  sicu- 
ramente posargli  sul  capo?  0  che  fantasticaggine,  che  stra- 
vaganza sarebbe  mai  stata  la  sua?  Altre  cose  parecchie  potrei 
aggiungere  a  queste  ,  altre  spiegazioni  richiedere  al  signor 
Aguilbon;  ma  mi  saprebbe  proprio  peccato  abusare  tuttavia 
'  dell'indulgenza  dei  lettori  del  Buonarroti  per  ribattere  un'as- 
serzione interamente  gratuita  ,  e  però ,  altre  parole  non  ci 
appulcro. 

Francesco  Labruzzi  di  Nexima 

XVII. 

DELLA  PROSOPOGRAFIA 
LEZIONE    DEL    PROFESSOR    GABRIELE    DeYLA 


Il  discorso,  il  calcolo,  la  lingua,  secondo  scrìsse  il  Gior- 
dani, sono  le  mani  deirintelletto  colle  quali  l'uomo  si  nutre 
e  mediante  le  quali  produce.  Ma  colla  Ungua  egli  distende 
ancor  piiì  la  sua  potenza,  perchè  niuna  cosa  è  che  la  parola 
non  possa  rappresentare  e  sotto  questa  forma  maneggiare, 
come  se  fosse  visibile  e  mensurabile. 

Ora  fra  le  forme  dell'umano  discorso  che  più  contribui- 
scono ad  istillare  negli  studiosi  delle  arti  liberali  e  delle 
belle  lettere  cognizioni  utili  e  ad  un  tempo  pensieri  elevati 
e  morali,  si  è  quella  che  educando  il  sentimento  estetico  dalla 

(1)  ((  Burgum  Modìcìam  attenta vit  iotrare,  volens  eam  privare  forsìtan 
D  illa  nobili  dignitate  coronae  ferroé,  quae  Ulie  est  ab  atUiquis  no$tri$  ìq 
»  honorem  Lombardicae  libertatis,  hac  de  causa  reposita,  ut  scilicet,  quan- 
I)  documque  fuit  Romanorum  imperator  eiectus  legitime»  post  electionem  de 
»  se  factam  in  regem  Aiamannorucn ,  hic  idem  corona  illa  ferrea  primi tus 
yi  coronetur ,  deinde  pergens  Romam  sumat  coronam  auream  ab  apostolica 
»  dignìtate.  dRolandinus  Patavinus,  De  factis  etc,  lib.  Xll,  cap.  5,  apud 
MuRATORT,  R.  I.  S.  tom.  Vili,  pag.  347. 


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—   84   — 

contemplazione  delle  bellezze  e  delle  meraviglie  del  creato 
li  innalza  alla  ammirazione  ed  ali*  amore  della  sapienza  e 
bontà  creatrice.  Tale  si  h  appunto  la  forma  descrittiva. 

La  forma  descrittiva  che  merita  maggiore  studio  si  h  quella 
che  riguarda  l'uomo  quale  individuo. 

Ora  gli  individui  si  possono  distinguere  gli  uni  dagli 
altri  per  la  costituzione  fisica,  per  Tiogegno  e  per  l'indole, 
le  quali  unitamente  considerate  formano  ciò  che  si  dice  il 
carattere  di  ciascuna  persona.  11  carattere  adunque  h  il  com- 
plesso di  tutte  quelle  qualità  che  formano  Tindole,  l'ingegno 
e  la  fisica  costituzione  della  persona  umana. 

La  descrizione  del  carattere  ossia  della  costituzione  fisica 
dicesi  dai  Reiterici  prosopografia,  a  differenza  della  descri- 
zione del  carattere  intellettuale  e  del  carattere  morale  che 
viene  chiamato  dai  medesimi  con  un  solo  nome  di  etopeja. 

La  prosopografia  dal  greco  prosópon  (persona)  e  poicó 
(creare),  ci  rappresenta  il  corpo  umano  nel  suo  insieme  e  nelle 
sue  parti  ,  non  che  nei  varii  atti  ed  atteggiamenti  suoi  e 
negli  abiti  che  lo  cuoprono  e  lo  adornano. 

DEL  CORPO  RIGUARDATO  NEL  SUO  INSIEME 

11  corpo  riguardato  nel  suo  insieme  presenta  alla  nostra 
vista  la  costituzione  fisica y  la  quale  può  definirsi  il  complesso 
delle  qualità  per  cui  ogni  uomo  si  distingue  in  quanto  al 
corpo  da  tutti  gli  altri  uomini.  Essa  per  conseguenza  risulta 
dalla  proporzione  f  daìV  ordinamento ,  dalla  compagine  delle 
parti  dell'organismo  e  dal  loro  svolgimento. 

DELLA  PROPORZIONE  DELLE  PARTI  DELL'ORGANISMO 

La  proporzione  delle  parti  dell'organismo  da  nome  ed  ori- 
gine in  particolar  modo  al  taglio,  alla  presenza  ed  all'aspetto. 

Il  taglio  viene  determinato  dall'armonia  di  tutte  le  parti 
del  corpo  cioè  della  grandezza ,  della  figura ,  della  forma , 
del  disegno  della  persona.  Esso  e  più  o  meno  bello  secondo 
più  o  meno  perfetta  e  la  menzionata  armonia,  più  o  meno 
regolare  è  l'ordine  delle  sue  parti. 

Se  si  ha  di  mira  il  taglio  o  la  presenza  o  la  apparenza 
si  dira  che  uh  corpo  ha  un  bel  taglio  o  cattivo  taglio:  è 
ben  fatto,  oppure  difettoso,  imperfetto,  disparìscente. 

Esempio,  lì  figlio  di  Ramengo  aveva  gli  occhi  neri,  ben 
tagliato  di  tutta  la  persona  (Gantù^  Margherita  Pusterla). 

Del  giovane  e  essere  di  aspetto  dolce  per  essere  goduto; 
dell'uomo  maturo  sarà  l'aspetto  grato  con  terrore. 


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—  85  — 

Però  Taspetto  è  la  parte  anteriore  deiruomo;.suoIsi  usare 
soltanto  come  sinonimo  di  aspetto  il  vocabolo,  apparenza  e 
tal  fiata  anche  il  vocabolo,  aria  del  corpo.  Il  perchè  dicesi 
di  bello  aspetto,  di  bella  apparenza;  ma  non  h  la  medesima 
cosa.  Di  bello  aspetto,  vale  di  forme  piacevoli  e  di  aria  ma- 
nierosa; riguarda  insomma  più  il  fisico  che  il  morale;  uomo 
di  bella  apparenza  riguarda  più  il  morale  che  il  fisico  e  fa 
pensare  che  le  apparenze  siano  più  lusinghiere  della  realtà, 
e  che  sotto  la  esteriore  bontà  e  gentilezza  si  copra  un*aniraa 
fredda  e  maligna.  Quando  l'apparenza  è  splendida  e  lusin- 
ghiera, si  dice  piuttosto  appariscenza.  Molte  cose  sono  di  poca 
appariscenza  nell'apparenza  loro,  ma  hanno  nello  intrinseco 
vaghezza  e  valore. 

Apparenza  è  più  sinonimo  di  aria  che  di  aspetto.  Notisi 
che  qui  ìntendesi  parlare  dell'aria  del  corpo  che  vuole  essere 
distinta  dall'aria  del  viso,  perciocché  questa  si  riferisce  sem- 
plicemente al  viso  ,  quella  al  viso  ed  al  portamento  e  agli 
atti  di  tutta  la  persona. 

Come  quando  si  dice  di  un  uomo  che  ha  aria  di  uno 
sciocco,  si  giudica  non  solo  dalla  fisonomia  ma  da  tutta  la 
persona. 

Varie  sono  le  qualità  che  si  attribuiscono  allaspetto.  Si 
suole  ordinariamente  dire  che  un  uomo  h  di  aspetto  o  di  aria 
grave,  maestoso,  autorevole,  raccolto,  marziale,  amabile,  si- 
gnorile, giocondo,  oppure  sciocco,  ridicolo,  sospettoso. 

Esempi  i  «  Ed  era  di  tanta  grazia  nello  aspetto  e  con 
»  tanta  umanità  accoglieva  gli  uomini,  che  non  mai  gli  parlò 
»  alcuno  che  si  partisse  da  quello  (da  lui)  mal  contento.  » 
(Machiavelli,  vita  di  Gastruccio). 

tf  Fu  Ignazio  di  aspetto  grave  e  raccolto  dove  però  con- 
»  veniva,  prendeva  sembiante  (apparenza)  di  amorevolezza» 
j>  pareva  che  gli  si  vedesse  il  cuore  in  faccia  e  consolava 
»  altrui  al  solo  riceverlo.  Quanti  ne  scrissero  di  veduta  il 
»  rappresentano  un  uomo  di  aspetto  severo  ma  insieme  ama- 
j»  bile;  e  giovane  era  il  più  bel  cavaliere  e  di  signorile  pre- 
2>  senza  »  (Bartoli,  vita  di  S.  Ignazio). 

«  Gabriello  Chiabrera  nella  sembianza  pareva  pensoso , 
»  ma  poi  usando  cogli  amici  era  giocondo,  i»  (Chiabrera  , 
vita  di  se  stesso). 

«  Eglino  avevano  aria  di  avere  bisogno.  Riconosciuto 
»  all'aria  sospettoso.   »  (Manzoni). 

«  Il  naso  aquilino ,  gli  occhi  neri  e  sfolgoranti  davano 
»  al  suo  volto  un  aspetto  serio  ed  imponente  (Cantù). 


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—  80  — 

DELL'  (MtDINAMENTO  E  DELLA  COMPAGINE 
DELLE  PARTI  DELL'  ORGANISMO 

L'opdlnaBieBto  e  la  connQSSìoQ^  o  coiopagioe  delle  parii 
dell  organismo  co^tUuiacono  speciabn^ate  la  struttura^  la  quale 
si  può  chiamare  il  modo  eoa  coi  h  costituito  il  corpo,  lor- 
dlae  e  la  disposizione  di  ciascuna  pat:te  di  esso,  non  che  la 
compagine  delle  membra.  Uo  uoiao  può  essere  di  forte  o  cat- 
tiva struttura  secondo  il  modo  cke  essa  si  presenta. 

Esempio;  k  Tutte  le  sue  membra  ben  proporzionate  an- 
»  nuaziavano  uua  forte  e  maschia  natura  (struttura).  »  (Cantù). 

DELLO  SVOLGIMENTO  DELLE  PARTI  DELL'  ORGANISMO 

Lo  svolgimento  delle  parti  dell'organismo  prende  diversi 
nomi  secondo  cbe  trattasi  degli  elementi  solidi  o  degli  ele- 
menti fluidi  del  corpo. 

DELLO  SVOLGIMENTO  DEGLI  ELEMENTI  SOLIDI 

Se  trattaci  degli  elementi  solidi  lo  svolgimento  si  può 
esaminare  dal  lato  della  estensione  o  hioghezza  oppure  dal  lato 
del  volume,  od  altrìmeati  dal  lato  della  forza  e  robustezza. 

Lo  svolgimento  in  estensione  o  lunghezza  piglia  il  aome 
di  statura,  k>  av^olgiaento  iu  volume  chiamasi  corporatura, 
lo  svolgimento  della  foroa,  della  robustezza  si  appaia  com- 
plessione. 

DELLA  STATURA 
OSSIA  DELLO  SVOLGIMENTO  IN  ESTENSIONE 

La  statura  od  altezza  varia  secondo  gli  individui  e  Teta, 
e  può  essere  alta  o  bassa,  mezzana,  gigautesqa*  o  bassissima 
come  nei  pigmei. 

Dice  Aristotile  che  la  virtù  della  grandezza  h  di  supe- 
rare molti  di  lunghezza  tanto  di  più,  che  la  soprabbondanza 
non  faccia  i  movimenti  più  tardi.  Distingui  adunque  la  gran- 
dezza dalla  altezza. 

Esempi:   {<  Marco  Visconti  era  grande  della  persona.    » 

((  Statura  alta  anzi  che  no,  tendente  allo  snello.  ^  ((  La  per- 
»  sona  era  piuttosto  gigantesca  che  alta,  vero  che  il  collo  assai 
»   lungo  la  faceva  sembrare  forse  più  alta.  »  (Cantù,  Mar.  P.). 

<(  Vedi  quello  spagnoletto  di  persona  alquanto  bassa;  offeso 
»  di  una  gamba  ed  allegrissimo  d'occhi.    »  (Bartoli). 

«  Fu  della  persona  più  cbe  l'ordinario  di  altezza  ed  ogni 
»  membro  era  allo  altro  rispondente.  »  (Machiavelli  ,  della 
vita  di  Castruccio). 


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—   87 

DELLO  SVOLGIMENTO  IN  VOLUME 
OSSIA  DELLA  CORPORATURA 

La  corporatura  si  può  considerare  nello  insieme  delle 
membra»  oppure  dal  lato  dei  componetJti  della  medesiina. 

Avuto  riguardo  al  Complesso  delle  membra  un  individuo 
può  essere  corpulento,  dorputó,  tozzo,  atticciato  o  tarchiato, 
I  complesso  o  compresso ,    fatticcio  o  maccìanghero ,    od  altri- 

menti sottile,  secco,  segalino,  adusto,  afatto  o  scriato,  allampalo 
0  lantemato,  affilato,  esile,  gracile,  asciutto,  mingherlino,  ecc. 

Riguardo  ai  componenti  delle  membra  quali  sono  la  carne, 
il  grasso»  la  pelle  e  le  ossa ,  un  individuo  può  essere  car- 
nacciuto,  cicciuto,  polposo  o  polpacciuto,  grasso,  pìngue, 
adiposo,  gravacelo,  oppure  magro,  scarno,  spento,  sparuto, 
smilzo,  mencio,  strutto,  vizzo,  grinzo  o  crespo,  rugoso,  bianco, 
nero,  moro,  bruno,  giallo,  ossuto,  membranuto,  nervóso. 

Esempti  fc  Uomo  di  più  di  settant'anni,  carnuto,  maci- 
»  lente.  »  (Caro).  «  Cresciuto  il  naso  par  nel  viso  scarno.  » 
(Ariosto).  ((  II  Segalino  e  freddoloso  Redi.  »  (Redi).  «  Tempera- 
»  mento  di  complessióne  adustissimo.  »  (Fra  Giordano).  «  S\ 
»  strutto  che  tiene  l'anima  coi  denti.  »  (Lippi).  «  Per  lungi 
))  fame  estenuate  e  fiacche.  )>  (Ariosto),  «f  E  T  altro  è  Cassio 
)i  che  par  si  membranuto.  »  (Dante,  Inf.). 

DELLA  COMPLESSIONE 

La  complessione  è  la  piega  presa  dal  corpo  per  Forigi- 
naria  struttura   come    per   le    abitudini  contratte.  Essa    può 
j  quindi  riescire  forte,  robusta,  vigorosa,  gagliarda,   oppure 

debole,  languida,  fragile. 

Esempio:  «  Tutto  svelava  in  lui  una  corrotta  e  fi'agile 
»  natura.   j> 

Alla  complessione  e  robustezza  appartengono  l'agilitk,  la 
velocita,  perciocché,  come  dice  Aristotile  nella  sua  Réttarica: 
«  Anco  uno  che  sia  veloce  si  intende  robusto  ,  perciocché 
«  chi  può  in  un  certo  modo  gittare  le  gambe  e  muoverle 
»   presto  si  intende  corridore  ,    chi  ha  forza  di  stringere   e 

I  »   fermare  l'avversario  dicesi  statore. 

I 

I  DELLO  SVOLGIMENTO 

DEGLI  ELEMÉNTI  FLUIDI  DEL  CORPO 

Il  vario  svolgimento  delle  parti  liquide  o  fluide  del  corpo 
costituisce  i  temperamenti. 

Il  temperamento  suol  definirsi  la  prevalenza  di  una  parte 
dell'organismo  sulle  altre,  ma  più  particolarmente  è  la  temperie 


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—  8S  — 

o  proporzione  dei  fluidi.  Quindi  la  distinzione  di  tempera* 
mento  nervoso,  sanguigno^  linfatico,  flemmatico,  secondo  pre* 
domina  ii  fluido  nerveo,  il  sangue  o  la  linfa. 

Il  yarìo  temperamento  rende  l'uomo  disposto  od  inclinato 
al  movimento,  alla  vivacità  od  alla  malinconia,  alla  contem- 
plazione od  alla  azione  e  via  dicendo. 

Esempio:  «  Di  tempra  era  ardentissimo,  ma  per  impero 
»  di  virtù  senza  niuna  mostra  di  ardoi^  che  da  medici  fu 
»  creduto  eccedere  in  flemma.  j>  (Castiglione,  vita  di  Ca- 
struccio  Gastracane). 

DEL  CORPO  CONSIDERATO  NELLE  SUE  PARTI  0  MEMBRA 

Il  corpo  consideralo  nelle  sue  parti  o  membra  offre  al 
nostro  studio  la  testa,  il  busto  e  le  estremità.  La  parte  più 
importante  della  descrizione  si  è  la  faccia. 

La  faccia  risulta  dalla  superficie  ossia  dalla  figura  della 
parte  anteriore  del  corpo  che  comincia  dalla  sommila  della 
fronte  e  si  estende  sino  alla  estremila  del  mento.  Chiamasi 
anche  viso  perchè  in  essa  risiedono  gli  organi  della  vista.  Ma 
ih  ogni  superficie  si  distinguono  due  cose,  i  limiti  e  le  qualità 
sue.  1  limiti  della  faccia  chiamansi  lineamenti  e  vengono  indicati 
dallo  insieme  delle  linee  che  ne  segnano  il  contorno.  La  qua- 
lità della  superficie  è  determinata  dalle  prominenze  e  sinuosità 
più  o  meno  regolari  che  costituiscono  la  sua  forma  o  confi- 
gurazione materiale.  Ora  la  material  forma  o  configurazione 
del  viso  in  quanto  è  più  o  meno  delicato  o  leggiadro  chia- 
masi appunto  fattezza.  Nella  faccia  adunque  si  distìnguono 
le  fattezze,  i  lineamenti  o  il  profilo,  in  quelle  risiede  la  bel- 
lezza, ed  in  questi  la  grazia^  la  correttezza.  «  Malebranche 
aveva  fattezze  tondeggianti.  Aveva  Andrea  un  profilo  cor- 
»   retto.   ìi  (Cantù). 

(c Raffigurato  alle  fattezze  contentai  qual  proposito  osserva 
il  Casa  più  acconciamente  diciamo:  riconosciuto  alle  fattezze, 
che  alla  figura  ,  alla  immagine:  <c  Parevano  le  sue  fattezze 
»  bellissime,  aveva  le  fattezze  del  volto  delicate  molto  ed 
»  ottimamente  disposte.  »  (Boccaccio).  «  Il  naso  ,  i  labri , 
»  i  cigli,  ogni  fattezza  pareva  fatta  per  la  man  di  amore.  » 
(Berni).  <c  Occulta  virtù  desta  in  lei  da  alcuna  rinomanza  dei 
>»  puerili  lineamenti  del  viso  del  suo  figliuolo.  »  In  un  bam- 
bino non  erano  ancora  svolte  le  fattezze,  perciò  ben  dice 
l'autore  i  lineamenti. 

La  faccia^  le  fattezze  ed  i  lineamenti  non  cangiano  mai 
per  s^,  ma  tuttavia  il  viso  può  pigliare  un  vario  atteggia- 


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80   — 

mento  e  comporsi  in  vano  modo  secondo  che  varia  lo  stato 
del  corpo  e  dell'aniina. 

Questo  vario  atteggiamento  del  viso  chiamasi  col  nome 
generico  di  volto  dal  latino  s^ohere ,  che  significa  volgere , 
voltare,  piegare. 

Esso  è  una  conseguenza  dello  intimo  rapporto  che  passa 
tra  il  corpo  e  Tanima»  per  cui  quello  può  essere  da  questo 
modificato  e  viceversa. 

Quindi  secondo  il  diverso  stato  del  corpo  oppure  dell'a- 
nimo,  il  volto  può  piegarsi,  atteggiarsi^  comporsi  alla  since- 
rità ed  alla  finzione. 

Per  conseguenza,  siccome  il  volto  riguarda  piuttosto  1  at- 
teggiamento che  piglia  la  faccia  secondo  lo  stato  del  corpo 
e  dell'animo  così  esso  può  essere  e  dirsi  volto  sincero,  volto 
simulato,  volto  allegro  od  ingrugnato^  ed  anche  bello  o  brutto^ 
in  quanto  che  la  bellezza  si  addice  tanto  allo  spirito  che 
al  corpo,  viene  dalle  forme  e  dalle  espressioni  del  viso. 

11  volto  h  pure  mutabile,  laddove  la  faccia  non  muta  mai. 

Ricordiamo  la  faccia  e  quei  finti  e  simulati  volti ,  dice 
Cicerone:  Non  avrebbe  detto  faccia  simulata;  e  Tacito  scrisse. 
<c  Non  si  mutano  le  faccie  dei  luoghi ,  come  si  mutano  i 
»  volti  degli  uomini.   » 

Quando  un  siffatto  atteggiamento  del  volto  è  prodotto 
più  particolarmente  da  affetti  anche  molteplici  che  si  manife- 
stano esteriormente  nel  viso,  esso  prende  il  nome  di  aria]del  viso. 

Cosi  il  Vasari  descrive  V  aria  del  viso  del  vecchio  che 
nel  quadro  della  Trasfigurazione  di  Cristo  del  Raffaele  so- 
stiene il  giovane  spiritato  con  queste  parole:  «  Questa  figura 
»  sostiene  un  vecchio  che  abbracciatolo  e  preso  animo,  fatti 
»  gli  occhi  tondi  colla  luce  in  mezzo,  mostra  con  lo  alzare 
D  le  ciglia  ed  increspare  la  fronte  in  un  tempo  medesimo  e 
»  forza  e  paura  (che  sono  affetti  istantanei).  » 

V  aria  e  queir  aura  che  spira  dal  volto  umano  ,  quel 
non  so  che  di  indefinibile  ,  che  vi  piace  o  vi  disgusta  ,  vi 
innamora  o  vi  irrita  ed  esprime  l'armonia  del  volto  coll'af- 
fetto  dell'animo.  Come  sinonimo  di  aria  si  suole  togliere  la 
parola  cera,  ma  essa  oltre  che  è  un  termine  che  si  può  solo 
adoperare  in  istile  e  parlar  famigliare,  non  viene  cagionato 
da  tutta  sorta  di  affetti  ma  soltanto  dagli  affetti  passeggieri 
della  tristezza ,  e  della  gioia  e  comprende  anche  nella  sua 
l'idea  del  colore. 

Cera  esprime  l'aspetto  esterno  della  faccia  allegra  o  mesta, 
sana  od  inferma. 

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—  90  — 

tf  In  quella  faccia  (di  Marco  Visconti),  alquanto  scarna, 
»  pallida  forse  di  soverchio,  spiccava  il  nero  di  una  barba 
»  morbida  e  folta,  di  due  sopracciglie  ben  distese,  di  occhi 
»  sfolgorantissimi.    » 

((  Le  guance  si  tingevano  qualche  volta  del  vivo  colore 
»   della  porpora.   » 

«e  N^  sempre  mutò  cera,  ne  colore,  »  (Livio).  «  Con  cera 
»  fosca.  »  (Boccaccio).  «  Con  cera  brusca.  »  (Varchi).  »  Festeg- 
»  giare  con  lui  di  buona  cera,  a  (Livio),  (f  Non  ti  £ece  buona 
»  cera.  »  (Lib.  Son.).  «  Il  marito  di  lei  non  mi  I>a  eera  di 
))  valento  cavaliere.  »  Aver  cera  di  fare  una  cosa^  vale  pa* 
rere  atto  alla  cosa. 

La  cera  si  suole  dire  triste^  allegra,  fosca,  brusca,  gio- 
josa,  buona,  cattiva,  brutta^  mutabile  come  il  volto. 

Quando  finalmente  questo  vario  atteggiamento  e  piega- 
mento del  volto  è  prodotto  da  affetti  costanti  che  si  leggono 
continuamente  nel  viso  di  una  persona  ^  e  si  rileva  anche 
in  particolare  dall'aria,  dalle  fattezze  e  dai  lineamenti  che 
tutti  cospirano  a  dare  un  indizio  d^eUe  quali^  interne  di 
un  uomo,  chiamasi  fisionomia. 

La  fisionomia  esprime  V  armonia  dellie  parti  del  viso  in 
sh  e  l'armonia  delle  parti  del  viso  coU'affetto  dellanimoi  di 
più  l'affetto  che  questa  virtù  eccita  nei  riguardanti. 

Il  Grossi  descrive  la  fisionomia  di  Marco  Visconti  in  questi 
termini.  <(  I  disagi  di  una  vita  travagliata  e  tempestosa  se  ave- 
»  vano  rapito  al  volto  la  prima  freschezza,  il  primo  fuoco^. 
»  quel  raggio  giovanile  pieno  di  gioia  e  di  baldanza,  vi  av'e- 
»  vano  sostituito  una  gravita  serena  e  pur  dolce,  una  fierezza 
»  temperata,  un  non  so  che  di  malinconico  che  significava  lo 
D  scontento ,  ma  senza  amarezza ,  senza  fiele  nessuno.  * 
«  Ignazio  era  allegrissimo  d'occhi,   j» 

PARTI  DELLA  FACCIA 

Della  faccia  fan  parte  la  fronte  che  guarda  al  cielo,  ed 
al  cielo  tende  ,  la  quale  può  essere  alta  ,  larga  ,  spaziosa  ; 
oppure:  stretta,  liscia  o  rugosa,  grinzata,  maestosa.  «  Aveva 
»  Malebranche  una  fronte  alta  e  spaziosa;  Andrea  una  fronte 
n  ampia;  Don  Luigi  la  fronte  alta  e  maestosa.  »  (Gantù  , 
Margherita  Posteria).  Una  fronte  facile  a  corrugarsi. 

La  Bocca  onde  esce  il  riso  che  penetra  Dentro  i  cuori 
e  l'accento  si  disserra.  Che  or  severo  comanda  or  dolce  im- 
petra, può  essere  larga,  grande,  scivagnata,  stretta,  ridente, 
aperta,  serrata,  piccola,  delicata  e  aggraziata;  sono  ornamento 


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della  bocca  i  labbri  ed  i  denti,  quelli  grossi  o  sottili,  colorati 
o  pallidi,  questi  bianchi  o  giallognoli,  neri  o  sani  o  cariosì. 

-w  Aveva  Margherita  Posteria  un  sorriso  amichevole  in 
j»  sulle  labbra,  aveva  la  bocca  aggraziata,  brevi  e  sottili 
»  le  labbra,  i  denti  bianchissimi.  Aveva  Andrea  una  bocca 
»  piuttosto  piccola  e  delicata  sotto  la  quale  spiccavano  denti 
j>  di  maravigliosa  bianchezza.  »  (Gantù,  Margherita  Posteria). 

«  Colla  bocca  atteggiata  sempre  ad  un  riso  fra  l'idiota 
))  ed  il  maligno,  »  (parlasi  di  Grillin  cervello  della  Marghe- 
j»  rita  Posteria).  «  Il  labbro  serrato  portava  il  marchio  della 
»  sventura.   » 

Il  naso  può  essere  regolare,  ben  profilato,  camoscio  quando 
è  schiacciato,  aquilino^  ricagnato.  «  Aveva  don  Luigi  il  naso 
»  aquilino;  Margherita  il  naso  un  po'  camuso,   d 

Le  gote  o  guancie  che  possono  essere  paffute,  secche, 
smorte,  cadaveriche,  rosee,  butterate,  lentiginose,  simiesche, 
gentilesche  ,  liete  ,  belle  ,  avvenenti.  «  Malebranche  aveva 
»  guancie  rosee  e  fresche  ,  Margherita  la  carnagione  bian- 
»  chissima,  le  gote  rubiconde.   » 

Occhio  dell'  alma  interprete  eloquente ,  -  Senza  cui  non 
avrìa  dardi  e  faretre  -  Amor^  n^  Tali,  né  la  face  attente. 
L'occhio  varia  nella  forma  e  nella  sua  posizione,  nel  colore, 
nei  movimenti  ossìa  nella  guardatura,  nella  espressione  e  nella 
perfezione  od  imperfezione  delle  sue  parti,  «e  Malebranche 
»  aveva  gli  occhi  franchi  e  vivaci.  Andrea  una  folta  capi- 
»  gliatura  sotto  la  quale  scintillavano  occhi  vivissimi  e  pieni 
»  di  slancio  e  di  intelligenza.  Gli  occhi  di  Luigi  erano  azzurri 
»  e  languido  lo  sguardo.   » 

La  guardatura  specialmente  negli  uomini  di  comando  h 
di  gran  momento  perché  esprime  e  persuade  assai  meglio  che 
la  lingua  il  vigor  dello  ingegno  e  la  potenza  dell*  ànimo 
imperante^  onde  il  Giove  Omerico  timoneggia  con  un  batter 
di  ciglia  :  Cuncta  superciUo  moventi  {  Omero  ).  L'  occhio 
con  l'azione  del  guardare  simboleggia  l'efficacia  creatrice  e 
conservatrice  della  provvidenza.  Gli  Egizii*  simboleggiavano 
Iddio  coli' occhio  quasi  organo,  e  come  noi  dicemmo  canoc- 
chiale dell'intelletto,  nel  modo  che  i  poeti  per  significare  la 
bellezza  e  la  penetrativa  dello  sguardo  umano  lo  paragona- 
vano a  quello  dell'aquila  re  degli  uccelli,  che  prospetta  dalla 
lunga  e  vince  in  acutezza,  di  vista  ogni  altro  uccello. 

[Continua) 


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—  92  

xvra. 

DSL  BELLO  NELLA  NUOVA  PORSIA 

IConiinuagiimeì  {i}, 

XIV. 

Ma  uno  de*mczzt  pia  acconci  a  faTorire  il  progresso  dìelle 
arti  e  delle  scienze,  per  parte  de  governi,  si  h  Tincoragjìa- 
mento,  del  quale  lodevolissimc  prove  sono  i  premi  e  le  r>- 
compense,  essendo  cosa  notissima,  le  arti  e  le  scienze  non 
essere  mai  povere  di  fiori  né  di  frutti,  quando  di  tali  bene- 
fici non  manchino ,  locch^  dovrk  dirsi  tanto  più  di  quelle 
nazioni,  a  cui  la  natura  fu  prodiga  dei  doni  dell'intelletto 
e  dell^gegno,  nei  quali  la  nostra  non  h  certamente,  ad  alcuna 
seconda.  Il  perchè  (tornando  all'  arte  drammatica)  acconcie 
all'uopo  anzidetto,  sempre  mi  parvero  le  commissioni  desti- 
nate ad  aprire  concorsi  a  tutti  coloro  che  aspirassero  a  veder 
coronate  di  premio  le  loro  fatiche  consecrate  alla  dramma- 
tica palestra. 

Ma  le  commissioni  drammatiche  non  giovano;  anzi  tor^- 
nano  all'arte  dannose,  quando  non  rispondano  allo  scopo  di 
cui  parlammo. 

A  provvedere  a  così  fatta  mancanza  ,  giova  in  primo 
luogo,  sieno  desse  costituite  di  membri  d'integrità  conosciuta*, 
riguardevoli  per  fama  e  per  merito^  e  periti  nell'arte,  intorno 
ai  saggi  della  quale  sono  destinati  a  sentenziare.  Ciò  pre- 
messo, che  nelle  presenti  commissioni  drammatiche  concor- 
rano tutte  le  qualità  anzidette  ,  h  cosa  che  ninno  asserirà- 
da  buon  senno,  a  giudicarne  dalle  prove  che  esse  porgono 
nell'adempimento  degli  uffici  loro. 

10  non  mi  farò  qui  a  ripetere  tutte  le  accuse  a  cui  fu- 
rono segno  dalla  pubblica  stampa:  so  quanto  i  giornali  sieno 
spesso  corrivi  all'  esagerato  od  al  falso }  ma  credo  ,  che  di 
quelle  tante,  assai  poche  sieno.  a  revocarsi  in  dubbio.  Mi  limi- 
terò agli  ordinamenti  di  tali  instituzioni  in  genere  ed  ai 
difetti,  onde  ne  emergono  gli  abusi,  argomenti  oggidì  com- 
muni di  lagnanza. 

11  primo  consiste,  pare  a  me,  nella  scelta  dei  membri 
che  le  compongono.  Tutti   sanno   constar  esse   di    autori  e 

(i)  Vedi  Quaderno  precedente,  pag.  53. 


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—  93  — 
Si  attori,  locchb  viene  a  dire»  di  membri,  il  cui  primo  impegno 
quello  si  è  di  sostenere  le  loro  rispettive  ragioni  di  conve- 
nienza. E  cominciando  dagli  autori^  non  so  se  abbiano  tutti 
virtù  bastevole  da  far  buona  e  giusta  accoglienza  alle  mi- 
gliori produzioni  drammatiche  presentate  al  giurìa  che  destar 
potrebbero  applausi  in  iscena;  né  se  tutti  di  comune  accordo 
sieno  propensi  a  coronarle  de'loro  suffragi.  Imperocché,  chi 
non  sa,  quanto  cosa  cara  e  preziosa  sia  il  bello  dell* arte, 
da  impor  silenzio  ad  ogni  menomo  senso  di  gelosia;,  verso 
coloro  che  seco  gareggiano  nell'aringo  medesimo?  Or  se  così  è, 
sarà  agevol  cosa  inferirne,  come  quel  sentimento  stesso  sarà 
cagione,  che  non  sempre  i  giudizi  sulle  cose  altrui  proce- 
dano con  quella  rettitudine,  con  quella  giustezza  di  criterio 
inspirati  dall'amor  del  vero,  e  del  progresso  dell'arte.  Che 
se  qualche  onorevole  eccezione  potesse  farsi  a  questa  regola, 
non  per  questo  avrebbe  peso  che  basti  sul  generale  principio. 

Quanto  alle  disposizioni  espresse  nel  programma  del  giurì 
drammatico,  comechè  nel  loro  concetto,  non  possano  notarsi 
di  biasimo,  salvo  qualche  eccezione,  che  noterò  più  sotto, 
pur  dan  luogo  a  conoscere  come  non  troppo  agli  onorevoli 
membri,  ne  stia  a  cuore  l'osservanza.  Per  esempio,  dal  pro- 
gramma del  giurì  drammatico  nazionale  residente  in  Milano, 
rilevasi^  che  il  giudizio  dei  lavori  presentati  al  giurìa  dovrà 
parteciparsi  ai  concorrenti  non  più  tardi  della  Pasqua  suc- 
cessiva alla  data  del  disposto.  Or  tutti  sanno,  come  ben  più 
tardi  di  quel  termine  abbia  già  quella  disposizione  avuto  il 
suo  effetto.  Che  se  questa  fu  violata,  ben  potrà  temersi  lo 
sieno  alcune  altre ,  come  quella  che  vieta  1'  apertura  delle 
schede  da  bruciarsi  contenenti  i  nomi  degli  autori  di  quelle 
produzioni  non  approvate  per  la  scena  (art.  2). 

Né  lascierò  di  notare,  per  ciò  che  spetta  alle  disposizioni 
del  programma ,  come  ben  poca  cosa  mi  sembrino  i  premi 
decretati  dal  giurì  drammatico,  alle  migliori  produzioni  dram- 
matiche, se  si  misurino  colle  fatiche  durate  dagli  autori  a  far 
cose  degne  veramente  della  scena^  ed  h  pur  doloroso  il  vedere, 
come  un  autore  drammatico,  per  valente  che  dasi,  non  giunga 
mai  a  percepire  un  terzo  di  quelle  provisioni,  che  pur  a  larga 
mano  si  prodigano  ad  altri  artisti,  il  cui  merito  non  in  altro 
consiste,  che  in  quelle  doti  estetiche  da  far  mostra  sulla  scena,  e 
illudere  gli  spettatori  colla  pompa  di  spettacoli^  i  quali  se  di- 
lettando ammaestrino^  lascierò  a  chi  ha  buon  senso  il  deciderlo. 

Si  dira  che  sono  queste  vecchie  querele^  alle  quali  non 
potrà  darsi  orecchio,  finché  la  società  raddrizzata  a  migliori 


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94  — 

costumi  non  cessi  dal  divezzarsi  da  que' spettacoli,  che  pia 
fayoriscono  la  sua  natura  corrotta.  Sia  :  ma  intanto  quali 
provvedimenti  si  vanno  attuando  da  arrecare  a  questa  piaga 
un  qualche  salutare  rimedio?  I  Catti  cel  dicono.  Cosi  la  loro 
voce  non  tornasse  inefficace! 

Poco  giusta  ed  equa  panni  eziandio  la  disposizione  (art.  3)» 
con  cui  vengono  gravati  i  concorrenti,  di  una  tassa  di  Lire  5, 
per  la  presentazione  dei  manoscritti,  da  sottoporsi  al  giudizio 
del  giuri  drammatico^  quasiché  la  tassa  postale  non  bastasse, 
segnatamente  per  coloro^  pili  che  altri  forse  bisognosi  di  trar 
profìtto  dai  frutti  delfingegno.  La  quale  disposizione  darebbe 
luogo  a  sospettare,  essere  stata  la  medesima  ideata  allo  scopo 
di  costituire  a  spese  dei  concorrenti  stessi,  la  somma  da  elar* 
girsi  a  coloro  giudicati  meritevoli  di  premio;  nel  qual  caso, 
non  più  al  governo  sarebbe  dovuto  realmente  il  beneficio 
di  quella  provisione,  bensì  ai  concorrenti. 

Stando  le  cose  in  questi  termini,  sarebbe  a  desiderarsi , 
che  cotesti  membri  eretti  a  giudici  delle  altrui  produzioni, 
desistessero  una  volta  da  un  titiffico  così  indegno  dell'arte, 
e  di  un  corpo  onorevole,  quale  esser  dovrebbe  quello  di  un 
giurì  drammatico  instituito  a  favorire  il  progresso  dell'arte 
e  ad  incoraggiarne  i  cultori. 

Io  non  intendo  di  mettere  in  campo  progetti  da  chiamare 
Fattenzione  dell'universale,  su  quest'ardua  materia,  parendomi 
assunto  troppo  al  di  sopra  delle  mie  forze ,  ma  se  dovessi 
proporre  esplicitamente  un  mio  avviso,  direi  che  di  commis- 
sioni siffatte  non  avessero  a  far  parte  autori  ne  attori  dram- 
matici; ma  persone  intendenti  dell'arte,  libere  da  qualunqne 
impegno  e  da  qualunque  ragione  d'interesse  colle  compagnie, 
e  tali  da  poter  sentenziare  circa  il  merito  letterario,  e  sce- 
nico delle  produzioni  presentate  al  concorso. 

Queste  commissioni  dovrebbero,  secondo  me,  avere  stanza 
permanente  nelle  principali  citta  dello  Stato,  con  obbligo  di 
aprire  ogni  anno  un  concorso;  e  permanenti  nelle  principali 
citta  dello  stato  dovrebbero  essere  le  migliori  compagnie 
drammatiche,  alle  quali  verrebbe  commessa  la  rappresenta- 
zione dei  lavori  approvati  per  la  scena. 

Si  dira  che  queste  commissioni  statuite,  secondo  l'espresso 
concetto,  potrebbero  giudicare  buono  e  degno  della  rappre- 
sentazione un  lavoro  commendevole  per  soli  pregi  letterari, 
come  quelle  che  difettassero  di  quella  esperienza  della  scena, 
che  i  migliori  attori  procaccia ronsi  colla  pratica  dei  teatri, 
e  ì  migliori  autori  furono  costretti  a  procacciarsi,  giovandosi 


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—   95   — 
dei  loro  consigli,  e  aacor  più  dei  giudizi  del  pubblico  sulle 
produzioni  da  loro  condotte  in  iscena,  comeclìè  per  le  ragioni 
diverse  delle  due  professionfi,  siffatta  qualità  si  trovi  in  questi 
ultimi^  comparatiratnente  mirvore. 

Ed  io  non  negherò  che  in  ciò  che  spetta  la  parte  esterna 
del  dramma,  gK  attori  siedo  maestri;  ma  non  per  questo 
crederò  il  mio  principio  destituito  di  verità,  cilecche  se  ne 
pensi  in  contrario;  uh  saprò  darmi  ragione  come  un  lavoro 
drammatico,  il  quale  commuova  alla  tacita  lettura  fra  le  pri- 
vate pareti,  non  possa  commuovere  egualmente,  anzi  viemag- 
giormente  alla  rappresentazione  collo  spettacolo  della  scena, 
ove  all'acconcia  interpretazione  del  dramma,  concorrano  la 
perizia  e  il  buon  volere  dì  eccellenti  artisti. 

Tale  fu  sempre  il  mio  avviso  in  così  fatta  materia,  non 
discorde  da  quello  di  F.  Maria  Zanotti  e  del  prof,  dal  Rio, 
come  ben  può  rilevarsi  dall'arte  poetica  del  primo,  e  dalla 
prefazione  del  secondo  alle  opere  poetiche  del  cav.  Ippolito 
Pindemonle,  la  dovagli  parla  deirArminio  del  poeta  Veronese. 

Del  resto,  che  i  giudizi  del  giurì  drammatico,  sulle  pro- 
duzioni meritevoli  di  premio,  e  su  quelle  altre  che  ammette 
all'onore  della  scena,  non  sieno  sempre  concordi  a  q;ueUi  del 
pubblico,  ne  abbiamo  luminose  testimonianze  nei  fatti;  con- 
eiossiachè  a  quelle  stesse  nelfultimo  concorso,  pur  giudicate 
meritevoli  di  premio,  egli  abbia  fatto  una  ben  meschina  acco- 
glienza, laddove  sia  stato  largo  d'applausi  ad  alcune  altre  non 
giudicate  dal  giurì  drammatico,  pur  degne  della  scena. 

E  poiché  di  sopra  ho  nominato  gli  attori,  non  crederei 
disposizione  gran  fatto  assurda,  l'imporre  a  coloro  che  inten^ 
dessero  ascriversi  alle  compagnie  dei  principali  teatri,  t'ob- 
bligo dì  un  qualche  esperimento,  che  desse  alcun  indizio  delle 
qualità  loro  in  fatto  di  lettere,  approvando,  con  regolar  di- 
ploma i  meritevoli ,  e  gli  immeritevoli  rimandando  a  prov- 
vedersi di  quelle  cognizioni  che  meglio  occorressero  all'eser- 
cizio della  loro  professione.  Con  ciò  si  eviterebbe  il  pericolo 
di  vedere  ammessi  nel  seno  delle  compagnie  drammatiche  , 
nomini  usciti  non  sappiamo  donde,  che  fidenti  nelle  doti  este- 
riori della  persona,  si  cimentassero  all'ardua  palestra  delle 
rappresentazioni^  con  quanto  beneficio  dell'arte.  Dio  vel  dica! 

Queste  considerazioni  non  so  di  quanto  peso-  potranno 
estimarsi  da  coloro,  che  in  cose  siffatte,  sentono  di  me  più 
addentro;  ma  io  le  ho  espresse^  come  inspiravami  un  sincero 
amore  per  l'arte,  del  cui  progresso,  tra  noi  specialmente» 
e  sì  al  vivo,  sentito  il  bisogno. 


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—  96  — 
Vero  h  che,  nelle  attuali  condizioni  del  paese,  che  richia- 
mano le  menti  a  più  serie  questioni,  queste  mie  parrebbero 
intempestive;  ma  non  per  questo»  ho  creduto  inutile  suggerir 
finora,  per  quanto  ìq  me  Ifu^  qualche  principio,  che  valesse 
a  preparare  la  via  se  non  altro  a  salutari  nforme  suU*  arte 
drammatica,  la  quale  indirizzata  al  vero  suo  scopo,  tornar 
potrebbe  alla  nazion  nostra  di  morali  vantaggi  feconda. 

Cosi  le  arridano  sorti  migliori,  da  cui  possa  questi  fra 
gli  altri  molti  sperare! 
{Continua) 

Prof.  Nicolò  Marsuggo 


XIX. 

IL  MONUMENTO  ONORARIO 

A  VITTORIO  EMANUELE  IL 


Finalmente  si  h  pubblicato  il  programma  di  concorso  pel 
monumento  da  erigersi  a  Roma  alla  gloriosa  memoria  di  Vit- 
torio Emanuele  II,  annunziato  dai  pubblici  fogli,  e  da  quello, 
che  ha  per  titolo  //  Popolo  Romano  (del  24  settembre  1870 
N!  25S),  e  ne  attingo  le  notizie. 

Prima  di  discendere  ai  particolari  dovrò  dire,  che  il  pro- 
gramma è  sommamente  oflfeasivo  alFonore  della  nazione  e  di 
Roma.  Quello  che  sorprende  h  l'essere  stato  dettato  da  una 
coir.missione  composta  di  cittadini  italiani,  ma  nella  maggior 
parte  ingegneri,  i  quali,  a  similitudine  dei  Reverendi  Padri 
Gesuiti,  non  devono  avere  uh  parenti,  né  patria,  ma  l'amore 
soltanto  di  loro  stessi  e  della  Compagnia. 

Il  monumento  è  limitato  nella  sola  spesa  (9  milioni  di 
lire)  ed  e  un  limite  bastantemente  spazioso;  ma  in  quanto 
al  concetto  ed  al  sito  da  collocarsi ,  è  a  scelta  dei  concor- 
renti; e  fin  qui  sta  bene;  ma  quello,  che  fa  torto  alla  com- 
missione ,  e  di  aver  proclamato  il  concorso  mondiale  e  non 
esclusivamente  nazionale. 

Questa  barbara  idea  si  h  concepita  per  fare  un*onta  agli 
italiani  e  specialmente  agli  artisti  della  capitale  del  Regno, 
credendo  forse  d' ingigantire  il  soggetto  invitando  Tunivcrso 
mondo  a  presentare  i  disegni,  o  modelli,  per  erigere  il  mo- 
numento onorario  alla  memoria  di  Colui,  che  seppe  riunire 


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—    ^7  — 

lìtdlia  sotto  lo  scettro  di  sua   dinastìa  e  restituire  a  Roma 
1  ayita  gloria  di  esseme  la  Capitale. 

Ma  Vittorio  Emanuele  II  h  talmente  grande,  da  non  po- 
tersi più  ingrandire,  e  chi  ha  concepito  la  scipita  idea  di 
chiamare  a  concorso  tutte  le  nazioni  del  mondo  per  model- 
lare il  suo  monumento,  è  segno  evidente,  che  non  ha  com* 
preso  la  sua  grandezza. 

Quel  sarcofago  di  rozzo  peperino,  che  gelosamente  si 
custodisce  nel  museo  Vaticano,  il  quale  conteneva  le  ceneri 
di  Scipione  Africano,  quale  altro  monumento  ricco  e  grande 
che  sia  potrà  stargli  a  confronto? 

Quello  che  sarà  dedicato  alla  memoria  di  Vittorio  Ema- 
nuele II,  comunque  sia;  e  per  questo  non  vi  era  bisogno 
d' invitare  tutti  gli  artisti  dei  due  emisferi  per  modellarlo; 
poiché  i  fatti  sono  quelli ,  che  rendono  V  uomo  immortale 
e  non  un  monumento,  che  sarà  composto  di  poche  statue 
allusive  di  freddo  marmo. 

Vittorio  Emanuele  II  h  cosi  grande  per  le  sue  geste,  da 
ingigantire  e  nobilitare  qualunque  sasso,  che  ricopra  le  di 
Lui  spoglie  mortali,  tanto  che  sia  lavorato  da  un  Italiano, 
quanto  da  uno  straniero. 

Ma  coinunque  sia,  gì'  Italiani  dovendo  nutrire  sentimenti 
di  gratitudine  alla  memoria  dell'  estinto  Monarca  per  averli 
emancipati  dal  dominio  straniero,  essi  soli  possono  più  fa* 
cilmente  concepire  un'idea  significativa  neirimmaginare  IV 
spressione  del  monumento;  mentre  gli  stranieri  non  vincolati 
da  alcun  sentimento  di  riconoscenza  per  Esso,  non  potranno 
mai  dare  al  monumento  quella  espressione  proveniente  dagli 
impulsi  del  cuore. 

Ed  ammesso,  che  uno  straniero  scolpisse  il  monumento, 
che  bella  gloria  sarebbe  per  gì'  Italiani  vedere  nella  loro 
capitale,  in  mezzo  a  tanti  monumenti  di  classici  autori  na« 
zinnali,  un  lavoro  eseguilo  da  mano  straniera,  e  pagarlo  coi 
denari  provenienti  dalle  spontanee  elargizioni  degl*  Italiani 
medesimi  ? 

.,''  Quale  affronto  poteva  farsi  maggiore  a  coloro^  che  tanti 
sagrificì  hanno  fatto  per  giungere  a  godere  quella  libertà 
tanto  decantata,  ma  che  per  opera  di  pochi  si  è  deformata 
in  assoluto  despotismo  ! 

E  la  sagaci ta  di  questi  signori  non  ha  permesso  loro  di 
riflettere,  che  tra  gli  stranieri  sono  quelli  nemici  giurati  della 
riunione  d'Italia  per  pretesi  e  mal  fondati  diritti  perduti 
su  questa  penisola.  Costoro  come  potranno  concepire  l' idea 

14 


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—  OS   — 
dì  glorificare  il  nemico  delia  loro   nazione  nel  monumento  , 
che  dovrebbero  modellare  ? 

E  gli  onorevoli  deputati  ai  parlamento  »  tanto  romani, 
quanto  quelli  di  tutte  le  provincie  dello  stato  »  come  mai 
hanno  potuto  sopportare  uno  sfregio  /  che  si  fa  ali*  intera 
nazione  ed  a  loro  stessi?  se  questi  sono  d'accordo  col  mi- 
nistero, saranno  nemici  dell* onore  nazionale;  se  poi  noa 
hanno  saputo  comprendere  lo  smacco,  che  lor  si  fa,  in  qu^to 
caso  conviene  concludere  essere  una  massa  di  genie  inutile 
a  sé  ed  alla  società.  E  costoro  siedono  al  parlamento  come 
legislatori ,  come  rappresentanti  del  popolo  per  guarentire 
i  suoi  interessi,  i  suoi  diritti,  e  Tonor  suo?  PoNrcra  iulia! 

FIN    0^1    LE    GIUSTE    LAGNANZE    DEL    POPOLO   DI   QUiaiRO 
E    DI    TUTTE    LI   PROVINCIE    DEL    RSGUO 

pel  grave  affronto  che  riceve  da  una   commissione 
composta  da  cittadini  italiani  imbastarditi. 

VEDIAMO   OHA 

quale  sarà  l'esito  del  mondiale  concórso^  e  figu^riéomoci 
di  aver  trascorso  fanno  accordato  a  presentare  i  progetti. 

Siamo  dunque  al  fis  settembre  issi  alle  ore  s  pomeridiane^ 
glortìfo  perentorio  al  concarso,  a  termini  della  ìegge  as  lu-^ 
glio  ISSO  e  del  decreto  reale  i3  settete4}re  anìi^o  Sfqd? 

Dopo  pochi  giorni  avremo  la  con^lazionè  di  vedere  espo^ 
sto  in  una,  o  in  più  grandi  aule  il  prodotto  d^  ^ènio  ^deile 
quattro  parti  dei  mondo,  in  disegni,  in  modelli',  formati  iu 
creta,  in  gesso,  in  cera. 

Tutti  i  concorrènti  ambiranno  ad  ottenere  almeno  l'uno 
dei  tre  premi  promessi,  che  sono  il  t?  di  50,000  Lii^e,  il  "Sfi?  di 
30,000,  ed  il  3?  di  20^000   Lire. 

E  nella  certezza,  che  siano  molti  i  progetti  dei  concor- 
renti, che  saranno  esposti  al  pu'bblico,  il  ministero  ha  no- 
tninato  N.^  so  Giurati  per  esaminarli  e  quindi  conferire  i  pretiii 
9  coloro,  che  avranno  saputo  meritarli. 

I  Giurati  a  tafuopo  eletti  sono  còme  appresso. 

N.^  4  ingegneri  :^  5  deputati  al  parlafmento,  compreso 
il  presidente  della  Commissione  «»  5  sedatori  =  2  {)ittori  ^ 
2  scultori  a  II  sindaco  di  Roma  a  II  presidente  dell  accade^ 
Olia  di  san  Luca. 


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—  09  

Tutti  questi  signori,  saranno  al  caso  di  giudicare  il  me- 
rito dei  concorrenti?  »  Togliete  il  presidente  dell* accademia 
di  san  Luca,  e  tutti  gli  altri  sono  come  potrei  essere  io  se 
fossi  chiamato  a  dare  il  voto  in  una  questione  teologica. 

In  quanto  agi*  ingegneri  bs  guardate  le  opere  loro  e  giu- 
dicate se  quegli,  che  non  sanno  far  bene  le  cose  proprie  , 
possono  essere  al  caso  di  giudicare  sul  merito  di  quelle  de- 
gli altri  ;  anzi  mi  sorprende  come  tra  i  quattro  nominati 
dalla  Commissione ,  o  dal  Ministero  non  figuri  il  nome  di 
colui,  che  diresse  il  palazzo  della  Posta  sulla  piazza  di  san 
Silvestro  in  Capite  !  Il  solo  suo  nome  avrebbe  imposto  ri- 
spetto a  tutto  r  Universo,  come  ha  spav^entato  (i)  T  opera 
sua  tutti  quelli,  che  Tanno  veduta^ 

Gli  onorevoli  cinque  deputati  al  Parlamento  hanno  dimo- 
strato essere  nemici  dell'onore  della  patria,  con  l'avere  ap- 
provato il  barbaro  progetto  della  Commissione  di  rendere  il 
concorso  mondiale  e  non  esclusivamente  nazionale  ,  come  si 
doveva;  di  non  aver  punto  migliorato  lo  stato  finanziario,  am- 
ministrativo ed  economico  della  penisola,  anzi  in  tutto  peg- 
giorato. =  E  non  sentendo  l'amor  di  patria,  non  possono  tam- 
poco aver  gusto  ed  occhio  critico  sulle  opere  di  arte  e  per 
conseguenza  nulli,  o  anche  nocivi  sull'incarico  affidato  loro 
dal  Ministero. 

E  dei  cinque  onorevoli  senatori^  che  cosa  potrà  dirsi?» Che 
sono  stati  conniventi  alla  risoluzione  della  Commissione  e 
dei  deputati  al  parlamentò,  e  per  conseguenza  nemici  ancor 
questi  dell'onore  nazionale.  Ma  prescindendo  da  tutto  questo 
s  hanno  gusto  per  le  arti  belle?  =>  pare  di  no,  perche  se 
ne  avessero  un  tantino,  non  avrebbero  tollerato  le  tante  li- 
cenze commesse  nei  fabbricati  di  nuovo  impianto  diretti 
dagr  ingegneri  al  Maccao ,  al  Celio ,  al  Viminale,  all'  Esqui- 
lino  e  nei  due  monumenti  governativi  delle  Finanze  e  della 
Posta.  Dunque  ancor  questi  nulli,  nullissimi  a  soddisfare  al 
loro  mandato. 

I  due  pittori ,  potranno  esser  buoni  ad  immaginare  un 
monumento,  ma  non  mai  a  passare  in  rivista  una  quantità 
imponente  di  progetti  provenienti  dalle  quattro  parti  del 
Mondo,  e  tra  tutti  sceglierne  tre,  che  siano  migliori  degli 
altri  e  classificarli  per  esser  degni  di  premio. 


(1)  Si  allude  al  Ministro  Spaventa,  che  in  opposizione  al  voto  della  Com- 
missione edilizia  municipale  volle  si  costruisse  quel  palazzo  sui  disegni  pre- 
sentati dair  ingegnere  Malvezzi. 


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—   iOO  — 

I  due  scaltorì.  Tra  questi  vedo  figurare  quel  GioTanni 
Duprè  9  che  scolpi  il  monumeato  trionfale  per  eternare  la 
memoria  di  quel  graad^uomo  di  stato,  che  fu  Camillo  Benso 
conte  di  Cavour.  Povero  Conte  in  che  brutte  mani  capitasti  ! 
Dovevi  figurare  essere  stato  gigante  e  fosti  rappresentato 
come  deforme  pigmeo!  Ma  non  dubitare,  che  se  il  Duprè 
ti  ha  impiccolito,  la  storia  ti  esaltera  talmente»  che  diverrai 
un  colosso,  come  ben  lo  meritasti. 

]1  compagno  Vincenzo  Vela  sarà  bravissimo  per  model- 
lare e  scolpire  una  ,  o  più  statue ,  ma  non  tutti  hanno  il 
dono  della  composizione  come  l'ebbe  il  celebre  Canova,  poi- 
ché noi  abbiamo  due  recenti  monumenti  entro  la  basilica 
Vaticana  ,  V  uno  di  Pio  VII  e  V  altro  di  Pio  Vili,  amendue 
scolpiti  da  classici  professori,  il  primo  dal  Thurvaldsen,  il 
secondo  dal  Teneranì;  ma  essendo  mancanti  di  composizione 
non  hanno  mai  incontrato  il  favore  del  pubblico.  Ma  qui 
non  si  tratta  di  far  progetti ,  ma  conoscere  se  questi  due 
scultori  abbiano  l'occhio  critico  per  esaminare  tutti  quelli, 
che  verranno  dall'universo  Mondo,  e  sceglierne  tre,  che  si 
crederanno  degni  di  premiazione. 

II  Sindaco  di  Roma  »  Sarà  un  galantuomo  ed  è  ciò  che 
si  desidera. 

II  presidente  dell'accademia  di  san  Luca. 

Ecco  l'unico  Giurato,  che  potrà  essere  al  caso  di  distin- 
guere il  merito  dei  saggi,  che  verranno  esposti,  non  già  come 
presidente  dell'accademia  ,  perchè  potrebbe  essere  un  uomo 
da  poco,  ma  come  architetto  di  merito  (i),  poiché  la  nostra 
accademia  ,  la  quale  ha  goduto  sempre  fama  europea  per 
gli  uomini  grandi,  che  la  componevano  »  oggi  va' ad  imba- 
stardirsi per  alcune  nullità,  nella  classe  architettonica  ,  che 
abusivamente  vi  hanno  annoverato. 

Sara  una  fatalità,  ma  pare,  che  tutto  congiuri  a  danno 
di  queir  arte,  che  è  stata  sempre  considerata  come  madre  e 
direttrice  di  tutte  le  altre. 

Se  ciò  sia  l'effetto  della  civiltà  e  del  progresso  lo  faccio 
decidere  da  quegit  stessi,  che  la  calpestano,  i  quali  dovranno 
dichiararsi  per  vere  nullità,  o  per  nemici  del  bene  e  dell'onore 
e  della  patria. 

Ma  se  il  Ministero,  le  Camere,  il  Senato >  il  Municipio» 
sono  quelli  stessi,  che  ne  vogliono  la   distruzione,  come  po- 


li) Francesco  Azzurri»  autore  di  quel  bel  casamento  sulla  piazza  Polla-* 
raia,  Num.  19. 


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—  101  —   . 
tranoo    queste  arti  risorgere  «    perchè  possa  V  Italia  e  Roma 
conservare  il  gran  privilegio  di  goderne  il  primato? 

Leggendo  la  storia  si  conosce ,  che  gli  uomini  grandi 
sono  stati  in  ogni  tempo  amanti  delle  arti  belle ,  e  questi 
nostri  legislatori  fanno  di  tutto  per  distruggerle.  Maometto 
nelle  sue  leggi  del  Corano  proibì  le  scienze  e  le  arti.  Qui 
non  si  proibiscono»  ma  si  tenta  di  annientarle  col  favorire 
r  ingegneria  e  col  non  voler  fare  alcuna  distinzione  tra  il 
merito  di  un  monumento  di  arte  e  quello  di  un  chiavicotto. 

Ed  il  povero  presidente  .delFaccad ernia  di  san  Luca  si 
troverà  molto  imbarazzato  nel  combattere  con  4  ingegneri, 
che  pretenderanno  di  dettare  in  catedra  ,  con  5  deputati  al 
parlamento  e  5  senatori  (persone  tutte  rispettabilissime,  ma 
totalmente  profane  in  quello,  che  dovranno  trattare),  poiché 
queste  vorranno  sostenere  la  loro  opinione  senza  gusto  e 
senza  cognizioni  artistiche,  ed  il  presidente  dell'accademia , 
che  in  tutto  troverà  opposizione,  prenderà  il  suo  cappello 
e  se  ne  andrà,  lasciando  quei  signori  a  bisticciarsi  tra  loro 
senza  concluder  niente. 

I  due  pittori  e  i  due  scultori  diranno  timidamente  il 
loro  sentimento ,  che  coinciderà  con  quello  del  sindaco  di 
Roma,  ma  sopraffatti  dalle  chiacchiere  dei  dieci  parlamentari 
prenderanno  l'espediente  di  porsi  in  silenzio. 

E  così  andrà  a  terminare  come  il  monumento ,  che  si 
volle  erigere  al  conte  di  Cavour,  che  h  una  vera  vergogna. 

II  primo  requisito  per  coloro,  che  stanno  alla  testa  degli 
affari  h  quello  di  conoscere  il  merito  delle  persone  che  ven- 
gono incaricate  a  soddisfare  il  mandato  a  loro  affidato.  Na- 
poleone I  vinceva  strepitose  battaglie  ,  perchè  sapeva  sce- 
gliere i  Generali}  e  Napoleone  IIP  perchè  non  li  seppe  sce- 
gliere perdette  la  guerra^  il  trono  e  la  vita. 

Se  la  commissione,  o  il  Ministero,  a  vesserò  avuto  l'inten- 
zione, che  il  monumento  fosse  degno  di  Roma,  e  di  esalts^re 
la  memoria  dell'estinto  monarca,  doveva  eleggere  a  Giurì  l'in- 
tero corpo  accademico  di  san  Luca,  il  quale  essendo  compo- 
sto di  Scultori,  Pittori  ,  Architetti  e  letterati  insigni  (tra  i 
quali  figura  un  Mamiani)  potrebbe  dare  un  adequato  giudi- 
zio; ma  siccome  questi  signori  pretendono  riguardarci  come 
popolo  conquistato,  tutto  si  fa  per  far  torto  ai  romani,  e 
potendo  avere  nel  monumento  una  mostruosità  sarebbero 
molto  contenti ,  ma  la  vergogna  sarebbe  per  loro  stessi ,  e 
non  per  noi,  per  aver  nominato  a  giurati  persone  non  atte 
a  dare  un  giudizio;  e  se  hanno  nominato  il  sindaco  di  Roma 


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.   —  tot  — 
ed  il  presidente  deiraccademia  di  san  Luca  h  stato  per  una 
vera  derisione  e  non  altro. 
Koma  Si  Novembre  iss». 

Gius.  Versili  Archit.  Ing. 


VILLA  PAMPHILI 


Appo  antiche^  grandiose,  erme  raine 
Da  Tederà,  di  fede  emblema,  cinte. 
Ove  è  gran  tempo  che  i  romani  petti 
Già  ruppe  il  ferro,  e  gli  ultimi  sospiri 
Dieron,  spargendo  da  le  vene  il  sangue. 
Che  rossegrìava  su  le  verdi  zolle, 
O  in  fervido  vapor  volava  al  cielo.. 
Spnntan  rose  ili  fra  i  cespi  ove  m'  aggiro. 
Ma  coglierle  da' steli  non  vorria. 
Che  duri  quanto  può  lor  dolce  vita! 
Se  non  se  i  loro  calici  fragranti 
Appassiranno  al  vespero  che  cade!. 
È  fugace  la  viu,  amati  fiori! 

Qui  l'ambasce  temprar  potria  la  nova 
Bella  stagion  che  allegra  e  ridipinge 
G\ì  arbus^  e  i  cespi,  a*  candidi  giacinti 
Alternando  le  rose  e  le  viole; 
Qui  animate  son  1*  aure  e  spicca  il  vento 
Le  foglie  ed  altre  notano  sul  lago 
Ove  guastano  i  cigni,  d'ogni  intomo 
Levi  bisbiglian  ricadendo  P  acque, 
Scherzan  del  margo  al  tenue  musco  i  pesci 
Che  solcano  la  fresca  onda  d'  argento; 
Qui  animate  son  l' aure,  e,  nel  profondo 
Silenzio  de  la  valle  e  de  la  selva, 
Modulan  gli  augelletti  il  dolce  metro, 
]1  fragor  qui  de  la  città  s'oblia, 
E  qui  del  giovani!  spirto  la  possa 
Novellamente  a  poetar  m'alletta.. 
E  più  1'  insania  incendemi  d'  amore  ! 

Presso  il  palagio,  che  mi  par  di  Fate 
Magico  ostello,  al  rezso  d'  alti  pini. 
Per  il  sentier  cui  attoi*niano  le  rupi. 
Tratta  da  bianchi  e  rapidi  corsieri, 
Alti,  superbi  di  lor  nobil  carco, 
Un  giorno  t' incontrai.  Da  la  beata 
Ora  non  volli  a  te  pensar,  ma  in  core 
Mi  s*  annidò  la  tua  soave  immago! 


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—  103  — 
£  men  parevi  altera,  ma  il  segi*eto 
Mio  sentir  non  ti  fu  noto:  la  fiamma 
Nostra,  palese  a  voi,  vi  fa  più  schive; 
Mentre  la  vostra  che  per  noi  sfavilla 
Più  animosi  ci  rende  e  più  gentili! 
Oblia  Tajrito  tuo  splendor.,  comune 
La  progenie  sortimmo.,  ed  è  celeste! 

Il  Sol  semina  d'or  le  alpestri  vette 
Di  Monte  Cavi  sacre  al  Làzial  Giove^ 
I  villerecci  reconditi  borghi 
D'Alba  Lohga  e  di  Tuscolo,  gli  antichi 
Cratèri  speliti,  eh' ^divenner  laghi. 
Superando  il  ciglion  de  la  montagna. 
Di  là  si  schiuderan  gP  immensi  piaili 
A  te  Vezzosa.,  e  meno  tu  dal  cielo 
Ti  sentirai  da  lunge.!  De  la  mia 
Alba  e  del  vespro  mio  fulgida  stella. 
Unica  stella,  addio..  Pur  atìco  addio. 
Dolce  mia  donna.!  Danzino  le  Ore 
A  te  d' intomo,  ed  Imeneo  ti  guidi 
Su  lieve  carro^  in  fra  la  polve  «d'oìro. 
Pari  air  Aurora,  cui  dipinse  Guidq; 
Pari  a  la  dea  che  del  sidereo  manto 
Spoglia  la  Notte,  simile  a  la  dea 
Cui  insegue  Apollo  per  Tetera,  indamo 
Inebbrìato  de  la  sua  bellezza! 

LA  FARFALLA 

Già  spuntano  le  rose  e  le  viole 

Sovra  le  zolle  de  la  patria  mia. 
Una  •fai'fall^  sotto  i  rai  del  sole. 
Come  un  fior  variopinta,  allegra  già. 

Or  r  uno  or  1*  altro  sempre  sugger  suole, 
In  sin  che  stanca  de  la  lunga  via. 
Danzando  e  folleggiando  per  le  ajuole. 
Il  più  soave  fior  requie  le  dia: 

Ivi  che  può  temer?  Forse  che  un  giorno 
Con  insìdia  un  fanciul  prigiòn  ita  pòrte 
Per  suo  diletto  nel  natio  soggiórno? 

Tal  farfaRa  non  son;  per  crada  sorte 
Son  la  farfalla  che  s'  aggira  intomo 
Ad  una  fiamma  per  aver  la  morte. 

Roma,  nell'aprile  del  lS7i. 

LoiQi  Arrigo  Rosm 


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—   104  

XXI. 

A  MIO  PADRE 

Già  volge  ranno  che  da  questa  terra 
Ti  dipartisti,  o  mio  padre  diletto, 
Quando  vinto  dal  mal  che  ti  fé' guerra 
Lasciar  dovesti  ogni  più  sacro  affetto. 

La  vedovella  tua  mesta  rinserra 

Un  eterno  dolor  per  te  nel  petto, 
£  piange  sul  tuo  frale  che  sotterra 
Giace,  e  favella  col  tuo  spirto  eletto. 

Di  tue  virtÌL,  del  vivere  onorato 

Va  superbo  il  tuo  figlio,  e  con  orgoglio 
Serberà  il  nome  che  ha  da  te  redato. 

Or  mentre  eh'  io  di  tua  morte  mi  doglio. 
Tu  mi  guarda  dal  tuo  loco  beato 
E  alfin  m'adduci  nel  celeste  soglio. 

Roma,  16  Dicembre  1880. 

Vincenzo  Monti 


ERRATA-CORRIGE 

(al  quaderno  II,   VOL.    XIV  DEL   BUON jìRROTI) 

Pag.  37  w^      an  Giulio  so  Giallo 

»     »        Grien  Grion 

38  {t'fi.     2  Gayaliere  Cayaliere, 

39  lin.  23  Ho  del  resto  3?  Ho  del  resto 
41  lin,    6  Mugnoo  Mugnos 

D  tiofa  1  Razzolino  Ragolino 

70  lin.    9  profumata  profumate 

Pag.  68  VOLUPTAS  TENET ,  ecc.  Ri^hhUeheremo  questa  poeiia  nd  praaimo 

foieieolo  »  essendo  per  inaoveHensa  ri- 
masta monca  di  cinque  strofe  in  fine. 


La  nota  delie  opere  venute  in  dono  et  darà  nel  prossimo  fascicolo. 


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Serie    II.  Vol.  XIV. 


Aprile  1880 


I  L 


BUONARROTI 


D    I 


BENVENUTO  6ÀSFAR0N1 

CONTINDATO  PER  CORA 

DI  ENIUGO  I^ARDIICCI 


PAG. 

XXII.  Descrizione  di  tutte  le  colonne  ed  obelischi 
che  trovansi  nelle  piazze  di  Roma,  disposta 
in  forma  di  guida  da  Angelo  Pelle- 
grini ecc.  {Continua) »  iOS 

XXUI.  Della  Prosopografìa.    Lezione   del  professor 

Gabriele  Deyla  (Fine)     .;,..»  120 

XXIV.  Di  un  monuroento  onorario  per  eternare  la 
memoria  di  Vittorio  Emanuele  li.  (Giu- 
seppe Verztlt  Architetto  Ingegnere)  .  »  126 
XXV.  Bibliografia.  Le  opere  letterarie  dì  Leo- 
nardo  da  Vinci  pubblicate  dal  dott.  Jean 
Paul  Richtbr »  129 

XXVI.  Su  due  scheletri  che  abbracciati  si  rinvennero 
in  Pompei  non  lungi  dalle  pubbliche  Terme. 
Elegia  del  cav.  Diego  Vitbìoli  e  tradu- 
zione (G.  Frosina-Cannella)    .    .    .    ))  i32 
XXVII.  Voluptas  tenet  silvaset  caetera  rura(G.  Fro- 

sina-Cannella) »  136 

XXVIII.  Il  pensiero  del  cuore  (Luigi  Arrigo  Rossi).  »  137 

XXIX.  A  sua   maestà  Alessandro  II,   a«tocrate  di 
tutte  le  Russie,  trionfatore  deTurchi  (Luigi 

Arrigo  Rossi) »  139 

Pubblicazioni  ricevute  in  dono »  139 


ROMA 

tipografia  delle  scienze  matematiche  e  fisiche 

via  lata  n!  3. 

1880  . 


Pubblicato  il  29  Gennaio  issi 


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IL 


Seme  II.  VoL.  XIV.         Quaderno  IV.  Aprile  1880 


XXII. 

DESCRIZIONE 

DI  TUTTE  LE  COLONNE  ED  OBELISCHI 

CHE  TROYANSl  NELLE  PIAZZE  DI  ROMA 

DISPOSTA  IN   FORMA  DI  GUIDA 

DA .  ANGELO    PELLEGRINI 

miiBio  diil'ivstituto  di  goiiispovseksa  aichiolo«ica 


COLONNA  DI  M.  AURELIO 
DETTA  VOLGARMENTE  ANTONINA 

Conducetevi  in  piazza  Colonna j  ove  nel  mezzo  sorge  la 
famosa  colonna  coclide  di  Marco  Aurelio  Antonino  ,  eretta 
solo  per  servire  di  monnmento  onorario  della  vittoria  da  lui 
riportata  contro  i  Marcomanni,  come  è  dimostrato  da  quanto 
vedesi  rappresentato  nelle  sculture  a  bassorilievo  che  ador- 
nano il  suo  fusto.  (  cataloghi  dei  regionari  sotto  il  titolo  di 
Curiosum  Urbis  e  Notitia  Ja  registrano  nella  Regione  nona 
col  titolo  di  tempio»  e  colonna  coclide  di  Antonino»  e  detta 
coclide  per  esser  vuota  ,  e  per  avere  la  scala  a  chiocciola  ; 
e  riguardo  al  nominato  tempio  di  Antonino  Pio,  che  è  fuori 
dell'argomento  di  cui  trattiamo»  basterà  soltanto  di  sapere 
che  universalmente  dai  topografi  moderni  si  crede  avere  esi- 
stito nella  località  ora  occupata  dal  palazzo  Chigi.  Il  nome 
poi  di  Antonino  appropriato  alla  stessa  colonna,  come  si  ^ 
veduto,  era  comune  ad  ambedue  i  nominati  imperatori,  e  perciò 
da  alcune  reliquie  delle  iscrizioni  nel  suo  piedistallo  che  sus- 
sistevano fino  al  secolo  XV  coU'indicazione  divi  .  Antonini  • 
AVGVSTi  .  pii .  .  .  flius  si  volle  dedurre  essersi  dedicata  all'im- 
peratore Antonino  Pio.  Cosi  fu  dichiarato  nelle  iscrizioni  che 
furono  poste  nel  rivestimento  fatto  al  piedistallo  sotto  il  pon- 
tificato di  Sisto  V»  delle  quali  parleremo  a  suo  luogo. 

15 


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i06   

Ma  quanto  sia  stata  iosussisleate  l'appropriazione  ad  An- 
tonino Pio,  h  stato  da  tutti  riconosciuto,  dopo  il  ritrovamento 
della  vera  colonna  dedicata  al  medesimo  imperatore  che  de- 
scriveremo a  suo  tempo,  e  deiriscrizione  concernente  il  per- 
messo accordato  ad  Adrasto,  liberto  di  Settimio  Severo  e  Ca- 
racalla,  di  costruire  nua  piccola  casa  In  vicinanza  della  me* 
desìma  colonna  per  averne  la  custodia. 

In  tale  iscrizione  in  marmo  ^  ora  esistente  nel  corridoio 
delle  lapidi  presso  il  Museo  Vaticano,  questa  colonna  viene 
chiamata  Centenaria  ,  poiché  il  fusto  di  essa  colla  base  e 
capitello  davano  cento  piedi  romani  di  altezza.  Si  ha  dagli 
antichi  scrittori,  e  da  Vitruvio  particolarmente,  che  col  vo- 
cabolo colonna  s' intendeva  ciò  che  si  h  detto  ,  cioè  senza 
il  piedestallo  ed  altre  cose,  e  perciò  pei  centosettantacinque 
piedi  assegnatile  dai  regionaria  nel  IV  secolo  s'intende  tutto 
^assieme  del  monumento. 

Cominciando  ora  dal  suo  piedistallo,  il  lato  di  esso  che 
corrispondeva  verso  l'antica  via  Flaminia,  sostituita  dall'at- 
tuale strada  del  Corso  ,  aveva  la  porta  che  metteva  entro 
essa.  Questa  fu  chiusa  ne'tempi  di  Sisto  V,  e  fu  aperta  Tat* 
tuale  nel  lato  a  mezzodì  per  servire  ali*  uso  stesso  nell'in- 
contro dei  gradi  della  scala  che  corrispondono  all'  attuale 
piano  della  piazza. 

Gli  scalini  suddetti,  che  ora  servono  per  ascendere  alla 
sommità,  sono  I90,  e  nell'  interno  la  colonna  ha  41  feritoie 
per  ricevere  la  luce.  Resta  alquanto  incerta  la  determina- 
zione del  modo  con  cui  era  decorato  il  grande  piedestallo 
di  sopra  indicato  ,  sul  quale  era  elevata  la  colonna  di  cui 
parliamo. 

Poche  reliquie  dei  marmi  con  cui  era  rivestito  furono  tolte 
nel  ristabilimento  fatto  dal  ponte6ce  Sisto  V;  ma  sei  quattro 
specchi  furono  certo  figure  a  bassorilievo  relative  a  M.  Au* 
relio,  oltre  della  iscrizione  sopra  la  porta,  come  si  osserva 
in  una  stampa  od  incisione  del  secolo  XVI,  che  si  conserva 
nella  raccolta  di  stampe  antiche  nella  biblioteca  Barberina. 
Nel  plinto  eranvi  scolpite  figure  femminili  alate,  o  vit- 
torie, che  reggevano  festoni,  come  vedesi  in  tutti  i  disegni 
anteriori  al  -risarcimento  della  colonna,  che  nell'alto  termi- 
nava colla  statua  colossale  in  metallo  del  nominato  impera- 
tore, e  colla  solita  rappresentanza,  cioè  loricato  tenendo  Tasta 
ed  il  globo. 

Principiandosi  ora  ad  osservare  i  bassirilievi  intorno  al 
fusto  della  colonna  che  esprimono  i  fasti  della  guerra  contro 


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107    r— 

Qaadi,  Marcoraanni  e  Sarmati,  h  da  notarsi  »  che  essa  è  tutta 
composta  di  massi  di  marmo  luaense^  o  di  Carrara. 

Seguendo  il  giro  airintorno,  e,  principiando  dalla  parte 
rivolta  al  palazzo  Chigi  dove  prende  origine  la  spira  che 
racchiude  i  basslritievi ,  miransi  primieramente  tre  granari 
muniti  di  un  vallo,  in  cui  erano  riposte  le  provvisioni  per 
alimentare  l'esercito  romano.  Succedono  due  fienili  in  forma 
degli  odierni  pagliari,  come  si  usa  anche  oggidì,  chiamandosi 
volgarmente  le  penilesse^  e  fra  questi  ^  una  catasta  di  travi 
o  legni  per  l'uso  del  campo.  Indi  viene  un  castello  di  legno, 
e  come  le  altre  descrìtte  cose.  Sono  sulla  ripa  del  fiume  Da- 
nubio con  acque  correnti  ^  e  per  presidio  de' soldati  in  cu- 
stodia degli  approvigionaménti.  Di  fuori  del  castello  miransi 
due  soldati  in  fazione,  ed  il  vallo  che  costeggia  la  ripa  del 
fiume  vedesi  munito  di  un  grande  valido  steccato  di  tavole. 
Girando  intorno  sempre  dalla  stessa  mano ,  si  trova  il  Da- 
nubio personificato,  che  esce  per  la  meta  dalle  fuggenti  sue 
acque,  tenendo  rivolto  il  corpo  a  settentrione,  e  mostrando 
col  braccio  destro  di  essere  propizio  a  Marco,  ed  al  suo  inclito 
esercito.  Un  oppido  o  paese  sovrasta  al  Danubio,  forse  Car- 
nunto  nei  confini  della  Germania  e  delia  Pannonia.  In  questo 
avevano  stazione  i  soldati  romani,  e  secondo  Plinio  partico- 
larmente quelli  della  legione  decimaquarta.  Plinio  chiama 
questo  luogo  pannonici  quartieri  d'inverno,  corrispóndenti 
airodierno  castello  di  Hatnberg.  Indi  osservasi  la  partenza 
de'soldati  romani  da  questi  quartieri  trapassando  il  Danubio. 
Vi  si  vedono  due  barche  che  trasportano  scudi  e  bagagli  entro 
sacchi  legati  con  corde,  ne'quali  si  potrebbe  pur  credere  esservi 
stato  frumento  o  farina.  Indi  un  soldato  remigante  in  altra 
nave  che  precede  le  altre  due  no6tinate  ,  vi  port^  fusti  o 
botticelle  d'aceto  o  di  vino. 

Siegue  l'esercito  romano  in  marcia  sul  ponte  costrutto  con 
navi  nel  DaDubio,  occupando  la  ripa  nemica^.  M.  Anrelio  con 
lorica  e  paludamento,  tiene  la  lancia  in  mezzo  a  due  tribuni. 
Addietro  viene  il  cavallo  dell'imperatole  falerato  o'  bardato, 
ed  innanzi  alla  truppa  sono  i  tibicini.  La  scena  che  succede 
rappresenta  M.  Aurelio  che  passato  il  Danubio  parla  ai  sol- 
dati o  generali,  accompagnato  da  due  legati  e  da  due  tribuni. 
Sotto  il  suggesto  dell'imperatore,  che  tiene  in  mano  un  vo- 
lume, sono  i  centurioni;  a  sinistra  è  lo  stendardo  della  turma 
equestre  ,  e  dai  lati  del  suggesto  sono  le  insegne  militari 
pe'manipoli,  indizio  della  fedeltà  e  del  giuramento  dei  soldati, 
portate  dai  signiferi  con  teste  coperte  da  pelli  di  leone  per 


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—   108  — 

incutere  terrore  al  nemico.  S^lla  destra  si  vede  parte  delfe- 
sercito  a  piedi  ed  a  cavallo  che  s*invia  per  la  battaglia.  Sie- 
guono  i  bassirilevi  molto  guasti  dalle  ingiurie  de'tempi,  ma 
vi  si  distingue  un  Castro  o  luogo  forte  romano  già  costrutto 
di  grandi  pietre  nel  suolo  nemico,  con  porta,  soldati  dentro 
e  cavalieri  al  di  fuori,  i  quali  proseguendo  al  trotto  in  buon 
numero  insieme  colla  fanteria  assalgono  e  bruciano  un  pago 
0  vico  de'Marcomanni.  Le  case  sono  rotonde  e  formate,  o  di' 
paglia  o  di  fieno,  con  una  sola  porta,  senza  finestre  a  guisa 
di  capanne.  Vi  h  pure  un  soldato  del  corpo  de^  fabbri  che 
mena  con  una  mazza.  Indi  vengono  i  legati  dei  Germani,  ovvero 
dei  regoli  dei  confini  a  cavallo  che  implorano  clemenza  e  pace 
dairìmperatore,  che  e  presso  la  tenda  con  due  soldati  ed  un 
vessillifero. 

Marco  parla  ad  essi,  dicendo  loro  dì  deporre  le  armi,  e  che 
rimangano  fedeli;  sotto  si  vedono  giacenti  i  cadaveri  de'Ger- 
mani.  Sulla  destra  mirasi  un  soldato  romano  che  vibra  un 
colpo  di  spada  ad  un  Germano^  il  quale  si  raccomanda  con 
giunte  ed  elevate  mani.  A  sinistra  innanzi  alle  tende  degli 
accampamenti,  veggonsi  due  guardie  o  sentinelle,  e  sulla  destra 
mirasi  un  bei  gruppo  di  soldati. 

Siegue  M.  Aurelio  che  entrato  nella  regione  dei  Quadi  fino 
al  fiume  Maro  si  è  impadronito  di  tutti  i  luoghi  fortificati. 
Vani  sono  gli  sforzi  dei  frombolieri  germani  dall'altra  parte 
del  fiume  ora  chiamato  Marava;  ed  il  castro  nella  ripa  op- 
posta è  ripieno  di  soldati.  Parte  ne  sono  al  di  fuori  coUlm- 
peratore,  cui  un  soldato  collo  scudo  ripara  i  colpi  de^  sassi 
che  vengono  dalla  opposta  ripa.  Indi  si  vede  una  macchina 

0  riparo  fatto  dai  Germani  per  innondare  Taccapamento  ro- 
mano. M.  Aurelio  vittorioso  terminata  la  battaglia  perlustra 
questo  luogo  in  cui  sono  accatastati  i  cadaveri  de  germani. 

1  Quadi  si  difendono,  facendo  argine  cogli  scudi  nella  ripa 
opposta  del  fiume.  Indi  viene  un  sacrificio  fatto  dalPimpe- 
ratore  accompagnato  da  alti  personaggi  militari.  I  soldati  ro- 
mani per  mezzo  di  una  rada  passano  il  fiume,  e  M.  Aurelio 
sedente  nel  suggesto  invia  la  cavallerìa  alla  battaglia.  Indi 
vedesi  un  combattimento  di  sagittarii  ausiliarì  germanici 
de' Romani  contro  il  nemico.  Vi  si  osserva  la  macchina  ba- 
lista, e  nel  mezzo  è^  l'imperatore  alla  testa  dell'esercito  coi 
suoi  generali,  o  legati. 

Vien  poi  il  famoso  simulacro  di  Giove  Pluvio  che  stende 
la  destra  propizia  ai  Romani ,  e  la  sinistra  sfavorevole  ai 
barbari.  È  allusivo  alla  pioggia,  che  prodigiosamente  ristorò 


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—  109  — 
l'esercito  romano  nel  punto  di  perire  di  sete,  al  quale  i  sol- 
dati pagani  attribuirono  il  miracolo  di  Giove,  e  quelli  cri- 
stiani  alle  loro  orazioni  a  G.  &  I  Romani  ricevono  la  pioggia 
salutare  negli  scudi,  ed  i  Quadi  unitamente  ai  loro  cavalli 
sono  colpiti  ed  uccisi  da  fulmini  dal  piovente  braccio  sinistro 
di  Giove;  i  mariti  colle  mogli  ed  i  figliuoli  Quadi  fuggono 
a  M.  Aurelio  come  per  rifugiarsi  pk-esso  una  divinità.  I  Ro- 
mani riprese  le  forze  sconfiggono  il  nemico;  M.  Aurelio  h 
innanzi  alla  sua  tenda  mandando  la  fanteria  e  cavallerìa  nei 
campi  nemici;  e  vi  è  il  carro  sarmatico  tirato  da  bovi.  Avendo 
disfatti  i  barbari,  i  Romani  occupano  i  loro  pagbi  o  paesi, 
e  l'incendiano  con  faci.  1  vinti  implorano  clemenza,  ed  i  figli 
e  le  mogli  si  fanno  prigionieri  e  schiavi.  Ciò  faJ;to,  il  cle- 
mentissimo  Mai-co  perdona  alle  suppliche  dei  Germani ,  ed 
ordina  il  fine  delle  stragi.  1  bovi  predati  si  portano  alHm- 
peratore,  col  regolo  e  la  moglie  schiavi.  Marco  si  ferma  nella 
riva  del  fiume,  ed  un  regolo  dalia  sponda  opposU  tende  le 
braccia  supplichevoli  arrendendosi  all'imperatore. 

Così  dai  Quadi  Marco  passa  in  Boemia,  ovvero  nei  Mar- 
comanni.  Vi  si  vedono  i  grani  con  spighe  della  fertile  Ger- 
mania per  indicare  che  ciò  avvenne  di  estate,  e  il  fiume  rap- 
presenta il  Cuso  in  Transilvania.  Vi  si  osservano  due  donne 
contadine  fra  il  grano,  che  trovandosi  spaventate  dal  com- 
battimento delle  due  armate  fuggono  verso  la  ripa  del  fiume. 
Siegue  il  combattimento   dei  Romani   coi   nemici  ed  un 
soldato  marcomanno  ferito,  cadendo  da  cavallo,  viene  trafitto 
ed  ucciso  da  un  Romano  vittorioso  presso  i  compagni  a  piedi 
che  colle  aste  fanno  fronte  alla  caralleria.  Vi  sono  due  carri 
o  carretti  eguali,  il  primo  tirato  da  due  muli  ed  il  secondo 
da  due  bovi ,    portando  ciascuno  una  botte  di  legno  come 
le  presenti  che  usansi  per  il  vino,  e  si  conducono  i  prigio* 
nieri  innanzi  all'imperatore  colle  mani  legate  dietro  le  spalle. 
Marco  Aurelio  vedesi  alla  testa  della  cavalleria,  inseguendo 
il  nemico,  ed  essi  sopraffatti  si  danno  la  morte  precipitan- 
dosi dall'alto  in  uno  sprofondo  fin  dove  li  aveva  incalzati 
Tiraperatore.  Vi  si  osserva  un  carro  a  quattro  ruote  tirato  da 
due  cavalli,  e  ripieno  di  scudi,  aste  ed  altre  cose  per  l'uso 
dell'esercito  romano.  Scorgonsi  i  soldati  romani  rappresentati 
in  due  barche  trapassando  un  fiume  con  gli  arcieri 'ausiliari 
germani,  che  si  spediscono  verso  il  nemico.  Proseguendo  il 
giro  dei  bassirilievi  intomo  alla  colonna,  vedesi  un  carro  a 
quattro  ruote  tirato  da  due  cavalli,  e  condotto  da  soldati  ro- 
mani, che  h  ripieno  di  armature.  È  M.  Aurelio  innanzi  alla 


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—   110  — 
porta  pretoria  del  castrò  in  piedi  sul  suggesto ,    e  comanda 
di  trapassare  il  fiume.  Si  scorge    pure   in  questa  parte  un 
combattimento  fra  la  cavalleria  romana,  e  la  quada  e  sarmata. 

Passato  il  fiume  per  un  ponte  di  legno  formato  su  barche 
e  cambiata  la  sede  delia  guerra,  mirasi  V  imperatore  velato 
in  atto  di  sacrificare  a  Giove  e  a  Marte,  un  toro  ed  un  ariele 
col  Camillo  o  garzoncello  de^sacrifizj  tenente  la  cassetta  degl'in- 
censi chiamata  acerra;  un  soldato  coronato  d^alloro  a  guisa 
di  altro  ministro  conduce  il  bue  innanzi  al  tripode  ardente 
di  metallo,  mentre  dietro  h  preparato  il  vittimano  popa  colia 
scure.  Sulla  destra  mirasi  altro  ponte  di  barche  dove  trapassa 
l'esercito  romano  su  d'un  altro  canale  del  fiume  Granua  che 
sbocca  sul  Danubio.  Fra  i  due  ponti  h  un  cavallo  solo  e 
nudo,  che  corre  su  d'un  cadavere  di  Germano,  mentre  un 
Romano  altro  ne  uccide;  e  sopra  è  altra  parte  del  combat' 
tiraento  fra  i  Romani  coi  Marcomanni,  e  Sarma,ti. 

M.  Aurelio^  entrato  in  Sarmazia,  riceve  i  legati  entro  gli 
accampamenti  chiedendo  le  coudizioni  di  pace.  Siegue  M.  Aurelio 
che  dato  il  segnale  alle  legioni  già  suona  un  tibicino  nella 
fronte  del  fiume  e  traversano  con  barche  all'  altra  sponda. 
L'imperatore  già  a,  cavallo,  è  alla  testa  della  legione  fulmi- 
natrice^  che  già  nella  riva  opposta  del  fiume  con  impeto  fa 
indietreggiare  il  nemico.  La  cavalleria  sarmatica  vien  circon** 
data  dalla  fanteria  romana.  Il  marmo  nella  colonna  siegue 
molto  guasto,  ma  vi  si  distingue,  che  battuti  i  nemici  dall'altra 
parte  del  fiume,  l'esercito  romano  in  quella  regione  si  avanza, 
avente  l'imperatore  alla  testa  colle  insegue,  il  tibicino,  ed  i 
carri  pieni  d' armi.  Vi  si  vedono  sopra  le  tende ,  e  quindi 
l'imperatore  che  tratta  coi  legati  dei  nemici  intorno  alla  guerra. 
11  legato  che  parla  con  Marco,  credesi  essere  Elvio  Pertinace, 
che  dopo  Comodo  figlio  delF  imperatoire  successe  ad  esso 
nell'impero.  Gli  arcieri  germani  si  battono  in  difesa  dei  suoi, 
e  vi  è  un  carro  a  quattro  ruote  tirato  da  due  cavalli  e  spet- 
tante ai  Romani. 

I  regoli,  o  prìncipi  dei  paghi,  uniti  colla  plebe  in  cam- 
pagna, sono  congregati  a  pubblico  concilio  intorno  alla  guerra 
verso  i  Romani.  Mentre  i  primi  siedono,  arriva  improvisa- 
mente  M.  Aurelio,  e  compenetrati  alcuni  si  prostrano  o  s'in- 
ginocchiano. La  scena  è  vicino  a  un  pago  con  poita  e  case 
fatte  di  muro,  e  con  loggia  coperta,  tetto  e  finestre  simili 
alle  nostre. 

Viene  un  edifizio  romano  costrutto  di  pietre  quadrale,  e 
a  tre  piani,    e  con  altrettante  fenestre,   ove  sono  afiacciati 


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—   Hi  — 
1  Germani  prigionieri.  Un  regolo,  o  legato  si  presenta  a  Marco; 
i  vici  o  paghi  con  case,  o  capanne  di  stoppie  invadono  i  Ro* 
mani,  mentre  acremente  combattono  col  nemico. 

Le  donne  germane  abbandonano  queste  dimore»  fuggendo, 
per  guardarsi  dall' esser  fatte  schiave,  nei  boschi  e  paludi. 
M.  Aurelio  parla  ai  Germani  nascosti  nelle  paludi ,  mentre 
sono  sorpresi  dai  Romani  ,  ed  uno  già  implora  clemenza 
dall'imperatore. 

Tolti  gli  armenti  o  bestiami,  i  soldati  incendiano  le  case, 
mentre  arde  fervida  la  battaglia  da  ogni  parte.  Sopraffatti 
i  Germani,  vengono  fatti  prigionieri  e  schiavi.  Fra  questi  è 
una  donna  con  corona  radiata  da  regina  accompagnata  da 
altra  femmina,  per  la  sua  dignità. 

Indi  segue  Àf.  Aurelio,  che  ordina  che  si  ricerchino  i  ne- 
mici nascosti  nelle  paludi ,  ed  i  soldati  alcuni  portano  faci 
per  essere  la  scena  di  notte.  I  Germani  vengono  posti  in  fuga, 
e  M.  Aurelio  in  piedi  sul  suggesto  riceve  i  regoli,  o  legati 
che  gli  chieggono  la  pace.  Alcuni  hanno  in  testa  il  pileo  o 
cappello;  e  la  cavalleria  de'Germani  fugge  vinta  dalla  fanteria 
deiresercito  romano,  ed  a  destra  veggonsi  due  castri  romani 
costrutti  di  pietre  quadrate  con  entro  i  legionari  in  stazione. 

Indi  viene  un  grande  combattimento  di  Marcoinanni,  Quadi 
e  Sarmati  contro  i  Romani,  e  perdendo  i  Germani,  lasciano 
molti  morti  sul  terreno.  L*imperatore  impadronitosi  delle  vaste 
loro  regioni,  riceve  i  legati,  e  consiglia  i  tribuni  ad  estin* 
guere  le  reliquie  delle  armate  nemiche. 

Viene  l'ultimo  tentativo  di  battaglia  data  dai  Germani  dopo 
di  avere  ricomposte  le  forze,  ma  ?engono  disfatti  di  nuovo. 
I  regoli  e  magistrati  dì  essi  si  prostrano  a  M.  Aurelio  implo- 
rando clemenza. 

Seguono  i  Romani  che  fatta  la  testuggine  cogli  scudi , 
danno  l'assalto  ad  un  castello  nemico.  I  Germani  gli  tirano 
sópra  grandi  pietre  e  ruote  di  carri;  alcuni  soldati  romani  por<- 
tano  faci,  mentre  la  cavalleria  colle  lancie  ferisce  i  nemici. 

Dall'altra  parte  segue  l'allocuzione  dell'imperatore  ai  capi 
dell'esercito,  stando  sul  suggesto  in  mezzo  alle  insegne.  Indi 
viene  un  trofeo  formato  colle  spoglie  de' Germani,  e  presso 
questo  mirasi  la  Vittoria  alata  che  scrive  In  un  clipeo,  o  scudo, 
come  viene  rappresentata  nelle  monete  dell'imperatore  vie. 
GER.  Victoria  germanica. 

Viene  un  trofeo  avente  come  l'altro  indicato  le  insegne 
nemiche  del  dragone,  e  nella  sommità  la  galea  od  elmo  di 
raro  uso  in  Germania. 


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112  — 

SECONDA    GUERRA    GERMANICA 

Avendo  M.  Aurelio  trionfato  nel  suo  ritorno  in  Roma  , 
ed  estinto  Cassio,  i  Germani  cospirano  di  nuovo  contro  Tim- 
pero  romano.  M.  Aurelio  nuovamente  parte  per  la  Germania, 
ed  intraprende  la  seconda  guerra  per  reprimerli.  1  principi 
della  Germania  ed  i  maggiori  per  nascita  e  nobiltà  con  i  figli 
supplichevoli  si  avanzano  alfimperatore,  indicando  colie  mani 
la  loro  fedeltà,  e  sottomissione  alia  sua  persona. 

La  cavalleria  romana  circonda  la  truppa  germanica  a  piedi, 
che  si  era  nascosta  in  una  selva.  Le  donne  ed  i  vecchi  di 
quelle  campagne  piangono  la  schiavitù,  venendo  col  bestiami 
in  potere  dei  vincitori.  La  cavalleria  parte  h  composta  di 
arcieri,  e  parte  con  spade;  poi  segue  il  marmo  corroso  in  cui 
appena  distinguonsi  dieci  figure. 

Seguono  i  palafrenieri  che  conducono  i  cavalli  dei  regoli, 
ed  essi  invece  di  avere  la  falera  sul  dorso  come  quelli  dei 
Romani ,  hanno  una  piccola  sella  somigliante  all'  odierne  di 
cavallerizza.  Un  re  de'Quadi,  o  de'Marcomanni  parla  vicino 
alla  ripa  di  uno  stretto  fiume,  ed  in  fede  riceve  un  principe 
di  altra  citta  come  socio  nella  guerra  contro  i  Romani. 

Le  donne  germane  veggonsi  afflitte  ed  esanimi  per  il  dolore 
e  la  paura  di  essere  tratte  in  Ischia vitù.  Vi  si  osservano  sol- 
dati con  corazze  squamate  e  a  maglia.  Un  regolo  de'  Quadi 
tiene  nella  destra  lo  scettro  o  indicolo  del  comando  ,  ordi- 
nando il  taglio  delle  teste  a  molti  Germani  che  eransi  stretti 
in  fede  e  società  coi  Romani.  A  due  già  sono  troncate  le  teste 
che  giacciono  sul  suolo;  ad  uno  il  soldato  germano  sta  in  atto 
colla  spada  di  troncargliela,  e  agli  altri  già  si  legano  le  mani 
dietro  la  schiena  per  porli  al  supplizio. 

I  magnati  o  principali  germani,  tendono  le  mani  suppli- 
chevoli al  buon  M.  Aurelio,  sedente  fra  due  altri  personaggi 
romani,  ed  in  quello  a  destra  forse  si  ravvisa  Commodo  suo 
figlio  che  lo  accompagnò,  secondo  Lampridìo,  a  questa  se- 
conda guerra  della  Germania.  Siegue  un  combattimento  fra 
Romani  e  Germani  a  piedi  ed  a  cavallo. 

Indi  i  Germani  che  incalzati  dal  grosso  della  cavalleria 
romana  si  danno  alla  fuga  su  i  loro  cavalli. 

Poi  veggonsi  i  bovi  e  le  pecore,  provenienti  dalle  deserte 
campagne^  ed  i  Romani  si  accorgono  che  i  Germani  si  rifug- 
giano  nelle  selve.  Un  soldato  vittorioso  presone  uno  per  i  ca- 
pelli, che  invano  tenta  liberarsi  dal  ferro,  glielo  infigge  nel 
cranio,  ed  un  altro  barbaro  trepidante  cerca  di  fuggire.  Si  cou- 


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H3   

ducono  prigionieri  due  regoli  colle  mani  legate  dietro  le  spalle^ 
e  le  tarme  dei  cavalieri  romani  hanno  corazze  squamate. 

A  Marco  Aurelio  seduto  nella  sella  castrense^  si  portano 
dai  soldati  due  teste  di  regoli,  insieme  ad  un  prigioniero^ 
ed  a  destra  miransi  i  Romani  che  si  dirigono  verso  il  ne- 
mico,  ed  aggrediti  parte  li  ricoprono  di  ferite  e  parte  li  ri- 
ducono in  servitù. 

In  questo  fatto  essendone  stata  grande  la  strage»  essi  si 
rendono  prigionieri;  un  vessillifero  di  loro  con  alcuni  perso- 
naggi di  alta  condizione,  unitamente  alle  donne  vengono  con- 
dotti in  servitù  dai  soldati  romani.  La  madre  conduce  due 
figli,  e  mentre  un  altro  in  età  maggiore  sta  in  atto  di  ab- 
bracciarla ,  gli  vien  tolto  da  un  soldato  romano.  In  questa 
parte  sopra  le  teste  sono  i  rappezzi  eseguiti  da  Sisto  V  , 
essendo  stata  la  colonna  danneggiata  da  un  fulmine. 

Fra  i  caduti,  se  ne  alza  uno  vivo,  dandosi  prigioniero^ 
ma  uu  soldato  romano  presolo  di  dietro  per  i  capelli  gl'in- 
figge  il  ferro  nel  collo.  Da  tutte  le  parti  si  conducono  pri- 
gionieri a  Marco  accompagnato  da  Commodo  suo  figlio;  si 
bruciano  le  loro  case,  e  questa  parte  ha  subito  molto  ristauro. 

Siegue  una  battaglia  equestre,  dove  i  Germani  volgono 
le  spalle.  Fuggendo  dai  monti  Tengono  uccisi  dai  Romani  , 
ed  alcuni  tornati  in  dietro  si  arrendono  ad  essi. 

Le  pecore,  le  capre,  i  buoi  ed  i  vitelli  predati  nei  loro 
terreni  si  conducono  in  alimento  dell'esercito  romano.  Prece^ 
dono  donne  fatte  schiave;  e  prima  soldati  smontati  dai  ca- 
valli, ed  uno  snl  cavallo  inseguendo  un  cavaliere  barbaro. 

L'imperator  M.  Aurelio  offre  agli  Dei  sull'ara  accesa  fiori 
e. frutta,  e  colla  patera  vi  Versa  il  vino,  e  secondo  il  co- 
stume innanzi  alla  battaglia  sacrifica.  Di  fronte  ad  esso  sono 
tre  stendardi,  ovvero  insegne  di  tre  legioni.  Siegue  appresso 
r  imperatore  loricato  con  lancia ,  e  preceduto  dalla  fanteria 
che  attacca  il  nemico,  mentre  i  cavalieri  accorrono  da  ogni 
parte  facendo  grande  strage.  Questa  parte  della  colonna , 
avendo  molto  sofierto,  subì  variì  arbitrari  restauri. 

Succede  la  strage  de'  Germani ,  ed  essi  vinti  per  dritto 
delle  genti  i  superstiti  al  combattimento  si  fanno  schiavi. 
Siegue  la  cavalleria  de*Germani  con  aste,  e  due  insegne,  ed 
ì  soldati  hanno  iil  testa  il  pileo. 

L'imperatore  per  mezzo  di  un  ponte  costrutto  su  barche, 
insieme  coll'esercito,  passa  un  fiume.  Alla  coda  delle  Legioni 
romane,  marciano  gli  arcieri  ausiliari  germani  con  testa  pure 
coperta  da  pileo.  La  testa  dell'esercito,  già  passato  il  fiume, 

16 


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—   114  — 
Granua,  o  il  Vistolo  od  altro,  aggredisce  ed  arreca  grande 
strage  al  nemico. 

Siegue  la  carneficina,  e  la  schiavitù  de'Germani,  che  ap- 
pena si  ravvisano,  essendo  i)  marmo  estremamente  guasto* 

Vedesi  M.  Aurelio  in  mezzo  a  due  personaggi  o  legati 
romani.  Si  osservano  le  guardie  innanzi  alle  tende  dell'impe- 
ratore e  dei  tribuni  nel  pretorio  ,  ed  i  soldati  discendono 
nelle  navi  governate  da  loro  stessi. 

Le  centurie  del  corpo  de*  labbri  edificano  un  castroi  ed 
uno  di  essi  porta  sulle  spalle  una  pietra  quadrata  reggen- 
dola legata  con  fune.-  Siegue  l'allocuzione  che  fa  M.  Aurelio 
ai  soldati,  che  indossano  gabbano^  o  sopravveste^  veste  per 
tutelarsi  dalla  pioggia  e  dal  freddo. 

Trapassato  un  fiume,  i  Romani,  per  mezzo  del  solito  ponte 
di  legno  sopra  le  barche  ,  assalgono  i  Germani  o  Sarnati , 
traendoli  in  servitù,  unitamente  alle  loro  donne  e  figliuoli. 
Sieguono  i  soldati  ragunati  sotto  il  suggesto  su  cui  paria 
l'imperatore,  accompagnato  dai  legati,  dai  tribuni  e  dalle 
insegne.  Indi  vengono  i  bovi,  e  i  Germani  fatti  schiavi  colle 
mani  legate  dietro  le  spalle,  fra  ì  quali  due  giovani  attac- 
cati o  legati  insieme. 

Siegue  un  combattimento  della  cavalleria  romana  per  fare 
passaggio  sopra  d'un  ponte  stabile  di  legno  su  d'un  fiume 
guardato  dalia  fanteria  nemica  ,  facendone  di  essa  grande 
strage.  Il  fiume^  sia  l'Elba  od  altro  della  Germania  o  Sar- 
mazia  che  scarica  nel  Danubio,  non  si  può  afiermare*  Seguita 
M.  Aurelio  a  cavallo  ,  ed  alla  testa  di  tutto  1*  esercito  per 
passare  l'indicato  ponte. 

Indi  viene  una  battaglia  equestre  fra  Romani  e  Germani, 
dandosi  questi  alla  fuga,  e  lasciando  molti  morti  sul  terreno. 

Poi  miransi  tre  carri  pieni  di  armi  e  vettovaglie  ,  due 
de'quali  a  due  ruote  tutte  d'un  pezzo  senza  raggi  e  due  con 
raggi,  e  profusi  ornati.  Poi  si  vede  la  costruzione  di  un  castro 
per  parte  delle  centurie  dei  fabbri,  uno  de'quali  con  maz«- 
zuolo  e  scarpello ,  lavora  una  pietra ,  ed  altro  col  modulo 
prende  misura  d'una  trave. 

M.  Aurelio  è  sul  suggesto  con  Commodo  suo  figlio  ed 
altro  personaggio  o  legato,  parlando  ai  soldati  ragunati  colle 
insegne.  Le  tende  non  sono  nel  castro  ma  nella  campagna 
per  la  necessita  della  guerra. 

La  fanteria  romana  distrugge  alcune  compagnie  equestri 
germaniche;  e  le  donne  fuggite  a  nascondersi  nelle  paludi^ 
e  nei  monti ,  vengono  fatte  schiave  dai  soldati  romani  ^  ed 


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—  115  — 
UAft  impaurita  della  morte ,  ritiene  il  braccio  di  un  soldato 
che  gli  trafigge  il  petto  col  ferro.  M.  Aurelio  accompagnalo 
da  tre  alti  personaggi  militari  assiste  alla  distruzione  di  un 
castro  che  era  formato  al  solito  di  pietre  quadrate.  La  ca- 
vallerìa romana,  dopo  fatta  grande  strage  delia  fanteria  ger- 
manica, preda  i  bestiami  loro  ed  insegue  i  suoi  cavalieri. 

Siegue  r  allocuzione  di  M.  Aurelio  ai  soldati  con  vesti 
d'inverno,  e  sempre  accompagnalo  dai  due  soliti  personaggi. 
Poi  è  l'imperatore  affacciato  dall'alto  del  pretorio,  ai  quale  per 
due  ingressi  si  entra  con  doppia  scala,  e  nel  mezzo  di  queste 
entrate  mirasi. un  gran  portone.  I  soldati  incendiano  le  case 
de  Germani  al  solito  di  forma  rotonda,  costrutte  di  paglia  e 
di  vimini  con  doppia  porta,  facendo  schiavi  i  loro  abitanti. 

Bruciati  i  vici ,  i  Germani  si  ritirano  nelle  selve  ^  dove 
vengono  fatti  schiavi  dai  Romani,  ed  uno  di  essi  si  prostra 
ìa  ginocchio.  Indi  si  vedono  i  fagotti  militari  de'Romani  por- 
tali dentro  un  carro  tirato  da  due  cavalli ,  e  molti  soldati 
che  marciano  con  corazze  di  greve  armatura,  spettanti,  come 
ai  h  veduto  altre  volte,  ai  corpi  dei  fabbri.  Indi  mirasi  l'im- 
peratote  innanzi  la  truppa  a  piedi,  e  poscia  la  cavalleria. 

I  vincitori^  progredendo  innanzi,  sbaragliano  le  forze  ne- 
miche, lasciando  molli  morti  sul  terreno.  Sulla  destra  viene 
M.  Aurelio  che  conferma  la  vittoria,  mettendo  colla  sua  cn- 
Tallerìa  in  fuga  quella  del  nemico.  Nel  mezzo  vedesi  uìt  castro 
merlato,  e  nella  sinistra  miransi  le  donne  germaniche  che  si 
conducono  schiave. 

M.  Amelio  a  cavallo  con  i  due  legati  o  personaggi,  sta- 
bilisca di  portare  aiuto  agli  assaliti  castri,  passando  il  fiume 
sopra  un  ponte  formato  di  barche  e  col  grosso  del  suo  eser- 
cito a  cavallo  ed  a  piedi.  Le  fortificazioni  vengono  liberate, 
facendosi  grande  strage  del  nemico.  Dentro  il  castro  veggonsi 
alcune  beiti  di  legno  cerchiate  come  si  usa  oggidì. 

Pecore  e  capre  sono  condotte  da  soldati  nel  castro.  M. 
Aurelio  è  presente  alla  partenza  dell'  esercito  che  porta  su 
carro  tifato  da  buoi  armature,  e  acafe  o  barche.  Si  tralasciò 
dì  notare,  che  come  si  vede  in  altri  monumenti  i  soldati  por^ 
tane  legato  al  collo  un  fazzoletto  o  cravatta. 

L'esercito  indi  passa  su  d'un  ponte  stabile  di  legno.  M. 
Aurelio  riceve  un  legato  supplichevole,  ed  i  Germani  raccolti 
in  pubblico  concilio  decretano  di  arrendersi. 

Due  piccoli  castelli  o  propugnacoli  ,  costrutti  di  pietre 
quadrate  e  con  merli  ,  veggonsi  in  ambedue  le  ripe  di  un 
fiume,  e  da  questa  parte  il  marmo  ha  molto  sofferto. 


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—   116  — 

M.  Aurelio  vittorioso  stende  la  destra  ai  popoli  germa- 
nici supplichevoli,  e  mogli  e  mariti  sopra  scafe  per  il  fiume 
vanno  da  Marco  ,  ed  altre  vi  si  conducono  con  carri  tirati 
da  bovi,  mentre  molti  Sarmati  conduconsi  a  cavallo.  In  altra 
regione,  passando  con  barche  un  fiume  i  soldati  romani  por* 
tano  gli  schiavi,  alcuni  de'qoali  in  ginocchio  supplichevoli. 

Finalmente  vengono  i  bovi,  capre  e  pecore  predate. 

Tornando  ora  alla  descrizione  delle  vicende  della  colonna, 
ad  essa  certamente  fu  tolta  la  statua  di  M.  Aurelio  in  me- 
tallo dorato  nella  sommità,  allorché  Costante  II  o  Costantino  IH, 
Tanno  663  dell'era  volgare,  spogliò  Roma  di  quasi  tutti  i  bronzi 
rimasti  che  V  adornavano.  Il  liber  pontificalis  che  va  sotto 
il  nome  di  Anastasio,  parlando  della  venuta  in  Roma  di  tale 
imperatore,  dice  nella  vita  di  papa  Vitaliano:  Omnia^  quae 
erant  in  aere  ad  ornatum  civitatis  deposuit^  sed  et  Eccle" 
siam  beatae  Mariae  ad  Martjres^  cioè  il  Panteon,  quae  de 
tegulis  aereis  erat  coperta  ^  discoperuit.  Et  in  regiam  urbem^ 
ConstantinopolimyCum  aliis  dis^ersis  quaedeposueratjdirexit^ 
Indi  Io  stesso  biografo  nella  vita  di  papa  Adeodato  narra 
che  tutti  quei  metalli  li  seguì  Costante  fino  a  Siracusa.  Ivi 
dopo  ucciso  r  imperatore  in  un  bagno,  essendo  stata  presa 
tal  citta  dai  Saraceni  Tanno  669  portarono  via  un  gran  bot- 
tino, nel  quale  si  compose  secondo  Paolo  Diacono  De  Gestis 
Longobardorum^  Lib.  X,  e.  w  e  <3,  il  metallo  che  Costan- 
tino, aveva  involato  a  Roma. 

L'anonimo  Einsiediense,  o  pellegrino,  che  visitò  Roma  nel 
principio  del  secolo  IX,  edito  dal  Mabillon  nel  fine  dei  suoi  f^- 
tera  jénalecta,  indicando  quel  visitatore  i  monumenti  che  s'in- 
contravano andando  dal  Panteon  verso  porta  Salaria,  mostra 
in  sinistra  columna  jintonini.  E  qoindidescrivendo  la  strada 
da  s.  Lorenzo  in  Lucina  al  Panteon,  prima  ricorda  l'arco 
trionfale  di  L.  Vero  e  M.  Aurelio  fra  il  cantone  della  via 
della  Vite  ed  il  palazzo  Piano,  poscia  Tobelisco  nell'orologio 
solare  di  Augusto,   e  quindi  la  Columna  jintonini. 

Il  nominato  arco  fu  atterrato  d'ordine  di  Alessandro  VII 
Tanno  1662,  perchè  toglieva  lo  spazio  e  la  visuale  alla  strada 
del  Corso. 

L'anno  955  papa  Agapito  II  confermando  i  beni  al  mo- 
nastero dei  Benedettini  detto  Catapauli  ^  ossia  della  chiesa 
de' santi  Stefano,  Dionisio  e. Silvestro,  gli  concedette  questa 
colonna  col  terreno  alT  intorno ,  come  leggesi  nelT  apografo 
che  si  conserva  nell'archivio  della  nominata  chiesa  ora  chia- 
mata s.  Silvestro  in  Capite.  In  tal  manoscritto  in  pergamena 


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—  117  — 

viene  designata  la  colonna  di  cui  parliamo  col  titolo  di  ma- 
iorem^  per  distinguerla  dalla  vicina  colonna  onoraria  di  gra- 
nito rosso  egizio  dedicata  ad  Antonino  Pio  ,  M.  Aurelio  e 
L.   Vero  suoi  figlia  di  cui  parleremo  a  suo  tempo. 

L'anno  1084|  ai  tempi  di  Gregorio  VII,  entrò  in  Roma  per 
la    porta    Flaminia    come    nemico  Roberto  Guiscardo    contro 
Enrico  IV  re  de'Romani,  portando  guasto  e  fuoco  dal  punto 
della  nominata  porta,  ora  del  Popolo,   fino  a  s.  Silvestro  in 
CapitCj  onde  la  colonna  ne  ricevette  dei  danni.  Essendo  stato 
dai  Romani  respinto,  rientrò  di  nuovo  per  la  porta  Asinaria 
corrispondente  all' odierna  di  s.  Giovanni,  ed  incendiò  tutto 
fra  il  Laterano  ed  il  Campidoglio  ,    ridusse  questa  parte  in 
un  mucchio  di  sassi ,    come  riferisce  Romualdo  da  Salerno 
riportato  dal  Muratori  presso  i  Rerum  hai.  Script.  T.  VII. 
1   benedettini  tenendo  sempre  in  possesso  l'indicata  chiesa  di 
s.  Silvestro  e  sue  adiacenze,  vicino  alla  colonna  avevano  edi- 
ficato una  chiesa  sacra  a  s.  Andrea  de  Columna ,    e  questo 
terreno  dopo  ia  rìferila  catastrofe  lo  diedero  in  affitto  uni- 
tamente all'ultima  nominata  chiesa.  Cessata  però  quejla  ur- 
genza  cagionata   dai    guasti  ricevuti  dal  Guiscardo,    Pietro 
abbate  del  monastero  di  s.  Silvestro  Tanno  ino  lo  riprese, 
pubblicando    una  solenne    inibizione    sotto    pena    di    scomu- 
nica per  gli  altri  abbati  successori  e  monaci  che  osassero  di 
affittarlo  ,    dichiarando  pure  sagrilego  ,    rapitore  ed  invasore 
delle  cose  sagre  chi  avesse   sottratta  la  colonna  al  suddetto 
monastero.  Di  questo   atto   rimane    la    lapide  contemporanea 
nel  portico  della  chiesa  di  s.  Silvestro.  Siccome  questa  iscii- 
zione  è  piena  di  nessi  e  non  a  tutti    commune  di  leggerla, 
COSI  il  Nibby  nella  sua  Roma  nell'anno  mdcccxxxyh  Parte  li 
Antica^  pag.  643  la  trascrisse  cosi  in  caratteri  corsivi:  Quo- 
niam  columpna  Antonini   iuris   monasterii  sanpti  Sihestri 
et  ecclesia  sancii  Andreae   quae    circa    eam   sita  est  cum 
oblationibus  quae  in  superiori  altari  et  inferiori  a  peregrinis 
tribuuntur  longo  iam  tempore  locatione  a  nostro  fuit  alienata 
monasteric,  ne  idem  contingatj  auctoritate  Petri  apostolorum 
principis  et  Stephani ,  et  Dionisii  ,  et  confessoris  Silvestri 
maledicimus  et   rinculo    ligamus   anathematis   abhatem   et 
monachos  quicumque  columpnam  et  ecclesiam  locare  vel  be- 
neficio dare  praesumpseritj  si  quis  ex  honUnibus  columpnam 
per  ifiolentiam  a  nostro   monasterio    subtraxerit  perpetuae 
maledictioni  sicuti  sacrilegus  et  raptor  et  sanctarum  rerum 
invasor  subiaceat  et  anathematis  rinculo  perpetuo  teneatur. 
Fiat.  Hoc  actum  est  auctoritate  episcoporum  et  cardinalium 


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118    

et  multorum  clericorum  atqae  laicorum  qui  interfiieruut. 
Petrus  Dei  gratta  hunulis  abhas  huius  sancii  cenobii  cum 
fratribus  suis  fecit  et  confirmavit  anno  Domini  millesimo 
centesimo  decimo  nonoj  indictione  XII.  Fino  a  die  tempo 
la  colonna  rimanesse  in  possesso  del  più  volte  ricordato  mo* 
nasteroy  è  incerto.  Nel  secolo  XIII  vien  rammentata  la  co<* 
lonna  presso  il  Palatium  (i),  da  Martino  Polono  Ckì\  L.  I, 
cioè  iniianxi  al  tempio  di  M.  Aurelio  che  si  ritrovava  ove  ora 
esiste  il  palazzo  Chigi;  e  poscia  la  colonna  vien  ricordata  nei 
Mirabilia  Romae.  Il  Petrarca  nella  sua  lettera  a  Giovanai 
Colonna,  parlando  dei  monumenti  di  Roma  disse:  Haec  An^ 
t€nini  columna. 

Poggio  Bracciolini  fiorentmo  de  f^ariet.  Fortunae,  Lib.  /, 
la  mostra  danneggiata  dal  fulmine,  e  in  tal  modo  vedesi  incisa 
a  pagina  i5i  delle  Antichità  della  città  di  Roma  del  Gamucci 
edizione  seconda,  ed  in  tutti  gli  altri  disegni  del  secolo  XVL 
Kel  fine  di  questo,  cioè  nell'anno  1580,  Sisto  V  vi  fece  no- 
tevoli ristauri,  servendosi  del  rinomato  architetto  Domenico 
Fontana.  Vi  pose  nella  sommità  la  statua  in  bronzo  di  s.  Paolo, 
spendendovi  in  tutto ,  compreso  il  rista  uro  della  colonna  , 
9640  scudi,  come  si  ha  dagli  estratti  dei  conti  Camerali  pub- 
blicati dal  Fea  nella  sua  Miscellanea  Tom.  11^  pag.  a.  La 
statua  fu  modellala  da  Costantino  de'Servi  e  venne  (usa  da 
Bastiano  Torrigiani.  DoroUa  Tommaso  Moneta,  e  nei  registri 
Camerali  cosi  si  riporta: 

A  Costaniino  deSersd  scultore  per  il  modello  della 
statua  di  S.  Paolo Se.    2S0 

A  Bastiano  Torrigiani  fonditore  per  il  gettito  della 
medesima        ....     « Se.  1942 

A  Tommaso  Moneta  per  doratura  della  statua  , 
benché  più  piccola  dell'altra  di  San  Pietro  pagatagli 
la  stessa  somma  di Se.    165 

Per  trasporto  della  medesima  dalla  fonderia  alla 
piazza  tirata  da  s  camalli Se.      25 

Per  remozione  fatta  d'ordine  di  Sisto  f^  della  statua 
posta  colla  faccia  verso  il  Popolo^  e  w^tata  di  poi  wrso 
la  Basilica  /Vaticana Se.    300 

Se.    2682 


(1)  Con  tal  nome  s^indtcftva  qualun(|u«  edifizio  nel  medio  evo,  assai  vasto. 


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—   119   — 

Se.    26»2 

//  metallo  della  Camera  posto  in  opera  per  la  fu- 
sione della  statua^  diadema  j  e  spada  furono  nette  di 
calo  libbre  12777,  che  a  baj.  12  la  libbra  sono  Se,  I897,i2. 

M  casfaliere  Domenico  Fontana  per  compra  de'marmi^ 
restauri  alla  colonna^  e  collocazione  della  statua.    Se.  499a 

ji  Sella  LongOf  Paolo  e  Costantino  de  Sersfi  scul- 
tori per  i  lawri  di  loro  arte  fatti  alla  Colonna.     Se.  1335 

j^d  Antonio  Mambrilla  ferrare Se.    535 

A  Gio.  Pietro  carrettiere  per  porto  di  pietre.    Se.      98 

Totale  Se.  9640 

Il  FonUaa  diede  al  piedestallo  la  forma  predente^  ponen- 
dovi Dei  quattro  lati  queste  iscrizioni  ehe  ivi  si  leggono: 


SIXTVS  .  V  •  PONT  •  MAX  SIXTVS  V  .  PONT  .  MAX 

OOLVMNAM    HANC  COLVHNAM    HANC 

GOCflLIDBM  AB  .  OMNI  .  iMPlBTATfi 

JMP  .  ANTONINO    DIGATAM  EXPVRGATAM 

MISERE  .  LAGERAM  S  •  PAVLO  .  APOSTOLO 

RVINOSAMQVE  .  PRIMAE  AENEA  .  EIYS  «  BTATVA 

FORMAB  RfiSTlTVlT  INAVRATA  •  IN  .  SVMHO 

AN  MDLXXXIX  .  PONT  .  lY  VERTICE  •  POSITA  .  D  .  D 

A  .  MDLXXXIX  .  t^ONT  .  IV 

2  4 

M  .  AVRELIVS  .  IHP.  TRIYMPHALIS 

ARMENIS  •  PARTHIS  ET  .  SAGRA  •  NVNG  .  SVM 

GBRMANISQVE  .  BELLO  GHRISTi  «  VERE  •  PIVM 

MAXIMO  DEVIGTIS  DlSGIPVLVM  .  FERBNS 

TRIVMPHALBM  .  BANG  QVI  .  PER  .  GRVCIS. 

GOLVMNAM  .  RBBV6  PRAEDICATIONEM 

GBSTIS  .  INSIGNBM  DE  .  R0MANI6 

IMP  .  ANTONINO  PIO  BARBARISQVB 

PATRI  DIGAVIT  TRIVMPHAVIT. 


(Continua)! 


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—    120   — . 
XXUI. 

DELLA  PROSOPOGRAFIA 

LEZIONE    DEL    PROFESSOR    GABRIELE    DeYLA 

Fine  (I) 

DEI  CAPELLI. 

CHIOMA  CHE  SOPRA  GLI  OMERI  CADENTI 

OR  BIONDA  OR  BRUNA  IL  CAPO  ADORNA  E  DIFENDE 

La  chioma  esprìme  l'insieme^  la  capelliera  la  foltezza,  e 
la  capigliatura  o  capellatura  la  quantità  dei  capelli.  La  ca- 
pelliera però  accenna  anche  alla  lunghezza  dei  capelli,  im- 
perciocché ì  capelli  mozzi  ossia  tosati  fanno  sempre  una  ca- 
pellatura più  o  meno  gentile  ,  ma  non  mai  un  capilliera. 
Esempti  <r  Nutricava  la  chioma  e  portava  i  capelli  lunghi,  j» 
(Maestruzzo)  «  Non  ho  tanti  capelli  in  queste  chiome.  j>  (Pe- 
trarca). Sinonimo  di  capelli  è  crine  ,  ma  usasi  soltanto  in 
poesia.  La  qualità  e  l'acconciatura  dei  capelli  sono  gli  og- 
getti a  cui  dobbiamo  porgere  mente  nella  prosopografia.  Delle 
qualità  alcune  si  possono  conoscere  col  mezzo  degli  organi 
della  vista  tale  si  è  il  colore;  altre  col  mezzo  del  tatto,  come 
la  morbidezza  o  la  ruvidezza  e  la  increspatura;  altre  final- 
mente per  mezzo  del  tatto  e  della  vista  insieme,  quale  sa- 
rebbe la  forma  di  cui  fan  parte  la  lunghezza,  la  grossezza 
o  la  finezza  ,  ecc.  La  conoscenza  delle  qualità  dei  capelli 
serve  per  distinguere  le  varie  razze  umane,  non  che  Teta  di 
ciascun  individuo.  I  capelli  degli  Europei  sono  in  generale 
lunghi  e  rotondi  più  o  meno  fini  e  presentano  tre  colori  prin- 
cipali, cioè  il  nero,  il  biondo  ed  il  rosso.  Gli  Asiatici  sono 
forniti  di  capelli  piuttosto  luoghi^  più  o  meno  fini  e  di  color 
nero.  Gli  Africani  hanno  capelli  fini,  lanosi^  curti  ed  incre- 
spati; i  popoli  indigeni  dell'America  diflferìscono  dagli  altri 
popoli  per  i  capelli  lunghi  grossi  e  forti  ed  in  generale  di 
color  nero;  i  popoli  che  abitano  le  contrade  più  vicine  ai  poli 
hanno  i  capelli  piatti,  grossi,  ricciuti,  duri  e  di  color  nero. 

L'acconciatura  è  quella  maniera  più  o  meno  vaga  con  cui 
vengono  aggiustati  ed  ordinati  i  capelli.  È  di  varia  specie 
e  giova  a  conoscere  i  tempi  e  la  condizione  morale  e  sociale 
degli  uomini. 

Le  varie  acconciature  prendono  i  nomi  di  zazzera  ,  di 
trecce,  di  riccio  ecc. 

(1)  Vedi  Quaderno  precedente,  pag.  91. 


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—   121    — 

La  zazzera  esprime  una  foggia  di  portare  i  capelli  che 
fu  comune  ai  noslrì  antichi  ed  ora  h  soltanto  di  alcuni  preti 
e  di  altre  pochissime  persone.  Essa  consiste  in  una  quantità 
talvolta  abbondante,  talvolta  scarsa  di  capelli  che  discendono 
artificiosamente  in  sulle  spalle  e  più  spesso  terminano  in  ricci. 
Differisce  dalla  capigliatura  in  ciò  che  questa  non  h  sempre 
artificiosa,  né  sempre  cadente  sulle  spalle,  ma  più  comune- 
mente si  compone  di  una  quantità  sempre  copiosa  di  capelli 
cbe  discendono  naturalmeute  in  tutte  le  parti  delia  testa. 
Differisce  ancora  la  zazzera  dalla  chioma^  perchè  la  chioma  è 
di  ambedue  i  sessi,  la  zazzera  h  solo  dell'uomo.  I  ricci  sono 
capelli  anellatì,  sinonimo  di  riccio  è  la  voce  cincinno  e  la 
voce  cirro;  però  quest'ultima  non  h  della  lingua  parlata.  La 
treccia  risulta  dall'intreccio  di  capelli  lunghi  ed  h  una  parte 
della  capelliera.  La  zazzera  e  la  treccia  possono  essere  scarse 
o  posticcie,  e  perciò  diversificano  dalla  capelliera  che  h  sempre 
folta  e  naturale.  Essere  in  capelli,  essere  in  zucca  significa 
essere  a  capo  scoperto;  questo  però  dicesi  dell'uomo  e  quello 
è  proprio  delle  donne.  Essere  in  capelli  significa  ancora  un 
modo  di  acconciarsi  il  capo  fatto  con  molta  arte,  sicché  ne 
appaia  tutta  la  bellezza  vera  od  accattata  della  capigliatura. 
Le  così  dette  eminenti  romane  sono  in  capelli. 

Esempd  k  Riconoscere  alla  crespa  capellatura.  »  (Boccaccio). 
4c  Di  quella  bionda  testa  svelse  morte  un  aureo  crine.  »  (Pe- 
trarca). «  Senatori  in  zucca.  »  (Davanzati). 

Giova  l'acconciatura  e  distingue  i  tempi.  Nei  tempi  antichi 
ad  esempio  i  grandi  avevano  un  modo  di  vestire  loro  proprio. 
Or  siccome  molti  di  questi  furono  dalla  fantasia  dei  popoli 
innalzati  al  grado  di  Dei,  così  essi  consei*varono  anche  adorati 
in  sugli  altari  la  foggia  di  capellatura  per  cui  si  distingue- 
vano gli  uni  dagli  altri.  Per  tal  guisa  tutte  le  divinità  greche 
si  distinguono  fra  di  loro  per  la  capigliatura  propria  a  cia- 
scuna. E  chi  per  poco  conosca  delle  loro  opere  e  dell'arte  greca 
può  sempre  riconoscere  a  prima  vista  l'immagine  del  nume 
dal  modo  con  cui  sono  acconciati  i  capelli.  L'  acconciatura 
disposta  a  guisa  della  chioma  del  leone  per  esempio,  è  quella 
che  è  propria  di  Giove  e  di  tutti  i  veri  o  pretesi  suoi  di-  , 
scendenti,  cioè  di  Eusculapio,  di  Serapide,  di  Plutone. 

Nei  secoli  XVII  e  XVIII  dell'era  volgare  erano  di  moda 
i  capelli  air  Herison ,  a  V  Enfante ,  e  prima  ancora  si  era 
giunti  a  tal  grado  di  follia  da  dare  ad  una  nuova  foggia  di 
acconciatura  il  nome  di  capelli  alla  yictimey  per  cui  la  poe* 

17 


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122    — 

tica  bile  di  Parini  ebbe  giustamente  ad  isfogarsi  in  una  delle 
più  sublinii  sue  odi. 

L* acconciatura  dei  capelli  indica  ancora  come  dicemmo, 
lo  stato  morale  e  la  condizione  sociale  degli  individui.  I  ca- 
pelli disordinati ,  incolti  sono  indizio  di  tristezza ,  i  capelii 
arruflTati,  irti  di  spavento,  di  collera.  Tanto  presso  i  Greci 
cjuanlo  presso  i  Romani  i  capelli  lunghi  e  negletti  siguificaTano 
duolo,  i  capelli  curti  e  rasi  schiavitù.  Ora  siccome  tre  ordini 
di  schiavitù  sì  contavano;  cioè  la  schiavitù  verso  gli  uomini^  la 
schiavitù  verso  la  patria,  e  la  schiavitù  verso  gli  Dei;  cosi  si 
radevano  i  capelli  alle  persone  che  venivano  private  delb  li- 
berta in  segno  di  schiavitù  verso  gli  uomini,  si  radevano  le 
chiome  agli  adolescenti  allorché  assumevano  la  toga  virile,  in 
segno  di  loro  schiavitù  verso  la  patria^  e  si  recidevano  i  ca- 
pelli alle  vestali  in  segno  di  loro  schiavitù  verso  la  Divinità 
a  cui  si  dedicavano.  Presso  i  moderni  vi  fu  un  tempo  in  cui 
i  Re  e  le  Regine  ed  i  principi  avevano  il  diritto  di  portare  i  ca- 
pelli lunghi,  gli  altri  solo  in  proporzione  delle  loro  nobiltà. 
Valgano  i  seguenti  esempi  tratti  da  classici  autori  a  confermare 
ciò  che  venne  detto  dei  capelli:  «  Andrea  aveva  una  testa  ardita, 
>  poetica  coronata  da  una  folta  selva  di  capelli  neri,  lasciati 
»  cadere  in  abbandono,  ma  nel  discorrere  più  belli  iotoroo 
»  ad  un  volto  abbronzito.  »  (c  I  capelli  finissimi  e  biondi 
»  ombreggiavano  il  volto  di  Luigi.  »  (Cantù,  M.  P.).  «  La 
»  testa  aveva  armata  di  belli  capelli  rìcci.  »  (Lo  stesso).  «  Con 
»  le  falde  del  cappello  floscie  e  spenz(^ate  aveva  i  capelli 
»  stivati  ed  incollati  sul  viso.  »  (Manzoni  di  Renzo),  v  II  capo 
»  portava  scoperto  e  si  vedevano  i  capelli  neri  divisi  sulla 
»  fronte  ampia  e  maestosa  discenderli  egualmente  dai  due  lati 
»  sino  al  confine  deiroreccbie  segnante  il  contorno  del  viso.  » 
is  I  neri  e  giovanili  capelli  (di  Lucia)  spartiti  sopra  la  fronte 
)/  con  una  bianca  e  sottile  dirizzatura  si  ravvolgevano  dietro 
))^il  capo  in  cerchi  molteplici  di  trecce  trapassate  da  lunghi 
)è  spilli  d'argento,  che  si  dividevano  all'intorno  quasi  a  guisa 
»  dei  raggi  di  un  aureola,  m  (Manzoni,  P.  S.).  «  G«ileazeo  Vi- 
»  sconti  aveva  capellatura  cascame  ad  anelia  sopra  le  spalle.  » 
((  Le  chiome  sparse  per  il  collo,  la  veste  succinta  ai  fianchi 
»  avevano  le  Ninfe.  »  (Annibal  Caro).  «  li  crin  cbe  in  rete 
)i  accolti  -  Lunga  stagion  ahi  foro  -  Sull^omero  disciolti  — 
»  Qual  ruscelletto  d'or.  -  Forma  attendon  novella  -  Di  arti- 
»   ficiosa  anelia.   »  (Parini,  Ode  soterica). 

E  fin  qui  delle  persone  vere  si  h  parlato;  «na  sogliono 
i,  poeti  descrivere  pure  come  se  fossero  persone  le  cose  che 


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—   123   — 

soltanto  colla  mente  si  possono  concepire^  e  questa  descri- 
zione clnamasi  ìdolopea  dal  greco  eidólon  (idolo)  e  poicó  (fare), 
ossia  personificazione  la  quale  per  verità  arreca  alla  poesia 
una  sorprendente  avvenenza!  come  si  può  scorgere  dalla  descri- 
zione della  fama  di  Virgilio  che  passeggia  il  suolo  ed  ha  fra  le 
nubi  il  capo,  il  silenzio  e  la  frode  deirAriosio.  U  Dati  descrive 
la  calunnia  quale  la  dipinse  Àpelle  in  questi  termini:  <c  Veniva 
»  la  calunnia  tutta  adorna  e  lisciata^  che  nel  fiero  aspetto  e 
»  nel  portamento  della  persona  ben  palesava  lo  sdegno  e  la 
»  rabbia  che  Ella  chiudeva  nel  cuore.  Portava  nella  sinistra 
»  una  fiaccola  e  con  l'altra  mano  trascinava  per  la  zazzera 
h  un  giovane,  il  quale  levando  le  mani  al  Cielo  chiamava  ad 
»  alta  voce  gli  Dei  per  testìmonii  della  propria  innocenza,  n 

DELL'ANDATURA» 
OSSIA  DEL  PORTAMENTO  DELLA  PERSONA. 

L'andatura  ossia  il  portamento  è  il  modo  con  cui  un  uomo 
cammina,  tiene  e  piega  la  persona;  dipende  dall'abitudine 
contratta  nei  movimenti  ordinarli  del  corpo. 

Perciò  quegli  che  nel  camminare  ha  contratto  V  abitu- 
dine di  toccare  appena  il  suolo  ha  un  portamento  leggiero, 
£  per  lo  contrario  colui  che  ha  contratto  l'abito  di  lasciarsi 
andare  con  tutto  il  peso  del  corpo  avrà  un  portamento  pe- 
sante. Bello,  leggiadro  e  dignitoso  sarà  il  portamento  di  quella 
persona  che  si  sia  avvezzata  ad  abitualmente  evitare  le  posi- 
zioni sconvenevoli  ed  indecenti.  Quando  però  la  diligenza  nel 
regolare  i  movimenti  sia  sovercliia  e  lasci  trasparire  l'arte, 
allora  il  portamento  è  studiato,  e  se  degenera  ancora  in  una 
sconveniente  imitazione  diviene  affettato. 

Esempi:  «  Fu  il  sig.  Galileo  di  giocondo  e  gioviale  aspetto 
»  massime  in  sua  vecchiezza  ,  di  corporatura  quadrata ,  di 
»  giusta  statura,  e  di  un  leggiadro  portamento.  »  a  Non  altra 
D  andatura  facendo  che  soglia  fare  novella  sposa.  »  (Boccaccio). 
<c  Est  insignis  facie.   »  (Virgilio). 

DELL*  ABBIGLIAMENTO 

L'abbigliamento  ed  il  vestimento  h  tutto  ciò  che  serve  di 
copertura  o  di  ornamento  alla  persona.  .L'acconciatura  stessa 
dei  capelli  fa  parte  dello  abbigliamento.  Gli  esempì  varranno 
a  chiarire  questo'  vero.  Così  il  Manzoni,  dopo  avere  descritta 
l'acconciatura  dei  capelli  della  Lucia,  prosegue  col  descriverne 
r  abbigliamento  in  queste  parole  :  «  Intorno  al  collo  aveva 
>»  un  vezzo  di  granati  con  bottoni  d'oro  e  filagrana;  portava 
»   un   bel  busto  di  broccato  a  fiori  con  le  maniche  separate 


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—  lU  — 
»  ed  allacciate  da  bei  nastri;  una  corta  gonnella  di  filaticcio 
»  dì  seta  a  pieghe  fitte  e  minate;  due  calze  vermiglie;  due 
»  pianelle  di  seta  anch'esse  a  ricami.  »  Ed  il  Costa  descrive 
la  semplicità  dell'  abbigliamento  di  una  villanella  in  questi 
versi  :  «  Esce  dal  casolar  la  villanella  -  11  dì  festivo...  — 
»  Non  sinuosi  drappi,  non  corone  -  Aspre  di  gemme  e  d  or 
>i  lei  fanno  altera -Ma  una  sempKce  veste,  un  bianco  velo— 
D  Copron  le  belle  membra  e  la  vermiglia  —  Rosa  il  seno 
»  le  ingemma.  » 

LEGGI  DELLA  PROSOPOGRAFIA. 

Le  leggi  che  governano  la  descrizione  dello  estrinseco  delle 
persone,  alcune  riguardano  Tordine^  altre  la  scelta  delle  parti 
del  corpo;  altre  la  natura  delle  persone.  L'ordine  naturale  ri* 
chiede  che  si  mettano  in  primo  luogo  quelle  parti  che  le  prime 
colpiscono  rocchio,  e  fanno  maggior  impressione,  quali  sono  la 
presenza,  Taspetto,  la  fisionomia,  e  poi  le  altre  parti  secondo  il 
loro  ordine  di  coesistenza  e  continuità.  La  scelta  deve  essere 
conveniente  alla  condizione  della  persona  che  si  vuole  rap- 
presentare ed  allo  scopo  precipuo  che  uno  si  prefigge  nella 
descrizione^  per  guisa  che  abbiano  la  preferenza  quelle  partii 
colaritk  che  allo  stato  sociale,  all'età,  al  sesso  dell'individuo 
da  descriversi  meglio  sì  addicano,  anziché  quelle  che  sono 
a  tutti  gli  stati  comuni  »  e  siano  prescelte  le  note  del  ca* 
rattere  fisico  cho  direttamente  rispondano  a  quelle  partico- 
larità che  altri  si  h  proposto  di  fare  maggiormente  spiccare, 
cioè  le  fattezze,  i  lineamenti,  il  portamento,  se  si  ha  di  mira 
di  rattrarre  la  bellezza  della  forma,  e  la  gentilezza  dei  modi 
di  una  persona,  ovvero  la  statura,  la  corporatura  e  la  com- 
plessione, se  si  desidera  di  spiegare  la  vigorìa  ed  il  valore 
fisico  di  alcuno.  La  natura  della  persona  ha  pure  sue  leggi: 
se  si  tratta  di  persone  vere,  allora  conviene  descriverle  quali 
la  pittura,  la  scoltura  e  la  tradizione  ce  le  rappresentano, 
se  poi  si  tratta  di  persone  ideali,  allora  dobbiamo  dipingerle 
secondo  la  loro  condizione;  i  tempi  ed  i  luoghi  esigono  per 
modo  che  non  v'entri  nb  la  contraddizione,  nh  l'assurdo  che 
sono  contrari  al  verosimile.  ^ 

Conviene  pure  infine  che  lo  stile  e  la  elocuzione  corri- 
spondano alla  nobiltà  del  soggetto,  acciò  non  avvenga  il  con- 
trario di  quello  che  dice  Dante  in  questi  versi: 

.  .  .  Forma  non  s'accorda 
Molte  fiate  airintenzion  dell'arte 
Perchè  a  risponder  la  materia  è  sorda. 


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LA  PROSOPOGRAFIA 


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—   126   — 

XXIV. 

DI  UN  MONUMENTO  ONORARIO 
PER    ETERNARE    LA    MEMORIA 

DI  VITTORIO  EMANUELE  IL 

I  fasli  di  Vittorio  Emanuele  U  hanno  destato  ammira- 
zione e  rispetto  a  tutto  l'universo;  e  gl'Italiani  grati  al  be- 
nefìcio ricevuto  per  essere  stati  emancipati  dal  dominio  stra- 
niero, hanno  gareggiato  ad  elargire  ingenti  somme  di  denaro 
per  erigere  un  grandioso  monumento  onorario  ad  eternare  la 
memoria  delFestinto  monarca  e  far  conóscere  al  mondo»  che 
il  popolo  italiano  sente  gl'impulsi  del  cuore  nel  corrispon- 
dere ai  benefici  ricevuti. 

Si  aspettava  pertanto  che  la  Commissione,  o  il  Ministero 
pubblicasse  il  programma  di  concorso  per  conoscere  le  con- 
dizioni alle  quali  ì  concorrenti  dovessero  attenersi. 

I  pubblici  (oglì  del  24  settembre  decorso  ce  lo  annun- 
ziarono e  viene  soltanto  limitato  nella  spesa  di  nove  milioni 
di  Lire,  in  tutto  il  resto^  cioè  quanto  ai  concetto  ed  al  sito 
da  collocarsi,  è  ad  arbitrio  dei  concorrenti. 

II  concorso  doveva  essere  di  diritto  esclusivo  degl'italiani, 
ma  invece  si  è  pubblicato  ecumenico,  e  a  spese  degritaliani 
pagare  il  monumento.  È  un  barbarismo  ,  un  insulto  che  si 
fa  all'intera  nazione! 

Non  ostante  gì'  italiani  smaniosi  di  esaltare  la  memoria 
dell'estinto  loro  sovrano^  già  vanno  pubblicando  in  disegni 
ed  in  fotografie  il  parto  del  loro  genio  nativo  ,  lo  che  ser- 
virà a  frenare  l' ambizione  degli  stranieri  a  cimentarsi  con 
quel  popolo,  che  ha  goduto  sempre  il  primato  nelle  arti  belle. 

Tra  questi  progetti  ne  ho  veduto  uno  riportato  in  foto- 
grafia ,  immaginato  dall'  architetto  Publio  cavaliere  Gortini , 
il  quale  presenta  tutti  i  caratteri  di  una  fervida  e  tenace 
immaginazione  ;  poiché  si  ravvisa  in  esso  il  grandioso  in 
accordo  con  la  semplicità,  l'armonia  unita  all'espressione;  lo 
stile  Greco-Romano  adattato  ali*  uso  cui  viene  destinato  ,  e 
sarebbe  bene  vederlo  in  opera  nel  piazzale  di  Termini  sull'in- 
gresso della  via  Nazionale,  ove  l'autore  avrebbe  pensato  col- 
locarlo. Ma  questi  non  pubblicò  il  suo  progetto  con  animo 
di  gareggiare  con  gli  artisti  dell'universo  mondo,  ma  lo  fece 
soltanto  per  tributare  i  suoi  omaggi  alla  memoria  di  un  So- 
vrano impareggiabile  e  dimostrargli   la  di  lui  gratitudine. 


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—   127  — 

Questo  grandioso  monumento  h  basato  sopra  una  gradi- 
nata rettangolare  smussata  agli  angoli^  la  quale  sostiene  tre 
grandi  piedistalli  di  granito  parallelepipedi,  smussati  egual- 
mente agli  angoli,  Tuno  soprapposto  all'aUro,  gradatamente 
rastremati  per  meglio  piramideggiare,  l'ultimo  dei  quali  so- 
stiene la  statua  equestre  in  bronzo  di  Vittorio  Emanuele  II. 

Non  starò  a  dire  dei  tanti  emblemi  in  statue  ed  in  bas- 
sirilievi  in  marmo  e  in  bronto,  dbe  adarnano  i  nominati  pie- 
distalli, esprimenXi  la  forea  della  nazione  nei  quattro  Leoni 
sulla  gradinata  ;  le  quattro  principali  provìncie  del  regno  , 
che  sono  Roma,  Napoli,  Torino  e  Venezia.  Le  battaglie  vinte 
a  Coito,  Palestro,  san  Martino  e  santa  Lucia.  L*ingresso  trion- 
fale, che  fece  il  Re  a  Milano  con  Napoleone  111,  a  Napoli 
col  generale  Garibaldi,  a  Venezia,  a  Roma.  Delle  statue  in 
marmo  ,  che  simboleggiano  la  prosperità  della  nazione  nel 
Commercio,  nelle  Belle  Arti,  nella  Giustizia  e  nella  Sapienza. 
Nelle  sei  aquile  romane  ,  che  denotano  il  rapido  volo  del 
popolo  italiano  sella  civiltà  e  nel  progresso,  gli  stemmi  na- 
zionali, e  finalmente  i  due  bassorilievi  in  bronzo,  che  rap- 
presentano, il  primo,  il  giuramento  prestato  da  Vittorio  Ema- 
nuele II ,  al  suo  augusto  genitore  Carlo  Alberto  di  riunire 
r Italia;  il  secondo,  l'ingresso  dell'esercito  italiano  a  Roma 
(20  settembre  1870)* 

Finora  ho  accennato  di  volo  agli  emblemi  allusivi ,  che 
adornano  il  monumento,  ma  mi  riservavo  discorrere  diffusa- 
mente sulle  quattro  statue  poste  agli  angoli  smussi  del  prim'or- 
dine  in  apposite  edicole,  le  quali  rappresentano  i  più  distinti 
antenati  della  dinastia  regnante,  cioè  Umberto  I  biancamano^ 
conte  d'Aosta,  e  stipite  di  detta  dinastia. 

Amedeo  V  il  Grande  conte  di  Savoja  nel  1285  (i). 

Amedeo  VI,  detto  il  Conte  Verde,  duca  di  Savoja,  nel  1343  (2). 

Emanuele  Filiberto  duca  di  Savoja,  detto  Testa  di  Ferro, 
nacque  i's  luglio  1528  (3). 

(i)  Principe  saggio  e  bellicoso,  fece  32  assedt,  né  mai  intraprese  cosa 
alcuna,  che  non  gli  sia  rinscila.  Mantenne  nel  13H  i  Cavalieri  neirisola  di  Rodi 
contro  i  Tarctii ,  e  da  quel  tempo  i  Duchi  di  Savoja  presero  per  arma  la 
croce  di  Malta.  Morì  in  Avignone  nel  1323  in  età  di  74  anni. 

A  questa  croce  vi  sono  anite  le  quattro  lettere  iniziati  seguenti  F.  R.  R.  T. 
che  si  crede  significhino  Fortitudo  ejus  Rhodutn  tenuit  allusive  al  valore  di 
questo  Principe  nella  liberazione  di  Rodi  dair  assedio  dei  Turchi.  Le  aquile 
erano  prima  le  armi  dei  suoi  antecessori. 

(2)  Uno  dei  più  gran  principi  del  suo  tempo:  andò  in  Grecia  in  ajato  di 
Giovanni  Paleologo ,  e  fu  l'arbitro  d'Italia.  Morì  nel  1383  dopo  un  regno 
glorioso. 

(3)  Passò  in  Germania  in  età  di  20  anni.  Fu  fatto  generale  dell'armata 
nell'assedio  di  Metz,  e  guadagnò  contro  i  Francesi  la  battaglia  dì  san  Quin- 
tino nel  1557. 


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—   iS8  — 

Questi  grandi  uomiai  pare  ,  che  guardino  con  la  mente 
e  con  rispettosa  ammirazione  la  statua  equestre  |di  Vittorio 
Emanuele  II  loro  successore  e  con  dignitosa  compiacenza 
dicano:  Ben  ti  collocarono  in  alto  i  tuoi  novelli  sudditi  per 
le  rapide  conquiste  che  facesti,  merc^  il  coraggio  e  la  po- 
litica. Ancor  noi  fummo  conquistatori  e  facemmo  conoscere 
al  mondo  la  forza  delle  nostre  armi;  ma  tu  in  pochi  anni 
sapesti  emancipare  Tltalia  dal  dominio  straniero  e  restituire 
a  Roma  l'avita  gloria  di  esserne  la  Capitale. 

Godi  d'essere  asceso  per  i  tuoi  trionfi,  sul  tempio  della 
gloria  e  di  aver  reso  il  tuo  nome  immortale  come  quello  di 
un  Cesare  e  di  un  Trajano!  Ricevi  in  omaggio  l'ammirazione 
delluniverso  e  gli  attestati  di  amore  e  di  gratitudine  aflfet- 
tuosa  dal  popolo  d'Italia. 

Terminato  di  scrivere  V  articolo ,  seppi  che  il  cavaliere 
Cortini  presentò  o  fece  presentare  1'  originale  in  acquarello 
del  monumento  onorario  a  S.  M.  il  Re.  Allora  mi  venne 
il  desiderio  di  conoscere  se  la  M.  S.  ne  avesse  dato  segno 
di  gradimento,  e  pregai  il  Cortini  di  farmelo  conoscere;  ed 
egli  gentilmente  mi  rese  ostensibile  il  Dispaccio  originale  , 
fattigli  pervenire,  che  qui  letteralmente  trascrivo: 

«  Segreteria  particolare  di  S.  M.  il  Re  =  N?  387  =  Roma 
»  S6  gennaio  isso.  s=.  A  seconda  del  gentile  desiderio  espressomi 
»  dalla  S.  V.  ho  presentato  a  S.  M.  il  bozzetto  originale 
»  in  acquarello  del  monumento,  che  Ella  ideava  ad  onorare 
»  la  gloriosa  memoria  del  gran  Re  Vittorio  Emanuele,  e  da  Lei 
j>  cortesemente  offerto  in  dono  alla  M.  S.  -^  L'augusto  nostro 
»  Sovrano ,  mentre  gradiva  il  di  Lei  omaggio ,  apprezzava 
»  degnamente  il  pensiero  patriottico  ed  affettuoso  che  gui- 
»  dava  la  S.  V.  nella  esecuzione  di  quel  lavoro.  Piacque 
»  pertanto  a  S.  M.  di  orjdinarmi,  che  il  medesimo  fosse  con- 
»  servato  tra  le  molte  dimostrazioni  di  amore  e  di  gratitu- 
»  dine  offerte  dal  Paese  al  compianto  suo  Re  e  mi  affidava 
»  l'incarico  di  far  pervenire  a  Vossignoria  i  suoi  vivi  rin- 
»  graziamenti.  Accolga  lUmo  sig.  Architetto  i  sensi  della 
»  mia  più  distinta  osservanza.  11  ministro  =  Visone.  =  Al 
»  sig.  Cav.  Publio  Cortini  Architetto  =  Roma.   » 

Roma,  13  dicembre  isso. 

Giuseppe  Verzili  Architetto  Ingegnere 


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—   ISO   — 
XXV. 

BIBLIOGRAFIA 

LE  OPERE  LETTERARIE 
DI   LEONARDO  DA   VINCI 

PUBBLICATE 

DAL  DOTT.  Jean  Paul  Righteb 


Crediamo  che  ogni  cultore  dell'Arte  e  della  Scienza  vorrà 
salutare  con  vivo  interesse  V  apparire  di  una  pubblicazione 
da  gran  tempo  desiderata  delle  opere  letterarie  di  Leonardo 
da  Vinci  e  che  ci  viene  annunciata  da  Londra  mediante  un 
manifesto  che  ci  piace  riprodurre  dal  testo  inglese,  acciò  si 
veda  di  qual  importante  lavoro  si  tratta. 

La  seria  e  profonda  cultura  dell'erudito  filologo  tedesco 
che  si  h  accinto  all'ardua  impresa,  e  la  sua  pratica  consumata 
neirinterpi:etazione  degli  antichi  manoscritti,  ci  h  arra  della 
buona  riescita  del  suo  lavoro,  sul  quale  ci  h  caro  pertanto 
richiamare  Tattenzione  degli  studiosi.  L'opera  Comparirà  in 
Londra  col  testo  italiano  da  un  lato,  la  traduzione  inglese 
dall'altro  e  con  un  commentario  in  lingua  inglese:  più  un 
gran  numero  dlUustrazioni.  Viene  pubblicata  per  mezzo  di 
sottoscrizioni  nei  termini  e  nelle  condizioni  espresse  nelFac- 
cennato  manifesto. 


«  Le  opere  letterarie  di  Leonardo  da  Vinci  contenenti  i 
>»  suoi  scritti  sulla  Pittura  (  «  Libro  della  Pittura  9  )  Seul- 
»  tura  ed  Architettura,  le  sue  massime  filosofiche,  gli  scritti 
»  umoristici,  e  le  osservazioni  diverse  intomo  agli  avveni- 
»  menti  personali,  intorno  a*suoi  contemporanei,  intorno  alla 
»  Letteratura  ecc.,  per  la  prima  volta  pubblicati  dai  mano- 
»  scritti  autografi  dal  Dott.  Jean  Paul  Richter»  membro 
9  onorario  della  reale  ed  imperiale  Accademia,  della  Scuola 
»  italica  di  Roma,  ecc.  » 

Due  volumi  in  8^^  imperiale  ,  contenenti  circa  aoo  di- 
segni in  riproduzione  fotografica  auto  tipa,  ed  altre  numerose 
illustrazioni. 

Prezzo  pei  soscrittorì  otto  guinee  da  pagarsi  al  compa- 
rire dell'opera  compita,  cioè  s^erso  la  pie  del  issi.  Editori, 

i8 


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—   130   — 

Sampson  Low,  Marslon,   Searle^   e  Rivington,    188 ,   Fleet- 
Street  Londra. 

PROSPETTO 

li  Vasari  rammeuta  nelle  sue  Vite  degli  Artisti,  che  Leo- 
nardo da  Vinci  operò  assai  più  colla  parola  che  coi  fatti  ; 
ma,  come  egli  osserva  iti  un  altro  passo^  egli  scrisse  a  ro- 
vescio f  in  brutti  caratteri  e  colla .  mano  sinistra  ,  cosi  che 
chiunque  non  b  pratico  nella  lettura  dei  medesimi  non  può 
intenderli.  La  prima  edizione  del  (<  Trattato  della  Pittura  » 
dì  Leonardo  non  apparve  se  non  isa  anni  dopo  la  sua  morte; 
ma  questo  lavoro  \  stato  riconosciuto  d' alioTa  in  poi  per 
la  migliore  opera  teoretica  suirarte,  e  fu  ripubblicato  ven- 
tidue volte  e  in  sei  lingue  differenti.  Rafaele  Trichet  Du- 
fresne,  che  pubblicò  la  prima  edizione,  si  lagnava  allora  delle 
deficienze  e  della  confusione  nel  testo,  che  era  preso  da  copie 
manoscritte  non  autentiche,  ed  anche  al  dì  d'oggi  non  esiste 
una  edizione  corretta:  mentre  le  illustrazioni  del  Poussin  e 
di  altri  non  sono  in  alcun  modo  un  compenso  adegnato  ai 
disegni  originali  fin  qui  rimasti  ignòti. 

Nove  manoscritti  autografi  di  Leonardo  da  Vinci  sono 
conservati  in  Inghilterra:  tre  nel  Museo  dì  South  Kensington, 
due  nella  Raccolta  reale  di  Windsor^  due  nella  biblioteca  di 
Lord  Ashburnham,  uno  nel  Museo  Britannico,  ed  uno  nella 
biblioteca  del  conte  di  Leicester.  Dodici  si  trovano ''a  Parigi 
nell'Istituto  di  Francia,  due  a  Milano,  vale  a  dire  uno  nella 
Biblioteca  Ambrosiana^  il  secondo  nella  Biblioteca  del  mar- 
chese Gian  Giacomo  Trivulzio;  finalmente  uno  a  Roma  presso 
il  conte  Giacomo  Manzoni.  Sembra  difficile  a  spiegarsi  perchè 
i  contenuti  di  questi  manoscritti  non  siano  stati  fin  qui  inve- 
stigati e  resi  di  pubblica  ragione,  il  Codice  Atlantico  di  Mi* 
lano  essendo  l'unico  finora  parzialmente  pubblicato. 

Uno  studio  accurato  di  quésti  manoscritti  per  parte  del 
Dott.  Richfer  lo  ha  portato  alla  scoperta  del  testo  originale 
del  Trattato  della  Pittura,  ch'egli  ora  sì  propone  di  pubbli- 
care per  mezzo  di  sottoscrizioni.  Questa  nuova  edizione  con- 
terra una  trascrizione  del  solo  testo  originale  autentico,  con 
un  numero  di  capìtoli  quale  non  si  riscontra  nelle  edizioni 
correnti^  e  sarà  illustrato  da  riproduzioni  esatte  di  numero^ 
diagrammi,  schizzi  e  disegni  della  mano  di  Leonardo  medesimo. 

Leonardo  da  Vinci  molto  rettamente  fu  dal  Vasari  chia- 
mato il  primo  di  tutti  gli  artisti  moderni.  Quando  si  prenda 


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—    131    

in  considerazione  lo  svariato  contenuto  de*suoi  numerosi  scritt  i, 
i  quali  tutti  trattano  di  materie  tuttora  in  voga  nella  lei  te- 
latura moderna,  rimane  giustificato  il  chiamarlo  il  precursore 
della  cultura  moderna. 

Quattro  quinti  delle  4500  e  più  pagine  che  formano  i 
suoi  manoscritti  in  Inghilterra^  a  Parigi,  in  Italia  trattano 
di  scienze  matematiche  o  naturali.  Di  queste  il  Venturi  (1797) 
e  il  Libri  (i840)  pubblicarono  alcuni  estratti,  ma  la  loro  inve- 
stigazione vuol  essere  considerata  quale  compito  di  persone 
competenti  nella  materia.  Rammenteremo  solamente  che  Ales- 
sandro di  Humboldt  ebbe  a  considerare  Leonardo  come  il 
primo  che  mirasse  a  concentrare  tutti  i  nostri  pensieri  e  sen- 
timenti nel  concetto  delta  natura  come  un  tutto. 

La  pubblicazione  proposta  ,  in  aggiunta  al  libro  delia 
Pittura,  sarà  limitata  a  materie  di  un  interesse  più  generale 
da  renderci  più  intimamente  famigliari  coli'  artista  ,  quale 
uomo^  quale  umanista. 

Fra  altri  materiali  fin  qui  ignoti  essa  conterra  i  progetti 
di  Leonardo  per  le  sue  opere  d*arte,  le  sue  opinioni  in  iscul- 
tura,  numerosi  studi!  architettonici  per  le  costruzioni  delle 
cupole  ecc.  ,  osservazioni  intorno  ad  allievi  ed  altri  artisti 
che  ebbero  a  trovarsi  in  sua  casa,  suggerimenti  e  piani  per 
la  costruzione  di  uno  studio  da  pittore,  considerazioni  intorno 
ad  avvenimenti  della  vita  sua  propria  è  di  suoi  contempo- 
ranei più  o  meno  distinti ,  osservazioni  intorno  ad  un*  eru- 
zione del  Monte  Etna,  intorno  alle  Alpi»  all'isola  di  Cipro, 
e  al  Nilo,  un  piano  per  un  ponte  arcuato  sul  Corno  d'Oro,  ecc. 
Non  meno  attraenti  sono  i  suoi  scritti  umorìstici,  facezie^  indo- 
vinelli ecc.  ,  che  mettono  in  vie  maggiore  evidenza  il  suo 
carattere  gioviale  ed  eminentemente  ingegnoso. 

La  pubblicazione  del  testo  originale  sarà  accompagnata 
da  una  traduzione  in  lingua  inglese  e  da  note  esplicative 
per  parte  del  Pubblicatore.  Gli  scrìtti  di  Leonardo  suU'  ar- 
chitettura saran  commentati  dal  Barone  Enrico  de  GeymùUer 
di  Parigi  ,  autore  dei  <c  Projets  primitifs  pour  la  basilique 
»  de  St.  Pierre  de  Rome  par  Bramante»  Raphael,  ecc. 


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—  131  — 

* 

XXVI. 

SD  DUE  SCHELETRI 

CHE  ABBRACCIATI  SI  RINVENNERO  IN  POMPEI 

NON  LUNGI  DALLE  PUBBLICHE  TERME 

ELEGIA  DEL  CAV.  DIEGO  VITRIOLI 


Due  scheletrì  Irovati  t  non  è  guarì  molto  »  abbracciati 
in  Pompei  ispirarono  la  seguente  bellissima  Elegia  al  cav. 
Diego  Vitrìoli,  noto  latinista  delle  Calabrie.  A  rìchiesta  d'al- 
cuni amici  ne  fu  eseguita  ultimamente  in  Sicilia  una  tradu- 
zione italiana  in  versi  sciolti ,  che  ci  piace  di  pubblicare 
più  sotto  (i). 

Cur  simul  ossa  cubent,  ac  post  tot  saecla,  viator. 

In  molli  amplezu  nos  ita  jungat  amor, 
Accipe:  nec  trìstes  pigeat  cognoscere  casus; 

Elicient  lacrumas  fors  mea  verba  taas. 
Saxa  etenim  ùereat^  gemitus  si  fondere  possenti 

Deflerent  nostras  aspera  saxa  vices 

Sol  medium  coeli  vix  jam  trajecerat  orbem, 

Pompejosque  tenet  mollis  et  alta  quies. 
Rusticus  in  yilla,  mediis  stat  miles  in  armis: 

Subdola  piscator  per  mare  lina  jacit; 
Curia  habet  patres;  it  magna  ad  tempia  sacerdos^ 

Femina  devolvit  linea  pensa  colo. 
Quum  subito  ezstinctos,  infandum!  suscitai  ignes 

Yesyius,  et  rauco  murmurc  saxa  vomit; 
Culmine  et  in  celso  montis  stat  fumea  pinus, 

Atracjue  nimbosum  contegit  umbra  polum» 
Ocyus  aeriae  Tolucres  trepitantibus  alis 

Frondiferas  nemorum  deseruere  domos. 
Manarunt  nullo  arentes  humore  lacunae; 

Sulfureis  Samus  lentior  ibat  aquis. 
Amnigenae  nymphae  glauco  de  gurgite  surgunt, 

Mox  celeri  jactu  gurgitis  ima  petunt.... 
Huic  ego  tum  dixi:  crudelia  litora  linquas, 

Lux  mea;  sit  vitae,  sit  tibi  cura  tuae» 

(i)  Altra  Tersione  del  sig.  D.  Giuseppe  Bellucci  di  questa  bellissima  elegia 
latiaa»  accompagnata  col  testo  »  leggesi  a  pag.  53—55  del  quaderno  di  fel>- 
braio  1872  del  Buonarrctif  ser.  Il,  toL  VIL 


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—  133  — 
Dum  Toluere  dei,  felices  egimus  annos: 

Nunc  procul  e  patriis  pellimur  ambo  focis: 
loiterea  ingenti  sqnalebant  moenia  luctu; 

Urget  Pompejos  ultima  namque  dies* 
Turba  ruit  portis:  secom  fert  quÌ8<iue  penates, 

Exuviasque  suae,  pignora  cara,  domus. 
Quid  non  audet  amor?  gestat  non  nemo  parentem, 

Aujne  ignis  sanctum  non  yiolavit  onus: 
Vidi  ego  pallentes  Ijmphata  mente  puellas 

Yirgineas  manibus  dilaniare  genas. 
Haec  stupet,  haec  vanis  incusat  fata  querelis: 

Altera  in  alterius  concidit  aegra  sinum. 
SoUicitae  matres  gnatis  cum  dulcibus  errante 

Invocat  illa  homines,  invocat  illa  deos. 
O  ubi  vitiferi  colles,  et  amoena  flaenta, 

Atque  coloratis  florida  prata  rosis: 
O  gelidi  fontes,  o  tempia  augusta  deorum, 

Centum  aris  quondam  fumida  thuricremis: 
En  jacet  ambuatum  templum  Junonis,  et  ara 
Isidis,  et  templum,  pulcra  Erjcina,  tuum: 
Semper  ubi  Idaliae  solitae  volitare  columbae. 

Sacra  ubi  cum  viridi  cespite  myrtus  erat. 
Hic  olim  blandi  cantus,  bic  mille  cboreae: 

Hic  quoque  mille  dabant  laeta  tbeatra  jocos, 
Nunc  urbe  in  vacxkA  gradiens  bacchatur  Erinnys; 

Per  fora,  perqpe  vias  ventilat  illa  faces.... 
Nec  fuga  per  pelagus  facilis;  tnmet  undique  pontus; 

Et  fremit  bine  boreas,  et  fremit  inde  notus. 
Ingemino  voces:  fugias,  teque  eripe  flammis; 

Eripe  te  flammis,  lux  mea,  toUe  moras. 
Ast  illa  ezpandens  morientia  lumina  fatnr: 

Te  sine,  me  patrios  linquere  posse  lares?.». 
Si  celerare  fugam  probibet  te  martia  virtus, 

Obruar  in  mediis  ignibus  ipsa  simuL 
Ossa  simul  iaceant!  ut  nostri  conscia  amoris, 

Ista  domus  nostrae  conscia  mortis  erit.... 
Ter  sonnit  coecis  tum  mons  Vesuvius  antris, 
Nosque  ambo  oppressit  vasta  mina  domus. 

TRADUZIONE 

Perchè  quest'ossa  mirinsi  congiunte 
In  dolce  amplesso,  e,  poi  che  tanti  secoli 
Volseit),  amor  cosi  ne  stringa  ancora, 
O  viatore,  ascolta;  né  t*  incresca 


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—  134  

Del  nostro  estremo  giorno  le  sventare 
Apprender  tutte.  Ai  detti  miei  le  lacrime 
Arrestar  non  potrai  tu  forse,  e  sino 
Le  pietre,  se  lor  fosse  dato,  anch^esse. 
Le  dure  pietre,  verserebber  di  pianto 
Sui  noslK  mali: 

A  messo,  del  suo  giro 
Era  il  sol  giunto  appena,  e  intera  quiete 
Godea  Pompei.  L'  agricoltor  è  intento 
Ai  campestri  lavori,  ed  il  guerriero 

Air  armi  usate;  1*  ingannevol  rete  j 

Il  pescator  nel  mar  già  tende,  i  Padri 

Nella  curia  si  stanno,  ai  grandi  templi  I 

S*  avviano  i  sacerdoti,  e  dalla  rocca  | 

La  femina  l'attorta  lana  fila. 

Quando  repente,  inefl&bile  orrore! 
Dagr  imi  abissi  suscita  il  Yesevo 
Le  fiamme  spente,  e  sassi  erutta  rapidi. 
Cupamente  rombando.  Il  fumo  a  guisa 
Di  pino  suir  adusta  vetta  s'  erge. 
Ed  il  nimboso  ciel  atra  ombra  imbruna. 

Fuggon  con  trepidanti  ale  gli  augei. 
Come  non  mai,  velpci  delle  selve 
I  frondosi  lor  nidi,  disseccate 
Per  difetto  d'  umor  son  le  paludi, 
E  con  onda  sulfurea  scorre  il  Samo 
Pili  lento.  Le  fiumane  ninfe  spuntano 
Dal  glauco  seno,  e  preste  con  un  salto 
Aiparansi  del  gorgo  in  fondo.  A  questa 
A  dir  mi  fedi  alior:  mio  dolce  lume. 
Lascia  i  lidi  crudeli,  di  tua  vita, 
Di  te  abbi  cura.  Col  voler  de'  Numi 
Felici  ne  trascorser  gli  anni:  lungi 
Dai  patrii  lari  ora  scacciati  siamo- 

Le  mura  intanto  per  immenso  lutto 
Di  squallor  son  coperte,  cbè  a  Pompei 
L  estrema  di  ricorre.  A  torme  irrompono 
Fuor  dalle  porte  i  cittadini,  e  adduce 
Seco  i  Penati  ognuno  e  della  casa. 
Cari  pegni,  gli  avanzi.  Amor  che  mai 
Non  osa?  C  è  sugli  omeri  chi  mena 
A  salvamento  il  padre,  uè  violano 
Le  fiamme  il  santo  incarco.  Come  pazze, 
Vidi  fanciulle  pallide  le  gote 


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Verginali  sfregiarsi  colle  mani: 
Chi  stupefatta,  chi  con  vani  lai 
Il  fato  accusa.  Altra  d*  un*  altra  in  seno 
Priva  di  sensi  cade.  Con  in  braccio 
I  dolci  nati,  spinte  dal  periglio 
Erran  le  madri;  gli  uomini  d'  aiuto 
Questa  richiede,  quella  i  Numi  invoca. 

O  vitiferi  colli,'  ofiomi  ameni 
E  voi  prati  di  fiori  sempre  adomi 
E  di  vermiglie  rose,  dove  siete? 

Dove  mai  siete,  o  gelide  fontane.» 
O  degli  Dei  con  cento  altari  fumidi 
D'  arso  incenso  sacrati  templi?  Ed  ecco 
Di  Giunone  il  delubro  già  combusto, 
E  V  ara  d' Iside,  e  persin  distrutto. 
Bella  Ericina,  il  tempio  a  te  dicato 
Ove  sempre  le  idalie  tue  colombe 
Venivan  svolazzando,  ove  cresceva 
Dal  verdeggiante  stelo  il  sacro  mirto* 

Qui  dolci  canti  un  tempo,  qui  già  danza 
A  mille,  qui  di  mille  giuochi  ancora 
Lieti  svaghi  apprestavano  i  teatri. 

Or  furente  pei  fiori  e  per  le  vie 
Della  vota  città,  faci  agitando. 
Corre  un*  Erinni.  Né  per  mar  la  fuga 
È  agevol  cosa;  V  onda  ovunque  ingrossa, 
Borea  già  freme,  e  Noto  di  rincontro. 

Fuggi,  le  dico  ancor,  scansa  le  fiamme. 
Scansa  le  fianmie,  o  luce  mia,  t'  afiretta. 

Ed  ella  ì  semispenti  occhi  volgendo: 
La  patria  senza  te  fìiggir  poss*  io? 

Se  dell'armi  l'onor  di  porti  in  salvo 
Vieta,  bruciati  oggi  moriamo  insieme. 

Giacciono  unite  V  ossa,  e  queste  mura 
Testimoni  del  nostro  amor,  saranno 
Pur  testimoni  della  nostra  morte. 

Dalle  cieche  latebre  allor  tre  volte 
Tuonò  il  Vesevo,  e  della  casa  tosto 
Ci  oppresse  insieme  la  mina  estrema. 

G.  Frosina-Gaicnella 


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—  136  — 
XXVII. 

VOLUPTAS  TENET  SILVAS  ET  CAETERA  RURA  (i). 

Laggiù  nei  prati  come  perle  brillano 
Del  mattin  le  rugiade; 

Dall'alto,  prima  di  sparir,  giù  pioTOno 

Gli  astri  fiammelle  rade. 
Cessa  la  notte,  e  Talba  imbianca  i  ripidi 

Intonsi  tuoi  dirupi. 

Del  Cromo  o  vetusu  cima,  e  1*  ululo 
S'ode  d'infensi  lupi: 

Dal  tremebondo  ovil  tosto  s'involano, 
E  quell'alba  novella 

Par  maledicano  coli' occhio  rabido, 
Mentre  posan  le  agnella. 

Ve'  dall'ameno  balzo  appena  scorgesi 
Un  raggio  porporino; 

L'  acqua  del  mar,  i  clivi  e  i  piani  indoransi 
D'  alma  luce  al  mattino. 

E  i  fiori  apron  lor  calici,  e  dagli  alberi 
Sorvola  una  fraganza 

Cinguettano  gli  uccelli,  e  V  onda  luccica. 
Gl'insetti  fan  la  danza. 

Vola  sul  timo  1'  ape  industre  e  rapida 

Ne  sugge  il  miele  e  passa; 
Stende  II  nocchier  la  rete,  e  il  rivo  mormora 

Sulla  pianura  bassa. 

Come  r  egro  mortai  beve  nov'  aura. 
Lieta  fassi  al  verone 

L'ingenua  fanciulla;  scherza  il  zefiro, 
E  va  sul  mar  1'  alcione. 

Gigli  e  rose  si  levano  sui  petali, 

E  saltano  i  capretti; 
Le  farfalle  e  le  lodole  s'insegnono 

Conscie  dei  loro  afietti. 


(1)  Nella  pagina  J04  del  fascìcolo  precedente  si  avvertì  di  ripubblicare 
la  .presente  poesia  già  pubblicata  in  parte  nella  pagina  68  del  Quaderno  II  • 
essendo  rimasta  monca  per  inavvertenza  di  cinqae  strofe  in  fine. 


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—  187  — 
Dolce  ed  ignota  volattii  discorrere 
Yeggiam  di  cosa  in  cosa  in  cosa. 

Senso  d*amor  la  terra ,  il  cielo  e  gli  esseri 
Agita,  e  non  riposa. 

Sciacca,  addi  3  dicembre  IS78. 

G.   FROSINA-GAFHfEtLÀ 

Nei  Sospiri  pubblicati  nel  quaderno  II ,  voi.  XIV  del 
Buonarroti  occorsero  le  seguenti  mende ,  che  sono  da  cor- 
reggere così: 

Pag.  69  Ilo.  21,  giù  per  via  per 

I»     70    »      9,  profumata  profumate 

I»      Ji     »    42»  ler  ieri 

J»     71    I»    26»  acumiittta  l'aguasa 

xxvni. 
IL  PENSIERO  DEL  CUORE  , 


Se  di  fragranti  pallide  viole 

Un  mazzolin  ti  dessi,  o  amata  Bella, 
N'avresti  cura  quando  splende  il  sole 
E  quando  aurata  tremola  ogni  stella?.. 
Poi,  scolorato,  il  crederesti  degno 
Di  fare  al  libro  di  tue  preci  segno?.. 

Quando  Tonda  del  mar  si  volge  a  calma. 
Vuoi  meco  veleggiare  alla  ventura, 
E  cosi  ricrear  la  tua  belf  almui?. . 
Tu  me  lo  niegU?*.  Ahimè!..  tu€l#  mi  farà 
L'astro  d* amore!..  Eppur  degli  a»nì  miei 
Procellosi  in  etemo  il  faro  sei. 

Cara  Fanciulla,  poi  cbe  non  ragiono 

Deir  amor  che  sU  chiusa  nel  cor  mio. 
Io  non  ti  voglio  domandar  perdono. 
Né  perdono  implorar  voglio  da  Dio: 
Amor  non  palesato  non  s*  accresce!.. 
Pur  non  s*  estingue,  se  dal  cor  non  esce. 

Un  ramoscel  di  rose  in  un  vasello 

Io  posi  ed  inacquai,  ma  non  credea 
Che  si  farla  più  grande;  e  il  ramoscello, 
Mercè  di  quelF  umore,  ognor  crescea. 
Così,  0  Diletta,  il  mio  nascente  amore 
In  mezzo  al  pianto  mio  si  fa  maggiore! 

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—  138  — 
Quanto  candida  sei,  quanto  vezzosa 

E  leggiadra  di  modi  e  di  persona,. 

Semplice  nel  vestire  e  graziosa! 

All'amor  mio  celestì'al  perdona.. 

Se  ti  veggio  dovunque  nello  spazio. 

Né  son  giammai  di  rivederti  sazio  ! 
Sporgevi  dal  balcon,  quando  ho  mirato. 

Ebbro  d*  amore,  il  cielo  dalla  via 

Credevi  avessi  per  Te  il  capo  alzato! 

Sì  che  sei  il  cielo,  o  FanciuUetu  mia. 

Ti  veggio  da  per  tutto  nello  spazio. 

Né  son  giammai  di  rivederti  sazio! 
Fra  r  angiolette  non  mi  seppi  mai 

Qual  pili  venusta  fosse,  ma  Te  miro. 

Sciogli  la  chioma,  a  me  rivolgi  i  rai 

Di  quei  begli  occhi  d'orientai  zaffiro!.. 

Angiol,  col  muover  1'  ali  tue  V  ardore 

Tempra,  eh*  a  me  strugge  il  cervello  e  il  core! 
T*ho  vista  in  sogno  con  la  ghirlandella 

Di  rose,  il  bianco  sajo  e  V  aureo  crine 

Che  ti  scendea  sulF  omero  in  anéllai 

Avevi  forme  tutte  peregrine; 

Gli  occhi  spiravan  dolce  sentimento^ 

E  mi  parlavi  con  soave  accento. 
Ardono  gli  occhi  miei  ddla  tua  immago-l 

Da  per  tutto  ti  cercano!..  T'adoro, 

Infuor  di  te  di  nulla  non  m'appago: 

Tu  la  mia  stella  sei,  tu  il  mio  tesoro!. 

Ti  veggio  da  per  tutto  nello  spazio. 

Né  son  giammai  di  rivederti  sazio» 
Or  quando  g^ugnerà  la  primavera. 

Non  recider  per  me  i  diletti  fiori. 

Dappoi  che  maggio  tempra  ogni  bufera 

Neir  etra  si,  ma  non  però  ne'  cori: 

Recidili  per  me  la  prima  volta. 

Prima  che  sia  la  salma  mia  sepolta. 
Ti  posso  dare  un  mazzolin  di  fiori? 

O  Dcmzella,  gentil  tiranna  mia. 

Deh  non  temer,  che  io  non  involo  i  cori,. 

Tu  sol  li  rubi  e  te  li  porti  via; 

Ti  veggio  da  per  tutto  nello  spazio, 

Né  son  giammai  di  rivederti  sazio. 
Koma,  Colle  Pincio,  nel  gennaio  del  mdccclzxxi. 

Luigi  Areico  Rossi 


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—  139  — 
XXIX. 

A  SUA  MAESTÀ 

ALESSANDRO  E- 

AUTOCRATE  DI  TUTTE  LE  RUSSIE 

TRIONFATORE  DB' TURCHI 

Cader  file  d*  eroi  nell*  aspra  clade. 

Piover  di  sangue  suU'  adusta  terra, 
Tonar  di  bronzi,  lampeggiar  di  spade: 
Son  questi  i  frutti  di  cotanta  guerra?.* 

Già  sotto  gli  oppressor  Grecia  ricade!.. 

Di  nuovo,  0  Czar,  i  fulmini  disserra!». 

Ricaccia  il  Turco  nell'Eoe  contrade, 

E  il  suo  poter  per  sempre  infrangi  e  atterra. 

Air  armi,  all'  armi  !  L*  Osmanlie  coorti 

Sfidano  Atene..  Or  Tu,  di  gloria  sazio, 

Lei  non  soccorri?..  Abbian  vendetta  i  morti» 

Il  nomade  Ottoman  nell'Asia  rieda 

Ove  largò  al  suo  ambir  schiuso  è  Io  spazio.. 
E  il  Bosforo  che  fia?..  Tua  giusta  preda. 

Roma,  nel  primo  giorno  dell' anno  mdgcclxxzi. 

LviGi  Arrigo  Rossi 

PUBBLICAZIONI  RICEVUTE  IN  DONO 

Biblioteca  della  gioventù'  italiana.  Anno  XII.  Agosto  i880.  La  cro- 
nica di  Giovanni  Viilani  annùkUa  ad  tuo  della  giovenià  dal  iac.  prof.  Ce- 
lestino Dorando.  Volume  guarto,  Torino^  188(^9  tipografia  e  libreria  Sale- 
ciana,  San  Pier  d'Arena,  Nizza  Maritlima.  lo  12«  di  pag.  244. 

-^  Settembre.  Volume  quiiUo.  Torino,  ecc.  In  18!  di  pag.  380. 

—  Ottobre.  Volume  iato.  Torino,  ecc.  In  12!  di  pa{;.  344. 

— -  Novembre.  Volume  settimo.  Torino  ecc.  In  12!  eh  pag.  322. 

— ^  Dicembre.  Volume  ottavo.  Torino  ecc.  In  12!  d»  pag.  328. 

Bosco  (Giovanni)  Storia  Saera  per  uso  delle  scuole  e  wecialmente  deUc  classi 
elementari  Hcondo  il  programma  del  Ministero  della  pìUfblica  istruzione^ 
utile  ad  ogni  stato  di  persone ,  arricchita  di  analoghe  incisioni  e  di  una 
carta  geografica  della  Terra  Santa  pel  sacerdote  Giovanni  Bosco.  Edizione 
decimaierza.  Torino,  1881»  t^^ra^  e  libreria  Salesiana,  Sampierdarena- 
Luccor-Nizza  Marittima.  In  8.*  di  pag.  272  e  pianta. 

De  Nino  (Antonio)  Usi  abbrutissi  descritti  da  Antonio  De  Nino.  Volume 
primo.  Firenze,  tipografia  Barbèra  1879.  In  8.*  di  pag.  207. 

De  Rossi  (Michele  Stefano)  Congresso  della  assciaziane  meteorphgica  ita^ 
liana  Alpino-Appennina  e  sue  deliberazioni  iatomo  allo  studio  della  Me- 
teorologia Endogena.  Roma,  dedla  tipografia  della  Pace,  piazza  della  Pace 
N.  35»  1880.  In  8»  di  pag.  15. 

— ^i—  Rivista  degli  studi  e  delle  recenti  scoperte  Patcoetnologiche  di  Roma 
dal  1870  al  1879  ^  dissertazione  letta  nella  Pontificia  Aceaiemia  Romana 


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—   14»  — 

di  Archeologia  nella  tornata  del  15  gennaio  1880.  {Eetratto  dal  Periodico 
Gli  Sludi  in  Italia,  anno  lll^  voL  II,  fan.  IT).  Roma\  tipografia  di  Roma, 
1880.  In  8.*  3i  pag.  26. 

Favaro  (Aotonio)  Inedita  Galileiana.  Frammenti  tratti  dalla  Biblioteca  no- 
Mionale  di  Firenze  pubblicati  ed  iltuetrati  dal  prof.  Antonio  Favaro  eoeio 
eorr.  del  reale  letituto  Veneto  di  ecienMe.  lettere  ed  arti  (EHr.  dal  t>ol.  XIl 
delle  Memorie  deiristitato  stesso).  Venezia,  preeto  la  eegreteria  del  R.  Idi- 
tuto  nel  falatio  dmeale  »  tipografia  di  Giuseppe  Antonelli  1880.  In  4?  di 
pag.  43  ea  una  tavola. 

Ragguaglio  dei  manoeeriiti  Galileiani  nella  Biblioteca  nazionale  di 

Firenze  ed  annuncio  di  alcuni  frammenti  inediti  del  Galileo ,  ecc.  {Eetr. 
dal  voi.  VI,  ter.  V  degli  Atti  ecc.).  Venezia,  i880,  tip.  Antonelli.  In  8.^ 
di  pag.  7. 

Henbt  (C.)  Bemaraue  eur  un  article  dee  nouvellee  annaUt.-^  Généralitation 
d^un  théorème  darithmétique  [Extrait  tfe«  Nouvelles  Annales  de  Mathéma- 
tiques,  2«  térie,  U  III,  1880).  Parie,  in^merie  de  Gauthier  f  illari,  guai 
dee  Auguitine  55.  In  8.o  di  pag.  4. 

Ladelgi  iFrancesco)  Intorno  alle  febbri  di  periodo,  dieeorto  relativo  alla 
circolare  Municipale  diretta  ai  medici  romani  in  data  delfX^  ottobre  1879. 
Del  prof.  Francesco  Ladelci.  (Eetratto  dagli  Atti  delfAccad.  pont.  de'Nuovi 
Lincei,  to.  XIIIII ,  anno  III  III,  teuione  VI''  del  23  magi(io  1880). 
Roma,  tip,  delle  Se.  mot.  e  fie.,  via  Lata  n.^  Z,  1880.  In  4.*  di  pag.  24. 

LuGAS  (Edoardo)  Prìndfii  fondamentali  della  Geometria  dei  Teuuti  {Estratto 
dai  fase.  7!  ed  8.^  (Anno  VI)  del  Periodico  mensile:  L'ingegneria  Civile 
e  le  Arti  Industriali),  rortuo ,  tip.  e  Ut.  Camilla  e  Bertolero ,  Via  (hpe- 
dale,  18,  1880.  In  8.*  di  pag.  32. 

Martingngo  (Domenico)  morale  e  Storia.  Racconti  alla  gioventù  ed  al  po- 
polo. Torino  1880»  tipografia  e  libraria  Salesiana^  San  Pier  d^ Arena,  Nizza 
liarittima.  In  12?  di  pag.  296. 

Meli  (Romolo)  Sulla  natura  geologica  dei  terreni  incontrati  nelle  fondazioni 
tubulari  del  nuovo  Ponte  di  ferro  coetrwito  sul  Tevere  a  Ripetta,  e  sull'inno 
siiruATUs  Lamk,  rinvenutovi.  (Reale  Accademia  dei  Lincei,  anno  CCLIIVII 
<l879-80)  ).  (Serie  3*.  Memorie  della  Classe  di  scienie  fisiche,  matematiche 
e  naturali,  voi.  VIII).  Roma,  eoi  tipi  del  SaMued  1880.  In  4.*  di  pag.  11, 
ed  una  tavola. 

Muntz  (Eug.)  Raphael  archéologue  et  historien  Sart  (Extrait  de  /a  Gaiette 
dea  Beaux-A'rts  Octobre  et  Novembre  1880).  Paris,  imprimerie  de  A.  Quantin 
et  C.i'  7,  rue  Saint-BenoU,  1880.  in  4*  di  pa».  22. 

Paria  (Giusepne)  d.  C.  d.  G.  Sermoni  di  San  Bernardo  nelle  iolennità  del 
Signore  volgarizzati  da  frate  Domenico  Cavalca  delVordine  de*predicatori, 
ridotti  a  purgata  lezione  e  dedicati  all'eccellenza  del  principe  don  Raldas- 
sarre  Boncompagni.  Roma  dalla  tipografia  della  Pace,  piazza  della  Pace 
35.  1889.  In  8.*  di  pag.  416. 

Rice  ARDI  (P.)  Nota  etatistica  di  Storia  Matematica  (Estratta  dal  Toeso  11^ 
anno  1880»  delle  Memorie  della  R.  AccadHnia  di  Scieoae,  Lettere  ed  Arti 
di  Modena).  In  4!  di  pag«  12*  ed  ma  tavola. 

Biblioteca  Matematica  Italiana  dalla  origine  della  stanca  ai  primi  anni 

del  secolo  III.  (Parte  sevonda,  volume  uinieo).  Modena,  società  tipografica 
antica  tipografia  SoHani,  t880.  In  4!  di  pag.  xxii— 161— 294. 

Sabatini  (Francesco)  Abelardo  ed  Eloisa  secondo  la  tradizione  popolare.  Roma, 
libreria  centrale  ed.  Mueller,  Corso  146,  1880.  tn  8.»  di  pag.  126. 

ScHiAPARELLi  (Luìgì)  17»  copitolo  di  StoTìa  PaMa  antica  e  moderna  (nella 
bene  ausoieata  unione  del  signor  Alessandro  Sella,  eolla  signorina  Giovanna 
Giacomelli,  Agosto  1880).  ron'ne,  stamperia  reale  della  ditta  G.  B.  Paravia 
e  comp.,  di  I.  Vigliardi,  1880.  In  8.^  di  paf.  112. 

Sella  (Quintino)  SuUe  casse  postali  di  Risparmio.  Lettera  alVon.  deputato 
L.  Lnziatti  {Estratto  dalla  Naorn  Antologia,  l!  Jaoilo  1880).  Roma,  tipo- 
grafia Barbèra  1880.  In  8.*  di  pag.  30. 

Tessier  (Andrea)  Tre  novellette  ed  altri  brevi  scritti  deW  abate  Giuseppe 
Manzoni  veneziano  {per  le  ampicoHssime  nozze  dell*  egregio  signor  Gino 
dott.  Zajotti  eolfamabilissivsa  signorina  Teodolinda  Antonini).  Venezia,  coi 
tipi  di  Pietro  Naratovich  1880.  In  8!  di  pag.  27. 


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Serie  II.  Vol.  XIV. 


Maggio  1880 


I  L 


BUONARROTI 


D   I 


fiENY£NUTO  GÀSFÀRONl 

CONTINUATO  PER  CORA 

DI  ENRICO  CARDUCCI 


PAG. 

XXX.  DocDdìentì  mediti  dell*  arte  toscana  dal  XII 

al  XVI  secolo ,  raccolti  e  annotati  da  G. 
Milanesi  {Cùntinua) »    141 

XXXI.  Descrizione  di  tutte  le  colonne  ed  obelischi 

che  trovansi  nelle  piazze  di  Roma,  disposta 
in  forma  di  guida  da  Angelo  Pelle- 
grini ecc.  {Coniinuaxione) »  158 

XXXII.  Del  bello  nella  nuova  poesia  {Fine)  (Prof.  Ni- 

colò Marsucco) >i  173 

XXXIII.  Grandiosa  idea  di  un  monumento  onorario  da 

erigersi  in  Roma  per  eternare  la  memoria 
di  Vittorio  Emanuele  lì,  primo  Re  d'Italia 
(Giuseppe  Verzili  Architetto  Ingegnere).  »  179 

XXXIV.  Alla  Maestà  della  nostra  augusta  e  graziosa 

sovrana  Margherita  Regina  d'Italia,  per  il 
suo  fausto  ritorno  a  Roma  dai  trionfale 
viaggio  in  Sicilia  (Luigi  Arrigo  Rossi),  d  183 
Pubblicazioni  ricevute  in  dono »  184 


RoniA 

TIPOGRAFIA  DELLE   SCIENZE   MATEMATICHE  E   PISICBE 

VIA   LATA  N?  3. 

1880 


Pubblicato  il  9  Marzo  i8Si 


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IL 


ai3(!>sì^iìiiìi(i>^a 


Serie  !!•  Vol.  XIV.         Quaderno  V. 


Maggio  1880 


XXX. 

DOCUMENTI  INEDITI  DELL'ARTE  TOSCANA 
DAL  XII  AL  XVI  SECOLO 

RACCOLTI  E  ANNOTATI 

DA  G.    MILANESI 


AVVERTIMENTO 

La  storia  delle  Belle  Arti  in  Italia,  dopoché  esse  risorsero 
dalla  lunga  notte  di  più  secoli  di  barbarie,  a  vita  novella 
per  virtù  de'toscani  ingegni,  e  procedendo  nel  glorioso  loro 
cammino,  pervennero  felicemente  al  colmo  d*ogni  perfezione, 
fu  narrata  da  Giorgio  Vasari  nel  suo  immortale  libro  delle 
Fìtej  al  quale  come  fonte  più  copioso  e  sincero,  attinsero 
tutti  coloro  che  per  tre  secoli  ebbero  di  esse  arti  a  trattare. 
Ma  allorquando  gli  studj  storici  in  Italia  ebbero  grande  rin- 
novamento ed  impulso,  massimamente  per  opera  del  Mura- 
tori; anche  quelli  che  alle  Arti  Belle  riguardano  comincia* 
rono  nello  stesso  tempo  a  risentire  i  medesimi  eJBTetti.  I  quali 
col  progredire  ed  allargare  degli  studj  ,  produssero  che  un 
più  diligente  ed  accurato  esame  si  facesse  de*  già  noti  mo- 
numenti artistici  così  scritti  come  figurati,  e  che  altri  fino 
allora  sconosciuti  fossero ,  per  industria  di  uomini  eruditi  , 
tratti  dagli  Archivi  e  dalle  Biblioteche,  e  poscia  pubblicati. 
Onde  per  questo  lavoro  non  mai  interrotto  da  quasi  cent'anni 
di  ricerche  e  di  studj  ,  noi  siamo  giunti  oggi  a  possedere 
una  abbondantissima  e  spesso  preziosa  raccolta  di  documenti. 


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—   142  

per  la  quale,  oltre  ad  essere  illustrate  mirabilmeate  le  nostre 
arti  per  il  corso  eli  tre  secoli  ,  si  dimostra  altresì  quanto 
il  libro  del  Biografo  Aretino  in  specie  nei  due  primi  secoli 
dell'arte  risorta  rimanga  povero,  manchevole  e  spesso  erroneo. 
Per  meglio  prepararmi  alla  nuova  edizione  del  Vasari  j 
già  da  tre  anni  cominciata  in  Firenze,  avendo  dovuto  ripi- 
gliare le  mie  ricerche  neirArchivio  di  Stato  ed  istituirne  delle 
nuove  nel  Generale  de'Contratti,  mi  venne  fatto  di  raccogliere 
a  poco  a  poco  un  ragguardevole  numero  ,  specialmente  in 
quest'ultimo,  di  documenti  artistici  dal  XI[  al  XVI  secolo, 
i  quali  per  essere  sconosciuti  e  parermi  importanti  la  maggior 
parte  alla  storia  dell'Arte  Toscana,  avevo  in  animo  di  pub- 
blicare. Erano  nondimeno  passati  alcuni  anni  che  questo  mio 
desiderio,  non  ostante  varj  tentativi,  non  aveva  conseguita 
lo  sperato  effetto.  Quando  essendomi  rivolto  all'illustre  sig/ 
Principe  Don  Baldassarre  Boncompagni^  egli  per  quella  sua 
grande  generosità  e  cortesia  che  h  nota  a  tutti,  volle  non 
appena  richiesto  che  quel  desiderio  fosse  contento.  Onde  , 
come  per  cosi  segnalato  favore  io  mi  sento  oltremodo  grato 
e  riconoscente  verso  queirillustre  gentiluomo,  così  spero  che 
non  minor  gratitudine  e  riconoscenza  gli  avranno  ì  cultori 
della  Storia  dell'arte,  i  quali  dalla  presente  pubblicazione 
trarranno  non  mediocre  utilità  ed  aiuto  pe*loro  studj. 

Di  Firenze,  li  S9  di  dicembre  1880.  '^ 

Gaetano  Milanesi 


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143   — 

N.'  1,  1165,   1  di  gennaio 

Guglielmo  e  Biccio  maestri  deWopera  della  Primaziale  di  Pisa 
fanno  patto  cogli  operai  circa  il  dcUario  loro^  e  de' discepoli  > 

Archivio  di  Stmio  in  Film.  Carle  della  Frimasiale. 

In  Eterni  Dei  nomine  amen.  Breve  conventonim  pactorum  .  .  . 

GrassMs  Torscellus  et  ics  atqne  tus  et  BeUm  c^erariis  (sic) 

opere  Sancte  Marie,  et  Gtdlielmus  (1)  et  JRicotua  magistri  predictc  opere 
convenerunt  inter  se.  Siqnidem  predicti  operaris  (sic)  promisenmt  sti- 
pnlatione  predicto  Cruilielmo  et  Riccio^  nnosqnisque  eorum  per  sin* 
golam  ebdomadam  prò  expensa  denarios  qpiattuordecim  et  prò  pretio 
denarios  deeem  et  octo,  et  hoc  debent  dare  per  menses  octo.  In  aliis 
quattuor  prò  expensa  totidem ,  et  prò  pretio  denarios  qnindecim 
sic  senper  dare  debent.  Ni  si  impediar  (sic)  eos  infirmhaie.  In  ten- 
pore  vero   infirmitatis   nichil    debent   abere  de  pretio.  De  expensa 

autem   adam,    tantum  quantum  in  tenpore  sanitatis.  Expletis 

vero  duabus  ebdomadis,  si  infirmitas  persevaeraverit,  nichil  dd>ent 
abere  de  pretio  yel  de  expensa.  In  fine  vero  anni,  nulla  infirmitate 
aut  iestivitate  inpediente ,  dare  debent  predicto  GuUielmo  prò  feo 
solidos  yiginti  quinque,  et  Riccio  solidos  quindecim.  De  discipulis 
vero  sic  inter  se  convenerunt:  quod  magìster  GuUièlmus  debet  abere 
tres  discipulos  et  non  plures,  et  magister  Riecius  tantum  duos,  tali 
modo  debent  retinere  in  predicta  Opera  postquam  videbunt  illos  esse 
conveniens:  prò  expensa  »uscipienda  unusquisque  eorum  debet  eam 
abere  tantum  quantum  aliquis  eorum  ;  prò  pretio  debent  recipere 
tantum  quantum  illos  scierint  laborare.  In  tempoi'e  vero  infirmitatis 
debent  snscipere  expensam  per  unam  ebdomadam  et  non^  amplius. 
Pro  pretio  vero  nichil  et  in  fine  anni  nichil  de  feudo.  Super  omnia 
predicta  in  die  Nativitatis  Domini,  inter  omnes,  quotquot  fuerint, 
debent  recipere  unum  barile  vini  et  unum  sextairium  fabavum  ,  et 
unum  fascem  inter  porros  et  brascas;  et  in  unaquaque  iafrascriptarum 
duas  festivitates  Nativitas  Dconini  et  Resurrexioois  unusquisque 
vestrum,  magister  videlicet  et  discipulus,  per  singulos,  denarios  duos, 
et  omnes  maeistri  et  dbcipuli  in  diebus  quibus  laborant  ter  bibere 
debent;  in  testivitatibus  autem  semel,  (^ando  autem  in  aliquibus 
sepulturis  laboraverint,  inter  omnes  debent  abeve  d«narios  quattuor. 
In  die  etiam  Jovis  ante  quadragesimam  debent   abere  per  singulos 

(1)  Non  ho  dubbio  cfae  questo  Guglielmo  sia  quel  medesimo  cba  il 
Vasari  nomina  nella  vita  d*  Arnolfo  »  e  crede  tedesco  di  nazione ,  ma  che 
invece  è  da  riputare  italiano,  e  facilmente  pisano.  Ed  a  costui,  che  deve  essere 
stato  il  compagno  di  Bonanno  nella  costruzione  del  campanile  della  Prima- 
ziale di  Pisa  nel  1177,  è  certo  per  me  che  si  riferisca  la  iscrizione  sepolcrale 
scolpita  nel  zoccolo  dell*  ultimo  pilastro  a  destra  della  facciata  della  detti 
chiesa,  scoperta  nel  1865,  dalla  quale  si  rileva  che  egli  fu  Tantore  dell'antico 
pergamo,  fatto  circa  130  anni  innanzi  a  quello  che  nel  1302  scolpì  Giovanni 
Pisano.  La  iscrizione  dice  così: 

S  SXPVLTVRA  GVILIELVI  R  MAGI8TRI   QV»   FECIT    PERGVM    (per- 

^aifitim)  SAITCTE  VARIE  (Vedi  l'opuscolo  intitolato:  Sulla  ricom- 
patixione  del  pulpito  di  Giovanni  Pisano.  Raparlo  della  Com- 
missione istituita  dal  Consiglio  Municipale  di  Pisa).  Pisa,  Nistri, 
1873,  in  8! 


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—   144   — 

aborlingam  (i)  unum.  In  die  etiam  Kesurrexionis  Domini  debent  re- 
cipere  omnes  insimul  panem  et  vinum  et  agnelum,  et  ova  et  erbatam. 
De  omnibus  supradictis  promiserunt  uterque  inter  se  stipolatione 
penam  solidorum  quattuorcentum.  Et  in  tali  bordine  bec  scribere 
rogavimus  Edebrandum  notarium  Apostolice  Sedis.  Hactum  in  Por- 
ticu  prediate  Opere,  anno  Dominice  Incamationis  millesimo  cente- 
simo sexagesimo  quinto,  ipso  die  kalendarum  ianuarii,  indictioneXIIP. 

SIgna  manuum  Bernardi  Familiati  et  Barattidi  quondam  Ber- 
nardi ,  et  Sacci  quondam  Alberti ,  et  Henrici  magistri  quondam 
Ildebrandi  et  Mariconis  quondam  Petri^  et  Johanni  quondam  Lam- 
berti^  et  Martini  quondam  Johamii  rogatorum  testium. 

Supradicti  operariis  (stc)  confessi  sunt  coram  predicti  testes  (sic)^ 
quod  infrascripti  magistri  fidelitatem  fecissent  predicte  Opere,  preter 
Bernardus  Familiatus,  qui  tunc  non  erat  ibi. 

Ego  lldebrandus  nourius  Apostolice  Sedis  boc  Breve  ,  rogatu 
utrumque  partium,  scripsi  et  firmavi. 

N.**  2  i21i,  4  di  giugno 

Maestro  Guido  marmoraio  da  Lucca  fa  convenzione  di  lavorare 
nella  Pieve  di  S.  Stefano  di  Prati. 

Archivio  di  Slato  in  Lucca, 

In  Dei  nomine.  Amen,  mccxi.  Pridie  non.  Junii.  Indict.  XIIII. 
Actum  Prati  in  claustro  sancti  Stepbani.  Praesentibus  magistro  Strir 
nato^  Vliverio  quond:  Fanti  de  Colonica,  et  Diodato  clerico  S.  Bar- 
tbolomei  ecclesie  de  Goiano.  testes  rogati. 

Ex  bac  publica  litterariim  serie  omnibus  sit  manifestum,  quod 
magister  Guido  (2)  marmolarius  S.  Martini  de  Luca,  promisit  et  con- 
venit  et  pactum  fecit  domino  Henrico  Dei  gratia  plebis  S.  Stepbani 
de  Prato  preposito ,  Magistro  Bonaguidae ,  Henrico  de  Castdlo^  et 
Zongheìlo^  canonicis  diete  plebis,  et  Guidoni  Guazaloti^  et  Cmidalocto 
quond.  Gualfredi  Grecci^  tunc  temporis  Pratensium  consulibus,  atque 
Strambo  et  Mainecto  et  Tignosi  consulibus  mercatorum,  et  Ardicdoni 
operario  eiusdem  plebis,  recipientibus  vice  et  utilitate  Operis  diete 
plebis  et  totius  comunis  de  Prato,  bona  fide  sine  omni  fraude  et 
malìtia ,  stare  in  opere  S.  Stepbani ,  et  suis  manibus  operare ,  et 
facere  quos  voluerit  laborare  ,  donec  dictum  opus ,  auxiliante  Do- 
mino ,  completum  fuerit ,  cum  illis  magistris  sive  discipulis  quos 
in  ilio  opere  operare  placuerit  prò  competenti  pretio,  sicut  melius 
ei  videbitur  expedire  cum  istis  pactis  et  conventionibus  infra  sciptis, 

(i)  Aborlingui  non  è  parola  che  si  trovi  registrata  nel  Dacange.  Pa- 
re che  così  si  denominasse  in  antico  una  sorta  di  pasta  o  grossa  ciambella 
fatta  di  farina,  d*uova  e  di  miele.  Da  Aborlingo  ne  vennero  certamente  Ber- 
lingo,  il  suo  diminutivo  Berlingozzo ,  ed  ancne  Berlingaccio ^  per  il  giovedì 
grasso. 

(2)  Questo  maestro  Guido  scultore  lucchese  si  può  affermare  che  non  sia 
persona  diversa  da  Guidetto  nominato  in  una  iscrisione  del  1204  riferita  dal 
Ciampi  nelle  Notizie  della  Sagrestia  Pittoieee  ecc.,  pag.  i2i,  scolpita  in  un 
cartello  tenuto  da  una  figura  sedente  a  una  colonna  dalla  parte  del  campanile, 
sul  portico  superiore  della  facciata  di  S.  Martino  di  Lucca.  Che  maestro  Guido 
lucchese  lavorasse  in  S.  Stefano  di  Prato  in  ToKana  era  rimasto  fino  ad  ora 
ignoto. 


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—  145  — 
scilicet.  Quod  in  murando  in  dicto  opere  et  in  intalliando  lapidea 
siye  marmor  semper  in  ter  esse  debet  promisit.  Et  qpiandocunque 
prepositns,  yel  ejus  capitulos,  siye  consules  yel  potestas  Pratentium, 
aut  Operarius  dicti  Operis  ipsom  magùtrom  prò  faciendo  dictum 
Opus  inqpiisierint ,  promisit  yenire  et  stare  atque  operare  in  ilio 
opere  donec  Operarius  dicti  Operis  ipsum  tenere  yoluerit;  salvo 
tamen  quod  sit  licitum  dicto  magistro  ire  Lucam  IIII  yicibus  in 
anno ,  expensis  illius  Operis  in  eundo  et  redeundo ,  et  non  plus. 
Item  si  opus  quod  fecerit  in  dicto  Opere  non  videbitur  bonum  et 
congraum  majori  parti  hominum ,  promisit  ipsum  reficere  sicut 
melius  potuerit,  expensis  dicti  Operis.  Hec  autem  omnia  suprascripta 
et  singula,  tactis  sacro  sanctis  Eyangeliis,  idem  Magister  corpora- 
liter  jurayit  observare,  compiere  et  facere  in  omnibus  et  per  omnia, 
ut  suprascriptum  est,  bona  fide  sine  omni  fraude  et  malitia.  Et  ta- 
liter  suprascripti  Prepositus*,  Canonici  et  Consules  vice  et  utilitate 
dicti  Operis  et  totius  Comunis  de  Prato  inyestierunt  ipsum  magi- 
struno  Guidonem  de  dicto  Opere ,  et  dederunt  et  concesserunt  ei 
dictum  opus  ad  faciendum  ^  ut  predictum  est.  Insuper  vero  dictus 
Ardicdùne ,  prò  parabola  dictorum  Prepositi ,  Ganonicorum-  atque 
Consulum,  promisit  dicto  Magistro ,  prò  se  suisque  sucoessoribus , 
dare  et  solvere  ei,  prò  omni  die  quo  in  opere  ilio  laborabit.  III  so* 
lidos  in  summa,  yel  XXVI  denarios  et  commestionem:  et  hoc  debet 
esse  in  arbitrio  dicti  Operarii  quodcunqpie  istorum  capere  placuerit: 
et  in  omnibus  diebus  dominicis  prouisit  ei  commestionem  dare,  et 
si  in  edomada  erunt  duo  festivitates  yel  plures ,  debet  ei  comme- 
stionem dare  tantum  in  una  festivitate  et  non  plus,  et  XII  salmas 
lignorum  ad  faciendum  ignem  ei  dare  promisit  et  conyenit  per 
annum  et  non  plus. 

(L.  S.)  Ego  Udebrandm  imperiali  auctoritate  Judex  atque  Not. 
omnibus  suprascriptis  interfui  eaque  rogatus  publice  scripsi. 

N.  B.  Quando  ho  avuto  dubbio  di  non  aver  ben  decifrata  qualche  pa- 
rola, fho  poita  nelle  inierlinee  come  ita  ecriUa  nella  pergamena, 

N^  3.  i282,   83  di  luglio 

Azzo  del  m*^  Mazzetto  pittore^  s'obbliga  d^insegnare  Varie  eiuA 
a  Vanni  di  Bruno  di  Papa. 

Jrchirio  di  Stato  in  Firense,  PerganeDe  tratte  dall'  A.rchÌTÌo  Giodiaiarìo. 

Item  die  Jovis  decimo  kalendas  Augusti.  Actum  Florentie , 
testes  Chiecvus  Banagiimte  de  Medicia  et  Franchinus  Mellioris  populi 
sancti  Salvatoris  et  SaUua  Janni»  populi  sancti  Thome. 

Yamix  filius  Ermi  quond.  Pape ,  populi  sancti  Romoli  Flo- 
rentie ,  emancipatus ,  ut  scriptum  est  manu  Jacobi  Cinghietti  no- 
tarii ,  auctoritate  domini  Maffei  Tedaldi  iudicis  ordinarii ,  et  ad 
cautelam  consensu  sui  patria,  posuit  se  et  suas  operas  cum  magistro 
Aczo  pictore  filio  magistri  Maczeti  populi  Sancti  Thome  prò  suo 
discipulo  ad  artem  suam  pingendi  et  ad  omnia  pertinentia  ad  dictam 
artem  addiscendam,  hinc  a  kalendis  novembris  proxime  venturi,  inde 
ad  sex  annos  proxime  venturos  ;  et  ipse  Vanni  promisit  et  dictus 
Brunui  pater  precibus  dicti  Vanni  fideiussit  prò  eo ,  ambo  simul 
in  solidum  promiserunt  dicto  Aczo^  quod  ipse  Vanni  stabit  et  mo- 


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—   146  

rabitur  cum  eo  continue  et  serviet  sibi  et  laborabit  cum  eo  ad  uti- 
lìtatem  dicti  Aczi^  ubicumque  dictus  Aczu$  Yolaerit  ipsum  morari, 
continue  ,  bona  fide  sine  fraude  htnc  ad  dìctum  terminvm  ^  die 
noctuque  ;  et  quod  salnabit  bona  et  res  dieti  Atti  bona  fide ,  sine 
fraude.  Qne  omnia  pronùserunt  fàcere  sub  pena  librarum  viginti- 
quinque  et  contra  non  venire  etc.  —  Qui  Aczìts  ^  emancipatos  ut 
dixit  per  carlam  fa^^tam  manu  Dotdbene  notarli ,  promisit  dicto 
Vcmm^  ettm  secnndum  suam  artem  doeere  ad  dictum  terminum  et 
prò  suo  salario  dare  et  sotuere  promisit  ei  commestiones  et  potus 
secundum  suam  faeultatem  ad  substetttationem  sni  corporis,  et  etiam 
omni  anno ,  excepto  primo  anno  ,  libras  quinque  florenorum  par^ 
vorum  in  katendis  noTcmbris. 

N.*^  4;.  1292,  8  d'agosto 

Il  Comune  di  Firenze  stanzia  12  lire  a  Fino  di  Tedaldo  pittare  per  le 
pitture  da  lisi  fatte  nel  palazzo  pubblico  sapra  la  porta  della  Camera. 

JrchMo  detto,  ProTTistoni,  Tomo  1,  a  carte  |0<^. 

Item  Fvnù  pictori  filio  TedaìM^  de  populo  Sancte  Marie  No- 
velle, qui  ut  asserit  coactus  a  domino  Capitaneo  et  Domino  Boi- 
neaasiio  eìus  iudice  ,  piaxit.  et  pingi  fecit  picturas  ,.  ymagines  et 
fig«ras  factas  et  pietas  in  muro  pallatii  GouMinis  ,  supra  portam 
Camere  dieti  Gomunis  et  super  locum  in  quo  moratur  idem 
dominu&  Bolnaaaxua  {udex  Camere^  pi^  ipsi^us  satxsfactione,  remune^ 
ratione  et  solatione  predictarum  picturarum  et  figurarum  et  colonun 
in  eis  positoruaii,,  et  prò  onmi  eo  et  toto  quod  dieta  occasione  dicto 
Comuni  petere  passit,  libr»  XII  fior.,  parv. 

N.*  5.  Ì2t4,  5  d'aprile 

Goccio  di  Cianpello  da  Barberino  si  pone  ad  imparare 
V  arte  con  Tura  di  Ricovero  pittore. 

fMloaoLli  data. 

Giampellus  Venture  pop:  S-  Silvestri  de  Barberino  emancipatus 
a  dicto  patre  suo  ut  de  emancipatione  contineri  dixit  manu  ser  Beni 
de  B)sirberino  notarli,  posuit  et  locavio  Goecium  filium  suum  -  cum 
Tura  Ricoueri  pictore  pop-:  S-  Panali  ad  artem  pingendi  adiscendam  - 
bine  ad  quattuor  annos. 

N.^  fi.  1294,  24  d'aprile 

Dino  di  Benivieni,  pittore^  piglia  ad  insegnare  Varie 
per  tre  anni  a  Gerardo  di  Gianni. 

ÀrchWio,  Rogiti  e  Protocolli  detti,  e.  24. 

Presentibu.  testibus  Bonaffedi  melltorati  et  Corso  Buoni  pictore, 
et  Peduccio  bonuccioli  de  Armatis,  -  Giarmes  Cordonis  magister 
populi  Sancii  Felicis  in  piaza  de  Florentia  posuit  et  pacto  locavìt 
et  dedit  Gierardum  filium  suum  ibidem  presentem  ac  uolentero^  ma- 
gistro  Dino  Benevieni  pictori  pop:  S.  Marie  Novelle  ad  ipsam  artem 
adiscendam  pingendi  et  operandam  et  serviendam  bine  ad  tres  annos 
proxime  venturos,  promittens  solepniter  sine  aliqua  exceptione  [urìs 
uel  fatti  (sic)  se  obligando  dicto  Dino  se  ita  et  taliter  facturum  et 


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147   

curaturam,  qnod  dictus  Gierardus  hino  ad  dictum  termìnain  per- 
seueranter  et  continue  diebus  convenientibus  cum  dicio  magistro 
suo  Dmo  morabitur  et  fideliter  et  studiose  faciet  et  operabit  que- 
cumqne  dictus  magister  circa  dottrinam  (sic)  et  ezercitium  ipaius 
artis  sibi  preceperìt*,  et  res  et  bona  eliam  et  cniuscumque  alterius 
qne  penes  eum  essent,  bona  fide  custodiet  et  saluabit  et  furtum  non 
faciet^  nec  nolenti  facere  consentiet»  ncque  fuget  nel  discedet  ab  eo 
hinc  ad  terminum  supradìctum.  Quod  si  aliquod  eorum  facìat,  sa- 
tisfaciet  idem  ipse  Giannes  dicto  Dino  ,  et  eum  indepnem  conser- 
vabit;  et  specialiter  faciet  et  curabit  quod  ipse  Gierardus  quot  dies  * 
ante  terminum ,  preter  ipsius  magistri  Toluntatem  discedet  yeì  se 
remouebit  a  continuo  exercitio  diete  artis,  tot  ei  reficiet  et  restao- 
rabit  in  eodem  opere  et  exercitio  ad  suam  voluntatem  post  terminum 
supradictum.  Qua  propter  idem  magister  DtMus  promittit  ipsi  Gicmni 
vice  et  nomine  dicti  Giengrdi  bona  fide  in  arte  predìcta  dicUun  Gìb- 
rctrdum  tenere  et  decere  bene  et  legaliter.  £t  beo  omnia  promisernnt 
▼icissim  unus  alteri  ad  inTicenL,  solepni  stìpulatione  bine  inde  intei^ 
veniente,  actendere  et  observare,  et  contra  non  facere  uel  uenire 
sub  pena  dupli  eius  unde  ageretur,  et  insuper  librarum  decem  fior, 
parvor.  Et  damna  etc. 

N.*  7.  1294,    16  d^agoslo 

Andrea  di  Gante  pittore^  piglia  ad  insegnare  Varie 
a  Bartolo  di  Lapo. 

Archipio  tleiiù.  Rogiti  4etfei.  Protocollo  dal  1294  al  1296,  e.  26. 

Presentibns  testibus  ser  Renaldo  medico  filio  quondam  Ridol- 
fini  et  Ghecto  Bonaccorsi  pop.  S.  Marie  Novelle,  ser  Guido  Monetti 
notarius  populi  Sancte  Marie  Novelle ,  posuit  et  locavit  ex  pacto 
Bartholum  nepotem  suum ,  filium  olim  Lapi  cum  Andrea  pictore 
filio  Cantis^  populi  sancti  Stepbani  Abatie  ad  ipsam  artem  pingendi 
adiscendam ,  serviendam  et  operandam  in  termino  videlicet  a  ka- 
lendis  aprilis  ad  tres  annos  proxime  venturos. 

N.®  8,  1295,  28  di  gennaio 

Nuto  di  Grillo  da  Prato  è  posto  al  pittore^ 
con  Grifo  di  Tancredi. 

Rogiti  •  Protocollo  dettile.  l4  verso, 

Presentibns  testibus  ser  Carso  Gerardi  et  ser  Pino  Guida- 
lotti  notariis.  Grillus  filius  ....  de  Prato  qui  moratur  Fior,  in 
populo  Sancti  Petri  Maioris  posuit  et  patto  (sic)  locavit  Nutum  filium 
suum  cum  Grifo  pittore  filio  Tancredi  ad  ipsam  artem  pingendi  adi* 
scendam-in  termino -bine  ad  quattuor  annos  proxime  venturos. 

N.'  9.  1295,  2  di  marzo 

Lapo  di  Beliotto  e  Lapo  di  Taldo  pittori^  compagni^  s'obbligano  d^tn- 
segnare  la  loro  arte  a  Monachino  di  Bonamico  Garmenni  da 
Forlì  dimorante  in  Firenze* 

Archivio^  Rogiti  •  Protocollo  detti,  e.  4S. 

Actnm  Florentie  ,  presentibus  testibus  Toschino  ChelU  populi 
S.  Marie  maioris  et  Piero  Salvi  Mannelli   dicti   populi.  Bonqmicus 


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—  148 

Carmanni  de  Forlivio  qui  moratur  Florentie  ìa  populo  Sancte  Marie 
Novelle  posuit  et  pacto  locavit  Monackinum  filium  suum  ibidem 
presentem  et  volentem  cum  magistro  Lapo  BelioUi  et  Lapo  Taldi 
pittoribus  {sic)  sotiìs,  ad  ipsam  artem  pingendi  adiscendam  -  in  ter- 
mino-bine  ad  quatuor  {armos)  proxime  venturos. 

N."*  10.  1295,  14  di  marzo 

Asinelio  (1)  di  Alberto  pittore^ 
riceve  per  ma  discepolo  aWarte  Berto  di  Restorino. 

jirchivio.  Rogiti  e  Protocollo  detti,  e.  47. 

Actum  Florentie ,  presentibus  testibus  Banducdo  Lamberti^  et 
Canudo  Beliotti  pop:  S.  Maiie  Novelle  -  Restorinus  conciator  pan- 
norum  filius  Rustichelli  pop:  S.  Micbaelis  Bertelde  posnit  -  jBertimt 
eius  filium  cum  Asinelio  filio  Alberti  pop:  S.  Marie  Novelle  pittore 
ad  artem  pingendi  adiscendam  -  in  termino  a  medio  mensis  februarii 
proxime  preteriti  ad  quatuor  annos  proxime  venturos. 

In  fine  si  dice  :  Et  ex  nunc  voluit  dictus  Asvnellus  quod  idem 
Bertus  discipulus  sit  ab  ipsa  discipulatione  et  positione  liber. 

N.*  11.  1295,   16  d'aprile 

Cecco  di  Salimbene  da  Campi  si  pone  ad  imparare 
Varie  con  Scalore  di  Lottieri  pittore. 

JrchiifiOf  Rogiti  e  Protocollo  detti,  e.  50  verso* 

Presentibus  testibus  Cieppo  Ricordi  de  Campi  et  Mattheo  Bo^ 
naffedis  Melliorati  -  Cieccus  Scdimbenis  de  Campi  emancipatus  ut 
dixit  per  cartam  manu  Ser  Luce  de  Campi  ngtarii ,  se  posuit  et 
locavit  ex  pattp  cum  Scalore  pittore  quondam  Lattieri  ad  ipsam  artem 
pingendi  adiscendam  bine  ad  quattuor  annos  proximos. 

N.*  i2.  1295,  24  d'aprile 

Giovanni  di  Nuto  dai  Borgo  S.  Lorenzo  di  Mugello 
va  a  stare  come  discepolo  netta  bottega  di  Vanni  di  Rinuccio  pittore. 

Archivio^  Rogiti  e  Protocollo  detti,  e.  48. 

Actum  Fior:  presentibus  testibus  Maso  Ranerii  bonaccord  de 
Florentia,  Ser  Forense  notario  filio  quondam  Uguettucdi  de  Burgo 
ad  sanctum  Laurentium.  Nutns  quondam  Barinni  (?)  de  Burgo  ad 
Sanctum  Laurentium  de  Mugello  posuit  Johannem  filium  suum  cum 
Vanne  Rinuccii  pittore  pop:  Sancti  Laurentii ,  conducenti  paterno 
consensu,  ad  ipsam  artem  pingendi  adiscendam  -  bine  ad  otto  annos 
proxime  venturos  -  Fideiussit  prò  dicto  Auto,  Ser  Zoccolus  q.  Dni 
Zoccoli  de  Burgo  ad  S.  Laurent:  de  Mucello. 

N.^"   13.  1295,  29  di  luglio 

Coluccio  di  Guido  pittore 
piglia  ad  insegnare  Varie  sua  a  Manetto  di  Giovanni. 

archivio.  Rogiti  e  Protocollo  detti,  e.  51. 

Amadore  Johannis  pop:  S.  Mich:  vicedomerionem  posuit  et  lo- 
cavit patto  Manettum   suum    fratrem  filium   Johannis  cum   Coluccio 

(!)  Nel  libro  alfabetico  dei  matricolati  alfarte  de'Medici  e  Speziali  sotto 
l'anno  1312,  si  trova  Giovanni  Tocato  Ànnellù  . 


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. —   149  — 
pittore  filio  Guidi  dicti  pop:  ad  ipsam  artem  pingendi  adbcendam  - 
bine  ad  quattuor  annos. 

N."*  14.  1295,   3  d'agosto 

Taldo  Mannelli  pone  in  bottega  di  Lapo  di  Beliotti 
per  discuoio  Bartolino  suo  figliuolo, 

JrehMo,  Rogiti  e  Protocollo  detti. 

Presentibus  Corso  Buoni  rettore  pietorum  et  Bonaffede  Mellio- 
rati  -  Taldtis  Mannelli  pop.  S.  Salvatoris  posuit  Bartolinum  filium 
suum  cum  Lapo  Beliotti  pictore  recipiente  prò  se  et  Lapo  Taldi  sotio 
suo  ad  ipsam  artem  pingendi  adÌ3cendam  -  a  kalendis  Januarii  pro- 
xime  preteritis  ad  quattuor  annos. 

N.""   15.  1295,   8  d*ag06to 

Rossello  di  Lottieri  pittore  riceve  per  discepolo 
Geri  cf  Anselmo  di  Gerardino. 

jirùhtvio.  Rogiti  •  Protocollo  detti,  e.    51. 

Presentibus  testibus.  Borghese  Chiariti  de  Monte  lupo,  et  Rosso 
Strozzi  pop:  S.  Marie  Ugonis.  Ansélmus  quondam  Crierardini  pop: 
S.  Fridiani  loca^it-  Gerium  filium  suum  cum  Rossello  Lotterii  pictore 
ad  ipsam  artem  operandam  cum  eo,  quomodocumque  condecenter 
idem  Rossellus  yoluerit  -  a  kalendis  proxime  preteritis  huius  mensis 
Augusti  ad  unum  annum  prozime  venturum. 

N.^"   16.  1295,   26  d'agosto 

Goluccio  di  Guido  pittore  pone  Grazianello  di  Giovanni 
ad  imparare  Varie  con  Chele  di  Pino  pittore. 

Archivio 9  Rogiti  e  Protocollo  detti,  e.  56  verso» 

Presentibus  Rossello  Lotterii  pictore  et  Nerio  Guidi  de  Le- 
gnaria"^»  CoIìaccvuis  pictor  filius  Guidi  pop:  Sancti  Michaelis  yicedo- 
minorum  locavit  -  Gratianellwm  filium  Johannis  pop:  supradicti  - 
cum  Chele  pittore  filio  Pini  ad  artem  pingendi  adiscendam  -  bine 
ad  (piatuor  annos. 

N."*  17.  1295,   10  di  settembre 

Petruccio  di  Puccio  da  Pisa  si  pone  con 
Bertino  de  la  Marra  pittore, cui  imparare  Varie. 

Archivio^  Rogiti  t  Protocollo  detti,  e.  62  vevso» 

Presentibus  RosseUo  Lotterii  rectore  in  arte  Pietorum  et  Nerio 
Guidi  de  Sancto  Quirico  de  Legnaria  -  Petruccius  filius  olim  Puccii 
de  Pisis  de  con  tra  ta  S.  Lucie  de  Pisis  se  ipsum  posuit  cum  Bertìno 
de  la  Marra  pictore  ad  artem  pingendi  adiscendam  -  bine  ad  quat- 
tuor annos. 

N.*^  18.  1295,  25  d'ottobre 

Lapo  di  Cambio  pittore 
accetta  per  suo  discepolo  Vanni  di  Tommaso  di  Ristoro. 

Archivio 9  Rogiti  •  Protocollo  detti. 

Presentibus  Rossello  Lotterii  rectore  artis  pittorum  et  Jfoso  Dati 
pop.  S.  M.  Novelle  -  MoreUus  filius  Thomasii  Ristori  pop:  S.  Petri 

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—   150  — 

Scradii  pacto  posnit  Vctnnem  fratrem  sutim  cam  Lapo  Cambii  pictore 
de  Sancto  Georgio  ad  artem  depingendi  adiscendam  ^  tiinc  ad  qnat- 
tuor  annos. 

N.*  19.  1295,  io  di  dicembre 

Bartolint)  drAtnadore  cbx  S.  Sùloudùre  a  Leccio 
toma  per  discepolo  con  "Grerta  di  Piero  pittore. 

)^reséiitìl!)ti^  testibns  Rotsello  LvtterH  pittore  «t  Cofm  ÉUùni  ^ 
retioribu^  anis  pittoTum.  Bartùlinus  filitis  q.  AmadoHà  fop:  S.  Sai» 
vadorfs  de  Leccio  posTuit  f^  patto  )ocavit  se  ipsutn  <?trm  Crtita  Pieri 
pittore  ad  artem  pingendi  -  adiscendam  -  hinc  ad  quattnor  atmos. 

N.*  20.  1295,  il  dette 

Ao^sello  (K  Lattieri  piHo^  pane  Tieri  mò  ^iiuolo 
ad  imparare  ìa  pittura  e&n  ftossello  nitro  'suo  figliuolo. 

jÈrckivio,  Rugrti  'é  'PVolocbllo  «letti,  e.  83. 

Littter'ius  ItMst  popoli  Sawcti  Mk^aelis  Vicedomivortim-^posuit— 
TerkiM  filine  sutim  ^^  cum  fhwMiJIo  pittore  (ilio  ano  ad  artem  pm- 
getfdi  adisceviAam  ^  a  kalendis  Julii  ptfoiciaie  |)reterìtì  ad  qnatmor 
annos  Jwoxime  ventaros. 

N.''^!.  i296,  il  di  gennaio 

Niccolò  di  Leone  è  posto  al  pittore 
nella  bottega  di  Guiduccio  di  Maso. 

jirehM0,  llògìti  e  ^Hito4ò11«  Mti,  e.  90. 

Actam  Fior,  presentibus  testSms  ìiMueéio  Bogoli  rettore  artis 
pittorumy  et  Bruno  Mazze  et  Ghetto  Bonaccuirsi  pop:  S.  Marie  No- 
velle. AWizhtus  ^.  Periccioli  pop:  S.  F^licis  in  Piaztti ,  -  -posuit 
Niccolum  'filiti  m  Léonis  nepotém  stt^ùm  -  cum  Gidduóóiù  Mobì  pittore 
ad  ipsàm  artem  adiscendam  in  téitnino  ^binc  «Ul  otto  annos  prozime 
Venturos  -  dictus  Omdiiccim  promim  -  ^ipsum  Niacóhan  tenere  et 
docere  etc.,  et  ei  dare  -  alimenta,  vittus  et  vestitum  dicto  tempore 
prò  suo  munere  et  mercede. 

N.""  22.  1296,   20  di  febbraio 

liippo  di  'BenTVietii  pittore 
piglia  pìÈfr  %ìao  dhcepóolo  'Martino  di  ^Guardi. 

'jù^ehivié,    Itocitt  «  «PititMÒNo  tteld»  e.  90. 

Pr^etftibns  tesftibus  tdnwceio  ^BógoUs  rettore  attis  pittortm  A 
Cichte  Lipp  pop:  Sci  'Remigii  -  MatKinus  Si.  ériMMK  pop:  S-  Lucie 
de  MagnoHs  pYti^ìtirdtor  ad  hec  Bindaceki  Bruni  pittoiiB  '-«pOMt  «^ 
Nerium  filium  ipsius  Bindacchi  cum  Lippi  pittore  filio  Beneuieri  ad 
artem  pingendi  adiscendam  -  bine  ad  tres  annos. 

N.""  23.  1296,   20  di  marzo 

iLuti  di  'Ldpo  di  S.  Pietro  u  MowtkelH 
è  messo  per  discepolo  'con  Gucoio  di  «Lippo  pittore. 

Presentibus  Binuccio  Bogàlis  dephitorè  réttthre  artis  piUorum 
et  Nigio  'Jaàopi  pop:  S.  'Pètri  de  Monticéllts  -  Lapus  filitts  quond: 


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—   151   — 
Venlbare  pop:  S.  Petri  de  Monticellis  -  posuil  -  LuXum  filium  suum 
cum  Gticcio  pittore  filio  Zrtppt  ad  ipsam  artem  pingendi  adiscendam  - 
hiac  ad  quattuor  annos  proxime  venturos. 

N.""  24.  1300,  22  di  dicembre 

Lapo  Scatapecchia  di  Compagno,  pittore» 

Protocollo  lecoodo  del  detto  Ser  MaiUo,  dal  itOO  al  Ì3i4,  e.  7. 

Fra  i  testimoni  ad  uno  strumento  di  quel  giorno,  mese  ed  anno 
è  Lapo  SccUapeechia  figliuolo  del  fu  Compagno  pittore. 

N.*»  25.  1301,   13  d'ottobre 

Cuccio  di  Lippo,  Vann uccio  di  Duccio, 
Bruno  di  Giovanni  pittori. 

Protocollo  detto,  e.  41  verso. 

Testamento  di  ser  Ricco  Mazzetti -Tra  i  testimoni  sono  no- 
minati: Cuccio  Lippi  pictore ,  Vannuccio  Duccii  pictore^  Bruno  Jo- 
hannis  pictore  pop:  S.  Marie  Novelle. 

N.""  26.  1314,   13  di  giugno 

Quietama  di  Lapo  di  Palmerino 
a  Lippo  di  Benivieni  pittore* 

Protocollo  detto,  «.  109. 

Actum  Fior:  in  via  ^qusi  prope  Ecdesiam  fr^trmn  3*  Marci.  - 
Lapus  condam  Palmerini  pop:  S»  L&ureatii  -  fecit  fiii^m  refuta- 
tionem  et  pactum  de  ulterius  non  potendo  Lippo  pic^ori  filio  q. 
Benivieni  qui  moratur  in  dicto  pop:  S.  Laurentii,  de  debito  decem  et 
septem  florenor.  auri  quos  ab  eo  ex  causa  mutui  recipere-debebat(l). 

(Continua) 


(1)  La  massima  parte  de*pittori  fiorentini  de*quali  si  leggono  i  nomi  nei 
sorriferiti  strumenti  dal  1282  al  1*314,  è  sconosciuta.  Nel  registro  alfabetico 
de*matricoIati  art' arte  de*Medici  e  Speaiali.  compilato  su  i  liori  delle  matri- 
cole di  detta  arte,  che  cominciavano  nel  1297,  questi  soli  si  trovano  aeritti 
in  quello  del  1312,  cioè  Grifo  Tancredi,  Asinelio  d'Alberto,  Vmuì  di  Ri- 
nuccio,  Rossello  di  Lottieri,  Lapo  di  Cambio,  Guid uccio  di  Maso,  Vannuccio 
Ducei  e  Lippo  Benivieni;  éi  in  quello  cominciaio  nel  1320  il  aalo  Corso  di 
Buono.  L'unico  pittore  obe  Cosse  già  noto  per  una  aua  opera,  da  gran  ^mpo 
perduta,  aè  Lippo  Benivieni,  il  quale  nel  1315  ebbe  a  dipingere  dai  Consoli  di 
Calimala  i  portelli  del  tabernacolo  ore  era  riposta  la  atatua  di  S.  Gìo.  Batista 
nel  Batistero  di  Firenze. 


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—  152  — 
XXXI. 

DESCRIZIONE 

DI  TUTTE  LE  COLONNE  ED  OBELISCHI 

CHE  TROVANSl  NELLE  PIAZZE  Di  ROMA 

DISPOSTA  19   FORMA  DI   GUIDA 
DA    ANGELO    PELLEGRINI 

MIMBIO   SELL' IH •TITUTO    Bl   COlftUFORDElf  SA    ABCBEOLOOICA 

Coniinuaiùme  (i) 


COLONNA  COCLIDE  DI  TRAIANO 

Partendo  da  piazza  Colonna ,  e  voltando  al  sud  per  la 
via  del  Corso  all'  angolo  del  palazzo  Ferrajoli,  dopo  piazza 
di  Venezia,  incontrasi  il  quadrivio  di  Macel  de'Corvi,  di  s.  Marco 
e  della  ripresa  de'Barberi,  dove  fu  Tarco  trionfale  di  Domi- 
ziano. Corrispondeva  questo  all'  antico  quadrivio  costituito 
dalia  via  Lata  (2),  da  altra  che  si  dirigeva  alla  regione-  IX 
verso  il  circo  Flaminio  (3),  da  altra  che  conduceva  al  Qui- 
rinale fra  la  colonna  coclide  di  Trajano  ed  il  tempio  di  tale 
imperatore  presso  il  suo  foro  (4) ,  e  dal  fine  della  via  Ma- 
mertina  (5). 

Ora  voltando  per  la  terza  via  nominata,  corrispondente 
a  quella  di  Macel  de'Corvi,  avete  in  vista  la  colonna  di  cui 
parliamo,  uno  dei  più  preziosi  monumenti  che  ci  siano  rimasti 
conservati  di  Roma  antica.  Essa  h  nel  mezzo  del  lato  setten- 
trionale della  basilica  Ulpia  nel  foro  Trajano  architettato 
dal  celebre  ApoUodoro  damasceno,  che  fu  il  più  ricco  e  son- 
tuoso dei  fori  di  Roma.  Non  è  nostro  argomento  di  descri- 
verlo, ma  perchè  il  lettore  ne  abbia  qualche  piccola  idea^ 
veniamo  a  dargliene  un  rapido  cenno. 

L'imperator  Trajano  imprese  a  costruire  il  suo  foro  Tanno 
865  di  Roma^  corrispondente  al  113  delTèra  volgare,  serven- 

(1)  Vedi  Quaderno  precedente,  pa^.  119. 

(2)  Questo  tratto  della  via  Flaminia  detto  via  Lata  per  l'essere  p\h  larvo, 
terminava  alfarco  di  Claudio  che  era  fra  Podierna  via  di  Pietra  e  l'arco  dei 
Garbognani;  e  tale  tratto  aveva  principio  dalla  via  della  Ripresa  de'Barberi 
indicata. 

(3)  Questa  siegue  Tandamento  della  via  di  s.  Marco. 

(4)  Questa  corrisponde  alla  via  di  Macel  de'  Corvi. 

(5)  Il  quarto  ramo  è  l'altro  braccio  della  via  di  tal  nome  cbo  si  congiunge 
con  quella  di  Marforio.  L'arco  di  Domiziano  fu  quadrifronte,  come  si  osserva 
nelle  sue  medaglie,  perchè  vi  transitavano  queste  quattro  sUiKle. 


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—   153  — 
dosi  del  nommato  greco  architetto.  Per  formar  la  sua  area 
venne  fatto  un  gran  taglio  dal  colle  Quirinale  lungo  l'odierna 
piazza  detta  Foro  Trajano ,    dal  lato  su  cui  sorgono  al  di- 
sopra la  chiesa  e  convento  di  s.  Caterina  da  Siena;  ed  altro 
taglio  più  piccolo  venne   eseguito  alle  falde  del   monte  Ca- 
pitolino presso  l'odierna  contrada,  detta  via  delle  Chiavi  d'oro. 
Per  reggere  le  terre  formò  due  grandi  edificii  disposti  inter- 
oamente  in  semicircolo  ,    e  quasi  per  intiero  rimane  il  più 
alto  al  ridosso  del  Quirinale,  il  quale  si  va  ad  osservare  in 
due  punti ,  cioè  dal  palazzo  del  Gallo  ,    ed  entrando  anche 
dalla  via  del  Grillo  per    il    portone  della   casa   segnata  col 
civico  n?  6;  dell'altro  edifizio  conforme  appiè  del  Campidoglio^ 
ne  restano  alcune  reliquie    nei   sotterranei  delle  case  lungo 
la  via  nominata  delle  Chiavi  d'oro,  e  lungo  la  via  di  Mar- 
forio,  corrispondente  all'antica  Mamertina.  Dove  è  il  già  no- 
minato convento  di  s.  Caterina  da  Siena  si  vedono  imponenti» 
e  ragguardevoli  avanzi  delle  fabbriche  trajaoee,  che  sorgono 
dal  colle,  e  queste  in  principio  dovettero  servire  a  persone 
addette  alla  custodia  del    foro   come  anco  a  soldati.  La  co- 
struzione curvilinea  indicata  entro  il  palazzo  del  Gallo,  viene 
chiamata  volgarmente  i  Bagni  di  Paolo  Emilio.  Nel  foro  ri- 
mangono gli  avanzi  della  basilica  Ulpia^  che  era  a  due  piani, 
e  con  i  tronchi  delle  sue  colonne  di  bel  granito  bigio  rimessi 
sulle  basì  scoperte  al  loro  posto,  dopo  l' escavazione  che  si 
vede  fatta  Tanno  isis.  Dai  lati  del  piedestallo  della  colonna, 
veggonsi  reliquie  dei  muri  e  traccie  dei  piantati  delle  due 
biblioteche  ,    che  unitamente  alla  basilica    racchiudevano   la 
colonna  coclide  in  una  specie  dì  cavedio  separato  dal  foro, 
ed  innanzi  al  nominato  tempio  di  Trajano  erettogli  da  Adriano, 
e  da  Sabina  sua  moglie.  Tutti  questi  edifici,  e  i  portici  del 
foro,  erano  coperti  con  tetti  di  metallo,  ed  ornati  d'infinite 
statue  e  trofei,  emergendo  sopra  quelle  di  distinti  personaggi, 
la  statua  equestre  di  Trajano  in  metallo»  della  quale  ne  re- 
starono stupefatti    Timperator  Costanzo  ed  Ormisda  re  per- 
siano. Verso  il  fondo  della  piazza  attuale,  dove  ha  principio 
la  via  Alessandrina,  era  Tarea  del  foro,  quadrata  con  portici 
dai  lati,  e  di  fronte  al  prospetto  della  basilica  Ulpia;  e  l'altro 
Iato  lo  costituiva  il  grandioso  arco  trionfale  con  accessori , 
che  dava  ingresso  al  foro  dalla  parte  della  chiesa  di  s.  Urbano. 
Venendo  ora  alla  descrizione  della  colonna  coclide,  narra 
Dione,  che  fu  eretta  non  solo  perchè  servisse  all'imperatore, 
ma  ancora  come  testimonio  del  lavoro  incontrato  per  la  co- 
struzione del  foro  nei  tagli  delle  terre  dei  colli  disopra  de- 


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—   i54   — 

scrìtti;  cioè  all'altezza  del  fusto  della  colonnai  vale  a  dire  di 
100  piedi ,  per  la  ragione  che  abbiamo  Milla  coloBoa  di  M. 
Anrelio  alleata»  Tal  fatto  h  constatato  dalla  is€rìsìoo£  oiì- 
ginale  superstite  nel  siso  piedc^aUo»  dalla  quale  si  dichiara 
]  altezza  del  monte  spiaoato: 

SENàTVS    .    POPVLVSQVE    .    ROMANVS 

IXP    .    GAESARI    .    DIVI    .    NERVAB    •    F    •    NERVAE 

TRAIANO    .    AVG    .    GERN    .    DAGIGO    .    PONTI? 

MAXIMO    .    TRIB    .    POT    .    XVII    .    IMP    .    Vi    •    COS    .    VI    •    PP 

AD    .    DECLARANDVM    .    QVANTAE    .    ALTITVDJNIS 

MONS    .    ET    •    LOCVS    .    TANTfV   Op6RlRVS    .    SIT    •    EGESTVS 

Narra  Dione  «  cbe  le  ceneri  di  Trajano  furono  deposte  nella 
colon na^  ed  Entropio  e  Cassiodoro  rifeiiscono  essere  slate  col- 
locate sotto  la  coloona  in  una  urna  d'oro.  La  coIoana  ba  in 
tutto  188  piedi  di  altezza,  compresa  la  misura  del  fusto  indi- 
cata ed  h  d*  online  dorico.  Vi  si  sale  per  iss  grzdwi,  e  45 
feritoie  danno  lume  alla  scala.  La  colonna  h  tutta  di  marmo 
bianco  looense,  ed  h  composta  di  34  massi  enormi^  cioè  s  for- 
mano il  gran  piedestallo,  i  la  base»  R3  il  fusto ,  i  il  capi- 
tello, ed  uno  il  piedestallo  cbe  reggeva  la  statua  iu  marmo 
dt  Trajano  astata,  come  iredesi  nelle  medaglie^  ed  ora  quelk 
di  s.  Pietro  postavi  da  Sisto  V,  di  cui  parleremo  a  suo  luogo. 
L' architetto  ApoUodoro  stabili  di  distendete  intorno  al  suo 
fusto  a  guisa  di  una  fascia,  e  scolpita  a  bassorilievo  la  storia 
delia  gaerra  dadca,  come  si  vede.  Tal  lavoro  di  buoni  scul- 
tori romani,  fu  primieramente  abbozzato ^  ed  eseguito  dopo 
che  la  colonna  venne  costrutta,  e  lo  stesso  ancor  si  fece  ri- 
guardo all'interna  scala.  Varie  volte  furono  incisi  i  bassirilievi 
di  questa  colonna,  ma  fra  le  diverse  copie  come  prima  tene- 
vasi  in  sommo  pregio  quella  di  Pietro  Sante  Bartoli,  clie  esegui 
pure  quella  di  M.  Aurelio,  così  oggi  la  correttissima  di  W. 
Froebner  con  le  incisioni  di  M.  Jules  Duvaux  edita  la  prima 
volta  Tanno  isss.  Quindi  fu  riprodotta  con  grandi  incisioni, 
e  ne  trasse  argomento  allorché  1*  imperatore  Napoleone  III 
ottenne  di  formare  in  gesso  i  suoi  bassirilievi,' avendone  de- 
siderata andie  la  riproduzione  i  suoi  predecessori  sovrani  di 
Francia  Francesco  I  l'anno  1641,  e  Luigi  XIV  nel  1665.  L'ultima 
adunque  grande  opera  su  questa  colonna  venne  pubblicata 
dal  nominato  autore  francese  l'anno  iS74  (l). 

(1)  Merita  considerazioDe  Topera  incìsa  dal  Moneta  e  disegnata  da  Salva- 
toro.  Busuttil  ed  illustrata  dal  Pistoiesi ,  colle  indicazioni  del  rabretti ,  Cfc- 
coni,  e  dal  Bellori. 


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—  155  — 

Priucipiandosi  ad  osservare  i  bassirilievi  dalla  parte  ri- 
volta verso  la  facciata  della  chiesa  di  s.  Maria  di  Loreto  , 
incomiiìcfa  4a  rappreseti tarione  della  prima  campagna  deila 
guerra  dì  Trajano  coatro  i  Oaoi. 

Si  vedono  nelle  quattro  laocie  d>el  ipiedestaUo  ArorCei  di 
quella  nazione  coìie  loro  insegne  «de' serpenti,  laocie  e  gia- 
vellotti; cHSohi  in  {orma  di  berretto  frigio,  oDratse  a  squaMe^ 
altre  a  maglia,  ed  a  verghe  di  ferro;  caschi  con  ornamenJa, 
turcassi  egualmente,  tuniche,  scvdi  'Ovali,  trombe  ed  altre  cose. 
La  cartella  deM*iscpieione  ripoitata,  vedesi  retta  Aa  due  vit- 
torie alate,  e  sngli  angoli  éove  sono  attaccati  i  quattro  gran- 
diosi serti  di  alloro  con  nastri ,  sono  assise  qaaitro  aquile 
legionarie  'che  recano  cogli  artigli  il  fiiae  di  essi. 

'Ora  venendo  «li  fasti  della  giverra  dacica,  meggonsi  pri- 
mieramente ncfl  basso  dei  fuso  della  colonna  ì  gcanari  da 
riporvi  il  'grano^  ed  i  viveri  deiresercito  romano  sopra  le  ripe 
del  fiume  Dawnbio  ^'ortifficati  da  stoocabi.  Siegue  una  catasta 
di  legname,  o  per  le  fortilicrzioni  degli  alloggiamefntìt  o  per 
eriger  ponti  ,  o  per  cariaggi  ,  o  per  cuocer  vivande.  Indi 
vengono  due  fienili,  o  pagliari  per  alimento  de'cavaUi  e  giu- 
menti dell'esercito.  Succedono  tre  castelli  con  faci  presso  cui 
sono  di  gnardia  quattro  soldati  romani  astati  con  scudi  ovali 
e  sago,  due  de 'quali  senza  elmo. 

Indi  vengono  tre  >bardlie  da  carico  sul  Danubio,  scaphae 
onerariaCi  luna  carica  di  grano,  e  Taltre  di  vino,  o  di  aceto. 
Vi  sono  botticelli  cerchiati  come  usansi  oggidì,  ed  i  soldati 
che  vi  son  dentro  ,  hanno  al  collo  la  solita  cravatta  detta 
focale^  quasi  come  quella  degli  odierni,  e  trasportano  i  vi- 
veri da  un  castello,  che  ivi  si  vede,  cioè  agli  alloggiamenti 
del  Peserei  to. 

Sopra  il  Danubio ,  Ister  o  Danuvius ,  vedesi  elevata  la 
citta  forte  di  f^iminacium^  corrispondente  all'attuale  Kostolalz 
in  cui  era  dì  guarnigione  la  settima  legione  Claudiana.  Sot- 
to scorgesi  il  Danubio  personificato  assiso  entro  una  grotta 
nelle  sue  acque,  che  guarda  i  Romanii  i  quali  usciti  per  una 
porta  della  citta,  attraversano  il  fiume  sopra  un  ponte  for- 
mato con  barche  ;  e  per  condursi  ad  una  isola  in  esso  ora 
chiamata  Ostros^a.  I  soldati  portano  greve  armatura  o  lorica, 
ed  oltre  le  armi,  hanno  legato  sopra  di  un'asta  un  sacchetto 
di  biscotto  ed  altro  di  formaggio ^  e  carne  salata;  un  vaso 
da  vino,  gratella,  e  grattaruola,  come  nsavasi  nella  pvestesza 
delle  spedizioni  nei  luoghi  deserti.  Due  legati  o  luogotenenti 
di  Trajano  sono  airestreroita  del  ponte,  marciando  colle  insegne 


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—  156  — 
e  suonatori  de*  corni  badnatores^  e  precedono  i  caTalli  dei 
capitani  che  accompagnavano  Trajano.  Sopra  un  grande  ed 
elevato  snggesto  formato  di  pietre  »  mirasi  Trajano  seduto , 
che  tiene  consiglio  di  guerra  con  dieci  suoi  luogotenenti;  e 
quindi  succede  lo  stesso  imperatore  che  vestito  con  gli  abiti 
sacerdotali,  fa  il  sacriBcio  suwetauriUa^  cioè  del  porco,  dei 
montone  e  del  bue.  Vi  si  osservano  i  vittimari,  i  tibicini  e 
garzoni  de^sacrìfizj. 

Appresso  mirasi  un  messaggiere,  che  alFapparire  di  Tra- 
jano e  di  due  suoi  luogotenenti  che  discendono  da  una  col- 
lina, è  caduto  da  un  mulo,  tenendo  una  specie  di  crivello, 
e  tal  messagiere  è  di  BureSj  Buri. 

Succede  V  imperatore  accompagnato  da  due  suoi  legati , 
e  sopra  ad  un  suggesto  formato  di  pietra  che  parla ,  o  fa 
una  allocuzione  ai  suoi  soldati,  accompagnati  dalie  insegne 
portate  dai  vessilliferi.  Viene  la  costruzione  di  un  campo  for- 
tificato, a  cui  assiste  Trajano  coi  suoi  due  luogotenenti;  e 
tre  soldati  j>assano  rapidamente  un  ponte  ^  mentre  un  altro 
al  di  la  posa  in  terra  una  marmitta  di  bronzo.  Sieguono  molti 
soldati  che  tagliano  una  selva  per  servirsi  dei  legni  nella 
nominata  costruzione;  e  parte  ne  conducono  nei  loro  allog- 
giamenti, ed  in  luogo  elevato  vedesi  Trajano  accompagnato 
da  un  suo  legato  che  fuori  del  castro  dirìge  i  lavorì  de'sol- 
dati.  Succede  in  luogo  elevato  il  cavallo  deli*  imperatore 
bardato  e  condotto  da  un  soldato  pretoriano  a  piedi  ,  e 
quindi  viene  altra  scena  colla  costruzione  di  altro  castro 
cui  assistono  un  capo  del  corpo  dei  fabbri  ,  e  V  ìmperator 
Trajano. 

Appresso  miransi  due  fienili  ed  uno  steccato  per  conte- 
nere cavalli,  presso  il  quale  un  ponte  di  legno  per  traspor- 
tarvi il  fieno  e  la  paglia  per  via  di  fiume.  Trajano  accom- 
pagnato da  due  suoi  luogotenenti,  ha  dietro  di  se  un  soldato 
pretoriano ,  custode  del  suo  corpo ,  che  tiene  il  dito  alzato 
per  segno  di  costanza  e  di  fede.  In  questo  punto  gli  vien 
condotto  da  due  soldati  romani  un  spione  daco  legato  al  di 
dietro;  e  poi  succede  una  moltitudine  di  fabbri  o  pontonieri, 
che  con  grande  attività  costruiscono  un  ponte  di  legno.  Siegue 
la  costruzione  di  altro  luogo  trincierato,  con  il  macchinismo 
di  portare  le  pietre  quadrate  dietro  le  spalle  per  mezzo  di 
due  bastoni ,  come  in  un  soldato  si  vede.  Vi  si  osservano 
scudi  ed  elmi  deWdati  pendenti  da  pali,  mentre  attendono 
alle  fortificazioni;  ed  i  cavalli  dell'imperatore  sono  vicino  alla 
porta  pretoria  degli  alloggiamenti  per  la  quale  escono  i  soldati 


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a  cavallo  ed  a  piedi,   mentre  staano  in  fazione  due  soldati 
pretoriani,  in  guardia  deirimperatore. 

La  cavalleria,  degli  equites  singulares  ba  passato  un  rivo 
sopra  un  ponte  stabile  di  legno,  e  poi  vengono  soldati  a  piedi 
di  greve  anuatnra  loricati  con  elmo  e  scudo,  presso  i  quali 
l'aquila  legionaria  adorna  di  penne,  invece  degli  elmi  deW- 
dati,  cbe  a  quest* epoca  trajanea  sembra  che  non  T  usassero. 
Altri  militi  tagliano  una  selva  per  torre  Timpedimento  allV 
sercito,  ed  il  mezzo  al  nemico  di  potersi  imboscare.  Queste 
due  ultime  scene  esprimono  i  Romani  che  attendono  l'inimico 
presso  di  Japce  in  cui  sull'alto  della  colline  mirasi  costrutto 
un  forte  castello. 

Dopo  i  tagliatori  della  selva  scorgesi  altro  corpo  di  le- 
gionari! in  ordine  di  battaglia,  preceduto  dalle  aquile  e  dai 
manipoli,  che  attendono  di  avanzare. 

A  Trajaoo  accompagnato  da  un  suo  luogotenente  ven* 
gono  mostrate  da  due  soldati  le  teste  dì  due  Daci  da  loro 
uccisi.  Siegue  un  combattimento  di  fanti  e  cavalieri  romani 
contro  la  truppa  a  piedi  de' Daci,  ed  uno  dei  Romani  com* 
batte  con  clava. 

Nella  zuffe  apparisce  in  cielo  Giove,  Jupiter  tonitrualis, 
che  impugna  il  braccio  destro  contro  i  Daci,  che  hanno  per 
insegne  il  labaro  ed  il  dragone.  Il  cadavere  di  un  giovane 
loro  compagno  morto  in  battaglia ,  vien  portato  da  essi  in 
luogo  di  deposito  per  seppellirlo,  e  l'imperatore  accompagnato 
da  due  suoi  luogotenenti,  ha  in  mano  un  giavellotto,  mentre 
contempla  i  suoi  soldati  che  con  faci  incendiano  un  borgo 
dei  Daci.  SulF  alto  della  collina ,  mlransi  gli  alloggiamenti 
costrutti  di  pietre  quadrate,  su  cui  sono  infilati  in  pali  teschi 
de'  Romani  fatti  prigionieri ,  e  presso  il  borgo  sono  alcuni 
obelischi  e  colonne  spettanti  ai  sepolcri  dei  Daci  più  distinti 
morti  in  battaglia. 

Sieguono  i  soldati  romani  che  attraversano  a  guado  un 
fiume  con  i  portatori  di  stendardo  e  manipoli  unitamente 
al  buccinatore.  Uno  di  essi  porta  lo  scudo  sul  capo  in  cui 
ba  posto  le  sue  armi,  e  le  vesti,  e  al  di  la  del  torrente  sulla 
collma  è  una  fabbrica  di  elegante  costruzione. 

Trajano,  con  un  suo  legato,  con  l'asta  in  mano  montato 
sulla  piazza  nel  recinto  di  un  campo  ,  la  tiene  in  atto  di 
destinarla  in  offerta  al  generale  che  più  si  distinse  nella 
scorsa  battaglia.  Sono  presenti  a  tale  ceremonia  Y  esercita 
romano  colle  insegne  che  è  aggruppata  innanzi  al  tribunale 
in  cui  è  in  piedi  Timperatore,  e  due  ambasciadorì  daci  con- 

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—   i58  — 
dotti  da  Germaai  a  cavallo  delle  coorti  ausiliarie  airesercito 
romano. 

Fuori  del  campo  romano  guardato  da  fazioni,  mirasi  Tra- 
jano  seguito  dal  suo  stato  maggiore  che  riceve  cinque  amba- 
sciadori  de'nemici  venuti  per  domandare  la  pace. 

Essi  non  avendo  composta  la  pace  colt'imperatore,  uccisi 
gli  armenti  e  tutto  il  bestiame^  combattono  contro  i  Romani^ 
e  restano  vinti  e  morti,  parte  combattendo,  e  parte  sommersi 
nel  fiume.  SuH*  alto  della  collina  tre  cavalieri  danno  ftiocó 
ad  una  casa,  e  le  fémmine  dace  implorano  la  clemenza  dall'im** 
peratore  ,  e  la  prima  h  la  principessa  fatta  prigioniera  dal 
generale  Mario  Laberio  Massimo. 

L'imperatore  ritira  le  sue  truppe  nei  campi  d'inverno  sulla 
Mesia  a  bordo  del  Danubio,  e  parte  per  Roma.  I  Daci  appro- 
fittando dell'assenza  di  Trajano,  tentano  un  colpo  di  mano 
verso  di  essi,  battono  le  mura  coli' ariete,  mentre  i  loro  sa» 
gitt-ari  feriscono  i  Romani  difensori.  Atri  Va  una  carica  di  vìveri 
per  soòcorso  degli  assediati,  e  sotto  le  mura  miransi  tre  cava* 
lieri  parti  con  casco  conico  ed  armatura  a  maglia  di  ferro,  come 
si  h  altre  volte  osservato,  ed  un  albero  forma  fine  alla  scena. 

DODICESIMA  CAMPAGNA  DELL'aNRO  IDS  DELl'crA  VOLGARE 

Passato  r  inverno  frattanto  in  Italia  l' imperatore  ricerca 
rinforzi.  Si  vede  una  gran  citta  circondata  da  mura^  e  presso 
essa  un  anfiteatro,  che  h  VJriminum  corrispondente  airodiema 
Rimini  in  Umbria  s«iirAdriatico.  £vvi  l'arco  di  trionfo  eretto 
a  Trajano  l'anno  di  Roma  727  sulla  via  Flaminia,  il  quale  arco 
è  sormontato  da  Hti  gruppo  di  bronzo  esprimente  la  Vittoria 
che  conduce  la  <fuadriga,  come  nelle  medaglie  di  argento  di 
tale  imperatore  si  vede.  Si  osservano  presso  la  città  sul  mare 
i  soldati  occupati  a  trasportar  i  loro  bagagli  delle  navi  bi* 
remi,  ed  in  terra  miranisi  gl'imaginiferi  colle  insegne  innanzi 
all'imperatore  coi  suoi  capitani  e  soldati: 

Succede  il  viaggio  sull'Adriatico,  e  in  una  barca  hippa- 
gogne  condotta  da  un  solò  remo  trovausì  dentlo  quattro  ca- 
yalli  senza  briglie.  Vicino  gli  è  il  bireme  iftiperiale  oruato 
nella  sommità  della  poppa  di  una  testa  d'anitra,  cketiisque 
cbe  pone  vasi  in  segno  di  buon  omaggio^  e  con  una  pertica 
accanto  con  nastri  avvolti.  L'»mpe)*atore  ed  un  suo  luogote- 
nente sono  seduti,  e  muovono  loro  stessi  il  timone.  La  prora 
di  questa  barca  in  cui  ^osservatisi  altì-i  stette  individui^  ha  il 
Tostro  ornato  di  un  bassorilevo  a  pittura  «sprimeate  ^genietti 


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—   Ì6U   — 

alati  assisi  su  cl*un  mostro  marino.  Vi  si  osservano  ancora  altri 
due  navigli,  Tuno  de*  quali  carico  d*armi  e  bagagli. 

Essendo  giunti  ad  una  citta  forte  dell'Istria,  fanno  il  di- 
sbarco di  tutta  la  loro  roba ,  e  1*  imperatore  coi  suoi  legati 
già  hanno  messo  piede  a  terra.  Siegue  la  marcia  dei  soldati 
neirinterno  del  paese  nemico  colla  coorte  ausiliaria  germanica 
con  braghe,  o  pantaloni.  Trajauo  cogli  eqyjites  singulares  ^ 
cavalleria  distinta ,  traversa  una  foresta  a  cavallo.  Disfanno 
i  cavalieri  parti  inviati  dal  re  Pacoro,  lasciando  parecchi  morti. 

Indi  viene  la  battaglia  al  disopra,  e  sotto  della  montagna, 
su  cui  vedesi  il  busto  della  Notte  personificata;  e  fatt^  grande 
strage  dei  nemici  veggonsi  abbandonati  i  loro  treni  pieni  di 
armi  e  delle  insegne  del  dragone.  Da  questo  fatto  d'arme  ne 
avviene  la  sottomissione  di  una  tribù,  e  tre  principi  daci  colle 
loro  donne  portano  i  piccoli  figliuoli  per  implorare  la  cle^ 
menza  da  Trajano.  I  soldati  legano  tre  prigionieri  daci^  ed 
altri  conducono  un  soldato  gravemente  ferito  al  luogo  di  cura^ 
mentre  Trajano  coi  due  suoi  legati  è  presso  la  costruzione 
di  un  castro. 

L'esercito  ^  in  marcia,  e  la  colonna  è  preceduta  da  tre 
vessilliferi  della  coorte  e  da  un  porta  stendardo  i^exillarius, 
innanzi  ai  quali  due  trombette ,  bucinatores.  Veggonsi  tre 
muli  attaccati  ad  un  carro  di  baliste,  o  di  trasporto  di  ca-^ 
tapulte  a  due  rote  accompagnato  dai  soldati.  Trajano  h  alla 
testa  delle  legioni  colfindicolo  o  bastone  del  comando  nella 
mano  sinistra,  e  col  suo  legato  accanto,  nel  mentre  che  gli 
vien  condotto  da  un  soldato  un  daco  prigioniero. 

Indi  succede  la  battaglia;  i  Daci  sono  posti  su  d  una  col* 
lina  dove  la  cavalleria  romana  viene  a  disloggiarli,  nel  mo-^ 
mento  che  le  legioni  li  attaccano  di  fronte  ,  e  gli  ausiliari 
germani  di  fianco.  Sullo  scudo  di  un  Daco  vi  è  un  emblema, 
una  specie  dell'immagine  del  sole;  uno  si  rende  ad  un  Romano, 
e  dei  Daci  in  questa  battaglia  molti  ne  morirono^  molti  se  ne 
fecero  prigionieri  ed  altri  si  diedero  alla  fuga. 

Trajano  elevato  sul  suggesto  coi  suoi  luogotenenti,  parla 
ai  suoi  soldati,  lodando  la  loro  virtù,  ed  uno  scudiere  regge 
il  cavallo  deirimperatore.  I  prigionieri  daci  per  lo  più  prin- 
cipi sono  racchiusi  entro  un  castello  tenuto  in  custodia  dai 
soldati  romani^  ed  uno  di  questi  porta  sulle  spalle  un'otre. 

Trajano  seduto  in  un  luogo  elevato,  in  cui  sono  in  piedi 
i  suoi  luogotenenti,  cioè  sulla  sella  castrensis  j  distribuisce 
i  premi,  e  le  decorazioni  ai  soldati.  Un  legionario  chinato 
innanzi  ad  esso  riceve  dalle  sue  mani  o  un  braccialetto  ,    o 


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—    160  — 
un  medaglione  d*  onore  che  mal  si  distingue ,    phalera  ,   ed 
no  altro  soldato  decorato,  che  è  disceso  dalla  tribuna,  viene 
abbracciato  e  baciato  da  un  suo  compagno. 

Indi  viene  una  casa  costruita  sopra  uno  scoglio,  presso 
la  quale  sono  le  donne  daci,  che  per  vendicarsi  dei  Romani, 
a  tre  prigionieri  spogliati  con  faci  bruciano  la  testa  e  le 
spalle,  avendo  loro  legate  le  mani  al  di  dietro. 

TREDICESIMA    CAMPAGNA 

Trajano  s'imbarca  di  nuovo,  uscendo  da  un  forte  merlato, 
mentre  è  incontrato  da  due  ambasciadori  dad,  condotti  da 
soldati  romani.  L'aquila,  e  due  stendardi  dei  manipoli  sono 
piantati  nel  suolo.  La  bireme  imperiale  ^  ornata  nella  prua 
di  un  dipinto  esprimente  un  genio  alato  su  d*un  cavallo  ma- 
rino, ed  i  soldati  caricano  i  loro  bagagli  in  un  bastimento 
da  trasporto. 

Indi  siegue  il  passaggio  di  un  rivo  della  Bistra  su  d*un 
ponte  di  legno  formato  di  barche  presso  cui  vedesi  la  cit- 
tadella, poscia  chiamata  Pons  Augusti.  Trajano  marcia  alla 
testa  della  colonna ,  ed  avanti  a  lui  gli  scudieri  conducono 
ì  cavalli  dello  stato  maggiore.  Fra  le  insegne  ^  da  rimarcarsi 
una,  la  lupa. 

Seguono  bagagli,  elmi,  scudi,  pili  ed  altre  armature  por- 
tate sopra  carri  tirati  da  cavalli  e  da  bovi.  Mentre  Trajano 
si  dirige  verso  la  residenza  di  Decebalo  re  dei  Daci,  le  truppe 
occupano  la  cittadella  ,  ed  i  trincieramenti  nemici  costrutti 
di  steccati  e  di  muri  a  pietre,  con  macchine,  evidentemente 
diretti  da  architetti  romani,  che  aveva  il  nemico  abbandonati, 
e  vi  lasciano  un  presidio.  Traj.ano  s^mpadronisce  di  una  delle 
princìj>ali  citta  de'Daci  situata  presso  della  Porta  di  Ferro  e 
la  contrada  h  montuosa  e  piana,  fortificata  e  guarnita  di  torri. 
È  da  rimarcarsi  una  linea  di  circonvallazione  a  zigzag  con 
palizzata  nei  lati ,  ed  un  sotterraneo  formato  nella  roccia  ; 
due  balaustre  o  griglie  sono  ai  lati  della  strada,  e  Timpera- 
tore  percorre  il  paese  alla  testa  delle  sue  truppe. 

La  scena  continua  colla  costruzione  delle  torri,  e  le  fab- 
briche nella  cittadella,  fuori  della  quale  vedesi  Trajano  che 
ordina  Teserei  to.  Uno  dei  porta  stendardi,  od  aquilifero,  tiene 
sotto  il  braccio  sinistro  uno  scudo  ovale.  Intanto  li  soldati 
non  oziosi  tagliano,  e  portano  legna,  calce  ed  arena*  nei  co- 
fini  per  fortificare  maggiormente  gli  alloggiamenti^  e  di  nuovo 
i  Daci  vengono  a  parlamento  coirimperatore.  Saccede  il  so- 


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—  161  — 

lenne  sacrificio  suwetaurilia  ,  cio^  del  porco  ,  dell'  ariete  e 
del  bue.  L'imperatore  velato  e  con  abito  sacerdotale  celebra 
il  sacrifizio  entro  il  recinto  di  un  campo.  Vi  sono  al  solito 
i  vittìmari  colle  scuri,  i  tibicini,  il  garzoncello  camillusy  ed 
altri  ministri  de'sacrifizj  coronati,  parte  dentro,  e  parte  fuori^ 
per  entrare  nel  nominato  recinto,  in  cui  uno  de*portastendardi 
regge  sotto  il  braccio  sinistro  uno  scudo  ovale. 

Appresso  alla  ceremonia  religiosa  l'imperatore  arringa  i 
suoi  soldati ,  esortandoli  a  portarsi  valorosamente  contro  il 
nemico  tante  volte  superato,  e  s'incamminano  a  tagliare  una 
selva.  Vedesi  un  piccolo  ponte  di  legno  su  d*un  torrente,  su 
cui  passa  Trajano  a  cavallo  ,  seguito  da  due  cavalieri ,  e 
due  lancie  fisse  su  d'un  muro  in  cui,  presso  due  fabbriche, 
miransi  infilate  le  teste  di  due  Daci  recise.  La  cavallerìa 
percorre  le  montagne,  e  la  fanterìa  incendia  un  casotto,  uno 
steccato  di  legno  ed  una  fabbrica  di  materiale  dei  Daci.  Sull'alto 
scorgesi  l'esercito  nemico  coll'insegna  del  dragone. 

Viene  la  costruzione  di  un  castro  per  parte  dei  legionari, 
ed  i  soldati  portano  con  due  bastoni  le  pietre  su  le  spalle; 
altri  con  corde  pure  sugli  omeri,  altri  portano  cofani  di  calce 
e  di  arena ,  alcuni  i  legni,  o  travicelli ,  ed  alcuni  pongono 
in  opera  il  materiale. 

Innanzi  a  Trajano  col  suo  stato  maggiore  vien  condotto 
un  principe  daco  con  pileò  in  testa,  che  h  in  ginocchio  sup- 
plichevole innanzi  allo  stesso  imperatore.  Dietro  questo  osser- 
vasi la  testa  dell'esercito  colle  insegne,  ed  i  hucinatores. 

Viene  il  passaggio  delle  montagne;  due  muli,  e  due  bovi 
sono  attaccati  ad  un  carro  a  due  ruote  carico  di  barili,  e  scor- 
tato dai  soldati.  Dei  fazionieri  armati  di  lancie  guardano  le 
mura  d'un  piccolo  campo  romano,  e  nel  secondo  piano  mi- 
ransi alcuni  edifizj  rotondi  dei  Daci,  'che  vengono  occupati 
dai  soldati  romani. 

Appresso  vedesi  un'altra  cittadella  del  nemico;  l'impera- 
tore è  alla  testa  del  sno  esercito  al  disopra  delle  montagne. 

1  cavalieri  numidi  di  Q.  Lusio  Quieto  arrivati  sul  teatro 
della  guerra  caricano  l'inimico  con  grande  strage,  inseguendolo 
fino  ad  una  foresta.  I  cavalli  non  hanno  briglia,  e  tengono 
solo  un  doppio  cordone  al  collo  per  attaccarvesi  colla  sinistra. 
I  cavalieri  sono  vestiti  di  un  mantello  corto  senza  elmo,  o 
pileo,  ed  armati  di  lancia  e  scudo  ovale.  I  Daci  hanno  in  testa 
il  pileo,  e  portano  l'insegna  del  dragone. 

Succede  altra  costruzione  di  un  castro  o  campo  attorniato 
dal  vallo,  o  fossa.  Al  secondo  piano  deUa  scena  vedesi  altre 


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—  ie2  — 
campo  romano  con  due  catapulte,  e  con  porta  chiusa  e  sor^ 
montata  da  una  transenna.  Innanzi  a  questa  mirasi  l'impera- 
tore accompaguato  dai  suoi  luogotenenti,  che  riceve  due  prin- 
cipi daci  inviati  dal  loro  re  che  gli  chieggono  supplichevoli 
la  pace.  Sotto  vedesi  una  catapulta  in  un  carro  a  due  rote 
tirato  da  due  muli,  il  quale  da  un  soldato  s* invia  verso  il 
combattimento  ,  dove  mirasi  altra  macchina  simile  al  posto 
iu  una  barricata  formata  da  cataste  di  travi  per  impedire  che 
il  nemico  Tassalga.  Viene  il  combattimento  nella  foresta  e  i 
corazzieri  parti,  scoraggiati  per  gl'insuccessi  de'Daci,  già  sono 
passati  all'esercito  romano,  e  si  battono  contro  i  Daó*  innanzi 
a  questi  ed  ai  legionari,  miransi  i  frombolieri^  che  colle  from- 
bole scagliano  sassi  e  ghiande  di  piombo  sopra  i  nemici.  Nella 
parte  superiore  miransi  artiglieri  daci,  che  in  una  barricata 
caricano  una  catapulta ,  in  cui  h  la  solita  insegna  del  dra- 
gone, che  in  processo  di  tempo  venne  anche  adottata  dalla 
milizia  romana.  Siegue  una  cittadella  dei  Daci  costrutta  nella 
sommità  d*una  montagna,  dove  alcuni  di  essi  tagliano  gli  alberi. 

Viene  la  costruzione  di  un  campo  romano  presso  al  quale 
è  l'imperatore  coi  suoi  legati,  mentre  gli  vien  condotto  pri-* 
gioniero  un  principe  daco.  Indi  i  Romani  depositate  le  loro 
armi  tagliano  una  selva,  e  poi  viene  l'assalto  di  una  fortifi- 
cazione nemica,  in  cui  prendono  parte  anche  gli  arcieri  ausi- 
liari germanici^  vestiti  di  una  veste  talare  con  sovrapposta 
giacca  dentellata,  o  spizzata,  e  con  casco  conico  in  testa.  Vi 
sono  pure  un  tromboliere  ed  uno  de'soliti  armato  di  clava. 
Succede  altra  fortificazione  dacica  attaccata  dai  Romani,  che 
hanno  cogli  scudi  formata  la  testudine.  Con  tal  maniera  erano 
serrati  e  coperti  da'  loro  scudi,  e  cosi  assicurati  dall'impeto 
de^ sassi  e  dardi  tirati  di  sopra  si  accostavano  alle  mura  senza 
essere  offesi.  * 

A  Trajano  in  piedi  accompagnato  dai  suoi  luogotenenti, 
vengono  portate  dai  soldati  le  teste  di  due  spioni  daci ,  e 
poi  vedesi  il  combattimento  finale  ,  nel  quale  l' imperatore 
avendo  dissipato  le  reliquie  de'  nemici  ascese  secondo  Dione 
la  sommitk  dei  monti ,  e  penetrando  di  cima  in  cima  ,  poi 
giunse  alla  regia  di  Decebalo. 

Trajano  dentro  al  campo  convoca  i  suoi  soldati  pretoriani, 
che  hanuo  elmo  sormontato  di  peone,  e  sotto  vedonsi  i  fabbri 
ancora  occupati  per  qualche  costruzione.  L'esercito  ha  fatto 
alto  presso  d'una  sorgente,  ed  un  soldato  vi  prende  l'acqua 
con  una  marmitta,  ed  un  altro  beve  in:  un  orciuolo  di  bronzo. 
Uno  scudiere  tiene  il  cavallo  dell'imperatore.  Sull'alto  veg- 


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—   163   — 

gonsi  due  piccoli  campi  »  ed  i  soldati  vi  vanno  a  depositare 
i  loro  bagagli. 

Indi  scorgesi  la  sottomissione  del  re  Decebalo.  Trajano 
contornato  dal  suo  esisrcito,  siede  in  uno  scoglio  convertito 
in  suggcsto,  e  dinanzi  a  lui  vedèsi  prostrato  ii  nominato  re 
unitamente  ad  uno  dei  prìncipi  daci  che  tocca  ii  ginocchio 
deil'impetatore,  segnale  antico  delia  preghiera  più  fervente. 
Una  schiera  di  Daci  che  hanno  accompagnato  il  loro  re  lianno 
deposto  le  loro  aitfti,  ed  in  ginocchio  tendono  le  mani  sup^ 
plichevoli  a  Trajano ,  terminando  tale  truppa  colle  insegne 
del  dragone.  Al  secondo  piano  mirasi  un  aggere  romano  co- 
strutto  di  tronchi  d'alberi  con  due  baracche  mobili.  Infondo 
si  scorge  Sermizegèthusa  capitale  dei  Daci ,  ora  Varhèly  in 
Transilvania,  citta  rimarchevole  pe'suoi  fabbricati.  Femmine 
e  fanciulli  si  rìfoggono  neìle  caverne,  che  gli  uomini  si  occu- 
pano di  barricare,  e  la  truppa  si  conduce  davafnti  alle  montagne. 

Trajano  accompagnato  dai  suoi  luogotenenti  è  in  piedi  sul 
suggesto ,  tenendo  r  indìcoto  o  bastone  del  comando  mentre 
paria  ai  suoi  soldati  «che  gli  fanno  vive  acclamazioni;  e  poscia 
succede  la  Vittoria  in  mezzo  a  due  trofei  daci  composti  dei 
mantello,  sajum  e  della  corazza  a  s(fuame  su  due  tronchi  di 
albero  sormontati  da  c^sco.  Attorno  sono  aggruppate  le  insegne 
dei  dragoni  e  gli  stendardi  con  sotto  gtfudì,  caschi,  azze,  ed 
aste.  La  Vittoria  tiene  il  piede  sinistro  appoggiato  sopra  un 
casco  de*  nemici ,  ed  in  uno  scudo  con  bordura  d*  alloro  ap- 
poggiato ad  un  pilastrino  scrive  la  conquista  di  Trajano,  ed 
il  nome  del  popolo  vinto. 

SECONDA    GUERaà    DACIGA 

Decebalo  ribellatosi  di  nuovo  ,  fu  dichiarato  nemico  dei 
senato  romano ,  ed  obliando  i  patti ,  e  le  stabilite  conven^ 
zioni,  si  dispone  a  sostenere  una  nuova  guerra  allesftendo  un 
esercito  formidabite. 

La  prima  scena  presenta  la  citta  'd^  Ancona  nel  Piceno 
suirAdriatico,  dove  si  h  imbarcato  Trajano  per  imbarcare  le 
sue  truppe.  Sulla  riva  miransì  sontuosi  bastimenti,  presso  cui 
un  tempio  prostilo  tetra^tilo.  Dietro  vedesi  suU'alto  il  grande 
santuario  di  Venere,  di  cui  parla  Catullo  con  il  sacro  recinto, 
ed  il  tutto  a  colonne  d'ordine  jonico  e  colta  'statua  della  dea 
nella  cella  del  tempio^  Sotto  mirasi  i'arco  di  Trajano  tuttora 
esistente  e  sormontato  da  tre  statue  pipobabilmente  di  Giove^ 
Marte  e  Mercurio.  Vicino  mirasi  la  lanterna  del  porto  attac- 


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—  164  — 
cata  ad  una  pertica»  ed  aoa  strada  conduce  dalla  citta  al  porto. 
Al  primo  piano  della  prospettiva,  scorgesi  una  nave  bireme 
con  entro  due  insegne  militari»  e  la  sua  prua  vedesì  decorata 
di  festoni,  che  fingonsi  dipinti.  Il  rostro  è  sotto  la  forma  di 
un  mostro  marino,  e  tutti  i  remigatori  stanno  al  loro  posto. 
Al  secondo  piano  scorgesi  il  trireme  imperiale ,  che  ha  nel 
rostro  un  cavallo  marino,  e  sulla  prua  fingonsi  dipinti  due  del- 
fini. Trajano  h  in  atto  di  montarvi,  e  nella  prua  di  un  terzo 
bireme  vedesi  un  mostro  marino;  ed  avanti  a  questa  flotta 
neir  Adriatico  miransi  due  delfini  che  scorrono  nelle  acque. 

Indi  viene  il  molo  di  una  città  sulFAdriatico,  forse  Ra- 
venna. La  porta  h  consolidata  da  un  muro  di  costruzione 
con  una  serie  d*arcbi  a  servizio  di  stazioni  dei  piccoli  ba- 
stimenti. Alla  vista  della  flotta  gli  abitanti  sono  accorsi  alla 
riva  per  salutare  gli  arrivanti^  ed  uno  si  dirige  verso  Tara 
per  sacrificare  un  bue  a  Nettuno,  per  rendergli  grazia  del 
buon  viaggio.  In  fondo  mirasi  un  portico  d'ordine  corintio, 
e  le  fenestre  del  muro  esterno  hanno  transenne. 

Trajano  visita  la  citta  accompagnato  dai  rappresentanti  del 
municipio  trovandosi  presso  un  gran  tempio  attorniato  da  re- 
cinto sacro  con  colonne  d*oidine  corìntio,  e  poi  succede  la  torre 
del  molo  presso  cui  sono  due  biremi,  nelle  prue  de'quali  in 
UDO  sono  dipinti  due  navigli ,  e  nell*  altro  ornati  a  fiori. 
Trajano  discendendo  dalla  collina  passa  sotto  ad  una  grande 
porta  od  arco  trionfale,  e  prima  di  rimbarcarsi  offre  un  grande 
sacrificio  a  Nettuno.  Miransi  due  altari  costrutti  di  pietre 
quadrate,  e  decorati  di  serti;  e  quattro  bovi  sono  tenuti  dai 
vittimari.  Larghe  bende  pendono  dai  corpi  delle  vittime^ 
e  Timperatore  officia  al  tempio  in  semplice  toga,  presso  cui 
sono  due  littori  con  fasci,  e  lungo  corteggio  d'uomini,  donne 
e  ragazzi,  la  più  parte  coronati  e  tenenti  le  mani  al  cielo 
ad  atto  di  preghiera.  Poco  più  oltre,  dopo  due  porta  insegne, 
mirasi  un  piccolo  campo. 

Siegue  laiTivo  ad  un  porto  di  mare  nella  Gallia  Cisal- 
pina, I  legionari  sbarcando,  preceduti  dalle  insegne,  hanno 
Telmo^  o  il  casco,  attaccato  nella  spalla  destra,  ed  il  bireme 
ha  sulla  prua  dipinto  un  genietto  sopra  d'un  cavallo  marino, 
e  tre  altri  vascelli  sono  al  mare  verso  il  fondo  presso  le  mura 
del  porto. 

Siegue  altro  sacrificio  in  vicinanza  di  un  giardino  con- 
tornato da  un  colonnato  coperto,  al  quale  succede  un  teatro 
con  bella  facciata  verso  l'ingresso  nella  parte  posteriore  della 
scena ,  con  finestroni ,  e  colonne  d'  ordine  jonico.  Più  oltre 


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—   165  — 
mirasi  ad  una  certa  distanza   un    tempio  prostilo  tetrastilo 
parimenti  d*ordine  jonìco,  cioè  con  quattro  colonne  di  fronte. 

L'altare  del  sacrificio  ^  al  consueto  ornato  di  serti,  o  fe- 
stoniy  e  riroperatore  vestito  con  semplice  toga  celebra  in  esso, 
versando  il  vino  colla  patera  sul  fuoco,  attorniato  da  frutti 
e  da  un  pomo  di  pino.  Il  Camillo  od  accolito  velato  con 
corona  in  testa  regge  la  cassetta  degl'incensi,  ed  il  tibicine 
suona,  mentre  lo  sgozzatore  afferra  la  vittima  del  bue. 

Appresso  viene  altro  viaggio  nell'Adriatico  collo  sbarco 
dell'esercito  dell'Istria.  Il  bireme  imperiale  giunto  alla  riva, 
ha  vele  raccolte  con  l'ancora,  il  timone^  cordaggi  e  tutti  i 
dettagli  della  poppa.  Trajano  ha  messo  piede  a  terra  ,  ed 
un  carro  tirato  da  due  muli  porta  gli  scudi  de' suoi  soldati. 

Indi  succede  la  marcia  verso  Tinterno  del  paese,  e  si  vede 
una  citta  contornata  di  mura  in  cui  sorgono  un  piccolo  tempio, 
ed  un  portico  con  colonne  d'ordine  jonico.  Più  lungi  \'eg- 
gonsi  tre  case  sulla  cresta  della  montagna  ;  e  l' imperatore 
a  cavallo  col  suoi  cavalieri,  equites  singulares,  si  avanza^ 
mentre  un  nobile  daco  gli  va  incontro  supplichevole  unita- 
mente ai  suoi  figliuoli,  e  ad  una  turba  d'uomini  di  tal  nazione. 

Siegue  un  grande  sacrificio  offerto  innanzi  ad  un  luogo 
sacro  in  cui  sono  cinque  altari  ornati  di  festoni,  forse  d'alloro. 
In  uno  di  questi  l'imperatore  officia  con  semplice  toga,  ver» 
sando  colla  patera  il  vino  sul  fuoco.  Evvi  il  garzoncello  Ca- 
milluSf  ed  il  tibicine  suona  le  doppie  tibie,  mentre  quattro 
vittimar!,  due  de'quali  col  malico  o  mazza  appoggiata  alla 
spalla  sinistra,  conducono  al  sacrificio  quattro  bovi.  Un  gruppo 
di  Daci  fra  uomini,  donne  e  fanciulli  assistono  alla  ceremonia. 
Un  corpo  di  ausiliari  di  tipo  germanico,  s'occupano  a  tagliare 
una  foresta;  indossano  il  sago,  ed  hanno  lo  scudo  secondo 
il  loro  costume  di  forma  esagona  ;  ed  in  fondo  mirasi  una 
cittadella  con  mura  merlate. 

L'esercito  dace  da  un  castello  fortificato  fa  un  movimento 
su  d'un  luogo  trìncierato  dove  i  Romani  si  difendono,  mentre 
Trajano  a  cavallo  alla  testa  dei  suoi  cavalieri  viene  in  soc- 
corso degli  assediati.  Un  Daco  si  batte  con  una  falciuoia 
detta  volgarmente  serrecchiay  ed  appresso  gli  ausiliari  ger- 
mani tagliano  alberi  per  munire  gli  alloggiamenti. 

Viene  il  famoso  ponte  sul  Danubio  presso  il  campo  ro- 
mano ,  che  ha  le  tende  pretoriane ,  e  ì  legionari  colle  loro 
insegne  assistono  ad  altro  sacrificio  offerto  dall'imperatore  su 
d'un  altare  inghirlandato^  in  cui  sono  passati  intorno  al  fuoco 
alcuni  frutti,  fra  'i  quali  un  pomo  di  pino,  mentre  il  vitti- 

23 


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—   166 

inario  conduce  un  bue.  Trajano  vestilo  semplicemente  con  toga, 
ba  Findicolo  del  comando,  o  bastoncello  nella  mano  sinistra» 
e  versa  colla  patera  il  vino,  mentre  il  Camillus ^  presso  il 
libicine,  l'ugge  Taccerra  o  cassetta  degl* incensi. 

Poscia  vi«ne  una  città  romana  nella  Mesia  ,  e  la  porta 
principale  ha  sopra  l'abitazione  del  guardiano,  presso  la  quale 
sono  rappresentate  due  altre  case.  Al  di  fuori  il  prospetto 
del  teatro  presenta  cinque  porte,  una  maggiore,  e  le  altre 
minori;  e  sopra  esse  veggonsi  sei  finestre  triangolari.  Accanto 
sono  altre  fabbriche  fra  le  quali  un  portico  sostenmto  da 
quattro  colonne  corinzie* 

Trajano  riceve  una  deputazione  di  guerrieri  sarmati  che 
vengono  a  fare  le  loro  sommissioni.  I  «due  cavalieri  che  tengono 
ì  loro  cavalli  per  la  briglia  sono  vestiti  di  pantaloni,  di  lunga 
tunica,  dei  pallio  e  di  un  piieo  in  testa  della  forma  di  un  cono 
tronco.  Altri  due  senza  pileo  portano  una  lunga  veste  con  una 
specie  di  corset;  e  gli  altri,  due  de'qvali  con  pileo,  che  si  ap- 
prossimano a  Trajano,  hanno  le  solite  brache,  o  pantaloni  coi 
petto  nudo  coperto  solo  dal  pallio  nella  spalla  destra. 

L'armata  traversa  il  ponte  dei  Danubio,  presso  cui  ali  en- 
trata mirasi  una  porta  od  arco  trionfale  sormontato  da  due 
trofei,  e  Trajano  h  alk  testa  dei  suoi  legionari. 

Trajano  a  cavallo  segurto  dai  suoi  scudieri  passa  sotto 
d*una  città  fortificata  in  cui  mirasi  un  tempio.  L'esercito  esce 
dal  suo  campo  attendendo  l'imperatore  dinanzi  ad  un  aitare 
apparecchiato  per  sagrifizio,  presso  cui  il  Camillo  coU'acerra, 
ed  il  vittimano  col  bue  decorato  d'uita  larga  benda  che  gli 
pe»de  dalla  groppa.  Alcuni  officiali  e  soldati  già  acclamano 
Pimperatore  al  suo  arrivo. 

Altro  sacrificio  suouetaurilia^  cioè  del  porco,  dell'ariete 
e  del  bue,  s'ofifre  dall'imperatore  .entro  la  cinta  del  campo, 
ed  h  vestito  con  gli  abiti  sacerdotali,  e  colla  veste  cinctus 
gabinus  ;  e  coi  soliti  ministri  coronati ,  uno  de'  quali  tiene 
il  vaso  deiracqua  lusU'ale  e  l'aspergiUo.  Tre  buccinatori  ed 
un  tibicine,  laureati,  accompagnano  le  vittime  condotte  dai 
vittimari,  pure  con  corone. 

Traiano  accompagnato  da  d>ue  suoi  luogotenenti  e  da  an 
littore  colla  scure  nel  fascio,  è  sul  suggesto,  e  parla,  o  fa 
una  aUocuzione  ai  soldati.  Precede  l'aquila,  e  poi  Tengono 
le  insegne  con  corona  rostrale.  Qui  la  truppa  k  quasi  tutta 
di  pretcmani  cbe  si  distinguono  dalla  cresta  di  penne^  o  pen- 
nacchio, e  due  cavalieri  smontati  da  cavallo,  hanno  attaccato 
i  loro  scudi  alle  selle. 


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—  167  — 

Trajano  sìeduto  nel  suggesto  deatro  il  campo  romano  pre- 
siede al  consiglio  di  guerra^  Poscia  succede  l'imperatore  alla 
testa  dei  suo  esercito ,  e  più  in  alto  mirasi  lo  stesso  Tra- 
jano y  che  ha  condotto  un  distaccamento  sulle  montagne  in 
cui  mirasi  un  carro  tirato  da  muli  carico  di  scudi ,  ed  un 
mulo  è  carico  d'elmi  e  d'altri  scudi. 

Si  scaricano  i  carri  dentro  al  campo»  ed  un  soldato  con 
una  secchia  attinge  lacqua  di  un  rivo  presso  le  sue  mura. 

L'esercito  sì  avanza  ed  un  distaccamento  di  legionari  grevi, 
prende  per  le  montagne  preceduto  dall'imperatore,  e  dalle 
insegne.  Un'altro  corpo  di  legionari  leggieri  traversa  il  piano 
preceduto  da  coorti  ausiliarie  germaniche,  e  da  arcieri  parti 
con  lunghe  vesti  e  tuniche  spizzate.  Hanno  in  testa  elmi  co- 
nici, e  sono  armati  di  faretra,  d'arco  e  del  parazonio. 

Indi  viene  un  campo  costruito  su  d'una  roccia,  con  tende, 
presso  cui  un  tribuno,  due  trombettieri  bucinatores,  ed  un 
soldato  in  fazione  con  elmo  con  pennette.  Sieguono  i  soldati 
occupati  a  mietere  il  grano  con  falcinole  dette  volgarmente 
serrecchie,  trasportandone  i  fasci  per  caricarli  su  i  muli.  Tre 
fazionieri  sono  all'ombra  di  tre  alberi  aggruppati,  e  sopra 
yedesi  un  campo  stabilito  su  d'una  roccia.  Vedesi  pure  il 
campo  dace  sulle  montagne  con  torri,  merli  e  fabbriche;  e 
poi  succede  il  combattimento  pure  innanzi  la  montagna.  Poi 
vedesi  il  campo  romano  con  due  portatori  d'insegne  nell'in- 
terno con  scudi  tondi,  e  al' di  fuori  sono  due  sentinelle. 

L'inimico  ristrettosi  su  le  montagne,  occupa  una  posizione 
vantaggiosissima  ,  e  scarica  pietre  sopra  ì  Romani.  I  legio- 
nari appoggiano  le  scale  alla  roccia,  ed  uno  di  essi  già  tiene 
la  testa  d'un  Daco.  Vi  si  vede  un  fromboliere  in  atto  di  sca- 
gliare un  sasso,  e  poi  siegue  una  immensa  fortificazione  dace 
composta  di  pietre  poligonali,  ed  innalzata  certo  da  ingegneri 
romani  al  soldo  di  Decebalo.  I  Daci  armati  di  pietre,  di  dardi, 
e  di  lancie  si  difendono  dall'assalto  dei  Romani;  e  Trajano 
col  suo  stato  maggiore  e  guardie  del  corpo  assiste  all'espu- 
gnazione del  castello.  A  qualche  parte  di  questa  scena^  ve- 
desi reso  impraticabile  l'accesso  alia  roccia  con  certe  macchine 
non  facili  a  spiegarsi,  ed  un  pozzo  vedesi  vicino  al  suddetto 
alloggiamento  dei  Daci. 

Succede  un'altra  battaglia,  ed  i  Romani  sono  secondati 
dalle  coorti  ausiliarie  germaniche,  e  da  una  truppa  di  arcieri 
barbari  che  hanno  corazza  squamata,  ed  elmo  aguzzo  cordo- 
nato per  lungo.  1  combattenti  daci  si  difendono  con  eroismo 
gettando  loro  addosso  grandi  pietre  quadrate. 


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—   168  — 

Indi  viene  la  costruzioDe  di  un  castro,  e  li  soldati  stessi 
elle  tagliano  alberi.  Un  principe  ambasciadore  di  Decebalo 
viene  a  prostrarsi  dinanzi  a  Trajano  ^  chiedendogli  la  pace 
in  presenza  dell*  intiero  esercito.  Gli  abitatori  di  una  citta 
assediata  dal  vicino  esercito  romano  la  bruciano,  ed  ì  prin- 
cipi pronti  a  morire,  meglio  che  arrendersi,  prendono  il  ve- 
leno con  un  vaso  preparato  da  uno  dentro  una  marmitta  ed 
una  turba  di  Daci  lo  pregano  di  rifarlo.  Due  moribondi  sono 
portati  dai  loro  amici,  ed  alcuni  morti  già  veggonsi  sul  suolo. 

Il  Generale  dell*  armata  dace ,  abbandona  il  suo  campo 
con  tutta  la  truppa  ,  colle  insegne  del  dragone ,  ed  alcuni 
dei  suoi  soldati  alzano  la  mano  in  atto  di  ricusare  il  veleno. 

A  Trajano,  che  h  alla  testa  del  suo  esercito^  un  grande 
numero  di  daci  supplichevoli  vengono  ad  implorare  la  grazia. 
I  legionari  sono  intenti  alla  costruzione  di  una  linea  di  cir- 
convallazione a  zigzag,  ed  altri  portano  sacchi  di  grano  nei 
loro  alloggiamenti,  cioè  al  campo,  dove  pure  sono  molti  sol- 
dati colle  insegne  9  che  conferiscono  con  Trajano,  e  fanno 
vive  acclamazioni. 

Succede  un  movimento  di  truppe,  e  l'esercito  si  avanza 
verso  le  dimore  di  Decebalo. 

Indi  viene  la  costruzione  di  un  campo,  e  gli  stessi  sol- 
dati che  tagliano  gli  alberi ,  hanno  depositato  a  terra  gli 
scudi,  ed  alcuni  pure  gli  elmi. 

Viene  il  campo  colle  sentinelle  e  con  le  insegne  piantate 
innanzi  le  tende  del  quartiere  generale.  Poi  succede  la  costru- 
zione di  altro  campo  in  cui  veggonsi  carretti  a  due  ruote,  cia- 
scuno carico  di  un  barile. 

Sieguono  tre  principi  daci  inginocchiati  innanzi  a  Trajano, 
e  certamente  ambasciadori  di  Decebalo ,  e  quindi  un  ponte 
su  cui  passano  i  soldati,  e  la  riviera  che  traversa  h  la  Sargetia. 

Viene  una  fortificazione  dei  Daci  fatta  con  muri,  e  tronchi 
d'alberi,  da  cui  escono  per  assalire  grinvasori,  e  poi  in  massa 
assalgono  il  campo  romano.  I  soldati  romani  loro  gettano  sopra 
grandi  masse  di  pietre  facendone  grande  strage,  e  tre  di  essi 
con  pileo  in  testa  in  lontananza  sonosi  ricoverati  fra  un  gruppo 
d'alberi  per  schivare  i  pericoli  del  combattimento.  Vedesi  la 
cittadella  dace  aL  secondo  ripiano,  e  quindi  Trajano  sul  tri- 
bunale che  arringa  ai  suoi  soldati  promettendo  ricompense. 

Tre  soldati  del  treno  conducono  due  muli  carichi  di  vasi 
di  argento,  forse  spettanti  al  tesoro  di  Decebalo. 

Viene  il  consiglio  dei  principi  daci  ed  uno  tiene  un  piatto 
pieno  di  cose  assai  preziose,  proponendo  d'inviarle  in  dono 


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—  169  — 

a  Tra j ano,  ed  un  daco^  per  non  voler  servire,  col  pugnale 
sì  uccide. 

La  cavalleria  romana  perseguita  e  disfa  quella  dei  Daci 
consumando  le  reliquie  dell'esercito  di  Decebalo,  che  è  ca- 
duto appiè  d'un  albero  tenendo  colla  mano  destra  una  mano 
ritorta^  ferendosi  mortalmente.  I  Romani  gareggiano  nel  fare 
i  prigionieri  legando  loro  le  braccia  dietro  le  spalle  e  riducen- 
doli in  servitù. 

Ai  soldati  adunati  dentro  il  loro  campo,  da  due  uomini 
la  un  piatto  viene  mostrata  la  testa  di  Decebalo. 

Yarii  ufficiali  dei  Daci  che  resistono  ancora  ,  sono  fatti 
prigionieri  per  onorare  il  trionfo  di  Trajano,  altrimenti  sa- 
rebbersi  uccisi.  Verso  il  fondo  vedesi  Tanimale  chiamato  Uro, 
e  poi  sono  l*Àlce  ed  un  Bue  che  cammina  per  la  collina. 
Molti  prigionieri  sono  condotti  al  loro  destino  con  una  forte 
scorta,  e  la  protome,  o  busto  personificato  della  Notte,  ap- 
parisce dietro  la  montagna. 

I  Daci  rafforzati  dai  Sarmati  rìcombattono  contro  i  Ro- 
mani, mentre  eransi  ritirati  nel  territorio  sarmatico. 

Qui  i  Sarmati  portano  elmo  a  cono  tronco  con  quattro 
liste  nel  modo  degli  odierni  keppì.  Nel  fondo  vedesi  una 
città  della  Bastia  sul  bordo  d*una  riviera. 

Viene  scortato  un  prigioniero,  ed  i  legionari  danno  fuoco 
ad  una  citta. 

I  Daci  emigrano  portando  seco  i  loro  figliuoli ,  le  fem- 
mine ,  i  bestiami  e  le  robe  imballate  ,  dando  al  loro  paese 
un  eterno  addio. 

Tornando  ora  alle  vicende  del  foro  Trajano,  e  della  co- 
lonna, h  chiaro,  che  fino  al  terminare  del  VI  secolo  delibera 
volgare,  non  solo  non  era  stato  né  spogliato,  né  distrutto, 
ma  che  ancora  serviva  alle  adunanze  almeno  dei  dotti.  Il 
buono  stato  di  esso  ci  vien  confermato  da  Paolo  Diacono  nella 
vita  di  s.  Gregorio  Magno  cap.  XVII,  il  quale  nel  secolo  Vili 
inventò  la  storia  della  liberazione  dall'inferno  dell'anima  di 
Trajano,  che  si  legge  in  Dante.  Dice  Paolo,  che  papa  Gre- 
gorio passando  per  questo  foro,  si  muovesse  a  pietà  di  quelFim- 
peratore,  dal  che  ne  risulta,  che  ai  tempi  di  s.  Gregorio  nel 
principio  del  VII  secolo,  e  di  Paolo  nel  secolo  Vili,  era  con- 
servato,  parlandone  quello  scrittore  come  di  cosa  presente. 

I  bronzi  però  mobili ,  consistenti  in  trofei ,  statue  ed 
ornamenti,  furono  portati  via  da  Costante  II  o  Costantino  III, 
come  dicemmo  altra  volta  nella  descrizione  della  colonna  di 


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—   170   — 

M.  Aurelio,  allegando  il  liber  pontificaUs,  ovvero  Anastasio 
Bibliotecario  nella  vita  di  papa  Vitaliano  Tanno  663  dell'ara 
volgare. 

L*anno  896  avvenne  la  presa  di  Roma  fatta  da  Arnolfo, 
notata  negli  Annali  Fuldensi  di  Freero,  e  descritta  da  Lint- 
prando,  Hist.  lib.  /,  cap.  Vllly  e  chi  sa  che  a  quel  tempo 
non  accadesse  la  rovina.  Certo  però  è^  che  verso  il  fine  del  X 
secolo  Tarea  del  Foro  Trajano  era  ingombra  di  rovine,  e  la 
contrada  aveva  preso  nome  di  Campo  di  Cololeo ,  ossia  di 
Cololeone ,  origine  dell*  odierno  vocabolo  di  Campo  Carleo. 
11  documento  più  antico  di  tal  denominazione  è  dell'anno  toos, 
consistente  in  una  carta  di  cessione ,  colla  quale  Cecilia 
badessa  di  s.  Salvatore ,  (  la  qual  chiesa  e  convento  dedi- 
cata anco  ai  ss.  Ciriaco  e  Micolao  ,  poi  detta  s.  Maria  in 
via  Lata)  concede  a  Giovanni  prete  del  titolo  di  s.  Marcello 
Torto  cogli  alberi  di  fichi  unitamente  alle  pietre  e  alla  co- 
lonna trajana. 

Tal  carta  conservasi  nell*arcbivio  di  s.  Maria  in  via  Lata, 
e  si  riporta  dal  Galletti  nel  Primicero  p.  23S,  e  dice  esser 
posto  il  nominato  orto:  Bome  regione  septima  iuxta  Campum 
de  quondam  Kaloleonis.  Si  dice  lungo  quaranta  piedi  semis* 
sali,  largo  30,  e  chiuso  fra  muri  diruti  forse  delle  biblio- 
teche della  basilica  e  della  cella  del  tempio. 

Un'altra  carta  dello  stesso  archivio  mostra  che  Tanno  1032 
Preziosa  abbadessa  pure  di  s.  Salvatore  concede  per  so  anni 
a  Romano  arciprete,  e  ad  altri  sei  preti,  la  chiesa  di  s.  Nic- 
colò posta  sub  columna  Trajana^  cum  omni  suo  ornatu  et 
terram  vacantem^  positam  in  regione  nona  in  campo  Kalo^ 
leonis  ;  cioè  sottoposta  -  alla  colonna  Trajana ,  unitamente  a 
tutti  gli  ornamenti  della  stessa  chiesa ,  e  la  terra  incolta 
posta  nella  regione  nona  nel  campo  di  Cololeone. 

In  altra  carta  dello  stesso  archivio  la  stessa  Preziosa  dà 
a  livello  altre  parti  dell'area  dello  stesso  foro,  cioè  certe 
terre  poste  in  Roma  nella  regione  nona,  vicino  alla  colonna 
di  Trajano  imperatore. 

Apparisce  nell'Orbo  Romanus  del  ii43  riportato  dal  Ma* 
billoo  Musaeum  Italicum^  Tom.  Il,  p.  132,  142,  143,  che  l'area 
del  foro  Trajano  fosse  impraticabile,  evitandola  i  papi  nelle 
loro  cavalcate  e  processioni  a  segno  di  salire  dall'Arco  de'Pan- 
tani  a  s.  Caterina  da  Siena  per  andare  alla  chiesa  de 'ss.  Apo- 
stoli, piuttosto  che  seguire  direttamente  per  l'area  del  foro 
Trajano  ingombra  dalle  macerie  degli  ediGzj  caduti,  da  chiù* 
sure  d'orti,  e  case. 


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171   

Quel  collegio  di  preti  a  cui  Preziosa  abbadessa  concedette 
la  chiesa  di  s.  Niccolò  appiè  della  colonna  insensibilmente 
si  andò  sottraendo  dal  dominio  diretto  del  monastero  ,  ma 
la  causa  mossa  dalle  monache  nel  1162  venne  decìsa  a  loro 
favore  dal  senato  romjano.  Tale  sentenza  h  un  documento 
importantissimo  per  la  storia  degli  antichi  monumenti  di 
Roma,  da  cui  si  desume  la  cura  che  nel  secolo  XII  il  senato 
aveva  riassunto  della  loro  con^rvazione.  Yeggasi  il  Galletti 
Primicero  p.  323.  Però  ivi  apparisce  ch«  in  tale  ^poca  rima^ 
neva  in  piedi  la  sola  colonna  coclide  in  parte  ricoperta  dalle 
macerie  ,  e  privata  della  statua  di  metallo  nella  sua  som- 
mità. Sul  fine  dello  stesso  secolo ,  forse  perdile  V  iscrizione 
nel  piedestallo  eia  coperta  dalle  rovine ,  il  nome  delia  co- 
lonna cominciò  ad  alterarsi  ,  poiché  nell'  Ordo  Homanus  ài 
Cencio  Camerario,  riportalo  pure  dal  Mabillou^  nellopera  alle- 
gata, nominasi  la  chiesa  di  s.  Niccolò  coll*aggiunta  de  co^ 
lumna  Adriani. 

Martino  Polono  nel  secolo  seguente  dice,  che  stava  il  Pa- 
latium  Adriani  ubi  est  columna^  mentre  prima  nomina  per 
il  Palatium  Trajani  le  fabbriche  del  foro  di  Augusto.  Nel 
secolo  appresso  il  Petrarca  scrivendo  a  Giovanni  Colonna  » 
rende  il  nome  vero  alla  colonna  dicendo:  haec  Trajani  co- 
lumna,  cofne  si  ha  da  sua  lettera  nel  Lib.  VI  delle  Fami- 
gliari ,  enumerando  i  monumenti  antichi  di  Roma.  Nel  se- 
colo XY,  sotto  il  pontificato  di  Niccolò  V  cosi  vien  chiamata 
da  Poggio  Fiorentino,  De  Fariet.  Fort.  Lib.  /,  scrivendo 
al  nominato  pontefice.  Paolo  IH  nel  secolo  XVI  scavò  infor- 
memente intorno  al  piedestallo  della  colonna  ,  e  di  quello 
scavo  si  ha  memoria  nella  veduta  inserita  dal  Gamucci  Axiti- 
chità  di  Romay  p.  53,  ed  in  altre  incisioni  di  quei  giorni. 

Sisto  V  Tanno  1588  la  volle  isolare  più  regolarmente  sco- 
prendo il  piedestallo  in  modo  che  non  andasse  più  soletto 
ad  essere  ingombrato  dalle  terre,  servendosi  dell* architetto 
Domenico  Fontana.  Secondo  il  progetto  da  lui  presentato 
comprò  varie  case  ed  altre  ne  fece  acquistare  dalla  Camera 
Capitolina.  Fé  porre  nella  sommità  la  statua  colossale  in  me- 
tallo dorato  di  s.  Pietro^  cbe  fu  fatta  fondere  da  Sebastiano 
dei  Torrigiani  sul  modello  e  direzione  di  Leonardo  Sorman 
scultore,  e  Tommaso  della  Porta  suo  scolare. 

Si  ha  dai  Registri  Camerali  1b  nota  delle  spese  di  tutto 
il  restauro  della  colonna^  riportata  già  dal  Fea^  Miscellanea 
Tom,  II,  pag.  «. 


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178   — 

Spese  fatte  per  la  medesima  del  pontificato  di  Sisto  V. 
S'intende  dopo  la  compra  delle  nominate  case,  che  unitomente 
alla  demolizione  di  esse  si  pagiarono  10,000  scudi. 

Indi  dicesi: 

Al  camlier  Domenico  Fontana  architetto  per  pa- 
gamenti fatti  come  appresso  per  il  gettito,  mettitura 
e  doratura  della  statua  di  San  Pietro  posta  in  cima 
della  colonna  come  al  conto  saldatogli  il  dì  30  ot- 
tobre  1588  ridotti  dalli  Se.  uUjio  a    ...     Se.     2878 

jé  Sebastiano  Torrigiani  fonditore  per  il  gettito 
della  statua  di  S.  Pietro  alta  palmi  ss  stimata  dai 
periti  Se.  2000 Se.     isso 

J  Tommaso  Moneta  per  awr  dorato  la  mede- 
sima        .Se-       165 

Per  mettitura  della  statua  ^  e  per  varj  acconcimi 
alla  Colonna ^-      ^*^ 

Per  piombo  e  mettitura  del  parapetto  di  ferro.  Se.        47 

Se.       2278 

//  metallo  della  Camera  posto  in  opera  per  la 
fusione  della  statua  suddetta  j  comprese  le  chiavi,  dia- 
dema  ed  alcune  zeppe,  furono  nette  di  calo  libre  lasso 
che  ragguagliato  a  baj.  ite  ^f*  la  libra,  sono  Se.  I69i,25. 

Pagati  da  Gio.  Agostino  Pinelli  depositario  gene- 
rale della  Camera  Apostolica  nelVanno  1586  come  ap- 
presso, essendo  Monsig.  Benedetto  Giustiniani  Teso- 
riere generale. 

A  Leonardo  Sorman  scultore,  e  Tommaso  della 
Porta  suo  scolare  per  la  formazione  del  primo  mo- 
dello di  creta,  per  vedere  come  tornava  alfoccfiio  la 
grandezza  di  esso  in  cima  alla  colonna.      .     .     Se.        60 

Alli  suddetti  scultori  per  la  formazione  delValtro 
modello  di  creta ,  che  servì  per  la  formazione  della 
statua Se.       165 

Alli  suddetti  per  la  costruzione  della  prima  forma 
in  gesso  della  statua  composta  di  varj  pezzi    .     Se.       150 

Alli  medesimi  per  t opera  della  nettatura  della  cera 
di  detta  forma Se.        75 

Ad  Antonio  Mambritta  ferrare  per  ferramenti.  Se.       109 

Totale  Se.       559 
[Continua) 


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—   173  — 
XXXII. 

DEL  BELLO  NELLA  NUOVA  POESU 

(Fine)  («). 

XVI. 

E  qui  dovrei  far  punto  a  questo  mio  Ragionamento,  se 
non  credessi  fuor  dì  proposito  V  accomiatarmi  dai  lettori , 
senza  pur  dare  un  lieve  cenno  di  altro  genere  di  poesia  che 
corre  oggidì  sotto  il  nome  di  verismo  ,  cbe  h  quanto  dire 
il  ritratto  della  Matura  nel  suo  vero  aspetto.  Or  che  da  co- 
testo genere  emerger  possano  belle  imagini  atte  a  commuo- 
vere, senza  la  virtù  della  poetica  finzione,  non  vogliamo  ne- 
garlo, e  ne  abbiamo  esempj  nei  moderni  poeti,  e  in  quelli 
anteriori  a  noi  di  qualche  secolo.  Ma  che  cotesta  dottrina 
possa  estendersi  all'arte  poetica^  in  modo  assoluto,  è  ciò  che 
non  credo>  come  mi  studierò  di  far  chiaro  più  sotto. 

Per  dare  intanto  un  qualche  esempio ,  da  giunger  peso 
alla  mia  prima  sentenza,  piacemi  citare  un  brano  di  poesia 
che  tolgo  ad  una  delle  celebrate  visioni  sacre  di  Alfonso  Va- 
rano, il  quale  io  credo,  in  fatto  di  bellezze  poetiche,  passi 
mollo  innanzi  ai  molti  dei  nostri  odierni  veristi. 

11  poeta,  nella  visione  V  sulla  Peste  Messinese,  finge  di 
trascorrere  rapito  dalla  sua  Guida,  sopra  un  carro  di  fuoco, 
le  acque  della  Calabria.  Ecco  i  versi: 

In  qaesto,  pel  chiaror  cristallo  fido 
Tante  imagin  vid*  io,  che  all'  alma  parve, 
Cbe  fosse  rocchio  in  presentarle  infido. 

D'infinite  colonne  un  lungo  apparve 
Ordin'egual;  ma»  in  un  baleno»  monche 
Sembrar,  cbe  la  metà  somma  disparve. 

E  in  quella  parte,  ove  rimaser  tronche. 
Si  spiegar  tutte»  e  dì  se  fer  molti  archi 
Rozzi  e  simili  a  quei  delle  spelonche. 

Cbe  si  mostràro  all'  improvviso»  carchi 
Di  vaghissime  torri,  e  di  castella, 
E  anch'  esse,  qual  fumo  che  1*  aria  varchi» 

Sparirò»  e  in  vece  lor,  nacque  novella 
Di  Piramidi  scnlte  aspra  foresta. 
Indi  ampia  valle»  a  fiori  pinta»  e  bella. 

E  in  mille  colli»  e  in  mille  armenti  questa 
Cangiossi  ancor»  tal' io  sclamai  —  traveggo^ 
Il  sogno  forse  con  pupilla  desta? 

E  il  poeta  si  fa  a  domandarne  la  ragione  alla  sua  Guida, 

la  quale  allentando  di  roseo  foco  le  risplendenti  briglie,  cosi 

ne  spiega  il  fenomeno: 

(1)  Vedi  Quaderno  di  Marzo»  pag.  96. 

24. 


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174  

Il  moute  sai  trinacrj  calli 
Namari  ombroso  che  al  Pploro  scende 
Fecondo  ha  il  sen  dr  lucidi  metalli. 

E  dentro  al  mar  misti  all'arena  stende 
Parti  di  stibìo  e  Tetro  e  selenite, 
R  la  sais*  acqua  ancor  fertil  ne  rende. 

Queste  dal  Sol  cocente  alto  rapite. 
Fra  i  vapor  densi  forman  specchi  erranti 
Di  tersissime  facce  ed  infinite. 

Quindi  da  una  colonna  a  lor  davanti 
Mille  crearne  uguali  ad  essi  accade, 
E  cangian  poi  gli  oggetti  vari  e  tanti. 

Poiché  il  lor  moto,  per  T  aeree  strade. 
Cangia  1*  imago,  e  in  angol  è  simile 
Il  raggio  che  riflette  a  quel  che  cade. 

lo  vorrei  che  tutti  i  cultori  deirodierno  verismo  si  sfor-^ 
zassero  a  darci  pitture  somiglianti,  anziché  attingere  a  quella 
matta  scuola,  la  quale,  per  servirmi  di  un  espressione  dellV 
gregio  autore  del  Paolo  (i),  a  null'altro  giova  che  a  torcere 
gl'intelletti  a  disfare  il  già  fatto^  per  poi  fare  un  bel  nulla. 

Nb  il  solo  citato  esempio;'  ma  molti  altri  che  trapasso 
per  amore  di  brevità^  basterebbero  a  confermare  la  mia  prima 
asserzione,  senza  nulla  tor  di  peso  alla  seconda.  E  veramente^ 
quanto  Tanzidetto  principio  peccherebbe  di  erroneità,  facile 
h  il  comprendere,  ove  per  poesia  si  voglia  intendere  creazione, 
ove  si  rifletta,  che  quello  ammesso,  sana  giuocoforza  lo  esclu- 
dere dal  regno  dell'arte  poetica*  quella  facoltà  che  si  chiama 
immaginazione,  la  quale  appunto  delfinvenzione  h  Torigine, 
p  SI  veramente  sarebbe  mestieri  il  copiar  la  natura,  e  non 
copiare  che  questa.  Bella  dottrina  invero  !  ma  che  non  so 
quanto  soddisfar  possa  coloro^  che  di  quella  rara  facoltà  fu- 
rono da  natura  privilegiati.  Imperocché  chi  non  vede,  come 
questi  anteporrebbero  i  mostri  vaghi  della  lor  fantasia,  alle 
rozzezze,  che  pur  sono  molte  nella  natura,  e  alla  trivialità 
positiva?  E  vaglia  il  vero.  Dante,  l'Ariosto,  il  Tasso,  il  Milton, 
ed  altri  tra  i  più  celebrati  poeti  a  questa  facoltà  s'inspira- 
rono^ di  questa  si  valsero,  per  dar  vita  ai  loro  poemi,  ed 
è  chiaro,  come  senza  di  essa,  poco  o  nessun  diritto  avreb- 
bero acquistato  alla  rinomanza,  di  quelle  età  che  la  nostra 
chiameranno  antica. 

Le  erroneità  di  sì  fatta  dottrina  sono  sì  ciliare^  a  chi  ben 
considera  y  che  costrìnsero  alcuni  critici  ad  affermare ,  con 
buon  fondamento  di  verità,  non  solo  non  essere  applicabile 
alle  arti  che  belle  si  chiamano,  ma  nemmeno  alla  poesia. 


(1)  Vedi  tre  Sonetti  che  precedono  Ja  tragedia  del  Paolo  di  Antonio  Gaz- 
zoletti.  Fireuae,  ed.  Le  Monnier» 


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—   175  — 

Ma  l'errore  dei  moderni  veristi^  meno  forse  da  convin- 
zione di  principio  y  che  dal  difetto  di  quella  facoltà  stessa 
dipende,  da  poter  elevarsi  a  quella  cima ^  fra  i  molti  nel 
regno  dell'arte,  destinata  a  pochissimi.  Per  la  qual  cosa  non 
crederei  di  male  appormi,  affermando  con  un  moderno  scrit- 
tore, in  proposito  della  mentovata  dottrina,  che  i  difensori 
di  essa,  abbiano  voluto  concluderne:  noi  manchiamo  di  co- 
testa  facoltà,  e  però   decretiamo,  che  nessuno  ne  abbia. 

11  guaio  si  è,  che  questi  devoti  del  verismo  poco  o  nulla 
hanno  che  ritragga  ciò  cbe  dicesi  scuola  originale,  concios- 
siachè  i  loro  parti,  in  genere,  rassomiglino  a  piante  esotiche, 
che  poco  felicemente  allignino  sotto  1*  azzurro  del  nostro 
bel  cielo. 

E  mi  fu  caro  il  vedere  questa  mia  sentenza  non  discorde, 
almeno  nella  sostanza,  da  quella  del  Carducci,  come  quegli  che 
in  uno  de'suoi  bozzetti  critici  afferma  la  odierna  letteratura 
italiana  non  esser  altro  che  una  riproduzione,  o  copia  della 
letteratura  francese,  esservi,  per  avventura  qua  e  Ik  qualche 
spnizzaglia  di  tedesco;  ma  il  fondo  esser  francese.  Oh! -di- 
ranno taluni  -  non  sarà  dunque  lecita  una  qualche  pur  lon- 
tana imitazione  a  chi  crea?  -  E  dove  sono  i  veri  creatori 
nell'arte  poetica,  nel  rigoroso  significato  della  parola?  -  Ri- 
spondo che  una  qualche  imitazione  sarà  lecita,  purché  con 
eletto  e  maestrevol  modo  si  faccia,  e  convengo  anch'io,  non 
esservi  in  poesia  veri  creatori  ,  e  vero  creatore  essere  colui 
solo  che  trasse  dal  nulla  ogni  cosa.  Voltaire  giunse  a  dire, 
che  quasi  tutto  h  imitazione:  «  11  Bojardo  ha  imitato  il  Pulci, 
TAriosto  il  Bojardo.  »  Anche  gli  ingegni  più  inventivi  ricor- 
rono gli  uni  agli  altri  (i).  Sappiamo  come  lo  stesso  Shakspeare 
tolse  dai  nostri  novellieri  gli  argomenti,  ove  intravide  i  germi 
di  quell'azione  drammatica,  che  svolse  poi  in  alcuni  de'suoi 
Stupendi  lavori.  L'Otello^  l'Amleto^  la  Giulietta  e  Romeo,  il 
Mercante  di  Venezia,  la  Tempesta,  sono  esempj  di  questa  verità. 
Ma  per  tacere  dei  geni  creatori  e  ristringendoci  ai  soli 
imitatori,  dico  che  l'Italia  letteraria  d'oggidì  ben  potrebbe 
chiamarsi  contenta,  se  una  numerosa  schiera  di  valenti  potesse 
contarne.  E  raglia  il  vero  di  quanta  lode  sìeno  i  felici  imi- 
tatori meritevoli,  si  comprenderà  di  leggieri,  ove  si  ponga 
mente  alle  difficoltà  non  lievi  che  hanno  a  superarsi,  da  chi 
aspira  a  quel  titolo. 

(I)  Presque  tout  est  imitatioD.  Le  Bojardo  a  ìmité  le  Pulci,  TArioste  a 
imité  le  Boiardo.  Lea  esprits  les  plus  originaux  eropruotent  les  uns  det  aatres. 
(Voltaire,  lettre$  phiiosophiqoes.  Lettre  VII*»*). 


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—  176  — 
Virgilio,  Catullo  e  Orazio  tra  ì  Latiai,  tra  gl'Italiani  il 
Chiabrera  e  il  Leopardi,  imitarooo  si  fattamente  ì  Greci  mo- 
delli 9  da  lasciare  tra  essi  e  questi  ultimi  quasi  dubbia  la 
palma,  e  Properzio  ebbe  a  dire  in  proposito  dell* Eneide  di 
Virgilio:  Nescio  quid  majus  nascitur  Iliade.  Ma  quale  razza 
d'imitazione  h  quella  della  più  parte  di  coloro,  che  oggidì 
corrono  per  le  bocche  col  nome  di  poeti?  Dove  sono  le  bel- 
lezze che  ritraggano  del  subbietto,  per  modo,  da  rendere  Im- 
mortali le  loro  scritture?  Mftgre  figure,  buone  a  nuli* altro, 
che  a  dare  risalto  maggiore  alle  virtù  dei  modelli. 

Quanto  sia  grande  la  turba  degli  imitatori,  fra  noi,  delia 
letteratura  straniera,  specialmente  della  francese,  già  fu  scritto 
da  molti.  Que'  poeti  stessi ,  che  fra  moderni  corrono  per  la 
maggiore,  ne  sono  chiare  testimonianze.  Basta  leggere  Vittor 
Hugo,  il  Bondelaire,  il  Musset,  ed  alcuni  altri  della  stessa  scuola, 
e  poi  lo  Stecchetti,  il  Boito,  il  Carducci  stesso  e  il  Costanzo* 
per  tacere  di  molti  altri,  da  convincerci  di  questa  verità. 

Ma  tutte  le  loro  imitazioni  sono  poi  tali  da  non  restare 
addietro  di  lungo  tratto  ai  loro  modelli?  Ecco  ciò  che  non 
parmì  vero,  come  non  parve  ad  alcuni  altri,  ne  io  dissento 
dalle  loro  sentenze. 

Fu  detto  (ed  h  cosa  verissima)  due  tra  i  precipui  pregi 
di  un  buon  traduttore  esser  quelli ,  di  non  stemperare  per 
quanto  e  possibile  il  concetto  del  testo,  affinchè  non  perda 
della  sua  efficacia,  e  di  non  attenuare  le  bellezze  delicate  e 
riposte,  le  quali  passano  a  molti  inavvertite,  si  per  la  poca 
perizia  della  lingua  di  cui  ritraggono  i  concètti,  si  veramente 
perchè  difettano  di  quel  sentimento  poetico,  o,  per  dirla  con 
Orazio,  dì  quelV os  magna  sonaturum,  di  cui  erano  padroni 
i  modelli  presi  ad  imitare.  Quello  che  si  è  detto  dei  tradut- 
tori ,  possiam  dire  degli  imitatori.  Ma  questi  precetti  rado 
è  che  veggiam  posti  in  opera  da  questi  ultimi. 

Fra  i  molti  esempi  che  abbiamo  di  questa  verità,  e  che 
occorreranno  di  leggieri  a  chiunque  si  pigli  la  briga  di  con- 
sultare i  saggi  d'imitazione,  mettendoli  a  riscontro  col  testo^ 
ne  riferirò  alcuni^  dei  quali,  benché  non  abbia  taciuto  qualche 
giornale,  pur  non  credo  inopportuno  ripresentarli  ai  lettori^ 
aggiungendovi  quatclie  piccola  osservazione  del  mio,  spintovi 
dall'amore  di  brevità. 

Il  testo  del  brano  che  segue  è  di  Teofilo  Gauthier^  uno 
tra  i  più  zelanti  imitatori  di  Vittor  Hugo,  e  che  tiene  un  bel 
posto  nella  letteratura  francese. 


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177  

Le  monde  est  fait  ainsi:  loi  supreme  et  funeste 
Gomme  Tombre  d'un  songe  au  bout  de  peu  d'instants 
La  rose  Wt  une  heure  et  le  cyprès  cent  ans. 

Or  ecco,  come  quest'ultimo  verso  viene  stemprato  in  cinque^ 
colla  versione  seguente: 

Dio  di  misericordìal 
Come  fan  presto  ad  appassir  le  rose. 
Solo  il  cipresso,  il  simbolo 
Deir  umana  miseria  e  del  dolore 
Solo  il  cipresso  vegeta 
Anche  nel  freddo,  e  il  verde  suo  non  muore. 

L'autore  non  ba  detto  che  il  verde  del  cipresso  non  muore^ 
avvegnaché  non  vi  sia  cosa  quaggiù  non  soggetta  alla  morte, 
bensì  che  il  cipresso  ba  un  cent^anni  di  vita,  laddove  la  rosa 
non  ha  che  quella  di  un'ora;  senza  che,  questa  perifrasi  del 
cipresso,  il  quale  già  tutti  sanno  essere  il  simbolo  del  do- 
lore, non  fa  che  stemperare  il  concetto,  per  tacere  di  quell'en- 
fatica esclamazione  Dio  di  misericordia  !  colla  quale ,  pare 
si  voglia  fare  le  maraviglie  di  cosa  notissima,  laddove  l'autore 
si  ristringe  ad  accennare  esser  dessa  una  legge  suprema 
e  dolorosa» 

Eccone  un  altro  del  Coupé: 

Elle  viendra  ce  soir.  Elle  me  Ta  promis 
Tout  est  bien  près:  je  viens  d*éloigner  mes  aniis, 
D' allumer  des  parfums,  d'allomer  des  bougies» 
Et  de  jeter  au  feu  les  fades  Èlégtes,. 
Que  fai  faites  alors  qu*Elie  ne  venait  pas. 
Et  j*attends  tout  à  Ineure.  Elle  viendra,  son  pas 
Retentira  léger  comme  un  pas  de  gazelle. 
Et  déja  ce  seul  bruit  me  ^ayera  de  mon  sèle 
Elle  entrerà  troublée  et  voilant  sa  pékur: 
Nous  nous  prendrons  les  mains,  et  la  douce  chaleur 
De  la  chambre  fera  sentir  bon  sa  toilette 
O  les  premiers  baisers  a  travers  la  voilette! 

Io  credo  che  il  Bacine  non  avrebbe  potuto  dettar  versi  più 
delicati ,  né  più  belli.  E  non  so  con  qual  maggior  grazia  , 
potevasi  mettere  in  essere  l'atto  dell'innamorata^  colla  simi- 
litudine della  Gazzella. 

Di  bellezze  di  questo  genere  non  mancano  esempi  ne' poeti 
Italiani.  E  chi  non  ricorda  quel  luogo  si  celebrato  del  Pa- 
nni, ove  si  rappresenta  il  piacere  sceso  sulla  terra: 

L'uniforme  degli  uomini  sembianza 
Spiacque  ai  Celesti,  e  a  variar  la  terra 
Fu  spedito  il  piacer.  Quale  già  i  Numi 
D'Ilio  sui  campi;  tal  1* amico  genio 
Lieve  lieve  per  1*  aere  labendo 
S*  avvicina  alla  terra,  e  questa  ride 
Di  riso  ancor  non  conosciuto.  Ei  move, 
E  r  aura  estiva  del  cadente  rivo 
E  dei  Clivi  odorosi  a  lui  blandisce 


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—    178   — 

Le  Tagbe  membra  e  lenemente  sdrùcciola 

Sai  tondeggiar  dei  muscoli  gentile 

Gli  s' aggiran  d' intorno  i  vezzi  e  i  giochi. 

La  bellezza  di  questi  versi  h  tale  che  io  credo  passino  innanzi, 
nell'anzidetto  genere^  a  quelli  stessi  or  citati  del  Coupé. 

Ma  di  bellezze  sì  fatte  è  oramai  fra  noi  perduta  la 
stampa. 

Ecco  l'imitazione  del  brano  francese  in  un  Sonetto: 

Domani  Ella  verrà;  domani  è  certo 
Che  il  tempo  mi  parrà  lungo  e  mortale. 
Quando  commenterò,  suU'  uscio  aperto. 
Ogni  passo  che  suoni  in  sulle  scale. 

Verrà...  verrà,  ma  perchè  dunque  incerto 
Palpito  e  tremo  come  un  Collegiale? 
Ab!  purché  tutto  non  sia  già  scoperto! 
Purché  la  Mamma  non  sospetti  il  malei 

Dentro  una  voce  susurrarmi  sento 
Verrà...  doman  verrà!  Chi  più  l'aspetta 
Lo  ritrova  più  dolce  il  pan  momento. 

Come  calda  sarà  la  prima  stretta 
Della  sua  man  tremante,  e  lo  spavento 
De*  primi  baci  dietro  la  veletta! 

La  voce  commenterò  della  prima  quartina  mi  sa  del  prosaico; 
ma  dove  è  la  similitudine  della  Gazzella^  che  ritragga  si  benie 
il  retentir  leger  'del  testo?  Farmi  inutile  anziché  no,  la  ripe- 
tizione del  {^errà  verrà  nel  primo  terzetto,  come  quello  già 
bastantemente  espres.so  nelle  due  prime  quartine;  epperò  un 
riempitivo  non  troppo  perdonabile  in  un  Sonetto.  Senza  che, 
non  so  se  tutti  potrebbero  soscriversi  a  quella  sentenza  chiusa 
nel  verso  medesimo:  »  Che  il  piacere  tornì  più  dolce  a  chi 
l'aspetta  ^  avvegnaché  a  chi  ben  consideri,  ne  paja  anzi  il 
contrario,  come  ben  mostrò  di  credere  il  Metastasio  in  quel  verso: 

Inatteso  piacer  giunge  più  grato 

Parrei  crìtico  fastidioso  se  mi  mettessi  all'impresa  di  tutti 
notare  per  sìngulo,  i  difetti  di  molte  delle  odierne  imitazioni 
Italiane  ,  messe  a  riscontro  coi  testi ,  e  però  lascierò  a  cui 
piaccia  il  procurarsene  esempj. 

Ma  da  tutto  ciò  che  dovremo  concluderne?  Nient*altro,  se 
non  quello  che  il  Giordani  asseriva  un  50  anni  fa:  «  Cotanto 
ì9  essersi  avanzati  i  maestri  francesi,  che  di  questi  dobbiamo 
M  noi  Italiani  parere  sempre  ombre.  >i  Vorrà  forse  talun  dire 
(cosi  egli):  Avevamo  allora  in  casa  armi  e  leggi  galliche,  era 
naturale  ossequio  prendere  anche  i  pensieri  e  le  forme  dei 
pensieri  dai  padroni.  Come  se  ciò  conoscessero  i  conquista- 
tori! Ma  cinquant'anni  prima  di  quel  tempo,  e  trent*anni  di 
poi^  quale  adulazione  di  serio  ci  spingeva,  e  ci  spinge  a  sna- 
turarci per  contraffare  altrui?  Una  impressione  da  pittori  pò- 


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—   17»  — ^ 

trebbe  essere  talora  ingegnosa,  e  perciò  lodevole;  ma  la  nostra 
e  da  scimie^  h  vìlissìma  e  iriescusabii  turpitudine. 

Paolo  Segneri,  la  cui  morte  precedette  di  tre  anni  la  morte 
del  Redi  (ultimo  de'nostri  sovrani  scrittori),  fu  il  primo,  che 
in  alcuna  delle  sue  opere,  nell'Incredulo  per  esempio^  lasciasse 
ad  occhio  bene  certo  vedere  ch*ei  lesse  i  valentissimi  francesi 
del  suo  tempo,  cbe  fu  il  gran  secolo  di  Francia.  Ni  un  ve- 
stigio di  SI  fatta  lettura  trovereste  nel  Redi^  nel  Bartoli,  nel 
Pallavicino,  in  nessun  altro,  ne  di  grandi,  né  di  mezzani,  e 
in  lui  stesso  h  sì  coperta,  che  appena  avrà  alcuno  che  me 
lo  creda. 

Poco  di  poi,  vi  corsero  ghiottamente  Lorenzo  Magalotti, 
Antonio  Salvini^  primarj  a  questa  deformazione  dello  stile  Ita* 
liano  ;  poi  una  turba  ognora  più  crescente  di  numero  e  di 
goffaggine,  «e  Siamo  giunti  a  tale  (sic)  che  io  non  saprei  inten- 
»  dere  Tinnumerabile  esercito  degli  odierni  scrittori  Italiani, 
A  se  non  sapessi  un  poco  di  francese.  £  dove  andremo  a  finire^ 
»  per  questa  via?  E  bello  frattanto  h  udire  le  oche  a  gridare 
»  Italia!   Italia!  Illa  quale  Italia  dunque?  » 

Oh!  ci  punga  una  volta  pensiero  di  noi  stessi,  pensiero  di 
quelle  dottrine  tramandateci  in  retaggio  dai  nostri  maggióri.  Di 
quanto  pregio,  di  quanta  lode  meritevoli  sieno  le  letterature 
straniere  delle  colte  nazioni,  chi  il  nega?  Ma  dovremo  per  questo 
disconoscere  la  nostra,  quasiché  nessuna  parte  del  fondo  pa- 
terno più  vivesse  fra  uoi?  Ciò  sarebbe  come  un  voler  negare 
Tuberta  di  una  cima,  onde  scendessero  le  abbondevoli  acque 
d'un  fiume.  Alla  coltura  adunque  di  questa  nostra  letteratura 
vuoisi  por  mano,  senza  mentire  alla  nostra  origine,  se  vuoisi 
che  torni  di  nuovi  ed  utili  frutti  feconda;  se  vuoisi  con  essa 
contribuire  alla  morale  rigenerazione  della  patria  nostra,  che 
dal  progresso  delle  letterarie  discipline  tanta  parte  attende 
del  suo  perfezionamento. 

Prof.  Nicolò  Marsdcco 


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—   180  — 
XXXIU. 

GRANDIOSA  IDEA 
DI  UN  MONUMENTO  ONORARIO 

HA    ERIGERSI    IK   ROMA 

VII    BTIlHAll   LA   MSHOIIA 

DI  VITTORIO  EMANUELE  II 

PRIMO    RE    D*ITALIA 


c(  Il  disegno,  il  calcolo,  la  lingua,  secondo  scrisse  il  Gior* 
»  dani,  sono  le  mani  delPintelletto,  colle  quali  Tuomo  si  nutre, 
»  e  mediante  le  quali  produce.  Ma  colla  lingua  egli  distende 
»  ancor,  più  la  sua  potenza,  perchè  niuna  cosa  è,  che  la  pa- 
»  rota  non  possa  rappresentare  e  sotto  questa  forma  ma-- 
»   neggìare,  come  se  fosse  visibile  e  mensurabile  (i).   » 

Se  dunque  con  la  parola  si  possa  rappresentare  un  con- 
cetto, perchè  non  sarìi  permesso  ad  un  vecchio  architetto, 
che  porta  sulle  spalle  il  peso  di  83  anni  ,  manifestarlo  in 
iscritto,  non  potendolo  esprimere  in  disegno,  come  ambirebbe 
di  fare  ,  perchè  indebolita  la  vista  e  la  mano  tremolante  ? 
È  vero  che  potrebbe  egli  abbozzarlo  e  quindi  farlo  disegnare 
da  un  giovine,  ma  essendo  lavoro  piuttosto  lungo,  gli  man- 
cano danari  per  farlo  eseguire. 

Questo  concetto  consisterebbe  ad  esprimere  Tidea  del  mo- 
numento onorario  da  erigersi  in  Roma  per  eternare  la  me- 
moria di  Colui,  che  seppe  io  poco  tempo  riunire  T Italia. 
Tal  monumento  sarebbe  grandioso,  parlante,  espressivo^  sem- 
plice, e  nella  sua  magni6cenza  adornerebbe,  nel  punto  del 
suo  collocamento  la  capitale  del  Regno^  e  farebbe  onore  alle 
arti,  a  Roma,  al  Sovrano  regnante,  ed  a  tutti  coloro,  che 
reggono  la  cosa  pubblica ,  i  quali  dovrebbero  pienamente 
aderire  all'idea  copcepita  dalKantore  per  onorare  la  memoria 
di  Vittorio  Emanuele  lì. 

In  poche  parole  potrò  manifestare  questa  idea ,  ma 
sarebbe  desiderabile ,  che  colui  che  leggera  tale  articolo 
s'investisse  del  concetto,  come  lo  vedesse  delineato  in  carta, 
o  modellato  in  legno,  per  desumerne  l'effetto,  che  dovrebbe 
produrre.  E  qualora  per  mia  fortuna  venisse  accolto,  intendo 
di  percepire  il  primo  premio  promesso;  ed  in  questo  caso  mi 
obbligherei  di  fare  eseguire  i  disegni  occorrenti,  onde  poterlo 
più  facilmente  edificare. 

(1)  ProsopograOa,  Lezione  del  prof.  Gabriele  Deyla. 


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—  18!   — 

Il  monumento  per  sì  magnanimo  Monarca  dev'essere  stra- 
ordinarioy  come  straordinari  sono  i  di  Lui  fasti,  i  quali  hanno 
destato  ammirazione  e  sorpresa  a  tutto  V  universo  ;  ed  io , 
che  appartengo  alla  Guardia  d'onore  alla  provisoria  di  Lui 
tomba  al  Pantheon^  posso  assicurare  (come  testimone  ocu- 
lare, allorquando  sono  stato  di  servizio)  con  quale  e  quanta 
rispettosa  ansietà  concorrono  in  folla,  a  tutte  le  ore  del  giorno, 
nazionali  e  stranieri  per  ammirare  soltanto  il  punto  ove  si 
racchiudono  le  di  Lui  ceneri,  distinto  da  una  corona  reale. 

Questo  straordinario  monumento  consisterebbe  dunque 
nell'adornamento  dell'Esedra  di  Termini  (rispettabile  avanzo 
delle  Terme  Diocleziane  (con  grandioso  portico,  seguendo  la 
curva  interna  del  semicircolo ,  composto  di  colonne  isolate 
sullo  stile  pestano,  ovvero  di  ordine  jonico,  chiuso  da  can- 
cellata di  ferro,  posto  di  fronte  alla  chiesa  degli  Angeli,  e 
nel  fregio  della  trabeazione  ,  dovrebbe  esservi  questa  iscri- 
zione in  caratteri  cubitali  di  bronzo  =  I  popoli  d'Italia  al 
PRIMO  LORO  Re  Vittorio  Emanuele  IP  m  attestato  di  gra- 
titudine QUESTO  MONUMENTO  ERESSERO.  A.  D.  188  .  ^=  ed  in 
fondo  al  pronao  corrispondente  ad  ogni  intercolunnio,  rap- 
presentare in  bassorilievo  (in  marmo)  o  in  pittura,  i  fasti  più 
memorabili^  che  appartengono  alla  storia  dell'estinto  Monarca. 
Nel  primo  quadro  per  esempio,  coiiispondente  al  primo  in- 
tercolunnio, rappresentare  Vittorio  Emanuele  nell'atto  di  pre- 
stare giuramento  all'augusto  di  l2ui  genitore  Carlo  Alberto, 
di  riunire  l'Italia  ed  émandparla  dal  dominio  straniero. 

Nel  secondo  quadro ,  c<^Vrispondente  al  secondo  interco- 
lunnio, rappresentare  Vittorio  Emanuele  nel  momento  di  pro- 
clamare ai  suoi  popoli  la  nazionalità  italiana. 

Mei  tei^o  quadro  la  battaglia  vinta  a  Coito.  Nel  quarto 
quella  vinta  a  Palestro.  Nel  quinto  quella  vinta  a  san  Mar- 
tino. Nel  sesto  quella  vinta  a  santa  Lucia.  Quindi  l'ingresso 
trionfale  fatto  a  Milano  con  Napoleone  III?  Quello  fatto  a 
Napoli  col  generale  Garibaldi.  Poi  quello  a  Venezia  ,  a 
Roma,  e  tanti  altri  fatti,  che  sul  momento  non  posso  ram- 
mentare. : 

L'apertura  dell'esedra,  che  dk  ingresso  alla  via  Nazio- 
nale, essendo  larga  26  metri,  quanto  la  ^suddetta,  verrà 
adomata  da  un  peristilio  in  armonia  ed  i]%  continuazione  del 
portico,  il  quale  (per  chi  viene  dalia  Sta^zione)  mentre  for- 
merà nobile  e  sontuoso  passaggio  per  entrar^^  nella  citta  de'Sette 
Sfalli,  servirà  altresì  per  congiungere  i  diite  segmenti  del  se- 
micìrcolo,  che  costituiscono  l'Esedra  sudc^tta. 

r 


L     25 


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—   188  — 
Superiormente  a  questo  passaggio^  di  fronte  al  prospetto 
della  chiesa  degli  Angeli,  trionferà,  in  proporzioni  colossali, 
lo  stemma  della  dinastia  regnante,  sostenuto,  d'ambe  le  parti 
da  due  geni  piangenti,  scolpiti  in  marmo,  o  in  bronzo. 

Nella  parte  opposta,  che  guarda  la  via  Nazionale,  sarà 
l'Italia  personificata,  scolpita  in  marmo,  che  piangente  addi- 
terà all'Europa,  attonita,  (personificata  aneli  essa)  un  grande 
medaglione  col  retratto  in  mosaico  deirestinto  Sovrano. 

Si  è  detto  già,  che  nell'interno  del  pronao,  al  piano  ter- 
reno, innalzato  di  pochi  gradini  dal  suolo  stradale,  saranno 
rappresentati  tutti  i  fatti  che  si  riferiscono  alla  vita  di  Vit- 
torio Emanuele  II? 

Nell'attico  poi,  ossia  nel  piano  superiore,  sarà  un  museo, 
ove  si  conserveranno  le  corone  ed  altri  donativi,  offerti  dalle 
varie  citta  e  provincie  del  Regno,  da  corpi  costituiti,  dagli 
ufficiali  dell'esercito  e  privati  individui,  e  deposti  sul  feretro 
del  compianto  Principe. 

Sulla  balaustrata,  che  coronerà  l'attico,  per  nascondere 
il  tetto,  saranno  statue  sopra  piedestalli  a  piombo  delle  co- 
lonne, le  quali  rappresenteranno,  se  non  tutti,  la  maggior 
parte  almeno,  di  quei  Re  longobardi,  che  dominarono  per  più 
di  due  secoli  una  gran  parte  d'Italia,  da  Odoacre  a  Desiderio. 
Nel  punto  poi  centrale  dell'Esedra  sarà  la  statua  colos- 
sale equestre  di  Vittorio  Emanuele  IP  gettata  in  bronzo  , 
posta  sopra  uno  scoglio,  che  parrà  risorto  in  vita,  ed  uscito 
dal  suo  avello  (posto  che  il  monumento  religioso  si  faccia 
entro  la  chiesa  degli  Angeli,  sul  piazzale  di  Termini)  e  che 
passando  sotto  il  tempio  de'suoi  trofei,  entri  trionfante  nella 
città  Eterna  da  Lui  redenta  dal  dominio  straniero,  e  per  Lui 
tornata  ad  essere  capitale  d'Italia,  come  fu  una  volta  capi- 
tale dell'Universo. 

Roma,  17  Gennajo  issi. 

Giuseppe  Verzili  Architetto  Ingegnere 


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—   183  — 
XXXIV. 

ALLA    MAESTÀ 

DELLA  II08TIA  kVQVaTk  B  OIACIOSA  80VIANA 

MARGHERITA 

REGINA  D' ITALIA 

PER  IL  SOO  FAUSTO  RITORNO  A  ROMA 

DAL  TRIONFALE  VIAGGIO  IN  SICILIA 

Palermo,  Siracusa,  Eana,  Messina 

Acclamavan  festose  al  Tuo  viaggio, 
E,  come  a  bella  apparizion  divina. 
Archi  ed  altari  ergean  sul  Tuo  passaggio. 

Affrica  si  commosse  a  tanto  raggio 
Della  risorta  potestà  latina, 
E,  genuflessa  a  Te  davanti,  omaggio 
Porger  Ti  volle  come  a  «uà  reina. 

Alla  gran  madre  nostra  or  volgi  il  piede. 
Che  figlia  cara  e  perla  sua  Ti  noma 
E  amor  Ti  giura  sempiterno  e  fede, 

Ch^,  dalle  Tue  virtù  conquisa  e  doma, 
Suddita  volontaria  a  Te  si  diede 
La  domatrice  delle  gentil  Roma. 

Roma,  gennaio  mdggclxxxi. 

Luigi  Arrigo  Rossi 


NeUa  Poesia  e  B  pemiero  del  core  »  del  medesimo  autore  è  incorso  un 
errore  di  stampa.  Il  terzo  verso  dell' antipenultima  strofe  deve  leggersi  cosìi 

«  Di  ninna  cosa  infuor  di  te  m*  appago  » 


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—   184  — 
PUBBLICAZIONI  RICEVUTE  IN  DONO 


Belli  (Giacomo)  La  Divina  Commedia  di  Dante  Alighieri  tradotta  in  praa. 
Roma^  tipografia  della  Pace,  piaxta  della  Pace  35, 1875.  In  8/  di  pag.  361. 

Sonetti  Roma  ece.»  1877.  In  S.*'  di  pag.  06. 

BiADEGO  (Giuseppe)  Dei  versi  di  Maria  Alinda  Brunamonti  nata  Bonacci 
{EstraUi  dal  giornale  V  Adige,  NJ  46,  47,  48,  49  e  50).  Verona,  stabUi' 
mento  tipografico  di  G.  Civelli,  1876.  In  12.®  di  pag.  84. 

Biblioteca  della  gioventù'  italiana.  Anno  XIII.  Gennaio  1881.  //  Sol- 
valore,  Poema  di  Davide  Bertolotti.  Torino,  1881,  tipografia  e  libreria 
Salesiana,  San  Pier  d* Arena,  Lucca,  Nitxa  Marittima,  in  i29  di  pag.  275. 

Febbraio.  Lettere  di  Giuseppe  Giusti  scelte  pei  giovinetti  a  cura  di  Gae- 
tano Debò.  Volume  primo,  Torino  eee.  In  12.<»  di  pag.  254. 

Corradi  (Alfonso)  Clemente  Sibiliato  e  Giambattista  Morgagni,  accuse  e  di- 
fese (letta  nell'adunanza  del  4  maggio  1876 ,  del  R.  Istituto  Lombardo  di 
Scienie  e  Lettere)  (Estratto  dai  Rendiconti  del  R.  Istituto  Lombardo  di 
Scienze  e  Lettere,  Serie  U,  voi.  IX,  fase.  XL  Milano  1876,  tip.  Remar- 
doni.  In  8.®  di  pag.  32. 

Broli  (Giovanni)  La  coronazione  di  M.  F.  del  Ghirlandajo  e  la  Madonna 
del  Libro  di  Raffaello,  classici  dipinti  descritti  ed  illusiratù  Nami,  t^- 
grafia  Umbro-Sabina  mdccclxxx.  In  8!  di  pag.  125  e  figure.  —  Breve 
istoria  della  namese  tipografia,  di  pag.  ix. 

Fayaro  (Antonio)  Sulla  Biblioteca  matematica  italiana  del  prof.  P.  Riccardi. 
Cenni  (Estratto  dal  voi.  VII ,  ser.  V  degli  Atti  del  R.  Istituto  veneto  di 
scienze,  lettere  ed  arti).  Venezia,  1880,  tip.  Antonelii.  In  8.®  di  pag.  18. 

Henri  (Charles)  Sur  divers  points  de  la  theorie  des  nombres  remarques  hi- 
storiqueSy  Séance  du  17  oout  1880  (Association  francaise  pour  Vavancement 
des  Sciences,  Congrès  de  Reims  1880) .  Reims,  J.  Justinart,  Independani  Remote. 
Paris,  au  secrétariat  de  l' association,  Rue  de  Rennes,  76.  In  8.''  di  pag.  7. 

Considérations  sur  quelques  formules  intégrales  doni  les  valeurs  peuoent 

étre  exprimees  en  certains  cas  par  la  quadrature  du  cercle.  Mémoire  de 
Léonard  Euler,  publié  conformément  au  manuscrit  autographe  Bulletin  des 
sciences  Mathématiques  et  Astronomiques  ,  etc.  Paris ,  Gauthier-  Villars , 
imprimeur-Libraire  y  du  bureau  des  longitudes  ^  de  fècole  polgtechnique^ 
successeur  de  Mallet-B achelier,  quai  des  Augustins  55,  1881.  In  4!  di  pag.  52. 

Sur  le  calcai  des  dérangements  (Extrait  des  Nouyelles  Annales  de  Ma- 
thématiques, 2«  sèrie,  t.  XX,  1881).  Paris,  imp/de  Gauthier- Villars,  quai 
des  Augustins  55.  In  8.»  di  pag.  4. 

LucAS  (Edoardo)  Principii  fondamentali  della  Geometria  dei  tessuti  (Estratto 
dai  fase.  T  ed  S  (Anno  VI)  del  Periodico  mensile  L'ingegneria  Civile  e  le 
Arti  lodustriali)  Torino,  tip.  e  Ut.  Camilla  e  Bertolero,  Via  Ospedale  18, 
1880.  in  8  di  paff.  32  e  tabella  dei  disegni  fondamentali. 

Morsolin  (Bernardo)  Giovanni  da  Schio  o  la  critica  ne* tempi  più  oscuri  della 
storia  di  Vicenza  (Estr.  dal  voi.  VI,  ser.  V,  degli  Atti  dei  R.  Istituto  ve- 
neto, di  scienze  lettere  ed  arti).  Venezia  1880,  tip.  Antonelli.  In  8?  di  pag.  28. 

MtJiNTz  (Eugene)  Notice  sur  un  pian  inédit  de  home  au  XV^  siede  (Extraii 
des  proeès^erbaux  de  la  Sociétè  nationale  des  Antiquaires  de  France.  Seance 
du  21  avrii  1880).  Nogent-le-Rotrou,  imprimerie  Daupeley  Gouverneur.  In  8.^ 
di  pag.  7,  e  figura 

Pedinino  (Antonio)  Catalogo  ragionato  dei  libri  di  prima  stampa  e  delle  edi- 
zioni aldine  e  rare  esistenti  nella  Biblioteca  nazionale  di  Palermo.  Voi.  II. 
Palermo,  stabilimento  tipografico  Lao  1S80.  In  8T  di  pae.  422. 

Salvo -Cozzo  (Giuseppe)  Lettera  al  barone  Raffaele  Strarrabba.  Sulle  notizie 
biografiche  e  bibliografiche  degli  scrittori  napoletani  fioriti  nel  secolo  XVII 
compilate  da  Camillo  Minieri-Riccio.  Palermo,  stabilimento  tipografico  Virzì, 
1876.  In  8.0  di  pag.  40. 

Tessier  (Andrea)  Tre  lettere  di  Apostolo  Zeno,  ora  per  la  prima  volta  pub- 
blicate con  annotazioni.  (Per  le  nozze  deiregregio  signor  D.''  Giuseppe  Ma- 
donini  e  della  amabilissima  signorina  Annetta  Artelli).  Venezia,  co'tipi  di 
Pietro  Naratovich  mdccclxxxi.  In  8."  di  pag.  15. 


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Serib  II.  VoL.  XIV. 


Giugno  1880 


I  L 


BUONARROTI 

D   I 

BENVENUTO  GASPARONI 

CONTINUATO  PER  CURA 

DI  EINRICO  NAnR9rCCI 


PAG. 

XXXV.  Docomenii  inediti  dell'arte  toscana  dal  XII 
al  XVr  secolo,  raccolti  e  annotati  da  G. 
Milanesi  {Continuazione).  ...»  185 
XXXVI.  Descrizione  d»  tutte  le  colonne  ed  obelischi 
che  trovausi  nelle  piazze  A  Roma,  di- 
sposta in  forma  di  guida  da  Angelo 
Pellegrini  ecc.  (ContinuSione),  ,  *  195 
XXXVII.  Della  storia,  della  scienza  e  dell* arte  inse- 
gnativa considerata  in  "^*  *^*'/jne'suoi 
rapporti  colla  stor'  '^«I^'S-icienza  e 
deirarte  letteraria  (Pr^  Gabriele 
Deyla) Q   .     .,  »  213 

XXXVIII.  Il  nihilismo  cb^  chiede  la  costituzione  allo 
Czar  Alessandro  III.  (Luigi  Arrigo 
Rossi) »  223 

Pubblicazioni  ricevute  in  dono »  223 


ROMA 

TIPOGRAFIA   DELLE   SCIENZE   MATEMATICHE  E    FISICHR 

VIA  latan!  3. 
1880 


PuLblicato  il  13  Aprile  issi 


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^(    Oca    U 


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IL 


Qii(Dsi^3iiSi(i)^a 


SfiEiB  II.  VoL.  XIV.         Quaderno  VL 


Giugno  1880 


XXXV. 

DOCUMENTI  INEDITI  DELL'ARTE  TOSCANA 
DAL  XII  AL  XVI  SECOLO 

RACCOLTI  E  ANNOTATI 

DA   G.    MILANESI 

Continuazione  (1) 


N.*  27.  1310,  8  di  giugno 

M^  Fino  di  Dato  piglia  ad  insegnare  Varie  sua  dello  scarpello 
e  del  legname  a  Donnino  di  Lapo  da  Brozzi. 

archivio  detto.  Rogiti  di  ter  Arrigo  di  Benintt.  Protocollo  dal  i308  al  1S14,  e.  68. 

Actnm  in  populo  Sancii  Donnino  (sic)  -  Donninus  filius  q.  tapi 
populi  plebis  de  Brozzi  posuit  se  et  personam  soameum  maestro 
Fino  Dati  dicti  populi  ad  discendam  artem  et  misterium  ^rtis  la- 
pidis  et  lignaminis  hinc  ad  tres  annos  proxime  yenturos ,  promit- 
tens  et  convéniens  eidem  magistro  Fino  cum  eo  ire  et  Stare  ad  omnia 
et  singula  làboreria  ad  que  dictus  magister  Finus  staret  ad  labo- 
randum,  et  in  dictis  laboreriis  et  quolibet  eorum  sibi  suis  expensis 
propriis  servire  bene  et  condecenter  ad  requisì tionem  dicti  magistri 
Fini  per  totum  dictum  tempus  -  et  eidem  magistro  Fino  dare  et  sol- 
vere prò  suo  salario  et  mercede  libras  viginti  flor:  parv:  in  tribus 
vicibus,  scilicet  in  Gne  cuiuslibet  dictorum  trium  annorum  libras 
sex  sol:  tredecim  et  denar:  quatuor  fior:  parvor:  -  Et  hoc  ideo  quia 
dictus  magister  Finus  promisit  eidem  Donnino  ipsnm  ducere  et  tenere 
secum  ad  dieta  làboreria,  ad  que  dictus  Finus  laboraret  et  staret 
per  totum  dictum  tempus  et  eum  docere  dictam  artem  bene  et  le- 
galiter  -  et  sibi  dari  facere  ab  ilio  sen  illis  personis  ,  cuius  vel 
quorum  fuerint  talia  làboreria,  maius  salarium  siue  pretium  qnod 
ipse  magister  Finus  potuerit  etc.  quod  salarium  sit  dicti  Donnini- 

N.""  28.  1310,  10  di  settembre 

Confessione  fatta  da  Betto  di  Ranuccio  da  Lucca  ^  e  da  Ruota  di 
Guiduccio  da  Montelupo  di  aver  ricevuto  500  fiorini  (te'  1300 
che  dovevano  riscuotere  dal  promotore  della  chiesa  di  S.  Croce 


(1)  Vedi  Quaderno  precedente,  pag.  151. 


26 


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—   186  

di  Firenze  per  conto  di  legname  e  magistero  messo  nella  eostrur- 
zione  di  detta  chiesa. 

Archìvio  detto.  Rogiti  di  S.   Obito  da  Pontremoli.  Protocollo  dal  1108  al  i3ll,  e.  194. 

In  dei  nomine  Amen.  Anno  a  nativitate  domini  Millesimo.  Tre- 
centesimo decimo,  Indit.  viij,  die  decimo  Septembris.  Actum  Fio- 
rentie  in  loco  Fratrum  minoram  presentibus  testibus  Chone  olim 
Brunetti  de  Quercieto  et  Lapo  Persi  de  Remto  servitorihus  Inqui- 
sitoris.  Bettus  qaond.  Ranuccii  Salomonis  Cari  de  Luca  pop:  S.  Mi- 
chaelis  et  Ruota  filius  Guiducii  de  Monteiupo  prò  se  ipsis  et  prò 
eomm  sotiis  fuerunt  confessi  et  contenti  et  recognoverunt  se  habuisse 
et  recepisse  prò  se  et  dictis  eorum  sotiis  a  Richupero  Caccini  pop: 
Sci:  Jacobi  inter  foveas  de  Fior:  et  procuratore  operis  ecclesie  Sancte 
Crucis, florenos  auri  quingentos  de  summa  mille  trecentorum  florenor. 
auri,  quos  ipsi  et  predicti  eorum  sotii  debebant  babere  et  recipere 
prò  lignamine  et  magistratura  lignaminis  diete  ecclesie ,  ut  conti- 
neri  dixei*unt  scriptura  publica  facta  manu  ser  Bartoloinei  Ghian- 
delfini  de  Luca  notarii,  compulatis  in  dieta  summa  quingentorum 
floren:  auri,  trecentis  florenis  auri,  quos  dictus  Bettus  et  Johannes 
Spiafamis  not.  fuerunt  confessi  prò  se  et  sotiis  eorum  se  habuisse 
et  recepisse  a  Bonaguida  Fabri  Tolosini  in  civitate  lucana  de  summa 
predictor:  mille  trecentorum  florenorum  auri,  ut  contineri  dixerunt 
scriptura  publica  facta  manu  dicti  ser  Bartholomei  not. 

N.*»  29.  1314,   12  di  gennaio 

Sepoltura  di  marmo  de'Mannelli  presso  il  chiostro  di  S.  Maria  No^ 
velia  allogata  a  scolpire  a  Lapo  di  Ricevuto  maestro  fiorentino* 

^archivio  d«tfeo. 
Rogiti   di  ser  Gio.  di  Gino  da  CaI«niano.  Protocolio  dal  i3lS  al  lSi4t  e.  286  verso, 

Mcccziiij,  die  duodecimo  Januarii.  Actum  Florentie,  presentibus. 
testibus  Fratre  Johanne  de  Bostids  ordinis  Predicatorum  et  con- 
ventus  ecclesie  S.  Marie  Novelle  Fior:,  Johanne  Medaglie  et  /o- 
hanne  Bracchetti  familiaribus  et  servitialibus  dicti  conventus  et  aliis. 

Reli|iosus  vir  frater  Johannes  de  Ultramo  oordinis  Predicatorum 
de  dicto  fiorentino  conventu,  operarius  ecclesie  sanote  Marie  Novelle, 
suo  nomine  et  in  vice  et  nomine  fratrum  et  capitali  dicti  conventus, 
locavit  raagistro  Lctpo  quond.  Ricevuti  pop:  Sancti  Laurentii  de  Fio- 
rentia  opus  et  laboreriukn  cuiusdam  monumenti  et  sepulture  fibnde 
bine  ad  festum  beate  marie  mensis  augusti  proxime  venturi  prò  illis 
nobilibus  viris  de  domo  de  ManneUis  civibus  florentinis ,  in  muro 
seu  iurta  murum  claustri  diete  ecclesie,  in  loco  inferius  confinato, 
cui  ab  uno  latere  platea  nova  diete  ecclesie,  a  ij®  porta  dicti  cbustri, 
a  ii)®  muruft  dicti  claustri ,  a  iiij^  monumentum  taddei  tieri  dietìr 
salvia  vel  si  qui  sunt  ueriores  confini,  prò  salario  et  pretio  in  summa 
librarum  centum  septuaginta  florenonim  parvorum:  quod  quidem  sa- 
larium  et  pretiìim  promisit  eidem  magistro  Lapo  &ibi  dare  et  solvere 
paulatim  et  inter  et  plures  vices  prout  idem  frater  Johannes  viderit 
convenire,  prò  emendis  marmoribos,  lapidil^us,  calce^  arena  et  aliis 
opportunis  ad  predictum  laborerium  faciendum;  et  postquam  idem 
magister  compleuerit  et  perfecerit  dictum  laborerium  in  dictum  ter- 


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—  m  — 

minitm,  ut  ipse  magiflter  promisit  ut  inferius  continetur^  eidem  ma- 
gìstro  solvere  residuum  et  complementam  totias  dicti  pretii  et  salari!. 

Item  dictus  Magister  Laptm  in  conducendo  promisit  et  convenit 
dicto  fratri  Johanni  --  dictum  monuraenCum  et  sepulturam  in  «dicto 
loco  supra  confinato ,  facere  et  murare  de  lapidibus  et  calcina  et 
marmonhus  albis  et  nigris  tante  altitudinis  et  amplitudinis  et  pro- 
fìinditatis  et  talis  forme,  quante  et  qualis  sunt  alie  sepulture  mar- 
moree circumstantes  facte  in  dicto  seu  insta  (sic)  dictum  murum:  et 
ad  pedem  diete  sepulture  facere  aliam  sepulturam  ad  modum  capse, 
de  lapidibus  et  calce,  et  dictum  laborerium  facere  et  compiere  bona 
fide  sine  fraude. 

Item  postea  die  ({uarto  febmarii. 

Niccholaus  filius  magistri  Lapi  suprascripti  pop:  S.  Laurentii 
et  Coppua  quondam  Andree  dicti  populi,  magistri  lapidum,  et  uterque 
eorum  in  solidum  —  se  obligaverunt  -  ad  supradictum  laborerium 
et  opus  faciendum  supradicti  monumenti  et  sepulture,  prout  et  sicut 
per  omnia  et  in  scdidum  -  se  obligaverat  magister  Lopus  predictus. 

N.*»  30.  1320,    17  d'aprile 

Allogazione  a  Pietro  Lorenzetti  da  Siena 
della  pittura  deila  tavola  deiV aitar  maggiore  della  Pieve  d* Arezzo. 

Archivio  detto.  Rogiti  di  ser  Attoldo  di  Baldinaccio  d'Areno.  Protocollo  del  1320. 

In  nomine  domini  Amen.  Anno  Xpi  a  Nativitate  millesimo 
occ.xx,  Indictione  tenia,  tempore  domini  Johannia  pape,  die  xvij  mensis 
aprilis.  Actum  apud  ecclesiam  Sancti  Angeli  in  Arcaltis  extra  et 
iuxta  Cimiterium  ipsius  ecclesie,  coram  domino  Gerio  canonico  are^ 
tino,  domino  Mignolo  mansionario  ecclesie  sancti  Angeli  in  Arcaltis, 
testibus.  Magister  Petrtés  pictor  quondam  Lorenzetti^  qui  fuit  de  Senis, 
soUepniter  et  sponte  promisit  et  convenit  venerabili  patri  domino 
Guidoni  dei  gratia  episcopo  Aretino  stipulanti  et  recipienti  prò  vice 
et  nomine  plebis  sancte  Marie  de  Aretio ,  pingere  tabulam  Beate 
Yirginis  Marie  deputandam  in  ipsa  Plebe,  de  pulcberrimis  figuris: 
in  cuius  tabule  medio  debeat  esse  yma?o  Yirginis  Marie  cam  filio 
et  cum  quatuor  figuris  coUateralibus  ad  voluntatem  ipsius  domini 
Episcopi,  laborando  in  campis  et  spatiis  ipsarum  figurarum  de  optimo 
auro  de  C  foliis  prò  floreno  et  regulos  et  campos  ipsarum  figurarum 
de  auro  predicto  et  alia  ornamenta  de  optimo  argento  et  de  optimis 
et  electis  coloribus  et  mietendo  in  ipsis  quinque  figuris  azurrum 
ultramarinum  electum,  et  in  aliis  circumstantiis  circumferentiis  et 
spatiis  ipsius  tabule  pingendo  ymagìnes  profetarum  et  sanctorum 
ad  voluntatem  ipsius  domini  Episcopi  de  bonit  et  electis  colorilma. 
Debeat  esse  longa  vj  bracchia  et  alta  in  medio  vj  braccbiis  {Me) 
absque  duabus  colupnis,  quarum  quelibet  debeat  esse  ampia  medio 
bracchio  et  in  qnalibet  esse  debeant  esse  (sto)  vj  figure  laborate  de 
auro  predicto  et  debeat  ipsum  laborerium  approbari  per  ipsum  do- 
minum  Episcopum  et  alios  quos  voluerit;  et  debeat  incipere  ipsum 
laborerium  incipere  (sic)  ad  voluntatem  ipsius  domini  Episcopi  statim 
postquam  facta  fuerit  ipsa  tabuja  de  lignamine,  et  in  ipso  laborerio 
supersedere  continue  usque  ad  perfectionem  ipsius  tabule,  non  adsu- 
mendo  aliud  laborerium  etc.  Et  hoc  ideo  promisit,  quod  dictus  do- 


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I8S 

minus  Guido  promisi!  eidem  facere  d9ri  et  assignari  ipsam  tabulam 
coQStructam  de  lignamine  et  eidem  soluere  prò  salario  ipsius  picture 
et  prò  coloribas,  argento  et  auro  centum  sexaginta  libras  pis.  scilicet 
tertiam  partem  in  principio  operis,  tertiam  partem  in  medio  operis, 
et  reliquam  tertiam  partem  opere  completo  et  perfecto  etc.  etc.  etc. 

N.""  31.  1328,  6  di  dicembre 

Silvestro  di  Cambio  st  alloga  per  tre  anni  con  Jacopo  di  Cionino 
sellaio ,  a  fare ,  lavorare  ed  ornare  le  selle  d'  osso  con  figure 
di  leoni. 

Archivio  detto.  Rogiti  di  ser  Parente  Bencivenni,  FiUa  dal   1125  al  ISSS,  e.  78. 

Actum  Florentie  presentibus  testibus  -  Nerio  quondam  Jannis 
spetiario  pop:  S.  Marie  Nipotecose  et  Lapo  quond.  Vannis  pop: 
S.  Michaelis  Vicedominor. 

Siluester  Glius  quond:  Cambii  pop:  Sancte  Marie  Nouelle  lo- 
cavit  et  se  pacto  posuit  cum  Jacobo  Cumini  sellano  pop.  S.  Micbaelis 
in  Palchetto,  cam  pactis  et  conditionilms  infrascriptis,  in  termino 
duorum  annorum  proicime  futurorum  incipiendorum  in  kalendis 
mensis  Januarii  proxime  yenturi  ,  ad  faciendnm  et  laborandum  et 
ornandum  sellas  de  osse  ad  figuras,  et  de  figuris  leonum  vel  alias 
figuras  relevatas;  et  promisit  et  conyenit  dictus  Siluester  dicto  Ja- 
cobo toto  dicto  tempore  et  termino  stare  cum  dicto  Jacobo  ad  labo- 
randum et  faciendum  ipsas  sellas  bene  et  diligenter,  bona  fide  sine 
fraude,  toto  suo  posse:  et  versa  vice  dictus  Jacobus  promisit  et  con- 
yenit dicto  Silvestro  dare  et  solvere  eidem  Silvestro  prò  qualibet  bu- 
iusmodi  sella  ,  quam  ipse  Silvester  sic  modo  predicto  laborabit  et 
omabit,  tres  florenos  anri  et  dimidium  alterius  floreni  auri  inconti- 
nenti, postquam  ipsam  sellam  fauiusmodi  sic  laboratam  et  omatam 
compleverit. 

N.""  32.  1330»  25  di  settembre 

Compagnia  alV  arte  delle  coperte  di  cuoio  da  cavalli  di  gesso  e  di- 
pinte,  fatta  tra  Matteo  Rosselli,  Chiaro  di  Michele,  e  Bartolo 
Gioggi  pittori  fiorentini  ,  da  una  parte  ;  e  Pasquino  di  Cenni 
pittore  da  Siena  ^  Landuccio  e  Duccio  di  Falcone  pittori  luc- 
chesi ,  e  Vanni  di  Mino  detto  Pilorcio ,  pittore  da  Siena , 
dalV  altra  parte. 

Archivio  detto. 
Rogiti  di  Ser  Parente  di  Bencivenai-CassetU.  FiUa  dal  1325  al  1S3S,  e.  107  verso. 

Actum  Florentie,  presentibus  testibus  ad  hec  uocatis  et  rogatis  Vgh^ 
lino  pievi  et  Agevole  Corsi  populi  Sancti  Michaelis  Vicedominorum 
de  Florentia  et  aliis. 

Mcuiteus  Rosselli  pictor  populi  sancti  Laurentii,  Chiarus  quondam 
Michelis^  populi  Sancti  Michaelis  Vicedominorum,  et  Bart?iolus  Gioggi 
pop:  Sancti..».  pictor,  ex  una  parte;  et  Pasquinus  Cennis  pictor  de 
Senis  qui  moratur  Florentie  in  dicto  populo  sancti  Micchaelis  Vice- 
dominorum prò  se  ipso  et  suo  nomine  proprio  ac  etiam  suo  proprio 
et  privato  nomine  prò  se  obligans  prò  Landuccio  et  Duccio  fratribus 


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—  189  — 
et  filiis  quondam  Falconis  de  Lucha,  qui  hodie  morantur  in  populo 
Sancii  Laurentii  \,  et  prò  Vanne  Mini  uocato  Pilorcio^  dicti  populi 
$an€ti  Micbaelis  Vicedominorum,  sotiis  ipsius  Pasquini^  prò  quibus 
de  rato  promisit  eie,  ex  parte  altera;  contraxerunt  et  fecerunt  Inter 
se  et  sibi  ad  invicem  et  yicissim  sotietatem  spetialiter  et  nominatim 
de  infrascriptis  rebus  infrascripto  modo,  in  arte  et  de  arte  pingendi 
cum  infrascriptis  modis  et  pactis,  tenore  et  conditione,  videlicet: 

In  primis  quod  dictus  Pasquinus  prò  se  ipso  et  predictis  suis 
sotiis  teneatur  et  debeat  ponere  et  mietere  ad  presens  in  dieta  so- 
tietate  et  coi-pore  diete  societatis  tria  paria  couertarum  de  corio 
releuato  cum  testerìis  actis  ad  fulciendum  equum  (sto),  que  uulga- 
rìter  vocantur  et  appellantur  inter  eos  coi^erte  da  vantaggio  rileuate 
chon  gesso;  et  quod  predicti  Madeus^  Chiarus  et  Bartholus  teneantur 
et  debeant  ad  presens  mietere  et  ponere  in  dieta  sotietate  et  cor- 
pore  diete  sotietatis  duo  paria  similium  couertarum  consimilis  ualute 
et  pretii.  Et  banc  sotietatem  de  dictis  couertis  durare  et  valere  vo* 
luerunt  predicte  partes  bine  ad  unum  annum  proxime  uenturum  ad 
mìnus  y  et  etiam  tanto  tempore  ultra  plus ,  sì  dieta  quinque  parìa 
dictarum  couertarum,  ut  dictum  est,  per  dictas  partes  ponenda  ad 
presens  iu  dicto  corpore  diete  societatis,  non  uenderentur  uel  uendi 
non  possent.  Et  quod  etiam  quelibet  pars  possit  et  sibi  liceat  intra 
dictum  tempus  vnius  anni  mittere  et  ponere  in  dieta  sotietate  et 
corpore  diete  sotietatis  quot  parìa  uoluerint  de  dictis  couertis  ad 
rationem  predictam  et  modo  predicto,  prout  quamlibet  partem  tangit 
modo  predicto,  videlicet,  quando  dictus  Macthetis  et  sotii  micterent 
et  ponerent  duo  paria;  predicti  Pasquinus  et  sotii  teneantur  et  de- 
beant mietere  et  ponere  tria  paria  et  e  conuerso.  Et  quod  predicte 
partes  possint  et  debeant  ipsas  covertas  quam  citius  commode  po- 
terunt  vendi  seu  uendi  facere,  et  pecuniam  et  pretium  ex  ipsis  per- 
cipiendum  possit  et  debeat  per  ipsas  partes  dividi  et  sortirì,  et  de 
ipso  pretio  et  pecunia  possint  et  debeant  predicti  Pasquinus  et  sotii 
percipere  predicti  Mactheus  et  sotii  reliquas  duas  partes  de  ipsis 
quinque  partibus.  Itan  quod  predicte  partes  teneantur  et  debeant 
ponere  et  mietere  de  pretio  et  pecunia  percipienda  de  buiusmodi 
couertis  ut  dictum  est ,  per  eos  vendendis ,  duos  florenos  auri  de 
qnolibet  et  prò  quolibet  pario  ipsarum  couertarum,  que  sic  uende- 
rentur ut  dictum  est,  in  quadam  capsa  duas  claues  habente;  quarum 
clavium  unam  teneat  dictus  Pasquinus  et  aliam  dictus  Mactheus  ^  et 
postea  quando  voluerint  saltem  duabus  vicibus  in  anno  dictam  capsam 
debeant  et  possint  aperire  et  pecuniam  que  tunc  ibi  erìt  invenientes 
dividere  et  sortirì  et  de  ipsa  facere  septem  partes,  quarum  quatiuor 
debeant  et  habere  et  percipere  possint  dictus  Pasquinus  et  sotii,  et 
reliquas  tres  partes  predicti  Mactheus  et  sotii.  Item  quod  diete  partes 
et  quilibet  dictarum  partium  possit  et  eis  liceat  ire  et  mietere  ad 
uendendum  et  uendere  extra  civitatem  et  comitatum  Florentie  que- 
cumque  laborerìa  eorum  artis  voluerìnt  et  inde  facere  quicquid 
voluerinty  non  obstantibus  supradictis;  dum  tamen  primo  et  ante  omnia 
faciant  et  observent  inter  se  omnia  suprascrìpta  per  eos  promissa  ^ 
etc.  etc.  etc* 


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—   190  — 
N.°  33.  1331,  7  di  giugno 

Andrea  di  Neri  pittore  aretino  promette  di  dipingere  un  aitare 
colle  ^ue  pertinenze  in  ima  cappella  della  Pieve  d^Arezzo. 

ArchMo  dell».  Rogiti  di  fior  Astoldo  di  Baldittuooio  d'AresKO.  PNtoeoNo  dal  ISSi  d  ISIS. 

Andreas  pictor  ollm  Nerii  promisit  presbitero  Goro  Isacd  ca- 
pellano  plebis  sancte  Marie  in  capella  Jacobi  olim  Pauli  pingere 
altare  ipsius  capelle  noviter  constructum  in  dieta  plebe  et  perti- 
nentia  ipsius  altaris<»secunduminfrascriptummodum,  incipiendo  ipsum 
opus  usque  ad  perfecùonem  ipsiiis  operis,  non  adsumendo  aliud  la- 
borerium.  Et  hoc  facere  promisit  prò  pretio  et  salario  quatuor  fioren. 
auri:  de  quo  pretio  confessus  est  se  recepisse  duos  florenos  auri  a 
dicto  presbitero  Goìo.  Reliquos  vero  duos  florenos  auri  prefatus  pre- 
sbiter  Crorus  promisit  dicto  Andree  solvere  statim  dicto  opere  com- 
pleto et  perfecto. 

N.""  34.  1331,  2  d'agosto 

Corso  di  Giovanni  si  pone  cui  imparare  la  pittura 
da  Duchino  di  Niccoluccio  pittore  liÀCche$e  dimorante  in  Firenze. 

ArehivU  detto.  Rogiti  di  Ser  Piroite  leiiciTmii.  fiUa  dal  iSSS  al  |S31»  e.  i4f. 

Actum  Florentie,  presentibus  testibus  ad  hec  vocatis  et  rogatis 
Martino  Bolgie  de  Podiouento  et  bonuccio  ridolfi  pop:  S.  Micbaelis 
Vicedominorum,  et  ser  Bernardo  benciuennis  et  aliis. 

Corsus  Glius  quondam  Johanm»  pop:  S.  Miccbaelis  Yicedomi- 
norum  ,  pacto  se  posuit  cum  Duchino  quondam  Niccholuccij  dicti 
populi,  pictore,  ad  adiscendam  artem  pingendi,  et  sibi  serviendi  in 
dieta  arte  in  termino  vnius  anni  intrati  in  kalendis  presentis  mensis 
augusti.  Qui  Corstcs  promisit  dicto  Duchino  eidem  servire  in  dieta 
arte  et  laborerio  et  pingere  de  laborerio  et  misterio  diete  artis  de  die 
et  de  nocte,  et  sibi  obedire  et  ab  eo  non  discedere  sine  eius  licentia 
usque  ad  dictum  terminum,  et  res  et  bona  dicti  Du^chini  salvare  et 
custodire  bona  fine  sine  fraude,  ac  etiam  Junta  frater  dicti  Corsi  et 
filius  quondam  dicti  Johannis  dicti  populi,  ex  certa  scientia  et  non 
per  errorem  et  sciens  se  non  teneri  et  volens  teneri ,  promisit 
dicto  Duchino  se  facturum  etc,  quod  dictus  Corsus  predicta  omnia 
faciet  etc.  Et  dictus  Duchinus  promisit  dare  et  soluere  eidem  Corso 
prò  eius  salario  et  mercede  dicti  anni ,  libras  viginti  tres  fior, 
parvorum  etc. 

N.*  35.  1331,   1  di  marxo 

Pagamento  a  M.^  Agostino  di  Giovanni  da  Siena  ed  a  Giovanni 
suo  figliuolo  d'una  parte  del  prezzo  pel  lavoro  di  una  cappella 
nella  Pieve  d' Arezzo. 

Archivio  dttto.  Rogiti  di  8.  Astoldu  di  Baldinoccio  d'Aresso.  Protocollo  dal  IS3i  al  iStS. 

Magister  Augustinus  Johannis  de  Senis  et  Johannes  eius  filius 
fuerunt  confessi  se  babuisse  a  presbitero  Goro  cappellano  Plebis 
decem  libras  et  xi  sol:  pis:  de  summa  xxvij  librar,  quas  debent  ab 
eo  recipere  de  laborerio  capelle  ipsius  presbiteri  Gori-  de  quo  la- 
borerio fuerunt  in  concordia  cum  eo  et  Jacopo  Ghini  et  Finuccio 


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191    — 

Vbertìni  :  quod  laborerium  promisit  perducere  ad  effectum  hìnc  ad 
Pasca  Resurrectionis. 

N.^  36.  1333,    8  di  giugno 

Guido  del  fu  Ghezzo  pittore  da  Siena  cede  a  Matteo  Kosselli  pit- 
tore da  Firenze  un  credito  che  aveva  contro  Paolo  d' Andrea 
pittore  senese» 

Archivio  detto»  Rogiti  di  Ser  Parente  di  BenciveDoi.  Filsa  dal  1325  al  1333,  carte  I84i  verso. 

Actuin  Florentie  in  populo  S.  Micchelis  Vicedominorum  in 
apotkeca  domus  habitationis  mei  Parentis ,  presentibus  testibus  ad 
faec  vocalis  Sandro  Johannis  et  Pasquino  Cennis  (l)  pop.  S.  Michaelis 
Vicedominorum  et  Cambio  Angnoli  de  Fulgineo  pop:  Sancii  Mi- 
chelis  in  Palchetto. 

Guido  olim  Ghezzi  (2)  de  populo  S.  Donati  de  Senis,  ut  uerns 
credilor,  ante  solutionem  pretii  infrascripti,  uendidit,  transtulit  et 
mandavit  Macteo  Rosselli  (3)  pie  tori  pop:  S*  Laurentii  de  Florentia 
debitnm  et  jus  et  nomen  debiti  sex  fiiorenorum  auri  ex  maiori  summa 
xij  florenorum  auri,  quos  Pcmlus  olim  Andree  (4)  pictor  de  populo 
Sancti  Anthonii,  et  dictus  Guido^  ut  principales,  et  Ser  Jacobus  olim 
Ser  Bendi  eorum  fideiussor,  ex  causa  mutui  reddere  promiserunt  Fran-^ 
cischo  olim  domini  Schotti  de  Schottis  civi  Senensi,  prout  de  dicto 
principali  debito  constat  scripturam  publicam  factam  manu  Ser  Jo- 
hamnis  Chele  de  Senis  notarii  ;  de  quibus  sex  florenis  auri  dictus 
Chddus  babuit  jura  cessa  a  dicto  Francisco  contra  dictum  PaiUum^ 
prout  constat  manu  dicti  Ser  Johannis  notarii.  Item  quoddam  alium 
debitum  et  jus  et  nomen  debiti  quattuor  floren:  auri  ex  summa  octo 
florenor:  auri ,  quos  octo  florenos  auri  predicti  Guido  et  Paulus  et 
uterque  eorum  in  solidum  ex  causa  mutui  reddere  promiserunt 
Petro  olim  BlasH  domini  Cini  de  Bemarducciis  de  Senis,  prout  constat 
manu  Ser  Jacobi  Ser  Bendi  notarii.  Et  de  quibus  quattuor  florenis 
auri  dictus  GtUdo  babuit  jura  cessa  a  dicto  Petro^  ut  constat  manu 
Ser  Johannis  c[uond.  Naddi  notarii.  -  Que  instrumenta  predicta  dedit 
eidem,  et  tradidit  incessa.  -  Et  prò  dieta  cessione  fuit  confessus  se 
habuisse  a  dicto  Mactheo  ^  àecem  fior:  auri. 


(1)  Pasquino  di  Cenni  che  fu  pittore  senese,  dimorante  in  Firenze,  è 
nominato  nel  Libro  de' Capitoli  della  Compagnia  de' Pittori  fiorentini  intito- 
lata a  S.  Luca,  della  quale  egli  era  nel  i339,  quando  fu  fondala,  uno  deXapitani. 

(2)  Questo  Guido  pittor  senese  fu  figliuolo  di  Ghezzo  di  Guido  che  fece 
la  medesima  arie.  Le  sue  memorie  cominciano  fino  dal  1318.  Nel  i84Q  abi- 
t  iva  con  Giovanna  sua  moglie  nel  popolo  di  San  Piero  alla  Magione ,  allora 
fuori  della  Porta  a  Camollia. 

(3)  Appartiene  alla  famiglia  de^Rosselli  antichi,  da  cui  uscirono  Rossello 
suo  padre,  Tieri  e  Scalore  suoi  zii,  tutti  pittori,  de'quali  sono  riportati  indietro 
alcuni  documenti  sotto  Tanno  1295.  Di  Matteo,  che  ebbe  un  figliuolo  di  nome 
Iacopo ,  nel  quale  si  estinse  la  sua  famiglia,  sappiamo  che  verso  la  metà  del 
secolo  XIV  dipìnse  a  fresco  una  parete  della  chiesa  di  s.  Michele  Bisdoraini 
uno  inferno^  nel  quale  introdusse  tra  ^li  altri  personaggi,  il  duca  d'Atene. 

(4)  In  Siena  non  si  ha  di  guesto  pittore  nessuna  memoria.  Invece  lo  'tro- 
viamo registrato  sotto  gli  anni  1343  nel  libri  delle  Matricole  de'Medici  e  Spe- 
ziali di  Firenze,  alla  quale  arte  erano  ascritti,  come  si  sa,  i  pittori. 


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—   191  

N.®  37.  1334,  28  di  gennaio 

M.a  Giovanni  di  Af.o  Agostino  da  Siena  piglia  a  fare  da  mess:  Ro- 
berto de*  Tarlati  da  Pietramala  una  cappella  di  marmo  nella 
chiesa  del  Vescovado  d^  Arezzo* 

Archivio  dttto.  Rogiti  di  Str  Aftoldo  di  Baldinacdo  d'Aretso.  Protocollo  del  ISS4. 

1334,  Die  xxviij  mensis  Januarii.  Actum  in  domo  mei  notarli,  pre- 
sentibus  Petro  quondam  Maynotti  Anicci^  Simone  Chini  Pticcti  Grassi^ 
Ciardo  Riccii^  Cecche  Petri^  Francisco  not.  Clio  mei  notarli,  testibus. 
Magister  Johannes  filiùs  magistri  Augustini  de  Senis  promisit  Cecdio 
quondam  Finaccii  de  Hostiena  domicello  et  familiari  nobilis  militi^ 
domini  Roberti  de  Pietramala,  stipulanti  et  recipienti  vice  et  nomine 
ipsius  domini  Roberti^  facere  et  construere  prò  ipso  domino  Roberto 
in  Ecclesia  Episcopatus  Aretini  bine  ad  kalendas  Julii  prozime  uen- 
turi  vnam  capellam  de  bono  et  electo  marmore  largam  et  altam  et 
pulcram,  sicut  est  capella  filiorum  Chini  PiACcii  Grassi  que  est  ia 
plebe  sancte  Marie  de  Aritio,  et  ad  ipsius  capelle  similitudinem  et 
cum  omnibus  ornamentis,  figuris  et  sculturis  designatis  et  factis  in 
ìpsa  capella ,  salvo  quod  non  teneatur  facere  altare  ipsius  capelle  ; 
prò  pretio  et  nomine  pretii  quinquaginta  qulnque  florenorum  de 
auro  :  de  quo  pretio  prefatus  Magister  Johannes  fuit  confessus  se 
recepisse  dicto  Cecche  dante  prò  ipso  domino  Roberto  et  de  ipsius  do- 
mini Roberti  pecunia,  decem  octo  floren:  auri:  totum  antem  residunm 
dicti  pretii  prefatus  Cecchus  promisit  soluere  dicto  Magistro  Johanni 
in  terminis  declarandis  per  Simonem  olim  Chini  Pium  Crassi  (I). 

N.**  38.  1335,    18  di  maggio 

Compra  della  terza  parte  d^una  casa 
fatta  da  Bernardo  Daddi  pittore  fiorentino 

Archivio  detto. 
Rogiti  di  Ser  Benedetto  di  Michele.  Protocollo  dii]  1IS8  al  1S35,  carte  215  vrto. 

In  del  nomine.  Anno  ab  elus  Incarnatlone  Millesimo  Trecen- 
tesimo trigesimo  quinto,  Indictione  terda,  die  octavo  decimo  mensis 
mali  Actum  Florentie  ,  presentibus  testibus  Mancino  Sostegni  po- 
puli  Sancte  Reparate  et  Baldera  Lapi  pop:  S.  Laurentii,  et  Micfie- 
lino  Franchi  populi  Sancti  Miccbaelis  Yicedomlnorum  ad  hec  vo- 
catis  et  rogatis. 

Domina  Chiara  filia  Satini  Mantadii^  et  uxor  Lapi  olim  Ghuccii 
pictoris  pop:  Sancti  Laurentii  de  Florentia  babitis  in  omnibus  et 
singulis  infrascriptis  parabola  et  consensu  dicti  Ratini  patris  sui  et 
dicti  Lapi  elus  viri, -vendidit- Bernardo  olimDad(2i(2)pictori  populi 

(1)  La  cappella  architettata  e  scolpita  da  maestro  Giovanni  nel  vescovado 
d*Arezxo  per  iness.  Roberto  Tarlali  non  esiste  più  da  gran  tempo;  come  non 
esiste  r  altra  cappella  qui  ricordata  nella  Pieve  della  suddetta  città ,  che  fu 
allogata  a  scolpire  al  detto  Giovanni  in  compagnia  di  m."*  Affostino  suo  padre, 
dalla  quale  allogazione  si  può  vedere  lo  strumento  del  7  di  febbraio  1333 , 
pubblicato  a  pag.  200  del  voi.  I,  de* Documenti  per  la  ttoria  dell'arte  teneee. 

(2)  Di  Bernardo  Daddi  pittore  fiorentino  e  scolare  di  Giotto,  vedi  quel 
che  è  detto  nel  Commentario  alla  Vita  di  Stefano  Fiorentino  e  dTgolino  Se- 
nese posto  nel  voi.  I,  p.  439  e  seg.  delle  Opere  del  Vaeari.  Firenze,  Sansoni, 


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—  193  — 
sancii  Laurentii  de  Florentia  -  tertìam  partem  prò  indiviso  cuiusdam 
domus  cum  curia  murata  et  orto  et  puteo  et  ficubus  et  vitibus  et 
arboribus,  posite  Florentie  in  dicto  pop:  Sancti  Laureatii  in  Via 
Larga  extra  portam  murorum  -veterorum  (sic)  civitatis  Floi^entie^  que 
Yocabatur  porta  Spatariorum,  cuius  domus,  orti,  curie  et  rerum 
hos  dixit  esse  confines  :  a  j^  via ,  a  ij®  olim  domine  Tesse  de  Lam- 
bertis,  et  hodie  heredum  Segue  Bcddticcii,  muro  comuni  et  terminis 
in  medio  usque  ad  tectum  diete  domus;  a  iij®  filiorum  ser  Rimbal- 
dini;  a  iiij*^  Chelli  pennaiuoli  siue  Tehaldi  Gabrielli^  muro  comuni 
et  terminis  in  medio  -  Pro  qua  uenditione  -  dieta  domina  Chiara 
uenditrix  fuit  -  confessa  -  recepisse  nomine  insti  pretii  a  dicto  Ber^ 
nardo  emplore,  libras  septuaginta  fior,  parvor. 


N.*  39. 


1337,  18  di  dicembre 


Ordine  che  a  Francesco  Cennamelli  (1)  sia  pagata  la  pittura 
fatta  nella  Sala  della  Residenza  de*  Consoli  deWArte  della  Lana. 

Archivio  dt  Stato  in  Firenze, 
DeliberaBÌooi  de*  Gonio]i  dell'  arte  della  Lana.  Voi.  49,  ili,  verso, 

Item  quod  libr.  ducente  octuaginta  novem  fior:  parv:  olim  so- 
lute per  Ffilicem  Berti  camerarium  diete  artis  et  prò  Guicco  Tetti 
de  lizzano  et  Tido  Migliorati  et  sotiis,  pluribus  et  diversis  personis 
prò  pretio  lapidum ,  calcis  et  mattonum ,  ferramentorum  et  ligna- 
minum  et  in  salariis  et  prò  salario  magistrorum  et  manualium  prò 
ianua  seu  porta  domus  diete  artis  noviter  facta ,  sen  reactata  tem- 
pore officii  Gonsulum  diete  artis  prozime  preteriti  vigore  apodixe 

1878 ,  in  8?  Alle  copiose  notizie  nuove ,  e  per  la  massima  parte  date  da  noi 
intorno  a  questo  artefice,  degnissimo  di  maggior  fama,  tra  le  cui  opere  é  ora 
da  assegnare  la  bella  tavola  di  N.  D.  nel  tabernacolo  d*Or  S.  Michele»  aggiun* 
geremo  (|ui  che  egli  morì  certamente  nel  1348  ;  e  forse  vittima  della  gran 
morìa  di  quell'anno,  e  che  questo  è  l'alberetto  della  sua  famiglia  compilato 
sopra  scritture  contemporanee: 

Simone  del  Salto,  luogo  del  Mugello 


t 


Daddo 


Lisa 

marito 

Benivienì 

di  Bambo 


Bernardo  pittore 
fioriva  1320  J{i  1348 


Tommaso 


Daddo  pittore 
matricolato 
nel  1358 

I 


Francesco 


Simone  scultore  ed  architetto, 
moglie 
Giovanna  di  Mazzuolo 
d' Ugolino 


Segna,  Bertino, 

moglie  moglie 

Zenobia  Niccolosa 

nel  1379  nel  1383 

(1)  Francesco  Cennamelli  o  Cennamella  si  trova  sotto  Tanno  1343  nei 

molo  de' pittori  scritti  alla  Compagnia  di  S.  Luca  di  Firenze. 

27 


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—  194  ^— 
tane  dictor:  Gonsulum,  potuerunt  licite  solvi  de  pecunia  diete  artis 
per  dielum  Felicem;  ac  etiam  qiiod  ipse  Felice  (sic)  de  pecunia  diete 
artis  licite  dari  et  solvi  potuerit  Francischo  CennameUi  pictori  prò 
pretio  picture  quam  facit  in  domo  diete  arti&,  seu  in  sala  diete  domus^ 
iuxta  sàgrestiam  diete  domus  -  ac  etiam  quod  ipse  Felice  camerarius 
predictus  -  possit  libere  et  licite  expendere  et  solvere  dicco  Fran- 
cisco CennameUi  prò  pretio  picture  quam  modo  facit  in  dieta  sala 
diete  domus,  videlicet  prope  puteum  diete  domus. 

N.*»  40.  1338,   9  d'aprile 

Pucciarello  rf  Alberto  pittore  pisano  piglia  ad  insegnc^e 
Varie  sua  a  Giovanni  di  Martino  da  Panicale. 

archivio  detto. 
Rogiti  di  ser  Arrigo  di  Bonamore,  notaio  d'Arane.^  Protocollo  dal  IStt  ai  it44. 

Domina  Grana  relieta  Martini  Giannis  de  Paniebali  posuit  /o- 
hannem  filium  suum  et  filium  suprascripti  Martini  ad  standum  et 
morandum  ad  adiscendum  artem  pictorie  cum  PtkcdaréLlo  Alberti  (i) 
pictore  de  capella  sancti  Nicheli,  bine  ad  sex  annos  proxime  ven- 
turos,  et  prò  soUepni  stipulatione  supi*adicta  Grana  convenit  et  pro- 
misit  isuprascripto  Pucciarello  facere  ei  curare  ita  cum  e^Sectu^  quod 
supraseriptus  Johannes  stabit  et  morabitur  e«m  diete  Pucomrdlo  ad 
exercendum  et  adiscendum  dictam  artem,  et  ab  eo  toto  suprascripto 
termino  non  discedet  et  custodiet  eum  et  eius  familìam  et  bona  et 
de  eius  bonis  non  defraudabitur  et  non  consentiet  quod  de  ij^is  boms 
defraudetur.  Et  predicta  omnia  et  singula  faciet  et  observabit  ei  sine 
briga  etc.  ,  ad  penam  librar,  viginti  quinque  den:  pisanor:  Obli* 
gantes  inter  se  etc.  Qua  re  supraseriptus  Pucciarellus  convenit  et 
promisit  suprascripte  domine  Grane  stipulanti  prò  suprascripto  /o- 
hanne ,  ipsum  Johannem  toto  suprascripto  termino  tenere  sanum  et 
infirmum  ^  et  dare  eidem  Johanni  victum ,  vestimentum  et  calcia- 
mentum  bene  et  sufficienter  secundum  suam  facultatem  etc.  Actum 
Pisis  in  apotecha  domus  abitationis  Tegnini  et  Cfioli  germanor:  filior: 
olim  Bindi  de  Vico,  presentibus  ser  Gerardo  notario  de  Vivaria  et 
Bonaccinda  notario  filio  Jacobi  de  capella  S.  Viviane  testibus  etc. 

N.*»  41.  1338,   26  di  giugno 

Viviano  del  fu  Viviano  procuratore  di  Bartolo  di  Ricco  pittore,  fa 
quietanza  a  Micbele  di  Maso  suo  discepolo  nelV  arte  della  pit- 
tura^ di  tutto  ciò  che  per  questa  cagione  dovesse  avere  dal  detto 
Micbele. 

Archivio  dotto.  Rogiti  di  ler  Bartolo  di  Neri  da  Rofliano.  Protocollo  dal  Ìt36  al  1339. 

In  dei  nomine  Amen.  Anno  Incamationis  eiusdem  Millesimo 
Trecentesimo  trigesimo  ottavo  ,  inditione  sesta ,  die  vigesimo  sexto 
mensis  Junii.  Actum  Florentie  presentibus  testibus  hartolo  del  bene 
populi  sancti  Laurentii  et  piero  banduccii  de  castro  Sancti  Jobannis: 
Vivianus  quond:  alterius  Viviani  pop:  Sancti  Petri  maioins  de  Fio- 
fi)  Niente  sappiamo  di  questo  pittore  pisano. 


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-^  19S  — 
rentia  procurator  ut  asseruit  Battoli  jRioc/ii(i)piciorÌ5  populì,  ad  iafra- 
scripta  specialiter  coostitutus,  ut  de  procuratione  ìpsa  dixit  continetur 
ìnstrumento  publico  scrìpto  manu  ser  Andree  Lande  notarii ,  pro- 
curatorio nomine  prò  dicto  Bartolo^  gratia  et  amore  fecit  finem,  quie- 
tationem ,  absolutionem  -  Micheli  quond.  Masi  popnli  Sancte  Marie 
Novelle,  recipienti  prò  se  et  suis  heredibus,  eo  quod  stetit  prò  di- 
scipulo  cum  dicto  Bartolo  ad  artem  pittorie.  Et  dixit  vidisse  com- 
putum,  et  rationem  calculasse  eiusdem  Michelis  et  invenisse  eum  in 
nullo  teneri  eidem  Bartolo. 

(Continua) 


XXXVI* 

DESCRIZIONE 

DI  TDTT£  LE  COLONNE  ED  OBELISCHI 

CHE  TROYANSl  NELLE  PIAZZE  DI  ROMA 

DISPOSTA   ISf   F011M4   DI   GUIDA 
DA    ANGELO    PELLEGRINI 

«JKMBftO    dell' IVSTITOTO   VI   GOlftlSPONDENIA    AftCHEOLOftlCA 

Coniinuaxione  (2) 

COLONNA  DI  FOCA  NEL  FORO  ROMANO 

Riprendendo  la  via  di  Macel  de*  Corvi ,  e  quindi  imboc- 
cando a  quella  volgarmente  detta  di  Marforio,  in  cui  trovasi 
a  sinistra  il .  monumento  sepolcrale  di  travertino  di  Cajo  Po- 
blicio  Bibulo,  che  ricorda  l'ultimo  periodo  della  repubblica 
romana,  si  giunge  al  Foro  Romano. 

Dentro  l'area  di  questo  foro,  lungo  la  sponda  orientale 
della  via  Sacra,  esistono  ancora  in  piedi  sette  nuclei  di  pie- 
destalli d'opera  laterizia,  che  ressero  colonne  onorarie  innal- 
zate a  personaggi  finora  a  noi  ignoti  (3)  delle  quali  colonne 
di  diverse  pietre  ne  rimangono  imponenti  avanzi  sulP  arco 
dello  stesso  foro.  Presso  i  tronchi  enormi  di  esse,  più  verso 
Tarco  di  Settimio  Severo,  sorge  la  colonna  di  Foca,  eretta 
a  tale  imperatore  da  Smaragdo  esarco  d'Italia  Tanno  6O8  dell'era 

(1)  Bartolo  di  Ricco  pìUore  fiorentino;  il  qual  Ricco  fu  pittore  e  genero 
di  Giotto,  ebbe  un  fratello  Stefano  parimente  pittore»  dal  quale  nacque  Giotto 
detto  Giottino,  scambiato  dal  Vasari  con  Tommaso  0  Ma$o  di  Banco  pittore 
di  gran  fama  a' suoi  giorni,  e  padre  di  Michele  nominato  in  questo  documento. 

(2)  Vedi  Quaderno  precedente,  pag.  172. 

(Z)  Se  Togliamo  eccettuare  quella  base  marmorea  ivi  ritrovata  e  ad  uno  di 
essi  spettante,  ora  allato  del  portone  degli  orti  Farnesiani,  che  si  vuole  attri< 
buire  a  Costanzo  e  Galeno  che  rimase  ai  Cesari  fino  al  300  deirera  volgare. 


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—  Ì9Ù  — 
volgare,  come  si  ha  dalla  iscrizione  incisa  nel  suo  piedestallo 
del  tenore  seguente: 

)^    OPTINO    CLEMENTI&fimO  pÌSSÌmOQ\Z 

PRINCIPI  DOMINO  n.  Focae  imperatori 

PERPETVO    A    DO    CORONATO    TRIVMPHATORI 

SBMPER    AVGYSTO 

SMARAGOVS    EX    PRAEPOS.    SACRI    PALATIl 

AC    PATRICIVS    ET    EXARCBUS    ITALIAE 

DEVOTVS    EIVS    CLEMENTIAE 

PRO    INNYIIERABILIBVS    PIETATIS    ElVS 

BENEFICIIS    ET    PRO   qiÙETS 

PROGVRATA    ITAL.    AG    GONSERi^a^a    LIBERTATE 

BANG  %iatuam  maiestaixs  Eivs 

AVRI   SPLENDOre  fulgemEM    HVIG 

SVELIMI  GOLvmNae  ad  perennem 

IPSIVS    GLORIAM    IMPOSVIT    AG    DEDIGAVIT 

DIE    PRIMA    MENSIS    AVGVSTI    INDICT.    VND. 

PC    PIETATIS   ANNO    .    QVINTO 

Fu  eretta  ad  oriente^  forse  in  commemorazione  di  Costanti- 
nopoli ,  sede  allora  dell*  impero ,  che  dominava  jn  Roma  ed 
in  altre  parti  d'Italia.  Autore  di  tal  monumento  ne  fu  Sma- 
ragdo  come  fu  detto  disopra;  il  quale  due  volte  ebbe  Fonore 
dell'esarcato,  la  prima  sotto  Maurizio  dall'anno  583  al  588, 
e  la  seconda  dal  eos  al  809  dell'era  volgare.  Questa  colonna 
rimasta  in  piedi  all'ingiuria  de' tempi,  e  coperta  di  scarichi 
e  rovine,  oltre  la  sua  base,  fu  oggetto  a  grandi  discussioni 
negli  studi  archeologici.  Alcuni  antiquari  la  credettero  ap- 
partenente al  Comizio,  altri  alla  Curia,  altri  al  ponte  di  Ca- 
ligola, altri  al  tempio  di  Giove  Statore,  e  fra  le  tante  cose 
fallaci  fu  attribuita  anche  ad  un  tempio  di  Giove  Custode. 
Ed  il  Guattani  (i)  parlando  di  essa  si  limita  solo  a  dire  : 
ji  mezzodì  di  quest*arco  (di  Settimio  Severo)  osserva  quelVu- 
nica  colonna  che  rimane  sola  fra  botteghe  e  casuppole  di 
moderna  antichità^  lavorate  per  altro  con  una  soda  e  ben 
stretta  cortina.  (Contentati  di  sapere  essere  una  colonna  scan- 
nellata d'ordine  corintio  dell'altezza  di  sessanta  e  più  palmi 
di  bel  marmo  Greco ,  ecc. 

Niuno  però  si  era  dato  a  riflettere  Taltezza  della  sua  col- 
locazione, superiore  di  molto  al  piano  degli  altri  circonvicini 
edifizj ,    nh  ad  alcuno  venne  in  mente  di  scavare  il  terreno 

(i)  Roma  descritta,  MDCGGV,  T<nn.  1,  pag.  11. 


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«7  

ad  oltre  due  metri  per  conoscerne  il  piantato.  Il  solo  Ga- 
mucci  nelle  Antichità  di  Roma ,  f^enezia  1565 ,  la  credette 
una  colonna  monumentale  e  per  essere  allora  il  piano  stra- 
dale più  basso  che  ali*  epoca  del  Guattani  indicata,  dice  al 
lib.  I^  p.  32;  che  dalCuno  dei  lati  del  plinto  .-  •  .  si  veg- 
gono lettere. 

L^amministrazione  del  governo  francese  che  reggeva  Roma 
Tanno  iSi3  demolì  le  case  plebee  e  torri  de*tempi  bassi,  che 
all'intorno  gli  formavano  una  specie  di  piazza,  ed  il  13  marzo 
di  quell'anno,  scavandosi  al  disotto  del  plinto,  fu  letta  l'i- 
scrizione che  abbiamo  riportata.  La  colonna  come  in  essa  si 
legge  reggeva  la  statua  in  metallo  dell'imperatore  dorata,  e 
questa  fu  rovesciata  dopo  la  sua  morte,  quando  venne  dete- 
stato il  suo  nome  e  cancellato  dal  monumento  unitamente 
ai  titoli  come  in  detta  iscrizione  si  vede. 

Lo  scavo  attorno  alla  colonna  venne  proseguito  dalla 
duchessa  di  Devonshire  nel  1816  e  finalmente  si  scoprirono 
i  gradini  come  ora  si  vede.  Nel  1S36  essendo  stati  quivi  dis- 
sotterrati molti  massi  sconvolti  di  tufa  e  peperino  vennero 
addossati  al  monumento  in  modo  di  riformare  rozzamente  la 
piramide  primitiva  della  gradinata  suddetta  in  gran  parte 
mancante. 

La  colonna  di  Foca  è  di  marmo  bianco  annerito  dal  tempo 
e  ben  lavorata ,  ma  le  proporzioni  essendo  troppo  svelte 
sembra  essersi  tagliata  nella  meta  del  secondo  secolo  dell'era 
volgare ,  e  tolta  da  qualche  fabbrica  antica  già  in  rovina 
ai  tempi  del  sopraddetto  imperatore.  Compresa  la  base  e  ca- 
pitello ha  48  piedi  romani  d'altezza  per  4  e  7i  di  diametra» 
11  piedestallo  ha  12  piedi  di  altezza  e^  compresi  i  12  gradini,. 
il  monumento  aveva  n  piedi  romani  di  altezza. 

COLONNA  ERETTA 
SULLA  PIAZZA  DI  S.  MARIA  MAGGIORE 

Tornando  indietro  per   la    via  Bonella  ed  indirizzandosi  - 
alla  chiesa  della  Madonna  de'Monti,  salendo  suU'Esquilino  per 
la  via  in  Selce,  si  giunge  alla  piazza  di  s.  Maria  Maggiore» 

Venendo  alla  descrizione  della  monumentale  colonna  in- 
ftalzata  in  questa  piazza,  primieramente  debbonsi  accennare 
le  cose  seguenti. 

Nella  basilica  dedicata  dal  senato  romano  all'  imperator 
Flavio  Costantino  per  i  meriti  di  lui  »  come  attesta  Aurelio 


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—  i08  — 
Vittore  (i);  e  che  però  fu  eretta  dairimperator  Massenzio  nella 
regione  IV  Templum  Pads  vicino  al  Foro  Romano,  era  so»- 
stenuta  la  granide  volta  della  nave  media  da  otto  colonne 
di  marmo  proconnesio.  Tali  colonne  scanalate  d'ordii»e  corinzio, 
compresa  la  base  e  capitello,  avevano  circa  piedi  65  di  altezza , 
ed  una  di  queste  vien  ricordata  da  Poggio  Fiorentino  (2)  nel 
secolo  XV.  Essa  pur  mirasi  al  suo  posto  nell'opera  del  Ga- 
mucci  (a) ,  ed  in  tutte  le  altre  vedute  di  questa  fabbrica  , 
disegnate,  ed  incise  nel  secolo  XVf.  Si  può  credere,  che  le 
altre  rovinassero  nel  1340  in  quel  grande  terremoto  descritta 
dal  contemporaneo  Petrarca  in  una  lettera  del  lib.  Xy  epist.  II, 
Oper.  p.  873.  La  colonna  superstite  rimase  al  suo  posto  fino 
all'almo  i6i3,  quando  venne  tolta  da  papa  Paolo  V,  che  fa- 
cendola trasportare  sulla  piazza  di  s.  Maria  Maggiore  colla 
spesa  di  circa  undicimila  scudi  d'  allora  ivi  innalzoUa.  Tal 
pontefice,  di  casa  Borghese,  ne  diede  l'incarico  airarchitetto 
Carlo  Miftdemo  ,  e  su  i  disegni  dello  scultore  francese  Gu- 
glielmo Bertolotj  Domenico  Ferretti  ed  Orazio  Censore,  git- 
tarono  la  svelta  e  bella  statua  di  Maria  Vergine  col  divi» 
figliuolo  in  braccio  di  metallo,  che  vedesi  nella  sua  sommità. 
Si  ha  dai  registri  Camerali  la  seguente  nota  delle  spese. 

Pagamenti  fatti  dal  dì  sa  agosto  iMS  a  maggio  f$u. 

A  Carlo  Moderno  architetto  per  erogarli  nelVog-- 

getto  suddetto Se.    rtHy  m 

Alla  fabbrica  di  San  Pietro  per  arcarecci^  cor- 
dicelle y  legnami  ed  altro Se.     2939,  si 

A  Rocco  Rocchi  per  canapi  per  il  tiro  della 
colonna. 

Canapo  uno  di  libre  loio  a  baj.  5  la  libra  Se.  so,  50 
Canapi  due  di  libre  I695  a  baj.  6  la  libra  Se.  100^  50 
Canapo  uno  di  libre  915  a  baj.  3.  .  .  Se.  27,  45 
Fientole  due  di  libre  725  a  baj.  6.      .  Se.       43,  50 

Cordicelle  in  più  pezzi  lib.  206  a  baj.  4 '/a  i^ 

libra Se.         9,  27 

Per  argani  due Se.       12 

Per  ferramenti  diversi Se.       ai,  70 


Totale  Se.  10906,  73 


(1)  Auteliìu  Victor  de  Cae$. 

(2)  De  Fortunae  Varietale  Urbis  Romae,  Hb.  1,  144U. 

(3)  Antichità  di  Roma,  p.  41,  seconda  edizione. 


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—   IW  — 
Seguono  le  altre  spese  occorse  a  compimento  dell'opera: 

A  Domenico  Ferreri  fonditore  per  fattura  della 
statua  di  metallo  di  Maria  (^ergine  con  il  figliuolo 
in  braccio^  e  con  la  corona  stellata    ...     Se.     1187^  24 

Ad  Annibale  Coradinij  doratura  per  migliara  57a 
oro  messo  in  opera  per  dorare  la  suddetta  statua  Se.       33 

A  Jacopo  Laurenziani  fonditore  per  fusione 
de'draghi  di  bronzo  situati  negli  angoli  della  base 
della  Colonna Se.      200 

Al  suddetto  Coradini  doratore  per  f  importo 
delVoro  per  i  draghi^  e  per  fattura  della  doratura 
de  medesimi ,    e  della   statua  della  Madonna  Se.       50 

A  Guglielmo  Bertolot  francese  scultore  per  il 
modello  della  statua  della  Madonna  con  il  Bam- 
bino      Se.      100 

Al  medesimo  per  V altro  dei  draghi    .     .     Se.       15 

A  Tullio  Solare  scarpellino  per  prezzo  di  di- 
versi  marmi        Se.      361,  58 

Al  medesima  per  il  gettito  di  \?arj  marmi  fatto 
nel  tempio  della  Pace Se.       19,  80 

A  Giovanni  Peltuccio  per  un  pezzo  di  marmo  Se.       33,  so 

Ad  Ascanio  Ligna  carrettiere  per  condottura 
de^marmi  e  metalli Se.      102 

Ai  muratori  per  donativo  accordatogli  per  aver 
rinunciato  al  passato  per  opera  impiegata  per  la 
colonna Se.      125 

A  Cesare  Bartolùù  per  libre  400  stagno.     Se.       84 

A  Francesco  Antonio  Mori  per  le  medaglie  messe 
nel  fondamento Se.       40 

A  Fabrizio  Baldelli  scrittore  per  le  iscrizioni  Se.       30 

Totale  Se.  2380,  92 

Belle  assai  sono  le  iserizioai  del  Baldelli  suddetto,  e  nel 
piedestallo  della  colonna  innanzi  al  portico  della  basilica  di 
s.  Maria  Maggiore,  leggesi: 


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—  100  — 

•       PAVLVS    .    V    .    PONT    .    MAX. 

COLVMNAM 

VETEaiS    .    MAGIflFlGENTlAE 

MONVMENTVM 

INFORMI    .    SITV    .    OBDVCTAM 

NEGLEGTAQVE 

EX    •    IMMANIBVS    .    TEMPLI    .    RVINIS 

QVOD    .    VESPASIANYS    .    AVGVSTVS 

AGTO    •    DE    .    IVOAEIS    .    TRIVttPHO 

ET    .    REIPVB    .    STATV    .    CONFIRMATO 

PAGI    .    DICAVERAT 

IN    .    BANG    .    SPLENDIDI3SIMAM    •    SEDEM 

AD   .    BASILIGAE    .    LIBERIANAE 

DEGOREM    .    AYGENDVM 

SVO    .    IVSSV    .    EXPORTATAM 

ET    .    PRISTINO    •    NITORI    .    RESTITVTAM 

BEATISSIMAE    .    YIRGINI 

EX    .    CVITS    .    VISCERIBVS 

PRINGEPS    .    VERAE    .    PAGIS    •    GENITVS   •    EST 

DONYM    .    DEDIT 

AENEAMQVE    .    EIVSDEM    .    VIRGINIS 

STATVAM    .    FASTIGIO    •    IMPOSVIT 

ANNO    .    SAL    .    MDGXIIII    .    PONTIF    .    IX. 

A  sinistra  nell'altra  faccia  del  piedestallo,  leggesi: 

VASTA    .    GOLVMNAM    .    MOLE 

QVAE    .    STETIT    .    DIV 

PAGIS    .    PROFANA    .    IN    •    AEOE 

PAVLVS    .    TRANSTVLIT 

IN    .    EXQVILINVM    •    QVINTVS 

ET    .    SANGTISSIMAE 

PAX    .    VNDE    •    VERA    .    EST 

GONSEGRAVIT    •    VIRGINI 


A  destra: 


IMPVRA    .    FALSI    •    TEMPLA 

QVONDAM    .    NVMINIS 

IVBENTE    .    MOESTA 

SV8TINEBAM    .    CAESARE 

NVNC    .    LAETA    •    VERI 

PERFERENS    .    MATREM    .    DEI 

TE    •    PAVLE    .    NVLLIS 

OBTIGEBO    .    SAEGVLIS 


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—   201   — 

Nella  parte  opposta: 

IGNIS  .  COLVMNA 

PRAETVLIT  .  LVMEN  .  PUS 

DESERTA  •  NOGTV 

VT  .  PBRMANERET  •  IN  .  VIA 

SEGVRI  .  AD  •  ARGES 

HAEC  •  REGLVDIT  .  IGNEAS 

MONSTRANTE  .  AB  .  ALTA  .  SEDE 

CALLEM  .  VIRGINE 

Resta  ora  a  dire  qualche  cosa  della  sottoposta  fontana 
deir  acqua  Felice  ,  che  è  congiunta  alla  descrìtta  colonna. 
Fu  eretta  contemporaneamente  con  architettura  del  già  no- 
minato Carlo  Mademo.  Si  eleva  sopra  gradini^  e  viene  for- 
mata da  una  vasca  oblonga  centinata  di  travertino,  avente 
nei  lati  maggiori  due  piccole  tazze  con  gitto  d' acqua  per 
comodità  del  pubblico.  Nel  centro  della  vasca  sorge  sul  suo 
piede  una  tazza  rotonda,  in  mezzo  a  cui  sgorga  in  alto  un 
gran  fiocco  d' acqua.  Vedasi  il  Cassio ,  Corso  delle  acque  , 
Tom.  Ij  Par.  /,  num.  XXXf^III^  pag.  347.  L*acqua  chia- 
masi Felice  da  Felice  Peretti,  già  papa  col  nome  di  Sisto  V^ 
che  la  condusse  in  Roma.  Tornando  alla  nostra  fontana  co- 
strutta da  Paolo  V ,  i  registri  Camerali  esibiscono  la  se- 
guente nota: 

Spesa  della  fontana  costruita  a  piedi  della  Colonna 
sotto  la  direzione  di  Carlo  Madernoy  e  Gaspare  de  becchi 
architetti}  e  pagata  con  ordine  di  monsig.  Lelio  Biscia  Chie- 
rico di  Camera  dal  di  i5  decembre  i6i4  a  tutto  il  dì 
2  giugno  1616. 

^  Giuliano  Caratelli  muratore  per  la  condot- 

tura  ed  altro  di  sua  arte Se.  21 18,  54 

/i  Domenico  Garzoli  scarpellino  per  il  lascerò 

del  vaso  ed  ornati Se.  38i,«27 

jid  Orazio  Facili  altro Se.  87,  58 

jid  jéntonio  Mileti  stagnaro  per  i  piombi.  Se.  130 

A  Giulio  Ardicino  altro Se.  92,  82 

A  Mario  Ottonare  per  fistole   ....     Se.  34,  05 

Ad  Andrea  Bonetto  ferrare Se.  51,  24 

Se.     2895,  50 
28 


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—   202  

Se.     2895,  50 

J  Vincenzo  Ronca  ,    e   Gio,  Battista  Zocconi 

per  levatura  di  terra  avanti  la  fontana  .     .     Se.  98,  50 

A  Carlo  Maderno  architetto  per  ricognizione.  Se.  12 

A  Gaspare  de  Vecchi  altro  come  sopra  .     Se.  io 
A  Loren  zó  Lauro  altro ,   ed  al  sotto  maestro 

di  strade  come  sopra.      .......     Se.  I8 

A  f^incenzo  Bordini  come  sopra   .     •     .     Se.  2 

Totale  delle  spese  Se.    3036 

COLONNA  DI  ENRICO  IV. 

Sulta  stessa  piazza  di  s.  Maria  Maggiore  innanzi  la  chiesa 
di  s.  Antonio  Abbate ,  era  una  colonna  di  granito  con  in 
cima  un  Crocifisso  di  metallo ,  e  che  era  copèrto  da  un  ci- 
borio sostenuto  da  altre  quattro  colonne. 

Si  fece  erigere  da  papa  Clemente  Vili  in  memoria  delia 
conversione  ed  assoluzione  di  Enrico  IV  re  di  Francia  e  di 
Navarra,  il  quale  da  quando  Maria  d'Albret  sua  madre  ab- 
bracciò il  calTinismo,  lo  fece  in  quello  istruire.  Venne  eletto 
re  di  Francia  con  patto  di  abiurare  ,  prestare  ubbidienza 
al  pontefice  ,  e  promettere  sinceramente  di  consenrare  nel 
regno  la  cattolica  religione.  Nel  piedestallo  della  colonna 
per  tal  fatto  fu  incisa  analoga  iscrizione  riportata  da  Andrea 
Vittorelli  nelle  giunte  al  Ciaconio  (i),  dal  Cancellieri  (2),  da 
Ridolfino  Venuti  (3),  e  nella  Roma  Antica  e  Moderna  d'au* 
tore  anonimo  edita  dal  Roisecco  (4)9  che  h  la  seguente: 

0  •  0  •  11 

CLEMENTE    .    VUI    .    PONT    .    MAX. 

AD    .    MEMORIAM 

ABSOLVTrONIS    IIENRICI    IV. 

PRANC    .    ET    .    NAVAR. 

REGIS    .    CHatSTlANlSSIftl 

Q    .    F    .    R    .    D    •    XV    .    KAL    .    OCT    .    MDXGV. 

Tale  iscrizione  in  processo  di  tempo  fu  levata,  forse  da 
parte  della  Francia^   e  venne  postat  in  sua  vece  una  pietra 

(i)  Vitae  et  rei  geslae  Poniif,  Ifomanor. ,  to.  IV,  pag.  506. 

(2)  Storia  dei  iolenni  Pouessi^  pag.  506. 

(3)  Venati,  Roma  Moderna^  Tomo  primo,  pag.  46. 

(4)  Tomo  secondo,  pag.  510. 


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—  203  — 
eoa  una  fiammella    nel   mezzo  che  vi  durò  fino  al  1744.   In 
questo  anno  cadde  all^ìmproviso  il  monumento  e  rimase  intie- 
ramente infranto. 

Benedetto  XIV  nel  1745  lo  fece  ristabilire  nella  forma  die 
si  vede  nelle  stampe,  e  che  si  vedeva  anni  indietro  prima 
che  fosse  atterralo  per  abbassare  il  piano  stradale. 

Negli  Ornamenti  di  Fabbriche  Antichi  e  Moderni  de- 
lineati da  Giovanni  Maius  romano,  e  colle  sue  dichiaratione 
fatti  da  Bartolomeo  Bossi  fiorentino   Tanno  leoo  non  vi  è 
il  nominato  ciborio  (t).  La    colonna   è  come  si  vedeva    con 
di  più  il  motto  in  una  fascia  circa  al  terzo  della   colonna: 

IN    HOC    SIGKO    VlIfCES. 

Tornando  a  Benedetto  XIV  t  egli  ristabilì  il  monumento 
come  si  vedeva,  e  si  rivedrà,  rimettendo  la  croce  come  era 
prima  in  mezzo  a  Gesù  Cristo,  ed  alla  Vetrine;  e  nel  suo 
piedestallo  le  arme  di  Clemente  Vili ,  del  re  di  Francia ,  e 
del  Delfino,  oltre  alla  sua  con  questa  iscrizione: 

BEflEDlCTVS    •    XIV    .    PONT    •    MAX. 

PVBLICVM    .    HOC    .    MONVMBNTVM 

DEIPARJB    •    VIRGINI    .    SACaVM 

A    •    CLEMENTE    .    Vili    •    PONT    .    MAX    .    ERECTVH 

TEMPORIS    .    INIVRIA    .    RVINA    .    COLLAPSVM 

RESTITYIT 

ANNO    .    DOMINI    .    MDCCXXXXV. 

Ne  fu  decretata  la  nuova  erezione  nella  seduta  Consi- 
gliare dei  29  novembre  isso  del  Comune  di  Roma. 

COLONNA  ERETTA  IN  PIAZZA  DI  SPAGJVA 

Varii  anni  indietro  dalla  parte  destra  della  via  della 
Missione,  era  addossata  coica  al  palazzo  della  Curia  Inno- 
cenziana,  ora  del  Parlamento  sulla  piazza  di  Monte  Citorio, 
una  colonna  di  cipollino  alta  palmi  romani  d^allora  53  per 
6  e  7a  di  diametro.  Essa  fu  scoperta  nei  fondamenti  di  una 
fabbrica  delle  monache  Benedettine  in  Campo  Marzio,  e  fu 
creduta  in  principio  di  granito  rosso  ,  mentre  h  di  marmo 
carìstio  detto  dagli  scarpellini  cipollino.  Oìò  avvenne,  perchè 
essendo  interrata  nella  parte  non  ancora  demolita  della  casa, 
non  si  potè  ben  giudicare  della  qualità  della  pietra,  come 

(1)  Presso  la  Biblioteca  GasaoateDse,  T.  11,  19  in  CG. 


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—  104  — 
si  ha  dalle  notizie  del  Chracas^  giornale  di  Roma,  n?  286, 
27  settembre  1777.  Ma  ivi  al  n?  340,  4  aprile  1778,  nel  rife- 
rire la  totale  scoperta,  si  corresse  1* equivoco  preso,  e  si 
annunziò  T ordine  di  farne  lo  scavo,  coli* idea  di  collocarla 
sul  piedestallo  della  colonna  Antonina  recentemente  collocato 
sulla  piazza  di  Monte  Gitorio^  ponendovi  sopra  la  statua  della 
Giustizia  in  allegoria  dei  tribunali  che  erano  nel  nominato 
palazzo.  Corse  voce  che  il  suddetto  piedestallo  (i)  per  ren« 
derlo  più  proporzionato  alla  colonna,  se  ne  sarebbero  segati 
i  magnifici  bassirilievi,  e  che  restaurati  dagli  scultori  Vin- 
cenzo Felice,  e  Giuseppe  Napolioni  si  sarebbero  trasportati 
al  Museo  Pio  dementino  al  Vaticano.  Ciò  fu  smentito  dai 
citato  giornale  n?  i526,  i5  agosto  1789,  ed  ai  14  di  maggio 
di  detto  anno  ne  fu  intrapresa  Testrazione  con  otto  organi 
da  voltarsi  da  16  persone  per  ciascheduno. 

Appena  date  alcune  mosse,  si  ruppe  uno  dei  quattro  travi 
maestri  a  traverso  delfarmatura  del  castello,  e  ne  fu  sospesa 
r  operazione.  Nella  mattina  21  fu  rimessa  mano  ali*  opera  ^ 
ed  estratta  felicemente  a  guisa  di  billico  con  undici  argani 
da  Pietro  Albertini  romano  di  anni  22,  ingegnere  della  fab- 
brica di  s.  Pietro,  assistito  dalla  direzione  di  Gio.  Battista 
Visconti  commissario  delle  antichità.  Tornò  a  dirsi  che  si 
sarebbe  collocato  sopra  Tindicato  piedestallo,  ma  che  prima 
se  ne  sarebbe  formato  un  modello  con  cerchi  e  tele  dell'i- 
stessa  grossezza  ed  altezza^  con  una  statua  in  cima  per  osser- 
vare l'effetto  che  avrebbe  fatto,  come  nell*  allegato  giornale 
u?  354,  23  maggio.  Ma  non  avendo  incontrato  la  prova,  fu  tra- 
sportata con  due  argani  dentro  il  cortile  del  palazzo  della  Curia 
Innocenziana,  ove  giacque  per  molti  anni,  fino  a  che  fu  ripor- 
tata alla  via  della  Missione,  da  cui  Tanno  1854  d*ordine  di  papa 
Pio  IX  fu  fatta  condurre  in  piazza  di  Spagna,  onde  innalzarla 
innanzi  a  Propaganda  Fidcj  come  monumento  per  eternare  lo 
scioglimento  del  domma  dell'immacolata  concezione  di  Maria. 

Allorché  fu  eretta»  come  si  vede,  un  terzo  di  essa  venne 
fasciato  con  cerchi  di  ferro  con  ornamenti  di  metallo  dorato, 
essendo  lesa,  onde  dagli  antichi  romani  non  venne  mai  posta 
in  opera.  Architetto  di  tal  monumento^  ne  fu  il  comm.  Luigi 
Poletti  9  e  la  statua  della  Madonna  ,  in  metallo  dorato ,  si 
modellò  dall'Obici,  e  venne  gettata  da  Luigi  de'Rossi,  insieme 
ai  due  stemmi  del  papa  della  stessa  materia,  e  gli  altri  orna- 
menti. 1  quattro  bassirilievi  in  marmo  esprimenti  le  storie 

(i)  Ora  tal  magnifico  piedestallo  in  marmo  di  cui  parleremo  a  sao  tempo, 
è  nel  mezzo  del  pontificio  giardino  detto  della  pigna  ai  Vaticano. 


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—  205  — 

dello  scioglimento  del  domma  per  parte  dei  vescovi  e  del 
papa,  si  scolpirono  dal  Gianfredi,  Gantalamessai  Benzonì  e  Galli. 
I  quattro  profeti,  Mosè,  Isaia,  Ezechiele  e  David,  sono  belle 
statue  in  marmo  eseguite  dal  Jacometti,  Revelli,  Ghelli  eTadolini. 
Ora  principiando  ad  osservare  volgendo  le  spalle  a  Pro* 
paganda^  leggasi  riscrizione  seguente  in  lettere  di  metallo: 

MARIAE    .    VIRGINI 

GENITRICI    .    DEI 

^       IPSA    •   ORIGINE 

AB    .    OMNI    .    LABE    .    IMMVNI 

PIVS    .    Villi    .    P    .    M. 

T    .    ALOIS    .    POLETTIO    •    ARGHIT.       , 

INSIGNIS    .    PRAEGONIl 

FIDE    .    GONFIRMATA 

DEGRETO    •    Q    .    D    .    E    •    VI    .    EID    .    DEC. 

A    .    MDGGGLIIII 

PONEND    .    GVRAVIT 

AERE    .    GATH    .    ORB    .    GONLATO 

IN    .    SAG    •    PRINGIP    •    XII. 

ALOIS.    POLETTIO    ARGHIT. 

Da  un  lato  sotto  la  statua  del  profeta  Isaiai  a  lettere  pure 
in  metallo   leggesi  il  passo  del  testo: 

ECCE    .    VIRGO 
CONGIPIET 

IS.    VII.    14. 

Sotto  Taltro  profeta  Ezechiele  il  suo  passo: 

PORTA    •    HAEG 
GLAVSA    .    ERIT 

Ezec.  XLIV.  2. 

Nella  faccia  del  piedestallo   della   colonna    rivolta  verso  la 
piazza  del  Popolo,  leggesi: 

AVE 

GRATIA    .    PLENA 

DOMINVS    .    TEGVM 

BENEDIGTA    .    TV 

IN    MYLIERIBVS 

Lue.    I.    28. 

Da  un  lato  sotto  la  base  del  Mosè  ,    leggesi  il  passa  della 
Genesi: 


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—  S06   — 

INIMICITIAS    .    PONAN 

INTER    •    TE 

ET    .    ■VLIEREV 

Gep.    III.   15. 

Sotto  il  David  sono  Le  parole  del  Salmot 

SAHCTIFICAFIT 
TABERHACVLVM 
SVYM    .    ALTlSfilMVS   * 

Ps.   XLV.    6. 

Sopra  lo  sproporzioaato  capitello,  allo  più  deirordioario» 
per  dare  al  moDumento  maggiore  altezza  ,  sono  in  marmo 
i  simboli  dei  quattro  Evangelisti.  Il  capitello  suddetto,  h  di 
sfigurato  ordine  corintio,  più  che  composito,  vedendosi  fra 
i  fogliami  i  gigli;  e  goffa  h  la  statua  in  bronzo  della  Ma- 
donna. Sedici  colonnette  di  marmi  diversi  e  graniti,  circon* 
dano  i  gradini  del  monumento,  cui  sono  infisse  aste  di  ferro 
con  ornati,  che  formano  un  recinto  al  suddetto,  per  la  sua 
conservazione. 

COLONNA  ERETTA 
SULLA  PIAZZA  DI  S.  FRANCESCO  A  RIPA 

Uba  delle  24  colonne  ritrovate  nell'antica  citta  di  Veii, 
che  non  furono  mai  mes«a  in  opera,  essendosi  scoperte  gia- 
centi: dodici  di  esse  di  marno  lunense  di  circa  23  palmi  di 
altezza,  e  3  di  diametro,  d*ordine  jonico,  con  basi  e  capitelli 
pure  antichi,  vennero  poste  in  opera  da  papa  Gregorio  XV^I 
l'anno  t838  nel  portico  del  palazzo  per.  l  officio  delle  poste 
in  piazza  Colonna,  servendosi  dell'architetto  Pietro  Camporese. 
Non  so  a  qual  fine  una  di  tali  colonne,  eh*  era  di  marmo 
simile,  fosse  surrogata  a  detto  portico  da  altra  colonna  pro- 
veniente d'altrove;  che  h  quella  di  cui  parliamo  fatta  erigere 
da  Pio  IX  sulla  piazza  di  s.  Francesco  a  Ripa  l'anno  1847, 
sostituendola  ad  una  più  piccola  scanalata  a  spira  di  pavo- 
nazzetto.  L'altre  i2  colonne  ritrovate  a  Veii  nominate  erano 
di  marmo  bigio  di  13  palmi  romani  di  allora,  d'altezza  per 
I  e  Ya  di  diametro  (1). 

Essa  ha  capitello  antico,  e  base  d'ordine  jonico,  scana- 
lata nel  fusto,  e  con  piedestallo  di  pietra  tiburtina,  o  tra- 
dì Si  OQinbi  in  misura  metrica. 


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—  207   — 
vertino,  in  cui  dai  Iati  sodo  due  borchie  scolpite  nella  stessa 
pietra,  e  nella  faccia  di   esso,  che  guarda  la  via  di  s.  Fran- 
cesco,  leggesi: 

PIVS    .    IX    .    PONT    .    MAX. 

GOLVHNAM 

AREAB    .    AMPLITVDINI 

PAREM 

DONAVI! 

ANN    .    D    <    MDGGGXLVIi 

COLONNA  INNANZI  LA  PIAZZA 
DELLA  BASILICA  DI  S,  LORENZO  FUORI  LE  MURA 

A  tutti  h  notissima  la  strada  che  conduce  al  campo  Ve- 
rano,  su  cui  rimane  il  pubblico  Campo  Santo  di  Roma,  ove 
innanzi  al  prospetto  della  chiesa  dì  s.  Lorenzo  ,  eretto  da 
papa  Onorio  III  Tanno  i2i6,  edificando  la  porta  principale 
ed  il  portico,  come  si  vede,  è  innalzata  la  colonna  di  cui 
veniamo  a  parlare. 

Primieramente  h  da  riferirsi  ,  che  allorché  Pio  iX  fece 
restaurare  ed  abbellire  la  chiesa,  come  si  vede,  decorandola 
di  pitture  in  parte  del  Pracassini  neirinterno,  fece  dipingere 
la  facciata  nell'esterno  dall'artista  Silverio  Capparoni. 

In  tal  circostanza,  fu  pensato  di  sostituire  innanzi  al  pro- 
spetto di  questa  basilica  sulla  f  ia  Tiburtina  un*altra  colonna 
di  mole  maggiore  alla  piccola  qui  eretta  nel  secolo  XVI [ 
di  granito  rosso.  Si  pensò  primieramente  ad  una  colonna  di 
granito  rosso  trovata  negli  scan  d'Ostia,  ma  fu  trovata  mi- 
gliore un'altra  di  granilo  rosso  egiziano.  Indi  fa  scella  quella 
giacente  nella  via  del  Mosaico  dietro  la  basilica  e  fabbri- 
cati di  s.  Pietro  al  Vaticano,  delle  quali  parla  il  Corsi  nel 
Trattato  delle  pietre  antiche ^  prima  edizione,  pag.  297,  e 
quest'ultima,  avanzo  delfantica  basìlica^  o  nuova  mentovata. 

Nella  piazza  innanzi  al  prospetto  delfanzidetta  basilica, 
primieramente  l'architetto  conte  Virginio  Vespignani,  che  di- 
resse il  restauro  della  chiesa  con  l'annesso  convento  dei  cap- 
puccini, e  l'ampliamento  del  Campo  Santo,  livellò  il  terreno 
dove  fu  cavato  il  fondamento  per  la  colonna  di  cui  parliamo. 
La  imposizione  della  prima  pietra  in  tal  fondamento  per  il 
piedestallo,  venne  fatta  da  monsignor  Marinelli  vescovo  di 
Porfirio  e  Sacrista  il  di  i^  aprile  1864,  dopo  aver  compiuto 
il  sacro  rito  della  benedizione. 


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—   208  — 

Le  misure  esatte  delFaltezza  totale  del  moDumento^  sono: 

Altezza  della  colonna^  palmi  romani.    .     .  39  7- 

Diametro  preso  alt  imoscapo  di  essa     .     .  5 

Altezza  del  piedestallo  coi  suoi  gradini     .  23  onc.  9  */• 

Altezza  della  base 2  1.4 

Altezza  del  capitello  dorico 2  7- 

Altezza  del  peduccio 6 

Altezza  della  statua 9 


Altezza  totale  dal  piano  del  terreno^  palmi  88  onc.      7- 

La  statua  di  s.  Lorenzo  in  metallo  che  sormonta  la  co- 
lonna d'ordine  dorico,  colla  mano  destra  regge  la  gratella, 
e  con  la  sinistra  la  cassetta  dei  tesori,  ove  è  scritto:  dispersit 
dedit  pauperibus. 

Fu  modellata  dallo  scultore  Stefano  Galletti,  scolare  di 
Pietro  Tenerani,  e  fu  gettata  in  metallo  da  Francesco  Lucenti. 

L*arme  di  Pio  IX,  e  le  gratelle  su  la  cimasa  del  piede- 
stallo ,  come  altresì  il  capitello ,  sono  lavori  del  marmista 
Carimini.  Sul  dado  del  piedestallo,  leggesi: 

IR    .    HONOREll 

LAVRENTU    .    HARTYRIS 

EREXIT 

PIVS    .    IX    .    PONT    .    MAX. 

POKPICATVS    .    A    .    XIX 


COLONNA  ANTONINA 

Nell'orto  annesso  alla  casa  dei  padri  della  Missione,  cor- 
rispondente nel  lato  occidentale  del  grande  palazzo  di  Mon- 
tecitorio in  cui  ora  è  stabilita  la  Camera  dei  Deputati  del 
Parlamento  Italiano,  nei  primi  anni  del  secolo  passalo,  tro- 
vavasi  in  piedi  in  tal  luogo  la  grande  colonna  Quinquage- 
naria di  Antonino  Pio,  ovvero  alla  50  piedi  romani  antichi 
in  granito  rosso  egiziano.  Fino  all'anno  1704,  non  conoscevasi 
a  quale  uso  fosse  stata  innalzata,  ma  in  tale  epoca,  essen- 
dosi scavata  fino  al  suo  piedestallo  di  marmo  ,  si  venne  a 
conoscere  dalla  iscrizione  su  d^una  delle  sue  fronti,  che  era 
stata  dedicata  al  divo  Antonino  Pio  dai  suoi  figli  M.  Aurelio 
e  L.  Vero.  Nelle  medaglie  battute  per  decreto  del  senato, 
vedesi  impressa  questa  colonna  colla  leggenda  divo  .  pio  •  Il 


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209   — 

fusto  di  essa  alto  metri  50  fatto  di  un  sol  masso,  fu  dedotto 
dalle  cave  d'Egitto  per  cura  di  Dioscoro.  sotto  la  direzione 
deirarchi tetto  Aristide,  sino  dal  nono  anno  dell'impero  di  Tra- 
jano,  come  si  ha  dall'iscrizione  di  cava  scolpita  al  disotto 
dell'imoscapo  ora  al  giardino  della  Pigna  al  Vaticano. 

AIOCOTPOT 

LeTPAIANOI 

ATOANAnOAtCN 

T€IAOYAPXIT€KToT 

Dopo  varie  vicende  che  riporteremo  in  appresso  ,  tale 
colonna  fu  spezzata  e  segata  per  varii  usi.  Il  suo  magnifico 
piedestallo  venne  trasportato  e  posto  in  mezzo,  come  si  vede, 
neirindicato  giardino  papale,  parte  integrale  di  quello  annesso 
al  palazzo  apostolico  di  s.  Pietro,  e  l'iscrizione  dice: 

DIVO    .    ANTONIMO    .    AVG    •    PIO 

ANTONINVS    .    AVG  VST  VS    .    ET 

VERVS    .    AVGVSTVS    .    FIUI 

Nel  lato  posteriore  del  piedestallo  è  rappresentata  a  bas- 
sorilievo di  buono  stile  V  apoteosi  di  Marco  Aurelio ,  e  di 
Faustina  sua  moglie  fra  la  figura  di  Roma  appoggiata  su 
trofei,  e  l'altra  dell'Egitto  che  regge  un  obelisco.  Nelle  parti 
laterali  sono  rappresentati  soldati  a  piedi  ed  a  cavallo  per 
la  corsa  funebre.  Scrisse  il  Mardini  nel  secolo  XVII  nella  sua 
Roma  Antica^  lib.  VI,  cap.  7,  che  tale  colonna  in  gran  parte 
sotterrata  esisteva  in  piedi  nella  casa  posseduta  da  un  certo 
Carlo  Eustachi ,  posta  incontro  al  convento  dei  padri  della 
Missione;  ed  il  Ficoroni  nel  1706  nelle  sue  Memorie  n?  Il, 
indica  che  già  il  luogo  era  passato  a  giardino  dei  padri  sud- 
detti. Parlarono  di  questa  colonna  il  Vignoli  con  opera  inti- 
tolata De  Columna  Antonini  Pii,  edita  l'anno  1705,  il  Pi- 
ranesi  ne  diede  i  disegni  nelle  Antichità  di  Roma,  voi.  XIV, 
il  Bianchini,  il  Della-Chausse ,  il  Posteria,  il  Crescimbeni, 
il  Fontana,  il  Cancellieri»  ed  il  De  Fabris. 

Il  Cancellieri  nella  sua  lettera  con  la  relazione  di  Fran- 
cesco f^alesio  sopra  lo  scoprimento^  e  traslazione  della  co- 
lonna di  Antonino  PiOj  e  con  i^arie  notizie  intorno  air  obe- 
lisco Solare  innalzato  in  sua  vece  nella  piazza  di  Monte  Ci- 
torio,  ed  alla  colonna  di  cipollino  giacente  nel  cortile  della 
Curia  Innocenziana,  inserita  nel  fascicolo  V  delle  Effemeridi 

29 


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—  ilo  

Fehbrajo  MDCCCXX^  tanto  nelP  estratto,  come  nell*  opera 
del  Mercato  diffusamente  ne  parla.  Dice  che  fu  scoperta  all*)D- 
torno  Tanno  I7U3,  e  che  nelTabbassarla  si  ruppe  una  traglìa, 
dal  che  ne  seguisse  lo  spezzarsi.  Nel  mese  di  luglio  1704  si 
pose  mano  a  fortificare  il  castello  di  legname,  rinforzandosi 
di  doppi  travi  e  candele,  ed  aggiuntovi  tre  altri  argani,  i 
quali  furono  posti  nella  sttada  che  va  al  Campo  Marzio. 

Il  23  settembre  si  pose  mano  ad  alzarla  per  quanto  bastò, 
ed  il  seguente  giorno  fu  fatta  tm  poco  piegare.  Ma  poi  per 
la  pioggia  bisognò  lasciarla,  fi  venerdì  25  furono  riprese  le 
operazioni,  e  venne  distesa  affatto  per  terra  collo  sparo  d*una 
quantità  di  tnortaletti ,  e  suono  delle  campana  della  Curia 
di  Monte  Ci  tòrio. 

Nel  seguente  giorno  andarono  a  vederla  molti  nomiai 
di  considerazione,  fra  i  prim*!  virtuos^i  di  ■Roma,  e  ritrova- 
rono circa  nei  dde  terzi  della  coloiina  una  cte^patura  assai 
considerevole,  con  scrostature  che  le  giravano  all'intorno,  e 
fu  giudicato  essére  rotta  in  tre  <pe^zi.  Il  -card.  Spinola  Ca- 
merlengo strepitava ,  non  Volendo  che  si  facesse  più  spesa 
alcuna,  e  fu  con  tavoloni  e  catene  di  ferro  tutta  ricoperta. 

Ai  15  ottobre  fu  tentata  la  mossa  ,  e  datone  il  segno 
colla  tromba  s^incominctarono  a  girare  gli  argani  in  numero 
di  otto,  e  dòpo  cinque  o  sei  voltate  cominciò  ad  alzarsi.  Ma 
scrocchiando  grandemente  il'tastello,  to\  suono  del  campanello 
fu  dato  segno  di  fermare  per  vedere  che  cosa  era.  Si  scoprì 
che  un  legno  della  incavalcatura  di  sopra  si  rompeva,  onde 
fu  rinforzato  con  un  altro  trave  consimile,  e  così  dato  di 
nuovo  il  segno  colla  tromba,  si  tornò  a  lavorare.  Poi  si  ruppe 
un  argano,  e  dopo  risarcito  si  'ripose  mano  all'opeìra. 

Pei*  altri  accidenti  fu  dismesso,  e  questa  prima  mossa  si 
fece  sotto  il  nome  di  prova^  anzi  il  cav.  Fontana  padre  così 
aveva  detto  al  papa.  Ma  l' intenzione  dell*  architetto  cav. 
Francesco,  èra  se  non  succedevano  grinconvenìenti  riferiti , 
di  calarla  ^giù  afTiatto  per  farla  vedere  al  papa,  alFimprov- 
viso  calata  nel  dopo  pranzo  ,  come  vi  andò  còli'  occasione 
della  festa  di  s.  Teresa.  Vide  adunque  il  papa  per  la  prima 
volta  la  colonna,  ma  non  calata  come  si  h  detto. 

Ai  18  ottóbre  si  ripose  mano  all'opera,  ma  dopo  vari!  altri 
avvenimenti  e  rotture,  la  maggior  parte  della  nobiltà  spet- 
tatrice se  ne  andarono  a  pranzo,  e  specialmente  la  regina  Casi- 
mira  di  Polonia,  e  gli  athbasciadori  di  Spagna,  dell'impera- 
tore ed  altri. 


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—   Ui  — 

Fa  deputata  una  Congregazione  particolare  sopra  il  tra^ 
sporto  della  colonna,  composta  dai  cardinali  Spinola  e  Pan* 
ciatici  ,  dai  monsignori  Lorenzo  Corsini  tesoriere ,  poi  Cle- 
mente Xil ,  e  Francesco  Bianchini }  dai  matematici  Vitale 
Giordani  e  Domenico  Quarteroni  lettori  della  Sapienza^  dagli 
architetti  Carlo  Fontana  padre  e  Francesco  figlio,  dairarchi- 
tetto  Contini,  e  dal  capo  mastro  Giacomo  Patriarca.  Si  adu- 
narono il  26  ottobre  1704  dopo  il*  pranzo  nella  casa  della  Mis- 
sione, d'ordine  di  papa  Clemente  XI  Albani.  Fu  deciso  sul 
modo  in  cui  si  doveva  fortificare  il  castello^  il  che  fu  ese- 
guito in  due  settimane,  e  quindi  si  fece  altra  congregazione 
sul  modo  da  tenersi  nel  trasporto  della  colonna,  la  domenica 
16  novembre  di  detto  anno.  Quindi  dopo  altre  congregazioni 
nello  stesso  sito  la  domenica  n  si  vide^  che  la  crepatura 
era  stata  ricoperta  con  alcuni  legni  circolarmente  adattativi, 
e  Tarchitetto  Francesco  nel  dopo  pranzo,  mostrando  ad  alcuni 
suoi  amici  il  luogo  ove  si  diceva  rotta  la  colonna,  fece  levar 
via  tutte  le  corde,  ma  i  legni  no.  Nella  mattina  del  lunedì 
seguente  ninno  poteva  accostarsi  al  luogo  della  rottura,  sebr 
bene  avessero  levate  via  le  tavole,  essendovi  di  guardia  un 
capomastro  o  semplice  muratore. 

11  tempo  passo  in  ciarle  e  dicerie  fino  al  sa  settembre  1705 
festa  di  s.  Michele^  in  cui  furono  tolti  i  legni  che  coprivano 
la  fessura,  ma  lasciaronvi  le  corde,  ed  impiastrando  di  fango 
la  crepatura,  fu  fatto  un  tavolato  comodo  a  poter  cammi- 
nargli alTintorno;  perocché  il  dopo  pianzo  vi  andava  il  papa^ 
e  nel  suddetto  giorno  vi  fu  trovato  scritto  questo  mòtto  : 
trinum  et  unum  ,  alludente  ai  tre  pezzi  della  colonna.  Vi 
furono  messi  mezzi  cerchi  di  ferro,  ed  il  3  ottobre  s'inco- 
minciò a  muovere  la  colonna  per  tirarla  fuori. 

Ài  9  di  detto  mese  cominciò  ad  imboccare  la  strada,  che 
da  Monte  Citorio  va  al  Campo  Marzo,  e  nelle  ore  pomeri- 
diane fu  tirata  su  la  base.  Indi  si  scoprì  lo  zoccolo  in  due 
pezzi,  che  posava  sopra  il  piedestallo,  e  il  seguente  giorno 
la  colonna  era  tutta  nella  strada.  11  sabato  appresso  fu  tirato 
su  un  pezzo  del  suddetto  zoccolo,  e  Taltro  ai  12,  e  venne 
tirata  la  colonna  fino  alla  piazza  di  Monte  Citorio  per  mezzo 
di  tre  argani.  II  lunedì  a  notte  venne  inoltrata  dentro  la 
piazza  con  gran  brio  dei  lavoranti  a  lume  di  torcie  a  vento. 

La  mattina  seguente ,  fu  tirata  qi^asi  nel  mezzo  della 
piazza^  ed  ivi  lasciata  sopra  i  suoi  letti  già  preparati. 

Ai  17  ottobre  di  mattina   venne  estratto  il  piedestallo  , 


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—  212  — 
ed  il  giorno  19  lunedi  s'incominciò  a  trascinare  fino  al  29  in 
cui  fu  fermato  nel  mezzo  della  piazza. 

Nondimeno  quantunque  Clemente  XII,  bramasse  di  fare 
rialzare  questa  colonna  sopra  il  suo  piedestallo  per  nuovo 
ornamento  di  qualche  piazza  della  citta ,  pure  non  giunse 
a  far  altro,  che  chiudere  il  tutto  entro  un  casotto  di  legno, 
riserbando  ad  alcuno  dei  suoi  successori  la  gloria  di  eseguire 
una  idea  così  plausibile. 

Fece  restaurare  il  piedestallo  dagli  scultori  Vincenzo  Fe- 
lici e  Giuseppe  Napolioni,  e  rimase  cosi  fino  a  Benedetto  XIV, 
che  con  l'assistenza  dell'architetto  Ferdinando  Fuga  lo  fece 
trasportare  nel  centro  della  piazza  sullo  zoccolo  ove  ora  h 
il  piedestallo  dell'obelisco  avanti  al  palazzo  di  Monte  Citorio, 
sopra  di  un  gran  fondamento  capace  di  reggere  la  colonna 
che  ivi  divisava  di  alzare  (l).  Ma  ne  venne  impedito  per 
la  lesione  sofferta ,  ed  essendo  ivi  rimasta  abbandonata  , 
Pio  VI  nel  1792  servendosi  dell'  architetto  Antinori  la  fece 
tagliare  in  pezzi ,  e  segare ,  onde  far  uso  del  granito  nel 
grande  restauro  dell'obelisco  Solare  ora  innalzato  nella  piazza 
anzidetta,  facendo  trasportare  il  piedestallo  nel  giardino  detto 
della  Pigna  al  Vaticano,  come  fu  detto,  e  segare  la  parte 
dell'imoscapo  della  colonna  contenente  l'iscrizione  della  cara 
che  pur  vedesi  nello  stesso  luogo. 

Fine  delle  Colonne. 

{Continua) 

XXXVII. 

DALLA    STORIA    DELLA    SCIENZA    E    DELl'  ARTE    INSEGNATIVA 

CONSIDERATA    IN    SE    STESSA    E    Ne' SUOI    RAPPORTI 

COLLA  STORIA  DELLA  SCIENZA  E  DELl'aRTE  LETTERARIA. 


La  Storia  della  scienza  e  dell'arte  insegnativa  costituendo 
un  ramo  importante  della  storia  della  scienza  e  dell'arte  let- 
ti) Uscì  una  notificazione  che  invitava  f^li  oblatori  ad  erigere  a  patto 
stucco  la  colonna  Antonina.  Così  ana  mattlDa  vi  fa  trovato  scritto  in  un 
cartello: 

Levatemi  dal  Cui  tanta  canaglia 

Chi  vìtol  che  io  vada  al  destinato  luogo 

Faccia  venir  da  me  Mastro  Zàbaglia^ 
cioè  il  celebre  Niccolò  Zabaglìa  capo-maestro  dei  lavoranti  del  Vaticano,  detti 
i  Sampietrini,  Quest'uomo  incolto,  ma  pieno  d'ingegno,  inventò  tutte  le  mac- 
chine per  i  lavori  della  basilica  di  s.  Pietro. 


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—  213  — 

terarìa  ha  con  essa  comune  1*  orìgine  e  lo  svolgimento  sno, 
e  fa  parte  della  estensione  della  medesima. 

Perciò  dalla  orìgine,  dallo  svolgimento  e  dalla  estensione 
della  storìa  letterarìa  io  farò  capo  per  ìstabilire  e  dimostrare 
la  reciproca  loro  relazione  e  dipendenza»  ed  il  vincolo  che 
insieme  le  congiunge. 

La  letteratura  la  quale  suona  uso  delle  lettere  (togliendosi 
il  vocabolo  lettere  per  sinecdoche  nel  senso  di  parola  scritta 
e  per  metonimia  nel  senso  di  parola  parlata)  è  l'espressione 
del  pensiero  per  mezzo  della  lingua.  Considerata  come  storia 
essa  abbraccia  tutti  i  monumeuti  dello  scibile  umano  rappre- 
sentato per  mezzo  della  parola,  della  scrittura  e  di  altri  segni. 
Ma  lo  scibile  umano  dividendosi  in  scienze  ed  arti,  e  si  le 
une  che  le  altre  avendo  mestieri  per  manifestarsi  di  essere 
rivestite  di  una  forma  letterarìa  ne  consegue  che  una  storia 
completa  della  letteratura  abbracciar  debba  tutte  le  scienze 
razionali  e  positive,  tutte  le  arti  belle  ed  utili,  e  particolar- 
mente le  lettere,  che  di  quelle  e  di  queste  sono  le  interpreti 
e  ministre,  riguardate  nella  loro  origine,  nel  loro  svolgimento^ 
non  che  nelle  leggi  che  alle  une  ed  alle  altre  presiedono  se- 
condo   r  ordine  dei  tempi  e  dei  luoghi. 

dell'origine  della  letteratura 

L^origine  della  letteratura  h  essenzialmente  connessa  colle 
invenzioni,  colla  origine  ed  il  progresso  delle  arti,  delle  scienze 
e  delle  lingue.  Le  scienze  difatti  le  quali  altro  non  sono  che  un 
sistema  di  cognizioni,  si  formano  meditando  sulle  opere  istin- 
tive dell'uomo,  e  sulle  leggi  che  segue  la  natura  nel  progres- 
sivo suo  svolgimento  per  trarne  le  norme  di  operazione.  Le 
quali  norme  poi  tradotte  in  atto  coU'esercizio  e  cogli  espe- 
rimenti danno  origine  alla  vera  arte,  la  quale  suolsi  perciò 
definire  un  sistema  di  azioni.  L'arte  adunque  procede  dalla 
scienza,  e  la  scienza  h  figliuola  della  meditazione  fatta  sopra 
l'operare  istintivo  dell'uomo  e  sopra  le  leggi  della  natura. 
Quanto  adunque  più  si  approfondisce  e  si  allarga  questo  studio 
sulle  leggi  naturali,  tanto  più  si  moltiplica  il  numero  di  queste 
norme  di  operare,  si  accrescono  le  cognizioni  e  si  perfezionano 
le  scienze  e  le  arti;  e  per  conseguenza  tanto  più  forte  si  fa  sen- 
tire il  bisogno  di  trovar  dei  segni  ossia  dei  vocaboli  per  cui 
si  possano  esse  di  età  in  età  tramandare  ai  posteri.  Ma  i  vo- 
cadoli  per  se  non  bastano  ancora  ad  esprimere  tutti  i  concetti, 
convien  che  siano  strettamente  connessi  fra  di  loro  secondo 


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—  «14   — 

quel  naturale  legame  che  più  li  fa  atti  a  rendere  chiara  ed 
efficace  Tespressione  del  concetto. 

Nei  prinoixlii  d'ogni  cotisoraio  nmano  questo  lavoro  fu 
istintivo  e  spontaaeo,  vario  e  più  o  neiio  perfetto  secondoclbi 
varie  e  più  o  «eno  svegliale  e  coltesi  erano  le  menti  dei  diversi 
individui  che  vi  attendevano.  Quindi  è  che  nella  maoifesta- 
zione  dei  pensieri  e  degli  affetti  alcuni  si  segnalavano  per 
la  chiatrezza^  altri  per  la  efficacia  e  la  forza  del  dires  quelli 
furono  detti  chiari,  questi  eloquenti  parlatori^  ed  eloquenza 
fu  appellata  cotale  loro  dote  e  naturale  disposizione  a  con- 
vincere e  persuadere  altrui  delle  proprie  opinioni. 

Ma  siccome  Y  uomo  per  sua  natara  comincia  a  pensare 
e  riflettere  sugli  oggetti,  poscia  sopra  la  parola  che  h  l'e- 
spressione del  pensiero  primieramente  per  rendersi  ragione 
del  pensiero,  .poscia  per  ricercare  se  l'espressione  da  lui  ado- 
perata sia  la  più  acconcia  a  rappresentare  il  pensiero  stesso; 
COSI  ne  avvenne  che  col  progresso  del  tempo  si  itidagarono 
le  ragioni  pei  le  quali  non  tntti  gli  uomini  con  pari  chia- 
rezza ed  eloqu<anza  sapessero  manifestare  i  medesimi  pensieri 
ed  affetti;  e  trovatele  si  ridussero  a  i*egole  e  norme  generali 
le  quali  ordinate  a  sistema  diedero  origine  alla  scienza  ed 
applicate  ai  casi  particolari  diedero  nascimento  e  vita  all'arte 
del  retto  ed  eloquente .  parlare  che  va  essenzialmente  con- 
giunta colla  scienza  e  coU'arte  del  ben  pensare. 

La  scienza  del  retto  pensare  in  qualsiasi  lingua,  s'appellò 
logica  o  grammatica  generale,  e  la  scienza  del  retto  parlare 
in  una  data  lingua  grammatica  speciale  mentre  la  scienza  ossia 
la  conoscenza  dei  principii^  delle  norme  dell'eloquente  par- 
lare si  nomò  Rettorica. 

Il  complesso  di  tntte  le  parole  che  somministrano  il  ma- 
teriale, e  di  tutte  le  leggi  che  presiedono  all'uso  ed  alla  di- 
stribuzione delle  parole  nel  discorso  le  quali  ne  danno  la  forma, 
ricevette  il  nome  generico  dì  lingua  e  specifico  di  idioma  o  'di 
dialetto  secondo  la  maggiore  o  minore  estensione.  Ogni  lingua, 
ogni  idioma  adunque  si  compone  di  due  parti;  dei  vocaboli  che 
ne  formano  il  dizionario^  ossia  la  nomenclatura  e  delle  leggi 
del  loro  legame  che  ne  costituiscono  la  grammatica;  l'inven- 
zione dei  primi  dovette  precedere  l'invenzione  delle  seconde. 
Ora  siccome  la  letteratura,  ossia  l'uso  delle  lettere,  si  h  quella 
che  abbraccia  nel  suo  signiOcato  tutto  lo  scibile  umano  ,  e 
perciò  tutti  i  pensieri  e  tutti  gli  affetti  rappresentati  per  mezzo 
di  una  o  di  più  lingue,  cosi  si  può  conchiudere  che  la  sua 
origine  ha  una  stretta  relazione  e  dipendenza  coll'origine  ed 


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2ii5    — 

il  progresso  delle  lingue  ,  coli*  origine  e  col  progresso  delle 
scienze  e  delle  arti  d'ogni  specie,  dalle  quali  le  lingue  rice- 
vettero i  loro  natali. 

DELLO    SVOLGIMENTO    BDLLA    LETTEttATUBA. 

Lo  svolgimento  della  letiteratuiia  si  può  coAsiderat  e  rispetto 
al  concetto  rappresentativo^  e  riguardo  al  mezzo  o  strumento 
di  rappresentazione  quale  si  è  la  lingua ,  non  che  riguardo 
alle  condizioni  esterne  che  ne  possono  accrescere,  od  arrestare 
il  progresso,  e  cagionarne  anche  il  decadimento. 

Riguardo  al  concetto  rappresentativo  segue  in  generale 
nel  suo  svolgimento  le  leggi  del  bello  per  cui  quello  che  è 
il  primo  in  eccelllenfla  e  lullimo  a  manifestarsi  neirordìne  del 
tempo.  Però  nella  poesia,  nell'architetlura  e  neirarte  insegna- 
tiva il  bello  tipico  giusta  lordine  cronologico  occupa  il  se- 
condo anziché  il  terzo  luogo  che  è  tenuta  dal  bello  simbolico. 

Quindi  l'arte  è  imitativa  in  Omero;  Egli  ed  i  Rapsodi  cre- 
devano alla  verità  dei  fatti  che  narravano.  Non  più  cosi  in 
Virgilio  elle  idealizzò  1*  origine  e  la  grandezza  di  Roma^  la 
poesia  del  quale  fu  tipica.  In  Dante  che  prende  a  maestro 
Virgilio  l'arte  divenne  simbolica. 

Una  vicenda  analoga  subì  il  poema  eroicomico;  fu  imita- 
tivo nei  Trovadori  e  Poeti  Provenzali  che  narravano  i  fatti 
dei  paladini  dì  Carlo  Magno  e  divenne  tipica  nel  Bojardo  e 
nello  Ariosto^  simbolica  nel  Don  Chisciotte  di  Cervantes. 

Lo  stesso  processo  possiamo  osservare  nell'architettura. 
Nei  tempi  più  antichi  era  imitativa  perchè  imitava  colla  so- 
lidità e  grandezza  le  rozze  abitazioni  scavate  entro  i  fianchi 
dei  monti;  divenne  ideale  e  tipica  presso  i  Greci  ed  i  Romani; 
e  finalmente  simbolica  nel  medio  evo  coi  grandi  ordini  archi- 
tettonici alia  gotica.  Cosi  avvenne  dell'  arte  di  insegnare  e 
di  educare;  essa  fu  imitativa  nei  primordi  delle  società,  di- 
venne tipica  in  Socrate,  in  Platone,  simbolica  in  Esopo  ed  in 
G.  Cristo^  i  quali  presentano  la  legge  raor(»le  col  linguaggio 
poetico  dei  simboli  ossia  delle  immagini  acconcie  a  signifi- 
care la  virtù  ed  il  vizio,  il  senno  e  la  follia,  il  decoro  e 
la  sconvenienza. 

Riguardo  al  mezzo  o  strumento  dUmitazione,  ossia  riguardo 
alla  lingua  essa  è  tanto  più  dotta,  copiosa,  sintetica,  quanto 
più  h  antica,  e  tanto  più  semplice  analitica  quanto  h  più 
moderna.  Così  la  lingua  e  letteratura  greca  <è  più  copiosa 
e  sintetica  della  latina^  la  latina  h  più  semplice  ed  analitica 


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—  216  — 
della  greca»  ma  più  sintetica  della  italiana  ,  delia  francese, 
della  spagnuola  e  di  tutte  le  lingue  e  letterature  moderne  che 
divengono  tanto  più  analitiche  quanto  più  si  scostano  dalle 
antiche.  Insomma  essa  procede  dal  composto  al  semplice. 

Riguardo  alle  condizioni  esterne  che  la  possono  favorire 
essa  soggiace  ai  cambiamenti  morali  e  politici  delle  nazioni* 
quindi  può  segnare  un  epoca  di  progresso  o  di  regresso.  Di- 
fatti spenti  i  bei  tempi  dei  Greci  e  poi  quelli  dei  Romani 
l'Europa  cadde  nella  rozzezza  e  nella  barbarie;  ma  ad  essa 
oppose  una  resistenza  la  purezza  della  morale  evangelica  estesa 
nell'Àfiìca  e  nell'Europa  meridionale  (come  ne  rende  testimo- 
nianza fra  gli  altri  scritti  il  romanzo  storico  del  Manzoni). 

A  questo  mezzo  soprastò  l'Arabo  legislatore  col  suo  Alco- 
ranoy  vietando  ogni  studio  di  scienze,  di  lettere  ed  arti,  e 
dopo  di  lui  gli  Ommiadi;  ma  a  costoro,  sottentrati  quasi  tosto 
gli  Abassidi  fu  aperto  un  asilo  agli  studiosi  in  Bagdad  sede 
dell'  impero  loro:  quinci  si  pensò  a  misurare  le  terre,  e  fu- 
rono chiamati  cultori  dalla  Sorìa«  dalla  Caldea  e  dalla  Persia. 

È  appunto  dagli  Arabi  insignoriti  dalla  Spagna,  i  quali 
avevano  oltrepassato  i  Pirinei ,  che  trassero  origine  quelle 
poche  cognizioni  onde  si  formò  il  gusto  dei  provenzali  Tro- 
vadori la  cui  lingua  fu  poi  il  ceppo  delle  tre  lingue  francese, 
spagnola  ed  italiana,  colle  quali  incominciò  una  novella  era 
di  svolgimento  e  successivo  progresso  della  letteratura;  quan- 
tunque l'azione  educatrice  per  essere  gli  Stati  sminuzzati  dal 
feudalismo  succeduto  alla  barbarie  si  trovasse  divisa  e  quasi 
dissipata  fra  la  moltitudine  degli  individui  e  delle  famiglie. 

dell'estensione  della  letteratura. 

Sono  oggetto  della  letteratura  le  scienze  e  le  arti  tutte 
che  si  svolgono  nello  spazio  dei  tempi  e  dei  luoghi.  Le  scienze, 
le  arti  utili  e  dilettevoli,  il  tempo  e  lo  spazio  ne  segnano 
adunque  i  limiti  suoi. 

Ma  le  scienza  e  le  arti  essendo  il  prodotto  dell'opera  e 
del  ritrovato  dell'ingegno  umano  ne  consegue  che  la  lettera- 
tura debba  pure  estendersi  a  trattare  degli  autori  delle  me- 
desime, vale  a  dire  degli  inventori  e  degli  scrittori  di  esse. 
Il  perchè  suolsi  la  letteratura  dividere  in  universale,  gene- 
rale e  particolare  secondochc  abbraccia  tutte  le  scienze  ,  le 
arti,  tutti  gli  scrittori  d'ogni  tempo  e  luogo;  oppure  si  re- 
stringe ad  una  parte  più  o  meno  grande  di  essi. 


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DELLA    STORIA    DELLA    SCIENZA    E    DELL*  ARTE    INSEGNATIVA 
CONSIDERATA    IN    SE    STESSA. 

Ora  fra  le  scienze  e  le  arti  la  più  importante  per  1'  u- 
manitk  si  h  senza  dubbio,  la  scienza  e  Tarte  di  educare  e  di 
istruire  siccome  quella  dal  buon  uso  della  quale  dipende  la 
felicita  dei  popoli. 

La  prima  di  esse  viene  più  comunemente  con  vocabolo 
tecnico  tolto  dal  greco  chiamata  Pedagogia ,  la  seconda  Di- 
dattica. Ma  entrambe  possono  comprendersi  sotto  il  nome  ge- 
nerico di  Pedagogica  che  verrà  da  me  usato  in  questa  trat- 
tazione per  esprimere  la  scienza  e  l'arte  insegnativa. 

La  storia  della  Pedagogica  può  abbracciare  quattro  argo- 
menti, cioè  la  stona  della  scienza  e  degli  scrittori,  la  storia 
degli  istituti  e  la  storia  delle  leggi.  Ma  potendo  le  due  prime 
parti  ridursi  ad  una  sola,  la  Storia  Pedagogica  può  adunque 
dividersi  in  tre  specie:  in  storia  della  scienza  che  h  pur  quella 
degli  scrittori^  ed  in  storia  degli  istituti  e  delle  leggi.  Darò 
prima  un  cenno  della  storia  della  'scienza  ossia  deg^Ii  scrit- 
tori di  Pedagogica. 

Il  primo  libro  di  educazione,  secondo  l'opinione  di  molti 
si  h  la  Bibbia.  Ed  invero  nella  Germania  si  scrisse  una  Pe- 
dagogica Biblica  da  un  ministro  protestante  per  nome  Heiber. 
Questo  libro  h  uno  schema  di  pedagogia  diviso  in  tanti  capi 
corrispondenti  ad  altrettante  massime  della  Bibbia.  Ma  che 
diremo  della  importanza  della  educazione  quale  ci  viene  de- 
scritta dal  vangelo?  Gioberti  nella  introduzione  allo  studio 
della  filosofia  dice:  <c  Nelle  due  forme  più  antiche  di  società 
»  quali  sono  il  patriarcato  ed  il  Governo  a  caste  la  religione 
h  e  l'educazione  si  confondono  insieme  ed  appartengono  alla 
»  cosa  pubblica.  » 

Passiamo  ai  profani:  La  storia,  secondo  lo  stesso  Gioberti, 
ci  mostra  l'educazione  pubblica  in  vigore  presso  gli  antichi 
Persi,  e  ci  induce  a  conghietturare  che  assai  prima  fosse  co- 
mune a  tutti  i  popoli  iranici;  d'onde  forse  passò  in  Egitto 
dove  la  troviamo  fiorente  sotto  il  dominio  dei  Faraoni.  I  Do- 
riesi  che  furono  probabilmente  in  orìgine  un  ramo  Pelasgico 
Tintrodussero  nella  Grecia  ellenica  ed  in  quasi  tutte  le  loro 
colonie,  l'affinarono  in  Laconia,  in  Beozia  ed  in  Creta^  nella 
Magna  Grecia  e  la  recarono  per  alcune  parti  ad  un  raro  grado 
di  perfezione.  Certo  le  meraviglie,  dell'antica  Grecia  si  deb- 
bono principalmente  attribuire  alla  influenza  del  genio  dorico, 

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—   218   

c  alla  perìzia  nel  migliorare  gli  uomini  colla  disciplina.  Li- 
curgo rinnovatore  d'instituti  antichi  viziò  l'educazione  doriese 
esagerandone  i  principi;  Pitagora  la  mise  in  arte,  fondò  con 
essa  la  sapienza  italo-greca  e  se  ne  valse  a  tentare  una  ri- 
forma religiosa  e  civile, 

Platone  ateniese,  nato  nel  429  e  morto  nel  348  avanti  Cristo, 
si  può  dire  il  grande  educatore  del  suo  secolo^  esso  aveva 
preso  per  tipo  il  tnaestro  suo  Socrate,  ed  i  suoi  dialoghi  sono 
tante  rappresentazioni  in  cui  suol  fare  conoscere  al  popolo 
il  grande  suo  maestro  Ostetrico  dello  spirito  Socrate  che 
diceva  di  saper  nulla  ma  invitava  gli  altri  a  cercare  seco  la 
verità.  Platone  in  tutti  i  suoi  dialoghi  e  specialmente  nel 
Menone  ci  da  la  maniera  di  educare  i  fanciulli  ;  tratta  di 
educazione  ancora  nel  libro  delle  Leggi  dolia  Repubblica. 

11  metodo  pitagorico  si  può  dire  opposto  al  socratico  ; 
il  pitagorico  h  metodo  dell'  autorità  ,  il  socratico  della  ra- 
gione. Ottemperati  assieme  possono  giovare.  Il  pitagorico  serve 
a  determinare  i  limiti  entro  cui  va  tenuto  il  socratico.  Pi- 
tagora che  fiorì  verso  il  540  avanti  Cristo  ,  e  che  secondo 
la  più  probabile  opinione  nacque  nell'isola  di  Samo,  inse- 
gnava tutti  gli  elementi  delle  scienze,  ma  non  permetteva 
a  suoi  discepoli  di  disputare  sino  a  che  non  avessero  com- 
presa bene  tutta  la  tela  della  scienza.  Laddove  Socrate  ap- 
poggiato al  buon  senso  li  conduceva  per  mezzo  di  graduate 
interrogazioni  a  cercare  la  verità,  a  combattere  Terrore.  Am- 
bidue  i  metodi  di  Pitagora  e  di  Socrate  sono  eccessivi:  contempe- 
rati assieme  giovano  grandemente  all'istruzione  ed  educazione. 

Dopo  Platone  viene  Zenofonte  ateniese,  suo  contempo- 
raneo. Questi  lasciò  la  sua  Ciropedia  che  vuol  dire  educa- 
zione del  giovane  Ciro.  Alcuni  la  dicono  una  storia,  altri  un 
romanzo  storico:  vi  è  del  vero  in  quanto  all'educazione.  Co- 
munque sia  il  libro  di  Zenofonte  si  presenta  come  tipo  dell'  e- 
ducazione  antica  presso  ì  Persiani.  Ma  Zenofonte  non  si  con- 
tentò di  presentare  Teducazione  persiana  antica,  scrìsse  ancora 
un'  altro  libro  dei  memorabili  di  Socrate  in  cui  esamina  e 
raffronta  il  metodo  socratico.  11  professor  Regis  tradusse  il 
primo,  Verri  Alessandro  imprese  a  correggere  il  secondo,  ma 
non  h  sufficientemente  pura  la  traduzione  e  si  desidera  mi- 
gliore. Amedeo  Peyron  dice  che  Zenofonte  ci  presenta  Socrate 
reale  qual  era,  laddove  Platone  lo  presenta  ideale,  quale  aveva 
ideato  che  avrebbe  dovuto  essere. 

Viene  in  seguito  Aristotile  di  Stagira  nato  nel  384,  morto 
nel  322  avanti  Cristo.  Questi  non  trattò  della   educazione  se 


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—  S19   — 

non  come  parte  della  politica.  Bellissime  considerazioni  fa  nel 
50  6^  e  7^  volume  della  politica  in  cui  esprime  la  sua  teoria 
delleducazione  politica  quale  veniva  praticata  presso  i  Lace- 
demoni. Ma  non  si  limita  qui  la  gran  mente  del  filosofo  di 
Stagìra:  egli  accenna  ancora  agli  esercizii  ginnastici,  alla  mu- 
sica, alle  lettere^  alle  arti^  alla  religione.  Le  sue  considera- 
zioni sulla  musica  sono  degne  di  essere  oggetto  di  storia. 

Viene  poi  Plutarco  celebre  filosofo  e  storico  nato  a  Che- 
ronea  nella  Beozia,  marto  120  anni  dopo  Cristo.  Ei  parla  di 
educazione  nelle  sue  vite  parallele  e  precipuamente  nelle  vite  di 
Licurgo  e  Numa.  Scrisse  inoltre  un  trattato  di  Pedagogica  riguardo 
ai  fanciulli  che  alcuni  credono  che  sia  apocrifo.  Ma  apocrifo 
od  autentico,  non  ha  certo  il  merito  del  libro  di  Aristotile. 

Dopo  i  Greci  vengono  i  Latini. 

Fra  i  Latini  avremmo  avuto  Cicerone  d'  Arpino  »  morto 
nel  42  avanti  Cristo,  che  nella  sua  Repubblica  trattò  dell'edu- 
cazione,  ma  andò  perduta,  perchè  dei  libri  della  Repubblica 
rimangono  solo  due,  perciò  dobbiamo  tacere. 

Quintiliano  M.  Fabio  nato  nel  49,  morto  nel  lis^  anno  dopo 
Cristo  nelle  sue  istituzioni  oratorie  tratta  dell*  educazione  : 
prende  il  suo  oratore  fin  nei  primissimi  anni  delPinfanzia  e 
lo  porta  air  arte  oratoria.  Egli  fa  minute  e  profonde  osser- 
vazioni sulla  mente,  sul  cuore  e  sulla  disciplina. 

Seneca  da  Cordova,  nato  verso  il  secondo  anno  di  Cristo, 
e  morto  nel  65  di  Roma,  tratta  di  educazione  con  assennatezza 
nelle  lettere  a  LucuUo,  preziosi  documenti  della  sapienza  sto- 
rica. Insegna  in  e^e  come  devesi  leggere^  scrivere,  occuparsi. 
Cosi  Plinio  il  Giovane  di  Como,  morto  nel  110  dopo  Cripto, 
dice  belle  cose  intorno  al  leggere  nelle  sue  lettere. 

Sul  z  tedesco  raccolse  tanti  pàssi  di  Setiecà  e  formò  una 
Pedagogica  Senecea^  libro  raro. 

Abbiamo  adunque:  V  la  Bibbia;  l""  i  Filosofi  gred;  3'  i 
Classici  latini.  Vengono  ora  in  4*  classe  i  Santi  padri  latini. 

Sant'Agostino  nato  nel  054  in  Tagasta  lìélU  Numidià^  tra- 
dotto dall'abate  Rosmini^  tratta  De  Catechisandis  Pradibus 
et  de  Doctrina  Cristiana:  àggiutigansi  alcune  sue  lettere.  San 
Gregorio  Magno  nato  nel  540,  scrisse:  Cura  Pastoralisi  in  essa 
parla  dei  doveri  del  vescovo  e  tratta  ampiamente  la  questione 
dell'educazione  di  conoscere  l'indole  umana  dei  fanòiuUi^  e 
trattarli  secondo  Tindole  loro  seguendo  l'indole^  prendendoli 
ciascuno  per  il  suo  verso  a  correggere  e  perfezionare. 

S.  Girolamo  ,  nato  a  Stridone  in  Pannonia  verso  il  331  , 
morto  in  Palestina  nel  420,  scrisse  trattati  di  educazione  nelle 


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varie  lettere  ad  alcune  madri,  per  esempio  a  Seta  che  sono 
preziosissime  ;  discende  ad  indicare  il  metodo  di  lettura  da 
tenersi,  la  maniera  di  studiare  e  di  insegnare  la  S.  Scrittura, 
fa  la  classificazione  dei  libri  sacri  da  mettersi  nelle  mani  dei 
giovanetti,  e  quelli  da  serbarsi  ad  età  matura. 

5*  classe:  Padri  Greci. 

Il  Crisostomo  nel  Commento  di  San  Matteo  paria  nei 
sermoni  dei  doveri  dei  genitori  di  educare  la  prole  e  si  estende 
agli  uffici  dell'educatore. 

I^  Basilio  nato  nel  1070  contemporaneo  ed  amico  del  Cri- 
sostomo scrisse  De  legendis  poetis. 

Cregorio  Nazianzeno  nato  nel  329  in  Azianzo  borgo  di 
Nazianzo  trattò  qua  e  là  dell'educazione  nei  suoi  scritti. 

Ma  fra  i  padri  Greci  non  vi  ha  trattato  compiuto  di 
Pedagogica. 

Scrittori  del  medio  evo. 

S.  Tommaso  nato  nel  1226  in  Aquinio^  nella  Somma  Filo- 
sofica  tratta  del  dovere  dei  genitori  di  educare  i  figli  ',  ne 
tratta  nel  libro  de  jRegimine  Principis. 

A  S.  Tommaso  di  Aquino  si  aggiunge  Gessler  che  scrìsse 
de  trahendis  parvulis  ad  Christum^  a  costui  si  attribuì  De 
imitatiane  Crisii^  ma  non  è  sua. 

Dei  francesi  abbiamo  Rabelais,  Montaigne,  Rossuet,  Fe- 
nelon ,  Fleury.  Rabelais  trattò  di  educazione  in  un  romanzo 
strano;  questo  libro  è  la  storia  di  un  gigante  che  si  chiamò 
Argante,  è  una  satira  agli  errori  de 'suoi  tempi,  fu  una  critica 
acerba  della  maniera  dura  con  cui  sono  trattati  i  figli  ed  alle- 
vati. 11  Cuizot  dilucidò  questo  romanzo  e  mise  in  mostra  le 
idee  del  Rabelais. 

Montaigne  nato  nel  castello  di  Montaigne  nel  Perigord 
il  28  febbraio  1533  e  morto  nel  1592,  nei  saggi  di  Pedagogica 
scrisse  con  arguzia  pungente  contro  i  difetti  dell' educazione 
de* suoi  tempi  e  propose  a  modello  l'educazione  ricevuta  dal 
padre  che  dà  piccolo  gli  faceva  parlare  il  latino  conversando. 
Ma  come  giganti  si  sollevano  su  questi  Bossuet  e  Fenelon. 

Di  Bossuet  nato  a  Dijon  nel  1627,  morto  a  Parigi  nel  1704,  non 
havvi  che  la  relazione  dell'educazione  data  al  Delfino  di  Francia^ 
la  quale  h  un  capo  lavoro.  Ma  il  migliore  de*suoi  scritti  è  la 
storia  universale  in  cui  tratta  dell'educazione  dell'  umanità. 

Fenelon  si  occupò  assai  più;  e  scrisse  Veducation  des  fils 
a  cui  fa  seguito  una  lettera  scritta  ad  una  donna.  Merita  di 
essere  studiato  da  qualunque  educatore^  fu  tradotto  in  tutte 
le  lingue,  aggiunse  alla  stona  dell'educazione  la  pratica  nel 


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SUO  Telemaco  in  cui  sì  fa  educatore,  scrisse  ancora  una  bella 
raccolta  di  favole  latine  e  francesi.  £i  nucque  nel  Porigor- 
dino  nel  1631»  mori  a  Cambrais  nel  1715. 

Assai  più  scrisse  il  Rollin  nato  nel  leei»  morto  a  Parigi 
nel  1741;  se  non  si  leva  alto  come  Russuet  e  Fenelon;  scrisse  la 
maniera  di  studiare  e  di  insegnare  le  belle  lettere;  neirnltima 
parte  tratta  del  governo  dei  collegi,  questa  h  ancora  consi- 
derata come  testo  di  pedagogia  e  di  didattica.  Contemporaneo 
a  lui  è  il  Fleury;  scrìsse:  Della  scelta  del  metodo  degli  studi. 
Il  Fleury  h  più  largo  del  Rollin.  Costui  tratta  dei  convitti  e  delle 
scuole  secondarie,  ma  il  Fleury  tratta  ancora  dei  fanciulli  e  delle 
fanciulle  di  ogni  classe,  h  ricco  di  idee  e  di  norme  pedagogiche. 

In  quel  tempo  fu  pubblicato  de  Batione  studiorum  da 
Zuvanci  ed  il  trattato  degli  studi  che  sì  facevano  nel  col- 
legio dei  gesuiti.  Questo  libro  ha  qualche  pregio  in  mezzo 
a  molti  errori  dì  didattica  e  pedagogica;  ne  fu  fatta  una  nuova 
edizione  nel  tS36.  Questi  furono  gli  scrittori  del  secolo  17? 

Appartiene  a  questo  secolo  il  Locke  filosofo  inglese  che 
innestò  il  sensismo  in  tutte  le  sue  opere  e  così  nella  peda- 
gogica nel  suo  libro  della  educazione  trattò  molto  di  filosofia, 
di  politica,  di  tutte  le  scienze  razionali;  egli  è  il  precursore  dì 
Rousseau.  Ei  nacque  a  Wrigton  nel  1632  e  mori  a  Oates  nel  1704. 

Il  Rousseau  nato  a  Ginevra  nel  17I2,  mori  a  Ermenoville 
nel  1778;  però  esagerò  la  dottrina  di  Locke  e  scrìsse  TEmilìo  che 
e  un  romanzo  pedagogico,  e  una  satira  dell'educazione  delle 
famiglie  che  affidavano  i  figli  agli  istituti  appena  nati,  li  trat* 
tavano  con  durezza. 

Io  siffatta  sua  opera  però  Fautore  si  scostò  dall'esempio 
degli  Spartani,  l'educazione  dei  quali  aveva  altrove  lodata 
e  procedette  per  via  affatto  opposta  a  quella  di  Licurgo. 
Questi  volle  costringere  e  trasformare  la  natura,  quegli  se- 
condarla, ed  al  contrario  di  Helvetius  e  di  Jacotot,  il  primo 
dei  quali  nel  suo  tratto:  De  thomme  et  de  son  éducation^ 
il  secoodo  nel  suo  libro  De  Fenseignement  unis^ersely  sosten- 
nero che  r  educazione  possa  e  debba  fare  tutto  in  fatto  di 
umano  perfezionamento,  egli  dichiara  che  l'educazione  possa 
far  nulla.  L'uomo,  egli  dice^  nasce  buono,  e  la  società,  il  guasta. 
Rimovasì  il  pestifero  influsso  e  si  faccia  luogo  airistinto  natio. 
La  natura  vuol  essere  unica  allevatrice  e  maestra  delFuomo^ 
e  l'istitutore  deve  contentarsi  di  allontanare  gli  ostacoli,  tan- 
toché l'educazione  riesca  negativa  e  non  positiva  (Emil.  liv.  I)- 

Contro  gli  errori  di  Rousseau  primo  s*alzò  il  Gerdil  che 


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lo  confutò  nella  sua  riflessione  sur  la  pratique  e  la  theorique 
de  Veducation  de  Rousseau^  libro  pregevolissimo. 

Dopo  il  Gerdil  prèsero  a  combatterlo  rdrii  altri  ,    fra  i 
quali  il  Catnpe  nd  suo  libro  Jllgem.  He^isian*  /,  Bd.  S.  236; 
il  Gioberti  specialnietite  nella  sua  introduzione  alla  filosofia, 
il  primo  attribuisce  V  errore  di  Rousseau    alla   indole  para- 
dossastica  del  ciltadiuo  di  Ginevra  il  quale    in    questa  sua 
sentenza  còme  in  quasi  tutti  i  suoi  paradossi  abu^a  della  ge- 
neralizzazione innalzando  a  dignità  di  massima  fondamentale 
ciò  che  la  prudenza    suggerisce    in    alcuni  casi  particolari  f 
il  secondo  dimostra  che  Terrore  di  Rousseau  consiste  nel  falso 
supposto  che  l'uomo  nasca  essenzialmente  buono  e  la  società 
il  corrompa.  Perchè  se  la  società  corrompesse  il  fanciullo»  lo 
dovrebbe  corrompere  del  pari  l'educatore  reso  anch'egli  mal- 
V  aggio  dalla   società  di  cui  è  membro  ed  alunno.  Quindi  il 
vero  educatore  in  forza  della  logica  dovrebbe  allontanare  per* 
sioo  da  se  stesso  l'alunno  e  gettarlo  nella  solitudine  in  mezzo 
alle  fierej  perciò  Tassurda  conseguenza  dimostra  la  falsità  dei 
principio.  Il  vero  si  è,  egli  osserva»  che  v'ha  nell'uomo  una 
propensione  viziosa;  e  che  perciò  il  solo  modo  di  migliorarlo 
h  una  forte  e  positiva  educazioue.  Ma  ancorché  Tuomo  non 
fosse  originalmente  corrotto,  leducazione  sarebbe  tuttora  ne- 
cessaria» perchè  la  natara  abbozza  l'uomo,  noi  compie  e  l'arte 
ricercasi  a  perfezionare  la  natura.  L'  uomo  nasce  col  germe 
della  scienza  e  coll'istinlo  airàiione»  ma  la  scienza  vuole  essere 
imparata  e  l'anione  diretta  alTapprendimento  dellarte. 

11  Pestalozzi  nato  a  Zurigo  nel  1745  ,  morto  a  Neutroff 
presso  Brugg  nel  1S27  »  h  celebre  per  i  suoi  scritti  ;  ma  i 
suoi  tediativi  pratici  furono  infelici»  perche  non  sapeva  rea- 
lizzare il  suo  ideale.  L*errore  suo  fu  veduto  dal  Girard  che 
notò  essere  questo  che  il  Pestalozzi  poneva  per  base  del  suo 
insegnamento  la  matematica  mentre  deve  essere  la  lingua. 
È  pi'egeVole  il  suo  libro:  Geltrude  che  insegna  ai  suoi  figli* 
esso  h  un  vero  romanzo  morale-pedagogico. 

Girard  Gregorio  nato  a  Friburgo  nella  Svizzera  il  17  set- 
tembre 1765,  dopo  essere  stato  qnalcbe  tempo  incerto  fra  lo 
stato  militare  e  l'ecclesiastico,  elesse  finalmente  questo  ed  entrò 
nel  convento  dei  Francescani.  Egli  non  tardò  (|uivi  a  segna- 
larsi negli  studi  per  guisa  che  appena  questi  finiti  fu  desti- 
nato ad  insegnare  filosofia  nel  suo  paese  nativo.  All'epoca 
della  rivoluzione  ei  mandò  al  signor  Stupfer  ministro  di  pub- 
blica istruzione  delia  Repubblica  elvetica  un  progetto  di  edu- 
cazione della  intiera  Svizzera,  e  per  ciò  nel  1799  gli  fu  asse- 


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—  S23  — 
guato  UQ  impiego  negli  archivi  di  quel  ministero  dove  ebbe 
occasione  di  conoscere  tutti  gli  stabilimenti  d'istruzione  dei 
vari  Cantoni.  Finalmente  nel  1804  fu  destinato  quale  prefetto 
a  sistemare  la  scuola  francese  dei  fanciulli  che  il  Consiglio  Mu- 
nicipale di  Friburgo  aveva  aflBdato  alle  cure  dei  religiosi  suoi 
confratelli.  Ivi  ci  concepì  l'idea  di  insegnare  ai  fanciulli  la  lingua 
materna  come  mpdre  di  ogni  coltura  intellettuale  e  morale. 
Cambiò  anche  il  metodo  di  insegnare  l'aritmetica  cominciando 
al  contrario  di  quello  che  si  faceva  innanzi  ,  dai  problemi 
per  venire  alla  regola.  Insomma  come  il  Galileo  nelle  scienze 
fisiche  y  cosi  egli  nello  insegnamento  introdusse  il  metodo 
esperimenlale  e  fu  il  vero  fondatore  del  metodo  osservativo, 
di  cui  i  Tedeschi  specialmente  Fròbel  menano  tanto  rumore 
in  Germania  e  che  alcuni  nuovi  scrittori  come  il  Gabelli  cre- 
dettero di  potere  chiamare  intuitivo;  il  metodo  insomma  che 
il  Ragneriy  quale  abile  filosofo  che  egli  era,  ridusse  a  formola 
scientifica  come  vedremo. 

11  corso  di  lingua  materna  del  Girard  può  essere  corretto, 
ma  la  sua  introduzione  a  questo  corso  tradotta  ed  emendata 
dal  prof.  Lace  h  un  capo  lavoro. 

Dopo  Girard  venne  l'abate  Rosmini  nato  in  Roveredo  nel 
iY58  e  morto  a  Milano  nel  1827.  Il  primo  suo  libro  fu  un 
trarttato  dell'  educazione  cristiana  dedicato  a  sua  sorella. 
Poi  scrisse  del  supremo  pensiero  della  metodica.  La  prima  è 
il  principio  della  sua  speculazione  h  il  vertice  de'suoi  studi- 
Abbiamo  di  lui  ancora:  Della  unità  della  educazione.  Queste 
tre  opere  formano  un  complesso  di  dottrine  pedagogiche  a 
cui  non  si  può  mettere  di  confronto  nessuna  opera  ne  di 
tedeschi,  uh  di  francesi. 

Contemporaneo  del  Rosmini  fu  Vincenzo  Gioberti.  Egli 
per  la  forza  degli  argomenti,  per  la  gagliardia  dello  stile, 
per  la  vastità  delle  cognizioni  e  per  la  profondita  delle  ri- 
flessioni sorpassò  tutti  gli  antichi  ed  i  moderni  scrittori  di 
pedagogici.  Parlò  della  istruzione  e  della  educazione  nella  intro- 
duzione allo  studio  della  filosofia  e  nel  Gesuita  Moderno  ove 
prese  a  confutare  gli  errori  del  Batto  studiorum  dei  Gesuiti. 

Abbiamo  ancora  autori  di  Pedagogia  tedeschi  recenti. 

Il  Milde  stato  tradotto  a  Milano,  lo  Strazz,  il  Kurman^  e 
Hegel^  ma  questi  pecca  di  panteismo  come  in  tutte  le  sue  opere» 
{Continua) 

Prof.  Gabbiele  Deyla 


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2S4   — 

xxKyiii» 

IL  NIHILISMO  CHB  CHIBDE  LA  COSTITUZIONE 
ALLO  CZAR  ALESSANDRO  IH. 


Il  tuo  gran  genitor,  novello  Alcide, 

Sperava  andarne  delle  spoglie  adorùo 

D'  un  immane  lion,  che  tutto  irride 

E  soltanto  paventa  i  rai  del  giorno: 
Ma  perdura  il  lion  nelle  sue  sfide. 

Sitibondo  di  sangue  per  iscorno 

Scote  la  fulva  giubba  a  lui  dattorno, 

L*  assalisce,  1*  azzanna  e  al  fin  T  ancide. . . 
Che  non  imiti  il  forte  Macedone, 

Che  de*  lion  con  la  ruggente  scorta 

In  fino  air  Indo  s*innoltrò  festante?.. 
Doma,  0  novo  Alessandro,  il  fier  lione!.. 

Aggiogalo  al  tuo  carro,  e  trionfante. 

Al  disiato  Bosforo.,  ei  ti  porta!.. 

Luigi  Abrigo  Rossi 

PUBBLICAZIONI  RICEVUTE  IN  DONO 

Albrecbt  de  Batavia  (M.  J.  E.)  L*ifutruetion  primaire  chex  le$  Chinois  dans 
l'ile  de  Java,  traduit  du  hollandaù  et  annate  par  Aristide  Marre  {Ewtrait 
dei  Annales  de  rExtrème-Orieot.)  Paris,  librairie  orientale  de  Challamel 
Àinéy  me  Jacob,  3,  1881»  In  4.''  di  pag.  16. 

Altieri  (Ant)  Giuliano  de* Siedici  eletto  cittadino  romano,  ovvero  il  Natale 
di  Roma  nel  15i3.  Relazione  inedita  con  prefazione  e  note  di  Loreto  Pa- 
squalucci.  Roma,  tipografia  Artero  e  C,  piazza  Montecitorio,  125,  1881.  In 
12.^  di  pag.  78.  Edizione  di  duecento  esemplari. 

Biblioteca  della  gioventù*  italiana.  Anno  XIII.  Marzo  1881.  Lettere  di 
Giuseppe  Giusti  scelte  pei  giovinetti  a  cura  di  Gaetano  Dehò.  Volume  <e- 
eondo,  Torino  ,  1881 ,  tipografia  e  libreria  Salesiana ,  Sanpierdarena- 
Lucca-Nizza  Marittima*  In  12<^  di  pag.  310. 

Elenco  delle  Accademie,  Società,  Istituti  scientifici,  direzioni  di  giornali  ecc, 
che  ricevono  le  pubblicazioni  dell'  Accademia  dei  Lincei ,  coli'  indicazione 
delle  pubblicazioni  periodiche  che  mandano  in  cambio.  Roma,  coi  tipi  del 
Salviueci,  1881.  In  8.o  di  pag.  50. 

Fa  varo  (Antonio)  Galileo  Galilei  ed  il  k  Dialogo  de  Cecco  di  Ronchitti  da 
»  Bruzene  in  prepuosito  della  stella  nuova  »  studi  e  ricerche  {Estr.  dal 
voL  VII,  serie  V,  degli  Atti  del  R.  Istituto  veneto  di  scienze  lettere  ed 
arti).  Venezia,  tipografia  di  G,  Antondli,  1881.  In  8.^  di  pag.  86. 

Galileo  astrologo  secondo  documenti  editi  ed  inediti ,  studi  e  ricerche. 

(Estratto  del  Periodico  Mente  e  Cuore).  In  8.»  di  pag.  10. 

Henry  (G)  Lettre  a  monsieur  le  Rédacteur  contenant  l'indicaiUm  de  quelques 
erreurs  dans  les  Tables  mathématiques  sur  le  Bulletin  des  Sciences  mathé- 
matiques  (fascicule  de  janvier  1880)  [Extrait  du  Bulletin  des  Sciences  ma- 
thématiques, 2«  sèrie,  I.  IV,  1880)  Paris,  imprimerie  de  Gauthier-Villars^ 
quai  des  Augustins,  55.  In  8.»  di  pag.  5. 

Nardugci  (Pietro)  Illustrazione  dei  rilievi  per  ^esecuzione  del  Fognone  alTE- 
s^uUino.  Roma ,  tipografia  del  Senato  di  Forzani  e  comp.  1879.  In  8.^ 
di  pag.  10. 

R.  Accademia  delle  Scienze  di  Torino.  Elenco  degli  Accademici,  Stamperia 
Reale  di  Torino,  1*  febbraio  1881.  In  8.»  di  pag.  26. 

Raggi  (Oreste)  Di  due  estremi  affetti  e  due  estremi  dolori^  commemorazione 
intima  a  Ferdinando  Santini.  Roma,  tipografia  nelV  orfantìtrofio  comunale 
di  Termini  di  Mario  Armanni  1881.  In  12<>  di  pag.  19. 

Stahly  (F.  I.  A.)  Elementi  di  un  sistema  di  Drammaturgia,  ossia  di  unedi- 
fizio  teorico  delle  arti  drammatiche.  Sunto  di  pubbliche  lezioni  tenute  nel 
Circolo  Filologico  di  Roma  {Serie  prima,  fascicolo  primo)  Torino  Roma  Fi- 
renze, fratelli  Bocca  e  C.  lib.-edit.  1881.  In  8.<»  di  pag.  56. 


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Serie   II.  Vol.  XIV. 


Luglio  1880 


I  L 


BUONARROTI 


D    1 


BENVENUTO  GASPARONl 

CONTINUATO  PER  CUBA 

DI  ENRICO  CARDUCCI 


XL. 


XLI. 


PAG. 

XXXIX.  Documenti  inediti  dell'arte  toscana  dal  XII 
al  XVI  secolo,  raccolti  e  annotati  da  G.  Mi- 
lanesi (Coniinuazione) » 

Descrizione  di  tutte  le  colonne  ed  obelischi 
che  trovansì  nelle  piazze  di  Roma,  disposta 
in  forma  di  guida  da  Angelo  Pelle- 
grini ecc.  (Continuazione) » 

Sopra  il  luogo  e  Tanno  della  morte  di  Fra 
Giocondo,  architetto  veronese,  e  sul  cognome 
di  Antonio  da  Sangallo  -  y  i*4>rc,  architetto 
fiorentino  ,  ambìdue  de^  .1  .i  alla  fabbrica 
di  San  Pietro  in  Roma.  Lettera  al  eh.  signor 
cav.  Enrico  Narducci  (Camillo Ravioli).  » 

XLll.  La  Greca  Scoltura  (Prof.  Giuseppe  Dkrossi).  »  254 

XLIII.  Bibliografia.  Monuments  de  Tart  antique 
pub!ìès  sous  la  direction  de  M.  Olivier 
Rayet  ecc » 

XLIV.  Alla  gentilissima  donzella  Rosina  Pontecorvo 
ed  al  giovine  egregio  Marco  della  Rocca 
nel  dì  delle  nozze  Io  zio  MosÈ  Page  questo 
ghiribizzo  offre  (Di  palo  in  frasca).       .    »  256 

XL  V.  L'altezza  serenissima  dì  6'ar/o  ///  principe  so- 
vrano di  Monaco,  alfaltezza  reale  di  donna 
Florestina  duchessa  di  Wurtemberg  sua 
augusta  sorella  (Luigi  Arrigo  Rossi),    d  261 

XLVl.  Atomi.  A  Sevérina.  — Voci  udite  alle  corse 

(Luigi  Arrigo  Rossi) )f  262 

Pubblicazioni  ricevute  in  dono     ........  264 


225 


234 


249 


255 


ROMA 

TIPOGRAFfA  DELLE   SCIENZE   MATEMATICHE   E    FISICHE 

VIA    LATA   N?  3. 

t880 


Pubblicato  il  3  Giugno  Issi 


( 


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IL 


Serie  II.  VoL.  XIV.         Quaderno  VII.  Luglio  4  880 


XXXIX. 

DOCUMENTI  INEDITI  DELL'ARTE  TOSCANA 
DAL  XII  AL  XVI  SECOLO 

RACCOLTI  E   ANNOTATI 

DA   G.    MILANESI 

Continuazione  (1) 


N.*  42.  '  .       1341,   13  di  giugno 

PcUti  con  maestro  Antonio  per  la  edificazione  della  caia  di  resi- 
deìoa  della  compagnia  di  S.  Maria  che  s^  adunava  in  Or 
S.  Michele. 

Archivio  di  Stato  in  Ftren^iiff^ 
Archivio  d'  Or  San  Michele.  Voi.  di  V.  145. 

Al  nome  di  dio.  Amen. 

Qui  apresso  sarà  scritto  l' acordo  che  Nicholò  di  Cenni  e  Rag- 
gieri  ài  berto  fecero  a  di  xii  di  gugno  miij^XLJ  chon  Antonio  maestro 
in  fare  la  chasa  della  Compagnia  d'Orto  San  Michele  (2). 

Che  farà  il' braccio  quadro  di  tutti  i  fondamenti  e  chavare  e 
mandare  Tia  la  terra  fino  alaqua  B  viii  picc:'!  ad  ogni  sua  spesa      Jf  viij . 

Che  farà  una  volta  sotterra  doppia  e  rinpierà  di  piche  e  di 
calcina  e  la  schala  e  finestre  e  amattonato:  la  metà  intendesi  a  ferri 
e  pionbo  e  legname  della  Compagnia  e  ogni  altra  spesa  d'Antonia, 
mburando  a  piano  d' ogni  braccio  quadro  •  e  gli  schaglion  de*  fare 
di  lastroni  e  de*  lastrichare  la  volta  di  sotto  :  entendasi  che  sia 
braccia  iiij  dal  piano  al  peduccio  Jf  xx  picc:" 

Che  farà  il  concio  di  pilastri  subbiato  piano,  e  lareho  il  pi- 
lastro braccia  ijg-  si  che  bene  istea,  e  mettendo  in  ogni  pilastro  tre 
doppie,  misurando   per  alteza  d'ogni  braccio  ^  xxxviij  picc. 

Che  farà  il  concio  dell' arcora  facendo  in  peduccio  brac.  Ig-  e  in 
serraglio  brac.  If  d'ogni  braccio  per  lunghezza  dell'archo  Jxxxyipicc. 

Che  farà  il  concio  delle  pietre  femine  infino  al  davanzale ,  e 
metterà  di  suo  il  davanza(fó);  de' avere  d'ogni  braccio  quadro  del 
concio;  e  ogni  concio  s'intende  a  sue  pietre  >xiiipicc:^^ 

(1)  Vedi  Quaderno  precedente»  paji;.  19.6. 

(8)  Crediamo  che  questa  fabbrica  esista  tuttavìa»  e  sia  quella  che  è  dirim- 
petto air  ingresso  principale  dell'Oratorio  d'Or  S.  Michele. 

ai 


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—  226   — 

Che  farà  il  muro  sconcio  dal  davanzale  in  giuso  ogni  braccio 
quadro  per  sol:  quattro  dan:  sei  piccioli  e  murerà  il  concio  a  sue 
spese  e  non  ne  dee  avere  danaia:  ragonasi  [sic)  sarà  il  concio  grosso 
r  braccio  >  iiij  d  vi  picc: 

Che  farà  il  muro  dinanzi  dal  davanzale  in  suso;  contando  vano 
per  pieno  e  facciendo  tre  finestre,  d'ogni  braccio  quadro     ^  vij  picc:** 

Che  farà  ogni  muro  oltre  a'detti  sopraterra  andando  alto  insino 
in  braccia  ventidue  in  gronda  :  d*  ohni  braccio  quadro ,  contando 
vano  per  pieno,  sol:  vij  piccoli. 

Che  farà  una  volta  sopra  terra  doppia  e  ripiena  in  peducci  di 
pietre  e  di  calcina  e  amattonata  a  ogni  sua  spesa ,  e  intonichata  , 
misurando  a  piano  d'ogni  braccio  per  ^xvijpicc:" 

Intendesi  ogni  ferro  o  pionbo  o  legname  che  rimanesse  murato 
sia  a  costo  della  compagnia. 

E  ogni  doccione  che  vi  bisogna  nelle  mura,  o  nella  colonna^ 
che  Antonio  gli  comperrà  alle  sue  spese. 

Che  farà  ogni  lavorìo  buono  e  di  buone  pietre  e  di  buona  chal- 
cina:  a  questo  si  starà  a  quello  chenne  dirà  Gherarduccio  maestro: 
e  simile  se  oltre  a  questi  lavorii  vi  sì  facesse  alchuno  lavoro^  che 
n*abbia  quello  che  dirà  il  detto  Gherarduccio. 

Anchora  che  ogni  muro  che  facesse  per  chiusa,  e  fosse  muro 
di  pietre  che  fosse  grosso  J-  o  ^  di  braccio,  ne  debbia  auere  chome 
dell'altro,  cioè  Jf  sette  del  braccio,  fvciendo  di  suo  una  colonna  di 
pietre  concie  sabbiate  nel  mezzo  con  una  cimassa  di  sopra  e  di  sotto 
una  basetta  che  getti  uno  ottavo  di  braccio  intorno. 

In  Dei  nomine  ^P^'Ci^'  Anno  dius  mcccxlj  ind.  viiij  die  xix\ 
mensis  Junii.  Actum  Florentiae  in  dieta  domo  presentibus  testibus 
Fratre  Bene  Salvi  de  Ordine  Pinzocherorum  populi  Sci  Pauli,  Fran- 
cescho  Cenni  populi  Sancti  Jacobi  Ultramum  et  Tura  Gratie  po- 
puli Sancti  Felicis  ad  hec  vocatis. 

N.**  43.  1342,   21   di  giugno 

Allogazione  ai  maestri  Paolo  e  a  Gio.  suo  padre 
di  sei  statue  per  ornamento  della  porta  a  San  Gallo  di  Firenze. 

archivio  dello. 
Bufiti  di  S.   Francesco  dì  Pagno  da  Vespignano.  Protocollo  dal  1340  al  1345.  e.  48. 

Pateat  omnibus  eridenter  quod  nobiles  et  pmdentes  viri  ,  vi- 
delicet  dominus  Fantone  de  Rossis  suo  nomine ,  jFranctsctis  Lapi 
Johannis  suo  nomine  et  vice  et  nomine  dicti  Bindi  domini  Oddonis 
de  AUovitis ,  Ughuccione  Ricciardi  de  Riccis  et  Feu»  domini  Baldi 
della  Tosa.,  officiales  super  constructione  mnrorum  civitatis  Fio- 
rentie,  una  cum  Filippo  Bonfigliuoli  eorum  collega  absente: 

Actendentes  locationem  dadum  factam  per  religiosos  viros  dopnos 
PeUrum  et  Zenouium  monacos  de  Septimo  oi'dinis  Cìsterciensis,  tunc 
camerarios  constructionis  murorum  civitatis  Florentie ,  de  concilio 
et  deliberatione  proborum  virorum  Duccii  Angiolini  Malchiaudlij 
Bartholomey  domini  Guidotm  de  Cavaleantibm  j  Gerii  GuccU  de 
Spinis,  Spinelli  de  Mosciano  ,  Neri  Foriis  Bezzole^  et  Geri  Gi*ccii 
Ghiberti ,  tunc  officialium  super  constructione  et  hedificatione  mu- 
rorum civitatis  Florentie;  Paulo  magistri  Johannis  populi  sancti  Lau- 


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227   

rentii,  recipienti  et  conducenti  prò  se  ipso  et  dicto  magistro  Joharine 
patre  suo  ^    ad  faciendum  et  construendum ,    sculpendum  et  inta- 

Sliandum  sex  figuras    sive    ymagines  lapideas  de  ottimis  (sic)  lapi- 
ibas  della  Cicala ,  seu  figuram  Domini  nostri  Yhesu  Xpi  et  beate 
Marie  Virginis  matris  eios,  que  sedeant,  et  qualiter  ipse  Dominus 
Yìkùs  Xps  eandem  matrem  eius  coronet;  altitudininis  quelibet  ipsarum 
figuramm  sedendo  super  quodam  sedio  ,  bracchiorum  quatuor  ^    et 
grossitudinis  sive  latitudinis  quelibet  ipsarum  figurarum  trium  quaiv 
torum  bracchii;  et  sub  pedibus  eorum  vnum  pedistalium  altitudinis 
vnius  bracchii  et  longìtudinis  ab  uno  colouello  ad  alium;  et  in  dicto 
pedistalio  ex  parte  anteriori  intalliare  et  scolpire  tres  scudicciuolos 
scultos  armis  comunis  Fiorentie  cum  folgliaminis  circum  circa.  Item 
facere  et  intalliare  figuram  siue  ymaginem  beati  Johannis  baptiste 
et  sancte  Reparate  ^    altitudinis    quelibet    ipsarum  figurarum  brac- 
chiorum quattuor  et  grossitiei    sicut    requiritur  diete  altitudini    et 
figuris:  et  stent  recte  diete  figure  in  pedibus,  et  dieta  figura  beati 
Johannis  baptiste  teneat  in  manum  vnam  crucem  et  unam  cartam 
apertam,  in  qua  debeant  scribi  sive  depingi  lictere;  et  figura  beate 
Keparate  habeat  in  manum    vnum    vrceum  cum  liliis  ex  latere  si- 
nistro versus    portam  de  Pinti.  Item  figuram   beati  Petri  appostoli 
cum  clavibus  pulcerrimis  et  magnis,  et  figuram  beati  Laurentii  ad 
modum  diaconi,  cum  vno  cultello  palmarum  in  manum  eius;  men- 
snre,  altitudinis  et  latitudinis  sicut  alie  figure  supradicte;  et  stent 
rette  (sto)  in  pedibus.  Item  facere  construère  et  murare  et  hedificare 
'  novem  postas  beccadellorum  in  tribus  partibus  inter  vnum  fenestra- 
ticum  et  aliud  porte  Sancti  Galli.  Et  sint  mssi  dicti  beccadelli , 
quilibet  ipsorum  medium  bracchii,  et  sint  altitudinis  quelibet  posta 
beccadellorum  bracchiorum  duorum,  et  sint  sgolati  et  sfogliati.  Et 
super  dictos  beccadellos  ponere  et  murare  lastrones  grossum  {sic)  tercìe 
partis  bracchii  et  amplitudinis  ad  modum  dìctorum  beccadellorum 
et  faciat  dCagietto  quartum  bracchii;  et  sint  sgolati  a  trìbus  lateribus 
et  sfogliati  de  subtus.  Et  super    dictis    lastronibus  unam  cornicem 
altitudinis  tertie  partis  bracchii  et  sint  smussati;  super  qua  recol- 
ligatur  aqua  ad  modum  basamenti.  Et  super  dieta  cornice  facere  sex 
colonnellos  cum  basis  et  capitellis  sfogliatis  #t  sgolatis  de  suctus  (sic) 
et  sint  altitudinis  bracchiorum  quattuor  et  duornm  tertiorum  brac- 
chiorum, quando  erunt  sculpti:  et  sint  grossi  quilibet  dictorum  co- 
lumpnellorum  tenia  pars  bracchii;  et  super  dictis  capitellis  facere 
sex  beccadellos  grossitudinis  quilibet  dictorum  beccadellorum  medii 
bracchii  et  altitudinis  vnius  medii  bracchii,  fornita  posta;  et  sportent 
de  foris  murum  turris  siue  janue  ]>er  vnum  bracchium  et  quartam 
partem  alterius  bracchii,  cum  visis  in  testa  intalliatis  et  sculptis  in 
dictis  beccadellis,  et  inter  postam  vnius  columpnelli  ad  alìam  de- 
super facere  vnum  beccadellum  de  duobus  lapidibus  ad  modum  al- 
terius, uel  magis  suflEiciens,  et  super  dictis  beccadellis  incipiantur  et 
fiant  arebecti  genuflexi  cum  testeriis  sfogliatis  da  lato^  sicut  reqnirit 
dictum  laborerium,  et  volticelle  intus  sint  de  bonis  lateribus  bene 
coctis:  et  super  dictis  archettis  genuflexis  facere  chiocciolas;  super 
dictis  frontespitiis  sint  coperte  de  lastronibus  de  caua  de  Montecelli, 
et  in  quolibet  frontespitio  vnum  scutum  facere  et  intalliare,  in  quo 
et  quolibet  sint  sculpta  arma  Comunis  Fiorentie.  Quas  figuras,  vi- 
# 


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—  228  — 
delicet  Domini  nostri  Yhù  Xpi  et  beate  Marie  Virginio  modo  pr€>- 
dicto  scuipte  (sic)  designatas  et  intalliatas  ponere  seu  poni  facere 
super  porta  de  medio  ;  et  dictas  figuras  beati  Jobannis  baptiste  et 
sancte  Reparate  intailiate  scuipte  et  designate  (sic)  ponere  seu  poni 
facere  super  alia  porta  colupnellorum  inter  ynum  et  aliud  ex  parte 
dextra  versus  portam  Fauentie.  Et  dictas  figuras  beatorum  Petri  et 
Laurentii  modo  predicto  sculptas  et  designatas  ponere  seu  poni  fa- 
cere  super  altera  porta  colunpnellorum  ex  parte  sinistra  versus 
portam  de  Pinti. 

Que  omnia  supradicta  dictus  magister  Paulus  dictis  camerariis 
promisit  facere,  construere  scolpire  (sic)  et  intalliare  vna  cum  diete 
magistro  Johanne  patre  suo,  omnibus  eorum  et  cuiuscumque  eorum 
sumptibus  et  expensis  in  dicto  laborerio  opportunis  et  occurrentibus, 
exceptis  calce  vivo  et  ferris  et  plumbo  necessariis  et  opportunis  dicto 
laborerio.  Et  omnes  supradictas  figuras  ponere  seu  poni  facere  ad 
portam  sive  super  portam  Sancti  Galli  et  super  dictis  postis  becca- 
dellorum,  ut  supra  dictum  est,  omnibus  suis  expensis,  ut  dictum  est, 
prò  pretio  centum  sexaginta  florenorum  auri:  ut  de  predictis  et  aliis 
latius  continetur  in  locatione  et  conductione  predicta,  rogata  et  scripta 
per  ser  Alexandrum  domini  Kari  notarii  in  H.cccxxviiij,  die  xviij 
mensis  februarii. 

Et  actendentes  quod  prò  parte  dictorum  magistrorum  Johannis  et 
Pauli  conductorum  proponitur  et  asseritur  dieta  laboreria  a  se  con* 
ducta,  esse  quasi  perfecta  et  ad  fiaem  debitum  deducta,  salvo  quod 
nondum  sunt  locata  posita,  murata  constructa  et  ordinata  in  dieta 
porta  et  turri  Sancti  Gallio  ut  promiserunt.  Et  ideo  petunt  ante  omnia 
eis  dari  tradi  et  assignari  calcem ,  ferramenta  et  plumbum  neces- 
sarium  laborerio  supradicto ,  ut  in  dieta  locatione  dicto  magistro 
PaiUo  conductori  promissum  fuit.  Nec  non  omnia  que  ipsi  officiales 
videant  et  examiuent  et  perquirant  per  se  ipsos  officiales  vel  per  alias 
sufficientes  et  expertas  personas  quas  ad  predicta  duxerint  deputandas^ 
utrum  predicta  conducta  promissa  et  conventa  per  dictum  Paidum  sint 
fini  debito  mancipata,  nec  ne.  Et  considerantes  dicti  officiales  quod 
ad  presens  comune  Florentie  est  in  magna  penuria  et  necessitate 
pecunie,  adeo  quod  ad  solutionem  pretii  dictarum  rerum  presen- 
tialiter  necessariarum  laborerio  supradicto  (sic)  secundum  pacta  et  con- 
ventiones  predictas;  diligenti  deliberatione  prehabita,  vigore  eorum 
officii,  auctoritatis  et  balio,  de  consensu  et  voluntate  dicti  magistri 
Pauli^  et  omni  via,  jure  et  modo  quibus  melius  potuerunt,  ad  hoc 
ut  nulla  questio  siue  disceptatio  sit  vel  oriatur  in  fuiurum  inter 
dictum  comune  Florentie  et  eius  officiales  ex  una  parte,  et  dictum 
Paulum  conductorem  ex  altera,  ratione  vel  occasione  prediùtorum; 
vigore  eorum  officii,  autoritatis  et  balie  et  omni  via,  jure,  et  ratione 
quibus  melius  potuerunt;  presente,  volente  et  consentiente  magistro 
PaiUo  predicto,  supradicti  officiales  elegerunt,  nominaverunt  et  de- 
putaverunt  Masum  Leonis ,  Stephanum  Puccti ,  et  Pugium  Contri  , 
cives  florentinos,  viros  providos  et  expertos  in  arte  et  de  arte  caiv 
pentariorum  et  magistrorum  lapidum  et  lignorum,  et  eisdem  magistris 
et  duobus  ex  eis,  alio  absente,  siue  deficiente,  aut  presente  et  con- 
tradicente  siue  consentiente  uel  tacente,  commiserunt  plenarie  vices 
suas,  quatenus  viso  per  singula  dicto  instrumento  locationis  et  con- 


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—  229  — 
dactionis  scripto  per  dictam  ser  Allexandrum  notariam ,  una  cum 
religioso  viro  fratre  TcUento  de  Ordine  Predicatorum  civitatis  Flo- 
rentie,  famoso  magistro  lapidum  et  lignorum,  vadant  et  videant  exa- 
minent  et  perquirant,  ordinent  et  determinent  utrum  magistri  Paìdus 
et  Johannes  conductores  prefati  piene  et  bene  fecerint  omnia  et  sin* 
gala  que  promiserunt  et  convenerunt  in  istrumento  predicto  scripto 
per  dictum  ser  Alexandrum;  nec  non  provideant  et  ordinent  qaan- 
titatem  pecunie  quam  predicti  conductores  Tel  alter  eorum  rationa- 
biliter  expendiderint  prò  perfectione  dicti  laborerii,  prò  calce,  fer- 
ramentis  et  plumbo  supradictis  in  laborerio  supradicto,  ac  etiam  in 
qualibet  alia  re  et  laborerio,  quam  sive  quod  prò  utilitate  et  ad  de- 
corem  dicti  laborerii  fecissent  vel  facerent  in  futurum  ultra  vel  preter 
predicta  promissa  per  dictum  magìstrum  Patdum  in  dicto  instrumento 
rodato  et  scripto  per  dictum  ser  Alexandrum  notarium.  Dantes  et  con- 
cedentes  eisdem  magistris  sic  electis  et  duobus  ex  eis,  ut  dictum  est, 
vna  cum  dicto  fratre  Jacoho  coniuncte  plenam  potestatem  et  baliam 
componendi,  ordinandi ,  providendi  omnia  et  singula  que  yiderint 
expedire  in  predictis,  prò  predictis  vel  supra  dictis,  aut  eorum  aliquo; 
stantiantes  et  ordinantes  ex  nunc  prout  ex  tunc  officiales  predicti 
vigore  et  auctoritate  predictis  per  singula  et  omne  id  et  totum  quod 
dicti  magistri  commissari!  aut  duo  ex  eis  de  consensu  dicti  fratris 
Jacohi  ut  dictum  est,  in  predictis  supra  predictis  aut  circa  predicta 
vel  in  dependentibus  ab  eisdem  dixerint,  providerint,  vel  aliqualiter 
ordina verint  (l). 

-   N.®  44.  1346,  di  gennaio 

MemoWa  della  Tavola  dell'altare  della  Compagnia  del  Gesù  Pellegrino^ 
che  si  adunava  sotto  la  chiesa  di  S.  Maria  ttfovellay  data  a  di- 
pingere a  Piero  chiamato  Ghiozzo. 

Da  una  copia  dell'antiquario  Gioi  Batista  Dèi, 
coaseirau  neW  .archivio  di  Stato  di  Firenze, 

Al  nome  di  Dio  e  della  sua  benedetta  Madre,  Amen. 

Quie  appresso  faremo  memoria  della  Tavola  la  quale  istarà  sopra 
r  altare ,  et  chi  la  pagherane  e  '1  dipintore  chella  farane  et  quello 
chosterane. 

Chostò  la  Tavola  di  lengniame  choUa  predella  et  choUe  colonne 
fiorini  d'oro  5,  paghoUi  Filippo  Niccoli  di  suo  per  l'amore  di  Dio. 

Essi  data  a  dipingniere  la  detta  Tavola  a  Piero  di  culliari  (?)  (2) 
chiamato  Chiazzo.  Fece  choUui  il  merchato  Filippo  Niccholi  et  Piero 
Rinaldi  :  della  quale  tavola  et  predella  e  colonne  chiese  fior:*^  xx 
d*oro  a  metterla  tutta  di  fino  oro,  cioè  la  tavola  et  la  predella;  et 
le  colonne  d'altro  oro  et  non  fine. 

(1)  A  questo  stesso  Paolo  di  Giovanni  scultore  fiorentino»  di  cui  tacque 
fino  a'  nostri  giorni  la  storia,  furono  date  a  fare  con  istrumenti  de'  7  e  de*  9 
di  gennaio  1329  altre  statue  per  ornamento  della  porta  a  S.  Pier  Gattolini, 
oggi  Romana.  I  quali  istrumenti  si  possono  leggere  stampati  nel  Voi.  Ili , 
pag.  282,  del  Giornale  storico  degli  Archivi  Toscani.  Firenie,  Galileiana  1859. 

(2)  Nessuno  altro  ricordo  di  questo  pittore  abbiamo  trovato  nelle  scrit* 
ture  contemporanee.  Della  Tavola  fatta  da  lui  per  la  Compagnia  del  Gesii 
Pellegrino,  nella  quale  era  rappresentata  nel  mezzo  Nostra  Donna  col  Divin 
Figliuolo,  e  dalle  bande  i  Santi  Filippo  e  Zanobi»  non  si  sa  che  ne  sia  stato^ 
e  crediamo  cbe  sia  perduta. 


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—  230   — 

Profertoffli  fue  per  Filippo  fiorini  XVI.  Bimisesi  in  Piero  Ri- 
naldi^ che  sella  sa  bene,  chelgli  dovesse  sentenziare  quello  cbalui 
piacesse. 

Anne  auto  il  detto  Piero  dipintore  da  Piero  Rinaldi  fior:''  tre. 

Anche  n*ha  auto  il  d.*  Piero  dal  detto  Piero  RinàUU  fior:**  d*oro  ij. 

Anche  ha  auto  il  detto  Piero  dal  detto  Piero  fior:**  ij. 

Memoria  di  quelli  della  Compagnia  che  meleranno  nella  d.* 
Tavola  a  farla  dipignere. 

Ane  chiesto  Filippo  Niccoli  di  fare  dipingnere  di  suo  nella  detta 
tavola  due  Santi ,  cioè  San  Filippo  e  S.  Zanobio.  Ebbe  Piero  Ri^ 
naldi  fiorini  iiij  doro. 

Ane  chiesto  Ser  CitUo  Cecchi  et  Piero  Rineddi  il  compasso  di 
mezzo  della  detta  Tavola,  e  farla  dipignere  da  loro  e  farvi  la  Nostra 
Donna  chol  Figliuolo. 

A  dato  Ser  Ctt^o  a  Piero  fiorini  doro  i. 

Ane  dato  Piero:  ebe  il  dipintore  fior:"*l  doro. 

Ane  chiesto  Lapo  di  Cione  a  fare  dipignere  nella  detta  tavola 
uno  compasso  e  farvi  dipignei'e  Santo  Simone. 

N.*  45.  1346,  18  d'ottobre 

Angelo  di  Af*  Giovanni ,  pittore ,  afferma  che  dipinge  le  figure 
di  pietra  fatte  da  Paolo  di  M"  Giovanni  per  la  porta  di 
S.  Gallo  di  Firenze. 

ÀrehMo  dello. 
Rogiti  di  8«r  Banedetto  di  ]Cieb«le  da  Firente  (o  da  Pomino)  Protocollo  dal  ilKh  al  iS4S,  e  87. 

Die  ottavo  decimo  mensis  octobrìs. 

Acmm  apud  ianuam  sancii  Galli  de  Florenlia,  presentibus  te- 
stibus  Gerio  Bett%iccii  pop:  Sancti  Lanrentii  et  Geppo  Schiatte  po- 
puli  sanctorum  Appostolorum ,  Niecolao  Salvi  delle  BoniUe  pop: 
Sancti  Niccolai  et  aliis  ad  hec  vocatis  et  rogatis.  Pateat  omnibus 
evidenter  •  quod  Agnolus  pictor  olim  magistri  Johannis  pop:  S.  Pauli 
de  Florentia ,  òxxìl  et  asseruit  in  presentia  mei  Benedicti  not.  et 
testium  predictorum,  quod  ipse  pictor  pingit  et  ornai  figuras  lapidam 
relevatas  et  scultas  et  positas  ad  portam  Sancti  Galli,  ad  instantiam 
et  petitionem  et  preces  Pauli  magistri  Johannis  populi  sancte  Marie 
Novelle  de  Florentia^  magistri,  et  expensis  et  sumptibus  ipsius  Paulù 
Et  ego  Benedictm  notarius  vidi  dictum  Angelum  pingentem  dictas 
figuras  in  presentia  dictorum  testium.  Qui  Pofutus  rogavit  me  Bene- 
dictum  notarium  infrascriptum  ut  de  predictis  publicum  conficerem 
instrumentum  (l). 


(1)  Angelo  pittore  e  figliuolo  di  maestro  Giovanni»  è  detto  d'Arezzo  in 
un  Registro  dì  artefici  forestielri  che  dimoravano  in  Pirenie,  fatto  intorno 
al  1340.  Egli  è  ascritto  alla  Compagnia  di  S.  Luca  sotto  Tanno  1344,  e  posto 
tra  i  matricolati  all'arte  de'medici  e  speziali  nel  Libro  delle  matricole  dal 
1353  al  1386.  Di  lui  non  abbiamo  altra  notizia- 


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231    

N.*  46.  1348,   1  d'aprile 

Allogazione  a  Benci  di  Cione  maestro  di  pietra  e  di  legname  della 
costruzione  d*una  cappella  per  le  monache  di  S.  Maria  del  Fiore 
di  Fiesole  dette  di  Lapo. 

Jrehivio  detto. 
Rogiti  di  Ser  Assolino  di  Contnccino.  Protocollo  dal  Ì3i7  al  1349.. 

In  Xpi  nomine  Amen. 

Anno  eiusdem  Salutifere  Incarnatlonis  Millesimo  Trecentesimo 
quatragesimo  nono  ind:  secunda,  die  primo  mensis  aprilis.  Actum 
Florentie  in  populo  S.  Micchaelis  Vicedominorum,  presentibus  te- 
stibus  Niccholao  ser  Bonifatii  pop:  S.  Petri  maioris,  Johanne  Do^ 
nati  pop:  S.  Laurentii  et  Pepo  Lapi  de  Alfanis  pop:  S.  Michaelis 
Vicedominor.  -  Pateat  omnibus  evidenter  quod  -  Lapus  quond.  Gutl- 
lelmij  qui  vulgariter  nuncupatur  Lapo  da  Fiesole^  volens  intendere 
circa  hedificationem  cappelle  que  fieri  debet  per  virgines  reclusas 
S.  Marie  del  Fiore  de  Fesulis,  secundum  testamentum  et  disposi- 
tionem  quond:  Johannis  Gagnazzi  de  Gambasso,  super  podere  quod 
olim  fuìt  dicti  quondam  Johannis  ;  et  considerans  quod  per  Capi" 
uneos  Sotietatis  beate  Marie  Vireinis  della  Misericordia  de  Flo- 
rentia,  que  bedificata  fuit  sub  tituio  Sancti  Tobbie,  et  que  Sotietas 
facit  seppelliri  mortuos  et  plura  opera  pietatis  et  misericordie  exercet; 
provisum  fuit,  quod  de  denariis  diete  Sotietatis,  et  prò  remedio  ani- 
marum  illorum  qui  diete  soti etati  reliquerunt,  bona  seu  pecuniam 
ipsorum  deponerentur  penes  Jacopum  Dini  Guidi  et  Bartolomeum 
Guardi  inter  duas  vices  floren:  auri  quattuorcenti  quadraginta;  et 
quod  de  dictis  qaatuorcentis  quadraginta  florenis  auri  bedificaretur 
et  bedificari  fieret  per  dictum  Lapum  de  Consilio  Guidonis  del  Pe^ 
chora  et  Johannis  Andree  Guidi^  tunc  sotios  diete  Sotietatis  -  quedam 
cappella  longitudinis ,  amplitudinis  et  forme  de  quibus  eìsdem  vel 
maiori  parti  ipsorum  videa  tur  ;  in  qua  quidem  cappella  ponantur 
et  sint  acuite  ,  ita  quod  omnibus  respicere  volentibus  appareant , 
tres  lapides  in  quibus  sint  sculta  et  pietà  signa  diete  Sotietatis  Mi- 
sericordie, videlicet,  in  summitate  muri  ubi  est  colmignolum,  Tna,  et 
alie  dile  in  gronda  in  facie  anteriori;  ac  etiam  ibidem  scriptum  in 
facie  anteriori  et  supra  portam  qualiter  talem  cappellam  fecerunt  fieri 
Capitanei  diete  Sotietatis  prò  rimedio  animarum  illorum  qui  mortui 
sunt  et  diete  sotietati  aliquid  reliquerunt.  Et  volens  dictus  Lapus 
nomine  dictarum  monialium  ad  quorum  ìnterceptionem  deputata  est, 
dictam  intentionem  dictorum  Gapitaneorum  ad  eifectum  perducere, 
eo  quia  penes  dictos  Jacopum,  Dini  Guido  et  Bartholomei  Guardi 
dieta  pecunia  est  depositata  prò  dieta  cappella  construi  facienda  ac 
dicens  se  esse  de  ipsorum  Guidonis  et  Johannis  intentione  plenarie 
informatus ,  prò  se  ipso  et  vice  et  nomine  dictorum  Guidonis  et 
Johannis  ac  etiam  vice  et  nomine  diete  Sotietatis  -  locavit  ad  con- 
struendum  dictam  cappellam  infrascripto  modo,  et  cum  infrascriptis 
^  pactis  condictionibus  longitudine  et  amplitudine  et  modis  Bendo  filio 
quondam  Cionis  (1)  magistro  lapidum  et  lignaminis,  qui  moratur  Flo- 
rentie in  populo  S.  Aeparate,  videlicet  etc. 

(1)  Benci  di  Cione  maestro  di   pietre   ed  architetto  eccellentissimo,  da 
pochi  anni  stato  rivendicato  dal  lungo  ed  immeritato  oblio  alla  storia  dell'arte. 


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—  239  

Quod  dictus  Bencius  debeat  omnibus  et  singulis  suis  expensis  la- 
pidum,  lignaminum,  ferrorum^  calcine,  rene,  magisterii  et  omnium 
et  singularum  expensarum  circa  diete  cappelle  constractionem  occur- 
rentium;  dictam  cappellam  facere  longham  bracbia  viginti  otto  et 
largham  brach:  quattuordecim  ex  parte  interiori;  et  debeat  esse  alta 
in  angulo  interiori  in  gronda  seu  in  stillicidio  brachiis  quattuordecim; 
et  debeat  esse  fundata  super  terram  bracbiis  tribus:  quod  fundamentum, 
seu  quod  murtts  fundamenti  sit  grossus  yno  bracchio  cum  dimidio  et 
super  terram  sint  grossi  dicti  muri  diete  cappelle  yno  braccbio.  Et  in 
dieta  cappella  ex  parte  anteriori  sit  una  porta  cum  vno  pulcro  et  sujffi* 
cienti  limite  siue  soglare  et  cum  bonis  et  pulcris  pilastrellis  cum  yno 
bastone,  et  cum  becchatellis  isfogliatis,  et  supra  dictam  portam  sit  ynus 
pulcer  cardinalis  lapideus:  et  in  qua  cappella  sint  quinque  fenestre  fer- 
rate de  ferro  secundum  consuetudinem  finestrarum  que  fiunt  in  eccle- 
siis,  in  ea  yidelicet  parte,  et  Ulius  forme,  in  qua  parte  seu  partibus 
diete  cappelle,  et  eo  modo  quo  eisdem  Lapo  et  aliis  supra  nominatis 
yidebitur  et  placebit.  Que  cappella  et  muri  diete  cappelle  sint  tecti 
uno  pulcro  et  ydoneo  tetto  de  abiete  et  cum  cayallettis  piallatis  et 
regulatis  et  inbossolato  et  coperto  bonis  et  ydoneis  lastris  fesulanis. 
Guius  cappelle  facies  anterior  sit  rimboccbata,  rasa  à'cantoni  in  ea 
parte  muri  que  erit  supra  porticum  seu  dal  portico  in  su.  Et  quod 
dieta  cappella  ex  parte  interiori  sit  tota  imbrattata  a  cazzuola^  in  qua 
etiam  sit  ynus  corus,  cuius  cori  murus  sit  altitudinis  bracchiorum 
quattuor  ad  minus ,  computata  in  dieta  quantitate  quattuor  brac- 
chiorum, illa  parte  muri  que  erit  subtus  terram  prò  fundamento  : 
super  quem  murum  sit  quedam  pulcra  cornix  de  lapidibus  conciis:  — 
et  totum  solum  seu  totum  spazzum  diete  ecclesie  sit  smaltatura  et 
cum  illis  gradibus  seu  scaglionibus  qui  erant  necesse  prò  intrando 
in  corum  diete  cappelle.  Et  extra  dictam  cappellam  sit  ynus  gradus 
siye  scagiona  qui  sit  largus  per  tantum  spatium,  per  quantum  spatium 
erit  ampia  ianua  siye  porta  diete  cappelle ,  et  etiam  alìus  gradus 
qui  diyidat  yiam  a  platea  diete  cappelle  longus  per  tantum  spatium, 
quantum  est  largba  dieta  cappella.  Que  platea  anterior  diete  cap- 
pelle sit  lastricata  cum  lastris  bene  et  sufficienter.  Que  ianua  seu 
porta  habeat  et  habere  debeat  hostia  lignaminis  ylmi  et  impiallac- 
ciata de  assidibus  nucis  cum  aliquibus  confessis  et  cum  agutis  rile- 
yatis  et  yernichatis,  et  cum  illis  ferramentis  que  eruut  congrua  in 
illa  et  prò  illa  porta.  Supra  quam  portam  sit  ynus  porticus  sive  tettus. 

nacque  da  un  muratore  di  Como,  venuto  ad  abitare  in  Firenze.  Dove  apprese 
l'arte  dai  padre,  e  ben  presto  si  fece  valente  nella  scultura,  e  poi  nell  archi- 
tettura, e  fu  dalla  Repubolica  fiorentina  adoperato  nella  costruzione  de'  prin- 
cipali  edifizj  pubblici  che  a  suoi  tempi  s*  innalzarono,  come  nel  1345  insieme 
con  altri  nella  continuazione  del  palazzo  del  podestà,  e  nel  1349  in  compa- 
gnia di  Neri  Fioravanti  nell'  innalzamento  della  loggia  è  palazzo  d'Or  San 
Michele  e  della  cappella  dedicata  a  S.  Anna  edificata  nell'oratorio  d'Or  S.  Mi- 
chele in  memoria  della  cacciata  del  Duca  d'Atene.  Nel  1356  insieme  con  Fran- 
cesco Talenti  capomastro  di  S.  Reparata  fu  chiamato  a  Siena  per  vedere  i 
difetti  che  s'erano  scoperti  nella  fabbrica  del  duomo  di  quella  città»  e  prò-  , 
porne  i  rimedj.Ma  la  maggior  gloria  di  Benci  di  Cione  è  l'avere  architettalo 
la  maravigliosa  Loggia  de'  Priori,  cominciata  sulla  piazza  della  Signoria  di 
Firenze  fino  dal  1375,  il  cui  autore  da  Vasari  in  poi  è  stato  detto  VOrcagna, 
morto  certamente  nel  1368,  cioè  sette  anni  innanzi  che  si  desse  mano  a  quella 
fabbrica.  Morì  Benci  di  Cioncy  essendo  assai  vecchio,  nel  i388. 


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233   — 

laboratus  cum  similibus  lìgnaminibus^  quibus  erit  constructus  et  la- 
boratus  tectus  diete  ecclesie  seu  cappelle,  largus  per  tria  bracchìa 
et  longas  per  tantum  spatium  quantum  est  seu  erit  largha  dieta 
ecclesia  seu  cappella.  Et  sint  etiam  in  dieta  cappella,  et  ipse  Bencius 
facere  debeat,  duo  bostia,  per  unum  quorum  eatur,  seu  iri  possit  de 
dieta  ecclesia  ad  et  in  domum  veterem  dicti  poderis,  et  que  domus 
erat  iuxta  dictam  cappellam  cum  una  scala  apud  dictum  bostium 
per  quam  scalam  eatur  et  iri  possit  in  palcum  dictarum  domorum;  et 
per  aliud  bostium  eatur  et  iri  possit  in  domum  mansionis  seu  ha- 
bitationis  presbiteri  qui  morabitur  ad  offitiandum  dictam  cappellam. 
In  qua  quidem  cappella  idem  Bencius  ponere  et  infigere  debeat  vnum 
lignum  bonum  et  decens  prò  ponendo  super  ipso  ligno  tabulas  pietas 
et  picturas  diete  ecclesie  ;  ac  etiam  facere  in  dieta  ecclesia  intus 
circum  circa  iuxta  muros  diete  ecclesie  ynum  murum  seu  segbettam 
prò  sedendo,  et  super  quo  sive  qua  sedeant  et  sedere  possint  stantes 
in  dieta  ecclesia,  et  dictam  ecclesiam  visitantes ,  copertam  seu  co- 
pertum  de  lastroncèllis  de  macigno  concis  et  bonis.  Quam  cappellam 
dictus  Bencius  magister  debeat  teneatur  et  adstrictus  sit  complevisse 
et  ipsam  cappellam  modis  et  cum  ordine  supradictis  compiere  et  per- 
ficere  promisit  et  dare  completam  et  perfectam  bine  ad  sex  menses 
proxime  venturos,  uel  in  dictum  tempus  ad  terminum  sex  mensium. 
Et  habere  et  percipere  debeat  idem  Bencius  prò  emendo  lapides  , 
mattones,  calcinam,  renam,  ferramenta,  lastras,  assides  lignaminis 
et  omnia  sibi  necessaria  prò  perfectione  diete  cappelle  ,  ac  etiam 
prò  magisterio  et  factura  diete  cappelle,  fior:  auri  quattuorcentos  qua- 
draginta  bonos  et  legales  retti  ponderis  et  conii  fiorentini,  eo  modo 
et  forma  et  quando  et  prout  videbitur  dictls  Lapo  et  Guidoni^  dum 
taraen  ipsos  quattuorcentos  quadraginta  fior:  auri  ipse  Bencius  habere 
debeat  integraliter,  etc.  etc. 

1349,   22  aprilis. 

Actum  Florentie,  presentibus  testibus  ser  Nerlo  ser  Donati  pop: 
S.  Laurentii  et  Stagio  Mini  populi  S.  Petri  maioris  et  aliis.  Bar- 
tholus  Gardi  civis  et  mercator  florentinus,  prò  se,  et  Jacopo  Bini  Guidi 
eius  sotio  fuit  in  ventate  confessus  habuisse  et  recepisse  in  depositum 
et  accomandigiam  a  Francisco  Lapi  Bonagiunte  de  Florentia  capi- 
Caneo  sotietatis  Misericordie  dante  de  pecunia  diete  Sotietatis,  fior: 
auri  trecentos  eisdem  sotiis  alias  depositatos  nomine  diete  Sotietatis 
prò  construendo  cappellam  Sancti  Jobannis  Evangeliste  que  fieri 
debet  et  locata  est  ad  construendum  Bendo  Cionis  magistro  super 
podere  Johannis  Cagnazzi  de  Gambasso  prò  pretio  et  mercede  fioren; 
auri  ccccxL,  promictens  ipso6^  solvere  dicto  Bendo  magistro,  quando 
et  prout  de  voluntate  et  conscieniia  Guidonis  Bini  et  Andree  Guidi 
campsorum  fiorentinorum  processerit,  quibus  est  commissa  per  Ch- 
pitaneos  diete  Sotietatis  ordinatio  et  sollicitudo  perfectlonis  diete 
cappelle  (l). 


(i)  Fuori  della  porta  a  San^allo,  sulla  via  cbe  conduce  al  ponte  alla  Badìa, 
esiste  sempre  la  chiesa  mutata  in  gran  parte  dalla  primitiva  forma,  della  quale 
parla  il  presente  docomento,  ed  è  annessa  al  convento  di  monache  chiamato 
di  S.  Maria  del  Fiore,  e  volgarmente  di  Lapo,  dal  suo  fondatore. 

32 


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—   234  — 

N."*   47.  1350,    13  di  luglio 

Quietanza  di  J&f.^  Neri  Fioravanti  della  somma  di  200  fior:  dCoro 
ricevuti  per  la  costruzione  della  cappella  Falconieri  ai  Servi 
di  Firenze. 

JrehMo  detto. 
Rogiti  di  Ser  ▲«•olino  di  Goatoedno.  Protocollo  dal  iSi9  al  1350. 

Nerius  quondam  Fioravantis  magister  lapidum  et  lignamìnis  ^ 
fuit  confessus  habuisse  et  recepisse  ab  Andrea  quond:  Nerii  Lippi 
pop.  S.  Michaelis  Vicedominorum  dante  el  solvente  de  pecunia  So- 
tietatis  Orti  S.  Michaelis  penes  ipsum  deposita  prò  construi  faciendo 
quandam  cappellani  in  ecclesia  Fratrum  Servorum  S.  Marie  de  Fio- 
renti a  secundum  formam  testamenti  et  vltime  voluntatis  condite  et 
facte  per  Ghiarissimum  quondam  Alberti  de  Falconeriis,  fior:  auri 
ducentos  bonos  et  legales  tam  prò  constructione  diete  cappelle,  qnam 
prò  expensis  diete  cappelle,  lapidum,  lignaminis,  calcine  et  fìilci- 
menti  diete  cappelle. 

(Continua) 

XLo 

DESCRIZIONE 

DI  TUTTE  LE  COLONNE  ED  OBELISCHI 

CHE  TEOVANSI  NELLE  PIAZZE  DI  ROMA 

DISPOSTA   IN   FORMA   DI   GUIDA 
DA    ANGELO    PELLEGRINI 

MCMBBO    DELI'IHSTITOTO    DI   COttlSPONDBHSA    ABCSCOLOAICA 

Continuazione  (1) 
PARTE  II. 

OBELISCHI 

Dopo  TEgittOi  dove  gli  obelisclii  furono  inventati,  Roma  h 
la  città  che  ne  contiene  maggior  numero,  vedendosene  dodici 
in  piedi  uelle  sue  piazze  principali,  ed  in  alcuni  de*suoi  giardini. 

Non  si  conosce  il  nome  antico  egizio  di  queste  moli  di 
granito  rosso,  poiché  quello  di  obelisco  h  greco  o^tXtcnogj  di- 
minutivo di  o^tloq^  spiedo  f  e  radice  di  questo  ^eXog,  dardo ^ 
saetta  ,  fulnUne  ,  e  per  questa  medesima  ragione  dal  volgo 
chiamansì  Aguglia^  e  Guglia^  ed  i  Francesi  Aiguille  (2).  Plinio 
parlando  del  granito  sienite  rosso  dice  che  i  re  d'Egitto  fecero 
travi,  cha  chiamarono  obelischi,  consagrati  al  sole,  e  perciò 
ebbero  la  forma  di  raggi  (3),  ed  Ammiano  (4)  narra  che  i  re 

(1)  Vedi  Quaderno  precedente,  pag.  212. 

(2)  Ved.  Herodoti  Halicamassei,  Hist.  Lìb.  Il,  cap.  UH,  e.  170  e  41. 

(3)  Plinio,  Hist.  Nat.,  Lib.  XXXV,  cap.  VHI  e  XIH,  dice  che  raggio 
signiflcava  il  nome  egizio. 

(4)  Ammiano,  Lib.  XVII,  e.  4. 


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235  — 

di  Egitto  consacrarono  gli  obelischi  ad  onor  degli  dii»  e  che 
nella  forma  imitavano  il  raggio.  Dice  che  si  cavavano  rozzi, 
venendo  poi  levigati  dagli  artefici  che  li  ricoprivano  di  ge- 
roglifici da  tutle  le  sue  partii  ed  indica  la  varietà  delle  figure, 
non  dicendo  come  Plinio  (i)  che  queste  contenevano  la  inter- 
pretazione della  natura  delle  cose  secondo  la  filosofia  degli 
Egizii ,  ma  che  mostravano  voti  ,  o  fatti  compiuti  dai  re. 
Finalmente  dice  ,  come  poi  si  è  scoperto  ,  che  erano  come 
gruppi  ognun  de* quali  conteneva  nomi  e  verbi,  e  reca  per 
esempio  la  figura  àéìV  avvoltojo  ,  colla  quale  indicavano  la 
natura,  e  come  per  Tape  in  atto  di  fare  il  miele  esprime- 
vano il  re,  alludendo  che  egli  modera  e  governa. 

Ermapione  sacerdote  egizio  ci  lasciò  la  spiegazione  dell'i- 
scrizione  a  geroglifici  dellobelisco  di  Ramsés  III,  o  Sesostri, 
ora  esistente  sulla  piazza  del  Popolo ,  il  cui  testo  greco , 
come  i^edremo  in  appresso,  fu  riportato  da  Ammiano.  In  Egitto 
furono  eretti  sempre  dinanzi  al  pilone  de'  templi  ,  finché  i 
costumi  non  vennero  alterati  per  la  dominazione  degli  stra- 
nieri. Gli  obelischi  in  Roma  dei  re  d'Egitto  sono  quattro, 
e  gli  altri,  compresi  i  tre  senza  geroglifici ,  furono  tagliati 
in  tale  vasta  regione  dell'Africa  durante  la  dominazione  ro- 
mana ,  dopo  la  conquista  fatta  da  Augusto  che  fu  il  primo 
a  trasportare  queste  moli  in  Roma. 

Plinio  calcola  molto  la  difitcolta  del  rimuovere  e  traspor- 
tare questi  monoliti,  e  come  fu  opportuno  costruir  bastimenti 
da  eccitare  l'ammirazione  de'contemporanei. 

OBELISCO  LATERANENSE 

Tornando  al  foro  Trajano  e  quindi  per  le  vie  Alessan- 
drina e  del  Colosseo,  si  giunge  nella  piazza  minore  di  s.  Gio- 
vanni in  Laterano ,  che  è  abbellita  nel  mezzo  dalP  obelisco 
pregevolissimo  egizio  che  sorpassa  gli  altri  in  antichità  ,  e 
li  supera  di  mole.  Thutmes  IV  il  Moeris  d'Erodoto,  che  re- 
gnava in  Egitto  Tanno  1740  innanzi  l'era  volgare,  innalzò  due 
obelischi  dinanzi  al  tempio  grande  di  Tebe,  cioè  all'immenso 
monumento  di  Karnac  o  di  Amonra,  per  stare  avanti  ai  due 
baluardi  del  santuario,  TrpovuXata,  i  propilei,  come  dall'iscri- 
zione in  geroglifici  in  uno  di  essi  rilevasi.  Fu  I'  ultimo  ad 
essere  trasportato  in  Roma,  togliendolo  da  tal  sito  l'impera- 
tore Costantino  Magno. 

(1)  Lib.  XXXVII,  cap.  Vili, 


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836   — 

Egli,  sci:onclo  Ainmiano  Marcellino  (i),  lo  fece  per  il  Nilo 
trasportare  ili  Alessandria,  destinandolo  ad  ornamento  di  Roma, 
ma  nel  punto  che  doveva  imbarcarsi  l'imperatore  morì.  Suo 
figlio  Costanzo  fece  eseguire  il  trasporto.  Tanno  dell'era  vol- 
gare 357,  dopo  circa  20  dalla  morte  di  suo  padre,  il  quale 
lo  fé  sbarcare  nelTanzidetta  citta  in  cui  venne  costrutta  una 
nave  da  doversi  condurre  da  300  rematori.  Messo  a  terra  dal 
fiume  Tevere  a  tre  miglia  lungi  da  Roma  sulla  via  Ostiense, 
ove  era  il  borgo,  l^icus  jilexandri^  l^gg^^^  ^^  Ammiano  citato 
il  viaggio  che  gli  fu  fatto  fare  a  traverso  delTA ventino,  dopo 
entralo  dalla  porta  Ostiense  ,  sopra  uno  strascino  tirato  da 
cu  ioli;  da  dove  per  la  regione  Piscina  Publica  fu  introdotto 
nel  Circo  Massimo  in  cui  si  era  destinato  d'innalzarlo. 

Ivi  si  fecero  castelli  di  legno  per  la  grande  difficolta  di 
erigerlo,  a  segno  che  non  era  sicura  la  riuscita.  Sembrava 
un  bosco  di  macchine,  ed  alle  travi  del  castello  furono  at- 
taccati tanti  canapi  e  funi,  che  essendo  in  direzione  diversa, 
presentavano  1*  aspetto  di  una  rete  che  copriva  il  cielo.  A 
forza  di  migliaia  denomini  che  davano  leva  alla  mole,  si  vide 
innalzarsi  nel  mezzo  del  circo.  Narra  finalmente  Ammiano  che 
vi  fu  posta  ad  ornamento  nella  sommità  una  sfera  di  metallo 
dorato  ,  ma  che  questa  essendo  colpita  da  un  fulmine ,  gli 
venne  sostituita  una  face  pure  di  bronzo  dorato. 

È  incerto  quando  avvenisse  la  sua  caduta  ,  ma  che  la 
sua  rovina  fosse  cagionata  da  un  incendio,  chiaramente  si  vide 
quando  venne  disotterrato  d'ordine  di  Sisto  V  Tanno  1587. 

Dice  il  Mercati  che  si  trovò  presente  a  quel  cavo,  che 
ne  furono  tagliati  circa  quattro  palmi  nella  estremità  infe- 
riore per  poter  con  sicurezza  rialzarlo^  e  che  fu  trovato  circa 
dieci  palmi  sotto  terra  rotto  in  tre  pezzi.  Lo  scavo  si  fece 
sotto  la  direzione  di  Matteo  da  Castello,  dicendo  Flaminio 
Vacca  nelle  Memorie^  n.  5,  dedicate  a  Simonetto  Anastasii: 
Ancorché  f^.  S.  si  ricordi  che  nel  Cerchio  Massimo^  si  sono 
traiate  due  Guglie^  una  dirizzata  da  Sisto  f^.  nella  Piazza 
Lateranensey  e  Valtra  nella  piazza  di  S.  Maria  del  Popolo^ 
nondimeno  è  bene  farne  menzione^  come  cosa  notabile',  come 
anche  di  quelli  gran  Condotti  di  piombo^  e  f^olte  che  erano 
intorno  al  detto  Cerchio  ricettacolo  delle  Barche^  nelle  quali 
ho  ifeduto  alcune  rotture  nel  muro,  dw^e  staffano  anelli  di 
metallo ,  dei  quali  gli  antichi  si  servivano  per  imbrigliare 
le  barche^  ed  essendo  rubati  ne  rimase  parte  lì  in  margine 

Rerum  Gestarumr  Lib.  XVII,  cap.  IV. 


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237   — 

nel  muro  quali  ho  \fistL  Si  trovò  ancora  una  gran  Cloaca^ 
quale  smaltisca  le  acque  che  camminavano  verso  il  Tevere; 
non  è  dubbio  alcuno  ,  cfie  si  sarebbero  trovate  gran  cose 
ma  ^inondazione  delf acque  impedirono  Matteo  da  Castello, 
che  vi  cavava,  e  non  si  potè  vedere  altro. 

Questo  Matteo  da  Castello  h  colui,  che  si  accinse  a  con- 
durre Tacqua  Felice  in  Roma,  ma  infelicemente,  avendo  inu- 
tilmente spesi  centomila  scudi  ,  per  il  che  fu  rimosso  da 
Sisto  V|  sostituendogli  Tarchitetto  Giovanni  fratello  di  Do- 
menico Fontana,  come  si  ha  dal  Cassio,  Corso  deW jicque. 
Par.  I,  pag.  3i3. 

Per  rialzarlo  nella  piazza  di  cui  parliamo ,  Sisto  V  si 
servi  del  già  nominato  celebre  architetto  cav.  Domenico  Fon- 
tana ,  come  da  tutti  si  conosce  per  memorie  e  tradizioni  , 
^Tenendo  pure  ciò  detto  nella  sua  vita  scritta  dal  Baglioni. 
Questi  prima  di  dirizzarlo  lo  fece  restaurare  col  granito  del 
suo  piedestallo^  sul  quale  era  T iscrizione  conservataci  dal 
Grutero,  p.  CLXXXVI,  n.  3,  che  la  prese  da  Angelo  Rocca. 
Esso  collocò  nella  Biblioteca  Vaticana  un  modello  di  questa 
base  prima  che  dal  Fontana  venisse  distrutta. 

Tale  iscrizione  ne  apprende  contro  ciò  che  dice  Ammìano 
Marcellino  più  volte  citato,  cioè  che  Costantino  non  voleva 
trasportare  l'obelisco  in  Roma,  ma  a  Costantinopoli;  ed  inoltre, 
che  questo  arrivò  mentre  Roma  era  dominata  dal  tiranAo  Ma- 
gnenzio,  che  ivi  per  derisione  viene  appellato  Taporo,  poiché 
presso  Elena  castello  dei  Tapoti  popoli  della  Cantabria  pros* 
si  mi  ai  monti  Pirenei  uccise  Costante  fratello  di  Costanzo  , 
cioè  Tanno  3fS3  in  cui  morì  il  suddetto  tiranno.  Ma  secondo 
A  m  mia  no  allegato  Tobelìsco  non  fu  eretto  se  non  Vanno  357 
e  Tiscrìzione  diceva  sulla  faccia  rivolta  a  mezzodì: 

PATRIS  .  OPVS  •  MVNVSQVB  .  SUUm  *  TIBl  •  ROMà  .  DIGàViT 

AVGVSTVs  .  toto  .  Constanrws  .  orbe  •  regepto 

ET  .  QVOD  .  IfVLLà  .  TVLIT  •  TELLVS  •  MEC  •  VIDERAT  •  AETAS 

CONDIDIT  .  VT  .  CLARIS  •  ElkeqUCt  .  DONA  .  TRIVMFIS 

HOC  .  DECVS  .  ORI! ATVM  •  GENITOR  .  COGNOMINIS  •  VRBEM 

ESSE  .  VOLENS  .  CAESA  .  THEBIS  •  DE  RVPE  .  REVELLIT 

sopra  quella  rivolta  a  levante: 

SED  .  GRAVIOR  .  DIVVM  .  TANGEBAT  •  CVRA  .  VEHENDI 

QVOD  .  NVILO  •  INGENIO  •  NISVQVE  .  MANVQVE  .  NOVERI 

CAVCASEAM  .  MOLEM  .  DISCVRRENS  .  FAMA  .  MONEBAT 


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—    238   — 
AT  .  DOMINVS  -  MVNDI  .  CONSTANTIVS  .  OMNIA  .  FRETVS 

CEDERE  •  VIRTVTI  .  TERRIS  .  INCEDERE  .  IVSSIT 
HAVD  .  PARTEM  .  EXIGVAM  .  MONTIS  .  PONTOQ  •  TVMENTI 

sopra  quella  rivolta  a  tramontana: 

cREDiDiT  .  ET  .  PLACIDO  •  vexeruTit .  aequorac  .  flyctv 

LITVS  .  AD  .  BESPERIVM  .  lìberi  .  MIRANTE  .  CARINAM 

INTEREA  •  ROMAM  .  TkpOKO  .  VASTANTE  .  TYRANNO 

AVGVSTI  .  lACYIT  .  DONVM  .  STVDIVMQVE  .  LOCANO! 

NON  .  FASTV  .  SPRETI  .  SED  •  QVOD  •  NON  .  CREDERBT  .  VLLVS 

TANTAE  .  MOLIS  •  OPVS  •  STPERAS  .  CONSVRGERE  •  IN  •  AYRAS 

sopra  quella  rivolta  a  ponente: 

NVNC  .  VELVTI  .  RVRSVS  .  HV/ls  .  AVVLSA  .  METALLIS 

EMICVIT  .  PVLSATQ  •  POLOS  .  HAEO  .  GLORIA  .  DVDVM 

AVGTORI  .  SERVATA  .  SVO  .  CUÌÌl  .  CAEDE  .  TYRANNI 

REDDITVR  .  ATQVE  •  ADITV  •  KOmae  .  YIRTUTE  •  REPERTO 

VICTOR  .  OVANS  .  vRBiQae  .  locat .  Sublime  .  tropaevm 

PRINCIPIS  .  ET  .  MVNVS  .  CONDIgmV  .  l'SQVE  •  TRIVMFIS 

Delle  iscrizioni  moderne  postevi  nella  nuova  base  da 
Sisto  V^  leggasi  nella  Caccia  rivolta  alla  basilica  di  s.  Maria 
Maggiore; 

SIXTVS  .  V  .  PONT  .  MAX 

OBELISCVM  .  HVNC 

SPECIE  .  EXIMIA 

TEMPORVM  .  CALAMITATE 

FRACTVM  ■ 

CIRCI  .  MAX 

A  .  RVINIS  .  HVMO 

LIMOQVE 
ALTE  .  DEMERSVM 
MULTA  •  INFENSA 

EXTRAXIT 

HVNC  .  IN  .  LOCVM 

MAGNO  .  LABORE 

TRANSTVLIT 

FORMAEQVE  .  PRISTINAE 

ACCVRATE  .  RESTITVTVM 

CRVCI  .  INVICTISSIMAE 

DICAVrT 

A  .  M  .  D  .  LXXXVllI 

PONT  .  IV. 


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Verso  r  Ospedale: 


—  S39  — 


FL  .  COSTANTmVS 

MAXIMVS  .  AVG. 

CHRISTIANAE  .  FIDEI 

VINDEX  •  ET  .  ASSERTOR 

OBELISCYM 

AB  .  AEGYPTIO  •  REGE 

mPVRO  .  VOTO 

SOLI  .  DIGATVII 

SEDIBYS  .  AYVLSVM 

SYIS 

PER  .  NILVM 

TRANSFERRI 

ALEXANDRIA!      ' 

JYSSIT 

VT  .  NOYAM  .  ROMAN 

AB  .  SE  .  TYNG 

GON0ITAM 

EO  •  DECORARET 

MONYIIENTO 


Verso  la  basilica  Lateranense: 


GONSTANTINYS 

PER  .  CRYCBM 

YJCTOR 

A  .  S  .  SILVESTRO 

BIG  .  BAPTIZATYS 

CRYCIS  .  GLORIAI! 

PROPAGAYIT 


Verso  la  Scala  Santa: 


FL  .  CONSTANTIYS  •  AYG 

CONSTANTINI  .  AVG  .  F. 

OBELISCYM  .  A  .  PATRE 

LOCO  .  SVO  .  MOTVll 

DIVQVE  .  ALEXANDRIA 

lACENTEM 

TRECENTORVM  .  REMIGVM 

IMPOSITVM  .  NAVI 

MIRANDAE  .  VASTITATIS 

PER  .  MARE  .  TIBERIMQYE 

MAGNIS  •  MOLIBVS 


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240   — 

ROMÀM  .  CONVECTTM 

IN  .  CIRCO  .  MAX. 

POREIfDVII 

S  •  P  •  Q  •  R  •  D  •  D. 

Passiamo  ora  alle  ìscrìzioDÌ  egizie  in  geroglifici,  secondo 
rUngarelli»  Interpretatio  Obeliscorum  Urbis  ^  rimettendomi 
ad  ogni  correzione  che  per  il  progresso  degl*  interpreti  si 
potrebbe  fare. 

FACCIA    MERIDiONALB  *-  PlRAMIDB 

ite,  Sole^  riparator  delle  terre,  donatore  della  vita^  di- 
letto di  Ammone  sole,  del  signore  dei  troni^  e  delFuno,  e 
V altro  mondo  signore  del  cielo. 

A  sinistra  sopra  il  Dio: 

Dona  la  9Ìta^  la  fermezza,  la  purità  tutta,  A'mmon-Atmù. 

A  destra  sopra  il  re: 

Figlio  del  Sole  Thutmes  donatore  della  vita  a  guisa 
del  sole  in  perpetuo. 

A  sinistra  sopra  il  Dio  (i): 

Donatore  della  vita  perfetta  y  e  di  tutta  la  fermezza  e 
purità^  Ammon-ra  padrone  dei  troni  dei  due  Egitti^  signore 
del  cielOf  che  dimora  nelle  sedi  di  Tebe. 

A  destra  sopra  il  re: 

Be  sole  riparator  della  terra j  figlio  del  sole  Thutmes^ 
dando  tutta  la  vita,  come  il  sole  in  perpetuo. 

Sotto  i  donativi 

Agita  la  libagione. 

Colonna  dì  mezzo 

L'immagine  delPuccello  di  rapina  che  insiste  al  vessillo 
da  princìpio  a  questo  senso: 

Har-óér-phrè  forte^  che  domina  in  questa  regione  della 
purezza,  e  della  giustizia. 

Signore  della  superiore  ed  inferiore  regione ,  giocondo 
nel  regno  come  in  cielo  il  sole. 

Oro  splendente  9  diòtributore  dei  domint,  custode  della 
doppia  vigilanza. 

(1)  iDtendesi  delle  due  figure  che  ivi  si  veggooo  tagliate. 


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~   241    — 

Re  sole  riparatore  della  terra  ^  conosciuto  col  sole  figlio 
del  sole  Thutmes  benemerito  delV Egitto. 

Fece  perenne  il  suo  edificio  al  padre  Ammon-ra  al  si- 
gnore dei  tròni  d'ambedue  gli  Egitti. 

Eresse  ad  onore  di  lui  VObelisco  altOj  che  tocca  il  cielo. 

Edificò  il  tempio  ad  ampliamenti  di  Tebe  ,  ha  princi- 
piato collo  stabilire  un  eccellente  obelisco  nella  regione  della 
purità  e  della  giustizia. 

FACCIA   ORIENTALE  -  PIRAMIDE 

Ammon-ra  re  degli  dei. 

A  destra  sopra  il  re: 

Buon  Dio  sole 9  riparatore  della  terra,  vivificatore  in 
perpetuo. 

Il  prenome  regio,  come  si  vede  nelle  quattro  faccie  dell'o- 
belisco, sì  compone  di  un  globo,  di  un  oggetto  merlato  e 
di  uno  scarabeo;  leggendosi  ph-mn-to,  cioè  Remento  sole  sta- 
bilitore  del  mondo. 

Il  nome  poi  è  formato  dalPuccello  Ibis^  che  si  vede  nel 
prossimo  cartello,  simbolo  di  Thout  sopra  una  pertica  accom- 
pagnato dalle  lettere  £  M  2»  e  cosi  si  compone  ThoutmeSy 
e  dai  simboli  del  bene ,  e  del  mondo ,  cioè  beneficatore  del 
mondoj  o  dei  mondi,  titolo  formato  da  una  specie  di  pala, 
e  dallo  scarabeo  accompagnato  dal  segno  plurale  III ,  onde 
esprimere  mondi. 

NELLA  Colonna  di  mezzo 

Har-6er-phré ,  amico  del  sole  ,  signore  della  regione 
australe. 

Signore  della  inferiore  j  e  superiore  regione  che  guarda 
r impero  della  giustizia j  e  al  mondo  caro. 

Sole  risplendente,  custodiente,  re,  sole  della  terra ^  ri- 
paratore  diletto^  sforzi  del  sole  Ammoniaci^  mentre  i  suoi 
edifizi  amplificasse^  per  le  gloriose  azioni  di  coloro  che  pri- 
mieramente abitarono  questa  casa  ;  nel  mondo  terrestre 
niuna  similitudine  di  tale  edificamento. 

FACCIA    ROREALE  -  CoLONNA   MEDIA 

Har-óer-phré  forte^  amico  del  sole^  signore  della  regione 

superiore  ed  inferiore^  grande  spirito  nelle  universe  terre. 

Sole  splendente j  grande  colla  forza  che  percosse  i  Libi. 

33 


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—  848  

Re  sole  riparatore  della  terra  ,  figlio  di  Aminone ,  e 
della  stessa  progenie. 

Il  quale  lo  partorì  a  lai  Mot  (i)  nella  terra  con  forti 
membra  i  e  si  diletta  con  lui. 

figlio  del  sole  Thutmes ,  base  del  mondo  Ammon-ra , 
amico  delVunoj  e  f altro  Egitto  del  signore  dei  troni,  dona- 
tore  della  ulta  come  U  sole. 

FACCIA    OCCIDENTALE  -  PlRAMIDB 

Ammon-ra  facendo  lui  perfetto^  Ammoo-ra  dona  la  vita 
ed  ogni  perfetta  tutela  ,  signore  dei  troni  et  ambedue  gli 
Egitti,  e  custode  degli  altri  dei. 

Colonna  di  mezzo 

Har-óer-phré,  forte,  che  domina  nella  verità,  e  nella 
giustizia,  re  riparatore  della  terra. 

AmmoDe  glorificando  nel  suo  astro  risplendente,  nelle ^ 
sedi  di  Tebe. 

Aminone  fa  perfetto  quello  nel  reggere  le  dominazioni, 
il  cuor  di  lui  si  amplia  per  lo  sforzo  del  suo  figlio  giocon-- 
damente  regnante  ,  è  a  se  gli  amici  come  per  dono  della 
sua  fermezza  animati,  non  che  della  sua  virtù  divina}  del 
signore  che  avanza  questa  allegrezza  delle  due  solennità, 
del  Sole  figlio  Thutmes  base  del  mondo  .  .  . 

PACCiA   AUSTRALE  -  CoLONNA    A   SINiSTBA 

Sopra  il  re: 

Dio  buono  sole  riparatore  della  terra  ,  figlio  del  Sole 
Thutmes  signore  dei  dominj  ;   dando  la  vita  come  il  Sole. 

Ricevi  la  vita  che  sporgo  alle  tue  narici. 

Re,  signore  faciente  altre  cose,  il  sole  riparator  delle 
terre,  che  ama  Ammone. 

Ecco  perchè  la  sua  Maestà  procurò  di  ornare  i  due 
Obelischi  insigni,  grandi,  e  singolari,  come  facesse  còla- 
zione  al  padre  Re  sole  riparatore  della  terra,  per  le  vit- 
torte  nate  della  sua  Maestà. 

Questo  obelisco  lapideo 

anni  XXXf^  di  allegrezza . 

in  luogo  meridiano  della  terra  dove  la  sede  Toph  appresso 
la  parola  del  padre  ,    io  di  lui  figlio   il   medesimo  fondai 

(\)  Imau  dea  tutelare  della  città,  Sais  oeirEgitto  inferiore»  la  Minerva 
dei  Greci. 


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—  243   — 
descritto.  L* iscrizione  pertanto  col  cognome  del  mio  avolo 
del  divo  buon  sole  stabilente  il  mondo. 

Lavoro  del  re  signore  dei  due  mondi  ^  Sole  riparatore 
delie  terre  amico  del  sole  preferì  portare  il  titolo  del  di-- 
letto  Sole  j  acciò  perenne  facesse  il  nome  del  nonno  Dio- 
spoleos  (Aflimon-ra). 

Fece  il  figlio  del  sole  Thulmes  dominatore  dei  dominanti 
donator  della  vita. 

Base: 

Signore  delfuno^  e  Valtro  mondOf  signore  dei  diademi^ 
sole  custode  della  verità  approvato  dal  sole  diletto  di  Am- 
mone  Ramses,  donatore  della  vita  come  il  sole. 

A  sinistra  sopra  il  dio: 

Ammon-ra  sole  della  duplice  regione  dio  Atmù  signore 
del  cielo. 

Sulla  destra  sopra  il  dìo: 

Signore  dei  troni sole  delta  doppia  re- 

gioncy  dio  grande  padrone  del  cielo. 

FACCIA    ORIENTALE  -  CoLONNA    A    SINISTRA 

Office      .     .     .     alb.  facendo  lui  donatore  della  vita. 

Re  sole  riparator  delle  terre  ampliò  i  donativi  nelle  sedi 
di  Aminone,  con  oro 9  pittura  ad  encausto y  bronzo,  pietre 
preziose  ed  ogni  genere ,  /'  immagine  della  grande  baride , 

o  navigio  dei  sole    «... 

.  .  .  conciossiachè  quando  desse  il  guasto  colla  guerra  y 
e  distruggesse  la  Maestà  sua  la  terra  ostile  nei  confini  della 
regione  Tose,  intagliando  in  oro  a  se  il  magnifico  sgabello ^ 
e  tutti  i  suoi  ornamenti^  ricevesse  i  doni  del  padre  Aramone 
nel  transito  della  sua  barca. 

FACCIA    ORIENTALE  -  CoLONNA    DESTRA 

Dio  benefico  custodiente  la  fortezza^  principe  congregante 
per  le  vittorie  sue,  e  per  l'apportare  i  suoi  terrori  nella 
terra  nemica  Mennabóm  (tribù  di  barbari),  e  delle  concul- 
cazioni sue  nella  Nubia  Libica^  educato  al  padre  Ammone 
acciò  si  esercitasse  nel  regio  potere  per  lungo  tempo  ,  e 
principi  che  sono  in  tutte  le  terre  (vale  a  dire  anche  le 
barbare)  ammutirebbero  ai  grandi  animi  della  sua  maestà: 
aver  parlato  colla    sua  bocca  ,    avere   agito   colle  due  sue 


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—  244   — 
braccia  prescrisse  il  signore  Tore  (ossia  Phtah  espresso  con 
figura  di  scarabeo). 

Re  sole  riparatore  delle  terre,  doppiamente  sarà  per  ri- 
manere il  suo  nome  nelle  sedi  di  Aminone:  donator  della  s^ita. 

FACCIA    BOREALE  -  CoLONNA    SiNiSTRA 

Re  diletto  degli  dei  ruv  lyxotjfKùv  (e)  degli  altri  iddiit  buonOj 
scelto  dal  sole  in  .  .  .  di  baride  ,  glorificante  Atmù 
(il  sole)  mentre  si  porta  attorno  alla  baride. 

Signore  dei  due  mondi  ^  sole  riparator  delle  terre  fece 
edificare  la  regione  della  purità  e  della  giustizia  in  perpetuità. 

Fece  monwnenti  nelle  sedi  di  Ammone ,  ed  agli  dii 
Diospolei^  oltre  i  monumenti  fatti  allo  stesso  Figlio  Atmù 
di  quel  germe  nato  nel  trono  del  padre. 

Thutmès  dominatore  dei  dominanti  Ammon-ra  di- 
letto 

FACCIA    BOREALE  -  CoLONNA    DESTRA 

Dio  benefico  signore  operatore  di  tutte  le  cose ,  sole 
riparatore  delle  terre  che  dà  la  vita  come  il  sole. 

Le  azioni  gVincensi  di  offerire  (a  luì)  che  (si)  fa  datore 
della  ifita. 

Dio.  benefico  esemplare  dei  dominanti ,  stabilì  V  una  e 
Valtra  regia  potestà  come  Atmù,  (il  sole)  custode  della  for^ 
tezza,  trafigge  i  Libiensi  re  riparatore  delle  terre. 

Abbraccia  con  una  sola  custodia  tutto  il  suo  impero  a 
guisa  di  signore  della  regione  della  purità  e  della  giustizia. 

Principe  vigilantissimo  come  Manciù  ((t«  Phré)  acciò  w- 
tasse  al  padre  Ammone  le  sue  vittorie  nelle  regioni  bar- 
bare tutte  accedette  alle  terre 

non  si  è  impadronito  delle  ricchezze  delle  altre. 

Figlio  del  sole  Thulmes  dominatore  dei  dominanti  di 
Ammone  sole  marito  della  sua  madre ,  diletto  donator 
della  vita. 

FACCIA    OCCIDEiyTALE  -  CoLONNA    SINISTRA 

Re  sole  riparatore  delle  terre  figlio 

esso  fa  oblazione  recente  al  signore  degli 

deij  ed  edificherà  monumenti  al  padre  colle  sue  spoglie  tolte 

al  nemico di  lui  verso 

le  buone  strade     .     .      .     collo  stupore  percuote  i  barbari 

sotto  i  suoi  calceamenti,  purificò 

nelVornare  f  edificio  del  padre  (e)  del  re 


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—  MS  — 

•  ••i«» 

.    come  australe  suo 

muro  stabilì  re nella  regione  della 

vigilanza.  ' 

Uscì  dal  cuore  il  di  lui  gaudio. 

Figlio  del  sole  Thutm^s  dominatore  dei  dominanti  .... 

FACCIA   OCCIDENTALE  -  CoLONNA    DESTRA 

Dio  buono  signore  d^ambedue  i  mondi  tutte  le  cose  ope- 
rando il  sole  stabilitore  del  mondo  donator  della  vita  per- 
fetta in  sempiterno. 

Re  sole  riparatore  delle  terre  esperimentato  ad  Aminone 

sedente  fra  gli  dei *     .     . 

.  al  re  signore  y  godendo  con  V  aspetto  rettamente 
dei  suoi  fattiy  alla  grandezza  del  di  lui  duplice  dono^  nel 
cuore  suo. 

Dona  a  lui 

ammutiscano  ai  grandi  spiriti  di  esso. 

Fece  ^edificio  suo  al  padre  Ammon-ra,  eresse  il  grande 
obelisco  insigne^  il  vestibolo  sopramminente  i  templi  di  Tebe^ 
oltre  (quelle  cose)  nella  regione  della  purità  e  della  giu- 
stizia     .     .     , fece  figlio  del  sole 

amando  quel  Thutmès  dominatore  dei  dominanti  donator 
della  vita. 

Base: 

Re  Signore  delVuna^  e  l'altra  regione. 

Restano  ora  a  riportarsi  i  conti  Camerali  sulle  spese  incon- 
trate da  Sisto  V  per  il  ritrovamentb,  trasporto  ed  innalza- 
mento del  descritto  Obelisco. 

Obelisco  sulla  piazza  del  Luterano. 

Pagati  da  monsig.  Marzio  Frangipani  Tesoriere 
segreto  con  mandato  del  Pontefice  Sisto  f^  in  data 
27  febbraro  1587  a  Matteo  da  Castello  capo  mastro 
muratore ,  a  titolo  di  donativo  fattogli  dal  mede- 
Simo  Pontefice,  per  avere  scoperto^  e  trovato  f  Obe- 
lisco nel  Circo  massimo         Se.       300 

jil  cavaliere  Domenico  Fontana  architetto  per 
festrazioncj  e  condottura  di  esso    ....     Se.     54io 

Se.      57i0 


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—   346  — 

Se.     57ia 
Al  medesimo  per  il  fondamento^  erezione,  fai-- 
tura  degr  ornamenti  di  metallo  ed  altro  ,   stimato 
il  tutto  da  Prospero  Rocchi  misuratore   .     .     Se,    187» 

Jd  Antonio  Mamhritta,  per  ferramenti  sommi- 
nistrati^ come  al  conto  saldatogli  in  detto  tempo.  Se.       216 


Totale  Se.    247i6 

//  metallo  di  proprietà  della  Camera  Apostolica  andato 
in  opera  negli  ornamenti  furono  lib.  2858  tutto  di  calo  cioèi 

Per  i  4  legni  posti  sulla  sommità  delVObelisco  fusi  da 
Lodovico  Torrigiani  fonditore,  lib.  216O. 

Per  i  4  vasetti  posti  sopra  i  medesimi ,  fusi  da  Gio. 
Battista  Laurenziani,  libre  zoo. 

Da  diverse  piastre  di  metallo  messe  in  •  opera j  libre  ^a»^ 

È  alto  metri  13  7^9  non  compresa  la  base  ed  il  pie  destallo. 


OBELISCO  DI  S.  MARIA  MAGGIORE 

Questo  obelisco  e  liscio  affatto,  e  rotto  in  più  pezzi,  come  il 
suo  compagno  sulla  piazza  del  Quirinale.  Imperciocché  ambedue 
furono  trovati  caduti  e  spezzati  presso  l'antico  ingresso  del 
Maosoleo  di  Augusto,  dietro  la  chiesa  di  s.  Rocco  a  Rìpetta. 

Di  tali  obelischi  che  vennero  posti  ad  ornamento  di  detto 
sepolcro  in  epoca  posteriore  alla  sua  costruzione  ne  fa  parola 
Ammiano  citato  dicendo  di  queste  moli:  duo  in  Augusti  Mo- 
numento erecti  sunt. 

Il  Fulvio  neir  anno  i527  (i)  mostra  che  fu  scavato  poco 
tempo  prima^  nuperrime^  presso  la  chiesa  di  s.  Rocco,  e  che 
vedevasi  rotto  in  mezzo  alla  strada  ,  e  che  ne  fu  trovato 
un  altro,  ma  non  venne  scavato,  dietro  la  medesima  chiesa. 

Ai  tempi  deir  Aldroandi,  cioè  V  anno  I5S6,  continuava  a 
vedersi  rotto  dinanzi  la  chiesa  di  s.  Rocco^  come  egli  stesso 
dice  aelie  sue  Memorie  n.  38. 

11  Gamucci  (2)  poi  così  ne  parla  descrivendo  il  Mausoleo 
di  Augusto:  di  tanti  ornamenti  che  vi  erano  non  vi  è  restato 
altro  che  due  Obelischi  j  i  quali  erano  piedi  quarantadue 

(1)  Ànt.  Urb.  Lib.  IV  p.  LXXI. 

(2)  Libri  quaUro  delle  antichità  delia  città  di  Roma.  Venezia  1565. 
Altra  edizione  dell'anDo  i5S0  con  correzioni  dei  Peracchi. 


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247   

e  mezzo  Vunoi  et  di  quelli  se  ne  vede  uno  in  tre  parti  rotte 
fra  t Augusta  e  il  fumé:  Valtro  sta  dietro  la  chiesa  di  san 
Rocco  coperto  dal  terreno. 

Sarebbero  pure  da  citarsi  le  incisioni  delle  reliquie  delle 
antiche  fabbriche  pubblicate  dal  Du  Perac  Tanno  1575,  ed 
altre  di  quei  tempi  fino  all'epoca  di  Sisto  V,  dove  vedesi 
rotto  e  giacente  in  quattro  pezzi  l'obelisco  di  cui  parliamo. 

11  suddetto  pontefice  Sisto  V  lo  fece  togliere  da  quel 
luogo  Tanno  15S7,  dirizzandolo  nella  piazza  dietro  la  tribuna 
di  s.  Maria  Maggiore,  servendosi  per  il  traporto,  e  la  col- 
locazione deir  architetto  Domenico  Fontana.  Esso  lo  mise 
sopra  un  piedestallo,  e  l'ornò  de'monti,  di  una  stella,  e  di 
una  croce  di  metallo,  come  oggi  si  vede. 

Nel  piedestallo  si  leggono  le  seguenti  iscrizioni. 

Verso  il  Viminale: 

SIXTVS    V.    PONT    MAX. 

OBELISCVM 

AEGYPTO    ADVECTVM 

AVGVSTO 

IN    ElVS    MAYSOLEO 

DIGATVM 

EVERSVM    DEJNDE    ET 

IN    PLVRES    CONFRACTVM 

PARTES      • 

IN    VIA    AD    SANGTVH 

ROCHVM   1A«ENTEM 

IN    PRISTINAM    PAGIEM 

RESTITVTVM 

SALVTIFERAE    GRVCI 

FELICIVS 

HIC    ERIGI    IVSSIT 

AN.  MDLXXXVII 

P.    U. 

Verso  la  Stazione  della  Ferrovia: 

GERISTI    DEI 

IN    AETERNVM    VIVENTIS 

CVNABVLA 

LAETISSIHAE    GOLD 

QVI    MORTVI 

SEPVLGHRO    AVGVSTI 

TRISTIS 

SERVIEBAH 


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—   248   — 

Verso  le  Quattro  Fontane: 

CHRISTVM    DOMINVM 

QVEM    AVGVSTVS 

DE    VIRGINE 

NASCITVRVM 

VIVENS    ADORAVIT 

SEQYE    DEINGEPS 

DOMINVH 

DICI    VETVIT 

ADORO 

Verso  la  Basilica: 

GHRISTVS 
PER    INVIGTAM 

CRVCEM 

POPVLO    PACEM    * 

PRAEBEAT 

QVl 

AVGVSTl    PAGE 

IN    PRAESEPE    NASCI 

VOLVIT 

Riportiamo  finalmente  il  conto  Camerale  delle  spese  incon- 
trate da  Sisto  V. 

Obelisco  sulla  piazza  della  tribuna  di  s.  Maria  Maggiore 

jil  Budino  di  Stabbia  muratore  per  prezzo  con-- 
cordato  della  condottura  delV  Obelisco  di  Augusto 
a  S.  Rocco  sino  a  S.  Maria  Maggiore  ...     Se.     451 

j4l  cavaliere  Domenico  Fontana  per  V  erezione ^ 
ed  accomodatura  di-  esso  ,  saldato  il  dì  is  no- 
vembre 1587 Se.   1490 

A  Lorenzo  Bassani  scarpellino  per  i  lavori  di 
scarpello  fatti  a  dett^Obelisco  compresa  la  manifat- 
tura del  zoccolo  di  travertino Se.     692 

j4d  Antonio  Mambritta  ferrare  per  ferramenti 
diversi Se.      78 

A  Giacomo  Tranquillo  caldararoy  per  la  cornice^ 
montiy  stella  e  croce,  saldato  il  dì  io  settembre  1587.  Se.    227 

Totale  Se.  2938 

È  alto,  non  compreso  il  piedestallo,  zoccolo  e  croce  ecc., 
circa  metri  8. 

(Continua) 


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—    249   

XLI. 

Sopra  il  luogo  e  V  anno  della  morte  di  Fra  Giocondo , 
architetto  veronese^  e  sul  cognome  di  Antonio  da  San- 
gallo  giuniore^  architetto  fiorentino  ,  ambidue  deputati 
alla  fabbrica  di  San   Pietro  in  Roma. 

Ch.  Signor  Cav.  Narducci 

Roma  21  aprile  I88I 

Nel  giornale  romano  il  Buonarroti  Ella  cortesemente  ac- 
colse altra  volta  alcune  mie  osservazioni.  Colle  prime,  in  una 
lettera  a  Lei  diretta,  stampata  nel  Quaderno  VI,  giugno  1868, 
detti  schiarimenti  intorno  ad  Antonio  d'Orazio  da  Sangallo 
a  proposito  di  una  lettera  del  signor  Filippo  Ricci  ;  colle 
altre,  nella  serie  II,  voi.  V,  maggio  1870,  dissi  alcuna  cosa 
sopra  tre  disegni  architettonici  o  schizzi  di  Raffael  da  Urbino, 
pubblicati  a  Parigi  nella  Gazette  des  Beaux  Arts  dal  eh. 
architetto  signor  Enrico^  de  Geymùller. 

La  gentilezza  dellanìmo  suo  or  m'incoraggia  per  la  terza 
volta  a  pregarla  di  dare  un  posto  a  queste  righe^  che  per 
fortunata  coincidenza  accoppiano  al  nome  della  famiglia  dei 
Sangallo  quello  dello  stesso  infaticabile  e  dotto  tedesco. 

Il  barone  Enrico  de  GeymùUer  nella  celebrata  opera  in 
corso  di  stampa,  in  cui  egli,  col  corredo  di  grandi  disegni, 
tratta  delle  Notizie  e  della  Storia  sopra  i  progetti  per  la 
fabbrica  di  S.  Pietro  in  Roma  (di  cui  già  Ella  pubblicò 
nel  Buonarroti  medesimo,  sui  quaderni  di  luglio  e  di  set- 
tembre 1868  una  nota,  tradotta  dal  tedesco,  dell'egregio  av- 
vocato Raffaele  Ambrosi)^  tesaurizzando  quanto  intorno  alla 
Basilica  Vaticana  operarono  il  Rossellino,  rAlbeiti,  il  Bra- 
mante, Giuliano  da  Sangallo,  fra  Giocondo,  Raffaello,  il  Pe- 
ruzzi,  Antonio  da  Sangallo  il  giovane^  il  Buonarroti  ecc.,  si 
trovò  sulla  via  d'indagare  e  scoprire  incidentalmente  notizie 
recondite  ed  importanti. 

Tra  queste  vanno  annoverate  le  due,  le  quali,  finito  il 
riassunto  del  volume  di  fresco  messo  a  stampa  ,  col  titolo 
Documenti^  ci  apprendono  il  luogo  e  Tanno  della  morte  di 
fra  Giocondo  veronese,  architetto  dei  ponti  di  Nostra  Donna 
e  San  Michele  a  Parigi  e  da  ultimo  della  fabbrica  di  san 
Pietro  dopo  la  morte  di  Bramante.  Qui  non  disputerò  col 
Poleni,  se  il  Giocondo  fosse  dei  domenicani  0  de'minori  di 
san  Francesco,  ne  qual  fosse  l'anno  della  nascita  sua,  citando 
TEchard,  l'Orlandi,  il  del  Pozzo,  lo  Scaligero,  il  Vasari,  il 
Maffei,  rOnofrio,  il  "Waddingo,  il  Paciolo,  il  Tiraboschi,  il  Te- 

34 


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—  150  — 
manza  ed  altri;  ormai  la  prima  è  quistione  risoluta  a  vantaggio 
dei  domenicani  dalle  prove^  clie  ne  dkii  P.  Marchese  (Mem,  dei 
più  insigni  Pittori^  Scultori  e  Architetti  domenicani^  Genova 
f860,  voi.  llv  lib.  HI»  cap.  IX);  quanto  a  quella  dellanao  della 
nascita,  essendo  essa  sempre  incetta,  non  mi  vi  fermerò:  così 
pure  nulla  dirò  de*suoi  viaggi  in  Germania,  in  Francia  e  per 
ritalia;  ne  m'interterrò  sulle  edizioni  di  Yitruvio  da  lui  emen- 
dato e  di  figure  arricchito,  delle  quali  trattò  a  lungo,  oltre 
il  Poleni,  il  Marini. 

Dirò  soltanto  che  ad  un  esemplare  appunto  della  prima 
edizione  di  Vitruvìo  de]  Giocondo,  stampata  in  Venfezia  nel  i5ii, 
slam  debitori  della  notizia  del  luogo,  del  giopiio  e  dell'anno 
della  morte  di  lui;  imperocché  il  de  Geymùtler  in  quello, 
che  conservasi  nella  biblioteca  del  signor  Eug.  Piot^  trovò 
scritto  di  mano  del  principio  del  secolo  XVI ,  che  il  Gio- 
condo moti' più  che  ottuagenario  in  Roma  al  i""  di  luglio  i$i«* 
Finora  era  sempre  stato  ignoto  Tanno  della  nascita,  oome 
ne  fanno  fede  le  investigazioni  soprallegate  del  Poleni;  ne 
conoseiiito  il  tempo  e  il  luogo,  ov*egli  morisse.  Pur  tuttavia 
il  Milizia,  ehe  ripete  ch'egli  morì  vecchissimo  mu  non  si  sa 
né  do^e  né  quando^  sembra  essersi  avvicinato  al  vero  nel  dirlo 
nato  nel  1435,  o  meglio  verso  il  1430,  per  gli  argomenti  del  P. 
Marchese;  ma  questi  pure  conclude:  quando  e  os^e  morisse j 
òi  è  indarno  cercato  ;  che  poi  morisse  k)  Francia  intorno 
al  i^sen ,  non  fu  cIm  una  mera  congbiettura  :  il  documento 
del  Geymùller  tu4tto  chiarisce.  E  qm  importa  osservare  che 
il  Giocondo,  secondo  il  Vasari^  nel  1613  era  tuttora  in  Venezia; 
e  per  le  parole  del  Poleni  si  conosce  che  nelFanno  dopo  si 
recava  in  Roma  e  v*era  fatto  architetto  del  Vaticano,  jet  prò 
certo  ponam^  Bramante  urbinate  wta  functOj  anno  I5i4  Jb- 
oundum  Romacy  una  cum  Raphaele  Sanzio  Urbinate^  et  cum 
Juliano  Sangallensi ,  praefectum  fuisse  extructioni  Templi 
Disfi  Petri.  Perciò  poco  egli  potè  operare  essendo  morto , 
col  nuovo  documento  alla  mano,  al  primo  di  luglio  del  1515. 
La  seconda  notizia  ,  di  cui  il  Geymùller  ci  arricchisce  , 
è  non  meno  imp<»rtante  della  prima«  Essa  verte  a  dauci  il 
cognome  di  Antonio  da  SaDgallo  il  giovane.  Fino  a  q^i,  sulla 
fede  del  Vasiari,  cui  tutti  fecer  eco  per  tre  secoli,  avevamo 
imparato  che  i  Sangallesi  più^  vecdhi,  Ginlianb  ed  Antonio, 
avessero  il  cognome  dei  Giamberti,  e  che  da  Una  loro  sorella 
maritata  ad  un  Bartolommeo  Picconi*  si  fermasse  la<  linea  dei 
Picconi  da  Sangallb  con  Antonio  il  giovane ,  fi^io  appunto 
di  Esmeralda  e  di  Bartolommeo  e  fratello  a  Battista  il  gobbo. 


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—  Vii  — 

É  ▼«re  che  io  aeììe  ricerche,  che  feci  aQteWormente  al  i$63 
sopra  tutti  i  Sangallo  (veggansi  le  mie  Notizie  sui  lawri  ecc. 
dei  nwe  da  Sangallo^  Roma  i863,  pag.  34),  trovai  che  il  fasci- 
colo tm  Q.  15  delle  carCje  dei  cassoni  di  casa  Caddi  portava 
«  pie*  di  pagi  Da:  Questo  libro  si  è  di  maestro  Antonio  di  Bar- 
tùlommeo  Condiani  da  Sangallo  architettore  del  Papa  i.S20:  così 
almeno  lesse  nel  1748  Rosso  Antonio  Martini  e  cosi  scrisse  nelle 
ssue  lettere  che  da  Firenze  dirigeva  a  monsignor  Gio.  Bottari. 
Ond'io  ammettendo  errore  nella  parola  Condlani^  senza  preoc- 
cuparnù  d'altro,  tra  parentesi  aggiunsi  il  nome  ricevuto  per 
vero  (Picchoni),  come  se  questo  cognome  fosse  indiscutibile; 
concio^siachè  tra  i  manoscritli  da  me  consultati  di  Antonio 
#on  mi  £osst  ioibatXuto  mai  in  qualclie  sottoscmioue  auto- 
grafa, die  mi  avesse  fatto  certo  o  messo  in  sospetto  sul  co- 
gnome dei  Picconi  o  dei  Condianì  od  altra.  Quando  il  dili- 
gente nostro  Geymùller,  esaminando  Taltra  edizione  vitruviana 
4el  Giocondo,  messa  in  luce  a  Firenze  nel  l5ia,  che  è  la  s' 
in  8^ ,  posseduta  essa  pure  dal  signor  Eug.  Piot ,  ebbe  la 
fortuna  di  leggere  sotto  al  frontispizio  il  nome  e  cognome 
del  possessore  antico,  che  fu  Antonio  da  Sangallo  in  questi 
termini:  Questo  libro  sie  di  mastro  anf*  di  bartiolo\\meo  Co- 
roliani  dassangallo  architettore  del  ||  papa  e  santro  petro  1520. 
Per  lo  che  il  cognome  dei  Picconi  o  dei  Condiani  per  più 
diligente  lettura  si  sarebbe  cangiato  in  quello  dei  Coroliani. 

Lo  stesso  signor  Piot  affrettossi  a  comunicare  a  Firenze  al 
cfa.  cav«  Gaetano  Milanesi  la  scoperta  del  vero  cognome  dei  da 
^ngallo  giuiiior];  ed  il  preclaro  filologo  fiorentino  accettò  quel 
nome  con  modificazione  che  ne  altera  la  dizione*  Come  se  a  lui 
non  sonasse  bene  la  voce  Coroliani^  cangiando  posto  ad  una 
lettera,  scriss'egli  Coriolanij  e  cosi  leggesì  nel  quarto  volume 
della  nuova  edizione  del  Vasari,  illustrata  dall'egregio  scrit- 
tore^ ove  pur  vedesi  l'albero  di  quella  famiglia,  di  molto 
accresciuto  per  nuove  giunte  e  schiarim/enti,  avendo  posto  in 
testa:  Albero  de^Giamberti^  de*Coriolani  e  de* Da  Sangallo 

L'illustre  cav.  Milanesi,  per  mezzo  del  P.  Guglielmotti 
mi  comunicò  il  nuovo  Albero  dei  Sangallo,  e  per  lo  stesso 
mezzo  il  chiarissimo  barone  de  Geymiiller  mi  fece  avere  il 
foglio  a  stampa  dalla  pag.  345  alla  352  del  Riassunto  del  vo- 
lume di  recente  pubblicazione,  ove  son  portate  con  le  nuove 
lezioni  l'analoga  spiegazione.  Quindi  io  fui  in  grado  di  por- 
tare matura  riflessione  sulla  novità  del  caso  e  volli  darmi  ad 
esaminare  alcuni  mss.  di  Antonio  da  Sangallo  per  famiglia- 
rizzarmi  colle  scritture  di  lui;  poiché,  ripudiato  U  cognome 


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—  252  — 
Picconi,  se  non  entrava  nelle  mie  convinzioni  la  voce  Con- 
diani,  la  voce  CoroUani  mi  sonava  un  po'  peregrina  ed  un 
po'  troppo  affine  a  voce  storica  romana  quella  di  Coriolani. 
L'esame  dei  caratteri  di  Antonio  mi  portò  alla  convinzione 
che  nessun  dubbio  mai  può  esservi  nelle  lettere  dell'alfabeto 
e  ed  0  scrìtte  da  lui,  perchè  si  riconoscono  facilmente  per 
tali  ;  le  lettere  rt ,  i  ed  a  sono  pur  sempre  chiare  ;  la  r  è 
ognor  foggiata  alla  francese  ,  quando  per  essa  comincia  la 
parola,  ed  è  tondeggiante  s'essa  h  nel  mezzo;  la  d  sempre 
scritta  coir  asta  diritta  ,  cui  ora  si  appoggia  ed  ora  no  la 
pancia  dell' o  che  la  costituisce. 

Volli  cercare  più  particolarmente  nel  ms.  delle  Rocche 
di  Romagna  (Veggansi  i  miei  Nove  da  Sangallo  a  pag.  33), 
ove  i  caratteri  di  Antonio  s'incontrano  con  quelli  del  fratel 
suo  Battista,  una  qualche  parola,  in  mancanza  di  meglio, 
la  quale  per  più  lettere  che  giacessero  nello  stesso  ordine 
che  mostra  il  vocabolo  CoroUani^  m'aiutasse  nella  quistione; 
e  trovai  la  parola  Giardino  nelle  piante  della  rocca  di  Ce- 
sena e  di  Rimini.  Se  la  voce  soprascritta  per  sé  stessa  non 
ammettesse  equivoco  nelle  lettere  che  la  compongono,  si  sa* 
rebbe  inclinati  a  leggere  ambedue  le  volte  Giardino^  stanteckè 
la  d  sia  in  due  separate,  per  modo  di  ritenere  a  prima  vista 
la  0  indipendente  dalla  /.  Quindi  applicato  questo  fatto  al 
nostro  caso,  io  non  istenterei  ad  avere  per  certo  che  il  Co- 
roliani  del  GeymùUer,  altro  non  sia  che  Cordianiy  voce  di 
più  facile  pronuncia  ed  anche  molto  pronta  a  ribattere  l'e- 
quivoco incorso  dal  Martini ,  che  lesse  Condiani  invece  di 
Cordianv,  perchè  la  r  alla  francese  a  filo  curvo  ei  la  prese 
per  una  n,  come  facilmente  l'avrebbe  presa  nella  voce  Gian- 
dinoy  convertendola  in  Giandino,  se  quella  non  fosse  voca- 
bolo di  oggetto  noto ,  e  questo  di  nessuna  significazione 
dell'uso  e  della  lingua,  siccome  lo  sono  in  genere  molti  co- 
gnomi di  famiglia,  in  cui  nulla  risveglia  in  noi  un  oggetto 
cògnito^  che  ci  ammaestri  di  dare  più  retta  interpretazione 
a  qualche  lettera  per  cogliere  nel  segno. 

Veggo  bene  da  ciò  che  la  mia  variante  piuttostochè  far 
più  semplice  la  quistione,  la  rende  più  complessa,  ponendoci 
incerti  più  che  mai  tra  le  tre  voci  Condiani ,  CoroUani  e 
Gordiani,  In  tanta  controversia  giudice  migliore  all'uopo  non 
può  essere  che  il  cav.  Milanesi  stesso,  che  a  tutt'agio  con- 
sultati i  fiorentini  voluminosi  mss.  di  Antonio,  e  gli  archivi 
o  le  raccolte,  come  quella  del  Gaye,  per  mille  vie  potrà  dar 
lume  agli  apprezzamenti,  in  cui  è  interessato  l'egregio  ba- 


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—  253  — 
roae  de  Geymùller,  il  quale  ridestò  co'  suoi  studi  sui  nostri 
classici  artisti,  dandogliene  motivo  la  ricostruzione  della  Ba- 
silica Vaticana 9  molte  considerazioni  e  memorie  inosservate, 
non  ultima  mostrandosi  quella  del  cognome  dei  giunìori  da 
Sangallo.  Egli  con  un  documento  cancella  ad  un  tratto  il 
cognome  dei  Picconi,  giustamente  ne  mostra  errata  la  cita- 
zione di  Rosso  Antonio  Martini  ,  e  per  nuova  osservazione 
che  al  certo  non  isdegnera  di  fare  sul  documento  trovato 
presso  il  signor  Piot  ci  dira  se  il  cognome  di  Antonio  dovrà 
definitivamente  essere  Coroliani  o  Gordiani. 

Ne  giova  intanto  di  aggiungere  qui  le  parole  stesse  del 
Geymùller^  che  leggonsi  nel  testo  francese:  tsst  sono  al  fianco 
del  tedesco  della  grandiosa  opera  di  lui  alle  pagine  351  e  352. 

<r  Le  second  document  se  trouve  ecrit  de  la  main  méme 
h  d'Antonio  da  Sangallo,  dont  IVcrilure  nous  est  si  familiare, 
A  au  bas  du  titre  d'une  édition  du  Vitruve  de  Fra  Giocondo, 
»  format  in-8^,  imprimé  k  Florence  en  1513  par  PhiL  Juute, 
»  de  la  méme  biblioth^ue,  dont  le  titre  est: 

VITRVVIVS    ITERVM    ET 
FRONTINVS    A    lOCVN- 
DO    BEVISI    REPVR- 
GATIQVE    QVAN- 
TVll  EX  COLLA- 
TIGNE    Ll- 
CVIT 

yt  Ce  petit  volume,  contenant  de  nombreuses  annotations  avec 
»  croquis  d'Antonio  da  Sangallo  donne  le  vrai  nom  de  famille 
»  du  neveu  maternel  de  Giuliano  et  d'Antonio  (il  vecchio) 
»  da  Sangallo^  dont  le  nom  de  famille  dtait  Giamberti.  Jusqu'ici 
»  on  croyait,  sur  la  foi  de  Vasari,  que  le  pere  d'Antonio 
I»  s'appellait  Bartolomeo  Picconi,  lei  Antonio  nous  apprend 
»  lui-méme  que  le  nom  de  son  pere  était  Bartolomeo  Coro- 
»  liani.  Re'cemment  M.  Piot  a  communiqué  cette  notice  éga- 
»  lement  a  M.  G.  Milanesi  qui  n'bésite  pas  a  l'accepter  entiè- 
»  rement.  Seulement^  dans  le  quatrième  volume  de  son  e'dition 
»  de  Vasari,  il  écvìl  Goriolani,  au  lieu  de  Gorolianì.  On  peut 
ìf  rapprocher  cette  notice  d'Antonio  d'une  autre  de  sa  main 
»  écrite  au  bas  de  la  première  page  d'un  poème  d'auteur 
»  ìncertain  qui  se  trouvait,  en  1748,  sous  le  n°  15,  dans  le 
»  fascicule  i06  de  la  célèbre  collection  Gaddi  a  Florence. 
»   Cette  inscription  était: 

Questo  libro  si  è  di  maestro  jintonio  di  Bartolommeo 
Condiani  da  Sangallo  architettore  del  Papa  1520« 


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»  Nious  erapruatoiis  cette  aotice  a  i*iiit^cM«aat  travaii 
^  de  M.  Ravioli:  «  Notizie  sui  lavori  di  architettiira  mili- 
»  tare»  ecc.,  dei  nove  da  Saagallo.  Roma,  ì^^z^  p.  a4.   m 

V  U  lest  évìdent  que  Rosso  Aatooio  Martini,  qui  donoaìt 
»  cette  notice  a  Monseigneur  Bottari  ,  peo  familiarisé  aree 
j»  1  periture  d'Antonio,  aura  I41  Coadiani  pour  Coroliani,  ce 
»  qui  pottvait  facilemeni  a^  river  ,  eu  e'gard  aux  caractères 
^  d'Antonio.  Nous  sommes  par  contre  sùrs  de  la  lecture  Co- 
))  roliani;  nous  coonaissons  Tinture  d'Antonio  depuis  qua- 
)»  torze  ans  et  en  Jivons  presque  eonstamment  de  nombreux 
»  exeouples  sous  la  inaia.   » 

In  questo  modo  da  termine  il  dotto  architetto  de  Gey- 
mùlier  alle  osservazioni  sulla  scoperta  del  cognome  del  primo 
da  SangaUo  giuniore,  ed  io  puranche  tralascio  dallo  spen- 
dervi altre  parole;  e  mentre  ho  speranza  non  sieno  discare 
a  Lei ,  che  tanto  ama  le  patrie  memorie ,  me  le  confermo 
colla  maggiore  affiezione 

Suo  devotissimo  amico 
Camillo  Ravioli 


■  J^iM  1^1  ua 


XLII. 

LA  GRECA  SGOLTURA 

Non  può  negarsi  che  il  bello  consista  nella  verità  e  na- 
turalezza. Quanto  più  le  cose  si  accostano  al  vero  >  tanto 
più  appariscono  belle  e  perfette.  Cosi  Tarte,  vera  emula  e 
seguace  d^lla  natura,  è  tanto  più  sublime  ed  apprezzabile 
quanto  h  più  fedele  imitatrice  di  questa.  Più  regna  ràrti* 
ficio  studiato  e  imbaldanzito,  più  l'opera  si  deprime.  Ecco 
perchè  V  antica  scuola  greca  di  Fidia  ci  arricchì  di  tanti 
sublimi  maestri  e  di  opere  imperiture. 

Al  presente  si  h  malamente  introdotto  nelle  belle  arti  , 
specialmente  in  architettura  e  scultura  ,  V  artificio  ancora 
inusitato  e  strambo,  come  ne  veggiamo  disgraziatamente  gli 
esempi.  Sarebbe  assai  desiderabile  si  ritornasse  ali*  antica 
scuola,  che  non  mancano  seguaci  di  quella  in  varie  regioni 
del  mondo ,  specialmente  bravi  artisti  Italiani ,  i  quali  se- 
guono a  nostro  onore  la  greca  scuola.  Così  nel  mio  recente 
viaggio  in  Australia  ho  visitato  lo  studio  del  prof*  Achille 
Simonetti  Romano  ,  figlio  di  Luigi  ,  anch'  egli  scultore  ben 
noto,  scolaro  del  celebre  Finelli.  11  prof.  Achille  Simonetti 
scultore  governativo  nella  grande  citta  di  Sidney,  dopo  di 
essere  stato  per  tre  anni  in  Grecia  ad  attingere  il  suo  per- 


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2»  — 

feziotiamento  artìstico  nella  cittk  di  Atene,  ha  fatta  ift  Sidaey 
tre  magi^ificbe  statue  separate  ,  rappresentanti  la  Pietà  ,  la 
Ghistizìa ,  la  Dea  Minerva ,  quali  costituiscono  nn  mirabile 
e  prezioso  lavoro  per  averlo  uniformato  alla  vera  scuola  greca 
e  sul  naturale.  Ha  ultimato  ancoi*^  una  Venere,  die  impara 
a  tender  Varco  a  Cupido.  Questa  magnifica  statua,  premiata 
dell'esposizione  Aiondiale  dì  Sidney,  e  pel  suo  pregio  chia- 
mata cola  la  tenere  del  Sud,  11  prelodato  Professore  ha 
sempre  studiato  dal  mido  la  vera  e  legittima  scuola  di  Fidia, 
la<  quale  sta  tutta  nel  bello  ideale ,  corretto  ogni  difetto  , 
senza  ttiira  di  speculazione  ma  solo  di  veritk,  fondata  sulla 
natura  e  svA  vero,  come  sarebbe  p.  e.  la  naturai  tensione 
del  muscolo  in  azione,  l'espressione  delle  varie  passioni  negli 
atteggiamenti  del  viso  ecc.  Per  questi  rari  lavoi'iy  già  pre- 
sentati all'esposizione  mondiale  di  Sidney  ,  ha  meritamente 
riportato  più  premi ,  che  ebbe  la  gentilezza  di  mostrarmi , 
quali  sono  tre  medaglie  d*  argento  di  massima  dimensione  , 
ed  una  grande  d'ora,  premio'  di  altra  pregevole  statua,  che 
è  Clìzia  al  Sole.  Speriamo  che  la  greca  e  vera  scuola  sia 
sempre  più  coltivata  ed*  invigorita ,  specialmente  dai  figli 
d' Italia  ,  che  è  la  madre  delle  arti  belle  in  preferenza  di 
tutte  le  altre  nazioni  del  mondo. 

Prof.  Giuseppe  Derossi 


xiiin. 

BIBLIOGRAFIA 

liOMUMENTS  II  DB  ||  L  ART  ANTIQUE  ||  PUBL1ÈS  SOUS  LA  DIRECTION  jl 
DE  M.  Il  olì  FiEil  i?^F£r  11  PROFESSEDR  SUPPLÉANT  AU  COL- 
LÈGE DE  FRANGE,  DIRECTEUR  ADJOINT  A't'ÉCOLE  DES 
HAUTES  ÉTUDES  ||  uvraìson  ii.  fi  PARIS ,  A.  QDANTIN  ,  IMPRI- 
MEOR-ÉDITEUR,  7  RUE  SAINT  BENOIT  lS8i.  Ib  foglio. 


La  prima  dispensa  dei  Mx^umenU  de  Vari  antique^  pnbbllcata  dal  sig. 
M.  Rayet,  e  data  in  luce  dalla  casa  Quantin,  ha  trovato  presso  i  critici  e  il 
pubblico,  tanto  in  Francia  che  in  Inghilterra  ed  in  Germania,  un'accoglienza 
delle  pia  lusinghiere.  I^ol  crediamo  che  un  ugual  successo  sia  ri^erbato  alia 
seconda  eh»  è  comparsa  airepoc*  fissata  anticipaiafiieiite,  con  una  regolarità 
rara  nelle  pubblicazioni  di  questo  genere,  e  d*  un  buon  augurio  per  Y  avve- 
nire. Come  la  precedente,  essa  contiene  Ì5  tavole  in  elioerafia,  ed  il  para- 
gone di  queste  con  quelle  che  le  hanno  precedute ,  manifesta  nelP  impiego 
del  metodo  Dujardin,  uo  nuoro  progrèsso.  Non  crediamo  possibile  avvicinarsi 
dt  più  all'originale,  il  rìi>rodurne  meglio  non  solo  le  linee  ma  lo  spirito  ed 
il  sentimento,  quento  nella  tavola  II  (testa  d'una  giovane  dama  romana);  vi 
sono  delle  delicatezze  di  modellato ,  ed  un'armonia  di  toni ,  veramente  sor- 
prendenti. La  grazia  squisita  delle  terrfe  cotte  di  Taiiiajra  si  ritrova  intera- 
mente nella  tavola  XII  consacrata  ad  un  gruppo  squisito  di  piccoli  Amori ,. 


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—  256  — 

una  delle  ricchezze  del  Louvre ,  e  nella  tavola  IX  (figurina  della  collezione 
Dutuit).  La  fermezza  d'aspetto  ed  ì  riflessi  del  bronzo  sono  perfettamente 
espressi  nelle  tavole  VI  e  VII  (testa  d'Apollo»  trovata  ad  Ercolano,  e  Lupa 
del  Campidoglio).  In  fatto  di  monumenti  egiziani,  la  statuetta  ed  i  due  fram- 
menti di  basalto  verde  (tav.  XIV)  hanno  conservato  nelle  riproduzione  tutta 
la  loro  energia.  Il  nostro  ammirabile  Scriba  accoccolato  »  ha  potuto  ugual- 
mente» malgrado  le  pessime  condizioni  dì  luce  nelle  quali  si  trova ,  essere 
rappresentato  con  una  straordinaria  fedeltà. 

Le  notizie  consacrate  alle  opere  deirarte  egiziana»  sono  state  compilate 
dal  sig.  Maspero»  direttore  della  nostra  giovine  Scuola  egiziana,  conserva- 
tore del  museo  Boulaq.  La  menzione  del  suo  nome,  rende  superfluo  ogni  elogio. 
Fra  le  altre,  tre  sono  dovute  alla  penna  fine  e  vivace  di  M.  Calliguon,  antico 
membro  della  scuola  d'  Ath^ne8 ,  e  professore  d'  archeologia  alla  facoltà  dì 
Bordeaux;  le  tre  ultime  sono  del  sig.  Rayet.  Tre  di  queste  (la  vittoria  di  Sa- 
motracia, —  i  tre  Apollini  sauroctoni  del  Louvre,  del  Vaticano  e  della  villa 
Albani  —  la  Lupa  del  Campidoglio,  sono  monografie  complete  ed  altrettanto 
interessanti  quanto  istruttive.  ' 

Prima  ancora  che  questa  dispensa  non  uscisse  dai  torchi»  Tautore  e  l'e- 
ditore, hanno  cominciata  la  preparazione  della  terza.  Essa  comparirà  nel  mese 
di  novembre:  e  puossi  affermare  senza  timore»  che  non  la  cederà  in  interesse 
alle  due  precedenti. 


XLIY. 

ALLA  GENTIILISSIMA   DONZELLA 

ROSINA   PONTECORVO 

ED    AL  GIOVINE  EGREGIO 

MARCO  DELLA  ROCCA 

NEL  DÌ  DELLE  NOZZE 
LO  ZIO  MOS£  PACE 

la    SEOiro    DI   ESULTAiriA    ED   AFFETTO 

QUESTO    GHIRIBIZZO 

OFFRE 

Misi  cari  Nipoti 

Avrei  davvero  volvJto  dedicarvi  un  canto ,  non  dirò  hello  ,  perchè 
la  cosa  per  me  non  sarebbe  stata  possibile  ^  ma  nel  quale  almeno 
si  parlasse  d'amore^  d'imeneo^  di  faci  ardenti^  d* incenso^  d'altare  e 
che  so  io.  Ma  vi  assicuro  che  ogni  tentativo  fu  vano.  Traverso  ora 
un  periodo^  in  cui  le  cose  piti  serie  mi  si  presentano  dal  lato  coinico^ 
e  se  mi  provo  a  scrivere  un  inno^  mi  viene  uno  sbadiglio.  Che  fare? 
Vi  avevo  promesso  dei  versi.,  e  non  ho  voluto  mancare.  Ho  messo  insieme 
questi  che  vedete  e  che  vorrebbero  essere  amenamente  scherzosi.  Pren- 
deteli come  ei  sono;  e  se  non  vi  garbano.,  per  carità  non  lo  dite  a 
nessuno.,  o  se  pur  volete.,  ditelo  a  me  solo,^  e  in  un  orecchio^  dentro 
al  sinistro,  che  da  quella  parte  ci  sento  un  po'  m^no ,  e  poi  per  pu- 
nirmi^ bruciateli:  il  fuoco  purifica.  Però  non  avendo  in  essi  detto  tutto^ 
aggiungo  due  parole  in  prosa^  e  queste  per  augurarvi  sul  serio  che  la 
vostra  vita  sia  una  gioia   continua  ^    che  gli  anni ,   passando .,  se  vi 


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—  257  — 
spruzzino  un  po'*  di  brina  nei  capelli  e  vi  lascino  qtmlche  rughetta  sulla 
guancia^  non  vi  tolgano  mai  la  gioventù  del  cuore^  che  il  vostro  affetto 
sia  fuoco   che  riscaldi   e  non  incendi,  e  che  non  possiate  mai  cono- 
scere  la  noia. 

Voi  dunque  aggradite  nei  versi  la  buona  volontà  che  ho  cwuto,  e 
siate  poi  persuasi  che  senza  di  essi  si  sta  bene  egualmente;  anzi  Pian- 
tane, il  gran  Savio,  voleva,  come  sapete,  dalla  sua  repubblica  banditi 
i  poeti,  e  ne  aveva  forse  le  sue  buone  ragioni. 
Valete 

Vro  Àffmo 
M.   Pack 
Roma^  22  Maggio  1881. 

DI  PALO  IN  FRASCA  (0 

Una  canzone  petrarchesca,  o  almeno 
Un  sonetto  pensai  scriver  per  voi; 
E  già  d'estro  poetico  ripieno: 
O  musa,  incominciai,  musa  !  •  .  ma  poi 
Stimai  miglior  consiglio  di  lasciare 
Petrarca  in  pace,  e  alla  buona  cantare. 

E  canterò  siccome  il  Guadagnoli 

Qualche  cosa  da  mettervi  allegria. 
Se  terra  terra  andrò  senza  far  voli 
Cogliendo  umili  fior  di  poesia. 
Gli  è  perchè  so  ch'ai  voli  repentini 
Sogliono  i  precipizi  esser  vicini. 

Come  chi  aspetta  chi  non  vuol  venire, 

O  qual  chi  al  giuoco  perde  e  se  n'attrista. 
Come  chi  vuole  andar  né  può  partire. 
Come  chi  ha  sonno  e  non  ne  vuol  far  vista. 
Sono,  come  ognun  vede,  paragoni 
Che  al  bisogno  sarebber  belli  e  buoni. 

«  Intanto  Erminia  in  fra  le  ombrose  piante  » 
Cantò  Torquato,  e  voi  sapete  il  resto. 
L'  Ariosto  cantò  di  Bradamante; 
Ma  io  non  vo' seguir  né  quel  né  questo. 
Altro,  ben  altro  é  l'argomento  mio: 
A  dirla  schietta  noi  so  bene  anch'io. 

Era  un  giorno  bellissimo  d'estate, 

Cantavan  le  cicale  in  metro  antico, 

Giii  nel  fosso  le  rane  innamorate 

Facean  baccano,  ed  all'ombra  d'un  fico 

Se  ne  stava  pensando  a' casi  suoi 

Tal  eh'  al  vederci  surse  in  piedi,  e  -  O  voi,  - 

(i)  Non  mi  scuso  dei  farti»  se  mai  qaalcano-  trovasse  che  qua  e  là  io 
abbia  messo  versi  di  altri;  anzi,  ciò  che  aggrava  la  mia  posizione,  dichiaro 
che  il  più  delie  volte  l' ho  fatto  proprio  apposta. 

35 


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—  258   — 
Disse,  cV  avete  i  volti  dolci  e  umani. 

Non  v' incresca  con  me  restam  un  poco, 
Né  vi  spaventino  i  miei  versi  strani; 
Chi  può  dir  com'egli  arde  è  in  picciol  foco: 
Io  non  so  chi  voi  siate,  eppur  son  certo 
Che  i  miei  detti,  saran  voci  al  deserto.  — 

Quivi  il  lasciammo,  e  presa  una  barchetta. 
Senza  forza  di  remi  e  senza  vela 
Errammo,  finché  giunti  a  un'  isoletta. 
Soli,  di  notte,  senza  una  candela. 
Ci  mettemmo  a  cantar  la  casta  Diva; 
Ma  quella  sera  Cinzia  non  usciva. 

Quella  sera  la  casta  verginetta 

Forse  stava  a  ciarlar  col  suo  pastore, 
O  stanca  della  caccia,  avea,  soletta. 
In  braccio  a  profondissimo  sopore. 
Cercato  oblio  del  sanguinoso  insulto 
Che  un  poeta  le  fece,  e  ancora  è  inulto. 

Quel  poeta  è  il  Carducci  che  le  die* 
Titol  di  paolotta,  e  per  di  più 
Infeconda  la  disse  ...  ah  Giosuè  ! 
Perchè  tant'odio  a  lei?  tempo  già  fu 
Che  un  altro  Giosuè  fermava  il  sole. 
Ma  non  lo  fece  con  male  parole. 

Io  penso  a  Casamicciola  frattanto 

Che  un  dì  si  bella  or  fatta  è  una  rovina. 
Penso  ch'esser  di  Napoli  altrettanto 
Un  dì  potrebbe;  e  Ghiaia  e  Mergellina, 
Ch'  or  sono  un  vero  incanto  di  natura. 
Fatte  una  vasta  immensa  sepoltura. 

Odor  di  gelsomini  e  di  viole. 
Soavissimi  canti  di  Bellini! 
Luce  elettrica,  amabili  carole, 
O  recite  di  Rossi  e  di  Salvini  ! 
A  voi  pensando  più  non  trovo  loco  .  .   . 
Dolce  è  lo  star  d'inverno  accanto  al  foco. 

Erano  belli  e  giovani  e  per  giunu 

Ricchissimi  d'ingegno  e  innamorati. 
Egli  Riccardo,  essa  avea  nome  Assunta, 
Parean,  ma  proprio,  l'un  per  l'altra  nati; 
Andavano  a  braccetto  al  dì  di  festa. 
Ma  che  peccato!  state  a  sentir  questa. 

Venne  Riccardo  un  giorno  a  la  sua  bella 
Sovra  un  destrier  bellissimo  montato, 

£  Addio!  le  disse,  alto  dover  m'appella^ 

Vo  a  pugnar  per  la  patria,  io  son  soldato. 
Mi  rivedrai,  ci  rivedremo  un  giorno  .  •  . 
Se  non  ti  trovo  non  m' impoita  un  corno.  — 


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—   259   — 

—  Riccardo!  aspetta,  verrò  teco  anch'io  — 
E  Assunta  si  vestì  da  vivandiera. 
Fecer  prodezze  che  né  voi  né  io 
Né  altri  saprà  mai,  finché  una  sera 
Dopo  tanti  anni,  proprio  a  farla  a  posta, 
A  Boma  ritomaron  per  la  posta. 

Ma  di  loro  non  più,  di  Francia  or  parlo. 
E  la  Gallia  una  terra  aspra  selvosa. 
(Tristo  chi  porta  in  sen  d'invidia  il  Urlo) 
La  musa  mia  salta  di  cosa  in  cosa; 
Largo,  largo  al  poeta  che  balzano 
Un  canto  iimalza  argutamente  strano. 

Oh!  i  quindici  anni!  età  della  speranza! 

Li  ebbi  anch'io  quindici  anni,  ve  lo  giuro. 

Avea  bionde  le  chiome  e  di  baldanza 

Si  pieno  il  cor  che  mi  sentia  securo 

Di  vincer  ogni  osucolo  ad  un  tratto  •   •   • 

Or  grigio  e  calvo,  quel  che  ho  fatto  ho  fatto. 

La  vita,  a  chi  ben  guarda,  è  un'altalena. 
Beato  chi  sa  farla  con  giudizio: 
Siam  commedianti  posti  in  su  la  scena. 
Ove  spesso  virtù  rassembra  il  vizio, 
Gl'ignoranti  gran  dotti,  e  teste  quadre 
Tai  che  per  scherzo  l'ebber  dalla  madre. 

Ma  tempo  é  omai  d'ammainar  le  vele, 

0  almeno  andar  con  più  sicura  scorta. 
Chi  non  sa  della  torre  di  Babele? 

^^  P^ggior  passo  é  quello  della  porta; 

Se  il  giuoco  sai  non  insegnarlo  altrui  .   .   . 

Salute  a  noi  finché  ritoma  lui. 

Voi  già  vi  siete  accorti,  o  almen  lo  spero. 
Che  i  miei  versi  non  son  versi  d' amore. 
Li  ho  scritti  in  modo  che  chi  vede  il  vero 
Certo  li  troverà  senza  sapore; 
Già!  come  l'acqua,  che  non  deve  avere 
Nessun  sapor  per  esser  buona  a  bere. 

E  il  Regaldi  suU'  acqua  fé'  un  poema 

Che  chi  lo  ha  letto  a  leggerlo  non  torna: 
Non  che  sia  fatto  mal,  ma  quello  é  un  tema. 
Che  non  va  a  sangue,  onde  ne  han  detto  corna 

1  critici,  bravissime  persone. 

Che  il  vino  voglion  pure  a  colazione. 

Oh!  il  Chianti,  oh!  il  gentilissimo  Pomino, 
De'  toschi  colli  onor,  si  cari  al  Bedi  ! 
Lo  Sciampagne  esso  pure  é  un  certo  vino. 
Che  quando  il  bevo,  dalla  testa  ai  piedi 
Mi  mette  un  pizzicore,  un'  allegria  •  •  • 
Peccato  che  si  tosto  vada  via. 


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—   260  — 
E*  mi  ricorda  ancor  di  certa  sera, 

Ch*  ultimo  assunto  a  genì'al  convito. 
Di  dotti  amici  in  mezzo  a  eletta  schiera. 
Se  ne  bevve  davver  dello  squisito, 
Alternando  biscotti  e  poesia. 
Nel  tempio  della  vera  cortesia. 

Ne  la  tua  casa,  o  Fabio,  e  ci  leggevi. 
Del  tuo  ferace  ingegno  opra  novella. 
In  Valnerina^  e  tra  quel  bevi  e  bevi. 
Tanto  effetto  mi  fé*  V  opra  tua  bella, 
Che  vivi  i  personaggi  e  veri  i  lochi. 
Li  vedo  ancora,  e  scorser  di  non  pochi. 

E  il  vecchio  Bruschi,  a  me  non  conosciuto. 
Vedo  sano  e  rubizzo  andare  attorno 
Pe'suoi  vigneti.  O  povero  canuto! 
Non  ti  vedrà  piii  alcun  farvi  ritomo 
Com'ei  ti  pinse,  e  col  baston  per  lancia. 
Toccar  di  sprone  al  tuo  cavai  la  pancia. 

Di  pace  cavalieri  dentro  la  fossa 

T'han  messo  ora  a  giacer!  dormi  e  t'allieta: 
Che  non  morrai  finché  duri  la  possa 
De' canti  e  dell'amor  del  tuo  poeta, 
S'anco  non  resti  un  gocciol  del  tuo  vino. 
Non  ambrosia,  aleatico  divino. 

Dove,  io  già  stanco,  te,  dove  te  lascio, 
O  liquido  rubin  che  fiammeggiante 
Nel  cristal  vidi,  limpido  Roascio? 
S'io  fossi  re  una  croce  di  diamante 
Darti  vorrei,  cultor,  che  sai  far  tanto; 
Se  papa  fossi  poi  ti  farei  santo. 

Gli  eroi  d'Omero  quelli  si  che  a  cena 

Non  si  mettevan  come  noi  per  scherzo. 
Due 'biscotti  a  noi  fan  la  pancia  piena. 
Ognun  di  lor  d'  un  bue  mangiava  il  terzo; 
E  per  questo  si  dissero  famosi  •  .  . 
Intanto  noi  gridiam  viva  gli  sposi. 

Viva  gli  sposi!  col  bicchiere  in  mano 
Viva  gli  sposi,  io  vo*  gridar,  evviva! 
Viva  gli  sposi!  ognuno  a  mano  a  mano 
Viva  gli  sposi,  gridi,  evviva,  evviva! 
Viva  gli  sposi!  si,  viva  gli  sposi! 
Vivan  gli  sposi,  vivano  gli  sposi! 

Quando  cantai  del  Chianti  e  del  Pomino, 
E  dissi  la  virtù  dello  Sciampaene, 
Recar  non  volli  offesa  a  ogn*  altro  vino. 
Né  sfregio  a  nostre  fertili  campagne; 
Non  vorrei  travisato  il  mio  pensiero 
Perchè  per  fretta  non  lo  espressi  intero. 


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261   — 

Piacemi  pur  quel  d'Asti  ed  il  Barolo, 

Quel  di  Genzan  mi  piace  e  di  Marino; 
Di  quello  di  Velletri  un  bicchier  solo, 
E  di  Montepulciano  intero  un  tino; 
E  di  Montefiascone  e  delle  Grotte, 
Di  Gradoli  e  d'Orvieto  anche  una  botte. 

Fatta  quesu  protesu  io  tiro  innanzi; 

«  Andiam  che  la  via  lunga  ne  sospinge,  » 
Dunque  restammo,  come  dissi  dianzi. 
Restammo  .   .   .  qui  ci  vuol  la  rima  in  inge; 
Finge^  dipinge,  intinge  ...  or  non  mi  serve. 
Invece  ora  vorrei  la  rima  in  eroe. 

Ma  non  mi  vo'  confondere,  che  diavolo  1  . 
Affronterò  sicuro  ogni  pericolo. 
Sapete  che  diceva  u  mio  bisavolo? 
«  Se  non  puoi  per  la  via,  passa  pel  vicolo. 
Il  forte  è  d'arrivar;  se  trovi  ostacolo. 
Niente  paura,  si  farà  un  miracolo.   » 

A  proposito,  dite,  ci  credete 

Ai  miracoli  voi?  al  tempo  antico 

Molti  se  ne  facevano,  sapete. 

Adesso  se  ne  fanno,  eh!  già  non  dico. 

Ma  pochini,  cosi  per  esercizio. 

Giusto  perchè  non  se  ne  perda  il  vizio. 

Uno  ne  ho  fatto  anch'  io  proprio  stasera 
Di  legger  da  me  stesso  e  a  faccia  tosta. 
Senza  arrossire  o  impallidir  di  cera. 
Questa  indigesta  fricassea,  composta 
Alla  carlona,  o  meglio  alla  mattesca  .   .   • 
Non  mettete  mai  '1  fuoco  accanto  all'  esca. 

E  qui  finisco.  Se  riesco  a  un  fiasco 

Io  non  m' infosco  o  offusco,  e  me  ne  infischio. 
Conosco  il  visco  e  da  losco  non  casco. 
M'infrasco  e  fresco  poi  esco  di  rischio. 
Chi  di  voi  mi  darà  la  rima  in  aschio  ? 
V'auguro  nn  bel  figliuolo  e  che  sia  maschio* 

XLV. 

L'  ALTEZZA  SERENISSIMA  DI  CARLO  IH. 

PRINCIPE    SOVRANO    DI    MONACO 

ALL'ALTEZZA  REALE 

DI  DONNA  FLORESTINA 

Duchessa  di  "Wortemberg 

SUA  AUGUSTA  SORELLA 

Cerchia  il  ceruleo  mare  il  mio  bel  trono 
Sovra  la  rupe  d'Ercole  Monèco, 
Ove  del  marzial  eroico  suono 
De  gli  aviti  Grimaldi ^odesi  l'eco; 


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—  %t%  — 

Mentre  il  popolo'  mio,  cui  padre  io  sono 
Meglio  che  prence,  come  figlio  meco 
Vive;  né  de  gli  allor,  cui  Marte  bieco 
Comparte*  ma  d'olivo  io  m'incorono! 

D'Oriente  la  flora  in  su  lo  scoglio 
Surge  spontanea  come  la  divina 
Fede  de  gli  avi  a  l'ombra  del  mio  soglio... 

Ma  il  bel  tesor,  fra  l'Alpe  e  la  marina, 

Che  più  rifulge  e  incendemi  d'orgoglio... 
È  sol  la  tua  virtude,  o  FlorestinaY 

Luigi  Arrigo  Rossi 


XLVI. 

ATOMI 

À  SEVERINÀ 

e  Triitlt  in  hilariUte. 

Vorrei  darti  un  amorino^ 
O  diletto  mio  tcsor; 
Vorrei  darti  un  géUominOj 
Cui  somiglia  il  tuo  candor; 

Vorrei  darti  V  amaranto^ 
Il  cui  vivido  color 
Apparir  di  tanto  in  tanto 
Sul  tuo  volto  vedo  ancor. 

Darti  pur  la  sempreviva^ 
Il  mughetto^  cento  fior. 
La  gaggia^  la  sensitiva^ 
Cui  simiglia  il  tuo  bel  cor; 

Vorrei  darti  la  giunchiglia^ 
La  pcUustre^  il  botton  dC  or^ 
La  viola^  la  vainiglia^ 
Il  ligustre^  ogni  bel  fior. 

Ma,  fra  tanti,  deh,  indovina 
Qual  più  raro  fior  ti  do?... 
Quella  fede,  o  Severina, 
Che  appassir  1'  età  non  può  ! 

La  stilla  di  sangue 

Di  Vener  vezzosa 

Largiva  alla  rosa 

Purpureo  color: 
Giunone  superba 

Versava  la  stilla 

Di  latte  che  brilla 

D'immenso  splendor. 


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—  263  — 
Di  pianto  la  stilla 

Se  tu  versi  innante, 
Potria  qnell'  istante 
Temprarmi  il  dolor. 

L' uomo  cV  ha  il  cor  sensibile 
Celia,  ma  in  modo  lieve; 
L'  uomo,  più  d'  una  lagrima 
Mai  versare  non  deve; 
Poicliè  è  un  celiare  e  un  piangere 
Il  mio  cantare  è  breve. 

Deve  il  pilota,  per  salvarsi  in  mare. 
Non  la  stella,  la  bussola  guardare; 
E  ho  perduto  la  bussola,  o  Donzella, 
Per  contemplarti  ognor  fulgida  stella. 

VOCI  UDITE  ALLE  CORSE 


e  Bilarìt  in  trittitia.  > 

Principino  Don  Diego,  ti  chiedei 
Di  far  su  Dante  le  tue  chiose  belle. 
M'hai  risposto:  «  Non  sciccio  d'altri  Danti 
Che  quello  della  pelle  de' miei  guanti.   » 

De*  buoi  le  coma  indoransi 
Nelle  pubbliche  feste, 
E  V  auree  corna  spuntano 
Sopra  l'umane  teste. 

Non  hai  di  pietra,  hai  di  adamante  il  core, 
Né  lo  ponno  incavar  stille  d'amore. 

Dal  core  all'  intelletto 
Sale  la  poesia,  ^ 

Ma  scender  dee  dall'intelletto  al  core  ^ 

Il  nuziale  amore. 

La  ghirlanda  di  rose  ha  Imene  al  crine, 
Si  sfronda  presto  e  restano  le  spine. 

Come  un  vulcano  trasformossi  in  lago, 
O  cara  donna,  hai  trasformato  il  core: 
Acqua  placida  egli  è,  non  piti  vorago. 

Eri  cotanto  schiva 
Che  tutti  ti  dicean  la  sensitiva^ 
Ora  sei  un'  altra  cosa, 
La  pungente  spinosa. 


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—  264 

Non  più  versa  di  Trevi  la  fontana 
L'  acque  che  fean  grandi  fragori  e  spume; 
Ma,  se  il  pianger  che  fa  la  razza  umana 
Vi  s'aggiungesse,  tornerebbe  un  fiume. 

Il  pedante  è  uno  gtìlUa 
Il  ([ual  passa  la  sua  vita 
Nel  guardar  dall'alto  in  basso. 
Senza  mai  movere  un  passo. 

Luigi  Aaaico  Rossi 

PUBBLICAZIONI  RICEVUTE  IN  DONO 

Biblioteca  della  gioventù'  italiana.  Anno  Xlil.  Aprile  1881.  La  Fa- 
miglia di  Erlauy  racconto  di  Giuseppe  Maffei.  Torino,  1881,  tipografia 
e  libreria  Salesiana  »  Sanpierdarena-Lucca-Nizxa  Marittima*  In  12<*  di 
pag.  264. 

BusiRi  (Aiidrea)  Torre  tul  Quirinale  con  eale  per  un  Accademia  Filarmonica 
e  coneervatorio  di  Mueica  e  Dama.  Studi  e  disegni  dell'ingegnere  archi- 
tetto Andrea  Bosibi,  in  compimento  del  progetto  mdccclxxix  del  nuovo 
ingresso  alla  Via  NaxùmaU  sulla  Piazza  di  Venezia  e  della  Via  del  Corso 
al  Monte  Capitolino.  Roma  mdccclxxxi.  Piante  due  in  foglio  con  Illa- 
strazione. 

Isolamento  parziale  delV  antico  Peristilio  di  Antonino  Pio  in  Roma 

secondo  il  voto  della  Commissione  Archeologica  del  R.  Governo.  Pianta 
in  foglio  con  Illustrazione. 

Henbt  (Charles)  Galilèe,  Torricelli,  Cavalieri^  Castelli.  Documents  nouveaux 
tirés  des  bibliothèques  de  Paris  (  Reale  Accademia  dei  Lincei,  anno  CCLXX  VII, 
1879-80)  {Serie  3*.  Memorie  della  Classe  di  scienze  morali,  storiche  e  filo- 
logiche. Voi.  F.  Seduta  del  20  giugno  1880).  Roma,  coi  tipi  del  Salviueei 
1880.  In  4.0  di  pag.  20. 

Boncompagni  [B.)Cin^  Uttres  de  SopAte  Germain  a  Charles^Frédéric  Gauu„ 

publiées  d'après  les  origtnaux  posséaés  par  la  Socièté  rogale  des  Sciences  de 
Gdltingen  ecc.  —  Govi  (G.)  Intorno  alla  data  di  un  discorso  inedito  pro- 
nunciato da  Federico  Cesi,  fondatore  dell'Accademia  dei  Lincei  ecc.  *  Govi 
(G.)  Su  alcune  lettere  inedite  di  Lagrange  pubb.  dal  Boncompagni  eco. — 
Germain  (Sophie)  Mémoire  sur  l'emploi  de  Vépaisseur  dans  la  théorie  des 
surfaees  élastiques  ecc.  Memorie  bibliografiche  pubblicate  da  Henry  Charles 
{Extrait  du  tfulletin  des  Sciences  mathématiques  2«  sèrie,  t.  IV ^  1880). 
Paris ,  imprimerie  de  Gauthier  Villars ,  guai  des  Augustins  55.  in  8.<»  di 
pag.  5. 

Muntz  (Eugene)  Études  sur  Vhistoire  des  arts  a  Rome  pendant  le  moyen-dge, 
Boniface  Vili  et  Giotto  {ExtraU  des  Mélanges  d*archéologie  et  d'histoire, 
nublièspar  V Ecole  Fran^aise  de  Rome).  Rome,  imprimerie  de  la  Paix,  1881. 
In  8*.  ai  pag.  29  e  tavola. 

Tessier  (Andrea)  Quattro  lettere  di  Ippolito  Pindemonte  ora  per  la  primo 
volta  pubblicate  {per  le  faustissime  nozze  del  barone  Giulio  Reichlin,  colla 
eontessina  Maria  Cassis)  Venezia,  tipografia  delV Ancora  1881.  In  S.^  di 
pag.  27  non  numerate. 

— ^  Due  dispacci  di  Alvise  Querini  ministro  residente  in  Torino  della  re- 
pubblica veneta,  ora  per  la  prima  volta  pubblicati  con  annotazioni  {auspi- 
catissime  nozze  Tilling-Ricca).  Venezia,  costipi  di  Pietro  Naratovich,  i88l. 
In  8?  di  pag.  20. 

errori  incorsi  nel  Fascicolo  precedente 

errata  corrige 

Pag.  215  linea  38  d*  imitazione  di  rappresentazione 

Pag.  216    »      13  sovrastò  sovrastette 

Pag.  216    »      19  dalla  Spagna  della  Spagna 

Pag.  219    »     25  nel  65  anno  di  Roma  nel  65  anno  in  Roma 

Pag.  220    »      26  Argante  Gargantua 


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Sbrie  II.  VoL.  XIV. 


Agosto  1880 


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BUONARROTI 


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BENVENUTO  GASPARONl 

CONTINUATO  PER  CURA 

DI  ENRICO  NARDIICCI 


PAG. 

XLVII.  Documenti  inediti  dell'arte  toscana  dal  Xll 
al  XVI  secolo,  raccolti  e  annotati  da  G.  Mi- 
lanesi (Fine) »    265 

XLV11I.  Descrizione  di  tutte  le  colonne  ed  obelischi 
che  trovaijsì  nelle  piazze  di  Roma,  disposta 
in  forma  di  guida  da  Angelo  Pelle* 
GRiNi  ecc.  (Cùntinuazione) »  276 

XLIX.  Notizie  sugli  scavi  di  S.  Urbano  di  Narni,  di 
Magliano  in  Sabina,  di  Vitorchiano  nel  Vi- 
terbese e  di  altri  luoghi.  Lettera  all'onore- 
vole Sig.i*  Dirett.«  Gnale  de' Musei  e  degli 
Scavi  di  Antichità  (G.  Eroli).  ...»  291 
L.  Le  migliori  cantatrici  italiane  fino  alFanno 

17L5.  Notizia  di  M.  Steinschneider    .    »  301 
LI.  Specuium  Dianae.  —  Palatinus  (Luigi   Ar- 
rigo Rossi)  .    .    , »  302 

LII.  Ai  miei  cari  (Luigi  Arrigo  Rossi)   .    .    »  303 


ROMA 

tipografia  delle  scienze  matematiche  e  fisiche 

Ma  lata  n*  3. 

1880 


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Pubblicato  il  12  Luglio  issi 


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Serie  II.  VoL.  XIV.         Quaderno  Vili.  Agosto  1880 


XLVII. 

DOCUMENTI  INEDITI  DELL'ARTE  TOSCANA 
DAL  XII  AL  XVI  SECOLO 

RACCOLTI   E   ANNOTATI  ' 

DA*  G.    MILANESI 

CaniinuaMùme  (1) 


N.*  48.  1351,   ì  di  luglio 

Ristoro  d'Andrea  (2)  pittore  da  Firenze^  domanda  d^esser  pagato  da 
Paoluccio  di  Lazarino  pittore  lucche»e^  dimorante  in  Firenze^  pel 
prezzo  di  pitture  fattegli. 

Archivio  di  Stato  tn  Firenze. 
Arahirio  della  Mercausia,  Caute  Ordinarie.  Voi.  illl,  dal  18  gennaio  all'li  di  luglio  lS5i. 

Coram  nobis  domino  Vgolino  (Uni  lohanms  de  Spoleto)  indice 
et  oflBtio  predictis  ezponit  et  dicit  Ristorus  Andree  populi  Sancte 
Marie  Novelle  de  Florentia,  pictor,  quod  Pauhiccvus  Lazzarini  de 
Lucila,  qui  morari  consuevit  in  cavitate  Florentie ,  jam  sunt  vel 
menses  et  vltra  fuit  et  est  debitor  dicti  Ristori  in  vij  fior,  auri  xx 
idcirca  prò  salario  et  labore  picturarum  per  ipsum  Ristorum  factarum 
dicto  Paithiccio.  Et  quod  dictus  Pauluccius  a  dicto  Ristoro  pluries 
requisitus  cessavit  et  cessat  eidem  dare,  solvere  dictam  quantitatem 
florenor:  auri  in  eius  preiudicium  et  gravamen.  Quare ,  facto  sic 
exposito  petit  nunc  dictus  Ristorus  quatenus  cogatur  et  compellatoir" 
et  in  dieta  summa  condenpnetur  dictus  PaiUucim  ad  dandum  et  sol* 
vendum  dicto  Ristoro  dictorum  florenor:  auri  quantitatem  et  in  pre- 
dictam  procedi  breviter  et  summarie  secundum  bonam  equitatem,  etc. 


(1)  Vedi  Quaderno  precedente,  pag.  234. 

(2)  Ristoro  d^Àndrea  si  trova  scritto  alla  Compagnia  de'Pittori  di  Fìrenxe. 
Egli  fu  padre  di  aneiriiiufr^a,  parimente  pittore,  che  nel  1392  si  fece  la  se- 
poltura m  S.  Maria  Novella.  Di  Paoluccio  figliuolo  di  Lazzarino  di  Luporo 
pittore  lucchese,  poche  notizie  dà  il  Trenta.  Noi  sappiamo  che  e^li  dopo  aver 
dimorato  in  Firence  col  padre  suo,  andò  a  stare  in  Pisa,  dove  ai  30  d^ Agosto 
1365  sposò  LisabeUa  de  ifu  Tomwuuino  da  Venezia. 

36 


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N.®  49.  1351,  5  di  gennaio 

Allogazione  a  qiuUtro  maestri  di  pietra  de' marmi  lavorati  di  più  colori 
per  la  costruzione  di  dieci  braccia  ddTultimo  finestrato  del  Cam-- 
panile  del  Duomo  di  Firenze. 

jtrehtviù  detto. 
Rogiti  di  Ser  Bartolo  di  Neri  da  Rsffiaao.  Protocollo  dal  II4S  ol  lUl. 

In  dei  nomine,  et  Dominiee  Incamationis»  Anno  millesimo 
trecentesimo  quinquagesimo ,  Inditione  quarta ,  die  quinto  mensis 
Januarii. 

Discreti  viri  Manettus  Spigliati  de  Filicaria  ,  Landus  Antomi 
de  AUnzzis^  Alessus  Guglielmi^  et  Filippus  Bonsi^  eives  fiorentini, 
operarii  prò  Arte  Lane  constructionis  operis  sancte  beate  Reparate 
cathedralis  ecclesie  fiorentine,  ad  dictum  Opus  congregati,  volentes 
intendere  ad  vtilitatem  dicti  operis,  et  ut  ieruentius  ad  laborerium 
diete  Opere  procedatur,  locaverunt,  et  concessenmt  Nerio  FioravanUs 
populi  sancti  Petri  maioris,  Benozzo  Niccolay  populi  sancti  Michaelis 
Vicedominorum,  Niccolao  Beltrami  populi  sancti  Laurentii  ,  et  Al- 
berto Amoldi  populi  Sancti  Michaelis  Berteldi  magistris  ad  condu- 
cendum  ad  dictum  opus ,  et  ibidem  consignandum  operariis  dicti 
operis,  siye  Gubematoribus  ibidem  prò  tempore  eicistentibas,  labo- 
ratas  et  completas  infrascriptas  quantitates  marmorum ,  videlicet 
alborum  de  Garraria  ,  rubeorum  de  caua  Sancti  Justi  ad  montem 
Rantuli,  et  nigroinim  de  Monferrato,  bona  et  pastosa  et  netta  pilis 
vel  aliis  defectibus  infrascriptarum  rationum  et  bonitatum,  et  men- 
surarum^  ut  inferius  particulariter  continetur  prò  ìnfrascriptis  pretiis, 
et  quantitatibus  pecuniarum,  videlicet:  xvj  braccbia  stipidorum  ad 
modinum  eis  dandum  per  Francischum  Talenti  principalem  magi- 
strum  dicti  operis,  vel  per  alium  principalem  magistrum  dicti  operis 
prò  tempore  existentem;  grossitudinis  per  latum  tertie  partis  vnius 
bracchii,  videlicet  minus  petinm,  et  iongiludinis  vnius  bracckii  et 
dimidii  alterius  braccbii  prò  pretio  et  ad  rationem  libranim  otto 
prò  quolibet  bracchio:  in  snmma  libramm  cxxviij  fior:  parvor. 

Item  octo  bracchia  angnlorum  ad  modum  atìpidi,  ad  rationeni 
librarum  quactuor  fior:  parv:  prò  quolibet  bracchio  :  in  annuna 
libr.  xxxij  fior,  parvor. 

Duodecim  bracchia  marmoris  rnbei  qui  poni  debet  in  dictis 
pilastris,  longitudinis  duorum  tertiorum  bracchii  ad  rationem  libr: 
duorum  fior:  parvor:  prò  quolibet  bracchio:  libr:  xxiiij  fior:  parv- 

Otto  bracchia  marmorum  rubeorum  quod  poni  (sic)  debet  inter 
angulos  dictorum  pilastrorum,  largitudinis  quarte  partis  vnius  brachii 
ad  rationem  sol:  xx  prò  quolibet  bracchio:  libr.  viij  fior:  parvor. 

Sedecim  bracchia  marmoris  nigri  qui  poni  debet  inter  pilastros, 
largitudinis  tertie  partis  vnius  bracchii^  ad  rationem  sol:  viginti 
duorum  fior:  parvor:  prò  quolibet  bracchio  :  libr.  xvii  et  sol:  xij 
fior:  parv. 

Sedecim  bracchia  vnius  cornicis  marmoris  albi  de  Garraria  > 
que  poni  debet  in  medio  facciarum  campanilis  inter  marmora  nigra 
de  Monteferrato  et  rubra  de  dieta  caua  Sancti  Justi  de  Monte  Rantuli^ 
largitudinis  tertie  partis  vnius  bracchii  et  grossitudinis  qpiarte  partis 


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267   — 

vnius  bracchii ,  ad  rationem  librarum  duarum  et  sol:  decem  fior: 
parvor:  prò  quolibet  braccbio:  in  summa  lib:  xl  fior:  parvor. 

Otto  bracchia  tauolarum  rabeorum  rubeorum  de  Monte  Ran- 
toli longitadinis  vnias  braccbii  el  octaue  partis  alterius  bracchii, 
ad  rationem  librar  :  trium  prò  quolibet  braccbio  :  libr  :  viginti 
quactnor  fior:  parv. 

Otto  bracchia  vnius  filaris  marmornm  albomm  de  Carraria,  lon- 
gitudinis  medietatis  vnius  bracchii  et  grossitudinis  quarte  partis  vnius 
bracchii  ad  modinum  convcnientis,  ad  rationem  sol:  kiv  pi*o  quolibet 
bracchio:  libr.  xviij  fior,  parvor. 

Septnaginta  quinque  bracchia  concii  prò  dicto  campanili  ex 
parte  intrinseca  ponenda  cum  schala  lapidum  fortium,  ad  rationem 
libr:  trium  et  sol:  quinque  prò  quolibet  bracchio:  in  summa  libr: 
ducentas  quadxaginta  tres  et  sol:  xv  fior,  parvor. 

Dixerunt  insuper  quod  infrascripta  marmerà  et  concia  sunt  que 
▼adunt  sive  mitti,  aut  poni  debent  in  quactuor  fenestris  et  in  isguan- 
ciatis  et  in  pectoralibus  et  dauanzalibus  et  colupnellis  rubeis  et  in 
petratis  et  U  sapra  più  de  seggiolis  et  omne  id  quod  pertiaet  ad 
dictas  fenestras,  altitudinis  decem  bracchiorum,  quod  debet  partiri 
in  decem,  et  totidem  dixerunt  tangere  prò  bracchio  quolibet. 

Gentum  nonaginta  duo  bracchia  inter  columpnas  medii  bracchii 
et  columpnas  cum  duabus  brucchiis  et  columpnas  tondas  que  poni 
debent  in  medio  fenestrarum  laboratas  ac  tortas  secundum  modum  quo 
sunt  incepte  et  ad  modum  dicendi  per  principalem  magistrum  dicti 
operis  prò  tempore  existentem;  longitudinis,  videlicet  ille  duorum 
bracchiorum  et  ille  medii  bracchii,  ad  minus  longitudinis  quodlibet 
petium  bracchiorum  trium  cum  dimidio  alterius  bracchii  ;  et  ille 
que  poni  debent  in  medio  fenestrarum,  longitudinis  sex  braccbiorum 
et  dimidii  ad  minus  prò  quolibet  petio,  ad  rationem  librarum  se- 
decim  llor:  parvor:  «prò  quolibet  bracchio. 

Gentum  quinquaginta  duo  bracchia  colonnellorum  mannorum 
Tubeorum  de  caua  sancti  Justi,  que  cii^ghiari  debent  in  petcatum  et 
sguanciati  fenefitramm  ad  rationem  librarum  quinque  letaol:  decem 
prò  quolibet  tbracchio. 

Quindecim  bracchia  colonnellorum  marmorum  rubeorum  que 
poni  debent  ad  planum  fenestrarum  sub  pettorali  et  de  super,  ad 
rationem  librar:  quinque  et  sol:  decem  fior:  parvor:  rpro  >quolibet 
bracchio. 

Septuaginta  duo  bracchia  colonnellorum  dictorum  matrmorum 
rubeorum  que  poni  debent  ad  planum  fenestrarum  ad  pedem  iaguan- 
ciatorum,  grossitudinis  tertie  partis  bracchii,  longitudinis  duarum 
tertiorum  braccbii,  ad  modinum  eis  dandum  per  dictum  prìncipalem 
magistrum,  ad  rationem  librar:  sex  floren:  parvor:  prò  quolibet 
bracchio. 

Septuaginta  quinque  bracchia  impetrati  prò  isguancitis  fene- 
strarum, que  poni  debent  in  medio  oolupnellorum  rubeorum^  largi- 
tudinis  septem  ottavorum  brachìi,  ad  rationem  librarum  novem  et 
sol:  quindecim  fior:  parv:  prò  quolibet  bvaochio. 

Quadraginta  bracchia  tabulatorum  alborum  de  marmore  de  Gar- 
rana ,  largitudinis  septem  ottavorum ,  et  grossitudinis  sexte  partis 
bracchii,  que  secuntur  cum  isguanciato  fenestrarum  ad  pedem,  quod 


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non  est  impetratam,  in  medio  colupnellomm  mbeoram,  qni  poni 
debent  ad  planum  ,  ad  rationem  librar:  qninque  fior:  paryor:  prò 
quolibet  bracchic. 

Septuaginta  quactaor  bracchia  comicis  albe  dicti  marmoris  qae 
cinghiant  pilastros  et  faccinolas  nsque  ad  columpnellos,  debent  esse 
et  redire  concii  tertia  pars  vnios  braccbii  per  grasseza  et  largita- 
dinis  medii  braccbii  laboratate  ad  linguazas^  ad  rationem  librar um 
otto,  sol:  duorum  et  den:  sex:  floren:  parvor:  prò  quolibet  braccbio. 

Viginti  octo  bracbia  diete  comicis  albe  prò  davanzalibus  fene- 
strarum  tornando  di  concio  tertium  vnum  et  grossitudinis  et  largi- 
tudinis  trium  (juartorum  ad  rationem  librar:  novem,  sol:  quindecim 
floren:  parvor:  prò  quolibet  braccbio. 

Duodecim  tabule  prò  pectoralibus  fenestrarum,  de  quibus,  otto 
tabule  debent  esse  longitudinisquelibetbracbiorum  duorum  et  duorum 
tertiorum;  et  alie  quatuor,  quelibet  bracchium  vnum  et  duos  tertios 
et  grossitudinis  quelibet  dictarum  duodecim  tabularum  inter  tertium 
et  medium  braccbii  compassate  et  laborate  ad  modinum  eis  dandum 
per  principalem  magistrum  dicti  operis  prò  tempore  existentem;  alti- 
tudinis  omnes  duodecim  tabule  quelibet  earum  vnius  braccbii  et 
duorum  tertiorum,  prò  pretio  inter  omnes  fior:  centum  septuaginta 
auri,  ad  rationem  libr:  trium  et  sol:  quinque  prò  quolibet  floreno  auri. 

Et  per  lo  sopra  più  dé^  seggioli  ^  qui  debet  partiri  cum  questo 
medesimo  libr:  centum  septuaginta  duas  floren:  parvor. 

Octuaginta  braccbia  lastricbi  quod  poni  debet  sub  seggiolis  ad 
rationem  sol:  viginti  duorum  prò  quolibet  braccbio  libr:  ottuaginu 
octo  flor:  parvor.  Et  voluerunt  et  in  concordia  fuerunt  dicti  operarli 
quod  volebant  eisdem  magistris  dari  de  denariis  et  florenis  dicti 
operis  prò  stipendio?  flor:  viginti  quinque  auri:  de  predictis  marmo- 
ribus  et  lapidibus  concis  debent  ut  dixerunt  et  in  concordia  fuerunt 
fornire  decem  braccbia  dicti  campanilis  per  altitudinem  et  circum 
circa.  Et  debent  ipsi  magistri  suprascripta  omnia  marmora  bene  ac 
sufBcienter  ac  ydonee  laborau  et  completa  dare  et  assignare  ope- 
rariis  dicti  Operis  siue  capomagistro  siue  gubematori  dicti  operis 
prò  tempore  existenti,  ad  pedem  campanilis  ad  coUam  cum  qua  la- 
borerium  ipsum  collari  debet  supra  dicto  campanili,  adeo  bene  com- 
pleta et  facta  quod  murari  possit:  et  si  expediret  supra  ipso  campa* 
nili,  dum  murabuntur,  in  actare  et  retocfaare  omne  concium  quod 
expediret  ibi  suis  sumptibus  et  expensis  faciendi  ac  ferramenti  prò 
murando,  ita  quod  propterea  dictum  opus  nicbil  babeat  mietere  nisi 
in  murando  et  calcinam  renam  et  manualium  ac  magistrorum  (sic)  prò 
murando;  salvo  quod  si  aliquid  contigerit  solvi  ad  Garrariam  prò 
dogana  marmorum  alborum  ;  quod  tunc  et  in  eo  casu  solvi  debet 
ipsa  dogana  de  denariis  dicti  Operis.  Que  omnia  marmora,  videlicet 
alba  nigra  et  rubea  et  concium  lapidum  fortium  facere  debent  suf- 
ficienter  ad  laborandum  dieta  decem  braccbia  campanilis  per  altitu- 
dinem  et  circum  circa.  Et  voluerunt  et  pepigerunt  diete  partes  modis 
et  nominibus  quibus  supra  et  cum  protestatione  predicta ,  quod  si 
accideret  (piod  dicti  magistri  conducerent  seu  conduci  facerent  ad 
dictum  opus  marmora  uel  de  dictis  marmoribus  vi  tra  quantitateok 
necessariam  ad  faciendum  et  fulciendum  dieta  decem  braccbia  dicU 
campanilis  de  marmoribus  non  contiis;  quod  in  dicto  casu  dieta  su- 


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—  S09  — 
perflua  marmora  emantur  ab  eis  prò  dicto  opere  prò  pretio  conde- 
cente. Et  si  marmora  laborata  per  eos  vtilia  dicto  operi  superessent 
tunc  per  dictum  opus  solvatur  eis  de  laboratis  ad  rationem  predictam 
et  sapra  scriptam  non  excedendo  quantitatem  marmorum  conciorum 
qaantitatem  necessariam  prò  murando  vno  bracchio  prò  altitudine 
et  circum  circa  ipsum  campanile.  Et  quod  si  aliquid  laborerium 
esset  laboratum  prò  dicto  opere  et  concium  ad  diclum  opus,  debent 
dicti  magistri ,  et  pepigerunt  ad  voluntatem  operariorum  prò  tem- 
pore existentium,  sibi  illa  computare  ad  et  secundum  rationes  pre- 
dictas  a  dicto  Opere. 

Et  e  converso  predicti  Nerius^  Benozzuis^  Niccolaus  et  Albertus 
magistri  predicti  dieta  marmora  et  lapides  sive  concium  lapidum 
et  marmorum  conduxerunt  a  dictis  operariis  et  obligando  se  ipsos 
et  quemlibet  eorum  et  ipsorum  et  cuiuscumque  ipsorum  heredes  et 
bona  omnia  mobilia  et  immobilia  presentia  et  futura,  promiserunt 
et  convenerunt  dictis  operariis  et  mihi  Bartolo  notario  tamquam  pu- 
blice  persone  stipulantibus  et  recipientibus  prò  Comuni  Florentie 
et  dicto  opere  et  quilibet  eorum  in  solidum  et  in  totum  obligando 
dieta  suprascripta  marmora  supradictarum  mensurainim  colorum  et 
bonitatum  ac  lapides  siue  concium  lapidum  conducere  seu  conduci 
facere  et  conducta  et  laborata  et  concia  consignare  et  dare  operariis 
sive  officiali  ac  gubernatori  dicti  Operis  prò  tempore  existentibus 
omnibus  ipsorum  magistrorum  stvmptibus  et  expensis  de  marmoribus 
et  lapidibus,  naulis,  gabellis,  magisteriis  et  ferramentis  prò  conciando 
et  uectura  et  omnibus  aliis  quam  bene  conti  is  et  actis  et  completis 
prò  murando,  videlicet  dieta  marmora,  ad  pedem  campanilis,  et  dicti 
lapides  fortes  in  claustro  dicti  Operis  vbi  morantur  magistri  dicti 
Operis  ad  laborandum  prò  dicto  opere,  et  posita  ad  pedem  campa- 
nilis ipsa  marmora  ad  cellam  ipsius  campanilis  in  terminum  quin- 
decim  mensium  proxime  yenturorum  prò  dictis  pretiis  sub  pena  et 
ad  penam  (piinquaginta  florenor:  auri  solempni  stipulatione  premissa: 
Que  pena  totiens  commictatur  et  pacti  et  exigi  possit  cum  effectu 
quatenus  con  tra  factum  fuerit  sive  ventum  qua  pena  etc.  etc.  Et  vo 
luerunt  et  pepigerunt  dicti  magistri  quod  de  eorum  bono  seryitio 
fiendo  et  bono  laborerio  dando  ad  terminum  debitum  stare  et  stari 
debeat  dicto,  discretioni  vel  deliberationi  suprascriptorum  locatorum 
prò  tempore  viventium  vel  presenlium  in  civitate  Florentie.  Et  hoc 
ideo  feccerunt  quod  dicti  Operarli  -  promiserunt  eisdem  quod  a  gu- 
bernatore  dicti  Operis  prò  omnibus  predictis  dabuntur  suprascripta 
pretia  que  adscendere  dixerunt  summam  florenor:  quattuor  millium 
centum  auri,  videlicet  prò  quolibet  braccbio  fior:  quatorcentos  decem 
auri.  Et  promiserunt  dicti  magistri  et  quilibet  eorum  prò  predictis 
obseruando  et  executioni  mandando  ut  supra  continetur,  dare  qui- 
libet eorum  vnum  sufficientem  fideiussorem  bine  ad  octo  dies  pro- 
xime venturos,  de  bonitate  et  sufficientia  quorum  fideiussorum  stari 
voluerunt  dicto  dicti  Neri  Fierauantis  etc.  etc. 

Actum  Florentie  in  camerecta  sita  in  claustro  dicti  Operis  vbi 
morantur  notai'ius  et  camerarius  dicti  Operis  ad  soluendum  ma- 
gistris,  presentibus  ad  bec  testibus  Luysio  Johannis  de  Strozis  pop: 
Sancti  Miniatis  inter  turres ,  Vinta  Tuccii  RigcUecti  et  Francisco 
Talenti  et  Nerio  Loczii  de  Florentìa. 


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270   — 

N.""  SO.  1353,  3  dicembre 

Ordini  rigtuir danti  gli  Orefici  di  Arezzo. 

jirchlvto  O€M0ruU  de*  Camtratii  di  Ftrens». 
Rogiti  di  Ser  Guido  di  metter  Rodolfo  d'Aresto.  Protocollo  dal  i352  al  1S54. 

In  nomina  Dei  eterni.  Amen.  Anno  Xpi  a  natiyitate  eiusdem^ 
Millesimo  Trecentesimo  quinquagesimo  tertio*  Indictione  sexta,  do- 
mino Itmocentio  papa  sexto  residente,  die  tertio  mensis  decembris. 
Actum  Aretii,  in  plebe  sancte  Marie,  presentibus  Nicholao  domini 
Cingani  de  Sassolis ,  Berardino  Gmdonis  de  Mignano ,  Berardmo 
IvJthi  de  Camaianis  et  Bonomo  Angeli-  Bonomi  spetiario  de  Aretio 
testibus  ad  hec.  Infrascripti  ciues  aurìfices  civitatis  Aretii  simnl  dan- 
nati in  plebe  predicta  in  piena  et  comuni  concordia,  nullo  ipsorum 
discordante,  videlicet  Cola  Spinelli (i)j  Petrus  Vannis.,  Franciscus  Lagni^ 
Johannes  et  Lucìias  fratres  filii  olim  Fei^  Michelucius  Gori  domini 
Jucehe  de  Sassolis^  Johannes  ser  Fei  et  Feus  Goriy  asserentes  se  esse 
duas  partes  et  satis  ultra,  immo  quasi  omnes  aurifices  civitatis  pre- 
diete  ;  ad  honorem  et  commodnm  civium  diete  civitatis  et  habi- 
tandum  in  eadem  et  prò  bono  et  augmento  diete  artis  et  artificnm 
artis  predicte;  facto  prius  et  misso  partito  inter  eos  ad  fabas  nigi^is 
et  albas  et  obtento,  nullo  ipsorum  reperto  contrario,  fecerunt,  com- 
posuerunt  et  firmaverunt  infrascripta  ordinamenta  que  voluerunt 
per  omnes  artifices  artis  predicte  et  eorum  artista  et  fancellos  invio- 
labiliter  observari.  Que  quidem  ordinamenta  infra  per  ordinem  vul- 
gariter  scripta  sunt,  videlicet: 

Emprima,  chel  Rectore  che  sirk  per  lo  tempo,  sia  tenuto  de  re- 
cercare ei  suoi  artefici  che  lauorano  ariento  a  deci  oncie,  e  cerchi 
el  meno  iiij  uolte  el  mese  e  più  a  la  sua  volontà:  e  selli  trouasse 
alcuno  che  non  lauorasse  ariento  come  elli  dia,  possa  lui  el  decto 
Rectore  condampnare  come  a  lui  piacerà ,  secondo  el  defecto  cha- 
uesse  commesso. 

Ancho  che  le  feste  le  saranno  date  per  scripto  el  Rectore,  se 
debbiano  guardare  per  li  decti  artefici  e  loro  garzoni  e  fancelli 
a  pena  (sic)  e  chel  Rectore  le  debba  comandare  o  fare  comandare 
a  quella  medesima  pena. 

Ancho  che  niuno  artelece  possa  torre  alaltro  alcuno  garzone 
per  tutto  el  tempo  chello  lauesse  pattovito,  a  pena  .  .  .  ma  com- 
piuto el  decto  tempo,  possa  el  decto  garzone  e  a  lui  sia  licito  de  po- 
narse  con  qualunche  maestro  elli  uorrà. 

Ancho  che  niuno  forestieri  possa  fare  ella  cita  darezo  bottega 
de  la  decta  arte,  se  prima  non  paga  deci  libre  al  camerlengho  de 
la  decta  arte  a  pena  .   .    . 

Ancho  che  niuno  artefece  o  suo  garzone  o  fancello  possa  latio- 
rare  el  sabbato  da  uespro  ennanzi,  se  non  lauorio  che  se  douesse 
rendere  compiuto  la  sera  medesima  o  la  mattina  seguente,  a  pena  .  .  . 

Ancho  che  tucti  ei  detti  artefici  lauoranti  o  garzoni  a  coman- 
damento del  Rectore  sieno  tenuti  de  raunarsi  per  la  festa  de  sancto 
Donato  e  de  ^sancto  Alò,  ogni  anno,  e  le  dette  feste  andare  ad  ho- 
norare  come  piacerà  al  decto  Rettore,  a  pena  de  .   .   . 

(1)  Questo  Cola  Spinelli  orefice  fu  Zio  paterno  di  ;^>ie{/o  aretino  pittore. 


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—  871   — 

Ancho  clie  ninno  artefece  lavorante  o  earzone  debbia  lanorare 
oro  a  meino  che  de  meità^,  e  non  possa  né  debbia  mettare  o  legare 
en  oro  alcuna  pietra  se  non  fina,  a  pena  de  .   .   . 

Ancho  che  ninno  cambiaitore,  sett^uolo  o  altro  forestieri  possa 
né  debbia  nendare  alcuno  arieato  lauorajto  n^uono  a  meno  di  lega 
de  X  oncie  ;  e  cbel  Aeotore  deli  orfi  possa  cercare  se  elli  ene  a 
la  lega. 

N.^  51.  1371,  di  maggio 

AUogaxiane  a  Piero  di  Landò  (i)  da  Siena,  maestro  di  legname^ 
del  Coro  della  chiesa  maggiore  di  Fiesole. 

jtrehivio  Veteovile  CapUoUre  di  Mi^sple^  , 
Dal  M§mortaU  Episcopi  Fi94oÌa*i^  scritto  di  miiuo  di  S.  Andrea  Corsini 
vescovo  di  quella  chiesa.  81. 

Piero  di  Landò  d»  Si^ia  ha  tolto  a  fare  il  coji'O  nella  chiesa 
maggiore  di  Fiesole;  e  questi  sono  i  paui*»  i  q^isiìi  ha  fatti  con  noi, 
col  Proposto  di  Firenze,  e  Ser  Tcuideo  predetto  in  preseni^a  del 
detto  Proposto. 

In  prima  che  iì  det^to  Piero  de*  fare  il  detto  coro  a  ogni  suo 
legname,  ferramento  e  ogni  altrtf  ispesa. 

Item  de*fare  il  deito  Coro  conpie  quello  delle  Donne  di  S.  Piero 
Maggiore ,  cioè  di  bracciali  in  giu^o ,  con  una  panca  dinanzi  da 
inginocchiarsi:  e  da*bri|9GÌaU  in  suso  vuole  essere  un  braccio  e  mezzo 
intorno  intomo  alto. 

Item  vogliono  essere  i  bracciali  di  noce  colla  piana  di  dietro 
ove  si  commettino,  la  piana  ove  si  commetteranno  i  sedi,  di  noce, 
e  i  ballatoi  e  i  peducci  e  un  regolo  dinanzi  a  manganella,  ogni 
cosa  di  noce  ;  e  sia  regolato  da'  bracciali  in  giù ,  come  quello  di 
S-  Pier  Maggiore,  di  noce,  e  da* bracciali  in  su  regolato  di  noce, 
riquadrato  con  una  cornice  di  noce  di  sopra,  e  di  sotto  alla  detta 
cornice  un  fregio  di  tarsia  come  in  quello  di  S.  Miniato  dalle  Torre, 
e  la  panca  dinanzi  da  inginocchiasi  regolata  dì  noce,  come  quello 
di  S.  Miniato  dalle  Torre.  Tutto  Taluo  legname  vuole  essere  d'al- 
bero, asse  di  mezzo. 

Item  debbe  auere  il  detto  Piero  per  pagamento  del  detto  coro 
fior:  cinque  e  mezzo  di  ciascheduna  sedia  e  a  tutte  sue  spese  di 
mangiare  e  di  bere^^  e  d'ogni  altra  cosa  di  gabella  e  di  vettura  e 
di  ciascheduna  altra  ispesa  ;  salvo  che  della  Sedia  del  Vescovo  si 
debba  vedere  per  messer  lo  Proposto  di  Firenze,  e  per  Ser  Taddeo 
di  S.  Pier  Maggiore  ;  e  quello  che  a  loro  paresse  ,  debba  essere 
ristorato.  E  questi  sono  i  patti. 


(1)  Maestro  Pietro  di  Landò  da  Siena,  ebbe  un  fratello  di  nome  Lorenzo, 
parimente  legnaiuolo,  che  morì  ne'primi  giorni  d'agosto  1363,  mentre  in  com- 
pagnia del  fratello  lavorava  il  coro  di  lenagme  di  S.  Domenico  di  Siena.  Di 
Pietro  andato  ad  abitare  in  Firenze  ha  dato  alcune  notiiie  il  Gaye  nel  voi.  I, 
pag.  73  del  Carteggio  d^Àrtisti  ecc.  Che  egli  facesse  il  coro  deUa  cattedrale 
di  Fiesole  era  fino  ad  ora  ignoto. 


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—   272  

A  di  29  di  maggio  1371. 

Maestro  Piero  di  Landò  da  Siena  ebbe  questo  di  di  sopra  per 
comprare  il  legname  del  coro  di  Fiesole  fior:  trenta  d*oro,  in  pre- 
senza del  Proposto  di  Fiesole,  e  quello  di  Firenze. 

Ilem  ebbe  egli  in  presenza  del  Proposto  di  Fiesole  e  di  Scr 
(riovanni  a  di  i5  [di  Giugno  dell'anno  di  sopra  fiorini  25  d*oro 
per  comprare  legname. 

Item  ebbe  egli  in  presenza  del  Proposto  di  Fiesole  e  di  Frate 
Bartolomeo  a  di  20  Luglio  lire  cincpianta. 

Item  ebbe  egli  a  di  24  d'Agosto  in  presenza  del  Fabbro  Vanni^ 
fiorini  15  d'oro. 

Item  ebbe  egli  a  di  27  di  Settembre  £  cinquanu  in  grano  che 
io  gli  vendei  per  soldi  diciannove  lo  staio. 
'     Item  diegli  questo  di  medesimo  ricevette  egli  fiorini  20  d'oro. 

Item  diegli  a  di  24  di  novembre  ebbe  egli  £  venti. 

Item  ebbe  Piero  maestro  a  di  2  di  marzo  in  presenza  del  Pro- 
posto di  Fiesole  fiorini  otto  d'oro. 

Item  ebbe  Piero  maestro  a  di  18  aprile  fiorini  sei  d'oro  in 
presenza  di  Vannone. 

Item  ebbe  24  metadelle  (24  boccali)  di  vino  :  montano  £  una 
soldi  sedici. 

Item  ebbe  a  di  24  d'aprile  1373,  secondo  che  sentenziò  messer 
Taddeo  canonico  di  Fiesole,  fiorini  tre  d'oro. 

Sicché  ha  avuto  il  maestro  del  Coro  in  tutto  fiorini  144,  lire 
una  e  soldi  uno. 


N.*  52.  1371,  12  d'ottobre 

Giacomo  del  maestro  Francesco  del  Tonghio  (1)  intagliatore  senese  fa 
quietanza  del  prezzo  del  coro  di  legname  da  lui  fatto  per  S.  Giusto 
di  Volterra. 

JrehMo  (reiterale  de'  Contraiti  di  Firenze, 
Rogiti  di  Ser  Potente  Lotti  di  Volterra.  ProtoeoUo  dal  ÌS72  il  iS75. 

Magister  Jacobus  magistri  Francisci  de  Senis  vocavit  se  a  dictis 
operariis  (opere  Sancti  Justi  de  Vulterris)  contentum  et  etiam  bene 
pagatum  et  integre  satisfactum  de  omni  et  toto  quod  petere  possit 
eisdem  occasione  Cori  facti  per  eum  in  ecclesia  Sancti  Justi  pre- 
dicti,  et  eisdem  fecit  finem.  Quam  finem  etc. 

Actum  in  dicto  Monasterio  Sancti  Justi  etc. 

Postea  nero  eisdem  anno ,  -  die  -  loco.  Operarii  suprascripti 
fecerunt  -  finem  dicto  magistro  Jacobo  de  omni  et  toto  quod  petere 
possent  eidem  occasione  diete  summe  per  eos  date  prò  laborerio 
die  ti  cori. 


(1)  Costui  è  Giacomo  figliaolo  di  m»  Franceseo  del  Tmghio  menzionato 
nel  primo  Tomo  de*  Documenii  per  la  Storia  dell'arte  senese. 


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—  278   — 
N.*»  53.  1383,  18  di  novembre 

Lettera  da  Napoli  di  Andrea  di  Vanni  pittore  Senese 
alla  Signoria  di  Siena. 

jirekhfio  di  Staio  in  Siena.  Lettera  alla  Signorìa  ad  annum. 

Le  novelle  che  sono  a  Napoli  non  ve  le  posso  scrivere,  al  pre- 
sente ma  per  lo  primo  messo  che  ci  ritornarà  io  rescrivaxò  a  me- 
nato. El  papa  entrò  in  Napoli  a  di  diece  di  novembre  et  el  re  gli 
fé  ^ande  honore. 

El  vostro  servitore  Andrea  di  Vanni 
vi  se  recomanda ,  data  in  Napoli 
a  di  xviij   del  mese  di  novembre 

(fuori)  Magnifici  e  potenti  signor  signori 
et  Capitano  di  popolo  signor 
de  la  ciptà  di  Siena  signore  suoi 

N.*  54.  1385,   27  di  giugno 

Francesco  di  Michele  (1)  s* obbliga  di  dipingere  un  tabernacolo  a  CoUrn- 
nata^  a  Lemmo  di  Baldnccio  fondatore  dello  Spedale  di  S.  Matteo. 

Archivio  dello  Spedale  di  S,  Maria  Nuova  di  Firenze 
Spedale  di  6.  Matteo.  Filaa  A,  a.  24. 

Al  nome  di  dio   adi  27  di  gignio  (sic)   1385. 

Sia  manifesto  a  chi  vedrà  questa  scrita  chio  francescho  di  mi- 
chele dipintore  del  popolo  di  sancto  leo  di  firenze  prometto  di  dipin- 
fniere  a  lemmo  balducd  del  popolo  di  sancto  michele  bisdomini  di 
renze  un  tabernachulo,  il  quale  è  a  colonata  del  popolo  di  sancto 
remolo  del  piviere  di  sesto  ;  pel  quale  tabernachulo  debo  dipin- 
gniere  le'  frascrite  dipinture  :  in  prima  la  Natività  del  nostro  si- 
gniore  Giesocristo  chon  que'pastori  e  agneeli  el  bestiame  e  montagnie 
e  agniolli  eh'  anuziarono  e  quele  chose  che  si  chontiene  a  la  deta 
Natività  e  come  venono  ad  adorare. 

Apresso  la  Coronazione  di  nostro  Dona  chon  serefini  e  alchuno 
agniolo  di  sotto  e  da  lato,  e  sotto  a  detti  agnioli,  quelli  sancti  che 
ci  chaperano  :  nel  mezo  di  questi  sancti.  tra  luno  e  laltro  alchuno 
agniolo  che  suoni  alchuno  istromento. 

Ancora  il  Giudicio  di  nostro  Signiore  in  un  trono  dagnioli  e 
serafini  e  altri  agnioli  intomo  cho'segni  de  la  Pasione,  ciò  lancia, 
la  crocie  la  spungnia  i  chiovi  e  altre  chose  che  si  richiede,  e  sancto 
Giovani  batista  e  la  nostra  Dona;  poi  giii  di  soto  a  giudicio  l'anime 
buone  e  chative  e  angnoli  che  trombino  e  sepolture  e  diavoli  come 
si  richiede  a  la  detta  istoria. 

(1)  È  Del  Ruolo  de'Piltorì  fiorentini  scritti  alla  Compagnia  di  S.  Laca 
sotto  l' anno  1385.  Forse  costui  è  quel  medesimo  Francesco  pittore  che  il 
Vasari  fa  scolare  di  Don  Lorenzo  monaco,  e  del  quale  si  dice  la  pittura  in 
fresco  dentro  il  tabernacolo  che  è  nell'  angolo  delia  piazza  di  S.  Maria  No- 
vella dal  lato  della  Via  della  Scala.  IK  tabernacolo  di  Colonnata  non  esiste 
più  da  gran  tempo. 

37 


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—  274   — 

E  nel  cielo  de  la  volta  qnatro  Evangielisti  chon  azuro  chomune 
che  susa  dipingnìere  pepli  altri  dipintori,  chone  stelle  di  stagnio 
inorato.  Ne  la  facciata  di  fuori  la  Nunziata  chon  due  santi  di  sotto 
e  cho'  que*  marmi  di  sotto  che  bisognierà  ;  le  corone  doro  fine  de 
santi  e  gli  altri  cholori  finì  a  stima  di  due  boni  maestri  ,  tràtone 
azuro  ol tramarino.  E  siamo  dacordo  che  de  lo  detto  lavorio  Lemo 
mi  deba  dare  fior:  venticinque  doro,  si  veramente  chel  detto  lavorìo 
deba  istare  bene  e  diligiente  mente  a  stima  di  due  maestri  de  larte, 
e  qanto  (sic)  no,  che  non  istese  bene  pe  detti  venticinque  fior:,  che 
non  melli  dea.  El  detto  lavorio  deba  essere  fatto  per  di  qui  a  mezo 
aghosto  che  viene,  e  debami  dare  le  spese  del  manichare  e  del  bere 
e  la  chalcina  e  la  rena« 

E  se  chaso  fosse,  chel  detto  lavorìo  no  fosse  conpiuto  per  tuto 
il  mese  daghosto,  non  avendo  chagione  legitima,  no  mi  debba  dare 
i  detti  25  fiorini  a  senno  de*  detti  maestri. 

Io  Franciescho  sopra  iscrito  ò  fato  questa  iscrita  di  mia  propia 
mano,  anno  e  dì  sopradeto,  in  presenza  degF infrascritti  testimoni^ 
cioè  Mateo  del  Nero ,  e  Andrea  d'  antonio  populo  Sw  michele  bi- 
sd  omini,  e  a  miei  prieghi  si  sono  soscriti  qui  di  sotto. 

Io  Matteo  del  Nero  fui  presente  a  la  sopradetta  ischritta,  anno 
e  di  sopradetto,  e  però  mi  sono  soscbritto  qui  di  mia  propria  mano. 

Io  andrea  dantonio  fui  presente  alla  soprascritta  scritta  ,  anno 
e  dì  sopradetto,  e  però  mi  sono  soscntto  di  mia  propria  mano. 

Io  Francescho  ò  ricevuto  de'  detti  venticinque  fiorini  per  co- 
minciamento  di  paghamento,  fior:  dieci  doro. 

Io  Augnalo  di  Taddeo  dipintore  prometto  per  Frànciescho  so- 
pradetto di  sodisfare  a  Lemma  Balducd  dì  sodisfare  fior:  cinque 
se*I  detto  Franciescho  non  servisse,  per  insino  in  fior:  dieci. 

Io  Pierozo  di  ser  micfiele  da  rabatta  prometo  per  FraneieseìèO 
sopradetto  di  sodisfare  a  Lemo  Balduoci  fior:  cinque ,  se  il  detto 
Franciescho  non  servisse  il  detto  Lemmo^  insino  in  fior:  dieci. 

N.^"  S5.  1386,   23  di  luglio 

Quietanza  d'Angelo  <K  Mafiuccio  pittore  del  Borgo  San  Sepolcro  del 
prezzo  di  certe  pitture  che  doveva  fare  nella  chiesa  di  S.  Fran- 
cesco del  Borgo  suddetto. 

Archivio  detto. 
Rogiti  di  Ser  Jacopo  di  S.  Paolo  Ciucci  dal  Borgo  6.  Sepolcro.  Protocollo  dtà  1S86. 

Die  vigesima  tertia  Julii.  Actum  in  dicto  Burgo,  in  domino  Fra- 
ternità tis  sancti  Bartolomei  de  ipso  Burgo, 

Angelus  oliiìi  Maffucij  (l)  pictor  de  dicto  Burgo  sponte  per  se  et 
eius  heredes  et  successores  fuit  confessus  et  contentus  se  habuisse  et 
recepisse  a  suprascripto  Nicola  (Francisci  Duccii  de  dictó  Burgo)  ca- 
merario diete  Fraternità  tis  heredis-  cum  benefitio  inventarii  dicti 
Ranerii  ^olim  Nerii  bruni  de  dicto  Burgo)  sex  fior:  auri  insti  pon- 
dcris  et  lige  currentes  in  dicto  Burgo,  prò  picturis  fiendis  per  eum 
in  ecclesia  Fi'atrum  minorum  Sancti  Francisci  de  dicto  Burgo;  quos 


(1)  Questo  Pittore  Borghese  è  sconosciuto,  per  quanto  sappiamo,  né  a  noi 
è  accaduto  di  trovare  altro  ricordo  di  lui. 


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—   276   — 
dictus  Ilanerius  reliquid  (sic)  expendi  debere  in  dictis  picturis,  vigore 
testamenti  ipsius  Ranerii  facti  manu  Ser  Maiei  Ser  Angeli  notarli. 
Et  propterea    dictus  Angelus    pictor    absolvit  et  libera vit  finivit   et 
quietavit  dictum  Nicolaum  prò  dieta  Fraternitale. 


N.*  28ÒÌ8  (i)  •  1313 

I  Consoli  delVarte  di  Calimàla  eleggono  Lippo  di  Benivieni  pittore  y 
capomaestro  delle  pitture  del  tabernacolo  della  chiesa  di  S.  Gio- 
vanni di  Firenze. 

Archivio  di  Stato  in  Firenze. 
Stituto  dell'arte  di  Calimàla  del  18Ì$.  Aggiunte,  cap.  XXV. 

Lippi  pictoris. 

Demum  etiam  et  firmatum  est  per  arbitros  et  statutarios  pre- 
fientès,  qtiod  Lippttó  Benivieni  pictor,  et  qui  preientialiter  pingit 
figoras  et  picturas  tabemaculi  pon^idi  in  ecclesia  sancti  Johannis, 
que  multum  alluminant  et  delectant  corda  et  oculos  civium  et  sin- 
gularum  personarum  aspicientium  eas  ;  ad  hoc  ut  non  recipiant 
aliquod  varium  vel  sinistrumi^  intelligatur  et  sit  caput  magister  et 
pictor  dìctatum  figurarum  et  tabernaculi,  bine  ad  kalendas  Januarii 
proxime  venturi  cuin  salario  consueto,  et  cum  magistris,  discipulis 
et  laboratoribus^  quibus  dicto  lAppo  vìdebitur  fore  utile  prò  dando 
complemento  figuris  et  picturis  prenominati^  ^  non  obstante  aliquo 
capitulo  diete  artis  (2). 

(i)  Quésto  documento  non  fu  laseri to  nel  Quaderno  di  Giogbo  pef  Inav- 
vertenza tipografica. 

(2)  De!  tabernacolo  di  S  Giovanni^  dalla  figura  di  rilievo  del  Battista, 
e  delle  storie  del  Santo  dipinte  ne'  portelli ,  parla  il  Vasari  nella  Vita  di 
lippo  pittore  fiorentino,  (Vasari  Opere;  Voi.  Il,  pag.  13,  Edizione  Sansoni) 
assegnando  l'una  ad  Andrea  da  Fisa  ,  e  le  altre  a  questo  Lippo  (di  Corso) 
nato  nel  1357  e  morto  dopo  il  1430.  Ma  che  egli  s'inganni  rispetto  all'autore 
delle  storie,  potendosi  sempre  dubitare  circa  allo  scultore  della  figura,  si 
«eopre  manifestamente  dal  presente  documento,  nel  quale  è  detto  che  le  pit- 
ture dei  portelli  del  tabernacolo  furono  fatte  nel  13)3  da  Lippo  di  Benivieni  > 
le  cui  memorie  risalgono,  come  abbiamo  veduto,  al  12d6.  Non  occorre  dire 
che  lauto  la  figura  del  Precursore,  quanto  il  tabernacolo  colle  pitture  del  Be- 
nivieni» da  gran  tempo  non  esistono  più. 


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—  27«  — 

XLVIII. 

DESCRIZIONE 

DI  TDTTE  LE  COLONNE  ED  OBELISCHI 

CHE  TROVANSI  NELLE  PIAZZE  DI  ROMA 

DrSPOSTA   IN   FORMA   DI   GUIDA 
DA    ANGELO    PELLEGRINI 

MBMBKO   DELL' IHSTtTUTO   PI   COKBXSPOVDBHSA   ABCBVOLOOICA 

Continuazione  (1) 

OBELISCO  DELLA  PIAZZA  DELLA  MINERVA 

Notissimo  h  cbe  fra  s.  Stefano  del  Cacco  e  dietro  la  chiesa 
di  s.  Maria  sopra  Minerva,  furono  i  tempj  d^lside  e  Serapide 
contigui  fra  loro^  simili  d'architettura  e  destinati  egualmente 
al  culto  egìzio. 

Fra  gli  ornamenti  innanzi  air/^60,  o  tempio  d'Iside,  che 
era  situato  dietro  la  tribuna  della  nominata  chiesa^  fu  l'obe- 
lisco di  cui  parliamo^  mentre  l'altro  ora  innalzato  sulla  piazza 
del  Pantheon,  era  presso  il  Serapeo. 

Tali  piccoli  obelischi  sono  ambedue  di  granito  rosso,  ma  di- 
versi per  tono  di  colore,  per  stile,  per  epoca,  e  per  dimensione. 

L'obelisco  di  cui  trattiamo  venne  disotterrato  nel  giardino 
dei  pp.  domenicani ,  ora  del  Ministero  dell'  I.  P.  che  resta 
fra  la  nominata  chiesa  detta  della  Minerva  e  quella  di  s.  Ignazio 
l'anno  1665,  mentre  era  papa  Alessandro  VII,  di  casa  Chigi. 

Fornì  nuovo  argomento  al  padre  Kircher  gesuita  di  metter 
fuori  i  suoi  sogni  «opra  i  geroglifici  nell'opera  che  intitolò: 
Interpretatio  Hierogljrphica  Obelisci  Jegyptiaci  etc.  Romae 
1666.  È  sano  di  un  sol  pezzo,  e  fra  gli  obelischi  di  Roma  è 
il  più  piccolo  avendo  senza  i  suoi  ornamenti  metri  5  e  j~. 
È  di  un  granito  rosso  pallidissimo  ,  ed  i  geroglifici  che  Io 
rivestono  sono  in  una  sola  linea  e  non  incavati  così  bene  come 
quelli  dell'obelisco  Lateranense  descritto. 

I  cartelli  danno  alternativamente  il  prenome  ed  il  nome 
del  re  d'Egitto  Hophre,  l'Apries  de' Greci,  figlio  di  Isamme-' 
tico  II  che  regnò  dall'anno  595  fino  all'anno  570  avanti  l'era 
volgare. 

II  nome  solo  però  è  nelle  faccie  d'oriente  e  d'occidente, 
ed  il  prenome  nelle  altre  due.  Questi  cartelli  si  riconoscono 

(i)  Vedi  Quaderno  precedente,  pag.  248. 


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—   277   — 

rasi  ad  arte,  e  solo  quello  a  mezzodì  presenta  più  chiarameate 
il  nome. 

Questo  Faraone  appartenne  alla  dinastia  dei  re  saiti  ed 
i  suoi  25  anni  di  regno  furono  contemporanei  alle  due  epoche 
che  in  Roma  compresero  i  regni  di  Tarquinio  Prisco  e  Servio 
Tullio.  Di  esso  ne  parla  lungamente  Erodoto,  dicendo  final- 
mente che  dagli  Egizj  fu  strangolato  nel  suo  palazzo  (i)  ;  e 
non  molto  tempo  dopo  V  Egitto  fu  soggiogato  dai  Persiani , 
onde  forse  a  quel  tempo  fu  raso  il  suo  nome  nei  cartelli 
come  sì  vede. 

È  da  notarsi  che  quest'obelisco  probabilmente  venne  tra- 
sportato in  Roma  da  Sais,  quando  era  metropoli  dell'Egitto, 
celebre  per  il  tempio  di  Neith^  ossia  Minerva  egizia,  parti- 
colarmente nobilitato  da  Apries  e  da  Amasis  e  casualmente 
oggi  serve  d'ornamento  alla  piazza  col  nome  della  stessa  dea. 

Dopo  la  scoperta  di  questo  monumento,  il  pontefice  Ales- 
sandro VII  nominato  di  sopra,  l'anno  1667  diede  al  Bernini  la 
commissione  di  ergerlo  in  questo  luogo.  Questo  rinomalo  scul- 
tore-architetto, considerando  la  piccolezza  della  mole,  imma- 
ginò di  farlo  sostenere  dal  masso  di  un  grande  elefante  di 
marmo,  sopra  un  alto  piedestallo,  che  uniti  insieme  all'altezza 
della  croce  nella  sommità  ,  sorpassano  quella  dell'  obelisco 
medesimo. 

Il  Bernini  ideò  quel  colossale  elefante  non  senza  ragione, 
poiché  egli  stesso  si  era  dato  il  soprannome  di  elefante  fin 
dair  anno  i665  allorché  viaggiò  alla  corte  di  Luigi  XIV.  In 
questo  avvenne  che  per  la  sua  grande  rinomanza  immenso  era 
il  concorso  della  gente  che  veniva  a  vederlo  nei  luoghi  che 
passava  ,  come  narra  il  Baldinucci  nella  sua  vita.  Perciò  si 
mise  il  soprannome  di  elefante,  e  tornato  in  Roma  cercò  di 
perpetuarlo.  Profittò  di  una  idea  tratta  dal  sogno  di  Politilo, 
come  venne  indicato  dal  Ficoroni,  e  modellò  l'elefante  di  cui 
parliamo  il  quale  venne  scolpito  da  Ercole  Ferrata. 

Alessandro  VII  vi  fé  porre  le  seguenti  iscrizioni. 

Nella  parte  verso  la  chiesa. 

VBTEREM    OBELISCYH 

PALLADiS  .  AEGYPTIAE    MONVMERTUM 

E    TELLVRE    ERYTVM 

ET  .  IN    MINERVAE    OLIM 

NVNG  .  DEIPARAE  .  GElfITRiCIS 

(i)  Lib.  //,  eap.  161  e  ieg. 


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—  £78  — 

FOAO  .  ERBGTVIf 

DIVINAE    SAPIEMTUE 

ALEXANDER  .  Vii  •  DBDICAVIT 

ANNO  .  SAL  .  MDGLXVll 


Nella  parte  opposta: 


SAPIENTIS  •  ABGVPTl 

INSCVLPTAS  •  ORELISGO  •  FIGVRAS 

AB    ELEPHANTO 

BELLVARVM    FORTISSIMA 

GBSTARl  •  QYISQVIS  .  BIG  .  VIDES 

DOGYHENTFM  •  INTELLIGB 

ROBVSTAE    lENTIS    ESSB 

SOLIDAM   SAPIBNTIAM    SVSTINEBE 


Veniamo  ora  ai  geroglifici    secondo  V  interpretazione    del 
p.  Ungarelli  nelFopera  citata. 


PÀCHiA  OCClDEfìTALE 


Haroéris,  risplendente  e  facente  insigne  Fano  e  f  altro 
Egitto. 

Figlio  del  sole  da  lui  discendente  dal  quale  si  ama  Hophre. 

Diletto  di  Neith  che  nella  parte  della  terra  dei  viventi 
dimora  donatore  della  vita  come  il  sole  in  perpetuo. 


FACCIA    MERiDiONÀlB 

Haroéris  letificante  il  cuore. 

Rcj  signore  del  superiore  ed  inferiore  Egitto^  signore 
delle  virtà  rallegrante  il  cuore. 

Diletto  Athmù  del  gran  dio  ,  che  risiede  nella  regione 
inferiore^  e  della  vita  datore  a  guisa  del  sole  in  perpetuo. 

FACCIA    ORIENTALE 

Haroéris  rallegrante  il  cuore^  Re  signore  del  superiore^ 
e  padrone  dell'Egitto  inferiore-,  signore  della  virtày  sole  le- 
tificante il  cuore. 

Àthmù  dio  grande  che  nella  parte  della  terra  dei  viventi 
dimora  lui  ama  {e  rendè)  datore  della  vita^  come  è  il  sole 
in  perpetuo. 

FACCIA    BOREALE 

Haroéris  splendente  che  fa  florido  Vuno  e  l'altro  Egitto. 
Figlio  del  sole  da  lui  discendente  (e)  dal  quale  si  ama 
Hophre. 


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—   279  

Diletto  di  Nettli  ....  nella  regione  boreale^  do- 
natore della  vita  coìne  il  sole  in  perpetuo. 

Dal  1616  fino  al  I8I8  non  trovansi  altre  memorie  nei  re- 
gistri Camerali,  riguardo  agli  obelischi  secondo  che  asserisce 
il  Fea  nella  sua  Miscellanea  Filologia  Critica,  e  Antiquaria^ 
Tomo  secondo,  pagina  15. 


OBELISCO  DELLA  PIAZZA  DI  MOrJTE  CITORIO 

Augusto  fu  il  primo  a  trasportare  queste  moli  in  Roma, 
come  dicemmo  a  suo  luogo,  innalzandone  una  nel  mezio  della 
spina  del  Circo  Massimo  e  l'altra  nel  Campo  Marzio,  perchè 
servisse  di  cognome  al  suo  Orologio  Solare  che  è  quello  di 
cui  veniamo  a  parlare. 

Esso  secondo  Strabene  lib.  XVH,  fu  tolto  da  Eliopoli  dove 
era  stato  eretto  insieme  ali  altro  nominato  che  venne  eretto 
nel  Circo  Massimo,  e  in  tal  citta  erano  stati  posti  ad  onore 
del  Sole  che  eravi  principalmente  adorato. 

Plinio  nel  libro  XXXVI,  cap.  9,  dice  che  Augusto  lo  eresse 
nel  Campo  Marzio,  e  che  aveva  nove  piedi  di  meno  di  altezza 
di  quello  di  Sesostri,  cioè  dell'altro  eretto  nel  Circo  nominato 
di  sopra.  Quest ultimo  egli  dice  avere  85  piedi  di  altezza,  e 
questa  proporzione  va  d'accordo,  fatte  le  debite  deduzioni  coi 
fusti  d'ambedue  gli  obelischi,  oggi  innalzati,  uno  sulla  piazza 
del  Popolo,  e  l'altro  sopra  quello  di  Monte  Citorio.  Quello 
di  cui  trattiamo  è  alto  metri  21  {^^ ,  e  l'altro  della  piazza 
del  Popolo,  metri  23  ^g. 

Plinio  citato  erroneamente  lo  assegna  a  Sesostri  ,  cioè  a 
Ramses  HI,  come  quello  che  lo  eresse,  mentre  i  cartelli  che 
neir  obelisco  si  leggono  danno  il  nome  di  Psametik  I,  ossia 
il  Psammitico  di  Erodoto  che  ebbe  il  trono  di  Egitto  Tanno  671 
avanti  l'era  volgare.  11  Rosellini  (1)  giustamente  interpreta  i 
segni  del  prenome  formati  dal  globo,  come  vedesi  nella  Ta- 
vola II,  n.  i,  dalla  specie  di  pala  e  dal  vaso  PH-*]VO^PE-IHT, 
cioè  Sole  benefica  del  cuore:  e  quelli  del  nome  composti  dal 
quadrato  fig.  2,  dal  tralcio  del  gufo,  dalie  molle  e  dalla  tazza 
per  nCMTK,  mancando  le  vocali  IICAMHTIK. 

Tornando  all'Orologio  Solare  di  Augusto  nel  Campo  Marzio, 
è  da  ricordarsi  chis  a  tale  uopo  fu  fatta  una  linea  meridiana 

(1)  Monumenti  deirEgìtto  e  della  Nubia.  Parte  L  Tom.  It,  pag.  129. 


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280    

di  marmo  corrispondente  ^  con  strisele  di  metallo  indicanti  i 
mesi,  i  giorni^  le  notti,  le  ore  sino  alla  sesta,  ed  il  crescere 
e  decrescere  dei  giorni,  il  tutto  per  ingegno  matematico,  che 
vi  pose  nella  sommità  un  globo  di  bronzo  che  regolava  il 
radio  (i).  Questo  orologio  ben  presto  soffrì^  non  già  secondo 
Plinio  per  qualche  cangiamento  avvenuto  nel  corso  solare,  ma 
piuttosto,  come  dice  dopo,  o  per  qualche  perturbazione  della 
terra,  o  per  qualche  movimento  prodotto  da  terremoti,  o  fi- 
nalmente per  le  inondazioni  del  Tevere,  alle  quali  l'area  della 
meridiana  stava  esposta  ,  le  quali  avessero  alterato  i  punti 
precisati  dal  gnomone. 

L'iscrizione  sul  piedestallo  antico  di  granito  rosso  come 
Tobelisoo,  appartiene  alla  dedicazione  rinnovata  da  Augusto 
Tanno  745  di  Roma  corrispondente  all*s  delfera  volgare,  di- 
cendo che  Vimperator  cesare  Augusto  figlio  del  diwj  pon^ 
tefice  massimo  dopo  la  XII  acclamazione  imperatoria y  essendo 
console  per  la  XI  volta  j  nella  potestà  tribunicia  XI f^  dopo 
asfer  ridotto  V Egitto  in  potestà  del  Popolo  Romano^  l'avea 
dato  in  dono  al  sole: 

IHP  .  GÀESAR  .  DIVI  .  F 

AVGVSTVS 

PONTIFEX  .  MAXIMVS 

IMP  •  XII  .  GOS  .  XI  .  TRIB  •  POT  .  XIV 

ÀEGYPTO  .  IN  . POTESTATEM 

POPVLI .  ROMANI .  REDACTA 

SOLI  .  DONVM  .  DEDIT 

Quest'obelisco  andò  soggetto  ad  un  forte  incendio^  siccome 
si  conobbe  quando  venne  disotterrato,  e  talmente  forte  che 
sebbene  di  granito  ne  peri  gran  parte,  come  si  vede.  Am- 
miano  Marcellino  lo  ricorda  V  anno  357  dell*  era  volgare  ,  e 
r  anonimo  Einsiedlense ,  pellegrino  che  visitò  Roma  verso  la 
meta  del  secolo  IX,  lo  nomina  come  esistente. 

La  caduta  certamente  avvenne  ai  tempi  di  papa  Gregorio  VII 
r  anno  1Ò84 ,  allorché  Roberto  Guiscardo  per  la  prima  volta 
penetrò  in  Roma  dalla  porta  Flaminia  in  soccorso  di  quel  pon- 
tefice, mettendo  a  fuoco  tutta  la  contrada  del  Campo  Marzio. 
Cosi  rimase  dimenticato  fino  all'anno  1463,  allorché  il  card. 
Filippo  Calandrino  fece  coprire  con  nuovo  tetto  tutta  la  chiesa 
di  s.  Lorenzo  in  Lucina,  suo  titolo  cardinalizio.  Contempo- 
raneamente edificò  una  cappella  ad  onore  de 'ss.  Filippo  e  Gia- 
ci) Plinio,  lib,  cit.,  cap,  J. 


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—   281    — 

corno,  tanto  per  se,  quanto  per  la  sua  famiglia»  dove  poi  Tanno 
1476  fu  sepolto.  Pertanto  scavandosi  per  i  fondamenti  di  questa 
cappella^  si  scoprì  una  parte  della  meridiana  d'Augusto  che 
diede  indizio  dell'obelisco.  La  cappella  sul  fine  del  secolo  XVI 
Clemente  Vili  la  converti  in  sagrestia;  e  già  fm  dal  principio 
di  questo  secolo  scrisse  TAlbertino  nel  suo  opuscolo  De  Mi^ 
rabilibus  Nwae  et  Feteris  Urbis  ,  pag.  26  ,  dedicandolo  a 
Giulio  II  che  ip  una  casa  nuova  (i)  pertinente  alla  nominata 
cappella  era  stata  una  base  celebre ,  non  lungi  dalla  quale 
vedevasi  seminterrato  un  grande  obelisco^  dove  venne  scavato 
un  orologio  solare  con  linee,  e  gradazione  di  metallo  dorato, 
coi  venti  negli  angoli  espressi  in  musaico  e  colla  iscrizione 

VT    BOREAS    SPIRAT. 

Non  molti  anni  dopo  il  Fulvio  (2),  cioè  nel  1526  racconta, 
che  nella  nuova  cappella  de'cappellani  di  s.  Lorenzo  in  Lu- 
cina, cioè  in  quella  già  indicata,  fu  il  piedestallo  che  soste- 
neva l'obelisco,  e  la  meridiana  scavata  pochi  anni  prima,  cer- 
tamente per  i  lavori  del  card.  Calandrino.  Indi  soggiunge  che 
tale  meridiana  aveva  sette  gradi,  e  le  linee  di  metallo  dorato, 
mentre  il  suolo  dell'  area  era  composto  di  grandi  lastre  di 
pietra.  Sopra  questo  lastricato,  che  era  di  marmo,  erano  linee 
pur  di  metallo,  e  ripete  coli' Alberti  ni,  che  negli  angoli  in 
musaico  vedevansi  le  immagini  de'quattro  venti,  fra  le  quali 
restava  quella  di  tramontana  colla  scritta  boreas  spirat. 

Sette  anni  dopo,  il  Marliano  (3)  conferma,  che  vicino  alla 
chiesa  di  s.  Lorenzo  in  Lucina  ,  vedevasi  nella  cantina  (4) 
di  un  cittadino  romano  una  parte  dell'obelisco  rotto  sulla  cui 
base  leggevasi  la  iscrizione  di  Augusto  che  egli  riferisce  non 
correttamente,  ed  aggiunge  la  scoperta  delKorologio  colle  linee, 
e  co' gradi  di  bronzo  dorato  e  le  quattro  immagini  de' venti 
in  musaico  colla  iscrizione  vi  boreas  spirat. 

Queste  notizie  anni  dopo  promossero  delle  ricerche  per 
ordine  di  Sisto  V  ,  il  quale  commise  al  Fontana  di  poterlo 
estrarre.  Tale  rinomato  architetto,  avendolo  riconosciuto  in 
grande  parte  consumato  dal  fuoco^  fu  decìso  di  lasciarlo  stare. 
Narra  Flaminio  Vacca  nelle  sue  Memorie  n.  45.  Parimente 
al  tempo  di  Sisto  V  presso  San  Lorenzo  in  Lucina  dalla 
parte  s^erso  Campo  Marzo ,  //  Cas^alier  Fontana  vi  trovò 
una  gran  Guglia  di  granito  Egiziaco^  e  pervenuto  alt  orecchio 

(!)  Corrispondeva  alla  casa  in  Via  dell'Impresa  N.»  2. 

(2)  Ant.  Urb.  Lib.  F,  pag.  LXXXVIL 

(3)  Ant.  Romae  Topogr.  Lih,  VI,  pa^.  143. 

(4)  Della  casa  indicata  al  numero  civico  2. 

38 


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di  Sua  Santità^  commise^  che  si  scoprisse,  con  intenzione 
di  dirizzarla  in  qualche  liiogoi  ma  detto  Cai^aliere  trovan- 
dola maltrattata  dal  fuoco^  e  datone  ragguaglio  a  Sua  San- 
tità fu  risoluto  di  lasciarlo  stare.  Sebbene  non  si  cavasse 
non  si  perdette  la  sua  memoria  in  tal  luogo»  come  si  ha  dal 
Nardiniy  lib.  VI»  cap.  VI,  della  Roma  antica. 

Non  molto  dopo  narra  Sante  Bartoli,  Memorie  n.  103  e  t04« 
che  nel  farsi  il  fondamento  del  cbiavicone  che  va  a  piazza  Sa- 
vona» fu  scoperto  alle  radici  del  monte  Gitorio,  cioè  dal  canto 
deirimpresa  presso  la  Vignaccia,  questo  obelisco  rotto  in  più 
pezzi,  e  che  in  diversi  siti  nella  chiesa  di  s,  Lorenzo  in  Lu- 
cina, si  videro  le  lastre  di  marmo  dell'orologio  con  linee  e  let- 
tere numerali  di  metallo,  che  egli  dice  corintio.  Finalmente  Be- 
nedetto XIV  Tanno  1748  lo  fece  scavare,  come  narra  il  Ficoronì 
nelle  sue  Memorie  n.  99,  ed  allora  fu  scoperto  il  piedestallo 
colla  iscrizione.  In  tale  epoca  il  Baudini  scrisse  l'opera  col 
titolo  DelVObelisco  di  Cesare  jiugusto  in  latino  ed  in  ita- 
liano. Una  iscrizione  posta  al  Largo  dell'Impresa  sul  portone 
della  casa  segnata  col  numero  civico  2,  ricorda  il  sito  preciso 
dove  fu  rinvenuto  al  posto  il  piedestallo,  che  è  la  seguente: 

BENEDIGTVS  .  XIV  .  PONT  .  MAX 

OBELISGVM  .  HIEBOGLYPHICJS  .  NOTIS  .  ELEGANTER  .  INSGVLPTVM 

JEGYPTO  .  IN  .  POTESTATEM  .  POPVLI  •  ROMANI  •  REDACTA 

AB  .  IMPERATORE  .  AVGVSTO  .  ROMAM  .  ADVECTVM 

EX  .  STRATO  .  LAPIDE  .  REGVLISQVE  .  EX  .  AERE  .  INGLVSIS 

AD  .  DEPBEHENDAS  •  SOLIS  .  VMBRAS 

DIERVMQVE  .  AG  .  NOGTIVM  .  MAGNITVDIN6M 

IN  .  CAMPO  .  MARTIO  .  EREGTVM  .  AG  ,  SOLI  •  DIGATVM 

TEMPORIS  •  ET  .  BARBARORVM     INIVRIA  .  GONFRAGTVM  .  lACENTEMQVE 

TERRA  .  AG  •  AEDIFIGIIS  .  OBRVTVM 

MAGNA  .  IMPENSA  .  AG  .  ARTIFICIO  .  ERVIT 

PVBLIGOQVE  .  REI  .  LITERARIiE  .  BONO  .  PROPINQVVM  •  IN  .  LOGVM  .  TRANSTVLIT 

ET  .  NE  .  ANTIQViE  .  SEDIS  .  OBELISGI  .  MEMORIA 

VETVSTATfi  .  EXOLESGERET 

MONVMENTVM  .  PONI  .  IVSSIT 

AN  .  REP  .  SAL  .  MDGGXLVIII  •  PONT  .  IX. 

La  Roma  Antica  e  Moderna  ^  edita  a  spese  di  Niccola 
Roisecco  mercante  libraro,  e  stampatore  in  piazza  Navoaa , 
Fanno  1765  cosi  ne  parla:  <x  Era  già  noto,  che  quest'Obelisco 
»  giaceva  infranto  nella  cantine  di  alcune  casette,  che  re- 
»  stano  dietro  la  sagrestia  della  Chiesa  di  San  Lorenzo  in 
»  Lucina 9  appartenenti  in  proprietà  alli  Frati  di  S.  Maria 


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—  283   — 

»  del  Popolo.  Questi  Religiosi^  risolutisi  di  demolirle  nel  17489 
»  per  erigervi,  come  fecero,  nuove,  e  più  comode  abitazioni, 
»  si  trovò  nel  cavarsi  i  fondamenti  ,  che  il  piedestallo  era 
j>  tuttavia  in  piedi  sopra  il  suo  basamento,  cinto  nella  parte 
h  inferiore  da  una  gran  Cornice  tutto  all'intorno,  e  che  ve- 
li niva  ad  esser  situato  in  faccia  appunto  al  Portone  del  Pa- 
»  lazzo  della  S.  Casa  di  Loreto  in  Campo  Marzo^  venti  palmi 
y  d'architetto  in  distanza  dalla  Strada,  verso  dove  era  uno 
»  de'suoi  principali  aspetti,  e  Taltro  riguardava  la  parte  op- 
h  posta  con  iscrizioni  simili  in  ambedue  ,  che  sebbene  in 
»  parte  guaste,  si  rìcava  nondimeno  dal  Marliani,  che  esser 
»  dovettero  del  tenore  seguente.  »  Dopo  riportata  l'iscrizione 
mal  copiata  dal  Marliano,  prosegue  a  dire,  tf  L'Obelisco  poi 
»  era  tutto  rovesciato  a  terra  colla  punta ,  che  oltrepas- 
»  sando  i  fondamenti  delle  stesse  Casette,  giungeva  ad  occu- 
j>  pare  quasi  la  meta  di  quel  poco  di  largo  per  cui  si  ascende 
»  all'ingresso  del  vicino  Palazzo  Conti  (ora  Lais  N?  83)  (1), 
>  e  della  Vignaccia.  Trovossi  in  6  pezzi  infranto  ed  in  parte 
»  cancellati  li  caratteri;  ed  estratto  per  ordine  di  Bene- 
»  detto  XIV  con  tutta  la  maggior  diligenza,  ed  altrettanta 
»  maravigliosa  facilità  da  Niccola  Zabagli,  ovvero  Zabaglia 
<c  sanpietrino  della  basilica  Vaticana.   » 

Allora  però  non  fu  innalzato,  e  quasi  disperavasi  di  po- 
terlo fare,  Gnche  Pio  VI  Tanno  1792  servendosi  dell'architetto 
Antinori,  dopo  averlo  fatto  restaurare  col  granito  della  co- 
lonna di  Antonino  Pio,  che  descrissi  a  suo  luogo,  anch'essa 
rovinata  dal  fuoco,  lo  fece  innalzare  come  si  vede  sulla  piazza 
di  Monte  Citorio,  ponendovi  le  seguenti  iscrizioni. 

Nel  lato  occidentale  del  piedestallo: 

PIVS  .  VI  .  PONT  .  MAX 

OBELISCVM 

REGIS  .  SESOSTRIDIS 

A.C.  GAESARE  •  AVGVSTO 

HORARVH  .  INDICEM 

IN  •  CAMPO  .  STATVTVM 

QVEM  .  IGNIS  •  VI 

ET  .  TEMPORVM  .  VETVSTATE 

GORRVPTVM 

BENEDIGTVS  .  XIIII  •  P  .  M. 

EX  .  AGGESTA  •  HVMO  .  AMOLITVS 

(1)  Ved.  la  pianta  del  NoUi. 


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—  284  — 

RELIQVERAT 

SQVALORE  .  DETERSO 

GVLTVQVE  .  ADDITO 

VRBI  •  GAELOQVE  •  RESTITVIT 

ANNO  .  M  .  DCG  •  XCH 

SAGRI  .  PRINGIPATVS  .  EIVS  •  XVIII 

Nel  lato  orientale: 

QVAE    GELEBRIS    OLIM    SIGNABAT  •  PTRAHIS    HORAS 

FRAGTA    DE    BING    LAPSV    SPRETA    lAGEBAT    HVMO 

ANTIQVVM    RENOVATA    DECV3    HVNG    FRONTE    SVPERBA 

DINVHERAT    SEXTI    TEMPORA    FAVSTA    PII 

Nel  medesimo  lato  nel  zoccolo  di  marmo  sotto  a  tali  iscri- 
zioni nel  piedestallo  di  granito^  ^^gg^si  ì"  nome  dell'architetto: 

IOAN  .  ANTINORIO  .  CAMERTE  .  ARGHIT 

Veniamo  ora  alla  spiegazione  dei  geroglifici  secondo  l'opera 
deirUngarelli  che  abbiamo  altre  volte  riportata. 

Piramide 

Sopra  ed  accanto  al  Dio: 

Dà  la  vita  tutta ^  e  perfetta  tutela ^  in  perpetuo. 
Oro  cC ambedue  le  regioni,  gran  dio^  signore  del  cielo. 
Doniamo  a  te  la  vita,  la  purità  perfetta j  tutta  la  far- 
tezzay  e  tutta  la  magnanimità  in  perpetuo. 

Sopra  il  Re: 

Be  sole  giocondità  del  cuore,  figlio  del  sole  Psammitico. 

Colonna  a  destra 

Oro-sole  bene  risplendendo,  meritevole  dell'Egitto  Psam- 
mitico, che  vive  in  perpetuo. 

Figlio  del  sole,  e  della  sua  progenie  dallo  stesso  amato, 
sole  giocondità  del  cuore 

FACCIA    MERIDIONALE  -  PIRAMIDE 

Fornito  della  vita  a  somiglianza  del  sole,  in  perpetuo, 
in  innumerevoli  giorni. 

Colonna  a  sinistra 

Orosole.  Sole  difesa  della  verità,  sole,  giocondità  del 
cuore. 


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—  285  — 

Re  f  signore  del  superiore  ed  inferiore  Egitto  vigilante 
(o  custode). 

Dio  buono  j  Signore  tutto  V  insieme  delle  cose  facente  ^ 
amico  di  Alhmù  figlio  degli  dei  assai  diletto      .... 

Signore  delVuno  e  V  altro  Egitto^  sole  bontà  del  cuore 
dio  spirito  {della  regione  dell'  anima). 

Colonna  a  destra: 

Oro-sole  bene  risplendente^  meritatole  dell'Egitto  Psam- 
mitico  amico  di  Athmù  signore  della  regione  dell'anima  Pone. 

He  solcj  bontà  del  cuore  che  Phre-Oro  consacrante  Vuna 
e  t altra  regione  ama^  figlio  del  sole  e  della  stessa  progenie 
congregò  il  bene  della  regione  superiore  al  signore  tyÌs  ^J/xfivr 
Psammitico  che  amane  della  regione  deWanima  Pone  .... 

FACCIA   orientale: 

Sopra  il  dio  Piramide: 

Dona  la  vita  perfetta  Athmu  signore  dell'una  e  l'altra 
regione^  superiore  ed  inferiore. 

Sopra  il  re: 

Re  sole  giocondità  del  cuore,  figlio  del  sole  Psammitico , 
dante  la  vita  e  tutta  la  purità  come  il  sole  in  perpetuo. 

Colonna  a  destra: 

Oro-sole  difensore  della  verità  Psammitico. 

Colonna  a  sinistra: 

Oro-^ole  bene  risplendente ,  delV  Egitto  meritevole  sole 
giocondità  del  cuore,  vivente  sempiterno. 

Figlio  del  sole  della  stessa  progenie  che  lui  ama  Psam- 
mitico immortale. 

fece  due  obelischi 

figlio  di  Athmù  da  lui  discendente. 

Psammitico  sempre  vivente  diligente. 

OBELISCO  DELLA  PIAZZA  NAVONA 

Quando  anche  non  esistessero  i  nomi,  il  lavoro  de*gerogli- 
fici  di  quest*obelisco  basterebbe  a  far  conoscere  essere  dell'e- 
poca imperiale. 


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—  S86   — 

I  cartelli  dimostrano  che  fu  tagliato  e  coperto  di  gero- 
glifici ai  tempi  di  Domiziano,  forse  per  ornamento  della  sua 
villa  albana,  donde  Massenzio  Tanno  311  dell'era  volgare  lo 
fece  trasportare  nel  circo  da  lui  dedicato  ad  onore  del  suo 
figlio  Romolo  sulla  via  Appia. 

Rimase  quest'obelisco  abbattuto  nella  rovina  della  villa  di 
Massenzio^  in  cui  era  il  circo,  ma  rimase  sempre  scoperta 
giacente.  Poggio  Fiorentino  (1)  dice  di  averlo  veduto  per  terra 
nel  primo  periodo  del  secolo  XV,  rotto  in  quattro  pezzi,  scri- 
vendo: vidi  alterum  (obeliscum)  paolo  minorem 

iacentemin  Hippodromo  via  Àppia  quatuor  frustis  oonfractum. 

II  Fulvio  (2)  nel  1527  lo  mostra  pure  scoperto,  cbiaman- 
dolo  obeliscum  mirae  magnitudinis  in  plures  confractus partesy 
frase  che  fu  copiata  dal  Marliani  (3).  Il  Mercati  (4)  propose 
a  Sisto  V  di  erigerlo  incontro,  innanzi  la  chiesa  di  s.  Seba- 
stiano fuori  le  mura.  Questo  progetto  non  ebbe  efietto  ,  e 
Tobelisco  rimase  rotto  e  giacente  fino  al  pontificato  d'Inno- 
cenzo X,  il  quale  l'anno  Ì65l,  servendosi  delFarchitetto  Ber- 
nini lo  fece  innalzare  nel  mezzo  dello  Stadio  del  Campo  Marzio, 
poi  chiamato  il  circo  di  Alessandro  Severo,  ed  ora  piazza  Navona. 

Allora  fu  ritrovato  molto  malconcio  ,  e  rotto  in  cinque 
pezzi^  Ira  pure  sfaldato  agli  angoli,  e  la  cuspide  mancava 
di  alcune  parti.  Il  rinomato  Bernini  immaginò  di  farlo  sor- 
gere sopra  la  magnifica  sua  fontana  in  quella  piazza,  ne  fece 
eseguire  il  trasporto  ed  il  ristauro  assistito  da  Ludovico  suo 
fratello  colla  direzione  del  p.  Kircher  gesuita,  e  del  Canini, 
antiquari,  che  fecero  intagliare  i  geroglifici  mancanti,  pub- 
blicando il  primo  i  suoi  soliti  sogni  nel  grosso  volume  in  foglio 
che  intitolò  Obeliscus  Pamphilius  Romae  1650.  Fu  ornata  la 
sommità  con  colomba  portante  l'olivo,  arma  di  casa  Pamfili, 
ossia  di  papa  Innocenzo  X.  Il  fusto  come  oggi  si  trova  h  alto 
metri  16  -—,  e  sulla  fine  dello  scorso  secolo  furono  scoperti 
tre  frammenti  della  cuspide ,  i  quali  vennero  pubblicati  ed 
illustrati  dal  Zoega  nella  sua  grande  opera  degli  Obelischi, 
ed  acquistati  dal  celebre  card.  Borgia,  passarono  con  tatti  gli 
altri  oggetti  del  Museo  Borgiano  di  Velletri,  a  quello  di  Napoli. 

Altri  frammenti  di  questo  monumento ,  ed  una  grande 
scheggia  furono  scoperti  dall'  archeologo  Nibby  nella  spina 
dell'indicato  circo  Tanno  1825,  ed  il  Duca  Giovanni  Torlonia 

(1)  De  Varietale  Fortunae,  Lib.  /,  pag.  20. 

(2)  Ant.  Lib,  IV,  pag.  LXVIL 

(3)  Ant.  Romae  Topog.  Lib,  VII,  e.  XVIL 

(4)  Obelischi  di  Roma,  pag,  264. 


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—   287    — 

allora  proprietario,  del  laogo,  come  il  principe  attualmente, 
li  donò  al  re  di  Baviera  che  li  pose  nel  museo  di  Monaco. 

Il  Bernini  nominato,  valentissimo  artefice,  nella  fontana 
su  cui  sorge  l'obelisco  di  cui  parliamo,  volle  figurare  colla 
grande  vasca  il  mare.  Nel  meizo  di  essa  s'innalza  un  grande 
scoglio  scolpito  in  travertino  traforato  nelle  quattro  bande. 
Àgli  angoli  sopra  questo  siedono  quattro  grandi  giganti,  o 
statue  in  marmo  bianco  figurati  per  i  quattro  principali  fiumi, 
cioè  Danubio,  Gange,  Nilo  e  Rio  della  Piata.  11  Danubio  che 
significa  l'Europa  h  in  atto  di  ammirare  questo  meraviglioso 
obelisco,  il  Gange  esprimente  l'Asia  tiene  un  gran  remo  in 
mano  per  denotare  l'immensità  delle  sue  acque,  e  sotto  esso 
h  un  cavallo,  mentre  il  Danubio  ha  presso  di  se  un  leone. 
Il  Nilo  ,  che  rappresenta  I'  Africa ,  si  cuopre  con  un  certo 
panno  la  testa,  per  denotare  l'oscurità,  nella  quale  h  stato 
per  gran  tempo  tenuto,  e  vi  ha  appresso  una  bellissima  palma. 
Colla  mano  sinistra  solleva  alquanto  il  panno  che  gli  copre 
il  capo,  e  colla  destra  regge  l'arme  di  marmo  d'Innocenzo  X. 
Il  Rio  della  Piata  ,  figurato  per  1'  America  ,  rappresenta  un 
muro,  presso  cui  veggonsi  alcuni  denari  per  figurare  la  ric- 
chezza dei  metalli  di  cui  abbonda  quel  paese.  Vicino  ha  una 
pianta  di  fico  d' India  ,  e  sopra  un  serpe:  guarda  la  chiesa 
di  s.  Agnese,  e  come  fosse  spaventato ,  si  arretra ,  ed  alza 
una  mano.  Si  vuole -in  tate  atto  per  censurare  il  Borromino 
autore  della  facciata  di  detta  chiesa  assai  ardita,  in  ispecie 
per  la  sua  cupola,  che  sembra  minacci  di  cadere.  Ha  sotto 
di  se  uno  spaventoso  mostro,  chiamato  volgarmente  il  Tatù 
delle  Indie.  Il  leone  appartiene  al  Nilo  il  quale  animale  h 
in  atto  di  bere  ;  sotto  al  Gange  esce  unf  drago  ,  ed  il  Da- 
nubio avendo  presso  di  se  una  pianta  di  cedro  coi  suoi  frutti, 
regge  l'altro  stemma  di  papa  Innocenzo.  Presso  tutte  quattro 
le  statue  scaturisce  l' acqua  Vergine  in  gran  copia  f  e  nel 
piano  della  vasca  miransi  alcuni  grandi  pesci  in  atto  di  sguiz- 
zare nel  mare. 

In  questo  gran  lavoro  sono  di  tutta  mano  del  Bernini  , 
lo  scoglio,  la  palma,  il  leone,  e  la  metà  del  cavallo.  Il  rima- 
nente del  cavallo^  ed  il  mostro  sotto  al  Nilo,  sono  lavori  di 
Lazzaro  Morelli.  Il  Nilo  si  scolpì  da  Giacomo  Antonio  Fan- 
celli, il  Gange  è  lavoro  di  Monsù  Adamo,  il  Danubio  fu  ese- 
guito da  Andrea  detto  il  Lombardo ,  ed  il  Rio  della  Piata 
si  condusse  da  Francesco  Bavatta.  In  questo  e  nel  Nilo  diede 
molti  colpi  di  sua  mano  lo  stesso  Bernini  (f). 

(1)  Dal  Baldinucci,  Vita  del  cav.  Lorenzo  Bernini,  pag.  30  e  seg. 


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—  283  — 
L'obelisco  ha  per  disotto  neirimbasamento  o  piedestallo 
di  granito  quattro  iscrizioni  che  sono  le  seguenti. 

Nel  lato  a  mezzodì  leggesi: 

IRNOGENTIVS  .  X  •  PONT  .  MAX 

NILOTICIS  •  ENIGMATIBVS  .  EXARATVM  .  LAPIDEM 

AlIlfiBVS  .  SVBTEELABENTIBVS  .  IMPOSylT 

YT  .  SALVBREH 

SPATIANTIBYS  .  AMOENITATEM 

SITIENTIBVS  .  POTVM 

MEDITANTIBYS  .  ESGAH 

HACmPlCE  .  LARGIRETVR 


Ad  Oriente: 


NOXIA  .  AEGYPTIORVM  .  MOEISTRA 

INNOCENS  •  PREMIT  .  GOLVMBA 

QYAE  •  PACIS  .  OLEAM  •  GESTANS 

ET  •  YIRTYTVH  •  LILIIS  .  REDEMITA 

OBELISGVM  •  PRO  .  TROPHEO  .  SIBl  .  STATYENS 

ROMAE  .  TRIVMPHAT 


Ad  Occidente: 


INNOGENTIYS  .  DECIHVS  .  PONT  •  MAX 

NATALI  .  DOMO   .  PAMPHILIA 

OPERE  .  GYLTVQVE  .  AMPLIFICATA 

LIBERATAQ  .  INOPPORTYNIS  •  AEDIFIGIIS 

AGONALI  .  AREA 

FORYM  .  YRBIS  .  CELEBERRIMVM 

HVtrrPLICI  .  MAIESTATIS  .  INCREMENTO 

NOBILITAYIT 


La  quarta  finalmente  a  Settentrione: 


OBELISGVM 

AB  .  IMP  .  ANT  .  GARAGALLA  .  ROM  .  ADVEGTYM  (l) 

GYM  •  INTER  •  GIRCI  •  CASTRENSIS  .  RYDERA 

GONFRACTVS  .  DIV  .  lAGYISSET 

INNOCENTIVS  .  DECIHVS  .  PONT  .  OPT  .  MAX. 

AD  .  FONTIS  .  FORIQ  .  ORNATYM 

TRANSTYLIT  .  INSTAVRAYIT  .  EREXIT 

ANNO  .  SAL  •  MOGLI  .  PONT  .  Yll. 

(1)  Qui  SÌ  nomina  Garacalla  perchè  gli  archeologi  di  quel  tempo  crede- 
vano che  il  circo  dedicato  a  Romolo  da  M asseniio  suo  padre,  fosse  stato  edi- 
ficato da  Garacalla  suddetto. 


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Dice  il  Rosellini  altre  volte  citato  (i)  che  i  cartelli  nei 
geroglifici  mentre  danno  a  Domiziano  i  titoli  di  Cesare  e  di 
Augusto  KE2P2  TMITIN2  2B2T2,  cioè  Kataotpq  TofAiziayoq  le^ 
fiatrxoqj  ed  a  Vespasiano  e  Tito  il  titolo  di  divo. 

Veniamo  ora  alla  spiegazione  dei  geroglifici  secondo  il 
p.  Ungarelli  nell'opera  citata. 

FACCIA    SETTENTRIONALE  -  PIRAMIDE: 

Haroéris-Phrè  manifestato  figlio  vincitore,  signore  del  su- 
periore (e)  signore  dell'inferiore  Egitto,  principe  sublime. 

Oro  risplendente,  regnante  dopo  il  suo  padre. 

Re  signore  dell'universa  terra  delle  regioni  Cesare  Do- 
miziano eresse  due  obelischi  di  pietra  sienite  {granito  rosso) 
scelta  al  padre  Phrè  dell'uno,  e  l'altro  mondo,  come  cose 
da  vedersi  gli  edifizi  ristabiliti  (2). 

Fece  piacere  nel  rendere  stabile  il  nome  degli  dei  (e) 
delle  dee,  mentre  regnasse  in  trono  Oro  (che)  e  il  sole  del 

mondo 

" (dante) 

la  vita,  la  stabilità,  la  purità  integra,  vivente  come  il  sole 
in  perpetuo. 

FACCIA    MERIDIONALE  -  Pi  RAM  IDEI 

Uaroéris  Phrè  che  ama  le  regioni  dell'  universa  terra  , 
moderatore  diletto  dei  mondi,  ....  grande  per  la 
duplice  vigilanza. 

Trafisse  i  suoi  nemici,  e  le  regioni  del  mondo  facendo 
lui  illustre  in  se  stesso,  non  stette  il  mondo  in  timore  in 
tempo  di  esso  (fu)  luogo  dei  suoi  uomini;  duplice  stella  sul 
trono  H6r,  Phrè  degli  dei)  passò  da  parte  a  parte  nel  vin^ 
cere  i  suoi  nemici  barbari  della  terra  ?  portando  tutte  le 

parti  della  terra  nella  sua  -  regione  (3) 

offrì   mondi  le 

sue  oblazioni.      . 

Fece  il  signore  di  cui  è  principale  il  suo  nome,  acciò 
dia  allegrezza  del  suo  spirito  in  cielo  e  perchè  goda  come, 
signore  dell'uno  e  V altro  Egitto.  Cesare  Domiziano  sempre 
vivente. 


(i)  PaHe  /,  Tom.  IL  pag.  438. 

(2)  Rìcordansi  gli  edifizj  restaurati,  ed  ampliati  da  Domiziano  in  Egitto. 

(3)  L'impero  romano. 

39 


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—   290   — 
'  FACCrA    ORIENTALE  -  Pt  RAMI  DE: 

Haroérig-Phrè  membra  dwine  procreate  sono  in  esso. 

Ricevè  i  dritti  di  regnare  del  divo  suo  padre  VespasiaDO» 
in  luogo  del  divo  suo  fratello  Tito,  soprasta  t anima  di 
questo  il  cielo. 

Signore  della  superiore  (e)  signore  della  inferiore  regione^ 

domatore  (e)  fabbricò  Vedifìcio 

Oro  risplendente  principe  della  doppia 

vigilanza,  compì  tutte  le  ceremonie  paaegyriae  come  Phtah— 
Sokarì)  principe  a  guisa  del  sole. 

He  signore  dell'uno  e  Valtro  mondo  germe  seminato  dagli 
dei  che  la  terra  sycomori  (i)  ama  Vimperatore  figlio  del  sole 
il  signore  dei  dominanti  Cesare  Domiziano  il  quale  Pbtah 
ed  Atbyr  amano,  vivente  come  il  sole. 

FACCIA   OCCIDENTALE  -  PIRAMIDE: 

Haroéris-Phrè  forte  amica  della  giustizia. 

Re  signore  deWuna  e  V  altra  regione,  signore  operante 
il  tutto  delle  cose  figlio  del  sole  signore  dei  dominatori  /Im- 
perator  Cesare  Domiziano  Augusto?  diletto  del  sole  (di  ku) 
divino  simulacro 


perchè  dia  gloria  al  principe  figlio,  al  signore  della  supe- 
riore, ed  al  signore  della  inferiore  resone  (e  dia)  la  purità 
la  dea  Menthi  custodiente  colui  che  vive  a  simiglianza  del 
sole  in  perpetuo, 

(Continua) 


(i)  Misterioso  nome  dell'Egitto. 


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2M   — 

éXLIX. 
NOTIZIE  SOGLI  SCAVI 
DI  S.  URBANO  DI  NARNI.  DI  MAGLIANO  IN  SABINA, 
NODjTALIA  DI  VITORCHUNO  NEL  VITERBESE,  E  DI  ALTRI  LUOGHI. 

rrORATO   REGIO 
IN  IVARNI  

feari  e  Monameoti 
di  Aoliehitk 

WR^istroIS  Air  Onorevole 

OGGETTO  ^*^  '  Dii-ett.e  Gnale  de' Musei  e  degli  Scavi  di  Antichità 

UE  SUGLI  SCAVI 

f.  Urhauó,   torri- 
di Ntrnif  in  Ma- 

:.:tt!:J'Arn:  Namì  add^i  35  agosto  1878 

n,  «  in  altri  laogk  i . 

Ghìarmo  Sig/  Direttore 

Nelle  notizie  degli  scavi  di  antichità  non  vidi  notata  la 
mia  lettera  scritta  a  V.  S.  ai  26  ottobre  dell'anno  passato. 
Supponendo  non  T  abbia  ricevuta  ^  le  ne  fo  pertanto  copia 
qui  sotto,  desiderando  che  sia  ricordata  in  esse  notizie. 

iV.^  del  Registro  15. 

Nami  26  ottobre   i877 

<c  Giorni  sono  fummi  dal  nostro  castello  di  s.  Urbano 
portata  una  piccola  pietra-  di  travertino,  scheggiata  in  più 
parti,  larga  m.  25,  lunga  20,  alta  9,  con  incavo  nella  super- 
ficie profondo  circa  15  mill. ,  e  eoo  due  buchi  per  ingrap- 
parla, Tuno  nella  parte  postica,  l'altro  lateralmente  nella 
sinistra  di  chi  guarda.  Per  cotesti  due  buchi  e  per  Tincavo 
viensi  a  conoscere  che  la  pietra  stava  infissa  al  muro,  o  in 
piedistallo,  a  sostenere  il  simulacro  della  dea  Fortuna  ricor- 
dato dall'epigrafe  latina,  ivi  scolpita  nella  fronte  a  ineguali 
e  rozzi  caratteri ,  che  io  riferirei  al  sec.  IV  o  V  dell'  era 
volgare.  11  nome  e  cognome  di  chi  sciolse  il  voto,  e  dedicò 
alla  Fortuna  il  simulacro,  non  sono  nuovi  nell'epigrafia  ro- 
mana; ma  del  secondo  più  raro  il  primo. 

Ecco  r  iscrizione  ,  di  cui  le  mando  pure  il  calco  che 
ne  feci^  perchè  mi  piacerebbe  che  le  iscrizioni  antiche  fos- 
sero tutte  pubblicate  in  facsimile^  quando  si  trovassero  rotte 
e  non  chiare. 


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—   292   — 

C.    POsTvMVLEWVS 
PAVLLVS    FORT.    H    (l) 

Leggo  per  intero:  ^ 

CajUS    POsTvMVLBNVS 

PAVLLVS  FORTUDae  Magnae  (vel  Manenti) 

Ma  preferisco  la  lezione  Manenti^  mentre  sappiamo  per 
altri  documenti  che  la  Fortuna  veniva  adorata  sotto  i  titoli 
di  dubia  o  di  manens  (2). 

Cotesta  pietra  venne  trovata  a  mezzo  il  febbrajo  del  1876 
nel  piano  che  si  allarga  sotto  s.  Urbano^  quando  scassavasi 
il  terreno  nomato  Saporeto ,  in  proprietà  di  Pasquale  Onori 
abitante  il  detto  castello.  Il  luogo,  per  gran  tratto,  h  pieno 
dì  frantumi  di  vari  marmi  e  varie  figuline  romane  ,  e  la 
volgare  tradizione  narra  ,  che  quivi  fosse  esistita  un'  altra 
Roma;  deducendosi  ciò  dal  vocabolo  Ramone  di  altro  con- 
tiguo terreno,  il  quale  vocabolo  vuoisi  corrotto  da  romana^ 
cioè  Roma  grande.  Ma,  se  non  deesi  badare  a  cotesta  curiosa 
e  fantastica  etimologia  volgare,  è  ben  da  credere  che  in  detto 
piano  fosse  fabbricata  qualche  gran  villa  o  paesotto  dVntichi 
romani.  Il  culto  della  dea  Fortuna  e  il  monumento  a  lei 
eretto,  i  molti  e  largamente  sparsi  frammenti  di  vari  marmi 
e  varie  figuline,  valgon  bene  a  confermarlo. 

Suggerii  al  proprietario  di  fare  scavo  più  largo  e  pro- 
fondo, potendosi  così  trovare  tutta  o  parte  della  pianta  del 
fabbricato  ,  qualche  iscrizione  che  ne  dichiari  il  nome  ,  e 
forse  pure  il  simulacro  della  dea,  con  altri  idoli  o  di  ter- 
racotta, o  di  marmo,  o  di  bronzo,  o  di  pasta  di  vetro,  o 
di  avorio,  o  d*ossò  ec.  ec. 

La  pietra  è  ora  in  mie  mani  per  dono  del  ritrovatore  , 
ed  io  la  riporrò  nella  collezione  che  feci  nel  nostro  muni- 
cìpio dell'epigrafi  greche,  romane  e  cristiane  primitive. 

E  poi  che  siamo  in  discorso  di  cose  antiche,  appartenenti 
alla  diocesi  di  Narni,  debbo  vendicare  a  questa  Tiscrizione 

(1)  PAVLLVS  fu  co^ome  deUa  gente  Emilia:  JBmilius  Marci  fUius  Paullut, 
e  prenome  della  gente  Lepida:  Paullus  Lepidut. 

(2)  La  M  potrebbe  anco  spiegarsi  MagUtrae,  poi  che  vien  così  appellata  la 
Fortuna  in  iscrizione  Amerina  (vedi  la  mia  collezione  deiriscriz.  di  Amelia): 

IVLIAE    .   M    :    F  .  FELICITATI 

VXORI 

C    .    CVRIATI   .    EVTYCNETIS 

ini   .   VIRO   .   MAGISTRAE   .   FORTV 

NAE,  etc.  etc. 

Ma  siccome  questa  si  suppone  proveniente  dalle  schede  del  Ligorio  »  e 
per  ciò  falsa,  non  pnossene  cavare  alcun  argomento. 


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—   293    — 

latina,  pubblicata  nelle  Notizie  degli  Scasai  dell'anno  corrente^ 
pag.  32,  e  che  vien  data  a  Magliano: 

DIS    MANIBVS 

e.  IVLIVS 

EVTYCHVS 

SIBI   ET 

IVLIAB   GASSIAE 

LIBERTAE  SVAE 

CARISSIMAE 

Questa  iscrizione  fu  veramente  scoperta  nel  territorio  del 
nostro  Calvi,  e  non  dentro  quello  di  Magliano,  nel  1845^  un 
trent'anni  circa  prima  del  tempo  assegnato  dalPanonimo  com- 
positore delParticolo  riportato  nelle  Notizie.  Tanto  vero  clie 
io  la  pubblicai  dentro  il  i858  nel  primo  voi.,  pag.  239  della 
mia  Miscellanea  storica  narnese,  e  fummi  comunicata,  appena 
scoperta,  dal  segretario  municipale  di  Calvi  signor  Prospero 
Polelli  di  buona  memoria,  quantunque  la  sua  copia  fosse  scor- 
retta, l/ebbi  quindi  correttissima  per  altra  parte,  ma  dopo 
stampata  la  detta  Miscellanea ,  perchè  non  potei  correggere 
il  prenome  dì  Eutìco  ch^è  CaJuSy  non  Publius^  come  fummi 
scritto  la  prima  fìata. 

L'autore  dell'articolo  intorno  alle  antichità  di  Magliano  (i), 
piuttosto  che  parlare  con  qualche  errore  su  questa  lapide  se- 
polcrale^ non  propria  di  essa  citta,  potea  far  nota  de'sepolcri 
etruschi,  di  cui  è  ricca  la  medesima,  e  che  non  furon  mai 
ricordati ,  per  quanto  mi  sappia ,  da  ninno  scrittore  antico 
o  recente,  specialmente  dai  più  noti,  quali  sono  Io  Sperandio 
nella  Sabina  sacra  e  profana,  il  Guattani  ne'monumenti  Sabini. 

Su  cotesti  sepolcri  magli anesi  aveva  io  scritto  un  lungo 
artìcolo,  ben  particola  ri  zzato  e  composto  sulla  faccia  del  luogo, 
quando  fui  chiamato  a  vedere  e  stimare  gli  oggetti  trovati. 
Detto  artìcolo  era  per  rinstiiuto  di  Corrispondenza  Archeo- 
logica; ma  in  viaggio  mei  perdetti;  e  ora  non  conservo  che 
alcuni  pochi  appunti,  de'qualì  mi  servirò  per  descrivere  som- 
mariamente alla  S.  V.  gli  scavi  ignoti  dell'etrusca  Magliano. 

(1)  Chi  Tisica  oggi  Magliano  in  Sabina,  vede  una  piccola  e  meschina  città 
abitata  da  poche  persone  piene  di  cortesia,  gentilezza  e  ospitalità.  Lo  Spe- 
rando  e  il  Guattani  che  parlarono  a  lungo  della  Sabina  non  ci  danno  che 
scarse  notizie  di  Magliano  che  un  tempo  fu  cnpo  di  provincia,  e  perchè  flo- 
rida, ricca  e  popolata  assai  più  di  oggi.  Dagli  scavi  recenti  si  conosce  che 
appartenne  agli  Etruschi,  provenuti  di  certo  o  dalla  vicina  Fallari  o  da  Vi- 
terbo ed  estesi  in  altri  luoghi,  ma  non  tutti,  della  Sabina.  In  fatti  il  suo  nome 
istesso  è  etrusco,  trovandosi  un  altro  Maqliano  in  Toscana  e  in  altri  luoghi. 
II  suo  significato  è  ignoto,  per  quanto  siasi  qualcuno  studiato  di  spiegarlo* 


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294   

Dieci  anni  fa  circa,  un  conladino,  lavorando  nel  terreno, 
dimandato  Madonna  grande  ,  e  posseduto  da  tal  Domenico 
Rosati,  ebbe  Taccidentalita  di  scoprire  alcuni  sepolcri  etruschi 
antichissimi,  ma  poveri  di  suppellettili,  mentre  in  essi  non 
ebbe  rinvenuto  che  rozze  figuline,  fra  le  quali  dieci  prege- 
voli vasi  figurati  ed  ornati]  il  cui  pregio  solo  consiste  nella 
fattura  di  nuova  specie,  essendo  lavorati  a  sfondo,  cioè  con 
fondo  naturale  di  terra  cotta  e  rilievo  a  tinta  nera;  e  li  giu- 
dico di  nuova  specie,  perchè  non  ne  vidi  simiglianti  in  tutte 
le  più  note  collezioni  di  Europa  da  me  visitate,  e  specialmente 
quella  del  museo  di  Londra  eh'  è  la  più  ricca.  E  a  questa 
mia  sentenza  uniformaronsi  altri  archeologi  ,  e  anco  i  soci 
deir  imperiale  germanico  Instit.  di  Corrisp.  Archeol. ,  a  cui 
ebbi  mostrato  uno  di  detti  vasi.  Ma  di  cotesti  non  trovai  che 
uno  solo  qua^i  intero;  e  dico  quasi,  perchè  pur  esso  mancante 
del  collo  e  del  manico.  Gli  altri  furono  bestialmente  infranti 
dalla  zappa  dell'ignorante  villico,  che  non  aveva  altro  a  caro 
che  gli  splendidi  oggetti  di  metallo,  di  cui  i  sepolcri  eran  privi. 

Portai  a  casa  un  canestro  di  cocci,  per  tentare  con  questi 
di  ricomporre  qualche  vaso;  ma  non  vennemi  fatto,  perchè 
mancavan  molti  pezzi,  portati  via,  per  curiosità,  da  persona 
che  trovossi  presente  allo  scavo.  Io  credo  che  siffatti  vasi 
.sieno  etruschi  di  un  tempo  un  po'  remoto  e  dì  fabbrica  locale, 
non  essendosene  fin  qni  trovati  altri  delia  stessa  foggia.  Che 
se  accadesse  in  seguito,  io  li  terrei  sempre  per  vasi  itali  non 
grechi.  Quello  quasi  intero  è  oggi  per  mio  dono,  nella  pre- 
gevole collezione  preistorica  del  chiariss.  signor  Leone  Nar- 
doni  di  Roma,  e  spero  quando  che  sia,  pubblicarne  il  disegno. 
Intanto  a  V.  S.  lo  descriverò  a  parole ,  perchè  ne  abbia 
alcuna  idea. 

Esso  è  alto,  senza  collo,  27  cen.,  e  con  questo  era  forse  45. 
Da  piedi,  fino  all'altezza  di  7  cen.,  è  tutto  in  nero  lustro, 
quindi  un  meandrino  alto  5  mill.  della  stessa  tinta  nei  rilievo, 
e  nello  sfondo  del  color  naturale  della  terra  cotta. 

Dal  meandro  staccansi  alcuni  fiori  come  di  loto,  con  due 
figure  nel  mezzo  ,  e  sono  alti  circa  dodici  centimetri.  Suc- 
cedono a  questi  alcune  foglie  che  vanno  sino  all'attaccatura 
del  collo,  il  quale  dovea  esser  nero,  perchè  stesse  in  armonia 
col  piede  e  col  corpo.  Era  ansato  a  destra,  ma  col  collo  andos- 
«ene  pure  il  manico.  Che  cosa  significhino  le  due  figure  virili, 
non  sapre'  indovinarlo.  La  prima  ,  verso  la  nostra  sinistra  , 
ritrae  un  uomo  grosso  e  goffo,  di  forma  simile  a  Sileno,  con 
la   vita  piegata  in  avanti,  e  con  le  mani  distese  in  atto  di 


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—   S»6    — 

pregare  altro^  meglio  formato,  più.  saello  di  lui,  e  che  stagli 
in  faccia,  e  che  sembra  arrestarsi  dalla  fuga  per  ascoltarlo: 
a  tal  motivo  torce  il  solo  viso  indietro  a  guardarlo.  Il  fug- 
gente porta  nella  sinistra  il  simpulo,  e  con  la  destra  tocca 
un  fiore  del  vaso;  quasi  per  reggersi  oeir esquilibrio  della 
persona;  ma  egli  dovea  tener  prima  nella  medesima  il  pre- 
fericolo  che,  forse  per  timore,  caddegli  di  mano,  e  che  sta 
per  terra  fra  le  sue  gambe.  Il  simpulo  e  il  prefericolo  erano 
arnesi  de'sacri  riti^  e  trovansi  scolpiti  in  molti  pagani  mo- 
numenti che  riferisconsi  a  religione;  perchè  puossi  con  dritto 
argomentare  che  il  soggetto  contenga  un  sacro  significato. 

Qualche  anno  dopo  questa  scoperta  ,  cioè  nell*  inverno 
del  1872,  venni  per  un  amico  ragguagliato,  che  nella  slessa 
citta  un  secondo  contadino  erasi  imbattuto^  lavorando,  in 
altro  sepolcro  più  nobile  degli  altri.  Al  cortese  e  sollecito 
avviso,  mi  recai  tosto  sul  luogo;  ma  vidi  lo  |scavo  di  recente 
riempiuto,  e  vidi  solo  sparsi  intorno  frantumi  di  tegoloni , 
di  vasi  antichi  in  figulina,  di  grossi  pezzi  di  tufo.  Quindi 
fui  a  visitare  il  contadino  scopritore  del  sepolcro,  proprie- 
tario della  roba,  e  credo  anco  del  terreno,  per  nome  Giro- 
lamo Francucci.  Da  costui  appresi  che  il  sepolcro  stava  sot- 
terra circa  un  metro,  e  ch'era  formato  da  grandi  massi  di  tufo, 
de*quali  mostrommi  vari  esemplari  asportati  in  sua  casa.  Il 
loro  taglio  è  a  pelle  piana  in  figura  di  para  Ielle  pi  pedi,  con 
misura  tra  loro  disuguale:  i  maggiori  sono  lunghi  circa  due 
metri,  e  alti  cm.  52. 

Questo  sepolcro  non  era  povero  come  gli  altri  ,  avendo 
contenuto  oggetti  vari  di  bronzo,  cioè  armi,  anelli,  vasi,  ba* 
Cini  ecc.,  oltre  le  molte  figure  rozze  o  fine,  semplici  o  figu- 
rate, di  cui  diemmi  a  vedere  solo  un  canestro  di  frantumi, 
perchè  pur  esso  ebbe  il  barbaro  costume  dell'altro,  di  romper 
tutto  ch'era  terra  cotta,  credendo  che  i  vasi  antichi  valgan 
meno  delle  pentole  e  delle  pile  di  casa  sua.  Ciò  non  ostante 
fra  i  molti  cocci  ne  pescai  alcuni,  che  mi  parvero  degni  di 
qualche  considerazione,  e  che  richiamano  gli  antichi  vasi  se- 
polcrali di  Cervetri ,  Bomarzo  e  altri  luoghi.  Due  pezzi  di 
essi  cocci ,  i  più  notabili  ,  hanno  figure  rosse  e  fiori  gialli 
di  loto  in  campo  nero.  In  altro  pezzo  mirasi  figurato  con 
buon  arte  un  cigno  bianco  in  campo  nero  con  fiori  e  meandro 
alla  greca. 

Il  detto  sepolcro  esiste  quasi  in  cima  al  colle  del  Giglio, 
al  sud-est^  rimpetto  e  vicinissimo  alla  citta  passato  il  fosso. 
Confina  da  un  lato  con  la  strada  comunale  sabinese,  dal  se- 


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—  296  — 

concio  col  predio  Cardarelli,  dal  terzo  co'beai  del  pio  lascito 
Miccinellit  dal  (|uarto  con  la  strada  delta  vicinale  (i). 

Sono  di  parere  che  i  sepolcri  della  Madonna  grande  e 
del  Giglio  formin  parte  di  due  necropoli  maglianesi  da  do- 
versi premurosamente  ricercare  non  senza  qualche  utilità. 
L*una  è  certo  più  antica  deiraltra,  ma  qual  delle  due  risale 
più  addietro?  Crederei  quella  della  Madonna  grande^  stante 
che  i  sepolcri  sono  cavati  nel  vivo  del  monte,  ed  i  vasi,  che 
contenevano,  più  arcaici  degli  altri  del  Giglio.  È  vero  che 
alcuni  archeologi ,  fra  quali  il  signor  Brizio  (2) ,  ritengono 
per  più  vetusti  i  sepolcri  costrutti  a  cotal  guisa  di  massi 
tufacei;  ma,  in  quanto  a  Magliano^  e  altri  luoghi,  io  tengo 
opinione  contraria  ;  né  ora  parmi  opportuno  esporre  su  ciò 
le  mie  ragioni.  L'epoca  del  sepolcro  del  colle  del  Giglio  potria 
fissarsi,  giusta  l'opinione  di  altro  valente  archeologo,  al  sesto 
o  settimo  secolo  innanzi  all'era  volgare;  ma  non  si  giurì  sulla 
parola  del  maestro  (3)  mentre  è  assai  diBSicile  fissare  tali  secoli. 

Gli  etruschi  di  Magliano  sono,  in  quanto  a  me,  provenati 
da  quelli  della  vicina  antica  Fallari  (Civitacastellana) ,  e  da 
Magliano  propagati  quindi  in  varie  parti  della  Sabina ,  e 
specialmente  a  Castelvecchio  che,  non  ha  guari,  pose  in  luce 

(1)  Dopo  scritta  la  presente  lettera,  furon  fatti  dai  signori  Rosati  e  Mo- 
retti altri  scavi  accidentali  i.elle  dette  necropoli.  Il  primo  nel  terreno  eoUeape, 
entro  i  mesi  di  aprile  e  maggio  1879,  ritrovò  un  boccaletto  tutto  nero  lustro. 
Altri  quattro  boccaletti  a  sfondo,  tre  de' quali  nero-dipinti  senza  ornati;  il 

auarto  a  vari  fiori.  Cinque  anfore,  Funa  delle  quali  a  sfondo  con  figure  e  fiori, 
na  tazza  con  figura  maschile  nel  mezzo  dell*  interno  graffite  e  nuda.  Essa 
tiene  un  cerchio  o  corona  nella  destra ,  e  una  nembride  nella  sinistra.  Cn 
vaso  a  sfondo»  come  quello  già  descrìtto  nella  presente,  il  quale  dà  a  vedere 
una  figura  maschile  a  cavallo  di  un  caprio  (forse  Tanima  del  morto  che  tra- 
passa all'altra  vita)  e  di  contro  una  figura  alata  che  sarà  certo  il  suo  condut- 
tore ai  mondo  di  là.  Tralascio  di  descrivere  altri  consimili  vasi  trovati  più 
tardi  e  da  me  non  visti. 

11  Moretti  nell'aprile  di  detto  anno,  nei  terreni  Giglio  e  s.  Biagio^  sca- 
vando  a  salti  per  lavori  agricoli,  ebbe  a  sorte  rinvenuto  molli  frantumi  di 
vasi  e  tazze  ordinarie  dì  torme  e  tinte  diverse  con  poche  linee  in  alcuni  di 
ornato.  Gli  riuscì  avere  interi  solo  auattro  piccoli  balsamari  in  figulina  a 
fondo  giallo  con  ornamenti  di  nero.  Un  boccaletto,  come  sopra  a  tinta  lustra 
di  bronzo.  Un  grosso  caldajo  di  bronzo  assoluto  co*  suoi  piedi;  ma  disfecesi 
al  contatto  dell'aria,  non  restando  di  esso  che  due  piedi  e  piccola  parte  della 
conca.  Una  spada  di  ferro  molto  lunga  e  larga ,  di  cui  non  resta  che  il  ci- 
lindro che  guerniva  il  manico.  Questa  spada  e  il  caldaro  esìstevano  in  una 
tomba  di  s.  Biagio  scavata  nella  pozzolana,  la  quale  contiene  una  banchina, 
larga  m.  4,  lunga  m.  2:  30. 

(2)  Leggi  su  ciò  un  suo  lungo  artìcolo  nel  Bullett.  dell' Instit.  di  Gorr. 
Archeol.  1872,  pag.  178  e  segg.  Lo  stesso  argomento  trattò  la  Civiltà  Catto- 
lica nella  serie  IX,  voi.  X.  articolo  dell'Archeologia.  La  costruzione  dei  se- 
polcri a  grandi  massi  di  tufo ,  come  quelli  della  necropoli  del  Gìglio ,  era 
generale  nell'Etruria,  e  se  ne  trovano  a  Vìtorchiano,  Palestrina,  Ceri,  Amelia, 
Bologna  e  altri  luoghi.  A  Bologna,  di  questa  maniera,  ne  furon  trovati  170  nella 
necropoli  dì  Marzabotto,  come  riferisce  nella  sua  relazione  il  senator  Gozzadini. 

(3)  Vedi  il  Bullelt.  deirinstit.  di  Corr.  Archeologica  1878,  articolo  sugli 
scavi  di  Suessala. 


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—   297   

vari  oggetti  propri  di  quel  popolo.  Ma  sembra  che  l'antica 
provincia  della  Sabina,  come  pure  quella  dell'Umbria,  non 
fossero  tutte  occupate  da  cotesto  orientale  popolo  conquista- 
tore. In  fatti  alcuni  luoghi  dell'una  e  dell'altra  sono  privi, 
per  quanto  sin  qui  conoscesi,  di  necropoli  e  monumenti  loro. 
Fra  quei  luoghi  conto,  per  esempio,  Tantica  Ocrea  e  Tanti- 
chissìma  mia  Narni  e  Calvi,  sabine  un  tempo  pur  esse.  Amelia 
invece,  che  confina  col  nostro  territorio,  e  che  fu  prima  pe- 
lasgica  al  par  di  noi  e  di  altre  città  italiche,  ebbe  poi  gli 
etruschi  dalla  parte  certamente  del  Tevere,  ossia  dal  terri- 
torio di  Orte.  La  sua  necropoli  etrusca  h  prossima  alle  anti- 
chissime mura  di  cinta,  e  anni  sono,  produsse  vari  oggetti, 
di  cui  feci  minuta  relazione,  come  socio,  airinstit.  di  Gorrisp. 
Archeol.  con  tre  lettere  stampate  nel  BuUett.  di  detto  Insti- 
tuto.  Ma  essa  necropoli  meriterebbe  ricerche  più  regolari 
e  premurose,  mentre  ogni  tanto  donaci  fortuitamente  oggetti 
di  qualche  valore;  e  tempo  fa  avemmo  da  lei  una  base  di 
candelabro  di  bronzo  a  pie' di  leone,  varie  laminette  d'oro 
figurate  a  sbalzo,  con  vari  pezzi  di  filigrana  in  oro,  i  quali 
forse  dovean  servire  a  legare  esse  laminette  perchè  trovati 
assieme.  Le  medesime  formavano,  a  mio  credere,  la  pettina 
di  qualche  donna ,  ne  d' è  la  prima  rinvenuta  a  cotal  uso. 
Si  scavò  pure  un  sepolcro,  come  quello  di  Maglìano,  a  tufi 
grandi  e  conci. 

L'Etruria  non  fu  mai  visitata,  ricercata  e  studiata  qual 
si  conviene.  Ma  non  saria  cosa  da  poterla  fare  un  privato, 
essendo  lavoro  faticosissimo,  lunghissimo,  di  grande  spesa  e 
che  richiede  molta  critica,  molta  erudizione  e  acuto  ingegno. 
Finché  non  sarà  eseguito  cotesto  profondo  studio,  noi  non 
avrem  mai  una  generale  e  degna  istoria  dell'Etruria.  Storia 
tentata  da  più  d'uno  a  brani;  ma,  fin  qui,  mal  riuscita  a 
tutti;  essendo  ordinario  difetto  degli  storici  mettersi  a  scri- 
vere senza  il  necessario  fornimento,  senza  lunghe  e  pazienti 
ricerche  ,  avendo  smania  di  presto  procacciarsi  rinomanza  , 
senza  badare  alla  maggior  perfezione  del  lavoro. 

Bisognerebbe  pertanto  che  il  Governo  medesimo  mandasse 
attorno  per  TEtrurìa  ingegneri  ed  archeologi  di  nome,  i  quali, 
uniti  alle  dotte  persone  di  ciascun  paese,  facessero  la  pianta 
generale  dell'Etrurìa,  ove  fossero  notate  tutte  le  citta,  o  morte 
o  vive,  o  trasformate  ma  appartenute  a  detto  popolo,  i  ca- 
stelli, le  ville,  le  loro  strade,  i  loro  ponti,  i  bagni,  i  teatri,  gli 
anfiteatri  e  altro  qual  sia  monumento.  Tratterebbesi  di  per- 
correre adagio  adagio  tutta  iMtalia,  s'è  vero,  secondo  il  detto 

40 


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—  MS  — 
eli  T.  Livio  ,  eh*  essa  fu  quasi  interamente  occupala  dagli 
Etruschi.  Colai  pianta,  generalmente  illustrata,  dovrebb'essere 
accompagnata  da  una  bibliografia  etrusca,  italiana  e  straniera» 
e  da  una  nota  di  tutte  le  collezioni  piccole  e  grandi,  pab^ 
bliche  e  private  di  oggetti  etruschi  esistenti  in  Europa  e 
altrove.  Dopo  ciò  potremmo  sperare  di  avere  una  storia,  par* 
ticolarizaata,  bene  scritta  e  nobilissima  dell'Etrurìa,  che  noi 
poco  e  male  oggi  conosciamo,  per  quanto  siavi  stato  scritto 
sopra  da  molti  smembratamente. 

Io  potre'  citare  vari  luoghi  etruschi,  che  visitai  per  mia 
curiosità,  ignorati  nell'universale  e  mal  noti  agli  stessi  abi* 
tanti,  salvo  a  due  o  tre.  Prendiamo^  per  esempio,  Orte  eoa 
tutto  il  terreno  che  da  questa  citta,  per  la  parte  del  Tevere, 
estendesi  fino  ad,  Amelia.  Chi  visitò  cotesti  luoghi  etruschi 
con  proposito  di  ricercarli  e  attentamente  studiarli  ?  Niuno. 
Qualche  dotto  vi  fece  una  scorsa  in  fretta  nelle  due  citta 
principali  e  basta  :  nei  luoghi  di  minor  conto  ninno  ;  tolto 
qualche  avido  negoziante  di  oggetti  antichi,  la  qual  genìa 
ficca  il  naso  per  tutto^  e  depaupera  TUalia  delle  sue  vetuste 
ricchezze  e  bellezze,  perchè  d'ordinario  vende  a  fòrastieri  e 
non  ai  connazionali^  perchè  questi  non  son  larglii  con  loro, 
come  quelli,  di  denaro.  E  pure  il  territorio  di  Orte  e  Amelia 
meriterebbe  le  nostre  cure  e  i  nostri  studi. 

Andiamo  ora  con  un  salto  in  altra  parte,  cioè  ai  monti 
Cimini,  un  tempo  popolatissimi  e  ora  mezzo  deserti.  Quanti 
sanno  de*siti  e  monumenti  etruschi  che  fan  belli  cotesti  mae- 
stosi e  già  terribili  monti  vulcanici?  Ben  pochi.  E  quanti  ne 
scrissero?  Quattro  o  cinquie  scarsamente  e  malamente*  Del  resto 
non  senti  che  notizie  vaghe,  contraddittorie,  talvolta  bugiarde 
in  bocca  dei  coltivatori  e  padroni  de* campi. 

Un  tempo  fui  a  Vitorchiano,  ed  ebbi  vaghezza  sapere  del 
suo  tempo  antico  e  monumenti  etruschi;  ma  non  potei  sopr*essa 
pescar  notizie  né  dentro  i  libri,  né  dentro  gli  archivi.  Sol- 
tanto dassene  brevissimo  cenno  ,  incongrueale  insufiiciente , 
nelle  storie  Viterbesi  e  nel  libretto  del  sigaor  Valentino  Bo- 
vani  intitolato:  Memorie  dei  Fedeli  di  Campidoglio^  p.  co. 
Deluso  nelle  mie  ricerche  sui  libri  e  fra  gli  archivi  pubblici  e 
privati,  diedimi  attorno  pel  castello  e  per  la  campagna  a  inter- 
rogar la  gente  circa  i  luoghi  e  antichità  etrusche  esistenti  o 
esistite  sopra  terra  o  sotto  nel  detto  paese.  Seppi  poco  poco; 
ma  quel  poco  manifesterò  nella  presente,  perchè  col  tempo 
non  vada  in  dimenticanza,  potendo  servire  al  lavoro  da  me 
pensalo,  desiderato  e  proposto  a  cotesta  Direzione  generale. 


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—   299   — 

Nel  mese  di  luglio  del  1972,  tempo  in  cui  mi  condussi 
a  Vitorcbìano,  per  visitarvi  la  famiglia  Presutti  mia  amica» 
ebbi  la  ventura  di  trovarvi  a  villeggiare  il  cortese  e  istruito 
signor  cav.  Giovanni  Pompilj  di  Roma.  Costui  avendo  saputo 
dal  sig/  Agapito  Presutti^  che  io  era  dilettante  e  ricercatore 
di  antichità,  si  offerse  volontieri^  come  scorta,  per  accompa- 
gnartni  nella  visita  de*sepolcri  etruschi  che  popolano  un  suo 
podere  ^  ove  sta  a  cavaliere  la  villa ,  e  che  furono  scoperti 
dagli  agricoltori  nel  far  le  forme  per  le  viti. 

La  necropoli  dista  mezzo  chilometro  circa  da  Vitorchiano, 
a  cui  sta  di  faccia  verso  nord-est.  A  sud-est  guarda  i  monti 
Cimini,  la  cui  condizione,  come  dicemmo,  è  vulcanica,  all'ovest 
Montefiascone.  Il  terreno  e  totalmente  di  peperino  e  nomasi 
paparano.  Condotto  sul  luogo,  vidi  due  o  tre  sepolcri  aperti 
con  entro  qualche  cassa  gigantesca  mortuaria  di  pietra  locale. 
Sopra  terra  alcune  urne  cinerarie  della  stessa  pietra,  pezzi 
di  vasi  fittili,  tegoloni  e  travertini  lavorati;  fra  cui  una  base 
incorniciata,  che  alcuni  reputano  per  ara,  ma  che  io  ritengo 
quale  base  di  statua  o  semibusto  ,  essendovi  nel  mezzo  un 
buco  da  potere  imperniare  o  Tuna  o  Taltro. 

Quindi  il  cav.  Pompilj  condussemi  al  suo  casino,  ovVb- 
bemi  mostrato  alcuni  vasi  etruschi  di  varia  foggia ,  ma  di 
poco  pregio  con  tre  tegoloni  estratti  dai  medesimi  sepolcri, 
dichiarandomi,  che  apparteneva  pure  ad  essi  un  candelabro 
dì  bronzo  da  lui  posseduto  in  Roma,  il  cui  stelo  è  vagamente 
ornato  di  un  cane  che  corre  verso  un  uccello,  e  la  cima  di 
tre  gentili  colombe  poste  sopra  a  una  tazza  ,  mancando  la 
quarta  che  per  simmetria  dovea  stare  in  compagnia  dell'altre 
nei  quattro  angoli.  Cotesti  ornamenti  necandelabri  etruschi 
sono  assai  comuni^  essendosene  trovanti  altri  così  foggiati,  ed 
io  ne  posseggo  uno  consimile  proveniente  dalla  necropoli  di 
Orte.  Mi  assicurò  inoltre  che  altre  persone  ebber  la  fortuna 
di  trovarvi  diversi  idoli  preziosi,^  specchi  graffiti  e  non  graffiti, 
molti  scarabei^  una  magnifica  corazza  di  bronzo,  alcune  spade, 
lance,  vasi  ordinari  di  bronzo,  e  anco  alcuni  a  basso-rilievi 
di  buon'arte,  una  fibula  d'oro  e  qualche  leggiadro  vaso  in 
figulina  dipinto  a  figure  e  ornati.  Diedemi  pure  a  vedere 
oggetti  romani  di  niun  valore,  ed  alcune  monete  di  bronzo 
e  di  argento,  cavati  gli  uni  e  le  altre  dai  medesimi  sepolcri; 
sicché  devesi  argomentare^  che  i  romani,  cantando  quel  motto 
virgiliano  f^eteres  migrate  coloni ,  occupassero  un  tempo 
i  sepolcri  etruschi  di  Vitorchiano;  costume  irreligioso  e  ri- 
provevole praticato  pure  in  altri  luoghi. 


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—   300   — 

Le  monete  meglio  conservate,  e  con  chiara  scrìtta»  eran 
quattro.  Nella  prima  (quinario)  leggevasi  il  motto  roma,  nella 
seconda  l.  tiivri»  nella  terza  brvtvs-libertas  »  nella  quarta 
L.  TBORivs  BALBvs,  nel  cui  rovescio  le  sigle  i.  s.  m.  r.  Cotesti 
trìumviri  monetari,  come  pure  le  loro  monete,  sono  ben  noti» 
perchè  lascio  di  farne  particolare  menzione. 

Preso  commiato  dal  cav.  Pompilj,  fecimi  presso  uno  dei 
fratelli  Sdirami  di  Vitorchiano;  essendomi  stato  detto,  ch^essi 
rinvennero  alcuni  sepolcri  con  oggetti  etruschi  in  un  loro 
podere  dimandato  Poggio  ricotta  in  contrada  Fondij  distante 
un  chilometro  circa  da  esso  castello.  In  fatti  ebbemi  il  me- 
desimo sig.'  Sdirami  significato  di  aver  rinvenuto  nel  pre* 
detto  Poggio  un  colombajo  ,  profondo  circa  18  metri ,  che 
conteneva  un'urna  cineraria  di  travertino,  foggiata  a  schiena 
d'asino  con  entro  ossa  bruciate,  più  due  piccoli  vasi  di  bronzo 
con  manichi  formati  a  serpenti^  una  cassa  di  peperino  con- 
ficcata in  una  parete  contenente  ossi  e  teste  di  morti,  e  altre 
simili  per  terra  coperchiate;  ma  in  qualche  parte  rotte,  perchè 
rovistate.  Oltre  questo  colombajo  furono  scavati  e  visitati 
altri  sepolcri  da  una  società  di  antiquari,  i  quali  sen  torna- 
rono a  casa  lieti  e  contenti  con  largo  bottino. 

Un  tal  Luigi  Projetti ,  ricercatore  di  oggetti  antichi ,  e 
che  ha  l'aria  ardita  e  presuntuosa  di  un  Cicerone,  mi  assicurò 
aver  trovato  nel  medesimo  Poggio  alcuni  vasetti  variopinti 
di  vetro,  una  cassa  che  racchiudea  lo  scheletro  di  una  donna, 
avente  al  fianco  un  pezzo  di  velo  di  seta  nera,  fregiato  nel 
lembo  di  fiori;  altri  pezzi  di  cotesto  velo  stavan  per  terra. 
Nello  stesso  sito  trovò  una  lucerna  con  figura  di  donna  atteg- 
giata a  mestizia  con  fiaccola  accesa  in  mano.  Per  l'iscrizione 
ivi  scolpita  DEJE  CERERI  ricscc  facile  spiegare  la  rappresentanza, 
ch'è  Cerere  andante  attorno  in  cerca  della  figlia  Proserpina 
da  lei  smarrita^  perchè  rapita  da  Plutone. 

Il  medesimo  Projetti  mi  aggiunse  aver  tentato  altri  scavi 
a  Perento  e  a  Poggio  del  gallo*,  proprietà  quest'ultima  uà 
tempo  del  canonico  Anguillara  di  Canepina  e  oggi  del  de- 
manio, se  non  l'ebbe  venduto.  Nel  primo  luogo  scavò  vasi 
in  figulina  a  vernice  rossa  e  nera  con  figure  e  ornati ,  e 
qualcuno  senza;  vasi  di  bronzo,  lance,  picche  e  spade,  due 
scarabei  e  un  lume  eterno  col  motto  ferentvm.  Nel  secondo 
trovò  dentro  un  sepolcro  una  tavola  di  travertino  ^  larga 
circa  75  cm.,  ricoperta  di  tovaglia,  che  andò  in  polvere  ap- 
pena intesa  l'aria.  Su  questa  eran  consperse  molte  foglie  di 
mortella  ancor  vive  e  verdi,  e  imbandita  una  povera  mensa, 


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—  301  — 
cioè  quattr'uova,  due  rotte  e  due  intere  ma  vuote,  un  pane 
grande  quanto  i  nostri  da  un  soldo.  Ornavano  la  medesima 
uu  cucchiajo,  una  forchetta  e  un  bicchiere  nobile  e  splen- 
dido per  bei  fregi  d'oro.  Rispetto  all'uova  non  h  cosa  straor- 
dìoarìa,  mentre  più  volte  ne  furon  trovate  nelle  necropoli 
di  Toscanella,  di  Vulci,  di  Bologna  ecc.  (l),  unitamente  a  pane» 
fave  e  lenticchie;  rispetto  alia  mortella  parmi  cosa  rimarche- 
vole e  non  comune,  quantunque  si  conosca  per  pianta  funebre. 

Il  sig.'  Agapito  Presutti  mi  parlò  di  un  suo  possedimento, 
nominato  volgarmente  Cucchiarella,  donde  vennero  in  luce, 
per  sue  ricerche ,  dodici  sepolcri ,  che  diedero  frantumi  di 
Tasi  in  figulina  colorati  e  figurati,  vasetti  variopinti  di  vetro 
bellissimi,  uno  scarabeo  in  pietra  dura,  con  fina  incisione, 
venduto  lire  sessanta  ,  un  manico  di  bronzo  ,  un  vezzo  di 
canutiglie  d*oro^  vari  specchi  di  rame,  urne  laterizie  con  ossa 
di  morti.  La  detta  Cucchiarella  appartiene  al  territorio  di 
YitorchianOj  da  cui  dista  quattro  kii.  circa,  uno  da  Monte- 
Gasoli ,  castello  diruto ,  che  si  reputa  per  V  antica  Meonia , 
mezzo  chil.  circa  da  Gastellara ,  ove  miransi  ruderi  molto 
antichi.  Confina  col  territorio  di  Bomarzo  e  col  lenimento 
della  Colonna^  proprietà  del  principe  Borghese. 

E  per  oggi  basti.  Sono  sicuro  che  V.  S.  farà  conto  di 
queste  poche  smembrate  notizie,  e  della  proposta  che  riguarda 
la  storia  della  nostra  Etruria.  Che  se  questa  avesse  effetto. 
Ella  acquisterebbe  certo  maggior  merito  e  vanto  di  quello 
che  già  gode.  Stia  sana. 

Suo  devmo 
G.  Eboli 
Ispettore  regio  degli  Scavi  e  Monum.  di  antichità 


LE  MIGLIORI  CANTATRICI  ITALIANE  FINO  ALL'  ANNO  1713 
NOTIZIA  DI  U.  STEINSCHNEIDER 

In  un  libro  tedesco  intorno  alle  poetesse  della  Germania, 
stampato  nel  1715  (2)  si  trova    nella    prefazione  un  registro 

(1)  Nel  1878  in  un  antico  ipogeo  deUa  città  di  Oria  fra  le  altre  cose  fu 
trovato  un  vaso,  e  vicino  a  questo  alcuni  gusci  d'uova  e  mandorle  che  con- 
servavano ancora  la  parte  legnosa  del  guscio  e  quasi  tutta  Tepidermide.  E  in 
altro  sepolcro  dello  stesso  luogo  il  simile*  (Notizie  degli  Scavi  di  antichità 
camonicate  all'accademia  de' Lincei,  an.  1878,  pag.  147 — 48). 

(2)  Teutschlands  galante  Poetinnen  Mit  Ihren  sinnreichen  und  netten 
Proben;  ecc.  ausgefertiget  von  Geor^  Christian  Lehms.  Fracckfuri  am  Mayo 
1715.  —  il  foglio  citato  della  prefazione  è  segnato:  f  2. 


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—  302  — 
delle  migliori  cantatrìci  in  Italia,  «r  che  erano  allora ,  o  die 
»  furono  prima  i» ,  e  sono  le  seguenti. 

1.  Margherita  Durastanti 
%.  Diamante  Maria  Scarabelli 

3.  Francesca  Vanini  Baschi 

4.  Maria  di  Chateauneuf,  nominata  Landini 

5.  Margherita  Salvagnini 

6.  Giovanna  Martinelli 

7.  Signora  Santa  Stella 

8.  Maria  Anna  Garberini  Beoti)  detta  la  Romanina 

9.  Giovanna  Albertini,  detta  la  Reggiana 

10.  Angina  Augusti 

11.  Signora  Rosa  Ungarelli 
i2.  Maddalena  Bonavia 

13.  Livia  Nannini,  detta  la  Polacchina 

L'autore  non  accenna  la  fonte   da   cui    ha   preso  questo 
elenco. 

LI. 

SPECULUM  DIANAE  <ìy 

I. 

SPECULUM  DIANAE 

L' innocente  fanciulla  era  ignara 
d*  ogni  arte  donnesca»  e  pura  come 
il  raggio  della  luna  che  ai  specchia 
sul  fonte.  Btrom  . 

Nel  guarnelletto  bruno  e  nel  zendado 

È  avvolta  la  fanciulla  a  me  diletta: 

Passeggia  lungo  il  lago,  a  passo  rado. 

Dove  la  bianca  lana  alto  saetta. 
Passeggiammo,  e  la  luna  sen  fuggia 

Baciando  i  nembi,  mesto  vìatore. 

Volsi  i  passi  e  la  luna  mi  seguia: 

Così  la  Gloria  fa,  cosi  1'  Amore. 
Che  dici,  mesta  alla  Luna?:  «  Sul  monte 

Selvoso  e  sul  lago  la  luce  apporti; 

Di  sentimento  copiosa  fonte, 

O  bianca  Luna,  salutami  i  morti.  » 
Sii  lieta.  Il  Iago  è  si  placido  e  chiaiH)... 

L*  alma  mia  non  ha  pace.  -  E  a  Delia  piacque. 

Mentre  le  Driadi  ed  i  Fauni  danzaro,    , 

Sparso  per  lei  Tuman  sangue  in  quest'acque? 


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303    — 

Talora  sono  scettico,  sono  empio. 

Impreco  ai  Numi  che  mi  fan  penare; 

Talora  sono  mistico  e  nel  tempio 

Mi  prostro  umilemente  appiè  dell'  are,  - 

Piove  sul  lago.  -  E  al  lago,  o  donna  mia. 

Tu  mi  compara  ed  io  t'agraagli  al  cielo: 
Sereno  è  il  lago  e  pieno  d  allegiùa 
Quando  è  sereno  il  cielo  e  senza  velo. 

Restiam  di  questo  pin  sotto  T  ombrella 
A  ripararci  dalla  pioggia  ria, 
E  Giove  Pluvio  non  temiam,  mia  Bella, 
Che  ambedue  fulminar  qui  ci  potria. 

Sul  leggiadretto  pie  sostati,  o  cara. 

T'amo,  ti  dico  e  dir  piii  non  poss*io... 
Non  balbettar,  non  far  la  voce  amara. 
Non  dire:  «  andate  per  amor  di  Dio.   » 
If. 
PALATINU8 

Mentre  cogliam  le  rose  ad  un  arbusto 

Sacro  alla  bella  antica  dea  di  Gnido, 
E  ti  contemplo  il  sembiante  venusto. 
Bionda  fanciulla  a  cui  1*  anima  at&ào; 

Ci  assai  la  pioggia  in  questo  colle  augusto 
Che  fu  della  romana  aquila  il  nido, 
E  ripariam  sotto  un  arco  vetusto 
Che  sembra  il  santuario  di  Cupido* 

La  primavera  e  il  colle  ermo  di  Roma 
Non  so  de' due  qua!  benedica  primo: 
Poi  che  sotto  quest'  arco,  Ada  vezzosa, 

Mentre  sferzarlo  udiam  la  pioggia,  imprimo 
Baci  al  ti*epido  tuo  labbro  e  una  rosa 
Rorida  intesso  alla  tua  bionda  chioma. 

Luigi  Arrigo  Rossi 

LII. 

AI  MIEI  CARI 

1. 

A  MIA  SORELLA 

Pria  che  di  Gloria  insazìau  sete 

Tronchi  per  sempre  questa  vita  amara, 
L'Ore  intomo  a  danzar  ti  se?uan  liete 
Come  dal  di  che  ti  sposasti  all'ara. 

Tutti  i  miei  cari  hanno  varcato  il  Lete, 
Non  mi  resti  che  tu.  Sorella  cara. 
In  questo  mondo,  ove  la  Morte  miete 
Gli  eletti,  a  cui  Fortuna  è  tanto  avara. 

Non  mi  resta  che  il  tuo  sposo  diletto, 
E  quel  tuo  eh'  io  divinai  dalle  belle 
Forme,  non  ancor  nato,  pargoletto. 


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—  304  

Non  mi  resta  che  d*  opre  e  di  favelle 

Saggie  1'  emula  brama,  il  vostro  affetto 
E  a*  fiorì,  al  mare  un  guardo  ed  alle  stelle. 
II. 
SULLA  TOMBA  DI  MIA  MADRE 

O  Madre  mia,  prima  che  fosse  sorta 
L'  ora  che  ti  rapiva  al  suol  diletto 
Di  Roma,  io  ti  stringevo  ai  mesto  petto. 
Coir  anima  piangente  e  quasi  accorta. 

Che  ti  attendeva,  oimè,  il  funereo  letto. 
Senza  che  in  un  tal  di  t'avessi  scorta. 
Madre,  che  non  credevi  al  grande  affetto, 
E,  lontano  stando  io,  lontan  sei  morta. 

Ed  hai  raggiunto  in  ciel  gli  altri  che  adoro?.. 
E  fia,  o  diletta,  che  da  te  diviso 
Per  sempre  io  stia?..  Dimmelo  quando  moro... 

Dimmelo  quando  lascio  il  mondo  inviso... 
Dimmelo  quando  cessa  il  mio  martoro... 
Dimmelo  qpando  vengo  in  Paradiso!... 
III. 
SULLA  TOMBA  DI  MIO  PADRE 

Da  pargoletto,  spesso  ti  chiedea, 

O  Padre  mio,  che  fossero  le  stelle 
Che  fiammeggiare  in  ciel  tante  vedea, 
E  mi  parean  più  d*  ogni  cosa  belle. ^^ 

Or,  guatando  del  cielq,^  facelle,         ^ie 
Mi  rimanga  la  speme  ultima  dea. 
Rivederti    o  pietosa  Anima,  in  quelle... 
Ma  so  quanto  la  Terra  è  ignava  e  rea. 

So  quanto  il  mondo  nostro  è  crudo  e  insano. 
Ove,  trascorso  ogni  piacer  veloce. 
Dalla  Calunnia  e  dall'  Invidia  atroce 

Che  stringon  gli  angui  attossicati  in  mano 
E  le  fiaccole  ardenti,  ai  pii  si  nuoce... 
Ove  fuma  P  incenso  e  il  sangue  umano  ! 
IV. 
SULLA  TOMBA  DI  MIA  SORELLA  ADELE 

Desto  da  grave  sonno,  in  procelloso 
Ocean  mi  trovai  sovra  il  naviglio 
Ch'  errava,  o  Adele  mia,  senza  riposo, 
E  oeni  flutto  porgea  novo  periglio. 

Ma,  in  fondo  air  orizzonte  tenebroso. 
Travedendo  il  crepuscolo  vermiglio: 
«  Surge  o  tramonta  il  Sole?  »  con  ansioso 
Cuore  addimando  e  con  intento  ciglio: 

Quando  il  pilota  ecco  additarmi  a  prora 
V  ago  vaticinante;  e  quei,  per  sorte. 
Ne  rivela  V  Oriente  -  Era  T  aurora.  - 

Così  Religì'on,  d*  un'  alma  anela 

Sacro  magnete,  a  me  naufrago  svela 
Aurora  e  non  tramonto  esser  la  Morte. 

Luigi  Arrigo  Rossi 

La  nota  delle  opere  penule  in  dono  si  darà  nei  prossimo  fascicolo 


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Serie  II.  Vol.  XIV.                                         Settembre  1880     1 

I  L 

BUO:SARROTI 

D   I 

BENVENUTO  6ÀSPAR0N1 

CONTINDATO  PER  CORA 

DI  ENRICO  CARDUCCI 

PAG. 

LUI,  Il  dio  Mitra  a  Terni  (G,  Broli)    ....>»  305 
LIV.  Descrizione  di  tutte  le  colonne  ed  obelischi  che 
trovansi  nelle  piazze  di  Roma,   disposta  in 
forma  di  guida  da  Angelo  Pellegrini  ecc. 
iContinuaiione) »  322 

LV.  Notizie  di  mss.  inediti  in  ispecie  di  Architettura 
militare.  Al  eh.  sig.  cav.  Narducei  (Camillo 

Ravioli) »  332 

LVI.  Belle  Arti »  335 

LVII.  Vae  Poetis  (Luigi  Arrigo  Rossi).     ...»  336 
Pubblicazioni  ricevute  in  dono »  330 

• 

ROMA 

tipografia  delle  scienze  matematiche  e  fisiche    • 

VIA   LATA  kT  3. 

i880 

' 

•                  « 

Pubblicato  il  17  Agosto  issi 


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Serie  II.  VoL.  XIV.  Quaderno  IX.  Settembre  1880 


LUI. 

IL  DIO  M "TRA  A  TERNI 


II  naturale  carattere  degli  uomini  si  è  la  volubilità,  per 
cui  facilmente  noìansi  d*  ogni  cosa  ,  e  nel  variarle  molto  si 
studiano,  si  rallegrano  e  godono.  Questa  loro  costante  volu* 
bilita  produce  il  bizzarro  capriccio  della  moda  ne' loro  co- 
stumi; ma  questo  capriccio  non  limitasi  soltanto  alle  cose  pro- 
fane ,  che  estendesi  eziandio  »  sebben  più  di  rado  ,  a  quelle 
sacre.  Quindi  il  cambiamento  in  tanti  secoli  di  tante  reli- 
gioni, di  tante  divinità,  di  tanti  sacerdoti,  di  tante  cerimonie 
e  rappresentanze  dacché  l'uomo  apparve  sulla  terra. 

Non  occorre,  a  persuadercene,  citare  esempi  di  nazioni 
straniere  ,  bastandoci  quello  della  nostra  Italia  ,  ove  fecero 
recapito,  con  buon  successo,  quasi  tutte  le  religioni  del  mondo, 
o  portate  dà  noi  stessi  in  patria  con  le  guerre  e  il  commercio 
estemo,  o  portate  tra  noi  dagli  altri  per  lo  stessissimo  modo. 
Dei  molti  piccoli  Olimpi  stranieri  può  dirsi  essersi  formato  un 
solo  grande  Olimpo  italiano,  curiosamente  e  stranamente  popo- 
lato a  divinità  colte  o  selvagge,  orride  o  belle,  pietose  o  crudeli, 
morali  o  immorali,  deboli  o  potenti;  in  sembianza  ora  umana, 
ora  di  bruti  di  ogni  genere,  spesso  di  piante,  erbe,  fiori, 
frutti,  pietre  e  che  so  io;  con  riti  molte  fiate  inverecondi  ed 
osceni^  con  sacrifici  orrendamente  bruttati  del  nostro  sangue, 
con  sacerdoti  più  dediti  alla  crapula,  all'incontinenza,  alla 
lussuria  e  altri  vizi  che  non  alla  virtù,  in  tutti  tempi  ammi- 
rata e  lodata  da  molti;  ma  vagheggiata  e  sposata  da  pochi. 

Il  culto  di  Saturno,  Giano,/Giove,  Nettuno,  Plutone,  Giu- 
none, Pallade,  Venere  e  di  tutte  le  altre  conosciute  divinità 
del  paganesimo,  avea  già  fornito  suo  tempo,  e  per  vecchiaia 
divenuto  debole ,  spregiato  e  deriso ,  per  cui  lasciava  facil- 
mente accesso  ad  ogni  altro  nuovo,  che  d'improvviso  fosse 
dinanzi  a  noi  comparso. 

4i 


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—   306  — 

Ed  appunto  neiranno  087  circa  di  Roma  venne,  secondo 
Plutarco,  a  stanziare  nel  nostro  paese  il  culto  del  persiano 
Dio  Mitrai;  già  prima  propagato  nelf  Egitto,  nella  Fenicia, 
nella  Grecia,  e  quivi  imbastardito  eoa  altro  culto  indigeno. 
Venne  introdotto  pe'soldati  di  Pompeo  dopo  la  guerra  de'Pirati 
da  essi  trionfalmente  menata.  Piacque  loro  il  detto  culto  forse 
per  la  durissima  disciplina  degl'iniziandi,  che  alla  militare 
molto  rassomigliava;  fors'anco  per  un  certo  coraggio  eroico 
che  richiedevasi  ne' medesimi  a  sostener  le  lunghe  e  crude- 
lissime pruove  dei  gradi  da  percorrere  alle  dignità  del  col- 
legio mitriaco.  Parte  dei  quali  gradi  anche  pel  loro  nome  pò- 
teano  esser  tornati  accetti  a*Pompejaui,  mentre  Tuno  noma- 
vasi  del  soldato,  eh* era  la  loro  divisa^  T altro  dell'aquila^ 
che  dava  forma  e  nome  al  loro  vessillo,  un  terzo  del  leone^ 
espressione  della  loro  forza  ed  ardimento  guerresco,  un  quarto 
del  corvo  e  un  quinto  del  grifone,  animali  ambedue  in  istima 
e  venerazione  anco  nella  loro  antica  religione,  essendo  essi 
consacrati  ad  Apollo,  che  in  sostanza  era  tutt'uno  con  Mitra, 
ambedue  simboleggiando  il  sole.  Ed  appunto  perdio  Mitra 
nel  suo  simbolo  era  tutt'uoo  con  Apollo,  anco  per  questo 
il  nuovo  culto  sarà  facilmente  entrato  nelFanimo  de'Pompeiaoi. 

Esso  dapprima  rimase  secreto  ;  ma  poi  a  poco  a  poco 
venne  all'aperto,  si  fé' largo,  ed  ebbe  gran  voce,  general- 
mente accettato  dallltalia;  ma  per  breve  tempo  (i).  La  nostra 
Umbria  addimostrossì  fra  li  più  ferventi  seguaci,  e  prese  a 
coQsecrare  al  nuovo  Dio  selve,  spelei  «  ossia  grotte  e  sotter- 
ranei, a  fondare  in  su' onore  collegi  di  sacerdoti  e  alunni, 
a   scioglier  voti,  a  menar  solenni  feste  e  banchetti» 

L'antico  Sentino  presso  Sassoferrato,  Spoleto,  la  distratta 
Ocrea,  ne'qu«ali  luoghi  furon  trovati  monumenti  mitriaci  (9)» 

(1)  Esso  cominciò  a  indebolirsi  poco  per  volta  di  fronte  alla  novella  re- 
ligione cristiana  ;  e  a  decadere  neil  anno  2^3  dopo  la  morte  di  Eliogabalo. 
Riebbesi  poi  alquanto  nel  362 ,  favorendolo  la  protecione  dell'  afiostata  Giu- 
liano ;  ma  per  presto  e  sempre  tornare  nel  dispregio  e  nell*  oblio  nel  378 , 
mentre  con  editto  di  Gracco,  prefetto  di  Roma,  venne  in  quell'anno  assolo- 
tamente  proibito  :  pel  quale  beneficio  meri  tossì  Gracco  le  soBiBie  lodi  di 
s.  Girolamo,  eternate  ne'suoi  scritti. 

(2)  Da  un'epigrafe,  trovata  a  Sentino,  apprendiamo  l'amore  degli  umbri 
pel  detto  Dio: 

....  INVICTO  DICATVS   IDVS  SEPT   MAR.   ANTON. 

PROSEDENTE  AVO  II   ET  SACERDOTE   II   COS. 

SEVIO   FAGVN1>0 

VMBRI 

RVFINVS  ET 

BMILIARVS 

LEONES 

Di  Ocrea  posso  assicurare  cbe  l'altr^anno  venne  ivi  trovato  un  frammento 
di  marmo  bianco,  il  quale  non  conserva  altre  lettere  cbe  queste  HiTRHA,di 


La  presente  fu  riportata  dal  RamelU  nel  discorao 
intitolato:  Monumenti  Mitriaci  di  Sentino,  Fermo  1853, 
tipegr.  Paccasassr. 


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—  5^7  — 

ce  ne  forniscono  bastante  testimonio^  come  pure  Terni)  nel 
coi  teiTitorioy  tempo  indietro,  si  scoperse  un  marmo  votivo^ 
fino  a  oggi  ignorato,  con  la  rappresentanza  ivi  scolpita  in 
basso-rilievo  del  nominato  Iddio,  giusta  il  costume  degli  altri 
monumenti  di  tal  fatta  esistenti. 

Per  quanto  m'è  no^o,  ninno  storico  di  cotesta  citta  ebbe 
mai  parlato  del  culto  mitriaco^  né  pubblicatone  alcun  mo- 
numento. E  TAngeloni^  che  fece  piiì  degli  altri  lunghi  accu* 

--•  -  -  -  -      A    .        ^  --■■-■  -■  ■■  llll 

grande  e  bella  forma  da  giudicarle  del  terzo  o  quarto  secolo  dell'era  volgare» 
del  qual  tempo  sembra  pure  il  monumento  ternano.  Il  detto  frammento  truo- 
▼9si  forse  a«€ora  sul  posto  dello  scavo»  ed  io  non  ne  posseggo  che  il  calco. 
Pregherei  gli  otricolani,  o  il  proprietario  del  terreno,  a  conservarle,  traspor- 
tandolo in  fuogo  sicuro.  Per  sé  .stesso  è  poca  cosa,  ma  vale  assai  per  la  storia 
di  Ocrea  e  della  [)rovincia  umbra  ;  quantunque  sìa  dubbio  cbe  a  tempo  dei 
romani  essa  città  sia  appartenuta  a  detta  provincia,  piuttosto  che  alla  Sabina. 

Rispetto  a  Spoleto  mi  servirò  delle  notizie  date  a  mia  richiesta  dal  ba- 
rone Acbille  Sansi  stotico  illustre  di  essa  città: 

<(  Nel  luglio  del  1879,  facendo  il  reggimento  di  guarnigione  in  Spoleto 
dei  movimenti  di  terra  In  un  campo  presso  la  città  di  proprietà  del  sig.  Gi- 
lippo  Marìgooìr,  furono  seoperti  alcuni  avami  di  mfurì,  nei  Quali  venne  rico- 
nosciuto un  Mitteo  di  pietre  conce ,  con  pavimento  di  mosaico  comune ,  e 
pareti  colorite  in  rosso  *.  Vi  si  trovò  Tara  di  travertino  alta  m.  1,05,  ornata 
di  TOlnte  e  di  ptfPvilli,  aella  cui  fronte  si  lesse  questa  iscridene: 

SOLI 
INVICTO  MtT»IlAt 

SACrVM 

Le  lettere  sono  regolari,  meno  le  due  S  che  hanno  una  forma  spiccata  del 
simbolico  serpente.  Si-  trovò  nello  stesso  Itkogo,  ferma  anch'essa  al  suo  posto, 
ima  colomia  acuminata  di  cipollino,  simile  a  quella  del  Hiitreo.di  a.  Cle- 
mente in  Roma,  alta  metri  1,35 ''*.  Nelle  pareti  di  un  corridoio  dello  stesso 
piccolo  ediGcio  si  scopersero  quattro  figure  a  colori,  due  quasi  svanite  affatto, 
\È!ktt  senaa  testa,  ed  usa  quasi-  intaltav  Quella  senza  tesla^  nuda  nel  dinanzi, 
è  femminile  coperta  di  manto  rosso,  e  portante  nelle  mani  un  oggetto  verde 
(forse  primizie) ,  quella  intatta  è  virile  coperta  di  manto  verde  e  con  felce 
in  maBo.  Fu  trovata  una  moneta  deirimperatove  Castantuio,  ed  ««a  statoina 
di  osso  che  piega  il  ginocchio ,  porta  manto  e  corona  di  alloro ,  e  suona  la 
lira  ***,  11  Mìnervio^  (nella  storia  di  Spoleto)  riporta  un'iscrizione  cbe  dice 
eseere  stata  in  domo  JHvae  Mariae,  ed  è  questa*. 

SOOLBI  MARCIVS  **** 
Q.   F.   F. 

*  Non  fensa  ragione  furono  in  rosso  dìftinte  queste  pareti  ;  è  la  ragione  è  prblabilmeate 
qoella  stessa,  per  aui  i  ministri  del  Dìo  Mitra,  com'io  rifarisco  in  seguito  nella  nota  n,  9,  tin- 
geraffo  con  la  t^krica  gli  armenti  e  gli  alLeri:  il  rosso  era  per  gli  antichi  simbolo  del  fuoco 
téketUi  e  bene  stava  per  tanto  questo  oolore  e  quMto  simbolo,  ere  adoratasi  il  sole. 

**  Forte  questa  colonna  era,  a  parer  mio,  un  gnomone  per  indicare  eon  r ombra  sua  le 
«r«  del  gioano,  al  paro  delle  guglie  egiainaa  ehe  tuuIsì  ionalsate  a  cielo  awperto  per  cOtesl'oT- 
flcio:  e  la  detta  colonna  avrk  ricevuto  il  sole  per  un  fero  praticato  nel  piccolo  edificio:  ovvero 
mg*,  rappresentava  un  Dio  ,  come  conghietturasi  di  un  cono  marmoreo  ricordato  nel  Bullett. 
dairinsUt.  imporiale  ^rmanieo  ài  corrisp.  archeol.  1847.  p.  22;  e  di  altro  neiropeea  del  Cara 
sulla  Genuità  degl'Idoli  Sardo — Fenici  esistenti  nel  Museo  Archeol.  della  regia  Univer^ 
Mtk  di  Cantari,  pa«;.  S6*— 37  e  segg.  Ed  il  sapposto  Dio  potaa  etter  beoissimo  Mit«a  ,  cb« 
non  escludeva  alla  colonna  di  servire  anco  da  gnomone. 

***  Per  me  non  v'ha  dubbio  che  cotale  stataeita  figuri  Apollo,  che  nella  rapprescntanta 
eliaca  era  tutelino  con  Mitra;  come  pure  le  quattro  figure  dipinte  ritraevano  le  ijnattro  stagioni. 

****  Questa  iscririone  rd  antichissima  ortografia  ne  assiirura  che  U  culto  eliaco  fu  a  Spoleto 
d«  molto  t«a»po  in  ueo,  e  prima  del  culto  roilrtaco.  Il  monum.  descritto  dal  Santi,  e  trovai 
B«l  ia79,  appartiene  forse  al  tanto  o  quarto  seeol<v  dcU*cra  volgare.  Gredeti  cbe  gli  Ojff^tl 
quivi  rinvenuti  aieno  oggi  i»  naaafr  del  Marìgnolt  resideato  a  Roma. 


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—   808  — 
rati  studi  sopra  la  storia  ternana ,   da  lui  pubblicata ,   cosi 
scrive  a  pag.  it  della  medesima,  rispetto  ai  templi  pagani, 
dopo  averne  notati  alcuni,  che  non  hanno  che  far  nulla  col 
nostro  Mitra: 

c(  Altri  Tempi],  e  fabriche  riguardevoli  e  di  pregio  po- 
terono essere,  dimostrandolo  le  frequenti  rovine,  che  nella 
Citta  e  nei  Campi  si  trovano:  ma  stannosi  6no  ad  hora  entro 
la  oscura  caligine  dell'invida  antichità  riposte,  perochè  alla 
rovina  degli  edifici,  alla  perdita  delle  statue,  e  di  gran  parte 
delle  vecchie  Inscrittioni ,  si  aggiunge  il  non  haver  havuto 
scrittore  ,  che  almeno  sommariamente  habbia  i  fatti  di  lei 
notati,  che  degni  d'Historia  stimati  fossero  e  d'essere  da'po- 
steri  intesi  ...   » 

Ecco  dunque  che  il  settecentista  scrittore  disse  il  vero^ 
ed  ecco  che  V invida  antichità,  dopo  lungo  tempo,  vuoile 
alquanto  diradata  la  sua  oscura  caligine^  per  darne  a  cono- 
scere un  antico  votivo  marmo,  il  quale  assicuri  che  nel  ter- 
ritorio esistettero  e  spelei  e  selve  e  sorgenti  d'acqua  conse* 
crati  air  invittissimo  Nume  persiano.  E  di  questo  prezioso 
monumento  faremci  ora  a  discorrere  ,  dandone  il  disegno  , 
ridotto  a  un  terzo  dell'originale  (i),  dichiarando  ove  fu  trovato 
e  come  da  me  acquistato,  e  facendone  quindi^  con  la  maggior 
chiarezza  e  brevità  possibile  ,  la  descrizione  e  spiegazione 
per  intendimento  di  coloro  che  non  si  versano  punto  negli 
archeologici  studi. 

Un  giorno,  girando  per  Terni  in  cerca  di  scoltnre  e  iscri- 
zioni antiche,  o  intere  o  rotte,' per  abbellirne  le  pareti  della 
loggia  della  mia  casa  in  Nami,  m'imbattei  in  certo  muratore, 
che  assicurommi  possederne  due  esemplari,  nell'uno  de'quali 
era  scolpito,  per  quanto  eragli  stato  detto,  il  napoletano.  Pul- 
cinella a  cavallo  di  una  bestia.  Curioso  di  vedere  questo  strano 
soggetto,  quantunque  non  acconcio  al  mio  scopo,  lo  pregai 
portarmelo^  con  l'altro  marmo,  nella  casa  di  un  tale,  verso 
cui  sareimi  nel  momento  indirizzato.  Detto,  fatto;  e  a  ter- 
mine di  pochi  minuti  fummo  ambedue  alla  posta  data,  egli 
colmarmi  in  sulle  mani  per  mostrarmeli,  ed  io  con  gli  occhiali 
sul  naso  per  osservarli.  Ma  quale  sorpresa  non  fu  la  mia, 
quando  rilevai  che  il  marmo,  dato  al  buffo  Pulcinella  napo- 
litano ,    apparteneva  invece  al  serio  e  fortissimo  Dio  Mitra 

'(1)  L'egregio  ed  erudito  giovane  signor  Curzio  conte  Catucci,  mio  con- 
cittadino e  amico,  regalommi  il  disegno  di  questo  monumento,  per  lui  stesso 
cavato  dall'originale;  e  di  tanta  sua  cortesia  voglio  qui  ringraziarlo,  dichia- 
randomi a  lui  oltre  modo  grato:  tanto  più  che  non  è  la  prima  volta  che  ab- 
biami favorito  con  la  su'  abilità  nelle  mie  pubblicasiooi. 


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—  309  — 
persiano  tanto  noto  agli  archeologi  ?  Ma  9  nel  suo  vestiario 
e  berretto  frigio,  egli  facilmente  potea  esser  preso  dal  volgo 
ignorante  per  un  vero  Pulcinella  ,  laonde  ninna  maraviglia 
dello  scambio  fatto.  Così,  non  volendo  contraddire  alla  cre- 
denza del  muratore,  ne  manifestargli  il  mio  giusto  giudicio, 
che  non  avria  compreso^  lo  assicurai  che  *i  suo  Pulcinella 
molto  pìacevami,  e  che  volentieri  Tavre'  acquistato.  Ed  egli 
risposemi,  che  volentieri  me  lo  avrebbe  dato,  essendo  per  lui 
cosa  inutile  e  di  niun  conto:  in  quanto  poi  al  prezzo  rimet- 
te vasi  alla  mia  stima. 

Accettata  questa  ,  partissene  conlento  con  una  discreta 
sommetta  in  mano,  di  cui  sarassi  in  parte  servito  per  una 
pronta  e  solenne  libazione  a  Bacco,  che,  come  Apollo,  tiene 
strettissima  relazione  con  Mitra,  mentregli  pure  h  Hgura  di 
quel  gran  pianeta  ,  sotto  la  cui  potente  sferza  maturasi  e 
invigorisce  il  dolce  succo  dell'uva,  che  pel  forte  piacere  fa 
girare  la  testa  a  tanti. 

Egli  assicurommi  aver  trovato  il  marmo  a  Piedimonte 
presso  Terni,  nascosto  sotterra,  mentre  faceva  uno  scavo  per 
fabbrica  campestre  commessagli.  E  Piedimonte  appunto  era 
il  sito  acconcio  al  culto  mitriaco,  che  richiedeva  folte  selve, 
oscure  e  riposte  grotti  (f),  o  naturali  o  artefatte,  con  vive  sor- 
genti d'  acqua ,  delle  quali  cose  non  mancava  e  non  manca 
quel  luogo  montuoso  e  fertile  alquanto  discosto  dalla  citta. 
Aggiunse  anco  che  poco  lungi  dal  marmo  trovò  una  spada 
di  ferro  ossidata,  ed  alcune  figuline,  le  quali,  alla  descri- 
zione che  me  ne  fece,  ritenni  prive  d*ogni  pregio  e  impor- 
tanza storica. 

il  nuovo  prezioso  monumento  ternano  ,  per  me  salvato 
dalla  destruzione,  h  ora  dunque  in  mia, casa,  affisso  in  una 
parete  della  loggia  d'ingresso,  ed  esposto  alFammi razione  dei 
dotti  ed  indotti  che  verranno  a  visitarmi.  Egli  h  un  marmo 
votivo,  dedicato  fors'  anco  con  iscrizione^  al  Dio  da  un  suo 
devoto,  o  per  grazia  ottenuta,  o  per  grazia  desiderata:  voto 
non  dì  persona  povera,  ma  benestante,  perchè  le  scolture  in 
marmo  convengono  a  chi  ha  denaro;  quantunque  il  nostro 
sia  di  poca  spesa  ,  perchè  piccolo.  In  fatti  ha  l'  altezza  di 
cm.  40,  la  larghezza  di  33,  la  maggior  grossezza  di  13.  Pre- 
senta forma  quadrilunga  in  marmo  bianco,  e  scoltura  con- 


ti) Giallo  Finnico  (de  errore  prof,  relig.  V,  pag.  19)  scrive:  t( .  .  .  sacra 
vero  ejus  (Mithrae)  in  speluncis  aoditis  tradunt  etc.  »  E  Porfirio  {de  absti- 
tienlta,  ].  2,  e.  5)  «  Ubieumque  Mithram  agnoverunt  gentiles^  eidem  Dea  epe- 
cubus  iocra  faciebatU  ». 


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—  «t  — 

dotta  da  Luono  scalpello,  per  quanto  si  può  rilevare  dalle 
parti  meno  guaste. 

Una  mano  nemica  ebbelo  tutto  quanto  dannegialo  e  ^- 
furato;  n^  io  credo  sia  avvenuta  per  trastullo  di  gente  rozza 
di  campagna;  ma  piuttosto  per  fanatismo  religioso  de* nuovi 
seguaci  di  Cristo,  clie^  trionfando  sul  paganesimo >  dieder^d 
ad  atterrarne  i  templi,  a  distruggerne  gl'idoli,  o  guastarli, 
non  potendoli  per  qualche  ragione  del  tutto  distruggere.  E 
di  questo  loro  odio  abbiam  frequenti  segni  in  più  moikumenti 
pagani  di  Roma  e  dell*  Italia  ,  tanto  appartenenti  a  Mitra  , 
quanto  ad.  altri  Numi.  E  presero  a  sBgurarue  specialmente 
i  volti,  forse  perche  nel  volto  sta  d'ordinario  espresso  il  sen- 
timento e  Tanirao  di  ciascuno,  e  per  consegueaza  da  lì  parte 
quella  corrente  e  forza  magnetica  che  potentemente  ammalia, 
afiascioa  e  lega  insieme  due  cuori.  E  la  nostra  immaginazione 
attribuisce  in  ciò  anco  alle  finte  immagini  quella  stessa  po- 
tenza che  truovasi  realmente  nelle  vere. 

I  monomenti  mitriaci  romani,  o  scolpiti,  a  graffiti,  o  di- 
pinti (i),  che  conosconsi  fino  a  oggi,^  rassomiglian  d'ordinario 
tra  loro,  specialmente  nella  scena  principale;  ma  variano  negli 
accessori  ^  o  per  la  quantità  maggiore  o  minore ,.  o  pel  di- 
verso bra  collocamento  ed  azione  delle  figure  ec.  In  fatti 
il  monumento  ternanot  mentre  accordasi  in  genere  con  tatti 
gli  altri;  in  alcune  cose  as  ne  diparte,  perchè  può  dirsi  sin* 
golare;  e  questa  sua  singolarità  lo  rende  pregevole  e  impor- 
tante, aumentando  la  varietà  dei  detti  monumenti.  A  para- 
gonarlo strettamente  con  gli  esistenti,  esso  vie  piik  ritrae  dai 
due  incisi  nella  tav.  LXXIX  dell'atlante  di  Lajard;  autore 
che  scrisse  ex  pnyfesso  ,  e  meglio  di  tuUi  ,.  sul  presente 
argomento  (2). 

La  rappresentanza  del  nostro  marmo»  può  dirsi  divisa  in 
tre  parti  distinte ,  media ,  cb'  \  la  principale ,  superiore  ed 
inferiore.  La  media  donati  l' interno  di  una  grotta  ad  arco 
schiacciato ,  avente  nella  base  45  cm.  di  larghezza  ,  e  nel 
mezza  30  di  altezza. 


(1)  Questi  ultimi  specialmente  truovansi  nelle  catacombe  romane,  e 
fanue  mot(o  il  eh.  prof.  Garrucci  nella  celebrata  istoria  ^^VÌArU  Crùliana. 

(2)  L'opera  del  Lajard  porta  questo  tìtolo:  Hecherches  tur  le  eulU  pn6He, 
et  les  mysteres  de  Mitra  en  orient  et  en  oceident  par  Felix  Lajard  ;  Paris , 
imprimé  par  autorisatiun  de  1*  empereur  mdccclxvtt.  Due  voi.  in  foglio , 
Funo  di  testo  e  Taltro  di  tavole  incise.  Dopo  questo  autore  è  inutile  citarne 
altri  che  ne  sanno-  meno  di  lui  su  tal  soggetto,  come  sarebbero,  per  esempio, 
il  Visconti,  il  Creuzer  rifatto  dal  Guignaut  (Religione  de  Vantiquité  etc.) , 
l'Hammer  (Mitriaci),  ì  dizionari  grandi  di  mitologia  etc. 


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311   

Nel  suo  centro  vedi  prostrato  a  terra  un  toro  con  la  sola 
parie  dinanzi,  mentre  con  la  deretana  tiensi  alquanto  solle- 
vato e  teso,  come  per  fare  uno  sforzo  a  rialzarsi.  Stagli  gi- 
noccbione  sulla  schiena  il  Dio  in  atto  col  braccio  destro  di 
riporre  o  aver  riposto  il  ferro  in  vagina  ,  ^r  fare  altrui 
conoscere  ch'ebbe  già  ferito  nel  colio  il  sottoposto  animale, 
il  cui  capo  è  tenuto  teso  in  allo  per  le  nari  dalla  sua  mano 
sinisti'a.  Cb«  la  ferita  sia  stata  di  già  aperta  mostraulo  chiaro, 
non  solo  il  coltello  riposto,  ma  pure  il  sangue  sgorgante,  ed 
un  cane  che  anzioso  si  drizzò  suso  a  lambirlo.  L'azione  di 
Mitra  riescemi  nuova^  mentre  in  altri  monumenti  vedesi  esso 
Iddio  con  il  coltello,  o  ficcato  ancora  nella  ferita,  o  tenuto 
in  alto  a  mostrare  essersi  da  lui  compiuto  il  sacrificio  offerto, 
come  vogliono  alcuni  teologi  moralisti,  a  Ormuza  giudice  su- 
premo: sacrificio  di  redenzione^  che  dona  alle  anime,  cadute 
nella  via  della  generazione,  vale  a  dire  nella  regione  della 
terra  e  delle  tenebre,  il  privilegio  di  rimontare  alla  regione 
del  cielo  e  della  luce,  dov'ebbero  origine. 

Il  nominato  Dio  porta  il  capo  coperto  del  berretto  frigio, 
e  la  persona  di  una  tunica  (sadéré)  stretta  a  vita,  con  sopra 
un  mantello  (candys)  a  pieghe,  in  parte  spinto  in  aria,  e  nel 
r<8to  raccolto  sulla  spalla  sinistra  ^  perchè  fosse  libero  il 
braccio  opposto,  che  menar  dovea  con  forza  il  colpo  mortale. 
Le  sue  gambe  stanno  chiuse  nelle  brache  (anaxyris),  strette 
al  collo  de'piedi  messi  in  calzari. 

Al  cane  sopra  notato  aggiungonsi  altri  animali,  cioè  un 
lungo  serpe  strisciante  a  pieghe  sotto  il  ventre  del  toro;  uno 
scorpione  sotto  la  coda  dritta  e  piegata  del  medesimo;  altra 
indistinta  bestia  presso  suoi  genitali. 

Sulla  soglia  e  ai  lati  della  grotta  stanno  due  figure. al 
par  di  Mitra  in  costume  persiano  ;  ma  col  mantello  teso  e 
gittate  a  tergo.  Tengono  due  arnesi  in  mano,  certamente  due 
fiaccole,  che  ne'guasti  del  monumento  perdettero  loro  forma: 
quella  a  destra  vòlta  in  sa,  la  sinistra  in  giù. 

Nella  parte  superiore  della  grotta  vedrai  scolpiti ,  per 
segno  di  una  sacra  selva,  alcuni  alberi  mezzo  scoronati,  sotto 
al  cui  intreccio  levansi  suso  altrettante  are  accese.  Quando 
il  monumento  man  tene  vasi  integro  ,  gli  alberi  erau  senza 
dubbio  più  alti  e  in  numero  di  sei  con  altrettante  are,  mentre 
ora  di  queste  e  di  quelli  appaion  solo  cinque. 

Più  sotto ,  presso  i  pie'  dritti  dell'  arco  della  grotta  , 
stanno  scolpiti  due  semibusti,  pur  essi  molto  danneggiati; 
l'uno  dal  lato  destro  col  capo  radiato,  avente  vicino  a  questo 


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—    312   — 

un  volatile  spennacchiato;  T altro  dal  lato  sinistro  che  non 
riconoscesi  punto;  ma  certo  rappresentava  una  testa  cornata, 
ossia  la  luna  per  riscontro  del  sole. 

Nella  parte  inferiore  fanno  rilievo  alcuni  vasi,  rispondenti 
pel  numero,  per  la  postura  e  per  la  grandezza  alle  sei  are 
sopranotate. 

Il  Dio  Mitra  nella  sua  posizione  è  alto  cm.  so,  il  toro 
quasi  33,  il  cane  ìA,  lo  scorpione  7,  l*altro  ignoto  animale 
forse  8,  il  serpe  S3,  le  due  figure  con  fiaccole  17,  i  due  se- 
mihusti  10  circa,  il  volatile  i,  le  are,  non  comprese  le 
fiamme,  3,  i  vasi  la  stessa  misura.  In  quanto  agli  alberi^  per 
quel  che  resta  di  loro,  può  dirsi  che  raddoppiassero  quasi 
l'altezza  delle  are. 

Mei  tutto  assieme  cotesta  rappresentanza  è  curiosa;  ma 
neirintrinseco,  volendola  per  allegoria  spiegare,  contìeoe  vari 
significati  o  teologico-morale,  o  fisico,  come  vogliono  i  mito- 
logi. Per  me  mi  attengo  al  fisico ,  parendomi  più  proprio 
alla  rappresentanza  scolpita;  e  per  me  credo  che  questa  ci 
dia  in  figura  V  azione  del  sole  in  sulla  terra  nelle  quattro 
stagioni  dell'anno.  Ed  io  tenendomi*  stretto  a  questa  da  me 
creduta  principale  e  più  naturale  allegoria,  darò  la  spiega- 
zione di  ciascuna  parte  speciale  del  monumento  ,  lasciando 
da  parte  le  altre  interpretaziooi  che  mi  sembrano  un  po' con- 
torte, e  che  ciascuno  potrà  leggere  a  posta  sua  nel  Lajard 
e  in  altri  mitologi. 

La  grotta,  eh'  esser  dovea  vòlta  al  noi^d,  simboleggia  la 
terra  o  il  mondo,  e  la  sua  parte  superiore  il  cieh),  poi  che 
in  essa  splendono  il  sole  e  la  luna,  espressi  neMue  semibusti. 

Mitra ,  vocabolo  che  significa ,  secondo  alcuni ,  amante 
o  benefico  ,  e  certo  l*  immagine  del  sole  ,  dichiarandocelo 
aperto  le  iscrizioni  a  lui  dedicate  con  gli  epiteti  di  fortis- 
simo infittissimo'  E  veramente  il  suo  amore  e  il  suo  bene- 
ficio sono  per  noi  singolari  immensi,  mentre  co'propri  raggi 
investe,  penetra,  feconda,  anima  e  vivifica  ogni  cosa.  Nonno 
dice:  ic  I  Persiani  pensano  che  Mitra  sia  il  sole;  gli  offrono 
molti  sacrficì',  e  celebrano  certi  misteri  in  su' onore.  »  Per- 
sona non  era  ammessa  a  questi  misteri,  se  prima  non  soste- 
neva molti  supplizi,  se  non  dava  pruova  di  «pietà  e  fortezza 
di  animo.  Dicesi  che  ottanta  erano  i  modi  de'snpplizi  inflìtti 
agli  aspiranti.  Da  principio,  per  esempio,  bisognava  ch'essi 
per  tanti  giorni  traversassero  a  noto  grandi  masse  di  acqua 
per  poi  gittarsi  nel  fuoco.  Dovevano  inoltre  vivere  a  lungo 
in  solitudine,  praticare  il  digiuno,   aspramente  flagellare  il 


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—  313  — 
corpo  a  verghe.  Pochi  reggevano  a  queste  e  altre  molte  cra^ 
deli  pruove;  anzi  alcuni  vi  perdeyan  la  vita.  I  più  forti  che 
uscivano  vittoriosi,  erano  ne' misteri  iniziati,  e  i  più  valenti 
messi  in  officio  e  in  dignità  ,  secondo  il  grado  meritato. 
Questi  gradi  eran  dodici,  tre  terrestri,  ciob  del  Soldato^  di 
Bromio  o  Toro-,  e  del  Leone,  tre  aerei,  cioè  à^WAvs^oltojo^ 
àeìV Aquila  e  del  Corace  o  Corvo-,  tre  ignei  o  solari,  vale 
a  dire  del  Grifone^  dei  Persio  di  Elio  o  Sole-,  gli  ultimi  tre 
divini ,  ossia  del  Padre  Aquila ,  del  Padre  Sparviero ,  del 
Padre  dei  Padri.  Cotesti  gradi  avevano  un'allegoria  astrono- 
mica, o  d'influenza  solare,  fecondatrice  e  vitale  sulla  ^erra. 
Crinvestiti  di  cotai  gradi  doveano  aver  la  figura  del  soggetto 
che  rappresentavano,  cioè  mascherati  o  da  corvi  o  da  leoni  etc. 
Il  toro  è  uno  de'segni  del  zodiaco,  e,  quando  il  sole  rin- 
novasi in  lui,  si  effettua  il  gran  miracolo  della  universale 
generazione,  per  cui  in  ogni  canto  della  terra  ogni  cosa  si 
anima,  s'invigorisce,  s'infiora,  si  abbella  e  rallegrasi  stupen- 
damente. £  appunto,  per  esprimere  la  potenza  del  gran  pia- 
neta nella  dolce  stagione,  immaginossi  che  '1  Dio  Mitra  fe^ 
risse  col  suo  coltello,  ossia  co* suoi  raggi,  il  toro,  che  per 
.  gli  antichi  era  il  geroglifico  idrografico  della  vita,  ossia  il 
simbolo  del  princìpio  umido,  mentr'essi  un  tempo  facean  tutto 
dall'acqua  generare;  ma  era  anco  il  simbolo  del  potere  pas- 
sivo della  generazione,  o  vogliam  dire  del  sesso  femminino. 
Però  figurava  anco  la  luna  ,  che  tanta  influenza  aveva  per 
essi  sulla  generazione.  «  Che  se  dimandasi  (così  scrive  Lajard 
che  qui  traduco),  perchè  l'antichità  avea  scelto  questi  due 
animali  (cioè  il  leone  e  il  toro)  per  essere  il  geroglifico,  l'uno 
del  principio  umido,  l'altro  del  principio  ìgneo,  la  risposta  a 
tal  dimanda  non  può  imbarazzare  ninno  che  voglia  attenta- 
mente considerare  la  costituzione  fisiologica  e  i  costumi  del 
toro  e  del  leone.  Il  primo,  animale  erbivoro  e  ruminante, 
animale  di  forme  grosse  e  massicce,  abita  ì  luoghi  bassi  e  umidi, 
come  i  grandi  cumuli  di  acqua  e  i  fiumi  occupano  le  parti 
basse  della  terra.  I  suoi  due  stomachi  e  gli  escrementi  sono 
essenzialmente  umidi  ;  la  sua  orina  è  provverbialmente  ab- 
bondante; la  sua  femmina  è  la  primaria  delle  nutrici  presso 
tutte  le  specie  animali.  Deditissimo,  come  la  vacca  alla  co- 
pula, ardente,  impetuoso,  feroce  anco  ne'suoi  amori,  sprov* 
visto  d'intelligenza  (i),  il  toro  quadrupede  poligamo  riassume, 

(\)SiprovtUto  tTiiUeUigenxaì  Per  me  noi  credo»  ed  in  una  mia  raccolta 
di  poesie  pubblicata  per  le  nozxe  firoli-CoUelH  nel  settembre  1879  (Perugia, 
tip.  Bertelli),  scrissi  contro  questa  opinione  sostenuta  nelle  nostre  scuole»  e 

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—   SI4   — 

per  coftì  dire»  m  ae  stesso  le  idee  che  raottchita  sì  fonnara 
sulla  vUa  e  sulla  generazione,  sopra  la  parie  dellacqua  (i) 
pei  feuonieni  delta  generazione  e  della  riproduzione,  sopra 
.aU*a6tacoio  che  oppongono  allo  sviluppo  delle  facoltà  intel- 
leltuali,  come  delle  qualità  morali,  una  costituzione  umida 
e  una  inclinazione  abituale  all'atto  della  copula. 

»  Al  contrario  il  leone ,  animale  carnivoro ,  di  persona 
alta ,  agile  e  pieghevole  non  meno  che  vigorosa ,  dotato  di 
una  costituzione  secca,  ardente,  aiui  ignea,  sdegnando  Tacqua, 
non  volendosi  pascere  che  di  carne  e  sangue  dei  quadrapedi 
mangiatori  di  erlie  e  biade;  ma  nemico  così  magnanimo  che 
coraggioso ,  e  cessando  il  massacro  al  momento  che  abbia 
sopita  la  fame;  il  lione  ,  casto  ne* suo* amori,  fedele  a  una 
sola  compagna,  riassume  io  se  le  idee  deirantichita  sulla  na- 
tura del  fuoco,  sopra  la  parte  di  questo  agente  nei  fenomeni 
della  generazione  e  della  riproduzione  ,  sopra  lo  sviluppo 
deiriotelligenza  degli  animali  carnivori,  sopra  la  superioiita 
delle  facoltà  intellettuali  e  delle  qualità  morali  dell*  uomo 
dotato  di  una  costituzione  secca  ed   ignea.   » 

11  serpe  nella  mitologia  ha  diversi  signiBcati  allegorici, 
secondo  la  sua  postura,  forma  e  accompagnamento  con  altri 
soggetti.  Non  è  qui  duopo  esporli  tutti,  bastandoci  quello 
soltanto  che  riferiscesi  al  sole,  poi  che  stassi  con  lui  con- 
giunto. Il  suo  muoversi  lento  e  tortuoso  sotto  il  corpo  del 
toroj  come  qui  veggiamo,  esprimer  vuole  il  torto  cammino 
che  fa  il  sole  percorrendo  1'  ecditica.  Hacrobia  ebbeci  già 
informati  ne' Saturnali  che  il  serpe  figura  il  moto  del  sole; 
e  bene  sta  che  cotesto  rettile  congiungasi  al  sole  in  una  rap- 
presentanza della  primavera,  meatr'esso  in  tale  stagione  ri- 
che  del  tutto  toglie  alle  bestie  l*iiitelligeoia.  Penso  cbe  Domine  Dio  abbiane 
a  eiascana  specie  di  animali  largita  tanta  qoanta  basti  loro  per  governarsi 
nella  maniera  di  vivere  a  ciascuia  assegnata»  ed  è  redicola  cosa  le  asioai 
loro,  in  gran  numero  conformi  senza  dubbio  alle  nostre»  chiamarle  istinto, 
parola  impropria ,  capricciosa  e  direi  anche  matta.  Se  dovessimo  guardare 
alle  azioni  delle  bestie ,  e  schiettaroeiKe  confessare  il  vero ,  esse  alle  volle 
mostran  più  intelletto  e  giudizio  degli  uomini»  i  quali,  senz'avere  chi  possa 
contraddirli,  si  giudicano  da  loro  slessi  i  soli  animali  ragionevoli  della  terra, 
mentre  ammisero  il  principio  inconcusso»  che  ntunojHiò  eugr  giudi€€  in  cauia 
proprt««  e  cbe  niuno  può  penetrare  i  misteri  della  natura.  E  le  bestie  non 
sono  per  noi  un  mistero?  Oh  va  a  capire  la  logica  umanall  Ma  per  me  non 
cepisoo  nulla  di  nulla;  e  più  studio  e  meno  Intendo. 

(!)  Alcuni  filosofi  antichi  davano  fra  gli  elementi  il  primato  air  acqua» 
altri  al  fuoco,  ma  in  aoslanza  tvtti  e  oaattro  gli  antichi  elementi»  sono  una 
ineguale  combiaazione  di  loro  stessi;  sì  che  tutti  e  quattro  necessari  per  la 
vita.  Noi  moderni,  col  molto  progredire  negli  studi  chimici»  non  teoiam  più 
per  elementi  né  T  acqua»  né  il  fuoco»  né  là  terra  »  né  t*  aria  »  che  potemmo 
00»  Tanalisi  decomporre;  mst  invece  lóro  sostituimmo  on  nomer»  assai  mag- 
giore di  sempliti»  circa  settanta»  alcunr ée' quali»  se  mn  tutti,  saranno  col 
tempo  dalla  scitnaa»  sempre  progrediente»  riconosdati  certo  per  composti 


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—  318  — 
sente  il  beneficio  de  caldi  raggi  solari/ e  mutando  scoglio,  e 
levandosi  dal  lungo  letargo,  riappare  vigoroso  e  ringiovanito 
nella  superficie  della  terra  fra  le  erbe  e  i  fiori,  e  fra  le  alle^ 
grezze  e  le  dolcezze  degli  altri  animali.  U  detto  di  Macrobio 
viene  comprovato  dal  sapersi  che  gli  Egiziani  adoravano  ii 
serpente  Neph,  di  cui  dicevasi,  che,  aprendo  gli  occhi,  iliu« 
minava  tutto  il  mondo,  e  chiudendoli  tornavan  le  tenebre. 
E  in  fa  Iti  quando  il  serpe  dopo  Tin  verno  apre  gli  occhi,  e 
torna  alla  superficie  della  terra,  è  segno  della  primavera,  sta- 
gione in  cui  il  sole  spiega  tutta  la  sua  virtù  fecondatrice, 
e  quando  il  serpe  pel  letargo  invernale  chiude  gli  occhi  , 
il  sole  perde  la  sua  forza,  ed  il  mondo  ha  più  lunghe  te- 
nebre che  mai.  Ma,  siccome  nella  nostra  scena  è  pur  ritratto 
il  corvo,  come  dirò  appresso,  per  questo  potrebbe  il  serpe 
al  par  di  lui,  ricordare  la  costellazione  che  gli  attribuiscon 
le  favole  neiranttco  sistema  astronomico. 

La  canicola  h  costellazione  ben  nota,  che  fasst  in  cielo 
quando  il  sole  più  saetta  co'^uoi  raggi  ed  il  caldo  infierisce. 
Le  favole  narranci  che  venne  in  lei  trasformato  il  cane,  al 
quale  fu  da  Giove  data  in  custodia  Europa,  ovvero  la  cagna 
di  Erigone.  Omero  lo  appella  il  cane  dì  Orione,  splendidis« 
simo  astro  ,  ma  infesto  a'  mort  ali  pe'  morbi  che  adduce.  Il 
bever  che  lui  fa  il  sangue  versato  dal  toro,  il  quale  sangue 
h  simbolo  deiranima  o  del  fuoco  celeste,  che  tutto  feconda 
in  primavera  (i),  potrebbe,  secondo  me^  spiegarsi  col  dire 
che  la  canicola   abbrucia  tutte  cose,  facendole  perire. 

(1)  Epifanio  nel  suo  libro  {adéertus  haeres.,  lib.  I)  fanne  sapere  che  gli 
egiii»  al  principio  dell'equinozio  di  primavera,  toglievano  alquanta  rabrìca, 
che  ^el  suo  colore  ritrae  dal  sangue»  e  con  essa  tìngeano  gli  alberi  e  gli  ar- 
menti dicendo ,  che  in  questo  giorno  il  fuoco  incendiò  il  mondo.  Il  «angue 
adunque,  rappresentato  dalla  rubrica ,  era  il  simbolo  del  fuoco  celeste  cbe , 
al  tornare  del  sole  nell'equinotio,  alla  levata  eliaca  delP ariete,  fecondam  la 
natura.'  E  questa  tradizione  passò  pure  presso  i  romani.  Forse  ridncesi  a 
questo  significato  1*  uso  preistorico  di  colorire  con  la  rubrica ,  o  altro  rosso 
colore  9  la  faccia  o  altra  parte  dei  morti ,  o  qualche  arnese  unito  a  loro  * . 
Per  i  morti,  secondo  gli  antichi,  era  necessario  il  fuoco  celeste  per  rianimarli 
alla  seconda  vita.  Per  questo  mettean  loro  le  lucerne  accese  nelle  sepolture» 
e  quivi  scolpivan  pure  gli  emblemi  del  sole  o  della  luce ,  cioè  il  tripode , 
il  corvo,  il  capro  ammone,  l'aquila,  il  leon«,  il  candelabro  acceso,  il  grifo, 
o  le  rappresentanze  mitologiche  di  Apollo,  Bacco  e  Diana,  divinità  solari  e 
Innari.  Perciò  è  notabile,  tra  le  akre  aventi  conforme  soggetto,  un'elegante 
ometta  cineraria  di  marmo ,  una  volta  esistita ,  e  da  me  veduta  in  Amelia 
auir  estremità  del  muro  sinistro  della  strada  cbe  conduce  alla  cattedrale .  e 
precisamente  di  fianco  all'  antico  campanile  della  medesima  ;  ma  era  vedesi 
nel  palazzo  municipale.  Essa  umetta  ha  nel  mezzo  la  seguente  epigrafe: 

DIS.  MANIBVS 

SESSIAE  LABIONILLAE 

D  O 

Suf^riormeote  a  questa  mirasi  scolpito  na  encarpo  »  e  sopra  V  encar^  «o 

'  Pifoiiw  ■•!  BvìUit,  di  FaÌ0ln9Ì,  JU^i,,  ano.  VI,  ptfg.  SS  e  Mgf. 


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—  3i6  — 
Lo  scorpione^  qui  presente^  figura,  proprio  quello  cbe^ 
secondo  la  mitologia,  fece  uscir  la  terra  dal  suo  seno  per 
combattere  il  baldanzoso  Orione,  il  quale  erasi  con  Latona 
e  Diana  vantato  di  sterminare  tutto  eli*  essa  terra  avrebbe 
prodotto.  Nel  fiero  duello  lo  scorpione  diede  a  vedere  una 
destrezza  e  forza  mirabile  da  far  restare  attoniti  anco  gli 
Dei  (i).  Anzi  Giove,  per  onorarlo  e  rimeritarlo  della  vittoria, 
il  vuoile  assumere  in  cielo,  e  col  proprio  nome  dargli  luogo 
fra  le  altre  costellazioni.  Per  questo  venn^esso  posto  in  se- 
guito fra*segni  del  zodiaco  a  indicar  l'autunno;  ma  con  pes* 
simo  influsso,  stante  i  mali  che  apporta  cotesta  piovosa  sta* 
gioue.  Siflfatta  costellazione  si  compone  di  circa  500  stelle  di 
varie  grandezze,  e  la  maggiore  di  tutte  dicesi  Antares  ^  o 
cuore  dello  scorpione.  Il  maggior  numero  che  conoscessero 
gli  antichi  di  queste  stelle  era  di  circa  trenta.  Macrobio  , 
neir  opera  citata  ,  afferma  che  Io  scorpione  per  gli  antichi 
rappresentava  la  virtù  del  sole.  Qualunque  si  prenda  dei  due 
simboli  dichiarati,  è  sempre  conveniente  alla  nostra  generale 
rappresentanza;  ma  per  me  preferisco  il  simbolo  della  costel- 
lazione autunnale  ,  perchè  nel  nostro  monumento  truovo 
eziandio  significate  le  altre  tre  stagioni. 


candelabro  acceso  t<muto  da  due  grifi.  Ai  loro  Iati  due  teste  di  capro  ammone 
con  guide  di  foglie  e  bacche  di  quercia  pendenti  sotto  i  loro  monchi  colli. 
A  pie*  della  iscrizione  rappresentasi  una  processione  bacchica  per  metà,  cioè 
il  solo  Sileno  accompagnalo  da  satiri ,  putti ,  un  sonator  di  corno  etc.  Nel 
destro  lato  e  di  fianco  alla  stessa  urna  è  rilevalo  un  tripode  coperchiato ,  e 
sul  coperchio  posto  un  uccello  che  sarà  di  certo  o  il  corvo  o  il  pico.  Queste 
scolture  sono  inquadrate  da  linee  e  colonne  spirali  nella  parte  dinanzi,  e  da 
linee  e  pilastri  scanalati  nella  parte  laterale. 

(1)  Il  lettore,  ignaro  della  storia  naturale,  non  creda  qui  trattarsi  di  uno 
scorpione  piccolo  al  par  de' nostri,  no:  ina  invece  trattasi,  a  parer  mio,  di 
uno  gigantesco,  quali  c'insegna  la  scienza  geologica  essere  stati  i  primi  ani- 
mali apparsi  al  mondo  ^d  esistiti  per  lungo  tempo.  Neirorlente  sono  anc'oggi 
scorpioni  per  tre  o  quattro  volte  maggiori  dei  nostri;  ma  quelli  de*tempì  di 
Orione  saranno  stati  anco  più  grandi,  se  questa  favola  potesse  avere  qualche 
fondamento  sulla  verità,  come  si  crede  averlo  tutte  le  altre.  E  poi  che  nomi- 
nammo  più  sopra  anco  le  formiche,  Erodoto  nella  sua  storia  ricordane  una 
rasza  di  straordinaria  grandezza,  esistente,  a  tempo  suo,  in  oriente  nelle  mi- 
niere d'oro,  ch'esse  medesime  cavan  fuori  purissimo,  quando  voglion  procac- 
ciarsi ivi  una  novella  abitazione.  Ma  neppur  oggi  mancano  giganteschi  ani- 
mali. Nel  FarmacUiOL  Italiano  ho  letto  nel  corrente  anno  a  pag.  %ì  :  «e  In 
questo  momento  l'oggetto  zoologico  di  Londra  è  un  ragno  colossale,  il  quale 
e  proveniente  dal  Brasile.  Questa  schifosissima  bestia  si  nutrisce  di  sorci  e 
di  uccelli,  di  cui  succhia  il  sangue;  poi,  allorquando  è  sazio,  lo  si  vede  giuo- 
care  con  la  pelle  vuota  delle  sue  vittime,  precisamente  come  farebbe  un 
gatto  con  un  sorcio.  Il  corpo  di  cotesto  ragno  è  interamente  coperto  di  lunghi 
peli  del  medesimo  colore  della  sabbia,  in  cui  è  solito  vivere,  e  le  mandìbole 
sono  armate  di  una  scaglia  cornea  dura  e  tagliente,  la  quale  paossi  parago- 
nare all'acciajo.  Questo  curiosissimo  ragno  colle  proprie  zampe  distese  è  ab* 
bastanza  grosso  per  coprire  un  piatto.  »  Nel  gabinetto  zoologico  di  Londra 
Tidi  anni  sono  fra  pìccole  nottole»  nottoloni  grossi  come  i  gatti. 


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—   347   

V animale  informe,  scolpito  presso  i  geDitali  del  toro  ,. 
può  essere  o  la  formica  o  la  lumaca  spogliata»  mentre  in  altri 
consimili  monumenti  sono  essi  a  vicenda  figurati  nello  stesso 
posto;  e  credo  a  significare  T inverno,  perch'essi  animali  in 
detta  stagione  stanno  riposti,  in  quanto  alla  formica  sotterra, 
in  quanto  alla  lumaca  ne'féssi  o  buchi  de'muri,  delli  scogli  etc. 
E  siccome  pel  loro  letargo  e  nascondiglio  invernale  compa- 
riscon  quasi  privi  di  vita  e  per  ciò  di  fecondazione  ,  così 
furon  posti  presso  i  genitali  taurini,  come  per  richiedere  la 
forza  e  la  virtù  della  primavera  a  liberarsi  dai  gelidi  legami 
invernali.  In  quanto  poi  alla  formica^  la  quale  dalla  mito- 
logia fu  posta  in  relazione  con  Cerere,  Dea  delle  biade,  può 
anco  dirsi  che  venga  considerata  quale  simbolo  deirinverno, 
perchè,  a  campare  in  questa  ingrata  e  sterile  stagione,  rac- 
coglie e  ripone  premurosamente  nelfcstate  quanti  cereali  le 
avvenga  mai  trovare  in  sulla   terra. 

Ai  due  Geni  assessori  posti  a'Iati  interni  della  grotta, 
cou  fiaccole  in  mano,  dannosi  pe' mitologi  varie  spiegazioni. 
A  tal  proposito  riferiremo  quanto  ne  dice  il  Lajard  nella 
sez.  3%  cap.  VI,  pag.  683. 

V  Proseguendo  Tordine  delle  idee  esposte,  noi  riconosciamo 
nel  gruppo,  formato  da  Mitra  e  i  suoi  due  assessori,  una 
triade  particolare,  o  almeno  una  novella  allusione  al  triplo 
carattere,  di  cui  era  questo  Dio  rivestito,  secondo  Tesempio 
della  Venere  orientale ,  rappresentata  sopra  i  monumenti 
asiatici,  ora  fra  due  assessori  maschi  o  femmine,  ora  fra  i 
cipressi  del  sole  e  i  cipressi  della  luna,  e  qualificati  nei  testi 
regina  del  cielo,  regina  della  terra ^  e  regina  degl'inferi* 
Dei  due  assessori  di  Mitra,  l'uno,  per  la  sua  fiaccola  levata 
in  alto,  rappresenta  l'equinozio  di  primavera,  tempo  in  cui 
il  sole  s'innalza  al  di  sopra  del  nostro  emisfero;  l'altro,  per 
la  sua  fiaccola  rovesciata ,  e  pel  grappolo  d*  uva  che  tiene 
nella  sinistra  ,  ci  ricorda  e  il  moto  contrario  del  sole  nel 
tempo  dell'  equinozio  di  autunno  ,  e  1'  uno  dei  frutti  della 
teiTa  propri  di  questa  stagione.  Posto  il  primo  alla  destra 
di  Mitra ,  il  secondo  alla  sua  sinistra  ,  questi  due  Geni  ci 
rammentano  nel  medesimo  tempo  il  dogma  della  teologia  per- 
siana che  assegna  a  Mitra  un  posto  particolare  verso  i  punti 
equinoziali  dello  zodiaco,  mettendo  alla  sua  destra  le  regioni 
boreali  o  fredde,  alla  sua  sinistra  le  regioni  australi  o  caide^ 
Egli  è  moltissimo  probabile  che  i  nostri  due  assessori  lam^ 
padofori  rappresentassero  pure  l'idea  del  giorno  e  della  notte, 
Tidea  jdel  lume,  l'idea  delle  tenebre,  o  la  vitato  la  morte. 


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—   SI8   — 

.  Essi  poterano  così  servire  a  mostrare  ai  segnaci  di  Mitra  , 
che  questo  Dio  h  il  dispeosatore  della  luce  e  del  calore  , 
il  regolatore  delle  stagioai«  il  padrone  della  vita  e  il  legame 
necessario  per  larmonia  dei  mondo.   • 

Queste  spiegazioni  date  col  Lajard  dai  mitologi,  e  gene- 
ralmente accettate»  sariano  plausibili,  se  i  due  Geni  assessori 
fossero  per  egual  modo  rappresentati  in  tutti  ì  monumenti- 
Ma  noi  notammo ,  e  ciascuno  puote  per  sh  medesimo  notare , 
ch'essi  varian  sovente  di  luogo  e  di  azione,  mentre  ora  son 
posti  sopra  la  soglia  della  grotta ,  ora  fuori  e  da  parte  di 
lei;  ora  hanno  sul  capo  una  stella  per  ciascuno,  ora  nulla; 
ora  tengono  ambedue  le  fiaccole  rovesciate  ,  ora  ambedue 
dritte;  ora  a  vicenda  Tuna  levata  in  su,  e  l'altra  piegata  in 
giù.  Dietro  siffatte  mie  osservazioni ,  non  puossi  affermare 
col  Lajard  e  seguaci,  che  Tuna  figura  sia  il  simbolo  delire- 
quinozio  di  primavera,  o  il  simbolo  della  luce,  o  il  simbolo 
della  vita;  e  l'altra  o  il  simbolo  dell'equinozio  autunnale, 
o  il  simbolo  delie  tenebre,  o  quello  della  morte:  le  fiaccole 
tenute  da  ambedue  o  dritte  o  rovesciate  smentiscono  le  ac- 
cennate allegorie.  Non  convengo .  nemmeno  sulla  supposta 
triade  mitriaca,  mentre  gli  assessori,  alle  apparenze,  (fiinno  a 
vedere  di  essere  in  un  grado  assai  inferiore  a  Mitra,  e  di  noA 
avere  l' istessa  essenza  e  potenza  :  appaion  piuttosto  come 
suoi  ministri.  Che  se  noi  consideriamo  che  i  due  Geni  asses* 
sori  (cosi  nomati  dal  Lajard)  stanno  L'uno  dalla  parte  rispoii* 
dente  in  dritta  linea  al  capo  radiato  (figura  del,  sole),  e  l'altro 
dalla  parte  a  cui  risponde  il  capo  cornuto,  ossia  la  luna; 
e  se  ricordiamo  che  sulla  testa  di  questi,  cosi  detti  Geni, 
fu  talvolta  scolpita  una  stella,  e  se  osserviamo  le  loro  figure 
essere  in  tutto  simiglianti,  compreso  anco  il  vestiario,  po- 
tremmo, giusta  mio  avviso,  argomentare  ch'eglino  simboleg- 
gino queir  astro  che  tremolante  e  chiarissimo  brilla  tanto 
suir  imbrunire ,  quanto  sul  fare  del  giorno  ;  e  che  ,  stante 
il  suo  doppio  officio,  porta  due  nomi  distinti,  cioè  di  espero 
nella  sera^  e  di  lucifero  nella  mattina.  In  conseguenza  l'ar- 
tista che  dovea  esprimere  in  figura  quest'aurora  co'detti  nomi 
distinti,  dove' immaginare  due  persone,  ma  identiche  per  dare 
a  intendere  che  rappresentavano  una  sola  cosa ,  ma  con 
doppio  officio;  cioè  Tuno  per  indicare  il  giorno,  Taltro  la  notte, 
per  cui  ben  convenivano  in  loro  mani  le  fiaccole  col  giuoco 
dell'alto  e  basso.  Quindi  chiameremo  lucifero  la  figura  posta 
sotto  la  protome  solare,  ed  espero  qaeUa  sotto  la  proèuwe 
lunare.  Spiegheremo  poi  rabbassamenlo  o  inahamento  della 


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—  aio  — 
fiaccola  della  prima  figura  pel  solvere  o  tramontare  del  sole, 
e  quello  della  seconda  pel  sopraggiungere  o  cessare  della 
notte.  Che  se,  tutte  a  due  le  fiaccole  fossero  levate  in  su^ 
o  capovolte,  nel  primo  caso  potremo  dire  die  il  giorno  sia 
al  colmo,  e  nel  secondo  la  notte.  In  quanto  poi  al  grappolo  di 
uva,  che  tiene  una  delle  due  figure  è  da  credersi  che  questa 
volta  il  Mitra  persiano  esprima  Tiudiano  Bacco  per  far  cono* 
scere  la  stretta  relazione  che  tiene  quel  frutto  col  sole,  e 
come  da  questo  esso  tolga  tutta  la  sua  potenza,  la  sua  dol- 
cezza e  buon  gusto;  per  ciò  egli  è  un  prodotto  miracoloso 
di  quel  grand'astro:  il  che  bene  espresse  Dante  nel  XXV^  dei 
Purgatorio  cantando: 

E  perchè  meno  ammiri  la  parola, 
ùuarda  il  calor  del  Sol  che  si  fa  vino 
Giunio  all'umor  chs  dalla  vite  cola. 

Questa  mia  nuova  spiegazione  sopra  le  due  (non  dirò  più 
Geni  col  Lajard)  figure  laterali  parrà  a  chiunque,  come  spero, 
più  ragionevole  e  conforme  alle  artistiche  variate  compo- 
sizioni. 

I  sei  vasi  scolpiti  a  pie'  della  grotta  hanno  pur  essi  il 
loro  allegorico  significato;  Non  rinvengonsi  in  tutti  i  monu- 
menti mitriaci,  e,  se  vi  sono,  non  giungono  a  questo  nu- 
mero, né  collocati  al  medesimo,  posto,  il  quale  in  alcun  mo- 
numento viene  in  vece  occupato  da  tante  are  accese,  quante 
se  ne  veggono  superiormente.  Da  Eubolo  apprendiamo  l'uso 
persiano  di  celebrare  i  solenni  misteri  mitriaci  dentro  le  grotti 
naturali  o  artificiali,  provviste  di  una  sorgente  di  acqua  (i), 
perche  questa  reputavasi,  come  già  dicemmo,  a  simbolo  del 
principio  umido  necessario  per  la  vita.  E  siccome  V  acqua 
attingesi  coi  vasi,  o  in  questi  mantiensi,  quindi  il  continente 
passò  presso  gli  antichi  a  simboleggiare  nella  liturgia  il  con* 
tenuto.  Ma  per  la  vita  essendo  pur  necessario  il  principio 
igneo  ,  però  nel  nostro  monumento  ad  ogni  vaso  di  acqua 
fu  posta  superiormente  in  riscontro  un'ara  accesa,  e  sopra 

(i)  Anco  nel  sistema  cosmogonico  di  Zoroastro  l' aequa  tiene  una  gran 
parte,  egualmente  nella  liturgia  della  sua  religione»  giacché  Taccma  è  causa 
non  solo  di  fecondità,  ma  eilandio  di  puresxa  e  salute.  Alcuni  YOf;liono,  come 
già  dissi,  che  dall'acqua  sia  prorenuto  il  mondo,  in  conseguenza  anco  i  primi 
animali,  che  sul  principio  risserò  in  lei  e  per  lei.  Ma  per  alcuni  filosoG  al 
contrario  il  fuoco  era  il  principale  elemento  necessario  per  la  vita ,  giudi- 
cando l'acqua,  ossia  il  principio  umido,  come  cagione  della  morte  dell'anima; 
mentre  le  costituxioni  umide  sono  molli ,  e  per  conseguenza  effemminale  e 
deboli.  Le  anime  secche  reputavanst  da  loro  per  le  pid  saggio.  Bel  priTÌlegio, 
in  fede  mia ,  pottor  conoscere  distintamente  le  anime  umide  e  le  anime 
iecehell  La  Filosofla  Gualche  Volta  dorrebbe  tirare  per  gli  orecchi  i  suoi 
allievi,  che  fanno  farle  tristissima  figura  al  mondo. 


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—   35M)  — 

le  are  gli  alberi,  quasi  a  significare  che  per. la  generazione 
e  vegetazione  h  mestieri  terra ,  aria  j  acqua  e  fuoco.  Nelle 
tav.  LXXXI-LXXXIV  dell'atlante  del  Lajard- troverai  presso 
Mitra  uD  solo  vaso  esprimente  lacqua.  Che  gli  antichi  unis- 
sero assieme  iu  varie  occasioni  gli  emblemi  dei  due  primari 
principi  vitali,  acqua  e  fuoco,  ne  abbiamo  pur  testimonio 
nel  planisferio  celeste,  tolto  di  certo  a* Caldei,  ove  miransi 
due  costellazioni,  Tuna  contro  Faltra,  dette  cratene  e  lionc} 
il  cratere,  forma  di  antico  vaso,  è  simbolo  ivi  pure  delfacqua, 
principio  umido,  e  il  leone  del  fuoco,  principio  igneo.  Mentre 
Tuna  costellazione  sorge,  Taltra  tramonta,  per  cui  bene  canto 
il  poeta  Manilio: 

Ultima  pars  magni  quum  toUitur  orbe  Uonis, 
Crater  auratii  surgii  coelatus  ab  astris. 

L uccello,  che  mirasi  presso  la  testa  radiata,  abbiasi  di 
sicuro  pel  corvo.  Di  costui  raccontasi  questa  fola.  Venne 
ad  Apollo  la  voglia  di  fare  un  giorno  onore  a  Giove  con 
una  festa  solenne;  e  pel  sacrificio  da  fare  abbisognando  Tacqua, 
ordinò  al  corvo,  suo  ministro,  andarla  attingere  ad  un  fonte 
alquanto  lontano  dal  luogo  sacro.  L'uccello,  pronto  al  co- 
mando, tolse  un  vaso,  e  via  per  l'aria  al  fonte.  Ma  per  l'aere 
procedendo,  die'  a  lui  sugli  occhi  un  maraviglioso  gigantesco 
fico  carco  di  frutti.  Immaginate,  se,  ghiotto  com'era,  gli  fe- 
cero gola  ;  per  cui  fermossi  in  suU'  albero  col  proposito  di 
farsene  una  buona  satolla.  Ma  nel  saggiarli,  trovoUi  inuna- 
turi  e  rimase  disgustato.  Al  contrario,  non  volendo  perdere 
sì  favorevole  occasione^  disse  fra  se:  «  Gridi  Apollo;  ma  non 
partirò  di  qua  finché  i  frutti  non  sieno  giunti  a  maturità  ; 
e  cosi  deposto  il  pensiero  dell'acqua,  si  occupò  solo  dei  fichi  ^ 
i  quali  giunti  al  punto  ^  avidamente  se  li  mangiò  e  molti. 
Sazio  in  modo  da  crepare,  andò  per  l'acqua,  e  con  essa  tor- 
nossene  al  suo  Dio  che  stava  con  tanto  di  muso.  Ma  il  furbo 
corvo,  per  iscusarsi  del  ritardo,  avea  seco  portato  un  grosso 
serpe  che  depose  a'suoi  piedi  dicendo:  «  Questo  malvagio  per 
alcuni  giorni  m'impedì  accostarmi  alia  fontana,  perchè  venni 
con  lui  a  fiera  battaglia,  e  vintolo  con  difiicoltk,  mi  accostai 
quindi  alla  fontana:  ecco  la  cagione  del  mio  ritardo.  »  Messer 
Apollo  malignamente  sorrise  a  questa  frottola,  e  per  pena, 
gli  rispose,  avrebbe  ogn'anno  sofferto  sete  per  tutto  il  tempo 
che  gli  alberi  deifichi  avessero  dato  frutto.  Ma  poi,  non  so 
come,  gli  prese  il  matto  ghiribizzo  di  cangiare,  a  memoria 
del  curioso  successo,  in  costellazioni^  Tuna  vicina  all'altra, 
il   serpe^  il  corvo  e  la  tazza.  Ma  lasciando  da  parte  le   favole. 


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—  SSi  — 
dimandasi,  perchè  il  corvo  diede  nome  ad  una  lucente  eostel- 
lazìone,  mentre  le  sue  negre  piume  dovrebbero  esser  sìmbolo, 
come  lo  era  per  alcuni  popoli,  delie  tenebre  piuttosto  che 
della  luce  ?  Rispondasi  che  U  corvo  avea  presso  gli  antichi 
ragione  di  brillare  fra  gli  astri,  o  perchè  egli  dalle  sue  negre 
piume,  quando  le  investe  il  sole^  manda  lampi  vivissimi  di 
luce,  0  perchè  con  la  sua  voce,  al  dir  loro,  chiamava  la  luce, 
ovveroi  perchè  avea  tanto  lume  intellettuale  da  saper  pre- 
dire come  il  magno  Apollo,  le  cose  future.  Non  manca  poi 
chi  donagli  eziandio  il  simbolo  del  freddo ,  ossia  della  sta- 
gione invernale  a  riscontro  della  colomba  simboleggiante  la 
luce  e  il  calorico.  Al  nostro  proposito  giova  tradurre  e  rife- 
rire in  volgare  alcune  delle  tante  cose  che  scrive  il  Lajard 
sopra  il  detto  volatile  :  «  La  liturgia  de'  persiani  è  qui  in 
accordo  con  la  teoria  psicologica  che  dovè  stare  a  capo  della 
instituzione  del  grado  del  corvo.  Presso  cotesto  popolo  Tuc- 
celio  simbolico  dalle  nere  piume  figura  in  una  festa  stabi- 
lita per  celebrare  il  fine  della  stagione  dei  giorni  brevi  e 
freddi,  cioè  Tinvemo,  e  il  ritorno  della  stagione  dei  giorni 
lunghi  e  caldi^  cioè  la  primavera.  La  festa  cadeva  nel  mese 
Ader  consecrato  dXVized  o  al  Genio  del  fuoco,  e  corrispon- 
dente, giusta  Tantico  calendario  de'persiani,  al  mese  di  marzo, 
vale  a  dire  all'equinozio  invernale.  Il  personaggio,  che  in 
questa  solennità  religiosa  era  incaricato  di  rappresentare  il 
sole  novello^  e  per  conseguente  il  calore  e  la  luce,  compa- 
riva nudo  e  senza  barba,  giovane  come  il  sole  che  non  invecchia 
mai,  e  eh 'è  sempre  vittorioso.  Egli  tenea  sulle  mani  un  corvo, 
Tuccello  precursore  del  calore  e  della  luce,  l'uccello  che  diede 
tutto  assieme  il  suo  nome  alla  costellazione  ,  il  cui  levare 
eliaco ,  nella  sfera  celeste ,  annunzia  il  solstizio  di  estate , 
e  lo  diede  al  grado  dei  misteri  che  marca  i  limiti  della  re- 
gione terrestre  e  tenebrosa  e  della  regione  solare  o  luminosa,  j» 
E  cosi,  o  bene  o  male,  sodisfacemmo  al  nostro  impegno 
di  descrivere  e  illustrare  il  monumento  mitriaco  ternano. 
Forse  qualcuno  mi  farà  rimprovero  di  esser  talvolta  ricorso 
alla  mitologia  greco-romana  nel  dare  spiegazione  di  un  culto 
che  ha  origine  persiana.  Ma  io  fo  riflettere  a  miei  critici , 
se  vi  fossero,  che  in  Grecia  e  Roma,  come  già  notai,  il  culto 
mitriaco  persiano  venne  imbastardito  dal  culto  eliaco  indi- 
geno^ cioè  di  Bacco  e  Apollo,  perchè  le  rappresentanze  mi- 
triache  vennero  dagli  artisti  adattate  piuttosto  a  questo  che 
non  al  persiano.  Infatti  chi  paragoni  le  scolture  e  pitture 
romane,  ove  figurasi  il  sacrificio  del  Dìo  Mitra,  colle  per- 

43 


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—   322   — 

sìane^  vedrà  che  queste  poco  o  nulla  rassomiglìansi  a  quelle* 
Ma  il  Lajard  non  ebbe  la  mìa  avvertenza^  spiegando  sempre 
i  monumenti  romani  col  corredo  delle  dottrine  persiane. 

G.  Eboli 


LIV. 

DESCRIZIONE 

DI  TUTTE  LE  COLONNE  ED  OBELISCHI 

CHE  TROYANSI  NELLE  PIAZZE  DI  ROMA 

DISPOSTA  IN  FORMA  DI  GUIDA 
DA    ANGELO    PELLEGRINI 

HIMBIO  VBtL'lHSTITUTO   DI   CORIISPOHDINSA   ARCBBOLOAICA 

Coniinuaxione  (i) 


OBELISCO  DELLA  PIAZZA  DEL  PANTHEON 

Parlando  dell'altro  piccolo  obelisco  sulla  piazza  della  Mi- 
nerva, fu  detto^  cfae  quello  come  questo  fu  un  tempo  orna- 
mento innanzi  ai  due  tempj  di  stile  egiziano  sacri  ad  Iside 
e  Serapide,  stando  il  primo  nell'isola  che  contiene  in  qualche 
parte  il  già  convento  ,  e  chiesa  dì  s.  Maria  sopra  Minerva 
presso  la  tribuna  ,  e  la  casa  Tranquilli  con  le  altre  lungo 
la  via  di  s.  Ignazio  dietro  la  medesima,  ed  il  secondo  dove 
ora  h  la  chiesa  di  s.  Stefano  del  Cacco.  Noti  sono  i  ritro- 
vamenti fatti  in  queste  località  consistenti  in  diversi  oggetti 
e  colonne,  capitelli  e  statue  di  stile  egiziano^  parte  propria- 
mente dei  re  d'  Egitto  e  parte  d*  imitazione  ,  fra  i  quali  h 
l'obelisco  di  cui  parliamo. 

Dovendo  servire  questi  due  obelischi  come  ornamenti  di- 
mostrativi del  culto  egizio  ,  al  quale  erano  destinati  tali 
tempj  ,  i  Romani  non  si  diedero  gran  briga  ,  che  ambedue 
fossero  simili ,  e  mentre  dall'  Egitto  ne  trasportarono  uno 
dell'epoca  d'Apries  che  abbiamo  descritto,  ne  tolsero  un  altro 
appositamente  di  Ramses  111  o  Sesostri^  come  quello  ora  esi- 
stente sulla  piazza  del  Popolo  in  proporzione  assai  piccola^ 
ma  cogli  stessi  geroglifici. 

I  cartelli  poi  portano  l' istesso  prenome ,  e  nome  di 
Ramses  III ,  o  Sesostri ,  come  quello  eretto  da  Augusto  nei 

(1)  Vedi  Quaderno  precedente,  pag.  290. 


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—  323   — 
Circo  Massimo,  ora  ai  Popolo,  che  h  realmente  dì  quel  re, 
mentre  però  non  hanno  alcuna  somiglianza  d'intaglio. 

Il  culto  isiaco  in  Roma  fu  abolito  da  Tiberio  negli  ultimi 
tempi  del  suo  regno,  allorché  Paolina  nobile,  e  pudica  ma- 
trona fu  in  quel  tempio  goduta  da  Mondo,  ingannata  dai  sa- 
cerdoti d'Iside^  che  le  diedero  a  credere  volerla  godere  Anubi 
loro  dio.  Per  questo  misfatto  Tiberio  fé'  crocifiggere  i  sacer- 
doti insieme  con  Ide  liberta  del  padre  di  Decio  Mondo  ca- 
valiere romano  anzidetto,  che  avea  avuto  la  parte  principale 
in  quella  frode  :  e  distrusse  il  tempio ,  e  fece  gittare  nel 
fiume  il  simulacro  della  dea  (l). 

Questo  obelisco  essendo  stato  tagliato  dai  Romani  pel 
tempio  d'Iside,  è  chiaro  essere  posteriore  a  quell'epoca,  cioè 
all'anno  37  dell'era  volgare^  poiché  Tacito  non  fa  menzione 
del  fatto  di  Mondo,  ma  bensì  Giuseppe  Flavio  soltanto. 

Svetonio  narra  nella  vita  dell'imperatore  Ottone  (2)  che 
esso  celebrò  i  riti  isiaci  secondo  il  costume  stabilito.  Lo  stesso 
biografo  in  Domit.  e.  1^  parlando  della  fazione  fra  il  par- 
tito di  Vitellio,  e  quello  di  Vespasiano^  dice  che  Domiziano 
si  salvò  al  Campidoglio  vestito  da  sacerdote. 

Narra  finalmente  il  citato  Giuseppe  Flavio  nella  Guerra 
Giudaica^  che  Vespasiano  e  Tito  nella  notte  che  precedette 
il  loro  ingresso  trionfale  in  Roma  ,  dimorarono  nel  tempio 
d'Iside  cioè  nelle  case  dei  sacerdoti  che  gli  erano  annesse  (3). 

Da  ciò  .chiaramente  apparisce  che  la  riedificazione  del 
tempio,  e  il  ristabilimento  del  culto  avvenisse  prima  di  'Ot- 
tone^ cioè  dell'anno  69  dell'era  volgare. 

Tornando  all'obelisco  non  si  conosce  l'anno  preciso  in  cui 
venne  scoperto,  e  Poggio  Fiorentino  (4)  lo  nomina  come  fram- 
mento in  regione pinea  verso  la  meta  del  secolo  XV. 

Neir  epoca  che  fu  trovato  ,  si  collocò  nell'  area  che  dava 
ingresso  alla  porteria  delle  carrette  nel  convento  de'pp.  Do- 
menicani presso  la  chiesa  di  s.  Maria  sopra  Minerva.  Tale  area 
anche  adesso  rimane  verso  la  piazza  di  s.  Ignazio  cui  si  ha 
ingresso  dalla  piazzetta  di  s.  Macuto,  già  anni  indietro  giar- 
dino dei  domenicani ,  ed  ora  spettante  al  provvisorio  locale 
del  Ministero  delle  Finanze. 


(i)  Tal  fatto  è  raccontato  da  Giuseppe  Flavio,   AnUehiià  Giudaiche, 
lib.  XVIII,  cap.  mi. 

(2)  Cap.  XII. 

(3)  Guerra  Giudaica,  lib.  VII,  cap.  XVI,  in  cui  intende  sempre  il  tempio 
di  coi  parliamo. 

(4)  De  TaHetaie  Fortunae,  lib.  I,  pag.  20. 


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—  3t4   — 

Per  questa  ragione  il  Fulvio  (i)  parlando  degli  obelischi 
lo  indica:  alter  in  platea  s.  Machuti  haud  longe  a  Pantheo. 
Kella  pianta  del  Bufalini  edita  Tanno  issi»  vedesi  nel  mezzo 
della  piazza  suddetta,  e  da  molti  fu  chiamato  obelisco  ma- 
cntèoy  perchè  innanzi  la  chiesa  di  quel  santo. 

Il  Mercati  sul  finire  del  secolo  XVI  insinuò  a  Sisto  V 
d'innalzarlo  dinanzi  la  chiesa  della  Rotonda,  ovvero  avanti 
quella  della  Minerva  (s),  ma  questo  non  fu  eseguito  se  non 
da  Clemente  XI  V  anno  i7ii.  Questo  papa  mutò  faccia  alla 
fontana  eretta  da  Gregorio  XIII  nel  mezzo  della  piazza  della 
Rotonda  incontro  il  famoso  Pantheon  d*Agrippa,  e  tal  primi- 
tiva fontana  da  alcuni  ritenevasi  disegno  di  Onorio  Looghi, 
e  da  altri  di  Giacomo  della  Porta.  Papa  Clemente  si  servi 
delFarchitetto  Filippo  Barigioni  che  formò  primieramente  una 
gradinata  di  travertino  composta  di  sei  scaglioni^  e  circon- 
data da  basse  colonne  di  ferro.  Sopra  questa  formò  una  vasca 
molto  ampia  di  marmo  bigio,  ad  otto  faccie,  ma  cogli  angoli 
acuti.  Ai  quattro  punti  cardinali  di  essa,  pose  altrettanti  biz- 
zarri gruppi  consistenti  in  una  maschera  con  ai  lati  due  del- 
fini, e  dietro  un  drago  alato,  dai  quali  escono  più  bocche 
d'acqua.  Nel  centro  della  vasca  ideò  una  scogliera,  opera  di 
Francesco  Pinceilotti,  la  quale  serve  di  sostegno  ad  un  imba- 
samento piramidale  di  marmo  con  cornici  centinate;  agli  angoli 
di  questo  mise  quattro  grossi  delfini,  lavoro  di  Vincenzo  Fe- 
lici, romano,  i  quali  tengono  il  capo  volto  in  basso  e  dalia 
bocca  versano  copiosa  acqua.  In  tal  basamento  nelle  due  faccie 
a  mezzogiorno,  e  tramontana  collocò  gli  stemmi  di  Clemente  XI, 
Albani,  e  nelle  altre  due  la  ripetuta  iscrizione  ove  a  belli 
caratteri  leggesi: 

GLEMENS    XI 

PONT-    VAX 

FONTIS    ET    FORI 

ORNAMENTO 

ANNO    SAL 

HDCGXl 
PONTIF.    XI 

Finalmente  trasportò,  ed  eresse  sopra  il  nominato  imba- 
samento piramidale  il  piccolo  obelisco  di  cui  trattiamo,  che 
da  molto  tempo  giaceva  negletto,  e  sostenuto  da  un  monte 
di  mal  commesse  pietre,  come  si  è  detto,  accanto  la  chiesa 


(i)  ilfilt^.  Urb.^ptg. 
(2)  Obelischi  di  Roma 


LXXI. 


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—  TU  — 
dì  8.  Maculo.  Compì  rornamento  di  questa  splendida  fontana 
col  terminare  Tobelisco  in  cima  con  una  stella  di  metallo, 
parte  dello  stemma  di  Clementei  su  cui  h  posta  la  croce  pure 
di  bronzo,  e  nella  cuspide  sono  i  fogliami  della  stessa  materia. 
La  descritta  fontana  Tanno  I804^  sotto  il  pontificato  di 
Pio  VII  fu  fatta  ristaurare ,  come  fa  fede  la  modesta  iscri- 
zione sotto  Tarme  di  Clemente  XI  di  prospetto  al  Pantheon: 

RESTAVRATA 
ANNO    DOMINI    MDCCCIV 

Su  ciò  che  abbiamo  descritto  vedasi  il  Cassio^  Corso  dell' jicque^ 
parte  I,  tomo  I,  Roma  1756,  pag.  303,  e  riguardo  ai  geroglifici 
ne  daremo  la  solita  spiegazione  dell' Ungarelli,  rimettendomi 
alle  correzioni  per  il  progresso  degli  egiziologi. 

Piramide 

Sole  custode  della  inerita  scelto  dal  sole. 
Di  Ammone  amico  Ramses. 

FACCIA   MBRlDiONALE 

Haroéris  forte  ^  della  sferità  amico • 


Fondamento  nella  regia  instituzione  tutti  i^eggono  (il  re). 
Signore  dell'uno  e  taltro  Egitto  sole  custode  della  ine- 
rita scelto  dal  sole. 

FACCIA   ORIENTALE 

Haroéris  forte,  figlio  di  Athmù 

Moltissimi  edifizj  {e)  Vedificio  nella  città  di  EUopoli. 

Signore  dei  diademi  amico  di  Ammone  Ramses. 

FACCIA   OCCIDENTALE 

Haroéris  foHe  diletto  del  sole 


Principe  delle  solenni  cowenzioni ,  come  il  sole  ,  nel 
trono  di  Athmù 

Signore  dei  diademi  amico  di  Ammone  Ramses,  il  quale 
il  sole  della  duplice  regione  ama. 

FACCIA  A   TRAMONTANA 

Haroéris  forte^  della  inerita  amico 

JPiglio  primogenito  Phrè  devoto  ad  esso. 
Eccelso  signore  delt  uno  e  F  altro  Egitto  sole  custode 
della  verità  scelto  dal  sole. 


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—   396   — 

Da  qui  prendendo  per    la    vicina  via  del  Corso  vi  con- 
durrete al  monte  Pincio. 

OBELISCO  DEL  PINCIO 

Di  tutti  gli  obelischi  di  Roma^  quello  del  passeggio  pub- 
blico sul  monte  Pincio  fu  rultìmo  ad  essere  innalzato^  poiché 
i  cartelli  incavati  in  esso,  ripetono  i  nomi  di  Adriano  Cesare, 
e  di  Sabina  Augusta,  sua  moglie  ITPAN2  KCP,  cioè  IATPIAN02 
KAI2AP ,  e  2ABINA  2B2TH  ,  cioè  2EBA2TH.  Due  volte  vi 
si  legge  il  nome  del  giovine  favorito  di  Adriano  Antinoo 
ANTNE  ed  ANTIN02,  cioè  ANTIN002.  Ad  Adriano  prece- 
dono i  titoli  di  figlio  del  sole,  e  signore  dei  dominanti,  dal 
Rosellini. 

Da  ciò  si  rende  chiaro  che  fu  fatto  tagliare  da  Adriano 
forse  per  qualcuno  degli  edifizj  della  sua  villa  tiburtina;  e 
di  la  da  Elagabalo  fu  trasportato  ne'  suoi  giardini  Variani 
per  ornamento  della  spina  del  circo.  Di  questo  circo  nella 
valle  sottoposta  all'anfiteatro  Castrense,  fuori  le  mura,  fra 
le  porte  s.  Giovanni  e  Maggiore ,  si  conosce  tuttora  dalla 
disposizione  del  terreno  il  luogo  e  la  sua  forma. 

Dopo  caduto  questo  obelisco  rimase  sempre  sopratterra, 
ma  rotto,  ed  il  Fulvio  (i)  così  lo  vide  nel  principio  del  se- 
colo XVI,  e  lo  designa  in  due  pezzi  fuori  di  porta  Maggiore 
dietro  la  chiesa  di  s.  Croce  in  Gerusalemme,  entro  le  vigne. 
Restò  negletto  fino  all'anno  i570,  allorché  Curzio  e  Marcello 
Saccoccia ,  proprietarii  della  vigna ,  misero  in  miglior  vista 
i  due  pezzi,  e  posero  una  lapide  in  uno  degli  archi  dell'ac- 
quedotto dell'acqua  Felice  ove  si  legge: 

OBELISCl    FRAGMENTA    DIV    PROSTRATA 

CVRTIYS    SACCOGCIVS    ET    MARGELLVS    FRATRES 

AD    PERPETVAM    HVIVS    GIRCI  SOLIS    MEMORIAM 

ERIGI    CVRARVNT 

ANNO    SALVTIS    M.D.LIX 

Ivi  restò  fino  ai  tempi  di  Urbano  Vili  allorché  si  fece 
trasportare  in  Roma  dai  Barberini^  ponendolo  coleo  nel  cor- 
tile del  loro  palazzo  ,  come  leggesi  in  Pompilio  Totti  (2) , 
coU'idea  però  d'innalzarlo  innanzi  al  ponte  annesso  allo  stesso 
palazzo.  Fino  al  pontificato  di  papa  Clemente  XIV  ivi  giacque 
negletto  fino  a  che  D.  Cornelia  Barberini  lo  donò  a  quel  papa 

(1)  ÀtUiq.  Urb.,  pag.  LXVII  e  LXXI. 

(2)  Ritratto  di  Roma  Moderna,  1638,  pag.  273. 


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—   327   

Tanno  1773 ,    e  questi  lo  fece  trasportare  nel  giardino  della 
Pigna  al  Vaticano. 

Pio  VI  suo  successore  pensò  d' innalzarlo  nel  cortile  di 
Bramante  sopra  la  fontana  nel  palazzo  pontificio  nello  stesso 
Vaticano,  e  porlo  sopra  il  piedestallo  della  colonna  di  Anto- 
nino Pio.  Sopraggiunte  altre  circostanze  pei  cambiamenti  po- 
litici, restò  abbandonato  nel  cortile  del  vestibolo  del  giar- 
dino, fino  all'anno  I822.  Allora  Pio  VII  servendosi  delFarchi- 
tetto  Marini  lo  fece  ristaurare^  e  trasportare  sul  ripiano  del 
Pincìo  ,  erigendolo  come  si  vede  ,  e  ponendovi  le  iscrizioni 
ebe  riportiamo  qui  appresso. 

Nella  faccia  del  piedestallo  rivolta  ad  oriente  h  V  arme 
in  marmo  di  Pio  VII,  e  neiraltra  rivolta  ad  occidente,  leggesi: 

PIVS    •    V!!    •    PONT    .    MAX 

OBELISGVM    •    AVRELIANVM 

QVI    .    VNVS    •    SVPERERAT 

TEMPORVM    •    INIVRIA    •    DIFFRAGTVM 

DIVQVE    •    OBLITVM 

IN    •    PRISTINAH    .    FAGIEM    •    RESTITVI 

ATQVE    .    HOC    .    IN    .    LOCO    .    ERIGI    .    IVSSIT 

VT    .    AMOENA    •    PINCU    •    SPATIA 

GIVIBVS    •    AD    .    APRIGANDUM    •    APERTA 

EXIMII    •    GENERIS    .    MONVMENTO 

DEGORARET 


A  settentrione: 


XI    RAL. 

SEPTEMB. 

ANNO    .    MOGCG 

XXII 


Più  sotto: 


lOS.    MARINI    ARGHIT 

A  mezzodì  nella  quarta  faccia,  leggesi: 


SAGRI 
PRINGIPATVS 

ElVS 
ANNO    •    XXIII 


Senza  il  piedestallo^  gli  ornamenti  di  metallo  nella  som- 
mità ed  altri  accessori^  il  suo  fusto  h  aito  metri  9  ^. 


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—  3S8  — 

Veniamo  ora  alla  spiegazione  dei  geroglifici  secondo  l'in- 
terpretazione del  P.  Ungarelli  nella  sua  opera  fino  dal  prin- 
cipio citata  j  non  riportando  ì  commenti ,  se  non  i  piii  ne- 
cessarii. 

FÀCCIA    SBTTBNTBiONAlE 

Capitolo: 

ji  simiglicmza  dei  Faraoni  offre  i  donatismi  stando  innanzi 
al  dio  Phr^  che  è  seduto  e  poi  principia  Viscrizione  ecc. 

Detto  di  Phrè  {signore)  dell'uno  e  l'altro  emisfero:  ti 
dono  la  purità in  perpetuo. 

Dice  figlio  del  sole  signore  dei  dominanti  Adriano  Ce- 
sare  sempre  vivente. 

Io  tuo  figlio  amando  te^  il  mio  cuore  (è)  a  te. 

Colonna  a  destra 

{Questo)  sepolcro  Faraone  fece  alV  ossiriano  Antinoo 
veridico^  cuore  di  esso  {è)  nel  gaudio  dell'una  e  V altra  eterea 
regione:  ampliò  {lui)  il  limite  acciò  si  manifestasse  la  sua 
altezza  al  corpo  del  defonto  :  nella  vita  camminò  secondo 
la  giustizia nel  comando  del  sole. 

Oro  ornamento  del  cielo  illuminando  gli  dei  contempla 
il  germe  degli  dei  ,  (e)  degli  uomini ,  che  ottennero  la 
gloria  celeste. 

Contempli  l'adorante j  l' assorgente ^  nato  secondo  l'im- 
magine acciò  si  facesse  figlio  tuo  diletto. 

Re  sotto  il  cielo  porta  divina 

.  .  .  nella  somiglianza  delle  regioni  abitate  nel  mezzo 
dei  magnati^  e  per  gli  stessi  {ancora)  popoli  tutti:  diletto 
del  Nilo  {i)  e  di  tutti  gli  altri  del  signore  dei  dominanti 


vita  ferma  permanente  continuamente. 

Colonna  sinistra 

Principe  venerando  j  buono  essendo  nel  dominio  della 
purità  {e)  moderatore  di  tutti  i  mondi  fra  le  regioni  sog- 
gettCy  vide  la  Libia  che  gli  si  prostrava^  che  è  sotto  i  suoi 
piedi  come  un  popolo  di  schiavi;  sole  deltuno  e  Valtro  mondo^ 
Thorè 

che  appartengono  a  questo  mondoj  oltre 

i  quattro  bovi  (2)  insieme  colle  loro  vacche 

(i)  11  fiame. 

(2)  Cbiamavansi  Mnevìn^  Ap^,  Pacin^  Neton,  che  erano  bovi  sacri. 


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329   — • 

coir  abbondanza  del  cuore  ampliò  gli  olocausti  di  essi  a  luiy 
e  rallegrò  V animo  di  esso. 

Insieme  colla  moglie  regina  grande  che  lo  ama  {ed  è) 
moderatrice  delV  universo  Egitto  Sabina ,  sfita  permanente  , 
Augusta  sempre  vìvente 

FACCIA   ORIENTALE 

Capitolo: 

Questo  lato  con  i  seguenti  al  solo  Antinoo  spettano  , 
che  stando  in  piedi  porge  il  vaso  al  dio  Tliot  seduto  a 
mensa  y  ecc. 

Colonna  destra 

Osirianq  Antinoo  veridico  a  Thorè  nel  corpo  manifestato 
figlio  della  bellezza. 

Mentre  si  faceva  lutto  diurno;  stabile  edificio  .... 

mansueto 

pacificamente  nelV animo  prese  il  decreto  degli  dei. 

Leone  dotato  per  la  fortezza^  germe^  signore  della  ba* 
ride  (i)  portante  quelle  cose  che  appartengono  ai  peregrini 
dei  (ra)  di  Osiriano,  e  tutte  le  costruzioni  di  esso  nel  cir- 
cuito      E  t adesione  dello  stesso     .     .     . 


le  are  d'acro  e  i  di  lui  tempj parimenti 

in  essi  venne  rallegrato  nello  spirito  della  vita.  Spirito  Thori 
producente  l'amore  nei  cuori  di  tutti  gli  abitanti  che  sono 

di  Ermopoli 

Dio  dei  parlari  chiusi  collo  scritto  e  di  Phrè  {fanno 
fiorire)  lo  spirito  di  lui  come 

Colonna  sinistra 

Per  la  cura  del  cadavere.  Il  suo  tempo  per  la  notte  (2) 
nelV adorazione  presa,  ed  in  tutti  i  giorni  nel  diletto  di  lui 
{che  è)  nel  cuore  de*servi  del  medesimo 

(1)  La  barca  altra  volta  ricordata. 

(2)  Le  notti  sacre  instìtuite  per  dritto  ad  Antinoo. 

44 


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—   330   

Le  lodi  di  bU  presso  i  puri  spiriti  tutti  (i  quali)  pregòz 
Sta  la  di  lui  sede  nelVuna^  e  V altra  aula  sacra  (i)  dei  tempj. 

Antinoo  {col  nome  di  lui  sono)  consacrati  i  simulacri 
degli  adoratori  in  Egitto:  vincitore  Osiris  nella  regione  del 
sepolcro  scassato  (presso)  gVinferi  per  foblazione  del  s^ri-- 
dico   (2). 

Ferm^e  sono  le  relazioni  di  lui  nel  mondo ,  finalmente 
è  scritto  in  esse  (che)  la  baride  del  medesimo  fu  disposta 
ed  entrò  due  volte  in  possesso  del  diletto  del  medesimo. 

I  portinai  della  regione  Oker  dicevano  (a  lui)  sei  donato 
della  gloria:  cavano  a  forza  gli  uni  e  gli  altri  i  pali,  aprono 
le  porte  divine  di  essi  alla  sua  presenza,  nella  moltitudine 

dei  giorni  diversi la  diuturnità  della  vita 

dello  stesso nel  trono. 

FACCtA    MBRÌDiOIfàLE 

Capìtolo: 

Si  vede  Vimmagine  di  Ammone  con  grandi  piume  deco- 
rata y  e  seduta  in  trono  tenendo  lo  scettro  colla  mano  si-^ 
nistra  »  e  porgendo  colla  destra  il  simbolo  della  vita  ad 
Antinoo.  Fra  essi  è  la  mensa  con  frutti^  fiorij  vasi  da  òere, 
e  pani  ecc.,  a  cui  Antinoo  in  piedi  offre  Cocchio  mistico. 

Colonna  a  destra 

VOsiriano  Antinoo  veridico  che  è  vicino  è  fatto  divino  .   . 

E  cotesto  dono  j  è  luogo  ad  abitar  che  diede 

e  nel  nome  di  lei  {di  Sabina)  e  nel  nome  di  lui  {di  Adriano) 
per  sudditi  abitatori  in  questo  mondo  insieme  coi  principi 
della  gioventù. 

Trasportò  coi  remi  delV Egitto  alle  turbe  del  popolo  uni-- 

verso,  come  a  colui  che  a sotto  Thoth  che 

dia  le  acque. 

Le  corone  dei  fiori  sono  nel  capo  di  lui  che  si  ritrova 
fra  tutti  i  beni  {e)  molte  altre  cose  sopra  le  are  dello  stesso 
sono  state  fatte  agli  dei  (a)  nel  cospetto  di  tutti  i  giorni     . 


Fu  celebrato  dalle  scritture  dei  geroglifieiy  colla  grandezza 

^       -  .     ■     ■      ■ 

(i)  Il  doppio  pronao  colle  aale  nei  tempi  degli  Egiziani»  eh* erano  dae. 

(2)  Antinoo. 

(3)  Le  cose  sacre  agli  dei. 


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331    — 

degli  animi  di  lui  (quando)  entrò  nel  luogo  suo^  e  nel 
.     •     •     •     «     •     della  remota  regione  (t). 
Mentre  sentiva  (la  vocel)  deW  invocante   stette  in  cura 

vicino  al  sepolcro  :   figlio  principe   come  si  fosse  accostato 

al  luogo  di  scrittura  (2)  Thores  riguardò  Vedificio  suo  colle 

immagini. 

Fece  Thore  ornamento  alla  grandezza  del  cuore  y  e  fino 

a  che  Thore  (sia)  divino  padre  venerando  nel    .... 


.     .     .    progenie  Phre  (e)  Muth,  escito  in  luce. 
Nelle  vittime 


FACCIA   OCCIDENTALE 

Capìtolo: 

L*  immagine  del  dio  per  la  caduta  dell'  obelisco  si  è 
quasi  tutta  perduta  ,  e  vi  resta  la  figura  di  ^ntinoo  che 
al  solito  è  innanzi  la  mensa  con  fiorii  vasi  e  la  cassetta 
degVincensi  cui  siede  il  nume}  dal  quale  divotamente  riceve 
il  simbolo  panegyriae,  al  quale  sovrastano  la  7Ìta  e  la  stabilita. 

Colonna  destra 

Antinoo  è  assopiigliato  al  dio  per  causa  delt oblazione ^ 
in  questa  città  che  (è)  dono  di  abitazione  in  aumento  del 
limite  della  dominazione  pura  in  Roma  (3). 

Si  considera  come  dio  nelle  città  novo  dio  per  V  ala 
Horus     .     ...    fu  edificato  (nelle)  porte  delV abitazione. 

Si  adora  come  dio  dai  profeti  (e)  dai  sacerdoti  tanto 
della  superiore  come  della  inferiore  regione  (e)  dagli  abi- 
tatori dell'Egitto. 

Similmente come   valle  il  nome    di 

lui  (4) che  appartengono  ai  dei  de*  Greci? 

abitanti  della  casa  della  città  del  sicomoro  (5)  vengono     . 


(i)  AI  mondo  ulteriore  0  lontano  da  esso. 

(2)  II  domicilio  degli  scrittori,  0  la  biblioteca. 

(3)  Sembra  in  qaesto  discorso  farsi  cenno  di  Àntinopoli  città  fabbricata 
da  Adriano  ad  onore  di  Antinoo. 

(4)  Che  fu  divulgato  per  mezzo  degli  scrittori  il  nome  dì  Antinoo  per 
quanto  si  estende  la  valle  dell'Egitto. 

(5)  L'albero  di  moro  del  quale  in  Egitto  sono  pii^  generi  di  piante  che 
altrove. 


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332   

Colonna  sinistra 

Siccome  al  suo  dio  le  oblazioni  di  coloro       .... 

la  consacrazione 

mantiene  salva   la   vita  di   quelli essendo 

particolare  nelle  porte  della  residenza  di  questo  dio  la  ba- 
nde (i);  del  quale  (2)  è  il  nome  di  lui  la  purità. 

Osiriano  Antinoo  veridico:  Vedipcazione  di  pietra  biotica 
singolare i  le  sfingi  poste  all'intorno  di  lei  le  immagini  uni- 
tamente^ alte^  moltissime^  belle. 

Come  suol  farsi  verso  i  principi^  e  tanto  più  di  ciò  che 
si  fa  dai  Greci.  Parimenti  cìie  agli  dei  e  dee  tutte  essi 
stessi  danno  la  vita  (nella)  trasmigrazione  acciò  respiri 
nel  vigore  della  gioventù. 

Discendete  dar  qui  nella  piazza  del  Popolo. 

(Continua) 

LV. 

NOTIZIE  DI  MSS.  INEDITI 
IN  ISPECIE  DI  ARCHITETTURA  MILITARE 

eh.  Sig.  Cav.  Narducci 

Roma  i^  luglio  i88t 

Cedo  al  suo  gentile  invito,  tracciando  alcune  osservazioni 
sul  Trattato  ms.  di  fortificazione,  che  Ella  mostrommi.  Questa 
è  una  buona  occasione  per  richiamarmi  agli  studi  miei  antichi, 
ed  impegnarmi  a  darle  notizie  di  altri  mss.  di  fortificazione 
o  di  arte  militare  o  di  politica,  ch*io  posseggo,  ovvero  ebbi 
opportunità  di  vedere  od  esaminare.  Le  sarò  obbligatissimo 
se  vorrà  aprirmi  le  colonne  del  suo  Buonarroti^  come  altre 
volte  ha  fatto  ,  mentre  sempre  mi  onorerò  di  confermarmi 

Suo  afiezionatissimo  amico 
Camillo  Ravioli  (3) 

I. 

V architettura  militare^  Libri  sei^  di  Angielo  Degl'Oddi 
è  un'  opera  che  dalla  prima  pagina  si  appalesa  imperfetta  \ 

(i)  La  barca  altre  volte  nominata  di  cui  parla  s.  Epifanio  (tn  iiicor 
num.  108). 

(2)  Di  Antinoo. 

(3)  Non  che  aderire  volentieri  al  desiderio  del  eh.  scrivente  me  gli  pro^ 
fesso  gratissimo  del  valido  e  benevolo  suo  concorso.  11  mss.  del  quale  qui 
si  tratta  è  di  spettanza  del  libraio  di  Firenze  signor  MenozzL       £>  N. 


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—   333   — 

imperocché  vi  si  legge:  Del  modo  di  fortifjcat  le  città,  Libro 
secondo.  Chiaro  h  dunque  che  il  frontispizio  generale  non 
istà  al  suo  posto,  e  mancano  il  primo  libro  e  i  quattro  altri 
promessi.  Di  più,  parecchie  figure  di  questo  secondo  libro 
mancano  e  vi  si  nota  l'altra  imperfezione  che  i  capitoli  ch'egli 
chiama  Discorsi  sono  numerati  fino  al  quarto,  e  dopo  ó  sono 
lasciati  in  bianco  o  non  più  nominati  Discorsi.  Vi  sono  palesi  . 
lacune,  a  un  tratto  lascia  e  si  vede  chiaro  essere  incompleto 
questo  stesso  Libro  secondo. 

Quanto  alla  disposizione  delle  materie  esso  poco  conserva 
il  filo  logico  ed  h  pieno  di  errori  ortografici  e  grammaticali: 
cosa  molto  comune  negli  scrittori  ingegneri  militari  dell'epoca. 
Per  la  nitidezza  dei  caratteri  non  so  dire  se  il  lavoro 
sia  autografo  o  copia;  rivela  però  sempre  l'autore  suo  dei 
primi  del  secolo  XYH,  somigliando  i  caratteri  all'esemplare  dì 
calligrafia  dell'autore  delle  maiuscole  antiche  Romane  Tu  es 
Petrus  della  Cupola  Vaticana,  che  fu  Ventura  Saraffellini  da 
Imola  del  I602:  U  quale  esemplare  ho  sott'occhio. 

11  merito  poi  h  molto  meschino;  in  questo  secondo  libro, 
mentre  parlasi  di  baluardi,  di  terrapieni,  di  scarpate,  di  mer- 
loni  e  delle  figure  in  triangolo,  in  pentagono,  in  esagono  ed 
ettagono  che  qui  è  detto  settimangole ,  non  si  accenna  mai 
ad  opere  esterne,  ed  oltracciò  h  sempre  slegata  la  tessitura  e 
procede  a  salti.  Di  soprappiù  evvi  intercalata  nelle  ultime 
pagine  una  tavola  dimostrante  una  pianta  colorila  di  fortifi- 
cazione di  spiaggia  estera  sul  mare  con  arsenale  e  molo,  il 
quale  h  detto  Miamà  e  presso  Y  arsenale  si  veggono  scogli 
colla  denominazione  di  Porporela.  Forse  essa  apparteneva 
ad  un'opera  che  fece  l'Angelo  sull'isola  di  Gandia  e  che  tro- 
vasi in  Urbino,  come  più  sotto  vedrassi. 

Chi  fosse  quest'  Angelo  Degli  Oddi  non  h  facile  a  dirsi. 
La  famiglia  Degli  Oddi  h  Urbinate,  e  vi  è  un  Matteo  ed  un 
Muzio  Oddi  quasi  contemporanei  all'Angelo.  U  saper  ciò  mi 
fece  consultare  le  opere  di  Bernardino  Baldi  da  Urbino ,  in 
ispecie  V Encomio  della  patria  (Urbino  1706),  per  trovarvi  ci- 
tati tali  nomi  tra  gì'  ingegneri  militari.  Ma  questa  ricerca 
tornò  vana.  Esaminai  tutte  le  Bibliografie  militari,  che  ho,  e 
solo  ritrovai  in  D'Ayala  a  pag.  109  (Torino  1854)  la  citazione 
seguente:  «  Oddi  Angelo  da  Urbino  —  Citta,  fortezze,  porti 
»  e  spiaggie  del  regno  di  Candia,  fatto  l'anno  1650.  -  Mano- 
»  scritto  che  si  conserva  in  Urbino.  Anche  il  Santini  lasciò 
D  de'disegni  compagni.  >»  Questa  data  e  il  dirsi  Degli  Oddi 
mi  fan  supporre  l'Angelo  essere  nipote  o  figlio,  agnato  in 


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—  334   — 

somma,  ad  uno  dei  due  Matteo  o  Muzio,  il  primo  di  questi 

è  autore  dì  un'opera  di  fortificazione  intitolata:  Precetti  di 

Architettura  militare  raccolti^  et  ordinati  da  Matteo  Oddi 

da  Urbino  in  tre  centoni.  Milano  1627.  È  opera  postuma  , 

imperocché  il  fratello  Muzio  Oddi  dedicandola  al  Conte  Odoardo 

Pepoli,  da  Lucca  ai  12  gennaio  1627,  cosi  comincia:  «  Haveva 

x>   mio  fratello,  poco  prima,  che  passasse  a  miglior  vita,  rac- 

»  colti  et  ordinati  in  tre  Centurie  questi  Precetti  ec.  »  Di 

questi  a  pag.  93  trovasi  quest'avviso:  Nella  maniera  stessa^ 

che  fu  da  noi  mostrato  nel  quarto  libro  della  nostra  Archi» 

tettura  militare.  Discorso  secondo.  -  Da  questa  citazione  si 

vede  che  questo  tìtolo  è  eguale  a  quello  posto  da  Augelo- 

V  Architettura  militare  «  e  la  divisione  ià  libri  e  discorsi 

e  pur  comune.  Ciò    non    toglie    che    questo  lavoro   non   sia 

di  Matteo,  e  che  Angelo  non  sia  posterióre  alla  data  del  1627 

in  cui  quegli  era  morto.  L'opera  dei  Precetti  è  citata  dal 

Marini  nella  sua  Biblioteca  di  fortificazione ^  e  la  critica  e  le 

osservazioni  che  sopr'essa  fa  sono  favorevoli  all'autore. 

E  poiché  non  possiam  dire  altro  di  Angelo,  seguiamo  a 
dire  qualche  altra  cosa  sopra  Matteo,  del  quale  abbiamo 
citato  lopera  inedita  della  Architettura  militare-,  imperocché 
ben  quattro  opere  mss.  egli  lasciò,  tutte  autografe,  in  parte 
copie  più  corrette  di  un  primo  abbozzo:  esse  conservavansi 
in  Roma  nella  Biblioteca  Albani  e  passarono  in  quella  del 
Principe  Buoncompagni.  Io  le  citerò  secondo  V  ordine  come 
le  trovai  nella  Biblioteca  antica,  quando  ne  feci  il  catalogo 
coir  idea  di  comperarle  ,  come  infatti  molte  ne  acquistai , 
prima  che  fosse  posta  in  vendita  la  parte  delle  opere  a  stampa. 

Oddi  Mattbo  d'Urbino. — Trattato  d'Architettura  Miliure,  distinto 

in  3  libri,   1613;  N.*»  143,  scanzia  35,  ms.  cart.  in  f.**  gr. 
Oddi  Matteo  —  Il  terzo  librò  duplicato  N.**  536,  se.  55,  ms.  cart. 

in  f.®  gr.  aut. 
Oddi  Matteo  —  Discorso  deirArchitettura  Militare,  1624,  N.®  774, 

se.   69,  ms.  cart.  in  f.^  con  mutamenti  e  postille  autografe. 
Oddi  Matteo  —  Trattato  d'Architettura  Miliure,  ms.  cart.  in  f.* 

scritto  nel  1614  autogr.  N.**  809,  se.   70. 

Muzio  poi  fratello  di  Matteo,  che  caro  l'edizione  dei  Precetti 
del  1627,  essendo  egli  pure  ingegnere,  lasciò  mss.  due  opere  che 
egualmente  erano  nella  Biblioteca  Albani.  Eccone  il  titolo: 

Oddi  Muzio  d'Urbino  —  Degli  Orologi  solari,  due  Opere.  N.*»  321, 
se.  43;  N.<»  322,  se.  43  e  N^  89,  se.  32  :  si  vede  che  Tuna 
delle  due  debb' essere  stata  un  duplicato. 


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—  335  — 
LVI. 

BELLE  ARTI 


Nella  Serie  II,  Voi.  XII  di  questo  periodico  ann.  1877-73 
si  trova  la  illustrazione  fatta  dal  pittore  sig.  Pacifico  Mori 
di  un  nuovo  quadro  del  Correggio  qui  in  Roma  posseduto  dal 
prof.  F.  Ladelci.  Oggi  il  giudizio  dato  dal  detto  artista,  e 
da  quanti  altri  hanno  veduto  il  detto  quadro,  h  stato  con- 
fermato dairAccademia  di  Belle  Arti  di  Parma,  come  veniamo 
assicurati  dalla  Gazzetta  della  stessa  citta  in  data  del  4  scorso 
mese  di  Luglio ,  ove  sotto  il  titolo  Belle  Arti  si  legge 
quanto  segue: 

re  L'Accademia  di  Belle  Arti  di  Parma  h  stata  in  questi 
giorni  lietissima  per  aver  potuto  confermare  la  scoperta  fatta 
dal  prof.  F.  Ladelci,  grande  amatore  e  cultore  delle  belle 
arti  in  Roma,  di  un  nuovo  dipinto  in  tavola,  da  lui  posse- 
duto ,  del  sommo  artista  parmense  Antonio  Allegri  detto  il 
Correggio.  È  questo  un  pìccolo  quadro  che  misura  e.  43  di 
altezza  ,  e  e.  30  di  larghezza.  Esso  rappresenta  la  S.  Ver- 
gine che  porge  il  seno  al  bambino  Gesù.  La  scena  h  not- 
turna ,  e  la  luce  che  parte  dal  divino  Infante  illumina  il 
volto  della  Madonna,  e  si  diffonde  nell'aria  circostante,  con 
quel  magico  effetto  che  Fautore  stesso  ha  saputo  dare  all'altro 
suo  famoso  dipinto  detto  la  notte  di  Dresda.  Lo  stile  gran- 
dioso, la  perfezione  del  disegno,  la  vivacità  e  vaghezza  del 
colorito,  l'effetto  sorprendente  del  chiaro  scuro;  tutti  insomma 
que' rarissimi  pregi  per  i  quali  il  Correggio  ha  raggiunto  il 
sublime  grado  dell'arte  pittorica  sono  riuniti  in  questa  vera 
gemma  artistica  ,  che  viene  oggi  aggiunta  alla  fulgidissima 
corona  di  gloria  che  ha  reso  il  nostro  Correggio  immortale.  » 


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—  336  — 
LYII. 

VÀE  POETIS 


Scintillali  gli  astri  per  la'  volta  azzurra. 
Fra  l'Alpe  e  il  mar,  su  granitici*  massi 
Che  diroccati  fùr  dalla  monugna, 
E  che  sembran  lanciati  dagli  Dei 
Gontra  i  giganti  nell'antica  guerra. 
Mezzanotte  ora  suona  ad  una  torre 
Di  vicina  chiesuola;  e  la  famiglia 
Umana  tutta  è  immersa  negli  usati 
Vani  sollazzi,  o  giace  nel  profondo 
Sonno,  eh' è  vita  sua.  Quivi  dappresso, 
Una  cristiana  vergine,  a  cui  giova 
Sacrarsi  al  Cielo,  entro  le  rozze  mura 
D'un  claustral  recinto,  a  mani  giunte. 
Fervida,  implora  pe' molatali  un  giorno 
Migliore,  e  d'angeletti  una  falange 
A  lei  s'inchina  e  la  solleva  in  festa 
Ne'  reami  di  Dio,  dove  si  trova 
L'arcana,  spiritale,  unica  requie... 
La  verginella  santa,  ah,  per  me  prieghi. 

Oh,  fossi  morto,  appena  il  marzial  hronzo. 
Sul  Gianicolo  colle  rimbombava: 
Pargolo  essendo  io  appena  nato,  un  globo 
Carco  di  piombo  e  fuoco  sfracellavasi 
Accanto  alla  mia  culla:  oh,  fossi  morto 
Quando  piii  grandicello,  dalle  coltri 
Uscendo  all'alba  a  cogliere  i  bei  fiori 
(Oh  ingenua  etade  eh'  è  l' infanzia!)  pinti 
Sovra  il  parato  della  stanza  mia. 
Precipitavo  orrendamente  a  terra.! 
Troppo  del  Lete  è  placido  il  riposo. 

Obliar  non  ti  so,  terra  natia. 
Ne' mesti  dì  che  t'ho  lasciato.  Il  cielo 
Era  tutto  di  nuvole  coverto, 
E,  quando  il  ciel  tutto  di  nembi  è  cinto, 
Sembra  che  l'estro  in  noi  s'accenda,  quasi 
Allor  la  fantasia  brami  sull'ali 
Fino  all'ultime  alzarsi  eteree  nubi. 
Perchè  le  squarci,  a  rivedere  il  sole. 


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.337   

Poscia  le  nubi  si  schiudeano,  e  un  lembo 
M'  addimostravan  dell'  azzurro  cielo. 
Quasi  parvenza  cara  d'un  bel  lago 
Ove  i  bei  giorni  dell'infanzia  scorsi. 
Il  lago  della  Luna* 

E  mi  ricorda 
Ch'era  la  luna  al  primiero  barlume 
Qual  fosse  aureola  in  capo  ad  una  santa. 
Quando  dell'alma  Roma  dipartimmo. 
Ma  risplendeva  nella  sua  pienezza. 
In  pria  che  a  Pisa  movessimo.  Tratti 
In  tenebrosa  galleria  repente. 
Mi  parean  de' miei  sogni  esser  le  larve 
Le  varie  vision  traverso  i  fessi 
Della  montagna;  e  più  ch'io  disiava 
Di  contemplarle,  come  avvien  ne' sogni. 
Vieppiù  si  dileguar  rapide. 

Egli  era 
D'un  villaggio,  talor,  la  via  frequente 
Sotto  cui  scorrevam;  talor,  del  mare 
Inaspettato  burrascosa  1'  onda. 
E,  quando  sulla  ligure  riviera 
Avanzavamo,  un  cimitero  presso 
L'ondoso  mar  vedemmo:  ove  creare 
Un  cimiter  più  che  del  mare  in  riva. 
Che  di  mestizia  1'  anima  e'  inonda 
Pe' naufraghi  cotanti!  E  desiavo, 
In  cuor  che  riposassero  fra  quelli 
Cipressi  innanzi  tempo  le  mie  ossa! 
E,  come  l' uom  che  aspettasi  morire 
Dall' un  misterioso  isunte  all'altro. 
Raccoglie  ben  suo  spirto,  che  l'aspetto 
Di  Chi  r  attende  gravità  gì'  invade. 
M'apparecchiavo  a  trapassar  da  quella 
Terra  natale  alla  straniera  sponda. 
Scevro  di  minor  falli...  Eppur  l'esilio 
M'  apparia  il  varco  dall'  ausonia  terra; 
E  come  avviene  agli  esuli  sovente. 
Che  festeggiati  ne  riedono  ai  Lari, 
Se  d'uno  Stato  cambiano  gli  eventi, 
E  ciò  che  crimin  ne  pareva  in  prima, 
Fulge  virtude  poscia...  io  mi  credevo 
Ch'  addiverria  di  me  quanto  al  gran  fallo 
D'aver  l'errante  Fanusia  ! 

45 


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—  338   — 

A  cbe,  un  tempo^ 
Sovra  il  colle  Gianicolo  io  saliva 
Da  adolescente,  in  preda  alla  mestizia, 
L'ore  sostando  gli  ultimi  oriszonti 
Estatico  a  mirare*..?  e  sul  Pariolo 
Al  cui  piede  fiorian  tanti  oleandri. 
Che  fìir  divelti  quando  le  due  Parti 
Li  roteàro  un  ferro  incontro  a  Roma? 
Che  valer  posso  io  lasso  autodidatto 
A  cui  le  idee  s*  affollano  al  cervello 
Per  uscir,  quasi  fossero  le  genti 
Ch'escon  da  un  tempio  repentine  a  un  tratto. 
Affannose  ed  insiem,  da  un  tempio  allora 
Che  sen  nuncian  le  fiamme?.. 

Oh,  patria  mia  I 
La  volubile  mia  tempra  e  il  restare 
Ad  ogni  cosa  estraneo  d*  attorno 
Pel  diuturno  del  cerebro  lavoro, 
E  per  ansia  febbril  d'un  pe&sier  solo. 
Per  cui  patria,  piaceri,  oro,  famiglia 
Tutto  ho  perduto.,  volsero  a  mio  danno... 
Non  m'accusaron  d'un  immenso  ambire. 
Oltre  cbe  m'accusar  d'ozio  e  demenza...!. 
Pur  solitario  viver  volli  sempre.! 
Che,  s'ebbi  osato  i  grandi  contemplare. 
Fu  perchè  in  prima  l' una,  e  poscia  l' altra 
Fanciulla  amai  di  quelle  genti:  e  il  primo 
S' estinse  affetto,  con  la  tomba  d'una; 
L'altro,  s*  estinguerà  con  la  mia  tomba. 

Luigi  Abrigo  Rossi 


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—   339   — 
PUBBLICAZIONI  RICEVUTE  IN  DONO 

Baccelli  (Alfredo)  Ad  Alfredo  Cappellini  nel  XV  anniversario  della  sua 
marte.  Livorno  tip.  della  Gaxx.  Livornese  1881.  In  8!  p.  di  8  pag. 

Biblioteca  della  gioventù'  italiana.  Anno  XIII.  Maggio  1881.  Poesie 
di  Paolo  Costa  e  Giulio  Perticari  scelte  ed  annotate  dal  sae.  Gaetano  Dehò. 
Torino^  1881,  tipografia  e  libreria  Salesiana,  Sanpierdarena-Lueca-Nisxa 
Marittima.  In  12o  di  pag.  217. 
Catalogue  de  la  Bibliothèque  scienti figue  historique  et  littéraire  de  feu  M. 
Michel  Chasles  (de  Vlnstitut)  dont  la  vente  aux  enchères  publiques,  aura 
lieu  du  27  Juin  au  18  Juillet  1881  à  8  heures  très  précises  du  soir ,  28» 
rue  des  Bons-Bnfants  (Maison-Silvestre)  Salle  n.  1,  au  i^r  étage^  Par  le 
ministére  de  M.  Georges  Boulland,  commissaire-priseur  r%ie  Neuve-des-Petits- 
Champs,  26,  assistè  deìà-  A,  Claudin,  libraire-expert  et  paléographe.  Paris ^ 
Jf.  A.  Claudinf  libraireeoppert  et  paléographe  laureai  de  l*insiitut,  rue  Gué- 
négaudy  3  (près  le  Pont-Neuf)  1881.  In  8.o  di  pag.  386.  (E  Supplément 
(pag.  395—416). 

Ciampi  (Ignazio)  Storia  moderna  dalla  scoperta  delV  America  alla  pace  di 
Westfalia.  Opera  postuma,  edita  per  cura  di  Paolo  Emilio  Castagnola.  Vo- 
lume  primo.  Imola,  tip.  d*Jgnaxio  Calcati  e  figlio,  via  del  Corso,  35,  1881. 
In  8*  di  pag.  409. 

Del  Lungo  (Isidoro)  Della  interpetraxione  d*  un  verso  di  Dante  (Inferno , 
xviii,  66)  rispetto  alla  Storia  e  della  Lingua  e  de  Costumi  (Estratto  dall' Xr- 
chi?io  Storico  Italiano,  tomo  XXII,  anno  1875).  Firenxe,  tip.  Galileiana 
di  M.  Cellini  e  C.  In  8."*  di  pag.  17. 

Dupuis  (J.)  Le  nomare  géométrique  de  Platon.  Imprimerie  A.  Lahure,  rue 
de  Fleurus,  9,  à  Paris,  In  8.  di  pag.  4. 

Le  nombre  géométrique  de  Platon^  Paris,  libraire  Hachette  et  C.  Bou- 
levard Saint-Germain,  79.  lu  8.  di  pag.  63. 

Favaro  (Antonio)  Documenti  inediti  sulla  primogenita  di  Galileo  pubblicati 
ed  illustrati  (noxxe  Terriei^Bellati)  Padova,  tipografia  del  Seminario  1881. 
In  8.*  di  pag.  23. 

Galileo  Galilei  e  lo  studio  di  Bologna  (Estr.  dal  voi.  VII,  serie  V  degli 

Atti  del  R.  Istituto  veneto  di  scienze,  lettere  ed  arti).  Venexia,  tipografia 
di  G.  Antonelli  1881.  In  8.  di  pag.  18. 

SuUa  invenxione  dei  Cannocchiali  binoculari  {Estratto  dal  voi.  XVI  degli 

Atti  della  R.  Accademia  delle  Scienze  Adunanxa  del  29  Maggio  1881).  To- 
rino, Ermanno  Loescher,  libraio  della  R.  AceaéUmia  delle  Scienxe,  1881. 
In  8.  di  pag.  12. 

La  proposta  della  longitudin$  fatta  da  Galileo  Galilei  alle  confeékrate 

Provincie  belgiche,  tratta  per  la  prima  volta  integralmente  dall'originale 
nell'Archivio  di  Stato  all'Aia  (Esir.  dal  voi.  VII,  serie  V  degli  Atti  del 
R.  Istituto  veneto  di  scienze  lettere  ed  arti).  Venexia,  tipografia  di  G.  An- 
tonelli, 1881.  In  8.  di  pag.  34. 

Guasti  (Cesare)  Arnolfo,  quando  è  mortai  Firenxe  coi  tipi  di  M.  Cellini  e 
C.  alla  Galileiana  1881.  In  8.*  di  8  pag.  (Estr.  dalla  Rassegna  naxionale). 

Henry  (C.)  Deux  pages  inédites  de  la  vie  de  Frédéric  le  Grand  (Extrait  de 
la  Nouvelle  Revue  du  15  avril  1881).  Paris,  librairie  de  J.  Baur,  rue  des 
SainU-Pères,  11,  1881.  In  8.  di  pag.  12. 

Jackson  (James)  List»  provisoire  de  Bibliographies  Géographiques  spèciales, 
Paris,  librairie  Ch.  Delagrave  éditeur  de  la  société  de  géographie ,  rue 
5ott0lol  15,  1881.  In  8?  di  pag.  125. 


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- —  340   — 
Lozzi  (Carlo)  Delie  origini  della  stampa^  saggio  ttorieo-eritico  {Edraito  dal 

giornale  della  Società  di  letture  e  conversasioni  scientiGcbe  di  GenoTa). 

Genova,  tip,  del  Movimento  di  T.  P.  Ricci,  1881,  In  8.  di  pag.  24. 
Manno  (Antonio)  Un  documento  di  Ascanio  Vitoszi  tràieritto  da  Antonio 

Hanno  {Estratto  dagli  Atti  della  Reale  Accademia  delle  Scienze  di  Torino, 

voi.  JIV,  adunanxa  del  24  novenUn'e  1878).  Stamperia  reale  di  Torino, 

1878.  In  8.0  di  pag  15. 

Turf  e  Scating  dei  nostri  nonni.  Chiaccherata  di  Antonio  Manno  [Estratto 

dalle  Curìos'ììÀ  e  Ricerche  di  Storia  Subalpina,  voi.  Ili,  puntata  XII,  pag, 
644).  Roma,  Torino,  Firenze,  fratelli  Bocca,  librai  di  S.  Jf.  il  Re  d'Italia, 

1879.  In  8*  di  pag.  22.  Edizione  privata  di  soli  cinquanta  esemplari. 
Marre  (Aristide)  Linstruction  primaire  chex  les  Chinois  dans  Vile  de  Java 

mémoire  de  M.  J.  E.  Albrecht  de  Batavia,  traduit  du  hollandais  et  annoté 
par  Aristide  Markk  (Exlrait  dM  Annales  de  TExtréme-Orient).  Paris,  li- 
brairie  orientale  de  Challamel  Ainé,  rue  Jacob  5,  1881.  In  4?  di  pag.  16. 

Deux  nouvelles  lettres  mathématiques  inédites  du  P.  Jaqnemet  de  Pora- 

toire,  de  la  maison  de  Vienne  [Dauphiné],  Paris,  imprimerie  de  Gauthier 
Villars,  guai  des  Augustins  55.  in  8?  dalla  pag.  200  alla  207. 

Meli  (R.)  Sopra  una  nuova  forma  di  Pecten  dei  depositi  pliocenici  di  Civi- 
tavecchia. Roma,  coi  tipi  di  L.  Cecchini,  Via  del  Teatro  Valle  62,  188 1. 
In  8.  di  pag.  7  e  tavola. 

Muntz  (Eugenio)  Ricerche  intomo  ai  lavori  archeologici  di  Giacomo  Gri- 
maldi antico  archivista  della  basilica  Vaticana ,  fatte  sui  manoscritti  che 
si  conservano  a  Roma,  a  Firenze,  a  Milano,  a  Torino  e  a  Parigi  {Estratto 
dalla  Rivista  Europea  -  Rivista  Internazionale).  Firenze ,  tipografia  della 
Gazzetta  d'Italia,  via  del  Castellaccio,  i2 bis,  1881.  In  8.<*  di  pag.  57. 

Pi  CORI  NI  (Luigi)  Il  Museo  nazionale  preistorico  ed  etnografico  di  Roma^  Prima 
relazione  di  Luigi  Pigorini  a  S.  E,  il  Ministro  della  Pubblica  Istruzione. 
Roma,  tipografia  eredi  Botta  1881.  In  4?  di  pag.  14. 

Riccardi  (P.)  Commemorazione  di  Michele  Chashs  (Estratto  da<  Rendiconto 
deirAccademia  delle  Scienze  deiristituto  di  Bologna,  e  letta  nella  Sessione 
del  \7  febbraio  1881.  Tipi  Gamberini  e  Parmeggiani.  In  8!  di  pag.  36. 

Starly  (F.  I.  a.)  Elementi  di  un  sistema  di  drammaturgia  ossia  di  un  edi- 
fizio  teorico  delle  arti  drammatiche.  Sunto  di  pubbliche  lezioni  tenute  nel 
circolo  filologico  e  nella  regia  università  romana.  Torino,  Roma  Firenze, 
fratelli  Bocca  e  C.  lib.-edit.  Via  del  Corso,  N.  216-117, 1881.  In  8.  di  pag.  291. 

Tempia  (Stefano)  //  canzoniere  delle  scuole  e  delle  famiglie.  Raccolta  di  fa- 
cili canzoni  educative,  Torino  1881,  Ermanno  Loescher,  Firenze  e  Roma 
presso  la  stessa  Casa.  In  4.°  di  pag.  32. 

Valfrè  (Teodoro)  Per  le  nozze  illustri  del  cavaliere  Ferdinando  dei  conti 
Valfrè  di  Bonzo ,  eolla  signorina  Maria  dei  conti  Miglioretti  di  Bourset 
e  san  Sebastiano.  Discorso  del  fratello  dello  sposo  monsignor  Teodoro  Valfrè 
di  Bonzo,  detto  nella  chiesa  parrocchiale  della  SS.  Annunziata  in  Torino 
li  27  aprile  1881.  Tipi  privati  di  Efisio  Manno.  In  8.**  di  pag.  5. 

Vernarecci  (Augusto)  Ottaviano  de'Petrucci  da  Fossombrone  inventore  dei 
tipi  mobili  metallici  della  musica  nel  secolo  IV.  Fossombrone,  tipografia 
di  F.  Monacelli  1881.  In  8!  di  pag.  174. 


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Il      Serie   II. 


o»-.   XIV. 


Ottobre  1880   » 


.     »"  -•  "    ' 

1  L 

H^5l 

UOS"  ARROTI 

^-^    V^  JL  1  XjLX  VX  V  V^    X  X 

D   I 

BENVENUTO  6ASPÀR0N1 

CONTINOATO  PER  CURA 

DI  ENRICO  I^ABDIICCI 

PAG. 

r.viii 

.   Il    conte   Umberto  I  (Biancamano)  Art   bibl. 

(Francesco  Labruzzi  di  Nexima).    .     .    »  341 

I-IX. 

Descrizione  di  tutte  le  colonne  ed  obelischi  che 

irovatjsi  nelle  piazze  di  Roma,   disposta  in 

forma  di  guida  da  Angelo  Pellegrini  ecc. 

(Continuazione) »  356 

JLX. 

Passatempi  artistici  deirarchitelto  Pietro  Bo- 

NELLi  {Continua) ,    .     .     »  377 

LXI. 

Francesco  de*  Medici.  Tragedia  storica  di  Ni- 

colò Marsucco  (Continua) »  376 

r.xii- 

Aà  Alfredo  Baccelli  pel  suo  carme  in  onore  di 

AlfredoCappellini.  Versi  sciolti  (E. Narduc ci)»  392 

ROMA 

.p  ,   PO  G' RAFIA  DELLE  SCIENZE   MATEMATICHE  E  FISICHE                 { 

via  lata  n?  3. 

1880 

Pubblicato  il  30  Settembre  issi 


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IL 


Seeie  IL  VoL.  XIV,  Quaderno  X.  Ottobre  1880 

Lvm. 

IL  CONTE  UMBERTO  I  (BIANCAMANO) 

Indubitato  progenitore  della  real  casa  di  Savoia  fu 
queir  Oddone  che  sposatosi  verso  la  metà  del  secolo  XI  ad 
Adelaide  contessa  di  Torino  recò  nella  sua  famiglia  gli  ampi 
possedimenti  che  di  qua  dalle  Alpi  con  arti  di  leone  e  di 
volpe  era  andato  acquistando  il  marchese  Ulrico  Manfredi 
suocero  suo.  Di  chi  fosse  figlio  Oddone  restò  incerto  fino 
al  secolo  passato;  e  chi  lo  diceva  nato  di  re  Arduino,  chi 
di  Aleramo  di  Monferrato,  altri  di  altri.  Il  Muratori,  come 
molte  altre  ,  sciolse  anche  questa  controversia  pubblicando 
un. documento  in  data  delKanno  toiu  in  cui  Oddone  concedeva 
alla  chiesa  di  Tarantasia  la  valle  detta  di  Beranger  prò  re- 
medio  animae  patris  mei  Humhertus  comes. 

Conosciuto  il  nome  del  padre  di  Oddone  occorreva  cono- 
scere chi  egli  fosse,  e  ciò^  a  dir  vero,  non  era  impresa  assai 
agevole,  essendo  il  nome  di  Umberto  o  Uberto  molto  comune 
in  quel  tempo.  Fra  i  parecchi  documenti  in  cui  esso  s'in- 
contra ve  ne  ha  taluni  che  mostrano  come  un  Umberto  conte 
avesse  quattro  figli  chiamati  Amedeo  ,  Burcardo  ,  Aimone  e 
Oddone;  quindi  era  verisimile  credere  che  l'Umberto  padre 
di  Oddone  marito  di  Adelaide  fosse  appunto  colui.  Questa 
congettura  era  anche  confermata  dal  fatto  che  molti  beni 
appartenenti  a  queir  Umberto  furono  poi  posseduti  dai  di- 
scendenti di  Oddone  di  Savoia.  Il  barone  Domenico  Carutti 
nelle  recenti  sue  ricerche  sopra  le  origini  umbertine  (i),  mentre 
riconosce  che  il  padre  di  Oddone  fu  altresì  padre  di  un  Amedeo, 
di  un  Burcardo  e  di  un  Aimone,  non  crede  però  che  in  quei 
documenti  si  tratti  sempre  di  lui  ;  e  vuole  che  alcuni  si 
debbano  riferire  a  un  secondo  Umberto  che  crede  zio  pa- 
terno dell'altro,  ed  a  cui  attribuisce  tre  figli  chiamati  pur 

(I)  Carutti,  Il  conte  Umberto  I  {Bianeamano).  Hieerehe  e  éheumentù 
Firenze  coi  tipi  di  M.  Ceilini  e  G.  alia  Galileiana  1878. 

46 


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—  342   — 

essi,  come  quelli  del  presunto  nipote,  Amedeo ,  Barcardo  e 
Oddone.  Per  distìnguere  questi  supposti  due  Umberti  il  Caratti 
chiama  Tuno,  quello  che  fu  padre  di  Oddone  di  Savoia,  Vm- 
berta  /,  e  all'altro  Umberto  da  il  predicato  di  Savoia  Bellej. 

Nello  studio  di  documenti  riferibili  a  tempi  in  cui  ancora 
non  si  usavano  i  cognomi,  l'identità  delle  parentele  è  stata 
sempre  ritenuta  dai  geneologisti  come  ottimo  argomento  per 
stabilire  l'identità  di  qualche  personaggio.  Ora  noi  nei  do- 
cumenti umbertini,  come  si  è  veduto,  ci  troviamo  innanzi 
a  due  Umberti  che  hanno  entrambi  tre  figli  di  eguale  nome. 
Anziché  supporre  una  strana  coincidenza  di  nomi,  come  la 
chiama  il  Carulti,  non  ^  più  naturale,  più  semplice,  più 
logico  anche,  credere  che  in  tutti  quei  documenti  si  tratti 
sempre  delle  stesse  persone  ?  Quanto  siffatta  supposizione 
avvantaggi  l'altra  di  verisimiglianza  e  naturalezza,  non  è  del 
certo  sfuggito  all'  egregio  storico ,  il  quale ,  per  quanto  mi 
pare,  non  sarebbe  forse  stato  alieno  dal  preferire  piuttosto 
questa  che  l'altra  ipotesi,  se  non  gli  fosse  sembrato  che  un'as- 
soluta necessita  genealogica  recisamente  la  escluda.  Egli  crede 
che  dall'esame  dei  documenti  umbertini  resti  evidentemente 
provato  esservi  stati  contemporaneamente  due  diversi  Amedei 
e  due  diversi  Burcardi  ;  e  siccome  tutti  costoro  sono  detti 
figli  di  Umberto,  egli  ne  conclude  essere  altresì  vissuti  nel 
medesimo  tempo  due  Umberti  diversi.  Certo,  la  conseguenza 
è  perfettamente  logica;  resta  a  vedere  se  le  premesse  sieno 
qualmente  ben  fondate. 

Comincìeremo  dai  due  supposti  Amedei.  Con  atto  anteriore 
al  1030  il  conte  Umberto  l  insieme  con  i  tre  suoi  figli  Amadeo, 
Aimone  e  Oddone  donano  alla  chiesa  di  s.  Germano  alcune 
terre  deserte,  una  selva  e  tre  mansi  presso  Maltacena  nella 
contea  di  Savoia  e  due  mansi  nel  pago  di  Beliey.  Con  altro 
atto  egualmente  senza  data ,  ma  che  sembra ,  dice  il  signor 
Ca rutti,  anteriore  anch'esso  al  1030,  Umberto  suddetto  e  i  tre 
nominati  suoi  figli  «  donano  ai  monaci  di  Maltacena,  benefi- 
»  cati  con  Tatto  precedente,  un  manso  con  selve,  prati,  terre 
)»  colte,  incolte,  acqua  e  corso  d'acqua  e  una  chiusa  per  la 
»  pesca  Th  (pag.  93).  Ora  con  atto  in  data  del  22  ottobre  1030 
un  conte  Amedeo  figlio  di  un  conte  Umberto  e  sua  moglie 
Adele  donano  ai  detti  monaci  la  chiesa  di  s.  Maurizio  nella 
contea  di  Savoia ,  e  con  altro  atto  di  data  incerta  ma  pò* 
steriore  al  toso  ,  fanno  pure  donazione  alla  detta  chiesa  di 
s.  Maurizio  pel  suffragio  dell'anima  del  loro  figlio  Uberto  e 
pel  sostentamento  dei   monaci.  Prima    della   firma  dei  dona- 


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—   343  — 
tori  vi  ha  quella  del  conte  Umberto  Biaacamano  e  di  Àacilia 
sua  moglie. 

Perche  dunque  questo  Amedeo  conte  marito  di  Àd^le  e 
padre  di  un  Uberto  premorto^  non  può  esser  figlio  del  Bian- 
camano,  come  lo  farebbero  credere  il  vedere  essere  anche  egli 
Itirgitore  di  beni  a  quegli  stessi  monaci  che  erano  già  stati 
beneficati  dal  conte  Umberto,  e  la  sottoscrizione  di  questo 
e  della  moglie  Àncilia  nell'atto  di  donazione?  Quale  neces- 
sita genealogica  si  oppone  a  questa  probabilissima  filiazione? 
Osserva  il  Camiti  che  un  Amedeo  conte  si  trova  ricordato 
come  padre  di  un  Aimone  vescovo  di  Belley  nel  1032  ;  e  ne 
deduce  che  1*  Amedeo  marito  di  Adele  e  donatore  ai  monaci 
di  Maltacena  nel  loso,  avendo  un  figlio  vescovo  nel  i032  non 
poteva  esser  figlio  di  Umberto  1.  Perchè  la  conclusione  del 
Carutti  possa  essere  attendibile  bisognerebbe  provare  che 
TAmedeo  padre  di  Aimone  vescovo  e  l'Amedeo  marito  di  Adele 
erano  una  sola  persona.  Ciò  invece  non  risulta  da  nessun  do* 
canento;  e  però  ci  paiìe  che  mentre  si  deve  distinguere  l'Amedeo 
padre  del  vescovo  Aimone  dai  figli  di  Umberto  I,  si  debba 
peraltro  per  le  ragioni  suespresse  considerare  come  tale  l'Amedeo 
donatore  ai  monaci  del  Bourget. 

Veniamo  ora  al  Burcardo  o  ai  Burcardi  da  cui  il  barone 
Carutti  crede  poter  trarre  un'  altra  riprova  dell'  impossibile 
identità  non  pure  degli  Umberti  ma  anche  degli  Amedei.  «  Addì 
j»  8  di  Aprile  del  ioss  Lautario  vescovo  di  Langres  dona  alcune 
»  terre  nella  contea  di  Ginevra  ad  un  certo  suo  amico  conte 
»  Umberto  e  a  due  suoi  figliuoli  Amadeo  e  Burcardo  vescovo, 
ìf  afiinchè  ne  godano^oro  vita  naturale  durante  »  (i).  Ora  sic- 
come il  signor  Carutti  è  di  avviso  che  il  Burcardo  figlio  del 
Biancamano  non  portò  mai  il  titolo  di  yescovo,  è  chiaro  che 
non  solo  il  Burcardo  nominato  in  quel  documento  non  potè 
esser  figlio  del  conte  Umberto  I  ma  neppure  il  suo  fratello 
Amedeo;  ed  ecco  quindi  un  altro  Amedeo  e  un  altro  Bur- 
cardo figli  di  un  altro  Umberto.  Però  non  mi  pare  che  i 
documenti  dove  si  trova  il  nome  di  Burcardo  portati  dal  Ca- 
rutti debbano  necessariamente  condurci  ad  escludere  l'identità 
del  Burcardo  vescovo  con  il  Burcardo  figlio  del  Biancamano. 
Nell'ottobre  del  1025  Burcardo  vescovo  di  Aosta  permuta  alcuni 
beni  con  un  tale  Katelmo.  La  permutazione  è  approvata  dal 
conte  Umberto  il  Biancamano,  e  nel  novembre  dello  stesso 
anno  il  conte  Umberto  ed  il  vescovo  Burcardo  fanno  una  per* 

(1)  Carutti,  oper,  cìt.  pag»  82. 


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—  344   — 

mutazioae  di  terre  eoa  un  tal  Frescio.  Mentre  niente  vi  ha 
qui  che  provi  che  il  vescovo  non  possa  esser  figlio  del  conte, 
vi  h  un  altro  documento  che  darebbe  a  credere  che  tale  ap- 
punto egli  fosse,  ff  Addì  i3  di  giugno  1042  il  conte  Umberto  I 
»  e  i  suoi  figli  Amedeo  e  Oddone  donano  slUìl  chiesa  di  s.  Lo- 
))  renzo  di  Grenoble  la  chiesa  di  s.  Maria  posta  alle  scale  nel 
»  vescovato  di  Grenoble  e  un  manso  d  (pag.  ioi).  Oltre  al  conte 
Umberto  e  a  Malleno  vescovo  di  Grenoble  che  rappresenta  la 
parte  beneficata,  vi  sono  pure  sottoscritti  i  tre  figli  del  conte^ 
Aimone,  Amadeo  e  Oddone;  l'altro  figlio,  Burcardo,  no;  perchè 
questa  omissione?  Eppure  le  chiese  avevano  cura  che  i  figli 
de'benefaltori  intervenissero  tutti  agli  atti  di  liberalità  e  li 
confermassero  (i);  e  però,  ripetiamo,  come  si  spiega  che  nella 
carta  suddetta  mentre  vi  è  la  firma  di  Aimone ,  che  pure 
non  h  uno  dei  donatori,  manca  quella  del  suo  fratello  Bur- 
cardo ?  Ebbene  se ,  come  credo  si  debba ,  vorremo  ritenere 
che  il  Burcardo  figlio  del  Biancamano  e  il  Burcardo  vescovo 
del  i022  e  1025  e  poi  arcivescovo  di  Lione  nel  ì03ì  siano  una 
stessa  persona,  ci  persuaderemo  ben  presto  che  questa  man- 
canza tanto  difficile  a  spiegarsi  se  veramente  fosse  stata^  invece 
non  vi  fu  punto;  poiché  in  quell'atto  subito  dopo  la  sotto- 
scrizione del  conte  Umberto  si  legge:  sìgnum  Brochardi  Ar- 
chiepiscopo. 

Di  fronte  a  questi  documenti  che  se  non  forniscono  la 
prova  assoluta  fanno  peraltro  ritenere  assai  probabile  essere 
stato  il  Burcardo  figlio  di  Umberto  I  appunto  il  Burcattlo 
vescovo  ed  arcivescovo  di  cui  si  è  detto  di  sopra,  che  do- 
cumenti abbiamo  che  ci  porgano  ragione  di  supporre  il  con- 
trario? Ecco,  in  un  atto  di  donazione  di  anno  incerto  fatta 
da  Aimone  di  Pietroforte  appariscono  i  nomi  del  conte  Um- 
berto e  dei  suoi  quattro  figli  Amedeo  ,  Burcardo  ,  Aimone 
e  Oddone,  Il  Burcardo  di  questa  carta  non  porta  il  titolo 
di  vescovo^  come  neppure  fusa  in  un  altro  documento  del  i040 
in  cui  è  firmato  insieme  con  il  padre  Umberto  e  i  suoi  fra- 
telli anzidetti. 

È  questa  una  prova^  secondo  il  Carutti,  che  il  Burcardo 
di  quei  documenti,  il  quale  è  indubbiamente  figlio  del  Bian- 
camano, non  è  il  Burcardo  che  fu  vescovo  d'Aosta  e  poi  arci- 
vescovo di  Lione,  poiché  se  fosse  stato  quel  desso  non  si  sa- 
rebbe in  esso  taciuta  la  sua  dignità  episcopale.  Qui  però  si 
vuole  avvertire  che  Burcardo  arcivescovo  di  Lione  essendosi 

(i)  GaruUi,  oper.  cit.  pag   92. 


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—  345   — 

fieramente  e  pertÌDacemente  opposto  a  Corrado  imperatore 
nelle  guerre  da  questo  combattute  per  ereditare  il  regno  di 
Borgogna,  fu  da  luì  privato  della  dignità  arcivescovile.  Di- 
fatti il  Caruttì  stesso  ci  fa  sapere  che  in  una  bolla  di  Ste- 
fano X  nel  1057^  con  la  quale  conferma  ai  monaci  di  Cluny 
i  vasti  loro  possedimenti,  è  mentovato  Burcardo  ma  senza  il 
titolo  episcopale.  Ora  il  documento  del  i040  e  certamente 
anche  quello  della  donazione  di  Aimone  di  Pietraforte,  sono 
posteriori  alla  privazione  delfarcivescovato  patita  da  Burcardo; 
e  però  è  naturale  che  questi  non  facesse  piiì  uso  di  un  ti- 
tolo di  cui  era  stato  privato,  massime  in  documenti  firmati 
anche  dal  padre  di  lui,  che  era  uno  dei  più  caldi  fautori  di 
Corrado,  e  copriva  un  altissimo  ufficio  nel  regno  di  Borgogna. 
Che  poi  il  figlio  seguisse  nelle  controversie  del  regno  un  par- 
tito contrario  a  quello  del  padre,  nessuno  credo  se  ne  vorrà 
maravigliare  quando  si  riporti  a  quei  tempi  in  cui  lo  spirito 
di  parte  divideva  i  più  stretti  congiunti;  e  maggiormente 
poi  quando  si  consideri  che  mentre  la  feudalità  laica  era  in 
gran  parte  favorevole  a  Corrado,  il  clero  borgogn3n6  invece, 
di  cui  Burcardo  era  uno  dei  principali  dignitari,  gli  era  affatto 
contrario.  Mi  sembra  di  poter  concludere  da  tutto  ciò  che 
non  v'abbia  alcuna  prova  che  l'Amedeo  donatore  ai  monaci 
del  Bourget  e  il  Burcardo  vescovo  e  poi  arcivescovo  non  siano 
l'Amedeo  e  il  Burcardo  figli  del  conte  Umberto  fiiancamano; 
e  però  anziché  ammettere  la  strana-  coincidenza  di  due  con- 
temporanei Umberti  ambedue  conti ,  ambedue  padri  di  figli 
del  medesimo  nome,  si  debba  piuttosto  credere  alFesìstenza 
di  un  solo  Umberto^  escludendo  affatto  quella  dell'altro  cui 
il  signor  Carutti  ha  creduto  dover  distinguere  con  l'epiteto 
di  Swoia  Belle/. 

Ma  siano  o  no  questi  due  conti  Umberti  una  stessa  per- 
sona bisogna  confessare  che  né  l'identità  uè  la  diversità  loro 
ci  somministra  alcun  argomento  per  definire  la  questione  prin- 
cipale, cioè  chi  fu  il  padre  del  Biaticamano.  È  noto  quanti 
diversi  sistemi  siano  stati  proposti  per  risolvere  questo  dubbio, 
taluni  dei  quali,  a  dir  vero,  più  che  a  buoni  argomenti  sto- 
rici si  fondavano  sopra  ipotesi  aflfatto  immaginarie.  Il  Carutti 
prende  ad  esaminare  con  molto  acume  critico  i  principali  di 
questi  sistemi,  e  dimostra  evidentemente  come  essi  siano  quasi 
tutti  in  aperta  contraddizione  con  la  cronologia  o  con  la 
storia.  Con  argomentazione  molto  efficace  e  stringente  egli 
riesce  a  provare  essere  affatto  falsa  l'opinione  del  Guichenon, 
il  quale  prese  a  sostenere  che  la  real  casa  di  Savoja  discen- 


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—  346  — 
deva  da  Yiticbindo  ,  il  celebre  campioDe  dell'indipendenza 
sassone  al  tempo  di  Carlomagno.  Si  sa  che  il  dotto  Savoiardo 
non  era  neppure  egli  persuaso  di  ciò  che  affermava  ,  ma  , 
cortigiano  e  francese,  obbediva  ai  voleri  di  madama  Cristina 
di  Francia  duchessa  vedova  di  Savoia,  a  cui  premeva  di  dare 
origine  germanica  alla  famiglia  per  facilitare  la  desiderata 
costi luzione  del  Piemonte  in  elettorato  imperiale. 

Al  signor  Carutti  non  sembra  accettabile  neppure  Topi- 
nione  del  Dubouchet,  sostenuta  in  questi  ultimi  anni  dal  ba- 
rone Gengìs  La  Sarra,  secondo  i  quali  progenitore  della  real 
casa  di  Savoia  sarebbe  stato  quel  conte  Bosone  fratello  dell'im- 
peratrice Richilda,  moglie  di  Carlo  il  Calvo,  e  non  isgradito 
rapitore  della  carolingia  Ermengarda,  che  fu  il  primo  re  dì 
Provenza.  E  non  solo  non  accettabile  ma  da  doversi  recisa* 
mente  rifiutare  come  affatto  infondata,  il  chiaro  critico  ritiene 
l'opinione  messa  avanti  or  sono  due  secoli  dal  Della  Chiesa, 
cioè  che  padre  di  Umberto  Biancamano  fosse  stato  Ottone  Gu- 
glielmo il  profugo  figlio  di  Adalberto  Re  d' Italia.  Questa 
ipotesi,  che  il  Litta  chiamava  un'idea  feconda  di  altre  idee, 
fu  fatta  rivivere  ai  principi  di  questo  secolo  dal  Napione , 
e  sostenuta  quindi  con  maggior  copia  di  argomenti  dal  conte 
Cibrario.  Il  signor  Carutti  dopo  aver  dimostrato  che  Ottone 
Guglielmo  fu  padre  di  tre  soli  maschi,  di  cui  non  pui«  sono 
noti  i  nomi  ma  anche  la  parentela  e  tutta  la  discendenza, 
conclude  dimandando:  «  Con  quale  diritto,  con  che  fondamento 
»  si  può  dare  a  lui  un  quarto  figliuolo  per  nome  Umberto 
»  e  questo  figliuolo  fare  stipite  di  una  casa  illustre  e  so- 
A  vrana?  Avvi  egli  qualche  prova  o  indizio  di  tale  figliazione? 
»  Nessuno.  È  un'affermazione  nuda,  recisa,  che  niun  docu- 
»  mento  contemporaneo  nessuna  tradizione  suffraga.  Non  pre* 
»  senta  neanco  qualche  ripetizione  di  nome  fra  ascendenti 
»  e  discendenti;  nessun  Guglielmo  nessun  Adalberto  o  Be- 
»  rengario  o  Anscario  noverano  gli  umbertini.  »  A  me  sembra 
che  la  conclusione  dell'egregio  autore  sia  perfettamente  logica, 
e  che  egli  sia  riuscito  benissimo  a  provare  che  l'esule  figliuolo 
di  re  Adalberto,  Ottone  Guglielmo  conte  di  Borgogna,  non 
potè  essere  il  padre  del  Biancamano.  Ma  Tofiicio  del  critico 
non  si  deve  sempre  limitare  a  distruggere;  bisogna  talora 
che  egli  coi  materiali  degli  edifizi  da  lui  demoliti  si  provi 
di  ricostruirne  di  altri  che  meglio  reggano  sui  fondamenti 
e  meglio  rispondano  alle  esigenze  dell'arte.  Ciò  con  non  poco 
studio  ed  industria  ha  procurato  di  fare  il  signor  Carutti; 
ed  ora  vuoisi  che  noi  ci  tratteniamo  alquanto  a  considerare 


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—  347  — 
se  egli,  come  ba  potuto  dimostrare  erronee  le  altre  conget- 
ture sullorigine  della  real  casa  di  Savoia^  sia  egualmente  arri- 
vato ad  escogitarne  un'altra  che  non  offra  come  quella  alcun 
punto  debole  agli  attacchi  della  critica. 

Persuaso  che  «  il  nome  di  Amedeo  h  il  nome  stipite  della 
»  casa  Umbertina,  e  che  il  nome  di  Umberto^  appartenuto 
A  dapprima  ad  un  secondogenito  passò  nel  primogenito  alla 
j>  seconda  generazione  »  (pag.  148-49),  il  Carutti  nei  documenti 
borgondici  del  secolo  decimo  prende  a  cercare  qualche  Amedeo 
che  senza  offendere  la  cronologia ,  potesse  essere  verisimile 
mente  il  progenitore  degli  Umbertidi;  e  crede  dì  averlo  trovato 
in  un  Amedeo  firmato  in  un  placito  delPanno  926  in  cui  Anselmo 
conte  del  pago  equestrino  e  Ugo  conte  del  sacro  palazzo  di  Ro- 
dolfo li  re  di  Borgogna^  sedendo  a  parlamento  in  s.  Gervasio 
fuori  delle  mura  di  Ginevra,  difiniscono  una  controversia  ri- 
guardante certi  beni  posti  nella  contea  di  Njon.  Trovato  l'a- 
tavo del  Biancaroano  in  questo  Amadeo,  il  Carutti  si  da  in 
traccia  di  un  Umberto  che  ne  possa  essere  Tavo,  e  questo  pure 
gli  viene  facilmente  fatto  di  rinvenire  in  un  Umberto  che  fu 
presente  a  un  giudizio  proferito  da  Corrado  re  di  Borgogna 
nell'anno  943  in  favore  del  monastero  di  Cluny^  e  che  a  lui 
sembra  una  stessa  persona  con  un  Umberto  conte  mentovato 
in  due  carte  dell'anno  971  e  975.  Come  si  vede,  oramai  non 
manca  più  che  trovare  il  padre  del  Biancamano ,  e  questa 
non  h  molto  difficile  impresa.  Nel  977  Corrado  suddetto  re  dì 
Borgogna  prese  sotto  la  sua  protezione  i  beni  del  monastero 
di  s.  Teofredo  nel  pago  di  Valenza  e  di  Dies,  e  Tatto  fu 
firmato  da  parecchi  signori  del  regno  ^  fra  i  quali  il  conte 
Amedeo  e  il  conte  Umberto.  Quest'Umberto  che  si  sottoscrive 
dopo  Amedeo  al  signor  Carutti  non  sembra  l'Umberto  del  97i 
e  975  bensì  un  figlio  secondogenito  di  quello,  il  cui  primo- 
genito è  invece  il  conte  Amedeo  nel  quale  egli  ravvisa  il  padre 
del  Biancamano.  Sopra  di  queste  basi  il  nostro  autore  stabi- 
lisce il  seguente  albero  genealogico. 

Amedeo  il  vecchio  (926) 

I 

Umberto  il  vecchio  (943,  971,  975) 

I 

I  I 

Amedeo  il  maggiore  (977)  Umberto  di  Savoia  Bellej  (977) 
Umberto  I  Biancamano 


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—   348   — 

Riconosciamo  facilmente  che  l'ipotesi  del  signor  Carutti  oon 
contrasta  punto  con  la  cronologia,  ma  è  anche  d^uopo  rico- 
noscere che  essa  si  fonda  unicamente  sopra  di  un  nome  e 
«  luce  troppo  debole  h  un  nome  »  ,  avvertiva  il  Muratori  a 
proposito  di  uu  Amedeo  conte  di  palazzo  al  tempo  dell'im- 
peratore Lamberto,  dal  quale  taluno  voleva  far  derivare  la 
casa  di  Savoia;  ed  in  questa  sentenza  del  celebre  storico  il 
Carutti  stesso  pienamente  conviene  (pag.  ss).  Niente  ci  prova 
che  r  Amadeo  creduto  padre  del  Blancamano  fosse  figlio  di 
un  Umberto,  e  da  altra  parte  siffatti  nomi  non  sono  poi  cosi 
rari  Ha  dovere  necessariamente  far  credere  ad  una  agnazione 
in  chi  li  porta.  Oltre  all'Amedeo  conte  di  palazzo  di  cui  si 
e  detto  di  sopra  ,  e  ad  un  altro  Amedeo  che  nell'  anno  945 
si  adoprò  di  molto  per  promuovere  gl'interessi  di  Berengario 
allora  marchese  d*Ivrea,  quindi  re  d'Italia  (i)^  il  Muratori  ne 
rammentava  parecchi  altri.  Di  Umberti  poi  i  documenti  ne 
ricordano  moltissimi. 

La  ragione  dei  possessi,  che  sarebbe  del  certo  un  argo- 
mento di  non  poco  valore,  neppure  essa  suffraga  la  conget- 
tura del  Carutti,  imperocché  non  v'ha  alcun  documento  onde 
si  provi  che  l'Amedeo  da  lui  supposto  padre  del  Biancamano 
e  r  Umberto  e  1'  altro  Amedeo  creduti  avolo  e  bisavolo  di 
quello,  avessero  beni  nei  paesi  in  cui  quindi  signoreggiò  la 
casa  di  Savoia.  Difatti  T  Amedeo  che  il  Carutti  chiama  il 
Maggiore  nella  delta  carta  del  977  ,  unica  memoria  che  di 
lui  ne  rimanga,  appare  come  testimone  ad  un  privilegio  del 
re  Corrado  a  favore  del  monastero  di  s.  Teofredo;  cosi  l'Um-r 
berlo  il  vecchio  che  il  signor  Carutti  crede  padre  di  quest'A- 
madeo^  nei  documenti  è  mentovato  come  conte  del  Viennese. 

Anzi  qui  sarebbe  da  osservare  che  nella  carta  del  943  , 
in  cui  apparisce  per  la  prima  volta  quest'  Umberto  ancora 
senza  il  titolo  di  conte,  vi  h  pure  la  sottoscrizione  di  Leo- 
taldo  conte  di  Ma-^on,  il  quale^  come  ci  fa  sapere  il  barone 
Carutti^  avea  un  fratello  appunto  chiamato  Umberto,  che  può 
essere  benissimo  quegli  che  si  sottoscrìsse  con  lui ,  e  che  , 
diventato  quindi  assai  verisimilmente  conte  del  viennese ,  è 
ricordato  nelle  citate  carte  .del  971  e  975.  E  perclie  dalla  fa- 
miglia dei  conti  di  Magon  non  discende  del  sicuro  la  real 
casa  di  Savoia^  il  filo  genealogico  dell'onorevole  Carutti  rimar- 
rebbe affatto  troncato.  Inoltre  circa  quest'Umberto  conte  del 
viennese  si  potrebbe  fare   un'  altra  supposizione  egualmente 

(i)  Muratori,  Annali  d'Italia,  an.  945. 


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—  349  — 
e  forse  anche  più  probabile.  Carlo  Costantino,  nipote  del  re 
Bosone  e  figlio  dell'orbo  imperatore  Lodovico,  ebbe  in  retaggio 
il  principato  di  Vienna,  e  fu  padre  di  due  figli,  Tuno  chiamato 
Riccardo,  Taltro  Uberto.  L'Umberto  conte  del  viennese  nel  971 
e  975  non  potrebbe  essere  appunto  il  secondogenito  del  prin- 
cipe Bosonide^  La  cronologia  consente,  e  la  ragione  dei  pos- 
sessi lo  confermerebbe  pur  essa.  In  tal  caso  l'Umberto  del  945 
non  potrebbe  più  essere  una  stessa  persona  col  conte  di  Vienna 
del  7i  e  75,  bensì  il  fratello  del  conte  Leotaldo  di  Ma(;on. 

In  ogni  modo  parmi  evidente  che  Umberto  conte  del  Vien- 
nese non  abbia  avuta  alcuna  attinenza  col  Biancamano.  Quanto 
poi  all'Amedeo  cui  l'egregio  critico  da  il  predicato  di  vecchio 
e  reputa  atavo  del  Biancamano  ,  la  carta  del  926  in  cui  h 
soltanto  mentovato  con  altri  signori  della  Borgogna  ,  non 
mostra  punto  di  quale  regione  del  regno  egli  fosse. 

Se  dunque  io  non  m'inganno  del  mio  giudizio,  l'ipotesi 
del  barone  Carutti,  sebbene  stia  in  perfetto  accordo  con  la 
cronologia  e  ci  dia  sicura  prova  dei  lunghi  e  dilìgenti  studi 
da  lui  fatti  intorno  a  questo  argomento  ,  reggendosi  però 
unicamente  sopra  una  base  di  assai  dubbia  solidità,  qual  è 
quella  dell'  omonomia  ,  non  è  del  certo  di  tanto  valore  da 
risolvere  1*  antica  ed  ardua  questione.  Il  perchè  credo  mi 
sarà  permesso  di  cogliere  questa  occasione  per  mettere  fuori 
anche  io  un'altra  congettura  che  mi  si  era  presentata  alla 
mente  assai  prima  che  uscisse  il  libro  del  signor  Carutti  e 
che,  come  Io  prova  il  non  averla  abbandonata  dopo  la  let- 
tura dì  esso,  non  mi  sembra  neppure  adesso  del  tutto  indegna 
di  essere  proposta  all'esame  degli  studiosi. 

Oltre  a  re  Adalberto,  padre  di  quell'Ottone  Guglielmo 
che  per  le  ragioni  della  madre  Gerberga  e  il  favore  del  pa- 
trigno Enrico  di  Borgogna  salì  a  grande  stato  di  la  dei  monti, 
Berengario  II  re  d'Italia  ebbe  pure  due  altri  figli,  Guido  e 
Corrado.  Guido  mori  presso  il  Po  nell'anno  965  combattendo 
contro  Burcardo  duca  degli  Alemanni  mandato  da  Ottone  I 
a  reprimere  gli  ultimi  conati  d'indipendenza  in  Italia;  Cor- 
rado sopravvissuto  alla  rovina  della  sua  famiglia  venne  indi 
a  patti  col  monarca  tedesco  da  cui  potè  ottenere  qualche 
stato.  Quorum  bidone  interfecto  Conone  pactione  quieto 
Adalbertus  ecc.  :  scrive  Arnolfo  nella  sua  Historia  Mediai. 
lib.  I,  e.  8  (i).  E  difatti  da  una  donazione  dell'anno  987  che 
si  conserva  nell'  archivio   dei   canonici  di  Vercelli  e  che  fu 


(1)  R.  I.  S.  t.  IV. 

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—  350  — 
pubblicata  dal  Provana  (t)  rileviamo  che  in  quell^anno  il  detto 
Corrado  era  marchese  d'Ivrea,  marchesato  che,  come  h  noto, 
era  stato  già  tenuto  dai  suoi  antenati.  Corrado  chiamato  anche 
Cona,  Conone  e  Dadone,  si  sposò  con  Ichilda  figlia  di  Arduino 
Glabrione  conte  di  Torino,  ed  oltre  ad  alcuna  femmine  ebbe 
da  lei  tre  maschi,  cioè  Arduino,  che  fu  re  dltalia,  Amedeo 
e  Vi  berlo  od  Uberto. 

Amedeo  h  mentovato  insieme  col  fratello  Ardoino,  jàr- 
duinum  et  Amedeum  fratrem  ejus  nella  scomunica  lanciata 
contro  di  essi  dal  vescovo  d' Ivrea  nell'  anno  997  o  998  (2). 
Di  Uberto  si  fa  parola  in  un  placito  tenuto  a  Pavia  ai  14  di 
ottobre  del  iooi  da  Ottone  conte  del  sacro  palazzo  e  presie- 
duto da  Ottone  III  imperatore,  al  quale  assistette  tra  gli 
altri  primati  del  regno  t^ibertus  Comes  fUius  b.  m.  Dodonis  (z); 
lo  vediamo  quindi  sottoscritto  in  una  donazione  di  Ottone 
figlio  di  Arduino  a  favore  della  chiesa  di  s.  Siro  di  Pavia: 
Io  si  trova  compreso  nella  sentenza  di  Enrico  II  imperatore 
data  Tanno  ioi4  contro  molti  seguaci  del  re  Arduino^  e  fi- 
nalmente in  una  carta  dell'anno  i0&9,  con  la  quale  Olderico 
Manfredi  marchese  di  Torino  fa  ricca  donazione  al  monastero 
di  s.  Giusto  in  Susa,  vi  h  signum  manibus  f^iutberti  Corniti 
et  Hudoni  lege  sfis^entes  salica  testes. 

Qui  osserviamo  che  il  modo  con  cui  sono  segnati  quei 
due  testimoni  Uberto  e  Oddone,  ambi  lege  salica  uiventes, 
mostra  esservi  certamente  agnazione  tra  loro^  e  forse  trat- 
tarsi di  padre  e  figlio.  Dunque  nella  famiglia  di  Arduino 
troviamo  tre  dei  primi  e  principali  nomi  della  casa  di  Sa- 
voia, Umberto,  Amadeo  e  Oddone.  È  anche  questa  una  strana 
coincidenza  di  nomi ,  o  non  piuttosto  un  forte  indizio  che 
tra  la  famiglia  dellultimo  re  d*ltalia'  italiano  e  quella  di  Sa- 
voia v'abbia  una  stretta  attinenza?  Consideriamo  che  le  pa- 
rentele tra  questi  Umberti  e  questi  Amedei  e  Oddoni  non  e 
già,  come  quella  fra  gli  Umberti  e  gli  Amedei  trovati  dal 
signor  Garutti,  affatto  ipotetica,  bensì  certa  e  provata  da  do- 
cumenti irrefragabili.  Umberto  e  Amedeo  sono  i  nomi  di  due 
fratelli  di  Arduino;  Oddone  o  Dadone  è  quello  del  padre  di 
lui  e  di  un  suo  figlio ,  e  forse ,  come  abbiamo  veduto ,  di 
un  figlio  del  suo  fratello  Umberto. 


(1)  Studi  critici  sulla  itoria  d"  Italia  ai  tempi  del  rt  AtduiiM ,  docu- 
mento N.o  1. 

(2)  Provana,  oper.  cit.  docam.  N?  9. 

(3)  Muratori,  Jnl.  Eitemi^  part.  II. 


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—  35i  — 
Di  più  sappiamo  che  la  madre  di  Arduino,  Icbilde,  era 
della  famiglia  dei  marchesi  di  Torino;  e  nella  contesa  che 
Arduino  ebbe  a  sostenere  contro  Enrico  II  il  suo  cugino 
Olderico  Manfredi  marchese  di  Torino  e  nepote  d*lchilde  fu 
ora  aperto  ora  celato  ma  sempre  costante  suo  partigiano. 
Morto  Arduino,  nell'anno  ;i029  il  fratello  Umberto  e  il  costui 
£glio  Oddone  li  troviamo  in  Susa  presso  la  corte  del  cugino 
Manfredi,  altra  prova  della  buona  relazione  che  proseguiva 
a  essere  tra  quelle  due  famiglie.  Ebbene,  la  figlia  ed  erede 
di  Manfredi,  la  famosa  Adelaide  si  sposò  con  Oddone  figlio 
di  Umberto  Biancamano  ,  e  questo  fatto  sembra  ci  porga 
un  altro  valevole  indizio  per  ritenere  assai  probabile  che 
quest'Umberto  progenitore  della  real  casa  di  Savoia  sia  stato 
appunto  il  fratello  di  Arduino. 

La  tradizione  antichissima  che  attribuisce  origine  regia 
alla  casa  di  Savoia,  e  che  viene  confermata  dalle  parole  di 
s.  Pier  Damiano  alla  contessa  Adelaide,  e  da  quelle  che  si 
leggono  nell'atto  di  fondazione  di  s.  Maria  di  Óyse  nel  1036 
concorre  anche  essa  a  dar  forza  a  questa  congettura.  E  ve- 
ramente è  un  po' difficile    a    credersi  che  se  Umberto  fosse 
stato  soltanto  un  privato.  Berta,  figlia  del  suo  figlio  Oddone, 
potesse  essere  elevata    al    talamo  di  Enrico  IV  imperatore  , 
caso  maraviglioso  davvero  se  si  vuole  tenere  conto  della  gran- 
dezza in  cui,  quando  esso  avvenne,  era  la  real  casa  di  Fran- 
conia,  e  se  si  consideri  non  avervi  altri  esempi  in  quéi  tempi 
che  un  imperatore  nato  di  padre  anch'esso  imperatore  si  spo- 
sasse a  donna  che  non  fosse   di   sangue  reale  (i).   Anche  il 
titolo  assunto  dagli  Umbertidi  e  costantemente  da  loro  rite- 
nuto di  marchesi  d'Italia,  vale  ei   pure  a  rafforzare  quest'ipo- 
tesi, potendo  mostrare  come  essi  congiungendo  il  loro  nome 
a  quello  della  penisola  volessero  tener  viva  la  memoria  del 
dominio  altre  volte  esercitato  su  di  essa  dalla  loro  famiglia. 


(1)  Principiando  dagli  Ottoni»  osserviamo  che  la  prima  moglie  di  Ottone  I 
fu  Edita  figlia  di  Edoardo  I  re  d'Inghilterra;  la  seconda  Adelaide  figlia  di 
Rodolfo  II  re  di  Borgogna  e  vedova  di  Lottarlo  re  d'Italia.  Moglie  di  Ottone  II 
fu  Teofania  figlia  di  Romano  imperatore  d'Oriente.  Ottone  III  non  ebbe 
moglie.  Vero  è  che  Cunegonda  moglie  di  Enrico  li  non  fu  di  sangue  reale, 
essendo  nata  di  Sigifredo  conte  di  Lucemburgo  ;  ma  è  da  considerare  che 
quando  Enrico  la  sposò  egli  non  era  imperatore,  ami  non  aveva  alcuna  spe- 
ranza di  poterlo  essere  mai»  essendo  ancora  in  vita  Ottone  III  ben  più  gio- 
vane di  lui.  Anche  la  moglie  di  Corrado  il.  Salico  »  Gisla  iglla  di  Ermanno 
duca  di  Alemagna»  non  fu  di  sangue  reale»  ma  anch'essa  si  sposò  a  Corrado 

auando  questi  non  era  peranche  re.  Enrico  III  ebbe  due  mogli;  Cunichilde 
glia  di  Canuto  re  d'Inghilterra»  e  Agnese  figlia  di  Guglielmo  potentissimo 
duca  di  Aquitania  e  conte  di  Poitiers»  ed  a  cui  per  essere  re  non  mancava 
altro  che  il  titolo. 


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—   352    — 

Come  Tesule  prole  di  re  Adalberto  trovò  rifugio  nel  regno 
di  Borgogna,  cosi  molto  verìsimilmente^  morto  Arduino,  in 
quel  medesimo  reame  cercò  ed  ebbe  ospitalità  il  suo  super- 
stite fratello  Umberto.  11  suo  cugino  Ottone  Guglielmo  pos- 
sedeva allora  uno  dei  maggiori   feudi  di  quello  stato ,    ove 
egli  sì  per  la  propria  virtù  e  sì  per  la  dappocaggine  del  re, 
era  venuto  a  tanta  potenza  che  reggeva  lo  stato  da  padrone 
Rodolfo  di  nome  (l).   Uno  dei  primi  documenti  che  si  può 
con  sicurezza  riferire  ad  Umberto  Biancamano  è  quello  già 
di  sopra  citato  dell'anno  1025  in  cui  apparisce  conte  di  Aosta. 
È  facile  che  egli,  mediante  il  favore  del  potentissimo  cugino, 
fosse  stato  investito  di  quella  contea,  la  quale,  allora  com- 
presa nel  reame  di  Borgogna,  avea  già  fatto  parte  del  mar- 
chesato d*  Ivrea  antico  retaggio  della   sua    famiglia.  Finché 
durò  in  vita  Enrico  II  imperatore,  nulla  ci  prova  che  Um- 
berto parteggiasse  per  lui  nelle    guerre  che  quegli   ebbe  a 
sostenere  contro  i  signori  borgognoni  ,    mal  soffrenti  che  il 
loro  regno  dovesse  cadere  in  balìa  di  un  sovrano  straniero. 
Anzi  non  è  improbabile  che  egli  in  quelle  rivolture  seguisse 
le  parti  del  suo  parente  e  protettore  Ottone  Guglielmo,  che 
era  il  principale    oppositore    di    Enrico  sì  per  odio  alla   fa- 
miglia di  Sassonia  che  avea  privato  il  padre  del  regno  d'Italia, 
e  sì  perchè  mirava  a  succedere  al  debole  Rodolfo  nel  reame 
della  Borgogna.  Però  morto  Enrico,  morto  Ottone  Guglielmo, 
e  succeduto  a  quello  sì  nell*  impero   come    nelle  pretensioni 
sulla  Borgogna  Corrado  il  Salico,  il  conte  Umberto,  di  ac- 
cordo con  la  regina  Ermengarda  moglie  di  Rodolfo  III,  prese 
a  favorire  gl'interessi  di  Corrado  e  a  combattere  efficacemente 
per  lui.  Umberto,  che  accorto  e  avvisato  uomo  era,  di  leg- 
gieri si  avvide  che  non  era  probabile   opporsi  alla  potenza 
dell'ipiperatore,  e  forse  a  luì  come  ad  altri  signori  borgognoni, 
similmente  ai  grandi   vassalli  d'Italia  al  tempo  d'Arduino, 
tornava  meglio  che  il  regno  venisse  in  potere  di  un  principe 
lontano  e  che  vi  avrebbe  fatto  breve  e  forse  nessuna  dimora, 
anziché  di  uno  nazionale;  e  però  preferì  la  causa  di  Corrado 
a  quella  del  suo  competitore  Oddone    conte  di  Sciampagna. 
E  ben  gli   tornò;  n'ebbe  concessioni  di  molti  benefizi,  la  ca- 
rica di  contestabile,  e  quindi  il  rettorato  del  regno. 

Facilmente  prevediamo  un'obbiezione  che  a  primo  aspetto 
può  parere  assai  forte.  In  una  carta  di  donazione  alla  chiesa 
d'Ivrea  dell'anno  i094  Umberto  II  pronipote  del  Biancamano 

(1)  Carutti»  oper.  cit.  pagt  20. 


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—  353  — 
scriveva  :  ego  Ubertiis  flly  quondam  Amedeo  qui  professo 
sum  ex  nacione  mea  lege  vivere  romana.  Ora  è  noto  che 
gii  Ardoinici  professarono  invece  la  legge  salica;  quindi  la 
differenza  della  legge  potrebbe  reputarsi  come  sufficiente  ar- 
gomento per  provare  la  diversità  pure  della  famìglia. 

Peraltro  a  questa  obbiezione  non  mi  sembra  che  possa 
mancare  soddisfacente  risposta,  È  noto  che,  specialmente  dopo 
Carlomagno  ,  ciascuno  poteva  scegliere  la  legge  secondo  la 
quale  voleva  vivere;  quindi  la  possibilità  che  il  conte  Um- 
berto abbandonasse  la  legge  salica  per  la  romana  non  può 
esser  negata ,  ed  il  signor  Carutti  anch*  esso  implicitamente 
]*  ammette.  Però  egli  non  ne  concede  egualmente  la  proba- 
bilità, poiché  «  la  legge  franca -dice  egli -era  legge  onorata^ 
»  legge  rispettata,  legge  dei  padroni,  dei  vincitori  del  5S4. 
»  Chi  per  natali  la  professava  non  l'avrebbe  abbandonata 
»  avendo  molte  ragioni  per  conservarla  nessuna  per  cam- 
j»  biada.  Era  segno  di  sovranità,  legame  di  vasta  fratellanza, 
»  sangue  del  sangue  nazionale.  La  legge  sospetta,  nimicata 
»  dal  clero  era  la  Gundobada.  L'arcivescovo  di  Lione  Ago- 
D  bardo  nella  sua  petizione  a  Lodovico  il  pio  esagerandone 
ji  i  difetti  domandava  che  i  Borgognoni  fossero  costretti  di 
3)  abbracciare  la  salica:  Si  autem  placuerit  Domino  nostro 
»  sapientissimo  imperatori  ut  eos  trasferret  ad  legem  Fran- 
»  corum  eo  ipso  nobiliores  éfflceretur...  Se  i  maggiori  di 
»  Umberto  I  fossero  stati  di  legge  salica,  egli  ed  i  suoi  di- 
»  scendenti  1*  avrebbero  conservata.  »  Questo  ragionamento 
del  signor  Carutti,  ingegnoso  e  sottile  a  dir  vero,  vuol  essere, 
mi  pare  ,  alquanto  esaminato.  I  Borgognoni  quando  nel  456 
occuparono  quella  parte  della  Gallia  cui  dettero  poi  il  nome, 
usarono  mitemente  della  conquista,  e  nonché  opprimere  grin- 
digeni  coabitarono  concordi  con  loro.  Borgognoni  e  Romani 
prescrive  il  loro  codice,  siano  di  una  stessa  condizione  (i); 
quindi  eguaglianza  di  dritti  e  d' imposizioni  ;  facoltà  anche 
per  ì  romani  di  ascendere  alle  prime  dignità  dello  stato;  e 
difatti  nella  legge  loro  si  trova  scritto  sovente  :  Bomanus 
Comes  vel  Burgundio...  Omnes  comites  tam  Burgundiones 
quam  Romani.  Due  codici  vigevano  nel  regno  burgundico, 
uno  per  i  borgognoni,  l'altro  per  i  romani;  e  la  legge  ro- 
mana aveva  ispirato  più  volte  il  legislatore  borgognone,  che 
da  essa  prese  pure  Videa  di  confermare  e  ampliare  l*antorìtà 
monarchica  menomando  le  prerogative  dell'assemblea  popolare 

(1)  Burgucdos  et  Romanos  una  conditione  tenuntur»  Tit  XI. 


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—  854  — 
e  i  privilegi  del  clero,  amplissimi  invece  ia  altri  codici  bar- 
bari, massime  ia  quello  dei  Visigoti.  Quando  nel  5S4  i  fra- 
telli Childeberto  e  Clotario  re  dei  Franchi  occuparono  e  si 
divisero  la  Borgogna  vi  lasciarono  sussistere  le  consuetudini 
anticlie^  come  vi  rimase  intatta  Tantica  popolazione.  Forse, 
come  accadde  in  Italia  dopo  l'invasione  di  Garlomagno,  qualche 
signore  franco  si  sarà  stabilito  in  Borgogna,  ma  il  grosso  dei 
grandi  e  della  popolazione  continuò  a  esser  costituito  dai 
borgognoni  e  dai  gallo-romani.  I  quali,  che  per  i  buoni  rap- 
porti SI  lungo  tempo  durati  fra  loro,  avevano  ormai  formato 
un  popolo  solo,  perduta  la  propria  indipendenza  per  opera 
dei  Franchi,  conservarono  sempre  malo  animo  verso  di  questi 
e  aperta  contrarietà  alle  leggi  loro  ;  di  guisa  che  quando 
Lodovico  il  Pio^  cedendo  alle  sollecitazioni  del  clero,  abolì 
la  legge  Gombetta  stata  a  quello  sempre  mal  gradita,  la  po- 
polazione borgc^nona,  anziché  adottare^'  la  legge  degli  odiati 
conquistatori,  preferì  di  reggersi  secondo  quella  romana,  la 
quale^  ce  lo  dice  lo  stesso  signor  Carutti:  ^  divenne  comune 
»  COSI  agli  abitanti  di  nazione  burgondica  come  ai  gallo- 
»  romani  »  (pag.  59).  Quando  l'impero  franco  di  Carlomagno 
venne  ai  deboli  successori  di  lui,  i  molti  elementi  eterogenei 
cbe  lo  componevano  e  che  dalla  sua  mano  poderosa  erano 
stati  costretti  a  una  forzata  associazione  ,  presto  tornarono 
a  dividersi;  e  i  Borgognoni,  profittando  della  propizia  occa- 
sione si  tolsero  anche  essi  della  soggezione  dei  Franchi  e 
ricostituirono  il  regno  loro. 

Rivendicata  cbe  essi  ebbero  la  propria  indipendenza,  la 
legge  salica  anziché  essere  più  un  segno  di  sovranità j  legge 
onorata^  legge  rispettata  come  al  tempo  di  Lodovico  il  Pio, 
era  legge  odiata,  la  legge  degli  antichi  padroni,  dei  conqui- 
statori del  534^  era  un  ricordo  di  una  gravissima  sciagura 
sofferta,  di  un  grande  avvilimento  patito,  un'offesa  all'amor 
proprio  nazionale;  mentre  al  contrario  la  legge  romana,  quasi 
universalmente  seguita  da  parecchie  generazioni  e  tenuta 
come  vincolo  di  fratellanza  ira  i  conquistati  durante  la  mal 
sofferta  dominazione  dei  Franchi,  era  divenuta  la  legge  della 
nazione.  Quindi  il  conte  Umberto,  che,  esule  dall'Italia,  era 
venuto  in  Borgogna  a  ricercarvi  ospitalità  ,  e  I'  avca  eletta 
a  sua  seconda  patria,  e  intendeva  ad  ottenere  onorevole  posto 
tra  i  magnati  del  regno,  aveva  tutto  l'interesse  di  non  urtare 
il  sentimento:  nazionale  del  popolo  in  cui  vivea  ,  bensì  di 
conciliarselo  e  di  amicarselo  uniformandosi  ai  suoi  costumi 
ed  alle  sue  consuetudini.  Perciò  niente  di  più  facile  che  egli 


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—    S55    — 

cambiasse  la  legge  salica  per  quella  romana;  la  legge  invisa 
per  quella  nazionale,  e  se  ciò  fu,  agevolmente  si  spiega  perchè 
quasi  un  secolo  dopo,  un  suo  pronepote,  il  conte  Umberto  II, 
affermasse  di  professare  per  nascita  la  legge  romana:  professo 
sum  ex  nacione  mea  lege  solvere  romana. 

Non  pretendo  io  già  di  essere  riuscito  a  sciogliere  defi- 
nitivamente la  questione  ,  e  a  rispondere  trionfalmente  a 
un  interrogativo  intomo  al  quale  si  sono  affaticati  uomini 
tanto  maggiori  dì  me  per  dottrina  e  per  senno.  Ma  mentre 
riconosco  senza  esitanza  che  i  documenti  finora  cogniti  non 
bastano  a  provare  questa  nuova  congettura,  mi  sembra  però 
che  essa  si  appoggi  sopra  argomenti  forse  di  maggior  peso 
e  solidità  che  quelli  recati  a  sostegno  delle  altre.  Di  ciò  pe- 
raltro non  posso  essere  giudice  io,  bensì  quei  cortesi  cui  non 
sarà  di  soverchia  noia  il  prendere  ad  esame  le  cose  da  me 
discorse,  e  fra  quali  mi  è  grato  sperare  che  vorra  essere  pure 
Y  illustre  storico  il  cui  recente  lavoro  ha  dato  occasione  a 
questo  scritto.  Il  suo  retto  giudizio,  la  sua  profonda  cono- 
scenza della  storia  dei  nostri  re  e  il  suo  cognito  amore  del 
vero  mi  assicurano  a  ritenere  per  fermo  che  egli,  se  rico- 
noscerìi  buone  le  mie  argomentazioni,  vorrà  e  potrà  confor- 
tarle e  sostenerle  con  altre  assai  più  di  quelle  efficaci  e  con* 
eludenti,  ovvero,  se  le  ravviserà  mal  fondate,  saprà  di  leg* 
gieri,  con  prove  e  ragioni  incontestabili  e  decisive,  confu- 
tarle ed  abbatterle  compiutamente. 

Frangbsco  Labruzzi  di  Nbxwa 


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—    556    — 

LIX« 

DESCRIZIONE 

DI  TUTTE  LE  COLONNE  ED  OBELISCHI 

CHE  TROYANSI  NELLE  PIAZZE  DI  ROMA 

DISPOSTA   IN   FORMA   DI   GUIDA 
DA    ANGELO    PELLEGRINI 

MBMBtO   DELI'IHITITUTO    DI   COtBISPOHDKHSA    ABCBBOLOOICA 

CotUinuaxioM  (i) 


OBELISCO  DELLA  PIAZZA  DEL  POPOLO 

Fu  detto  allorché  si  trattò  dell*  obelisco  sulla  piazza  di 
Montecitorio,  come  ambedue  queste  moli  fui*ono  le  prime  ad 
essere  condotte  in  Roma  da  Eliopoli  V  anno  744  di  Roma  , 
9  delFera  volgare.  Augusto  che  le  trasportò,  destinò  questo 
obelisco  ad  ornamento  della  spina  del  Circo  Massimo.  Plinio 
nel  libro  XXXVl,  cap.  9,  dice  che  tale  obelisco  fu  tagliato 
dal  re  Semneserte  ,  a' tempi  del  quale  viaggiò  Pittagora  in 
Egitto,  e  gli  da  di  altezza  125  piedi  e  9  oncie,  oltre  la  base 
ossia  il  piedestallo  di  granilo,  dicendo:  excisus  est  a  rege 
SemenpserteOj  che  non  sembra  certamente  errore  dei  copisti. 

I  cartelli  però  danno  il  nome  di  Ramses  IH  ossia  Sesostri 
che  regnava  in  Egitto  dieci  secoli  prima  di  Pittagora ,  cioè 
l'anno  1565  avanti  l'era  volgare,  mentre  il  nominato  viaggio 
fu  circa  Tanno  560  innanzi  di  essa,  cioè  sotto  T ultimo  Fa- 
raone. Ammiano  Marcellino  (2)  però,  dopo  avere  indicato  il 
trasporto  dei  due  obelischi^  riferendo  la  interpretazione  delle 
iscrizioni  geroglifiche  fatta  in  greco  da  Ermapione,  ne  mostra 
autore  Ramesse. 

Le  vicende  di  quest'obelisco  sono  comuni  con  quelle  dellV 
belisco  lateranense  descritto,  onde  rimando  a  ciò  che  di  esso 
ne  fu  notato  in  principio.  Esso  fu  trovato  da  Matteo  da  Ca- 
stello circa  2  metri  sotterra,  e  come  laltro  fu  risarcito,  tra- 
sportato ed  eretto  dall'architetto  Domenico  Fontana  d'ordine 
di  Sisto  V  Tanno  1587.  Era  rotto  in  due  pezzi,  ed  insieme 
con  questi  fu  ritrovato  il  piedestallo  antico,  sul  quale  venne 
innalzato  di  nuovo  nella  piazza  del  Popolo. 


(1)  Vedi  Quaderno  precedente,  pag.  332. 

(2)  Lib.  XVII,  cap.  4. 


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—   357   — 

La  iscrizione  di  Augusto  ripetuta  in  due  lati  dell'  obe- 
lisco è  eguale  a  quella  dell'altro  ora  sulla  piazza  di  Monte 
Citorio^  e  qui  la  riportiamo  di  nuovo: 

INP  •  CAESAR  .  DIVI  •  F. 

AVGVSTVS 

POlfTlFEX^  MAXIMVS 

IMP.    Xìl.    COS.    XI    TRIB.    POT.    XIV 

AEGYPTO  .  IR  •  POTESTATEM 

POPVLI  •  ROMANI  •  REDAGTA 

SOLI    DONVM    DEDIT 

Delle  iscrizioni  di  Sisto  V»  la  prima  nella  faccia  orientale  dice: 

ANTE  .  SACRAM 

lUIVS  •  AEOEM 

AVGVSTIOR 

LAETIORQVE  •  SVRGO 

GVIVS  •  EX  .  VTERO 

VIRGINALI 
>VG  •  IMPERANTE 
T^OL  .  IVSTITIAE 
EXORTVS  .  EST 

L*ìscrizione  principale  a  settentrione  ricorda  lopera  di  Sisto  V 
che  lo  fece  cavare  rotto  in  pezzi  nel  Circo  Massimo ,  tra- 
sportare e  ridurre  nella  forma  primitiva  ,  e  che  lo  dedicò 
alla  Croce  invittissima: 

SIXTVS    V.    PONT.    MAX 

06ELISCVM   HVNG 

A    CAES  •  AVG  •  SOLI 

IN    CIRCO    MAX.    RITV 

OICATVM    IMPIO 

MISERANDA    RVINA 

FRAGTVM    OBRVTVMQ. 

ERVl    TRANSFERBI 

FORMAR   8VAE   REDDI 

CRVCIQ  •  INVICTIS8. 

DEDICARI    IV8SIT 

A  .  M  •  D  .  LXXXIX  .  PONT  «  IV 

Per  errore  dei  copisti  non  è  esatta  la  misura  che  da  Plinio 
nel  luogo  citato,  cioè  di  piedi  LXXXV  ed  un  dodrante»  riguardo 

48 


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—    138  — 

alla  sua  altezza  (i),  méntre  è  alto  circa  79  piedi,  ed  esatta- 
mente metri  23  j~  il  solo  fusto  non  compresa  la  base , .  la 
croce  di  metallo  ed  altri  accessori  moderni. 

Sulla  piazza  del  Popolo  Sisto  V  aveva  fatto  innalzare  una 
bella  fontana  co'disegni  di  Giacomo  della  Porta,  composta 
di  una  bella  tazza  di  marmo  salino  formata,  come  dicevasi, 
colla  base  di  una  delle  colónne  che  Sostenevano  il  frontispizio 
della  casa  aurea  di  Nerone  (2).  Siccome  però  questa  fontana 
rimaneva  presso  1*  obelisco  ,  coisi  allorquando  d'  ordine  di 
Leone  XII  fu  questo^  circondato  da  una  gradinata  quadra  , 
venne  tolta,  ed  in  sua  véccf  furoiH)  sostituite  le  quattro  negli 
angoli.  Si  eressero  da  Leone  XII  circa  Tanno  1824,  servendosi 
deirarchitetto  Giuseppe  Valàdier.  Esse  si  compongono  d*ana 
vasca  rotonda  di  travertino  in  cui  cade  Tacqua  dalla  bocca 
di  un  leone  di  marmo  bianco,  scolpito  sullo  stile  egizio,  e 
collocato  su  d'un  imbasamento  formato  da  sette  risalti  qua- 
drilunghi che  s'innalzano  quasi  in  forma  piramidale. 

Riguardo  al  nome  di  Raihses  III,  delle  sue  mogli  e  dei 
figli,  veggasi  il  Rosellini  Monumenti  detV Egitto  e  della  Nubia^ 
parte  I,  pag.  256  e  seg.,  ed  i  cartelli  a  pag.  X  in  fine  dei 
quali  è  uno  del  re  suddetto. 

Lasciando  da  parte  di  riportare  la  versione  in  italiano 
della  traduzione  in  greco  delle  iscrizioni  geroglifiche  di  questo 
obelisco  fatta  da  Ermapìone  di  cui  si  ^  parlato  di  sopra,  ve- 
niamo all'interpretazione  riportandola,  per  quanto  si  può, 
dall'opera  dell'Ungarelli  citata. 

FÀCCiA    OCCIDENTALE  -  PiRAMIDE 

Vedesi  seduto  Menphtah  I  oon  mitra  in  testa^  o  proprio 
diadema  Phta-Sokaris^  innanzi  a  cui  è  f immagine  simbolica 
ésfe/Z'Androsphingis.  Le  iscrizioni  dicono  sopra  queste  figure. 

Detto:  attribuiamo  a  te  tutta  la  tutela^  Atbmù  dio  signore 
dell'uno  e  Valtro  tratto  della  occidentale  regione. 

Dio  benefico  sole  di  giustizia  firmamento;  figlio  del  sole 
amico  Phtah  Nubnubei  dando  la  vita,  la  stabilità  la  purità. 

Forza vita  in  esso. 

Forza     .      .      .     é     .     vita^  purità  in  esso  tutta. 


(1)  Così  Plinio  NaL  tìùt.  edii.  tiamburgi  et  tìolhae  MDCCCLL  Voi.  V, 
pag.  324,  cap.  IX. 

iV  Yed.  V«cca ,  Memoria  n.  78f.  Così  cbiamavaiio  il  tempio  del  Sole 
eretto  da  Aureliano  sol  Quirinale»  di  cui  rimanevano  avanzi  nel  giardino  Co- 
lonna, che  iretirieró  distruUt  (fa  Urbano  Vili. 


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—    359   — 

Capitolo; 

Vistesso  re  Menphtah  \  colle  insegne  Phtah-Sokar  sup- 
pliches^ole  acanti  al  dio  offre  a  lui  in  msi. 

A  destra  sopra  il  re: 

Be  sole  di  giustizia  frmamentq  ;  fglio  def  spfe  t^pHfo 
Phtba-Nubnubei. 

A  sinistra  sopra  il  dio: 

Dona  la  vita  integra,  la  longanimità  tutta  Atfamù  si- 
gnore della  regione  ocpidentale,  signore  del  cielo. 

Sotto  i  donativi: 

Offre  i  profumi  (o  gli  incensi)  vari  al  padre. 

Colonna  di  mezzo 

Il  sacro  accipiter  (uccello  di  rapina,  o  avvoltojo)  mitrato 
a  somiglianza  di  Àthmà^  sta  sopra  il  vessillo,  come  nelle  quattro 
faccie  dell'obelisco  LateraneDse,  e  sempre  col  sottoposto  toro. 

Har-Oéris  forte  nel  sole^  amico  della  verità. 

Signore  della  superiore^  e  signore  della  inferiore  regione^ 
punì  le  terre  straniere  ,  trafisse  i  nemici  Mennabdm  (i) 
nemici. 

Oro  splendente  amico  del  solcj  il  nome  {di  lui  è)  am- 
plificatore delle  religioni. 

Be  sole  stabiliente  la  giustizia  arricchì  fa  regione  d^oc- 
cidente  cogli  obelischi^  e  Vabitazione  del  sole  (2)  inEliopoli. 

Partecipi  fece  dei  suoi  beni  gli  dei  del  gran  fempio 
per  la  retribuzione  dei  gaudi. 

Fece  il  figlio  del  sole  amante  o  diligente  £htab  amifio 
degli  altri  dii  che  abitano  nel  gran  tempio^  donatore  della 
vita  come  il  sole. 

Base: 

Quantunque  in  parte  Tantico  è  mancante^  restano  Jtraccie 
delle  figure  del  re  Menphtah  I  inginocchiato  avanti  la  figura 
del  dio  Phre  in  piedi,  a  cui  particolarmente  era  saicro  questo 
obelisco,  facendo  le  oblazioni  in  un  vaso. 

(!)  I  barbari,' e  coincide  colla  frase  di  Ermapione. 
(2)  Il  gran  tempio. 


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—   360   — 
A  destra  sopra  il  re:     ^ 

Amico  del  sole  gran  dio^  signore  del  cieloy  datore  della 
vita^  il  quale  {dio)  è  padrone  del  tempio. 

Har-Oéris  forte  come  Maadù  (i)  Re  moderatore  magna- 
nimOf  signore  dell'uno  e  l'altro  mondo^  sole  stabiliente  la 
giustizia^  donator  della  vita  in  perpetuo. 

Figlio  del  sole  della  progenie  di  esso,  dal  quale  si  ama. 
signore  dei  diademi  {%).  Amico  Pbtah  Nuboabei: 

A  sinistra  sopra  il  dio: 

Detto  da  Phre del  mondo  dio  grande; 

signore  del  cielo. 

Ti  consegnarne  i  mondi  in  possesso  ,  ti  ordiniamo  di 
gratificare  l'Egitto  superiore  (ed)  inferiore. 

'     FACCIA   OCCiDENTALS  -  CoLONNA    DESTRA 

Har-Oérisy  figlio  molto  potente  di  Atbmù. 

Sole  (3)  generato  dagli  deij  ridusse  i  mondi  nella  sud 
potestà. 

Re  sole  custode  della  verità  eletto  dal  sole  ,  figlio  del 
sole  di  Ammone  amico  Ramses. 

Oro  splendente  custode  degli  anni,  grande  per  le  vittorie. 

Signore  del  mondo  sole  custode  della  verità  eletto  dal 
solcj  figlio  del  sole  amico  di  Ammone  Ramses,  figUo  di  Thorè 
immortale. 

FACCIA   OCCIDBNTALB  -  CoLONNA    SINISTRA 

Har-Oérìs  prevalido  amico  della  verità. 

Signore  solenne  eguale  di  celebrare  come  il  padre  di 
lui  Phtah-Sokari. 

Re  sole  custode  della  verità  eletto  dal  sole  ,  figlio  del 
sole  di  Ammone  amico  Ramses,  signore  delta  regione  supe^ 
riore  ed  inferiore^  stabilitore  del f  Egitto ^  e  punitore  delle 
terre  degli  stranieri. 

Signore  deWuno  e  f  altro  mondo  sole  custode  della  ve- 
rità  eletto  dal  sole^  figlio  del  sole  di  Ammone  amico  Ramses, 
figlio  di  Tore,  donator  della  vita. 

(1)  Marito  della  dea  RUho. 

\2)  S' intende  dei  dominanti. 

(3)  SoUf  nome  usato  per  Faraone» 


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—   361    — 
TACCIA    MBRiDiONALE  -  PIRAMIDE 

Menphtah  I  colla  forma  di  una  sfinge  mitrata  che  fa 
offerte  al  dio  Pbrè. 

//  parlare:  doniamo  a  te  la  vita,  la  fermezza ^  la  pu- 
rità tutta. 

Pfarè  dio  grande  signore  del  cielo. 

Dio  buono  signore  delV Egitto  sole  stabiliente  la  giustizia  ^ 
figlio  del  sole  signore  delV Egitto  amico  di  Pfatah  Nubnubei. 

Forza vita  perfetta  in  esso. 

Forza vita^purità  integra  tutta  in  esso. 

Capitolo: 

Come  nella  faccia  occidentale  Menphtab  fa  adorazione^ 
ed  oblazione  al  dio  Pfarè. 

Dà  la  vita  lunga,  perfetta  e  tutta  la  tutela  (e)  la  piena 
vittoria. 

Sole  deir  uno  e  V  altro  mondo ,  dio  grande  ,  signore 
del  cielo. 

COLONNA    DI    MEZZO 

Har-Oéris  forte  che  le  terre  degli  stranieri  percuote 
colle  sue  vittorie. 

Signore  del  superiore  Egitto  ed  inferiore ,  fondatore 
della  sacra  fabbrica  in  perpetuo^  e  per  sempre. 

Oro  risplendente  {che)  perfeziona  il  sole  nei  suoi  diletti. 

Re  sole  stabilitore  della  giustizia  (di  cui)  il  simulacro 
nella  terra  Pone  dimora  (e)  fa  esso  pure  quello  per  Phrò 
signore  di  luij  le  cose  tutte  ^  il  cielo  e  la  terra  in  duplice 
gaudio  della  religione  di  lui. 

Per  quelle  cose  che  fa  il  figlio  del  sole  Menphptab  amico 
di  Phrè-to,  come  il  sole  in  perpetuo. 

Base: 

Qui  Menphtab  offre  il  doppio  vaso  contenente  il  vario 
profumo, 

A  destra  sopra  il  re: 

Amico  Phr^  del  dio  grande  sigjiore  del  cielo  che  abita 
nel  mezzo  del  gran  tempio. 

Haroeris  forte  vita  dell'Egitto^  /Je,  signore  delVEgittOy 
signore  il  tutto  delle  cose  operante^  signore  della  fortezza^ 
sole  stabiliente  la  giustizia. 


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362    — 

Figlio  del  sole  dai  bisarcavoli  diletto  di  lui  ,  signore 
dei  dominanti  servo  di  Phtali  Nubnubei. 

A  sinistra  sopra  il  dio: 

f^erbo  del  sole  .      .     del  mondoj  gran  dio^  signore 

del  cielo. 

Assegnamo  a  te  tutte  le  parti  della  terra ^  e  degli  stra- 
nieri tutti  in  possesso^  ti  comandiamo  di  beneficare  il  su- 
periore ed  inferiore  Egitto  j  a  somiglianza  del  sole  per  tutto 
il  tempo  sul  trono  Oro, 

FACCÌà    MSRIDiONALB  -  CoLONNA    DESTRA 

Haroéris  forte  figlio  Phtah-Sokaris, 

Signore  delV  Egitto  superiore  ed  inferiore ,  siabilitore 
delFEgiitOy  e  punitore  delle  terre  straniere^  re  sole  custode 
della  verità  eletto  dal  sole  9  figlio  del  sole  amico  di  Am- 
mone  Ramses, 

Furono  allegri  nella  terra  Pone  sotto  la  regia  potestà 
di  esso  (/.  e.)  signore  dell* una  e  V altra  parte  delP Egitto, 
sole  custode  della  verità  eiettò  dal  sole  ,  figlio  del  sole  , 
amico  di  Ammone  Ramses  donator  della  vita. 

HaFoérìs  valido^  della  verità  amico. 

Signore  solenne  giurisdizione  a  simiglianza  del  padre 
suo  Phtali-Sokaris  f  re  sole  custode  della  verità  scelto  dal 
sole,  figlio  del  sole  di  Aminone  amico  Ramses. 

Ihstituì  i  sacrifizi  agli  dei,  edificò  tempj  dei  medesimi 
de W una  e  V altra  regione,  sole  custode  della  verità  eletto 
dal  sohf  figlio  del  sole  di  Ammone  amico  Ramses  donator 
della  vita  a  similitudine  del  sole. 

f^erbo:  a  te  attribuiamo  la  tutela  di  Thorè  nel  centro 
della  sua  nave. 

Forza vita  in  esso^  tutto  {il  sole). 

Dio  buono  sole  firmamento  della  verità,  figlio  del  sole 
amante  Phtah  di  Mubnabei. 

Forza vita  nello  stesso  tutto  il  sole. 

Capìtolo: 

Supplichevole  Menphtah  I  offre  i  donativi  al  dio  Thorè 
(cioè  il  liquore  contenuto  in  due  vaselli). 

A  destra  dalla  parte  del  dio  legges}: 

Dà  la  vita  tutta-,  e  Ipi  magnanimità  (e)  sótto  gli  {auspict) 
di  Thorè  dio  grande  signore  del  cielo. 


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—   3M   — 
Sótto  i  donativi: 

Offre  al  padre  (suo). 

Colonna  di  mezzo 

Baroérìs  forte,  perfetto  nella  verità. 

Signore  del  superiore  Egitto  (ed)  inferiore^  Mandù  cu- 
stodiente  l'Egitto  delVorbe. 

Oro  splèndente^  sacerdote  di  Thorè,  re  iole  stabiliente 
la  giustizia  che  secondo  i  riti  consagrò  l*  edificio  (i)  nella 
sede  della  regione  Pone  in  perpetuità. 

Nel  fondamento  verso  ai  cardini  del  cielo  (2)  allo  sta- 
bile f  con  innumerevoli  giorni  a  .  .  .  .  deli'  oéchio 
alla  casa  del  sole  e  degli  altri  dei. 

Base: 

È  la  solita  offetta  dei  vasi  per  parte  di  Menpbta^  à  Phrè. 

A    destra  sopra  il  dio:    . 

Parola  Pi) rè  dell'uno  e  f altro  mondo  dio  grande. 

Doniamo  a  te  tutta  la  tutela  e  la  perfetta  magnani- 
mità^ che  siano  soggette  tutte  le  còse  .  .  .  .  ^.  •  . 
,  .  •  la  vita,  la  purità  intiera  .  .  .  come  il  sale 
in  perpetuo. 

A  sinistra  sopra  il  re: 

Haroéris  forte 9  figlio  di  Athmù  Be  signore  delf  Egitto, 
sole  firmamento  della  verità,  fié^lo  del  iùle^  si^horé  dèi  do- 
minanti  amante  Phtah  di  Nubntibei>  d&nàtòY  della  vita  èòfhe 
il  sole  in  perpetuo. 

FACCIA    A    TRAMONTANA  -  CoLÙNNA    DÈSTRA 

.Haroéris  forte,  che  ama  il  sole. 

Sole  seminato  dagli  dei,  alitnentàtoré  del  mondo,  i 

Re  sole  custode  della  verità  scelto  dal  sole ,  figlio  del 
sole,  amico  di  Ammone  Ramses,  gran  nome  netl  universo 
mondo  per  la  grandezza  delle  di  lui  vittorie^ 

Signore  deWEgitto,  sole  custode  della  verità  scélto  dal 
sole  j  figlio  del  sole ,  amico  di  Ammone  Ramses  ,  donator 
della  vita  a  somiglianza  del  sole. 


(1)  Il  grande  tempio  di  Eliopoli. 

(2)  Ai  quattro  venti. 


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S64   

FÀCCIA  A  TRAMONTANA -Colonna  a  sinistra 

Haroérìs  forte^  figlio  di  Nupti  (i). 

Oro  risplendente  custode  degli  annij  grande  per  le  vit- 
torie, re  sole  custode  della  irrita  eletto  dal  sole^  figlio  del 

sole  amico  di  Ammone  Ramses abitazione 

del  dio  OrO)  Àtbor,  colle  sue  magnificenze  sacre. 

Signore  delt  Egitto  sole  custode  della  verità  scelto  dal 
sole 9  figlio  del  sole^  amico  di  Ammone  Ramses,  donatore 
della  vita  in  perpetuo. 

FACCIA   ORI  B  NT  ALE  -  Pi  RAMI  DEI 

Vi  ^  la  stessa  rappresentanza  come  nella  faccia  occiden- 
tale^ cioè  Menphtah  coWandros finge  ecc. 

A  destra  sopra  ed  accanto  al  dio: 

Dice:  conferiamo  a  te  la  vita^  la  purità  j  Ammone  si- 
gnore  dell'una  e  r altra  regione  Poni:  stabilità  e  tutta  pu- 
rità in  esso. 

A  sinistra  sopra  il  re,  ed  accanto: 

Dio  buono  sole  custode  della  verità  scelto  dal  sole,  figlio 
del  sole^  amico  di  Ammone  Ramses,  donator  della  vita^  della 
stabilità i  della  purità. 

Forza vita  in  esso. 

Capitolò: 

Al  dio  Atmù  come  padre  suOj  offre  il  simulacro,  o  figura 
della  verità.  Sopra  la  testa  di  Ramses  III  è  la  sfera  del 
sole  colle  aure  ecc. 

A  destra  sopra  il  dio: 

Dà  la  vita  tutta  (e  perfetta  tutela 

Athmù  signore  di  Poni,  dio  grande^  signore  del  cielo. 

A  sinistra  sopra  il  re: 

Re  sole  custode  della  verità  eletto  dal  sole,  figlio  del 
solcj  amico  di  Ammone  Ramses. 

Sotto  il  donativo: 

Dà  per  dono  la  verità  al  padre. 

(1)  Della  Nubia. 


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—  365   — 

Colonna  di  mezzo 

oro  prevalido  della  verità  amicò  Re  sole  custode  della 
verità  scelto  dal  sole  ,  figlio  del  sole  ,  amico  di  Ammone 
Ramses  fece  il  suo  edificio  (i)  come  stelle  del  cielo ,  giun- 
gono le  sue  opere  in  cielo. 

Raggio  fhrh  che  letifica  al  transito  per  la  sua  casa  di 
allegrezza  neWanno  alla  Maestà  sua  (%).  Ornò  (3)  lo  stabile 
edificio  questo  del  padre  dei  diletti ,  rendendo  perenne  il 
nome  di  lui  nella  città  del  sole  (a). 

Fece  il  figlio  del  sole  amico  di  Ammone  Ramses  di 
Athmù  signore  della  regione  Pone  diletto  ,  donator  della 
vita  in  perpetuo. 

Base: 

Ramses  III  tenendo  nella  mano  sinistra  una  specie  di 
piramide  Voffre  al  dio  Alhmù. 

Sopra  il  dìo: 

Dice  concediamo  a  te  il  trono  di^eh  (dio)  la  gloria  di 
Alhmù  .  .  .  di  coloro  al  signore  dell'  una  e  V  altra 
Nubia  colla  vita  e  purità. 

Athmù  signore  del  regione  Pone,  dio  grande. 

A  sinistra  sopra  il  re 

Oro  forte i  amico  della  verità^  Re  signore  dell* uno  e 
f  altro  mondo f  sole  custode  della  verità  eletto  dal  sole t  figlio 
del  solcj  signore  dei  dominanti^  amico  di  Ammone  Ramses. 

Donator  della  vita  come  il  sole. 

FACCIA   OBIENTALB  -  CoLONNA    DBSTBA 

Oro  prevalido  amico  del  sole. 

Sole  procreato  dagli  dei  alimentatore  del  mondo  ;  Re 
sole  custode  della  verità  eletto  dal  sole  ,  figlio  del  sole , 
amico  di  Ammone  Ramses. 

Dà  l'abitazione  ai  dei  tutelari  tv  Pone  nelle  voci  di 
giubilo. 

(1)  La  descrixione  del  sepolcro  di  0$ymandyae  presso  Diodoro  I,  47,  ri- 
chiama in  mente  questo  edificio  come  ornato  di  stelle. 


(2)  Le  due  torri  del  tempio  di  Eliopoli. 

(3)  Il  lacunare  del  tempio  con  stelle. 

(4)  Eliopoli. 


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—  366  — 

Del  raggio  del  sole  nelPuno  e  l'altro  emisfero^  a  con- 
templare  ciò  che  fece  il  signore  dell'  Egitto  sole  custode 
della  {ferità  scelto  dal  sole^  figlio  del  sole,  amico  di  Aminone 
Ramses  donator  della  vita,  come  il  sole. 

Colonia  simstra: 

Oro  forte y  della  verità  amico. 

Oro  risplendente  custode  degli  anni^  grande  per  le  vit- 
torie 9  Re  sole  custode  della  verità  eletto  dal  sole  ,  figlio 
del  solCf  amico  di  Ammone  Ramses. 

Pone  la  statua  (o  il  simulacro)  alla  resone  Pone  in 
ciascuno  dei  pia  grandi  edifizj  ,  figlio  degli  dei  da  essi 
oriundo  nel  gran  tempio. 

Signore  delVEgitto^  sole  custode  della  verità  scelto  dal 
solcj  figlio  del  solcj  amico  di  Ammone  Ramses,  donatore  della 
vita  in  perpetuo. 

Veniamo  ora  alle  spese  Incontrate  da  Sisto  V  per  la  si- 
stemazione di  que$t*obelisco  secondo  i  registri  Camerali. 

Obelisco  sulla  piazza  del  Popolo 

Pagati  da  monsig.  Marzio  Frangipani  Tesoriere 
segreto  con  ìnandato  di  Sisto  F'  del  dì  u  aprile  iwt 
a  Matteo  da  Castello  muratore  per  donativo  fattogli 
per  avere  trovato  VOhelisco  suddetto  nel  Circo  Mas- 
simo dieci  palmi  sotto  terra Se.        soo 

Jl  cavalier  Domenico  Fontana  architetto  ,  per 
Coperà  delF estrazione  di  esso Se      idss 

Al  medesimo  per  la  spesa  della  condottura^  re- 
stauro  »  ed  innalzamento  ,  conforme  alla  stima  di 
Prospero  Rocchi  misuratore  camerale^  ascendente  a 
Se.   8926;  ridotti,  e  saldati  il  is  giugno  1589  per  Se.      sooo 

A  Gio.  Pietro  carrettiere  per  porto  di  diverse 
pietre Se.         67 

Totale  Se.    ios99 

Prendendo  la  via  del  Corso ,  e  verso  il  fine  voltando 
a  sinistra  per  il  vicolo  Seìarra  ,  proseguendo  direttamente 
il   cammino  si  sale  al  Quìiinale. 

{Continua) 


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—   367  — 
LX. 

PASSATEMPI  ARTISTICI 
DELL'ARCHITETTO  PIETRO  BONELLI 


XII. 


CICALATA    SUI    TEATRI    DI    ROMA 
liN    PROPOSITO    DEL    NUOVO    TEATRO    COSTANZE 

Una  nuova  e  grandiosa  fabbrica:  un  ieatro  per  1* opera 
seria,  inaugurato  la  sera  del  27  novembre  isso  coll'opera  in 
musica  Semiramide  del  maestro  Rossini,  e  del  quale  da  lungo 
tempo  se  ne  dicevano  taute  di  mirabilia  da  far  correre  in 
folla  i  curiosi,  compresi  quei  die  amano  di  essere  sempre  i 
primi  a  giudicare  di  checchessia.  In  verità  questa  curiosità 
moveva  da  un  sentimento  essenzialmente  cittadino  ;  V  amore 
al  paese  natio  ci  tiene  sempre  animosi  di  tutto  ciò  che  mira 
al  suo  decoro,  e  ne  fa  oggetto  alla  estimazione  altrui. 

Il  teatro  sorge  sul  colle  Viminale  presso  la  via  Nazionale 
e  precisamente  fra  le  due  vie  Firenze  e  Torino.  Il  sìg.  Dome^ 
nico  Costanzi  lo  ha  eretto  a  sue  spese  con  diseguo  e  dire* 
zione  deirìngegnere  sig.  cav.  Achille  Sfondrini.  Cotesto  ma<> 
gnifico  edificio  essendo  riuscito  di  tal  maniera  leggiadit)  e  sì 
bene  adorno,  sarebbe  mestieri  trovar  colui  che  qual  novello 
atlante  sei  togliesse  in  sul  dorso,  e  dallo  strettoio  di  quelle 
due  viuzze  remote  lo  trasportasse  dove  la  sua  magnificenza 
Io  richiede,  cioè  sul  centro  della  vecchia  Roma  che  è  la  meglio 
e  più  nobilmente  fabbricata,  ed  insieme  la  parte  più  popò- 
Iosa  ed  animata  della  nostra  citta.  Ma  lasciamo  da  parte  os- 
servazioni inutili;  il  teatro  h  sorto  sulle  amene  alture  della 
nuova  Roma  che  alla  fin  fine  dovrà  un  giorno  essere  il  cuore 
della  grande  capitale,  e  se  il  Costanzi  ha  voluto  mostrar  più 
deferenza  verso  la  posterità  anziché  alla  età  presente,  egli  era 
nella  sua  piena  facoltà.  11  teatro  adunque  malgrado  la  sua 
recondita  posizione  è  meritevole  dell*  attenzione  pubblica  e 
delle  investigazioni  dell'  arte ,  ed  io  nella  serata  d'inaugura- 
zione fui  nel  numero  degli  accorsi  coll*unsia  di  conoscere  la 
grande  opera  di  un  artista  nuovo  per  noi. 

Il  sole  si  era  nascosto  appena  nell'occaso  e  compariva  già 
sul  ciel  dell'orsa  luccicante  qualche  stella,  quando  io  mi  tro- 
vava innanzi  il  portico  d'ingresso.  M'introduco  nel  vestibolo; 


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—   t(S8  — 

ma  gii  aditi  della  sala  non  si  erano  ancora  dischiusi^  e  per 
scacciar  la  noia  dell'  aspettare  »  mi  si  cacciò  nella  mente  il 
capriccio  di  scrivere  quanto  io  sapeva  intorno  lorigine  e  la 
storia  dei  teatri  di  Roma.  Mi  parve  un  argomento  adatto  alla 
circostanza  ed  a  proposito  del  teatro  Costami;  laonde  entrai 
nel  vestibolo,  mi  assisi  e  colla  matita  scrissi. 

Le   rappresentazioni  sceniche  chiamate   colla    lingua    del 
Lazio  Ludi  scenici',  non  hanno  una  origine  ben  marcata,  come 
li  tanti  altri  pubblici  spettacoli  nati  da  private  abitudini,  o 
per  io  meno  da  circostanze  puramente  locali  o  straordinarie. 
I  canti  popolari,  i  prestigi  de*  maghi,  i  vaticini  dei   profeti 
hanno  dato  orìgine  alle  poesie  epica,  drammatica  e  satirica. 
Dall' Etruria,  dove  queste  ebbero  culla,  passarono  in  seguito 
a  Roma.  Neil'  anno  39i  essendo    questa    città   afflitta   da  una 
peste  che  decimava  sensibilmente  la  popolazione ,  si  ricorse 
per  placare  l*ira  degli  Dei  ad  un  mezzo  che  la  superstizione 
credeva  molto  efficace,  quello  di  celebrare  in  loro  onore  dei 
giuochi  pubblici,  ed  affinchè  la  intercessione  fosse  più  pronta, 
si  pensò  d'introdurre  una  nuova  specie  di  questi  6no  allora 
sconosciuta,  i  Ludi  scenici  prendendoli  in  prestito  dalla  vi- 
cina Etruria,  i  quali  siccome  avviene  nella  prima  imitazione 
di  qualunque  costume  estraneo,  consisterono  in  danze  rozze 
ed  informi  a  suon  di  tibia  eseguite  nel  foro  o  sull'arena  del 
circo,  e  declamando  in  pari  tempo  certi  versi  detti  Fescen^ 
nini  (i).  A  cotesti  giuochi    la    gioventù  prendeva  parte  con 
ogni  sorta    di    motteggi  e  parole  licenziose.   Non  si  sa  se  a 
queste  prime  rappresentazioni  teatrali  fossero  chiamati  appo- 
siti istrioni  (2)  dalla  stessa  Etruria,   come  al  dire  degli  an- 
tichi storici    fecero    nel    tempo    successivo.  A  poco   a    poco 
queste  informi  recitazioni  presero  più  regolarità ,    e  l'inter- 
locuzione del  pubblico  divenne  più  soda  e  satirica  ,    fino  a 
che  un  tal  Marco  Livio  Andronico  liberto  di  Marco  Livio  Sa- 
linatore,  e  precettore  de'suoi  figli,  circa  l'anno  di  Roma  sts 
compose,  e  fece  recitare  al  pubblico  alcune  sue  commedie  e 
tragedie  sulla  foggia  delle  greche,  e  queste  possono  consi- 

(1)1  versi  Fescennini  erano  una  specie  di  poesia  grossolana,  senza  metro 
e  senza  cadenza,  piena  di  facezie  in  ^ran  parte  licenziose  e  aUe  a  far  ridere. 
Si  cantavano  dai  giovanetti  dinnanzi  le  abitazioni  di  sposi  novelli.  Queste 
canzoni  si  ritengono  come  i  primi  modelli  degli  epitalami i.  Pare  che  questi 
versi  pigliassero  no  tal  nome  da  Fetetnnium  citlà  etrasca  non  lungi  dalla 
odierna  Civitacastellana»  i  cui  abitanti  ne  furono  Tiaventori.  Macrobio  però 
crede  derivato  l'appellativo  di  fescennini  da  faseinum  come  se  dessi  servis- 
sero per  allontanare  i  malefici  e  impedirne  gli  effetti. 

(2>  Hittrio  detto  anche  aetor  e  eantor  era  colui  che  mascherato,  col  gesto 
e  colla  voce  rappresentava  le  opere  teatrali.  La  parola  Histrio  ha  per  radice 
Hister  che  nelVidioma  etrusco  significava  buffone  0  giocoliere^ 


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369  — 

derarèi  le  prime  opere  del  teatro   latino,    nelle  quali  Tuso 
d'interloquire  si  ridusse  a  recitare  negli  iutermezzi  degli  atti 
farse,  exodia  dette  Atellane  (i)  estranee  alla  commedia  che 
si  rappresentava.  In  queste  commedie  ove  il  poeta  autore  era 
attore,  vi  si  univa  il  canto  e  il  ballo;  però  fino  allora  non 
si  parlava  affatto  e  non  si  conoscevano  luoghi  appositi  per 
cotesti  divertimenti.  Era  sempre  il  foro  o  il  circo  che  pre- 
stava la  sua  area  e  nuUaltro.  A  misura  poi  che  Roma  andava 
sempre  più  allontanandosi  dal  suo  stato  primitivo,  i  suoi  co- 
stumi si  dirozzavano,  e  gli  agi,  il  comodo  ed  il  lusso  suc- 
cedevano a  quella  vita  semplice  e  patriarcale  che  fin  dalla 
sua  infanzia  aveva  sempre  tenuta,  gli  spettacoli  teatrali  diven- 
nero il  trattenimento  più  favorito,  e  si  cerco  ogni  mezzo  onde 
r  assistervi  fosse  meno  disagioso ,   come  lo  era  stato  per  lo 
innanzi;  la  lunghezza  dello  spettacolo  portata  quasi  al  dì  la 
di  quanto  permettevano  i  loro  affari ,  il  proprio   interesse  , 
fece  si  che  non  più  soffrendo  lo  starsi  in  piedi^  si  cercò  di 
assistervi  seduti,  ed  ecco  Tidea  del  teatro  che  però  non  fu 
che   temporaneo    e    di   legno.  Dicesi  che  Jolao    figliuolo   di 
Ipsicleo  nel  ricevere  le  Tespiadi  da  Ercole  fu  il  primo  che 
nell'isola  di  Sardegna  ordinasse  i  gradi  da  sedere^  e  sembra 
che  non  fossero  altro  che  linee  di  rozze   tavole  soprapposte 
le  une  alle  altre  a  guisa  di  gradini  di  un  carattere  piuttosto 
rustico;  per  esempio  come  l'odierna  nostra  Jlhambra.  In  Grecia 
questa  nostra  costruzione  s' ingentilì ,  e  le  fu  dato  il  nome 
di  Theatram  dal  verbo  reo^fjte  specto^  cioè  contemplo^  ammiro^ 
riferibile  agli  spettatori  che  vi  accorrevano^  e  così  i  Romani 
dallo  esempio  di  questi   si    procurarono    il    modo  di  godere 
agiatamente  di  cotesti   divertimenti ,    e  siffatte  disposizioni 
di  legname  si  mantenevano  soltanto  durante  il  tempo  in  cui  ' 
si  eseguivano  le  rappresentazioni.  Peraltro  questa  comodità 
di  star  seduli  era  contraria    alla    rigidezza  dei  costumi  pri- 
mitivi di  quel  popolo^  ciò  non  ostante  se  ne  tollerò  l'uso  sino 
a  che  non  contentando  più  coleste  costruzioni  in  legno,  si 
tentò  di  ridurle  in  materiale  e  stabili.  Si  fa  menzione  di  uu 
tal  Dionisio  Lemneo    come   il    primo  che  in  Grecia   murasse 
un  luogo  destinato  pei  spettacoli  scenici.  A  Roma  nell'anno  599 
venne  in  mente  ai  censori  Messala  e  Cassio  di  fabbricare  in 

(1)  Atellane,  specie  di  commedie  composte  di  motti  lepidi  e  graziosi 
quasi  detti  pungenti  e  sarcastici  come  le  satire  degli  antichi  greci.  E  pia- 
cevano siffattamente  ai  romani  da  chiedersene  spesso  la  replica  di  qualche 
scena;  si  vuole  che  avessero  origine  da  Atella  città  della  Campania  oggi  Ar- 
pino.  Queste  commedie  si  dissero  anche  Exodia  perchè  estranee  al  compo- 
nimento che  si  recitava. 


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—  370   

pietra  un  teatro  stabile  alla  falda  settentrionale  del  monte 
Palatino;  e  già  erasene  incominciata  la  costruzione,  allorché 
il  Senato  in  seguito  a  forti  declamazioni  del  console  P,  Cor- 
nelio Nasica  contro  questa  innovazione  dannosa  alla  gravita 
dei  costumi  emanò  un  Senatus^onsulto  col  quale  ordinò 
di  distruggere  quanto  si  era  già  fatto,  e  disperdere  il  rima- 
nerne dei  materiali,  ed  aggiunse  che  nìuno  dentro  le  mura, 
e  nel  raggio  di  un  miglio  fuori  di  esse,  potesse  metter  se- 
dili, o  goder  assido  di  tali  spettacoli.  Se  vi  fosse  adesso  Na- 
sica, cosa  direbbe  delle  poltrone,  dei  palchetti,  e  dei  came- 
rini secreti  de'nostri  teatri  ?  Anche  allora  lo  schiamazzo  di 
quel  valentuomo  paralizzo  soltanto  pel  momento  questo  peri- 
colo di  prevaricazione,  imperocché  sappiamo  che  M.  Emilio 
Scauro  per  solennizzare  la  sua  inaugurazione  all'edilità  fece 
a  sue  spese  costruire  un  teatro  temporaneo  che  dicesi,  poteva 
contenere  so,ooo  persone  ;  secondo  la  descrizione  di  Plinio 
lib.  XXXVJ,  15,  la  sua  scena  era  ornata  di  360  colonne  di- 
sposte a  tre  ordini,  il  primo  de' quali  le  aveva  di  marmo, 
alte  38  piedi,  il  secondo  di  cristallo  (lusso  non  più  rinnovato) 
ed  il  terzo  di  legno  dorato.  Negli  ìntercolunnj  vi  erano  tre- 
mila statue  di  bronzo.  Le  tappezzerie  poi,  i  quadri,  le  deco«- 
razioni  <li  ogni  specie  raggiungevano  un  valore  tale  che  di^ 
sfatte  dopo  i  giuochi  teatrali,  e  trasportate  in  una  casa  di 
campagna  che  Scauro  aveva  al  Tuscolo,  e  datovi  fuoco  per 
malignità  de'suoi  schiavi,  il  danno  fu  calcolato  cento  miiliooi 
di  sesterzi  equivalente  a  moneta  moderna  12,500,000  lire. 
Quanta  ricchezza!  che  bel  contrasto  colla  semplicità  e  serietà 
dei  costumi  di  allora  !  Le  anomalie  ci  sono  state  sempre. 
A  questo  straordinario  esempio  di  splendidezza  ne  sussegui 
un  altro  non  meno  singolare  ed  ammirabile^  sebbene  di  un 
genere  assai  diverso  dal  primo.  Lo  stesso  Plinio  ci  racconta 
die  C.  Curione,  in  occasione  della  morte  di  suo  padre,  tro- 
vandosi nella  impossibilità  d'imitare  tanta  orgogliosa  magni- 
ficenza ,  e  sdegnando  in  pari  tempo  di  mostrarsi  da  meno 
dell'edile  Scauro  fece  uso  del  suo  ingegno,  col  far  costruire 
due  vasti  teatri  in  legno  ,  a  contatto  fra  loro  ,  staccati  dal 
suolo  in  guisa  che  girassero  con  tutti  gli  spettatori  che  vi 
erano  sopì  a,  e  si  congiungessero  insieme  onde  formare  un'anfi- 
teatro. Nella  mattina  si  rappresentavano  azioni  sceniche;  a 
sera  girati  all'improvviso  i  due  teatri  si  univano  insieme  for- 
mando un  anfiteatro  che  serviva  a  dar  nell'arena  combatti- 
menti di  gladiatori.  Questa  locomozione  può  dirsi  il  miracolo 
della  meccanica  a  confusione  nostra  che  pretendiamo  di  essere 


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—    STI    — 

iQ  questa  scienza  di  graa  lunga  superiori  ai  nostri  antichi. 
Dopo  questa  straordinaria  celebrazione  de'giuoclii  teatrali  ri- 
portata da  vari  scrittori  delle  cose  di  Roma,  è  facile  com- 
prendere quanto  si  accrebbe  nei  romani  il  desiderio  di  avere 
un  teatro  stabile  e  di  materiale,  in  guisa  che  fu  mossa  Tarn- 
bizione  del  grande  Pompeo,  il  quale  conoscendo  le  diiEcoltk 
a  cui  sarebbe  andato  incontro  per  parte  del  Senato,  si  studiò 
in  modo  da  deludere  una  legge  dalla  quale  era  persuaso,  che 
non  si  sarebbe  mai  derogato.  Egli  costruì  un  vastissimo  teatro, 
alla  sommità  della  gradinata,  v'innalzò  un  tempio  a  Venere 
vincitrice^  lasciando  di  legno  e  mobile  la  scena.  Nelfinvitare 
poi  il  popolo  alla  dedicazione  del  tempio  disse  di  avervi  ag- 
giunto dei  gradini  affinchè  potesse  con  più  decoro  assistere 
ai  giuochi  soliti  a  celebrarsi  in  tale  solennità;  cosi  con  questo 
artificioso  stratagemma  accompagnato  da  una  circospezione 
necessaria  a  quei  tempi,  la  legge  venne  delusa  ed  i  romani 
ebbero  il  primo  teatro  stabile  capace  di  contenere  4M00 
spettatori.  Cesare,  1*  emulo  implacabile  della  grandezza  di 
Pompeo,  non  volle  rimanersi  al  disotto  anche  in  questa  occa- 
sione, pensò  di  soverchiarlo,  ma  la  sua  tragica  flne  impedì 
che  venisse  effettuato  il  suo  disegno.  Si  era  già  preparata 
1  area  per  erigervi  un  altro  grande  teatro,  che  venne  poi  co- 
struito da  Augusto  Tanno  741,  dedicandolo  al  suo  nipote  Mar- 
cello, riuscito  però  più  piccolo  dell'antecedente  non  conte- 
nendo che  22,000  persone.  Quasi  contemporaneo  ne  sursé  un 
terzo,  quello  di  Cornelio  Balbo:  questi  tre  teatri  grandi  di 
mole,  e  magnifici  per  ricchezza  di  ornamenti,  furono  i  soli 
che  ebbe  l'antica  Roma  nell'apogeo  della  sua  grandezza.  Noi 
oggi  ne  abbiamo  invece  una  dozzina  compreso  il  piccino  di 
s.  Carlo  ,  e  tutti  assieme  non  sono  capaci  di  dar  posto  a 
tanti  spettatori  quanti  ne  poteva  contenere  il  piii  piccolo 
dei  tre  teatri  sunnominati.  Mi  rimetto  sulla  strada. 

Pare  che  i  nostri  tre  teatri  antichi  se  ne  stettero  in 
piedi  per  lo  spazio  di  cinque  secoli  e  mezzo ,  cioè  sino 
air  incominciare  di  quel  periodo  deplorevole  nella  storia 
d'Italia  per  le  continue  irruzioni  di  orde  barbariche,  le  do- 
minazioni straniere  ,  il  feudale  dispotismo  tirannico  in  cui 
la  bella  Italia  già  devastata  da  saccheggi  incendi  e  rube,  fu 
per  luogo  tempo  lacerata  da  discordie  di  parti,  e  da  inces* 
santi  fazioni  civili  in  cui  venne  perduto  il  fiore  di  ogni  col- 
tura d'intelletto;  e  le  arti,  le  scienze  e  le  lettere  abbando- 
nate, perirono  sotto  la  pressione  di  una  prepotenza  brutale; 
per  lo  che  non  si  parlò  più  di  spettacoli  teatrali^  e  per  coa- 


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372    — 

seguente    devastati  e  minati  gli  antichi    edifici  destinati  a 
quest'uso,  perdendosene  perfino  la  memoria.  II  medio  evo  dì- 
sparve,  e  Dante,  Petrarca  e  Boccaccio,  gli  astri  più  fulgidi 
della  nostra  italica  patria  sparsero  la  prima  luce  nelle  fosche 
tenebre  della  ignoranza;  verso  la  fine  del  secolo  XV  la  poesia 
si  ricominciò  a  gustare  ,    risorsero  a  novella  vita  le  antiche 
commedie  e  tragedie  latioe  suss^uite  da  nuovi  componimenti 
drammatici ,    taluni  dei  quali  rivestite  di  musica.  Si  recita- 
vano presso  le  corti    e    le   case  de*  principi   ove   riunivansi 
nobili  uditori,  e  talvolta  a  miglior  riuscita  della  recitazione 
si  erìgevano  appositi  palchi,  servendo  alla  scena  atri  di  corti 
ed  anche  pubbliche  piazze.  Nell'incominciar  del  secolo  sus- 
seguente queste  rappresentazioni   sceniche  divennero  sempre 
più  frequenti  e  pubbliche.  Sappiamo  che  a  Firenze  nel  I5i3, 
allorché  Giuliano  de' Medici   fratello  di  Leone  X  fu  ascritto 
fra    i    romani ,   fu    pubblicamente    recitato   il  Poenuhis   di 
Plauto  in  un   teatro  fabbricato    a   bella  posta.  Le  scene  si 
fecero  dipoi  a  prospettiva  9    e  T  impalcatura  si  disse  tribu- 
nale. Artisti  di  alta  fama  concorsero  sussequentemente  alla  di- 
pintura di  quelle  :   a  Ferrara  Dosso  e  i  suoi  scolari  ;    a  Fi- 
renze Andrea  del  Sarto;   in  Roma  Baldassarre  Peruzzi;  e  lo 
stesso  Raffaello,  dipinse  una  scena  dei  Suppositi  di  Ludovico 
Ariosto,  commedia  che  Leone  X  volle  fosse  recitata  in  Va- 
ticano. Nel  rinnovellarsi  le  tante  volte  la  costruzione  di  sif- 
fatti teatri  temporanei  o  meglio  dire  impalcature  risorse  l'idea 
del  teatro  stabile  e   di  materiale.  Degli    antichi  se  n*  erano 
perdute  le  forme  e  le  piante  ,  e  come  fra  Giocondo  a  Pola 
d'Istria  fu  il  primo  che  le  trovò  e  le  mise  allo  scoperto,  cosi 
Andrea  Palladio  costruì  a  Vicenza  sua  patria  per  Taccademia 
Olimpica  il  primo  teatro  di  materiale  alla  foggia  degli  antichi, 
che    venne   dopo  la  di  lui  morte    terminato   dallo  Scaraozzi 
nel  1583^  nobilissimo  edificio  tuttora  esistente  a  gloria  nostra 
ed  alla  ammirazione  dei  stranieri.  L' invidia  e  la  smania  di 
soperchiare  nate  al  sorgere  di  si  bel  monumento  fra  i  duchi, 
duchini,  conti  e  marchesi  di  allora,  fecero  sì  che  se  ne  vi- 
dero parecchi  di  legno,  largheggiando  oltre  misura  nel  fasto 
e  nella  ricchezza.  A  Parma  Ranuccio  Farnese  fece  costruire 
un  teatro  di  forma  antica  capace  a  contenere  14,000  spetta- 
tori ;    e  si  vuole  che   fosse  architettato  dal  Palladio.  Anche 
a  Firenze  le  accademie  scientifiche  e  letterarie  gareggiarono 
in  cotesta  'mania  dell'epoca:  insomma  durante  la  prima  meta 
del  secolo  XVI  non  vi  fu  che  un  continuo  affaccendarsi  nell'e- 
rìgere  interamente^    o  con  riduzione  di  locali  adatti,    teatri 


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—    373    

di  ogDÌ  forma  e  di  ogni  capacita  e  sempre  temporanei  e  di 
legno.  Indi  si  venne  a  miglior  partito;  a  questi  si  sostitui- 
rono costruzioni  murarie»  e  ciò  pare  che  avvenisse  dopo  la 
meta  del  secolo  XVII.  Molte  città  della  penisola  ne  ebbero 
e  ne  hanno  tuttora  dei  grandi  e  pregevoli  in  merito  archi- 
tettonico» come  fra  gli  altri  ,    il  teatro  s.  Carlo  di  Napoli  » 
uno  dei  più  vasti  d  Italia  »   eretto  nel  1736   sui   disegni   di 
un  certo  Angelo  Carasale  allievo  di  Medrano  architetto  della 
corte  reale»  arso  nel  i8t5»  e  riedificato  come  si  vede  al  pre- 
sente. La  Scala  di  Milano»  architettato  dal  Piermarini  nel  1778 
sull'area  di  un'antica  chiesa  dedicata  a  s.  Maria  della  Scala»  da 
cui  prese  il  nome.  A  Fano  evvi  un  teatro  rinomato  per  l'am- 
piezza della  scena^  per  vaghezza  e  bizzarria  di  architettura» 
eretto  a  spese  dell'architetto  Torelli  col  concorso  di  cinque 
suoi  concittadini;  incendiatosi  nel  1699  dopo  una  trentina  d'anni 
d'esistenza»  fu  rifabbricato  intieramente  ed  è  tuttora  uno  dei 
bei  teatri  d'Italia.  Il  Comunale  di  Bologna  già  detto  teatro 
nuosH}  costruito  dal  Senato  bolognese  nel  i756  col  disegno  di 
Antonio  Bibiena.  Io  non  ne  aggiungerò  altri»    limitandomi» 
come  già  dissi»   di  tener  conto  soltanto  dei  teatri  di  Roma. 
Sembra  che  in  questa  citta  onde  allontanare  la  corruttela  e 
il  mal  costume  che  il  governo  teocratico  temeva  »   potessero 
cogli  spettacoli  scenici  insinuarsi  nei  suoi  soggetti»  il  teatro 
fu  introdotto  più  tardi  delle  altre  città»  quando  cioè  l'esempio 
altrui  prevalse  sopra  ogni  altra  considerazione  in  contrario» 
e  si  vuole  che  il  teatro  Pace   fosse    il   primo  ad  esser  co- 
struito nella  nostra  città»  non  si  sa  però  da  chi  e  quando»  pe- 
raltro dalla  sua  forma  quadrilunga  usata  ordinariamente  nel 
secolo  XVII  si  può  arguire  che  a  quest'epoca  egli  apparte- 
nesse ,    ed  abbenché    angusto  in  tutte  le  sue  parti  e  senza 
adornamento  di  sorta  alcuna;  pure  siccome  il  primo»  tenuto 
fu  nei  primordi  della  sua  esistenza  come  un  gioiello  di  questa 
metropoli»  di  guisa  che  avutosi  in  riguardo»  venne  risarcito  le 
parecchie  volte,  sino  a  che  sorti  dei  nuovi»  e  di  più  decoroso 
aspetto»   il  nestore  dei  teatri  romani  cadde  in  abiezione»  e 
i  suoi  assicelli»  e  le  vecchie  tavole  non  più  rinnovate»  logore» 
tarlate  e  bisunte»  si  sono  mantenute  sino  a  giorni  nostri»  e 
divenute  inservibili  per  decrepitezza,    il  propietario  attuale 
un  tal  Finocchi  or  sono  circa  una  trentina  d*anni  lo  ha  de- 
molito sostituendovi  un  casamento  per  abitazioni  particolari. 
Data  la  preferenza  per  la  sua  antichità  al  teatro  Pace» 
ora  mettiamoci  in  ordine  secondo  l'importanza  degli  altri  che 
verrò  descrivendo. 

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874    

II  teatro  di  JpoUo^  chiamato  prima  di  Tordinona  da  una 
antica  torre  esistente  doye  egli  fu  eretto,  una  volta  pub* 
hliclie  carceri  tolte  di  Ik  da  Innocenzo  X  trasferendole  in 
una  nuova  fabbrica  appositamente  costruita  sulla  via  Giulia. 
Tutto  di  legno  ad  eccezione  delle  mura  che  lo  racchiudevano 
aveva  T  uditorio  di  forma  pressoché  quadrata  rivolto  verso 
la  strada,  e  il  palco  scenico  verso  il  Tevere;  prolungato  per 
mezzo  di  un  palco  di  tavole  sostenute  da  pali  conficcati 
nell'acqua.  Riconosciuto  poi  insufficiente  alla  folla  degli  spet- 
tatori che  vi  accorreva,  un  tal  conte  Aliberli  a  proprie  spese 
e  credesi  coi  disegni  di  Alessandro  Specchi  lo  fece  ricostruire 
voltandone  la  linea  longitudinale  lungo  la  pubblica  strada 
come  è  attualmente  ;  e  ridotto  più  grande  e  maggiormente 
comodo  e  brillante^  il  concorso  si  aumentò  in  modo  che  di^ 
venne  anch'esso  incapace  a  soddisfare  alla  curiosità  e  al  fa- 
natismo pubblico  e  motivo  [di  gara  fra  1  rappresentanti  le 
nazioni  estere;  e  in  mezzo  al  tumulto  di  tanti  reclami,  e 
intransigenti  pretese,  vedi  cosa  singolare,  il  papa  Clemente  XI 
credette  di  provvedervi  col  far  demolire  l'uditorio,  i  palchetti, 
il  palco  scenico,  e  tutti  gli  accessori,  lasciando  intatte  le  sole 
mura,  li  divisamente  non  poteva  essere  più  efficace,  ma  penti- 
tosi poi  di  questo  modo  categorico  di  distruggere  i  semi  di 
discordie  diplomatiche,  nei  i735  ne  ordinò  all'architetto  cav. 
Gregorini  la  ricostruzione,  la  quale  si  compiè  in  quattordici 
giorni  colFarchitettura  del  cav.  Passalacqua  chiamato  dallo 
stesso  Gregorini  a  compagno  di  questo  lavoro.  Il  teatro  sempre 
più  bello  deir  antecedente  arse  miseramente  la  notte  del  29 
gennaro  i;8l,  e  si  pretende  per  malizia  altrui.  Il  suo  proprie- 
tario, un  certo  avvocato  abate  Francesco  Antonio  Ricca,  non 
se  ne  sgomentò  punto,  e  coU'aiuto  dell'architetto  Giuseppe 
Tarquini  e  di  un  certo  Luigioni  caporoastro  muratore,  si  ac- 
cinse a  rifabbricarlo,  ma  Tedificio  crollò  in  parte  la  notte  del 
18  novembre  1785  innanzi  che  si  compisse,  per  imperizia  dell'ar- 
chitetto e  per  mancanza  di  denaro  necessario  ad  un  lavoro 
murario  di  questo  genere.  Allora  il  coraggioso  Ricca  trovò 
nell'architetto  Giuseppe  Barbieri  un  nuovo  appoggio  ali* in- 
vincibile smania  di  possedere  un  teatro.  Questi  fece  Bn  di- 
segno, ma  restò  inoperoso  per  dissensi  di  parecchi  interessati 
alla  fabbrica,  e  per  quattro  anni,  le  macerie  del  caduto  edi- 
ficio, il  cui  dominio  diretto  era  devoluto  alia  Camera  Apo* 
stolica,  rimasero  alla  ingordigia  di  rapinanti,  finché  nel  1789 
monsig.  Fabrizio  Rufib,  Tesoriere  della  Camera  Apostolica,  in 
vista  di  forti  reclami  degli  stessi  interessati  con  beneplacito 


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—    875    

Apostolico  fece  riedificare  il  teatro  a  spese  dell'erario  pubblico, 
e  coi  disegni  dell'architetto  camerale  Felice  Giorni  compiuto 
nel  1795  ed  e  quello  che  lasciato  il  nome  di  Tordinona  e 
preso  quello  di  Jpollo^  oggi  tiene  il  primo  posto  fra  i  teatri 
di  Roma.  Dato  prima  che  ei  fosse  compiuto  in  enfiteusi  a 
un  tal  Giambattista  Cerroni  passò  poi  in  proprietà  della  fa- 
miglia Santacroce;  finalmente  sotto  la  data  del  io  febbraro  1820 
yenne  acquistato  dal  duca  D.  Giovanni  Torlooìa.  Rinnovato 
intieramente  nella  parte  decorativa^  rifatto  di  materiale  Tin- 
temo  della  sala,  ingrandito  il  palco  scenico^  aggiuntivi  tutti  i 
comodi  per  gli  attori,  abbellito  di  un  prospetto  sulla  pubblica 
via,  quindi  ristaurato  nuovamente  nella  parte  decorativa  dal 
principe  D.  Alessandro  di  lui  figlio  colFopera  dell'architetto 
Giuseppe  Yaladier,  fu  inaugurato  come  teatro  regio  nella  sta- 
gione del  Carnevale  1830  coli'  opera  in  musica ,  Giulietta  e 
Romeo  del  Vaccai,  ed  il  grande  ballo  Gabriella  di  f^ergjr. 
Nel  1862  venne  dallo  stesso  principe  colla  direzione  dell'ar- 
chitetto Nicola  Carnevali  ,  nobilmente  arricchito  di  miove 
decorazioni  ^  ed  è  oggi  annoverato  per  uno  dei  più  belli  , 
ricchi  e  grandi  teatri  d'Italia. 

Il  teatro  Jliberti  costruito  circa  la  meta  dello  scorso  se- 
colo a  spese  di  un  conte  Aliberti  fanatico  di  emulare  le  glorie 
del  teatro  di  Tordinona.  Ne  fu  architetto  Francesco  Galli 
Bibiena:  il  più  vasto  di  tutti  quelli  della  nostra  citta,  venne 
detto  anche  delle  Dame  perchè  il  primo  in  Roma  in  cui  si 
rappresentarono  i  drammi  in  musica  e  i  balli .  spettacolosi  ; 
servi  altresì  per  qualche  tempo  per  le  pubbliche  feste  da 
ballo  nel  carnevale.  Appartenne  in  seguito  al  principe  D.  Ales- 
sandro Torlonia  assieme  a  parecchi  altri  comproprietari,  ed 
essendo  tutto  costrutto  in  legno,  assai  maleandato  e  rovinato 
egli  coU'opera  dell'architetto  Nicola  Carnevali,  lo  ridusse  a 
buona  forma,  e  lo  rinnovò  quasi  del  tutto,  rendendolo  ca- 
pace per  grandi  spettacoli  diurni  e  notturni.  Un  violento  in- 
cendio di  cui  è  sempre  rimasta  ignota  la  causa,  lo  distrusse 
intieramente  nella  notte  del  14  al  15  febbraro  1863  dopo  ter- 
minato Io  spettacolo  di  prosa  e  ballo  che  vi  davano  una  com-- 
pagnia  drammatica  e  gli  acrobatici  Chiarini;  e  sulle  di  lui 
mine  è  sorto  oggi  un  vasto  stabilimento  balneario. 

(Continua) 


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176    — 

LXI» 

FRANCESCO  DE'MEDia 

TRAGEDU    STORICA 

VI 

NICCOLO*  MARSUCCO 

AD  ACHILLE  MONTI 

A  te^  la  cui  patria  gloriosa  piange  ancora  V  immatura  tua 
perdita^  io  dedico  questo  mio  drammatico  esperimento^  che  già  ti 
compiacesti  di  leggere ,  e  far  segno  alle  tue  lodi  <,  quando  mi 
onoravi  della  tua  preziosa  amicizia^  che  a  questa  sola  attri- 
buisco^ non  al  poco  mio  merito. 

Docile  al  consiglio  che  cdlor  mi  suggeristi ,  di  non  cimentare 
questo  lavoro  alCcardua  pcUestra  della  rappresentazione^  sulle  scene 
presenti  ^  devote  più  ad  un  beUo  clamoroso  ed  appariscente ,  che 
a  quello  inspirato  atta  vera  scuola  delV  arte ,  me  ne  rim4m.  Se 
non  che^  confortato  da  peregrini  ingegni  che  fecero  anch'essi  buon 
viso  a  cotesto  frutto  delle  deboli  mie  forze  ^  mi  faccio  ora  ardito 
di  affidarlo  alla  stampa ,  tn  questo  giornale  medesimo  ^  a  cui  si 
bel  vanto  crescevano  le  tue  pubblicazioni. 

Gradisci  questo  pegno  di  grata  memoria^  in  quella  patria 
migliore  ove  or  godi  il  premio  delle  tue  virtù  <,  e  dove  sperano 
di  tornare  al  tuo  amjUesso^  i  tuoi  congiunti^  e  gli  amici  più  cari. 

L*  AUTORE 

ARGOMENTO 

Pietra  Bonaveaturì  fioreotiDo  ,  cbe ,  nel  1560 ,.  teneva  le 
ragioni  al  Banco  de'  SaWiati  in  Venezia  j  ed  abitava  nella 
casa  di  fronte  al  palazzo  di  Bianca  Capello^  innamoratosi 
di  quella  giovine  patrizia^  e  sentendosene  corrisposto;  ma 
non  potendo  ottenerne  la  mano ,  come  quegli  che  non  era 
dì  nobile  casato»  propose  all'amante  di  fuggir  seco  a  Firenze. 
Accettò  Bianca  il  partito  ,  ed  ambidue  fuggirono  di  fatto, 
da  Venezia,  il  tz  novembre  1563,  e  posero  piede  in  Firenze, 
dove  la  Capello  rese  legittima  la  sua  unione  col  Bòna  ven- 
turi, il  quale  ne  ebbe  una  figlia  nel  2a  luglio  i564,  che  fu 
battezzata  col  nome  di  Pellegrina.  Poco  dopo  questo  avvenir 
mento,  il  Senato  di  Venezia  decretava  la  sentenza  del  bando 
contro  i  fuorusciti ,  e  pubblicava  anche  una  taglia  contro 
il  Bonaventuri,  affinch'egli  si  riconsegnasse  in  mano  alla  giu- 
stizia, e  il  padre  di  Bianca  istigava  il  processo  contro  coloro, 
che  eraoo  sospetti  di  complicità,,  nella  fuga  di  questa» 


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S77   — 

Gli  amanti  vissero   qualche   tempo  in  Firenze  in  povero 
stato,  quando  Francesco  de'Medici  erede  allora  del  trono  di  Co- 
simo, avvenutosi  nella  bella  patrizia,  se  ne  invaghì,  e,  come 
era  facile  cosa  ad  un  regnante,  riuscì  a  guadagnarne  il  cuore. 
L'ambizione  di  vedersi  vagheggiata  da  un  principe^  pre- 
valse  ben   presto   in    costei ,    sulP  amore    pel  Bonaventuri , 
il   quale    vinto    dal    pensiero   di    farsi  scala   al    potere   col 
mezzo  di  lei,  ne  pazientò  le  infedeltà  e  l'adulterio.  Àmbidue 
vennero  ammessi  alla  corte  del  Duca.   Il  Bonaventuri  fu  da 
lui  investito  del  grado  di  Ciambellano^  ed  in  tale  congiun- 
tura, superbo  del  nuovo  suo  stato,  s'accese  d'amore  per  Cas- 
sandra Bongiani  gentildonna  di  illustre  casato,  e  già  favorita 
del  Duca.  Cassandra  corrispose   all'  amore  del  Bonaventuri  ; 
ma  la  sorte  non  durò  propizia  agli  amatori;  imperocché  l'una 
\enne  pugnalata  nel  proprio  letto,  e  l'altro  assassinato.  Intanto 
la  passione  del  Duca  per  la  Capello  giungeva  a  tal  punto, 
che  egli  senza  alcun  rispetto  al  decoro  della  propria  moglie 
Giovanna  d^Àustrìa,  osò  persino  di  far  palese  alla  corte  l'amor 
suo,  quando  un  nuovo  caso  saldò  vieppiù  le  sorti  della  Ve- 
neziana trionfante.  11  ìs  aprile  1568,  Giovanna  d'Austria  mo- 
riva^ secondo  che  alcuni  vogliono  per  isconcezza  di  parto, 
secondo  altri  di  veleno,  e  pochi  giorni  dopo  il  Duca  condu- 
ceva la  Capello  in  isposa,  che,  nel  la  ottobre  15^9,  fu  coronata 
duchessa  dì  Toscana.  Come  questo  avvenimento  contribuisse 
a  conciliarle  gli  austeri  parenti,  h  facile  il  comprendere.  Bianca 
divise  quel  regno  con  Francesco  de'Medici  oltre  a  sette  anni. 
Ma  il  di  19  ottobre  del  1577,  trovandosi  ella  in  Poggio  a  Ca- 
jano  collo  sposo,  e  Ferdinando  I,  fratello  di  Francesco;  rima- 
sero avvelenati  essa  e  il  marito.  Francesco  morì  il  19,  Bianca 
il  20  ottobre.  É  fama  che  Ferdinando  avesse  accelerato,    in 
questa  guisa  ,  la  fine  dei  loro  giorni ,  per  assumere  ,   come 
poi  fece,  il  governo  dello  Stato. 

l' autore 
PERSONAGGI 
Frahcesco  de'Medici       Duca  dì  Fìrense 

Bo'-EKTO  RICCI  8""  Consiglieri 

Pietro  Bonaventuri        Consorte  di  Bianca  Capello 

Bartolomeo  Capello      Padre  di  Bianca 

Ferdinando  de*  Medici     Fratello  del  Duca 

Bianca  Capello  Sposa  di  Pietro  Bonaventuri 

Giovanna  d'Austria         Duchessa  dì  Toscana  e  sposa  del  Duca^ 

Sofia  Sua  confidente 

Un  Paggio,  Cortigiani,  Dame»  Guardie 

L*  azione  è  in  Firenze 

Epoca  i56a 


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378    — 

ATTO  PRIMO 
SCENA  I. 

Appartamenti  del  Duca 
Duca,  Guido 

Duca  Nulla,  o  Guido,  a  dispor  per  la  solenne 

Cerimonia  piix  resta? 

Guido  I  cenni  tuoi 

Compiuti  aon.  Nella  Cappella  accolti 

<  Fiau  d'Aquileja  il  patriarca,  in  breve, 

II  Cardinal  cogli  Ottimati,  e  il  Veneto 
Ambasciator.  -  D' inusitata  pompa 
Parato  è  il  tempio.  All'Imeneo  festosa 
Plaude  Fiorenza,  ed  iterato  eccheggia 
Del  suo  Francesco  e  di  Giovanna  il  nome.- 
E  ben  n'  ha  donde.  Qual  d*  onor  più  degno 
Di  voi,  qual  pur,  tra  gli  Europei  Monarchi 
Nomar  potrei?  E  che!  del  terzo  Enrico 
Consobnn  vostro,  e  delPIspan  Filippo 
Forse  alla  Corte,  al  par  di  voi,  de*studt, 
E  d'  ogni  arte  gentil  son  cólti  i  fiori. 
Protetti  i  gent,  di  favor  largiti. 
Onde  qui  sacra,  e  venerata  un*  ara 
Sorge  al  Bello  ed  al  Ver?  Qual  d*  es$i  al  sacro 
Amor  d' entrambi  egual  virtii  congiunge! 
Ah!  che  di  que' scettrati  altra  è  la  scola, 
E  quella  legge  norma  han  sol  che  tema, 
E  riverenaa  ne*  soggetti  infonde, 
Alla  clemenza  chiuso  il  cor,  preclara 
Gemma,  onde  un  serto  piii  maqtien^i  e  splende. 
Che  piii?  di  ria  Sacerdotal  congrega 
Nido  è  la  Spagna,  che  di  sua  mentita 
Religion  col  velo,  arbitra  regge 
De'  Monarchi  il  vofter,  supplizi  appresta 
In  chi,  a  dritto,  V  abborre,  e  roghi  accende. 
E  al  vostro,  o  Duca,  pareggiar  sì  indegno 
Regime,  osar  potremmo? -Eppur...   (svelarlo 
Il  debbo?)  -  In  voi  di  malcontento  espi'essi 
Non  dubbii  segni... 

Duca  Ben  t'  avvisi  e  lieve 

Interpretarne  la  cagion  ti  fia. 
Se  libri  quanto  di  cotal  Re&^genza 
Mi  gravi  il  pondo.  Sì,  d*  ali  or  che  Cosmo 
A  me  la  cesse,  mentre  umile  in  Poggio 
Vita,  ei  sceglieva,  d'ogni  brama  al  colmo 
Pareami- Illuso!...  Quel  potisr  medesmo. 
Che  ne'  sudditi  miei  ver  me  cotanta 
Riverenza  oggi  spira,  il  novo  Stato 


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—  ho  — 

A  invidiar  del  Genitor  m'astringe. 
L'  astuto  Ferdinando,  il  mio  superbo 
Germano  intanto,  di  seguaci  accolta 
Procacciar  tenta,  ed  in  me  forse  occulti 
Disegni  ordisce,  tal  eh'  io  veggio  a  prova 
Quant*  arduo  torni  del  poter  le  basi 
Consolidar.  -  Né  il  pensier  solo,  o  Guido, 
Quest'  è  che  il  cor  mi  signoreggia,  e  invitta 
In  me  fa  guerra.  Altro  ben  sai... 

Guido  V  intendo. 

Bianca  Capei.. • 

DvcA(con  accento  sommesso  e  vivo)  Sì  dal  fatale  istante. 

Che  in  Venezia  mi  apparve,  ài  mio  pensiero 
Toma  sovente. 

Guido  Obliar  vi  giovi... 

Duca  Ah!  dimmi 

Niun  più  di  lei  sentor  ti  giunse? 

Guido  (da sé)  O  Cielo!... 

Quel  che  fama  pur  dianzi  a  me  n*  Apprese 
JRivelargli  dovrò? 

Duca    ,  Perchè  t'arresti? 

Qual  dubbio,  o  qual  timor  t'ingombra?  Parla. 

Guido  (dopo  un  breve  istante) 

Tanta  fiducia,  o  Sir,  nuova  a  svelarvi, 
Che  a  voi  tacer  bramato  avrei,  m'incuora... 

{sommessamente^  ma  con  espressione) 
Questa  Capello,  che  d'amor  la  prima 
Fiamma,  v'apprese,  è  in  Firenze... 

Duca  Che  sento! 

Guido  Da  tal  Bonaventuri  alle  paterne 

Case,  rapita,  qui  ne  venne,  e  grido 
Fama  recò,  che  la  fatai  sentenza 
Del  bando,  in  lor  vergato  area  de*  Dieci 
Il  Consiglio. 

Duca  (passeggia  agitato  per  la  sala) 

In  Firenze!  e  d'  altri  sposa! 
E  udirlo...  Oh!  tanto  fia  oprar  mia  cura 
Che  rivederla  alfin.  (si  arresta)  Ma  che  diss'io? 
Ah!  lungi  un  tal  pensiero!  A  miglior  tempo. 
O  Guido,  a  ciò  provvederem.  Rammento 
(E  Cosmo  il  genitor  men  fea  precetto) 
Che  il  simular  prima  ai  potenti  è  norma. 
Sinistri  indizi  l'alma  sposa  ancora 
Trarne  potria;  ma  dì?...  che  fa?  di  lei 
Qual  ti  sembra  il  contegno? 

Guido  Ella  dal  giorno. 

Che  in  ques^  Corte  pose  il  pie,  d'Angelico 
Spirto  una  imago,  in  mortai  vel,  mi  parve 
A  bearti  sortita.  All'  ara  innante. 
Nella  Cappella  interior,  poc'anzi. 
Di  riverenza,  di  pietà  compunta 


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—  tao  — 

La  vidi,  e  te  beato!  a  me  dicea. 
Cui  si  alto  dono  il  Ciel  iargi. 
Duca  Coroni 

I  voti  suoi!  Tu  alle  sue  stanze  riedi 
Dille,  che,  in  breve,  a  lei  sarò.  (Guido  parte) 

SCENA  IL 
Duca  solo 

Pietade 
Benieno  cor,  di  regia  stirpe  il  vanto... 
No,  le  virtìi  queste  non  son  d'amore 
Nodrici  e  madri.  Anime  v'  han,  cui  meri 
Nomi  son  desse,  e  che  ad  amar  ne  spinge 
Livincibil  poter. -Bella  Venezia!... 
Oh!  di  qual  gioia,  sulle  tue  lagune 
Sublimi  istanti  mi  heir.  L'imago 
Chi  ritrarrà  che  qual  Vision  Celeste, 
Colà  m'apparve.  Bianca,  allor  tal  eri. 
Che  te  raggiante  di  beltà  vid'io. 
Appo  un  veron  ne' miei,  fissar  tuoi  sguardi 
E  un  Eliso  svelarmi,  a  cui  s'ergea 
Tutto  sovra  me  stesso  il  mio  pensiero. 
D' ogni  grandezza  di  quaggiìi  gì'  incanti 
Le  delizie  che  son  di  quelle,  al  paro. 
Onde  l'alma  esultar  sentia  commossa? 
Ma  che?  membrarla  degg' io  forse?  ancora 
Dell'amor  di  Colei  nodrir  la  speme? 
Né  l'Imeneo,  cui  già  m'appresso,  a  quello 
Ostecol  fia?  Ma  se  vederla  il  Cielo 
Mi  ridonasse,  la  segreta  fiamma 
Aprirle,  qual  d'  amor  scambievol  pegno 
Da  queir Angiol  sperarne  io  d'altra  sposo? 
E  se  pago  n'andassi...  i  di  securo 
Trar  seco...  Lasso!...  alle  mie  brame  infausti 
Ben  allor,  temo,  seguirian  gli  effetti...  (si  abbandona 

*"  sopra  un  seggiolo) 

(poco  dopo  si  ode  Varpeggio  di  un  liuito  dentro  la  scena. 

Il  Duca  si  rialza  commosso) 
Qual  concento!  È  Giovanna...  Ella  che  i  puri 
Suoi  reconditi  affetti  al  plettro  affida 
Quasi  i  miei  stessi  ad  accusar  (dopo  un  istcmte^  risoluto 

e  con  forza)  ma  nulla 

Nulla  in  me  il  grido  a  soffocar  ne  giunge. 

SCENA  III. 

UN    PAGGIO   B    DETTO 

Paggio  Chiede  udienza  un  uom  Signor,  qui  giunto 

Da  Venezia.  Alto  affar,  dicea,  l'adduce. 
Duca  (da sé)  Da  Venezia!...  Che  sento!  (o^j^ajf^to)  Egli  s'inoltri 


Da  Venezia!  ah!  di  Bianca  udir  novel 
S'io  mai... 


(U  paggio  parte) 
Ila 


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—   $81  — 

« 

SCENA  IV. 
Duca,  Pibtro  Boivaventuri 

P.  BoNAV.  (inchinandosi)  Non  io  di  questo  giorno  Altezza, 
Sturbar  gl'istanti  osato  avrei,  se  grave 
Gagion... 

Duca  Parla,  chi  se'  donde  in  Firenze? 

P.  BoifAV.      Pietro  Bonaventuri  ignobil  figlio 
Di  Fiorenza  son  io. 

Duca  (da  sé)  Lui! 

P.  BoifAv.  Queste  terra. 

Onde  m*avean  privati  affar  diviso. 
Riveder  volli  e  qui  redia;  ma  in  breve. 
Demone  avverso  a*  voti  miei  le  care 
Aure,  vieteme  a  me  pai*ea.  D'occulte 
Aggressìon  fui  segno,  a  cui  sottrarmi 
Dura  impresa  m'ebb'io,  quindi  la  pronte 
Giustizia  vostra  ad  implorar  qua  venni. 
Se  a  voi  de'  rei  sentor  giungesse. 

Duca  O  Piero, 

In  tei  misfatti  inesorabil  sempre 
Di  mia  giustizia  il  rigor  veglia,  al  paro 
Delle  Venete  leggi,  i  patrii  dritti 
A  tutelar. 

P.  BoifAv.  Venete  leggi!  o  mio 

Signor,  mentre  qui  sol  del  Mediceo 
Novel  regime  Fiorenza  esulte, 
Ghe  alta  pietede,  alla  clemenza  vostra 
Il  plauso  suona,  sotto  ferreo  giogo 
Venezia  geme,  né  a  dannarlo  ardite 
Voce  s'innalza,  che  di  ferri  è  cinte 
Fin  del  pensier  la  libertà.  Dell'opre 
De'Gittadini  scrutetor  là  siede 
Un  Gonsiglio  tremendo  a  punir  pronto 
Ghi  sol  d'un  detto,  di  rigor  soverchio 
Notorio  ardisse.  E  dubiter  potrei 
Del  poter  vostro  sotto  l'ali  accolto, 
Ghe  securi  gioir  piii  lieti  i  giorni 
Dato  non  siami? 

Duca  La  cagion  fu  queste, 

Ghe  al  suol  natio  ti  trasse? -Il  ver  favella, 
E  generoso  a  te  sarò*  -  Severo 
S'io  mentitor  ti  scopra. 

P.  BoNAv.  Aperto  e  franco 

Io  parlerò.  Di  Fiorenza,  il  dissi. 
Figlio  ignobil  son  io;  ma  d'  alto  il  core 
Sentir  capace.  Un  di  le  luci  in  volto 
A  patrizia  fissar  gentil  donzella 
M'avvenne.  Bianca,  dei  Gapello  illustre 

Si 


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—  388  — 
Germe.  -Baien  non  mai  nube  repente 
Così  squarciò,  com'  ampia  in  cor  ferita 
Quella  vista  m*  aperse.  -  Airadorata, 
D*  allor,  qual  cosa  santa,  i  miei  pensieri 
Sacrar,  fu  sola  mia  delizia  e  brama. 
E  quando  amico  a  inargentar  venta 
L*  astro  lunar  la  placida  laguna. 
Appo  un  veron  la  contemplava  assisa. 
Che  suir  onde  mettea.  Vergin  creata 
Dair  inspirato  BafTael  mi  pare 
Del  Bello  imago  che  in  pensier  sol  cape. 
O  Venezia...  o  Venezia  ed  obliarti 
Io  mai  potrò? 

Duca  Che  sento! 

P.  BoifAv.  Invan  la  cara 

Fiamma  a  sbandir  della  ragion  la  voce 
Mi  suggeria;  che  in  lei  patrimo  sangue. 
In  me  ignobil  scorrea.  Suprema,  invitta 
Forza,  o  Bianca  spingeami,  a  lei  di  sposo 
Unir  la  destra.  E  la  gentil,  compresa 
Di  pari  ardor,  nascosamente  al  guardo 
De*  vigilanti  genitor  sottrarsi 
Anelava  V  istante;  in  sen  versarmi 
Deir  invincibil  suo  sentir  la  piena. 
Quel  mutuo  foco  ad  occultar  null'arte 
Valer  potea.  Mille  i  patrizi,  o  Sire, 
Hanno  in  Venezia  esploratori  attenti. 
Che  ad  essi  quanto  d'udir  cai,  fan  conto. 
Tal  di  noi  fu.  Da  cieco  sdegno  acceso 
Di  Bianca  il  genitor  la  patria  terra 
Ss[ombrar  m'impose.  Non  gii  ardenti  e  misti 
Al  mio  dolor  reiterati  preghi 
Dal  fier  proposto  il  distornerò.  E  quale 
Voce  d' ignobil  Cittadin  potria 
Alle  patrizie  contrastar?  Dall'empio 
Destin,  sottrarci  mezzo  alcun  non  era. 
Ma  obliar  Bianca  io  potea?...  da  lei  per  sempre 
Diviso...  Oh!  pria  delle  lagune  in  grembo 
Io  seppellirmi  tolto  avrei.  Ma  novo 
Partito,  quale  amor  spirommi,  io  scelsi. 

Duca  Che  divisasti? 

P.  BoNAV.  Ai  Baccanali  amica, 

E  de'Venez'ian  delizia  e  brama 
Stagion  rivolge,  il  sai.  -  Notte  serena 
Regnava  in  Giel,  che  di  concenti  e  grida 
L' ebri-festante  gioventude  empia  - 
Ad  un  fidato  gondolier  la  cura 
Di  finte  vesti  provveder  commisi 
Bianca  Capei,  che,  inosservato  io  meco 
Torre  all'  ingrata  sua  magion  tentava 
Grave,  d'alto  periglio  era  l'impresa; 


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Duca 

P.    BONAV. 


Duca 


P.    BoNAV. 


—  S8S  — 
Ma  alle  mie  brame  il  volo  amor  giungea 
Io  dell*  impaziente  alma  il  tumulto 
Simular  m*  adoprava,  ogni  sospetto 
A  prevenir.  Ma  batte  l'ora...  il  legno 
Cauto  e  non  visto  dei  Capei  sospingo 
Alle  mura.  Qui  sosto...  qui  tre  volte 
Incontro  lor^  del  brando  mio  percoto. 
Scala  acconcia  v'appoggio.  Immantinente 
Dalle  sue  stanze  al  noto  appel  risponde 
Bianca,  e  il  chiaror  d'  una  notturna  face. 
Onde  splende  il  veron,  di  lei  m'avvisa. 
Già  sia...  si  schiude...  a  brun  vestita  e  nera 
Maschera  in  man  recando  Ella  si  mostra. 
Io  salgo,  in  breve...  al  sen  la  premo,  e  il  tetto 
A  lei  fatai,  meco  a  fuggir  l'^orto. 
Alla  profferta  Ella  piangea...  tremava. 
Ma  tempo  a  pianti  ed  a  timor  non  era. 
Pietà  di  me  la  vinse  alfin.  Solleciti 
La  gondola  afferrammo,  e  da  quel  porto 
Batti  sciogliemmo  col  favor  dell*  onde. 
Ciel!... 

Qui  non  prima  attingevamo  che  bella 
Speme  raggiar  pareane  in  cor:  ma  in  noi 
Dei  Capello  qui  pur  ministri  occulti 
Vegliano  i  delator,  veglian  gli  sgherri 
In  Fiorenza  di  compir  bramosi 
Quel  che  in  Venezia  lor  fu  tolto.  Or  questo 
In  me  i  vili  tentar;  né  invan  compiuto 
Gostor  l'avrian,  se  il  brando  mio  non  era. 
Dell'amor  tuo  la  dolorosa  Istoria 
Quest'  anima  commosse.  In  me  t' affida. 
De'  tuoi  nemici  insidiator  sulF  orme 
N'andran  fidati  esplorator.  Se  alcuno 
Di  lor  n'  adduca  in  mio  poter  la  sorte 
Di  giustizia  al  rigor  non  fia  che  scampi. 
D'  oeni  perìglio,  te,  la  sposa  intanto 
A  riparar,  nel  mio  palagio  entrambi 
Lieto  accor  bramo,  e  cV  oggi  in  voi  la  Corte 
Due  favoriti  miei  ospiti  ammiri. 
Che  dir  poss'io?...  Ah  del  gran  Cosmo  il  figlio 
Riconosco,  in  quest'atto,  (s'inchina  al  Duca  e  parte) 


SCENA  V. 


Duca  solo 


Acconcia  destra 
Ed  inattesa,  a  mio  favor  fortuna 
Ecco  mi  porge.  A  prò  si  volga.  È 
Se  di  Bianca  la  fiamma  in  me  non  tace 
Chi  giunge? 


d'  uopo 


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—   184  ^ 

SCENA  VI. 
Duca,  Guido 

Guido  Sire,  Gontarìn,  P  illustre 

Veneto  Ambasciator  a  voi  sollecito 
Questa  lettera  invia,  (gli  porge  un  foglio) 

Duca  (legge)  «  Bianca  Capello 

Con  tal  Bonaventuri,  un  uom  plebeo. 
Da  Venezia  è  fugg;ita.  Del  paterno 
Suo  dritto,  in  nome,  il  Genitor  la  chiede. 
Che  a  Venezia  fedel  sicura  scorta 
La  riconduca.   »  (a  Guido^  risoluto) 

A  Contarin  rispondi. 
Che  a  me  prudenza,  in  quest*  affar,  fia  norma» 

(partono.  Cala  il  sipario). 

ATTO  SECONDO 

SCENA  I. 
Appartamenti  di  Pietro  Bonaventuri  nel  palazzo  del  Duca. 

PlETMO    BONAVERTUai,    BlANCA 

P.  BoNAV.      Si  di  favor  quesU  inattesa  prova 

Di  stupor  mi  riempie.  Al  nome  suo 

Plaudir  Vinegia,  e  Fiorenza  intesi,  « 

Ma  suon  mendace  mi  parea,  che  spesso. 

Turba,  all'  orecchio  di  chi  in  alto  siede 

Adulatrice  invia:  or  veggio  a  prova. 

Che  dal  ver  lunge  errava. 

Bianca  O  Pier,  l'istante 

AnchMo  rammento  che  salpar  le  Venete 
Lagune,  il  vidi.  Allo  spettacol  vago. 
Onde  teatro  Elle  appariano,  in  lieto 
Festevol  giorno,  ei  da  stupor  compreso 
Pareami,  ed  in  que*  lochi,  in  cui  natura. 
Ed  arte  il  Bel  de' suoi  tesor  profuse 
Esultar,  piii  che  agi'  iterati  evviva,  (*) 

O  Var.: 

che  agi' iterati  Evviva 
Misti  de*  plausi  al  suon  che  a  lui  fèan  l' aure 
Liete  echeggiar. 
P.  BoNAV.  Ben  dell'Ausonio  Cielo 

Com' astri  eletti,  in  lui  splendean  preclare 
Le  Medicee  virtudi,  or  d'altri  merti 
Più  luminose  al  paragon,  ma  l'aure 
Degli  inusati  suoi  favor  più  a  lungo 
O  Bianca,  a  noi  fruir  non  lice,  e  in  questo 
Ducal  palagio  i  di  protrar;  ma  in  breve  ecc. 


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—   S85   — 

Misti  de*  plausi  al  suon,  che  a  lui  gioconde 
Oltre  r  usato,  1*  aure  gian  recando* 

P.  BoRAv.      Ben  dell*  Ausonio  Ciel,  com' astri  eletti 
Le  sue  virtù  splendeano  allor,  di  nòvi 
Meni  or  più  chiare,  ma  piii  a  lungo  o  Bianca, 
A  noi  fruir  de' suoi  favor,  non  lice, 
Né  in  queste  mura,  di  protrar;  ma,  in  breve. 
Alle  terre  drizzar  Romulee,  il  corso. 

BiAifCA  O  Piero,  al  nostro  amor  nemica  stella 

Paventar  qui  possiam? 

P.  BoNAv.  Vinegia  entrambi 

Fuggimmo,  il  sai,  del  nostro  amor  conteso 
Liberamente  a  secondar  le  brame 
Ed  altra  via  m*  additeresti  indamo 
D'altra  meta  a  noi  guida. 

Bianca  ^  O  Pier,  se  fermo 

È  il  tuo  voler,  a  tal  disegno  inciampo 
Non  io  por  bramo,  e  d*  obbedirti  ho  fisso. 
Ma  d' infausti  color,  troppo  al  pensiero 
Di  questa  Corte  V  avvenir  ti  pingi. 
Or  che  di  nòve  alte  speranze  il  Duca 
Arra  ne  die*. 

P.  Bonav.  Quali  all'illusa  mente 

Larve,  ti  crei?  A  nobiltà  di  sangue 
Virtù  medesma  qui  posposta  ignori? 
Che  uso  simìl,  di  lunga  età  retaggio. 
Domina  si,  che  non  in  lui  del  Duca 
L'  autorità  preval?  Ben  dello  stato 
Gli  eletti  suoi,  ben  meritar;  ma  d'alte 
Dignità  in  lor  non  splenderian  le  insegne 
Se  di  gentil  prosapia  il  vanto,  ad  esse 
Suggel  non  fosse. 
BuNCA  Di  delusa  mente 

Imagini  sien  pur:  ma  quale,  o  Piero, 
Di  questo  a  noi  miglior,  più  eletto  asilo 
Che  da  timor  ne  franchi?  Ohimè!  divisi 
Da  queste  mura,  che  altro  mai  saremmo 
Che  legni  all'onde  procellose  in  preda? 
E  a  buon  corso  drizzar  la  vela  altrove 
Intenderem,  mentre  securo  un  porto 
Ivi  n*  accoglie? 
P    BoNAV.  Un  porto!...  ah!  temi,  o  Bianca, 

Temi  che  un  mar  più  procelloso  ancora 
Non  sia  di  quello  che  a  fuggir  m'  esorti. 
Bianca  Sommesso  parla:  alcun  s'avanza. 

SCENA  n. 

I    PRECEDENTI,    GuiBO 

Guido  II  pio 

Rito,  compiuto,  pochi  istanti  al  Duca 
Sacrar  s' addice  della  sposa  al  fianca. 


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—   S86   — 
D*  insidie,  in  voi,  BonaventurL,  ordite. 
Nuovo  grido  gli  giunse,  e  scudo  a  entrambi 
(Tal  fé*  giuro)  ei  sarà 

Bianca  Di  nove  insidie 

Il  grido? 

Guido  Donna,  idee  si  tristi  or  lungi. 

Da  tema  sgomjbri,  qui,  sereni  i  giorni 
Trarrete. 

P.  BoNAV.  O  Guido,  finché  amico  il  Duca 

Di  favor  tanti  largitor  n'  arride, 
È  il  timor  nostro  intempestivo  e  vano: 
Ma  il  durar  noi,  tra  queste  mura  accolti 
Di  cortigiani  eletti,  al  par,  dell'alta 
Bontà  di  lui,  soverchio  abuso  estimo. 
Quindi  assentir  giusto  commiato  a  entrambi 
Vorrà:  mi  penso. 

Guido  Ove  di  tal  partenza 

Ardente  brama  in  voi  s*  ostini,  inciampi 
Non  vi  porrà, 

P.  BoNAV.  (a  Guido)  Deh!  a  lui  moviam  (a  Bianca) 

Tu  resta. 
L'indol  tua  femminil  di  quella,  o  Bianca, 
Del  tuo  sposo  men  salda,  alla  presenza 
Ducal,  tradir  potriati,  e  a' miei  conformi 
A  te  non  sempre  suggerir  gli  accenti. 

Bianca  O  Pier  dehi  m*odi,.. 

P.  BoNAv.  (risol.)  È  necessario  (parte  con  Guido) 

SCENA  III. 

BlAirCA   SOLA 

Ei  vola 
Un  asil  meco  di  fuegir  bramoso 
Ove  dell'  avvenir  bmla  al  pensiero 
Mi  sorridea  la  speme.  E  qual  più.  acconcio 
Ad  una  figlia  dei  Capei  parea? 
Qui  sol  d*  invidia  a'  miei  nemici  oggetto. 
Con  Pier  sarei.  ^  Il  Genitor  col  Duca 
Vago  d'  unir  dell*  amislade  i  nodi 
Steso  avria  forse  sul  passato  un  velo 
Benigno  a  me  del  suo  perdon.  —  Me  lassa! 
Altre  ben  temo,  a  noi  sciagure,  il  faito 
Va  preparando.  -  Chi  s' appressa?  -  Il  Duca? 

SCENA  IV. 

Duca,  Bianca 

Duca  Desio  di  tor  da  me  commiato,  o  donna. 

Testé  mosse  il  tuo  sposo,  e  lui  d*un  foglio 


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—   SS7  — 
Munir  commisi;  onde  securo  altrove 
Tragga,  se  fermo  è  il  suo  voler.  Ma  gravi 
Nuove  che  a  noi  suonar,  di  trame  ascose 
De*  Pucci  e  de*  Ridolfi,  a  cui  si  forte 
Delle  mie  nozze  ange  il  pensier  (di  questo 
Novel  regime  invidiato  vanto) 
Magnanimo  in  quell'alma  ardor  dettero, 
A  mia  difesa. 

Bianca  Ab!  per  lui  tremo 

Duca  O  donna 

Chi  d*  occulti  aggressor  V  armi  respinse 
Contro  le  aperte  de'  ribelli,  il  brando 
Con  le  mie  stesse  usar  saprà.  -  D*  onori 
Solo  ad  illustri  cortigian,  sortiti 
Degno  allor  splenderia .  -  Non  piii  di  questo  - 

(con  aria  di  affettuosa  confidenza) 
Bianca;  or  ditemi,  il  pie*  dalle  ospitali 
Mura,  a  ritrar  voi  pur  brama  accendea? 

Bianca  Me  non  già;  ma  lo  sposo,  e  impreaa  ardita 

Questa  avvisava,  de*  sinistri  accorta 
Ond*io  temea. 

Duca  Si,  prevenirli  cnr  giova. 

Né  al  partir  vostro  assentirò,  se  prima 
Per  voi  svanito  ogni  timor  non  veggia. 
Alla  turbata  alma  un  conforto,  o  Bianca  (*) 
Concedete,  in  tal  dì.  -  Qual  nebbia,  in  breve, 
Che  il  sol  dilegui,  al  mio  poter  T  incauto 
Staol  cederà,  che  contristar  s*  adopra 
De' miei  giorni  il  seren.  Gioconda  al  Poggio 
Quinci  festa  n'  attende.  Ime  con  noi 
Vi  fia  grado? 

Bianca  Signor... 

Duca  Benigna,  o  Bianca, 

Di  risposta  mi  siate. 

Bianca  Intempestiva 

Festa  simile  a  me  parria:  straniera 
Alla  Corte  son  io. 

Duca  Ma  il  nome  vostro 

Non  già. 

Bianca  L'  amor  che  la  mia  patria  terra 

A  fuggir  mi  costrinse  a  que'  tripudi 
Mal  s'appaga,  o  Signor;  libero  sfogo 
Agli  affetti  dell'  alma  assai  piii  affida 
Ne*  romiti  silenzi,  ove  i  raccolti 
Pensier,  di  care  rimembranze  ei  pasce. 

Duca  Bianca,  nel  cor  vi  leggo,  e  ben  1'  intendo. 

Anch'  io  d'  un  primo  amor  provai  le  arcane 

f)   Var.  : 

1*  O  Bianca,  alla  turbata  alma  un  conforto 
2^  Bianca,  alla  combattuta  alma  un  conforto 


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Bianca 


Duca 


BUNCA 

Duca 


Bianca 
Duca 


Bunca 

Duca 
Bunca 

Duca 

Bianca 
Duca 

Bianca 


Fiamme,  soave  alP  anima  conforto. 

Ai  mali  oblio  la  solitaria  calma 

Recar  pareami,  cbè  tra  pompe  e  fasti 

Le  dolcezze  non  mai,  come  in  suo  grembo 

Io  sentia,  quella  in  ricordar  che  sola 

Avea  di  me  la  miglior  parte  assorta. 

Ma  voi  da  Pier  non  mai  divisa,  i  cari 

Istanti,  seco,  qui  partir  godrete. 

In  lui,  qual  fido  specchio,   i  sentimenti 

Deir  agitato  sen,  nel  suo  riflessi 

Qui  vagheggiar. 

L*alta  bontà  cV  entrambi 
A  voi  n^astringCi  di  ricambio  è  degna. 
Ma  ov'  io  medesma  a  tal  desir  consenta. 
Se  Pier... 

Non  ei  di  Bianca,  ai  voti,  al  prego 
Si  pertinace  ostar  vorrà,  mi  penso. 
Né  a  que'  del  Duca.  Indefinibil  gioia 
Tal  per  me  fora,  eh'  io... 

Quai  detti! 

O  Bianca, 
Al  labbro  il  cor  li  spira,  il  cor  che  pago 
Non  è. 

Che  udir  deggio? 

Si,  della  Corte, 
Fra  le  delizie  invidiate,  un  vóto 
Io  sento,  qual  se  del  gioir  la  coppa 
Libar  concesso  a  me  non  fosse,  Oh  quanto 
Quanto  infelici,  o  Bianca,  i  nuziali 
Talami  son,  che  amor  di  sue  ridenti 
Rose,  non  sparge,  cui  ragion  di  stato 
Pronuba  è  sol! 

Cessate...  e  il  di  solenne 
Di  vostre  nozze  almen  vi  calga.  Eccelsa 
Consorte,  a  voi  destinò  il  Gieì,  né  sia. 
Che  di  tradita  fé*  crudel  sospetto 
L'  anima  sua  gentil  penetri. 

O  donna. 
Memorie  v'han  che  por  del  petto  in  bando 
Quaggiii,  n*è  tolto. 

Alta  virtii  dal  Sommo 
Nume,  implorate,  che  di  voi  medesmo 
Trionfar  vi  conceda. 

Ah!  di  quest'alma 
Se  il  tremendo  tumulto  a  voi  palese... 
Signor... 

Bianca,  slam  soli  e  qui  non  giunge 
De*  sospettosi  cortigian  lo  sguardo. 
Sotto  il  Veneto  cielo,  un  di,  nostri  occhi 
S*  incontrar. 

Cessa. 


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—    S8«    — 

Duca  Ah!  nel  membrarlo  ancora 

Un  tremito  m*  assai.  Fra  le  splendenti 
Beltà  che  mi  cingean,  come  celeste 
Vision  m'  appariste.  Irrequieto 
In  voi,  da  queir  istante,  il  mio  pensiero 
Rivolava  sovente,  in  voi...  {la  Duchessa  compare 

sulla  soglia) 

Bianca  Non  piii. 

Duca  (accorgendosi  della  Ihichessa) 
O  Ciel!  Giovanna... 

SCENA  V. 

Duchessa  b  detti 


Duchessa 


Duca 


Duchessa 


Bianca 


Duchessa 
Bianca 

Duchessa 


Bianca 


L'accoglienze  o  Duca, 
Onde  a  costei,  testé,  prodigo  foste. 
Ed  allo  sposo  suo,  palese  assai 
Mi  fèr,  quanta  di  lor  pietà  vi  stringa. 
Ben  in  virtù  simìl  di  noi  condegna 
Con  voi.  Duchessa,  gareggiar  m*  è  grato. 
Cui,  tra  il  misero  stuol  diffonder  piacque 
Di  generosi  benefici  il  frutto. 
Se  della  coppia  che  ospitai  ricetto 
Qui  da  noi  s*  ebbe,  *  i  tristi  casi  udrete. 
Il  vostro,  al  mio  conforto,  unir,  lo  spero, 
Non  sdegnerete,  della  lor  fortuna 
L*  amarezza  a  lenir. 

Costei  fuggita 
Con  un  tal  Pier  Bonaventuri  intesi. 
Da  Venezia,  Cagion  non  lieve,  estimo, 
A  ciò  la  spinse. 

Si,  cagion  possente 
E  tal,  Duchessa,  che  quest*  opra  escusa 
Che  a  colpa,  ingiusta  opinion  m'ascrive* 
Da  Questa  astretto  le  paterne  soglie 
Lasciai. 

Qual  dunque? 

Irresistibi)  fiamma 
D' amor  per  PierOi  in  me  a'  accese. 

Amore! 
O  Ciel!  né  ai  cari  genitor  V  afietto 
Dello  sfregio  il  pensier  eh*  onta  simile 
Avria  al  casato  dei  Capello  impresso. 
Freno  ali*  ardente  passì'on  non  era? 
Al  patrio  snol  tornate,  ivi  pentita 
A  Dio  perdono,  ai  Genitor  chiedete. 
Ed  allor  di  pietà,  per  voi  capace, 
AUor  sarò. 

Che,  tra  T  avite  mura 
Io  rieda  V  ira  ad  afirontar  del  padre? 

58 


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—  390   — 

E  seaza  Piero,  lo  potrei?  ma  dove 

Pier  r  assentisse,  della  sua  salvezza 

Mallevador  chi  fora?  Ed  io  spergiura... 

Ah!  no.  Duchessa,  sacrifizio  è  questo, 

Ch*  ogni  mia  possa  eccede. 
Duchessa  Eppur  v'è  forza. 

Duca  Deh!  un  accento  miglior  benigno  scenda 

Dal  vostro  labbro  a  quest*  afflitta,  a  pii 

Sentimenti,  per  lei  1'  animo  aprite. 
Duchessa        D*  alto  momento  afTar  quest'  è;  V  illustre 

Casato,  ond'EUa  è  scesa...  (con  accento  ironico) 
Duca  Ah!  V  amor  suo 

Non  del  Casato  la  ragion.  Duchessa, 

In  voi  prevalga.  E  che!  ai  fratelli  il  pondo 

Delle  miserie  alleviar,  di  Cristo 

La  legge  stessa  non  e'  esorta? 
Duchessa  Ah!  temo. 

Che  sotto  il  vel  di  tua  virtude  ascoso 

Disegno  alcun... 
Duca  (risentito)  Giovanna! 

Duchessa  (vorrd>be  parlargli  come  per  rimproverarlo:  ma  poco  stc^itcy 
reprimendo  la  sua  agitazione^  gli  dice) 

A  miglior  tempo 

Piii  aperti  sensi  dal  mio  labbro  udrete,  (parte) 

SCENA  VI. 
Duca;  Bunca 

Duca  Sospetti  in  lei  fan  guerra.  Al  mio  proposto 

Sviarmi  intende.  Inutil  brama!  O  Bianca, 
Di  sua  grazia  il  rifiuto  a  voi  del  Duca 
Il  cor  non  muta. 

Bianca  Tolga  il  Ciel  che  infausta 

Di  contese  sorgente  a  lei  non  torni 
Ah!  se  temerlo  dovess'  io,  la  Corte 
Da  quest'istante,  abbandonar  costretta 
Con  Pier  sarei,  de'benefict  vostri 
La  memoria  recando,  e  al  Ciel  d'  entrambi 
Lasciar  la  cura. 

Duca  Ah!  no. 

SCENA  VII. 
Guido,  Roberto  Ricci  b  detti 

Guido  (al  Diica)  Come  imponeste 

Raiinata  è  la  Corte  e  a  lei  mostrarvi... 

Duca  Parato  io  son. 

RoB.  Ricci  Mia  zia  Cassandra,  Altezza^ 

Qui  pur  sarà. 


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SW    

Duca  Cassandra!  Inaspettato 

Favor,  m*  è  questo.  Dal  Ducal  palagio 
Ritratta  s*  era,  e  dal  rumor  lontana 
De*  fasti,  trar  parea  bramasse  i  giorni. 

£oB.  Bicci  Ma  consiglio  mutò,  vinta  al  mio  prego 
E  ben  di  voi  menar  credetti.  Un  raro 
Della  Corte  ornamento  in  lei  predaste. 

Ddca  Mercè,  Roberto:  le  sue  doti  in  cale 

Non  men  terrò;  tu  a  lei  sii  scorta  e  dille. 
Che  a  me  V  istante  avventuroso  affretti. 
In  cui  rivolga  a  queste  Corte  il  piede.  (Roberto  s'tn- 
china  al  Duca  che  parte  con  Bianca  e  con  Guido). 

SCENA  vni. 

Roberto  Ricci 

Creder  dunque  il  poss*  io?  -  L' occulte  fiamma. 

Onde  in  Fiorenza  sussurrò  la  fama. 

Vano  sogno  non  è?  -  Bianca  d' un  Pietro 

Bonaventuri,  d'  uom  plebeo  la  sposa 

A  Cassandra  preferte...  a  lei  che  al  Duca 

Seder  parea  d'  ogni  pensiero  in  cima? 

Or  qual  stupor  che  questo  Piero,  in  breve. 

Questo  di  Fiorenza  ignobil  figlio. 

Per  qualche  degno  e  memorabil  fatto  (ironicamente) 

Qui  delle  insegne  d*  alti  onor  fregiato. 

Splender  mi  vegga  d' un  mio  pari  al  fianco, 

Che  i  pili  prestenti  in  nobiltede  avanzo? 

Ahf  no,  a  tei  prezzo  de'  servigi  al  Duca 

Non  assentii  l'omaggio.  Armi  possenti 

Pili  che  non  crede  io  stringo:  armi  che  in  lui 

Oprar  saprò,  se  a  provocarle  ei  giunga  (parte). 

(Continua) 


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—   392    

hXU. 
AD  ALFREDO  BACCELU 

PEL    SUO    CARME 

IN  ONORE  DI  ALFREDO  CAPPELLINI 


Dimmi^  Alfredo,  sei  tu,  che  il  terzo  lustro 
Varcato  appena^  di  sì  forti  sensi 
Ispiratrice  hai  si  leggiadra  musa? 
Forse  Toccidental  brezza  marina 
Sin  da  Caprera  ti  spirava  un  soffio 
Che  sul  capo  alitò  del  6ero  veglio 
D' Italia  onore.  Egli  a  me  pur  fu  duce 
Quando,  trilustre  anch*io,  Virgilio  e  Omero 
E  trepidanti  i  miei  cari  lasciai, 
E  alla  riscossa  della  patria  corsi 
Incontro  al  ferro  di  stranierì  schiavi. 
U*  son  gli  spirti  di  quei  santi  siomi  ? 
D'Italia  allora  tramontò  la  stella. 
Ma  per  sorger  piti  lieta,  in  sé  recando 
Colpitala  fortuna,  onta  ai  tiranni. 
Infamia  ai  traditori,  a  noi  vendetta. 
Ben  felice  pensiero  il  primo  agone 
A  tentare  ti  spinse,  richiamando 
D'  altro  Alfredo  il  valor^  l' eroe  di  Lissa, 
Onde  a  morir  pria  che  servir  s'impara. 
Possa  V  Italia  in  non  lontano  tempo. 
Vinte  r  ire  nemix:he,  e  domo  il  sbero 
Livor  di  pochi  rinnegati  figli, 
Secura  di  sé  stessa  a  or  re  voi  patto 
Riconquistar  le  ancor  disgiunte  membra; 
Ma  se  fia  dall'  invidia  o  dalla  frode 
Altrui  costretta  a  ritornar  guerriera, 
Sarei  dei  figli  oltre  la  tomba  altero. 
Se  dal  sasso  ove  alberghi  il  cener  mio 
Postuma  voce  ai  loro  cor  scendesse: 
-  Sol  per  amor  di  libertà,  di  sangue 
Sul  verde  campo  il  bianco  crin  cosperso. 
Sacro  alla  gloria  vostro  padre  é  morto.  - 
Che  non  andrebbe  il  nome  mio  confuso 
Tra  quei  che,  nulla  per  la  patria  oprando. 
Ad  altrui  danno  imbaldanziti,  e  onusti 
Di  turpe  censo  e  di  mercati  onori 
Treman  coi  forti  e  son  coi  vili  audaci. 


*•  settembre  1881. 


E.  Narducci 


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Serie  IL  Vol.  XIV. 


Novembre  1880 


I  L 


.BUONARROTI 


D  I 


BENVENUTO  GASPARCNI 

CONTINDATO  PER  CUBA 

DI  ENRICO  NABD1IC€I 


PAG. 

LXIII.  Della  storia,  della  scienza  e  dell'arte  insegna- 
tiva considerata  in  se  stessa  e  ne' suoi  rap- 
porti colla  storia  della  scienza  e  dell'arte 
letteraria  {Continuazione)  (Prof.  Gabriele 
Deyla) »  393 

LXIV.  Descrizione  di  tutte  le  colonne  ed  obelischi  che 
trovansi  nelle  piazze  di  Roma  »  disposta  in 
forma  di  guida  da  Angelo  Pellegrini  ecc. 

(Continuazione) .    »  401 

LXV.  Passatempi  artistici  dell'architetto  Pietro  Bo- 

NELLi  {Fine) ,    .     .    »  407 

LXVI.  Bibliografia.  Domenico  Beisso.  La  Gioventii 
Italiana   iniziata   alla  vita   morale  e   civile 

ecc.  (M.) »  419 

LXVII.  Francesco  de'  Medici.  Tragedia  storica  di  Ni- 
colò Marsucco  (Fine) »  420 


ROMA 

tipografia  delle  scienze   MATEMATICfiE  E   FISICHE 
VIA   LATA  n!  3. 

i880 


Pubblicato  il  24  Novembre  issi 


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IL 


Serie  IL  VoL.  XIV.        Quaderno  XI.  Novembre  1880 


LXIII. 


DELLA    STORIA    DELLA    SCIENZA    E    DELL  ARTE    INSEGNATIVA 

CONSIDERATA    IN    SE    STESSA    E    NE*  SUOI    RAPPORTI 

COLLA    STORIA    DELLA    SCIENZA    E    DELL*  ARTE    LETTERARIA. 

Conlinuaxione  (1) 


Dopo  avere  accennate  le  opere  didattiche  del  Girard,  del 
Rosmini  e  del  Gioberti,  credo  essere  pregio  dell'opera  esten- 
dermi alcun  poco,  prima  di  procedere  innanzi,  intorno  alla 
sostanza  ed  al  valore  delle  principali  di  esse. 

Farò  capo  dalla  migliore  opera  del  Girard  nella  quale 
si  racchiudono  i  germi  prodottivi  di  grandi  beni,  cioè  quei 
semi  ideali  che  germinarono  fiori  di  gentilezza  in  tutta  Europa 
e  produssero  specialmente  nella  Svizzera  quei  frutti  di  ci- 
viltà che  ora  veggiamo. 

Il  metodo  del  Girard  si  può  dire  un  temperamento  del 
metodo  Socratico  col  Pitagorico.  Egli  si  valeva  della  forma 
dialogica-espositiva^  ossia  della  forma  dialogica  inventata  da 
Socrate  e  della  forma  espositiva  praticata  da  Pitagora.  Con- 
siderando che  molteplice  deve  essere  l'istruzione^  il  Girard 
poneva  la  sua  prima  cura  nell' armonizzare  insieme  le  varie 
parti  dellmsegnamento  tra  di  loro,  in  modo  che  uno  studio 
servir  potesse  di  complemento  all'altro,  e  tutti  insieme  con- 
corressero a  compiere  e  perfezionare  nei  limiti  voluti  da  cia- 
scuna delle  varie  classi  di  cui  si  componeva  la  scuola  lo 
stadio  della  lingua,  mezzo  primo  di  coltura  e  pietra  ango- 
lare dello  insegnamento  elementare  e  mezzano.  In  questo 
studio  egli  distingueva  per  altro  l'insegnamento  delle  sem- 
plici parole  che  formano  il  dizionario  delia  lingua  dallo  inse* 
gnamento  delle  leggi  che  presiedono  all'  uso  ed  alla  distri- 
buzione di  esse  nel  discorso,  ossia  l'insegnamento  così  detto 

(1)  Vedi  Quaderno  di  Giugno»  pag.  223. 

53 


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—  394   — 
della  nomenclatura  dallo  insegnamento  della  grammatica,  fa- 
cendo in  sul  principio  quello  a  questo  precedere,  connettendo 
ed  alternando  poscia  Tuno  coU'allro,  accoppiando  gli  esempi 
pratici  ai  teorici  ,    la  vita  attiva  alla  vita  speculativa.  Ma' 
dovendo,  siccome  egli  diceva,  le  parole  servire  per  i   pen- 
sieri ed  i  pensieri  per  il  cuore  e  la  vita,  egli  ben  si  guar- 
dava dal  ridurre  l'insegnamento  cosi  detto  della  nomencla- 
tura a  dar  parole  senza  idee;  ma  secondando  la  naturale  ed 
ardente  brama  propria  dell'età  giovanile  di  conoscere  il  mondo 
reale  ed  in  esso  orizzontarsi  e  di  aprire  il  cuore  ai  più  nobili 
e  sublimi  sentimenti  die  questo  eccita,  usava  portare  la  loro 
attenzione  sopra  gli  oggetti  della  natura  e  dell'arte,  obbligan- 
doli mercè  l'analisi  ontologica  ed  il  dialogo  didattico  a  questi 
esaminare,  indicarne  il  nome,   enumerarne  ed  enunciarne  le 
parti,  le  qualità  e  le  relazioni,  discorrere  dell'origine,  dell'uso, 
dei  vantaggi,  formarsene  idee  chiare  e  distinte,  dissipare  gli 
errori  ed  i  pregiudizi  volgari  intorno  ad  essi,  e  rappresen- 
tarli con  diverso  e  variato  ordine.  Per  tal  guisa  discendeva 
sino  a  loro  per  innalzarli    ed    aiutarli  ad  acquistare  quelle 
idee  fondamentali  delle  scienze  cosmografiche ,  fisiche,  come 
merdali  e  matematiche,  che  sono  espresse  dalia  lingua  comun- 
del  popolo  e  possono  essere  apprese  autor  itati  vamente  o  ra- 
zionalmente per  analogia  od  induzione^  e  valgono  a  costituire 
il  fondo  materiale  della  grammatica,  della  composizione  e  si 
prestano  sublime    argomento    allo    insegnamento  delle    verità 
civili  e  morali.  Partendo  sempre   dal   fatto  alla  legge  e   dai 
particolari  all'universale,  dal  sensibile  all'in telligibile,  e  man- 
tenendo rigorosamente  in  ciascun  corso  e  nella  serie  dei  varii 
corsi  d'idee  e  di  cognizioni  la  legge  di  gradazione  riguardo 
al  pensiero  ed  all'azione,  esercitava  così  lo  spirito  di  osser- 
vazione^ la  riflessione,  la  coscienza,  il  giudizio,  il  raziocinio, 
la  memoria,  l'immaginazione  e  tutte  insomma  le  facoltà  dell*a- 
nimo  senza  trasandarne  alcuna.  Alternava  ed  avvicendava  pure 
gli  studi  in  modo  che  un  lavoro  mentale  potesse  tornare  di 
ristoro  air  altro ,  e   tutti  insieme  senza  stancare  ed  esaurire 
le  forze  mentali  dei  giovinetti    esercitassero    però  lo  spirito 
ad  usare  quella  fatica  che  h  necessaria  perchè  vengano  così 
per  tempo  preparati  alle  dure  prove  della  virtii,  all'obbedienza 
ed  al  sacrifizio  e  sia  temperata   in    loro    quella   mobilita  di 
fantasia  che  tende  a  renderli  frivoli,  incostanti,  superficiali, 
viziosi.  Divideva   per  ultimo   il    suo    insegnamento   non  per 
parti  ma   per  gradi,  cioè  insegnava  le  stesse  cose  alle  singole 
classi,  colla  sola  differenza  dell'ampiezza  e  dello  svolgimento 


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—  395  — 
dell'oggetto;  sicché  ognuno,  quand'anche  dovesse  in  findelPanno 
abbandonare  la  scuola,  a  qualunque  classe  apparteneva,  non 
avesse  solo  idee  smozzicate  e  divise,  ma  un  complesso  di  co- 
noscenze proporzionali  alia  sua  età  ed  utili  alla  vita,  cioè 
avesse  ognuno  degli  allievi  se  non  il  totaliter  il  totum  delle 
scienze  prime.  Queste  cognizioni  loro  comunicate  man  mano 
che  si  presentava  l'opportunità  di  dover  spiegare  un  voca- 
bolo ,  commentare  un  passo  ,  richiamare  una  proposizione  , 
ossia  mediante  un  insegnamento  occasionale  agevolmente  e 
senza  sforzi  si  apprendevano  dai  fanciulli  ;  raccolti  poscia 
in  sul  fine  ed  ordinati  con  un  insegnamento  apposito  e  rego- 
lare sopra  ciascuna  materia,  vale  a  dire  ordinato  a  sistema 
scientifico  s' imprimevano  fortemente  nella  memoria  ,  arric* 
chivano,  nobilitavano  ed  aguzzavano  la  mente  e  suscitavano 
soavi  affetti  e  profonde  commozioni.  A  facilitare  però  questo 
menzionato  esercizio  ei  si  valeva,  per  quanto  lo  permettevano 
i  tempi  ed  ì  luoghi,  dei  sussidii  che  la  natura  suggeriva  e 
r  esperienza  e  la  ragione  dimostrano  essere  efficacissimi  ;  il 
primo  dei  quali  e  Tuso  dei  sensi  ed  in  ispecial  modo  quello 
della  vista  e  del  tatto;  perchè  tutto  quello  che  può  passare 
per  gli  occhi  ed  essere  toccato  dalla  mano  va  diritto  alla  in- 
telligenza senza  molto  sforzo  e  vi  dura  a  lungo,  dipendendo 
la  durata  della  memoria  dal  numero  delle  facoltà  impiegate 
nell'acquisto  delle  cognizioni  (i). 

In  quanto  alla  disciplina  tutto  era  disposto  in  maniera 
da  rendere  possibile  l'ordine  più  perfetto,  da  coadiuvare 
efficacemente  al  metodo  d'istruzione.  Egli  governava  la  scuola 
col  mezzo  di  monitori  a  questo  uopo  preparati ,  lo  che  ^li 
permetteva  di  stabilire  numerose  divisioni.  Il  primo  concetto 
di  questo  insegnamento  reciproco  egli  lo  desunse  da  Licurgo, 
come  quello  della  forma  dialogica  l'aveva  imparato  dalle  opere 
di  Socrate.  «  Licurgo ,  secondo  che  narra  Plutarco ,  ordinò 
»  che  tutti  i  fanciulli  di  sette  anni  fossero  educati  nello 
»  stesso  luogo  e  sottoposti  alla  stessa  disciplina;  egli  li  divise 
)»  in  parecchie  classi    alla    cui  testa  pose  un  certo  numero 

(i)  Gli  oggetti  più  famigliari  e  meglio  conosciuti,  tutto  ciò  che  parla 
ai  sensi  e  s*  imprime  nella  immaginazione  erano  il  punto  di  partenza  del 
suo  insegnamento  :  la  storia  si  presentava  in  sulle  prime  in  abbozzo  come 
una  raccolta  di  fatti  e  di  aneddoti,  esponeva  quindi  la  medesima  storia  più 
completamente,  e  Analmente  questa  medesima  storia  corredata  da  riflessioni 
convenienli  ad  una  piìi  matura  età.  Nell'aritmetica  similmente  in  un  primo 
corso  insegnava  le  quattro  operazioni  fondamentali  sopra  numeri  di  una  sola 
cifra;  il  secondo  le  ripeteva  sopra  numeri  più  grandii  un  terzo  corso  versava 
sopra  numeri  dojgni  grandezza.  Ma  i  problemi  tenevano  il  posto  principale 
per  rendere  sensibile  l'uso  delle  regole  ed  erano  tolti  dalle  più  comuni  oc- 
correnze della  vita.  (Aaynert,  Metodica). 


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—  ZH  — 
»  ài  fanciulli  i  più  abili  e  coraggiosi;    gli  altri  dovev^ano 

>  aver  coatinuamente ' gli  occhi  sopra  di  loro,    obbedire  ai 
»  loro  ordini  e  ricevere  con  sommissione   le   punizioni  che 

>  contro  di  essi  pronunziavano   »  (t). 

Quali  erano  i  frutti  della  sua  scuola  ce  lo  dice  l'indirizzo 
seguente  dei  padri  di  famiglia  di  Friborgo  al  Consiglio  Co- 
munale: <c  Non  si  vede  più  oggi  giorno  come  altra  volta  quella 
»  moltitudine  di  fanciulli  vagabondi  che  girano  tutto  il  dì 
»  e  stendono  la  mano  mendica  al  passeggiero,  quelle  turbe 
»  numerose  e  scliiamazzanti ,  quelle  risse ,  quelle  indecenze 
»  d'  ogni  genere  ,  quei  furti  che  costringevano  la  pubblica 
)i  autorità  a  mettere  le  mani  per  sin  sui  fanciulli.  A  Fri- 
»  borgo  non  v'era  che  una  voce  a  questo  riguardo.  Avvenne 
>^  un  salutar  cambiamento.  Di  scioperati  e  monelli  i  fanciulli 
»  divennero  studiosi,  docili,  modesti,  rispettosi  e  gentili.  » 
(Adresse  de  24  pères  de  famille  au  Conseil  Municipal  de  la 
Ville  de  Fribourg,  iSis). 

Mentre  il  sistema  di  educazione  del  Girard  faceva  sì  ottima 
prova  ^  i  tentativi  pratici  del  sistema  del  Pestalozza  furono 
sempre  infelici,  perchè  quegli  poneva  per  base  del  suo  inse- 
gnamento la  lìngua  materna  e  questi  la  matematica.  Le  opi- 
nioni del  Pestalozza  sull'uso  delle  matematiche^  se  erano  vere 
entro  certi  limiti  ,  recavano  però  con  se  di  gravi  pericoli^ 
ff  II  predominio  di  questi  studi  può  suscitare  negli  animi 
»  dei  giovinetti  il  bisogno  di  dimostrazioni  dello  stesso  ge- 
»  nere,  come  osserva  il  Rayneri,  quand'anche  per  la  natura 
»   delle  cose  sia  assurdo  l'esigerle,  impossibile  il  darle;  può 

(1)  Fra  i  moderni  i  primi  ad  ordinare  la  scuola  in  questo  modo,  da 
quanto  si  narra ,  sarebbero  stati  il  cav.  Paulet  vecchio  ufficiale  francese  a 
Parigi  e  Tabate  Goltieri  d'Asti  emigrato  francese  in  Londra.  Dopo  di  auest'al- 
timo,  in  Inghilterra  ridussero  questo  insegnamento  a  sistema  e  to  applicarono 
nelle  scuole,  il  Bell  cappellano  militare  degli  inglesi  a  Madras  nelle  Indie  ed 
il  Lancaster  quacchero,  inglese  anche  esso,  a  Londra.  L' ordine  ammirabile 
che  regnava  in  quelle  scuole  mosse  il  clera  ed  i  filantropi  dell'  Inghilterra 
a  favorirlo  ed  a  moltiplicare  le  scuole  per  tutto  il  reame.  1  signori  De-la- 
Borde,  Fomard,  Baili;,  Francoeur,  Degefando  lo  introdussero  e  propagarono 
in  Francia.  Il  padre  Girard  in  Isvtzzera  ma  con  gravi  modificazioni;  i  signoci 
Gonfalonieri,  Porro,  marchese  di  Breme  in  Lombardia;  il  P.  Sassetti,  il  cav. 
Ferrerò  in  Piemonte,  e  sarebbesi  assai  piìi  diffuso  se  in  quei  tempi  della  rivo- 
luzione dal  1816  cioè  al  21  sussegurti  dalla  rivoluzione  italiana,  il  partito  rea- 
zionario non  gii  avesse  levato  incontro  una  fierissima  guerra,  accagionando  un 
semplicissimo  ordinamento  delle  scuole  elementari  di  pessime  tendenze  di 
irreligione,  di  spirito  rivoluzionario  e  facendola  pressoché  origine  dei  rovesci 
politici  di  quei  tempo,  solo  perchè  introduceva  nelle  scuole  dei  fanciulli  una 
maggior  regolarità,  un  po'  di  ordine  militare  nel  passo,  nella  posizione  della 
persona,  nella  divisione  delle  classi,  nel  comando  e  nella  disciplina.  Eccesso 
di  biasimo  fu  questo  che  dimostra  eccesso  di  lode,  di  cui  fu  oggetto  tale 
sistema.  In  tutte  le  cose  umane  gli  estremi  conducono  agli  estcemìs*  (Jiay^ 
neriy  Metùdioa). 


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—   307   — 

»  produrre  T aridità  del  cuore  e  quel  guasto  morale  di  cui 
»  parla  il  Bonfadio  nelle  sue  storie,  ed  il  Fenelon  ne* suoi 
»  scritti  filosofici.  La  lingua  all'incontro  essendo  T  espres- 
»  sione  universale  dei  nostri  pensieri  ed  affetti  può  divenire 
»  la  istruzione  universale  d'ogni  coltura.  Perciò  il  corso  di 
i*  lingua  materna  era  la  pietra  angolare  della  scuola  del 
1»  padre  Girard.  Ei  vi  spendeva  la  meta  del  tempo  desti- 
»  nato  a  tutto  lo  insegnamento.  Questo  corso  aveva  per  epi- 
)*  grafe:  Le  parole  per  i  pensieri  ed  i  pensieri  per  il  cuore- 
»  Un  numero  grandissimo  di  esempi  scelti  col  più  fine  cri- 
»  terio  ponevano  sott'occhio  degli  allievi  una  serie  di  verità 
^  le  più  adatte  ai  loro  bisogni.  La  natura  e  le  sue  mera- 
»  viglie,  Tuomo  e  le  sue  facoltà,  la  società  e  le  sue  leggi 
»  erano  le  fonti  a  cui  attingeva  continuamente  i  suoi  det* 
»  tati,  invece  di  non  considerare  in  una  proposizione  altro 
»  che  gli  elementi  grammaticali  il  fanciullo  doveva  dichiararne 
»  il  significato,  apprezzarne  la  verità  e  portare  finalmente, 
»  quando  vi  fosse  luogo,  un  giudizio  morale*  »  {Raineri  , 
Metodica). 

Vittorino  da  Feltre  (i).  Fra  gli  educatori  del  medio  evo  più 
celebrati  in  Italia  vuoisi  annoverare  Vittorino  Rombaldoni,  più 
comunemente  chiamato  dal  nome  del  suo  nativo  paese  Vittorino 
da  Feltre.  Nacque  nel  1398  ed  appena  compiuti  gli  studi  aprì  in 
Padova  e  poco  tempo  dopo  anche  in  Venezia  un  collegio,  ove 
diede  le  prime  prove  della  sua  abilità  nella  scienza  e  nell'arte 
d'insegnare  e  di  educare  la  gioventù.  La  sua  fama  era  salita 
tanto  in  alto,  che  Francesco  Gonzaga  lo  chiamò  a  Mantova  per 
educare  i  proprii  figli  Ludovico  e  Carlo,  Ivi  egli  fondò  un 
collegio  che  attrasse  non  solo  dall'Italia,  ma  dalla  Grecia,  dalla 
Germania  e  dalla  Francia  grande  numero  di  discepoli,  i  quali 
poi  ne  uscirono  segnalatissimi  nelle  scienze,  nelle  lettere  e 
neir  arte  militare.  La  maschia  e  saggia  sua  educazione  in 
Mantova  non  solo  ma  in  tutta  la  penisola  produsse  un  cam- 
biamento morale  ed  intellettuale  per  essere  le  virtù  della 
scuola  passate  nella  famiglia  e  dalla  famiglia  nella  citta. 
Tuttavia  tutto  ciò  che  sappiamo  della  sua  scuola  non  ci  viene 
dalle  sue  opere  ma  dalla  tradizione,  perciocché  occupatissimo 
come  era  tutto  il  giorno  coi  suoi  allievi,  egli  scrisse  poche 
cose  e  queste  non  giunsero  neppure  fiuo  a  noi.  Da  quanto 
si  rileva  dagli  autori  che  ci  tramandarono  le  sue  memorie, 

(1)  Benché  secondo  Tordine  cronologico  di  Vittorino  si  avrebbe  dovuto 
i  parlare  prima ,   tuttavia  per  la  relazione  che  ha  il  suo  metodo  con  quella 
del  Girard»  a  questi  credetti  opportuno  di  farlo  seguire. 


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—  398  — 
le  sue  prime  mire  erano  rivolte  a  conservare  la  sanila  de'siioi 
discepoli  merci  le  cure  igieniche ,  ad  accrescerne  le  forze  , 
addestrarne  le  membra,  perfezionarne  i  sensi,  aggraziarne  la 
persona  mediante  la  ginnastica.  Riguardo  alla  coltura  intel- 
lettuale egli  procurava  che  la  sua  istruzione  fosse  pratica, 
educativa ,  molteplice ,  varia  e  graduala ,  dilettevole  dando 
i  primi  rudimenti  quasi  per  giuoco,  affinchè  i  fanciulli  non 
])igliassero  dispetto  dello  studio.  E,  quantunque  dottissimo,  non 
saliva  mai  la  cattedra  senza  essersi  preparata  ogni  volta  la 
lezione  con  matura  e  profonda  riflessione.  Per  quanto  ri- 
guarda r  insegnamento  della  lettura  il  pedagogista  Feltrese 
seguiva  l'opinione  di  Quintiliano;  imperciocché  Quintiliano 
approvava  Fuso  fin  da*suoi  tempi  introdotto  di  fare  imparare 
Talfabeto  ai  fanciulli  quasi  giocando  con  certe  tavolette  d*a* 
vorio  sopra  le  quali  erano  scolpite  le  lettere ,  e  Vittorino 
faceva  eseguire  tali  tavolette  di  cartone  dipinte  a  vari!  co- 
lori, sopra  ciascuna  delle  quali  ciascuna  lettera  dello  alfabeto 
fosse  disegnata  ,  e  ciascuna  tavoletta  il  nome  prendeva  da 
quella  lettera  che  in  fronte  portava  (Platin,  Vita  Yictorini). 
Questo  metodo  fu  anche  da  moderni  approvato  ;  Lock  con- 
sigliò i  dadi,  Rollio  le  carte,  e  M.  Dumas  trovò  il  tavolino 
tipografico  che  dal  RoUin  viene  descritto. 

Nello  insegnamento  delle  altre  materie  Vittorino  poneva, 
al  pari  del  Girard,  quale  base  T insegnamento  della  lingua 
materna  seguendo  nelPimpartirlo  il  metodo  analitico-sintetico. 
Di  guisa  che,  siccome  narra  Rosmini  Carlo,  tosto  che  i  fan* 
ciulli  erano  stati  istruiti  nei  primi  elementi  delle  lettere  che 
ad  ogni  uomo  mediocremente  educato  sono  necessari,  che  di 
ogni  scienza  e  disciplina  sono  il  fondamento^  prima  di  passare 
innanzi ,  di  applicarli  ad  altre  scienze ,  di  lunga  mano  egli 
studiava  il  carattere  e  Y  inclinazione  di  ciascuno ,  secondo 
il  precetto  di  Plutarco,  il  quale  dice  che  bisogna  coltivare 
i  fanciulli  non  secondo  le  facoltà  del  padre  ,  ma  secondo 
quelle  dello  spirito  loro. 

Nelle  lezioni  di  lingua  materna  egli  usava  snocciolare 
i  passi  più  difficili  dei  filosofi,  dei  poeti  e  discendere  nella 
sua  analisi  alle  più  minute  osservazioni,  e  non  era  contento 
sino  a  tanto  che  si  accorgeva  che  anche  i  più  tardi  ingegni 
intendevano.  E  ciò  che  non  avevano  prima  inteso  non  per- 
metteva che  essi  studiassero. 

Circa  r ordinamento  della  scuola  ben  conoscendo,  che 
qualunque  sia  il  metodo  d' insegnamento,  nullo  ne  sarebbe 
il  frutto,  ove  mancasse  lordine  scolastico  ossia  la  disciplina 


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309  — 

dispensiera  del  tempo,  tutela  del  lavoro,  conciliatrice  degli 
animi,  ispiratrice  della  docilità,  dell'affetto,  della  riverenza 
al  maestro,  e  la  guarentigia  del  buon  costume  ed  il  nerbo 
della  scuola,  non  risparmiava  alcun  mezzo  per  ottenerla.  Ora 
siccome  sapeva  che  uno  dei  principali  mezzi  si  è  l'autorità  di 
fatto  che  è  riposta  nella  saggezza  e  probità  del  maestro^  an- 
netteva tanta  importanza  alla  scelta  dei  precettori,  che  amava 
assai  più   di   avere    ad    istruire   i    fanciulli  rozzi  e  quali  li 
aveva  fatti  natura ,   che  quelli  che  già  fossero  stati  istruiti 
da  imperiti  maestri  ;    poiché  nel  secondo   caso  ,    ei  diceva  , 
doppia  essere  la  fatica,  dovendosi  prima  di  istruirli  far  loro 
disimparare   quello    che    male    avevano  imparalo.  Di  questo 
avviso  era  pure  Quintiliano  ,    il  quale  narra  come  Timoteo 
celebre  suonatore  domandava  una  certa  determinata  somma 
se  doveva  insegnare  ad  un  discepolo  che  non  avesse  avuto 
altra    istruzione  ;    ma    questa    somma    voleva    duplicata    se 
UH  altro  si  presentava  che  fosse  stato  istruito  da  poco  esperti 
maestri.  Tanta  h  la  forza  della  prima  educazione  ed  istru- 
zione che  giunse  molte  volte  ad  assopire  le  stesse  naturali 
inclinazioni,  come  ne  lo  prova  lesempio  di  Licurgo  (riportato 
da    Plutarco   nel    giudizioso  suo  trattatello   dell'Educazione 
dei  figliuoli)  dei  due  cani  nati  dalla  stessa  madre,  ma  stati 
allevati    diversamente,    l'uno   alle   mollezze   ed   al    ritiro, 
r  altro  alla  caccia  ed  ai  boschi.  Neppure   sfuggendogli  che 
r  autorità    di    fatto    del    maestro  può  essei*e  contrastata   ed 
alcune    volte    vinta    dagli    abiti    precedentemente    contratti 
da  un  alunno,  dall'indole  medesima  di  esso^  o  da  compagni 
non  metteva  in  non  cale  lautorilà  di  diritto  la  cui  sanzione 
sono  i  premi  ed  ì  castighi.  Egli  distingueva  però  due  specie 
di  mancanze^  cioè  quelle  che  provenivano  da  malizia  e  quelle 
che  provenivano  da  trascuratezza.  Quindi  al  primo  ingresso 
di  ciascun  discepolo  nel  collegio  gli  prescriveva  il   sistema 
di  vita  che  condurre  ivi  doveva,  il  quale  ove  fosse  da  lui 
maliziosamente  violato  ,    veniva  senza  dar  luogo  a  scusa  od 
a  pretesti  escluso  dal  ginnasio  come    don  atto  alla  sua  di- 
sciplina. Quando  poi  un  discepolo  era  negligente  l'obbligava 
di  applicarsi  allo  studio  nel  tempo  in  cui  gli  altri  suoi  com- 
pagni occupavansi  in  giocondi  esercizi  Questo  metodo  però 
non  h  da  imitarsi,  siccome  quello  che  non  serve  che  a  fare 
abborrire  i  libri ,    lo  studio  e  la  scuola.  Infatti  Quintiliano 
consiglia  l'opposto  sistema:  egli  vuole  che  il  maestro  procuri 
di  far  SI  che  il  fanciullo  riguardi  lo  studio  come  un  diver- 
timento ed  un  premio,  e  che  se  egli  nega  di  studiare,  non  >uole 


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—   400   — 

che  se  ne  faccia  schiamazzo^  nh  che  gli  si  dica  pur  moto, 
ma  che  si  chiami  alla  sua  presenza  un  fanciullo  più  docile, 
il  quale  si  lasci  istruire.  Il  primo  ne  sentirà  una  lodevole 
invìdia,  agognerà  lo  studio  ed  il  maestro  per  nudrire  in  lui 
questo  desiderio  gliel  negherà  per  qualche  tempo.  Insomma 
vuole  Quintiliano  che  il  maestro,  mentre  il  discepolo  h  ancor 
giovinetto  e  per  conseguenza  incapace  di  calcolare  i  propri! 
vantaggi ,  non  cerchi  tanto  che  egli  ami  lo  studio  quanto 
che  non  lo  prenda  in  orrore. 

Ma  se  Vittorino  richiedeva  nel  suoi  discepoli  la  docilità, 
voleva  che  questa  non  fosse  passiva  ma  attiva  per  guisa  che 
tutti  stessero  attenti,  e  la  loro  attenzione  si  arguisse  non 
tanto  dall'equivoca  quiete  del  corpo  quanto  dal  movimento 
degli  occhi  e  dalFarìa  del  volto.  Ad  ottenere  questo  scopo 
poneva  grandissima  cura  nel  classificare  gli  alunni  per  riguardo 
al  grado  di  coltura  non  solo ,  ma  anche  per  riguardo  alla 
educazione  ed  alle  naturali  inclinazioni,  attenendosi  in  ciò 
all'esempio  dell'educazione  persiana,  secondo  che  ce  la  descrive 
Senofonte  nella  Ciropedìa,  lib.  I,  cap.  II.  Quest'illustre  edu- 
catore, dal  quale  il  Girard  e  quelli  che  lo  seguirono  trassero 
non  poco,  come  si  scorge  dal  confronto  dei  sistemi  loro,  mancò 
ai  vivi  nel  1446  compianto  da  tutti  coloro  che  ne  poterono 
conoscere  ed  apprezzare  l'ingegno,  la  dottrina  e  Tabilita  di- 
dattica, e  venne  sepolto  nella  chiesa  di  san  Spirito  in  Mantova. 

Molteplici  sono  le  pubblicazioni  in  tomo  alla  vita  ed  alle 
opere  educative  di  Vittorino  da  Feltre.  Fra  queste  meritano 
particolare  menzione  gii  scritti  di  Rosmini  Carlo  e  dell'abate 
Iacopo  Bernardi.  Gli  scrìtti  del  primo  portano  il  nome  di 
Idea  delf ottimo  precettore  nella  sfita  e  nelle  discipline  di 
Vittorino  da  Feltre  e  de  suoi  discepoli^  videro  la  luce  nel  1845 
in  Milano  per  opera  deireditore  Silvestri;  quelli  del  secondo 
portano  per  titolo  :  Studi  di  fattorino  da  Feltre  e  suo 
metodo  educativo^  e  si  stamparono  in  Pinerolo  nel  1S56. 

Il  Rosmini  nella  sua  opera  dell'unita  dell'educazione  insegna 
quali  siano  i  limiti  entro  i  quali  si  dovrebbero  tenere  i  legi- 
slatori nel  proporre  e  decretare  le  riforme  scolastiche. 

Tuttavolta  si  vuole  procedere  alla  riforma  di  una  istitu* 
zione,  dice  il  filosofo  di  Roveredo,  h  necessario  fissar  bene 
ciò  che  vi  ha  di  ottimo  e  perciò  dMmmutabile,  e  questo  intie- 
ramente conservare  per  far  cadere  la  riforma  sul  rimanente 
soltanto.  Ora  ciò  che  deve  avere  di  ottimo  e  perciò  d'immu- 
tabile una  istruzione  si  h  l'unita.  Nella  pubblica  educazi  one 
l'unità  vuol  essere  di  tre  sorta,  cioè  unità  del  fine,  unità 


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401    — 

delle  dottrine  ed  unita  del  metodo.  Questa  teoria  venne  se- 
guita dal  Rayneri  di  cui  parleremo  più  innanzi.  Con  queste 
parole  pare  che  il  Ro£lmini  abbia  voluto  avvertirci  fin  da'suoi 
tempiy  che  la  triplice  unita  menzionata  fosse  il  miglior  mezzo 
di  acquistare^  come  di  conservare  e  consolidare,  acquistata 
che  fosse,  la  nostra  unità  politica. 
{Continua) 

Prof.  Gabriele  Deyla 


LXIV. 

DESCRIZIONE 

DI  TUTTE  LE  COLONNE  ED  OBELISCHI 

CHE  TROYANSl  NELLE  PIAZZE  DI  ROMA 

DISPOSTA   IN   FORMA   DI   GUIDA 
DA    ANGELO    PELLEGRINI 

MBMBIO   DBLL'IVSTITUTO   DI   COBRISPOITDBNSA    ABcHEOLOGIGA 

Continuazione  (1) 


OBELISCO  DEL  QUIRINALE 

Quest'  obelisco  sulla  piazza  del  Quirinale  j  fu  innalzato 
come  quello  dietro  la  tribuna  di  s«  Maria  Maggiore ,  come 
fu  detto  j  avanti  V  ingresso  dei  Mausoleo  di  Augusto.  Tali 
obelischi  ambedue  eguali  senza  geroglifici,  si  tagliarono  cer- 
tamente in  tempo  dei  primi  imperatori  romani. 

Si  scoprirono ,  come  notossi  ^  poco  prima  dell'  anno  i527 
per  testimonianza  del  Fulvio  che  scrìsse  esserne  stato  estratto 
uno  solo  e  lasciato  giacente  spezzato  avanti  la  chiesa  di 
s.  Rocco,  e  che  l'altro  fu  lasciato  sepolto.  Quest'ultimo  rimase 
sotterra  fino  al  i78i  ,  allorché  papa  Pio  VI  lo  fece  scavare 
di  nuovo  ed  estrarre  nelFanno  1782. 

Era  rotto  in  tre  pezzi,  ed  il  primo  venne  innalzato  con 
direzione  dell'architetto  Antinori  nei  primi  giorni  di  ottobre 
del  i786,  e  successivamente  gli  altri  due  correndo  lo  stesso 
mese.  È  alto,  non  compreso  il  piedestallo,  la  croce  di  metallo, 
lo  sbassamento  attuale  della  piazza,  e  qualche  altro  acces- 
sorio, circa  metri  6. 

Il  celebre  gruppo  colossale  in  marmo  dei  due  cavalieri 
greci  coi  loro  cavalli,  annesso  alfobelisco  di  cui  trattiamo, 

(i)  Vedi  Quaderno  precedente,  pag.  366. 

54 


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—  408  — 
fino  dai  terapi  anticbi  sì  diceva  opera  di  Fidia  e  di  Prassi- 
tele^  leggendovisi  anche  ai  tempi  di  Aureliano  come  al  pre- 
sente nelle  loro  'basi:  oPvs  phidià«:.  ok>^  praiitblis.  Eraito  si- 
tnati  di  fronte  al  prospetto  del  tempio  ^el  Sole  nell'  area 
innanzi  ai  giardino  Colonna  »  ora  piazza  di  Monte  Cavallo , 
da  dove  li  rimosse  Sisto  V  «collocandoli  nel  sito  presente  sotto 
la  direzione  dell'architetto  Domenico  Fontana.  Ciò  fece  per 
restaurarli  non  solo^  ma  anche  perchè  rendessero  ornamento 
al  palazzo  ponliikio  (i)  ed  alla  strada  di  Porta  Pia  (2J*  Il 
com  un'errore  di  credere  queste  statue  dei  nominati  scultori 
greci  lo  confermarono  le  antiche  iscrizioni  seguenti  scolpite 
nelle  loro  basi. 

La  prima  sotto  il  cavallo  creduto  di  Fidia: 

PHlblAS  NOBILIS  SCVLPTOR  AD  ARTIFIGIS  PRAESTAP^TIAX 

DECLARANDVM  ALEXAMDRl  BVGEFALVH  DOMANTIS 

EFFIGIEM  E  HARMORE  EXPRESSIT. 

Nella  stessa  base  leggevasi  ancora  un*  altra  di  Sisto  V: 

SIXTVS  V.  PONT.   MAX. 

SIGNA  ALEXANDRI  MAGNI  CELEBRISQVE  ElVS  BVCEFALI 

EX  ANTIQVITAT1S  TESTIMONIO  PHIDIAB 

PRAXITELIS  AEMVLATIONE  HOC  MARMORE  AD   VIVAM 

EFFIGIEM  fiXPRESSA  A  FL.   C0N8TANTIN0  MAX.  E  GRAECIA 

a4)vecta  svisqve  in  thermis  in  hoc  QVIRINALI 

MONTE  COLLOCATA  TEMPORIS  VI  DEFORMATA  LAGERAQVE 

AD  EIVSDEM  IMPERATORIS  MEMORIAM  VRBISQVE 

DECOREM  IN  PRISTINAM  FORMAM  RESTITVTA 

BIG  REPONI  IVSSIT 

AN.    M  .  D  .  LXXXIX.  PONT.  IV. 

Sotto  l'altro  creduto  di  Prassitele: 

PRAXITELES  SCVLPTOR  AD  PHIDIAE  AEMVLATIONEM  SVI 

MOflVMENTA  INGENII  POSTERIS  RELINQVERE  GVPIENS 

EIVSDEM  ALEXANDRI  BVCEFALIQVE  SIGNA  FELICI 

CONTENTIONE    PBRFEGIT 

Indi  nel  piedestallo  sotto  quello  creduto  di  Fidia  dietro  si  legge: 

SIXTVS  .  V  .  PONT  .  MAX. 

COLOSSEA  *  HAEG  .  SIGNA  .  TEMPORIS  .  VI  .  DEFORMATA 

RESTITVIT 

VETERIBVSQ  .  REPOSITIS  .  IN^GRIPTIONIBVS 

E  .  PROXIMIS  .  CONSTANTINIANIS  .  THERMIS 

(1)  Ora  Regio. 

(2)  Ora  Via  Venti  Settembre. 


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—    403   — 

IN  •  OVIRINALEM  •  AREAH  .  TRANSTVLIT 

ANNO  .  SALVTIS  .  MDLXXXIK 

PONTIFICATVS  •  (TVARTO 

Nel  luogo  ora  occupato  da  questi  cavalli  sussisteva  un 
masso  rustico  di  muro  antico,  che  fu  distrutto  al  tempo  di 
Sisto  V  per  situarli  in  tal  punto,  come  si  ha  dal  Vacca  /l/e- 
morie^  n.  io  e  40  (i).  11  suddetto  pontefice  fra  essi  edificò  una 
fontana  la  quale  fu  tolta  allorché  d'ordine  dì  Pio  VI  venne 
collocato  l'obelisco  nel  mezzo  ai  due  colossi,  voltandoli  come 
sì  vede,  e  ponendovi  la  seguente  iscrizione  in  versi: 

ME  .  QUONDAM  .  AEGYPTI  .  DESECTVM  .  E  .  CAVTIRVS  .  VNDAS 

VIS  .  QVEM  .  PER  .  MEDIAS  •  ROMVLA  •  TRANSTVLERAT 

VT  •  STAREM  .  AVGVSTl  .  MOLES  .  MIRANDA  .  SEPVLCRI 

GAESAREVM  •  TIBERIS  .  QVA  .  NEMYS  •  ADLVERET 

lAM  .  FRVSTRA  .  EVERSVM  •  FRAGTVMQVE  .  INPESTA  .  VETVSTAS 

NISA  .  EST  .  AGGESTIS  •  GONOERE  .  RVDERIBVS 

NAM  .  PIVS  .  IN  •  LVGEM  .  REVOGAT  .  SARTVHQVE  .  QVIRINl 

SVBLIMEM  .  IN  .  COLLIS  .  VERTICE  .  STARE  .  IVBET 

INTER  •  ALEXANDRI  .  MfiOlVS  •  QVI  •  MAXIMA  .  SIGNA 

TESTABOR  .  SEXTl  •  GRANDIA  •  FAGTA  .  PII 

I  più  volte  riportati  registri  Camerali  così  notano  riguardo 
alle  Spese  per  i 

Cavalli  sulla  piazza  del  Quirinale 

Al  cavaliere  Domenico  Fontana  architetto  per  la 
remozione  e  mettitura  di  essi Se.       766 

Al  medesimo  per  diversi  massi  esistenti  sulla 
piazza  gettati  a  terra,  che  impedivano  la  veduta  di 
detti  Cavalli}  come  al  conto  saldato  il  dì  5  aprile  iS90  Se.      i980 

A  Lorenzo  Bassani  scarpellino  per  il  lavoro  de  pie- 
distalli      Se.       1500 

A  Flaminio  Vacca^  Pietro  Paolo  Olivieri^  e  Leo- 
nardo  Sorman  scultori  per  la  subiatura  de*  Cavalli , 
come  dalla  stima  fatta  da  Gio.  Battista  Bianchi 
a  Se.  2250  ridotti^  e  saldati  il  it  gennaio  iS90.      Se.      isoo 

Ad  Antonio  Mambrilla  ferrare  per  le  spranghe 
di  ferro Se.         78 


Totale  Se.      6ii4 


(1)  Era  l'avanzo  di  uno  delle  due  specie  di  cortili  posti  nei  lati  del 
tempio  del  Sole  di  cui  la  platea  a  grandi  scaglie  dì  selce  vedemmo  distrug- 
gere con  molta  fatica  nel  medesimo  luogo  quando  Pio  IX  fece  fare  la  nuova 
salita  del  Quirinale. 


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—  404  — 

L'attuale  fontana  eretta  da  Pio  VII  l'anno  I8I8  fra  i  due 
colossi,  h  composta  da  una  grande  tazza  rotonda  di  granito 
rosso y  che  poggia  su  d'un  piede  di  marmo  bianco  baccel- 
laio con  dado  sotto  di  travertino.  Dal  centro  di  essa  sgorga 
in  alto  un  grosso  capo  dell'acqua  Felice,  e  da  questa  le  acque 
rigurgitano  nel  sottoposto  bacino  rotondo  formato  di  traver- 
tino. 11  labbro  o  tazza  di  granito  suddetto  trovavasi  fin 
dai  secolo  XVI'nel  Foro  Romano  trovata  a  tempi  di  Sisto  V 
presso  santa  Martina  nel  cantone  colla  via  di  Marforio,  uni- 
tamente al  colosso  giacente  dell'  Oceano  ora  nel  cortile  del 
museo  Capitolino.  Questo  versava  V  acqua  in  quella  tazza  , 
e  costituivano  ambedue  una  fontana  degli  antichi  romani 
incontro  il  carcere  Mamerlino.  Il  piede  della  tazza  indicato 
è  antico  ,  e  fu  trovato  V  anno  I817  quando  fu  tolta  questa 
vasca  che  serviva  di  abbeveratoio  al  Campo  J^accino. 

Il  lutto  si  eseguì  con  direzione  dell'  architetto  Stern  e 
venne  posta  nel  piedestallo  dell'  obelisco  la  seguente  bella 
iscrizione. 

PIVS    .    VII    .    PONT    .    MAX, 

QVOO    .    ABSOLVENDVM    .    SVPERERAT 

ADDITO    •    CRATERE    .    EXCITATO    .    SALIENTE 

SYMPLEGHA    .    CONSVMAVIT 

A     .    D    .    MDCCGXVIII    .    PONTIF    .    XIX. 

Prendendo  la  Via  Venti  Settembre  y  e  giungendo  alle 
Quattro  Fontane,  si  vede  a  sinistra 

L'OBELISCO  DELLA  TRINITÀ  DE' MONTI 

L'innalzamento  di  questo  obelisco  nell'area  dove  oggi  si 
trova  ;  si  deve  a  Pio  VI  9  togliendolo  presso  la  Scala  Santa 
Santa  a  s.  Giovanni  in  Laterano,  dove  papa  Clemente  XII 
aveva  Tidea  d'innalzarlo  innanzi  al  prospetto  principale  della 
nominata  basilica. 

Venendo  ora  a  quel  poco  di  storia  che  di  esso  ci  rimane 
Àmmiano  (1)  scrisse  che  fra  gli  obelischi  portati  in  Roma 
dopo  Augusto,  uno  venne  dirizzato  in  hortis  Sallustii^  cioè 
negli  orti  Sallustiani,  e  precisamente  nel  circo  ancora  visi- 
bile. Tale  obelisco  tagliato  e  trasportato  in  Roma  dall'Egitto 
nell'epoca  media  deirimpero  romano,  non  è  se  non  una  informe 
imitazione  di  quello  del  Popolo,  a  segno  che  l'inetto  inta- 

(I)  Lib.  XVIL  cap.  4. 


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—  405   — 
gliatore  qualche  volta  credendo  indifferente  la  cosa  ha  capo- 
volto i  gerogUGci ,   ed  intagliatili  anche  di  capriccio.  Forse 
fu  coperto  coi  geroglifici  in  Roma  circa  ai  tempi  di  Gomroodo 
come  dallo  stile  apparisce. 

Gli  orti  di  Sallustio ,  passati  già  al  demanio  imperiale , 
andettero  soggetti  ad  incendio  nel  primo  furore  dei  Goti  con- 
dotti da  Alarico  Tanno  409  dell'era  volgare  allorché  entrarono 
per  la  porta  Salaria  per  testimonianza  di  Procopio  (i) ,  ed 
allora  si  può  credere  che  cadesse  l'obelisco. 

Indi  non  se  ne  trova  più  notizia  fino  all'anno  1527,  allorché 
il  Fulvio  (2)  ne  fa  menzione,  come  ancora  giacente  e  spez- 
zato negli  orti  sailustiani,  dicendolo  obeliscus  Lunae  dicatus. 
Golia  stessa  falsa  denominazione  ,  vedesi  rappresentato  gia- 
cente e  rotto  nella  pianta  del  Bufalini  edita  l'anno  1551,  entro 
la  vigna  di  Vincenzo  Vettori  fra  le  porte  Pinciana  e  Salaria, 
ora  parte  della  villa  Ludovisi.  É  da  credere  che  il  Vettori 
od  altri  prima  di  luì  dalla  valle  del  circo,  dove  originalmente 
era  stato  eretto,  lo  avessero  trasportato  in  quel  punto^  cioè 
sul  ripiano  del  monte. 

Dice  il  Mercati  (3)  che  Sisto  V  aveva  divisato  di  ergerlo 
avanti  la  chiesa  di  s.  Maria  degli  Angeli  ,  dove  al  tempo 
stesso  avrebbe  fatto  ornamento  alla  piazza  che  apri  innanzi 
la  sua  villa  Peretti,  oggi  quasi  intieramente  distrutta  per  for- 
mare la  Stazione  della  Ferrovia  ed  il  nuovo  quartiere  della 
citta,  restandone  ben  poco  ai  Massimi.  Formata  tal  vasta  piazza 
colla  rovina  di  una  parte  delle  terme  Diocleziane  non  ebbe 
tale  ornamento  per  la  morte  di  quel  papa.  Rimase  pertanto 
giacente  nella  vigna  Vettori,  che  non  molti  anni  dopo,  cioè 
circa  il  i62l  la  comprò  il  card.  Ludovisi,  e  formò  parte  della 
villa  di  questo  nome.  Ivi  restò  rotto  e  giacente  fino  all'anno  1733, 
dicendo  il  Valesio  ,  che  papa  Glemente  XII  il  22  marzo  lo 
richiese  alla  principessa  Ludovisi  per  innalzarlo  innanzi  la 
facciata  principale  di  s.  Giovanni  in  Laterano,  ed  essendogli 
stato  donato,  con  Breve  dei  i4  febbraio  1734  dal  cav»  Galilei 
lo  fece  trasportare  presso  la  Scala  Santa. 

Restò  ivi  abbandonato  fino  all'anno  178S,  allorché  Pio  VI 
lo  fece  trasportare  dinanzi  la  chiesa  della  Trinità  de'Monti, 
dove  nella  primavera  dell'anno  it89  fu  innalzato,  come  si 
vede  sopra  un  gran  piedestallo  di  marmo  bianco  con  archi- 
tettura  di  Giovanni  Antinori.  Nella  sommità   è   sormontato 


(1)  G%UTTa  Vandalica,  Lib.  I,  cap.  2. 

(2)  Ant.  Urb.,  pag.  LXXL 


(z;  iin».   cyrv.»  fjo^.  i^a 
(3)  ObclUchi,  pag.  259. 


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—  406  — 
al  solito  da  una  croce  di  metallo  contenente  le  reliquie  del 
legno  della  Croce,  di  s.  Giuseppe,  de' ss.  apostoli  Pietro  e 
Paolo  ,    di  s.  Pio  V  ,    di   s.  Agostino  e  di  s»  Francesco   di 
Paola  (i). 

Il  fusto  deirobelisco  h  alto  metrica  e  ^  e  nella  faccia 
del  piedestallo  rivolta  ad  occidente,  cioè  alla  città  leggesi: 

PIVS    .    VI    .    PONT    .    MAX 

OBELISGVBI    *    SALLVSTIANVBI 

QVEM    •    PaOLAPSlONE    .    DlFFRACTYlk 

SVPERIOR    .    AETAS 

lAGENTEM    •    RELIQVERAT 

COLLI    •    HORTVLORYH 

IN    .    SVBSIDENTIVH    .    VIARVM 

PROSPECTV    .    IHPOSITVH 

TROPAEO 

€RVGIS    .    PRAEFIXO 

TRINITATI    .    AVGVSTAE 

DEDIGAVIT 

A  mezzodì  leggesi  nell'altro  lato: 

SAGRI 
PRINCIPATYS 

ElVS 
ANNO    •    XV 

Nella  faccia  settentrionale: 

IH    •    EIDVS 
APRIL 

ANNO    .    M  .  DCG 


LXXXVl. 

Nel  fianco  orientale  nel  basso: 

IOAN    .   ,ANTIN0R10    .    GAMERTE    .    ARGHITÉGT. 

Indirizzatevi  al  ponte  Elio,  ed  entrando  nel  Borgo  pas- 
sato il  medesimo,  sul  fine  s'apre  la  vasta  piazza  di  s.  Pietro, 
so  cui  vi  h  l'obelisco  Vaticano. 

(Continua) 

H)  Ved.  Cancellieri,  Mercato,  pag.  165. 


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—  407  — 
LXV. 

PASSATEMH  ARTISTICI 
DELL'ARCHITETTO  PIETRO  BONELLI 

Continuatione  (1) 


Il  teatro  jirgentina^  di  una  6gura  la  più  vaga  di  tutti 
gli  altri  teatri  di  Roma;  ed  insieme  la  più  armoQÌ«ca  perche 
compOvSta  di  ud  semicircoio  prolungato  da  tkie  linee  quasi 
parallele  fra  loro.  Eretto  dal  duca  Sforza  Cesarini  coi  di- 
segni dell'architetto  marchese  Girolamo  Teodoli;  sebbene  da 
alcuni  se  ne  voglia  autore  un  tal  Frediani.  Una  vicina  torre 
chiamata  u^r^en^/zza  perchè  annessa  al  palazzo  del  cardinale 
vescovo  di  Argentina  gli  diede  il  nome.  Nel  principio  «del  cor* 
rente  secolo,  dato  in  enfiteusi  a  Pietro  Cartoni  vi  fu  fatto 
un  prospetto  ideato  dall'architetto  Pietro  Holl,  servì  per  Vo- 
pera  regia  sino  al  isso  epoca  in  cui  fu  trasportata  al  teatro 
di  Apollo.  Essendo  fin  dalla  sua  prima  costruzione  in  mas- 
sima parte  di  legno  a  questa  venne  nel  1837  con  disegno  del 
cav.  Pietro  Camporese,  sostituita  una  ben  ordinata  opera  mu- 
raria. Venduto  in  seguito  dalla  Sforza  Cesarini  al  principe 
D.  Alessandro  Torlonia;  il  nuovo  proprietario  nel  i862  si  die 
a  ristaurarlo  e  a  farvi  nuove  migliorìe,  là  dove  neppure  ab- 
bisognavano. Anche  questo  lavoro  fu  diretto  dall'architetto 
Carnevali.  Le  decorazioni  del  Camporese  andarono  perdute, 
e  a  quelle  si  sostituirono  altre  di  assai  diverso  gusto.  La  di- 
pintura sulla  tela  del  soffitto  a  tinte  calde  ^  e  sfumate  con 
leggiadre  figure  a  svolazzo  riparò  ad  usura  questa  perdita  ; 
ciò  lo  dobbiamo  alla  valentia  del  prof.  Grandi  e  del  Masella; 
non  così  può  dirsi  dei  davanzali  ed  interno  dei  palchi  in  cui 
primeggia  una  tinta  fredda  ed  incerta  che  disarnìonizza  sì 
fortemente  col  soffitto  da  muoverti  la  collera  come  spinse 
gì'  intolleranti  a  cantare  romanescamente  a  suon  di  timpani 
e  castagnole  le  laudi  della  platea  d'Argentina  sotto  le  sem- 
bianze di  una  pentola  di  bassanella  col  coperchio  di  por^ 
cellana.  Ma  che  razza  di  gusto  in  questa  acconciatura  teatrale! 
Proprio  una  mascherata  carnesfalesca  ! 

11  teatro  Metastasio  è  di  antica  data  ;  prima  si  diceva 
Pallacorda  perche  fabbricato  sopra  un'area  che  servì  un  tempo 
al  giuoco  della  pallacorda.  «Costraito  tutto    di    legno  aveva 

(1)  Vedi  Quaderno  precedente,  pag.  375. 


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—  408  — 
una  figura  bislunga  a  somiglianza  del  teatro  Pace^.  Appartenne 
fin  dalla  sua  prima  costruzione,  che  credo  rimonti  al  prin- 
cipio del  secolo  XYlll,  ad  un  tal  Corea  spagnolo;  da  prin- 
cipio vi  si  diedero  rappresentazioni  di  ogni  genere,  poi  vi 
s'introdussero  le  marionette,  indi  compagnie  drammatiche  di 
bassa  forza  vi  recitarono  commedie  colla  maschera  del  pul- 
cinella. Passato  poi  iu  proprietà  dei  sigg.  Quadrari  e  Barac- 
chini^ eglino  lo  rifabbricarono  per  intiero  e  di  materiale,  coi 
disegni  del  cav.  Nicola  Carnevali ,  divenuto  ormai  come  il 
Bibiena^  T  architetto  dei  teatri  romani,  e  qui  egli  ebbe  un 
felice  successo^.  Gaio  ,  e  di  forma  ben  regolare  in  un'  area 
assai  ristretta  può  ritenersi  per  il  miglior  suo  lavoro  archi- 
tettonico. Il  sipario  h  degno  di  particolare  osservazione;  lo 
dipinse  il  prof.  Nicola  Consoni  rappresentandovi  Coriolano 
mosso  dalle  preghiere  di  Veturia  sua  madre,  leva  l'assedio 
di  Boma.  Il  teatro  venne  inaugurato  in  onore  del  poeta  lirico 
Metastasio  nella  primavera  dell'anno  1841  dalla  compagnia  Ma- 
scherpa  colla  Pamela  nubile  del  Goldoni.  Fu  per  molto  tempo 
la  palestra  alle  migliori  cfompagnie  drammatiche:  oggi  vi  ha 
stanza  il  pulcinella  col  suo  abile  corredo  di  attori  sfogando 
in  operette  di  prosa  e  musica  i  lazzi  partenopei  non  sempre 
nella  cerchia  di  una  sana  morale. 

Il  teatro  Capranica ,  proprietà  della  famiglia  Negroni , 
porta  il  nome  dell'attiguo  collegio  Capranica,  che  lo  diede 
nei  tempi  passati  anche  alla  piazza  ove  e  situato.  La  sua 
icnografia  era  pessimamente  ripartita  e  difettosa  a  segno  che 
il  suo  unico  adito  sulla  piazza  era  in  comune  con  uu'albergo 
e  stalla  annessa;  di  Ik  insieme  ai  spettatori  vi  entravano  ed 
uscivano  cavalli,  muli  ed  asini.  Non  aveva  alcun  prospetto^ 
si  presentava  sulla  stessa  piazza  soltanto  con  un  lurido  muro 
bucato  di  poche  finestre  di  svariate  dimensioni  e  senza  ordine 
alcuno,  sparse  sopra  la  di  lui  superficie  come  le  oasi  di  un 
deserto.  Servi  in  origine  alla  rappresentazione  delle  opere  in 
musica,  ma  i  suoi  sconci  gravissimi  lo  fecero  ben  presto  de- 
cadere fino  a  che  si  ridusse  alle  marionette.  La  struttura  in 
legno  poi  col  tempo  assai  deperita  avendo  dato  luogo  ad  una 
innumerevole  immigrazione  di  animalucci  quadrupedi,  ed  insetti 
di  razza  morella  provenienti  dalla  sottostante  stalla,  ed  il  pe- 
ricolo di  mina  ne  portò  finalmente  la  chiusura  per  parecchi 
anni,  quando  la  sua  situazione  centrale,  la  sufficiente  gran- 
dezza determinarono  i  condomini  a  rifabbricarlo;  e  coi  disegni 
dell'architetto  Gaspare  Servi  sorse  di  più  belle  forme,  e  gra- 
dito all'occhio  con  un  ripartimento  icnografico  se  non  buono 


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—  409   — 
certo  meno  disagevole  e  indecente  di  prima:  ciò  non  ostante 
la  esistenza  di  scale  incomode,  e  di  passaggi  intralciati  amò 
di  laberinto,  gli  mantengono  sempre  un  certo  discredito  che 
ha  per  conseguenza  i  lunghi  periodi  di  ozio  e  di  abbandono. 
Il  teatro  Italie  di  proprietà  •  dei  signori  marchesi  Capra- 
nica,  sembra  che  fosse  una  riduzione  di  vecchia  fabbrica  entro 
la  quale  vi  si  ricavò  la  sala  coi  suoi  palchetti  di  legname, 
ed  in  prova  che  egli  non  venne  fabbricato  appositamente,  oltre 
allo  stato  deperito  delle  mura,  lo  confermava  la  esistenza  di 
una  grossa  muraglia  di  grande  imbarazzo  per  le  rappresen- 
tazioni sceniche,  restringendo  di  soverchio  il  piano  del  palco 
scenico;  e  per  questa  ragione  i  proprietari  nel  i82l  intrapre- 
sero a  demolirlo    intieramente  ed  a  ricostruirlo  nello  stesso 
tempo  tutto  dì  materiale,  liberandolo  dalPimportuno  ingombro. 
A  questo  lavoro  fu  chiamato  l'architetto  cav.  Giuseppe  Va- 
ladier  il  quale  v'incontrò  qualche  dispiacere  per  la  caduta 
di  un  nuovo  arcone  sul  palco  scenico  ,    della  quale  egli  si 
giustificò  in  modo  che  la  sua  grande    perizia    nell*  arte  non 
restò  menomamente  intaccata.  Egli  pubblicò  colle  stampe  una 
relazione  esatta  deir  accaduto,  esponendo  con  tutta  verità  è 
sapere  artistico  le  cause  che  produssero  siffatta  rovina.  Nel 
carnevale  del  1823  venne  aperto  al  pubblico  con  un'  operetta 
in  musica  intitolato  il  Maestro  di  cappella  in  Marocco,  questa 
opera  del  Valadier  fu  assai  commendata^  e  si  trova  graziosa 
ed  armonica  la  curva  della  platea,  bello  il  prospetto  esterno, 
comode  le  scale,  e  ammirabili  per  la  disposizione  nuova  ed 
ardita  delle  sue  rampe.  Anche  le  pitture  di  decorazioni,  e  il 
sipario,  opera  di  Felice  Gianni^   vennero  giudicate  di  molto 
pregio;  oggi  per  forza  di  .nuovi  impiastri  a  colori  e  rinnova- 
zioni volute  dalla  vecchiaia  sono  miseramente  perdute.  Non 
ostante  ciò  il  teatro  Valle  è  sempre  ritenuto  sebbene  piccolo, 
per  uno  dei  più  belli  teatri  di  Roma.  Per  vari  anni  vi  fu- 
rono rappresentate  opere  in  musica  serie  e  buffe,  al  presente 
pare  destinato  esclusivamente  alla  prosa. 

L'anfiteatro  posto  sulle  ruine  del  mausoleo  di  Augusto, 
con  ingresso  sulla  via  dei  Pontefici,  fu  costruito  per  uso  di 
pubblici  divertimenti  dalla  famiglia  spagnola  Corea  che  vi 
aveva  un  palazzo  accanto*  Non  può  annoverarsi  fra  i  teatri 
di  Roma,  mentre  la  sua  struttura  a  gradinata  circolare,  con 
un  ordine  superiore  di  palchi  e  terminata  da  un  loggiato  , 
senza  il  minimo  accenno  di  palco  scenico  lo  escluderebbero 
fra  questi  se  non  si  prestasse  da  qualche  tempo  alla  recita- 
zione diurna  di  produzioni  teatrali ,    nelle  quali  coloro  che 

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—  410  — 
calzano  il  socco  od  il  coturno  devono  tenersi'sopra  nn  tavo> 
lato  postìccio  in  forma  di  proscenio  esposto  alle  sgambatezze 
deiratmosfera»  e  dove  vecchie  scene  dipinte  per  la  luce  arti- 
6ciale  perdono  ogni  effetto  ottico,  cioè  quella  illusione  che 
rivela  il  merito  delio  scenografo.  L'uditorio  poi  gode  un  pri- 
vilegio molto  segnalato,  quello  di  sentire  durante  lo  spetta- 
colo echeggiare  dintorno  a*  se  lo  scampanio  dei  sacri  bronzi 
di  una  chiesa  attigua ,  le  cui  vibrazioni  sonore  troncano  la 
parola  agli  attori  drammàtici,  e  ne  sospendono  l'azione  obbli- 
gandoli a  rimanere  sul  palco  come  gruppi  plastici.  L'anfiteatro 
per  parecchi  anni  servì  di  arena  alla  giostra  dei  tori,  diverti- 
mento in  allora  molto  accarezzato,  e  abolito  nel  1829  quando  da 
lunga  pezza  era  per  ogni  dove  condannato  dalla  civiltà  dei 
tempi.  In  sostituzione  di  questo  barbaro  divertimento  s^iatro- 
dussero  dal  nostro  concittadino  Alessandro  Guerra  ì  giuochi 
ippici.  Fin  dai  primordi  di  questo  secolo  vi  si  eseguivano  altresì 
nei  mesi  d'estate  certe  feste  notturne  cui  davasi  il  nome  di 
fuochetti^  consistenti  in  concerti  di  musica  istrumentale  ese- 
guite da  due  orchestre  e  svariati  fuochi  d'artificio  in  mezzo 
ad  una  brillante  illuminazione ,    e  dove  accorreva  numerosa 
la  gioventù  d'ambo  i  sessi  e  vi  si  raccoglievano  i  più  bei  fiori 
del  nostro  fertile  suolo.  Questo  geniale  convegno  si  disperse 
negli  sconvolgimenti  politici  del  1S48  e  49,  di  già  illanguidito 
perchè  invalsa  si  era  nel  popolo  l'opinione  che  l'aria  notturna 
in  quel  luogo  fosse  malsana ,   e  causa  di  febbri  periodiche. 
A  completare  la  statistica  dei  teatri  romani  è  necessario 
di  commemorare  i  trapassati  ed  i  nati  di  recente  data.  I  non 
più  esistenti  da  poco  tempo  sono  il  teatrino  Piano  sul  corso 
in  un  angolo  del  palazzo  di  questo  nome;  serviva  per  rap* 
presentazioni  comiche  miste  a  ballo  e  musica  ,    animate  da 
una  maschera  romana  chiamata  Cassandrino^  sostenuta  eoa 
una  straordinaria  naturalezza  da  un  tal  Filippo  Teoli  romano» 
i  cui  frizzi  e  le  arguzie  le  più  saporite  richiamavano  ogni 
sera  un  uditorio  assai  numeroso  e  colto:  alla  morte  del  Teoli 
mancò  la  vita  al  piccolo  teatro,  e  malgrado  gli  sforzi  di  chi 
volle  succedergli,  i  concorrenti  diminuirono  a  segno  che  si 
dovette  chiudere  e  destinarlo  ad  altro  uso.  Il  teatro  Ornani 
poi  Emiliani  in  piazza  Navona,    nomi    di  più  proprietari  è 
tra  gli  estinti:  vi  si  recitavano  operette  in  prosa  e  musica 
miste  al  ballo  colle  marionette,  ma  non  venne  mai  a  rino- 
manza alcuna ,    e    si    chiuse  quando  se  ne  aprì  altro  dello 
stesso  genere  ma  più  proprio  e  decoroso  in  via  della  Valle, 
nominato  balletto,  per  distinguerlo  dal  teatro  Valle  che  gli 


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—  411  — 
era  daccanto.  Dopo  alcuni  anni  di  esistenza^  toccò  al  mede- 
simo egual  sorte  deìV Emiliani j  trasformandosi  in  magazzino  * 
di  tessuti.  Frattanto  a  questo  rancidume  di  poco  conto  la 
privata  speculazione  vi  ha  provveduto  a  larga  mano  e  in  breve 
periodo  di  tempo,  con  altrettante  microscopiche  sostituzioni 
e  certo  senza  un  gran  sciupìo  di  denaro. 

Si  ebbe  il  teatro  Rossini  il  meglio  architettato  degli  altri, 
però  troppo  superbo  di  se,  fu  a  mio  parere,  troppo  temerario 
voler  onorare  il  grande  cigno  pesarese  colla  dedica  di  una 
scatola  da  parrucca,  può  dirsi  un  oltraggio  anziché  omaggio. 
Il  Quirino  appartiene  alla  classe  delle  baracche  di  legno,  e 
perciò  fra  le  costruzioni  temporanee  d'oggidì,  come  lo  sono 
Vjilhambra  e  il  cadente  Circo  reale  agli  Esperidi.  Quest'uso 
barbarico  vorrei  che  non  si  diffondesse  d'avvantaggio;  egli  è 
sempre  degradante  per  una  citta  come  la  nostra.  Ma  faccio 
le  mie  riserve,  la  Comottiana  grande  lavoro  di  meccanica  e 
di  sapere  artistico  deve  essere  con  riverenza,  escluso  dal  no- 
vero di»  quelle.  Il  teatro  Manzoni  tra  1'  Oppio  e  il  Cispio 
dell'  Esquilino  h  il  primo  costruito  in  laterizi  ,  da  che  qui 
scesero  i  nostri  benvenuti  ingegneri  transpadani;  h  di  stile 
arcaico^  tutto  spira  semplicità  ed  economia.  Anche  questo 
teatro  porta  un  titolo  troppo  illustre;  forse  chi  glielo  applicò 
non  sapeva  quanto  il  nome  del  sommo  letterato  milanese  ono- 
rasse il  teatro  ai  Monti  e  la  dedica  del  teatro  nulla  accrescesse 
alla  rinomanza  di  lui.  11  palco  scenico  ha  servito  da  principio 
agli  spettacoli  di  opere  in  musica,  indi  h  caduto  nelle  mani  del 
pulcinella  e  dello  stenterello.  Quasi  contemporanee  al  Manzoni 
sono  le  riduzioni  di  due  locali  a  teatruccoli  il  Goldoni,  e  il 
s.  Carlo;  due  perle  da  contado;  il  prìmo  gode  poi  una  pre- 
ferenza inestimabile  sull'altro  per  la  sua  posizione  topogra- 
fica: nientemeno  che  gli  si  h  posata  la  prima  pietra  fonda- 
mentale sopra  il  letame  di  una  stalla  nel  vicolo  de'Soldati, 
uno  di  quei  chiassuoli  che  tenevano  un  dì  alto  il  vanto  sulla 
celebrata  sucideria  delle  nostre  strade. 

Il  Politeama  opera  egualmente  de'nostri  tempi  in  mas- 
sima parte  di  legno,  nella  regione  trastiberina,  posto  a  con- 
tatto delle  bionde  acque  del  fiume,  con  stradelle  di  accesso 
e  piazzetta  alla  sua  fronte,  bizzarra  sì  che  par  voglia  indi- 
carti una  serra  da  fiori.  Contiene  una  sala  la  piiì  vasta  di 
ogni  altro  nostro  teatro  e  circondata  da  gradinate.  Un  ordine 
de  palchetti,  ed  un  loggiato  superiore.  A  seconda  del  profitto 
che  se  ne  ricavava  dagli  spettacoli,  accortamente  il  proprietario 
sig.  Vannutelli  veniva  costruendo  un  poco  alla  volta  nuovi 


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—  Aì%  — 
ingrandimenti,  e  gli  accessori  ed  abbellimenti  richiesti  dalla 
convenienza  di  quella  classe  eletta  di  cittadini  che  si  diede 
a  frequentarlo,  attirata  dallo  stesso  proprietario  con  grandiosi 
e  scelti  spettacoli  a  prezzi  abbastanza  temperati ,  cosicché 
il  grande  teatro  è  direnato  simpatico  e  geniale  ai  romani  che 
vi  accorrono  di  buon  grado,  nella  persuasione  raramente  smen- 
tita di  passarvi  con  piacere  qualche  ora  della  sera. 

Da  cotesto  breve  ragguaglio  storico  sì  rileva  che  in  Roma 
abbiamo  attualmente  tra  grandi  e  piccoli,  nobili  ed  ignobili, 
quattordici  teatri.  L^  cifra  è  cospicua;  la  grande  città  non 
li  ebbe  giammai,  e  ciò  che  muove  a  meraviglia  si  è  che  in 
mezzo  a  tanta  abbondanza  si  muove  lamento  per  la  mancanza 
di  un  teatro  regio!  Siamo  pur  indiscreti!  Che  si  vuole  di  più? 
V  Apollo  non  risponde  a  cotesta  prerogativa?  No;  perchè 
il  teatro  fu  buono  al  nobile  uso  per  lo  passato,  adesso  non 
è  più  del  tempo,  lo  dicono  gli  as^veniristii  le  odierne  grandi 
opere-ballo  richiedono  ben  altro;  per  cui  ci  vuole  lazione  dei 
nostri  sessanta  tutori  per  far  si  che  al  di  sopra  di  tante  piicro- 
scopiche  galanterie,  trionfi  un  teatro  massimo,  capace  ad  ap- 
pagare le  brame  de*suoi  pupilli,  i  padri  coscritti  fecero  vociare 
che  se  ne  sarebbero  occupati,  ma  finora  VApollo  h  il  teatro 
regio^  e  viene  conservato  come  un  gioiello  inestimabile:  gli  ot- 
timati lo  proteggono,  la  borghesia  lo  ha  a  caro,  ed  il  te  vere 
lo  accarezza  di  sovente  colle  sue  limacciose  leccate.  Sta  perà 
tra  i  provvedimenti  edilizi  a  prendersi  cotesta  titanica  im- 
presa e  forse  un  di  si  sarebbe  veduta  cosa  inaudita  se  il  Co- 
stami quale  fantasima  sorto  tra  i  desideri  e  le  esitanze,  con 
una  splendidezza  sovrana  ,  non  avesse  fatto  conoscere  che 
un  deciso  volere  non  ha  ostacoli 

Alcuni  urti  poco  garbati  e  senza  un  monosillabo  di  scusa, 
scossero  la  mia  preoccupazione,  una  folla  di  gente  che  parca 
forsennata,  strisciava  sui  nuovi  pavimenti  delle  sale  alzando 
un  polverìo  da  accecare,  mi  avvertì  che  il  tempo  era  scorso 
più  di  quanto  desiderava  e  gli  usci  della  platea  si  erano 
spalancati.  Intascai  con  fretta  lo  scartafaccio  e  messomi  senza 
indugio  fra  la  turba,  corsi  con  essa;  sì  che  attraversati  sei 
ambienti  di  sale,  salette,  atri  e  vestiboli  mi  trovai  all'istante 
nella  grande  sala.  Oh!  esclamai,  uno  di  quei  oh!  che  sfuggono 
dalle  labbra  per  impulso  di  ammirazione  ed  altri  ne  intesi  fra 
la  moltitudine.  Illuminata  dall  alto  con  uno  splendore  da  stu- 
pefare anche  il  più  incallito  alle  meraviglie,  TefiTetto  era  ma- 
gico; l'autore  aveva  raggiunto  lo  scopo;  ed  io  dissi  fra  me: 
se  non  sarà  teatro  regio,  saia  sempre  un'opera  monumentale. 


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—   413   

Vediamo  ora  se  Tarte  abbia  coadiuvato  Yeccelsa  risolutezza 
del  suo  fondatore. 

Il  teatro  Costanzi  occupa  una  superficie  rettangolare  in 
verità  non  molto  vasta;  per  tre  lati  presenta  airesterno  un 
giro  di  due  ordini  di  arcate  in  uno  dei  quali  vi  risalta  un 
portico  per  le  vetture^  e  nell'altro  opposto,  un  avancorpo 
simile  che  comprende  sale  per  uso  di  caffè.  Sulla  vìa  Torino 
è  la  parte  postica  del  teatro,  e  l'ingresso  al  palco  scenico: 
Io  non  mi  tratterrò  a  discorrere  di  tutte  le  parti  qhe  lo  com- 
pongono, ne  dei  dettagli  icnografici,  che  non  è  cotesto  il 
mio  proposito,  ma  dirò  soltanto  del  prospetto  esterno,  della 
sala  e  del  palco  scenico,  che  sono  le  parti  essenziali  di  un 
teatro;  esaminandoli  su  ciò  che  h  rapporto  a  disegno  ordine 
e  misura. 

I  due  ordini  di  portici  della  ortografia  esterna  con  pi- 
lastri ,  di  maniera  dorica  V  inferiore  e  jonica  il  superiore , 
sono  dì  imitazione,  e  sempre  bella,  perchè  esprimono  chia* 
ramente  il  carattere  che  si  richiede,  sono  insomma  secondo 
il  mio  modo  di  vedere,  la  parte  architettonica  più  bella  di 
tutto  Tedificio^  e  crederei  maggiormente  apprezzabile  se  il  por- 
tico delle  vitture  situato  in  uno  dei  prospetti  laterali  avesse 
invece  occupato  il  centro  di  quello  che  fronteggia  sulla  via 
di  Firenze^  il  quale  per  ragioni  icnografiche  dovrebbe  essere 
il  principale,  e  cosi  non  avrebbe  lasciato  in  forse  se  in  questa 
fronte,  o  nel  lato  a  destra  egli  sia. 

La  grande  sala  h  semicircolare  colle  solite  due  linee  di 
prolungamento  brevi,  e  leggiermente  convergenti  fra  loro  con 
una  grazietta  di  tortuosità,  lasciando  un*  apertura  di  dodici 
metri  per  la  bocca  d'opera.  Dessa  misura  una  lunghezza  di 
m.  23,  ed  una  larghezza  di  m.  2i,j&0  (i),  e  vi  girano  attorno 
tre  ordini  di  palchi  tutti  terminati  ad  archi  sostenuti  da  co- 
lonnine, sopra  ì  quali  ricorre  un  loggiato  in  forma  di  anfi- 
teatro a  doppia  scalèa  di  quattro  gradi  per  ciascuna,  l'ultima 
delle  quali  contenente  un  migliaio  di  posti  per  coloro  che  non 
appartengono  alla  classe  degli  onorevoli.  Viene  poi  racchiusa 

(i)  Cade  qoi  in  acconcio  riportare  un  parallelo  delle  Sale  di  alcuiii  teatri 
principali  d'Italia  »  per  conoscere  il  posto  in  cui  il  teatro  Costami  va  collo- 
cato fra  questi  rapporto  alla  sua  vastità: 

Teatro  della  Scala  in  Milano.  Platea  lunga  metri  24,10;  larga  m.  21,75. 

r^alro  5.  Carlo  in  Napoli.  Platea  lunga  m.  23,50;  larga  m.  22,90: 

Teatro  Co$tanxi  in  Roma.  Platea  Innga  m.  23;  larga  m.  20,50. 

Teatro  Regio  di  Torino.  Platea  lunga  m.  20;  larga  m.  16,50. 

Teatro  Apollo  in  Roma.  Platea  lunga  m.  19,80;  larga  m.  16,65. 

Teatro  della  CanMana  in  Milano.  Platea  lunga  m.  18,80;  larga  m.  16,45. 

Teatro  Àrgenitna  a  Roma.  Platea  lunga  m.  18,20;  larga  16,45. 


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—   414  — 

da  una  serie  di  archi  poggiati  sopra  esili  colonne  di  ferro.  La 
volta  a  camera-canna  con  apertura  nel  centro  per  la  luce  nelle 
rappresentazioni  diurne  e  a  sesto  sorbassato,  coperta  esterna- 
mente da  lastre  di  ardesia  sostenute  da  armatura  di  ferro. 
Le  decorazioni  in  pitture»  e  stucchi  a  sufficienza  ricche  sono 
ben  condotte  e  si  accordano  perfettamente  coli*  architettura 
della  sala  e  soprattutto  quelle  della  volta,  ove  sono  rappre- 
sentate in  vari  gruppi  figure  allegoriche  relative  al  teatro 
con  disegno  accurato,  colorito  'fresco  e  deciso  del  Brugnoli 
di  Perugia. 

Il  palco  scenico,  provveduto  di  sale  di  trattenimento  per 
gli  artisti  e  per  le  masse,  e  camerini  ed  altri  locali,  ha  una 
lunghezza  massima  di  m.  27  sopra  una  larghezza  di  m.  34, 
e  se  per  latitudine  h  superiore  a  tutti  i  teatri  d'Italia,  nel 
Iato  longitudinale  però  nh  assai  inferiore,  e  ciò  a  causa  della 
malaugurata  scelta  della  sua  area  in  cui  conseguentemente 
è  riescito  assai  angusto  altresì  il  suo  circondario.  Compresa 
in  questo  edificio  havvi  una  sala  per  concerto  tuttora  invi- 
sibile perchè  non  compiuta  nella  parte  decorativa,  ciò  non 
ostante  se  ne  parla  gik  in  visibilio,  e  vuoisi  che  la  sua  ma- 
gnificenza emuli  quella  del  teatro. 

Egli  h  ben  naturale  che  malgrado  la  inaugurazione  del 
teatro  riuscita  infelicissima  per  causa  dello  spettacolo  datosi 
con  elementi  ed  apparecchio  tutt'altro  che  propri  alla  circo- 
stanza, e  per  minuzie  di  molestie  facili  ad  accadere  quando  si 
vuol  far  uso  intempestivo  di  una  fabbrica  novella,  è  ben  natu- 
rale, ripeto,  che  ella  riuscisse  una  vera  e  splendida  ovazione 
al  sig.  Costanzi  proprietario  e  al  sig.  Sfondrini  architetto; 
toccava  tanto  alla  disinteressata  generosità  dell'uno,  quanto 
al  merito  artistico  dell'altro.  In  Costanzi  si  vedeva  rinnovato 
l'esempio  di  Pompeo  e  di  Balbo,  e  tanta  grandezza  d*idea 
teneva  già  volti  gli  animi  de'suoi  concittadini  alla  simpatia 
verso  un'opera  cosi  rimarchevole.  In  Sfondrini  artista  elevato 
alla  gloria  dei  superni  di  che  ne  fu  commossa  la  modestia 
di  lui,  e  collo  schiamazzo  della  stampa  si  era  preparata  Tarn* 
mirazione  di  tutti  coloro,  cui  il  bello  s*immedesima  in  tutto 
ciò  che  e  novità.  A  dire  il  vero  lo  slancio  generoso  e  dirò 
quasi  unico^  o  per  dir  meglio  il  dispregio  al  danaro  di  un 
nostro  concittadino,  poco  comune  su  questo  pianeta  sublu- 
nare, merita  plauso  e  riconoscenza  da  tutta  la  cittadinanza 
romana,  ed  una  medaglia  d'oro  benemerenti  deve  il  consesso 
capitolino  decretargli  ad  unanimità.  Non  vMia  dubbio  altresì 
che  l'autore  del  nobile  edificio  costanziano  ha  diritto  anch'egli 


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—  4i5  — 
agli  encomi  non  solo  di  quei  che  non  sanno  dare  un  giusto 
apprezzamento  alle  opere   d' arte  ,    ma    bens\  di  coloro   che 
per  cognizioni  relative    possono    valevolmente   pronunciarsi , 
il  suo  gusto  di  architettare    declina   dalle  odierne  strampa- 
lerie,  il  suo  studio    non  ha  i  ristretti    termini  nei  quali  si 
restringe  oggid'i  Tandazzo  degli  artisti,  e  quantunque  la  sua 
opera  a  mio  credere  appalesi  in  alcune  parti  difetti  e  scor* 
rezioni,  alle  loro  congratulazioni  unisco  le  mie.  Ma  il  male- 
detto difetto  di  non  poter  tenere  occulto  come  io  la  pensi 
di  chicchessia  mi  spinge  lontano  dal  chiasso  e  dagli  evviva 
che  ei  riscosse  dal  pubblico  sulla  ribalta  del  palco  scenico; 
e  senza  la  voglia  di  bearmi  con  intemperanza  deIJa  bellezza 
e  magnificenza  del  suo  disegno,  di  snsurrargli    qualche   os- 
servazioDcella    acconcia  a  stabilire   il    merito  della  sua  arte 
architettonica.   Che   egli  o  chiunque   altro  la  prenda  a  suo 
modo!  ciò  non  mi  cale;  posso  prender  marroni,  ma  posso  anche 
cogliere  nel  giusto  segno.  Non  sono  molte  le  osservazioni  a 
farsi,  ma  troppo  necessarie  per  sostener  Tarte  che  non  deve 
mai   piegarsi  ai  capricci  dei   tempi:    il   teatro  sul  Viminale 
non  h  artisticamente  veduto,  quella  delizia,  quell'eden  che 
sì  h  tanto  decantato;  egli  è  una  bella  galanteria  in  cui  Tautore 
ha  mostrato  molto  ingegno    e    franchezza  di  composizione  , 
d'altra   parte  egli  h  cultore  dell'arte  vitrnviana,.  e  come  ha 
adoperato  il  suo  talento  ed  il  suo  studio  nella  parte  mec- 
canica e  pratica,  e  sul  modo  dì  soddisfare  alle  attuali  esi- 
genze sociali,  doveva  anche  un  pochino  guardarsi  dalle  sdruc- 
ciolate oggidì  tanto  frequenti,  e  precipitose  perchè  si  corre 
sbadatamente  e  con  troppa  franchezza  sopra  un  terreno  scabro 
e  difficile.  Pur  troppo  si  vedono  nel  nuovo  teatro  le  orme 
di  chi  non  h  ancor  sicuro  nel  camminare  per  la  vìa  diretta. 
Mi  segua  chi  vuole  nelle  mie  osservazioni  r  dapprima  nella 
icnografìa:  entriamo  nella  sala  del  teatro.  Gl'ingressi  priiicir 
pali  sono  sulla  via  Firenze  e  si  vedono  chiusi.  Per  dove  »  passa? 
Di  fianco,  pel  portico  delle  carrozze,  e  se  wm  si  ha  l'ago 
magnetico  che  ti  diriga,  ti  riescirà  difEcile  pei  anditi,  saie,, 
salette,  portici  e  vestiboli,  a  trovare  la  platea.  Eh  perchè? 
Ella  h  posta  troppo  a  contatto   colla  strada  senza  una  sala 
che  la  divida  ,   ed  è  forza  tenerli  chiusi ,    altrimenti  l' aria 
esterna  e  il  rumore  delle  carrozze,  sarebbero,  due  compagni 
certo  poco  graditi  per  chi  assiste  allo  spettacolo  nell'estremo 
dell'ambiente.  Osservate  inoltre,   e  con  me  invito  a  vedere 
tutti  i  presbiti  e  i  miopi,  slanciata  dall'imO'  al  sommo  della 
cavea  una  doppia   gradinata,    che  è  quanto  dire  un  aborto 


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—   416  — 

di  anfiteatro  antico  sopra  uà  teatro  moderno  ;    al  contrario 
se  si  fosse  presa  sul  serio  la  cosa,  e  collocata  la  scalèa  nel 
basso  della  platea,  unico  posto  che  le  convenga,  non  si  sa- 
rebbe ottenuto  il  più  bel  profilo  di  circoscrizione  della  sala. 
Questa  ha  la  solita  figura  dei  teatri  moderni  detta  ferro 
di  cas^allo  ,    eppure  1*  autore  che  ha  dato  in  questa  opera 
uno  splendido  saggio  della  sua  abilità,  non  può  certamente 
ignorare   che    tale  curva   non    si    presta  egregiamente   come 
la  semicircolare  agli   effetti   ottici.  Ha  egU  dunque   creduto 
far  dileggio  al  progresso  dell'arte  eliminando  dal  suo  disegno 
una  figura  che  si  è  sostituita  all'antica  in  quasi  tutti  i  teatri 
moderni?  Ha  forse  temuto  di  tirarsi  addosso  il  biasimo  uni- 
versale? Ma  pure  egli  ebbe  il  coraggio  di  presentarci  quella 
bella  novità  dell'anfiteatro  posto  .in  soffitta,  originalità  che 
non  avrà  certo  imitazione.  Andiamo  innanzi;  egli  ha  ripro- 
dotto un'altra  deformità  caratteristica  dei  teatri  della  nostra 
epoca^  cioè  il  sistema  alveare  dei  palchi  che  girano  attorno 
la  sala,  però  qui  mi  conviene  smettere  ogni  severità  di  cri- 
tica; iipperoccbè  se  Fautore  non  si  è  mostrato  energicamente 
risoluto  di  abbandonare  questo  sistema,  lo  ha  però  giudizio- 
samente modificato,  contentandosi  di  tre  sole  fila  di  palchetti 
indispensabili  per  Talta  e  bassa  aristocrazia,  le  quali  non 
vogliono  in  nissun  modo  accomunarsi  colla  democrazia.  Ciascun 
vano  è  piuttosto  spazioso  ,  il  davanzale  molto  basso  ,   ed  è 
perciò  che  le  caselle   riescono    meno   ascose  e  recondite   di 
quelle   che  si  facevano   una    volta.  Peraltro  V  architetto  ha 
inserto  in  ognuna  di  esse  una  piccola  ritirata  a  guisa  di  ca- 
merino d'appendice,  con  qualche  arnese  da  toletta,  e  che  può 
benissimo  servire  a  nascondersi  totalmente  agli  occhi  del  pub- 
blico. Ricordiamoci  che  quando  siamo  in  teatro,  ci  troviamo 
in  una  società  pubblica  più  o  meno  eletta  secondo  il  prezzo 
della  polizza  che  dobbiamo  consegnare  alla  porta,  e  il  tenersi 
in  disparte,  e  sfuggire  il  contatto  degli  invitati  per  far  ciò 
che  torna  a  proprio  comodo  ,    infine  portarsi   al   teatro  per 
passare  una  buona  parte  del  tempo  nel  camerino  dei  secreti 
per  riacconciarsi  in  più  bel  modo,  oppure  giuocando,  libando 
o  ciarlando  come  si  farebbe  in  casa  propria,  è  qualche  cosa 
che    si    allontana  qualche  chilometro   dalla   strada    tracciata 
dalla  civiltà.  L' anfiteatro  pensile  di  sopra  citato  e  che  può 
contenere  un  migliaio   di   persone  ha  due  scale  ;    una  delle 
quali  riesce  in  quella  dei  palchi,  l'altra  è  sulla  via,  ossia  inter- 
capedine colla  villetta  Strozzi.  Figurarsi,  terminato  lo  spet- 
tacolo che  uscita  piacevole,  deve  essere  per  i  bipedi  di  un 


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—  4i7  — 
volume  più  o  meno  pronunciato;  in  un  caso  di  tafferuglio» 
poi,  cbe  il  cielo  ce  ne  scampi,  quante  gambe  e  braccia  spez- 
zate, petti  pigiati,  giunture  slocate,  pelli  escoriate!.  Infine 
all'insaputa  forse  dell'architetto,  colla  diminuzione  di  tanti 
fori  di  cui  sono  pieni  tutti  gli  altri  teatri,  e  colla  copertura 
curvilinea  nh  risultata  una  sonorità  che  eccede  il  bisogno, 
locchè  siamo  al  caso  di  dover  desiderare  che  il  teatro  trabocchi 
di  gente  e  desiderare  il  fastidio  di  una  piena  rigurgitante, 
una  delle  cause  che  ammorzano  la  trasmissione  del  suono,  se 
non  si  V(^lia  assoggettare  Torecchio  ad  una  armonia  confusa 
e  ad  un  frastuono  di  voci.  Sulla  catacomba  dellorchestra  lascio 
che  i  musicanti  pronuncino  il  loro  verdetto. 

L'architettura,  stando  a  quello  che  dice  la  Illustrazione 
del  teatro  Costanzi  edita  coi  tipi  della  Pace,  è  di  stile  del 
cinquecento,  ma  con  buona  licenza  del  cinquecentista  autore, 
a  me  sembra  proteiforme.  Vi  sì  vede  il  portico  esterno  trat- 
tato alla  maniera  romana  coi  pilastri  acefali,    tre   ordini  di 
palchi  nella  sala  in  forma  bizantina,  le  arcate  dell'anfiteatro 
volante  di  aspetto  arabo  o  saraceno,  il     palco  reale  imbiz- 
zarrito di  un  ruvido  barocco  con  quelle  due  cariatidi  a  so^ 
stegno,  le  quali  messe  sotto  il  davanzale  somigliano  un  poco 
a  coloro  che  nei  tempi  andati  e  in  certe  solennità  solevano 
portar  sul  dorso  qualche  cosa  di  grosso.  In  fatto  poi  di  acces- 
sori ^^^  ^^  Ao^t  cominciare  per  rallegrarmi  coU'autore  di  tanta 
avvedutezza  in  rapporto  ad  agiatezze  e  comodità.  Ài  tempi 
di  Pompeo,  di  Balbo  e  di  Ottaviano,  il  popolo  che  trattene- 
vasi  in  teatro  le  intiere  giornate,  attento  unicamentente  allo 
spettacolo,  non  aveva  comodi  alcuni  tranne  quello  dei  gradi 
di  marmo  per  sedere,  e  1  ottenne  per  sorpresa.  Oggi  la  società 
si  e  ingentilita;  alla  civilizzazione  si  sono  attaccate  certe  abi- 
tudini puramente  figlie  primogenite  della  mollezza  de'costumi 
della  moda,  vi  si  sono  collegati  certi  riguardi  di  amor  proprio 
creduti  indispensabili  alla  dignità  delle  classi  privilegiate.  To- 
gline pochi  che  amano  unicamente  gustare  la  rappresentazione 
scenica,  coloro  che  frequentano  il  teatro,  egli  è  per  sfuggire  la 
noia  della  vita  oziosa,  per  attraenze  geniali  o  per  distrazioni 
giovanili.  Dessi  pretendono  ben  altro  che  la  sola  comodità  di 
sedersi,  come  si  contentavano  i  nostri  antichi.  Vi  ha  un  ceri- 
moniale sancito,  dall'  etichetta,  e  dai  più  osservato  scrupolo- 
samente. Appena  messo  il  piede  sul  limitare    dell'uscio  vo- 
gliono lasciare  il  mantello,  sentendone  peso  il  portarselo  av- 
volto sul  braccio,  prendersi  il  binocolo  che  lasciano  in  con- 
segna ad  alcun  famigliare  teatrale.  Negli  intervalli  dell'opera 

56 


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—  418  

SÌ  esce  di  quando  ia  quando  dalla  sala  in  cerca  di  nuove  sen- 
sazioni; 81  fuma,  si  ristora  Io  stomaco»  si  legge  qualche  gior- 
nale, si  giuoca  al  bigliardo,  insomma  il  teatro  è  una  farma- 
copea per  distìMiggere  gli  effetti  degli  appetiti:  infrenabili»  co- 
sicché ne  deriva*  la  necessita  di  aviere  in  teaino  locali' per  guar- 
darobe,  caflfe,  ristoranti,  gabinetti  di  léttuca,  Bigliardìi  ecc. 
Di  più  dbndbsi  nel  teatro  fe9te>  da:  ballon  fa*  meetterii  dii  sale 
per  trattenimento,  e  magaBzeni'  per  abiti*  da  maachera,  e:  dL 
tutti  questi  locali,  il  teatro  Costanzo  è  completamente  fornito;: 
abbenchè  la^  grandezza  loro  non  corrisponda'  alla  castità  del 
teatro,  e  non  siano  al  posto-  giudiziosamente*  ooUocatii 

Satollo  ormai  di  tanto  vedere,  e  nulf  altra  cosa  presen- 
tandosi che  spignesse  la  curiosità  mia,  assiderato  dai  una  tem- 
peratura polare ,  uscii  a  rweder  le  stelle-y  e  alla  brezza^ 
antelucana  mi  si  dilatò  il  torace,  e  un  lungo  e  fragoroso  re- 
spiro ravvivò  il  mio  spirito,  come  a  colui  che  esee>  da  mo- 
lestia che  l'opprime,  feci  sosta  per  stringermi)  negli  abiti>.e 
tosto  presi  il  cammino.  Era  solo,  senza  che  alcuno  misurasse 
coi  suoi  i  passi  miei,  e  cominciai  fra  me  a  ragionar  di»  quanto 
aveva  veduto,  e  come  se  fossi  addimandato  che  ne  pensassi»  con- 
clusi così:  il  Costanzi  h  grande;  egli  h  con  vaghezza  ed'  egregio 
magisterio,  e  se  vuoi  alquanto  capricciosamente  ricco  di  orna- 
menti e  decorazioni ,  splendente  di  una  luce  che  abbaglia , 
egli  h  capace  di  contentare  la  dignità,  le  pretese  e  gli  agi 
di  ogni  ceto  di  cittadini,  dal  blasonico  al  plebeo»  e  per  siffatti 
pregi  ha  ottenuto  la  universale  manifestazione  del  plauso  il 
più  sincero.  Ma  se  tutto  ciò  sia  in  relazione  favorevole  col 
vero  beilo  dell'arte,  intendo  dire  coU'unico  oggetto  cui  mirar 
deggiono  le  osservazioni  architettoniche  di.  un  edificio ,  una 
affermazione  sarebbe  bugiarda.  Tuttavolta  Tartefice  operò  un 
portento  e  può  gloriarsene^  ma  questa  aureola  di  gloria,  credo 
debba  cingerla  altresì  un  altro.  Le  pitture  del  Brugnoli  vi 
tengono  un  posto  distinto,  egli  molto  cooperò  alla  riuscita 
felicissima  dell'idea  architettonica;  dunque  a  ciascuno  il  suo 
merito,  e  che  gl'in  transigenti  gridino  pure  a  piena  gola  che 
r architetto  ha  creato  un  corpo  informe»  un  pittore  gli  die 
anima  e  grazia.  Solo  dal  complesso  di  sì  difficile  lavoro  può 
desiderarsi  di  vederlo  io  altra  impresa  più  franco  e  provetto 
artista,  tanto  più  che  seguace  non  mi  sembra  della  presun- 
tuosa turba  di  Zanfragnini,  venuti  a  scuotere  le  basi  delle 
tre  arti  sorelle.  Sappiano  essi  una.  volta  per  sempre  che  a 
Roma  si  viene  per  imparare  e  non  per  insegnare,  e  lo  hanno 
bastantemente  provato  Michelangelo ,   Raffaello  »   Bramante  e 


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—  419  — 


tanti  altri  i  quali  vennero  costì  come  scolari^  e  ne  divennero 
maestri  sommi ,  la  cui  fama  imperitura  h  in  tutto  il  mondo 
unanimemente  celebrata.  Che  lo  Sfrondini  non  adoperi  altro 
che  il  coraggio  per  mantenersi  lontano  da  costoro  y  e  ne 
uscirà  artefice  valente. 

E  sì  dicendo,  toccava  l'uscio  delia  casa. 


LXVI. 

BIBLIOGRAFIA 

DOMENICO  BEISSO.  La  Giotcntù  Italiana  iniziata  alla  vita  morale 
E  CITILE.  Roma,  stab.  Givelli,  seconda  edizione»  fSSl. 

Domenico  Beisso  non  è  nuovo  nell'arringo  delle  pubblicazioni  didattiche; 
e  da  molti  anni  dedica  il  suo  tempo,  il  suo  ingegno  non  comune  e  il  suo 
ricco  sapere  alla  educazione  dei  giovinetti.  Senza  occuparci  di  taluna  delle 
sue  pubblicazioni  fatta  piii  che  altro  a  scopo  di  polemica ,  ci  limiteremo  a 
raccomandare  vivamente  questa  che  in  pochi  giorni  ha  ottenuto  T onore, 
insolito  fra  noi,  della  seconda  edizione. 

In  poche  pagine  -  cencinquanta  appena  -  il  prof.  Beisso  raccoglie  un  mo- 
desto ma  utilissimo  tesoro  di  cognizioni  che  vorremmo  v^er  per  le  mani 
di  tutti  i  nostri  giovinetti:  Comincia  come  è  giusto,  dairedncaiìone  morale; 
e  con  stile  serio  ma  non  pesante ,  con  piacevolezza  di  racconti,  con  sugge- 
rimenti che  paiono  consigli  amorevoli  di  amico  svela  la  bruttezza  dei  vizi , 
combatte  infiniti  pregiudizi ,  spoglia  della  bugiarda  apparenza  di  eroismo 
il  suicidio,  il  duello,  e  altri  avanzi  di  barbarie,  colloca  infine,  come  è  giusto, 
in  cima  a  tutti  i  pensieri  del  giovinetto  quella  sacrosanta  religione  del  do- 
vere che  basta  a  fare  i  buoni  cittadini ,  e  qualche  volta  gli  eroi  svolti  op- 
portunamente, nella  seconda  parte,  i  piti  ammirati  esempii  di  morale  pratica 
ricordatici  dalla  storia.  Lo  scrittore  espone  nella  terza  i  principii  del  Governo 
che  ci  regge;  riporta  testualmente  lo  statuto ,  commentandolo.  Nella  quarta 
dà  una  bella  serie  di  notizie  geografiche  e  statistiche  sui  monti,  sui  fiumi , 
sui  laghi,  sulle  valli,  sui  prodotti  ^naturali,  agricoli,  industriali.  Dà  accurato 
ragguaglio  dei  corpi  deliberativi  e  corruttivi  che  amministrano  la  cosa  pub- 
blica«  né  vi  mancano  le  divisioni  amministrative,  giudiziarie,  militari,  né  le 
altre  notizie  che  il  lettore  ordinario  non  può  davvero  andare  a  cercare  negli 
enormi  volumi  delle  statistiche  ufficiali,  fi  insomma  un  libro  di  un'utilità 
molto  superiore  alla  sua  mole ,  è  il  libro  di  un  uomo  onesto  e  di  un  abile 
educatore.  Esso  riesce  mirabilmente  in  ciò  che  dovrebbe  essere  la  vera  mis- 
sione dei  libri  didattici  ;  nel  far  conoscere  agli  Italiani  ciò  che  meno  cono- 
scono, il  loro  paese. 

M. 


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—  420  — 
LXTII. 

FRANCESCO  DE' MEDICI 

TRiGEDIi    STORICA 

91 

NICCOLO*  MARSUCCO 
jP^  (i) 

ATTO  TERZO 


SCENA  I. 

Una  sala 

PllTBO  BoNATBNTCai,  GuiDO,  ROBERTO  RlCCI 
BD   ALTBX   COBTIGIANI   CHB   ENTRANO    DISCOBRZNDO 

P.  BoNAv.  (in  abito  di  Ciambellano) 

Danque,  in  brere,  qui  fia? 

Guido  Si  Pier:  di  Stalo 

Usati  affari  a*  Cortigiani  alquanta 
Lo  ritragson,  per  or;  ma  dolci  al  core 
Mi  son  gli  istanti,  eh'  io  con  voi  divido^ 
A  si  preclaro  onor  sortito  •  Il  braccio 
Che  a  prò  del  Duca,  generoso,  opraste 
Contro  la  vinta  fazìon,  di  tanto 
Degno  vi  rese.  Atto  ver  lui  compieste. 
Onde  col  fior  de* prodi  e  piìi  valenti. 
Ben  dello  Stato  meritaste. 

P.  BoNAv*  Un  giusto 

Atto  ver  lui  compiei,  che  a  me  si  larga 
Stender  degnò  de*  suoi  favor  la  mano. 

Gumo  Ed  arra  a  voi  tal  sia,  che  mai  fallirvi 

Non  potrà  la  sua  grazia. 

P.  BoNAV*  Un  Nume,  o  Guido, 

Chiamatelo  per  me. 

RòB.  Ricci  Del  gaudio  vostro 

Io  vegno  a  parte.  Ben  da  tanto,  o  Piero, 

I  vostri  merti  fùr,  benché  d'  avita 

Inclita  stirpe  il  sangue  in  voi  non  scenda. 

P.  BoNAV.      No,  in  me  di  questa,  né  di  inerti  il  vanto 
In  me  pur  splende;  ma  di  Cosmo  al  figlio 
Maggior  obligo,  in  ciò,  tanto  m*  astringe 
Quanto  T incarco  d'alti  merti  é  segno. 

RoB.  Rkci     Da  soverchia  cagion  grazia  inusata 
Talor  procede  e  voi... 

(1)  Vedi  Quaderno  precedente»  pag.  391. 


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—  421   — 
P.  BoNAT.  Signor... 

RoB.  Ricci  Voi  pago 

O  Pier,  n*  andrete,  cui  di  tal  fortuna 

L' aura  spirar  con  1*  adorata  donna 

Il  Giel  die':  ma  badate;  io  ve  n'  assenno, 

Che  della  Corte  lo  splendor,  soverchio 

A  Bianca,  e  a  voi  non  tomi. 
P.  BoNAv.  Un  ul  linguaggio 

Di  rispetto  miglior  più  chiara  prova 

A  domandar  mi  spinge,  altro  contegno 

Ad  assumer  con  voi. 
RoB.  Ricci  Bonaventuri, 

Ciò  il  mio  sentir  non  muta. 
Guido  (irUerponendori;  mentre  gli  altri  Cortigiani  avranno  dato  segni 
(V  attenzione)  A  gare,  amici. 

Inopportuno  è  tal  momento.  A  queste 

Fine  impor  vi  consiglio. 
RoB.  Ricci  O  Pier,  la  fede 

Che  alla  Capei  giuraste,  intemerata 

Splende  ognor? 
P.  BoNAV.  Quali  accenti!  Il  Ciel,  Roberto, 

n  Cielo  appien  l' immenso  amor  sol  vede. 

Che  per  lei  nudro.  Ma  se  a  lei  spergiuro. 

In  quest*  amor  foss'  io,  chi  a  voi  ne  diede 

D'incolparmene  il  dritto?  ah!  se  la  stella 

De' miei  natali  ignobil  fu,  no  pari 

Alma  a  questi  non  ho. 
RoB.  Ricci  Così  Fiorenza 

Tutta  non  dice  dell'occulta  fiamma 

Conscia,  che  per  Cassandra  omai  v'accese. 
P.  BoiiAv.      Cassandra! 

Guido  Deh!  cessate  (sommesso  a  Roberto  Ricci} 

A  tua  rovina 

Correr  vuoi  forse,  ignori  tu  che  il  Duca?... 
RoB.  Ricci     Ah!  tutta  in  me  dell'ira  sua  la  piena 

Disfoghi  ei  pur,  da  uom  simìl  sentirmi 

FaveUar  di  tal  guisa  io  non  sopporto. 
P.  BoMAv.  Che! 
RoB.  Ricci  I  notturni  silenzi  all'ore  fisse 

Fuggir  v'  esorto.  Malaeevol  toma 

Di  Fiorenza  trapassar  le  vie  ] 

Agli  amator,  benché  con  armi  ascose» 
P.  fioNAv.      Quest'affronto  vupl  sangue» 
RoB.  Ricci  Al  vostro  invito 

Sordo  non  son.  Del  duellar  nelParte, 

Da' miei  prim'anni,  alunno  io  fui  di  Silvio 

Piccolomini,  un  tale,  a  cui  Yinegia 

E  Fiorenza  egual  non  vanta. 
P.  BoifAv.  Or  dunque 

(traendo  la ^ada)  La  spada... 
RoB.  Ricci  (facendo  lo  stesso)   E  sia. 


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Guido  (frapponendosi) 
Uno  db'cort. 


Duca 


—  422  — 

M*  udite 

SCENA  IL 
I  PMCBDERTi,  a  Duca 


Il  Duca! 


P.    BONAV. 


Duca 
RoB.  Ricci 

P.    BONAV. 


RoB.  Ricci 
Duca 


I  brandi 
Della  vagina  fuor!...  testimon  d'altro 
Qui  mi  credea. 

Con  altri  sensi,  o  Duca 
Io  delle  insegne  d*alti  onor,  fregiato, 
Qual  vi  piacquci,  testé,  l'adito  a  questa 
Corte,  m'apersi;  ma  qui  a  grave  eccesso 
Mi  spinser  detti  fieramente  amari. 
Chi  di  voi  dunque? 
(dopo  (were  egli  pure  rinvaginato 

la  spada  II  ver  profersi. 

Il  vero? 
Io  a  Bianca  infido  di  Cassandra  amante? 
Roberto,  il  ver  fu  questo? 

Il  comun  grido 
Di  Firenze  quest'è. 

Né  a  suggellarlo 
Della  Ducal  mia  autorità  qui  venni. 
(a  Rob. Ricci)  Ma  non  a  me  la  gelosia  s' asconde 

Cbe  in  voi  di  Piero  suscitar  gli  onori, 

£  incredibil  non  é  che  tal  contesa 

Da  lei  sol  mova.  Ma  a  voi  piti  del  vostro 

Rivai,  negli  usi  della  Corte  istrutto, 

A  voi,  Roberto,  più  che  a  lui  fia  conto. 

Quale  a  tai  pugne  spirto  avverso  io  nudra, 

'E  qual  "^severo  in  lor  bandia  precetto. 

Questo  adempir  cosi  vi  cai,  che  novo 

Spettacdl  farne  la  mia  corte  osate? 

Bonaventuri,  di  consigli  amico 

A  voi  sarò;  (a  Rob.  Ricci)  ma  voi  di  Pier  piii  reo. 

Voi  recidivo,  da  Firenze  in  bando. 

Sino  a' novelli  cenni  miei,  nel  vostro 

Montegno,  il  fefllo  ad  espiar  n'andrete. 

Roberto,  o  Altezza,  disfidai  dal  grave 

Oltraggio  astretto,  'ond'ei  ^prìmier  ferimmi: 

Ma  la  mia  colpa  non  appi^i  ciò  escusa. 

E  di  clemenza  pegno  tdl»  'con  grato 

Animo,  accetto. 

'Di  punir  desio 
'Costui  mi  spinse  che  del  »novo  grado 
Solo  ad  illustri  qualità  sortito. 
Insolentir  parca:  ma  s'io  de' vostri 
Cenni,  in  ciò,  ardito  trasgressor  mi  resi. 
Meglio  obbedirvi,  con  prudente  senno. 
In  avvenir  saprò. 


(a  Pietro 
Bonav.) 


P.    BONAV. 


RoB.  Ricci 


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—  423  — 
Duca  (a  Rob  Ricci)  Partir  vi  giovi 

E  tosto,  (a  P.  Bonav.)  Voi  nell'intime  mie  stanze 
Finch*  io  v'  appelli  (Bonaventuri  entra  nelle  stanze  del 
Duca.  Roberto  Ricci  e  i  cortigiani 
partono^  ad  eccezione  del  Duca 
e  di  Guido)  > 

SGENA  in. 
Duca,  Guido 

Duca  (dopo  fatti  alcuni  passi. 

per  la  sala)  Del  tuo  vigil  senno 

Guido,  ho  mestier,  che  a.  tai  licenze  un  freno 

Si  ponga. 
GuIdo  Obbedirò. 

Duca  Di  traditori 

Siam  cinti,  il  so:  ma  poter  diemmi,  o  Guido, 

A  deluderli  il  Ciel. 
Guido  Roberto  ognora 

Di  gelosia  soverchia  avvampa. 
Duca  In  lui 

Rintuzzarla  saprem. 
Guhm)  Diffidi  opra 

Se  ben  m*  avviso:  cieco  amor,  di  stirpe 

Quegli  all'  innata  ambizion  congiunge. 
Duca  Amor...  ^ 

Guido  Si:  la  Bongian,  colei  che  priìna 

Della  Capei,  del  favor  vostro  all'  aura, 

Qual  di  Bellezza  eletto  fior  splendea. 

Cui  riverenti  i  cortigiani,  a  gara. 

Inchinarsi  godean,  come  a  regina. 

Questa  egli  ama» 
Duca  Cassandra  ! 

Guido  E  in  suo  segreto 

Freme,  che  Bianca  favorita  ammira. 

Colei  negletta,  cui  la  fronte  un  giorno 

Cinta  veder  della  Ducal  corona 

(Chi  il  crederia?)  sperava,  ed  ira  il  rode. 

Che  di  tal  donna  al  cor  Bonaventuri 

Stranier  non  sia. 
Duca  Bonaventuri!  Ei  dunque? 

Guido  L'  eccelso  grado  a  lui  sortito,  i  sensi 

Primier  n' estinse  ed  altro  il  rese. 
Duca  Ascolta, 

O  Guido.  -  Di  Roberto  il  fier  coruccio 

Me  non  spaura,  e  quando  a  lui  quest'aula 

Riaprirà  la  grazia  mia,  gioirne 

Al  paragon,  del  suo  rivai  non  speri 

E  poiché  indegno  dell'  amor  V  estima 

Di  Cassandra  Bongian,  con  Pier  gli  amati 

Colloqui,  io  stesso  agevolarne  ho  fisso. 


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—  424  — 

Guido  E  se  Bianca... 

DocA  A  disdegno  Ella  quest*  arte 

Non  avrìa,  quando  il  mio  pensier  penetri - 

E  acconci  mezzi  fia  dispor  mia  cura 

La  mia  fama  a  salvar. 
Guipo  Disporli,  air  uopo. 

Saprò:  ma  nulla  indi  a  temer  più  resta? 

Né  dei  Capei  la  nimistà?... 
Duca  Che  parli? 

Del  Mediceo  poter  ben  lieve,  o  Guido, 

Idea  ti  crei,  se  di  umor  capace 

Della  vendetta  dei  Capei  m*  estimi. 

Che!  non  bastò  se  del  patrizio  il  foglio 

Di  risposta  degnai,  che  la  rapita 

Figlia  chiedea?  Di  Fiorenza  al  Duca 

Inimicarsi,  per  cagion  sì  lieve 

Il  Veneto  Senato  oso  sarebbe? 

Lega,  in  me,  ordir  con  Ferdinando?-©  Guido, 

Nel  provvido  pensier  miglior  consiglio 

Accorrà. 
Guido  Ferdinando!  oh!  di  tal  fiamma 

Ei  col  pretesto,  cònestar  gli  arditi 

Suoi  disegni  potria.  D*  indefinita 

Tristezza,  intanto  la  Duchessa  ingombra 

E  di  sospetti,  alle  scerete  stanze 

.1  pensier  fida  e  liber'aure  forse 

Nel  profondo  dell'alma  Ella  sospira 

Più  che  alla  Corte  a  lei  fruir  sia  dato. 
Duca  Di  Pratolin  1'  aprico  almo  soggiorna. 

Che  opportuno  a  lei  scelsi,  alle  sue  brame 

Risponderà. 
Gumo  Si  preziosa  vita 

A  porre  in  cai  v*  esorto.  -  Ah!  se  immatura 

Morte,  troncasse  de*  suoi  giorni  il  corso... 
Duca  AUor  Duchessa  di  Firenze  e  sposa 

Bianca  al  Duca  saria. 
Gumo  Bianca!...  Ella  giunge 

Duca  Seco  mi  lascia:  a  miglior  tempo  il  resto 

Consulterem.  (Guido  parte) 

SCENA  IV. 
BuNCA,  Duca, 

Duca  Mia  Bianca,  onde  ansiosa. 

Sollecita  cosi? 
BuNCA  La  vostra,  o  Sire, 

Giustizia,  ad  implorar. 
Duca  Che  fu?  parlate. 

Bianca  II  vero  appresi?  A  singoiar  tenzone 

Roberto  e  Pier. 


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—  4S5  — 

Ddga  T'accheta:  all'ire  freno 

Opportuno,  a  por  giunsi. 

BuNGA  Acerbi  detti 

Dunque  il  mio  sposo  provocar?  Roberto 
Dell'oltraggio  l'autor? 

Duca  Tal  fu:  ma  il  fio 

Nel  suo  Montegno^,  in  bando,  egli  ne  sconta. 

Bianca  Ah!  di  qual  rio  dolor  trafitta  il  crudo 

M*avria,  non  vide. 

Duca  Già  non  dubbi  segni 

Di  queir  invido  spirto  il  mal  talento 
Mi  presagian:  di  tanto  pur  capace 
Io  noi  credea. 

Bianca  Benché  di  Pier  non  tremi 

Finché  del  favor  vostro  aura  m'affidi. 
Novo,  sott'  altro  ciel  cercar  ricetto 
Ne  concedete:  a  nòve  gare  il  campo 
Cesserà,  di  comporle  in  voi  la  cura. 
Tenace  men  deli'  amistade  il  nodo 
Non  saria  no  che  a  voi  n'  avvinse  e  il  grato 
Animo  nostro... 

Duca  A  tal  desir  l'assenso 

Blandiria  quel  superbo,  innanzi  a  tutti 
In  questa  corte  sovrastar  bramoso. 
Ove  al  suo  fianco  gentiluom  non  soffre. 
In  cui  di  sangue  nobiltà  non  splenda. 

Bianca  Amaro  a  Pier  l'oltraggio  fu;  ma  sempre 

Dal  ver  discordi  non  suonar,  pavento, 
L'  accuse. 

Duca  Qual  sospetto! 

DuNGA  (dandogli  un  foglio)  A  questo  foglio 

Fé  negar  deggio? 

Duca  (legge)  Di  Cassandra  un  foglio? 

«  De' sommi  onor  dal  Duca  a  voi  largiti 
Intesi,  e  gioinne  questo  cor;  ma  gioja 
Non  pria  sentita  commoveami,  allora. 
Che  de' primi  colloqui  i  dolci  istanti 
Con  voi  partia,  di  rinnovarli  entrambi 
(Non  dubbia  arride  al  mio  desir  la  speme) 
Paghi  n'andrem,  perpetuar  d'alterna 
Intelligenza,  i  sensi.  Ad  un  segreto 
Mio  paggio,  il  foglio  che  vergai,  comanisi, 
E  secreta  da  voi  risposta  attende 
»  Cassandra.   » 

Le  sue  cifre! 

BuNCA  A  me  scerete 

Già  non  restiir,  qual  di  Cassandra  il  paggio. 
Che,  mentre,  sciolto  alla  letizia  il  freno, 
Pier  della  nova  dignità  le  insegne 


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Duca 
Bianca 


Duca 
Bianca 


Duca 


Bianca 
Duca 


—  486  — 
Ad  ornarsi*  attendea,  nel  portafogli 
Questo  obliava. 

Ciò  desio  d*  alterni 
Colloqui  sol,  non  mutuo  amor  dinou. 
Ah!  ben  di  Piero  il  cor  leggo  e  l'intendo 
Ogni  detto,  ogni  sguardo  il  suo  contegno 
A  me  lo  svela,  e  interprete  eloquente 
Occhio  di  sposa  è  nel  consorte. 

E  fia? 
Si  quelle  cifre  i  miei  timor  cangiiro 
In  certezza  fatai,  d'ogni  sciagura 
Piii  crudo,  in  me,  quel  colpo  fu. 

Deh!  a  calma 
Ti  ricomponi:  con  solerte  cura 
Della  temuta  passì'on  gli  effetti 
Io  preverrò:  ma  perchè  a  te  secondi 
Tu,  a  miglior  prova,  n  miei  disegni  intenda. 
Sappi  che  al  padre  che  chiedeati,  io  stesso. 
Io...  rinviarti  ricusai. 

Che  sento! 
No,  se  supplice  ei  pur,  se  a' miei  ginocchi 
S*  appresentasse...  non  a  me  sottrarti... 

SCENA  V. 
Un  paggio  e  dbtti 


Paggio 


Bartolomeo  Capei  patrizio  illustre 

Chiede  udienza. 
BuNCA  (dando  segni  di  turbamento)  II  padre  mio! 
Duca  Ben  giunge 

Egli  s*  inoltri. 
Bianca  (in  atto  di  ritirarsi)  Deh!  concedi. 
Duca  Donna 

Del  genitor  paventi?  -  Ignori  forse. 

Che  del  tuo  Duca  al  fianco  sei? -Che  invitto 

È  della  sola  tua  virtii  l'usbergo? 
Bianca  Ciel  dammi  forza!  (si  abbandona  sopra  un  seggiolo) 

SCENA  VI 
Bartolomeo  Capello  b' detti 

Bianca  €dla  vista  del  padre  è  compresa  da  forte  commozione- 
Essa  tenta  invano  di  rialzarsi ,  e  si  copre  colle  mani  il  volto» 
Il  Capello  reprime  la  siui^  con  un  contegno  impassibile^  senza  gtiar^ 
dare  Bianca  in  volto.  Dopo  le  prime  parole  pronunciate  dal 
padre j  come  spinta  da  forza  irresistibile^  corre  a  gettarsi  fra  le  sue 
braccia. 


Bart.  Capbl 


Alto  affar... 


Sire,  a  questa  Certe 


A  vestirsi 


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42T   — 

Bianca  Padre. .. 

Bart.  Gapbl  (respingendola)  Chi  se' tu?  ti  scosta 

£  sul  tuo  labbro  eh*  io  di  padre  il  nome 
Proferir  non  intenda  (al  Duca)  A  voi,  Francesco, 

I  miei  detti  son  volti.  Omai  v*è  conto 
Quale  dal  patrio  ciel  cagion,  costei 
Qui  trasse.  -  D*  ospitai  grata  accoglienza 
Voi  generoso,  di  favor  le  foste- 
Della  patema  autoritade  in  nome 

La  figlia  or  chieggo. 
Duca  A  Pier  Bonaventuri 

II  Ciel  la  giunse,  e  di  ritorla  il  dritto 
A  lui  non  diemmi. 

Bart  Gapbl  Ell'è  mia  figlia.  Il  crudo 

Sol,  d'iui  infame  rapimento  a  prezzo, 
A  sé  1'  ottenne. 

BuNCA  (al  padre)  Udite... 

Bart.  Gapel  E  che  dir  puoi 

Che  del  padre  al  cospetto  il  fallo  escusi? 
Ingrata!  di  pietà  misero  oggetto 
La  tua  fuga  mi  rese.  -  Eri,  da'  primi 
Anni,  mia  gioja  e  cura,  eri  il  conforto 
De' cadenti  miei  di;  come  adorata 
Figlia,  ti  crebbi.  -  Ah!  ne*  più  cari  affetti, 
Ghi  salda  por  potria  fidanza?  Iddio 
Le  supreme  dolcezze  all'  uom  ne  invola. 
Solenne  esempio  che  di  terree  glebe 
Felicità  non  è  germoglio. -O  Bianca 
Io  nella  fibra  più  vital  colpito 
Per  te  fui. -De' miei  di  tratto  all'estremo. 
Se  il  Giel  m'  avesse,  a  mendicar  costretto. 
Di  minor  fato  graveriami  il  pondo - 
Al  fero  annuncio  sopraffatto  e  muto 
Restai,  ma  poi  che  al  duol  la  strada  apersi. 
Io  deir  avita  casa  ogni  riposto 
Angol,  frugai;  che  una  lusinga  ancora 
Di  ricovrarti,  mi  blandia.  -  Me  lasso! 
Quanto  vano  al  desir  segui  V  efietto! 
Fuggisti  e  sprone  alla  tua  fuga  un  vii  e 
Seduttor  fu.  (pronuncia  queste  uUime  parole  con  voce 
interrotta  dal  pianta) 

BuNCA  Deh!  un  solo  accento. 

Bart.  Gapbl  Un  giuro 

Da  queir  istante  in  cor  sacrai,  eh*  io  sempre 
Obliata  t'  avrei:  ma  quale  in  petto 
Qual  genitor  si  cruda  alma  rinserra 
Che  figlia  ponga  della  mente  in  bando^ 
Golpevol  pur,  del  suo  perdono  indegna? 
Questo  indomito  in  me  poter  prevalse, 
Questo  al  tuo  sen^  Bianca  mi  spinse.  (Vabhraccia)  A  prova 
Ghiaro  or  mi  fia  se  del  dover  la  voce 


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—  428   — 

Del  padre  il  pianto  alla  fatai  tua  fiamma 
Freno  esser  ponno. 

BuNCA  In  te  il  paterno  affetto 

O  padre,  in  me  V  amor  di  figlia  umano 
Poter  non  doma.  Dio  nel  cor  mi  legge. 
Iddio  r  intende:  ma  scolparmi  a  Lui^ 
Innanzi  al  Duca  io  debbo. 

Duca  II  dei:  favella. 

Bianca  Sì  d'un  patrizio  Senator  la  figlia 

Son  io,  dal  sangue  dei  Capei  discesa. 
A  Pier  Bonaventuri  amor  m*  avvinse, 
A  lui  giunsi  la  destra  e  al  nome  mio  (*) 
Onta  recar,  con  quest*  Imen  conteso 
Non  io  pensai.  -  Se  nobiltà  di  sangue 
Ei  non  redo,  nobili  sensi,  egregia 
Dote,  a  lui  son.  Sì  pria  dei  di  V  estremo 
Morte  m*  ancida,  eh*  io  '1  mio  giuro  infranga. 
Ma  il  mutuo  nodo  a  tutelar,  del  Duca 
Il  favor  stesso  al  Ciel  sortirne  piacque. 
Né  a  dritto  il  Duca  assentirla,  che  l'alme, 
Che  in  quel  nodo  Iddio  giunse,  altri  disgiunga. 
"Bart.  Capel  Al  senno,  o  Duca^  alla  giustizia  vostra 

10  mi  confido. 

Duca  Del  dolor  la  piena 

Che  V*  ingombra,  o  patrizio,  io  ben  comprendo^ 
Ma  che  al  soverchio  desir  vostro  io  ceda. 
Nò  il  mio  dover,  né  V  ecpiità  noi  paté. 
Se  nobil  sangue  alla  Capei,  lo  sposo. 
Col  vincol  suo  non  reca,  al  patrio  tetto 
A  cui  lo  tolse,  riclamarlo  il  dritto 
'  In  voi  non  é;  ma  il  grado,  a  cui  la  Corte 
Eletto  omai,  col  mio  favor  lo  ammira 
Ben  il  difetto  de' natali  emenda. 
Qui  di  ricchezze  co'  piii  illustri,  e  d'  agi 
Al  par  starà,  di  sontuoso  e  splendido 
Palagio,  il  don  v'aggiungerò. 

Bart.  Capel   ^  Decisa 

È  dunque  la  mia  sorte?  Ebben  si  ceda 
Tal  del  Duca  è  il  voler.  -  Padre  infelice! 
Allor  eh'  io  volsi  a  questa  terra  il  piede. 
Del  poter  vostro  mi  blandia  la  speme 
Ed  alla  mente  ancor  dolce  un  pensiero 
Mi  parlava,  e  dicea,  che  al  sen  la  figlia 
Ricondotta  m'  avria.  Vana  speranza! 
Ecco  protetta  la  rea  coppia  io  miro. 

C)  Var.  : 

A  lui  di  sposa  unii  la  destra,  e  d'onta 

11  mio  nome  gravar,  con  tal  conteso 
Imen  non  io  pensai.  Se  nobil  sangue 
Ei  non  redo,  ecc. 


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—  489   — 

Ecco  nova  al  mio  cor  crudel  ferita. 

Che  la  primiera  a  esacerbar  s*  aggiunge. 
Ducà  Esacerbar?  Signor... 

Bart.  Gapbl  No...  errai.*,  perdona 

Di  tal  sospetto,  qui  pur  T  ombra  è  colpa. 
(levando  al     Onta  alla  casa  dei  Capei!  Me  misero! 
cielo       le    Al  natio  lido  ora  a  redir  mi  resta, 
mani)  Con  disperato  duol,  che  meco  in  breve. 

Scenderà  nella  tomba.  O  figlia  ingrata! 

Donna  d*  un  Prence  io  ti  rinnego. 
Bianca  Ah!  no. 

Duca  Donna  d'un  prence!  Oh!  se  al  dolor  rispetto 

Non  avess'  io,  che  a  delirar  vi  tragge, 

A  caro  prezzo,  questi  arditi  accenti 

Scontereste,  o  patrizio... 
Bianca  (interponendosi)  Ah!  vi  scongiuro 

Padre...  (stringendosi  al  seno  del  padre) 
Bart.  Capel  (respingendola)  Lungi  da  me...  lungi  per  sempre,  (parte) 

(Bianca  getta  un  grido  e  sviene.  Cala  U  sipario). 

ATTO  QUARTO 
SCENA  I. 

Una  sala  nel  palazzo  del  Duca  in  Pratolino 
Duca,  Bianca 

Duca  (conducendo  Bianca  presso  un  seggiolo) 

Qui  posatevi  all'anima  commossa 

Libero  sfogo  consentite. 
Bianca  Ah!  l'empia 

Vista,  il  dolor  piii  crebbe,  onde  m'afflisse 

Del  genitor  Y  inesorato  sdegno. 
Duca  Duolmi  che  a  noi  quest'inatteso  evento 

Della  festa  a  turbar  campestre  il  riso 

Giungesse,  ond'io  del  vostro  affanno  il  pondo 

Alleviar  sperai;  ma  indizi  forse 

Sol  di  sincera  cortesia  fùr  quelli. 

Onde  di  Pier,  della  Bongian  la  fiamma 

Argomentaste. 
Bianca  (da  sé,  dando  segni  di  non  aver  posto  mente  alle  parole  del  Duca) 

Ah!  crederlo  poss'  io? 

Ma  no...  m'illusi,  all'intelletto  un  velo 

Amor  forse  mi  pose. 
Duca  Ei  di  simili 

Inganni,  spesso,  a' suoi  devoti  è  fabbro. 
Bianca  O  mia  patria,  o  congiunti,  abbandonarvi 

A  tal  prezzo  potei?  D'alta  sventura 

Me  a  me  medesma,  a  voi  crear  strumento? 


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Duca 
Bianca 


—  4») 
non  più. 


Bianca. 

Ma  Piero  ov  è?  parlargli 

Deggio. 
Duca  In  breve  qui  fia.  In  me  de' miei 

Commosai  affetti,  in  me,  per  or,  la  piena... 
BuNCA  Signor*.  • 

Duca  La  vostra,  0  Bianca,  alta  virtude 

A  venerarvi  oltre  ogni  dir,  m'  astringe. 

Ma  dove  Pier  d*  infedeltà  1*  immenso 

Vostro  amor  ricambiasse,  a  lui  pur  sempre 

Devota...  a  me  restia... 
Bianca  (set;era)  Duca...  il  solenne 

Di  mia  sacrata  fé*  giuro,  obliaste? 

Ah!  si  ove  pur  d*  infedeltà  quel  crudo 

Giungesse  al  colmo  pria  dei  dì  lo  stame 

Troncar  vorrei,  che  in  colpa  egual  macchiarmi. 
Duca  Taci:  ei  s*  avanza.  Oh!  come  neir  aspetto 

li  recente  del  cor  tumulto  esprime! 

SCENA  n. 

Pnrao  Bohaventuei  k  D£tti 

P.  BoNAv.      Signor... 

Duca  Turbato  cosi  dunque? 

P.  Bonav.  O  Bianca... 

Bianca  Tu  tremi?...  o  Pier,  saper  potrei?:.. 

P.  BoNAv.  Gelarne 

No  la  cagion  non  deggio.  Amari  detti 

In  me  fùr  volti. 
Duca  In  voi?  Chi  dunque? 

P.  BoNAv.  Il  nome 

Di  delator  non  amo. 
Bianca  O  Pier,  tu  queste 

Mura,  a  fuggir  pria  m*  esortavi.  Il  Cielo 

Questo  consiglio  ci  porgea.  Compirlo 

Ci  giovi  e  tosto. 
Duca  Udir  degg'io?... 

P.  BoNAV.  L'assenso 

Mio,  non  sperarne.  Di  timor  saria 

De*  miei  rivali  a  fronte,  alto  argomento. 
Bianca  Ah!  delle  insìdie  lor  paventa  i  danni. 

Novi  alla  sposa  tua  martir  non  giungi, 

A  qae^che  già,  per  amor  tuo,  sofferse. 
P.  BoNAV.      Piii  che  noi  credi,  a  distornarli  or  volte 

Mie  cure  son^  d*  un  avvenir  sereno 

A  te  costante  procacciar  le  sorti. 

Donna,  un  disegno  ascolta,  (da  sé  esitando) O  del  svelarlo 

Dovrò? 
BuNCA  Simil  contegno  alcun  mistero 

Asconde. 


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43i    — 

P.  BoNAY.  Bianca,  a  me  t' invola,  al  tuo 

Sposo,  rinunzia,  io  v'acconsento. 

Bianca  II  vero 

Intendo!  No  la  mia  vita  n'  andasse. 

P.  BoNAV.      Un  foglio  al  padre  invia,  perdono  implora 
A  queir  amor,  che  al  natio  suol  ti  tolse, 
E  da  lui  ti  disgiunse.  AI  Duca  chiedi 
Che  il  disegno  secondi;  a  questo  i  voci 
Del  genitor  risponderan. 

Bianca  Non  mai. 

P.  Bona v.(€la  sé)  Misera  ignori  qual  ria  serpe  il  riso 

De' tuoi  giorni  avveleni,  (a jBianca) Bianca... 

Bianca  Ingrato! 

Amaro  inver  de' sacrifizi  miei 
Colgo  il  frutto.  Tradita  io  son,  tradita 
Colma  è  del  duol  la  coppa,  eppur  votame 
Mi  giova  il  fondo  (piange) 

Duca  (a  Bianca)  Ti  rinfranca,  il  Duca 

A  tal  disegno  s'  opporria.  (a  Piero)  No  a  tanto 

Spingermi,  o  Piero,  non  vorrete.  Ignaro 

Non  son  io,  che  a  Cassandra  onesti  uffici 

Di  Cavalier  sacrar  v'  è  caro.  Eccelso 

Delle  sue  doti  è  il  vanto;  eppur  dal  calle 

A  distornarvi  del  dover  capaci 

Non  io  le  estimo,  (a  Bianca)  Msl  se  a  te  mal  grato 

Dal  suo  labbro  sfuggi  d'amor  parola. 

Tu  benigna  il  riprendi  e  tu  perdona 

Un  trascorso,  del  core  alla  fralezza. 

BuNGA  Ah!  di  pentir,  verace  ai  fallo  emenda 

Io  mai  sperarne..* 

Duca  Guido  inoltra,  or  meco 

Di  consulur  bramoso  (a  P.  Bonav.)  A  confortarla 
Provvido  intendi. 

T' obbedisco. 


P.    BONAV. 

BuNCA  (da  se) 


Oh!  quanto 
Di  quest'  aura  più  ognor  mi  grava  il  pondo. 

(Pietro  Bonaventuri  e  Bianca  partono) 

SCENA  m. 


Duca,  Guido 

Duca 

Ben  giungi,  o  mio  fedel. 

Guido 

Né  a  te  di  lievi 

Nuove,  forier. 

Duca 

Che  fu? 

Guido 

Giunto  a  Firenze 

È  Ferdinando 

Duca 


Vel  tragge. 


Egli!...  Grand*  uopo,  al  certo, 


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—  432   — 
Guido  Ardir  la  sua  venuta  e  lena 

Del  fedel  gregge  suo  crebbe  allo  stuolo. 

Roberto  in  noi  fremente  ognor,  nel  foco 

Di  gelosia  soffiando  va,  che  in  petto 

Cova  quel  Duca. 
Duca  Me  non  ispaura 

Cotesto  insetto,  che  mi  ronza  intomo. 

Io»  d*un  soffio,  lo  sperdo« 
Guido  Un  pestilente 

Insetto,  in  popolose  ampie  contrade 

Può  funesti  vibrar  dardi  mortali: 

E  r  amor  di  Cassandra  or  più  un  arcano 

Alla  Corte  non  è.  Chi  al  par  di  Piero 

A  queir  altera  capricciosa  Ispana, 

Tra  i  cortigiani,  accetto  fu?  Le  alterne 

Corrispondenze,  i  lusinchier  sorrisi 

Nella  Capei  di  gelosia  io  strale, 

E  in  Roberto  destar. 
Duca  Di  questa  fiamma 

Arda,  struggasi  ei  pur.  È  mio  talento. 

Che  del  trionfo  spettator  di  Piero 

Mal  suo  grado  egli  sia.  -  Guido,  alla  meta 

'Drizzato  è  il  dardo. 
Guido  E  speri? 

Duca  A  q[uesta  ei  giunga 

Deir  arti  mie  sperimentai  le  prove: 

Ardua  è  V  impresa,  ma  el'  inciampi  sgombra 

Pertinace  voler.  Poich'  Ella  apprenda 

Che  Piero  ad  altra  passion  die'  loco... 
Guido  Ah!  di  sì  occulto  ardor  dissimularvi 

I  timor  non  poss'io.  Membrar  vi  giovi, 

Ch*  or  più  da  presso  con  solerte  cura 

Ad  esplorarvi  Ferdinando  intende. 

Da  morbo  oppressa,  della  vita  in  forse 

Geme  intanto  Giovanna. 
Duca  O  Ciel! 

Guido  La  nuova 

Or  or  ne  udii:  (né  il  celerò)  sospetti 

Della  misera,  in  voi,  destò  la  sorte. 
Duca  Ah!  questo  ancor?  {dopo  aver  fatti  alcuni  passi  per  la  soZa) 

Ben  di  lei  ducimi,  o  Guido, 

Ma  gravi  affar  di  stato  a  Ferdinando 

Mi  chiamano  in  tal  punto.  -  A  confortarla 

Tu  a  lei  t*  affretta;  indi  a  me  riedi  (il  Duca  parte) 

SCENA  IV. 

Guido  solo 

Il  core 
Di  speme  ei  pasce;  ma  timor  funesto 
Per  lui  m* ingombra. -Oh!  non  invan  Fernando 


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—  433   — 
Posto  ha  in  Firenze  il  pie*:  taccpie  de*  Pucci, 
De*  Ridolfi  r  ardir;  ma  1*  Idra  inulta 
Kivive,  e  a  lei  quel  Ferdinando  è  Duce, 
Che  te,  Francesco,  dal  sognato  Eliso 
Precipitar  minaccia,  e  il  cieco  amore 
.  Per  la  Capei,  ch'onta  al  tuo  nome  impresse, 
A  tal  rovina  affretta  il  voi.  (Si  ode  un  grido  dentro 

la  scena) 
Qual  grido! 
Di  Giovanna  è  la  voce.  Eccola!  oh!  d*alma 
Afflitta,  imago!  Libero  uno  sfogo 
Air  infelice  con  le  fide  ancelle. 
Per  or,  lasciam.  {Guido  parte) 

SCENA  V. 

GiOVANHA  BNTRA  SOSTBNDTA  da  SoFU  con  alcune  OAMB  01  COftTE 

Giovanna  (delirando   a  Sofia)  Si:  a  lui  m'adduci.  Il  perfido 

Confonder  vò. 
Sofia  Qui...  qui  ti  posa:  in  breve 

Fia  che  a  te  viedB.  (V adduce  ad  un  sof appresso  il  verone 
da  cui  si  scorge  la  campagna) 
Il  combattuto  spirto 

A  te  ricrei  di  questa  scena  il  riso. 
Giovanna  (sempre  in  delirio) 

Lungi  o  larva  fatai!... 
Sofia  Deh!  «in  te  rientra 

Giovanna        Ah!  noi  vid*  io  gì*  innamorati  sguardi 

Cupido  in  lei  fissar?...  Empia...  t*  invola 

Via...  via  quel  serto...  Di  Francesco  sposa... 

La  Duchessa  son  io... 
Sofia  Giovanna! 

Giovanna  Oh!  quale 

Voce  m'appella?... 
Sofia  Una  fidata  amica 

De'  vostri  dì  sollecita. 
Giovanna  O  Sofia, 

Del  corso  lor  già  tramontò  la  stella  (*) 

Il  vital  soffio  nella  stanca  salma 

Mancar  già  sento. 
Sofia  A  miglior  speme  il  core 

Riconfortate. 
Giovanna  È  tardi,  e  un  fatai  sogno 

Testé  air  angoscia  che  opprimeami,  il  pondo 

Accrebbe. 
Sofia  Un  sogno!  A  tristo  e  certo  augurio 

Volger  fallace  vision  potreste? 

{*)  Var.  :  Di  questi  di  già  tramontò  la  stella 

58 


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—  434  — 
GiotAififA        Odi,  e  poi  dimmi  se  a  presagi  infausti 
Argomento  non  è.  D'almo  soggiorno 
Per  le  piagge  io  movea,  dove  superbo 
Torreggiava  un  Castel.  Di  caccie  il  duono 
Festivo,  udia.  Vaghi  giardin,  colline 
Apriche,  ombrose  valli,  antri  soavi. 
Chiare,  fresche  e  dolci  acque,  in  lieto  aspetto 
Mi  s*  ofl^rian.  Vedea  da  pagn  ingombro. 
Da  òortieiani  e  da  matrone  il  loco, 
È  bella  m  mezzo  a  lor,  straniera  donna 
Seder  del  Duca  al  fianco.  Amor  profondo 
Spirar  d'entrambi  mi  parean  gli  sguardi. 
Egli  il  cortèo  gentil  ({nasi  obliando. 
Seco  in  colloqui  il  pie*  movea.  Quand*ecco 
Di  nubi  il  Giel  velarsi,  ed  un  fantasma 
Grandegeiar  fra  la  turba,  minaccioso 
Aprirsi  il  calle.  Acuto  mise  un  grido 
La  donna. -È  Ferdinando.  In  lui  '1* acciaro 
;  Converte  il  Duca,  ad  imitarlo  i  fidi, 

E  in  un  balen,  qual  fiamma  arde  la  zuffa.       J 

Ma  di  fantasmi  tarmato  sluol  s'  affolta 

Che  di  Francesco  la  contraria  schiera 

Rotnpé^  in  brevei»  e  disperde.  A  terra  il  Duca, 

E  il  sen  trafitto  da  morul  ferita 

Esangue  cade.  Al  dilettoso  e  vago 

Soggiorno,  tosto  un  cupo  orror  succede, 

E  del  festevol  di  svanisce  il  riso.  -    * 

Funeste  larve!  ma  che  forse  il  crudo 

Morbo,  nel  falso  imaginar  vi  crea. 

No...  del  futuro  un  vel,  ben  io  pavento. 

Iddio  m'aperse:  io  noi  vedrò  quel  giorno 

Ma  tu  lassa!  il  vedrai,  (si  aJbòandona  sul  suo  seno  pian- 

Non  piii.  gendo) 

Di  questa 

Vital  dimora,  ecco  al  fin  giungo  e  ai  core 
Conforto  è  sol  d'  altra  miglior  la  speme 
Di  quel  Dio  neir  amplesso.  Ohi  dolcemente 
Ben  più  che  noi  credea,  nel  tenebroso 
Sen  della  tomba  io  sòendo. -«O  generosa. 
Cui  di  tanta  amistà  nodo  mi  strinse. 
Deh!  ognor  di  me  ti  risovvenga,  e  quando 
La  muta  pietra  chiuderà  quest'ossa 
Del  pietoso  tuo  duol  la  rimembranza 
Nel  novo  regno,  io  serberò. 
SoFU  Deh!  oessa... 

A  piii  tranquilla  vita  ancor  potrebbe 
Chiamarti  Iddio.  Forse  pentito  il  Duca... 
Giovanna  {come  scossa  dal  suo  vcmeggiamento) 

Pentito!...  ah!  duncpie?  Ma  qual  rio  pensiero 
A  dubitar  di  sua  virtìi  m*  astringe? 
O  mia  fedel  se  rimanere  in  vita 


SoFU 
Duchessa 


Sofia 

DuCHBSSA 


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—  435   — 
Mi  concedesse  il  Giel,  di  questa  ancora 
Nova  il  cor  nutrirei  dolce  speranza 
Ma  lo  sposo  celeste  a  sé  mi  chiama. 
Oh!  d'  altri  che  di  lui  piii  non  parlarmi. 

Sofia  Ella  vien  manco,  le  parole  estreme 

Dal  suo  labbro  a  raccor  1'  amato  sposo 
Qui  fosse  almen!  ((iccqstandosele)  Duchessa...  (s*od6  una 

dolce  musica) 

Giovanna  Oh!  (jual  celeste 

Musica  intomo  eccheggiar  odo  e  Talma 
D'  indefinito  alto  gioir  m*  inonda! 
Ah!  quella  è  pur  che  da  quest*  occhi  il  pianto 
Trarmi  solca  nella  mia  patria,  allora 
Che  tutta  in  Dio  bear  pareami  assorta. 
Ma  dove  son  che  parlo?  Ecco  mi  schiude 
L'  auree  sue  porte  il  Giel,  d*  eletti  spirti 
Schiera  immortai  mi  cinge,  nova  intomo 
Luce  m'  arride,  ivi  corona  e  palma 
M*  offre  Colui  eh'  ogqi  poter  trascende. 
SUve,  o  magion  felice  e  voi  salvete 
Purissim'  alme!  O  sposo,  e  tanto  ancora 
Di  terrene  grandezze  il  fuggitivo 
Splendor,  di  fral  beltade  amor  t' illude? 
Deh!  vieni,  meco  a  queste  sedi  il  volo 
De* tuoi  pensier  solleva...  Ea^co  perenne 
Serto  a  te  pur  quel  Dio  prepara.  -  Etema- 
mente  beati  là  sarem.  - 

Sofia  Q^hI  cara 

Vision  questa  pia  d'Onnipossente 
Ardor,  comprende!  Ah!  il  Dio  cui  l'alma  estolle 
Benigno  forse  a  lei  dell' ultim' ora 
A  lenir  vien  gl'istanti..*  Ella  si  desta... 

Duchessa        Ove  son?  tutto  dunque  è  vano  sogno? 
Chi  siete  voi?  (volgendosi  intorno) 

Sofia  Le  ancelle  tue  che  pie 

Per  la  tua  pace  pregano. 

Duchessa  I  lor  voti  ^ 

Adempia  il  Ciel!  Da  un  lieto  .$OgnOy  o  cara. 

Mi  risveglio.  Testé,  fra  l'alme  i^ssorto 

Che  r  immortai  beato  cerchio  serra... 

Era  il  pensier.  Qual  labbro  upian  potria 

Le  infinite  ridir  dolcezze  arcane. 

Che  in  me  spandea  chi  d'  ogni  gaudio  è  fonte? 

Sofia  Al  duol  conforto  che  per  te  mi  punge^ 

È  questo,  o  mia  Duchessa:  ma...  tu  tremi? 
Tu  impallidisci? 

Duchessa  Ah!  perchè  ^uova  il  crudo 

Di  me  non  chiede,  e  almen  l'ultimo  addio... 

Sofia  T'accheta  ei  forse  del  tuo  stato  ignaro... 

Ma  chi  s'avanza?  Non  m'inganno,  è  Guido 
Ben  giungeste,  o  Signor. 


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—  436   — 
SCENA  VI. 

Guido  s  dette 

Guido  Del  Duca  il  cenno 

Sollecito,  o  Duchessa,  a  voi  m' invia 
Ei  la  somma  per  voi  Pietade  implora, 
E  la  tristezza  a  disgombrar  v*  esorta. 
A  vostri  dì  seme  mortai. 

DucHBssA  Compiuto 

N*è  il  corso  ornai...  La  mia  tristezza,  o  Guido, 
Con  lor  fia  sgombra.  Ma  che  fa  lo  sposo 
Perchè  non  giunge? 

Guido  Se  di  membra  infermo 

Qual  voi  non  è,  non  della  gioja  il  riso 
Il  cor  gli  rasserena  e  in  lui  del  giusto 
Rimorso  accusa tor  non  tace  il  grido. 
Qui  tratto  avria;  ma  troppo  a  voi  funesta 
Temè  la  sua  presenza.  E  d*  inattesi 
Affar,  piena  ha  la  mente.  È  Ferdinando 
Qui  giunto. 

Duchessa  Ferdinando !•..  (con  viva  espressione) 

Ah!  il  tristo  sogno 
Dunque  in  certezza..* 

Guido  Tutto  oprar  m*  è  d'uopo 

Che  amistà  regni  in  lor,  né  pace  il  volo 
Da  questo  suoi  dispieghi.  A  voi  membrarla 
Pur  la  Capei  pregommi,  e  del  presente 
Duol  che  vi  strugge,  ond*  è  cagion,  perdono. 
Per  me,  vi  chiede. 

Duchessa  Tu  a  lei  lo  reca 

Dille  che  se  d' amor  funeste  prove 
Al  mio  sposo  Ella  die,  1*  offesa  oblio. 
Che  al  Ciel  quest'alma  con  rancor  non  sale. 
Dì  a  quell'ingrato,  che  a  lui  pur  perdono. 
Che  di  sposa  miglior  felice  ei  viva- 
Al  popol  suo  mi  raccomandi.  A  lui 
Un  generoso  di  favor  tributo 
Dell'amor  suo  qual  pegno  ultimo  ei  renda: 
Modesta  sorga  l'urna  mia;  ma  sculte 
Del  serto  avito  abbia  le  insegne. 

Guido  Io  tutto 

Che  bramate,  farò 

Giovanna  Di  me  serbate 

Pur  memoria  o  buon  vecchio:  aurei  consigli 
Porgete  al  Duca  che  allo  Stato  il  freno 
Giusto  e  clemente  ei  regga,  ed  io...  ma  un  velo 
Mortai,  gli  occhi  m'  appanna,  (a  Sofia)  Vieni  al  fido 
Letto,  mi  guida...  là  d'un  breve  giorno 


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437   — 

Tranquilla  aspetterò  T  ultima  sera. 
Addio,  (parte  sorretta  da  Sofia  colle  Dame) 
Guido  (da  se)  Martire  pia,  d*  alte  sventure 

Ohimè  presago  il  tuo  morir  pavento. 

(parte) 

ATTO  QUINTO 


SCENA  I. 

Un  anticamera  nel  palazzo  del  Duca 
Ferdinando  db*  Medici  e  Roberto  Ricci  di  dentro 

RoB.  Ricci  (di  dentro)  M'  odi.., 

Ferdinando  Mi  lascia  a  miglior  tempo.  Impresa 

D'alta  mole  quest*  è.  (entra)  Del  mio  disegno 
Al  compimento  irrequieta  brama 
Di  vendetta  lo  spinge.  Accorto  senno 
Pur  qui  si  vuol,  la  mia  venuta  al  Duca, 
Con  pretesti  onestar;  ma  quando  in  lui  (*) 
Della  mia  tela  acconciamente  ordite 
Le  insidiose  fila  sien,  V  incauto 
Avvolgan  sì  che  sciorle  a  niun  sia  dato. 
Ei  vien. 

SCENA  IL 

Ferdinando,  il  Duca 

Ferdinando  (movendogli  incontro) 

Salute,  o  mio  german,  parlarti 
Pria  d*or,  bramai;  trista  cagion  mei  tolse 
Della  Capei  lo  sposo... 

Duca  ~  Ah!  si  quel  desso. 

Cui  d'  ospitali  accoglienze  amiche 
Benigno  fui,  d'occulte  insidie  autore 
Si  fé  coir  armi,  e  lui  qual  reo  degli  Otto 
Il  Consiglio  dannò;  ma  da  mortali 
Ferite  oppresso,  qui  l'estremo  fiato 
Fu  r  infelice  ad  esalar  costretto. 
Quindi  Bianca  lenir  d'  util  conforto 
Mia  cura  fu.  Di  quell'  afflitta  il  fato 
M*ange  e  di  tema  pe'suoi  di,  mi  colma. 

(*)  Var.  Ma  quando  in  lui 

Della  mia  tela  acconciamente  ordite 
Le  fila  avrò,  ne' lacci  lor  l'incauto 
Avvolgan  si,  che  sciorli  a  niun  sia  dato. 


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—  438  — 

Ferdinando    Duolmì,  o  german,  ohe  sì  funesto  evento 
Di  questo  d*  amniatid  giorno  solenne 
Turbi  il  «eren. 

Duca  Cosi  Tindnlio  a' rei 

Favorevol  men  fosse! 

Ferdinando  A  che,  Francesco, 

Mirano  i  detti  vostri? 

Duca  In  questa  Corte 

Roberto  Ricci  il  pie*  ripose.  A  lui 
Libero  sempre,  in  avvenir,  l'accesso 
Qui  non  vorrei, 

Ferdinando  Nullo  il  decreto  escluse 

Dalla  grazia  DucaL,  né  a  me  s'asconde. 
Come  quel  gentiluom  del  mio  casato 
Ben  meritasse,  e  d'un  suo  par  condegno 
Quel  favor... 

Duca  {interrampendolo  con  accento  severo) 

Ferdinando,  altro  ne  sento; 
Ma  dell'affar,  che  qui  vi  traggo,  or  giovi 
Consultar.  (Siede.  Ferdinando  farà  lo  stesso) 

Brama  vi  pungea,  sinceri 
Suggerirmi,  o  german,  saggi  consigli. 

Ferdinando     È  ver. 

Duca  V*  ascolto. 

Ferdinando  Pria  che  morte  i  lumi 

A  Giovanna  chiudesse,  a  nova  fiamma 
L'  animo  aprir  non  dissentiste,  immemore. 
Che  a  voi  da  una  Capei  sperar  mestieri 
Di  Cosmo  al  figlio  un  successor  non  era. 
E  a  tal  si  cieca  passì'on  vi  spinse 
Che  ad  una  voce  fé*  prestar  non  niego, 
Che  voi  medesmo,  contro  Pier,  d'insidie 
Autor,  già  susurrando,  e  sparsa  ad  arte 
Indi  l'accusa,  onde  per  voi  fu  segno, 
Che  lui  de*  sgherri  V  aggressor  dicea 
Dal  Veneto  Senato  a  domandarlo 
A  lui  spediti. 

Duca  Ferdinando!  E  fia? 

Chi  mai? 

Ferdinando  Di  delator  l'infame  incarco 

Ferdinando  non  ha.  Ma  chi,  Francesco 
Pria  d'  accoglienze  piii  di  voi  benigno 
Fu  a  Pier?  chi  or  più  a  condannarlo  intende? 
De' Dieci  pria  contro  il  fatai  Consiglio 
Scudo  gli  foste,  indi  per  cenno  vostro. 
Quel  fu  degli  Otto,  a  giudicarlo,  eletto. 
Or  che,  spenta  è  Giovanna,  aperto  il  campo 
Sperate  Bianca  ad  impalmar. 

Duca  Fernando  ! 

Ferdinando     Francesco  altro  per  voi  piii  degno  aringo 
A  riprender  v'  esorto  se  del  vostro 
Nome  avito  vi  preme. 


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—  439  — 
Duca  E  qaal? 

FmftDiNANDO  (frae  da  un  portafogli  una  lettera  e  la  rimette  al  Duca) 

Leggete 
£  del  german  giudice  siate. 
Duca  Un  foglio 

Col  suggello  real!  (legge)  «  La  nobil  brama 

Che  il  Giel  vi  spira,  di  Firenze  al  Duca 

Degno  Imen  procacciar,  piacque  all'Ispane 

Cortes.  Se  illustre  principessa  e  sposa 

Fedel,  morte  gli  tòlse,  altre  del  sangue 

Ve  n'  ha,  d'  Austria  bel  vanto,  e  chiara  splende 

Margherita  tra  lor.  Gli  uffici  vostri 

Usar  v'  esorto,  eh'  ei  si  eletta  gemma 

Al  Mediceo  casato  unir  consenta. 

«  Filippo  » 
(dopo  un  istante^  ritornatogli  il  foglio) 
E  se  del  tuo  german,  s*  altre  da  quelle 
Deiriberio  Signor  fosser  le  mire? 
Esisteresti? 

No,  Fernando,  il  modo 
Questo  non  è  che  di  Firenze  al  Duca 
Conveniente  estimo.  A  me  la  scelta 
Deir  Imen  contrastar  disegno  è  questo 
Di  quel  Monarca,  onde  voi  stesso  a  parte... 
Io! 

Si.  r  offerta,  Ferdinando,  io  sdegno. 
(Egli  8i  alza.  Ferdinando  farà  lo  «tesso) 
Al  rifiuto  seguir  tardo  potrebbe 
Il  pentimento. 
Duca  (vorrebbe  rispondere^  ma  si  arresta  e  si  affisano  entrambi  alcuni 

istanti), 
Ferdinando  Odio  però  serbarvi 

Non  vo'  per  questo,  e  sol  desio  che  amico  (*) 
Genio,  prudenti  al  cor  sensi  v'inspiri. 
Addio. 
Duca  M'  udite.  Tor  da  me  commiato 

Non  si  tosto  vorrete. 
Ferdinando  No,  Francesco, 

Anzi  deir  amistà  che  a  voi  mi  lega, 
A  miglior  pegno,  qui  la  mia  dimora 
Protrar  m'è  grato. 
Duca  E  dal  german  ricambio 

Di  voi  degno  n'avrete,  (gli  stringe  la  mano.  Ferdinando 

parte). 


Ferdinando 
Duca 


Ferdinando 
Duca 

Ferdinando 


(*)  Var.  :    Io  non  bramo  per  <;ueste,  e  «ol  desio. 
Che  più  prudenti  il  Ciel  sensi  v'iBspiri. 


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—    440   — 

SCENA  in. 

Duca  solo 

Assai  t*  intesi 
No,  più  dubbio  non  v'  ba.  Quest'  uom  da  cieca 
Ajnbizion  spinto,  con  assidua  cura. 
Attraversarmi  il  mio  diseeno  intende.  (*) 
Ma  il  dado  è  tratto,  e  del  Ducal  mio  serto 
Torrei  far  gitto  che  air  aeon  ritrarmi. 
Ah!  di  letizia  indefinita  al  colmo, 
D'  ogni  desir,  toccherò  allor,  che  il  Cielo 
Me  del  trionfo  spettator  di  quesu 
Capei,  farà,  che  della  mia  grandezza 
Sopra  l'aitar  fia  posta. 

SCENA  IV. 

Un  paggio  e  detto 

f^QQiQ  A  queste  stanze 

Bartolomeo  Capei  di  Bianca  il  padre 
Chiede  accesso. 

Duca  S'inoltri.  A  tempo  ei  giunge,  (il paggio 

parte) 

SCENA  V. 
Duca,  Bartolomeo  Capello 

Duca  Salve!  illustre  patrizio.  Io  d'Adria  al  lido 

Reduce  già  vi  supponea  di  speme 
Omai  deserto  a*  vostri  voti  amica. 

B.  Capello    Sì  questa  terra  abbandonar  che  nova 

Esca  e  fomento  al  mio  dolor  sol  diede. 
Io  fea  pensier;  ma  dal  proposto  grave 
Cagion,  mi  svolse.  D'aspra  udii  contesa. 
Che  d'  armi  a  prova  singoiar,  Roberto, 
E  Piero  astrinse,  e  confortevol  speme 
Blandìami,  che  ove  nell'agon,  la  sorte 
A  Roberto  arridesse,  al  patrio  tetto 
Bianca  redir  meco  assentito  avria. 

Doca  Se  tal  di  lei  fosse  il  desio,  le  vele 

Quinci,  o  Capei,  drizzar  lieto  potreste. 
Bonaventuri  è  spento. 

B.  Capello  Ei  dunque... 

Duca  Io  stesso 

Della  sua  fin  testimon  fui. 

(*)  Var.  :  A  frappor  tende  al  mio  disegno  inciampo 


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6.  Capello 
Duca 


B. 


Duca 


B«  Capello 


—  441   ~  ^ 

Ma  Bianca... 
Sovra  V  estinto  abbandonata  un  varco 
Al  disperato  suo  dolor  schiudea. 
Capello  (con  espressione) 

Rivederla  degg*  io. 

Libero  sfogo 
Or  degli  affetti  alPinnstata  piena 
Le  consentite. 

No  esortar  Colei 
A  seguitarmi  ho  risoluto.  Ab!  forse 
Qual  decreto  del  Ciel,  del  suo  consorte 
Ella  il  fato  avvisò. 

Non  io  que*  dritti. 
Che  a  voi,  qual  genitor,  sorti  Natura 
Violar  pretendo;  ma  se  al  tetto  avito 
Bianca  redir  con  voi  negasse.,. 

Ov'Ella 
A  tal  giungesse,  confortarla,  o  Duca, 
Al  rifiuto  osereste,  a  me  la  destra. 
Del  perdon  pegno,  ricusar? 

Se  il  fessi 
Chi  incolparmene  ardito... 

Io  stesso,  0  Sire, 
Ed  a  ragion,  che  d*  onta  etema  impresso 
Yedria  per  voi  di  questa  figlia  il  nome. 


Duca 


B.  Capello 


Duca 

B.  Capello 


Duca 

B.  Capello 
Duca 


E  s' io  1'  amassi  e  riamato  amante 
Ne  fossi? 

Voi! 


Del  ver.  Capello,  instrutto 
Meglio  sareste,  se  i  di  trarre  alquanto 
Vi  talentasse  in  questa  Corte,  ov'EUa 

I  suoi  protrar  non  sdegnerà,  lo  spero. 
B.  Capello  (con  accento  ironico) 

Qual  d'  un  Medici  amante,  e  non  già  sposa 

II  ver  non  è? 

Duca  (con  tuono  risoluto)      Sposa  e  Duchessa. 

B.  Capello  (commosso)  Bianca! 

Duchessa!  (dopo  breve  istante^  stende  la  mano  al  Duca, 
e  con  accento  benigno  gli  dice) 
Altezza,  de' passati  affiinni 
Inatteso,  per  me,  compenso  è  questo. 
Di  vero  amor  non  dubbia  prova.  Al  nodo 
Assento,  e  meco  d'assentirvi  è  lieta 
La  Veneta  Repubblica.  Preclara 
Tra  le  patrizie  è  dei  Capei  la  schiatta: 
f  Ma  di  novel  non  men  preclaro  vanto 

Splenderà,  al  ceppo  Mediceo  congiunta. 

Duca  Mutuo  il  guadagno  fia;  ma  alcun  s' inoltra. . . 

È  dessa.  Oh!  come  di  visibil  traccie 
Le  angeliche  sembianze  il  duol  ne  impresse! 


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—   448   — 


SCENA  VI. 


Bianca,  Bartolohio  Capello,  Duca 


B.  Capello 


Bianca 


Duca 


Bianca  (entra  pallida  colle  chiame  sparse^  e  visto  il  padre  si  abban- 
dona fra  le  sue  braccia) 
O  padre... 

Figlia  mia^  pentiu  forse 
Tomi  al  mio  aen?  Di  Piero  udii  la  soite 
E  del  tuo  stato  alta  pietà  mi  strinse. 
Ah!  r  amor  tuo  d*  indefinito  affanno 
A  me  cagton  non  benedisse  il  Cielo. 
Deh!  a  me  perdona.  Intemerata  e  pura 
Fu  qruella  fiamma.  A  Piero  il  cor  sacrai. 
Né  il  giuro  infransi:  ma  per  voi  costanti 
Serbai  di  figlia  affettuosa  i  sensi, 
E  dell'  affanno  al  pensier,  spesso,  io  piansi 
Onde  v'  oppresse  il  mio  partir.  (*) 

Pon  freno 
Dell'anima  al  tumulto,  e  nova  speme 
Ti  riconforti.  Un  avvenir  piix  lieto 
Per  te,  o  Bianca,  incomincia.  Alle  sventure 
Che  ti  graviìr,  largo  compenso  il  Duca 
T'appresta,  e  il  padre.  Ah!  pria  che  ai  lari  aviti 
Bianca,  tu  rieda4|  lascia  almen  eh'  io  queste 
Ad  alleviar,  non  brevi  di  consacri. 
Sperar  potreste? 

O  figlia,  a  te  di  grata 
Alma,  il  dover  Timpon.  Di  quante  oggetto 
Cure  ospitali,  di  favor  non  fosti 
In  questa  Corte  accolta!  Ah!  si  del  Duca 
Alla  profferta  ad  annuir  t'  esorto. 
Generoso  patrizio,  a  voi  mertate 
Grazie,  ne  rendo. 

Del  paterno  affetto 
Or  pegno,  o  figlia^  il  mio  perdon  ricevi 
E  alla  nostra  drizzar  terra,  le  vele 
A  Venezia... 

Venezia!.. •  ohimè  per  sempre 
Rivederla  m' è  tolto. 

E  fia?...  Qual  nero 
Presentimento! . . . 

Un  ver  tremendo^  o  padre. 
Un  ver  tremendo. 

Che  di  tu?  Ma  quale 
Insolito  pallor? 


Bianca 

B.   Capello 


Duca 

B.  Capello 

Bianca 

B.  Capello 

Bianca 

B.  Capello 


{*}  Var,  :    E  l' infinito  duol,  cogli  occhi  in  pianto 
Nel  combattuto  cor  volgea  sovente. 
Onde  v'oppresse  il  mio  partir. 


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—  443  — 
Bianca  Deh!  a  me  perdona... 

A  novo  orribil  colpo  il  cor  prepara. 
B.  Capello    Che  fu? 
Bianca  Di  Kero  le  parole  estreme 

Troppo  agiUr  quest*  alma.  U  disperato 
AfFanno  mio  sulla  ragion  prevalse^ 
E  dalle  infette  sue  ferite  il  sangue 
Mortai  bevei. 
B.  Capello  Ciel!  si  soccorra... 

Bianca  È  tardi 

Del  vital  soffio  la  mia  stanca  salma 
Mancar  già  sento.  Addio;  la  genitrice 
Ti  raccomando...  dille  ch'io  memoria 
Deir  amor  suo  serbai  sino  air  estremo,  (muore) 
B.  Capello    Figlia...  mia  ùglÌB...  (dopo  averla  contemplata  alquanto) 

Morta   (si  pone  una  mano  sulla 
fronte) 
Duca  Ah!  in  me  tua  destra 

Gran  Dio,  s'  aggrava.  Della  mia  grandezza 
Or  che  mi  cai?  Dell'universo  i  regni. 
Per  quella  vita,  io  cederei* 
(s'  odono  grida  inteme)  Viva 

Ferdinando  de' Medici! 

Qual  grido! 
Egli? 
B.  Capello  Che  ascolto!  ah!  quest'  amato  pegno 

Ch'io  altrove  adduca,  e  al  gran  dolor  la  via 
Libero  schiuda,  (parte  trasportando  Bianca) 

SCENA  VII. 

Guido  frettoloso  e  detti 

Duca  O  mio  fedel,  comprendo 

Di  tua  venuta  la  cagion,  ma  nova 
A  me  s'aegiunge  piii  crudel  sventura 
Bianca  del  viver  mio  delizia  e  speme. 
Tronchi  i  dì  col  velen  ch'Ella  di  Piero 
Disperata  suggea  dalle  ferite, 
Del  Genitore  a  rio  dolor  sol  vivo 
Tra  le  braccia  or  si  giace,  anciso  fiore, 
Dall'  immaturo  stel.  Ma  tu  le  amare 
Novelle,  onde  forier.  Guido,  t'  avviso. 
Svelami. 

Guido  A  questa  Signoria  ribelle 

Aoberto  Ricci  con  Fernando  occulta. 

Insidiosa  trama  ordì.  Del  Sire 

Ispan  r  assenso  Ferdinando  ottenne. 

Cui  del  funesto  amor  vittima  inulta. 

Che  in  voi  Bianca  destò,  Giovanna  ei  pinse. 

Duca  Qual  perfidia! 


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—  444  — 

Guido  Or  d*  armati  ardito  stuolo 

A  cui  Roberto  è  condottier,  con  quelli 
Di  Ferdinando,  a  qaesu  volta  avanza 
Intempestivo  è  l'indugiar^  di  scampo. 
Colla  fuga,  una  via,  tentar  vi  giovi. 

Dom  Fuggir!  Non  fia  cVonta  simll  mi  copra! 

No...  mai  si  forte  in  me  prevalse,  o  Guido, 
Della  vita  il  disprezzo,  (m  atto  di  partire  mentre  le  grida 

raddoppiano  dentro  la  scena) 

Guido  Odi?  (s' ode  un  tinnire  di  spade 

che  va  crescendo) 

SCENA  vra. 

Ferdinaiido  DE*Mn>ia,  soldati  b  detti 

Ferdinando  T'  arresu 

A  me  di  questa  Signoria  Firenze 

Il  fren  commise  che  in  tua  man  disdegna. 
Duca  Fiorenza!  Ah!  no.  Le  tue  fazion,  Fernando, 

Ma  non  sarà  che  di  mìo  Duca  il  vanto 

Tu  ostentar  goda,  (in  atto  di  ferirsi) 
Ferdinando  (è  attonito)  Qual  follia  ti  spinge? 

Odimi,  incauto.  Il  tuo  german  son  io. 

De'  riguardi  e  favor  che  il  vincol  nostro. 

Il  tuo  stato  consente,  a  te  benigno 

Sarò:  sol  bramo  che  del  Tosco  Cielo 

Piii  a  lungo  le  contese  aure  non  spiri. 
Duca  Ch*io  dunque? 

(da  8è  con  sdegno  represso)  Ebben  si  faccia.  In  me  non  tace 

D'un  avvenir  per  te  fatai,  la  speme  (a  Ferdinando  riposta 

Obbedirò.  la  spcuìa  nel  fodero) 

Ferdinando  (con  superba  esultanza) 

Compiuta  è  P  opra  mia. 

(Cala  U  sipario) 


La  n«fc  deiU  opere  venute  In  dono  ti  derk  nei  prostime  fmseieeio. 


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Serie  11.   Noi..   XlV- 


DlCEMBRE    1880 


I  L 


BUONARROTI 


D   I 


BENVENUTO  GASPARONI 

CONTINDATO  PER  CURA 

DI  ENRICO  NARDIirCl 


PAG. 

]^;X^  Vllf.  Descrizione  dì  tutte  le  colonne  ed  obelischi 
che  tro valisi  nelle  piazze  di  Roma,  disposta 
in  forma  di  guida  da  Angelo  Pellegrini 

ecc.  (Fine) »  445 

LXIX-  Filippo  Maria  Gerardi  (Oreste  Raggi)  .  »  460 
X^XX.  Alcune  osservazioni  dirette  al  sì f^nor  Cesare 
Qujìrengbi  dal  cav.  Camillo  Ravioli 
sopra  tre  punti ,  che  questo  concernono  e 
che  leggonsi  nella  Rassegna  Bibliografica 
e  nelle    Cinte  Murali  di  Roma    da  quello 

pubblicate »  468 

j^^jj^Xl-    Cordi ^Ni  il  vero  nome  da  Sangallo  il  gio- 
vane (B.ne  Enrico  de  Gevmùller)     .    »  477 
p„l3l)licazioni  ricevute  in  dono »  479 


ROMA 

TI  pOG  RAFIA  DELLE   SCIENZE   MATEMATICHE  E   FISICHE 

VIA   LATA   N?   3: 

4  880 


Pubblicato  il  9  Gennaio  1882 


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IL 


Serie  II.  VoL.  XIV.        Quaderno  XII.  Dicembre  1880 


LXYIIK 

DESCRIZIONE 

Dì  TUTTE  LE  COLONNE  ED  OBELISCHI 

CHE  TROVANSl  NELLE  PIAZZE  DI  ROMA 

DISPOSTA  IN  FORMA   DI  GUIDA 
DA    ANGELO    PELLEGRINI 

■  BMBBO   DStL'lHSTITUTO   DI   GOIBISPONDEHSA   ABCBEOLOaiCA 

'      Fine  (i) 


OBELISCO  VATICANO 

Dopo  Tobelisco  Lateranense,  questo  h  il  più  grande  degli 
altri  di  Roma,  ed  il  solo  fra  i  grandi  che  siasi  conservato 
di  un  solo  pezzo,  poiché  ebbe  la  fortuna^  come  vedremo, 
di  rimanere  in  piedi  al  suo  posto,  finché  fu  fatto  rimuovere 
da  Sisto  V  per  rialzarlo  nella  gran  piazza  del  Vaticano. 

Esso  h  mancante  dei  geroglifici,  e  nella  parte  inferiore, 
leggesi  ripetutamente: 

dIvo  .  caesarI  dIvI  ivlI  p  avgvsTo 

TI  CAESAhi  dIvI  avgvstI  f  avgvsTo 

sacrvm 

Da  questa  iscrizione  frattanto  si  rileva,  che  fu*  consagrato 
ad  Augusto  e  Tiberio,  e  fu  trasportato  in  Roma  da  Caligola 
come  narra  Plinio  (2),  che  dopo  aver  parlato  dei  due  traspor- 
tati da  Augusto,  dice:  Tertius  JRomae  in  faticano  Gai  et 
Neronis  principum  circo j  ex  omnibus^  unus  omnino  fractiis 
est  in  molitione,  quem  fecerat  Sesosidis  fUius  Nuncoreus  (3); 
e  da  questo  passo  chiaramente    si    vede    non    essere  lavoro 

(i)  Vedi  Quaderno  precedente,  pag.  406. 
l2)  Lib.  XXXVI.  cap,  XI. 

(3)  Edizione  con  commentari  indici  e  correzioni  di  Giulio  Sillig.  Ham- 
burgo  e  Gotha  MDCCCLI. 

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—  446  — 
egizio,  ma  imitazioue  romana  rigaardo  alla  semplice  grandezza 
di  quello  del  figlio  di  Sesostri  Nuncoreo. 

Questo  nome  facilmente  h  corrotto  da  quello  di  Nehen- 
sciai  o  Novenchar^  che  è  il  sesto  dei  ventitré  figli  di  Ramses  ///, 
ì  cui  nomi  si  leggono  tutti  nel  Ramsessèion  a  Tebe^  e  ven- 
nero riportati  nella  più  volte  citata  opera  del  RosselUni  su 
ì  Monumenti  dell'Egitto  e  della  Nubia  (&). 

La  nave  che  condusse  l'obelisco  in  Roma  fu  di  tale  gran- 
dezza ,  che  per  zavorra  vi  andarono  120^000  moggia  di  len- 
ticchia ,  cioè  2  milioni  S80  mila  libbre.  La  lunghezza  della 
nave  era  tale  che  l'imperator  Claudio  la  fece  affondare  per 
servire  di  fondamento  al  molo  del  suo  porto  Ostiense  (2) , 
facendole  sostenere  una  gran  parte  del  lato  sinistro  ,  dove 
furono  erette  come  tre  torri,  ed  una  a  somiglianza  del  Faro 
d'  Alessandria.  L'  albero  era  un  abete  di  tale  grossezza  che 
appena  quattro  uomini  potevano  abbracciarlo,  ed  oltre  il  peso 
della  mole  questa  nave  portò  li  quattro  massi  di  granito  che 
dovevano  sostenerla  ,  i  quali  superavano  un  altro  milione 
di  libbre.  Finalmente  condusse  seco  l'equipaggio,  le  provvi- 
sioni e  gli  attrezzi:  e  come  utilmente  gli  antichi  profittavano 
di  tali  trasporti,  facevano  servir  per  zavorra  la  lenticchia  (3). 

Questo  legume  allora  pregiato,  cioè  la  lente  che  veniva 
dall'Egitto,  era  superiore  alla  europea  per  grossezza  e  per 
gusto,  come  può  rilevarsi  dallo  stesso  Plinio  allegato  (4),  che 
ne  ricorda  due  specie,  1  una  più  rotonda  e  l'altra  più  comune. 

Claudio  anche  si  servi  di  questa  medesima  nave  per  il 
trasporto  della  sabbia  vulcanica  di  Pozzuoli  eminentemente 
commendata  dagli  antichi  per  le  costruzioni  marittime^  e 
degli  altri  materiali,  non  che  quelli  delle  tre  moli  a  guisa 
di  torri^  alle  quali  servi  poi  di  fondamento. 

Altrove  il  medesimo  Plinio  (5)  ricorda  questo  trasporto, 
e  l'uso  fatto  della  nave,  e  dopo  tale  scrittore,  Svetouio  per 
incidenza  nella  vita  di  Claudio  (s)  parla  dell' obelisco  Vati- 
cano, e  della  nave  sommersa  dal  suddetto  imperatore. 

Successivamente  Io  ricorda  Ammiano  Marcellino  (7)^  come 
vedemmo  parlando  dell'obelisco  della  Trinità  de  Monti,  e  vien 
registrato  nell'epilogo  della  Notitia  dei  Regionarii. 

\ r-  Il  I       ,  j  L    I  -      ■      I   .      .  .  X      -        I        I        IT  r ~ 

(1)  Parte  f,  Tom.  I,  pag.  274. 

(2)  Lo  stesso  Plinio,  lib.  XVI,  cap.  XXXIX,  XL,  sect.  76,  ediiione  citata. 

(3)  Luogo  citato. 

(4)  11  medesimo  autore,  lib.  X^III,  cap.  Xll. 

(5)  Lib.  XXXVI,  cap.  IX. 

(6)  Cap.  XX. 

(7)  Lib.  XVII,  cap.  IV. 


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—   447  — 

Fra  gli  scritti  de*  tempi  bassi^  se  ne  fa  parola  nei  M- 
rabilia  Romae^  e  tali  informi  scritture  piene  di  larve,  dopo 
arere  indicata  la  chiesa  di  s.  Andrea»  che  fu  poi  compresa 
nella  nuova  basilica  Vaticana,  dice:  iuxta  quod  est  memoria 
Caesaris  in  agulia^  volendo  significare,  che  vicino  alla  chiesa 
di  s.  Andrea  era  la  memoria  sepolcrale  di  Giulio  Cesare 
nell'aguglia;  e  quindi  prosegue  colla  sua  favola  la  quale  si 
mantenne  fino  a  Sisto  V,  dicendo  che  le  sue  ceneri  splendi* 
damente  riposavano  ivi  nel  suo  sarcofago,  ed  esponendo  altre 
false  assersioni^  interpretando  finalmente,  l'iscrizione  in  alto 
come  qui  appresso  si  riporta  designando  lobelisco:  ubi  splen- 
dide cinis  eius  in  suo  sarcofago  requiescit,  ut  sic  eo  s^is^enie 
totus  mundus  ei  subiectus  fuit^  ita  eo  mortuo  usque  in  ftnem 
secuti  subicieturi  Cuius  memoria  inferius  ornata  fuit  ta- 
bulis  ereis  et  deauratis  literis  latinis  decenter  depicta:  su* 
perius  usque  ad  malum  ub  requiescit  auro  et  pretiosis  la-- 
pidibus  decoratur  ubi  scriptum  estx  cassar  tantvs  eras  qvantvs 
ET  ORRis:  ET  RVNC  ifi  MODICO  cLAVDis  AVRÒ  :  et  hacc  memoria 
sacrata  fuit  suo  more  sicut  adhuc   apparet  et  legitur  (i). 

Ora  h  da  notarsi,  che  fino  all'epoca  del  suo  traslocamento 
sulla  cuspide,  era  un  globo  di  bronzo  dorato,  che  lo  scritto 
riportato  chiama  malum  j  melo  ove  riposa  (Cesare)  decorato 
d  oro  e  pietre  preziose;  e  leggendosi  più  e  più  volte  ripetuto 
nella  iscrizione  riportata  il  titolo  di  Cesare  dato  ad  Augusto 
e  Tiberio,  e  particolarmente  al  primo  dIvo  gaesarI»  ne  venne, 
che  il  volgo  credesse  che  la  palla  di  bronzo  contenesse  le 
ceneri  di  Giulio  Cesare.  Quando  l'obelisco  fu  abbassato  nella 
spina  del  circo  di  Caio  Caligola  presso  la  sacrestia  di  s.  Pietro, 
onde  trasportarlo  nella  piazza  dove  si  vede,  fu  trovato  che 
il  globo  era  colpito  da  palle  di  archibugio,  e  questo  avvenne 
nella  presa  di  Roma  per  parte  del  Borbone  l'anno  1527.  Allorché 
fu  calato  venne  anche  spogliato  dei  leoni  di  metallo  ricordati 
dal  Petrarca  Epist.  FamiL  II  ,  lib.  VI ,  dicendo  :  hoc  est 
saxum  mirae  magnitudinis  ,  aeneisque  leonibus  innixum  , 
disfis  imperaloribus  sacrum^  cuius  in  vertice  JuL  Caesaris 
ossa  quiescere  fama  est. 

Il  Mercati  (2),  testimone  oculare  di  quando  fu  abbassato, 
e  scavato  all'intorno  il  piedestallo  dell'obelisco,  non  parla 
aflfatto  dei  leoni ,  ma  di  quattro  astragali  di  bronzo,  come 

(1)  Le  descrizioni  dì  Roma  in  poche  pagine  cognite  col  titolo  Mirabilia 
sono  una  piccola  raccolta  di  tradizioni  voleri,  ed  indicazioni  locali;  e  si  attri- 
buiscono a  Pietro  Manlio»  a  Giovanni  Maniacuzìo,  a  Cencio  Camerario,  a  Mar- 
tino Polono  ed  a  Giovanni  Caietano,  che  vissero  dall'anno  1140  al  1300. 

(2)  Obelischi  di  Roma,  pag.  240. 


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—  448  — 
yedesi  nell'  iDcisione  riportata  dal  Gamucci  (i),  riportandola 
così:  Sopra  il  fondamento  nella  cinta  del  Cerchio  era  inse- 
rito un  marmo  bianco^  alto  dal  piano  del  Cerchio  quattro 
palmi  et  mezzOf  sopra  questo  staila  per  poggietto  del  Pie- 
destallo un  pezzo  di  granito  rosso  alto  quattro^  palmi  et 
un  quarto  }  di  sopra  era  posto  un  tronco  quadro  di  gra- 
nito rosso  alto  tredici  palmi^  sopra  detto  tronco  una  cor- 
nice della  medesima  materia  corrispondente  al  poggetto  alta 
quattro  palmi^  et  sopra  la  cornice  un  altro  tronco  di  gra- 
nito rosso  alto  undici  palmi.  Questo  secondo  tronco  soste- 
neva i  quattro  astragali  di  bronzo  indorati  alti  un  palmo 
et  un  quarto  che  reggemmo  il  raggio  dell*  obelisco. 

Narra  il  Manetti  nella  vita  di  papa  Niccolò  V  (s),  che  esso 
pensò  di  porre  questo  obelisco  sugli  omeri  di  quattro  statue 
colossali  in  metallo  rappresentanti  gli  evangelisti,  e  nel  ver- 
tice quella  del  Salvatore  della  stessa  materia.  Paolo  II  trattò 
con  Aristotele  architetto  di  farlo  trasportare  nella  piazza,  se- 
condo che  narra  il  Volaterrano  (3)  ma  neppur  questo  ebbe 
effetto.  Scrisse  il  Mercati  (4),  che  Paolo  IH  consultò  il  Buo- 
narroti per  eseguire  questo  piano,  ma  esso  non  volle  accet- 
tarne l'incarico  dicendo:  Paulo  terzo  teneva  gran  desiderio 
di  condurre  l'Obelisco  di  Caio  Imperatore  sa  la  piazza  di 
San  Pietro  ,  et  più  volte  ne  tenne  proposito  con  Michel 
Agnolo    Buonarruoti    Scultore    et    Pittore    eccellentissimo 

deir  età  nostra ,  et  Architetto  incomparabile ma  il 

detto  Michel  Agnolo  non  volse  mai  attendere  à  tale  impresa. 
Prosegue  a  dire  il  Mercati  che  a  Gregorio  XIII  si  rinovò 
il  medesimo  desiderio  di  condurre  f  Obelisco  f^aticano  su 
la  piazza  di  San  Pietro,  mosso  da  un  ingegnere  che  venne 
a  Roma  nel  primo  anno  del  suo  Pontificato.  Poi  soggiunge 
che  :  neir  anno  settimo  del  suo  Pontificato  fa  ritruovata 
nel  Cerchio  massimo  la  base  dell  Obelisco  di  Augusto  f  et 
fu  fatta  tutta  scoprire  d'ordine  suo,  nondimeno  non  pro- 
seguendo più  altro.  Indi  prosegue  a  dire  che  nel  nono  anno 
del  suo  pontificato,  cioè  nel  1583  Camillo  Agrippa  Architetto 
propose  al  detto  pontefice  uninventione  di  condurre  il  detto 
Obelisco  su  la  piazza  di  San  Pietro  j  offerendosi  di  levare 
rObelisco  dalla  sua  base  con  una  machina  di  legno,  e  di 

(i)  Antichità  di  Roma,  pag.  195,  prima  ediiione. 

(2)  Riportata  nei  Rerum  Italiearum  Seriptorei  del  Maratori»  tomo  III  » 
parte  li,  colonna  934  in  fine. 

(3)  Commentariorum  Urbanorum  Maffari  Jacobi  Volaterrani.  Lugdoni 
MDLII,  lib.  XXII,  Anthropotogia»  colonna  677. 

(4)  Obelischi,  pag.  343—344. 


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—   449  — 
condurlo  dritto  nella  medesima  machina  pendente  in  aria, 
sin  al  luogo  doi^e  si  doveva  posare  (i).  Scrisse   un  trattato 
appositamente  sopra  questo  trasporto,  e  fece  uq  modello  per 
persuadere  il  papa  ed  intraprendere  questo  lavoro  ,    ma  la 
diflBcolta  dell'  impresa   spaventò  ,    e  cosi  gli  obelischi  nella 
maggior  parte   furono    riservati  alla  gloria  d*  innalzarli  »  ed 
al  genio  intrapreodente  del  gran  pontefice  Sisto  V.  Quel  papa 
dopo  avere  consultato  tutti  gli  architetti ,   ed    i    matematici 
del  suo  tempo;  e  dopo  avere  esaminato  i  modelli,  ed  i  pro- 
getti ,   abbracciò  quello  di  Domenico  Fontana  (2)  ,  al  quale 
pure  commise  la  direzione  del  lavoro.  L'operazione  principiò 
il  30  aprile  1586,  e  fatto  il  castello  attorno  alfobelisco,  che 
rimaneva  eretto  presso    la    sacrestia  di  s.  Pietro  sulla  spina 
del  circo  di  Caligola  (3),  furono  preparate  le  traglie,  ed  at^ 
taccati  agli  argani  li  canapi.  Narra  il  nominato  cav.  Fontana, 
che  si  cominciò  ad  argano  per  argano  a  tirarli  con  tre^  e 
quattro  cavalli  per  accordare ,   e  unire  le  forze  loro  risie- 
dendoli tre^  e  quattro  volte  ad  uno  ad  uno,  sino  che  fus- 
sero  ugualmente  tirati,  e  a  questo  segno  si  firmorono  alli 
vinfotto  d'Jprile  i585.  E  perche  popolo  infinito  concorreva 
à  vedere  cosi  memorabile  impresa*,  per  oviare  à  disordini, 
che  potesse  causare  la  moltitudine  delle  genti  sperano  sbar- 
rate le  strade  ch'arrivano  sopra  detta  piazza  (4),  e  si  mandò 
un  bando,  eh* il  giorno  determinato  ad  alzar  la  Guglia  nis- 
suno  potesse  entrar  dentro  à  ripari  salvo,  che  gli  operaij 
à  chi  avesse  sforzato  li  cancelli  vi  era  pena  la  vita  di  più, 
che  nissuno  parlasse  sputasse,  ò  facesse  strepito  di  sorte 
alcuna  sotto  gravi  pene:  acciò  non  f ussero  impediti  li  co- 
mandamenti  ordinati  da  me  à  ministri,   e  per  far  subito 
essecutione  di  detto  bando  il  Bargello  con  la  famiglia  tutta 
entrò  dentro  il  serraglio  ........  Avanti  che  la  Guglia 

fosse  imbragata  alcuni  giorni  prima  fu  levata  la  palla,  che 
vi  stava  in  cima  per  ornamento^  e  perchè  molti  pensavano, 
che  {sendo  la  Guglia  dedicata  a  Cesare)  in  essa  fossero 
le  ceneri  di  lui-,  fu  considerata  da  me  con  gran  diligentia, 
e  vidi  lei  essere  gettata  tutta  d'un  pezzo  senza  commissura 
alcuna,  che  stando  questo,  non  vi  si  poteva  mettere  dentro- 
cosa  alcuna  è  ben  vero  eh  in  molti  luoghi  è  stata  forata 
dall' arckibuciate,  che  vi  sono  state  tirate  da  soldati,  quando 

(i)  Opera  citata,  paff.  344—345. 

(2)  Vedasi  1* opera  del  Fontana  intitolata:  DeUa  traspoHattane  dell  Obe- 
lUeo  VaticanOf  ecc. 

(3)  Ved.  op.  cit.,  tav.  I. 

(4)  La  piaiza  che  si  era  spianata  attorno  all'  obelisco  medesimo. 


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—  450  — 
la  Gita  di  Roma  fu  presa  ,   per  i  quali  fori  era  entrata 

alquanto  di  pohere  spinta  dai  i^enti Poi  prò- 

segue  a  dire  ,  che  il  mercoledì  30  aprile  due  ore  innanzi 
giorno  si  dissero  due  messe  dello  Spirito  santOf  e  che  avanti 
che  apparisse  il  giorno  usciti  dalla  chiesa  gli  assistenti , 
capimastri  e  lavoranti  entrarono  nel  recinto^  e  messi  c<a- 
scuno  al  suo  posto,  ed  ordinati  a  sono  di  tromba;  e  dopo 
datane  lunga  descrizione  dell'operazione  dice  che:  //  tutto 
fu  finito  à  hore  vintidue  del  medesimo  giorno  e  dato  il  segno 
a  Castello  con  alcuni  mortari ,  si  sparorno  tutte  le  arti^ 
glierie  con  grandissimo  rimbombo  in  segno  d*  allegrezza , 
per  essere  stato  calato. 

Narra  che  v'  intervennero  U  card.  Montalto  ,  nipote  di 
Sisto  V,  con  la  maggior  parte  dei  cardinali»  D.  Michele  Pe« 
retti  governatore  di  Borgo  altro  nipote  del  papa;  la  signora 
Camilla  sorella  di  sua  Santità  colle  nipoti  Flavia  ed  Orsina, 
la  prima  duchessa  di  Bracciano  per  avere  sposato  il  duca 
Virginio  Orsini,  e  la  seconda  duchessa  di  Fallano  per  aver 
sposato  il  duca  Marcantonio  Colonna  gran  Contestabile  del 
Re  di  Spagna  nei  regno  di  Napoli;  e  quasi  tutte  le  dame  e 
signore  di  Roma,  gli  ambasciadori»  e  moltissimi  forestieri. 

11  giorno  seguente  Tobelisco  con  quattro  argani  fu  tirato 
fuori  dal  castello,  che  venne  cominciato  a  disarmare  di  tutte 
le  traglie^  argani  ed  altre  cose;  e  subito  che  fu  disfatto  s*in* 
cominciò  a  cavar  la  terra  attorno  al  piedestallo,  e  si  cavò 
il  primo  pezzo  del  piedestallo  sopra  il  quale  erano  gli  ossi 
che  sostenevano  lobelisco.  Sorto  si  rinvenne  una  cimasa,  e 
poi  un  sodo  piedestallo,  e  sotto  una  base,  e  più  in  basso 
un  zoccoletto ,  pezzi  tutti  che  s' inviarono  alla  piazza  di 
s.  Pietro  dove  vennero  ricomposti,  come  si  vede  sullo  stile 
antico.  Sotto  questa  base  era  un  zoccolo  di  marmo  bianco 
composto  di  tre  pezzi  congiunti  con  spranghe  di  ferro  co- 
perte di  piombo,  e  ben  conservate,  che  quantunque  fossero 
nellacqua  che  sorgeva  nella  profondità  della  terra.  Finito  di 
cavare  il  piedestallo,  si  trovò  una  platea  doppia  di  traver- 
tini ,  e  sotto  il  fondamento  a  scaglie  di  selce.  Il  giorno 
7  maggio  fu  posto  nello  strascino,  ed  ai  i3  di  giugno  per- 
corse lo  spazio  dal  luogo  da  dove  ora  è  una  pietra  presso 
la  sagrestia  fino  alia  piazza  ove  si  trova.  Terminato  già  il 
castello  sulla  piazza    attorno    al    piedestallo  (t)  ricomposto , 

(1)  Sotto  al  zoccolo  di  marmo  e  nei  foodamenti  prima  che  l'obelisco  si 
posero  alcune  medaglie  d'oro  colPefiSgie  di  s.  Pio  V  d'ordine  di  Sisto  V  me- 
desimo e  poi  Tobelisco  si  mise  coleo  nel  suo  piedestallo. 


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—  451  — 
il  di  10  settembre  1586  di  mercoledì,  essendo  in  punto  ogni 
cosa^  la  malioa  avaati  giorno  si  dissero  due  messe  dello  Spi* 
rito  Santo  nella  chiesa  ch'era  allora  dentro  il  palazzo  del 
Priorato,  perche  così  chiamavasi  per  essere  del  Priore  di  Roma 
della  Religione  di  Malta,  che  stava  da  un  capo  della  piazza 
d'allora  verso  ponente,  e  terminate  queste  si  pose  ciascuno 
al  suo  luogo  e  allo  spuntar  deiralba  s'incominciò  con  qua- 
ranta argani ,  centoquaranta  cavalli  e  ottocento  nomini  con 
ì  medesimi  segnali  di  tromba^  e  della  campanella  per  fer-i^ 
roarsi  e  lavorare.  Quando  l'obelisco  fu  alzato  a  meta,  si  fermò 
puntellandola,  cosi  rimanendo  finche  mangiarono  tutti  i  ia^ 
voranti,  e  gli  altri  addetti  all'impresa. 

Terminato  di  mangiare,  ciascuno  si  rimise  al  suo  posto, 
e  con  molta  diligenza  si  proseguiva  innanzi,  mentre  in  quel 
tempo  alle  tre  e  tre  quarti,  ventun'ora  a  quei  giorni,  passò 
Tambasciator  di  Francia  che  veniva  a  rendere  la  prima  obe- 
dienza  al  papa  ;  entrato  per  porta  Angelica  ^  e  giunto  alia 
piazza  si  fermò  a  vedere  due  tirate  ;  e  dopo  cinquantadue 
mosse  nel  tramontar  del  sole  l'obelisco  fu  dirizzato  sul  suo 
piedestallo. 

Subito  se  ne  diede  segno  con  alcuni  raortari  a  Castel 
s.  Angelo,  il  quale  scaricò  molti  pezzi  d'artiglierie,  e  ccmi- 
corsero  a  casa  dell'architetto  tutti  i  tamburini  e  trombe  di 
Roma  ^  e  mentre  che  il  forte  sparava  ,  Sisto  V  si  trovò  in 
Banchi,  che  tornava  a  s.  Pietro  da  Monte  Cavallo  per  dare 
il  concistoro  pubblico  all'ambasciator  di  Francia^  e  ivi  gli  fu 
comunicato  che  Taguglia  era  al  suo  posto. 

Fu  un  bellissimo  spettacolo,  e  vi  concorse  infinito  popolo, 
e  assai  furono  le  persone  che  per  non  perdere  il  posto  dove 
stavano  a  vedere  stettero  digiuni  fino  alla  sera;  ed  alcuni 
fecero  i  palchi  per  le  persone  che  vi  concorsero  guada- 
gnando assai  denari  (i). 

Indi  il  Fontana  riporta  la  descrizione  della  processione 
ordinata  da  Sisto  V  per  purgare  e  benedire  l'obelisco,  onde 


(1)  Narrasi  che  nel  pieno  vigore  della  operazione  i  canapi  pel  grande 
attrito  8*  inaridirono  e  fnrono  ani  ponto  di  accendersi  :  in  quel  frangente  » 
uno  degli  operai  nativo  di  s.  Remo  nel  Genovesato,  di  nome  Bresea,  gridò 
aequa  alle  corde ,  malgrado  il  dtrìelo  di  parlare  alto  e  gridare  sotto  pena 
capitale.  Esso  fa  subito  arrestato  »  e  dichiarò  la  causa  urgente ,  che  lo 
aveva  mosso,  onde  Sisto  V.  conosciuta  la  giustezza  delle  sue  ragioni»  invece 
di  punirlo  lo  rimunerò  altamente,  ponendo  a  sna  scelta  di  domandargli  qual 
grazia  voleva:  ed  egli  modestamente  richiese  per  se.  e  pe'sooi  discendenti  il 
privilegio  di  fornire  ogni  anno  le  palme  nella  Domenica  innanzi  la  Pasqua, 
privilegio  che  ancora  rimane. 


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—  458  — 

consacrarvi  sopra  la  Croce  9    e  noi  per  brevità    rìportei-emo 
quella  del  Mercati. 

Della  consecratione  de  gli  Obelischi 
Cap.  XXXIX. 

Si  come  terettione  degli  Obelischi  è  marawgliosa^  così 
r  espurgatione ,  et  la  consecratione  di  essij  da  Nostro  &- 
gnore  fu  ordinata  solenne  nella  maniera  che  seguita.  Il 
primo  venerdì  che  viene  dopo  Verettione^  un  y escono  ce-- 
lebra  la  messa  solenne  della  Santissima  Croce^  nella  Chiesa 
innanzi  alla  quale j  sta  dirizzato  rObelisco.  Dopo  la  messa 
il  f^escovo  con  tutto  il  clero  va  in  processione  verso  rObe- 
lisco  accompagnato  da  i  cortegiani  ,  et  dalle  guardie  del 
Palazzo  j  et  da  tutti  quelli  che  si  ritruovono  presenti  et 
d^  intorno  alla  piazza  stanno  in  ordine  1  cavalle^ieri  del 
Papa.  Giunta  che  è  la  processione  all' Obelisco,  il  Vescovo 
primieramente  benedice  la  croce ^  che  ha  da  essere  drizzata 
nella  punta  di  essoy  sopra  un  altare  che  vi  sta  appoggiato. 
Di  poi  espurga  V  Obelisco  con  diversi  esorcismi ,  spargen- 
doli  attorno  Inacqua  santa  con  V hisopo^  incensandolo  più 
volte ^  et  finalmente  benedice  V Obelisco^  consecrandolo  alla 
Santissima  Croce^  et  scolpendo  con  un  coltello  una  Croce 
in  ciascuna  delle  quattro  facciate  deWObelisco^  et  mentre 
che  questi  esorcismi ,  et  benedittioni  con  molta  devotione 
si  fanno ,  è  risposto  à  tutti  i  versi ,  et  a  tutte  t  orationi 
cantate  dal  f^escovoy  da  una  bellissima  et  festeggiante  mu- 
sica y  con  la  quale  si  cantano  ancora  alcuni  hinni  in  ho- 
nore  del  Nostro  Redentore^  et  della  sua  santissima  croce. 
Dopo  la  benedittione  deW  Obelisco  si  tira  su  la  Croce  le- 
gata ad  una  corda  j  la  quale  è  calata  dalla  cima  dell* Obe- 
lisco ^  et  il  sottodiacono  monta  su  per  le  scale  f  acciocché 
mentre  che  gli  artefici  fermano  la  Croce  sopra  la  punta 
deirObeliscOj  egli  tenga  con  le  sue  mani  il  fusto  di  detta 
Croce:  et  subito  ch'ella  comincia  ad  apparire  sopra  fObe^ 
lisco,  viene  honorata  da  tutti  gli  circostanti  inginocchiati 
in  terra  f  et  è  salutata  con  bellissime  musiche,  et  con  suoni 
di  Trombe.  Fermata  che  è  la  Croce,  il  Diacono  publica 
l'indulgenza  di  quindici  anni  concessa  da  sua  Santità  alli 
presenti,  el  a  ciascuno  che  in  stato  di  gratia  passandovi, 
honori  la  Croce.  Di  poi  partendosi  la  processione  si  tirano 
arteglierie  della  piazza  et  del  Castello  per  segno  di  alle- 
grezza,  che  ciascun  debbe  prendere  della  magnifica  essai- 
tatione  della  vittoriosa  insegna  del  popolo  Christiano. 


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—  453   — 

Il  Fontana  ebbe  sooo  scudi  d'ora  in  contante,  una  pen- 
sione di  2000  scudi  trasferibile  ai  suoi  eredi,  je  dieci  cava- 
lierati laùretani.  Ebbe  in  dono  ,  come  si  h  costumato  fino 
air  ultima  colonna  eretta  in  piazza  di  Spagna  d*  ordine  di 
Pio  IX,  tutto  il  materiale  che  aveva  servito  a  quella  ope- 
razione; cbe  si  valutò  più  dì  20^000  scudi.  Fu  creato  nobile 
romano,  ed  in  suo  onore  coniaronsi  due  medaglie.  È  l'obe- 
lisco alto  circa  metri  25  ^|^,  non  compreso  il  piedestallo  e 
la  croce. 

Innocenzo  XIII  l'anno  1723  aggiunse,  nel  basso  dell'obe- 
lisco, gli  ornati  di  bronzo,  consistenti  in  aquile  e  festoni, 
il  tutto  eseguito  con  direzione  di  monsignor  Sergardi,  stam- 
pandovi sopra  di  ciò  un  discorso.  Lo  stesso  papa  fece  cin- 
gere con  colonnette  e  sbarre  di  ferro  l'area  intorno  oU'obe- 
lìsco,  servendosi  di  rocchi  di  colonne  ricavati  da  frantumi 
di  quelle  cbe  rimanevano  nelfantica  basilica. 

La  croce  posta  nella  sommità  venoe  ristaurata  l'anno  1702 
da  Carlo  Fontana  con  un  meccanismo  ,  di  che  dopo  circa 
mezzo  secolo  se  ne  fece  autore  il  Zabaglia  capomastro  dei 
sanpietrini  in  circostanza  di  un  altro  ristauro.  Nel  I8i7  per 
le  cure  di  monsignor  Gilii ,  astronomo  del  Vaticano ,  sotto 
la  sua  direzione  venne  disegnata  la  meridiana,  come  si  vede 
nell'area  della  piazza,  alla  quale  quest'obelisco  serve  di  gno- 
mone. Finalmente  Pio  IX  facendo  riselciare  la  piazza  di 
s.  Pietro,  restaurò  la  meridiana  suddetta,  e  vi  pose  i  grandi 
candelabri  con  globi  di  cristallo,  che  s'illuminano  a  gas. 

Riferirono  tutti  i  particolari  delle  grandi  operazioni 
dell'  abbassamento ,  trasporto  e  rialzamento  dell'  obelisco  il 
Bargèo,  il  Mercati  riportato^  il  Pigafetta^  il  Jodati,  il  Tor- 
rigio,  il   Vittorelli  ed  altri  scrittori  contemporanei. 

Riguardo  alle  iscrizioni  fatte  incidere  nel  suo  piedestallo 
da  Sisto  V,  unitamente  a  quella  della  cuspide  0  punta  dell'o- 
belisco ad  occidente  verso  la  facciata  di  s.  Pietro,  la  prima 
cioè  quella  della  cuspide,  dice: 

SANCTISSIMAE    CRVCI 

SIXTVS    V.    PONT.    MAX. 

CONSECRAVIT 

E    PRIORE    SEDE    AVVLSVM 

ET    CAES.    AVG.    ACTIB. 
I.    L.    ABLATVM    MDLXXXVI 


61 


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—  4M  — 
Nel  piedestallo  da  questa  parte  leggesi: 

CHRISTVS    VINCIT 

CHRISTV^    REGNAT 

CHRISTVS    IMPERAT 

CHRISTVS 

AR    OMNi    MALO 

PLEREM 
SVAM    DEFENDAT 


Nella  faccia  ad  oriente; 


ECCE    CRVX    DOMINI 

FVGITE    PARTES 

ADVERSAE 

VIGIT    LEO 

DE    TRIRV    IVDA 


Nel  lato  meridionale  del  medesimo  piedestallo: 


SIXTVS    V.    PONT.    MAX. 

CRVGl    INVICTAE 
QRELISGYM    YATICANYM 

DIS    GENTiVM 

IMPIO    CVLTV    DICATVM 

AD    APOSTOLORTM    LIMINA 

OPEROSO    LARORE 

• 

TRANSTVLIT 
AN.    M.  D.  LXXXVl.    PONT.    IN 


A  settentrione  nell altra  faccia: 


SIXTVS    V.    PONT.    MAX. 

CRVCI    INVICTAE 

.ORELISGYH    VATICANVH 

AR    IMPVRA    SVPERSTITIONE 

EXPIATVM    IVSTIVS 

ET    FELIGIVS    GONSECRAVIT 

AN.    M.D.  LXXXVl.    PONT.    Il- 


Sotto  nello  stesso  lato: 


DOMINIGVS    FONTANA    EX    PAGO    NILI 

AGRI    NOVOGOMENSIS    TRANSTVLIT 

ET    EREXIT 


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—  455  — 
Restano   ora   a    rirportarsi  i  conti   camerali    delle   spese 
occorse  per  Tabbassamento»  il  trasporto  e  l' innalzainento  di 
esso  nella  piazza  di  s.  Pietro  d'ordine  di  Sisto  Y. 

Obelisco  f^aticano 

Al  cav.  Domenico  Fontana  per  la  spesa  occorsa 
delV abbassamento y  trasporto,  elevazione  e  stabili- 
mento deirObelisco  con  suoi  ornati  sulla  piazza  del 
Praticano Se.  37000 

Nota.  Il  conto  esibito  dal  medesimo  Fontana 
ascendeva  a  Se.  38269^  ma  venne  ridotto  e  saldato 
il  23  febbraro  1587  per  la  suddetta  somma  di  Se.  37000 

,  Distinzione  della  spesa 

Per  libbre  39494  canepi,  e  funi  a  Se.  49  il  mi^ 
gliaro Se.    1933 

Per  libbre  65251  ^  canepi  e  funi  a  Se.  47  il  mi^ 
gliaro    .      .  Se.     2596 

Per  libbre  44044  canepi  e  corde  a  Se.  45  zV  mi- 
gliaro Se.    1981  :I8 

Per  altre  corde  e  funi Se.      224^50 

Per  prezzo  di  legnami  di  varia  specie.    .     Se»    657i:95 

Per  ferramenti  ed  ottoni Se.    5536:54 

Per  la  spesa  del  primo  castello  costruito  per 
abbassare  VObelisco  dal  luogo  antico^  compresi  Se*  400 
per  il  disfacimento  del  medesimo  castello       .     Se»    aioo 

Per  la  spesa  occorsa   nella  formazione  del  se- 
condo castello  eretto  per  inalzare  VObelisco  nella 
piazza  compresi  Se.  sòo  per  V opera  del  disfacimento  - 
del  medesimo  castello Se.    4300 

Per  spese  fatte  ad  uso  di  muratore  ,  scarpel-^ 
lino,  ed  altro Se.     9940149 

A  Gio.  Bastiano  Laurenzianoj  e  Francesco  Cen-- 
sori  fonditori  camerali  per  la  fusione j  e  lavorazione 
de^varj  oggetti  di  metallo  in  peso  libbre  10812  nette 
dal  calo  dell  otto  per  cento  e  queste  si  distinguono 
come  appresso Se.      714:34 

Se.    37O0O 


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—   456  — 

Per  le  poleggie  ,  o  siano  girelle  da  traglie ,   ed 
altri  attrezzi ,    che   servirono  susseguentemente  per 

altre  operazioni Lib.  9770 

Per  la  Croce  posta  nella  cima  delVObeUsco  Lib.  4S8 
Per  il  balaustro  con  il  bottone  sotto  la  Croce  Lib.  280 
Per  le  mensole^  che  sono  sotto  i  monti  .  Lib.  224 
Per  tre  arme  messe  ai  monti  ....  Lib.  18 
Per  un  pezzo  di  metallo  messo  ad  un  buco.  Lib.  4 
Per  sette  piastre  di  metallo  poste  sotto  V  Obe- 
lisco       Lib.  28 


Lib.     10812 

Seguono  altre  spese 

Pagati  per  mani  del  cavaliere  Fontana  a  Lodo- 
vico Torrigiani  per  la  fusione  fatta  delli  quattro 
leoni  di  metallo  dorati  a  mordenti  del  peso  Lib.  5694, 
e  conforme  al  modello  di  Prospero  Bresciano  e  Cec- 
chino da  Pietrasanta  scultori^  la  di  cui  opera  fu 
stimata  dal  medesimo  Fontana  Se.  975,  ma  nel  saldo 
del  conto  fattogli  il  dì  is  novembre  i587,  e  gli  furono 
Rogati Se.    96a 

Il  metallo  andato  in  opera  fra  i  4  leoni,  ed  or- 
namenti deirObelisco  furono  Lib.  6736,  che  uniti  alle 
altre  Lib.  977a  impiegate  nelle  puleggie,  girelle,  ed 
altro  ,  fanno  in  tutto  Lib.  16506  ,  U  cui  valore  non 
fu  considerato  ;  mentre  era  di  proprietà  della  Ca- 
mera Apostolica  ,  che  ne  fece  la  somministrazione 
alli  fonditori. 

A  Colantonio  Leante  per  aver  fatto  il  modello 
deir  Obelisco  pagatigli  il  dì  5  sud.  i586     .      .     Se.      25 

A  Giacomo  della  Porta  per  spese  fatte  nel  far 
scoprire  F Obelisco  pagatigli  il  30  settembre  sud.     Se.      i7:25 

A  Baldassar  Fornaro  per  il  prezzo  di  una  sua 
casetta  nel  luogo  antico  delVObelisco  gettata  a  terra, 
pagatigli  il  dì  4  febbraro  1586 Se.      76:92 

Pagati  da  Giovanni  Agostino  Pinelli  Depositario 
generale  il  dì  7  ottobre  1586  ad  Ottavio  Fànni  orefice 
per  pagamento  della  collana  dorata  del  Pontefice 
Sisto  f^'  donata  al  cavaliere  Fontana     ...     Se.      85:i0 


Se.    1172.-27 


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—  457  — 

Resta  ora  di  trattare  dell'ultimo  obelisco  antico  della  yilla 
già  Mattei  sul  Monte  Celio>  alla  quale  si  entra  incontro  alla 
chiesa  di  s.  Giovanni  e  Paolo ,  e  perciò  località  molto  lon- 
tana dalla  piazza  del  Vaticano. 

OBELISCO  DELLA  VILLA  GIÀ  MATTEI 

Questa  aguglia  non  h  che  un  frammento  di  un  obelisco, 
il  quale  per  le  dimensioni  h  analogo  a  quello  che  vedesi 
innalzato  nella  piazza  del  Pantheon.  Questo  pezzo  da  Ci- 
riaco Mattei»  circa  V  anno  1582  »  fu  ristaurato  e  posto  sopra 
un.  altro 'masso  di  granito  rosso,  tagliato  anch'esso  a  forma 
d'obelisco,  perchè  fosse  d'ornamento  ad  un  prato  che  dispose 
a  modo  di  circo  nella  villa  sua  magnifica  celimontana  anzidetta. 

Gli  Tenne  donato  dal  senato  e  popolo  romano,  conside- 
rando la  cura ,  che  poneva  molto  zelo  a  raccogliere  monu- 
menti per  formar  quivi  un  ricco  museo. 

Questa  grande  raccolta  restò  in  detta  villa  fino  all'ultimo 
periodo  del  secolo  decorso,  fornendo  poscia  molti  oggetti  ri- 
marchevoli al  museo  Pio  dementino  al  Vaticano.  Su  questi 
monumenti  scrissero  gli  archeologi  Amaduzzi  e  Venuti,  com- 
pilando un'opera  divisa  in  tre  volumi  col  titolo  Monumenta 
Mattheiana ,  comprendendovi  pure  quelli  che  esistevano  nel 
palazzo  Mattei  nel  centro  di  Roma  presso  la  piazza  di 
questo  nome. 

Questa  villa  già  dei  Mattei  duchi  di  Giove  con  palazzo 
eretto  con  architettura  di  Giacomo  del  Duca  siciliano  ,  nel 
principio  del  secolo  presente  fu  acquistata  da  D.  Emmanuele 
Godoi  principe  della  Pace  e  di  Bassano,  e  poscia  fino  al  pre- 
sente fu  posseduta  da  altri.  Il  Godoi  vi  fece  fare  alcuni  scavi, 
ove  fra  le  altre  cose  ritrovate,  si  distinguono  un  erme  bi- 
cipite colle  teste  di  Socrate  e  Seneca,  un  pavimento  di  mu- 
saico, e  due  iscrizioni  in  marmo,  una  delle  quali  incisa  in 
un  piedestallo  di  statua  dedicata  all'imperator  M.  Aurelio 
dalla  coorte  V  dei  vigili,  che  qui  ebbe  la  Stazione;  cioè  di 
que'  soldati  che  guardavano  la  città  dagl'  incendi  come  gli 
attuali  vigili  o  pompieri. 

Nel  piano  che  sta  dinnanzi  al  casino ,  ergesi  1*  obelisco 
di  cui  parliamo,  il  quale  prima  era  di  pertinenza  della  citta 
di  Roma,  poiché  da  tempo  immemorabile  tal  frammento  ve- 
devasi  giacente  sul  Campidoglio  avanti  alla  cordonata  per 
cui  discendesi  all'arco  di  Settimio  Severo. 


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—  458  — 

Si  ha  da  Svetooio  in  Domiziano  càp.  I,  che  nel  Campi- 
doglio vi  era  un  tempio  d*[side  con  collegio  di  sacerdoti  isiaci« 
dal  che  si  sarebbe  potuto  congetturare  con  qualche  grado 
di  probabilità^  che  da  quel  tempio  11  frammento  fosse  pro- 
venuto, al  che  osta  per  essere  stato  l'obelisco  compagno  e 
con  la  stessa  iscrizione  a  geroglifici  di  quello  ora  eretto  sulla 
piazza  del  Pantheon,  proveniente^  come  si  disse ,  dai  pros- 
simi tempj  d'Iside  e  Serapide. 

Esso  era  scoperto  fino  dal  primo  periodo  del  secolo  XV, 
poiché  lo  ricorda  Poggio  Fiorentino  de  f^arietate  Fortunae 
lib.  I,  e  successivamente  in  qael  posto  viene  indicato  da  altri 
fino  ai  traslocamento  alla  villa  Mattei. 

Dopo  che  la  villa  Tanno  isso  venne  in  potere  del  prìn- 
cipe della  Pace,  esso  fra  gli  altrì  lavori  di  abbellimento  e 
di  ristauro,  fece  pur  quello  di  riaUar  l'obelisco  che  minac- 
ciava rovina,  Néll'erigerlo  di  nuovo»  avvenne  un  infortunioi 
cioè  che  uno  degli  operai ,  tenendo  le  mani  sotto ,  mentre 
l'obelisco  si  collocava,  miseramente  ve  le  perdette,  sorpreso 
dalTimprovvisa  rottura  di  un  canapo  che  in  un  istante  fece 
piombare  la  mole  nel  sito  destinato.  L'infelice  fra  gli  spar- 
simi ebbe  a  soffrire  nel  luogo  stesso  l'amputazione,  lasciando 
le  tildtii  con  parte  d'un  braccio  schiacciato  fra  il  piedestallo 
e  l'obéliseo. 

Venendo  ora  ai  geroglifici  della  parte  antica,  secondo  la 
spiegazione  fattane  dal  padre  Ungarelli  nell'opera  più  volte 
riportata,  egli  dice  che  questo  frammento  appartiene  ad  un 
obelisco  di  Ranises  III  ,  che  come  dicemmo  altra  volta  co- 
mitlciò  a  regnare  in  Egitto  circa  1'  anno  isds  innanzi  V  èra 
volgare.  Il  medesimo  poi  dice  che  essendo  tre  faccie  scolpite 
eguali^  e  che  solo  nella  faccia  occidentale  la  figura  del  ves- 
sillo differìsce  dalle  altre,  ha  creduto  di  riportare  la  seguente. 

FÀCCiA   oca  DB  NT  ALE  -  PiRAUtDB 

Sole  custode  della  verità  scelto  dal  sole. 
Di  Ammone  amico  Bamses. 

IfBL   SOMINATO   VSSSiUO 

Haroeris^  fot'te  figlio  di  Tore  (o  Phtah)  Ae  sole  custode 
della  veriéà  scelto  dal  sole  »  /%/io  del  sole  ,  di  Aminone 
amico  Ramses. 


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—  459  — 

FRAMMENTI  D'  OBELISCHI 
ED  OBELISCO  DELL'ISOLA  TIBERINA 

Il  Valesio  scrisse  nel  sao  Diario  ,  che  1*  anno  |70«  ai 
16  di  agosto  il  card.  Alessandro.  Albani  ebbe  in  dono  dai 
gesuiti  tre  pezzi  di  obelischi  di  piccola  dimensione,  certo 
provenienti  dai  tenjpj  d*  Iside  e  Serapide  di  cui  abbiamo 
altre  volte  parlato. 

Uno  serviva  come  cantonata  accsinto  allo  speziale  di 
s.  Bartolomeo  de'Bergamaschi  (i),  dove  era  stato  posto  ai  tempi 
di  papa  Paolo  lY,  che  ampliò  lex  convento  di  s.  Maria  sopra 
Minerva  dei  pp.  domenicani,  come  mostrava  una  lapide  ìi^i 
apposta.  L'altro  stava  nel  cantone  incontro,  vale  a  dire  nello 
sbocco  della  via  de'  Bergamaschi  a  piazza  Colonna  ,  ed  il 
terzo  stava  dentro  la  fabbrica  del  ex  Collegio  Romano  diretto 
dai  pp.  gesuiti  (s).  Questi  oggi  non  rimangono  più  in  Roma» 

L'obelisco  di  s.  Bartolomeo  all'isola  cosi  venne  descrìtto 
dal  Gamucci  l'anno  1565.  È  opinione  di  alcuni  antiquarij 
che  per  ornamento^  deir isola j  vi  fosse  messo  nel  mezo  quel 
Obelisco ,  che  ne  tempi  nostri  si  vede  in  su  la  pic^zza  di 
san  Bartolomeo^  perchè  rappresentasse  V alberò  \  il  che  io 
{si  debbo  dire  il  parer  mio)  nò  credo  ne  mi  è  capace  che 
alla  grandezza  di  quella  nave^  di  cui  aveva  forma  l'isoldf 
havessero  dato  con  tanta  sproportione  un  sì  piccolo  albero^ 
onde  credo  che  quello  ad  altro  hornamento  habbia  servito. 
11  Gamucci  giustamente  riprova  quella  comune  credenza  che 
si  è  mantenuta  in  parte. fino  a  nostri  giorni,  cio^  che  questo 
piccolo  obelisco  avesse  rappresentato  l'albero  di  quella  che 
da  Epidauro  nel  462  di  Roma  trasportò  nell'isola  il  /serpente 
di  Esculapio  all'occasione  della  peste.  E  ciò  come  contrario 
alle  proporzioni  dell'isola  cui  fu  data  la  forma  di  quella  nave, 
essendo  per  albero  troppo  piccolo  (3).  Dopo  di  queir  epoca 
questo  obelisco  frammentato,  già  piccolo  di  ^ua  natura ,  fu 
rotto  in  più  pezzi,  come  si  ha  dal  Casimiro:  Memorie  Jsto- 
riche  delle  Chiese  e  dei  Commenti  dei  Frati  Minori  delia 
provincia  Romana,  pag.  328.  Egli  dice  che  uno  di  tali  fram- 
menti era  non  lungi  dalla    porta  del  convento  dì  s.  Barto- 

'■■»'■■ Ili         .      I         \  ■    '      ■  '  ■  ■    -1  I  ■  I      mi.      Il  I    I  ■■    ■   r 

(M  Questa  chiesa  ora  è  nota  col  nome  di  s.  Maria  deJU  Pù&tà  ip  piazza 
Colonna. 

(2)  Ora  Liceo  Eddìo  Quirino  Visconti.. 

(3)  £  daopo  ricordare  cbe  Livio  e  Dionisio  asaeri^eono  essei'3i  for^^^ta 
rìsola  coi  fasci  di  grano  tolti  dai  campi  del  re  Tarquinio  il  Superbo,  e  get- 
tati nel  Tevere. 


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—  460  — 
lomeo  ranno  1764.  1  due  pezzi  superstiti  nel  fine  dello  scorso 
secolo  vennero  presi  dal  card.  Stefano  Borgia,  trasportandoli 
nel  suo  museo  in  Velletri  ;  ma  dopo  la  sua  morte  insieme 
agli  altri  oggetti  nel  I8i4  per  acquisto  passarono  alla  corte 
di  Napoli,  onde  oggi  miransi  nella  sala  della  collezione  egizia 
del  Museo  Nazionale. 


LXIX. 

FILIPPO  MARIA  GERARDI 

II  giorno  18  di  febbraio  del  1874  moriva  in  Roma  di  un 
subito  Filippo  Maria  Gerardi,  e  passava  di  questa  vita  ricor- 
dato e  compianto  solo  dalla  famiglia  e  dai  più  stretti  amici, 
come  fosse  un  uomo  qualunque,  od  un  impiegato  comune  di 
cui  si  parlerà  il  dì  appresso  dai  suoi  compagni  di  ufficio  e 
non  più.  E  questa  indegna  dimenticanza  veniva  dalle  speciali 
condizioni  nelle  quali  era  Roma  in  quei  giorni,  da  poco  fatta 
metropoli  dltalia,  non  ancora  ordinata,  e  le  menti  tuttavia 
distratte  dai  buoni  studj^  con  dispareri  e  opposizioni  nelle  opi- 
nioni politiche,  amministrative,  e  letterarie,  con  nuove  genti, 
comechè,  per  buona  ventura,  tutte  italiane,  ma  che  mal  co- 
noscevano, mal  giudicavano  Roma,  i  suoi  cittadini,  e  molto 
meno  quanto  questi  avessero  operato  politicamente  e  lettera- 
riamente dai  primordi  del  presente  secolo  Gno  al  memorabile 
e  sempre  carissimo  anno  i87o,  in  cui  col  resto  d'Italia  fu  re- 
denta anche  la  stessa  Roma. 

Dei  concittadini  o  condiscepoli  od  amici  del  Gerardi  molti 
erano  morti ,  altri  per  vicende  politiche  sbandati  qua  e  Ik 
da  lunghi  anni.  Cosi  il  Gerardi  moriva  quasi  fra  stranieri 
in  mezzo  ai  suoi,  e  però  generalmente  sconosciuto  e  dimen- 
ticato. Ma  non  h  giusto  prosegua  questa  dimenticanza  di  un 
uomo  che  all'onore  degli  studj  e  della  patria  consacrò  intera 
una  vita  neppure  tanto  breve  ,  e  che  dell'  ingegno  e  degli 
studj  suoi  lasciò  bastante  testimonianza  in  più  opere  date 
al  pubblico  colla  stampa.  Però  ricordo  come  ioancor  giova- 
netto prendessi  a  stimarlo  fin  d'allora  e  a  volergli  bene  per 
alcuni  suoi  scritti,  e  segnatamente  per  rOssERVATORS  che  già 
leggeva  con  diletto  ed  ammirazione  ,  io  dei  pochi  rimasti 
oggimai  fra  i  suoi  vecchi  amici,  mi  sento  in  dovere  di  richia- 
mare come  so  meglio  la  sua  memoria,  e  renderlo  conosciuto 
non  solo  ai  presenti,  ma  fare  che  per  queste  carte  non  tra- 
passi neppure  ignorato  a  chi  verrà  da  noi. 


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•^  4Ci   

Verso  il  1820  gli  studj  delle  lettere  e  segnatamente  della 
lingua  italiana,  dopo  la  rovina  patita  dai  tanti  francesismi^ 
si  ravvivavano  in  ogni  città  nostra,  e  così  auche  in  Roma. 
Qui  una  schiera  dì  valentissimi  si  adoperava  a  questo  fine, 
e  si  potrebbero  ricordare  il  Perticari,  l'Odescalchi,  il  Biondi, 
il  Marsuzzi,  TAmati,  il  Cecilia,  il  venerando  e  tuttavia  vi- 
vente Salvator  Betti,  e  non  so  quanti  altri  che  a  propagare 
quei  ravvivati  studj  pubblicavano  il  Giornale  Arcadico. 
Ma  di  tutti  gli  altri  fu  assai  benemerito  quel  Luigi  Maria 
Rezzi  che,  cacciato  dal  sodalizio  dei  Gesuiti  per  intrighi  della 
setta,  si  ebbe  dal  Consalvi,  che  prese  a  sostenerlo  e  proteg- 
gerlo, la  cattedra  di  letteratura  latina  ed  italiana  nella  nostra 
Università;  e  dallo  insegnamento  di  un  taiìto  maestro  sor- 
geva quella  scuola  che  fu  poi  detta  scuola  romana,  la  quale 
tenne  agli  antichi  classici  nella  letteratura  ,  né  mai  volle 
'accogliere  le  forme  straniere  e  non  di  nostra  indole,  che  già 
facevano  capolino  fra  noi,  e  nella  lingua  airantica  purezza 
e  venusta  contro  i  barbarismi  di  cui  da  molti  era  già  troppo 
imbrattata.  Ora  dei  primi  fra  gli  scolari  del  Rezzi  degni  di 
memoria  fu  quel  Luigi  Fornacìari  da  Lucca^  venuto  in  Roma 
per  istudiarvi  il  diritto  ,  e  che  acquistò  poi  si  bella  fama 
di  purgato  ed  elegante  scrittore.  Dopo  di  lui  viene  il  nostro 
Gerardi.  Che  gli  scolari  del  Rezzi  si  succedono  come  di  ge- 
nerazione in  generazione  per  lunghi  anni  fra  i  migliori  scrit- 
tori di  Roma,  i  quali  costituiscono,  come  si  diceva,  quella 
scuola  romana,  che  clii  per  vezzo  nega,  o  mette  in  beffe  deve 
pur  riconoscere  come  quella  che  sostenne  fino  al  presente  i 
buoni  principj  delle  lettere  e  della  lingua  sì  generalmente 
malmenata  oggidì. 

Ma  per  tornare  al  Gerardi  dirò  com'  egli  nascesse  in 
Roma  nel  5  di  marzo  del  1805  da  Ferdinando  di  quel  casato 
e  da  Maria  Weder.  Il  padre  morì  anch*  egli  repentinamente 
e  di  dolore  per  aver  veduto  tolto  alTimprovvìso  da  inaspet- 
tata legge  ogni  valore  alle  così  dette  cedole,  onde  lasciava 
nella  miseria  la  povera  famiglia.  Così  anche  questo  figliuol 
suo  Filippo,  e  ne  aveva  altri,  crebbe  in  mezzo  a  privazioni 
di  ogni  genere,  ma  non  per  tanto  fu  mandato  dalla  madre 
agli  studi  presso  i  padri  Scolopi  in  S.  Pantaleo,  e  vi  fece 
tali  e  così  rapidi  progressi  che  in  breve  ne  uscì  per  andare 
airuniversita  della  Sapienza  romana.  Ma  gli  difettava  la  età, 
che  aveva  preceduta  collo  studio,  per  la  qual  cosa  gli  con- 
venne averne  la  sanatoria  dalle  potestà  scolastiche.  E  la  ot- 
tenne facilmente  in  grazia  dei  progressi  fatti  in  quelle  prime 

62 


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4^  — 

scuole.  Entrò  nella  uni?ersita  per  darsi  allo  stadio  della  gia- 
risprndenza ,  nella  quale  facoltà  si  meritò  la  laurea  ad  ho-^ 
noremy  come  allora  si  diceva. 

Vedevamo  sopra  di  che  maniera  il  Rezzi  fosse  stato  dal 
Gonsalvi  mandato  ad  insegnare  lettere  nella  slessa  u&iversitk. 
Ora  i  desiderosi  di  questo  studio  accorrevano  a  quella  scuola^ 
sebbene  non  fosse  di  obbligo,  ed  il  nostro  Gerardi,  coalem* 
poranearaente  a  quella  di  giurisprudenza»  frequentava  questa 
di  belle  lettere  e  prendeva  a  stimare   ed    amare  il  valoroso 
maestro  da  cui  facilmente  fu  presto  tenuto  in  conio  ed  amato 
come  colui  che  mostrava   tanta  disposizione  alle  stesse  let- 
tere. Questa    reciproca    stima    e    benevolenza    fra   scolaro  e 
maestro  durò  poi  per  tutta  la  vita.  Uscita  dalle  scuole  il.  Gè- 
rardi  non  tardò  molto  a  cimentarsi  nel  pubblico  colla  stampa 
di'  alcun  suo  scritto  letterario,  e  primo  fu  un  suo  giornaletto 
che  pubblicava  settimanalmente  e  che,  imitando  Gaspare  Gozzi, 
intitoliava  altresì  VOsssrvàtorBì  il  quale,  come  quello  del  ve- 
neto letterato,  si  componeva  di  racconti,  di  aneddoti,  di  favole, 
novelle,  epigrammi,  spiritose  invenzixHii  che  ne  rendevano  f»^ 
cile  e  piacevole  la  lettura,  perchè  alla  varietà  e  moralitji  della 
materia  congiungeva  uno  stile  vivace  e  grazioso,  una  lingua 
puramente  italiana  ed  elegante,  come  oggi  non  è  facile  vedere 
usata.  Peccato  che  di  questo  giornale  aoa  sia  agevole  ormai 
trovare  più  copia,  per  quanto  io  l'abbia  rìoercata  e  nelle  pub- 
bliche biblioteche  della  nostra  citta  e  da  privali  raccoglitori, 
perchè  uscendo  ogni  settimana  in  pìccolo  foglio  staccato,  uou 
facilmente  raccolti  in  uno,  andò  perduto.  Né  io  stesso  Gerard! 
si  curò  di  conservarne  copia  in  famiglia,  tanto  era  poco  cu- 
rante dei  propri  scritti.  Ma  qual  conto  si  facesse  a  quei  giorni 
del  nuovo  Osservatore  di  questo  giovane  letterato,  basta  il 
ricordare  come  la  elegante  opera  avuta  in  assai  pregio,  tanto 
per  lo  stile  con  cui  era  dettata,  quanto  per  le  materie  che 
vi  si  trattavano,  e  specialmente  in  fatto  di  morale,  come  si 
esprimeva  in  un  suo  attestato    il    principe  don  Pietro  Ode- 
scalchi,  che  la  società  del  Giornale  Arcadico  volle  nominarlo 
all'ufficio  di  uno  dei  dodici  compilatori  dello  stesso  giornale. 
Così  il  Gerardi  ebbe  nuovo  stimolo  e  largo  campo  ad  eser- 
citarsi nelle  lettere,  sebbene  nello  stesso  tempo  facesse  pra- 
tica di  giurisprudenza  presso  uno  dei  piiì  illustri  avvocali  che 
era  Durante  Valentini.  Ma  1*  avvocatura  nou  esercitò  mai  il 
Gerardi,  preso  unicamente  dall'amore  delle  lettere.  Ed  il  Rezzi 
parlando  dello  stesso  Osserifotore  scrive  che  <r  incontrò  luni- 
yersale  gradimento  degli  uomini  colti^st  per  la  vaghezza  delle 


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•^  463  — 
fantasie^  che  per  la  purgatezza  e  bontà  del  linguaggio,  stu- 
diato e  molto    bene    da   esso  Gerardi   imparato  sui  migUori 
scrittori. 

Oltre  die  nel  giornale  Arcadico  scriveva  nell'^^  Ita- 
liana  delle  belle  arti»  che  pubblicava  l'archeologo  marchese 
Giuseppe  Melchiorri.  Io  questa,  fra  le  altre  cose,  illustrava 
raffresco  di  Raffaello  che  trovasi  iu  S.  Severo.  Roma,  a  quei 
lefiipi,  era  veramente  la  sede  principale  in  Italia,  anzi  nel 
«ondo ,  delle  belle  arti ,  e  i  migliori  artisti  di  ogni  paese 
qui  convenivano  e  bellamente  operavano* 

Era  universale  Tamore  e  l'apprezzamento  di  queste  arti; 
tutti  ne  parlayano;  se  alcuna  opera  nuova  usciva  dalle  mani 
di  quei  valenti,  ognuno  si  compiaceva  di  andarla  a  visitare 
e  ad  ammirare*  Più  di  un  giornale  trattava  di  esse,  oltre  l'Ape 
Italiana  e  i  giovani  scrittori  facevano  le  prime  lor  prove 
con  articoli  su  le  arti  stesse,  seguendo  l'esempio  del  Giordani. 
Così  il  Gerardi  mollo  scrisse  di  arti,  ma  lungo  e  non  facile 
sarebbe  il  ricercare  e  ricordare  tutti  gli  articoli  da  lui  pub- 
blicati segnatamente  in  questa  materia,  e  nel  giornale  la  Pal- 
LADE  e  nel  Tibcbuio  e  in  altri;  per  cui  mi  par  tempo  oramai 
di  continuare  la  sua  vita  ,  ricordando  i  principali  opuscoli 
e  le  voluminose  opere  da  lui  lasciate.  E  tra  gli  opuscoli  mi 
viene  primo  sott*occhio  la  biografia  di  quel  gentile  e  sommo 
maestro  di  musica  ,  Vincenzo  Bellini  ,  la  quale  pei  tipi  dei 
Salviucci  pubblicava  nel  i83S,  dedicandola  a  quel  zelantissimo 
cultore  e  promotore  dei  buoni  studi  che  fu  monsignor  Carlo 
Emanuele  Muzzarelli  Tanno  stesso  iu  cui  l'Italia,  il  mondo 
intero  perdeva  innanzi  tempo  quel  sommo. 

Dello  stesso  anno  Roma  perdeva  un  altro  grande  artista 
nel  suo  trasteverino  Bartolomeo  Pinelli,  potente  e  bizzarro 
ingegno.  Egli  operò  segnatamente  nel  comporre  disegnando  ed 
incidere  all'acqua  forte  la  storia  romana,  i  costumi  romaneschi, 
il  Meo  Patacca  ed  altro  che  non  è  luogo  qui  di  rammemorare. 
Dirò  solo  che,  non  appena  spento  il  Pinelli,  Oreste  Raggi, 
giovane  allora,  fu  primo  a  pubblicare  la  più  copiosa  e  par- 
ticolareggiata vita  di  lui  per  quanto  lo  comportasse  la  brevità 
del  tempo  in  cui  si  affrettò  di  metterla  in  luce.  Altri  poi  sulle 
[  notizie  raccolte  dal  R|iggi  pubblicò  altre  biografie  e  fra  questi 
[  il  Falconieri,  e  lo  stesso  Gerardi.  Il  quale  di  biograBe  scrisse 
I  parecchie  ancora,  come  quella  del  professore  di  matematiche 
[  Riochebach;  e  nel  1837  quella  del  famoso  scultore  inglese  Mattia 
Kessels,  e  nel  183S  quella  di  Alessandro  Pieri;  nel  quale  anno 
fu  invitato  a  scrivere  anche  nel  Giornale  scientifico  e  lette^ 


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—  464  — 
rario  che  si  pubblicava  in  Modena.  Ma  di  biografie  andò  fra 
le  più  stimate  TElogio  funebre  di  quel  fiore  di  carità  e  ado- 
rata donna  che  fu  la  pricicipessa  Guendalina  Talbot  Borghese» 
la  quale  morendo  ancor  giovanissima  in  Roma,  aveva  ecci- 
tato il  compianto  universale,  e  fu  accompagnata  alla  sepol- 
tura da  così  immenso  e  rattistrato  popolo  che  non  fu  visto 
mai  il  maggiore.  E  V  ultima  biografia  che  merita  di  essere 
ricordata  si  fu  quella  dell'iucisore  Agostino  Valentini  romano, 
colla  quale  il  Gerardi,  com'egli  si  esprime,  mirò  a  compiere 
un  sacro  dovere  verso  un  amico  ,  ed  a  persuadere  ai  suoi 
concittadini  come  si  possa  anche  servire  alla  patria  procu- 
rando di  conservare  intatta  la  gloria  immensa  derivatale  dalle 
arti  belle. 

E  qui  lasciando  dei  molti  opuscoli,  comincerò  a  dire  delle 
più  volumioose  opere  da  lui  dettate ,  ma  pubblicate  col 
nome  di  altri.  E  delle  prime  furono  le  tre  principali  basiliche 
di  Roma,  cioè,  la  Lateranense,  la  Liberiana  e  la  Vaticana,  la 
prima  delle  quali  edita  in  due  volumi  in  foglio,  la  seconda  in 
un  solo,  la  terza  in  due  altresì,  e  al  secondo  volume  di  questa 
terza  fu  aggiunta  la  illustrazione  e  la  descrizioue  delle  fa* 
mosissime  logge  Vaticane,  conosciute  dovunque  col  nome  di 
logge  di  Raffaello.  Il  Valentini  ne  ebbe  il  pensiero,  le  mag- 
giori cure,  le  spese,  onde  sotto  il  nome  di  lui  andò  questa 
pubblicazione ,  ma  la  parte  descrittiva  e  letteraria  fu  tutta 
opera  del  Gerardi^  come,  se  non  nel  frontespizio,  si  legge 
nell'ultima  carta  del  libro.  La  insigne  Accademia  romana  delie 
belle  arti,  denominata  di  S.  Luca,  volle  rimeritare  per  comun 
voto  del  corpo  accademico  il  Valentini  della  grande  opera, 
con  una  medaglia  che  accompagnava  con  parole  di  lodi  tanto 
per  la  parte  tipografica,  quanto  per  la  incisione  delle  tavole 
e  per  le  descrizioni,  onde  questa  attestazione  di  merito  che 
dav9  quella  insigne  Accademia  ali*  editore  torna  ad  onore 
anche  del  nostro  amico  scrittore. 

Sotto  il  nome  dello  stesso  Valentini^  ma  pure  per  opera 
del  Gerardi^  si  ristamparono  molte  edizioni,  l'ultima  delle  quali 
nel  1870,  della  Guida  di  Roma  che  Antonio  Nibby  aveva  ri- 
fatta su  quella  del  Vasi  e  di  cui  aveva  ceduta  la  proprietà 
al  Valentini.  Ogni  nuova  edizione  si  arricchiva  delle  nuove 
scoperte  archeologiche  e  di  tutti  quei  lavori  artistici ,  coi 
quali  si  andavano  di  mano  in  mano  adornando  le  chiese  ed 
i  principeschi  palazzi  di  Roma.  Non  va  sotto  il  suo  nome, 
né  potei  trovarne  la  ragione,  ma  va  sotto  quello  del  Giucci 
la  voluminosa  opera  sulla  storia  degli  ordini  religiosi  e  caval- 


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—  405  — 
leresclii.  Egli  cooperò  col  marchese  Giuseppe  Melcbiorri  nella 
illustrazione  del  Campidoglio  pubblicata  sotto  il  nome  del 
Righetti»  e  col  cavaliere  Pietro  Ercole  Visconti  nella  pubbli- 
cazione del  Dizionario  storico  delle  citta  e  famiglie  nobili  e 
celebri  dello  stato  pontificio.  Col  suo  nome  peraltro  pubbli* 
cava  nel  iS45  una  illustrazione  del  primo  monumento  che 
Pietro  Tenerani  aveva  scolpito  del  generale  Simone  Bolivar 
per  la  città  di  Bogota  nell^^merica  Meridionale.  E  di  questa 
illustrazione  basta  per  ogni  elogio  quanto  ne  scriveva  il  Gior- 
dani allo'  stesso  Tenerani:  «  Io  poi  »  e  non  io  solo  ,  dob- 
D  biamo  congratularci  coll'ottimo  giudizio  di  lei  che  a  de- 
»  scrivere  tanta  opera  ha  eletto  uno  scrittore  come  oggidì  se 
»  ne  trova  pochissimi.    » 

E  poiché  non  fu  indifferente  al  primo  movimento  dltalia 
che  nel  1846  ebbe  luogo  per  quel  meraviglioso  papa  che  fu 
Pio  IX,  cosi  anch*egli  il  Gerardi  come  tutto  il  mondo,  si  com- 
mosse al  primo  e  solenne  atto  dello  stesso  pontefice  di  quella 
vera  e  grande  amnistia.  Molti  di  noi  rammentiamo  1'  entu- 
siastiche feste  del  popolo  romano  per  quell'atto  solenne;  ma 
per  chi  non  le  vide  e  per  i  futuri  le  narrava  il  Gerardi  nel 
numero  17  del  giornale  la  Pallade,  da  lui  fondato  e  da  cui 
estraeva  in  gran  numero  di  copie  questo  scritto  per  renderlo 
più  comune.  Questo,  che  e  de'suoi  migliori,  e  quello  che  descri- 
veva il  possesso  di  esso  Pio  IX,  riprodusse  in  molte  città  d'Italia 
e  valsero  a  rendere  più  conosciuto  e  a  ripetersi  per  ogni  dove 
il  nome  del  Gerardi  medesimo.  Ricorderò  ancora  fra  i  migliori 
scritti  suoi  di  belle  arti  la  illustrazione  del  gran  quadro  dei 
Bruni  rappresentante  il  Serpente  di  bronzo,  che  menò  tanto 
rumore  a  quei  giorni  (verso  il  1839),  e  che  fu  portato  a  Pie- 
troburgo, dove  il  Bruni  era  chiamato  a  dirigere  Taccademia 
di  belle  arti;  e  da  ultimo  ricorderò  la  illustrazione  degli  af- 
freschi che  primo  il  pittore  Francesco  Giangiacomo  e  poi  l'altro 
Pietro  Gagliardi  ebbero  operato  nella  chiesa  di  S.  Girolamo 
degli  Schiavoni;  la  quale  illustrazione  il  Gerardi  pubblicava 
nel  1852.  L*ultimo  suo  scritto  per  altro,  come  ho  già  detto, 
fu  la  biografia  del  Valentini  che  nel  i87i  pubblicava  in  omaggio 
alla  memoria  delFestinto  amico.  Ne  la  prosa  solo,  ma  coltivò 
altres\  la  poesia^  segnatamente  la  bernesca  e  la  satirica.  Molte 
pasquinate  che  corrono  per  Roma  erano  sue;  e  la  lingua  e  lo 
stile  usò  egualmente  purgato  ed  elegante  come  nella  prosa.  Ma 
non  conosco  che  di  poesie  stampasse,  poiché  neppure  di  queste 
faceva  egli  gran  conto;  erano  poesie  di  occasione,  passata  la 
quale  non  se  ne  occupava  più.  Rammento  come  in  quel  risve- 


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—  466  — 
gliarsi  dello  studio  della  lingua  sui  trecentisti,  alcuai»  come 
avviene  di  tutte  le  novità,  toccavano  lafFettazione  e  la  cari- 
catura, e  fra  questi  in  Roma  un  tal  dottore  Laurenzi  pub* 
hlicò  un  manifesto  di  una  sua  opera  chirurgica^  scritto  in 
una  lingua  così  antiquata  che  nh  si  comprendeva,  uh  si  com- 
portava senza  riderne.  11  Gerardi  prese  quest'  argomento  e 
scagliò  contro  al  Laurenzi  un  sonetto  in  quella  stessa  anti- 
quata e  strana  lingua  che  mi  piacerebbe  ricordarlo  per  in- 
tiero^ come  ricordo  questi  primi  sei  versi: 

Cinque  mai  si  abbabboccio  s'è  loquito 

Come  voi  fate  nò  $\  infusamente, 

E  dite  poi  capponissimamente 

Saper  la  nostra  lingua  a  mena  dito; 
Sitite  che  strombettavi  la  gente 

Per  culto  viro  soavi  eloquente,  ecc. 

Fin  qui  il  Gerardi  letterato  e  scrittore,  e  basterebbe  alla 
sua  meritata  rinomanza;  ma  anche  i  letterati  e  scrittori  vo* 
gliono  essere  considerati  nella  vita  famigliare  e  civile,  e  sotto 
questo  duplice  aspetto  dirò^  che  nel  iS40  condusse  in  moglie 
Elena  Doria,  da  cui  ebbe  tre  figli,  Ferdinando,  Adriano,  Ma- 
rina e  si  mostrò  sempre  buon  marito  e  padre  affettuosissimo, 
curando  la  educazione  di  questi  suoi  figliuoli  che  alle  paterne 
cure  corrisposero  come  ne*  nuovi  tempi  generalmente  non  si 
usa  più.  Alla  indipendenza  ed  alla  liberta  dellltalia  rivolse 
il  pensiero  e  V  affetto  fin  da  quando  quest'  affetto  e  questo 
pensiero  era  grave  delitto  il  nutrire.  Imperocché ,  a  voler 
dire  il  vero ,  il  Rezzi ,  nostro  adorato  maestro ,  già  gesuita 
ed  ora  vero  sacerdote,  coU'ufficio  delle  lettere  insinuava  in 
tutti  i  suoi  allievi  quest'amore  d'Italia,  e  tutti  o  colla  penna, 
o  con  le  armi  combattemmo  sempre  per  questa  cara  patria, 
ed  il  Gerardi  combatté  e  con  le  armi  e  con  la  penna.  Fin 
dal  1831  ,  stretto  di  amicizia  coi  principe  Luigi  Napoleone 
Buonaparte,  cospirava  al  risorgimento  d'Italia.  Abbiamo  ve- 
duto come  nel  1846  si  ehtusiasmasse  anch'  egli  ai  prim'  atti 
di  Pio  IX,  che  accennavano  al  risorgimento  della  Patria,  che 
poi  il  Papa  non  seppe  costantemente  volere,  anzi  vi  si  fece 
contrario.  Nel  1848  il  Gerardi  fu  inviato  Commissario  straor^ 
dinario  >  nel  Veneto  pel  riordinamento  delle  legioni  romane , 
e  si  trovò  nella  battaglia  di  Vicenza.  Dei  Ministri  della  Guerra, 
principe  Andrea  Doria  e  principe  Camillo  Aldobrandini ,  fu 
segretario,  e  tale  ufficio  ebbe  altresì  nel  comando  generale 
della  Guardia  civica  di  quel  tempo.  Precipitate  presto  le  sorti 
di  Roma,  questa,  occupata  mano  armata  dai  repubblicani  fran- 
cesi^  che  da  buoni  fratelli  vennero  ad  imporci  nuovamente 


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467  

il  potere  temporale  del  Papa,  il  principe  don  Pietro  Odescalchi, 
non  solo  uomo  di  lettere  ,  ma  ottimo  cittadino  ,  di  mite  e 
nobile  animo,  fu  per  buona  ventura  chiamato  a  Presidente 
della  Commissione  municipale,  istituita  in  quel  1849  dal  rista- 
bilito Governo  pontificio.  E  poiché  V  Odescalchi ,  come  ab- 
biamo veduto,  aveva  da  più  anni  in  molta  stima  ed  affetto 
il  nostro  Gerardi,  cosi  non  esitò^  conoscendo  il  valore  e  la 
onesta  sua,  a  chiamarlo  presso  di  se,  perché  lo  coadiuvasse 
nei  lavori  della  stessa  Commissione.  Eletto  Senatore  dì  Roma 
o ,  come  meglio  si  dice  oggi  ,  Sindaco  ,  il  principe  Urbano 
Del  Drago,  anche  questi  volle  presso  di  se  il  Gerardi,  il 
quale  per  breve  tempo  alla  morte  di  quel  Senatore ,  messo 
in  disponibilità^  fu  poi  richiamato  coll'incarìco  di  proseguire 
gli  annali  capitolini.  Promosso  quindi  a  capo  dell'ufficio  di 
segretario  vi  rimase  fino  all'anno  1873,  quando  la  gente  nuova 
del  Municipio,  lui  non  richiedente ,  ed  inaspettatamente  Io 
collocò  in  riposo.  Il  suo  animo  ne  fu  fortemente  amareggiato, 
e  questa  grave  amarezza,  forse  non  fu  ultima  causa  della  sua 
morte,  poiché  egli  era  d'animo  irrascibile  e  disdegnoso.  Ma 
oltre  gli  ufficii  che  sostenne  nel  Municipio ,  altri  ne  ebbe 
nella  Direzione  delle  nostre  vie  ferrate.  Egli  fino  dal  1866 
erasi  adoperato  perché  il  Governo  pontificio  avesse  anch'esso 
una  rete  di  queste  vie,  e  quando  nel  successivo  1857  si  fon- 
dava la  società  concessionaria  delle  linee  da  Roma  a  Civita- 
vecchia, Bologna,  Ancona  e  Napoli,  egli  ne  compilò  gli  Sta- 
tuti e  i  Capitolati  e  ne  ordinò  l'amministrazione.  Però  la  So* 
cieta  medesima  nel  1860  lo  nominava  suo  Segretario  generale, 
ufficio  che  tenne  fino  al  febbraio  del  1874,  quando  la  morte 
toglieva  lui  ad  ogni  ufficio,  alle  lettere,  alla  famiglia  ed  alla 
patria.  Vivente  ebbe  amicizie  e  relazioni  con  tutti  i  più  ce- 
lebrati scrittori  del  suo  tempo.  Dalla  sua  morte  ad  oggi  fu 
quasi  dimenticato,  ed  ora  vorrei  che  si  riconoscesse,  come  già 
in  sua  vita,  il  valore  eh'  egli  ebbe  nelle  lettere,  e  che  di  lui 
fosse  il  nome  tenuto  in  quel  maggior  conto  che  egli  merita 
fra  i  suoi  concittadini  e  per  tutto  il  resto  d'Italia. 
Di  Roma  nel  settembre  del  1881. 

Oreste  Raggi 


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—  46S   — 

LXX. 

Alcune  osservazioni  dirette  al  signor  Cesare  Quarenghi 
dal  cav.  Camillo  Ravioli  sopra  tre  punti  ,  che  questo 
concernono  e  che  leggonsi  nella  Bàssbgna  Bibliografica 
e  nelle  Cinte  Murali  di  Roma  da  quello  pubblicate. 

Mio  buon  amico 

Roma  21  luglio  i88i 

Mi  permetto  d'usare  della  stessa  espressione  sua,  colla 
quale  volle  onorarmi  nella  Rassegna  Bibliografica y  ch'Ella 
mise  in  luce  ùeìV Italia  militare  del  7  decembre  isso  N?  146^ 
quando  insieme  già  ad  altro  illustre  scrittore  si  trovò  concorde 
a  volere  aver  la  bontà  di  addossarmi  d*  aver  io  sostenuto 
che  i  bastioni  a  san  Paolo  coi  fianchi  dupUcati  non  sieno 
opera  di  Antonio  Sangalloyma  di  Giovanni  il  Gobbo.  Allorché 
pubblicai  la  Notizia  sui  lavori  d^ architettura  militare  di  tutti 
i  Sangallo  (Roma  1863)  nulla  sostenni;  poiché  lo  storico  non  fa 
il  causidico,  ed  io  non  mi  sentU  predilezione  nessuna  par- 
teggiando piuttosto  per  V  uno  che  per  V  altro  ;  ma  detti  a 
ciascuno  il  suo  e  dissi  di  Antonio  (a  pag.  23  e  24)  che  quanto 
alla  iiwenzione  sieno  opera  sua  e  dissi  di  Giovanni  il  Gobbo 
fratello  minore  di  Antonio  (i)  ch'egli  spese  tutto  il  suo  tempo 
nella  direzione  delle  fabbriche  di  Antonio^  poiché  dove  questi 
alcuna  volta  non  poteva  così  tosto  essere^  serviva  Valuto  di 
Battista  ,  perchè  cosi  si  esprime  il  Vasari  (a  pag.  37)  ;  ed 
aggiunsi  che  al  Baluardo  fuori  porta  San  Paolo  suU'autorità 
delle  parole  del  celebre  De  Marchi:  Gio.  Battista  vegliava 
alVesecuzione  e  ai  congressi  e  dispute  interveniva  (a  pag.  38). 
Quest'era  il  succo  della  mia  dimostrazione  storica;  sintesi  di 
più  disparate  notizie  tolte  dagli  autori,  e  non  foggiate  di  mio 
arbitrio  a  capriccio.  11  merito  dunque  de'fìanchi  duplicati   e 

(1)  Oramai  è  accertato  per  la  lettura  di  due  sottoscrizioni  autografe  che 
questi  due  fratelli,  figli  di  Èsmeralda  Giamberti  e  di  Bartolommeo»  creduto 
sempre  dei  Picconi,  come  si  legge  nelle  Vite  del  Vasari,  avevano  ben  altro 
cognome.  Difatto  Antonio  si  trova  sottoscritto:  Àfdonio  di  Bartolomeo  Cor- 
diani,  lotto  nei  mss.  di  casa  Gaddi  per  Condiani,  dal  Geymuller  in  un  libro 
posseduto  dal  sig.  Piot  a  Parigi  per  Corolianù  dal  Milanesi  a  Firenze  rice- 
vuto per  Coriolani,  dal  Ravioli  per  logiche  induzioni,  dedotte  dall'analisi 
delle  scritture  di  Antonio  per  Cordiani;  alla  qual  sentenza  pare  accostarsi  il 
Geymuller  medesimo  per  recenti  lettere.  (Veggasi  intanto  II  Buonarroti, 
serie  II,  voi.  XIV,  luglio  i880  (3  giugno  1881)  pag.  249). 


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d^  ogDÌ  invenzione  Sangallesca  resterà  sempre  ad  Antonio , 
r esecuzione  alcuna  inolia  al  Battista:  per  Io  che  qualunque 
argomento  di  sofista  essendomi  estraneo,  concluderò  de  hoc 
satisj  arcicontento  io  dell'approvazione  riportata  dairillustre 
Carlo  Promìs  {GV Ingegneri  e  gli  scrittori  militari  Bolognesi 
del  Xì^  e  XVI  secolo  ,  Torino  1863  ,  pag.  83) ,  quand*  egli 
citando  opportunamente  le  mie  Notizie  sui  Sangallo  le  chiamò 
dotte  ed  accurate. 

Ma  ben  altra  causa,  mio  buon  amico,  mi  fece  prender 
la  penna:  sono  le  Cinte  Murali  di  Roma^  altro  egregio  la- 
voro suo,  che  si  legge  nella  Nìwva  Antologia^  Fascicolo  IX, 
1^  maggio  1881,  pag.  78.  Perdoni  se  oso  entrar  nel  suo  campo, 
ma  credo  di  averne  il  diritto;  poiché  son  quel  desso  che  dopo 
di  aver  dato  alle  stampe  le  Notizie  sui  lavori  di  architet- 
tura  militare  di  Camillo  Orsini,  in  ispecie  per. la  cinta  pen- 
tagonale di  Castelsantangelo  (Veggasi  il  Giornale  Arcadico^ 
tomo  LXVII  della  nuova  serie,  Roma  isti),  volli  aggiungere 
a  quella  una  mia  Appendice  Cronologica  delle  Mura  innal- 
zate daltetà  più  remote  fino  a  noi  a  difesa  del  suolo  che 
occupa  Roma  ;  nel  qual  lavoro  colla  pubblicazione  giunsi 
all'anno  1485  e  non  potei  proseguire^  perchè  quel  giornale, 
fondato  nel  I8i9  co' nomi  di  un  Perticari,  di  un  Monti,  di 
un  Betti,  di  un  Nibby,  di  un  Borghesi,  di  un  Amati,  di  un 
Odescalchi  per  tacer  d'altri  illustri,  si  estinse  per  una  ca- 
gione ben  semplice,  l'abbandono  del  sussidio  ufficiale^  nuovo 
genere  di  trasfusione  di  sangue  che  dai  fratelli  italiani  hanno 
avuto  i  Romani  dal  1870  in  poi.  Ma  ora  non  parlo  tanto  di 
questo  mio  lavoro^  quanto  dell'altro  pur  mio:  H  sito  delle 
Pile  Sabine  nel  Foro  Rombino  ec. ,  V  esterno  della  Roma 
quadrata^  sue  porte j  clivi  e  colline ^  solco  del  Pomerio  di 
Romolo  ec,  Roma  1870  (veggasi  il  Giorn.  Are  ad.  cit.  Tomo 
LXIII  della  nuova  serie).  Posso  assicurarla  che  non  avrei 
ricordato  questi  miei  precedenti  lavori,  dove  s'incontrano  idee 
originali  e  mie,  non  manifestate  mai  da  nessuno,  se  Ella  s^vesse 
dimenticato  me  e  quelli;  imperocché  non  avrei  avuto  io  ra« 
gione  di  dir  nulla,  essendosi  Ella  espressa  ben  chiaro  nella 
prolusione  che  le  sue  pagine  son  frutto  di  ripetute  ricerche 
su  opere  scritte^  senza  dir  quali,  altro  bel  trovato  de'tempi 
liberi  della  razza  umana,  che  si  dà  il  vanto  di  rigeneratrice. 
Invece  però  mi  cita  a  pag.  82  dicendo  ....  una  poHa  a  cui 
il  dotto  Ravioli  dà  il  nome  di  Capena^  ma  della  quale  non 
v'è  notizia  alcuna.  La  frase  e  ambigua;  forse  perchè,  domando 
io,  non  si  trova  traccia  di  quella  sul  terreno?  ovvero  perchè 

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—   470  — 

si  teme  ette  abbia  ardito  io  di  porla  nel  i*ecinto  di  Romolo 
arbitrariamente?  Po^te  que.ste  due  quislioni,  nulla  curando  la 
prima,  con  brevi  parole  mi  occuperò  della  seconda. 

Indipendentemente  dai  recìnti  parziali  dei  colli  del  Set- 
timon«io,  abitati  anteriormente  alla  fondazione  di  Roma,  si 
ha  quello  della  Roma  quadrata  col  suo  pomerio  inaugurato 
da  Romolo;  il  secondo  che  va  sotto  il  nome  di  recinto  ed 
aggere  di  Servio  Tullio;  Tultimo  quello  di  Aureliano.  Ognuno 
di  questi  giri  di  mura  aveva  le  sue  porte.  E  Plinio  dice 
chiaro  quante  ne  avesse  la  Roma  di  Romolo,  tre  o  quattro: 
Urbem  tres  portas  habentem  Romulus  reliquit^  et  ut  più- 
rimas  tradentibus  credamus  (juatuor.  V  una  la  Mugonia  a 
capo  il  clivo  Palatino  o  sacro^  l'altra  la  iRoraanula  a  capo 
aWinftmus  clwus  f^toriae^  e  se  resta  incerta  la  quarta  a 
capo  le  scale  di  Caco  ,  che  pure  essendo  Scale  in  qualche 
buco  do^reano  finire ,  a  meno  che  non  fossero  come  quelle 
del  monumento  di  piazza  di  Spagna  del  Poletti  ,  le  quali 
menano  sulla  faccia  dei  quattro  bassorilievi  ,  resta  sempre 
a  trovarsi  la  terza.  E  notisi  bene  che  tre  volte  Romolo  do- 
vette alzar  l'aratro  per  non  solcar  la  via  in  salita,  che  di- 
rigevasi  agli  ingressi  già  esistenti;  cioè,  ai  piedi  AeWinfimas 
elibus  f^ictoriae  cominciò  T  inaugurazione  seuz* essere  obbli- 
gato ad  alzarvi  l'aratro;  ma  Talzò  ai  piedi  della  via  che  era 
diretta  alle  scale  di  Caco,  ai  piedi  del  cliw^s  PuUium  e  ai 
piedi  del  clwus  Palatinus  ;  imperocché  gli  etruschi  come 
notò  Servio  aravano  il  solco  dei  pomeri!  aratrum  suspen- 
dentes  circa  loca  portarum  e  la  voce  porta  vien  da  por- 
tandOi  ossia  dairahamento  dell'aratro  sulla  via  o  sul  clivo 
in  direzione  dell'ingresso  delle  citta. 

La  Roma  di  Romolo  non  ebbe  ingrandimento  e  nuova 
cinta  fino  a  Servio^  sesto  re,  da  costituire  nuove  porte;  pur 
tuttavia  un  ingrandimento  Tebbe  dal  lato  settentrionale;  lo 
dice  Tacito:  Forumque  Romànum  et  Capitolium  non  a  Ro- 
mulof  sed  a  T.  Tatio  additum  urbi  credidere.  D'altronde 
la  Mugonia  a  un  dipresso  stava  a  levante,  la  Romanula  a 
settentrione  e  le  scale  di  Caco  a  ponente  :  la  terza  porta 
adunque  di  Plinio  e  delia  storia  deve  essere  quella  posta 
a  mezzodì. 

Udiamo  che  cosa  narra  Tito  Livio  avvenuto  da  quel  lato 
sotto  Tulio  Ostilio,  terzo  re  di  Roma:  Interim  TìiUus  ferox... 
infesto  exercitu  in  agrum  Albanum  pergit.  E  Tagro  Albano 
sta  a  mezzodì  di  Roma.  Non  istarò  a  fermarmi,  sul  combat- 
timento degli  Orazi  e  Curiazi ,    ma  vado  diritto  agli  effetti 


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—   471    — 

di  esso:  Ita  exercitus  inde  domos  abducti  Princeps  Horatius 
ibat,  tergemina  spolia  prae  se  gerensi  cui  soror  virgo,  qiuie 
desponsa  uni  ex  Curiatiis  fuerat^  obvia  ante  portàm  Ca- 
pe tfAM  piit...  Certo  sotto  il  terzo  re  non  sarà  quistione  della 
porta  Capena  del  recinto  di  Servio,  sesto  re!  Di  più,  che 
dicean  tra  le  diverse  pene  le  leggi?  ...  verberato  vel  intra 
pomoeriuntj  vel  extra  pomoerium.  E  quando  era  per  appli- 
carsi la  legge,  il  re^  cui  sembrò  troppo  austera  io  quel  caso, 
appellatosi  al  popolo,  forni  occasione  al  vecchio  padre  Orazio 
di  perorare  pel  figlio.  £  quali  parole  quegli  proferse  per  com- 
moverlo?  ...  gerbera  vel  intra  pomoerium  ^  modo  inter  illa 
pilaj  et  spolia  hostium:  vel  extra  pomoerium^  modo  intra 
sepulcra  Curiatiorum  ...  E  di  che  pomerio  potea  parlare  il 
vecchio  Orazio^  se  non  di  quello  di  Romolo?  E  se  il  clivus 
Pullium^  con  cammino  sceo,  come  tutti  gli  altri^  metteva 
ad  una  porta,  la  terza  porta  dì  Romolo  non  fu  la  Capena  (2)? 
L*unica  che,  non  volendosi,  alla  moderna,  credere  Tespressione 
di  Tito  Livio,  sarebbe  senza  nome  e  rivolta  a  mezzodì;  che 
avea,  dopo  che  la  Roma  quadrata  cessò  d*esser  rocca  isolata, 
dinanzi  a  sé  nel  piano  quella  celebre  via  A  ppia ,  la  quale 
anche  prima  che  prendesse  nome  da  Appio  Claudio  il  cieco, 
usciva  per  la  nuova  porta  Capena  del  recinto  di  Servio;  che 
avea  fuori  a  sinistra  tra  i  tanti  il  sepolcro  degli  Scipioni  ; 
che  ha  tuttora  a  cavallo  T  arco  di  Druso  ,  compresi  entro 
la  cinta  aureliana  e  eh'  oggi  è  distinta  col  nome  di  porta 
S.  Sebastiano^  da  cui  il  cammino  per  Napoli,  e  spettatrice 
di  tante  imprese  e  vicende  nell'età  di  mezzo,  e  dell'ingresso 
di  Carlo  V,  e  del  trionfo  di  Marcantonio  Colonna  nel  secolo  XVI? 
Altra  quistione  è  sul  pomerio.  Tutte  volte  che  dilata  vasi 
Timpero,  ossia  il  governo  del  popolo  romano,  sì  protraea  il 
pomerio  per  ingrandire  l'area  abitabile  della  citta.  Ciò  avvenne 
per  Anco  Marcio  dalla  parte  del  Tevere,  quindi  per  Servio 
Tullio.  NelTepoca  repubblicana  Siila  e  Cesare  colla  grave  di- 
scussione dell'alveo  del  Tevere  e  dei  campi  Vaticani;  durante 
rimpero  Augusto,  Tiberio,  Claudio,  Nerone,  Vespasiano,  Tra- 
iano e  Settimio  Se>ero  o  protrassero  o  modificarono  il  pomerio 
o  alcuna  porta:  ultimo  circondò  di  nuove  mura  la  citta  Au- 
reliano, quando  non  si  parlò  più  di  pomerio.  Ma  che  cos'era 
cotesto  pomerio?  Tko  Livio  il  definisce  meglio  ch'altri  scrit* 
tori.  È  pregio  dell'opera  ricordarlo:  Pomoerium^  verbi  vim 
solam  intuentes,  postmoerium  interpretantur  esse:  est  autem 

(2)  Leggasi  pure  la  dissertazione  di  Stefano  Piale:  Delia  fondazione  di 
Roma^  del  pomerio^  mura  e  porte  fattevi  da  Romolo  ec.  Roma  isa3»  pag.  10. 


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—  4751  — 

magis  circa  murum  locuSj  quem  in  cèndendis  urhibus  quon^ 
dam  Strusci,  qua  murum  ducturi  erant,   certis  circa  ter- 
minis  inaugurato  consecrabant  :    ut  ncque  interiori  parte 
aedificia  moenibus  continuarentur^  quae  nunc  i^ulgo  etiam 
coniungunt;  et  extrinsecus  puri  aliquid  ab  humanu  cultu 
pateret  soli.  Hoc  spàtwm^  quod  nec  habitari  ncque  arari  fas 
eratj  non  magis  quod  post  murum  esset^  quam  quod  murus 
post  idf  poMOBRtUM  Romàni  appsllarunt:  et  in  urbis  incre- 
mento semper^  quantum  moenia  processura  erant,  tantum 
termini  hi  consecrati  proferebantur.  Lo"  scopo  del  pomerio  è 
patente.  Per  uno  spazio  o  zona  di  terreno  airingiro  delle  mura 
era  vietato  l'accostarsi  colle  fabbriche,  come  di  dentro  così  di 
fuori,  e  nella  zona  esterna  non  era  lecito  neppure  arare  o  te- 
nervi coltura.  È  la  ragion  militare  cbe  la  religione  co* riti  au- 
gurali tutelava.  Le  citta  chiuse  da  mura  aveano  il  pomerio, 
perchè  le  operazioni  contro  gli  assalti  e  gli  assedi  eventuali,  oltre 
le  strade  scee,  che  per  lo  più  eran  clivi,  fossero  più  efficaci  in 
caso  di  attacco  nemico;  e  il  solco  non  era  altra  che  lo  schema 
di  una  cunetta  o  fossato  che  ne  riceveva  le  acque  di  scolo, 
parallelamente  ai  lati  turriti  delle   citta.  Collo  stesso  fine  a 
noi  serve  lo  spallo,  che  è  quello  spazio  dominato  e  spazzato 
dal  cannone  e  dal  fucile  all'intorno  di  citta  "bastionate,  il>  quale 
al  di  la  del  gran  fosso  ,    delle  opere  esterne  e  della  strada 
coperta  vien  stabilito  con  inclinazione  e  scolo  verso  la  cam- 
pagna e  tenuto  a  prato   secondo  le  regole  dell'  architettura 
militare.  -  Gli  antichissimi  itali^  etruschi  o  romani  che  fossero, 
pare  avesser  la  testa  sul  busto  al  paro  e  forse  meglio  di  noi 
nipoti  più  presuntuosi  certo,  ma  non  più  saggi. 

Riguardo  alla  Roma  quadrata,  Romolo  augure  e  soldato 
adempiendo  tutte  le  regole  militari  ed  augurali  si  condusse 
lontano  dalle  mura  e  nel  basso  a  tracciare  il  suo  pomerio. 
Tacito  così  si  esprime:  ...  suicus  designandi  oppidi  coeptus 
ut  magnam  Herculis  aram  amplecteretur  (vuol  dire  in  fondo 
all'infimo  clivo  della  Vittoria  presso  la  moderna  piazza^  della 
fiocca  della  Verità)»  ad  aram  Consi  (la  quale  era  in  direzioae 
delle  scale  di  Caco  e  fu  compresa  in  fondo  alla  spina  del  fu- 
turo Circo  Massimo  verso  la  Moietta  di  San  Gregorio);  mox 
ad  Curias  Veteres  (cioè  alla  base  del  cVwus  Pullium  dietro 
il  venturo  tempio  di  Venere  e  Roma  presso  il  Colosseo  sorto 
sullo  stagno  di  Nerone  o  lago  Fagutale);  tum  ad  SaceUum 
Larium  (il  quale  era  al  principio  del  clivo  palatino  e  della 
via  sacra,  ov'oggi  è  la  chiesa  di  S.  Cosma  e  Damiano  presso 
il  tempio  d'Antonino  e  Faustina).  Come  si  vede  fu  condotto 


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—  473  — 
il  solco  con  quattro  soste,  calcolandovi  il  punto  di  partenza 
vicino  air  Ara  Massima ,  per  ima  montis  Palatini.  Perciò 
non  mi  par  giusta  l'espressione  sua  a  pag.  79:  «r  Sul  Pala- 
ia tino  pertanto  sorse  la  Roma  quadrata,  e  fu  cinta  da  mura 
»  auspicate  sulla  traccia  segnata  dal  vomere  sacro.  »  Ma  Ella 
saggiamente  poi  alla  pag*  so  si  spiega  meglio  e  dimostra  molto 
bene  il  pomerio  al  basso  e  le  mura  romulee  nell'ai to,  delle 
quali  alcuni  tratti,  che  vennero  scoperti  ventitre  anni  fa,  fu* 
rono  delineati  neir  Album  giornale  romano  ed  illustrati  dal 
Cottafavi  ottimo  e  sventurato  incisore  dello  studio  Canina 
[Anno  XXV  (i85s),  distribuzione  n.  19,  23;  pag.  147^  iso],  senza 
cIm  a  Roma  bisognasse  la  trasfusione  di  novello  sangue,  che 
secondo  i  suoi  detti^  le  venne  trasmesso  in  quest'ultimo  de- 
cennio anche  in  Archeologia  a  quanto  pare,  dai  fratelli  da 
ogni  parte  convenuti.  Imperocché  sempre  a  Roma  in  qualunque 
epoca  gli  studiosi  (noti  bene)  romani  vi  prosperarono  e  i  non 
romani  (noti  anche  meglio)  v'ebbero  affluito  e  vi  trovarono 
facile  e  molto  ospitale  stanza  da  ogni  parte  d'Italia  non  che 
d'Europa. 

Ancor  due  altre  parole  ed  ho  finito.  Nel  mettere  in  ordine 
tutte  le  idee  disparate,  che  sui  Sangallo  e  sulle  loro  opere 
di  muro  o  d'ingegno  ebbero  gli  scrittori  contemporanei  e 
quelli  che  lor  succedettero  fino  a' di  nostri,  ebbi  ad  impaz- 
zare. Si  legga  il  mio  lavoro,  e  si  vedrà  quali  difficoltà  superai, 
e  quanti  errori  emendai,  e  con  quanta  cautela  procedetti  sempre 
per  ricercare  il  vero  in  mezzo  alle  contradi^ioni^  senza  mai 
mancare  di  riverenza  alle  altrui  opinioni  ^  senza  mai  farmi 
lecito  di  convertire  il  Medichino  o  Medighino,  in  Melighino 
o  Meleghino  (3);  e  di  cambiare  la  lettera  G  in  A,  la  I  in  N^ 

(3)  (vto.  Giacomo  Medici»  wnnintUo  U  Medighino  et  fatto  poi  marchese 
di  Marignano  (Lorenzo  Capelloni,  Ragion,  varii  ec.  Milano  1610,  pa^.  13). 

Gianiacomo  de  Medici,  altrimenti  il  Medichino  (Luca  Contile,  La  H istoria 
de  fatti  di  Cesare  Ma^gi  da  Napoli,  Pavia  1564,  carte  54  verso). 

Fu  molto  stimata  [lì  Bellucci)  dal  Duca  Cosimo  e  dal  Marignano  grand' in- 
tendente di  cose  di  fortificazioni  (Promis,  Biografie  di  Ingegn.  Milit.  Ita], 
(op.  post.)  Torino  1874»  pag.  204).  —  Giangiacomo  de*Medici,  che  il  De  liarchl 
chiama  il  Medichino  (Arch.  Mil.  lib.  ili,  cap.  XXXIV)  oltre  esser  fratello 
di  papa  Pio  IV  era  anche  parente  ai  Farnesi  e  per  conseguenza  a  papa  Paolo  111 
(Leggasi  il  Platina  in  Pio  IV).  —  Quel  meraviglia  dunque  di  vedere  tra 
tanti  illustri  nomi  d*  ingegneri  e  capitani  Giovanni  da  Sangallo  ed  anche  11 
Medici,  come  ci  narra  il  De  Marchi,  con  queste  precise  parole:  La  qual  figura 
(quella  del  bastione  d'ordine  rinforzato  fuori  porta  San  Paolo)  mi  ricordo  di 
sentirla  disputare  dinanù  a  pana  Paolo  Terzo ,  et  dal  Signor  Alessandra 
Vitello  huomo  molto  famoso  nelV  arte  della  guerra  e  Mastro  Gio.  da  San 
Gallo,  et  il  Capitano  Jacomo  Castrioto,  et  il  Cap.  Francesco  da  Monte  Xtno, 
et  il  Cap.  Leonardo  da  Vdene  Mastro  Gio,  Mangone^  et  il  Medichino  et  il 
Galasso  da  Carpi . . .  Questo  è  il  testo  del  De  Marchi  che  io  mi  farei  sempre- 
scrupolo  d'alterare  con  belle  dimostrazioni.  In  esso  chiaramente  figurano  atV 
vanni  da  Sangallo  e  Giangiacomo  de'Medici  detto  il  Medichino  marchese  di 


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la  0  in  T  di  nessuno  degli  autori  citati.  I  miei  principi  di 
Ermeneutica  non  van  tant'oltre.  E  dopo  eh  ebbi  detto  che  il 
De  Mafchi  attribuiva  a  Giovanni  Tìnvenzione  della  duplicazione 
de'fianchi  dei  baluardi  e  la  faiibrica  del  baluardo  di  Ronu  ec. 
i!  (a  pag.  22),  non  aggiunsi  subito  (a  pag.  ss)  che  ad  onta  di 

I  tutti  i  meriti  che  potesse  aver  Giovanni,  e  gli  avea,  la  lapide 

del  sepolcro  di  Antonio  e  i  disegni  suoi  che  sono  nella  reale 
Galleria  di  Firenze  ci  rendono  certi  che  ei  e  non  altri  cornine 
classe  a  fortificare  a  suoi  tempi  Boma7  Questo  ne  miei  Nove 
da  Sangalto.  E  in  altro  luogo  come  conciliai  il  De  Marchi 
concordine  cronologico  dei  fatti  e  col  rispetto  deìVunicm(/ue 
suum?  Leggansi  le  mie  Notizie  sopra  Camillo  Orsini  (Roma 
f87i,  op.  cit.,  pag.  ss,  nota  n.  4);  anzi  mi  si  lasci  riferirne 
il  brano  :  <c  Nel  1534  lo  stesso  Pierfrancesco  da  Viterbo  da 
»  ì  disegni  di  un  pentagono  quasi  regolare  per  la  fortezza 
»  da  Basso  a  Firenze;  ed  Antonio  da  Sangallo  il  giovine  per 
»  la  morte  di  lui  Teseguisce.  Nello  stesso  anno  Giambattista 
»  da  Sangallo  ha  la  direzione  del  Baluardo  di  Roma  tra  porta 
»  San  Paolo  e  San  Sebastiano,  ove  ripete  i  fianchi  duplicati 
N  inventati  gik  dal  fratello  Antonio  per  la  cinta  di  Civi- 
»  ta vecchia.  »  Se  io  dunque  procedetti  talora  coi  forse  , 
talaltra  eliminai  molti  errori  patenti  ,  quanto  a  conclusione 
non  restai  nel  dubbio,  n^  poteva  immaginare  che  altri  po- 
tessero averlo  sul  conto  mio.  [  critici  la  prendano,  se  han 
fegato,  col  De  Marchi;  non  diano  noia  a  me,  irresponsabile 
de'detti  altrui,  in  questo  caso  poco  discutibili  (4). 

Marignano:  il  primo  come  Mastro  dì  fortificazione,  il  secondo  come  grande 
intendente  di  cose  di  fortificazioni;  l'uno  come  fratello  di  Antonio  da  San- 
ffalto,  del  quale  nei  congressi  sosteneva  le  ragioni,  P altro  come  parente  di 
Pio  IV  e  di  Paolo  III»  e  personaggio  di  fiducia.  —  Vi  possono  essere  nov  Ut 
eercatori  ed  edUori  di  ciarpane  (sic)  ^Storia  delle  fortificazioni  nella  spiaggia 
romana  —  Roma  1H80,  pag.  334],  non  nego;  ma  che  vi  sieno  valcnii  scrit- 
tori che  abusino  del  proprio  ingegno  per  cacciare  via  Giovanni  dalle  dispute 
o  congressi  innanzi  al  papa  considerandolo  Gobbo  inetto  a  tante  cose  (Storia 
sopraccitata  pag.  322)  e  supporre  0  credere  il  Medichino  o  Bernardo  de'Me- 
dici,  che  a  questo  era  padre  e  personaggio  inutile  ne' congressi  «  e  peggio, 
confondendo  tempi  e  luoghi,  il  famoso  Meleghino!  trovo  che  è  troppo... 
0  per  mia  dignità  non  aggiungo  altra  osservazione.  Vadano  queste  citazioni 
ed  in  ispecie  l'autorità  del  Capelloni  e  del  Contile  per  l'iin  latore  per  l'altro 
r  espressioni  dei  De  Marchi  a  confortare  quanto  10  dissi  ne'  miei  Nove  da 
Sangallo  a  pag.  22  e  basti. 

(4)  Valgano  le  mie  nuove  dichiarazioni  sui  Sangallo  a  ribattere  le  pag- 
333  e  334  della  citata  Storta  delle  Fortifieaxioni  nella  Spiaggia  Romana,  il 
cui  Autore,  verso  di  me  ben  differe*  te  da  quello  del  1863,  nel  ISSO  lepidamente 
mi  rinfaccia  la  pag.  38  nota  3  de' miei  Nove  da  Sangallo^  la  qoale  è  molto 
anzi  troppo  riverente  verso  di  lui.  Più  che  i  Gobbi  Giganti  ei  Cavalieri 
erranti  veggo  i  Giganti  gobbi  e  trovo  la  cavalleria  non  certo  tra  le  ali  di 
mulino  a  vento ,  ma  invece  inzaccherata  in  luogo  paludoso ,  come  possono 
essere  i  dintorni  di  Ostia,  il  cui  Castello  mi  ricorda  ì  primi  giorni  di  maggio 
IS.iO  e  la  frase  fiorentina:  Dagli  amici  mi  guardi  iddio,  che  dai  nemici 
mi  guardo  io  ? 


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—  475  — 

E  come  in  ciò ,  così  non  restai  dubbioso  nell'  assegnare 
l'epoca  della  costruzione  del  baluardo  di  Roma  al  1534.  Il 
De  Marchi  medesimo  e  lo  Scamo2zi,  autori  di  grandi  opere 
e  Tun  d*es6Ì  contemporaneo  e  testimonio  oculare  ^  lo  dicon 
netto  ed  aperto.  Ma  Ella,  mio  buon  amico,  che  va  battendo 
il  vento,  cupido  di  demolir  me  più  ch'altri,  anziché  raccor- 
dare o  se  più  vuole,  conciliare  i  fatti  coti  utili  osservazioni, 
esce  in  campo  col  documento  dell'appalto  che  porta  la  data 
del  SI  dicembre  I5d7.  Questo  che  fa?  L'atto  pubblico,  com*Ella 
il  chiama  (Vedansi  Le  cinte  murali  nella  Nuova  antologia 
citata,  a  pag.  loi)  stipulato  sul  progetto  d'Antonio  (del  quale 
Ja  firma  autografa  sarebbe  importantissima  a  conoscersi  -  Si 
legga  la  nota  in  principio  di  questo  scritto)  è  di  quella  data, 
e  il  baluardo  fu  cominciato,  magari  nei  lavori  di  demolizione 
deir antiche  mura,  di  sterro  e  di  picchettatura  della  nuova 
fortificazione  ,  nelP  anno  di  grazia  16S4.  Era  miglior  partito 
indagare  il  perchè  si  venne  cosi  tardi  ad  un  contratto  e  per 
conseguenza  esaminare  se  Antonio,  col  quale  si  dovea  (a  quanto 
pare)  conchiudere  quell'atto,  dal  1534  al  1537  fosse  in  Roma 
o  no.  Ed  avrebbe  trovato  col  mio  libro  alla  mano  ,  rispar- 
miandosi la  lettura  di  molti  altri»  che  Antonio  all'epoca,  in 
cui  non  eran  ferrovie,  uh  tubi  atmosferici,  nb  palloni  e  proprio 
nel  maggio  e  luglio  i534  erasi  recato  a  Firenze  ad  eseguirvi  la 
fortezza  da  Basso  e  a  far  restauri  alle  mura:  certamente  sono 
opere  queste  che  con  tre  mesi  non  si  fondano  ed  avviano  (a 
pag.  19,  20,  ai);  che  i  lavori  fortificatorìi  di  Ancona,  presie- 
duti da  Antonio,  cominciati  nel  1532  terminarono  nel  1537  (a 
pag.  22).  Verso  poi  il  1535  e  fors  anche  il  1536  facea  progetti 
e  per  conseguenza  visite  per  fortificare  la  spiaggia  romana 
contro  i  pirati  turcheschi  (a  pag.  29);  e  per  Pierluigi  Farnese 
nientemeno  che  fece  la  fortezza  e  la  città  di  Castro  e  ciò  nel  1537 
(pag.  29,  e  meglio  il  Promis  nelle  Biografie  di  Ing.  MiK  ItaK 
op.  cit.  pag.  9o).  Antonio  si  chiamava  Antonio,  ma  non  avea 
tra  tanti  lavori  che  d'  architettura  civile  e  militare  faceva  , 
il  pregio  ad  un  tempo  àeWubiquitày  sebbene  molte  cose,  io 
stesso  il  dissi,  dirigeva  da  Roma  (a  pag.  2i). 

In  questo  modo  resta  l'onore  del  baluardo  fuori  porta 
san  Paolo,  quanto  all'  assistenza  e  direzione,  a  Giovanni,  il 
quale  era,  tra  il  1534  e  1537,  sempre  in  Roma  e  sul  posto; 
ed  essendo  la  grand'epoca  delle  Commissioni  e  dei  Congressi 
innanzi  al  papa,  a  questi  tra  tutti  i  Sangallo  era  il  solo  che 
potesse  intervenire,  perchè  gli  altri  di  quella  casa  eran  morti  o 
assenti  e  si  chiamava  non  ant.^  ma  gio.,  come  dice  De  Marchi, 


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—   476  — 

ch'era  ammesso  aneli 'egli  a'  congressi  (5).  Resta  al  sno  posto 
la  data  del  contratto  al  i537;  e  in  benemerenza  di  tante  opere 
o  dirette  od  inventate  o  disegnate,  resta  ad  Antonio  Tooore 
di  essere  stato  nominato  architetto  della  fabricae  nuirorum 
aimae  urbis  nostrae  ,  com'  Ella  attesta ,  sotto  la  data  del 
24  gennaio  1538. 

Ma  non  b  il  primo  caso  questo  del  Sangallo  d'essere  nel 
1538  y  dopo  molti  anni  di  servizio  e  di  esercizio  ,  nominato 
architetto  delle  mura  della  citta,  quand'egli  fin  dal  i5l5  a?ea 
mostrato  a  Leone  X  la  fortificazione  di  Civitavecchia;  nel  1526 
per  commissione  di  Clemente  VII  era  spedito  nelle  Romagne 
e  a  Parma  a  Piacenza  per  far  relazioni  o  a  dar  ordinazioni, 
ed  a  Firenze,  ove  fece  puntoni  o  rivellini  fuori  le  porte  maestre. 
Nel  1532  era  mandato  in  Ancona  ad  ordinarne  le  fortificazioni; 
e  nel  1535  e  36  per  la  spiaggia  romana,  e  a  Castro  nel  1537 
e  seg.,  sempre  collo  stesso  scopo. 

Parimenti  non  è  il  primo  caso  questo  di  lavori  cominciati 
prima  di  far  contratto  d'appalto  per  lavori  murali,  e  le  potrei 
citare  il  recente  caso  peregrino  di  lavori  fatti  e  finiti  qui  in 
Roma  d'urgenza  senza  asta  ed  appalto  come  vuol  la  legge, 
da  giustificarsi  però  con  un  contratto  compilato  dopo  anni 
dai  lavori  eseguiti,  novello  esempio  di  trasfusione  di  sangue! 

Dopo  tutto  ciò,  son  giunto  al  termine.  La  prego  purtut- 
tavia  di  un  favore:  se  qualche  cosa  le  fa  de'miei  scritti  stam- 
pati, m'accordi  la  grazia  di  prima  leggermi  bene,  poco  impor- 
tando a  me  che  il  suo  sistema  è  di  far  suo  quello  che  legge 
in  altri  ;  ma  se  trova  veri  errori  (che  non  sono  certo  della 
mia  volontà)  inesorabilmente^  pronunciando  il  mio  nome,  li 
sveli  al  colto  pubblico  e  alla  gueriiigione:  sarà  premio  con- 
degno alla  mia  audacia  di  aver  voluto  studiare  in  ogni  occa- 
sione con  calma  ciascun  tema  preso  a  soggetto  e  d'aver  fatto 
per  quaranta  lunghi  anni  lo  scrittore,  piuttostochè  il  can- 
tambanco, e  m'abbia  sempre  per  suo 

Buon  amico 
Camillo  Ravioli 

(5)  Leggasi  la  nota  precedente  N.  3  Del  testo  del  De  Marchi,  pag.  473—74. 


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477    — 


LXXI. 


CORDJANI  IL  VERO  NOME  DI  ANTONIO  DA  SANGALLO 
IL  GIOVANE 

Pubblichiamo  di  buon  grado  la  seguente  lettera  indi- 
rizzataci dal  ch.""^  signor  Barone  Enrico  di  GeymùUer^  così 
per  la  verità  storica  ch'essa  stabilisce,  come  per  la  nobiltà 
d'animo  di  chi  la  dettava. 


«  Chiarissimo  Signor  Cav.  Narducci 

»  L'egregio  Cav.  Camillo  Ravioli  parlando  gentilmente,  nel 
Buonarroti  del  luglio  scorso,  del  vero  nome  di  Antonio  da 
Sangallo,  che  io  pubblicai  recentemente,  proponeva  per  la 
lettura  di  questo  nome  «  Coràiani  )>  in  vece  de  Coroliani , 
letto  da  me,  o  di  Coriolani^  modificazione  adottata  dal  Ch. 
Cav.  Gaetano  Milanesi  nella  sua  bella  ristampa  del  Vasari. 

»  Benché,  lo  confesso  volontieri,  le  dotte  ragioni  del  Cav. 
Ravioli,  basate  sopra  una  scrupolosa  osservazione  della  scrit- 
tura di  Antonio,  mi  avessero  quasi  convinto  del  tutto  della 
loro  esattezza  ,  esitava  ancora  ,  vedendo  nelle  tre  linee  del 
documento  appartenente  al  Sig.  Eugenio  Piot,  quattro  volte 
la  lettera  d  fatta  nell'istesso  modo,  mentre  precisamente  quella 
nel  nome  d'Antonio,  mostava  l'asta  della  d  assai  discosta  dall'o 
formando  due  lettere  distinte.  Perciò  volli  aspettare,  prima 
di  decidermi^  di  aver  esaminato  di  nuovo  i  numerosi  scritti 
d'Antonio  conservati  agli  Uffizi.  Ora,  fatto  questo  studio^ 
accetto  interamente  l'opinione  del  Cav.  Ravioli.  In  fatti,  trovai, 
nel  disegno  segnato  col  numero  provisorìo  1340,  un  caso  affatto 
analogo,  ove  Antonio  scriveva  <(  palazo  deli  ac/imari  >,  mentre 
non  ci  può  essere  dubbio  qualunque  che  sia  A^^imari. 

»  A  conferma  del  nome  Gordiani,  il  ch .  cav.  Gaetano  Mi- 
lanesi, mi  autorizza  gentilmente  a  dire  che  di  recente,  egli 
trovò  nelle  scritture  pubbliche  ,  un  antenato  d' Antonio , 
oriundo  dal  Mugello,  nominato  Cordini.  Ma  avendo  egli  visto 

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—  478  — 
il  mio  lucido  del  documenlo  del  signore  E.  Plot ,  il  cay. 
Milanesi  non  esitava  un  momento  a  dire»  con  me,  che  Antonio 
aveva  scritto  Gordiani,  la  presenza  della  a  essendo  confer- 
mata finalmente  dal  Condiani  letto  in  altro  documento  dal 
Martini  ,  la  cui  lettura  si  trovava  dunque  più  esatta  che 
io  non  credeva. 

D  Sono  lieto  di  esprimere  qui  la  mia  riconoscenza  al  dotto 
storico  AeNoi^  da  Sangallo^  Gav.  Ravioli,  di  aver  indovi- 
nato un  errore  mio  e  di  averlo  accennato  con  tanta  cortesia, 
dandomi  l'occasione  di  correggerlo  qui,  sperando  che  la  mia 
rettifica  avrà  la  maggiore  pubblicità  che  si  possa. 

»  Dalla  concorrenza  dunque  di  tutti  questi  fatti,  h  ormai 
certo,  che  il  vero  nome  di  famiglia  dell'architetto  Antonio 
da  Sangallo  il  giovane  era  Cordiani. 

»  La  prego  di  gradire,  chiarmo  Signor  Gavaliere^  coll'e- 
spresfiione  della  mia  più  distinta  stima  quella  de  mìei  rìn- 
graziatnenti  per  Tacoettazìone  di  queste  righe 

»  Enrico  db  GeYHULLEa 

»  Firenze  li  22  Dic.^'*  issi.  » 


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—  479  — 
PUBBLICAZIONI  RICEVUTE  IN  DONO 

Camera  dei  Depatati.  Ln  BiblioUea  della  Camera  dei  Deputati  nei  ditemhre 
deWanno  1881.  Notixie  pubblicate  per  cura  della  Cùmmisiione  della  Bi- 
blioteca. In  4.0  gr.  di  pag.  3  non  namerate,  e  pianta. 

Concorso  artietieo  irUemaxionale  per  un  monumento  aUa  glorila  wmorta 
del  Re  Vittorio  Eujitusls  da  erigerei  in  Roma,  iloma,  tép.  Tiberina, 
piatta  Borghese^  89.  In  8?  dì  pag.  7. 

Corradi  (Alfonso)  Le  infermità  di  Torquato  Taeso  Studio  letto  in  parte  nelle 
adunanze  5  giugno  1879  e  29  luglio  1880.  In  4.0  gr.  di  pagine  73.  (Fase.  I?) 

Duci  (Luigi)  Il  libro  completo  per  to  2^  e  3*  daese  della  ecuoia  elemetUare, 
giudicato  di  merito  euperiore  della  Committione  Govemati)oa  nei  ton- 
corio  1877.  Torino,  Ermanno  Loeseher ,  1882.  Roma  e  Firenze  »  preeso  la 
iteeta  Casa.  In  8.*  di  pag.  155»  lag. 

— -  //  sillabario  e  l'aritmetica  per  la  setione  superiore  delia  prima  classe, 
giudicato  ecc.  Torino  ecc.  18S2.  In  8?  di  pag.  46  e  Modelli  di  Calligrafia 
e  Scrittura  di  pag.  14. 

—  Il  sillabario  ecc. ,  per  la  sezione  inferiore  della  prima  classe ,  ecc. 
In  8!  di  pag.  35. 

Descrizione  del  concetto  espresso  contrassegnato  col  motto:  Una  pagina  di 
Storia ,  presentato  a  concorso  per  la  erezione  di  un  monumento  atta  glo- 
riosa memoria  del  Re  Vittorio  Eììanuble  in  Roma.  Roma^  tip.  Barbèra. 
In  8?  di  pag.  6. 

Favaro  (Antonio)  Intorno  ad  una  nuova  edizione  delle  opere  di  Galileo  (Estr. 
dal  voi.  Vili,  Serie  Y,  degli  Atti  del  R.  Istituto  tfeneto  di  scienze,  lettere 
ed  arti),  Tenexia,  tipografia  di  G.  Antonelli  1881.  In  8.0  di  pag.  51. 

Henry  (Charles)  Études  sur  le  triangle  harmonique  (Extrait  du  BuUetin  des 
Sciences  mathématiques,  2«  sèrie»  t.  V;  1881).  Paris,  imprimerie  Gau^ier* 
Villars,  quai  des  Àugustins,  55.  In  8?  di  pag.  18. 

—  Sur  un  procède  particulier  de  division  rapide  —  Décomposition  des 
nonibres  H^  —  9g^^  et  du  doublé  de  ces  nombres  en  deux  cubes  rationnels. 
(Extrait  des  Nouvelles  Annales  de  Mathématiques,  2*  sèrie,  t.  XX,  1881). 
Paris,  imp.  de  Gauthier- Villars,  quai  des  Àugustins  55.  In  8.0  di  pag.  4. 

Il  Mausoleo  in  Roma  al  primo  Re  d'Italia  nel  secolo  XIX.  Disegno  descrU- 
,  tivo  del  progetto  dedicato  alla  commissione  governativa  ed  ai  Giudici  del 

concorso.  Anno  1881.  Roma,  eoi  tipi  della  tipografia  romana,  pieuza 

S.  Silvestro  n.  71,  1881.  In  8*  di  pag.  8. 
Maes  (Costantino)  Il  Circo  Massimo,  V opificio  Pantanella,  il  Circo  di  Ife- 

rone.  Roma,  tipografia  del  Popolo  Romano,  1881.  In  12?  di  pag.  15  e  pianta. 

—  Le  Terme  di  Agrippa,  prime  note  archeologiche  intomo  ai  recenti  scavi. 
H  Pantheon  ripristinato  a  Mausoleo  dei  Re  d'Italia.  Roma  MDCCCLXXXII. 
In  8.0  dt  pag.  40. 

Manno  (Antonio)  e  Promts  (Vincenzo)  Notizie  di  Jacopo  Gastaldi  carto- 
grafo piemontese  del  secolo  XVL  (Estratto  da!  volarne  XVI  degli  Atti  della 
R.  Accademia  delle  Scienze,  adanansa  del  26  giugno  1881).  Torino,  stam- 
peria reale  della  ditta  G.  B.  Paravia  e  eomp.  di  L.  Vigliardi ,  1881. 
In  8?  di  pag.  30. 

Marre  (Aristide)  Bibliographie  Malaise,  ouvrage  du  capitaine  Badings , 
d^ Amsterdam  (Extrait  du  Journal  AsùjAique).  Imprimerie  Nationaie  1^81. 
In  8!  di  pag.  6. 

Morelli  (Marino)  Jtfu^toa.  Ricordo  agli  amici,  Roma^  tipografia  Barbéru,  1881. 
In  8?  di  pag.  279. 


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—   480   — 

Napoli  (Federico)  Mewìoria  della  vita  e  delle  opere  di  Giovaa  Battista  Odieraa 
astronomo  fUieo  e  naturalista  del  secolo  XVII ,  letta  nella  tornata  del 
25  luglio  1880.  (Estratto  dagli  Atti  delVÀceademia  di  Scienze  e  Lettere  di 
Palermo^  voi.  II,  1880—81)  Palermo^  tipografia  E.  Ferrigno  e  F.  indo, 
via  Divisi  n.  20,  1881.  In  4!  di  pag.  50. 

Nardini  Despotti  Mospignotti  (Aristide)  Il  monumenio  nazionale  al  re 
Vittorio  Emasuelb  IL  In  Livorno ,  dalla  tipografia  di  Frane.  Vico 
1881.  In  4.0  gr.  di  pag.  28  e  pianta  del  Monumento. 

Osservazioni  sul  concorso  per  il  monumento  da  erigersi  a  5.  Af.  Vittorio 
Emanuele  li»  descritti  da  un  ammiratore  delKarte  italiana.  Roma  1881, 
tip.  letteraria,  via  di  Tata  Giovanni  2.  In  8*  di  pag.  11. 

Pace  (Mosè)  Magnis  Parva  Viris,  Versi.  In  Roma»  presso  Forzani  e  C,  ti- 
pografi del  Senato,  1881.  In  22""  di  pag.  82. 

Paria  (Giuseppe)  d.  G.  d  G.  Sermoni  di  San  Bernardo  neUe  solennità  del 
Signore  volgarizzati  da  frate  Domenico  Cavalca  delVordine  de*  Predicatori 
ecc,  Roma,  dalla  tipografia  della  Pace,  piazza  della  Pace  35,  1830.  In  8! 
di  pag.  416. 

Perreau  (Pietro)  Intorno  agli  atti  del  IV  congresso  internazionale  degli 
Orientalisti  tenuto  in  Firenze  nel  settembre  1878  {voi.  /).  (Estratto  dal  Mosè 
Antologia  Israelitica  di  Corfà  1881).  Corfù .  tipografia  di  G.  NaeamuUi 
editore,  1881.  In  4.»  di  pag.  62. 

QuAREifGHi  (Cesare)  Del  progresso  letterario  nelV  esercito  italiano  dal  1860 
al  1876.  (Estratto  dalla  Rivista  Militare  Italiana,  1881).  Roma,  Voghera 
Carlo,  tipografo  di  S.  M.,  1881.  In  8.^  di  pag.  51. 

RosELLi  LoRENziNi  (Iguazìo)  Onore  al  Rei  Relazione  esplicativa  del  progetto 
di  monumento  alla  memoria  del  Re  Vittorio  Emanuele  II  presentato 
al  concorso  Internazionale.  Roma ,  tipografia  dei  fratelli  Pallotta ,  via 
dell* Umiltà  n.*  86.  In  4,"*  gr.  di  pag.  26  e  pianta  dei  Monumento. 

ScHREiBER  (Theodor)  Die  antiken  bildwerhe  der  villa  Ludovisi  in  Rom. 
Leipzig,  Verlag  von  Wilhelm  Engelmann,  1880.  in  4!  di  pag.  275  e  pianta. 

Herr  (Overbeck)  legte  folgenden  Aufsatz  dee  Herrn  Dr.  Theodor  Schreiber 

iiber  Flaminio  Vacca* s  Fundberichte  (Abdruck  aus  den  Berichten  der 
phUol.-histor.  Classe  der  Kònigl,  Sachs.  Gesellschaft  der  Wissenschaften 
1881).  In  8?  dalla  pag.  43—91). 

Seni  (Francesco)  Pietro  Caideron  de  la  Barca,  studio  biografico.  Roma,  ti- 
pografia di  Rama,  1881.  In  12!  di  pag.  22. 

WiEOEMANN  (Eilhard)  Beitràge  zur  Geschichte  der  Naturwissensehaften  bei 
den  Arabem,  VI  (Separat-Abdruck  aus  den  Annalen  der  Physik  und  Chemie 
1881.  Neue  Folge.  Ed.  XIV.)  Leipzig,  Verlag  von  Johann  Ambrosius  Barth. 
Foglietto  di  .una  pagina  con  copertina  in  8? 

Z\TTi  (Carlo)  Cenni  storici  ed  iscrizioni  di  Brescello  antica.  Reggio-Emilia, 
tipo-litografia  degli  artigianelli  1881.  In  8?  di  pag.  52. 

Jf^P'ISO 

Col  presente  volume  si  chiude  la  Seconda  serie  del  Buo- 
narroti. //  ritardo  talora  ines^itabile  della  pubblicatone  ^ 
onde  la  data  di  ciascun  fascicolo  era  in  contraddizione 
con  quella  della  sua  pubblicazione  ,  ci  ha  consigliato  ad 
incominciare  una  Terza  serie.  Ciascun  sfolume  sarà  composto 
come  prima  di  i  2  fascicoli  progressivamente  numerati^  senza 
riguardo  alle  date  di  pubblicazione. 

La  Direzione 


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481    — 


INDICE  DEGLI  SCRITTI 

CONTENUTI  NEL  DECIMOQUARTO  VOLUMK 


QUADERNO  I.  —  I.  Spiegazione  probabile  degli  emblemi  intarsiati  in  argento 
con  epigrafe  latina  in  un  peso-triente  di  bronzo  del  Castro  Pretorio  di 
Roma ,  illustrato  dal  eh.  sig.  Luigi  Ceselli  romano ,  ecc.  (Giwanni 
Broli),  pag>  3.  —  li.  Degli  studi  ia  Italia,  ossia  considerazioni  intorno 
all'opuscolo  del  generale  Me zz acapo  (Continuazione)  (Prof.  Gabriele 
Deyla)y  pag.  12.  —  III.  Del  Bello  nella  nuova  Poesia  (Continuazione) 
(Prof.  Nicolò  Manueeo),  pag.  16.  —  IV.  Sensati  restauri  di  un  monu- 
mento antico  e  sua  nuova  desiìnàzìone  {Giuseppe  Veìxili  Architetto  »  In- 
gegnere), pag.  23.  ~  V.  Passatempi  artistici  delF  architetto  Pietro  Bo- 
^ellif  pag.  27.  —  VI.  Scienza  e  Virtù.  Carme  del  prof.  Antonio  Rieppi, 
volgarizzato  da  Giuseppe  Bellueeif  pag.  31.  —  VII.  Taedìum  vitae.  So- 
netto {L.  A,  R.),  pag.  36. 

QUADERNO  IL  —  VIII.  Poche  notizie  sulla  casa  attribuita  a  Ciullo  d*Alcamo 
{G.  Frosina  Cannella),  pag.  37.  —  IX.  Degli  studi  in  Italia,  ossia  con- 
siderazioni intorno  all'opuscolo  del  generale  Mezz acapo  {Iniertesto) 
(Prof.  Gabriele  Deyla),  pag.  42.  —  X.  Del  Bello  nella  nuova  Poesia  (Con- 
tinuazione) (Prof.  Nicolò  Marsueeo),  pag.  49.  —  XL  Articoli  vari  {Giu- 
seppe Verxili  Architetto  Ingegnere),  pag.  54.  —  XII.  Due  brani  dei  Diarii 
di  Marino  Sanuto  relativi  alla  disfida  di  Barletta,  pag.  63.  —  XIII.  La- 
vori del  prof.  Poggioli  di  Roma  (Émile  Vaison),  pag.  64.  ^  XIV.  So- 
spiri G.  Frosina  Cannella)^  pag.  66.  ~  XV.  Al  principe  romano  don 
Alessandro  Torlonia,  per  il  prosciugamento  del  Lago  di  Fucino.  Sonetto 
[Luigi  Arrigo  Rossi),  pag.  72* 

QUADERNO  III.  —  XVI.  Intorno  ad  un  bassorilievo  della  basilica  di  Monza 
{Francesco  Labruzzi  di  Nexima),  pag.  73.  —  XVII.  Della  Prosopografia. 
Lezione  del  professor  Gabriele  Deyla,  pag.  83.  —  XVIII.  Del  Bello  nella 
nuova  Poesia  (Continuazione)  (Prof.  Nicolò  Mar  succo) ,  pag.  92.  — 
XIX.  Il  monumento  a  Vittorio  Emanuele  IL  {Giuseppe  Verzili  Archi- 
tetto Ingegnere),  pag.  96.  —  XX.  Villa  Pamphili  {Luigi  Arrigo  Rossi), 
pag.  102.  —  XXI.  A  mio  Padre  (  Vincenzo  Monti),  pag.  104. 

QUADERNO  IV.  —  XXIL  Descrizione  di  tutte  le  colonne  ed  obelischi  che 
trovansi  nelle  piazze  dì  Roma,  disposta  in  forma  di  guida  da  Angelo  Pel- 
legrini ecc.  (Continua),  pag.  105. — XXIII.  Della  Prosopografia.  Lezione 
del  prof.  Gabriele  Deyla  (Fine),  pag.  120.  — XXIV.  Di  nn  monumento 


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—  482  — 

onorario  per  eternare  la  memoria  di  Vittorio  Emanuele  IL  {Gitaeppe 
Verxili  Architetto  Ingegnere),  pag.  126.  —  XXV.  Bibliografia.  Le  opere 
lelterarie  di  Leonardo  da  Yiifci  pubblicate  dal  doCt.  Jtan  Paul  Riehter, 
pag.  120.  —  XX Vi.  Su  due  scheletri  che  abbracciati  si  rinvennero  in 
Pompei  non  lungi  dalle  pubbliche  Terme.  Elegia  del  cav.  Diego  Vi- 
TKiou  e  traduzione  {G.  Froiina^Cannella) ^  pag.  132.  —  XXVll.  Vo- 
luptas  tenet  silvas  et  caetera  rura  (G,  Frorina-Cannella) ,  pag.  136  — 

XXVIII.  Il   pensiero  del  cuore  ,{Luigi  Arrigo   Rotsi)^    pag.   137.  — 

XXIX.  A  sua  maestà  Alessandro  li,  autocrate  di  tutte  le  Russie,  trion- 
fatore de*  Turchi  (Luigi  Arrigo  Ros$i)»  pag.  139. 

QUADERNO  V.  —  XXX.  Documenti  inediti  dell*  arte  toscana  dal  XII 
al  XVI  secolo,  raccolti  e  annotati  da  G.  Milanesi  (Continua),  pag.  141.— 
XXXI.  Descrizione  di  tutte  le  colonne  ed  obelischi  che  trovansi  nelle 
piazze  di  Roma ,  disposta  in  forma  di  guida  da  Angelo  Pellegrini  ecc. 
(Continuazione),  peg.  152.  —  XXVII.  Del  Bello  nella  nuova  Poesìa  (Fine) 
(Prof.  Nicolò  Marsuceo)y  pag.  173.  —  XXXI IL  Grandiosa  idea  di  un 
monumento  osorario  da  erigersi  in  Roma  per  eternare  la  owmoria  dì 
Vittorio  Emanuele  II  »  primo  Re  d*  Italia  {Giuseppe  VenHi  Architetto 
Ingegnere) ,  pag«  170.  —  XXXIV.  Alla  maestà  delia  «astra  angusta  e 
graziosa  sovrat^a  Margherita  Regina  d'Italia,  per  il  suo  fausto  ritomo  a 
Roma  dui  trionfale  viaggio  in  Sicilia  {Luigi  Arrigo  Rosei) ,  {Mg.  183. 

QUADERNO  VI.  —  XXXV.  Documenti  inediti  dell'arte  toscana  dai  Xll  ai 
XVl  secolo,  raccolti  e  annotati  dà  G.  Milanesi  (Continuazione),  pag.  185.— 
XXXVI.  Descrizione  di  tutte  le  colonne  ed  obelischi  che  trovansi  nelle 
piazze  di  Roma ,  disposta  in  forma  di  guida  da  Angelo  Pellegrini  ecc. 
(Continuazione) ,  pag.  195.  —  XXXVil.  Della  storia ,  della  scienza  e 
deirarte  insegnativa  considerata  in  se  stessa  e  ne*  suoi  rapporti  colla 
storia  della  acicAza  e  dell'arte  letteraria  (Prof.  Gabriele  Degla),  pag.  213.  — 
XXX  Vili.  Il  nibilisno  che  chiede  la  costituzione  allo  Czar  Alessandro  HI. 
{Luigi  Arrigo  Rossi)^  pag.  222. 

QUAIMSRiNO  VII.  —  XXXIX.  Documenti  inediti  deir  arte  toscana  dal  XII 
al  XVI  secolo,  raccolti  e  annotati  da  G.  Milanesi  (Continuazione), 
pag.  225.  —  XL.  Descrizione  di  tutte  le  colonne  ed  obelischi  che  tro- 
vansì  nelle  piazze  di  Roma,  disposta  in  forma  di  guida  da  Angelo  Pel- 
legrini ecc.  (Continuazione),  pag.  234.  —  XLI.  Sopra  il  luogo  e  l'anao 
_  della  morte  di  Fra  Giocondo,  aichitetto  veronese,  e  sul  cognome  di  An- 
tonio da  Saogallo  giuniore,  architetto  fiorentino,  ambidue  deputati  alla 
fabbrica  di  San  Pietro  iu  Roma.  Lettera  al  eh.  signor  cav.  Eneico  Njr- 
DUCci  {Camillo  Rewioli)^  pag.  249.  —  XLIII.  La  Greca  Scoltura  (Prof. 
Giuseppe  Derotsi)^  pag.  254.  —  XLIII.  Bibliografia.  Monnments  de 
r  art  antique  publiés  sous  la  direction  de  M.  Olifieb  Rat  et  ,  ecc. , 
pag.  255.  —  XLIV.  Alla  gentilissima  donzella  Rosina  Pontecobvo  ed 
al  giovine  egregio  if^ aco  della  Rocca  nel  dì  delle  nozze  lo  zio  Jfoif 
Pace  questo  ghiribizzo  offre  (Di  palo  in  frasca),  pag.  256.  —  XLV.  L'al- 
tezza serenissima  di  Carlo  lìi  principe  sovrano  di  Monaco,  all'altezu 
reale  di  donna  Florestina  duchessa  di  Wurtemberg  sua  augusta  so- 
rella {luiffi  Arrigo  Rossi),  pag.  ^64.  —  XLVI.  Atomi.  A  Severina.  — 
Voci  udite  alle  corse  (Luigi  Arrigo  Rossi)^  pag.  262. 


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—  483  — 
QUADERNO  Vili.  —  XIVIII.  Documenti  inediti  dell'arte  toscana  dal  XTI 
al  XVI  secolo,  raccolti  e  annotati  da  G.  Milanesi  (Fine),  pag.  265.  — 
XLVIII.  Descrizione  di  tutte  le  colonne  ed  obelischi  che  trovansì  nelle 
piazze  di  Roma ,  disposta  in  forma  di  guida  da  Angelo  Pellegrini  ecc. 
(Continuazione) ,  pag.  276.  —  XLIX.  Notizie  sugli  scavi  di  s.  Urbano 
di  Narni,  di  Magliano  in  Sabina,  di  Vitorchiano  nel  Viterbese  e  di  altri 
luoghi.  Lettera  alPonorevole  Sig.^  Dirett.«  Gfiale  de'Musei  e  degli  Scavi 
di  Antichità  ((?.  Broli) ,  pag.  291.  —  L.  Le  migliori  cantatrìci  italiane 
fino  all'anno  1715.  Notìzia  di  il.  Steinsehneider ,  pag.  301.  —  LL  Spe- 
culum  Dianae.  —  Palatinus  {Luigi  Arrigo  Bossi),  pag.  302.  —  LIf.  Ai 
miei  cari  (Luigi  Arrigo  Rossi),  pag.  303. 

QUADERNO  IX.  ~  LUI.  Il  dìo  Mitra  a  Temi  {G.  Broli) ,  pag.  305.  — 
LIV.  Descrizióne  di  tutte  le  colonne  ed  obelischi  che  trovansi  nelle  piazze 
di  Roma,  disposta  in  forma  di  guida  d^  Angelo  Pellegrini  ecc.  (Conti- 
nuazione), pag.  322.  —  LV.  Notizie  di  mss.  inediti  in  ispecie  di  Archi- 
tettura militare.  Al  eh.  sig.  cav.  Nardvcci  (Camillo  Ravioli),  pag.  332.  — 
LVI.  Belle  Arti,  pag.  335.  •—  LVII.  Vae  Poetis  (Luigi  Arrigo  Rossi), 
pag.  336. 

QUADERNO  X.  —  LVIH.  II  conte  Umberto  I  (Biancamano)  Abt.  bibl, 
(Francesco  Labruzzi  di  iVe^'ma),  pag.  341. —LIX.  Descrizione  di  tutte 
le  colonne  ed  obelischi  che  trovansi  nelle  piazze  di  Roma,  disposta  in 
forma  dì  guida  da  Angelo  Pellegrini  ecc.  (Continuazione),  pag.  356.  — 
LX.  Passatempi  artistici  dell*  architetto  Pietro  Bonelli  (Continua) , 
pag.  377.  —  LXI.  Francesco  de' Medici.  Tragedia  storica  di  Nicolò 
Marsucco  (Continua) ,  pag.  376.  — •  LXII.  Ad  Alfredo  Baccelli  pel  suo 
carme  in  onore  di  Alfredo  Capellini.  Versi  sciolti  (E.  Narducci),  pag.  392. 

QUADERNO  XI.  —  LXIIL  Della  storia,  della  scienza  e  dell'arte  insegna- 
tiva considerata  in  se  stessa  e  ne'suoi  rapporti  colla  storia  della  scienza 
e  dell'arte  letteraria  (Continuazione  (Prof.  Gabriele  Deyla),ipag.  393. — 
LXIV.  Descrizione  di  tutte  le  colonne  ed  obelischi  che  trovansi  nelle 
piazze  di  Roma,  disposta  in  forma  di  guida  da  Angelo  Pellegrini  ecc. , 
(Continuazione),  pag.  401.  —  LXV.  Passatempi  artistici  dell'architetto 
Pietro  Bonelli  (Fine) ,  pag.  407.  —  LXVI.  Bibliografia.  Domenico 
Beisso.  La  Gioventà  Italiana  iniziata  alla  vita  morale  e  civile  ecc.  (Jlf.), 
pag.  419.  —  LXVII.  Francesco  de' Medici.  Tragedia  storica  di  Nicolò 
Marsucco  (Fine),  pag.  420. 

QUADERNO  XII.  —  LXVIII.  Descrizione  di  tutte  le  colonne  ed  obelischi 
che  trovansì  nelle  piazze  di  Roma,  disposta  in  forma  di  guida  da  Angelo 
Pellegrini  ecc.  (Fine),  pag.  445.  —  LXIX.  Filippo  Maria  Gerardi  (Oreste 
Baggi),  pag.  460.  —  LXX.  Alcune  osservazioni  dirette  al  signor  Cesare 
QuARENGHi  dal  cav.  Camillo  Baoioli  sopra  tre  punti,  che  questo  con- 
cernono e  che  leggonsi  nella  Rassegna  Bibliografica  e  nelle  Cinte 
Murali  di  Boma  da  quello  pubblicate,  pag.  468.  —  LXXI.  Verdiani 
H  vero  nome  da  Sangallo  il  giovane  (B.'»'  Enrico  de  GeymUller),  pag.  477. 

Pubblicazioni  rieeviUe  in  dono»  pagg.  139,  184,  224,  264,  339,  479. 


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FINE  DEL  VOLUME  DECIMOQUARTO, 
ULTIMO  DELLA  SECONDA  SERIE 


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i.ìì  Buonarroti  sì  pubblica  ogni  mese  in  fascicoli  di 
circa  quatlro  fogli  in  4!  piccolo. 

2.  L*as8ociazioneè  annna  da  gennaio  a  deceinbrc  ed 
importa  Lire  i2. 

3.  Se  non  è  disdetta  tre  mesi  innanzi  al  suo  termine, 
intendesi  rinnovata  per  un  altro  anno.  . 

4.  Lettere»  pieghi  e  danari  s'inviano  ad  Bnkigo  Nar- 
Ducci,  Roma,  Tipografia  delle  scienze  matemalicbe 
e  fisiche ,  Via  Lata  n!  3. 

5.  I  manoscritti  non  si  restituiscono. 


AVVISO 

Col  presente  volume  si  chiude  la  Seconda  serie 
del  Buonarroti.  Il  ritardo  talora  ineviiahile  della 
pubblicazione  ,  onde  la  data  di  ciasctin  fascicolo 
era  in  contraddizione  con  quella  della  sxia  dribbli'- 
cazione ,  ci  Im  consigliato  ad  incominciar o  ttna 
Terza  serie.  Ciascun  volume  sarà  composto^  come 
prima,  di  i  2  fascicoli  progressivamente  mtmeruti 
senza  riguardo  alle  date  di  pubblicazione. 


^^    Dm 


SZiOTfS 


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