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Full text of "Il gabinetto del giovane naturalista"

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IL 
GABINETTO 


DEL 
GIOVANE NATURALISTA 
OVVERO 
Descrizione della natura e de’ costumi 
dei principali Quadrupedì, Uccelli, 
Pesci, Amfibj, Rettili e Insetti, disposta 
in bell’ordine e adorna di 72 incisioni, 


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GABINETTO 


GIOVANE NATURALISTA 


DI 


TOMMASO SMITH 


CON ELEGANTI FIGURE 


La gloria di colui che tutto inove 
Per l'universo penetra, e risplende 


In questa parte più e meno altrove. 
DANTE. 


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TOMO PRIMO. 


ITC lano 
Presso Omosono Manisi 
Tipografo ne’ Tre Re, N. 4085 


SE ene o ce 


ata SERIO, SUR; Sit PRA gi 
1826. Leila Lo 


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% Feudi 


ne AGLI AMATORI 


STORIA NATURALE 


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dii varie parti, che compongono la 
naturale istoria, quella che tratta degli. 
Animali è meritamente considerata come 
la più istruttiva e la più dilettevole. Essa 
fa la strada allo studio dell’uomo; eser- 
cita lo spirito all’ osservazione, onde na- 
sce la rettitudine dei giudizj; pasce l' im- 
maginazione colla moltiplicità e vivacità 
degli oggetti; interessa il cuore collo spet- 
tacolo di tante affezioni diverse; conduce 
alla morale, per ciò solo che desta in noi 
movimenti imparziali riguardo agli atti 
giovevoli o nocivi degli esseri in cui sì 


manifesta qualche specie d'intelligenza; e 
serve alla religione, poichè fa così ben 
sentire una saggezza e una provvidenza 
infinita. 

Quindi i libri, che ad essa -apparten- 
gono, sono generalmente accolti con avi- 
dità, massime dall’adolescenza; la quale 
con tal istinto par che ci riveli, che di 
qui e non altronde dovrebbero cominciare 
i suoi studi. Invano però si vorrebbe se- 
condare una delle più belle disposizioni 
della prima età, se mancano i mezzi op- 
portuni. Poiche né le opere voluminose e 
sistematiche, nè le troppo succinte e leg- 
giere servono all'uopo: le prime pel costo 
e la difficoltà d'essere intese, le altre per 
la poca sostanza che inganna, anzi che 
soddisfaccia il desiderio. 

Ciò vide il sig. Smith, celebre scien- 
ziato inglese, e stimo supplire al bisogno 
col suo Gabinetto del Giovane iNatura- 
lista, composizione in suo genere perfet- 
tissima, che unisce la ricchezza all’econo- 
mia, l'eleganza alla chiarezza, l'ordine ra- 
gionato alla più grande semplicita. Essa è 


in pochi anni divenuta classica e in In- 
ghilterra e fuori; ed io non dubito far 
cosa di universale aggradimento, produ- 
cendola anche nella nostra lingua perchè 
giovi a tutte le classi della società. 

La somma delicatezza dell’ autore nella 
scelta delle cose e delle espressioni, al- 
lontanando ogni benchè minimo pericolo 
per l'innocenza, accresce il suo pregio 
per l'uso che può farsene nell’ educazione 
d’ambo i sessi. 


L'EDpirore. 


INTRODUZIONE 


Pooni soggetti nel vasto campo delle umane co: 
gnizioni sogliono offerirsi con maggiori attrattive, 0 
avere in sè maggior utilità di quelli che apparten- 
gono all’ Istoria della Natura. Sono essi egualmente 
proprit a soddisfare una lodecole brama di sapere, 
a procurarci un perenne diletto, e « porgerci altis- 
sima idea del sovrano dispensator delle cose, la cui 
suprema volontà creò l universo , e la cui potenz 
infinita, congiunta ad ineffabile bontà, conserca la 
vita di tutti gli esseri e provvede ai loro bisogni. 
Lo studio degli animali, in ispecie, sembra esser 
proprio non meno della gioventù che delle altre 
età, dacchè ogni sua parte è feconda d istruzione, 
e tende a far più puro il cuor dell’uomo, a ri- 
schiarare il suo giudizio, ad ispirare il gusto delle 
utili ricerche e delle meditazioni profonde. 
Malgrado però tanti suoi pregi è forza il con- 
venire, che di rado esso fu presentato sotto forme 
gradecoli, o tali che l’ intelletto, l immaginazione 


e la virtù ne asessero egual piacere e giovamento. 


Il gentil sesso, in ispecie, venne spesso distolto 
dalla lettura delle migliori opere di Storia Natu- 
rale, poichè l’ istruzione non sarebbe stata senza 
pericolo della modestia. Ma l’ autore del Gabinetto 
del Giovane Naturalista assicura con piena fiducia 
non incontrarsi nel suo libro una sola espressione, 
di cui la verecondia più delicata abbia ad offen= 
derst. 

Questo trattato, senza fondarsi sovra di alcun 
sistema particolare, è diviso in classi distinte: i 
quadrupedi, gli uccelli, i pesci e gli animali am- 
fibj, i rettili e gli insetti, le cui principali specie 
sono rappresentate per mezzo di belle figure, pro- 
prie a facilitare la spiegazione de’ fatti è degli anede 
doti più singolari sparsi nel trattato medesimo. 

Esso è compendioso, ma completo. Forma, pro- 
porzioni, colore, abitudini, costumi, nulla si obblia 
nelle descrizioni degli animali più noti, o più degni 
di esserlo. Ogni particolarità che meriti di fissar 
l’ attenzione vi è riferita; ed ogni particolarità ri- 
ferita ha per fondamento le più esatte relazioni. 

Al pregio delle cose poi aggiugnesi quello di uno 
stile rapido, chiaro, talvolta pittoresco nella sua 
semplicità, il quale speriamo che nulla acrà pers 
duto nella presente versione. 


IL LEONE 


IL 


GABINETTO. 


DEL 


GIOVANE NATURALISTA 


CAPITOLO PRIMO. 


Ecco dal suolo liberar la testa, 
Scuoter le giube e tutto uscir d'un salto 
Il biondo imperator della foresta: 
Ecco la tigre e il leopardo in alto 
Spiccarsi fuora della rotta bica 
E fuggir nelle selve a salto a salto. 
Monti. 


IL LEONE. 


Usy celebre naturalista, il signor di Buffon, già 
osservò come le forme esteriori di questo qua- 
drupede corrispondano alle grandi sue interiori 
qualità. « Il leone, egli scrive, ha figura impo- 
nente, sguardo sicuro, andamento superbo, voce 
terribile. La sua corporatura non eccede le giuste 
proporzioni, come quelle dell’ elefante o del ri- 


12 IL LEONE. 
moceronte; non è di sì grave peso, come quella 
dell’ippopotamo o del bufalo; non corta e mena- 
bruta, come quella dell’ iena o dell'orso, ma tale 
invece e sì bene intesa, che sembra essere il mo- 
dello della «forza. congiunta all’ agilità ». Essa, 
quantunque in ciò varii, suole estendersi otto in 
nove piedi dal muso alla radice della coda, la 
qual pure ne ha di lunghezza quattro all’ incirca. 

La testa del leone è tutta coperta di pelo 
lungo e folto, e il suo collo va adorno di bella 
‘criniera che scende a coprire il petto; mentre il 
resto del corpo è liscio e raso. Il colore di que- 
sto è intto fulvo, più carico sul dorso, più biau- 
chiccio sul dinanzi e sui fianchi. - 

La lionessa è forse di un quarto più picciola 
che il lione, e priva di quella criniera che rende 
1) altro sì maestoso. 

Cerca in primavera i luoghi più inespiti, ed’ 
ivi depone quattro © cinque lioncini della gros- 
sezza di una donnola, che quasi per tutto l’anno 
restano alla mammella. Nel qual tempo nondi- 
meno essa gli avvezza a succhiare il sangue e 
dilaniar le membra degli animali che loro apporta, 

Modello di materna affezione, sebben natu- -. 
ralmente più debole e meno coraggiosa del ma-: 
schio, quando trattasi de’ figli, si mostra al 
par di esso formidabile ed anche più. feroce. 
Agile ugalmente « appena tocca (per usare le 
eleganti frasi del signer Lacépède) coll’ estre= 


IT LEONE. 13 
mità de” suoî diti la terra. Le sue gambe ela- 
stiche e svelte, rassomigliano in certa guisa 
quattro: suste, pronte sempre ad allentarsi, onde 
spingerla alta dal suolo e laneiarla a gran di- 
stanza. Salta essa, balzella., spiccasi non men 
che il maschio, e varca spazii di dodici in 
quindici piedi. Ed è di esso più vivace d’ as- 
sai, più sensitiva, più ardente, di più breve ri- 
poso, di sbalzo più improvviso, di mossa più 


impetuosa ». 


Quando ha de’ piccioletti, gran cura si dà 


di nascondere il luogo «del suo ritiro, per tema 


d’ esservi sorpresa. Cancella colla coda perfin le 
traece de’ propri passi; ed ove alcun ‘sospetto 
la punga, trasporta alirove i parti suoi. Che se 
mai è d’ uopo difenderli, più non conosce peri- 
glio, e si getta furibonda sugli uomini egnal- 
mente e sulle belve. 

Quando poi gli ha perduti insegue i rapitori 
a smisurate distanze, attraversa precipizii, e per 
qualche iratto fin dentro al mare. 

Il ruggito del leone, allorchè cerca la sua 
preda, rassomiglia al rimbombo del tuono. Ripe- 
înto assai lungi dall’ eco delle rupi e delle mon- 
tagne spaventa gli animali del deserto che cer- 
cano scampo in una fuga precipitosa. 

Vuolsi che nella sua libertà esso prenda in una 
sola volta tanto di cibo, che basti a sostentarlo î 
Gue e i tre giorni, 


14 IL LEONE. 

La sua lingua è armata di punte sì dure, 
che bastano sole a straziar le carni delle sue 
vittime. Quando ira o fame lo stimola, agita 
esso l'ampia criniera, e colla coda si batte i 
fianchi: allora la morte è certa per chiunque lo 
incontra. Ma quando tai segni terribili in esso 
non appariscono, quando si mostra in calma; 
possono i viaggiatori passargli a lato, e andarne. 
sicuri. | 
Il lione non usa alla caccia migliore. stro- 
mento che il suo occhio, poichè ha 1’ odorato 
assai men fino che quello della più parte degli 
altri animali. Ed è a questo difetto, proba- 
bilmente, che Mungo-Park andò debitore di sua 
salvezza nel periglioso suo viaggio per l’ interno 
dell’ A frica. 

Riferisce egli, come traversando un deserto 
vedesse un leone d’ enorme grossezza , sdrajato 
in sull’ arena, posando il sno muso fra le 
distese sue zampe, e dormendo sotto. la sferza 
avvampante del sole con occhi semi-aperti. Seb- 
bene spaventatissimo per tale incontro fu però sì 
avveduto di uscir tosto di cammino, e tornando 
addietro nascondersi fra gli sterpi. Il che forse 
non gli valeva a scampo, ove il terribile ani- 
male fosse stato fornito di quella squisitezza di 
elfato, che è comune alla più gran parte degli 
animali quadrupedi. 

E naturalisti già hanno fatto osservare, par- 


IL LEONE. 15 
lando della forza muscular del leone, che un 
solo colpo della sua zampa basta per fran- 
gere i reni ad wu cavallo, e una sola per- 
cossa della sua coda a rovesciare Ì uomo più 
robusto. Kolben notò, che quando il ieone è 
giunto ad afferrar la sua preda comincia dall’ at- 
terrarla, e di rado avventa contr’ essa il dente 
divoratore, prima di averle dato un colpo mor- 
tale, cui sempre accompagna d’ orrendo rug- 
gito. 

Si è veduto al Capo di Buona Speranza un 
lione prendersi in bocca un vitello, e portarlo 
con quella facilità, che un gatto porterebbesi 
un sorcio, saltando una fossa larghissima. 

Quest’ aliro fatto servirà ancor più a com- 
provare la forza dell’ animale, di cui si fa- 
vella; esso fu riferito al dottor Spartman da due 
coloni, degni di tutta fede. 

Andando eglino un giorno a caccia con pa- 
recchi Ottentoti, videro un leone, che stra- 
scinava un bufalo dalla campagna al bosco, 
il qual sorgeva sulla montagna vicina. Accor- 
rendo allora, e minacciando da lungi ’ ob- 
bligarono a lasciar la sua preda, che a loro 
stessi tornava opportuna. E come se ne furono 
impadroniti, ammirarono la sagacia del leone, 
che, a trasportarla più facilmente, ne avea le 
vati tutti gli intestini. Quello intanto da un 
inacchione del bosco, ove s° era appiattato, stava 


16 IL LEONE. 
guardando. con occhio eruecioso gli Ottentoti , 
che trasferivano ad un carriaggio gli avanzi 
della belva uccisa; e se il gran numero non 
l’ avesse rattenuto , saria stata ben sanguinosa 
la vendetta di tale rapina. 

La molta forza però non basterebbe at lio» 
ne, per vincere un animale di quella gros- 
sezza e di quel vigore ch’ è il bufalo, se non 
vi aggiugnesse l’ astuzia e l’agilità. Slanciandosi 
improvviso sulla sua vittima, e cacciandole di 
tutto impeto le zampe nelle narici e nel mu- 
so, già l’ ha soffocata: prima che possa difendersi. 
Di ciò si hanno testimonii altri coloni. 

Ma testimonianza più irrefragabile sembra es- 
ser quella. de’ bufali sfuggiti qualche volta alle 
sue unghie, che si trovarono profondamente 
impresse nelle parti che già dicemmo. Assi- 
curasi però che anche il leone rischia la 
sua vita in simili assalti, massime se altro bu- 
falo si trovi. in istato di venire in soccorso 
dell’ offeso. E da un viaggiatore si narra, come 
una bufala, seguita dal suo vitello e appostata 
presso ad una riviera, tenne fronte a cinque 
leoni, che. l’ aveano, per così dire, circonda- 
ta, senza mai osare di aggredirla, almeno per 
quel tempo che il viaggiatore gli stette osser» 
vando. 

Ove il leone non sia spinto dalla fame 
tieusi in agguato, aceovacciandosi sul ventre 


IL LEONE. 17 
come gatto o tigre, e aspettando paziente 
mente la sua preda. Se questa si avvicina + 
eccolo slanciarsi d’ un salto prodigioso; ma 
qualora gli sfugge non si dà ad inseguirla. 
Bensì gira intorno al luogo, ove si iereva 
nascosto , e par che misuri l esatia distanza 
da questo al punto, onde la vittima gli si 
sottrasse, quasi per meglio calcolare in avve- 
nire i suoi movimenti. Ciò fecero intendere 
al già nominato sig. Spartman alcuni Ottentoti. 

Egli poi sostiene non essere già si magna- 
nimo, come si è preteso , il carattere dell’ a- 
nimale, di cui si favella, ma orgoglioso in- 
sieme e vigliacco, sebben la fame gli ispiri 
intrepidezza e coraggio straordinario. « Dalle 
relazioni raccolte intorno al leone, egli dice , 
e da quanto vidi io medesimo cogli occhi 
miei, parmi poter conchiudere ch’ esso non di 
rado è timido quanto feroce, o almeno che 
l’ardir suo non corrisponde alle sne forze. 
Pure di quest ardire si danno prove incredi- 
bili, ed una io voglio citarne, qual fu rife- 
rita a me stesso. 

Un dione entrò un giorno in un luogo 
cinto di muro, ove pascean bestiami, e vi 
fece molta strage. La gente del podere non 
dubitò ch’ esso ritornerebbe per donde era 
venuto, cioè per un cancello di legno , at- 
traverso del quale si era a forza aperto un 


Gabinetto Tom. K. 9 


10 IL LEONE. 
passaggio. Però vi tesero innanzi una corda, a 
cui appoggiarono più .archibugi in modo, che 
quando l animale T urterebbe col petto , essi 
gli si scaricherebbere contro. Ma colui giunto 
prima che annottasse, prendendo sospetto, per 
ciò che sembra, di tale apparecchio , levò la 
corda colla sua zampa, € nulla intimorito dello 
scoppio dell’armi da fuoco, andò, come nulla 
fosse, a gettarsi entro il recinto su gli avanzi 
ivi lasciati della sua preda ». i 

Cosa confermatissima dalla testimonianza de- 
gli scrittori si è ch’ esso preferisce la carne 
degli Ottentoti a quella d’ ogn' altra creatura, 
onde fu veduto scegliere fra gran numero di 
Olandesi uno di tali selvaggi. 

Certo Ottentoto di que di Namaaqua , che 
hanno la loro dimora circa ad otianta leghe 
dal settentrione del Capo di Buona Sn 
volendo condurre | armento del suo padrone 
a de marazzi posti fra due catene di rupi, 
s accorse di un lione accovigliato fra i giun- 
chi e le canne. Quindi preso da spavento sì 
diè tosto alla fuga, usando per altro I accor- 
gimento «di passar per mezzo alle bestie ch'ei 
conduceva, perchè sperava che la prima, in 
cui il lione si avvenisse, lo distornerebbe dal- 
TY inseguirlo, Ma il feroce animale slanciandosi 
in quel branco, e spregiandolo andaya dritio 
all’ Ottentota ; che palpitante e qu@lsi senza 


an 


ÎL LEONE. 19 
respiro si diede ad arrampicarsi ad un aloé. 
sul cui tronco erano per sorie alcune scaifi- 
ture, per servir di gradini , onde giugnere 
più facilmente ai nidi posti fra’ suoi rami. 

E qui noiterem di passaggio come tai nidi 
appartenevano ad una specie di uccelli appel 
laii col nome generico di load, i quali vi- 
vono socievolmente fra loro, quasi in repubblica, 
ricoverandosi a più centinaja sotto un mede- 
simo coperto, in uno spazio che non olire- 
passa i dieci piedi di diametro. 

L' Otientoto si appiattò dietro un gruppo 
de loro nidi per sottrarsi alla vista del suo 
implacabile nemico, il quale , mentr egli sali- 
va, già gli cra alle spalle. Ma non avendo 
potuto afferrarlo si aggirò intorno all albero 
nel più cupo silenzio, gettando di tempo in 
tempo terribili occhiate sul povero Africano. 
Questi, dopo esser rimasto lungamente immobi- 
le, s arrischiò alfine a guardare attraverso ai 
rami, se mai quel crudele si fosse partito; ma 
quale non fu il suo stupore inconirandosi ap- 
punto co suoi occhi smarriti in quelli del leone 
scintillanti di rabbia! L'animale allora si di- 
stese a piè dell’ albero, ove stette per venti- 
quatt’ ore, senza mutar di luogo un sol pal- 
mo. Alfine, costretto dalla sete, mosse verso di 
una sorgente, ch era indi alquanto disiante. 
Il quale opportuno momento non volle già 


20 IL. LEONE: 
I Ottentoto lasciarsi sfuggire ; ma sceso pian 
piano e tutto sospettoso dall’ albero, con quanta 
maggiore celerità gli fu possibile corse alla 
volta della sua capanna, che ad un miglio di 
là sincontrava, e vi arrivò sano e salvo. Sua 
ventura, veramente; poichè il jeone tornato al- 
albero, e non più ritrovandolo, si pose sul- 
T orme sue, a di due o al più tre centinaja 
di passi mancò a raggiungerlo. i 
Nelle parti settentrionali del continente Afri- 
cano, ove frequente è tal genere di animali, 
gran destrezza e grande intrepidezza dimo- 
strano gh indigeni, che loro. fan guerra. 
Ciaudio Jannequin ci descrive nel suo Viaggio 
Ù Sénégal un fierissimo combattimento sulle 
ponde del Nigro fra un leone ed un capo 
de negri. Ave questi condotto Jannequin e 
la sua brigata a certo luogo vicino di una 
immensa i. tutta piena. di belve feroci , 
e ajutatolo a salire sovra glu alberi. Indi mon- 
tato sul suo cavallo, e e presi tre giavellotti ed 
una scimitarra entrò nel più cupo della. fore- 
sta medesima, e sconiraio bentosto un leone, 
il ferì in una coscia. L' animal furibondo si 
avventà contro | assalitore, che con simulata 
fuga l'attirò là dove dar voleva agli. ospiti. 
suoi nuove spettacolo. Però volgendo improv-. 
viso le briglie al destriero , scagliò contro di. 
quello un dardo, che andò a colpirlo nel petto. 


IL LEONE. 21 
indi avendo egli messo piede a terra, il leone 
spumante di rabbia e con aperte fauci si spinse 
contro di lui, come per divorarlo. Ma il ne- 
gro aspettandolo impavido, l accolse colla punta 
del terzo giavellotto., che gli piantò nella go- 
la, e saltatogli in groppa gli tagliò il capo 
colla scimitarra. Nella qual pugna diè prova 
di tanta agilità e destrezza, che ne riportò 
appena in un fianco lieve graffiatura. 

Ogni volta che il leone si ‘è accorto della 
superiorità deil’ uomo in suo confronto, sem- 
pre si è perduto di coraggio in modo, che 
un solo grido di quello è bastato per torgli 
ogni forza. Addomesticato poi ha pertin temuto 
di cimentarsi con un becco, siccome risulta 
dali’ esempio che segue. 

. Un leone, ch era del sig. Bruce, governa 
tore degli stabilimenti della compagnia del 5é- 
négal sulla costa d' Africa, stava col padron 
suo, mentre si conduceva in casa un branco 
di capre novellamente comprato. Le quali sì 
fattamente si spaventarono alla vista del feroce 
animale, che tutte sbandaronsi, eccetto un ar- 
ditissimo becco, posto loro a capo. Si mise 
quesito anzi a guardar francamente il leone, 
«e a battere il piede in aria di minaccia; poi 
ritraendosi, onde prender le mosse, precipitò 
sopra di esso e il colpì nella testa, di sì vio- 
lenta cornata, che tutto ne rimase stordito, 


2a ÎIL: LEONE: 
E poichè l'assalto del becco baldanzoso si vi- 
peteva , quello non potendo rinvenire in sé, 
né osando replicargli , stimò suo meglio ripa 
rarsi dietro il signor suo, come a sicura trincea, 

Malgrado la nativa ferocità, spesso il leone 
si alleva cogli animali domestici, fra cui vedesi 
trescare e sollazzarsi innocentissimamente. E 
tale è la generosità dell'’indole sua, che sde- 
gna più volte de nemici troppo deboli, e loro 
perdona offese, di cui sarebbe in poter suo 
il vendicarsi. Il seguente aneddoto ne fornisce 
esempio ben rimarchevole. 

Non sono molti anni che ad un leone, il 
quale stava in serraglio nella torre di Londra, 
fu dato un cane, perchè gli servisse di cibo : 
ma lungi dall esercitare I furor suo sopra di 
un animale sì poco temibile, il maestoso ani- 
male gli risparmiò la. vita, e visse con lui 
non breve tempo, dandogli segno di non so 
quale affetto, che potria chiamarsi protezione. 
Talvolta il cane era sì impudente da bronto- 
lare contro il suo benefattore, e disputargli 
il nodrimento ch era gettato nella chiusa; ma 
il re degli animali, in luogo di gastigare la 
folle temerità del suo commensale, lasciavalo 
giar tranquillamente , prima di cominciar 
il suo pasto. 

Tal magnanima noncuranza, e quasi coma 
patimento degli inferiori in forza, ha fatte 


Man 


IL LEONE. 23 


narrare di quel quadrupede istorie maravigliose 
ed ineredibili. 

«Un domenicano di Marsiglia, appeliato fra 
Giuseppe Colombot, accertommi, dice il padre 
Labat, ch’ essendo schiavo del re di Marocco, 
e fuor d'ogni speranza d' uscire di quella cat- 
tività, sl risolvette con uno de’ suoi compagni 
alla fuga, e alla risoluzione diè eseguimento. 
Peritissimo nel navigare, come uno de migliori 
piloti dei suo paese, si confidò di ritrovar pre- 
sto il cammino della Rocca, luogo appartenente 
ai Portoghesi, ove ambidue facevano pensiero 
di recarsi. Essi non andavano che di notte, e 
riposavansi il giorno o sugli alberi ne’ boschi 
quando ne ritrovavano, o sepolti nella sabbia 
con alquanti sterpi in sul viso, per difenderlo 
dagli ardori del sole. Grandi erano i loro pa- 
timenti, ma il mancar d'acqua parea loro il 
più insoffribile di tutti. Già da due giorni li 
tormentava crudelissima sete, quando una notte 
alfine si ritrovarono inopinatamente in riva ad 
una laguna; di che ebbero indicibile conforto. 
Ma ecco, mentre vogliono appressarsi, un ter- 
ribil leone, che quasi custode dell’ acque. loro 
il divieta. Costernati dapprima, indi stretti a 
consiglio fra loro, si avvisano di porsi innanzi 
genuflessi al fiero animale, e presi atti e ac- 
centi di supplichevoli eccitarue la compas- 
sione. Gli parlano della dolorosa schiavità onde 


9A IL LEONE. 
fuggivano, del bisogno di dissetarsi, per poter 
continuare la vita non che il cammino, e giu- 
rano d’essergli in eterno riconoscenti, se tanto 
beneficio ad essi concede. Il qual discorso parve 
molto persuadere il leone, che si ritrasse alcun 
poco, onde provedessero liberamente al loro 
bisogno, stando intanto a guardarli con occhio 
più che prima grazioso , per quanto sembrò 
loro di scorgere al fioco lume di luna. Il più 
ardito quindi scese allo stagno, e mentre l'altro 
seguitava la cominciata preghiera, bevve lar- 
gamente e a pieno agio, ed empiè d acqua 
alcuni otri che avea con sè. Poi venne al com» 
pagno, e presone il posto, intanto che andava 
umilmente là ond'egli era tornato, si fece a 
ringraziare il leone. Al che non avendo man- 
cato neppur l'altro, tosio che si fu dissetato, 
l’animale ne parve sì pago, che per non ri- 
tardarli più a lungo si ritrasse del tutto; ed 
eglino all'indomani giunsero alla Rocca ». 

Il qual racconto del fraticello dabbene, e di 
chi il ripete sente abbastanza di ridicolo, in 
ciò specialmente, che riguarda i. motivi della 
mansuetudine del feroce animale. Ma la cosa 
può benissimo spiegarsi, argomentando che il 
leone ben pasciuto e ben riposato innanzi al 
loro arrivo, nè sentisse voglia di nuocer loro, 
nè bisogno di rimanere. 

Sia qui permesso a chi traduce ricordare 


IL ÈEONE. 25 
un altro fatto già raccomandato alla storia, e 
modernamente divenuto soggetto di belle in- 
cisioni, il quale ha molta affinità col descritto 
qui sopra. Il recheremo nell’ingenuo stile del 
nostro Gio. Villani, poichè nessun altro meglio 
gli converrebbe. 

Verso gli anni 1273 « fu al comune (di 
Firenze) presentato un bellissimo e feroce leone 
il quale era rinchiuso alla piazza di san Gio- 
vanni. Avvenne, che per mala guardia di colui 
che ’1 custodiva, uscio il detto leone della sua 
stia (lo stanzino) correndo per la terra; onde 
iutta la terra fu commossa a paura. Avvenne, 
ch'arrivò in orto san Michele, e quivi prese 
uno fanciullo e tenealo ira le branche. Udendo 
ciò la madre del detio fanciullo, che non avea 
più che lui, e questo l'era timaso in corpo 
dopo la morte del padre, ch'era stato morto a 
ghiado (di coltello ), sì si mosse come dispe- 
rata, con gran pianto, scapigliata, e andò in- 
contro al leone, e prese il fanciullo dentro le 
branche del leone, e menolsene; di che il 
leone nè alla madre né al fanciullo non fece 
nulla novità, se non che la raguardò, e stet- 
tesi fermo nel luogo suo. Onde di questo si 
fece questione, qual fosse il caso, o la gen- 
tilezza della natura del leone, o la fortuna ri- 
serbasse la vita al detto fanciullo, però che 
poi vivendo facesse la vendeita del padre, come 


né IR LEONE: 
egli fece, e fu poi chiamato Orlanduccio del 
leone ) e 

Molti aneddoti van per le bocche e per gli 
scritti intorno all'attaccamento, ed aila rico- 
noscenza di quest animale pell'uomo. L'antica 
istoria d Androcle e del leone, quale ci viene 
riferita da Dione Cassio, debb' essere troppo 
nota ai nosiri leggitori; ma nol sarà forse egual 
mente quest'altra più moderna, che riporieremo. 

Sotto il regno di Giacomo primo, l orolo- 
giere Enrico Archer, il quale abitava a Marocco, 
avea due lioncelli, già stati rapiti alla. madre 
loro in vicinanza del monte Auante. Erano essi 
appajati, eloè maschio e femmina, e stetiero 
insieme nel parco dell’imperadore, finchè la 
seconda morì. Allora Archer, sicdliù il primo 
‘nella sua camera istessa, ve lo tenne, finchè 
fu giunto alla grossezza di un gran cane, € 
moito si compiaceva della sua domestichezza e 
mansueiudine. Ma dovendo ritornare in Inghil- 
terra, lo diede ad un mercadante di Mosa 
il qual ne fece presente al re di Francia, onde 
fu poscia inviato a quello della Gran Bretta- 
gna, e pol tenuto sette anni nella torre di 
Londra. Ivi capitò un giorno, per caso, con 
alcuni amici, a vedervi le fiere, certo uomo, 
che fu già al servigio di Archer. IL leone to- 
sto lo riconobbe, e mostrò, a molti segni, 
grandissima contentezza di rivederlo. Quegli, 


tL LEONE 27 
pertanto non meno giojoso di tale avventura, 
pregò il custode che gli aprisse, la stanzetta 
del leone, e vi entrò. Cosa singolare e com- 
movente fu il mirare la festa, e le carezze, 
che fece l’animale all'ospite suo, al partir del 
quale mandò terribili ruggiti, onde esprimere 
il suo dolore, e ricusò poi per quattro interi 
giorni di prendere nutrimento. 

Somigliante narrazione leggiamo ne Pensieri: 
del sig. Hope. Un giorno, ei dice, ch io fui 
a pranzo colla duchessa Hamilton, all’ uscire 
di tavola si andò con tutti i commensali a ve- 
der un lione, ch ella facea nutrire in una sua 
corte. Or mentre, ammirandone la voracità, 
l'andavam eccitando colle nostre canne, perchè 
dalla sua preda si volgesse contro di noi, venne 
il portinajo a dire, che un sergente, il quale 
era a’ cancelli con alquante reclute, chiedeva 
di poter contemplare alcun poco quell animale. 
La duchessa tutta garbo e afiabilità, doman- 
datane licenza alla compagnia; fece che il ser- 
gente s innoltrasse; il quale in approssimarsi 
alla gabbia, gridò tutto a un tratto: Nerone! 
Nerone! povero Nerone! dunque non mi co- 
nosci più? Il leone allora voltò la testa per 
guardare ; poi si levò e abbandonato il suo 
pasto venne alla inferriata, e vi si pose di Lra- 
verso, e l'uomo introdotta la mano gli palpò 
il dorso carezzevolmente. Ci disse in seguito, 


28 î TL LEONÈ: 
eome egli fu suo custode nel tragitto di Gi- 
bilterra; «che.da tre anni ei non l'avea veduto, 
e che gli pareva gran cosa di trovarlo così 
memore e riconoscente de buoni servigi, che 
già gli aveva resi. Infatti la povera hestia 
non sapea finire di mostrar la sua conteniezza; 
andava, tornava, fregandosi alle sbarre in faccia 
al suo benefattore, e gli leccava di tempo in 
tempo la mano, che questi gli tendea con 
singolar compiacenza. E avrebbe anche voluto 
entrargli nella stia; se non che tutti il di- 
stogliemmo di questo pensiero, non iroppo 
convinti della sua sicurezza. 

I Francesi ebbero già al forte S. Luigi una 
lionessa, che tenevano incatenata; ma che ri- 
dotta a estrema inagrezza per un’ enfiagione 
cli mascella, gli abitanti, credendola quasi morta, 
gettarono sciolta in una campagna vicina. Ivi 
a caso fu ritrovata dal sig. Compagnon, au- 
tore de viaggi in Natolia, che passava tornando 
dalla caccia. Mosso a compassione del sno sof- 
ferire, dopo averle egli lavata la gola con fresca 
acqua, le versò per essa alquanto latte, che la 
ristorasse. E la cura pietosa ebbe sì buon ef- 
fetto che la lionessa, ricondotta al forie, ricu- 
però grado a grado, ma pur prestissimo la sua 
sanità. } tanto rimase grata al suo benefattore, 
che da nessun altra mano fuorchè dalla sua 
volle accettare il nutrimento, sinchè appieno 


IL LEONE: 29 
fu ristabilita; dopo di che più volte le avvenne 
di seguirlo per l'isola, non da altro condotta 
che da un guinzaglio, come il cane più familiare. 

Il sig. Brown ci narra, come, durante il suo 
soggiorno a Darfur in Africa, avea comperati. 
due lioncelli di quattro mesi, cui addomesticò 
tanto bene, che presero la più parte delle abi- 
tudini di quell’animale così amico dell’uomo. 
Andavano essi due volte ogni settimana a man- 
giarsi le frattaglie nelle macellerie; e dormivano 
quindi per più ore. E certo, quando loro: si 
dava carne, manifestavano una voracità, che li 
faceva crucciosi l uno verso Y altro, non meno 
che coniro chi ad' essi avvicinavasi. Ma fuori 
di questi casi mai il sig. Brown non li vide 
litigare insieme, 0 minacciare la specie umana. 
Erano anzi di tal piacevolezza, che un agnello 
avrebbe potuto passar loro a fianco impune- 
mente. Anche il sultano di Darfur avea un 
leone domestico, il quale andava col suo cu- 
siode in mercato per trovarvi il cibo. 

Fa veramente stupore la pazienza, con cui 
sì nobile animale lascia a chi. ne: ha la guardia 
scherzare con esso, trargli di gola la lingua, 
e infliggergli anche punizioni molto ingiuste. 
Vi hanno però alcuni esempii di leoni, che ne 
hanno fatto vendetta, sebben siano. rarissimi. 
Labat parla di uno, che certo kionore si te- 
neva. ta sua camera. Come il demestico desti- 


30 IL LEONE. 
nato ad averne cura facca spesso succedere le 
percosse alle carezze, il leone sopportò per 
qualche mese tal condotta capricciosa; ma un 
dì il padrone svegliato da strepito siraordinario 
che udì presso di sè, alzando le cortine, vide 
con ispavento il fiero animale agitar fra le zampe 
e rotolare quasi a sollazzo una testa d'uomo 
dispiccata dal busto: era quella del misero, 
che pagò assai cara la sua indiscretezza. D' indi 
in poi non fu più lasciata al leone una libertà 
che potea qualche volta divenire altrui fatale. 

Riferisconsi però aneddoti d'altri leoni, i 
quali si limitarono a castigar quelli ch’ erano 
loro molesii, senza che gli cubeidelesi Così un 
Ottentotto del Capo di Buona Speranza rice- 
vette in volto un'ammaccatura da uno di siffatti 
animali, che poi prese la fuga; e un piantatore, 
che da vn altro pareva dovesse esser fatto a 
brani, n'ebbe appena qualche sgrugnata senza 
pericolo della vita. E assai dubbio se questa 
disposizione apparente alia pietà sia nel Îione 
i d'un qualche sentimento di commise- 

‘azione, 0 proceda soltanto da puro capriccio 
e da mancanza d' appetito, 

Sappiamo dal viaggiatore Tavernier, che gli 
abitanti d' alcune contrade del levante harino 
una maniera d'addomesticare i leoni, la quale 
non è usaia in verun altra parte del globo. 
Perocchè ne uniscono essi tre o quattro, le- 


IL LEONE. 31 
gandoli per.ie zampe di dietro ad altrettanti 
pali, separati gli uni dagli altri di ben dodici 
piedi. Una corda a ricorsojo è posta al loro 
collo e tenuta da uomini, che rimargono da 
tergo a que pali che dicemmo; ed una è pur 
tesa di faccia agli animai!, ma abbastanza ion- 
tana da essi, a cui si appoggiano varj spetta- 
tori, che gli irritano, geitando loro pietre e 
bastoni. Questi si slanciano innanzi con furore; 
ma appena banno fatto un tal movimento che 
il canape deli collo potentemenite ritirato li co- 
strimge a tornare indietro. Per mezzo di questa 
pratica, di cui Tavernier medesimo fu testi- 
monio, in poco di tiempo si giunge a renderh 
più mansueti. 

Negli stati del gran Mogol era altra volta 
prerogativa reale l’andar a caccia del leone; e 
non vera chi osasse farlo, senza espressa per- 
- missione del sovrano. 

Un lione ed una lionessa condotti d'Africa 
in Inghilterra, sarà una ventina d'anni, furono 
posti in una medesima stia a Exeter- -Change. 
Aveano essi presso a poco diciotto mesi, e il 
loro custode, il qual gli allevò picciolissimi, 

ed indi accompagnolli a Londra, tanto se gli 
accostumò famigliari, che spesso ei sedeva o 
mando nella loro stanzuccia, con tavolino e bot- 
tiglia dinanzi a sè; mentre i due animali tre- 
scavano e giocavano per ogni verso. Che se il 


PA 


32 IL. LEONE. 
loro strepito diveniva soverchio, egli imponeva 
loro silenzio battendo col piede, e mostrando 
il suo malcontento. Sceglieva però i suoi mo- 
menti per trattenersi con tali ospiti; e bene 
si guardava di farlo, quando fossero stati irri- 
tati dagli spettatori, ovvero quando prendevano 
il loro nutrimento. Non sarà vano d’aggiun- 
gere, che quando il custode lasciò il parco, 
la lionessa così se ne afflisse che perì di tri- 
stezza poco tempo appresso. 

I leoni, come già abbiam detto, permettono 
qualche volta ai cani di aver parte al lor do- 
micilio nello siato di cattività. Io stesso ho ve- 
duto nella torre di Londra un cane ed una 
lionessa molto ad esso affezionata, la quale ogni 
volta che il picciolo animale cercava passare 
attraverso l'inferriata del suo stanzino; posava- 
gli pianamente una zampa sul dorso, quasi pre- 
gandolo a non volerla abbandonare. Era quella 
belva, sio ben mi ricordo, stata condotta in 
Inghilterra assai tenera, e parve fin dal tempo 
del viaggio così bene addomesticata, che i ma- 
rinai aveano costume di riposarsi sovra il suo 
corpo, come sopra un capezzale. Giunta a Lon- 
dra fu condotta alla torre da persona che la 
tenea al guinzaglio, e senza di cui pareva non 
poter stare. Infatti allor che questa lasciolla, 
tanta malinconia ne patì la povera bestia, che 
ricusò ogni cibo sino al momento che il custode 


IL LEONE. 33 
entrò col picciolo cane che idicemmo, e con 
cui essa visse tosto in tanta amicizia. 

Il cane sembra l'unico animale, con cui i 
leoni abbiano voluto famigliarizzarsi. Uno di 
questi chiamato Ettore, anch'esso rinchiuso alla 
torre, era giaciuto infermo per più d'una set- 
timana; e già fatto convalescente si pensò di- 
vertirlo con un coniglio messogli nella stia. 
Passò un'intera notte, e passò il giorno ap- 
presso; nè il timido animaletto fu appena toc- 
cato: onde il custode cominciò a sperare che 
godrebbe piena sicurezza neil'alloggio perico- 
loso. Ma all'indomani maitina si irovò morto, 
e trattogli la pelle si conobbero i segni dell'ira 
dei leone, che esteriormente non apparivano. 
Altra volta avvenne che una gatta s'introdu- 
cesse, per caso, presso di lui, nascondendosi 
per tema nella paglia, che gli serviva di cc- 
vaccio. Ma appena se ne fu esso accorto la 
rese vitiima de! suo risentimento, senza cer- 
care, per altro, di divorarne il corpo nulla più 
che quello del conigiio. 

Cominciava questo leone a ruggire poco in- 
nanzi il far della notie. Così una bellissima 
lionessa, chiamata Miss F anny Howe, e raca 
chiusa nel luogo medesimo, ove il primo giu- 
gno del 1794 si sgravò, ruggiva anch'essa 
regolarmente ogni giorno in su le sei della 
sera , sì d'estate, come d'inverno. La quale 


Gabinetto Tom. I 3 


34 LÀ “TIGRE. 
‘abitudine sembra che dovesse l'origin sua allo 
strepito de tamburi, che nella stagione inver- 
nale battono la .ritivata verso quell’ ora: ma 
pareva cosa alquanto singolare che si mante- 
nesse per tuito il resto dell’anno, anche quando 
la ritirata è alcune ore più tardo. 

Sogliono 4 leoni mandare particolarmente i 
lor ruggiti all'avvicinarsi de’ tempi piovosi: a 


Londra poi le domeniche più che qualsiasi altro 
giorno, pvichè lasciai in maggiore abbandone, 


sentono più dolorosamente la loro schiavitù. 
L AGTÀI GPREE 


Può «essa, a buon diritto, annoverarsi fra 1 
più belli de “quadrupedì. La sua pelle è in tutto 
il corpo d'un rossiccio vivissimo, salvo che sul 
petto e sul ventre, ov.è bianca, non Sui 
fianchi ov è per traverso graziosamente listata. 
Si dà alfa tigre il secondo posto fra gli animali 
carnivori; € si osserva, che mentre non bha 
alcuna delie generose qualità del leone, le più 
nocive però ie ha tutte. « Aila fierezza, al 
coraggio, alla forza, per usar delle frasi del 
sig. di Bufien, aggiugne il lione la nobikà, 
la clemenza, la magnanimità; menire la tigre 
è bassamente feroce, crudele senza giustizia, 
cioè a dire senza necessità. Non teme essa nè 
l'aspetto, uè l'armi dell'uomo; desola il paese 


Sw 
LÀ TIGRE. DI 


ove abita; scanna gli animali domestici; fa 
strage de greggi; mette a morie le istesse belve 
iau s'avventa ai piccioli elefanti, ai giovani 
rinoceronti; ed osa talvolta assalire il ieone. » 

Strazia il corpo della sua vittima, per im- 
mergervi il grifo, e succhiarne .a lunghi tratti 
il sangue, di cui s'è aperta una fonte, che 
sempre si esaurisce, prima che la sua sete si 
estingua. 

Per assicurarsi della sua preda si nasconde 
essa allo sguardo di tutti; e dal suo nascon- 
diglio le si slancia sopra con saito improvviso, 
mandando spavenievoli ruggiti. Preierdesi, che 
a guisa del ieone, quando fallisce il suo colpo 
se ne vada senza tentare di rinnovario. Sembra 
preferire la carne dell'uomo a quella d'ogni 
altro animale; se non che di rado si espone 
ad assalire di viva forza un'essere qualunque, 
ove non sia sicura di irionfarne. 

Non sono moltissimi anni che una com- 
pagnia di persone seduta al rezzo in riva ad 
un fiume dei Bengala fu spaventata dalla su- 
biia apparizione di una tigre, che stava per 
iscagliarsi sovr’ essa. Una signora; però, avendo 
avuto il coraggio (non ben presaga di ciò che 
otterrebbe ) di. spiegare il suo parasole i il muso 
alla belva crudele, quesia iniimorita per la stra» 
nezza deli’ oggetto, prese la fuga, e lasciò tempo, 

iia brigata di mettersi in salvo. 


SC LÀ TIGRE: 

Un trombetta, il qual dormiva la notte presso 
la tenda del suo generale in una guerra della 
Russia contro la Persia, essendo stato sorpreso 
da una tigre, non doverte la. sua salvezza, 
che al suono dello strumento, onde riceveva 
il suo appellativo. Questo suono inudito fè dis- 
parire immantinenti la perfida assalitrice. 

Non sempre però gli aggrediti da essa fu- 
rono così avventuraii. Ed ancor dura memoria, 
fra gli altri casi deplorabili, d*uno compassio- 
nevolissimo avvenuto in Persia, la cui.relazione 
fu. distesa. da testimonio oculare. 

Alcuni. marina} discesero un giorno. suila 
costa dell'isola. di Sangar, onde cacciarvi dai, 
di cui aveano vedute numerose peste, egual 
mente che di tigri.. Avendo continuato fin 
quasi a tre ore di sera, alfin seduti in fianco 
ad una giuncaja, onde prendervi qualche ris- 
stero, intesero de ruggiti. simili allo. strepito 
del fulmine; e quasi nel tempo istesso un tigre. 
di enorme. grossezza si precipitò sul giovane. 
sig. Monro e il rapì, strascinandolo atiraverso . 
folti rova). Tutio cedeva alla forza del mosiruoso 
animale, di cui una femina della sua. specie. 
accompagnava i passi, 

Garinei dolore, spavento :s' impadronì degli 
amici di quella vittima sventurata. Uno di essi 
scaricò il suo archibugio contro il tigre, che. 


Ss 
ad alcuri segni fidi agitazione  parve- colpite 


LA MIGRE. ty] 
‘Intanto un altro anch egli fece fuoco sopra di 
‘esso; e alcuni momenti dopo il giovane infe- 
lice venne a raggiungere la compagnia, tutto 
intriso del suo sangue. Quanti soccorsi poteva 
 apprestare l’arte gli furono prodigati ‘invano; 
egli spivò in ventiquattro ore ; tanto ‘profonde 
e. "inveparabili ad ogni cura furono le ferite che 
ei ricevette dai denti ‘e dall''ugne del ‘ferocis- 
‘simo animale: ed è a notarsi che un grande 
fuoco formato dall’ arsione di dieci o dodici 
‘interi alberi, era acceso presso il luogo ove se- 
gui l’orribil caso; e che i cacciatori eonduceane 
seco ben dodici nativi del paese. Ciò non fu 
ad cessi di veruna difesa; e appena aveano 
sciolto dalla viva il lor picciolo legno, che vi 
sovraggiunse la tigre spumanie di rabbia e vi 
rimase quanto tempo potè coll’occhio seguirli 

Eccessiva è la forza musculare «di questo 
quadrupede, di che «il seguente aneddoto può 
darci prove. 

Un paesano dell’Indie Orientali avea nn bu- 
falo, che strada facendo gli cadde in una lama. 
E mentre correva con alcuni de suoi, che ron 
erano bastanti per cavarnelo, a cercare soc- 
corso nel villaggio; un tigre sopravvenuto , 
fece solo ciò che da parecchi non si potè. E 
già si portava il bufalo -in groppa verso della 
sua tana, quando una maggior compagnia di com 
tadini, .che s'inoltrarono, l’obblisò a deporle. 


38 LÀ TIGRE: 
fuggendo al basso. Ma prima lo aveva ucciso; 
e iizion tutto il sangue. el 

AI qual proposito faremo riflettere che alcuni 
bufali dell'Indie sono di grossezza due volte : 
i nostri; onde si vegga qual forza necessiti per. 
caricarsi e andare spedita o con peso sì 
enorme. | 

Ostinata battaglia sostiene talvolta la tigre 
coll’ elefante; e il sig. d’ Obsonville ebbe a 
esserne testimonio nel campo d'Hyder Ai. Un 
ùgre, non per anco d’ intero vigore, poiché 
neppur giunto ai quaitro piedi d’ aliezza, fu 
condotto nell'arena, e attaccato ad un piuolo 
intorno a cui la sua catena potea girarsi age- 
volmente. Indi venne un grossissimo e bene 
addestrato elefante introdottovi anch'esso dal 
suo cornak, ossia custode, Triplice ordine di 
lancieri cigneva l'anfiteatro. La pugna a prin- 
cipio fu acutissima; ma l'elefante, dopo aver 
ricevute assai gravi ferite ; alfin riportò la. 
vilioria. 

È facile argomentare la forza della tigre nello 
stato di libertà, quando impedita da i e 
non per anco giunta all’ intero sviluppo, che 
è proprio della sua specie, la Veggiamo tener 
fronte a sì gran colosso, qual è l' elefanie. 

Il sig. d'Obsonville osserva che quand’ anche 
quattro o cinque di questi nulla abbiano a 
temere d un pari numero di tigri; un solo 


TA' TIGRE. dg 
però potrebbe soccombere a quella, che fosse 
nel possesso di. sua libertà e nel vigore di sua 
gagliardia. 

Dicesi che alcuna volta entri la tigre in san- 
guinosa guerra anche col cocodrillo, terminando 
col peri» insieme. Allorquando- l'una scende nel- 
luliime rive di un fiume o di un lago, per 
dissetarsi, l’altro alza la testa a fior d'acqua, 
onde prenderla, come fa altri animali. Ma la 
tigre pianta i suoi artigli negl'occhi del coc- 
codrillo, sola parte vulnerabile di quest'animale; 
ed esso iuffandosi nell’acque, suo naturale cle- 
mento ve la strascina seco, ed. ivi agitandosi 
e scendendo al fondo ambidue vi affogano. 

Presa assai giovane la tigre diviene sino a 
certo segno mansueta e obbediente a chi l'ha 
in custodia. 

Un tigre Dellissimo vedeasi non. molti anni 
fa nella onu di Londra, il quale era stato 
condotto dal Bengala nel 1793 sopra un va- 
scello della compagnia dell Indie; perchè se ne 
facesse presente alla maestà del re Britanno. 
In tutto il tempo del tragitto per | Inghilterra 
l animale si mostrò dell’ indole più dolce, e 
parve così innocuo, e così scherzevole come 
un picciolo gatto. Sofferiva talvolta che due o 
tre marina} riposassero il loro capo sopra il suo 
corpo, come sopra un origliere. Sì aggrappava 
spessissimo agli alberi del vascello in modo che 


-40 LA TIGRE. 
sommamente «divertiva; e un giorno che fu 
percosso dal carpentiere, perchè rapì un brano 
ili bue, sopportò questo castigo colla pazienza 
di un vecchio cane da caccia. Ed è osservabile 
come quesi’ animale in quindici e più anni di 
caitività, mai non cangiò di umore, mai non 
cessò di dar prova di domestichezza, mai non 
fece male ad alcuno, e sempre si mostrò affe- 
zionatissimo al suo custode, a cui visse piena» 
mente soggetto. Esso potea dirsi un eccezione 
evidenie a quella sentenza del sig. di Buffon 
che: « la tigre è forse l’unico animale , di cui 
sia impossibile piegar la natura; egualmente 
indomabile. alla forza, al timore, alla violenza; 
irritato così dai buoni che dai cattivi tratta- 
menti; insensitivo nella ferrea sua indole alla 
dolce abitudine, che tutto può nei viventi; 
feroce a segno nei suoi costumi, che il tempo 
lingi dail’ammollirli o temperarli, non fa che 
iuacerbirli, e accrescerne la rabbia; tanto furi- 
bondo insomma, che sirazia egualmente la mano 
che lo nutre, e quella che lo percuote. » 

Nell'anno 1801 il custode del tigre, di cui 
dicevamo, pose un giorno nelia sua stia, dopo 
avergli dato il solito nutrimento, un bassotto 
nero e assai brutto. E il fiero animale non 
soio non gli fece male veruno; ma tanto af- 
fetto gli pose in seguito, che mostrava gran 
rincrescimento, ogni volia che gli si togiieva 


LÀ TIGRE. ki 
per dargli a mangiare, e gran gioja quande 
gli si rendeva: allora esso il leccava in tuite 
le. parti del corpo con molta soavità. Due :0 
tre volte fu lasciato al tigre questo compagne 
neltempo del suo pasto; nè il tigre punto si 
offese di vederlo arditamenie mangiare in sua 
compagnia. Dopo alcuni mesi alfin gli fu tolto, 
per sostituirvi una cagnuccia; la quale prima 
si tenne chiusa due o tre giorni ne°fastelli di 
paglia, destinati al letto del tigre medesimo, 
onde farle perdere Podore, che potesse offen- 
derlo. Il cangiamento fu fatto, poiche il feroce 
animale ebbe preso il solito cibo; e questo ne 
parve,sì contento, che si pose a leccar la nuova 
ospite ben altrimenti che soleva il picciolo cane. 
Essa dapprima parve costernaia non che spa- 
‘ventata di sì formidabile accarezzatore; ma non 
prima venne sera che ottimamente vi si avvezzò. 

E fu veduta spesso giuocare con.esso, abba- 
jargli dietro, e fin anche morderlo nelle zampe 
e nel muso; senza che quelio menomamente 
se ne risentisse. Nel qual tempo delle sue vi- 
site .e «dimore giornaliere col tigre, avvenne 
che la cagnuola partorì, onde fu astretta a sos- 
penderle. Questa assenza fu ad esso di gran- 
dissima .noja; e mal volentieri comportava poi 
dopo ogui ritardo, a cui l'allattamento de' ca- 
gnuolini cosiringesse la madre. Assicurava il 
custode di quel tigre, nomato Greenfield, che 


#2 LÀ ‘PIGRES 
qualunque spezie di. cane potea. mettersi nella 
sua gabbia, poi che. aveva mangiato. 

Il carpentiere del vascello, che lo portò in 
Inghilterra, venne un giorno a vederlo .alla torre 
dopo una lontananza di più di due anni, e fu 
assai ben riconosciuto. Andava il tigre e ior- 
nava, fregaadosi all’inferriata. del suo carcere 

e parea soddisfittissimo. Sicchè quegli, mal: grado 
le dissuasioni anzi le preghiere del cla 
perchè non si esponesse a. qualche pericolo, 
volie entrare presso il rinchiuso animale, e 
alfine dopo molto contrasto, gii fu conceduto. 
Quanto ii tigre aggradisse la. visita non è a 
dirsi, poichè si fece a leccar le mani del car- 
pentiere, e a carezzario alla maniera. propria dei 
gatti, senza dargli alcuna ragione di temere. 
Questo. poi. che fu rimasto seco per due o tre 
ore; alfin s'avvide che non senza difficoltà u- 
scirebbe solo» dalla stanzuccia; standogli il tigre 
per antico afletio,. sempre. vicino. Se non che 
giunto a farlo entrare nei passaggio,.che serve 
di comunicazione a due. stie, e colto destra- 
mente dal custodc il momento di alzar la sa- 
racinesca, potè separarsene. Hi 

Si fece ultimamente ad Edimburgo l'espe-. 
rienza, di collocare nella gabbia di una tigre 
una cagna. Vicina a sgravarsi. Era troppo na- 
turale il credere che questa debole bestia sa- 
rebbe all'istante divorata da quella tanto feroce. 


. DÉ TIGRE 43 

Purla cosa andò altrimenti di quanto si divisava. 
Perocchè la tigre dapprima niun caso mostrò 
fave della nuova compagna; indi le permise di 
mangiar seco e: posar sul suo dorso; nè alcun 
male cagionò ai partoriti cagnuoletti, i quali 
rimasero in un degli angoli della stanzuccia. 
Auzi posando qualche volta. il piede sopra di 
loro. il faceva con tal leggerezza, da mostrare 
chiaramente il suo timore di offenderli. Circo-, 
stanza ben: singolare, la quale ebbe gran nu- 
mero. di spettatori, e mi venne altestata da 
chi più particolarmente volle accostarsene. 

Alcun tempo appresso tre di que’ piecioli 
animali essendosi, per loro sventura, allonta- 
nati dal primo albergo, furono preda. di. altra 
tigre; e 1 due, che rimanevano, passarono pro- 
babiilmente in mano di curiosi, che molto li 
bramarono. Quanto alia madre loro. assicurasi 
che ancor viva, e sempre nell'antica intrinsi- 
chezza. colla sua terribile compagna. 

La torre di Londra chiude ora un bellissimo 
animale assai giovane, appellato il tigre a coda 
ricciuta, che tanto vale il nome di Tipoo. Nel 
suo tragitto. per I Inghilterra fu esso veduto a 
correre sulla tolda del vascello, e dar prova 
di piena domestichezza. Quando l'ammiraglio 
Reunier ne fece presente al monarca, il do- 
mestico del lord, che lo condusse alla torre; 
non chbe ribrezzo a pigliarlo fra le sue brac- 


44 LÀ TIGRE. | 
eia onde porlo nella stanzuccia destinatagli, e 
non potè ‘risolversi a lasciarlo senza i più vivi 
segni di ‘affetto e di rincrescimento. 

Quel tigre, ad istanza dell'ammiraglio, è pa- 
sciuto di carne bollita; ma d’'ordinario i qua- 
drupedi della sua specie si mutrono di cruda 
consumandone almeno sei libbre per giorno, 
© la loro bevanda è di tre pinte d'acqua. 

Niun più dilettevole passatempo conoscono 
‘i piancipi orientali, che l’andarne ‘a caccia, 
seguiti da gran numero d' uomini ben ag- 
guerriti e armati di lancie. Tosto che hanno 
fatto avere un tigre l'assalgono d'ogni parte 
con aste, con giavellotti, con freccie, con 
sciabole, onde gli portano in un istante il colpo 
mortale. Sempre, però, corrono qualche periglio, 
poichè l'animale, che sentesi ferito, di rado 
sì ‘ritira senza sacrificare alla sua vendetta al 
«cuno degli aggressori. Avvi .chi ricoperto di 
una colta d'armi, o soltanto munito di «uno 
scudo, di: due pugnali e d'una corta scimi- 
tarra si arrischia a combattere corpo a corpo 
animal sanguinoso. T'emerità, di cui non può 
darsi la più eccessiva, poichè trattasi assolu- 
tamente o di vincere o di perire. 

La tigre depone, ad ogni parto, quattro 0 
cinque piccioletti. Essa è furiosa in ogni tempo, 
ma se questi gli vengon rapiti, la sua rabbia 
non ha più limiti; ogni periglio è nulla per 


, IL TIGRE. 45 
essa; 1 rapitori si veggono senza posa inseguiti. 
Se eglino talvolta. ne depongono alcuno: per 
tema, onde allentare il suo corso; la madre 
il raccoglie colla sua bocca, e. il. porta. nel 
luogo sicuro il più vicino; indi torna su’ passi 
suoi; rinnova le sue ricerche fino alle- porte. 
della città e de’ villaggi o sulle coste del mare; 
e quando ha perduta. ogni speranza di ricu- 
perar la sua prole, esprime la sua costernazione. 
cogl urli più spaventosi. Questi urit cominciari 
dapprima lenti lenti, indi a. un iraiîto. diven- 
gono aculi; poi si cangiano in gridi pene- 
tranii, interrotti da ar che strazian l'anima. 
Non sono essi così propri della femina, che.. 
nol siano egualmente de’ maschii; e si fanno 
intendere principalmente nella notte, quando 
il silenzio. e l'oscurità ne accrescono Y orrore, 
eli ripetono gli echi delle rupi e delle montagne. 

I medici indiani atiribuiscono viriùà sali 
fere a diverse. partt del corpo delle. tigri: e la 
loro pelle è assai pregiata ne’ paesi orientali. 
ove s'impiega spessissimo ad utilità, non .mceae 
che ad ornamento, 


IL LEGPARDO.. 
- Ha quest'animale. una lunghezza, circa, di 


pi» piedi, non contando la coda, che or- 
È imente. lo. è di due: e il. suo pelo è 


en 
ut 
ic 
ta 
fo 
A 
Do 


46 IL ‘LEOPARDO. 
bellissimo, fulvo, a macchie nere di forma 
anulare. Trovasi principalmente al Sénégal; 
resso la costa di Guinea, e nelle parti inte- 
riori dell Africa. .Si compiace nei boschi più 
densi, nelle foreste più impenetrabili, e fre- 
quenta le sive de fiumi, per sorprendervi gli 
animali che ivi si dissetano. Abita pure alcune 
contrade della Cina e le montagne del Cau- 
caso dalla Persia all Indo. 

L’esterior suo annuncia una grande ferocia; 
i suoi occhi sono sempre inquieti, il suo guar- 
dar terribile, i suoi moti violenti. Assale indi- 
stintamenie tutti gli esseri che incontra, non 
avendo più rispetto all'uomo che agli animali. 
E quando non irova nelle selve di che sbra- 
mar la sua fame, esce in compagnia di molti 
della sua specie da’ suoi nascondigli, e porta 
la strage fra i numerosi armenti che pascoiano 
nella pianura. i 

Kolbe ci narra come, nell’anno 1708, due 
leopardi maschio e femina con tre piccioletti 
enirarono un giorno in un pecorile al Capo 
di Buona Speranza, e fatia strage di ben cento 
montoni s inebbriarono del loro sangue. Indi, 
spaccato il cadavere di uno in tre parti, le di- 
visero alla lor prole, e poscia caricatosi cia- 
scuno di una pecora se ne partirono. La gente 
del paese avendeli osservati, loro tesero insidie 
al ritorno, e uccisero la madre co piccioli ; 


AL LEOPARDO. Vici 
mentre il maschio riuscì a fuggirsi. Giusta il 
‘medesimo ‘scrittore la loro carne è bianca e 
succulenta, ed ha più sapore che il miglior 
de vitelli. 

I Negri pigliano sovente siffatti ‘animali in 
fosse lievemente coperie di cannicci e di fo- 
gliame, e fan pasto della lor carne. Le donve 
poi forman collane de'Ioro denti, a cui attri- 
buiscoro viriù particolari. ‘Delle loro pel ili è 
fatta in Europa, dove sono inviate, così gran 
stima, che le più belle si vendono fino a dieci 
sterlini ciascuna. 

Sir Ashton ‘Lever guardò a. 'Leicester<House 
un leopardo in una gabbia, ove divenne fa- 
miliarissimo, e sommamente sensitivo alle ca- 
rezze e a buoni trattamenti. Mussitava ‘come 
un gatto, e fregavasi contro i ferri che lo 
chiudevano. Fu in seguito donato al parco 
reale di Londra; e una persona, che molta 
domestichezza ebbe seco, esserido ‘andata dopo 
un anno a visitarlo, fu da esso, malgrado 
quest intervallo di tempo ‘assai ben riconosciuta 
e festeggiata. 

Trovansi ora (1806) alla torre di Londra 
due bellissimi leopar di maschio e femina, l'uno 
dorato alla maestà del re dal 819. Devaynes e 
Taliro da sir Carlo Mallet. Ma di più singolare 
è ua Cona nera, che il parco ebbe in  re- 
galo dal sig. Hutelinson, scudiere. Il mirabile 


48 IL LEOPARDO. 

di quest animale si è, che malgrado la. nerezza’ 
del pelo, le sue macchie sono di tinta sì carica, 
che riescono -visibilissime. 

Avvi in questa specie di belve una varietà, 
cui si dà il nome di leopardo cacciatore, e la 
sua grossezza è quella, presso a poco, di un 
levriero, La pelle sua di color bruno o lieve- 
mente seuro, è segnata come quella degli al- 
tri, di macchie nere e rotonde. 

Questo animale, che principalmente abita 
l Indo, s' addomestica. facilmente e s' impiega 
allora alla caccia deile gazzelle o antilope. Al 
qual wopo si trasporta in una specie di pic- 
ciola carriuola incatenato e incapperrucciato , 
per tema che vedendone il branco non si mo- 
siri di troppo sollecito, e non faccia cattiva 
scelta. Quando alfine è lasciato libero, non 
salta già immediatamente sulla sua preda, ma 
prende la cosa alla lunga, fa de giri, si ar- 
vesta ad ‘intervalli, e tiensi avvedutamente in 
agguato, fino a che si presenti sicura occasione. 
Lic allg@ra sul gregge con meravigliosa ce- 
lerità, e in cinque o sei balzi vi è sopra. Che. 
se nel primo assalto non riesce, fermasi ane- 
lando, per riprender fiato, e per allora, desi- 
stendo da nuovo tentativo, ritorna presso il 
padrone. 


49° 
LA:PBANTPE RA. 


La paniera è più forte del lIeopardo,. come 
quella che ha comunemente cinque o sei più 
di lunghezza; mentre, siccome già si. OSServÒ, 
di rado il leopardo ne ha più di quattro. Il 
color: generale della fiera, che descriviamo, è 
rossiccio, alquanto più carico sul dorso, e pal 
lido anzi vicino al bianco sul petto e sul ventre: 
Dorso e fianchi poi sono generalmente segnati 
di macchie nere in forma d'anelli e sparse a. 
gruppi, i in mezzo alle quali è una-nera. pun- 
teggiatura. Le orecchie dell’animale son. corte 
e acute; gli occhi arditi e inquieti; tutto l'e- 
steriore sincolarmente feroce. Credesi il domarlo 
affatto impossibile; ed è della cattività così in= 
soflerente,. ehe. manda ruggiti quasi continui. 
Trovasi principalmente nell’ Africa, dalla Bar-- 
beria insino alla parte più rimota della Guinea. 

Una pantera, che oggi vive alla torre ci: 
Londra, fu. dono del dey d’Algeri al re della 
Gran Brettagna.. 

Fortunatamente per l'umanità, la fiera, di 
cui si parla, preferisce la carne. de bruti a 
quella dell'uomo. Ma quando. è stimolata dalla 
fame assale senza distinzione ogni creatura vi» 
vente. Assicurasi della sua preda, o strisciando 
sul proprio. ventre, fin che si trovi a quel 
punto, onde le giovi slanciarsi sovra di essa; 

Gabinetto Tom. L 4 


5o LA PANTERA. 

o. aggrappandosi agli alberi per sorprendervi 
le scimmie ed altri animali; di modo che nes- 
sano è al coperto dalle sue insidie e da’ suoi 
assalti. 

Gli antichi mostrano averne avuta intera 
conoscenza; e gran numero di pantere sempre 
compare negli spettacoli pubblici de’ romani. 
Esse abbondavano allora nelle parti settentrio- 
nali dell'Africa, come oggi pure abbondano in 
quelle che più si avvicinano al tropico. 


IL LINCE. 


. Le strette e lunghe orecchie del lince, 6 
lupo cerviere, adorne all’ estremità d’ un fiocco 
nero e prolisso, lo distinguono da tutti gli 
animali della specie felina. Estendesi il di lui 
corpo oltre i quattro piedi, e la sua coda. circa 
sei pollici. Il suo pelo è lungo e. setoloso, di 
color vario secondo l'età, e sparso di.macchie 
che tendono al bruno. Ha basse le gambe, e 
gli occhi di un giallo pallido. La pelle sua è 
tanto più pregiata, che nessuna è più ticpida 
e di maggiore morbidezza. Essa ci viene in 
gran copia dalle parti settentrionali così del- 
l'Europa che dell'America. Ma quanto più è 
settentrionale tanto è più Della: é giova qui 
il notare che quella del lince preso in inverno 


TI LINCE, 5% 
suol essere più ricca, più lucida, più morbida, 
che non del lince spogliatone in estate. 

Quest animale, allorchè insegue la sua preda, 
s arrampica sugli alberi i più elevati; né le 


donnole, nè gli ermellini, nè gli scojattoli 


possono sfuggirgli. 

Ponsi in agguato, onde sorprendere il daino, 
il lepre ed altre bestie; e quando il momento 
è opportuno slanciasi dal ramo d'albero o dal 
macchione ove teneasi ascoso e le preude alla 
gola. Ma dopo averne succhiato il sangue, e 
mangiate le cervella, spaccandone la testa, le 
abbandona per andare in traccia di vittime 
novelle. Quindi può esso ben dirsi uno de’ più 
distruttori, sempre anelante la strage, e agli 
armenti, in ispecie, sommamente fatale. . 

Quando il lince è assalito da forte cane, si 
distende supino, e difendesi colle grife dispe- 
ralamente; nè sempre indarno : poichè gli av= 
viene di nuocer tanto al suo avversario, che 
alfin lo respinge. 

Abita esso le parti più boreali dell’antico e 
del nuovo mondo. Di rado, almeno, s incontra 
ne climi caldi o temperaii. I linci “più belli e 
più robusti par che si aggirino intorno al lago 
di Balkash in Tartaria; ove la più picciola delle 
lor pelli si vende ordinariamente una ghinca. 

Favole d'ogni specie furono spacciate' dagli 
entichi intorno al quadrupede di cui si favella 


arie eo 


59 IL LINCE 
La sua vista, per esempio, penetrava, secondo 
essi, attraverso il muro, onde venne l anto 
nomasia. di occhio linceo; la sua urina diveniva 
solida, e si cangiava. in una pietra deita lin- 
cuaria. Oggi fortunatamente basta citare simili 
assurdità, perchè il riso, che destano, dispensi 
da una seria confutazione. 


L OCELOTO: 


Rassomiglia al gatto per la figura, ma gli. 
prevale. per la forza. Alto. qualche volta due 
iedi e mezzo, oltrepassa. anche 1 quattro in 
lunghezza. Bellissima è la sua pelle, nel maschio 
in ispecie, che Y ha: elegantemente variata. IL 
suo colore è tutto fulvo, eccetto che la fronte, 
le gambe, la coda son maculate di nero; e di 
nero, parimenti, son marmorizzali 1 fianchi, e 
gli omeri a figure ovali, il cui centro è come 
amo spruzzo di nere gocciole. Questo s' intenda 
del maschio; perocchè ia fentina ha colori non 
vivi, ed è variata di figure meno simmetriche. 
e men vagamente disposte. 

L'oceloto. vive particolarmente. sulle monta- 
gue; casal naseende tra il fogliame degli alberi, 
onde si slancia sugli animali che se gli avvi- 
cinano. Talvolia rimane disteso. attraverso. ai. 
rami, facendo il morto, fino a. che qualche. 
scimmia, spiuta da naturale curiosità, gli venga. 


al 


Tia 
AIA 


al 


1° 6cELOTO. 53 
vicina, e provi i funesti effetti di tale im- 
prudenza. 

Assicurasi che l’astuto animale preferisce il 
sangue alla carne della sua vittima. Esso è in= 
digeno deli’ America meridionale. 

«Due oceloti un maschio ed una femina,dice- 
il sig. di Buffon, furono portati vivi a Parigi 
dal sig. Lescot, ‘e venivano dalle terre vicine 
a Cartagena, essendo stati ancor teneri tolti 
alla madre loro nell'ottobre del 1763. Di tre 
mesi appena, già si mostrarono abbastanza fori 
e crudeli per divorare una cagna che loro fu 
data per ‘nutrice. Compiuto un annò, quando 
sì ‘videro, fra noi, aveano due piedi, circa, di 
lunghezza; e certo rimaneva a far loro non 
picciola cresciuta, poichè non erano forse giunti 
che a due terzi di essa. » 

Uno di tali ‘quadrupedi, «che mostravasi ® 
Newcastle, dava, sebben vecchissimo, segni ma- 
nifesti d'indomabile ferocia. Lungi dal soflerire 
alcuna famigliarità del suo custode, brontolava 
Ai continuo, e sempre parca oltremodo agitato. 


L'LEN Asd 


L'iena è presso a poco della grossezza di 
un cane di bella statura, ha il pelo brumo- 
grigio, segnato a differenti liste, che incli- 
nano al nero; la testa larga e schiacciata, e 


D4 L'IENA. 
l espression degli occhi sommamente feroce. E 
non lo sguardo solo, ma tutto l'aspetto suo 
è di non so qual sinistro presagio; e i co- 
stumi troppo si accordano con tale apparenza. 


I 


HI suo collo è sì teso, ch'essa, per guardare 
all'indietro, è costretia volgersi con tutto il 
corpo, alla guisa de’ porci Intorno al collo, 
poi, stanno ispidi peli, che rabbuffandosi for- 
mano un oblunga criniera, la qual le scende 
in sul dorso. 

Abitano le iene, generalmente, nelle caverne 
e in luoghi dirupati, ond escono a branchi nel 
cuor della notte, per pascersi di carogne, 0 
di animali, come lor si presentano. Chi può 
dire le stragi che commettono fra gli armenti, 
di cui giungono talvolta a forzare le stalle ? 
Violan persino l'asilo de morti, per. divorare 
i putrefatti cadaveri; ed è per esse delizia 
quell'indicibile orrore. Ma quando, scrive Poi- 
ret, non è lor dato di soddisfare il loro ap- 
petito carnivoro, per necessità diventan fru- 
givore, nutrendosi principalmente delle radici 
de rampolli dì quelle picciole palme, che chia- 
mansi a ventaglio. 

Vuolsi che il lor coraggio ne agguagli la 
ferocia; difendendosi esse talvolta ostinatamente 
contro animali assai più forti; e Kempfer at- 
testa di averne veduto a battaglia coll’oncia e 
colla pantera. - 


L'IENA. 5 

Questi quadrupedi, dice il sig. Bruce, 
sono un vero flagello per Î Abissinia Se ne 
veggono ovunque, così nelle città come nella 
campagna; e sono sicuro, che avanzan di nu- 
mero i monioni. Da mane a sera Gondar è 
pieno d'iene, che vengono a divorare i cada- 
veri, cui gli abitanti di quella città, egualzicnte 
erudeli che sozzi, lasciano senza sepoltura. Sera 
bran eglino persuasi che questi animali sieno 
1 falasha o cattivi genii trasformati per un ma- 
gico potere, i quali discendano dalie montagne 
vicine, onde nutrirsi. Spesso la notte, quisido 
il re mavea ritenuto assai tardo nel suo pa- 
lagio, nè io per officio dovea dormirvi; tra- 
versando , al ritorno, una piazza, la qual non 
era lontana che di tre in quattrocento verghe. 
temea di provare alle gambe i morsi di quelle 
belve feroci. Esse infatti accorrevano in gran 
numero, e mandavano voci di rabbia intorno 
a me, sebben fossi accompagnato da uomini 
agguerriti, che sempre alcuna ne ferivano o 
ne uccidevano. 

Una notte, essendo io nella provincia di 
Maifsha tutt'inteso ad alcune osservazioni astro- 
nomiche, sentii a un tratto passar qualche cosa 
dietro di me, vicino al mio letto; onde mi 
volsi, ma nulla potei vedere. Terminato ciò 
ch io-stava facendo uscii dalla-1nia tenda, con 
intenzione per altro di rientrawi al più presto. 


160 L' IENA. 
Di fatti non indugiai che qualche istatitez e 
al riporvi dentro il piede mi scontrai in due 
grossi occhi azzurri, che mi guardavano  fiso. 
Gridai tosto al domestico, perché recasse lume, 
e come fu giunte scorgemmo al mio -capezzale 
un'iena, la «qual tenea nella sua bocca due o 
tre mazzi di candele. Il primo pensiero fu di 
far fuoco sopra di ‘essa; ma tosto riflettei al 
pericolo «li spezzar il mio quadrante, od alcun 
altro istromento. Come però la belva avea la 
bocca piena e le zampe impedite, non sentii 
di essa verun iimore, e «con una lanciata la 
ferit più presso al cuore ‘che mi fu possibile. 
Essa, che ancor non avea «dato segni di fu- 
rore, sentendosi ferita, lasciò .-cader le candele, 
e tentò salire per l'asia della lancia onde giu- 
gnere sino «a ‘me. Quindi mi vidi costretto di 
trarre una delle mie pistole dalla mia cintura 
e spararglicla in ‘muso; se non che nel tempo 
medesimo il mio servitore le spaccò la tésta 
con un colpo d’accetta. Le iene formavano il 
tormento della mia vita e di quella dei miei 
compagni di viaggio, sgomentandoci nelle no- 
stre passeggiate notturne, e divorando di con- 
tinuo aleuno de’ nostri muli, o de nostri asini, 
che pareano preferire ad ogni altro nudrimento. 
A Darfur, il qual regno è situato nell’ in- 
terno dell’Africa, vanno questi quadrupedi a 
torme di sei, «li cito, e qualche volta anche 


L'IENA. bo 
maggior numero a rapir nella noite entro i vik 
laggi quanto può lor venire tra le grife. Uc- 
cidono i -cani ed anche i somari, penetrando 
le abitazioni; ed ove si getti al ‘mondezzajo 
qualche bestia morta, radunansi, e la strasci- 
nano insieme .a distanza considerabile. Non av- 
vicinarsi d uomini; non rumer d'armi da fuoco; 
non minaccia alcuna può intimorirle. 

E facile oggi il veder iene, poichè ogni 
serraglio di fiere ne ha qualcuna. In Inghil- 
terra i loro custodi si accordano a dire, che 
fatte vecchie sono indocilissime e oltre modo 
maligne; ma che si ha qualche esempio che 
giovani furono addomesticate. Il sig. Pennaut 
dichiara di averne veduta una, che lo era al 
pari di un cane. H sig. di Buffon parla di 
un’altra, che mosiravasi a Parigi alla fiera di 
S. Germano, e a cui si era pervenuto a to- 
gliere affatto la sua naturale ferocità. E il cu- 
stode di Exeter-Change mi disse «di averne in 
sua guardia una siffatta, che di sei mesi mostrava 
tanta piacevolezza, che spesso lasciavasi correre 
nelle sale, ove con ‘altre ‘fiere siava esposta. 
Amava essa allora giuocare con tutti i cani, 
che v incontrava, e permetteva agli astanti I av- 
vicimarsele , e il percuoterla col palmo della 
mano sul dorso, senza manifestarne disdegno. 
Sin d'allora, però, aggiunse egli, mostrava 
«certa durezza feroce, che poi si accrebbe coll’ età, 


58 L'IENÀ. 
ond'oggi è forza il tenerla rinchiusa. Questa 
belva era stata condotta a Londra, quasi sette 
anni innanzi, sopra un vascello della compa- 
gnia dell’ Indie. 

Il sig. John Hunter avca ad Earle’s-Court 
un' iena di quasi diciotto mesi, tanto fami- 
gliare, che sofferiva esser tocca da chi veniva 
a vederia. Alla morte di Hunter fu essa ven- 
duta al padrone di un serraglio ambulante. 
Fin che rimase a Londra, ove fu alloggiata 
alla torre, continuò ad essere mediocremente 
trattabile. Ma quando fu messa in una gabbia 
per viaggiare, diè segni di ferocia simili 
quelli della più indomabile e selvaggia. Alfin 
venne uccisa da un tigre rinchiuso in una 
gabbia vicina, della quale avea rotto il tra- 
mezzo co denti, la cui forza è incredibile. 

Nello stato di cattività l’iena consuma tre 
in quattro libbre di carne cruda ogni giorno, 
e beve, circa, tre pinte d'acqua. 

Osservasi in essa una particolarità singolare; 
ed è questa: che all'istante che è forzata a 
mettersi in moto, essa, come scrive il sig. di 
Buffon, si trova an della gamba sinistra 
posteriore. È somigi ja un povero cane a-cul 
questa gamba fosse stata ferita, e fatto correre 
ad ogni po' si sentisse in pericolo di cadere. 
Ma questo barcollamento non dura che un cen- 
linajo di passi all'incirca; dopo de quali la fiera 
te » continua più che mai sicura e spedita. 


5 


5g 
L’IENA PICCHIETTATA. 


Grandissima somiglianzà è tra questa e l'al 
tra antecedentemente descritta. Ma la sua gros- 
sezza è maggiore, e il numero delle nere sue 
macchie assal più copioso. De! resto il colore 
del suo pelo è un bruno-rossigno; mentre il 
muso e la parte superiore del capo sono di 
un bellissimo nero: e nera è pure la criniera 
che le si arruffa in sul collo. L’iena, di cui 
parliamo, ha pur ricevuto il cognome di ri- 
dente, a cagione di un suono somigliante ad 
uno scoppio di risa, ch essa trae dalla gar- 
sozza, quando le si porta a mangiare, o la si 
interrompe frammezzo al suo pasto. (Ro, 

Le iene picchiettate ritrovansi in più con- 
trade dell'Africa; ma in più gran quantità al 
Capo di Buona Speranza, ove sono anche ol- 
tremodo crudeli, e formidabilissime. Entrano 
esse frequentemente nelle. capanne degli Ot- 
tentoti per ricercarvi la loro preda; e talvolta 
ne rapiscono i poveri fanciulli. Barbas racconta 
come una di tali belve penetrata nella casa 
di un negro sulla costa della Guinea s' impa- 
dronì d'una fanciulla; malgrado la sua resi- 
stenza, se la mise in groppa, tenendola per 
una gamba; e con tal peso era sul punto di 
aggirsi Se non che le strida della sventurata 

tirarono fortunatamente alcuni uomini in sue 


60 L'IENA PICCHIETTATA. 

i 
“soccorso. La fiera allora fu costretta a lasciarla, 
per sottrarsi al proprio pericolo : ma già quella 
tenera creatura era stata da suoi denti crudeli 
in più parti del corpo pessimamente trattata. 

Branchi :d’ iene s° aggirano quasi ogni notte 
‘intorno alle macellerie ‘del Capo, Se pascersi 
‘de’ frastagli degli animali, lasciati loro dagli 
abitanti, che ‘pur non pensano a discacciarle. I 
cani istessi, 1 quali in ogni altra occasione sono 
Toro mortali nemici, in questa si mostrano in- 
‘differenti; il che forse proviene dal non ‘aver 
‘mai in esse ricevuto dalle iene alcuna offesa. 

Mandano queste fiere nelle loro escursioni 
notturne orribili urli, cercando la loro preda. 
E l'abitudine «di urlare è ad esse tanto - natu- 
rale, che anche prigioniere e provvedute di 
cibo non sanno astenersene. Così una giovine 
iena allevata al Capo, e assai bene addome- 
sticata, spesso eontristava il notturno silenzio 
in maniera spaventevole. 

Alcuni abitanii del Capo ‘assicurano che le 
iene hanno la facoltà -d'imitare il grido degli 
altri animali; «con che riescono ad ‘attirare dalle 
loro stalle montoni, vitelli ‘ed ogni sorta di 
bestiame. Pretendono ancora che ‘panceniao di 
esse dividansi talvolta in due bande, e mentre 
Yuna si fa inseguire da cani lungi dal podere, 
Yaltra vi entri sicura, e rapisca la sua preda, 
prima che i custodi ritorpino. 


L’IENA PICCHIETTATA. 60 

Gli abitanti della Guinea uccidono queste 
belve feroci, piantando fuor de’ loro villaggi 
degli archibugi fra le carogne in modo, che 
all’accostarsi delle iene, sparino contro di loro. 

La forza muscolare del collo e delle mascelle 
di tali fiere è sì grande, chc deve cagionare 
stupore. -. Il seguente aneddoto ce ne sia. di 
prova. 

Avendo lo. stanzino di quell’ienaz. che. ora 
ritrovasi alla. torre di Londra, bisogno di qual 
che ristauro, il legnajuolo ve lo fece, piantanda 
sul pavimento un asse di quercia assai grosso, 
e lungo ben. sette o otto piedi, con una mezza 
dozzina, almeno, di chiodi, che passavano la 
misura di un dito. À capo dell'asse era un 
nodo, che il legava a non so che; e l'artiere 
non avendo stromento atto a tagliarlo, tornò 
alla sua. bottega onde procacciarselo. In. questo 
mezzo. vennero alcuni a veder la. belva; e il 
custode aprì il tramezzo, che la separava da 
quella parte della stia, ove si faccano i lavori 
per racconciarla. Appena fu essa entrata; ac- 
corgendosi del nodo, che sopravanzava al pa- 
vimento, lo prese co’ denti, e il fè in pezzi; 
iodi ad uno ad uno. schiantò i chiodi deil asse. 
con incredibile facilità. 

E da. notarsi che mai TY iena. non (ioni 
i uomo n e di questa asserzione mi. 
è mali evadere: il. sig. Greenfield, il qual ne 


Bo L' IENA PICCHIEPTATA. 
fece più volte esperienza nella corte del ‘ser- 
raglio affidato alla sua direzione. 

L'iena picchiettata è più umana che la più 
parte di quelle dell'altra specie, e chi Yha in 
guardia può entrarle ad ogni momento nella 
stanzuccia, senza pericolo alcuno; eccetto quando 
e affamata, o intesa a trarsi la fame. Bisogna 
però confessare, che la sua non è altrimenti 
mansuetudine, ma effetto del terrore; e il cu- 
stode carezzandola non dimentica di tenersi 
armato di poderoso bastone. 

Alquanto docile verso l’uomo, questa belva 
non è per nulla piacevole agli altri animali. 
Un soldato che andò a vedere, sono alcuni 
anni, l'iena rinchiusa nel parco reale, menò 
seco un bassotto novello e gliel presentò come 
per beffa. Lo sciocco incollerito passò la testa 
attraverso l’inferriata dello stanzino abbajando 
alla prigioniera; Ja quale avventatasegli con 
furore lo strappò di mano al padrone, e in 
am momento sel divorò. 


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CAPITOLO I. 


Dall’ Apennin, da’ Pirenei, dall’ Alpi 
Sospinto per digien discende il lupo. 
Scarno, fallace, al par di morte crudo, 


E famelico ognor come le tombe, } 


Ratto qual vento che la neve aggiri, 
E di sangue, di preda e di ruine 
Spronato dal desio sul pian si spande. 


TrHomsom. 


LL LUPO. 


= 


Sin quest animale superare in grossezza 
e in forza di muscoli il più grosso de cani. 
Il suo corpo ordinariamente è lungo tre piedi 
e mezzo, mentre quello del più forte cane 
eccede di raro i ire piedi. Il color del suo 
pelo, generalmente, è un misto di nero, di 
bruno e di grigio ferreo, quantunque nel Ca- 
nada sia affatto nero, € quasi del tutto bianco 
in alcune altre contrade. Il lupo ha testa lun- 
ga, naso affilato, denti enormi, orecchie strette 
ed acute. I suoi occhi obliquamente rialzati 
sono di un color verde e scintillanti; l'aspetto 
suo annuncia estrema ferocia. Il melto pelo 


64 IL LUPO: 
accresce l'apparente grossezza del suo corpo; 
a cui si proporziona la lunghezza di una coda 
assai folta. 

« Il lupo, dice il signor di Buffon, è uno 
degli animali, la cui avidità di carne è più 
veseni.: e sebbene abbia ricevuti. dalla na- 
tura anche i mezzi di soddisfarla, armi, scal- 
trezza, forza, agilità, quanto in somma è ne-. 
cessario, per trovare, assaltare, vincere, divorar 
la sua preda, nondimeno muore spesso di fame. 
Perchè avendogli l'uomo dichiarata la guerra, 
avendolo anzi proscritto, e posto a prezzo il 
suo capo, lo cosiringe a fuggire e rimpiattarsi 
ne boschi, ove non trota che qualche animale 
selvaggio, il quale lo elude colla celerità del 
suo corso, e ch'esso non può sorprendere se 
on. per caso e con lunga. pazienza, aspettan- 
dolo. gran lempo e. spesso invano ne luoghi, 
per cui deve passare. Esso. è naturalmente 
sciocco e poltrone, ma diviene ingegnoso per 
bisogno ed ardito per necessità. Stimolato dalla 
fame affronta. il periglio, e viene ad assalir 
gli animali, che si trovano sotto la guardia 
dell’uomo, quelli, in ispecie, che può rapir 
facilmente, come gli agnelli, i. piccioli cani, 
i caprioli. » 

Ne paesi, ove i lupi sono numerosi, discen- 
dono essi a branchi dalle montagne, o escon 
divisi in torme dai. boschi, per commettere. 


IL LUPO: 65 
orribili devasiazioni. Infestano tuiti i villaggi, 
prendono a viva forza, oltre gli agnelletti, i 
montoni, i porci, i vitelli, e que’ cani istessi 
che stanno a custodirli; chè ogni specie di 
animal nudrimento conviene del pari alla loro 
voracità. Il cavallo e il bue, soli quadsupedì 
domestici, che possono. opporre qualche resi- 
stenza a tali nemici, anch essi non di rado. 
soccombono al loro numero e a’ loro assalti 
ripetuti. L' uemo medesimo sovente cade lor 
Vittima, o non perviene a cacciarli che dopo 
averne uccisi parecchi; nè ancora può- tener- 
sene sicuro, poichè tornano più arditi e più 
furiosi che prima. Quelli che han gustato una 
volta della carne dell’uomo, più non: cessano 
dall’ assaltarlo., e mostrano chiaramente che più 
ad essi preme il pastore, che non la greggia. 

Sebbene il lupo. sia così avido, ch empie 
talvolta il ventre di fango o di terra, ed ove 
cruda fame lo stimoli, divora la propria. spe-. 
eie; nondimeno ancor maggiore è la. sua ac- 
coriezza, che la sua ferocia e voracità, Sempre. 
sospettoso e. diffidente immagina che. quanto, 
vede sia un agguato onde prenderlo. Se trovai 
una capra legata a. un trave per trarne latte, 
non osa avvicinarsele.. temendola ivi posta con. 
insidioso disegno contro di lui; ma. appena è 
lasciata. libera, che la insegue, e la fa sua 
preda. | 

(zabinetto Tom. I 5 


66 TÈ LUPO. 

Non sarà senza interesse pe nostri lettori 
ia singolare avventura occorsa nell America Set- 
tenirionale al general Putnam con un fiero 
animale di questa specie. Si era egli da poco 
tempo ritirato nel Connecticut, quando un 
giorno parecchi lupi, i quali correvano allora 
numerosissimi nella provincia, entrarono in un 
ovile, e uccisero settanta fra pecore e monioni, 
non contando agnellini e capretti, di cui fe- 
cero troppo gran strage. Que lupi erano tutti 
figli di una sola madre venuta da più anni 
‘ad infestare il vicinato. Gran parte della sua 
prole era perita sotto i coipi de’ vigili caccia- 
lori; ma essa con mirabil sagacia sempre sì 
tenea lungi dal tiro degli archibugi, e quando 
le avveniva d'essere incalzata troppo da vicino 
solca fuggire nelle foreste cecidentali della con- 
irada, e ritornar poi alla stagion seguente con 
‘un nuovo portato di lupicini. 

Ma, alfine, cagionò essa tanti guasti ché il 
| signor Putnam e i suoi vicini convennero ‘ di 
darle alternativamente la caccia, finchè fosser 
giunti ad ammazzarla. Nessuno colà ignorava, 
«che la lupa essendosi azzoppata d'un piede in 
un trabocchello d'acciajo faceva un passo più 
corto che l'altro: quindi i cacciatori conosce- 
xano a tale indizio le sue traccie sulla neve. 
Dopo averia seguita fino alla riviera del Con- 
necticut, ed essersi assicurati ch’ era ‘tornata 


ÎL LUPO. 6 
eolà donde si partì, anch’ essi ritornarono, € 
all'indomani mattina i cani la costrinsero a ri 
fugiarsi in una caverna, situata a tre miglia, 
circa, dalla casa del sig. Putnam. Tutti allora 
di que’ contorni si riunirono accompagnati dai 
loro cani, armati di fucili e muniti di paglia, 
di fuoco e di zolfo, per assediare la comune 
nemica. Diversi mezzi, primieramente, furon 
tentati, onde farla uscire da quell’antro sel 
vaggio; ma nè i cani, che ritornarono o feriti 
‘o intimoriti, nè il fumo della paglia, a cui si 
era messo fuoco, nè i vapori del zolfo acceso 
a nulla valsero. Però, essendo ormai generale 
la stanchezza d'inutili fatiche, le quali dura- 
vano da dodici ore, il sig. Putnam propose al 
suo negro di scender egli nel sotierraneo, € 
tirar contro la belva un colpo di archibugio. 
Ma ricusando questi di porsi a tanto perigliose 
cimento, il generale si risolvè d’incontrarlo eì 
medesimo, per tema che la fiera non giugnesse 
‘a sottrarsi per qualche uscita o fenditura della 
rupe, che non fosse conosciuta. 

Quindi provvedutosi di più striscie di scorza 
«li betulla, onde aver lume nelle tenebre, fra 
cui entrava, gettò gli abiti usati, e legatasi 
alle gambe una corda, per cui venir tratto 
indietro ad un segno convenuto, si pose colla 
testa innanzi nel iemuto cammino. La bocca 
della caverna, che +5 apre sul lato oriertale di 


68 IL LUPO 
un alta catena di rapi, è di circa due piedi 
quadrati. Indi è una discesa obliqua di quin- 
dici piedi; poi uno spazio orizzontale, che 
oltrepassa i dieci; e alfine una gradata eleva- 
zione di sedici fino all'estremità. I lati di questa 
grotta consistono in due frammenti di roccia 
solidissimi, che sembrano esser stati. disgiunti 
l'uno dall'altro. per forza di tremuoto. Così la 
volta. e la base sono di pietra, di modo. che 
l'ingresso, che nell'inverno è coperto di ghiac- 
cio, riesce sdrucciolevolissimo. Non avvi parte 
del sotterraneo più larga di tre piedi, o così 
alta, che luomo star vi possa diritto sulla 
persona. 

Poi che il sig. Putnam: si fu strascinato fino: 
alla. parte orizzontale, orrida cscurità e silenzio: 
di morte. soli regnavano interno a: lu. Egli 
frattanto inoltrandosi cauto pervenne alla parte 
più. elevata, di cui già si disse, finchè bran-. 
colando s'inceontrò cogli occhi della. lupa fe- 
roce, che si era nascosta nell’ uliima. estremità.. 
Or riscossa dalla face che si approssimava, di- 
grignò i denti, e mandò un ruggito terribile: 
per la qual cosa. il generale scosse la corda. 
come a dare avviso. di trarlo. di, là. Le. per-. 
sone ch’ erano: all apertura. della, grotta, e che. 
il credettero in grave periglio, ubbidirono sì. 
prontamente , che. essendosegli; in quel moto: 
alzata la camicia sovra del capa, si ne riportò: 


ri Luro. 6g 

la pelle del ventre crudelmente lacerata. Non 
per questo volle desistere dall'impresa, ma 
racconciatosi, e carico di piombo in verga il 
fucile, discese di nuovo coraggiosissimamenie. 
AI secondo avvicinarsele la lupa si mise in 
atto di ferocissima difesa, urlando, volgendo a 
ruota gli occhi infiammati, battendo i denti, 
e abbassando la testa fra le gambe; ma nel- 
l'atto ch'essa già stava per slanciarsi sopra ii 
generale, questi le scaricò un colpo d’archibugio 
nel cranio, e fu tosto tratto fuori della caverna. 
Dopo ‘essersi riposato un istante, e aver dato 
tempo al fumo di dissiparsi, egli scese per la 
terza volta. Posta allora la fiaccola al muso 
della belva, e rinvenutala senza vita, la prese 
per le «due orecchie, e ajutato all’ uscire. dalla 
solita corda, presentò il suo trofeo agli atto- 
niti spettatori. 

I lupi cagionavano, giù tempo, grandissimi 
guasti in Inghilterra, sicchè furono proposti 
premii, onde distruggerli; al che finalmente si 
pervenne. Al re Edgar parve ciò di tanta im- 
portanza, da accordar grazia pe delitti leggieri, 
a condizione che i colpevoli recherebbero certo 
numero di lingue di lupi; e nel principato di 
Galles furono alcune tasse commutate nell’ an- 
nuo tributo di alquanti capi di quegli animali. 
Ma essi, varii secoli dopo il regno di Edgar, 
moltiplicarono a segno, che non parve ab 


vi Ti. LUPO. 
governo un lieve pensiero, onde si mosse & 
promettere le più valevoli ricompense a chi 
gli ucciderebbe. Camdan ci narra, come alcune 
terre sì affittavano non ad altro patto che di 
purgare il paese dai lupi che le infestavano. 
Sotto il regno di Abhelsan, questi abbonda- 
vano a segno nella contea di Yorch, «ta doversi 
a Flixton presso di Scorborough costruire ap- 
posta un edifizio, per servir di rifugio contro; 
i loro assalti. 

E poichè le devastazioni di queste belve 
feroci si fanno più che mai terribili in in- 
verno, quando i, campi son coperti di nevi, 
i Sassoni antenati dei Britanni distinsero il 
mese di gennajo colla denominazione di mese 
del lupo. Un proscritto od un condannato fug- 
giasco portava fra essi il nome di preda del 
lupo, come uomo, che uscito dalla protezione 
dell’umana società parea non dovesse aspettarsi 
che di cader sotto le zanne di quella fiera. 

Seguitarono i lupi ad infestare l'Irlanda as- 
sai tempo dopo, che già erano estirpati d'ln- 
ghilterra. Ma oggi la lor razza è affatto estinta 
La in quell isola, e va sensibilmente dimi», 
nuendo in quasi tutte le contrade d' Europa; 
natural conseguenza della cresciuta popolazione 
e della più estesa agricoltura. 

La caccia de lupi è in molti paesi un pas- 

satempo favorito de’ gran signori; di che la 


o 


IL LUPO. 71 
magione non ha punto a vergognarsi, ma piut- 
tosto ‘a compiacersi l'umanità, a cui sono così 
risparmiate delle lagrime. In questa caccia, ove 
pure ha tanto luogo la forza, si ha ricorso a 
stratagemmi di ogni specie. 

Annoveriamo pel primo quello di tender 
lacci, fra cui vengono i lupi a cadere da sè 
medesimi, quaudo sono inseguiti da’ cacciatori 
che gli accerchiano, o li fugano mandando alte 
grida, suonando corni, o battendo tamburi. 

Costumasi pure di piantare in luoghi appar- 
tati fra i rami degli alberi un gran pezzo di 
carogna, prima CROCI e di. cui per via si 
lasciano, a convenevoli intervalii, alcuni brani;. 
perchè i lupi, che sono di odorato acutissimo, 
li sentono assai da lungi. Così, se all avvicinar 
della notte ritornano pian piano.i cacciatori , 
sempre ne ritrovano due o tre, ehe saltano e 
si sforzano di giugnere al pasto lor preparato, e 
coltili all'improvviso, gli uccidono colle lor armi. 

Nè qui obblierem di notare, che quando il 
lupo si vede colto in un agguato, da cui non 
gir è possibite fuggire, perde ogni coraggio, 
anzi, per alcuni istanti, divien sì ulfido che 
si può ucciderlo o prenderlo vivo senza alcuna 
difficoltà, anzi porgli la musoliera, e condurlo 
al guinzaglio come un cane. Così l estremo 
itmore sembra estinguere in lui ogni specie 
di ferocia @ di risentimento, 


n2 IL LUPO. 

Si hanno esempii d'un lupo e d'un villano 
caduti in una fossa, ove l'uno parve così av- 
Vilito da questa improvvisa cattività, che nulla 
tentò contro dell'altro, il quale si sarebbe cre- 
duto fortunato abbastanza di liberarsi da così 
formidabil compagno. 

Nelle parti settentrionali dell'America i lupi 
vanno talvolta sui ghiacci in cerca dei giovani 
vitelli marini, che vi rimangono addormentati. 
Se non che la cosa può divenir loro funesta, 
poichè distaccandosi i ghiacci dalla riva gli 
strascinano a gran distanza dalla terra prima 
ehe se ne siano avvedati. Per tal mezzo molti 
tratti di paese furono liberati da que’ perni- 
ciosi animali. 

Il tempo della gestazione di una lupa è «i 
tre mesi e mezzo. « Quando essa (per servirmi 
delle espressioni del sig. di Buffon) è vicina 
al parto, cerca in fondo a’ boschi un luogo 
ben munito e folto, in mezzo a cui appiana 
primieramente uno spazio abbastanza conside- 
rabile, troncandone e svellendone gli sterpi 
coi denti. Indi vi apporta gran quanttà di 
musco, preparandovi un letto comodo pe’ suoi 
piccioletti, che sono d’ ordinario cinque o sei, 
e giungono talvolta agli otto ed anche ai nove; 
nè mai sogliono essere meno di tre. Nascono 
essi cogli occhi chiusi non diversamente dai 


5 5 È » 
cani; la madre gli allatta per alcune settimane; 


ÎL LUPO. 73 
indi insegha loro a mangiar carne, cui pre- 
para masticandola. Poco tempo dopo apporta 
ad essi de topi di campagna , de leprettini , 
delle pernici, de’ polli vivi. I lupicini comin- 
ciano dal giuocare con simili bestiuole, e fini- 
scono collo sirozzarle. In seguito la lupa Ie 
spiuma, le .scortica, le fa a pezzi, e ne dà 
parte a ciascuno. Essi non escono dal covile 
ove nacquero, che in capo a sci settimane © 
due mesi. Allora van dietro alla lor madre 
che li conduce a bere in qualche tronco d'al-. 
bero, o a qualche laguna vicina. Quindi li 
rimena al primo Bosh ovvero li fa'naston- 
dere altrove, quando teme di qualche pericolo. 
Così essi per più mesi le sono obbedienti. 
Ove alcuno gli assalga , essa li difende con 
tuita la forza, anzi con furore, sebbene in 
ogni altro tempo sia, come tutte le femine, 
più timida che il maschio. Ma diventa intrepida 
pe figli, nulla più sembrà temere per sè stessa, 
e a tutto si espone per salvarli. Essi non l'ab- 
bandonano che quando sono interamente alle- 
vali, e si sentono abbastanza forti per non 
aver più bisogno di soccorso. Ciò avviene or- 
dinariamente in capo a dieci mesi.o ad un 
anno, quando han rifatti i primi denti, che 
loro cadono verso il sesto mese, e si trovano 
posseder forza ed industria, che bastino per 
la rapina ». 


vii IL LUPO 

Malgrado la lor natura selvaggia possono 
questi animali, mentre sOnO ancor giovani , 
essere addomesticati. Noi già ne avemmo sin- 
golar prova in un lupo, che fu di sir Ashton 
Levers, e che giunse, mercè le cure usategli, 
a dispogliar interamente la fiera sua indole e i 
primi costumi. 

e Nella Persia e in diverse contrade orien- 
tali i lupi sempre compajono negli spettacoli, 
che si danno al popolo; poih.i quando son 
giovani si insegna loro a danzare e lottare 
contro certo numero di persone. Chardin os- 
serva che un lupo ben addestrato vale cin- 
quecento scudi di Franeia. Questo fatto, dice 
il sig. di Buffon, prova almeno, che a forza 
di tempo e di fatica anche un simile animale 
è capace di qualche specie d'educazione. Io, 
egli prosiegue, ho fatti allevare e nutrire al- 
cuni lupi presso di me. Finché son giovani, 
cioè a dire nel primo e secondo lor anno, si 
mostrano assai docili, anzi carezzevoli, ed ove 
si trovino ben pasciuti non si gettano nè sul 
pollame nè sovra altri animali. Ma a diciotto 
mesi o a due anni sentono la propria natura, 
e si è costretti a incatenarli, onde non fug- 
gano, 0 facciano alcun male. Ne ho veduti di 
quelli, che allevati in una corte rustica fram- 
mezzo a polli, per tutto lo spazio che ho detto, 
mai non furono loro molesti; e poi ad un 


IL LUPO: 7A 
tratto per prima prova gli uccisero tutti in 
una notte, senza mangiarne alcuno. » 

Trovasi ora un lupo alla torre di Londra, 
il quale fu già spedito da un ammiraglio spa- 
gunuolo a lord Saint-Vincent sovra un vascello 
parlamentario, mentre stava questi al blocco 
di Cadice. Come l'animale era molto giovane, 
gli si permetteva di correre nella camera del 
capitano, ove raccoglieva i minuzzoli della ta- 
vola come un cane. Saranno sei anni che il lord 
ammiraglio ne fece dono a sua maestà, onde 
fu. introdotto nel parco reale. Ivi gli si diede 
in compagnia una cagna, da cui ebbe triplice 
prole, cioè un maschio e due femine, l'uno 
e le altre di natura affatto lupesca. lo stesso 
ne fui testimonio oculare nel 1805, parago- 
nando molto attentamente i figli col padre, e 
trovandoli egualmente robusti che selvaggi. 

Di rado si veggon lupi nelle parti abitate 
dell America. Nondimeno il governo della Pen- 
silvania e quello di Now-Jersey hanno offerto, 
or sono più anni, una ricompensa di venti 
scellini a chiunque lor ne portasse un capo. 
Dicesi che nell’infanzia delle colonie si videro 
spesso discendere dalle montagne di que’ paesi 
de lupi attirati dall'odore d'una folla innume- 
rabile di sgraziati Indiani, che perirono di 
vajolo. Nè i feroci animali si limitarono ad 
insultare i morti, chè divorarono altresì gli 


76 IL LUPO. 
infermi, i quali miseramente spiravano nelle 
loro capanne. 

Il giovin lupo dell Alpi, il quale oggi si 
trova nel parco del sig. Pidcock ad Exeter- 
Change consumava regolarmente, per ciò che 
ne intesi dal suo custode, tre o quattro lib- 
bre di carne cruda ogni giorno. 


L'A VOLPE 


La volpe è di forme più minute e più svelte 
che il lupo; ha coda più lunga e più ricca; 
ma per gli occhi obliqui e l’aguzze orecchie 
gli è affatto somigliante. La sua testa sembra 
in proporzione più forte. L’umor suo è lieto, 
anzi folle; non per questo si può giugnere 
ad umanizzarla pienamente. Quindi, come tutti 
gli animali appena mezzo addomesticati, morde 
alla minima offesa le persone a cui è più fa- 
migliare. Essa langue, ove si privi di libertà; 
e tenuta prigione troppo lungo tempo perisce 
di dispetto. 

Non avvi animal di preda più sagace o più 
scaltrito di essa. « La scelta del luogo del suo 
domicilio, l'arte di comporselo, di renderlo 
comodo, di nasconderne l'ingresso (fa osser- 
vare il sig. di Buffon) sono indizii di un’ e- 
strema finezza. La volpe tutto volge a suo 
profitto; si colloca al confine de’ boschi non 


LA VOLPK 


I 


LÀ VOLPE de 
distante da’ villaggi; di là Die il canto de 
e il grido degl’'altri polli; ne assapora da Du 
le carni; piglia il tempo opportuno; occulta i 
suoi disegni e i suoi passi, s introduce leg- 
giera, si strascica col ventre a tevra, giugne 
al luogo prefisso, e di rado sono inutili i suol 
tentativi. Se può varcare i muri o le siepi, 
ovver passarvi dissotto, non perde un’ istante, 
devasta la bassa corte, metie a morte quanto 
pollame incontra, si ritira in seguito spedita- 
mente portandone parte della suà preda, cui 
nasconde sotto il musco o porta al suo covac- 
cio. Indi torna e ritorna una seconda, una 
terza ed una quarta volta, per pigliarne il 
rimanente, che distribuisce, in luoghi separati; 
e così prosegue, fino a che il giorno spunti, 
e il movimento di tutta la casa Pavveria che 
é tempo di tenersi quieta senza più ricom- 
parire. ») 

Così ella fa ne palmoni e ne boschetti, ove 
si pigliano i tordi e le beccaccie. Essa pre- 
viene l’uceellatore, va allo spuntar dell’ alba,. 
e sovente più d'una volta per giorno a visi 
tare i lacci ed i panioni, rapisce successiva» 
mente gli uccelli che vi son presi, li depone 
in differenti luoghi, soprattutto all orlo. dei. 
sentieri, nelle rotaje, sotto il musco, sotto un 
ginepro, ve li lascia talvolta due o tre giorni,. 
& 


i sa otumamente ritrovarli al bisogno. Da la. 


galli 


78 LA VOLPÉ: 
caccia ai leprotti per via, sorprende talvolta i 
lepri nella lor tana, ec mai non gli sfuggono 
se sono feriti. Cava dalle conigliere i piccioli 
conigli; scopre i nidi delle quaglie e delle 
pernici, piglia le madri sull’uova, e» distrugge 
gran quanutà di selvaggiume. Il lupo nuoce 
particolarmente a’ villani; la volpe ai morbidi 
signori. 

film caccia di questa, però, esigé meno ap- 
parecchio che quella dell'altro; è assai più 
facile e diverte di più. Tutti i cani han ri- 
pugnanza ad andar contro a lupi; tutti all'in. 
contro vanne volentieri contro la volpe. Poiché, 
sebben mandi odore fortissimo, la preferiscon 
sovente al cervo, al capriolo ed al lepre. Si 
può cacciarla con bassotti, con levrieri e’ con 
cani detti ‘da volpe. Inseguita essa corre al 
suo nascondiglio; ma i bassotti a gambe siorte 
Vi sì insinuano assai facilmente. 

Con questi può pigliarsi una intera nidiata 
di volpi, la madre cioè co’ figli. Mentr' essa 
difendesi e combatte i bassotti, si cerca disco- 
prirne la tana dalla parte di sopra, e la sì 
uccide con pali di ferro, o si prende viva, 
Ma come le tane sono spesso nelle rupi; @ 
sotto gran tronchi d' albero, o talvolta molto 
addentro terra, non è sempre possibile il riuscire. 

La masiera più ordinaria; più aggradevole 
e più’ sigura di cacciar la volpe è quella di 


LA VOLPE. | vis] 
forar la tana. Si appostano gli archibugieri, si 
lanciano i cani da volpe in sulla via, la volpe 
corre al suo nascondiglio; ma ancor non vi è 
giunta che una scarica l’atterra. Che se non 
rimane uccisa, si dà a fuggire con quanta ce- 
lerità essa può, fa un gran giro, e alfin torna 
al suo covile, ove altra scarica la colpisce. Non 
ancor raggiunta da fucili, trovando però chiuso 
l'ingresso prende il partito di salvarsi lontano, 
e se ne corre per diritta via, onde non tor- 
nar più Allora giovano i levrieri ad inseguirla: 
nè però si Lil prendere senza averli prima 
molto stancati, poichè passa a disegno pe "luo- 
ghi più intricati ed angusti, c quando va per 
luoghi piani ed aperti corre celerissima senza 
di mal posa. 

Per distruggere le volpi è ancor più comodo 
il tender loro insidie, attirandole con' esca loro 
gradita. Io feci un giorno sospeudere sovra un 
albero a nove piedi d'altezza gli avanzi d una 
refezion di cacciatori, carne, pane ed ossa; € 
già fin dalla prima notte le volpi s'erano così 
bene esercitate a saltarvi intorno, che il ter- 
reno vi pareva battuto come quello di un’ aja. 
Sono esse ghiotte egualmente di carne, che 
d'ogn'altra cosa. Mangiano con avidità ova, for- 
maggio, frutta, e grappoli d'uva soprattutto. Se 
ico mancano leprotti o pernici, danno a’ sorci, 
alle serpi, a rospi, alle Incerte, e ne distruggono 


$0 LA VOLPE. 
gran numero : solo bene ch esse faceiano, Go- 
losissime del mele assalgono l'api silvestri, 1 
fachi, le vespe; nè si ica impaurire dai, 
lor pungiglioni. Se ritraggonsi talvolta è per 
sdrajarsi e schiacciar questi insetti; poi tor- 
nano e non desistono, finchè non abbiano in 
poter loro l'alveare, e si trangugino col mele 
anche la cera. Fino i ricci destano il loro ap» 
petito; e rotolandoli. co' piedi gli sforzano a 
distendersi. Pesci, gamberi, scarafaggi, cavallette, 
tutto è buon pasto alla lor buonissima bocca. 

Gran sagacia mostran le volpi ne' mezzi che. 
impiegano, onde trarre i conigli dalle lor tane. 
Mai non entrano dall apertura, poichè in tal 
caso. bisogneria scavare a moiti piedi la terra, 
Seguendo in vece alla superficie le emanazioni,, 
che escon da loro corpi, giungono al luogo. 
ove si stanno nascosti, ed: ivi raspando scen- 
dono facilmente sopra di loro. 

Pontoppidam assicura, che quando. una volpe 
scorge una lontra, la qual si getta all'acqua. 
per pescare, nascondesi dietro una pietra ;. 
d'onde si slancia sovr essa che ritorna colla. 
sua preda, e spaventata. gliel’abbandona. 

Ei narra altresì come una volpe avea di-. 
sposte in ordine, a qualche distanza luna 
dall’altra, più teste di pesci davanti. alla ca-. 
panna di un pescatore; di che non sapeva, 
indovinarsi il fine, quantunque si. sospellasse 


LA VOLPE. Si 
di qualche malizia. Poco tempo appresso scese 
un corvo, che pensò farsi i pasto di quella 
vivanda; ma eccogli adosso l’astuta cacciatrice, 
che lo aspettava, e fece di iui medesimo un’ 
ottima merenda. 

Si è veduto, alcuni anni sono, a Chelmsford 
nella contea di Essex un singolare esempio 
dell’ effetto di questo quadrupede per la sua 
prole. Una velpe fu col suo volpicino cacciata 
d'un bosco, e vivamente inseguita dalla muta 
di un signore. La povera bestia, dopo essersi 
esposta a tutti è rischi, per sotirarlo al furo 
de’ cani, ultimamente sel prese in bocca, e 
fuggì con esso per più miglia di seguito, fin- 
ché, traversando la corte di un podere, fu 
assaliia da un grosso mastino, e costretta a 
lasciar cadere il suo lattante, che fa raccolio 
dal fittajuolo. Aliri fatii consin da non sono rari. 

Tra le volpi la femiaa partorisce una volta 
all'anno, e non più che due o tre figli. Se 
accorgesi che il luogo del suo ritiro sia sco- 
perto. gli trasporia i iii in altro 
più sicuro. Nico questi ciechi anch’ ess di 
par de cani, ed hanno il pelo di un Duo 
carico. Crescono fino ai diciotio mesi, e vivono 
i tredici e 1 TRO anni. Nell'inverno ab. 
bajano quasi di continuo; ma in estate, e 
quando mulano i stenno muti, che di loro 
niun si accorge. 


G.binetto Fom. L 


(D) 


6a 
LA VOLPE DEL POLO ARTICO. 


ID più piccola che quella della specie‘ ordi- 
naria, e d'un grigio azzurrino, che talvolta 
non si distingue dal bianco. Assai folto e liscio 
è il suo pelame: il muso molto aguzzo, le 
orecchie brevi, e quasi nascoste; la coda più 
corta anch’ essa e più ricca di quella della volpe 
comune. Suo domicilio son le regioni situate 
presso del polo artico, e le isole, particolar- 
mente, de mari glaciali. 

In inverno la volpe, di cui parliamo , si 
profonda nella neve, ove rimane ascosa finchè 
la trova alta e spessa. Traversa, dicesi, i fiumi 
a nuoto con molta facilità. Il sno nudrimento 
non è sempre lo stesso, variando col variar 
delle contrade. Nella Nuova Zembla e allo 
Spitzberga si è osservato ch' essa va in traccia 
di piccioli quadrupedi; nella Groenlandia sod- 
disfa alla sua fame colle bacche di differenti 
alberi, e con ciò che dal mare è gettaio alla 
xiva; ma nella Laponia e nelle parti seiten- 
trionali dell'Asia trova di che provvedersi ab- 
bondantemente negli eserciti di marmotte che 
ricoprono il paese. I mezzi che adopra, onde 
aver pesce, annunciano sagacia e intelligenza 
straordinaria. Perocchè si getta all'acqua, e coi 
piedi ne commove il fondo, onde turbarne gli 
abitatori, che così vengono a galla, e sono i. 


LA VOLPE DEL POLO ARTICO. 83 

essa divorati con avidità. Mirabile parimenti è 
la destrezza di cui fa prova, onde prendere 
gli uccelli acquatici d’ ogni specie. S' ipoltra 
l’astuta alcun poco nell’onda, indi folleggiando 
si ritrae alla riva; il selvatico si avvicina, 
e quando è ben presso, colei s' astiene d'ogni 
moto violento per non ispaventarlo, solo con- 
tentandosi di dimenare leggiermente la coda; 
a cui l'augello troppo semplice viene tal lvolta, 
per ciò che narrasi, a dar di becco. Allor la 
cosa è fatta: la volpe si rivolta improvviso, e 
nulla più lo salva. 

Se non che essa pure perisce non di rado 
soito l’ugne degli animali di preda; e il signor 
Pennant la dipinge sì imprudente da venir 
talvolta a cacciar la testa ne trabocchelli per 
addentarvi quel po’ d'esca, che vi fu messa 
onde acchiapparla. 

Uno scrittore desno di fede, é testimonio 
«di ciò che racconta, ne offre una descrizione 
assai circostanziata e piacevole de costumi delle 
volpi, di cui qui si tratta. « Durante il mio 
infelice soggiorno nell’ isola di Bering , dice 
Steller, non ho avuto che troppe occasioni di 
studiar la natura di questi animali, la cui sa- 
gacia sorpassa di tanto quella delle volpi. or- 
dinarie. Se avessi a dire tutte le loro malizie 
re comporrei novella di altrettanto sollazzo, 
che la storia delle scimie d’ Alberto Tulio nel- 
Tiscla di Saxenbourg. 


84 LA VOLPE DEL POLO ARTICO. 

« S'introducevano esse, a forza, nelle nostre 
abitazioni, così di notte come di giorno; ci 
rubavano quanto potevano, anche ciò che non 
era loro di alcun utile, come coltelli, canne, 
vestiti; rotciavan lontano i nostri barili delle 
provvisioni, e ne traevan in seguito le vivande 
con tanta destrezza, che a principio non sa- 
pevamo risolverci a credere, che il furto fosse 
opera loro. Mentre cravamo intesi a cavar fa 
pelle ad un animale, onde farcelo cuocere, ci 
avvenne spesso di dover uccidere due o tre 
volpi, che con tanta petulanza e voracità ve- 
nivano a toglierci la carne di mano. Che se, 
per salvarla, coprivamola sotto terra, eccoti 

coloro a raspare, a levar le pietre, a sotto- 
porvi le spalle, e ajutarsi l'una coll’ altra, onde 
togliere ogni osta acolo. E quando, per più si- 
eurezza , collocavamo ai sommo di un palo 
assai alto le nostre vettovaglie, quelle india- 
volate gli cavavan la terra d'intorno al piede, 
iinché Pao fatto cadere; o l'una di esse 
«i sì arrampicava, e gettava all'altre quanto 
vi era appeso con una destrezza da far me- 
Der 

« Spiavano tuili i nostri movimenti, e ci 
accompagnavano ovunque andassimo. Se il mare 
gettava, alla riva qualche animale, sel divora- 
yano prima che avessimo tempo di raccoglierlo; 
e quando non potean consumarlo tullo ad un 


LÀ VOLPE DEL POLO ARTICO. 85 
tratto, lo strascinavano a brani sulle montagne, 
o il seppellivano soito pietre in nostra pre 
senza, correndo qua e là finchè nulla più ri- 
manesse a trasportare. Altre, intanto, si teneano 
in guardia e ci osservavano. Se vedean qual. 
cuno approssimarsi a certa distanza, univano 
tutie insieme gli sforzi loro, onde far nell’ a- 
rena sì profondo scavo, che non apparisse 
traccia del castoro od orso marino, od altro, 
che vi nascondevano. La notte, quande noi 
dormivamo ne’ campi, ci venivan esse vicino, 
e rubavanci le nostre berrette, i guanti che 
ci eravam posti setto il capo, le coperte e ie 
pelli sopra o sotto. le quali eravamo sdrajati. 

« La qual rapacità era cagione, che noi mai 
non ci coricassimo senza tener nelle mani un 
bastone, 0 piutiosto una. mazza, con CUI, se 
venivano a svegliarci,. potessimo cacciarie ed 
anche ucciderle, 

« Quando facevamo una fermata, onde ri- 
posarci, anch’ esse trattenevansi giuocando e 
irescando sotto i nostri occhi, anzi talvolta 
s inoltravano fino a roderci i cordoni de’ no- 
stri stivaletti. Che se ci stefidevamo a terra, 
come per dormire, venivano a sentir il nostro 
fiato, onde assicurarsi s'eravam morti o vivi. 

« Nè taceremo come al nostro arrivo esse 
vennero a morder naso e diti ai corpi degli 

stinti, mentre preparavamo la lor fossa: e in 


86 LA VOLPE DEL POLO ARTICO. 
sì gran numero si riunirono intorno agli am- 
malati ed agli infermi, che non si porò allon- 
tanarle, se non con somma difficoltà. 

« Ogni mattina vedevamo queste bestie pe- 
tulanti vagar per l'arena in mezzo a leoni e 
agli orsi marini, fiutandoli tutti, per vedere 
se tra i dormienti alcuno ve ne fosse privo 
di vita; e trovatolo si ponevano a farlo a pezzi, 
che poi trasportavano lontano. È come i leoni 
marini soffocavano ialvolta, dormendo, la loro 
prole; le volpi, allo spuntar d'ogni giorno, 
venivano a fare la loro visita, quasi conosces- 
sero una tal particolarità; nè tanta diligenza 
era per esse infruttuosa. 

« Ma come davano a noì ostinatissima €. 
incredibile  noja, ci corrucciarono a segno , 
che dichiarammo loro la più aperia guerra, 
trucidandoie spietatamente giovani e vecchie, 
e travagliandole per quante guise potremmo 
‘imaginare. Ai nostro risvegliarci ogni mattina, 
sempre ne vinvenivamo alcuna presso il nostro 
letto rimasia uccisa nella notte; ed io posso ‘ 
accertare che, durante il mio soggiorno nell'i- 
sola, ne ho di mia mano accoppate più di 
ducento. Il soio dì seguente al mio arrivo, 
ne stesi a terra col bastone almeno trenta, 
e coprii la mia capanna delle lor pelli. La 
loro voracità era quella che più loro nuoceva; 
peroechè noi potevamo stender ad esse con 


LA VOLPE DEL POLO ARTICO. 87 
una mano un pezzo di carne, e coll altra am- 
mazzarle a colpi di randelio. 

« Dalle osservazioni, ch ebbimo occasion di 
fare sopra di esse risulta chiaro, che mai non 
aveano conosciuta la specie umana. E sembra 
potersi asserire che il timor dell'uomo non è 
già innato ne bruti, ma bensì fondato sopra 
una lunga esperienza. 

« Quelle volpi, non diversamente dalle no- 
stre della specie ordinaria, aveano il pelo ric- 
chissimo nei mesi di ottobre e di novembre; 
in aprile e in maggio cominciavano a mutarlo; 
e nei due mesi seguenti più nen aveano che 
u:a lana o calugine cortissima, e parceano, se 
così possiamo esprimerci, in veste da camera. 
Le femine deponevano i parti loro in giugno 
entro fori o fenditure di rupi; nè mai quei 
parti erano meno di nove o dieci. Tanto poi 
era l'amor delle madri verso di loro, che per 
tenereene discosti schiattivano ed abbajavano 
come cani; la qual cosa serviva, contro il loro 
avviso, a farcene discoprire il nascondiglio. 
Ma appena si accorgevano d'essere discoperte 
prendevansi in bocca i lor piccioletti e li por- 
tavano altrove, quando non ne fossero impe- 
dite, studiandosi di occultarli in luogo più 
appartato e secreto. Uno de nostri avendo un 
giorno ucciso un volpicino, la madre si diè ad 
inseguirlo con urli spaventosi, nè mai ristette ,. 


aa 


68 LA VOLPE DEL POLO ‘ARTICO. 
finchè non gli ebbe fatta qualche offesa, ode 
fu essa medesima irucidata. 

.« Per quanto numerose siano oggi le volpi 
in quell isola, è a presumersi che vi siano 
state trasferite dal continente sovra banchi di 
shiaccio galleggianti, e che l'abbondanza degli 
ur i quia animali, che il fn 
marino. loro forniva, ve le abbia di tanto 
moltiplicate. 

Si uccidono tali Bestie, per averne La 
di che sono di una leggerezza e morbidezza 
maravigliosa. Ma i Groelandesi ne usan anche 
le carni, che preferiscono a quella di lepre, 


e ne mangiano ‘1 tendini a guisa di pane. 


IL CHACAL O LUPO DORATO. 


N corpo di quest animale è lungo di trenta 
pollici, all'incirca, e molto rassomiglia a quello 
della volpe; se non che la testa è più corta, 
il naso meno aguzzo e le gambe più alie. 
Aggiugui coda folta nel mezzo, e spruzzata 
di nere macchie all'estremo; pelo duro e pro- 
lisso di un color fulvo misto al bianco sul 
dorso. e giallognolo sotto il ventre. I costumi 
del chacal hanno molta analogia con quelli 
del cane. Quand esso è preso giovane facii- 
mente si addomestica, si affeziona all'uomo, e 
distingue il suo padrone da qualunque altro. 


IL. CHÀCAL, 0, LUPO, DORATO. 69 

Gode se vien carezzato; salia, se lo chiaman 
per nome, sovra seggiole e tavole; mangia di 
grande appetito in mano di chi gli porge al- 
cun cibo, e beve lambendo. Assai differente 
da molti altri animali della medesima specie, 
ama esso giuocare voi cani, che quelli fuggono. 

< Nello stato selvaggio si fa esso temere, 
come serive il sig. di Buffon, da chi pure se 
aliro non fosse, dovrebbe riuscire a lui temi- 
bile pel numero. Assale ogni specie di bestiame 
o di pollame, quasi alla vista degli uomini; 
\ enira insolentemente, e senza inostrar timore, 
negli ovili, negli armenti, nelle stalle; e se 
altro non vi trova, divora il cuojo degli ar- 
nesi, degli stivali, delie scarpe, e porta via 
il soatto che non ha avuto tempo di trangu- 
giare. Mancando di prede vive dissotterra i 
cadaveri de bruti e degli nomini; onde si è 
obbl: igati di batter la n ra sovra le sepolture, 
e mischiarvi grosse spine, per impedirgli di 
raspare e scavare; da che non lo sgomenta la 
semplice profondità. Non si accinge mai solo 
a queste disumazioni, cui accompagna di grida 
lugubii. Avvezzato una volta a' cadaveri umani, 
.più non cessa di percorrere i cimiterii, di 
seguire gli eserciti e le caravane. Esso è fra 
i quadrupedi quello ch' è il corvo tra gli uc- 
celli. Non vè carne infetta che gli faccia ri- 
brezzo. non cuojo che sembri duro > insipido 


90 IL CHACAL O LUPO DORATO. 
al suo veemente appetito, non pelle, non gra- 
scia, non sozzura animale ch'esso non trovi 
buona ». 

Di giorno il chacal sta silenzioso , ma la 
notte manda urli orribili e tanto sonori, che 
le persone, le quali si trovano a poca distan- 
za, più non s'intendono fra di loro. 

Dillon assicura che la sua voce assomiglia 
alle grida di parecchi fanciulli di differenti età 
misti insieme; massime che quando uno co- 
mincia, tutti gli altri della vicinanza gli fan 
tenore. Gli animali delle foreste ne son risve- 
gliati; e i leoni, come tutte le belve feroci, 
gli ascoltano per una specie di istinto, quasi 
un segnale di caccia, assaltando i iimidi ani- 
mali a cui gli urli del chacali fanno prendere 
la fuga. Per questa cagione, probabilmenie, esso 
fu detto provvigioniere del leone. 

Questo quadrupede si fa la sua tana, e non 
l’abbandona che di notte, per andar in cerca 
di preda. La sua femmina si sgrava una sola 
volta a l'anno di cinque o sei figli per volta. 

Vive il chacal in tutti i’ climi temperati 
dell Asia, e nella più parte delle contrade 
dell'Africa, dalla Barberia sino al Capo di 
Buona Speranza. Quando non trova nudri- 
mento animale mangia radiche, frutta; ed al- 
tre produzioni vegetali. Nello stato di dome- 
sticità sembra avidissimo del pane. 


IL CHACAL O LUPO DORATO. GI 

« Puzza esso, al dire di Dumont de la Haic, 
sì fuor di modo, che non può posarsi un 
istante in luogo alcuno, senza che lo infetti. 
Sommamente feroce ed ardito non teme di 
enirar nelle case, e quando incontra un uomo, 
in luogo di fuggirlo a prima giunta, come 
fan l'altre belve, lo guarda fieramente, come 
volesse sfidarlo, indi prende il suo corso. È 
di natura maligno, e pronto sempre a mor- 
dere, qualunque cura si adoperi onde amman- 
sario, o carezzandolo, o dandogli a mangiare. 
Uno io ne vidi, ch'era staio preso assai gio- 
vane, ed allevato come un cagnoletto, che 
moltissimo si amasse. Pur mai non si addo- 
mesticò inieramente. Non poteva soffrire il 
contatto di alcuno, tutti mordeva, nè si ar- 
diva impedirgli di saltar sulla tavola e rubar 
quanto sapeva. Tutta la campagna della Natolia 
è piena di simili animali , che fanno ogni notie 
gran rumore intorno alle ciità, non già abba- 
jando come i cani, ma gridando di un certo 
grido acuto che è loro particolare ». 


« IL CHACAL DI BARBERIA O L’ADIVO. 


È, presso a poco, della grossezza della volpe, 
e d'un colore alquanto bruno. Dal dissotto di 
ambedue le orecchie gli parte una nera lista, 
che si divide in due, e si estende fino ali collo. 


Q2% IL CHACAL DI BARBERIA O L'ADIVO. 

“La sua coda è come tutta a fiocchi ed accer- 
chiata d'anelli di bruno colore. 

« L’adivo, o thaleb, dice il sig. Sonnini, 
è di natura più ingegnosa ed astuta che il 
chacal o deib. Questo allontana la sua preda 
co suoi attruppamenti, ma l'adivo sempre va 
solo. Si accosta esso anche in pieno giorno ai 
luoghi abitati, intorno a cui stabilisce la sua 
sotterranea dimora frammezzo a folti rova]. 
Entra senza strepito, sorprende il pollame, ne 
ruba ! uova, e non lascia altr'orma de’ suoi 
guasti, che i suoi guasti medesimi. Usa tutta 
I agilità. tutta l'astuzia possibile nella guerra 
che fa abitualmente agli uccelli, di cui non 
avvi aleuno che possa sfuggirgli. I suci occhi 
sono egualmente vivi che i suoi movimenti; 
e la sua fisonomia è quella dell’astuzia e della 
perfidia. Graziosissimo fra i quadrupedì sarebbe, 
e fors anco, uno de più «mabili, se ne suoi 
talenti per la picciola guerra non apparisse 
troppo la furberia e la falsità. 

« Parmi ‘che il thaleb egualmente che. il 
chacal abbia cura di coprire il suo sterco di 
sabbia o di ierra come fanno i gatti; nè gli 
interramenti da me rinvenuti nelle arene. e 
nei coli di Egitto potevano esser opera d altri 
che di questi animali. Simile pulitezza ren- 
derebbe l'adivo ancor più caro, se non fosse 
tanto Dbriecone. 


IL CHACAL DI ‘BARBERIA O L'ADIVO. 03 

« L'andar suo molto si assomiglia a quello 
della volpe. Quando è sorpreso, si allunga, si 
sirascina piuttosto che non cammini, e sostiene 
orizzonialmente la sua bella e ricc ‘hissima coda 
tutia accerchiaia di neri e grigi anelli. 

« Al tempo di Carlo IX le dame della corte 
aveano degli adivi in luogo di cagnolciti. 


; E Lai GASST RO: 


La lunghezza di questi’ animale suol essere 
di tre piedi. La sua coda di figura Lina si 
estende a dodici. pollici, ed è orizzontal- 
mente compressa nell inferiore sua parte; ma 
prende forma convessa nella superiore. E sfor- 
nita di setole, ecccito alla radice, e coperta di 
scaglie come quella di un pesce. Gli serve di 
timone per dirigersi nell’ acqua, e diviene per 
esso un isirumento assai utile in altre opera- 
zioni. Il suo pelo è molle, liscio ; io ‘di 
color castagno e talvolta nero. Si sono ancie 


Veduti dei castori affatto candidi, altri bianchi 
«di latte , altri sprizzati di scure  macchiette. 


Tuiii hanno le orecchie corte e qu asi nasco-=. 
sie; i piè dinanzi piccioli e press a poco si- 
mili a quelli di un sorcio; i posteriori lar- 


glu, e 1 diti PAGATE per mezzo di una 


- %* n e Rea Sela PRE CASS SORA 
i, 30 Fianno I CUID:1 1liiCISIFI. fo: LISSIIZMI S 


94 TL CASTORO. 
propriissimi a tagliar il legno; e già essi altro 
nudrimento non usano che foglie d'alberi e 
seorze. 

Nessun animale sembra possedere naturale 
mente ugual sagacia, come questi quadrupedì. 
L industria è il loro -carattere distintivo , e 
l opere loro sembrano il risultato d'una spe- 
cie di patto sociale formato fra di essi per mu- 
tua conservazione e sostegno. Essi vivono d'or- 
dinario in comune, a due a trecenio insie- 
me, in abitazioni che inalzano sei o otto piedi 
al dissopra dell’ acqua. Scelgono , se ciò è 
loro possibile, un grande stagno, ove costrui» 
scono le loro caseite sovra ii dardo ad 
esse figura ovale e circolare. Queste casette fi- 
niseono in volia, che dà esteriormente all e- 
dificio forma di una cupola e interiormente 
quella di un forte. HI numero di esse varia 
dalle dieci alle trenta. 

Se i castori non trovano stagno ; e lore 
convenga, fanno scelta di un terreno ben fer- 
ino, traversato da una corrente, e ciò che 
operano, onde rendere un tal luogo proprio alle 
foro abitazioni, prova una sagacia, una intel. 
lisenza, ed una memoria, che molto si avvi- 
cinano alle facoltà umane. 

Quando i castori si sono divisi per tribù 
o) compagnie, prima lor cura si è di costruire 


uva diga, cui sempre stabiliscono nel luogo. 


IL CASTORO. 95 
più favorevole ai lor disegni , abbattendo al- 
beri di motabile grossezza, profondando nel 
terreno pali di cinque o sei piedi di altezza , 
allineandoli in più file, e intrecciandoli con 
piccioli rami d' aibero. Empiono quindi gli in- 
tervalli di pietre, d' arena, di argilla, e fab- 
bricano con tanta solidità, che sebbene questo 
rialto abbia sovente cento piedi di lunghezza , 
può un uomo passeggiarvi sopra sicurissima- 
mente. Largo alla base dieci in dodici piedi, 
si restringe esso considerabilmente alla sommi- 
tà, che di rado ha maggior diametro di due 
o tre. i 
La palafitta, composta come dicemmo di più 
file di pali, è esattamente al medesimo livello 
da un capo all altro, perpendicolare dal lato 
dell’acqua ed a scarpa dal lato che sostiene il 
peso , dimodochè Î' erba vi eresce ben tosto , 
e rende l opera più compatta e più solida. 
Dopo aver dato termine a questa gettata, i 
castori si occupano a costruire le loro capanne. 
Vi impiegano terra , pietre, e legne, disposte 
in modo, che ne assicuri la solidità, e rive- 
stite di un intonaco esteriore. 

I muri hanno, circa, due piedi di grossez- 
za, e il pavimento riesce così elevato al dis- 
sopra della superficie dell acqua, che mai non 
corre pericolo di venir sommerso. Alcune di 
tali capanne sono appena di un piano, altre 


96 IL. CASTORO. 

di tre, e a ci informa d aver rinvenute 
in quelle che esaminò quindici cellette, dif- 
ferenti lune dalle altre. Il numero dei castori 
che le abitano varia dai dieci ai trenta. Dicesi 
che ciascuno formi il suo letto di musco, di 
foglie e d alire sostanze leggieri, e che ogni. 
famiglia metta in serbo provvigioni d'inverno, 
le quali consistono principalmente in Iscorze 
e in rami d albero molto teneri tagliati di 
certa lunghezza, ec ammucchiati con molto or- 
dine e proprietà. 

Qualunque di queste capanne ha due uscite, 
Yuna del lato di terra, onde i castori vanno 
in cerca del loro bisognevole, l' altra. soito 
l'acqua, ognor più bassa dell’ ordinaria pro- 
fondità de’ ghiacci ; il che li rassienra dagli 
effetti del gelo. Quando sono stati tre 0 quat- 
îro anni nel medesimo luogo, avviene loro 
Ir essissimo d' innalzare nuovo edificio tanto 

cino al primo, che l'uno comunica coll’ al- 
Lro guil che probabilmente die’ motivo di pen» 
sare che avessero più appartamenti. Allorchéè 
le loro casuccie sono compite, si danno ad 
opere novelle, nè le interrompono, se anche 
lo siagno sia interamente ghiacciato. Perocchè 
si fanno strada attraverso di un foro formato 
nel ghiaccio , che a tal uopo mantengono 
aperto. Spesso in estate abbandonano fe loro 


capanne, corrono di spiaggia In spiaggia , e 


IL CASTORO. 97 
passan la. notte, o sotto i rovi o-in riva al-- 
l acqua. Nel qual caso hanno sentinelle, che 
con un certo grido di. allarme gli avvisano 
dell’ avvicinarsi del pericolo. In inverno mai 
non. escono, se non per andare a' loro ma- 
gazzini posti sott acqua, onde in. quella sta- 
gione si fan grassi all’ eccesso. I 

Avvien di frequente che alcuni castori ce- 
libi vivano isolati. entro fosse, che scavano in. 
riva a’ fiumi molto al dissoito della saperficie 
dell'acqua, le quali si estendono a più di 
-cento piedi di lunghezza. I cacciatori li. chia- 
mano eremili o- ferrajuoli , e si è osservato 
che la ior pelle sempre. sì. distingue per. una. 
macchia nera sul dorso. 

II sig. Dupratz, in. uno de’ suoi viaggi nella. 
parte settentrionale della Luigiana, ebbe oc- 
casione d’osservare i travagli d'una colonia di 
castori. Avendo trovato. presso la sorgente di 
un fiume un rialto costruito da questi animali, 
si pose per qualche tempo a dimora, con 
quelli che lo accompagnavano, in una capanna 
che piantarono poco discosto, onde poter esa- 
minare a lor agio i fatii di quelle industri 
bestie, senza però esser da esse veduti. 

Aspettarono che ia luna. rischiarasse piena- 
mente l' orizzonte; indi quelli, ch’ erano in 
prima fila, essendosi muniti di rami d'’ alberi 
ende coprire la loro marcia, tutti d' accordo 


Gabi nello Tom. A i m 


d 


‘98 ÎT. CASTORO. 
sì appross simarono alla diga, e praticatovi colla 
più g gran diligenza, e col più profondo silen- 
zio un rivolo o doccia di circa un piede in 
larghezza, si ritrassero tosto al loro asilo. 

Appena l'acqua ebbe cominciato a far stre- 
pito, correndo a traverso questa doccia , il 
sig. Dupratz e 1 suoi compagni intesero un 
castoro uscire d una delle casuccie e tuffarsi 
nell’ acqua. Lo videro in seguito montar sulla 
scarpa dell'argine, ed esaminare il guasto che 
vi si era fatto. Battè allora quattro volte for- 
tissimamente e distintissimamenie colla sua co- 
da. A questo segnale l’intera socicià de’ castori 
si precipitò a un tratto nell acqua , € arrivò 
sul rialto. Quando vi furono riuniti, l' uno 
d’ essi parve dare certi ordini, poichè tatti 
abbandonarono all'istante quel luogo, e si di- 
visere sopra differenti punti sulle rive .di quella 
specie di stagno, che la diga veniva a for- 
mare. Î più vicini a viaggiatori, trovandosi fra 
il luogo occupato da questi e la gettata, da- 
vano grandissima opportunità di esaminare tutte 
fe loro operazioni. 

Alcuni castori formavano una sostanza, che 
molto rassomigliava a calcina ; altri la traspor- 
tarono sulla lor coda, che serviva ad essi come 
di treggia. Si erano essi distribuiti: due a due 

l uno caricava l'altro. Quel cemento condotto 
nel modo, che dicemmo , sino alla diga, vi 


TL CASTORO. 99 
era ricevuto da aliri, che lo aspettavano , il 
deponevano neila doccia, e vel calcavano a gran 
colpi di coda. Allora il rumor dell'acqua, che 
giù precipitava dal rialto, essendo cessato; uno 
dei castori battè colla coda due volte. Tutti si 
gettarono al fiume quietissimamente e dispar- 
vero. Quindi il sig. Dupratz e i suoi compagni 
di viaggio andarono a riposarsi. 

All'indomani mattina ritornando alla getta- 
ta, e osservandone il lavoro , ne abbatterono 
una parie. L' abbassamento dell’acqua, che ri- 
sultò da questa operazione, e lo strepito ch'essi 
fecero, mise i casiori in grande apprensione , 
e uno di essi venne assai presso a' guastatori, 
per veder cosa facevasi. Il sig. Dupratz te- 
mendo che non prendessero la fuga e non si 
ascondessero nei boschi, se venivano turbati 
davvantaggio , si ritrasse co’ socii al solito po- 
sto. Uno de’ castori si arrischiò allora a venir 
sulla breccia, dopo essersi alternativamente av- 
vicinato e allontanato più fiate come esplo- 
ratore. Esaminò i luoghi, batte quattro volte 
colla coda, come aveva già faito il di innan- 
zi; tutti, al solito, uscirono, ed uno di quelli, 
che andavano al lavoro, passo molto presso 
al sig. Dupraiz. E com egli avea pur bisogno 
d’ una mostra di ciò che portava, onde esa- 
minaria, lo uccise. Il fracasso del micidiale ar- 
hibugio li fece sloggiare più presto, che fatto’ 


100: IL CASTORO. 
non lo avrebbero cento colpi di coda del loro 
ispettore. 

Altre fucilate li forzarono in seguito a fug- 
gir prontamente ne boschi, lasciando a’ loro 
perturbatori tutto l agio di esaminare le loro 
abitazioni. Queste erano fatte con pali fissi in 
terra e appuntati alle superiori estremità. À 
mezzo di essi era il pavimento solidamente 
assicurato neile- profonde intaccature, che per- 
metteva la loro grossezza. Il sig. Dupratz e i 
suol compagni trovarono scollo I uno de pa- 
vimenti quindici scheggie, da cui si era le- 
vata la scorza, e cltfe parevano destinate - al 
nudrimento de’ castori. 

Questi amfibii hanno due specie di pelo: 
, uno, che è fino al par del velluto, corto 
«e folto, e riveste immediatamente la pelle ; 
È altro più raro, più lungo e più forte, che 
ricopre il primo. Il secondo è di pochissimo 
valore, laddove il primo serve a fare de’ cap- 
pelli, delie calze, delle berrette, ed altre cose 
di abbigliamento. Quindi le pelli di castoro 
sono oggeito importantissimo di commercio 
nell'America e nelle contrade settentrionali. 
dell Europa. Più di dieci mille se ne ven- 
dettero in un solo mercato dalla compagnia 
della baja d'Hudson; e nell'anno 1798, ben 
cento e sei mila ne furono raccolte nel Ca- 
nadà e mandate in Europa e nella China. 


IL ‘CASTORO. 19î 
Quelle de’:castori presi in inverno son pre 
feribili, massime se furono portate qualche 
tempo dagli Indiani, che consumano il pei 
lungo, e lasciano la lanugine senza mesco- 
lanza, e propria a varii usi, che può farne 
l industria de’ manifattori. La sostanza medi 
cinale , appellata castoreo , si trova in istato 
liquido nelle glandule inguinali de’ castori , e 
ciascun d' essi ne produce due once all’ in- 


circa. L 


Le loro TA partoriscono verso la fine 
di sipgno» non più di due figli per volta, 
i quali restano co' genitori fino all'età di tre 
anni. Allora se ne separano., e costruiscono 
casuccie per sè medesimi. Che se nulla l 
turba, ed hanno abbondanza di provigioni 
in quella ove son nati, restano col padre e 
la madre loro e formano doppia famiglia. Nè 
già sorprende che animali tanto socievoli diano 
sì grandi prove -di attaccamento gli uni verso 
degli altri. 

Due giovani ‘castori, ‘che erano stati presi 
vivi, e condotti ad una fattoria della baja di 
Hudson, si mantennero sani per alcun tempo, 
anzi ingrossarono a vista d'occhio, finchè Ì uno 
di loro per accidente fu ucciso. Quello che 
SP PIA isse fu tanto sensitivo a questa perdita, 
che si astenne volontariamente da ogni cibo; 
e poco appresso morì. 


(doc TE CASTORO: 

Non spesso, ma qualche volta pur si giunge 
ad addomesticare simili animali. Il maggiore 
Roderfort di Nuova York avea un castoro del- 
l'eià di sei mesi in sua casa, ove correa libe- 
‘ramente, non trattenuto da alcun vincolo; e 
si nutriva di pane e qualche pesce, di cui 
era avidissimo, usandosi gran cura di mai non 
lasciargli mancar acqua. Portava esso al luogo, 
ove costumava dormire, quanti cenci o cose 
morbide al tatto incontrava per via, e ne com- 
poneva il suo letto. Una gatta, che aveva 
poc anzi partorito, ne prese un dì possesso 
colla sua famigliuvola; nè il castoro vi si op- 
pose. E quando la madre si allontanava, esso 
preudeva i picciolini fra le sue zampe, e se 
li stringeva teneramente al seno, come per 
riscaldarli, restituendoli tosto che quella ritor- 
nava. Vi fu più d'una volta fra L'uno e l'al 
tra del brontolio, ma il castoro mai non dié 
segno di voler mordere. 

L'inverno è la stagione che 1 cacciatori pre- 
feriscono, per andare in cerca delle capanne 
dei. castori. Essi ne otturano l' uscita dalla 

arte dell'acqua, e ingrandiscono quella che 
riguarda la terra. Dopo di che vi introdu- 
cono un cane a ciò ammaesirato, di maniera, 
che s impossessa del castoro co’ denti, e si 


lascia in secuito trar fuori "per le gambe di 


È Ò 
dietro. 


A, 


i 


IL CASTORO: rod 

Gli Indiani vicini alla baja d’ Hudson co- 
minciano dal trar l'acqua dalla chiusa, che i 
castori hanno formata; indi ne coprono di 
reti le capanne, salvo un foro che lasciano 
libero alla sommità, e per cui vi perc 
onde i poveri animali spaventati, cercando fug- 
gire. per le solite uscite, si trovano presi. 

In alcune parti della Laponia i cacciatori 
pigliano i castori con rami di abete, a cui 
adattano de’ nodi a ricorsojo. Ma è da osser- 
varsi, che ogni volta che ne son presi due 
a poca distanza l'uno dall'altro sì mettono 
reciprocamente in libertà. Il castoro è nativo 
di quasi tutte ie parti settentrionali dell’ Eu- 
ropa e dell'Asia; ma trovasi principalmente al 
nord dell'America. Sembra pure ch'esso abbia 
altre volte abitato la Gran Bretiagna, poiché 
Girald di Chambrai assicura che frequentava 
il fiume di Tièvi nel Candiganshire e vhs 
gli abitanti del principato di Callos gli ave: 
dato un :nome, il qual significava animale di 
larga coda. 

Trovansi ora (1806) nel parco di Exeter- 
Change due castori condotti dalla baja d' Hud- 
son dal capitano. Turner, che aveva pure a 
bordo un maschio ed una femina delia me- 
desima specie co’ lor piscine ma essendosi 
sgraziatamente ‘adoperato. piombo in vece di 
siagno per foderare. il trogoio ove bevevano, 


10/4 IL CASTORO. 
fureno avvelenati in una notie, che rosero 
un tal metallo. Gli altri due, che oggi sono 
in possesso del signor Pidcock, si mostrano 
singolarmente addomesticati, ed anche si la- 
@ciano toccar facilmente; ma quando alcuno 
lor si avvicina mandano un grido lamente- 
vole, che molto si assomiglia a quello di 
vn bambino appena nato. Lieti alcuna volta 
e scherzevoli giuocano l'uno coll’altro, e se 
loro si porge qualche cosa con cui possano 
divertirsi sembrano molto contenti, e lo stra- 
scinano più lungi, che il permettono i limiti, 
fra cui sono racchiusi. Il loro -castode - mi ha 
detto che loro avviene spesso di erigere ur 
pieciol palco «ceci rami di salice, che loro si 
danno per nutrimento, e colla paglia, che 
serve loro di leito; e che ove non si .inter- 
rompessero in tal lavoro, ben presto si fug- 
girebboro, sormontando il chiuso. Rodono pur 
con tanta perseveranza il legno delia loro 
stanzuccia , che si è costretti ricoprirlo con 
lamine di stagno o di ferro. 

Ii Jero edito si compone di rami di 
salice, di foglie di cavoli e di pane, cui sem- 
pre ‘omollano nel loro trogolo, prima di man-. 
giaro, Ai loro pasti i volte sianno in 
piedi; e veggonsi non di rado lavarsi i piedi 
e pu ulirsi i denti. In somma la natura loro è 
mitissima, e la mondezza non ordinaria. 


CAPITOLO; III: 


Mn come l’orso suol, che per le fiere 
Menato sia da’ Russi o da’ Lituani, 
Passando per la via poco temere 
L’importuno abbajar di picciol cani, 
Ghe pur non se li degna di vedere. 


i Ariosto. 
ORSO COMUNE. 


ki | 
E animale selvaggio e solitario, che abita 
le. caverne più inaccessibili de’ monti, o i 
luoghi più appariati e più impenetrabili delle 
foreste. Ha gli orecchi brevi e tondeggianti, 
50 O . - ° s_os . 3 
gli occhi piccioli e forniti di membran@ a 
guisa di palpebre, il muso aguzzo, f olfato 
acutissimo, coscie e gambe forti e muscolose, 
. q: e . } hi n DEE 3 d } 
piedi assai lunghi e grife sì adunche da po- 
tersi arrampicar per gli alberi con facilità. 
La sua voce è un brontolio cupo, un non so 
qual fremito grossolano che fa spesso udire 
alla minima provocazione. 
Gli orsi nel Kamtschatka sono tanto co- 
muni, che veggonsi non di rado errare per 


le pianure in branchi numerosi; e già da lungo 


106 ORSO COMUNE. 

tempo avrebbero assai spopolato il paese, se 
ivi non fossero di natura assai meno fiera, 
‘che in tutte l' altre parti del globo. Nell’ in- 
verno abilano principalmente le uv 
ma in primavera ne discendono in folla, 

recansi verso le bocche de’ fiumi, onde i 
dervi pesce, che abbonda in tutte 1 acque 
della penisola. Se ne trovano in gran quan- 
tità non ne mangiano che la tesia; e ogni 


volta che il caso i fa incontrare in qualche 
rete. o nassa di pescatore, la traggono dal- 
l acqua con molta destrezza e s' impadroni- 
scono di ciò che contiene. 

Quando un Kamischadale scorge uno di 
questi animali , cerca guadagnar ul lunga 
la sua confidenza, accompagnando i suoi ge- 
sti con parole carezzevoli. E, per verità, gli 
orsi in quel paese mostransi tanto fl È 
che le donne ed anche le fanciulletie vanno 
a cercare erba, radici e torba pel fuoco in 
mezzo di loro, che mai ad esse non fanno 
male. Che se alcuno di quegli orsi, talvolta 
si accosta. alle tranquille raccoglitrici UÈ per 
ricevere dalle lor mani qualche cosa da man- 
giare. Mai non furono veduti assalire. un 
uomo, fuor del caso d’esserne svegliati all’im- 
provviso ; e di rado accade che si- avven- 
tino ai cacciatori , siano o non siano da loro 
feriti 


ORSO COMUNE. 10% 

Quest indole mite dell’ orso del Kamtschaika 
non val, però , a salvarlo dalla persecuzione. 
Armato di mazza o di picca l’abitator di quel 
paese va a ricercarlo ferocemente fin nella 
calma del suo asilo secreto. L° orso , ch’ ivi 
nulla medita di ostile, nè pensa che alla pro- 
pria difesa , prende gravemente i fastelli che 
il nemico gli presenta, e se ne giova a tu- 
rare l'ingresso della sua spelonca. La quale 
poi ch'è ben chiusa, il cacciatore ne sfora 
la sommità, e vi caccia senza pericolo proprio 
la sua lancia, che va a trapassare il corpo 
dell'animale. Talvolta egli disiende sulla via , 
che sa frequentata dall orso, un asse iutto 
irto di grossi chiodi, e accanto all’ asse qual- 
che cosa assai greve, che l'animale fa cadere 
passando. Quindi spaventato del rumore di 
tale caduta corre attraverso l'asse con mag- 
gior precipizio, che altrimenti non avrebbe 
fatto. E sentendo una delle sue zampe infissa 
ne chiodi si studia liberareela , appoggiandosi 
fortemente coll’altra. Ma le sue ferite e il do- 
lor suo non facendo che crescere, si leva esso 
in sulie gambe di diciro, e si agita in su 
gli occhi con quelle dinanzi la tavola a cui 
sono inchiodate. Quesia vista gli è di tanta 
costernazione, che getiasi a terra, manda urli 
orribili, e muore fra i più vivi dolori. 

In alcune parti della Siberia, i cacciatori 


108 È ‘©6850 COMUNE. 
alzano una specie di palco formato di più pan 
“coni posti gli uni sopra gli altri, i quali 
‘cadono insieme, € bian Ì orso; quando 
posa il piede su d'un tiraboc. chello posto al 
‘dissotto. Altro modo di prender gli orsi è 
quello di scavar fosse, in mezzo a cui si 
pianta un palo liscio e appuniato all’ estremità 
superiore , il «quale s' alza un piede circa da 
terra. Ricopronsi quelie fosse accuratamente 
di zolle, e disponsi in mezzo del sentiero, ché 
l orso ha in costume di tenere, una picciola 
cerda, a cui è appoggiata una figura elastica 
di legno. Appena l’animale tocca tal corda , 
la figura si drizza in piedi; e quello, che ne 
prende paura, cerca salvarsi colla fuga, e pre- 
cipitando nella fossa è sventrato dalla punta 
del palo, che si è deseritto. Che' se sfugge a 
‘ questa prima insidia, dopo incontra pali di 
ferro aguzzi, simili a quelli che si ‘oppongono 
alla cavalleria nemica, e collocati a poca di- 
stanza dalla fossa. In mezzo a questa specie 
di cavalli di frisa altra figura di legno di 
nuovo lo spaventa; e me ui fa ogni sforzo 
per uscir d’ un luogo pieno per esso di so- 
spetto, il cacciatore, che si tiene in imboscata, 
gli è sopra e il mette a morte. | 

I Koriachi sogliono prenderlo della maniera 
seguente. Cestio qualche albero bistorto, che 
abbia presa nascendo una forma arcuata, € 


ORSO COMUNE. 109) 
appendono alla cima, che in giù si piega, un: 
nodo scorritojo. e qualche esca. L’ orso afla- 
mato vi agogna, e si arrampica ansiosamente 
al tronco; ma da che tocca 1 rami, il nodo 
si serra, l animale è soffocato, e- cade dal 
l albero., a cui resta sospeso. 

Nelle parti montuose della Siberia. quelli , 
che vanno alla caccia dell'orso, attaccano un 
ceppo pesantissimo ad una corda, l'una delle 
cui estremità finisce in un nodo parimenti a 
ricorsojo; e il collocano presso di un precipi- 
zio sul cammino che l'animale costuma di 
frequentare. Questo, dopo di aver cacciato il 
suo collo nel nodo, trovandosi impedito dal- 
T ostacolo. oppostogli*, lo pr ende con furore , 
e lo scaglia nel precipizio; ma strascinatovi 
esso pure dal peso di quello, muore della sua 
caduta. Che se ciò non gli accade, strascina 
il ceppo sull alto deila montagna, e ripete i 
suoi sforzi, fino a che la sua rabbia essendo 
giunta all esiremo , 0 soccombe di stanchezza, 
o pon termine al suo soffrire , precipitandosi 
nell’ abisso. : 

L'orso è ghietto del mele, e questa. sua. go- 
losità ha suggerito ai Russi un mezzo di pren- 
 derlo. Sospendoro eglino ad una correggia un 
ceppo, lungo il tronco d'un aibero, ove l'api 
han posto un loro alveare. Quando l'orso vi 
sì arrampica per giugngre ai favi, irovandosi 


TIO ORSO COMUNE. 
molestato da quel ceppo, lo spinge da una 
banda, e cerca di salire. Ma il grosso legno 
ritornandogli sopra, lo percuote sì forte, che 
T animale incollerno lo spinge con più vio- 
lenza , ond' esso ricade vie più ponderoso; e 
la cosa va qualche volta tani’ oltre, che l'orso 
rimane vittima della propria semplicità. 

In alcune contrade del nord un sol uomo 
assale al piano un orso, senz’ altr” arme, che 
un coltello ben affilato, ed uno sile a doppia 
punia , attaccato a un guinzaglio. «Si attorce 
questo al braccio destro, e collo stilo nell'una 
mano e il coltello neli altra, s' avanza‘ ardita- 
mente contro l'animale, il qual si rizza sulle 
sue gambe posieriori a combattere. Ma nell i- 
stante che apre la gola, il cacciatore vi pro- 
fonda il suo stilo, e gli fa tal ferita, che più 
non sente forza di resistere, e può egualmente 
essere pugnalato, 0 condotto vivo dove piace 
al suo aggressore. 

Non avvi quadrupede, la cui wecisione rie- 
sca più utile al Ramischadali, di quello che 
l'orso. Poichè della sua pelle fan letti, coperte, 
berette, guanu e collari pe cani , che tirano 
le slitte. Quelli che vanno su’ ghiacci, per cac- 
ciarvi gli animali marini 9 formano la suola 
deile loro scarpe con simile cuojo, che mai 
non scivola. La grascia dell’ orso è tanto più 
valuiaia , secondo che è più nutriente, e di 


ORSO COMUNE: III 
nn sapore più aegradevole. Fusa poi si ado- 
pera in luogo dell” olio. 

La sua carne, specialmente quella dell’ or- 
sacchiotto è assai delicata; e gli intestini bene 
sgrassati e ben puliti servono a preservare il 
viso deile donne dagli effetti del. sole, che 
riflesso dalla neve suol annerire Ja pelle. Così 
le belle del Kamtschaika serbano la freschezza 
del lor colorito. 

Ì Russi di quella contrada fanno cogli in- 
testini deli’ orso delle impannate da iu 
non meno trasparenti che i vetri. di Mosca, 
e i suoi omoplati servono di falce per tagliar 
l'erba. I nativi del paese sospendono alle loro 
capanne cosce e teste d' orsi, come tanti tro- 
fei ed ornamenti. 

Sembra che i Kamtschadali siano pur de- 
bitori a questi quadrupedi di que’ pochi pro- 
gressi , che sinora hanno fatti nella medicina. 
Osservando il genere d'erba, che gli orsì ap- 
plicano alle loro ferite o di cui fanno taste, e 
tutti gli altri mezzi curativi, che impiegano 
quando sono ammalati, hanno appreso .a cu- 
rare sè stessi. Gli orsi, parimenii, dir si pos- 
sono i lor maestri di Laiio. In quelia, che chia- 
mano danza dell'orso, i Kamischadali imitano 
sì fedeimenie i gesti e le attitudini dell ani- 
male; che non rimane dubbio iniorno alla 
scuola che ne han ricevuta. Perocchè esprimono 


12 ORSO COMUNE. 

il suo andamento stupido e indolente, le sue 
differenti posizioni e tutti i moti suoi; figurano 
i giuochi degli orsacchini colle lor madri, la 
maniera, onde il maschio e la femina scher- 
zano insieme , € la loro agitazione quando sono 
inseguiti. 

Tutte l altre danze somigliano, a più ri- 
guardi , ai salti dell'orso, e sono tanto più 
.. quanto più vi hanno di conformità. 

E facilissimo addomesticar quell’ animale, e 
sidente docile ed obbediente. Gli si insegna 
ad andar ritto, a tener un bastone melle 
zampe , a far differenti giri, per divertir la 
moltitudine, la qual molto ride della. sua gof- 
fezza nel moversi che fa al suono di rozzo 
strumento, o alla rustica voce del suo padrone. 
Ma le crudeltà ch’ esercitano i cacciatori sopra 
di esso, affin di dargli questa specie di edu- 
cazione , veramente sono odiosissime. Peroc- 
chè spesso gli cavan gli occhi, e dopo avergli 
fatto passare attraverso le. cartilagini del naso 
un fil di ferro, che curvano in anello onde 
condurlo, il privano d'ogni nutrimento, e l'op- 
primono a colpi, sino a che si mostri som- 
messo alle loro barbare volontà. ‘Talvolta gli 
insegnano a danzare facendogli posar i piedi 
sopra verghe di ferro infuocato , suonandogli 
intanto qualche piva o colascione, che ben 
corrisponde agli urli, che gli strappa il dolore. 


- 


ORSO COMUNE. 113 

Né fa punto meraviglia, dice il sig. Bewick, 
che simili barbarie servano di trastullo a un 
popolaccio stupido , il qual le paga, e si af- 
folla intorno al misero animale, per vederlo 
imitare sgarbatamente le maniere dell’ uomo. 
Saria però a desiderarsi che i magistrati proi- 
bissero severamente ogni spettacolo di simil 
genere, poichè tornano a gran biasimo di una. 
nazione tutti 1 divertimenti che  disonovano 
È umanità 

La femina dell'orso porta in seno i figli circa 
sei mesi, e ne mette in luce, generalmente, 
due per volia. Questi, nascendo, sono roton- 
di, quasi senza alcuna forma, ed hanno :l 
muso molto aguzzo; ma è falso ciò che gli 
antichi naturalisti hanno preteso, che la madre 
«dia loro forma regolare , leccandoli. La loro 
lunghezza in quel tempo non è più di otto 
pollici. Per Io spazio di un mese poi resian 
privi di luce. 

Quando gli orsi vanno al lor sogsiorno d'in- 
verno sogliono esser grassissinii ; ma dacché 
in tale stagione non prendono quasi alcun 
nulrmento, escono poi magrissimi in prima- 
vera. Al qual tempo, trovandosi nello stomaco 
di siffatti animali che si uccidono una sosianza 
schiumosa, si è supposto che ne freddi giorni, 
in luogo di nudrimento, si sostenessero lec- 
cando le proprie zampe. 

Gabinetto Tom. I 83) 


s14 GRSO COMUNE. 

T cacciatori mai non ardiscono far fuoco 

coniro un orsacchiotto in presenza della ma- 
dre; poichè se quello è ucciso, questa divien 
furiosa, e cerca vendicarlo o perire. Se poi 
l{ madre soccombe, T altro le riman vicinoy 
esprimendo con tutti i segni possibili il suo 
dolore. Non sono molti anni che un cacciatore 
in una provincia d' Alemagna fu per perdere 
la vita, poichè avendo tratto d'archibugio so- 
pra un orsacchiotto sotto gli occhi della ma- 
dre, che un rovo gli nascondeva, questa con 
un colpo improvviso di zampa gli strappò gran 
parte della pelle del cranio. 
- Di raro l'orso usa de suoi denti come di 
arme offensiva; ma percuote ordinariamente il 
nemico, alla maniera de’ gatti, colle zampe an- 
teriori, 0, se il può, lo stringe fra esse e 
lo soffoca. 


ORSO D'AMERICA. 


In ciò principalmente differisce quest’ orso 
da quelli d' Europa, che ha il corpo più pic- 
ciolo, il muso più acuto, l’orecchie più lunghe, 
il pelo più morbido, più liscio, più lucente, 
e la Janugine della mascella e del petto d'un 
bruno rossiccio. 

Gli orsi d'America arrivano. nella Luigiana 
alla fine d'autunno, cacciati dalle nevi dei 

« 


ORSO D AMERICA. 115 
elimi più settentrionali. A quell’ epoca sono 
tutti magrissimi, attesochè non abbandonano il 
nord, che quando la ierra è tutta coperta di 
gelo, e il cibo per conseguenza è molto raro. 

Ne” paesi all’ intorno del Mississipì non si 
allontanano che pochissimo dalle rive di quel 
gran fiume, nelle quali restano frequentissime 
orme dei loro passi, che i non pratici pigliano 
per orme di passi umani. 

Dupraiz dice d’esserne un giorno rimasto 
ingannato, imaginandosi che migliaja d’ uomini 
fossero passati per un sentiero distanie più di 
due miglia da ogni abitazione. 

« È hede il far osservare, egli aggiunge, 
che l'orso: non si picca di civiltà, nè cede il 
passo ad alcuno. Quindi la prudenza vuole 
che il viaggiatore non faccia seco il sottile per 
questo punto di galateo ». - 

Verso la fine di dicembre, quando gli orsi 
son divenuti sì grassi e sì indolenti, che ap- 
pena possono camminare, e che uccisi trovansi 
in istato di fornire grande quantità d' olio, i 
selvaggi americani lor danno la caccia. E al 
cuni osservano in tale circosianza cerimonie 
tanto singolari, che la relazione di Charlevoix 
nel suo viaggio per l America Seitentrionale , 
deve riuscirne assai dilettevole. 

« Ecco, dic egli, quanto pur oggi sl pratica 
in tale caccia dai non cristiani. 


116 ORSO D AMERICA. 

« Sempre è un capo di guerra quegli che 
ne indica il tempo e chiama i cacciatori. Al- 
l’invito, che si fa con gran cerimonia, segue 
un digiuno di otto giorni, duranti i quali, non 
è lecito prendere sorso d'acqua: già pe ° sel- 
vaggi il digiunare è astenersi da ogni cibo e 
bevanda. Malgrado, però, l'estrema fiacchezza, 
a cul parrebbe dovessero per. tal cagione esser 
ridotti, non cessano di cantare per tutto il 
lungo della giornata. Quel digiuno si osserva 
onde ottener dagli spiriti che faccian conoscere 
in qual luogo si troveranno molti orsi. Affine 
però, di conseguire un simile favore, altri fanno 
assai più; incidono vive in varie parti del 
corpo le loro carni con ferita ben dolorosa. 
Ed è notabile, che mai non chieggono di vin- 
cere que furiosi animali, ma solo d'incontrarae 
in gran copia; come Ajace non domandava a 
Giove, che il rendesse vincitore de’ suoi ne- 
mici, ma scio che gli concedesse abbastanza di 
giorno per poterli vincere. Al medesimo intento 
que selvaggi mandano altresì preghiere ai mani 
delle beive trucidate nelle cacce antecedenti; e 
come, vegliando, non sono occupati che di 
questo pensiero, è naturale che anche nel loro 
sonno, il quale, con quegli stomachi vuoti, non 
debb essere molto profondo, sempre veggono i 
toro orsi. Ma a risolverli bisogna che tutti, o 
almeno la più gran parte, gli abbian sognati nei 


ORSO D AMERICA. 117 
medesimo luogo; e quest’accordo è alquanto 
difficile. Tuttavia, purchè un abile cacciatore 
abbia creduto vederli due o tre volte di se- 
guito in un luogo determinato, quasi tulli, 
sia condiscendenza ( perocchè niuno più con- 
discendente de nostri selvaggi), sia che a forza 
di udirne parlare i loro cervelli alfin ne rice- 
vano l'impressione, tutti, «ico, in breve so- 
gnan lo stesso o fingono averlo ‘sognato, e 
più non si dubita ove si debbano” volgere 
i passi. 

« Finito, così, il digiuno, e scelto il luogo 
della caccia, quegli che n'è scelto capo dona 
agli altri un gran pasto, a cui nessuno inter= 
viene, senza aver prima preso il bagno, cioè 
a dire senz'essersi gettato nel livio, qualun- 
que tempo faccia, pur che Yacqua ron sia 
ghiacciata. Quel banchetto non è già come 
altri molti, in cui è forza mangiar tutto, seb- 
bene a lungo siasi digiunato; ma forse appunto 
per ciò ognuno vi si mostra sobrilssimo. Chi 
ne fa gli onori non assaggia nulla, e, mentre 
gli altri si cibano, ei racconta le sue passate 
prodezze alla caccia. Al levarsi da mensa ripe- 
tonsi le invocazioni ai mani degli orsi defunti. 
Indi la compagnia tutta maculata di nero e 
in equipaggio, come di guerra, si mette in 
marcia fra le acclamazioni di iutto il villaggio. 
Così la caccia non è fra que popoli nicyte 


118 ORSO D'AMERICA. 
men nobile che l'arte bellica. La parentela di 
un buon cacciatore è anzi da essi più ricer- 
cata che quella di un guerriero famoso; poi- 
chè la caccia fornisce a tutta la famiglia vitto 
e vestimento; e oltre a ciò non si estendono 
i desiderii de’ selvaggi. Ma nessuno è da loro 
riputato gran cacciatore, se non uccide dodici 
gran belve in un giorno. 

« Que popoli hanno per l' esercizio della 
caccia due notabili avvantaggi sopra di noi. 
Perciocchè, primieramente, nulla gli arresta; 
non rovi, non fosse, non burroni, non sta- 
gni, non fiumi: sempre camminano per la 
via più diritta. In secondo luogo ben pochi 
son gli animali, se pur ve n'è alcuno, che 
essi non raggiungano al corso. Si sono fra 
essi veduti uomini arrivare ad un villaggio, 
cacciandosi innanzi con una bacchetta molti 
orsi da loro presi, come avrebber fatto di 
un grezge di montoni. Del resto il cacciatore 
poco deve approfittar per sè stesso della sua 
preda, cui è obbligato distribuire con gran 
liberalità. Se nol fa prontamente, e si lasci 
prevenire da chi gliela tolga, è forza che il 
soffra in silenzio, e si contenti dell'onore di 
aver faticato pel ben comune, Non si biasima 
però che nella distribuzione Ja sua famiglia 
abbia la prima parte. 

«Il tempo della caccia dell'orso è l'inverno, 


ORSO. D' AMERICA» t19 

Dacchè l'animale è ucciso, il cacciatore gli 
mette fra i denti la canna della sua pipa acce- 
sa, soffia nella pipa medesima, ed empiendo 
così di fumo la gola e lo stomaco di quello , 
scongiura il suo spirito a non provare alcuno 
sdegno di ciò che ha fatto al suo corpo, € 
non essergli contrario in tnite le cacce future. 
Ma come lo spirito non risponde , il cacciato- 
re, per sapere se la sua preghiera sarà esau- 
dita, taglia lo scilinguagnolo dell’ orso, e il 
serba fino a che sia di ritorno nel villaggio. 
Allora in gran cerimonia e dopo molte invo- 
cazioni lo getta nel fuoco; e se crepita e si 
contrae, come di necessità sempre avviene , 
lo ha per segno che lo spirito dell’ orso è 
placato , altrimenti presagisce infelici le cacce 
dell’anno venturo; ove non si trevi qual 
che rimedio; poichè alla fine vi è rimedio a 
tutio. 

« I cacciatori fanno buoni pasti finché 
dura la caccia; e, per mediocre che riesca, 
sempre ne portan seco di che regalare gli 
amici e nutrir lungo tempo le loro famiglie. 
Non è, per verità, un piatto molto voluttuoso 
questa carne affumata; ma tutto è buono per 
de selvaggi. Al vedere il ricevimento che si fa 
a’ cacciatori, l'aria di contentezza e di com- 
piacenza di sè stessi, che questi prendono fra 
le lodi, che loro si tributano, direste cl’ essi 


120 È ORSO D AMERICA 
sitornino da qualche gran spedizione «carichi 
delle spoglie di un popolo debellato. Convien 
essere un valent uomo, loro si dice, anzi di-. 
cono eglino stessi, senza tanta modestia, per 
combatiere e vincere gli orsi. E un altra coe- 
sa, che loro acquista non minori encomii, e 
ond’ essi traggono non minore vanità, si è il 
non lasciar nulla avanzare cel gran banchetto, 
che loro imbandisce di nuovo al ritorno della 
«caccia quegli, che ne fn il condottiere. Pre- 
sentasi in esso, per prima portata, il più 
grand orso , che sia stato preso, ancor iuito 
intero co suoi iniestini, anzi colla pelle , che 
appena gli si è abbrustolata, come si fa coi 
porci ». 

I selvaggi dell America meridionale addo- 
meslicano gli Orsi giovani., cui spesso piglian 
sì teneri, che ancor non. possono mangiare; 
nel qual caso obbligano le loro donne ad al- 
levarli col zampilletto. 

Più scrittori d'autorità hanno lia alati 
assicurato , che nessun europeo o americano 
ha mai potuto uccidere un’ orsa nel tempo 
della sua gestazione. In una sola caccia rimaser 
vittime alia Virginia più di cinquecento indi- 
vidui della razza orsina, fra cui non si trovarono 
che due femine, ancor non pregne. Cagione 
di tal singolarità debb' essere ‘che, menirg i 


5 
maschi hanno per la loro prole ‘non so qual 


‘ORSO D AMERICA. 121 
avversione, che mostran pure altri quadrupedi; 
le femine appena han concepito sl ritirano in 
fondo alle foreste o alle rupi, onde sottrarsi 
alle ricerche dei feroci mariti. 


ORSO BIANCO. 


Differisce dall’ orso comune per ciò che ha 
| la testa € il collo, e, proporzionatamente al 
suo volume, tutto il corpo più lungo. I suoi 
orecchi e i suoi occhi son piccioli, € 1 suoi 
demi di singolare grossezza. Il suo pelo è 
prolisso; duro al tatto, e d’ un bianco gialla- 
stro; nelle sue membra apparisce gran forza ; 
l'esiremità del suo muso e le sue unghie son 
linte di nero. 

I quadrupedi della sua specie abitan le parti 
più iperboree del globo, che ben si accordano 
col loro carattere selvaggio. Veggonsi nelle 
icrre polari a torme prodigiose, non solo per 
terra, ma anche sui ghiacci fluttuanti a più 
leghe di mare. Di questa guisa sono essi più 
volte tasporiaii fino in Islanda. Però, dopo 
il Jungo digiuno necessariamente sofferio in 
questo tragitto, assalgono indistintamente: il 
primo essere che loro si presenta. Ma preten- 
desi che i nativi del paese sfuggano facilmente 
al loro furore, se gettar possono sul cammine 
qualche cosa che li diverta. 


129 ÒRSO BIANCO. 

« Un guanto, dice il sig. Horrabow, è 
propriissimo a tale effetto ; Da l orso non 
rocede oltre, che prima non ne abbia corrose 
tutte le dita, il che esige abbastanza tempo, 
perchè la persona si metta in salvo. » 

Accade assai spesso che quando un Groen- 
landese e la moglie sua si trovano in una 
delle lor canoe sul mare, se di troppo si av- 
vicinano ad un ghiaccio ondeggiante, un orso 
bianco salta nel loro fragil legno e, se nol 
rovescia , si asside tranquillamente e si lascia 
condurre come un passeggiero. Il Groenlandese 
non è molto contento dell’ ospite mostruoso ; 
ma fa di necessità virtà e lo conduce carita- 
tevolmente a riva. 

Gli orsi bianchi son naturalmente feroci, e 
se ne videro nella Nuova-Zembla assaltar dei 
marinai, prenderli per la gola, portarli via colla 
più gran speditezza e divorarli alla vista dei 
lor camerata costevnatissimi. Quando sono ir- 
ritati 0 provocati, si mostrano i più pertinaci 
nella vendetta, come potrà giudicarsi dall’ a- 
neddato seguente. 

Non ha molti anni, che l equipaggio di 
una canoa, che seguiva una nave alla pesca 
della balena, tirò a picciola distanza sopra un 
orso e lo ferì. L'animale mandò un urlo ter- 
ribile, e corse tosto lunge il ghiaccio su cui 
trovavasi. alla volta del picciol legno, per 


ORSO BIANCO. 123 
ragoiugnerlo. Si trasse allora un secondo colpo, 
che parimenti non falli, ma non valse che ad 
‘accrescere il suo furore. Poiché gettatosi a 
nuoto, e presto pervenuto al battello, stese 
una zampa sul bordo, e l'afferrò. Un mari- 
naio, ch'avea pronta una picozza, che dicono 
d'arrembaggio, gliela tagliò. L'orso allora, altro 
non potendo, seguito a nuotare dietro il le- 
gnetto , anzi di tanto si accostò al maggior 
naviglio, che più archibugiate gli furono sca- 
gliate contro, le quali il piagarono. Ma esso 
vie più ostinato fe in modo che pervenne ad 
arrampicarsi fin sopra il ponte, onde iutto 
l equipaggio fu in iscompiglio , e molti forse 
rimanevan vittime della sua rabbia feroce, se 
un nuovo colpo di moschetto nol distendeva a 
terra. 
Roberto Boyle ci ha fatta un’assai Bella di- 
pintura della sagacia, di cui i quadrupedì di 
questa specie danno prova, cercando la loro 
preda. « Un vecchio capitano di vascello, egli 
dice, mi ha assicurato che gli orsi, i quali si 
trovano in Groenlandia, e ne contorni di quel 
paese, hanno l'odorato eccellente, malgrado il 
freddo estremo, ch'ivi regna. Talvolta; quando 
1 becca avean gettato al mare qualche carcame 
di balena, e questo ondeggiando su’ flutti già 
era a tre o quatiro leghe dalla costa, distanza, 
a cui era impossibile vederlo , quegli animali ) 


s24 ORSe BIANCO. 
scesi pell ultima riva, e riitti sulle posteriori 
lor gambe respiravano l'aria con quanta forza 
poteano , e parea che colle zampe davanti la 
 raccogliessero sotto le loro narici. Assicurati , 
(per ciò che s suppon lo scrittore) delia parte, 
onde l.odore veniva, scagliavansi all’acque, e 
navigavano in retta linea verso fa balena; della 
qual cosa e il capitano e parecchi furono testi- 
monili , seguendoii . su” loro schifi, onde accer- 
tarsi che ii naso di questi «animali poteva ser- 
vir loro di guida, quando l'organo della vista 
non bastava a tale oflicio ». 

Il pasto favorito dell'orso biamco si compone 
di foche, «di morse, di carcami di balena, e 
d’ aliri pesci di mare. Assale esso frequenie- 
mente il walso o caval marino; ma quest’ a- 
nimate, com'è fornito di zanne d’ una forza 
prodigiosa. esce quasi. sempre vincitore dal 
combattimento. 

Quando gli orsi trovansi a qualche distanza 
dal mare, vanno alla caccia di daini, di lepri, 
e d' uccelli nei loro nidi, e mangiano diverse 
specie di coccole che incontran per via. Nel 
Y inverno si tengono principalmente nell isole 
poste soito la zona glaciale, passando frequenà 
temente dall’ una all'altra. Secondo il signor 
Bewick essi far non potrebbero sei in sette 
leghe continue nuotando; ma il sig. di Buffon 
dice che ne fanno appena una sola; che in 


ORSO: BIANCO. 25 

Pregio inseguonsi facilmente su piccioli batelli 
he ben tosto sono stanchi; che talvolta sì 
attuflano nell'acqua, ma non ci restano che 
alcuni secondi, e che per paura di annegarvi 
si espongono a farsi uccidere alla superficie. 

Quando alcune masse enormi di ghiaccio, o 
per forza di venti, o per urto delle correnti 
son distaccate, lasciansi gli orsi trascinare con 
‘esse; e come nè possono: abbandonarle ,, nè 
riguadagnare la sponda, avvien loro spesso di 
perire in alto mare: L° orsa bianca. partorisce 
due orsacchiotti ad un tempo; e l'amor che 
poi regna fra essi e la madre è sì forte, che 
preferisce morire, anzichè ne più gran peri- 
coli separarsi da loro. Il caso, che riferiremo, 
ne sarà prova singolare. 7 

« Veleggiando, pochi anni addietro, un na- 
viglio inglese per fare alcune discoperte verso 
il polo settentrionale, e navabidosi impedito 
da' ghiacci, una mattina il piloto die’ avviso 
all’ equipaggio, che tre orsi bianchi si avvici- 
navauo, € già erano a poca. distanza. Ceria- 
‘mente erano stati attirati dall’ odore dell’ olio 
d'un vitello marino ucciso da. alcuni giorni , 
e che ora ardeva sul ghiaccio. I tre animali , 
intanto, furono riconosciuti essere un orsa e due 
| orsacchiotti, quasi forti al par della madre, i 
\quali si precipitarono verso il fuoco, e trassero 
idi mezzo, alle fiamme parte della carne di una 


126 ORSO BIANCO. 

“morsa non ancor consumata, e la divorarone. 
Alcuni dell’ equipaggio allora gettaron sul ghiac- 
cio altri pezzi della morsa medesima, che lor 
rimanevano. La madre vénne a prenderli l'un 
dopo ’ altro, sempre portandoli © dinanzi ai 
figli, nè ritenendone per sè che picciolissima 
»orzione. Ma intanio, ch essa veniva a pigliarsi 
È ultimo brano, i marinai trassero d’ archibugio 
contro gli orsacchiotti, e gli uccisero ambidue; 
indi anche alla madre diressero i loro colpi , 
senza per altro ferirla mortalmente. I cuori 
più insensitivi avrebbero versato lagrime di 
compassione, vederdo il tenero interesse, che 
quesia povera bestia prese alla sorte de’ figli 
suoi ne loro ultimi momenti, sebbere tormen- 
tata essa medesima da piaga sì grave, che 
appena le permise di strascinarsi dov’ essi 
erano. Apportò loro quanti frusti di carne potè 
raccogliere all’ intorno, gli invitò con dolci 
eccitamenti a mangiarre ; e come vide che non 
li toccavano , distese Ie sue zampe prima sul- 
uno e poi sull'altro, cercando farli rialzare, 
e mandando gemiti dolorosi. Quando vide che 
non potea farii movere , si allontanò da loro; 
ma poi che fu a certa distanza si guardò ad- 
dietro, e si mise ad urlare con quanta forza 
era in essa. Poi ritornò a’ figli, si mise a fiu- 
tare intorno di loro, e di nuovo ailtentamente 
li mirò, ripetendo gli urli di prima. Sorpresa 


ORSO BIANCO. I di 


| che non la seguissero, gran moto si diede in- 


torno ad essi, carezzandoli, chiamandoli , ec- 
citandoli. Convinta alfine ch erano senza ca- 


‘lore e senza vita, alzò la testa incontro al 


—_—__— 


vascello, e fece intendere un fremito di di- 
sperazione a cui i marinai risposero con una 
*carica di fucili. Essa cadde allora in mezzo ai 
figli suoi, e spirò leccando le loro piaghe ». 

I maschi, a certo tempo dell’ anno, sono’ sì 
affezionati alle femine loro, che il sig. Hearne 
assicura averne frequentemente veduti stender 
le zampe sulle proprie compagne state uccise; 
e fedeli alle loro spoglie preferir la morte al- 
l’ abbandonarle. i 

In inverno questi animali si addormentano 
nella neve o sotto cumuli di ghiaccio , ove 
rimangono in uno stato di torpore, fino a 
che le regioni del polo artico siano avvivate 
dai raggi del sole. Di tutti i quadrupedì essi 
pajono quelli che più sfuggano il calore. Il 
professor Pallas parla di un orso, che rimaver 
non volle in sua casa, duranti i giorni inver- 
nali, quantunque abitasse la Siberia, il cui 
clima è freddo eccessivamente. Un altro, ch'era 
al giardino delle piante in Parigi, trovavasi così 
incomodato dal caldo, che i suoi custodi erano 
in tuito l anno olbligati gettargli adesso ben 
settanta secchii d’ acqua ogni giorno, per rin- 
frescarlo. 


r28 | 
FL COATI O RATTONE. 


Quest animale è un po’ meno grosso che 
un tasso; ed ha appena due piedi di lunghezza, 
non contando la coda, che è presso a poco 
di undici pollici. H suo dorso è un po'arcato, 
e le sue zampe posteriori sono più lunghe 
che quelle davanti. La sua testa li a 
quella di una volpe; ma colle orecchie al- 
quanto mea lunghe, e con mascella superiore 
profilatissima e più grande che l inferiore. Il 
color del suo pelo è d’ un grigio carico; ma 
la faccia è bianca, e gli occhi sormontati da 
una lista nera, che assottigliasi in bruna e si 
prolunga fino al naso. 

‘Il coati trovasi in America, e in differenti. 
isole dell’ India occidentale. 

Suo nudrimento nello stato di natura sono 
il mais, la canna del zuccaro, e differenti spe- 
cie di frutta. Si presume, però, che divori 
gli augelli, e le loro ova. Quando abita presso 
le coste del mare, mangia gran quantità di 
pesci con scaglie, e specialmente di ostriche. 
Dicesi, che spii il momento, in cui il loro 
guscio si apre, che v introduca destramente 
le unghie, e ne cavi il pesce a piccioli pezzi. 
Talvolta, però, l’ostrica si chiude ad un tratto; 
le zampe dell'animale ci nese prese; esso 
non può più correre, ed è ben tosto sopraf- 
fatto dai flutti del mare, ove si annega. 


TL COATI O RATTONE. 129 

Molia industria parimenti il coatl dà a ve- 
«lere nel prendere i granchi marini. Brickwall 
narra come si tiene iu riva alle paludi, e attuffa 
nell'acqua la sua coda, che i granchi pigliano 
per una qualche esca, onde vi si attaccano. 
Appena l’animal li sente, sollevali d’ una sola 
scossa, e li trasporta a qualche distanza. Vo- 
lendo mangiarli, ha gran cura di porli di ira 
verso nella sua gola, per tema d esser ferito 
dalle loro punte. Una specie di granchi di 
terra, che s incontra di frequente in certi 
sfondi arenosi. della Carolina settentrionale, 
forma spesso il suo nudrimente. Esso li prende 
cacciando una delle zampe davanti nella sab- 
bia, e portandoli così alla superficie del suolo. 
Quest’ animale si ciba particolarmente nella 
nolie, attesocchè dorme gran partie del giorno, 
eccetto ne tempi nuvolosi. E di natura assai 
allegro e vispo; le sue grife, che sono acutis- 
sime, gli dan modo di arrampicarsi facilissima- 
mente per gh alberi, anzi di salire fino alla 
lor cima. Addomesticato, fa mille graziose paz- 
zie. E sempre in moto; mostrasi malizioso 
quanio una scimia; tuito palpa colle sue zam- 
pe. che gli servon di mani onde pigliare ciò 
che gli si porge, e mettersi il cibo in bocca. 
Mangia ritto in piedi, ama molto le ghiottor- 
nie, ed ove si lasci fare, s inebria di liquori 
forti. 


Gabinetto Tom. IL. 9 


130. IL COATI O. RATTONE. 

Il sig. Blanquart des Salines scrisse al conte 
di Buffon in proposito di quest animale. nei. 
termini seguenti : 

« Il mio coati sempre visse: alla. catena 
prima di passare nelle mie: mani. In tale cat- 
tività si meostrava assai docile, sebben poco 
carezzevole. Le persone della casa. gli facean 
tutte l' istesse dimostrazioni, ma egli le rice- 
veva. assai differentemente. Ciò che piacevagli 
dall'una, offendevalo nell'altra; nè mai prese: 
scambio. Talvolta la sua catena si ruppe; e 
allora la libertà lo rendea. insolente. Impadro-. 
mivasi di una camera, e non soffriva che al 
cuno se gli avvicinasse, onde riusciva diffici-. 
lissimo il racconciare i suoi vincoli. Dopo il 
suo. soggiorno presso di me, la sua prigionia 
{requentemente fù sospesa. Senza perderlo. di 
vista, ic lascio ch' ei s aggiri a. piacere colla. 
sua catena; e sempre le sue graziose maniere; 
mi esprimono la sua riconoscenza. Non è però 
così, quando fugge da sè medesimo. Allora. 
esso va errando per tre o quattro giorni di 
seguito. pei tetti del vicinato , e discende la. 
notte nelle certi, entra ne' pollaj, strangola i 
volatili, che vi si trovano, mangia. loro la. 
aesta, e prende particolarmente di mira le 
galline di faraone. La sua catena nol rendea 
già più umano, ma soltanto più circospetto. 
Esso impiegava allora V astuzia, e famigliarizzava. 


IT COATI 0° RATEONE LI 
seco 1 polli » permettendo loro di venir a di- 
videre il suo pasto, finchè ne prendeva im- 
provviso qualcuno , e gli facea pagar cara la 
sua confidenza. Talvolta anche piccioli gatti 
ebbero a provare la medesima. sorte. 

» Quest animale, sebbene leggierissimo, non 
ha che de movimenti obliqui; ed. io dubito 
ehe possa mai raggiugnerne altri in. corso. 
Apre esso a meraviglia le ostriche , e basta 
rompergliene la cerniera, che le sue zampe 
fanno il resto. Deve, sicuramente, avere il 
tatto squisito in tutte le cose di suo bisogno; 
poichè di rado servesi. in esse della. vista. o 
dell’odorato. Riguardo all’ostrica, per esempio, 
la fa passare sotio le sue zampe di dietro,. 
poi, senza guardarla, cerca con quelle dinanzi. 
la parte più fragile, vi caccia l'unghie, ne 
apre alquanto le scaglie, e pezzo a pezzo ne 
cava. il pesce, senza lasciarvene vestigio; nè in 
ciò i suoi occhi o il suo naso che tien lon- 
tani gli sono del minimo. uso. 

» Se il coaii non è molto riconoscente 
alle carezze che riceve, è però singolarmente 
sensitivo ai cattivi trattamenti. Un servitore di 
casa gli diede un giorno alcuni colpi di scu- 
riscio; e invano poi cercò riconciliarselo. Ne 
ova, nè locuste marine, cibi deliziosi per 
quell animale, han più potuto calmario. Al 
l'avvicinarsi del percussore, si agita, infuria, lo 


132 IL COATI O RATTONE. 
investe, 1 suoi occhi scintillano, slanciasi con- 
tro di lui, manda gridi di dolore; quanto gli 
si presenta il rifiuta, sino a che il nemico sia 
scomparso. Gli accenti dell’ ira sua son singo- 
lari: perocchè or ci sembra di sentire il fi- 
schio del chiurlo, ora il rauco abbajare d'un 
vecchio cane. - 

» Se alcuno il baite, s è assalito da un 
animale che crede più forte di sè, non Op- 
pone alcuna resistenza. Simile a un riccio 
marino asconde la testa e le zampe fra le sue 
gambe , e fa del suo corpo un gomitolo, non 
gli sfugge un sol lamento, "e in tale stato 
soffrirebbe la morte. 

» Ho osservato ch'egli mai non lascia nè 
fieno, nè paglia nel suo covacciolo; ma pre- 
ferisce di posare sul legno. Quando gli si dà 
‘strame, le sparpaglia in sull’ istante. Mai non 
potei accorgermi che patisse il freddo; poichè 
di ire inverni, due ne ha passati esposto a 
tutti i rigori dell’ aria; ed anche senza tetto, 
e coperto di neve stava benissimo. Non pare 
ch'ei cerchi in modo alenno il calore, menire 
negli ultimi geli avendogli io fatto dare acqua 
iicpida ed acqua fredda separatamente, que- 
st ultima ebbe sempre da lui la preferenza. 
E potendo passar la notte ben guardato. nella 
senderia, amò spesso dormire in un angolo. 

ella ‘mia corte. $ ica 


IL COATI O RATTONE. (35 

» Per mancanza o scarsezza di saliva, a ciò 
ch'io suppongo, quest'animale ama che il suo 
cibo sia inzuppato d’ acqua. Non cerca già di 
inumidire la carne fresca, che ancor fa san- 
gue, non una pesca, per esempio 0 un grap- 
polo d'uva; laddove tutto quel che è secco 
lo ammolla in fondo alla sua terrina. 

» I fanciulli son uno degli oggetti dell'odio 
suo; i loro pianti lo irritano; esso fa tutti 
gli sforzi per islanciarsi contro di loro. Una 
cagnuola , cui molto ama, è da esso corretta 
severamente, quando si avvisa di abbajar con 
asprezza. Non so perchè diversi altri animali 
abborriscono egualmente le grida. Nel 1770 
io avea cinque sorci bianchi. Mi entrò il ca- 
priccio di farne gridare uno: gli altri si get- 
tarono sopra di esso; e poichè da me pun- 
zecchiato continuava, quelli lo strangolarono »: 

Non si dà caccia al coati che in grazia del 
suo pelo, del quale i capellaj fanno uso € 
stima sopra ogni altra specie di feltri dopo 
quello del castoro. Se ne fanno pur anche 
fodere agli abiti, e guanti, e tomaje di scarpe. 
La carne poi di quest’ animale piace molto ai 
negri, onde ne fanno spesso il lor pasto. 

Avvi ora (1806) alla torre di Londra una 
femina del coati, la qual vi dimora da quat- 
tordici anni, sicchè | età | ha resa cieca. Il 
maschio, che divideva altra volta la sua stia , 


134 IL COATI Ò RATTONE. 
enirò un giorno, per caso, in quella dell'orso 
di Groenlandia, che lo divorò. 

Quanto alla particolarità di sopra riferita; 
dell’ inzuppare , cioè, che fa il coati le cose 
dure, che gli si danno a mangiare, il signor 
Greenfield nega d'aver mai nulla veduto di 
somigliante. i 

Un coati dell'America settentrionale, che 
‘oggi è nel parco di Exeter-Change dicesi che 
consumi circa una mezza libbra di carne cruda 
per giorno. 


IL TASSO: 


L' ordinaria lunghezza di quest’ animale è 
di due piedi e mezzo , all’ incirca, non con- 
‘tando la coda, che per sè sola ‘è sei pollici. 
Esso ha gli occhi e le orecchie assai picciole, 
e l unghie delle gambe anteriori lunghe e di- 
ritte. È d'un color grigio sul dosso, e affatto 
nero sotto il ventre. Ha la faccia bianca; se 
non che d'ambidue i lati della sua testa vedesi 
vna fascia nera piramidale, che s alza sopra 
gli occhi e le orecchie. Il suo pelo è ruvido , 
e i suoi denti” non meno che le sue grife sono 
di molta forza. Abita esso quasi tutte le parti 
temperate dell'Europa e dell’ Asia. 

E animale affatto innocuo, che vive princi- 
palmente di radici, di frutta, e d'altri cibi 


IL TASSO. 135 
vegetali; va però fornito «di tali armi, che 
pochissimi animali assaliar lo potrebbero im- 
punemente. La destrezza e il coraggio, con cui 
si difende contro le belve feroci, son cagione, 
che le battaglie, che sovente gli si danno per 
mezzo dei cani, diventino un divertimento 
popolare. In simili circostanze, sebben di na- 
tura indolente, cppone la più vigorosa resi 
stenza, e fa talvolta ferite profondissime a’ suoi 
avversarii. La sua pelle è sì floscia e ad un 
tempo sì dura, che non solo rintuzza i loro 
denti, ma fa che, ove l'atterrino, esso possa 
volgersi incontro di loro e ferirli nelle parti 
più sensitive. Così dura talvolta a lungo contro 
gli assalti ripetuti dei cani, finchè oppresso 
dal numero , e lasciato senza forze dalle ferite 
è costretto di soccombere. 

Gli animali della sua specie vivono ordina- 
riamente .a coppia ; € producono quattro in 
cinque figli tutti gli anni. Amano luoghi bo- 
scosi, fenditure -di rupi, covili sotterranei 
‘ch’ essi medesimi si formano, ed ove stan na- 
scosti l'intero giorno ; per uscirne poi al ve- 
nir della notte. In certi tempi la loro inerzia 
la lunghezza dei loro sonni, li fa coprire d' ec- 
cessiva pinguedine. | 

Duranti i gran freddi dei rigidi inverni, ri- 
mangonsi essi in una specie di torpore, € dor- 
mon comodamente sovra un letto d’ aridi 


138 TL TASSO. i 
erbaggi. Portano all’ano una specie di borsa, im 
cui depongono la secrezione di una sostanza 
fetida e bianca, la qual fluisce continua dal 
loro orifizio, e manda un odore il più disag- 
gradevole, ma ove pur essi ficcano il naso, 
per gustare più soave il riposo. 

Aitro male non sembrano fare al mondo, 
che un po di raspamento di terra e di bu- 
che, per ritrovare di che nudrirsi; il che sem- 
pre avviene nelle loro escursioni notturne. E 
come quesio dà un po’ di noja a padroni dei 
luoghi, ove cagionano qualche guasto , fece 
che si pensasse al modo di prenderli, ché or 
diremo. 

Scoperta che siasi ta loro tana, si pone un 
sacco al sno ingresso, mentre di notte sono 
assenti; e un uomo Vi si tiene di guardia ; 
mentre un altro con cani fa la ronda pci cam- 
pi. nde sforzare i girovaghi a correre al loro 
rifugio. Appena la sentinella s'è accorta che il 
tasso è nel sacco, si fa innanzi e sel porta 
via; e se l’animale è ancora sul crescere, 
non è difficile addomesticarlo. 

La sua pelle serve a differenti usi, € delli 
sue setole si compongono pennelli. Avvi chi dice 
che della carne dei tassi ben stagionati e ben 
pasciuti sì fanno ottimi presciutti. 


137 
IL GHIOTTONE. 


‘Frae il suo nome dal suo appetito o piut- 
tosto dalla sua voracità, e si trova in Siberia 
e nelle parti settentrionali dell Europa e del- 
I America. - 

Il suo corpo è all'incirca lungo tre piedi, 
senza contar la coda, con cui lo sarebbe di 
quattro. Il suo color generale è un bruno ros- 
siccio; ma lungo il dorso è di un nero lu- 
cente. 

Le sue gambe assai corte lo rendono poco 
atto alla corsa; ma le grife son fatte apposta, 
per arrampicarsi sugli alberi, ove il ghiottone 
resta tutto il giorno ad aspettare la preda. Il 
renne e lalce sono il suo boccon favorito, e 
quando ne vede venir uno, gli si slancia in 
groppa , lo piglia per le corna, gli cava gli 
occhi, gli dà sì intollerabil conii , che il 
povero 0: per mettervi fine, urta il capo 
in un tronco con quanta forza più può, onde 
cade morto all’ istante. Che se non ha questa 
sorte, il suo crudele nemico si fa a succhiar- 
gli il sangue, indi a mangiarne a crepapelle 
la carne, finchè s° addormenta in uno stupor 
letargico presso alla vittima. Ma poi rivenu- 
tone, e ricuperato il suo terribile ‘appetito , 
ricomincia il pasto finchè della preda più nulla 
avanzi. 


1385 TL GHIOTTONE 

Ti sig. di Buffon asserisce che appena l'ani- 
male, su cui il ghiottone si scaglia, è morto , . 
«costui lo faccia a pezzi, e li nasconda sotter- 
ra, perchè altra belva non ne mangi; e ch'esso 
medesimo non cominci le sue grasse merende 
che quando è ben sicuro del fatto suo. 

Lepri, sorci, uccelli e fin carogne tutto È 
buono alla sua insaziabilità. 


TLC 


orrori 


Ci 


CAPITOLO IV. 


D.1 biondo Nigro in riva, o presso ai sacri 
Umor del Gange, in solitaria selva 
Tranquillo al rezzo di vetuste piante 
L° adiposo elefante si riposa; 

Avveduto animal, d’ unica forza 

Ma dal nuocere alieno. Rinnovarsi 

Ei l’età vede, ruinar gli imperi, 

Novi apparirne e cangiar volto il mondo. 
THOMSON, 


L ELEFANTE. 


da | 

E) desso il più grande di tutti i quadrupedì , 
e merita, a mille riguardi, la nostra più sin- 
golare attenzione. Cresciuto ch’ ei sia quanto 
alla sua natura s' appartiene, tocca i dieci e i 
dodici piedi d'altezza, prendendolo dai piedi alla 
parte più elevata del dorso, il quale è ben 
largo sei o sette, e alquanto protuberanie. Il 
corpo di quest animale è tozzo e corto, il 
collo brevissimo , grossa la testa con proboscide 
o tromba, che scende insino a terra, la bocca 
picciola e stretta con due zanne sporgenti dalla 
mascella superiore , senza contare otto grossi 
denti pur mascellari. I suoi occhi son vivi e 
penetranti, le orecchie grandi e pendenti; le 


140 L'ELEFANTE. 
gambe cilindriche e massiccie, che gli servone 
per così dir di pilastri, onde sostenere l e- 
norme suo peso; i suoi piedi cortissimi, quei 
dinanzi più larghi e più rotondi che i supe- 
riori. Esso ha ÎL pelle durissima, principal- 
mente sulla pancia, di un color bruno carico, 
il qual si accosta al nero. « La tromba del- 
T elefante , dice il six. di Buffon, è composta 
di membrane, di nervi e di muscoli, ed è al 
tempo stesso un membro capace di movimen- 
to, e un organo del sentimento. L' animale 
non solo può muoveria e piegarla , ma può 
altresì raccorciarla , allungaria, moverla e vol- 
gerla per tuiti i lati. All estremità di questa 
tromba è un orlo o escrescenza, che vi si al- 
lunga al disopra in forma di dito. Con esso 
Y elefante fa quanto noi facciamo; leva da terra 
i più piccioli pezzi di moneta; coglie Ì erbe 
ed i fiori, scegliendoli uno ad uno; snoda un 
cordone , e chiude le porie, volgendone le 
chiavi o spingendo il chiavistello. » 

Singolare è veramente la facilità con cui 
l elefante adopera la sua tromba, la quale suol 
essere di sei o sette piedi di lunghezza, e co- 
minciando con gran volume alla radice via via 
si diminuisce fino all’ estremità. La poca esten- 
sione del collo di questo quadrupede è ben 
compensata dalla molta di questa tromba, la 
cui struttura è murabile, e ch’ esso applica con 


L'ELEFANTE, 141 
tanta agevolezza a’ suoi bisogni, che il dottor De- 
rham la riguarda come una prova manifesta delia 
sapienza divina. 

I denti mascellari dell'elefante, così gli in» 
feriori come i superiori, sono di tal grossezza, 
che contribuiscono a rendere stretta la sua bocca. 
Ma già gli sarebbe inutile averla più larga, 
poichè la forza di tuiti i suoi denti è tale, 
che iita a primo colpo gli alimenti, e per 
ciò non ha bisogno di portarli quà e là per 
fare subir loro una più lunga masticazione, 
come gli altri bruti. La sua lingua, per lia 
ragione medesima, è picciola e corta, di li 
seia superficie , rotonda non piana e  asso- 
tigliata , a differenza ‘di quel che può dirsi co- 
munemeéente degli animali d'ogni specie. 

Le zanne di questo quadrupede, onde si 
cava l avorio, variano per la. grossezza e 
Y estensione: le più lunghe, che siansi por- 
tate in Inghilterra, sono di sette in otto piedi, 
e pesano dalle cento libbre alle cento cin- 
quanta. Di rado se ne veggono nelle femmine, 
© si veggono assai picciole , e rivolte a terra. 

« Nell'uomo e negli altri animali (per ser- 
virci delie espressioni dei sig. di Bufion, dac- 
“chè nessun altro stile potrebbe ugguagliarsi a 
quello di sì gran naturalista ), l'epidermide è 
ovanque aderente alla pelle; nell’ elefanie è 
solianto attaccata ad alcuni iniervalli, come il 


145 | L' ELEFANTE: 
sarebbero due stoffe di un trapunto. Quest'e- 
pidermide è naturalmente asciutta. e facile ad 
Hgrossare. Dove non è callosa, negli screpoli,. 
e- in tutti i luoghi ov è meno dura, il pun- 
golo delle mosche si fa sentir sì molesto al- 
l elefante, che impiega non solo. que’ movi- 
menti, che posson dirsi involontari, ma quelli 
pure che dipendono. dall'inteliigenza e dall'in- 
dustria, per liberarsene. Perocchè si vale della. 
coda, dell’ orecchie, della proboscide, onde 
colpire gli imporiuni insetti; ed olire di ciò 
con rami d'alberi, e fasci di paglie si dà a: 
fiagellarli, e se questo ancor non riesce , race 
coglie polvere , e copre con esse le parti 
più sensitive del suo corpo: Di questa guisa: 
è. stato veduto premunirsi più volte in un: 
giorno ; € premunixsi a proposite , cioè all’ u- 
scire dal bagno ». 

Principal nudvimento dell’ elefante è erba; 
e quando non ne ritrova, dissotterra colle sue 
zanne tante radici che vi suppliscano: Ha poi 
così fino odorato, che facilmente giugne a: 
scoprire il miglior cibo, evitando ogni specie 
di piante nocive. Addomesticato che sia, man-. 
gia fieno, avena ed orzo, e beve grande 
quantità d acqua, cui, aspira: colla sua tromba, 
e poria in seguito nella sua gola. Sembra che- 
fosse costume di dargli spiritosi liquori, onde 
inebbriarlo e sbtaeido furioso, quando spin- 
gevasi ne’ combattimenti. 


L'ELEFANTE: 143 

Si è preteso che l’ elefante compia una lun- 
ghissima carriera, vivendo oltre ai cento, € 
fino ai cento venti e cento trent'anni. Taver- 
njer , il quale ha viaggiato nell'India, dice di 
non aver mai potuto assicurarsi della durata. 
positiva del viver suo, ma che un cornac (con-- 
dottiere d'elefanti) gli dichiarò di conoscerne uno, 
ch'era stato: sotto la guardia del padre deli avo 
di suo avo, onde,, giusta. il suo calcolo, si ri- 
saliva a cento venii o cento trent anni. È 
però generalmente attestato, che un tal ani 
male giugne ad avanzatissima età, sebben .vada 
soggetto a non poche malaitie. 

Gli elefanti prendono la più gran cura dei 
figli loro, e preferiscono il morire al ve- 
derli perdere la vita. Secondo il sig. «di Buf- 
fon « essi per lo più camminano di compagnia. 
In questa guisa: il più vecchio. lì conduce ; il 
secondo in età gli spinge innanzi. onde vien 
l’ultimo; i giovani e-le femine stanno in mezzo; 
e le madri portano i loro piccioli , tenendoli 
in: certa guisa abbracciati colle loro probo-. 
scidi », 

Quando gli elefanti incontrano: alcuno della. 
loro specie. morto ne’ boschi, si fanno a ri- 
copririo di rami d' alberi, di erbaggi, e di 
Quanto- possono ritrovare. Che se un d'essi è 
ferito , gli altri ne prendon cura; gli portano 
di che nudtirsì, e tutti si riuniscono, onde 
salvarlo dai cacciatori che l' inseguono. 


144 I. ELEFANTE. ; 
Credevasi altre volte che le femine succhias 
sero esse medesime il proprio latte, onde tra- 
smetterlo a loro piccioli per mezzo della trom- 
ba; ma tale asserzione è assolutamente erronea. 
Poichè J. Corse ne assicura nelle sue Ricerche 
Asiatiche di aver veduti giovani elefanti di 
due o tre anni succhiar colla bocca le mam- 
melle della madre, comprimendole alquanto 
colle ancor tenere proboscidi. E qui noteremo, 
come le osservazioni recenti de’ più moderni 
scrittori distruggono affatto le antiche opinioni 
intorno alla supposta castità degli eiefanii, e 
più altre ipotesi, egualmente prive di fonda 
mento. 
Certo è penoso, ma la verità vi ci costringe, 
a relegare fra le bellezze retoriche , e toglier 
alla storia quanto il sig. di Buffon scrive in- 
torno all elefante con tanta eleganza: « Pro- 
vare gli ardori più vivi, e ricusar di soddi 
sfarli; nel furor dell'amore conservar il pudore 
sono forse l estremo sforzo dell’umana vir- 
iù; ma per questo maestoso animale son alti 
ordinarit, a cui esso giammai non mancò ». 
« L'elefante, dice altrove questo scrittor 
medesimo , domato che sia una volta diviene 
il più mansueto e il più paziente degli ani- 
mali; si afteziona a chi di esso ha cura, lo 
accarezza , il previene, e sembra indovinare 
quello che può piacergli. In poco tempo giugne 


L’ELEFANTE, 145 
a comprendere i segni, ed anche ad inten- 
dere 1 espressioni dei suoni; distingue il 
tuono imperativo, quel della collera , o della 
soddisfazione, e ne piglia. norma all’ operare. 
Mai non s inganna neli interpetrare la parola 
dei padrone; riceve i suoi ordini attentamente; 
gli eseguisce con sollecitudine insieme e con 
pradenza ; non con precipizio, ma con giusta 
misura. Il suo carattere sembra tenere non so 
che di grave dalla sua massa. Gli si insegna 
agevolmente a piegare il ginocchio, onde ren 
der più facile a chi lo voglia il salirvi in 
groppa. Esso colla proboscide carezza chi gli 
va a grado, saluta le persone che gli si ad- 
ditano; se me serve per sollevar pesi, ajuia 
altri ad addossarglieli; si lascia vestire, e sera- 
bra pigliar piacere a vedersi coperto di arnesi 
dorati, e di gualdrappe brillanti. Si attacca 
con redini a de’ carri, a de navigli, a degli 
argani , cui egli ira equabilmente e senza 
stancarsene , purchè non si insulti con per- 
cosse date mal a proposito, e si mostri anzi 
d' essergli grati della buona. volontà, con cui 
impiega le sue forze. IL suo cornac, ossia 
quegli che d' ordinario il conduce gli sta a 
cavalcioni in collo, ed usa di una verca di 
ferro acuminata, con cui pungerlo or sulla 
tesia or: presso alle orecchie, per avvertirlo © 
sli volger strada, o di accelerare. Ma spesso 


Gabisetto Tom. L 10 


146 L'ELEFANTE. 
la parola asta , soprattutto se ebbe tempo di 
ben conoscere il suo conduttore, e di fami- 
liavizzarsi con lui ». 

Un elefante addomesticato rende al padron 
suo altrettanti servigi quanto sei cavalli: ma 
esige molte cure e veli considerabile di 
buon nutrimento. 

Onde porger idea di que’ servigi basterà l'os- 
servare col sig. di Buffon « che tutte Je botti, 
i sacchi, le balle, che si trasportano d'uno in 
altro iuogo nell India, non si trasportano che 
da elefanti; ch' essi recar possono fardelli sul 
loro dorso, sul loro collo, sulle loro zanne, 
ed anche in loro bocca pel capo di una corda, che 
lor si serra fra 1 denti; che ag giugnendo l'i in- 
telligenza alla forza non lupa nè guastan 
subi di ia loro si affida; che rotolano e 
fan passare tali pesi dalle rive dell’'acque in 
un batello, evitando che sì bagnino, li posano 
pian piano, li collocano ove loro si addita, 
e quando han ciò fatto, provano colle. loro 
trombe se stanno ben saldi; e trattandosi di 
botti vanno a cercare essi medesimi delle pie- 
tre, onde calzarle e farle stare ben ferme ». 

Un missionario del secolo decimosettimo., 
che scrisse un viaggio di Oriente, così espri- 
mesi, come insiimiinio di veduta: « Vi hanno 
sempre a Goa degli elefanti. per servire. alla 
costruzione de’ navigli. Sovra una gran. piazza 


L ELEFANTE. î 49 
della città piena di travi accumulate a tal 
uopo , vidi un giorno alcuni womini affidarne 
di pesantissime ad uno di que’ quadrupedi per 
mezzo di una fune che gli gettavano , e che 
esso legava con due o tre nodi alla sua pro- 
boscide. Indi le  strascinava solo, senz’ altra 
guida , ‘alla riva del fiume, ove si stava fab- . 
bricando un naviglio grossissimo. Talvolta ne 
traeva alcuna sì enorme, che quaranta uo- 
mini, e forse ancor davvantaggio non sariano 
riusciti a smuoverla. Ma ciò che mi parve più 
mirabile si fu, che incontrandone esso in sulla 
via ‘altre; che gl’impedissero il proceder oltre 
colla sua, le calcava con un piede, è ne 
‘alzava così un estremità , onde farvi più ‘age- 
volmente scorrere quella al disopra. Che po- 
tria fare di meglio il più ragionevol uomo 
«del mondo? 

Fouché d' Absonville, mel suo Saggio so- 
pra i costumi di diversi animali sirarteri, dice 
che ha veduti nell'India due elefanti eccupali 
ad abbattere delle ale di muro. il loro gover- 
natore assegnando ad essi questa falica, ve gli 
aveva incoraggiti colla promessa di alcumi frutti 
e d alquanto arrak. I due animali, quindi , 
combinando in certa guisa le loro forze si 
diedero a percuotere il muro col grosso della 
loro tromba ripiegata al dissotio e guernita 
di duro cuojo; e a forza di colpi reiterati 


148 L' ELEFANTE: 
riuscirono a crollarlo. Alfine, data un'ultima e 
più forte scossa, si-trassero indietro. pronta- 
mente e di concerto, onde non esser feriti 
dalla rovina. ; 

Impiegavansi altre volte. nell’ India gli ele- 
fanti a lanciar vascelli in mare. Uno di tali 
quadrupedi parve una. volta: cedere per debo- 
lezza, trattandosi di un bastimento di troppo 
gran capacità. Il padron suo d'un tuono iro- 
nico ordinò. al corrac: di conda» via quelli 
fingardo , sostituendogli un altro. Hl povero 
animale rinnovò. allora i suoi sforzi con ianta 
violenza, che: si fracassò. il cranio, e mort 
sull’ istante. 

Prima dell’ uso. delle armi da fuoco quez 
quadrupedì erano adoperati con molto successo: 
negli eserciti; ma nell’ odierno sistema di com- 
battere, non. contribuirebbero che a gettare 
n un campo il disordine e la confusione. Sono: 
però utilissimi, per trascinare l artiglierie sulle 
montagne; e in questi casi la loro cautela e 
la loro sagacia appajon degne d’ osservazione. 
Falvolta pure si adoprano, onde trasportar ba- 
gagli da una sponda all'altra di una riviera. 
A questo fine, dopo che il lor conduttore gli 
ha caricati del peso . di più quintali, attacca 
loro al collo delle corde, a cui 1 soldati si 
attengono, sia per nuotare, sia per farsi tra- 
scinarve in mezzo all sc 


L'ELEFANTE. 149 

Un altro impiego di siffatti animali in tempo 
di guerra è quello di atterrare le porte di 
una città o di una piazza ‘assediata; il che 
fanno essi urtandole a colpi veiterati con tutto 
il peso del loro corpo, finchè siano giunti a 
frantumarle, e distaccarne i ferramenti. Contro 
il quale pericolo la più parte delle fortezze 
orientali hanno le porte munite di grosse punte 
«di ferro, che orizzontalmente si sporgono a 
qualche distanza. 

In diverse contrade dell’ Indie, i grandi 
mantengono degli elefanti più per ostentazione 
che per bisogno ; il che loro cagiona gravis- 
simo dispendio. Quegli animali, infatti, con- 
sumano immensa quantità di foraggi, e tal 
volta, per soprappiù, di cannella, di cui sone 
avidissimi. È cosa ordinariissima ai Nabab (i 
governatori ) ; quando vogliono ruinare un sem- 
plice privato , il fargli presente di un elefante. 
Quest uomo è allora costretto ad una spesa 
di mantenimento, che supera le sue forze; 
perocchè se cercasse ‘disfarsi dell’ animale, in- 
correrebbe necessariamente la disgrazia del do- 
natore, oltre al privarsi di un onore, che vien 
riputato insignissimo. 

Vi hanno alcuni paesi d'oriente, in cui 
gli elefanti sono sostituiti ai carnefici; peroc- 
chè spezzano l' ossa ai colpevoli colle loro 
trombe, gli schiacciano coi loro piedi, ovvero 


e 50 E ELEFANTE: 
gli impalano colle loro zanne , giusta gli or- 
dini che ricevono. 

L'istoria riferisce molti tratti di fedeltà, di 
ricompensa e di sagacia di questi animali. 
Eliano ci dice che quando Poro, monarca del- 
F Indie, fu vinto da Alessandro il Grande, e 
sì trovò ferito da più dardi, il stio elefante 
glieli trasse dal corpo colla sua tromba; e ac- 
corgendosi ch'egli, per Îa perdita di tanto 
sangue, già slava per € cadergli di groppa , si 
stese .a terra pian piano, ud non si facesse 
male a discenderne. Ateneo parla della ricono- 
scenza di un elefante verso. una donna, che 
gli avea reso alcuni servigi, ed era accostu- 
mata di mettergli appresso i suo fanciullo , 
quand era Dioiolino Alla morte della madre 
il grosso animale prese tanto amore al povero 
orfanello , che manifestava il più vivo. dispia- 
cere se allontanavasi dalla sua presenza; né 
volea prender cibo, se non dopo che la nu- 
trice gli avea messa lacuna fra le gambe. 
Allora, mentre il bambolo dormiva, esso.  man- 
giava con grande appetito. Che se quello tal- 
volta piangeva, questo non lasciava di agitarne 
mollemente la barchetta di vimini, sino che 
fosse assopito, e poi curava colla sua tromba, 
che ne stessero lontane fe mosche e ogni insetto. 

A Adsemeer un elefante, che passava spesso 
in mercato accanto ad una venditrice di legumi 


L ELEFANTE. 151 
era solito riceverne in dono qualche manata. - 
Avvenne intanto, che, preso un giorno da 
un accesso di rabbia periodica , spezzò 1 suol 
ferri, traversò il mercato correndo, e mise 
m fuga quanti st ritrovavano sul suo pas- 
saggio, e fra l'altre persone, anche la donna, 
che in quel precipizio obliò un fanciullino , 
che avea seco. L'animale ricordando il luogo, 
ove stava d' ordinario la sua benefattrice, Li 
ciò la sua tromba con molta delicatezza intorno 
a quella picciola ereatura, e I adagiò sana e 
salva sovra il banco di una bottega vicina. 

Un elefante, scrive il sig. di Buffon, si 
era pur dianzi vendicato di un cornac, ucci- 
elendolo. La moglie di questo, spettatrice del- 
Y errida scena, prese i suoi due fanciulli, e li 
gettò a piedi dell'animale, dicendogli: poiché 
hai ucciso il mio marito, togli la vita a me 
‘pure e a questi due infelici. L'animale si ar- 
restò immediatamente, si ammansò; e come 
se fosse tocco da pentimento, prese colla sua 
tromba il maggior de’ fanciulli, se lo mise sul 
dorso, lo adottò per suo cornac, nè altro volle 
sofirirne. » 

Gli ia impiegati nell Indostan a portare 
i bagagli degli eserciti sogliono avere per cu- 
fi uno i nativi del paese. Or quest uomo 
e la donna che lo accompagna, come udì il 
dotto: Darwin da gente degnissima di fede, 


150 L'ELEFANTE. 
prima d'andar ne boschi a raccoglier foglie e 
vami d'albero pel nudrimento d’alcuno d' essi, 
lattaccano ad un palo confitto in ierra, e la- 
sciano d'ordinario sotto la sua protezione qual 
che fanciullino, non ancor atto a camminare. 
L'animale intelligentissimo non sol gli serve 
di difensore, ma quando il bamabolo strasci- 
nandosi per terra giugne ai confini del cir- 
colo, che ‘stando esso clefante alla catena può 
percorrere colla sua proboscide , lo piglia con 
essa dolcemente , e lo riporta nei centro. 

Tavernier racconta che uno dci re dell In- 
dia cra un giorno alla caccia con suo figlio 
sovra di un elefante, allor che questo fu preso 
da tal accesso di furore, ch'era affatto impos- 
sibile il governarlo. Il cornac disse allora al 
\ge., che per calmare il feroce animale, il quale 
avrebbe dato lor morte frangendoli contro i 
più gran tronchi d’ alberi, conveniva che al- 
cuno di loro facesse lo spontaneo sagrificio 
della sua vita, al che era pronto ei medesimo 
per la salute de’ suoi signori, solo che il mo- 
narca degnasse promettergli in ricompensa di 
provvedere alla sua moglie e ai fi igli suoi. In- 
iorno a che avendo ricevuto la reale parola . 
sì gettò immediatamente sotto i piedi dell e- 
lefante, che presolo colla sua tromba il soflocò, 
indi passogli sopra il venire; ma tosto pentito 
dell’azione crudele si fe tranquillo e sottomesso. 


L'ELEFANTE. 153 

Se un tal quadrupede è fantastico, non è 
però meno riconoscente. Ii sig. di Bussi rife- 
risce che un soldato di Pondichery, il quale 
avea per costume di portare ad un elefante 
certa misura d’ arrack ogni volta che toccava 
la sua paga, avendo un giorno bevuto più 
del convenevole., e vedendosi ‘inseguito dalla 
guardia, che il ia condurre in esi si 
rifugiò sotto quell’ animale, ove alfine si ad- 
dormentò. Invano la guardia scopertolo tentò 
di strapparlo al suo asilo, perocchè l'elefante 
il difese colla sua tromba. All'indomani il sol 
dato, rivenuto dalla Sua ebbrezza, rabbrividì 
conoscendo, allo svegliarsi, lo strano luogo in 
eui si ritrovava sdrajato. Ma T animale, che 
senza dubbio si accorse del suo spavento , il 
carezzò colla sua tromba per rassicurarlo, e gli 
fe intendere, che poteva andarsene. 

Il sig. barone di Lauriston si arrischiò, 
im una delle ultime guerre dell’ India, di an- 
dare a Lacknaor, ad un epoca in cui una 
malattia epidemica faceva la più gran strage 
degli abitanti. La principale strada, che còn- 
Li al palazzo era coperta di infermi distesi 
in sul nudo selciato nel momento medesimo , 
in cui il nabab doveva passare. Pareva inevi- 
tabile che l’ elefante, il qual lo portava, cal- 
pestasse i cor pi di quegli infelici e gli schiac- 
giasse, .se il principe non consentiva a ritardar 


154 L'ELEFANTE. 
la sua marcia, finchè fossero altrove trasportati. 
Ma egli avea fretta; e un tal segno di uma 
nità sarebbe stato non degno di un personag- 
gio di sì alta imporianza. L'animale, però, pieno 
di sagacia, senza mostrare di rallentar i suoi 
passi, e senza che alcuno li regolasse , fe ri 
tirare gli uni, rialzò gli altri colla sua tromba, 
e scavalcò il rimanente in modo, che non vi 
fa chi rimanesse offeso. 1 

Sebbene gli elefanti siano rimalchavoli per 
la loro affezione, la lor riconoscenza, e quasi 
diremmo, bontà, non lo sono però meno pel 
lor risentimento. Acostà dice che in Cochin, 
città della costa del Malabar, avendo un sol 
dato gettata una noce ad un elefante, questo 
la raccolse e la nascose, e vedendo poi alcuni. 
giorni appresso ripassar l’altro, gliela riscagliò, 
ed indi si pose a camminare quasi danzando. 

Un altro militare della stessa città avendo 
un giorno incontrato un elefante col suo cor- 
nac, niegò di cedergli il passo. Il cornac si 
guerciò di quest affronto coll elefante, che 
alcuni giorni dopo vedendo il soldato in riva 
al fiume, onde s attraversa la città, corse a 
lui, il prese colla sua tromba, lo tuffò più 
volte nell'acqua, indi il levò per abbandonarlo 
alle risa degii spettatori. 

Il capitano Hdicn ci narra; che quando 
egli era ad Achem nell'isola di Sumatra, vide 


L' ELEFANTE. 155 

un elefante, che ivi si custodiva da più di 
cent'anni, e che si diceva averne più di tre- 
cento. La sua altezza era presso a poco di un- 
dici piedi; e manifestavasi in esso una iutel- 
ligenza e sagacia straordinaria. Hamilton ne 
cita un esempio nella singolare vendetta, che 
noi siamo per riferire. 

Nel 1672, dic egli, un vascello iodio 
la Dorotea, di cui stava al comando il capi- 
tano Thwait, s arrestò davanti ad Achem, 
onde prender de’ viveri; e due inglesi resi- 
denti nella citià vennero a bordo, per far 
acquisto di merci europee, delle quali aveano 
bisogno. Comperarono ,. fra altre cose, del 
panno di Norwich; e come non vera. ad 
Achem sartore inglese, adoperarono un uom di 
Surate, che tenea magazzino nella piazza del 
mercato, ed occupava ordinariamente più ope 
rai nella sua bottega. Passava solitamente di 
lè un elefante, il quale era uso di allungar 
la sua tromba alle porte e alle finestre delle 
case, come Ro domandare frutta guaste € 
radici, che gii abitanti preudeano piacere a 
«donargli. Una mattina andando al fiume per 
lavarsi, montato dal suo cornac, presentò Î e- 
stremità della sua proboscide alla finestra del 
sarto , il quale in luogo di porgergli nulla di 
ciò che bramava , lo punse col suo ago. L'a- 
njmale non parve abbadar per nulla all'insulto, 


156 L'ELEFANTE. 

ma se n' andò tranquillamente alla riviera € 
si lavò. Dopo di che smosse il limo con uno 
de suoi piedi anteriori, ed aspirò gran quan- 
tità d'acqua fangosa cella sua tromba; indi 
ripassando noncurantemente innanzi «alla bot- 
tega dell offensore , e accostatosi alla finestra, 
gliela lanciò con tanta violenza, ch'egli e i 
suoi garzoni farono rovesciati dal loro Halico: 
e presi da incredibile spavento. 

Un pittore, serive il sig. di Buffon, vo- 
ica disegnare l'elefante del parco di Versailles 
in una attitudine straordinaria , ch' era quella 
di tenere la tromba levata, e la bocca aperta. 
Il valletto del pittore, per far che 1 animale 
stesse come bisognava getiavagli frutte, e il 
più sovente fingea di gettargliene. L' elefante 
se ne sdegnò; e, come avesse conosciuto che 
‘1 desiderio del pittore era la cagione di que- 
sta importunità, in luogo di pigliarsela col 
valletto , si volse contro il padrone, gettan- 
dogli colla sua tromba una quantità d'acqua, 
con cui guastò la carta, sulla quale  dise- 
gnava ». 

AI Cape di Buona Speranza si cacciano e si 
uccidono gli elefanti per averne le zanne. Tre 
cavalieri ben montati e armati di lance gli as- 
salgono in giro e per ordine, soccorrendosi gli 
uni gli altri, a misura che si veggono incal- 


55 
zati, e fino a che la vittima sia caduta. 


L' ELEFANTE: 157 

Tre fratelli olandesi, i quali aveano con 
questo mestiere adunate ricchezze considerabili, 
si risolvettero di ritirarsi in Europa, onde 
godervi il frutto delle loro fatiche, ma prima 
di partire vollero ancor unta volta andare alla 
caccia. Inconirarono bentosto un elefante e sì 
posero ad inseguirlo alla loro maniera ordina- 
Fia; se non che sventuratamente uno de lor 
cavalli incespicò , e trasse d' arcione il cava- 
liere. Quell’ animale furioso allora s'impadronà 
tosto del suo nemico, il gettò in aria ad un'al 
tezza prodigiosa, e il ricevette sopra una delle 
sue zanne, indi volgendosi ai due fratelli pre- 
sentò loro quell'infelice così impalato, il quale 
soffriva tutti gli orrori della più crudele agonia. 

Un fazionario esattissimo del museo: di sto- 
ria naturale di Parigi, non mancava, quando 
era di guardia presso gli elefanti, di avver- 
tire il pubblico, perchè nulla desse loro a 
mangiare; la qual cosa certamente non era 
propria a renderseli molto amorevoli. La fe- 
mina, in ispecie, lo riguardava d'occhio affatto 
avverso, e già gli avea fatti provare gli eftetti 
del suo. malcontento, guazzandogli la tesia colla 
sua iromba. Un giorno, fra gli aliri, che l’af- 
flucuza degli spettatori era più grande che 
all'ordinario, ei ricevette dapprima uno spruzzo 
d acqua in sulla faccia; ma eome si ostinava 
ognor più ad impedire ogni dono di pane 0 


158 L'ELEFANTE. 
d’altro, la bestia irritata, s' impadronì del suo 
archibugio , lo contorse colla sua tromba, lo 
calpestò , e nol rese che dopo averlo ridotto 
come un cavastracci. 

Può il lettore formarsi un idea del mu- 
tuo attaccamento degli elefanti dal fatto, che 
siamo per raccontare. Due di questi animali , 
ur maschio ed una femmina, furono nel 1786 
mandati. allo stathouder di Olanda dalla com- 
pagnia, che la sua nazione ba nell India; indi 
vennero separaîi, per essere condotti dall’ Aja 
a Parigi, ove si preparò loro un vasto allog- 
gio , diviso in due stanze, che comunicavano 
per mezzo di una gran porta levatoja. 

Al loro arrivo furono ivi introdotti. Il ma» 
schio entrò primo con gran Wiffidenza, perlu- 
strò ogni parte, provò colla sua tromba la 
forza d' ogni sbarra di ferro che legava insie- 
me le palizzate del chiuso, e si sforzò di schian- 
tarne al di fuori i chiodi ma non potè riu- 
sciIrvi. 

I due animali, divisi pal comodo del loro 
trasporto 5 più non si erano veduti da parec- 
chi. mesi. L' istante, in cui per la prima volta 
si trovaron di nuovo, fu per essi quello della 
più gran gioja, e per I osservatore della più 
gran dici Quando la femmina pose piede 
nella loggia ad essa destinaia, gétiò dapprima 
un grido che esprimeva il piacere di vedersi 


è ELEFANTE. 159 

in liberià, nè si accorse del maschio, il quale 
già era nella propria inteso a mangiare. Que- 
sto non badò niente più che la sua compa- 
gna gli fosse tanto vicina; ma avendolo il cor- 
nac domardaio, e però volgendosi, i due ani- 
mali corsero all'istante l'uno verso dell’ altro, 
e si misero a farsi tania festa con tale stre- 
pito; che tutta la sala ne rimbombaya; man- 
dando ad un tempo dalle lor trombe un soflio, 
che somigliava a vento impetuoso. La gioja delia 
femmina era. più viva; essa la esprimeva so- 
prattutto con un batter celerissimo di orecchie, 
cui facca muovere a guisa d'ali d'uccello. Ac- 
carezzava teneramente il maschio colla sua irom- 
ba, cui gli applicava all'orecchio specialmente, 
ove la tenea lungo tempo. Soventi anche, dopo 
averla portata sovra tutto il suo corpo, la ri- 
portava alla propria bocca. II maschio intanto 
stendea pur esso carezzevolmenie ia sua pro- 
boscide sul dorso deila feramira; ma il suo 
contento era più concentrato , € più che con 
altro parea esprimerio colie lagrime, che scor- 
reano da’ suoi ccchi in albondanza. 

La maniera di prendere gli elefanti selvatici 
a Tipury nell Indie orivntali, quale. ci. vien 
descritta nelle Ricerche Asiatiche di J. Corse, 
è degnissima dell’atienzione del lettore. 

« Nel mese di novembre, quando la sta- 
gione è rinfrescata e le paludi asciutte, gli 


160 L' ELEFANTE: 

elefanti maschii escono dai loro silvesiri na- 
scondigli, e fanno delle escursioni notturne 
nella pianura, ove distruggono le fatiche del- 
l agricoltore , divorando o calpestando il riso, 
le canne del zuccaro ed alive produzioni Vegetali. 

e Queste devastazioni obbligano i fictajuol 
e i ati del paese ad una regolarissima 
guardia sotto un picciolo coperto, formato al 
dissopra di alcuni bambou, che s' alzano, circa, 
quattordici piedi da terra Di là facilmente si 
dà segno a' villici che gli elefanti sopravven- 
gono ; ed essi allora con gridi reiterati, op- 
pure con fuochi qua e là accesi s' ingegnana 
di i. 

<« Onde prendere uno de’ maschii s'° impie- 
slo gli stessi menzi > che si userebbero per 
impadronirsi & un’ intera tribù di quegli ani> 
mali; cioè a dire alcune femmine già addo- 
mesticate , e predisposte con lungo esercizio. 
Siccome i cacciatori conoscono. assat bene + 
luoghi , in cui gli elefanti vengono a cercare 
la lor pastura, si avanzano verso essi con quattro: 
di quelle femmine; il qual numero sempre 
sì trova in ogni partita di caccia. Quando la 
notte è più oscura, sogliono discoprirli allo 
strepito che fanno rimondando le cose onde si 
nutrono, e percoterdole a tal uopo contro le 
foro gambe anteriori. Che se risplende la luna; 
allora è facile scorgerli a considerabile distanza. 


L' ELEFANTE 161 

a Appena han fissato il goondah o elefante 
maschio , di cui vogliono impadronirsi, con-. 
ducono lentissimamente e nel più profondo 
silenzio tre delle femmine sovraccennate verso 
il luogo, ove quello si pasce. Se quando le 
vede approssimare si adombra o n'è malcon= 
tento , percuote la terra colla sua tromba ue: 
dà evidenti segni di dispiacere ; ed ove più 
si avvicmino, le assale, e le offende colle sue 
zanne; ma se, come il più delle volte accade, 
ti disposion all'amore: ;.lascia avvicinare le sue 
seduttrici; e va loro talvolta all’ incontro. 0 

« I cacciatori, intanto, fanno che due di 
esse ; l'una da un lato e l'altra dall altro si 
diano’ ad accarezzargli e dorso. e collo, mentre 
collocan la terza di traverso dietro di esso. Il 
goondah , niuna insidia sospettando contro: la 
propria liberià, ricambia loro le carezze colla 
sua tromba, e scherza e follesgia. In questo. 
mentre si spinge contro di esso la quarta lor 
femmina , e gli si lega una debolissima corda 
3atorno alle gambe di dietro, passando sotto 
i ventre della terza. Per poco però che l’'a- 
nimale -si muova, quella corda si rompe; e 
allora se esso ancor rimane senza sospetto , 
gii si legano le gambe tutte con una specie 
di gomena appellata durndah, la qual gli si ine 
erocia dall una all’altra alternativamente. Come 
queste gomene sono assai corte se ne impiegano 


» Gabinetto Tom. LI. 1 


162 L'ELEFANTE. 
evdinariamente sei o etto, onde riuscir nel» 
l'intento con maggiore prontezza, e si fermano 
con altra corda nel luogo della loro inerocia- 
tura. Un uliima fune, intanto, con nodo a ri- 
corsojo si pone a ciascuna delie gambe poste- 
riori dell animale, e questa pure si ferma, 
come dicenmo delle prime. 

« La disposizione di tatto questo cordame 
esige circa venti minuii, nel quale spazio di 
iempo non si ode parola né quasi. respiro. 
Che se avviene che il goondah se ne sviluppi, 
i cacciatori, al primo indizio che ne hanno, 
salgono in groppa alle femmine, ed ivi stesi 
bocconi soito una coperta «di scuro colore 
sottragonsi a suoi sguardi e al furor suo. Que- 
sto per altro è accidente assai raro. 

« Legato che sia l elefante quant È uopo 
ond esserne sicuri, 4 cacciatori si ritirano a 
picciola distanza. L'animale, intanto, cerca na- 
turalmente di seguir le femine; ma trovandosi 
le gambe impastojate si accorge tosto della 
sua condizione, e pensa .a ripararsi nell in- 
terno del bosco. Quelli allora si danno ad 
inseguirlo sovra elefanti ammaestrati e con 
‘gran numero di persone, le quali al passare 
che fa il goondal presso di un grosso albero, 
lesando a «questo più corde cercano di attra- 
versargli la via. Quindi esso fa ogni sforzo 
per isbarazzarsi, solcando talvolta profondamente 


L'ELEFANTE» 163 

colle sue zanne la terra. Che se perviene a 
fuggire nel folto della boscaglia, non osano 
inseguirvelo, per tema d'essere assaliti da altri 
elefanti selvaggi; ma se le corde resistono, e 
l'animale si consuma in vani tentativi, gli son 
di nuovo ricondotte le femine, che si ricollo- 
cano nella situazione già descritta. 

« Accostatolo, quindi, vie più all'albero, si 
giugne a legarlo di maniera più sierra, con- 
ficcando anche pali o nel suolo o nelle piante, 
per meglio fermare le corde. E chi in iutto 
ciò si affatica ha cura di tenersi lungi dalla 
sua proboscide, ed ove nol possa ed abbia a 
temerne, si fa schermo delle femine, passando 
da un fianco all’altro di esse, o salendovi in 
groppa, per mezzo di corde a quest uopo 
preparate. 

« Quando il goordah € in qualche modo 
calmato, ed ha preso un poco di nutrimento 
fornitogli da’ cacciatori, mol altre corde si 
avvolgono d' intorno al suo corpo, due delle 
quali iraggongli di compagnia due femmine 
addomesticate, onde condurlo più agevolmente 
al suo destino. Allora liberategli dalle funi le 
gambe, ed apertogli un libero passaggio, con 
elefanti e uomini a ciò esercitati si cerca di 
spingerlo avanti. Esso però talvolta resiste con 
ogzi sua forza, vorrebbe rimboscarsi, pro- 
fonda il suolo colle sue ztinne, e si fa tanto 


r64 L ELEFANTE: 
male, che non sopravive più di due o ire 
giorni. In generale, però, si rassegna alla sua 
sorte. 

« Condotto che sia al luogo apparecchia- 
togli vien trattato con un misto. di dolcez- 
za, e di severità, fin che a capo di alcuni mesi 
sì mostri interamente addomesticato. È singo- 
lar cosa il vedere, come nel furor suo, quando 
è preso, mentre darebbe morte a chiunque po-. 
tesse raggiugnere , di rado cerca offendere le. 
femmine che lo hanno sedotto; ma all’ incon 
tro par compiacersi della loro vicinanza nella. 
perdita della sua libertà. 

« Le femmine degli elefanti mai non si pren= 
dono sole, ma unitamente a' branchi, ai quali 
appartengono; € che d’ordinario sono composti 
di cinquanta o cento animali d° ambo i sessi,, 
guidati dalle. più vecchie femmine, e dal più 
grosso de’ maschili. 

‘« Quando una di tali truppe é stata disco= 
| perta, cento persone si dividono in più gruppi 
© picciole. squadre, distanti una trentina di tese: 
Yuna dall’ altra, e formano un. cerchio irrego 
lare, in cui gli clefanti si trovano rinchiusi. 
Ognuna. di tali squadre accende de’ fuochi, e. 
prepara un cammino, il qual conduce alla sta- 
zione più prossima, che serve di centro a iut- 
ta la circonferenza, e da eui si possono man- 
dar rinforzi per tutti i punti. dh, 


L'ELFFANTE. 165 

* Il resto del primo giorno e la notie in- 
tera si impiega dai cacciatori a far la scolta, 
a cuocere le provisioni e in molti altri appa- 
recchii, i quali credonsi più necessarii. 

« All'indomani mattina poi di .buonissima 
era, un uomo si élistacca da ciascun gruppo 
per formare un muovo circolo in quella dire- 
zione, ch è a bramarsi che vengano gli ele= 
fanti. Dopo di che estinguono questi uomini i 
loro fuochi, e difilano a dritta ed a manca; 
lasciando un’ apertura, per cui il branco aspet- 
tato ‘possa passare. Di «questa guisa il primo 
‘circolo e il secondo vengono ad unirsi ed a 
formare un recinto di figura oblunga. 

« Quelli, che sono aile prime estremità del 
l’evale, fanno dello strepito colle loro stoviglie 
onde fav avanzare gli elefanti ; e tosto che 
‘questi seno giunti al nuovo cerchio, i caccia- 
tori lo chiudono, prendendo le loro posizioni, 
e passano la notte, che sopravviene, come già 
ni l’ antecedente. 

< Nella mattina del dì seguente si rinno- 
vano le industrie della passata. Gli elefanti al 
lora .si avanzano lentamente in quella direzio= 
ne, che loro sembra migliore; per isfuggire ai 
clamori di chi li iconda e si a cante 
min facendo di foglie . di bambou, di rami 
d’ alberi, e di quanto incontrano di loro gusto. 
| Come la gente impiegata in tali circostanze 


166 L' ELEFANTE. 
procede adagio adagio, & raro che pervenga a 
farli passare in un giorno al di là del primo 
circolo, a meno che gran necessità non ve la 
costriuga; nel qual caso. usa di tutto lo sforzo 
di cui è capace, e riesce speditamenie nel suo 
tentativo. 

I cacciatori non hanno altre tende o ri- 
coveri che il fogliame dagli alberi, che duran- 
te il giorno li garantisca degli ardori del sole: 
Nella notte poi si sdrajano sopra stuoje, av- 
volti in un drappo grossolano e circondati dai 
loro fuochi, mantenuti dalle sentinelle e for: 
mati da legne e particolarmente da verdi bam- 
bou, i quali crepitando , mentre ardono, ten- 
gono langi ghi elefanti. Che se questi si ar- 
rischiassero d' avvicinarsi, i cacciatori pronta- 
mente risvegliati li forzerebbero con grandis- 
sino Atala a ritirarsi nel mezzo dèl loro 
circolo. 

I keddah, recinto di pali, il qual ter- 
mina in una via senza uscita, ove debb' essere 
preso il branco, consiste in tre chiusi, i quali 
comunicano l’ uno coll’altro per mezzo di stret- 
ti sentieri. L' esteriore è il più grande, quel 
di mezzo, e il terzo vanno restringendosi in 
proporzione. ‘Putti e tre sono ben promiohi e 
saldissimi; ma l’ultimo è il più forte; nè s1| 
crede aver sicuri gli elefanti, se non quando | 


x 


vi sono entrati. Questo, come i due altri, è| 


£ ELEFANTE. 169 
cinto di un fosso profondo, e sul rialto , for- 
mato colla terra da esso tratta, sorge una pa- 
lizzata di tronchi mediocri uniti fra loro con 
traversi; e sostenuti esteriormente da gagliardi 
puntelli. Il tutto però è sì artificiosamente co- 
perto di rami d' albero e di bambou, che pren- 
de sembianza di naturale boscaglia. 

La più gran difficoltà è quella, forse, di 
far entrare il branco nel primo chiuso; per- 
ciocchè, malgrado ogni precauzione, l elefante 
che gli sta a capo quasi sempre manifesta aicun 
sospetto d’ inganno; ma poi ch' esso vi ha po- 
sto piede gli altri lo seguono ciecamente. AL 
lora si accendono fuochi intorno, e ue 
all ingresso, per impedire che n escano; e i 
cacciatori fanno uno strepito spaventevole gri- 
dando e baitendo i loro tamburi appellati eami- 
tam, e sparando petardi, onde forzarli ad eu- 
trare nel secondo chiuso. 

« Gli elefanti vedendosi caduti in un ag- 
guato urlano orrendamente, e poi che Î in- 
gresso onde vennero più non è aperto, sl cac- 
ciano in quel passaggio che li conduce al sc- 
condo chiuso, e quindi son forzati ad entrare 
nell’ ultimo. Privi allora d’ ogni uscita diven- 
gon furiosi, e si precipitano dalla parte del 
fosso, onde rovesciarne le palizzate, e mandano 
gridi sì acuti come il suono di una tromba, 
ed uzli che imitano il rimbombo del tuono; 


e UN 


168 L'ELEFANTE. | 
ma ogni volta che tentano il varco, ne sono 
impediti dai fuochi e dal fracasso de’ cacciatori 
trionfanti. Alfine accorgendosi che ogni loro 
sforzo è affatto vano, prendono un contegno 
pensoso, quasi come di chi mediti nuovi mez- 
zi di evasione. Ma i cacciatori formano un ac- 
campamento intorno a loro; si distribuiscono 
in sentinelle contro le ili. e nulla è di- 
menticato per impedir loro di fuggire. 

« Lasciatili così alcuni giorni nel keddah, 
si aprono le porte di un’ uscita, che si chiama 
roomea, e si determina un elefante a passarvi 
gettandogli cibo all’ ingresso, e in seguito lun- 
go di essa. Quindi le porte si richiudono, ti- 
rando un cordone, e si ‘assicurano con due 
sbarre di ferro incrociate, contro di cui si pun- 
tano da ambe le parti scaglioni orizzontali. 

« Intimorito dal rumore, che per ciò viene 
fatto, l'elefante vnol subito ritirarsi, e irovan- 
dosi imprigionato si getta contro le palizzate 
della roomea, cui cerca d'infrangere co’ piedi 
anteriori, 0 percuotendole a guisa di breccia, 
colla sua testa. Malgrado però tuiti i suoi 
sforzi è avvinto di funi, e vien condotto da 
gue femmine addomesticate, e assistite dai cage 
ciatori. 

Appena ciascun elefante è giunto al luogo 
destinatogli, si pone in guardia d'un capo, che 
deve e curarlo ed istruirlo. Quest’ uomo ha 


L'ELEFANTE. 169 
sotto i snoi ordini tre alire pérsone, che re- 
can foraggi ed acqua all’ animale, fino a che 
deposta la selvatichezza e il corruccio vaglia nu- 
drirsi da sè medesimo. Molte industrie sono a 
principio adoperate, onde mansuefarlo; lusinghe 
e carezze; poi anche minaccie e punture per 
mezzo di una pertica armata di ferro. Ma più 
sovente il cornac lo solletica grattandogli la 
testa e la tromba con un lungo bambou, spac- 
cato in più parti all’ una delle sue estremità; 
cacciando le mosche dalle sue piaghe e dalle 
sue contusioni; spruzzandogli d’ acqua tutto il 
corpo onde rinfrescarlo; sempre tenendosi in- 
tanto a prudente distanza, per non essere vit- 
ima di qualche suo impeto. 

. « Indi ad alcuni giorni si appressa cauta 
mente a suoi fianchi, battendoelo lievemente col 
palmo della mano, e parlandogli con voce ca- 
rezzevole. Così l animale comincia a ricono- 
scere il suo guardiano, e ad obbedire a’ suoi 
comand:, sinché diviene sì famigliare, che que- 
gli si affida a montargli sul dorso, dal dorso 
d' una delle femmine addomesticate. E la cosa 
procede in breve tant’ oltre che poi gli siede 
sul collo ogni volta che gli piace, e può diri- 
gerne sicuramente tutti 1 movimenti. - 

« Mentre che Ì elefante così vien domato, 
altri, che già ìl sono da un pezzo, il traggon 
fuori a varii esercizii, dandogli con ciò occasione 


yo L ELEFANTE. 

di sciorsi dalle corde, che lo offendono, se 
già non gli furono allontanate o  cangiate. 
Dopo cinque o sei settimane l' animale è ob- 
bedientissimo a chi lo regge, gli si tolgono 
grado a grado le catene, e basta la voce per 
condurlo d'uno ad altro luogo facilissimamente. 
È prudenza, per altro, il non lasciarlo avvi- 
cinare a quelli a cui era usato, per tema che 
la rimembranza della passata liberià nol porti 
a cercare di ricuperarla ». 

La maniera di cacciar l elefante nell’ Abis- 
sinia è così descritta dal sig. Bruce: « Quelli 
che di tal caccia fanno un mestiere si tengono 
costantemente ne boschi, né hanno altro cibo 
che le carni degli animali che uccidono, cioè 
a dire l elefante o il rinoceronte. Si appellano 
agageeri dalla parola agar, che signifiea taglia- 
garretti. Ma, ond' essere precisi, diremo che 
tal denominazione allude all’ amputazione del 
tendine o muscolo del tallone, ch'è il modo 
appunto con cui si uccide | elefante. Due uo- 
mini moniano a cavallo interamente ignudi È 
onde non essere rattenuti per le vesti dagli 
alberi o da’ rami, mentre cercan sottrarsi al 
loro vigilante nemico. Il primo di essi, il quale 
qualche volta ha una sella e il più spesso non 
l’ha, tiene d' una mano una bacchetta o corto 
bastone, e dali altra la briglia del suo cavallo, 
ch ei governa con molta cura. Dietro Iui sta 


» ELEFANTE: 1977 
il suo compagno, il quale impugna colla manca 
una scimitarra, e colla destra ne tiene la lama, 
per ben quattordici pollici coperta di ‘spago , 
e sebbene la inferiore estremità di questa sia 
tagliente quanto un rasojo, ei sempre la porta 
senza vagina. 

Incontrando l'elefanie quel primo uomo a 
cavallo gli si avvicina quant è possibile, e men- 
tre gli vieta il cammino grida: « Io sono il 
tale de’ iali, ecco il mio cavallo, che porta il 
tal nome; ho ucciso tuo padre in tal luogo, 
e tuo nonno in tai aliro; vengo per uccidere. 
te pure, te, che sei un nulla in paragone di 
loro. DE “RR 

L'elefante, che in Abissinia supponsi iutene 
dere tutte queste dicerie, furioso per lo stre- 
pito che si fa intorno di esso cerca di pren-. 
dere colla sua tromba l' agageero, segue è que- 
sto fine tutti i suoi passi, si avvolge ne’ suoi 
giri artifiziosi, e perde così il dritto cammino, 
per cui solo proveder potrebbe alla sua sicu- 
rezza. Così, dopo averlo ben disviato e stare 
cato, il cavaliere gli si avventa e gli cala de- 
stramente al di dietro. il suo camerata, facen- 
dolo scendere giù pel fianco destro del cavallo, 
onde l'elefante specialmente si adombra. Costui 
gli dà un colpo di sciabola attraverso il tallone 
i: quella parie, che nell'uomo appellasi il ten- 
dine di Achille, c uel momento istesso, chi è 


1V2 °l’ ELEFANTE. 

il più pericoloso, il cavaliere si rivolge, lo ri» 

iglia seco, e corre appresso d'altri elefanti, 
‘che talvolta ha veduti, sicchè ‘avviene che ne 
uccida fin tre in una sola caccia. Se la sciabola 
era bene affilata, e chi | adoperò di carattere 
non timido, il tendine rimane interamente 
troncato. In qualunque modo però il suo stato 
è sempre tale, che il quadrupede appoggian- 
dovisi finisce di spezzarlo, nè può assolutamen» 
te più muover passo, onde gli agageeri e com» 
pagni l’opprimono facilmente a: colpi di picche 
e di lance fin che cada a terra, e spiri tutto 
bagnato del suo sangue. Morto che sia, ne ta- 
gliano le carni in liste della grossezza delle 
redini, e le sospendono a guisa di festoni ai 
rami degli alberi, onde farle disseccare, e in 
seguito le mettono in serbo per mangiarle nel 
la stagione delle pioggie. 

I sig. Bruce fu testimonio, in una di que- 
ste cacce, del singolare attaccamento di un 
giovane elefante per la madre sua. « Non ri- 
manevano, dic egli, che due ie di quelli 
che erano stati scoperti, cioè a dire una fe- 
mina e il suo elefantino. L'agageer gli avrebbe 
volentieri lasciati vivere, atteso che le zanne 
feminee sono cortissime, e | elefante ancor 
tenero non val nulla; ma i cacciatori niente 
vollero perdere. ne piacere, che si erano pro- 
messo. Avendo adunque avvertito il luogo, ove 


L'ELEFANTE. 173 
la femina erasi ritirata, la trovarono bentosto, 
e il colpo al garretto le fu dato senza diffi- 
coltà. Ma quando vennero per assalirla, sic- 
eome fecero, co loro dardi, il figlio suo, che 
aveano lasciato fuggire , non curandosi di es- 
so, si lanciò furioso da un rovo, in cui s'era 
nascoso , precipitandosi sugli uomini e sui ca- 
valli con tuita la violenza di cui era. capace. 
Gran meraviglia e commozione mi cagionarono 
gli sforzi del giovane animale per did 
a sua DE, già tuita grondante sangue, 
senza occuparsi della propria vita. Gridai quindi 
e supplicai che si desistesse; ma non era più 
tempo. Intanto quello. ch'io proteggeva, tentò. 
più volte d'assalirmi, ed io mon ebbi picciola 
difficoltà a schermirmene; ma ben fui con- 
tento di non avergli fatto alcun male. Rinno- 
vando però esso l' assalto contro. di un cac- 
ciatore, cui ferì leggiermente in una. gamba ,. 
questi gli passò il ventre con un giavellotto. 
Gli altri imitarono. tosto. il suo. esempio ; € il 
picciolo elefante cadde estinto a lato alla ma- 
dre , per cui erasi in certo modo sagrificato. 
Era esso della grossezza. di un asino, ma ro- 
tondo , atticciato , e d' una forma assai gros- 
solana. Il suo trasporto e il furor suo parea 
tale-, che certamente avria spezzate le gambe 
# uomini e de’ cavalli, sol che potesse ag- 
oiust © loro una delle sue trombate. 


Li 


4: 


4 L'ELEFANTE. | 
Vuolsi da alcuni che l elefante sia’ dotato 
«di memoria sì fedele, che quando una volta 
È stato in servitù, e poi è giunto a fuggirne, 
più ron si può ripigliario. Fino a qual segno 
una tale opinione sia erronea 0 giusta, sarà 
facile giudicarne dai seguenti esempi riferiti 
per Transazioni filosofiche del 1799. 
< Fu presa per la prima volia un’elefan> 
ssa nell’anno 1765 dal Rajah Kishum Mau- 
i il quale, sci mesì appresso, ne fece un 
presente ad Abdcor Rajah, persona qualificata 
nel suo distretto. Nel 1767 poi quel Rajah 
mardò gente contro il medesimo Abdoor, il 
quale si era a lui mosirato o rivoltoso o al- 
men renitente. Questi riparatosi alla montagna 
lasciò andar usa la belva ne’ boschi, dopo 
essersene servito per quasi ‘due anni; ma in 
una motte pio essa Recon in poter 
d'altri, benchè poi fra poco riuscì a fuggire. 
Nel 1788, cioè a dire più di dieci anni dope 
una tal fuga, fu essa attirata dai cacciatori 
u elefanti del sig. Lecke di Longfordhal Spro- 
pohire in un chiuso, e quando all'indomani 
quesio personaggio andò per vedere la preda 
fatta, eglino gli mostrarono l'elefaniessa, come 
già da loro conosciuta e particolarmente tran- 
quilla. Quando la chiamavano per nome, sem- 
brava ch' essa porgesse non so quale atten- 
zione, guardando quelli che .il ripetevano. È 


L’ELEFANTE. - 195 
mentre gli ali elefanti correano perpeiua- 
mente pel recinto, dando segni di furore, elia 
sola mostrava pazienza e rassegnazione al pro- 
prio destino. 

« Per lo spazio-di diciotto giorni ricusò di 
approssimarsi ad una via senza uscita; memore 
senza dubbio di ciò che per due volte aveva 
sofferto in simil luogo. Ii signor Leeke entrò 
mn dì nel chiuso, mentre non vi si trovava 
se non essa, un altra femina selvaggia ed 
ito piccioli elefanti. Assicuratisi i cacciatori 
della seconda, per mezzo di elefanti addome- 
sticati, che ie mandarono appresso, ebbero 
ordine di chiamar l'altra per nome; ed essa 
venne tosto alla riva del fossato nell’ interno 
del recinto. Allora taluni di essi ‘avvisarono 
d'inirodurvi un alberello di banani:; e la belva 
non solo ne prese dalia lor mano le fogiie 
colla sua tromba, ma apri la bocca, perchè 
ve le ponessero entro, il che fecero, paipan- 
dole la pelle e carezzandola. Allora le si mandò 
vicino uno degli ciefanti addomesticati, dicendo 
al cornac di pigliarla per l'orecchia, e ordi- 
narle di accosciarsi. Cominciò essa dal rieusare, 
mostrando non so quale corruccio , e alionta- 
nandosi a ceria distanza. Ma poi il cornac ri- 
chiamandola, venne a ivi, si lasciò carezzar 
come prima, e fra pochi minuti permise agli 


elefanti, di cui dicemmo, che seco si fami- 


176 L ELEFANTE. | 
gliarizzassero. Un cacciatore allora, stando 
cavalcione sopra uno di questi, le annodò una 
corda attraverso il corpo, e le saltò quindi 
in groppa; della qual cosa parve essa a prima 
giunta compiacersi poco; ma poi vi si adattò. 
Un altra corda intanto a guisa di staffa le si 
dispose al collo, per cui ponendosi il caccia- 
tore nella foggia ordinaria di chi cavalca, con- 
dusse la belva tutt'intorno al recinto. Dopo 
di che le comandò di sedere ; ed essa ubbidi 
all’ istante, non rialzandosi, che quando le fa 
permesso. | 

« Mangiò in quella posìtura quanto le si 
diede ; pigliò colla tromba un bastone che le 
si presentò , sel mise in bocea, il tenne e lo 
rese, come le fu comandato, im quella guisa 
che già molti anni prima ebbe costume di 
fare. Infine .si riaddomesticò tanto bene, che: 
se nel chiuso si fossero trovati altri elefanti sel+ 
vaggi avrebbe ottimamente servito a prenderli ».. 

Nel giugno del 1807 un elefante, fatto captivo: 
alcun tempo innanzi, viaggiava con alcuni altri 
sulla strada di Chittigang, carico di bagaglie. 
Giunto sulle tracce d’ una tigre ; che gli ele- 
fanti discoprono facilmente all'odore, fu com- 
preso di sommo spavento, e fuggì ne' boschi, 
malgrado tutti gli sforzi del suo cornac, il 
quale non salvò la vita che aggrappardosi dal 
suo dorso ad un albero, sotto cui passava. 


L' ELEFANTE. 97) 0 
Liberatosi l'elefante: dal suo conduttore, trovò 
tosto mezzo di sbarazzarsi anche d'’ ogni altro 
carico. Gli si. mandò appresso una femina; ma: 
questa. non. potè raggiungerlo ‘in: tempo d' im= 
pedire. la sua evasione. 

Diciotto mesi dopo, fu preso un branco di 
elefanti, il qual rimase più giorni nel chiuso; 
prima che si potesse farlo entrare:nel sentiero 
senza. uscita, legarlo, e servirsene alla ma-. 
niera ordinaria;. 

Uno: de’ conduttori, considerando attenta- 
mente certo animale della -frotta, dichiarò che 
molto somigliava a quello; che avea presa la 
fuga; le quali parole eccitarono la: curiosità 
generale ,. sicchè faceasi a. gara per. vederlo, 
Ma se alcuno approsimavasi, il quadrupede fo 
minacciava. colla. sua. tromba, e pareva egual- - 
mente intrattabile, che qualunque degli ele- 
fanti selvatici Un. vecchio cacciatore, frattanto; . 
entrato a cavallo nel chiuso, lo esaminò at- 
tentamente ,. e decise ch’ era. quello stesso , il 
quale già fuggì. _ 

Nella quale persuasione corse ad'esso‘a briè - 
glia sciolta, e gli ordinò di sdrajarsi, tiran- 
dolo per l orecchio. L’ animale credendosi oa 
quel che parve, arrestato. per sorpresa obbedì 
immediatamente, e mandò attraverso la tromba 
un grido acutissimo ,. com’ era già suo costume, ‘ 
il che lo fece immediatamente riconoscere dalle 


Gubinetto Tom. I. 12 


<a 


198 È ELEFANTE. 
persone, che si ricordavano di questa par- 
ticolarità. 

Vive tuttora (1806) nel parco di Exeter- 
Change un’ clefantessa, la quale fu allevata a 
di e condotta in Inghilterra nell’ an- 
no 1796 dall onorevole Ugo Lindsey; ed è 
0 bellissima, di nove piedi di altezza so- 
pra venti di grossezza; e del peso di due 
tonnellate o cinquecento libbre; molto ben 
famigliare, massime colle donne e co’ fanciulli. 

Visitando il parco, or sono alcuni mesi, 
ebbi gran diletto in ammirar la sagacia e la 
destrezza veramente singolarissima di questa 
belva. Avendole domandato il guardiano, quante 
persone fossero - “presenti, rispose con due forti 
501} di tromba, cui teneva in posizione quasi 
perpendicolare; e quando poi le si chiese il 
numero de lumi che rischiarava il luogo, poi- 
chè era notte, ripetè que' soff) sei volte. Risi 
dapprima, come di supposto errore; ma guar 
dando più da vicino m' accorsi che ciascuna 
delle due lampade avea tre lucignoli. Aprì e 
chiuse quelia bestia le porte e le finestre del 
suo alloggio colla più gran bravura e prontezza; 
e finalmente s'inginocchiò al comando del suo 
custode; per mostrare di qual maniera poteva 
essere caricata. x 

Ma tutto ciò è nulla in paragone di un 


altro fatto, che veramente sembrava esigere 


le) 


L’ELEFANTE. 179 

la riflessione e l'intelligenza dell’uomo. Il cu- 
stode medesimo , ipa” aver getiato uno scel- 
lino per terra presso la barriera che separava 
l elefantessa dal pubblico, ma dove non po- 
tea giugnere colla sua proboscide, le disse di 
raccorla e di darmela. La bestia, con mio 
grande stupore, curvando al suolo quella pie- 
ghevolissima tromba, parve misurare la distanza 
che passava fra di essa e la moneta; indi 
emise soffio sopra soffio con tal violenza, e in 
sì special direzione, che ciascun d'cssi portava 
lo scellino dal muro verso la barriera, finché 
potè prenderlo. Allora mel pose in mano, e 
a mia richiesta poi nella saccoccia dell'abito 
del suo custode. 

Dopo queste prove di sagacia e di obbe- 
dienza vuotò in tre sorsi un secchio d’acqua, 
che le fu apportato, e il rumore del liquido 
nel passare dalla tromba alla bocca somigliava 
a quello che farebbe nell’ uscir di un vaso ed 
eptrar nell’ altro. Avendola alcuno richiesta 
s era ben dissetata, mostrò a chiari segni che 
berrebbe di nuovo; e infatti aspirò un altro 
secchio d’acqua, come la prima volta. Indi, 
senza che le fosse comandato, prese il secchio 
medesimo pel manico, e il restituì al suo cor- 
nac, copio con profonda inclina- 
zione di testa. Il suo giornaliero nutrimento 
consiste in un fascio di fieno, un altro di 


80 L ELEFANTE. \ 
paglia; un moggio di farina d’ orzo e di cru- 
sca insieme mescolata, e trenta libbre di pori 
di terra, a cui si aggiungono tre e tre secchi 
d'acqua. per bevanda. 


IL RINOCERONTE 


« Dopo l' elefante, dice il Plinio francese, 
il rinoceronte è il più possente dei quadru- 
pedi. Ha almeno dodici piedi di lunghezza dal- 
I estremità del muso sino alla radice della coda, 
e. sei O. sette piedi di altezza: la circonferenza 
del solo corpo. è presso a poco eguale alla lun- 
ghezza, che dicemmo. Molto, adunque, si ap- 
prossima all’elefante pel volume e per la mas- 
sa; e se appare più piccolo, si è perché le 
sue gambe sono in. proporzione più corte. Dif 
ferisce, però, grandemente da esso, per l'in- 
telligenza e le altre facoltà, non avendo rice- 
vuto dalla, natura che quelle comunemente 
compartite- a tutt 1 bruti. Privo di sensitività 
sella. pelle; mancando di mani e d' organi di- 
stinti pel tatto; non. avendo, in luogo di trom- 
ba, che un labbro mobile, con cui solo può 
industriarsi,, appena è superiore agli altri ani 
mali per la forza, la grandezza, e l arme. of- 
fensiva, che porta sopra del naso, e che a lui 
unicamente appartiene. Quest’ arme è un corno 
solido e durissimo, piantato più vantaggiosa- 


adi, -:-° 


MW, RINOCFERONTE 


IL RINOCFRONTE! r$r 
nrente che le corna d' altra bestia qualunque; 
poi ch’ esse non muniscono che le parù ante- 
riori del muso, laddove l' altro preserva. d’ ogni 
offesa ogni parte anteriore del capo ». 

Il corno del rinoceronte ha talvolta tre piedi 
di lunghezza, ed otto di circonferenza alla sua 
base; e gli serve a difesa contro gli ‘assalti di 
qualimque specie di belve feroci. È posto e con- 
formato in modo, che può recare profondissi- 
me ferite, ‘e allentanare le più leggiere. Peroc- 
chè ,mentre l'elefante, l'orso, il bufalo, il cin- 

hiale sono obbligati a percuotere di traverso 
colle loro armi, il rinoceronte, che porta Ì ì suol 
colpi diritti, applica a ciascuno di essi ogni sua 
forza. Quindi la tigre istessa, malgrado la sua 
ferocità, si espone di rado ad azzuffarsi con lui, 
poichè anderebbe a rischio d’ essere sventrata, 

Le membra del rinoceronte vengon difese 
da una pelle nerastra, coperta «li tuberosità , 
e così dura, che riesce impenetrabile ai pu- 
gnali e alle lance. Essa è tutta corrugata a 
grosse pieghe ‘intorno -al collo, sulle spalle e 
in sulla groppa. Pretendesi ‘che a danno del 
rinoceronte, quand è giunto alla sua maturità, 
non valgono che le palle di ferro, poiché quel- 
Je di piombo si schiacciano contro la sua pelle 
che, per altro, fra le sue pieghe e sotto il ventre 
è molle e -d’ un colore di tenera carne. « La 
mascella superiore dell’ animale, per usar le frasi 


182 TL RINOCERONTE: 
del sig. di Buffon, si sporge sopra l' inferiore, 
il labbro di sotto è mobile e può allungarsi 
sino a sei o sette pollici, massime che termina 
in una appendice acuminata, ond’è più facile 
al rinoceronte che a tutti gli altri quadrupedì 
il coglier l'erba e farne manipoli, come pres- 
so a poco fa l'elefante colla sua tromba. » 

Il rinoceronte è ordinariamente dolce e pa- 
cifico; ma aggredito e provocato divien cru- 
dele e assai pericoloso, e va talvolta soggetto 
a tali accessi di furore, che nulla può rimet- 
ierlo in calma. . 

Quello che giunse a Londra nel 1739 ( se- 
eondo i ragguagli dati dal dottor Parsons al 
sig. di Buffon, che li riferisce ) era stato in- 
viato dal Bengala, sebben giovanissimo, poichè 
non aveva che soli due anni, e. le spese del 
SUO Viaggio costarono presso a poco un mi- 
gliajo di lire. sterline. Era nutrito con riso, zuc- 
caro e fieno, cioè sette libbre di riso per gior- 
no, miste con tre di zuccaro, che gli si divi- 
devano in tre porzioni, oltre il molto fieno 
ed erba verde, che preferiva all’ altro. Non 
beveva che acqua, ma ogni volta gran quan- 
vità. Si mostrava d'indole tranquilla, e lascia- 
vasi toccare in ogni parte del corpo; nè im- 
perversava, che quando il battevano o aveva 
fame; ma nell’ un caso e nell’ altro placavasi 
egualmente, dandogli a mangiare. Quand’ era 


IL -RINOCERONTE: 183 
in collera slanciavasi, elevandosi a grande al- 
tezza e spingendo la sua testa con furia contro 
de’ muri; il che facea con prodigiosa celerità, 
malgrado il torpore della sua massa pesante. 
A dal anni non era più alto dî una giovenca; 
ma era a compenso assai lungo e membruio. 

Un rinoeeronte condotto d’ Atcham, e che 
faceasi vedere a Parigi nel 1748, era mansue- 
tissimo e può dirsi carezzevolissimo. Si nutriva 
esso principalmente di biade e di fieno, e parea 
avido, soprattutto, di piante spinose, come la 
ginestra. Quelli che ne aveano cura gli por- 
gean sovente rami d albero armati di spine 
molto acute, cui esso. masticara senza dar se- 
gno di riceverne noja. Talvolta, per verità, 
gli traevan sangue dalla gola e dalla lingua; 
ma appunto allora gli servivano di tornagusto 
e parean condire ai suo cibo, come il pepe e 
È altre spezie condiscono i nostri. 

Gli occhi del rinoceronte sono piccioli , e 
situati in maniera, che non può vedere, se 
non quello che loro è posto davanti in linea 
retta; ma il dottor Parsons accerta, ch’ esso 
ne è compensato da un'altra particolar. qua- 
lità. E questa un udito finissimo onde non gli 
sfugge il minimo strepito, e anche addormen- 
tato, 0 inteso a mangiare o a soddisfare altri 
bisogni, leva sull istante la testa, ascolta con 
inquicia attenzione, nè si rassicura, che quando 


184 IL "RINOCERONTE. 
‘la calma è interamente ristabilita. Malgrado 
la sua grossezza, e ‘massiccia corpulenza vuoisi 
ch esso corra molto spedito, e ‘mercè la sva° 
forza; l'impenetrabilità della sua pelle, e la 
durezza del suo corno rovesci tutti gli osta- 
coli che incontra, e faccia piegare al par di 
verghe i piccioli alberi che incontra in suo 
«cammino. Nella sua maniera di nutrirsi, e 
nelle sue generali abitudini molto rassomiglia 
all’ elefanie, e abita’ com esso i luoghi freschi 
in vicinanza all'’acque o in mezzo delle foreste; 
ma imita il majale avvoltolandosi alla sua fog- 
gia nel fango. È 

*Costamiasi in alcune pari dell'Asia di ad- 
«domesticare i rinoceronti, e covdurli in campo 
cogli eserciti onde spargere fra i nemici lo 
spavento. Generalmente però questi quadrupedi 
sono così intrattebili, che non fanno che nuo- 
cere alla causa, a cui dovrebbero servire, né 
è raro il vederli nel loro furere volgersi coniro 
i padroni e farli loro vittime. 
| Le loro carni, l' unghie, i denti, la pelle, 
ed anche gli escrementi sono dagli Asiatici 
adoperati nella medicina. Pretendesi che il cor- 
no, segato orizzontalmenie ov’ è più grosso, 
presenti da ciascun lato una rozza immagine 
d’ uomo, i cui tratti sono indicati da piccioli 
punti bianchi. Gran numero ‘di principi in- 
‘ diani beve in coppe formate di questo corno, 


IL RINOCERONTE. 185 
per fa persuasione che trovandosi in ‘esse qual- 
che veleno, il liquore fermenterebbe sino ad 
uscirne spumeggiando. Quelle di corno giovane 
sono le più. stimate. Hu professore 'Thunberg 
ebbe la ‘bontà di far diverse esperienze con 
ogni sorta. di veleni, e in corna vecchie e in 
corna giovani di rinoceronti, lavorate, e ‘non 
lavorate ad uso di ciottole; e non vi osservò 
nè effervescenza, nè moto qualunque. Solo, 
quando vi ebbe versato ‘una soluzione di su- 
blimato corrosivo, si elevarono alcune bolle, 

rodette dall’ aria rinchiusa ne pori del corno, 
che allora ne uscì. } 

1 due soli animali di quiesta ‘specie, che in 
lungo tratto -di tempo io abbia veduti in In- 
ghilterra, furone ‘acquistati per le sale d'espo- 
sizione ad Exeter- Change. L' uno di essi ve 
niva da Laknaor, mandato in dono nel 17707 
Galla compagnia dell’Indie al sig. Dundas, che 
i ricusò, ed indi comperato dal sig. Pidcok. 
L'animale non diede, sin dal principio, ve- 
run segno di ferocia, ma si mostrò all’ incon- 
tro deeirsino agli ordini del suo padrone, 
aggirandosi per Ù sala ‘ond’ essere veduto, e 
lasciandosi anche talvolta toccare sul dorso dai 
ianti spettatori ch’ erano accorsi. Il suo nutri- 
mento giornaliero consisteva in vent' otto libre 
di trifoglio, oltre un egual peso di biscotto di 
mare, e una prodigiosa quantità d’ erbe verdi. 


186 IL RINOCERONTE. 
Bevea dieci in quindici secchii d'acqua, che gli 
erano portati a cinque a cinque. Il cibo se lo 
prendeva col labbro superiore, e con esso quasi 
con mano se lo poneva in bocca. Amava molto 
i liquori spiritosi, di cui si iracannava due 0 
tre botiiglie in poche ore. La sua voce somi- 
gliava in qualche modo al muggito di un vi- 
îello, e la faceva seniire principalmente quando 
vedeva alcuna persona tenere un frutto © altra 
vivanda ch'esso appetisse, e di cui in tal modo 
mosirava il suo desiderio. 

Nel mese di ottobre del 1792, alzandosi esso 
d' improvviso sulle sue gambe, si slogò un gi- 
nocchio ,. il quale accidente gli cagionò una 
infiammazione alla rotella, e in capo a nove 
mesi la morie; ritrovandosi in un albergo. a. 
Corsham presso di Portsmouth. AI istante che 
giunse in quel luogo la diligenza pubblica, 
già esalava dal suo corpo un fetore così insop- 
portabile, che il podestà ordinò subito di farlo 
seppellire. Fu dissotterrato undici giorni ap- 
presso da gente che ne volea la pelle e l ossa 
più preziose; ma testimonii di vista e di odo- 
rato assicurano, che vi fu gran difficoltà in . 
venire a capo di quell operazione, poichè 
l'incredibile puzza toglieva il senso, e il re- 
spiro. Quelia pelle impagliata è ora deposta 
in una delle sale dell'esposizione, di cui già 
si parlò. ; 


è 


IL RINOCERONTE. 187 

L'altro rinoceronte, ch’ era ad Exeter-Chan- 
ge, mi parve molto più piccolo. Fu condotto a 
Londra verso l'anno 1799; € il sig. Pidcok lo 
vendette poi ad un’ agente dell Imperator - di 
Alemagna. Ma due mesi appresso morì nella 
corte di una locanda del quartiere di Drury- 
Lane. 


IL, RINOCERONTE A. DOPPIO CORNO 


Questa specie differisce dall’ altra, anche at 
solo aspetto della pelle; perocchè in luogo di. 
pieghe immense e regolari somiglianti ad una 
corazza, non ne ha che una ieggiera attraver-. 
so le spalle e la parte di dietro, ed alcune an- 
cor. più lievi sui fianchi, sicchè in confronto 
del rinoceronte ordinario la. sua pelle sembra 
liscia. La principal differenza, però, consiste; 
nell'avere il dinanzi della testa armato di due. 
corni, di cui l uno è più piccolo dell'altro, e 
situato al dissopra di. esso. 

Levaillant assicura che gli animali di siffatta 
specie. molto si compiaceiono del vento, por- 
tano le narici alte, onde scoprire. coll’ odorato 
che hanno finissimo, l avvicinar de’ nemici, e 
quando sono. adirati solcano la terra colle loro 
corna. , 

La descrizione de’ costumi del rinoseronte 
di cui si tratta, fatta dal sig. Bruce, è troppo 


788 iL RINOCERONTE A ‘DOPPID CORNO: 
«dilettevole a leggersi, perchè si possa tastu- 
rare d’ inserirla in quest’ opera. 

< Oltre gli alberi ‘durissimi, dice questo 
vaggattio che abbondano nelle vaste foreste 
dell’ India, altri ve ne hanno di più molle so- 
stanza, che sembrano particolarmente destinati 
«al nutrimento di questo quadrupede. Onde giu- 
gnere ai rami elevati di tali alberi, il suo lab- 
bro ‘superiore può estendersi di tanto, che nul- 
la invidiar deve alla tromba dell’ elefante. Al 
labbro poi aggiugnendosi il soccorso del corno, il 
rinoceronte abbatte que’ rami, che più sono 
ricchi di foglie, e -cui divora pei primi. Quan- 
do ne ha dispogliato l'albero interamente, non 
perciò lo ‘abbandona, ma cacciando nel trenco 
le corna più addentro che pessano ‘entrare , 
apre, e il divide in parti minute come pan- 
concelli. Come 1 albero è così ridotto, prende 
colla mostruosa sua bocca quant’ essa può ad- 
dentare , e il torce con egual facilità, che fa- 
rebbe un bue d'un fascio d' appio, o di tut- 
l'altra pianta di questo genere. 

Quando è inseguìto o concepisce qualche 
timore, fa prova di sorprendente celerità, «avuto 
riguardo alla grossezza, e all’ enorme peso del 
suo corpo, e alle brevi gambe che il portano. 
Esso ha una specie di trotto, che in capo ad 
alcuni minuti diventa precipitoso, e gli fa per- 
gorrere din poco tempo moltissimo cammino. 


IL. RINOCERONTE A. DOPPIO CORNO. 189 

Non è però. vero, come alcuni hanno asserito, 
che sorpassi un cavallo nel corso, poiché ed. 
io con un mediocre cavallo l ho - facilmente 
oltrepassato , ed altri con un peggiore hanno 
fatto.altrettanto. Il che sebbene avvenga di rado, 
non è da attribuirsi. alla grande prestezza del 
rinoceronte,. ma. all astuzia ch’ esso. impiega. 
Perocchè passa costantemente da bosco a bosco. 
e si addentra nel più folto,. mentre gli alberi 
morti e disseccatî, spezzandosi all'urto della 
colossale sua forza, come a quello di una palla 
di cannone, cadono intorno di esso da tutte 
le parti. Gli alberi che sono più flessibili, più 
forti, più pieni di sugo s incurvano sotto il 
suo peso e la veloci del. suo. corso, e poi 
ch' esso è passato, ripigliando per la loro ela- 
sticità la propria natural posizione; come fa 
rebbero verdi ramoscelli, i&vano da terra il 
cacciatore imprudente col suo destriere, e lo 
schiacciano contro gli alberi circonviecini. » 

Picciolissimi sono gli occhi dei rinoceronte; 
il quale di rado volgendo la testa non vede 
che queilo che ha dinanzi a sè. Questa par- 
ticolarità è sovente cagione della sua morte. 
Mai esso non isfugge al cacciatore, ove si trovi 
in una pianura abbastanza lunga, che quegli 
col suo cavalio abbia. tempo di raggiugnerlo. 
La sua fierezza e il furor suo gli fanno disde-. 
guare ogni. idea di salvar la sua vita alirimenti 


1GO IL RINOCERONTE A DOPPIO CORNO. | 
che trionfando dell'inimico. Si “arresta esso 
un istante, indi slanciandosi corre diritto al 
cavallo, non diversamente di un cinghiale, a 
cui molto rassomiglia ne’ suoi movimenti. Il 
cavallo però lo schiva facilmente, volgendo a 
destra e a sinistra con balzi improvvisi, per 
‘cui presto giunge il momento che al rinoce- 

rante è fatale. L'uomo ignudo, che armato di 
una sciabola sta in groppa al principal caccia- 
tore, si cala a terra; e senz essere veduto da 
quel quadrupede, il qual non cerca e non mira 
‘che al solo cavallo, gli dà un colpo al tendi- 
° del tallone, e il rende incapace a fuggire 
e ad opporre la minima resistenza. 

Gran quantità di nudrimento dicemmo ab- 
bisoenare alla massa enorme del rinoceronte ; 
ma bisogna pur fare un cenno della sua ne- 
‘cessaria bevanda. Non avvi che il paese dei 
Shangalli, ov esso abita, paese inondato sei 
mesi dell’anno dalle pioggie, e pieno di larghi 
e profondi bacini scavati nella roccia dalla na- 
tura, ombreggiato da folte boscaglie che si op-. 
pongone all’ evaporazione, o) ni da grandi 
\riviere, il cui corso mai non vien meno; non 
avvi, dico, che un tal paese, che fornir possa 
di che estinguer la sete del mostruoso animale. 
Ma non per dissetarsi, soltanto, frequenta 
esso i luoghi umidi e paludosi; perocchè seb- 
ben così grosso ed ardito è pur uopo che si 


IL RINOCERONTE A DOPPIO CORNO. IGI 
premunisca contro il più debole de’ suoi av- 
versarii. 

Il rinoceronte a doppio corno ha per nemico 
formidabile una mosca nata dal. nero limo del- 
le paludi, e quest insetto il perseguita con 
tanto accanimento, che finirebbe col farlo pe- 
rire, se esso non avvisasse di ricorrere ad uno 
stratagemma per la sua propria conservazione. 
Alla notte, quando la mosca è addormentata , 
il rinoceronte sceglie un luogo opportuno, ed 
ivi avvoltolandosi nel fango, si copre d' una 
specie di crosta, che all'indomani lo fa invul 
nerabile alle punture della sua avversaria. Le 
rughe e le tuberosità della sua pelle servono 
a fissare quesia specie d'inviluppo sovra tutta 
l estensione del suo corpo, eccetto l anche , 
le spalle e le gambe, onde i suoi movimenti 
lo fanno crepolare e cadere; lasciandole espo- 
ste. I pizzicori, e i dolori, che allor prova, 
lo forzano a fregarsi contro le scorze degli al- 
beri; e questa abitudine, secondo tutte le ap- 
parenze, è la causa delle numerose pustule o 
tuberosità, come dicemmo, le quali si osservano 
sulla sua pelle. 

Il piacere ch’ esso prova al confricarsi, € 
l oscurità della notie lo privano interamente 
della sua attenzione e vigilanza; mentre lo 
strepito ch' esso fa è inteso così da lungi, che 
ì cacciatori pian piano gli si accostano, € 


12 IL RINOCERONTE A. DOPPIO CORNO, 
andando carponi gli pianiano. i lor giavellotti 
nel ventre, ove la piaga è mortale. 

do opinione d’ alcuni, che la pelle del rino- 
ceronte sia così impeneirabile come un asse di 
quercia è falsissima. Questo quadrupede nel 
suo stato selvaggio è sovente ucciso a colpi di 
dardi lanciati con mano, di cui taluni enirano 
a grandissima profondità nel suo corpo; ed 
una palla di moschetto lo traverserebbe da parte 
a parte se non fosse intercetta da un osso. Gli 

bissini. lo mettono a morte con rozzissime 
chiavarine, ed indi lo tagliano a pezzi con cat- 
tivissimi coltelli. 

Può argomentarsi la forza del rimoceronte, 
anche dopo essere stato grav emente ferito, dal- 
la relazione dataci dal sig. Bruce d’ una caccia 
di quest animale, a cui aveva egli medesimo 
assistito nell’ Abissinia. 

Eravamo a cavallo, dic’ egli, allo spuntar 
del sole in traccia de rinoceronti cui avevamo 
tidito più volie mandar profondi sospiri e grida 
acute. Gran numero d’ agageeri venne a rag- 
giugnerci, c dopo avere perlusirato per un 
ora circa il più folto del bosco, uno di que- 
sti animali si slanciò con grande violenza, e 
traversò. la pianura, per andarsi a rimpiaitare 
fra una selva di bambou, loniana forse due 
miglia. Sebben però trottasse con. una prestezza 
sorprendente, avuto riguardo alla sua enorme 


IL RINOCERONTE A DOPPIO CORNO 193 
grossezza, fu giunto da trenta o quaranta gia 
vellotti che l impaurirono e costernarono in 
guisa di forzarlo.a nascondersi in un fosso © 
burrone senza ‘uscita, in cui per langustia 
dell’ ingresso, non potè entrare senza rompere 
più di idadici di que dardi, che avea piantati 
nel corpo. Ivi noi credemmo pigliarlo, come 
in un trabochello, avendo appena spazio ba- 
stante per volgersi. Quindi uno de’ nostri, che 
aveva un archibugio gli trasse alla testa, e 
l’animale cadde sali istante. Imaginandosi che 
fosse morto, quanti fra noi erano a poi sal- 
tarono sopra di esso co' loro coltelli alla mano, 
onde squartarlo; ma appena ebbero dati i pri- 
mi colpi, che: quello ricovrò abbastanza di forza 
onde levarsi in sulle ginocchia. Ben furono av- 
venturati coloro che si fuggirono, e se uno 
degli agageeri impegnatosi ei medesimo nella 
burraja, non: gli avesse tagliato il tendine del 
tallone, i cacciatori pedestri avriano passato un 
ben cattivo quarto d' ora. Come il rinoceronte 
fn messo a morte, io volli vedere la piaga fat- 
tagli dal colpo d’ archibagio,. la qual produsse 
effetto sì violento in sì enorme animale. Jo 
già mi figurava ferito il cervello, quando: con 
mio stupore m° accorsi che la. palla non avea 
tocca, se non che la. punta del corno ante- 
riore, portandone via un pollice all’ incirca. 
Da. ciò era provenuta una tal commozione @ 


Gabi.:cito Tom. L 13 


- 194 IL RINOCERONTE A DOPPIO. CORNO: 
stordimento, che ‘il lasciò senza sensi. per cun 
minuto; ma il sangue sparso glieli avea tosto. 
fatti. ricuperare ». di i 

- Il sig. Sparmann ci narra, che li aperto. 
un ‘rinoceronte, ritrovò ‘che la lunghezza del. 
suo stomaco era di quattro piedi sovra due di 
diametro, e terminava /in-un tubo o canale, 
il quale era iungo vent’ otto piedi, e largo sei 
pollici: il cuore poi avea diciotio pollici di. 
lunghezza, e le-reni altrettanti. H fegato mi- 
surato a desira e a manca avéa tre piedi e 
mezzo di diametro, ed era grosso circa trenta 
pollici, come quando è sospeso nel corpo del- 
Fanimale, che. sta in piedi. La cavità del cranio; 
che conteneva il cervello, era molto piccola, 
mè presentava che sei pollici di lunghezza sovra 
quattro. di profondità. 

Gli Ottentoti attribuiscono molte virtù me- 
dicinali al sangue disseccato de’ rinoceronti, ed 
alcuni di essi mostransi  ghiottissimi della sua 
carne; quantunque dura e fibrosa. 


L’IPPOPOTAMO. 


Quest’ animale, quand'è sul crescere, è di 
una mole uguale a quella del-rinoceronte, cvi 
talvolta, per altro, eccede. Lungo circa undi.i 
piedi ne ha nove di circonferenza. La sua 
forma è grossolana e massiccia; le sue gambe 


L'IPPOPOTAMO. 190 
corte e carnose, la testa quadrata, la bocca 
larga, gli orecchii e gli occhi piccioli, la coda 
lunga un piede, e lievemente. crinita: Il:corpo 
intero dell'animale è coperto di un pelo ru- 
“ido e breve di color bruno. La sua pelle 
poi, che molto rassomiglia a quella del ma- 
jale , ba in alcuni luoghi due pollici di gros- 
sezza; e il solo suo: peso basta al carico di 
un camelo. © 

Colle qualità, che abbiam dette, già è fa- 
cile imaginarsi ch esso non può correre molto 
rapido in sulla terra, ove si mosra d’ un’ e- 
strema timidezza. Quando è inseguito si getta 
all’ acqua, scende al'fondo, ed ivi cammina 
agevolissimamente; se non che non può ri- 
manervi a lungo, senza tornare alla superficie. 
Di giorno ha tanta paura d'essere discoperto, 
che quando vuole respirar l'aria, appena è 
possibile accorgersi. in qual luogo s' arrischii 
ad alzar le narici fuori dell’onde. 

Quand’ è ferito solleva con violenza le ca- 
noe e le barche, rompe co' denti fe loro 
sponde, e le fa sommergere. Si scava delle 
buche molto addentro ne fiumi, che non hanno 
bastante profondità per nascoridere la sua massà 
sterminata. Quando. abbandona l acque esce 
ordinariamente con metà del suo corpo , € 
ventila intorno a sè; ma talvolta -si slancia dal 
mare con grande impetuosità. 


196 L’IPPOPOTAMO. 

Gli Egizi hanno un singolar. mezzo di li- 
berarsi da questo. animal distruttore. Spargono 
una gran quantità di. piselli secchi ne’ luoghi 
ch’ esso. frequenia: onde venuto. a. terra. ne 
fa suo. pasto avidamente sino a provarne una 
sete vorace. Corre allora. ad. estinguerla, e beve 
acqua in sì gran copia, che i piselli gonfian- 
dosi nel suo ventre lo fan perire. 

L’ippopotamo , dice il dottor Sparmann, 
non ha il passo così rapido come la più parte 
de’ quadrupedi,. ma nemmeno così. pesante e 
lento, come asserisce il sig. di Buffon. Gli 
Ottentoti., infatti, riguardano come pericolo- 
sissimo il suo incontro ;. specialmente. fior 
d'acqua: essendo recenti gii esempi di loro 
compatrioti, che inseguiti da siffatto animele, 
a gran pena poterono. scamparne. 

I Cafri dell Africa meridionale prendono 
talvolta. questo quadrupede. entro fosse: che 
scavano. in mezzo a’ sentieri. pei quali esso 
passa;; ma l andar suo, «quando nulla lo agi- 
ta, è generalmente sì nei e tanta. è la sua 
cautela. che spessissimo gli avviene di scoprir 
l aguato e di evitarlo. Il più sicuro. mezzo 
di coglierlo è quello di spiarlo alla. sera dietro 
un rovo presso. alcun luogo, cui. abbia in co- 
stume di frequentare, e quando passa ferirlò 
al garreito ;. il che lo fa tosto cadere e gli 
de impossibile lo sfuggire a numerosi cac- 
ciatori che lo assalgono. - 


L'IPPOPOTAMO. 197 

Una persona degna di fede, la qual ‘dimora 
al Capo di Buona Speranza, narrò al profes- 
sore Thunberg, come un giorno essendo alla 
caccia vide cogli altri della ‘compagnia un’ ip- 
popoiama , che uscì d'un fiume, ed andò a 
sgravarsi a picciola distanza dalla riva. Tutti 
allora sì rimpiattarono fra de rovaj, fino a che 
fa madre e il nuovo parto venissero a com- 
parire : e allora lanciati contro di quella più 
colpi , l' uccisero. Gli Ottentoti, i quali s' i- 
maginarono , dopo di ciò, di poter prendere 
vivo il picciolo ippopotamo usciron tosto dalla 
loro imboscata; ma l'animale, sebbene appena 
vedesse il giorno, fuggì loro correndo in tutta 
fretta alla riviera, ove si attuflò e scomparve. 
Questa circostanza, come osserva il dotto pro- 
fessore, è una prova singolare dell’ isiinto di 
simili animali; poichè quello di cui si parla 
sì riparò, senza esitare, al fiume, come a luogo 
di sicurezza, quantunque nessuna istruzione 
avesse ancor ricevuta da quella ‘che le diede 
la vita. 

La carne dell’ ippopotamo è cibo eccellente 
per gli Ottentoti, che la mangiano e a lesso 
ed arrostita. Il sig. Levaillant parla della sua 
parie gelatinosa, come di cosa squisita. La 
sua lingua poi, quando è disseccata, si con- 
sidera al Capo, come boccon raro e pre- 
libato. 


198 L'IPPOPOTAMO.. 

La pelle sua, tagliata a liste, serve a fare 
degli scudiscj, al qual uso è, per la. sua fles- 
Sh , molto. più stimata che quella det ri. 


noceronte. Le sue zanne, come quelle che 
serbano sempre l'originaria purezza, sono vie 


più pregiate chie I avorio. 

Sembra che P ippopotamo sia capace di qual- 
che adlomesticamenio , e Belon assicura di 
averne veduto uno così trattabile, che dalla 


scuderia, ove tenevasi, si lasciava condurre 
ove piaceva al suo custode , senza far male 


ad alcuno. |. 
. Gli ippopotami abitano i fiumi d'Africa, dal 


Berg sino al Niger, più miglia al nord del 


Capo di Buona "Speranza. Essi abbondavano 


altra volta nelle riviere più vicine al. Capo 
medesimo, ma poi vi furono quasi interamente 
distrutti. 


IL TAPIRO: 


Sembra essere | ippopotamo del Nuovo Mon- 


do; e spesso infatti fu preso per quell’ amfibio. 


È presso a poco della dimensione d'una pic- 


ciola giovenca, ed ha il corpo della forma di 
quello d’ un majale. La sua pelle è .d' un co- 
lore brunastro; e il suo naso lungo ed affilato 


si estende molto al di là della mascella infe-. 


riore, e forma una specie di tromba, cui può 


IL TAPIRO. 199 
raccorciare e ‘allungare a suo grado. Ha le 
orecchie piccole e strette, le gambe corte e 
grasse, e la coda esilissima. 

LI gii fi LI 
‘ Mansueta è l'indole sua, e così grande la 
timidezza, che fugge ad ogni aspetto di peri- 
. . . 2 » 
glio. Animal solitario dorme nel giorno, e va 
a cercar nella notie il suo nutrimento , che 
e 3 >) È » . . DI ° E) 
si compone d erbaggi di differenti specie, di 
canne di zuccaro e di frutta. Mai non è ve- 
duto allontanarsi dai fiumi e dai laghi; e 
quando è minacciato o inseguito si getta al- 
l’acqua, vi s' immerge e .vi nuota con eguale 
facilità che l ippopotamo. Si trova esso prin- 
cipalmente ne’ boschi e ne’ fimmi sulle coste 
orientali dell’ America. meridionale dall’ istmo 
di Darien sino al fiume delle Amazoni. I sel- 
vaggi fanno scudi colla sua pelle, ch'è sì alta 
e dura, che quando è disseccata, i dardi e le 
frecce non possono penetrarla. 


CAPITOLO V. 


La forma e gli atti ha d’ uom, gli usi e l’aspetto, 
Ispida cute e Orang-Outangh è detto, 


Ritto su’ piè, quando la notte imbruna, 
Esce dagli antri, in cui solingo alloggia, 
Erra pe’ boschi ove più l aria è bruna, 
Ed armasi del tronco a cui s’ appoggia, 
Sfida chi incontra arditamente, e Ponge 
Chiamalo il negro abitator del Congo. 


Castr 


L'ORANGOTANO. 


È fra le seimie 1’ animale più grosso, e 
avuto riguardo alla sua esierna apparenza, che 
molto somiglia l umana forma, gli fu talvolta 
dato nome d uom selvatico, o d’ uom de’ bo- 
schi. Ha però il naso più schiacciato; la fronte 
più obliqua, e il mento meno elevato alla sua 
base, che quello dell’ uomo. I suoi occhi, inoltre, 
sono più vicini l'uno all’ aliro che nol siano 
nell’ uomo, e la distanza fra il suo naso e Ja 
sua bocca è infinitamente più grande. Così 
nella sua interna conformazione si discoprono 
differenze essenziali, che malgrado ogni esteriore 


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L'ORANGOTANO. 201 

“somiglianza dimostrano qual: immenso inter- 
vallo separi luna specie dall’ altra. Che se 
mè la figura, nè gli organi, nè 1 moti imta- 
tivi, che sembrano risuitarne, di nulla più il 
ravvicinano alla natura dell'uomo; di nulla pa 
rimenti il sollevano sopra quelle del bruto. 

Gli orangotani, che fino ad ora si sono os- 
servati in Europa, di rado eccedevano l' altez- 
za di tre piedi. 1 più grandi, che diconsi es- 
sere di sei, sono vivacissimi e di tal forza che 
sorpassa quella dell'uomo più muscoloso. Ve- 
locissimi al corso, non si giugne a sorprenderli 
che con estrema difficoltà. Il loro pelo è d'un 
bruno fosco, i loro piedi son rudi, e le loro 
‘orecchie, come i loro diti, molto si conformano 
a quelli della specie umana. 

Abitano essi i boschi dell'interno dell’ Africa, 
‘e dell isola di Borneo, si nutron di frutta,-e 
quando si avvicinano al mare mangian del pesce 
e de’ granchi. Andrca Battel, Viaggiator porto- 
ghese, il quale dimorò ad Angola presso a 
diciotto anni, assicura che l’orangotano « è in 
tutte le sue proporzioni simile all'uomo, ec- 
cetto ch'è più grande, grande dic’ egli come 
un gigante, ha faccia umana, liscia e senza 
peo, occhi incavati, lunghi capelli, che gli 
scendono giù pei due lati della testa, orecchie 
e mani ignude, e corpo leggiermente velloso. 
Dice che non differisce dall'uomo nell’ esterno 


202 È ORANGOTANO. 
che per le gambe, poichè non ha che poco 6 
nulla di polpe, e non pertanto cammina seme 
pre diritto sui due piedi; che dorme sugli al- 
beri, e si costruisce una capanna, un rico= 
vero contro il sole e la pioggia; ch' ei vive di 
frutta e non mangia. carni ; ch ei. non può 
parlare sebbene abbia più intendimento che 
gli altri animali; che, quando i negri fan fuoco 
ne boschi, viene a sedervi e riscaldarsi, ma 
non saprebbe mantenerlo aggiungendovi legne; 
ch' esso va-di compagnia con altri animali della 
sua specie, uccide così i negri ne’ luoghi ap- 
partati, e si azzuffa perfino coll’ elefante, cui 
discaccia a colpi di bastone da’ boschi ove l’in- 
contra, e che finalmente non può mai essere 
preso vivo, poi ch è si forte, che dieci uo» 
mini non basterebbero a domarlo. » 

Jobson ne dice, che sulle rive del. Gambe 
in Africa gli orangotani si raccolgono talvolta 
in truppe di tre 0 quattro mila, divise in varie 
schiere, avendo il più grande fra loro per ca- 
pitano, e in simili circostanze si mostrano au- 
dacissimi e perfidissimi. Quand’ egli passava 
dinanzi a loro col suo equipaggio, essi arram- 
picavansi agli alberi, e si mettevano a guar- 
darlo, oppure talvolta scuotevano gli alberi 
medesimi con grandissima violenza, e digri- 
gnavano i denti. Alla sera, quando il naviglio 
era all’ancora, essi venivano a collocarsi sovra 


L ORANGOTANO. 203 

le rupi o le alture; che dominavano il mare, 
ese la sua gente scendeva a terra, coloro le 
si facevano. calo con strani ceffi; ma sem- 
pre fuggivano precipitosi, qualora fossero at- 
taccati. Uno di essi venne un giorno ucciso 
da un colpo di fucile tiratogli da una canoa; 
ma prima che questa fosse legata, già i com- 
pagni lo aveano trasportato. St Airovarono nei 
boschi le loro abitazioni, che. si. componeane. 
di piante e. di:rami d'alberi. sì Lei ini: ecciati:. 
che offerivano un asilo comodissimo. Gli oran- 
otani mostrano poco di quella vivezza, anzi 
follia, che distingue particolarmente le seimmie.. 
Le loro azioni invece hanno tutte non so qual 
calma, e sembrano accompagnate dalia  rifles- 
sione. Nemici naturali dell’ elefante, se  giun> 
gono a discoprirlo, l assalgono e È uccidono. 
Adoprano contra di esso i basioni, ed a respin» 
gerlo bastan loro anche i soli pugni. Talvolta 
furon anche veduii lanciar pietre a persone 
che gl’ insultavano. 

: Bosman ci narra, come dietro il forte in- 
glese di Wimba, sulla costa della Guinea, pa. 
recchi di questi animali piombarono sopra gli 
schiavi della compagnia dell Indie, e ne trione 
farono. E già erano sul punto di cavar loro 
gli occhi con de’ bastoni acuminati, quando 
avventuratamente una Luuppa di negri giunse 
in tempo . «di soccorrere: i vinti. Si sono. pur 


204 L'ORANGOTANG: 
veduti degli orangotani rapir le donne de’ negri, 
e strascinarle ne’ boschi. Un fanciullo, anch’ esso 
negro, condetto via da uno di quegli animali 
visse fra loro per più di un ‘anno; e al ritorno 
me descrisse alcuni, i quali erano grandi e 
grossi come un uomo, nè gli aveano fatto verun 
male. I teneri orangotani prendono il latte dalle 
loro madri, tenendosi sospesi alle loro mammelle, 
e stringendosi colle mani al loro corpo. Se 
una di tali femmine è uccisa, i lor piccioletti 
si lascian prendere, senza fare ‘alcuna resi- 
stenza. 

I costumi di simili animali, qualora si alle- 
vino domesticamente, son docili e pacifici, e 
nulla hanno di quella ferocia, che tanto di- 
sgusta ne grossi babbuini e scimiotti. Anzi è 
piuttosto rimarchevole la loro docilità , e Ja 
piacevolezza di moltissimi lero ‘atti. 

Il dottor Tison, il qual « ha data una 
molto minuta descrizione d’ un giovane oran- 
gotano, che faceasi vedere a Londra cent’ anni 
fa, ne assicura che parea dimostrare molta sa- 
gacia, e che l'indole ‘sua era mansuetissima. 
Abbracciava esso con gran tenerezza le per- 
«sone che avea cenosciute a bordo del vascello, 
su-cui era venute. Ivi, sebben fossero molte 
scimmie, sempre ricusò la loro società, evitando 
il loro avvicinarsi, c dando loro. segni di gran 
disprezzo. Sembrava compiacersi nelle vesti di 


L'ORANGOTANO: 20 
cui l avevano. abbigliato, e talvolta ne indos- 
sava. parte da sè solo, e: parte ne presentava. 
alla. gente dell’ equipaggio, perchè l' ajutasse a. 
metterle. Fi si sdrajava in un letto; posava la: 
sua testa sopra -un. origliere , e traeva sopra. 
di sè la coperta, onde tenersi caldo come avreb- 
be- fatto»: un. uomo. 

Il sig. Vosmaér ci ha daia la relazione se- 
guente dell’ orangotano condotto in Olanda. 
nell’anno 1776. .« Era una femmina. Man-. 
giando non facea quelle tasche laterali alla. 
gargozza, che sagliono l'altre specie di scimmie. 
Era d’ un sì buon naturale, che mai in essa. 
non si vide segno di malignità: o. di rancore , 
e si potea, senza tema, porle la mano in bocca. 
La sua aria però avea non so che di iriste.... 
Amava la: compagnia; senza distinzione di sesso,. 
dando: soltanto la preferenza. alle persone, che 
aveano cura giornaliera di essa, e le facean del: 
bene. A queste mostrava singolare affetto, e. 
spesso, quando se ne andavano, essa, trovan-- 
dosi alla catena, si gettava per terra come di- 
sperata, mandando gridi lamentevoli, e. lace- 
rando, poi ch'era sola, qranti paunilimi: potearn 
venirle fra mani. H suo custode avendo talvolta 
‘in costume sederle vicino per terra, essa pren-. 
deva del fieno del suo covaccio, il distendeva 
da un lato, e parea con queste dimostrazioni 
invitarlo a prender posto al suo fianco. 


‘206 L'ORANGOTANO: 

« Il suo modo ordinario di camminare era 
a quattro gambe, come. quello dell’altre scimmie; 
poteva però andar diritta. sulle due posteriori, 
e sovr ‘esse’ infaiti, munita di un bastone, si 
reggea lungo tempo. Non posava però mai i 
piedi distesamente, alla maniera dell’uomo, 
ma sempre li tenea un po’ ricurvi, colle dita 
al di dentro ripiegate; ciò che dinotava V' abi- 
uadine di arrampicarsi agli alberi .:.. Una mat- 
tina la trovammo scatenata, che correva con. 
maravigliosa agilità le travi oblique, e i pan- 
concelli del tetto, e si ebbe della pena a ri- 
pigliarla ..., Straordinaria ci parve la forza dei 
suci muscoli; e. gran fatica ci volle a tenerla 
distesa sul dorso. Due uomini vigorosi appena 
bastarono a stringerle i piedi. ‘un terzo a fe» 
nerle la testa, e il quarto a ripassarlé il col 
lare e chiuderlo meglio. Nel tempo che si trovò 
libera, la' bestia: avea, fra l'altre cose, tratto il 
turacciolo d'una bottiglia che contenea un resto 
di yin. di Malaga, cui bevve sino. all’ ultima 
goccia, rimettendo poi il vetro a suo posto. 

«. Mangiava quasi: tutto quello, che le si 
presentava; ma il suo nutrimento ordinario eran 
pane, radiche, e in particolare: carote gialle, 
ogni sorta di frutti, e. fragole in ispecie. Parea 
singolarmente ghiotta delle piante aromatiche, 
come cel prezzemolo e della sua radice. Assa- 
porava aitresì le carni lessate o arrostite ed il 


L'ORANGOTANO. 207 
pesce. Mai non si vedea dar. la caccia agli in- 
setti, di cui | altre scimmie sono sì avide.. 

Le pres sentai un passero vivo, cui essa alici 
e rigeltò quasi nel medesimo tempo. Quando 
era dia. Y ho veduta mangiare un po’ 
di carne cruda, ma senza il minimo appetito. 
Le porsi un dì un ovo, parimenti crudo, 
ch’ essa aprì co’ denti e succiò tutto intero col 
più gran gusto .... L' arrosio e il pesce erano 
i suoi alimenti prediletti. Le si era insegnato 
a mangiare col cucchiajo e. colla. forchetta. 
Quando. le si davan fragole sopra di un tondo, 
era un piacere il veder come le infilzava una 
ad una, e quindi le portava colla. forchetta 
alla bocca, mentre coll’ altra mano teneva il 
piattello. , La sua bevanda ordinaria era Y acqua, 
ma gusiava moltissimo ogni sorta di vimi, spe- 
cialmenie il malaga. Si porgeva ad essa una 
bottiglia ? Ne cavava il turacciolo, e poscia 
beveva colla maggior grazia del mondo..E quello 
che faceva del vino, facea pur della. birra: 

asciugandosi poscia le labbra, come fosse. un 
uomo. Dopo aver pasteggiato, se le si dava 

uno stuzzicadenii, se ne serviva al par di noi. 
Tracvasi con somma destrezza e pane ed altre 
cose. dalle saccoccie. E. fui assicurato che, 
qua: do essa a bordo del naviglio correa libe- 
ramente fra Î equip aggio, si divertiva co' ma- 
rinai, e andava com'essi a ‘cercare la sua por- 
zione alla cueina. 


208 L'ORANGOTANO. 

« Avvicinandosi la rotte, andava a. ripo- 
sare .... Non dormiva volentieri nella. sua gab»- 
bia, per paura, credo, ‘d’ esservi rinchiusa.. 
Quando volea coricarsi , ‘acconciava: il. fieno: 
del suo letto, lo scuoteva bene, aggiungevane: 
all’ alto per formare il suo capezzale, s1 met-. 
teva il più delle volte sopra di un. fianco, e 
si copriva ben bene con una. coltre, essendo 
molto freddolosa:.... Di tempo in tenpo noi 
l'abbiamo veduta far cosa, che moltissimo ci; 
sorprese la prima volta, che ne fummo testi- 
monii. Avendo preparato il suo covacciolo all’or- 
dinario; prese un pezzo di biancheria, che sì 
trovò appresso, lo. distese molio bene sul. pa- 
vimento, vi mise deutro- del fieno, e levandolo. 
dai quattro angoli portò il suo fagoito con 
molta destrezza al letto, onde le servisse di 
origliere, traendosi poi la coperta sovra il 
corpo .... Una volta vedendomi aprire colla 
chiave, e chiuder dii nuovo la sua. catena, 
prese un pezzettino: di legno, il cacciò nel foro 
della serratura,. e il. volse e. rivolse in tutti. i. 
modi, guardando se apriva, come io 
fatto. 
‘. « Al suo arrivo, la bestia. non. aveva. pelo, 
altro che un po'di nero sulla posterior parte 
del corpo , sulle braccia, le: cosce , le gambe; 
Ma all avvicinar dell'inverno si coprì dovun- 
que di ur lana di color castagno. chiaro , le 


doi - (A 4 
gia. avea 


L'ORANGOTANO.. 209 
eui più lunghe setole avean benissimo tre 
pollici ». 

Visse in Olanda circa. sei mesi, e dopo 
morte fu collocata nel museo del. principe 
d' Orange. . 

Ii sig. di Buffon avea un orangotano , che 
sempre camminava sui due pied:, anche por-. 
tando gran pesi: « L'aria sua, dic egli, era 
assai triste, l'andamento grave, i movimenti 
misurati, l'indole dolce e differentissima da 
quella dell’ altre scimie. Non avea nè Y impa- 
zienza del bertuccione, nè la malignità del 
babbuino, nè la stravaganza delle monne. Era 
stato, si dirà, ben educato e ammaestrato. 
Ma gli altri animali, con cui lo paragono, 
aveano pur ‘avuta l’ istruzione medesima. Or 
mentre opel nostro. orangotano bastava. qualche: 
segno o parola per farlo operare; pel bab- 
buino bisognava il bastone, e la verga per 
tutti gli altri che non obbedivano se non alla 
forza delle percosse. Ho veduto quest’ animale 
presentar la mano per ricondurre le. persone 
che venivano a visitarlo ; passeggiar grave- 
mente. con esse e come di compagnia; sedersi 
a. tavola , spiegare il suo mantile, asciugarsi 
con questo. le labbra, usare del suo pupelicio 
e delia. sua forchetta, onde prender cibo, ver- 
sare ei medesimo la sua bevanda entro il bic- 
chiere ,, toccarlo contro quello d'altri, se vi 

Gabinetto Tom. I. TÀ 


: 9 
210 L ORANGOTANO. 


era invitato, andar a prendere una tazza € 
una sottocoppa , recarla in tavola, mettervi 
dello zucchero, versarvi del tè, lasciarlo raf- 
freddare per beverlo,, e tutto ciò senz’ altro 
eccitamento che di qualche segnale o voce del 
padrone , e talvolta da sè stesso. Non facea 
male ad alcuno, si avvicinava con riguardo , 
e presentavasi , come per domandar carezze. 
Appetiva fuor di modo le paste dolci, e tutti 
gliene davano; ma come era toceo nel pol 
mone, onde avea tosse frequente, tanta quan- 
già di cose inzuccherate contribuì, senza dub- 
bio, ad abbreviargli i giorni. Non visse a Pa- 
rigi che un estate, € morì a Londra l'inverno 
seguente ». 
Un orangotano fu pur veduto nell’ arcipe- 
lago delle Moluche, il qual era di costumi si- 
milissimi a quello or ora descritto. Cammi- 
nava su due piedi, e si serviva delle mani e 
delle braccia come un uomo. Le sue azioni , 
in generale, si accostavano talmente a quelle 
dell'umana specie; i suoi movimenti erano sì 
vivi e aveano tania espressione , che una per- 
sona muta difficilmente avrebbe saputo farsi 
meglio intendere. Batteva il suolo co’ piedi, 
onde manifestar la sua collera, e talvolta pian- 
geva come un fanciullo. Gli si era insegnato 
a danzare; e in tutto quel tempo, che fu a 
bordo del vascello, trastullavasi esso in arram- 


L ORANGOTANO. 211 
picarsi per mezzo agli arredi, prendeva ogni 
sorta di positure grottesche, onde divertire la 
compagnia; e saltava con sorprendente agilità 
d'una corda all’ altra, sebbene alla distanza di 
quindici in venti piedi, 

Ii sig. Hamilton, mentr era a Java, vide 
un orangotano, ch ei ci descrive d’ indole 
seria e melanconica. Dice ch’esso accendeva il 
fuoco ; e vi soffiava entro colla sua bocca, e 
avea pure l' abilità di far cuocere alla grati» 
cola un pesce per mangiarlo col suo riso bol- 
lito, ad esempio delle persone, ch’ erano seco. 

Francesco Pyrard riferisce in un suo Viaggio 

che trovasi nella provincia di Sierra-Lcona 
una specie d’ animali appellati daris, i quali 
sono grossi e membruti, ma di tale industria, 
che se vengono allevati dalla prima gioventù 
servono come uomini. Camminan essi d' ordi- 
nario sui due piedi di dieiro solamente ; pe- 
stano entro i morta) ciò che si vuole; vanno 
ad attinger acqua al fiume entro piccioli vasi, 
che portan pieni sul capo; e lasciandoli tal- 
volia cadere, e vedendoli rotti , si mettono a 
gridare ed a piangere ». 

Barbot asserisce altresì che sulla costa della 
Guinea si tragga dagli orangotani quel servigio 
che si trarrebbe da’ garzoni di cucina, inse- 
gnando loro a menar l'arrosto, il che fanno 
con desirezza incredibile. 


do L'ORANGOTANO: 

Il sig. Delabrosse , il quale avea comperati 
da un, negro due di questi animali dell’ età 
soltanto: di un anno, non dice se il venditore 
gli avesse educati; e quasi dalle sue parole si 
conchiuderebbe che facessero da sé stessi molte 
delle cose: da noi sopra accennate. 

« Hanno essi l'istinto, egli dice, di sedere 
a tavola come gli uomini; mangian di tutto 
senza distinzione; adopran coltello, eucchiajo 
e forchetta onde tagliare e mettersi in bocca 
ciò che si. da. loro sul tondo ; e. bevon vino 
ed: altri liquori. Portati a bordo avveniva, che 
stando essi a mensa., e abbisognando. di qual- 
che cosa. cercavano di farsi intendere da’ mozzi. 
del vascello ; e se talvolta. questi ragazzi nie- 
gavano loro ciò. che chiedevano , andavan in 
collera., li pigliavano per le braccia, li. mor- 
devano, ed anche geitavanli a. terra. e. li. cal- 
pestavano .... Il maschio fu ammalato in rada, 
«e si. faceva curare non altrimenti che: uomo. 
Fu anzi salassato due volte al braccio destro; 
ed: ogni volta poi che sentivasi di mala voglia, 
mostrava. il. braccio medesimo., perchè gli si 
tiraesse sangue, come fosse ben persuaso che 
ciò gli gioverebbe ». 

Due. crangotani furono. inviati. dalle. fore- 
ste del regno di Carnate. sopra un vascello 
costiere, che ora. appartiene al governatore 


di Bombay. Aveano essi appena due piedi di 


L'ORANGOTANO. 9:13 

altezza, ma camminavan diritti, e molto assomi= 
liavano e negli ‘atti e nelle forme ‘alla specie 
umana. Alla loro tristezza ben si accorgeva, 
quanto gli affligesse la perdita ‘della loro libertà. 
Durante il viaggio la femmina cadde ammalata 
e morì; il maschio, dopo tutte le dimostrazioni 
possibili del dolor che provava, ricusò ostina- 
tamente di mangiare, e in capo ad alcuni giorni 
cessò pur esso di vivere. 

< Ho veduto ‘a Java, dice Legnat, una sci- 
mia vidella specie degli orangotani, come  rac- 
cogliesi dalle parole seguenti ) molto straordi- 
naria. Era una femmina, alta ‘alta, e cammi- 
nava spesso molto diritta sulle gambe di dietro; 
avea il volto, senz’ altro pelo che quello dei 
sopracigli, e rassomigliava grandemente a quel- 
le faccie grottesche delle femmine ottentote , 
ch io incontrai al Capo. Faceva ogni giorno 
con assai proprietà il suo ieîto, vi si coricava 
colla testa sull’ origliere, e si traeva sopra il 
corpo una coperta .... Quando avea male alla 
testa, se la stringeva in un fazzoletto, ed era 
uno spasso il vederla così incuffiottata nel letto. 
Potrei raccontare parecchie altre picciole cose, 
le quali sembravano molto singolari, ma con- 
fesso ch'io non poteva averne tanta ammira- 
zione come la moltitudine, perchè non igno- 
rando il disegno formato di portar quest’ani- 
male in Europa, onde mostrarlo alla gente , 


214 L ORANGOTANO. i 
era inclinatissimo a supporre, che fosse pre- 
parazione dell arte quello che dalla più parte 
si credeva natura. Il mio supposto, però, non 
avea fondamento. L’ animale morì all’ altezza 
slel Capo di Buona Speranza in un vascello, 
sul quale io mi ritrovava. » 

Gemello Carreri dice aver medita un oran- 
gotano, il quale mandava lamenti come un 
bambino, camminava sut piedi posteriori, por- 
tando una stuoja sotto il braccio, per cori- 
carvisi al dissopra e dormire. Le scimie della 
sua specie, egli aggiugne , sembrano, a certi 
riguardi, avere più intendimento che l’ uomo, 
poichè quando non trovano più frutti sulle 
montagne, vanno in riva al mare, ove pigliano 
granchi, ostriche ed altre’ simili cose. Fra le. 
ostriche avvene una del peso di più libbre, la 
qual si chiama taclovo, e che soventi sta col 
guscio aperto. Ora le brave scimie, temendo 
che non si chiuda, e serri loro la zampa, 
quando ve la mettono deniro, per trarne l’o- 
strica e mangiarla, Vi cacciano prima un sasso, 
ed indi fanno con sicurezza il loro pasto. » 


215 
IL BERTUCCIONE. 

Quest animale è più sgarbato, più vizioso 
e più dificile ad addomesticare che tutte l'al- 
tre scimie. La sua testa è larga; la faccia sua 
rassomiglia assai più a quella del cane che a 
quella dell’uomo; e il suo corpo è coperto 
di un pelo bruno, che per altro inclina al 
falvo. Quando si tiene sulle sue gambe po- 
steriori ha, circa, tre piedi d'altezza; e quando 
sta assiso è come portato da due proeminenti 
callosità. Le sue gote son fornite di tasche, 
cui esso riempie di cibo, prima che cominci 
a mangiare. Preferisce il camminar sulle quat- 
iro sue gambe all andare diritto. I suoi co- 
stumi sono rozzissimi; e irritato digrigna 1 
denti, ed ha non so che di siranamente di- 
spiacevole. 

I quadrupedi della sua specie sono, in ge- 
nerale, perfidissimi. Si raccolgono in torme 
numerose nelle immense pianure dell Indo, e 
se veggono donne, che vanno al mercato, le 
assalsono, e loro tolgono le provisioni. Ta- 
vernier , parlando di essi, dice che certi In- 
diani hanno una curiosa maniera di prender- 
sene spasso. Perocchè collocano cinque o sei 
corbe di riso, alla distanza di quaranta o cin- 
quanta tese le une dalle altre, in un terreno 
scoperto , non lungi dal lor covile, e a lato 


416 IE BERPUCCIONE. 

di ciascuna corba alcuni grossi bastoni, volgare 
mente detti batacchi o frugoni. Si mettono 
in seguito poco discosto in imboscata, per ve- 
dere ciò che avverrà. I bertuccioni non iscor- 
sendo aleuno presso le corbe, scendono in 
folla ad esaminarle ; si fanno reciprocamente 
bruttissimi ceffi; s imoltrano e s.arretrano per 
intervalli, come se avessero qualche cosa a 
temere. Alfine le femmine, che sono molto più 
coraggiose che i maschi, quelle principalmente 
che hanno de’ piccioletti, si arrischian le prime 
ad approssimarsi a quelle corbe; e nell'istante 
che si dispongono a cacciarvi le loro teste per 
mangiare, i maschi di un partito si avanzano 
per impedirnele, mentre quelli di un altro 
anch essi inoliransi per opposto motivo. Allora 
la guerra si accende; i combattenti s impa- 
droniscono dei bastoni, e ne nascono fieri 
scontri, onde i più deboli son ricacciati al 
bosco colla testa o aliro membro imal concio, 
e i vincitori poscia si divorano il prezzo del 
loro trionfo. 

Il medesimo scrittore riferisce che in un viag- 
gio, ch ei fece, nell Indie orientali col presidente 
della Compagnia Inglese, osservò sugli alberi 
intorno a sè un gran numero di biontlcalensi, 
Il presidente. come stupelatto volle arrestare 
la sua vettura, e pregò Tavernier a sparare 
contro alcuno di essi. Gli uomini del suo 


TL BERTUCCIONE. 317 
seguito, ch'erano in gran parte nativi del pae- 
se, e conoscevano benissimo 1 costumi di quegli 
animali, lo pregarono di non arrischiare nes-. 
sun colino, per tema che i non feriti irrom- 
pessero contro di lui, onde vendicare i com- 
pagni. Cedendo però alle istanze del direttore 
uccise una femina, la qual cadde di ramo in 
ramo da una pianta co’suoi. piccioletti sospesi 
al collo. Nell istante medesimo gli altri ber- 
tuccioni, il cul numero giugneva a più di ses- 
santa, si precipitarono dagli alberi, si arram- 
picarono al calesse del presidente, e l'avreb- 
bero senza fallo strangolato, s' ei non avesse 
testo chiuso le cortine, e le persone, che lo 
scortavano, non fossero state tante da forzarli 
ad allontanarsi; il che però ebbe gran difli- 
coltà. Per tre miglia infatti vennero esse da 
quegli animali inseguite e molestate ostinatis- 
simamenie. 

« Noi abbiamo nudrito, scrive il sig. di 
Buffon, un bertuccione per più anni di se- 
guito. In estate si compiaceva dell’aria aperta, 
e d'inverno si poteva tenerlo in una camera 
senza fuoco. Sebben non fosse delicato era 
sempre triste, e faceva egualmente le morfie 
per indicar la sua collera, e mostrare il suo 
appetito. 1 suoi moti erano violenti, le sue 
maniere assai ruvide, e la sua fisonomia an- 
cor più orrida «che ridicola. Amava coricarsi , 


218 IL BERTUCCIONE. 
per dormire , sopra di un canterano. Veniva 
quasi sempre tenuto alla catena, poichè , mal. 
grado la sua lunga. domesticità, mai non si 
era nè incivilito, nè affezionato ai suoi pa- 
droni ». i 

Gli animali di questa specie si trovano, per 
la più parte, nelle contrade dell’ Africa, dalla 
Barberia fino al Gapo di Buona Speranza. 


IL PITECO. 


Cammina ordinariamente sui pie di dietro; 
è assai più picciolo che il bertuccione; ha la 
faccia molto schiacciata, e l'orecchie somiglian- 
tissime a quelle dell’ uomo. I colori ordinarii 
del suo pelo sono l ulivo bruno sul. dorso 
e sui fianchi, e il giallo sotto il ventre. Vive 
esso nei boschi e si nutre principalmente di 
frutta e d' insetti. 

Generalmente gli animali della sua specie. 
sono di natura assai dolce e facilissima ad ad- 
domesticarsi. Bevon nel cavo della. mano, imi- 
tano il ridere e il corrugar de’ sopracigli. del 
loro padrone, e, secondo Linneo, il modo di 
salutare usato dai Cafri. Hanno della memoria, 
e ricordano talvolia per più anni la persona 
che li benefica. Nelio stato di domesticità seno 
allegri e scherzevolissimi; ma presi vecchi nel 


IL PITECO. 219 
loro stato selvaggio mordono fieramente per 
difendersi. 

« Vanno in truppe, dice Marmol, a ru- 
bare ne’ giardini o ne campi. Prima però di 
uscire da’ lor nascondigli, uno sale sopra qual- 
che eminenza, onde scoprire i luoghi tutto 
all'intorno, e se non vede comparire alcuna 
persona con un grido ne dà segno agli altri, 
i quali fanno la loro sortita, e fin che son 
fuori, esso non si toglie di là. Ma standosi 
alla vedetta sì tosto che scorge venire alcun 
uomo stride fortissimamente, e :utti saltando 
d albero in albero si salvano nelle montagne. 
È cosa mirabile il vederli fuggire , poichè le 
femine portano sul ioro desse” n o cinque 
piccioletti, nè perciò fanno di ramo in ramo 
salti meno grandi. Quantunque siano animali 
astutissimi, se ne prendono molti con diverse 
invenzioni. Allorchè divengon feroci mordono; 
ma per poco che si carezzino, s' addimestican 
facilmente. Gran guasto recano a frutti ed alle 
biade , poichè non badano a verdezza o a 
maturità, ma tutto egualmente colgono e gei- 
iano a terra, ed è più quel che consumano 
di quello che mangino e portin via. Gli addo- 
mesticati fanno cose incredibili, imitando l’uomo 
in tutto ciò che veggono da lui «operarsi ». 

Pretendesi che in Africa abbiano il loro 
soggiorno abituale nelle caverne; e così nelle 


$20 TL PITECO. 
fndie orientali e nell'isola di Ceilan. Gli abi- 
tanti di tali paesi usano una singolar maniera 
di preuderli ; poichè pongono all'ingresso dei 
lor covili vasi di liqueri forti, che gli ineb- 
briano e gli addormentano; onde perdono fa- 
cilmente la loro libertà. 

ll padre Cabausson riferisce un aneddoto 
assai piacevole d’' una scimia, che ‘avea’ resa 
domestica, e che gli si era tanto affezionata , 
che l' accompagnava in tutti i luoghi da lui 
frequentati. Usava egli chiuderla in camera, 
quando andava ai sacri officii Un giorno però 
essa riuscì a fuggire e seguillo nella chiesa. 
Ki salita cheta cheta sul balluechie del pul- 
pito vi si tenne inosservata fin ‘che là predica 
incominciò. Faitasi allora all’ orlo, e postasi a 
considerar il predicatore imitò i suoi gesti 
d una maniera sì comica, che tutto l’uditorio 
si mise a ridere. Cabausson sorpreso di così 
insolita leggerezza , ne fece parole di rimpro- 
vero, le quali niun buono effetto avendo pro- 
dotto, nel trasporto del suo zelo, facile a con- 
cepirsi , raddoppiò i gesti e l agitazione. Ma 
la scimia anch'essa vie più infervorando nella 
sua pantòmina convertì in iscoppi sonori quello 
che prima era strepito moderato e represso, 
Alfine un amico di Cabausson a lui salito gli 
indicò la causa di questa singolarità che tutto 
lo conturbava, e il buon padre ebbe a durar 


iL PITECO., gas 
troppa fatica a tenersi in contegno, ordinande 
al sacristano di condur via la scandalosa imi> 
telrice. 

Nella più parte delle contrade dell’ India , 
le seimie sono oggetto di culto per gli indi- 
geni, ‘che erigon dei tempii. magnifici. Vengon 
esse in gran numero dalle città, ed. entrano 
nelle case liberamente. A Calieut però gli abitanti. 
si studiano di escluderle; ma a tal uopo sono 
obbligati di tener persiane a tutte le finestre 


IL BABBUINO: PROPRIAMENTE DETTO:. 


Ha tre o. quattro piedi d'altezza, e le parti. 
superiori del suo corpo annunciano una gran. 
forza musculare: Quando è rinchiuso nella sua. 
gabbia, ne prende i ferri e gli. scuote con 
‘tanta forza, che atterisce gli spettatori. Come 
tutti gli altri babbuini è assai gracile verso. il 
mezzo del*corpo. Il suo pelo è in generale 
d'un grigio che tira. al bruno. e il suo viso. 
molto lungo. è color di carne. 

In ciascuna guancia ha una. taschetta; la sua 
coda è cortissima; e le sue. natiche sono af. 
fatto ignude e callose. 

Gli animali della. sua. specie: sono tutti. pes 
matura ferocissimi; e il loro esterno è insiem 
grollesco e spaventevole. Camminano a truppa; 


2992 IL BABBUINO PROPRIAMENTE DETTO. 

e, per poco che il loro numero sia grande, 
riescon nemici pericolosissimi. 

In alcune contrade dell’ India vanno ad as- 
salire i villaggi, mentre gli agricoltori sono a 
fare la raccolta del riso, e saccheggiano nelle 
abitazioni di questi tutte le provisioni, che pos- 
sono ritrovarvi. La frutta, le biade, i grap- 
poli d’ uva formano il loro principal ‘nutri- 
mento, ed onde procurarselo cominettono ogni 
violenza. La loro forza tenace, e, le lor grife 
acute li rendono terribili. Gran pena duran 
quindi i cani per vincerli; a meno che l'ec- 
cesso del cibo non li renda pesanti, e non 
faccia perder loro ogni energia. Uno di essi, 
quando sia libero, può facilmente trionfar di 
tre uomini, a meno che non siano muniti 
d'armi per difender sè stessi ed offenderlo. 

Di rado le femine danno in luce più d'un 
babbuinetto , che portano fra le loro braccia. 
Mai non furono vedute generare in paesi fred- 
di, anzi nemmeno nei temperati. 

Nello stato di captività, i babbuìni sono sel- 
vatici e mal intenzionati. Uno di questi ani- 
mali, che faceasi vedere a Londra nel 1779, 
presen'ava agli spettatori il più triste aspetto, 
e cercava afierrar pel braccio tutte le persone, 
‘a cui la sua catena permettevagli di arrivare. 

Ii sig. Pennant vide a Chester un babbuino di 
terribile forza, il qual mostravasi eccessivamente 


IL BATBUINO PROPRIAMENTE DETTO. 225 


i feroce. La voce sua era una specie di ruggito 


{ 


| 
| 


somigliante a quello del leone, ma un poco 
più cupo e meno sonoro. Camminava su suoi 
quattro piedi,. né mai volea tenersi diritto 
sulle gambe di dietro, se non forzatovi dal 
suo guardiano. Sovente però sedeva sulle sue 
coscie , alquanto inclinato in avanti, e colle 


| braccia incrocicechiate sul ventre. Era bellissimo 


animale, e parea quello che il sig.  Smellie avea 
veduto, ad Edimburgo. 

Ai babbuini di questa specie non si può 
fare mangiar carne, se non cotta. Amano essi 
in singolar maniera le ova; e se n'è osservato 
uno mettersene fino ad otto nelle tasche delle 
sue guance , e poi sorbirseli uno ad uno con 
massima gravità Quello esaminato dal sig. 
Pennant sembrava ghiottissimo del formaggio; 
e ogni volta che gli si porgevano spiche di 
frumento, ne traeva destramente i grani l'un 
dopo i altro co’ suoi denti, e li mangiava. 

li dotior Goldsmiih narra d’ aver veduto 
uno di iali babbuini rompere apposta un ser- 
vizio intero di porcellana, senza dar segno di 
sapere menomamenite qual male facesse. Il na- 
tara capriccioso di questi animali li porta so- 
vente a simili atti di malignità. 


SI 


IL BABBUINO CON MUSO DI CANE. 


Quest animale, quando si tien ritto, ha 
cinque piè di- altezza. Il suo capo, € il suo 
deretano molto somigliano a quei del cane. 
Il suo pelo è lia chiciso e folto sino alla 
cintura, ma ia al dissotto.. Ha la fac- 
cia nuda, le orecchie terminate in punta, € 
quasi ascose entro quel tanto pelo. Ii natural 
uo è feroce e intrattabile, e la sua forza sì 
grande, che gli basta ad atterrare un uomo 
senza la minima difficoltà. 

Ne climi più caldi deli’ Africa e dell Asia i 
babbuini della sua specie si raccolgono in 
truppe e devastano i giardini. Sono sì arditi. 
e sì numerosi, che gli abitanti, i quali hanno: 
delle piantagioni di caffè, sono obbligati di tener 
sentinelle per opporsi alle loro depredazioni. 

Quando taluno passa dinanzi a tali babbuini, 
quegli impudentissimi s arrampicano agli albe- 
ri, e ne scuotono i rami, digri 


gnando i denti. 


IL BABBUINO CORSIVO. 


Esso è più piceolo di quello, di cui. pur 
era abbiamo parlato. Ha una grossa testa, con 
fronte proeminente e naso assai lungo. Il suo 
pelo è d'un colore alquanto bai e sì lun- 
go, che gli dà l'apparenza di un orso. I bab- 


la orsini si riuniscono in truppe nelle parti 


ONISUO 


O NTAALSV tI 


TL BABBUINO ORSINO. 225 
settentrionali dell’Africa. egualmente che sulle 
montagne del Capo di Buona Speranza; e 
quando taluno si approssima al lor covile , 
mandano un grido orribile, che dura un mi- 
nuto, poi si nascondono nel più interno, e 
serbano un profondo silenzio. Raro discendono 
alla pianura, a meno che non sia per met- 
tere a sacco i giardini, situati presso alle mon- 
tagne; nel qual caso hanno l avvedimento di 
collocar sentinelle, onde prevenire ogni sor- 
presa. Fanno: in pezzi, per poco che siano 
grossi, i frutti che raccolgono, e se gli stipano 
entro le tasche delle lor guancie, per poi 
mangiarli a loro bell’agio. Se quelle sentinelle 
fratianto veggono un uomo mandano un gri- 
do, che dura circa un minuto, -e tutta la: 
truppa si ritira col più gran precipizio; e» 
f arrampicarsi, che in quel mentre fanno i 
piccioletti sul dorso de’ padri e delle madri 
loro, rende la scena ridicolissima. Si nutrono 
altresì di più piante polpose; che svelgono di. 
terra, € u.. con molta destrezza. - 

Trovansi essi in così gran numero. nelle 
montagne. dell’ Africa, che diviene talvolta pe- 
ricolosissimo pe viaggiatori il. passarvi dinanzi; 
poichè non solo rotolan dali’ alto grosse pietre, 
ma -aneor le scagliano contro di. loro. Quindi 
è necessario aver degli. archibugi - per tener 
tontani i malvagi animali 


Gabinetto Tom, L 55 


226 IL BABBUINO ORSINO. 

Kalbe riferisce che ‘quando questi babbuini 
discoprono un uomo solo, il qual si riposi o, 
mangi nella campagna, gli vengono pian piano 
alle spalle, e gli rubano quanto possono; indi 
fuggendo a certa distanza, seduti sulle lor co- 
scie sel divorano in presenza di lui, e gli fanno 
orridi cefti. Talvolta anche mostran di porgergli 
colle lor grife ciò che gli han tolto, e accom- 
pasnano questa finta resiituzione con gesl: sì 
comici e sì burlevoli, che sebbene il .povero 
diavolo perda il suo desinare, può di raro trat- 
tenersi dal ridere. 

Il sig. Lade ci ha data una descrizione esat- 
tissima di questi animali: « Traversavamo , ei 
dice, una gran montagna ne contorni del Capo 
di Buona Speranza, e prendevamo diletto a 
cacciare delle grosse scimie , numerosissime in 
quel paese. Mi sarebbe impossibile il ben espri- 
mere la loro furberia, l'impudenza, la celerità, 
con cui ritornavano alla volta nostra, dopo es- 
sere state messe in fuga. Talvolta ci lasciavano 
avvicinar di tanto, ch'io mi credeva quasi si- 
curo di poterne prendere; ma s' io tentava di 
farlu, si allonianavano d'un solo sbalzo a più 
di dieci passi, e coll’istessa agilità salivano su 
degli alberi, onde ci guardavano indil'ercutis- 
simamente, e parevano schernire il nostro siu- 
pore. Ve n° erano da esse di così enormi, che 
se il nostro interprete non ci avesse assicurati 


ÎL BABBUINO ORSINO. 22% 
che non erano nè feroci, nè pericolose, mai 
non ci saremmo creduti in forze di resistere 
ad un loro assalto. Come non ne ehbimo bi- 
sogno, mai non ci servimmo dei mostri fucili. 
Il capitano però finse di dirigere il proprio 
contro una scimia, che inseguivamo da lungo 
tempo, e si era salvata alla sommità di un al- 
bero. Questa minaccia, di cui forse la bestia 
ebbe altra volta occasione di conoscere le con- 
seguenze, ‘la spaventò a segno, che cadde senza 
moto a’ nosiri piedi, onde non ne fu a pren- 
derla veruna difficoltà. Ma ben ne fu uopo di 
gran destrezza e. forza per rileneria, quando 
si fu riavuta dal suo spavento. Legammo dunque 
ad essa le zampe: ma come ci mordeva con 
indi cibil lilode: fummo obbligati a coprirle il 
viso co’ nostri fazzoletti. 

Spesso i babbuini o scimie di cui si fa- 
vella sono presi assai giovani ed ‘allevati al 
Capo di Buona Speranza, ove dicesi che sor- 
veglino le case e i poderi de' loro padroni con 
e zeio che 1 migliori nostri cani in Europa. 
Si attaccano d’ ordinario con muia catena ad UIL 
palo; e l’ agilità loro nell’ arrampicarsi, saltare, 
ed eludere. gli sforzi di chi volesso prenderli, 
è quasi incredibile. Ne ho anzi veduto uno, 
che non si potè cogliere con nta sebben 
legato e a poche tese di sta O esso pren- 
deva in aria quelle pietre come si piglian ie 


#% 


» 


228 IL' BABBUINO ORSINO: 
palle giuocando , oppur le evitava nel modo 
più lesto e più sorprendente. Gli animali di 
siffatta specie’ non. sono carnivori : marngian 
però la carne e il pesce che loro si fan. cuo- 
cere. » 

Thunberg narra che si pigliano talvolta con 
de’ cani; ma ch’ è necessario impiegarne gran 
numero. Uno o due cani non bastano per un 
babbuino; poichè se questo. giugne ad abbran- 
car loro le zampe -di dietro, li gira a. cerchio 
intorno a sè stesso, finchè gli abbia storditi. 

Gli animali, di cui parliamo , mordono con 
gran violenza, e i lunghi lor denti sono per 
essi un mezzo di difendersi più ostinatamente: 
Nello stato medesimo di domesticità, quando 
taluno gl’ irrita, cercano prenderlo per un 
orecchio; e glielo troncan di netto, come se. vi 
adoperassero un rasojo. 


IL. COAITA. 


Ha diciotto pollici, all’ incirca, di lunghezza, 
dal muso alla radice della. coda, la quale ne 
ha due piedi. È agilissimo, amabilissimo, sicchè 
sempre: fa morfie o capriole, e di naturale 
dolce: e. mansueto.. IE suo colore è: nero per. 
iutta l'estensione del corpo; eccetto in fac-. 
cia, ov è di rosa carico, 


IL COAITÀ. 230 

Può dirsi un quadrumano; se non che manca 
di pollice nelle mani davanti, ed ha in quella 
vece delle picciole appendici o projezioni, che 
ne tengono luogo. Abita le foreste dell’ Ame- 
rica meridionale, e la sua femmina produce ad 
ogni pario uno o due piccioletti, che porta 
sul dorso. 

Un coaita addomesticato visse con uno sco» 
jattolo in perfetta amicizia. Quando agli ani- 
mali della sua specie si legano le zampe da- 
vanti, corrono essi su quelie di dietro con egual 
facilità, e così lungo tempo, come se non aves- 
sero alcun impedimento. Malgrado la dolcezza 
della lor indole, non sono esenti del tutto da 
quella maliziosa sagacia, che distingue la ge- 
nerazione intera delle scimie. Pretendesi che 
nel loro paese, quando alcuni di essi è Dat- 
tuto, si arrampichi prestissimamente ad un 
cedro o ad un arancio, e inseguito che sia 
stacchi i frutti di tali alberi, e li getti in.capo 
agli avversarii con sorprendenie destrezza; che 
talvolta anche, per respingerli, usi mezzi più 
disaggradevoli. In simili casi i suoi atteggia- 
menti variano grandemente e sono tutti ridi- 
colissimi l uno più che l' altro. 

I coaiti si nutrono principalmenie di fruita 
e di radici, e in mancanza di queste anche di 
pesce , che alcuni viaggiatori dicono , prender 
essi colla coda. 


230 IL: COASTAS 

Non diversamente dalla più parte delle sci 
mie, quando commetter vogliono delle depre- 
dazioni, collocan seniinelle sulle alture, in cima 
aghi alberi, per essere avvertiti. dell’ avvicinar 
del periglio. - 

Ulloa assicura che ne boschi del paese, 
eh' essi abitano , quando, passar vogliono dalla 
cima :d’ nn albero a quella d’ un altro, sì di- 
stanti però, che un salto non basti, formano una 
catena, e attaccandosi fra loro per la coda si ten- 
gono sospesi, fino a che quello, ch'è alla estre- 
mità inferiore della catena medesima, prender 
possa un ramo dell’ albero più vicino, e attirar 
gli altri a sè. Di non diversa maniera, pari- 
menti, dicesi che traversino i fiumi, le cui rive 
sono dirupate, e sebben Stedman revochi in 
dubbio la verità di quest’ asserzione, essa è 
confermata da' Dampierre e da Acosta. 

Il capitano Siedman, trovandosi nei beschi 
del Surinam, e mancando di provvisioni, uc- 
cise duc di questi animali, per farne un lesso; 
ma la morie di uno specialmente fu, per ciò 
ch’ ci narra, accompagnata da tali circostanze. 
:da fargli abborrir per sempre la caccia de qua- 
drumani. Vedendomi, dic egli, presso la riva 
del fiume in una canoa, rallentò il suo corso 
e cessò di seguire i compagni; indi si arran= 
picò ad un albero, i cui rami pendevano 
sopra l'acqua; mi esaminò attentamente danda. 


IL COAITA. 231 
segni d una prandisini sapiosità , come se 
mi avesse preso per wu gisante della sua spe- 


cie; digrignò 1 denti, sa ilo per l'albero, e ne 
scosse ‘i rami con una agilità ed una forza 
incredibile. Io gli sparai contro, e lo feci ca- 
dere di là Zi, riviera. Il cielo mi preservi 

dall'essere mai più testimonio di simile scena! 
Il misero animale non era già morto, ma mor- 
talmente ferito. Io lo presi per la coda, e te- 
nendolo con ambe le mani gli fect fare il mo- 
linello, percotendogli alfine la testa contro le 
sponde della canoa onde metter fine al suo 
tormento. Ma esso ancor respirava , e come 
‘guardavami nelia più compassionevole maniera, 


5 
che immaginar si possa, io. non trovai altro 


Mezzo TEAESTE le sue sofferenze che di 
tenerlo immerso nell'acqua fino a che fosse 
fogato. Durante tutto questo tempo però, il 
mio cuore era lacerato dal dolore, poichè i suoi 
piceioli occhi morenti continuarono a star fissi 
in me, sa rimproverandomi la mia crudeltà, 
sino a che la loro luce fu estinta intieramente. 
ed esso spirò. Io provai tal commozione, che 
mi fu impossibile assaggiare nè di quest’ ani- 
male, nè del suo compagno, allor che furono 
cotti, sebbene le persone, ch’ erano meco , li 


trovassero piatto delizioso. 


LA GARZETTA. 


Non è lunga più che due piedi, ed è, presso 
a poco, del colore del lupo. Ha grossa e brut- 
tissima la testa, schiacciato il naso, le guatice 
raggrinzate, le sopraciglia ispide e sporgenti, 
bifido il labbro superiore, i piedi neri, e in 
cima al capo un ciuffetto. È d’ indole piuttò- 
sto dolce e trattabile; ma tanto sporca e scon- 
cia, che quando fa contorsioni di bocca è im- 
possibile riguardarla senza provar disgusto, anzi 
orrore. 

Le garzette si raccolgono frequentemente 
in truppe, onde dar guasto alle piantagioni, 
Bosman racconta « ch' esse prendono in  cia- 
scuna zampa anteriore uno o due gambi di 
miglio, altrettanti sotto l’ascelle, ed altrettanti 
in bocca, e così se ne tornano saliando con- 
inuamente sulle zampe di dietro. Che se ven- 
gono inseguite, non ritengono se non quelli 
che hanno fra denti, e gettano il rimanente 
onde poter fuggire più celeri sui quattro piedi. 
Del resto, aggiugne il medesimo viaggiatore, 
esaminano ogni gambo strappato serupolosissi- 
mamente, e se loro non piace il rigettano, e 
ne svelgono altri, sicchè la loro bei deli- 
catezza cagiona guasti assai maggiori, che pon 
il loro appetito. » 


LA GARZETTA. 233 
Abitano esse I Africa meridionale, l Indo e 
Java. Si prendono spesso con lacci nascosti fra 
rami d' alberi, su cui saltellano di continuo, 
e fan capriole assai comiche e buffonesche. 


L'OUISTITI 


‘Questo picciolo animale è presso a poco 
della grossezza d'uno scojattolo. Il color del suo 
corpo è un grigio cenerognolo rossiccio, @ 
quelio della faccia è carneo. Dai due lati della 
testa un po dinanzi all’ orecchio ha due fioc- 
chi di lungo e bianco pelo. Le sue mani vil. 
lose sono armate d' ugne acutissime; e la sua 
coda prolissa e folta è segnata d' anelli  alter- 
nativamente neri e bianchi. 

Dicesi che quando vive alla foresta si nutre 
& insetti, di lumache e d’ altri. rettili. 

Un ouistiti, il quale era stato condotto in 
Inghilterra sopra un vascello della compagnia 
delle Indie, era ghiotto de piccioli ragni e delle 
loro ova, ma abborriva i grossi, egualmente 
che le grosse mosche, sebben mangiasse vo- 
lentieri lc più minute. 

Il sig. Edward dice d’ aver « veduto e di- 
segnato un simile animale, che apparteneva ad 
una dama, da cui seppe che si nudriva di più 
cose, come biscotti, frutta, legumi, insetti, lu- 
imache; e che un giorno, essendo scatenato , 


2534 L QUISTITI. 

si gettò sopra un picciolo pesce dorato della 
China, il quale stava in un bacino, uccise 
e lo divorò; che in seguito gli si diedero delle 
anguilleite, le quali a prima giunta lo spaven- 
tarono, attortigliandosegli al collo, ma che 
bentosto, cessata Îa paura, se ic mangiò. » 
Indi aggiugne un fatto, il quale prova che gli 
ouistiti potrebbero forse moltiplicare nelle con- 
trade meridionali del’ Europa: « Essi hanno, 
dic’ egli, generato in Portogallo, ove il clima 
era Ioia favorevole. I loro piccioletti da prin- 
cipio sono bruttissimi, non avendo quasi pelo 
sul corpo, e si attengono fortemente alle mam- 
meile della lor madre. Quando: poi sono gran- 
dicelli se le aggrappano al tergo; e ov elle: 
stanchi di portarli, se ne scioglie fregandosi 
contro le muraglie. Depostili così , il maschio 
ne prende cura sull’ istanie, e se li fa esso 
medesimo salire in ispalla. » La loro voce è una 
specie di fischio, e la più parte di essi ha un 
odore che par di muschio. 


IL CALLLITRIGE. 


È presso a poco della grossezza di un pic- 
ciol gatto. Ii colore del sio corpo è: un bel 
verde giallo; il suo peito e il suo ventre è di 


un bianco argentato, e la sua faccia è nera. La 
sua coda ha, circa, diciotto pollici di lunghezza. 


IL CALLITRICE. 235 

F callitrici son comunissimi nell’isole del 
Capo Verde, e nell’ Indie Orientali; e si veg- 
gono sovente anche nella Mauritania e neji 
terre dell’ antica Cartagine. » Però, dice il sig. 
di Buffon, avvi ogni ragion di credere che 
fossero conosciuti da’ Greci e da’ Romani, che 
chiamarono appunto col nome. di callurix una 
specie di scomie a lunga coda. Altre ve ne 
hanno di color biondo nelle terre vicine ail’ 
Egitto, così dalla parte d'Etiopia, come da 
0 dell Arabia, le quiali Lio dagli an 
tichi appellate parimenti calliricidi. 

Il sig. Adanson riferisce che i contorni dei 
boschi di Podar, lungo il fiume Niger, sono 
pieni di scimie verdi. « Io non m' accorsi di 
esse, dice questo scrittore, che pe’ rami. d'al- 
‘beri che scavezzavano, e d'onde cadevaro sopra 
dile , poiché eran. d' altronde molto  silen- 
ziose e così leggiere ne loro salti, che  saria 
stato difficile il sentirie. Ne uccisi da principio. 
una, poi due, poi tre, senza. che l altre ne 
sembrassero spaventate. Quando però la più 
parte si sentirono ferite, cominciarono a met- 
tersi al ‘coperto, le une ascondendosi dietro 
grossi rami, altre scendendo. a terra, altre in 
fine, e queste in più gran numero, slanciandosi 
da una cima .d albero: ad, un’ altra. ...Io non 
eessai, intanto, dello sparare contr’ esse , e: 
ne uceisi sino a ventitre in meno di un' ora 


236 IL CALLITRICE. 
e nello spazio di venti tese, senza che alcuna 
di esse gettasse un grido, sebben più volte si 
fossero raccolte in compagnia, movendo le ci- 
glia, digrignando i denti, e facendo sembiante 
di volermi assalire. 


LA BERRETTA CINESE. 


Questa scimia trae il suo nome dalla dispo- 
sizione particolare del suo pelo, ch’ è separato 
in mezzo alla testa, e si estende in una dire- 
zion circolare, prendendo forma consimile alla 
berretta ‘cinese. Ha coda lunga, ed è presso a 
poco della grossezza di un gatto. Il color suo 
è un bruno, che inclina al giallognolo. 

Gli animali della sua specie vanno a truppe 
ne boschi di Ceylan , ove distruggono i giar- 
dini situati in vicinanza de’ loro nascondigli. 

« Derubano 1 frutti, e soprattutto le canne 
di zuccaro, e sempre uno sta in sentinella so- 
pra di un albero, mentre gli altri si carican 
del bottino. Ove esso accorgasi di alcuna per- 
sona , grida houp, houp, houp, con voce alta 
e distinta; e nel momento medesimo tutti get- 
ian le canne, che tenevano nella manca, e 
fuggono correndo sovra tre piedi. Che se 
vengono ostinatamente inseguiti, gettano pur 
ciò che tengono nella destra, e salvansi col- 
lavrampicarsi agli alberi, ove fanno la lore 


LA BERRÉTTÀ CINESE. 23 


ordinaria dimora. Saltano dall’ uno all’altro cor 
ammirabile agilità, e non solo i maschi liberi 
e sciolti, ma ancor le femmine, cariche dei 
loro piccioletti , -che le tengono strettamente 
abbracciate; onde avviene per vero dire, che 
talvolta in grazia di questi impedimenti esse 
cadano. Quando mancan loro le frutta, e le 
piante succulente, mangiano insetti, e talvolta 
scendono in riva a fiumi ed al mare, onde 
prendervi pesci e granchi. fra le branche dei 
quali metton la coda, e com'essi la stringono, 
gli alzano prontamente, e se. li portan via per 
mangiarli a loro agio. Colgono altresì noci di 
coco, e sanno assai bene trarne il liquore per 
beverlo, e la polpa per cibarsene. 

« Di queste noci di coco si fa uso onde 
pigliarli, facendo in esse una picciola apertura. 
Come, per l angustia sua, Vi cacciano a gran 
pena la zarapa, coloro che stanno in aguato-, 
piombano loro adosso, prima che abbiano potuto 
liberarsene; onde non hanno modo di fuggire. » 


È V animal più forte. fra. iuite. le scimie 
d' America. La sua grossezza si accosta a quella 
della volpe: ha. esso la faccia larghissima, le 
orecchie. corte. e rotonde, e gli occhi neri e. 
scintillanti. Le sue naziei sono aperte da un 


238 | L'OUARINO. 
lato e non al dissotto del naso, e il'petto suo 
contiene ‘un grand’ 0ss0 concavo, in cui il suono 
della voce si gonfia, e acquista estensione. I 
lunghi peli, che ha sotto il cello, formano una 
specie di barba rotonda; la sua coda è prolissa 
e ignuda alla sua estremità, ehe sempre resta 
aggruppata. 

L' ouarino è tanto cattivo e selvaggio, che 
mai non si può domarlo o ammansarlo. Morde 
spietatamente, e fa terrore colla sua’ gran 
bocca. Il suo aspetto è fierissimo, e il. suono 
spaventevole della sua voce rassomiglia in certo 
modo lo strepito del tamburo, e pretendesi che 
si faccia udire ad una lega di distanza; 

Maregrave narra che « ogni giorno mattina 
e sera gli onarini si raccolgono nei boschi, 
ove un di loro prende posto elevato, e con 
mano fa segno agli altri di sedersi: intorno di 
iui e di Lalaé: che indi comincia una spe- 
cie di discorso a voce alta La precipitata , la 
qual da lungi erederebBesi di'una moltitudine, 
mentre tutti osservano il più profondo silenzio; 
che in seguito, quando cessa, fa nuovo cenno 
colla Mano , onde i compagni rispondano, € 
“questi all’ istante ‘si mettono a gri id tutt in- 
sieme, finch' esso loro ordina con altro segno 
di tacersi, e ripiglia quindi la sua orazione 0 
canzone, dopo la quale, ascoltata col raccoli 
glimento di prima, levano la seduta e si’ di 
Yidono. » 


L' OUARINO. 239) 
Assicurasi che la carne di questi animali sia 
un boccone eccellente. « Essa è come quella 
del lepre, dice Deumelin, ma non del mede- 
simo gusto, poiché pecca di troppa dolcezza. 
Quindi bisogna salarla bene, facendola cuocere. 
La sua grascia è gialla come quella del cap- 
pone edi anche più, ed ha molto buon sapore. 
Noi ci nutrimmo per lungo tempo se non di 
questa carne, poichè altro non ci avca, e ogni 
giorno quindi i cacciatori faceano che ne fos- 
simc ben proveduii. Fui curioso d intervenire 
anch'io alla caccia degli ouarini, e di ammi- 
rare l'istinto ch' essi hanno, più che tutti gli 
altri animali, di conoscere chi fa loro ia guer- 
ra, e di cercare i mezzi quando sono ‘attac- 
cati, di soccorrersi e difendersi. Quando noi ci 
avvicinavamo, essi univansi tutti insieme, si 
mettevano a gridare; e far uno strepito spa- 
ventevoie, e a gettarci secchi rami, che rom-, 
pevano dagli alberi. Taluni anche scaricando il 
ventre nelle lor zampe, ci geitavano in capo 
gli escrementi. Vidi che mai non si abbando- 
navano l uno l’altro, che saltavane d' aibero 
in albero così subitamente D abbagliare lo 
sguardo, e che sebbene si geitassero, come suol 
dirsi a corpo perduto, m mai non cadevano a 
terra; il che proviene dali a aggrapparsi che fanno 
(@r colle zampe or colta coda, se mai son for- 
T È 


cao) 
Zali a discendere. © livano quindi, scaricando 


e/o L'OUARINO: 
contr’ essi il fucile, si spera di prenderli, ove 
non si uccidano. Poichè, anche mortalmente. 
feriti, rimangon sempre abbracciati agli alberi 
e spesso anche spirano in tale atteggiamento, 
nè: cadono se non a pezzi. Quindi è uopo tal 
volta ammazzarne quindici o sediei, per averne: 
tre o quattro tutt'al più. Ne ho veduti talvolta 
di morti da tre o quattro giorni, ehe ancor 
stavano sospesi. Ma ciò che mi parve più sin- 
colare si è, che all istante che un di loro è 
Luo , ghi altri si raccolgono intorno di lui, 
ini il dito nella sua piaga, e pare che ne 
vogliano misurare la profondità. Allora, se veg- 
| gono scorrerne molto. sangue, la tengono chiusa, 
finchè qualcuno arrechi foglie ,. cui. masticano, 
e poi introducono in quella destramenie. Tal 
cosa ho io veduto più volte , e sempre con 
grandissima ammiraziene. 

Dampierre si spiega in. tal guisa intorno a 
questi animali : « S° aggirano in compagnia 
d’ intorno a’ boschi, ove saltano d’ un albero 
all’ altro, e se trovano. qualche persona che 
vada. sola, fanno sembiante di volerla divorare. 
lo non osai far forza contro. di. loro, sopra 
tutto la prima volta .che. li vidi. Erano una 
grossa truppa. che: si lanciava .d' albero in. al- 
bero sopra il mio capo, battevano i denti, e 
facevano uno strepito arrabbiato. Altri faceano 
contorsioni di. bocca. e. d° occhi, e. prendeano 


. L'OUARINO. 2/1 
mille atteggiamenti grotteschi. Taluni rompe- 
vano i rami aridi, e me li gettavano., e tali 
altri mi scagliavano persino le. immondezze. 
Uno finalmente, più membruto che gli altri, 
venne sopra un picciolo ramo al dissopra della 
mia: testa, .e mi. si avvento, il che mi fece 
rinculare con qualche sgomento; ma esso ay- 
viticchiossi al ramo stesso coll’ estremità della 
coda, e vi rimase sospeso a dondolarsi e fari 
il brutto: cello. La torma degli insolenti animali 
mi seguì poi fino alle nen capanne, sempre 
minaccia» doc. 

c Sì giovano essi della lor coda egualmente 
i che delle zampe, e con essa tengonsi 
fermi. Se eravamo due o pa insieme fuggivano 
da noi. Le femine par che traggano nuova 
forza. dallo. stato di maternità: hanno d’ ordi- 
nario due figli, l'un de quali portano. sotto 
uno de bracci, mentre È altro, assiso loro 
sul dorso, si tiene colle zampe anteriori bea 
avvinto. al loro. collo. Mai non ho veduto in 
mia vita specie più feroce di scimie; nè mai 
ci fa possi ihile addomesticarne alcuna , per 
quanto vi usassimo d industria. Nè già È più 
facile il prenderle, dopo che si sono ferite 
eoll archibugio , poichè. possono attaccarsi. a 
qualunque ramo lor piaccia o colle zampe 
colla coda, e quindi non cadono a ierva, 
finchè rimane lor fiato. Dopo averne colpita 


Gibineito Tom. L 10 


242 L'OVARINO. 
alcuna, spezzandole talvolta un braccio o una 
gamba ebbi compassione di essa, vedendola 
riguardare attentamente, palparsi la piaga, 
volserla d'una e d'altra parte. Di rado que- 
ste scimie scendono dagli alberi, ed avvi -chi 
dice, che non ne scendono mai ». 

L'autore istesso , però , assicura che si ca- 
lano sovente alle rive del mare, per nutrirsi 
di conchiglie; e ch’ egli ne ha vedute parec- 
chie raccoglier ostriche, metterle sopra una 
pietra, percuoterle con un'altra, finchè ne 
avesser rotte le scaglie, e in seguito divorarle. 
Le medesime cose furono osservate da Wafer 
nell’ isola di Gorgone. 

Le femine della specie, di cui parliamo, 
non depongono che un piccioletto ad ogni 
parto. Indi sel recano in collo, core fanno 
de loro bamboli le donne dei negri. Non avvi 
altro mezzo d'avere un picciolo ocuarino, che 
di ucciderne la madre; poichè nulla, fin che 
vive, può costringerla «ad abbandonarlo. 


IL SAJOU,. 
N 
Tra tutte fe specie di scimie è desso il 
più vivace, il più destro, quello che più 
diverte. Ha presso a poco la grossezza di un 
gatto, il corpo bruno, la faccia e le orecchie, 
color di carne. Trovasi pr incipalmente nelle 


i 


IL SAJOU. 243 
foreste dell America; ma la sua fisica costitu- 
zione sembra fatta per un clima più tempe- 
rato, e se ne sono veduti moltiplicare anche 
in Europa. Nel 1764 ve n'erano due nel Ga- 
tinese maschio e femina, che produssero un 
picciolino. Nulla di più curioso, che il vedere 
il padre e la madre intorno al figlio loro, cui 
tormentavano di continuo, o poriandolo o ca- 
rezzandolo. Del resto questi animali, dice il 
sig. di Buffon, sono fantastici ne loro gusti e 
negli affetti loro. Sembran avere gran propen- 
sione ad alcuni, e grande avversione per al- 
iri; e ciò costantemente. 

Il celebre naturalista parla d'una varietà di 
queste specie di scimie, appellata sajou grigio: 
ma essa non dillerisce dall’alira, che pel color 
del suo pelo. | 


IL SAIMIRL 


« Questo picciolo animale, dice il sig. di 
bui , per la gentilezza de’ suoi Moti ; 
per la sua minuta figura, pel color brillante 
della sua veste , per SE grandezza e il fuoco 
de' suoi occhi, pel suo visetiino rotondo, sem- 
pre ebbe la preferenza sopra gli altri sapa- 
joù ». Di questo nome st chiama la specie di 
scimioti più gentile. 


244 IL SAIMIRI. 

Il suo pelo risplendente ha il color dell’ oro; 
i suoi piedi quel dell’arancio ; la sua faccia è 
bianca e segnata nel mezzo da, una macchia 
bruna, che gli copre la hocca e le. narici, in 
modo , che par quasi mascherato. 

Stedman, nel suo- soggiorno al Surinam, ha 
vedute di queste scimie , che passavano. tutto 
il giorno sulle rive del fiume a saltare d’ al 
bero in albero, seguendosi a 
le une le altre come un picciolo esercito, 
portando i loro figliuolini sui dorso. Ecco, sc- 
condo quello scrittore. la. lor maniera di viag- 
giare. Chi è a capo degli altri s appende al 
? estremità d’ un ramo d'albero, e da. questo 
salta ad un nuovo, sebbene a distanza notabile, 
con tale agilità e precisione, che mai non 
isbaglia. I compagni il seguono in ischiera ; € 
le femine sebben cariche. il dorso de loro por- 
tati, fanno coll'istessa. facilità dei maschi i 
medesimi salti, i 

Il saimiri è animaletto delicatissimo , nè può. 
essere lrapiantato d'uno in altro paese, | 


LA DIANA. 


Secondo il professor Thumberg,; che la de- 
scrive, essa è, presso a poco, della grossezza 
di un picciolo gatto, ha coda lunga e. villosa, 


la qual termina in punta, il corpo ben fatto, 


LA DIANA 245 

la faccia nerastra, ignuda , e pochissimo ‘on 
breggiata di peli. La barba del suo mento e 
dle sue guance è bianca, e rivolta all’ indie- 
tro. Ispido è il pelo della sua fronte, il qual 
le copre l’ orecchie interamente. Le sue mani 
e i suoi piedi sono anch essi d'un colore ne- 
greggiante ed ignudi, e le sue unghie lunghe 
ed acute. Ha il pollice lungo e staccato, e 
l'estremità dell’ erecchie nere e rotonde. 

In più parti «ell isola di Ceylan si giugne 
ad addomesticarla. Allora si tien essa diritta 
colle mani incrociate, «e «quando vede persona 
di. sua conoscenza, tosto le si fa incontro, 
mostrando la sua gioja con carezze e con una 
maniera sua particolare di riso. È di natura 


assai dolee, nè mai avviere che morda alcu- 


no, se non irritata. Ove si abbracci, o si fe- 
steggi un fanciullino in sua presenza, essa 


mostra il desiderio di fare ‘altrettanto, e se 


il vede battere s'alza sui piedi di dietro, e fa 
orribili contorsioni, per cui attesta il desiderio 
che ha di vendicarlo contro colui che il mal- 
tratta. Il professor Thumbe rg volie condurre 
uno di questi animali in Europa; ma il mi 
sero fu presto la viitima di un cangiamento di 
clima impossibile per esso ‘a sofferire. 

Or diciamo una parola delle scimie in generale. 

In diverse contrade dell’ India, gli antichi 
tempii son destinati a servir d'asilo a questi 


246 LA\ DIANA.Ù 
quadrupedi, i quali vi sì nutrono a o del 

ubblico. 

Il sig. d' Obsonville riferisce d’ essere ne) suoi 
viaggi entrato più volte in iali edifizii per ri- 
posarsi, e che il suo vestito indiano non diede. 
alle scimie verun sospetto. Ne vide parecchie, 
le quali si misero dapprima a considerarlo, poi 
volsero tutta la loro attenzione al uudrimento, 
ch’ era sul punto di prendere. I loro occhi e 
gli atti loro esprimevano tutta la loro ghiot- 
toneria , e il disegno formato di derubargli L 
comestibili ch avea seco. Onde prendersi un 
po di spasso in simili circostanze ei si muniva 
sempre d’ una certa quantità di piselli secchi. 
Prima ne spargeva un poco d intorno alla 
seimia che, giusta il loro costume, stava loro: 
alla testa, e s' avanzava, quindi, cautamente, 
ma pur con grande avidità, per mangiarsclo. 
Allora il sig. d' Obsonville gliene presentava 
un buon pugno, e come quelle scimie erano. 
avvezze a non vedere che gente pacifica, la 
loro capitana gli si avvicinava, camminando 
però di fio. sicconie temesse di qualche 
inganno. Indi fatta più ardita impadronivasi del 
pollice della mano, che teneva i piselli, e men- 
tre colla zampa, che rimaneva libera, li ca- 
vava'e pasiesgiavali, stava cogli occhi sempre 
fissi in quelli del sig. d'Obsonville. Se questo. 
viaggiatore si metteva a ridere, o faceva alcun 


LA DIANA. 247 
motio, essa cessava di mangiare, agilava le 
labbra, e faceva intendere una specie di mor- 
morio, di cui i suoi lunghi denti canini, che 
mostrava per intervalli, spiegavano abbastanza 
il significato. Quando il sig. d’Obsonville get- 
tava Me piselli a qualche distanza, essa parea 
contenta, che le altre li raccogliessero , ma 
rimbrottava e percoteva talvolta quelle, che si 
faceano troppo vicine. Le sue grida e le sue 
sollecitudini, sebben in parte cagionate dalla 
sua avidità, indicavano il timor suo, che d' Ob- 
sonville non profittasse della loro debolezza , 
per tendere ad esse qualche insidia. Pure non 
si accostavano che i maschi più fori e già 
pervenuti a intera maturità; chè i giovani e 
le femine non lo ardivano menomamenie. 

L’ affetto che queste, in uno stato d' 
tera selvatichezza, dimostrano pe loro piccio- 
letti è veramente singolare. Gli allattano , li 
puliscono 3 gli accarezzano incessaniemenie ; 3 
prendon piacere a vederli lottare insieme, o 
inseguirsi g gli uni gli altri. Sembrano però tea 
nerli in ara suggezione , poichè ogni volia 
che mescolano un po di cattiveria a questi lor 
giuochi infantili, Ji pigliano con una mano 
per la coda, e coll altra li castigano severa- 
mente. In tal caso i piccioli colpevoli cercano 
fuggire, e poi che si son messi in salvo, 
tornano in modo sommesso e carezzevole a 


348 TA DIANE 
sollecitare il lor perdono, sebbene inclimatis= 
simi a ricadere nel medesimo failo, 

Gli animali, di cui parliamo, sembrano 
molto pacifici nelle foro foreste. Quando alcune 
torme di questi quadrumani di differente spe- 
cie vengono ad incontrarsi digrignano i denti, 
senza mostrarsi con altro alciina ostilità. Tal- 
volta alcuni avventurieri cercano fortuna nei 
luoghi, di cui altre compagnie già presero 
possesso , ma ne son tosto respinti. Il sig. di 
Maisonpré e sei aliri Europei furono un giorno 
testimonii di un alterco, nato da simil cagio- 
ne, nel recinto delle pagode di Cherinam. Una 
scimia molto grossa e molto forte vi si era 
introdotta; ma fu tosto scoperta. Ài primi gridi 
d'allarme un gran numero di maschi sì riu- 
nirono e corsero adosso alla siraniera. Questa, 
sebben grandemente superiore di corporatura 
e di forza, vide il periglio e si rifugiò alla 
sommità duna piramide dell’ altezza di sette 
piani, ove fu tosto inseguita. Ma giunta al- 
l estremo fastigio del monumento , che termi- 
nava in picciola cupola vi si aggrappò , indi 
preso avvantaggio dalla sua posizione; abbran- 
cò tre o quattro de più audaci, e precipitolli. 
Queste prove di valore intimidirono gli altri, 
che dopo molto strepito giudicarono a propo- 
sito di ritirarsi. La vincitrice si mantenne in 
quel posto fino a sera, e poi si ritrasse in 
luogo di sicurezza. i 


lidia 


LX DIANA 249 
fl è l'inclinazione di questi animali al 
fard, che lungi dall’ accontentarsi del nudri- 
mento AA che lor procurano 1 bo- 
| schi , saccheggiano spesso le case; 1 giardini e 
i verzieri. Quando alcuni d' essi veggono un 
fanciullo con pane o frutta nelle mani, accorron 
testo verso di iui, lo spaventano, e gli rapiscono 
quel che mangia. E se scorgono alcuna femina 
indiana, che faccia seccare il suo grano al so- 
le, vanno a saltarle intorno facendo mostra di 
| volerie rubare; e all’ istante ch ella corre per 
batteri, i più scaltri, prevalendosi dell’ occa- 
sione, si geitano sul grano, e lo portan via. 
L'estrema accortezza di questi quadrupedi 
rende impossibile agli abitanti del paese il 
prenderli con insidie. Il sig. di Obsonville , 
| però, ne dice d'averne veduto uno, il qual fu 
pr d'un’ invenzione semplicissima. L'uomo, 
che per essa riuscì nella sua caccia, scelse un 
luogo vicino al nascondiglio delle scimie, e 
depose a piè dun albero un vaso scoperto, 
il cu orificio avea due pollici di diametro ; 
indi avendovi sparso un po di grano all in- 
torno si ritirò a qualche distanza. Quel grano 
fu bentosto divorato, ed egli ne portò di 
nuovo e in maggior quantità. ° Ma la terza volta 
ne fu più prodigo che mai, gettandene e in- 
torno, e nel vaso medesimo, alla cui superfi- 
Ge avea disposti cinque o sei i nodi scorrido], 


250 LA DIANA. 

the | attraversavano in tutte le direzioni, pe 

ena s era egli nascosto, che varie scimnije 
co lor piccioletti accorsero ccleremente vers 
del vaso, e in un batter d' occhio Y ebbero» 
vuoiato; ma le zampe loro, quando vollero 
levarle, si trovarono legate. L' uomo soprag- 
giunse , prima che avessero tiempo di liberar- 
sene , disiese un lappeto sovr esse, e così 
pigliò insieme tre femine co’ figli loro. 

Pochi vi sono, che non conéscano le imi- 
tazioni burlesche, sì giustamente appellaie sci- 
miotterie, di questi animali, e i loro tratti di 
accortezza. Dotati d’ un intelligenza più circo- 
scritta ncilo stato di domesticità mostrano prin: 
cipalmente cogli altri quadrupedì la loro astu- 
zia, e la superiorità del loro istinto. Sembrano 
essi prender piacere a far contro di loro il 
folletto; e il dottor Goldsmith assicura d' a- 
verne veduto uno divertirsi per ore intere a_ 
turbare la gravità di un gatto. Erasmo ci as- 
sicura, che una grossa scimmia folleggiando 
un giorno in un giardino, ove si allevavano: 
, dei conigli, fece ogni sorta di pazzie in mezzo; 
ai iimidi animaletti, che non sapeano come 
comportarsi coll’ ospite novello. Alcuni di ap- 
presso una donnola, che veniva con altra in- 
tenzione che di ricrearsi, cercò penetrare nel 
luogo ove i conigli si teneano chiusi per 
nutrirli, rimovendo un’ asse, che ne serrava 


wi 


È 
LA DIANA. bic # 
l'ingresso. La scimmia rimase qualche tempo 
spettatrice pacifica degli sforzi di quella bestia; 
indi essa medesima aprendosi. con. più vigore 
quella porta mobile , entrò nel chiùso , e poi 
la rimise al suo posto. La donnola, ingannata 
nella sua aspettazione e sianca di rinnovare in- 
vano i suoi tentativi, Vi rinunciò. 
Termineremo Î istoria de’ singolari animali, 
di cui si tratta, racconiando le particolariià di 
un combattimento , che ebbe luogo a Worce- 


ster nell’ anno 1799 fra una scimmia, e un 


grosso cane. Si fecero differenti scommesse di 
tre ghinee contr una, che il cagnaecio uccide- 
rebbe la scimmia in sei minuti, sebbene & 


‘questa fosse conceduio un bastone di circa un 
‘piede di lunghezza. Migliaja di spettatori ven- 


nero ad assistere a questo curioso spettacolo , 
e tutit si tenean sicuri del cane, cui si fre- 
nava a grandissima fatica. Alfine il padron della 
scimmia si trasse di tasca il corto bastone che 
dicemmo, e gliel pose nelle zampe ; dicendole: 
da brava, guarda ai fatti tuoi, che il cane non 
t'uccida. Come questo fu lasciato in sua balia, 
st slaneiò contro la scimmia colla ferocia di un 
tigre; ma la scimmia con incredibile agilità 
fece un salto di un braccio incirca, e sfuggi 
all'avversario. Si gettò in seguito.sopra di es- 
so; e gli addentò il collo, mentre colla manca 
teneva una deile sue orecchie per impedirgli 


952 LÀ ‘DIANA: 
di volgersi e di morderla. Colla destra intanto 
percosse furiosamente la testa deli animale, che 
si mise a correre di tanta forza, e a mandar 
grida le più lamentevoli, nè potè esser libe- 
rato, se non a grande stento, e mezzo morto 
dalle grife della sua nemica. 


IL LORI TARDIGRADO. 


Gli animali, che ‘compongono la specie dei 
lori, hanno molta ras somiglianza colle scimie 
per le abitudini, i costumi, e la conformazione 
delle lor gambe; nè differiscon da esse, che 
per la lunghezza di questa parte del loro n 
corpo, e per la struitura del capo, che molto. 
rassomiglia a queilo delia volpe. Il lori tardi 
grado è presso a poco della grossezza di un 
picciolo gatto, il suo corpo è di un bruno 
pallido, e il suo naso un poco affilato. Ha gli 
occhi molto sporgenti, e cinti di un picciolo 
cerchio di color bruno carico ; ed una lista 
del color medesimo gli percorre il filo della 
schiena. Ha nei suoi movimenti un non so che 
di lento, che gli fa dare il nome che porta , 
e per cui fu da alcuni naturalisti collocato fra 
gli animali detti pigri: sebbene nessuna circo- 
stanza lo accomuni a tal genere. 

Il lori è animal notturno, che resta senza 
moversi una gran parte del giorne; ed abita 


IL LORI TARDIGRADO. 253 
Fisola di Ceylan e differenii contrade dell'In- 
dia Orientale. Una. descrizione dilettevolissima 
ce ne fu data da sir Guglielmo Jones nel 
quario volume delie Ricerche Asiatiche, e noi 
la recheremo per estratto. 

L'animale, di cui si parla, è di costumi 
sempre dolci, eccetto in inverno, stagione , 
in. cui l'indole sua pare interamente cangiata. 
Sopporta così difficilmente il freddo, a cui 
debbe pur esser esposto di spesso. nelle foreste 
medesime ove nacque, che l' autor della na- 
tura gli ha dato, senza dubbio per tal motivo, 
un pelo foltissimo , che di rado si vede nelle 
contrade vicine al tropico. Il lori da me pos- 
seduto sempre mi dimostrò molta riconoscenza 
e attaccamento, porgendogli io: non scio il eibo 
giornaliero , ma bagnandolo due. volte per 
settimana in acque iicininodai alle differenti 
stagioni dell’anno, onde mi distingueva da 
ogni altra persona. Quando però nell’ inverno 
10 so cavava dal luogo suo, sempre dava segni 
di mal umore, e parea rimproverarmi cIÒ e 
sofiriva, sebbene io usassi le debite cautele , 
onde tenerlo in un grado di calore convene- 


e) 
vole. In ogni tempo esso parea compiacersi 


‘d'essere dolcemente baituto , o piutiosto pal- 
‘pato sulla testa e sul petto, e sovente anche 


si lasciava toccar fino i denti, che erano moito 
acuti. Era però facile ad irritarsi, cd ove io 


54 IL LORI TARDIGRADO; 
lo disagiassi un po’ male a proposito, tosto 
dava a conoscere il suo risentimento con un 
mormorio o brontolio , simile a quello d’ uno 
seojattolo. Talvolta anche esprimeva un mag- 
gior dispiacere con un grido di rabbia, so- 
| pratutto nell inverno, in cui mostravasi tal- 
volta anzi feroce, se veniva importunato, come 
le bestie, più selvagge della foresta. 

« I suo sonno, che cominciava mezz ora 
dopo il levar del sole, durava regolarmente 
fino a mezz ora dopo il suo tramonto. Esso 
dormiva aggomitolato alla guisa dei ricci. Tosto 
che risvegliavasi si Li e pettinava come 
un gatto, operazione, che dalla flessibilità del 
suo igollo: e delle, sue membra era ottima- 
mente secondata. Faceva allora una legger co- 
lazione, ed indi prendeva nuovamente un po 
di riposo. Ma quando il giorno avea intera- 
mente ceduto alla notte, ripigliava tutta la 
sua vivacità. 

« Il suo nudrimento ordinario componevasi 
di banani, e la sua bevanda di latte; qualche 
volta però contentavasi d° acqua pura. In ge- 
nerale non era vorace, ma non poteva saziarsi 
di cavallette, e passava le notti intere a dar loro 
la caccia. Quando uno di questi, o altro insetto 
gli appariva dinanzi, i suoi occhi sciutilla- 
vano fissandosi sulla sua preda, e dopo essersi 
tirato indietro per meglio slanciarsi la colpiva 


——eee000o 


| 
I 


| 


IL LORI TARDIGRADO. 255 
colle sue zampe anteriori e la teneva in una 
di queste, finchè Î avesse divorata. Servivasi 
indistintamente de’ piedi e delle mani, onde 
prendere il suo nutrimento, e talvolia impu- 

nava con una di queste la parte più elevata 
della sua gabbia, mentre coll’altra, e coi due 
piedi ne toccava il fondo. Ma la positura, di 
cui sembrava maggiormente compiacersi, era 
quella, per cui tenevasi aggrappato colle quat- 
tro zampe all'alto della gabbia medesima, € 
quindi penzolava col corpo rovescio. La sera 
si teneva ritto in piedi per alcuni minuti 
giuocando co’ diti su fili di ferro, e dondo- 
lande rapidamente il suo corpo dall'una parte 
e dall’ altra, come avesse trovato che un tale 
esercizio gli fosse salubre nel suo stato di 
captività. 

« Un po avanti giorno , quando le mie 
occupazioni del mattino mi davano occasione 
d’ osservarlo , parea ch’ ei domandasse la mia 
attenzione. S' io gli presentava i miei diti, 
esso li leccava e li mordeva con molta deli- 
catezza; se però io gli offeriva delie fruita le 
prendeva con molta avidità, quantunque fosse 
sempre molto sobrio al primo pasto. Leva- 
to il sole, i suoi occhi pareano perdere la 
loro splendidezza e vivacità, ed esso ristora= 
vasi con un sonno il qual durava dieci. in - 
undici ore. Quand’ io trovai questo picciolo 


256 IL. LORI TARDIGRADO. 

e grazioso animale già senza vita in quella 
positura, in cul si poneva ordinariamente > pe 
dormire, mi consolai persi nadendomi ch’ era 
morto senza provare alcun dolore, e ch’ era 
vissuto abbastanza felice , quanto almeno DE, 
teva esserlo nella sua schiavitù. » 

Thévenot ci dice d’ aver veduto simili ani> 
maletti, ch erano stati condotti da Ceylan. 
Quando alcuno li considerava, teneansi diritu 
sui piedi di dietro, colle lor zampe dinanzi 
incrociate, e giravano 1 loro sguardi sugli 
spettatori senza dar a vedere il minimo timore. 

Il sig. d Obsonville osserva che uno di tali 
dida animali , il quale fu comperato da un 
Indiano, era melanconico, silenzioso , e ste- 
nuaio. I suoi moii procedevano sì ne che 
quando voleva andare in maggior fretta, per 
correva appena sei 0 otto tese in un si 
La sua voce avea un non so che di sibilante, 
non per altro. disaggradevole. Quando si cer- 
cava levargli la sua preda, L.aspetto suo fa- 
cevasi alquanto cupo e dispettoso, e uscivan 
da lui alcuni suoni acuti e tremolanti. Dor- 
miva ordinariamente, durante il giorno, coila 
testa posata fra le sue mani, e eoi.gomiti 
piantati fra le coscie. In mezzo al sonno, 
però, sebbene i suoi occhi fossero chiusi, era 
eccessivamente sensitivo alle esterne impres- 
sioni, e mai non trascurava alcuna specie dil 


IL LORI TARDIGRADO, 257 
preda, che gli si offerisse molto vicina. Sebbene 
la chiavezza del sole sembrasse molto incomo- 
darlo , mai non appariva, che le pupille dei 
suoi occhi provassero la minima contrazione. 

Si tenne, pei primi mesi, con un cordone 
attaccatogli d'intorno al corpo, e sebbene mai 
non tentasse di sciersene, il sollevava però 
talvolta, facendo apparire segni di dolore. Il 
sig. d Obsonville n° ebbe cura ei medesimo, 
e ne fn morsicato. quattro o cinque volte, 
prima che pensasse a raffrenarlo. Un leggier 
castigo alfine corresse i suoi piccioli furori’, 
dopo di che gli fu data libertà di correre 
nella camera da letto. All’ avvicinar della notte 
il picciol animale si fregava gli occhi, indi: 
guardando attentamente intorno a sè, s' ar- 
rampicava. ai mobili, e più spesso a delle 
corde che si. erano tese espressamente: a. que- 
si’ uopo. 

Talvolta il padron suo appendeva un uecel- 
lo a quella parete della camera, che gli stava 
di faccia invitandolo ad approssimarsi. S'avan- 
zava esso infatti a passo lento, e con diffidenza, 
come persona che cammini sulla punta de’ piedi, 
per sorprenderne un' alira. Quando poi si ri- 
trovava a picciola distanza dalla sua preda, le- 
vavasi affatto diritto e inoltravasi con leggier 
strepito , allungando la zampa per prenderla, 
ciò ‘ch’ esso faceva con notabile destrezza. 


Gabinetto Tom. LI 17 


258 IL LORI TARDIGRADO: 

Mosiravasi grato alle carezze, e. attestava. al 
sig. d' Obsonville la. sua ‘affezione ,. prenden- 
done e stringendone, l’ estremità delle dita, e 
fissando in lui i suoi occhi semichiusi. 


« 


IL MANICOU. 


È presso a poco della lunghezza di un gatto 
mediocre, ma il suo pelo, che si drizza in 
luogo -d’ esser disteso, lo fa apparire molto più 
grosso. Il suo color generale è un bianco 
smorto. Ha una testa lunga, che termina in 
punta, e la boeca molto larga. La sua’ coda, 
lunga quasi un piede, è fatta per pigliare come 
una mano, e si copre di peli fino a sei. pol 
lici dalla sua origine, ma poi si riveste di una 
pelle scagliosa, onde rassomiglia ad un serpe. 
{Il manicou ha le gambe corte e d' un. grigio 
cupo. 1 due diti interni de suoi piedi sono 
piani e rotondi, cd hanno ugne come quelli 
delle scimie; gli altri sono armati di grife as- 
sal acute, 

Ciò che distingue particolarmente il manicou 
femmina si è una tasca abdominale, destinata 
a proteggere e conservare i suoi piccioleiti, 
Alcune di queste tasche, hanno due o tre ca- 
vità, da potersi chiudece ed aprire a piacere, 

L'animale di cui parliamo, quando è a terra, 
non sembra aver difesa, poichè la forma delle 


TL MANICO. 259 
sue mani gl impedisce di correre, anzi di cam: 
minare con celerità. Malgrado, però, un tal di- 
fetto, è in grado di salir sugli alberi con al- 
trettanta facilità, che la più parte degli altri 
quadrupedi, i quali si arrampicano. Dà esso 
instancabilmente la caccia agli uccelli e a’loro 
nidi, ed è un gran distruttore di volatili, di 
cui succhia il sangue, senza mangiar la carne. 
Si nutre pure di frutta selvaggie, di radici, e 
d' altri vegetali. si 

Quand’ è inseguito e arrestato, contraffà il 
morto, sino a che sia passato. per lui: il peri- 
colo». Dupratz assicura, che quando è preso in 
questo stato, non porge alcun segno di vita, 
se anche si collochi sovra un ferro rovente. 
Che se trattasi di una femmina, la quale abbia 


. de piccioletti nella sua tasca; preferisce il farsi 


con essi arrostire al rendersi all’ inimico, Ove 
queste non siasi allontanato. a certa distanza 0 
nascosto, il manicou non fa verun moio; ma 
allora poi fugge con tutta la celerità, di cui è 
capace, nel primo buco, o nel primo rovajo; 
che gli oflre un asilo, 

. Alcun tempo. innanzi. che .la femmina si 
sgravi sceglie essa fra dense macchié o spineti 
al piè di qualche albero un luogo, ove de porre 
il suo pario. Col soccorso del maschio raduna 
certa quantità di foglie, di cui si carica il 
ventre, e quello poi colla sua coda strascina 


260. TT MANICOU. 
essa e il suo fardello insino al nido. Pio- 
duce ad un tempo quatiro o sei piccioleiti ,. 
che nascono orbi e senza pelo, e rassomigliano 
a piccioli feti. Appena son nati, che si ritirano 
entro la tasca, di cui parlammo,. e si attaccano. 
fortemente alle mammelline della madre, alle 
quali continuano di rimanere aderenti, benchè 
quasi inanimati, sino a che godano della luce. 
abbiano acquistata forza, e il loro corpo sia 
coperto di pelo. Da questo punto più non si 
servono. della borsa, che come di un asilo.. La. 
madre ve:li porta entro col più grande affetto,. 
ed' ivi si veggono essi. giuocare; 0 nascondersi, 
ove. siano. minacciati. Dicesi che quando non 
hanno tempo di farlo si. attacchino alla coda 
della madre, e si sforzino di fuggire con essa.. 

Il manicou sembra aver molto coraggio, @ 
è: principio vitale è in esso molto tenace, sic- 
<chè nella Carolina settentrionale è passato in 
proverbio che: « se. un gatto ha nove vite, il 
manicou ne ha diciannove. » La carne di que- 
sto quadrupede. è. bianca; ed ha il gusto di. 
quella d'un porcellino da latte. I selvaggi fi- 
lano, € tingono il suo pelo, di cui fanno ciu-. 


5 
tinre ed altri oggetti di ornamento. 


204 
IL CAYOPOLLINO. 


‘Fu descritto, la prima volta, da Sybillas 
Mérian, artista alemanno, onde alcuni lo ap» 
.pellarono Opossuna-Mérian. Seba in seguito ce 
ne ha dato il disegno. Secondo lui, quest'ani- 
‘male ha gli occhi brillanti e contornati d un 
piccolo cerchio ‘di peli neri; i denti molto acuti; 
e al dissopra della mascella superiore e degli 
occhi lunghe setole in forma di mustacchi. Le 
sue orecchie ignude rassomigliano a quelle del 
gatto. Il suo corpo è coperto d' un pel liscio, 
il quale è rosso tendente al giallo in sul dorso, 
e d’un bianco vivo sul muso, la fronte, il ven- 
tre ed i piedi. Sulla coda del maschio, ch'è 
ignuda e d'un rosso pallido veggonsi macchie 
brune, le quali non appariscono sulla coda 
della femmina. Le zampe davanti rassomigliano 
a quelle d'una scimia, avendo quattro diti e pol- 
lice distinti, ‘e picciole unghie rotonde, mentre 
il dito gresso de! piè di dietro è piano e di forma 


“ottusa, e la sua estremità armata di grife acute. 


{ piccioletti escono talvolta dalla borsa ma- 
ierna, sia per giuocare, sia per cercare il lor 
nutrimento. E quando hanno abbastanza corso, 
‘o sono abbastanza saziati, ovvero temono di 
qualche periglio, s° aggrappano al dorso della ma- 
dre, intrecciano la propria alla sua coda, e sono 
così da essa portati in salvo con tutta celerità. 


302 
IL KANGURO.. 


Questo singolar animale abita la Nuova-Galles 
meridionale, ove fu scoperto P anno 1770 dal 
capitano Cook. Esso ha talvolta nove piedi, 
all'incirca, di lunghezza, dall’ estremità del 
muso a quella della coda; e il suo pesa giu- 
gne talvolta fino a cinquanta libbre. Il suo pe- 
lame è corto e morbido, d'un grigio rossiccio 
che si rischiara sui fianchi e sotto il ventre. 
Ha la testa picciola ed allungata, le orecchie 
larghe e diritte, il naso fornito di mustacchi, 
il collo e le spalle assai ristrette; e cresce 
gradatamente di volume verso l'anche e il 
basso-ventre. Le sue gambe anteriori, quando 
sono più lunghe, giungono circa ai dicioito 
pollici, e quelle di dietro ai tre piedi e sette 
pollici. Le prime gli servono a scavar la ter- 
ra, onde formarvi il suo coviglio e a portarsi 
gli alimenti alla bocca; sulle seconde. esso 
sostiensi e fa salti di sette in otto piedi di 
altezza. Per ciascuno de piedi del suo corpo 
mon si contano che tre diti, fra cui quel di 
mezzo eccede considerabilmente per lunghezza 
e per forza i due altri; esaminandolo da vi- 
cino trovasi realmente diviso, come da col- 
tello tagliente. 

La coda del kanguro è lunga, grossa, alla 
radice, e terminata in punta. Se ne vale esso 


x 


IL 


KANGURO 


Î 


i | 


(DID 
Il 
In 


“TL KANGURO. 263 
eome d'arme, con cui porta colpi sì violenti, 
che sariano capaci di romper la gamba ad un 
uomo. Gli abitanti del suo nativo paese con- 
siderarorio dapprima questa coda, come suo 
unico mezzo di difesa; ma avendo poi  cac- 
ciato il kanguro con de' levrieri si accorsero 
com’ esso usa egualmente le grife ed i denti. 
Quando è raggiunto e abboccato dai cani, ei 
si ritorce, e prendendoli colle sue zampe da- 
vanti, li percuote con quelle di dietro che. 
sono fortissime, e gli strazia a tal punto, che 
i cacciatori sono spesso obbligati di ricondurli 
onde far loro medicar le ferite. I. cani della 
Nuova-Galles veramente giungono a vincere 
ed uccidere il kanguro ; 3 ma questo è opp 
vigoroso e feroce pei nostri levrieri. 

Si pasce esso ordinariamente alla maniera 
degli altri quadrupedi , tenendosi in sulle quat- 
tro zampe, e beve lamberdo. Nello stato di 
captività si diverte facendo balzi in avanti, e 
battendo violentemente la terra coi piè di die- 
tro; al qual uopo sembra come appoggiato 
sulla base della sua coda. Una cosa partico- 
larmente distingue quest animale, ed è la fa- 
coltà di molto separare i lunghi denti incisivi 
della sua mascella inferiore. Tale singolarità, 
per altro, si scorge anche nel. sorcio maritti- 
mo, animale di specie ‘affatto distinta. 

La femina del kanguro ha una tasca abdominale 


264 II KANGURO. 

‘simile a quella del manicou, e in ‘essa nutre 
i suoi piccioletti, e li mette al coperto d’ ogni 
specie di periglio. Nello stato naturale i kan» 
guri pascolano a torme di trenta o quaranta, 
e uno di ‘essi suol collocarsi a certa distanza 
dagli altri, per far loro la sentinella. Secondo 
iilidico vi ha luogo di credere che siano 
essi animali notturni. Hanno l'occhio fornito 
di membrane, che fan l'officio di palpebre 
potendosi estendere «e coprirne tutta l' orbita. 
Viveno ritirati entro le tane. 

Vuolsi che la carne de kanguri sia molto 
grossolana ; Banks, però, la paragona all’ ec- 
cellente montone, sebben confessi che non è 
così delicata, come quella che spesso vide .al 
mercato di Leadenhall. 

I kanguri possono ora -quasi considerarsi 
come naturalizzati in Inghilterra. Parecchi ne 
furono per lungo tempo custoditi. ne’ dominii 
reali di Richemond, ove le loro femine hanno 
deposti i loro parti; acquisto, per ciò che 
sembra , importantissimo per quel paese. 

Vedesi ora (1806) nella sala d'esposizione 
d'Exeter-Change una coppia di bellissimi kan- 
guri. Furono essi condotti dal porto Tackson 
nella Nuova-Galles del sud, e già da sci 0 
sette anni sono iu possesso del sig. Pidcok. Il 
maschio, quando sta ritto, ha più di sei piedi 
d’ altezza, ed è animale di forza prodigiosa. 


ÎL KANGURO. 265 
‘Essendo io andato, alcuni mesi addietro, a 
vedere il parco, vi fui testimonio d'una lotta 
di questo bel quadrupede col suo guardiano 
per lo spazio di dieci in quindici minuti. E 
in verità vi mostrò esso eguale intrepidezza 
‘che sagacia. Perocchè si volgeva da ogni lato 
onde far fronte al suo. avversario, e spiava 
atientissimo l'occasione di coglierlo; e talvolta 
il prendeva al collo per mezzo delle sue zampe 
anteriori, mentre con quelle di dietro gli bat- 
teva l anche. E poi che fu terminato il com- 
batuimento , il kanguro si presentò di nuovo 
per rinfrescarlo, e non ritornò alla sua stia, 
che quardo gli fu condotia la sua femina, 
per determinarlo a rientrare. Questa, sebbene 
assai più piccola del maschio, è anch essa un 
molto bell’ animale. Ebbe già cinque piccioletti, 
di cvi alcuni sono imbalsamati e serbati tra 
l altre rarità del parco. 

In questo: vedesi un aliro kanguro detto dal 
pelo I argento graziosissimo anch’ esso, e di 
specie assai più piccola dell aliro. Ha quasi tre 
anni, fu condotto in Inghilterra dal capitano 
Voodraffe, e dal mese di agosto del 1804 è 
in possesso del sig. Pidcok. 

Uredesi che il nudrimento de’ kanguri, nel 
loro stato selvaggio, si componga principal- 
mente di, erbaggi. A quelli, però, del parco 
suddetto si dà pane, crusca, fieno, orzo e cavoli. 


266 
PL BECCO D UCCELLO. 


Il ‘quadrupede, che’ porta questo nome, fu 
recentemente scoperto nella Nuova-Galles me- 
ridionale. Sir Giuseppe Banks possedè due indi- 
vidui di questa specie che gli furono inviati dal. 
governatore Hunter; ed uno o due appena se 
ne sono fino ad oggi veduti in Inghilterra. 

La lunghezza del curioso animale, di cui 
si parla, dall’ estremità del becco a quella 
della coda è di tredici pollici; e il becco se 
ne usurpa solamente per sè un'ottava parte. 
Picciola è la sua testa; e il suo muso, che 
chiamiam becco, ha molta rassomiglianza con 
quello di certe anitre, sicchè appena dopo un 
esame diligente possiamo persuaderci di. quello 
che è. Il suo corpo è depresso, e richiama, 
in certo modo, l'imagine d'una lontra; copresi 
di un pelo folto e morbido, il cui colore è 
alquanto bruno sul dorso, e d'un bianco ar- 
genteo sui fianchi. Le sue gambe son certe, 
e terminano con una larga membrana, che si 
estende a considerevol distanza al di là delle 
grife. I suoi piedi davanti seno muniti, cia- 
scuno, di cinque ugne fortissime ed acutis- 
sime; i posteriori ne hanno cinque ricurye; e 
quel di mezzo è molto più elevato che gli 
altri, ed ha sembianza di uno sprone molto 
forte ed acuto. 


‘IL BECCO D UCEELLO. 267 

Gli individui di questa specie inviati fino 
ad oggi in Inghilterra, erano stati privi de- 
gli intestini, e generalmente mal conservati. 
Il sig. Stome, per altro, ne esaminò uno, che 
apparteneva a sir Giuseppe Banks, e che es- 
sendo messo nello spirito di vino, s'era man- 
tenuto intero; e discoprì che, sebbene il 
becco, quando si guarda superficialmente, 
molto rassomigli a quel d'un uccello, sicchè 
parrebbe destinato all’ istess' uso, nondimeno, 
considerato meglio, si vede esserne assai dif- 
ferente. Sembra, infatti, che un tal becco non 
sia già la bocca dell'animale, ma soltanto 
un’ appendice, che si esiende al di là. L'in- 
terno di questa bocca è come quello degli altri 
quadrupedi; contiene da ciascun lato due denti 
molari così nella mascella inferiore, che nella 
superiore; ma non ne ha d incisivi. Le ossa 


‘del palato, e del naso di quesi’ amfibio ne 


tengon luego. Prolungandosi esse, e allangando 
così le narici, formano la parte superiore del 
becco, di cui dicemmo ; e due parti della 
mascella inferiore, in luogo di terminare, come 
negli altri quadrupedì , si sporgono innanzi , 
e così è prodotta l inferior parte del becco 
medesimo. 


Tale ‘struttura è differentissima da quella 


del becco di tutti gli uccelli, poichè in questi 


la cavità delle narici non si prolunga al di 


568 IL BECCO D UCCELLO. 
Ualla sua origine; e gli orli delle parti più 
basse, che corrispondono alla mascella inferiore 
del quadrupede di cui si tratta, sono duri, e fan 
Tofticio «di denti, mentre avvi nel mezzo uno 
spazio vuoto per ricever la lingua. Nell ani- 
male, che chiamiamo becco d’ uccello, le :due 
lamine picciole e ossee sono nel centro , e le 
parti che le circondano si compongono di una 
pelle, e d'una membrana. I denti non hanno 
#adici, che siano piantate nella mascella, come 
nella più parte de quadrupedi; ma sono bensì 
incassati. nelle gengive, e rassodati per lo 
sporgersi che fanno gli orli mascellari al di 
fuori. La sua lingua non è lunga che mezzo 
pollice, anzi la parte mobile di essa non lo 
è che di un quarto di pollice; e l'animale 
può ritirarla tutta quanta nella sua bocca. 
{Quando è distesa si avanza presso a poco un 
«quarto di pollice nel becco. Questo poi è co- 
perto d'una pelle morbida e liscia; che, si 
estende al di Ja degli ossi, lateralmente e di 
fronte, e forma un labbro mobile sì forte, 
che fatto seccare e indurire nello spirito di 
vino, sembra aflaijò inflessibile. Umettato però 
d' acqua, diviene flessibilissimo, ed offre tutte 
le ‘apparenze di una struttura muscolare. La 
parte inferiore del becco ha un labbro così 
largo, come la superiore; ma a questa manca 
un soprabordo, che La quella in forma di 


ÎL BECCO, D. UCCELLO. 6g 
sega, che appena però si scorge ov'è più te- 
nera e cartilaginosa. 

Una piega irasversale della pelle neri che 
ricopre il becco, forma anello alla sua circon- 
ferenza propriamente vicino all’ origine. 

Questa piega, per ciò che sembra., è de- 
stinata ad impedire che il becco non s' immerga 
più oltre di essa nel limo, ove può trovarsi 
la preda dell’ animale. I nervi, che servono 
a siffatto becco, sono presso a poco simili 
que’ degli uccelli ,. e la cavità del cranio si 
conforma assai più a quella. del capo di un'a- 
nitra, che di un quadrupede. 

L'organo dell’ odoraio dillerisce in esso da 
quel degli uccelli egualmente che degli altri 
animali. Perocchè l apertura ne è. collocata. 
all'estremità del becco, onde partono due 
cavità, che si estendono lungo il beeco me- 
desimo.. 

La larghezza dell’ occhio è assai picciola in 
paragone della grossezza dell'animale, eil foro 
esterno dell’ orecchio , è parimente sì esiguo, 
che si discopre con molta difficoltà. 

Supponsi, guardando alla conformazione del 
quadrupede , di cui favelliamo, che scavi la 
sua tana in riva a fiumi, e il suo cibo si 
componga di piante aequatiehe , e di animali. 
Non sembra però che il suo becco stringer 
| possa con molta forza la preda; bensì quando 


270 IL BECCO D UCCELLO. 
le sue labbra si congiungono, succhiar possono 
vigorosamente, € forse in questa guisa attirano 
alia bocca il nutrimento. 


LA FOCA. 


Ha il corpo allungato e coperto di pelo bre- 
vissimo, lucente, e di varii colori; la testa 
larga e rotonda ; e il collo ristretto. Ciascun 
lato della sua bocca è munito. di gran mu- 
stacchi; i suoi occhi sono grandi, la sua lin- 
gua è bifida e forcuta alla sua estremità, Non 
ha orecchie esterne, e il senso dell’ udito è 
in essa ottusissimo. Le sue gambe son corte ; 
e quelle di dietro poi sì lontane dal corpo, 
che non possono esserle di veruna utilità, se 
non forse nuotando. I suoi piedi hanno mem= 
brane , e*la sua coda è brevissima. La voce 
sua, quando sia giunta alla naturale pienezza, 
può somigliarsi, all’abbajar d'un cane; men- 
tre, quando è, ancora sul formarsi, meglio 
paragonerebbesi al miagolar di un gatto. 

Le foche, in estate, si collocano ordinaria- 
mente entro scavi sotierranci, fra grandi fram- 
menii di rupi; e in tale stagione appunto 1 

nostri copapaggioli ne vanno in caccia. Se esse 
hanno Ja sorte di sfuggir loro, si strascinano al 
mare, gittando dietro di sè fango e pietre, e 
manifestando con lamentevoli gridi il timore che 


LA £00A» 271 
provano. Quando ,  però., siano prese. fanne 
vigorosissima difesa e coi denti e coi piedi. 
Sono agilissime nell’'acque , le quali abbiano 
bastante profondità per contenerie ; vi si at- 
tuffano sino al fondo con estrema rapidità, e 
tosto ricompajono alla distanza di quaranta 0 
cinquanta verghe. Una se ne vide, pochi anni 
fa, presso la costa di Cornovaglia, inseguire 
una triglia, per onde, come un cane avria 
fatto una lepre per terra; e poco mancò non 
la pigliasse , malgrado le sue fughe, i suoi 
nascondimenti e i suoi salti. 

| Le foche, nuotando, portano sempre la te- 
sta fuor d’acqua; e quando si tengono al 
sole sopra gli scogli, sono diffidentissime, nè 
mai dormono più d'un minuto senza svegliarsi. 
Levaro allora il capo, e se nulla veggono, 
che le adombri, si ricompongon di nuovo per 
riposare. Assicurasi che molto amino le tem- 
peste, e che in esse, star sogliono sopra gran 
sassi contemplando con piacere IESHE convul- 
sioni della natura. 

È un fatto generalmente riconosciuto che 
la foca, quando si prende giovane "I sia faci= 
lissima ad addomesiicare, e se le insegni a 
seguire il suo padrone, come ad un cane. Uno 
io degno di fede, ce ne assicura par- 
lando di ciò che vide pochi anni addietro. 

« Fu presa; egli dice, a poca distanza dal 


x7t "Ebrei ù 
mare una: foca, e teneasi costantemente in un 
vaso d'acqua salata. Talvolta, però, le si permet» 
teva di strascinarsi per la casa, ed anche d'av- 
vicinarsi al fuoco , e le si procusava regolar- 
mente il cibo, che le conveniva. Si. gettava 
anche ogni giorno al mare, ove nuotava' in- 
torno alla canoa e sempre si lasciava ripren- 
dere. Visse di questa guisa per più settimane; 
ed avrebbe fornita una carriera assai più lun- 
ga, se non fosse stata qualche voita troppo. 
duramente trattata. 

Nell'anno 1759, sì mostrava a Londra 
una foca, la quale obbediva al comando del 
padrone suo, prendeva il pane dalla sua ma- 
no, si distendeva interamente per terra, al 
lungava. il collo, quanto le era possibile ; pa- 
rea salutare gli spettatori , andava al mare e 
ne ritornava, quante volte le si dava. ordine: 
di farla ». 

Un fittajuolo d'Aberdour essendo andato, 
alcuni anni sono, a pescar in mare intorno adi 
‘alcuni scogli, vide una giovine foca di circa. 
due piedi e mezzo, che prese e portò a casa. 
Essa divorava la zuppa nel latte, che le si 
porgeva , e continuò per tre giorni ad esser. 
nudrita di questa maniera , in capo a' quali 
la moglie del fittajuolo , riguardandola come 
causa Mi spesa inutile, volle disfarsene. Ii ma- 
rito quindi fattosi ajutare da altri la gittò di 


LA FOCA. 279 


nuovo al mare: ma essa, malgrado ogni sforzo 
contrario , gli tornò appresso. Allora fu con- 
venuto che il più g grande della compagnia en- 
trerebbe nell’ acqua più innanzi che potesse , 
onde nuovamente scagliarvela, ed indi si na- 
sconderebbe dietro gli scogli. Ma la foca; di 
cui nulla uguagliava i Silezione per gli ospiti 
suoi; non fu im pedita dallo siratagemma, sì che 
non' uscisse per la seconda volta dal salso ele- 
mento, e non venisse a raggiungere chi la 
figettava. Una tal cosa determinò il fitiajuolo 
a ul nella sua protezione, e enni. 
al suo domicilio ; se non che alfin stancatosi 
di mutrirla | uccise; per pagarsi dello speso 
colla sua pelle. 

La stagione di prender le foche è general 
mente il mese di ottobre eil principio di 
novembre. Î cacciatori, muniti di forche e di 
bastoni, si fanno verso mezzanotte all'ingresso 
deile caverne, ove quegli animali si ritirano, 
penetrano quanto più innanzi possono colle 
loro barcheite. Indi uscitine, e scelto un posto 
favorevole si mettono a fare. grande. strepilo , 
per ispaventarli , e far eh'escano in pieno mare, 
In tali circosianze è loro cura di evitare la 
folla, che verrebbe sopra di essi con troppo 
impeto. Dopo di questa, che prima fugge, an- 
cor rimane gran numero di picciole foche, le 
quali vengon più lenie, e che si uccidone 


Gubinetto Tom. L 59 


ne 74 ATROCE 


con ‘Bull! dando loro un | picciol colpo sni 
naso. 

Gii abitanti della Groenlandia iraggono di 
queste cacce. grandissimo vantaggio, attesoché 
le foche sono di estrema necessità ‘alla loro 
sussistenza. La carne di esse fornisce un nu- 
drimento : gustoso, del pari , che sostanzioso ; 
e il grasso delle medesime dà loro olio per la 
pentola e per la lucerna, nel tempo stesso.che è 
materia di cambio, per altre cose importanti alla 
vita. I filamenti de: nervi sono assai migliori 
per cucire, che nou il refe e la/seta. Le ve- 
sciche servono di galleggianti ai fiocinieri, onde 
pescare. Della pelle poi si fanno tende, vesti e 
coperte per letti, e canoe, non che corregge 
e soatti d’ ogni specie. Il sangue stesso non 
va perduio, poichè i nativi del paese lo fanno 
bollire con altri ingredienti; e ne hanno brodo 
per la zuppa. Quindi l'arte di prender le fo- 
che è quasi la prima pei GroenJandesi, che 
l imparano dalla più tenera ‘età, e per essa 
pongonsi in istato di condurre vita alquanto 
men disagiata, mentre si rendono utili alla 
socielà. 

La pesca della foca nella Finlandia .comin- 
cia allo sciogliersi dei ghiacci. Allor che questi 
sono ammonticchiati dai flutti, quattro o. cin- 
e J° «ani s imbarcano in una canoa sco- 
oerta , e stanno qualche volta assenti più di 


LA FOCA. 275 


cinque seltimane dalle lor case; esponendosi a 
tutti i perigli ,. che s incorrono pei mari del 
settentrione, non avendo che un picciol fuoco, 
cui accendono sovra alcuni mattoni, e nutren- 
dosi della carne delle foche uccise. Il seguente 
aneddoto porgerà idea di tal mestiere. 

Due Finlandesi imbarcaronsi, or sono alcuni 
anni, in un fragile schifo. Avendo scoperte 
più foche sopra di un'isoleiia di ghiaccio g val 
leggiante, uscirono del loro legnetto, e si ag- 
grapparono a quel gran masso piramidale, 
camminando sulie mani e sulle ginocchia, per 
non essere veduti da quelle bestie. Avearo ve- 
ramenie legata alla picciola isola la picciola 
barca; ma nel bello della loro caccia un colpo 
di vento ne ruppe la catena e la disiaccò, onde 
rotta da ghiacci , sparì subito soito l’onde. I 
cacciatori si trovarono allora senza mezzi, senza 
soccorsi, anzi senza il minimo raggio di spe 
ranza sovra perigliosissimo appoggio , e vi ri 
\masero quindici giorni. Il calore, che ne ‘di- 
| minuiva gradatamente. il volume e l'’ eleva- 
zione della superficie, rendeva di momento in 
momento la loro situazione più spaventosa. 
Finalmente, dopo aver sofferti iutii gli orrori 
di una fame: divoratrice, ed essersi trovati ri- 
dotti a rodere la carne delle loro braccia, si 
strinsero gli uni agli altri, e determinarone 
gi precipitarsi ne fluiti, onde metter fine alia 


376 LA FOCA. 
loro sciagura. E già quesia funestissima riso- 
luzione ‘era. per compiersi ; quando scÒrsero 
da lungi una vela. Uno di essi allora si levò 
la camicia, e la sospese al suo fucile. Il qual 
segnale fu veduto dall equipaggio del vasceilo, 
ehe apparieneva ad un pescator di baicne, onde 
mise tosto in mare un palischermo , per 7cor- 
rere in loro soccorso. Quest incontro fortunato 
pose solo salvarii da una morte inevitabile e 
vicina. 

Le femmine delle foche producono doppia 
© triplice prole per ogni parto , e la  depon- 
gono nelle cavità de’ guiiacci , mentre il ma- 
schio forma tosto vicino uno sforo, che dà 
pronta comunicazione al’ mare. Le  picciole 
foche si gettano all'acqua appena che sl avveg- 
gono di un cacciatore, € talvolta anche di pre 
rio moto, onde cercarvi il lor nuirimento. 
Quando quelle femmine escon dal mare, be- 
lano come agneile, onde chiamare la loro pro- 
gemie; e sebben passino davanti a migliaja 
d’ altre giovani foche , mai non ne. prendono 
alcuna in iscambio. . 

Quindici giorni dopo il nascimento le pic- 
ciole bestie sono “istruite dalle loro madri 
nuotare e .cercarsi di che vivere; e quando 
sono stanche vengono da esse, per ciò clie 
dicesi, prese sul dorso. Sì rapida poi è la 
loro cresciuta, che in due o ire dì, che sono 


LÀ FOCA. nom 
al mondo , divengono egualmente agili che le 
vecchie. e 3 

La carne delle fughe era altre volle ammessa 
alla tavola de’ grandi, come, fra I altre  me- 
morie , ce ne fa fede la nota dello speso in 
nno splendido banchetto dell’ arcivescovo Ne-, 
ville sotto Eduardo IV. La loro pelle è an- 
ch essa molto pregiata, e dà una bellissima 
specie di cuojo. 

Gli amfibii, di cui favelliamo, trovansi sulla 
più parte delle coste della Gran Brettagna e 
dell’ Irlanda , tuite seminate di scogli. Se ne 
veggono pure al di quà del circolo artico nei 


apiari dell Europa e dell'Asia. 
L'ORSO MARINO. 


Quest animale s'incontra principalmente nelle 
isole del Kamischatka, dal mese di giugno sino 
a quello di settembre, intervallo di tempo. 
durante il quale la femmina depone ed alleva 
i suoi piccioletti. Indi gli orsi marini tornano, 


dicesi, chi alle coste asiatiche, e chi alle ame» 


ricane, tenendosi in generale fra il cinquan- 
tesimo, e il cinquaniesimosesio grado di la- 
titudine. 

La lunghezza ordinaria de’ i chi è di 
circa otto piedi, ma quella delle femmine è 
assai minore. Il loro corpo è membruto, e va 


278” L ORSO MARINO. 
diminuendo di grossezza sino alla coda. Il co- 
lore del loro pelo generalmente è nero, ma 
ne vecchii è misto di grigio, e nella più parte 
delle femmine è cenerognolo. Il loro ‘naso si 
avanza come quello di un giovane alano, e i 
loro occhi sono iarghi e sporgenti. Le loro 
gambe anteriori hanno , circa, due piedi di 
lunghezza, e i loro piedi han dita, coperte -di 
pelle ignuda, e s° assomigliano in certo modo 
a quelle della testuggine. Le gambe di dietro 
sono più corte, e terminano in cinque diti, 
separati per: mezzo di una membrana. 
La voce di questi orsi marini varia in più 
eircostanze. Allor che stanno a diporto sulla 
riva del mare , mugolano come gioveache; se 
sono impegnati in qualche battaglia, mandano 
urli feroci; se poi sono vinti, od hanno ri- 
eevuto ui ferita, miagolano come gatti, 
e 1 loro accenti di trionfo rassomighano in 
qualche modo ai gridi acuti de’ grilli. 
esti animali vivono in famiglie separate 
le une dalle altre, sebben si trovino alle volte 
a migliaja sulle coste che abitano; e nuotano 
per tribù, quando sono in mare. Ogni maschio 
ha un serraglio composto di otto in dieci fem 
mine, ch'esso custodisce e guarda gelosamente. 
Affezionatissimo ai suoi piccioleiti , se alcuno 
cerca rapirli, li difende arditamente,; intanto 
che ia femmina via si porta nella sua bocca. 


L'ORSO MARINO. 279 
quello di cui è madre. Se avviene a questa dî 
lasciarlo cadere, il maschio abbandona il ne- 
mico , si getta sovr essa, e la percuote con- 
tro ai sassi, finchè l'abbia lasciata quasi morta. 
Rinvenuta, ch’ ella sia, strascinasi suppliche- 
vole ai suoi piedi, e glieli bagna colle sue la- 
grime, mentr’ esso la insulta brutalmente, e 
mena orgoglio della sua umiliazione. Che se il 
piecioletto gli fu tolto; s' infosca, piange, e 
dà a vedere che prova pungentissimo dolore. 

Accade talvolta che gli orsi marini vecchii 
o deboli sono abbandonati dalle femmine; nel 
qual caso ritiransi da ogni compagnia, diven- 
gono eccessivamente erudeli, e sì attaccati al 
loro posto, che preferiscono il morire all’ ab- 
bandonarlo. Se aliro animale si avvicina ioro, 
esecno tosto dal loro stato di indolenza, il 
provocano e si fanno a combattere. Nella qual 
lotta occorrendo talvolta che insensibilmente si 
‘avanzin sul luogo di qualche loro vicino; que- 
sto allora vi prende parte; e così via via essa 
finisce coll’estendersi. a tutta la costa in mezzo 
ad urli i più spaventevoli. 

Il sig. Steller colla gente del suo equipag- 
gio, volendo provare Î ostinazione di questi 
animali, ne assalì uno di tutta forza, gli cavò 
gli occhi, ed irritò quattro o cinque de’ suoi 
vicini, gettando loro delle pietre. Questi in- 
seguendolo, il signor Steller si riparò dietro 


2800 L ORSO MARINO. 
l'animale accecato, il quale sentendo avvicinar 
gli altri orsi, si avvento loro con estremo fu- 
rore. Il sig. Stelicr allora salvossi ad un'altura 
vicina , dle stette ad osservare la scena sane 
guinosa, che durò. per più ore. L’ orso mari- 
no, privo deila vista, maltrattò egualmente 
amici e nemici, sinchè tutti alfine si volsero 
contro di lui, non dandogli tregua né sulle 
coste nè in mare, onde fu costretto soccombere. 

| Allor che due di questi animali si battono 
insieme , piglian riposo ad intervalli, e si sdra- 
jano l'uno sull'altro ; indi si levano ambidue 
a un tratto, € rinnovan l'assalto, sempre te- 
nendo la testa diritta, e' solo distornandola , 
per evitare 1 colpi. Finchè la vittoria rimane 
indecisa ,. non adoprano che i piedi anteriori }; 
ma all istante che Y un d' essi è indebolito , 
Y altro il prende coi denit, e il gella contra 
terra. Le ferite, che si fanno, han molta pro- 
fondità, e pajon quasi di sciabole taglienti: 2 
dicesi che nel mese di luglio vi siano pochi 
fra essi, che non ne portino nel loro corpo. 
Alla fine d'un combattimento quelli, a cui 
rimane tanto di forza, si gettano in marg, 
onde iergere le tracce di sangue, di. cui sono 
coperti. Non facilmente perdono l ultimo fia- 
î0, e sopravvivono più d'una quindicina di 
giorni a delle ferite, che sariano immediata 
mente mortali. per qualunque altro animale. 


; L'ORSO ‘MARINO, 281 

Uno di essi, dice Maftens, viveva ancora 5 
dopo che gli avevamo levato gran parte del suo 
grasso; e, malgrado tutte le ferite da noi re- 
categli, sempre continuava a scagliarsi contro 
di noi ed a morderci. Passai più volte, egli 
aggiunge, la sula spa .da attraverso il corpo d'un 
altro di quesii amfibii, senza ch’ esso facesse 
pur mostra di avvedersene. Alfine si levò, corse 
più celere, ch io non potessi, e si precipitò 
esso medesimo d'un moniicelio di ghiaccio nel 

‘mare , ove scese tosto aì fondo. 
Quando eli orsi marini si sono attuffati hel 
albelbicniento , ® vi hanno ripreso un po di 
lena, fan capriole , alla foggia d'altri animali 
equorei , si volgono a guisa di ruota; solcano 
1 flutti con grandissima rapidità, percorrono , 
talvolta ,. più di sette o otto miglia per ora; 
e spesso nuotan sul do: *so, e così a fior d’onda, 
che i lero piedi. posteriori sono interamente 
asciutti. Giunti a riva si scuotono e si puli» 
scono il pelo co piè medesisii, e applicando 
quindi le loro labbra a quelle delle femmine 
sembran baciarle. Poi si distendono al ‘sole per 
| risca!darsi; o si sdra ajano aggomitolati , e re- 
stano così sepolti in pieno riposo. I lore pic- 
cioletti sono così scherzevoli come giovani cani; 
fanno tra loro finte. pugne, e cadono frequen- 
iemente gli uni sopra gli altri, mentre il pa- 
dre li riguarda con aria di compiacenza, li lecca 


562 L'ORSO MARINO. 

e li bacia; mostrando assùi più affetto pel 
vincitore che pel vinto; 

Vuolsi che quesii animali si trovino in sì 
gran numero nell isola di Bering, da coprirne 
interamente la costa. Ì viaggiatori sono allora 
cosìretti, per propria sicurezza, ad allontanarsi 
dalle sabbie e dai bassi fondi, e volgersi ine 
torno alle colline. È però a notarsi che talì 
amfibii non abitan che quella parte, che si 
avvicina al Kamtschatka. Nei primi di giugno le 
femine si ritirano verso il nsèzzogiorno dell’isola, 
per isgravarsi, e tornano alla fine di agosto. 

La carne dei piccioletti è riputata eccellente; 
ma quella de’ vecchi maschi è d’ odor troppo 
forîe. Questi animali vanno coperti d'una spe- 
cie di nera pelliccia di rozze e lunghe seto- 
le, soîito cui è un feltro morbido, o anzi un 
velluto Ponsianio, che inclina al bruno, 


LA F OCA DAL NASO A BOTTIGLIA, 

I maschio di questa specie è assai. grosso ; 
ed ha talvolta quindici in venti piedi di lun- 
ghezza. Si distingue pure dalla femina per una 
grande escrescenza, che avanza di cinque o sei 
pollici la mascella superiore. I suoi piedi sono 
assai corti e sì. membranosi, che somigliano a 
pinne. H color generale del suo pelo è un 


grigio ferreo. j 


LA -FOCA DAL NASO A BOTTIGLIA, 283 

Il grasso di tal genere di foche alto 
dieci o dodici pollici fra carne e pelle, poi- 
chè , quand’ esse camminano , pajono pento» 
loni d’enorme grossezza, ripieni d'olio. Que- 
sto infatti si vede fluttuare sotto la superficie 
della pelle medesima. Ma hanno esse, inoltre, 
sì gran quantità di sangue , che, ove si fac- 
cian loro profonde ferite in dodici luoghi ad 
un tempo, zampilla da ciascuna a distanza 
considerabile. La ioro voce solitamente è un 
forie grugnito , 0 piuitosto una specie di ni» 
trito, simile a quelo del cavallo ‘nel suo piena 
vigore. 

Sono esse & un naturei letargico; e diffi- 
cili a risvegliarsi s quardo dormono. Il loro 
tempo è diviso egualmente fra il soggiorno di 
mare, ove stanbo in eslnte, e quello di tere 
Ta, ove si trasportano al principio d'inverno. 
Si nutrono d'erba e di verdura, che eresce 
in riva & ruscelli ; e quando non sono intese 
a mangiare dormono a branelii ne luoghi più 
fangosi,. che possano ritrovare. Ogruno di 
Pat branchi è sotto 4. sorveglianza di un 
grosso maschio, che i marina) appellano per 
beffa il pacha, vedendolo allontanare con gran 
cura gli altri maschii da certo numero di 
femmine , delle quali s° impadronisce. Questo 
pacna , però , non giugne a tal grado di 
superiori tà, senza prima ayer sostenuto ai. 


2 
hi 
e 


23) LA FOCA DAL NASO A BOTTIGLIA. 
numero di combattimenti sanguinosi, dei quali 
rendono testimonianza le sue profonde cica- 


trici. Persone dell equipaggio di Lord Anson 
K 


cacciarono un giorno nel isola di Juan Fer- 
nandez degli animali, che loro parvero dif 
ferenti da tuiti quelli, che fino allora aveano 
veduti. Avvicinandosi però conobbero ch' erano 
tue foche della specie che descriviamo ; le 
quali si erano « vicenda lacerate co’ denti, 
sicchè tutie grondavano sangue. ai 
Non è difiicile I uccidere tali amfibii;  poi- 
chè la loro inclinazione al sonno, la loro in- 
 dolenza, e la lentezza de ior movimenti li ren- 
‘dono facile preda pe loro nemici. Non è però 
che non oppongano talvolta vigorosissima re- 
sistenza. E si racconta che all istante che un 
‘ marinajo era un di occupato a trar la pelle 
‘ad una giovine foca, la madre a cui T avea 
rapita, si scagliò sovr esso improvvisa, gli 
prese la tesia co denti, e gli passò con essi il 
cranio così profondamente, che fra poco. morì. 
Secondo la relazion de’ viaggi di lord An- 
son, la carne della nostra foca rassomiglia 
quella del bue, e il suo cuore, non men che 
la lingua, è un cibo eccellente. Trovasi que- 
sta foca principalmente nella nuova Zélanda, 
nell isola di Juan Fernandez e in quelle di 
Falkland. Quando nasce, il che avvien sem- 
pre in inverno, è della grossezza: della foca 
comune pervenuta alla sua maturità “0 


TL LLON MARINO: 


La testa e gli occhi di quest’ anima 
grandissimi ; il suo naso è rilevato ; ie orec- 
chie coniche e diritte ; ii collo (parlando del 
maschio) è coperto di una lunga criniera on- 
deggianie, simile, presso a poco, a quella del 
lione; il pelo dell altre parti del corpo è breve 
‘e rosso; nella femina però è giallo, e quando sia 
giunia a certa età st fa alquanto grigio, Credesi 
che un maschio di giusia grossezza sia lungo 
sedici in diciotto piedi; e pesi, all'incirca, sei» 
cento libre. La femina è di molio più picciola. 

Se un essere umano qualunque è veduto da 
questi animali, prendon tosto la fuga; e quando 
vengono sorpresi nel sonno, grandissimo è il 
loro spavento allo svegliarsi, onde mandano 
sospiri profondi, e cercano fuggire. La con- 
fusione, che in tal caso provano , è. estrema; 
il ior tremore è sì forte, che appena possono 
sostenersi. Ma se vengono incalzati , se veg- 
gono impossibile ogni via di salvezza, si get- 
iano sugli assalitori. com impetuoso furore , e 
si battono da disperati. Quando all’ incontro 
si accorgono , che non si ha veruna. inten- 
zione di nuocer loro, par che si rassicurino 
interamente. 

Steller , nel suo soggiorno all’ isola di Bé- 
ring, Visse in una capanna, circondato da Lioni 


255 IL LION MARINO: 
marini, per lo spazio di sei giorni. Divenutigli 
essi in poco tempo famigliari, esaminavano 
con molta calma ciò ch’ ei Wi gli si sdra- 
javano vicino; e gli permettean finanche di 
prendere i lor piccioletti e giuocar con loro. 
Questo viaggiatore ebbe in quel tempo occa- 
sione di vedere i lor combattimenti, perocchè 
fu testimonio d’ uno fra due maschili, il qual 
durò tre giorni, e in cui il più rischioso o il 
men destro de duellanti ricevette più di cento 
ferite. Gli orsi marini, che pur si trovavano 
frammisti a leoni, mai ‘non prendeano parte 
alle loro gare, anzi aveano gran cura di alb 
lontanarsi. dal campo, ogni volta ehe sî ac- 
cendevano. 

Ciascuno de’ maschii ha due o quattro fe- 
inine, cui tratta con molta dolcezza, e sem- 
bra gustar molto le loro carezze. Ma è cosa 
degna di osservazione, ehe il padre e la ma- 
dre non mostrano verun afletto pe’ figli, cui 
sovente schiaeciano cò’ piedi, per poca cautela 
vel camminare, o che uccider si lasciano sotto 
gli occhi colla più g srande indifferenza. Quesu 
non trescano già alla foggia di quelli degli 
altri animali , e par che il sonno gli istupi- 
dlisca interamente. Il maschio e la femina li 
portano all’ acqua, e loro. insegnano a nuotare, 
Quando sono stanchi, montano sul dosso della 
lor madre; ma il maschio ne li fa cadere, 


IL EION MARINO. 287 
rome per obblicarli a fortificarsi nell'esercizio 
del nuoto. 

I vecchi lioni marini muggiscono . come tori, 
e i giovani belano come montoni. Vivono 
principalmente di pesci e d’altri animali, clre 
aibergano nel salso elemento; ma per due 
mesi di estate que vecchi si astengono quasi 
interamente d’ ogni nudrimento , e, si abban- 
donano «al riposo e all'indolenza, trangugiando 
di tempo in tempo grosse pietre, onde man- 
tenere lo stomaco disteso. Ma alla fine si tro- 
vano fuor di modo dimagrati. 

I Kamtschatkadali riguardano la caccia di que- 
sti amfibii come occupazione onorevolissima. 
Quando ne trovano di addormentati , si acco- 
stano loro camminando contro vento ,; li pere. 
cuotono in pancia con uno spiedo legato a 
lunga corda, ed indi fuggono con. gran pre- 
cipizio. L'altro capo della corda medesima in- 
tanto , il quale sta legaio ad un trave, impe- 
disce che gli animali sen vadano lungi; onde 
i cacciatori hanno agio di ridurli agli estremi, 
lanciando loro giavellotti e frecce ricette 
Quegli amfibii, a dir vero, cercan tosto di at- 
iris nel mare; ma non potendo sofferir il 
dolore, che lor cagiona l' acqua salmastra , 
che entra neile lor piaghe, tornano a riva in 
preda ai più crudeli tormenti. Ivi i nemici o 
li trapassano con lance, o li lasciano morire 
deile antecedenti ferite. 


2,86 IL LION MARINO. + 

Persone degnissime di fede assieurano, che 
quei semiselvaggi gue rdano come cosa turpe 
il lasciar ani “i sè alcuno degli uccisi ani- 
mali, onde sovente ne caricano a segno le 
loro canoe,'ehe le fanno andar sossopra; ‘onde 
vengono inghiottiti dall’ onde colla lor preda, 

I lioni marini trovansi in gran numeso sulle 
coste orientali del Kamischatka, ove albergano 
tra gli scogli, nè mai se ne dipartono, sel» 
bene. sembrino avere soggiorni estivi ed ins 
vernali, 

La carne de giovani è cibo eccellente, e # 
loro grasso è bio quanto ] la midolla di bue, 

IL MORSO: 


Le forme di quest animale son poco ele» 
ganti, però ch esso ha la testa picciola , il 
iL assai corto, il corpo maccianghero, basse 
le gambe, le labbra grosse , la superior delle 
quali è bifida, e guernita di peli semitra- 
sparenti; gli occhi picciolissimi; in luogo d'o- 
recchie esterne due orificii semicircolari ; e la 
mascella supericre armata di due larghe zanue 
ricurve, e inclinate a terra, le quali pesar so- 
gliono dieci in trenta libbre, e gli servono a 
staccar le conchiglie, che si attengono agli 
scogli in fondo al mare. Alto è il suo cuojo 
e fornito ad intervalli di pelo corto e bruno. 


IL MORSO. 289 

À ciascun piede il nostro -amfibio ha cinque 
diti, che si riuniscono per mezzo di mem- 
brane ; i posteriori però sono molto più lar- 
ghi che quei dinanzi. La sua coda è brevis- 
sima; la total lunghezza però del suo corpo 
giugne talvolia a dici piedi, e fino a dodici 
la sua cireonferenza. 

E animale di natura molto dolce, quando 


non sia assalito o irritato; poichè allora di- 
vien furioso, ed eccessivamente vendicativo. 


Ove le femine delia sua specie vengano sor- 
prese dormienti sui ghiacci, cominciano dal 
provedere alla sicurezza de’ lor piceioleiti, cui 
gettano all’ acqua, o portano a gran distanza 
nel mare, sicché più nulla abbiano a temere; 
indi ritornano per vendicar l'insulto ricevutor 
A questo fine cercano talvolta di piantare le 
loro zanne ne’ battelli, o di salirvi sopra in 
gran numero, per rovesciarli, mandando ad 
un tempo urh orribili, o digrignando i lor 
denti con gran violenza. Se ne sono anche 
vedute assalir delle barche per puro capriccio, 
nia pur con molto pericolo di chi in quelic 
S1 riirovava. 

Nel 1766; alcune persone dell’ equipaggio 
d'uno sloop, che facea vela verso il setien- 
trione onde trafficare cogli Esquimesi, furono 
assaltate in ana scialuppa da gran numero di 
orsi; e malgi ‘ado tutti gli sforzi per allonta- 


E bio Ton. I i9 


»90 TL MORSO. 
narli, uno di questi più ardito che gli altri 
salì in poppa , vi. si assise, le guardò in fac- 
cia, indi si ribalzò in mare sd raggiugnere 
i compagni. Allora un altro di siraordina:ia 
grossezza tentò di montare. dalla prua; e. poi- 
chè. ogni altro mezzo di impedirnelo fu vano, 
il piloia prese un archibugio carico di pallini, 
e introdottagliene la bocca in gola lo, uccise% 
e quello cadendo in fondo, all'acqua vi fu se- 
guito da quanti lo accompagnavano. Le genti 
della scialuppa si affrettarono allora verso. lo 
sloop; e il raggiunsero, infatti, mentre altri 
morsi disponeansi a nuovo assalto, che proba- 
bilmente saria stato assai più iii poie 
chè pareano furenti per quello ch’ era, perito. 

L'attaccamento, che questi quadrupedi mo- 
strano. gli uni per gli altri. è fortissimo; e 
certo fanno ogni sforzo onde liberarsi a vi- 
cenda, ogni voita che alcun di loro è preso 
dalle fiocine. de’ pescatori. Si è veduto un 
morso ferito attuffarsi in fondo al mare, e ri- 
salir tosto alla superficie, corducendo seco una 
moltitudine di compagni, per assalire la bar- 
ca, onde gli era venuta l' offesa. I 

All avvicinar della primavera. tali amfibii si 
recano regolarmente alle isole Maddalene, che 
sembrano le più proprie ai loro bisogni, poi- 
chè abbondano di conchiglie , e facilmente vi 
si approda. 4l loro arrivo salgono ip gran 


_ IL MORSO. 2 91 
numero sugli scogli della costa, e vi riman- 
gono per alcuni giorni i) quando il tempo è 
bello , senza mangiare; ma al primo segno di 
pioggia sl precipitano in. mare. 

Gli abitanti lasciano che si diportino per le 
rive, fino a che abbiano acquistato certo grado 
di sicurezza, essendo al primo giugnere molto 
timidi, sicchè fuggono, ogni volta che alcuno 
loro si accosti. In stagione opportuna poi, I 
marina] cercano nella noite di separar quelli, 
che sono più allontanati dal mare, sbandan- 
doli in diverse parti; ciò ch'essi chiamano ta- 
gliar: un gregge. Quest’ assunto è in generale 
riguardato come pericolosissimo ; poichè im- 
possibile far prendere a siffatti animali una 
direzione qualunque, e più diflicile ancora l’e- 
vitarli. Fra le tenebre notturne, però, non 
sapendo come: volsersi all acqua, facilmente . 
si sviano, e i cacciatori gli uccidono a lor 
grado, talvolta. persino in numero di cinque © 
seicento. Allora traggon loro la pelle, ne. tol- 
gono gli strati. d' adipe ,. onde il lor corpo è 
involto, e il fanno sciogliere. nell’ olio. I loro 
cuojo , che si taglia in RI pollici di 
larghezza, vien trasportato in Inghilterra e in 
America. 

Quando i Groenlandesi hanno scoperto un 
branco di morsi in sui ghiacci, vi si avvici» 
nano colle loro canoe, e lanciano i lor Tamponi 


392 IL MORSO. 
al momento che quegli animali spaventati si 
precipitano in mare. 

Il qual momento è il più opportuno per 
ucciderli , poichè distendendo la loro pelle, 
onde rotolarsi per così dire, con più leggie- 
rezza e facilità, è anche più agevole il ferirli 
mortalmente, che quando standosi sdrajati, ia 
pelle è floscia e caseante, 

Il capitano Cook vide un giorno un gregge 
di morsi sovra un isolotio di ghiacci Suit 
nelle parti settenirionali del coni d / 
merica. Eeco ia descrizione ch’ei ce ne da 

c S' adagiano, dic’ egli, a centinaja su quei 
dia premendosi gli uni contro gli aliri, 
come i majali, e mandaudo sì lunghi ruggiti, 
che in tempo di notte o di nebbia ci avver- 
tono della vicinanza de’ ghiacci medesimi, prima 
che noi possiamo vederli. Mai non trovammo 
che un intero gregge fosse addormentato; poiché 
sempre v era qualcuno d’ essi in sentinella , 
il quale, approssimandosi alcuna barca, ne dava 
avviso ai meno lontani, e questi. «di grado in 
grado agli altri, onde tutti in un istante sì 
risvegliavano. Non aflrettavansi però a fug- 
gire ; fino a che sopra di essi non si facesse 
fuoco. Allora si scagliavano gli uni sopra gli 
altri nel mare colla più gran confusione ; € 
se nella prima searica noi non uccidevamo i 
colpiti. più non potevamo averli, sebben le 


IL MORSO. 293 
loro ferite fossero mortali. Non ci parvero essi 
già animali sì pericolosi sd assalire come al- 
cu..: autori ce li descrivono; o almeno lo sono 
più in apparenza che in realtà. C insegui» 
veno in numero prodigioso, e si affollavano 
contro i nostri legni; ma bastava dar fuoco a 
un polverino , per costringerlì a nascondersi 
in fondo al mare. Le femine difendono la loro 
prole sino all ultima estremità, sia nell acqua, 
sia sul ghiaccio, e i piccioletti non sanno ab- 
bandonare le madri dopo la morte; dimodo- 
chè, se una di esse è uccisa, questi divengono 
infallibilmente preda del cacciatore. Le femine, 
quando sono nell'acqua, stringonsi i figli con- 
tro le pinne anteriori ». 

Si adoprano le zanne dei morsi, come avo- 
rio d'inferior qualità. Questi animali, poi, 
sono moltissimo apprezzati pel loro olio, di 
cui ciascuno produce uno o due barili. Ot- 
tiensi anche dalle lor pelli un cuojo assaî 
forte ed elastico, di cui si fanno in America 
arnesi di carrozze. 

Siffatii animali trovansi ne’ mari del setten- 
irlone, e principalmente sulle coste dell’ isole 
Maddalene , nel golfo di S. Lamberto. Vivono 
unicamente di pianie marittime e di conchi- 
glie. Spesso però furono veduti trarre a sè 
a fior d'onda colle lunghe lor zanne il sel- 
vaggiume di mare, ed indi gettarlo in aria 
per divertirsi. - 


CAPITOLO VI. 


Le figlie di Mineo fa cieche al lume, Mu. 2, 


E che volan di notte senza piume. 


ANGUILLARA» 


LA NOTTOLA O PIPISTRELLO. 


Questo singolar animale differisce da tutti 
‘gli altri quadrupedi per ciò ch’ è fornito di 
ali, onde può riguardarsi nella catena della 


creazione come l'anello che unisce due classi 


d' esseri affatto opposte. Alcuni de’ naturalisti 
han dubitato in quale dovesse collocarsi; ma 
come appartiene ai quadrupedi per la confor- 
mazione interna ed esterna del suo corpo, 
mè si accosta ai volatili, che per la facoltà di 
sollevarsi nell’ aria, è chiaro che si abbia da 
ascrivere alla prima. 

Il pipistrello comune è un po’ più picciolo 
e di color più scuro che il sorcio, con cui 
ha d'altronde relazioni strettissime di somi- 
lianza. Le sue ali non sono che membrane 
simili a pelle sottilissima, le quali. si estendono 
dai piedi anteriori fino alia coda. Dicesi a ra- 
gione che l’esteriore suo è d’ animale imper- 
fetto, poichè quando cammina, i suo! piedi 


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LA NOTTOLÀ 0 PIPISTRELLO. | 299 
sono impediti dalle ali; anzi non cammina 
propriamente, ma strascina sgraziatamente ii 
suo corpo; ‘e in aria i suoi moti sembrano sì 
incerti e mal diretti, che nori volo si chia 
merebbero, ma svolazzamento. 

La nottola, 0 pipistrello dà ad ogni pario 
due pipistrellini , che allatta, e porta alcune 
| fiate alle mammelle volteggiando nella guisa che 
‘abbiam detto. Linneo fa ‘osservare ch’ elta non 
costruisce nido, come fa la più parte degli 
animali nel rempo della gestazione, ma si con- 
tenta del primo buco, che incontra, e aggrap- 
pandosi coil adunche sue unghie alle pareti di 
questa dimora ; lascia che i stuoi piccioletti le 
stiano sospesi al seno pel primo e il secondo 
giorno dopo il lor nascimento. Indi, quando giu- 
dica necessario andar in cerca di cibo, ne li 
distacca, e gli appende al muro di quel modo 
ch essa vi si attenne finora, @ così infatti 
rimangono fino al suo ritorno. Da principio i 
bruttissimi animalueci sono senza pelo, ma di 
un colore affatto nero. o 

I pipistrelli vanno attorno di nottè, comin- 
ciano a volare in sul crepuscolo della sera ; 
e dormono _il giorno. Frequentan gl’ ingressi 
de boschi e le allee coperte, ed anche veg- 
gonsi radere la superficie degli stagni e dei 
fiumi, per cercarvi insetti. Verso la fine dej- 
l’ estate si ritirano entro caverne, sotterranei , 


l 


e e e 


296 LA NOTTOLA 6 PIPISTRELLO. 


«asematte, e tronchi incavali ove rimangone _ 


tutta la stagione fredda in uno stato di tale 
intirizzimento, che le funzioni vitali sembrano 
in essi sospese. 

Possono fino a certo grado addomesticarsi , 
e il sig. White ci narra come fu un giorno 
sorpreso alla vista di un pipistrello, che prena 
dea molto famigliarmente le mosche dalle mani 
di, una persona, portandosi le ali alla bocca, 
declinando , e piegando il capo alla maniera 
degli uccelli di preda quando aBgnBA La 
destrezza, dic egli, che mostrava in dispiccar 
le alette delle a onde gettarie, mi di- 
vertiva moltissimo, e pareami degna di special 
considerazione. Parea che gl’ insetti fossero il 
suo cibo favorite, sebbea non ricusasse la carne 
eruda, qualora gli si oileriva; onde ciò che si 
varra di quesii animali, che scendono giù pei 
camini a rosiechiare i quarti del lardo, non è 
probabilmente una capricciosa invenzione. Men- 
tr io, egli prosegue, mi prendea dileito ad os- 
servare il singolar quadrupede, ebbi occasione 
di accorgermi quanto insussistente sia Ia vol- 
gare opinione, che 1 pipistrelli. ove si trovino 
sopra una superficie piana, più non possano 
prender volo. Poichè quello di cui si parla 
rialzavasi facilissimamente dal pavimento, onde 
fuggiesi in aria, E motai altresì che correva 
Ml sue gambe con assai maggiore celerità , 


LA NOTTOLA O PIPISTRELLO. 207 
ch'io non mi sarei aspettato, sebbene il fa- 
cesse di una maniera ridicola e grottesca. 

Dietro le ripetute esperienze dell’ illustre 
Spallanzani sopra varie specie di questi animali, 
sembra ch’ essi posseggano qualche senso addi- 
zionale che gli ajuti, quando sono priva della 
vista, ad evitare gli ostacoli che incontrano con 
eguale prontezza, come quando erano provve- 
duti di quell'organo. Perocchè, coperti o-traiti 
loro gli occhi nelle esperienze di cui si ragiona, 
volavano per una camera oscura niente meno 
che prima, senza urtare contro la muraglia, e 
sospendeano naturalmente il lor volo, quando 
inconiravansi in un punto, ove poiessero ap- 
pendersi e riposare. 

In mezzo d’ una chiavica oscura, che for- 
mava ùn gomito ad angoli retti, facean essi 
con molta destrezza e precisione un circuito 
volando, sebbene a notabil distanza dal muro. 
Che se mai sospendeansi rami d'albero in una 
camera, gli evilavane con grande cura, e vo- 
lavano per mezzo ad alcuni fili perpendicolar- 
mente pendenii dalla soffitta, quantunque in 
tal vicinanza fra loro, che doveano contrarre 
le ali, onde traversar gli interstizii. 

Il sig. Jurien nel suo giornale di Fisica del 
1778 presume che la causa di sì inesplicabili 
destrezze risieda nei nervi molto dilatati del 
naso, ma l'opinion sua è affatto gratuita, Quindi 


393 LA NOTTOLA O PIPISTRELLO. 
altri naturalisti hanno congetturato, che questa 
facoltà di evitare gli ostacoli nel bujo dipenda 
principalmente dall’udito, che i pipistrelli hanno 
finissimo; attesochè turate che fossero le orecchie 
di quelli, su cui faceansi le esperienze, urta- 
vano volando contro la camera ov eran chiusi, 
O più non pareano sapere ove sl andassero. 
Questi poveri sordi furono in buon numero 
tenuti per una settimana entro di un bossolo; 
ove durante il giorno stavano cheti, nè cer- 
cavano di uscire. Che se ne venivano tratti e 
distesi sopra un tappeto, rimanevano immobili 
per un momento, poi si mettevano a guardare 
all’ interno, indi si strascinavano lenti lenti in 
qualche angolo oscuro, 0 in qualche crepacelo 
della muraglia. Sull' imbranire , però, ciascun 
d' essi Heva ogni suo sforzo, onde uscir dal 
bossolo, e appena il coperchio era levato, ne 
fuggivano sulle lor alì, e correvano via leggier- 
mente, cercando luogo convenevole a'‘prendele 
il volo. 

Quando questi pipistrelli furono presi, varie 
delle lor femine avean de’ picciolini sospesi alle 
mammelle e lattanti, eppure anch esse volava- 
no, una in ispecie, colla più grande velocità. 
Si hanno talvolta simili animali, gettando in 
aria capi di bardana imbiancati di farina. I pi- 
pistrelli imsdo i calici di questa pianta per 
un iusetto di loro preda, o urtando contr essi 


LA NOTTOLAÀ O PIPISTRELLO. 20g 
‘trovansi aggrappati dalle loro scaglie a guisa 
di uncini, e quindi strascinati a ice Abitano 
essi la più parte delle contrade d’ Europa. 


IL VAMPIRO. 


Animale pericolosissimo , anzi flagello degli 
uomini e degli altri animali ne’ paesi ove ab- 
bonda. Generalmente non è lungo più di un 
piede, e dall'una all’ altra punta delle sue ali 
stese possono contarsene quattro, e qualche 
volta ancora cinque o sei. 

La sua testa ha la forma di quella di una 
volpe, il suo naso è lungo ed affilato, le sue 
orecchie son nude, nericcie ed acute, e il color 
suo quasi tutto un bruno rossiccio assai carico. 

Vola questo picciolo animale dal tramonto 
allo spuntar del sole, ed indi rimane tutto il 
giorno entro il cavo degli alberi. Rade agilis- 
simamente la superficie dell’ acqua, giuocando, 
folleggiando , e talvolta anche atiuffandosi. 

Difierenti seriitori assicurano che il gran 
numero de vampiri somiglia talvolta ad uno 
sciame d’ api, che trovansi sos spese agli alberi 
in grappoli o gomitoli le une presso le aitre. 
Il sig. i'orster ne ha veduti cinquecento aimeno 
pendenti gli uni pei piedi anteriori, gli altri 
per quei di dietro, da una gran pianta del- 
i isola degli li Tr E vuolsi che a Rose-Hill 


3:09 IL VAMPIRO. 
mella Nuova Galles Meridionale se ne siano in* 
contrati più di ventimila nello spazio di una 
mezza lega. 

Finch en che presso di Surate i valni 
‘piri si tengano aggrappati coll unghie ai rami 
degli alberi in sì gran moltitudine, e vi fac- 
ciano un rumore cesì insopportabile, che, se- 
condo lui, bisogneria purgarne quegli alberi 
con due o tre pezzi di cannone, se voglia li- 
berarsi il paese da pesie così pericolosa. 

Dampierre riferisce come vide un giorno 
co suoi compagni di viaggio in una dell’ isole 
Filippine incredibil numero di vampiri, il cui 
aprimento d'ali era sì esteso, che nessuno, per 
allargare di braccia, potea toccarne l estremità. 
Quest ale poi aveano il colore del pelo dei 
sorci, e le giunture armate di grife a guisa 
di uncini. In sul cader del sole siffaiti animali 
volavano a sciami dal lato d’' un isola vicina, 
verso la quale si vedeano far viaggio, sino a 
che l'oscurità li toglieva del tutto allo sguardo 
degli spettatori. Ogni giorno poi in quello spa- 
zio che corre dal crepuscolo mattutino all’ al- 
zarsi del gran pianeta, ritornavano al punto , 
onde la sera innanzi eransi dipartiti, e così 
sempre continuarono quanto tempo il vascello 
rimase all ancora in faccia all’ isola. 

Il vampiro è il più destro flebotomo che sia 
in natura, atteso che insinua Î acutissima ‘sua 


IL VAMPIRO. ; 3of 

lingua in una vena, e ne succhia il sangue a 
sazietà, mentre sventola coll’ ali la sua vittima, 
ot agita in aria per tal maniera ( a vedersi 
per altro graziosissima, ove se eparar sì potesse 
l’idea di crudeltà), da seppellivia in un sonno 
profondo. È quindi rischiosissimo il dormire 
in un paese, ove abbondano gli animali di 
tal specie; poichè Y uomo che ne venga allora 
assalito passa facilmente dal momenianeo al- 
l eterno riposo. 

Il capitano Stedman, durante il suo soggiorno 
a Surinam, fu una volta sorpreso da uu vam- 
piro, mentre appunto dormiva, come può ve- 
dersi nella sua relazione. « Svegliandomi , dice 
egli, in sulle quaitro del mattino entro da mia 
camera, presi sgomento vedendomi intriso del 
mio sangue coagulato, senza provare alcun do- 
lore. Mi levai dunque a sedere, e chiamai il 
chirurgo, il qual riconobbe ch’ io ero stato fe- 
rito da un vampiro o spettro della Gujana, ap- 
pellato cane volanie delia Nuova Spagna, e. 
dagli Spagnuoli perro-volador. Non è desso 
altro che un pipistrello di mosiruosa grossezza, 
che succhia il sangue degli uomini e degli ani 
mali mentre dormono più profondamente, fino 
a che taivolia muojano. E come la maniera, 
end'esso fa questo, è veramente singolare; ve- 
drò cu di porgerne un esatto ragguaglio. Sa- 
pendo, eome per istituto, che la persona cui 


302- TL VAMPIRO. 
vuol assalire, è immersa in alto sopore, scende 
volando presso i suoi piedi, ove sempre con- 
tinua a batter le ali, per rinfrescarla. Leva in. 
seguito dall’un de’ pollici un pezzetto di carne, 
sì piccolo a dir vero, che appena la testa di 
una spilla potria penetrarvi; quindi la piaga 
“non è dolorosa. Da essa nondimeno si fa a. 
succhiare il sangue, fin che sia costretto di 
vomitarlo; indi ricomincia e ripete questi atti, 
con tanta perseveranza, che alfine tuito gonfio 
sì sente impedito al volare. 

« E costume del vampiro il mordere anche 
il bestiame. al dito grosso, e sempre ne luoghi 
ove il sangue scorre più abbondante. 

« Applicai alla mia ferita cenere di tabacco, 
siccome il rimedio migliore ,. che usar si po» 
iesse in tale circostanza. Indi guardando i grumi 
di sangue ch' erano in terra d’'iniorno a me, 
e fattili esaminar dal chirurgo, parve che ne 
avessi perduto dodici once o quattordici. » 

L' odor de vampiri è più disaggradevole che 
quello della volpe; i selvaggi però assicurano 
che la sua carne è un boccone eccellente, Nella 
Nuova Caledonia i nativi del paese ne ado- 
perano i peli a far cordoni ed ornati delle 
loro clave, intrecciandovi fila del cipero squar- 
Toso. 

Siflatti animali irovansi nelle differenti part 


dell India, nell’isole indiane nella Nuova Galles 


‘IL VAMPIRO. 303 
meridionale, nell’ isole degli Amici, e nell Ame- 
rica più posia al meriggio. Sembra che possano 
essere addomesticati, poichè alcuni, presi in 
vicinanza del porto Jackson, si avvezzarono ben 

resto al loro stato di captività, fino a mangiar 
carnè bollita ed altri alimenti in mano di chi 
glieli porgeva. Il governatore Philippes avea 
una femmina di tale specie, che perzolavasi 
per una gamba lo spazio di un'intera giornata, 
€ in tal posizione, tenendosi la pancia quasi 
aflatto coperta con una delle sue ali, anch’ essa 
mangiava in mano ciò ch’ erale presentato. 


A e 


L’ esterna apparenza e le abitudini partico- 
lari di quest animale bastano solo per distin- 
guerlo dagli altri quadrupedi. La sua confor- 
mazione fu mirabilmente appropriata dall’ au- 
tore della natura alla sua maniera di viver di 
Îl corpo suo, che generalmente ha cinque o 
sei pollici di lunghezza, è sodo e rotondo, e 
termina in una coda molto breve e molto sot- 
‘tile. Il suo muso è lungo ed acuto come quello. 
del porco; il collo è sì corto, che la sua iesta 
si crederebbe attaccata alle spalle. Ha inoltre 
le gambe sì basse, che par col ventre rada la 
térra, 


304 LÀ TALPÀ. 

I suoi picdi anteriori sono affatto nudi, 
possono anzi chiamarsi larghe mani, quasi si- 
mili, per la loro forma, a quelle dell’ uomo, 
fornite ciascuna di cinque diti, i quali son ter- 
minati da forti unghie. I piedi posteriori sono 
assai più piccoli. 

La pelle di questo quadrupede è coperia di 
setole brevissime, morbidissime, ed assai lu- 
centi. Il suo colore d’ordinario è nero; pur se 
ue trova alcuna maculaia di bianco, o anclie 
bianca del tutto; ma questo è caso rarissimo. 

Gli occhi delia talpa sono si piccioli, che 
molti scrittori non han saputo decidere, se fos- 
sero destinati a procurarle una percezion di- 
stinta degli oggetti, o soltanto a renderle ab- 
bastanza Sine l avvicinar della luce, onde 
avvertirla di evitare il pericolo a cui trovasi 
esposta. Il dottor Derham, però, ha discoperto 
in quegli occhi, per mezzo di un microscopio, 
tutte le parti osservate negli occhi degli altri 
animali. Ed oggi è notissimo che son firniti di 
muscoli, onde può la talpa ritirarli e adoperarli 
per la propria sicurezza. Vuoli altresi che sia 
dotata di udito sì fino, che non sfuggendole 
verun picciolo o lontano rumore, può sempre 
sottrarsi a ciò che menomamenie la minacei. 

Le talpe femine danno quattro © 0 cinque 
piccioleiti ad un parto, che quasi sempre av- 


‘viene verso | aprile. « Ti domicilio ove con 


LA TALPA. 303 
essi adagiansi, dice il sig. di Bufîon, merite- 
rebbe una particolare descrizione; perocchè 
fatto con singolare intendimento. Cominciano 
le picciole bestiuole dal muovere e sollevar la 
terra, e formarne una volta assai elevata, la- 
.sciando tramezzi e specie di pilastri di distan- 
za in distanza. Quella terra poi la calcano è 
la battono, la mischiano con radici ed erbe, 

e la rendono interiormente sì dura, e si so- 
lida, che I acqua non può penetrar la volta, 
così a cagione di questa solidità che della sua 
convessità. Alzano poi: sotto la volta un pog- 
getto, in cima al quale apportan erbe e frondi 
onde fare un letio a’ lor picciolini. Così tre- 
vansi al dissopra del livello del terreno, e per 
conseguenza al coperto deile inondazioni ordi» 
parie, non che della pioggia, in grazia deila 
volta, di cui già si disse. Il poggetto è è iull'in- 
torno per fiiuio da buchi in pendìo, i quali 
scendono più basso, e si estendon d'ogni parte, 
come tante vie sotterranee, onde la madre talpa 
uscir può, ed andare in cerca dei nutrimento 
necessario a° suoi figli. Queste viuzze son chiuse 
e baitute, e corron dodici in quindici passi, 
partendo tutte dal domicilio, come raggi da 
un centro. In esse, come sotio la volta, ritro- 
vansi avanzi di bulbi di colchico, -che sono, 
per ciò che sembra, il primo cibo ch essa dà 
a suoi piccioletti. Ben di qui si comprende che 

Gabinetto Tom. IL 20 


300 LA TALPA\ 
mal non esce, se non a molta distanza, dal suo 
domicilio, e che la maniera più semplice di 
prenderla co suoi piccioletti è di farvi intorno 
una trincea che interamente il circondi, 
tronchi tutte le comunicazioni. Ma come la 
bestiuola fugge al minimo sirepito, e cerca di 
condur seco i figli, bisognano tre o quattro 
uomini, che lavorino insieme colla vanga, levin 
la gleba tutta intera , operino insomma in un 
mati | e quindi li colgano o gli aspettino 
alle uscite. » 

Di rado la talpa scava a maggiore profon- 
dità di cinque o sei poliici dalla superficie del 
suolo. A quest uspo essa raspa la terra da un 
lato dinanzi a sè, fino a che la materia am- 
mucchiata non le impedisca di continuare il 
Javoro con facilità; essa solleva allora la super- 
ficie, e spingendola colla testa e colle mani 
nervose produce grado a grado que’ monticelli 
o mucchi, che s' incontrano sì spesso ne’ no- 
stri campi, e ripiglia quindi l' opera sua. Può 
il numero delle talpe contenute in uno spazio 
di terreno facilmente argomentarsi dai nuovi 
mucchi di terra, i quali già non hanno veruna 
comunicazione gli uni cogli altri. 

Vivono questi animali a coppia, e tale è 
l’ardore del loro mutuo attaccamento, che sem- 
brano sdegnare ogn’ altra società. Gustan nel 
lov riuro Te dolcezze del riposo e della tran- 


LA TALPA. 30 
quillità. La loro abitazione è il frutto della loro 
industria, che in pochissimo tempo li mette al 
coperto da ogni specie d’ insulto, e loro da 
agio di procurarsi un nutrimento abbondante 
senz essere obbligati ad uscirne. Di questa abi- 
iazione soglion chiudere diligentemente | in- 
gresso, nè mai l abbandonano, che quando vi 
sono costretti o dalla filtrazione dell’ acque, 0 
da accidentale rovina. 

Le talpe incontransi principalmente ne' luoghi 
eve la terra è mobile o coltivata, e abbonda di 
vermi e d’ insetti. D’ estate scendono esse nelle 
pianure, per istabilirvi la loro dimora. Se il 
iempo si manlien sereno, pongonsi In riva 
a fiumi, presso a’ fossi, ovvero alle siepi. Ivi 
pigliano vermi, a cui sempre levan la pelle 
prima di mangiarli, il che fanno con partico- 
lare destrezza. Se non che, cercandoli la notte, 
sono di sovente esse medesime prese e divo- 
rate dai gufi. ; 

Al primo sentirsi in preda al nemico man- 
dano un grido acuto, e si difendono con tutta 
la forza delle grife e dei denti. Quindi son 
credute ferocissime, e veramente, per quanto 
pacifiche possan essere sotterra, quando si tro- 
vano alla superficie, si siraziano le une le altre 
fra lor medesime. 

Una talpa, ch era stata chiusa sotto una 
campana di vetro con una botta e una vipera, 


308 LÀ TALPA. 
le uccise ambidue, ed in parte anche le 
divorò. 

Il fatto curioso, che siamo per riferire, è 
citato dal sig. Bruce nel terzo volume delle 
Transazioni Linneane. « Andandomi io a di- 
porto, egli dice, sulle rive del lago di Ciuni, 
«iò ch io facea sovente, scòrsi un'isoletta a 
cento ottanta verghe, incirca, da terra, ove 
lord Airly suo proprieiario avea un castello, con 
un piccolo bosco. Approdatovi m' avvenni in 
gran numero di cumuli di terra sollevati di 
fresco; e avendoli per qualche tempo creduti 
Y opera de’ sorci d’ acqua, ne chiesi al giardi- 
riere, il qual mi disse ch'erano invece effetto 
delle talpe, e che due ne erano state prese 
pochi giorni innanzi. Da quel tempo passarono 
quasi due anni che più non se ne videro. Ma 
una volta, com egli sull'imbrunire d'un bel 
giorno di estate tornava a casa col canovajo 
di lord Airly, vide, a picciolissima distanza, sulla 
superficie dell’ acque, ch'eran molto tranquille, 
certi animali che nuotavano a poche verghe 
dall’ isola. Avendoli precorsi trovò ch’ erano 
talpe ordinarie , dirette con mirabile istinto a 
prender possesso di quel soggiorno abbando- 
nato. Da un anno, infatti, esse vi son ricom- 
parse dopo diciotto mesi di assenza; ed io 
stesso fui testimonio de’ loro travagli. » La pro- 
fondità del lago tutt’ intorno all’ isoletta è di 


LA TALPA. 309 
sei, dieci, quindici, e in alcuni luoghi fin di 
îrenta e quaranta piedi. 

Tl danno cagionato da simili animali ne’ campi 
e ne’ giardini è pressochè incredibile. Nel 174 
divennero essi così numerosi in alcune parti 
dell’ Olanda, che un solo fittajuolo ne prese 
cingue in sei mila. E fra gli antichi i loro 
guasti erano sì temuti, che un tempio fu ele- 
vato ad Apollo in Sminto, per avere liberato 
il territorio di quella città dalle talpe, se pur 
non voglia credersi dai sorci. 

Alcuni autori hanno assicurato che la talpa 
giaccia, l'inverno, in uno siato di torpore; il 
sig. di Buffon, però , fa osservare che tal as- 
serzione è affatto priva di fondamento, poichè 
la gente di campagna suol dire proverbial- 
mente: La talpa alza la terra, il gelo se ne 
va. Quest’animale cerca, per vero dire, i luoghi 
caldi; e i giardinieri ne prendon sovente in- 
torno a’ proprii letti ne mesi di dicembre, gen- 
najo e febbrajo. 

La descrizion seguente delle abitazioni delle 
talpe, e il racconto de’ mezzi impiegati onde 
pigliarle non possono essere senza diletto pei 
nostri lettori. « Le talpe, dice il dottor Dar- 
win nella sua Phi ‘ologia. hanno delle città 
sotterranee cui compongono di case o nidi, ed 
ivi depongono e allattano i parti - loro. Tali 
abitazioni comunicano con strade larghe , 


Siro LÀ TALPA. 
necessarie alle corse perpetue de’ maschi e delle 
femine che hanno prole, e con più altre loggie, 
passaggi e ingressi cui scavano giornalmente , 
onde procurar nutrimento a sè ‘e alla fami- 
gliuola. Sono le talpe assai più attive in pri- 
mavera che in qualunque altra stagione. Sebbeng 
si presuman cieche, sembrano però avere qual 
che percezion della luce sin ne' loro sotterra- 
nel, poichè cominciano i lor lavori allo spuntar 
del giorno, e perciò prima che il calor del 
sole possa essersi fatto da loro sentire. 

« Quindi un mezzo infallibile di distrug- 
gerle si è lo spiarle di buon’ ora, prima che 
il grande astro si levi. Si vede in quel tempo 
la terra o l'erba moversi sopra di esse, onde 
cacciando lor sotio destramente una picciola 
vanga si taglia loro la ritirata, e si conducono 
alla superficie. 

« Partorisce la talpa quattro o cinque e tal- 
volta sei piccioletti, dando loro un asilo assai più 

rofondo che le abitazioni ordinarie. Quindi il 

cumulo che lo sormonia è più grande, e or- 
dinariamente d’ un colore differente dagli al- 
tri. È uopo guastare iutli i nidi di questa 
specie, e inierrompere le vie che comunica- 
mo coi vicini, onde non vi sia rifugio per 
chi gli abita. 

« Ciò, che in seguito più importa, si è 
di sapere quali sono le vie frequentate e 1 


LA TALPA. 3s1 
passaggi nascosti, che le talpe hanno stabiliti. 
Il che si fa imprimendo una traccia su ciascun 
nuovo cumulo di terra, per mezzo di una 
leggiera pression di piede, che all indomani 
mattina si va a vedere se sia scomparsa; il 
che è segno del passaggio della talpa sotterra. 
Quella traccia non debb' essere profonda, per- 
chè la bestiuola non ne insospettisca, e si 
determini piuttosto al suo ritorno a scavarsi 
nuovo cammino, che ad aprir quello, che 
irova osirutto. 

Depo due o tre mattine di osservazione 
sì piantano trappole nelle siradeile, che si 
sanno frequentate, disponendole in modo che 
esattamente s adattino alla fenditura. Queste 
trappole consistono in un semicilindro di le- 
gno incavato, con due anelli tagliati nel legno 
medesimo ail'estremità, ove son disposti nodi 
scorrevoli di crini di cavallo, moliemente fer- 
mati da una caviglia ch'è nel centro, e tesi 
per terra da un bastone curvato. Quando i 
talpa è mezzo passala attraverso que’ nodi , 
camminando ha smossa la caviglia dal dr 
il baston curvo si rialza per 1a sua elasticità , 
e la strozza ». 

Agricola ne dice di aver veduti cappelli bel- 
lissimi e finissimi fatii di pelli di talpe; e il 
sig. Bewik assicura nella sua eccellente istoria 
de quadrupedi « che certo Burn cappellajo di 


312 LA TALPA. 
Newcasile-sur-Tyne ba recentemente. scoperto 
un metodo, pel quale quelle pelli si fine per 
tanto tempo trascurate diverranno di grande 
importanza ed utilità. Perocchè incorporate con 
altre materie formano una stoffa d’ una bele 
lezza, e d'una fortezza tutta particolare, e se 
ne formano, tra l'altre cose, cappelli migliori 
di quanti finora se ne siano fabbricati. Per 
questa discoperta il sig. Burn ha ottenuto bre- 
vetto d’ invenzione ». 

Esistono più specie di talpe, fra cui Îe 
principali sono quelle di Siberia di un color 
verde e dorato, e quindi cangiantissimo alla 
luce; quella di Virginia, ch è ali un color nero 
misto ad un purpureo cupo; e quella del Ca- 
nadà, il cui muso è guernito di muscoli car- 
nosi e sottilissini, che sembrano tante spine, 
e si allargano, e resiringono insieme, come 
il calice di un fiore. 


L’ALT 


È detto latinamente dai naturalisti Bradipo 
ignavo, e volgarmente il pigro. Le sue forme 
sono grossolanissime , Il suo corpo rotondo , 
le gambe anteriori corte, e le posteriori più 
lunghe. Ha piedi assai piccioli, ma armati 
d' unghie adunclie , onde può arrampicarsi 
per gli alberi, di cui mangia voracemente e 


/ 


ti Ai 313 
frutti e foglie. Breve è la sua faccia e senza 
pelo ; ha gli occhi neri; piccioli e languidi; 
o tutto | aspetto suo è d' animal miserabile 
che soffra. Le setole irte della sominità del 
capo gli danno aria grotiesca. Nel resto del 
corpo , e principalme:-:.e sul dorso e sulle co- 
scie il suo pelo è lungo e folto e d'un bruno 
che tende al grigio. 

La femina della sua specie, non dà, ad 
ogni parto, che un solo piccioletio, cui talora 
porta in ispalla. 

Vi banno due varietà di bradipi ignavi 
pigri che vogliamo appellarii; e possono fa- 
cilmente distinguersi dal numero de' loro diti; 
l una avendone tre molto lunghi a ciascun 
piede; e l’altra due soltanto. Kircher ci ha 
dati ragguagli curiosissimi della prima, chia- 
mata propriamente aî, dietro i ragguagli d'un 
missionario gesuita dell America dio 
che ne possedeva qualche individuo... Secondo 
esso, adunque, siffatto animale è presso a poco 
della grossezza di un gatto, ha le sembianze 
assai brutte, e le grife che rassomigliano alle 
dita. Strisciasi camminando, e si muove sì len- 
tamente, che appena in quindici giorni per- 
correrebbe il tratto di una balestra, onde gli 
è venuto il cognome di pigro. Trovasi prin- 
«cipalmente sopra gli alberi, in cima dei quali 
non monia che in due giorni, ed altrettanti 


314 HAL 
ne impiega a discenderne. La natura lo. ha 
doppiamente armato. contro i suoi nemici ; 
dandogli primieramente una tal forza ne piedi, 
che Liu: tenacissimamente colle sne grife 
a checchè si aggrappi, nè mai se ne dia. 
dovesse pur morire di fame; in secondo luogo 
facendo sì pietoso il guardar suo, che Lul 
fissa gli occhi in alcuno, che voglia nuocer- 
gli, mai non può essere che nol commova. 
Talvolia pure versa lagrime, onde chiunque 
il mira sente cadere ogni fierezza contro chi 
par sì debole e tormentato. 

Il gesuita avea un giorno portato uno dei 
suoi bradipi al collegio di Cartagena, onde 
farne alcune sperienze. Gli mise adunque sotto 
i piedi una pertica lunga, cui esso più. non 
volie lasciare. Collocata, infatti, questa pertica 
orizzontalmente su due pilastri, l'animale vi si 
tenne volontariamente sospeso per quaranta 
giorni, senza mangiare, € guardando ognor 
fisso le persone che gli eran d’intorno e non 
poicano che commiserare la sua condizione. 
Aifine fu posto in terra, e aizzatogli un cane 
adosso; ma lai lo prese fra le sue grife, e 
il tenne serrato sì lungo tempo, che ambidue 
morirono di fame. 

Arrampicandosi ad un albero, quest animale 
stende lauguidamente una zampa e pianta le 
sue lunghe grife in quel più alto punto, a 


L' af. 315 
cui possono giugnere. Indi solleva pesantemente 
il suo corpo, e grado a grado si aggrappa 
anche colle grife dell altra zampa continuando 
così a salire con movimenti di un’ estrema 
lentezza. Quando ha presa possesso di un al- 
bero, più non lo abbandona, che non ne ab- 
bia prima divorate tutte le foglie ed i germo- 
gli. E vuolsi, che per non si dare la penosa 
faiica di scenderne, si lasci cadere a terra 
nel che, in grazia del suo duro cuojo e dei 
suo folto pelame, non vi ha per esso alcun 
pericolo. 

I bradipi son più aitivi di notte, che di 
giorno. Mandano allora un grido lamentevole, 
che sembra percorrere salendo e scendendo 
sei note della zolfa. Woodes Rogers, riferisce 
che la prima volia che gli Spagnuoli sbarca- 
rono in America, e intesero questo suono 
straordinario s imaginarono essere fra un po- 
olo che avesse appresa la musica d' Europa. 

Nello siato di captività , lai par che non 
possa rimanere un istante a terra; poichè 
sempre si aggrappa a qualche pertica o palo. 
Ove questo o quella gli si presenti, mentre 
giace al suolo, tosto l’afferra colle sue grife, 
sale alla cima, e vi rimane appeso, senza che 
mai si possa distaccarnelo. 


316 
IL PORCO SPINO. 


Non ha che due piedi e mezzo, all’ incirca, 
di lunghezza dalla testa all'estremità della sua 
coda. Il suo corpo è coperto di spine assai 
dure ed'acute, varie delle quali sono di nove 
in quindici pollici. Si colorano esse alternati- 
vamente d'anelii bianchi e neri, e la più parte 
non si attengono alla pelle che per un filo o 
peduncolo sottilissimo, e cadono facilmente. 
L'animale, che n’ è fornito, le drizza o ab- 
bassa a suo grado, e quando cammina, le fa 
suonare le une contro le altre. La testa, il 
ventre e le gambe sue sono anch'esse coperte 
di spine ma d'un color bruno, a cui si fram- 
mischiano peli setolosi. Quelle della tesia ec- 
cedono le altre in lunghezza e si ricurvano al- 
l indietro. 

Il porco spino stabilisce ordinariamente il 
suo soggiorno in sotterranei ridotti, ch’ esso 
divide in più scompartimenti, lasciandovi, a 
disegno , due aperture , l una per uscire € 
rientrare, e l'altra, in caso di necessità, per 
fuggire. Dorme esso nel giorno, e all'avvicinar 
della notte si trae fuori dal suo nascondiglio , 
per andare in cerca di frutti, di radici, e 
di piante ortensi. Sebbene possa facilmente 
sopportar la fame per un tempo considera- 
bile e senza mostrar di sofirirne, mangia però 


IL PORCO SPINO. 317 
sempre con un appetito, che non è diverso 
dalla voracità. 

Gran guasto fanno gli animali di questa 
specie ne’ giardini ali’ intorno del capo di 
Buona Speranza. Ma come passano sempre per 
la medesima apertura, gli abitanti hanno fre- 
quente occasione di assalirli e distruggerh. 
Quando ne veggono alcuna fatta in una siepe, 
collocano un archibugio in maniera, che Îa 
bocca della canna miri giusto al ventre d' al- 
cuno di siffatti animali, intanto’ che si divora 
una carota o un navone, a cui è legata una 
cordicella, che comunica coll’ acciarino del- 
l arme da fuoco. 

Il porco spino non è già d' indole cattiva, 
nè mai è aggressore. E quando è inseguito 
S arrampica al primo albero, in cui si avviene, 
e vi rimane fino a chc il suo nemico si sian- 
chi di aspettario. 

Nello stato di captività mangia pane O ra- 
dici nella mano di chi gliele porge, e si la- 
scia condurre al guinzagiio. Un porco spino , 
ch'era nel parco della Torre sofleriva che il 
custode lo pigliasse sotto il suo braccio. Per 
farlo, però, senza pericolo era questi obbli- 
gato di ripiegarne le spine, attraversandogli il 
braccio al corpo. Morì quel quadrupede nel 
1802; ed è ora imbalsamato presso il custode 
medesimo. 


318 IL PORCO SPINO. | 

Ii fu sir Ashton Lever ne aveva uno, che 
lasciava giuocar sovente sopra l erba con un 
leopardo addomesticato ed un grosso cane di 
Terra Nuova. Tosto che questi animali erano 
liberi, il leopardo ed il cane si mettevano ad 
inseguire il porco spino, che cercava dapprima 
sottrarsi colla fuga; ma, non potendolo, cac- 
ciava la testa in qualche buco, grugnendo 
forte e rizzando i suoi dardi. Gli avversarii, 
che volean prenderlo , si pungevano il muso, 
si istizzivano, finivan coll entrar in lite fra 
loro, e davano così occasione al porco spina 
di mettersi in salvo. 

Quest animale ;} quand’ è offeso o irritato, 
baite co’ piedi, e vien tutto gonfio a presen- 
tar le sue spine cui drizza o scuote. Ma la 
sua maniera più ordinaria di difendersi è di 
piegarsi da un lato, e «quando il nemico gli 
è molto vicino rialzarsi improvviso e pungerlo 
coll altro. Se incontra serpenti, con cui sem- 
pre è in guerra, si aggomiiola, nasconde piedi 
e testa, e si rotola contro di essi colle sue 
spine, fino a che abbia loro tolta la vita, 
senza alcun suo pericolo di rimaner ferito. 

Sembra che i dardi del porco-spino abbiano 
una qualità velenosa; poichè il sig. Vaillant 
assicura che uno de’ suoi Otientoti, il quale 
ne fu piagato in una gamba, stette infermo 
più di sei mesi; ed un uomo del Capo per 


IL PORCO SPINO. 319 
Un caso simile corse rischio di perdere una 
tal parte del suo corpo; e sebben curato di- 
ligentissimamente dolorò per quattro Mesi , 
T uno de quali passò a leito. 

Nella stagione di mutar le spine l’animale, 
che ne trae il nome, le scuote con tanta vio- 
lenza, che volano a più verghe di distanza e 
penetrano quanti corpi colpiscono. Questa cir- 
costanza può aver dato luogo alla supposizione 
che lanci i suoi dardi coniro il primo nemi- 
co, che incontra. 

Il ‘professor Thumberg, nel suo secondo 
viaggio all’ isola Matura nell Oceano indiano, 
ci dice che i porci spini hanno una singolar 
maniera di andare a cercar acqua per la lor 
prole. Le punte o tubi della lor coda, dic egli, 
son vuoti e perforati all'estremità, e si pie- 
gano a grado degli animali che li portano e 
li riempiono d’acqua, scaricandoli in seguito 
nella lor tana in mezzo a' lor piccioletti. 

Trovansi spesso nel loro stomaco dei bel- 
zuar, che si compongono di peli finissimi, 
formano una concrezione coi sughi gastrici , 
presentano strali disposti gli uni sopra gli al- 
tri, e sembrano consistere in più eerchii di 
differenti colori. Thumberg nella descrizione 
che fa di questi belzuar dice che hanno in 
zenerale la fovma d'un uovo ordinario , e si 
rotondano in fine; assicura però di averne 


320 IL PORCO SPINO. 
veduto uno della grossezza d’ un novo d' cca, 
affatto rotondo e di bruno colore. 

La 'femina del porco spino depone uno 
due figli ad un tempo, gli allatta per lo spa- 
zio, circa, di un mese, li difende contro ogni 
assalto col più grande coraggio, e si lascia 
piuttosto uccidere di quel che soffra che le si 
tolgano. 

Dici che la carne de’ porci spini sia deli- 
calissima, e si presenti alle migliori tavole del 
capo di Buona Speranza. I loro dardi sono 
adoperati da selvaggi a diversi ornamenti, la 
cui eleganza gareggia con quella dell opere 
degli artisti più distinti. Perocchè li tingono 
in difierenti colori, li fendono in più parti i 
e se ne servono a ricamare 1 loro panieri, 
le lor cinture, i loro baltei, e più altri og- 
getti di bella comparsa. 

I quadrupedì, di cui si parla, abitano l'In- 
dia, la Persia, la Falestina e Yisole dell’ O- 
ceano pacifico. Sono pur comunissimi in tutte 
le parti dell'Africa, e si trovano talvolta in 
Italia e nella Sicilia. 


32% 
TL RICCIO. 


Sembra, al primo aspetto, aver pienissima 
rassomiglianza col porco spino, ma quando si 
esamina attentamente, ritrovasi. fra ambidue 
una differenza estrema, così per la struttura 
de’ loro denti, che per la grandezza e le forme: 
delle loro spine. La lunghezza. del riccio varia. 
dai sei ai dieci pollici: ha la. testa e i fianchi. 
ricoperti di dardi, e il naso, la pancia e il 
ventre rivestiti. di un. pelo morbidissimo e 
finissimo. Le sue gambe sono quasi ignude;.e 
i suoi diti, non in minor numero di cinque 
per ciascun: piede 5° lunghi e separati. La sua. 
coda, lunga un pollice all'incirca, è talmente 
ascosa fra le spine, che a. fatica si. distingue. 

Abita questo quadrupede ordinariamente. fra. 
gli umili rovis e si nutre di fruita cadute,-di. 
radici, e di scarafaggi; ma pur molto appe- 
tisce la carne eotta. così. lessata- che arrostita. 
Esce d'ordinario- la notte, e tiensi occulto nel 
giorno entro il suo: nascondiglio. 

Il sig. White dice che la. maniera: onde 
questo animale mangia la radice delia pian- 
lagsine è curiosissima. Perocchè col suo ‘albro 
superiore, molto. più lungo dell'altro, scava 
quell’ erba ,, e ne rode il piede, lasciando. in- 
tatto il resto delle foglie. Con ciò esso. rende 
un buon. servigio ,. distruggendo una. radice. 


rea 


(OXS) 


Gabineso Fom. LL QI 


3522 IL RICCIO. 
incomodissima; se non che i piccioli buchi 
rotondi, ch esso viene a fare, deteriorano non 
poco i sentieri de’ giardini. 

Si è detto che se i ricci giugner possono 
ad entrare in un verziere, si arrampicano agli 
alberi, e ne discendono con pere, mele, 
prugne infisse nella punta de ior dardi; ma 
il sig. di Buffon assicura ch'è loro impossibile 
il Lilo ove accennammo. Così male a propo- 
sito si accusano di mugnere le pecore, e fe- 
rirne le poppe; dacchè la picciolezza della lor 
bocca rende tal cosa impraticabile. 

Il riccio, dice il Piinio francese, sa di- 
fendersi senza combattere e ferire senza assa- 
dire. Non avendo che poca forza e nessuna 
agilità per fuggire, ha ricevuto dalla natura 
una spinosa armatura colla facilità di avvol- 
gersi in gomitolo, e presentar d' ogni lato 
armi difensive e pungetti, atte a respingere 
i nemici. Più questi il tormentano, più esso 
vestringesi e si fa irto. La paura istessa. il 
rende più gagliardo al difendersi. Rilascia la 
sua urina, la cui umidità e il cui odore spar- 
gendosi in tutto il suo corpo finisce di disgu- 
starli. Quindi la più parte de’ cani s’ accon- 
ientano di abbajargli adosso, ma si guardano 
dal toccarlo. Ve ne hanno però alcuni, i quali 
irovan mezzo, come la volpe, d’impadscunirsi 
di esso, pungendosi le zampe e insanguinandosi 


IL RICCIO. 323 
la_ bocca. Esso però non teme né la faina, 
nè la martora, nè la puzzola, nè il furetto, 
nè la donnola, nè gli uccelli di preda ». 

Può quest’ animale, fino a certo segno; es- 
sere addomesticato, e fu sovente introdotto 
nella dimora: dell'uomo, per cacciarne i grilli, 
inseiti importuni , di cui è persecutore acca= 
nito. Fra i Tartari calmucchi esso tien luogo di 
gatto; e ognuno ha inteso par rlare in Inghilterra 
di un riccio, appartenente già ad un locandiere 
di Northumberland, che correa per ia casa fa- 
migliarissimamente ; e facea sin le parti del 
cane volgendo lo spiedo dell’ arrosto. 

Il sig. pi Buflon, per altro, ascrive a' ricci 
tali atti, che non sariansi dovuti aspettare dalla 
loro indole e dalle ioro abitudini. « Ne ho 
voluto , dic egli, allevare alcuni, al quale ef- 
fetto ho più volte fatta mettere la madre e i 
suoi piccioletti in un tino, con abbondanti 
provvisioni; ma in luogo di allattarli gli ha 
tutti divorati l'uno dopo l'altro. Nè questo il 
facea già per bisogno di nutrimento , poichè 
mangiava carne cotta, pane, crusca e frutta, 
Nè si sarebbe imaginato che un animale sì 
lento, sì pigro, a cui nulla mancava fuorchè 
ia libertà, fosse di sì cattive wmore e tanto 
sdegnato di ritrovarsi in prigione. Molta. ma- 
lizia altresì dà il riccio a vedere, e della spe- 
cie medesima che quella della scimmia. So d'uno 


324 IL RICCIO. 
infatti, che introdoitosi una volta in cucina, 
e vedutavi una marmitta, ne trasse il bollito, 
e vi depose le sue immondezze ». 
Nell'inverno i ricci si ‘avvolgono in un nido 
di musco, d’erbe e di foglie disseccate, e vi 
passano dormendo i rigori della stagione. Essi 
stessi in tanto inviluppo rassomigliano un muc- 
chio d'aride frondi. Che se vengono di là 
tolti e posti al fuoco, escono tosto dal loro 
stato di torpore. 

Le loro femmine producono a ciascun parto 
ì tre e i cinque piccioleiti, che a principio 
son bianchi, e sulla cui pelle veggonsi appena 
spuntar le spine. 

Oltre la specie de’ ricci, che qui abbiamo 
descritta, sei altre se. ne conoscono , di cui 
messuna appartiene all Europa. Il riccio della 
Gujana ha le sue spine più corte, più pic- 
ciole e più ritte. che quelli finor ricordati. È 
d’ un color pallidissimo, nè apparisce in esso 
esterior. segno di orecchi. Quelio della Siberia, 
invece , ha orecchie tunghe , ovali, ignude e 
erlate di bruno; le sue: narici sono distagliate, 
H riccio di Malaga si distingue perle sue lun, 
ghe spine e le sue orecchie pendenii. Quello, 
elie dicesi tendrac, è presso a poco della gros- 
sezza di un sorcio e coperto di picciole spine 
su tutto il corpo , eccetto il naso e il ventre 
guerniti d’ una specie di pelo fino di colore 


IL RICCIO. 325 
bianchiccio. Ii tanrec di Madagascar ha cinque 
liste longitudinali di nero e di bianco sul cor> 
po, le prime coperte di un pelo irto, e le 
altre di spine. Così il tanrec come il tendrae 
sono in generale grassissimi, e la lor carne, 
sebbene insipida, è mangiata dai selvaggi. 


LA DONNOLA. 


La linghezza di questo picciolo animale pieno 
di vivacità è di sette pollici dal muso all’ in- 
serzion della coda; e Î altezza sua non più 
di due pollici e mezzo. Il colore del suo dor- 
so, dei fianchi e delle gambe è un rosso bruno 
alquanto pallido; ma il ventre e il petto suo 
son bianchi. Osservasi al dissopra delle due 
parti, del muso di questo quadrupede una mac- 
chia bruna. Le sue orecchie son picciole e ro- 
tonde, e la sua bocca è guernita di mustac- 
chi, come quella del gatto. Quand' esso dor- 
me, i suoi muscoli sono pieghevoli e sì flosci, 
che si può prenderlo per la testa, e farlo o- 
sciliar come un pendolo cinque o sei volte, 
prima che si desi Stanzia principalmente en- 
tro buchi, sotto radici d'erbe, e in riva a 
ruscelli, Lu slanciasi sulla sua preda. 

È di grande utilità pel fittajuolo, cui li- 
bera da sorci ed anche dalle talpe, che spesso 
giugne a disiruggere nelle loro soticrranee 


326 LÀ DONNOLA 
abitazioni. È però, ad un tempo, il flagello del 
pollame, dei piccioni, dei conigli. e d’ altri 
animali della corte rustica. Si getta pure sul. 
l’ova avidissimamente, e comincia dal fare 
all’ una delle loro estremità un picciol foro , 
d'onde sugge il torlo , e lascia il chiaro; di- 
versamente dai ratii e da altri animali, che 
vi fanno un gran buco, se pur non li rom- 
pono , traendoli fuori del nido. Siffatta circo- 
stanza serve come di tesiimonio , che nel po- 
dere vi è qualche donnola. 

Dicesi che l’ aspetto di questo picciolo ani- 
male spaventi il lepre siffattamente, che perde 
tutte le forze, e. gli si abbandona senza re- 
sistenza ;\mandando grida lamentevoli. 

Le donnole sono così feroci e selvagge, che 
il sig. di Buffon riguardava siccome cosa im- 
possibile I addomesticarle. Molti esempii, non- 
dimeno , provano ch'è facile il renderle trat- 
tabili. 

Madamigella Delaistre , in una lettera su 
tale argomento , riferisce particolarità piacevo- 
lissime intorno all educazione e a’ costumi di 
una donnola, di cui ella avea preso cura, che 
sovente mangiava in sua mano, e preferiva 
questa maniera di nutrirsi a qualunque altra. 

« Il caso , ella dice, mi procurò una gio- 
vane donnola di picciola specie. Pregata da ta- 
luno. a cui facca pietà, e impietosita io stessa 


LÀ DONNOLA. 327 
dalla sua debolezza, non le niegai le mie sol- 
lecitudini. Nei due primi giorni la nutrii di 
latte caldo ; ma giudicando che le abbisognas- 
sero alimenti più sostanziosi, le presentai carne 
eruda , ch'essa mangiò con piacere. Indi sem- 
pre. si è cibata indiffcrentemente di bue, e 
di vitello, o di montone, e addomesticata a 
segno > che non vi è cane più familiare. 

« Non ama punto le vettovaglie guaste; e 
neppur le stantie, ma sempre le vuol fresche. 
Mangia per veré dire con avidità e appar- 
tata; ma spesso anche in mia mano e sulle 
mie ginocchia, ove pare che si trovi assai bene. 
Gusta molto il latte: s'io gliei presento in un 
Vaso , essa vi si pone vicino e mi guarda; 10 
allora ne verso a poco a poco nella mia mano, 
ove ne beve in buona quantità: ma se non 
le uso questa amorevolezza, appena suol assag- 
giarne. Quando è ben pinza va d'ordinario a 
dormire; i suoi pasti, però, soglion essere leg- 
gieri, nè le turbano i piaceri successivi. 

« Il luogo ch'essa abita è la mia camera, 
dalla quale ho trovato modo di cacciare il cat- 
tivo cdore con dei profumi. Dorme durante il 
giorno in uno dei miei materassi, ove per una 
scucitura ha potuto introdursi. Alla notte poi 
io la metto in una gabbia, dove sempre entra 
con. rincrescimento, come ne esce con gioja, 
Se le si dona la libertà prima ch'io sia alzata, 


328 LA DONNOLA. 

«iopo mille gentilezze, che fa sul mio ‘let- 
‘to, vi entra, e viene a dormire nella mia 
mano o sovra il mio seno. Ove poi io mi levi 
la prima, per una buona mezz’ ora mi fa ca- 
\rezze , giuoca co’ miei diti come .un cagnoli- 
no, mi salta sul capo, sul collo., si aggira 
intorno alle mie braccia e al mio corpo con 
una leggerezza ‘e una grazia, «che mai non ho 
veduto in alcun quadrupede. E s'io le presento 
le mie mani a più di tre’ piedi di distanza, 
vi salta dentro senza sbagliare giammai. 

« Ha molta accortezza, singolarmente per 
giugnere a’ suoi fini, e sembra non voler fare 
ciò che le si proibisce , se non per impazien- 
tare: quando più non la guardate, cessa la 
sua mala volonià. Come non par che giuochi, 
se non per dar piacere, mai non giuoca sola; 
«e ad ogni salto che fa, ad ogni giro guarda 
se voi l osservate: ove non vi curiate di essa 
va a dormire. Se quando è più sepolta nel 
sonno, la risvegliate , si scuote allegramente , 
e scherza e tresca con tanta grazia, come non 
le aveste disturbato ‘il riposo. Non dà a veder 
mal umore che quando la vinchiudete; e lo 
esprime con piccioli grugniti differentissimi da 
quelli, che fa intendere nella sua gioja. 

« In mezzo a venti persone questo picciolo 
animale distingue la mia voce, cerca di ve- 
 dermi, e salta sopra quanti può, per venire 


LA DONNOLA. 329 
insine a me. I suoi giuochi meco sono più 
gai, ie sue carezze più amorevoli. Colle sue 
zampetie mi paipa il mento; e il garbo, e il 
tripudio , che meco «dimostra, dipingono il suo 
interno piacere. lo sono la sola, con cui usi 
tania domesticità; e mille altre. picciole  pre- 
ferenze mi provano, che mi è realmente af- 
fezionata. Quando vede, ch'io mi vesto per 
uscire, non mi abbandona; ma poi che alfine 
me ne sone sbarazzata va a nascondersi in un 
picciol ‘mobile, che ho presso la porta; e quando 
ripasso mi salta adosso così desiramente , che 
spesso non me ne accorgo, 

« Sembra tener molto dello scojattolo per 
la vivacità, la pieghevolezza, la voce, il lieve 
grugnito: Nelle notti d' estate gridava corren- 
do, ed era in continuo moto. Ma poi ch & 
cominciato a far freddo, più non l'ho udita. 
Talvolta nel giorno, quando è sereno, s' .ag- 
gira, si capovolge. grugnisce e corre sul mio 
letto per alcuni istanti. Dal gusto che prende 
a bere nella mia mano , ovio metto pochissi- 
mo latte per volta, cui essa sorbisce guccia a 
goccia, parrebbe che fosse dalla naiura disposta 
a ber la rugiada. Di rado, però, beve acqua, 
e solo in caso di gran bisogno, mancando il 
latte; ma allora non fa che rinfrescar la sua 
lingua una o due volte. Nei maggiori caldi si 
spelazzava molto ; ond io le preseniai acqua 


330 LA DONNOLA. f 
in un tondo, eccitandola ad entrarvi, nè mai 
vi potei riuscire. Ma fattovi inzuppare un pan 
nolino ; e postogliciona io , essa vi si rotolò 
dentro con piacere infinito. 

« Singolar distintivo di questo graziosissimo 
animale è la sua curiosità. Io non posso aprire 
un armadio, una scatola, o guardare una car- 
ta, che tosto non venga a guardarvi con me. 
Se insoientendo si sHontans od entra in alcuni 
luoghi, ov io non ho piacere di vederlo, pi- 
gliando una carta o un libro, e fissandovi gli 
‘ecchi con attenzione; esso tosio mi corre i 
mano, e par che faccia quel ch'io fo con sua 
molta soddisfazione. 

Spesso gioca, pure, con un gattuccio ed. 
un cagnuolo, ambidue già allevatelli, cinge 
loro il collo, prende loro le zampe, salta sul 
dorso, nè egli mai loro, nè essi a lui fanno 
alcun male. » 

La miglior maniera di domare le donnole 
è di toccarle pianamente sul dorso, minacciar- 
le, ed anche batterle, quando cercan di mor- 
dere. 

Esse vanno a salti, a balzi ineguali e al- 
l nopo s' innalzano parecchi piedi” da terra, 
strisciano O si arrampicano lungo i muri con 
tanta facilità, che non v è luogo, ove giun-. 
ger non possano. Il loro morso è fatale alla. 
loro. vittima , perocchè la prendono alla testa, 


LA DONSNOLA. 394 


e piantano i denti, ove la ferita non ha ri- 
medio. Questa è si picciola, che appena è vi- 
sibile; pur mai nè lepre nè coniglio o altro 
“animale fu sì fortunato, che non ne morisse. 

Assicurasi che un' aquila avendo un giorno 
presa una donnola, e trasportatala neli' alto 
dell’ aria, ne fu in molto imbarazzo. Perocchè 
la bestiuola si sviluppò da suoi artigli tanto da 
poterle mordere il collo. Onde | aquila dolo- 
rando fu costretta scendere a terra, e qui la 
donno!a le fuggì. 

Quest animaie par che abbia grande predi- 
lezione per tutte le sostanze putride. » Un 
paesano della mia campagna , dice il sig. di 
Buffon, prese un di tre donnole appena nate 
nel carcame di un lupo, sospeso ad un al- 
bero per le gambe di dietro, e già tutto im- 
putridito. La donnola madre, però, vi avea 
apportate erbe , paglie, e fronde, onde farvi 
un letto alla sua prole nella cavità del to- 
race. » 

Le donnole son conosciutissime in Inghil- 
terra, e comuni a tutti 1 paesi temperati dEu- 
ropa. Di rado però si veggono nei climi set- 
tentrionali , ove il freddo è insopportabile. Il 
tempo. dei loro parti è in primavera; e questi 
parti sono ordinariamente di quattro o cinque 
piccioletti. La madre fa loro un letto di mu: 
sco , di foglie e d'erbaggi, e quando teme 


Z8ao LA DONNOLA: 
per la loro. sicurezza; Si porta di luego in 
luogo nelia sua bocca, finchè abbia trovato loro 
un asilo più tranquillo. 


L'ICTI O IL BOCAMELE. 


È della specie delle donnole, si nutre, di 
mele, ha circa due piedi di lunghezza dalla 
punta del muso alla coda, il dorso d'un cole 
grigio di cenere , i fianchi segnati d'una lista 
del color medesimo, il ventre nero, le gambe 
corte ; le grife proprie a scavar il terreno per 
farsi le iane., ed è di un. odor fetidissimo, 
onde fu anche nominato tasso puzzolente. 

L'icti sembra essere dalla natura formato, 
per far la guerra alle api. S'introduce esso 
ostilmente nelle loro Nera: , come gliene 
dia pienissimo diritto | abilità somma che ha 
nel discoprirle, e sforzarne, all'uopo, i irinciera- 
menti. Vuolsi che in sul cader del sole si. dia 
esso ad inseguirle, onde si mette in sentinella 
seduto in sull'anche , e tiensi una zampa agli 
occhi, per temperare lo splendor dei raggi 
del gran pianeta. Se vede volare alcune api; 
persuaso che si avviano alie loro dimore, tien 
loro. dietro. sollecitamente, nè più si disvia dal 
lor cammino. Così ha Y accortezza di prendere 
a guida un picciolo augello, che trasvola ‘lento 


L ICTI O IL BOCAMELE; 333 
lento- e modulando arie melodiose, e il conduce 
ove } api hanno posto i loro alveari. 

Quanto a sciami , che albergan nei tronchi 
degli alberi, possono dirsi in preda a questo 
animale. E come nei primi trasporti di. sua 
rabbia, pianta furioso il dente in quei trore 
chi, un tal segno, e le traccie, ehe lascia 
dopo di sè, additano agli abitanti del pacse 
ove possono trovare il Guele! 

La pelle di questo quadrupede è così grossa 
e dura che riesce quasi impossibile il torlo di 
vita, senza dargli gran numero di colpi sul 
naso. Perciò gli Ottentoti gli sparan contro 
archibugi, o gli ficcano un coltello. nel corpo. 
Le sue gambe son corte, nè gli permettono 
di sfuggire ai cani, che l' inseguono; ma-ben 
si toglie qualche. volta alle lor zampe, mor- 
dendoli. e graffiandoli in modo crudele. D’ al- 
tra parte la sua pelle. è si poco tesa e- sì flo- 
scia ; che non teme i lor denti; peroechè la 
parte della pelle. medesima ,. che questi pren, 
dono, facilmenie si distacca dalla carne. Ed 
ove sia abbrancato al collo, ed anche molto 
presso alla testa, si volge, se così posso espri- 
mermi, entro la. propria. pelle, e morde il brac- 
cio che il fa captivo. 

Accertasi che le mute di. cani, che valgon 
insieme a mettere in pezzi un lione di media 
forza, son più volte obbligate ad abbandonare 


334 © L'ICTI O-IL BOCAMELE. 
il bocamele , il qual non è morto che in ap- 
parenza. Ed è possibile che la natura, che 
sembra averlo destinato alla distruzione delle 
api, gli abbia conceduta pelle più dura che a 
tutte le altre specie di donnole, onde fosse 
difeso delle punture di quegli insetti. 

Questo quadrupede abiia } Affrica, esi trova 
particolarmente al Capo di Buona Speranza. 


IL. /Z4BEIT:DO; 


Ha poco più di due piedi di lunghezza, 
non compresa la coda, che ne avrà uno al- 
l incirca. Il suo pelo è sul dorso così rozzo 
ed ispido , che forma una specie di criniera. 
Il color suo è un fulvo con macchie brunic- 
cie. Da ciascuno degli orecchi poi si partono 
tre nere liste, le dual vengono a terminare 
sul petto e sulle spalle. 

Il zibetto si nutre di piccioli animali, par- 
ticolarmente d' uccelli , che piglia per sorpre- 
sa, e quando può introdursi furtivamente nella 
corte di una cascina, Vi dà grandissimo guasto 
al pollame. E naturalmente vorace; pur tal- 
volta si rotola per uno o due minuti sul suo 

nutrimento prima di pascersene. 

Uno di questi quadrupedi , che il sig. Bar- 
bot avea alla Guadaiuppa, fu un giorno la- 
sciato, per negligenza del domestico, senza 


| nulla da man 


| 


IL ZIBETTO. 35.0 
giare. All indomani mattina Va- 
nimale. spezzò coi denti i ferri della sua. stia, 
entrò nella camera ove il sig. Barbot era a 
scrivere; e, dopo aver portati quà e là i suoi 
sguardi, fè un salto di cinque o sei piedi, 
e preso un pappagallo che stavasi appollajato 
sovra un pezzo di legno, gli spiccò la testa 
e si mise a divorario. 

Il profumo che appelliamo zibeito , si pro- 
duce da quest animale, di cui porta il nome; 
ed è una secrezione, che formasi in un dop- 
pio serbatojo inguinale, situato poco sotto la 
coda, e dal quadrupede vuotato spontanea- 
mente. 

Gran numero di simili animali, scrive 
Buffon, si nutre in Olanda, ove si fa com- 
mercio. del loro profumo. Per raccoglierlo, gli 


abitanti del paese pongoro ciascuno di que- 


gli animali in una stretta gabbia, ove non può 


volgersi. Indi aprono la gabbia medesima al- 


l'estremità, tirano l'animale per la ceda, e 
il costringono a stare così, mettendo un ba- 
stone attraverso ai ferri, onde gli impediscono 
le gambe di dietro. Fanno poscia entrare un 
picciolo cucchiajo nel sacco , il qual contiene 
il profumo, cui raccolgono diligentemente, 
raschiando intorno alle pareti del sacco mede- 
simo, e il pongono entro wn vaso, che chiu- 
dono con gran cura. Questa operazione si 


% 
336 IL ZIBETTO: 

ripete due-o tre volte per settimana; e la quane 
tità dell'umore odorifero dipende molto dalla 
qualità del cibo e dell appetito dell’ animale , 
solito darne più copiosamente, a misura ch' è 
meglio e più delicatamente nudrito. Carne cruda 
e tagliuzzata., ova, riso, animaieiti, augelli, 
teneri polli, ed in ispecie pesci son le vivande 
ch'è uopo offerirgli, variandole 11° modo di 
mantenere la sua- sanità., stuzzieando il suo. 
gusto. 

| « E odore del profumo, di cui parliamo, è 
sì forte, che si comunica a tutte le parti del 
suo corpo, Il pelo n'è imbevuto e la pelle 
né a segno penetrata, che vi si conserva. a 
fungo anche dopo morte; e mentre vive è im-. 
possibile sostenerlo, ove si. stia. chiusi coll’ a- 
mimale- in un medesimo luogo. Scaldandolo - o 
irritandolo, l’odor si esala ancor davvantaggio; 
e tormentandolo poi sino a- farlo sudare; se 
ne raccoglie questa traspirazione, clie anch' essa 
è profumata, e serve a falsificare. il vero pro- 
fumo, o almeno ad: aumentarne il volume. 

- Gli abitanti di Dorfan. usano di un singolar 
mezzo , onde aumentare il prodotio del zibetto. 
Perocehè pongono nel sacco picciola quantità 
di burro o di grasso; indi scuciono. violente- 
mente l animale, o anche l ivritan battendolo. 
Cuesto aceelera a meraviglia la secrezione;. e 
il-burro o. il grasso dei sacco s impregna.di 


IL ZIBETTO. 337 
tanto profumo, che appena sì distingue da 
- esso, e le femmine se ne servono pei loro 
capegli. 

Quantunque naturalmente feroce, il zibetto 
può addomesticarsi e divenir famigliare. Dorme 
esso aggomitolato, né, durante il sonno, o sia 


giorno o sia notie, mai non cangia posizione, 


LA MARTORA. 


È la più bella fra tutta la razza delle don- 
nole. Ha circa diciotto pollici di lunghezza non 
contando la coda, la qual d' ordinario è di 
dieci essa sola. La sua testa è picciola e di 
forma elegante; le orecchie son larghe, ro- 
tonde ed aperte, gli occhi singolarmente vi- 
vaci. Foltissimo pelo d’ un color bruno carico 
ricopre il suo corpo. Il color della testa, in- 
vece è un bruno rossigno ; e quello del petio 
e della pancia è bianco. Sul ventre il suo pelo 
è ancor più ricco e più scuro che non sul 
dorso. L’ unghie sue sono acute, e proprie a 
facilitarle il mezzo di arrampicarsi. 

La martora vive nei boschi, ed ha il suo 
ordinario domicilio nei cavi degli alberi, a tal 
altezza però e in tal guisa, che può tenervisi 
pienamente sicura. Preferisce in generale, quasi 
a risparmio di prime fatiche , il nido di uno 
scojattolo , cui poscia dilata, e guernisce di 

Gabinetto Tom. L 22 


339 LA MARTORA. 
sostanze morbide e leggieri, su cui depone i 
suoi piccioletti. E poco sarebbe quell’ atto di 
usurpazione, se anche non uccidesse l’ingegnoso 
architetto. 

ti coraggio della martora è tanto, che assale 
animali assai più forti e più grossi ch' ella non 
sia, fino lepri e montoni; ed,’ ove necessità 
la costringe, anche i gatti selvaggi, che sem- 
pre ne La la peggio, se pure nel combat- 
timento non perdono la vita. Malgrado però 
sì gran fierezza non sembra impossibile il man- 
suefarla; poichè Gesner ne dice d' averne ad- 
domesticata una, la qual riusciva molto gra» 
ziosa e molto piacevole. Molto si era affezionata 
ad un cane cor cui si allevò, e con esso 
giuocava non diversamenie da un gatto , co- 
ricandosi in ischiena, e fingendo volerlo mor- 
dere. Visitava le case del vicinato, e tornava 
regolarmente alla sua, quando sentiva boo 
di mangiare. 

La alba ha un odor di muschio, che a 
molti diletta, ed è affatto immune da quelle 
fetide emanazioni, che tanto disgustano negli 
altri animali della sua specie. Il suo grido è 
lento e penetrante; ma nol fa intendere, che 
quando prova dolore, o trovasi in estremo 
pericolo. Il suo nutrimento ordinario si com- 
pone principalmenie di ratti, di sorci, e d'altri 
piccioli quadrupedì , non meno che di pollame 


LA MARTORA. 339 

di selvaggiume. Del mele poi è singolarmenie 
golosa. 

La femmina di questa specie produce ire 0 
quattro figli ad un parto, e gli alimenta d’uova 
e di vivi augellini, ES così di buon 
ora alla strage e alla depredazione. Appena sono 
essi in istato di lasciare il nido, che li mena 
al bosco, ove proveggono da sè medesimi alla 
lor sussistenza. 

Si va nel settenirione a caccia delle marto- 
re, per averne le pelliccie, che sono di gran 
pregio, e forman quindi un oggetto di com- 
mercio assai riguardevole. 


IL ZIBELLINO 


La lunghezza di questo animaletto agile e 
petulante è di circa dicioito pollici. La sua te- 
sta è sottile, e il suo pelame d'un bruno 
carico lucentissimo , e sempre morbido, co- 
munque si prema, a differenza di quello di 
tutti gli altri animali. che preso a rovescio fa 
sentire qualche asprezza per la sua resistenza. 

Il zibellino frequenta le rive de fiumi, e i 
luoghi più ombrosi delle foreste; e fa d' or- 
dinario il suo mido sotterra, o nel cavo de- 
gli alberi. In estate si nuire di carne d'uc- 
celli, di scojattoli e di lepri; ma in inverno 
è ridotto a rosicchiare il legno di differenti 


340 IL ZIBELLINO. 
arbusti. La femina della sua specie partorisce 
1 primav era dai tre ai a piccioletti per 
volia. 

I nativi del Kamtschatka usan d'un metodo 
semplicissimo, onde prendere l’animale, di cui 
si tratta. I seguono eglino con certe loro scarpe 
a rete sinché abbian discoper ta la sua tana. 
Esso scorgendoli si nasconde in qualclie iron- 
con d albero, che i cacciatori circondan tosto 
di una ragna, se. pur nol troncano. ‘Talvolta 
forzano il zibellino con fuoco e con fumo a 
lasciare il suo asilo; c prima gli pongono 
guardia di cani a ciò ammaestrati ; 0 appre- 
stano una corda con nodo a ricorsojo, in cui 
viene a dar di capo, o piantano trappole ; 
in ogni caso il povero animaletto diviene fa- 
citmente loro preda. La stagione di dargli cac- 
cia è dal novembre sino al febbrajo. 

Le pelli de zibellini son pregiatissime sopra 
quelle di tutti gli altri animali, perocchè a!- 
cune si vendono fin dieci e quindici sterlini. 
1 loro ventricoli, che saran lunghi due diti 
ciascuno, si vendono in pacchetti, a quaranta 
per volta; le code al cento. | 

Sappiamo d' alcuri zibellini passati im certo 
modo allo stato di domesticità. Ul sig. Gonélin 
ne ha veduti due, che, quando scorgevano un 
cane , si alzavano sulle lor zampe di dietro, 
onde prepararsi al combattimento. 


IL ZIBELLINO. 34i 

Nella notie sono inquietissimi ed attivissimi. 
Di giorno , all'inconiro, e soprattutto dopo 
aver mangiato , dormono per una mezz ora, 
nel qual tempo si possono prendere e scuotere 
senza che si risveglino. 

Trovansi questi animali nel settentrione del- 
? America, nella Siberia, nel Kamstchatka e 
nella Russia asiatica. 


L'ICNEUMONE. 


È ordinariamente della grossezza di un gat- 
to, ma un po più lungo di corpo e più corto 
di gambe. I suoi occhi son rossi e scintillanti; 
le crecchie quasi ignude e rotonde; il naso 
anch’ esso rotondo e assai picciolo; la coda 
grossa assai alla sua base, donde via via si 
sminuisce fino all esiremità. Il color suo è un 
rossiccio pallido, che riesce grigio; poichè cia- 
scun pelo è spruzzato di bruno. Ha voce esile 
e dolce, che somiglia un mormorio, nè si fa 
aspra, che quando è battuto o irritato. 

Era esso una delle divinità dell’antico Egit- 
to; € dal moderno ancor si riguarda come il 
più utile e il più prezioso fra gli animali, 

cichè si mostra nemico implacabile de’ serpi, 
e d'altri rettili venefici, che infestano la zona 
torrida. Assale intrepidoi più terribili, e vuolsi 
che morsicato da loro abbia ricorso ad una 


342 L'ICNEUMONE. 
pianta, che gli serve d'antidoto al lor veleno; 
dopo di che torna al combattimento , e quasi 
sempre ne esce vittorioso. È migliore del gat 
to, onde purgar la casa da’ ratti e da’ sorci, 
€ grandissime disiruttere d’ uova di colli 
cui va a dissotterar dalie arene. 

Fouché d’ Obsonville avea allevato nell’ In- 
dia un icneumone o mangouste che voglia 
ehiamarsi , nutrendolo a principio di latie, 
poichè era sì tenero che appena apriva gli 
occhi; indi con carne cotta mescolata con riso. 
Castrato all’ età di quattro mesi divenne più 
familiare di un gatto, obbediva alla voce del 
padrone , e il seguiva alla campagna. Gli si 
apportò un giorno un serpentello d’ acqua 
ancor vivo. Il primo suo moto al vederlo fu 
di meraviglia mista a corruccio, onde tutti si 
rizzarono i suoi peli. Ma un istante appresso, 
insinuandosi destramente dietro il rettile, gli 
saltò d’ un tratto alla testa con singolare pre- 
stezza, gliela prese, gliela franse co’ denti. 
Questo primo saggio di sè medesimo, destò 
in lui il gusto della carnificina, ch' è innato 
nella sua specie. Fino allora avea vissuto in 
una corte rustica frammezzo a’ polli, senza dar 
loro molestia. Ma un dì gli scannò quasi tutti, 
mangiandone, è vero assai poco, ma succiando 
il sangue di parecchi. 

Quest animale si trova nella Barberia , al 


L'ICNEUMONE. 345 
Capo di Buona Sperauza e in Egitto, ove fre= 

. »- . - . MT 
quenta le rive de’ fiumi; e quando il Nilo 
straripa, si rifugia in terreni alti e disabitati, 
ove cercar la sua preda. Assicurasi che quando 
nuota, s attuffi alternativamente ne fiumi come 
la lontra; e rimanga sott'acqua DI un tempo 
considerabile. 

Trovasi ora (1806) un inclini nel 
parco d' Exeter-Change, ove fu condotto, già 
son due anni, al sig. Pidcok dal gran Cairo. 
li suo cusiode mi disse che non si nutriva 
he di fr lie di polli b d 
coe di Ivaltague di poll, e ne Dasiavano due 
o ire oncie per sua pietanza giornaliera. 


CAPITOLO VII. 


Questi sottili e negri animaletti 
Scojattoli chiamati, 
Perchè si trae da lor molti diletti, 
Per voi gli abbiam portati, 
et e SINO 

Questi animal sono a scherzar molto alti 
Con gentilezza umana; 
E benché sian di selve e boschi tratti, 
Non son cosa villana. 


CANTI CARNASCIALESCHI. 


LO SCOJATTOLO. 


()crsro animaletto si fa ammirare per Lele- 
panza delle sue forme e la sua vivacità. Sebben 
naturalmente selvaggio, è facile addimesticarlo, 
e malgrado la sua estrema timidezza, in breve 
divien familiare. Ecco di qual guisa. ne parla 
il sig. di Buffon. i da 

& ud cibi ordinarii son frutta, mantorle, 
mociuole , farina e ghiande. “Esso è pulito, le- 
sto, Vivace, pronto, accortissimo;: industrioso 
al maggior segno. Ha gli occhi pieni di fuo- 


55 
co, le fisonomia furbetta, il corpo nervoso, 


x ALI ) 


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3 oo = $ ss 
farti te: Frisso È, 


LO .SCOJATTOLO. 345 

È): membra assai ben disposte. Alla sua graziosa 
figura aggiugne nuovo ornamento un’ assal 
bella coda in forma di pennacchio, ch’ esso 
alza fino al dissopra della sua testa, e sotto 
cui si pone all’ ombra. Esso è, per così dire, 
“meno quadrupede degli altri animali a quattro 
gambe. Si tiene ordinariamente assiso , anzi 
quasi diritto, ed usa de’ piedi anteriori, come 
si farebbe delle mani, per recarsi le cose alla 
bocca. In luogo di nascondersi sotterra è sem- 

re in aria; tien quasi della natura degli au- 
gelli per la sua leggerezza ; dimora com’ essi, 
in cima agli alberi; saltando d' uno in altro 
6 le foreste; fa in essi il suo nido, ne 
‘coglie i grani, vi beve la rugiada , enon ud 
Va ara. che quando sono agitati dalla violenza 
‘de venti. Teme l'acqua più di tutto, e assi- 
‘curasi che, quando gli è uopo passarla, servesi 
d una scorza per vascello, e della. sua coda 
per vela e per timone. Non istupidisce già 
come il ghiro, nell’ inverno, ma in ogni sta- 
gione è svegliatissimo, e per poco che si toc- 
chi il piè dell’ albero, su cui riposa, esce dal 
suo covo; fugge sovr altra pianta, o si ripara 
sotto qualche ramo. In estate raccoglie nociuo- 
le, ne empie i tronchi e le fenditure di qual- 
che ceppo antico, e ne’ rigidi giorni ha poi 
ricorso a queste provvisioni, cercandole anche 
sotto la neve, cui distrae raspando. 


346 LO SCOJATTOLO. 

Sentonsi gli scojattoli neile beile notii 
d'estate gridar correndo sugli alberi, gli uni 
dietro gli altri. Par ch' essi .temano l'ardor del 
sole, onde si stanno il giorno al coperto en- 
tro il lor domicilio, da cui poi escono la sera 
per muoversi, giuocare , far l’ amore e man- 
giare. Quel domicilio è assai pulito, caldo, 
impenetrabile alla pioggia. /Si collocano essi 
d' ordinario nell inforcatura ‘di un albero, e 
cominciano dal trasportarvi ramuscelli, cui me- 
scolan con musco. Indi calcan questa mesco-. 
lanza, empiono i vacui, danno capacità e fer- 
mezza alla fabbrica loro, onde trovarvisi con 
agio e sicuri insieme a' lor piccioletti. Non vi 
lasciano che un'apertura verso l'alto, propor- 
zionala, ma stretta e che appena basta a pas- 
sarvi. AI dissopra deil apertura è una specie 
di coperto fatto a cono, che difende il iutto, 
e fa che la pioggia scorra pe lati, senza pe- 
netrare. La stagione degli amori per gli sco- | 
jattoli è la primavera; e alla fine di maggio 
poi o al principio di giugno vengon in luce 
i lor piccioleiti, che d ordinario son ire 0 

uattro ». 

Pare che lo scojattolo sempre stia in ascolto 
o in agguato. Assicurasi che sol che si tocchi 
il piè dell’albero ove posa, non sol lo abban- 
doni saltando sopra di un altro, come dice il 
celebre naiuralista pur or citato, ma percorra 


LO SCOJATTOLO. 347 
grande estensione delia sua foresta, fino a che 
si creda affatto fuor di periglio. Aliontanatosi 
di questa maniera , per alcune ore a distanza 
considerabile, quando il suo timore è cessato, 
ritorna al proprio nido, per vie impraticabili 
a tutt'altro quadrupede. In generale salta esso 
di ramo in ramo, varcando grandi intervalii , 
e se talvolta è costretto scender da un albero, 
si arrampica al più prossimo e il fa con pro- 
digiosa facilità. 

Ne” paesi settentrionali lo scojattolo cangia 
colore all’ avvicinar dell'inverno, e diviene 
affatto grigio. E a notarsi che tal cangiamento 
colà si effettua, anche quando | animale è te- 
nuto in luoghi riscaldati dalle stufe» Si trova 
esso quasi dovunque, ma è più frequente che 
per tutto altrove nelle conirade del Nord 
me paesi temperati. 


LO SCOJATTOLO GRIGIO 


E, all’incirca, della grossezza del coniglio , 
e molto rassomiglia per la forma e per le ma- 
niere, allo scojattolo ordinario. Il suo pelo è 
grigio, con qualche mistura. di nero; ma ciascun 
fianco è segnato d'una rossa lista, che si stende 
per tutta la sua lunghezza. 

Gli animali di questa specie cangiano spesso 
dimora durante tutto l'inverno; e spesso non 


348 10 SCOTATTOLO GRIGIO. 
ne compare un solo in que luoghi ove nell'anno 
antecedente ne erano migliaja. Nelle lor migra- 
zioni d'uno in altro paese trovansi talvolta obbli- 
gati a traversar un lago od una riviera; e quando 
il tempo è sereno lo fanno con piera sicu- 
rezza. Ma se il vento è forte, e s alzano l’ onde, 
ne periscono talora tre o quattro mila in una 
volta. i 

Questi scojattoli, dice il sig. di Buffon, 
cagionano gran guasto nell’ America settentrio- 
nale, e sopratutto fra le piantagioni di maîs. 
Montano essi sopra le -spiche, e le troncano 
in due per mangiarne il midollo; e siccome 
gettansi talvolta in un campo a centinaja, ba- 
sta una notte perchè il distruggano ». 

Nello stato di Maryland ciascun degli abi- 
tanti, e non sono molti anni, era obbligato ad 
apportare ogni anno quattro scojattoli, le cui 
îieste, a scanso d'ogni specie di frode, venivano 
deposte in mano dell'ispettor generale del paese. 
In altre provincie chiunque uccidesse uno di 
tali quadrupedi, ne ricevea certa moneta dal 
pubblico tesoro. 

La sola Pensilvania pagò dal gennajo 1749 al 
gennajo 1750 una somma di otto mila lire ster- 
line in ricompense date per la loro distruzione. 

Fanno essi ordinariamente i lor nidi in tronchi 
d' alberi con paglia, musco ed altre sostanze 
leggiere, e si nutron di ghiande, di pignuoli, 


LO SCOJATTOLO GRIGIO. 349 

di maîs e d'altre specie di frutti, che depon- 
gono entro buchi sotto le radici delle querce 
e in altri luoghi. Difficilissimo è I ucciderli , 
poichè cangiano sì prontamente di posto sugli 
alberi, che eludono i colpi d' archibugio del 
| più destro cacciatore. Vi ha chi ne mangia la 
carne, e la ritrova molto delicata. Le loro pelli 
servono in America a far scarpe per le si- 
gnore, e si portano talvolta in Inghilterra, ove 
si usano per fodere e rovesci di manti. 


LO SCOJATTOLO VOLANTE. 


Quest animale si distingue particolarmente 
per una membrana vellosa, che stendesi quasi 
tutt intorno al suo corpo, e lo ajuta a saltare 
da un albero all’altro, talvolta alla distanza 
di venii o trenta verghe. La sua testa è pic- 
cola e rotonda, il suo labbro superiore bifido o 
fesso; i suoi occhi sono sporgenti e neri; le sue 
srecchie piccole e nude ; ia parte più alta dei 
suo collo d'un color bruno cenerognolo, e il 
venire di un color bianco misto di fulvo. 

Gli scojattoli volanti sempre si riuniscono 
a bande. Se ne vedono parecchi sopra di un 
solo albero, che mai non abbandonano volon- 
tariamente per correre ad un altro; e si ten- 
gon costanti sul ramo istesso, ove dapprima 
si posero. Dormon nel giorno, e all’ avvicinar 


350 LO SCOJATTOLO VOLANTE. 
della notte si fan vivissimi e petulantissimi. 
Saltando a distanze considerabili allargan le 
loro gambe di dietro ed estendono la loro 
membrana laterale, la qual fa che presentando 
all'aria maggior superficie riescono più leggieri. 
Malgrado questo sostegno sempre han bisogno 
dei rami inferiori dell’ albero su cui saltano , 
atteso che il loro peso toglie ad essi di man- 
tenersi in una linea orizzontale. Istrutti quindi 
di quest’effetto della gravitazione del loro corpo 
gran cura si danno di salir molto alto ne!- 
Y albero, su cui si trovano, onde preservarsi 
dal cadere a terra saltando. Le loro membrane, 
quando sono distese, agiscono sull’ aria presso 
a poco dell istessa maniera che il cervo vo- 
lante, e non a colpi ripetuti, come le ale 
d' un uccello. E poi che sentonsi naturalmente 
più pesanti che il fluido atmosferico, sono dalla 
necessità costretti a discendere. La distanza, quin- 
di, a cui possono saltare, dipende interamente 
dall’ altezza dell’ albero, su cui si tengono. 

Catesby ne dice come la prima volta ch' ei 
vide una torma di questi quadrupedi, imaginò 
che fossero foglie d’alberi trasportate dal vento; 
dal qual inganno lo trasse ben tosto I osser- 
varne in gran numero che seguivansi gli uni 
gli altri nella stessa direzione. 

La femina di questa specie, di cui favellia- 
mo; produce due o quattro piccioletti, cui 


LÒ SCOIATTOLO VOLANTE. 3DI 
nutre colla più gran tenerezza e li ripara dal 
freddo coprendoli colle sue membrane volanti. 

Facilissimo è il nostro scojattolo ad essere 
addomesticato. Ama esso il calore, e si caccia vo= 
lentieri nella manica o nella saccoccia del suo 
padrone. Se questi il depone a terra, l ani- 
maletto dà segno di molto dispiacere, e tosto 
risale per accovigliarsi fra gli abiti di lui. Si 
nutre degli stessi alimenti, e si purga del lor 
soverchio alla guisa stessa dell’altre qualità di 
scojattoli, de’ quali già dicemmo. 

Trovasi in tutte le regioni settentrionali e 
dell’ antico e del nuovo continente, ma più 
ancora in America che in Europa. 


IL GERBO 


È un po più picciolo che il ratto, ed he 
molta rassomiglianza col coniglio. Parmi singo- 
larmente osservabile, perla conformazione delle 
sue gambe: poichè le anteriori non hanno che 
un pollice di altezza, e gli servon di mani, 
onde recarsi il cibo alla bocca, e le posteriori 
son lunghe, ignude, e come quelle di un uc- 
cello, non avendo ciascuna che tre diti. La 
sua coda è molto più lunga che il suo cor- 
po, e termina in un bel fiocco e assai grande. 
I suo pelo è lungo e setoloso, d'un color 


352 IL GERBO: 
rossigno nelle parti superiori del corpo s € 
bianco sotto il ventre. 

Trovasi il gerbo nell’ Egitto, in Barberia, 
nella Palestina e ne’ deserti orientali della Si- 
beria. E suo costume di scavarsi la tana in 
terreni duri ed argillosi, il che fa con pre- 
stezza grandissima, non solo adoperando i piè 
dinnanzi, ma anche i denti, mentre co’ piedi 
posteriori getta la terra scavata, e ne forma 
quasi trincea all ingresso. Simili tane hanno 
più braccia di lunghezza, sono serpeggianti , 
poco più profonde sd due piedi sotto la su- 
perficie del suolo, e finiscono in un gran spazio 
c nido, ove l’ animale depone erbe elette. Da 
questo nido, con mirabile sagacia, si forma esso 
un secondo passaggio pei casi di necessità onde 
potersi, con facile apertura , sfuggire sicura- 
mente. 

Le arene e le materie che circondano la 
moderna Alessandria, dice il sig. Sonnini, sono 
frequentatissime dai gerbi, i quali vi soglion 
vivere a truppe, e si fanno tane, cui scavano 
con unghie e con denti. Mi si è pure assicu- 
rato ché trapassino la pietra non dura, la qual 
si trova sotto lo strato di sabbia. Senz' essere 
precisamente feroci, sono inquietissimi ; e il 
minimo strepito, il minimo oggetto nuovo li 
fa ritirare ne’ loro cavi pei i Non 
si può ucciderli che sorprendendoli. Gli Arabi 


IL GERBO. 353 

sanno pigliarli vivi, turando le uscite delle d'- 
verse gallerie de’ loro nascondigli, eccetto una 
per cui li forzano a sortire. Io. mai non ho 
mangiato della lot carne, che so non aver 
lode di troppo buona vivanda; pure il popolo 
d’ Egitto non l'ha a schifo. La loro pelic, che 
è coperta di un vello morbido e lucente, si 
adopera in usi ordinarii. 

« Ho nudrito per qualche tempo in Egitto 
sei di questi animali in una gran gabbia di 
fil di ferro. Nella prima notte essi ne minuz- 
zarono interamente i regoli e i traversi di legno, 
onde fui costretto di far guernire l' interno di 
latta. Mangiavano frumento, riso, noci ed ogni 
sorta di frutti; molto godevano del sole; e 
tosto ch’ erano messi all’ ombra, stringevansi 
gli uni contro gli altri, e parean soffrire della 
privazion del calore. 

E stato detto che i gerbi dormono di giorno; 
e di notte giammai. Per me ho veduto tutto 
il contrario: nello stato di libertà s' incontrano 
in piena luce d’intorno alle lor abitazioni 
sotterranee; e quelli, ch io ho nutriti, non 
erano mai più vivi o risveglia, che quando 
sì trovavano esposti alla ferza,del sole. Sebbene 
siano molto agili ne lor movimenti, par non- 
dimeno che la dolcezza e la tranquiliità for- 
mino il lor carattere. I miei si lasciavano 
toccar facilmente ; non v'era mai tra essi né 

Gabinetto Tom. I 23 


35, 4 iL G ERDO. 

strepito. né litigi, neppure irattandosi del nt-: 
trimento. Del resto non mostravano nè gioja, 
nè timore, né riconoscenza. La loro dolcezza 
non era punto amabile; e parea piuttosio P ef- 
fetto di una fredda indifferenza, che accostavasi 
alla stupidità. Tre di questi gerbi perirono: 
successivamente prima della mia partenza da 
Alessandria; due altri ne perdettt in un tra- 
verso un po’ disastroso fino all'isola di Rodi, 
ove uno, per negligenza di chi lo avea in cu- 
stodia, uscì dalla sua gabbia e disparve. Lo 
feci ricercare con gran sollecitudine , quando 
il vascello si scarico, ma indarno ; chè certa- 
tamente era staio divorato dai gatti. 

« Î piccioli animali di cui parliamo , sem- 
brano difficili a conservarsi in cattività,- e 
ancor più a trasportarsi ne nostri climi. Del 
resto è bene l'avvertir quelli, che il tentassero, 
delle cautele necessarie a quest’ uopo, e sono 
le stesse che si usano cogli agouti, ed altri 
quadrupedi roditori dell’ America ; chiudendo-. 
gli in gabbie o dogli, onde non possano 
uscire. Portndoli la lor natura a iuîtto divo- 
rare, cagionerebbero nel corso del viaggio 
danni considerabili; se forse, rosicchiando essi’ 
il legno più duro, non mettessero la nave in 
pericolo. 


SME STT 


(SK 
(Sci 


IL LEPRE. 


Timido animale e senza malizia, il quale 
trovasi in intie le parti settentrionali del glo- 
bo, ed è sì generalmente conosciuto, che 
possiam dispensarci dall’ offerirne qui particolar 
descrizione. È però bene l' osservare, come, 
poichè si trova sprovveduto di mezzi di di- 
fesa, la natura gli ha dato altri sussidi, onde 
sottrarsi a’ pericoli, e forme convenienti al suo 
genere di vita. Però la grandezza ed acutezza 
de’ suoi occhi lo pongono in istato di guardar 
gli oggetti da ogni parte; le sue orecchie 
lunghe e tubulose possono moversi per ogni 
guisa con molta facilità e raccogliere i suoni 
più lontani; e la forza mus sculare delle sue 
gambe posteriori gli dona di poier sopravan- 
zare tutilt 1 SUO! NEMICI, 

Il color del suo corpo non dissimile da 
quello delle stoppie e di un terreno col- 
tivato contribuisce anch’ esso evidentemente 
alla. sua sicurezza. Assicurasi che nelle contrade 
settentrionali diventa candidissimo, allorchè le 
nevi cominciano a cadere}; la qual singolarità, 
È cagione che possa, in qualche modo, illu- 
dere i cacciatori che il perseguono. Si sono 
veduti lepri bianchi nel mezzogiorno dell’ In- 
ghilterra, e pretendesi, che nel 1797 siasene 


356 IL. LEPRE. 
ucciso uno nella contea di Shrop, il qual pe- 
sava nove libre. 

La femina ha meno forza e agilità che il 
maschio, e in conseguenza è più timida: ma 
dicesi che sappia moltiplicar d' avvantaggio gli 
accorgimenti e le industrie. 

Come i lepri si tengono il più spesso in 
rasa campagna , i loro piedi sono guerniti di 
pelo e al dissopra e al dissotto. Alla sera ; 
quando splende la luna, è un piacere il ve- 
derli a correre, giuocare, folleggiare insieme, 
e inseguirsi gli uni gli altri. Ma facilmente 
prendono sospetto , e al minimo strepito fug- 
gono da diverse parti. Il loro passo è una 
specie di galoppo o una rapida successione di 
salti. 

In generale prendono essi il loro cibo dopo 
il tramonto del sole, e di giorno dormono 
nella lor tana, cui d'inverno scelgono per 
istinto ai raggi del sole, onde raccogliervi 
tutto il calor possibile della stagione. D' estate 
poi, per un motivo contrario, si trasferiscono 
a tramontana; ma in ambedue i casi cercano 
sempre tal luogo, ove gli oggetti circostanti 
conforminsi pei colore al loro pelo. 

I lepri variano considerabilmente di gros- 
sezza e di peso. Vuolsi che i più piccoli abi- 
tino l'isola d Hai, e i più grossi quelia di 
Man. Il sig. di Bufion assicura, che più i 


IL LEPRE. pai 
paesi , ove si trovano , son freddi; più sono 
essi membruti e pesanti. La loro estrema ti- 
midezza , e il perpetuo timor de’ pericoli im- 
pedisce loro d' ingrassare; ma nello stato di 
domesticità avviene altrimenti. « Si nutrono essi 
principalmente, dice il Plinio francese, d' erbe, 
di radici, di foglie, di frutti, di grani, e 
preferiscon le piante il cui suco è lattiginoso. 
D'inverno rodono anche le scorze degli alberi, 
nè avvi che l'alno e il tiglio, che lascino 
intatti. » i | 

Osservasi che questi animali generano in 
ogni tempo, eccetto soltanto ne’ due più freddi 
mesi della rigida stagione. La gestazione della 
femina non dura oltre un mese, ed ogni suo 
parto è di due o tre piccioleiti , cui allatta 
per tre settimane. Indi lascia che vadano in 
eerca essi medesimi del loro nutrimento, e si 
formino proprie tane, le quali sempre rie- 
scono distanti sessanta o ottanta passi le une 
dalle altre. 

Il padre Daniel cita in esempio della loro 
fecondità quello di un pajo di lepri maschio 
e femina, che rinchiusi in un giardino per lo 
spazio di un anno diedero al termine di esso 
il frutto di cinquantacinque leprotti. 

La puzzola, le donnole e differenti uccelli 
di preda sono i naturali nimici del lepre. Il 
cane anch’ esso lo persegue per istinto, € 


358 IL LEPRE. 
l'itomo , assai più formidabile per lui che 
tutti quegli altri. animali, usa ogni sorta di 
insidie per impadronirsene.. Talvolta usa, a 
questi! uopo ; il falcone, massime quello d’ I 
slanda. Nel ‘qual caso il povero lepre , che 
troppo è convinto delia superiorità dell’'avver- 
«sario, non si muove dal suo nascondiglio, ove 
un levriere nol faccia alzare; e allora è ine 
| witabilmente preda del rapace augello. 

I Druidi e i Brettoni antichissimi tassavano 
d’ empietà il mangiar la carne di quest’ ani- 
male. J Romani per altro riguardavanla, come 
noi, cibo delicatissimo. Oggi gli Europei tanto 
più la pregiano quanto più sa di selvatico. . 

I giri e rigiri che fa il lepre quando è in- 
seguito son curiosissimi e sorprendenti, e l'arti 
ehe usa onde sfuggire al nemico indicano 
in esso una sagacia senza pari. Incalzato da 
vicino € per ‘lungo tempo, gli avviene tal- 
«volta. di cacciare qualch' altro lepre dal. suo 
nascondiglio e di prenderne il posto. Qualche 
volta si fimescoli ad un brarico di agnel- 
.Je, o s' arrampica ad un vecchio muro, e 
si nasconde fra l erbe delia sua sommità; ov- 
‘vero traversa una riviera a più riprese, e a 
piccole distanze l' una dall altra. « Ho veduto, 
dice Fonilloux, un lepre sì malizioso, che, 
appena udiva il suono del corno, si. alzava 
slal suo covaceio, e andava a gettarsi in uno 


IL LEPRE, 3IG 
stagno , fosse anche stato un quarto di lega 
L0no, riposandosi , cioè a dire SERA 
tratto tratto fra giunchi, senz’ essere in aleun 
modo cacciato dai cani. » 

« E questo è appunto, scrive il sig. di 
Buffon, il più mirabile dell’ istinto dei lepri, 
poichè le loro industrie ordinarie sono assai 
meno esquisite. Si contentano essi, quando 
son fatti levare ed inseguiti, di correr rapida 
mente e volgersi quindi e ritornare su’ loro 
passi. In generale i lepri nati nel luogo stesso, 
ove si dà loro la caccia, mai non si dilungano 
c_ sempre lornano alla lor tana. » 

Questi animali sono mansuetissimi e di fa- 
cile educazione. Talvolta, però , avviene che 
non si riesce ad addomesticarli. Spesso anche, 
dopo averli presi assai teneri, allevati in casa, 
usate loro tutte le cure, giunti che siano a 
certa età, colgono la prima occasione di ricu- 
perare la loro libertà. 

Il dottor Townson, essendo a Gottinga , 
pose tanto studio nell’ educarsi un leprottino, 
che riuscì a renderlo familiare olire il consueto 
deila sua specie. Scherzava esso, sì arrampi- 
cava e correva or pel letto o pel sofà del pa- 
drone ; talvolta ne suoi giuochi gli saltava 
addosso , il batteva colle sue zampette anteriori, 
o se stava leggendo g cli faceva cadere il libro 
di mano. Qualora però entrasse nella. camera 


RE 
esc 
Ga 


360 IL LEPRE. 
alcun straniero, sempre dava segni di moltis- 
simo timore. i 

Il sig. Borlase assicura di aver veduto un 
lepre sì familiare, che mangiava nelle mani 
delle persone , riposava sovra una seggiola 
nella camera, ove veniva chiunque, e parea 
in tal luogo egualmente sicuro, che il più 
domestico de cani. Talvolta andava in giardino; 
ma dopo aver mangiato, ritornava alla camera 
che dicemmo , e ripigliava il suo posto usato.” 
Suoi compagni ordinarii erano un levriere ed 
un can di Spagna, ambidue sì pazzi per la 
caccia, che talvolta vi andavano senz’ esservi 
condotti. Pure il lepre passava le notti con 
loro, dormiva sull’ istesso tappeto, e persino 
sul corpo o dell'uno o dell’ altro. 

Scrittori 1 più credibili hanno citato esempi 
di lepri allattati c nudriti dal lor naturale ni- 
mico , il gatto. 

« Un mio amico, dice il sig. White, avea 
un leprotto, che gli fu portato assai giovane, 
e che quei di casa nutrivano, dandogli il latte 
nel cucchiajo. La sua gatta frattanto partorì; e i 
gattini da essa nati furono uccisi e sepolti nel 
giardino. Or avvenne che ad un tratto il leprotto 
sparì, e si credette 0 ucciso anch’ esso o ru- 
bato. Quindici giorni appresso, però, stando 
il padrone seduto in giardino, vide la gatta 
venirgli all'incontro, con la coda alzata e 


iL LEPRE. 361 
miagolando in quel modo che le gatte soglion 
fare, quando chiamano i loro figli. Un mo» 
mento dopo scorge un non so che di saltel- 
lante dietro di essa; era il leprottino cui già 
avea preso ad aliattare , e a cui avea posto il 
più grande afletio. 

« E questo per quanto strano ci sembri, 
proveniva naturalissimamente da un sentimento 
di tenerezza materna , che la perdita de’ suoi 
piccioletti avea in essa risvegliato; dal sollievo 
che provò lasciando succhiare al leprottino le 
sue mammelle gonfie di latte; e infine dall’ a- 
bitudine, che le inspirò in favore dell’anima- 
letto straniero ciò che l'istinto dettavale pei 
proprii figli ». 

Riferisce il dottor Darwin nella sua Zoono- 
mia, che un ecclesiastico d' Elford presso di 
Lichifield, avendo rapiti i picciolini d'una 
iepre da lui uccisa, gli affidò ad una gatta, di 
cui pur dianzi si erano gettati via i figli. La 
bestia se li raccoise, diè loro il latte, e li 
trattò come fosse stata la propria loro madre. 

Può recarsi in prova della docilità del lepre 
l'esempio di quello che vedeasi pochi anni 
addietro a Saddier's Wells (luogo ad una lega 
da Londra celebre pel suo teatro popolare » 
e suonava il tamburo colle sue zampe ante- 
riori; mentire un uomo con altro tamburo 
facea il giro del teatro. È veramente cosa 


362 IL LEPRE. 
inconcepibile che un’animale sì timido abbia po- 
tuto essere avvezzato a sostener la presenza di 
numerosa assemblea, che gli dava cento ap- 
piausi, ed uno splendor di lumiere fatie per 
abbagliarlo; pure non può mettersi in dubbio. 

I. singolarità vedeasi a Parigi nel 
1810 sugli spettacolosi bastioni ). 

Le pelli di lepre sono di grandissimo uso, 
per la fabbricazion de’ cappelli ; e però molte 
migliaja se ne asso ogn anno di Rus- 
sia in Inghilterra. 


IL CONIGLIO. 


est animale, sebben somigliantissimo per 
indole e’ per forme a quello che lo precede, 
è però di una specie distinta; ed ove si chiuda 
insieme col lepre, ne nasce fierissimo com- 
battimento , nel quale Ì' uno de due è uopo 
che soccomba. 

La fecondità del coniglio è ancor più no- 
tabile che quella del lepre, poichè Ja femina 
del primo si grava sette volte all'anno, e dà 
per ciascuna sette in otto piccioletti. Suppo- 
nendo, adunque, i suoi parti regolari; nello 
spazio di quattr’'anni la progenie di una cop- 
pia di conigli giugnerà quasi ad un milione e. 
mezzo di capi. 


IL: CONIGLIO: 363 

I loro nemici però sono così numerosi, che 
impediscono al loro accrescimento di divenir 
nocevole alla specie umana. Poichè , oltre il 
servire che fanno i conigli al nostro nutri- 
mento, sono ancor divorati da animali di 
preda d’ogni specie. Malgrado, però, tutti gli 
ostacoli alia loro propagazione divennero , al 
tempo de Romani, un sì terribile flagello 
nell’ isole Baleari, che gli abitanti furono co- 
stretti chiamare il soccorso della forza mili- 
iare, e servirsi de furetii, onde porvi rimedio. 

« Alcuni giorn prima dei parto, scrive il 
sig. di Buffon, le femine de conigli sì scavano 
una nuova tana, non già in linea retia ma 
serpeggiante , in fondo alla quale, strappan- 
dosi dal venire bastevol quaniità di pelo, for- 
mano una specie di letto per accogliervi i figli 
che nasceranno. Ne primi due giorni, poi che 
sono venuti in luce, mai non gli abbando- 
nano: escono appena, quando il bisogno le 
stimola, e ritornano tosto che hanno preso il 
loro nutrimento, il qual, sebbene allora sia 
più copioso del solito, pur toglie loro po- 
chissimo tempo. Le cure dell’ allattamento du- 
rano per più di sei settimane; e in questo 
spazio il padre non conosce la sua prole. Esso 
non entra nella tana scavata dalla madre, che 
spesso, quando esce, ne tura l ingresso con 
terra impastata nella propria urina. Ma quando 


364 IL CONIGLIO. 
i piccioletti cominciano ad ‘affacciarsi al buco 
di quella tana, e a mangiare delia spelliciosa 
e d' altre erbe, che la madre loro presenta, 
anche il padre mostra di riconoscerli per suoi; 
li piglia tra le sue zampe, ne lustra il pelo, 
ne lecca gli occhi, e tutti egualmente l' uno 
dopo l’ altro gli accarezza. La femina intanto 
non si mostra meno amorosa verso il marito, 
e spesso fra pochi giorni si trova di nuovo 
feconda ». 

Il pelo de’ conigli è la principal materia, 
che si adopera a fabbricar cappelli, mescolan- 
‘dola con certa quantità di pel di castoro. 


<) 


; 


TI, CAMEO 


CAPITOLO VIII. 


Del deserto 
Figlio il camelo, alla fatica usato 
Ed alla sete, dalla ria bufera 
Arse le fauci sente, oppresso il petto. 


TuHomson, 


IL CAMELO. 


Le differenti qualità del cavallo, della gio- 
venca e della pecora sembrano esser riunite 
in quest animale. « Gli Arabi (dice il sig. di 
Bufion con quella vivezza di stile, che non 
sembra appartenere che a lui solo) riguar- 
dano il camelo come un dono prezioso del 
cielo, come un animale sacro, onde possono 
subi giorno mettere cinquanta leghe di 
deserto fra sè e i loro nemici. Tutti gli eser- 
citi del mondo perirebbero tenendo dietro ad 
una truppa di Arabi, i quali, perciò, non 
sono soggetti, che quanto lor piace di esserlo. 
Si figuri un paese senz erba e senz acqua , 
un sole ardente, un cielo sempre asciutto , 
sabbiose pianure , montagne ancor più ari- 
de, su cui l’occhio si Lied e il guardo si 


366 IL CAMELO. 
perde, senza potersi arresiare sovra nulla che 
viva, una terra moria, e per così dire sco- 
riata da’ venti, la qual non presenia che ossa, 
ciottoli accumulati, rupi o sorgenti o rovesciate, 
un deserto affatto ignudo, ove il viaggiatore 
mai non respira soito ombra veruna, ove nulla 
lo accompagna, nulia gii richiama la natura 
vivente. Solitudine assoluta, mille volte più 
spaventosa che quella delle foreste; poichè gli 
alberi sono pur esseri in «qualche modo sen- 
zienti per chi si rilrova senza veruna comu-' 
uicazione con altri. Smarrito affatto in quegli 
spazii vuoti, e senza limite, ei vede in ogni 
luogo la sua tomba. La luce del giorno più 
trista che Tl ombra delia notte non rinasce che 
per illuminare la sua nudità, la sua impoten- 
za, e presentargli l' orrore della sua situazio- 
ne , allargando al suo sguardo i confini del 
vuoto , stendendo intorno a lui Y abisso del- 
? immensità che lo separa daila terra abitata , 
immensità che invano ei tenterebbe di per- 
correre ; poichè la fame, la sete e 1 ardente 
calore gli assediano gli istanti, che gli riman- 
gono fra la disperazione e la morte ». 

I nomi di camelo e di dromedario non in- 
dicano già due specie differenti, ma specificano 
due varietà, di cui la prima ha due protube- 
ranze sul dorso, menire l’altra non ne ha 
che una. L' altezza del camelo è di circa sei 


IL. CAMELO. 367 
piedi, il suo corpo è coperto d'un pelo bruno 
o castagno; la sua testa è corta, le orecchie 
picciole , il collo lungo e inclinato. Questo 
quadrupede è pur rimarchevole per una grande 
callosità all’ inferior parte del petto, una a 
ciascun ginocchio, ed un altra nell'interno di 
ciascuna gamba. suoi piedi sono schiacciati e 
rivestiti d'una suola, il cui intervallo da’ piedi 
istessi non è segnato che da un solco poco 
profondo; il che dà all animale ia facoltà di 
percorrere, le sabbie ardenti dell'Arabia, senza 
che gli screpolin I unghie. 

I cameli son domestici in diverse contrade 
del Levante, e servono a portare pesanti far- 
delli, e a traversar deserti arenosi; ciò che 1 
cavalli non potrebbero. Le sabbie sembrano es- 
sere il loro naturale elemento, poichè appena 
le lasciano, per camminare sovra solido ter- 
reno, più non possono tenersi in piedi, e le 
frequenti cadute; che vi fanno, loro divengono 
funestissime. i 

II potersi astener dal bere, che loro è dalla 
matura conceduto, fa che procedano senza in- 
terruzione i setie, gli otto ed anche i quindici 
giorni per grandi spazii afiaito senz’ acqua. Ove 
però alcuna sorgente vi scaturisca , essi la 
discoprono a mezza lega di distanza, e ad essa 
volgono desiderosi il passo lungo tempo pri- 
ma, che i loro conduttori possano accorgersi 


368 IL CAMELO. 
del luogo ove si ritrova. Viaggiano essi pil 
giornate , altro nutrimento non avendo che 
datteri secchi, o poche palle di farina d'orzo, 
o infine alcune misere piante spinoses che in- 
contrano ne’ deserti. Il sig. Denon ci dice che 
in tutto il corso del suo viaggio in Egitto , i 
cameli della caravana non aveano per giorno 
che una semplice razione di piselli , cui ma- 
sticavano , sia camminando, sia restando sdra- 
jati in sull’ arena ardente, senza mostrare il 
minimo malcontento. La meravigliosa possibi- 
lità, ch'è in essi, di far senza bevanda sem- 
bra, a ben riflettervi, l’effetto della loro in- 
terna struttura. 

Perocchè hanno questi animali un secondo 
stomaco , formato di numerose cellette di più 
pollici di profondità, e il cui orifizio par 
capace d’ una contrazion muscolare. Quindi è 
probabile , che quando bevono, possano diri- 
gere l’acqua in queste cellette o trogoli, e 
impedirle di passare nel primo stomaco. Per 
tal mezzo se ne trova certa quantità seprrala 
dagli alimenti, e serve all’ uopo , ad inumi- 
dirli nel lor passaggio allo stomaco vero. 

Quando le persone, che viaggiano in Ara- 
bia, provano gran mancanza d'acqua, pren- 
dono il partito d' uccidere un camelo per ot- 
tener quella, che è contenuta nel suo sto- 
maco, e la qual sempre è dolce e salubre. 


- IL CAMELO. 369” 

Ml carico ordinario de’ cameli è di milio G 
mille ducento libre, e con esso traversano il 
deserto, facendo dieci o dodici leghe per giorno. 
Quando si è sul punto di loro addossarlo, 
essì piegan tosio il ginocchio al comando del 
conduttore. Che se avviene che si mostrino 
restii, sono castigati a colpi di bastone, o ti 
rati pel collo. Allora, come sentendosi op- 
pressi, mandano un’ gemito cupo, s' acco- 
sciano. contro terra, e rimangono in questa 
positura fino a che loro si ordini di rialzarsi. 
Traversano essi, malgrado ogni peso, le ri- 
viere più profonde e più rapide; ed è ben 
raro, che nè a loro,nè a quelli che lor sono 
in groppa avvenga nulla di sinistro. Quando 
sì sopracaricano ‘Had di cozzo in chi gli op- 
prime, e fan talvolta. udire le. grida più. la» 
mentevoli. - 

Gli animali, di cui parliamo, sebben molte: 
mansueti e molto trattabili, sono eccessivamente 
sensitivi: alle ingiustizie. e a' mali. trattamenti., 
e ne conservano il risentimento , fino a che 
trovino occasione di vendicarsi. Talvolta anche 
loro basta aver creduto di: soddisfare. la. pro-. 
pria vendetta, perchè più non vi pensino. 
‘Qualora adunque un Arabo ha eccitato il fu- 
rore di un camelo, getta a terra le proprie 
vesti dove crede che l'animale debba: passare s 
Gisponendole in. modo, che sembrino coprire- 


Gabine:ro  Fom. E 24 


370 iL TAMEL® 
«in uomo addormentato. Quello, che le rico- 
nosce , le piglia coi denti, le scuote violente- 
mente , e le calpesta con rabbioso trasporto. 
Quindi calmato le abbandona, e il lor padrone 
può allora moslrarsegii con tutta sicurezza. 

« I dromedari, altra specie di cameli, 
stanchi dell’ impazienza dei loro cavalieri si 
arrestano talvolta di corto, dice il sig. Son- 
nini, e si volgono per morderli, gettando gridi 
di rabbia. In tale circostanza unico buon par- 
tito a prendersi è il lusingarli , e dar loro 
tempo di ritornare in sè. 

Come gli elefanti, questi animali han degli 
accessi di furore periodici, in cui più volte 
furono veduti addentare un uomo, rovesciarlo 
al suolo, e calcarlo coi piedi. Quando si la- 
sciano errare su pingui pascoli, mangiano nello 
spazio d' un ora di che ruminare tutta la notte 
e nutrirsi all'indomani: ciò per altro loro 
non accade se non di rado. Più che le molli 
erbe , però, sembra che gustino le spine, le 
ortiche, le ginestre , la cassia, ed altri vege- 
tali pungenti. 

Ma si ascolti un'altra volta il signor di 
Buffon. « Il camelo è fra tutti gli animali 
domestici il più antico, il più sommesso, il 
più laborioso degli schiavi. Il più antico, poi- 
chè abita i climi in cui gli uomini si sono dai 
più rimoti tempi condotti a viver civile; il più 


IL CAMELO» 371 
sommesso , dacchè fra 1 altre specie di: dome- 
stici animali, come il cavallo, il cane, il bue, 
la pecora, il majale si trovano tuttavia degli 
individui nello stato di natura, la cui selvati- 
chezza ancor non è stata dall’ uomo assogget= 
tata; laddove la razza dei cameli in niun iuogo 
più si incontra nella primitiva indipendenza; 
finalmente il più laborioso, poichè mai non fu 
nudrito pel fasto, come la più parte dei ca- 
valli; nè pel divertimento come quasi tutti i 
cani; nè per l'uso delle mense, come il bue, 
il majale, il montone. Di esso non si fé che 
nna bestia da soma, cui non si pensò neppure 
ad aggiogare ad un carro; guardando lui stesso - 
come una vettura vivente, che si potea tener 
‘carica e sopracarica, anche durante il sonno. 
Quando infatti si ha fretta, obliasi di trargh 
da dosso il peso, ond' è oppresso , e sotto il 
quale ci si distende per TRA colle gambe 
piegate , € il corpo appoggiato sullo stomaco. 
Quindi può ben dirsi ch esso porti tutte le 
impronte della servitù e ie stimate del dolore.» 

Aicuni giorni dopo la nascita d' un camelo 
Y Arabo a cui appartiene piega le sue membra 
sotto il suo ventre, lo costringe a rimanere 
per terra, e lo carica in questa situazione di 
un fardello molto pesante, da cui mai nol li- 
bera, che per onerarlo di uno più forte. In 
luogo di dargli a mangiare, quando ha fame, 


3ma IL CAMELO. 
© a bere quando ha sete, regola sottilmente i 
suoi pasti, e lo costringe grado a grado a 
contentarsi di minor cibo quanto sono più 
lunghi i viaggi. 

Quando. l'animale ha acquistato un poco di 
forza, lo esercita al corso, e la sua emula- 
zione eccitata dell'esempio dei cavalli il rende 
col tempo molto agile, e assai più che senza 
di essa nol sarebbe divenuto. 

L'andatura del camelo essendo. il gran irot= 
to, chi lo monta è obbligato servirsi d’ una 
sella vuota nel mezzo e munita ad ogni ar- 
cione d'un pezzo di legno in linea retta © 
orizzontale. Il sig. Denon dice, che la prima 
volta ch'ei cavalcò un simile animale, temè che 
îl suo barcollamento nol rovesciasse; ma fu ben 
tosto rassicurato. Poichè postosi in sella vide 
di non avere che a secondarne i movimenti, e 
che non v era, per un lungo. viaggio; più 
gradevol cosa, che il sedergli in groppa, mas- 
sime non bisognando altra cura, che di fargli, 
quando. occorre, cangiar direzione, i 

I conduttori dei cameli hanno ciascuno un 
bastone, di cui non usano che sobriissimamen- 
te, e solo quando il voglia necessità. Caval- 
candoli gli eccitan piuttosto con una lunga 
correggia, € gli. stimolano nel tempo stesso 
con un sibilo leggiero, siccome fanno gli 
Europei coi loro cavalli. 


IL CAMELO. 373 

Si è tentato più volte d introdurre questi 
quadrupedi nelle nostre isole occidentali, ma 
sempre con niun successo, forse perchè di chi 
doveva averne cura si ignoravano affatto le 
loro ‘abitudiri e la ‘maviera di nutrirli. A 
questo inconveniente si aggiunsero le punture 
di certi insetti appellati chigo , i quali ins» 
nuandosi nelle piante dei piedi ai poveri ani+ 
mali, e cagionandovi ulceri e infiammazioni, 
li resero del tutio inutili nelle contrade, che 
abbiam detto. 

La carne dei cameli, sebben arida e dura,. 


BARI 


è talmente stimata dagli abitanti dell’ Egitto, 
che, non è molto tempo, fu al Cairo e in Ales- 
sandria proibito di venderne ‘ai cristiani. Nella. 
Barberia suole salarsene e affumicarsene la line 
gua, onde trasportarla in Italia e in altri paesi. 
Si fa traffico del loro pelo non che del cuojo 
della loro pelle; e tutte le parti del suo corpo. 


tengono qualche posto nella farmacopea della 
Cina. 


IL BISSONTE 


È detto anche toro o bue selvatico, ha corna 
brevi e rotonde, la cui punta si ricurva al di 
fuori; fronte larga; occhio fiero e scintillante, 
schiena protuberante come quella del camelo;, 
lunga e ondosa criniera, che forma una specie 


374 FL BISSONTE, 

di barba sotto il suo mento; le part inferiori 
del corpo assai massiccie; e quelle di dietro .in 
paragone assai deboli. 

Errano i bissonti in numerosi armenti e pa- 
seolano nelle praterie, che diciamo savane. da 
mattina e la sera, durante i grandi calori, ri- 
posano in riva a' fiumi ed a’ ruscelli, lasciando 
‘un’ impronta sì profonda de’ loro piedi negli 
umidi terreni, che gl’ Indiani seguono facil- 
mente le loro tracce e giungono ad ucciderli. 
Il farne caccia, però, esige la più gran cautela, 
avendo essi l odorato sì fino, che senton da 
lungi il nimico e pr rendon la fuga, e ogni lieve . 
ferita metteli in tanto furore, che schiacciano a 
colpi di corna e di piedi chi loro I arrecò. Es- 
sendo però quasi acciecati dai lunghi crini, 
che loro coprono gli occhi, è facile ai eaccia- 
tori l’andar ad essi molto vicini. Gli Indiani 
coll’ archibugio, mirando. loro alla groppa, g gli 
uccidono di primo colpo. 

‘ La caccia dei bissonti è la costante occupa- 
zione de’ selvaggi.  Formano questi un gran 
battaglione quadrato, e cominciano dal metter 
Buco all’erba che in certe stagioni è lunghis- 
sima e aridissima. A misura che il fuoco pro- 
pagasi, sì avanzano essi, restringendo le loro. 
file; e quegli animali spaventati dallo splendor 
delle fiamme fuggono in disordine da tutte le 


bande, nè un solo ne sfugge, 


v_pr 
IL BISSONTE. : 979 


Nella Luigiana i cacciatori de’ bissonti vanno 
a cavallo armati di lunghe lance, il ‘cui ferro 
ha la forma di una mezza luna. Si accostano 
sotto vento; ma appena quei quadrupedì li sen- 
tono si danno a fuggire con gran precipizio. 
Se non che la vista de cavalli calma la loro 
paura; e come la più parte di essi, in cerl 
tempi dell’ anno specialmente, sono per lab 
bondanza de’ pascoli molto impinguati, rallen- 
tano volentieri il corso. I cacciatori, fattisi in- 
tanto più vicini, cercano portar loro un colpo 
al dissoito del garretto, in modo di dividerne 
il tendine, e averli più facilmente in proprio 
potere. 

In varie parti dell’ America meridionale la 
caccia dei bissonti comincia da una specie di 
festa, e termina in un banchetto, a cui il più 
grosso di quegli animali serve d’ imbandigione. 
Appena un branco di essi è stato vedato neita 

oianura, i migliori cavalieri si dispongon ad 
assalirlo, il che fanno disiendendosi in lar ‘go se-- 
micircolo, e inoltrandosi quindi i chel 

Fra qualche tempo gl'inseguiti animali si mo- 
strano stanchissimi, e i cacciatori vie più in- 

calzando e mandando grida orribili costringonli 
a fuggire; e quelli, che non sono presti ab- 
bastanza rimangono uccisi. 

Onde porgere idea della forza prodigiosa 
de’ bissonti basti l' osservare, che fuggendo 


376 IL “BISSONTE. 
pei boschi, abbattono alberi assai più grossi 
«che il braccio d'un uomo, e corrono Sr 
verso la neve più alta con più rapidità che 
an Indiano traversar non potrebbe la sua con- 
gelata superficie con scarpe a racchetia. 

< Fui testimonio un giorno di questa par- 
ticolarità, dice il sig. :Hearne, ed ebbi la. va- 
mità di credere che potrei emulare i bissonti. 
To era allora riputato destrissimo a correre per 
la neve colle mie scarpe a rete; ma ben presto 
dovetti convincermi di non aver forza da se- 
guire ‘quegli animali, sebbene la loro corpu- 
lenza sia così grande, che vi lasciano orme pro- 
fonde, come farebbero sacchi di enorme gros» 
Sezza. » 

Molta sagacia mostrano i bissonti nel di- 
fendersi contro de’ lupi. Quando ne hanno sco- 
perto alcun branco, si dispongono in circolo, 
collocando al centro i più deboli, mentre i 
forti tengono la circonferenza, e presentano 
una selva di corna impenetrabile. Se però 1 
lupi giungono per sorpresa ad assalirli; allora 
molti così de’ più deboli come de’ più vigorosi 
rimangon vittime de’ voraci animali. 

Le differenti parti del corpo de bissonti si 
impiegano a differenti usi e tutti utilissimi. 
Colle loro corna si fanno fornimenti; la pelle 
serve agli Indiani per vesti e scarpe; e col loro 
pelo si formano guanti, giarrettiere e calze. 


OTVIAT UU 


L -BISSONTE. 379 

A sego di questi animali è anch esso ma» 
‘teria di traffico molto valutata, e la carne deile 
loro spalle dicesi esser delicatissima. 

Si è tentato addomesticarne alcuni, pren- 
dendoli giovani, e mescoiandok con buoi della 
specie ordicaria; ma quand’ erano più adulti 
disenivano sempre intrattabili, ed usando di 
quella irresisiibiite forza ch'-è in essi, rompe- 
vano le più saide sbarre de’ loro «chiusi, pren» 
devano la fuga, ed ecciiavano il resto del be- 
stiame, «hh era con essi, a fare alirettanto. Il 
sig. Pidcok d'Exeter-Change ebbe per due anni 
uno di questi animali, il quale, dicesi, conservò 
sempre ia sua naturale ferocia. La sua pelle 
imbalsamata conservasi ora nel museo del luogo 
«già nominato. 


IL BUFALO. 


Moltissima rassomiglianza ha esso col bue, da 
cui per aliro differisce ed esternamente per la 
carne, e nell’ inierna struttura per molte altre 
particolarità. La sua lunghezza, secondo Spart- 
mann, è di circa otto piedi, e di cinque e 
mezzo l’ altezza sua. Le sue membra propor- 
zionale a queste misure sono assai più grosse 
e robuste che quelle del bue; la sua giogaja 
«discende assai più basso ; le sue orecchie pen- 
denti e lunghe, circa, un piede, sono in gran 


378 IL BUFALO. 
parte coperte dalla inferior parte delle sue 
corna , che descrivono una curva, il cui con- 
vesso guarda la terra, mentre le estremità si. 
rialzano. Queste corna sono veramente singo- 
lari per la forma e per la posizione. La loro. 
base ha tredici pollici di larghezza ; non si al- 
lontanano che ‘di un pollice le une dalle altre 
per un canale o solco, il qual le divide, indi 
prendono una forma sferica e si estendono per 
gran parte della testa. 

Il pelo del bufalo è d'un colur bruno oscu- 
ro, la sua coda è corta e fioccosa ali’ estremo. 
Ama esso avvoltolarsi nel fango, e passa a 
nuoto i più gran fiumi con tutia facilità. La 
sua gobba non è già, come alcuni hanno pre- 
teso, un grosso tumor carnoso, ma è cagio= 
naia da aicune ossa, che obbligano le artico- 
lazioni della pelle ad allungarsi, più che non 
facciano in altri animali. o 

Trovansi i bufali più ordinariamente nelle 
ardenti contrade dell’ Indo e dell’ Affrica ; ma 
sono stati introdotti in alcune parti d’ Europa, 
& in esse naturalizzati. Quindi sono molto co- 
muni al mezzo-giorno dell’ Italia, e a tuite le 
contrade orientali del globo; onde se ne veg= 
gono ogni mattina numerosi armenti varcare 
il Tigri e l Eufrate. Marciano ben ristretti, 
e il bifolco , il qual li conduce e cavalca uno 
di essi, or si tiene diritto, or coricato ; e se 


IL BUFALO. 379 
taluno di quelli, che, van di fianco, sbandasi 
qualche poco, ei passa leggermente di’ dorso 
in dorso, per farlo rientrare in ischiera. 

Degno d' aitenzione in proposito degli ani- 
mali, di cui parliamo, mi par ciò che si narra 
avvenuto agli Inglesi, che compirono il viaggio 
intorno all’ Oceano pacifico, incominciato dal 
capitano Cook. Quand eglino furono giunti a 
Pulo Condore, si procacciarono otto bufali , 
che doveano condursi ai vascelli con delle 
corde fatte passare attraverso le loro. narici e 
intorno alle loro corna. Se non che, appena 
furono in vista dell'equipaggio, divennero sì 
furiosi, che alcuni si di dalle corde e 
si misero in libertà ; altri schiantarono i rovi, 
a cui si era creduto bene di legarli. Tuiti i 
mezzi, insomma, impiegati pel luo imbarco , 
sariano riusciti inutili, senza il soccorso d’ al- 
cuni fanciulli, da cui si lasciarono avvicinare, 
e appoco appoco calmare. Giunti poi nella rada 
bisognarono i fanciulli stessi per allacciar loro 
le gambe, stenderli a terra, e in seguito al- 
zarli onde meiterli in mare. Ed è pur osser- 
vabile , come ventiquattr'ore dopo che furono 
a bordo, lasciata ogni ferocia e ripugnanza , 
cominciarono a mostrarsi addomesticati, 

I bufali sono tanto comuni nelle pianure 
della Cafreria, ch’ ivi sovente se ne veggon 
passare ceniocinquantg e. dagento alli approssimar 


380 IL BUFALO. 
della notte. Nel giorno poi si ritirano fra le 
boscaglie. 

Il carattere di questi animali è selvatico e 
perfido. Perocchè sogliono appiattarsi tra scuri 
macchioni, ed ivi attendere il passaggio di 
qualche sventurato , che non ha altro mezzo 
di sottrarsi fuorchè il salire sopra di un al- 
bero, se alcun se ne trova vicino, mentre la 
fuga gli sarebbe inutile. Non paghi i bufali di 
atterrare ‘ed uccidere la loro vittima, si com- 
piacciono a rimaner lungo tempo sovra il suò 
corpo , calcandola coi -piedi, e schiacciandola 
coi ginocchi. La straziano poi colle corna e coi 
denti, e‘a forza di leccarla, le strappano la 
pelle : nè già esercitano questi aiti crudeli , 
senza intervallo; ma si allontanano di tratto 
in tratto a certa distanza , indi ritornano con 
barbara insistenza, per soddisfar di nuovo la 
loro ferocità. 

Il professor Thumberg ci narra, come al 
momento ch'egli e i suoi compagni di viaggio 
entrarono ne’ boschi della Cafreria videro un 
grosso bufalo sdrajato solo sovra un ignudo 
terreno. Appena quest animale si fu accorto 
di chi li guidava, si slanciò, sopra di esso, 
mandando un orribile muggito. L'uomo pie- 
gando tosto col suo cavallo, si rifugiò dietro 
un grande albero. Però il bufalo gettossi so-. 
vra quello ch’ era più prossimo al fuggito e 


IL BUFALO: 381 
diede. una sì furiosa cornata nel ventre del 
suo palafreno, che quasi subito ne morì. Il 
cavaliere allora arrampicossi ad una pianta; e 
l animal feroce corse. contro il restio della 
compagnia, che s' innoltrava a certa distanza , 
ed era preceduta da un cavallo , su cui nes: 
suno sedeva AI? aspetto ‘di questo il bufalo 
‘divenuto più che mai terribile, gli piantò nel 
petto le corna con tanto impeto, che riusci» 
rono fuor della schiena trapassando la sella.; 
e il cavallo cadde con più ossa infrante, € 
tosto spirò. Sopraggiunse in questo punto il 
professore ; ; e come il sentiero. non dava’ spa- 
zio bastante: per volger addietro, parve a lui 
gran ventura: il none un albero abbastanza 
elevato , che gli desse rifugio. Il bufalo però, 
senz’ altre minacce , dopo aver ucciso il se- 
condo cavalio , prese la fuga. 

Alcun tempo dopo il sig. Thumberg e la 
sua brigata discoprirono un grande armento 
di bufali, che pasceva nella pianura. Cone» 
scendone allora, quanto bastava , l'indole e i 
costumi , e sapendo che in luogo aperto mai 
non ne sarebbero aggrediti , si avanzarono a 
quaranta passi, e scaricarono contr” essi gli 
archibugi , di. cui andavano muniti. I bufali 
spaventati dallo. scoppio e dal fuoco improv- 
viso si ripararono alla foresta; se non che 
aleuni più gravemenie feriti, mon potende 


Su. TL BUFÀLO. 
camminar cogli altri, sbrancaronsi € Yimasero 
addietro. Fra questi ne era uno più vecchio, 
che si slanciò furioso sui viaggiatori. Ma questi 
che sapean bene, come gli occhi di simili 
animali mirar non possono che in linea retta, 
e che ove in aprica pianura Y uomo da loro 
inseguito esca un po di mano e si getti boc- 
cone al suolo, quelli passan oltre senza avve- 
dersene, poterono facilmente scampare il pe- 
ricolo. Tanta però era la forza del quadrupede, 
che sebbene la palla fossegli dal petto pene- 
trata molto addentro nel corpo, galoppo per 
più centinaja di passi senza cadere. 

Nella Cafreria i bufali sono ordinariamente 
uccisi a colpi di giavellotti, che gli abitanu 
sanno lanciare con molta destrezza. Quando 
un Cafro ha discoperio .un luogo, ove. più 
bufali son riuniti, si da a soffiare in un zu- 
folo , il quale è udito a molta distanza. A 
questo segno i compagni, che stanno attenti, 
accorrono a tutti i passaggi, formando per 
gradi un cerchio intorno a quei quadrupediì , 
cortro de’ quali lanciano i loro dardi con 
tanta destrezza , che di rado ne sfugge uno 
solo. Talvolta, però, questi fuggendo storpiate 
od uccidono alcuni de’ cacciatori; il quale pe- 
ricolo punio non gli sgomenta. Terminata. la 
caccia fanno essi a brani ie carni della preda, 
dividendole fra sè in uguali porzioni, 


IL BUFALO. 333 

Kolbe riferisce che un bufalo essendo inse- 
guito da alcuni Europei al Capo di Buona 
Speranza, si avventò contro quelli fra essi , 
ch avea un abito ‘rosso; onde, per salvarsi, fu 
costretto di enirar nel fiume, e fuggire nuo- 
tando. L’ animale però gli tenne dietro, e in 
un momento gli si trovò sì dappresso, ch'egli 
aiiro rimedio non vide, che di attuff&rsi pro- 


fondamente , sicchè quello gli. passò sovra il 


capo; e avendolo ‘affatto perduto di vista si 
rivolse all’ opposta riva. Nè ciò ancora avrebbe 
fatto sicuro il ruotatore, se il bufalo non 
fosse alfin stato ucciso da un colpo d' archi- 
bugio trattogli da un vascello che si trovò le- 
gato a poca distanza. La gente dell’ equipaggio 
fe dono della sua pelle al governatore, che 
la depose imbalsamata nel suo museo. 

Oltre la pelle, anche le corna del bufalo 
sono molto pregiate. Queste, come di sostanza 
saldissima, ricevono la miglior pulitura; quella, 
come fortissima, s' adopera in molti usi, come 
in far corazze e scudi, che reggono alla prova 
degli stessi fucili. Se non che, essendo essa 
di tanta durezza, ende uccidere il bufalo è 
uopo di palle, in cui entri un misto di sta- 
gro; nè sempre ciò basta, poichè spesso ca- 
dono ammaccate dalla resistenza che incontrano. 

Vuolsi che la carne de’ bufali, quella dei 
giovani in ispecie, sia boccone eccellente. {Gli 


384 IE BUFALO. 
Ottentoti, che non conoscono grande: squisi- 
tezza di cucina, la tagliano a fette, l'affumi- 
cano, e poi l'arrostiscono per metà sovra car- 
boni. Talvolta anche la mangiano affatto imac 
putridita. 


e. IL ZEBRO.. 


Ha testa assai dura e orecchie-presso a poco 
somiglianti a quelle del mulo. Il suo corpo è 
rotondo e ben formato ; le sue gambe sone 
fine e delicate. Alla bellezza del suo ester- 
no, poi, dà nuovo lusiro la lucentezza della 
sua pelle, e la mirabile regolarità delle. liste ,. 
end’ essa si adorna. Nel maschio queste: liste 
son brune, sopra un fondo bianco giallognolo; 
e nella femmina son nere sopra fondo bianco. 

Abitano i zebri. le contrade meridionali del- 
I Affrica, ove i loro greggi numerosissimi ri 
creano piacevolmente. I ocehio del Viaggiatore. 
Si raccolgono essi di giorno nelle pianure 
dell’ interno del paese; e la: loro bellezza 
forma l° ornamento di quelle. solitudini. ‘Tale, 
però, è la loro diffidenza, che mai. non si 
lasciano avvi-inare da chicchessia. 

Tutti: i tentativi finora usi att, onde addo- 
mesticarli e renderii utili all uomo, riuscirono 
infruttuosi. Feroci e- poriati all'indipendenza, 


IL ZEBRO. "SM 
sembra che assolutamente soffrir - non possano 
alcun vincolo di servitù. Ove, però, piglian- 
doli giovani, -si avesse più particolar cura 
della. loro educazione, penso che a qualche 
cosa si riuscirebbe. 

Un zebro bellissimo che mostravasi , tempo 
fa, al liceo nello Strand era sì mansueto, che. 
spesso il suo custode metteagli de faneiulli sul 
dorso, senza ch'esso mostrasse di risentirsene 
anzi vi fu un giorno chi lo cavalcò dal liceo 
sino a Pimlico. La quale siraordinaria docilità. 
in. un quadrupede naturalmente sì indocile 
si spiega facilmente, pensando che. quello, 
di cui parliamo, era nato in Portogallo da 
padre e da madre captivi, e quindi alcun peco 
addimesticati. 

Il buon zebro, che, dicesi, era costato 
trecento ghinee a chi lo facea vedere, morì 
arso nella sua stia pel fuoco, il qual gli si 
accese nel letto. 

Ordinario. nutrimento dei zebri è il fieno, 

La loro voce sembrò a taluno aver qualche 
somiglianza: col suono del corno de’ postiglioni 
in certi paesi; veramente essa è ianto singo- 
lare, che riesce. impossibile il darne precisa 
idea. Il sig. Vaillant la paragona allo strepito, 
che fanno le pietre, lanciate violentemente sul 
ghiaccio. Si ode più frequente, a misura che 


i zebri sono in ma: ggior compagnia. 


Gabinetto {om.. L. 25 


386 IL ZEBRO. 

| Quella zebra che vedeasi, or sono alcuni 
‘anni, alla Torre di Londra vi era stata con- 
‘dotta dal capo di Buona Speranza -sovra un 
vascello del luogotenente generale Dundas, e 
comperata dal sig. Bullok direttore dei parco 
reale. Permetieva essa talvolta al suo guardiano 
di montarle in groppa, e per qualche mo- 
mento vel sofferiva ; ma poi mostravasi rical- 
citranie , e il forzava a discenderne. Gran fa- 
tica egli aveva a durare per governarla, non 
solo a cagione del suo. naturale irritabile, ma 
altresì della distanza, a cui potea raggiungerlo 
co suoi calci. Mai persone straniere non po- 
teano approssimarsele, senza esporsi ad immi- 
nente pericolo ; anzi un dì il custode istesso 
fu da lei preso per un lembo dell’ abito , e 
gettato a terra; e se non fosse stato pronts- 
simo a rialzarsi e fuggire, infallibilmenie ne” 
rimaneva ucciso. Morì poi essa nel mese di 


giugno del 1809. 
LA GIRAFFA. 


Questo quadrupede straordinario non tro- 
vasi che nei deserti dell'Etiopia, e in alire 
parti molto interne dell'Africa; ove pure è 
stato così di raro veduto dai viaggiatori di 
Europa, che più volte si mise in dubbio la 
sua esistenza, prima che se ne avessero, come 


LA GIRAFFA. 38% 
oggi, più sicuri € più cir costanziati ragguagli. 
La sua testa rassomiglia, presso a poco, a 
quella di un camelo, ma va munita di due 
sottili corna lunghe, circa, sei pollici, e iron- 
che, in certa guisa, all'estremità, ove si ri- 
coprono d’ una specie di vello, che termina 
in un rozzo fiocco di nero pelo. Le sue orec-, 
chie sono lunghissime, i suoi occhi grandi, 
vivaci e assai belli. L'altezza sua, quando va 
ben diritto, è di sedici in diciotto piedi dal- 
lugne all'alto di quelle corna, che dicemmo; 
e la sua lunghezza è di ven dalla fronte alla 
punta della coda. Il colore del maschio è un 
bianco sporco, picchiettato di diverse macchie 
rugginose, onde gli viene anche l'altro. nome 
di camelopardo; le macchie della femina sono 
di un fulvo pallido. 

Le giraffe dan segno d'esser timide e man- 
suete. Quando sono ine seguite pigliano un trotto 
sì rapido, che ap pera un buon cavallo riesce 
a seguirle; e continvano lungo tempo a core 
rere dell istessa guisa, senza mai aver bisogno 
di riposo. Quando saltano, levano insieme i 
due piedi anteriori, e quindi quelli di dietro, 
come un cavallo che avesse le due gambe at- 
iaccate. Si nutrono particolarmenie di foglie 
d aiberi, soprattutto di quelle d’ una specie 
particolare di mimosa, assai comune a’ paesi 
ch' esse abiiano, € d’ un’ altezza appropriata a 


336 LA GIRAFFA. 
quella delle loro gambe e del loro corpo. Si 
ascono, però, con molta difficoltà, essendo . 
obbligate, a quest'uopo, di allargar le gambe 
a distanza notabile. 

Credevasi. altra volta che la giraffa non 
avesse nè mezzi, nè intenzione di difendersi 
contro gli assaliù degli altri animali. Ma il 
sig. le Vaillant ci assicura che co’ suoi calei 
precipitosi stanca, scoraggisce, e alfin per- 
viene ad allontanare il lione. Essa però non 
si serve delle sue corna, come d armi of- 
fensive. 

Secondo varie memorie sino a noi pervenute 
sembra che la giraffa sia stata ben conosciuta 
dagli antichi. Fra tutte le loro descrizioni, 
però, quella che ce ne porge Eliodoro greco, 
vescovo di Sicca, sembra la più fedele. 

« Gli ambasciadori di Etiopia , dic’ egli , 
condussero un animale della grandezza di un 
camelo , la cui pelle era segnata di macchie 
d'un color vivo e brillante, e le posteriori parti 
del cui corpo eran bassissime in proporzion 
delle anteriori così alte. Sottile era il suo collo, 
sebbene si spiccasse da un corpo assai mem- 
bruto. La sua testa era simile , per la forma, 
a quella del camelo, ma per la grandezza non 
era che il doppio di quella dello struzzo ; e 
gli occhi pareano tinti a differenti colori. L’an- 
dio dell’ animale era differentissimo da 


LÀ GIRAFFA. 389 
quello di tuti gli altri quadrupedì , che por= 
tano, camminando, i lor piedi diagonalmente, 
cioè a dire il destro anteriore col posteriore 
sinistro; laddove la natural ambiadura della 
giraffa è di portare i due sinistri o 1 due 
destri insieme. E poi animale sì mansueto, 
che può guidarsi ovunque piaccia sol per 
mezzo di una corda, che gli si annodi al 
capo ». 

Sembra che una giraffa sia stata condotta 
T anno 1507 al Gran Cairo in Egitto; poi» 
‘chè Baugmarten ci dice che il 26 d' ottobre, 
guardando dalla sua finestra, vide questo grande 
animale, il maggiore che mai si fosse presen= 
tato a' suoi occhi. La sua pelle era tutta d'un 
‘color bianco e bruno, il suo collo avea un 
cubito di lunghezza, e la testa altrettanto; gli 
occhi eran vivi e scintillanti; il ventre diritto, 
e il dorso concavo. Mangiava pane e frutta , 
e quanto gli si presentava. 

Gli Ottentoti fanno la caccia alle giraffe 
principalmente a cagion del midollo delie loro 
‘ossa, eui riguardano qual cibo delicatissimo. 
Anche la loro carne si vuol che sia un ec- 
cellente vivanda. 


390 
IL NIL-GHAU 


Sembra tenere un di mezzo fra il cervo ed 
il bue; ma è molto più grosso dell’ uno , e 
molto più piccolo dell’ altro. Ha quattro piedi 
di altezza da terra alle spalle; e le sue corna, 
le quali van per gradi sminuendosi di gros- 
sezza, e sono smussate ell’ estremità, pajono ben 
lunghe sette pollici. 

Ecco la descrizione, che abbiamo di quest’ ani- 
male dal sig. di Buffon: « Il d: dietro del ma- 
schio è più basso che il davanti, e vedesi una 
specie. di gobba o. di preminenza snlie sue 
spalle. Queste sono guernite d'una picciola cri- 
miera, che comincia alla sommità del capo e 
finisce a mezzo il dorso. Sulla. pancia irovasi 
quasi un gran fiocco di lunghi peli. neri. I 
pelame poi di tutto il corpo è d'un color gri- 
gio d' ardesia; ma quel della testa è di un 
fulvo misto a un grigio chiaro, e intorno agli 
occhi un fulvo. chiaro con picciola macchia 
bianca all’ angolo: di ciascuno degli occhi stessi. 
Le orecchie son molto grandi e larghe, se- 

nate. di tre liste nere verso le loro estremità. 
Il sommo della testa è guernito di un negro 
pelo misto di bruno; il quale forma sull’ alto 
della fronte una specie di ferro di cavallo. 
Sotto il collo, molto presso al petto, vedesi 
wua gran macchia bianca. Il ventre è d un 


îL NIL-GHAU. 391 
color grigio di ardesia, come il resto del corpo. 
Le gambe davanti e le cosce son nere nella 
parte anteriore che apparisce, e nell’ interno 
di un grigio più cupo. I piedi son corti e ras 
somigliano a quelli del cervo, e l' unghie son 
nere. L’ esterno poi de’ piedi. anteriori porta 
una macchia bianca, e nell interno se ne di- 
scoprono due dello stesso colore. Le gambe di 
dietro sono molto più forti che quelle davanti; 
: sì coprono tutte di peli nericci, mentre i 
piedi così al di dentro che al di fuori hanno 
due grandi macchie bianche. Al basso di esse 
cadono lunghi peli castagni, che formano una 
cioeca arricciata. La eoda è verso il mezzo di 
un color grigio di ardesia, ignuda al disotto, 
e munita dai lati di lunghi peli bianchi, i quali 
già non si distendone sopra di essa, ma stanno 
ritti ritti, come lance sottili. » 

Il dottor Hunser così favella nelle Transa- 
zioni filosofiche dell’ animale di cui trattiamo: 
« Sebbene il nil-ghau sia generalmente creduto 
di difficilissimo governo, quello però che mi si 
era dato in guardia mostravasi assai docile. 
Parea molto soddisfatto della famigliarità, ch'io 
seco usava; leccavami la mano, sia che il toc- 
cassi leggermente, sia che gli dessi a mangiare, 
nè mai tentò recarmi offesa colle sue corna. 

« Molto, per ciò che appariva, confidavasi 
esso nell organo dell’ odorato; perocchè fiutava 


ts: 


_ 09 IL -NIL-GHAU, 

forte e facendo grande strepito ‘ogni ‘volta che 
alcuno gli si oflriva allo sguardo, ovvero gli si 
arrecava cibo o bevanda; e tanto abborriva ogni 
odore straniero, che rigettava quel tozzo di 
pane, il qual gli venisse da una mano, che me- 
mnomamente avesse toccato essenza di tremen- 
tina o spirito di vino. » 

« Singolarissima è la sua maniera di battersi, 
dice il sig. di Buffon. Milord Clive ebbe agio 
di osservarla in due maschi, i quali erano stati. 
chiusi in un piccolo recinto, e così me la rac- 
contò. 

« Essendo tuttavia a molta distanza l uno 
dell altro , si prepararono al combattimento 
cadendo sulle ginocchia anteriori; e in tal 
guisa sirisciarono rapidissimi questo all’ incon- 
tro di quello per affrontarsi. Come finalmente 
furono vicini spiccarono un salto e si assali- 
rono ‘a vicenda. 

« Questo andare sulle ginocchia davanti lo 
notai per vero dire ogni volta, che si voleva 
toccare i due da me posseduti, e talora anche 
solo che mi presentassi ai loro sguardi. Ma 
come non si slanciavano mai contro di me, 
era ben lungi dal pensarmi che simile posi- 
tura indicasse collera o disposizione a combat- 
tere. Che anzi io la riguardava come un segno 
di timidezza, anzi di umile docilità. » 

La forza e l'intrepidezza, con cui simili 


| IL NIL=GHAU. 393 
‘animali slanciansi contro un oggetto a loro inviso 
può argomentarsi da ciò che sono per riferire. 

Un nil- - ghau di vagguardev ole grossezza pas- 
sava in un chiuso non lungi di un povero 
giornaliero, il quale non sapendo che l' ani- 
male gli era vicino montò sopra la palizzata. 
Il nii- ghau colla rapidità del fulmine lanciossi 
‘contro la palafiita istessa, cul mise in pezzi 
rompendosi lun de corni sin presso alla sua 
origine, il «che fu probabilmente .cagion della 
‘sua morte, che poco appresso avvenne. 

Si trae sovente il nil-ghau dalle parti in- 
terne dell Asia, per farne presente ai Nabab 
o altri grandi personaggi degli stabilimenti eu- 
ropei neli’ India. In alcune contrade dell’ Oriente 
‘esso è riguardato come selvatico reale, e solo 
il principe o i magnati han privilegio di an- 
darne alla caccia. 

U::0 se ne vede oggi (1806) nel parco di 
Exe:er- Change, che ha circa sei anni, e da più 
«di tre è in possesso del sig. Pidcock. È vera 
mente bell'animale, ma nessuno degli stranieri 
può ad esso accostarsi. Quando si prepara ad 
alcuna specie di contrasto suole, siccome quelli 
già descritti, inginocchiarsi, ed urtare col capo 
fortissimamente. Il suo custode mi disse che 
non Viveva se non di fieno e di frumento. 


FINE DEL TOMO PRIMO. 


INDICE 
DEL TOMO PRIMO. 


Mino dell’ Editore i i 
Jatroduzione 

CariroLzo I 

Il Leone ; A È : 

La Tigre . È - . è 

Il Leopardo . 

La Pantera È A L. È 
N Lince i 5 È i E A 
L’ Oceloto 
L’ Iena * 

L’Tena Lucia ; i, 

CapiroLo II ; i ; 
Il Lupo : ; : ; E = 
La Volpe . 

La Volpe del Polo Alica. 

Il Chacal o Lupo Dorato 

Il Chacal di Barberia o l’ Adivo 

Il Castoro 

CapitoLo HI 

"L'Orso comune 


L’ Orso. d’ America 


‘396 INDICE DEL TOMO 
L'Orso Bianco . .È 
TI Coati o Rattone ; 


Il Tasso. È ; ; 
Il Ghiottone i ; 
‘CApitoLo IV 

IL’ :Ele fante i 4 


Tl Rinoceronie . 
Tl Rimoceronte a doppio corno 


L’Ippopotamo . ; 

Il Tapiro . L 

CaritoLo V 2 STILI 
L’ Orangotano 

IM Bertuccione  . , 

Il Piteco . ; . 


Il Babbuino propriamente detto 
fl Babbuino con muso di cane 
Il Babbuino Orsino 

Il Coaita 

La Garzetta - 

L’ Quistiti 

Il Callitrice 

La Berretta Cinese i ° 
L'Ouarino . 4 


Il Sajou 
Il Saimiri . i È 
La Diana . ; . 


ll Lori Tardigrado 
Il Manicou 


200 
Ivi 
215 
218 
221 
224 
ivi 
228 
DI 
253 
254 
256 
257 
242 
245 
244 


252. 


258 


INDICE DEL TOMO PRIMO. 


Il Cayopollino . ; i 
Il Kanguro i , ; 
Il Becco d’ Uccello ; ; 
La Foca 


1° Orso Marino 

La Foca dal naso a baia 
Il Lion Marino 

Il Morso —. ; 
CapirtoLo VI . ; 

La Nottola o Pipistrello 

Il Vampiro ì 

La Talpa 

L’Ai 

Il Porco Spino 

Il Riccio . 

La Donnola 

L’Icti o il Bocamele . - 
Il Zibetto 
La Martora ; ; : 
Il Zibellino 

LI’ icneumone . -. 
CapitoLo VII 

Lo Scojattolo ; i 

Lo Scojattolo Grigio. . 

Lo Scojattolo Volante . 


Il Gerbo . . i 


TH Lepre 
Il Coniglio 


397° 


Pag. 


3” 


261 
262 
266 
270 
200] 
2,82 
285 


288 
294 


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[9] 


398 INDICE DEL TOMO PRIMO. 


CapitoLo VII . - Pag. 565 
Il Camelo . c i : È » ivi 
Il Bissonte . 3 . S iran » 393 
Il Bufalo . . . Sg i », 577 
Il Zebro . i i » 364 
Ta Giraffa . _ , i 1) 386 


1 Nil-Ghau 2 > 3 : ì 1» 590 


REGISTRO 
DELLE TAVOLE INCISE 


CONTENUTE IN QUESTO TOMO. 


Roe... 


Il Leone 

La Tigre 

1 Iena 

ll Lupo 

La Volpe 

L’ Orso 

L’Flefanie . 

Il Rinocerente 
I'Ocangotano . 

I Babbuino Orsino . 
I. Alano e la Scimia 

Il Kanguro 

La Noitola e Pipistrello 
Lo Scojattolo i i 
H Lepre . î 

Il Camelo . n 

IH Bufalo 


ANTOLOGIA 


MORALE, ASCETICA, CRATORIA 


CHE SI PUBBLICA PER ASSOCIAZIONE. 


IN. QUESTA STAMPERIA. 


I diciassette tomi usciti sono : 


Tomo 1.° e 2.° Lettere scelte di S. Girolamo 
ritradotte sul testo originale, con rame. Lim 
Tom. 3,9 Orazioni di S. Gregorio Nazianzeno 
fatte toscane da Annibal Cu: con rame. ‘> 
Tom. 4.0 5.° e 6.° Caratteri dei più celebri dae 
tori Sacri, descritti dal Cardinale Siffredo 
Maury , col suo ritratto . ” 
Tom. 7.° e 8.9 Gli Uffici di S. Ambrogio coll 
l aggiunta del Trattato della fuga. dal mon- 


do , con rame. +. ”» 
Tom. 9.9 Orazioni di S. Giai Grisostomo , 
con rame . - ” 


Tom. 10. Pensieri Ri Pal al religione , 
ricorretti e forniti d’ importanti note, con 
ritratto . . ; i 9” 

Tom. 11.9 Sermoni di S. Agostino recente 
mente scoperti, col testo a fronte, e rame 

Tom. 12.° Sermoni ed Omelie del medesimo 
S. Agostino, volzarizzati da Monsignor Flori- 


mo nie . ” 
Tom. 13.° e 14.° Opere scelte di Tertulliano , 
con rame . 9) 


Tom. 15.2 e 16. o Or azioni Fanehri a Bossuet 
ricorrctte ed accresciute dell’ Orazione reci- 
tata per la professione religiosa della Du- 
chessa della Vallière, con rame . s9 

Tom. 17.° Della Dottrina Cristiana, libri quat- 
tro di S. Agostino, versione del Bersantini. D) 

Tom. 18.9 ( sotto. ‘i torchii ). Discerso sopra 
3° unità della Chiesa di Bossuet suddetto. 


h. 


ED 


DI 


no) 


30 


Rae