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IL
GABINETTO
DEL
GIOVANE NATURALISTA
OVVERO
Descrizione della natura e de’ costumi
dei principali Quadrupedì, Uccelli,
Pesci, Amfibj, Rettili e Insetti, disposta
in bell’ordine e adorna di 72 incisioni,
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GABINETTO
GIOVANE NATURALISTA
DI
TOMMASO SMITH
CON ELEGANTI FIGURE
La gloria di colui che tutto inove
Per l'universo penetra, e risplende
In questa parte più e meno altrove.
DANTE.
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TOMO PRIMO.
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Presso Omosono Manisi
Tipografo ne’ Tre Re, N. 4085
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1826. Leila Lo
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ne AGLI AMATORI
STORIA NATURALE
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dii varie parti, che compongono la
naturale istoria, quella che tratta degli.
Animali è meritamente considerata come
la più istruttiva e la più dilettevole. Essa
fa la strada allo studio dell’uomo; eser-
cita lo spirito all’ osservazione, onde na-
sce la rettitudine dei giudizj; pasce l' im-
maginazione colla moltiplicità e vivacità
degli oggetti; interessa il cuore collo spet-
tacolo di tante affezioni diverse; conduce
alla morale, per ciò solo che desta in noi
movimenti imparziali riguardo agli atti
giovevoli o nocivi degli esseri in cui sì
manifesta qualche specie d'intelligenza; e
serve alla religione, poichè fa così ben
sentire una saggezza e una provvidenza
infinita.
Quindi i libri, che ad essa -apparten-
gono, sono generalmente accolti con avi-
dità, massime dall’adolescenza; la quale
con tal istinto par che ci riveli, che di
qui e non altronde dovrebbero cominciare
i suoi studi. Invano però si vorrebbe se-
condare una delle più belle disposizioni
della prima età, se mancano i mezzi op-
portuni. Poiche né le opere voluminose e
sistematiche, nè le troppo succinte e leg-
giere servono all'uopo: le prime pel costo
e la difficoltà d'essere intese, le altre per
la poca sostanza che inganna, anzi che
soddisfaccia il desiderio.
Ciò vide il sig. Smith, celebre scien-
ziato inglese, e stimo supplire al bisogno
col suo Gabinetto del Giovane iNatura-
lista, composizione in suo genere perfet-
tissima, che unisce la ricchezza all’econo-
mia, l'eleganza alla chiarezza, l'ordine ra-
gionato alla più grande semplicita. Essa è
in pochi anni divenuta classica e in In-
ghilterra e fuori; ed io non dubito far
cosa di universale aggradimento, produ-
cendola anche nella nostra lingua perchè
giovi a tutte le classi della società.
La somma delicatezza dell’ autore nella
scelta delle cose e delle espressioni, al-
lontanando ogni benchè minimo pericolo
per l'innocenza, accresce il suo pregio
per l'uso che può farsene nell’ educazione
d’ambo i sessi.
L'EDpirore.
INTRODUZIONE
Pooni soggetti nel vasto campo delle umane co:
gnizioni sogliono offerirsi con maggiori attrattive, 0
avere in sè maggior utilità di quelli che apparten-
gono all’ Istoria della Natura. Sono essi egualmente
proprit a soddisfare una lodecole brama di sapere,
a procurarci un perenne diletto, e « porgerci altis-
sima idea del sovrano dispensator delle cose, la cui
suprema volontà creò l universo , e la cui potenz
infinita, congiunta ad ineffabile bontà, conserca la
vita di tutti gli esseri e provvede ai loro bisogni.
Lo studio degli animali, in ispecie, sembra esser
proprio non meno della gioventù che delle altre
età, dacchè ogni sua parte è feconda d istruzione,
e tende a far più puro il cuor dell’uomo, a ri-
schiarare il suo giudizio, ad ispirare il gusto delle
utili ricerche e delle meditazioni profonde.
Malgrado però tanti suoi pregi è forza il con-
venire, che di rado esso fu presentato sotto forme
gradecoli, o tali che l’ intelletto, l immaginazione
e la virtù ne asessero egual piacere e giovamento.
Il gentil sesso, in ispecie, venne spesso distolto
dalla lettura delle migliori opere di Storia Natu-
rale, poichè l’ istruzione non sarebbe stata senza
pericolo della modestia. Ma l’ autore del Gabinetto
del Giovane Naturalista assicura con piena fiducia
non incontrarsi nel suo libro una sola espressione,
di cui la verecondia più delicata abbia ad offen=
derst.
Questo trattato, senza fondarsi sovra di alcun
sistema particolare, è diviso in classi distinte: i
quadrupedi, gli uccelli, i pesci e gli animali am-
fibj, i rettili e gli insetti, le cui principali specie
sono rappresentate per mezzo di belle figure, pro-
prie a facilitare la spiegazione de’ fatti è degli anede
doti più singolari sparsi nel trattato medesimo.
Esso è compendioso, ma completo. Forma, pro-
porzioni, colore, abitudini, costumi, nulla si obblia
nelle descrizioni degli animali più noti, o più degni
di esserlo. Ogni particolarità che meriti di fissar
l’ attenzione vi è riferita; ed ogni particolarità ri-
ferita ha per fondamento le più esatte relazioni.
Al pregio delle cose poi aggiugnesi quello di uno
stile rapido, chiaro, talvolta pittoresco nella sua
semplicità, il quale speriamo che nulla acrà pers
duto nella presente versione.
IL LEONE
IL
GABINETTO.
DEL
GIOVANE NATURALISTA
CAPITOLO PRIMO.
Ecco dal suolo liberar la testa,
Scuoter le giube e tutto uscir d'un salto
Il biondo imperator della foresta:
Ecco la tigre e il leopardo in alto
Spiccarsi fuora della rotta bica
E fuggir nelle selve a salto a salto.
Monti.
IL LEONE.
Usy celebre naturalista, il signor di Buffon, già
osservò come le forme esteriori di questo qua-
drupede corrispondano alle grandi sue interiori
qualità. « Il leone, egli scrive, ha figura impo-
nente, sguardo sicuro, andamento superbo, voce
terribile. La sua corporatura non eccede le giuste
proporzioni, come quelle dell’ elefante o del ri-
12 IL LEONE.
moceronte; non è di sì grave peso, come quella
dell’ippopotamo o del bufalo; non corta e mena-
bruta, come quella dell’ iena o dell'orso, ma tale
invece e sì bene intesa, che sembra essere il mo-
dello della «forza. congiunta all’ agilità ». Essa,
quantunque in ciò varii, suole estendersi otto in
nove piedi dal muso alla radice della coda, la
qual pure ne ha di lunghezza quattro all’ incirca.
La testa del leone è tutta coperta di pelo
lungo e folto, e il suo collo va adorno di bella
‘criniera che scende a coprire il petto; mentre il
resto del corpo è liscio e raso. Il colore di que-
sto è intto fulvo, più carico sul dorso, più biau-
chiccio sul dinanzi e sui fianchi. -
La lionessa è forse di un quarto più picciola
che il lione, e priva di quella criniera che rende
1) altro sì maestoso.
Cerca in primavera i luoghi più inespiti, ed’
ivi depone quattro © cinque lioncini della gros-
sezza di una donnola, che quasi per tutto l’anno
restano alla mammella. Nel qual tempo nondi-
meno essa gli avvezza a succhiare il sangue e
dilaniar le membra degli animali che loro apporta,
Modello di materna affezione, sebben natu- -.
ralmente più debole e meno coraggiosa del ma-:
schio, quando trattasi de’ figli, si mostra al
par di esso formidabile ed anche più. feroce.
Agile ugalmente « appena tocca (per usare le
eleganti frasi del signer Lacépède) coll’ estre=
IT LEONE. 13
mità de” suoî diti la terra. Le sue gambe ela-
stiche e svelte, rassomigliano in certa guisa
quattro: suste, pronte sempre ad allentarsi, onde
spingerla alta dal suolo e laneiarla a gran di-
stanza. Salta essa, balzella., spiccasi non men
che il maschio, e varca spazii di dodici in
quindici piedi. Ed è di esso più vivace d’ as-
sai, più sensitiva, più ardente, di più breve ri-
poso, di sbalzo più improvviso, di mossa più
impetuosa ».
Quando ha de’ piccioletti, gran cura si dà
di nascondere il luogo «del suo ritiro, per tema
d’ esservi sorpresa. Cancella colla coda perfin le
traece de’ propri passi; ed ove alcun ‘sospetto
la punga, trasporta alirove i parti suoi. Che se
mai è d’ uopo difenderli, più non conosce peri-
glio, e si getta furibonda sugli uomini egnal-
mente e sulle belve.
Quando poi gli ha perduti insegue i rapitori
a smisurate distanze, attraversa precipizii, e per
qualche iratto fin dentro al mare.
Il ruggito del leone, allorchè cerca la sua
preda, rassomiglia al rimbombo del tuono. Ripe-
înto assai lungi dall’ eco delle rupi e delle mon-
tagne spaventa gli animali del deserto che cer-
cano scampo in una fuga precipitosa.
Vuolsi che nella sua libertà esso prenda in una
sola volta tanto di cibo, che basti a sostentarlo î
Gue e i tre giorni,
14 IL LEONE.
La sua lingua è armata di punte sì dure,
che bastano sole a straziar le carni delle sue
vittime. Quando ira o fame lo stimola, agita
esso l'ampia criniera, e colla coda si batte i
fianchi: allora la morte è certa per chiunque lo
incontra. Ma quando tai segni terribili in esso
non appariscono, quando si mostra in calma;
possono i viaggiatori passargli a lato, e andarne.
sicuri. |
Il lione non usa alla caccia migliore. stro-
mento che il suo occhio, poichè ha 1’ odorato
assai men fino che quello della più parte degli
altri animali. Ed è a questo difetto, proba-
bilmente, che Mungo-Park andò debitore di sua
salvezza nel periglioso suo viaggio per l’ interno
dell’ A frica.
Riferisce egli, come traversando un deserto
vedesse un leone d’ enorme grossezza , sdrajato
in sull’ arena, posando il sno muso fra le
distese sue zampe, e dormendo sotto. la sferza
avvampante del sole con occhi semi-aperti. Seb-
bene spaventatissimo per tale incontro fu però sì
avveduto di uscir tosto di cammino, e tornando
addietro nascondersi fra gli sterpi. Il che forse
non gli valeva a scampo, ove il terribile ani-
male fosse stato fornito di quella squisitezza di
elfato, che è comune alla più gran parte degli
animali quadrupedi.
E naturalisti già hanno fatto osservare, par-
IL LEONE. 15
lando della forza muscular del leone, che un
solo colpo della sua zampa basta per fran-
gere i reni ad wu cavallo, e una sola per-
cossa della sua coda a rovesciare Ì uomo più
robusto. Kolben notò, che quando il ieone è
giunto ad afferrar la sua preda comincia dall’ at-
terrarla, e di rado avventa contr’ essa il dente
divoratore, prima di averle dato un colpo mor-
tale, cui sempre accompagna d’ orrendo rug-
gito.
Si è veduto al Capo di Buona Speranza un
lione prendersi in bocca un vitello, e portarlo
con quella facilità, che un gatto porterebbesi
un sorcio, saltando una fossa larghissima.
Quest’ aliro fatto servirà ancor più a com-
provare la forza dell’ animale, di cui si fa-
vella; esso fu riferito al dottor Spartman da due
coloni, degni di tutta fede.
Andando eglino un giorno a caccia con pa-
recchi Ottentoti, videro un leone, che stra-
scinava un bufalo dalla campagna al bosco,
il qual sorgeva sulla montagna vicina. Accor-
rendo allora, e minacciando da lungi ’ ob-
bligarono a lasciar la sua preda, che a loro
stessi tornava opportuna. E come se ne furono
impadroniti, ammirarono la sagacia del leone,
che, a trasportarla più facilmente, ne avea le
vati tutti gli intestini. Quello intanto da un
inacchione del bosco, ove s° era appiattato, stava
16 IL LEONE.
guardando. con occhio eruecioso gli Ottentoti ,
che trasferivano ad un carriaggio gli avanzi
della belva uccisa; e se il gran numero non
l’ avesse rattenuto , saria stata ben sanguinosa
la vendetta di tale rapina.
La molta forza però non basterebbe at lio»
ne, per vincere un animale di quella gros-
sezza e di quel vigore ch’ è il bufalo, se non
vi aggiugnesse l’ astuzia e l’agilità. Slanciandosi
improvviso sulla sua vittima, e cacciandole di
tutto impeto le zampe nelle narici e nel mu-
so, già l’ ha soffocata: prima che possa difendersi.
Di ciò si hanno testimonii altri coloni.
Ma testimonianza più irrefragabile sembra es-
ser quella. de’ bufali sfuggiti qualche volta alle
sue unghie, che si trovarono profondamente
impresse nelle parti che già dicemmo. Assi-
curasi però che anche il leone rischia la
sua vita in simili assalti, massime se altro bu-
falo si trovi. in istato di venire in soccorso
dell’ offeso. E da un viaggiatore si narra, come
una bufala, seguita dal suo vitello e appostata
presso ad una riviera, tenne fronte a cinque
leoni, che. l’ aveano, per così dire, circonda-
ta, senza mai osare di aggredirla, almeno per
quel tempo che il viaggiatore gli stette osser»
vando.
Ove il leone non sia spinto dalla fame
tieusi in agguato, aceovacciandosi sul ventre
IL LEONE. 17
come gatto o tigre, e aspettando paziente
mente la sua preda. Se questa si avvicina +
eccolo slanciarsi d’ un salto prodigioso; ma
qualora gli sfugge non si dà ad inseguirla.
Bensì gira intorno al luogo, ove si iereva
nascosto , e par che misuri l esatia distanza
da questo al punto, onde la vittima gli si
sottrasse, quasi per meglio calcolare in avve-
nire i suoi movimenti. Ciò fecero intendere
al già nominato sig. Spartman alcuni Ottentoti.
Egli poi sostiene non essere già si magna-
nimo, come si è preteso , il carattere dell’ a-
nimale, di cui si favella, ma orgoglioso in-
sieme e vigliacco, sebben la fame gli ispiri
intrepidezza e coraggio straordinario. « Dalle
relazioni raccolte intorno al leone, egli dice ,
e da quanto vidi io medesimo cogli occhi
miei, parmi poter conchiudere ch’ esso non di
rado è timido quanto feroce, o almeno che
l’ardir suo non corrisponde alle sne forze.
Pure di quest ardire si danno prove incredi-
bili, ed una io voglio citarne, qual fu rife-
rita a me stesso.
Un dione entrò un giorno in un luogo
cinto di muro, ove pascean bestiami, e vi
fece molta strage. La gente del podere non
dubitò ch’ esso ritornerebbe per donde era
venuto, cioè per un cancello di legno , at-
traverso del quale si era a forza aperto un
Gabinetto Tom. K. 9
10 IL LEONE.
passaggio. Però vi tesero innanzi una corda, a
cui appoggiarono più .archibugi in modo, che
quando l animale T urterebbe col petto , essi
gli si scaricherebbere contro. Ma colui giunto
prima che annottasse, prendendo sospetto, per
ciò che sembra, di tale apparecchio , levò la
corda colla sua zampa, € nulla intimorito dello
scoppio dell’armi da fuoco, andò, come nulla
fosse, a gettarsi entro il recinto su gli avanzi
ivi lasciati della sua preda ». i
Cosa confermatissima dalla testimonianza de-
gli scrittori si è ch’ esso preferisce la carne
degli Ottentoti a quella d’ ogn' altra creatura,
onde fu veduto scegliere fra gran numero di
Olandesi uno di tali selvaggi.
Certo Ottentoto di que di Namaaqua , che
hanno la loro dimora circa ad otianta leghe
dal settentrione del Capo di Buona Sn
volendo condurre | armento del suo padrone
a de marazzi posti fra due catene di rupi,
s accorse di un lione accovigliato fra i giun-
chi e le canne. Quindi preso da spavento sì
diè tosto alla fuga, usando per altro I accor-
gimento «di passar per mezzo alle bestie ch'ei
conduceva, perchè sperava che la prima, in
cui il lione si avvenisse, lo distornerebbe dal-
TY inseguirlo, Ma il feroce animale slanciandosi
in quel branco, e spregiandolo andaya dritio
all’ Ottentota ; che palpitante e qu@lsi senza
an
ÎL LEONE. 19
respiro si diede ad arrampicarsi ad un aloé.
sul cui tronco erano per sorie alcune scaifi-
ture, per servir di gradini , onde giugnere
più facilmente ai nidi posti fra’ suoi rami.
E qui noiterem di passaggio come tai nidi
appartenevano ad una specie di uccelli appel
laii col nome generico di load, i quali vi-
vono socievolmente fra loro, quasi in repubblica,
ricoverandosi a più centinaja sotto un mede-
simo coperto, in uno spazio che non olire-
passa i dieci piedi di diametro.
L' Otientoto si appiattò dietro un gruppo
de loro nidi per sottrarsi alla vista del suo
implacabile nemico, il quale , mentr egli sali-
va, già gli cra alle spalle. Ma non avendo
potuto afferrarlo si aggirò intorno all albero
nel più cupo silenzio, gettando di tempo in
tempo terribili occhiate sul povero Africano.
Questi, dopo esser rimasto lungamente immobi-
le, s arrischiò alfine a guardare attraverso ai
rami, se mai quel crudele si fosse partito; ma
quale non fu il suo stupore inconirandosi ap-
punto co suoi occhi smarriti in quelli del leone
scintillanti di rabbia! L'animale allora si di-
stese a piè dell’ albero, ove stette per venti-
quatt’ ore, senza mutar di luogo un sol pal-
mo. Alfine, costretto dalla sete, mosse verso di
una sorgente, ch era indi alquanto disiante.
Il quale opportuno momento non volle già
20 IL. LEONE:
I Ottentoto lasciarsi sfuggire ; ma sceso pian
piano e tutto sospettoso dall’ albero, con quanta
maggiore celerità gli fu possibile corse alla
volta della sua capanna, che ad un miglio di
là sincontrava, e vi arrivò sano e salvo. Sua
ventura, veramente; poichè il jeone tornato al-
albero, e non più ritrovandolo, si pose sul-
T orme sue, a di due o al più tre centinaja
di passi mancò a raggiungerlo. i
Nelle parti settentrionali del continente Afri-
cano, ove frequente è tal genere di animali,
gran destrezza e grande intrepidezza dimo-
strano gh indigeni, che loro. fan guerra.
Ciaudio Jannequin ci descrive nel suo Viaggio
Ù Sénégal un fierissimo combattimento sulle
ponde del Nigro fra un leone ed un capo
de negri. Ave questi condotto Jannequin e
la sua brigata a certo luogo vicino di una
immensa i. tutta piena. di belve feroci ,
e ajutatolo a salire sovra glu alberi. Indi mon-
tato sul suo cavallo, e e presi tre giavellotti ed
una scimitarra entrò nel più cupo della. fore-
sta medesima, e sconiraio bentosto un leone,
il ferì in una coscia. L' animal furibondo si
avventà contro | assalitore, che con simulata
fuga l'attirò là dove dar voleva agli. ospiti.
suoi nuove spettacolo. Però volgendo improv-.
viso le briglie al destriero , scagliò contro di.
quello un dardo, che andò a colpirlo nel petto.
IL LEONE. 21
indi avendo egli messo piede a terra, il leone
spumante di rabbia e con aperte fauci si spinse
contro di lui, come per divorarlo. Ma il ne-
gro aspettandolo impavido, l accolse colla punta
del terzo giavellotto., che gli piantò nella go-
la, e saltatogli in groppa gli tagliò il capo
colla scimitarra. Nella qual pugna diè prova
di tanta agilità e destrezza, che ne riportò
appena in un fianco lieve graffiatura.
Ogni volta che il leone si ‘è accorto della
superiorità deil’ uomo in suo confronto, sem-
pre si è perduto di coraggio in modo, che
un solo grido di quello è bastato per torgli
ogni forza. Addomesticato poi ha pertin temuto
di cimentarsi con un becco, siccome risulta
dali’ esempio che segue.
. Un leone, ch era del sig. Bruce, governa
tore degli stabilimenti della compagnia del 5é-
négal sulla costa d' Africa, stava col padron
suo, mentre si conduceva in casa un branco
di capre novellamente comprato. Le quali sì
fattamente si spaventarono alla vista del feroce
animale, che tutte sbandaronsi, eccetto un ar-
ditissimo becco, posto loro a capo. Si mise
quesito anzi a guardar francamente il leone,
«e a battere il piede in aria di minaccia; poi
ritraendosi, onde prender le mosse, precipitò
sopra di esso e il colpì nella testa, di sì vio-
lenta cornata, che tutto ne rimase stordito,
2a ÎIL: LEONE:
E poichè l'assalto del becco baldanzoso si vi-
peteva , quello non potendo rinvenire in sé,
né osando replicargli , stimò suo meglio ripa
rarsi dietro il signor suo, come a sicura trincea,
Malgrado la nativa ferocità, spesso il leone
si alleva cogli animali domestici, fra cui vedesi
trescare e sollazzarsi innocentissimamente. E
tale è la generosità dell'’indole sua, che sde-
gna più volte de nemici troppo deboli, e loro
perdona offese, di cui sarebbe in poter suo
il vendicarsi. Il seguente aneddoto ne fornisce
esempio ben rimarchevole.
Non sono molti anni che ad un leone, il
quale stava in serraglio nella torre di Londra,
fu dato un cane, perchè gli servisse di cibo :
ma lungi dall esercitare I furor suo sopra di
un animale sì poco temibile, il maestoso ani-
male gli risparmiò la. vita, e visse con lui
non breve tempo, dandogli segno di non so
quale affetto, che potria chiamarsi protezione.
Talvolta il cane era sì impudente da bronto-
lare contro il suo benefattore, e disputargli
il nodrimento ch era gettato nella chiusa; ma
il re degli animali, in luogo di gastigare la
folle temerità del suo commensale, lasciavalo
giar tranquillamente , prima di cominciar
il suo pasto.
Tal magnanima noncuranza, e quasi coma
patimento degli inferiori in forza, ha fatte
Man
IL LEONE. 23
narrare di quel quadrupede istorie maravigliose
ed ineredibili.
«Un domenicano di Marsiglia, appeliato fra
Giuseppe Colombot, accertommi, dice il padre
Labat, ch’ essendo schiavo del re di Marocco,
e fuor d'ogni speranza d' uscire di quella cat-
tività, sl risolvette con uno de’ suoi compagni
alla fuga, e alla risoluzione diè eseguimento.
Peritissimo nel navigare, come uno de migliori
piloti dei suo paese, si confidò di ritrovar pre-
sto il cammino della Rocca, luogo appartenente
ai Portoghesi, ove ambidue facevano pensiero
di recarsi. Essi non andavano che di notte, e
riposavansi il giorno o sugli alberi ne’ boschi
quando ne ritrovavano, o sepolti nella sabbia
con alquanti sterpi in sul viso, per difenderlo
dagli ardori del sole. Grandi erano i loro pa-
timenti, ma il mancar d'acqua parea loro il
più insoffribile di tutti. Già da due giorni li
tormentava crudelissima sete, quando una notte
alfine si ritrovarono inopinatamente in riva ad
una laguna; di che ebbero indicibile conforto.
Ma ecco, mentre vogliono appressarsi, un ter-
ribil leone, che quasi custode dell’ acque. loro
il divieta. Costernati dapprima, indi stretti a
consiglio fra loro, si avvisano di porsi innanzi
genuflessi al fiero animale, e presi atti e ac-
centi di supplichevoli eccitarue la compas-
sione. Gli parlano della dolorosa schiavità onde
9A IL LEONE.
fuggivano, del bisogno di dissetarsi, per poter
continuare la vita non che il cammino, e giu-
rano d’essergli in eterno riconoscenti, se tanto
beneficio ad essi concede. Il qual discorso parve
molto persuadere il leone, che si ritrasse alcun
poco, onde provedessero liberamente al loro
bisogno, stando intanto a guardarli con occhio
più che prima grazioso , per quanto sembrò
loro di scorgere al fioco lume di luna. Il più
ardito quindi scese allo stagno, e mentre l'altro
seguitava la cominciata preghiera, bevve lar-
gamente e a pieno agio, ed empiè d acqua
alcuni otri che avea con sè. Poi venne al com»
pagno, e presone il posto, intanto che andava
umilmente là ond'egli era tornato, si fece a
ringraziare il leone. Al che non avendo man-
cato neppur l'altro, tosio che si fu dissetato,
l’animale ne parve sì pago, che per non ri-
tardarli più a lungo si ritrasse del tutto; ed
eglino all'indomani giunsero alla Rocca ».
Il qual racconto del fraticello dabbene, e di
chi il ripete sente abbastanza di ridicolo, in
ciò specialmente, che riguarda i. motivi della
mansuetudine del feroce animale. Ma la cosa
può benissimo spiegarsi, argomentando che il
leone ben pasciuto e ben riposato innanzi al
loro arrivo, nè sentisse voglia di nuocer loro,
nè bisogno di rimanere.
Sia qui permesso a chi traduce ricordare
IL ÈEONE. 25
un altro fatto già raccomandato alla storia, e
modernamente divenuto soggetto di belle in-
cisioni, il quale ha molta affinità col descritto
qui sopra. Il recheremo nell’ingenuo stile del
nostro Gio. Villani, poichè nessun altro meglio
gli converrebbe.
Verso gli anni 1273 « fu al comune (di
Firenze) presentato un bellissimo e feroce leone
il quale era rinchiuso alla piazza di san Gio-
vanni. Avvenne, che per mala guardia di colui
che ’1 custodiva, uscio il detto leone della sua
stia (lo stanzino) correndo per la terra; onde
iutta la terra fu commossa a paura. Avvenne,
ch'arrivò in orto san Michele, e quivi prese
uno fanciullo e tenealo ira le branche. Udendo
ciò la madre del detio fanciullo, che non avea
più che lui, e questo l'era timaso in corpo
dopo la morte del padre, ch'era stato morto a
ghiado (di coltello ), sì si mosse come dispe-
rata, con gran pianto, scapigliata, e andò in-
contro al leone, e prese il fanciullo dentro le
branche del leone, e menolsene; di che il
leone nè alla madre né al fanciullo non fece
nulla novità, se non che la raguardò, e stet-
tesi fermo nel luogo suo. Onde di questo si
fece questione, qual fosse il caso, o la gen-
tilezza della natura del leone, o la fortuna ri-
serbasse la vita al detto fanciullo, però che
poi vivendo facesse la vendeita del padre, come
né IR LEONE:
egli fece, e fu poi chiamato Orlanduccio del
leone ) e
Molti aneddoti van per le bocche e per gli
scritti intorno all'attaccamento, ed aila rico-
noscenza di quest animale pell'uomo. L'antica
istoria d Androcle e del leone, quale ci viene
riferita da Dione Cassio, debb' essere troppo
nota ai nosiri leggitori; ma nol sarà forse egual
mente quest'altra più moderna, che riporieremo.
Sotto il regno di Giacomo primo, l orolo-
giere Enrico Archer, il quale abitava a Marocco,
avea due lioncelli, già stati rapiti alla. madre
loro in vicinanza del monte Auante. Erano essi
appajati, eloè maschio e femmina, e stetiero
insieme nel parco dell’imperadore, finchè la
seconda morì. Allora Archer, sicdliù il primo
‘nella sua camera istessa, ve lo tenne, finchè
fu giunto alla grossezza di un gran cane, €
moito si compiaceva della sua domestichezza e
mansueiudine. Ma dovendo ritornare in Inghil-
terra, lo diede ad un mercadante di Mosa
il qual ne fece presente al re di Francia, onde
fu poscia inviato a quello della Gran Bretta-
gna, e pol tenuto sette anni nella torre di
Londra. Ivi capitò un giorno, per caso, con
alcuni amici, a vedervi le fiere, certo uomo,
che fu già al servigio di Archer. IL leone to-
sto lo riconobbe, e mostrò, a molti segni,
grandissima contentezza di rivederlo. Quegli,
tL LEONE 27
pertanto non meno giojoso di tale avventura,
pregò il custode che gli aprisse, la stanzetta
del leone, e vi entrò. Cosa singolare e com-
movente fu il mirare la festa, e le carezze,
che fece l’animale all'ospite suo, al partir del
quale mandò terribili ruggiti, onde esprimere
il suo dolore, e ricusò poi per quattro interi
giorni di prendere nutrimento.
Somigliante narrazione leggiamo ne Pensieri:
del sig. Hope. Un giorno, ei dice, ch io fui
a pranzo colla duchessa Hamilton, all’ uscire
di tavola si andò con tutti i commensali a ve-
der un lione, ch ella facea nutrire in una sua
corte. Or mentre, ammirandone la voracità,
l'andavam eccitando colle nostre canne, perchè
dalla sua preda si volgesse contro di noi, venne
il portinajo a dire, che un sergente, il quale
era a’ cancelli con alquante reclute, chiedeva
di poter contemplare alcun poco quell animale.
La duchessa tutta garbo e afiabilità, doman-
datane licenza alla compagnia; fece che il ser-
gente s innoltrasse; il quale in approssimarsi
alla gabbia, gridò tutto a un tratto: Nerone!
Nerone! povero Nerone! dunque non mi co-
nosci più? Il leone allora voltò la testa per
guardare ; poi si levò e abbandonato il suo
pasto venne alla inferriata, e vi si pose di Lra-
verso, e l'uomo introdotta la mano gli palpò
il dorso carezzevolmente. Ci disse in seguito,
28 î TL LEONÈ:
eome egli fu suo custode nel tragitto di Gi-
bilterra; «che.da tre anni ei non l'avea veduto,
e che gli pareva gran cosa di trovarlo così
memore e riconoscente de buoni servigi, che
già gli aveva resi. Infatti la povera hestia
non sapea finire di mostrar la sua conteniezza;
andava, tornava, fregandosi alle sbarre in faccia
al suo benefattore, e gli leccava di tempo in
tempo la mano, che questi gli tendea con
singolar compiacenza. E avrebbe anche voluto
entrargli nella stia; se non che tutti il di-
stogliemmo di questo pensiero, non iroppo
convinti della sua sicurezza.
I Francesi ebbero già al forte S. Luigi una
lionessa, che tenevano incatenata; ma che ri-
dotta a estrema inagrezza per un’ enfiagione
cli mascella, gli abitanti, credendola quasi morta,
gettarono sciolta in una campagna vicina. Ivi
a caso fu ritrovata dal sig. Compagnon, au-
tore de viaggi in Natolia, che passava tornando
dalla caccia. Mosso a compassione del sno sof-
ferire, dopo averle egli lavata la gola con fresca
acqua, le versò per essa alquanto latte, che la
ristorasse. E la cura pietosa ebbe sì buon ef-
fetto che la lionessa, ricondotta al forie, ricu-
però grado a grado, ma pur prestissimo la sua
sanità. } tanto rimase grata al suo benefattore,
che da nessun altra mano fuorchè dalla sua
volle accettare il nutrimento, sinchè appieno
IL LEONE: 29
fu ristabilita; dopo di che più volte le avvenne
di seguirlo per l'isola, non da altro condotta
che da un guinzaglio, come il cane più familiare.
Il sig. Brown ci narra, come, durante il suo
soggiorno a Darfur in Africa, avea comperati.
due lioncelli di quattro mesi, cui addomesticò
tanto bene, che presero la più parte delle abi-
tudini di quell’animale così amico dell’uomo.
Andavano essi due volte ogni settimana a man-
giarsi le frattaglie nelle macellerie; e dormivano
quindi per più ore. E certo, quando loro: si
dava carne, manifestavano una voracità, che li
faceva crucciosi l uno verso Y altro, non meno
che coniro chi ad' essi avvicinavasi. Ma fuori
di questi casi mai il sig. Brown non li vide
litigare insieme, 0 minacciare la specie umana.
Erano anzi di tal piacevolezza, che un agnello
avrebbe potuto passar loro a fianco impune-
mente. Anche il sultano di Darfur avea un
leone domestico, il quale andava col suo cu-
siode in mercato per trovarvi il cibo.
Fa veramente stupore la pazienza, con cui
sì nobile animale lascia a chi. ne: ha la guardia
scherzare con esso, trargli di gola la lingua,
e infliggergli anche punizioni molto ingiuste.
Vi hanno però alcuni esempii di leoni, che ne
hanno fatto vendetta, sebben siano. rarissimi.
Labat parla di uno, che certo kionore si te-
neva. ta sua camera. Come il demestico desti-
30 IL LEONE.
nato ad averne cura facca spesso succedere le
percosse alle carezze, il leone sopportò per
qualche mese tal condotta capricciosa; ma un
dì il padrone svegliato da strepito siraordinario
che udì presso di sè, alzando le cortine, vide
con ispavento il fiero animale agitar fra le zampe
e rotolare quasi a sollazzo una testa d'uomo
dispiccata dal busto: era quella del misero,
che pagò assai cara la sua indiscretezza. D' indi
in poi non fu più lasciata al leone una libertà
che potea qualche volta divenire altrui fatale.
Riferisconsi però aneddoti d'altri leoni, i
quali si limitarono a castigar quelli ch’ erano
loro molesii, senza che gli cubeidelesi Così un
Ottentotto del Capo di Buona Speranza rice-
vette in volto un'ammaccatura da uno di siffatti
animali, che poi prese la fuga; e un piantatore,
che da vn altro pareva dovesse esser fatto a
brani, n'ebbe appena qualche sgrugnata senza
pericolo della vita. E assai dubbio se questa
disposizione apparente alia pietà sia nel Îione
i d'un qualche sentimento di commise-
‘azione, 0 proceda soltanto da puro capriccio
e da mancanza d' appetito,
Sappiamo dal viaggiatore Tavernier, che gli
abitanti d' alcune contrade del levante harino
una maniera d'addomesticare i leoni, la quale
non è usaia in verun altra parte del globo.
Perocchè ne uniscono essi tre o quattro, le-
IL LEONE. 31
gandoli per.ie zampe di dietro ad altrettanti
pali, separati gli uni dagli altri di ben dodici
piedi. Una corda a ricorsojo è posta al loro
collo e tenuta da uomini, che rimargono da
tergo a que pali che dicemmo; ed una è pur
tesa di faccia agli animai!, ma abbastanza ion-
tana da essi, a cui si appoggiano varj spetta-
tori, che gli irritano, geitando loro pietre e
bastoni. Questi si slanciano innanzi con furore;
ma appena banno fatto un tal movimento che
il canape deli collo potentemenite ritirato li co-
strimge a tornare indietro. Per mezzo di questa
pratica, di cui Tavernier medesimo fu testi-
monio, in poco di tiempo si giunge a renderh
più mansueti.
Negli stati del gran Mogol era altra volta
prerogativa reale l’andar a caccia del leone; e
non vera chi osasse farlo, senza espressa per-
- missione del sovrano.
Un lione ed una lionessa condotti d'Africa
in Inghilterra, sarà una ventina d'anni, furono
posti in una medesima stia a Exeter- -Change.
Aveano essi presso a poco diciotto mesi, e il
loro custode, il qual gli allevò picciolissimi,
ed indi accompagnolli a Londra, tanto se gli
accostumò famigliari, che spesso ei sedeva o
mando nella loro stanzuccia, con tavolino e bot-
tiglia dinanzi a sè; mentre i due animali tre-
scavano e giocavano per ogni verso. Che se il
PA
32 IL. LEONE.
loro strepito diveniva soverchio, egli imponeva
loro silenzio battendo col piede, e mostrando
il suo malcontento. Sceglieva però i suoi mo-
menti per trattenersi con tali ospiti; e bene
si guardava di farlo, quando fossero stati irri-
tati dagli spettatori, ovvero quando prendevano
il loro nutrimento. Non sarà vano d’aggiun-
gere, che quando il custode lasciò il parco,
la lionessa così se ne afflisse che perì di tri-
stezza poco tempo appresso.
I leoni, come già abbiam detto, permettono
qualche volta ai cani di aver parte al lor do-
micilio nello siato di cattività. Io stesso ho ve-
duto nella torre di Londra un cane ed una
lionessa molto ad esso affezionata, la quale ogni
volta che il picciolo animale cercava passare
attraverso l'inferriata del suo stanzino; posava-
gli pianamente una zampa sul dorso, quasi pre-
gandolo a non volerla abbandonare. Era quella
belva, sio ben mi ricordo, stata condotta in
Inghilterra assai tenera, e parve fin dal tempo
del viaggio così bene addomesticata, che i ma-
rinai aveano costume di riposarsi sovra il suo
corpo, come sopra un capezzale. Giunta a Lon-
dra fu condotta alla torre da persona che la
tenea al guinzaglio, e senza di cui pareva non
poter stare. Infatti allor che questa lasciolla,
tanta malinconia ne patì la povera bestia, che
ricusò ogni cibo sino al momento che il custode
IL LEONE. 33
entrò col picciolo cane che idicemmo, e con
cui essa visse tosto in tanta amicizia.
Il cane sembra l'unico animale, con cui i
leoni abbiano voluto famigliarizzarsi. Uno di
questi chiamato Ettore, anch'esso rinchiuso alla
torre, era giaciuto infermo per più d'una set-
timana; e già fatto convalescente si pensò di-
vertirlo con un coniglio messogli nella stia.
Passò un'intera notte, e passò il giorno ap-
presso; nè il timido animaletto fu appena toc-
cato: onde il custode cominciò a sperare che
godrebbe piena sicurezza neil'alloggio perico-
loso. Ma all'indomani maitina si irovò morto,
e trattogli la pelle si conobbero i segni dell'ira
dei leone, che esteriormente non apparivano.
Altra volta avvenne che una gatta s'introdu-
cesse, per caso, presso di lui, nascondendosi
per tema nella paglia, che gli serviva di cc-
vaccio. Ma appena se ne fu esso accorto la
rese vitiima de! suo risentimento, senza cer-
care, per altro, di divorarne il corpo nulla più
che quello del conigiio.
Cominciava questo leone a ruggire poco in-
nanzi il far della notie. Così una bellissima
lionessa, chiamata Miss F anny Howe, e raca
chiusa nel luogo medesimo, ove il primo giu-
gno del 1794 si sgravò, ruggiva anch'essa
regolarmente ogni giorno in su le sei della
sera , sì d'estate, come d'inverno. La quale
Gabinetto Tom. I 3
34 LÀ “TIGRE.
‘abitudine sembra che dovesse l'origin sua allo
strepito de tamburi, che nella stagione inver-
nale battono la .ritivata verso quell’ ora: ma
pareva cosa alquanto singolare che si mante-
nesse per tuito il resto dell’anno, anche quando
la ritirata è alcune ore più tardo.
Sogliono 4 leoni mandare particolarmente i
lor ruggiti all'avvicinarsi de’ tempi piovosi: a
Londra poi le domeniche più che qualsiasi altro
giorno, pvichè lasciai in maggiore abbandone,
sentono più dolorosamente la loro schiavitù.
L AGTÀI GPREE
Può «essa, a buon diritto, annoverarsi fra 1
più belli de “quadrupedì. La sua pelle è in tutto
il corpo d'un rossiccio vivissimo, salvo che sul
petto e sul ventre, ov.è bianca, non Sui
fianchi ov è per traverso graziosamente listata.
Si dà alfa tigre il secondo posto fra gli animali
carnivori; € si osserva, che mentre non bha
alcuna delie generose qualità del leone, le più
nocive però ie ha tutte. « Aila fierezza, al
coraggio, alla forza, per usar delle frasi del
sig. di Bufien, aggiugne il lione la nobikà,
la clemenza, la magnanimità; menire la tigre
è bassamente feroce, crudele senza giustizia,
cioè a dire senza necessità. Non teme essa nè
l'aspetto, uè l'armi dell'uomo; desola il paese
Sw
LÀ TIGRE. DI
ove abita; scanna gli animali domestici; fa
strage de greggi; mette a morie le istesse belve
iau s'avventa ai piccioli elefanti, ai giovani
rinoceronti; ed osa talvolta assalire il ieone. »
Strazia il corpo della sua vittima, per im-
mergervi il grifo, e succhiarne .a lunghi tratti
il sangue, di cui s'è aperta una fonte, che
sempre si esaurisce, prima che la sua sete si
estingua.
Per assicurarsi della sua preda si nasconde
essa allo sguardo di tutti; e dal suo nascon-
diglio le si slancia sopra con saito improvviso,
mandando spavenievoli ruggiti. Preierdesi, che
a guisa del ieone, quando fallisce il suo colpo
se ne vada senza tentare di rinnovario. Sembra
preferire la carne dell'uomo a quella d'ogni
altro animale; se non che di rado si espone
ad assalire di viva forza un'essere qualunque,
ove non sia sicura di irionfarne.
Non sono moltissimi anni che una com-
pagnia di persone seduta al rezzo in riva ad
un fiume dei Bengala fu spaventata dalla su-
biia apparizione di una tigre, che stava per
iscagliarsi sovr’ essa. Una signora; però, avendo
avuto il coraggio (non ben presaga di ciò che
otterrebbe ) di. spiegare il suo parasole i il muso
alla belva crudele, quesia iniimorita per la stra»
nezza deli’ oggetto, prese la fuga, e lasciò tempo,
iia brigata di mettersi in salvo.
SC LÀ TIGRE:
Un trombetta, il qual dormiva la notte presso
la tenda del suo generale in una guerra della
Russia contro la Persia, essendo stato sorpreso
da una tigre, non doverte la. sua salvezza,
che al suono dello strumento, onde riceveva
il suo appellativo. Questo suono inudito fè dis-
parire immantinenti la perfida assalitrice.
Non sempre però gli aggrediti da essa fu-
rono così avventuraii. Ed ancor dura memoria,
fra gli altri casi deplorabili, d*uno compassio-
nevolissimo avvenuto in Persia, la cui.relazione
fu. distesa. da testimonio oculare.
Alcuni. marina} discesero un giorno. suila
costa dell'isola. di Sangar, onde cacciarvi dai,
di cui aveano vedute numerose peste, egual
mente che di tigri.. Avendo continuato fin
quasi a tre ore di sera, alfin seduti in fianco
ad una giuncaja, onde prendervi qualche ris-
stero, intesero de ruggiti. simili allo. strepito
del fulmine; e quasi nel tempo istesso un tigre.
di enorme. grossezza si precipitò sul giovane.
sig. Monro e il rapì, strascinandolo atiraverso .
folti rova). Tutio cedeva alla forza del mosiruoso
animale, di cui una femina della sua. specie.
accompagnava i passi,
Garinei dolore, spavento :s' impadronì degli
amici di quella vittima sventurata. Uno di essi
scaricò il suo archibugio contro il tigre, che.
Ss
ad alcuri segni fidi agitazione parve- colpite
LA MIGRE. ty]
‘Intanto un altro anch egli fece fuoco sopra di
‘esso; e alcuni momenti dopo il giovane infe-
lice venne a raggiungere la compagnia, tutto
intriso del suo sangue. Quanti soccorsi poteva
apprestare l’arte gli furono prodigati ‘invano;
egli spivò in ventiquattro ore ; tanto ‘profonde
e. "inveparabili ad ogni cura furono le ferite che
ei ricevette dai denti ‘e dall''ugne del ‘ferocis-
‘simo animale: ed è a notarsi che un grande
fuoco formato dall’ arsione di dieci o dodici
‘interi alberi, era acceso presso il luogo ove se-
gui l’orribil caso; e che i cacciatori eonduceane
seco ben dodici nativi del paese. Ciò non fu
ad cessi di veruna difesa; e appena aveano
sciolto dalla viva il lor picciolo legno, che vi
sovraggiunse la tigre spumanie di rabbia e vi
rimase quanto tempo potè coll’occhio seguirli
Eccessiva è la forza musculare «di questo
quadrupede, di che «il seguente aneddoto può
darci prove.
Un paesano dell’Indie Orientali avea nn bu-
falo, che strada facendo gli cadde in una lama.
E mentre correva con alcuni de suoi, che ron
erano bastanti per cavarnelo, a cercare soc-
corso nel villaggio; un tigre sopravvenuto ,
fece solo ciò che da parecchi non si potè. E
già si portava il bufalo -in groppa verso della
sua tana, quando una maggior compagnia di com
tadini, .che s'inoltrarono, l’obblisò a deporle.
38 LÀ TIGRE:
fuggendo al basso. Ma prima lo aveva ucciso;
e iizion tutto il sangue. el
AI qual proposito faremo riflettere che alcuni
bufali dell'Indie sono di grossezza due volte :
i nostri; onde si vegga qual forza necessiti per.
caricarsi e andare spedita o con peso sì
enorme. |
Ostinata battaglia sostiene talvolta la tigre
coll’ elefante; e il sig. d’ Obsonville ebbe a
esserne testimonio nel campo d'Hyder Ai. Un
ùgre, non per anco d’ intero vigore, poiché
neppur giunto ai quaitro piedi d’ aliezza, fu
condotto nell'arena, e attaccato ad un piuolo
intorno a cui la sua catena potea girarsi age-
volmente. Indi venne un grossissimo e bene
addestrato elefante introdottovi anch'esso dal
suo cornak, ossia custode, Triplice ordine di
lancieri cigneva l'anfiteatro. La pugna a prin-
cipio fu acutissima; ma l'elefante, dopo aver
ricevute assai gravi ferite ; alfin riportò la.
vilioria.
È facile argomentare la forza della tigre nello
stato di libertà, quando impedita da i e
non per anco giunta all’ intero sviluppo, che
è proprio della sua specie, la Veggiamo tener
fronte a sì gran colosso, qual è l' elefanie.
Il sig. d'Obsonville osserva che quand’ anche
quattro o cinque di questi nulla abbiano a
temere d un pari numero di tigri; un solo
TA' TIGRE. dg
però potrebbe soccombere a quella, che fosse
nel possesso di. sua libertà e nel vigore di sua
gagliardia.
Dicesi che alcuna volta entri la tigre in san-
guinosa guerra anche col cocodrillo, terminando
col peri» insieme. Allorquando- l'una scende nel-
luliime rive di un fiume o di un lago, per
dissetarsi, l’altro alza la testa a fior d'acqua,
onde prenderla, come fa altri animali. Ma la
tigre pianta i suoi artigli negl'occhi del coc-
codrillo, sola parte vulnerabile di quest'animale;
ed esso iuffandosi nell’acque, suo naturale cle-
mento ve la strascina seco, ed. ivi agitandosi
e scendendo al fondo ambidue vi affogano.
Presa assai giovane la tigre diviene sino a
certo segno mansueta e obbediente a chi l'ha
in custodia.
Un tigre Dellissimo vedeasi non. molti anni
fa nella onu di Londra, il quale era stato
condotto dal Bengala nel 1793 sopra un va-
scello della compagnia dell Indie; perchè se ne
facesse presente alla maestà del re Britanno.
In tutto il tempo del tragitto per | Inghilterra
l animale si mostrò dell’ indole più dolce, e
parve così innocuo, e così scherzevole come
un picciolo gatto. Sofferiva talvolta che due o
tre marina} riposassero il loro capo sopra il suo
corpo, come sopra un origliere. Sì aggrappava
spessissimo agli alberi del vascello in modo che
-40 LA TIGRE.
sommamente «divertiva; e un giorno che fu
percosso dal carpentiere, perchè rapì un brano
ili bue, sopportò questo castigo colla pazienza
di un vecchio cane da caccia. Ed è osservabile
come quesi’ animale in quindici e più anni di
caitività, mai non cangiò di umore, mai non
cessò di dar prova di domestichezza, mai non
fece male ad alcuno, e sempre si mostrò affe-
zionatissimo al suo custode, a cui visse piena»
mente soggetto. Esso potea dirsi un eccezione
evidenie a quella sentenza del sig. di Buffon
che: « la tigre è forse l’unico animale , di cui
sia impossibile piegar la natura; egualmente
indomabile. alla forza, al timore, alla violenza;
irritato così dai buoni che dai cattivi tratta-
menti; insensitivo nella ferrea sua indole alla
dolce abitudine, che tutto può nei viventi;
feroce a segno nei suoi costumi, che il tempo
lingi dail’ammollirli o temperarli, non fa che
iuacerbirli, e accrescerne la rabbia; tanto furi-
bondo insomma, che sirazia egualmente la mano
che lo nutre, e quella che lo percuote. »
Nell'anno 1801 il custode del tigre, di cui
dicevamo, pose un giorno nelia sua stia, dopo
avergli dato il solito nutrimento, un bassotto
nero e assai brutto. E il fiero animale non
soio non gli fece male veruno; ma tanto af-
fetto gli pose in seguito, che mostrava gran
rincrescimento, ogni volia che gli si togiieva
LÀ TIGRE. ki
per dargli a mangiare, e gran gioja quande
gli si rendeva: allora esso il leccava in tuite
le. parti del corpo con molta soavità. Due :0
tre volte fu lasciato al tigre questo compagne
neltempo del suo pasto; nè il tigre punto si
offese di vederlo arditamenie mangiare in sua
compagnia. Dopo alcuni mesi alfin gli fu tolto,
per sostituirvi una cagnuccia; la quale prima
si tenne chiusa due o tre giorni ne°fastelli di
paglia, destinati al letto del tigre medesimo,
onde farle perdere Podore, che potesse offen-
derlo. Il cangiamento fu fatto, poiche il feroce
animale ebbe preso il solito cibo; e questo ne
parve,sì contento, che si pose a leccar la nuova
ospite ben altrimenti che soleva il picciolo cane.
Essa dapprima parve costernaia non che spa-
‘ventata di sì formidabile accarezzatore; ma non
prima venne sera che ottimamente vi si avvezzò.
E fu veduta spesso giuocare con.esso, abba-
jargli dietro, e fin anche morderlo nelle zampe
e nel muso; senza che quelio menomamente
se ne risentisse. Nel qual tempo delle sue vi-
site .e «dimore giornaliere col tigre, avvenne
che la cagnuola partorì, onde fu astretta a sos-
penderle. Questa assenza fu ad esso di gran-
dissima .noja; e mal volentieri comportava poi
dopo ogui ritardo, a cui l'allattamento de' ca-
gnuolini cosiringesse la madre. Assicurava il
custode di quel tigre, nomato Greenfield, che
#2 LÀ ‘PIGRES
qualunque spezie di. cane potea. mettersi nella
sua gabbia, poi che. aveva mangiato.
Il carpentiere del vascello, che lo portò in
Inghilterra, venne un giorno a vederlo .alla torre
dopo una lontananza di più di due anni, e fu
assai ben riconosciuto. Andava il tigre e ior-
nava, fregaadosi all’inferriata. del suo carcere
e parea soddisfittissimo. Sicchè quegli, mal: grado
le dissuasioni anzi le preghiere del cla
perchè non si esponesse a. qualche pericolo,
volie entrare presso il rinchiuso animale, e
alfine dopo molto contrasto, gii fu conceduto.
Quanto ii tigre aggradisse la. visita non è a
dirsi, poichè si fece a leccar le mani del car-
pentiere, e a carezzario alla maniera. propria dei
gatti, senza dargli alcuna ragione di temere.
Questo. poi. che fu rimasto seco per due o tre
ore; alfin s'avvide che non senza difficoltà u-
scirebbe solo» dalla stanzuccia; standogli il tigre
per antico afletio,. sempre. vicino. Se non che
giunto a farlo entrare nei passaggio,.che serve
di comunicazione a due. stie, e colto destra-
mente dal custodc il momento di alzar la sa-
racinesca, potè separarsene. Hi
Si fece ultimamente ad Edimburgo l'espe-.
rienza, di collocare nella gabbia di una tigre
una cagna. Vicina a sgravarsi. Era troppo na-
turale il credere che questa debole bestia sa-
rebbe all'istante divorata da quella tanto feroce.
. DÉ TIGRE 43
Purla cosa andò altrimenti di quanto si divisava.
Perocchè la tigre dapprima niun caso mostrò
fave della nuova compagna; indi le permise di
mangiar seco e: posar sul suo dorso; nè alcun
male cagionò ai partoriti cagnuoletti, i quali
rimasero in un degli angoli della stanzuccia.
Auzi posando qualche volta. il piede sopra di
loro. il faceva con tal leggerezza, da mostrare
chiaramente il suo timore di offenderli. Circo-,
stanza ben: singolare, la quale ebbe gran nu-
mero. di spettatori, e mi venne altestata da
chi più particolarmente volle accostarsene.
Alcun tempo appresso tre di que’ piecioli
animali essendosi, per loro sventura, allonta-
nati dal primo albergo, furono preda. di. altra
tigre; e 1 due, che rimanevano, passarono pro-
babiilmente in mano di curiosi, che molto li
bramarono. Quanto alia madre loro. assicurasi
che ancor viva, e sempre nell'antica intrinsi-
chezza. colla sua terribile compagna.
La torre di Londra chiude ora un bellissimo
animale assai giovane, appellato il tigre a coda
ricciuta, che tanto vale il nome di Tipoo. Nel
suo tragitto. per I Inghilterra fu esso veduto a
correre sulla tolda del vascello, e dar prova
di piena domestichezza. Quando l'ammiraglio
Reunier ne fece presente al monarca, il do-
mestico del lord, che lo condusse alla torre;
non chbe ribrezzo a pigliarlo fra le sue brac-
44 LÀ TIGRE. |
eia onde porlo nella stanzuccia destinatagli, e
non potè ‘risolversi a lasciarlo senza i più vivi
segni di ‘affetto e di rincrescimento.
Quel tigre, ad istanza dell'ammiraglio, è pa-
sciuto di carne bollita; ma d’'ordinario i qua-
drupedi della sua specie si mutrono di cruda
consumandone almeno sei libbre per giorno,
© la loro bevanda è di tre pinte d'acqua.
Niun più dilettevole passatempo conoscono
‘i piancipi orientali, che l’andarne ‘a caccia,
seguiti da gran numero d' uomini ben ag-
guerriti e armati di lancie. Tosto che hanno
fatto avere un tigre l'assalgono d'ogni parte
con aste, con giavellotti, con freccie, con
sciabole, onde gli portano in un istante il colpo
mortale. Sempre, però, corrono qualche periglio,
poichè l'animale, che sentesi ferito, di rado
sì ‘ritira senza sacrificare alla sua vendetta al
«cuno degli aggressori. Avvi .chi ricoperto di
una colta d'armi, o soltanto munito di «uno
scudo, di: due pugnali e d'una corta scimi-
tarra si arrischia a combattere corpo a corpo
animal sanguinoso. T'emerità, di cui non può
darsi la più eccessiva, poichè trattasi assolu-
tamente o di vincere o di perire.
La tigre depone, ad ogni parto, quattro 0
cinque piccioletti. Essa è furiosa in ogni tempo,
ma se questi gli vengon rapiti, la sua rabbia
non ha più limiti; ogni periglio è nulla per
, IL TIGRE. 45
essa; 1 rapitori si veggono senza posa inseguiti.
Se eglino talvolta. ne depongono alcuno: per
tema, onde allentare il suo corso; la madre
il raccoglie colla sua bocca, e. il. porta. nel
luogo sicuro il più vicino; indi torna su’ passi
suoi; rinnova le sue ricerche fino alle- porte.
della città e de’ villaggi o sulle coste del mare;
e quando ha perduta. ogni speranza di ricu-
perar la sua prole, esprime la sua costernazione.
cogl urli più spaventosi. Questi urit cominciari
dapprima lenti lenti, indi a. un iraiîto. diven-
gono aculi; poi si cangiano in gridi pene-
tranii, interrotti da ar che strazian l'anima.
Non sono essi così propri della femina, che..
nol siano egualmente de’ maschii; e si fanno
intendere principalmente nella notte, quando
il silenzio. e l'oscurità ne accrescono Y orrore,
eli ripetono gli echi delle rupi e delle montagne.
I medici indiani atiribuiscono viriùà sali
fere a diverse. partt del corpo delle. tigri: e la
loro pelle è assai pregiata ne’ paesi orientali.
ove s'impiega spessissimo ad utilità, non .mceae
che ad ornamento,
IL LEGPARDO..
- Ha quest'animale. una lunghezza, circa, di
pi» piedi, non contando la coda, che or-
È imente. lo. è di due: e il. suo pelo è
en
ut
ic
ta
fo
A
Do
46 IL ‘LEOPARDO.
bellissimo, fulvo, a macchie nere di forma
anulare. Trovasi principalmente al Sénégal;
resso la costa di Guinea, e nelle parti inte-
riori dell Africa. .Si compiace nei boschi più
densi, nelle foreste più impenetrabili, e fre-
quenta le sive de fiumi, per sorprendervi gli
animali che ivi si dissetano. Abita pure alcune
contrade della Cina e le montagne del Cau-
caso dalla Persia all Indo.
L’esterior suo annuncia una grande ferocia;
i suoi occhi sono sempre inquieti, il suo guar-
dar terribile, i suoi moti violenti. Assale indi-
stintamenie tutti gli esseri che incontra, non
avendo più rispetto all'uomo che agli animali.
E quando non irova nelle selve di che sbra-
mar la sua fame, esce in compagnia di molti
della sua specie da’ suoi nascondigli, e porta
la strage fra i numerosi armenti che pascoiano
nella pianura. i
Kolbe ci narra come, nell’anno 1708, due
leopardi maschio e femina con tre piccioletti
enirarono un giorno in un pecorile al Capo
di Buona Speranza, e fatia strage di ben cento
montoni s inebbriarono del loro sangue. Indi,
spaccato il cadavere di uno in tre parti, le di-
visero alla lor prole, e poscia caricatosi cia-
scuno di una pecora se ne partirono. La gente
del paese avendeli osservati, loro tesero insidie
al ritorno, e uccisero la madre co piccioli ;
AL LEOPARDO. Vici
mentre il maschio riuscì a fuggirsi. Giusta il
‘medesimo ‘scrittore la loro carne è bianca e
succulenta, ed ha più sapore che il miglior
de vitelli.
I Negri pigliano sovente siffatti ‘animali in
fosse lievemente coperie di cannicci e di fo-
gliame, e fan pasto della lor carne. Le donve
poi forman collane de'Ioro denti, a cui attri-
buiscoro viriù particolari. ‘Delle loro pel ili è
fatta in Europa, dove sono inviate, così gran
stima, che le più belle si vendono fino a dieci
sterlini ciascuna.
Sir Ashton ‘Lever guardò a. 'Leicester<House
un leopardo in una gabbia, ove divenne fa-
miliarissimo, e sommamente sensitivo alle ca-
rezze e a buoni trattamenti. Mussitava ‘come
un gatto, e fregavasi contro i ferri che lo
chiudevano. Fu in seguito donato al parco
reale di Londra; e una persona, che molta
domestichezza ebbe seco, esserido ‘andata dopo
un anno a visitarlo, fu da esso, malgrado
quest intervallo di tempo ‘assai ben riconosciuta
e festeggiata.
Trovansi ora (1806) alla torre di Londra
due bellissimi leopar di maschio e femina, l'uno
dorato alla maestà del re dal 819. Devaynes e
Taliro da sir Carlo Mallet. Ma di più singolare
è ua Cona nera, che il parco ebbe in re-
galo dal sig. Hutelinson, scudiere. Il mirabile
48 IL LEOPARDO.
di quest animale si è, che malgrado la. nerezza’
del pelo, le sue macchie sono di tinta sì carica,
che riescono -visibilissime.
Avvi in questa specie di belve una varietà,
cui si dà il nome di leopardo cacciatore, e la
sua grossezza è quella, presso a poco, di un
levriero, La pelle sua di color bruno o lieve-
mente seuro, è segnata come quella degli al-
tri, di macchie nere e rotonde.
Questo animale, che principalmente abita
l Indo, s' addomestica. facilmente e s' impiega
allora alla caccia deile gazzelle o antilope. Al
qual wopo si trasporta in una specie di pic-
ciola carriuola incatenato e incapperrucciato ,
per tema che vedendone il branco non si mo-
siri di troppo sollecito, e non faccia cattiva
scelta. Quando alfine è lasciato libero, non
salta già immediatamente sulla sua preda, ma
prende la cosa alla lunga, fa de giri, si ar-
vesta ad ‘intervalli, e tiensi avvedutamente in
agguato, fino a che si presenti sicura occasione.
Lic allg@ra sul gregge con meravigliosa ce-
lerità, e in cinque o sei balzi vi è sopra. Che.
se nel primo assalto non riesce, fermasi ane-
lando, per riprender fiato, e per allora, desi-
stendo da nuovo tentativo, ritorna presso il
padrone.
49°
LA:PBANTPE RA.
La paniera è più forte del lIeopardo,. come
quella che ha comunemente cinque o sei più
di lunghezza; mentre, siccome già si. OSServÒ,
di rado il leopardo ne ha più di quattro. Il
color: generale della fiera, che descriviamo, è
rossiccio, alquanto più carico sul dorso, e pal
lido anzi vicino al bianco sul petto e sul ventre:
Dorso e fianchi poi sono generalmente segnati
di macchie nere in forma d'anelli e sparse a.
gruppi, i in mezzo alle quali è una-nera. pun-
teggiatura. Le orecchie dell’animale son. corte
e acute; gli occhi arditi e inquieti; tutto l'e-
steriore sincolarmente feroce. Credesi il domarlo
affatto impossibile; ed è della cattività così in=
soflerente,. ehe. manda ruggiti quasi continui.
Trovasi principalmente nell’ Africa, dalla Bar--
beria insino alla parte più rimota della Guinea.
Una pantera, che oggi vive alla torre ci:
Londra, fu. dono del dey d’Algeri al re della
Gran Brettagna..
Fortunatamente per l'umanità, la fiera, di
cui si parla, preferisce la carne. de bruti a
quella dell'uomo. Ma quando. è stimolata dalla
fame assale senza distinzione ogni creatura vi»
vente. Assicurasi della sua preda, o strisciando
sul proprio. ventre, fin che si trovi a quel
punto, onde le giovi slanciarsi sovra di essa;
Gabinetto Tom. L 4
5o LA PANTERA.
o. aggrappandosi agli alberi per sorprendervi
le scimmie ed altri animali; di modo che nes-
sano è al coperto dalle sue insidie e da’ suoi
assalti.
Gli antichi mostrano averne avuta intera
conoscenza; e gran numero di pantere sempre
compare negli spettacoli pubblici de’ romani.
Esse abbondavano allora nelle parti settentrio-
nali dell'Africa, come oggi pure abbondano in
quelle che più si avvicinano al tropico.
IL LINCE.
. Le strette e lunghe orecchie del lince, 6
lupo cerviere, adorne all’ estremità d’ un fiocco
nero e prolisso, lo distinguono da tutti gli
animali della specie felina. Estendesi il di lui
corpo oltre i quattro piedi, e la sua coda. circa
sei pollici. Il suo pelo è lungo e. setoloso, di
color vario secondo l'età, e sparso di.macchie
che tendono al bruno. Ha basse le gambe, e
gli occhi di un giallo pallido. La pelle sua è
tanto più pregiata, che nessuna è più ticpida
e di maggiore morbidezza. Essa ci viene in
gran copia dalle parti settentrionali così del-
l'Europa che dell'America. Ma quanto più è
settentrionale tanto è più Della: é giova qui
il notare che quella del lince preso in inverno
TI LINCE, 5%
suol essere più ricca, più lucida, più morbida,
che non del lince spogliatone in estate.
Quest animale, allorchè insegue la sua preda,
s arrampica sugli alberi i più elevati; né le
donnole, nè gli ermellini, nè gli scojattoli
possono sfuggirgli.
Ponsi in agguato, onde sorprendere il daino,
il lepre ed altre bestie; e quando il momento
è opportuno slanciasi dal ramo d'albero o dal
macchione ove teneasi ascoso e le preude alla
gola. Ma dopo averne succhiato il sangue, e
mangiate le cervella, spaccandone la testa, le
abbandona per andare in traccia di vittime
novelle. Quindi può esso ben dirsi uno de’ più
distruttori, sempre anelante la strage, e agli
armenti, in ispecie, sommamente fatale. .
Quando il lince è assalito da forte cane, si
distende supino, e difendesi colle grife dispe-
ralamente; nè sempre indarno : poichè gli av=
viene di nuocer tanto al suo avversario, che
alfin lo respinge.
Abita esso le parti più boreali dell’antico e
del nuovo mondo. Di rado, almeno, s incontra
ne climi caldi o temperaii. I linci “più belli e
più robusti par che si aggirino intorno al lago
di Balkash in Tartaria; ove la più picciola delle
lor pelli si vende ordinariamente una ghinca.
Favole d'ogni specie furono spacciate' dagli
entichi intorno al quadrupede di cui si favella
arie eo
59 IL LINCE
La sua vista, per esempio, penetrava, secondo
essi, attraverso il muro, onde venne l anto
nomasia. di occhio linceo; la sua urina diveniva
solida, e si cangiava. in una pietra deita lin-
cuaria. Oggi fortunatamente basta citare simili
assurdità, perchè il riso, che destano, dispensi
da una seria confutazione.
L OCELOTO:
Rassomiglia al gatto per la figura, ma gli.
prevale. per la forza. Alto. qualche volta due
iedi e mezzo, oltrepassa. anche 1 quattro in
lunghezza. Bellissima è la sua pelle, nel maschio
in ispecie, che Y ha: elegantemente variata. IL
suo colore è tutto fulvo, eccetto che la fronte,
le gambe, la coda son maculate di nero; e di
nero, parimenti, son marmorizzali 1 fianchi, e
gli omeri a figure ovali, il cui centro è come
amo spruzzo di nere gocciole. Questo s' intenda
del maschio; perocchè ia fentina ha colori non
vivi, ed è variata di figure meno simmetriche.
e men vagamente disposte.
L'oceloto. vive particolarmente. sulle monta-
gue; casal naseende tra il fogliame degli alberi,
onde si slancia sugli animali che se gli avvi-
cinano. Talvolia rimane disteso. attraverso. ai.
rami, facendo il morto, fino a. che qualche.
scimmia, spiuta da naturale curiosità, gli venga.
al
Tia
AIA
al
1° 6cELOTO. 53
vicina, e provi i funesti effetti di tale im-
prudenza.
Assicurasi che l’astuto animale preferisce il
sangue alla carne della sua vittima. Esso è in=
digeno deli’ America meridionale.
«Due oceloti un maschio ed una femina,dice-
il sig. di Buffon, furono portati vivi a Parigi
dal sig. Lescot, ‘e venivano dalle terre vicine
a Cartagena, essendo stati ancor teneri tolti
alla madre loro nell'ottobre del 1763. Di tre
mesi appena, già si mostrarono abbastanza fori
e crudeli per divorare una cagna che loro fu
data per ‘nutrice. Compiuto un annò, quando
sì ‘videro, fra noi, aveano due piedi, circa, di
lunghezza; e certo rimaneva a far loro non
picciola cresciuta, poichè non erano forse giunti
che a due terzi di essa. »
Uno di tali ‘quadrupedi, «che mostravasi ®
Newcastle, dava, sebben vecchissimo, segni ma-
nifesti d'indomabile ferocia. Lungi dal soflerire
alcuna famigliarità del suo custode, brontolava
Ai continuo, e sempre parca oltremodo agitato.
L'LEN Asd
L'iena è presso a poco della grossezza di
un cane di bella statura, ha il pelo brumo-
grigio, segnato a differenti liste, che incli-
nano al nero; la testa larga e schiacciata, e
D4 L'IENA.
l espression degli occhi sommamente feroce. E
non lo sguardo solo, ma tutto l'aspetto suo
è di non so qual sinistro presagio; e i co-
stumi troppo si accordano con tale apparenza.
I
HI suo collo è sì teso, ch'essa, per guardare
all'indietro, è costretia volgersi con tutto il
corpo, alla guisa de’ porci Intorno al collo,
poi, stanno ispidi peli, che rabbuffandosi for-
mano un oblunga criniera, la qual le scende
in sul dorso.
Abitano le iene, generalmente, nelle caverne
e in luoghi dirupati, ond escono a branchi nel
cuor della notte, per pascersi di carogne, 0
di animali, come lor si presentano. Chi può
dire le stragi che commettono fra gli armenti,
di cui giungono talvolta a forzare le stalle ?
Violan persino l'asilo de morti, per. divorare
i putrefatti cadaveri; ed è per esse delizia
quell'indicibile orrore. Ma quando, scrive Poi-
ret, non è lor dato di soddisfare il loro ap-
petito carnivoro, per necessità diventan fru-
givore, nutrendosi principalmente delle radici
de rampolli dì quelle picciole palme, che chia-
mansi a ventaglio.
Vuolsi che il lor coraggio ne agguagli la
ferocia; difendendosi esse talvolta ostinatamente
contro animali assai più forti; e Kempfer at-
testa di averne veduto a battaglia coll’oncia e
colla pantera. -
L'IENA. 5
Questi quadrupedi, dice il sig. Bruce,
sono un vero flagello per Î Abissinia Se ne
veggono ovunque, così nelle città come nella
campagna; e sono sicuro, che avanzan di nu-
mero i monioni. Da mane a sera Gondar è
pieno d'iene, che vengono a divorare i cada-
veri, cui gli abitanti di quella città, egualzicnte
erudeli che sozzi, lasciano senza sepoltura. Sera
bran eglino persuasi che questi animali sieno
1 falasha o cattivi genii trasformati per un ma-
gico potere, i quali discendano dalie montagne
vicine, onde nutrirsi. Spesso la notte, quisido
il re mavea ritenuto assai tardo nel suo pa-
lagio, nè io per officio dovea dormirvi; tra-
versando , al ritorno, una piazza, la qual non
era lontana che di tre in quattrocento verghe.
temea di provare alle gambe i morsi di quelle
belve feroci. Esse infatti accorrevano in gran
numero, e mandavano voci di rabbia intorno
a me, sebben fossi accompagnato da uomini
agguerriti, che sempre alcuna ne ferivano o
ne uccidevano.
Una notte, essendo io nella provincia di
Maifsha tutt'inteso ad alcune osservazioni astro-
nomiche, sentii a un tratto passar qualche cosa
dietro di me, vicino al mio letto; onde mi
volsi, ma nulla potei vedere. Terminato ciò
ch io-stava facendo uscii dalla-1nia tenda, con
intenzione per altro di rientrawi al più presto.
160 L' IENA.
Di fatti non indugiai che qualche istatitez e
al riporvi dentro il piede mi scontrai in due
grossi occhi azzurri, che mi guardavano fiso.
Gridai tosto al domestico, perché recasse lume,
e come fu giunte scorgemmo al mio -capezzale
un'iena, la «qual tenea nella sua bocca due o
tre mazzi di candele. Il primo pensiero fu di
far fuoco sopra di ‘essa; ma tosto riflettei al
pericolo «li spezzar il mio quadrante, od alcun
altro istromento. Come però la belva avea la
bocca piena e le zampe impedite, non sentii
di essa verun iimore, e «con una lanciata la
ferit più presso al cuore ‘che mi fu possibile.
Essa, che ancor non avea «dato segni di fu-
rore, sentendosi ferita, lasciò .-cader le candele,
e tentò salire per l'asia della lancia onde giu-
gnere sino «a ‘me. Quindi mi vidi costretto di
trarre una delle mie pistole dalla mia cintura
e spararglicla in ‘muso; se non che nel tempo
medesimo il mio servitore le spaccò la tésta
con un colpo d’accetta. Le iene formavano il
tormento della mia vita e di quella dei miei
compagni di viaggio, sgomentandoci nelle no-
stre passeggiate notturne, e divorando di con-
tinuo aleuno de’ nostri muli, o de nostri asini,
che pareano preferire ad ogni altro nudrimento.
A Darfur, il qual regno è situato nell’ in-
terno dell’Africa, vanno questi quadrupedi a
torme di sei, «li cito, e qualche volta anche
L'IENA. bo
maggior numero a rapir nella noite entro i vik
laggi quanto può lor venire tra le grife. Uc-
cidono i -cani ed anche i somari, penetrando
le abitazioni; ed ove si getti al ‘mondezzajo
qualche bestia morta, radunansi, e la strasci-
nano insieme .a distanza considerabile. Non av-
vicinarsi d uomini; non rumer d'armi da fuoco;
non minaccia alcuna può intimorirle.
E facile oggi il veder iene, poichè ogni
serraglio di fiere ne ha qualcuna. In Inghil-
terra i loro custodi si accordano a dire, che
fatte vecchie sono indocilissime e oltre modo
maligne; ma che si ha qualche esempio che
giovani furono addomesticate. Il sig. Pennaut
dichiara di averne veduta una, che lo era al
pari di un cane. H sig. di Buffon parla di
un’altra, che mosiravasi a Parigi alla fiera di
S. Germano, e a cui si era pervenuto a to-
gliere affatto la sua naturale ferocità. E il cu-
stode di Exeter-Change mi disse «di averne in
sua guardia una siffatta, che di sei mesi mostrava
tanta piacevolezza, che spesso lasciavasi correre
nelle sale, ove con ‘altre ‘fiere siava esposta.
Amava essa allora giuocare con tutti i cani,
che v incontrava, e permetteva agli astanti I av-
vicimarsele , e il percuoterla col palmo della
mano sul dorso, senza manifestarne disdegno.
Sin d'allora, però, aggiunse egli, mostrava
«certa durezza feroce, che poi si accrebbe coll’ età,
58 L'IENÀ.
ond'oggi è forza il tenerla rinchiusa. Questa
belva era stata condotta a Londra, quasi sette
anni innanzi, sopra un vascello della compa-
gnia dell’ Indie.
Il sig. John Hunter avca ad Earle’s-Court
un' iena di quasi diciotto mesi, tanto fami-
gliare, che sofferiva esser tocca da chi veniva
a vederia. Alla morte di Hunter fu essa ven-
duta al padrone di un serraglio ambulante.
Fin che rimase a Londra, ove fu alloggiata
alla torre, continuò ad essere mediocremente
trattabile. Ma quando fu messa in una gabbia
per viaggiare, diè segni di ferocia simili
quelli della più indomabile e selvaggia. Alfin
venne uccisa da un tigre rinchiuso in una
gabbia vicina, della quale avea rotto il tra-
mezzo co denti, la cui forza è incredibile.
Nello stato di cattività l’iena consuma tre
in quattro libbre di carne cruda ogni giorno,
e beve, circa, tre pinte d'acqua.
Osservasi in essa una particolarità singolare;
ed è questa: che all'istante che è forzata a
mettersi in moto, essa, come scrive il sig. di
Buffon, si trova an della gamba sinistra
posteriore. È somigi ja un povero cane a-cul
questa gamba fosse stata ferita, e fatto correre
ad ogni po' si sentisse in pericolo di cadere.
Ma questo barcollamento non dura che un cen-
linajo di passi all'incirca; dopo de quali la fiera
te » continua più che mai sicura e spedita.
5
5g
L’IENA PICCHIETTATA.
Grandissima somiglianzà è tra questa e l'al
tra antecedentemente descritta. Ma la sua gros-
sezza è maggiore, e il numero delle nere sue
macchie assal più copioso. De! resto il colore
del suo pelo è un bruno-rossigno; mentre il
muso e la parte superiore del capo sono di
un bellissimo nero: e nera è pure la criniera
che le si arruffa in sul collo. L’iena, di cui
parliamo, ha pur ricevuto il cognome di ri-
dente, a cagione di un suono somigliante ad
uno scoppio di risa, ch essa trae dalla gar-
sozza, quando le si porta a mangiare, o la si
interrompe frammezzo al suo pasto. (Ro,
Le iene picchiettate ritrovansi in più con-
trade dell'Africa; ma in più gran quantità al
Capo di Buona Speranza, ove sono anche ol-
tremodo crudeli, e formidabilissime. Entrano
esse frequentemente nelle. capanne degli Ot-
tentoti per ricercarvi la loro preda; e talvolta
ne rapiscono i poveri fanciulli. Barbas racconta
come una di tali belve penetrata nella casa
di un negro sulla costa della Guinea s' impa-
dronì d'una fanciulla; malgrado la sua resi-
stenza, se la mise in groppa, tenendola per
una gamba; e con tal peso era sul punto di
aggirsi Se non che le strida della sventurata
tirarono fortunatamente alcuni uomini in sue
60 L'IENA PICCHIETTATA.
i
“soccorso. La fiera allora fu costretta a lasciarla,
per sottrarsi al proprio pericolo : ma già quella
tenera creatura era stata da suoi denti crudeli
in più parti del corpo pessimamente trattata.
Branchi :d’ iene s° aggirano quasi ogni notte
‘intorno alle macellerie ‘del Capo, Se pascersi
‘de’ frastagli degli animali, lasciati loro dagli
abitanti, che ‘pur non pensano a discacciarle. I
cani istessi, 1 quali in ogni altra occasione sono
Toro mortali nemici, in questa si mostrano in-
‘differenti; il che forse proviene dal non ‘aver
‘mai in esse ricevuto dalle iene alcuna offesa.
Mandano queste fiere nelle loro escursioni
notturne orribili urli, cercando la loro preda.
E l'abitudine «di urlare è ad esse tanto - natu-
rale, che anche prigioniere e provvedute di
cibo non sanno astenersene. Così una giovine
iena allevata al Capo, e assai bene addome-
sticata, spesso eontristava il notturno silenzio
in maniera spaventevole.
Alcuni abitanii del Capo ‘assicurano che le
iene hanno la facoltà -d'imitare il grido degli
altri animali; «con che riescono ad ‘attirare dalle
loro stalle montoni, vitelli ‘ed ogni sorta di
bestiame. Pretendono ancora che ‘panceniao di
esse dividansi talvolta in due bande, e mentre
Yuna si fa inseguire da cani lungi dal podere,
Yaltra vi entri sicura, e rapisca la sua preda,
prima che i custodi ritorpino.
L’IENA PICCHIETTATA. 60
Gli abitanti della Guinea uccidono queste
belve feroci, piantando fuor de’ loro villaggi
degli archibugi fra le carogne in modo, che
all’accostarsi delle iene, sparino contro di loro.
La forza muscolare del collo e delle mascelle
di tali fiere è sì grande, chc deve cagionare
stupore. -. Il seguente aneddoto ce ne sia. di
prova.
Avendo lo. stanzino di quell’ienaz. che. ora
ritrovasi alla. torre di Londra, bisogno di qual
che ristauro, il legnajuolo ve lo fece, piantanda
sul pavimento un asse di quercia assai grosso,
e lungo ben. sette o otto piedi, con una mezza
dozzina, almeno, di chiodi, che passavano la
misura di un dito. À capo dell'asse era un
nodo, che il legava a non so che; e l'artiere
non avendo stromento atto a tagliarlo, tornò
alla sua. bottega onde procacciarselo. In. questo
mezzo. vennero alcuni a veder la. belva; e il
custode aprì il tramezzo, che la separava da
quella parte della stia, ove si faccano i lavori
per racconciarla. Appena fu essa entrata; ac-
corgendosi del nodo, che sopravanzava al pa-
vimento, lo prese co’ denti, e il fè in pezzi;
iodi ad uno ad uno. schiantò i chiodi deil asse.
con incredibile facilità.
E da. notarsi che mai TY iena. non (ioni
i uomo n e di questa asserzione mi.
è mali evadere: il. sig. Greenfield, il qual ne
Bo L' IENA PICCHIEPTATA.
fece più volte esperienza nella corte del ‘ser-
raglio affidato alla sua direzione.
L'iena picchiettata è più umana che la più
parte di quelle dell'altra specie, e chi Yha in
guardia può entrarle ad ogni momento nella
stanzuccia, senza pericolo alcuno; eccetto quando
e affamata, o intesa a trarsi la fame. Bisogna
però confessare, che la sua non è altrimenti
mansuetudine, ma effetto del terrore; e il cu-
stode carezzandola non dimentica di tenersi
armato di poderoso bastone.
Alquanto docile verso l’uomo, questa belva
non è per nulla piacevole agli altri animali.
Un soldato che andò a vedere, sono alcuni
anni, l'iena rinchiusa nel parco reale, menò
seco un bassotto novello e gliel presentò come
per beffa. Lo sciocco incollerito passò la testa
attraverso l’inferriata dello stanzino abbajando
alla prigioniera; Ja quale avventatasegli con
furore lo strappò di mano al padrone, e in
am momento sel divorò.
ce
NA
NET
ina
Ss
f7
AL
PZA
EA
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4A,
dé
CAPITOLO I.
Dall’ Apennin, da’ Pirenei, dall’ Alpi
Sospinto per digien discende il lupo.
Scarno, fallace, al par di morte crudo,
E famelico ognor come le tombe, }
Ratto qual vento che la neve aggiri,
E di sangue, di preda e di ruine
Spronato dal desio sul pian si spande.
TrHomsom.
LL LUPO.
=
Sin quest animale superare in grossezza
e in forza di muscoli il più grosso de cani.
Il suo corpo ordinariamente è lungo tre piedi
e mezzo, mentre quello del più forte cane
eccede di raro i ire piedi. Il color del suo
pelo, generalmente, è un misto di nero, di
bruno e di grigio ferreo, quantunque nel Ca-
nada sia affatto nero, € quasi del tutto bianco
in alcune altre contrade. Il lupo ha testa lun-
ga, naso affilato, denti enormi, orecchie strette
ed acute. I suoi occhi obliquamente rialzati
sono di un color verde e scintillanti; l'aspetto
suo annuncia estrema ferocia. Il melto pelo
64 IL LUPO:
accresce l'apparente grossezza del suo corpo;
a cui si proporziona la lunghezza di una coda
assai folta.
« Il lupo, dice il signor di Buffon, è uno
degli animali, la cui avidità di carne è più
veseni.: e sebbene abbia ricevuti. dalla na-
tura anche i mezzi di soddisfarla, armi, scal-
trezza, forza, agilità, quanto in somma è ne-.
cessario, per trovare, assaltare, vincere, divorar
la sua preda, nondimeno muore spesso di fame.
Perchè avendogli l'uomo dichiarata la guerra,
avendolo anzi proscritto, e posto a prezzo il
suo capo, lo cosiringe a fuggire e rimpiattarsi
ne boschi, ove non trota che qualche animale
selvaggio, il quale lo elude colla celerità del
suo corso, e ch'esso non può sorprendere se
on. per caso e con lunga. pazienza, aspettan-
dolo. gran lempo e. spesso invano ne luoghi,
per cui deve passare. Esso. è naturalmente
sciocco e poltrone, ma diviene ingegnoso per
bisogno ed ardito per necessità. Stimolato dalla
fame affronta. il periglio, e viene ad assalir
gli animali, che si trovano sotto la guardia
dell’uomo, quelli, in ispecie, che può rapir
facilmente, come gli agnelli, i. piccioli cani,
i caprioli. »
Ne paesi, ove i lupi sono numerosi, discen-
dono essi a branchi dalle montagne, o escon
divisi in torme dai. boschi, per commettere.
IL LUPO: 65
orribili devasiazioni. Infestano tuiti i villaggi,
prendono a viva forza, oltre gli agnelletti, i
montoni, i porci, i vitelli, e que’ cani istessi
che stanno a custodirli; chè ogni specie di
animal nudrimento conviene del pari alla loro
voracità. Il cavallo e il bue, soli quadsupedì
domestici, che possono. opporre qualche resi-
stenza a tali nemici, anch essi non di rado.
soccombono al loro numero e a’ loro assalti
ripetuti. L' uemo medesimo sovente cade lor
Vittima, o non perviene a cacciarli che dopo
averne uccisi parecchi; nè ancora può- tener-
sene sicuro, poichè tornano più arditi e più
furiosi che prima. Quelli che han gustato una
volta della carne dell’uomo, più non: cessano
dall’ assaltarlo., e mostrano chiaramente che più
ad essi preme il pastore, che non la greggia.
Sebbene il lupo. sia così avido, ch empie
talvolta il ventre di fango o di terra, ed ove
cruda fame lo stimoli, divora la propria. spe-.
eie; nondimeno ancor maggiore è la. sua ac-
coriezza, che la sua ferocia e voracità, Sempre.
sospettoso e. diffidente immagina che. quanto,
vede sia un agguato onde prenderlo. Se trovai
una capra legata a. un trave per trarne latte,
non osa avvicinarsele.. temendola ivi posta con.
insidioso disegno contro di lui; ma. appena è
lasciata. libera, che la insegue, e la fa sua
preda. |
(zabinetto Tom. I 5
66 TÈ LUPO.
Non sarà senza interesse pe nostri lettori
ia singolare avventura occorsa nell America Set-
tenirionale al general Putnam con un fiero
animale di questa specie. Si era egli da poco
tempo ritirato nel Connecticut, quando un
giorno parecchi lupi, i quali correvano allora
numerosissimi nella provincia, entrarono in un
ovile, e uccisero settanta fra pecore e monioni,
non contando agnellini e capretti, di cui fe-
cero troppo gran strage. Que lupi erano tutti
figli di una sola madre venuta da più anni
‘ad infestare il vicinato. Gran parte della sua
prole era perita sotto i coipi de’ vigili caccia-
lori; ma essa con mirabil sagacia sempre sì
tenea lungi dal tiro degli archibugi, e quando
le avveniva d'essere incalzata troppo da vicino
solca fuggire nelle foreste cecidentali della con-
irada, e ritornar poi alla stagion seguente con
‘un nuovo portato di lupicini.
Ma, alfine, cagionò essa tanti guasti ché il
| signor Putnam e i suoi vicini convennero ‘ di
darle alternativamente la caccia, finchè fosser
giunti ad ammazzarla. Nessuno colà ignorava,
«che la lupa essendosi azzoppata d'un piede in
un trabocchello d'acciajo faceva un passo più
corto che l'altro: quindi i cacciatori conosce-
xano a tale indizio le sue traccie sulla neve.
Dopo averia seguita fino alla riviera del Con-
necticut, ed essersi assicurati ch’ era ‘tornata
ÎL LUPO. 6
eolà donde si partì, anch’ essi ritornarono, €
all'indomani mattina i cani la costrinsero a ri
fugiarsi in una caverna, situata a tre miglia,
circa, dalla casa del sig. Putnam. Tutti allora
di que’ contorni si riunirono accompagnati dai
loro cani, armati di fucili e muniti di paglia,
di fuoco e di zolfo, per assediare la comune
nemica. Diversi mezzi, primieramente, furon
tentati, onde farla uscire da quell’antro sel
vaggio; ma nè i cani, che ritornarono o feriti
‘o intimoriti, nè il fumo della paglia, a cui si
era messo fuoco, nè i vapori del zolfo acceso
a nulla valsero. Però, essendo ormai generale
la stanchezza d'inutili fatiche, le quali dura-
vano da dodici ore, il sig. Putnam propose al
suo negro di scender egli nel sotierraneo, €
tirar contro la belva un colpo di archibugio.
Ma ricusando questi di porsi a tanto perigliose
cimento, il generale si risolvè d’incontrarlo eì
medesimo, per tema che la fiera non giugnesse
‘a sottrarsi per qualche uscita o fenditura della
rupe, che non fosse conosciuta.
Quindi provvedutosi di più striscie di scorza
«li betulla, onde aver lume nelle tenebre, fra
cui entrava, gettò gli abiti usati, e legatasi
alle gambe una corda, per cui venir tratto
indietro ad un segno convenuto, si pose colla
testa innanzi nel iemuto cammino. La bocca
della caverna, che +5 apre sul lato oriertale di
68 IL LUPO
un alta catena di rapi, è di circa due piedi
quadrati. Indi è una discesa obliqua di quin-
dici piedi; poi uno spazio orizzontale, che
oltrepassa i dieci; e alfine una gradata eleva-
zione di sedici fino all'estremità. I lati di questa
grotta consistono in due frammenti di roccia
solidissimi, che sembrano esser stati. disgiunti
l'uno dall'altro. per forza di tremuoto. Così la
volta. e la base sono di pietra, di modo. che
l'ingresso, che nell'inverno è coperto di ghiac-
cio, riesce sdrucciolevolissimo. Non avvi parte
del sotterraneo più larga di tre piedi, o così
alta, che luomo star vi possa diritto sulla
persona.
Poi che il sig. Putnam: si fu strascinato fino:
alla. parte orizzontale, orrida cscurità e silenzio:
di morte. soli regnavano interno a: lu. Egli
frattanto inoltrandosi cauto pervenne alla parte
più. elevata, di cui già si disse, finchè bran-.
colando s'inceontrò cogli occhi della. lupa fe-
roce, che si era nascosta nell’ uliima. estremità..
Or riscossa dalla face che si approssimava, di-
grignò i denti, e mandò un ruggito terribile:
per la qual cosa. il generale scosse la corda.
come a dare avviso. di trarlo. di, là. Le. per-.
sone ch’ erano: all apertura. della, grotta, e che.
il credettero in grave periglio, ubbidirono sì.
prontamente , che. essendosegli; in quel moto:
alzata la camicia sovra del capa, si ne riportò:
ri Luro. 6g
la pelle del ventre crudelmente lacerata. Non
per questo volle desistere dall'impresa, ma
racconciatosi, e carico di piombo in verga il
fucile, discese di nuovo coraggiosissimamenie.
AI secondo avvicinarsele la lupa si mise in
atto di ferocissima difesa, urlando, volgendo a
ruota gli occhi infiammati, battendo i denti,
e abbassando la testa fra le gambe; ma nel-
l'atto ch'essa già stava per slanciarsi sopra ii
generale, questi le scaricò un colpo d’archibugio
nel cranio, e fu tosto tratto fuori della caverna.
Dopo ‘essersi riposato un istante, e aver dato
tempo al fumo di dissiparsi, egli scese per la
terza volta. Posta allora la fiaccola al muso
della belva, e rinvenutala senza vita, la prese
per le «due orecchie, e ajutato all’ uscire. dalla
solita corda, presentò il suo trofeo agli atto-
niti spettatori.
I lupi cagionavano, giù tempo, grandissimi
guasti in Inghilterra, sicchè furono proposti
premii, onde distruggerli; al che finalmente si
pervenne. Al re Edgar parve ciò di tanta im-
portanza, da accordar grazia pe delitti leggieri,
a condizione che i colpevoli recherebbero certo
numero di lingue di lupi; e nel principato di
Galles furono alcune tasse commutate nell’ an-
nuo tributo di alquanti capi di quegli animali.
Ma essi, varii secoli dopo il regno di Edgar,
moltiplicarono a segno, che non parve ab
vi Ti. LUPO.
governo un lieve pensiero, onde si mosse &
promettere le più valevoli ricompense a chi
gli ucciderebbe. Camdan ci narra, come alcune
terre sì affittavano non ad altro patto che di
purgare il paese dai lupi che le infestavano.
Sotto il regno di Abhelsan, questi abbonda-
vano a segno nella contea di Yorch, «ta doversi
a Flixton presso di Scorborough costruire ap-
posta un edifizio, per servir di rifugio contro;
i loro assalti.
E poichè le devastazioni di queste belve
feroci si fanno più che mai terribili in in-
verno, quando i, campi son coperti di nevi,
i Sassoni antenati dei Britanni distinsero il
mese di gennajo colla denominazione di mese
del lupo. Un proscritto od un condannato fug-
giasco portava fra essi il nome di preda del
lupo, come uomo, che uscito dalla protezione
dell’umana società parea non dovesse aspettarsi
che di cader sotto le zanne di quella fiera.
Seguitarono i lupi ad infestare l'Irlanda as-
sai tempo dopo, che già erano estirpati d'ln-
ghilterra. Ma oggi la lor razza è affatto estinta
La in quell isola, e va sensibilmente dimi»,
nuendo in quasi tutte le contrade d' Europa;
natural conseguenza della cresciuta popolazione
e della più estesa agricoltura.
La caccia de lupi è in molti paesi un pas-
satempo favorito de’ gran signori; di che la
o
IL LUPO. 71
magione non ha punto a vergognarsi, ma piut-
tosto ‘a compiacersi l'umanità, a cui sono così
risparmiate delle lagrime. In questa caccia, ove
pure ha tanto luogo la forza, si ha ricorso a
stratagemmi di ogni specie.
Annoveriamo pel primo quello di tender
lacci, fra cui vengono i lupi a cadere da sè
medesimi, quaudo sono inseguiti da’ cacciatori
che gli accerchiano, o li fugano mandando alte
grida, suonando corni, o battendo tamburi.
Costumasi pure di piantare in luoghi appar-
tati fra i rami degli alberi un gran pezzo di
carogna, prima CROCI e di. cui per via si
lasciano, a convenevoli intervalii, alcuni brani;.
perchè i lupi, che sono di odorato acutissimo,
li sentono assai da lungi. Così, se all avvicinar
della notte ritornano pian piano.i cacciatori ,
sempre ne ritrovano due o tre, ehe saltano e
si sforzano di giugnere al pasto lor preparato, e
coltili all'improvviso, gli uccidono colle lor armi.
Nè qui obblierem di notare, che quando il
lupo si vede colto in un agguato, da cui non
gir è possibite fuggire, perde ogni coraggio,
anzi, per alcuni istanti, divien sì ulfido che
si può ucciderlo o prenderlo vivo senza alcuna
difficoltà, anzi porgli la musoliera, e condurlo
al guinzaglio come un cane. Così l estremo
itmore sembra estinguere in lui ogni specie
di ferocia @ di risentimento,
n2 IL LUPO.
Si hanno esempii d'un lupo e d'un villano
caduti in una fossa, ove l'uno parve così av-
Vilito da questa improvvisa cattività, che nulla
tentò contro dell'altro, il quale si sarebbe cre-
duto fortunato abbastanza di liberarsi da così
formidabil compagno.
Nelle parti settentrionali dell'America i lupi
vanno talvolta sui ghiacci in cerca dei giovani
vitelli marini, che vi rimangono addormentati.
Se non che la cosa può divenir loro funesta,
poichè distaccandosi i ghiacci dalla riva gli
strascinano a gran distanza dalla terra prima
ehe se ne siano avvedati. Per tal mezzo molti
tratti di paese furono liberati da que’ perni-
ciosi animali.
Il tempo della gestazione di una lupa è «i
tre mesi e mezzo. « Quando essa (per servirmi
delle espressioni del sig. di Buffon) è vicina
al parto, cerca in fondo a’ boschi un luogo
ben munito e folto, in mezzo a cui appiana
primieramente uno spazio abbastanza conside-
rabile, troncandone e svellendone gli sterpi
coi denti. Indi vi apporta gran quanttà di
musco, preparandovi un letto comodo pe’ suoi
piccioletti, che sono d’ ordinario cinque o sei,
e giungono talvolta agli otto ed anche ai nove;
nè mai sogliono essere meno di tre. Nascono
essi cogli occhi chiusi non diversamente dai
5 5 È »
cani; la madre gli allatta per alcune settimane;
ÎL LUPO. 73
indi insegha loro a mangiar carne, cui pre-
para masticandola. Poco tempo dopo apporta
ad essi de topi di campagna , de leprettini ,
delle pernici, de’ polli vivi. I lupicini comin-
ciano dal giuocare con simili bestiuole, e fini-
scono collo sirozzarle. In seguito la lupa Ie
spiuma, le .scortica, le fa a pezzi, e ne dà
parte a ciascuno. Essi non escono dal covile
ove nacquero, che in capo a sci settimane ©
due mesi. Allora van dietro alla lor madre
che li conduce a bere in qualche tronco d'al-.
bero, o a qualche laguna vicina. Quindi li
rimena al primo Bosh ovvero li fa'naston-
dere altrove, quando teme di qualche pericolo.
Così essi per più mesi le sono obbedienti.
Ove alcuno gli assalga , essa li difende con
tuita la forza, anzi con furore, sebbene in
ogni altro tempo sia, come tutte le femine,
più timida che il maschio. Ma diventa intrepida
pe figli, nulla più sembrà temere per sè stessa,
e a tutto si espone per salvarli. Essi non l'ab-
bandonano che quando sono interamente alle-
vali, e si sentono abbastanza forti per non
aver più bisogno di soccorso. Ciò avviene or-
dinariamente in capo a dieci mesi.o ad un
anno, quando han rifatti i primi denti, che
loro cadono verso il sesto mese, e si trovano
posseder forza ed industria, che bastino per
la rapina ».
vii IL LUPO
Malgrado la lor natura selvaggia possono
questi animali, mentre sOnO ancor giovani ,
essere addomesticati. Noi già ne avemmo sin-
golar prova in un lupo, che fu di sir Ashton
Levers, e che giunse, mercè le cure usategli,
a dispogliar interamente la fiera sua indole e i
primi costumi.
e Nella Persia e in diverse contrade orien-
tali i lupi sempre compajono negli spettacoli,
che si danno al popolo; poih.i quando son
giovani si insegna loro a danzare e lottare
contro certo numero di persone. Chardin os-
serva che un lupo ben addestrato vale cin-
quecento scudi di Franeia. Questo fatto, dice
il sig. di Buffon, prova almeno, che a forza
di tempo e di fatica anche un simile animale
è capace di qualche specie d'educazione. Io,
egli prosiegue, ho fatti allevare e nutrire al-
cuni lupi presso di me. Finché son giovani,
cioè a dire nel primo e secondo lor anno, si
mostrano assai docili, anzi carezzevoli, ed ove
si trovino ben pasciuti non si gettano nè sul
pollame nè sovra altri animali. Ma a diciotto
mesi o a due anni sentono la propria natura,
e si è costretti a incatenarli, onde non fug-
gano, 0 facciano alcun male. Ne ho veduti di
quelli, che allevati in una corte rustica fram-
mezzo a polli, per tutto lo spazio che ho detto,
mai non furono loro molesti; e poi ad un
IL LUPO: 7A
tratto per prima prova gli uccisero tutti in
una notte, senza mangiarne alcuno. »
Trovasi ora un lupo alla torre di Londra,
il quale fu già spedito da un ammiraglio spa-
gunuolo a lord Saint-Vincent sovra un vascello
parlamentario, mentre stava questi al blocco
di Cadice. Come l'animale era molto giovane,
gli si permetteva di correre nella camera del
capitano, ove raccoglieva i minuzzoli della ta-
vola come un cane. Saranno sei anni che il lord
ammiraglio ne fece dono a sua maestà, onde
fu. introdotto nel parco reale. Ivi gli si diede
in compagnia una cagna, da cui ebbe triplice
prole, cioè un maschio e due femine, l'uno
e le altre di natura affatto lupesca. lo stesso
ne fui testimonio oculare nel 1805, parago-
nando molto attentamente i figli col padre, e
trovandoli egualmente robusti che selvaggi.
Di rado si veggon lupi nelle parti abitate
dell America. Nondimeno il governo della Pen-
silvania e quello di Now-Jersey hanno offerto,
or sono più anni, una ricompensa di venti
scellini a chiunque lor ne portasse un capo.
Dicesi che nell’infanzia delle colonie si videro
spesso discendere dalle montagne di que’ paesi
de lupi attirati dall'odore d'una folla innume-
rabile di sgraziati Indiani, che perirono di
vajolo. Nè i feroci animali si limitarono ad
insultare i morti, chè divorarono altresì gli
76 IL LUPO.
infermi, i quali miseramente spiravano nelle
loro capanne.
Il giovin lupo dell Alpi, il quale oggi si
trova nel parco del sig. Pidcock ad Exeter-
Change consumava regolarmente, per ciò che
ne intesi dal suo custode, tre o quattro lib-
bre di carne cruda ogni giorno.
L'A VOLPE
La volpe è di forme più minute e più svelte
che il lupo; ha coda più lunga e più ricca;
ma per gli occhi obliqui e l’aguzze orecchie
gli è affatto somigliante. La sua testa sembra
in proporzione più forte. L’umor suo è lieto,
anzi folle; non per questo si può giugnere
ad umanizzarla pienamente. Quindi, come tutti
gli animali appena mezzo addomesticati, morde
alla minima offesa le persone a cui è più fa-
migliare. Essa langue, ove si privi di libertà;
e tenuta prigione troppo lungo tempo perisce
di dispetto.
Non avvi animal di preda più sagace o più
scaltrito di essa. « La scelta del luogo del suo
domicilio, l'arte di comporselo, di renderlo
comodo, di nasconderne l'ingresso (fa osser-
vare il sig. di Buffon) sono indizii di un’ e-
strema finezza. La volpe tutto volge a suo
profitto; si colloca al confine de’ boschi non
LA VOLPK
I
LÀ VOLPE de
distante da’ villaggi; di là Die il canto de
e il grido degl’'altri polli; ne assapora da Du
le carni; piglia il tempo opportuno; occulta i
suoi disegni e i suoi passi, s introduce leg-
giera, si strascica col ventre a tevra, giugne
al luogo prefisso, e di rado sono inutili i suol
tentativi. Se può varcare i muri o le siepi,
ovver passarvi dissotto, non perde un’ istante,
devasta la bassa corte, metie a morte quanto
pollame incontra, si ritira in seguito spedita-
mente portandone parte della suà preda, cui
nasconde sotto il musco o porta al suo covac-
cio. Indi torna e ritorna una seconda, una
terza ed una quarta volta, per pigliarne il
rimanente, che distribuisce, in luoghi separati;
e così prosegue, fino a che il giorno spunti,
e il movimento di tutta la casa Pavveria che
é tempo di tenersi quieta senza più ricom-
parire. »)
Così ella fa ne palmoni e ne boschetti, ove
si pigliano i tordi e le beccaccie. Essa pre-
viene l’uceellatore, va allo spuntar dell’ alba,.
e sovente più d'una volta per giorno a visi
tare i lacci ed i panioni, rapisce successiva»
mente gli uccelli che vi son presi, li depone
in differenti luoghi, soprattutto all orlo. dei.
sentieri, nelle rotaje, sotto il musco, sotto un
ginepro, ve li lascia talvolta due o tre giorni,.
&
i sa otumamente ritrovarli al bisogno. Da la.
galli
78 LA VOLPÉ:
caccia ai leprotti per via, sorprende talvolta i
lepri nella lor tana, ec mai non gli sfuggono
se sono feriti. Cava dalle conigliere i piccioli
conigli; scopre i nidi delle quaglie e delle
pernici, piglia le madri sull’uova, e» distrugge
gran quanutà di selvaggiume. Il lupo nuoce
particolarmente a’ villani; la volpe ai morbidi
signori.
film caccia di questa, però, esigé meno ap-
parecchio che quella dell'altro; è assai più
facile e diverte di più. Tutti i cani han ri-
pugnanza ad andar contro a lupi; tutti all'in.
contro vanne volentieri contro la volpe. Poiché,
sebben mandi odore fortissimo, la preferiscon
sovente al cervo, al capriolo ed al lepre. Si
può cacciarla con bassotti, con levrieri e’ con
cani detti ‘da volpe. Inseguita essa corre al
suo nascondiglio; ma i bassotti a gambe siorte
Vi sì insinuano assai facilmente.
Con questi può pigliarsi una intera nidiata
di volpi, la madre cioè co’ figli. Mentr' essa
difendesi e combatte i bassotti, si cerca disco-
prirne la tana dalla parte di sopra, e la sì
uccide con pali di ferro, o si prende viva,
Ma come le tane sono spesso nelle rupi; @
sotto gran tronchi d' albero, o talvolta molto
addentro terra, non è sempre possibile il riuscire.
La masiera più ordinaria; più aggradevole
e più’ sigura di cacciar la volpe è quella di
LA VOLPE. | vis]
forar la tana. Si appostano gli archibugieri, si
lanciano i cani da volpe in sulla via, la volpe
corre al suo nascondiglio; ma ancor non vi è
giunta che una scarica l’atterra. Che se non
rimane uccisa, si dà a fuggire con quanta ce-
lerità essa può, fa un gran giro, e alfin torna
al suo covile, ove altra scarica la colpisce. Non
ancor raggiunta da fucili, trovando però chiuso
l'ingresso prende il partito di salvarsi lontano,
e se ne corre per diritta via, onde non tor-
nar più Allora giovano i levrieri ad inseguirla:
nè però si Lil prendere senza averli prima
molto stancati, poichè passa a disegno pe "luo-
ghi più intricati ed angusti, c quando va per
luoghi piani ed aperti corre celerissima senza
di mal posa.
Per distruggere le volpi è ancor più comodo
il tender loro insidie, attirandole con' esca loro
gradita. Io feci un giorno sospeudere sovra un
albero a nove piedi d'altezza gli avanzi d una
refezion di cacciatori, carne, pane ed ossa; €
già fin dalla prima notte le volpi s'erano così
bene esercitate a saltarvi intorno, che il ter-
reno vi pareva battuto come quello di un’ aja.
Sono esse ghiotte egualmente di carne, che
d'ogn'altra cosa. Mangiano con avidità ova, for-
maggio, frutta, e grappoli d'uva soprattutto. Se
ico mancano leprotti o pernici, danno a’ sorci,
alle serpi, a rospi, alle Incerte, e ne distruggono
$0 LA VOLPE.
gran numero : solo bene ch esse faceiano, Go-
losissime del mele assalgono l'api silvestri, 1
fachi, le vespe; nè si ica impaurire dai,
lor pungiglioni. Se ritraggonsi talvolta è per
sdrajarsi e schiacciar questi insetti; poi tor-
nano e non desistono, finchè non abbiano in
poter loro l'alveare, e si trangugino col mele
anche la cera. Fino i ricci destano il loro ap»
petito; e rotolandoli. co' piedi gli sforzano a
distendersi. Pesci, gamberi, scarafaggi, cavallette,
tutto è buon pasto alla lor buonissima bocca.
Gran sagacia mostran le volpi ne' mezzi che.
impiegano, onde trarre i conigli dalle lor tane.
Mai non entrano dall apertura, poichè in tal
caso. bisogneria scavare a moiti piedi la terra,
Seguendo in vece alla superficie le emanazioni,,
che escon da loro corpi, giungono al luogo.
ove si stanno nascosti, ed: ivi raspando scen-
dono facilmente sopra di loro.
Pontoppidam assicura, che quando. una volpe
scorge una lontra, la qual si getta all'acqua.
per pescare, nascondesi dietro una pietra ;.
d'onde si slancia sovr essa che ritorna colla.
sua preda, e spaventata. gliel’abbandona.
Ei narra altresì come una volpe avea di-.
sposte in ordine, a qualche distanza luna
dall’altra, più teste di pesci davanti. alla ca-.
panna di un pescatore; di che non sapeva,
indovinarsi il fine, quantunque si. sospellasse
LA VOLPE. Si
di qualche malizia. Poco tempo appresso scese
un corvo, che pensò farsi i pasto di quella
vivanda; ma eccogli adosso l’astuta cacciatrice,
che lo aspettava, e fece di iui medesimo un’
ottima merenda.
Si è veduto, alcuni anni sono, a Chelmsford
nella contea di Essex un singolare esempio
dell’ effetto di questo quadrupede per la sua
prole. Una velpe fu col suo volpicino cacciata
d'un bosco, e vivamente inseguita dalla muta
di un signore. La povera bestia, dopo essersi
esposta a tutti è rischi, per sotirarlo al furo
de’ cani, ultimamente sel prese in bocca, e
fuggì con esso per più miglia di seguito, fin-
ché, traversando la corte di un podere, fu
assaliia da un grosso mastino, e costretta a
lasciar cadere il suo lattante, che fa raccolio
dal fittajuolo. Aliri fatii consin da non sono rari.
Tra le volpi la femiaa partorisce una volta
all'anno, e non più che due o tre figli. Se
accorgesi che il luogo del suo ritiro sia sco-
perto. gli trasporia i iii in altro
più sicuro. Nico questi ciechi anch’ ess di
par de cani, ed hanno il pelo di un Duo
carico. Crescono fino ai diciotio mesi, e vivono
i tredici e 1 TRO anni. Nell'inverno ab.
bajano quasi di continuo; ma in estate, e
quando mulano i stenno muti, che di loro
niun si accorge.
G.binetto Fom. L
(D)
6a
LA VOLPE DEL POLO ARTICO.
ID più piccola che quella della specie‘ ordi-
naria, e d'un grigio azzurrino, che talvolta
non si distingue dal bianco. Assai folto e liscio
è il suo pelame: il muso molto aguzzo, le
orecchie brevi, e quasi nascoste; la coda più
corta anch’ essa e più ricca di quella della volpe
comune. Suo domicilio son le regioni situate
presso del polo artico, e le isole, particolar-
mente, de mari glaciali.
In inverno la volpe, di cui parliamo , si
profonda nella neve, ove rimane ascosa finchè
la trova alta e spessa. Traversa, dicesi, i fiumi
a nuoto con molta facilità. Il sno nudrimento
non è sempre lo stesso, variando col variar
delle contrade. Nella Nuova Zembla e allo
Spitzberga si è osservato ch' essa va in traccia
di piccioli quadrupedi; nella Groenlandia sod-
disfa alla sua fame colle bacche di differenti
alberi, e con ciò che dal mare è gettaio alla
xiva; ma nella Laponia e nelle parti seiten-
trionali dell'Asia trova di che provvedersi ab-
bondantemente negli eserciti di marmotte che
ricoprono il paese. I mezzi che adopra, onde
aver pesce, annunciano sagacia e intelligenza
straordinaria. Perocchè si getta all'acqua, e coi
piedi ne commove il fondo, onde turbarne gli
abitatori, che così vengono a galla, e sono i.
LA VOLPE DEL POLO ARTICO. 83
essa divorati con avidità. Mirabile parimenti è
la destrezza di cui fa prova, onde prendere
gli uccelli acquatici d’ ogni specie. S' ipoltra
l’astuta alcun poco nell’onda, indi folleggiando
si ritrae alla riva; il selvatico si avvicina,
e quando è ben presso, colei s' astiene d'ogni
moto violento per non ispaventarlo, solo con-
tentandosi di dimenare leggiermente la coda;
a cui l'augello troppo semplice viene tal lvolta,
per ciò che narrasi, a dar di becco. Allor la
cosa è fatta: la volpe si rivolta improvviso, e
nulla più lo salva.
Se non che essa pure perisce non di rado
soito l’ugne degli animali di preda; e il signor
Pennant la dipinge sì imprudente da venir
talvolta a cacciar la testa ne trabocchelli per
addentarvi quel po’ d'esca, che vi fu messa
onde acchiapparla.
Uno scrittore desno di fede, é testimonio
«di ciò che racconta, ne offre una descrizione
assai circostanziata e piacevole de costumi delle
volpi, di cui qui si tratta. « Durante il mio
infelice soggiorno nell’ isola di Bering , dice
Steller, non ho avuto che troppe occasioni di
studiar la natura di questi animali, la cui sa-
gacia sorpassa di tanto quella delle volpi. or-
dinarie. Se avessi a dire tutte le loro malizie
re comporrei novella di altrettanto sollazzo,
che la storia delle scimie d’ Alberto Tulio nel-
Tiscla di Saxenbourg.
84 LA VOLPE DEL POLO ARTICO.
« S'introducevano esse, a forza, nelle nostre
abitazioni, così di notte come di giorno; ci
rubavano quanto potevano, anche ciò che non
era loro di alcun utile, come coltelli, canne,
vestiti; rotciavan lontano i nostri barili delle
provvisioni, e ne traevan in seguito le vivande
con tanta destrezza, che a principio non sa-
pevamo risolverci a credere, che il furto fosse
opera loro. Mentre cravamo intesi a cavar fa
pelle ad un animale, onde farcelo cuocere, ci
avvenne spesso di dover uccidere due o tre
volpi, che con tanta petulanza e voracità ve-
nivano a toglierci la carne di mano. Che se,
per salvarla, coprivamola sotto terra, eccoti
coloro a raspare, a levar le pietre, a sotto-
porvi le spalle, e ajutarsi l'una coll’ altra, onde
togliere ogni osta acolo. E quando, per più si-
eurezza , collocavamo ai sommo di un palo
assai alto le nostre vettovaglie, quelle india-
volate gli cavavan la terra d'intorno al piede,
iinché Pao fatto cadere; o l'una di esse
«i sì arrampicava, e gettava all'altre quanto
vi era appeso con una destrezza da far me-
Der
« Spiavano tuili i nostri movimenti, e ci
accompagnavano ovunque andassimo. Se il mare
gettava, alla riva qualche animale, sel divora-
yano prima che avessimo tempo di raccoglierlo;
e quando non potean consumarlo tullo ad un
LÀ VOLPE DEL POLO ARTICO. 85
tratto, lo strascinavano a brani sulle montagne,
o il seppellivano soito pietre in nostra pre
senza, correndo qua e là finchè nulla più ri-
manesse a trasportare. Altre, intanto, si teneano
in guardia e ci osservavano. Se vedean qual.
cuno approssimarsi a certa distanza, univano
tutie insieme gli sforzi loro, onde far nell’ a-
rena sì profondo scavo, che non apparisse
traccia del castoro od orso marino, od altro,
che vi nascondevano. La notte, quande noi
dormivamo ne’ campi, ci venivan esse vicino,
e rubavanci le nostre berrette, i guanti che
ci eravam posti setto il capo, le coperte e ie
pelli sopra o sotto. le quali eravamo sdrajati.
« La qual rapacità era cagione, che noi mai
non ci coricassimo senza tener nelle mani un
bastone, 0 piutiosto una. mazza, con CUI, se
venivano a svegliarci,. potessimo cacciarie ed
anche ucciderle,
« Quando facevamo una fermata, onde ri-
posarci, anch’ esse trattenevansi giuocando e
irescando sotto i nostri occhi, anzi talvolta
s inoltravano fino a roderci i cordoni de’ no-
stri stivaletti. Che se ci stefidevamo a terra,
come per dormire, venivano a sentir il nostro
fiato, onde assicurarsi s'eravam morti o vivi.
« Nè taceremo come al nostro arrivo esse
vennero a morder naso e diti ai corpi degli
stinti, mentre preparavamo la lor fossa: e in
86 LA VOLPE DEL POLO ARTICO.
sì gran numero si riunirono intorno agli am-
malati ed agli infermi, che non si porò allon-
tanarle, se non con somma difficoltà.
« Ogni mattina vedevamo queste bestie pe-
tulanti vagar per l'arena in mezzo a leoni e
agli orsi marini, fiutandoli tutti, per vedere
se tra i dormienti alcuno ve ne fosse privo
di vita; e trovatolo si ponevano a farlo a pezzi,
che poi trasportavano lontano. È come i leoni
marini soffocavano ialvolta, dormendo, la loro
prole; le volpi, allo spuntar d'ogni giorno,
venivano a fare la loro visita, quasi conosces-
sero una tal particolarità; nè tanta diligenza
era per esse infruttuosa.
« Ma come davano a noì ostinatissima €.
incredibile noja, ci corrucciarono a segno ,
che dichiarammo loro la più aperia guerra,
trucidandoie spietatamente giovani e vecchie,
e travagliandole per quante guise potremmo
‘imaginare. Ai nostro risvegliarci ogni mattina,
sempre ne vinvenivamo alcuna presso il nostro
letto rimasia uccisa nella notte; ed io posso ‘
accertare che, durante il mio soggiorno nell'i-
sola, ne ho di mia mano accoppate più di
ducento. Il soio dì seguente al mio arrivo,
ne stesi a terra col bastone almeno trenta,
e coprii la mia capanna delle lor pelli. La
loro voracità era quella che più loro nuoceva;
peroechè noi potevamo stender ad esse con
LA VOLPE DEL POLO ARTICO. 87
una mano un pezzo di carne, e coll altra am-
mazzarle a colpi di randelio.
« Dalle osservazioni, ch ebbimo occasion di
fare sopra di esse risulta chiaro, che mai non
aveano conosciuta la specie umana. E sembra
potersi asserire che il timor dell'uomo non è
già innato ne bruti, ma bensì fondato sopra
una lunga esperienza.
« Quelle volpi, non diversamente dalle no-
stre della specie ordinaria, aveano il pelo ric-
chissimo nei mesi di ottobre e di novembre;
in aprile e in maggio cominciavano a mutarlo;
e nei due mesi seguenti più nen aveano che
u:a lana o calugine cortissima, e parceano, se
così possiamo esprimerci, in veste da camera.
Le femine deponevano i parti loro in giugno
entro fori o fenditure di rupi; nè mai quei
parti erano meno di nove o dieci. Tanto poi
era l'amor delle madri verso di loro, che per
tenereene discosti schiattivano ed abbajavano
come cani; la qual cosa serviva, contro il loro
avviso, a farcene discoprire il nascondiglio.
Ma appena si accorgevano d'essere discoperte
prendevansi in bocca i lor piccioletti e li por-
tavano altrove, quando non ne fossero impe-
dite, studiandosi di occultarli in luogo più
appartato e secreto. Uno de nostri avendo un
giorno ucciso un volpicino, la madre si diè ad
inseguirlo con urli spaventosi, nè mai ristette ,.
aa
68 LA VOLPE DEL POLO ‘ARTICO.
finchè non gli ebbe fatta qualche offesa, ode
fu essa medesima irucidata.
.« Per quanto numerose siano oggi le volpi
in quell isola, è a presumersi che vi siano
state trasferite dal continente sovra banchi di
shiaccio galleggianti, e che l'abbondanza degli
ur i quia animali, che il fn
marino. loro forniva, ve le abbia di tanto
moltiplicate.
Si uccidono tali Bestie, per averne La
di che sono di una leggerezza e morbidezza
maravigliosa. Ma i Groelandesi ne usan anche
le carni, che preferiscono a quella di lepre,
e ne mangiano ‘1 tendini a guisa di pane.
IL CHACAL O LUPO DORATO.
N corpo di quest animale è lungo di trenta
pollici, all'incirca, e molto rassomiglia a quello
della volpe; se non che la testa è più corta,
il naso meno aguzzo e le gambe più alie.
Aggiugui coda folta nel mezzo, e spruzzata
di nere macchie all'estremo; pelo duro e pro-
lisso di un color fulvo misto al bianco sul
dorso. e giallognolo sotto il ventre. I costumi
del chacal hanno molta analogia con quelli
del cane. Quand esso è preso giovane facii-
mente si addomestica, si affeziona all'uomo, e
distingue il suo padrone da qualunque altro.
IL. CHÀCAL, 0, LUPO, DORATO. 69
Gode se vien carezzato; salia, se lo chiaman
per nome, sovra seggiole e tavole; mangia di
grande appetito in mano di chi gli porge al-
cun cibo, e beve lambendo. Assai differente
da molti altri animali della medesima specie,
ama esso giuocare voi cani, che quelli fuggono.
< Nello stato selvaggio si fa esso temere,
come serive il sig. di Buffon, da chi pure se
aliro non fosse, dovrebbe riuscire a lui temi-
bile pel numero. Assale ogni specie di bestiame
o di pollame, quasi alla vista degli uomini;
\ enira insolentemente, e senza inostrar timore,
negli ovili, negli armenti, nelle stalle; e se
altro non vi trova, divora il cuojo degli ar-
nesi, degli stivali, delie scarpe, e porta via
il soatto che non ha avuto tempo di trangu-
giare. Mancando di prede vive dissotterra i
cadaveri de bruti e degli nomini; onde si è
obbl: igati di batter la n ra sovra le sepolture,
e mischiarvi grosse spine, per impedirgli di
raspare e scavare; da che non lo sgomenta la
semplice profondità. Non si accinge mai solo
a queste disumazioni, cui accompagna di grida
lugubii. Avvezzato una volta a' cadaveri umani,
.più non cessa di percorrere i cimiterii, di
seguire gli eserciti e le caravane. Esso è fra
i quadrupedi quello ch' è il corvo tra gli uc-
celli. Non vè carne infetta che gli faccia ri-
brezzo. non cuojo che sembri duro > insipido
90 IL CHACAL O LUPO DORATO.
al suo veemente appetito, non pelle, non gra-
scia, non sozzura animale ch'esso non trovi
buona ».
Di giorno il chacal sta silenzioso , ma la
notte manda urli orribili e tanto sonori, che
le persone, le quali si trovano a poca distan-
za, più non s'intendono fra di loro.
Dillon assicura che la sua voce assomiglia
alle grida di parecchi fanciulli di differenti età
misti insieme; massime che quando uno co-
mincia, tutti gli altri della vicinanza gli fan
tenore. Gli animali delle foreste ne son risve-
gliati; e i leoni, come tutte le belve feroci,
gli ascoltano per una specie di istinto, quasi
un segnale di caccia, assaltando i iimidi ani-
mali a cui gli urli del chacali fanno prendere
la fuga. Per questa cagione, probabilmenie, esso
fu detto provvigioniere del leone.
Questo quadrupede si fa la sua tana, e non
l’abbandona che di notte, per andar in cerca
di preda. La sua femmina si sgrava una sola
volta a l'anno di cinque o sei figli per volta.
Vive il chacal in tutti i’ climi temperati
dell Asia, e nella più parte delle contrade
dell'Africa, dalla Barberia sino al Capo di
Buona Speranza. Quando non trova nudri-
mento animale mangia radiche, frutta; ed al-
tre produzioni vegetali. Nello stato di dome-
sticità sembra avidissimo del pane.
IL CHACAL O LUPO DORATO. GI
« Puzza esso, al dire di Dumont de la Haic,
sì fuor di modo, che non può posarsi un
istante in luogo alcuno, senza che lo infetti.
Sommamente feroce ed ardito non teme di
enirar nelle case, e quando incontra un uomo,
in luogo di fuggirlo a prima giunta, come
fan l'altre belve, lo guarda fieramente, come
volesse sfidarlo, indi prende il suo corso. È
di natura maligno, e pronto sempre a mor-
dere, qualunque cura si adoperi onde amman-
sario, o carezzandolo, o dandogli a mangiare.
Uno io ne vidi, ch'era staio preso assai gio-
vane, ed allevato come un cagnoletto, che
moltissimo si amasse. Pur mai non si addo-
mesticò inieramente. Non poteva soffrire il
contatto di alcuno, tutti mordeva, nè si ar-
diva impedirgli di saltar sulla tavola e rubar
quanto sapeva. Tutta la campagna della Natolia
è piena di simili animali , che fanno ogni notie
gran rumore intorno alle ciità, non già abba-
jando come i cani, ma gridando di un certo
grido acuto che è loro particolare ».
« IL CHACAL DI BARBERIA O L’ADIVO.
È, presso a poco, della grossezza della volpe,
e d'un colore alquanto bruno. Dal dissotto di
ambedue le orecchie gli parte una nera lista,
che si divide in due, e si estende fino ali collo.
Q2% IL CHACAL DI BARBERIA O L'ADIVO.
“La sua coda è come tutta a fiocchi ed accer-
chiata d'anelli di bruno colore.
« L’adivo, o thaleb, dice il sig. Sonnini,
è di natura più ingegnosa ed astuta che il
chacal o deib. Questo allontana la sua preda
co suoi attruppamenti, ma l'adivo sempre va
solo. Si accosta esso anche in pieno giorno ai
luoghi abitati, intorno a cui stabilisce la sua
sotterranea dimora frammezzo a folti rova].
Entra senza strepito, sorprende il pollame, ne
ruba ! uova, e non lascia altr'orma de’ suoi
guasti, che i suoi guasti medesimi. Usa tutta
I agilità. tutta l'astuzia possibile nella guerra
che fa abitualmente agli uccelli, di cui non
avvi aleuno che possa sfuggirgli. I suci occhi
sono egualmente vivi che i suoi movimenti;
e la sua fisonomia è quella dell’astuzia e della
perfidia. Graziosissimo fra i quadrupedì sarebbe,
e fors anco, uno de più «mabili, se ne suoi
talenti per la picciola guerra non apparisse
troppo la furberia e la falsità.
« Parmi ‘che il thaleb egualmente che. il
chacal abbia cura di coprire il suo sterco di
sabbia o di ierra come fanno i gatti; nè gli
interramenti da me rinvenuti nelle arene. e
nei coli di Egitto potevano esser opera d altri
che di questi animali. Simile pulitezza ren-
derebbe l'adivo ancor più caro, se non fosse
tanto Dbriecone.
IL CHACAL DI ‘BARBERIA O L'ADIVO. 03
« L'andar suo molto si assomiglia a quello
della volpe. Quando è sorpreso, si allunga, si
sirascina piuttosto che non cammini, e sostiene
orizzonialmente la sua bella e ricc ‘hissima coda
tutia accerchiaia di neri e grigi anelli.
« Al tempo di Carlo IX le dame della corte
aveano degli adivi in luogo di cagnolciti.
; E Lai GASST RO:
La lunghezza di questi’ animale suol essere
di tre piedi. La sua coda di figura Lina si
estende a dodici. pollici, ed è orizzontal-
mente compressa nell inferiore sua parte; ma
prende forma convessa nella superiore. E sfor-
nita di setole, ecccito alla radice, e coperta di
scaglie come quella di un pesce. Gli serve di
timone per dirigersi nell’ acqua, e diviene per
esso un isirumento assai utile in altre opera-
zioni. Il suo pelo è molle, liscio ; io ‘di
color castagno e talvolta nero. Si sono ancie
Veduti dei castori affatto candidi, altri bianchi
«di latte , altri sprizzati di scure macchiette.
Tuiii hanno le orecchie corte e qu asi nasco-=.
sie; i piè dinanzi piccioli e press a poco si-
mili a quelli di un sorcio; i posteriori lar-
glu, e 1 diti PAGATE per mezzo di una
- %* n e Rea Sela PRE CASS SORA
i, 30 Fianno I CUID:1 1liiCISIFI. fo: LISSIIZMI S
94 TL CASTORO.
propriissimi a tagliar il legno; e già essi altro
nudrimento non usano che foglie d'alberi e
seorze.
Nessun animale sembra possedere naturale
mente ugual sagacia, come questi quadrupedì.
L industria è il loro -carattere distintivo , e
l opere loro sembrano il risultato d'una spe-
cie di patto sociale formato fra di essi per mu-
tua conservazione e sostegno. Essi vivono d'or-
dinario in comune, a due a trecenio insie-
me, in abitazioni che inalzano sei o otto piedi
al dissopra dell’ acqua. Scelgono , se ciò è
loro possibile, un grande stagno, ove costrui»
scono le loro caseite sovra ii dardo ad
esse figura ovale e circolare. Queste casette fi-
niseono in volia, che dà esteriormente all e-
dificio forma di una cupola e interiormente
quella di un forte. HI numero di esse varia
dalle dieci alle trenta.
Se i castori non trovano stagno ; e lore
convenga, fanno scelta di un terreno ben fer-
ino, traversato da una corrente, e ciò che
operano, onde rendere un tal luogo proprio alle
foro abitazioni, prova una sagacia, una intel.
lisenza, ed una memoria, che molto si avvi-
cinano alle facoltà umane.
Quando i castori si sono divisi per tribù
o) compagnie, prima lor cura si è di costruire
uva diga, cui sempre stabiliscono nel luogo.
IL CASTORO. 95
più favorevole ai lor disegni , abbattendo al-
beri di motabile grossezza, profondando nel
terreno pali di cinque o sei piedi di altezza ,
allineandoli in più file, e intrecciandoli con
piccioli rami d' aibero. Empiono quindi gli in-
tervalli di pietre, d' arena, di argilla, e fab-
bricano con tanta solidità, che sebbene questo
rialto abbia sovente cento piedi di lunghezza ,
può un uomo passeggiarvi sopra sicurissima-
mente. Largo alla base dieci in dodici piedi,
si restringe esso considerabilmente alla sommi-
tà, che di rado ha maggior diametro di due
o tre. i
La palafitta, composta come dicemmo di più
file di pali, è esattamente al medesimo livello
da un capo all altro, perpendicolare dal lato
dell’acqua ed a scarpa dal lato che sostiene il
peso , dimodochè Î' erba vi eresce ben tosto ,
e rende l opera più compatta e più solida.
Dopo aver dato termine a questa gettata, i
castori si occupano a costruire le loro capanne.
Vi impiegano terra , pietre, e legne, disposte
in modo, che ne assicuri la solidità, e rive-
stite di un intonaco esteriore.
I muri hanno, circa, due piedi di grossez-
za, e il pavimento riesce così elevato al dis-
sopra della superficie dell acqua, che mai non
corre pericolo di venir sommerso. Alcune di
tali capanne sono appena di un piano, altre
96 IL. CASTORO.
di tre, e a ci informa d aver rinvenute
in quelle che esaminò quindici cellette, dif-
ferenti lune dalle altre. Il numero dei castori
che le abitano varia dai dieci ai trenta. Dicesi
che ciascuno formi il suo letto di musco, di
foglie e d alire sostanze leggieri, e che ogni.
famiglia metta in serbo provvigioni d'inverno,
le quali consistono principalmente in Iscorze
e in rami d albero molto teneri tagliati di
certa lunghezza, ec ammucchiati con molto or-
dine e proprietà.
Qualunque di queste capanne ha due uscite,
Yuna del lato di terra, onde i castori vanno
in cerca del loro bisognevole, l' altra. soito
l'acqua, ognor più bassa dell’ ordinaria pro-
fondità de’ ghiacci ; il che li rassienra dagli
effetti del gelo. Quando sono stati tre 0 quat-
îro anni nel medesimo luogo, avviene loro
Ir essissimo d' innalzare nuovo edificio tanto
cino al primo, che l'uno comunica coll’ al-
Lro guil che probabilmente die’ motivo di pen»
sare che avessero più appartamenti. Allorchéè
le loro casuccie sono compite, si danno ad
opere novelle, nè le interrompono, se anche
lo siagno sia interamente ghiacciato. Perocchè
si fanno strada attraverso di un foro formato
nel ghiaccio , che a tal uopo mantengono
aperto. Spesso in estate abbandonano fe loro
capanne, corrono di spiaggia In spiaggia , e
IL CASTORO. 97
passan la. notte, o sotto i rovi o-in riva al--
l acqua. Nel qual caso hanno sentinelle, che
con un certo grido di. allarme gli avvisano
dell’ avvicinarsi del pericolo. In inverno mai
non. escono, se non per andare a' loro ma-
gazzini posti sott acqua, onde in. quella sta-
gione si fan grassi all’ eccesso. I
Avvien di frequente che alcuni castori ce-
libi vivano isolati. entro fosse, che scavano in.
riva a’ fiumi molto al dissoito della saperficie
dell'acqua, le quali si estendono a più di
-cento piedi di lunghezza. I cacciatori li. chia-
mano eremili o- ferrajuoli , e si è osservato
che la ior pelle sempre. sì. distingue per. una.
macchia nera sul dorso.
II sig. Dupratz, in. uno de’ suoi viaggi nella.
parte settentrionale della Luigiana, ebbe oc-
casione d’osservare i travagli d'una colonia di
castori. Avendo trovato. presso la sorgente di
un fiume un rialto costruito da questi animali,
si pose per qualche tempo a dimora, con
quelli che lo accompagnavano, in una capanna
che piantarono poco discosto, onde poter esa-
minare a lor agio i fatii di quelle industri
bestie, senza però esser da esse veduti.
Aspettarono che ia luna. rischiarasse piena-
mente l' orizzonte; indi quelli, ch’ erano in
prima fila, essendosi muniti di rami d'’ alberi
ende coprire la loro marcia, tutti d' accordo
Gabi nello Tom. A i m
d
‘98 ÎT. CASTORO.
sì appross simarono alla diga, e praticatovi colla
più g gran diligenza, e col più profondo silen-
zio un rivolo o doccia di circa un piede in
larghezza, si ritrassero tosto al loro asilo.
Appena l'acqua ebbe cominciato a far stre-
pito, correndo a traverso questa doccia , il
sig. Dupratz e 1 suoi compagni intesero un
castoro uscire d una delle casuccie e tuffarsi
nell’ acqua. Lo videro in seguito montar sulla
scarpa dell'argine, ed esaminare il guasto che
vi si era fatto. Battè allora quattro volte for-
tissimamente e distintissimamenie colla sua co-
da. A questo segnale l’intera socicià de’ castori
si precipitò a un tratto nell acqua , € arrivò
sul rialto. Quando vi furono riuniti, l' uno
d’ essi parve dare certi ordini, poichè tatti
abbandonarono all'istante quel luogo, e si di-
visere sopra differenti punti sulle rive .di quella
specie di stagno, che la diga veniva a for-
mare. Î più vicini a viaggiatori, trovandosi fra
il luogo occupato da questi e la gettata, da-
vano grandissima opportunità di esaminare tutte
fe loro operazioni.
Alcuni castori formavano una sostanza, che
molto rassomigliava a calcina ; altri la traspor-
tarono sulla lor coda, che serviva ad essi come
di treggia. Si erano essi distribuiti: due a due
l uno caricava l'altro. Quel cemento condotto
nel modo, che dicemmo , sino alla diga, vi
TL CASTORO. 99
era ricevuto da aliri, che lo aspettavano , il
deponevano neila doccia, e vel calcavano a gran
colpi di coda. Allora il rumor dell'acqua, che
giù precipitava dal rialto, essendo cessato; uno
dei castori battè colla coda due volte. Tutti si
gettarono al fiume quietissimamente e dispar-
vero. Quindi il sig. Dupratz e i suoi compagni
di viaggio andarono a riposarsi.
All'indomani mattina ritornando alla getta-
ta, e osservandone il lavoro , ne abbatterono
una parie. L' abbassamento dell’acqua, che ri-
sultò da questa operazione, e lo strepito ch'essi
fecero, mise i casiori in grande apprensione ,
e uno di essi venne assai presso a' guastatori,
per veder cosa facevasi. Il sig. Dupratz te-
mendo che non prendessero la fuga e non si
ascondessero nei boschi, se venivano turbati
davvantaggio , si ritrasse co’ socii al solito po-
sto. Uno de’ castori si arrischiò allora a venir
sulla breccia, dopo essersi alternativamente av-
vicinato e allontanato più fiate come esplo-
ratore. Esaminò i luoghi, batte quattro volte
colla coda, come aveva già faito il di innan-
zi; tutti, al solito, uscirono, ed uno di quelli,
che andavano al lavoro, passo molto presso
al sig. Dupraiz. E com egli avea pur bisogno
d’ una mostra di ciò che portava, onde esa-
minaria, lo uccise. Il fracasso del micidiale ar-
hibugio li fece sloggiare più presto, che fatto’
100: IL CASTORO.
non lo avrebbero cento colpi di coda del loro
ispettore.
Altre fucilate li forzarono in seguito a fug-
gir prontamente ne boschi, lasciando a’ loro
perturbatori tutto l agio di esaminare le loro
abitazioni. Queste erano fatte con pali fissi in
terra e appuntati alle superiori estremità. À
mezzo di essi era il pavimento solidamente
assicurato neile- profonde intaccature, che per-
metteva la loro grossezza. Il sig. Dupratz e i
suol compagni trovarono scollo I uno de pa-
vimenti quindici scheggie, da cui si era le-
vata la scorza, e cltfe parevano destinate - al
nudrimento de’ castori.
Questi amfibii hanno due specie di pelo:
, uno, che è fino al par del velluto, corto
«e folto, e riveste immediatamente la pelle ;
È altro più raro, più lungo e più forte, che
ricopre il primo. Il secondo è di pochissimo
valore, laddove il primo serve a fare de’ cap-
pelli, delie calze, delle berrette, ed altre cose
di abbigliamento. Quindi le pelli di castoro
sono oggeito importantissimo di commercio
nell'America e nelle contrade settentrionali.
dell Europa. Più di dieci mille se ne ven-
dettero in un solo mercato dalla compagnia
della baja d'Hudson; e nell'anno 1798, ben
cento e sei mila ne furono raccolte nel Ca-
nadà e mandate in Europa e nella China.
IL ‘CASTORO. 19î
Quelle de’:castori presi in inverno son pre
feribili, massime se furono portate qualche
tempo dagli Indiani, che consumano il pei
lungo, e lasciano la lanugine senza mesco-
lanza, e propria a varii usi, che può farne
l industria de’ manifattori. La sostanza medi
cinale , appellata castoreo , si trova in istato
liquido nelle glandule inguinali de’ castori , e
ciascun d' essi ne produce due once all’ in-
circa. L
Le loro TA partoriscono verso la fine
di sipgno» non più di due figli per volta,
i quali restano co' genitori fino all'età di tre
anni. Allora se ne separano., e costruiscono
casuccie per sè medesimi. Che se nulla l
turba, ed hanno abbondanza di provigioni
in quella ove son nati, restano col padre e
la madre loro e formano doppia famiglia. Nè
già sorprende che animali tanto socievoli diano
sì grandi prove -di attaccamento gli uni verso
degli altri.
Due giovani ‘castori, ‘che erano stati presi
vivi, e condotti ad una fattoria della baja di
Hudson, si mantennero sani per alcun tempo,
anzi ingrossarono a vista d'occhio, finchè Ì uno
di loro per accidente fu ucciso. Quello che
SP PIA isse fu tanto sensitivo a questa perdita,
che si astenne volontariamente da ogni cibo;
e poco appresso morì.
(doc TE CASTORO:
Non spesso, ma qualche volta pur si giunge
ad addomesticare simili animali. Il maggiore
Roderfort di Nuova York avea un castoro del-
l'eià di sei mesi in sua casa, ove correa libe-
‘ramente, non trattenuto da alcun vincolo; e
si nutriva di pane e qualche pesce, di cui
era avidissimo, usandosi gran cura di mai non
lasciargli mancar acqua. Portava esso al luogo,
ove costumava dormire, quanti cenci o cose
morbide al tatto incontrava per via, e ne com-
poneva il suo letto. Una gatta, che aveva
poc anzi partorito, ne prese un dì possesso
colla sua famigliuvola; nè il castoro vi si op-
pose. E quando la madre si allontanava, esso
preudeva i picciolini fra le sue zampe, e se
li stringeva teneramente al seno, come per
riscaldarli, restituendoli tosto che quella ritor-
nava. Vi fu più d'una volta fra L'uno e l'al
tra del brontolio, ma il castoro mai non dié
segno di voler mordere.
L'inverno è la stagione che 1 cacciatori pre-
feriscono, per andare in cerca delle capanne
dei. castori. Essi ne otturano l' uscita dalla
arte dell'acqua, e ingrandiscono quella che
riguarda la terra. Dopo di che vi introdu-
cono un cane a ciò ammaesirato, di maniera,
che s impossessa del castoro co’ denti, e si
lascia in secuito trar fuori "per le gambe di
È Ò
dietro.
A,
i
IL CASTORO: rod
Gli Indiani vicini alla baja d’ Hudson co-
minciano dal trar l'acqua dalla chiusa, che i
castori hanno formata; indi ne coprono di
reti le capanne, salvo un foro che lasciano
libero alla sommità, e per cui vi perc
onde i poveri animali spaventati, cercando fug-
gire. per le solite uscite, si trovano presi.
In alcune parti della Laponia i cacciatori
pigliano i castori con rami di abete, a cui
adattano de’ nodi a ricorsojo. Ma è da osser-
varsi, che ogni volta che ne son presi due
a poca distanza l'uno dall'altro sì mettono
reciprocamente in libertà. Il castoro è nativo
di quasi tutte ie parti settentrionali dell’ Eu-
ropa e dell'Asia; ma trovasi principalmente al
nord dell'America. Sembra pure ch'esso abbia
altre volte abitato la Gran Bretiagna, poiché
Girald di Chambrai assicura che frequentava
il fiume di Tièvi nel Candiganshire e vhs
gli abitanti del principato di Callos gli ave:
dato un :nome, il qual significava animale di
larga coda.
Trovansi ora (1806) nel parco di Exeter-
Change due castori condotti dalla baja d' Hud-
son dal capitano. Turner, che aveva pure a
bordo un maschio ed una femina delia me-
desima specie co’ lor piscine ma essendosi
sgraziatamente ‘adoperato. piombo in vece di
siagno per foderare. il trogoio ove bevevano,
10/4 IL CASTORO.
fureno avvelenati in una notie, che rosero
un tal metallo. Gli altri due, che oggi sono
in possesso del signor Pidcock, si mostrano
singolarmente addomesticati, ed anche si la-
@ciano toccar facilmente; ma quando alcuno
lor si avvicina mandano un grido lamente-
vole, che molto si assomiglia a quello di
vn bambino appena nato. Lieti alcuna volta
e scherzevoli giuocano l'uno coll’altro, e se
loro si porge qualche cosa con cui possano
divertirsi sembrano molto contenti, e lo stra-
scinano più lungi, che il permettono i limiti,
fra cui sono racchiusi. Il loro -castode - mi ha
detto che loro avviene spesso di erigere ur
pieciol palco «ceci rami di salice, che loro si
danno per nutrimento, e colla paglia, che
serve loro di leito; e che ove non si .inter-
rompessero in tal lavoro, ben presto si fug-
girebboro, sormontando il chiuso. Rodono pur
con tanta perseveranza il legno delia loro
stanzuccia , che si è costretti ricoprirlo con
lamine di stagno o di ferro.
Ii Jero edito si compone di rami di
salice, di foglie di cavoli e di pane, cui sem-
pre ‘omollano nel loro trogolo, prima di man-.
giaro, Ai loro pasti i volte sianno in
piedi; e veggonsi non di rado lavarsi i piedi
e pu ulirsi i denti. In somma la natura loro è
mitissima, e la mondezza non ordinaria.
CAPITOLO; III:
Mn come l’orso suol, che per le fiere
Menato sia da’ Russi o da’ Lituani,
Passando per la via poco temere
L’importuno abbajar di picciol cani,
Ghe pur non se li degna di vedere.
i Ariosto.
ORSO COMUNE.
ki |
E animale selvaggio e solitario, che abita
le. caverne più inaccessibili de’ monti, o i
luoghi più appariati e più impenetrabili delle
foreste. Ha gli orecchi brevi e tondeggianti,
50 O . - ° s_os . 3
gli occhi piccioli e forniti di membran@ a
guisa di palpebre, il muso aguzzo, f olfato
acutissimo, coscie e gambe forti e muscolose,
. q: e . } hi n DEE 3 d }
piedi assai lunghi e grife sì adunche da po-
tersi arrampicar per gli alberi con facilità.
La sua voce è un brontolio cupo, un non so
qual fremito grossolano che fa spesso udire
alla minima provocazione.
Gli orsi nel Kamtschatka sono tanto co-
muni, che veggonsi non di rado errare per
le pianure in branchi numerosi; e già da lungo
106 ORSO COMUNE.
tempo avrebbero assai spopolato il paese, se
ivi non fossero di natura assai meno fiera,
‘che in tutte l' altre parti del globo. Nell’ in-
verno abilano principalmente le uv
ma in primavera ne discendono in folla,
recansi verso le bocche de’ fiumi, onde i
dervi pesce, che abbonda in tutte 1 acque
della penisola. Se ne trovano in gran quan-
tità non ne mangiano che la tesia; e ogni
volta che il caso i fa incontrare in qualche
rete. o nassa di pescatore, la traggono dal-
l acqua con molta destrezza e s' impadroni-
scono di ciò che contiene.
Quando un Kamischadale scorge uno di
questi animali , cerca guadagnar ul lunga
la sua confidenza, accompagnando i suoi ge-
sti con parole carezzevoli. E, per verità, gli
orsi in quel paese mostransi tanto fl È
che le donne ed anche le fanciulletie vanno
a cercare erba, radici e torba pel fuoco in
mezzo di loro, che mai ad esse non fanno
male. Che se alcuno di quegli orsi, talvolta
si accosta. alle tranquille raccoglitrici UÈ per
ricevere dalle lor mani qualche cosa da man-
giare. Mai non furono veduti assalire. un
uomo, fuor del caso d’esserne svegliati all’im-
provviso ; e di rado accade che si- avven-
tino ai cacciatori , siano o non siano da loro
feriti
ORSO COMUNE. 10%
Quest indole mite dell’ orso del Kamtschaika
non val, però , a salvarlo dalla persecuzione.
Armato di mazza o di picca l’abitator di quel
paese va a ricercarlo ferocemente fin nella
calma del suo asilo secreto. L° orso , ch’ ivi
nulla medita di ostile, nè pensa che alla pro-
pria difesa , prende gravemente i fastelli che
il nemico gli presenta, e se ne giova a tu-
rare l'ingresso della sua spelonca. La quale
poi ch'è ben chiusa, il cacciatore ne sfora
la sommità, e vi caccia senza pericolo proprio
la sua lancia, che va a trapassare il corpo
dell'animale. Talvolta egli disiende sulla via ,
che sa frequentata dall orso, un asse iutto
irto di grossi chiodi, e accanto all’ asse qual-
che cosa assai greve, che l'animale fa cadere
passando. Quindi spaventato del rumore di
tale caduta corre attraverso l'asse con mag-
gior precipizio, che altrimenti non avrebbe
fatto. E sentendo una delle sue zampe infissa
ne chiodi si studia liberareela , appoggiandosi
fortemente coll’altra. Ma le sue ferite e il do-
lor suo non facendo che crescere, si leva esso
in sulie gambe di diciro, e si agita in su
gli occhi con quelle dinanzi la tavola a cui
sono inchiodate. Quesia vista gli è di tanta
costernazione, che getiasi a terra, manda urli
orribili, e muore fra i più vivi dolori.
In alcune parti della Siberia, i cacciatori
108 È ‘©6850 COMUNE.
alzano una specie di palco formato di più pan
“coni posti gli uni sopra gli altri, i quali
‘cadono insieme, € bian Ì orso; quando
posa il piede su d'un tiraboc. chello posto al
‘dissotto. Altro modo di prender gli orsi è
quello di scavar fosse, in mezzo a cui si
pianta un palo liscio e appuniato all’ estremità
superiore , il «quale s' alza un piede circa da
terra. Ricopronsi quelie fosse accuratamente
di zolle, e disponsi in mezzo del sentiero, ché
l orso ha in costume di tenere, una picciola
cerda, a cui è appoggiata una figura elastica
di legno. Appena l’animale tocca tal corda ,
la figura si drizza in piedi; e quello, che ne
prende paura, cerca salvarsi colla fuga, e pre-
cipitando nella fossa è sventrato dalla punta
del palo, che si è deseritto. Che' se sfugge a
‘ questa prima insidia, dopo incontra pali di
ferro aguzzi, simili a quelli che si ‘oppongono
alla cavalleria nemica, e collocati a poca di-
stanza dalla fossa. In mezzo a questa specie
di cavalli di frisa altra figura di legno di
nuovo lo spaventa; e me ui fa ogni sforzo
per uscir d’ un luogo pieno per esso di so-
spetto, il cacciatore, che si tiene in imboscata,
gli è sopra e il mette a morte. |
I Koriachi sogliono prenderlo della maniera
seguente. Cestio qualche albero bistorto, che
abbia presa nascendo una forma arcuata, €
ORSO COMUNE. 109)
appendono alla cima, che in giù si piega, un:
nodo scorritojo. e qualche esca. L’ orso afla-
mato vi agogna, e si arrampica ansiosamente
al tronco; ma da che tocca 1 rami, il nodo
si serra, l animale è soffocato, e- cade dal
l albero., a cui resta sospeso.
Nelle parti montuose della Siberia. quelli ,
che vanno alla caccia dell'orso, attaccano un
ceppo pesantissimo ad una corda, l'una delle
cui estremità finisce in un nodo parimenti a
ricorsojo; e il collocano presso di un precipi-
zio sul cammino che l'animale costuma di
frequentare. Questo, dopo di aver cacciato il
suo collo nel nodo, trovandosi impedito dal-
T ostacolo. oppostogli*, lo pr ende con furore ,
e lo scaglia nel precipizio; ma strascinatovi
esso pure dal peso di quello, muore della sua
caduta. Che se ciò non gli accade, strascina
il ceppo sull alto deila montagna, e ripete i
suoi sforzi, fino a che la sua rabbia essendo
giunta all esiremo , 0 soccombe di stanchezza,
o pon termine al suo soffrire , precipitandosi
nell’ abisso. :
L'orso è ghietto del mele, e questa. sua. go-
losità ha suggerito ai Russi un mezzo di pren-
derlo. Sospendoro eglino ad una correggia un
ceppo, lungo il tronco d'un aibero, ove l'api
han posto un loro alveare. Quando l'orso vi
sì arrampica per giugngre ai favi, irovandosi
TIO ORSO COMUNE.
molestato da quel ceppo, lo spinge da una
banda, e cerca di salire. Ma il grosso legno
ritornandogli sopra, lo percuote sì forte, che
T animale incollerno lo spinge con più vio-
lenza , ond' esso ricade vie più ponderoso; e
la cosa va qualche volta tani’ oltre, che l'orso
rimane vittima della propria semplicità.
In alcune contrade del nord un sol uomo
assale al piano un orso, senz’ altr” arme, che
un coltello ben affilato, ed uno sile a doppia
punia , attaccato a un guinzaglio. «Si attorce
questo al braccio destro, e collo stilo nell'una
mano e il coltello neli altra, s' avanza‘ ardita-
mente contro l'animale, il qual si rizza sulle
sue gambe posieriori a combattere. Ma nell i-
stante che apre la gola, il cacciatore vi pro-
fonda il suo stilo, e gli fa tal ferita, che più
non sente forza di resistere, e può egualmente
essere pugnalato, 0 condotto vivo dove piace
al suo aggressore.
Non avvi quadrupede, la cui wecisione rie-
sca più utile al Ramischadali, di quello che
l'orso. Poichè della sua pelle fan letti, coperte,
berette, guanu e collari pe cani , che tirano
le slitte. Quelli che vanno su’ ghiacci, per cac-
ciarvi gli animali marini 9 formano la suola
deile loro scarpe con simile cuojo, che mai
non scivola. La grascia dell’ orso è tanto più
valuiaia , secondo che è più nutriente, e di
ORSO COMUNE: III
nn sapore più aegradevole. Fusa poi si ado-
pera in luogo dell” olio.
La sua carne, specialmente quella dell’ or-
sacchiotto è assai delicata; e gli intestini bene
sgrassati e ben puliti servono a preservare il
viso deile donne dagli effetti del. sole, che
riflesso dalla neve suol annerire Ja pelle. Così
le belle del Kamtschaika serbano la freschezza
del lor colorito.
Ì Russi di quella contrada fanno cogli in-
testini deli’ orso delle impannate da iu
non meno trasparenti che i vetri. di Mosca,
e i suoi omoplati servono di falce per tagliar
l'erba. I nativi del paese sospendono alle loro
capanne cosce e teste d' orsi, come tanti tro-
fei ed ornamenti.
Sembra che i Kamtschadali siano pur de-
bitori a questi quadrupedi di que’ pochi pro-
gressi , che sinora hanno fatti nella medicina.
Osservando il genere d'erba, che gli orsì ap-
plicano alle loro ferite o di cui fanno taste, e
tutti gli altri mezzi curativi, che impiegano
quando sono ammalati, hanno appreso .a cu-
rare sè stessi. Gli orsi, parimenii, dir si pos-
sono i lor maestri di Laiio. In quelia, che chia-
mano danza dell'orso, i Kamischadali imitano
sì fedeimenie i gesti e le attitudini dell ani-
male; che non rimane dubbio iniorno alla
scuola che ne han ricevuta. Perocchè esprimono
12 ORSO COMUNE.
il suo andamento stupido e indolente, le sue
differenti posizioni e tutti i moti suoi; figurano
i giuochi degli orsacchini colle lor madri, la
maniera, onde il maschio e la femina scher-
zano insieme , € la loro agitazione quando sono
inseguiti.
Tutte l altre danze somigliano, a più ri-
guardi , ai salti dell'orso, e sono tanto più
.. quanto più vi hanno di conformità.
E facilissimo addomesticar quell’ animale, e
sidente docile ed obbediente. Gli si insegna
ad andar ritto, a tener un bastone melle
zampe , a far differenti giri, per divertir la
moltitudine, la qual molto ride della. sua gof-
fezza nel moversi che fa al suono di rozzo
strumento, o alla rustica voce del suo padrone.
Ma le crudeltà ch’ esercitano i cacciatori sopra
di esso, affin di dargli questa specie di edu-
cazione , veramente sono odiosissime. Peroc-
chè spesso gli cavan gli occhi, e dopo avergli
fatto passare attraverso le. cartilagini del naso
un fil di ferro, che curvano in anello onde
condurlo, il privano d'ogni nutrimento, e l'op-
primono a colpi, sino a che si mostri som-
messo alle loro barbare volontà. ‘Talvolta gli
insegnano a danzare facendogli posar i piedi
sopra verghe di ferro infuocato , suonandogli
intanto qualche piva o colascione, che ben
corrisponde agli urli, che gli strappa il dolore.
-
ORSO COMUNE. 113
Né fa punto meraviglia, dice il sig. Bewick,
che simili barbarie servano di trastullo a un
popolaccio stupido , il qual le paga, e si af-
folla intorno al misero animale, per vederlo
imitare sgarbatamente le maniere dell’ uomo.
Saria però a desiderarsi che i magistrati proi-
bissero severamente ogni spettacolo di simil
genere, poichè tornano a gran biasimo di una.
nazione tutti 1 divertimenti che disonovano
È umanità
La femina dell'orso porta in seno i figli circa
sei mesi, e ne mette in luce, generalmente,
due per volia. Questi, nascendo, sono roton-
di, quasi senza alcuna forma, ed hanno :l
muso molto aguzzo; ma è falso ciò che gli
antichi naturalisti hanno preteso, che la madre
«dia loro forma regolare , leccandoli. La loro
lunghezza in quel tempo non è più di otto
pollici. Per Io spazio di un mese poi resian
privi di luce.
Quando gli orsi vanno al lor sogsiorno d'in-
verno sogliono esser grassissinii ; ma dacché
in tale stagione non prendono quasi alcun
nulrmento, escono poi magrissimi in prima-
vera. Al qual tempo, trovandosi nello stomaco
di siffatti animali che si uccidono una sosianza
schiumosa, si è supposto che ne freddi giorni,
in luogo di nudrimento, si sostenessero lec-
cando le proprie zampe.
Gabinetto Tom. I 83)
s14 GRSO COMUNE.
T cacciatori mai non ardiscono far fuoco
coniro un orsacchiotto in presenza della ma-
dre; poichè se quello è ucciso, questa divien
furiosa, e cerca vendicarlo o perire. Se poi
l{ madre soccombe, T altro le riman vicinoy
esprimendo con tutti i segni possibili il suo
dolore. Non sono molti anni che un cacciatore
in una provincia d' Alemagna fu per perdere
la vita, poichè avendo tratto d'archibugio so-
pra un orsacchiotto sotto gli occhi della ma-
dre, che un rovo gli nascondeva, questa con
un colpo improvviso di zampa gli strappò gran
parte della pelle del cranio.
- Di raro l'orso usa de suoi denti come di
arme offensiva; ma percuote ordinariamente il
nemico, alla maniera de’ gatti, colle zampe an-
teriori, 0, se il può, lo stringe fra esse e
lo soffoca.
ORSO D'AMERICA.
In ciò principalmente differisce quest’ orso
da quelli d' Europa, che ha il corpo più pic-
ciolo, il muso più acuto, l’orecchie più lunghe,
il pelo più morbido, più liscio, più lucente,
e la Janugine della mascella e del petto d'un
bruno rossiccio.
Gli orsi d'America arrivano. nella Luigiana
alla fine d'autunno, cacciati dalle nevi dei
«
ORSO D AMERICA. 115
elimi più settentrionali. A quell’ epoca sono
tutti magrissimi, attesochè non abbandonano il
nord, che quando la ierra è tutta coperta di
gelo, e il cibo per conseguenza è molto raro.
Ne” paesi all’ intorno del Mississipì non si
allontanano che pochissimo dalle rive di quel
gran fiume, nelle quali restano frequentissime
orme dei loro passi, che i non pratici pigliano
per orme di passi umani.
Dupraiz dice d’esserne un giorno rimasto
ingannato, imaginandosi che migliaja d’ uomini
fossero passati per un sentiero distanie più di
due miglia da ogni abitazione.
« È hede il far osservare, egli aggiunge,
che l'orso: non si picca di civiltà, nè cede il
passo ad alcuno. Quindi la prudenza vuole
che il viaggiatore non faccia seco il sottile per
questo punto di galateo ». -
Verso la fine di dicembre, quando gli orsi
son divenuti sì grassi e sì indolenti, che ap-
pena possono camminare, e che uccisi trovansi
in istato di fornire grande quantità d' olio, i
selvaggi americani lor danno la caccia. E al
cuni osservano in tale circosianza cerimonie
tanto singolari, che la relazione di Charlevoix
nel suo viaggio per l America Seitentrionale ,
deve riuscirne assai dilettevole.
« Ecco, dic egli, quanto pur oggi sl pratica
in tale caccia dai non cristiani.
116 ORSO D AMERICA.
« Sempre è un capo di guerra quegli che
ne indica il tempo e chiama i cacciatori. Al-
l’invito, che si fa con gran cerimonia, segue
un digiuno di otto giorni, duranti i quali, non
è lecito prendere sorso d'acqua: già pe ° sel-
vaggi il digiunare è astenersi da ogni cibo e
bevanda. Malgrado, però, l'estrema fiacchezza,
a cul parrebbe dovessero per. tal cagione esser
ridotti, non cessano di cantare per tutto il
lungo della giornata. Quel digiuno si osserva
onde ottener dagli spiriti che faccian conoscere
in qual luogo si troveranno molti orsi. Affine
però, di conseguire un simile favore, altri fanno
assai più; incidono vive in varie parti del
corpo le loro carni con ferita ben dolorosa.
Ed è notabile, che mai non chieggono di vin-
cere que furiosi animali, ma solo d'incontrarae
in gran copia; come Ajace non domandava a
Giove, che il rendesse vincitore de’ suoi ne-
mici, ma scio che gli concedesse abbastanza di
giorno per poterli vincere. Al medesimo intento
que selvaggi mandano altresì preghiere ai mani
delle beive trucidate nelle cacce antecedenti; e
come, vegliando, non sono occupati che di
questo pensiero, è naturale che anche nel loro
sonno, il quale, con quegli stomachi vuoti, non
debb essere molto profondo, sempre veggono i
toro orsi. Ma a risolverli bisogna che tutti, o
almeno la più gran parte, gli abbian sognati nei
ORSO D AMERICA. 117
medesimo luogo; e quest’accordo è alquanto
difficile. Tuttavia, purchè un abile cacciatore
abbia creduto vederli due o tre volte di se-
guito in un luogo determinato, quasi tulli,
sia condiscendenza ( perocchè niuno più con-
discendente de nostri selvaggi), sia che a forza
di udirne parlare i loro cervelli alfin ne rice-
vano l'impressione, tutti, «ico, in breve so-
gnan lo stesso o fingono averlo ‘sognato, e
più non si dubita ove si debbano” volgere
i passi.
« Finito, così, il digiuno, e scelto il luogo
della caccia, quegli che n'è scelto capo dona
agli altri un gran pasto, a cui nessuno inter=
viene, senza aver prima preso il bagno, cioè
a dire senz'essersi gettato nel livio, qualun-
que tempo faccia, pur che Yacqua ron sia
ghiacciata. Quel banchetto non è già come
altri molti, in cui è forza mangiar tutto, seb-
bene a lungo siasi digiunato; ma forse appunto
per ciò ognuno vi si mostra sobrilssimo. Chi
ne fa gli onori non assaggia nulla, e, mentre
gli altri si cibano, ei racconta le sue passate
prodezze alla caccia. Al levarsi da mensa ripe-
tonsi le invocazioni ai mani degli orsi defunti.
Indi la compagnia tutta maculata di nero e
in equipaggio, come di guerra, si mette in
marcia fra le acclamazioni di iutto il villaggio.
Così la caccia non è fra que popoli nicyte
118 ORSO D'AMERICA.
men nobile che l'arte bellica. La parentela di
un buon cacciatore è anzi da essi più ricer-
cata che quella di un guerriero famoso; poi-
chè la caccia fornisce a tutta la famiglia vitto
e vestimento; e oltre a ciò non si estendono
i desiderii de’ selvaggi. Ma nessuno è da loro
riputato gran cacciatore, se non uccide dodici
gran belve in un giorno.
« Que popoli hanno per l' esercizio della
caccia due notabili avvantaggi sopra di noi.
Perciocchè, primieramente, nulla gli arresta;
non rovi, non fosse, non burroni, non sta-
gni, non fiumi: sempre camminano per la
via più diritta. In secondo luogo ben pochi
son gli animali, se pur ve n'è alcuno, che
essi non raggiungano al corso. Si sono fra
essi veduti uomini arrivare ad un villaggio,
cacciandosi innanzi con una bacchetta molti
orsi da loro presi, come avrebber fatto di
un grezge di montoni. Del resto il cacciatore
poco deve approfittar per sè stesso della sua
preda, cui è obbligato distribuire con gran
liberalità. Se nol fa prontamente, e si lasci
prevenire da chi gliela tolga, è forza che il
soffra in silenzio, e si contenti dell'onore di
aver faticato pel ben comune, Non si biasima
però che nella distribuzione Ja sua famiglia
abbia la prima parte.
«Il tempo della caccia dell'orso è l'inverno,
ORSO. D' AMERICA» t19
Dacchè l'animale è ucciso, il cacciatore gli
mette fra i denti la canna della sua pipa acce-
sa, soffia nella pipa medesima, ed empiendo
così di fumo la gola e lo stomaco di quello ,
scongiura il suo spirito a non provare alcuno
sdegno di ciò che ha fatto al suo corpo, €
non essergli contrario in tnite le cacce future.
Ma come lo spirito non risponde , il cacciato-
re, per sapere se la sua preghiera sarà esau-
dita, taglia lo scilinguagnolo dell’ orso, e il
serba fino a che sia di ritorno nel villaggio.
Allora in gran cerimonia e dopo molte invo-
cazioni lo getta nel fuoco; e se crepita e si
contrae, come di necessità sempre avviene ,
lo ha per segno che lo spirito dell’ orso è
placato , altrimenti presagisce infelici le cacce
dell’anno venturo; ove non si trevi qual
che rimedio; poichè alla fine vi è rimedio a
tutio.
« I cacciatori fanno buoni pasti finché
dura la caccia; e, per mediocre che riesca,
sempre ne portan seco di che regalare gli
amici e nutrir lungo tempo le loro famiglie.
Non è, per verità, un piatto molto voluttuoso
questa carne affumata; ma tutto è buono per
de selvaggi. Al vedere il ricevimento che si fa
a’ cacciatori, l'aria di contentezza e di com-
piacenza di sè stessi, che questi prendono fra
le lodi, che loro si tributano, direste cl’ essi
120 È ORSO D AMERICA
sitornino da qualche gran spedizione «carichi
delle spoglie di un popolo debellato. Convien
essere un valent uomo, loro si dice, anzi di-.
cono eglino stessi, senza tanta modestia, per
combatiere e vincere gli orsi. E un altra coe-
sa, che loro acquista non minori encomii, e
ond’ essi traggono non minore vanità, si è il
non lasciar nulla avanzare cel gran banchetto,
che loro imbandisce di nuovo al ritorno della
«caccia quegli, che ne fn il condottiere. Pre-
sentasi in esso, per prima portata, il più
grand orso , che sia stato preso, ancor iuito
intero co suoi iniestini, anzi colla pelle , che
appena gli si è abbrustolata, come si fa coi
porci ».
I selvaggi dell America meridionale addo-
meslicano gli Orsi giovani., cui spesso piglian
sì teneri, che ancor non. possono mangiare;
nel qual caso obbligano le loro donne ad al-
levarli col zampilletto.
Più scrittori d'autorità hanno lia alati
assicurato , che nessun europeo o americano
ha mai potuto uccidere un’ orsa nel tempo
della sua gestazione. In una sola caccia rimaser
vittime alia Virginia più di cinquecento indi-
vidui della razza orsina, fra cui non si trovarono
che due femine, ancor non pregne. Cagione
di tal singolarità debb' essere ‘che, menirg i
5
maschi hanno per la loro prole ‘non so qual
‘ORSO D AMERICA. 121
avversione, che mostran pure altri quadrupedi;
le femine appena han concepito sl ritirano in
fondo alle foreste o alle rupi, onde sottrarsi
alle ricerche dei feroci mariti.
ORSO BIANCO.
Differisce dall’ orso comune per ciò che ha
| la testa € il collo, e, proporzionatamente al
suo volume, tutto il corpo più lungo. I suoi
orecchi e i suoi occhi son piccioli, € 1 suoi
demi di singolare grossezza. Il suo pelo è
prolisso; duro al tatto, e d’ un bianco gialla-
stro; nelle sue membra apparisce gran forza ;
l'esiremità del suo muso e le sue unghie son
linte di nero.
I quadrupedi della sua specie abitan le parti
più iperboree del globo, che ben si accordano
col loro carattere selvaggio. Veggonsi nelle
icrre polari a torme prodigiose, non solo per
terra, ma anche sui ghiacci fluttuanti a più
leghe di mare. Di questa guisa sono essi più
volte tasporiaii fino in Islanda. Però, dopo
il Jungo digiuno necessariamente sofferio in
questo tragitto, assalgono indistintamente: il
primo essere che loro si presenta. Ma preten-
desi che i nativi del paese sfuggano facilmente
al loro furore, se gettar possono sul cammine
qualche cosa che li diverta.
129 ÒRSO BIANCO.
« Un guanto, dice il sig. Horrabow, è
propriissimo a tale effetto ; Da l orso non
rocede oltre, che prima non ne abbia corrose
tutte le dita, il che esige abbastanza tempo,
perchè la persona si metta in salvo. »
Accade assai spesso che quando un Groen-
landese e la moglie sua si trovano in una
delle lor canoe sul mare, se di troppo si av-
vicinano ad un ghiaccio ondeggiante, un orso
bianco salta nel loro fragil legno e, se nol
rovescia , si asside tranquillamente e si lascia
condurre come un passeggiero. Il Groenlandese
non è molto contento dell’ ospite mostruoso ;
ma fa di necessità virtà e lo conduce carita-
tevolmente a riva.
Gli orsi bianchi son naturalmente feroci, e
se ne videro nella Nuova-Zembla assaltar dei
marinai, prenderli per la gola, portarli via colla
più gran speditezza e divorarli alla vista dei
lor camerata costevnatissimi. Quando sono ir-
ritati 0 provocati, si mostrano i più pertinaci
nella vendetta, come potrà giudicarsi dall’ a-
neddato seguente.
Non ha molti anni, che l equipaggio di
una canoa, che seguiva una nave alla pesca
della balena, tirò a picciola distanza sopra un
orso e lo ferì. L'animale mandò un urlo ter-
ribile, e corse tosto lunge il ghiaccio su cui
trovavasi. alla volta del picciol legno, per
ORSO BIANCO. 123
ragoiugnerlo. Si trasse allora un secondo colpo,
che parimenti non falli, ma non valse che ad
‘accrescere il suo furore. Poiché gettatosi a
nuoto, e presto pervenuto al battello, stese
una zampa sul bordo, e l'afferrò. Un mari-
naio, ch'avea pronta una picozza, che dicono
d'arrembaggio, gliela tagliò. L'orso allora, altro
non potendo, seguito a nuotare dietro il le-
gnetto , anzi di tanto si accostò al maggior
naviglio, che più archibugiate gli furono sca-
gliate contro, le quali il piagarono. Ma esso
vie più ostinato fe in modo che pervenne ad
arrampicarsi fin sopra il ponte, onde iutto
l equipaggio fu in iscompiglio , e molti forse
rimanevan vittime della sua rabbia feroce, se
un nuovo colpo di moschetto nol distendeva a
terra.
Roberto Boyle ci ha fatta un’assai Bella di-
pintura della sagacia, di cui i quadrupedì di
questa specie danno prova, cercando la loro
preda. « Un vecchio capitano di vascello, egli
dice, mi ha assicurato che gli orsi, i quali si
trovano in Groenlandia, e ne contorni di quel
paese, hanno l'odorato eccellente, malgrado il
freddo estremo, ch'ivi regna. Talvolta; quando
1 becca avean gettato al mare qualche carcame
di balena, e questo ondeggiando su’ flutti già
era a tre o quatiro leghe dalla costa, distanza,
a cui era impossibile vederlo , quegli animali )
s24 ORSe BIANCO.
scesi pell ultima riva, e riitti sulle posteriori
lor gambe respiravano l'aria con quanta forza
poteano , e parea che colle zampe davanti la
raccogliessero sotto le loro narici. Assicurati ,
(per ciò che s suppon lo scrittore) delia parte,
onde l.odore veniva, scagliavansi all’acque, e
navigavano in retta linea verso fa balena; della
qual cosa e il capitano e parecchi furono testi-
monili , seguendoii . su” loro schifi, onde accer-
tarsi che ii naso di questi «animali poteva ser-
vir loro di guida, quando l'organo della vista
non bastava a tale oflicio ».
Il pasto favorito dell'orso biamco si compone
di foche, «di morse, di carcami di balena, e
d’ aliri pesci di mare. Assale esso frequenie-
mente il walso o caval marino; ma quest’ a-
nimate, com'è fornito di zanne d’ una forza
prodigiosa. esce quasi. sempre vincitore dal
combattimento.
Quando gli orsi trovansi a qualche distanza
dal mare, vanno alla caccia di daini, di lepri,
e d' uccelli nei loro nidi, e mangiano diverse
specie di coccole che incontran per via. Nel
Y inverno si tengono principalmente nell isole
poste soito la zona glaciale, passando frequenà
temente dall’ una all'altra. Secondo il signor
Bewick essi far non potrebbero sei in sette
leghe continue nuotando; ma il sig. di Buffon
dice che ne fanno appena una sola; che in
ORSO: BIANCO. 25
Pregio inseguonsi facilmente su piccioli batelli
he ben tosto sono stanchi; che talvolta sì
attuflano nell'acqua, ma non ci restano che
alcuni secondi, e che per paura di annegarvi
si espongono a farsi uccidere alla superficie.
Quando alcune masse enormi di ghiaccio, o
per forza di venti, o per urto delle correnti
son distaccate, lasciansi gli orsi trascinare con
‘esse; e come nè possono: abbandonarle ,, nè
riguadagnare la sponda, avvien loro spesso di
perire in alto mare: L° orsa bianca. partorisce
due orsacchiotti ad un tempo; e l'amor che
poi regna fra essi e la madre è sì forte, che
preferisce morire, anzichè ne più gran peri-
coli separarsi da loro. Il caso, che riferiremo,
ne sarà prova singolare. 7
« Veleggiando, pochi anni addietro, un na-
viglio inglese per fare alcune discoperte verso
il polo settentrionale, e navabidosi impedito
da' ghiacci, una mattina il piloto die’ avviso
all’ equipaggio, che tre orsi bianchi si avvici-
navauo, € già erano a poca. distanza. Ceria-
‘mente erano stati attirati dall’ odore dell’ olio
d'un vitello marino ucciso da. alcuni giorni ,
e che ora ardeva sul ghiaccio. I tre animali ,
intanto, furono riconosciuti essere un orsa e due
| orsacchiotti, quasi forti al par della madre, i
\quali si precipitarono verso il fuoco, e trassero
idi mezzo, alle fiamme parte della carne di una
126 ORSO BIANCO.
“morsa non ancor consumata, e la divorarone.
Alcuni dell’ equipaggio allora gettaron sul ghiac-
cio altri pezzi della morsa medesima, che lor
rimanevano. La madre vénne a prenderli l'un
dopo ’ altro, sempre portandoli © dinanzi ai
figli, nè ritenendone per sè che picciolissima
»orzione. Ma intanio, ch essa veniva a pigliarsi
È ultimo brano, i marinai trassero d’ archibugio
contro gli orsacchiotti, e gli uccisero ambidue;
indi anche alla madre diressero i loro colpi ,
senza per altro ferirla mortalmente. I cuori
più insensitivi avrebbero versato lagrime di
compassione, vederdo il tenero interesse, che
quesia povera bestia prese alla sorte de’ figli
suoi ne loro ultimi momenti, sebbere tormen-
tata essa medesima da piaga sì grave, che
appena le permise di strascinarsi dov’ essi
erano. Apportò loro quanti frusti di carne potè
raccogliere all’ intorno, gli invitò con dolci
eccitamenti a mangiarre ; e come vide che non
li toccavano , distese Ie sue zampe prima sul-
uno e poi sull'altro, cercando farli rialzare,
e mandando gemiti dolorosi. Quando vide che
non potea farii movere , si allontanò da loro;
ma poi che fu a certa distanza si guardò ad-
dietro, e si mise ad urlare con quanta forza
era in essa. Poi ritornò a’ figli, si mise a fiu-
tare intorno di loro, e di nuovo ailtentamente
li mirò, ripetendo gli urli di prima. Sorpresa
ORSO BIANCO. I di
| che non la seguissero, gran moto si diede in-
torno ad essi, carezzandoli, chiamandoli , ec-
citandoli. Convinta alfine ch erano senza ca-
‘lore e senza vita, alzò la testa incontro al
—_—__—
vascello, e fece intendere un fremito di di-
sperazione a cui i marinai risposero con una
*carica di fucili. Essa cadde allora in mezzo ai
figli suoi, e spirò leccando le loro piaghe ».
I maschi, a certo tempo dell’ anno, sono’ sì
affezionati alle femine loro, che il sig. Hearne
assicura averne frequentemente veduti stender
le zampe sulle proprie compagne state uccise;
e fedeli alle loro spoglie preferir la morte al-
l’ abbandonarle. i
In inverno questi animali si addormentano
nella neve o sotto cumuli di ghiaccio , ove
rimangono in uno stato di torpore, fino a
che le regioni del polo artico siano avvivate
dai raggi del sole. Di tutti i quadrupedì essi
pajono quelli che più sfuggano il calore. Il
professor Pallas parla di un orso, che rimaver
non volle in sua casa, duranti i giorni inver-
nali, quantunque abitasse la Siberia, il cui
clima è freddo eccessivamente. Un altro, ch'era
al giardino delle piante in Parigi, trovavasi così
incomodato dal caldo, che i suoi custodi erano
in tuito l anno olbligati gettargli adesso ben
settanta secchii d’ acqua ogni giorno, per rin-
frescarlo.
r28 |
FL COATI O RATTONE.
Quest animale è un po’ meno grosso che
un tasso; ed ha appena due piedi di lunghezza,
non contando la coda, che è presso a poco
di undici pollici. H suo dorso è un po'arcato,
e le sue zampe posteriori sono più lunghe
che quelle davanti. La sua testa li a
quella di una volpe; ma colle orecchie al-
quanto mea lunghe, e con mascella superiore
profilatissima e più grande che l inferiore. Il
color del suo pelo è d’ un grigio carico; ma
la faccia è bianca, e gli occhi sormontati da
una lista nera, che assottigliasi in bruna e si
prolunga fino al naso.
‘Il coati trovasi in America, e in differenti.
isole dell’ India occidentale.
Suo nudrimento nello stato di natura sono
il mais, la canna del zuccaro, e differenti spe-
cie di frutta. Si presume, però, che divori
gli augelli, e le loro ova. Quando abita presso
le coste del mare, mangia gran quantità di
pesci con scaglie, e specialmente di ostriche.
Dicesi, che spii il momento, in cui il loro
guscio si apre, che v introduca destramente
le unghie, e ne cavi il pesce a piccioli pezzi.
Talvolta, però, l’ostrica si chiude ad un tratto;
le zampe dell'animale ci nese prese; esso
non può più correre, ed è ben tosto sopraf-
fatto dai flutti del mare, ove si annega.
TL COATI O RATTONE. 129
Molia industria parimenti il coatl dà a ve-
«lere nel prendere i granchi marini. Brickwall
narra come si tiene iu riva alle paludi, e attuffa
nell'acqua la sua coda, che i granchi pigliano
per una qualche esca, onde vi si attaccano.
Appena l’animal li sente, sollevali d’ una sola
scossa, e li trasporta a qualche distanza. Vo-
lendo mangiarli, ha gran cura di porli di ira
verso nella sua gola, per tema d esser ferito
dalle loro punte. Una specie di granchi di
terra, che s incontra di frequente in certi
sfondi arenosi. della Carolina settentrionale,
forma spesso il suo nudrimente. Esso li prende
cacciando una delle zampe davanti nella sab-
bia, e portandoli così alla superficie del suolo.
Quest’ animale si ciba particolarmente nella
nolie, attesocchè dorme gran partie del giorno,
eccetto ne tempi nuvolosi. E di natura assai
allegro e vispo; le sue grife, che sono acutis-
sime, gli dan modo di arrampicarsi facilissima-
mente per gh alberi, anzi di salire fino alla
lor cima. Addomesticato, fa mille graziose paz-
zie. E sempre in moto; mostrasi malizioso
quanio una scimia; tuito palpa colle sue zam-
pe. che gli servon di mani onde pigliare ciò
che gli si porge, e mettersi il cibo in bocca.
Mangia ritto in piedi, ama molto le ghiottor-
nie, ed ove si lasci fare, s inebria di liquori
forti.
Gabinetto Tom. IL. 9
130. IL COATI O. RATTONE.
Il sig. Blanquart des Salines scrisse al conte
di Buffon in proposito di quest animale. nei.
termini seguenti :
« Il mio coati sempre visse: alla. catena
prima di passare nelle mie: mani. In tale cat-
tività si meostrava assai docile, sebben poco
carezzevole. Le persone della casa. gli facean
tutte l' istesse dimostrazioni, ma egli le rice-
veva. assai differentemente. Ciò che piacevagli
dall'una, offendevalo nell'altra; nè mai prese:
scambio. Talvolta la sua catena si ruppe; e
allora la libertà lo rendea. insolente. Impadro-.
mivasi di una camera, e non soffriva che al
cuno se gli avvicinasse, onde riusciva diffici-.
lissimo il racconciare i suoi vincoli. Dopo il
suo. soggiorno presso di me, la sua prigionia
{requentemente fù sospesa. Senza perderlo. di
vista, ic lascio ch' ei s aggiri a. piacere colla.
sua catena; e sempre le sue graziose maniere;
mi esprimono la sua riconoscenza. Non è però
così, quando fugge da sè medesimo. Allora.
esso va errando per tre o quattro giorni di
seguito. pei tetti del vicinato , e discende la.
notte nelle certi, entra ne' pollaj, strangola i
volatili, che vi si trovano, mangia. loro la.
aesta, e prende particolarmente di mira le
galline di faraone. La sua catena nol rendea
già più umano, ma soltanto più circospetto.
Esso impiegava allora V astuzia, e famigliarizzava.
IT COATI 0° RATEONE LI
seco 1 polli » permettendo loro di venir a di-
videre il suo pasto, finchè ne prendeva im-
provviso qualcuno , e gli facea pagar cara la
sua confidenza. Talvolta anche piccioli gatti
ebbero a provare la medesima. sorte.
» Quest animale, sebbene leggierissimo, non
ha che de movimenti obliqui; ed. io dubito
ehe possa mai raggiugnerne altri in. corso.
Apre esso a meraviglia le ostriche , e basta
rompergliene la cerniera, che le sue zampe
fanno il resto. Deve, sicuramente, avere il
tatto squisito in tutte le cose di suo bisogno;
poichè di rado servesi. in esse della. vista. o
dell’odorato. Riguardo all’ostrica, per esempio,
la fa passare sotio le sue zampe di dietro,.
poi, senza guardarla, cerca con quelle dinanzi.
la parte più fragile, vi caccia l'unghie, ne
apre alquanto le scaglie, e pezzo a pezzo ne
cava. il pesce, senza lasciarvene vestigio; nè in
ciò i suoi occhi o il suo naso che tien lon-
tani gli sono del minimo. uso.
» Se il coaii non è molto riconoscente
alle carezze che riceve, è però singolarmente
sensitivo ai cattivi trattamenti. Un servitore di
casa gli diede un giorno alcuni colpi di scu-
riscio; e invano poi cercò riconciliarselo. Ne
ova, nè locuste marine, cibi deliziosi per
quell animale, han più potuto calmario. Al
l'avvicinarsi del percussore, si agita, infuria, lo
132 IL COATI O RATTONE.
investe, 1 suoi occhi scintillano, slanciasi con-
tro di lui, manda gridi di dolore; quanto gli
si presenta il rifiuta, sino a che il nemico sia
scomparso. Gli accenti dell’ ira sua son singo-
lari: perocchè or ci sembra di sentire il fi-
schio del chiurlo, ora il rauco abbajare d'un
vecchio cane. -
» Se alcuno il baite, s è assalito da un
animale che crede più forte di sè, non Op-
pone alcuna resistenza. Simile a un riccio
marino asconde la testa e le zampe fra le sue
gambe , e fa del suo corpo un gomitolo, non
gli sfugge un sol lamento, "e in tale stato
soffrirebbe la morte.
» Ho osservato ch'egli mai non lascia nè
fieno, nè paglia nel suo covacciolo; ma pre-
ferisce di posare sul legno. Quando gli si dà
‘strame, le sparpaglia in sull’ istante. Mai non
potei accorgermi che patisse il freddo; poichè
di ire inverni, due ne ha passati esposto a
tutti i rigori dell’ aria; ed anche senza tetto,
e coperto di neve stava benissimo. Non pare
ch'ei cerchi in modo alenno il calore, menire
negli ultimi geli avendogli io fatto dare acqua
iicpida ed acqua fredda separatamente, que-
st ultima ebbe sempre da lui la preferenza.
E potendo passar la notte ben guardato. nella
senderia, amò spesso dormire in un angolo.
ella ‘mia corte. $ ica
IL COATI O RATTONE. (35
» Per mancanza o scarsezza di saliva, a ciò
ch'io suppongo, quest'animale ama che il suo
cibo sia inzuppato d’ acqua. Non cerca già di
inumidire la carne fresca, che ancor fa san-
gue, non una pesca, per esempio 0 un grap-
polo d'uva; laddove tutto quel che è secco
lo ammolla in fondo alla sua terrina.
» I fanciulli son uno degli oggetti dell'odio
suo; i loro pianti lo irritano; esso fa tutti
gli sforzi per islanciarsi contro di loro. Una
cagnuola , cui molto ama, è da esso corretta
severamente, quando si avvisa di abbajar con
asprezza. Non so perchè diversi altri animali
abborriscono egualmente le grida. Nel 1770
io avea cinque sorci bianchi. Mi entrò il ca-
priccio di farne gridare uno: gli altri si get-
tarono sopra di esso; e poichè da me pun-
zecchiato continuava, quelli lo strangolarono »:
Non si dà caccia al coati che in grazia del
suo pelo, del quale i capellaj fanno uso €
stima sopra ogni altra specie di feltri dopo
quello del castoro. Se ne fanno pur anche
fodere agli abiti, e guanti, e tomaje di scarpe.
La carne poi di quest’ animale piace molto ai
negri, onde ne fanno spesso il lor pasto.
Avvi ora (1806) alla torre di Londra una
femina del coati, la qual vi dimora da quat-
tordici anni, sicchè | età | ha resa cieca. Il
maschio, che divideva altra volta la sua stia ,
134 IL COATI Ò RATTONE.
enirò un giorno, per caso, in quella dell'orso
di Groenlandia, che lo divorò.
Quanto alla particolarità di sopra riferita;
dell’ inzuppare , cioè, che fa il coati le cose
dure, che gli si danno a mangiare, il signor
Greenfield nega d'aver mai nulla veduto di
somigliante. i
Un coati dell'America settentrionale, che
‘oggi è nel parco di Exeter-Change dicesi che
consumi circa una mezza libbra di carne cruda
per giorno.
IL TASSO:
L' ordinaria lunghezza di quest’ animale è
di due piedi e mezzo , all’ incirca, non con-
‘tando la coda, che per sè sola ‘è sei pollici.
Esso ha gli occhi e le orecchie assai picciole,
e l unghie delle gambe anteriori lunghe e di-
ritte. È d'un color grigio sul dosso, e affatto
nero sotto il ventre. Ha la faccia bianca; se
non che d'ambidue i lati della sua testa vedesi
vna fascia nera piramidale, che s alza sopra
gli occhi e le orecchie. Il suo pelo è ruvido ,
e i suoi denti” non meno che le sue grife sono
di molta forza. Abita esso quasi tutte le parti
temperate dell'Europa e dell’ Asia.
E animale affatto innocuo, che vive princi-
palmente di radici, di frutta, e d'altri cibi
IL TASSO. 135
vegetali; va però fornito «di tali armi, che
pochissimi animali assaliar lo potrebbero im-
punemente. La destrezza e il coraggio, con cui
si difende contro le belve feroci, son cagione,
che le battaglie, che sovente gli si danno per
mezzo dei cani, diventino un divertimento
popolare. In simili circostanze, sebben di na-
tura indolente, cppone la più vigorosa resi
stenza, e fa talvolta ferite profondissime a’ suoi
avversarii. La sua pelle è sì floscia e ad un
tempo sì dura, che non solo rintuzza i loro
denti, ma fa che, ove l'atterrino, esso possa
volgersi incontro di loro e ferirli nelle parti
più sensitive. Così dura talvolta a lungo contro
gli assalti ripetuti dei cani, finchè oppresso
dal numero , e lasciato senza forze dalle ferite
è costretto di soccombere.
Gli animali della sua specie vivono ordina-
riamente .a coppia ; € producono quattro in
cinque figli tutti gli anni. Amano luoghi bo-
scosi, fenditure -di rupi, covili sotterranei
‘ch’ essi medesimi si formano, ed ove stan na-
scosti l'intero giorno ; per uscirne poi al ve-
nir della notte. In certi tempi la loro inerzia
la lunghezza dei loro sonni, li fa coprire d' ec-
cessiva pinguedine. |
Duranti i gran freddi dei rigidi inverni, ri-
mangonsi essi in una specie di torpore, € dor-
mon comodamente sovra un letto d’ aridi
138 TL TASSO. i
erbaggi. Portano all’ano una specie di borsa, im
cui depongono la secrezione di una sostanza
fetida e bianca, la qual fluisce continua dal
loro orifizio, e manda un odore il più disag-
gradevole, ma ove pur essi ficcano il naso,
per gustare più soave il riposo.
Aitro male non sembrano fare al mondo,
che un po di raspamento di terra e di bu-
che, per ritrovare di che nudrirsi; il che sem-
pre avviene nelle loro escursioni notturne. E
come quesio dà un po’ di noja a padroni dei
luoghi, ove cagionano qualche guasto , fece
che si pensasse al modo di prenderli, ché or
diremo.
Scoperta che siasi ta loro tana, si pone un
sacco al sno ingresso, mentre di notte sono
assenti; e un uomo Vi si tiene di guardia ;
mentre un altro con cani fa la ronda pci cam-
pi. nde sforzare i girovaghi a correre al loro
rifugio. Appena la sentinella s'è accorta che il
tasso è nel sacco, si fa innanzi e sel porta
via; e se l’animale è ancora sul crescere,
non è difficile addomesticarlo.
La sua pelle serve a differenti usi, € delli
sue setole si compongono pennelli. Avvi chi dice
che della carne dei tassi ben stagionati e ben
pasciuti sì fanno ottimi presciutti.
137
IL GHIOTTONE.
‘Frae il suo nome dal suo appetito o piut-
tosto dalla sua voracità, e si trova in Siberia
e nelle parti settentrionali dell Europa e del-
I America. -
Il suo corpo è all'incirca lungo tre piedi,
senza contar la coda, con cui lo sarebbe di
quattro. Il suo color generale è un bruno ros-
siccio; ma lungo il dorso è di un nero lu-
cente.
Le sue gambe assai corte lo rendono poco
atto alla corsa; ma le grife son fatte apposta,
per arrampicarsi sugli alberi, ove il ghiottone
resta tutto il giorno ad aspettare la preda. Il
renne e lalce sono il suo boccon favorito, e
quando ne vede venir uno, gli si slancia in
groppa , lo piglia per le corna, gli cava gli
occhi, gli dà sì intollerabil conii , che il
povero 0: per mettervi fine, urta il capo
in un tronco con quanta forza più può, onde
cade morto all’ istante. Che se non ha questa
sorte, il suo crudele nemico si fa a succhiar-
gli il sangue, indi a mangiarne a crepapelle
la carne, finchè s° addormenta in uno stupor
letargico presso alla vittima. Ma poi rivenu-
tone, e ricuperato il suo terribile ‘appetito ,
ricomincia il pasto finchè della preda più nulla
avanzi.
1385 TL GHIOTTONE
Ti sig. di Buffon asserisce che appena l'ani-
male, su cui il ghiottone si scaglia, è morto , .
«costui lo faccia a pezzi, e li nasconda sotter-
ra, perchè altra belva non ne mangi; e ch'esso
medesimo non cominci le sue grasse merende
che quando è ben sicuro del fatto suo.
Lepri, sorci, uccelli e fin carogne tutto È
buono alla sua insaziabilità.
TLC
orrori
Ci
CAPITOLO IV.
D.1 biondo Nigro in riva, o presso ai sacri
Umor del Gange, in solitaria selva
Tranquillo al rezzo di vetuste piante
L° adiposo elefante si riposa;
Avveduto animal, d’ unica forza
Ma dal nuocere alieno. Rinnovarsi
Ei l’età vede, ruinar gli imperi,
Novi apparirne e cangiar volto il mondo.
THOMSON,
L ELEFANTE.
da |
E) desso il più grande di tutti i quadrupedì ,
e merita, a mille riguardi, la nostra più sin-
golare attenzione. Cresciuto ch’ ei sia quanto
alla sua natura s' appartiene, tocca i dieci e i
dodici piedi d'altezza, prendendolo dai piedi alla
parte più elevata del dorso, il quale è ben
largo sei o sette, e alquanto protuberanie. Il
corpo di quest animale è tozzo e corto, il
collo brevissimo , grossa la testa con proboscide
o tromba, che scende insino a terra, la bocca
picciola e stretta con due zanne sporgenti dalla
mascella superiore , senza contare otto grossi
denti pur mascellari. I suoi occhi son vivi e
penetranti, le orecchie grandi e pendenti; le
140 L'ELEFANTE.
gambe cilindriche e massiccie, che gli servone
per così dir di pilastri, onde sostenere l e-
norme suo peso; i suoi piedi cortissimi, quei
dinanzi più larghi e più rotondi che i supe-
riori. Esso ha ÎL pelle durissima, principal-
mente sulla pancia, di un color bruno carico,
il qual si accosta al nero. « La tromba del-
T elefante , dice il six. di Buffon, è composta
di membrane, di nervi e di muscoli, ed è al
tempo stesso un membro capace di movimen-
to, e un organo del sentimento. L' animale
non solo può muoveria e piegarla , ma può
altresì raccorciarla , allungaria, moverla e vol-
gerla per tuiti i lati. All estremità di questa
tromba è un orlo o escrescenza, che vi si al-
lunga al disopra in forma di dito. Con esso
Y elefante fa quanto noi facciamo; leva da terra
i più piccioli pezzi di moneta; coglie Ì erbe
ed i fiori, scegliendoli uno ad uno; snoda un
cordone , e chiude le porie, volgendone le
chiavi o spingendo il chiavistello. »
Singolare è veramente la facilità con cui
l elefante adopera la sua tromba, la quale suol
essere di sei o sette piedi di lunghezza, e co-
minciando con gran volume alla radice via via
si diminuisce fino all’ estremità. La poca esten-
sione del collo di questo quadrupede è ben
compensata dalla molta di questa tromba, la
cui struttura è murabile, e ch’ esso applica con
L'ELEFANTE, 141
tanta agevolezza a’ suoi bisogni, che il dottor De-
rham la riguarda come una prova manifesta delia
sapienza divina.
I denti mascellari dell'elefante, così gli in»
feriori come i superiori, sono di tal grossezza,
che contribuiscono a rendere stretta la sua bocca.
Ma già gli sarebbe inutile averla più larga,
poichè la forza di tuiti i suoi denti è tale,
che iita a primo colpo gli alimenti, e per
ciò non ha bisogno di portarli quà e là per
fare subir loro una più lunga masticazione,
come gli altri bruti. La sua lingua, per lia
ragione medesima, è picciola e corta, di li
seia superficie , rotonda non piana e asso-
tigliata , a differenza ‘di quel che può dirsi co-
munemeéente degli animali d'ogni specie.
Le zanne di questo quadrupede, onde si
cava l avorio, variano per la. grossezza e
Y estensione: le più lunghe, che siansi por-
tate in Inghilterra, sono di sette in otto piedi,
e pesano dalle cento libbre alle cento cin-
quanta. Di rado se ne veggono nelle femmine,
© si veggono assai picciole , e rivolte a terra.
« Nell'uomo e negli altri animali (per ser-
virci delie espressioni dei sig. di Bufion, dac-
“chè nessun altro stile potrebbe ugguagliarsi a
quello di sì gran naturalista ), l'epidermide è
ovanque aderente alla pelle; nell’ elefanie è
solianto attaccata ad alcuni iniervalli, come il
145 | L' ELEFANTE:
sarebbero due stoffe di un trapunto. Quest'e-
pidermide è naturalmente asciutta. e facile ad
Hgrossare. Dove non è callosa, negli screpoli,.
e- in tutti i luoghi ov è meno dura, il pun-
golo delle mosche si fa sentir sì molesto al-
l elefante, che impiega non solo. que’ movi-
menti, che posson dirsi involontari, ma quelli
pure che dipendono. dall'inteliigenza e dall'in-
dustria, per liberarsene. Perocchè si vale della.
coda, dell’ orecchie, della proboscide, onde
colpire gli imporiuni insetti; ed olire di ciò
con rami d'alberi, e fasci di paglie si dà a:
fiagellarli, e se questo ancor non riesce , race
coglie polvere , e copre con esse le parti
più sensitive del suo corpo: Di questa guisa:
è. stato veduto premunirsi più volte in un:
giorno ; € premunixsi a proposite , cioè all’ u-
scire dal bagno ».
Principal nudvimento dell’ elefante è erba;
e quando non ne ritrova, dissotterra colle sue
zanne tante radici che vi suppliscano: Ha poi
così fino odorato, che facilmente giugne a:
scoprire il miglior cibo, evitando ogni specie
di piante nocive. Addomesticato che sia, man-.
gia fieno, avena ed orzo, e beve grande
quantità d acqua, cui, aspira: colla sua tromba,
e poria in seguito nella sua gola. Sembra che-
fosse costume di dargli spiritosi liquori, onde
inebbriarlo e sbtaeido furioso, quando spin-
gevasi ne’ combattimenti.
L'ELEFANTE: 143
Si è preteso che l’ elefante compia una lun-
ghissima carriera, vivendo oltre ai cento, €
fino ai cento venti e cento trent'anni. Taver-
njer , il quale ha viaggiato nell'India, dice di
non aver mai potuto assicurarsi della durata.
positiva del viver suo, ma che un cornac (con--
dottiere d'elefanti) gli dichiarò di conoscerne uno,
ch'era stato: sotto la guardia del padre deli avo
di suo avo, onde,, giusta. il suo calcolo, si ri-
saliva a cento venii o cento trent anni. È
però generalmente attestato, che un tal ani
male giugne ad avanzatissima età, sebben .vada
soggetto a non poche malaitie.
Gli elefanti prendono la più gran cura dei
figli loro, e preferiscono il morire al ve-
derli perdere la vita. Secondo il sig. «di Buf-
fon « essi per lo più camminano di compagnia.
In questa guisa: il più vecchio. lì conduce ; il
secondo in età gli spinge innanzi. onde vien
l’ultimo; i giovani e-le femine stanno in mezzo;
e le madri portano i loro piccioli , tenendoli
in: certa guisa abbracciati colle loro probo-.
scidi »,
Quando gli elefanti incontrano: alcuno della.
loro specie. morto ne’ boschi, si fanno a ri-
copririo di rami d' alberi, di erbaggi, e di
Quanto- possono ritrovare. Che se un d'essi è
ferito , gli altri ne prendon cura; gli portano
di che nudtirsì, e tutti si riuniscono, onde
salvarlo dai cacciatori che l' inseguono.
144 I. ELEFANTE. ;
Credevasi altre volte che le femine succhias
sero esse medesime il proprio latte, onde tra-
smetterlo a loro piccioli per mezzo della trom-
ba; ma tale asserzione è assolutamente erronea.
Poichè J. Corse ne assicura nelle sue Ricerche
Asiatiche di aver veduti giovani elefanti di
due o tre anni succhiar colla bocca le mam-
melle della madre, comprimendole alquanto
colle ancor tenere proboscidi. E qui noteremo,
come le osservazioni recenti de’ più moderni
scrittori distruggono affatto le antiche opinioni
intorno alla supposta castità degli eiefanii, e
più altre ipotesi, egualmente prive di fonda
mento.
Certo è penoso, ma la verità vi ci costringe,
a relegare fra le bellezze retoriche , e toglier
alla storia quanto il sig. di Buffon scrive in-
torno all elefante con tanta eleganza: « Pro-
vare gli ardori più vivi, e ricusar di soddi
sfarli; nel furor dell'amore conservar il pudore
sono forse l estremo sforzo dell’umana vir-
iù; ma per questo maestoso animale son alti
ordinarit, a cui esso giammai non mancò ».
« L'elefante, dice altrove questo scrittor
medesimo , domato che sia una volta diviene
il più mansueto e il più paziente degli ani-
mali; si afteziona a chi di esso ha cura, lo
accarezza , il previene, e sembra indovinare
quello che può piacergli. In poco tempo giugne
L’ELEFANTE, 145
a comprendere i segni, ed anche ad inten-
dere 1 espressioni dei suoni; distingue il
tuono imperativo, quel della collera , o della
soddisfazione, e ne piglia. norma all’ operare.
Mai non s inganna neli interpetrare la parola
dei padrone; riceve i suoi ordini attentamente;
gli eseguisce con sollecitudine insieme e con
pradenza ; non con precipizio, ma con giusta
misura. Il suo carattere sembra tenere non so
che di grave dalla sua massa. Gli si insegna
agevolmente a piegare il ginocchio, onde ren
der più facile a chi lo voglia il salirvi in
groppa. Esso colla proboscide carezza chi gli
va a grado, saluta le persone che gli si ad-
ditano; se me serve per sollevar pesi, ajuia
altri ad addossarglieli; si lascia vestire, e sera-
bra pigliar piacere a vedersi coperto di arnesi
dorati, e di gualdrappe brillanti. Si attacca
con redini a de’ carri, a de navigli, a degli
argani , cui egli ira equabilmente e senza
stancarsene , purchè non si insulti con per-
cosse date mal a proposito, e si mostri anzi
d' essergli grati della buona. volontà, con cui
impiega le sue forze. IL suo cornac, ossia
quegli che d' ordinario il conduce gli sta a
cavalcioni in collo, ed usa di una verca di
ferro acuminata, con cui pungerlo or sulla
tesia or: presso alle orecchie, per avvertirlo ©
sli volger strada, o di accelerare. Ma spesso
Gabisetto Tom. L 10
146 L'ELEFANTE.
la parola asta , soprattutto se ebbe tempo di
ben conoscere il suo conduttore, e di fami-
liavizzarsi con lui ».
Un elefante addomesticato rende al padron
suo altrettanti servigi quanto sei cavalli: ma
esige molte cure e veli considerabile di
buon nutrimento.
Onde porger idea di que’ servigi basterà l'os-
servare col sig. di Buffon « che tutte Je botti,
i sacchi, le balle, che si trasportano d'uno in
altro iuogo nell India, non si trasportano che
da elefanti; ch' essi recar possono fardelli sul
loro dorso, sul loro collo, sulle loro zanne,
ed anche in loro bocca pel capo di una corda, che
lor si serra fra 1 denti; che ag giugnendo l'i in-
telligenza alla forza non lupa nè guastan
subi di ia loro si affida; che rotolano e
fan passare tali pesi dalle rive dell’'acque in
un batello, evitando che sì bagnino, li posano
pian piano, li collocano ove loro si addita,
e quando han ciò fatto, provano colle. loro
trombe se stanno ben saldi; e trattandosi di
botti vanno a cercare essi medesimi delle pie-
tre, onde calzarle e farle stare ben ferme ».
Un missionario del secolo decimosettimo.,
che scrisse un viaggio di Oriente, così espri-
mesi, come insiimiinio di veduta: « Vi hanno
sempre a Goa degli elefanti. per servire. alla
costruzione de’ navigli. Sovra una gran. piazza
L ELEFANTE. î 49
della città piena di travi accumulate a tal
uopo , vidi un giorno alcuni womini affidarne
di pesantissime ad uno di que’ quadrupedi per
mezzo di una fune che gli gettavano , e che
esso legava con due o tre nodi alla sua pro-
boscide. Indi le strascinava solo, senz’ altra
guida , ‘alla riva del fiume, ove si stava fab- .
bricando un naviglio grossissimo. Talvolta ne
traeva alcuna sì enorme, che quaranta uo-
mini, e forse ancor davvantaggio non sariano
riusciti a smuoverla. Ma ciò che mi parve più
mirabile si fu, che incontrandone esso in sulla
via ‘altre; che gl’impedissero il proceder oltre
colla sua, le calcava con un piede, è ne
‘alzava così un estremità , onde farvi più ‘age-
volmente scorrere quella al disopra. Che po-
tria fare di meglio il più ragionevol uomo
«del mondo?
Fouché d' Absonville, mel suo Saggio so-
pra i costumi di diversi animali sirarteri, dice
che ha veduti nell'India due elefanti eccupali
ad abbattere delle ale di muro. il loro gover-
natore assegnando ad essi questa falica, ve gli
aveva incoraggiti colla promessa di alcumi frutti
e d alquanto arrak. I due animali, quindi ,
combinando in certa guisa le loro forze si
diedero a percuotere il muro col grosso della
loro tromba ripiegata al dissotio e guernita
di duro cuojo; e a forza di colpi reiterati
148 L' ELEFANTE:
riuscirono a crollarlo. Alfine, data un'ultima e
più forte scossa, si-trassero indietro. pronta-
mente e di concerto, onde non esser feriti
dalla rovina. ;
Impiegavansi altre volte. nell’ India gli ele-
fanti a lanciar vascelli in mare. Uno di tali
quadrupedi parve una. volta: cedere per debo-
lezza, trattandosi di un bastimento di troppo
gran capacità. Il padron suo d'un tuono iro-
nico ordinò. al corrac: di conda» via quelli
fingardo , sostituendogli un altro. Hl povero
animale rinnovò. allora i suoi sforzi con ianta
violenza, che: si fracassò. il cranio, e mort
sull’ istante.
Prima dell’ uso. delle armi da fuoco quez
quadrupedì erano adoperati con molto successo:
negli eserciti; ma nell’ odierno sistema di com-
battere, non. contribuirebbero che a gettare
n un campo il disordine e la confusione. Sono:
però utilissimi, per trascinare l artiglierie sulle
montagne; e in questi casi la loro cautela e
la loro sagacia appajon degne d’ osservazione.
Falvolta pure si adoprano, onde trasportar ba-
gagli da una sponda all'altra di una riviera.
A questo fine, dopo che il lor conduttore gli
ha caricati del peso . di più quintali, attacca
loro al collo delle corde, a cui 1 soldati si
attengono, sia per nuotare, sia per farsi tra-
scinarve in mezzo all sc
L'ELEFANTE. 149
Un altro impiego di siffatti animali in tempo
di guerra è quello di atterrare le porte di
una città o di una piazza ‘assediata; il che
fanno essi urtandole a colpi veiterati con tutto
il peso del loro corpo, finchè siano giunti a
frantumarle, e distaccarne i ferramenti. Contro
il quale pericolo la più parte delle fortezze
orientali hanno le porte munite di grosse punte
«di ferro, che orizzontalmente si sporgono a
qualche distanza.
In diverse contrade dell’ Indie, i grandi
mantengono degli elefanti più per ostentazione
che per bisogno ; il che loro cagiona gravis-
simo dispendio. Quegli animali, infatti, con-
sumano immensa quantità di foraggi, e tal
volta, per soprappiù, di cannella, di cui sone
avidissimi. È cosa ordinariissima ai Nabab (i
governatori ) ; quando vogliono ruinare un sem-
plice privato , il fargli presente di un elefante.
Quest uomo è allora costretto ad una spesa
di mantenimento, che supera le sue forze;
perocchè se cercasse ‘disfarsi dell’ animale, in-
correrebbe necessariamente la disgrazia del do-
natore, oltre al privarsi di un onore, che vien
riputato insignissimo.
Vi hanno alcuni paesi d'oriente, in cui
gli elefanti sono sostituiti ai carnefici; peroc-
chè spezzano l' ossa ai colpevoli colle loro
trombe, gli schiacciano coi loro piedi, ovvero
e 50 E ELEFANTE:
gli impalano colle loro zanne , giusta gli or-
dini che ricevono.
L'istoria riferisce molti tratti di fedeltà, di
ricompensa e di sagacia di questi animali.
Eliano ci dice che quando Poro, monarca del-
F Indie, fu vinto da Alessandro il Grande, e
sì trovò ferito da più dardi, il stio elefante
glieli trasse dal corpo colla sua tromba; e ac-
corgendosi ch'egli, per Îa perdita di tanto
sangue, già slava per € cadergli di groppa , si
stese .a terra pian piano, ud non si facesse
male a discenderne. Ateneo parla della ricono-
scenza di un elefante verso. una donna, che
gli avea reso alcuni servigi, ed era accostu-
mata di mettergli appresso i suo fanciullo ,
quand era Dioiolino Alla morte della madre
il grosso animale prese tanto amore al povero
orfanello , che manifestava il più vivo. dispia-
cere se allontanavasi dalla sua presenza; né
volea prender cibo, se non dopo che la nu-
trice gli avea messa lacuna fra le gambe.
Allora, mentre il bambolo dormiva, esso. man-
giava con grande appetito. Che se quello tal-
volta piangeva, questo non lasciava di agitarne
mollemente la barchetta di vimini, sino che
fosse assopito, e poi curava colla sua tromba,
che ne stessero lontane fe mosche e ogni insetto.
A Adsemeer un elefante, che passava spesso
in mercato accanto ad una venditrice di legumi
L ELEFANTE. 151
era solito riceverne in dono qualche manata. -
Avvenne intanto, che, preso un giorno da
un accesso di rabbia periodica , spezzò 1 suol
ferri, traversò il mercato correndo, e mise
m fuga quanti st ritrovavano sul suo pas-
saggio, e fra l'altre persone, anche la donna,
che in quel precipizio obliò un fanciullino ,
che avea seco. L'animale ricordando il luogo,
ove stava d' ordinario la sua benefattrice, Li
ciò la sua tromba con molta delicatezza intorno
a quella picciola ereatura, e I adagiò sana e
salva sovra il banco di una bottega vicina.
Un elefante, scrive il sig. di Buffon, si
era pur dianzi vendicato di un cornac, ucci-
elendolo. La moglie di questo, spettatrice del-
Y errida scena, prese i suoi due fanciulli, e li
gettò a piedi dell'animale, dicendogli: poiché
hai ucciso il mio marito, togli la vita a me
‘pure e a questi due infelici. L'animale si ar-
restò immediatamente, si ammansò; e come
se fosse tocco da pentimento, prese colla sua
tromba il maggior de’ fanciulli, se lo mise sul
dorso, lo adottò per suo cornac, nè altro volle
sofirirne. »
Gli ia impiegati nell Indostan a portare
i bagagli degli eserciti sogliono avere per cu-
fi uno i nativi del paese. Or quest uomo
e la donna che lo accompagna, come udì il
dotto: Darwin da gente degnissima di fede,
150 L'ELEFANTE.
prima d'andar ne boschi a raccoglier foglie e
vami d'albero pel nudrimento d’alcuno d' essi,
lattaccano ad un palo confitto in ierra, e la-
sciano d'ordinario sotto la sua protezione qual
che fanciullino, non ancor atto a camminare.
L'animale intelligentissimo non sol gli serve
di difensore, ma quando il bamabolo strasci-
nandosi per terra giugne ai confini del cir-
colo, che ‘stando esso clefante alla catena può
percorrere colla sua proboscide , lo piglia con
essa dolcemente , e lo riporta nei centro.
Tavernier racconta che uno dci re dell In-
dia cra un giorno alla caccia con suo figlio
sovra di un elefante, allor che questo fu preso
da tal accesso di furore, ch'era affatto impos-
sibile il governarlo. Il cornac disse allora al
\ge., che per calmare il feroce animale, il quale
avrebbe dato lor morte frangendoli contro i
più gran tronchi d’ alberi, conveniva che al-
cuno di loro facesse lo spontaneo sagrificio
della sua vita, al che era pronto ei medesimo
per la salute de’ suoi signori, solo che il mo-
narca degnasse promettergli in ricompensa di
provvedere alla sua moglie e ai fi igli suoi. In-
iorno a che avendo ricevuto la reale parola .
sì gettò immediatamente sotto i piedi dell e-
lefante, che presolo colla sua tromba il soflocò,
indi passogli sopra il venire; ma tosto pentito
dell’azione crudele si fe tranquillo e sottomesso.
L'ELEFANTE. 153
Se un tal quadrupede è fantastico, non è
però meno riconoscente. Ii sig. di Bussi rife-
risce che un soldato di Pondichery, il quale
avea per costume di portare ad un elefante
certa misura d’ arrack ogni volta che toccava
la sua paga, avendo un giorno bevuto più
del convenevole., e vedendosi ‘inseguito dalla
guardia, che il ia condurre in esi si
rifugiò sotto quell’ animale, ove alfine si ad-
dormentò. Invano la guardia scopertolo tentò
di strapparlo al suo asilo, perocchè l'elefante
il difese colla sua tromba. All'indomani il sol
dato, rivenuto dalla Sua ebbrezza, rabbrividì
conoscendo, allo svegliarsi, lo strano luogo in
eui si ritrovava sdrajato. Ma T animale, che
senza dubbio si accorse del suo spavento , il
carezzò colla sua tromba per rassicurarlo, e gli
fe intendere, che poteva andarsene.
Il sig. barone di Lauriston si arrischiò,
im una delle ultime guerre dell’ India, di an-
dare a Lacknaor, ad un epoca in cui una
malattia epidemica faceva la più gran strage
degli abitanti. La principale strada, che còn-
Li al palazzo era coperta di infermi distesi
in sul nudo selciato nel momento medesimo ,
in cui il nabab doveva passare. Pareva inevi-
tabile che l’ elefante, il qual lo portava, cal-
pestasse i cor pi di quegli infelici e gli schiac-
giasse, .se il principe non consentiva a ritardar
154 L'ELEFANTE.
la sua marcia, finchè fossero altrove trasportati.
Ma egli avea fretta; e un tal segno di uma
nità sarebbe stato non degno di un personag-
gio di sì alta imporianza. L'animale, però, pieno
di sagacia, senza mostrare di rallentar i suoi
passi, e senza che alcuno li regolasse , fe ri
tirare gli uni, rialzò gli altri colla sua tromba,
e scavalcò il rimanente in modo, che non vi
fa chi rimanesse offeso. 1
Sebbene gli elefanti siano rimalchavoli per
la loro affezione, la lor riconoscenza, e quasi
diremmo, bontà, non lo sono però meno pel
lor risentimento. Acostà dice che in Cochin,
città della costa del Malabar, avendo un sol
dato gettata una noce ad un elefante, questo
la raccolse e la nascose, e vedendo poi alcuni.
giorni appresso ripassar l’altro, gliela riscagliò,
ed indi si pose a camminare quasi danzando.
Un altro militare della stessa città avendo
un giorno incontrato un elefante col suo cor-
nac, niegò di cedergli il passo. Il cornac si
guerciò di quest affronto coll elefante, che
alcuni giorni dopo vedendo il soldato in riva
al fiume, onde s attraversa la città, corse a
lui, il prese colla sua tromba, lo tuffò più
volte nell'acqua, indi il levò per abbandonarlo
alle risa degii spettatori.
Il capitano Hdicn ci narra; che quando
egli era ad Achem nell'isola di Sumatra, vide
L' ELEFANTE. 155
un elefante, che ivi si custodiva da più di
cent'anni, e che si diceva averne più di tre-
cento. La sua altezza era presso a poco di un-
dici piedi; e manifestavasi in esso una iutel-
ligenza e sagacia straordinaria. Hamilton ne
cita un esempio nella singolare vendetta, che
noi siamo per riferire.
Nel 1672, dic egli, un vascello iodio
la Dorotea, di cui stava al comando il capi-
tano Thwait, s arrestò davanti ad Achem,
onde prender de’ viveri; e due inglesi resi-
denti nella citià vennero a bordo, per far
acquisto di merci europee, delle quali aveano
bisogno. Comperarono ,. fra altre cose, del
panno di Norwich; e come non vera. ad
Achem sartore inglese, adoperarono un uom di
Surate, che tenea magazzino nella piazza del
mercato, ed occupava ordinariamente più ope
rai nella sua bottega. Passava solitamente di
lè un elefante, il quale era uso di allungar
la sua tromba alle porte e alle finestre delle
case, come Ro domandare frutta guaste €
radici, che gii abitanti preudeano piacere a
«donargli. Una mattina andando al fiume per
lavarsi, montato dal suo cornac, presentò Î e-
stremità della sua proboscide alla finestra del
sarto , il quale in luogo di porgergli nulla di
ciò che bramava , lo punse col suo ago. L'a-
njmale non parve abbadar per nulla all'insulto,
156 L'ELEFANTE.
ma se n' andò tranquillamente alla riviera €
si lavò. Dopo di che smosse il limo con uno
de suoi piedi anteriori, ed aspirò gran quan-
tità d'acqua fangosa cella sua tromba; indi
ripassando noncurantemente innanzi «alla bot-
tega dell offensore , e accostatosi alla finestra,
gliela lanciò con tanta violenza, ch'egli e i
suoi garzoni farono rovesciati dal loro Halico:
e presi da incredibile spavento.
Un pittore, serive il sig. di Buffon, vo-
ica disegnare l'elefante del parco di Versailles
in una attitudine straordinaria , ch' era quella
di tenere la tromba levata, e la bocca aperta.
Il valletto del pittore, per far che 1 animale
stesse come bisognava getiavagli frutte, e il
più sovente fingea di gettargliene. L' elefante
se ne sdegnò; e, come avesse conosciuto che
‘1 desiderio del pittore era la cagione di que-
sta importunità, in luogo di pigliarsela col
valletto , si volse contro il padrone, gettan-
dogli colla sua tromba una quantità d'acqua,
con cui guastò la carta, sulla quale dise-
gnava ».
AI Cape di Buona Speranza si cacciano e si
uccidono gli elefanti per averne le zanne. Tre
cavalieri ben montati e armati di lance gli as-
salgono in giro e per ordine, soccorrendosi gli
uni gli altri, a misura che si veggono incal-
55
zati, e fino a che la vittima sia caduta.
L' ELEFANTE: 157
Tre fratelli olandesi, i quali aveano con
questo mestiere adunate ricchezze considerabili,
si risolvettero di ritirarsi in Europa, onde
godervi il frutto delle loro fatiche, ma prima
di partire vollero ancor unta volta andare alla
caccia. Inconirarono bentosto un elefante e sì
posero ad inseguirlo alla loro maniera ordina-
Fia; se non che sventuratamente uno de lor
cavalli incespicò , e trasse d' arcione il cava-
liere. Quell’ animale furioso allora s'impadronà
tosto del suo nemico, il gettò in aria ad un'al
tezza prodigiosa, e il ricevette sopra una delle
sue zanne, indi volgendosi ai due fratelli pre-
sentò loro quell'infelice così impalato, il quale
soffriva tutti gli orrori della più crudele agonia.
Un fazionario esattissimo del museo: di sto-
ria naturale di Parigi, non mancava, quando
era di guardia presso gli elefanti, di avver-
tire il pubblico, perchè nulla desse loro a
mangiare; la qual cosa certamente non era
propria a renderseli molto amorevoli. La fe-
mina, in ispecie, lo riguardava d'occhio affatto
avverso, e già gli avea fatti provare gli eftetti
del suo. malcontento, guazzandogli la tesia colla
sua iromba. Un giorno, fra gli aliri, che l’af-
flucuza degli spettatori era più grande che
all'ordinario, ei ricevette dapprima uno spruzzo
d acqua in sulla faccia; ma eome si ostinava
ognor più ad impedire ogni dono di pane 0
158 L'ELEFANTE.
d’altro, la bestia irritata, s' impadronì del suo
archibugio , lo contorse colla sua tromba, lo
calpestò , e nol rese che dopo averlo ridotto
come un cavastracci.
Può il lettore formarsi un idea del mu-
tuo attaccamento degli elefanti dal fatto, che
siamo per raccontare. Due di questi animali ,
ur maschio ed una femmina, furono nel 1786
mandati. allo stathouder di Olanda dalla com-
pagnia, che la sua nazione ba nell India; indi
vennero separaîi, per essere condotti dall’ Aja
a Parigi, ove si preparò loro un vasto allog-
gio , diviso in due stanze, che comunicavano
per mezzo di una gran porta levatoja.
Al loro arrivo furono ivi introdotti. Il ma»
schio entrò primo con gran Wiffidenza, perlu-
strò ogni parte, provò colla sua tromba la
forza d' ogni sbarra di ferro che legava insie-
me le palizzate del chiuso, e si sforzò di schian-
tarne al di fuori i chiodi ma non potè riu-
sciIrvi.
I due animali, divisi pal comodo del loro
trasporto 5 più non si erano veduti da parec-
chi. mesi. L' istante, in cui per la prima volta
si trovaron di nuovo, fu per essi quello della
più gran gioja, e per I osservatore della più
gran dici Quando la femmina pose piede
nella loggia ad essa destinaia, gétiò dapprima
un grido che esprimeva il piacere di vedersi
è ELEFANTE. 159
in liberià, nè si accorse del maschio, il quale
già era nella propria inteso a mangiare. Que-
sto non badò niente più che la sua compa-
gna gli fosse tanto vicina; ma avendolo il cor-
nac domardaio, e però volgendosi, i due ani-
mali corsero all'istante l'uno verso dell’ altro,
e si misero a farsi tania festa con tale stre-
pito; che tutta la sala ne rimbombaya; man-
dando ad un tempo dalle lor trombe un soflio,
che somigliava a vento impetuoso. La gioja delia
femmina era. più viva; essa la esprimeva so-
prattutto con un batter celerissimo di orecchie,
cui facca muovere a guisa d'ali d'uccello. Ac-
carezzava teneramente il maschio colla sua irom-
ba, cui gli applicava all'orecchio specialmente,
ove la tenea lungo tempo. Soventi anche, dopo
averla portata sovra tutto il suo corpo, la ri-
portava alla propria bocca. II maschio intanto
stendea pur esso carezzevolmenie ia sua pro-
boscide sul dorso deila feramira; ma il suo
contento era più concentrato , € più che con
altro parea esprimerio colie lagrime, che scor-
reano da’ suoi ccchi in albondanza.
La maniera di prendere gli elefanti selvatici
a Tipury nell Indie orivntali, quale. ci. vien
descritta nelle Ricerche Asiatiche di J. Corse,
è degnissima dell’atienzione del lettore.
« Nel mese di novembre, quando la sta-
gione è rinfrescata e le paludi asciutte, gli
160 L' ELEFANTE:
elefanti maschii escono dai loro silvesiri na-
scondigli, e fanno delle escursioni notturne
nella pianura, ove distruggono le fatiche del-
l agricoltore , divorando o calpestando il riso,
le canne del zuccaro ed alive produzioni Vegetali.
e Queste devastazioni obbligano i fictajuol
e i ati del paese ad una regolarissima
guardia sotto un picciolo coperto, formato al
dissopra di alcuni bambou, che s' alzano, circa,
quattordici piedi da terra Di là facilmente si
dà segno a' villici che gli elefanti sopravven-
gono ; ed essi allora con gridi reiterati, op-
pure con fuochi qua e là accesi s' ingegnana
di i.
<« Onde prendere uno de’ maschii s'° impie-
slo gli stessi menzi > che si userebbero per
impadronirsi & un’ intera tribù di quegli ani>
mali; cioè a dire alcune femmine già addo-
mesticate , e predisposte con lungo esercizio.
Siccome i cacciatori conoscono. assat bene +
luoghi , in cui gli elefanti vengono a cercare
la lor pastura, si avanzano verso essi con quattro:
di quelle femmine; il qual numero sempre
sì trova in ogni partita di caccia. Quando la
notte è più oscura, sogliono discoprirli allo
strepito che fanno rimondando le cose onde si
nutrono, e percoterdole a tal uopo contro le
foro gambe anteriori. Che se risplende la luna;
allora è facile scorgerli a considerabile distanza.
L' ELEFANTE 161
a Appena han fissato il goondah o elefante
maschio , di cui vogliono impadronirsi, con-.
ducono lentissimamente e nel più profondo
silenzio tre delle femmine sovraccennate verso
il luogo, ove quello si pasce. Se quando le
vede approssimare si adombra o n'è malcon=
tento , percuote la terra colla sua tromba ue:
dà evidenti segni di dispiacere ; ed ove più
si avvicmino, le assale, e le offende colle sue
zanne; ma se, come il più delle volte accade,
ti disposion all'amore: ;.lascia avvicinare le sue
seduttrici; e va loro talvolta all’ incontro. 0
« I cacciatori, intanto, fanno che due di
esse ; l'una da un lato e l'altra dall altro si
diano’ ad accarezzargli e dorso. e collo, mentre
collocan la terza di traverso dietro di esso. Il
goondah , niuna insidia sospettando contro: la
propria liberià, ricambia loro le carezze colla
sua tromba, e scherza e follesgia. In questo.
mentre si spinge contro di esso la quarta lor
femmina , e gli si lega una debolissima corda
3atorno alle gambe di dietro, passando sotto
i ventre della terza. Per poco però che l’'a-
nimale -si muova, quella corda si rompe; e
allora se esso ancor rimane senza sospetto ,
gii si legano le gambe tutte con una specie
di gomena appellata durndah, la qual gli si ine
erocia dall una all’altra alternativamente. Come
queste gomene sono assai corte se ne impiegano
» Gabinetto Tom. LI. 1
162 L'ELEFANTE.
evdinariamente sei o etto, onde riuscir nel»
l'intento con maggiore prontezza, e si fermano
con altra corda nel luogo della loro inerocia-
tura. Un uliima fune, intanto, con nodo a ri-
corsojo si pone a ciascuna delie gambe poste-
riori dell animale, e questa pure si ferma,
come dicenmo delle prime.
« La disposizione di tatto questo cordame
esige circa venti minuii, nel quale spazio di
iempo non si ode parola né quasi. respiro.
Che se avviene che il goondah se ne sviluppi,
i cacciatori, al primo indizio che ne hanno,
salgono in groppa alle femmine, ed ivi stesi
bocconi soito una coperta «di scuro colore
sottragonsi a suoi sguardi e al furor suo. Que-
sto per altro è accidente assai raro.
« Legato che sia l elefante quant È uopo
ond esserne sicuri, 4 cacciatori si ritirano a
picciola distanza. L'animale, intanto, cerca na-
turalmente di seguir le femine; ma trovandosi
le gambe impastojate si accorge tosto della
sua condizione, e pensa .a ripararsi nell in-
terno del bosco. Quelli allora si danno ad
inseguirlo sovra elefanti ammaestrati e con
‘gran numero di persone, le quali al passare
che fa il goondal presso di un grosso albero,
lesando a «questo più corde cercano di attra-
versargli la via. Quindi esso fa ogni sforzo
per isbarazzarsi, solcando talvolta profondamente
L'ELEFANTE» 163
colle sue zanne la terra. Che se perviene a
fuggire nel folto della boscaglia, non osano
inseguirvelo, per tema d'essere assaliti da altri
elefanti selvaggi; ma se le corde resistono, e
l'animale si consuma in vani tentativi, gli son
di nuovo ricondotte le femine, che si ricollo-
cano nella situazione già descritta.
« Accostatolo, quindi, vie più all'albero, si
giugne a legarlo di maniera più sierra, con-
ficcando anche pali o nel suolo o nelle piante,
per meglio fermare le corde. E chi in iutto
ciò si affatica ha cura di tenersi lungi dalla
sua proboscide, ed ove nol possa ed abbia a
temerne, si fa schermo delle femine, passando
da un fianco all’altro di esse, o salendovi in
groppa, per mezzo di corde a quest uopo
preparate.
« Quando il goordah € in qualche modo
calmato, ed ha preso un poco di nutrimento
fornitogli da’ cacciatori, mol altre corde si
avvolgono d' intorno al suo corpo, due delle
quali iraggongli di compagnia due femmine
addomesticate, onde condurlo più agevolmente
al suo destino. Allora liberategli dalle funi le
gambe, ed apertogli un libero passaggio, con
elefanti e uomini a ciò esercitati si cerca di
spingerlo avanti. Esso però talvolta resiste con
ogzi sua forza, vorrebbe rimboscarsi, pro-
fonda il suolo colle sue ztinne, e si fa tanto
r64 L ELEFANTE:
male, che non sopravive più di due o ire
giorni. In generale, però, si rassegna alla sua
sorte.
« Condotto che sia al luogo apparecchia-
togli vien trattato con un misto. di dolcez-
za, e di severità, fin che a capo di alcuni mesi
sì mostri interamente addomesticato. È singo-
lar cosa il vedere, come nel furor suo, quando
è preso, mentre darebbe morte a chiunque po-.
tesse raggiugnere , di rado cerca offendere le.
femmine che lo hanno sedotto; ma all’ incon
tro par compiacersi della loro vicinanza nella.
perdita della sua libertà.
« Le femmine degli elefanti mai non si pren=
dono sole, ma unitamente a' branchi, ai quali
appartengono; € che d’ordinario sono composti
di cinquanta o cento animali d° ambo i sessi,,
guidati dalle. più vecchie femmine, e dal più
grosso de’ maschili.
‘« Quando una di tali truppe é stata disco=
| perta, cento persone si dividono in più gruppi
© picciole. squadre, distanti una trentina di tese:
Yuna dall’ altra, e formano un. cerchio irrego
lare, in cui gli clefanti si trovano rinchiusi.
Ognuna. di tali squadre accende de’ fuochi, e.
prepara un cammino, il qual conduce alla sta-
zione più prossima, che serve di centro a iut-
ta la circonferenza, e da eui si possono man-
dar rinforzi per tutti i punti. dh,
L'ELFFANTE. 165
* Il resto del primo giorno e la notie in-
tera si impiega dai cacciatori a far la scolta,
a cuocere le provisioni e in molti altri appa-
recchii, i quali credonsi più necessarii.
« All'indomani mattina poi di .buonissima
era, un uomo si élistacca da ciascun gruppo
per formare un muovo circolo in quella dire-
zione, ch è a bramarsi che vengano gli ele=
fanti. Dopo di che estinguono questi uomini i
loro fuochi, e difilano a dritta ed a manca;
lasciando un’ apertura, per cui il branco aspet-
tato ‘possa passare. Di «questa guisa il primo
‘circolo e il secondo vengono ad unirsi ed a
formare un recinto di figura oblunga.
« Quelli, che sono aile prime estremità del
l’evale, fanno dello strepito colle loro stoviglie
onde fav avanzare gli elefanti ; e tosto che
‘questi seno giunti al nuovo cerchio, i caccia-
tori lo chiudono, prendendo le loro posizioni,
e passano la notte, che sopravviene, come già
ni l’ antecedente.
< Nella mattina del dì seguente si rinno-
vano le industrie della passata. Gli elefanti al
lora .si avanzano lentamente in quella direzio=
ne, che loro sembra migliore; per isfuggire ai
clamori di chi li iconda e si a cante
min facendo di foglie . di bambou, di rami
d’ alberi, e di quanto incontrano di loro gusto.
| Come la gente impiegata in tali circostanze
166 L' ELEFANTE.
procede adagio adagio, & raro che pervenga a
farli passare in un giorno al di là del primo
circolo, a meno che gran necessità non ve la
costriuga; nel qual caso. usa di tutto lo sforzo
di cui è capace, e riesce speditamenie nel suo
tentativo.
I cacciatori non hanno altre tende o ri-
coveri che il fogliame dagli alberi, che duran-
te il giorno li garantisca degli ardori del sole:
Nella notte poi si sdrajano sopra stuoje, av-
volti in un drappo grossolano e circondati dai
loro fuochi, mantenuti dalle sentinelle e for:
mati da legne e particolarmente da verdi bam-
bou, i quali crepitando , mentre ardono, ten-
gono langi ghi elefanti. Che se questi si ar-
rischiassero d' avvicinarsi, i cacciatori pronta-
mente risvegliati li forzerebbero con grandis-
sino Atala a ritirarsi nel mezzo dèl loro
circolo.
I keddah, recinto di pali, il qual ter-
mina in una via senza uscita, ove debb' essere
preso il branco, consiste in tre chiusi, i quali
comunicano l’ uno coll’altro per mezzo di stret-
ti sentieri. L' esteriore è il più grande, quel
di mezzo, e il terzo vanno restringendosi in
proporzione. ‘Putti e tre sono ben promiohi e
saldissimi; ma l’ultimo è il più forte; nè s1|
crede aver sicuri gli elefanti, se non quando |
x
vi sono entrati. Questo, come i due altri, è|
£ ELEFANTE. 169
cinto di un fosso profondo, e sul rialto , for-
mato colla terra da esso tratta, sorge una pa-
lizzata di tronchi mediocri uniti fra loro con
traversi; e sostenuti esteriormente da gagliardi
puntelli. Il tutto però è sì artificiosamente co-
perto di rami d' albero e di bambou, che pren-
de sembianza di naturale boscaglia.
La più gran difficoltà è quella, forse, di
far entrare il branco nel primo chiuso; per-
ciocchè, malgrado ogni precauzione, l elefante
che gli sta a capo quasi sempre manifesta aicun
sospetto d’ inganno; ma poi ch' esso vi ha po-
sto piede gli altri lo seguono ciecamente. AL
lora si accendono fuochi intorno, e ue
all ingresso, per impedire che n escano; e i
cacciatori fanno uno strepito spaventevole gri-
dando e baitendo i loro tamburi appellati eami-
tam, e sparando petardi, onde forzarli ad eu-
trare nel secondo chiuso.
« Gli elefanti vedendosi caduti in un ag-
guato urlano orrendamente, e poi che Î in-
gresso onde vennero più non è aperto, sl cac-
ciano in quel passaggio che li conduce al sc-
condo chiuso, e quindi son forzati ad entrare
nell’ ultimo. Privi allora d’ ogni uscita diven-
gon furiosi, e si precipitano dalla parte del
fosso, onde rovesciarne le palizzate, e mandano
gridi sì acuti come il suono di una tromba,
ed uzli che imitano il rimbombo del tuono;
e UN
168 L'ELEFANTE. |
ma ogni volta che tentano il varco, ne sono
impediti dai fuochi e dal fracasso de’ cacciatori
trionfanti. Alfine accorgendosi che ogni loro
sforzo è affatto vano, prendono un contegno
pensoso, quasi come di chi mediti nuovi mez-
zi di evasione. Ma i cacciatori formano un ac-
campamento intorno a loro; si distribuiscono
in sentinelle contro le ili. e nulla è di-
menticato per impedir loro di fuggire.
« Lasciatili così alcuni giorni nel keddah,
si aprono le porte di un’ uscita, che si chiama
roomea, e si determina un elefante a passarvi
gettandogli cibo all’ ingresso, e in seguito lun-
go di essa. Quindi le porte si richiudono, ti-
rando un cordone, e si ‘assicurano con due
sbarre di ferro incrociate, contro di cui si pun-
tano da ambe le parti scaglioni orizzontali.
« Intimorito dal rumore, che per ciò viene
fatto, l'elefante vnol subito ritirarsi, e irovan-
dosi imprigionato si getta contro le palizzate
della roomea, cui cerca d'infrangere co’ piedi
anteriori, 0 percuotendole a guisa di breccia,
colla sua testa. Malgrado però tuiti i suoi
sforzi è avvinto di funi, e vien condotto da
gue femmine addomesticate, e assistite dai cage
ciatori.
Appena ciascun elefante è giunto al luogo
destinatogli, si pone in guardia d'un capo, che
deve e curarlo ed istruirlo. Quest’ uomo ha
L'ELEFANTE. 169
sotto i snoi ordini tre alire pérsone, che re-
can foraggi ed acqua all’ animale, fino a che
deposta la selvatichezza e il corruccio vaglia nu-
drirsi da sè medesimo. Molte industrie sono a
principio adoperate, onde mansuefarlo; lusinghe
e carezze; poi anche minaccie e punture per
mezzo di una pertica armata di ferro. Ma più
sovente il cornac lo solletica grattandogli la
testa e la tromba con un lungo bambou, spac-
cato in più parti all’ una delle sue estremità;
cacciando le mosche dalle sue piaghe e dalle
sue contusioni; spruzzandogli d’ acqua tutto il
corpo onde rinfrescarlo; sempre tenendosi in-
tanto a prudente distanza, per non essere vit-
ima di qualche suo impeto.
. « Indi ad alcuni giorni si appressa cauta
mente a suoi fianchi, battendoelo lievemente col
palmo della mano, e parlandogli con voce ca-
rezzevole. Così l animale comincia a ricono-
scere il suo guardiano, e ad obbedire a’ suoi
comand:, sinché diviene sì famigliare, che que-
gli si affida a montargli sul dorso, dal dorso
d' una delle femmine addomesticate. E la cosa
procede in breve tant’ oltre che poi gli siede
sul collo ogni volta che gli piace, e può diri-
gerne sicuramente tutti 1 movimenti. -
« Mentre che Ì elefante così vien domato,
altri, che già ìl sono da un pezzo, il traggon
fuori a varii esercizii, dandogli con ciò occasione
yo L ELEFANTE.
di sciorsi dalle corde, che lo offendono, se
già non gli furono allontanate o cangiate.
Dopo cinque o sei settimane l' animale è ob-
bedientissimo a chi lo regge, gli si tolgono
grado a grado le catene, e basta la voce per
condurlo d'uno ad altro luogo facilissimamente.
È prudenza, per altro, il non lasciarlo avvi-
cinare a quelli a cui era usato, per tema che
la rimembranza della passata liberià nol porti
a cercare di ricuperarla ».
La maniera di cacciar l elefante nell’ Abis-
sinia è così descritta dal sig. Bruce: « Quelli
che di tal caccia fanno un mestiere si tengono
costantemente ne boschi, né hanno altro cibo
che le carni degli animali che uccidono, cioè
a dire l elefante o il rinoceronte. Si appellano
agageeri dalla parola agar, che signifiea taglia-
garretti. Ma, ond' essere precisi, diremo che
tal denominazione allude all’ amputazione del
tendine o muscolo del tallone, ch'è il modo
appunto con cui si uccide | elefante. Due uo-
mini moniano a cavallo interamente ignudi È
onde non essere rattenuti per le vesti dagli
alberi o da’ rami, mentre cercan sottrarsi al
loro vigilante nemico. Il primo di essi, il quale
qualche volta ha una sella e il più spesso non
l’ha, tiene d' una mano una bacchetta o corto
bastone, e dali altra la briglia del suo cavallo,
ch ei governa con molta cura. Dietro Iui sta
» ELEFANTE: 1977
il suo compagno, il quale impugna colla manca
una scimitarra, e colla destra ne tiene la lama,
per ben quattordici pollici coperta di ‘spago ,
e sebbene la inferiore estremità di questa sia
tagliente quanto un rasojo, ei sempre la porta
senza vagina.
Incontrando l'elefanie quel primo uomo a
cavallo gli si avvicina quant è possibile, e men-
tre gli vieta il cammino grida: « Io sono il
tale de’ iali, ecco il mio cavallo, che porta il
tal nome; ho ucciso tuo padre in tal luogo,
e tuo nonno in tai aliro; vengo per uccidere.
te pure, te, che sei un nulla in paragone di
loro. DE “RR
L'elefante, che in Abissinia supponsi iutene
dere tutte queste dicerie, furioso per lo stre-
pito che si fa intorno di esso cerca di pren-.
dere colla sua tromba l' agageero, segue è que-
sto fine tutti i suoi passi, si avvolge ne’ suoi
giri artifiziosi, e perde così il dritto cammino,
per cui solo proveder potrebbe alla sua sicu-
rezza. Così, dopo averlo ben disviato e stare
cato, il cavaliere gli si avventa e gli cala de-
stramente al di dietro. il suo camerata, facen-
dolo scendere giù pel fianco destro del cavallo,
onde l'elefante specialmente si adombra. Costui
gli dà un colpo di sciabola attraverso il tallone
i: quella parie, che nell'uomo appellasi il ten-
dine di Achille, c uel momento istesso, chi è
1V2 °l’ ELEFANTE.
il più pericoloso, il cavaliere si rivolge, lo ri»
iglia seco, e corre appresso d'altri elefanti,
‘che talvolta ha veduti, sicchè ‘avviene che ne
uccida fin tre in una sola caccia. Se la sciabola
era bene affilata, e chi | adoperò di carattere
non timido, il tendine rimane interamente
troncato. In qualunque modo però il suo stato
è sempre tale, che il quadrupede appoggian-
dovisi finisce di spezzarlo, nè può assolutamen»
te più muover passo, onde gli agageeri e com»
pagni l’opprimono facilmente a: colpi di picche
e di lance fin che cada a terra, e spiri tutto
bagnato del suo sangue. Morto che sia, ne ta-
gliano le carni in liste della grossezza delle
redini, e le sospendono a guisa di festoni ai
rami degli alberi, onde farle disseccare, e in
seguito le mettono in serbo per mangiarle nel
la stagione delle pioggie.
I sig. Bruce fu testimonio, in una di que-
ste cacce, del singolare attaccamento di un
giovane elefante per la madre sua. « Non ri-
manevano, dic egli, che due ie di quelli
che erano stati scoperti, cioè a dire una fe-
mina e il suo elefantino. L'agageer gli avrebbe
volentieri lasciati vivere, atteso che le zanne
feminee sono cortissime, e | elefante ancor
tenero non val nulla; ma i cacciatori niente
vollero perdere. ne piacere, che si erano pro-
messo. Avendo adunque avvertito il luogo, ove
L'ELEFANTE. 173
la femina erasi ritirata, la trovarono bentosto,
e il colpo al garretto le fu dato senza diffi-
coltà. Ma quando vennero per assalirla, sic-
eome fecero, co loro dardi, il figlio suo, che
aveano lasciato fuggire , non curandosi di es-
so, si lanciò furioso da un rovo, in cui s'era
nascoso , precipitandosi sugli uomini e sui ca-
valli con tuita la violenza di cui era. capace.
Gran meraviglia e commozione mi cagionarono
gli sforzi del giovane animale per did
a sua DE, già tuita grondante sangue,
senza occuparsi della propria vita. Gridai quindi
e supplicai che si desistesse; ma non era più
tempo. Intanto quello. ch'io proteggeva, tentò.
più volte d'assalirmi, ed io mon ebbi picciola
difficoltà a schermirmene; ma ben fui con-
tento di non avergli fatto alcun male. Rinno-
vando però esso l' assalto contro. di un cac-
ciatore, cui ferì leggiermente in una. gamba ,.
questi gli passò il ventre con un giavellotto.
Gli altri imitarono. tosto. il suo. esempio ; € il
picciolo elefante cadde estinto a lato alla ma-
dre , per cui erasi in certo modo sagrificato.
Era esso della grossezza. di un asino, ma ro-
tondo , atticciato , e d' una forma assai gros-
solana. Il suo trasporto e il furor suo parea
tale-, che certamente avria spezzate le gambe
# uomini e de’ cavalli, sol che potesse ag-
oiust © loro una delle sue trombate.
Li
4:
4 L'ELEFANTE. |
Vuolsi da alcuni che l elefante sia’ dotato
«di memoria sì fedele, che quando una volta
È stato in servitù, e poi è giunto a fuggirne,
più ron si può ripigliario. Fino a qual segno
una tale opinione sia erronea 0 giusta, sarà
facile giudicarne dai seguenti esempi riferiti
per Transazioni filosofiche del 1799.
< Fu presa per la prima volia un’elefan>
ssa nell’anno 1765 dal Rajah Kishum Mau-
i il quale, sci mesì appresso, ne fece un
presente ad Abdcor Rajah, persona qualificata
nel suo distretto. Nel 1767 poi quel Rajah
mardò gente contro il medesimo Abdoor, il
quale si era a lui mosirato o rivoltoso o al-
men renitente. Questi riparatosi alla montagna
lasciò andar usa la belva ne’ boschi, dopo
essersene servito per quasi ‘due anni; ma in
una motte pio essa Recon in poter
d'altri, benchè poi fra poco riuscì a fuggire.
Nel 1788, cioè a dire più di dieci anni dope
una tal fuga, fu essa attirata dai cacciatori
u elefanti del sig. Lecke di Longfordhal Spro-
pohire in un chiuso, e quando all'indomani
quesio personaggio andò per vedere la preda
fatta, eglino gli mostrarono l'elefaniessa, come
già da loro conosciuta e particolarmente tran-
quilla. Quando la chiamavano per nome, sem-
brava ch' essa porgesse non so quale atten-
zione, guardando quelli che .il ripetevano. È
L’ELEFANTE. - 195
mentre gli ali elefanti correano perpeiua-
mente pel recinto, dando segni di furore, elia
sola mostrava pazienza e rassegnazione al pro-
prio destino.
« Per lo spazio-di diciotto giorni ricusò di
approssimarsi ad una via senza uscita; memore
senza dubbio di ciò che per due volte aveva
sofferto in simil luogo. Ii signor Leeke entrò
mn dì nel chiuso, mentre non vi si trovava
se non essa, un altra femina selvaggia ed
ito piccioli elefanti. Assicuratisi i cacciatori
della seconda, per mezzo di elefanti addome-
sticati, che ie mandarono appresso, ebbero
ordine di chiamar l'altra per nome; ed essa
venne tosto alla riva del fossato nell’ interno
del recinto. Allora taluni di essi ‘avvisarono
d'inirodurvi un alberello di banani:; e la belva
non solo ne prese dalia lor mano le fogiie
colla sua tromba, ma apri la bocca, perchè
ve le ponessero entro, il che fecero, paipan-
dole la pelle e carezzandola. Allora le si mandò
vicino uno degli ciefanti addomesticati, dicendo
al cornac di pigliarla per l'orecchia, e ordi-
narle di accosciarsi. Cominciò essa dal rieusare,
mostrando non so quale corruccio , e alionta-
nandosi a ceria distanza. Ma poi il cornac ri-
chiamandola, venne a ivi, si lasciò carezzar
come prima, e fra pochi minuti permise agli
elefanti, di cui dicemmo, che seco si fami-
176 L ELEFANTE. |
gliarizzassero. Un cacciatore allora, stando
cavalcione sopra uno di questi, le annodò una
corda attraverso il corpo, e le saltò quindi
in groppa; della qual cosa parve essa a prima
giunta compiacersi poco; ma poi vi si adattò.
Un altra corda intanto a guisa di staffa le si
dispose al collo, per cui ponendosi il caccia-
tore nella foggia ordinaria di chi cavalca, con-
dusse la belva tutt'intorno al recinto. Dopo
di che le comandò di sedere ; ed essa ubbidi
all’ istante, non rialzandosi, che quando le fa
permesso. |
« Mangiò in quella posìtura quanto le si
diede ; pigliò colla tromba un bastone che le
si presentò , sel mise in bocea, il tenne e lo
rese, come le fu comandato, im quella guisa
che già molti anni prima ebbe costume di
fare. Infine .si riaddomesticò tanto bene, che:
se nel chiuso si fossero trovati altri elefanti sel+
vaggi avrebbe ottimamente servito a prenderli »..
Nel giugno del 1807 un elefante, fatto captivo:
alcun tempo innanzi, viaggiava con alcuni altri
sulla strada di Chittigang, carico di bagaglie.
Giunto sulle tracce d’ una tigre ; che gli ele-
fanti discoprono facilmente all'odore, fu com-
preso di sommo spavento, e fuggì ne' boschi,
malgrado tutti gli sforzi del suo cornac, il
quale non salvò la vita che aggrappardosi dal
suo dorso ad un albero, sotto cui passava.
L' ELEFANTE. 97) 0
Liberatosi l'elefante: dal suo conduttore, trovò
tosto mezzo di sbarazzarsi anche d'’ ogni altro
carico. Gli si. mandò appresso una femina; ma:
questa. non. potè raggiungerlo ‘in: tempo d' im=
pedire. la sua evasione.
Diciotto mesi dopo, fu preso un branco di
elefanti, il qual rimase più giorni nel chiuso;
prima che si potesse farlo entrare:nel sentiero
senza. uscita, legarlo, e servirsene alla ma-.
niera ordinaria;.
Uno: de’ conduttori, considerando attenta-
mente certo animale della -frotta, dichiarò che
molto somigliava a quello; che avea presa la
fuga; le quali parole eccitarono la: curiosità
generale ,. sicchè faceasi a. gara per. vederlo,
Ma se alcuno approsimavasi, il quadrupede fo
minacciava. colla. sua. tromba, e pareva egual- -
mente intrattabile, che qualunque degli ele-
fanti selvatici Un. vecchio cacciatore, frattanto; .
entrato a cavallo nel chiuso, lo esaminò at-
tentamente ,. e decise ch’ era. quello stesso , il
quale già fuggì. _
Nella quale persuasione corse ad'esso‘a briè -
glia sciolta, e gli ordinò di sdrajarsi, tiran-
dolo per l orecchio. L’ animale credendosi oa
quel che parve, arrestato. per sorpresa obbedì
immediatamente, e mandò attraverso la tromba
un grido acutissimo ,. com’ era già suo costume, ‘
il che lo fece immediatamente riconoscere dalle
Gubinetto Tom. I. 12
<a
198 È ELEFANTE.
persone, che si ricordavano di questa par-
ticolarità.
Vive tuttora (1806) nel parco di Exeter-
Change un’ clefantessa, la quale fu allevata a
di e condotta in Inghilterra nell’ an-
no 1796 dall onorevole Ugo Lindsey; ed è
0 bellissima, di nove piedi di altezza so-
pra venti di grossezza; e del peso di due
tonnellate o cinquecento libbre; molto ben
famigliare, massime colle donne e co’ fanciulli.
Visitando il parco, or sono alcuni mesi,
ebbi gran diletto in ammirar la sagacia e la
destrezza veramente singolarissima di questa
belva. Avendole domandato il guardiano, quante
persone fossero - “presenti, rispose con due forti
501} di tromba, cui teneva in posizione quasi
perpendicolare; e quando poi le si chiese il
numero de lumi che rischiarava il luogo, poi-
chè era notte, ripetè que' soff) sei volte. Risi
dapprima, come di supposto errore; ma guar
dando più da vicino m' accorsi che ciascuna
delle due lampade avea tre lucignoli. Aprì e
chiuse quelia bestia le porte e le finestre del
suo alloggio colla più gran bravura e prontezza;
e finalmente s'inginocchiò al comando del suo
custode; per mostrare di qual maniera poteva
essere caricata. x
Ma tutto ciò è nulla in paragone di un
altro fatto, che veramente sembrava esigere
le)
L’ELEFANTE. 179
la riflessione e l'intelligenza dell’uomo. Il cu-
stode medesimo , ipa” aver getiato uno scel-
lino per terra presso la barriera che separava
l elefantessa dal pubblico, ma dove non po-
tea giugnere colla sua proboscide, le disse di
raccorla e di darmela. La bestia, con mio
grande stupore, curvando al suolo quella pie-
ghevolissima tromba, parve misurare la distanza
che passava fra di essa e la moneta; indi
emise soffio sopra soffio con tal violenza, e in
sì special direzione, che ciascun d'cssi portava
lo scellino dal muro verso la barriera, finché
potè prenderlo. Allora mel pose in mano, e
a mia richiesta poi nella saccoccia dell'abito
del suo custode.
Dopo queste prove di sagacia e di obbe-
dienza vuotò in tre sorsi un secchio d’acqua,
che le fu apportato, e il rumore del liquido
nel passare dalla tromba alla bocca somigliava
a quello che farebbe nell’ uscir di un vaso ed
eptrar nell’ altro. Avendola alcuno richiesta
s era ben dissetata, mostrò a chiari segni che
berrebbe di nuovo; e infatti aspirò un altro
secchio d’acqua, come la prima volta. Indi,
senza che le fosse comandato, prese il secchio
medesimo pel manico, e il restituì al suo cor-
nac, copio con profonda inclina-
zione di testa. Il suo giornaliero nutrimento
consiste in un fascio di fieno, un altro di
80 L ELEFANTE. \
paglia; un moggio di farina d’ orzo e di cru-
sca insieme mescolata, e trenta libbre di pori
di terra, a cui si aggiungono tre e tre secchi
d'acqua. per bevanda.
IL RINOCERONTE
« Dopo l' elefante, dice il Plinio francese,
il rinoceronte è il più possente dei quadru-
pedi. Ha almeno dodici piedi di lunghezza dal-
I estremità del muso sino alla radice della coda,
e. sei O. sette piedi di altezza: la circonferenza
del solo corpo. è presso a poco eguale alla lun-
ghezza, che dicemmo. Molto, adunque, si ap-
prossima all’elefante pel volume e per la mas-
sa; e se appare più piccolo, si è perché le
sue gambe sono in. proporzione più corte. Dif
ferisce, però, grandemente da esso, per l'in-
telligenza e le altre facoltà, non avendo rice-
vuto dalla, natura che quelle comunemente
compartite- a tutt 1 bruti. Privo di sensitività
sella. pelle; mancando di mani e d' organi di-
stinti pel tatto; non. avendo, in luogo di trom-
ba, che un labbro mobile, con cui solo può
industriarsi,, appena è superiore agli altri ani
mali per la forza, la grandezza, e l arme. of-
fensiva, che porta sopra del naso, e che a lui
unicamente appartiene. Quest’ arme è un corno
solido e durissimo, piantato più vantaggiosa-
adi, -:-°
MW, RINOCFERONTE
IL RINOCFRONTE! r$r
nrente che le corna d' altra bestia qualunque;
poi ch’ esse non muniscono che le parù ante-
riori del muso, laddove l' altro preserva. d’ ogni
offesa ogni parte anteriore del capo ».
Il corno del rinoceronte ha talvolta tre piedi
di lunghezza, ed otto di circonferenza alla sua
base; e gli serve a difesa contro gli ‘assalti di
qualimque specie di belve feroci. È posto e con-
formato in modo, che può recare profondissi-
me ferite, ‘e allentanare le più leggiere. Peroc-
chè ,mentre l'elefante, l'orso, il bufalo, il cin-
hiale sono obbligati a percuotere di traverso
colle loro armi, il rinoceronte, che porta Ì ì suol
colpi diritti, applica a ciascuno di essi ogni sua
forza. Quindi la tigre istessa, malgrado la sua
ferocità, si espone di rado ad azzuffarsi con lui,
poichè anderebbe a rischio d’ essere sventrata,
Le membra del rinoceronte vengon difese
da una pelle nerastra, coperta «li tuberosità ,
e così dura, che riesce impenetrabile ai pu-
gnali e alle lance. Essa è tutta corrugata a
grosse pieghe ‘intorno -al collo, sulle spalle e
in sulla groppa. Pretendesi ‘che a danno del
rinoceronte, quand è giunto alla sua maturità,
non valgono che le palle di ferro, poiché quel-
Je di piombo si schiacciano contro la sua pelle
che, per altro, fra le sue pieghe e sotto il ventre
è molle e -d’ un colore di tenera carne. « La
mascella superiore dell’ animale, per usar le frasi
182 TL RINOCERONTE:
del sig. di Buffon, si sporge sopra l' inferiore,
il labbro di sotto è mobile e può allungarsi
sino a sei o sette pollici, massime che termina
in una appendice acuminata, ond’è più facile
al rinoceronte che a tutti gli altri quadrupedì
il coglier l'erba e farne manipoli, come pres-
so a poco fa l'elefante colla sua tromba. »
Il rinoceronte è ordinariamente dolce e pa-
cifico; ma aggredito e provocato divien cru-
dele e assai pericoloso, e va talvolta soggetto
a tali accessi di furore, che nulla può rimet-
ierlo in calma. .
Quello che giunse a Londra nel 1739 ( se-
eondo i ragguagli dati dal dottor Parsons al
sig. di Buffon, che li riferisce ) era stato in-
viato dal Bengala, sebben giovanissimo, poichè
non aveva che soli due anni, e. le spese del
SUO Viaggio costarono presso a poco un mi-
gliajo di lire. sterline. Era nutrito con riso, zuc-
caro e fieno, cioè sette libbre di riso per gior-
no, miste con tre di zuccaro, che gli si divi-
devano in tre porzioni, oltre il molto fieno
ed erba verde, che preferiva all’ altro. Non
beveva che acqua, ma ogni volta gran quan-
vità. Si mostrava d'indole tranquilla, e lascia-
vasi toccare in ogni parte del corpo; nè im-
perversava, che quando il battevano o aveva
fame; ma nell’ un caso e nell’ altro placavasi
egualmente, dandogli a mangiare. Quand’ era
IL -RINOCERONTE: 183
in collera slanciavasi, elevandosi a grande al-
tezza e spingendo la sua testa con furia contro
de’ muri; il che facea con prodigiosa celerità,
malgrado il torpore della sua massa pesante.
A dal anni non era più alto dî una giovenca;
ma era a compenso assai lungo e membruio.
Un rinoeeronte condotto d’ Atcham, e che
faceasi vedere a Parigi nel 1748, era mansue-
tissimo e può dirsi carezzevolissimo. Si nutriva
esso principalmente di biade e di fieno, e parea
avido, soprattutto, di piante spinose, come la
ginestra. Quelli che ne aveano cura gli por-
gean sovente rami d albero armati di spine
molto acute, cui esso. masticara senza dar se-
gno di riceverne noja. Talvolta, per verità,
gli traevan sangue dalla gola e dalla lingua;
ma appunto allora gli servivano di tornagusto
e parean condire ai suo cibo, come il pepe e
È altre spezie condiscono i nostri.
Gli occhi del rinoceronte sono piccioli , e
situati in maniera, che non può vedere, se
non quello che loro è posto davanti in linea
retta; ma il dottor Parsons accerta, ch’ esso
ne è compensato da un'altra particolar. qua-
lità. E questa un udito finissimo onde non gli
sfugge il minimo strepito, e anche addormen-
tato, 0 inteso a mangiare o a soddisfare altri
bisogni, leva sull istante la testa, ascolta con
inquicia attenzione, nè si rassicura, che quando
184 IL "RINOCERONTE.
‘la calma è interamente ristabilita. Malgrado
la sua grossezza, e ‘massiccia corpulenza vuoisi
ch esso corra molto spedito, e ‘mercè la sva°
forza; l'impenetrabilità della sua pelle, e la
durezza del suo corno rovesci tutti gli osta-
coli che incontra, e faccia piegare al par di
verghe i piccioli alberi che incontra in suo
«cammino. Nella sua maniera di nutrirsi, e
nelle sue generali abitudini molto rassomiglia
all’ elefanie, e abita’ com esso i luoghi freschi
in vicinanza all'’acque o in mezzo delle foreste;
ma imita il majale avvoltolandosi alla sua fog-
gia nel fango. È
*Costamiasi in alcune pari dell'Asia di ad-
«domesticare i rinoceronti, e covdurli in campo
cogli eserciti onde spargere fra i nemici lo
spavento. Generalmente però questi quadrupedi
sono così intrattebili, che non fanno che nuo-
cere alla causa, a cui dovrebbero servire, né
è raro il vederli nel loro furere volgersi coniro
i padroni e farli loro vittime.
| Le loro carni, l' unghie, i denti, la pelle,
ed anche gli escrementi sono dagli Asiatici
adoperati nella medicina. Pretendesi che il cor-
no, segato orizzontalmenie ov’ è più grosso,
presenti da ciascun lato una rozza immagine
d’ uomo, i cui tratti sono indicati da piccioli
punti bianchi. Gran numero ‘di principi in-
‘ diani beve in coppe formate di questo corno,
IL RINOCERONTE. 185
per fa persuasione che trovandosi in ‘esse qual-
che veleno, il liquore fermenterebbe sino ad
uscirne spumeggiando. Quelle di corno giovane
sono le più. stimate. Hu professore 'Thunberg
ebbe la ‘bontà di far diverse esperienze con
ogni sorta. di veleni, e in corna vecchie e in
corna giovani di rinoceronti, lavorate, e ‘non
lavorate ad uso di ciottole; e non vi osservò
nè effervescenza, nè moto qualunque. Solo,
quando vi ebbe versato ‘una soluzione di su-
blimato corrosivo, si elevarono alcune bolle,
rodette dall’ aria rinchiusa ne pori del corno,
che allora ne uscì. }
1 due soli animali di quiesta ‘specie, che in
lungo tratto -di tempo io abbia veduti in In-
ghilterra, furone ‘acquistati per le sale d'espo-
sizione ad Exeter- Change. L' uno di essi ve
niva da Laknaor, mandato in dono nel 17707
Galla compagnia dell’Indie al sig. Dundas, che
i ricusò, ed indi comperato dal sig. Pidcok.
L'animale non diede, sin dal principio, ve-
run segno di ferocia, ma si mostrò all’ incon-
tro deeirsino agli ordini del suo padrone,
aggirandosi per Ù sala ‘ond’ essere veduto, e
lasciandosi anche talvolta toccare sul dorso dai
ianti spettatori ch’ erano accorsi. Il suo nutri-
mento giornaliero consisteva in vent' otto libre
di trifoglio, oltre un egual peso di biscotto di
mare, e una prodigiosa quantità d’ erbe verdi.
186 IL RINOCERONTE.
Bevea dieci in quindici secchii d'acqua, che gli
erano portati a cinque a cinque. Il cibo se lo
prendeva col labbro superiore, e con esso quasi
con mano se lo poneva in bocca. Amava molto
i liquori spiritosi, di cui si iracannava due 0
tre botiiglie in poche ore. La sua voce somi-
gliava in qualche modo al muggito di un vi-
îello, e la faceva seniire principalmente quando
vedeva alcuna persona tenere un frutto © altra
vivanda ch'esso appetisse, e di cui in tal modo
mosirava il suo desiderio.
Nel mese di ottobre del 1792, alzandosi esso
d' improvviso sulle sue gambe, si slogò un gi-
nocchio ,. il quale accidente gli cagionò una
infiammazione alla rotella, e in capo a nove
mesi la morie; ritrovandosi in un albergo. a.
Corsham presso di Portsmouth. AI istante che
giunse in quel luogo la diligenza pubblica,
già esalava dal suo corpo un fetore così insop-
portabile, che il podestà ordinò subito di farlo
seppellire. Fu dissotterrato undici giorni ap-
presso da gente che ne volea la pelle e l ossa
più preziose; ma testimonii di vista e di odo-
rato assicurano, che vi fu gran difficoltà in .
venire a capo di quell operazione, poichè
l'incredibile puzza toglieva il senso, e il re-
spiro. Quelia pelle impagliata è ora deposta
in una delle sale dell'esposizione, di cui già
si parlò. ;
è
IL RINOCERONTE. 187
L'altro rinoceronte, ch’ era ad Exeter-Chan-
ge, mi parve molto più piccolo. Fu condotto a
Londra verso l'anno 1799; € il sig. Pidcok lo
vendette poi ad un’ agente dell Imperator - di
Alemagna. Ma due mesi appresso morì nella
corte di una locanda del quartiere di Drury-
Lane.
IL, RINOCERONTE A. DOPPIO CORNO
Questa specie differisce dall’ altra, anche at
solo aspetto della pelle; perocchè in luogo di.
pieghe immense e regolari somiglianti ad una
corazza, non ne ha che una ieggiera attraver-.
so le spalle e la parte di dietro, ed alcune an-
cor. più lievi sui fianchi, sicchè in confronto
del rinoceronte ordinario la. sua pelle sembra
liscia. La principal differenza, però, consiste;
nell'avere il dinanzi della testa armato di due.
corni, di cui l uno è più piccolo dell'altro, e
situato al dissopra di. esso.
Levaillant assicura che gli animali di siffatta
specie. molto si compiaceiono del vento, por-
tano le narici alte, onde scoprire. coll’ odorato
che hanno finissimo, l avvicinar de’ nemici, e
quando sono. adirati solcano la terra colle loro
corna. ,
La descrizione de’ costumi del rinoseronte
di cui si tratta, fatta dal sig. Bruce, è troppo
788 iL RINOCERONTE A ‘DOPPID CORNO:
«dilettevole a leggersi, perchè si possa tastu-
rare d’ inserirla in quest’ opera.
< Oltre gli alberi ‘durissimi, dice questo
vaggattio che abbondano nelle vaste foreste
dell’ India, altri ve ne hanno di più molle so-
stanza, che sembrano particolarmente destinati
«al nutrimento di questo quadrupede. Onde giu-
gnere ai rami elevati di tali alberi, il suo lab-
bro ‘superiore può estendersi di tanto, che nul-
la invidiar deve alla tromba dell’ elefante. Al
labbro poi aggiugnendosi il soccorso del corno, il
rinoceronte abbatte que’ rami, che più sono
ricchi di foglie, e -cui divora pei primi. Quan-
do ne ha dispogliato l'albero interamente, non
perciò lo ‘abbandona, ma cacciando nel trenco
le corna più addentro che pessano ‘entrare ,
apre, e il divide in parti minute come pan-
concelli. Come 1 albero è così ridotto, prende
colla mostruosa sua bocca quant’ essa può ad-
dentare , e il torce con egual facilità, che fa-
rebbe un bue d'un fascio d' appio, o di tut-
l'altra pianta di questo genere.
Quando è inseguìto o concepisce qualche
timore, fa prova di sorprendente celerità, «avuto
riguardo alla grossezza, e all’ enorme peso del
suo corpo, e alle brevi gambe che il portano.
Esso ha una specie di trotto, che in capo ad
alcuni minuti diventa precipitoso, e gli fa per-
gorrere din poco tempo moltissimo cammino.
IL. RINOCERONTE A. DOPPIO CORNO. 189
Non è però. vero, come alcuni hanno asserito,
che sorpassi un cavallo nel corso, poiché ed.
io con un mediocre cavallo l ho - facilmente
oltrepassato , ed altri con un peggiore hanno
fatto.altrettanto. Il che sebbene avvenga di rado,
non è da attribuirsi. alla grande prestezza del
rinoceronte,. ma. all astuzia ch’ esso. impiega.
Perocchè passa costantemente da bosco a bosco.
e si addentra nel più folto,. mentre gli alberi
morti e disseccatî, spezzandosi all'urto della
colossale sua forza, come a quello di una palla
di cannone, cadono intorno di esso da tutte
le parti. Gli alberi che sono più flessibili, più
forti, più pieni di sugo s incurvano sotto il
suo peso e la veloci del. suo. corso, e poi
ch' esso è passato, ripigliando per la loro ela-
sticità la propria natural posizione; come fa
rebbero verdi ramoscelli, i&vano da terra il
cacciatore imprudente col suo destriere, e lo
schiacciano contro gli alberi circonviecini. »
Picciolissimi sono gli occhi dei rinoceronte;
il quale di rado volgendo la testa non vede
che queilo che ha dinanzi a sè. Questa par-
ticolarità è sovente cagione della sua morte.
Mai esso non isfugge al cacciatore, ove si trovi
in una pianura abbastanza lunga, che quegli
col suo cavalio abbia. tempo di raggiugnerlo.
La sua fierezza e il furor suo gli fanno disde-.
guare ogni. idea di salvar la sua vita alirimenti
1GO IL RINOCERONTE A DOPPIO CORNO. |
che trionfando dell'inimico. Si “arresta esso
un istante, indi slanciandosi corre diritto al
cavallo, non diversamente di un cinghiale, a
cui molto rassomiglia ne’ suoi movimenti. Il
cavallo però lo schiva facilmente, volgendo a
destra e a sinistra con balzi improvvisi, per
‘cui presto giunge il momento che al rinoce-
rante è fatale. L'uomo ignudo, che armato di
una sciabola sta in groppa al principal caccia-
tore, si cala a terra; e senz essere veduto da
quel quadrupede, il qual non cerca e non mira
‘che al solo cavallo, gli dà un colpo al tendi-
° del tallone, e il rende incapace a fuggire
e ad opporre la minima resistenza.
Gran quantità di nudrimento dicemmo ab-
bisoenare alla massa enorme del rinoceronte ;
ma bisogna pur fare un cenno della sua ne-
‘cessaria bevanda. Non avvi che il paese dei
Shangalli, ov esso abita, paese inondato sei
mesi dell’anno dalle pioggie, e pieno di larghi
e profondi bacini scavati nella roccia dalla na-
tura, ombreggiato da folte boscaglie che si op-.
pongone all’ evaporazione, o) ni da grandi
\riviere, il cui corso mai non vien meno; non
avvi, dico, che un tal paese, che fornir possa
di che estinguer la sete del mostruoso animale.
Ma non per dissetarsi, soltanto, frequenta
esso i luoghi umidi e paludosi; perocchè seb-
ben così grosso ed ardito è pur uopo che si
IL RINOCERONTE A DOPPIO CORNO. IGI
premunisca contro il più debole de’ suoi av-
versarii.
Il rinoceronte a doppio corno ha per nemico
formidabile una mosca nata dal. nero limo del-
le paludi, e quest insetto il perseguita con
tanto accanimento, che finirebbe col farlo pe-
rire, se esso non avvisasse di ricorrere ad uno
stratagemma per la sua propria conservazione.
Alla notte, quando la mosca è addormentata ,
il rinoceronte sceglie un luogo opportuno, ed
ivi avvoltolandosi nel fango, si copre d' una
specie di crosta, che all'indomani lo fa invul
nerabile alle punture della sua avversaria. Le
rughe e le tuberosità della sua pelle servono
a fissare quesia specie d'inviluppo sovra tutta
l estensione del suo corpo, eccetto l anche ,
le spalle e le gambe, onde i suoi movimenti
lo fanno crepolare e cadere; lasciandole espo-
ste. I pizzicori, e i dolori, che allor prova,
lo forzano a fregarsi contro le scorze degli al-
beri; e questa abitudine, secondo tutte le ap-
parenze, è la causa delle numerose pustule o
tuberosità, come dicemmo, le quali si osservano
sulla sua pelle.
Il piacere ch’ esso prova al confricarsi, €
l oscurità della notie lo privano interamente
della sua attenzione e vigilanza; mentre lo
strepito ch' esso fa è inteso così da lungi, che
ì cacciatori pian piano gli si accostano, €
12 IL RINOCERONTE A. DOPPIO CORNO,
andando carponi gli pianiano. i lor giavellotti
nel ventre, ove la piaga è mortale.
do opinione d’ alcuni, che la pelle del rino-
ceronte sia così impeneirabile come un asse di
quercia è falsissima. Questo quadrupede nel
suo stato selvaggio è sovente ucciso a colpi di
dardi lanciati con mano, di cui taluni enirano
a grandissima profondità nel suo corpo; ed
una palla di moschetto lo traverserebbe da parte
a parte se non fosse intercetta da un osso. Gli
bissini. lo mettono a morte con rozzissime
chiavarine, ed indi lo tagliano a pezzi con cat-
tivissimi coltelli.
Può argomentarsi la forza del rimoceronte,
anche dopo essere stato grav emente ferito, dal-
la relazione dataci dal sig. Bruce d’ una caccia
di quest animale, a cui aveva egli medesimo
assistito nell’ Abissinia.
Eravamo a cavallo, dic’ egli, allo spuntar
del sole in traccia de rinoceronti cui avevamo
tidito più volie mandar profondi sospiri e grida
acute. Gran numero d’ agageeri venne a rag-
giugnerci, c dopo avere perlusirato per un
ora circa il più folto del bosco, uno di que-
sti animali si slanciò con grande violenza, e
traversò. la pianura, per andarsi a rimpiaitare
fra una selva di bambou, loniana forse due
miglia. Sebben però trottasse con. una prestezza
sorprendente, avuto riguardo alla sua enorme
IL RINOCERONTE A DOPPIO CORNO 193
grossezza, fu giunto da trenta o quaranta gia
vellotti che l impaurirono e costernarono in
guisa di forzarlo.a nascondersi in un fosso ©
burrone senza ‘uscita, in cui per langustia
dell’ ingresso, non potè entrare senza rompere
più di idadici di que dardi, che avea piantati
nel corpo. Ivi noi credemmo pigliarlo, come
in un trabochello, avendo appena spazio ba-
stante per volgersi. Quindi uno de’ nostri, che
aveva un archibugio gli trasse alla testa, e
l’animale cadde sali istante. Imaginandosi che
fosse morto, quanti fra noi erano a poi sal-
tarono sopra di esso co' loro coltelli alla mano,
onde squartarlo; ma appena ebbero dati i pri-
mi colpi, che: quello ricovrò abbastanza di forza
onde levarsi in sulle ginocchia. Ben furono av-
venturati coloro che si fuggirono, e se uno
degli agageeri impegnatosi ei medesimo nella
burraja, non: gli avesse tagliato il tendine del
tallone, i cacciatori pedestri avriano passato un
ben cattivo quarto d' ora. Come il rinoceronte
fn messo a morte, io volli vedere la piaga fat-
tagli dal colpo d’ archibagio,. la qual produsse
effetto sì violento in sì enorme animale. Jo
già mi figurava ferito il cervello, quando: con
mio stupore m° accorsi che la. palla non avea
tocca, se non che la. punta del corno ante-
riore, portandone via un pollice all’ incirca.
Da. ciò era provenuta una tal commozione @
Gabi.:cito Tom. L 13
- 194 IL RINOCERONTE A DOPPIO. CORNO:
stordimento, che ‘il lasciò senza sensi. per cun
minuto; ma il sangue sparso glieli avea tosto.
fatti. ricuperare ». di i
- Il sig. Sparmann ci narra, che li aperto.
un ‘rinoceronte, ritrovò ‘che la lunghezza del.
suo stomaco era di quattro piedi sovra due di
diametro, e terminava /in-un tubo o canale,
il quale era iungo vent’ otto piedi, e largo sei
pollici: il cuore poi avea diciotio pollici di.
lunghezza, e le-reni altrettanti. H fegato mi-
surato a desira e a manca avéa tre piedi e
mezzo di diametro, ed era grosso circa trenta
pollici, come quando è sospeso nel corpo del-
Fanimale, che. sta in piedi. La cavità del cranio;
che conteneva il cervello, era molto piccola,
mè presentava che sei pollici di lunghezza sovra
quattro. di profondità.
Gli Ottentoti attribuiscono molte virtù me-
dicinali al sangue disseccato de’ rinoceronti, ed
alcuni di essi mostransi ghiottissimi della sua
carne; quantunque dura e fibrosa.
L’IPPOPOTAMO.
Quest’ animale, quand'è sul crescere, è di
una mole uguale a quella del-rinoceronte, cvi
talvolta, per altro, eccede. Lungo circa undi.i
piedi ne ha nove di circonferenza. La sua
forma è grossolana e massiccia; le sue gambe
L'IPPOPOTAMO. 190
corte e carnose, la testa quadrata, la bocca
larga, gli orecchii e gli occhi piccioli, la coda
lunga un piede, e lievemente. crinita: Il:corpo
intero dell'animale è coperto di un pelo ru-
“ido e breve di color bruno. La sua pelle
poi, che molto rassomiglia a quella del ma-
jale , ba in alcuni luoghi due pollici di gros-
sezza; e il solo suo: peso basta al carico di
un camelo. ©
Colle qualità, che abbiam dette, già è fa-
cile imaginarsi ch esso non può correre molto
rapido in sulla terra, ove si mosra d’ un’ e-
strema timidezza. Quando è inseguito si getta
all’ acqua, scende al'fondo, ed ivi cammina
agevolissimamente; se non che non può ri-
manervi a lungo, senza tornare alla superficie.
Di giorno ha tanta paura d'essere discoperto,
che quando vuole respirar l'aria, appena è
possibile accorgersi. in qual luogo s' arrischii
ad alzar le narici fuori dell’onde.
Quand’ è ferito solleva con violenza le ca-
noe e le barche, rompe co' denti fe loro
sponde, e le fa sommergere. Si scava delle
buche molto addentro ne fiumi, che non hanno
bastante profondità per nascoridere la sua massà
sterminata. Quando. abbandona l acque esce
ordinariamente con metà del suo corpo , €
ventila intorno a sè; ma talvolta -si slancia dal
mare con grande impetuosità.
196 L’IPPOPOTAMO.
Gli Egizi hanno un singolar. mezzo di li-
berarsi da questo. animal distruttore. Spargono
una gran quantità di. piselli secchi ne’ luoghi
ch’ esso. frequenia: onde venuto. a. terra. ne
fa suo. pasto avidamente sino a provarne una
sete vorace. Corre allora. ad. estinguerla, e beve
acqua in sì gran copia, che i piselli gonfian-
dosi nel suo ventre lo fan perire.
L’ippopotamo , dice il dottor Sparmann,
non ha il passo così rapido come la più parte
de’ quadrupedi,. ma nemmeno così. pesante e
lento, come asserisce il sig. di Buffon. Gli
Ottentoti., infatti, riguardano come pericolo-
sissimo il suo incontro ;. specialmente. fior
d'acqua: essendo recenti gii esempi di loro
compatrioti, che inseguiti da siffatto animele,
a gran pena poterono. scamparne.
I Cafri dell Africa meridionale prendono
talvolta. questo quadrupede. entro fosse: che
scavano. in mezzo a’ sentieri. pei quali esso
passa;; ma l andar suo, «quando nulla lo agi-
ta, è generalmente sì nei e tanta. è la sua
cautela. che spessissimo gli avviene di scoprir
l aguato e di evitarlo. Il più sicuro. mezzo
di coglierlo è quello di spiarlo alla. sera dietro
un rovo presso. alcun luogo, cui. abbia in co-
stume di frequentare, e quando passa ferirlò
al garreito ;. il che lo fa tosto cadere e gli
de impossibile lo sfuggire a numerosi cac-
ciatori che lo assalgono. -
L'IPPOPOTAMO. 197
Una persona degna di fede, la qual ‘dimora
al Capo di Buona Speranza, narrò al profes-
sore Thunberg, come un giorno essendo alla
caccia vide cogli altri della ‘compagnia un’ ip-
popoiama , che uscì d'un fiume, ed andò a
sgravarsi a picciola distanza dalla riva. Tutti
allora sì rimpiattarono fra de rovaj, fino a che
fa madre e il nuovo parto venissero a com-
parire : e allora lanciati contro di quella più
colpi , l' uccisero. Gli Ottentoti, i quali s' i-
maginarono , dopo di ciò, di poter prendere
vivo il picciolo ippopotamo usciron tosto dalla
loro imboscata; ma l'animale, sebbene appena
vedesse il giorno, fuggì loro correndo in tutta
fretta alla riviera, ove si attuflò e scomparve.
Questa circostanza, come osserva il dotto pro-
fessore, è una prova singolare dell’ isiinto di
simili animali; poichè quello di cui si parla
sì riparò, senza esitare, al fiume, come a luogo
di sicurezza, quantunque nessuna istruzione
avesse ancor ricevuta da quella ‘che le diede
la vita.
La carne dell’ ippopotamo è cibo eccellente
per gli Ottentoti, che la mangiano e a lesso
ed arrostita. Il sig. Levaillant parla della sua
parie gelatinosa, come di cosa squisita. La
sua lingua poi, quando è disseccata, si con-
sidera al Capo, come boccon raro e pre-
libato.
198 L'IPPOPOTAMO..
La pelle sua, tagliata a liste, serve a fare
degli scudiscj, al qual uso è, per la. sua fles-
Sh , molto. più stimata che quella det ri.
noceronte. Le sue zanne, come quelle che
serbano sempre l'originaria purezza, sono vie
più pregiate chie I avorio.
Sembra che P ippopotamo sia capace di qual-
che adlomesticamenio , e Belon assicura di
averne veduto uno così trattabile, che dalla
scuderia, ove tenevasi, si lasciava condurre
ove piaceva al suo custode , senza far male
ad alcuno. |.
. Gli ippopotami abitano i fiumi d'Africa, dal
Berg sino al Niger, più miglia al nord del
Capo di Buona "Speranza. Essi abbondavano
altra volta nelle riviere più vicine al. Capo
medesimo, ma poi vi furono quasi interamente
distrutti.
IL TAPIRO:
Sembra essere | ippopotamo del Nuovo Mon-
do; e spesso infatti fu preso per quell’ amfibio.
È presso a poco della dimensione d'una pic-
ciola giovenca, ed ha il corpo della forma di
quello d’ un majale. La sua pelle è .d' un co-
lore brunastro; e il suo naso lungo ed affilato
si estende molto al di là della mascella infe-.
riore, e forma una specie di tromba, cui può
IL TAPIRO. 199
raccorciare e ‘allungare a suo grado. Ha le
orecchie piccole e strette, le gambe corte e
grasse, e la coda esilissima.
LI gii fi LI
‘ Mansueta è l'indole sua, e così grande la
timidezza, che fugge ad ogni aspetto di peri-
. . . 2 »
glio. Animal solitario dorme nel giorno, e va
a cercar nella notie il suo nutrimento , che
e 3 >) È » . . DI ° E)
si compone d erbaggi di differenti specie, di
canne di zuccaro e di frutta. Mai non è ve-
duto allontanarsi dai fiumi e dai laghi; e
quando è minacciato o inseguito si getta al-
l’acqua, vi s' immerge e .vi nuota con eguale
facilità che l ippopotamo. Si trova esso prin-
cipalmente ne’ boschi e ne’ fimmi sulle coste
orientali dell’ America. meridionale dall’ istmo
di Darien sino al fiume delle Amazoni. I sel-
vaggi fanno scudi colla sua pelle, ch'è sì alta
e dura, che quando è disseccata, i dardi e le
frecce non possono penetrarla.
CAPITOLO V.
La forma e gli atti ha d’ uom, gli usi e l’aspetto,
Ispida cute e Orang-Outangh è detto,
Ritto su’ piè, quando la notte imbruna,
Esce dagli antri, in cui solingo alloggia,
Erra pe’ boschi ove più l aria è bruna,
Ed armasi del tronco a cui s’ appoggia,
Sfida chi incontra arditamente, e Ponge
Chiamalo il negro abitator del Congo.
Castr
L'ORANGOTANO.
È fra le seimie 1’ animale più grosso, e
avuto riguardo alla sua esierna apparenza, che
molto somiglia l umana forma, gli fu talvolta
dato nome d uom selvatico, o d’ uom de’ bo-
schi. Ha però il naso più schiacciato; la fronte
più obliqua, e il mento meno elevato alla sua
base, che quello dell’ uomo. I suoi occhi, inoltre,
sono più vicini l'uno all’ aliro che nol siano
nell’ uomo, e la distanza fra il suo naso e Ja
sua bocca è infinitamente più grande. Così
nella sua interna conformazione si discoprono
differenze essenziali, che malgrado ogni esteriore
ONVUO "I
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L'ORANGOTANO. 201
“somiglianza dimostrano qual: immenso inter-
vallo separi luna specie dall’ altra. Che se
mè la figura, nè gli organi, nè 1 moti imta-
tivi, che sembrano risuitarne, di nulla più il
ravvicinano alla natura dell'uomo; di nulla pa
rimenti il sollevano sopra quelle del bruto.
Gli orangotani, che fino ad ora si sono os-
servati in Europa, di rado eccedevano l' altez-
za di tre piedi. 1 più grandi, che diconsi es-
sere di sei, sono vivacissimi e di tal forza che
sorpassa quella dell'uomo più muscoloso. Ve-
locissimi al corso, non si giugne a sorprenderli
che con estrema difficoltà. Il loro pelo è d'un
bruno fosco, i loro piedi son rudi, e le loro
‘orecchie, come i loro diti, molto si conformano
a quelli della specie umana.
Abitano essi i boschi dell'interno dell’ Africa,
‘e dell isola di Borneo, si nutron di frutta,-e
quando si avvicinano al mare mangian del pesce
e de’ granchi. Andrca Battel, Viaggiator porto-
ghese, il quale dimorò ad Angola presso a
diciotto anni, assicura che l’orangotano « è in
tutte le sue proporzioni simile all'uomo, ec-
cetto ch'è più grande, grande dic’ egli come
un gigante, ha faccia umana, liscia e senza
peo, occhi incavati, lunghi capelli, che gli
scendono giù pei due lati della testa, orecchie
e mani ignude, e corpo leggiermente velloso.
Dice che non differisce dall'uomo nell’ esterno
202 È ORANGOTANO.
che per le gambe, poichè non ha che poco 6
nulla di polpe, e non pertanto cammina seme
pre diritto sui due piedi; che dorme sugli al-
beri, e si costruisce una capanna, un rico=
vero contro il sole e la pioggia; ch' ei vive di
frutta e non mangia. carni ; ch ei. non può
parlare sebbene abbia più intendimento che
gli altri animali; che, quando i negri fan fuoco
ne boschi, viene a sedervi e riscaldarsi, ma
non saprebbe mantenerlo aggiungendovi legne;
ch' esso va-di compagnia con altri animali della
sua specie, uccide così i negri ne’ luoghi ap-
partati, e si azzuffa perfino coll’ elefante, cui
discaccia a colpi di bastone da’ boschi ove l’in-
contra, e che finalmente non può mai essere
preso vivo, poi ch è si forte, che dieci uo»
mini non basterebbero a domarlo. »
Jobson ne dice, che sulle rive del. Gambe
in Africa gli orangotani si raccolgono talvolta
in truppe di tre 0 quattro mila, divise in varie
schiere, avendo il più grande fra loro per ca-
pitano, e in simili circostanze si mostrano au-
dacissimi e perfidissimi. Quand’ egli passava
dinanzi a loro col suo equipaggio, essi arram-
picavansi agli alberi, e si mettevano a guar-
darlo, oppure talvolta scuotevano gli alberi
medesimi con grandissima violenza, e digri-
gnavano i denti. Alla sera, quando il naviglio
era all’ancora, essi venivano a collocarsi sovra
L ORANGOTANO. 203
le rupi o le alture; che dominavano il mare,
ese la sua gente scendeva a terra, coloro le
si facevano. calo con strani ceffi; ma sem-
pre fuggivano precipitosi, qualora fossero at-
taccati. Uno di essi venne un giorno ucciso
da un colpo di fucile tiratogli da una canoa;
ma prima che questa fosse legata, già i com-
pagni lo aveano trasportato. St Airovarono nei
boschi le loro abitazioni, che. si. componeane.
di piante e. di:rami d'alberi. sì Lei ini: ecciati:.
che offerivano un asilo comodissimo. Gli oran-
otani mostrano poco di quella vivezza, anzi
follia, che distingue particolarmente le seimmie..
Le loro azioni invece hanno tutte non so qual
calma, e sembrano accompagnate dalia rifles-
sione. Nemici naturali dell’ elefante, se giun>
gono a discoprirlo, l assalgono e È uccidono.
Adoprano contra di esso i basioni, ed a respin»
gerlo bastan loro anche i soli pugni. Talvolta
furon anche veduii lanciar pietre a persone
che gl’ insultavano.
: Bosman ci narra, come dietro il forte in-
glese di Wimba, sulla costa della Guinea, pa.
recchi di questi animali piombarono sopra gli
schiavi della compagnia dell Indie, e ne trione
farono. E già erano sul punto di cavar loro
gli occhi con de’ bastoni acuminati, quando
avventuratamente una Luuppa di negri giunse
in tempo . «di soccorrere: i vinti. Si sono. pur
204 L'ORANGOTANG:
veduti degli orangotani rapir le donne de’ negri,
e strascinarle ne’ boschi. Un fanciullo, anch’ esso
negro, condetto via da uno di quegli animali
visse fra loro per più di un ‘anno; e al ritorno
me descrisse alcuni, i quali erano grandi e
grossi come un uomo, nè gli aveano fatto verun
male. I teneri orangotani prendono il latte dalle
loro madri, tenendosi sospesi alle loro mammelle,
e stringendosi colle mani al loro corpo. Se
una di tali femmine è uccisa, i lor piccioletti
si lascian prendere, senza fare ‘alcuna resi-
stenza.
I costumi di simili animali, qualora si alle-
vino domesticamente, son docili e pacifici, e
nulla hanno di quella ferocia, che tanto di-
sgusta ne grossi babbuini e scimiotti. Anzi è
piuttosto rimarchevole la loro docilità , e Ja
piacevolezza di moltissimi lero ‘atti.
Il dottor Tison, il qual « ha data una
molto minuta descrizione d’ un giovane oran-
gotano, che faceasi vedere a Londra cent’ anni
fa, ne assicura che parea dimostrare molta sa-
gacia, e che l'indole ‘sua era mansuetissima.
Abbracciava esso con gran tenerezza le per-
«sone che avea cenosciute a bordo del vascello,
su-cui era venute. Ivi, sebben fossero molte
scimmie, sempre ricusò la loro società, evitando
il loro avvicinarsi, c dando loro. segni di gran
disprezzo. Sembrava compiacersi nelle vesti di
L'ORANGOTANO: 20
cui l avevano. abbigliato, e talvolta ne indos-
sava. parte da sè solo, e: parte ne presentava.
alla. gente dell’ equipaggio, perchè l' ajutasse a.
metterle. Fi si sdrajava in un letto; posava la:
sua testa sopra -un. origliere , e traeva sopra.
di sè la coperta, onde tenersi caldo come avreb-
be- fatto»: un. uomo.
Il sig. Vosmaér ci ha daia la relazione se-
guente dell’ orangotano condotto in Olanda.
nell’anno 1776. .« Era una femmina. Man-.
giando non facea quelle tasche laterali alla.
gargozza, che sagliono l'altre specie di scimmie.
Era d’ un sì buon naturale, che mai in essa.
non si vide segno di malignità: o. di rancore ,
e si potea, senza tema, porle la mano in bocca.
La sua aria però avea non so che di iriste....
Amava la: compagnia; senza distinzione di sesso,.
dando: soltanto la preferenza. alle persone, che
aveano cura giornaliera di essa, e le facean del:
bene. A queste mostrava singolare affetto, e.
spesso, quando se ne andavano, essa, trovan--
dosi alla catena, si gettava per terra come di-
sperata, mandando gridi lamentevoli, e. lace-
rando, poi ch'era sola, qranti paunilimi: potearn
venirle fra mani. H suo custode avendo talvolta
‘in costume sederle vicino per terra, essa pren-.
deva del fieno del suo covaccio, il distendeva
da un lato, e parea con queste dimostrazioni
invitarlo a prender posto al suo fianco.
‘206 L'ORANGOTANO:
« Il suo modo ordinario di camminare era
a quattro gambe, come. quello dell’altre scimmie;
poteva però andar diritta. sulle due posteriori,
e sovr ‘esse’ infaiti, munita di un bastone, si
reggea lungo tempo. Non posava però mai i
piedi distesamente, alla maniera dell’uomo,
ma sempre li tenea un po’ ricurvi, colle dita
al di dentro ripiegate; ciò che dinotava V' abi-
uadine di arrampicarsi agli alberi .:.. Una mat-
tina la trovammo scatenata, che correva con.
maravigliosa agilità le travi oblique, e i pan-
concelli del tetto, e si ebbe della pena a ri-
pigliarla ..., Straordinaria ci parve la forza dei
suci muscoli; e. gran fatica ci volle a tenerla
distesa sul dorso. Due uomini vigorosi appena
bastarono a stringerle i piedi. ‘un terzo a fe»
nerle la testa, e il quarto a ripassarlé il col
lare e chiuderlo meglio. Nel tempo che si trovò
libera, la' bestia: avea, fra l'altre cose, tratto il
turacciolo d'una bottiglia che contenea un resto
di yin. di Malaga, cui bevve sino. all’ ultima
goccia, rimettendo poi il vetro a suo posto.
«. Mangiava quasi: tutto quello, che le si
presentava; ma il suo nutrimento ordinario eran
pane, radiche, e in particolare: carote gialle,
ogni sorta di frutti, e. fragole in ispecie. Parea
singolarmente ghiotta delle piante aromatiche,
come cel prezzemolo e della sua radice. Assa-
porava aitresì le carni lessate o arrostite ed il
L'ORANGOTANO. 207
pesce. Mai non si vedea dar. la caccia agli in-
setti, di cui | altre scimmie sono sì avide..
Le pres sentai un passero vivo, cui essa alici
e rigeltò quasi nel medesimo tempo. Quando
era dia. Y ho veduta mangiare un po’
di carne cruda, ma senza il minimo appetito.
Le porsi un dì un ovo, parimenti crudo,
ch’ essa aprì co’ denti e succiò tutto intero col
più gran gusto .... L' arrosio e il pesce erano
i suoi alimenti prediletti. Le si era insegnato
a mangiare col cucchiajo e. colla. forchetta.
Quando. le si davan fragole sopra di un tondo,
era un piacere il veder come le infilzava una
ad una, e quindi le portava colla. forchetta
alla bocca, mentre coll’ altra mano teneva il
piattello. , La sua bevanda ordinaria era Y acqua,
ma gusiava moltissimo ogni sorta di vimi, spe-
cialmenie il malaga. Si porgeva ad essa una
bottiglia ? Ne cavava il turacciolo, e poscia
beveva colla maggior grazia del mondo..E quello
che faceva del vino, facea pur della. birra:
asciugandosi poscia le labbra, come fosse. un
uomo. Dopo aver pasteggiato, se le si dava
uno stuzzicadenii, se ne serviva al par di noi.
Tracvasi con somma destrezza e pane ed altre
cose. dalle saccoccie. E. fui assicurato che,
qua: do essa a bordo del naviglio correa libe-
ramente fra Î equip aggio, si divertiva co' ma-
rinai, e andava com'essi a ‘cercare la sua por-
zione alla cueina.
208 L'ORANGOTANO.
« Avvicinandosi la rotte, andava a. ripo-
sare .... Non dormiva volentieri nella. sua gab»-
bia, per paura, credo, ‘d’ esservi rinchiusa..
Quando volea coricarsi , ‘acconciava: il. fieno:
del suo letto, lo scuoteva bene, aggiungevane:
all’ alto per formare il suo capezzale, s1 met-.
teva il più delle volte sopra di un. fianco, e
si copriva ben bene con una. coltre, essendo
molto freddolosa:.... Di tempo in tenpo noi
l'abbiamo veduta far cosa, che moltissimo ci;
sorprese la prima volta, che ne fummo testi-
monii. Avendo preparato il suo covacciolo all’or-
dinario; prese un pezzo di biancheria, che sì
trovò appresso, lo. distese molio bene sul. pa-
vimento, vi mise deutro- del fieno, e levandolo.
dai quattro angoli portò il suo fagoito con
molta destrezza al letto, onde le servisse di
origliere, traendosi poi la coperta sovra il
corpo .... Una volta vedendomi aprire colla
chiave, e chiuder dii nuovo la sua. catena,
prese un pezzettino: di legno, il cacciò nel foro
della serratura,. e il. volse e. rivolse in tutti. i.
modi, guardando se apriva, come io
fatto.
‘. « Al suo arrivo, la bestia. non. aveva. pelo,
altro che un po'di nero sulla posterior parte
del corpo , sulle braccia, le: cosce , le gambe;
Ma all avvicinar dell'inverno si coprì dovun-
que di ur lana di color castagno. chiaro , le
doi - (A 4
gia. avea
L'ORANGOTANO.. 209
eui più lunghe setole avean benissimo tre
pollici ».
Visse in Olanda circa. sei mesi, e dopo
morte fu collocata nel museo del. principe
d' Orange. .
Ii sig. di Buffon avea un orangotano , che
sempre camminava sui due pied:, anche por-.
tando gran pesi: « L'aria sua, dic egli, era
assai triste, l'andamento grave, i movimenti
misurati, l'indole dolce e differentissima da
quella dell’ altre scimie. Non avea nè Y impa-
zienza del bertuccione, nè la malignità del
babbuino, nè la stravaganza delle monne. Era
stato, si dirà, ben educato e ammaestrato.
Ma gli altri animali, con cui lo paragono,
aveano pur ‘avuta l’ istruzione medesima. Or
mentre opel nostro. orangotano bastava. qualche:
segno o parola per farlo operare; pel bab-
buino bisognava il bastone, e la verga per
tutti gli altri che non obbedivano se non alla
forza delle percosse. Ho veduto quest’ animale
presentar la mano per ricondurre le. persone
che venivano a visitarlo ; passeggiar grave-
mente. con esse e come di compagnia; sedersi
a. tavola , spiegare il suo mantile, asciugarsi
con questo. le labbra, usare del suo pupelicio
e delia. sua forchetta, onde prender cibo, ver-
sare ei medesimo la sua bevanda entro il bic-
chiere ,, toccarlo contro quello d'altri, se vi
Gabinetto Tom. I. TÀ
: 9
210 L ORANGOTANO.
era invitato, andar a prendere una tazza €
una sottocoppa , recarla in tavola, mettervi
dello zucchero, versarvi del tè, lasciarlo raf-
freddare per beverlo,, e tutto ciò senz’ altro
eccitamento che di qualche segnale o voce del
padrone , e talvolta da sè stesso. Non facea
male ad alcuno, si avvicinava con riguardo ,
e presentavasi , come per domandar carezze.
Appetiva fuor di modo le paste dolci, e tutti
gliene davano; ma come era toceo nel pol
mone, onde avea tosse frequente, tanta quan-
già di cose inzuccherate contribuì, senza dub-
bio, ad abbreviargli i giorni. Non visse a Pa-
rigi che un estate, € morì a Londra l'inverno
seguente ».
Un orangotano fu pur veduto nell’ arcipe-
lago delle Moluche, il qual era di costumi si-
milissimi a quello or ora descritto. Cammi-
nava su due piedi, e si serviva delle mani e
delle braccia come un uomo. Le sue azioni ,
in generale, si accostavano talmente a quelle
dell'umana specie; i suoi movimenti erano sì
vivi e aveano tania espressione , che una per-
sona muta difficilmente avrebbe saputo farsi
meglio intendere. Batteva il suolo co’ piedi,
onde manifestar la sua collera, e talvolta pian-
geva come un fanciullo. Gli si era insegnato
a danzare; e in tutto quel tempo, che fu a
bordo del vascello, trastullavasi esso in arram-
L ORANGOTANO. 211
picarsi per mezzo agli arredi, prendeva ogni
sorta di positure grottesche, onde divertire la
compagnia; e saltava con sorprendente agilità
d'una corda all’ altra, sebbene alla distanza di
quindici in venti piedi,
Ii sig. Hamilton, mentr era a Java, vide
un orangotano, ch ei ci descrive d’ indole
seria e melanconica. Dice ch’esso accendeva il
fuoco ; e vi soffiava entro colla sua bocca, e
avea pure l' abilità di far cuocere alla grati»
cola un pesce per mangiarlo col suo riso bol-
lito, ad esempio delle persone, ch’ erano seco.
Francesco Pyrard riferisce in un suo Viaggio
che trovasi nella provincia di Sierra-Lcona
una specie d’ animali appellati daris, i quali
sono grossi e membruti, ma di tale industria,
che se vengono allevati dalla prima gioventù
servono come uomini. Camminan essi d' ordi-
nario sui due piedi di dieiro solamente ; pe-
stano entro i morta) ciò che si vuole; vanno
ad attinger acqua al fiume entro piccioli vasi,
che portan pieni sul capo; e lasciandoli tal-
volia cadere, e vedendoli rotti , si mettono a
gridare ed a piangere ».
Barbot asserisce altresì che sulla costa della
Guinea si tragga dagli orangotani quel servigio
che si trarrebbe da’ garzoni di cucina, inse-
gnando loro a menar l'arrosto, il che fanno
con desirezza incredibile.
do L'ORANGOTANO:
Il sig. Delabrosse , il quale avea comperati
da un, negro due di questi animali dell’ età
soltanto: di un anno, non dice se il venditore
gli avesse educati; e quasi dalle sue parole si
conchiuderebbe che facessero da sé stessi molte
delle cose: da noi sopra accennate.
« Hanno essi l'istinto, egli dice, di sedere
a tavola come gli uomini; mangian di tutto
senza distinzione; adopran coltello, eucchiajo
e forchetta onde tagliare e mettersi in bocca
ciò che si. da. loro sul tondo ; e. bevon vino
ed: altri liquori. Portati a bordo avveniva, che
stando essi a mensa., e abbisognando. di qual-
che cosa. cercavano di farsi intendere da’ mozzi.
del vascello ; e se talvolta. questi ragazzi nie-
gavano loro ciò. che chiedevano , andavan in
collera., li pigliavano per le braccia, li. mor-
devano, ed anche geitavanli a. terra. e. li. cal-
pestavano .... Il maschio fu ammalato in rada,
«e si. faceva curare non altrimenti che: uomo.
Fu anzi salassato due volte al braccio destro;
ed: ogni volta poi che sentivasi di mala voglia,
mostrava. il. braccio medesimo., perchè gli si
tiraesse sangue, come fosse ben persuaso che
ciò gli gioverebbe ».
Due. crangotani furono. inviati. dalle. fore-
ste del regno di Carnate. sopra un vascello
costiere, che ora. appartiene al governatore
di Bombay. Aveano essi appena due piedi di
L'ORANGOTANO. 9:13
altezza, ma camminavan diritti, e molto assomi=
liavano e negli ‘atti e nelle forme ‘alla specie
umana. Alla loro tristezza ben si accorgeva,
quanto gli affligesse la perdita ‘della loro libertà.
Durante il viaggio la femmina cadde ammalata
e morì; il maschio, dopo tutte le dimostrazioni
possibili del dolor che provava, ricusò ostina-
tamente di mangiare, e in capo ad alcuni giorni
cessò pur esso di vivere.
< Ho veduto ‘a Java, dice Legnat, una sci-
mia vidella specie degli orangotani, come rac-
cogliesi dalle parole seguenti ) molto straordi-
naria. Era una femmina, alta ‘alta, e cammi-
nava spesso molto diritta sulle gambe di dietro;
avea il volto, senz’ altro pelo che quello dei
sopracigli, e rassomigliava grandemente a quel-
le faccie grottesche delle femmine ottentote ,
ch io incontrai al Capo. Faceva ogni giorno
con assai proprietà il suo ieîto, vi si coricava
colla testa sull’ origliere, e si traeva sopra il
corpo una coperta .... Quando avea male alla
testa, se la stringeva in un fazzoletto, ed era
uno spasso il vederla così incuffiottata nel letto.
Potrei raccontare parecchie altre picciole cose,
le quali sembravano molto singolari, ma con-
fesso ch'io non poteva averne tanta ammira-
zione come la moltitudine, perchè non igno-
rando il disegno formato di portar quest’ani-
male in Europa, onde mostrarlo alla gente ,
214 L ORANGOTANO. i
era inclinatissimo a supporre, che fosse pre-
parazione dell arte quello che dalla più parte
si credeva natura. Il mio supposto, però, non
avea fondamento. L’ animale morì all’ altezza
slel Capo di Buona Speranza in un vascello,
sul quale io mi ritrovava. »
Gemello Carreri dice aver medita un oran-
gotano, il quale mandava lamenti come un
bambino, camminava sut piedi posteriori, por-
tando una stuoja sotto il braccio, per cori-
carvisi al dissopra e dormire. Le scimie della
sua specie, egli aggiugne , sembrano, a certi
riguardi, avere più intendimento che l’ uomo,
poichè quando non trovano più frutti sulle
montagne, vanno in riva al mare, ove pigliano
granchi, ostriche ed altre’ simili cose. Fra le.
ostriche avvene una del peso di più libbre, la
qual si chiama taclovo, e che soventi sta col
guscio aperto. Ora le brave scimie, temendo
che non si chiuda, e serri loro la zampa,
quando ve la mettono deniro, per trarne l’o-
strica e mangiarla, Vi cacciano prima un sasso,
ed indi fanno con sicurezza il loro pasto. »
215
IL BERTUCCIONE.
Quest animale è più sgarbato, più vizioso
e più dificile ad addomesticare che tutte l'al-
tre scimie. La sua testa è larga; la faccia sua
rassomiglia assai più a quella del cane che a
quella dell’uomo; e il suo corpo è coperto
di un pelo bruno, che per altro inclina al
falvo. Quando si tiene sulle sue gambe po-
steriori ha, circa, tre piedi d'altezza; e quando
sta assiso è come portato da due proeminenti
callosità. Le sue gote son fornite di tasche,
cui esso riempie di cibo, prima che cominci
a mangiare. Preferisce il camminar sulle quat-
iro sue gambe all andare diritto. I suoi co-
stumi sono rozzissimi; e irritato digrigna 1
denti, ed ha non so che di siranamente di-
spiacevole.
I quadrupedi della sua specie sono, in ge-
nerale, perfidissimi. Si raccolgono in torme
numerose nelle immense pianure dell Indo, e
se veggono donne, che vanno al mercato, le
assalsono, e loro tolgono le provisioni. Ta-
vernier , parlando di essi, dice che certi In-
diani hanno una curiosa maniera di prender-
sene spasso. Perocchè collocano cinque o sei
corbe di riso, alla distanza di quaranta o cin-
quanta tese le une dalle altre, in un terreno
scoperto , non lungi dal lor covile, e a lato
416 IE BERPUCCIONE.
di ciascuna corba alcuni grossi bastoni, volgare
mente detti batacchi o frugoni. Si mettono
in seguito poco discosto in imboscata, per ve-
dere ciò che avverrà. I bertuccioni non iscor-
sendo aleuno presso le corbe, scendono in
folla ad esaminarle ; si fanno reciprocamente
bruttissimi ceffi; s imoltrano e s.arretrano per
intervalli, come se avessero qualche cosa a
temere. Alfine le femmine, che sono molto più
coraggiose che i maschi, quelle principalmente
che hanno de’ piccioletti, si arrischian le prime
ad approssimarsi a quelle corbe; e nell'istante
che si dispongono a cacciarvi le loro teste per
mangiare, i maschi di un partito si avanzano
per impedirnele, mentre quelli di un altro
anch essi inoliransi per opposto motivo. Allora
la guerra si accende; i combattenti s impa-
droniscono dei bastoni, e ne nascono fieri
scontri, onde i più deboli son ricacciati al
bosco colla testa o aliro membro imal concio,
e i vincitori poscia si divorano il prezzo del
loro trionfo.
Il medesimo scrittore riferisce che in un viag-
gio, ch ei fece, nell Indie orientali col presidente
della Compagnia Inglese, osservò sugli alberi
intorno a sè un gran numero di biontlcalensi,
Il presidente. come stupelatto volle arrestare
la sua vettura, e pregò Tavernier a sparare
contro alcuno di essi. Gli uomini del suo
TL BERTUCCIONE. 317
seguito, ch'erano in gran parte nativi del pae-
se, e conoscevano benissimo 1 costumi di quegli
animali, lo pregarono di non arrischiare nes-.
sun colino, per tema che i non feriti irrom-
pessero contro di lui, onde vendicare i com-
pagni. Cedendo però alle istanze del direttore
uccise una femina, la qual cadde di ramo in
ramo da una pianta co’suoi. piccioletti sospesi
al collo. Nell istante medesimo gli altri ber-
tuccioni, il cul numero giugneva a più di ses-
santa, si precipitarono dagli alberi, si arram-
picarono al calesse del presidente, e l'avreb-
bero senza fallo strangolato, s' ei non avesse
testo chiuso le cortine, e le persone, che lo
scortavano, non fossero state tante da forzarli
ad allontanarsi; il che però ebbe gran difli-
coltà. Per tre miglia infatti vennero esse da
quegli animali inseguite e molestate ostinatis-
simamenie.
« Noi abbiamo nudrito, scrive il sig. di
Buffon, un bertuccione per più anni di se-
guito. In estate si compiaceva dell’aria aperta,
e d'inverno si poteva tenerlo in una camera
senza fuoco. Sebben non fosse delicato era
sempre triste, e faceva egualmente le morfie
per indicar la sua collera, e mostrare il suo
appetito. 1 suoi moti erano violenti, le sue
maniere assai ruvide, e la sua fisonomia an-
cor più orrida «che ridicola. Amava coricarsi ,
218 IL BERTUCCIONE.
per dormire , sopra di un canterano. Veniva
quasi sempre tenuto alla catena, poichè , mal.
grado la sua lunga. domesticità, mai non si
era nè incivilito, nè affezionato ai suoi pa-
droni ». i
Gli animali di questa specie si trovano, per
la più parte, nelle contrade dell’ Africa, dalla
Barberia fino al Gapo di Buona Speranza.
IL PITECO.
Cammina ordinariamente sui pie di dietro;
è assai più picciolo che il bertuccione; ha la
faccia molto schiacciata, e l'orecchie somiglian-
tissime a quelle dell’ uomo. I colori ordinarii
del suo pelo sono l ulivo bruno sul. dorso
e sui fianchi, e il giallo sotto il ventre. Vive
esso nei boschi e si nutre principalmente di
frutta e d' insetti.
Generalmente gli animali della sua specie.
sono di natura assai dolce e facilissima ad ad-
domesticarsi. Bevon nel cavo della. mano, imi-
tano il ridere e il corrugar de’ sopracigli. del
loro padrone, e, secondo Linneo, il modo di
salutare usato dai Cafri. Hanno della memoria,
e ricordano talvolia per più anni la persona
che li benefica. Nelio stato di domesticità seno
allegri e scherzevolissimi; ma presi vecchi nel
IL PITECO. 219
loro stato selvaggio mordono fieramente per
difendersi.
« Vanno in truppe, dice Marmol, a ru-
bare ne’ giardini o ne campi. Prima però di
uscire da’ lor nascondigli, uno sale sopra qual-
che eminenza, onde scoprire i luoghi tutto
all'intorno, e se non vede comparire alcuna
persona con un grido ne dà segno agli altri,
i quali fanno la loro sortita, e fin che son
fuori, esso non si toglie di là. Ma standosi
alla vedetta sì tosto che scorge venire alcun
uomo stride fortissimamente, e :utti saltando
d albero in albero si salvano nelle montagne.
È cosa mirabile il vederli fuggire , poichè le
femine portano sul ioro desse” n o cinque
piccioletti, nè perciò fanno di ramo in ramo
salti meno grandi. Quantunque siano animali
astutissimi, se ne prendono molti con diverse
invenzioni. Allorchè divengon feroci mordono;
ma per poco che si carezzino, s' addimestican
facilmente. Gran guasto recano a frutti ed alle
biade , poichè non badano a verdezza o a
maturità, ma tutto egualmente colgono e gei-
iano a terra, ed è più quel che consumano
di quello che mangino e portin via. Gli addo-
mesticati fanno cose incredibili, imitando l’uomo
in tutto ciò che veggono da lui «operarsi ».
Pretendesi che in Africa abbiano il loro
soggiorno abituale nelle caverne; e così nelle
$20 TL PITECO.
fndie orientali e nell'isola di Ceilan. Gli abi-
tanti di tali paesi usano una singolar maniera
di preuderli ; poichè pongono all'ingresso dei
lor covili vasi di liqueri forti, che gli ineb-
briano e gli addormentano; onde perdono fa-
cilmente la loro libertà.
ll padre Cabausson riferisce un aneddoto
assai piacevole d’' una scimia, che ‘avea’ resa
domestica, e che gli si era tanto affezionata ,
che l' accompagnava in tutti i luoghi da lui
frequentati. Usava egli chiuderla in camera,
quando andava ai sacri officii Un giorno però
essa riuscì a fuggire e seguillo nella chiesa.
Ki salita cheta cheta sul balluechie del pul-
pito vi si tenne inosservata fin ‘che là predica
incominciò. Faitasi allora all’ orlo, e postasi a
considerar il predicatore imitò i suoi gesti
d una maniera sì comica, che tutto l’uditorio
si mise a ridere. Cabausson sorpreso di così
insolita leggerezza , ne fece parole di rimpro-
vero, le quali niun buono effetto avendo pro-
dotto, nel trasporto del suo zelo, facile a con-
cepirsi , raddoppiò i gesti e l agitazione. Ma
la scimia anch'essa vie più infervorando nella
sua pantòmina convertì in iscoppi sonori quello
che prima era strepito moderato e represso,
Alfine un amico di Cabausson a lui salito gli
indicò la causa di questa singolarità che tutto
lo conturbava, e il buon padre ebbe a durar
iL PITECO., gas
troppa fatica a tenersi in contegno, ordinande
al sacristano di condur via la scandalosa imi>
telrice.
Nella più parte delle contrade dell’ India ,
le seimie sono oggetto di culto per gli indi-
geni, ‘che erigon dei tempii. magnifici. Vengon
esse in gran numero dalle città, ed. entrano
nelle case liberamente. A Calieut però gli abitanti.
si studiano di escluderle; ma a tal uopo sono
obbligati di tener persiane a tutte le finestre
IL BABBUINO: PROPRIAMENTE DETTO:.
Ha tre o. quattro piedi d'altezza, e le parti.
superiori del suo corpo annunciano una gran.
forza musculare: Quando è rinchiuso nella sua.
gabbia, ne prende i ferri e gli. scuote con
‘tanta forza, che atterisce gli spettatori. Come
tutti gli altri babbuini è assai gracile verso. il
mezzo del*corpo. Il suo pelo è in generale
d'un grigio che tira. al bruno. e il suo viso.
molto lungo. è color di carne.
In ciascuna guancia ha una. taschetta; la sua
coda è cortissima; e le sue. natiche sono af.
fatto ignude e callose.
Gli animali della. sua. specie: sono tutti. pes
matura ferocissimi; e il loro esterno è insiem
grollesco e spaventevole. Camminano a truppa;
2992 IL BABBUINO PROPRIAMENTE DETTO.
e, per poco che il loro numero sia grande,
riescon nemici pericolosissimi.
In alcune contrade dell’ India vanno ad as-
salire i villaggi, mentre gli agricoltori sono a
fare la raccolta del riso, e saccheggiano nelle
abitazioni di questi tutte le provisioni, che pos-
sono ritrovarvi. La frutta, le biade, i grap-
poli d’ uva formano il loro principal ‘nutri-
mento, ed onde procurarselo cominettono ogni
violenza. La loro forza tenace, e, le lor grife
acute li rendono terribili. Gran pena duran
quindi i cani per vincerli; a meno che l'ec-
cesso del cibo non li renda pesanti, e non
faccia perder loro ogni energia. Uno di essi,
quando sia libero, può facilmente trionfar di
tre uomini, a meno che non siano muniti
d'armi per difender sè stessi ed offenderlo.
Di rado le femine danno in luce più d'un
babbuinetto , che portano fra le loro braccia.
Mai non furono vedute generare in paesi fred-
di, anzi nemmeno nei temperati.
Nello stato di captività, i babbuìni sono sel-
vatici e mal intenzionati. Uno di questi ani-
mali, che faceasi vedere a Londra nel 1779,
presen'ava agli spettatori il più triste aspetto,
e cercava afierrar pel braccio tutte le persone,
‘a cui la sua catena permettevagli di arrivare.
Ii sig. Pennant vide a Chester un babbuino di
terribile forza, il qual mostravasi eccessivamente
IL BATBUINO PROPRIAMENTE DETTO. 225
i feroce. La voce sua era una specie di ruggito
{
|
|
somigliante a quello del leone, ma un poco
più cupo e meno sonoro. Camminava su suoi
quattro piedi,. né mai volea tenersi diritto
sulle gambe di dietro, se non forzatovi dal
suo guardiano. Sovente però sedeva sulle sue
coscie , alquanto inclinato in avanti, e colle
| braccia incrocicechiate sul ventre. Era bellissimo
animale, e parea quello che il sig. Smellie avea
veduto, ad Edimburgo.
Ai babbuini di questa specie non si può
fare mangiar carne, se non cotta. Amano essi
in singolar maniera le ova; e se n'è osservato
uno mettersene fino ad otto nelle tasche delle
sue guance , e poi sorbirseli uno ad uno con
massima gravità Quello esaminato dal sig.
Pennant sembrava ghiottissimo del formaggio;
e ogni volta che gli si porgevano spiche di
frumento, ne traeva destramente i grani l'un
dopo i altro co’ suoi denti, e li mangiava.
li dotior Goldsmiih narra d’ aver veduto
uno di iali babbuini rompere apposta un ser-
vizio intero di porcellana, senza dar segno di
sapere menomamenite qual male facesse. Il na-
tara capriccioso di questi animali li porta so-
vente a simili atti di malignità.
SI
IL BABBUINO CON MUSO DI CANE.
Quest animale, quando si tien ritto, ha
cinque piè di- altezza. Il suo capo, € il suo
deretano molto somigliano a quei del cane.
Il suo pelo è lia chiciso e folto sino alla
cintura, ma ia al dissotto.. Ha la fac-
cia nuda, le orecchie terminate in punta, €
quasi ascose entro quel tanto pelo. Ii natural
uo è feroce e intrattabile, e la sua forza sì
grande, che gli basta ad atterrare un uomo
senza la minima difficoltà.
Ne climi più caldi deli’ Africa e dell Asia i
babbuini della sua specie si raccolgono in
truppe e devastano i giardini. Sono sì arditi.
e sì numerosi, che gli abitanti, i quali hanno:
delle piantagioni di caffè, sono obbligati di tener
sentinelle per opporsi alle loro depredazioni.
Quando taluno passa dinanzi a tali babbuini,
quegli impudentissimi s arrampicano agli albe-
ri, e ne scuotono i rami, digri
gnando i denti.
IL BABBUINO CORSIVO.
Esso è più piceolo di quello, di cui. pur
era abbiamo parlato. Ha una grossa testa, con
fronte proeminente e naso assai lungo. Il suo
pelo è d'un colore alquanto bai e sì lun-
go, che gli dà l'apparenza di un orso. I bab-
la orsini si riuniscono in truppe nelle parti
ONISUO
O NTAALSV tI
TL BABBUINO ORSINO. 225
settentrionali dell’Africa. egualmente che sulle
montagne del Capo di Buona Speranza; e
quando taluno si approssima al lor covile ,
mandano un grido orribile, che dura un mi-
nuto, poi si nascondono nel più interno, e
serbano un profondo silenzio. Raro discendono
alla pianura, a meno che non sia per met-
tere a sacco i giardini, situati presso alle mon-
tagne; nel qual caso hanno l avvedimento di
collocar sentinelle, onde prevenire ogni sor-
presa. Fanno: in pezzi, per poco che siano
grossi, i frutti che raccolgono, e se gli stipano
entro le tasche delle lor guancie, per poi
mangiarli a loro bell’agio. Se quelle sentinelle
fratianto veggono un uomo mandano un gri-
do, che dura circa un minuto, -e tutta la:
truppa si ritira col più gran precipizio; e»
f arrampicarsi, che in quel mentre fanno i
piccioletti sul dorso de’ padri e delle madri
loro, rende la scena ridicolissima. Si nutrono
altresì di più piante polpose; che svelgono di.
terra, € u.. con molta destrezza. -
Trovansi essi in così gran numero. nelle
montagne. dell’ Africa, che diviene talvolta pe-
ricolosissimo pe viaggiatori il. passarvi dinanzi;
poichè non solo rotolan dali’ alto grosse pietre,
ma -aneor le scagliano contro di. loro. Quindi
è necessario aver degli. archibugi - per tener
tontani i malvagi animali
Gabinetto Tom, L 55
226 IL BABBUINO ORSINO.
Kalbe riferisce che ‘quando questi babbuini
discoprono un uomo solo, il qual si riposi o,
mangi nella campagna, gli vengono pian piano
alle spalle, e gli rubano quanto possono; indi
fuggendo a certa distanza, seduti sulle lor co-
scie sel divorano in presenza di lui, e gli fanno
orridi cefti. Talvolta anche mostran di porgergli
colle lor grife ciò che gli han tolto, e accom-
pasnano questa finta resiituzione con gesl: sì
comici e sì burlevoli, che sebbene il .povero
diavolo perda il suo desinare, può di raro trat-
tenersi dal ridere.
Il sig. Lade ci ha data una descrizione esat-
tissima di questi animali: « Traversavamo , ei
dice, una gran montagna ne contorni del Capo
di Buona Speranza, e prendevamo diletto a
cacciare delle grosse scimie , numerosissime in
quel paese. Mi sarebbe impossibile il ben espri-
mere la loro furberia, l'impudenza, la celerità,
con cui ritornavano alla volta nostra, dopo es-
sere state messe in fuga. Talvolta ci lasciavano
avvicinar di tanto, ch'io mi credeva quasi si-
curo di poterne prendere; ma s' io tentava di
farlu, si allonianavano d'un solo sbalzo a più
di dieci passi, e coll’istessa agilità salivano su
degli alberi, onde ci guardavano indil'ercutis-
simamente, e parevano schernire il nostro siu-
pore. Ve n° erano da esse di così enormi, che
se il nostro interprete non ci avesse assicurati
ÎL BABBUINO ORSINO. 22%
che non erano nè feroci, nè pericolose, mai
non ci saremmo creduti in forze di resistere
ad un loro assalto. Come non ne ehbimo bi-
sogno, mai non ci servimmo dei mostri fucili.
Il capitano però finse di dirigere il proprio
contro una scimia, che inseguivamo da lungo
tempo, e si era salvata alla sommità di un al-
bero. Questa minaccia, di cui forse la bestia
ebbe altra volta occasione di conoscere le con-
seguenze, ‘la spaventò a segno, che cadde senza
moto a’ nosiri piedi, onde non ne fu a pren-
derla veruna difficoltà. Ma ben ne fu uopo di
gran destrezza e. forza per rileneria, quando
si fu riavuta dal suo spavento. Legammo dunque
ad essa le zampe: ma come ci mordeva con
indi cibil lilode: fummo obbligati a coprirle il
viso co’ nostri fazzoletti.
Spesso i babbuini o scimie di cui si fa-
vella sono presi assai giovani ed ‘allevati al
Capo di Buona Speranza, ove dicesi che sor-
veglino le case e i poderi de' loro padroni con
e zeio che 1 migliori nostri cani in Europa.
Si attaccano d’ ordinario con muia catena ad UIL
palo; e l’ agilità loro nell’ arrampicarsi, saltare,
ed eludere. gli sforzi di chi volesso prenderli,
è quasi incredibile. Ne ho anzi veduto uno,
che non si potè cogliere con nta sebben
legato e a poche tese di sta O esso pren-
deva in aria quelle pietre come si piglian ie
#%
»
228 IL' BABBUINO ORSINO:
palle giuocando , oppur le evitava nel modo
più lesto e più sorprendente. Gli animali di
siffatta specie’ non. sono carnivori : marngian
però la carne e il pesce che loro si fan. cuo-
cere. »
Thunberg narra che si pigliano talvolta con
de’ cani; ma ch’ è necessario impiegarne gran
numero. Uno o due cani non bastano per un
babbuino; poichè se questo. giugne ad abbran-
car loro le zampe -di dietro, li gira a. cerchio
intorno a sè stesso, finchè gli abbia storditi.
Gli animali, di cui parliamo , mordono con
gran violenza, e i lunghi lor denti sono per
essi un mezzo di difendersi più ostinatamente:
Nello stato medesimo di domesticità, quando
taluno gl’ irrita, cercano prenderlo per un
orecchio; e glielo troncan di netto, come se. vi
adoperassero un rasojo.
IL. COAITA.
Ha diciotto pollici, all’ incirca, di lunghezza,
dal muso alla radice della. coda, la quale ne
ha due piedi. È agilissimo, amabilissimo, sicchè
sempre: fa morfie o capriole, e di naturale
dolce: e. mansueto.. IE suo colore è: nero per.
iutta l'estensione del corpo; eccetto in fac-.
cia, ov è di rosa carico,
IL COAITÀ. 230
Può dirsi un quadrumano; se non che manca
di pollice nelle mani davanti, ed ha in quella
vece delle picciole appendici o projezioni, che
ne tengono luogo. Abita le foreste dell’ Ame-
rica meridionale, e la sua femmina produce ad
ogni pario uno o due piccioletti, che porta
sul dorso.
Un coaita addomesticato visse con uno sco»
jattolo in perfetta amicizia. Quando agli ani-
mali della sua specie si legano le zampe da-
vanti, corrono essi su quelie di dietro con egual
facilità, e così lungo tempo, come se non aves-
sero alcun impedimento. Malgrado la dolcezza
della lor indole, non sono esenti del tutto da
quella maliziosa sagacia, che distingue la ge-
nerazione intera delle scimie. Pretendesi che
nel loro paese, quando alcuni di essi è Dat-
tuto, si arrampichi prestissimamente ad un
cedro o ad un arancio, e inseguito che sia
stacchi i frutti di tali alberi, e li getti in.capo
agli avversarii con sorprendenie destrezza; che
talvolta anche, per respingerli, usi mezzi più
disaggradevoli. In simili casi i suoi atteggia-
menti variano grandemente e sono tutti ridi-
colissimi l uno più che l' altro.
I coaiti si nutrono principalmenie di fruita
e di radici, e in mancanza di queste anche di
pesce , che alcuni viaggiatori dicono , prender
essi colla coda.
230 IL: COASTAS
Non diversamente dalla più parte delle sci
mie, quando commetter vogliono delle depre-
dazioni, collocan seniinelle sulle alture, in cima
aghi alberi, per essere avvertiti. dell’ avvicinar
del periglio. -
Ulloa assicura che ne boschi del paese,
eh' essi abitano , quando, passar vogliono dalla
cima :d’ nn albero a quella d’ un altro, sì di-
stanti però, che un salto non basti, formano una
catena, e attaccandosi fra loro per la coda si ten-
gono sospesi, fino a che quello, ch'è alla estre-
mità inferiore della catena medesima, prender
possa un ramo dell’ albero più vicino, e attirar
gli altri a sè. Di non diversa maniera, pari-
menti, dicesi che traversino i fiumi, le cui rive
sono dirupate, e sebben Stedman revochi in
dubbio la verità di quest’ asserzione, essa è
confermata da' Dampierre e da Acosta.
Il capitano Siedman, trovandosi nei beschi
del Surinam, e mancando di provvisioni, uc-
cise duc di questi animali, per farne un lesso;
ma la morie di uno specialmente fu, per ciò
ch’ ci narra, accompagnata da tali circostanze.
:da fargli abborrir per sempre la caccia de qua-
drumani. Vedendomi, dic egli, presso la riva
del fiume in una canoa, rallentò il suo corso
e cessò di seguire i compagni; indi si arran=
picò ad un albero, i cui rami pendevano
sopra l'acqua; mi esaminò attentamente danda.
IL COAITA. 231
segni d una prandisini sapiosità , come se
mi avesse preso per wu gisante della sua spe-
cie; digrignò 1 denti, sa ilo per l'albero, e ne
scosse ‘i rami con una agilità ed una forza
incredibile. Io gli sparai contro, e lo feci ca-
dere di là Zi, riviera. Il cielo mi preservi
dall'essere mai più testimonio di simile scena!
Il misero animale non era già morto, ma mor-
talmente ferito. Io lo presi per la coda, e te-
nendolo con ambe le mani gli fect fare il mo-
linello, percotendogli alfine la testa contro le
sponde della canoa onde metter fine al suo
tormento. Ma esso ancor respirava , e come
‘guardavami nelia più compassionevole maniera,
5
che immaginar si possa, io. non trovai altro
Mezzo TEAESTE le sue sofferenze che di
tenerlo immerso nell'acqua fino a che fosse
fogato. Durante tutto questo tempo però, il
mio cuore era lacerato dal dolore, poichè i suoi
piceioli occhi morenti continuarono a star fissi
in me, sa rimproverandomi la mia crudeltà,
sino a che la loro luce fu estinta intieramente.
ed esso spirò. Io provai tal commozione, che
mi fu impossibile assaggiare nè di quest’ ani-
male, nè del suo compagno, allor che furono
cotti, sebbene le persone, ch’ erano meco , li
trovassero piatto delizioso.
LA GARZETTA.
Non è lunga più che due piedi, ed è, presso
a poco, del colore del lupo. Ha grossa e brut-
tissima la testa, schiacciato il naso, le guatice
raggrinzate, le sopraciglia ispide e sporgenti,
bifido il labbro superiore, i piedi neri, e in
cima al capo un ciuffetto. È d’ indole piuttò-
sto dolce e trattabile; ma tanto sporca e scon-
cia, che quando fa contorsioni di bocca è im-
possibile riguardarla senza provar disgusto, anzi
orrore.
Le garzette si raccolgono frequentemente
in truppe, onde dar guasto alle piantagioni,
Bosman racconta « ch' esse prendono in cia-
scuna zampa anteriore uno o due gambi di
miglio, altrettanti sotto l’ascelle, ed altrettanti
in bocca, e così se ne tornano saliando con-
inuamente sulle zampe di dietro. Che se ven-
gono inseguite, non ritengono se non quelli
che hanno fra denti, e gettano il rimanente
onde poter fuggire più celeri sui quattro piedi.
Del resto, aggiugne il medesimo viaggiatore,
esaminano ogni gambo strappato serupolosissi-
mamente, e se loro non piace il rigettano, e
ne svelgono altri, sicchè la loro bei deli-
catezza cagiona guasti assai maggiori, che pon
il loro appetito. »
LA GARZETTA. 233
Abitano esse I Africa meridionale, l Indo e
Java. Si prendono spesso con lacci nascosti fra
rami d' alberi, su cui saltellano di continuo,
e fan capriole assai comiche e buffonesche.
L'OUISTITI
‘Questo picciolo animale è presso a poco
della grossezza d'uno scojattolo. Il color del suo
corpo è un grigio cenerognolo rossiccio, @
quelio della faccia è carneo. Dai due lati della
testa un po dinanzi all’ orecchio ha due fioc-
chi di lungo e bianco pelo. Le sue mani vil.
lose sono armate d' ugne acutissime; e la sua
coda prolissa e folta è segnata d' anelli alter-
nativamente neri e bianchi.
Dicesi che quando vive alla foresta si nutre
& insetti, di lumache e d’ altri. rettili.
Un ouistiti, il quale era stato condotto in
Inghilterra sopra un vascello della compagnia
delle Indie, era ghiotto de piccioli ragni e delle
loro ova, ma abborriva i grossi, egualmente
che le grosse mosche, sebben mangiasse vo-
lentieri lc più minute.
Il sig. Edward dice d’ aver « veduto e di-
segnato un simile animale, che apparteneva ad
una dama, da cui seppe che si nudriva di più
cose, come biscotti, frutta, legumi, insetti, lu-
imache; e che un giorno, essendo scatenato ,
2534 L QUISTITI.
si gettò sopra un picciolo pesce dorato della
China, il quale stava in un bacino, uccise
e lo divorò; che in seguito gli si diedero delle
anguilleite, le quali a prima giunta lo spaven-
tarono, attortigliandosegli al collo, ma che
bentosto, cessata Îa paura, se ic mangiò. »
Indi aggiugne un fatto, il quale prova che gli
ouistiti potrebbero forse moltiplicare nelle con-
trade meridionali del’ Europa: « Essi hanno,
dic’ egli, generato in Portogallo, ove il clima
era Ioia favorevole. I loro piccioletti da prin-
cipio sono bruttissimi, non avendo quasi pelo
sul corpo, e si attengono fortemente alle mam-
meile della lor madre. Quando: poi sono gran-
dicelli se le aggrappano al tergo; e ov elle:
stanchi di portarli, se ne scioglie fregandosi
contro le muraglie. Depostili così , il maschio
ne prende cura sull’ istanie, e se li fa esso
medesimo salire in ispalla. » La loro voce è una
specie di fischio, e la più parte di essi ha un
odore che par di muschio.
IL CALLLITRIGE.
È presso a poco della grossezza di un pic-
ciol gatto. Ii colore del sio corpo è: un bel
verde giallo; il suo peito e il suo ventre è di
un bianco argentato, e la sua faccia è nera. La
sua coda ha, circa, diciotto pollici di lunghezza.
IL CALLITRICE. 235
F callitrici son comunissimi nell’isole del
Capo Verde, e nell’ Indie Orientali; e si veg-
gono sovente anche nella Mauritania e neji
terre dell’ antica Cartagine. » Però, dice il sig.
di Buffon, avvi ogni ragion di credere che
fossero conosciuti da’ Greci e da’ Romani, che
chiamarono appunto col nome. di callurix una
specie di scomie a lunga coda. Altre ve ne
hanno di color biondo nelle terre vicine ail’
Egitto, così dalla parte d'Etiopia, come da
0 dell Arabia, le quiali Lio dagli an
tichi appellate parimenti calliricidi.
Il sig. Adanson riferisce che i contorni dei
boschi di Podar, lungo il fiume Niger, sono
pieni di scimie verdi. « Io non m' accorsi di
esse, dice questo scrittore, che pe’ rami. d'al-
‘beri che scavezzavano, e d'onde cadevaro sopra
dile , poiché eran. d' altronde molto silen-
ziose e così leggiere ne loro salti, che saria
stato difficile il sentirie. Ne uccisi da principio.
una, poi due, poi tre, senza. che l altre ne
sembrassero spaventate. Quando però la più
parte si sentirono ferite, cominciarono a met-
tersi al ‘coperto, le une ascondendosi dietro
grossi rami, altre scendendo. a terra, altre in
fine, e queste in più gran numero, slanciandosi
da una cima .d albero: ad, un’ altra. ...Io non
eessai, intanto, dello sparare contr’ esse , e:
ne uceisi sino a ventitre in meno di un' ora
236 IL CALLITRICE.
e nello spazio di venti tese, senza che alcuna
di esse gettasse un grido, sebben più volte si
fossero raccolte in compagnia, movendo le ci-
glia, digrignando i denti, e facendo sembiante
di volermi assalire.
LA BERRETTA CINESE.
Questa scimia trae il suo nome dalla dispo-
sizione particolare del suo pelo, ch’ è separato
in mezzo alla testa, e si estende in una dire-
zion circolare, prendendo forma consimile alla
berretta ‘cinese. Ha coda lunga, ed è presso a
poco della grossezza di un gatto. Il color suo
è un bruno, che inclina al giallognolo.
Gli animali della sua specie vanno a truppe
ne boschi di Ceylan , ove distruggono i giar-
dini situati in vicinanza de’ loro nascondigli.
« Derubano 1 frutti, e soprattutto le canne
di zuccaro, e sempre uno sta in sentinella so-
pra di un albero, mentre gli altri si carican
del bottino. Ove esso accorgasi di alcuna per-
sona , grida houp, houp, houp, con voce alta
e distinta; e nel momento medesimo tutti get-
ian le canne, che tenevano nella manca, e
fuggono correndo sovra tre piedi. Che se
vengono ostinatamente inseguiti, gettano pur
ciò che tengono nella destra, e salvansi col-
lavrampicarsi agli alberi, ove fanno la lore
LA BERRÉTTÀ CINESE. 23
ordinaria dimora. Saltano dall’ uno all’altro cor
ammirabile agilità, e non solo i maschi liberi
e sciolti, ma ancor le femmine, cariche dei
loro piccioletti , -che le tengono strettamente
abbracciate; onde avviene per vero dire, che
talvolta in grazia di questi impedimenti esse
cadano. Quando mancan loro le frutta, e le
piante succulente, mangiano insetti, e talvolta
scendono in riva a fiumi ed al mare, onde
prendervi pesci e granchi. fra le branche dei
quali metton la coda, e com'essi la stringono,
gli alzano prontamente, e se. li portan via per
mangiarli a loro agio. Colgono altresì noci di
coco, e sanno assai bene trarne il liquore per
beverlo, e la polpa per cibarsene.
« Di queste noci di coco si fa uso onde
pigliarli, facendo in esse una picciola apertura.
Come, per l angustia sua, Vi cacciano a gran
pena la zarapa, coloro che stanno in aguato-,
piombano loro adosso, prima che abbiano potuto
liberarsene; onde non hanno modo di fuggire. »
È V animal più forte. fra. iuite. le scimie
d' America. La sua grossezza si accosta a quella
della volpe: ha. esso la faccia larghissima, le
orecchie. corte. e rotonde, e gli occhi neri e.
scintillanti. Le sue naziei sono aperte da un
238 | L'OUARINO.
lato e non al dissotto del naso, e il'petto suo
contiene ‘un grand’ 0ss0 concavo, in cui il suono
della voce si gonfia, e acquista estensione. I
lunghi peli, che ha sotto il cello, formano una
specie di barba rotonda; la sua coda è prolissa
e ignuda alla sua estremità, ehe sempre resta
aggruppata.
L' ouarino è tanto cattivo e selvaggio, che
mai non si può domarlo o ammansarlo. Morde
spietatamente, e fa terrore colla sua’ gran
bocca. Il suo aspetto è fierissimo, e il. suono
spaventevole della sua voce rassomiglia in certo
modo lo strepito del tamburo, e pretendesi che
si faccia udire ad una lega di distanza;
Maregrave narra che « ogni giorno mattina
e sera gli onarini si raccolgono nei boschi,
ove un di loro prende posto elevato, e con
mano fa segno agli altri di sedersi: intorno di
iui e di Lalaé: che indi comincia una spe-
cie di discorso a voce alta La precipitata , la
qual da lungi erederebBesi di'una moltitudine,
mentre tutti osservano il più profondo silenzio;
che in seguito, quando cessa, fa nuovo cenno
colla Mano , onde i compagni rispondano, €
“questi all’ istante ‘si mettono a gri id tutt in-
sieme, finch' esso loro ordina con altro segno
di tacersi, e ripiglia quindi la sua orazione 0
canzone, dopo la quale, ascoltata col raccoli
glimento di prima, levano la seduta e si’ di
Yidono. »
L' OUARINO. 239)
Assicurasi che la carne di questi animali sia
un boccone eccellente. « Essa è come quella
del lepre, dice Deumelin, ma non del mede-
simo gusto, poiché pecca di troppa dolcezza.
Quindi bisogna salarla bene, facendola cuocere.
La sua grascia è gialla come quella del cap-
pone edi anche più, ed ha molto buon sapore.
Noi ci nutrimmo per lungo tempo se non di
questa carne, poichè altro non ci avca, e ogni
giorno quindi i cacciatori faceano che ne fos-
simc ben proveduii. Fui curioso d intervenire
anch'io alla caccia degli ouarini, e di ammi-
rare l'istinto ch' essi hanno, più che tutti gli
altri animali, di conoscere chi fa loro ia guer-
ra, e di cercare i mezzi quando sono ‘attac-
cati, di soccorrersi e difendersi. Quando noi ci
avvicinavamo, essi univansi tutti insieme, si
mettevano a gridare; e far uno strepito spa-
ventevoie, e a gettarci secchi rami, che rom-,
pevano dagli alberi. Taluni anche scaricando il
ventre nelle lor zampe, ci geitavano in capo
gli escrementi. Vidi che mai non si abbando-
navano l uno l’altro, che saltavane d' aibero
in albero così subitamente D abbagliare lo
sguardo, e che sebbene si geitassero, come suol
dirsi a corpo perduto, m mai non cadevano a
terra; il che proviene dali a aggrapparsi che fanno
(@r colle zampe or colta coda, se mai son for-
T È
cao)
Zali a discendere. © livano quindi, scaricando
e/o L'OUARINO:
contr’ essi il fucile, si spera di prenderli, ove
non si uccidano. Poichè, anche mortalmente.
feriti, rimangon sempre abbracciati agli alberi
e spesso anche spirano in tale atteggiamento,
nè: cadono se non a pezzi. Quindi è uopo tal
volta ammazzarne quindici o sediei, per averne:
tre o quattro tutt'al più. Ne ho veduti talvolta
di morti da tre o quattro giorni, ehe ancor
stavano sospesi. Ma ciò che mi parve più sin-
colare si è, che all istante che un di loro è
Luo , ghi altri si raccolgono intorno di lui,
ini il dito nella sua piaga, e pare che ne
vogliano misurare la profondità. Allora, se veg-
| gono scorrerne molto. sangue, la tengono chiusa,
finchè qualcuno arrechi foglie ,. cui. masticano,
e poi introducono in quella destramenie. Tal
cosa ho io veduto più volte , e sempre con
grandissima ammiraziene.
Dampierre si spiega in. tal guisa intorno a
questi animali : « S° aggirano in compagnia
d’ intorno a’ boschi, ove saltano d’ un albero
all’ altro, e se trovano. qualche persona che
vada. sola, fanno sembiante di volerla divorare.
lo non osai far forza contro. di. loro, sopra
tutto la prima volta .che. li vidi. Erano una
grossa truppa. che: si lanciava .d' albero in. al-
bero sopra il mio capo, battevano i denti, e
facevano uno strepito arrabbiato. Altri faceano
contorsioni di. bocca. e. d° occhi, e. prendeano
. L'OUARINO. 2/1
mille atteggiamenti grotteschi. Taluni rompe-
vano i rami aridi, e me li gettavano., e tali
altri mi scagliavano persino le. immondezze.
Uno finalmente, più membruto che gli altri,
venne sopra un picciolo ramo al dissopra della
mia: testa, .e mi. si avvento, il che mi fece
rinculare con qualche sgomento; ma esso ay-
viticchiossi al ramo stesso coll’ estremità della
coda, e vi rimase sospeso a dondolarsi e fari
il brutto: cello. La torma degli insolenti animali
mi seguì poi fino alle nen capanne, sempre
minaccia» doc.
c Sì giovano essi della lor coda egualmente
i che delle zampe, e con essa tengonsi
fermi. Se eravamo due o pa insieme fuggivano
da noi. Le femine par che traggano nuova
forza. dallo. stato di maternità: hanno d’ ordi-
nario due figli, l'un de quali portano. sotto
uno de bracci, mentre È altro, assiso loro
sul dorso, si tiene colle zampe anteriori bea
avvinto. al loro. collo. Mai non ho veduto in
mia vita specie più feroce di scimie; nè mai
ci fa possi ihile addomesticarne alcuna , per
quanto vi usassimo d industria. Nè già È più
facile il prenderle, dopo che si sono ferite
eoll archibugio , poichè. possono attaccarsi. a
qualunque ramo lor piaccia o colle zampe
colla coda, e quindi non cadono a ierva,
finchè rimane lor fiato. Dopo averne colpita
Gibineito Tom. L 10
242 L'OVARINO.
alcuna, spezzandole talvolta un braccio o una
gamba ebbi compassione di essa, vedendola
riguardare attentamente, palparsi la piaga,
volserla d'una e d'altra parte. Di rado que-
ste scimie scendono dagli alberi, ed avvi -chi
dice, che non ne scendono mai ».
L'autore istesso , però , assicura che si ca-
lano sovente alle rive del mare, per nutrirsi
di conchiglie; e ch’ egli ne ha vedute parec-
chie raccoglier ostriche, metterle sopra una
pietra, percuoterle con un'altra, finchè ne
avesser rotte le scaglie, e in seguito divorarle.
Le medesime cose furono osservate da Wafer
nell’ isola di Gorgone.
Le femine della specie, di cui parliamo,
non depongono che un piccioletto ad ogni
parto. Indi sel recano in collo, core fanno
de loro bamboli le donne dei negri. Non avvi
altro mezzo d'avere un picciolo ocuarino, che
di ucciderne la madre; poichè nulla, fin che
vive, può costringerla «ad abbandonarlo.
IL SAJOU,.
N
Tra tutte fe specie di scimie è desso il
più vivace, il più destro, quello che più
diverte. Ha presso a poco la grossezza di un
gatto, il corpo bruno, la faccia e le orecchie,
color di carne. Trovasi pr incipalmente nelle
i
IL SAJOU. 243
foreste dell America; ma la sua fisica costitu-
zione sembra fatta per un clima più tempe-
rato, e se ne sono veduti moltiplicare anche
in Europa. Nel 1764 ve n'erano due nel Ga-
tinese maschio e femina, che produssero un
picciolino. Nulla di più curioso, che il vedere
il padre e la madre intorno al figlio loro, cui
tormentavano di continuo, o poriandolo o ca-
rezzandolo. Del resto questi animali, dice il
sig. di Buffon, sono fantastici ne loro gusti e
negli affetti loro. Sembran avere gran propen-
sione ad alcuni, e grande avversione per al-
iri; e ciò costantemente.
Il celebre naturalista parla d'una varietà di
queste specie di scimie, appellata sajou grigio:
ma essa non dillerisce dall’alira, che pel color
del suo pelo. |
IL SAIMIRL
« Questo picciolo animale, dice il sig. di
bui , per la gentilezza de’ suoi Moti ;
per la sua minuta figura, pel color brillante
della sua veste , per SE grandezza e il fuoco
de' suoi occhi, pel suo visetiino rotondo, sem-
pre ebbe la preferenza sopra gli altri sapa-
joù ». Di questo nome st chiama la specie di
scimioti più gentile.
244 IL SAIMIRI.
Il suo pelo risplendente ha il color dell’ oro;
i suoi piedi quel dell’arancio ; la sua faccia è
bianca e segnata nel mezzo da, una macchia
bruna, che gli copre la hocca e le. narici, in
modo , che par quasi mascherato.
Stedman, nel suo- soggiorno al Surinam, ha
vedute di queste scimie , che passavano. tutto
il giorno sulle rive del fiume a saltare d’ al
bero in albero, seguendosi a
le une le altre come un picciolo esercito,
portando i loro figliuolini sui dorso. Ecco, sc-
condo quello scrittore. la. lor maniera di viag-
giare. Chi è a capo degli altri s appende al
? estremità d’ un ramo d'albero, e da. questo
salta ad un nuovo, sebbene a distanza notabile,
con tale agilità e precisione, che mai non
isbaglia. I compagni il seguono in ischiera ; €
le femine sebben cariche. il dorso de loro por-
tati, fanno coll'istessa. facilità dei maschi i
medesimi salti, i
Il saimiri è animaletto delicatissimo , nè può.
essere lrapiantato d'uno in altro paese, |
LA DIANA.
Secondo il professor Thumberg,; che la de-
scrive, essa è, presso a poco, della grossezza
di un picciolo gatto, ha coda lunga e. villosa,
la qual termina in punta, il corpo ben fatto,
LA DIANA 245
la faccia nerastra, ignuda , e pochissimo ‘on
breggiata di peli. La barba del suo mento e
dle sue guance è bianca, e rivolta all’ indie-
tro. Ispido è il pelo della sua fronte, il qual
le copre l’ orecchie interamente. Le sue mani
e i suoi piedi sono anch essi d'un colore ne-
greggiante ed ignudi, e le sue unghie lunghe
ed acute. Ha il pollice lungo e staccato, e
l'estremità dell’ erecchie nere e rotonde.
In più parti «ell isola di Ceylan si giugne
ad addomesticarla. Allora si tien essa diritta
colle mani incrociate, «e «quando vede persona
di. sua conoscenza, tosto le si fa incontro,
mostrando la sua gioja con carezze e con una
maniera sua particolare di riso. È di natura
assai dolee, nè mai avviere che morda alcu-
no, se non irritata. Ove si abbracci, o si fe-
steggi un fanciullino in sua presenza, essa
mostra il desiderio di fare ‘altrettanto, e se
il vede battere s'alza sui piedi di dietro, e fa
orribili contorsioni, per cui attesta il desiderio
che ha di vendicarlo contro colui che il mal-
tratta. Il professor Thumbe rg volie condurre
uno di questi animali in Europa; ma il mi
sero fu presto la viitima di un cangiamento di
clima impossibile per esso ‘a sofferire.
Or diciamo una parola delle scimie in generale.
In diverse contrade dell’ India, gli antichi
tempii son destinati a servir d'asilo a questi
246 LA\ DIANA.Ù
quadrupedi, i quali vi sì nutrono a o del
ubblico.
Il sig. d' Obsonville riferisce d’ essere ne) suoi
viaggi entrato più volte in iali edifizii per ri-
posarsi, e che il suo vestito indiano non diede.
alle scimie verun sospetto. Ne vide parecchie,
le quali si misero dapprima a considerarlo, poi
volsero tutta la loro attenzione al uudrimento,
ch’ era sul punto di prendere. I loro occhi e
gli atti loro esprimevano tutta la loro ghiot-
toneria , e il disegno formato di derubargli L
comestibili ch avea seco. Onde prendersi un
po di spasso in simili circostanze ei si muniva
sempre d’ una certa quantità di piselli secchi.
Prima ne spargeva un poco d intorno alla
seimia che, giusta il loro costume, stava loro:
alla testa, e s' avanzava, quindi, cautamente,
ma pur con grande avidità, per mangiarsclo.
Allora il sig. d' Obsonville gliene presentava
un buon pugno, e come quelle scimie erano.
avvezze a non vedere che gente pacifica, la
loro capitana gli si avvicinava, camminando
però di fio. sicconie temesse di qualche
inganno. Indi fatta più ardita impadronivasi del
pollice della mano, che teneva i piselli, e men-
tre colla zampa, che rimaneva libera, li ca-
vava'e pasiesgiavali, stava cogli occhi sempre
fissi in quelli del sig. d'Obsonville. Se questo.
viaggiatore si metteva a ridere, o faceva alcun
LA DIANA. 247
motio, essa cessava di mangiare, agilava le
labbra, e faceva intendere una specie di mor-
morio, di cui i suoi lunghi denti canini, che
mostrava per intervalli, spiegavano abbastanza
il significato. Quando il sig. d’Obsonville get-
tava Me piselli a qualche distanza, essa parea
contenta, che le altre li raccogliessero , ma
rimbrottava e percoteva talvolta quelle, che si
faceano troppo vicine. Le sue grida e le sue
sollecitudini, sebben in parte cagionate dalla
sua avidità, indicavano il timor suo, che d' Ob-
sonville non profittasse della loro debolezza ,
per tendere ad esse qualche insidia. Pure non
si accostavano che i maschi più fori e già
pervenuti a intera maturità; chè i giovani e
le femine non lo ardivano menomamenie.
L’ affetto che queste, in uno stato d'
tera selvatichezza, dimostrano pe loro piccio-
letti è veramente singolare. Gli allattano , li
puliscono 3 gli accarezzano incessaniemenie ; 3
prendon piacere a vederli lottare insieme, o
inseguirsi g gli uni gli altri. Sembrano però tea
nerli in ara suggezione , poichè ogni volia
che mescolano un po di cattiveria a questi lor
giuochi infantili, Ji pigliano con una mano
per la coda, e coll altra li castigano severa-
mente. In tal caso i piccioli colpevoli cercano
fuggire, e poi che si son messi in salvo,
tornano in modo sommesso e carezzevole a
348 TA DIANE
sollecitare il lor perdono, sebbene inclimatis=
simi a ricadere nel medesimo failo,
Gli animali, di cui parliamo, sembrano
molto pacifici nelle foro foreste. Quando alcune
torme di questi quadrumani di differente spe-
cie vengono ad incontrarsi digrignano i denti,
senza mostrarsi con altro alciina ostilità. Tal-
volta alcuni avventurieri cercano fortuna nei
luoghi, di cui altre compagnie già presero
possesso , ma ne son tosto respinti. Il sig. di
Maisonpré e sei aliri Europei furono un giorno
testimonii di un alterco, nato da simil cagio-
ne, nel recinto delle pagode di Cherinam. Una
scimia molto grossa e molto forte vi si era
introdotta; ma fu tosto scoperta. Ài primi gridi
d'allarme un gran numero di maschi sì riu-
nirono e corsero adosso alla siraniera. Questa,
sebben grandemente superiore di corporatura
e di forza, vide il periglio e si rifugiò alla
sommità duna piramide dell’ altezza di sette
piani, ove fu tosto inseguita. Ma giunta al-
l estremo fastigio del monumento , che termi-
nava in picciola cupola vi si aggrappò , indi
preso avvantaggio dalla sua posizione; abbran-
cò tre o quattro de più audaci, e precipitolli.
Queste prove di valore intimidirono gli altri,
che dopo molto strepito giudicarono a propo-
sito di ritirarsi. La vincitrice si mantenne in
quel posto fino a sera, e poi si ritrasse in
luogo di sicurezza. i
lidia
LX DIANA 249
fl è l'inclinazione di questi animali al
fard, che lungi dall’ accontentarsi del nudri-
mento AA che lor procurano 1 bo-
| schi , saccheggiano spesso le case; 1 giardini e
i verzieri. Quando alcuni d' essi veggono un
fanciullo con pane o frutta nelle mani, accorron
testo verso di iui, lo spaventano, e gli rapiscono
quel che mangia. E se scorgono alcuna femina
indiana, che faccia seccare il suo grano al so-
le, vanno a saltarle intorno facendo mostra di
| volerie rubare; e all’ istante ch ella corre per
batteri, i più scaltri, prevalendosi dell’ occa-
sione, si geitano sul grano, e lo portan via.
L'estrema accortezza di questi quadrupedi
rende impossibile agli abitanti del paese il
prenderli con insidie. Il sig. di Obsonville ,
| però, ne dice d'averne veduto uno, il qual fu
pr d'un’ invenzione semplicissima. L'uomo,
che per essa riuscì nella sua caccia, scelse un
luogo vicino al nascondiglio delle scimie, e
depose a piè dun albero un vaso scoperto,
il cu orificio avea due pollici di diametro ;
indi avendovi sparso un po di grano all in-
torno si ritirò a qualche distanza. Quel grano
fu bentosto divorato, ed egli ne portò di
nuovo e in maggior quantità. ° Ma la terza volta
ne fu più prodigo che mai, gettandene e in-
torno, e nel vaso medesimo, alla cui superfi-
Ge avea disposti cinque o sei i nodi scorrido],
250 LA DIANA.
the | attraversavano in tutte le direzioni, pe
ena s era egli nascosto, che varie scimnije
co lor piccioletti accorsero ccleremente vers
del vaso, e in un batter d' occhio Y ebbero»
vuoiato; ma le zampe loro, quando vollero
levarle, si trovarono legate. L' uomo soprag-
giunse , prima che avessero tiempo di liberar-
sene , disiese un lappeto sovr esse, e così
pigliò insieme tre femine co’ figli loro.
Pochi vi sono, che non conéscano le imi-
tazioni burlesche, sì giustamente appellaie sci-
miotterie, di questi animali, e i loro tratti di
accortezza. Dotati d’ un intelligenza più circo-
scritta ncilo stato di domesticità mostrano prin:
cipalmente cogli altri quadrupedì la loro astu-
zia, e la superiorità del loro istinto. Sembrano
essi prender piacere a far contro di loro il
folletto; e il dottor Goldsmith assicura d' a-
verne veduto uno divertirsi per ore intere a_
turbare la gravità di un gatto. Erasmo ci as-
sicura, che una grossa scimmia folleggiando
un giorno in un giardino, ove si allevavano:
, dei conigli, fece ogni sorta di pazzie in mezzo;
ai iimidi animaletti, che non sapeano come
comportarsi coll’ ospite novello. Alcuni di ap-
presso una donnola, che veniva con altra in-
tenzione che di ricrearsi, cercò penetrare nel
luogo ove i conigli si teneano chiusi per
nutrirli, rimovendo un’ asse, che ne serrava
wi
È
LA DIANA. bic #
l'ingresso. La scimmia rimase qualche tempo
spettatrice pacifica degli sforzi di quella bestia;
indi essa medesima aprendosi. con. più vigore
quella porta mobile , entrò nel chiùso , e poi
la rimise al suo posto. La donnola, ingannata
nella sua aspettazione e sianca di rinnovare in-
vano i suoi tentativi, Vi rinunciò.
Termineremo Î istoria de’ singolari animali,
di cui si tratta, racconiando le particolariià di
un combattimento , che ebbe luogo a Worce-
ster nell’ anno 1799 fra una scimmia, e un
grosso cane. Si fecero differenti scommesse di
tre ghinee contr una, che il cagnaecio uccide-
rebbe la scimmia in sei minuti, sebbene &
‘questa fosse conceduio un bastone di circa un
‘piede di lunghezza. Migliaja di spettatori ven-
nero ad assistere a questo curioso spettacolo ,
e tutit si tenean sicuri del cane, cui si fre-
nava a grandissima fatica. Alfine il padron della
scimmia si trasse di tasca il corto bastone che
dicemmo, e gliel pose nelle zampe ; dicendole:
da brava, guarda ai fatti tuoi, che il cane non
t'uccida. Come questo fu lasciato in sua balia,
st slaneiò contro la scimmia colla ferocia di un
tigre; ma la scimmia con incredibile agilità
fece un salto di un braccio incirca, e sfuggi
all'avversario. Si gettò in seguito.sopra di es-
so; e gli addentò il collo, mentre colla manca
teneva una deile sue orecchie per impedirgli
952 LÀ ‘DIANA:
di volgersi e di morderla. Colla destra intanto
percosse furiosamente la testa deli animale, che
si mise a correre di tanta forza, e a mandar
grida le più lamentevoli, nè potè esser libe-
rato, se non a grande stento, e mezzo morto
dalle grife della sua nemica.
IL LORI TARDIGRADO.
Gli animali, che ‘compongono la specie dei
lori, hanno molta ras somiglianza colle scimie
per le abitudini, i costumi, e la conformazione
delle lor gambe; nè differiscon da esse, che
per la lunghezza di questa parte del loro n
corpo, e per la struitura del capo, che molto.
rassomiglia a queilo delia volpe. Il lori tardi
grado è presso a poco della grossezza di un
picciolo gatto, il suo corpo è di un bruno
pallido, e il suo naso un poco affilato. Ha gli
occhi molto sporgenti, e cinti di un picciolo
cerchio di color bruno carico ; ed una lista
del color medesimo gli percorre il filo della
schiena. Ha nei suoi movimenti un non so che
di lento, che gli fa dare il nome che porta ,
e per cui fu da alcuni naturalisti collocato fra
gli animali detti pigri: sebbene nessuna circo-
stanza lo accomuni a tal genere.
Il lori è animal notturno, che resta senza
moversi una gran parte del giorne; ed abita
IL LORI TARDIGRADO. 253
Fisola di Ceylan e differenii contrade dell'In-
dia Orientale. Una. descrizione dilettevolissima
ce ne fu data da sir Guglielmo Jones nel
quario volume delie Ricerche Asiatiche, e noi
la recheremo per estratto.
L'animale, di cui si parla, è di costumi
sempre dolci, eccetto in inverno, stagione ,
in. cui l'indole sua pare interamente cangiata.
Sopporta così difficilmente il freddo, a cui
debbe pur esser esposto di spesso. nelle foreste
medesime ove nacque, che l' autor della na-
tura gli ha dato, senza dubbio per tal motivo,
un pelo foltissimo , che di rado si vede nelle
contrade vicine al tropico. Il lori da me pos-
seduto sempre mi dimostrò molta riconoscenza
e attaccamento, porgendogli io: non scio il eibo
giornaliero , ma bagnandolo due. volte per
settimana in acque iicininodai alle differenti
stagioni dell’anno, onde mi distingueva da
ogni altra persona. Quando però nell’ inverno
10 so cavava dal luogo suo, sempre dava segni
di mal umore, e parea rimproverarmi cIÒ e
sofiriva, sebbene io usassi le debite cautele ,
onde tenerlo in un grado di calore convene-
e)
vole. In ogni tempo esso parea compiacersi
‘d'essere dolcemente baituto , o piutiosto pal-
‘pato sulla testa e sul petto, e sovente anche
si lasciava toccar fino i denti, che erano moito
acuti. Era però facile ad irritarsi, cd ove io
54 IL LORI TARDIGRADO;
lo disagiassi un po’ male a proposito, tosto
dava a conoscere il suo risentimento con un
mormorio o brontolio , simile a quello d’ uno
seojattolo. Talvolta anche esprimeva un mag-
gior dispiacere con un grido di rabbia, so-
| pratutto nell inverno, in cui mostravasi tal-
volta anzi feroce, se veniva importunato, come
le bestie, più selvagge della foresta.
« I suo sonno, che cominciava mezz ora
dopo il levar del sole, durava regolarmente
fino a mezz ora dopo il suo tramonto. Esso
dormiva aggomitolato alla guisa dei ricci. Tosto
che risvegliavasi si Li e pettinava come
un gatto, operazione, che dalla flessibilità del
suo igollo: e delle, sue membra era ottima-
mente secondata. Faceva allora una legger co-
lazione, ed indi prendeva nuovamente un po
di riposo. Ma quando il giorno avea intera-
mente ceduto alla notte, ripigliava tutta la
sua vivacità.
« Il suo nudrimento ordinario componevasi
di banani, e la sua bevanda di latte; qualche
volta però contentavasi d° acqua pura. In ge-
nerale non era vorace, ma non poteva saziarsi
di cavallette, e passava le notti intere a dar loro
la caccia. Quando uno di questi, o altro insetto
gli appariva dinanzi, i suoi occhi sciutilla-
vano fissandosi sulla sua preda, e dopo essersi
tirato indietro per meglio slanciarsi la colpiva
——eee000o
|
I
|
IL LORI TARDIGRADO. 255
colle sue zampe anteriori e la teneva in una
di queste, finchè Î avesse divorata. Servivasi
indistintamente de’ piedi e delle mani, onde
prendere il suo nutrimento, e talvolia impu-
nava con una di queste la parte più elevata
della sua gabbia, mentre coll’altra, e coi due
piedi ne toccava il fondo. Ma la positura, di
cui sembrava maggiormente compiacersi, era
quella, per cui tenevasi aggrappato colle quat-
tro zampe all'alto della gabbia medesima, €
quindi penzolava col corpo rovescio. La sera
si teneva ritto in piedi per alcuni minuti
giuocando co’ diti su fili di ferro, e dondo-
lande rapidamente il suo corpo dall'una parte
e dall’ altra, come avesse trovato che un tale
esercizio gli fosse salubre nel suo stato di
captività.
« Un po avanti giorno , quando le mie
occupazioni del mattino mi davano occasione
d’ osservarlo , parea ch’ ei domandasse la mia
attenzione. S' io gli presentava i miei diti,
esso li leccava e li mordeva con molta deli-
catezza; se però io gli offeriva delie fruita le
prendeva con molta avidità, quantunque fosse
sempre molto sobrio al primo pasto. Leva-
to il sole, i suoi occhi pareano perdere la
loro splendidezza e vivacità, ed esso ristora=
vasi con un sonno il qual durava dieci. in -
undici ore. Quand’ io trovai questo picciolo
256 IL. LORI TARDIGRADO.
e grazioso animale già senza vita in quella
positura, in cul si poneva ordinariamente > pe
dormire, mi consolai persi nadendomi ch’ era
morto senza provare alcun dolore, e ch’ era
vissuto abbastanza felice , quanto almeno DE,
teva esserlo nella sua schiavitù. »
Thévenot ci dice d’ aver veduto simili ani>
maletti, ch erano stati condotti da Ceylan.
Quando alcuno li considerava, teneansi diritu
sui piedi di dietro, colle lor zampe dinanzi
incrociate, e giravano 1 loro sguardi sugli
spettatori senza dar a vedere il minimo timore.
Il sig. d Obsonville osserva che uno di tali
dida animali , il quale fu comperato da un
Indiano, era melanconico, silenzioso , e ste-
nuaio. I suoi moii procedevano sì ne che
quando voleva andare in maggior fretta, per
correva appena sei 0 otto tese in un si
La sua voce avea un non so che di sibilante,
non per altro. disaggradevole. Quando si cer-
cava levargli la sua preda, L.aspetto suo fa-
cevasi alquanto cupo e dispettoso, e uscivan
da lui alcuni suoni acuti e tremolanti. Dor-
miva ordinariamente, durante il giorno, coila
testa posata fra le sue mani, e eoi.gomiti
piantati fra le coscie. In mezzo al sonno,
però, sebbene i suoi occhi fossero chiusi, era
eccessivamente sensitivo alle esterne impres-
sioni, e mai non trascurava alcuna specie dil
IL LORI TARDIGRADO, 257
preda, che gli si offerisse molto vicina. Sebbene
la chiavezza del sole sembrasse molto incomo-
darlo , mai non appariva, che le pupille dei
suoi occhi provassero la minima contrazione.
Si tenne, pei primi mesi, con un cordone
attaccatogli d'intorno al corpo, e sebbene mai
non tentasse di sciersene, il sollevava però
talvolta, facendo apparire segni di dolore. Il
sig. d Obsonville n° ebbe cura ei medesimo,
e ne fn morsicato. quattro o cinque volte,
prima che pensasse a raffrenarlo. Un leggier
castigo alfine corresse i suoi piccioli furori’,
dopo di che gli fu data libertà di correre
nella camera da letto. All’ avvicinar della notte
il picciol animale si fregava gli occhi, indi:
guardando attentamente intorno a sè, s' ar-
rampicava. ai mobili, e più spesso a delle
corde che si. erano tese espressamente: a. que-
si’ uopo.
Talvolta il padron suo appendeva un uecel-
lo a quella parete della camera, che gli stava
di faccia invitandolo ad approssimarsi. S'avan-
zava esso infatti a passo lento, e con diffidenza,
come persona che cammini sulla punta de’ piedi,
per sorprenderne un' alira. Quando poi si ri-
trovava a picciola distanza dalla sua preda, le-
vavasi affatto diritto e inoltravasi con leggier
strepito , allungando la zampa per prenderla,
ciò ‘ch’ esso faceva con notabile destrezza.
Gabinetto Tom. LI 17
258 IL LORI TARDIGRADO:
Mosiravasi grato alle carezze, e. attestava. al
sig. d' Obsonville la. sua ‘affezione ,. prenden-
done e stringendone, l’ estremità delle dita, e
fissando in lui i suoi occhi semichiusi.
«
IL MANICOU.
È presso a poco della lunghezza di un gatto
mediocre, ma il suo pelo, che si drizza in
luogo -d’ esser disteso, lo fa apparire molto più
grosso. Il suo color generale è un bianco
smorto. Ha una testa lunga, che termina in
punta, e la boeca molto larga. La sua’ coda,
lunga quasi un piede, è fatta per pigliare come
una mano, e si copre di peli fino a sei. pol
lici dalla sua origine, ma poi si riveste di una
pelle scagliosa, onde rassomiglia ad un serpe.
{Il manicou ha le gambe corte e d' un. grigio
cupo. 1 due diti interni de suoi piedi sono
piani e rotondi, cd hanno ugne come quelli
delle scimie; gli altri sono armati di grife as-
sal acute,
Ciò che distingue particolarmente il manicou
femmina si è una tasca abdominale, destinata
a proteggere e conservare i suoi piccioleiti,
Alcune di queste tasche, hanno due o tre ca-
vità, da potersi chiudece ed aprire a piacere,
L'animale di cui parliamo, quando è a terra,
non sembra aver difesa, poichè la forma delle
TL MANICO. 259
sue mani gl impedisce di correre, anzi di cam:
minare con celerità. Malgrado, però, un tal di-
fetto, è in grado di salir sugli alberi con al-
trettanta facilità, che la più parte degli altri
quadrupedi, i quali si arrampicano. Dà esso
instancabilmente la caccia agli uccelli e a’loro
nidi, ed è un gran distruttore di volatili, di
cui succhia il sangue, senza mangiar la carne.
Si nutre pure di frutta selvaggie, di radici, e
d' altri vegetali. si
Quand’ è inseguito e arrestato, contraffà il
morto, sino a che sia passato. per lui: il peri-
colo». Dupratz assicura, che quando è preso in
questo stato, non porge alcun segno di vita,
se anche si collochi sovra un ferro rovente.
Che se trattasi di una femmina, la quale abbia
. de piccioletti nella sua tasca; preferisce il farsi
con essi arrostire al rendersi all’ inimico, Ove
queste non siasi allontanato. a certa distanza 0
nascosto, il manicou non fa verun moio; ma
allora poi fugge con tutta la celerità, di cui è
capace, nel primo buco, o nel primo rovajo;
che gli oflre un asilo,
. Alcun tempo. innanzi. che .la femmina si
sgravi sceglie essa fra dense macchié o spineti
al piè di qualche albero un luogo, ove de porre
il suo pario. Col soccorso del maschio raduna
certa quantità di foglie, di cui si carica il
ventre, e quello poi colla sua coda strascina
260. TT MANICOU.
essa e il suo fardello insino al nido. Pio-
duce ad un tempo quatiro o sei piccioleiti ,.
che nascono orbi e senza pelo, e rassomigliano
a piccioli feti. Appena son nati, che si ritirano
entro la tasca, di cui parlammo,. e si attaccano.
fortemente alle mammelline della madre, alle
quali continuano di rimanere aderenti, benchè
quasi inanimati, sino a che godano della luce.
abbiano acquistata forza, e il loro corpo sia
coperto di pelo. Da questo punto più non si
servono. della borsa, che come di un asilo.. La.
madre ve:li porta entro col più grande affetto,.
ed' ivi si veggono essi. giuocare; 0 nascondersi,
ove. siano. minacciati. Dicesi che quando non
hanno tempo di farlo si. attacchino alla coda
della madre, e si sforzino di fuggire con essa..
Il manicou sembra aver molto coraggio, @
è: principio vitale è in esso molto tenace, sic-
<chè nella Carolina settentrionale è passato in
proverbio che: « se. un gatto ha nove vite, il
manicou ne ha diciannove. » La carne di que-
sto quadrupede. è. bianca; ed ha il gusto di.
quella d'un porcellino da latte. I selvaggi fi-
lano, € tingono il suo pelo, di cui fanno ciu-.
5
tinre ed altri oggetti di ornamento.
204
IL CAYOPOLLINO.
‘Fu descritto, la prima volta, da Sybillas
Mérian, artista alemanno, onde alcuni lo ap»
.pellarono Opossuna-Mérian. Seba in seguito ce
ne ha dato il disegno. Secondo lui, quest'ani-
‘male ha gli occhi brillanti e contornati d un
piccolo cerchio ‘di peli neri; i denti molto acuti;
e al dissopra della mascella superiore e degli
occhi lunghe setole in forma di mustacchi. Le
sue orecchie ignude rassomigliano a quelle del
gatto. Il suo corpo è coperto d' un pel liscio,
il quale è rosso tendente al giallo in sul dorso,
e d’un bianco vivo sul muso, la fronte, il ven-
tre ed i piedi. Sulla coda del maschio, ch'è
ignuda e d'un rosso pallido veggonsi macchie
brune, le quali non appariscono sulla coda
della femmina. Le zampe davanti rassomigliano
a quelle d'una scimia, avendo quattro diti e pol-
lice distinti, ‘e picciole unghie rotonde, mentre
il dito gresso de! piè di dietro è piano e di forma
“ottusa, e la sua estremità armata di grife acute.
{ piccioletti escono talvolta dalla borsa ma-
ierna, sia per giuocare, sia per cercare il lor
nutrimento. E quando hanno abbastanza corso,
‘o sono abbastanza saziati, ovvero temono di
qualche periglio, s° aggrappano al dorso della ma-
dre, intrecciano la propria alla sua coda, e sono
così da essa portati in salvo con tutta celerità.
302
IL KANGURO..
Questo singolar animale abita la Nuova-Galles
meridionale, ove fu scoperto P anno 1770 dal
capitano Cook. Esso ha talvolta nove piedi,
all'incirca, di lunghezza, dall’ estremità del
muso a quella della coda; e il suo pesa giu-
gne talvolta fino a cinquanta libbre. Il suo pe-
lame è corto e morbido, d'un grigio rossiccio
che si rischiara sui fianchi e sotto il ventre.
Ha la testa picciola ed allungata, le orecchie
larghe e diritte, il naso fornito di mustacchi,
il collo e le spalle assai ristrette; e cresce
gradatamente di volume verso l'anche e il
basso-ventre. Le sue gambe anteriori, quando
sono più lunghe, giungono circa ai dicioito
pollici, e quelle di dietro ai tre piedi e sette
pollici. Le prime gli servono a scavar la ter-
ra, onde formarvi il suo coviglio e a portarsi
gli alimenti alla bocca; sulle seconde. esso
sostiensi e fa salti di sette in otto piedi di
altezza. Per ciascuno de piedi del suo corpo
mon si contano che tre diti, fra cui quel di
mezzo eccede considerabilmente per lunghezza
e per forza i due altri; esaminandolo da vi-
cino trovasi realmente diviso, come da col-
tello tagliente.
La coda del kanguro è lunga, grossa, alla
radice, e terminata in punta. Se ne vale esso
x
IL
KANGURO
Î
i |
(DID
Il
In
“TL KANGURO. 263
eome d'arme, con cui porta colpi sì violenti,
che sariano capaci di romper la gamba ad un
uomo. Gli abitanti del suo nativo paese con-
siderarorio dapprima questa coda, come suo
unico mezzo di difesa; ma avendo poi cac-
ciato il kanguro con de' levrieri si accorsero
com’ esso usa egualmente le grife ed i denti.
Quando è raggiunto e abboccato dai cani, ei
si ritorce, e prendendoli colle sue zampe da-
vanti, li percuote con quelle di dietro che.
sono fortissime, e gli strazia a tal punto, che
i cacciatori sono spesso obbligati di ricondurli
onde far loro medicar le ferite. I. cani della
Nuova-Galles veramente giungono a vincere
ed uccidere il kanguro ; 3 ma questo è opp
vigoroso e feroce pei nostri levrieri.
Si pasce esso ordinariamente alla maniera
degli altri quadrupedi , tenendosi in sulle quat-
tro zampe, e beve lamberdo. Nello stato di
captività si diverte facendo balzi in avanti, e
battendo violentemente la terra coi piè di die-
tro; al qual uopo sembra come appoggiato
sulla base della sua coda. Una cosa partico-
larmente distingue quest animale, ed è la fa-
coltà di molto separare i lunghi denti incisivi
della sua mascella inferiore. Tale singolarità,
per altro, si scorge anche nel. sorcio maritti-
mo, animale di specie ‘affatto distinta.
La femina del kanguro ha una tasca abdominale
264 II KANGURO.
‘simile a quella del manicou, e in ‘essa nutre
i suoi piccioletti, e li mette al coperto d’ ogni
specie di periglio. Nello stato naturale i kan»
guri pascolano a torme di trenta o quaranta,
e uno di ‘essi suol collocarsi a certa distanza
dagli altri, per far loro la sentinella. Secondo
iilidico vi ha luogo di credere che siano
essi animali notturni. Hanno l'occhio fornito
di membrane, che fan l'officio di palpebre
potendosi estendere «e coprirne tutta l' orbita.
Viveno ritirati entro le tane.
Vuolsi che la carne de kanguri sia molto
grossolana ; Banks, però, la paragona all’ ec-
cellente montone, sebben confessi che non è
così delicata, come quella che spesso vide .al
mercato di Leadenhall.
I kanguri possono ora -quasi considerarsi
come naturalizzati in Inghilterra. Parecchi ne
furono per lungo tempo custoditi. ne’ dominii
reali di Richemond, ove le loro femine hanno
deposti i loro parti; acquisto, per ciò che
sembra , importantissimo per quel paese.
Vedesi ora (1806) nella sala d'esposizione
d'Exeter-Change una coppia di bellissimi kan-
guri. Furono essi condotti dal porto Tackson
nella Nuova-Galles del sud, e già da sci 0
sette anni sono iu possesso del sig. Pidcok. Il
maschio, quando sta ritto, ha più di sei piedi
d’ altezza, ed è animale di forza prodigiosa.
ÎL KANGURO. 265
‘Essendo io andato, alcuni mesi addietro, a
vedere il parco, vi fui testimonio d'una lotta
di questo bel quadrupede col suo guardiano
per lo spazio di dieci in quindici minuti. E
in verità vi mostrò esso eguale intrepidezza
‘che sagacia. Perocchè si volgeva da ogni lato
onde far fronte al suo. avversario, e spiava
atientissimo l'occasione di coglierlo; e talvolta
il prendeva al collo per mezzo delle sue zampe
anteriori, mentre con quelle di dietro gli bat-
teva l anche. E poi che fu terminato il com-
batuimento , il kanguro si presentò di nuovo
per rinfrescarlo, e non ritornò alla sua stia,
che quardo gli fu condotia la sua femina,
per determinarlo a rientrare. Questa, sebbene
assai più piccola del maschio, è anch essa un
molto bell’ animale. Ebbe già cinque piccioletti,
di cvi alcuni sono imbalsamati e serbati tra
l altre rarità del parco.
In questo: vedesi un aliro kanguro detto dal
pelo I argento graziosissimo anch’ esso, e di
specie assai più piccola dell aliro. Ha quasi tre
anni, fu condotto in Inghilterra dal capitano
Voodraffe, e dal mese di agosto del 1804 è
in possesso del sig. Pidcok.
Uredesi che il nudrimento de’ kanguri, nel
loro stato selvaggio, si componga principal-
mente di, erbaggi. A quelli, però, del parco
suddetto si dà pane, crusca, fieno, orzo e cavoli.
266
PL BECCO D UCCELLO.
Il ‘quadrupede, che’ porta questo nome, fu
recentemente scoperto nella Nuova-Galles me-
ridionale. Sir Giuseppe Banks possedè due indi-
vidui di questa specie che gli furono inviati dal.
governatore Hunter; ed uno o due appena se
ne sono fino ad oggi veduti in Inghilterra.
La lunghezza del curioso animale, di cui
si parla, dall’ estremità del becco a quella
della coda è di tredici pollici; e il becco se
ne usurpa solamente per sè un'ottava parte.
Picciola è la sua testa; e il suo muso, che
chiamiam becco, ha molta rassomiglianza con
quello di certe anitre, sicchè appena dopo un
esame diligente possiamo persuaderci di. quello
che è. Il suo corpo è depresso, e richiama,
in certo modo, l'imagine d'una lontra; copresi
di un pelo folto e morbido, il cui colore è
alquanto bruno sul dorso, e d'un bianco ar-
genteo sui fianchi. Le sue gambe son certe,
e terminano con una larga membrana, che si
estende a considerevol distanza al di là delle
grife. I suoi piedi davanti seno muniti, cia-
scuno, di cinque ugne fortissime ed acutis-
sime; i posteriori ne hanno cinque ricurye; e
quel di mezzo è molto più elevato che gli
altri, ed ha sembianza di uno sprone molto
forte ed acuto.
‘IL BECCO D UCEELLO. 267
Gli individui di questa specie inviati fino
ad oggi in Inghilterra, erano stati privi de-
gli intestini, e generalmente mal conservati.
Il sig. Stome, per altro, ne esaminò uno, che
apparteneva a sir Giuseppe Banks, e che es-
sendo messo nello spirito di vino, s'era man-
tenuto intero; e discoprì che, sebbene il
becco, quando si guarda superficialmente,
molto rassomigli a quel d'un uccello, sicchè
parrebbe destinato all’ istess' uso, nondimeno,
considerato meglio, si vede esserne assai dif-
ferente. Sembra, infatti, che un tal becco non
sia già la bocca dell'animale, ma soltanto
un’ appendice, che si esiende al di là. L'in-
terno di questa bocca è come quello degli altri
quadrupedi; contiene da ciascun lato due denti
molari così nella mascella inferiore, che nella
superiore; ma non ne ha d incisivi. Le ossa
‘del palato, e del naso di quesi’ amfibio ne
tengon luego. Prolungandosi esse, e allangando
così le narici, formano la parte superiore del
becco, di cui dicemmo ; e due parti della
mascella inferiore, in luogo di terminare, come
negli altri quadrupedì , si sporgono innanzi ,
e così è prodotta l inferior parte del becco
medesimo.
Tale ‘struttura è differentissima da quella
del becco di tutti gli uccelli, poichè in questi
la cavità delle narici non si prolunga al di
568 IL BECCO D UCCELLO.
Ualla sua origine; e gli orli delle parti più
basse, che corrispondono alla mascella inferiore
del quadrupede di cui si tratta, sono duri, e fan
Tofticio «di denti, mentre avvi nel mezzo uno
spazio vuoto per ricever la lingua. Nell ani-
male, che chiamiamo becco d’ uccello, le :due
lamine picciole e ossee sono nel centro , e le
parti che le circondano si compongono di una
pelle, e d'una membrana. I denti non hanno
#adici, che siano piantate nella mascella, come
nella più parte de quadrupedi; ma sono bensì
incassati. nelle gengive, e rassodati per lo
sporgersi che fanno gli orli mascellari al di
fuori. La sua lingua non è lunga che mezzo
pollice, anzi la parte mobile di essa non lo
è che di un quarto di pollice; e l'animale
può ritirarla tutta quanta nella sua bocca.
{Quando è distesa si avanza presso a poco un
«quarto di pollice nel becco. Questo poi è co-
perto d'una pelle morbida e liscia; che, si
estende al di Ja degli ossi, lateralmente e di
fronte, e forma un labbro mobile sì forte,
che fatto seccare e indurire nello spirito di
vino, sembra aflaijò inflessibile. Umettato però
d' acqua, diviene flessibilissimo, ed offre tutte
le ‘apparenze di una struttura muscolare. La
parte inferiore del becco ha un labbro così
largo, come la superiore; ma a questa manca
un soprabordo, che La quella in forma di
ÎL BECCO, D. UCCELLO. 6g
sega, che appena però si scorge ov'è più te-
nera e cartilaginosa.
Una piega irasversale della pelle neri che
ricopre il becco, forma anello alla sua circon-
ferenza propriamente vicino all’ origine.
Questa piega, per ciò che sembra., è de-
stinata ad impedire che il becco non s' immerga
più oltre di essa nel limo, ove può trovarsi
la preda dell’ animale. I nervi, che servono
a siffatto becco, sono presso a poco simili
que’ degli uccelli ,. e la cavità del cranio si
conforma assai più a quella. del capo di un'a-
nitra, che di un quadrupede.
L'organo dell’ odoraio dillerisce in esso da
quel degli uccelli egualmente che degli altri
animali. Perocchè l apertura ne è. collocata.
all'estremità del becco, onde partono due
cavità, che si estendono lungo il beeco me-
desimo..
La larghezza dell’ occhio è assai picciola in
paragone della grossezza dell'animale, eil foro
esterno dell’ orecchio , è parimente sì esiguo,
che si discopre con molta difficoltà.
Supponsi, guardando alla conformazione del
quadrupede , di cui favelliamo, che scavi la
sua tana in riva a fiumi, e il suo cibo si
componga di piante aequatiehe , e di animali.
Non sembra però che il suo becco stringer
| possa con molta forza la preda; bensì quando
270 IL BECCO D UCCELLO.
le sue labbra si congiungono, succhiar possono
vigorosamente, € forse in questa guisa attirano
alia bocca il nutrimento.
LA FOCA.
Ha il corpo allungato e coperto di pelo bre-
vissimo, lucente, e di varii colori; la testa
larga e rotonda ; e il collo ristretto. Ciascun
lato della sua bocca è munito. di gran mu-
stacchi; i suoi occhi sono grandi, la sua lin-
gua è bifida e forcuta alla sua estremità, Non
ha orecchie esterne, e il senso dell’ udito è
in essa ottusissimo. Le sue gambe son corte ;
e quelle di dietro poi sì lontane dal corpo,
che non possono esserle di veruna utilità, se
non forse nuotando. I suoi piedi hanno mem=
brane , e*la sua coda è brevissima. La voce
sua, quando sia giunta alla naturale pienezza,
può somigliarsi, all’abbajar d'un cane; men-
tre, quando è, ancora sul formarsi, meglio
paragonerebbesi al miagolar di un gatto.
Le foche, in estate, si collocano ordinaria-
mente entro scavi sotierranci, fra grandi fram-
menii di rupi; e in tale stagione appunto 1
nostri copapaggioli ne vanno in caccia. Se esse
hanno Ja sorte di sfuggir loro, si strascinano al
mare, gittando dietro di sè fango e pietre, e
manifestando con lamentevoli gridi il timore che
LA £00A» 271
provano. Quando , però., siano prese. fanne
vigorosissima difesa e coi denti e coi piedi.
Sono agilissime nell’'acque , le quali abbiano
bastante profondità per contenerie ; vi si at-
tuffano sino al fondo con estrema rapidità, e
tosto ricompajono alla distanza di quaranta 0
cinquanta verghe. Una se ne vide, pochi anni
fa, presso la costa di Cornovaglia, inseguire
una triglia, per onde, come un cane avria
fatto una lepre per terra; e poco mancò non
la pigliasse , malgrado le sue fughe, i suoi
nascondimenti e i suoi salti.
| Le foche, nuotando, portano sempre la te-
sta fuor d’acqua; e quando si tengono al
sole sopra gli scogli, sono diffidentissime, nè
mai dormono più d'un minuto senza svegliarsi.
Levaro allora il capo, e se nulla veggono,
che le adombri, si ricompongon di nuovo per
riposare. Assicurasi che molto amino le tem-
peste, e che in esse, star sogliono sopra gran
sassi contemplando con piacere IESHE convul-
sioni della natura.
È un fatto generalmente riconosciuto che
la foca, quando si prende giovane "I sia faci=
lissima ad addomesiicare, e se le insegni a
seguire il suo padrone, come ad un cane. Uno
io degno di fede, ce ne assicura par-
lando di ciò che vide pochi anni addietro.
« Fu presa; egli dice, a poca distanza dal
x7t "Ebrei ù
mare una: foca, e teneasi costantemente in un
vaso d'acqua salata. Talvolta, però, le si permet»
teva di strascinarsi per la casa, ed anche d'av-
vicinarsi al fuoco , e le si procusava regolar-
mente il cibo, che le conveniva. Si. gettava
anche ogni giorno al mare, ove nuotava' in-
torno alla canoa e sempre si lasciava ripren-
dere. Visse di questa guisa per più settimane;
ed avrebbe fornita una carriera assai più lun-
ga, se non fosse stata qualche voita troppo.
duramente trattata.
Nell'anno 1759, sì mostrava a Londra
una foca, la quale obbediva al comando del
padrone suo, prendeva il pane dalla sua ma-
no, si distendeva interamente per terra, al
lungava. il collo, quanto le era possibile ; pa-
rea salutare gli spettatori , andava al mare e
ne ritornava, quante volte le si dava. ordine:
di farla ».
Un fittajuolo d'Aberdour essendo andato,
alcuni anni sono, a pescar in mare intorno adi
‘alcuni scogli, vide una giovine foca di circa.
due piedi e mezzo, che prese e portò a casa.
Essa divorava la zuppa nel latte, che le si
porgeva , e continuò per tre giorni ad esser.
nudrita di questa maniera , in capo a' quali
la moglie del fittajuolo , riguardandola come
causa Mi spesa inutile, volle disfarsene. Ii ma-
rito quindi fattosi ajutare da altri la gittò di
LA FOCA. 279
nuovo al mare: ma essa, malgrado ogni sforzo
contrario , gli tornò appresso. Allora fu con-
venuto che il più g grande della compagnia en-
trerebbe nell’ acqua più innanzi che potesse ,
onde nuovamente scagliarvela, ed indi si na-
sconderebbe dietro gli scogli. Ma la foca; di
cui nulla uguagliava i Silezione per gli ospiti
suoi; non fu im pedita dallo siratagemma, sì che
non' uscisse per la seconda volta dal salso ele-
mento, e non venisse a raggiungere chi la
figettava. Una tal cosa determinò il fitiajuolo
a ul nella sua protezione, e enni.
al suo domicilio ; se non che alfin stancatosi
di mutrirla | uccise; per pagarsi dello speso
colla sua pelle.
La stagione di prender le foche è general
mente il mese di ottobre eil principio di
novembre. Î cacciatori, muniti di forche e di
bastoni, si fanno verso mezzanotte all'ingresso
deile caverne, ove quegli animali si ritirano,
penetrano quanto più innanzi possono colle
loro barcheite. Indi uscitine, e scelto un posto
favorevole si mettono a fare. grande. strepilo ,
per ispaventarli , e far eh'escano in pieno mare,
In tali circosianze è loro cura di evitare la
folla, che verrebbe sopra di essi con troppo
impeto. Dopo di questa, che prima fugge, an-
cor rimane gran numero di picciole foche, le
quali vengon più lenie, e che si uccidone
Gubinetto Tom. L 59
ne 74 ATROCE
con ‘Bull! dando loro un | picciol colpo sni
naso.
Gii abitanti della Groenlandia iraggono di
queste cacce. grandissimo vantaggio, attesoché
le foche sono di estrema necessità ‘alla loro
sussistenza. La carne di esse fornisce un nu-
drimento : gustoso, del pari , che sostanzioso ;
e il grasso delle medesime dà loro olio per la
pentola e per la lucerna, nel tempo stesso.che è
materia di cambio, per altre cose importanti alla
vita. I filamenti de: nervi sono assai migliori
per cucire, che nou il refe e la/seta. Le ve-
sciche servono di galleggianti ai fiocinieri, onde
pescare. Della pelle poi si fanno tende, vesti e
coperte per letti, e canoe, non che corregge
e soatti d’ ogni specie. Il sangue stesso non
va perduio, poichè i nativi del paese lo fanno
bollire con altri ingredienti; e ne hanno brodo
per la zuppa. Quindi l'arte di prender le fo-
che è quasi la prima pei GroenJandesi, che
l imparano dalla più tenera ‘età, e per essa
pongonsi in istato di condurre vita alquanto
men disagiata, mentre si rendono utili alla
socielà.
La pesca della foca nella Finlandia .comin-
cia allo sciogliersi dei ghiacci. Allor che questi
sono ammonticchiati dai flutti, quattro o. cin-
e J° «ani s imbarcano in una canoa sco-
oerta , e stanno qualche volta assenti più di
LA FOCA. 275
cinque seltimane dalle lor case; esponendosi a
tutti i perigli ,. che s incorrono pei mari del
settentrione, non avendo che un picciol fuoco,
cui accendono sovra alcuni mattoni, e nutren-
dosi della carne delle foche uccise. Il seguente
aneddoto porgerà idea di tal mestiere.
Due Finlandesi imbarcaronsi, or sono alcuni
anni, in un fragile schifo. Avendo scoperte
più foche sopra di un'isoleiia di ghiaccio g val
leggiante, uscirono del loro legnetto, e si ag-
grapparono a quel gran masso piramidale,
camminando sulie mani e sulle ginocchia, per
non essere veduti da quelle bestie. Avearo ve-
ramenie legata alla picciola isola la picciola
barca; ma nel bello della loro caccia un colpo
di vento ne ruppe la catena e la disiaccò, onde
rotta da ghiacci , sparì subito soito l’onde. I
cacciatori si trovarono allora senza mezzi, senza
soccorsi, anzi senza il minimo raggio di spe
ranza sovra perigliosissimo appoggio , e vi ri
\masero quindici giorni. Il calore, che ne ‘di-
| minuiva gradatamente. il volume e l'’ eleva-
zione della superficie, rendeva di momento in
momento la loro situazione più spaventosa.
Finalmente, dopo aver sofferti iutii gli orrori
di una fame: divoratrice, ed essersi trovati ri-
dotti a rodere la carne delle loro braccia, si
strinsero gli uni agli altri, e determinarone
gi precipitarsi ne fluiti, onde metter fine alia
376 LA FOCA.
loro sciagura. E già quesia funestissima riso-
luzione ‘era. per compiersi ; quando scÒrsero
da lungi una vela. Uno di essi allora si levò
la camicia, e la sospese al suo fucile. Il qual
segnale fu veduto dall equipaggio del vasceilo,
ehe apparieneva ad un pescator di baicne, onde
mise tosto in mare un palischermo , per 7cor-
rere in loro soccorso. Quest incontro fortunato
pose solo salvarii da una morte inevitabile e
vicina.
Le femmine delle foche producono doppia
© triplice prole per ogni parto , e la depon-
gono nelle cavità de’ guiiacci , mentre il ma-
schio forma tosto vicino uno sforo, che dà
pronta comunicazione al’ mare. Le picciole
foche si gettano all'acqua appena che sl avveg-
gono di un cacciatore, € talvolta anche di pre
rio moto, onde cercarvi il lor nuirimento.
Quando quelle femmine escon dal mare, be-
lano come agneile, onde chiamare la loro pro-
gemie; e sebben passino davanti a migliaja
d’ altre giovani foche , mai non ne. prendono
alcuna in iscambio. .
Quindici giorni dopo il nascimento le pic-
ciole bestie sono “istruite dalle loro madri
nuotare e .cercarsi di che vivere; e quando
sono stanche vengono da esse, per ciò clie
dicesi, prese sul dorso. Sì rapida poi è la
loro cresciuta, che in due o ire dì, che sono
LÀ FOCA. nom
al mondo , divengono egualmente agili che le
vecchie. e 3
La carne delle fughe era altre volle ammessa
alla tavola de’ grandi, come, fra I altre me-
morie , ce ne fa fede la nota dello speso in
nno splendido banchetto dell’ arcivescovo Ne-,
ville sotto Eduardo IV. La loro pelle è an-
ch essa molto pregiata, e dà una bellissima
specie di cuojo.
Gli amfibii, di cui favelliamo, trovansi sulla
più parte delle coste della Gran Brettagna e
dell’ Irlanda , tuite seminate di scogli. Se ne
veggono pure al di quà del circolo artico nei
apiari dell Europa e dell'Asia.
L'ORSO MARINO.
Quest animale s'incontra principalmente nelle
isole del Kamischatka, dal mese di giugno sino
a quello di settembre, intervallo di tempo.
durante il quale la femmina depone ed alleva
i suoi piccioletti. Indi gli orsi marini tornano,
dicesi, chi alle coste asiatiche, e chi alle ame»
ricane, tenendosi in generale fra il cinquan-
tesimo, e il cinquaniesimosesio grado di la-
titudine.
La lunghezza ordinaria de’ i chi è di
circa otto piedi, ma quella delle femmine è
assai minore. Il loro corpo è membruto, e va
278” L ORSO MARINO.
diminuendo di grossezza sino alla coda. Il co-
lore del loro pelo generalmente è nero, ma
ne vecchii è misto di grigio, e nella più parte
delle femmine è cenerognolo. Il loro ‘naso si
avanza come quello di un giovane alano, e i
loro occhi sono iarghi e sporgenti. Le loro
gambe anteriori hanno , circa, due piedi di
lunghezza, e i loro piedi han dita, coperte -di
pelle ignuda, e s° assomigliano in certo modo
a quelle della testuggine. Le gambe di dietro
sono più corte, e terminano in cinque diti,
separati per: mezzo di una membrana.
La voce di questi orsi marini varia in più
eircostanze. Allor che stanno a diporto sulla
riva del mare , mugolano come gioveache; se
sono impegnati in qualche battaglia, mandano
urli feroci; se poi sono vinti, od hanno ri-
eevuto ui ferita, miagolano come gatti,
e 1 loro accenti di trionfo rassomighano in
qualche modo ai gridi acuti de’ grilli.
esti animali vivono in famiglie separate
le une dalle altre, sebben si trovino alle volte
a migliaja sulle coste che abitano; e nuotano
per tribù, quando sono in mare. Ogni maschio
ha un serraglio composto di otto in dieci fem
mine, ch'esso custodisce e guarda gelosamente.
Affezionatissimo ai suoi piccioleiti , se alcuno
cerca rapirli, li difende arditamente,; intanto
che ia femmina via si porta nella sua bocca.
L'ORSO MARINO. 279
quello di cui è madre. Se avviene a questa dî
lasciarlo cadere, il maschio abbandona il ne-
mico , si getta sovr essa, e la percuote con-
tro ai sassi, finchè l'abbia lasciata quasi morta.
Rinvenuta, ch’ ella sia, strascinasi suppliche-
vole ai suoi piedi, e glieli bagna colle sue la-
grime, mentr’ esso la insulta brutalmente, e
mena orgoglio della sua umiliazione. Che se il
piecioletto gli fu tolto; s' infosca, piange, e
dà a vedere che prova pungentissimo dolore.
Accade talvolta che gli orsi marini vecchii
o deboli sono abbandonati dalle femmine; nel
qual caso ritiransi da ogni compagnia, diven-
gono eccessivamente erudeli, e sì attaccati al
loro posto, che preferiscono il morire all’ ab-
bandonarlo. Se aliro animale si avvicina ioro,
esecno tosto dal loro stato di indolenza, il
provocano e si fanno a combattere. Nella qual
lotta occorrendo talvolta che insensibilmente si
‘avanzin sul luogo di qualche loro vicino; que-
sto allora vi prende parte; e così via via essa
finisce coll’estendersi. a tutta la costa in mezzo
ad urli i più spaventevoli.
Il sig. Steller colla gente del suo equipag-
gio, volendo provare Î ostinazione di questi
animali, ne assalì uno di tutta forza, gli cavò
gli occhi, ed irritò quattro o cinque de’ suoi
vicini, gettando loro delle pietre. Questi in-
seguendolo, il signor Steller si riparò dietro
2800 L ORSO MARINO.
l'animale accecato, il quale sentendo avvicinar
gli altri orsi, si avvento loro con estremo fu-
rore. Il sig. Stelicr allora salvossi ad un'altura
vicina , dle stette ad osservare la scena sane
guinosa, che durò. per più ore. L’ orso mari-
no, privo deila vista, maltrattò egualmente
amici e nemici, sinchè tutti alfine si volsero
contro di lui, non dandogli tregua né sulle
coste nè in mare, onde fu costretto soccombere.
| Allor che due di questi animali si battono
insieme , piglian riposo ad intervalli, e si sdra-
jano l'uno sull'altro ; indi si levano ambidue
a un tratto, € rinnovan l'assalto, sempre te-
nendo la testa diritta, e' solo distornandola ,
per evitare 1 colpi. Finchè la vittoria rimane
indecisa ,. non adoprano che i piedi anteriori };
ma all istante che Y un d' essi è indebolito ,
Y altro il prende coi denit, e il gella contra
terra. Le ferite, che si fanno, han molta pro-
fondità, e pajon quasi di sciabole taglienti: 2
dicesi che nel mese di luglio vi siano pochi
fra essi, che non ne portino nel loro corpo.
Alla fine d'un combattimento quelli, a cui
rimane tanto di forza, si gettano in marg,
onde iergere le tracce di sangue, di. cui sono
coperti. Non facilmente perdono l ultimo fia-
î0, e sopravvivono più d'una quindicina di
giorni a delle ferite, che sariano immediata
mente mortali. per qualunque altro animale.
; L'ORSO ‘MARINO, 281
Uno di essi, dice Maftens, viveva ancora 5
dopo che gli avevamo levato gran parte del suo
grasso; e, malgrado tutte le ferite da noi re-
categli, sempre continuava a scagliarsi contro
di noi ed a morderci. Passai più volte, egli
aggiunge, la sula spa .da attraverso il corpo d'un
altro di quesii amfibii, senza ch’ esso facesse
pur mostra di avvedersene. Alfine si levò, corse
più celere, ch io non potessi, e si precipitò
esso medesimo d'un moniicelio di ghiaccio nel
‘mare , ove scese tosto aì fondo.
Quando eli orsi marini si sono attuffati hel
albelbicniento , ® vi hanno ripreso un po di
lena, fan capriole , alla foggia d'altri animali
equorei , si volgono a guisa di ruota; solcano
1 flutti con grandissima rapidità, percorrono ,
talvolta ,. più di sette o otto miglia per ora;
e spesso nuotan sul do: *so, e così a fior d’onda,
che i lero piedi. posteriori sono interamente
asciutti. Giunti a riva si scuotono e si puli»
scono il pelo co piè medesisii, e applicando
quindi le loro labbra a quelle delle femmine
sembran baciarle. Poi si distendono al ‘sole per
| risca!darsi; o si sdra ajano aggomitolati , e re-
stano così sepolti in pieno riposo. I lore pic-
cioletti sono così scherzevoli come giovani cani;
fanno tra loro finte. pugne, e cadono frequen-
iemente gli uni sopra gli altri, mentre il pa-
dre li riguarda con aria di compiacenza, li lecca
562 L'ORSO MARINO.
e li bacia; mostrando assùi più affetto pel
vincitore che pel vinto;
Vuolsi che quesii animali si trovino in sì
gran numero nell isola di Bering, da coprirne
interamente la costa. Ì viaggiatori sono allora
cosìretti, per propria sicurezza, ad allontanarsi
dalle sabbie e dai bassi fondi, e volgersi ine
torno alle colline. È però a notarsi che talì
amfibii non abitan che quella parte, che si
avvicina al Kamtschatka. Nei primi di giugno le
femine si ritirano verso il nsèzzogiorno dell’isola,
per isgravarsi, e tornano alla fine di agosto.
La carne dei piccioletti è riputata eccellente;
ma quella de’ vecchi maschi è d’ odor troppo
forîe. Questi animali vanno coperti d'una spe-
cie di nera pelliccia di rozze e lunghe seto-
le, soîito cui è un feltro morbido, o anzi un
velluto Ponsianio, che inclina al bruno,
LA F OCA DAL NASO A BOTTIGLIA,
I maschio di questa specie è assai. grosso ;
ed ha talvolta quindici in venti piedi di lun-
ghezza. Si distingue pure dalla femina per una
grande escrescenza, che avanza di cinque o sei
pollici la mascella superiore. I suoi piedi sono
assai corti e sì. membranosi, che somigliano a
pinne. H color generale del suo pelo è un
grigio ferreo. j
LA -FOCA DAL NASO A BOTTIGLIA, 283
Il grasso di tal genere di foche alto
dieci o dodici pollici fra carne e pelle, poi-
chè , quand’ esse camminano , pajono pento»
loni d’enorme grossezza, ripieni d'olio. Que-
sto infatti si vede fluttuare sotto la superficie
della pelle medesima. Ma hanno esse, inoltre,
sì gran quantità di sangue , che, ove si fac-
cian loro profonde ferite in dodici luoghi ad
un tempo, zampilla da ciascuna a distanza
considerabile. La ioro voce solitamente è un
forie grugnito , 0 piuitosto una specie di ni»
trito, simile a quelo del cavallo ‘nel suo piena
vigore.
Sono esse & un naturei letargico; e diffi-
cili a risvegliarsi s quardo dormono. Il loro
tempo è diviso egualmente fra il soggiorno di
mare, ove stanbo in eslnte, e quello di tere
Ta, ove si trasportano al principio d'inverno.
Si nutrono d'erba e di verdura, che eresce
in riva & ruscelli ; e quando non sono intese
a mangiare dormono a branelii ne luoghi più
fangosi,. che possano ritrovare. Ogruno di
Pat branchi è sotto 4. sorveglianza di un
grosso maschio, che i marina) appellano per
beffa il pacha, vedendolo allontanare con gran
cura gli altri maschii da certo numero di
femmine , delle quali s° impadronisce. Questo
pacna , però , non giugne a tal grado di
superiori tà, senza prima ayer sostenuto ai.
2
hi
e
23) LA FOCA DAL NASO A BOTTIGLIA.
numero di combattimenti sanguinosi, dei quali
rendono testimonianza le sue profonde cica-
trici. Persone dell equipaggio di Lord Anson
K
cacciarono un giorno nel isola di Juan Fer-
nandez degli animali, che loro parvero dif
ferenti da tuiti quelli, che fino allora aveano
veduti. Avvicinandosi però conobbero ch' erano
tue foche della specie che descriviamo ; le
quali si erano « vicenda lacerate co’ denti,
sicchè tutie grondavano sangue. ai
Non è difiicile I uccidere tali amfibii; poi-
chè la loro inclinazione al sonno, la loro in-
dolenza, e la lentezza de ior movimenti li ren-
‘dono facile preda pe loro nemici. Non è però
che non oppongano talvolta vigorosissima re-
sistenza. E si racconta che all istante che un
‘ marinajo era un di occupato a trar la pelle
‘ad una giovine foca, la madre a cui T avea
rapita, si scagliò sovr esso improvvisa, gli
prese la tesia co denti, e gli passò con essi il
cranio così profondamente, che fra poco. morì.
Secondo la relazion de’ viaggi di lord An-
son, la carne della nostra foca rassomiglia
quella del bue, e il suo cuore, non men che
la lingua, è un cibo eccellente. Trovasi que-
sta foca principalmente nella nuova Zélanda,
nell isola di Juan Fernandez e in quelle di
Falkland. Quando nasce, il che avvien sem-
pre in inverno, è della grossezza: della foca
comune pervenuta alla sua maturità “0
TL LLON MARINO:
La testa e gli occhi di quest’ anima
grandissimi ; il suo naso è rilevato ; ie orec-
chie coniche e diritte ; ii collo (parlando del
maschio) è coperto di una lunga criniera on-
deggianie, simile, presso a poco, a quella del
lione; il pelo dell altre parti del corpo è breve
‘e rosso; nella femina però è giallo, e quando sia
giunia a certa età st fa alquanto grigio, Credesi
che un maschio di giusia grossezza sia lungo
sedici in diciotto piedi; e pesi, all'incirca, sei»
cento libre. La femina è di molio più picciola.
Se un essere umano qualunque è veduto da
questi animali, prendon tosto la fuga; e quando
vengono sorpresi nel sonno, grandissimo è il
loro spavento allo svegliarsi, onde mandano
sospiri profondi, e cercano fuggire. La con-
fusione, che in tal caso provano , è. estrema;
il ior tremore è sì forte, che appena possono
sostenersi. Ma se vengono incalzati , se veg-
gono impossibile ogni via di salvezza, si get-
iano sugli assalitori. com impetuoso furore , e
si battono da disperati. Quando all’ incontro
si accorgono , che non si ha veruna. inten-
zione di nuocer loro, par che si rassicurino
interamente.
Steller , nel suo soggiorno all’ isola di Bé-
ring, Visse in una capanna, circondato da Lioni
255 IL LION MARINO:
marini, per lo spazio di sei giorni. Divenutigli
essi in poco tempo famigliari, esaminavano
con molta calma ciò ch’ ei Wi gli si sdra-
javano vicino; e gli permettean finanche di
prendere i lor piccioletti e giuocar con loro.
Questo viaggiatore ebbe in quel tempo occa-
sione di vedere i lor combattimenti, perocchè
fu testimonio d’ uno fra due maschili, il qual
durò tre giorni, e in cui il più rischioso o il
men destro de duellanti ricevette più di cento
ferite. Gli orsi marini, che pur si trovavano
frammisti a leoni, mai ‘non prendeano parte
alle loro gare, anzi aveano gran cura di alb
lontanarsi. dal campo, ogni volta ehe sî ac-
cendevano.
Ciascuno de’ maschii ha due o quattro fe-
inine, cui tratta con molta dolcezza, e sem-
bra gustar molto le loro carezze. Ma è cosa
degna di osservazione, ehe il padre e la ma-
dre non mostrano verun afletto pe’ figli, cui
sovente schiaeciano cò’ piedi, per poca cautela
vel camminare, o che uccider si lasciano sotto
gli occhi colla più g srande indifferenza. Quesu
non trescano già alla foggia di quelli degli
altri animali , e par che il sonno gli istupi-
dlisca interamente. Il maschio e la femina li
portano all’ acqua, e loro. insegnano a nuotare,
Quando sono stanchi, montano sul dosso della
lor madre; ma il maschio ne li fa cadere,
IL EION MARINO. 287
rome per obblicarli a fortificarsi nell'esercizio
del nuoto.
I vecchi lioni marini muggiscono . come tori,
e i giovani belano come montoni. Vivono
principalmente di pesci e d’altri animali, clre
aibergano nel salso elemento; ma per due
mesi di estate que vecchi si astengono quasi
interamente d’ ogni nudrimento , e, si abban-
donano «al riposo e all'indolenza, trangugiando
di tempo in tempo grosse pietre, onde man-
tenere lo stomaco disteso. Ma alla fine si tro-
vano fuor di modo dimagrati.
I Kamtschatkadali riguardano la caccia di que-
sti amfibii come occupazione onorevolissima.
Quando ne trovano di addormentati , si acco-
stano loro camminando contro vento ,; li pere.
cuotono in pancia con uno spiedo legato a
lunga corda, ed indi fuggono con. gran pre-
cipizio. L'altro capo della corda medesima in-
tanto , il quale sta legaio ad un trave, impe-
disce che gli animali sen vadano lungi; onde
i cacciatori hanno agio di ridurli agli estremi,
lanciando loro giavellotti e frecce ricette
Quegli amfibii, a dir vero, cercan tosto di at-
iris nel mare; ma non potendo sofferir il
dolore, che lor cagiona l' acqua salmastra ,
che entra neile lor piaghe, tornano a riva in
preda ai più crudeli tormenti. Ivi i nemici o
li trapassano con lance, o li lasciano morire
deile antecedenti ferite.
2,86 IL LION MARINO. +
Persone degnissime di fede assieurano, che
quei semiselvaggi gue rdano come cosa turpe
il lasciar ani “i sè alcuno degli uccisi ani-
mali, onde sovente ne caricano a segno le
loro canoe,'ehe le fanno andar sossopra; ‘onde
vengono inghiottiti dall’ onde colla lor preda,
I lioni marini trovansi in gran numeso sulle
coste orientali del Kamischatka, ove albergano
tra gli scogli, nè mai se ne dipartono, sel»
bene. sembrino avere soggiorni estivi ed ins
vernali,
La carne de giovani è cibo eccellente, e #
loro grasso è bio quanto ] la midolla di bue,
IL MORSO:
Le forme di quest animale son poco ele»
ganti, però ch esso ha la testa picciola , il
iL assai corto, il corpo maccianghero, basse
le gambe, le labbra grosse , la superior delle
quali è bifida, e guernita di peli semitra-
sparenti; gli occhi picciolissimi; in luogo d'o-
recchie esterne due orificii semicircolari ; e la
mascella supericre armata di due larghe zanue
ricurve, e inclinate a terra, le quali pesar so-
gliono dieci in trenta libbre, e gli servono a
staccar le conchiglie, che si attengono agli
scogli in fondo al mare. Alto è il suo cuojo
e fornito ad intervalli di pelo corto e bruno.
IL MORSO. 289
À ciascun piede il nostro -amfibio ha cinque
diti, che si riuniscono per mezzo di mem-
brane ; i posteriori però sono molto più lar-
ghi che quei dinanzi. La sua coda è brevis-
sima; la total lunghezza però del suo corpo
giugne talvolia a dici piedi, e fino a dodici
la sua cireonferenza.
E animale di natura molto dolce, quando
non sia assalito o irritato; poichè allora di-
vien furioso, ed eccessivamente vendicativo.
Ove le femine delia sua specie vengano sor-
prese dormienti sui ghiacci, cominciano dal
provedere alla sicurezza de’ lor piceioleiti, cui
gettano all’ acqua, o portano a gran distanza
nel mare, sicché più nulla abbiano a temere;
indi ritornano per vendicar l'insulto ricevutor
A questo fine cercano talvolta di piantare le
loro zanne ne’ battelli, o di salirvi sopra in
gran numero, per rovesciarli, mandando ad
un tempo urh orribili, o digrignando i lor
denti con gran violenza. Se ne sono anche
vedute assalir delle barche per puro capriccio,
nia pur con molto pericolo di chi in quelic
S1 riirovava.
Nel 1766; alcune persone dell’ equipaggio
d'uno sloop, che facea vela verso il setien-
trione onde trafficare cogli Esquimesi, furono
assaltate in ana scialuppa da gran numero di
orsi; e malgi ‘ado tutti gli sforzi per allonta-
E bio Ton. I i9
»90 TL MORSO.
narli, uno di questi più ardito che gli altri
salì in poppa , vi. si assise, le guardò in fac-
cia, indi si ribalzò in mare sd raggiugnere
i compagni. Allora un altro di siraordina:ia
grossezza tentò di montare. dalla prua; e. poi-
chè. ogni altro mezzo di impedirnelo fu vano,
il piloia prese un archibugio carico di pallini,
e introdottagliene la bocca in gola lo, uccise%
e quello cadendo in fondo, all'acqua vi fu se-
guito da quanti lo accompagnavano. Le genti
della scialuppa si affrettarono allora verso. lo
sloop; e il raggiunsero, infatti, mentre altri
morsi disponeansi a nuovo assalto, che proba-
bilmente saria stato assai più iii poie
chè pareano furenti per quello ch’ era, perito.
L'attaccamento, che questi quadrupedi mo-
strano. gli uni per gli altri. è fortissimo; e
certo fanno ogni sforzo onde liberarsi a vi-
cenda, ogni voita che alcun di loro è preso
dalle fiocine. de’ pescatori. Si è veduto un
morso ferito attuffarsi in fondo al mare, e ri-
salir tosto alla superficie, corducendo seco una
moltitudine di compagni, per assalire la bar-
ca, onde gli era venuta l' offesa. I
All avvicinar della primavera. tali amfibii si
recano regolarmente alle isole Maddalene, che
sembrano le più proprie ai loro bisogni, poi-
chè abbondano di conchiglie , e facilmente vi
si approda. 4l loro arrivo salgono ip gran
_ IL MORSO. 2 91
numero sugli scogli della costa, e vi riman-
gono per alcuni giorni i) quando il tempo è
bello , senza mangiare; ma al primo segno di
pioggia sl precipitano in. mare.
Gli abitanti lasciano che si diportino per le
rive, fino a che abbiano acquistato certo grado
di sicurezza, essendo al primo giugnere molto
timidi, sicchè fuggono, ogni volta che alcuno
loro si accosti. In stagione opportuna poi, I
marina] cercano nella noite di separar quelli,
che sono più allontanati dal mare, sbandan-
doli in diverse parti; ciò ch'essi chiamano ta-
gliar: un gregge. Quest’ assunto è in generale
riguardato come pericolosissimo ; poichè im-
possibile far prendere a siffatti animali una
direzione qualunque, e più diflicile ancora l’e-
vitarli. Fra le tenebre notturne, però, non
sapendo come: volsersi all acqua, facilmente .
si sviano, e i cacciatori gli uccidono a lor
grado, talvolta. persino in numero di cinque ©
seicento. Allora traggon loro la pelle, ne. tol-
gono gli strati. d' adipe ,. onde il lor corpo è
involto, e il fanno sciogliere. nell’ olio. I loro
cuojo , che si taglia in RI pollici di
larghezza, vien trasportato in Inghilterra e in
America.
Quando i Groenlandesi hanno scoperto un
branco di morsi in sui ghiacci, vi si avvici»
nano colle loro canoe, e lanciano i lor Tamponi
392 IL MORSO.
al momento che quegli animali spaventati si
precipitano in mare.
Il qual momento è il più opportuno per
ucciderli , poichè distendendo la loro pelle,
onde rotolarsi per così dire, con più leggie-
rezza e facilità, è anche più agevole il ferirli
mortalmente, che quando standosi sdrajati, ia
pelle è floscia e caseante,
Il capitano Cook vide un giorno un gregge
di morsi sovra un isolotio di ghiacci Suit
nelle parti settenirionali del coni d /
merica. Eeco ia descrizione ch’ei ce ne da
c S' adagiano, dic’ egli, a centinaja su quei
dia premendosi gli uni contro gli aliri,
come i majali, e mandaudo sì lunghi ruggiti,
che in tempo di notte o di nebbia ci avver-
tono della vicinanza de’ ghiacci medesimi, prima
che noi possiamo vederli. Mai non trovammo
che un intero gregge fosse addormentato; poiché
sempre v era qualcuno d’ essi in sentinella ,
il quale, approssimandosi alcuna barca, ne dava
avviso ai meno lontani, e questi. «di grado in
grado agli altri, onde tutti in un istante sì
risvegliavano. Non aflrettavansi però a fug-
gire ; fino a che sopra di essi non si facesse
fuoco. Allora si scagliavano gli uni sopra gli
altri nel mare colla più gran confusione ; €
se nella prima searica noi non uccidevamo i
colpiti. più non potevamo averli, sebben le
IL MORSO. 293
loro ferite fossero mortali. Non ci parvero essi
già animali sì pericolosi sd assalire come al-
cu..: autori ce li descrivono; o almeno lo sono
più in apparenza che in realtà. C insegui»
veno in numero prodigioso, e si affollavano
contro i nostri legni; ma bastava dar fuoco a
un polverino , per costringerlì a nascondersi
in fondo al mare. Le femine difendono la loro
prole sino all ultima estremità, sia nell acqua,
sia sul ghiaccio, e i piccioletti non sanno ab-
bandonare le madri dopo la morte; dimodo-
chè, se una di esse è uccisa, questi divengono
infallibilmente preda del cacciatore. Le femine,
quando sono nell'acqua, stringonsi i figli con-
tro le pinne anteriori ».
Si adoprano le zanne dei morsi, come avo-
rio d'inferior qualità. Questi animali, poi,
sono moltissimo apprezzati pel loro olio, di
cui ciascuno produce uno o due barili. Ot-
tiensi anche dalle lor pelli un cuojo assaî
forte ed elastico, di cui si fanno in America
arnesi di carrozze.
Siffatii animali trovansi ne’ mari del setten-
irlone, e principalmente sulle coste dell’ isole
Maddalene , nel golfo di S. Lamberto. Vivono
unicamente di pianie marittime e di conchi-
glie. Spesso però furono veduti trarre a sè
a fior d'onda colle lunghe lor zanne il sel-
vaggiume di mare, ed indi gettarlo in aria
per divertirsi. -
CAPITOLO VI.
Le figlie di Mineo fa cieche al lume, Mu. 2,
E che volan di notte senza piume.
ANGUILLARA»
LA NOTTOLA O PIPISTRELLO.
Questo singolar animale differisce da tutti
‘gli altri quadrupedi per ciò ch’ è fornito di
ali, onde può riguardarsi nella catena della
creazione come l'anello che unisce due classi
d' esseri affatto opposte. Alcuni de’ naturalisti
han dubitato in quale dovesse collocarsi; ma
come appartiene ai quadrupedi per la confor-
mazione interna ed esterna del suo corpo,
mè si accosta ai volatili, che per la facoltà di
sollevarsi nell’ aria, è chiaro che si abbia da
ascrivere alla prima.
Il pipistrello comune è un po’ più picciolo
e di color più scuro che il sorcio, con cui
ha d'altronde relazioni strettissime di somi-
lianza. Le sue ali non sono che membrane
simili a pelle sottilissima, le quali. si estendono
dai piedi anteriori fino alia coda. Dicesi a ra-
gione che l’esteriore suo è d’ animale imper-
fetto, poichè quando cammina, i suo! piedi
|
n
LION
i
(0 Ù
i
Ù ì
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Di 1VIMMZINiDII
OTTIMUISTALI VISSO V'IO
LA NOTTOLÀ 0 PIPISTRELLO. | 299
sono impediti dalle ali; anzi non cammina
propriamente, ma strascina sgraziatamente ii
suo corpo; ‘e in aria i suoi moti sembrano sì
incerti e mal diretti, che nori volo si chia
merebbero, ma svolazzamento.
La nottola, 0 pipistrello dà ad ogni pario
due pipistrellini , che allatta, e porta alcune
| fiate alle mammelle volteggiando nella guisa che
‘abbiam detto. Linneo fa ‘osservare ch’ elta non
costruisce nido, come fa la più parte degli
animali nel rempo della gestazione, ma si con-
tenta del primo buco, che incontra, e aggrap-
pandosi coil adunche sue unghie alle pareti di
questa dimora ; lascia che i stuoi piccioletti le
stiano sospesi al seno pel primo e il secondo
giorno dopo il lor nascimento. Indi, quando giu-
dica necessario andar in cerca di cibo, ne li
distacca, e gli appende al muro di quel modo
ch essa vi si attenne finora, @ così infatti
rimangono fino al suo ritorno. Da principio i
bruttissimi animalueci sono senza pelo, ma di
un colore affatto nero. o
I pipistrelli vanno attorno di nottè, comin-
ciano a volare in sul crepuscolo della sera ;
e dormono _il giorno. Frequentan gl’ ingressi
de boschi e le allee coperte, ed anche veg-
gonsi radere la superficie degli stagni e dei
fiumi, per cercarvi insetti. Verso la fine dej-
l’ estate si ritirano entro caverne, sotterranei ,
l
e e e
296 LA NOTTOLA 6 PIPISTRELLO.
«asematte, e tronchi incavali ove rimangone _
tutta la stagione fredda in uno stato di tale
intirizzimento, che le funzioni vitali sembrano
in essi sospese.
Possono fino a certo grado addomesticarsi ,
e il sig. White ci narra come fu un giorno
sorpreso alla vista di un pipistrello, che prena
dea molto famigliarmente le mosche dalle mani
di, una persona, portandosi le ali alla bocca,
declinando , e piegando il capo alla maniera
degli uccelli di preda quando aBgnBA La
destrezza, dic egli, che mostrava in dispiccar
le alette delle a onde gettarie, mi di-
vertiva moltissimo, e pareami degna di special
considerazione. Parea che gl’ insetti fossero il
suo cibo favorite, sebbea non ricusasse la carne
eruda, qualora gli si oileriva; onde ciò che si
varra di quesii animali, che scendono giù pei
camini a rosiechiare i quarti del lardo, non è
probabilmente una capricciosa invenzione. Men-
tr io, egli prosegue, mi prendea dileito ad os-
servare il singolar quadrupede, ebbi occasione
di accorgermi quanto insussistente sia Ia vol-
gare opinione, che 1 pipistrelli. ove si trovino
sopra una superficie piana, più non possano
prender volo. Poichè quello di cui si parla
rialzavasi facilissimamente dal pavimento, onde
fuggiesi in aria, E motai altresì che correva
Ml sue gambe con assai maggiore celerità ,
LA NOTTOLA O PIPISTRELLO. 207
ch'io non mi sarei aspettato, sebbene il fa-
cesse di una maniera ridicola e grottesca.
Dietro le ripetute esperienze dell’ illustre
Spallanzani sopra varie specie di questi animali,
sembra ch’ essi posseggano qualche senso addi-
zionale che gli ajuti, quando sono priva della
vista, ad evitare gli ostacoli che incontrano con
eguale prontezza, come quando erano provve-
duti di quell'organo. Perocchè, coperti o-traiti
loro gli occhi nelle esperienze di cui si ragiona,
volavano per una camera oscura niente meno
che prima, senza urtare contro la muraglia, e
sospendeano naturalmente il lor volo, quando
inconiravansi in un punto, ove poiessero ap-
pendersi e riposare.
In mezzo d’ una chiavica oscura, che for-
mava ùn gomito ad angoli retti, facean essi
con molta destrezza e precisione un circuito
volando, sebbene a notabil distanza dal muro.
Che se mai sospendeansi rami d'albero in una
camera, gli evilavane con grande cura, e vo-
lavano per mezzo ad alcuni fili perpendicolar-
mente pendenii dalla soffitta, quantunque in
tal vicinanza fra loro, che doveano contrarre
le ali, onde traversar gli interstizii.
Il sig. Jurien nel suo giornale di Fisica del
1778 presume che la causa di sì inesplicabili
destrezze risieda nei nervi molto dilatati del
naso, ma l'opinion sua è affatto gratuita, Quindi
393 LA NOTTOLA O PIPISTRELLO.
altri naturalisti hanno congetturato, che questa
facoltà di evitare gli ostacoli nel bujo dipenda
principalmente dall’udito, che i pipistrelli hanno
finissimo; attesochè turate che fossero le orecchie
di quelli, su cui faceansi le esperienze, urta-
vano volando contro la camera ov eran chiusi,
O più non pareano sapere ove sl andassero.
Questi poveri sordi furono in buon numero
tenuti per una settimana entro di un bossolo;
ove durante il giorno stavano cheti, nè cer-
cavano di uscire. Che se ne venivano tratti e
distesi sopra un tappeto, rimanevano immobili
per un momento, poi si mettevano a guardare
all’ interno, indi si strascinavano lenti lenti in
qualche angolo oscuro, 0 in qualche crepacelo
della muraglia. Sull' imbranire , però, ciascun
d' essi Heva ogni suo sforzo, onde uscir dal
bossolo, e appena il coperchio era levato, ne
fuggivano sulle lor alì, e correvano via leggier-
mente, cercando luogo convenevole a'‘prendele
il volo.
Quando questi pipistrelli furono presi, varie
delle lor femine avean de’ picciolini sospesi alle
mammelle e lattanti, eppure anch esse volava-
no, una in ispecie, colla più grande velocità.
Si hanno talvolta simili animali, gettando in
aria capi di bardana imbiancati di farina. I pi-
pistrelli imsdo i calici di questa pianta per
un iusetto di loro preda, o urtando contr essi
LA NOTTOLAÀ O PIPISTRELLO. 20g
‘trovansi aggrappati dalle loro scaglie a guisa
di uncini, e quindi strascinati a ice Abitano
essi la più parte delle contrade d’ Europa.
IL VAMPIRO.
Animale pericolosissimo , anzi flagello degli
uomini e degli altri animali ne’ paesi ove ab-
bonda. Generalmente non è lungo più di un
piede, e dall'una all’ altra punta delle sue ali
stese possono contarsene quattro, e qualche
volta ancora cinque o sei.
La sua testa ha la forma di quella di una
volpe, il suo naso è lungo ed affilato, le sue
orecchie son nude, nericcie ed acute, e il color
suo quasi tutto un bruno rossiccio assai carico.
Vola questo picciolo animale dal tramonto
allo spuntar del sole, ed indi rimane tutto il
giorno entro il cavo degli alberi. Rade agilis-
simamente la superficie dell’ acqua, giuocando,
folleggiando , e talvolta anche atiuffandosi.
Difierenti seriitori assicurano che il gran
numero de vampiri somiglia talvolta ad uno
sciame d’ api, che trovansi sos spese agli alberi
in grappoli o gomitoli le une presso le aitre.
Il sig. i'orster ne ha veduti cinquecento aimeno
pendenti gli uni pei piedi anteriori, gli altri
per quei di dietro, da una gran pianta del-
i isola degli li Tr E vuolsi che a Rose-Hill
3:09 IL VAMPIRO.
mella Nuova Galles Meridionale se ne siano in*
contrati più di ventimila nello spazio di una
mezza lega.
Finch en che presso di Surate i valni
‘piri si tengano aggrappati coll unghie ai rami
degli alberi in sì gran moltitudine, e vi fac-
ciano un rumore cesì insopportabile, che, se-
condo lui, bisogneria purgarne quegli alberi
con due o tre pezzi di cannone, se voglia li-
berarsi il paese da pesie così pericolosa.
Dampierre riferisce come vide un giorno
co suoi compagni di viaggio in una dell’ isole
Filippine incredibil numero di vampiri, il cui
aprimento d'ali era sì esteso, che nessuno, per
allargare di braccia, potea toccarne l estremità.
Quest ale poi aveano il colore del pelo dei
sorci, e le giunture armate di grife a guisa
di uncini. In sul cader del sole siffaiti animali
volavano a sciami dal lato d’' un isola vicina,
verso la quale si vedeano far viaggio, sino a
che l'oscurità li toglieva del tutto allo sguardo
degli spettatori. Ogni giorno poi in quello spa-
zio che corre dal crepuscolo mattutino all’ al-
zarsi del gran pianeta, ritornavano al punto ,
onde la sera innanzi eransi dipartiti, e così
sempre continuarono quanto tempo il vascello
rimase all ancora in faccia all’ isola.
Il vampiro è il più destro flebotomo che sia
in natura, atteso che insinua Î acutissima ‘sua
IL VAMPIRO. ; 3of
lingua in una vena, e ne succhia il sangue a
sazietà, mentre sventola coll’ ali la sua vittima,
ot agita in aria per tal maniera ( a vedersi
per altro graziosissima, ove se eparar sì potesse
l’idea di crudeltà), da seppellivia in un sonno
profondo. È quindi rischiosissimo il dormire
in un paese, ove abbondano gli animali di
tal specie; poichè Y uomo che ne venga allora
assalito passa facilmente dal momenianeo al-
l eterno riposo.
Il capitano Stedman, durante il suo soggiorno
a Surinam, fu una volta sorpreso da uu vam-
piro, mentre appunto dormiva, come può ve-
dersi nella sua relazione. « Svegliandomi , dice
egli, in sulle quaitro del mattino entro da mia
camera, presi sgomento vedendomi intriso del
mio sangue coagulato, senza provare alcun do-
lore. Mi levai dunque a sedere, e chiamai il
chirurgo, il qual riconobbe ch’ io ero stato fe-
rito da un vampiro o spettro della Gujana, ap-
pellato cane volanie delia Nuova Spagna, e.
dagli Spagnuoli perro-volador. Non è desso
altro che un pipistrello di mosiruosa grossezza,
che succhia il sangue degli uomini e degli ani
mali mentre dormono più profondamente, fino
a che taivolia muojano. E come la maniera,
end'esso fa questo, è veramente singolare; ve-
drò cu di porgerne un esatto ragguaglio. Sa-
pendo, eome per istituto, che la persona cui
302- TL VAMPIRO.
vuol assalire, è immersa in alto sopore, scende
volando presso i suoi piedi, ove sempre con-
tinua a batter le ali, per rinfrescarla. Leva in.
seguito dall’un de’ pollici un pezzetto di carne,
sì piccolo a dir vero, che appena la testa di
una spilla potria penetrarvi; quindi la piaga
“non è dolorosa. Da essa nondimeno si fa a.
succhiare il sangue, fin che sia costretto di
vomitarlo; indi ricomincia e ripete questi atti,
con tanta perseveranza, che alfine tuito gonfio
sì sente impedito al volare.
« E costume del vampiro il mordere anche
il bestiame. al dito grosso, e sempre ne luoghi
ove il sangue scorre più abbondante.
« Applicai alla mia ferita cenere di tabacco,
siccome il rimedio migliore ,. che usar si po»
iesse in tale circostanza. Indi guardando i grumi
di sangue ch' erano in terra d’'iniorno a me,
e fattili esaminar dal chirurgo, parve che ne
avessi perduto dodici once o quattordici. »
L' odor de vampiri è più disaggradevole che
quello della volpe; i selvaggi però assicurano
che la sua carne è un boccone eccellente, Nella
Nuova Caledonia i nativi del paese ne ado-
perano i peli a far cordoni ed ornati delle
loro clave, intrecciandovi fila del cipero squar-
Toso.
Siflatti animali irovansi nelle differenti part
dell India, nell’isole indiane nella Nuova Galles
‘IL VAMPIRO. 303
meridionale, nell’ isole degli Amici, e nell Ame-
rica più posia al meriggio. Sembra che possano
essere addomesticati, poichè alcuni, presi in
vicinanza del porto Jackson, si avvezzarono ben
resto al loro stato di captività, fino a mangiar
carnè bollita ed altri alimenti in mano di chi
glieli porgeva. Il governatore Philippes avea
una femmina di tale specie, che perzolavasi
per una gamba lo spazio di un'intera giornata,
€ in tal posizione, tenendosi la pancia quasi
aflatto coperta con una delle sue ali, anch’ essa
mangiava in mano ciò ch’ erale presentato.
A e
L’ esterna apparenza e le abitudini partico-
lari di quest animale bastano solo per distin-
guerlo dagli altri quadrupedi. La sua confor-
mazione fu mirabilmente appropriata dall’ au-
tore della natura alla sua maniera di viver di
Îl corpo suo, che generalmente ha cinque o
sei pollici di lunghezza, è sodo e rotondo, e
termina in una coda molto breve e molto sot-
‘tile. Il suo muso è lungo ed acuto come quello.
del porco; il collo è sì corto, che la sua iesta
si crederebbe attaccata alle spalle. Ha inoltre
le gambe sì basse, che par col ventre rada la
térra,
304 LÀ TALPÀ.
I suoi picdi anteriori sono affatto nudi,
possono anzi chiamarsi larghe mani, quasi si-
mili, per la loro forma, a quelle dell’ uomo,
fornite ciascuna di cinque diti, i quali son ter-
minati da forti unghie. I piedi posteriori sono
assai più piccoli.
La pelle di questo quadrupede è coperia di
setole brevissime, morbidissime, ed assai lu-
centi. Il suo colore d’ordinario è nero; pur se
ue trova alcuna maculaia di bianco, o anclie
bianca del tutto; ma questo è caso rarissimo.
Gli occhi delia talpa sono si piccioli, che
molti scrittori non han saputo decidere, se fos-
sero destinati a procurarle una percezion di-
stinta degli oggetti, o soltanto a renderle ab-
bastanza Sine l avvicinar della luce, onde
avvertirla di evitare il pericolo a cui trovasi
esposta. Il dottor Derham, però, ha discoperto
in quegli occhi, per mezzo di un microscopio,
tutte le parti osservate negli occhi degli altri
animali. Ed oggi è notissimo che son firniti di
muscoli, onde può la talpa ritirarli e adoperarli
per la propria sicurezza. Vuoli altresi che sia
dotata di udito sì fino, che non sfuggendole
verun picciolo o lontano rumore, può sempre
sottrarsi a ciò che menomamenie la minacei.
Le talpe femine danno quattro © 0 cinque
piccioleiti ad un parto, che quasi sempre av-
‘viene verso | aprile. « Ti domicilio ove con
LA TALPA. 303
essi adagiansi, dice il sig. di Bufîon, merite-
rebbe una particolare descrizione; perocchè
fatto con singolare intendimento. Cominciano
le picciole bestiuole dal muovere e sollevar la
terra, e formarne una volta assai elevata, la-
.sciando tramezzi e specie di pilastri di distan-
za in distanza. Quella terra poi la calcano è
la battono, la mischiano con radici ed erbe,
e la rendono interiormente sì dura, e si so-
lida, che I acqua non può penetrar la volta,
così a cagione di questa solidità che della sua
convessità. Alzano poi: sotto la volta un pog-
getto, in cima al quale apportan erbe e frondi
onde fare un letio a’ lor picciolini. Così tre-
vansi al dissopra del livello del terreno, e per
conseguenza al coperto deile inondazioni ordi»
parie, non che della pioggia, in grazia deila
volta, di cui già si disse. Il poggetto è è iull'in-
torno per fiiuio da buchi in pendìo, i quali
scendono più basso, e si estendon d'ogni parte,
come tante vie sotterranee, onde la madre talpa
uscir può, ed andare in cerca dei nutrimento
necessario a° suoi figli. Queste viuzze son chiuse
e baitute, e corron dodici in quindici passi,
partendo tutte dal domicilio, come raggi da
un centro. In esse, come sotio la volta, ritro-
vansi avanzi di bulbi di colchico, -che sono,
per ciò che sembra, il primo cibo ch essa dà
a suoi piccioletti. Ben di qui si comprende che
Gabinetto Tom. IL 20
300 LA TALPA\
mal non esce, se non a molta distanza, dal suo
domicilio, e che la maniera più semplice di
prenderla co suoi piccioletti è di farvi intorno
una trincea che interamente il circondi,
tronchi tutte le comunicazioni. Ma come la
bestiuola fugge al minimo sirepito, e cerca di
condur seco i figli, bisognano tre o quattro
uomini, che lavorino insieme colla vanga, levin
la gleba tutta intera , operino insomma in un
mati | e quindi li colgano o gli aspettino
alle uscite. »
Di rado la talpa scava a maggiore profon-
dità di cinque o sei poliici dalla superficie del
suolo. A quest uspo essa raspa la terra da un
lato dinanzi a sè, fino a che la materia am-
mucchiata non le impedisca di continuare il
Javoro con facilità; essa solleva allora la super-
ficie, e spingendola colla testa e colle mani
nervose produce grado a grado que’ monticelli
o mucchi, che s' incontrano sì spesso ne’ no-
stri campi, e ripiglia quindi l' opera sua. Può
il numero delle talpe contenute in uno spazio
di terreno facilmente argomentarsi dai nuovi
mucchi di terra, i quali già non hanno veruna
comunicazione gli uni cogli altri.
Vivono questi animali a coppia, e tale è
l’ardore del loro mutuo attaccamento, che sem-
brano sdegnare ogn’ altra società. Gustan nel
lov riuro Te dolcezze del riposo e della tran-
LA TALPA. 30
quillità. La loro abitazione è il frutto della loro
industria, che in pochissimo tempo li mette al
coperto da ogni specie d’ insulto, e loro da
agio di procurarsi un nutrimento abbondante
senz essere obbligati ad uscirne. Di questa abi-
iazione soglion chiudere diligentemente | in-
gresso, nè mai l abbandonano, che quando vi
sono costretti o dalla filtrazione dell’ acque, 0
da accidentale rovina.
Le talpe incontransi principalmente ne' luoghi
eve la terra è mobile o coltivata, e abbonda di
vermi e d’ insetti. D’ estate scendono esse nelle
pianure, per istabilirvi la loro dimora. Se il
iempo si manlien sereno, pongonsi In riva
a fiumi, presso a’ fossi, ovvero alle siepi. Ivi
pigliano vermi, a cui sempre levan la pelle
prima di mangiarli, il che fanno con partico-
lare destrezza. Se non che, cercandoli la notte,
sono di sovente esse medesime prese e divo-
rate dai gufi. ;
Al primo sentirsi in preda al nemico man-
dano un grido acuto, e si difendono con tutta
la forza delle grife e dei denti. Quindi son
credute ferocissime, e veramente, per quanto
pacifiche possan essere sotterra, quando si tro-
vano alla superficie, si siraziano le une le altre
fra lor medesime.
Una talpa, ch era stata chiusa sotto una
campana di vetro con una botta e una vipera,
308 LÀ TALPA.
le uccise ambidue, ed in parte anche le
divorò.
Il fatto curioso, che siamo per riferire, è
citato dal sig. Bruce nel terzo volume delle
Transazioni Linneane. « Andandomi io a di-
porto, egli dice, sulle rive del lago di Ciuni,
«iò ch io facea sovente, scòrsi un'isoletta a
cento ottanta verghe, incirca, da terra, ove
lord Airly suo proprieiario avea un castello, con
un piccolo bosco. Approdatovi m' avvenni in
gran numero di cumuli di terra sollevati di
fresco; e avendoli per qualche tempo creduti
Y opera de’ sorci d’ acqua, ne chiesi al giardi-
riere, il qual mi disse ch'erano invece effetto
delle talpe, e che due ne erano state prese
pochi giorni innanzi. Da quel tempo passarono
quasi due anni che più non se ne videro. Ma
una volta, com egli sull'imbrunire d'un bel
giorno di estate tornava a casa col canovajo
di lord Airly, vide, a picciolissima distanza, sulla
superficie dell’ acque, ch'eran molto tranquille,
certi animali che nuotavano a poche verghe
dall’ isola. Avendoli precorsi trovò ch’ erano
talpe ordinarie , dirette con mirabile istinto a
prender possesso di quel soggiorno abbando-
nato. Da un anno, infatti, esse vi son ricom-
parse dopo diciotto mesi di assenza; ed io
stesso fui testimonio de’ loro travagli. » La pro-
fondità del lago tutt’ intorno all’ isoletta è di
LA TALPA. 309
sei, dieci, quindici, e in alcuni luoghi fin di
îrenta e quaranta piedi.
Tl danno cagionato da simili animali ne’ campi
e ne’ giardini è pressochè incredibile. Nel 174
divennero essi così numerosi in alcune parti
dell’ Olanda, che un solo fittajuolo ne prese
cingue in sei mila. E fra gli antichi i loro
guasti erano sì temuti, che un tempio fu ele-
vato ad Apollo in Sminto, per avere liberato
il territorio di quella città dalle talpe, se pur
non voglia credersi dai sorci.
Alcuni autori hanno assicurato che la talpa
giaccia, l'inverno, in uno siato di torpore; il
sig. di Buffon, però , fa osservare che tal as-
serzione è affatto priva di fondamento, poichè
la gente di campagna suol dire proverbial-
mente: La talpa alza la terra, il gelo se ne
va. Quest’animale cerca, per vero dire, i luoghi
caldi; e i giardinieri ne prendon sovente in-
torno a’ proprii letti ne mesi di dicembre, gen-
najo e febbrajo.
La descrizion seguente delle abitazioni delle
talpe, e il racconto de’ mezzi impiegati onde
pigliarle non possono essere senza diletto pei
nostri lettori. « Le talpe, dice il dottor Dar-
win nella sua Phi ‘ologia. hanno delle città
sotterranee cui compongono di case o nidi, ed
ivi depongono e allattano i parti - loro. Tali
abitazioni comunicano con strade larghe ,
Siro LÀ TALPA.
necessarie alle corse perpetue de’ maschi e delle
femine che hanno prole, e con più altre loggie,
passaggi e ingressi cui scavano giornalmente ,
onde procurar nutrimento a sè ‘e alla fami-
gliuola. Sono le talpe assai più attive in pri-
mavera che in qualunque altra stagione. Sebbeng
si presuman cieche, sembrano però avere qual
che percezion della luce sin ne' loro sotterra-
nel, poichè cominciano i lor lavori allo spuntar
del giorno, e perciò prima che il calor del
sole possa essersi fatto da loro sentire.
« Quindi un mezzo infallibile di distrug-
gerle si è lo spiarle di buon’ ora, prima che
il grande astro si levi. Si vede in quel tempo
la terra o l'erba moversi sopra di esse, onde
cacciando lor sotio destramente una picciola
vanga si taglia loro la ritirata, e si conducono
alla superficie.
« Partorisce la talpa quattro o cinque e tal-
volta sei piccioletti, dando loro un asilo assai più
rofondo che le abitazioni ordinarie. Quindi il
cumulo che lo sormonia è più grande, e or-
dinariamente d’ un colore differente dagli al-
tri. È uopo guastare iutli i nidi di questa
specie, e inierrompere le vie che comunica-
mo coi vicini, onde non vi sia rifugio per
chi gli abita.
« Ciò, che in seguito più importa, si è
di sapere quali sono le vie frequentate e 1
LA TALPA. 3s1
passaggi nascosti, che le talpe hanno stabiliti.
Il che si fa imprimendo una traccia su ciascun
nuovo cumulo di terra, per mezzo di una
leggiera pression di piede, che all indomani
mattina si va a vedere se sia scomparsa; il
che è segno del passaggio della talpa sotterra.
Quella traccia non debb' essere profonda, per-
chè la bestiuola non ne insospettisca, e si
determini piuttosto al suo ritorno a scavarsi
nuovo cammino, che ad aprir quello, che
irova osirutto.
Depo due o tre mattine di osservazione
sì piantano trappole nelle siradeile, che si
sanno frequentate, disponendole in modo che
esattamente s adattino alla fenditura. Queste
trappole consistono in un semicilindro di le-
gno incavato, con due anelli tagliati nel legno
medesimo ail'estremità, ove son disposti nodi
scorrevoli di crini di cavallo, moliemente fer-
mati da una caviglia ch'è nel centro, e tesi
per terra da un bastone curvato. Quando i
talpa è mezzo passala attraverso que’ nodi ,
camminando ha smossa la caviglia dal dr
il baston curvo si rialza per 1a sua elasticità ,
e la strozza ».
Agricola ne dice di aver veduti cappelli bel-
lissimi e finissimi fatii di pelli di talpe; e il
sig. Bewik assicura nella sua eccellente istoria
de quadrupedi « che certo Burn cappellajo di
312 LA TALPA.
Newcasile-sur-Tyne ba recentemente. scoperto
un metodo, pel quale quelle pelli si fine per
tanto tempo trascurate diverranno di grande
importanza ed utilità. Perocchè incorporate con
altre materie formano una stoffa d’ una bele
lezza, e d'una fortezza tutta particolare, e se
ne formano, tra l'altre cose, cappelli migliori
di quanti finora se ne siano fabbricati. Per
questa discoperta il sig. Burn ha ottenuto bre-
vetto d’ invenzione ».
Esistono più specie di talpe, fra cui Îe
principali sono quelle di Siberia di un color
verde e dorato, e quindi cangiantissimo alla
luce; quella di Virginia, ch è ali un color nero
misto ad un purpureo cupo; e quella del Ca-
nadà, il cui muso è guernito di muscoli car-
nosi e sottilissini, che sembrano tante spine,
e si allargano, e resiringono insieme, come
il calice di un fiore.
L’ALT
È detto latinamente dai naturalisti Bradipo
ignavo, e volgarmente il pigro. Le sue forme
sono grossolanissime , Il suo corpo rotondo ,
le gambe anteriori corte, e le posteriori più
lunghe. Ha piedi assai piccioli, ma armati
d' unghie adunclie , onde può arrampicarsi
per gli alberi, di cui mangia voracemente e
/
ti Ai 313
frutti e foglie. Breve è la sua faccia e senza
pelo ; ha gli occhi neri; piccioli e languidi;
o tutto | aspetto suo è d' animal miserabile
che soffra. Le setole irte della sominità del
capo gli danno aria grotiesca. Nel resto del
corpo , e principalme:-:.e sul dorso e sulle co-
scie il suo pelo è lungo e folto e d'un bruno
che tende al grigio.
La femina della sua specie, non dà, ad
ogni parto, che un solo piccioletio, cui talora
porta in ispalla.
Vi banno due varietà di bradipi ignavi
pigri che vogliamo appellarii; e possono fa-
cilmente distinguersi dal numero de' loro diti;
l una avendone tre molto lunghi a ciascun
piede; e l’altra due soltanto. Kircher ci ha
dati ragguagli curiosissimi della prima, chia-
mata propriamente aî, dietro i ragguagli d'un
missionario gesuita dell America dio
che ne possedeva qualche individuo... Secondo
esso, adunque, siffatto animale è presso a poco
della grossezza di un gatto, ha le sembianze
assai brutte, e le grife che rassomigliano alle
dita. Strisciasi camminando, e si muove sì len-
tamente, che appena in quindici giorni per-
correrebbe il tratto di una balestra, onde gli
è venuto il cognome di pigro. Trovasi prin-
«cipalmente sopra gli alberi, in cima dei quali
non monia che in due giorni, ed altrettanti
314 HAL
ne impiega a discenderne. La natura lo. ha
doppiamente armato. contro i suoi nemici ;
dandogli primieramente una tal forza ne piedi,
che Liu: tenacissimamente colle sne grife
a checchè si aggrappi, nè mai se ne dia.
dovesse pur morire di fame; in secondo luogo
facendo sì pietoso il guardar suo, che Lul
fissa gli occhi in alcuno, che voglia nuocer-
gli, mai non può essere che nol commova.
Talvolia pure versa lagrime, onde chiunque
il mira sente cadere ogni fierezza contro chi
par sì debole e tormentato.
Il gesuita avea un giorno portato uno dei
suoi bradipi al collegio di Cartagena, onde
farne alcune sperienze. Gli mise adunque sotto
i piedi una pertica lunga, cui esso più. non
volie lasciare. Collocata, infatti, questa pertica
orizzontalmente su due pilastri, l'animale vi si
tenne volontariamente sospeso per quaranta
giorni, senza mangiare, € guardando ognor
fisso le persone che gli eran d’intorno e non
poicano che commiserare la sua condizione.
Aifine fu posto in terra, e aizzatogli un cane
adosso; ma lai lo prese fra le sue grife, e
il tenne serrato sì lungo tempo, che ambidue
morirono di fame.
Arrampicandosi ad un albero, quest animale
stende lauguidamente una zampa e pianta le
sue lunghe grife in quel più alto punto, a
L' af. 315
cui possono giugnere. Indi solleva pesantemente
il suo corpo, e grado a grado si aggrappa
anche colle grife dell altra zampa continuando
così a salire con movimenti di un’ estrema
lentezza. Quando ha presa possesso di un al-
bero, più non lo abbandona, che non ne ab-
bia prima divorate tutte le foglie ed i germo-
gli. E vuolsi, che per non si dare la penosa
faiica di scenderne, si lasci cadere a terra
nel che, in grazia del suo duro cuojo e dei
suo folto pelame, non vi ha per esso alcun
pericolo.
I bradipi son più aitivi di notte, che di
giorno. Mandano allora un grido lamentevole,
che sembra percorrere salendo e scendendo
sei note della zolfa. Woodes Rogers, riferisce
che la prima volia che gli Spagnuoli sbarca-
rono in America, e intesero questo suono
straordinario s imaginarono essere fra un po-
olo che avesse appresa la musica d' Europa.
Nello siato di captività , lai par che non
possa rimanere un istante a terra; poichè
sempre si aggrappa a qualche pertica o palo.
Ove questo o quella gli si presenti, mentre
giace al suolo, tosto l’afferra colle sue grife,
sale alla cima, e vi rimane appeso, senza che
mai si possa distaccarnelo.
316
IL PORCO SPINO.
Non ha che due piedi e mezzo, all’ incirca,
di lunghezza dalla testa all'estremità della sua
coda. Il suo corpo è coperto di spine assai
dure ed'acute, varie delle quali sono di nove
in quindici pollici. Si colorano esse alternati-
vamente d'anelii bianchi e neri, e la più parte
non si attengono alla pelle che per un filo o
peduncolo sottilissimo, e cadono facilmente.
L'animale, che n’ è fornito, le drizza o ab-
bassa a suo grado, e quando cammina, le fa
suonare le une contro le altre. La testa, il
ventre e le gambe sue sono anch'esse coperte
di spine ma d'un color bruno, a cui si fram-
mischiano peli setolosi. Quelle della tesia ec-
cedono le altre in lunghezza e si ricurvano al-
l indietro.
Il porco spino stabilisce ordinariamente il
suo soggiorno in sotterranei ridotti, ch’ esso
divide in più scompartimenti, lasciandovi, a
disegno , due aperture , l una per uscire €
rientrare, e l'altra, in caso di necessità, per
fuggire. Dorme esso nel giorno, e all'avvicinar
della notte si trae fuori dal suo nascondiglio ,
per andare in cerca di frutti, di radici, e
di piante ortensi. Sebbene possa facilmente
sopportar la fame per un tempo considera-
bile e senza mostrar di sofirirne, mangia però
IL PORCO SPINO. 317
sempre con un appetito, che non è diverso
dalla voracità.
Gran guasto fanno gli animali di questa
specie ne’ giardini ali’ intorno del capo di
Buona Speranza. Ma come passano sempre per
la medesima apertura, gli abitanti hanno fre-
quente occasione di assalirli e distruggerh.
Quando ne veggono alcuna fatta in una siepe,
collocano un archibugio in maniera, che Îa
bocca della canna miri giusto al ventre d' al-
cuno di siffatti animali, intanto’ che si divora
una carota o un navone, a cui è legata una
cordicella, che comunica coll’ acciarino del-
l arme da fuoco.
Il porco spino non è già d' indole cattiva,
nè mai è aggressore. E quando è inseguito
S arrampica al primo albero, in cui si avviene,
e vi rimane fino a chc il suo nemico si sian-
chi di aspettario.
Nello stato di captività mangia pane O ra-
dici nella mano di chi gliele porge, e si la-
scia condurre al guinzagiio. Un porco spino ,
ch'era nel parco della Torre sofleriva che il
custode lo pigliasse sotto il suo braccio. Per
farlo, però, senza pericolo era questi obbli-
gato di ripiegarne le spine, attraversandogli il
braccio al corpo. Morì quel quadrupede nel
1802; ed è ora imbalsamato presso il custode
medesimo.
318 IL PORCO SPINO. |
Ii fu sir Ashton Lever ne aveva uno, che
lasciava giuocar sovente sopra l erba con un
leopardo addomesticato ed un grosso cane di
Terra Nuova. Tosto che questi animali erano
liberi, il leopardo ed il cane si mettevano ad
inseguire il porco spino, che cercava dapprima
sottrarsi colla fuga; ma, non potendolo, cac-
ciava la testa in qualche buco, grugnendo
forte e rizzando i suoi dardi. Gli avversarii,
che volean prenderlo , si pungevano il muso,
si istizzivano, finivan coll entrar in lite fra
loro, e davano così occasione al porco spina
di mettersi in salvo.
Quest animale ;} quand’ è offeso o irritato,
baite co’ piedi, e vien tutto gonfio a presen-
tar le sue spine cui drizza o scuote. Ma la
sua maniera più ordinaria di difendersi è di
piegarsi da un lato, e «quando il nemico gli
è molto vicino rialzarsi improvviso e pungerlo
coll altro. Se incontra serpenti, con cui sem-
pre è in guerra, si aggomiiola, nasconde piedi
e testa, e si rotola contro di essi colle sue
spine, fino a che abbia loro tolta la vita,
senza alcun suo pericolo di rimaner ferito.
Sembra che i dardi del porco-spino abbiano
una qualità velenosa; poichè il sig. Vaillant
assicura che uno de’ suoi Otientoti, il quale
ne fu piagato in una gamba, stette infermo
più di sei mesi; ed un uomo del Capo per
IL PORCO SPINO. 319
Un caso simile corse rischio di perdere una
tal parte del suo corpo; e sebben curato di-
ligentissimamente dolorò per quattro Mesi ,
T uno de quali passò a leito.
Nella stagione di mutar le spine l’animale,
che ne trae il nome, le scuote con tanta vio-
lenza, che volano a più verghe di distanza e
penetrano quanti corpi colpiscono. Questa cir-
costanza può aver dato luogo alla supposizione
che lanci i suoi dardi coniro il primo nemi-
co, che incontra.
Il ‘professor Thumberg, nel suo secondo
viaggio all’ isola Matura nell Oceano indiano,
ci dice che i porci spini hanno una singolar
maniera di andare a cercar acqua per la lor
prole. Le punte o tubi della lor coda, dic egli,
son vuoti e perforati all'estremità, e si pie-
gano a grado degli animali che li portano e
li riempiono d’acqua, scaricandoli in seguito
nella lor tana in mezzo a' lor piccioletti.
Trovansi spesso nel loro stomaco dei bel-
zuar, che si compongono di peli finissimi,
formano una concrezione coi sughi gastrici ,
presentano strali disposti gli uni sopra gli al-
tri, e sembrano consistere in più eerchii di
differenti colori. Thumberg nella descrizione
che fa di questi belzuar dice che hanno in
zenerale la fovma d'un uovo ordinario , e si
rotondano in fine; assicura però di averne
320 IL PORCO SPINO.
veduto uno della grossezza d’ un novo d' cca,
affatto rotondo e di bruno colore.
La 'femina del porco spino depone uno
due figli ad un tempo, gli allatta per lo spa-
zio, circa, di un mese, li difende contro ogni
assalto col più grande coraggio, e si lascia
piuttosto uccidere di quel che soffra che le si
tolgano.
Dici che la carne de’ porci spini sia deli-
calissima, e si presenti alle migliori tavole del
capo di Buona Speranza. I loro dardi sono
adoperati da selvaggi a diversi ornamenti, la
cui eleganza gareggia con quella dell opere
degli artisti più distinti. Perocchè li tingono
in difierenti colori, li fendono in più parti i
e se ne servono a ricamare 1 loro panieri,
le lor cinture, i loro baltei, e più altri og-
getti di bella comparsa.
I quadrupedì, di cui si parla, abitano l'In-
dia, la Persia, la Falestina e Yisole dell’ O-
ceano pacifico. Sono pur comunissimi in tutte
le parti dell'Africa, e si trovano talvolta in
Italia e nella Sicilia.
32%
TL RICCIO.
Sembra, al primo aspetto, aver pienissima
rassomiglianza col porco spino, ma quando si
esamina attentamente, ritrovasi. fra ambidue
una differenza estrema, così per la struttura
de’ loro denti, che per la grandezza e le forme:
delle loro spine. La lunghezza. del riccio varia.
dai sei ai dieci pollici: ha la. testa e i fianchi.
ricoperti di dardi, e il naso, la pancia e il
ventre rivestiti. di un. pelo morbidissimo e
finissimo. Le sue gambe sono quasi ignude;.e
i suoi diti, non in minor numero di cinque
per ciascun: piede 5° lunghi e separati. La sua.
coda, lunga un pollice all'incirca, è talmente
ascosa fra le spine, che a. fatica si. distingue.
Abita questo quadrupede ordinariamente. fra.
gli umili rovis e si nutre di fruita cadute,-di.
radici, e di scarafaggi; ma pur molto appe-
tisce la carne eotta. così. lessata- che arrostita.
Esce d'ordinario- la notte, e tiensi occulto nel
giorno entro il suo: nascondiglio.
Il sig. White dice che la. maniera: onde
questo animale mangia la radice delia pian-
lagsine è curiosissima. Perocchè col suo ‘albro
superiore, molto. più lungo dell'altro, scava
quell’ erba ,, e ne rode il piede, lasciando. in-
tatto il resto delle foglie. Con ciò esso. rende
un buon. servigio ,. distruggendo una. radice.
rea
(OXS)
Gabineso Fom. LL QI
3522 IL RICCIO.
incomodissima; se non che i piccioli buchi
rotondi, ch esso viene a fare, deteriorano non
poco i sentieri de’ giardini.
Si è detto che se i ricci giugner possono
ad entrare in un verziere, si arrampicano agli
alberi, e ne discendono con pere, mele,
prugne infisse nella punta de ior dardi; ma
il sig. di Buffon assicura ch'è loro impossibile
il Lilo ove accennammo. Così male a propo-
sito si accusano di mugnere le pecore, e fe-
rirne le poppe; dacchè la picciolezza della lor
bocca rende tal cosa impraticabile.
Il riccio, dice il Piinio francese, sa di-
fendersi senza combattere e ferire senza assa-
dire. Non avendo che poca forza e nessuna
agilità per fuggire, ha ricevuto dalla natura
una spinosa armatura colla facilità di avvol-
gersi in gomitolo, e presentar d' ogni lato
armi difensive e pungetti, atte a respingere
i nemici. Più questi il tormentano, più esso
vestringesi e si fa irto. La paura istessa. il
rende più gagliardo al difendersi. Rilascia la
sua urina, la cui umidità e il cui odore spar-
gendosi in tutto il suo corpo finisce di disgu-
starli. Quindi la più parte de’ cani s’ accon-
ientano di abbajargli adosso, ma si guardano
dal toccarlo. Ve ne hanno però alcuni, i quali
irovan mezzo, come la volpe, d’impadscunirsi
di esso, pungendosi le zampe e insanguinandosi
IL RICCIO. 323
la_ bocca. Esso però non teme né la faina,
nè la martora, nè la puzzola, nè il furetto,
nè la donnola, nè gli uccelli di preda ».
Può quest’ animale, fino a certo segno; es-
sere addomesticato, e fu sovente introdotto
nella dimora: dell'uomo, per cacciarne i grilli,
inseiti importuni , di cui è persecutore acca=
nito. Fra i Tartari calmucchi esso tien luogo di
gatto; e ognuno ha inteso par rlare in Inghilterra
di un riccio, appartenente già ad un locandiere
di Northumberland, che correa per ia casa fa-
migliarissimamente ; e facea sin le parti del
cane volgendo lo spiedo dell’ arrosto.
Il sig. pi Buflon, per altro, ascrive a' ricci
tali atti, che non sariansi dovuti aspettare dalla
loro indole e dalle ioro abitudini. « Ne ho
voluto , dic egli, allevare alcuni, al quale ef-
fetto ho più volte fatta mettere la madre e i
suoi piccioletti in un tino, con abbondanti
provvisioni; ma in luogo di allattarli gli ha
tutti divorati l'uno dopo l'altro. Nè questo il
facea già per bisogno di nutrimento , poichè
mangiava carne cotta, pane, crusca e frutta,
Nè si sarebbe imaginato che un animale sì
lento, sì pigro, a cui nulla mancava fuorchè
ia libertà, fosse di sì cattive wmore e tanto
sdegnato di ritrovarsi in prigione. Molta. ma-
lizia altresì dà il riccio a vedere, e della spe-
cie medesima che quella della scimmia. So d'uno
324 IL RICCIO.
infatti, che introdoitosi una volta in cucina,
e vedutavi una marmitta, ne trasse il bollito,
e vi depose le sue immondezze ».
Nell'inverno i ricci si ‘avvolgono in un nido
di musco, d’erbe e di foglie disseccate, e vi
passano dormendo i rigori della stagione. Essi
stessi in tanto inviluppo rassomigliano un muc-
chio d'aride frondi. Che se vengono di là
tolti e posti al fuoco, escono tosto dal loro
stato di torpore.
Le loro femmine producono a ciascun parto
ì tre e i cinque piccioleiti, che a principio
son bianchi, e sulla cui pelle veggonsi appena
spuntar le spine.
Oltre la specie de’ ricci, che qui abbiamo
descritta, sei altre se. ne conoscono , di cui
messuna appartiene all Europa. Il riccio della
Gujana ha le sue spine più corte, più pic-
ciole e più ritte. che quelli finor ricordati. È
d’ un color pallidissimo, nè apparisce in esso
esterior. segno di orecchi. Quelio della Siberia,
invece , ha orecchie tunghe , ovali, ignude e
erlate di bruno; le sue: narici sono distagliate,
H riccio di Malaga si distingue perle sue lun,
ghe spine e le sue orecchie pendenii. Quello,
elie dicesi tendrac, è presso a poco della gros-
sezza di un sorcio e coperto di picciole spine
su tutto il corpo , eccetto il naso e il ventre
guerniti d’ una specie di pelo fino di colore
IL RICCIO. 325
bianchiccio. Ii tanrec di Madagascar ha cinque
liste longitudinali di nero e di bianco sul cor>
po, le prime coperte di un pelo irto, e le
altre di spine. Così il tanrec come il tendrae
sono in generale grassissimi, e la lor carne,
sebbene insipida, è mangiata dai selvaggi.
LA DONNOLA.
La linghezza di questo picciolo animale pieno
di vivacità è di sette pollici dal muso all’ in-
serzion della coda; e Î altezza sua non più
di due pollici e mezzo. Il colore del suo dor-
so, dei fianchi e delle gambe è un rosso bruno
alquanto pallido; ma il ventre e il petto suo
son bianchi. Osservasi al dissopra delle due
parti, del muso di questo quadrupede una mac-
chia bruna. Le sue orecchie son picciole e ro-
tonde, e la sua bocca è guernita di mustac-
chi, come quella del gatto. Quand' esso dor-
me, i suoi muscoli sono pieghevoli e sì flosci,
che si può prenderlo per la testa, e farlo o-
sciliar come un pendolo cinque o sei volte,
prima che si desi Stanzia principalmente en-
tro buchi, sotto radici d'erbe, e in riva a
ruscelli, Lu slanciasi sulla sua preda.
È di grande utilità pel fittajuolo, cui li-
bera da sorci ed anche dalle talpe, che spesso
giugne a disiruggere nelle loro soticrranee
326 LÀ DONNOLA
abitazioni. È però, ad un tempo, il flagello del
pollame, dei piccioni, dei conigli. e d’ altri
animali della corte rustica. Si getta pure sul.
l’ova avidissimamente, e comincia dal fare
all’ una delle loro estremità un picciol foro ,
d'onde sugge il torlo , e lascia il chiaro; di-
versamente dai ratii e da altri animali, che
vi fanno un gran buco, se pur non li rom-
pono , traendoli fuori del nido. Siffatta circo-
stanza serve come di tesiimonio , che nel po-
dere vi è qualche donnola.
Dicesi che l’ aspetto di questo picciolo ani-
male spaventi il lepre siffattamente, che perde
tutte le forze, e. gli si abbandona senza re-
sistenza ;\mandando grida lamentevoli.
Le donnole sono così feroci e selvagge, che
il sig. di Buffon riguardava siccome cosa im-
possibile I addomesticarle. Molti esempii, non-
dimeno , provano ch'è facile il renderle trat-
tabili.
Madamigella Delaistre , in una lettera su
tale argomento , riferisce particolarità piacevo-
lissime intorno all educazione e a’ costumi di
una donnola, di cui ella avea preso cura, che
sovente mangiava in sua mano, e preferiva
questa maniera di nutrirsi a qualunque altra.
« Il caso , ella dice, mi procurò una gio-
vane donnola di picciola specie. Pregata da ta-
luno. a cui facca pietà, e impietosita io stessa
LÀ DONNOLA. 327
dalla sua debolezza, non le niegai le mie sol-
lecitudini. Nei due primi giorni la nutrii di
latte caldo ; ma giudicando che le abbisognas-
sero alimenti più sostanziosi, le presentai carne
eruda , ch'essa mangiò con piacere. Indi sem-
pre. si è cibata indiffcrentemente di bue, e
di vitello, o di montone, e addomesticata a
segno > che non vi è cane più familiare.
« Non ama punto le vettovaglie guaste; e
neppur le stantie, ma sempre le vuol fresche.
Mangia per veré dire con avidità e appar-
tata; ma spesso anche in mia mano e sulle
mie ginocchia, ove pare che si trovi assai bene.
Gusta molto il latte: s'io gliei presento in un
Vaso , essa vi si pone vicino e mi guarda; 10
allora ne verso a poco a poco nella mia mano,
ove ne beve in buona quantità: ma se non
le uso questa amorevolezza, appena suol assag-
giarne. Quando è ben pinza va d'ordinario a
dormire; i suoi pasti, però, soglion essere leg-
gieri, nè le turbano i piaceri successivi.
« Il luogo ch'essa abita è la mia camera,
dalla quale ho trovato modo di cacciare il cat-
tivo cdore con dei profumi. Dorme durante il
giorno in uno dei miei materassi, ove per una
scucitura ha potuto introdursi. Alla notte poi
io la metto in una gabbia, dove sempre entra
con. rincrescimento, come ne esce con gioja,
Se le si dona la libertà prima ch'io sia alzata,
328 LA DONNOLA.
«iopo mille gentilezze, che fa sul mio ‘let-
‘to, vi entra, e viene a dormire nella mia
mano o sovra il mio seno. Ove poi io mi levi
la prima, per una buona mezz’ ora mi fa ca-
\rezze , giuoca co’ miei diti come .un cagnoli-
no, mi salta sul capo, sul collo., si aggira
intorno alle mie braccia e al mio corpo con
una leggerezza ‘e una grazia, «che mai non ho
veduto in alcun quadrupede. E s'io le presento
le mie mani a più di tre’ piedi di distanza,
vi salta dentro senza sbagliare giammai.
« Ha molta accortezza, singolarmente per
giugnere a’ suoi fini, e sembra non voler fare
ciò che le si proibisce , se non per impazien-
tare: quando più non la guardate, cessa la
sua mala volonià. Come non par che giuochi,
se non per dar piacere, mai non giuoca sola;
«e ad ogni salto che fa, ad ogni giro guarda
se voi l osservate: ove non vi curiate di essa
va a dormire. Se quando è più sepolta nel
sonno, la risvegliate , si scuote allegramente ,
e scherza e tresca con tanta grazia, come non
le aveste disturbato ‘il riposo. Non dà a veder
mal umore che quando la vinchiudete; e lo
esprime con piccioli grugniti differentissimi da
quelli, che fa intendere nella sua gioja.
« In mezzo a venti persone questo picciolo
animale distingue la mia voce, cerca di ve-
dermi, e salta sopra quanti può, per venire
LA DONNOLA. 329
insine a me. I suoi giuochi meco sono più
gai, ie sue carezze più amorevoli. Colle sue
zampetie mi paipa il mento; e il garbo, e il
tripudio , che meco «dimostra, dipingono il suo
interno piacere. lo sono la sola, con cui usi
tania domesticità; e mille altre. picciole pre-
ferenze mi provano, che mi è realmente af-
fezionata. Quando vede, ch'io mi vesto per
uscire, non mi abbandona; ma poi che alfine
me ne sone sbarazzata va a nascondersi in un
picciol ‘mobile, che ho presso la porta; e quando
ripasso mi salta adosso così desiramente , che
spesso non me ne accorgo,
« Sembra tener molto dello scojattolo per
la vivacità, la pieghevolezza, la voce, il lieve
grugnito: Nelle notti d' estate gridava corren-
do, ed era in continuo moto. Ma poi ch &
cominciato a far freddo, più non l'ho udita.
Talvolta nel giorno, quando è sereno, s' .ag-
gira, si capovolge. grugnisce e corre sul mio
letto per alcuni istanti. Dal gusto che prende
a bere nella mia mano , ovio metto pochissi-
mo latte per volta, cui essa sorbisce guccia a
goccia, parrebbe che fosse dalla naiura disposta
a ber la rugiada. Di rado, però, beve acqua,
e solo in caso di gran bisogno, mancando il
latte; ma allora non fa che rinfrescar la sua
lingua una o due volte. Nei maggiori caldi si
spelazzava molto ; ond io le preseniai acqua
330 LA DONNOLA. f
in un tondo, eccitandola ad entrarvi, nè mai
vi potei riuscire. Ma fattovi inzuppare un pan
nolino ; e postogliciona io , essa vi si rotolò
dentro con piacere infinito.
« Singolar distintivo di questo graziosissimo
animale è la sua curiosità. Io non posso aprire
un armadio, una scatola, o guardare una car-
ta, che tosto non venga a guardarvi con me.
Se insoientendo si sHontans od entra in alcuni
luoghi, ov io non ho piacere di vederlo, pi-
gliando una carta o un libro, e fissandovi gli
‘ecchi con attenzione; esso tosio mi corre i
mano, e par che faccia quel ch'io fo con sua
molta soddisfazione.
Spesso gioca, pure, con un gattuccio ed.
un cagnuolo, ambidue già allevatelli, cinge
loro il collo, prende loro le zampe, salta sul
dorso, nè egli mai loro, nè essi a lui fanno
alcun male. »
La miglior maniera di domare le donnole
è di toccarle pianamente sul dorso, minacciar-
le, ed anche batterle, quando cercan di mor-
dere.
Esse vanno a salti, a balzi ineguali e al-
l nopo s' innalzano parecchi piedi” da terra,
strisciano O si arrampicano lungo i muri con
tanta facilità, che non v è luogo, ove giun-.
ger non possano. Il loro morso è fatale alla.
loro. vittima , perocchè la prendono alla testa,
LA DONSNOLA. 394
e piantano i denti, ove la ferita non ha ri-
medio. Questa è si picciola, che appena è vi-
sibile; pur mai nè lepre nè coniglio o altro
“animale fu sì fortunato, che non ne morisse.
Assicurasi che un' aquila avendo un giorno
presa una donnola, e trasportatala neli' alto
dell’ aria, ne fu in molto imbarazzo. Perocchè
la bestiuola si sviluppò da suoi artigli tanto da
poterle mordere il collo. Onde | aquila dolo-
rando fu costretta scendere a terra, e qui la
donno!a le fuggì.
Quest animaie par che abbia grande predi-
lezione per tutte le sostanze putride. » Un
paesano della mia campagna , dice il sig. di
Buffon, prese un di tre donnole appena nate
nel carcame di un lupo, sospeso ad un al-
bero per le gambe di dietro, e già tutto im-
putridito. La donnola madre, però, vi avea
apportate erbe , paglie, e fronde, onde farvi
un letto alla sua prole nella cavità del to-
race. »
Le donnole son conosciutissime in Inghil-
terra, e comuni a tutti 1 paesi temperati dEu-
ropa. Di rado però si veggono nei climi set-
tentrionali , ove il freddo è insopportabile. Il
tempo. dei loro parti è in primavera; e questi
parti sono ordinariamente di quattro o cinque
piccioletti. La madre fa loro un letto di mu:
sco , di foglie e d'erbaggi, e quando teme
Z8ao LA DONNOLA:
per la loro. sicurezza; Si porta di luego in
luogo nelia sua bocca, finchè abbia trovato loro
un asilo più tranquillo.
L'ICTI O IL BOCAMELE.
È della specie delle donnole, si nutre, di
mele, ha circa due piedi di lunghezza dalla
punta del muso alla coda, il dorso d'un cole
grigio di cenere , i fianchi segnati d'una lista
del color medesimo, il ventre nero, le gambe
corte ; le grife proprie a scavar il terreno per
farsi le iane., ed è di un. odor fetidissimo,
onde fu anche nominato tasso puzzolente.
L'icti sembra essere dalla natura formato,
per far la guerra alle api. S'introduce esso
ostilmente nelle loro Nera: , come gliene
dia pienissimo diritto | abilità somma che ha
nel discoprirle, e sforzarne, all'uopo, i irinciera-
menti. Vuolsi che in sul cader del sole si. dia
esso ad inseguirle, onde si mette in sentinella
seduto in sull'anche , e tiensi una zampa agli
occhi, per temperare lo splendor dei raggi
del gran pianeta. Se vede volare alcune api;
persuaso che si avviano alie loro dimore, tien
loro. dietro. sollecitamente, nè più si disvia dal
lor cammino. Così ha Y accortezza di prendere
a guida un picciolo augello, che trasvola ‘lento
L ICTI O IL BOCAMELE; 333
lento- e modulando arie melodiose, e il conduce
ove } api hanno posto i loro alveari.
Quanto a sciami , che albergan nei tronchi
degli alberi, possono dirsi in preda a questo
animale. E come nei primi trasporti di. sua
rabbia, pianta furioso il dente in quei trore
chi, un tal segno, e le traccie, ehe lascia
dopo di sè, additano agli abitanti del pacse
ove possono trovare il Guele!
La pelle di questo quadrupede è così grossa
e dura che riesce quasi impossibile il torlo di
vita, senza dargli gran numero di colpi sul
naso. Perciò gli Ottentoti gli sparan contro
archibugi, o gli ficcano un coltello. nel corpo.
Le sue gambe son corte, nè gli permettono
di sfuggire ai cani, che l' inseguono; ma-ben
si toglie qualche. volta alle lor zampe, mor-
dendoli. e graffiandoli in modo crudele. D’ al-
tra parte la sua pelle. è si poco tesa e- sì flo-
scia ; che non teme i lor denti; peroechè la
parte della pelle. medesima ,. che questi pren,
dono, facilmenie si distacca dalla carne. Ed
ove sia abbrancato al collo, ed anche molto
presso alla testa, si volge, se così posso espri-
mermi, entro la. propria. pelle, e morde il brac-
cio che il fa captivo.
Accertasi che le mute di. cani, che valgon
insieme a mettere in pezzi un lione di media
forza, son più volte obbligate ad abbandonare
334 © L'ICTI O-IL BOCAMELE.
il bocamele , il qual non è morto che in ap-
parenza. Ed è possibile che la natura, che
sembra averlo destinato alla distruzione delle
api, gli abbia conceduta pelle più dura che a
tutte le altre specie di donnole, onde fosse
difeso delle punture di quegli insetti.
Questo quadrupede abiia } Affrica, esi trova
particolarmente al Capo di Buona Speranza.
IL. /Z4BEIT:DO;
Ha poco più di due piedi di lunghezza,
non compresa la coda, che ne avrà uno al-
l incirca. Il suo pelo è sul dorso così rozzo
ed ispido , che forma una specie di criniera.
Il color suo è un fulvo con macchie brunic-
cie. Da ciascuno degli orecchi poi si partono
tre nere liste, le dual vengono a terminare
sul petto e sulle spalle.
Il zibetto si nutre di piccioli animali, par-
ticolarmente d' uccelli , che piglia per sorpre-
sa, e quando può introdursi furtivamente nella
corte di una cascina, Vi dà grandissimo guasto
al pollame. E naturalmente vorace; pur tal-
volta si rotola per uno o due minuti sul suo
nutrimento prima di pascersene.
Uno di questi quadrupedi , che il sig. Bar-
bot avea alla Guadaiuppa, fu un giorno la-
sciato, per negligenza del domestico, senza
| nulla da man
|
IL ZIBETTO. 35.0
giare. All indomani mattina Va-
nimale. spezzò coi denti i ferri della sua. stia,
entrò nella camera ove il sig. Barbot era a
scrivere; e, dopo aver portati quà e là i suoi
sguardi, fè un salto di cinque o sei piedi,
e preso un pappagallo che stavasi appollajato
sovra un pezzo di legno, gli spiccò la testa
e si mise a divorario.
Il profumo che appelliamo zibeito , si pro-
duce da quest animale, di cui porta il nome;
ed è una secrezione, che formasi in un dop-
pio serbatojo inguinale, situato poco sotto la
coda, e dal quadrupede vuotato spontanea-
mente.
Gran numero di simili animali, scrive
Buffon, si nutre in Olanda, ove si fa com-
mercio. del loro profumo. Per raccoglierlo, gli
abitanti del paese pongoro ciascuno di que-
gli animali in una stretta gabbia, ove non può
volgersi. Indi aprono la gabbia medesima al-
l'estremità, tirano l'animale per la ceda, e
il costringono a stare così, mettendo un ba-
stone attraverso ai ferri, onde gli impediscono
le gambe di dietro. Fanno poscia entrare un
picciolo cucchiajo nel sacco , il qual contiene
il profumo, cui raccolgono diligentemente,
raschiando intorno alle pareti del sacco mede-
simo, e il pongono entro wn vaso, che chiu-
dono con gran cura. Questa operazione si
%
336 IL ZIBETTO:
ripete due-o tre volte per settimana; e la quane
tità dell'umore odorifero dipende molto dalla
qualità del cibo e dell appetito dell’ animale ,
solito darne più copiosamente, a misura ch' è
meglio e più delicatamente nudrito. Carne cruda
e tagliuzzata., ova, riso, animaieiti, augelli,
teneri polli, ed in ispecie pesci son le vivande
ch'è uopo offerirgli, variandole 11° modo di
mantenere la sua- sanità., stuzzieando il suo.
gusto.
| « E odore del profumo, di cui parliamo, è
sì forte, che si comunica a tutte le parti del
suo corpo, Il pelo n'è imbevuto e la pelle
né a segno penetrata, che vi si conserva. a
fungo anche dopo morte; e mentre vive è im-.
possibile sostenerlo, ove si. stia. chiusi coll’ a-
mimale- in un medesimo luogo. Scaldandolo - o
irritandolo, l’odor si esala ancor davvantaggio;
e tormentandolo poi sino a- farlo sudare; se
ne raccoglie questa traspirazione, clie anch' essa
è profumata, e serve a falsificare. il vero pro-
fumo, o almeno ad: aumentarne il volume.
- Gli abitanti di Dorfan. usano di un singolar
mezzo , onde aumentare il prodotio del zibetto.
Perocehè pongono nel sacco picciola quantità
di burro o di grasso; indi scuciono. violente-
mente l animale, o anche l ivritan battendolo.
Cuesto aceelera a meraviglia la secrezione;. e
il-burro o. il grasso dei sacco s impregna.di
IL ZIBETTO. 337
tanto profumo, che appena sì distingue da
- esso, e le femmine se ne servono pei loro
capegli.
Quantunque naturalmente feroce, il zibetto
può addomesticarsi e divenir famigliare. Dorme
esso aggomitolato, né, durante il sonno, o sia
giorno o sia notie, mai non cangia posizione,
LA MARTORA.
È la più bella fra tutta la razza delle don-
nole. Ha circa diciotto pollici di lunghezza non
contando la coda, la qual d' ordinario è di
dieci essa sola. La sua testa è picciola e di
forma elegante; le orecchie son larghe, ro-
tonde ed aperte, gli occhi singolarmente vi-
vaci. Foltissimo pelo d’ un color bruno carico
ricopre il suo corpo. Il color della testa, in-
vece è un bruno rossigno ; e quello del petio
e della pancia è bianco. Sul ventre il suo pelo
è ancor più ricco e più scuro che non sul
dorso. L’ unghie sue sono acute, e proprie a
facilitarle il mezzo di arrampicarsi.
La martora vive nei boschi, ed ha il suo
ordinario domicilio nei cavi degli alberi, a tal
altezza però e in tal guisa, che può tenervisi
pienamente sicura. Preferisce in generale, quasi
a risparmio di prime fatiche , il nido di uno
scojattolo , cui poscia dilata, e guernisce di
Gabinetto Tom. L 22
339 LA MARTORA.
sostanze morbide e leggieri, su cui depone i
suoi piccioletti. E poco sarebbe quell’ atto di
usurpazione, se anche non uccidesse l’ingegnoso
architetto.
ti coraggio della martora è tanto, che assale
animali assai più forti e più grossi ch' ella non
sia, fino lepri e montoni; ed,’ ove necessità
la costringe, anche i gatti selvaggi, che sem-
pre ne La la peggio, se pure nel combat-
timento non perdono la vita. Malgrado però
sì gran fierezza non sembra impossibile il man-
suefarla; poichè Gesner ne dice d' averne ad-
domesticata una, la qual riusciva molto gra»
ziosa e molto piacevole. Molto si era affezionata
ad un cane cor cui si allevò, e con esso
giuocava non diversamenie da un gatto , co-
ricandosi in ischiena, e fingendo volerlo mor-
dere. Visitava le case del vicinato, e tornava
regolarmente alla sua, quando sentiva boo
di mangiare.
La alba ha un odor di muschio, che a
molti diletta, ed è affatto immune da quelle
fetide emanazioni, che tanto disgustano negli
altri animali della sua specie. Il suo grido è
lento e penetrante; ma nol fa intendere, che
quando prova dolore, o trovasi in estremo
pericolo. Il suo nutrimento ordinario si com-
pone principalmenie di ratti, di sorci, e d'altri
piccioli quadrupedì , non meno che di pollame
LA MARTORA. 339
di selvaggiume. Del mele poi è singolarmenie
golosa.
La femmina di questa specie produce ire 0
quattro figli ad un parto, e gli alimenta d’uova
e di vivi augellini, ES così di buon
ora alla strage e alla depredazione. Appena sono
essi in istato di lasciare il nido, che li mena
al bosco, ove proveggono da sè medesimi alla
lor sussistenza.
Si va nel settenirione a caccia delle marto-
re, per averne le pelliccie, che sono di gran
pregio, e forman quindi un oggetto di com-
mercio assai riguardevole.
IL ZIBELLINO
La lunghezza di questo animaletto agile e
petulante è di circa dicioito pollici. La sua te-
sta è sottile, e il suo pelame d'un bruno
carico lucentissimo , e sempre morbido, co-
munque si prema, a differenza di quello di
tutti gli altri animali. che preso a rovescio fa
sentire qualche asprezza per la sua resistenza.
Il zibellino frequenta le rive de fiumi, e i
luoghi più ombrosi delle foreste; e fa d' or-
dinario il suo mido sotterra, o nel cavo de-
gli alberi. In estate si nuire di carne d'uc-
celli, di scojattoli e di lepri; ma in inverno
è ridotto a rosicchiare il legno di differenti
340 IL ZIBELLINO.
arbusti. La femina della sua specie partorisce
1 primav era dai tre ai a piccioletti per
volia.
I nativi del Kamtschatka usan d'un metodo
semplicissimo, onde prendere l’animale, di cui
si tratta. I seguono eglino con certe loro scarpe
a rete sinché abbian discoper ta la sua tana.
Esso scorgendoli si nasconde in qualclie iron-
con d albero, che i cacciatori circondan tosto
di una ragna, se. pur nol troncano. ‘Talvolta
forzano il zibellino con fuoco e con fumo a
lasciare il suo asilo; c prima gli pongono
guardia di cani a ciò ammaestrati ; 0 appre-
stano una corda con nodo a ricorsojo, in cui
viene a dar di capo, o piantano trappole ;
in ogni caso il povero animaletto diviene fa-
citmente loro preda. La stagione di dargli cac-
cia è dal novembre sino al febbrajo.
Le pelli de zibellini son pregiatissime sopra
quelle di tutti gli altri animali, perocchè a!-
cune si vendono fin dieci e quindici sterlini.
1 loro ventricoli, che saran lunghi due diti
ciascuno, si vendono in pacchetti, a quaranta
per volta; le code al cento. |
Sappiamo d' alcuri zibellini passati im certo
modo allo stato di domesticità. Ul sig. Gonélin
ne ha veduti due, che, quando scorgevano un
cane , si alzavano sulle lor zampe di dietro,
onde prepararsi al combattimento.
IL ZIBELLINO. 34i
Nella notie sono inquietissimi ed attivissimi.
Di giorno , all'inconiro, e soprattutto dopo
aver mangiato , dormono per una mezz ora,
nel qual tempo si possono prendere e scuotere
senza che si risveglino.
Trovansi questi animali nel settentrione del-
? America, nella Siberia, nel Kamstchatka e
nella Russia asiatica.
L'ICNEUMONE.
È ordinariamente della grossezza di un gat-
to, ma un po più lungo di corpo e più corto
di gambe. I suoi occhi son rossi e scintillanti;
le crecchie quasi ignude e rotonde; il naso
anch’ esso rotondo e assai picciolo; la coda
grossa assai alla sua base, donde via via si
sminuisce fino all esiremità. Il color suo è un
rossiccio pallido, che riesce grigio; poichè cia-
scun pelo è spruzzato di bruno. Ha voce esile
e dolce, che somiglia un mormorio, nè si fa
aspra, che quando è battuto o irritato.
Era esso una delle divinità dell’antico Egit-
to; € dal moderno ancor si riguarda come il
più utile e il più prezioso fra gli animali,
cichè si mostra nemico implacabile de’ serpi,
e d'altri rettili venefici, che infestano la zona
torrida. Assale intrepidoi più terribili, e vuolsi
che morsicato da loro abbia ricorso ad una
342 L'ICNEUMONE.
pianta, che gli serve d'antidoto al lor veleno;
dopo di che torna al combattimento , e quasi
sempre ne esce vittorioso. È migliore del gat
to, onde purgar la casa da’ ratti e da’ sorci,
€ grandissime disiruttere d’ uova di colli
cui va a dissotterar dalie arene.
Fouché d’ Obsonville avea allevato nell’ In-
dia un icneumone o mangouste che voglia
ehiamarsi , nutrendolo a principio di latie,
poichè era sì tenero che appena apriva gli
occhi; indi con carne cotta mescolata con riso.
Castrato all’ età di quattro mesi divenne più
familiare di un gatto, obbediva alla voce del
padrone , e il seguiva alla campagna. Gli si
apportò un giorno un serpentello d’ acqua
ancor vivo. Il primo suo moto al vederlo fu
di meraviglia mista a corruccio, onde tutti si
rizzarono i suoi peli. Ma un istante appresso,
insinuandosi destramente dietro il rettile, gli
saltò d’ un tratto alla testa con singolare pre-
stezza, gliela prese, gliela franse co’ denti.
Questo primo saggio di sè medesimo, destò
in lui il gusto della carnificina, ch' è innato
nella sua specie. Fino allora avea vissuto in
una corte rustica frammezzo a’ polli, senza dar
loro molestia. Ma un dì gli scannò quasi tutti,
mangiandone, è vero assai poco, ma succiando
il sangue di parecchi.
Quest animale si trova nella Barberia , al
L'ICNEUMONE. 345
Capo di Buona Sperauza e in Egitto, ove fre=
. »- . - . MT
quenta le rive de’ fiumi; e quando il Nilo
straripa, si rifugia in terreni alti e disabitati,
ove cercar la sua preda. Assicurasi che quando
nuota, s attuffi alternativamente ne fiumi come
la lontra; e rimanga sott'acqua DI un tempo
considerabile.
Trovasi ora (1806) un inclini nel
parco d' Exeter-Change, ove fu condotto, già
son due anni, al sig. Pidcok dal gran Cairo.
li suo cusiode mi disse che non si nutriva
he di fr lie di polli b d
coe di Ivaltague di poll, e ne Dasiavano due
o ire oncie per sua pietanza giornaliera.
CAPITOLO VII.
Questi sottili e negri animaletti
Scojattoli chiamati,
Perchè si trae da lor molti diletti,
Per voi gli abbiam portati,
et e SINO
Questi animal sono a scherzar molto alti
Con gentilezza umana;
E benché sian di selve e boschi tratti,
Non son cosa villana.
CANTI CARNASCIALESCHI.
LO SCOJATTOLO.
()crsro animaletto si fa ammirare per Lele-
panza delle sue forme e la sua vivacità. Sebben
naturalmente selvaggio, è facile addimesticarlo,
e malgrado la sua estrema timidezza, in breve
divien familiare. Ecco di qual guisa. ne parla
il sig. di Buffon. i da
& ud cibi ordinarii son frutta, mantorle,
mociuole , farina e ghiande. “Esso è pulito, le-
sto, Vivace, pronto, accortissimo;: industrioso
al maggior segno. Ha gli occhi pieni di fuo-
55
co, le fisonomia furbetta, il corpo nervoso,
x ALI )
\
\ L $i
\ jp Vu:
‘ARA Aiino
RIA
AES UO:
cares sa
3 oo = $ ss
farti te: Frisso È,
LO .SCOJATTOLO. 345
È): membra assai ben disposte. Alla sua graziosa
figura aggiugne nuovo ornamento un’ assal
bella coda in forma di pennacchio, ch’ esso
alza fino al dissopra della sua testa, e sotto
cui si pone all’ ombra. Esso è, per così dire,
“meno quadrupede degli altri animali a quattro
gambe. Si tiene ordinariamente assiso , anzi
quasi diritto, ed usa de’ piedi anteriori, come
si farebbe delle mani, per recarsi le cose alla
bocca. In luogo di nascondersi sotterra è sem-
re in aria; tien quasi della natura degli au-
gelli per la sua leggerezza ; dimora com’ essi,
in cima agli alberi; saltando d' uno in altro
6 le foreste; fa in essi il suo nido, ne
‘coglie i grani, vi beve la rugiada , enon ud
Va ara. che quando sono agitati dalla violenza
‘de venti. Teme l'acqua più di tutto, e assi-
‘curasi che, quando gli è uopo passarla, servesi
d una scorza per vascello, e della. sua coda
per vela e per timone. Non istupidisce già
come il ghiro, nell’ inverno, ma in ogni sta-
gione è svegliatissimo, e per poco che si toc-
chi il piè dell’ albero, su cui riposa, esce dal
suo covo; fugge sovr altra pianta, o si ripara
sotto qualche ramo. In estate raccoglie nociuo-
le, ne empie i tronchi e le fenditure di qual-
che ceppo antico, e ne’ rigidi giorni ha poi
ricorso a queste provvisioni, cercandole anche
sotto la neve, cui distrae raspando.
346 LO SCOJATTOLO.
Sentonsi gli scojattoli neile beile notii
d'estate gridar correndo sugli alberi, gli uni
dietro gli altri. Par ch' essi .temano l'ardor del
sole, onde si stanno il giorno al coperto en-
tro il lor domicilio, da cui poi escono la sera
per muoversi, giuocare , far l’ amore e man-
giare. Quel domicilio è assai pulito, caldo,
impenetrabile alla pioggia. /Si collocano essi
d' ordinario nell inforcatura ‘di un albero, e
cominciano dal trasportarvi ramuscelli, cui me-
scolan con musco. Indi calcan questa mesco-.
lanza, empiono i vacui, danno capacità e fer-
mezza alla fabbrica loro, onde trovarvisi con
agio e sicuri insieme a' lor piccioletti. Non vi
lasciano che un'apertura verso l'alto, propor-
zionala, ma stretta e che appena basta a pas-
sarvi. AI dissopra deil apertura è una specie
di coperto fatto a cono, che difende il iutto,
e fa che la pioggia scorra pe lati, senza pe-
netrare. La stagione degli amori per gli sco- |
jattoli è la primavera; e alla fine di maggio
poi o al principio di giugno vengon in luce
i lor piccioleiti, che d ordinario son ire 0
uattro ».
Pare che lo scojattolo sempre stia in ascolto
o in agguato. Assicurasi che sol che si tocchi
il piè dell’albero ove posa, non sol lo abban-
doni saltando sopra di un altro, come dice il
celebre naiuralista pur or citato, ma percorra
LO SCOJATTOLO. 347
grande estensione delia sua foresta, fino a che
si creda affatto fuor di periglio. Aliontanatosi
di questa maniera , per alcune ore a distanza
considerabile, quando il suo timore è cessato,
ritorna al proprio nido, per vie impraticabili
a tutt'altro quadrupede. In generale salta esso
di ramo in ramo, varcando grandi intervalii ,
e se talvolta è costretto scender da un albero,
si arrampica al più prossimo e il fa con pro-
digiosa facilità.
Ne” paesi settentrionali lo scojattolo cangia
colore all’ avvicinar dell'inverno, e diviene
affatto grigio. E a notarsi che tal cangiamento
colà si effettua, anche quando | animale è te-
nuto in luoghi riscaldati dalle stufe» Si trova
esso quasi dovunque, ma è più frequente che
per tutto altrove nelle conirade del Nord
me paesi temperati.
LO SCOJATTOLO GRIGIO
E, all’incirca, della grossezza del coniglio ,
e molto rassomiglia per la forma e per le ma-
niere, allo scojattolo ordinario. Il suo pelo è
grigio, con qualche mistura. di nero; ma ciascun
fianco è segnato d'una rossa lista, che si stende
per tutta la sua lunghezza.
Gli animali di questa specie cangiano spesso
dimora durante tutto l'inverno; e spesso non
348 10 SCOTATTOLO GRIGIO.
ne compare un solo in que luoghi ove nell'anno
antecedente ne erano migliaja. Nelle lor migra-
zioni d'uno in altro paese trovansi talvolta obbli-
gati a traversar un lago od una riviera; e quando
il tempo è sereno lo fanno con piera sicu-
rezza. Ma se il vento è forte, e s alzano l’ onde,
ne periscono talora tre o quattro mila in una
volta. i
Questi scojattoli, dice il sig. di Buffon,
cagionano gran guasto nell’ America settentrio-
nale, e sopratutto fra le piantagioni di maîs.
Montano essi sopra le -spiche, e le troncano
in due per mangiarne il midollo; e siccome
gettansi talvolta in un campo a centinaja, ba-
sta una notte perchè il distruggano ».
Nello stato di Maryland ciascun degli abi-
tanti, e non sono molti anni, era obbligato ad
apportare ogni anno quattro scojattoli, le cui
îieste, a scanso d'ogni specie di frode, venivano
deposte in mano dell'ispettor generale del paese.
In altre provincie chiunque uccidesse uno di
tali quadrupedi, ne ricevea certa moneta dal
pubblico tesoro.
La sola Pensilvania pagò dal gennajo 1749 al
gennajo 1750 una somma di otto mila lire ster-
line in ricompense date per la loro distruzione.
Fanno essi ordinariamente i lor nidi in tronchi
d' alberi con paglia, musco ed altre sostanze
leggiere, e si nutron di ghiande, di pignuoli,
LO SCOJATTOLO GRIGIO. 349
di maîs e d'altre specie di frutti, che depon-
gono entro buchi sotto le radici delle querce
e in altri luoghi. Difficilissimo è I ucciderli ,
poichè cangiano sì prontamente di posto sugli
alberi, che eludono i colpi d' archibugio del
| più destro cacciatore. Vi ha chi ne mangia la
carne, e la ritrova molto delicata. Le loro pelli
servono in America a far scarpe per le si-
gnore, e si portano talvolta in Inghilterra, ove
si usano per fodere e rovesci di manti.
LO SCOJATTOLO VOLANTE.
Quest animale si distingue particolarmente
per una membrana vellosa, che stendesi quasi
tutt intorno al suo corpo, e lo ajuta a saltare
da un albero all’altro, talvolta alla distanza
di venii o trenta verghe. La sua testa è pic-
cola e rotonda, il suo labbro superiore bifido o
fesso; i suoi occhi sono sporgenti e neri; le sue
srecchie piccole e nude ; ia parte più alta dei
suo collo d'un color bruno cenerognolo, e il
venire di un color bianco misto di fulvo.
Gli scojattoli volanti sempre si riuniscono
a bande. Se ne vedono parecchi sopra di un
solo albero, che mai non abbandonano volon-
tariamente per correre ad un altro; e si ten-
gon costanti sul ramo istesso, ove dapprima
si posero. Dormon nel giorno, e all’ avvicinar
350 LO SCOJATTOLO VOLANTE.
della notte si fan vivissimi e petulantissimi.
Saltando a distanze considerabili allargan le
loro gambe di dietro ed estendono la loro
membrana laterale, la qual fa che presentando
all'aria maggior superficie riescono più leggieri.
Malgrado questo sostegno sempre han bisogno
dei rami inferiori dell’ albero su cui saltano ,
atteso che il loro peso toglie ad essi di man-
tenersi in una linea orizzontale. Istrutti quindi
di quest’effetto della gravitazione del loro corpo
gran cura si danno di salir molto alto ne!-
Y albero, su cui si trovano, onde preservarsi
dal cadere a terra saltando. Le loro membrane,
quando sono distese, agiscono sull’ aria presso
a poco dell istessa maniera che il cervo vo-
lante, e non a colpi ripetuti, come le ale
d' un uccello. E poi che sentonsi naturalmente
più pesanti che il fluido atmosferico, sono dalla
necessità costretti a discendere. La distanza, quin-
di, a cui possono saltare, dipende interamente
dall’ altezza dell’ albero, su cui si tengono.
Catesby ne dice come la prima volta ch' ei
vide una torma di questi quadrupedi, imaginò
che fossero foglie d’alberi trasportate dal vento;
dal qual inganno lo trasse ben tosto I osser-
varne in gran numero che seguivansi gli uni
gli altri nella stessa direzione.
La femina di questa specie, di cui favellia-
mo; produce due o quattro piccioletti, cui
LÒ SCOIATTOLO VOLANTE. 3DI
nutre colla più gran tenerezza e li ripara dal
freddo coprendoli colle sue membrane volanti.
Facilissimo è il nostro scojattolo ad essere
addomesticato. Ama esso il calore, e si caccia vo=
lentieri nella manica o nella saccoccia del suo
padrone. Se questi il depone a terra, l ani-
maletto dà segno di molto dispiacere, e tosto
risale per accovigliarsi fra gli abiti di lui. Si
nutre degli stessi alimenti, e si purga del lor
soverchio alla guisa stessa dell’altre qualità di
scojattoli, de’ quali già dicemmo.
Trovasi in tutte le regioni settentrionali e
dell’ antico e del nuovo continente, ma più
ancora in America che in Europa.
IL GERBO
È un po più picciolo che il ratto, ed he
molta rassomiglianza col coniglio. Parmi singo-
larmente osservabile, perla conformazione delle
sue gambe: poichè le anteriori non hanno che
un pollice di altezza, e gli servon di mani,
onde recarsi il cibo alla bocca, e le posteriori
son lunghe, ignude, e come quelle di un uc-
cello, non avendo ciascuna che tre diti. La
sua coda è molto più lunga che il suo cor-
po, e termina in un bel fiocco e assai grande.
I suo pelo è lungo e setoloso, d'un color
352 IL GERBO:
rossigno nelle parti superiori del corpo s €
bianco sotto il ventre.
Trovasi il gerbo nell’ Egitto, in Barberia,
nella Palestina e ne’ deserti orientali della Si-
beria. E suo costume di scavarsi la tana in
terreni duri ed argillosi, il che fa con pre-
stezza grandissima, non solo adoperando i piè
dinnanzi, ma anche i denti, mentre co’ piedi
posteriori getta la terra scavata, e ne forma
quasi trincea all ingresso. Simili tane hanno
più braccia di lunghezza, sono serpeggianti ,
poco più profonde sd due piedi sotto la su-
perficie del suolo, e finiscono in un gran spazio
c nido, ove l’ animale depone erbe elette. Da
questo nido, con mirabile sagacia, si forma esso
un secondo passaggio pei casi di necessità onde
potersi, con facile apertura , sfuggire sicura-
mente.
Le arene e le materie che circondano la
moderna Alessandria, dice il sig. Sonnini, sono
frequentatissime dai gerbi, i quali vi soglion
vivere a truppe, e si fanno tane, cui scavano
con unghie e con denti. Mi si è pure assicu-
rato ché trapassino la pietra non dura, la qual
si trova sotto lo strato di sabbia. Senz' essere
precisamente feroci, sono inquietissimi ; e il
minimo strepito, il minimo oggetto nuovo li
fa ritirare ne’ loro cavi pei i Non
si può ucciderli che sorprendendoli. Gli Arabi
IL GERBO. 353
sanno pigliarli vivi, turando le uscite delle d'-
verse gallerie de’ loro nascondigli, eccetto una
per cui li forzano a sortire. Io. mai non ho
mangiato della lot carne, che so non aver
lode di troppo buona vivanda; pure il popolo
d’ Egitto non l'ha a schifo. La loro pelic, che
è coperta di un vello morbido e lucente, si
adopera in usi ordinarii.
« Ho nudrito per qualche tempo in Egitto
sei di questi animali in una gran gabbia di
fil di ferro. Nella prima notte essi ne minuz-
zarono interamente i regoli e i traversi di legno,
onde fui costretto di far guernire l' interno di
latta. Mangiavano frumento, riso, noci ed ogni
sorta di frutti; molto godevano del sole; e
tosto ch’ erano messi all’ ombra, stringevansi
gli uni contro gli altri, e parean soffrire della
privazion del calore.
E stato detto che i gerbi dormono di giorno;
e di notte giammai. Per me ho veduto tutto
il contrario: nello stato di libertà s' incontrano
in piena luce d’intorno alle lor abitazioni
sotterranee; e quelli, ch io ho nutriti, non
erano mai più vivi o risveglia, che quando
sì trovavano esposti alla ferza,del sole. Sebbene
siano molto agili ne lor movimenti, par non-
dimeno che la dolcezza e la tranquiliità for-
mino il lor carattere. I miei si lasciavano
toccar facilmente ; non v'era mai tra essi né
Gabinetto Tom. I 23
35, 4 iL G ERDO.
strepito. né litigi, neppure irattandosi del nt-:
trimento. Del resto non mostravano nè gioja,
nè timore, né riconoscenza. La loro dolcezza
non era punto amabile; e parea piuttosio P ef-
fetto di una fredda indifferenza, che accostavasi
alla stupidità. Tre di questi gerbi perirono:
successivamente prima della mia partenza da
Alessandria; due altri ne perdettt in un tra-
verso un po’ disastroso fino all'isola di Rodi,
ove uno, per negligenza di chi lo avea in cu-
stodia, uscì dalla sua gabbia e disparve. Lo
feci ricercare con gran sollecitudine , quando
il vascello si scarico, ma indarno ; chè certa-
tamente era staio divorato dai gatti.
« Î piccioli animali di cui parliamo , sem-
brano difficili a conservarsi in cattività,- e
ancor più a trasportarsi ne nostri climi. Del
resto è bene l'avvertir quelli, che il tentassero,
delle cautele necessarie a quest’ uopo, e sono
le stesse che si usano cogli agouti, ed altri
quadrupedi roditori dell’ America ; chiudendo-.
gli in gabbie o dogli, onde non possano
uscire. Portndoli la lor natura a iuîtto divo-
rare, cagionerebbero nel corso del viaggio
danni considerabili; se forse, rosicchiando essi’
il legno più duro, non mettessero la nave in
pericolo.
SME STT
(SK
(Sci
IL LEPRE.
Timido animale e senza malizia, il quale
trovasi in intie le parti settentrionali del glo-
bo, ed è sì generalmente conosciuto, che
possiam dispensarci dall’ offerirne qui particolar
descrizione. È però bene l' osservare, come,
poichè si trova sprovveduto di mezzi di di-
fesa, la natura gli ha dato altri sussidi, onde
sottrarsi a’ pericoli, e forme convenienti al suo
genere di vita. Però la grandezza ed acutezza
de’ suoi occhi lo pongono in istato di guardar
gli oggetti da ogni parte; le sue orecchie
lunghe e tubulose possono moversi per ogni
guisa con molta facilità e raccogliere i suoni
più lontani; e la forza mus sculare delle sue
gambe posteriori gli dona di poier sopravan-
zare tutilt 1 SUO! NEMICI,
Il color del suo corpo non dissimile da
quello delle stoppie e di un terreno col-
tivato contribuisce anch’ esso evidentemente
alla. sua sicurezza. Assicurasi che nelle contrade
settentrionali diventa candidissimo, allorchè le
nevi cominciano a cadere}; la qual singolarità,
È cagione che possa, in qualche modo, illu-
dere i cacciatori che il perseguono. Si sono
veduti lepri bianchi nel mezzogiorno dell’ In-
ghilterra, e pretendesi, che nel 1797 siasene
356 IL. LEPRE.
ucciso uno nella contea di Shrop, il qual pe-
sava nove libre.
La femina ha meno forza e agilità che il
maschio, e in conseguenza è più timida: ma
dicesi che sappia moltiplicar d' avvantaggio gli
accorgimenti e le industrie.
Come i lepri si tengono il più spesso in
rasa campagna , i loro piedi sono guerniti di
pelo e al dissopra e al dissotto. Alla sera ;
quando splende la luna, è un piacere il ve-
derli a correre, giuocare, folleggiare insieme,
e inseguirsi gli uni gli altri. Ma facilmente
prendono sospetto , e al minimo strepito fug-
gono da diverse parti. Il loro passo è una
specie di galoppo o una rapida successione di
salti.
In generale prendono essi il loro cibo dopo
il tramonto del sole, e di giorno dormono
nella lor tana, cui d'inverno scelgono per
istinto ai raggi del sole, onde raccogliervi
tutto il calor possibile della stagione. D' estate
poi, per un motivo contrario, si trasferiscono
a tramontana; ma in ambedue i casi cercano
sempre tal luogo, ove gli oggetti circostanti
conforminsi pei colore al loro pelo.
I lepri variano considerabilmente di gros-
sezza e di peso. Vuolsi che i più piccoli abi-
tino l'isola d Hai, e i più grossi quelia di
Man. Il sig. di Bufion assicura, che più i
IL LEPRE. pai
paesi , ove si trovano , son freddi; più sono
essi membruti e pesanti. La loro estrema ti-
midezza , e il perpetuo timor de’ pericoli im-
pedisce loro d' ingrassare; ma nello stato di
domesticità avviene altrimenti. « Si nutrono essi
principalmente, dice il Plinio francese, d' erbe,
di radici, di foglie, di frutti, di grani, e
preferiscon le piante il cui suco è lattiginoso.
D'inverno rodono anche le scorze degli alberi,
nè avvi che l'alno e il tiglio, che lascino
intatti. » i |
Osservasi che questi animali generano in
ogni tempo, eccetto soltanto ne’ due più freddi
mesi della rigida stagione. La gestazione della
femina non dura oltre un mese, ed ogni suo
parto è di due o tre piccioleiti , cui allatta
per tre settimane. Indi lascia che vadano in
eerca essi medesimi del loro nutrimento, e si
formino proprie tane, le quali sempre rie-
scono distanti sessanta o ottanta passi le une
dalle altre.
Il padre Daniel cita in esempio della loro
fecondità quello di un pajo di lepri maschio
e femina, che rinchiusi in un giardino per lo
spazio di un anno diedero al termine di esso
il frutto di cinquantacinque leprotti.
La puzzola, le donnole e differenti uccelli
di preda sono i naturali nimici del lepre. Il
cane anch’ esso lo persegue per istinto, €
358 IL LEPRE.
l'itomo , assai più formidabile per lui che
tutti quegli altri. animali, usa ogni sorta di
insidie per impadronirsene.. Talvolta usa, a
questi! uopo ; il falcone, massime quello d’ I
slanda. Nel ‘qual caso il povero lepre , che
troppo è convinto delia superiorità dell’'avver-
«sario, non si muove dal suo nascondiglio, ove
un levriere nol faccia alzare; e allora è ine
| witabilmente preda del rapace augello.
I Druidi e i Brettoni antichissimi tassavano
d’ empietà il mangiar la carne di quest’ ani-
male. J Romani per altro riguardavanla, come
noi, cibo delicatissimo. Oggi gli Europei tanto
più la pregiano quanto più sa di selvatico. .
I giri e rigiri che fa il lepre quando è in-
seguito son curiosissimi e sorprendenti, e l'arti
ehe usa onde sfuggire al nemico indicano
in esso una sagacia senza pari. Incalzato da
vicino € per ‘lungo tempo, gli avviene tal-
«volta. di cacciare qualch' altro lepre dal. suo
nascondiglio e di prenderne il posto. Qualche
volta si fimescoli ad un brarico di agnel-
.Je, o s' arrampica ad un vecchio muro, e
si nasconde fra l erbe delia sua sommità; ov-
‘vero traversa una riviera a più riprese, e a
piccole distanze l' una dall altra. « Ho veduto,
dice Fonilloux, un lepre sì malizioso, che,
appena udiva il suono del corno, si. alzava
slal suo covaceio, e andava a gettarsi in uno
IL LEPRE, 3IG
stagno , fosse anche stato un quarto di lega
L0no, riposandosi , cioè a dire SERA
tratto tratto fra giunchi, senz’ essere in aleun
modo cacciato dai cani. »
« E questo è appunto, scrive il sig. di
Buffon, il più mirabile dell’ istinto dei lepri,
poichè le loro industrie ordinarie sono assai
meno esquisite. Si contentano essi, quando
son fatti levare ed inseguiti, di correr rapida
mente e volgersi quindi e ritornare su’ loro
passi. In generale i lepri nati nel luogo stesso,
ove si dà loro la caccia, mai non si dilungano
c_ sempre lornano alla lor tana. »
Questi animali sono mansuetissimi e di fa-
cile educazione. Talvolta, però , avviene che
non si riesce ad addomesticarli. Spesso anche,
dopo averli presi assai teneri, allevati in casa,
usate loro tutte le cure, giunti che siano a
certa età, colgono la prima occasione di ricu-
perare la loro libertà.
Il dottor Townson, essendo a Gottinga ,
pose tanto studio nell’ educarsi un leprottino,
che riuscì a renderlo familiare olire il consueto
deila sua specie. Scherzava esso, sì arrampi-
cava e correva or pel letto o pel sofà del pa-
drone ; talvolta ne suoi giuochi gli saltava
addosso , il batteva colle sue zampette anteriori,
o se stava leggendo g cli faceva cadere il libro
di mano. Qualora però entrasse nella. camera
RE
esc
Ga
360 IL LEPRE.
alcun straniero, sempre dava segni di moltis-
simo timore. i
Il sig. Borlase assicura di aver veduto un
lepre sì familiare, che mangiava nelle mani
delle persone , riposava sovra una seggiola
nella camera, ove veniva chiunque, e parea
in tal luogo egualmente sicuro, che il più
domestico de cani. Talvolta andava in giardino;
ma dopo aver mangiato, ritornava alla camera
che dicemmo , e ripigliava il suo posto usato.”
Suoi compagni ordinarii erano un levriere ed
un can di Spagna, ambidue sì pazzi per la
caccia, che talvolta vi andavano senz’ esservi
condotti. Pure il lepre passava le notti con
loro, dormiva sull’ istesso tappeto, e persino
sul corpo o dell'uno o dell’ altro.
Scrittori 1 più credibili hanno citato esempi
di lepri allattati c nudriti dal lor naturale ni-
mico , il gatto.
« Un mio amico, dice il sig. White, avea
un leprotto, che gli fu portato assai giovane,
e che quei di casa nutrivano, dandogli il latte
nel cucchiajo. La sua gatta frattanto partorì; e i
gattini da essa nati furono uccisi e sepolti nel
giardino. Or avvenne che ad un tratto il leprotto
sparì, e si credette 0 ucciso anch’ esso o ru-
bato. Quindici giorni appresso, però, stando
il padrone seduto in giardino, vide la gatta
venirgli all'incontro, con la coda alzata e
iL LEPRE. 361
miagolando in quel modo che le gatte soglion
fare, quando chiamano i loro figli. Un mo»
mento dopo scorge un non so che di saltel-
lante dietro di essa; era il leprottino cui già
avea preso ad aliattare , e a cui avea posto il
più grande afletio.
« E questo per quanto strano ci sembri,
proveniva naturalissimamente da un sentimento
di tenerezza materna , che la perdita de’ suoi
piccioletti avea in essa risvegliato; dal sollievo
che provò lasciando succhiare al leprottino le
sue mammelle gonfie di latte; e infine dall’ a-
bitudine, che le inspirò in favore dell’anima-
letto straniero ciò che l'istinto dettavale pei
proprii figli ».
Riferisce il dottor Darwin nella sua Zoono-
mia, che un ecclesiastico d' Elford presso di
Lichifield, avendo rapiti i picciolini d'una
iepre da lui uccisa, gli affidò ad una gatta, di
cui pur dianzi si erano gettati via i figli. La
bestia se li raccoise, diè loro il latte, e li
trattò come fosse stata la propria loro madre.
Può recarsi in prova della docilità del lepre
l'esempio di quello che vedeasi pochi anni
addietro a Saddier's Wells (luogo ad una lega
da Londra celebre pel suo teatro popolare »
e suonava il tamburo colle sue zampe ante-
riori; mentire un uomo con altro tamburo
facea il giro del teatro. È veramente cosa
362 IL LEPRE.
inconcepibile che un’animale sì timido abbia po-
tuto essere avvezzato a sostener la presenza di
numerosa assemblea, che gli dava cento ap-
piausi, ed uno splendor di lumiere fatie per
abbagliarlo; pure non può mettersi in dubbio.
I. singolarità vedeasi a Parigi nel
1810 sugli spettacolosi bastioni ).
Le pelli di lepre sono di grandissimo uso,
per la fabbricazion de’ cappelli ; e però molte
migliaja se ne asso ogn anno di Rus-
sia in Inghilterra.
IL CONIGLIO.
est animale, sebben somigliantissimo per
indole e’ per forme a quello che lo precede,
è però di una specie distinta; ed ove si chiuda
insieme col lepre, ne nasce fierissimo com-
battimento , nel quale Ì' uno de due è uopo
che soccomba.
La fecondità del coniglio è ancor più no-
tabile che quella del lepre, poichè Ja femina
del primo si grava sette volte all'anno, e dà
per ciascuna sette in otto piccioletti. Suppo-
nendo, adunque, i suoi parti regolari; nello
spazio di quattr’'anni la progenie di una cop-
pia di conigli giugnerà quasi ad un milione e.
mezzo di capi.
IL: CONIGLIO: 363
I loro nemici però sono così numerosi, che
impediscono al loro accrescimento di divenir
nocevole alla specie umana. Poichè , oltre il
servire che fanno i conigli al nostro nutri-
mento, sono ancor divorati da animali di
preda d’ogni specie. Malgrado, però, tutti gli
ostacoli alia loro propagazione divennero , al
tempo de Romani, un sì terribile flagello
nell’ isole Baleari, che gli abitanti furono co-
stretti chiamare il soccorso della forza mili-
iare, e servirsi de furetii, onde porvi rimedio.
« Alcuni giorn prima dei parto, scrive il
sig. di Buffon, le femine de conigli sì scavano
una nuova tana, non già in linea retia ma
serpeggiante , in fondo alla quale, strappan-
dosi dal venire bastevol quaniità di pelo, for-
mano una specie di letto per accogliervi i figli
che nasceranno. Ne primi due giorni, poi che
sono venuti in luce, mai non gli abbando-
nano: escono appena, quando il bisogno le
stimola, e ritornano tosto che hanno preso il
loro nutrimento, il qual, sebbene allora sia
più copioso del solito, pur toglie loro po-
chissimo tempo. Le cure dell’ allattamento du-
rano per più di sei settimane; e in questo
spazio il padre non conosce la sua prole. Esso
non entra nella tana scavata dalla madre, che
spesso, quando esce, ne tura l ingresso con
terra impastata nella propria urina. Ma quando
364 IL CONIGLIO.
i piccioletti cominciano ad ‘affacciarsi al buco
di quella tana, e a mangiare delia spelliciosa
e d' altre erbe, che la madre loro presenta,
anche il padre mostra di riconoscerli per suoi;
li piglia tra le sue zampe, ne lustra il pelo,
ne lecca gli occhi, e tutti egualmente l' uno
dopo l’ altro gli accarezza. La femina intanto
non si mostra meno amorosa verso il marito,
e spesso fra pochi giorni si trova di nuovo
feconda ».
Il pelo de’ conigli è la principal materia,
che si adopera a fabbricar cappelli, mescolan-
‘dola con certa quantità di pel di castoro.
<)
;
TI, CAMEO
CAPITOLO VIII.
Del deserto
Figlio il camelo, alla fatica usato
Ed alla sete, dalla ria bufera
Arse le fauci sente, oppresso il petto.
TuHomson,
IL CAMELO.
Le differenti qualità del cavallo, della gio-
venca e della pecora sembrano esser riunite
in quest animale. « Gli Arabi (dice il sig. di
Bufion con quella vivezza di stile, che non
sembra appartenere che a lui solo) riguar-
dano il camelo come un dono prezioso del
cielo, come un animale sacro, onde possono
subi giorno mettere cinquanta leghe di
deserto fra sè e i loro nemici. Tutti gli eser-
citi del mondo perirebbero tenendo dietro ad
una truppa di Arabi, i quali, perciò, non
sono soggetti, che quanto lor piace di esserlo.
Si figuri un paese senz erba e senz acqua ,
un sole ardente, un cielo sempre asciutto ,
sabbiose pianure , montagne ancor più ari-
de, su cui l’occhio si Lied e il guardo si
366 IL CAMELO.
perde, senza potersi arresiare sovra nulla che
viva, una terra moria, e per così dire sco-
riata da’ venti, la qual non presenia che ossa,
ciottoli accumulati, rupi o sorgenti o rovesciate,
un deserto affatto ignudo, ove il viaggiatore
mai non respira soito ombra veruna, ove nulla
lo accompagna, nulia gii richiama la natura
vivente. Solitudine assoluta, mille volte più
spaventosa che quella delle foreste; poichè gli
alberi sono pur esseri in «qualche modo sen-
zienti per chi si rilrova senza veruna comu-'
uicazione con altri. Smarrito affatto in quegli
spazii vuoti, e senza limite, ei vede in ogni
luogo la sua tomba. La luce del giorno più
trista che Tl ombra delia notte non rinasce che
per illuminare la sua nudità, la sua impoten-
za, e presentargli l' orrore della sua situazio-
ne , allargando al suo sguardo i confini del
vuoto , stendendo intorno a lui Y abisso del-
? immensità che lo separa daila terra abitata ,
immensità che invano ei tenterebbe di per-
correre ; poichè la fame, la sete e 1 ardente
calore gli assediano gli istanti, che gli riman-
gono fra la disperazione e la morte ».
I nomi di camelo e di dromedario non in-
dicano già due specie differenti, ma specificano
due varietà, di cui la prima ha due protube-
ranze sul dorso, menire l’altra non ne ha
che una. L' altezza del camelo è di circa sei
IL. CAMELO. 367
piedi, il suo corpo è coperto d'un pelo bruno
o castagno; la sua testa è corta, le orecchie
picciole , il collo lungo e inclinato. Questo
quadrupede è pur rimarchevole per una grande
callosità all’ inferior parte del petto, una a
ciascun ginocchio, ed un altra nell'interno di
ciascuna gamba. suoi piedi sono schiacciati e
rivestiti d'una suola, il cui intervallo da’ piedi
istessi non è segnato che da un solco poco
profondo; il che dà all animale ia facoltà di
percorrere, le sabbie ardenti dell'Arabia, senza
che gli screpolin I unghie.
I cameli son domestici in diverse contrade
del Levante, e servono a portare pesanti far-
delli, e a traversar deserti arenosi; ciò che 1
cavalli non potrebbero. Le sabbie sembrano es-
sere il loro naturale elemento, poichè appena
le lasciano, per camminare sovra solido ter-
reno, più non possono tenersi in piedi, e le
frequenti cadute; che vi fanno, loro divengono
funestissime. i
II potersi astener dal bere, che loro è dalla
matura conceduto, fa che procedano senza in-
terruzione i setie, gli otto ed anche i quindici
giorni per grandi spazii afiaito senz’ acqua. Ove
però alcuna sorgente vi scaturisca , essi la
discoprono a mezza lega di distanza, e ad essa
volgono desiderosi il passo lungo tempo pri-
ma, che i loro conduttori possano accorgersi
368 IL CAMELO.
del luogo ove si ritrova. Viaggiano essi pil
giornate , altro nutrimento non avendo che
datteri secchi, o poche palle di farina d'orzo,
o infine alcune misere piante spinoses che in-
contrano ne’ deserti. Il sig. Denon ci dice che
in tutto il corso del suo viaggio in Egitto , i
cameli della caravana non aveano per giorno
che una semplice razione di piselli , cui ma-
sticavano , sia camminando, sia restando sdra-
jati in sull’ arena ardente, senza mostrare il
minimo malcontento. La meravigliosa possibi-
lità, ch'è in essi, di far senza bevanda sem-
bra, a ben riflettervi, l’effetto della loro in-
terna struttura.
Perocchè hanno questi animali un secondo
stomaco , formato di numerose cellette di più
pollici di profondità, e il cui orifizio par
capace d’ una contrazion muscolare. Quindi è
probabile , che quando bevono, possano diri-
gere l’acqua in queste cellette o trogoli, e
impedirle di passare nel primo stomaco. Per
tal mezzo se ne trova certa quantità seprrala
dagli alimenti, e serve all’ uopo , ad inumi-
dirli nel lor passaggio allo stomaco vero.
Quando le persone, che viaggiano in Ara-
bia, provano gran mancanza d'acqua, pren-
dono il partito d' uccidere un camelo per ot-
tener quella, che è contenuta nel suo sto-
maco, e la qual sempre è dolce e salubre.
- IL CAMELO. 369”
Ml carico ordinario de’ cameli è di milio G
mille ducento libre, e con esso traversano il
deserto, facendo dieci o dodici leghe per giorno.
Quando si è sul punto di loro addossarlo,
essì piegan tosio il ginocchio al comando del
conduttore. Che se avviene che si mostrino
restii, sono castigati a colpi di bastone, o ti
rati pel collo. Allora, come sentendosi op-
pressi, mandano un’ gemito cupo, s' acco-
sciano. contro terra, e rimangono in questa
positura fino a che loro si ordini di rialzarsi.
Traversano essi, malgrado ogni peso, le ri-
viere più profonde e più rapide; ed è ben
raro, che nè a loro,nè a quelli che lor sono
in groppa avvenga nulla di sinistro. Quando
sì sopracaricano ‘Had di cozzo in chi gli op-
prime, e fan talvolta. udire le. grida più. la»
mentevoli. -
Gli animali, di cui parliamo, sebben molte:
mansueti e molto trattabili, sono eccessivamente
sensitivi: alle ingiustizie. e a' mali. trattamenti.,
e ne conservano il risentimento , fino a che
trovino occasione di vendicarsi. Talvolta anche
loro basta aver creduto di: soddisfare. la. pro-.
pria vendetta, perchè più non vi pensino.
‘Qualora adunque un Arabo ha eccitato il fu-
rore di un camelo, getta a terra le proprie
vesti dove crede che l'animale debba: passare s
Gisponendole in. modo, che sembrino coprire-
Gabine:ro Fom. E 24
370 iL TAMEL®
«in uomo addormentato. Quello, che le rico-
nosce , le piglia coi denti, le scuote violente-
mente , e le calpesta con rabbioso trasporto.
Quindi calmato le abbandona, e il lor padrone
può allora moslrarsegii con tutta sicurezza.
« I dromedari, altra specie di cameli,
stanchi dell’ impazienza dei loro cavalieri si
arrestano talvolta di corto, dice il sig. Son-
nini, e si volgono per morderli, gettando gridi
di rabbia. In tale circostanza unico buon par-
tito a prendersi è il lusingarli , e dar loro
tempo di ritornare in sè.
Come gli elefanti, questi animali han degli
accessi di furore periodici, in cui più volte
furono veduti addentare un uomo, rovesciarlo
al suolo, e calcarlo coi piedi. Quando si la-
sciano errare su pingui pascoli, mangiano nello
spazio d' un ora di che ruminare tutta la notte
e nutrirsi all'indomani: ciò per altro loro
non accade se non di rado. Più che le molli
erbe , però, sembra che gustino le spine, le
ortiche, le ginestre , la cassia, ed altri vege-
tali pungenti.
Ma si ascolti un'altra volta il signor di
Buffon. « Il camelo è fra tutti gli animali
domestici il più antico, il più sommesso, il
più laborioso degli schiavi. Il più antico, poi-
chè abita i climi in cui gli uomini si sono dai
più rimoti tempi condotti a viver civile; il più
IL CAMELO» 371
sommesso , dacchè fra 1 altre specie di: dome-
stici animali, come il cavallo, il cane, il bue,
la pecora, il majale si trovano tuttavia degli
individui nello stato di natura, la cui selvati-
chezza ancor non è stata dall’ uomo assogget=
tata; laddove la razza dei cameli in niun iuogo
più si incontra nella primitiva indipendenza;
finalmente il più laborioso, poichè mai non fu
nudrito pel fasto, come la più parte dei ca-
valli; nè pel divertimento come quasi tutti i
cani; nè per l'uso delle mense, come il bue,
il majale, il montone. Di esso non si fé che
nna bestia da soma, cui non si pensò neppure
ad aggiogare ad un carro; guardando lui stesso -
come una vettura vivente, che si potea tener
‘carica e sopracarica, anche durante il sonno.
Quando infatti si ha fretta, obliasi di trargh
da dosso il peso, ond' è oppresso , e sotto il
quale ci si distende per TRA colle gambe
piegate , € il corpo appoggiato sullo stomaco.
Quindi può ben dirsi ch esso porti tutte le
impronte della servitù e ie stimate del dolore.»
Aicuni giorni dopo la nascita d' un camelo
Y Arabo a cui appartiene piega le sue membra
sotto il suo ventre, lo costringe a rimanere
per terra, e lo carica in questa situazione di
un fardello molto pesante, da cui mai nol li-
bera, che per onerarlo di uno più forte. In
luogo di dargli a mangiare, quando ha fame,
3ma IL CAMELO.
© a bere quando ha sete, regola sottilmente i
suoi pasti, e lo costringe grado a grado a
contentarsi di minor cibo quanto sono più
lunghi i viaggi.
Quando. l'animale ha acquistato un poco di
forza, lo esercita al corso, e la sua emula-
zione eccitata dell'esempio dei cavalli il rende
col tempo molto agile, e assai più che senza
di essa nol sarebbe divenuto.
L'andatura del camelo essendo. il gran irot=
to, chi lo monta è obbligato servirsi d’ una
sella vuota nel mezzo e munita ad ogni ar-
cione d'un pezzo di legno in linea retta ©
orizzontale. Il sig. Denon dice, che la prima
volta ch'ei cavalcò un simile animale, temè che
îl suo barcollamento nol rovesciasse; ma fu ben
tosto rassicurato. Poichè postosi in sella vide
di non avere che a secondarne i movimenti, e
che non v era, per un lungo. viaggio; più
gradevol cosa, che il sedergli in groppa, mas-
sime non bisognando altra cura, che di fargli,
quando. occorre, cangiar direzione, i
I conduttori dei cameli hanno ciascuno un
bastone, di cui non usano che sobriissimamen-
te, e solo quando il voglia necessità. Caval-
candoli gli eccitan piuttosto con una lunga
correggia, € gli. stimolano nel tempo stesso
con un sibilo leggiero, siccome fanno gli
Europei coi loro cavalli.
IL CAMELO. 373
Si è tentato più volte d introdurre questi
quadrupedi nelle nostre isole occidentali, ma
sempre con niun successo, forse perchè di chi
doveva averne cura si ignoravano affatto le
loro ‘abitudiri e la ‘maviera di nutrirli. A
questo inconveniente si aggiunsero le punture
di certi insetti appellati chigo , i quali ins»
nuandosi nelle piante dei piedi ai poveri ani+
mali, e cagionandovi ulceri e infiammazioni,
li resero del tutio inutili nelle contrade, che
abbiam detto.
La carne dei cameli, sebben arida e dura,.
BARI
è talmente stimata dagli abitanti dell’ Egitto,
che, non è molto tempo, fu al Cairo e in Ales-
sandria proibito di venderne ‘ai cristiani. Nella.
Barberia suole salarsene e affumicarsene la line
gua, onde trasportarla in Italia e in altri paesi.
Si fa traffico del loro pelo non che del cuojo
della loro pelle; e tutte le parti del suo corpo.
tengono qualche posto nella farmacopea della
Cina.
IL BISSONTE
È detto anche toro o bue selvatico, ha corna
brevi e rotonde, la cui punta si ricurva al di
fuori; fronte larga; occhio fiero e scintillante,
schiena protuberante come quella del camelo;,
lunga e ondosa criniera, che forma una specie
374 FL BISSONTE,
di barba sotto il suo mento; le part inferiori
del corpo assai massiccie; e quelle di dietro .in
paragone assai deboli.
Errano i bissonti in numerosi armenti e pa-
seolano nelle praterie, che diciamo savane. da
mattina e la sera, durante i grandi calori, ri-
posano in riva a' fiumi ed a’ ruscelli, lasciando
‘un’ impronta sì profonda de’ loro piedi negli
umidi terreni, che gl’ Indiani seguono facil-
mente le loro tracce e giungono ad ucciderli.
Il farne caccia, però, esige la più gran cautela,
avendo essi l odorato sì fino, che senton da
lungi il nimico e pr rendon la fuga, e ogni lieve .
ferita metteli in tanto furore, che schiacciano a
colpi di corna e di piedi chi loro I arrecò. Es-
sendo però quasi acciecati dai lunghi crini,
che loro coprono gli occhi, è facile ai eaccia-
tori l’andar ad essi molto vicini. Gli Indiani
coll’ archibugio, mirando. loro alla groppa, g gli
uccidono di primo colpo.
‘ La caccia dei bissonti è la costante occupa-
zione de’ selvaggi. Formano questi un gran
battaglione quadrato, e cominciano dal metter
Buco all’erba che in certe stagioni è lunghis-
sima e aridissima. A misura che il fuoco pro-
pagasi, sì avanzano essi, restringendo le loro.
file; e quegli animali spaventati dallo splendor
delle fiamme fuggono in disordine da tutte le
bande, nè un solo ne sfugge,
v_pr
IL BISSONTE. : 979
Nella Luigiana i cacciatori de’ bissonti vanno
a cavallo armati di lunghe lance, il ‘cui ferro
ha la forma di una mezza luna. Si accostano
sotto vento; ma appena quei quadrupedì li sen-
tono si danno a fuggire con gran precipizio.
Se non che la vista de cavalli calma la loro
paura; e come la più parte di essi, in cerl
tempi dell’ anno specialmente, sono per lab
bondanza de’ pascoli molto impinguati, rallen-
tano volentieri il corso. I cacciatori, fattisi in-
tanto più vicini, cercano portar loro un colpo
al dissoito del garretto, in modo di dividerne
il tendine, e averli più facilmente in proprio
potere.
In varie parti dell’ America meridionale la
caccia dei bissonti comincia da una specie di
festa, e termina in un banchetto, a cui il più
grosso di quegli animali serve d’ imbandigione.
Appena un branco di essi è stato vedato neita
oianura, i migliori cavalieri si dispongon ad
assalirlo, il che fanno disiendendosi in lar ‘go se--
micircolo, e inoltrandosi quindi i chel
Fra qualche tempo gl'inseguiti animali si mo-
strano stanchissimi, e i cacciatori vie più in-
calzando e mandando grida orribili costringonli
a fuggire; e quelli, che non sono presti ab-
bastanza rimangono uccisi.
Onde porgere idea della forza prodigiosa
de’ bissonti basti l' osservare, che fuggendo
376 IL “BISSONTE.
pei boschi, abbattono alberi assai più grossi
«che il braccio d'un uomo, e corrono Sr
verso la neve più alta con più rapidità che
an Indiano traversar non potrebbe la sua con-
gelata superficie con scarpe a racchetia.
< Fui testimonio un giorno di questa par-
ticolarità, dice il sig. :Hearne, ed ebbi la. va-
mità di credere che potrei emulare i bissonti.
To era allora riputato destrissimo a correre per
la neve colle mie scarpe a rete; ma ben presto
dovetti convincermi di non aver forza da se-
guire ‘quegli animali, sebbene la loro corpu-
lenza sia così grande, che vi lasciano orme pro-
fonde, come farebbero sacchi di enorme gros»
Sezza. »
Molta sagacia mostrano i bissonti nel di-
fendersi contro de’ lupi. Quando ne hanno sco-
perto alcun branco, si dispongono in circolo,
collocando al centro i più deboli, mentre i
forti tengono la circonferenza, e presentano
una selva di corna impenetrabile. Se però 1
lupi giungono per sorpresa ad assalirli; allora
molti così de’ più deboli come de’ più vigorosi
rimangon vittime de’ voraci animali.
Le differenti parti del corpo de bissonti si
impiegano a differenti usi e tutti utilissimi.
Colle loro corna si fanno fornimenti; la pelle
serve agli Indiani per vesti e scarpe; e col loro
pelo si formano guanti, giarrettiere e calze.
OTVIAT UU
L -BISSONTE. 379
A sego di questi animali è anch esso ma»
‘teria di traffico molto valutata, e la carne deile
loro spalle dicesi esser delicatissima.
Si è tentato addomesticarne alcuni, pren-
dendoli giovani, e mescoiandok con buoi della
specie ordicaria; ma quand’ erano più adulti
disenivano sempre intrattabili, ed usando di
quella irresisiibiite forza ch'-è in essi, rompe-
vano le più saide sbarre de’ loro «chiusi, pren»
devano la fuga, ed ecciiavano il resto del be-
stiame, «hh era con essi, a fare alirettanto. Il
sig. Pidcok d'Exeter-Change ebbe per due anni
uno di questi animali, il quale, dicesi, conservò
sempre ia sua naturale ferocia. La sua pelle
imbalsamata conservasi ora nel museo del luogo
«già nominato.
IL BUFALO.
Moltissima rassomiglianza ha esso col bue, da
cui per aliro differisce ed esternamente per la
carne, e nell’ inierna struttura per molte altre
particolarità. La sua lunghezza, secondo Spart-
mann, è di circa otto piedi, e di cinque e
mezzo l’ altezza sua. Le sue membra propor-
zionale a queste misure sono assai più grosse
e robuste che quelle del bue; la sua giogaja
«discende assai più basso ; le sue orecchie pen-
denti e lunghe, circa, un piede, sono in gran
378 IL BUFALO.
parte coperte dalla inferior parte delle sue
corna , che descrivono una curva, il cui con-
vesso guarda la terra, mentre le estremità si.
rialzano. Queste corna sono veramente singo-
lari per la forma e per la posizione. La loro.
base ha tredici pollici di larghezza ; non si al-
lontanano che ‘di un pollice le une dalle altre
per un canale o solco, il qual le divide, indi
prendono una forma sferica e si estendono per
gran parte della testa.
Il pelo del bufalo è d'un colur bruno oscu-
ro, la sua coda è corta e fioccosa ali’ estremo.
Ama esso avvoltolarsi nel fango, e passa a
nuoto i più gran fiumi con tutia facilità. La
sua gobba non è già, come alcuni hanno pre-
teso, un grosso tumor carnoso, ma è cagio=
naia da aicune ossa, che obbligano le artico-
lazioni della pelle ad allungarsi, più che non
facciano in altri animali. o
Trovansi i bufali più ordinariamente nelle
ardenti contrade dell’ Indo e dell’ Affrica ; ma
sono stati introdotti in alcune parti d’ Europa,
& in esse naturalizzati. Quindi sono molto co-
muni al mezzo-giorno dell’ Italia, e a tuite le
contrade orientali del globo; onde se ne veg=
gono ogni mattina numerosi armenti varcare
il Tigri e l Eufrate. Marciano ben ristretti,
e il bifolco , il qual li conduce e cavalca uno
di essi, or si tiene diritto, or coricato ; e se
IL BUFALO. 379
taluno di quelli, che, van di fianco, sbandasi
qualche poco, ei passa leggermente di’ dorso
in dorso, per farlo rientrare in ischiera.
Degno d' aitenzione in proposito degli ani-
mali, di cui parliamo, mi par ciò che si narra
avvenuto agli Inglesi, che compirono il viaggio
intorno all’ Oceano pacifico, incominciato dal
capitano Cook. Quand eglino furono giunti a
Pulo Condore, si procacciarono otto bufali ,
che doveano condursi ai vascelli con delle
corde fatte passare attraverso le loro. narici e
intorno alle loro corna. Se non che, appena
furono in vista dell'equipaggio, divennero sì
furiosi, che alcuni si di dalle corde e
si misero in libertà ; altri schiantarono i rovi,
a cui si era creduto bene di legarli. Tuiti i
mezzi, insomma, impiegati pel luo imbarco ,
sariano riusciti inutili, senza il soccorso d’ al-
cuni fanciulli, da cui si lasciarono avvicinare,
e appoco appoco calmare. Giunti poi nella rada
bisognarono i fanciulli stessi per allacciar loro
le gambe, stenderli a terra, e in seguito al-
zarli onde meiterli in mare. Ed è pur osser-
vabile , come ventiquattr'ore dopo che furono
a bordo, lasciata ogni ferocia e ripugnanza ,
cominciarono a mostrarsi addomesticati,
I bufali sono tanto comuni nelle pianure
della Cafreria, ch’ ivi sovente se ne veggon
passare ceniocinquantg e. dagento alli approssimar
380 IL BUFALO.
della notte. Nel giorno poi si ritirano fra le
boscaglie.
Il carattere di questi animali è selvatico e
perfido. Perocchè sogliono appiattarsi tra scuri
macchioni, ed ivi attendere il passaggio di
qualche sventurato , che non ha altro mezzo
di sottrarsi fuorchè il salire sopra di un al-
bero, se alcun se ne trova vicino, mentre la
fuga gli sarebbe inutile. Non paghi i bufali di
atterrare ‘ed uccidere la loro vittima, si com-
piacciono a rimaner lungo tempo sovra il suò
corpo , calcandola coi -piedi, e schiacciandola
coi ginocchi. La straziano poi colle corna e coi
denti, e‘a forza di leccarla, le strappano la
pelle : nè già esercitano questi aiti crudeli ,
senza intervallo; ma si allontanano di tratto
in tratto a certa distanza , indi ritornano con
barbara insistenza, per soddisfar di nuovo la
loro ferocità.
Il professor Thumberg ci narra, come al
momento ch'egli e i suoi compagni di viaggio
entrarono ne’ boschi della Cafreria videro un
grosso bufalo sdrajato solo sovra un ignudo
terreno. Appena quest animale si fu accorto
di chi li guidava, si slanciò, sopra di esso,
mandando un orribile muggito. L'uomo pie-
gando tosto col suo cavallo, si rifugiò dietro
un grande albero. Però il bufalo gettossi so-.
vra quello ch’ era più prossimo al fuggito e
IL BUFALO: 381
diede. una sì furiosa cornata nel ventre del
suo palafreno, che quasi subito ne morì. Il
cavaliere allora arrampicossi ad una pianta; e
l animal feroce corse. contro il restio della
compagnia, che s' innoltrava a certa distanza ,
ed era preceduta da un cavallo , su cui nes:
suno sedeva AI? aspetto ‘di questo il bufalo
‘divenuto più che mai terribile, gli piantò nel
petto le corna con tanto impeto, che riusci»
rono fuor della schiena trapassando la sella.;
e il cavallo cadde con più ossa infrante, €
tosto spirò. Sopraggiunse in questo punto il
professore ; ; e come il sentiero. non dava’ spa-
zio bastante: per volger addietro, parve a lui
gran ventura: il none un albero abbastanza
elevato , che gli desse rifugio. Il bufalo però,
senz’ altre minacce , dopo aver ucciso il se-
condo cavalio , prese la fuga.
Alcun tempo dopo il sig. Thumberg e la
sua brigata discoprirono un grande armento
di bufali, che pasceva nella pianura. Cone»
scendone allora, quanto bastava , l'indole e i
costumi , e sapendo che in luogo aperto mai
non ne sarebbero aggrediti , si avanzarono a
quaranta passi, e scaricarono contr” essi gli
archibugi , di. cui andavano muniti. I bufali
spaventati dallo. scoppio e dal fuoco improv-
viso si ripararono alla foresta; se non che
aleuni più gravemenie feriti, mon potende
Su. TL BUFÀLO.
camminar cogli altri, sbrancaronsi € Yimasero
addietro. Fra questi ne era uno più vecchio,
che si slanciò furioso sui viaggiatori. Ma questi
che sapean bene, come gli occhi di simili
animali mirar non possono che in linea retta,
e che ove in aprica pianura Y uomo da loro
inseguito esca un po di mano e si getti boc-
cone al suolo, quelli passan oltre senza avve-
dersene, poterono facilmente scampare il pe-
ricolo. Tanta però era la forza del quadrupede,
che sebbene la palla fossegli dal petto pene-
trata molto addentro nel corpo, galoppo per
più centinaja di passi senza cadere.
Nella Cafreria i bufali sono ordinariamente
uccisi a colpi di giavellotti, che gli abitanu
sanno lanciare con molta destrezza. Quando
un Cafro ha discoperio .un luogo, ove. più
bufali son riuniti, si da a soffiare in un zu-
folo , il quale è udito a molta distanza. A
questo segno i compagni, che stanno attenti,
accorrono a tutti i passaggi, formando per
gradi un cerchio intorno a quei quadrupediì ,
cortro de’ quali lanciano i loro dardi con
tanta destrezza , che di rado ne sfugge uno
solo. Talvolta, però, questi fuggendo storpiate
od uccidono alcuni de’ cacciatori; il quale pe-
ricolo punio non gli sgomenta. Terminata. la
caccia fanno essi a brani ie carni della preda,
dividendole fra sè in uguali porzioni,
IL BUFALO. 333
Kolbe riferisce che un bufalo essendo inse-
guito da alcuni Europei al Capo di Buona
Speranza, si avventò contro quelli fra essi ,
ch avea un abito ‘rosso; onde, per salvarsi, fu
costretto di enirar nel fiume, e fuggire nuo-
tando. L’ animale però gli tenne dietro, e in
un momento gli si trovò sì dappresso, ch'egli
aiiro rimedio non vide, che di attuff&rsi pro-
fondamente , sicchè quello gli. passò sovra il
capo; e avendolo ‘affatto perduto di vista si
rivolse all’ opposta riva. Nè ciò ancora avrebbe
fatto sicuro il ruotatore, se il bufalo non
fosse alfin stato ucciso da un colpo d' archi-
bugio trattogli da un vascello che si trovò le-
gato a poca distanza. La gente dell’ equipaggio
fe dono della sua pelle al governatore, che
la depose imbalsamata nel suo museo.
Oltre la pelle, anche le corna del bufalo
sono molto pregiate. Queste, come di sostanza
saldissima, ricevono la miglior pulitura; quella,
come fortissima, s' adopera in molti usi, come
in far corazze e scudi, che reggono alla prova
degli stessi fucili. Se non che, essendo essa
di tanta durezza, ende uccidere il bufalo è
uopo di palle, in cui entri un misto di sta-
gro; nè sempre ciò basta, poichè spesso ca-
dono ammaccate dalla resistenza che incontrano.
Vuolsi che la carne de’ bufali, quella dei
giovani in ispecie, sia boccone eccellente. {Gli
384 IE BUFALO.
Ottentoti, che non conoscono grande: squisi-
tezza di cucina, la tagliano a fette, l'affumi-
cano, e poi l'arrostiscono per metà sovra car-
boni. Talvolta anche la mangiano affatto imac
putridita.
e. IL ZEBRO..
Ha testa assai dura e orecchie-presso a poco
somiglianti a quelle del mulo. Il suo corpo è
rotondo e ben formato ; le sue gambe sone
fine e delicate. Alla bellezza del suo ester-
no, poi, dà nuovo lusiro la lucentezza della
sua pelle, e la mirabile regolarità delle. liste ,.
end’ essa si adorna. Nel maschio queste: liste
son brune, sopra un fondo bianco giallognolo;
e nella femmina son nere sopra fondo bianco.
Abitano i zebri. le contrade meridionali del-
I Affrica, ove i loro greggi numerosissimi ri
creano piacevolmente. I ocehio del Viaggiatore.
Si raccolgono essi di giorno nelle pianure
dell’ interno del paese; e la: loro bellezza
forma l° ornamento di quelle. solitudini. ‘Tale,
però, è la loro diffidenza, che mai. non si
lasciano avvi-inare da chicchessia.
Tutti: i tentativi finora usi att, onde addo-
mesticarli e renderii utili all uomo, riuscirono
infruttuosi. Feroci e- poriati all'indipendenza,
IL ZEBRO. "SM
sembra che assolutamente soffrir - non possano
alcun vincolo di servitù. Ove, però, piglian-
doli giovani, -si avesse più particolar cura
della. loro educazione, penso che a qualche
cosa si riuscirebbe.
Un zebro bellissimo che mostravasi , tempo
fa, al liceo nello Strand era sì mansueto, che.
spesso il suo custode metteagli de faneiulli sul
dorso, senza ch'esso mostrasse di risentirsene
anzi vi fu un giorno chi lo cavalcò dal liceo
sino a Pimlico. La quale siraordinaria docilità.
in. un quadrupede naturalmente sì indocile
si spiega facilmente, pensando che. quello,
di cui parliamo, era nato in Portogallo da
padre e da madre captivi, e quindi alcun peco
addimesticati.
Il buon zebro, che, dicesi, era costato
trecento ghinee a chi lo facea vedere, morì
arso nella sua stia pel fuoco, il qual gli si
accese nel letto.
Ordinario. nutrimento dei zebri è il fieno,
La loro voce sembrò a taluno aver qualche
somiglianza: col suono del corno de’ postiglioni
in certi paesi; veramente essa è ianto singo-
lare, che riesce. impossibile il darne precisa
idea. Il sig. Vaillant la paragona allo strepito,
che fanno le pietre, lanciate violentemente sul
ghiaccio. Si ode più frequente, a misura che
i zebri sono in ma: ggior compagnia.
Gabinetto {om.. L. 25
386 IL ZEBRO.
| Quella zebra che vedeasi, or sono alcuni
‘anni, alla Torre di Londra vi era stata con-
‘dotta dal capo di Buona Speranza -sovra un
vascello del luogotenente generale Dundas, e
comperata dal sig. Bullok direttore dei parco
reale. Permetieva essa talvolta al suo guardiano
di montarle in groppa, e per qualche mo-
mento vel sofferiva ; ma poi mostravasi rical-
citranie , e il forzava a discenderne. Gran fa-
tica egli aveva a durare per governarla, non
solo a cagione del suo. naturale irritabile, ma
altresì della distanza, a cui potea raggiungerlo
co suoi calci. Mai persone straniere non po-
teano approssimarsele, senza esporsi ad immi-
nente pericolo ; anzi un dì il custode istesso
fu da lei preso per un lembo dell’ abito , e
gettato a terra; e se non fosse stato pronts-
simo a rialzarsi e fuggire, infallibilmenie ne”
rimaneva ucciso. Morì poi essa nel mese di
giugno del 1809.
LA GIRAFFA.
Questo quadrupede straordinario non tro-
vasi che nei deserti dell'Etiopia, e in alire
parti molto interne dell'Africa; ove pure è
stato così di raro veduto dai viaggiatori di
Europa, che più volte si mise in dubbio la
sua esistenza, prima che se ne avessero, come
LA GIRAFFA. 38%
oggi, più sicuri € più cir costanziati ragguagli.
La sua testa rassomiglia, presso a poco, a
quella di un camelo, ma va munita di due
sottili corna lunghe, circa, sei pollici, e iron-
che, in certa guisa, all'estremità, ove si ri-
coprono d’ una specie di vello, che termina
in un rozzo fiocco di nero pelo. Le sue orec-,
chie sono lunghissime, i suoi occhi grandi,
vivaci e assai belli. L'altezza sua, quando va
ben diritto, è di sedici in diciotto piedi dal-
lugne all'alto di quelle corna, che dicemmo;
e la sua lunghezza è di ven dalla fronte alla
punta della coda. Il colore del maschio è un
bianco sporco, picchiettato di diverse macchie
rugginose, onde gli viene anche l'altro. nome
di camelopardo; le macchie della femina sono
di un fulvo pallido.
Le giraffe dan segno d'esser timide e man-
suete. Quando sono ine seguite pigliano un trotto
sì rapido, che ap pera un buon cavallo riesce
a seguirle; e continvano lungo tempo a core
rere dell istessa guisa, senza mai aver bisogno
di riposo. Quando saltano, levano insieme i
due piedi anteriori, e quindi quelli di dietro,
come un cavallo che avesse le due gambe at-
iaccate. Si nutrono particolarmenie di foglie
d aiberi, soprattutto di quelle d’ una specie
particolare di mimosa, assai comune a’ paesi
ch' esse abiiano, € d’ un’ altezza appropriata a
336 LA GIRAFFA.
quella delle loro gambe e del loro corpo. Si
ascono, però, con molta difficoltà, essendo .
obbligate, a quest'uopo, di allargar le gambe
a distanza notabile.
Credevasi. altra volta che la giraffa non
avesse nè mezzi, nè intenzione di difendersi
contro gli assaliù degli altri animali. Ma il
sig. le Vaillant ci assicura che co’ suoi calei
precipitosi stanca, scoraggisce, e alfin per-
viene ad allontanare il lione. Essa però non
si serve delle sue corna, come d armi of-
fensive.
Secondo varie memorie sino a noi pervenute
sembra che la giraffa sia stata ben conosciuta
dagli antichi. Fra tutte le loro descrizioni,
però, quella che ce ne porge Eliodoro greco,
vescovo di Sicca, sembra la più fedele.
« Gli ambasciadori di Etiopia , dic’ egli ,
condussero un animale della grandezza di un
camelo , la cui pelle era segnata di macchie
d'un color vivo e brillante, e le posteriori parti
del cui corpo eran bassissime in proporzion
delle anteriori così alte. Sottile era il suo collo,
sebbene si spiccasse da un corpo assai mem-
bruto. La sua testa era simile , per la forma,
a quella del camelo, ma per la grandezza non
era che il doppio di quella dello struzzo ; e
gli occhi pareano tinti a differenti colori. L’an-
dio dell’ animale era differentissimo da
LÀ GIRAFFA. 389
quello di tuti gli altri quadrupedì , che por=
tano, camminando, i lor piedi diagonalmente,
cioè a dire il destro anteriore col posteriore
sinistro; laddove la natural ambiadura della
giraffa è di portare i due sinistri o 1 due
destri insieme. E poi animale sì mansueto,
che può guidarsi ovunque piaccia sol per
mezzo di una corda, che gli si annodi al
capo ».
Sembra che una giraffa sia stata condotta
T anno 1507 al Gran Cairo in Egitto; poi»
‘chè Baugmarten ci dice che il 26 d' ottobre,
guardando dalla sua finestra, vide questo grande
animale, il maggiore che mai si fosse presen=
tato a' suoi occhi. La sua pelle era tutta d'un
‘color bianco e bruno, il suo collo avea un
cubito di lunghezza, e la testa altrettanto; gli
occhi eran vivi e scintillanti; il ventre diritto,
e il dorso concavo. Mangiava pane e frutta ,
e quanto gli si presentava.
Gli Ottentoti fanno la caccia alle giraffe
principalmente a cagion del midollo delie loro
‘ossa, eui riguardano qual cibo delicatissimo.
Anche la loro carne si vuol che sia un ec-
cellente vivanda.
390
IL NIL-GHAU
Sembra tenere un di mezzo fra il cervo ed
il bue; ma è molto più grosso dell’ uno , e
molto più piccolo dell’ altro. Ha quattro piedi
di altezza da terra alle spalle; e le sue corna,
le quali van per gradi sminuendosi di gros-
sezza, e sono smussate ell’ estremità, pajono ben
lunghe sette pollici.
Ecco la descrizione, che abbiamo di quest’ ani-
male dal sig. di Buffon: « Il d: dietro del ma-
schio è più basso che il davanti, e vedesi una
specie. di gobba o. di preminenza snlie sue
spalle. Queste sono guernite d'una picciola cri-
miera, che comincia alla sommità del capo e
finisce a mezzo il dorso. Sulla. pancia irovasi
quasi un gran fiocco di lunghi peli. neri. I
pelame poi di tutto il corpo è d'un color gri-
gio d' ardesia; ma quel della testa è di un
fulvo misto a un grigio chiaro, e intorno agli
occhi un fulvo. chiaro con picciola macchia
bianca all’ angolo: di ciascuno degli occhi stessi.
Le orecchie son molto grandi e larghe, se-
nate. di tre liste nere verso le loro estremità.
Il sommo della testa è guernito di un negro
pelo misto di bruno; il quale forma sull’ alto
della fronte una specie di ferro di cavallo.
Sotto il collo, molto presso al petto, vedesi
wua gran macchia bianca. Il ventre è d un
îL NIL-GHAU. 391
color grigio di ardesia, come il resto del corpo.
Le gambe davanti e le cosce son nere nella
parte anteriore che apparisce, e nell’ interno
di un grigio più cupo. I piedi son corti e ras
somigliano a quelli del cervo, e l' unghie son
nere. L’ esterno poi de’ piedi. anteriori porta
una macchia bianca, e nell interno se ne di-
scoprono due dello stesso colore. Le gambe di
dietro sono molto più forti che quelle davanti;
: sì coprono tutte di peli nericci, mentre i
piedi così al di dentro che al di fuori hanno
due grandi macchie bianche. Al basso di esse
cadono lunghi peli castagni, che formano una
cioeca arricciata. La eoda è verso il mezzo di
un color grigio di ardesia, ignuda al disotto,
e munita dai lati di lunghi peli bianchi, i quali
già non si distendone sopra di essa, ma stanno
ritti ritti, come lance sottili. »
Il dottor Hunser così favella nelle Transa-
zioni filosofiche dell’ animale di cui trattiamo:
« Sebbene il nil-ghau sia generalmente creduto
di difficilissimo governo, quello però che mi si
era dato in guardia mostravasi assai docile.
Parea molto soddisfatto della famigliarità, ch'io
seco usava; leccavami la mano, sia che il toc-
cassi leggermente, sia che gli dessi a mangiare,
nè mai tentò recarmi offesa colle sue corna.
« Molto, per ciò che appariva, confidavasi
esso nell organo dell’ odorato; perocchè fiutava
ts:
_ 09 IL -NIL-GHAU,
forte e facendo grande strepito ‘ogni ‘volta che
alcuno gli si oflriva allo sguardo, ovvero gli si
arrecava cibo o bevanda; e tanto abborriva ogni
odore straniero, che rigettava quel tozzo di
pane, il qual gli venisse da una mano, che me-
mnomamente avesse toccato essenza di tremen-
tina o spirito di vino. »
« Singolarissima è la sua maniera di battersi,
dice il sig. di Buffon. Milord Clive ebbe agio
di osservarla in due maschi, i quali erano stati.
chiusi in un piccolo recinto, e così me la rac-
contò.
« Essendo tuttavia a molta distanza l uno
dell altro , si prepararono al combattimento
cadendo sulle ginocchia anteriori; e in tal
guisa sirisciarono rapidissimi questo all’ incon-
tro di quello per affrontarsi. Come finalmente
furono vicini spiccarono un salto e si assali-
rono ‘a vicenda.
« Questo andare sulle ginocchia davanti lo
notai per vero dire ogni volta, che si voleva
toccare i due da me posseduti, e talora anche
solo che mi presentassi ai loro sguardi. Ma
come non si slanciavano mai contro di me,
era ben lungi dal pensarmi che simile posi-
tura indicasse collera o disposizione a combat-
tere. Che anzi io la riguardava come un segno
di timidezza, anzi di umile docilità. »
La forza e l'intrepidezza, con cui simili
| IL NIL=GHAU. 393
‘animali slanciansi contro un oggetto a loro inviso
può argomentarsi da ciò che sono per riferire.
Un nil- - ghau di vagguardev ole grossezza pas-
sava in un chiuso non lungi di un povero
giornaliero, il quale non sapendo che l' ani-
male gli era vicino montò sopra la palizzata.
Il nii- ghau colla rapidità del fulmine lanciossi
‘contro la palafiita istessa, cul mise in pezzi
rompendosi lun de corni sin presso alla sua
origine, il «che fu probabilmente .cagion della
‘sua morte, che poco appresso avvenne.
Si trae sovente il nil-ghau dalle parti in-
terne dell Asia, per farne presente ai Nabab
o altri grandi personaggi degli stabilimenti eu-
ropei neli’ India. In alcune contrade dell’ Oriente
‘esso è riguardato come selvatico reale, e solo
il principe o i magnati han privilegio di an-
darne alla caccia.
U::0 se ne vede oggi (1806) nel parco di
Exe:er- Change, che ha circa sei anni, e da più
«di tre è in possesso del sig. Pidcock. È vera
mente bell'animale, ma nessuno degli stranieri
può ad esso accostarsi. Quando si prepara ad
alcuna specie di contrasto suole, siccome quelli
già descritti, inginocchiarsi, ed urtare col capo
fortissimamente. Il suo custode mi disse che
non Viveva se non di fieno e di frumento.
FINE DEL TOMO PRIMO.
INDICE
DEL TOMO PRIMO.
Mino dell’ Editore i i
Jatroduzione
CariroLzo I
Il Leone ; A È :
La Tigre . È - . è
Il Leopardo .
La Pantera È A L. È
N Lince i 5 È i E A
L’ Oceloto
L’ Iena *
L’Tena Lucia ; i,
CapiroLo II ; i ;
Il Lupo : ; : ; E =
La Volpe .
La Volpe del Polo Alica.
Il Chacal o Lupo Dorato
Il Chacal di Barberia o l’ Adivo
Il Castoro
CapitoLo HI
"L'Orso comune
L’ Orso. d’ America
‘396 INDICE DEL TOMO
L'Orso Bianco . .È
TI Coati o Rattone ;
Il Tasso. È ; ;
Il Ghiottone i ;
‘CApitoLo IV
IL’ :Ele fante i 4
Tl Rinoceronie .
Tl Rimoceronte a doppio corno
L’Ippopotamo . ;
Il Tapiro . L
CaritoLo V 2 STILI
L’ Orangotano
IM Bertuccione . ,
Il Piteco . ; .
Il Babbuino propriamente detto
fl Babbuino con muso di cane
Il Babbuino Orsino
Il Coaita
La Garzetta -
L’ Quistiti
Il Callitrice
La Berretta Cinese i °
L'Ouarino . 4
Il Sajou
Il Saimiri . i È
La Diana . ; .
ll Lori Tardigrado
Il Manicou
200
Ivi
215
218
221
224
ivi
228
DI
253
254
256
257
242
245
244
252.
258
INDICE DEL TOMO PRIMO.
Il Cayopollino . ; i
Il Kanguro i , ;
Il Becco d’ Uccello ; ;
La Foca
1° Orso Marino
La Foca dal naso a baia
Il Lion Marino
Il Morso —. ;
CapirtoLo VI . ;
La Nottola o Pipistrello
Il Vampiro ì
La Talpa
L’Ai
Il Porco Spino
Il Riccio .
La Donnola
L’Icti o il Bocamele . -
Il Zibetto
La Martora ; ; :
Il Zibellino
LI’ icneumone . -.
CapitoLo VII
Lo Scojattolo ; i
Lo Scojattolo Grigio. .
Lo Scojattolo Volante .
Il Gerbo . . i
TH Lepre
Il Coniglio
397°
Pag.
3”
261
262
266
270
200]
2,82
285
288
294
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398 INDICE DEL TOMO PRIMO.
CapitoLo VII . - Pag. 565
Il Camelo . c i : È » ivi
Il Bissonte . 3 . S iran » 393
Il Bufalo . . . Sg i », 577
Il Zebro . i i » 364
Ta Giraffa . _ , i 1) 386
1 Nil-Ghau 2 > 3 : ì 1» 590
REGISTRO
DELLE TAVOLE INCISE
CONTENUTE IN QUESTO TOMO.
Roe...
Il Leone
La Tigre
1 Iena
ll Lupo
La Volpe
L’ Orso
L’Flefanie .
Il Rinocerente
I'Ocangotano .
I Babbuino Orsino .
I. Alano e la Scimia
Il Kanguro
La Noitola e Pipistrello
Lo Scojattolo i i
H Lepre . î
Il Camelo . n
IH Bufalo
ANTOLOGIA
MORALE, ASCETICA, CRATORIA
CHE SI PUBBLICA PER ASSOCIAZIONE.
IN. QUESTA STAMPERIA.
I diciassette tomi usciti sono :
Tomo 1.° e 2.° Lettere scelte di S. Girolamo
ritradotte sul testo originale, con rame. Lim
Tom. 3,9 Orazioni di S. Gregorio Nazianzeno
fatte toscane da Annibal Cu: con rame. ‘>
Tom. 4.0 5.° e 6.° Caratteri dei più celebri dae
tori Sacri, descritti dal Cardinale Siffredo
Maury , col suo ritratto . ”
Tom. 7.° e 8.9 Gli Uffici di S. Ambrogio coll
l aggiunta del Trattato della fuga. dal mon-
do , con rame. +. ”»
Tom. 9.9 Orazioni di S. Giai Grisostomo ,
con rame . - ”
Tom. 10. Pensieri Ri Pal al religione ,
ricorretti e forniti d’ importanti note, con
ritratto . . ; i 9”
Tom. 11.9 Sermoni di S. Agostino recente
mente scoperti, col testo a fronte, e rame
Tom. 12.° Sermoni ed Omelie del medesimo
S. Agostino, volzarizzati da Monsignor Flori-
mo nie . ”
Tom. 13.° e 14.° Opere scelte di Tertulliano ,
con rame . 9)
Tom. 15.2 e 16. o Or azioni Fanehri a Bossuet
ricorrctte ed accresciute dell’ Orazione reci-
tata per la professione religiosa della Du-
chessa della Vallière, con rame . s9
Tom. 17.° Della Dottrina Cristiana, libri quat-
tro di S. Agostino, versione del Bersantini. D)
Tom. 18.9 ( sotto. ‘i torchii ). Discerso sopra
3° unità della Chiesa di Bossuet suddetto.
h.
ED
DI
no)
30
Rae